Documenti di Didattica
Documenti di Professioni
Documenti di Cultura
paradigmatico dei sadducei, che Gesù vuole dimostrare assurdo. Più pre
cisamente: a Gesù interessa unicamente «la potenza di Dio » : Dio è il Dio
vivente. Quando egli dà la sua parola agli uomini, questi verranno affer
rati dalla sua vita e non possono restare nella morte. L'uomo, al quale
Dio dà la sua parola, diventa un << signum promissionis >> , non solo come
anima, ma anche come corpo. '
1 Bengel, I 3 3 .
1 Soltanto pochi testimoni testuali (P, e , sy•, arm, geo, Or) espungono VOIJ.&x&;. Guardan
do alla situazione del testo, non si comprende quale criterio testuale sottostia alla deci
sione degli editori del GNT e del Nesrle16 di mettere VOIJ.&x&; fra parentesi quadre. Lo si
potrebbe spiegare solo sulla base delle difficoltà di distinguere le fonti.
34 2 I GRANDI COMANDAMENTI
38 Questo è il grande e primo comandamento. 39 Il secondo 1 gli è tuttavia
uguale:
'Amerai il tuo prossimo come te stesso'.
40 Da questi due comandamenti dipendono tutta la legge e i profeti » .
1 . Struttura. Il testo inizia con un versetto di raccordo (v. 3 4 ) che si riallaccia
al dialogo con i sadducei e, allo stesso tempo, menziona la riunione dei fa
risei che sarà la scena del prossimo episodio (cf. v. 4 1 ). Il dialogo vero e
proprio è formato da una esposizione (v. 3 5 ), dalla domanda (v. 3 6 ) e da
una risposta molto lunga di Gesù ( vv . 3 7-40). Prescindendo dal commento
che il maestro della legge «tenta » Gesù, il dialogo non contiene note polemi
che dirette e non constata nemmeno la vittoria di Gesù sui suoi contraddit
tori. Nella terminologia classica della critica delle forme letterarie si tratta
di un dialogo scolastico, che sembra una disputa solo perché gli interlocu
tori di Gesù sono caratterizzati negativamente. l. Il termine vO!LO<; (vv. 3 6.40;
cf. vo!Ltxoc; al v. 3 5 ) forma un'inclusione che racchiude tutta la discussione.
Esso unisce il versetto conclusivo (v. 40), che dice qualcosa che l'interlocuto
re di Gesù non aveva chiesto, e che perciò non è saldamente ancorato al te
sto, con il tutto.
mancanza di Mc. 1 2,3 2-34 (nr. 7) sono molto comprensibili poiché l'inter
locutore che pone la domanda a Gesù è un inviato del gruppo a lui ostile
dei farisei, quindi un suo nemico: per questo motivo egli non può formula
re il doppio comandamento dell'amore, il centro dell'etica cristiana, ed es
sere lodato da Gesù per questo. Deut. 6,4 (or. 5 ) è stato chiaramente omes
so per ottenere un testo più conciso. È inoltre da considerare che gli agree
ments tra Matteo e Luca spesso non sono perfetti: ora si differenziano per
la formulazione (nrr. 2 e 6 ) ora per la posizione nel vangelo. In Matteo e Lu
ca l'omissione di Mc. 1 2,3 2-34 avviene in maniere totalmente diverse, sic
ché non si dovrebbe affatto parlare di «concordanza » . 8 In realtà, per quel
che riguarda Matteo, le difficoltà sono create dal nr. 1 9 e, forse, dal nr. 6. 1 0
Anche gli altri cambiamenti minori rispetto a Marco sono redazionali. 1 1
.
r J. Fitzmyer, Le. (AncB :z.8A), 1 9 8 5 , 8 77 s.; altri autori sono citati i n Kilunena, 1 7 s.
2. Bulnnann, Tradition, 2.I; Bornkamma, 44 (una fonte particolare più antica, forse un
Protomarco); Burcharda, 39-5 1 (una tradizione particolare più recente di Marco); Ful
lera, 3 1 7-3 2.4 (una tradizione antica risalente alla comunità di lingua aramaica); Haen
chen, Weg, 4 1 3 s. (una tradizione antica particolare); Schweizer, 2.77 (la tradizione orale);
Strecker, Weg, 1 3 5 s. (Q); F. Vouga, Jésus et la Loi, Genève 1988, 146- 1 5 2. (Q); Schra
gea, 75 (Q); Lambrechta (Q; il testo di Q è servito da fonte anche per Mc. n,:z.S-34).
3 Ennulat, Agreements, :z.84. :z.87.
4 Non c'è ipotesi di soluzione del problema sinottico che non trovi un suo convinto so
stenitore quando si affronta il nostro testo. Cf. la rassegna in Ennulat, Agreements, 2.79.
s Mudiso Mba Mundia b , 1 1 3-1 19; Kilunena, 34-77; Ebersohna, 144-1 5 5; cf. Gnilka, 11,
257 s. 6 Vol. I, introduzione, 4.:z.; vol. n, p. 42.. 7 Cf. 1 6,1; 19,3; :z.:z.,18.
a In Luca Gesù pone la domanda e il VOIJ-tX� è colui che risponde; in realtà viene omesso
non Mc. 1 2.,32. s., bensì Mc. 1 2.,30 s. La lode di Gesù rivolta allo scriba (Mc. x:z.,34a) è
contenuta in Le. xo,:z.8a, ma in una formulazione lucana.
9 In Matteo VOIJ-IX� è hapax e in Luca sarebbe comunque spiegabile con l'intervento re
dazionale.
ro Se Matteo avesse adeguato il testo dei LXX al T.M. si potrebbe giustamente parlare
di caso più unico che raro. Ma ci sono altri passi nel LXX che presentano serie simili
con Èv: I Re ,:z.,4 LXX; 8.48 LXX; 2 Re :z.3,3.:z. 5 LXX; 2 Cron. 6,3 8; 34,3 1 ; 3 5,19b; Sir.
7, 2.7.2.9 s. ecc.
n Peulç Èx + genitivo (v. 3 5 ) cf. xo,:z.9; 1 8,1 2.; :z.6,2.I; 2.7,48; circa Bé, q�w l (v. 3 7), où.�
Èanv (v. 3 8 ) e 811-oto.; (v. 3 9 ) cf. vol. I, introduzione, 4.2..
344 I GRANDI COMANDAMENTI
In Luca la situazione è diversa: non tutte le variazioni rispetto a Marco
possono essere spiegate come redazionali. I A mio giudizio, quantomeno
per Luca l'ipotesi di una tradizione particolare s'impone. Per l'introduzio
ne della parabola del buon samaritano Luca ha sicuramente utilizzato una
tradizione particolare del doppio comandamento, omettendo quindi, più
avanti, Marco per evitare doppioni. Anche in altri casi Luca si è comporta
to così. 1 La suddetta tradizione particolare non si trovava sicuramente in
Q, risultando impossibile trovarle qui una collocazione ragionevole. Non è
affatto impossibile che anche Matteo conoscesse (attraverso la tradizione
orale?) questa tradizione particolare. La disputa circa l'età di questa tradi
zione particolare (più antica ? più recente ?) rispetto alla versione di Marco
non può essere decisa in un senso o nell'altro. La versione marciana con la
sua accentuata confessione di fede monoteista (Mc. I 2,29 = Deut. 6,4) e con
la dimensione intellettuale dell'amore di Dio (Mc. I 2,Jo: òtcivota.; I 2, 3 3 :
a-Uve:atç) suggerisce u n ambiente del giudeocristianesimo ellenistico) Vice
versa, nella tradizione non marciana il commento che il dottore della legge
volesse «tentare» Gesù è sicuramente secondario.
I Sono redazionali forse i nrr . 1 e 3 ; abbastanza verisimilmente anche il nr. 5· Non sono
redazionali il nr. 2. (tra l'intenzione tentatrice di Le. 10,2.5 e la lode di Gesù [formulazio
ne redazionale lucana] di Le. 10,2.8 c'è contraddizione) e il nr. 6. Non sono assolutamen
te stile lucano né èv -rljJ VO(J.CfJ (nr. 4) né l'intera duplice domanda èv -rljJ VO(J.CfJ -r( yéypa7tTat;
1tw� IÌvayt vwaxEt�;
2 Cf. Le. 4, 16-30 (/ Mc. 6,1-6); 7,36-39 (/ Mc. 14,3-9); n,14-2.3 Q (/ Mc J,2.2.-2.7); Le.
.
I Beda In Mt. 98 (cognitio atque confessio divinae unitatis, cum executione bonae ope·
3 Bullinger, 2ooB; similmente si esprime, a d es. Bucero, 1 68 (chi ama Dio deve avere pri
ma una fede salda).
4 B. Spinoza, Die Ethik nach der geometrischen Methoden dargestellt, tr. O. Baensch, in
Spinoza, Werke Il (PhB 92), 1 994, 276. 289 s. (Parte 5, teoremi 1 5 e 3 6).
5 E. Fromm, Die Kunst des Lebens, in Gesamtausgabe IX, Mi.inchen 1989, 487.
6 Esempi: Eutimio Zigabeno, 5 84 (l'amore del prossimo diventa la massima espressione
dell'amore per Dio); Teofilatto, 393; Pietro di Laodicea, 2 5 6; Calvino (v. qui sopra, n.
2.); Bullinger, 200B; Brenz, 688 (ubbidienza interiore e totale); Wolzogen, 367; S. Kier
kegaard, Leben und Walten der Liebe, tr. A. Domer - C. Schrempf, jena 1924, 21 (ub
bidienza e adorazione); R. Bultmann, ]esus (Die Unsterblichen 1 ), Berlin 1929, 142; K.
Barth, KD 1/2, 4 1 948, 429. 7 Musculus, 499; Wolzogen, 3 67.
8 P. Wernie, ]esus, Ti.ibingen 1 9 1 6, 1 3 2 s. 9 Aug. Doctr. Christ. 1,32 (BKV r/49, 40).
I o Dionigi il Certosino, 247, interpretando xapòiq., lj;V'X.n e ÒttXvoiq..
I GRANDI COMANDAMENTI
damenti dobbiamo seguire, è il Deus pro nobis: « Est tuus deus, il/e unicus.
Et ideo crede che si prende cura di te e tu di lui » . 1 Ovviamente, nella mi
stica i momenti emotivi hanno un ruolo notevole, ad esempio in Bernardo
di Chiaravalle. Per Meister Eckhart «amare Dio» significa, in ultima anali
si, l'esperienza di essere uniti a lui: Dio non è là e noi qui, ma invece «Dio
e io siamo una cosa sola. Mediante la conoscenza accolgo Dio in me; me
diante l'amore, invece, entro io in lui . . . Dio e io siamo una cosa sola in que
sta attività: egli opera e io divento » .1
2. Chi è «il prossimo » e che significa « amore » del prossimo? L'inter
pretazione del comandamento di amare il prossimo comporta un ulte
riore problema specifico: che significa «come te stesso» ? Questa doman
da è particolarmente importante oggi, quando l'amore per il prossimo
viene messo criticamente in discussione nel nome di un amore di sé che
nel cristianesimo viene spesso represso.
Per quel che riguarda la questione del prossimo di Mt. 22,39 gli interpreti so
no d'accordo, in larga maggioranza, che il «prossimo » sia ogni nostro simile
nel bisogno. Ciò non significa, naturalmente, che nel cristianesimo l' «amore
del prossimo» sia stato inteso costantemente in senso universalistico. Già
nel cristianesimo delle origini, una volta costituitasi una comunità cristia
na, si sottolineava soprattutto l'amore fraterno reciproco tra cristiani: Gal.
6, 10; Gv. 1 3 ,34 s.; 1 Gv. 3 , 1 0 sono tutti passi che hanno la loro storia de
gli effetti. Ma nella tradizione esegetica di Mt. 22,39 parr. prevale invece la
tendenza universalistica perché in Le. 1 0,25-3 7 il nostro testo è unito alla
parabola del buon samaritano, la quale mostra che non possono esserci
limiti all'amore per il prossimo. Ma i limiti vengono posti in una maniera
diversa: secondo molti interpreti occidentali, sicut te ipsum significa che si
debba amare il prossimo come se stessi non aequaliter, ma solo similiter
si resta quindi il prossimo di se stessi.3 «Amore» verso il prossimo non vie
ne, quindi, inteso come sentimento, ma come azione e si riferisce sia al so
stegno esteriore sia anche alle cose spirituali; essendo l'amore del prossimo
orientato verso Dio, esso ha il dovere di guidare il prossimo a Dio.
Più importanti e dall'esito più gravido di conseguenze furono, invece, le
discussioni sull'amore di sé che divamparono attorno a Wç aEalJ'tov. Nella
tradizione interpretativa occidentale e cattolica è stato sempre evidente che
l'amore di sé è importante, anzi è un dovere essendo forma et radix anche
della caritas.4 Qui l'amore di sé non si riferisce al puro ego, bensì all'io che
ha ricevuto la grazia di Dio. Per Origene l'amore di sé è possibile perché
siamo amati da Dio, «siamo chiamati alla conoscenza di Dio e abbiamo rice-
samtausgabe n, 78-9 1 .
:z. E. Moltmann-Wendel, Das Land, wo Mi/eh und Honig fliesst (GTB Siebenstern 486),
1985, 1 5 5-170.
3 D. Solle, Bibelarbeit uber Mt. ZJ,J I-46, in K. von Bonin (ed.), Deutscher Evangelischer
Kirchentag, 1 993 . Dokumente, Giitersloh 1993, 1 3 3- 1 3 6, cit. a p. 1 3 3 .
4 Bengel, 1 34· Il seguito recita: «Deus amat me sicut te, et te sicut me. Quare ego debeo
te, proximum, amare sicut me et tu me sicut te».
s B. Haring, Das Gesetz Christi n , Freiburg 1961, 335, e riassume la questione così:
«L'amore proprio di Dio, con il quale egli ama se stesso e noi, è il vero motivo dell'amore
sovrannaturale di se stessi e del prossimo ». 6 Kierkegaard (sopra, p. 3 4 5 n. 6), 14.
34 9
Gv. 4,7 s.2o, vale a dire a passi nei quali l'amore per Dio e l'amore per il
prossimo sono legati indissolubilmente. Per gli interpreti cristiani era chia
ro che tra i due sommi comandamenti sussisteva un «necessarius nexus » . I
Per Agostino l'amore per Dio e per i fratelli è quasi identico: «Nessuno do
vrà dire: non so che cosa devo amare. Egli amerà il fratello e così amerà
l'amore . . . E di che, se non di Dio, è pieno colui che è pieno d'amore ? » .
L'amore per i l fratello «non solo proviene da Dio, bensì è anche Dio».�
Anche Lutero, prendendo, però, come punto di -partenza l'incarnazione, ri
tenne che il rapporto tra i due tipi di amore sia molto stretto: all'uomo che
chiede come potrebbe mai lui, creatura umana, amare Dio nella sua mae
stà, Dio dona la possibilità di amarlo nelle sue creature. «Dio dice: 'uomo,
io sono troppo alto per te, non puoi comprendermi, ma io mi sono dato a
te nel tuo prossimo: amalo e allora amerai anche me! ' » .'
Nella teologia liberale del XIX secolo si ebbe una simbiosi di nuovo gene
re tra i due sommi comandamenti. La teologia liberale scoprì «l'unità tra
fattore morale e religioso » come centro del messaggio di Gesù. 4 Se si porta
questa unità fino alle conseguenze estreme, la religione viene assorbita dal
l'etica, poiché «l'amore per Dio non ha più uno spazio di azione al di fuori
dell'amore per il fratello» . s L'accostamento dei due comandamenti più alti
diventa allora un «accostamento solo apparente » . Dio, quale realtà che sta
di fronte all'uomo ed è diversa dal mondo, minaccia di sparire e la fede cri
stiana si avvicina a un umanesimo a un'unica dimensione. 6 A mio parere la
scoperta liberatrice del mondo quale luogo della devozione religiosa, che
dobbiamo alla teologia liberale del XIX secolo, nell'ultima parte del xx se
colo minaccia di diventare una maledizione. L'identità tra religione e mora
le ha portato in molti casi alla perdita della religione, rendendo a molte per
sone assolutamente impossibile avere un rapporto con Dio, per non parlare
poi di amare Dio. Oggi questo radicamento dell'etica nell'esperienza religio
sa corre il rischio di perdersi: la morale, e l'uomo che la gestisce, diventa au
tonoma: il Dio rimpiazzato, ovvero la religione rimossa, ritorna nuovamen
te in forme diverse, non necessariamente piacevoli.
I Grozio, n, 1 84. 2. Aug. Trin. 8,8 (BKV n/14, 3 6-38).
3 Lutero, Evangelien-Auslegung n, 756 (predica del 1 5 2.3). Cf. Calvino, Inst. 2.,8,53: Dio
non richiede alcun servizio per sé.
4 Holtzmann, Lehrbuch l , 2.2.9; cf. A. Hamack, Das Wesen des Christentums, rist. Leip
zig 1908, 47 (verso la fine della IV conferenza).
5 A. Ritschl, Unterricht in der christlichen Religion, Bonn 41 890, 4 (§ 6).
6 H. Braun, ]esus (ThTh 1 ), 1 969, 1 63 - 1 66 (cit. a p. 1 64). Cf. U. Luz, Einige Erwiigun
gen zur Auslegung Gottes in der ethischen Verkiindigung ]esu (EKK v/2.), 1 2.6- 1 2.9. Rico
nosco che questo mio saggio, nato come dialogo con H. Braun, è, come minimo, espo
sto a fraintendimenti quando scrivo ( 1 2.7) che «l'uomo bisognoso è il luogo di Dio nel
mondo�. Qui ho parlato in maniera troppo indifferenziata di Dio quale 'interpretamen
to' e 'vocabolo' del linguaggio umano. Molto utili si dimostrano le considerazioni diffe
renziate circa il rapporto tra amore di Dio e amore del prossimo in Gesù che si possono
leggere in Schragea, 87-90.
35 0 I GRANDI COMANDAMENTI
4· Che cosa sign ifica che da questi due comandamenti « dipendono»
tutta quanta la legge e i profeti? I due comandamenti fondamentali de
vono forse essere intesi come un principio critico per l'interpretazione
della torà ?
L'interpretazione ecclesiastica anteriore all'avvento dell'esegesi critica della
Bibbia non si è praticamente mai posta un tale interrogativo. Il v. 40 cala
mitò una notevole attenzione solo nella più recente esegesi critica dedita al
metodo della storia della redazione. Secondo molti esegeti, soprattutto in
campo protestante, il doppio comandamento matteano dell'amore è «il ca
none» sostanziale «dell'interpretazione di tutta la torà » , mentre rientrano
«nella comprensione giudaica della legge proprio l'esclusione e il rifiuto del
problema di un principio della legge nel suo complesso» . 1 Su questo punto
la vicinanza tra Matteo e la comprensione paolina della legge (Rom. 1 3 , 10;
Gal. 5,14) è veramente molto grande. Matteo diventa il rappresentante del
principio protestante originario del «canone nel canone»; l'interpretazione
giudaica della legge si avvicina - senza che gli interpreti ne fossero consa
pevoli - al legalismo «cattolico•• .
5 . Quanto è diffu so, in generale, il doppio comandamento dell'amore
di Gesù ? Per dirla all'inverso: quanto è nuovo quel comandamento, so
prattutto in confronto al pensiero giudaico dell'epoca ?
Per Lutero il doppio comandamento è conforme alla legge naturale: «Qui
egli (Cristo) ha formulato ciò che si può predicare, insegnare, capire sia
presso i gentili sia presso i giudei » . " Per Kierkegaard, al contrario, l'amore
cristiano per il prossimo, diverso toto coelo dall'amore naturale e dall'ami
cizia, è qualcosa della quale «in ambito gentile non c'è neanche un accenno».
È per questa ragione, infatti, che si tratta di comandamenti, mentre invece
«amore e amicizia >> non rappresentano «alcun dovere morale» , bensì sono
soltanto <<occasione felice » . 3 L'amore del prossimo che viene comandato è,
invece, un <<dovere » e proprio per questo libera l'uomo dalla sua dipen
denza dalle proprie predilezioni e dai propri sentimenti. Kant si colloca in
una posizione più o meno mediana tra i due. Da un lato, per lui il coman
damento dell'amore del prossimo è un comandamento della morale univer
sale: «Quella legge di tutte le leggi rappresenta, dunque, come ogni precet
to morale del vangelo, il sentimento morale in tutta la sua perfezione, e al
lo stesso tempo, in quanto ideale della santità, irraggiungibile da qualsiasi
1 Bomkamm", 45· 3 8; c:f. Lohmeyer, 3 30 (la legge e i profeti sono una realtà penultima
che non viene più accettata senza riserve); Barth, Gesetzesverstiindnis, 72. s.; Strecker,
Weg, 1 3 6 s. (la posizione centrale del comandamento dell'amore non abroga i singoli
comandamenti, ma porta al rifiuto della legge cerimoniale); Grundmann, 478; Bonnard,
3 2.9; Gnilka, n, 2.61 (l'amore di Dio e del prossimo sono un criterio con il quale vengo
no misurati i comandamenti della torà).
:t Lutero, predica del 1 5 3 2 (WA 36, 3 3 8). 3 Kierkegaard (sopra, p. 345 n. 6), 4 1 . 48.
35 1
creatura, essa è l'archetipo al quale dobbiamo avvicinarci » . Dall'altro, pe
rò, il comandamento contraddice la natura umana e ciò che uno, per pro
pria scelta, amerebbe fare e spesso fa. È proprio per questa ragione che nel
vangelo l'amore del prossimo viene comandato e reso un dovere. 1
L'esegesi più recente non si occupa tanto di tale questione fondamentale
quanto dell'aspetto storico-religioso del problema, chiedendosi se il duplice
comandamento di Gesù contenga una qualche novità rispetto al giudaismo
contemporaneo. Le risposte ovviamente cambiano se la pericope può esse
re fatta risalire, almeno nelle linee fondamentali, a Gesù. Stando alle cono
scenze attuali, è più che incerto; "" ma anche se il comandamento risalisse ve
ramente a Gesù, una risposta positiva sarebbe problematica poiché Gesù si
limita a citare versetti della Bibbia e anche perché, nella versione lucana del
la disputa, non è Gesù che formula il duplice comandamento, bensì lo scriba
che gli aveva posto la domanda. Ciononostante, gli esegeti cristiani hanno
sempre cercato di trovare per forza in questo testo qualcosa di nuovo rispet
to al giudaismo. A onor di cronaca si devono ricordare qui, sia pur breve
mente, due tipi di risposta: a) è molto popolare la tesi secondo la quale sta
bilire una classifica qualitativa dei comandamenti significherebbe il supera
mento di un legalismo che colloca tutti i singoli comandamenti uno accan
to all'altro e in questo modo <<può stabilire quanti comandamenti una per
sona osservi o trasgredisca » .3 b) Anche se ciò che Gesù insegna nel nostro
passo non è qualcosa di nuovo, perlomeno il quadro generale è qualcosa di
nuovo, per esempio «il fatto che per Gesù il principio determinante secon
do il quale agire è il regno di Dio e non la torà ,. 4 oppure «Che l'amore per
Dio . . . è amore per il Padre che ama anche il peccatore » . S
Il commento che ora seguirà senza ulteriori interruzioni terrà sempre
presenti questi cinque interrogativi fondamentali.
r l. Kant (v. sopra, p. 347 n. 5 ), 92. Proprio in rapporto diretto con il duplice comanda
mento dell'amore si colloca la famosa citazione: « Dovere! Tu sublime, grande nome, ru
che non abbracci in te nulla di ciò che si ama, e che comporta lusinghe, bensì chiedi sot-
tomissione . . . (95).
» >. Cf. Gnilka, Mc. n, 1 67. 3 Schweizer, Mc., 1 3 8.
4 Merklein, Gottesherrschaft, 105: ma è davvero possibile dimostrare questa affermazio-
ne sulla base del nostro testo? 5 Pesch, Mc. n, 24 7.
6 Hier. In Mt. 207 afferra perfettamente il rapporto tra i sadducei maneani e i farisei mat
teani: Inter se contrarli sunt, sed ad temptandum Iesum pari mente consentiunt.
7 JU'Y(i'Àl) può - ma non deve necessariamente - indicare, alla maniera semitica, un super-
35 2 I GRANDI COMANDAMENTI
mandamento » . La domanda è assolutamente comprensibile perché an
che i rabbi hanno distinto, in base a diversi punti di vista, i comandamen
ti in «piccoli » e «pesanti » ! Da un lato, essi hanno suddiviso i coman
damenti e le proibizioni della torà fino a raggiungere, come noto, la fa
mosa cifra di 248 comandamenti e 3 6 5 proibizioni, e hanno sottolinea
to costantemente, per salvaguardare la serietà degli imperativi divini, che
anche i comandamenti «piccoli » avevano il massimo peso." Dall'altro,
essi erano continuamente spinti a cercare quali fossero i principi fonda
mentali della torà: per esempio dovevano specificare in quali casi fosse
preferibile affrontare il martirio pur di non trasgredire il comandamen
to,3 oppure dovevano precisare, nel loro insegnamento, dove si trovasse
nella torà l'elemento decisivo e come comandamenti diversi potessero
essere derivati gli uni dagli altri. Perciò i rabbi parlavano di un kelal ( «ge
neralità, principio fondamentale, somma, titolo » ) , 4 di un gCtf ( «corpo,
cosa principale» ) nella torà,S oppure formulavano i principi «sui quali si
regge il mondo >> .6 I lettori del vangelo di Matteo avranno capito la do
manda del dottore della legge in maniera analoga. Nella domanda del
lativo: cf. BDR, § 2.45. A differenza di 5,19, dove il valore superlativo di tJ-É-yaç è chiaro
a causa dell'opposto D..IZ.xta'tO<;, qui mancano indizi linguistici che suggeriscano un super
lativo. Quando vuole esprimere un superlativo Matteo ricorre normalmente a un com
parativo con articolo: cf. ad es. 1 1, 1 1 ; 1 8,4.
1 Non sembra che a questo proposito i rabbi seguissero una sistematica. Punti di vista de
terminanti potevano essere, ad esempio, l'impegno necessario per compiere un atto, la
ricompensa promessa pe r tale gesto o, in generale, l'importanza di un comandamento:
cf. Bill., 1, 900-905. Secondo Ab. R.N. 40 (tr. J. Goldin, 1 9 5 5 , 1 63 ) il rispetto dei geni
tori, le opere d'amore, il costruire la pace e lo studio della torà sono tutte opere che pro
curano una ricompensa in questo eone e in quello futuro. Sul versante negativo sono, in
vece, atti particolarmente gravi l'idolatria, l'omicidio, la calunnia, la fornicazione, la pro
fanazione del sabato. Secondo tPeah 4, 1 9 ( 2.4 ) (Bill., IV, 5 3 7 ) la beneficenza e le elemo
sine controbilanciano tutti gli altri comandamenti.
1 L'inosservanza o l'osservanza dei piccoli o dei grandi comandamenti avrebbe uguale va
la quale •pretende che, essendo espressione della volontà di Dio, tutti i comandamenti
abbiano il medesimo valore» (Lohmeyer, 3 29 n. I ). Ma una «dogmatica giudaica » non
esiste affatto; evidentemente, però, esiste una dogmatica cristiana che determina quale
debba essere il giudaismo.
1 Il dottore della legge si esprime «con linguaggio giudaico» più in Matteo che in Marco.
In Matteo (v. 3 8 ) è Gesù che usa il 11:pwTI) marciano, ma anche questo 11:pwTI) è semplice
mente non giudaico se si pensa a citazioni del giudaismo ellenistico: Ps.-Phocyl. 8 (11:pW
�<Z: onorare Dio, poi i genitori); Ep. Arist. I 3 2 (11:pcil1:ov 11:.iv'twv: il monoteismo); Ios. Ap. 2,
190 (11:pW'tlJ è il comandamento 'TI:EpÌ -BEou); Philo Decal. 6s (giudizio simile); altre testi
monianze in Bomkamm", 40 n. 14. Testi di questo tipo illustrano l'ambiente culturale
giudeo-ellenistico della tradizione di Mc. I 2,28-34. Sullo sfondo c'è la disposizione del
decalogo con la prima tavola che parla del rapporto con Dio; cf. Philo Decal. so s.; 106.
Secondo Decal. 1 9; I S 4 i comandamenti del decalogo sono i xEq>aÀcxtcx di tutti gli altri sin-
goli comandamenti. 3 Mathys", 1 2-28; Ebersohn", 43-46.
4 Testimonianze in Nissen", 203-2 1 I ; Mudiso Mba Mundlah, I 8 2- I86.
5 Tg. f. 1 a Deut. 6,s (Bill., r, 9os); cf. Sifre Deut. 6,s S 32 (73a) (Bill., r, 906).
6 Per il giudaismo: Ber. 6xb (Bill., 1, 6os s.); Sifre Deut. 6,s S 32 (73a) (Bill., r, 6o6); cf.
Mt. 6,25; 10,28.39; 1 6,25 s. 7 Cf. Philo Decal. 64.
354 I GRANDI COMANDAMENTI
1 2,28-34. 1 I lettori, dunque, quando sentono parlare di «amare Dio >>
non pensano a un sentimento, neanche a preghiere o a una mistica di Dio
che rifugge dal mondo, bensì alla conoscenza dell'unico Dio e all'ubbi
dienza a lui nel mondo. Per loro l'amore per Dio e l'amore per il prossimo
sono, già a priori, estremamente vicini. ;t In questo senso l'amore di Dio è
un comandamento fondamentale e, come soltanto adesso lo si chiama se
guendo Mc. 1 2,29, il primo 3 comandamento.
1 Ep. Arist. 1 3 1 .
:. Philo Spec. Leg. 2.,63 ( i due Kt(j)ciÀata dei òoy��oa't"a divini sono tùo-É[Xta/ocno't"l)(; e (j)tÀczv
.fJpwrdcz/òtxcztoouvTl); Virt. 5 1 (Mosè valuta sopra ogni altra cosa la pietà e l'amore per
l'uomo); 95 (iJyt!J.Ovt<; delle virtù sono tùaÉ(Xta e (j)tÀav.fJpw7ttcz); cf. Spec. Leg. 4,I47 (re
gina delle virtù è la pietà ).
3 Attestazioni in Berger, Gesetzesauslegung I, 1 5 2.. Cf. nel N.T. Atti I0,2.2.. 3 5 .
4 Documentazione i n Berger, Gesetzesauslegung I , I 4 3-I 5 1 .
5 Test. Iss. 5,2. (amore di Dio e del prossimo); 7,6 (amore d i Dio e dell'uomo; Deut. 6,s);
Test. Dan 5,3 (amate Dio e amatevi gli uni gli altri [Deut. 6,5]); Test. Ios. I I, I (temere
Dio e onorare i fratelli è l'essenza della legge); Test. Ben. 3,3 s. (timore di Dio e amore
del prossimo [Lev. I9,1 8]); Test. Ben. 3,5 (v. sopra, p. 3 54 n. 2).
6 Si avvicinano a suggerire una tale unione Ep. Arist. 229 (l' .iyci1tT'j è la forza della tùaÉ
[Xta); Sifre Deut. 3 2,29 S 3 23 ( I 3 8b) (Bill., I, I 76 s.) (il giogo della signoria di Dio, il ti
more di Dio e le opere d'amore sono il centro della torà). Cf. Iub. 20,2.7; 3 6,4.7 s.; Sir.
I3,14 s.; I QS I,I-3 (con un'interpretazione molto restrittiva dell'amore del prossimo).
35 7
punto i commenti fanno regolarmente riferimento al termine rabbinico
tala ( «pendere » ) e ai due passi di Ber. 63a e lfag. 1,8. 1 Il verbo tala è sì
diffuso nell'ebraico rabbinico, ma non è affatto un termine puramente
tecnico che indica la derivazione di una sentenza da un passo scritturisti
co, bensì, usato in senso figurato, è una espressione generica che significa
«dipendere / far dipendere (da un principio più generale) » oppure «esse
re unito a, collegato con, dipendere da (un principio più generale) » . 2. Il
verbo greco xpE!J.cXVVUfJ-t può essere usato in senso figurato con un signifi
cato generico analogo.3 La formulazione del v. 40 non permette, quin
di, di trarre conclusioni certe su come Matteo abbia concepito, logica
mente ed esegeticamente, il rapporto tra comandamenti principali e sin
goli comandamenti della torà. 4 Qui ci può aiutare soltanto il dato com
plessivo del vangelo di Matteo. Per es. la struttura di 5,21-48 mostra
che il comandamento dell'amore, che inquadra le antitesi, è più impor
tante di tutti gli altri comandamenti; ma ciò non significa affatto che tut
ti gli altri comandamenti, come il divieto di divorziare o di giurare, pos
sano essere fatti «derivare» dal comandamento dell'amore. Anche 7, 1 2
va inteso i n maniera analoga: l a regola aurea è una direttiva fondamen
tale per l'interpretazione del discorso della montagna e della legge e dei
profeti, ma Matteo non tenta minimamente di derivare esegeticamente
da questo principio generale ogni comandamento «particolare » né di
comparare questo a quello. E tanto meno Matteo, con la sua provata fe
deltà alla legge, può avallare alcun principio simile alla massima agosti
niana dilige et quod vis fac.s La questione va, invece, impostata diversa
mente, in maniera più elastica, meno rigida e precisa. Le cose appariran
no allora più semplici: in un modo o nell'altro tutti i comandamenti del-
1 Cf. Bill.,1, 907 s. Sec:ondo Ber. 63a r. Qappara chiede quale sia la parasha alla quale
•sono appesi» (t•Jujjin) i • principi fondamentali» (gU{e) della torà: è Prov. 3 ,6. In J:lag.
1,8 si tratta di questo: i comandamenti del sabato e i comandamenti circa la celebrazio
ne delle feste e le malversazioni • sono come montagne appese a un capello» poiché non
hanno passi biblici che possano giustificarli.
1 Cf. ad es. Mek. a Es. 1 2.,2.5 (tr. Winter-Wiinsche, 3 3 ); Qidd. 1 ,9 (determinati coman
damenti dipendono dalla terra d'Israele); Sifre Deut. a Deut. 1 1 , 1 3 (tr. Bietenhard, 1 2.9:
l'agire dipende dall'insegnamento); altri esempi in Bacher, Terminologie 1, 198.
3 Esempi dell'uso greco in Lohmeyer, 3 30 n. 1 ; Gnilka, n, 2.61 n. 1 . L'immagine che sta
a monte del traslato non è, del resto, come suggerisce Bauer, Wb6, s. v., 2..b, quella di
una porta che •è appesa» per i cardini: da un «ganghero» greco (a'tpo<pe:Uc; «cardine della
porta » ) non •pende» alcuna porta.
4 Gerhardssona, 1 3 6- 1 39, vorrebbe intendere la logica di Mt. 2.2.,37-30 alla luce della
regola esegetica del k•Jal ureri# («generico e specifico»; cf. sopra, p. 3 52. n. 4). Egli si
avvale inoltre della regola della g•zera sawa (conclusione analogica sulla base di un con-
cetto simile, ossia à:ya�ae:1ç). 5 Aug. In Epist. Io. 1 ,7,8 (SC 75, 3 2.8).
I GRANDI COMANDAMENTI
la torà e dei profeti possono essere messi in rapporto con i due grandi co
mandamenti dell'amore di Dio e dell'amore del prossimo, oppure si la
sciano associare a essi.' Il principio sostenuto da Matteo è semplice: os
servare i comandamenti principali senza tralasciare i comandamenti mi
nori ( 23 ,23 ) oppure, in altre parole, «questi comandamenti minimi » non
sono soltanto subordinati, ma anche collaterali ai comandamenti prin
cipali e non possono essere abrogati finché il mondo sussiste ( 5 , 1 8 s.). L
Abrahams aveva formulato a proposito dei farisei il principio fondamen
tale dell'armonia tra «pignoleria per quel che riguarda le regole specifi
che e richiamo ai profeti per quel che riguarda i grandi principi » .1 Tale
principio è valido anche per Matteo, anche se l'evangelista e i farisei sa
rebbero stati solo parzialmente d'accordo su quali fossero, per contenu
to, i comandamenti «grandi » e quelli «piccoli » .
mente visibili i limiti della validità del comandamento di amare il prossimo nel vangelo
di Matteo.
1 Cf. sopra, pp. 3 5 4 n. 2.. 3 5 6 nn. 5 s. 3 Cf. sopra, p. 3 49 nn. 5 s.
I GRANDI COMANDAMENTI
me, uno accanto all'altro sullo stesso piano (cf. 23 ,23 ) e, probabilmente,
il duplice comandamento dell'amore non costituisce, come avviene for
se in Paolo con «la legge di Cristo » ( Gal. 6,2), un «canone » in base al
quale alcuni determinati comandamenti della torà, come le leggi rituali,
potevano anche essere abolite. 1
È arrivato il turno della quinta domanda guida, dopo la novità del du
plice comandamento dell'amore. Anche qui, prima di rispondere, si de
ve procedere con assoluta prudenza, tanto più che la tradizione giudeo
cristiana ellenistica di Mc. 1 2,28-34 non può essere ricondotta a Gesù
nella formulazione che ha nel testo. L'accostamento di Deut. 6,5 e Lev.
19, 1 8 è certamente nuovo, ma è preparato in varie maniere dalle tradi
zioni giudaiche. Nuova è, presumibilmente, l'interpretazione che emerse
nel contesto della tradizione di Gesù estendendo il concetto di «prossi
mo >> a tutti gli uomini. Non è nuovo, in sé, l'imperativo di amare tutti gli
uomini, ché tale esortazione ha un posto importante anche nella tradi
zione giudaica; mentre è una novità, almeno parziale, la sua centralità e
la sua radicalizzazione nella prospettiva dell'amore per il nemico.1
sieme, chiude la serie di dispute dei vv. 1 5 -4 5 . I vv. 42-4 5 contengono l'ulti
ma disputa con le sue due fasi di botta e risposta. Questa volta è Gesù che
prende l'iniziativa della disputa ponendo le sue domande. Alla prima do
manda di Gesù, introdotta con -.i e -.!voç, i farisei rispondono (v. 42); ma
I Cf. sopra, p. 348 nn. 1-5. � Cf. sopra, pp. 3 4 5 n. 9· 346 nn. 1 s. 348 nn. 1-6.
3 Il testo - e l'intera tradizione biblica che in esso si manifesta visibilmente - è importan
te per evitare che vada spezzata quell'unità che rappresenta, turto sommato, la grande
scoperta del XIX secolo: religione e vita quotidiana sono indissolubilmente incastrate una
nell'altra. Lo stretto vincolo tra amore di Dio e amore del prossimo ha la funzione di im
pedire una separazione tra religione e società, tra interiorità e vita esteriore.