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paradigmatico dei sadducei, che Gesù vuole dimostrare assurdo. Più pre­
cisamente: a Gesù interessa unicamente «la potenza di Dio » : Dio è il Dio
vivente. Quando egli dà la sua parola agli uomini, questi verranno affer­
rati dalla sua vita e non possono restare nella morte. L'uomo, al quale
Dio dà la sua parola, diventa un << signum promissionis >> , non solo come
anima, ma anche come corpo. '

3 · 3 · I GRANDI COMANDAMENTI (22, 34 -4 0)


I. Abrahams, The Greatest Commandment, in Id., Studies I, I 8-29; D.C. Allison,
Mk. 12,2 8-J I and the Decalogue, i n C.A. Evans - W.R. Stegner (edd.), The Gospels
and the Scriptures of Israel USNT.S I04), I 994, 270-278; K. Berger, Gesetzesaus­
legung I, 56-257; G. Bornkamm, Das Doppelgebot der Liebe, in Id., Geschichte und
Glaube n ( Ges. Aufs. m ) (BEvTh 48), I 968, 3 7-45; C. Burchard, Das doppelte
Liebesgebot in der frUhen christlichen Oberlieferung, in E. Lohse et al. (edd.), Der
Ruflesu und die Antwort der Gemeinde (Fs J. Jeremias), Gottingen I970, 39-62; M.
Ebersohn, Das Nachstenliebegebot in der synoptischen Tradition (MThSt 37), I993;
R.H. Fuller, Das Doppelgebot der Liebe, in G. Strecker (ed. ), ]esus Christus in His­
torie und Theologie (Fs H. Conzelmann), Tiibingen I975, 3 I 7-3 29; B. Gerhards­
son, The Hermeneutic Program in Mt. 22,3 7-40, in R. Hamerton-Kelly - R. Scroggs
( edd.), ]ews, Greeks and Christians (Fs W.D. Davies), Leiden I 976, I 29- I 50; J. Ki­
lunen, Das Doppelgebot der Liebe in synoptischer Sicht (STAT B 250), I 989; J.
Lambrecht, The Great Commandment Pericope and Q, in R. Pipe r (ed.), The Gos­
pel behind the Gospels (NT.S 75), I995, 73-96; S. Légasse, «Et qui est mon pro­
chain?» (LeDiv I 3 6), I989; H.P. Mathys, Liebe deinen Nachsten wie dich selbst
(OBO 7 I ), I 986; R. Neudecker, «And you shall love your Neighbor as Yourself - 1
am the Lord (Lev. 19,1 8) in ]ewish Interpretation: Bib. 73 ( I 992) 496-5 17; A. Nis­
sen, Gott und der Nachste im antiken ]udentum (WUNT I 5), I974; G. Schneider,
Die Neuheit der christlichen Nachstenliebe, in Id., ]esusuberlieferung und Christo­
logie (NT.S 67), I 992, I 68-I 86; W. Schrage, Ethik des Neuen Testaments (GNT
4), 1I989, 73-93 ·
Altra bibliografia ( b) nella sezione su Mt. 22,I 5-46 (sopra, p. 3 20).
34 Ma quando i farisei udirono che egli aveva chiuso la bocca ai sadducei,
si riunirono nel medesimo posto 3 5 e uno di loro, un maestro della legge,1
gli chiese, per metterlo alla prova: 3 6 «Maestro, quale comandamento nel­
la legge è grande ? » . 37 Allora egli gli disse:
« 'Amerai il Signore, tuo Dio,
con tutto il cuore e con tutta la tua vita
e con tutto il tuo pensiero!'.

1 Bengel, I 3 3 .
1 Soltanto pochi testimoni testuali (P, e , sy•, arm, geo, Or) espungono VOIJ.&x&;. Guardan­
do alla situazione del testo, non si comprende quale criterio testuale sottostia alla deci­
sione degli editori del GNT e del Nesrle16 di mettere VOIJ.&x&; fra parentesi quadre. Lo si
potrebbe spiegare solo sulla base delle difficoltà di distinguere le fonti.
34 2 I GRANDI COMANDAMENTI
38 Questo è il grande e primo comandamento. 39 Il secondo 1 gli è tuttavia
uguale:
'Amerai il tuo prossimo come te stesso'.
40 Da questi due comandamenti dipendono tutta la legge e i profeti » .
1 . Struttura. Il testo inizia con un versetto di raccordo (v. 3 4 ) che si riallaccia
al dialogo con i sadducei e, allo stesso tempo, menziona la riunione dei fa­
risei che sarà la scena del prossimo episodio (cf. v. 4 1 ). Il dialogo vero e
proprio è formato da una esposizione (v. 3 5 ), dalla domanda (v. 3 6 ) e da
una risposta molto lunga di Gesù ( vv . 3 7-40). Prescindendo dal commento
che il maestro della legge «tenta » Gesù, il dialogo non contiene note polemi­
che dirette e non constata nemmeno la vittoria di Gesù sui suoi contraddit­
tori. Nella terminologia classica della critica delle forme letterarie si tratta
di un dialogo scolastico, che sembra una disputa solo perché gli interlocu­
tori di Gesù sono caratterizzati negativamente. l. Il termine vO!LO<; (vv. 3 6.40;
cf. vo!Ltxoc; al v. 3 5 ) forma un'inclusione che racchiude tutta la discussione.
Esso unisce il versetto conclusivo (v. 40), che dice qualcosa che l'interlocuto­
re di Gesù non aveva chiesto, e che perciò non è saldamente ancorato al te­
sto, con il tutto.

2. Fonti. L'introduzione (v. 3 4 ) 3 e la conclusione (v. 40) 4 sono redazio­


nali. Per i vv. 3 5-39 il problema delle fonti è molto controverso a motivo
dei numerosissimi minor agreements con l'introduzione lucana alla storia
del buon samaritano (Le. 10,2 5-28). I punti di coincidenza sono i seguenti:
I . l'interrogante è un 'IIO !Ltxoc;, non un 'Ypcl!Lfi.CX't'E:Uc; come in Marco (v. 3 5; Le.
10,25); 2. la sua domanda vuole tentare Gesù (7tetpat;wv cxù1:ov [v. 3 5]; Èx-
7tEtpat;wv cxù1:ov [Le. 10,2 5 ] ); 3 · òtòticrxcxÀe (v. 3 6; Le. 10,2 5 ); 4· iv 1:cj) vo!L<p (v.
3 6; Le. 10,26); 5 · nella citazione del comandamento dell'amore di Dio man­
ca il versetto introduttivo di Deut. 6,4 = Mc. I 2,29; 6. nella citazione di
Deut. 6,5 Matteo e Luca hanno sostituito in larga parte, ma in maniera di­
versa, il marciano Èx con Èv, allontanandosi così dal testo dei LXX; s 7. in
Marco il dialogo termina con la risposta dello scriba e Gesù che lo loda (Mc.
1 2,3 2-34), mentre in Matteo e Luca questi versetti mancano. Per spiegare
questi dati si è postulata l'esistenza di una variante particolare solo dietro a

1 ÒÉ manca nei migliori testimoni alessandrini ed è più probabilmente un'aggiunta che


un'omissione. 2. Simile il giudizio di Hummel, Auseinandersetzung, 52··
3 Il v. 34 si collega con i vv. 23-3 3 e col v. 4 1 . Sono inoltre opera redazionale, secondo
voJ. I, introduzione, 4.2: ÒÉ, cixoooez<;, auvayw ( 5 volte CTUV�"X,-8ljaClV, in 4 delJe quali si trat­
ta degli avversari di Gesù). È7tt -rò ClÙ'to è una tipica locuzione dei LXX ( 5 6 volte). Può
essere un caso che essa appaia insieme a auv�'X.-8l)aelv in Sal. 2,2 LXX.
4 Secondo vol. I, introduzione, 4.2, sono redazionali: oinoç, òoo, liÀoç, v6tJ.oç/7tpoqrij-rl.lt (cf.
s. • ?; ?,1 2).
5 Luca conserva !x nel primo elemento. Inoltre Matteo, diversamente da Luca, ha ridot­
to la serie di quattro elementi di Marco a soli tre, adeguandosi così a Deut. 6,5.
34 3
Le. 10,25-28; 1 di un testo di Q o di un'altra fonte particolare nota a Mat­
teo e a Luca; :r. di una recensione deuteromarciana del testo; 3 si è tirata in
ballo anche un'ipotesi relativa al problema sinottico diversa da quella clas­
sica delle due fonti:4 Più di recente vari autori sono tornati a insistere con
forza che qui Marco sia l'unica fonte di Matteo e Luca.S
La maggior parte delle modifiche nel testo di Matteo sono facilmente spie­
gabili con l'intervento redazionale: òtòliaxcxì.t: quale appellativo di Gesù usa­
to dagli estranei al suo gruppo ( nr. 3 ) è redazione matteana.6 iv 'tcjl vO!Jo(J) ( nr.
4) è conforme all'interesse che Matteo ha nell'adempimento della legge (cf.
v. 40). Guardando le cose dalla prospettiva di Matteo, 7tEtpli?;wv ( nr. 2 ) ? e la

mancanza di Mc. 1 2,3 2-34 (nr. 7) sono molto comprensibili poiché l'inter­
locutore che pone la domanda a Gesù è un inviato del gruppo a lui ostile
dei farisei, quindi un suo nemico: per questo motivo egli non può formula­
re il doppio comandamento dell'amore, il centro dell'etica cristiana, ed es­
sere lodato da Gesù per questo. Deut. 6,4 (or. 5 ) è stato chiaramente omes­
so per ottenere un testo più conciso. È inoltre da considerare che gli agree­
ments tra Matteo e Luca spesso non sono perfetti: ora si differenziano per
la formulazione (nrr. 2 e 6 ) ora per la posizione nel vangelo. In Matteo e Lu­
ca l'omissione di Mc. 1 2,3 2-34 avviene in maniere totalmente diverse, sic­
ché non si dovrebbe affatto parlare di «concordanza » . 8 In realtà, per quel
che riguarda Matteo, le difficoltà sono create dal nr. 1 9 e, forse, dal nr. 6. 1 0
Anche gli altri cambiamenti minori rispetto a Marco sono redazionali. 1 1
.
r J. Fitzmyer, Le. (AncB :z.8A), 1 9 8 5 , 8 77 s.; altri autori sono citati i n Kilunena, 1 7 s.
2. Bulnnann, Tradition, 2.I; Bornkamma, 44 (una fonte particolare più antica, forse un

Protomarco); Burcharda, 39-5 1 (una tradizione particolare più recente di Marco); Ful­
lera, 3 1 7-3 2.4 (una tradizione antica risalente alla comunità di lingua aramaica); Haen­
chen, Weg, 4 1 3 s. (una tradizione antica particolare); Schweizer, 2.77 (la tradizione orale);
Strecker, Weg, 1 3 5 s. (Q); F. Vouga, Jésus et la Loi, Genève 1988, 146- 1 5 2. (Q); Schra­
gea, 75 (Q); Lambrechta (Q; il testo di Q è servito da fonte anche per Mc. n,:z.S-34).
3 Ennulat, Agreements, :z.84. :z.87.
4 Non c'è ipotesi di soluzione del problema sinottico che non trovi un suo convinto so­
stenitore quando si affronta il nostro testo. Cf. la rassegna in Ennulat, Agreements, 2.79.
s Mudiso Mba Mundia b , 1 1 3-1 19; Kilunena, 34-77; Ebersohna, 144-1 5 5; cf. Gnilka, 11,
257 s. 6 Vol. I, introduzione, 4.:z.; vol. n, p. 42.. 7 Cf. 1 6,1; 19,3; :z.:z.,18.
a In Luca Gesù pone la domanda e il VOIJ-tX� è colui che risponde; in realtà viene omesso
non Mc. 1 2.,32. s., bensì Mc. 1 2.,30 s. La lode di Gesù rivolta allo scriba (Mc. x:z.,34a) è
contenuta in Le. xo,:z.8a, ma in una formulazione lucana.
9 In Matteo VOIJ-IX� è hapax e in Luca sarebbe comunque spiegabile con l'intervento re­
dazionale.
ro Se Matteo avesse adeguato il testo dei LXX al T.M. si potrebbe giustamente parlare
di caso più unico che raro. Ma ci sono altri passi nel LXX che presentano serie simili
con Èv: I Re ,:z.,4 LXX; 8.48 LXX; 2 Re :z.3,3.:z. 5 LXX; 2 Cron. 6,3 8; 34,3 1 ; 3 5,19b; Sir.
7, 2.7.2.9 s. ecc.
n Peulç Èx + genitivo (v. 3 5 ) cf. xo,:z.9; 1 8,1 2.; :z.6,2.I; 2.7,48; circa Bé, q�w l (v. 3 7), où.�
Èanv (v. 3 8 ) e 811-oto.; (v. 3 9 ) cf. vol. I, introduzione, 4.2..
344 I GRANDI COMANDAMENTI
In Luca la situazione è diversa: non tutte le variazioni rispetto a Marco
possono essere spiegate come redazionali. I A mio giudizio, quantomeno
per Luca l'ipotesi di una tradizione particolare s'impone. Per l'introduzio­
ne della parabola del buon samaritano Luca ha sicuramente utilizzato una
tradizione particolare del doppio comandamento, omettendo quindi, più
avanti, Marco per evitare doppioni. Anche in altri casi Luca si è comporta­
to così. 1 La suddetta tradizione particolare non si trovava sicuramente in
Q, risultando impossibile trovarle qui una collocazione ragionevole. Non è
affatto impossibile che anche Matteo conoscesse (attraverso la tradizione
orale?) questa tradizione particolare. La disputa circa l'età di questa tradi­
zione particolare (più antica ? più recente ?) rispetto alla versione di Marco
non può essere decisa in un senso o nell'altro. La versione marciana con la
sua accentuata confessione di fede monoteista (Mc. I 2,29 = Deut. 6,4) e con
la dimensione intellettuale dell'amore di Dio (Mc. I 2,Jo: òtcivota.; I 2, 3 3 :
a-Uve:atç) suggerisce u n ambiente del giudeocristianesimo ellenistico) Vice­
versa, nella tradizione non marciana il commento che il dottore della legge
volesse «tentare» Gesù è sicuramente secondario.

Storia degli effetti. I l dialogo circa il duplice comandamento dell'amo­


re è un testo fondamentale. Nelle sue diverse interpretazioni si riflettono
spesso problemi fondamentali della fede. Qui si annoteranno le doman­
de più importanti per la comprensione del testo che vengono poste oggi,
collegandole con alcune indicazioni tratte dalla storia degli effetti, sen­
za le quali è talora difficile capire bene le domande odierne.
I . Che si deve intendere con « amare Dio » ? Come si può amare qual­
cuno che non si può toccare né vedere?
Nelle dogmatiche ecclesiastiche classiche l' << amore per Dio» non è l'espres­
sione principale usata per descrivere il rapporto cristiano con Dio. In que­
ste opere predomina, invece, una terminologia «intellettuale >> del tipo «co­
noscenza di Dio» e «fede» . 4 I commenti su Deut. 6,5 / Mt. 22, 3 7 sono spes-

I Sono redazionali forse i nrr . 1 e 3 ; abbastanza verisimilmente anche il nr. 5· Non sono

redazionali il nr. 2. (tra l'intenzione tentatrice di Le. 10,2.5 e la lode di Gesù [formulazio­
ne redazionale lucana] di Le. 10,2.8 c'è contraddizione) e il nr. 6. Non sono assolutamen­
te stile lucano né èv -rljJ VO(J.CfJ (nr. 4) né l'intera duplice domanda èv -rljJ VO(J.CfJ -r( yéypa7tTat;
1tw� IÌvayt vwaxEt�;
2 Cf. Le. 4, 16-30 (/ Mc. 6,1-6); 7,36-39 (/ Mc. 14,3-9); n,14-2.3 Q (/ Mc J,2.2.-2.7); Le.
.

13 ,6-9 (/ Mc. n , ll.-14.2.0 s.); 1 7,6 Q (/ Mc. n ,2.2. s.)


3 Così soprattutto Bornkanuna; cf. anche Burcharda, 3 9-5 1 . 54 s.
4 Nella «dottrina di Dio• di Tommaso d'Aquino si tratta della cognitio Dei (Summa 1
qu. 12.); nella •dottrina delle virtù• si tratta, in primo luogo, della fede intesa quale atto
intellettuale (assecondato dalla volontà) (Summa m, qu. 1-3; qu. 4 att. 1 .2..8). Del­
l'amore per Dio si parla, invece, quasi esclusivamente a proposito dell'amore per l'uomo
(Summa m, qu. 2.5-2.7).
34 5
so molto concisi; non si ricava l'impressione che nella tradizione cristiana
Mt. 22, 3 7 sia stato mai uno dei «grandi » testi. Nelle interpretazioni medie­
vali l'amore per Dio viene spesso inteso in termini di conoscenza e ubbidien­
za . 1 Calvino parla dell'amore per Dio quasi esclusivamente a proposito
dell'osservanza dei comandamenti della prima tavola del decalogo. :r. Anche
le interpretazioni dei riformatori sottolineano il momento della conoscen­
za: l'amore per Dio, dice per esempio Bullinger, viene dalla fede; e la fede è
conoscenza di Dio: «nullum amatum nisi cognitum>> .3 In epoca moderna
corrisponde all'amore per Dio l' «amore » filosofico per Dio, ad esempio nel
panteismo razionale di Spinoza. 4 E. Fromm sentenzia, non del tutto a tor­
to, che nella tradizione occidentale l'amore per Dio sia «essenzialmente una
esperienza intellettuale» . S Nella tradizione risulta quasi ancor più importan­
te il momento etico dell'amore per Dio: amare Dio significa osservarne i co­
mandamenti. Questo concetto di fondo si mantiene inalterato nell'interpre­
tazione cristiana, più e meno recente, soprattutto nella chiesa greca e nel pro­
testantesimo.6 Talora tale pensiero viene accompagnato da un secondo: la
gratitudine per i doni che l'uomo riceve da Dio dovrebbe portare all'ubbi­
dienza.7 L'amore per Dio non è dunque qualcosa che abbia a che fare col
sentimento, bensì con la volontà, «un'ubbidienza libera e gioiosa ».8
Si parla raramente di momenti emotivi nell'amore per Dio. Per Agostino
fa parte dell'amore «godere» della comunione con l'essere amato. Se con Dio
avviene ciò, questa è la felicità massima, che è raggiungibile solo con la co­
munione: la «ricompensa maggiore consiste in questo: che ci è consentito
godere di lui e che noi tutti che ne godiamo, in lui godiamo reciprocamente
gli uni degli altri » .9 Per Dionigi il Certosino, il Doctor estaticus, l'aspetto
affettivo ha un ruolo importante: si deve amare Dio toto desiderio et affectu
. . . secundum vires anima/es et sensitivas e, infine, anche toto intellectu ac
intentione. 10 In Lutero si coglie sempre la gioia perché il Dio, i cui coman-

I Beda In Mt. 98 (cognitio atque confessio divinae unitatis, cum executione bonae ope·

rationis); concetti simili si leggono anche in Cristiano da Stavelot, 1445, e Anselmo di


Laon, 1 44 1 . 2. Calvino, Inst. 2,8, 5 1 .

3 Bullinger, 2ooB; similmente si esprime, a d es. Bucero, 1 68 (chi ama Dio deve avere pri­
ma una fede salda).
4 B. Spinoza, Die Ethik nach der geometrischen Methoden dargestellt, tr. O. Baensch, in
Spinoza, Werke Il (PhB 92), 1 994, 276. 289 s. (Parte 5, teoremi 1 5 e 3 6).
5 E. Fromm, Die Kunst des Lebens, in Gesamtausgabe IX, Mi.inchen 1989, 487.
6 Esempi: Eutimio Zigabeno, 5 84 (l'amore del prossimo diventa la massima espressione
dell'amore per Dio); Teofilatto, 393; Pietro di Laodicea, 2 5 6; Calvino (v. qui sopra, n.
2.); Bullinger, 200B; Brenz, 688 (ubbidienza interiore e totale); Wolzogen, 367; S. Kier­
kegaard, Leben und Walten der Liebe, tr. A. Domer - C. Schrempf, jena 1924, 21 (ub­
bidienza e adorazione); R. Bultmann, ]esus (Die Unsterblichen 1 ), Berlin 1929, 142; K.
Barth, KD 1/2, 4 1 948, 429. 7 Musculus, 499; Wolzogen, 3 67.
8 P. Wernie, ]esus, Ti.ibingen 1 9 1 6, 1 3 2 s. 9 Aug. Doctr. Christ. 1,32 (BKV r/49, 40).
I o Dionigi il Certosino, 247, interpretando xapòiq., lj;V'X.n e ÒttXvoiq..
I GRANDI COMANDAMENTI
damenti dobbiamo seguire, è il Deus pro nobis: « Est tuus deus, il/e unicus.
Et ideo crede che si prende cura di te e tu di lui » . 1 Ovviamente, nella mi­
stica i momenti emotivi hanno un ruolo notevole, ad esempio in Bernardo
di Chiaravalle. Per Meister Eckhart «amare Dio» significa, in ultima anali­
si, l'esperienza di essere uniti a lui: Dio non è là e noi qui, ma invece «Dio
e io siamo una cosa sola. Mediante la conoscenza accolgo Dio in me; me­
diante l'amore, invece, entro io in lui . . . Dio e io siamo una cosa sola in que­
sta attività: egli opera e io divento » .1
2. Chi è «il prossimo » e che significa « amore » del prossimo? L'inter­
pretazione del comandamento di amare il prossimo comporta un ulte­
riore problema specifico: che significa «come te stesso» ? Questa doman­
da è particolarmente importante oggi, quando l'amore per il prossimo
viene messo criticamente in discussione nel nome di un amore di sé che
nel cristianesimo viene spesso represso.
Per quel che riguarda la questione del prossimo di Mt. 22,39 gli interpreti so­
no d'accordo, in larga maggioranza, che il «prossimo » sia ogni nostro simile
nel bisogno. Ciò non significa, naturalmente, che nel cristianesimo l' «amore
del prossimo» sia stato inteso costantemente in senso universalistico. Già
nel cristianesimo delle origini, una volta costituitasi una comunità cristia­
na, si sottolineava soprattutto l'amore fraterno reciproco tra cristiani: Gal.
6, 10; Gv. 1 3 ,34 s.; 1 Gv. 3 , 1 0 sono tutti passi che hanno la loro storia de­
gli effetti. Ma nella tradizione esegetica di Mt. 22,39 parr. prevale invece la
tendenza universalistica perché in Le. 1 0,25-3 7 il nostro testo è unito alla
parabola del buon samaritano, la quale mostra che non possono esserci
limiti all'amore per il prossimo. Ma i limiti vengono posti in una maniera
diversa: secondo molti interpreti occidentali, sicut te ipsum significa che si
debba amare il prossimo come se stessi non aequaliter, ma solo similiter ­
si resta quindi il prossimo di se stessi.3 «Amore» verso il prossimo non vie­
ne, quindi, inteso come sentimento, ma come azione e si riferisce sia al so­
stegno esteriore sia anche alle cose spirituali; essendo l'amore del prossimo
orientato verso Dio, esso ha il dovere di guidare il prossimo a Dio.
Più importanti e dall'esito più gravido di conseguenze furono, invece, le
discussioni sull'amore di sé che divamparono attorno a Wç aEalJ'tov. Nella
tradizione interpretativa occidentale e cattolica è stato sempre evidente che
l'amore di sé è importante, anzi è un dovere essendo forma et radix anche
della caritas.4 Qui l'amore di sé non si riferisce al puro ego, bensì all'io che
ha ricevuto la grazia di Dio. Per Origene l'amore di sé è possibile perché
siamo amati da Dio, «siamo chiamati alla conoscenza di Dio e abbiamo rice-

I Lutero, WA :z.o, 485 (predica del x s :z.6).


1 Meister Eckhart, predica 7 su Sap. s , x 6, in Id., Deutsche Predigten und Traktate, Miin­

chen 1 979 ( 1 963 ), 1 86 s.


3 Tommaso, Summa :z./n qu. 44 art. 7. 4 Tommaso, Summa :z./n qu. :z. s art. 4·
347
vuto le sue opere di bene e la sua grazia » . 1 Per Agostino l'amore ha quattro
gradi: il più alto è l'amore dell'uomo per Dio; segue poi, al secondo posto,
l'amore di sé; al terzo posto l'amore del prossimo e, al quarto, l'amore per
il proprio corpo. Non è necessario comandare esplicitamente l'amore del se­
condo e del quarto grado, perché vengono comunque praticati. Anche questi
due gradi d'amore sono voluti da Dio. Ma per Agostino l'amore per il pro­
prio corpo e i desideri sessuali sgraditi a Dio non sono la stessa cosa. :1.
In questo modo Agostino ha, però, suscitato le ire di Calvino che ribadi­
sce, «contro tutte le folli chiacchiere dei sofìsti della Sorbona » , che Mosè ha
voluto precisamente «guarire» gli uomini «da un eccessivo egoismo•• e per
questa ragione ha messo «il prossimo sullo stesso nostro piano».3 Per Cal­
vino, dunque, il «come te stesso» sarebbe da intendere in riferimento al­
l'amore di sé peccaminoso che separa tra di loro gli uomini. Anche Lutero
critica questa interpretazione di Agostino: per il riformatore il sicut teipsum
non comanda di amare se stessi, ma si riferisce «all'amore peccaminoso
con il quale [l'uomo] de facto si ama, cioè tu sei tutto ripiegato su te stesso
e rivolto all'amore per te stesso » . 4 Per i riformatori, dunque, l'amore di sé
è proprio l'atteggiamento dell'uomo peccatore, anzi la quintessenza del pec­
cato. Nella storia dell'interpretazione Calvino e Lutero hanno trovato due
discepoli molto influenti: per Immanuel Kant l'amore del prossimo non è
espressione di una tendenza, bensì un dovere che richiede «autodisciplina »
come tutto ciò «che non si fa molto volentieri » . Da buon protestante, Kant
non poteva concepire l'amore di sé se non come «una indulgenza estrema
verso se stesso (philautia) » oppure come «un compiacimento nei confronti
di se stesso (arrogantia) » , vale a dire come «egoismo » o «presunzione » . s Per
Seren Kierkegaard l'amore per il prossimo era una negazione di sé. Non si
ama il prossimo per la sua bontà o bellezza; egli non è un oggetto di am­
mirazione e, quindi, soggetto alla scelta delle «predilezioni » umane, bensì
a lui mi lega unicamente «solo l'uguaglianza di tutti gli uomini davanti a
Dio». Perciò nei confronti del prossimo non si prova una «predilezione ap­
passionata » , che per Kierkegaard non è che una forma di amore di sé, ben­
sì soltanto «l'amore della negazione di sé» .6 Entrambi, Kant e Kierkegaard,
hanno esercitato un'influenza essenziale sull'antico scetticismo del primo
protestantesimo nei riguardi di ogni forma di amore di sé.
Nel xx secolo questa negazione di sé tipica del protestantesimo suscitò la
protesta della psicologia, da un lato, e della teologia femminista, dall'altro.
Erich Fromm distingue l'amore di sé dall'egoismo: «L'affermazione della
r Orig. In Mt. ser. :z. (GCS 1 1, 6).

:�. Aug. Doctr. Christ. 1,22.-27 (BKV 1/49, 3 0-34). 3 Calvino, n, 2 1 5 .


4 Lutero, Vorlesung uber den Riimerbrief IJ IJ/1 6 II, Weimar 1960, 42.0 s . ( a Rom. 1 5 ,
:z.): «Ostendatur vitiosus amor, quo diligit se de facto, q.d. curvus es totus i n te et versus
in tu i amorem» .
s l . Kant, Kritik der praktischen Vernunft, 1,1,3 (in Werke v, ed. E . Cassirer, Berlin 192.2.,
9:z.. 8 1 ). 6 Kierkegaard (v. sopra, p. 3 4 5 n. 6), 65. 5 8 .
I GRANDI COMANDAMENTI
propria vita, della propria felicità e crescita e della propria libertà » rientra
precisamente nella capacità di amare dell'uomo, mentre, al contrario, l'egoi­
smo avido potrebbe essere «proprio la conseguenza della mancanza di
amore di sé» .' Elisabeth Moltmann-Wendel parte dall'esperienza di molte
donne che non possono vedere il loro peccato né nell'orgoglio né nella pre­
sunzione o in un eccesso di autocoscienza, ma piuttosto nella loro incapacità
di poter dire sì a se stesse. Per la teologa la possibilità di amare se stessi
che è stata donata alla donna nell'accettazione incondizionata da parte di
Dio è una forma della giustificazione sola gratia. Le donne accettate da Dio
possono nuovamente dire sì a se stesse e sentire: sono buona ! sono integra!
sono bella! :z. Un'altra teologa femminista, Dorothee Solle, esprime, a questo
proposito, una critica tagliente: per lei questa nuova affermazione dell'amo­
re di sé è un'espressione dello spirito dell'epoca odierna per il quale «i la­
vori interni dedicati al benessere della propria psiche » hanno la precedenza
sul «lavoro esterno» che si occupa della vita quotidiana del prossimo sof­
ferente; l'individualità ha la precedenza sulla comunità; l'accettazione di sé
la precedenza sull'essere accettati da altri.3
Ma anche nella tradizione teologica tradizionale - non solo in quella cat­
tolica - si trovano distinzioni come quelle di Fromm tra egoismo e amore
di sé. Giusto per ricordare alcuni esempi: J.A. Bengel sa che chi Dio ama
può anche amare se stesso, <<citra philautiam» . 4 B. Haring definisce l'amo­
re di sé in questo modo: <<Ama te stesso da cristiano con Cristo in Dio».S
L'amore di sé, a differenza dell'egoismo egocentrico, è basato, quindi, sul­
l'amore di Dio che ama me e il mio prossimo. Persino Kierkegaard è arriva­
to a dire, una volta, che il comandamento di amare il prossimo «se inteso nel
modo giusto, . . . (dice) anche l'inverso: 'dovresti amare te stesso nella manie­
ra giusta' ».6
3 · Qual è ora il rapporto reciproco tra i due massimi comandamenti,
quello dell'amore di Dio e quello dell'amore del prossimo ? Si tratta di
due generi diversi d'amore o sono identici?
L'interpretazione della chiesa, che concepiva l'amore di Dio in primo luo­
go quale adempimento della legge, ha fatto costantemente riferimento a I
I E. Fromm (v. sopra, p. 345 n. 5 ), 476. 474; cf. Id., Psychoanalyse und Ethik, in Ge­

samtausgabe n, 78-9 1 .
:z. E. Moltmann-Wendel, Das Land, wo Mi/eh und Honig fliesst (GTB Siebenstern 486),

1985, 1 5 5-170.
3 D. Solle, Bibelarbeit uber Mt. ZJ,J I-46, in K. von Bonin (ed.), Deutscher Evangelischer
Kirchentag, 1 993 . Dokumente, Giitersloh 1993, 1 3 3- 1 3 6, cit. a p. 1 3 3 .
4 Bengel, 1 34· Il seguito recita: «Deus amat me sicut te, et te sicut me. Quare ego debeo
te, proximum, amare sicut me et tu me sicut te».
s B. Haring, Das Gesetz Christi n , Freiburg 1961, 335, e riassume la questione così:
«L'amore proprio di Dio, con il quale egli ama se stesso e noi, è il vero motivo dell'amore
sovrannaturale di se stessi e del prossimo ». 6 Kierkegaard (sopra, p. 3 4 5 n. 6), 14.
34 9
Gv. 4,7 s.2o, vale a dire a passi nei quali l'amore per Dio e l'amore per il
prossimo sono legati indissolubilmente. Per gli interpreti cristiani era chia­
ro che tra i due sommi comandamenti sussisteva un «necessarius nexus » . I
Per Agostino l'amore per Dio e per i fratelli è quasi identico: «Nessuno do­
vrà dire: non so che cosa devo amare. Egli amerà il fratello e così amerà
l'amore . . . E di che, se non di Dio, è pieno colui che è pieno d'amore ? » .
L'amore per i l fratello «non solo proviene da Dio, bensì è anche Dio».�
Anche Lutero, prendendo, però, come punto di -partenza l'incarnazione, ri­
tenne che il rapporto tra i due tipi di amore sia molto stretto: all'uomo che
chiede come potrebbe mai lui, creatura umana, amare Dio nella sua mae­
stà, Dio dona la possibilità di amarlo nelle sue creature. «Dio dice: 'uomo,
io sono troppo alto per te, non puoi comprendermi, ma io mi sono dato a
te nel tuo prossimo: amalo e allora amerai anche me! ' » .'
Nella teologia liberale del XIX secolo si ebbe una simbiosi di nuovo gene­
re tra i due sommi comandamenti. La teologia liberale scoprì «l'unità tra
fattore morale e religioso » come centro del messaggio di Gesù. 4 Se si porta
questa unità fino alle conseguenze estreme, la religione viene assorbita dal­
l'etica, poiché «l'amore per Dio non ha più uno spazio di azione al di fuori
dell'amore per il fratello» . s L'accostamento dei due comandamenti più alti
diventa allora un «accostamento solo apparente » . Dio, quale realtà che sta
di fronte all'uomo ed è diversa dal mondo, minaccia di sparire e la fede cri­
stiana si avvicina a un umanesimo a un'unica dimensione. 6 A mio parere la
scoperta liberatrice del mondo quale luogo della devozione religiosa, che
dobbiamo alla teologia liberale del XIX secolo, nell'ultima parte del xx se­
colo minaccia di diventare una maledizione. L'identità tra religione e mora­
le ha portato in molti casi alla perdita della religione, rendendo a molte per­
sone assolutamente impossibile avere un rapporto con Dio, per non parlare
poi di amare Dio. Oggi questo radicamento dell'etica nell'esperienza religio­
sa corre il rischio di perdersi: la morale, e l'uomo che la gestisce, diventa au­
tonoma: il Dio rimpiazzato, ovvero la religione rimossa, ritorna nuovamen­
te in forme diverse, non necessariamente piacevoli.
I Grozio, n, 1 84. 2. Aug. Trin. 8,8 (BKV n/14, 3 6-38).

3 Lutero, Evangelien-Auslegung n, 756 (predica del 1 5 2.3). Cf. Calvino, Inst. 2.,8,53: Dio
non richiede alcun servizio per sé.
4 Holtzmann, Lehrbuch l , 2.2.9; cf. A. Hamack, Das Wesen des Christentums, rist. Leip­
zig 1908, 47 (verso la fine della IV conferenza).
5 A. Ritschl, Unterricht in der christlichen Religion, Bonn 41 890, 4 (§ 6).
6 H. Braun, ]esus (ThTh 1 ), 1 969, 1 63 - 1 66 (cit. a p. 1 64). Cf. U. Luz, Einige Erwiigun­
gen zur Auslegung Gottes in der ethischen Verkiindigung ]esu (EKK v/2.), 1 2.6- 1 2.9. Rico­
nosco che questo mio saggio, nato come dialogo con H. Braun, è, come minimo, espo­
sto a fraintendimenti quando scrivo ( 1 2.7) che «l'uomo bisognoso è il luogo di Dio nel
mondo�. Qui ho parlato in maniera troppo indifferenziata di Dio quale 'interpretamen­
to' e 'vocabolo' del linguaggio umano. Molto utili si dimostrano le considerazioni diffe­
renziate circa il rapporto tra amore di Dio e amore del prossimo in Gesù che si possono
leggere in Schragea, 87-90.
35 0 I GRANDI COMANDAMENTI
4· Che cosa sign ifica che da questi due comandamenti « dipendono»
tutta quanta la legge e i profeti? I due comandamenti fondamentali de­
vono forse essere intesi come un principio critico per l'interpretazione
della torà ?
L'interpretazione ecclesiastica anteriore all'avvento dell'esegesi critica della
Bibbia non si è praticamente mai posta un tale interrogativo. Il v. 40 cala­
mitò una notevole attenzione solo nella più recente esegesi critica dedita al
metodo della storia della redazione. Secondo molti esegeti, soprattutto in
campo protestante, il doppio comandamento matteano dell'amore è «il ca­
none» sostanziale «dell'interpretazione di tutta la torà » , mentre rientrano
«nella comprensione giudaica della legge proprio l'esclusione e il rifiuto del
problema di un principio della legge nel suo complesso» . 1 Su questo punto
la vicinanza tra Matteo e la comprensione paolina della legge (Rom. 1 3 , 10;
Gal. 5,14) è veramente molto grande. Matteo diventa il rappresentante del
principio protestante originario del «canone nel canone»; l'interpretazione
giudaica della legge si avvicina - senza che gli interpreti ne fossero consa­
pevoli - al legalismo «cattolico•• .
5 . Quanto è diffu so, in generale, il doppio comandamento dell'amore
di Gesù ? Per dirla all'inverso: quanto è nuovo quel comandamento, so­
prattutto in confronto al pensiero giudaico dell'epoca ?
Per Lutero il doppio comandamento è conforme alla legge naturale: «Qui
egli (Cristo) ha formulato ciò che si può predicare, insegnare, capire sia
presso i gentili sia presso i giudei » . " Per Kierkegaard, al contrario, l'amore
cristiano per il prossimo, diverso toto coelo dall'amore naturale e dall'ami­
cizia, è qualcosa della quale «in ambito gentile non c'è neanche un accenno».
È per questa ragione, infatti, che si tratta di comandamenti, mentre invece
«amore e amicizia >> non rappresentano «alcun dovere morale» , bensì sono
soltanto <<occasione felice » . 3 L'amore del prossimo che viene comandato è,
invece, un <<dovere » e proprio per questo libera l'uomo dalla sua dipen­
denza dalle proprie predilezioni e dai propri sentimenti. Kant si colloca in
una posizione più o meno mediana tra i due. Da un lato, per lui il coman­
damento dell'amore del prossimo è un comandamento della morale univer­
sale: «Quella legge di tutte le leggi rappresenta, dunque, come ogni precet­
to morale del vangelo, il sentimento morale in tutta la sua perfezione, e al­
lo stesso tempo, in quanto ideale della santità, irraggiungibile da qualsiasi

1 Bomkamm", 45· 3 8; c:f. Lohmeyer, 3 30 (la legge e i profeti sono una realtà penultima
che non viene più accettata senza riserve); Barth, Gesetzesverstiindnis, 72. s.; Strecker,
Weg, 1 3 6 s. (la posizione centrale del comandamento dell'amore non abroga i singoli
comandamenti, ma porta al rifiuto della legge cerimoniale); Grundmann, 478; Bonnard,
3 2.9; Gnilka, n, 2.61 (l'amore di Dio e del prossimo sono un criterio con il quale vengo­
no misurati i comandamenti della torà).
:t Lutero, predica del 1 5 3 2 (WA 36, 3 3 8). 3 Kierkegaard (sopra, p. 345 n. 6), 4 1 . 48.
35 1
creatura, essa è l'archetipo al quale dobbiamo avvicinarci » . Dall'altro, pe­
rò, il comandamento contraddice la natura umana e ciò che uno, per pro­
pria scelta, amerebbe fare e spesso fa. È proprio per questa ragione che nel
vangelo l'amore del prossimo viene comandato e reso un dovere. 1
L'esegesi più recente non si occupa tanto di tale questione fondamentale
quanto dell'aspetto storico-religioso del problema, chiedendosi se il duplice
comandamento di Gesù contenga una qualche novità rispetto al giudaismo
contemporaneo. Le risposte ovviamente cambiano se la pericope può esse­
re fatta risalire, almeno nelle linee fondamentali, a Gesù. Stando alle cono­
scenze attuali, è più che incerto; "" ma anche se il comandamento risalisse ve­
ramente a Gesù, una risposta positiva sarebbe problematica poiché Gesù si
limita a citare versetti della Bibbia e anche perché, nella versione lucana del­
la disputa, non è Gesù che formula il duplice comandamento, bensì lo scriba
che gli aveva posto la domanda. Ciononostante, gli esegeti cristiani hanno
sempre cercato di trovare per forza in questo testo qualcosa di nuovo rispet­
to al giudaismo. A onor di cronaca si devono ricordare qui, sia pur breve­
mente, due tipi di risposta: a) è molto popolare la tesi secondo la quale sta­
bilire una classifica qualitativa dei comandamenti significherebbe il supera­
mento di un legalismo che colloca tutti i singoli comandamenti uno accan­
to all'altro e in questo modo <<può stabilire quanti comandamenti una per­
sona osservi o trasgredisca » .3 b) Anche se ciò che Gesù insegna nel nostro
passo non è qualcosa di nuovo, perlomeno il quadro generale è qualcosa di
nuovo, per esempio «il fatto che per Gesù il principio determinante secon­
do il quale agire è il regno di Dio e non la torà ,. 4 oppure «Che l'amore per
Dio . . . è amore per il Padre che ama anche il peccatore » . S
Il commento che ora seguirà senza ulteriori interruzioni terrà sempre
presenti questi cinque interrogativi fondamentali.

34-3 6. Alla notizia che i sadducei 6 hanno fallito, i farisei si riunisco­


no tutti in un dato luogo. Stabiliscono di mandare da Gesù uno dei lo­
ro dottori della legge, chiaramente sempre con un intento maligno, co­
me avevano già fatto prima (v. 1 5 ; cf. v. 1 8 ). Per i lettori, tuttavia, non
è affatto perspicuo in che cosa consista la malignità della sua doman­
da. L'esperto biblista chiede infatti quale sia «nella torà un grande 7 co-

r l. Kant (v. sopra, p. 347 n. 5 ), 92. Proprio in rapporto diretto con il duplice comanda­
mento dell'amore si colloca la famosa citazione: « Dovere! Tu sublime, grande nome, ru
che non abbracci in te nulla di ciò che si ama, e che comporta lusinghe, bensì chiedi sot-
tomissione . . . (95).
» >. Cf. Gnilka, Mc. n, 1 67. 3 Schweizer, Mc., 1 3 8.
4 Merklein, Gottesherrschaft, 105: ma è davvero possibile dimostrare questa affermazio-
ne sulla base del nostro testo? 5 Pesch, Mc. n, 24 7.
6 Hier. In Mt. 207 afferra perfettamente il rapporto tra i sadducei maneani e i farisei mat­
teani: Inter se contrarli sunt, sed ad temptandum Iesum pari mente consentiunt.
7 JU'Y(i'Àl) può - ma non deve necessariamente - indicare, alla maniera semitica, un super-
35 2 I GRANDI COMANDAMENTI
mandamento » . La domanda è assolutamente comprensibile perché an­
che i rabbi hanno distinto, in base a diversi punti di vista, i comandamen­
ti in «piccoli » e «pesanti » ! Da un lato, essi hanno suddiviso i coman­
damenti e le proibizioni della torà fino a raggiungere, come noto, la fa­
mosa cifra di 248 comandamenti e 3 6 5 proibizioni, e hanno sottolinea­
to costantemente, per salvaguardare la serietà degli imperativi divini, che
anche i comandamenti «piccoli » avevano il massimo peso." Dall'altro,
essi erano continuamente spinti a cercare quali fossero i principi fonda­
mentali della torà: per esempio dovevano specificare in quali casi fosse
preferibile affrontare il martirio pur di non trasgredire il comandamen­
to,3 oppure dovevano precisare, nel loro insegnamento, dove si trovasse
nella torà l'elemento decisivo e come comandamenti diversi potessero
essere derivati gli uni dagli altri. Perciò i rabbi parlavano di un kelal ( «ge­
neralità, principio fondamentale, somma, titolo » ) , 4 di un gCtf ( «corpo,
cosa principale» ) nella torà,S oppure formulavano i principi «sui quali si
regge il mondo >> .6 I lettori del vangelo di Matteo avranno capito la do­
manda del dottore della legge in maniera analoga. Nella domanda del

lativo: cf. BDR, § 2.45. A differenza di 5,19, dove il valore superlativo di tJ-É-yaç è chiaro
a causa dell'opposto D..IZ.xta'tO<;, qui mancano indizi linguistici che suggeriscano un super­
lativo. Quando vuole esprimere un superlativo Matteo ricorre normalmente a un com­
parativo con articolo: cf. ad es. 1 1, 1 1 ; 1 8,4.
1 Non sembra che a questo proposito i rabbi seguissero una sistematica. Punti di vista de­
terminanti potevano essere, ad esempio, l'impegno necessario per compiere un atto, la
ricompensa promessa pe r tale gesto o, in generale, l'importanza di un comandamento:
cf. Bill., 1, 900-905. Secondo Ab. R.N. 40 (tr. J. Goldin, 1 9 5 5 , 1 63 ) il rispetto dei geni­
tori, le opere d'amore, il costruire la pace e lo studio della torà sono tutte opere che pro­
curano una ricompensa in questo eone e in quello futuro. Sul versante negativo sono, in­
vece, atti particolarmente gravi l'idolatria, l'omicidio, la calunnia, la fornicazione, la pro­
fanazione del sabato. Secondo tPeah 4, 1 9 ( 2.4 ) (Bill., IV, 5 3 7 ) la beneficenza e le elemo­
sine controbilanciano tutti gli altri comandamenti.
1 L'inosservanza o l'osservanza dei piccoli o dei grandi comandamenti avrebbe uguale va­

lore: 4 Macc. 5,2.0 s. (anche la trasgressione di un comandamento leggero viene commes­


sa per superbia); Abot 2.,1 (non si sa quale sarà la ricompensa ); J:lag. sa (la Scrittura met­
te in conto tanto ciò che è leggero quanto ciò che è pesante); cf. anche Gal. 3 , 1o; 5,3.
3 Cf. la discussione in Sanh. 74a. Secondo una soluzione, idolatria, omicidio e fornica­
zione non sono permessi neanche se si viene minacciati di morte.
4 L'espressione può essere usata genericamente e anche come termine esegetico tecnico nel
senso della quinta regola esegetica di Hillel (= regole 4-1 1 di Ismaele). Allora k •tal deno­
ta il «generico» a differenza dello «specifico » (p•raO. Cf. Bacher, Terminologie 1, 8o-82.;
n, 8 3-8 5; J. Bonsirven, Exégèse rabbinique et exégèse paulinienne (B1H), 19 3 9, 106- I I 5 .
s Cf. Bacher, Terminologie 1, 11 s.; n, 2.6. Secondo l:fag. 1,8 l'amministrazione della giu­
stizia, le leggi sacrificali, le leggi di purità e gli incesti sono gi4fe della torà.
6 Abot 1,2. (torà, culto e opere d'amore); 1 , 1 8 (verità, diritto e pace).
353
fariseo non c'è niente d i « non giudaico», 1 tanto più che Matteo non fa
chiedere al dottore della legge quale sia il «primo» comandamento, ben­
sì quale sia un « grande » comandamento ...

3 7 s. Gesù cita per primo Deut. 6, 5, il comandamento dell'amore di


Dio. Dato che Gesù si limita a citare proprio il testo biblico, si dovrà
desumere dalle interpretazioni giudaiche contemporanee quali associa­
zioni si siano collegate, nella mente dei lettori, a questo testo fonda­
mentale che veniva recitato quotidianamente quale parte dello Shema '
]iSra 'el. Il verbo ebraico 'hb ha uno spettro semantico molto esteso che
va dall'amore sessuale fino al rapporto con Dio includendo, fra questi
valori estremi, l'amore per i familiari, per gli amici e i rapporti di lealtà
politica.3 Nell'interpretazione giudaica di Deut. 6, 5 «l'amore per Dio »
si manifesta soprattutto in atti di ubbidienza, di devozione, di fedeltà alla
torà. Amare Dio significa sacrificare la propria vita per i suoi comanda­
menti.4 « Con tutto il tuo cuore » significa, per il giudeo osservante, una
ubbidienza assoluta, esclusiva, totale.5 Leggendo o recitando «con tutta
la tua vita » i lettori giudeocristiani avranno pensato certamente al mar­
tirio.6 Èv OÀlJ 't'Tl òuxvotq. aou ( «con tutto il tuo intelletto» ) è una varian­
te di traduzione di Èv oÀlJ -.ij xapò(q. aou che nel filone della tradizione
giudeocristiana di Deut. 6,5 ripreso da Matteo sostituisce l'ultimo ele­
mento, «con tutte le tue forze» , del testo ebraico.? In questo modo nel­
l'amore per Dio s'inserisce anche un momento intellettuale, come già
avviene nella tradizione del giudaismo ellenistico che sta a monte di Mc.
1 Talora gli esegeti cristiani sospettano qui una inosservanza della «dogmatica giudaica »,

la quale •pretende che, essendo espressione della volontà di Dio, tutti i comandamenti
abbiano il medesimo valore» (Lohmeyer, 3 29 n. I ). Ma una «dogmatica giudaica » non
esiste affatto; evidentemente, però, esiste una dogmatica cristiana che determina quale
debba essere il giudaismo.
1 Il dottore della legge si esprime «con linguaggio giudaico» più in Matteo che in Marco.

In Matteo (v. 3 8 ) è Gesù che usa il 11:pwTI) marciano, ma anche questo 11:pwTI) è semplice­
mente non giudaico se si pensa a citazioni del giudaismo ellenistico: Ps.-Phocyl. 8 (11:pW­
�<Z: onorare Dio, poi i genitori); Ep. Arist. I 3 2 (11:pcil1:ov 11:.iv'twv: il monoteismo); Ios. Ap. 2,

190 (11:pW'tlJ è il comandamento 'TI:EpÌ -BEou); Philo Decal. 6s (giudizio simile); altre testi­
monianze in Bomkamm", 40 n. 14. Testi di questo tipo illustrano l'ambiente culturale
giudeo-ellenistico della tradizione di Mc. I 2,28-34. Sullo sfondo c'è la disposizione del
decalogo con la prima tavola che parla del rapporto con Dio; cf. Philo Decal. so s.; 106.
Secondo Decal. 1 9; I S 4 i comandamenti del decalogo sono i xEq>aÀcxtcx di tutti gli altri sin-
goli comandamenti. 3 Mathys", 1 2-28; Ebersohn", 43-46.
4 Testimonianze in Nissen", 203-2 1 I ; Mudiso Mba Mundlah, I 8 2- I86.
5 Tg. f. 1 a Deut. 6,s (Bill., r, 9os); cf. Sifre Deut. 6,s S 32 (73a) (Bill., r, 906).
6 Per il giudaismo: Ber. 6xb (Bill., 1, 6os s.); Sifre Deut. 6,s S 32 (73a) (Bill., r, 6o6); cf.
Mt. 6,25; 10,28.39; 1 6,25 s. 7 Cf. Philo Decal. 64.
354 I GRANDI COMANDAMENTI
1 2,28-34. 1 I lettori, dunque, quando sentono parlare di «amare Dio >>
non pensano a un sentimento, neanche a preghiere o a una mistica di Dio
che rifugge dal mondo, bensì alla conoscenza dell'unico Dio e all'ubbi­
dienza a lui nel mondo. Per loro l'amore per Dio e l'amore per il prossimo
sono, già a priori, estremamente vicini. ;t In questo senso l'amore di Dio è
un comandamento fondamentale e, come soltanto adesso lo si chiama se­
guendo Mc. 1 2,29, il primo 3 comandamento.

3 9· Quale secondo comandamento fondamentale Gesù nomina quel­


lo dell'amore del prossimo di Lev. 1 9, 1 8 . Lo cita senza esserne richiesto:
è, dunque, un elemento importante. Rispetto a Mc. 1 2,3 1 la rilevanza di
questo comandamento viene accresciuta dalla parolina O(J.Ota: il secondo
comandamento è messo sullo stesso piano del primo. Ancora una volta
il contenuto semantico di « amare » va riempito tenendo conto del testo
biblico e dell'interpretazione giudaica contemporanea. Il contesto di Lev.
1 9,I I - 1 8 è importante: vi si elencano i comandamenti etici fondamen­
tali di Dio riguardanti non solo il prossimo, ma anche chi è socialmente
debole o l'avversario in un processo. In parallelismo con «amare >> ci so­
no: non rubare, non mentire, non ingannare, non giurare il falso, non op­
primere, non derubare, non maledire, non falsare il giudizio, non calun­
niare, non odiare. Lev. 19,34 aggiunge inoltre: non discriminare lo stra­
niero. L'interpretazione giudaica va in questa stessa direzione: « amore>>
significa un comportamento pratico, solidale conforme ai comandamen­
ti che Dio ha dato alla comunità d'lsraele.4 Qui, sia nel testo fondamen­
tale di Lev. 19, 1 8 sia in quasi tutta l'interpretazione del giudaismo pa­
lestinese del versetto, «prossimo» indica esclusivamente un membro di
Israele, il popolo per il quale Dio ha dato le sue leggi e i suoi statuti. 5 So­
no inclusi in questo concetto di «prossimo>> unicamente gli stranieri re­
sidenti nel paese i quali godono di parità giuridica con il popolo d'Israe­
le (Lev. 1 9,34), ma nell'interpretazione seriore tale parità verrà limitata
ai proseliti. 6 Nei testi del giudaismo ellenistico il passo di Lev. 19, 1 8 non
1 Cf. Bomkamma, 39-4 3 .
:t Eccezionalmente possono essere persino identificati: Test. Ben. 3 , 5 parla del devoto che
viene aiutato un:Ò 'tljc; 'tOÙ xupiou ci.-y.Xn:Tjc; � EXEt n:pÒc; -.òv n:ÀTjalov. Cf. anche Ep. Arist. 229
e sotto, p. 3 5 6 nn. 5 s.
3 n:pw'tTj è linguisticamente necessario affinché Matteo possa poi (v. 39) aggiungere ÒE�
-.Épa. Non si dovrebbe, quindi, sopravvalutarlo per il contenuto.
4 Abbondante documentazione in Bill., I, 3 5 3 -3 64, e in Nissena, 28 8-304.
5 Per Lev. 19, 1 8 cf. Matthysa, 29-39; per la storia dell'interpretazione giudaica cf. Neu·
deckerD, 499-5 03; Nissen•, 284-286. 304-3 08.
6 Nell'esegesi rabbinica il ger contemplato in Lev. 1 9 , :34 venne limitato ai proseliti in
senso pieno; cf. Bill., I, 3 5 5 .
35 5
I
compare affatto. Affermazioni circa l'amore universale per gli uomini
si hanno sia nel giudaismo palestinese 2 sia, e di gran lunga più frequen­
temente, nel giudaismo di lingua greca, dove q:aÀa.v-8pw7tta. è un termine
programmatico che riassume la seconda tavola del decalogo.3 Ma que­
ste affermazioni non vengono mai messe in relazione con Lev. 19, 1 8 o
con l'espressione « il prossimo>> .4 Le cose cambiano soltanto nel conte­
sto della tradizione di Gesù: con tutta quanta la tradizione di Gesù Mat­
teo estende -.òv 1tÀT)atov a tutti gli uomini, come risulta chiaramente dal­
la sesta antitesi che tratta dell'amore per il nemico (Mt. 5,43-48) e dal­
la formulazione universale della « regola aurea » che riassume tutto il di­
scorso della montagna (Mt. 7, 1 2) . Perciò l'evangelista può citare in sen­
so positivo e illimitato il comandamento di amare il prossimo ( 1 9,19) e
quando, invece, lo cita secondo l'interpretazione limitativa corrente nel
giudaismo, deve necessariamente integrarlo con un'aggiunta ( 5,43 ) .
Nel testo greco di Lev. 1 9, 1 8 w� O'E:IXU'tOV va inteso come oggetto: ama
il tuo prossimo così come ami (di fatto) te stesso. Lo stesso vale presu­
mibilmente anche per l'ebraico kiimokii, linguisticamente ambiguo.5 In
Lev. 1 9, 1 8 si tratta di combinare tra di loro le proprie pretese e le pre­
tese degli altri israeliti nell'ambito dell'intera comunità d'Israele. 6 Nella
storia dell'interpretazione di Lev. 19,1 8 non c'è traccia alcuna di una va­
lutazione negativa dell'amore per se stessi.7 Al contrario, nella tradizio­
ne di Gesù l'equilibrio tra amore per sé e amore per il prossimo sembra
rotto. Ma questa posizione non è dovuta a una diversa interpretazione
di Lev. 19,1 8, bensì ad altri testi, soprattutto al radicale sacrificio di sé
implicito nella rinuncia alla violenza e nell'amore per il nemico (Mt. 5,
I Per quanto m i risulta, Lev. 1 9, 1 8 manca sia i n Giuseppe sia in Filone. I l termine ò 'ltÀlj­

criov ha un significato che varia col contesto.


2 Basti leggere A bot 1 , 1 2. 3 Cf. sotto, p. 3 5 6 n. 2..
4 Lo dimostra proprio il citatissimo «principio più grande e generale» di Ben 'Azzai in
Sifra Lev. 1 9, 1 8 (Bill., I, 3 5 8 ), che è formulato in opposizione a Lev. 19,18. Si potrebbe
invece avere un'interpretazione universale di Lev. 1 9, 1 8 in Test. Zab. 5 , 1 e, forse, anche
in Gen. r. 2.4 ( 1 6b) (Bill., I, 3 5 8 s.).
5 Dal medioevo (Randlesart des Targums Neofìti 1 m, ed. A. Dlez Macho, 130 s.; altre
testimonianze in Neudecker, 505 s.) fino ai giorni nostri (M. Buber - F. Rosenzweig, Die
{Unf Bucher der Weisung, Heidelberg, ' 1976, 3 2.6) alcuni interpreti giudei hanno letto
kamoka nel senso di «colui che è come te» - probabilmente a torto (Mathys", 7-9 ).
6 Tg. ]. I interpreta •come te stesso» nel senso della «regola aurea» (Bill., I, 3 5 3 ). In me­
rito all'esegesi giudaica di Lev. 1 9, 1 8 Nissen", 300, scrive: non si trana di « rinunciare a
ciò che è proprio» , bensì di superare «discriminazioni e ingiustizie» nella comunità.
7 Prov. 19,8 constata che l'amore per sé consiste nella ragione. In B.M. 6z.a si discute il
caso di due persone che sono nel deserto e hanno un solo boccale d'acqua. Se entrambi
ne bevono, l'acqua non basta e devono morire entrambi. In questo caso r. Aqiba dice: « La
tua propria vita ha la precedenza su quella del tuo prossimo• .
I GRANDI COMANDAMENTI
3 9-4 1 ,44 s.) e alla parenesi del martirio di Gesù ( 1 0, 3 7-39; 1 6,24-26). A
differenza di Mt. 7, 1 2 e 22,39, in questi imperativi radicali non sembra
esserci più alcun «equilibrio » tra amore di sé e amore del prossimo de­
terminato dagli interessi superiori della comunità.

40. Nel v. 40 l'evangelista riassume la propria particolare visione dei


due grandi comandamenti. La locuzione o vop.oç XIXL o! 7tpoqrrj 'r 1Xt riman­
. . •

da agli altri due passi centrali di Mt. 5 , 1 7 e 7, 1 2 i quali parlavano di Ge­


sù che adempie la legge e i profeti e hanno entrambi al centro la regola
aurea. Il v. 40 include perciò l'idea dell'adempimento di legge e profeti da
parte di Gesù. Per Matteo i due grandi comandamenti non rappresenta­
no alcuna novità rispetto alla Bibbia d'Israele, bensì il suo adempimento.
Nell'interpretazione giudaica ufficiale non si registra l'abbinamento di Deut.
6,5 e Lev. 19, 1 8 che è, però, preparato da altre tradizioni del giudaismo.
La Lettera di Aristea, 1 Filone," Giuseppe 3 hanno tutti classificato le due ta­
vole del decalogo sotto le idee generali di e:OOÉ[ktiX o oato-rl)ç la prima e di cpt­
Àav-8pwxla o Òtxatoauvl) la seconda. Queste coppie di termini sono di origi­
ne greca.4 Nei Testamenti dei Dodici Patriarchi l'amore per Dio e l'amore
per il prossimo vengono accostati in maniere diverse.s Tale associazione
non è, come spesso si sostiene, l'unione di due singoli comandamenti scelti
a caso nella torà, bensì si tratta di due principi biblici fondamentali dell'agi­
re. La loro unione non è, però, neanche il «centro della Scrittura » nel sen­
so di un «canone nel canone » che regola la Bibbia. In altri scritti del giu­
daismo ci sono soltanto accenni a un abbinamento di amore di Dio e amo­
re del prossimo. 6
Per poter dare un giudizio sulla novità della concezione matteana del­
la legge molto dipende dall'interpretazione di xpe:p.tivvup.t èv A questo . • •

1 Ep. Arist. 1 3 1 .
:. Philo Spec. Leg. 2.,63 ( i due Kt(j)ciÀata dei òoy��oa't"a divini sono tùo-É[Xta/ocno't"l)(; e (j)tÀczv­
.fJpwrdcz/òtxcztoouvTl); Virt. 5 1 (Mosè valuta sopra ogni altra cosa la pietà e l'amore per
l'uomo); 95 (iJyt!J.Ovt<; delle virtù sono tùaÉ(Xta e (j)tÀav.fJpw7ttcz); cf. Spec. Leg. 4,I47 (re­
gina delle virtù è la pietà ).
3 Attestazioni in Berger, Gesetzesauslegung I, 1 5 2.. Cf. nel N.T. Atti I0,2.2.. 3 5 .
4 Documentazione i n Berger, Gesetzesauslegung I , I 4 3-I 5 1 .
5 Test. Iss. 5,2. (amore di Dio e del prossimo); 7,6 (amore d i Dio e dell'uomo; Deut. 6,s);
Test. Dan 5,3 (amate Dio e amatevi gli uni gli altri [Deut. 6,5]); Test. Ios. I I, I (temere
Dio e onorare i fratelli è l'essenza della legge); Test. Ben. 3,3 s. (timore di Dio e amore
del prossimo [Lev. I9,1 8]); Test. Ben. 3,5 (v. sopra, p. 3 54 n. 2).
6 Si avvicinano a suggerire una tale unione Ep. Arist. 229 (l' .iyci1tT'j è la forza della tùaÉ­
[Xta); Sifre Deut. 3 2,29 S 3 23 ( I 3 8b) (Bill., I, I 76 s.) (il giogo della signoria di Dio, il ti­
more di Dio e le opere d'amore sono il centro della torà). Cf. Iub. 20,2.7; 3 6,4.7 s.; Sir.
I3,14 s.; I QS I,I-3 (con un'interpretazione molto restrittiva dell'amore del prossimo).
35 7
punto i commenti fanno regolarmente riferimento al termine rabbinico
tala ( «pendere » ) e ai due passi di Ber. 63a e lfag. 1,8. 1 Il verbo tala è sì
diffuso nell'ebraico rabbinico, ma non è affatto un termine puramente
tecnico che indica la derivazione di una sentenza da un passo scritturisti­
co, bensì, usato in senso figurato, è una espressione generica che significa
«dipendere / far dipendere (da un principio più generale) » oppure «esse­
re unito a, collegato con, dipendere da (un principio più generale) » . 2. Il
verbo greco xpE!J.cXVVUfJ-t può essere usato in senso figurato con un signifi­
cato generico analogo.3 La formulazione del v. 40 non permette, quin­
di, di trarre conclusioni certe su come Matteo abbia concepito, logica­
mente ed esegeticamente, il rapporto tra comandamenti principali e sin­
goli comandamenti della torà. 4 Qui ci può aiutare soltanto il dato com­
plessivo del vangelo di Matteo. Per es. la struttura di 5,21-48 mostra
che il comandamento dell'amore, che inquadra le antitesi, è più impor­
tante di tutti gli altri comandamenti; ma ciò non significa affatto che tut­
ti gli altri comandamenti, come il divieto di divorziare o di giurare, pos­
sano essere fatti «derivare» dal comandamento dell'amore. Anche 7, 1 2
va inteso i n maniera analoga: l a regola aurea è una direttiva fondamen­
tale per l'interpretazione del discorso della montagna e della legge e dei
profeti, ma Matteo non tenta minimamente di derivare esegeticamente
da questo principio generale ogni comandamento «particolare » né di
comparare questo a quello. E tanto meno Matteo, con la sua provata fe­
deltà alla legge, può avallare alcun principio simile alla massima agosti­
niana dilige et quod vis fac.s La questione va, invece, impostata diversa­
mente, in maniera più elastica, meno rigida e precisa. Le cose appariran­
no allora più semplici: in un modo o nell'altro tutti i comandamenti del-

1 Cf. Bill.,1, 907 s. Sec:ondo Ber. 63a r. Qappara chiede quale sia la parasha alla quale
•sono appesi» (t•Jujjin) i • principi fondamentali» (gU{e) della torà: è Prov. 3 ,6. In J:lag.
1,8 si tratta di questo: i comandamenti del sabato e i comandamenti circa la celebrazio­
ne delle feste e le malversazioni • sono come montagne appese a un capello» poiché non
hanno passi biblici che possano giustificarli.
1 Cf. ad es. Mek. a Es. 1 2.,2.5 (tr. Winter-Wiinsche, 3 3 ); Qidd. 1 ,9 (determinati coman­
damenti dipendono dalla terra d'Israele); Sifre Deut. a Deut. 1 1 , 1 3 (tr. Bietenhard, 1 2.9:
l'agire dipende dall'insegnamento); altri esempi in Bacher, Terminologie 1, 198.
3 Esempi dell'uso greco in Lohmeyer, 3 30 n. 1 ; Gnilka, n, 2.61 n. 1 . L'immagine che sta
a monte del traslato non è, del resto, come suggerisce Bauer, Wb6, s. v., 2..b, quella di
una porta che •è appesa» per i cardini: da un «ganghero» greco (a'tpo<pe:Uc; «cardine della
porta » ) non •pende» alcuna porta.
4 Gerhardssona, 1 3 6- 1 39, vorrebbe intendere la logica di Mt. 2.2.,37-30 alla luce della
regola esegetica del k•Jal ureri# («generico e specifico»; cf. sopra, p. 3 52. n. 4). Egli si
avvale inoltre della regola della g•zera sawa (conclusione analogica sulla base di un con-
cetto simile, ossia à:ya�ae:1ç). 5 Aug. In Epist. Io. 1 ,7,8 (SC 75, 3 2.8).
I GRANDI COMANDAMENTI
la torà e dei profeti possono essere messi in rapporto con i due grandi co­
mandamenti dell'amore di Dio e dell'amore del prossimo, oppure si la­
sciano associare a essi.' Il principio sostenuto da Matteo è semplice: os­
servare i comandamenti principali senza tralasciare i comandamenti mi­
nori ( 23 ,23 ) oppure, in altre parole, «questi comandamenti minimi » non
sono soltanto subordinati, ma anche collaterali ai comandamenti prin­
cipali e non possono essere abrogati finché il mondo sussiste ( 5 , 1 8 s.). L
Abrahams aveva formulato a proposito dei farisei il principio fondamen­
tale dell'armonia tra «pignoleria per quel che riguarda le regole specifi­
che e richiamo ai profeti per quel che riguarda i grandi principi » .1 Tale
principio è valido anche per Matteo, anche se l'evangelista e i farisei sa­
rebbero stati solo parzialmente d'accordo su quali fossero, per contenu­
to, i comandamenti «grandi » e quelli «piccoli » .

Rispetto alla griglia degli interrogativi che hanno guidato la disamina


della problematica posta dal nostro passo,3 il testo si dimostra piutto­
sto ostico. A ben guardare, non potrebbe essere diversamente, conside­
rato che esso è formato quasi unicamente da passi biblici. Riguardo al­
la prima domanda, quella sulla comprensione dell'amore per Dio, si è
potuto constatare, soprattutto alla luce dell'interpretazione giudaica di
Deut. 6, 5, che i punti salienti della conoscenza di Dio e dell'ottemperan­
za dei suoi comandamenti messi in evidenza dall'interpretazione della
chiesa corrispondono interamente alla tradizione esegetica giudaica di
Deut. 6, 5 . Si ha un risultato analogo anche per il secondo interrogativo
guida riguardante l'interpretazione del comandamento di amare il pros­
simo: «amore del prossimo» indica un comportamento solidale, comu­
nitario e non un sentimento. La differenza essenziale tra la storia dell'in­
terpretazione cristiana di Lev. 1 9, 1 8 e quella giudaica è risultata essere
la seguente: nel cristianesimo, «prossimo» si riferisce universalmente a
ogni uomo in difficoltà, cioè il comandamento di amare il prossimo è sta­
to letto alla luce del comandamento di amare i nemici; nella tradizione
esegetica giudaica la solidarietà umana che supera i confini di Israele
1 Anche r. Aqiba vede le cose in questa maniera: a suo dire Lev. 19, 1 8 è un kela/ gàdol
battora (Sifra Lev. 19, 1 8 [Bill., 1, 3 5 7 s.]) senza per questo subordinare a questa regola i
singoli comandamenti. Senza stabilire una correlazione esegetica tra i diversi comanda­
menti r. Ismael può dire che i principi fondamentali (ke/a/Ot) della torà di Mosè sono
stati rivelati sul Sinai, i comandamenti specifici, invece, nel tabernacolo. Nissen4, 290-
292, cita sentenze rabbiniche nelle quali Lev. 19, 1 8 supporta genericamente altri coman­
damenti senza che ci sia un riconoscibile rapporto esegetico tra Lev. 19, 1 8 e i comanda­
menti particolari e senza che Lev. 1 9, 1 8 influenzi visibilmente l'interpretazione dei singo­
li comandamenti particolari.
2. I. Abrahams, Studies l, 24. 3 Cf. sopra, pp. 344-3 5 1 .
35 9
non è stata basata su Lev. 19, r 8 . Questo giudizio, sia ben chiaro, riguar­
da unicamente la tradizione esegetica prevalente su questo passo biblico
(Lev. r9,r 8 ) e non significa che si possa affermare, senza riserve, che il
giudaismo, nel suo complesso, abbia sempre e ovunque limitato la vali­
dità del comandamento al proprio popolo e che il cristianesimo, al con­
trario, ne abbia sostenuto, sempre e ovunque, la validità universale illi­
mitata. 1 Per la tradizione esegetica giudaica su Lev. r9,r 8 l'interrogativo
circa la legittimità dell' « amore per se stessi » non ha alcuna rilevanza,
proprio come non l'ha, all'inizio, per la tradizione esegetica della chiesa
antica. L'amore per se stessi è un dato di fatto ovvio e metro sul quale mi­
surare l'amore per il prossimo, ma non ci sono indizi che esso sia stato
giudicato negativamente. La sua valutazione negativa è un problema tar­
divo e tutto interno al cristianesimo, legato alla teologia della Riforma
e alla sua concezione del peccato in termini di giustizia propria.
Il testo del nostro passo è ostico anche riguardo al terzo interrogativo,
quello riguardante il rapporto tra amore per Dio e amore per il prossi­
mo. Sulla scia della tradizione giudaica dell'interpretazione dei due co­
mandamenti, anche il testo del N.T. dà per scontata una vicinanza tra
l'amore per Dio e l'amore per il prossimo intesi in senso etico.1 Tutta
la tradizione biblica è fondamentalmente unanime nel ritenere che Dio
e il prossimo non possano essere separati uno dall'altro, che non si pos­
sa amare Dio da solo, ma neanche il prossimo da solo, e che l'amore per
Dio si manifesta prevalentemente nell'ubbidienza ai suoi comandamen­
ti. Ma, al contempo, è anche chiaro che l'amore per Dio va distinto dal­
l'amore per il prossimo e che il rapporto con Dio non si esaurisce sempli­
cemente nel rapporto col prossimo, bensì ne è fondamento e nerbo. An­
che nel caso di questo terzo interrogativo la questione ha acquistato una
sua intensità problematica sostanzialmente in seguito a sviluppi postbi­
blici: affermazioni fondamentali della teologia cristiana,3 eticizzazione
moderna della fede cristiana con la conseguente perdita . di Dio.
Anche la quarta domanda guida che chiede se il duplice comandamen­
to dell'amore costituisca un nuovo principio critico per interpretare leg­
ge e profeti è una domanda «nuova » che, probabilmente, poteva esser
posta in questi termini soltanto dopo la Riforma. L'interesse che la gui­
da è certamente la distinzione tra il cristianesimo (come è inteso dalla
Riforma) e il giudaismo. Qui la risposta dovrà essere negativa: anche in
Matteo i comandamenti, grandi e piccoli, restano e sussistono tutti insie-
1 Cf. sopra, pp. 346-3 48. Già le esecrazioni del discorso di Mt. 23 rendono dolorosa­

mente visibili i limiti della validità del comandamento di amare il prossimo nel vangelo
di Matteo.
1 Cf. sopra, pp. 3 5 4 n. 2.. 3 5 6 nn. 5 s. 3 Cf. sopra, p. 3 49 nn. 5 s.
I GRANDI COMANDAMENTI
me, uno accanto all'altro sullo stesso piano (cf. 23 ,23 ) e, probabilmente,
il duplice comandamento dell'amore non costituisce, come avviene for­
se in Paolo con «la legge di Cristo » ( Gal. 6,2), un «canone » in base al
quale alcuni determinati comandamenti della torà, come le leggi rituali,
potevano anche essere abolite. 1
È arrivato il turno della quinta domanda guida, dopo la novità del du­
plice comandamento dell'amore. Anche qui, prima di rispondere, si de­
ve procedere con assoluta prudenza, tanto più che la tradizione giudeo­
cristiana ellenistica di Mc. 1 2,28-34 non può essere ricondotta a Gesù
nella formulazione che ha nel testo. L'accostamento di Deut. 6,5 e Lev.
19, 1 8 è certamente nuovo, ma è preparato in varie maniere dalle tradi­
zioni giudaiche. Nuova è, presumibilmente, l'interpretazione che emerse
nel contesto della tradizione di Gesù estendendo il concetto di «prossi­
mo >> a tutti gli uomini. Non è nuovo, in sé, l'imperativo di amare tutti gli
uomini, ché tale esortazione ha un posto importante anche nella tradi­
zione giudaica; mentre è una novità, almeno parziale, la sua centralità e
la sua radicalizzazione nella prospettiva dell'amore per il nemico.1

Significato attuale. Il riepilogo ha mostrato che molte delle domande


che oggi riteniamo importante rivolgere al testo sono «moderne >>, sor­
gono, cioè, dalla nostra attuale esperienza storica che è passata, non sen­
za restarne plasmata, attraverso la Riforma e l'età moderna. Perciò i no­
stri interrogativi non possono affatto ricevere una risposta diretta dal
testo. Allo stesso tempo, e sempre per la medesima ragione, essi ci fanno
capire in quale direzione la nostra comprensione attuale del testo debba
andare al di là del testo stesso. Ad esempio, per quel che riguarda la do­
manda che cosa significhi «amare Dio » , noi, oggi, nel nostro mondo di­
ventato «senza Dio » e «autonomo » , dobbiamo dire più di quanto dica
il testo se ciò che esso presuppone, cioè il radicamento nel rapporto con
Dio di un atto etico orientato verso la comunità - l'amore del prossimo
- debba tornare a essere una realtà. Lo stesso dicasi per l'interrogativo
sull'amore per se stessi in una società che è caratterizzata, da un lato,
dall'assolutizzazione di se stessi e, dall'altro, dalla negazione di sé, lad­
dove il cristianesimo è coinvolto in entrambe le situazioni. Qui noi dob­
biamo riuscire ad arrivare a una nuova concezione di un amore di sé che
r Per la concezione matteana della legge cf. vol. 1, pp. 107 s. 3 5 5-3 5 7. 3 6 1 s.; vol. n, p.

296. V. anche sotto, a 2 3,2 s.; 24,20, e pp. 4 1 5-420.


2. Non è affatto scontato che nella storia dell'interpretazione di Mt. 22,39 la determina·
zione del «prossimo» sia rimasta aperta, sulla linea di Le. IO,Jo-37, senza venire invece
limitata ai cristiani (costituendo così un perfetto riscontro all'interpretazione giudaica di
Lev. 19, 1 8 ), conformemente alla linea diversa di Gv. 1 3 ,3 4 s. o anche di Gal. 6,10.
viene reso possibile dall'amore di Dio e non conduce affatto a un'assolu­
tizzazione di se stessi e a una nuova interiorità, bensì a un più forte amo­
re del prossimo. I
Che cosa può essere mai questo «di più » che dobbiamo dire? Un com­
mento non lo può prescrivere; può soltanto ricordare alcuni momenti del
testo o della storia dell'interpretazione che sono stati sepolti o rimossi,
ma potrebbero dimostrarsi ancora «produttivi ».� Il commento, però, ri­
corderà anche, e in primo luogo, ciò che per il testo biblico stesso era
fondamentale: la differenza e il vincolo indissolubile tra amore per Dio
e amore per il prossimo.3 Ma il commento può ricordare, prima di ogni
altra cosa, quello che per la testimonianza di tutta la Bibbia è «il pri­
mo » di tutti i «grandi» comandamenti: l'amore di Dio che può mettere
nel giusto ordine ogni amore degli uomini: sia l'amore per Dio sia quel­
lo per il prossimo sia quello per se stessi.

3 · 4 · IL CRISTO FIGLIO DI DAVID ? (22, 4 1 - 46 )


J. Fitzmyer, Die Davidssohn-Oberlieferung und Mt. 22,4 I-46 (und die Parallelstel­
len): Conc (D) 2 ( 1 966) 780-786; D.M. Hay, Glory at the Right Hand. Ps. no in
Early Christianity, Nashville 1973, 1 10- 1 2 1 .
Altra bibliografia (b) nella sezione su Mt. 21-25 (sopra, p . 22.5).
41 Ma mentre i farisei erano riuniti, Gesù li interrogò 42 e disse: «Che cosa
pensate del Cristo ? Di chi è figlio ? >> . Essi gli dissero: «Di David » . 43 Egli
disse loro: «Ma allora, in che senso David, nello Spirito, lo chiama 'Signo­
re' quando dice:
44 'Il Signore disse al mio Signore: Siedi alla mia destra,
finché io non abbia messo i tuoi nemici sotto i tuoi piedi' ?
45 Se dunque David lo chiama 'Signore,' in che senso egli è suo figlio ? » .
4 6 E nessuno fu i n grado d i rispondergli una sola parola. D a quel giorno in
poi nessuno osò più neanche interrogarlo.
Il v. 41 funge da esposizione: Gesù si rivolge ai farisei che si sono riuniti (cf.
v . 34). Il v. 46 è la conclusione che registra il totale successo di Gesù e, in­

sieme, chiude la serie di dispute dei vv. 1 5 -4 5 . I vv. 42-4 5 contengono l'ulti­
ma disputa con le sue due fasi di botta e risposta. Questa volta è Gesù che
prende l'iniziativa della disputa ponendo le sue domande. Alla prima do­
manda di Gesù, introdotta con -.i e -.!voç, i farisei rispondono (v. 42); ma
I Cf. sopra, p. 348 nn. 1-5. � Cf. sopra, pp. 3 4 5 n. 9· 346 nn. 1 s. 348 nn. 1-6.
3 Il testo - e l'intera tradizione biblica che in esso si manifesta visibilmente - è importan­
te per evitare che vada spezzata quell'unità che rappresenta, turto sommato, la grande
scoperta del XIX secolo: religione e vita quotidiana sono indissolubilmente incastrate una
nell'altra. Lo stretto vincolo tra amore di Dio e amore del prossimo ha la funzione di im­
pedire una separazione tra religione e società, tra interiorità e vita esteriore.

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