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Focus
Prospettive per l’unità dei cristiani
Camminando insieme – D. Goller, M. Wienken
Nel crocevia della storia – Bartolomeo I, O.F. Tveit, K. Koch
Spiritualità ed ecclesiologia di comunione – M. Voce, C. Krause,
M. Robra, B. Farrell
Protagonisti di dialogo: patriarca Athenagoras I e C. Lubich – G. Zervos
Il dialogo è vita – AA.VV.
scripta manent
La mia esperienza su Gesù abbandonato – C. Lubich
punti cardinali
Gesù crocifisso e abbandonato:
chiave dell’unità –
J.P. Back, A. Bairactaris
Il dialogo della fede e il primato
dell’amore – V. Stanciu
alla fonte del carisma dell’unità
Le centralità carismatica
nelle prime Parole di Vita –
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Uno stile di vita per l’unità dei cristiani
– J. Morán __________________________________________________ » pp. 5-11
Jesús Morán, copresidente del Movimento dei Focolari, a colloquio con una focola-
rina siro-ortodossa del Medio Oriente, una focolarina evangelica tedesca e un foco-
larino anglicano della Gran Bretagna, approfondisce le basi del dialogo ecumenico
alla luce del carisma dell’unità. Invita a riconoscere il dono “dell’alterità”, a vivere il
“farsi uno più profondo”, a svuotare le proprie valigie, liberandosi dai pregiudizi. Illu-
minato da un testo di Chiara Lubich afferma che «Gesù in mezzo è l’evento ecume-
nico per eccellenza». Gesù abbandonato «dispiega l’unico modello di ecumenismo
possibile che è il modello trinitario».
Focus
Prospettive per l’unità dei cristiani
Camminando insieme – D. Goller, M. Wienken ______________ » pp. 23-26
Chiara Lubich affermava che «Dio ha dato a noi un nuovo ecumenismo»: un ecume-
nismo che affonda le sue radici e la sua forza di propagazione in un carisma, in un
dono di Dio capace di contribuire all’unità dei discepoli di Cristo, che non cerca la
conversione dell’altro, ma la propria conversione a Dio e al vangelo, in particolare
sommario
Nel crocevia della storia – Bartolomeo I, O.F. Tveit, K. Koch ___ » pp. 27-32
Il patriarca ecumenico di Costantinopoli Bartolomeo I, il segretario generale del
Consiglio ecumenico delle Chiese Olav F. Tveit e il presidente del Pontificio Consi-
glio per la promozione dell’unità dei cristiani cardinal Kurt Koch riconoscono nella
Settimana ecumenica 2017 un contributo sulla via dell’unità dei cristiani. Quest’ulti-
ma consiste oggi essenzialmente nel camminare insieme verso la giustizia e la pace.
Progredendo nel cammino verso Gesù crocifisso e abbandonato, chiave dell’unità,
ci avviciniamo all’unità tra di noi, che è vita in comunione d’amore. Apprezzano l’im-
pegno sincero e fedele del Movimento dei Focolari allo spirito di Chiara Lubich.
scripta manent
La mia esperienza su Gesù abbandonato – C. Lubich _________» pp. 83-88
Riportiamo qui un colloquio di Chiara Lubich con una decina di responsabili del-
le Chiese presenti in Austria, avvenuto il 5 novembre 2001 al Centro Mariapoli
Edelweiss a Vienna, durante il quale partecipa in un modo unico la sua esperienza
su Gesù crocifisso e abbandonato, con i suoi infiniti volti. Ella comunica come ha
scoperto Gesù abbandonato anche nella cristianità, nelle divisioni fra le Chiese, in
cui vede uno “scandalo”, e come il riconoscere e amare il suo volto può contribuire
a sanare ferite di secoli.
punti cardinali
Gesù crocifisso e abbandonato: chiave dell’unità – J.P. Back,
A. Bairactaris ____________________________________________ » pp. 89-103
Il carisma dell’unità di Chiara Lubich offre al movimento ecumenico molte intui-
zioni per il cammino verso la piena comunione. Una di esse è la sua comprensione
del mistero di Gesù sulla croce. Chiara innesta un nuovo elemento nel paradigma
del Crocifisso emblema per la cristianità divisa, per illuminarlo ulteriormente. Nel
“crocifisso ecumenico” intravede – nel suo grido e nella sua consegna al Padre, in
cui abbraccia tutti i dolori e le separazioni e opera la riconciliazione – una chiave per
l’unità. Questa chiave di Gesù abbandonato e risorto la Lubich la riscontra non solo
nella teologia ma nella vita.
in biblioteca
Contro il sacro o contro pregiudizi invalidanti?
– Davide Lodato ________________________________________ » pp. 147-152
Nina e le donne di desiderio spirituale – M.G. Baroni _______ » pp. 153-156
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jesús morán
sta valigia non passa per i controlli della dogana, perché è così pesante! E
questo non ci lascia dialogare, perché è un rumore interno permanente che
ci fa fare delle considerazioni, appena l’altro dice una cosa diversa da quello
che io ho pensato. È la mancanza di silenzio, di vuoto interiore.
Bisogna tener presente anche un altro grande principio della filosofia del
dialogo, che è il dono dell’alterità, il dono della diversità. L’altro mi completa
con la sua diversità, e non perché è uguale a me, o perché pensa come me:
l’altro è un vero dono, quando è diverso da me. Allora il conflitto di per sé
non è una cosa negativa; se esso aiuta a svuotare questa valigia di pregiudi-
zi, se aiuta a purificare il linguaggio e il pensiero, va benissimo; anzi, a volte
il conflitto è l’inizio di una vera relazione, di una relazione profonda. Il pro-
blema è quando il conflitto rompe la relazione irrimediabilmente; lì bisogna
stare attenti.
Qui mi permetto di fare un richiamo a un concetto di Chiara Lubich che è
fondamentale: il farsi uno più profondo. Dovremmo impararlo a memoria, se
vogliamo veramente fare un dialogo.
Klaus Hemmerle, commentando questo, diceva:
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jesús morán
terani che siano luterani veri, e non di mezzi luterani, e così non di mezzi
cattolici, non di mezzi ortodossi, perché in realtà c’è una sola Chiesa; ci sono
diverse tradizioni ecclesiali, però la Chiesa non può essere che una, per prin-
cipio. Dopo ci sono delle diverse tradizioni ecclesiali, che oggi, però, viste dal
punto di vista dell’unità, sono una ricchezza.
Il cardinal Kasper usa molto l’espressione: diversità riconciliata; a me pia-
ce aggiungere un altro aggettivo: diversità riconciliata e inclusiva. Credo che
questo sia fondamentale.
Alla luce di quanto fin qui detto, penso che l’esperienza di Gesù in mezzo
a noi, che ci viene dalla spiritualità di comunione, sia l’evento ecumenico per
eccellenza, perché è lui che ci fa uno. Noi non ne siamo capaci, ma lui ci fa
uno, quindi lui è la chiave proprio perché è un evento: dove c’è lui, c’è la sua
Chiesa. Qui bisogna mettere in moto quello che Chiara Lubich esprime con
l’arte di amare, la strategia dell’amare l’altro per primi, perché arrivi questa
grazia che è la presenza di Gesù. Quando lui c’è in mezzo a noi, noi siamo
uno.
Va in tal senso valorizzato il concetto del cosiddetto “ecumenismo della
ricezione”. L’ho sperimentato una volta in una chiesa anglicana nell’ovest
dell’Irlanda, a Galway, dove ero insieme con un sacerdote cattolico. Stava
finendo la funzione serale e il ministro anglicano non ci ha fatto nessuna
domanda, semplicemente ci ha accolto, senza chiedere: «Siete cattolici?
Anglicani?». Questo mi sembra fondamentale: bisogna fare sempre queste
esperienze di preghiera, di incontri, di dialogo.
Ovviamente non sempre si riesce e senza un amore profondo e conti-
nuamente rinnovato a Gesù abbandonato – altro caposaldo della spiritualità
dell’unità – non c’è ecumenismo possibile, perché lui è veramente il rischio
dell’alterità, il rischio dell’identità. Lui è il Verbo, quindi la verità del Padre.
Sentirsi abbandonato dal Padre significa che Gesù piomba nella non verità,
lui è nulla, lui rischia questo. Questa è la chiave per un vuoto radicale.
Gesù abbandonato dispiega l’unico modello possibile di ecumenismo
che è il modello trinitario. E qui vorrei finire con un breve testo di Chiara Lu-
bich, in cui lei esprime cos’è questa vita della Trinità tra di noi, che ha come
base Gesù abbandonato e che è l’esperienza di Gesù in mezzo a noi.
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jesús morán
Dice Chiara: «Io sono stata creata in dono a chi mi sta vicino e chi mi sta
vicino è stato creato da Dio in dono per me. Come il Padre nella Trinità è
tutto per il Figlio ed il Figlio è tutto per il Padre»3.
Per questo il rapporto tra noi è lo Spirito Santo, lo stesso rapporto che c’è
tra le Persone della Trinità.
Questo è il futuro dell’ecumenismo. È Gesù abbandonato che dispiega
tra di noi uno spazio di luce e di verità che è lo stesso Spirito Santo, e lì siamo
Uno.
1
Citato in E. Baccarini, La soggettività dialogica, Aracne, Roma 2003, pp. 185-
186.
2
K. Hemmerle, Partire dall’unità. La Trinità come stile di vita e forma di pensiero,
Città Nuova, Roma 1998, pp. 73-74.
3
Scritto del 2 settembre 1949, in C. Lubich, L’amore reciproco, a cura di Florence
Gillet, Città Nuova, Roma 2013, p. 23.
che hanno arricchito di sempre nuove fioriture quel grande campo che è la
cristianità.
Cerchiamo di abbracciare con lo sguardo questa lunga storia giunta or-
mai al suo Terzo millennio. Una storia che si può provare a leggere, a grandi
tratti, alla luce del duplice comando dell’amore di Dio e del prossimo1.
Nel Primo millennio viene in particolare rilievo il comando che caratte-
rizzava già la fede di Israele: «Amerai il Signore tuo Dio con tutto il tuo cuo-
re, con tutta la tua anima e con tutta la tua mente» (Mt 22, 37). Pensiamo ai
martiri, oppure ai primi monaci, i padri del deserto. Tutto parte dal battesi-
mo come radicale scelta di Dio.
Nel Secondo millennio si prende maggiore coscienza dell’altro grande
comandamento: «Amerai il tuo prossimo come te stesso» (Mt 22, 39). E
nascono tante espressioni della vita cristiana che guardano alla presenza di
Gesù nel prossimo e si mettono al servizio di lui. Quante opere sono fiorite
nelle diverse Chiese da questo comando dell’amore del prossimo: scuole,
ospedali, lebbrosari, iniziative per tossicodipendenti, per ragazze madri,
mense per i poveri, e così via!
Ma ora siamo nel Terzo millennio e possiamo chiederci se anch’esso si
caratterizzi per un particolare aspetto dell’amore, per un comandamento
di Gesù. Viene in rilievo in questo nostro tempo, come mai dopo i primi
secoli cristiani, la consegna che egli ha lasciato ai suoi alla vigilia della sua
offerta in croce: «Come io ho amato voi, così amatevi anche voi gli uni gli
altri. Da questo tutti sapranno che siete miei discepoli: se avete amore
gli uni per gli altri» (Gv 13, 34-35). Farne la nostra linea di condotta, nei
rapporti fra noi e con tutti, è l’ineludibile sfida che ci attende in questo
nuovo millennio, nel quale ci troviamo sempre più immersi in una società
multiculturale e multireligiosa: testimoniare Dio attraverso il nostro amore
reciproco, far conoscere, anzi far “vedere” Dio amore, Dio Trinità, attraverso
l’unità fra di noi, «affinché il mondo creda», ha detto Gesù nella sua ultima
grande preghiera (Gv 17, 21).
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hubertus blaumeiser
del grido di Gesù in croce: «Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?»
(Mc 15, 34; Mt 27, 46).
Ma ecco che sorge subito un interrogativo: Gesù, il Figlio di Dio, abban-
donato dal Padre al punto da non sentire più l’unione con Dio, al punto da
non sentirsi più Dio? È una cosa talmente impensabile e inaudita che la cri-
stianità, nei suoi due millenni di storia, con rare eccezioni non ha avuto il
coraggio di guardarla in faccia e di parlarne. E l’attenzione, come si sa, si è
concentrata piuttosto sull’angoscia sofferta da Gesù nel Getsemani e sulla
tremenda sofferenza fisica che egli ha subìto in croce.
Eppure, i Vangeli di Marco e di Matteo parlano del grido d’abbandono di
Gesù. Agostino di Ippona, padre della Chiesa, ha trovato questa soluzione:
Gesù ha lanciato quel grido non a nome proprio, ma in nome della Chiesa,
di noi uomini. E c’è qualcosa di vero in questo. Ma c’è anche un’altra spiega-
zione che s’incontra spesso: le parole di questo grido sono tratte dal Salmo
22, un salmo di lamento dell’antico Israele. Sarà allora che Gesù in croce ha
recitato questo salmo? E quindi quel grido non sarebbe altro che parte della
recita di una preghiera?
Ai nostri giorni, nell’esegesi biblica e nella teologia, sempre più ci si ren-
de conto che quel grido va preso alla lettera: Gesù ha veramente sperimen-
tato l’abbandono, l’assenza di Dio, la lontananza dal Padre, e sta proprio in
questo fatto la nostra salvezza e la salvezza del mondo intero. Gli evangelisti
Marco e Matteo hanno espresso questa convinzione con le parole del Salmo
223. L’apostolo Paolo la esprime a suo modo. Nella Lettera ai Galati afferma,
senza mezzi termini, che Cristo è diventato «maledizione per noi»4, male-
detto ovvero rigettato da Dio. E nella Seconda lettera ai Corinzi scrive che
Dio «lo fece peccato»5. La Lettera ai Filippesi parla della kenosi di Gesù: egli
si è spogliato di tutto, fino alla morte in croce, come maledetto (cf. Fil 2). Sta
proprio in questo il vangelo che Paolo annuncia come sconvolgente buona
notizia: Gesù non è rimasto estraneo a nulla, ha sperimentato l’abisso più
nero, è disceso fin nell’estrema lontananza da Dio. Non c’è più niente che
non sia raggiunto da Dio, niente che rimanga lontano da lui!
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dolore. Non fuggirlo, ma abbracciarlo nelle tante croci della vita propria e di
tutti. E raccogliergli cuori che si mettessero anch’essi ad amarlo.
Chiara in quel momento non prevedeva quello che ben presto avrebbe
sperimentato. Cercando e amando Gesù abbandonato in tutto ciò che sape-
va di dolore e di difficoltà, si realizzava un’alchimia divina: il dolore si trasfor-
mava in amore! «Ci si butta in un mare di dolore – ha scritto in una lettera di
quel tempo – e ci si trova a nuotare in un mare di amore, di gaudio pieno»6.
Non solo. Ben presto Gesù abbandonato le si è rivelato come chiave d’u-
nità, come via per realizzare l’unità con Dio e fra gli esseri umani, anche nelle
situazioni più difficili. «Se io non avessi avuto Lui nelle prove della vita – scri-
ve nella già citata lettera –, l’Unità non ci sarebbe […]. Egli abbandonato ha
vinto in me ogni battaglia, le più terribili battaglie»7.
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hubertus blaumeiser
credibile notizia: davvero una buona notizia, la buona notizia che non ci può
non dare occhi nuovi e un atteggiamento diverso davanti a tutto ciò che è
negativo.
Non solo: attraverso quel vuoto abissale sperimentato dal Figlio, Dio ver-
sa sull’umanità il divino, il suo amore. Attraverso la piaga dell’abbandono di
Gesù, attraverso questo suo immane dolore di non sentire più il rapporto col
Padre, passa lo Spirito: esce – se così si può dire – dalla Trinità e si riversa
sull’umanità. Gesù sperimenta l’abbandono – scrive Chiara in altre pagine –,
perché in quel momento dona a noi quel legame che lo unisce al Padre. Nel
donare lo Spirito, avverte di perderlo – ecco la piaga dell’abbandono! –, ma in
realtà, nella risurrezione, lo ritrova e non solo per sé ma insieme a tutti noi.
C’è quindi un legame fra la croce e la Pentecoste, quella di 2000 anni
fa e quella che noi con tanto anelito attendiamo all’esordio di questo nuovo
millennio; un legame cui sembra accennare già il quarto Vangelo quando
dice della morte di Gesù: «parédoken tò pneûma – [Gesù] consegnò lo spi-
rito» (Gv 19, 30). Noi siamo generati come figli di Dio da Gesù in croce, dal
suo abbandono! Ma questo vuole dire che c’è un’incredibile forza dentro di
noi: «l’amore di Dio è stato riversato nei nostri cuori per mezzo dello Spirito
Santo», dice Paolo nella Lettera ai Romani (5, 5).
Gesù abbandonato non ci rivela, però, solo fino a che punto Dio è amore,
amore in sé, nella Trinità, e amore verso di noi. Egli ci rivela anche come par-
tecipare a questa vita di Dio amore; come essere veramente quel «popolo
adunato dall’unità del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo» che è la Chiesa,
secondo la nota espressione di Cipriano di Cartagine, padre della Chiesa9; e
come essere, quindi, «segno dell’unità futura dell’umanità»10, segno di un’u-
nità che non annulla la ricchezza delle diversità, ma le riconcilia, le compone
in uno, in una meravigliosa sinfonia.
Per comporci in unità – sottolinea Chiara – occorre amarci con un amore
che, come Gesù abbandonato, sposta tutto davanti all’altro; solo facendoci
totalmente poveri, come lui e con lui, possiamo entrare nell’altro e accoglie-
1
Cf. F. Ciardi, Tre comandamenti per una triplice presenza di Cristo, in C. Lubich et
al., Egli è vivo. La presenza del Risorto nella comunità cristiana, a cura di M. Vandeleene,
Città Nuova, Roma 2006, pp. 11-34.
2
Commissione Fede e Costituzione, La Chiesa: verso una visione comune, 25.
3
Cf. F. Sedlmeier, L’abbandono di Gesù in croce alla luce del Salmo 22, in «Gen’s –
rivista di vita ecclesiale» 46 (2016), pp. 142-147.
4
Cf. Gal 3, 13: «Maledetto chi è appeso al legno». Cf. Dt 21, 23: «L’appeso è una
maledizione di Dio». La morte in croce – osserva Gérard Rossé – quando era inflitta
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hubertus blaumeiser
nel nome della Legge, aveva in se stessa, sulla base della Scrittura, questo valore di
ripulsa e di abbandono da parte di Dio. Cf. G. Rossé, Maledetto l’appeso al legno. Lo
scandalo della croce in Paolo e Marco, Città Nuova, Roma 2006.
5
Cf. 2 Cor 5, 21: «Colui che non aveva conosciuto peccato, Dio lo fece peccato in
nostro favore, perché in lui noi potessimo diventare giustizia di Dio». Similmente, la
Lettera agli Ebrei dichiara che Gesù è morto «fuori dall’accampamento», fuori cioè
del recinto della Città santa e dell’ambito dell’Alleanza: nello spazio dei senza Dio
(cf. Eb 13, 12-13).
6
C. Lubich, Lettere dei primi tempi (1943-1949). Alle origini di una nuova spirituali-
tà, a cura di F. Gillet e G. D’Alessandro, prefazione di F.M. Léthel, ocd, Città Nuova,
Roma 2010, p. 161.
7
Ibid., pp. 161-162.
8
C. Lubich, Gesù abbandonato, a cura di H. Blaumeiser, Città Nuova, Roma 2016,
p. 60.
9
Cf. Cipriano di Cartagine, De orat. Dom. 23, PL 4, 553, citato in Lumen gentium, 4.
10
Cf. Commissione Fede e Costituzione, La Chiesa: verso una visione comune, 25-
27.
È mia madre
incontri di papa Francesco con
Maria
Papa Francesco
in dialogo con Alexandre Avii Mello
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focus. prospettive per l’unità dei cristiani
Camminando insieme
un’unità fra noi non solo nella fede, ma in una carità più profonda vissuta
fino all’estremo»3.
Cinque anni più tardi, nel 1961, Chiara Lubich incontra per la prima volta
fratelli e sorelle della Chiesa luterana tedesca, che le chiedono di presentare
la sua esperienza col vangelo. Ne nasce uno “scambio di doni” fraterno e
schietto. Dopo pochi anni, con l’accordo delle rispettive autorità ecclesiasti-
che, si decide di costruire insieme il Centro ecumenico di vita a Ottmaring
(Augsburg); lì, ancora oggi evangelici e cattolici danno testimonianza d’u-
nità, rimanendo ciascuno ancorato alla propria Chiesa. Proprio quest’anno
ricorrono i cinquanta anni dalla sua fondazione; i frutti dell’amore reciproco
testimoniato e la fedeltà alla preghiera quotidiana comune per l’unità dei
cristiani hanno fatto di questo luogo un punto di riferimento per molti.
Ancora nel 1961, prima del Concilio Vaticano II, Chiara Lubich fonda a
Roma il Centro “Uno” per l’unità dei cristiani, con lo scopo di svegliare e
risvegliare nei cristiani il desiderio dell’unità. Il primo direttore è Igino Gior-
dani, pioniere ecumenico, politico, scrittore, giornalista, che si impegna fino
alla sua morte nel 1980 per l’unità dei cristiani. Si promuovono le prime
Settimane ecumeniche, inizialmente con luterani e cattolici, un luogo ove
possono conoscersi, scambiarsi le proprie esperienze col vangelo vissuto e
sperimentare nell’amore reciproco la presenza del Risorto secondo la sua
promessa: «Dove due o più sono uniti nel mio nome, ivi sono io in mezzo ad
essi» (Mt 18, 20).
Ad una delle prime Settimane ecumeniche partecipano alcuni ministri
anglicani; l’anno seguente arrivano al Centro del Movimento dei Focolari a
Rocca di Papa (Roma) un centinaio di persone dalla Gran Bretagna (angli-
cani, metodisti e cattolici), desiderosi di condividere uno stile di vita basato
sul vangelo. Il canonico anglicano Bernard Pawley, osservatore anglicano al
Concilio Vaticano II, e la moglie Margaret incoraggiano i rapporti e man-
tengono una lunga amicizia spirituale con Chiara Lubich. In seguito la Fon-
datrice dei Focolari incontrerà nel corso della sua vita ben sei primati della
Chiesa d’Inghilterra, iniziando con l’arcivescovo Michael Ramsey nel 1966.
È noto il rapporto della Fondatrice dei Focolari con il patriarca Athena-
goras. In queste pagine il metropolita d’Italia e di Malta, Gennadios Zervos,
ripercorrerà le tappe di questa amicizia spirituale tra questi due protagonisti
24 nu 231
diego goller - maria wienken
del dialogo. Tale particolare capitolo della storia dei Focolari sarà approfon-
dito sapientemente anche dal decano della facoltà di Teologia ortodossa
dell’Università ”Babes,-Bolyai” di Cluj-Napoca (Romania), il professor Vasile
Stanciu.
Anche i cristiani delle Chiese ortodosse orientali, come la Chiesa arme-
na-apostolica, quella copto-ortodossa e quella siro-ortodossa, vengono a
contatto con la spiritualità dell’unità e desiderano informarne la propria vita,
constatando una certa somiglianza della spiritualità dell’unità con la teolo-
gia dei padri della Chiesa. Riformati svizzeri, olandesi e di altri Paesi apprez-
zano in essa la sottolineatura della presenza di Cristo nella comunità. Oggi
la spiritualità dell’unità è condivisa da cristiani di circa 350 Chiese e comu-
nità ecclesiali, dando vita ad un popolo ecumenico che sa di essere unito da
un patrimonio comune dei cristiani e in più da questa spiritualità, chiamata
anche spiritualità di riconciliazione (Graz, 1997) o spiritualità ecumenica.
Una caratteristica, per chi la vive, è lo stretto ancoraggio alla propria Chiesa.
Anzi, spesso, a contatto con questa spiritualità si ritrova la propria radice
spirituale, e nasce il desiderio di inserirsi più vitalmente nella propria Chiesa.
Con gli anni, cristiani di diverse Chiese sentono di impegnarsi donandosi a
Dio nelle diramazioni del Movimento dei Focolari. Anche vescovi di varie
Chiese desiderano realizzare una fraternità sempre più profonda tra loro.
Dall’instancabile impegno di Chiara Lubich per promuovere la causa dell’u-
nità dei cristiani inizia, assieme ad altri fondatori e responsabili, il cammino
di Insieme per l’Europa, una rete di movimenti e comunità di varie Chiese,
accumunati dal desiderio di rinvigorire lo spirito cristiano in Europa e di con-
tribuire a una cultura di comunione. Essa viene autorevolmente definita una
«forza di coesione con l’obiettivo chiaro di tradurre i valori base del cristia-
nesimo in risposta concreta alle sfide di un continente in crisi» 4.
Lo specifico dell’agire ecumenico del Movimento dei Focolari è espresso
bene nel dialogo della vita, che può essere vissuto da tutto il popolo di Dio,
dai laici ai vescovi. Per Chiara Lubich aveva un significato forte, in quanto
realizzazione tra cristiani di Chiese diverse di una promessa di Gesù (Mt 18,
20). «E chi ci può separare dall’amore di Cristo?» (Rm 8, 35) ripeteva con
san Paolo. Si tratta di creare cellule vive nel corpo mistico di Cristo, cellu-
le capaci di diffondere uno spirito di unità all’interno delle proprie Chiese
1
C. Lubich agli interni del Movimento dei Focolari della Gran Bretagna e dell’Ir-
landa: risposte a 21 domande. Londra, 16 novembre 1996.
2
C. Lubich, Scritti spirituali/1, Città Nuova, Roma 1978, p. 183
3
Ibid.
4
Papa Francesco, dal videomessaggio all’evento pubblico di Insieme per l’Europa
a Monaco, 2 luglio 2016.
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focus. prospettive per l’unità dei cristiani
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bartolomeo i - olav fykse tveit - kurt koch
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bartolomeo i - olav fykse tveit - kurt koch
cheria, l’ingiustizia, l’abuso di potere: un Dio che ci conduce alla croce. E che
è stato confermato nella sua resurrezione.
Essere uno è essere nel vero Dio, che è amore. Unità significa vita in
comunione d’amore, significa che noi camminiamo insieme sulla via verso
la giustizia e la pace, uniti dal vincolo dell’amore.
L’unità della Chiesa è inseparabile dalla costruzione della pace ed è estre-
mamente necessaria in un mondo lacerato da frammentazione, polarizza-
zione, ignoranza, esclusione, odio e violenza. Poiché le religioni sono state
strumentalizzate per giustificare e alimentare tale odio e violenza, è neces-
sario impegnarsi insieme nella cooperazione interconfessionale con tutte le
persone di buona volontà. Sono veramente lieto che proprio questo è suc-
cesso nella Conferenza internazionale della pace alla fine di aprile, al Cairo. È
stato un grande dono per me essere lì insieme a papa Francesco, al patriarca
ecumenico Bartolomeo I, a papa Tawadros I della Chiesa copta ortodossa e
ad altri leader cristiani insieme ai leader musulmani di tutti i continenti, che
si erano riuniti dietro l’invio del professor Ahmed al-Tayyeb, il grande imam
della moschea e dell’Università di Al-Azhar. All’unanimità abbiamo invocato
la pace e la riconciliazione come impegno comune delle nostre diverse fedi.
Sono incoraggiato da questa esperienza e spero che indurrà anche tutti voi ad
essere saldi nell’impegno verso l’unità e l’amore di tutta la vita.
Che la grazia di nostro Signore Gesù Cristo, l’amore di Dio e la comunio-
ne dello Spirito Santo possano guidarci e rafforzarci nella nostra missione di
servizio nel mondo perché non siamo più estranei l’uno all’altro, ma insieme
siamo pellegrini in cammino verso il regno di Dio della giustizia e della pace.
Che Dio benedica tutti voi.
Amen.
Papa Francesco, Omelia durante la celebrazione dei Vespri nella Solennità della
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focus. prospettive per l’unità dei cristiani
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re, spiritualmente siamo e ci sappiamo uniti in lui a motivo anche del nostro
comune battesimo. E assieme all’apostolo Paolo chiediamo: «Chi ci separe-
rà dall’amore di Cristo?» (Rm 8, 35).
c) Gesù in mezzo a noi. Chiara e le prime focolarine dicevano agli inizi del
Movimento dei Focolari di aver sperimentato che tra loro, silenziosamente,
si era introdotto un terzo: era Gesù. Colui che ha promesso «Dove sono due
o tre riuniti nel mio nome, io sono in mezzo a loro» (Mt 18, 20)
Gesù in mezzo tra cristiani di Chiese diverse: è lui la nostra unità1.
Basandomi su queste premesse, vorrei ora rileggere i cinque “imperati-
vi”, formulati dal documento cattolico-luterano Dal conflitto alla comunione,
elaborato in vista dei 500 anni della Riforma. Sono imperativi che a mio av-
viso non riguardano soltanto luterani e cattolici, ma possono essere vissuti
da cristiani di tutte le Chiese ed essere messi alla base di un proficuo impe-
gno ecumenico; valgono non solo per i dialoghi teologici, ma anche per noi,
semplici fedeli, che sottolineiamo fra l’altro l’importanza del “dialogo della
vita”, il riavvicinamento tra cristiani nella vita di ogni giorno.
Primo imperativo: […] sempre partire dalla prospettiva dell’unità e non dal
punto di vista della divisione, al fine di rafforzare ciò che hanno in comune, anche
se è più facile scorgere e sperimentare le differenze2.
Partire dalla prospettiva dell’unità. Fin dagli albori del Movimento dei
Focolari Chiara Lubich rivolge alle sue compagne questo invito: «Gesù, mo-
dello nostro, ci insegnò due sole cose, che sono una: ad essere figli d’un solo
Padre e ad essere fratelli gli uni gli altri»3. È la scoperta che “Dio è amore”
(cf. 1 Gv 4, 8), che Dio è Padre, una verità fondamentale della nostra fede.
Dobbiamo essere certi che egli è vicino a noi, che ci segue in ogni passo,
che si nasconde dietro tutte le circostanze dolorose e gioiose, che conosce
tutto di noi. Impressiona la frase di Gesù: «Anche i capelli del vostro capo
sono tutti contati» (Lc 12, 7). Perché? Perché ci ama. Dobbiamo credere al
suo amore. È ciò che dà senso alla nostra vita. Non dovrebbe essere que-
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Sotto questo segno vorremmo fare adesso una breve riflessione per
quanto riguarda il cammino che proviene da svariate direzioni e tende verso
l’unità. Noi tutti siamo stati invitati dai nostri amici del Movimento dei Fo-
colari, per metterci come cristiani insieme in cammino, che deve essere un
cammino comune e che ha una meta comune. Questa meta si chiama unità.
Questo è semplicemente il contrario di discordia, litigio e inimicizia. Sì, l’uni-
tà rimane una parola agognata di fronte a tante contese, tanto odio e tante
guerre: Dio ci doni di essere «un cuor solo ed un’anima sola» (At 4, 32), così
come si sentono le persone che si amano reciprocamente. Questa sarebbe
davvero una meta che vale la pena di perseguire. Inizialmente volevo elen-
care qui la variopinta composizione dei partecipanti. È come il riflesso della
descrizione negli Atti degli Apostoli (capitolo 2) della prima Pentecoste a
Gerusalemme, dove tutti erano convenuti. Pure Luca, che narra la storia, ha
nominato i singoli Paesi da cui provenivano le molte persone. E ci si chiede:
«Per carità! Come è possibile realizzare l’uno da una così grande diversità?».
Sì, cari fratelli e sorelle, nonostante questa sconcertante pluralità fra di noi,
vogliamo sperare con coraggio che avvenga il miracolo pentecostale dell’u-
nità sperimentata in Cristo.
Chiara Lubich ha messo il carisma dell’unità al centro di ogni suo agire.
Carisma significa dono, grazia. Il dono dell’unità. Un dono che Dio stesso dà
ad ognuno e ognuna di noi. A noi sta solo accoglierlo, e se noi lo accogliamo,
possiamo anche farne partecipi altri – per amore di Cristo.
Nel Movimento dei Focolari si dice talvolta: «Ti dono la mia unità», come
se si dicesse: «Ti dono un fiore o un libro o una tavoletta di cioccolato».
Così reale può essere l’unità e può toccare tutti i sensi: come il profumo
di un fiore, il gusto di una cioccolata, l’imparare da un libro. Così reale può
essere l’unità alla quale insieme vogliamo tendere con le nostre differen-
ze non meno reali. «Ti dono la mia unità»: ciò significa concretamente, da
toccare con mano: «Io ti appartengo. Voglio amarti come Cristo ama tutti
noi insieme e come noi apparteniamo a Cristo. Ti dono la mia unità». Che
meraviglioso dono!
Ci riusciremo così semplicemente? – ci si può chiedere. E soprattutto:
come potrà essere perché non resti solo un’emozione del momento, ma
possa sostenere tutta una vita?
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che cosa ci unisce e quanto ci unisce? Ma anche per dire con sobrietà: dove
esistono ancora notevoli differenze? Più di trent’anni si è dialogato intensa-
mente a vari livelli in questa direzione e sempre più tale dialogo è diventato
un processo di riavvicinamento.
Alla fine è stato presentato un documento dal titolo: Dichiarazione con-
giunta sulla dottrina della giustificazione. Questa è una parola difficile, che
vorrei spiegare brevemente nella sua essenza. Si tratta del nostro esistere
dinanzi a Dio. Come possiamo noi uomini esistere dinanzi a Dio? La risposta
è: noi possiamo esistere con la nostra vita solo per pura grazia di Dio e per
la sua misericordia, non per merito delle nostre forze e delle nostre buone
azioni. Solo fidandoci della grazia di Dio sperimentiamo in modo illimitato
l’amore di Dio, come cristiani liberi e giustificati, nonostante le nostre colpe.
Niente e nessun’altro, se non Dio stesso, ci apre questa strada per amore
di Gesù Cristo – nessuna Chiesa, nessun sacerdote e nessun papa. Nella
dottrina sulla giustificazione del peccatore proclamata radicalmente da Lu-
tero vale: sola gratia et sola fide; quindi solamente per la grazia e per la fede
siamo davanti a Dio ciò che siamo, cioè i suoi amati figli. Al tempo della
Riforma questa radicale presa di posizione fu intesa anche come attacco
all’importanza della Chiesa istituzionale e dei suoi ministeri e ha dato adito
a forti reazioni.
Il nucleo centrale dei contrasti teologici al tempo della Riforma ha por-
tato ora con la Dichiarazione congiunta sulla dottrina della giustificazione a una
nuova comprensione e ha trovato con le nuove condizioni del nostro tem-
po anche una nuova forma. Che cosa essa significhi veniva ora definito e
spiegato molto dettagliatamente. Alla fine si dice che tutte e due le Chiese
annunciano insieme la loro concordanza riguardo a verità fondamentali del-
la fede, dichiarando nulle, come conseguenza, tutte le accuse e le condan-
ne reciproche espresse nel corso della storia. Questo ha significato la fine
dell’antagonismo fra le Chiese luterane della Riforma e la Chiesa romano-
cattolica a livello mondiale. Allo stesso tempo venivano elencate con chia-
rezza le diversità ancora esistenti, per essere insieme rielaborate.
Tutto questo sembra forse molto teorico. Ma se teniamo presente quan-
to è avvenuto, quante guerre sono state condotte per via di queste diffe-
renze, quanti ripudi reciproci facevano parte della quotidianità, allora si
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comprende che qui è sorto uno spirito nuovo. Diventa quindi evidente quale
svolta sia avvenuta, quando si afferma formalmente e in modo vincolante:
tutte le accuse e le condanne sono cancellate e non valgono più fra di noi.
Noi siamo insieme, fianco a fianco.
Poco prima della fine del XX secolo, nell’anniversario della Riforma del
1999 – quindi veramente all’ultimo momento – la Dichiarazione congiunta
fu firmata dai principali rappresentanti delle due Chiese. E già poco dopo,
nel gennaio del 2000, puntuali all’inizio del nuovo millennio dopo Cristo,
abbiamo festeggiato insieme questo nuovo inizio e abbiamo aperto insieme
la porta santa nella basilica di San Paolo fuori le mura. Giovanni Paolo II
aveva invitato l’allora presidente della Conferenza luterana mondiale, come
anche l’arcivescovo di Canterbury per la Comunione anglicana e metropoliti
ortodossi delle Chiese orientali. Insieme siamo entrati nella basilica per la
liturgia. Una cosa indimenticabile! La basilica era strapiena: da un lato la
curia, dall’altra parte il corpo diplomatico e tanti, tanti visitatori. Quando
abbiamo attraversato la porta – io avevo il privilegio di portare il libro del
Vangelo – con il papa da una parte e l’arcivescovo di Canterbury dall’altra,
ci sono stati un grande giubilo e applausi in questa grande chiesa. L’inizio
comune del nuovo millennio, l’unità fra i cristiani resa visibile, niente accu-
se, niente condanne, ma come sta scritto nella Dichiarazione congiunta: par
cum pari – uguale fra uguali, come fratelli e sorelle!
I singoli passaggi della Dichiarazione congiunta iniziano con le parole:
«Insieme confessiamo…». Questa era sempre la meta: affermare quello che
possiamo professare in modo vincolante, insieme, ufficialmente. Nelle co-
munità delle due Chiese in tutto il mondo sono sorte nuove forme di comu-
nione ecumenica a diversi livelli. Altre comunità di portata mondiale, come
quella dei metodisti, si sono unite a noi ed altre si sono messe in cammino.
Così è nato un nuovo modello ecumenico, non più determinato da criteri
strutturali o istituzionali – su come dobbiamo strutturarci, quali vestiti dob-
biamo portare e chissà cosa ancora –, ma un modello sostenuto soltanto dai
punti comuni delle verità fondamentali della fede. Molte differenze esterne,
fino a quel momento ritenute insormontabili, hanno perso il loro significato
di divisione.
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Sì, la nostra non è mera speranza, noi sappiamo che voi continuerete
a seguire il vostro carisma di unità nell’amore reciproco, abbiamo visto e
sentito come vivete la missione del Movimento dei Focolari come dono alle
Chiese e al mondo in tanti modi diversi.
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dolore universale e quindi mio. […] Così per gli anni che mi riman-
gono: assetata di dolori, di angosce, di disperazioni, di distacchi, di
esilio, di abbandoni, di strazi, di… tutto ciò che è Lui, e Lui è il Dolore.
Il rev. dr. Olav F. Tveit, segretario generale del Consiglio mondiale del-
le Chiese e teologo luterano, fece riferimento alla spiritualità dell’unità con
Gesù abbandonato al cuore di essa con queste parole:
Non è difficile notare quanto queste frasi trovano una risonanza nel te-
sto di Chiara del settembre 1949. Se teniamo in cuore Gesù abbandonato
mentre camminiamo insieme lungo il nostro pellegrinaggio, impareremo
insieme a riconfigurare il passato che ci separa e a vedere con più chiarezza
dove Dio ci vuole condurre come discepoli di Cristo. L’ecumenismo non è
soltanto dialogo e chiarimenti dottrinali, ma una realtà dinamica che include
tutte le dimensioni della nostra testimonianza al mondo: così che il mondo
possa credere, poiché stiamo divenendo uno mentre siamo insieme lungo
il cammino.
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Di questa prima esperienza Chiara disse: «Le parole di Dio ci sono ap-
parse straordinariamente nuove, come non le avessimo mai conosciute».
Dopo essere entrata in contatto con alcuni cristiani luterani, Chiara dice:
«Nasce fra tutti noi, che vediamo ed amiamo nell’anomalia della non piena e
visibile comunione un volto di Gesù crocifisso e abbandonato, una fraternità
schietta e autentica». La spiritualità di comunione, compresa la comunione
con coloro che non appartengono alla sua stessa Chiesa, è cresciuta, non
come teoria, bensì attraverso l’esperienza vera e viva dell’amore evangelico
senza limiti.
Proprio come Chiara e i suoi compagni – che sentirono la novità della
parola evangelica nei propri cuori, ma solo gradualmente si resero conto
delle sue implicazioni più complete – penso che possiamo dire che, mentre
la dottrina della Chiesa come comunione era chiaramente presente negli
insegnamenti del Vaticano II, solo ora, quasi sessant’anni dopo, le implica-
zioni pratiche di questo concetto assumono una forma più definitiva nella
vita istituzionale della nostra Chiesa, trasformando il modo in cui la Chiesa
è presente e agisce nel mondo.
Questa breve riflessione è intitolata La Chiesa come comunione: un con-
cetto che deve ancora compiersi, che deve ancora diventare più reale ed
efficace nella vita personale e collettiva dei cristiani e soprattutto, per molti
motivi, nella comunità cattolica.
Che Chiara fosse chiaramente consapevole dell’enorme potenziale ecu-
menico di una riforma della Chiesa cattolica in direzione di una ecclesiologia
di comunione è evidente quando cita con approvazione una dichiarazione
del cardinale Willebrands di più di quarant’anni fa. Lasciatemi leggere le
sue parole: «Molti anni fa, il cardinale Willebrands, in modo quasi profetico,
scrisse che un’approfondita ecclesiologia della comunione è forse la gran-
de possibilità dell’ecumenismo di domani. La restaurazione dell’unità della
Chiesa va ricercata secondo le direttive di questa ecclesiologia, che è a un
tempo molto antica […] e molto moderna».
Alcuni mesi fa, in occasione della riunione annuale della Conferenza dei
segretari delle comunioni cristiane mondiali – un importante incontro ecu-
menico che riunisce i maggiori rappresentanti di circa trentacinque Chiese
e comunità di carattere internazionale e presenti in tutto il mondo – prati-
camente tutti coloro che vi hanno partecipato hanno espresso ammirazione
e gratitudine per il ministero di papa Francesco. Di che cosa sono felici i
nostri partner ecumenici? Nutrono grandi speranze che il lavoro di riforma,
che egli ha intrapreso nella Chiesa cattolica, porterà un vantaggio decisivo
anche alle loro comunità e che il loro dialogo con la Chiesa cattolica, rinno-
vato secondo le linee proposte da papa Francesco, diventerà sempre più una
ricerca comune della volontà di Cristo, libera da qualsiasi autosufficienza o
autoreferenza preconcetta.
Cosa sta facendo papa Francesco di così interessante? Non è solo una
questione del suo stile, della sua semplicità e della sua schiettezza, o della
sua richiesta di umiltà, di discernimento e di servizio, del suo impegno nei
confronti dei poveri e degli svantaggiati. Egli sta introducendo, con fermez-
za, elementi di reale riforma nel modo in cui la Chiesa amministra se stessa
e svolge la sua missione nel mondo.
Egli ha in mente una riforma del papato e dell’episcopato:
Dal momento che sono chiamato a vivere quanto chiedo agli altri,
devo anche pensare a una conversione del papato. A me spetta,
come Vescovo di Roma, rimanere aperto ai suggerimenti orien-
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Non solo, ma papa Francesco è convinto che, come ha detto alla com-
memorazione del cinquantesimo anniversario del Sinodo dei Vescovi, il 17
ottobre 2015:
Vale la pena citare il testo: «Si auspica pertanto che lo stesso Vescovo
[...] non lasci completamente delegata agli uffici della curia la funzione giu-
diziaria in materia matrimoniale».
Nella lettera apostolica parallela, riguardante le Chiese cattoliche orien-
tali, il papa descrive la figura del vescovo quale giudice degli aspetti spiritua-
li: «Il Vescovo infatti – costituito dallo Spirito Santo come figura di Cristo e al
posto di Cristo […] – è anzitutto ministro della divina misericordia; pertanto
l’esercizio della potestà giudiziale è il luogo privilegiato in cui, mediante l’ap-
plicazione dei principi della “oikonomia” e della “akribeia”, egli porta ai fedeli
bisognosi la misericordia risanatrice del Signore».
C’è dell’altro. Francesco favorisce il ruolo dei livelli intermedi del governo
della Chiesa. Non dovrebbe finire tutto a Roma. E scrive: «L’appello alla Sede
Metropolitana, come ufficio capitale della provincia ecclesiastica, stabile
nei secoli, è un segno distintivo della primigenia forma della sinodalità nelle
Chiese orientali, che deve essere sostenuto e incoraggiato».
Tutti questi sono passaggi da un esercizio di organismo iper-centraliz-
zato e monarchico verso una Chiesa che è una comunione spirituale, in cui
ogni parte svolge il proprio ruolo, sotto la legge suprema dell’amore, della
solidarietà, della fratellanza e della responsabilità reciproca.
Nel dialogo cattolico-ortodosso la Commissione ha trascorso più di
dieci anni a chiarire ciò che i cattolici e gli ortodossi possono dire insieme
sull’esercizio dell’autorità e della sinodalità nella vita della Chiesa nel Primo
millennio, quando le Chiese dell’Est e dell’Ovest erano ancora in comunio-
ne. La somiglianza tra la visione che è emersa da questa accurata revisione
teologica e storica e la visione che il papa promuove è notevole.
Papa Francesco è alla ricerca di un diverso e più ampio equilibrio di
responsabilità e autorità nella Chiesa: collegialità e sinodalità genuine. Al
riguardo, egli suggerisce che i cattolici hanno qualcosa da imparare da-
gli ortodossi (n.d.r., in Evangelii gaudium, 246): «Per fare un esempio, nel
dialogo con i fratelli ortodossi, noi cattolici abbiamo la possibilità di impa-
rare qualcosa di più sul significato della collegialità episcopale e sulla loro
esperienza della sinodalità». In sintesi, cinquant’anni dopo il Concilio gli
aspetti fondamentali della visione del Concilio della Chiesa come comu-
nione vengono ripresentati come una riforma che non può più essere po-
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sticipata. È importante notare che il papa non sta premendo per una novità
rivoluzionaria, ma per la riappropriazione di alcuni valori dinamici che ap-
partengono in modo diacronico all’essenza della Chiesa come comunione
e comunità: sinodalità e collegialità, discernimento pastorale e rispetto per
le strutture intermedie.
Da parte sua, il mondo ecumenico è convinto che questo modo di rifor-
ma della Chiesa cattolica sia una fonte importante di speranza per l’ecu-
menismo nel XXI secolo, in particolare per il ripristino della comunione con
l’Oriente. Papa Francesco stesso ha detto a una delegazione del patriarcato
di Costantinopoli, il 27 giugno 2015: «L’attento esame di come si articolano
nella vita della Chiesa il principio della sinodalità ed il servizio di colui che
presiede offrirà un contributo significativo al progresso delle relazioni tra le
nostre Chiese». La Chiesa cattolica può legittimamente aspirare ad essere il
promotore principale dell’unità di tutti i discepoli di Cristo, a condizione che
la Chiesa trovi il coraggio di rinnovarsi in armonia con i principi ecclesiolo-
gici validi nel Primo millennio, staccandosi da elementi strettamente lega-
ti a certe nozioni politiche, giuridiche e secolari che emergono fortemente
nel Secondo millennio in Occidente. Una simile riforma, così essenziale per
la causa dell’unità cristiana, non può essere seriamente intrapresa da una
Chiesa isolazionista e autoreferenziale. Può essere implementata solo da
una Chiesa umile e nella preghiera, una Chiesa che, senza paura, si sforza
di vivere secondo gli scopi del Signore, compresa quella suprema intenzione
devotamente rivolta al Padre nell’ultima cena: «Che tutti siano uno [...] che
il mondo creda che tu mi hai mandato» (cf. Gv 17, 21).
In un incontro con Chiara, Konrad Raiser, ex segretario del Cmc, ha egre-
giamente dichiarato quale dovrebbe essere il nostro atteggiamento e la no-
stra azione ecumenica in questa fase attuale: «La nostra ricerca dell’unità
non consiste nello sforzo di costruire un edificio, bensì in un processo di
spogliamento, di svuotamento di noi stessi, di tutto ciò che ci tiene separati
da Cristo e gli uni dagli altri». Proprio perché l’ecclesiologia di comunione
non è possibile senza una spiritualità di comunione, il Movimento dei Foco-
lari occupa davvero un posto provvidenziale nel cuore di ciò che lo Spirito
di Dio dice alle Chiese in questo tempo storico di trasformazione. Chiara ci
esorta: «Ciò che manca, quindi, sulla nostra terra è trattarsi da fratelli, è la
memorazione comune della Riforma nel 2017, in «Il Regno - documenti», n. 11, 1 giugno
2013, p. 384.
3
C. Lubich, L’arte di amare, Città Nuova, Roma 2005, p. 29.
4
Cf. Unitatis redintegratio.
5
Dal conflitto alla comunione. La Commissione luterana-cattolica sull’unità e la com-
memorazione comune della Riforma nel 2017, cit.
6
C. Lubich, La dottrina spirituale, Città Nuova, Roma 2006, p. 142.
7
Dal conflitto alla comunione. La Commissione luterana-cattolica sull’unità e la com-
memorazione comune della Riforma nel 2017, cit.
8
Ibid.
9
Ibid.
10
La Dichiarazione di Ottmaring. Nuovo impegno ecumenico dei Focolari. Intervista
a Maria Voce, Ottmaring, 21 febbraio 2017.
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focus. prospettive per l’unità dei cristiani
Protagonisti di dialogo:
patriarca Athenagoras I
e Chiara Lubich
nuove divisioni, non mancano, ma con fiducia possiamo dire che le speranze
per l’avvenire sussistono.
È indiscutibile che già l’annuncio del Concilio Vaticano II aveva indub-
biamente inaugurato un clima nuovo, di comprensione e di riconciliazione,
di fratellanza e di solidarietà, di pace e di dialogo, tanto in seno alla Chiesa
cattolica romana, quanto in seno all’umanità cristiana, grazie al quale molte
posizioni rigide, presenti da secoli nella società, si sono poi poco a poco
ammorbidite. Il patriarca Athenagoras, nel quale era tanto forte il desiderio
di attuare un riavvicinamento tra le due Chiese, non perse occasione per
manifestare la propria simpatia già a papa Giovanni XXIII, che per lui era un
«uomo mandato da Dio»1.
Con il Vaticano II e Paolo VI tutto questo divenne realtà e non è neces-
sario riportare qui quanto è già universalmente conosciuto: gli avvenimenti,
gli incontri, i discorsi, la stima e l’affetto che hanno legato questi due fari di
santità e di sapienza.
Ma occorre tenere presente che Paolo VI aveva una profondissima stima
di Chiara, la quale, a sua volta, aveva una vicinanza personale al papa della
massima importanza, elementi risultati utili e necessari per la riconciliazio-
ne e il progresso fra Roma e Costantinopoli.
Chiara Lubich si recò per la prima volta nella sede del patriarcato ecu-
menico di Costantinopoli il 13 giugno 1967, ma in precedenza il patriarca
Athenagoras aveva già sentito parlare del Movimento dei Focolari e della
spiritualità dell’unità soprattutto da padre Angelo Beghetto, francescano
conventuale, rettore della chiesa di Sant’Antonio di Istanbul.
Fino alla morte del patriarca, la Lubich compì otto viaggi per incontrarlo
25 o 27 volte, se si includono i due colloqui ufficiosi, svoltisi nella Facol-
tà patriarcale di Chalki. Ma quella prima volta fu l’evento da Dio preparato
dall’eternità.
Chi può dimenticare l’accoglienza cordiale, paterna, di Athenagoras nei
confronti di Chiara e del suo seguito? Fu un incontro pieno di realtà simbo-
liche. L’amore del patriarca, la sua paternità e la sua umiltà furono commo-
venti. Uomo di Dio, uomo di unità, carismi che ha riconosciuto anche alla Lu-
bich, egli dimostrò la sua unità a Chiara e ai suoi collaboratori con due gesti
significativi: innanzitutto, fece accomodare attorno alla sua scrivania tutti,
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poi, abbracciò i due sacerdoti cattolici, volendo con ciò esprimere quell’uni-
tà che ancora non c’era, ma che «egli ardentemente agognava»2.
Subito dopo confessò: «Aspettavo questo incontro con grande deside-
rio», e prendendo le mani della Lubich, le manifestò paternamente la sua
immensa gioia e la sua commozione: «Prego per la vostra opera. L’ammiro.
Conosco il grande messaggio del Movimento».
La spiritualità del Movimento dei Focolari fu il primo argomento della
loro conversazione. Il patriarca accoglieva con amore tutto ciò che di prezio-
so Chiara esponeva con maestria e serenità. Moltissime volte Athenagoras
intervenne e fece considerazioni, sottolineando i valori spirituali che univa-
no ortodossi e cattolici. Gli fecero grande impressione le parole di Chiara, di
come «si fossero accorti che la spiritualità del Movimento era adatta anche
per gli altri cristiani», e le commentò così: «Abbiamo sete della spiritualità»,
volendo in questo modo esprimere il suo desiderio di riconciliazione e di
ritorno alle origini.
Un altro aspetto colpì tanto il patriarca: che la spiritualità del Movimento
era centrata sul vangelo e sull’amore scambievole, cosa che poteva offrire
molto a ogni Chiesa. Vigorosa fu la risposta di Athenagoras: «Come dap-
pertutto, come dappertutto», esprimendo così la volontà che i suoi cristiani
potessero presto prendere contatto con il Movimento. Poi, soffermandosi
sulla carità reciproca che unisce i popoli, affermò: «È una gran cosa cono-
scersi. Abbiamo vissuto isolati, senza avere fratelli, senza avere sorelle per
tanti secoli, come orfani. Perché? Il fratello è la porta. Ecco il segreto!». Sono
parole illuminate da Dio.
Chiara, con la sua spiritualità e la sua meravigliosa personalità, non solo
ha preparato, ma è anche riuscita a unire saldamente i due ponti: Paolo VI
e Athenagoras, cosa che ha dato luogo a inaspettati e gloriosi avvenimenti
ecclesiali.
Il patriarca è stato colui che ha camminato e aperto nuove strade, co-
struendo rapporti e sottolineando nuovi termini nella spiritualità, nella vita
dell’uomo sofferente, ferito dalle divisioni e dall’indifferenza: «Abbiamo lo
stesso Battesimo: la porta della Chiesa. Per il Battesimo siamo entrati tutti
dalla stessa porta. Mi dica, perché non ritorniamo allo stesso calice?».
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Offriamo dal nostro cuore un grande grazie, come dei bellissimi fiori, ad
Athenagoras e a Chiara, mandati da Dio, che hanno dato la loro vita per la
realizzazione della volontà di Dio «Che tutti siano una sola cosa» (Gv 17, 21),
che si realizzerà come dono dello Spirito Santo.
1
Dalla Lettera al papa Giovanni XXIII nel Natale del 1958. Cf. «Tomos Aga-
pis», 1958, pp. 20-25.
2
Nota generale: alcune citazioni sono o dirette espressioni del metropolita
Zervos, oppure frasi di documenti da lui conosciuti.
3
C. Lubich agli interni del Movimento dei Focolari della Gran Bretagna e dell’Ir-
landa: risposte a 21 domande. Londra, 16 novembre 1996.
4
Prolusione di sua eminenza reverendissima il metropolita Gennadios Zervos
per l’inizio delle attività della Cattedra ecumenica internazionale Patriarca Athena-
goras - Chiara Lubich dell’Istituto Universitario Sophia. Loppiano (Firenze), 14 dicem-
bre 2017.
5
Messaggio di papa Francesco in occasione del conferimento del dottorato ho-
noris causa in Cultura dell’Unità a sua santità Bartolomeo I, Città del Vaticano, 26
ottobre 2015.
SOMMA DI TEOLOGIA
di Tommaso d’Aquino
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focus. prospettive per l’unità dei cristiani
Il dialogo è vita
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autori vari
Sono della Chiesa armena apostolica. Quando avevo diciotto anni, il mio
Paese, il Libano, era nel bel mezzo della guerra. Attraversavo un momento
di crisi proprio a causa di quel conflitto scandaloso e assurdo. Così avevo
ideato una religione a mio uso e consumo, non credevo più in alcun valore di
quel mondo pazzo in cui vivevo.
Quando ho incontrato i giovani dei Focolari, ho semplicemente voluto
seguirli. Il contrasto tra il contesto malato nel quale vivevamo e la semplicità
con cui essi esprimevano la gioia di vivere anche in quelle circostanze hanno
avuto il sopravvento sulle mie fantasie e sulle mie rivolte.
Così ho iniziato la mia avventura nell’ideale dell’unità, con la semplicità
e il coraggio di rispondere all’odio con l’amore, di lottare contro la follia del
mondo con la sapienza che Chiara Lubich aveva messo nei cuori di quelle
persone. Ho desiderato crescere con loro per diventare come loro.
Un momento importante è stato quando qualcuno mi ha parlato di Gesù
abbandonato. Io, che ero solo un giovane ribelle, avevo trovato un signifi-
cato per la mia vita. Avevo trovato la rivoluzione per la quale vale la pena
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vivere e combattere, il segreto della vita e della morte, l’alchimia divina che
trasforma il dolore in amore, le sofferenze in trampolino per lanciarsi più in
alto e andare oltre. In realtà, quel giorno ho capito che non dovevamo più
lamentarci a causa della guerra, perché saremmo stati in grado di uscirne
vittoriosi, a condizione di restare fedeli a Gesù abbandonato e di amare an-
dando al di là della piaga, ricominciando sempre, subito e con gioia.
Come gruppo di giovani avevamo adottato un villaggio dal quale gli
abitanti originari, a causa della loro appartenenza religiosa, erano fuggiti.
Altre persone, infatti, provenienti da regioni distrutte, l’avevano occupato.
Tutte le settimane visitavamo i giovani in questo villaggio, cercando di aiu-
tarli moralmente e materialmente quando era possibile. All’inizio, però, non
sapevamo che alcuni degli abitanti originari erano rimasti nel villaggio con
i loro figli. Noi ci occupavamo sia dei giovani che erano rimasti nascosti nel
villaggio, sia dei giovani rifugiati, e pian piano il villaggio ha superato questo
periodo critico senza spiacevoli incidenti. Più di venticinque anni dopo, ho
incontrato uno di questi ex giovani fuggiaschi, il quale mi ha detto che, senza
la nostra azione, la sua vita sarebbe stata spezzata; aveva potuto superare la
paura e rimanere ottimista. Ciò gli ha permesso di sfruttare le opportunità
che la vita gli ha offerto.
Così le occasioni di riconoscere il volto di Gesù abbandonato e continua-
re ad amare e ad andare oltre la piaga si sono moltiplicate e il mio impegno
si è rafforzato.
Un altro momento molto importante nella mia vita è stato quando Chia-
ra ha detto ai membri del Movimento, che non appartenevano alla Chiesa
cattolica, di andare ciascuno nella propria Chiesa, essendo attivi in essa. Ho
deciso di fare senza esitazione quello che Chiara ci chiedeva, nonostante la
difficoltà che ciò rappresentava per me, che conoscevo poco la lingua arme-
na utilizzata per la liturgia e nelle conversazioni con gli altri fedeli. A causa
di questo, avevo paura di essere rifiutato dalla comunità armena. Quello che
mi ha incoraggiato ad andare avanti e a riprendere i legami con la mia Chie-
sa è stato sapere che avrei potuto portare tutta la ricchezza della mia Chiesa
alla comunità dei Focolari, dove ho imparato che ogni Chiesa è una ricchez-
za per gli altri, e che l’unità non significa l’assimilazione delle Chiese le une
nelle altre, ma la complementarietà nell’armonia nonostante le differenze.
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fraternità copto-ortodossa - cattolica
Sami Creta
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Così due anni dopo, nel 2015, Anis, un mio amico della Chiesa copto-
ortodossa, e io avemmo l’idea di realizzare un evento speciale in quella data:
una mostra d’arte moderna copta. Il progetto era di mettere insieme i capi
delle due Chiese in modo amichevole e non ufficiale, presso il centro cultu-
rale gesuita, dove lavoro come responsabile dei programmi.
Facemmo visita a papa Tawadros, il quale accettò subito il nostro invito
a visitare una piccola chiesa cattolica per un incontro non ufficiale, cosa non
affatto semplice in Egitto. Quell’atto rivelò la sua semplicità e il suo profon-
do desiderio di questo incontro.
Prima di inaugurare la mostra, nella chiesa ci fu una breve preghiera con
un centinaio di partecipanti di entrambe le Chiese. Nel suo discorso papa
Tawadros illustrò tutte le diverse forme di unità e di fraternità, e affermò che
per realizzare l’unità c’è bisogno di eroi nella fede.
Fu proprio una bella giornata! Il papa ne rimase contento e decise di in-
vitare i cattolici l’anno seguente, sempre in questa data speciale, per com-
memorare questa fraternità presso uno dei monasteri copti nel suo nuovo
centro chiamato Logos.
Nel 2016, l’incontro andò molto bene e questa volta ricevemmo una let-
tera ufficiale da parte di papa Francesco, letta dal nunzio apostolico nel suo
saluto per l’occasione.
Papa Tawadros ebbe poi un’idea per una nuova iniziativa: onorare una
figura cattolica l’anno seguente. In quell’occasione rese onore a padre Henri
Boulad, sj, per il lavoro svolto per molti anni a favore della formazione dei
giovani in Egitto.
Questa azione è il frutto di due giovani, uno copto-ortodosso e l’altro
cattolico, non sacerdoti, che credono nella fraternità e nell’unità dei popoli.
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celebrato dal nostro amico padre Djordje, davanti all’icona delle donne al
sepolcro. Si inizia con una preghiera raccolta, accompagnata da canti, poi
con commozione, tenendoci tutti per mano, preghiamo secondo la tradi-
zione della festa di Slava. Dando la benedizione per la prima volta, padre
Djordje ci ha indicato le sante donne del sepolcro come modelli e protettrici
del focolare, incoraggiandoci sull’esempio delle donne che seguirono Gesù
ad essere «come allora il sale che trasforma la società e tutti attorno».
Al rito segue l’agape, con varie specialità culinarie, in un’atmosfera di
festa e comunione, come in una famiglia.
Una nostra conoscente ci aveva detto che vede in questo passo «una
vera inculturazione che apprezza e fa propria la cultura dell’altro: il vero cri-
stianesimo». Un’altra persona ci ha ringraziato, «perché ogni incontro che
fate è un’esperienza di vangelo».
«Le vostre scuse arrivano un po’ in ritardo – quasi 480 anni dopo l’esecu-
zione di Felix Manz a Zurigo». Manca autore della frase e relativa citazione.
Egli era un mennonita proveniente dagli Usa, nel giorno della Riconciliazione
nel 2004, nella città che per i riformisti era quella di Zwingli e per gli anabat-
tisti quella di Felix Manz, nonché culla del movimento anabattista. Il 5 gen-
naio 1527 Felix Manz, primo capo anabattista, venne annegato nelle acque
del fiume Limmat. Sulla strada verso l’esecuzione cantava ad alta voce: «In
manus tuas, Domine, commendo spiritum meum» («Nelle tue mani, Signore,
affido il mio spirito»).
Ho lavorato per vent’anni a Zurigo per la Chiesa riformata come rappre-
sentante per le relazioni ecumeniche. Come è noto, Zurigo era stata sotto-
posta ad una riforma fondamentale trecento anni dopo la Riforma. I cattolici
furono esclusi dalla città. La Svizzera fu divisa in cantoni riformati e cantoni
cattolici. Oggi a Zurigo sono nuovamente presenti chiese cattoliche e un
ecumenismo vivace, con sorelle e fratelli di molte Chiese ortodosse. Ma un
giorno ho scoperto che, in questa città, era stato emarginato da tempo un
altro gruppo: gli anabattisti! A Zurigo, non mancano monumenti per i suoi
riformatori: Huldrych Zwingli e il suo successore Heinrich Bullinger. Tutta-
via, degli anabattisti non vi era traccia. Noi riformatori abbiamo rimosso gli
anabattisti non solo dalla nostra città e dal nostro Paese, ma anche dalla
nostra memoria.
I primi anabattisti, come Felix Manz, erano amici di Zwingli. Formavano
l’ala radicale della Riforma. Orientavano con costanza le proprie vite al Di-
scorso della montagna, rifiutavano il servizio militare e volevano una Chiesa
separata dallo Stato, comprendente solo credenti convinti. Il sigillo di appar-
tenenza era costituito dal battesimo in età adulta. Rifiutavano il battesimo
ai bambini.
Dopo secoli ha ancora senso la riconciliazione? Stiamo lontani gli uni
dagli altri! La domanda è giustificata. Ma con nostra sorpresa e quella di
molti mennoniti, questi segni di riconciliazione hanno prodotto effetti più
di quanto potessimo prevedere. I discendenti degli anabattisti oggi sono i
mennoniti, gli amish e gli hutteriti. E la storia della persecuzione dei loro
antenati è viva ancora oggi.
Il 26 giugno 2004, sul fiume Limmat a Zurigo, è stata dedicata una targa
alla memoria dell’esecuzione dei sette capi anabattisti al tempo della Riforma.
Ed altrettanto importante è stato il riconoscimento da parte dei riforma-
ti, che con chiarezza ha espresso la propria responsabilità: «Confessiamo
che la persecuzione avvenuta, secondo la nostra attuale convinzione, è sta-
ta un tradimento del Vangelo e che i nostri padri Riformati si sono sbagliati
su questo punto».
Non solo in Svizzera, ma anche in altri Paesi, gli anabattisti furono per-
seguitati senza pietà. È durato a lungo il periodo della persecuzione, dell’e-
spropriazione e dell’espulsione degli anabattisti in Svizzera: quasi trecento
anni! E l’inimicizia con gli anabattisti si è tramandata di generazione in ge-
nerazione nelle confessioni riformate più importanti. Ecco quanto contenuto
nella dichiarazione di colpevolezza di Zurigo del 2004: «Ammettiamo che
il giudizio sugli anabattisti nella Seconda Confessione Elvetica, che respinge
gli insegnamenti degli anabattisti in quanto non biblici e rifiuta ogni comu-
nione con loro, per noi non è più valido e siamo ansiosi di scoprire e raffor-
zare ciò che unisce».
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1
C. Lubich, 13 novembre 1996, York (Gran Bretagna).
2
J. Sharp, Steps to Reconciliation. Reformed and Anabaptist Churches in Dialogue,
TVZ Theologischer Verlag, Zürich 2007, pp. 51-52, testo tradotto dall’Autore.
3
Dal Messaggio-video di S.S. il Patriarca Bartolomeo per la Manifestazione di
Insieme per l’Europa a Monaco di Baviera, 2 luglio 2016.
4
Firma della Dichiarazione congiunta di Papa Francesco e del Patriarca russo-
ortodosso Kirill a Cuba, 13 febbraio 2016, par. 28
5
Dal Messaggio-video di Papa Francesco per la Manifestazione di Insieme per
l’Europa a Monaco di Baviera, 2 luglio 2016.
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scripta manent
La mia esperienza
su Gesù abbandonato
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chiara lubich
fare per realizzarla. La preghiera era stata fatta e la risposta ce l’ha data il
Signore in un’altra circostanza.
Sempre durante la guerra, andavamo a trovare i poveri nelle loro case e
una mia compagna, come del resto facevamo noi tutte, un giorno era salita
nella stanza di una povera signora ammalata per rifarle il letto, pulirle il pa-
vimento ecc. Facendo questo, si era presa un’infezione sulla faccia tale da
non poter uscire di casa. Allora sono andata a trovarla e lei mi ha detto che
avrebbe tanto desiderato ricevere l’eucaristia, come faceva quando veniva a
messa con noi ogni giorno. Così ho chiesto a un sacerdote di portarle la co-
munione. Dopo averle dato l’eucaristia, lui ci ha chiesto: «Sapete quando è
stato che Gesù ha sofferto di più?». Noi abbiamo risposto: «Dicono nell’orto
degli ulivi». Ma lui ha precisato: «No. Ha sofferto di più quando ha gridato:
“Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?”».
Appena il prete è uscito, noi subito ci siamo guardate e, spinte dalla gio-
vane età, dall’entusiasmo, dal desiderio di una vita cristiana evangelica radi-
cale, ma soprattutto dalla grazia di Dio, abbiamo detto: «Abbiamo una vita
sola e vogliamo darla a lui, seguire lui, seguire lui crocifisso che grida: “Dio
mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?”».
E subito dopo, non si sa come, ma sempre spinte dallo Spirito Santo, ab-
biamo trovato il suo volto emergere un po’ dappertutto. Quando, per esem-
pio, avevamo dei dolori spirituali personali: dubbi, crisi, paure, il peso dei
nostri peccati, qualche lacerazione interna, ci ricordavamo di lui, perché an-
che lui aveva avuto in certo modo paura, anche lui si sentiva lacerato dentro,
anche lui ha sentito il peso dei nostri peccati. Ogni dolore, ogni situazione
difficile che incontravamo ci faceva ricordare lui. Più tardi abbiamo capito il
perché di tutto questo: perché il Verbo di Dio, facendosi uomo e assumendo
la natura umana, ha assunto tutto quello che è legato alla natura umana, le
nostre fatiche, i nostri limiti, i nostri peccati; tanto è vero che si è fatto pec-
cato, che si è fatto scomunica. Non peccatore, non scomunicato: si è fatto
peccato, si è fatto scomunica. Per cui, dovunque si vede un dolore, lì c’è lui,
perché tutto questo lui l’ha assunto. Teresina del Bambino Gesù, morta a
soli ventiquattro anni quando è iniziata la malattia mortale, ha avuto uno
sbocco di sangue, e invece di dire: «È la tubercolosi», ha detto: «È arrivato lo
Sposo!». Lei era una sposa di Cristo, aveva sposato Gesù. Lei non ha detto:
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chiara lubich
sia anche qui. Per cui sono rimasta così male, come se tutto quello che avevo
intrapreso da pochi mesi fosse senza senso, non avesse un perché, perché
Dio non c’era più in mezzo a noi. Ricordo che sono andata in soffitta, dove
avevo messo tutti i miei libri di filosofia; avevo amato tanto la filosofia, ma,
iniziato il Movimento, avevo portato i libri in soffitta. E lì mi è caduta una
lacrima su quei libri. Ricordo ancora lo sbuffo di polvere che la lacrima, ca-
dendo, ha fatto sollevare.
Piangevo, perché non capivo più; ma poi ho capito che anche lui in croce
ha sentito l’abbandono del Padre, si è sentito senza senso, quasi tradito; e,
come lui, ho cercato di abbracciare il dolore della nostra disunità. Quando
le mie compagne sono tornate, ho parlato subito a loro, prima ancora di
pranzo: «Stamattina ci siamo lasciate con poca unità, non c’era lui in mezzo
a noi. Dobbiamo ricomporre subito l’unità». L’abbiamo ricomposta e abbia-
mo capito che anche le piccole comunità come un focolare, come anche
le grandi comunità, possono attraversare queste divisioni: quante indiffe-
renze, quanti traumi ci sono! Poi abbiamo scoperto che anche nella nostra
Chiesa, fra i movimenti per esempio, c’è una grande indifferenza; fra par-
rocchia e parrocchia, fra diocesi e diocesi; o anche fra gruppi di associazioni
ecc. Poi ancora abbiamo scoperto Gesù abbandonato nella cristianità, fra
le Chiese. Quelle che hanno a che fare con il Movimento dei Focolari sono
350, ma ce ne sono molte di più; quindi, uno scandalo che diamo al mondo
per la disunità che abbiamo fra noi. Dopo, diffondendoci in tutto il mondo,
era logico che incontrassimo persone di tutte le religioni, dai buddhisti agli
scintoisti, dai musulmani, agli ebrei ecc. E anche in tutte queste persone che
ignorano Cristo noi vedevamo una presenza di Gesù abbandonato. Quindi,
non è che esse ci fanno scappare! Al contrario, ci attirano, perché sono lui
che vogliamo servire, lui che vogliamo seguire.
Così gli atei: c’è qualcuno, anche fra i teologi, che dice che Gesù abban-
donato è proprio la figura dell’ateismo. È un po’ esagerato, secondo me, però
è anche vero che nell’abbandono lui ha gridato, non tanto: “Padre”, ma: “Dio
mio!” Anche lì noi non è che scappiamo, non è che li abbandoniamo a loro
stessi; li amiamo, vogliamo collaborare anche con loro. Essi, per esempio,
sono tanto sensibili ai valori umani; allora, anche noi con loro viviamo per
i valori. E proprio perché hanno sviluppato la parte umana, diciamo: «Gesù
non è mica solo Dio, è anche uomo; quindi noi stiamo con voi per amarlo,
almeno come uomo». Per cui, nella nostra vita sono nati i quattro dialoghi2,
che poi si sono sviluppati sempre più al largo. Naturalmente nella nostra
Opera ci sono state anche le prove, non è che tutto sia andato liscio, siamo
stati calunniati. Per esempio, con una spiritualità di comunione era logico
per noi mettere insieme anche i nostri beni: abbiamo una comunione di beni
in tutto il Movimento, fra tutti. Ma allora venivamo considerati come comu-
nisti, ci criticavano! Tant’è vero che la Chiesa in quel periodo, è stata un po’
sospesa nei nostri confronti. Prima ci aveva approvato attraverso il vescovo
di Trento, poi è rimasta un po’ sospesa, con grande dolore per noi.
Ma anche quella sospensione non era estranea alla nostra vita: era Gesù
crocifisso e abbandonato, che è rimasto sospeso al punto di gridare: «Dio
mio, perché?». E abbracciando lui, siamo andati avanti. La Chiesa, natu-
ralmente, ci ha studiato, ci ha capito e ci ha dato tutte le benedizioni. Per
cui, finita la prova, ci siamo sentiti caricati sulle spalle non solo delle nostre
prove personali, ma delle prove stesse della Chiesa; quindi, ecco un nuovo
ampliamento dei dialoghi in tutto il mondo. E così in tante altre cose che
la Chiesa promuove. Per esempio, essa lavora per il sottosviluppo, ma nel
sottosviluppo del mondo noi vediamo Gesù abbandonato. Sembra davvero
poco sviluppato un Dio che grida “perché?”. Anche nel materialismo, nel
secolarismo noi vediamo Gesù che sembra perdere Dio, quindi un qualche
cosa che assomiglia al materialismo, al secolarismo. Ma anche lì non è che
ci fermiamo, andiamo avanti, perché troviamo lui, amiamo lui in tutti questi
problemi, soprattutto nelle persone che portano in sé questi problemi.
1
Incontro di Chiara Lubich con alcune personalità ecumeniche. Vienna, 5 no-
vembre 2001. Trascrizione da registrazione con leggeri ritocchi editoriali per facili-
tarne la lettura.
2
Si tratta dei dialoghi: all’interno della Chiesa cattolica; con le varie Chiese; con
le persone di altre religioni; con le persone senza convinzioni religiose.
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punti cardinali
Gesù crocifisso
e abbandonato:
chiave dell’unità
Joan
Negli anni recenti emerge all’interno del movimento
Patricia ecumenico una rinnovata urgenza di vivere e testimo-
Back niare insieme la nostra fede cristiana comune.
In questo contesto si propone un breve studio di un
teologa, esperta ortodosso e di una cattolica su una delle intuizioni intrin-
in ecumenismo.
membro seche nella spiritualità dei Focolari, Gesù abbandonato
del centro come chiave dell’unità.
interdisciplinare Egli è la radice dei cinquant’anni di stile di vita ecume-
di studi “scuola nica del Movimento, caratterizzata dal dialogo della vita,
abbà”. che si è diffuso a livello mondiale in oltre 350 Chiese.
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joan patricia back - augustinos bairactaris
Lo stesso documento affronta altri aspetti che sono centrali per il nostro
tema: «L’incontro con l’altro nel tentativo di instaurare la koinonia […] invita
a una kenosis – dare sé stessi e svuotare sé stessi»5.
Essi poi individuano le questioni in gioco: «Tale kenosis risveglia il timo-
re di una perdita d’identità e ci chiede di essere vulnerabili, ma essa non è
niente di più della fedeltà al ministero di vulnerabilità e morte di Gesù, che
ha voluto riunire il genere umano nella comunione con Dio e con gli altri»6.
Questa e la frase che segue corrispondono alla comprensione di Gesù croci-
fisso e abbandonato propria della spiritualità dei Focolari: «Egli è il modello e
il protettore della riconciliazione che conduce alla koinonia. Come individui e
come comunità, siamo invitati a instaurare la koinonia attraverso il ministero
di kenosis»7.
Perciò la kénosis (svuotarsi) e la koinonía (comunione) sono di per sé
stesse collegate.
Dopo aver ascoltato il discorso di Chiara Lubich8, Konrad Raiser, già se-
gretario generale del Consiglio ecumenico delle Chiese, ha dichiarato: «La
nostra ricerca dell’unità non sta perciò nel costruire un edificio, bensì in un
processo di spogliamento, di svuotamento di noi stessi, di tutto ciò che ci
tiene separati da Cristo e gli uni dagli altri»9.
Questo processo di spogliamento così necessario per stringere rapporti
tra cristiani richiede:
- una conversione (la parola greca metánoia utilizzata per descrivere il
cambiamento del cuore e della mentalità che questa conversione richiede);
- una purificazione della memoria, che comporta un riconoscimento dei
nostri peccati contro l’unità, un sincero pentimento, gesti di perdono e di
accettare la richiesta di perdono che gli altri ci rivolgono.
Forse si soffre nel perdere le proprie idee per ascoltare con attenzione
qualcuno che ha opinioni diverse dalle nostre, o nel superarsi, perdonando
l’ingiustizia subita: tutto questo richiede una vita spirituale profondamente
radicata in Dio, che solo si può trovare guardando a Gesù in croce come
nostro modello e vivendo, in unione con lui, la nostra kénosis.
In Francia teologi di Chiese diverse si sono incontrati insieme per de-
cenni a Dombes. Questo gruppo, chiamato Gruppo di Dombes, ha pubbli-
cato uno studio intitolato Per la conversione delle Chiese ed è giunto alla
conclusione che senza una conversione continua l’unità non sarà mai re-
alizzata. Essi invitano le Chiese a conversione tramite una metánoia conti-
nua, dallo stesso punto di partenza che abbiamo appena preso in esame:
l’esemplare kénosis di Cristo10.
Nel loro documento essi citano l’arcivescovo di Canterbury William
Temple, che nel 1943 disse: «Si chiede a ognuna delle nostre denominazioni
cristiane esistenti di morire per risorgere di nuovo in forma più splendida»11.
Similmente, l’assemblea generale del Consiglio ecumenico delle Chiese
nel 1961, in una sua dichiarazione, affermò: «La realizzazione dell’unità non
richiederà niente di meno che la morte e la nuova nascita di numerose for-
me di vita ecclesiali quali le abbiamo conosciute. Noi crediamo che nessuna
soluzione meno costosa sarà in fin dei conti sufficiente»12.
Questo stile di vita kenotico richiede una conversione ecclesiale, inten-
dendo lo sforzo che ciascuna Chiesa deve fare per purificare e arricchire
il proprio patrimonio in modo da ritrovare la piena comunione con le altre
Chiese13.
Negli Stati Uniti un gruppo ecumenico di teologi si è incontrato a
Princeton (New Jersey) ed è giunto a un’altra proposizione partendo da
Ef 2, 1614: siamo riconciliati in un solo corpo tramite Cristo crocifisso e
risorto (Ef 1, 20-23; 2, 4-7; 2, 13-16).
Il decreto del Concilio Vaticano II sull’ecumenismo «è pervaso dallo spi-
rito di conversione»15 e parla di metánoia, «conversione di cuore e di men-
te»16, mentre l’enciclica Ut unum sint parla di dialogo ecumenico che diventa
«dialogo di conversione»17.Documenti successivi, per esempio Memoria e
riconciliazione: la Chiesa e le colpe del passato18, sottolineano la conversione
come un imperativo.
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Già prima del 1961, anno in cui il Movimento dei Focolari è entrato nel
dialogo ecumenico, Gesù abbandonato è stato visto come la chiave e il segre-
to dell’unità. Chiara infatti ha parlato di Gesù abbandonato e dell’unità come
di «due aspetti di un’unica medaglia»21.
altri cristiani: «Chi spinge tutti i membri cristiani del Movimento al dialogo
fra loro, a costruire giorno per giorno tutta quella comunione che già è pos-
sibile, a stabilire fra tutti la presenza di Gesù, che il comune battesimo ci
garantisce? […] È Gesù crocifisso […], nel suo grido d’abbandono, […] non
desistiamo se l’impresa sembra ardua»25.
Lei guardò a lui quale maestro dell’unità27 e modello divino28. In lui tro-
vò «l’immagine di ogni divisione dolorosa fra fratelli, fra Chiese»29. Egli è
come una lente attraverso la quale possiamo vedere il dolore delle divisioni.
In base alla sua esperienza, Chiara dice: «Succede che invece che vedere i
traumi, noi vediamo Lui, il suo volto, è Lui che grida. Invece che vedere le
divisioni così […] è il suo volto. Se noi sentiamo dentro di noi delle divisioni,
dei dubbi, dei perché, è Lui che grida, è il Suo volto, è la Sua persona»30.
E «in Lui è il segreto della ricomposizione di tutti i fratelli e sorelle cristia-
ni nella piena comunione visibile, che Cristo ha pensato»31; egli è «la stella
più luminosa che deve illuminare il cammino ecumenico»32.
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6. “Farsi uno” (cf. 1 Cor 9, 22. «Mi sono fatto debole per i deboli, [...]
mi sono fatto tutto per tutti»)
Gesù in croce è il modello del “farsi uno” con gli altri; egli si rivela come
un “nulla d’amore” che non è qualcosa di negativo o passivo, ma, al contra-
rio, di positivo. È un “nulla attivo”, perché viviamo una kénosis per fare spazio,
perché Dio possa entrare con il suo amore in noi, ed è con il suo amore che
amiamo gli altri.
Nel 1997, a un’altra Settimana ecumenica, Chiara spiega: «Egli ci insegna
a esser niente, a vuotarci del tutto. E noi, per capire l’altro, bisogna che spo-
stiamo tutto quello che abbiamo dentro nel cuore e nella mente. Se no non
si entra nell’altro, non si capisce l’altro»39. «Ora, solo Gesù abbandonato mi
fa essere così niente e avvicinare le persone e fare un dialogo costruttivo.
Solo Lui ci può insegnare a staccarci da tutto per capire l’altro, per capire
il dono che mi fa, per poter mettere insieme tutti questi doni in unità, nella
diversità»40.
“Farsi uno” favorisce la comprensione reciproca: ci rende capaci di com-
prendere la dottrina, parole o prospettive storiche diverse dalle nostre; pos-
siamo scoprire che ciò che sembra una differenza di dottrina potrebbe es-
sere una diversità legittima.
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sono doni di Dio alla Chiesa, che esiste per servire la riconciliazione dell’u-
manità, in obbedienza al comando di Cristo.
1. Le parole di Gesù sulla croce «Eloì, Eloì, lemà sabactàni» (Mc 15, 34)
confermano l’attuale fiducia tra il Figlio e il Padre, e non l’abbandono di Gesù
da parte di Dio. Quello che vediamo nella scena di Gesù sulla croce non è
la paura di Gesù della morte. Vorrei fare una variazione e dire: Uomo, uomo,
perché mi hai abbandonato? Sono morto per te, cosa mi hai offerto? Gesù che
stava facendo la sua volontà, allo stesso tempo fa la volontà del Padre suo,
poiché nella Santissima Trinità c’è solo una volontà. Gesù aveva una chiara
comprensione del suo sacrificio, cosa che diventa evidente durante la sua
preghiera nel giardino di Getsemani. Gesù ha sofferto sulla croce non per
quello che ha commesso, ma per il bene spirituale di coloro che lo guarda-
vano inchiodato e sofferente.
2. Mentre Gesù sulla croce appariva a tutti debole, egli aveva un potere
totale di dominio sulla storia. Leggiamo nel Vangelo di Giovanni: «Per que-
sto il Padre mi ama: perché io offro la mia vita, per poi riprenderla di nuovo.
Nessuno me la toglie, ma la offro da me stesso, poiché ho il potere di offrirla
e il potere di riprenderla di nuovo. Questo comando ho ricevuto dal Padre
mio» (Gv 10, 17-19). Gesù è stato colui che ha confermato che tutto è stato
compiuto secondo il progetto di salvezza dell’umanità, affermando: «Tutto
è compiuto» (Gv 19, 30). Allora Gesù gridò ad alta voce: «Padre, nelle tue
mani consegno il mio spirito. Detto questo spirò» (Lc 23, 46). Perché «anche
Cristo è morto una volta per sempre per i peccati, giusto per gli ingiusti, per
ricondurvi a Dio; messo a morte nella carne, ma reso vivo nello Spirito» (1 Pt
3, 18). È chiaro che Cristo non ha sperimentato sulla croce la sensazione di
deserto, ma la sensazione di completezza, di unità e dell’amore più grande per
il Padre e per il genere umano.
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3. Questo è ciò che Chiara chiamava scopo paradossale della croce, poi-
ché il dolore proveniente dalla croce è in realtà il canale che porta alla felici-
tà. Ma questa felicità non ha nulla in comune con quella del mondo. Questa
felicità deriva dal sacrificio volontario personale o collegiale, per poter far
vivere mio fratello. Così, in altri termini, abbandonato significa, per me orto-
dosso, che non mi affido più a me stesso, bensì mi affido o abbandono la mia
vita nelle mani di Dio e nella spinta dello Spirito. Sono debole e la mia debo-
lezza si trasforma in forza ogni volta che mi faccio servitore sotto forma di
offerta vivente al mio fratello e alla mia sorella. In questo senso accogliamo
le parole di Chiara: «Chi mi sta vicino è stato creato in dono per me ed io
sono stata creata in dono a chi mi sta vicino».
1
Messaggio della Conferenza mondiale di Vita e Azione, n. 14. Cf. G.K.A. Bell
(ed.), The Stockholm Conference 1925. The Office Report of the Universal Christian
Conference on Life and Work held in Stockholm, 19-30 August 1925, Oxford Uni-
versity Press, London 1926, pp. 710-716.
2
A. Falconer, Beyond the Limits of the Familiar Landscape, in «Studi Ecumenici»,
aprile-giugno 1997, p. 49.
3
“Towards Unity in Tension” (1974) Document III.11 §11, in G. Gassmann (ed.),
Documentary History of Faith and Order, 1968-1993, World Council of Churches publi-
cations, Geneva 1993, p. 146.
4
V Conferenza mondiale di Fede e Costituzione 1993, Documenti parte II C. 20,
in Fede e Costituzione, Conferenze Mondiali 1927-1993, Enchiridion Oecumenicum
vol. 6, Edizioni Dehoniane, Bologna 2015, p. 1395.
5
Ibid.
6
Ibid.
7
Ibid.
8
Cf. C. Lubich, L’unità di Gesù crocifisso e abbandonato, in Id., Il dialogo è vita, Città
Nuova, Roma 2007, pp. 52-69.
9
Ibid., p. 73.
10
Cf. Gruppo di Dombes, Per la conversione delle Chiese, Enchiridion Oecumeni-
cum vol. 4, Edizioni Dehoniane, Bologna 1996, pp. 306-399.
11
Ibid., n. 33, p. 329.
12
Rapporti delle Sezioni: Unità n. 3, Consiglio ecumenico delle Chiese 3a As-
semblea Nuova Delhi, 1961, n. 3 in Consiglio ecumenico delle Chiese Assemblee
Generali 1948-1998, Enchiridion Oecumenicum vol. 5, Edizioni Dehoniane Bologna
2001, pp. 250-251.
13
Cf. Gruppo di Dombes, Per la conversione delle Chiese, cit., n. 55, p. 334.
14
Cf. C. Braaten - R.W. Jenson (edd.), In One Body Through the Cross, the Princeton
Proposal for Christian Unity, Eerdmans Publishing, Michigan - Cambridge UK, 2003.
15
Giovanni Paolo II, Ut unum sint, 35.
16
Cf. Unitatis redintegratio, 7-8.
17
Giovanni Paolo II, Ut unum sint, 35; cf. anche nn. 15–17.
18
Commissione internazionale teologica, Memoria e riconciliazione: la Chiesa e le
colpe del passato, dicembre 1999, n. 5:2.
19
C. Lubich, Una spiritualità per la riconciliazione, in «Nuova Umanità», 113
(1997/5), p. 548.
20
Id., Congresso ecumenico 20 aprile 2001, Castel Gandolfo, risposta n. 3 (ine-
dito).
21
Id., La dottrina spirituale, Mondadori, Milano 2001, p. 66.
22
Id., Colloqui con i gen. Anni 1966-1969, Città Nuova, Roma 1998, p. 35.
23
Ibid., p. 36.
24
C. Lubich, Discorso al Consiglio ecumenico delle Chiese, 5 ottobre 1982 (ine-
dito).
25
Id., a sacerdoti, religiosi e seminaristi nell’Aula Paolo VI, citato in P. Coda - B.
Leahy (edd.), Preti in un mondo che cambia, Città Nuova, Roma 2010, pp. 24-25.
26
C. Lubich, Una spiritualità per la riconciliazione, cit., p. 550.
27
Cf. Id., Il grido, Città Nuova, Roma 2000, p. 25.
28
Cf. ibid., p. 26.
29
C. Lubich, Gesù abbandonato, a cura di H. Blaumeiser, Città Nuova, Roma
2016, p. 151.
30
C. Lubich, Congresso ecumenico 20 aprile 2001, Castel Gandolfo, risposta n.
3 (inedito).
31
Id., Il grido, cit., p. 105.
32
Id., Una spiritualità per la riconciliazione, cit., p. 549.
33
Ibid., p. 550.
102 nu 231
joan patricia back - augustinos bairactaris
34
C. Lubich, Congresso ecumenico 20 aprile 2001, Castel Gandolfo, risposta n.
3 (inedito).
35
Ibid.
36
Ibid.
37
Cf. Unitatis redintegratio, 14.
38
C. Lubich, Una spiritualità per la riconciliazione, cit., p. 548.
39
Id., citato in J.P. Back, Spunti per una riflessione su Gesù abbandonato in relazione
alla riconciliazione fra i cristiani, in «Nuova Umanità», 133 (2001/1), p. 46.
40
C. Lubich, Congresso ecumenico 4 aprile 1997, citato in J.P. Back, Spunti
per una riflessione su Gesù abbandonato in relazione alla riconciliazione fra i cristiani,
cit., p. 46.
41
Cf. Giovanni Paolo II, La Chiesa chiede perdono per le colpe dei suoi figli, in «L’Os-
servatore Romano», 2 settembre 1999, p. 4.
42
C. Lubich, citato in J.P. Back, Spunti per una riflessione su Gesù abbandonato in
relazione alla riconciliazione fra i cristiani, cit., p. 47.
Accogli lo straniero
storie esemplari
dell’Antico Testamento
di Lucio Sembrano
nu 231
punti cardinali
106 nu 231
vasile stanciu
trare in comunione l’uno con l’altro: «E tutti noi, che ci comunichiamo dallo
stesso pane e dallo stesso vino, uniscici l’un l’altro con la comunione con lo
stesso Spirito Santo». Un canto del Mattutino ortodosso di domenica pro-
clama: «Attraverso lo Spirito Santo avviene la deificazione di tutti, la buona
volontà, la comprensione, la pace e la benedizione». E ancora: «Se lo Spirito
Santo soffia verso qualcuno, lo alza dalla terra, gli dà le ali, lo fa crescere e lo
mette su». Chiara non solo ha capito il vero significato di queste parole, ma
le ha incarnate in tutte le sue azioni. Il dialogo tra le persone e tra le persone
e Dio nello Spirito Santo porta frutti inaspettati, apre ponti di comunicazione
e comunione inattese, stabilisce le nostre relazioni su coordinate diverse
da quelle puramente umane, ci lancia nel mondo celeste, nell’ineffabile, e
in questo stato il dialogo nello Spirito illumina la mente per comprendere il
vero significato delle cose.
Senza il dialogo nello Spirito, la santità non è possibile e i santi sono il
dialogo di Dio con il mondo o del mondo con Dio. Chiara ci convince di que-
sta verità in un testo ammirevole: «I santi sono stati e sono una parola di
Dio detta al mondo e, poiché si sono identificati con quella parola, non pas-
seranno»1. Un teologo contemporaneo che parla dello Spirito Santo e del-
la preghiera, dice letteralmente: «Lo Spirito Santo è lo Spirito di preghiera,
perchè Lui stesso la realizza in noi»2, e di conseguenza lui, lo Spirito Santo,
diventa il nostro interlocutore nel dialogo e fa sì «che la nostra individualità
diventi un veicolo dello Spirito senza che la sua personalità sia diminuita o
addirittura distrutta, ma al contrario, ascende ad un gradino superiore nella
comunione dello Spirito Santo, attualizzata nella preghiera»3. Tuttavia, sic-
come non possiamo facilmente sfuggire all’individualità, essendo questa
una caratteristica della personalità umana, la spiritualità cristiana, implicita-
mente quella del Movimento dei Focolari, introduce nell’equazione il dialo-
go nello Spirito Santo, e l’individualità umana diventa dialogica, predisposta
alla comunione. L’apostolo Paolo scrive ai Romani: «Allo stesso modo anche
lo Spirito viene in aiuto alla nostra debolezza, perché nemmeno sappiamo
che cosa sia conveniente domandare, ma lo Spirito stesso intercede con in-
sistenza per noi, con gemiti inesprimibili» (Rm 8, 36).
La nostra debolezza o imperfezione è innestata sulla potenza dello Spiri-
to Santo, sulla sua opera, e proprio questa presenza partecipativa dà senso
108 nu 231
vasile stanciu
Il dialogo nello Spirito Santo crea premesse reali per una comprensione
oggettiva delle realtà attorno a noi.
La preghiera nello Spirito sostiene la comunione tra noi e quindi ogni
dialogo deve iniziare con la preghiera nello Spirito.
Senza questi princìpi non è possibile il dialogo della fede e i nostri sforzi
di unità rimangono solo a livello teorico.
Le Chiese si sono incontrate in convegni ecumenici, si sono conosciu-
te meglio, si sono avvicinate l’una all’altra. Ma è evidente che ciò non era
sufficiente e che Dio vuole qualcosa di più. Il solo dialogo teologico non co-
pre le aspettative delle persone o di Dio. E Chiara attraverso questa nuova
forma di spiritualità del Movimento dei Focolari propone un nuovo assetto
della struttura e della mentalità del dialogo teologico, basato non solo sul-
la teorizzazione della teologia, ma sul dialogo di fede illuminato dall’amore
reciproco, al centro del quale si trovano i due princìpi fondamentali del Mo-
vimento: vivere il vangelo nella propria Chiesa e la presenza di Gesù abban-
donato tra gli uomini, colui che troviamo in tutte le ipostasi della vita, anche
nel dialogo della fede.
2. il primato dell’amore
mondo è fuori dallo spirito del vangelo e pertanto Cristo non lo accredita; la
preoccupazione essenziale dei cristiani deve essere quella di servire il pros-
simo, perché coloro che portano il nome di Cristo hanno come modello il
loro Maestro.
Sfortunatamente, il primato dell’amore è passato in secondo piano
o almeno non è preso sul serio. I cristiani si dividono tra loro i primi posti
mondani e non seguono l’esempio del Maestro. Però, nel corso della storia
abbiamo alcuni esempi in cui il primato dell’amore7 nei rapporti tra le Chie-
se è stato messo in luce. Mi soffermo solo su uno di essi che considero elo-
quente e senza precedenti nei rapporti tra le Chiese, in particolare perchè
nel 2017 si sono compiuti cinquanta anni da questo evento, unico nella vita
della Chiesa.
110 nu 231
vasile stanciu
il papa ha aperto nuovi ponti. I motivi della visita sono stati i seguenti: raf-
forzare l’amicizia; mantenere vivo il ricordo dell’incontro a Gerusalemme;
ringraziare il patriarca per le ripetute delegazioni inviate a Roma; chieder-
gli di unirsi spiritualmente a lui nella celebrazione del centenario dei Santi
apostoli Pietro e Paolo; chiedere al patriarca di indicare i modi migliori per
realizzare l’obiettivo santo di ripristinare la piena comunione tra la Chiesa
ortodossa e quella cattolica9.
Attraverso questi obiettivi il papa ha assunto un altro primato, quello
dell’amore, del servire il prossimo, dell’umilità, della speranza. Una lezione
quasi incredibile per molti capi della Chiesa di oggi, che non è stata più ri-
petuta per modo e intensità. L’arcivescovo Kallistos Ware ha dichiarato: «Il
Papa ha conferito al primato giurisdizionale una nuova dimensione, ha teso
una mano al Patriarca come un umile atto di servizio in amore»10. Il papa
stesso ha testimoniato: «Noi abbiamo cercato di incontrarci l’uno con l’altro
e in tal modo abbiamo incontrato il Signore. Il mistero del nostro incontro,
cioè il ritrovo crescente, reciproco delle nostre Chiese, non è forse l’inces-
sante ricerca di Cristo e la fedeltà a Cristo che ci fa avvicinare gli uni agli
altri?»11.
Il loro incontro ha creato uno stato di grazia che non può essere espresso
in parole. Il gesto del loro abbraccio parlava infatti della gioia del ritrovarsi e
rivedersi. Cristo era presente in mezzo a loro e li ha avvolti con il suo amore.
E in questo abbraccio, con Cristo in mezzo a loro, emerge tutta la passione
per la Chiesa, la passione di cui parlava Paolo VI e su cui Chiara ha fatto
anche un breve commento:
conclusioni
Dio è e rimane presente nella storia, prendendosi cura del mondo e del
suo popolo. La Chiesa è chiamata oggi a rispondere a tutte le sfide affrontate
112 nu 231
vasile stanciu
dall’umanità, ma anche alle sue sfide, sia interne che esterne. La spiritualità
dell’unità promossa dal Movimento dei Focolari rappresenta un’alternativa
credibile e voluta da Dio nel nostro sforzo per compiere il testamento del
nostro Salvatore «che tutti siano uno» (Gv 17, 21).
Chiara Lubich, il patriarca Athenagoras e papa Paolo VI hanno mostrato
concretamente che l’unità tra di noi si basa sull’amore e che l’unico primato
della speranza è quello dell’amore.
Siamo noi oggi in grado di seguire il loro esempio? Penso di sì! Attra-
verso l’opera dello Spirito Santo, attraverso la preghiera, chiamando Cristo
in mezzo a noi come l’unico che può sostenere questo sforzo di seminare il
primato dell’amore nel dialogo di fede.
1
C. Lubich, Căi ale luminii, a cura di M. Vandeleene, trad. di M. Goţia, ARCB,
Bucarest 2008, p. 158; questo articolo, comprese le citazioni, è stato tradotto dalla
lingua romena.
2
K.C. Felmy, Dogmatica experienței ecleziale – innoirea teologiei ortodoxe contem-
porane, introduzione e traduzione di I. Ică, Deisis, Sibiu 1999, p. 185.
3
Ibid.
4
Cf. ibid., p. 187.
5
C. Lubich, Căi ale luminii, cit., pp. 313-314.
6
D. Stăniloae, Spiritualitate și comuniune în Liturghia Ortodoxă, Mitropolia
d’Oltenia, Craiova 1986, pp. 431-432.
7
La sintesi del primato dell’amore è stata ripresa dal patriarca ecumenico Athe-
nagoras che ha affermato: «Il dialogo più autentico e importante è il dialogo dell’a-
more», e queste parole rappresentano il motto scelto da Alja Payer nel suo libro
dedicato al centenario della nascita del venerabile patriarca.
8
A. Payer, Der Őkumenische Patriarch Athenagoras I, ein Friedensbringer aus dem
Osten, Catholica Unio, Würzburg 1986, p. 101.
9
Cf. ibid.
10
Ibid.
11
Ibid.
12
C. Lubich, Căi ale luminii, cit., p. 156.
13
Ibid.
nu 231
alla fonte del carisma dell’unità
La centralità carismatica
nelle prime Parole di Vita
Giugno 1947: «Chi ascolta voi, ascolta me» (Lc 10, 16)
116 nu 231
fabio ciardi
che ti porta la voce di Gesù, chiunque Esso sia», anche perché era rivolta
ad un gruppo particolare denominato «La Crociata dell’unità»5. Si afferma,
senza distinzione e senza una necessaria opera di discernimento, che «la
sua parola è Parola di Dio». Si intravede una visione sacrale del sacerdote,
tipica del tempo nel quale Chiara Lubich scrive e di cui è debitrice6. Trent’an-
ni più tardi, nel 1978, nei suoi scritti sulla gerarchia della Chiesa, la lettura
di questa stessa pagina evangelica è già notevolmente sviluppata. Narrando
l’esperienza degli inizi del Movimento Chiara riporta questo commento del
1947, ma lo riferisce ai vescovi, non più ai sacerdoti. Legge infatti la frase di
Gesù nel contesto evangelico, e mette in luce come essa sia stata rivolta
agli apostoli. Il riferimento è al magistero nel suo insieme, piuttosto che al
singolo sacerdote7.
In queste conversazioni del 1978, che hanno come titolo Uomini al servi-
zio di tutti, si ripercorre la storia del Movimento mostrando i frutti del rap-
porto d’obbedienza ai vescovi e più in generale al magistero della Chiesa.
Significativo, tra gli scritti degli anni precedenti e citati da Chiara, uno del
1960: «Io ammetto adesso, voltandomi indietro, che il vivere profondamen-
te, sinceramente, generosamente questa parola (“Chi ascolta voi ascolta
me”) è stata una delle cause per cui il nostro Movimento si è diffuso come
un’esplosione. Veramente, chi resta unito a Lui, attraverso la Gerarchia, por-
ta gran frutto»8. «Non ci occorse un lungo studio – conclude Chiara – per
sapere se Cristo era presente o no nella Gerarchia, che continua Pietro e gli
Apostoli. Bastò che balzasse luminosa al nostro cuore e alla nostra mente
la verità contenuta nella parola del Vangelo: “Chi ascolta voi, ascolta me”»9.
Nel commento del 1947 appare assertiva e perentoria anche l’afferma-
zione: «Ogni autorità viene da Dio. Obbedisci dunque all’autorità, perché
essa ti dice quello che Dio vuole da te». È evidente il riferimento a Rm 13, 1-2,
senza tuttavia che il commento accenni alla distinzione fra il valore dell’au-
torità in sé e il suo esercizio. Che l’ordine sociale sia voluto da Dio e che
occorra un’autorità non significa che tutto ciò che essa comanda sia voluto
da Dio10.
Nonostante questo limite, il commento di Chiara sull’autorità presenta
spunti interessanti. Si rivolge innanzitutto non soltanto a chi deve obbedi-
re, invitandolo a un’obbedienza perfetta, sia esso figlio, cittadino, operaio,
9 settembre 1947: «Se la vostra giustizia non avrà abbondato più di quella
degli scribi e dei farisei, non entrerete nel regno dei cieli» (Mt 5, 20)
118 nu 231
fabio ciardi
te e nei tuoi fratelli, perché tutti siano uno ed il Testamento di Gesù abbia il
suo compimento».
Essa è interamente centrata sull’“amore”, lemma che nel breve com-
mento è presente 16 volte, seguito da “carità”, che ricorre 9 volte. Il motivo
è presto detto: «Perché Dio è Amore e vuole amore. Là dov’è il cuore è tutto
il nostro essere». Tutto parte dalla carità e ad essa converge, perché Dio è
carità.
Al centro del commento si legge un credo di rara bellezza, scandito
come una poesia:
120 nu 231
fabio ciardi
costituiscono il cuore del carisma di Chiara: «Perché siano come noi una
cosa sola». Il versetto in oggetto, Gv 15, 5, viene letto alla luce di Gv 17, 22.
Il passaggio successivo è ancora in linea con la comprensione carisma-
tica del Vangelo propria di Chiara, ed appare inaspettata e originalissima:
“rimanere in Cristo” viene inteso come “rimanere nel fratello”, dal momento
che «Gesù s’è fatto “presenza” in tutti i tuoi fratelli». La proposta di vita è
dunque rimanere «nei loro dolori, nelle loro preoccupazioni, nelle loro fati-
che, nei loro bisogni, nelle loro gioie», in modo che, a loro volta, «i dolori, le
preoccupazioni, le fatiche, le pene, i travagli, le gioie [degli altri] rimangono
in te».
Di conseguenza – ma è una logica ancora una volta sorprendente – i frut-
ti di cui parla Gesù in Gv 15, 5 per Chiara sono le “opere di misericordia”. Si
torna dunque alla centralità della carità che sprigiona anche da questa Paro-
la di Vita e che porta a costruire la comunità. Se infatti si vive Gesù nell’altro,
così che l’altro viva in noi, ciò che si raccoglierà – ed è questa la conclusione
del commento – saranno “anime per il Paradiso”: ecco apparire di nuovo
l’unità (il Paradiso) dei molti (le anime).
La quarta Parola di Vita inizia in maniera colloquiale, col pensiero alla co-
municazione di «esperienze, vita vissuta, pratica del Vangelo», tipico aspet-
to di come va vissuta la Parola di Vita, affidata a una comunità prima che a
singole persone12.
Chiara passa quindi in rassegna le Parole di Vita vissute nei mesi prece-
denti mostrando il legame che le unisce, sorpresa lei stessa della continuità
tra l’una e l’altra: «Come guida bene le cose il Signore!». Il susseguirsi del-
le Parole di Vita è dunque inteso come un cammino progressivo nella vita
spirituale. Non è evidente una logica successione tra le varie frasi bibliche
scelte in quei mesi per essere vissute una dopo l’altra, eppure i frutti che
esse operano mostrano un legame nascosto, una logica divina, che nasce
dal valore intrinseco della Parola di Dio13.
Luglio 1948: «...Non c’è remissione, senza spargimento di sangue» (Eb 9, 22)
Più ancora che nelle precedenti Parole di Vita in questa l’accento è posto
quasi esclusivamente sulla carità e sull’unità.
Inizia rivolgendosi ai lettori chiamandoli «fratelli e sorelle nell’Unità», e
ricordando che il sangue di Gesù, a cui fa riferimento la Lettera agli Ebrei, è
«l’ultima e più forte espressione d’un’infinita carità».
122 nu 231
fabio ciardi
«per nessun motivo, rompiamo l’unità perché l’unità è sacra come il deside-
rio d’un Dio».
Come nelle precedenti Parole di Vita riappare la figura di «Gesù fra noi,
uniti nel suo Nome», che giganteggia grazie ad una vita vissuta nell’amore
a Dio e nel «vicendevole amore, che UNO SOLO È IL COMANDO DEL DIO
FATTO UOMO, A CUI TUTTI GLI ALTRI CONVERGONO: “Amatevi gli uni
gli altri. Come Io ho amato voi, così amatevi a vicenda. Da questo tutti co-
nosceranno che siete miei discepoli, se vi amerete scambievolmente” (Gv
13, 34-35)».
Parola dopo Parola si continuano a ribadire la centralità dell’unità, la ca-
rità, l’amore reciproco, Gesù in mezzo. Quest’ultimo commento termina, in
maniera significativa, con due sole parole: «Carità – Unità».
Il commento a questa Parola di Vita, inserito da Chiara nel suo libro an-
cora inedito “Paradiso ’49”, è uno dei testi più noti dell’Autrice.
La prima parte, un autentico inno all’unità e a “Gesù in mezzo”, inizia con
il famoso: «Se siamo uniti Gesù è fra noi. E questo vale. Vale più d’ogni altro
tesoro […]. Vale più […] delle opere d’arte d’una grande città come Roma,
[…] più della nostra anima!»18.
Chiara continua tematizzando la santità comune, in questa che è l’era
«non d’un santo, ma di Lui; di Lui fra noi», così che il corpo mistico e la «Co-
munità Cristiana» vengono edificati insieme, «in unità d’amore»19. Viene ri-
affermata la centralità della carità fraterna quale «comandamento-base»,
perché «ove è la carità ivi è il Cristo nel Cristiano». La finalità ultima rimane
«far uno di tutti ed in tutti l’Uno!».
Anche questa Parola di Vita è per Chiara l’occasione per esporre la cen-
tralità evangelica della carità e dell’unità colte alla luce del proprio carisma:
è lo sguardo dell’occhio puro illuminato dalla luce dello Spirito, attraverso il
quale «chi guarda in esso è Dio», che le fa leggere il Vangelo in profondità e
con una sintesi nuova.
124 nu 231
fabio ciardi
Il commento alla Parola, anch’esso inserito nel libro “Paradiso ’49”, riba-
disce in maniera sintetica la tematica dell’amore, affidandola ad un breve
scritto dall’accento fortemente autobiografico: «Devo avere in cuore solo
una cosa: amore. E metter questo amore alla base».
Originale l’interpretazione del “monte” da spostare, costituito da tutto
ciò che impedisce la presenza viva, la voce e l’azione dello Spirito: «Io vivo
credendo ed agendo in modo che in me ed attorno a me ogni montagna
sia spostata ed al suo posto viva lo Spirito Santo». Lo spostamento o la di-
sintegrazione di ogni ostacolo all’azione di Dio, «perché viva Dio, lo Spirito
Santo», richiede il distacco da tutto, «anche da Dio per Iddio, vivendo Gesù
Abbandonato come fine dell’attimo presente».
In questo rapporto tra io e Dio, ecco apparire, nella seconda parte del
breve commento, il terzo soggetto del rapporto, il fratello. L’attenzione, por-
tata finora su se stesso e sulla propria azione purificatrice, si rivolge adesso
verso l’altro, che domanda di essere amato come se stessi: «Voglio – duran-
te la mia giornata – trasportare ogni montagna che incontro nell’anima del
fratello o dei fratelli. Le incenero coll’amore».
Chiara fa suo il peso e l’abbandono dell’altro, la sua “montagna”, che sarà
trasportata, eliminata, perché non ponga più alcun ostacolo alla presenza
e all’azione di Dio. «Allora vivrò tutta la mia giornata trasportando tutte le
montagne, incendiando tutte le anime». Il lavoro su se stessa sarà frutto del
lavoro operato sulle persone incontrate. Ancora una volta la Parola di Vita
orienta all’amore del fratello, in modo che ogni ostacolo sia superato e si
generi fra tutti l’unità.
126 nu 231
fabio ciardi
1
C. Lubich, Parole di Vita, a cura di F. Ciardi, Città Nuova, Roma 2017.
2
Cf. E.M. Fondi - M. Zanzucchi, Un popolo nato dal Vangelo, San Paolo, Cinisello
Balsamo 2003.
3
«L’unità, dunque, è il nostro ideale e non un altro. E ciò va sottolineato anche
oggi e molto più oggi che i primi tempi. Allora, sotto la spinta dello Spirito, la cosa
era chiara. Adesso è evidente per i focolarini e per quegli altri membri dell’Opera
che noi chiamiamo interni. Senz’altro si fa unità in focolare e così, spero, nei nuclei,
nelle unità gen e così via. Ma nel Movimento? Fra tutti gli altri? Non c’è il pericolo
che in certi luoghi il nostro, anziché apparire il Movimento dell’unità possa sembra-
re un Movimento che vive e diffonde la Parola di Vita? Vivere la Parola è cosa otti-
ma, ma anche questa pratica deve svolgersi nella realtà dell’unità. L’unità prima di
tutto» (C. Lubich, L’unità e Gesù Abbandonato, Città Nuova, Roma 1984, pp. 43-44).
4
Il commento pubblicato per primo nel libro delle “Opere” è stato inserito come
esempio dei commenti al Vangelo che Chiara faceva a voce, agli inizi della sua espe-
rienza, o nelle lettere che scriveva a diversi destinatari, sia personalmente che a
gruppi. Non si tratta ancora propriamente del genere letterario “Parole di Vita”, che
inizia nel 1947 con la loro pubblicazione. Lo stesso si può dire di quella, non pubbli-
cata, datata settembre 1951, e per quelle senza data, alle pp. 92-95, testimonianza
di come Chiara leggeva il Vangelo e lo applicava alla vita.
5
Cf. L. Abignente, “Qui c’è il dito di Dio”. Carlo de Ferrari e Chiara Lubich: il discerni-
mento di un carisma, Città Nuova, Roma 2017, pp. 90-105.
6
In particolare, in questa prima parte del commento si può riconoscere l’influs-
so di padre Casimiro Bonetti, ofm capp, allora assistente del nascente gruppo.
7
Riportando il testo della Parola di Vita del 1947, là dove indica i ministri come
«quelli che avrebbero fatto la parte Sua», omette la specificazione: «Sono i suoi Sa-
cerdoti». Corregge «vedi nel Sacerdote colui che ti porta la voce di Gesù», con: «vedi
nel ministro…»; ugualmente «Gesù vuol farsi ascoltare attraverso i Suoi Sacerdoti»,
128 nu 231
fabio ciardi
con: «i suoi ministri» (cf. Uomini al servizio di tutti [1979], in Dio è vicino, (C. Lubich,
Scritti spirituali / 4, Città Nuova, Roma 1981, p. 102).
8
Ibid., p. 104.
9
Ibid., p. 125.
10
Basterebbe rileggere al riguardo l’enciclica Pacem in terris, di Giovanni XXIII,
quando ricorda: «L’autorità umana può obbligare moralmente solo se è in rapporto
intrinseco con l’autorità di Dio, ed è una partecipazione di essa. In tal modo è pure
salvaguardata la dignità personale dei cittadini, giacché la loro obbedienza ai poteri
pubblici non è sudditanza di uomo a uomo, ma nel suo vero significato è un atto di
omaggio a Dio creatore e provvido, il quale ha disposto che i rapporti della convi-
venza siano regolati secondo un ordine da lui stesso stabilito; e rendendo omaggio
a Dio, non ci si umilia, ma ci si eleva e ci si nobilita, giacché “servire Deo regnare
est”» (n. 29). «Qualora pertanto le sue leggi o autorizzazioni siano in contrasto con
quell’ordine, e quindi in contrasto con la volontà di Dio, esse non hanno forza di ob-
bligare in coscienza, poiché “bisogna obbedire a Dio piuttosto che agli uomini” (At
5, 29); in tal caso, anzi, l’autorità cessa di essere tale e degenera in sopruso» (n. 30).
11
È un’immagine che, con modalità diverse, ritroviamo nella storia della spiri-
tualità, ad esempio in Doroteo di Gaza, che descrive un cerchio disegnato per terra:
«Pensate che questo cerchio sia il mondo, il centro del cerchio, Dio, e le linee che
vanno dal cerchio al centro le vie, ossia i modi di vivere degli uomini». L’immagine
prosegue in maniera particolareggiata mostrando come gli uomini, simboleggiati
dalle linee, «a mano a mano che procedono si avvicinano a Dio e si avvicinano l’un
l’altro e quanto più si avvicinano l’un l’altro, si avvicinano a Dio», e viceversa… (cf.
Doroteo di Gaza, Insegnamenti spirituali, traduzione e note a cura di M. Paparozzi,
Città Nuova, Roma 1979, pp. 123-125). Chiara non poteva naturalmente conoscere
questo testo, allora praticamente inaccessibile.
12
Più tardi lei stessa metterà in rilievo la dinamica della comunicazione delle
esperienze come espressione caratteristica della Parola di Vita: «Non si viveva sol-
tanto singolarmente, ciascuna per proprio conto, la Parola di Dio. Le utili esperienze,
le illuminazioni, le grazie ricavate dalla vita di essa erano messe in comune, dove-
vano essere messe in comune, per l’esigenza della spiritualità dell’unità che vuole
che ci santifichiamo insieme. Si sentiva il dovere di comunicare agli altri quanto si
sperimentava» (C. Lubich, Essere tua Parola [testi scelti a cura di F. Ciardi], Città
Nuova, Roma 2008, p. 41).
13
Nei Vangeli stessi spesso i diversi detti di Gesù solo legati tra loro artificial-
mente, a volte soltanto grazie a parole simili, ad accorgimenti mnemonici, a richiami
tematici.
14
Fa riferimento anche a una successiva parola evangelica, di cui non è giunto
il commento – «Se non vi convertirete e non diverrete come i piccoli, non entrerete
nel Regno dei Cieli» (Mt 18, 3) – che ha avuto come effetto: «annientarci, annullarci,
per lasciar vivere Lui in noi. Due voci distinguemmo dentro di noi: la Sua, la nostra».
15
Probabilmente il termine “comunità cristiana”, virgolettato, si riferisce all’O-
pera di padre Beda Hernegger. Al Focolare era stato chiesto di animare, anche
proprio attraverso la Parola di Vita, i membri di quest’Opera che si costituivano
appunto in gruppi denominati “comunità cristiane” (cf. L. Abignente, “Qui c’è il dito
di Dio”, cit., pp. 116-121, 131-133). Il frutto della Parola di Vita è comunque più ampio
del servizio alla “comunità cristiana” di padre Beda. Essa porta, come viene qui af-
fermato esplicitamente, «a vivere l’unità».
16
Cf. nota 20.
17
Cf. L. Abignente, “Qui c’è il dito di Dio”, cit., pp. 107-116, 134-139.
18
Chiara ricordava l’impressione che fecero su papa Paolo VI queste parole, ri-
ferite soprattutto alla città di Roma, quando lei per la prima volta gli parlò di Gesù
in mezzo.
19
Il riferimento sembra essere ancora quello alle “comunità cristiane” di padre
Beda, ma si intravede comunque la comunità cristiana in quanto tale.
20
In maniera colloquiale, parlando a un gruppo di giovani religiosi, così si espri-
meva: «Una delle prime pagine che abbiamo letto ancora i primissimi tempi, quando
forse avevo due, tre, quattro compagne, è stato il Testamento di Gesù, come loro
sanno. E il Testamento di Gesù mi si è tutto illuminato, tanto che lo capivo, ed è tan-
to difficile specie per una ragazza come io ero allora. […] Ora, quando leggevamo
poi il Vangelo, chi ci insegnava a capire la Parola di vita? Era Gesù in mezzo a noi. Lui
proprio come in mezzo ai discepoli di Emmaus spiegava la Parola e il nostro cuore
batteva in petto, perché trovavamo qualche cosa di questa Parola, qualche cosa di
bello da mettere in pratica, da vivere, e soprattutto la trovavamo rivoluzionaria, per-
ché vedevamo la comunità cristiana che andava crescendo attorno a noi. […] Se si
potesse raffigurare il Vangelo come un terreno, e qui c’è il Testamento di Gesù che
è alla fine, prima della morte di Gesù, il Signore ha come bucato lì il terreno e ci ha
fatto andare sotto, e ci ha fatto scoprire le radici della Parola, di ogni Parola di Dio,
le radichette. E noi abbiamo scoperto, vivendola la Parola, che le radici erano tutte
Amore» (C. Lubich, Una domanda. Una risposta, in «Gen Re», 11 [1986], pp. 1, 9).
21
Così ad esempio, nel Discorso per il dottorato honoris causa in Sacra teologia a
Manila, il 14 gennaio 1997, sintetizza le «idee-forza colte nel Vangelo», che avrebbe-
ro dato vita alla spiritualità dell’unità: «Dio, nuovo Ideale della nostra vita, che si ma-
nifestò, in mezzo agli orrori della guerra, frutto dell’odio, per quello che veramente
era: Amore; fare la volontà di Dio ed il vivere la sua Parola come nostra possibilità di
rispondere al suo amore con il nostro; amore al fratello, specie se bisognoso, come
comando in cui sta tutta la legge; attuare con radicalità il comandamento nuovo,
tipico di Gesù; farsi carico della croce, di ogni croce, personale, dei prossimi, e pre-
130 nu 231
fabio ciardi
sente nella Chiesa o nell’umanità; realizzare l’unità con Gesù e con i fratelli, come
si coglie nella sua preghiera per l’unità; vivere con quella presenza di Gesù fra noi
promessa a coloro che si uniscono nel suo Nome e cioè nel suo amore. Tutto ciò
cibandoci ogni giorno dell’Eucaristia, vincolo d’unità; vivendo la Chiesa soprattut-
to come “comunione”; imitando Maria, “Madre dell’unità” nella sua desolazione;
lasciandoci guidare singolarmente ed insieme dallo Spirito Santo, Amore-Persona
nella Trinità e vincolo d’unità anche fra le membra del Corpo di Cristo» (Dottorati
honoris causa conferiti a Chiara Lubich, a cura di F. Gillet e R. Parlapiano, Città Nuova,
Roma 2016, p. 81).
22
Paradiso ’49, in AA.VV., Il Patto del ’49 nell’esperienza di Chiara Lubich, Studi
della Scuola Abbà, Città Nuova, Roma 2012, pp. 12-13.
nu 231
alla fonte del carisma dell’unità
Storia di Light. 15
Vita in Mariapoli
semplicità
Igino
I programmi dei corsi di lezioni – o delle missioni?
Giordani non si sa come chiamarli, perché tutto avviene in letizia,
alla luce del sole in libertà e carità – sono concepiti se-
(1894-1980)
confondatore condo una gradualità per cui partono dai primi rudimen-
del movimento ti per gli ignari e arrivano ai più intensi insegnamenti per
dei focolari. i formati.
scrittore, I nuovi arrivati, detti novissimi, conoscono la città da
giornalista e
una pellicola illustrativa delle vicende del 1958 e da una
parlamentare
della repubblica spiegazione elementare fornita da una ragazza. Anche
italiana. i bambini, poiché partecipano con eguaglianza di titoli
– e qualche preminenza altresì – alla vita della Mariapo-
li, seguono un loro corso, in cui si impiegano le risorse
della pedagogia più recente che è poi quella della carità,
per cui il maestro si fa uno con gli scolari, e adopera
rumori, suoni, canti, passeggiate, e corse…
C’era ieri mattina un francesino il quale piangeva
fuori la porta della sala San Paolo perché nessuno lo
conduceva alla sala del suo convegno a Tonadico! Fi-
gurarsi! Appena seppero la causa di quella desolazione
auto e motoscooter e biciclette furono offerte per tra-
sbordarlo alla sede di sua competenza, previo un gelato
da passeggio.
134 nu 231
igino giordani
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igino giordani
Attraverso quei viaggi si vide che dovunque si va, si va a casa; dove sono
uomini, sono fratelli; l’amore è fatto per tutti e apre le porte di tutti.
In Argentina e in Cile e in Brasile sempre tra i nostri si sta, e l’ecumenicità
della Chiesa ecumenizza la vita del focolarino. Marco non sapeva né spa-
gnolo né portoghese e tuttavia parlò a congressi dove erano anche vescovi
e professori universitari. Per la sua semplicità, per la validità del messaggio
da lui portato, lo capirono e molti si associarono, sì che anche laggiù fiorisce
la nostra famiglia.
E ora in Mariapoli ci sono brasiliane, di cui due dalla pelle nericante a
testimoniare che ci vogliono tutti e sette i colori per formare la bianchezza
dell’iride che è Maria.
Da Montevideo a San Paulo, da Rio de Janeiro a Santiago, come ieri, da
Malè a Bolzano.
138 nu 231
igino giordani
messo in testa – e lo mette nelle nostre orecchie con inserzioni canore, pari
a irruzioni d’energia d’oltremondo – che attraverso le note musicali si scala il
cielo. E non ha torto: ché alla fine se si va a vedere, si trova che quella scala
è Maria.
Però – dicono i mariapoliti – se Emilio seguita a digiunare, un bel giorno
– anzi un brutto giorno – ci sfuma come un sospiro sensibilizzato nell’etere,
al primo ventar dalle Alpi. Onde gli fanno festa, per animarlo a prendere
zabaioni. Cantano in sua lode:
140 nu 231
igino giordani
142 nu 231
igino giordani
non hanno senso quei concerti con canzonette, dai caffè, dove la gente affa-
ticata per parer divertita, si strugge di noia. Alle caute rimostranze, il teddy-
boy replica che non si dà cena senza danza.
Si convertirà? Dopo tre giorni, nel partire, gli si domanda: «Che porti via
dalla Mariapoli?».
Egli si torce un ciurlo in capo e dopo averci ripensato, scoppia: «Porto via
acqua e sassi. Ora crosciano in fondo alla mia anima… Non so che ne verrà
fuori».
Non c’è che fare: qui o ci si converte o si parte. Quest’anno capita que-
sto: che per convertirsi i nuovi venuti per prima cosa vanno a confessarsi,
quasi per gittare a valle l’uomo vecchio e scalare l’altura. Il confessionale è
la porta d’accesso: di lì entrano nella comunità, qui trovano Padre e fratelli,
a cui li presenta la Madre.
I flussi più intensi di mariapoliti si verificano il sabato sera in arrivo, la
domenica sera in partenza: nella notte di mezzo molti non sanno dove dor-
mire. Allora sopravviene la carità: e molti dei futuri partenti sono lieti di dare
i propri letti ai nuovi arrivati. Dormono per terra e con questo atto coronano
la Mariapoli.
Alcuni dei nuovi arrivati di primo acchito brontolano perché non trovano
il bagno o mancano degli agi e servizi dei grandi alberghi, però quando se ne
vanno sono lieti di aver dato il letto o magari il materasso ad altri pellegrini, a
fratelli. Hanno scoperto la felicità inaudita che si trae dal servire il prossimo.
Arrivano pullman pieni di persone che vengono magari per un giorno in
Mariapoli, come a un santuario. Difatti vi si confessano, ascoltano la Messa,
fanno la comunione: come da una piscina in cui si purificano. E tornano giù
nel piano, stanchi e felici.
Quanto sia fascinosa questa convivenza, lo dicono i fatti: e il fatto più
grave che tutti deplorano, quasi furto continuato, anche se non ci sia scasso,
è questo: che i giorni volano. Sono soffiati via da un angelo, il quale passa
ratto (n.d.r., veloce). Ti alzi la mattina e, appena ti volti, sei a letto, la sera.
10, 20, 30 giorni: un soffio. Sei arrivato e riparti. Qui, anche senza aver letto
Goethe uno si volge all’etere, specie nei giorni che non lo pezzano le nubi
e grida: «Attimo fermati, sei bello!». Ogni attimo è bello, perché ancorato
144 nu 231
igino giordani
LA CHIESA
di Chiara Lubich
a cura di Brendan Leahy e Hubertus Blaumeiser
Meditazioni sulla Chiesa, comunità ecclesiale
cristiana, che incarna l’esperienza comunitaria di
amore evangelico.
Un “giardino” in cui fioriscono le parole di Gesù: è la carat-
teristica prospettiva da cui Chiara Lubich coglie ciò che è la
Chiesa nei piani di Dio. La vede perciò innanzi tutto nella sua
isbn dimensione carismatica, come “Vangelo incarnato”, e in que-
97888311144537 sta chiave legge anche la sua dimensione gerarchica.
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160
prezzo LO SPIRITO SANTO
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di Chiara Lubich
a cura di Florence Gillet e Raul Silva
Per la prima volta una raccolta di testi di Chiara
Lubich sullo Spirito Santo.
Da qualche anno, il Movimento dei Focolari propone ai lettori
raccolte di scritti, pensieri, e testi vari di Chiara Lubich su ogni
cardine della spiritualità dell’unità.
È arrivato il momento di raccogliere in un volume i testi
dell’Autrice con particolare attenzione all’effusione dello Spi-
rito agli inizi del Movimento, al suo ruolo di Maestro interiore,
agli insegnamenti e all’azione rinnovatrice dello Spirito.
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nu 231
in biblioteca
Dalla ricchezza del testo è possibile enucleare alcuni centri tematici fon-
damentali. Il primo verte sull’idea (?) del sacro. Al sacro come realtà chiusa
e piena di significato, si contrapporrebbe la categoria di profano: come ciò
che sta al di fuori del sacro1. Il sacro però sarebbe uno spaccato della nostra
psiche più profonda e un sentimento, risultando un vero problema per la nostra
facoltà razionale. Apparterrebbe, infatti, alla regione più profonda della nostra
irrazionalità: risultando quasi una necessità fisica di una serie di punti fissi da cui
partire e sui quali fondarsi. Così parlare di sacro significa sancire l’intoccabilità
di cose e di concetti, ma anche di valori e norme assunte a priori e senza discu-
terle. Ciò sarebbe la base che condurrebbe a posizioni e convinzioni assolute
e settarie. La tesi di fondo vuole sostenere che la realtà del sacro si fonda
sul quel senso di nullità che l’uomo, diversamente da ogni altro animale,
avverte nei confronti della natura; vissuto alla base sia della convinzione di
una presunta provenienza da una realtà altra alla quale si vuole fare ritorno
(causa della nascita dei miti delle origini e di un’età dell’oro perduta presenti in
buona parte delle civiltà antiche), sia del bisogno di comunanza e di socialità
che delineano un témenos: area sicura e familiare che assolve al bisogno di
una casa comune e di una legittimazione di un ordine superiore.
Lo scienziato poi si sofferma a delineare la (inesatta) mentalità causale
e la concezione fantastica di reale che ha la visione sacrale. Lo spaesamen-
to in una natura apparentemente inanimata e meccanica produce, attra-
verso il pensiero, essenze fondanti ed intenzionali: ciò che le varie religioni
(quali?) declinano in un pantheon con a capo un’entità suprema (intesa da
alcune di esse anche come persona e padre). Tra le essenze ci sono i valori
come contraltare e complemento normativo. Mentre le entità prime giustifica-
no i valori, questi a loro volta ci esimono dal giustificare le prime. Questa con-
cezione tende a creare una mentalità chiusa e autoreferenziale, nonché a
ritenere che dietro ogni accadere ci siano queste essenze personificate.
Boncinelli, però, denuncia la fallacità del ragionamento religioso o super-
stizioso o basato sulla successione lineare di cause ed effetti con l’esclusione
della categoria di caso.
Oltre ciò, l’inveramento del sacro nel quotidiano manifesta anche la
sua funzione sociale eticamente normata. Tuttavia l’etica si limiterebbe
solamente ad applicare un quadro valoriale e normativo che discenderebbe
dalla dimensione sacrale, e riterrebbe buona o cattiva un’azione facen-
do a questo riferimento. Chi non si attiene a questo quadro commette
peccato, dimensione centrale dell’etica religiosa che apre alle polarità
colpa-espiazione, premio-castigo, inferno-paradiso ecc.; peccato (pecca-
re, hamartánein) che per Boncinelli romperebbe lo schema ideale amore-
confidenza-rapporto, assetto principale della convivenza sociale. È pertanto
su questa base che fa leva la dottrina del peccato, che le etiche laiche cerca-
no di arginare battendo su intelligenza e razionalità per la valutazione del
comportamento personale.
Infine, si vuole bandire l’idea di sacro come intoccabile e accettato a prio-
ri, in favore dell’argomentazione a posteriori. Il sacro non è un elemento nella
struttura della coscienza (R. Otto), ma va riconosciuto a posteriori e non as-
sunto a priori come qualcosa di intoccabile. Purtroppo, avverte il professore,
148 nu 231
Contro il sacro o contro pregiudizi invalidanti?
alcune considerazioni
(norme anche pratiche, essenze, valori). Ma ciò risulta essere un vero frain-
tendimento, così come ritenere il sacro un sentimento: visto che sebbene ci
emozioni dentro non può essere da noi generato, in quanto si presenta e si
avverte come qualitativamente (ontologicamente) diverso dall’io.
Infine, non è condivisibile la separazione tra sacro e profano né ritenere
il sacro un’ideologia. La separazione tra sacro e profano è alla base delle
più grandi aberrazioni e scissioni del reale e dell’uomo, che lo stesso Bon-
cinelli rifiuta. Essa ha considerato il valore del profano, anche dell’uomo
purtroppo, solamente in virtù del sacro e non in se stesso e di conseguenza
spesso ha ritenuto l’uomo un semplice mezzo e non un fine. L’ideologia del
sacro è poi vera solo in un fraintendimento: dove l’uomo non vive una rela-
zione con una realtà che riempie di valore il mondo e l’uomo e conduce alla
ricerca della sua tutela, senza considerare che tale relazione non fornisce
norme pratiche immutabili da applicare, ma un orientamento relazionale
come orizzonte. Il terrorismo che oggi insanguina il mondo manifesta que-
sto grande fraintendimento.
Un’altra perplessità sorge dalla non distinzione tra sacerdoti e presbiteri.
I sacerdoti dell’antichità, anche quelli che ritroviamo nell’Antico Testamen-
to, erano considerati mediatori tra il sacro/divino e l’uomo, ma con Gesù
tale mediazione è stata per sempre abolita. Egli, pur non essendo sacerdote,
viveva la relazione col Dio in prima persona e chiedeva a tutti di farlo senza
nessuna forma di mediazione se non la coscienza dell’orante che invoca e
ringrazia. I presbiteri cristiani non sono mediatori del sacro, ma collaboratori
ordinati che aiutano a rafforzare la relazione che ognuno vive in coscienza col
Dio. Mettere sullo stesso piano e non notare questa fondamentale distinzio-
ne, apportata soprattutto dal cristianesimo, denuncia una superficialità che
poco s’addice all’intelligenza che Boncinelli dimostra in altri frangenti.
Un ultimo punto verte su alcuni aspetti della morale. Per prima cosa, non
tutte le morali religiose si limitano ad applicare norme già date per paura di
punizioni o castighi e a riconoscere valori non negoziabili, in quanto alcune
correnti della morale cristiana, soprattutto post-Vaticano II, si basano, per
l’argomentazione, su libertà, intelligenza, razionalità e responsabilità, fattori
che Boncinelli attribuisce solo alla morale laica. La morale cristiana, in que-
sto senso, non è etero-determinata apriori da concezioni sacrali, valoriali
150 nu 231
Contro il sacro o contro pregiudizi invalidanti?
Davide Lodato
frasi proprie dell’Autore. Sarà facile, per chi legge il presente lavoro, andarle a rin-
tracciare nel testo.
2
L. Feuerbach, F. Nietzsche, K. Marx, S. Freud. Cf C. Greco, L’esperienza religio-
sa. Essenza, valore, libertà. Un itinerario di filosofia della religione, San Paolo, Cinisello
Balsamo 2004; R. Otto, Il sacro, trad. it. a cura di E. Buonaiuti, SE, Milano 2009; M.
Eliade, Il sacro e il profano, trad. it. a cura di E. Fadini, Bollati Boringhieri, Torino 2013.
152 nu 231
Nina e le donne di desiderio spirituale
Nella Bibbia il vir desideriorum del libro di Daniele è colui che non si ac-
contenta della realtà tangibile e per tale ragione non soffoca l’inquietudine
santa del cuore alle cose di Dio. Nina Kauchtschischwili (1919-2010), geor-
giana, professore di letteratura russa presso l’Università di Bergamo, po-
tremmo definirla in modo prepotente una “donna di desiderio” così come
quelle figure femminili ortodosse che ha studiato e ha fatto conoscere al
mondo occidentale. Il libro curato da Lucia Fagnoni dal titolo Donne di de-
siderio. Nina Kauchtschischwili tra oriente e occidente1 racconta entrambe: da
un lato la studiosa di slavistica e dall’altro figure quali Elisabeth Behr-Sigel,
Celia Deane-Drummond, Lulianija Lazarevskaja, la principessa tedesca Eli-
zaveta Feodorovna e tre profili di donne ortodosse mai editi da Nina Kauch-
tschischwili (Mat’ Maria, santa Nino e Tamara Mardžanišvili). Il volume è
attraversato dal ricordo e dall’eredità di Nina, dall’introduzione a cura della
cognata Francesca Melzi d’Eril in cui si traccia un profilo letterario e spiritua-
le della studiosa fino agli interventi degli studiosi, collaboratori e altri acca-
demici, che popolano il volume frutto della conferenza tenutasi all’Ambro-
sianeum, a Milano, il 13 settembre 2015. Nina, cattolica, è stata un’apolide
al pari di Mat’ Maria, santa Nino e Tamara Mardžanišvili: padre georgiano
e mamma russa, infanzia in Germania e studi in Italia2. Ha ricoperto il ruolo
di docente di slavistica per l’Università di Bergamo. Proprio lo studio dei
grandi pensatori dell’inizio del XX secolo quali Dostoevskij, Berdjaev e Flo-
154 nu 231
Nina e le donne di desiderio spirituale
bizantina e ignorata dalle fonti georgiane fino all’VIII secolo –, è vissuta nel
IV secolo. Originaria della Cappadocia, compie un pellegrinaggio attraverso
vari Paesi prima di giungere a Mtskheta, l’antica capitale della Georgia. Tale
percorso, sottolinea Nina, l’ha in qualche modo aiutata a rinvigorire la geo-
grafia della sua anima e a restare fedele alla sua vocazione. In Nina invece
sembra che questo passaggio sia avvenuto in qualche modo dagli anni ’90,
quando cioè all’apertura delle frontiere russe visitò quei luoghi che fino ad
allora erano solo frutto di studi e della letteratura. In molti sostengono che
quei viaggi cambiarono il corso degli studi di Nina, imprimendogli valenza
spirituale oltre che culturale. Nella sua vita, insomma, sembra prendere vi-
gore quando nel 2013, in occasione dei 1.025 anni della Chiesa ortodossa
russa, papa Bergoglio disse: «Lux ex oriente, ex occidente luxus». Con Ta-
mara Mardžanišvili, divenuta Matuška Famar’ e con il terzo studio inedito
di Nina, viene fuori l’altro suo filone di studi: l’approfondimento delle figure
delle madri spirituali, che in tempi sovietici ebbero un’enorme importanza.
Di Tamara ancor oggi si conosce molto poco. Nata nel 1800 quando la Ge-
orgia era ancora annessa alla Russia, è sorella di un noto regista georgiano,
Kote Mardžanišvili. Visse per lunghi periodi in Russia e fu deportata in Si-
beria.
La migrazione che accomuna Nina a Mat’ Maria, santa Nino e Tamara
Mardžanišvili è stata perciò la fonte inesauribile per tracciare la spiritua-
lità di queste donne di desiderio in modo assolutamente creativo. E Nina
è stata una di quegli occidentali di fiuto attratti dall’Oriente, per dirla alla
Berdjaev, secondo cui proprio la conformazione delle terre russe, senza
confini, risponde a quella della geografia dell’anima. In Nina troviamo tutto
questo: dichiarò che non sapeva quale fosse effettivamente per lei una lin-
gua familiare nonostante la conoscenza del francese, del tedesco, del russo,
del georgiano e dell’italiano. Trattasi infatti delle molte lingue di Nina cor-
rispondenti ai «molti volti che sapeva accogliere e amare, facendo sentire
vicini i lontani, riconducendo quel che appariva straniero a ciò che è proprio
dell’uomo»5. Frutto dell’essere migranti, nella vita come nella fede, poiché
come ha dichiarato recentemente papa Francesco «la nostra è una teologia
di migranti, perché lo siamo tutti fin dall’appello di Abramo, con tutte le
migrazioni del popolo d’Israele. E lo stesso Gesù è stato un rifugiato, un mi-
156 nu 231
english summary
158 nu 231
english summary
witness: «What all may be one […] so minates it. In the “ecumenical crucified
that the world might believe» (Jn 17:21). one” she sees – in his cry and in his self-
delivery to the Father, in which all suf-
scripta manent fering and separations are embraced,
and reconciliation is brought about – a
My Experience of Jesus Forsaken key for unity. Chiara Lubich discovers
C. Lubich this key of Jesus forsaken and risen not
p. 83 just in theology but also in life.
We publish a conversation that Chiara
Lubich held with around 10 church lead- The Dialogue of Faith and the
ers present in Austria. This meeting Primacy of Love
took place on the 5 November 2001 at
the Edelweiss Mariapolis Centre in Vi- V. Stanciu
enna. Chiara Lubich gives a special wit- p. 105
ness to her experience of Jesus cruci- The Christian world of the 20th cen-
fied and forsaken, and the infinite ways tury had to face social, political, cul-
in which the latter presents himself. She tural, religious problems as well as war.
communicates how she discovered Je- A new spirituality to give new vigor to
sus forsaken within the Christian world, Christianity was called for. The Focolare
in the divisions between the churches, Movement was born in this context,
which she sees as “scandal”, and how founded by Chiara Lubich. It is based
recognizing and loving him can con- on reciprocal love and approaches dia-
tribute to the healing of centuries old logue on the basis of communion, con-
wounds. tributing to dialogue of faith. The action
of the Holy Spirit is absolutely central
punti cardinali for this movement, as is the primacy
Jesus Crucified and Fosaken: of love. A splendid example of this was
the historic meeting between patriarch
Key to Unity Athenagoras and pope Paul VI in 1967.
J.P. Back, A. Bairactaris The churches of Constantinople and
p. 89 Rome meet again with the desire to one
day participate in the Eucharistic ban-
The charism of unity of Chiara Lubich quet together.
offers the ecumenical movement many
intuitions for the journey towards full
communion. One of these is its under-
standing of the mystery of Jesus on the
cross. Chiara adds a new element to the
paradigm of the crucified as emblem of
divided Christianity which further illu-
alla fonte del carisma dell’unità Story of Light. 15. Life in the
The Centrality of Charism in the Mariapolis
First Words of Life I. Giordani
F. Ciardi p. 133
p. 115 Giordani continues to speak of life in the
Mariapolis and does so in alternatively
In this essay, some of the first Words
humorous and serious tones. Light-
of Life of Chiara Lubich are examined.
hearted anecdotes help the reader to
It these we find not just a comment on
grasp with a smile the profoundly evan-
the gospel, but a charismatic reading of
gelical simplicity of the days passed in
the same, fruit of an impulse to put it
the city of Mary. Even children are part
in practice and live it. The end purpose
of this city, and tourists walking in the
of this is unity. For Chiara, unity is not
mountains with entirely other inten-
just the fruit of the lived word of God,
tions are attracted and conquered.
but also the place in which the latter is
There is much singing. Pasquale Foresi,
received.
Lia Brunet, and Emilio Faggioli are some
of the personalities that people this tale
and are some of the first builders of this
unique event, alongside Chiara Lubich.
in biblioteca
p. 147
160 nu 231
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Spiritualità ed ecclesiologia di comunione – M. Voce, C. Krause,
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Il dialogo è vita – AA.VV.
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