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LA CRISTOLOGIA PAOLINA

NELLE LETTERE AI GALATI E AI ROMANI


ROMANO PENNA
[Seminario di aggiornamento per studiosi e docenti di S. Scritttura]
Pontificio Istituto Biblico – 23-27 gennaio 2017

Premesse
Il tema in questione potrebbe essere sviluppato in forma distributiva, cioè considerando
separatamente le due lettere come scritti diversificati e autonomi, e così effettivamente
procede qualche Autore1.
Ma, come è ben noto, le due lettere di Paolo ai Galati e ai Romani sono per così dire so-
relle, pur dovendo precisare che entrambe sotto punti di vista diversi sono ciascuna sorella
minore e sorella maggiore: Gal è minore quanto ad ampiezza ma è maggiore quanto ad
anteriorità di composizione, mentre altrettanto Rom è minore perché nata dopo ma è
maggiore per la sua estensione.
La loro ‘sororità’ è comunque comprovata da una tematica comune non affrontata nelle
lettere precedenti ai Tessalonicesi e ai Corinzi, quella cioè della giustificazione del peccato-
re mediante la fede, appena accennata in Fil 3,9. Ed è una tematica trattata in polemica con
la controparte giudeo-cristiana dei cosiddetti pseudadélfoi/«falsi fratelli» (Gal 2,4), che stan-
no sullo sfondo anche di Rom2, e che connettevano tale giustificazione anche (se non so-
prattutto) con l’osservanza della Legge3. Tale polemica è sviluppata con toni molto forti
più in Gal che in Rom, se non altro perché l’Apostolo conosceva di persona i destinatari
della prima lettera, a differenza di quelli della seconda.
Una importante precisazione di base riguarda poi il rapporto tra cristologia e soteriolo-
gia. Infatti Paolo non sviluppa alcuna cristologia ontologica, argomentando cioè in modo
tale da stabilire in linea di principio quale sia la vera identità personale di Gesù Cristo,
come faranno poi Gv e i primi Concili ecumenici, anche se questa identità ontologica tra-
spare comunque. L’Apostolo piuttosto parla sempre di Gesù in rapporto all’uomo, per di-
re quale sia stato e continui ad essere la sua funzione soteriologica, la quale viene anche
evidenziata dalla frequenza delle formule-u`pe,r4. In questo senso non posso che dare ragio-
ne a Melantone quando scrive nei suoi Loci communes: «Hoc est Christum cognoscere, be-
neficia eius cognoscere»5. Vale a dire: ciò che Gesù è, lo si deduce da ciò che egli ha fatto!
Se questo vale per le lettere paoline in generale, ha uno spessore molto più consistente in
Gal e Rom, che è meglio considerare a parte.
Qui di seguito intendo semplicemente passare al setaccio le due lettere dal punto di vi-
sta della loro cristologia, sia di quella condivisa da entrambe sia di quella propria di cia-
scuna di esse.

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1 Così fa per esempio Gordon D. Fee, Pauline Christology. An Exegetical-Theological Study, Hendrickson,
Peabody MA 2007, che assegna a Gal le pp. 207-236 e a Rom le pp. 237-288.
2 Ma si veda anche in Rom 3,8 il rifiuto di una calunnia rivolta a Paolo (blasfhmou,meqa), anch’essa di sapo-
re giudeo-cristiano, di insegnare cioè a operare il male perché ne venga il bene della giustizia salvifica di Dio.
3 Si veda anche Th. Söding, «Theologie im Dialog: Der Galater- und Römerbrief als Paradigma», ZTK 111
(2014) 374-388.
4 In merito cf. l’apposito excursus di G. Pulcinelli in Id., La morte di Gesù come espiazione. La concezione paoli-
na, San Paolo, Cinisello Balsamo 2007, 199-215.
5 Pubblicato nel 1521, questo scritto ebbe già nel ‘500 una traduzione italiana, riproposta in: Filippo Me-
lantone, I principii della teologia, a cura di S. Caponetto, Istituto Storico Italiano, Roma 1992, 26.
2 – Seminario sulla letteratura paolina – PIB 23-27 gennaio 2017

1. La titolatura cristologica in rapporto alle lettere precedenti.


La cristologia delle nostre due lettere suppone, non solo quella della chiesa pre-paolina,
ma pure quella delle lettere anteriori e sostanzialmente la riprende tale e quale, come pos-
siamo brevemente constatare a proposito dei titoli cristologici. Di essi alcuni non sono ri-
presi, altri sono del tutto nuovi, mentre i maggiori sono ampiamente ripetuti.
Nelle due lettere, per esempio, non vengono più ripetute alcune qualifiche precedenti,
specie della Prima ai Corinzi, come sofi,a qeou/ (1Cor 1,30; in Rom si parla solo della sa-
pienza di Dio e solo in 11,33), qeme,lioj/fondamento (della comunità cristiana: 1Cor 3,11), to.
pa,sca h`mw/n (1Cor 5,7), o` e;scatoj VAda,m (1Cor 15,45) e indirettamente quello di «re» presente
nel verbo basileu,ein (1Cor 15,25); altrettanto va detto di pneu/ma zw|opoiou/n di 1Cor 15,45, an-
che se in Gal 4,6 si parla dello «Spirito del Figlio suo» e in Rom 8,9 troviamo il sintagma
«Spirito di Cristo», ma in contesti diversi, come vedremo in seguito.
Viceversa la discendenza davidica di Gesù si trova solo in Rom 1,4 (evk spe,rmatoj Daui,d),
anche se solo accennata6, senza che essa sia stata menzionata nelle lettere precedenti; anzi,
semmai in Gal 3,15-29 Gesù Cristo è considerato spe,rma non di Davide ma di Abramo, e
però anche la menzione di questa ascendenza è nuova (se mettiamo da parte Mt 1,1, che
però non ha nulla a che fare con Gal).
La ripresa si vede in particolare nell’uso dei maggiori titoli cristologici, che peraltro
vengono impiegati da Paolo senza alcuna discussione argomentativa ma solo con
l’applicazione diretta alla loro funzione soteriologica.
Così è di cristo,j: in Gal su 39 ricorrenze esso è congiunto con il nome anagrafico Ivhsou/j
per 15 volte7, mentre solo 3 volte è preceduto dall’articolo a significarne appunto la portata
titolare8, e le altre 21 volte è usato da solo con valore assoluto; in Rom su 68 ricorrenze è
congiunto per nemmeno la metà con il nome anagrafico Ivhsou/j (30 volte)9 e solo10 volte è
preceduto dall’articolo10, mentre per le altre 28 volte ricorre da solo. Inoltre il vocabolo, da
solo o unito con «Gesù» e/o «Signore», come risulta più volte in Paolo, nelle nostre due
lettere ricorre spesso con il costrutto sociativo evn Cristw/| (13 volte in Rom11 e 7 volte in
Gal12), ma anche con il costrutto strumentale dia. Cristou/ (9 volte in Rom13 e 1 volta in Gal
[1,1]) o finale eivj Cristo.n 14, oltre all’unico costrutto su.n Cristw/| (in Rom 6,8)15.
Quanto a ku,rioj, si pone sempre la questione della sua doppia semantica, se teologica
(in senso ebraico) oppure cristologica. La cosa è ben chiara quando il titolo si trova esplici-
tamente congiunto con il nome Gesù, che avviene solo 4 volte in Gal (su appena 6 ricor-

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6 Essa sarà riaffermata solo in 2Tim 2,8.
7 Gal 1,1.3.12; 2,4.16bis; 3,1.14.22.26.28; 4,14; 5,6.14.18.
8 Gal 1,7; 5,24; 6,2.12.
9 Rom 1,1.4.6.7.8; 2,16; 3,22.24; 5,1.11.15.17.21; 6,3.23; 7,25; 8,11.34.39; 13,14; 15,5.6.16.30; 16,3.18.20.24.25.27.
10 Rom 7,4; 8,35; 9,3.5; 14,10.18; 15,3.7.19; 16,16.
11 Rom 3,24; 6,11.23; 8,1.2.39; 9,1; 12,5; 15,17; 16,3.7.9.16.
12 Gal 1,22; 2,4.17; 3,14.26.28; 5,6. Inoltre: 13 volte in 1Cor, 7 volte in 2Cor; 9 volte in Fil; 4 volte in 1Tes; 3
volte in Film.
13 Rom 1,8; 2,16; 5,1.11.17.21; 7,4.25; 15,30. Inoltre: 2 volte in 1Cor (+ 1 volta dia. Cristo.n); 2 volte in 2Cor
(+ 3 volte u`pe.r Cristou/ e 1 volta in Fil 2,29).
14 In Rom 6,3; Gal 2,16; 3,24.27 (+1 volta in 1Cor e in 2Cor).
15 Più 1 volta in Fil 1,23 (in senso diverso), dove si trovano anche i costrutti evk Cristw/| (3,3) e u`po. Cristou/
(3,12).
R. Penna, La cristologia paolina in Gall e Rom – 3

renze)16 e 18 volte in Rom (su 44 ricorrenze )17; ma anche il semplice sintagma greco evn
Kuri,w| ha valore cristologico e lo si trova 7 volte in Rom18 e solo 1 volta in Gal (5,10).
La qualifica di ui`o,j come appellativo di Gesù Cristo è impiegata solo in rapporto a Dio,
mai in rapporto a qualche genitore terreno, e si trova solo 3 volte in Gal19 e 6 volte in
Rom20, sempre in contesti molto forti. In proposito è interessante la sua correlazione ai bat-
tezzati quali «figli» nel senso di una filiazione condivisa ma acquisita per adozione21.
Infine, ritengo comunque non cristologica ma teologica in senso stretto la qualifica di
qeo,j in Rom 9,5 (o` w;n evpi. pa,ntwn qeo.j euvloghto.j eivj tou.j aivw/naj). La sua lettura cristologica
sarebbe l’unico caso nel corpus delle lettere paoline autentiche22, ma qui per la successione
tra il v.4 e il v.5 è determinante la scelta della punteggiatura23. In ogni caso la divinità di
Gesù Cristo è implicita nel titolo di ku,rioj, come si vede all’evidenza nella rilettura della
citazione di Gioele 3,5 in Rom 10,13 («Chi invocherà il nome del Signore sarà salvo»)24, per
non dire della sua già accennata filiazione divina.

2. La riflessione cristologica comune alle due lettere.


Diciamo subito con chiarezza e in sintesi che nella riflessione di Paolo, Gesù Cristo fa da
trait-d’union tra l’intervento agapico proprio di Dio e l’accoglienza di fede da parte
dell’uomo. In lui, cioè, si trovano uniti insieme Dio e uomo, non tanto a livello di afferma-
zioni filosofiche astratte quanto invece in rapporto ad eventi o meglio al solo decisivo
evento verificatosi evn tw/| nu/n kairw/| (Rom 3,26) che rappresenta to. plh,rwma tou/ cro,nou (Gal
4,4), quello cioè della venuta e della morte redentrice di Cristo. Può essere interessante os-
servare che, mentre l’uso dell’avverbio nu/n in Rom è impiegato appunto in prospettiva sto-
rico-salvifica (cf. anche Rom 3,21; 6,22; 7,6), in Gal invece è impiegato solo in rapporto alla
vita attuale o di Paolo (cf. Gal 1,23; 2,20) o dei cristiani (cf. Gal 3,3; 4,9) o della Gerusalem-
me presente (cf. Gal 4,25.29)25. Comunque, detto in poche parole, la cristologia unisce in sé
e vincola inscindibilmente teologia e antropologia.
Da parte mia, qui di seguito, adotto come punto di partenza il testo di Gal 4,4-5:
«Quando venne la pienezza del tempo (o;te de. h;lqen to. plh,rwma tou/ cro,nou), Dio mandò il
figlio suo (evxape,steilen o` qeo.j to.n ui`o.n auvtou/), nato da donna, nato sotto la Legge (geno,menon
evk gunaiko.j geno,menon u`po. no,mon), per riscattare quelli sotto la Legge (i[na tou.j u`po. no,mon
evxagora,sh|), perché ricevessimo l’adozione a figli (i[na th.n ui`oqesi,an avpola,bwmen)»26. Come si
vede, i registri argomentativi sono diversi: possiamo dedurne cinque, che hanno un loro
parallelo anche in Rom. Altri quattro registri cristologici si aggiungeranno da testi diversi.
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16 Gal 1,1; 6,14.18 (ma anche in 1,19 il riferimento a Giacomo «fratello del Signore» suppone una valenza
gesuologica).
17 Rom 1,4.7; 4,24; 5,1.11.21; 6,23; 7,25; 8,39; 10,9.13 (risignificazione di Gl 3,5); 13,14; 14,14; 15,6.30;
16,18.20.24.
18 Rom 16,2.8.11.12bis.13.22.
19 Gal 1,16; 2,20; 4,6.
20 Rom 1,3.4 (in senso diverso dal precedente).9; 5,10; 8,3.29.
21 Cf. Gal 3,26; 4,6.7bis (qui al singolare distributivo); Rom 8,14.19.
22 Questa qualifica sarà poi esplicitamente attestata nelle lettere deutero-paoline, soprattutto in Col 2,9;
Tit 2,13.
23 Cf. la discussione in R. Penna, Lettera ai Romani, EDB, Bologna 2010, 644-648; e anche G.D. Fee, Pauline
Christology, 272-277. Da parte sua, Ch. Tilling, Paul’s Divine Christology, Eerdmans, Grand Rapids MI / Cam-
bridge UK 2012, 174-175, prospetta la possibilità di attribuire una valenza cristologica, non al sostantivo
theós, ma al sintagma epì pántōn (con riferimento a kýrios pántōn di Rom 10,12).
24 Cf. in merito D.B. Capes, Old Testament Yahweh Texts in Paul’s Christology, WUNT 2.47, Mohr, Tübingen
1992, 161-181.
25 Si veda anche il suo impiego storico-salvifico in Ef 3,5.10; Col 1,26; 2Tim 1,10.
26 Tra i vari commenti, cf. A. Pitta, Lettera ai Galati, EDB, Bologna 1996, 236-240.
4 – Seminario sulla letteratura paolina – PIB 23-27 gennaio 2017

(1) – La premessa della matrice giudaica. L’allusione alla nascita «sotto la Legge» ri-
manda inevitabilmente all’ambito giudaico, a cui Gesù apparteneva in toto. Questa appar-
tenenza, inoltre, è ben espressa da una serie di altre constatazioni. - In Gal è esplicita la di-
scendenza da Abramo in 3,6-29, tanto che l’originale semantica collettiva della «discen-
denza/spe,rma» a cui vengono fatte le promesse da Dio secondo Gen (13,15; 17,8; 24,7) in
vista del popolo e delle genti che ne deriveranno, viene formalmente letta con una seman-
tica al singolare in riferimento al singolo Gesù (che giunge comunque a coinvolgere quanti
sono «in Cristo»: 3,28; a ciò si aggiunge la pagina sui due figli/alleanze in 4,21-31). - In
Rom la figura di Abramo è trattata, non come progenitore di Gesù, ma come prototipo del
credente, e tuttavia ha una rilevante portata cristologica il riferimento implicito ma chiaro
a Isacco in 8,32 con il tema della sua offerta da parte di Abramo (paradossalmente conside-
rato tipo di Dio stesso, così come Isacco è tipo di Cristo)27; inoltre in Romi si trovano altre
esplicite menzioni della giudaicità di Gesù: così quando egli viene proclamato «discenden-
te di Davide» (Rom 1,3b: evk spe,rmatoj Daui.d kata. sa,rka), quando, nel contesto di un elenco
di prerogative proprie di Israele, si legge dei «padri, dai quali viene Cristo secondo la car-
ne» (Rom 9,5: oi` pate,rej ... evx w-n o` Cristo.j to. kata. sa,rka), e quando infine Paolo dice pa-
radossalmente che «Cristo è diventato servitore della circoncisione/dia,konoj peritomh/j»
(Rom 15,8).
(2) – La preesistenza. Il verbo evxaposte,llw, benché di suo non alluda a un essere preesi-
stente, nel contesto assume proprio questo significato, non solo perché il mandante è Dio, né
solo perché si parla di ton. ui`on. auvtou/, ma anche perché all’invio segue, non la missione di
predicare esercitata dal Gesù terreno, ma la sua nascita «da donna»28. La stessa idea ricorre
in Rom: sia in 1,3a dove il riferimento alla discendenza davidica è preceduto dalla definizio-
ne dell’evangelo «di Dio» (1,1: eivj euvagge,lion qeou/) predicato da Paolo in quanto esso «ri-
guarda il Figlio suo» (peri. tou/ ui`ou/ auvtou/), cosicché colui che nasce dal seme di Davide è già
Figlio di Dio29; sia anche in 8,3 con l’uso del verbo pe,mpw (o` qeo.j to.n e`autou/ ui`o.n pe,myaj), dove
l’idea di invio viene integrata dal riferimento alla condivisione di una condizione del tutto
carnale (evn o`moiw,mati sarko.j a`marti,aj). Quanto alla preesistenza, e quindi divinità di Gesù
Cristo, va pure messa in rilievo la sua particolare relazione con Dio come Padre suo: la for-
mula più chiara è in Rom 15,6 («perché glorifichiate il Dio e Padre del Signore nostro Gesù
Cristo»), ma in questo senso va pure Rom 6,4 («Cristo venne risuscitato dai morti mediante
la gloria del Padre»); comunque, entrano in conto anche quei passi dove la paternità di Dio
nei suoi confronti è distinta da quella che riguarda noi (cf. Gal 1,1.3.4; Rom 1,7); ciò resta ve-
ro, anche se altrove si parla di una fratellanza con lui ma di tipo diverso in quanto espressa
con l’idea di ui`oqesi,a (Gal 4,6; Rom 8,15) valida solo per noi, per quanto egli venga qualifica-
to come «primogenito tra molti fratelli» (Rom 8,29), i quali vengono soltanto resi «conformi
all’immagine del Figlio suo/di Dio» (ib.: summo,rfouj th/j eivko,noj tou/ ui`ou/ auvtou/)30.

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27 Cf. R. Penna, «Il motivo della ‘aqedah sullo sfondo di Rom 8,32», in Id., L’apostolo Paolo. Studi di esegesi e
teologia, Paoline, Cinisello Balsamo 1991, 171-199.
28 Si vedano in merito J.-N. Aletti, «Une lecture de Ga 4,4-6: Marie et la plénitude du temps», Marianum 50
(1988) 408-421; R. Penna, «"Quando venne la pienezza del tempo..." (Gal 4,4): storia e redenzione nel cristiane-
simo delle origini», in E. Peretto, a cura, Maria nel mistero di Cristo: Pienezza del tempo e compimento del regno, Atti
dell’XI Simposio Internazionale Mariologico (Roma, 7-10 ottobre 1997), Ediz. Marianum, Roma 1999, 59-88.
29 Altro senso (originariamente adozionista) avrà l’impiego di questo stesso titolo poco dopo in 1,4a (tra i
commenti, cf. R. Penna, Lettera ai Romani, EDB, Bologna 2010, 15-23).
30 Qui «l’immagine del Figlio suo» è un genitivo epesegetico, che identifica l’immagine con il Figlio stes-
so.
R. Penna, La cristologia paolina in Gall e Rom – 5

(3) – L’incarnazione. L’espressione geno,menon evk gunaiko,j di Gal 4,4 è un semitismo che
allude semplicemente alla creaturalità e debolezza dell’essere umano, come si può vedere
sia in Gb 14,1 («L’uomo nato da donna [‘ādām yelûd ‘iššāh], breve di giorni e sazio di in-
quietudine, come un fiore spunta e avvizzisce») sia a Qumran (cf. 1H 13,20-21: «Il nato da
donna ... è struttura di polvere modellata con acqua...»). Altrettanto nei testi di Rom, ap-
pena citati, sia la discendenza da Davide (in 1,3a), sia l’idea di un invio ad acquisire una
condizione del tutto carnale (in 8,3), come anche il rimando alla condizione di Cristo kata.
sa,rka (9,5), abbiamo delle affermazioni più che sufficienti sul passaggio della persona
preesistente/divina di Gesù Cristo a una piena condizione umana, benché Paolo non ar-
gomenti più di tanto (come invece avverrà in Gv).
(4) – L’invocazione aramaica Abbà. Due volte, in Gal 4,6 e in Rom 8,15, Paolo riporta que-
sta invocazione come preghiera caratteristica dei battezzati31. Ma si può ben ipotizzare che,
soprattutto per quanto riguarda i destinatari della Lettera ai Galati, il fatto che una invoca-
zione aramaica si trovi sulla bocca di cristiani di provenienza gentile/pagana, risalga a Gesù
stesso, come del resto leggiamo in Mc 14,36. D’altra parte, ciò suggerisce il fatto che Paolo
non era assolutamente ignorante circa il Gesù terreno, e a questo proposito è interessante ri-
cordare la menzione di Giacomo come «il fratello del Signore» (Gal 1,19)32 incontrato a Ge-
rusalemme!
(5) – La morte redentrice. La menzione di Gal 4,4 sul riscatto di quanti erano sotto la
Legge (i[na tou.j u`po. no,mon evxagora,sh|) è certamente generica, e in questa lettera Paolo non
menziona mai né il sangue di Cristo (cf. invece Rom 3,25; 59) né la sua morte (cf. invece
Rom 5,10; 6,3.4.5)33, mentre al contrario menziona 3 volte la croce (in 5,11; 6,12.14; su di es-
sa invece Rom tace del tutto). Diventa comunque inevitabile connettere il riscatto dalla
Legge con l’evento della morte di Gesù, non solo perché evxagora,zw in senso cristologico si
trova solo in Gal (3,13; 4,5), ma anche perché in Gal 5,11 Paolo congiunge la predicazione
della circoncisione con l’annullamento dello «scandalo della croce» (kath,rghtai to.
ska,ndalon tou/ staurou/: un’immagine che altrove si trova solo in 1Cor 1,23). Comunque un
testo riassuntivo in merito può essere Rom 5,8 dove leggiamo: «Dio dimostra la propria
agape verso di noi (suni,sthsin th.n e`autou/ avga,phn eivj h`ma/j), poiché, essendo noi ancora pec-
catori (o;ti e;ti a`martwlo/n o;ntwn h`mw/n), Cristo morì per noi (cristo.j u`pe.r h`mw/n avpe,qanen)». Si
noti quanto sia qui sottolineata la componente antropologica con una triplice ripetizione
del pronome «noi»/h`mei/j, di cui quello mediano, che indica la negatività della condizione
umana, è preceduto dalla menzione di Dio e seguito da quella di Cristo, entrambi espres-
sione di un amore attivo e misericordioso «per noi» (con la doppia preposizione: eivj e
u`pe,r).
Certo è che il quadro tracciato da Gal 4,4 è di più ampio respiro storico-salvifico (con il
doppio rapporto, sia alla pienezza del tempo con la missione del Figlio, sia all’economia
della Legge mosaica contestualmente ritenuta superata), mentre è più storico-pasquale
quello di Rom (con il riferimento alla morte [ripetuto nei seguenti vv.9-10]). Ma in entram-
bi i casi il piano di Dio è destinato alla liberazione dell’uomo con il superamento della
Legge (in Gal) che lo costituisce peccatore (in Rom), ed entrambi i casi hanno una prospet-
tiva plurale («quelli sotto la Legge», «essendo noi peccatori»): il tutto però è incentrato sul
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31 Cf. W. Marchel, Abbà, Père! La prière du Christ et des chrétiens, PIB, Roma 21971.
32 La presenza dell’articolo davanti a «fratello (o` avdelfo,j) del Signore» fa intendere che Paolo distingue
questo Giacomo da altri che non erano della famiglia di Gesù.
33 Altrettanto si dica del verbo avpoqnh|,skw riferito a Gesù: del tutto assente in Gal, esso in Rom ricorre al-
meno 7 volte (5,6.8; 6,8.9.10; 8,34; 14,9.15).
6 – Seminario sulla letteratura paolina – PIB 23-27 gennaio 2017

decisivo intervento del «Figlio» (in Gal)-«Cristo» (in Rom). Senza di lui come oggetto di
annuncio, l’evangelo nemmeno esisterebbe (cf. Rom 1,9: «Rendo culto a Dio ... evn tw/| euvag-
geli,w| tou/ ui`ou/ auvtou/; Gal 1,16: ... i[na euvaggeli,zwmai auvto.n ...).
(6) – La risurrezione/risuscitazione. Il lessico della risurrezione di Gesù è presente so-
prattutto in Rom, sia con il sostantivo avna,stasij (1,4; 6,5; assente in Gal), sia con il verbo ev-
gei,rw (9 volte34 e 1 sola volta in Gal [1,1]). La cosa più importante da notare è che il sogget-
to del verbo o è Dio stesso quando il verbo è all’attivo (così in Gal 1,1:«Dio padre tou/ ev-
gei,rantoj auvto.n evk nekrw/n»; Rom 4,24; 8,11bis) o è Gesù quando il verbo è al passivo ma con
Dio come agente (così in Rom 4,25: Gesù hvge,rqh dia. th.n dikai,wsin h`mw/n; 6,4.9; 7,4; 8,34): in
entrambi i casi si vede bene che l’atto della risurrezione appartiene a Dio (Padre), nel senso
che in primo piano viene evocata l’umanità di Gesù per dire che l’uomo da solo non può
darsi la vita. Questo stato di cose verrebbe forse espresso meglio in italiano con il termine
risuscitazione (per indicare un intervento altrui), anche se si tratta di un neologismo.
(7) – Il battezzato ha in Gesù Cristo la causa e persino il luogo della sua nuova identità,
in quanto Cristo è il destinatario della fede e il costitutivo di una compartecipazione. Pre-
ciso i due momenti. All’inizio come fondamento dell’identità cristiana c’è la fede, da in-
tendersi secondo lo sfondo ebraico come fermo affidamento personale, certamente a Dio
(cf. Rom 4,5: pisteu,onti evpi. to.n dikaoiu/nta to.n avsebh/; 4,24: ... oi]j ... pisteu,ousin evpi. to.n ev-
gei,ronta Ivhsou/n), ma soprattutto a Gesù Cristo mediante l’uso, sia del verbo (cf. Gal 2,16: eivj
Cristo.n Ivhsou/n evpisteu,samen; e la citazione di Is 28,16 LXX [o` pisteu,wn evp’auvtw|/ ouv katai-
skunqh,setai] reinterpretata in senso cristologico in Rom 9,33; 10,11) sia del sostantivo (cf.
Gal 3,26: «siete tutti figli di Dio dia. th/j pi,stewj evn Cristw/| Ivhsou/); sul costrutto pi,stij Cri-
stou/ diremo più sotto.
La fede però sfocia in una partecipazione all’identità stessa di Gesù Cristo. Egli infatti
non è assolutamente sentito come un semplice principio ispiratore esterno, tanto che Paolo
evita sempre sia il linguaggio di Gesù-maestro sia il linguaggio del discepolo-sequela35.
L’Apostolo sa che con il battesimo ogni cristiano, e quindi lui stesso, è diventato «connatu-
rato» a Cristo (Rom 6,5: su,mfutoi gego,namen) per indicare una partecipazione profonda, di-
rei ontologica, all’identità di Cristo36. Il testo parallelo di Gal 2,20 (zw/ de. ouvke,ti evgw. xh/| de. evn
evmoi.Cristo,j) sottolinea ancora di più questo mutuo «Ineinander»37.
Di qui deriva il suo specifico modo di dire circa la kainh. kti,sij (Gal 6,15; e anche 2Cor
5,17), di probabile origine apocalittica, con cui Paolo intende esprimere l’anticipazione rea-
le e persino ontologica della novità escatologica in/mediante Cristo (cf. Gal 6,14: «median-
te lui il mondo è stato crocifisso per me e io per il mondo»). È una operazione che implica
necessariamente un reset delle stesse concezioni apocalittiche, in un doppio senso: da una
parte, infatti, la nuova creazione è già anticipata al presente, e dall’altra essa di fatto è ri-
dotta alla dimensione antropologica dell’«uomo nuovo» e non a quella cosmologica dei
«cieli nuovi e terra nuova». Ciò che rende possibile un tale capovolgimento di prospettiva
è nient’altro che l’essere «in Cristo», cioè l’essere ormai individualmente inseriti

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34 Rom 4,24.25; 6,4.9; 7,4; 8,11bis.34; 10,9.
35 Sul concetto di imitazione-mímesi di Cristo (in 1Tes 1,6; 1Cor 11,1), cf. H.D. Betz, Nachfolge unf Nachah-
mung Jesu Christi im Neuen Testament, Mohr, Tübingen 1967 (specie 143-169).
36 Il recente commento di M. Wolter, Der Brief an die Römer, I, Patmos Verlag, Neukirchen-Vluyn 2014,
376, parla felicemente di un «Ineinander».
37 Cf. anche I.A. Morales, «Baptism and Union with Christ», in M.J. Thate, K.J. Vanhoozer, C.R. Campbell,
eds, “In Christ” in Paul. Explorations in Paul’s Theology of Union and Participation, WUNT 2.384, Mohr, Tübing-
en 2014, 157-179.
R. Penna, La cristologia paolina in Gall e Rom – 7

nell’evento escatologico per eccellenza, che è la risurrezione del Cristo crocifisso, il quale
«mi ha amato e ha dato se stesso per me» (Gal 2,10)38.
Un discorso a parte meriterebbero le diverse formule: dia. Cristou/ (Rom 1,4.8; 2,16;
5,1.11.17.21; 7,4.25; Gal 1,1) ed eivj Cristo,n (Rom 6,3; Gal 2,16; 3,24.27), oltre a quelle che
implicano un essere o al futuro su,n Cristw/| (cf. 1Tes 4,17:«Saremo sempre con il Signore»; e
Fil 1,23) o già nel presente evn Cristw/| (Rom 3,24; 6,11.23; 8,1.2; 12,5; cf. Gal 1,22; 2,4.17
3,26.28), sulle quali si potrebbe questionare per sapere quale eventualmente abbia il prima-
to sulle altre. Certo in Rom 6,1-11 la ripetuta preposizione «con» in parole composte (sune-
ta,fhmen ... sunestaurw,qh) esprime già una partecipazione del cristiano alla morte di Cristo,
ormai avvenuta e attualizzata nel battesimo. Sicchè si dischiude una vera e propria dimen-
sione mistica che caratterizza il cristiano; perciò diventa vero che «non sono più io che vi-
vo, ma Cristo vive in me», poiché se egli è in me dipende dal fatto che ormai io sono in
lui39!
(8) – L’universalismo in Cristo40. A quanto risulta, l’apertura di Paolo ai Gentili appar-
tiene all’origine stessa della sua adesione a Gesù Cristo. Infatti leggiamo in Gal 1,16 che
così l’Apostolo intende l’evento della strada di Damasco; piacque a Dio «di rivelare in me
il Figlio di Dio (avpokalu,yai ton. ui`o.n auvtou/ evn evmoi,) perché lo annunciassi tra le genti (i[na eu-
vaggeli,zwmai auvto.n evn toi/j e;qnesin)». Ciò che sorprende in questa confessione autobiografica
è che Paolo, invece di riferirsi alla scoperta di un Gesù che supera la Legge ammettendo
solo la fede, come farà nel corpo della lettera, pone invece al centro dell’attenzione la sua
missione ai pagani. Tuttavia è conforme al tipico pensiero paolino la sequenza, che non va
dall’abrogazione della Legge a Cristo e ai Gentili, ma va piuttosto da Cristo
all’abrogazione della Legge e quindi ai Gentili41. In ogni caso le due cose sono intimamen-
te congiunte, come poi leggiamo, sia in Gal 3,8 con la citazione di Gen 12,3 («Dio prean-
nunciò ad Abramo che “in te saranno benedette tutte le genti”»), sia in Gal 3,28: «Non c’è
Giudeo né Greco, non c’è schiavo né libero, non c’è maschio e femmina, infatti tutti voi sie-
te uno solo in Cristo Gesù». Ed è come dire che in Cristo cadono tutte le barriere di sepa-
razione e di ostilità e si trova invece in lui il più autentico fattore di coesione vicendevole.
L’universalismo paolino si trova poi ancora confermato e se possibile ingrandito con
l’originale confronto di Cristo con Adamo. Qui accenno appena al fatto che, dopo essersi
rifatto al progenitore dell’umanità da un punto di vista meramente antropologico in 1Cor
15,21-49, invece in Rom 5,12-21 egli adduce la figura di Adamo come prototipo del pecca-
———————
38 È stato però soprattutto E.P. Sanders, Paolo e il giudaismo palestinese, Paideia, Brescia 1986 (orig. ingl.
1977) a rinverdire e rimarcare l’interpretazione ‘mistica’ del paolinismo contro quella di tipo giuridico. Di
contro al modello giudaico, etichettato come «nomismo del patto», egli valuta globalmente la teologia paoli-
na come una participationist eschatology, «escatologia partecipazionista». In questa ottica il primato spetta alle
categorie partecipative (se non proprio mistiche) che esprimono il dato fondamentale e decisivo
dell’incorporazione a Cristo. A questo proposito egli impiega la categoria del transfer, «trasferimento» (634-
647: si tratta di un vero trapasso di signoria dalla potenza del Peccato alla sfera di Cristo, che viene esplicita-
to da Paolo con i concetti di libertà, trasformazione, riconciliazione, nuova creazione, e solo secondariamente
con i concetti di giustificazione e giustizia. Anzi, per Sanders, come già per Schweitzer, «la giustizia per fede
può essere compresa e derivata a partire da altri aspetti del pensiero di Paolo, come il possesso dello Spirito
e il vivere nello Spirito, ma non viceversa» (Ib., 605).
39 Cf. E.L. Rehfeld, Relationale Ontologie bei Paulus. Die ontische Wirksamkeit der Christusbezogenheit im Den-
ken des Heidenapostels, WUNT 2.326, Mhor, Tübingen 2012, specie 222-324.
40 In merito è sempre interessante il saggio del filosofo francese Alain Badiou, San Paolo. La fondazione
dell’universalismo. Ed. Cronopio, Napoli 1999 (orig. franc. Presses Universitaires de France 1997), secondo cui,
se proprio non si può essere uguali davanti a una legge, non si può che essere uguali davanti a una grazia.
41 Qui si potrebbe innestare l’interessante discussione circa la cosiddetta «New Perspective» (proposta da
J.D.G. Dunn), su cui si può consultare S. Westerholm, Perspectives Old and New on Paul. The “Lutheran” Paul
and His Critics, Eerdmans, Grand Rapids MI / Cambridge UK 2004.
8 – Seminario sulla letteratura paolina – PIB 23-27 gennaio 2017

tore42. Ciò che importa osservare è che Paolo vede in lui il rappresentante dell’intera uma-
nità, accomunando insieme Giudei e Gentili. Sicché Adamo e Gesù si pongono l’un l’altro
come antonimi, dovendo comunque precisare che il punto di partenza del pensiero di Pao-
lo non è una qualche adamologia (così come non è una qualche Torahlogia) ma è solo la
cristologia!
Questa è dunque la domanda: che cosa significò Gesù Cristo per Paolo a livello di vi-
sione del mondo? Detto in breve, egli rappresentò il superamento della disuguaglianza tra
Giudei e Gentili/Pagani così da diventare il propulsore di una inedita missione verso i
Gentili stessi. In effetti, tutta l’attività missionaria di Paolo consistette proprio in questo:
nell’eliminare la distanza che separava i Gentili dai Giudei, ritenuti comunque il popolo
dell’alleanza con Dio, al fine di includervi anche gli ‘altri’, i ‘diversi’, i ‘lontani’. Ma il prin-
cipio ispiratore del suo impegno era la persona viva di Gesù Cristo in quanto con l’offerta
totale che questi aveva fatto della sua vita, la misericordia di Dio non passa più attraverso
comandamenti e precetti. Quindi l’accesso a Dio (al Dio d’Israele!) non è più riservato ai
Giudei ma è aperto anche a tutti i Gentili (cf. Rom 5,1-2). Così quella di Paolo diventa una
battaglia in favore dell’inclusivismo: la sua è ormai «una tollerante indifferenza alle diffe-
renze»43.
(9) – La comunità cristiana. Anche la dimensione comunitaria dei cristiani è indelebil-
mente connotata da una dimensione cristologica. E se il tema è più sviluppato altrove (cf.
1Cor 12), anche in Gal-Rom se ne hanno degli echi interessanti. Qui segnalo soltanto la già
accennata affermazione di Gal 3,27-28 sulla unitarietà (oltre che sulla unità) di quanti sono
stati battezzati eivj Cristo,n e che semplicemente hanno rivestito Cristo (Cristo,n evnedu,sasqe)
così da essere ormai ei-j evn Cristw/| Iv hsou/. Qui Paolo non parla propriamente di «chiesa»44,
ma l’intento va in quella direzione, essendo poi rafforzato dal confronto tra le due donne
Agar e Sara (in Gal 4,21-31) quali rappresentanti non solo di due alleanze ma anche di due
diverse discendenze. Invece il discorso si fa più esplicitamente ecclesiologico in Rom 12,4-8
col dire che «pur essendo molti sia un solo corpo in Cristo» (Rom 12,5: e]n sw/ma, evsmen evn Cri-
stw/)| . Ancora una volta, come si vede, ecclesiologia e cristologia si fondono insieme. È vero
che lo sviluppo argomentativo procede poi sul piano della pluralità ministeriale interna alla
chiesa (cf. vv.6-8), e non nel senso di una riflessione cristologica. Tuttavia, il complemento
«in Cristo», tutt’altro che secondario, giunge a conferire una caratteristica specificità
all’argomento del discorso sviluppato da Paolo. Ed è come dire che l’unità della chiesa non è
fatta da necessità organizzative interne, richieste da mere opportunità di funzionamento: la
sua unità, invece, è costituita nient’altro che da Cristo: è lui che nello stesso tempo garantisce
e armonizza la pluralità dei ministeri! A questo proposito, bisogna comunque evidenziare
l’importanza e il significato del costrutto evn Cristw/| che abbiamo già trovato più volte nella
lettera (cf. 6,11.23; 8,1.2.39) e che è tipico del linguaggio paolino45. Con esso l’Apostolo vuole
etichettare l’identità non solo socio-religiosa ma soprattutto ‘mistica’ del cristiano e, qui, del-
la chiesa; ciò si conferma per il fatto che la menzione di Cristo prescinde totalmente da una
sua qualunque funzione di ‘capo’. Non basta perciò dire che in questo modo Paolo vuole

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42 Tra i Commenti, cf. per es. M. Wolter, Der Brief an die Römer, 340-363.
43 A. Badiou, Paolo, 153.
44 Nelle due lettere il vocabolo non fa parte di qualche argomentazione tematica, ma è riservato solo a de-
signare comunità locali: Gal 1,2.13.22; Rom 16,1.4.5.16.23.
45 Vedine una buona discussione, oltre che in C.F.D. Moule, The Origin of Christology, Cambridge 1977, 54-
69, soprattutto nel citato studio di M.J. Thate, K.J. Vanhoozer, C.R. Campbell, eds, “In Christ” in Paul. Explo-
rations in Paul’s Theology of Union and Participation, WUNT 2.384, Mohr, Tübingen 2014.
R. Penna, La cristologia paolina in Gall e Rom – 9

evidenziare la dimensione sociale del corpo che è la chiesa46, né è sufficiente parlare soltanto
di uso modale della formula47. Sorprende, piuttosto, che Paolo sottolinei l’unità più che la
diversità: il fatto è che «l’unità della chiesa è dovuta alla sua incorporzione nel Cristo»48. In
effetti, non c’è molta differenza tra l’espressione di Rom 12,5 («Tutti noi siamo un solo corpo
in Cristo») e quella di Gal 3,28b («Tutti voi siete uno solo in Cristo Gesù»). In entrambi i casi
la pluralità dei cristiani è ridotta a unità, e questa unità è fatta non da una autonoma con-
vergenza dei singoli, ma dal loro inserimento in Cristo, cioè da Cristo stesso, sia pur espres-
so con una diversa metafora, individuale in Gal e collettiva in Rom.

3. Alcuni costrutti genitivali tipici.


Nelle lettere paoline sono molteplici i costrutti al genitivo con la persona di Cristo come
punto di riferimento, soggettivo od oggettivo, di vari concetti. Tra questi si contano:
 «to. ai[ma/il sangue di Cristo» (Rom 3,25; 5,9; 1Cor 10,16; 11,25.27);
 «to. bh/ma/il tribunale di Cristo» (2Cor 5,10);
 «h` gnw,sij/la conoscenza di Cristo Gesù mio Signore» (Fil 3,8);
 «h` do,xa/la gloria del Cristo / Signore» (2Cor 4,4; 8,19);
 «h` du,namij/la potenza del Signore nostro Gesù» (1Cor 5,4);
 «to. euvagge,lion/l’evangelo del Cristo» (Rom 15,19; 1Cor 9,12; 2Cor 2,12; 9,13; 10,13; Gal 1,7; Fil
1,27; 1Tes 3,2);
 «h` h``me,ra/il giorno di Cristo / di Cristo Gesù / del Signore nostro Gesù Cristo» (1Cor 1,8; 5,5;
2Cor 1,14; Fil 1,6.10; 2,16; 1Tes 5,2);
 «to. musth,rion/il mistero del Cristo» (Col 4,3; Ef 3,4);
 «ta. paqh,mata/le sofferenze del Cristo» (2Cor 1,5);
 «h` parousi,a/la venuta-presenza del Signore nostro Gesù Cristo / sua» (1Tes 2,19; 3,13; 4,15;
5,23; cf. 2,19: inoltre: 1Cor 15,23);
 to. avnexicni,astoj plou/toj/la ininvestigabile ricchezza di Cristo» (Ef 3,8);
 «o` stauro.j/la croce di Cristo» (1Cor 1,17; Gal 6,12.14; Fil 3,18);
 «h` ca,rij/la grazia del solo uomo Gesù Cristo» (Rom 5,15; inoltre: 2Cor 8,9; 12,9; Ef 1,7))49.

A questi costrutti se ne aggiungono altri quattro, presenti nelle nostre specifiche lettere
ai Galati e ai Romani, e che hanno una speciale rilevanza cristologica, ai quali perciò riser-
viamo una attenzione particolare.
(1) - Mettiamo al primo posto il discusso sintagma costruito con il sostantivo pi,stij de-
clinato o con il doppio nome vIhsou/ cristou/ (Rom 3,22; Gal 2,16a; 3,22) o con il semplice Iv h-
sou/ (Rom 3,26) o con il semplice cristou/ (Gal 2,16b; e poi Fil 3,9). Ritengo che sia ben noto
il dibattito su questa forma di genitivo, se cioè, sintetizzando, esso vada considerato ogget-
tivo (= Gesù Cristo come oggetto di una fede propria del credente) oppure soggettivo (=
———————
46 Cf. J.A. Fitzmyer, Lettera ai Romani. Commentario critico-teologico, Piemme, Casale Monferrato 1999 (orig.
ingl. 1993), 766.
47 Cf. H.C. Meier, Mystik bei Paulus. Zur Phänomenologie religiöser Erfahrung im Neuen Testament, TANZ 26,
Tübingen-Basel 1998, 38-39.
48 Th.R. Schreiner, Romans, BakerBooks, Grand Rapids MI 1998, 654; vedi anche S. Légasse, L’épître aux
Romains, Cerf, Paris 2002, 772: «L’idea del corpo sociale è sullo sfondo, ma con l’aggiunta specificamente cri-
stiana, per cui questa società è costituita e sussiste “in Cristo”».
49 Discutibile a livello di critica testuale è il sintagma in Gal 1,6 («colui che vi ha chiamati con la gra-
zia...»), dove è possibile leggere ca,rij senza alcuna specificazione. Vanno aggiunti i molti passi in cui il sin-
tagma cristologico fa parte di una formula di saluto specialmente nell’escatocollo delle lettere: Rom 16,20.24;
1Cor 16,23; 2Cor 13,13; Fil 4,23; 1Tes 5,28; Flm 25. Comunque è molto più frequente il costrutto strettamente
teo-logico ca,rij qeou/ / auvtou/.
10 – Seminario sulla letteratura paolina – PIB 23-27 gennaio 2017

Gesù Cristo come soggetto di una pístis sua propria da tradursi con «fedeltà»). Va almeno
detto che la prima lettura è tradizionale e va almeno dall’alessandrino Origene50, compresi
i Padri greci Giovanni Crisostomo51 e Teodoreto di Cirro52, per non dire dei latini Ambro-
siaster e Gerolamo, fino a Erasmo da Rotterdam53, compresi Tommaso d’Aquino54 e Mar-
tin Lutero55. La seconda lettura cominciò ad affermarsi solo nel secolo XIX56, ma qui voglio
soltanto ricordare gli ultimissimi commenti a Rom con le loro diverse posizioni: Michael
Wolter57, dell’Università di Tubinga, parla di un genitivus qualitatis corrispondente sempli-
cemente a «christlicher Glaube» (comunque con esclusione del genitivo soggettivo); Stan-
ley E. Porter58, del McMaster University College di Hamilton/Ontario, sostiene la tesi tra-
dizionale e parla di «faith in Jesus Christ»; invece Richard N. Longenecker59, emerito
dell’Università di Toronto, parla chiaramente di «subjective sense». Certo è vero che la
pi,stij qeou/ di Rom 3,3 e la pi,stij vAbraa,m di Rom 4,16 hanno valore soggettivo, ma il conte-
sto60 è diverso e del resto Paolo non discorre mai del Gesù storico e dei suoi sentimenti61.
(2) - Invece è molto importante per la cristologia paolina prendere atto del nesso che
l’Apostolo opera tra lo Spirito di Dio e Cristo stesso. I costrutti in proposito sono due: to.
pneu/ma tou/ ui`ou/ auvtou/ (di Dio) in Gal 4,6 e pneu/ma Cristou/ in Rom 8,9 (che riecheggia ancora
in Fil 1,19: to. pneu/ma vIhsou/ Cristou/)62. Il dato sorprendente è che lo Spirito, tradizionalmen-
te inteso nell’Antico Testamento ebraico e greco come «di Dio» (rûaḥ ’el/’elohim/yhwh,
qeou//kuri,ou) o come «Santo» (qadoš/a[gion) e quindi come proprietà divina63, per la prima
———————
50 Cf. Commento alla Lettera ai Romani, I, a cura di Francesca Cocchini, Marietti, Casale Monferrato 1985,
152 (= PG 14,944).
51 Cf. PG 47,443, che nel testo dell’omelia su Rom 3,22 addirittura omette il nome di Cristo e parla sempli-
cemente di pi,stij per dire che «la giustizia di Dio viene dia. th/j pi,stewj eivj pa,ntaj kai. evpi. pa,ntaj tou.j pi-
steu,ontaj».
52 Cf. Commentario alla Lettera ai Romani, trad. Lella Scarampi¸Borla, Roma 1998, 89.
53 Cf. Parafrasi della Lettera ai Romani, a cura di Maria Grazia Mara, Japadre, L’Aquila1990. 156.
54 Super epistolam ad Romanos lectura, ed. Cai o.p., Marietti, Taurini-Romae 81953, 53/§ 302.
55 Lezioni sulla Lettera ai Romani (1515-1516), I, a cura di G. Pani, Marietti, Genova 1991, 37; Kommentar zum
Galaterbrief.1519, Siebenstern, München/Hamburg 1968, 82.
56 Si veda la documentazione in B. Schliesser, «‘Exegetical Amnesia’ and PISTIS CRISTOU: The Faith of
Christ in Nineteenth-Century Pauline Scholarship». JournTheolStud 66 (2015) 61-89.
57 Der Brief an die Römer, I, Patmos Verlag, Neukirchen-Vluyn 2014, 249-250. Così pure J.-N. Aletti, Justifi-
cation by Faith in the Letters of Saint Paul. Keys to Interpretation, G&BP, Roma 2015, 142-143 (con rimando a Id.,
La lettera ai Romani e la giustizia di Dio, Borla, Roma 1997, 104-108).
58 The Letter to the Romans. A Linguistic and Literary Commentary, Sheffield Phoenix Press, Sheffield 2015,
94. Così pure D. Attinger, Lettera ai Romani, Qiqajon, Comunità di Bose 2013; J.M.G. Barclay [Durham Uni-
versity], Paul and the Gift, Eerdmans, Grand Rapids MI / Cambridge UK 2015, 476-477; Th. Schreiner [The
Southern Baptist Theological Seminary in Louisville KE], Faith alone. The doctrine of justification, Zondervan,
Grand Rapids MI 2015, 124-132.
59 The Epistle to the Romans. A Commentary on the Greek Text, Eerdmans, Grand Rapids MI 2016, 412. Così
pure Morna D. Hooker [Emerita dell’Università di Cambridge], «Another Look at pi,stij Cristou/», ScotJour-
nTheol 69 (2016) 46-62, precisando comunque che la fede/fedeltà di Cristo è condivisa da coloro che sono «in
Cristo».
60 Cf. il recente studio di D. Hunn, «Galatians 3:6-7: Abraham’s Fatherhood and Paul’s Conclusions»,
CBQ 78 (2016) 500-514, che sostiene come la fede di Abramo e una eventuale ‘fede di Cristo’ non sono paral-
leli.
61 Piuttosto si potrebbero addurre un paio di altri costrutti genitivali analoghi, come gnw,sij Cristou/ vIhsou/
(Fil 3,8) e fo,boj Cristou/ (Ef 5,21), che hanno sicuramente una valenza non soggettiva ma oggettiva, per non
dire del citato «evangelo di Cristo». Cf. una discussione in R. Penna, Lettera ai Romani, 241-244.
62 A questa semantica cristologica bisognerebbe attrarre anche il costrutto pneu/ma zw|opoiou/n di 1Cor 15,45
(cf. i Commenti). Ritengo invece che to. pneu/ma Kuri,ou in 2Cor 3,17.18 abbia valore teo-logico in senso stretto.
Si veda sull’insieme R. Penna, Lo Spirito di Cristo. Cristologia e pneumatologia secondo un’originale formulazione
paolina, Paideia, Brescia 1976 (in specie su 2Cor, cf. Ib. 187-205, oltre ad A. Pitta, La seconda lettera ai Corinzi,
Borla, Roma 2006, 188-190). Gli altri scritti del N.T. ci presentano solo due casi di attribuzione diretta del tipo
di quella paolina e probabilmente da essa dipendenti: At 16,7 (to. pneu/ma vIhsou/) e 1Pt 1,11 (to. pneu/ma Cristou/).
63 Cf. F. Baumgärtel, s.v., in GLNT X 848-871.
R. Penna, La cristologia paolina in Gall e Rom – 11

volta in senso assoluto viene esplicitamente attribuito da Paolo a Gesù, non solo come
Messia, ma anche come come Figlio di Dio e comunque come Signore glorificato. Ed esso
ha un significato ben diverso da quello psicologico inerente alla attribuzione di un pneu,ma
al Gesù terreno64, per non dire dell'uomo in genere65. La cosa è tanto più sorprendente, se
pensiamo che il Giudaismo vi arriverà soltanto con Rabbi Simeon ben Laqiš nel sec. III
d.C. (Gen.R. 2,4)66.
Con ciò Gesù, risuscitato kata. pneu/ma a`giwsu,nhj (Rom 1,4a), viene considerato posto su
un piede di uguaglianza soteriologica, ma non solo, con Dio stesso, diventando pneuma/
zw|opoiou/n (1Cor 15,45)67, tanto che in Rom 8,9 Paolo passa indifferentemente da una qua-
lifca all’altra: «Lo Spirito di Dio abita in voi, ma se qualcuno non ha lo Spirito di Cristo, non
gli appartiene». Stando così le cose, si può ipotizzare, anche solo sulla base di una costata-
zione lessicografica, che la voce pneu,ma nelle lettere paoline non si riferisca soltanto allo
«Spirito (Santo)» come «di Dio», ma implichi pure un riferimento allo «Spirito di Cristo» o
abbia comunque una connotazione «cristica»68.
(3) – C’è un altro costrutto genitivale, che bisognerebbe tenere in maggior conto,
«l’amore di Cristo», che, assente in Gal, si trova in Rom 8,35, inserito nel contesto di alcuni
interrogativi retorici, di cui l’ultimo è appunto: «Chi potrà separarci (ti,j h`ma/j cwri,sei)
dall’amore di Cristo? (apo. th/j avga,phj tou/ Christou/*)». Può essere interessante notare che il
verbo cwri,zein qui impiegato è lo stesso utilizzato altrove in riferimento al divorzio (cf. Mt
19,6 / Mc 10,9; 1Cor 7,10.11.15)69 o all’allontanamento da un luogo (cf. At 1,4; 18,1.2). Esso
indica un vero distacco, una disgiunzione, come del resto Paolo ha già fatto vedere più
volte nella stessa lettera con l’uso della preposizione cwri,j, «senza», applicata alla esclu-
sione della Legge e delle opere (cf. 3,21.28; 4,6; 7,8.9). Se dunque il cristiano può vivere
senza la Legge, non lo può fare senza Cristo, e soprattutto non è possibile che ciò avvenga.
C’è infatti qualcosa di talmente saldo e tenace, che non si può assolutamente annullare: è
l’agàpe di Cristo. Il genitivo di questo sintagma è soggettivo, e indica non l’amore nostro
per lui (che può dissolversi come una nuvola: cf. Os 6,4), ma l’amore personale di Cristo
stesso, il suo, quello con cui egli ama. Lo si deduce soprattutto dai successivi vv.37.39, ol-
tre che dalle sole due altre occorrenze del medesimo costrutto nel Nuovo Testamento:
«L’amore di Cristo ci possiede» (2Cor 5,14: sune,cei h`ma/j), «per conoscere l’amore di Cristo
che supera ogni conoscenza» (Ef 3,19: u`perba,llousa th/j gnw,sewj). Del resto se ne ha un

———————
64 Il pneu,ma «di Gesù» nei testi evangelici è sempre inteso in senso psicologico (o vitalistico): Mc 2,8 («co-
noscendo nel suo spirito»); 8,12 («gemendo nel suo spirito»); Lc 23,46 («nelle tue mani consegno il mio spiri-
to»); Mt 27,50 (Gesù «emise lo spirito»); Gv 11,33 («fremette nello spirito»); 13,21 («si turbò nello spirito»);
19,30 («consegnò lo spirito»: per alcuni Autori però quest’ultima locuzione significherebbe anche la trasmis-
sione dello Spirito Santo alla Chiesa). Invece in Gv 7,39 leggiamo che «lo Spirito non c’era ancora perché Ge-
sù non era ancora stato glorificato».
65 Cf. Mc 14,38 («lo Spirito è pronto, ma la carne è debole» = Mt 26,41); Mt 5,3 («i poveri nello spirito»); Lc
1,80 («il fanciullo si rafforzava nello spirito»); At 18,25 (= di Apollo); 19,21 (= di Paolo); Ebr 4,12 (« la parola
di Dio ... penetra fino al punto di divisione dell’anima d dello spirito»); Gc 2,26 («il corpo senza lo spirito è
morto»); 4,5 (« lo spirito è portato all'invidia»).
66 Qui, a commento di Gen 1,2 («lo Spirito di Dio aleggiava sulle acque») si commenta testualmente col
dire che questo Spirito «si riferisce allo Spirito del Re Messia, come è detto: “Sopra di lui si poserà lo Spirito
del Signore” [Is 11,2]».
67 Anche in 1Cor 10,4 si parla di una pneumatikh. pe,tra da cui bevevano i Padri nel deserto, identificata

esplicitamente con Cristo.


68 Di una «proto-trinitarian theology» parla giustamente S.E. Porter, The Letter to the Romans, 160.
69 Del resto, in 7,1-4 Paolo aveva paragonato il nostro rapporto con Cristo a una unione coniugale, anzi a
un secondo matrimonio, dato che prima siamo appartenuti al Nomos/Legge e poi siamo morti ad esso pro-
prio «mediante il corpo di Cristo» per appartenere a lui (7,4).
12 – Seminario sulla letteratura paolina – PIB 23-27 gennaio 2017

chiaro riflesso in Gal 2,20, dove si legge che «il Figlio di Dio mi ha amato (tou/ avgaph,santo,j
me) e si è consegnato per me». In particolare è importante notare che tra l’amore di Cristo e
quello di Dio non c’è differenza, come si deduce da Rom 5, 8 («Dio conferma la sua agàpe
per noi poiché, essendo noi ancora peccatori, Cristo è morto per noi») e 8,39 (nulla «potrà
separarci dalla agàpe di Dio che è in Cristo Gesù signore nostro»).
(4) - Infine ricordiamo il sintagma o` no,moj tou/ Cristou/, esclusivo di Gal 6,2: «Portate i
pesi gli uni degli altri e così adempirete la legge di Cristo». A questo proposito le interpreta-
zioni variano. Certo va tenuto in conto il convincimento di Paolo circa la mutua esclusione
tra Cristo e la Legge, presente già durante il suo zelo di persecutore della chiesa70, tanto
più che in Gal 3,24 ha paragonato la Legge a un pedagogo costringente e in Rom 10,4 ha
dichiarato che Cristo è la fine della Legge71. Perciò si può pensare o a qualche disposizione
normativa del Gesù storico, o all’esempio concreto della sua auto-consegna (quasi si trat-
tasse di un genitivo epesegetico), o alla legge escatologica del Messia secondo il rabbini-
smo, o alla possibilità di osservare la Torah mediante lo Spirito, o semplicemente al fatto
che l’intera Legge si adempie nell’amore vicendevole (con riferimento al precedente testo
di Gal 5,14: «Tutta la Legge si compie in una sola parola: “Amerai il prossimo tuo come te
stesso” [Lev 19,18]»)72. In concreto, non è tanto un precetto quanto Gesù stesso a costituire
il fondamento e insieme l’impulso e la regola per l’intera vita cristiana (cf. Gal 5,6: «In Cri-
sto ... ciò che conta è la pi,stij che si rende operosa mediante l’avga,ph»), accostabile a quella
che Paolo stesso denomina paradossalmente con degli originali ossimori come la legge della
fede (Rom 3,27) e la legge dello Spirito (Rom 8,2). Il cristiano perciò, come anche Paolo, non
può che essere e;nnomoj Cristou/ (1Cor 9,21)73, cioè avere Cristo stesso come legge/stimolo
di vita.

4. Conclusione.
Dalla nostra analisi risulta dunque che la ‘sororità’ delle due lettere Gal-Rom non consi-
ste solo nella polemica circa il rapporto tra fede e opere così da affermare soltanto la prio-
rità della prima sulle seconde, con la connessa esautorazione della Legge mosaica. O me-
glio: questa tematica, che comunque è tipicamente paolina, si fonda ineludibilmente sulla
fede cristologica dell’Apostolo, così che resta vera l’affermazione paradossale di Ed Parish
Sanders, secondo cui per Paolo «la soluzione precede il problema»74, per dire cioè che solo
alla luce di Gesù Cristo si percepisce l’insufficienza, se non la negatività, di un’altra via di
salvezza.

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70 Cf. T.L. Donaldson, «Zealot and Convert: The Origin of Paul’s Christ-Torah Antithesis», CBQ 51 (1989)
655-682.
71 Oltre ai Commenti, cf. G. Massinelli, «Christ and the Law in Romans 10:4» CBQ 74 (2015) 707-726; inol-
tre: M. Meiser, «Das Verhältnis zur Tora», in F.W. Horn, ed., Paulus Handbuch, Mohr, Tübingen 2013, 444-
449.
72 Cf. anche Rom 13,8-10. Si veda la trattazione che ne fa A. Pitta, Lettera ai Galati, 377-381.
73 Così J.M.G. Barclay, Paul and the Gift, 431.
74 E.P. Sanders, Paolo e il giudaismo palestinese, 606-613.

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