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TESTI

1 Giovanni Crisostomo

Nato ad Antiochia nella seconda metà del IV secolo, fu il


più grande predicatore della chiesa greca. Divenuto pa-
triarca di Costantinopoli, morì in esilio a causa delle sue ri-
forme radicali che provocarono il malcontento di influenti
personaggi tra cui anche l’imperatrice Eudocia. I suoi nu-
merosissimi sermoni e trattati contengono un’esegesi bibli-
ca priva di allegorie, e con intento moraleggiante. Il suo sti-
le ricco di immagini concilia la fede cristiana e la perfezio-
ne formale propria della retorica del tempo.

OMELIA 56 SUL VANGELO DI MATTEO1

La promessa del regno

In verità in verità vi dico: ci sono qui alcuni che non gu-


steranno la morte, prima di aver visto il Figlio dell’uomo
venire nel suo Regno (Mt 16.28).
1. Abbiamo visto che Gesù Cristo istruì molto i suoi di-
scepoli sulle sofferenze della sua passione e morte, predi-
cendo loro anche i mali che loro stessi avrebbero subito e
la morte violenta che sarebbe toccata loro in futuro. Pro-
prio dopo aver detto loro cose così dure cerca di consolar-
li, e siccome i mali di cui parlava riguardavano la vita
presente mentre i beni non erano nient’altro che una spe-
ranza, diceva loro: coloro che salvano la loro vita la per-
dono, e, il Padre verrà nella sua gloria per distribuire la
ricompensa (Mt 16,25.27). Voleva in questo modo soddi-
sfare i loro occhi, e mostrare loro, per quanto fossero ca-
paci in questa vita, quella gloria nella quale si sarebbe ri-
velato in futuro. Al tempo stesso volle anche prevenire il
turbamento e il dolore che i suoi apostoli, e Pietro in par-
ticolare, potevano provare alla sua morte.
Guarda cosa fa: appena finito di parlare dell’inferno e
del regno - a questo si riferiva quando aveva detto: chi
vorrà salvare la propria vita la perderà, e chi la perderà a
causa mia la salverà (Mt 10,36), e ancora: renderà a cia-
scuno secondo le sue azioni (Mt 16, 27) -, sottolinea bene
1
Testo gr. in PG 58,549-558.
Omelie sulla trasfigurazione - Giovanni Crisostomo 15

l’uno e l’altro, e tuttavia non li offre entrambi alla vista


degli apostoli; mostra loro il regno e non l’inferno. E per-
ché? Se avesse avuto a che fare con gente più ottusa, sa-
rebbe stato necessario, ma poiché gli apostoli erano sti-
mati e ben disposti li stimola attraverso le cose migliori.
Ma non è l’unico motivo per mostrare questo aspetto: gli
era anche più conveniente. Non nega l’altra metà, anzi ci
sono pericopi evangeliche in cui mette sotto gli occhi le
cose della Geenna, come quando parla di Lazzaro 2 (cf. Lc
16,19-31), o di quello che richiedeva con insistenza i cen-
to denari che suo fratello gli doveva (cf. Mt 18,28), o di
quel temerario che ha osato entrare alle nozze con dei ve-
stiti sporchi (cf. Mt 22,11).
La trasfigurazione

Sei giorni dopo prendendo Pietro, Giacomo e Giovanni


(Mt 17,1). Un altro evangelista dice otto giorni dopo (Lc
9,28). Non c’è tuttavia alcuna contraddizione tra loro, e si
accordano perfettamente, poiché l’uno conta il giorno in
cui Gesù Cristo dice queste parole, e anche quello in cui
porta i suoi apostoli sulla montagna; l’altro invece saltan-
do questi due giorni, conta solo l’intervallo che li com-
prende. Guarda come Matteo, trattando della cosa, non
passa sotto silenzio coloro che Gesù Cristo stimava più
degli altri, e che preferiva anche a lui stesso. È quello che
fa anche Giovanni in molti punti del suo evangelo, dove si
compiace di riportare a lungo le lodi di Pietro e la premi-
nenza che aveva su tutti gli altri3; e questo perché questo
santo gruppo era completamente privo di invidie e vana
gloria.
Prendendo allora con sé i principali dei suoi apostoli, li
porta in disparte su un alto monte, e fu trasfigurato davan-
ti a loro, il suo volto divenne splendente come il sole e le
sue vesti divennero bianche e splendenti come la luce. E
videro apparire Mosè ed Elia che parlavano con lui (Mt
17,1-3). Perché prende con sé solo questi? Perché questi
erano superiori agli altri. Pietro manifestava la sua eccel-
lenza per il fatto che lo amava molto (cf. Gv 21,15-17),
Giovanni invece era molto amato, e Giacomo per la sua
risposta, insieme al fratello, quando disse: possiamo bere
il calice (cf. Mt 20,22), e non solo per la risposta, ma an-
che per le opere e, fra l’altro, per quelle con cui adempì
ciò che aveva detto. Era così impetuoso e molesto per i
giudei che Erode pensò che avrebbe fatto grandissimo
dono ai giudei, se lo avesse eliminato (cf. At 12, 1-3).
2
Si tratta della parabola cosiddetta del ricco malvagio e del povero Lazzaro.
3
Probabile allusione al passo di Gv 21,15-19.
Omelie sulla trasfigurazione - Giovanni Crisostomo 16

Perché non li conduce subito sul monte? Perché gli altri


discepoli non provassero qualche umana debolezza. Per-
ciò non dice nemmeno i nomi di quelli che stavano per
salire; gli altri, infatti, desideravano molto seguirlo per ve-
dere un esempio della gloria futura, e si sarebbero rattri-
stati come se fossero stati trascurati. L’evento, infatti, pur
essendo solo corporeo, era comunque molto desiderabile.
Ma perché poi lo preannuncia? 4 Affinché fossero più
pronti per la visione, grazie anche a quanto detto in anti-
cipo, e ricolmi di un più intenso desiderio per il numero
dei giorni, arrivassero con la mente vigile e concentrata.
La presenza di Mosè ed Elia

Perché poi viene attorniato da Mosè ed Elia? Si potreb-


bero indicare molte ragioni. La prima è questa: poiché le
folle dicevano, gli uni che era Elia, altri Geremia, altri an-
cora uno degli antichi profeti (Mt 16,15), conduce i più
ragguardevoli tra gli apostoli, perché vedessero la diffe-
renza tra i servi e il Signore, e che Pietro giustamente era
stato lodato per averlo confessato Figlio di Dio. Oltre que-
sto si può indicare un’altra ragione. Poiché veniva spesso
accusato di essere un trasgressore della Legge, e lo si
considerava un bestemmiatore che si arrogava la gloria
del Padre, che non gli competeva, e si diceva: quest’uomo
non viene da Dio perché non osserva il sabato (Gv 9,16), e
ancora: non ti lapidiamo per un’opera buona, ma per la
bestemmia, e perché tu che sei uomo, ti fai Dio (Gv 10,33);
affinché si mostrasse che entrambe le accuse erano fatte
per cattiveria, ed egli era estraneo ad entrambe, poiché il
fatto5 non costituiva una trasgressione della Legge, né,
dichiarandosi uguale al Padre, si arrogava una gloria che
non gli competeva, egli conduce nel mezzo i due che ave-
vano brillato per queste cose. Perché Mosè aveva dato la
Legge, e i giudei potevano pensare che non avrebbe per-
messo che essa fosse calpestata, come sospettavano, né
che avrebbe potuto onorare chi l’avesse trasgredita ed era
nemico di chi l’aveva stabilita. Elia invece ebbe zelo per la
gloria di Dio (cf. 1Re 19,10.14), e non si sarebbe presen-
tato, né lo avrebbe ascoltato, se fosse stato un falso dio,
e, facendosi uguale al Padre, si fosse autoproclamato Dio
senza essere ciò che diceva, e senza farlo in modo oppor-
tuno.
2. Insieme alle ragioni che abbiamo detto se ne può in-
dicare anche un’altra. Quale? Perché imparassero che
4
Riferimento a Mt 16,28, brano normalmente interpretato come un annunzio
della trasfigurazione.
5
La guarigione del cieco nato in giorno di sabato (cf. Gv 9,1-41).
Omelie sulla trasfigurazione - Giovanni Crisostomo 17

Cristo ha potere sulla morte e sulla vita, e domina su ciò


che è in alto e in basso. Perciò conduce sia chi era morto,
sia chi non lo era6. Lo stesso evangelista rivela anche la
quinta ragione, perché questa, con quelle già dette, è la
quinta. Qual era? Mostrare la gloria della croce, e confor-
tare Pietro, e quelli che temevano la passione risollevando
il loro animo. Arrivati che furono infatti, non tacevano,
ma, dice, parlavano della gloria che avrebbero portato a
compimento a Gerusalemme (cf. Lc 9,31), cioè la passione
e la croce, che chiamano sempre così. Li incoraggiava non
solo in questo modo, ma anche attraverso la virtù di que-
gli uomini, che richiedeva ai discepoli in maggior misura.
Aveva detto infatti: se qualcuno vuole venire dietro a me,
prenda la sua croce e mi segua (Mt 16,24), presentando
coloro che avevano affrontato innumerevoli volte la morte
per piacere a Dio, e per il popolo che era stato loro affida-
to.
Difatti entrambi, perdendo la propria vita, la trovarono
(cf. Mt 10,39). Entrambi parlarono con franchezza davan-
ti ai tiranni, l’uno all’egiziano l’altro invece ad Acab, e in
favore di uomini ingrati e ribelli, e da coloro che aveva
salvato furono spinti verso ulteriori pericoli. Entrambi vo-
levano liberare il popolo dall’idolatria, pur essendo privi
di requisiti, l’uno era lento a parlare e debole di voce,
l’altro aveva un rude comportamento. E si conformarono
a uno stile di grande rigore, Mosè non possedeva nulla,
ed Elia non aveva nient’altro che il mantello. E questo av-
veniva nell’Antico Testamento, senza che avessero ricevu-
to una così grande grazia dei segni. Mosè divise il mare,
ma Pietro camminò sulle acque (Mt 14,29), era in grado
di trasportare i monti (cf. Mt 17,20), curava ogni genere
di malattie del corpo e scacciava demoni feroci, e faceva
queste grandi cose con l’ombra del suo corpo (cf. At 5,15)
e convertì tutta la terra. Anche se Elia risuscitò un morto
(1Re 17,22), essi però ne risuscitarono innumerevoli,
benché non fossero stati ancora ritenuti degni dello Spiri-
to. Per questo motivo dunque li conduce nel mezzo. Vole-
va infatti che essi li eguagliassero nel vigore, e nella fer-
mezza della guida degli uomini, e diventassero miti come
Mosè (cf. Nm 12,3), zelanti come Elia (cf. 1Re 19,10) e
ugualmente premurosi. Perché l’uno sopportò per il popo-
lo giudaico una carestia di tre anni (1Re 17,1), l’altro ave-
va detto: se perdoni il loro peccato, perdonali, altrimenti
cancella anche me dal libro che hai scritto (Es 32,32).
Egli portava alla memoria, attraverso la visione, tutte
queste cose. E infatti li condusse nella gloria, non perché
6
Mosè era morto sul monte Nebo, alle porte della terra promessa (Dt 34,5), Elia
invece, era asceso al cielo su un carro di fuoco (2Re 2, 11).
Omelie sulla trasfigurazione - Giovanni Crisostomo 18

stessero lì, ma perché andassero più in profondità. Quan-


do infatti dissero: vuoi che diciamo che scenda un fuoco
dal cielo? (Lc 9,54), ricordando che Elia l’aveva fatto (2Re
1,10), Gesù disse: non sapete di che spirito siete7, volendo
esercitarli alla tolleranza e alla distinzione del carisma
che avevano ricevuto. Nessuno pensi che riteniamo Elia
imperfetto, non diciamo questo, era infatti assolutamente
perfetto, ma ai suoi tempi, quando la mente degli uomini
era più piccola, era necessaria anche questa pedagogia.
Anche Mosè secondo questi criteri era perfetto, e tuttavia
ai discepoli si richiede di più che a lui: se la vostra giusti-
zia non supererà quella degli scribi e dei farisei, non entre-
rete nel regno dei cieli (Mt 5,20). Essi non si presentarono
solo all’Egitto, ma al mondo intero, che si trovava in una
situazione peggiore degli egiziani, e non parlarono con il
Faraone, ma lottarono con il diavolo stesso, tiranno del
male. La loro battaglia era legarlo e distruggere tutti i
suoi utensili, e facevano questo spezzando con il germo-
glio di Iesse (Is 11,1), non il mare, ma l’abisso di empietà
che ha marosi ben peggiori.
Guarda quante cose spaventano gli uomini: morte, po-
vertà, disprezzo, sofferenze innumerevoli, e probabilmen-
te queste cose spaventano maggiormente di quanto fece il
mare di allora ai giudei. E tuttavia Gesù Cristo li spinse
ad affrontare tutte queste cose e a passare come su terra
asciutta in tutta sicurezza. Per prepararli a tutto questo,
condusse coloro che avevano brillato nell’Antico Testa-
mento.
Le parole di Pietro

E che dice l’appassionato Pietro? È bello per noi stare


qui (Mt 17,4). Avendo infatti udito che bisognava andare a
Gerusalemme e lì patire, temendo e trepidando per lui,
dopo essere stato rimproverato una volta, non osa più
andargli davanti e dire di nuovo: Dio te ne scampi! (Mt
16,22), ma, a causa della paura, ripete con altre parole lo
stesso concetto. Vide il monte, quell’ampia e tranquilla
solitudine, e pensò alla sicurezza di quel luogo, e non solo
a questo, ma anche al fatto che non si sarebbe più andati
a Gerusalemme. Avrebbe voluto stare lì per sempre, e
perciò menziona le tende. «Se così accade - dice - non sa-
liremo a Gerusalemme, e se non vi saliamo, non morirà,
perché ha detto che lì gli scribi l’avrebbero attaccato». Pie-
tro non ebbe il coraggio di parlare così; volendo però otte-
nere ciò che aveva progettato, disse con fermezza: è bello
7
Qui Crisostomo cita Lc 9,55 con un’aggiunta riportata solo da alcuni mano-
scritti.
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stare qui (Mt 17,4), ci sono qui Mosè ed Elia, - Elia che
fece scendere il fuoco sul monte (1Re 18,38) e Mosè che
entrò nella tenebra e parlò con Dio (cf. Es 19,16.19)-, e
nessuno saprà dove siamo.
3. Hai visto l’amore ardente per Cristo? Non considera-
re la poca sensatezza dell’invito, ma il calore, e come era
infiammato per Cristo. Egli infatti non diceva queste cose
temendo per sé, ma guarda cosa dice quando annuncia
l’arresto e la sua morte prossima: darò la mia vita per te.
Anche se dovessi morire con te, non ti rinnegherò (Mt
26,35). Vedi come, anche in mezzo a tali pericoli, mette a
rischio se stesso; alla presenza di molta gente, non solo
non fuggì, ma estraendo la spada tagliò l’orecchio del ser-
vo del sommo sacerdote (cf. Gv 18,10). Anche ora egli non
badava a se stesso, ma trepidava per il Maestro. Poiché
aveva già parlato in modo categorico, questa volta, te-
mendo di essere rimproverato, si trattiene e dice: se vuoi
facciamo qui tre tende, una per te, una per Mosè e una per
Elia (Mt 17,4).
Che dici, Pietro? Non lo avevi poco fa separato dai ser-
vi? Lo annoveri di nuovo con i servi? Vedi come gli apo-
stoli erano imperfetti prima della croce? Nonostante il Pa-
dre gli avesse fatto una rivelazione (Mt 16,17), essa non
rimase per sempre. Ma Pietro era sconvolto dall’angoscia,
e non solo quella che dicevamo, ma anche da quella che
derivava da una tale visione. Gli altri evangelisti, per mo-
strare che il suo stato, e il suo turbamento d’animo con
cui aveva detto quelle cose, provenivano dall’angoscia, di-
cevano, Marco, che non sapeva che cosa dire, poiché ave-
vano paura (Mc 9,6); Luca, dopo aver detto: facciamo tre
tende, aggiunse: non sapeva quello che diceva (Lc 9,32-
33). Per mostrare invece che erano presi da grande pau-
ra, dice: erano oppressi dal sonno, ma restarono svegli e
videro la sua gloria (Lc 9,32); chiamando qui sonno, il
grande torpore che causava loro quella visione. Come in-
fatti a causa di una fortissima luce gli occhi si adombra-
no, così allora capitò anche a loro. Ed essendo giorno, e
non era notte, quel fulgore eccessivo opprimeva la debo-
lezza degli occhi.
La nube luminosa, e la voce dalla nube

Poi cosa accadde? Cristo non dice nulla, e nemmeno


Mosè ed Elia, il Padre invece, il più grande e autorevole di
tutti, fa udire la sua voce dalla nube. Perché proprio dalla
nube? Perché Dio si mostra sempre così: nubi e tenebre lo
avvolgono (Sal 97,2), e, siede su una nube leggera (Is
19,1), e ancora, fa delle nubi il suo trono (Sal 104,3), e,
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una nube lo sottrasse ai loro occhi (At 1,9), e, come un fi-


glio di uomo che viene sulle nubi (Dn 7,13). Affinché fosse-
ro persuasi che la voce proveniva da Dio, viene dalla
nube e questa era luminosa. Mentre egli stava ancora
parlando, ecco una nube luminosa li avvolse con la sua
ombra. Ed ecco una voce dalla nube, che diceva: questi è il
mio Figlio amato, nel quale mi sono compiaciuto. Ascoltate-
lo (Mt 17,5). Quando Dio vuole minacciare, mostra una
nube tenebrosa, come sul Sinai: Mosè entrò, dice, nella
nube e nell’oscurità e il fumo si levava come vapore (cf. Es
24,18; 19,16.18). Il profeta, parlando della sua minaccia,
dice: acqua oscura nelle nubi dell’aria (Sal 18,12). Qui
però, non volendo spaventare, ma insegnare la nube è lu-
minosa. E mentre Pietro diceva: facciamo tre tende (Mt
17,4), Dio mostra una tenda non fatta da mani d’uomo.
Per questo lì c’erano fumo e vapore di fornace (cf. Es
19,18), qui invece una luce indicibile e una voce. Affinché
poi fosse chiaro che non si parlava semplicemente di uno
dei tre presenti, ma soltanto del Cristo, quando venne la
voce, quelli si allontanarono. Se infatti si fosse parlato
semplicemente di uno di essi, questi non sarebbe rimasto
solo, mentre gli altri due si sono separati.
Perché allora la nube non avvolse solo Cristo, ma tutti?
Se avesse avvolto solo Cristo, avremmo pensato che egli
avesse emesso la voce. Perciò l’evangelista per assicurare
proprio questo, dice che la voce proveniva dalla nube (Mt
17,5), il che significa da Dio. Ma cosa dice la voce? Questi
è il mio Figlio l’amato (Mt 17,5). Se è amato, non temere,
Pietro. Avresti già dovuto conoscere la sua potenza ed es-
sere persuaso della resurrezione, ma poiché lo ignori, al-
meno la voce del Padre ti faccia coraggio. Se infatti Dio è
potente, e lo è, è evidente che il Figlio lo è allo stesso
modo. Non temere dunque le sue sofferenze, e se ancora
non le accetti, pensa almeno che è il Figlio che Dio ama.
Questi è, dice, il mio Figlio amato (Mt 17,5). Siccome è
amato, tu non temere. Nessuno infatti abbandona chi
ama. Non turbarti dunque, anche se lo amassi immensa-
mente, non lo ami come colui che lo ha generato uguale a
lui.
In cui mi sono compiaciuto (Mt 17,5). Non lo ama solo
perché lo ha generato, ma perché è uguale a lui e in tutto
concorde con lui. Sicché duplice è l’amore, anzi triplice:
perché Figlio, perché amato, e perché in lui si è compia-
ciuto. Che cosa vuol dire l’espressione: in cui mi sono
compiaciuto (Mt 17,5)? È come se dicesse: in cui trovo ri-
poso, che mi dà soddisfazione, uguale a Dio in tutto per-
fettamente, perché in lui e nel Padre c’era una sola volon-
tà e, pur rimanendo Figlio, è in tutto una sola cosa con
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colui che lo ha generato. Ascoltatelo (Mt 17,5). Ovvero,


anche se vuole essere crocifisso, tu non opporti. Udito ciò,
caddero con la faccia a terra e furono presi da grande ti-
more. Ma Gesù si avvicinò, li toccò e disse: alzatevi e non
temete. Sollevando gli occhi non videro nessuno, se non
Gesù solo (Mt 17,6-8).
La reazione degli apostoli

4. Perché rimasero sbigottiti delle cose che avevano


ascoltato? Eppure, anche in precedenza si era levata una
voce simile al Giordano, ed era presente una folla di per-
sone, ma a nessuno capitò nulla di questo genere. E an-
cora successivamente, quando dicevano che era stato un
tuono (Gv 12,29), ma nemmeno allora nessuno provò
niente. Perché dunque caddero sulla montagna (Mt
17,6)? Perché era un luogo deserto, elevato, c’era una
grande quiete, e la trasfigurazione dava loro i brividi,
quella luce pura, quella nube estesa; tutte cose che li get-
tarono in un grande trepidazione. Furono pervasi dallo
stupore, e caddero a terra impauriti e al tempo stesso
adoranti. Affinché dunque la paura a lungo andare, non
facesse perdere loro il ricordo di quell’evento, sciolse su-
bito la loro angoscia, e lo vedono lui solo, e comanda loro
di non dirlo a nessuno, finché non fosse risorto dai morti.
Il segreto messianico

Mentre scendevano dal monte, ordinò loro di non parlare


con nessuno della visione, finché non fosse risuscitato dai
morti (Mt 17,9). Infatti quanto maggiori erano le cose che
si dicevano di lui, tanto più erano difficili da accettare da
parte della gente, e di conseguenza aumentava lo scanda-
lo della croce. Per questo ordina di tacere, e non sempli-
cemente, ma ricordando la passione, indica anche il moti-
vo per cui gli aveva chiesto di tacere. Non chiese loro di
non dirlo in eterno, ma solo finché non fosse risorto dai
morti, e tacendo l’aspetto spiacevole, manifesta soltanto
quello positivo. Perché questo? Non si sarebbero scanda-
lizzati lo stesso? Nient’affatto. La questione infatti era per
il tempo prima della croce. Perché dopo furono resi degni
dello Spirito, avevano una voce, che proveniva dai mira-
coli, e che parlava in loro difesa e rendeva accettabile tut-
to quanto dicevano. Erano infatti i fatti che proclamavano
la sua potenza in modo più chiaro di una tromba, e nes-
suno scandalo di quel genere era di impedimento alla loro
azione.
Omelie sulla trasfigurazione - Giovanni Crisostomo 22

La visione di Cristo nel giudizio escatologico

Nessuno è più beato degli apostoli, e soprattutto di quei


tre che furono ritenuti degni di essere avvolti nella nube
con il Signore. Ma, se lo desideriamo, anche noi vedremo
Cristo; non come lo videro allora quelli sul monte, ma
molto più splendidamente. Alla fine infatti non verrà così.
Allora, per riguardo ai discepoli, aprì solo un poco del suo
splendore, quanto potevano sostenere i discepoli; alla fine
invece verrà nella gloria stessa del Padre, non solo con
Mosè ed Elia, ma con le sterminate schiere degli angeli,
con gli arcangeli, con i cherubini, con quelle immense
moltitudini. Non si leverà una nube sopra il suo capo, ma
il cielo stesso si avvolgerà. Come vengono tirate le tende,
quando pronunciano le loro sentenze, per mostrarli a tut-
ti i presenti, così anche allora tutti lo vedranno seduto,
davanti a tutto il genere umano che dovrà rispondere a
lui. E ad alcuni dirà: venite benedetti dal Padre mio, per-
ché ho avuto fame e mi avete dato da mangiare (Mt 25,34-
35); agli altri dirà: bene servo buono e fedele, sei stato fe-
dele nel poco, ti darò autorità su molto (Mt 25,21). Ad altri
invece, decidendo diversamente dirà: andate nel fuoco
eterno, preparato per il diavolo e per i suoi angeli (Mt
25,41), e, servo malvagio e infingardo (Mt 25,26). E sepa-
rerà questi ultimi e li affiderà agli aguzzini, li farà legare
mani e piedi, e li farà gettare nelle tenebre esteriori (Mt
22,13). Dopo la scure (Mt 3,10) seguirà la fornace (Mt
13,42) e ciò che verrà gettato fuori dalla rete (Mt 13,47-
48) cadrà lì.
Allora i giusti splenderanno come il sole (Mt 13,43), anzi
più del sole. Ha detto così non perché la loro luce sarà
solo tanto grande, ma, poiché non conoscendo nulla di
più splendente di questo astro, ha voluto indicare il futu-
ro splendore dei santi, con ciò che era noto. Anche quan-
do dice sul monte che brillò come il sole (Mt 17,2), si è
espresso in questi termini per lo stesso motivo. Che la
luce fosse maggiore dell’esempio che riporta, lo dimostra-
no i discepoli che cadono a terra. Se la luce non fosse
stata pura, ma della stessa entità del sole, non sarebbero
caduti, ma l’avrebbero sopportata facilmente. I giusti
dunque splenderanno come il sole, e più del sole, mentre
i peccatori soffriranno fino alla fine. Allora non ci sarà bi-
sogno di memorie, di prove, di testimoni, perché chi giu-
dica è tutto, testimone, prova, giudice. Egli conosce tutto
chiaramente. Ogni cosa è svelata e scoperta ai suoi occhi
(Eb 4,13). Nessuno si mostrerà lì come ricco, povero, po-
tente, debole, sapiente, insipiente, servo, libero, ma, spez-
zate queste maschere, si esamineranno solo le opere. Se,
Omelie sulla trasfigurazione - Giovanni Crisostomo 23

infatti, nei tribunali, quando si è accusati di tirannide o


di omicidio, vengono cancellati tutti i gradi, anche se uno
è prefetto o console, o qualsiasi altra, e il colpevole subi-
sce il castigo più severo, a maggior ragione sarà così lì.
[…]8.

8
Il Crisostomo a questo punto prosegue l’omelia traendo degli insegnamenti mo-
rali, e, in particolare, scagliandosi con veemenza contro il prestito di denaro ad
interesse.

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