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1 Deve restare incerto se athljl sia stato aggiunto secondariamente da D, W, 8, <.lll, f'·'3,
latt, sy•.c.h, co per adeguarsi a Marco oppure se sia stato espunto da � B, syP per ade
guarsi a Luca.
:z. Secondo vol. 1, introduzione, 4.2, sono matteismi -ton, 7topEu⁣, aup.(3ouÀ10v ì..ap.[3.iW11,
Storia degli effetti. A questo proposito, una rapida carrellata sulla sto
ria dell'interpretazione dovrebbe permettere di individuare le principali
interpretazioni possibili.5 Nel complesso sembra si possa dire che il no-
1 Quindi non: «essi tennero consiglio» su come (87tw<;) poter incastrare Gesù (così Bon
nard, 3 2 1 s.). In Matteo si tratta dell'intenzione e dei fini malvagi degli avversari di Ge
sù. Il latinismo C7UfLt3ouÀLOv ÀatLf3<iw:tv (consilium capere) in Matteo significa sempre «de
cidere» (cf. anche 27, 1 .7; 28,1 2). In Matteo 81tw<; ha quasi sempre valore finale (Schenk,
Sprache, 309 s.).
a li raro termine dei LXX xartBtU!o ( «tendere un laccio• ) potrebbe, a differenza del più co
mune àrpe;OO> (Mc. 1 2, 1 3 ), mettere in risalto la perfidia del modo di agire degli avversari
di Gesù (cf. 1 Sam. 28,9 LXX ) .
3 Sin dai tempi della chiesa antica (Apollin. Laod. In Mt. fr. 1 1 2 [Reuss, 3 8]; cf. Hier. In
Mt. 203 ) circolava la tesi che gli erodiani avessero ritenuto Erode il Grande il messia.
Questa tesi è stata ripresa da A. Schalit, Konig Herodes. Der Mann und sein Werk (SJ
4), 1969, 481. Altre ipotesi antiche considerano gli •erodiani• partigiani di Erode o dei
suoi figli oppure soldati di Erode.
4 Gli erodiani l'avranno presumibilmente pagato; tra i farisei c'era una minoranza zelo
ta che si rifiutava di pagarlo.
5 Purtroppo manca una storia dell'interpretazione del testo. Per l'interpretazione nella
chiesa antica cf. Boria.
IL TRIBUTO A CESARE
stro testo sia stato meno importante di Rom. 1 3 , 1-7 per una riflessione
approfondita sul rapporto tra chiesa e stato. L'esegesi della chiesa anti
ca ha messo in rilievo l'importanza fondamentale dell'ubbidienza a Dio.
1 . Nell'esegesi cattolica le riflessioni sul rapporto con lo stato non diven
nero importanti prima dell'età moderna. 2. Il testo ebbe invece un ruolo
notevole nella tradizione della Riforma. Soprattutto tra i riformati l'ub
bidienza nei confronti dello stato divenne un punto molto importante
dell'interpretazione del testo. 3 . Nell'interpretazione contemporanea di
lingua tedesca, soprattutto in quella protestante successiva alla seconda
guerra mondiale, predomina invece una lettura sempre più critica nei
confronti dello stato. Il pendolo oscilla nuovamente verso la posizione
della chiesa antica, sul monito di dare a Dio ciò che gli appartiene.
1 . A partire da Tertulliano, nel testo si insinua l'idea dell'uomo immagine
di Dio: la moneta che reca impressa l'immagine dell'imperatore appartiene
all'imperatore; ma tutto l'uomo, che è immagine di Dio, appartiene a Dio.'
Perciò la chiesa antica è stata sempre fondamentalmente convinta che la sot
tomissione a Dio sia di molto superiore a quella allo stato. Ilario, ad esem
pio, arriva a dire: a Dio dobbiamo il corpo, l'anima e la volontà, cioè l'intero
uomo. Ma a Cesare, una volta che siamo diventati poverissimi, non dobbia
mo proprio più nulla." Soltanto a partire dall'età moderna l'interpretazione
cattolica cambia accenti: all'imperatore non appartiene soltanto il denaro,
ma tutti i temporalia senza eccezione; a Dio, invece, appartengono gli spiri
tualia, ossia il culto e la devozione) In modo non dissimile l'enciclica Im
mortale Dei ( 1 8 8 5 ) di Leone XIII distingue la competenza dello stato da
quella della chiesa: tutto ciò che ha a che fare con la salute dell'anima e il
culto rientra nella competenza della chiesa; al contrario, tutto ciò che è este
riorità, « tutto ciò che appartiene alla vita civile e alla politica, è sottoposto
all'autorità civile >> .4 Compito della chiesa è di essere « una diga salvifica con
tro l'asservimento delle coscienze da parte del potere terreno >> .S I testi che
considerano la sottomissione allo stato l'interesse primario del v. 2 1 sono
ben pochi: il più antico è l'apologia di Giustino indirizzata all'imperatore,
la quale presenta i cristiani contribuenti affidabili in riferimento a Mt. 22,21
(Apol. 1,17).
2. Nell'interpretazione della Riforma Mt. 22,1 5-21 viene letto nell'ottica
r Tertullian. Idol. 1 5,3 s. (CChr.SL 2, 1 1 1 5 s.); Mare. 4,38,3 (CChr.SL 1, 648). Questa
vono da Cesare gli artefìcialia, tra i quali rientra il denaro, ma da Dio le divitiae natura
/es. Glossa Ordinaria, 1 5 6: come Cesare vuole gli si renda la sua immagine impressa,
sic et Deus animam lumine sui vultus signatam.
3 Lapide, 4 1 3 ( «cultus, pietas» )-
4 DS16 1 976, nr. J 1 68. 5 B. Haring, Das Gesetz Christi m, Freiburg 1 9 5 1 , 194.
MT. 22, 1 5 -22
della dottrina dei due regni. Secondo Calvino, nel nostro passo Cristo distin
gue «chiaramente tra potere spirituale e potere politico » e chiarisce che <<nes
suna sottomissione esteriore può impedire che interiormente la nostra co
scienza sia libera davanti a Dio » . Il punto saliente dell'interpretazione di
Calvino è che la sottomissione alle autorità civili non va separata dall'ub
bidienza a Dio: «Chi vuole sovvertire l'ordinamento statale è anche un ri
belle contro Dio » . 1 L'interpretazione di Zwingli mostra una tendenza ana
loga e un chiaro orientamento in funzione antianabattista. :z. Lutero ha pre
dicato frequentemente sopra il nostro testo poiché era il testo previsto per la
predicazione della ventitreesima domenica dopo quella della trinità. Nelle
sue prediche più tarde la discussione del rapporto dei cristiani con le autori
tà civili occupa uno spazio sempre maggiore.3 Un elemento importante è che
le interpretazioni dei riformatori ampliano con estrema naturalezza il testo:
Mt. 22 non parla solo del problema se si dovesse pagare il tributo all'impe
ratore romano di allora, bensì si riferisce <<ad omnes magistratus », anzi a
tutti gli «ordines caelestes et terrestres» .4 Anche se non si smette mai di sot
tolineare con Atti 5 ,29 che si deve ubbidire a Dio più che agli uomini, il mo
nito a ubbidire alle autorità civili resta comunque un tema dominante. Per
Musculus soprattutto i pastori dovrebbero avere l'obbligo di ubbidire alle
autorità. s D'altra parte, anche gli anabattisti non interpretano il passo in
maniera sostanzialmente diversa: essi sottolineano che l'autorità civile è si
gnora delle cose esteriori ( «ma non della parola e dello spirito » ) e le si deve
ubbidienza; la differenza principale tra loro e i rappresentanti della corren
te maggioritaria della Riforma è che gli anabattisti non s'immischiano ne
gli affari di governo. 6 Nel XIX secolo la tendenza all'interiorizzazione della
dottrina dei due regni contagia anche l'interpretazione del nostro testo:
«Potete e dovete . . . servire con i vostri sentimenti etici e religiosi Dio per
primo, senza confondere con il servizio a lui ciò che appartiene all'autorità
secolare» .7 L'interesse dell'interpretazione di lingua tedesca, soprattutto
protestante, del XIX secolo e, in parte, anche del xx secolo, è molto spesso
imperniata, riduttivamente, sul comandamento di rendere all'imperatore ciò
che gli appartiene, mentre la frasetta conclusiva <<e a Dio ciò che appartie
ne a Dio» venne piuttosto trascurata, quasi fosse un'ingombrante «appendi
ce aggiunta a forza » . 8 La «prestazione dei doveri di suddito » non solo è per-
r Calvino, n, :z.o3 s.; cf. Lutero, Evangelien-Auslegung II, 73 5· 737· Per l'interpretazione
16b-ua. I discepoli dei farisei iniziano con una lunga captatio bene
volentiae. I lettori sanno che i discepoli dei farisei hanno ragione: Gesù
insegna davvero «la via di Dio in verità» . Ma nella bocca di quelli che i
farisei ostili hanno mandato avanti le parole indirizzate a Gesù suona
no vuote e false. Essi chiedono al «maestro» • Gesù se Dio permetta di
pagare tasse .. all'imperatore. Dopo che nella loro apostrofe adulatoria
essi hanno sottolineato l'indipendenza di giudizio di Gesù che non guar
da in faccia a nessuno, la loro domanda suona come un invito velato a
pronunciarsi contro il versamento del tributo. Se Gesù lo fa, essi posso
no accusarlo davanti al governatore, poiché sin dalla rivolta di Giuda il
Galileo (6 d.C.) il rifiuto di pagare le tasse equivaleva, in pratica, a dare
il segnale dell'insurrezione.3 Ma se, al contrario, Gesù risponde di sì, al
lora si renderà impopolare con le masse. Gesù affronta i suoi avversari
con grande controllo della situazione e superiorità: egli «riconosce » la
loro macchinazione (cf. 1 2, 1 5 ; 1 6, 8 ) e risponde come si meritano: subi
to all'inizio, rinforzando l'espressione negativa della fonte marciana, egli
1 Per l'appellativo 8t81Zo-xa� pronunciata da estranei cf. vol. n, p. 42..
l latino xirvo-oc; viene generalmente riferito al testatico, invece che alla tassa fon
Il prestito
diaria; così, ad es., in Hesych., s.v. XtVO"O<;, e in Mc. 1 2.,14 D, e e altri (È1ttxt<pil.ì..atov).
Ma non è detto che sia necessariamente così.
3 Per il rifiuto di pagare il tributo di Giuda il Galileo cf. Ios. Bel/. 2., n 8 ; Ant. 1 8,4; M.
Hengel, Die Zeloten (AGJU 1 ), 1 1 976, 1 39-1 4 5·
IL TRIBUTO A CESARE
fa notare la «malignità » 1 dei suoi avversari e dice loro in faccia, senza
mezzi termini, che sono «ipocriti » . La loro domanda non è sincera, vo
gliono soltanto metterlo alla prova . E subito Gesù passa a una «dimo
strazione >> pratica; chiede ai discepoli dei farisei di mostrargli un dena
ro romano. Benché, naturalmente, tale moneta non servisse solo a pa
gare il tributo imperiale, Matteo la chiama << la moneta della tassa » . Per
il fatto stesso di possedere una tale «moneta per la tassa » essi dimostra
no di pagare essi stessi il tributo e di aver già da tempo deciso come ri
spondere, personalmente, alla domanda posta a Gesù.
Poi Gesù li interroga circa l'effigie e l'iscrizione sulla moneta. Il denaro
di Tiberio/ che all'epoca circolava in Palestina, mostra sul diritto la te
sta dell'imperatore, e dietro, in secondo piano, Livia, l'imperatrice ma
dre, raffigurata quale dea della pace; l'iscrizione recita: Ti( berius) Caesar
Divi Aug(usti) F(ilius) Augustus, e sul rovescio la scritta Pontif(ex) Ma
xim(us).3 Alla domanda di Gesù gli avversari confermano proprio ciò.
Scopo della dimostrazione non è quello di far vedere che gli avversari so
no giudei inosservanti della legge perché usano monete con un'immagi
ne umana - come facevano allora quasi tutti i giudei.4 E neppure che non
hanno rispettato il divieto delle immagini nel tempio stesso: la loro mo
neta di Tiberio non sarà stata certamente l'unica a entrare nel cortile del
tempio, dove si trovavano i banchi dei cambiavalute.5 Il punto è un al
tro: mostrando di possedere una moneta che univa in sé i simboli poli
tici e religiosi del potere dell'imperatore romano, gli avversari dimostra
no di averne riconosciuto da tempo la pretesa di potere.
nel I960 sul Carmelo mostra come tali monete circolassero veramente in Palestina.
3 Le monete imperiali non erano semplicemente oggetti di valore, ma implicavano anche
riconoscimento e rispetto davanti al potere politico e religioso dell'imperatore, come il
lustra il provvedimento ricordato in Suet. Tib. 5 8, secondo il quale chi portasse con sé
in una latrina o in un lupanare una moneta con l'effigie di Augusto si sarebbe reso perse
guibile penalmente.
4 Secondo tA.Z. 5,I (Bill., IV, 393) erano consentite immagini su oggetti di scarsa im
portanza come utensili da cucina, panni, monete, ecc. Giudei molto osservanti avevano
però riserve anche per queste piccole cose d'uso comune. Cf. la documentazione in Der-
rett, 3 3 I n. 1 . 5 Contro Gnilka, Mc. n, I 52.
MT. 22, 1 5 -22
tazione. La formulazione -rà. Kataapcx; suggerisce certo l'idea che la mo
neta coniata nella zecca imperiale di Lione e recante i simboli del pote
re imperiale gli appartiene comunque, ma questo aspetto non va oltre
una velata allusione. 1 Qui manca qualsiasi affermazione circa un'origi
ne divina della sovranità imperiale sul tipo di quella che si legge in Rom.
1 3 , 1 . Manca anche una motivazione biblica dell'obbligo di pagare le
tasse. 1 La prima parte del detto conclusivo di Gesù non ha quindi alcu
na portata determinante: conferma semplicemente ciò che gli avversari
di Gesù fanno abitualmente.
Ma ciò non significa che l'invito a pagare il tributo all'imperatore non
vada preso sul serio. Gesù non vuole dire né che, personalmente, lui, pre
dicatore radicale itinerante, evidentemente senza un denaro in tasca, non
abbia il problema dell'obbligo fiscale e che, di conseguenza, la doman
da dei farisei non lo riguarderebbe affatto,3 né ha usato ironicamente
l'imperativo: poiché i farisei si occupano comunque più degli affari del
l'imperatore che di quelli di Dio, è giusto che paghino anche le tasse. 4
Ma ciò non significa neppure che con il v. 2 1 b la domanda posta a Gesù
abbia già ricevuto una risposta completa, così che l'aggiunta «non ri
chiesta » del v. 2.rc sarebbe solo « un'appendice secondaria » . s Gesù non
avrebbe colto la malignità della domanda trappola dei suoi avversari
(cf. v. r8) se avesse dato semplicemente una risposta affermativa. Ciò che
si vuol dire è semplicemente questo: pagate le tasse e non fate domande
così subdole - tanto la moneta del tributo l'avete già pronta in tasca.
Non essendo uno zelota, Gesù si sarà trovato d'accordo con i suoi av-
1 Questo aspetto della «restituzione» viene spesso evidenziato notando che il verbo tbo
ò(Ò!JJ(J. t (come l'equivalente latino reddere) può significare anche «restituire» . È vero che
tÌ1toòiòw!J-t viene usato sovente come termine tecnico per il pagamento di una somma do
vuta (ad es. un debito o una retribuzione; cf. LSJ, s.v., r; Mt. 5,26; r 8,25·34; 20,8), ma
è anche vero che il verbo non significa soltanto «restituire» . L'interpretazione di tÌ7tOÒtòO
vl1t come «restituire» un bene che spetta legittimamente all'imperatore ha avuto un ruo
lo di rilievo nell'esegesi protestante, che insisteva sulla lealtà verso lo stato quale dovere
morale e teologico. Cf. già Brenz, 683: è scritto reddite e non date perché nessuno venga
a dire: «pecunia autem & alia quae possidemus nostra sunt, & non Caesaris».
2. Nel suo dotto studio Derrettd propone di interpretare il v. 2. 1 alla luce di Ecci. 8,2..
3 Così Wengst (v. sopra, p. 3 26 n. 4), 78 s. Inoltre a p. So egli suppone che l'intimazio
ne di Gesù a «restituire tutti i denari all'imperatore indichi un rifiuto generale delle mo
nete e del sistema monetario,. . Ma il commento più esagerato è quello di P. Lapide, Er
predigte in Ihren Synagogen. ]udische Evangelienauslegung ( GTB 1400 ), Giitersloh 3 r 98 2,
4 1 s.: «Restituite all'imperatore, signore della moneta, il suo argento maledetto . . . rifiu
tatevi di accettare le sue monete, che sono contro la Bibbia! » . Gesù avrebbe esortato a
una rottura senza compromessi con l'ordine esistente, e chi non ci crede «reca a Gesù un
insulto che confina con la calunnia mortale se non con l'antiebraismo» (sic!).
5 Hirsch (v. sopra, p. 3 25 n. 8), I J I .
4 Dibelius (v. sopra, p. 32.6 n. 3), 178.
330 IL TRIBUTO A CESARE
versari che si dovessero pagare i tributi dovuti all'imperatore - ma non
è questa la questione determinante. Perciò egli non dà un fondamento
teologico al comandamento di pagare le tasse, bensì fa riferimento uni
camente alla «moneta del tributo» . La risposta vera e propria alla do
manda degli avversari arriva solo col v. l. IC.
2IC. Gesù aggiunge l'intimazione di dare a Dio ciò che gli appartiene
senza che alcuno glielo avesse chiesto. È questo comandamento, dunque,
che costituisce la vera sorpresa del testo per gli ascoltatori originari e
per i primi lettori della storia. L'esortazione imperiosa si trova alla fine
dell'episodio e ne costituisce, quindi, il vero fine. In questo testo, dun
que, non si tratta affatto di una norma che regola il rapporto di Gesù o
dei suoi seguaci con lo stato. Perciò quello che ha costituito l'interesse
primario della storia dell'interpretazione per quanto riguarda questo te
sto non ne ha colto il messaggio centrale. Il richiamo a dare a Dio il suo è
laconico; si tratta, per così dire, di uno spazio vuoto che i lettori devo
no riempire con quanto ricavano dalla Bibbia e dalla tradizione giudai
ca: Dio è colui «che abbatte le nazioni davanti a sé e rovescia i re » (ls.
4 I ,2); 1 A lui appartiene «la terra e ciò che la riempie, il mondo e tutto
ciò che vi abita » (Sal. 24, I ) . A Dio appartiene tutto: cielo e terra, tutti
gli uomini e, naturalmente, anche tutti i regni e tutti gli imperatori. Co
sì diventa chiaro il senso di quello spazio vuoto: per Gesù non si tratta
di aggiungere al comandamento di pagare il tributo un altro comanda
mento, ad esempio religioso. Il comandamento dei comandamenti, quel
lo che include, sostiene e supera tutti gli altri, è il comandamento dell'ub
bidienza a Dio. Dio rivendica un diritto illimitato sugli uomini, una pre
tesa che abbraccia ogni aspetto della vita. Davanti a questo diritto di Dio,
il comandamento della lealtà fiscale si colloca su un livello penultimo,
totalmente diverso. Non ci sono affatto indizi linguistici che giustifichi
no un senso della congiunzione xa.( diverso dal suo significato più nor
male e diffuso: «e». Ma semanticamente xa.( non è semplicemente una
congiunzione additiva copulativa, perché essa congiunge due rivendica
zioni che nella sostanza sono totalmente incomrnensurabili.
Sia chiaro: Gesù non dice che una metà dell'uomo appartiene all'im
peratore, cioè la meta materiale o culturale o esteriore che ha a che fare
col «regno del mondo », e l'altra metà a Dio, ad esempio la metà spiri
tuale, personale o interiore. Gesù non intende neppure sottolineare che
il pagamento delle tasse o addirittura la sottomissione allo stato sono
oggetto di uno specifico comandamento divino. Egli vuole piuttosto di
re: «I soldi potete darli all'imperatore - questa è la sua sfera - ma Dio è
il Signore » . ' Una teologia cristiana dello stato non ha alcun fondamen
to in Mt. 22, 1 6-2 1 . La lettura protestante tradizionale del nostro testo
alla luce di Rom. 1 3 , 1-7 porta fuori strada.1 Più vicina al testo è l'in
terpretazione cattolica che pone l'ubbidienza a Dio chiaramente al di
sopra di quella allo stato. Taie interpretazione diventa problematica so
lo quando alla preminenza di Dio subentra quella della chiesa)
23 Quello stesso giorno vennero a lui alcuni sadducei: dicevano 4 che non
c'è alcuna risurrezione e gli posero una domanda 24 e dissero: «Maestro,
Mosè ha detto: 'Se uno muore senza figli, suo fratello deve consumare con
1 L. Ragaz, Die Bibel. Eine Deutung, v. jesus, Ziirich 1 949, 1 6.
2. Per la storia degli effetti di Rom. 13,1-7 nel protestantesimo cf. l'esauriente esposizio
ne in U. Wilckens, Rom. 111 (EKK VI/3 ), 1982, 49-65. Enneneuticamente la lettura pro
testante si potrebbe quindi giustificare tutt'al più come lettura «canonica» alla luce del
l'intero N.T., ma non per quel che riguarda Mt. 2.2.,1 6-21 parr. Ma anche questa «cano
nicità• è esclusa, perché da un lato nel N.T. sono presenti altri modi di vedere lo stato
che non sono in linea con Rom. 1 3 , ad es. in Apoc. 1 3 , e dall'altro proprio le affermazioni
teologiche di Rom. 1 3 , 1 sono in larga misura concezioni tradizionali del giudaismo el-
lenistico. Cf. Wilckens, op. cit., 3 3 ; Schrage", 2.3-27. 3 Cf. sopra, p. 3 2.4 n. 4·
4 Alcuni testimoni testuali, però tutti poco importanti, leggono o! davanti a ÀÉyov-.tc; (K,
L, fil, lat, sy h.pal, bo e altri). Per questi testimoni la frase che non ci sarebbe alcuna ri
surrezione è, come per Marco e Luca, una esposizione della credenza dei sadducei, men
tre nel testo originario i sadducei esprimono la loro convinzione di fondo direttamente
davanti a Gesù.