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Fondata da Chiara Lubich nel 1978,


231
Nuova Umanità è una rivista
multitematica che, alla luce del carisma 231
nuova umanità trimestrale di cultura
dell’unità, dialoga con le prospettive
culturali del mondo contemporaneo.
controcorrente

Prospettive per l’unità dei cristiani nuova umanità


Uno stile di vita per l’unità dei cristiani – J. Morán
Il Dio del nostro tempo – H. Blaumeiser

Focus
Prospettive per l’unità dei cristiani
Camminando insieme – D. Goller, M. Wienken
Nel crocevia della storia – Bartolomeo I, O.F. Tveit, K. Koch
Spiritualità ed ecclesiologia di comunione – M. Voce, C. Krause,
M. Robra, B. Farrell
Protagonisti di dialogo: patriarca Athenagoras I e C. Lubich – G. Zervos
Il dialogo è vita – AA.VV.
scripta manent
La mia esperienza su Gesù abbandonato – C. Lubich

punti cardinali
Gesù crocifisso e abbandonato:
chiave dell’unità –
J.P. Back, A. Bairactaris
Il dialogo della fede e il primato
dell’amore – V. Stanciu
alla fonte del carisma dell’unità
Le centralità carismatica
nelle prime Parole di Vita –
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nuova umanità trimestrale di cultura


rivista fondata da Chiara Lubich nel 1978

controcorrente
Uno stile di vita per l’unità dei cristiani
– J. Morán __________________________________________________ » pp. 5-11
Jesús Morán, copresidente del Movimento dei Focolari, a colloquio con una focola-
rina siro-ortodossa del Medio Oriente, una focolarina evangelica tedesca e un foco-
larino anglicano della Gran Bretagna, approfondisce le basi del dialogo ecumenico
alla luce del carisma dell’unità. Invita a riconoscere il dono “dell’alterità”, a vivere il
“farsi uno più profondo”, a svuotare le proprie valigie, liberandosi dai pregiudizi. Illu-
minato da un testo di Chiara Lubich afferma che «Gesù in mezzo è l’evento ecume-
nico per eccellenza». Gesù abbandonato «dispiega l’unico modello di ecumenismo
possibile che è il modello trinitario».

Il Dio del nostro tempo – H. Blaumeiser ______________________» pp. 13-21


Il saggio propone una lettura storica alla luce del duplice comando dell’amore di Dio
e del prossimo. L’attuale millennio si caratterizza per una necessaria testimonianza
di Dio attraverso l’amore reciproco, perché l’unità si riveli affinché il mondo creda
(cf. Gv 17, 21). Questo si propone come il fondamento dell’anelito a una spiritualità
della comunione proiettata in una dimensione ecumenica. In tal senso, il carisma
di Chiara Lubich è lo speciale dono che Dio offre all’umanità di oggi. Chiave di essa
il grido di Gesù in croce: «Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?» (Mc 15,
34; Mt 27, 46): un grido dove Dio accoglie le domande di tutti i tempi e apre a un
dialogo universale.

Focus
Prospettive per l’unità dei cristiani
Camminando insieme – D. Goller, M. Wienken ______________ » pp. 23-26
Chiara Lubich affermava che «Dio ha dato a noi un nuovo ecumenismo»: un ecume-
nismo che affonda le sue radici e la sua forza di propagazione in un carisma, in un
dono di Dio capace di contribuire all’unità dei discepoli di Cristo, che non cerca la
conversione dell’altro, ma la propria conversione a Dio e al vangelo, in particolare
sommario

al cuore del vangelo ossia all’amore reciproco comandato da Gesù; un ecumenismo


che getta nuova luce sul cammino verso la piena e visibile comunione tra i cristiani.

Nel crocevia della storia – Bartolomeo I, O.F. Tveit, K. Koch ___ » pp. 27-32
Il patriarca ecumenico di Costantinopoli Bartolomeo I, il segretario generale del
Consiglio ecumenico delle Chiese Olav F. Tveit e il presidente del Pontificio Consi-
glio per la promozione dell’unità dei cristiani cardinal Kurt Koch riconoscono nella
Settimana ecumenica 2017 un contributo sulla via dell’unità dei cristiani. Quest’ulti-
ma consiste oggi essenzialmente nel camminare insieme verso la giustizia e la pace.
Progredendo nel cammino verso Gesù crocifisso e abbandonato, chiave dell’unità,
ci avviciniamo all’unità tra di noi, che è vita in comunione d’amore. Apprezzano l’im-
pegno sincero e fedele del Movimento dei Focolari allo spirito di Chiara Lubich.

Spiritualità ed ecclesiologia di comunione – M. Voce, C. Krause,


M. Robra, B. Farrell ________________________________________ » pp. 33-56
In una tavola rotonda in occasione della commemorazione dei 500 anni della Ri-
forma luterana, Maria Voce, presidente del Movimento dei Focolari, il vescovo lu-
terano Christian Krause, il teologo luterano del Consiglio ecumenico delle Chiese,
Martin Robra, e il vescovo cattolico Brian Farrell, segretario del Pontifico Consiglio
per la promozione dell’unità dei cristiani rispondono alla domanda: «Quale il con-
tributo che Chiara Lubich con il carisma dell’unità offre al cammino della piena e
visibile comunione tra le Chiese?».

Protagonisti di dialogo: patriarca Athenagoras I e Chiara Lubich


– G. Zervos _______________________________________________ » pp. 57-65
Il 13 giugno 2017 ricorrevano cinquant’anni dal primo incontro tra due protagoni-
sti del dialogo: il patriarca ecumenico Athenagoras e Chiara Lubich. Con una te-
stimonianza personale il metropolita d’Italia e di Malta, Gennadios Zervos, rende
pubblico, come si legge nel discorso che segue, il rapporto che intercorse tra due
personaggi che, «con la loro vita umile, seria, disponibile, con la dedizione, l’amore e
la preghiera, sono stati gli iniziatori di una nuova era ecumenica e hanno certamente
contribuito a cambiare la situazione e l’atmosfera tra la Chiesa ortodossa e quella
cattolica romana».
sommario

Il dialogo è vita – AA.VV. __________________________________ » pp. 67-82


Vivendo il dialogo della vita si testimonia che è possibile vivere insieme e creare un
clima nuovo di fiducia reciproca tra i cristiani, generando stima e rispetto vicende-
voli. Questo si vede realizzato in alcune testimonianze: cristiani di diverse Chiese e
provenienze che nel loro quotidiano vanno oltre gli ostacoli che provengono dalle
inevitabili diversità. Quello che li spinge è l’amore reciproco attuato secondo il van-
gelo che permette la presenza del Risorto in mezzo a loro (cf. Mt 18, 20), ed è questa
la più grande testimonianza: «Che tutti siano una cosa sola […] affinché il mondo
creda» (Gv 17, 21).

scripta manent
La mia esperienza su Gesù abbandonato – C. Lubich _________» pp. 83-88
Riportiamo qui un colloquio di Chiara Lubich con una decina di responsabili del-
le Chiese presenti in Austria, avvenuto il 5 novembre 2001 al Centro Mariapoli
Edelweiss a Vienna, durante il quale partecipa in un modo unico la sua esperienza
su Gesù crocifisso e abbandonato, con i suoi infiniti volti. Ella comunica come ha
scoperto Gesù abbandonato anche nella cristianità, nelle divisioni fra le Chiese, in
cui vede uno “scandalo”, e come il riconoscere e amare il suo volto può contribuire
a sanare ferite di secoli.

punti cardinali
Gesù crocifisso e abbandonato: chiave dell’unità – J.P. Back,
A. Bairactaris ____________________________________________ » pp. 89-103
Il carisma dell’unità di Chiara Lubich offre al movimento ecumenico molte intui-
zioni per il cammino verso la piena comunione. Una di esse è la sua comprensione
del mistero di Gesù sulla croce. Chiara innesta un nuovo elemento nel paradigma
del Crocifisso emblema per la cristianità divisa, per illuminarlo ulteriormente. Nel
“crocifisso ecumenico” intravede ­– nel suo grido e nella sua consegna al Padre, in
cui abbraccia tutti i dolori e le separazioni e opera la riconciliazione ­– una chiave per
l’unità. Questa chiave di Gesù abbandonato e risorto la Lubich la riscontra non solo
nella teologia ma nella vita.

Il dialogo della fede e il primato dell’amore. Patriarca Athenagoras, papa


Paolo VI e Chiara Lubich – V. Stanciu ______________________» pp. 105-113
Il mondo cristiano del XX secolo si è confrontato con problemi sociali, politici, cul-
turali, religiosi e soprattutto bellici. Era urgente una nuova spiritualità per rinvigorire
il cristianesimo. Il Movimento dei Focolari nasce in quel contesto, fondato da Chiara
sommario

Lubich, si basa sull’amore reciproco e si approccia al dialogo poggiando sulla comu-


nione, contribuendo anche al dialogo della fede. Imprescindibili per esso l’azione
dello Spirito Santo e il primato dell’amore. Fulgido esempio ne è stato lo storico
incontro tra il patriarca Athenagoras e papa Paolo VI nel 1967. Le Chiese di Costanti-
nopoli e di Roma si incontrano ancora con l’anelito di partecipare insieme un giorno
del banchetto eucaristico.

alla fonte del carisma dell’unità


La centralità carismatica nelle prime Parole di Vita –
F. Ciardi _________________________________________________ » pp. 115-131
In questo saggio si riprendono alcune delle prime Parole di Vita di Chiara Lubich. Si
evidenzia come esse, più che un commento al Vangelo, rappresentino una lettura
carismatica di quest’ultimo, frutto di un impulso a metterlo in pratica e a viverlo. Il
fine ultimo è quello di condurre all’unità, laddove per Chiara l’Unità non costituisce
solo il frutto della parola di Dio vissuta, ma anche il luogo in cui essa viene accolta.

Storia di Light. 15. Vita in Mariapoli – I. Giordani __________ » pp. 133-145


Giordani continua a parlarci della vita della Mariapoli, e lo fa ora in tono scherzoso,
ora in tono profondo e serio. Aneddoti spiritosi ci fanno cogliere con un sorriso la
profonda evangelica semplicità dello svolgersi delle giornate nella città di Maria.
Anche i bambini ne fanno parte, e i turisti saliti in montagna con ben altri intenti ne
vengono attratti e conquistati. E non mancano i canti. Don Pasquale Foresi, Lia Bru-
net, Emilio Faggioli, alcuni dei personaggi che popolano questo racconto, sono tra i
primi costruttori di questa originale convivenza, accanto alla Lubich.

in biblioteca
Contro il sacro o contro pregiudizi invalidanti?
– Davide Lodato ________________________________________ » pp. 147-152
Nina e le donne di desiderio spirituale – M.G. Baroni _______ » pp. 153-156

english summary – a cura di D. O’Byrne___________________ » pp. 157-160


controcorrente

Uno stile di vita


per l’unità dei cristiani

Sono stato in Medio Oriente tre volte – una volta a


Jesús Gerusalemme e due volte in Giordania – e tutte e tre le
Morán volte ho vissuto esperienze molto significative, molto
arricchenti. Stando lì, vedendo come la gente è, come
copresidente
vive, mi è sembrato di capire perché Dio si è fatto uomo
del movimento
dei focolari. in un ebreo, in un semita. Ho vissuto quasi trent’anni in
filosofo, teologo. America Latina, e il dono che ho avuto in quella terra è
l’aver capito che la relazione è socialità: lì, in America La-
tina, tutto è rapporto, tutto è relazione, intesa da questo
punto di vista sociale.
Anche in Medio Oriente ho colto l’importanza del-
la relazione, dei rapporti interpersonali, ma da un’altra
prospettiva, che esprimerei con il termine corporeità.
Quindi, America Latina: relazione come socialità; Medio
Oriente: relazione come corporeità. In Medio Oriente ho
visto una relazione che si fa carne, quindi corpo, sangue.
Allora ho capito perché Dio si è fatto carne in un ebreo e
perché questo uomo che è Dio ci ha lasciato il suo corpo
nell’Eucaristia. Egli aveva un ideale di unità che passava
attraverso la corporeità che è la Chiesa, un corpo.
Credo che solo un semita, un ebreo, potesse espri-
mersi in questo modo. Lì la Chiesa, intesa come un
popolo, un corpo, viene in evidenza in un modo molto
particolare.
Penso che la conflittualità che si vive oggi in Medio
Oriente, con livelli di violenza che sembrano inconcepi-
bili, sia l’aspetto negativo di questa corporeità. Ossia: in

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controcorrente
Uno stile di vita per l’unità dei cristiani

una cultura in cui i rapporti precipuamente sono corporei, il non-rapporto


acquista una violenza brutale. Solo così mi spiego lo smisurato grado di con-
flittualità.
Credo allora che in Medio Oriente si debba portare la nuova corporeità
che Cristo ci ha donato, che non è una corporeità fatta solo di sangue e di
carne, ma di Spirito. Lì occorre testimoniare il nostro essere uno, un solo
corpo, un nuovo popolo che si fa uno con gli Ebrei e uno con i Greci, come
dice san Paolo.
Credo che in Medio Oriente debba nascere questo popolo nuovo, che è
il popolo di Cristo, che proclama con la vita la cultura della risurrezione. È
il Risorto che ci dona una nuova corporeità, diversa, più forte addirittura di
quella fisica, dove si va al di là dell’appartenenza etnica. A mio avviso, per
risolvere la drammatica situazione di conflittualità che si vive in quella terra,
la cosa più importante è far dilagare con l’amore la cultura della risurrezione
e per questo l’unità delle Chiese è fondamentale, perché si deve vedere que-
sto unico corpo in Cristo, che nella divisione non si può mostrare.
E questo è possibile farlo mediante un dialogo vero e costruttivo, che non
scada nel relativismo. Sono infatti convinto che la verità non è relativa, bensì
relazionale. Qual è la differenza? Verità relativa vuol dire che ognuno ha la
sua verità, che in ultima sintesi vuol dire non credere che ci sia una verità.
Verità relazionale vuol dire, invece, che c’è una verità a cui tutti noi parteci-
piamo, anche se in modo diverso. Una verità che non siamo noi a possedere,
ma è lei a possederci, e per raggiungerla io ho bisogno dell’altro, perché lui
partecipa alla verità in un modo diverso dal mio, e questa sua diversità è un
dono che completa la mia partecipazione alla verità. I filosofi distinguono
tra verità reale e verità duale. Verità reale è quella della vita, dell’essere, della
persona; verità duale è la verità che si “dualizza”, è la verità del linguaggio,
della ragione. Nel campo del linguaggio e della ragione non c’è una piena
corrispondenza tra il livello dell’essere e quello dell’espressione; per esem-
pio, noi normalmente non diciamo quello che vogliamo dire, né esprimiamo
quello che veramente pensiamo: questa è la dualità.
C’è, invece, una verità reale che ci accomuna tutti. Nel contesto ecume-
nico la nostra verità reale è l’appartenenza a Cristo, è la fede in Cristo morto
e risorto. Questa è la nostra verità reale, che esprimiamo in modo diverso;

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jesús morán

sono le nostre ecclesiologie, le nostre cristologie che sono relazionali: nes-


suna ecclesiologia è completa, come nessuna cristologia lo è.
Il dato kerigmatico: Cristo morto e risorto, è completo, è compatto. Le
ecclesiologie, invece, sono duali. Ecclesio-logia: questo logos è sempre dua-
le, noi non riusciremo mai a esprimere compiutamente l’ecclesiologia del
vangelo, né mai in pienezza la cristologia del vangelo.
Negli sforzi ecumenici degli ultimi decenni questo lo si è capito benis-
simo. Siamo andati alla verità reale e abbiamo relativizzato le nostre eccle-
siologie, le nostre cristologie, cioè abbiamo visto che non sono così diverse,
perché non siamo riusciti a esprimere quello che volevamo esprimere. Allo-
ra, rileggendo ad esempio Lutero, capiamo che lui magari voleva dire un’al-
tra cosa da quello che avevamo capito, e lo stesso anche gli altri. Mi sembra
fondamentale tornare a questa verità reale e lasciarci purificare da essa.
Cioè che sia questa verità, che viviamo tutti insieme, a portarci a purificare
sia il nostro linguaggio, sia il nostro pensare.
Durante un viaggio in India ho visitato il museo di Gandhi dove c’erano
anche tante immagini di Tagore, un altro grande pensatore indiano. Poi mi
hanno spiegato che il modello educativo di Gandhi era totalmente diverso
da quello di Tagore, eppure essi erano profondamente amici. Questo è un
esempio: erano uniti nella verità reale, pur avendo modelli diversi circa l’e-
ducazione migliore per il popolo indiano.
Nella cultura e nella filosofia del dialogo c’è un principio fondamentale: il
dialogo si fa solo tra persone vere, cioè non tra persone che dicono la verità,
ma tra persone vere. San Francesco d’Assisi si è trovato bene col sultano,
perché erano persone vere. Tagore si è trovato fondamentalmente d’accor-
do con Gandhi, perché erano persone vere. Allora il loro modello educativo,
il loro pensare, il loro ragionare, il loro linguaggio vengono relativizzati da
quel substrato che è molto più profondo e molto più importante.
Ovviamente abbiamo assistito lungo la storia, e continuamente assi-
stiamo, anche a piccoli o grandi fallimenti del dialogo. Penso che il dialogo
spesso fallisca soprattutto per mancanza di silenzio e di ascolto. Non tanto
silenzio di parole, ma silenzio profondo, interiore. Roger Bastide sostiene
che, nonostante viviamo in una società pluralistica e tollerante, portiamo
sempre nei nostri viaggi una valigia piena di pregiudizi1. Curiosamente que-

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controcorrente
Uno stile di vita per l’unità dei cristiani

sta valigia non passa per i controlli della dogana, perché è così pesante! E
questo non ci lascia dialogare, perché è un rumore interno permanente che
ci fa fare delle considerazioni, appena l’altro dice una cosa diversa da quello
che io ho pensato. È la mancanza di silenzio, di vuoto interiore.
Bisogna tener presente anche un altro grande principio della filosofia del
dialogo, che è il dono dell’alterità, il dono della diversità. L’altro mi completa
con la sua diversità, e non perché è uguale a me, o perché pensa come me:
l’altro è un vero dono, quando è diverso da me. Allora il conflitto di per sé
non è una cosa negativa; se esso aiuta a svuotare questa valigia di pregiudi-
zi, se aiuta a purificare il linguaggio e il pensiero, va benissimo; anzi, a volte
il conflitto è l’inizio di una vera relazione, di una relazione profonda. Il pro-
blema è quando il conflitto rompe la relazione irrimediabilmente; lì bisogna
stare attenti.
Qui mi permetto di fare un richiamo a un concetto di Chiara Lubich che è
fondamentale: il farsi uno più profondo. Dovremmo impararlo a memoria, se
vogliamo veramente fare un dialogo.
Klaus Hemmerle, commentando questo, diceva:

Farsi uno con l’altro è in sostanza la perfetta attuazione del caratte-


re divino e deiforme dell’amore. […] Cosa significa concretamente?
La libertà dell’amore che si fa uno con la libertà di amare dell’al-
tro, diventa per così dire uno spazio vuoto – ecco la valigia vuota –,
un nulla che contiene, in cui la libertà del partner può dispiegarsi,
donarsi, articolarsi. Il “farsi uno” non inizia nella discussione, nel
pro e contro delle ragioni, nella difesa e nell’accusa, – anzi – […] si
costituisce e cresce solo se l’inizio gratuito dell’amore significa farsi
vuoto, aprirsi, far venir fuori l’altro per la persona che è, per quello
che è, così come è. […] Lo stare di fronte all’altro e l’inabitare in lui
diventano due facce di un’unica realtà in cui spontaneamente anche
il partner prende parte alla “mia” parola, cerca e si apre a me2 .

È l’accogliersi l’un l’altro, il donarsi l’un l’altro: è questo che dobbiamo


approfondire, questo farsi uno più profondo, perché i nostri dialoghi non falli-
scano, senza paura del conflitto.

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jesús morán

Liberarsi dai pregiudizi, quindi, è l’atteggiamento più importante del dia-


logo ecumenico. Curiosamente torno alla metafora della valigia, perché mol-
to spesso non ci rendiamo conto di averla. Ci accorgiamo di avere una valigia
molto pesante quando c’è qualche controllo: lo sono i conflitti personali, i
momenti veramente personali che ci toccano nel vivo. Allora lì ci scopriamo
molto meno tolleranti di quello che pensavamo.
È di primaria importanza, dunque, liberarsi dai pregiudizi, prendere sul
serio questo farsi uno più profondo che implica da noi un vuoto, un vuoto di
fronte all’altro in modo che – come diceva Hemmerle – la sua parola possa
inabitare me, possa diventare mia. Io devo passare per questo momento
cruciale in cui arrivare a pensare come pensa l’altro. Poi, comunque, bi-
sogna approfondire la propria identità, che sembra in contraddizione con
quello che ho detto, ma che in realtà non lo è. Nel dialogo ecumenico non
possiamo fare una specie di accordo al ribasso, in cui non si parla di quel-
lo che ci divide, ci si accontenta degli accordi raggiunti e si nascondono
i conflitti. Questa sarebbe piuttosto una sorta di omologazione, ma non
quell’unità che tutti vogliamo. Dobbiamo sviluppare la nostra unità nella
dimensione più alta e profonda possibile, perché è lì che forse scopriremo
la nostra verità reale, cioè che tutti noi siamo stati raggiunti da Cristo mor-
to e risorto.
Cristo non ci appartiene, Cristo non appartiene ai cattolici, non appar-
tiene agli ortodossi, non appartiene agli anglicani, né ai luterani: siamo noi
che apparteniamo a lui.
Oggi non c’è bisogno di una nuova ecclesiologia, ma di una vera espe-
rienza di Chiesa, sulla base della quale elaborare poi una ecclesiologia nuo-
va. I primi cristiani hanno assunto il concetto di ecclesia dalla cultura greca
nel suo significato di assemblea: qualsiasi assemblea era una ecclesia. I primi
cristiani hanno pensato: anche noi siamo una ecclesia, l’assemblea di tutte
quelle persone che hanno trovato in Gesù un nuovo modo di vivere, un nuo-
vo modo di abitare questo mondo. Questa è l’Ecclesia. Dopo, nel Vangelo,
hanno trovato delle parole per dare una certa forma storica a questa espe-
rienza, ma l’esperienza fondante rimane quella.
Quindi è necessario andare contemporaneamente in profondità e in
altezza. Per esempio, il dialogo ecumenico, secondo me, ha bisogno di lu-

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Uno stile di vita per l’unità dei cristiani

terani che siano luterani veri, e non di mezzi luterani, e così non di mezzi
cattolici, non di mezzi ortodossi, perché in realtà c’è una sola Chiesa; ci sono
diverse tradizioni ecclesiali, però la Chiesa non può essere che una, per prin-
cipio. Dopo ci sono delle diverse tradizioni ecclesiali, che oggi, però, viste dal
punto di vista dell’unità, sono una ricchezza.
Il cardinal Kasper usa molto l’espressione: diversità riconciliata; a me pia-
ce aggiungere un altro aggettivo: diversità riconciliata e inclusiva. Credo che
questo sia fondamentale.
Alla luce di quanto fin qui detto, penso che l’esperienza di Gesù in mezzo
a noi, che ci viene dalla spiritualità di comunione, sia l’evento ecumenico per
eccellenza, perché è lui che ci fa uno. Noi non ne siamo capaci, ma lui ci fa
uno, quindi lui è la chiave proprio perché è un evento: dove c’è lui, c’è la sua
Chiesa. Qui bisogna mettere in moto quello che Chiara Lubich esprime con
l’arte di amare, la strategia dell’amare l’altro per primi, perché arrivi questa
grazia che è la presenza di Gesù. Quando lui c’è in mezzo a noi, noi siamo
uno.
Va in tal senso valorizzato il concetto del cosiddetto “ecumenismo della
ricezione”. L’ho sperimentato una volta in una chiesa anglicana nell’ovest
dell’Irlanda, a Galway, dove ero insieme con un sacerdote cattolico. Stava
finendo la funzione serale e il ministro anglicano non ci ha fatto nessuna
domanda, semplicemente ci ha accolto, senza chiedere: «Siete cattolici?
Anglicani?». Questo mi sembra fondamentale: bisogna fare sempre queste
esperienze di preghiera, di incontri, di dialogo.
Ovviamente non sempre si riesce e senza un amore profondo e conti-
nuamente rinnovato a Gesù abbandonato – altro caposaldo della spiritualità
dell’unità – non c’è ecumenismo possibile, perché lui è veramente il rischio
dell’alterità, il rischio dell’identità. Lui è il Verbo, quindi la verità del Padre.
Sentirsi abbandonato dal Padre significa che Gesù piomba nella non verità,
lui è nulla, lui rischia questo. Questa è la chiave per un vuoto radicale.
Gesù abbandonato dispiega l’unico modello possibile di ecumenismo
che è il modello trinitario. E qui vorrei finire con un breve testo di Chiara Lu-
bich, in cui lei esprime cos’è questa vita della Trinità tra di noi, che ha come
base Gesù abbandonato e che è l’esperienza di Gesù in mezzo a noi.

10 nu 231
jesús morán

Dice Chiara: «Io sono stata creata in dono a chi mi sta vicino e chi mi sta
vicino è stato creato da Dio in dono per me. Come il Padre nella Trinità è
tutto per il Figlio ed il Figlio è tutto per il Padre»3.
Per questo il rapporto tra noi è lo Spirito Santo, lo stesso rapporto che c’è
tra le Persone della Trinità.
Questo è il futuro dell’ecumenismo. È Gesù abbandonato che dispiega
tra di noi uno spazio di luce e di verità che è lo stesso Spirito Santo, e lì siamo
Uno.

1 
Citato in E. Baccarini, La soggettività dialogica, Aracne, Roma 2003, pp. 185-
186.
2 
K. Hemmerle, Partire dall’unità. La Trinità come stile di vita e forma di pensiero,
Città Nuova, Roma 1998, pp. 73-74.
3 
Scritto del 2 settembre 1949, in C. Lubich, L’amore reciproco, a cura di Florence
Gillet, Città Nuova, Roma 2013, p. 23.

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controcorrente

Il Dio del nostro tempo

Sono tanti i segnali che ci dicono l’urgenza di un nuo-


vo inizio: nei rapporti internazionali e nei rapporti all’in-
Hubertus terno delle nostre società, nel modo di intendere la poli-
tica e di organizzare i rapporti economici, nella capacità
Blaumeiser di accogliersi tra persone, aggregazioni, culture diverse
sacerdote e nella prontezza a condividere. È su questo sfondo che
cattolico, si colloca oggi la questione dell’unità dei cristiani e quin-
teologo e di del ristabilimento della piena comunione fra Chiese
studioso di che per secoli hanno camminato per vie separate. Urgo-
martin lutero. no l’incontro, l’intesa, l’integrazione e la reciproca inclu-
membro
del centro sione tra i seguaci di Gesù per poter arrivare a quella fra
interdisciplinare tutti. Ma da dove partire?
di studi “scuola
abbà”. direttore
della rivista di tre millenni - tre comandi dell’amore
vita ecclesiale
gen’s.
Proviamo a fare memoria. A guardare indietro, per
proiettarci poi in avanti.
Un giorno Gesù disse ai suoi: il regno di Dio è «simi-
le a un granello di senape, che un uomo prese e gettò
nel suo giardino; crebbe, divenne un albero e gli uccelli
del cielo vennero a fare il nido fra i suoi rami» (Lc 13, 18-
19). Questo granello di senape è Gesù, è il suo vangelo.
Lungo i secoli, pur fra l’immancabile zizzania, da questo
seme – in tutte le Chiese – sono nati innumerevoli frutti.
Pensiamo per esempio ai tanti martiri e testimoni, alle
migliaia e migliaia di comunità cristiane nel mondo inte-
ro, alle opere più varie al servizio dei poveri e dei biso-
gnosi, alle iniziative missionarie, alle diverse spiritualità

nuova umanità 231 13


controcorrente
Il Dio del nostro tempo

che hanno arricchito di sempre nuove fioriture quel grande campo che è la
cristianità.
Cerchiamo di abbracciare con lo sguardo questa lunga storia giunta or-
mai al suo Terzo millennio. Una storia che si può provare a leggere, a grandi
tratti, alla luce del duplice comando dell’amore di Dio e del prossimo1.
Nel Primo millennio viene in particolare rilievo il comando che caratte-
rizzava già la fede di Israele: «Amerai il Signore tuo Dio con tutto il tuo cuo-
re, con tutta la tua anima e con tutta la tua mente» (Mt 22, 37). Pensiamo ai
martiri, oppure ai primi monaci, i padri del deserto. Tutto parte dal battesi-
mo come radicale scelta di Dio.
Nel Secondo millennio si prende maggiore coscienza dell’altro grande
comandamento: «Amerai il tuo prossimo come te stesso» (Mt 22, 39). E
nascono tante espressioni della vita cristiana che guardano alla presenza di
Gesù nel prossimo e si mettono al servizio di lui. Quante opere sono fiorite
nelle diverse Chiese da questo comando dell’amore del prossimo: scuole,
ospedali, lebbrosari, iniziative per tossicodipendenti, per ragazze madri,
mense per i poveri, e così via!
Ma ora siamo nel Terzo millennio e possiamo chiederci se anch’esso si
caratterizzi per un particolare aspetto dell’amore, per un comandamento
di Gesù. Viene in rilievo in questo nostro tempo, come mai dopo i primi
secoli cristiani, la consegna che egli ha lasciato ai suoi alla vigilia della sua
offerta in croce: «Come io ho amato voi, così amatevi anche voi gli uni gli
altri. Da questo tutti sapranno che siete miei discepoli: se avete amore
gli uni per gli altri» (Gv 13, 34-35). Farne la nostra linea di condotta, nei
rapporti fra noi e con tutti, è l’ineludibile sfida che ci attende in questo
nuovo millennio, nel quale ci troviamo sempre più immersi in una società
multiculturale e multireligiosa: testimoniare Dio attraverso il nostro amore
reciproco, far conoscere, anzi far “vedere” Dio amore, Dio Trinità, attraverso
l’unità fra di noi, «affinché il mondo creda», ha detto Gesù nella sua ultima
grande preghiera (Gv 17, 21).

14 nu 231
hubertus blaumeiser

spiritualità della comunione - spiritualità ecumenica

Il nostro tempo ci chiama quindi all’amore reciproco, alla comunione, a


un’unità rinnovata fra noi che lungo i secoli ci siamo divisi. Altrimenti il mon-
do non può vedere Dio, non può conoscere Gesù. In questo mondo globale,
sempre più lacerato, la Chiesa di Cristo ha da mostrarsi più chiaramente
per quella che è chiamata ad essere: segno e strumento d’unità. Scrive la
Commissione Fede e Costituzione del Consiglio ecumenico delle Chiese nel
documento La Chiesa: verso una visione comune: «Il disegno di Dio è di riunire
l’umanità e tutto il creato nella comunione sotto la signoria di Cristo (cf. Ef 1,
10). La Chiesa, come riflesso della comunione del Dio uno e trino, è ordinata
al servizio di questo obiettivo»2.
Ma noi sappiamo sin troppo bene che la parola comunione oggi appare
spesso come una moneta svalutata e la stessa parola unità è malintesa e
abusata. Occorre ridare valore a questa moneta, occorre riempire di vita
nuova la parola unità. Impresa che non può essere organizzata a tavolino,
ma per la quale è indispensabile una spiritualità della comunione che possa
essere anche una spiritualità ecumenica.
Si comprende in questa luce il dono che Dio ci offre attraverso il carisma
di Chiara Lubich, cioè una spiritualità di comunione, appunto, che si arti-
cola attorno ad alcuni cardini fondamentali – tutti centrali nel messaggio
del Nuovo Testamento – che la rendono solida e le danno un dinamismo
straordinario: Dio che è amore (cf. 1 Gv 4, 16); la chiamata ad essere perciò
anche noi amore; la vita della Parola di Dio come scuola che ci insegna l’arte
d’amare secondo lo stile di Gesù; il comandamento dell’amore vicendevole
come sintesi di tutto il vangelo; e come frutto l’unità, la presenza del Risorto
fra di noi: Gesù in mezzo a noi (cf. Mt 18, 20)!

il grido d’abbandono di gesù in croce

Ma questa spiritualità di comunione ha un segreto, una chiave che apre la


via all’unità. Si tratta – come Chiara Lubich non si stancava di sottolineare –

nuova umanità 231 15


controcorrente
Il Dio del nostro tempo

del grido di Gesù in croce: «Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?»
(Mc 15, 34; Mt 27, 46).
Ma ecco che sorge subito un interrogativo: Gesù, il Figlio di Dio, abban-
donato dal Padre al punto da non sentire più l’unione con Dio, al punto da
non sentirsi più Dio? È una cosa talmente impensabile e inaudita che la cri-
stianità, nei suoi due millenni di storia, con rare eccezioni non ha avuto il
coraggio di guardarla in faccia e di parlarne. E l’attenzione, come si sa, si è
concentrata piuttosto sull’angoscia sofferta da Gesù nel Getsemani e sulla
tremenda sofferenza fisica che egli ha subìto in croce.
Eppure, i Vangeli di Marco e di Matteo parlano del grido d’abbandono di
Gesù. Agostino di Ippona, padre della Chiesa, ha trovato questa soluzione:
Gesù ha lanciato quel grido non a nome proprio, ma in nome della Chiesa,
di noi uomini. E c’è qualcosa di vero in questo. Ma c’è anche un’altra spiega-
zione che s’incontra spesso: le parole di questo grido sono tratte dal Salmo
22, un salmo di lamento dell’antico Israele. Sarà allora che Gesù in croce ha
recitato questo salmo? E quindi quel grido non sarebbe altro che parte della
recita di una preghiera?
Ai nostri giorni, nell’esegesi biblica e nella teologia, sempre più ci si ren-
de conto che quel grido va preso alla lettera: Gesù ha veramente sperimen-
tato l’abbandono, l’assenza di Dio, la lontananza dal Padre, e sta proprio in
questo fatto la nostra salvezza e la salvezza del mondo intero. Gli evangelisti
Marco e Matteo hanno espresso questa convinzione con le parole del Salmo
223. L’apostolo Paolo la esprime a suo modo. Nella Lettera ai Galati afferma,
senza mezzi termini, che Cristo è diventato «maledizione per noi»4, male-
detto ovvero rigettato da Dio. E nella Seconda lettera ai Corinzi scrive che
Dio «lo fece peccato»5. La Lettera ai Filippesi parla della kenosi di Gesù: egli
si è spogliato di tutto, fino alla morte in croce, come maledetto (cf. Fil 2). Sta
proprio in questo il vangelo che Paolo annuncia come sconvolgente buona
notizia: Gesù non è rimasto estraneo a nulla, ha sperimentato l’abisso più
nero, è disceso fin nell’estrema lontananza da Dio. Non c’è più niente che
non sia raggiunto da Dio, niente che rimanga lontano da lui!

16 nu 231
hubertus blaumeiser

guardando il mondo di oggi

Abbiamo guardato al significato dell’abbandono di Gesù nella Scrittura.


Ma che cosa ci dice oggi questo suo grido? Non è cosa da poco che l’ultima
parola del Figlio di Dio in terra, secondo Marco e Matteo, sia una straziante
domanda, anzi un grido: «Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?».
In quel grido sono accolti da Dio tutte le domande più oscure e i drammi
più terribili dell’umanità. Dov’era Dio ad Auschwitz? E dov’è in Siria e nell’I-
raq durante questi anni? E nello sfruttamento del lavoro minorile, nella trat-
ta delle persone? E dov’è in mezzo all’ateismo e all’indifferenza religiosa che
dilaga sempre più? Dov’è Dio in mezzo a questa nostra cristianità divisa? E
dov’è nei travagli che vive ciascuna e ciascuno di noi?
Nel grido d’abbandono di Gesù, Dio non si presenta in potenza, ma ci
viene incontro in estrema umiltà e povertà. Non si contrappone al male, ma
lo assume e lo vince con l’amore. Non realizza l’unità dell’umanità dall’alto,
ma dal basso. Non impone la verità dell’amore, ma la testimonia senza riser-
ve. In quel grido e in quella domanda Dio fa spazio all’altro, al diverso, e così
apre lo spazio per un dialogo universale.
E viene da domandarsi: non è questo il Dio che l’umanità di oggi attende
di conoscere? E la cui immagine si dovrebbe riflettere nelle nostre attitudini,
nei nostri modi di agire, di parlare, di ragionare?

una spiritualità che nasce da gesù abbandonato

Torniamo al carisma dell’unità. Chiara Lubich ha preso coscienza del gri-


do d’abbandono di Gesù quando il Movimento dei Focolari stava appena per
nascere. Era il 24 gennaio 1944. E la sua reazione fu immediata: se Gesù in
quel momento ha sofferto di più, vuol dire che in quel momento ci ha amati
di più. Facciamo di lui l’ideale della nostra vita!
Non si trattava di una decisione motivata da particolari prove, ma di una
scelta d’amore e null’altro: amare l’Amore abbandonato. Andare a cercare
Gesù nel suo dolore-amore e consolarlo ovunque si nascondesse: in qualsiasi

nuova umanità 231 17


controcorrente
Il Dio del nostro tempo

dolore. Non fuggirlo, ma abbracciarlo nelle tante croci della vita propria e di
tutti. E raccogliergli cuori che si mettessero anch’essi ad amarlo.
Chiara in quel momento non prevedeva quello che ben presto avrebbe
sperimentato. Cercando e amando Gesù abbandonato in tutto ciò che sape-
va di dolore e di difficoltà, si realizzava un’alchimia divina: il dolore si trasfor-
mava in amore! «Ci si butta in un mare di dolore – ha scritto in una lettera di
quel tempo – e ci si trova a nuotare in un mare di amore, di gaudio pieno»6.
Non solo. Ben presto Gesù abbandonato le si è rivelato come chiave d’u-
nità, come via per realizzare l’unità con Dio e fra gli esseri umani, anche nelle
situazioni più difficili. «Se io non avessi avuto Lui nelle prove della vita – scri-
ve nella già citata lettera –, l’Unità non ci sarebbe […]. Egli abbandonato ha
vinto in me ogni battaglia, le più terribili battaglie»7.

gesù abbandonato, “pupilla dell’occhio di dio”

Facciamo ancora un passo avanti. Arriva l’estate 1949, un periodo in cui


Chiara, assieme alle sue compagne, vive un’esperienza di contemplazione
così luminosa da chiamarla Paradiso. Negli scritti di quel periodo si trovano
molte intuizioni su Gesù abbandonato. Tra le quali questo brano tanto breve
quanto significativo:

Gesù è Gesù Abbandonato. Perché Gesù è il Salvatore, il Redento-


re, e redime quando versa sull’umanità il Divino attraverso la Ferita
dell’Abbandono che è la pupilla dell’Occhio di Dio sul mondo: un
Vuoto Infinito attraverso il quale Dio guarda noi: la finestra di Dio
spalancata sul mondo e la finestra dell’umanità attraverso la quale
si vede Dio8.

La ferita dell’abbandono – dice Chiara – è la pupilla dell’Occhio di Dio. Dio


vede tutto attraverso Gesù abbandonato che si è fatto per amore totalmen-
te solidale con ogni disgrazia dell’umanità, e quindi ovunque vede il suo Figlio,
ovunque vede l’Amore. Vede l’Amore dove noi vediamo solo il negativo, la
divisione, il non senso, il fallimento. Perché in tutto questo vede Gesù che
ha fatto suo ogni vuoto, ogni buio, ogni peccato. Tutto è già redento! Che in-

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hubertus blaumeiser

credibile notizia: davvero una buona notizia, la buona notizia che non ci può
non dare occhi nuovi e un atteggiamento diverso davanti a tutto ciò che è
negativo.
Non solo: attraverso quel vuoto abissale sperimentato dal Figlio, Dio ver-
sa sull’umanità il divino, il suo amore. Attraverso la piaga dell’abbandono di
Gesù, attraverso questo suo immane dolore di non sentire più il rapporto col
Padre, passa lo Spirito: esce – se così si può dire – dalla Trinità e si riversa
sull’umanità. Gesù sperimenta l’abbandono – scrive Chiara in altre pagine –,
perché in quel momento dona a noi quel legame che lo unisce al Padre. Nel
donare lo Spirito, avverte di perderlo – ecco la piaga dell’abbandono! –, ma in
realtà, nella risurrezione, lo ritrova e non solo per sé ma insieme a tutti noi.
C’è quindi un legame fra la croce e la Pentecoste, quella di 2000 anni
fa e quella che noi con tanto anelito attendiamo all’esordio di questo nuovo
millennio; un legame cui sembra accennare già il quarto Vangelo quando
dice della morte di Gesù: «parédoken tò pneûma – [Gesù] consegnò lo spi-
rito» (Gv 19, 30). Noi siamo generati come figli di Dio da Gesù in croce, dal
suo abbandono! Ma questo vuole dire che c’è un’incredibile forza dentro di
noi: «l’amore di Dio è stato riversato nei nostri cuori per mezzo dello Spirito
Santo», dice Paolo nella Lettera ai Romani (5, 5).

la via per innestarci gli uni negli altri

Gesù abbandonato non ci rivela, però, solo fino a che punto Dio è amore,
amore in sé, nella Trinità, e amore verso di noi. Egli ci rivela anche come par-
tecipare a questa vita di Dio amore; come essere veramente quel «popolo
adunato dall’unità del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo» che è la Chiesa,
secondo la nota espressione di Cipriano di Cartagine, padre della Chiesa9; e
come essere, quindi, «segno dell’unità futura dell’umanità»10, segno di un’u-
nità che non annulla la ricchezza delle diversità, ma le riconcilia, le compone
in uno, in una meravigliosa sinfonia.
Per comporci in unità – sottolinea Chiara – occorre amarci con un amore
che, come Gesù abbandonato, sposta tutto davanti all’altro; solo facendoci
totalmente poveri, come lui e con lui, possiamo entrare nell’altro e accoglie-

nuova umanità 231 19


controcorrente
Il Dio del nostro tempo

re l’altro in noi. E allora si compone la Chiesa, il corpo mistico, ci innestiamo


l’uno nell’altro.
Come Gesù abbandonato occorre spostare tutto davanti all’altro: questa
è la grande sfida, per noi come persone e per noi come Chiese. Spostare tutto
non significa buttar via quello che siamo e che abbiamo, ma accogliere e
ascoltare l’altro fino in fondo, e solo dopo offrirgli il nostro pensiero, il nostro
aiuto, noi stessi, nel più pieno rispetto della sua libertà.
Quando noi, portati dallo Spirito, ci amiamo così, avviene fra noi – osser-
va Chiara – ciò che succede fra i due poli della luce elettrica. Nel momento
in cui fanno contatto tra loro, si manifesta tutta la potenza della corrente.
Similmente, quando viviamo fra noi come polo positivo e polo negativo, quan-
do ci accogliamo e ci doniamo l’uno all’altro con un amore fino all’abbandono,
può circolare liberamente fra noi lo Spirito Santo, che Gesù ha versato su di
noi dall’alto della croce, e si manifesta la vita di Gesù in noi e fra noi.
Tutto ciò non è affatto un discorso solo spirituale. Ci traccia la via per
mettere in atto un amore generativo, che ha la sua sorgente ultima non in
noi, ma in Dio stesso; un amore capace di trasformare la semplice coesisten-
za, se non addirittura l’indifferenza e l’avversità, in vicendevole accoglienza
e condivisione; amore genuinamente evangelico che solo può rigenerare la
comunione piena fra i cristiani e ristabilire l’unità di tutti i credenti in Cristo;
amore disinteressato che è in grado di spianare le vie all’incontro e generare
fraternità in una società globale dalle molte tensioni e fratture che ha urgen-
te bisogno di vederci uniti, al di là delle nostre diversità, anzi: nelle nostre
diversità trasformate in dono e nella ricchezza di un’unità multiforme.

1 
Cf. F. Ciardi, Tre comandamenti per una triplice presenza di Cristo, in C. Lubich et
al., Egli è vivo. La presenza del Risorto nella comunità cristiana, a cura di M. Vandeleene,
Città Nuova, Roma 2006, pp. 11-34.
2 
Commissione Fede e Costituzione, La Chiesa: verso una visione comune, 25.
3 
Cf. F. Sedlmeier, L’abbandono di Gesù in croce alla luce del Salmo 22, in «Gen’s –
rivista di vita ecclesiale» 46 (2016), pp. 142-147.
4 
Cf. Gal 3, 13: «Maledetto chi è appeso al legno». Cf. Dt 21, 23: «L’appeso è una
maledizione di Dio». La morte in croce – osserva Gérard Rossé – quando era inflitta

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hubertus blaumeiser

nel nome della Legge, aveva in se stessa, sulla base della Scrittura, questo valore di
ripulsa e di abbandono da parte di Dio. Cf. G. Rossé, Maledetto l’appeso al legno. Lo
scandalo della croce in Paolo e Marco, Città Nuova, Roma 2006.
5 
Cf. 2 Cor 5, 21: «Colui che non aveva conosciuto peccato, Dio lo fece peccato in
nostro favore, perché in lui noi potessimo diventare giustizia di Dio». Similmente, la
Lettera agli Ebrei dichiara che Gesù è morto «fuori dall’accampamento», fuori cioè
del recinto della Città santa e dell’ambito dell’Alleanza: nello spazio dei senza Dio
(cf. Eb 13, 12-13).
6 
C. Lubich, Lettere dei primi tempi (1943-1949). Alle origini di una nuova spirituali-
tà, a cura di F. Gillet e G. D’Alessandro, prefazione di F.M. Léthel, ocd, Città Nuova,
Roma 2010, p. 161.
7 
Ibid., pp. 161-162.
8 
C. Lubich, Gesù abbandonato, a cura di H. Blaumeiser, Città Nuova, Roma 2016,
p. 60.
9 
Cf. Cipriano di Cartagine, De orat. Dom. 23, PL 4, 553, citato in Lumen gentium, 4.
10 
Cf. Commissione Fede e Costituzione, La Chiesa: verso una visione comune, 25-
27.

nuova umanità 231 21


dallo scaffale di città nuova

È mia madre
incontri di papa Francesco con
Maria
Papa Francesco
in dialogo con Alexandre Avii Mello

«Il libro è scritto con il cuore. Sono felice che


la mia testimonianza sia servita per dar lode a
nostra Madre».

Fin dall’inizio del suo pontificato, papa Francesco ha sorpreso


tutti con la sua personalità semplice e travolgente. Si è scritto
molto su di lui. Mancava ancora, però, la descrizione e l’ana-
lisi di una dimensione fondamentale – forse non sempre per-
isbn cettibile – della sua fede e della sua azione pastorale: il suo
9788831168515 rapporto con la Vergine Maria. Francesco imparò ad amare
la Madonna insieme al popolo e, nel suo ministero pastorale,
pagine pratica una mariologia applicata alla vita.
200
A partire da un’intervista personale concessa all’Autore, Fran-
prezzo cesco descrive i suoi incontri con la Madonna, dalla sua infan-
euro 20,00 zia fino alla sua missione attuale come vescovo di Roma.
Parla delle sue preghiere e devozioni mariane preferite, del­
l’importanza dei santuari mariani, del valore della pietà po­
polare, del ruolo della donna e di Maria nella Chiesa, oltre ad
affrontare altri temi di attualità.
L’Autore riesce a capire il pensiero e il cuore mariani del papa
e invita il lettore a fare questo percorso.

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nu 231
focus. prospettive per l’unità dei cristiani

Camminando insieme

Trovandosi a Londra nel 1996, davanti a una platea


di circa mille cristiani di varie Chiese, uniti profonda-
Diego mente dalla vita della spiritualità dell’unità nata dal suo
carisma, Chiara Lubich affermava con forza: «Dio ha
Goller dato a noi un nuovo ecumenismo». Spiega ai presenti
co-responsabile che, oltre al dialogo della carità, a quello della preghie-
del centro “uno” ra e a quello teologico, vedeva svilupparsi un «quarto
per l’unità dei
cristiani del
dialogo, una quarta linea». E affermava: «Il nostro dia-
movimento logo è il dialogo della vita, il dialogo di un popolo che
dei focolari. è già cattolico, anglicano, luterano, riformato..., di un
segretario popolo che già è tutto unito e che è “il” popolo cristiano
generale della del 2000»1. Chiara Lubich era ben cosciente che molte
rete ecumenica
insieme per
cose restavano da fare per promuovere l’unità piena e
l’europa. visibile dei cristiani, ma era consapevole che il suo ca-
risma avrebbe potuto offrirvi un contributo specifico.
Lo aveva intuito nel 1956, quando, trovandosi in Ter-
ra Santa davanti alla pietra sepolcrale divisa tra i cristia-
ni, constatava:
In quel momento mi passarono per l’anima
tutti i traumi e le separazioni che hanno col-
pito nei secoli la Chiesa, il mistico Corpo di
Cristo. […] E un dolore profondo minacciava
Maria sommergermi, quando una luce, attraversan-
Wienken domi l’anima, mi ridiede la speranza: «In fon-
do, se questi cristiani di altre denominazioni ci
co-responsabile tengono così ad aver i Luoghi Santi, è perché
del centro “uno” Gesù lo amano»2.
per l’unità dei
cristiani del E intravvede la strada del riavvicinamento: accostar-
movimento dei
focolari. si a «questi fratelli, testimoniando soprattutto Gesù con

nuova umanità 231 23


focus. prospettive per l’unità dei cristiani
Camminando insieme

un’unità fra noi non solo nella fede, ma in una carità più profonda vissuta
fino all’estremo»3.
Cinque anni più tardi, nel 1961, Chiara Lubich incontra per la prima volta
fratelli e sorelle della Chiesa luterana tedesca, che le chiedono di presentare
la sua esperienza col vangelo. Ne nasce uno “scambio di doni” fraterno e
schietto. Dopo pochi anni, con l’accordo delle rispettive autorità ecclesiasti-
che, si decide di costruire insieme il Centro ecumenico di vita a Ottmaring
(Augsburg); lì, ancora oggi evangelici e cattolici danno testimonianza d’u-
nità, rimanendo ciascuno ancorato alla propria Chiesa. Proprio quest’anno
ricorrono i cinquanta anni dalla sua fondazione; i frutti dell’amore reciproco
testimoniato e la fedeltà alla preghiera quotidiana comune per l’unità dei
cristiani hanno fatto di questo luogo un punto di riferimento per molti.
Ancora nel 1961, prima del Concilio Vaticano II, Chiara Lubich fonda a
Roma il Centro “Uno” per l’unità dei cristiani, con lo scopo di svegliare e
risvegliare nei cristiani il desiderio dell’unità. Il primo direttore è Igino Gior-
dani, pioniere ecumenico, politico, scrittore, giornalista, che si impegna fino
alla sua morte nel 1980 per l’unità dei cristiani. Si promuovono le prime
Settimane ecumeniche, inizialmente con luterani e cattolici, un luogo ove
possono conoscersi, scambiarsi le proprie esperienze col vangelo vissuto e
sperimentare nell’amore reciproco la presenza del Risorto secondo la sua
promessa: «Dove due o più sono uniti nel mio nome, ivi sono io in mezzo ad
essi» (Mt 18, 20).
Ad una delle prime Settimane ecumeniche partecipano alcuni ministri
anglicani; l’anno seguente arrivano al Centro del Movimento dei Focolari a
Rocca di Papa (Roma) un centinaio di persone dalla Gran Bretagna (angli-
cani, metodisti e cattolici), desiderosi di condividere uno stile di vita basato
sul vangelo. Il canonico anglicano Bernard Pawley, osservatore anglicano al
Concilio Vaticano II, e la moglie Margaret incoraggiano i rapporti e man-
tengono una lunga amicizia spirituale con Chiara Lubich. In seguito la Fon-
datrice dei Focolari incontrerà nel corso della sua vita ben sei primati della
Chiesa d’Inghilterra, iniziando con l’arcivescovo Michael Ramsey nel 1966.
È noto il rapporto della Fondatrice dei Focolari con il patriarca Athena-
goras. In queste pagine il metropolita d’Italia e di Malta, Gennadios Zervos,
ripercorrerà le tappe di questa amicizia spirituale tra questi due protagonisti

24 nu 231
diego goller - maria wienken

del dialogo. Tale particolare capitolo della storia dei Focolari sarà approfon-
dito sapientemente anche dal decano della facoltà di Teologia ortodossa
dell’Università ”Babes,-Bolyai” di Cluj-Napoca (Romania), il professor Vasile
Stanciu.
Anche i cristiani delle Chiese ortodosse orientali, come la Chiesa arme-
na-apostolica, quella copto-ortodossa e quella siro-ortodossa, vengono a
contatto con la spiritualità dell’unità e desiderano informarne la propria vita,
constatando una certa somiglianza della spiritualità dell’unità con la teolo-
gia dei padri della Chiesa. Riformati svizzeri, olandesi e di altri Paesi apprez-
zano in essa la sottolineatura della presenza di Cristo nella comunità. Oggi
la spiritualità dell’unità è condivisa da cristiani di circa 350 Chiese e comu-
nità ecclesiali, dando vita ad un popolo ecumenico che sa di essere unito da
un patrimonio comune dei cristiani e in più da questa spiritualità, chiamata
anche spiritualità di riconciliazione (Graz, 1997) o spiritualità ecumenica.
Una caratteristica, per chi la vive, è lo stretto ancoraggio alla propria Chiesa.
Anzi, spesso, a contatto con questa spiritualità si ritrova la propria radice
spirituale, e nasce il desiderio di inserirsi più vitalmente nella propria Chiesa.
Con gli anni, cristiani di diverse Chiese sentono di impegnarsi donandosi a
Dio nelle diramazioni del Movimento dei Focolari. Anche vescovi di varie
Chiese desiderano realizzare una fraternità sempre più profonda tra loro.
Dall’instancabile impegno di Chiara Lubich per promuovere la causa dell’u-
nità dei cristiani inizia, assieme ad altri fondatori e responsabili, il cammino
di Insieme per l’Europa, una rete di movimenti e comunità di varie Chiese,
accumunati dal desiderio di rinvigorire lo spirito cristiano in Europa e di con-
tribuire a una cultura di comunione. Essa viene autorevolmente definita una
«forza di coesione con l’obiettivo chiaro di tradurre i valori base del cristia-
nesimo in risposta concreta alle sfide di un continente in crisi» 4.
Lo specifico dell’agire ecumenico del Movimento dei Focolari è espresso
bene nel dialogo della vita, che può essere vissuto da tutto il popolo di Dio,
dai laici ai vescovi. Per Chiara Lubich aveva un significato forte, in quanto
realizzazione tra cristiani di Chiese diverse di una promessa di Gesù (Mt 18,
20). «E chi ci può separare dall’amore di Cristo?» (Rm 8, 35) ripeteva con
san Paolo. Si tratta di creare cellule vive nel corpo mistico di Cristo, cellu-
le capaci di diffondere uno spirito di unità all’interno delle proprie Chiese

nuova umanità 231 25


focus. prospettive per l’unità dei cristiani
Camminando insieme

e tra le Chiese. È un dialogo capace di creare un popolo ecumenicamente


preparato. Un dialogo che non è in contrasto con altri tipi di dialoghi, come
i dialoghi teologici ufficiali, anzi, li vuole sostenere essendo lievito e humus
per creare il terreno alla piena comunione tra le Chiese.
La 59a Settimana ecumenica, di cui in questa Rivista vengono riportati
i discorsi e le tematiche principali, incluse alcune testimonianze, si è svolta
a Castel Gandolfo dall’8 al 13 maggio 2017. L’evento, dal titolo Cammina-
re insieme – cristiani sulla via verso l’unità, è stato preparato da un’équipe di
focolarine e focolarini di varie Chiese. Gli scritti, pur copiosi, non possono
certo rendere il clima di gioiosa fraternità che fin dall’inizio si è creato tra i
700 partecipanti: 69 Chiese, 42 nazioni, 19 lingue. Una parola della Scrittura
da vivere ogni giorno e l’approfondimento di uno dei cardini della spiritua-
lità dell’unità, “Gesù crocifisso e abbandonato – via all’unità”, hanno dato
l’occasione di uno scambio profondo di esperienze e di testimonianze; l’a-
scolto reciproco faceva cogliere i doni degli uni come doni per gli altri. Papa
Francesco, all’udienza generale, ha augurato ai partecipanti di continuare a
«proseguire il comune cammino verso l’unità», creando amicizie.
Ci auguriamo vivamente che questo fascicolo sia un contributo a vederci
per quello che siamo: sorelle e fratelli in Cristo.

1 
C. Lubich agli interni del Movimento dei Focolari della Gran Bretagna e dell’Ir-
landa: risposte a 21 domande. Londra, 16 novembre 1996.
2 
C. Lubich, Scritti spirituali/1, Città Nuova, Roma 1978, p. 183
3 
Ibid.
4 
Papa Francesco, dal videomessaggio all’evento pubblico di Insieme per l’Europa
a Monaco, 2 luglio 2016.

26 nu 231
focus. prospettive per l’unità dei cristiani

Nel crocevia della storia

Tre personalità del mondo cristiano attuale – il pa-


triarca ecumenico di Costantinopoli Bartolomeo I, il
segretario generale del Consiglio ecumenico delle Chie-
Bartolomeo I se Olav F. Tveit e il presidente del Pontificio Consiglio
per la promozione dell’unità dei cristiani cardinal Kurt
dal 1991 Koch – si fanno presenti in vista della Settimana ecu-
arcivescovo di
costantinopoli, menica 2017 promossa dal Centro “Uno”, la segreteria
patriarca del Movimento dei Focolari per l’ecumenismo. Partendo
ecumenico. da diverse prospettive, nei loro messaggi riconoscono
in questa iniziativa un contributo sulla via dell’unità dei
Olav Fykse cristiani; quest’ultima consiste oggi essenzialmente nel
camminare insieme verso la giustizia e la pace, il che
Tveit significa già vivere e realizzare l’unità. E più progredia-
teologo, mo nel cammino verso Gesù crocifisso e abbandonato,
pastore della chiave dell’unità, più ci avviciniamo all’unità tra di noi. La
chiesa luterana Settimana ecumenica si pone all’incrocio dell’ecumeni-
norvegese, dal smo e dell’impegno sociale della Chiesa, nell’interdipen-
2009 segretario
generale del denza tra fede e opere. Apprezzando l’impegno sincero
consiglio e fedele del Movimento dei Focolari allo spirito della
ecumenico delle Fondatrice, si augurano che i cristiani si rafforzino nella
chiese a ginevra. loro missione di servizio nel mondo.

Kurt Koch messaggio del patriarca


presidente ecumenico bartolomeo i
del pontificio
consiglio per Carissimi fratelli e sorelle in Cristo,
la promozione
dell’unità dei
questa Settimana ecumenica si inse-
cristiani. risce nel crocevia della storia, nell’in-
treccio delle memorie, nell’incrocio

nuova umanità 231 27


focus. prospettive per l’unità dei cristiani
Nel crocevia della storia

dell’ecumenismo e dell’impegno sociale della Chiesa. In effetti, come scrive


l’apostolo Giacomo: «A che serve, fratelli miei, se uno dice di avere fede, ma
non ha le opere? Quella fede può forse salvarlo? […] Infatti come il corpo
senza lo spirito è morto, così anche la fede senza le opere è morta» (Gc 2,
14;26). Questa interdipendenza della fede e delle opere è al cuore della spi-
ritualità della serva di Dio Chiara Lubich, personalità straordinaria alla quale
noi eravamo tutti molto legati.
Durante tutta la sua vita, Chiara Lubich si è munita, su invito dell’apo-
stolo Paolo, «dell’armatura di Dio per poter resistere alle insidie del diavolo»
(Ef 6, 11). E le bombe sono state numerose, in speciale modo durante l’espe-
rienza della Seconda guerra mondiale, quando si correva in montagna per
rifugiarsi.
Lo sradicamento diventò allora il simbolo della sua azione. Ella si è messa
a servizio dei più poveri, dei più vulnerabili. Su questo condivide la grandezza
d’animo delle personalità che ha conosciuto nel suo cammino missionario,
tra cui quella del nostro predecessore il patriarca ecumenico Athenagoras,
che lei ha incontrato la prima volta a Costantinopoli nel giugno 1967.
Apprezziamo la straordinaria venerazione di Chiara Lubich per il patriar-
ca, che si manifesta in un testo scritto nel 1972, nel quale riflette sui suoi
incontri con il nostro predecessore. Questa testimonianza non è una sem-
plice descrizione del patriarca ecumenico Athenagoras, è anche un segno
dell’amore di Chiara per lui. Ella scriveva: «Ricordo, che non tanto le parole
dettemi in quella prima udienza mi avevano impressionato, quanto la sua
figura, l’atmosfera soprannaturale che l’avvolgeva e che in genere notano
tutti coloro che l’avvicinano. E soprattutto il suo cuore: un cuore così grande,
così profondamente umano da suscitare in me la domanda quanti altri nella
vita ne avessi conosciuti così».
Queste stesse parole potremmo attribuirle proprio a lei, Chiara Lubich,
tanto era animata da un profondo desiderio di unità, l’unità del corpo di Cri-
sto, la riconciliazione dei cristiani nella comunione delle Chiese.
Il tema della riconciliazione è centrale nella spiritualità di Chiara Lubich.
La riconciliazione si attua nella relazione tra l’umano e il divino. L’opera del
Cristo nel mondo è un’opera di riconciliazione, che va al di là della religione,
perché lega verticalmente e orizzontalmente il Creatore e le creature.

28 nu 231
bartolomeo i - olav fykse tveit - kurt koch

La riconciliazione in Cristo pone il Cristo al centro di ciò che rende l’u-


manità immagine di Dio e in un rapporto dinamico di somiglianza. Cristo è
riconciliazione. Ricordiamo le parole dell’apostolo Paolo: «Era Dio, infatti,
che riconciliava a sé il mondo in Cristo, non imputando agli uomini le loro
colpe e affidando a noi la parola della riconciliazione» (2 Cor 5, 19).
È interessante, d’altronde, notare che san Paolo nel versetto precedente
parla addirittura di «ministero della riconciliazione» (2 Cor 5, 18). La riconci-
liazione è il punto dal quale noi dobbiamo pensare la nostra comunione con
Dio e la nostra unità nella Chiesa e passare, come dice l’importante testo di
luterani e cattolici, “dal conflitto alla comunione”.
Ora, mentre commemoriamo i 500 anni della Riforma, non dobbiamo
credere che il mondo ortodosso non abbia un posto all’interno di questo
processo di riconciliazione. L’Oriente cristiano è stato presto, per non dire
subito, interpellato per ciò che avveniva in Europa.
Certo, l’intenzione di Lutero inizialmente era di riformare la Chiesa ro-
mana dall’interno, ma l’auto-proclamazione del suo movimento, incontran-
do l’Umanesimo dell’epoca e grazie soprattutto all’invenzione della stampa,
ha reso complesso il quadro ecclesiale del Vecchio continente. La Chiesa
ortodossa è stata interpellata fin dall’inizio dai rappresentanti della Riforma,
come testimoniano i numerosi contatti avvenuti nel XVI secolo, fino all’im-
portante corrispondenza tra il patriarca ecumenico di Costantinopoli Ge-
remia II Tranos e i luterani dell’Università di Tubinga, riguardo alla Confes-
sione augustana, senza però giungere ad un vero riavvicinamento. Tuttavia,
lo stabilirsi del dialogo bilaterale tra la Chiesa ortodossa e la Federazione
luterana mondiale nel 1981 è considerato una continuazione di questi con-
tatti del XVI secolo, cosa che testimonia l’esistenza di un costante interesse
reciproco.
Permettetemi di terminare questo semplice messaggio salutando ognu-
no dei partecipanti a questa Settimana ecumenica, felicitandomi con il Mo-
vimento dei Focolari per il suo impegno sincero e fedele allo spirito della sua
fondatrice, Chiara Lubich, e infine invocando lo Spirito Santo su tutti voi,
affinché, come dice il nostro Signore Gesù Cristo: «Tutti siano una sola cosa;
come tu, Padre, sei in me e io in te, siano anch’essi in noi, perché il mondo
creda che tu mi hai mandato» (Gv 17, 21).

nuova umanità 231 29


focus. prospettive per l’unità dei cristiani
Nel crocevia della storia

messaggio del rev. dr. olav f. tveit

Cari amici, sorelle, fratelli in Cristo,


il Consiglio ecumenico delle Chiese (Cmc – n.d.r., Consi-
glio mondiale delle Chiese, dall’inglese World Council of
Churches) e il Movimento dei Focolari camminano insie-
me ormai da molti anni sulla via verso l’unità dei cristiani.
Ricordiamo le visite a Ginevra sia di Chiara Lubich che di
Maria Voce, attuale presidente del Movimento. Io con-
servo pure ricordi molto belli delle mie visite a Rocca di Papa e a Castel Gan-
dolfo dove ti ho potuto incontrare, cara Emmaus, e siamo diventati amici.
Il tema della vostra conferenza riecheggia bene l’argomento del Pellegri-
naggio della Giustizia e della Pace che è la cornice di tutto il lavoro del Con-
siglio ecumenico delle Chiese, a seguito dell’assemblea del Cmc del 2013,
svoltasi a Busan, nella Repubblica di Corea. A Busan pregavamo: «Dio della
vita, guidaci alla giustizia e alla pace!». E abbiamo affermato che la via verso
l’unità dei cristiani e la via verso la giustizia e la pace sono strettamente le-
gate. L’unità della Chiesa non ha senso se non è un segno e un’anticipazione
dell’unità di tutta l’umanità e della creazione, della vita nella sua pienezza
nella giustizia e nella pace.
Il Movimento dei Focolari ha condiviso con noi la spiritualità dell’unità
incentrata su Gesù abbandonato. Nell’immagine completamente distrutta
di Cristo sulla croce, noi riscopriamo il volto della creatura che noi tutti era-
vamo chiamati ad essere e che dobbiamo diventare lungo il nostro pelle-
grinaggio verso il regno di Dio. Molti di coloro che hanno contribuito alla
formazione del Consiglio ecumenico delle Chiese già nel 1925 a Stoccolma
dichiararono: «Più ci avviciniamo alla croce di Cristo, più ci avviciniamo gli
uni agli altri».
È nella morte sulla croce e nella resurrezione di Cristo che ci viene rive-
lata la verità che Gesù è la vera espressione del Dio a cui la nostra missione
di essere uno si ricollega. È la verità che c’è un unico Dio che ha creato tutti
a sua immagine e con uguale valore e dignità. È la verità su quel Dio che ha
amato il mondo. È la verità su Dio che è amore. È la verità sul Dio a cui non è
possibile rinunciare e che ci conduce a confrontarci con la falsità, la vigliac-

30 nu 231
bartolomeo i - olav fykse tveit - kurt koch

cheria, l’ingiustizia, l’abuso di potere: un Dio che ci conduce alla croce. E che
è stato confermato nella sua resurrezione.
Essere uno è essere nel vero Dio, che è amore. Unità significa vita in
comunione d’amore, significa che noi camminiamo insieme sulla via verso
la giustizia e la pace, uniti dal vincolo dell’amore.
L’unità della Chiesa è inseparabile dalla costruzione della pace ed è estre-
mamente necessaria in un mondo lacerato da frammentazione, polarizza-
zione, ignoranza, esclusione, odio e violenza. Poiché le religioni sono state
strumentalizzate per giustificare e alimentare tale odio e violenza, è neces-
sario impegnarsi insieme nella cooperazione interconfessionale con tutte le
persone di buona volontà. Sono veramente lieto che proprio questo è suc-
cesso nella Conferenza internazionale della pace alla fine di aprile, al Cairo. È
stato un grande dono per me essere lì insieme a papa Francesco, al patriarca
ecumenico Bartolomeo I, a papa Tawadros I della Chiesa copta ortodossa e
ad altri leader cristiani insieme ai leader musulmani di tutti i continenti, che
si erano riuniti dietro l’invio del professor Ahmed al-Tayyeb, il grande imam
della moschea e dell’Università di Al-Azhar. All’unanimità abbiamo invocato
la pace e la riconciliazione come impegno comune delle nostre diverse fedi.
Sono incoraggiato da questa esperienza e spero che indurrà anche tutti voi ad
essere saldi nell’impegno verso l’unità e l’amore di tutta la vita.
Che la grazia di nostro Signore Gesù Cristo, l’amore di Dio e la comunio-
ne dello Spirito Santo possano guidarci e rafforzarci nella nostra missione di
servizio nel mondo perché non siamo più estranei l’uno all’altro, ma insieme
siamo pellegrini in cammino verso il regno di Dio della giustizia e della pace.
Che Dio benedica tutti voi.
Amen.

messaggio del cardinale kurt koch

Cari fratelli e sorelle in Cristo,


vi siete riuniti al Centro Mariapoli per la Settimana ecu-
menica, per vivere e approfondire l’unità nella fede in
Gesù Cristo. Molto volentieri sarei venuto da voi oggi,

nuova umanità 231 31


focus. prospettive per l’unità dei cristiani
Nel crocevia della storia

all’inizio di questa Settimana. Ciò non mi è possibile purtroppo, poiché mi


trovo al momento in Namibia per partecipare, in questo anno di comme-
morazione della Riforma, all’Assemblea generale della federazione luterana
mondiale. Tengo però a trasmettervi, in questo modo, il mio caloroso saluto.
Sono grato al Movimento dei Focolari per aver organizzato, per la cinquan-
tanovesima volta, questa Settimana ecumenica e per promuovere l’ecume-
nismo della vita, così importante. Ringrazio tutti voi, cari fratelli e sorelle,
per la vostra partecipazione a questa Settimana e per la condivisione delle
vostre esperienze di convivenza ecumenica e di ricerca comune dell’unità,
quell’unità che è andata persa nel corso della storia.
Questa Settimana s’incentra sul tema Camminando insieme – cristiani sul-
la via verso l’unità. Si tratta di un titolo assai promettente. Infatti, la comunio-
ne tra i cristiani è essenzialmente una comunione di fedeli che camminano
insieme. I cristiani che vivono in diverse comunità ecclesiali sono, insieme,
in cammino verso l’unità e vivono nella comunione tutto ciò che possono
intraprendere insieme. L’esperienza dell’ecumenismo di vita ci mostra che
l’unità cresce camminando insieme e che camminare insieme significa già
vivere e realizzare l’unità. Questo atteggiamento sta particolarmente a cuo-
re a papa Francesco, che ha espresso la sua convinzione ecumenica con
parole incisive: «L’unità non verrà come un miracolo alla fine: l’unità viene
nel cammino, la fa lo Spirito Santo nel cammino»1.
Essere in cammino, insieme: ecco in cosa consiste essenzialmente l’ecu-
menismo oggi. Ma questo cammino non è una gita senza meta; esso ha un
traguardo preciso e un nome concreto: Gesù Cristo. Come cristiani, siamo
in cammino insieme verso di lui e soprattutto verso quel luogo in cui egli ci
donerà l’unità, ovvero sotto la croce: Gesù abbandonato è la chiave dell’u-
nità. Più progrediamo insieme nel cammino verso di lui, più ci avviciniamo
insieme anche all’unità tra di noi.
Cari fratelli e sorelle, in questi giorni che trascorrerete a Castel Gandolfo
vi auguro di approfondire questa esperienza e di viverla come comunione
ecumenica di fedeli che camminano insieme. In unione di preghiera, tra-
smetto a tutti quanti voi il mio più cordiale saluto.

Papa Francesco, Omelia durante la celebrazione dei Vespri nella Solennità della
1 

conversione di San Paolo Apostolo, 25 gennaio 2014.

32 nu 231
focus. prospettive per l’unità dei cristiani

Maria Voce Spiritualità ed ecclesiologia


presidente del
movimento dei di comunione
focolari. giurista,
canonista.

Christian Qual è il contributo al cammino verso la piena comu-


Krause nione tra le Chiese che Chiara Lubich offre con il carisma
dell’unità? Questa domanda è stata posta alla presiden-
vescovo emerito
della chiesa te del Movimento dei Focolari, Maria Voce, e a tre teo-
evangelica logi della Chiesa cattolica e luterana. L’occasione viene
luterana, già offerta durante una tavola rotonda che il Movimento dei
presidente della Focolari dedica ai 500 anni della commemorazione del-
federazione la Riforma luterana. Nell’anno 2017, per la prima volta,
luterana
mondiale. un tale anniversario è stato celebrato in modo ecume-
nico e non più in netta polemica. Due documenti sono
stati fondamentali in questo cammino: la Dichiarazione
Martin congiunta sulla dottrina della giustificazione (1999) e il do-
Robra cumento La commemorazione comune luterana-cattolica
pastore della della Riforma 2017.
chiesa evangelica
luterana. Nei testi che seguono gli Autori fanno riferimenti a
teologo al questi documenti ed esplorano da varie prospettive lo
consiglio
ecumenico delle specifico dono che il carisma dell’unità offre per ren-
chiese a ginevra. derli vitali. Maria Voce, presidente del Movimento dei
Focolari, sottolinea che come cristiani siamo dono gli
Brian uni per gli altri e invita a partire sempre dalla prospet-
tiva dell’unità: aiutandoci a vicenda nella vita spirituale
Farrell e concreta. Il vescovo luterano Christian Krause – tra i
segretario firmatari della Dichiarazione congiunta sulla dottrina del-
del pontificio la giustificazione – offre una sua definizione della parola
consiglio per unità: «Unità […] significa: io sono parte di te e voglio
la promozione
dell’unità dei amarti, come Cristo ama tutti noi insieme e come noi
cristiani. insieme siamo di Cristo». Il teologo Martin Robra del

nuova umanità 231 33


focus. prospettive per l’unità dei cristiani
Spiritualità ed ecclesiologia di comunione

Consiglio ecumenico delle Chiese vede nelle intuizioni di Chiara Lubich su


Gesù crocifisso e abbandonato il suo particolare contributo al cammino
verso l’unità dei cristiani. E il vescovo Brian Farrell, segretario del Pontificio
Consiglio per l’unità dei cristiani, esprime la convinzione che una ecclesio-
logia di comunione non sia possibile senza una spiritualità di comunione ed
intravede nella spiritualità di comunione nata dal carisma di Chiara Lubich
le basi di una tale ecclesiologia.

il carisma dell’unità nel movimento ecumenico


Maria Voce

Che Gesù sia in mezzo a noi!


E ciò è possibile giacché egli stesso ha promesso:
«Dove sono due o tre riuniti nel mio nome, io sono in
mezzo a loro» (Mt 18, 20). È la frase del Vangelo che ci
guida e preghiamo che così sia anche ora.
Nel mio contributo vorrei sottolineare che cosa la
spiritualità dell’unità, o spiritualità di comunione, nata
dal carisma di Chiara Lubich, può offrire al cammino verso quella unità piena
e visibile in Cristo, alla quale siamo chiamati da lui stesso.
Penso che questo argomento sia di interesse per tutti i presenti, consa-
pevoli che le ferite, inferte al corpo mistico di Cristo durante i secoli, riguar-
dano tutto il popolo di Dio. Ferite che insieme vorremmo poter contribuire a
guarire. Ecco alcuni punti.
a) Gesù crocifisso e abbandonato. Egli ha preso su di sé tutti i peccati,
tutte le divisioni, ci chiede di riconoscerlo e amarlo in ogni suo volto do-
loroso per dare un nostro contributo, abbracciando e consumando in noi
questo dolore, affinché – come in una divina alchimia – questo dolore possa
trasformarsi in amore.
b) L’amore di Cristo come base fondante del rapporto tra cristiani: «Che
vi amiate gli uni gli altri, come io vi ho amati» (Gv 15, 12), il cuore del vangelo.
Questo amore reciproco ci lega in Cristo, nel suo amore, e anche se non
possiamo ricevere l’Eucaristia insieme, cosa a cui aneliamo con tutto il cuo-

34 nu 231
maria voce - christian krause - martin robra - brian farrell

re, spiritualmente siamo e ci sappiamo uniti in lui a motivo anche del nostro
comune battesimo. E assieme all’apostolo Paolo chiediamo: «Chi ci separe-
rà dall’amore di Cristo?» (Rm 8, 35).
c) Gesù in mezzo a noi. Chiara e le prime focolarine dicevano agli inizi del
Movimento dei Focolari di aver sperimentato che tra loro, silenziosamente,
si era introdotto un terzo: era Gesù. Colui che ha promesso «Dove sono due
o tre riuniti nel mio nome, io sono in mezzo a loro» (Mt 18, 20)
Gesù in mezzo tra cristiani di Chiese diverse: è lui la nostra unità1.
Basandomi su queste premesse, vorrei ora rileggere i cinque “imperati-
vi”, formulati dal documento cattolico-luterano Dal conflitto alla comunione,
elaborato in vista dei 500 anni della Riforma. Sono imperativi che a mio av-
viso non riguardano soltanto luterani e cattolici, ma possono essere vissuti
da cristiani di tutte le Chiese ed essere messi alla base di un proficuo impe-
gno ecumenico; valgono non solo per i dialoghi teologici, ma anche per noi,
semplici fedeli, che sottolineiamo fra l’altro l’importanza del “dialogo della
vita”, il riavvicinamento tra cristiani nella vita di ogni giorno.

1. Partire dalla prospettiva dell’unità

Primo imperativo: […] sempre partire dalla prospettiva dell’unità e non dal
punto di vista della divisione, al fine di rafforzare ciò che hanno in comune, anche
se è più facile scorgere e sperimentare le differenze2.
Partire dalla prospettiva dell’unità. Fin dagli albori del Movimento dei
Focolari Chiara Lubich rivolge alle sue compagne questo invito: «Gesù, mo-
dello nostro, ci insegnò due sole cose, che sono una: ad essere figli d’un solo
Padre e ad essere fratelli gli uni gli altri»3. È la scoperta che “Dio è amore”
(cf. 1 Gv 4, 8), che Dio è Padre, una verità fondamentale della nostra fede.
Dobbiamo essere certi che egli è vicino a noi, che ci segue in ogni passo,
che si nasconde dietro tutte le circostanze dolorose e gioiose, che conosce
tutto di noi. Impressiona la frase di Gesù: «Anche i capelli del vostro capo
sono tutti contati» (Lc 12, 7). Perché? Perché ci ama. Dobbiamo credere al
suo amore. È ciò che dà senso alla nostra vita. Non dovrebbe essere que-

nuova umanità 231 35


focus. prospettive per l’unità dei cristiani
Spiritualità ed ecclesiologia di comunione

sta riscoperta di Dio-Amore la base fondante per partire dalla prospettiva


dell’unità?
Partendo insieme da questo punto fondamentale del cristianesimo, è
possibile approfondire il nostro patrimonio comune, tutto quello che già ci
unisce. Siamo addirittura uniti da un vincolo sacramentale, il battesimo, che
ci inserisce nell’unico corpo di Cristo4. Siamo coscienti che il battesimo ci
rende fratelli e sorelle in Cristo? Allora il nostro modo di pensare, di parlare,
di rapportarci tra cristiani cambia: ravvisiamo la presenza di Gesù nella so-
rella e nel fratello; di conseguenza aumentano il rispetto, la stima l’uno per
l’altro.

2. Lasciarsi trasformare dall’incontro con l’altro e dalla reciproca


testimonianza di fede

Secondo imperativo: lasciarsi continuamente trasformare dall’incontro con


l’altro e dalla reciproca testimonianza di fede5.
Potrebbe quasi metterci timore: lasciarsi trasformare dall’incontro con
l’altro, dalla reciproca testimonianza di fede. Vuol dire che devo perdere
qualcosa di me?
«Chi mi sta vicino è stato creato in dono per me ed io sono stata creata
in dono a chi mi sta vicino»6, afferma Chiara Lubich. La ricchezza dell’altro
si scopre quando lo amo con la misura di Gesù. Allora sono pronta all’ascol-
to, ad un ascolto nel quale l’altro può dare tutto se stesso. Questo ascolto
richiede da me uno sforzo, lo svuotarmi delle mie idee, dei miei preconcetti,
per far entrare l’altro in me. Amando così, disinteressatamente, mi arricchi-
sco dei doni che l’altro mi fa. Il mio orizzonte si allarga; comprendo le sue
motivazioni, il suo modo di pensare.
C’è una parola che può aiutarci a ricordare questo punto: è il “farsi uno”.
San Paolo dice: «Mi sono fatto tutto a tutti, per salvare ad ogni costo qual-
cuno» (1 Cor 9, 22).

36 nu 231
maria voce - christian krause - martin robra - brian farrell

3. Impegnarsi a ricercare l’unità visibile – tendere costantemente


verso questo obiettivo

Terzo imperativo: impegnarsi di nuovo a ricercare l’unità visibile, a elaborare


e sviluppare insieme ciò che questo comporta come passi concreti, e a tendere
costantemente verso questo obiettivo7.
Come vivere questo imperativo? Ritornando alla nostra radice comune:
la Parola di Dio. La sua Parola non è un semplice ricordo, ma la Parola che
egli rivolge oggi a tutti noi. E se siamo Parola viva, allora non siamo più noi a
vivere, ma Cristo vive in noi, come dice san Paolo.
Inoltre, fin dagli inizi era spontanea nel Movimento dei Focolari la pratica
di condividere le scoperte che si fanno quando si vive la Parola, cioè le espe-
rienze della Parola vissuta. Lo si fa tuttora, proprio a edificazione comune,
come sottolinea ancora san Paolo.

4. Riscoprire congiuntamente la potenza del vangelo

Quarto imperativo: riscoprire congiuntamente la potenza del Vangelo di Gesù


Cristo per il nostro tempo8.
Se viviamo il vangelo, potremo davvero riscoprire la sua potenza per il
nostro tempo.
È stata proprio questa scoperta del vangelo, il piccolo libro che le prime
focolarine portavano con sé nei rifugi antiaerei di Trento durante la Seconda
guerra mondiale, che ha dato a quel piccolo gruppo di ragazze la forza di ini-
ziare una vita nuova e che ha affascinato persone in tutto il mondo. È stato il
racconto di questa esperienza del vangelo vissuto che ha affascinato anche
i fratelli e le sorelle luterani venuti in contatto con Chiara nel 1961 in Germa-
nia. È stata una grande scoperta per loro che lo si poteva vivere insieme. Da
allora, migliaia di fratelli e sorelle di Chiese cristiane cercano di viverlo, di
incontrarsi per scambiarsi le esperienze, diventando così “cellule vive” del
corpo mistico di Cristo.

nuova umanità 231 37


focus. prospettive per l’unità dei cristiani
Spiritualità ed ecclesiologia di comunione

5. Rendere insieme testimonianza della misericordia di Dio


nel servizio al mondo

Quinto imperativo: […] rendere insieme testimonianza della misericordia di


Dio nell’annuncio del Vangelo e nel servizio al mondo9.
Se viviamo la Parola, l’amore, l’amore reciproco, con l’intensità richie-
sta da Gesù, possiamo rendere davvero testimonianza della misericordia,
cioè dell’amore di Dio. E sappiamo quanto il mondo attende questa nostra
testimonianza! Perché l’unità tra noi non è fine a se stessa, è per il mondo;
oggi essa è urgente più che mai proprio per la mancanza di pace che c’è nel
mondo.
Sappiamo bene qual è il perché più profondo del terrorismo: è il risenti-
mento, l’odio compresso, la voglia di vendetta, covati da popoli oppressi da
tempo per la suddivisione del nostro pianeta in due blocchi: uno ricco ed
uno, ben più grande, povero e a volte poverissimo. Ciò che manca, quindi,
sulla nostra terra è trattarsi da fratelli e sorelle, è la comunione, la solidarie-
tà, la condivisione. I beni vanno condivisi, ma si sa: essi non si muovono da
soli, occorre muovere i cuori.
Gesù ha detto che gli altri ci avrebbero riconosciuti dall’amore reciproco,
dall’unità, e che, attraverso di noi, avrebbero riconosciuto lui: «Da questo
tutti sapranno che siete miei discepoli, se avrete amore gli uni per gli altri»
(Gv 13, 35).
L’amore reciproco e l’unità devono essere, dunque, la nostra divisa e il di-
stintivo della sua Chiesa. Poniamo dunque tutta la nostra fiducia in quest’a-
more evangelico.
Carissimi fratelli e sorelle, vorrei concludere il mio intervento, sottolinean­
do quanto ho detto in occasione della Dichiarazione di Ottmaring, in cui
come Movimento dei Focolari abbiamo voluto riaffermare il nostro impegno
ecumenico, proprio sulla scia degli eventi di Lund.
Dicevo:

Oggi non ha più senso che i cristiani si presentino frammentati. Già


incidono poco e incideranno sempre meno, se non saranno uniti
a testimoniare l’unico Vangelo, il comando dell’amore reciproco.

38 nu 231
maria voce - christian krause - martin robra - brian farrell

Dunque, se noi cristiani non sappiamo dare questa testimonianza,


il mondo non potrà incontrare Dio, perché non potrà incontrare quel
Gesù che è presente dove ci sono i cristiani uniti nell’amore recipro-
co. Se invece lo incontrano, nascerà in loro la fede, cambieranno gli
atteggiamenti, il modo di comportarsi, vincerà la ricerca della pace
e di soluzioni di giustizia, e l’impegno per la solidarietà tra i popoli10 .

Il mio augurio di oggi è quello che insieme possiamo metterci e rimanere


“in cammino” con Gesù tra noi «affinché il mondo creda» (cf. Gv 17).

camminando insieme verso l’unità – da augsburg a lund


Christian Krause

Mi è stato chiesto di presentare un modello ecume-


nico che – se intendo bene – ha delle grandi ripercussioni
a livello mondiale. Esso sempre più viene recepito, anche
al di là dell’ambito cattolico e luterano, da diverse co-
munità ecclesiali: si tratta della Dichiarazione congiunta
sulla dottrina della giustificazione, che è stata firmata uf-
ficialmente il giorno della Riforma, 31 ottobre, nel 1999
ad Augsburg da parte della Chiesa cattolica e della Federazione luterana
mondiale.
Allo stesso tempo cercherò di evidenziare come questo modello rappre-
senti una tappa importante sul cammino verso Lund. Esso è radicato essen-
zialmente lì dove le persone vivono come cristiani nel quotidiano. È l’uno, se
noi guardiamo specialmente al papa e ai vescovi. Naturalmente ci ricorda i
grandi servizi liturgici ad Augsburg e poi a Lund. Ma più importante ancora è
che l’unità fra i cristiani cresce da e in tutte le parti. Proprio i movimenti e le
comunità spirituali hanno un ruolo determinante in questo processo di cre-
scita. Quando abbiamo firmato la Dichiarazione congiunta, Chiara Lubich
era presente. Sin dal primo momento i focolarini vi hanno aderito e si sono
impegnati a portare avanti l’unità nella fede. Anzi, hanno coinvolto le Chiese
stesse in questo movimento e allo stesso tempo si sono fatti coinvolgere
loro stessi a servizio delle Chiese.

nuova umanità 231 39


focus. prospettive per l’unità dei cristiani
Spiritualità ed ecclesiologia di comunione

Sotto questo segno vorremmo fare adesso una breve riflessione per
quanto riguarda il cammino che proviene da svariate direzioni e tende verso
l’unità. Noi tutti siamo stati invitati dai nostri amici del Movimento dei Fo-
colari, per metterci come cristiani insieme in cammino, che deve essere un
cammino comune e che ha una meta comune. Questa meta si chiama unità.
Questo è semplicemente il contrario di discordia, litigio e inimicizia. Sì, l’uni-
tà rimane una parola agognata di fronte a tante contese, tanto odio e tante
guerre: Dio ci doni di essere «un cuor solo ed un’anima sola» (At 4, 32), così
come si sentono le persone che si amano reciprocamente. Questa sarebbe
davvero una meta che vale la pena di perseguire. Inizialmente volevo elen-
care qui la variopinta composizione dei partecipanti. È come il riflesso della
descrizione negli Atti degli Apostoli (capitolo 2) della prima Pentecoste a
Gerusalemme, dove tutti erano convenuti. Pure Luca, che narra la storia, ha
nominato i singoli Paesi da cui provenivano le molte persone. E ci si chiede:
«Per carità! Come è possibile realizzare l’uno da una così grande diversità?».
Sì, cari fratelli e sorelle, nonostante questa sconcertante pluralità fra di noi,
vogliamo sperare con coraggio che avvenga il miracolo pentecostale dell’u-
nità sperimentata in Cristo.
Chiara Lubich ha messo il carisma dell’unità al centro di ogni suo agire.
Carisma significa dono, grazia. Il dono dell’unità. Un dono che Dio stesso dà
ad ognuno e ognuna di noi. A noi sta solo accoglierlo, e se noi lo accogliamo,
possiamo anche farne partecipi altri – per amore di Cristo.
Nel Movimento dei Focolari si dice talvolta: «Ti dono la mia unità», come
se si dicesse: «Ti dono un fiore o un libro o una tavoletta di cioccolato».
Così reale può essere l’unità e può toccare tutti i sensi: come il profumo
di un fiore, il gusto di una cioccolata, l’imparare da un libro. Così reale può
essere l’unità alla quale insieme vogliamo tendere con le nostre differen-
ze non meno reali. «Ti dono la mia unità»: ciò significa concretamente, da
toccare con mano: «Io ti appartengo. Voglio amarti come Cristo ama tutti
noi insieme e come noi apparteniamo a Cristo. Ti dono la mia unità». Che
meraviglioso dono!
Ci riusciremo così semplicemente? – ci si può chiedere. E soprattutto:
come potrà essere perché non resti solo un’emozione del momento, ma
possa sostenere tutta una vita?

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maria voce - christian krause - martin robra - brian farrell

Quest’anno ricordiamo che 500 anni fa non si è riusciti a liberare la Chie-


sa dalla penosa situazione di allora e a rinnovarla, senza che sorgessero del-
le divisioni. L’appello alla penitenza del riformatore Martin Lutero – questa
è la prima delle sue 95 Tesi –, l’appello alla conversione dalle deviazioni del
tempo, è rimasto ampiamente inascoltato. Tentativi di dialogo teologico e
spirituale si sono fermati ad accuse e condanne reciproche. E come spesso
anche oggi, è intervenuta poi la politica e ha cercato di sfruttare il profondo
travaglio della Chiesa per far valere i propri interessi. L’unità dell’Europa e
della Chiesa è andata in frantumi, così come già 500 anni prima si era con-
sumata la rottura fra la Chiesa dell’Est e la Chiesa dell’Ovest. Ne seguirono
guerre e odio, spesso con immense sofferenze. Dobbiamo ricordare tutto
ciò quando oggi ci doniamo la nostra unità, senza rimanere alla superficie.
Ma come potrebbe avvenire l’unità dei cristiani? Non sono i continui ap-
pelli all’unità, che non di rado sentiamo dalle autorità delle Chiese, che ci
hanno fatto procedere in modo sostanziale. Il Movimento ecumenico nato
dopo la Seconda guerra mondiale in seno al Consiglio mondiale delle Chiese
ha contribuito senza dubbio a far cadere alcuni pregiudizi fra le Chiese e a
mettere in moto molte azioni comuni. Questo è stato e continua ad esse-
re importante. Eppure dobbiamo anche tener presente che la più grande
Chiesa cristiana, quella romano-cattolica, a differenza della maggioranza
delle altre Chiese nel mondo, non si è associata al Consiglio mondiale delle
Chiese e non si è inserita in questa forma di impegno ecumenico vincolante.
Mancava ancora un passo in questa direzione, per sciogliere il duro zoccolo
delle divisioni tra cristiani.
Solo verso la metà del XX secolo rappresentanti della Chiesa cattolica a
livello mondiale e delle Chiese della Riforma riunite nella Federazione lute-
rana mondiale si sono ritrovati per riflettere su come si poteva ripartire dai
punti di rottura della Riforma di 500 anni fa e per verificare insieme: le cose
devono proprio rimanere inevitabilmente tali? Non c’è abbastanza sostanza
di ciò che definitivamente ci unisce e non che ci divide? E così si è deciso di
intraprendere insieme un intenso, anche faticoso dialogo cattolico-luterano.
Si è voluto – senza pressione di scadenze o smania di successo – confrontare
le posizioni fondamentali della fede e della dottrina dell’una e dell’altra par-
te, per metterle sul banco di prova insieme in radicale apertura e chiedersi:

nuova umanità 231 41


focus. prospettive per l’unità dei cristiani
Spiritualità ed ecclesiologia di comunione

che cosa ci unisce e quanto ci unisce? Ma anche per dire con sobrietà: dove
esistono ancora notevoli differenze? Più di trent’anni si è dialogato intensa-
mente a vari livelli in questa direzione e sempre più tale dialogo è diventato
un processo di riavvicinamento.
Alla fine è stato presentato un documento dal titolo: Dichiarazione con-
giunta sulla dottrina della giustificazione. Questa è una parola difficile, che
vorrei spiegare brevemente nella sua essenza. Si tratta del nostro esistere
dinanzi a Dio. Come possiamo noi uomini esistere dinanzi a Dio? La risposta
è: noi possiamo esistere con la nostra vita solo per pura grazia di Dio e per
la sua misericordia, non per merito delle nostre forze e delle nostre buone
azioni. Solo fidandoci della grazia di Dio sperimentiamo in modo illimitato
l’amore di Dio, come cristiani liberi e giustificati, nonostante le nostre colpe.
Niente e nessun’altro, se non Dio stesso, ci apre questa strada per amore
di Gesù Cristo – nessuna Chiesa, nessun sacerdote e nessun papa. Nella
dottrina sulla giustificazione del peccatore proclamata radicalmente da Lu-
tero vale: sola gratia et sola fide; quindi solamente per la grazia e per la fede
siamo davanti a Dio ciò che siamo, cioè i suoi amati figli. Al tempo della
Riforma questa radicale presa di posizione fu intesa anche come attacco
all’importanza della Chiesa istituzionale e dei suoi ministeri e ha dato adito
a forti reazioni.
Il nucleo centrale dei contrasti teologici al tempo della Riforma ha por-
tato ora con la Dichiarazione congiunta sulla dottrina della giustificazione a una
nuova comprensione e ha trovato con le nuove condizioni del nostro tem-
po anche una nuova forma. Che cosa essa significhi veniva ora definito e
spiegato molto dettagliatamente. Alla fine si dice che tutte e due le Chiese
annunciano insieme la loro concordanza riguardo a verità fondamentali del-
la fede, dichiarando nulle, come conseguenza, tutte le accuse e le condan-
ne reciproche espresse nel corso della storia. Questo ha significato la fine
dell’antagonismo fra le Chiese luterane della Riforma e la Chiesa romano-
cattolica a livello mondiale. Allo stesso tempo venivano elencate con chia-
rezza le diversità ancora esistenti, per essere insieme rielaborate.
Tutto questo sembra forse molto teorico. Ma se teniamo presente quan-
to è avvenuto, quante guerre sono state condotte per via di queste diffe-
renze, quanti ripudi reciproci facevano parte della quotidianità, allora si

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comprende che qui è sorto uno spirito nuovo. Diventa quindi evidente quale
svolta sia avvenuta, quando si afferma formalmente e in modo vincolante:
tutte le accuse e le condanne sono cancellate e non valgono più fra di noi.
Noi siamo insieme, fianco a fianco.
Poco prima della fine del XX secolo, nell’anniversario della Riforma del
1999 – quindi veramente all’ultimo momento – la Dichiarazione congiunta
fu firmata dai principali rappresentanti delle due Chiese. E già poco dopo,
nel gennaio del 2000, puntuali all’inizio del nuovo millennio dopo Cristo,
abbiamo festeggiato insieme questo nuovo inizio e abbiamo aperto insieme
la porta santa nella basilica di San Paolo fuori le mura. Giovanni Paolo II
aveva invitato l’allora presidente della Conferenza luterana mondiale, come
anche l’arcivescovo di Canterbury per la Comunione anglicana e metropoliti
ortodossi delle Chiese orientali. Insieme siamo entrati nella basilica per la
liturgia. Una cosa indimenticabile! La basilica era strapiena: da un lato la
curia, dall’altra parte il corpo diplomatico e tanti, tanti visitatori. Quando
abbiamo attraversato la porta – io avevo il privilegio di portare il libro del
Vangelo – con il papa da una parte e l’arcivescovo di Canterbury dall’altra,
ci sono stati un grande giubilo e applausi in questa grande chiesa. L’inizio
comune del nuovo millennio, l’unità fra i cristiani resa visibile, niente accu-
se, niente condanne, ma come sta scritto nella Dichiarazione congiunta: par
cum pari – uguale fra uguali, come fratelli e sorelle!
I singoli passaggi della Dichiarazione congiunta iniziano con le parole:
«Insieme confessiamo…». Questa era sempre la meta: affermare quello che
possiamo professare in modo vincolante, insieme, ufficialmente. Nelle co-
munità delle due Chiese in tutto il mondo sono sorte nuove forme di comu-
nione ecumenica a diversi livelli. Altre comunità di portata mondiale, come
quella dei metodisti, si sono unite a noi ed altre si sono messe in cammino.
Così è nato un nuovo modello ecumenico, non più determinato da criteri
strutturali o istituzionali – su come dobbiamo strutturarci, quali vestiti dob-
biamo portare e chissà cosa ancora –, ma un modello sostenuto soltanto dai
punti comuni delle verità fondamentali della fede. Molte differenze esterne,
fino a quel momento ritenute insormontabili, hanno perso il loro significato
di divisione.

nuova umanità 231 43


focus. prospettive per l’unità dei cristiani
Spiritualità ed ecclesiologia di comunione

Altre cose importanti sono rimaste in sospeso fino ad oggi e dobbia-


mo continuare a lavorarci. Nomino soltanto la questione cruciale, molto
coinvolgente e carica di speranza, che ci urge dentro, cioè quella di poter
celebrare finalmente insieme l’Eucaristia. A questo punto vorrei ringraziare
di cuore, perché nella vostra Dichiarazione di Ottmaring lo avete espresso
nuovamente con chiarezza: noi chiediamo alle Chiese che si arrivi presto ad
una comune celebrazione dell’Eucaristia.
Ma si doveva andare ancora avanti. Un nuovo dialogo cattolico-luterano
è stato messo in moto con il titolo: Dal conflitto alla comunione. Adesso si
cercavano con insistenza i tesori dell’unità. All’«Insieme confessiamo…» si
aggiunse per la celebrazione per la Riforma a Lund «Insieme ci impegniamo
per…». Questo è un ulteriore passo gli uni vero gli altri, avvenuto sulla base
solida della nostra dichiarazione di appartenenza a Cristo, nostro Signore.
Qui vengono citate molte cose pratiche che riguardano l’insieme. Voglio
dare solo un esempio, che mi ha particolarmente colpito, ma che fa vedere
quali ampie ripercussioni pratiche abbiano questi impegni presi insieme.
A Lund era stato detto che cattolici e luterani devono dare insieme te-
stimonianza della grazia di Dio nell’annuncio e nel sevizio al mondo. E così,
ancora praticamente sul posto, è stato stipulato un accordo di cooperazione
fra la Caritas internazionalis cattolica e il Lutheran World Service. In quel
momento è venuta in luce ancora una volta l’importanza storica di Lund
come posto per la celebrazione comune: quando nel 1947 è stata fondata a
Lund la Federazione luterana mondiale, un luterano su otto era un rifugiato.
Così questa confederazione è stata fin dagli inizi con le sue attività umanita-
rie un grande aiuto ai rifugiati e lo è fino ad oggi. Come giovane parroco ho
iniziato la mia attività per la Chiesa nel servizio ai rifugiati in Africa. Per que-
sto sono molto emozionato nel sapere che questi due grandi servizi umani-
tari ecclesiali, della Chiesa cattolica e della Chiesa luterana, collaborino ora
fianco a fianco nella lotta contro l’incommensurabile miseria e la sofferenza
dei rifugiati. Questo è meraviglioso! Così concreta può essere l’unità; si può
toccare, è un contributo per la salvezza del mondo.
Attraverso i nostri ricordi siamo arrivati alle porte di Lund.
Sorgeva ora la domanda: come e dove commemorare il Giubileo dei 500
anni della Riforma, avvenuta nell’anno 1517, alla luce di queste nuove com-

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prensioni della Dichiarazione congiunta? Una cosa ci sembrava chiara fra di


noi: non sarebbe stato bene inserirci in una possibile esultanza nazionale in
Germania. Io stesso ho avuto il privilegio e la gioia di parlare in precedenza
con papa Francesco su come si sarebbe dovuta e potuta svolgere nel modo
migliore la celebrazione. Su un punto eravamo subito d’accordo: dopo tutte
le dimostrazioni d’unità poteva esserci solo un ricordo comune e una testi-
monianza di Cristo insieme. «Insieme confessiamo…», più che mai nel gior-
no della Riforma, in questo significativo anniversario della Riforma.
Papa Francesco si è messo in cammino come pellegrino verso Lund nella
Svezia luterana, per una celebrazione comune nel duomo luterano, proprio lì
dove nel 1947 era stata fondata la Federazione luterana mondiale.
Quale grande segno! Insieme ricominciamo e continuiamo il nostro co-
mune cammino nell’unità donataci da Cristo! Questo è stato prima di tutto
il messaggio di Lund.
È gratificante ed arricchente il fatto che tante altre Chiese e comunità
ecclesiali si vogliano unire e dicano: «Sì, facciamo il cammino con voi e vi
invitiamo a camminare con noi!». Fra le comunità spirituali che la pensano
così e agiscono in questa direzione viene in luce soprattutto il Movimento
dei Focolari. I movimenti sono spesso più liberi delle Chiese istituzionali.
Così ci aiutiamo vicendevolmente. Ne è un esempio l’importante, grande,
meraviglioso movimento di Insieme per l’Europa. È un insieme di più di tre-
cento movimenti e comunità ecclesiali provenienti da tutta l’Europa. Anche
questa è una dimostrazione pratica dell’unità e della pace fra cristiani contro
tutte le minacce di questi giorni all’unità a livello politico. I vari movimenti di
Insieme per l’Europa, come anche il Movimento dei Focolari, si riallacciano
in ugual modo alla Dichiarazione congiunta e quindi all’«Insieme confessia-
mo…» e «Insieme ci impegniamo…» per mostrare inequivocabilmente sia
all’interno che verso l’esterno: a questo punto non può dividerci più niente!
Ci auguriamo che lungo il prossimo percorso resti valido l’obiettivo co-
mune di testimoniare Cristo in tutto e di partire tra di noi sempre dalla pro-
spettiva dell’unità e non dalla prospettiva della divisione, a tutti i livelli.
Constatiamo che il carisma dell’unità riceve nuovo ossigeno per poter
respirare fra gli uomini. Sia ringraziato Dio!

nuova umanità 231 45


focus. prospettive per l’unità dei cristiani
Spiritualità ed ecclesiologia di comunione

spiritualità di unità e dialogo della vita.


una prospettiva protestante sul contributo di
chiara lubich
Martin Robra

Signori vescovi, amici, sorelle e fratelli in Cristo,


quest’invito mi ha dato l’opportunità di continuare a
leggere tanti dei testi di Chiara Lubich che sono fonte
di grande ispirazione e così imparare da lei. È stato un
grande dono e spero di poter condividere alcuni dei frutti
maturati in me. Vorrei poi ringraziare per la Dichiarazio-
ne di Ottmaring. Tale testo dimostra che stiamo cam-
minando insieme come discepoli di Cristo. Forse a volte
camminiamo separatamente, ma ci sono momenti nei quali ci ritroviamo
insieme e condividiamo le avventure del viaggio, rinnoviamo l’impegno al
comune pellegrinaggio e proseguiamo, quindi, con un senso di direzione e
di intenti condivisi.

Insieme in cammino: la Dichiarazione di Ottmaring

La Dichiarazione di Ottmaring fa riferimento a due eventi, entrambi di


fondamentale importanza prima di tutto per la Chiesa cattolica e per la Co-
munione luterana, ma di grande risonanza ecumenica: la firma della Dichia-
razione congiunta sulla dottrina della giustificazione, del 1999 ad Augsburg, e
la Dichiarazione di Lund del 31 ottobre 2016. Ovviamente questi due eventi
sono particolarmente cari a me, protestante di radici luterane.
Trovo affascinante che questi due documenti siano diventati punti di ri-
ferimento per la Dichiarazione di Ottmaring, la quale ci aiuta a vedere quan-
ta strada abbiamo fatto e come continuare insieme nel futuro. La Dichiara-
zione congiunta ci ricorda dell’iniziativa di Dio per la salvezza del mondo.
Egli per primo prende l’iniziativa. Dio ci raggiunge esclusivamente tramite
la grazia in Cristo e nello Spirito Santo. La Dichiarazione di Lund prova che
l’evento in Augsburg nel 1999 e il percorso comune che due anni fa ci ha

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maria voce - christian krause - martin robra - brian farrell

condotti a Lund hanno effettivamente cambiato tanti di noi. Tornando da


Augsburg abbiamo preso coscienza dell’importanza delle memorie avvele-
nate dall’odio e dai rapporti violenti nel passato. Ne siamo stati liberati non
per lasciare il passato alle spalle, ma per non ripetere più gli stessi stereotipi
che hanno scavato la separazione delle Chiese e delle comunità e hanno
causato violenza e guerre per 500 anni dalla Riforma. Abbiamo riscoper-
to, invece, che eravamo una sola Chiesa prima e condividiamo un grande
comune patrimonio. Abbiamo così preso responsabilità sia del passato che
del futuro, mai più da soli e separati, ma insieme. Invece di allontanarci l’uno
dall’altro possiamo camminare insieme nell’amore reciproco e condividere
storie, speranze e ciò che vorremmo per la Chiesa e per il mondo.
La Dichiarazione di Ottmaring esprime questo in un modo bellissimo.
Leggo il paragrafo nel testo:

Ci sentiamo interpellati in modo particolare dall’invito espresso


da questa Dichiarazione. Ravvisiamo nell’incontro di Lund un vero
“kairos”, un segno di Dio per il nostro tempo che sprona i cristiani
ad impegnarsi ancora di più affinché il Testamento di Gesù «Che
tutti siano uno» (Gv 17, 21) si realizzi. Con tutte le nostre forze vor-
remmo sostenere le Chiese nell’impegno per arrivare alla piena e
visibile comunione e a servire insieme l’umanità.

Sì, la nostra non è mera speranza, noi sappiamo che voi continuerete
a seguire il vostro carisma di unità nell’amore reciproco, abbiamo visto e
sentito come vivete la missione del Movimento dei Focolari come dono alle
Chiese e al mondo in tanti modi diversi.

L’incontro con Chiara

Noi lo sappiamo perché abbiamo sperimentato di persona come Chiara


Lubich e il Movimento dei Focolari hanno condiviso il carisma e la spiritualità
dell’unità. Per me è stato provvidenziale che Barbara, mia moglie, abbia in-
contrato Chiara nel 1999 ad Augsburg e ad Ottmaring durante l’evento della
firma della Dichiarazione congiunta. Barbara era responsabile dei mezzi di

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focus. prospettive per l’unità dei cristiani
Spiritualità ed ecclesiologia di comunione

comunicazione della Federazione luterana mondiale. Ritornò a casa entu-


siasta del Focolare e dell’aiuto ricevuto dalla comunità a Ottmaring. Era ri-
masta profondamente colpita dagli interventi di Chiara e dai discorsi sulla
spiritualità dell’unità; mi disse che dovevo saperne di più.
L’opportunità mi si presentò poco dopo, quando fui invitato alla Casa
Eckstein a Baar per un incontro con Chiara e con alcuni colleghi del Con-
siglio mondiale delle Chiese. Fummo colpiti dal suo convincente impegno
per l’unità e immediatamente ci consultammo con il segretario generale,
in modo da invitarla al Consiglio mondiale delle Chiese a Ginevra. Lei ven-
ne nell’ottobre 2002, visitò le chiese a Ginevra, l’Istituto ecumenico a Bos-
sey e il Centro ecumenico presso il Cmc, la Federazione luterana mondia-
le, l’Allean­za mondiale delle Chiese riformate e la Conferenza delle Chiese
europee. Ma non venne da sola. Alla sua presentazione presso il Centro
ecumenico era accompagnata da un gruppo di vescovi amici del Movimen-
to dei Focolari. Come il lievito nel pane, la loro amicizia e la loro fratellanza
spirituale edificavano rapporti ecumenici molto più vasti.
Quello che ora dirò sulla spiritualità dell’unità e sul dialogo della vita è
frutto delle parole di Chiara durante quella visita. La prima frase del suo
discorso conteneva già tutto:

L’Unità e Gesù Abbandonato costituiscono i due principali cardini


su cui si fonda la “spiritualità dell’unità” che anima il Movimento
dei Focolari, questa moderna realtà carismatica, nata nella Chiesa
cattolica, ma aperta a cristiani di varie Chiese e comunità ecclesiali.

Gesù abbandonato qui non è una dottrina o un concetto teologico. Gesù


abbandonato si rifà a esperienze e intuizioni sconvolgenti e allo stesso tem-
po illuminanti e totalmente appaganti. Sono stato profondamente toccato
da una meditazione di Chiara scritta il 20 settembre 1949, «Non conosco che
Cristo e Cristo Crocefisso». Questo testo a me dice la profonda esperienza e
mistica sostanza dell’abbreviazione Gesù abbandonato. Il testo inizia con
l’affermazione e la promessa:

Ho un solo sposo sulla terra: Gesù crocifisso e abbandonato; non


ho altro Dio fuori di Lui. […] Perciò il Suo è mio e null’altro. E Suo è il

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dolore universale e quindi mio. […] Così per gli anni che mi riman-
gono: assetata di dolori, di angosce, di disperazioni, di distacchi, di
esilio, di abbandoni, di strazi, di… tutto ciò che è Lui, e Lui è il Dolore.

Queste righe mi colpirono molto la prima volta che le lessi. E diven-


nero così vere quando accompagnai il nostro segretario generale a una
visita a Rocca di Papa nel febbraio del 2008, solo un mese prima che Dio
chiamasse Chiara a sé. La vedo ancora così dolce e gracile, visibilmente
marcata dalla sua condizione medica. E non dimenticherò mai come si girò
verso di me con questa unica domanda, che riflette allo stesso tempo la
realtà della croce e la nuova alba della resurrezione: «Chi è Gesù abban-
donato per te? – per me, per te, per tutti noi – comunione di vita in Cristo
oggi e per l’eternità».
È in Gesù abbandonato che l’unione con Dio e con le nostre sorelle e
con i nostri fratelli diventa realtà. Gesù abbandonato è il legame di amore
che unisce Dio, il mondo e tutti noi. Chi ha fatto questa esperienza non
può accettare l’odio, gli stereotipi e la separazione, ma si curerà dell’altro
con amore e lavorerà per la riconciliazione e la pace tra le Chiese e tra tutti
i popoli e le nazioni. La spiritualità dell’unità prenderà forma nel dialogo
della vita.

Insieme nel pellegrinaggio della vita, della giustizia e della pace

Il rev. dr. Olav F. Tveit, segretario generale del Consiglio mondiale del-
le Chiese e teologo luterano, fece riferimento alla spiritualità dell’unità con
Gesù abbandonato al cuore di essa con queste parole:

Nell’immagine completamente distrutta di Cristo sulla croce, noi


riscopriamo il volto della creatura che noi tutti eravamo chiamati
ad essere e che dobbiamo diventare lungo il nostro pellegrinaggio
verso il regno di Dio. Molti di coloro che hanno contribuito alla for-
mazione del Consiglio mondiale delle Chiese già nel 1925 a Stoc-
colma, dichiararono: «Più ci avviciniamo alla croce di Cristo, più ci
avviciniamo gli uni agli altri».

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focus. prospettive per l’unità dei cristiani
Spiritualità ed ecclesiologia di comunione

Martin Lutero stesso dava il seguente consiglio:


Pertanto, mio caro fratello, impara Cristo e questi crocifisso, impara
a cantare a lui e a dirgli, mentre disperi di te stesso: «Tu, Signore
Gesù, sei la mia giustizia, mentre io sono il tuo peccato; tu hai preso
su di te quanto è mio, e mi hai dato quanto è tuo; hai preso su di te
quello che non eri e mi hai dato quello che io non ero».

Non è difficile notare quanto queste frasi trovano una risonanza nel te-
sto di Chiara del settembre 1949. Se teniamo in cuore Gesù abbandonato
mentre camminiamo insieme lungo il nostro pellegrinaggio, impareremo
insieme a riconfigurare il passato che ci separa e a vedere con più chiarezza
dove Dio ci vuole condurre come discepoli di Cristo. L’ecumenismo non è
soltanto dialogo e chiarimenti dottrinali, ma una realtà dinamica che include
tutte le dimensioni della nostra testimonianza al mondo: così che il mondo
possa credere, poiché stiamo divenendo uno mentre siamo insieme lungo
il cammino.

la chiesa come comunione: un concetto che deve ancora


portare frutto ecumenicamente
Brian Farrell

Pensare alla Chiesa come comunione (koinonía) è


vedere l’ecclesiologia inseparabile dalla spiritualità. In
questo Chiara Lubich è stata una grande maestra. Nella
seguente breve riflessione sono guidato dalle forti paro-
le di Chiara, tratte da alcuni suoi discorsi, senza aver la
pretesa di presentare il suo pieno pensiero su concetti
importanti come l’unità dei cristiani, l’unità della famiglia
umana, la riconciliazione e la riforma della Chiesa.
Chiara spesso ricordava che i primi passi nella sua comprensione spi-
rituale e mistica delle parole del Vangelo hanno determinato tutto il corso
di ciò che lei e i suoi compagni avrebbero successivamente raggiunto nella
propria vita e nel Movimento.

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Lasciatemi citare alcune sue affermazioni:


Il Testamento di Gesù, la sua preghiera per l’unità, il capitolo dicias-
sette del Vangelo di Giovanni. Ricordo che è questa una delle prime
pagine del Vangelo che abbiamo letto. Un avvenimento di grande
importanza per noi. È ancor vivo nella nostra mente come man
mano si passava di parola in parola, ognuna sembrava illuminarsi;
ed era – ora lo capiamo – come se qualcuno ci dicesse: «Guarda, a
scuola tu devi imparare tante cose, ma il sommario è questo, que-
sto, questo: “santificali nella verità... che tutti siano uno... avrete la
pienezza della gioia... sarete tutti uno come io sono uno col Padre”
(Gv 17, 1-26) ecc.». Il Testamento ci appariva la sintesi del Vange-
lo. E lo si comprendeva con una comprensione che non poteva non
essere illuminata da una grazia speciale. Penetrato quello – come
Dio ha voluto e per quanto Dio ha voluto – ci è stato poi più facile
intendere il resto del Vangelo.

Di questa prima esperienza Chiara disse: «Le parole di Dio ci sono ap-
parse straordinariamente nuove, come non le avessimo mai conosciute».
Dopo essere entrata in contatto con alcuni cristiani luterani, Chiara dice:
«Nasce fra tutti noi, che vediamo ed amiamo nell’anomalia della non piena e
visibile comunione un volto di Gesù crocifisso e abbandonato, una fraternità
schietta e autentica». La spiritualità di comunione, compresa la comunione
con coloro che non appartengono alla sua stessa Chiesa, è cresciuta, non
come teoria, bensì attraverso l’esperienza vera e viva dell’amore evangelico
senza limiti.
Proprio come Chiara e i suoi compagni – che sentirono la novità della
parola evangelica nei propri cuori, ma solo gradualmente si resero conto
delle sue implicazioni più complete – penso che possiamo dire che, mentre
la dottrina della Chiesa come comunione era chiaramente presente negli
insegnamenti del Vaticano II, solo ora, quasi sessant’anni dopo, le implica-
zioni pratiche di questo concetto assumono una forma più definitiva nella
vita istituzionale della nostra Chiesa, trasformando il modo in cui la Chiesa
è presente e agisce nel mondo.
Questa breve riflessione è intitolata La Chiesa come comunione: un con-
cetto che deve ancora compiersi, che deve ancora diventare più reale ed

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focus. prospettive per l’unità dei cristiani
Spiritualità ed ecclesiologia di comunione

efficace nella vita personale e collettiva dei cristiani e soprattutto, per molti
motivi, nella comunità cattolica.
Che Chiara fosse chiaramente consapevole dell’enorme potenziale ecu-
menico di una riforma della Chiesa cattolica in direzione di una ecclesiologia
di comunione è evidente quando cita con approvazione una dichiarazione
del cardinale Willebrands di più di quarant’anni fa. Lasciatemi leggere le
sue parole: «Molti anni fa, il cardinale Willebrands, in modo quasi profetico,
scrisse che un’approfondita ecclesiologia della comunione è forse la gran-
de possibilità dell’ecumenismo di domani. La restaurazione dell’unità della
Chiesa va ricercata secondo le direttive di questa ecclesiologia, che è a un
tempo molto antica […] e molto moderna».
Alcuni mesi fa, in occasione della riunione annuale della Conferenza dei
segretari delle comunioni cristiane mondiali – un importante incontro ecu-
menico che riunisce i maggiori rappresentanti di circa trentacinque Chiese
e comunità di carattere internazionale e presenti in tutto il mondo – prati-
camente tutti coloro che vi hanno partecipato hanno espresso ammirazione
e gratitudine per il ministero di papa Francesco. Di che cosa sono felici i
nostri partner ecumenici? Nutrono grandi speranze che il lavoro di riforma,
che egli ha intrapreso nella Chiesa cattolica, porterà un vantaggio decisivo
anche alle loro comunità e che il loro dialogo con la Chiesa cattolica, rinno-
vato secondo le linee proposte da papa Francesco, diventerà sempre più una
ricerca comune della volontà di Cristo, libera da qualsiasi autosufficienza o
autoreferenza preconcetta.
Cosa sta facendo papa Francesco di così interessante? Non è solo una
questione del suo stile, della sua semplicità e della sua schiettezza, o della
sua richiesta di umiltà, di discernimento e di servizio, del suo impegno nei
confronti dei poveri e degli svantaggiati. Egli sta introducendo, con fermez-
za, elementi di reale riforma nel modo in cui la Chiesa amministra se stessa
e svolge la sua missione nel mondo.
Egli ha in mente una riforma del papato e dell’episcopato:

Dal momento che sono chiamato a vivere quanto chiedo agli altri,
devo anche pensare a una conversione del papato. A me spetta,
come Vescovo di Roma, rimanere aperto ai suggerimenti orien-

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tati ad un esercizio del mio ministero che lo renda più fedele al


significato che Gesù Cristo intese dargli e alle necessità attuali
dell’evangelizzazione.

Non solo, ma papa Francesco è convinto che, come ha detto alla com-
memorazione del cinquantesimo anniversario del Sinodo dei Vescovi, il 17
ottobre 2015:

In una Chiesa sinodale, anche l'esercizio del primato petrino potrà


ricevere maggiore luce. Il Papa non sta, da solo, al di sopra della
Chiesa; ma dentro di essa come Battezzato tra i Battezzati e dentro
il Collegio episcopale come Vescovo tra i Vescovi, chiamato al con-
tempo – come Successore dell'apostolo Pietro – a guidare la Chiesa
di Roma che presiede nell'amore tutte le Chiese

Quanto alle Conferenze episcopali, egli scrive (n.d.r., in Evangelii gau-


dium, 32):

Il Concilio Vaticano II ha affermato che, in modo analogo alle anti-


che Chiese patriarcali, le conferenze episcopali possono «portare
un molteplice e fecondo contributo, acciocché il senso di collegialità
si realizzi concretamente». Ma questo auspicio non si è pienamente
realizzato, perché ancora non si è esplicitato sufficientemente uno
statuto delle Conferenze episcopali che le concepisca come sog-
getti di attribuzioni concrete, includendo anche qualche autentica
autorità dottrinale.

Quanto al ruolo dei vescovi, li richiama spesso a una maggiore responsa-


bilità personale, pastorale, a una rispondenza che non può essere totalmen-
te delegata ad altri o a strutture impersonali. Un esempio è costituito dal
motu proprio del 2015 Mitis Iudex Dominus Iesus, sulla riforma del processo
canonico per le cause di nullità dei matrimoni. In quel documento France-
sco ritorna a una verità chiave dell’ecclesiologia del primo millennio, sempre
sostenuta in Oriente, non sempre mantenuta in Occidente, che il vescovo
locale, e nessun altro, è il garante della legge e della disciplina.

nuova umanità 231 53


focus. prospettive per l’unità dei cristiani
Spiritualità ed ecclesiologia di comunione

Vale la pena citare il testo: «Si auspica pertanto che lo stesso Vescovo
[...] non lasci completamente delegata agli uffici della curia la funzione giu-
diziaria in materia matrimoniale».
Nella lettera apostolica parallela, riguardante le Chiese cattoliche orien-
tali, il papa descrive la figura del vescovo quale giudice degli aspetti spiritua-
li: «Il Vescovo infatti – costituito dallo Spirito Santo come figura di Cristo e al
posto di Cristo […] – è anzitutto ministro della divina misericordia; pertanto
l’esercizio della potestà giudiziale è il luogo privilegiato in cui, mediante l’ap-
plicazione dei principi della “oikonomia” e della “akribeia”, egli porta ai fedeli
bisognosi la misericordia risanatrice del Signore».
C’è dell’altro. Francesco favorisce il ruolo dei livelli intermedi del governo
della Chiesa. Non dovrebbe finire tutto a Roma. E scrive: «L’appello alla Sede
Metropolitana, come ufficio capitale della provincia ecclesiastica, stabile
nei secoli, è un segno distintivo della primigenia forma della sinodalità nelle
Chiese orientali, che deve essere sostenuto e incoraggiato».
Tutti questi sono passaggi da un esercizio di organismo iper-centraliz-
zato e monarchico verso una Chiesa che è una comunione spirituale, in cui
ogni parte svolge il proprio ruolo, sotto la legge suprema dell’amore, della
solidarietà, della fratellanza e della responsabilità reciproca.
Nel dialogo cattolico-ortodosso la Commissione ha trascorso più di
dieci anni a chiarire ciò che i cattolici e gli ortodossi possono dire insieme
sull’esercizio dell’autorità e della sinodalità nella vita della Chiesa nel Primo
millennio, quando le Chiese dell’Est e dell’Ovest erano ancora in comunio-
ne. La somiglianza tra la visione che è emersa da questa accurata revisione
teologica e storica e la visione che il papa promuove è notevole.
Papa Francesco è alla ricerca di un diverso e più ampio equilibrio di
responsabilità e autorità nella Chiesa: collegialità e sinodalità genuine. Al
riguardo, egli suggerisce che i cattolici hanno qualcosa da imparare da-
gli ortodossi (n.d.r., in Evangelii gaudium, 246): «Per fare un esempio, nel
dialogo con i fratelli ortodossi, noi cattolici abbiamo la possibilità di impa-
rare qualcosa di più sul significato della collegialità episcopale e sulla loro
esperienza della sinodalità». In sintesi, cinquant’anni dopo il Concilio gli
aspetti fondamentali della visione del Concilio della Chiesa come comu-
nione vengono ripresentati come una riforma che non può più essere po-

54 nu 231
maria voce - christian krause - martin robra - brian farrell

sticipata. È importante notare che il papa non sta premendo per una novità
rivoluzionaria, ma per la riappropriazione di alcuni valori dinamici che ap-
partengono in modo diacronico all’essenza della Chiesa come comunione
e comunità: sinodalità e collegialità, discernimento pastorale e rispetto per
le strutture intermedie.
Da parte sua, il mondo ecumenico è convinto che questo modo di rifor-
ma della Chiesa cattolica sia una fonte importante di speranza per l’ecu-
menismo nel XXI secolo, in particolare per il ripristino della comunione con
l’Oriente. Papa Francesco stesso ha detto a una delegazione del patriarcato
di Costantinopoli, il 27 giugno 2015: «L’attento esame di come si articolano
nella vita della Chiesa il principio della sinodalità ed il servizio di colui che
presiede offrirà un contributo significativo al progresso delle relazioni tra le
nostre Chiese». La Chiesa cattolica può legittimamente aspirare ad essere il
promotore principale dell’unità di tutti i discepoli di Cristo, a condizione che
la Chiesa trovi il coraggio di rinnovarsi in armonia con i principi ecclesiolo-
gici validi nel Primo millennio, staccandosi da elementi strettamente lega-
ti a certe nozioni politiche, giuridiche e secolari che emergono fortemente
nel Secondo millennio in Occidente. Una simile riforma, così essenziale per
la causa dell’unità cristiana, non può essere seriamente intrapresa da una
Chiesa isolazionista e autoreferenziale. Può essere implementata solo da
una Chiesa umile e nella preghiera, una Chiesa che, senza paura, si sforza
di vivere secondo gli scopi del Signore, compresa quella suprema intenzione
devotamente rivolta al Padre nell’ultima cena: «Che tutti siano uno [...] che
il mondo creda che tu mi hai mandato» (cf. Gv 17, 21).
In un incontro con Chiara, Konrad Raiser, ex segretario del Cmc, ha egre-
giamente dichiarato quale dovrebbe essere il nostro atteggiamento e la no-
stra azione ecumenica in questa fase attuale: «La nostra ricerca dell’unità
non consiste nello sforzo di costruire un edificio, bensì in un processo di
spogliamento, di svuotamento di noi stessi, di tutto ciò che ci tiene separati
da Cristo e gli uni dagli altri». Proprio perché l’ecclesiologia di comunione
non è possibile senza una spiritualità di comunione, il Movimento dei Foco-
lari occupa davvero un posto provvidenziale nel cuore di ciò che lo Spirito
di Dio dice alle Chiese in questo tempo storico di trasformazione. Chiara ci
esorta: «Ciò che manca, quindi, sulla nostra terra è trattarsi da fratelli, è la

nuova umanità 231 55


focus. prospettive per l’unità dei cristiani
Spiritualità ed ecclesiologia di comunione

comunione, la solidarietà, manca la condivisione. [...] Occorre quindi vedere


sorgere nel mondo una larga fraternità e, dato che il problema è universale,
una fraternità universale».
Quindi, nel Movimento la spiritualità di comunione è anche una eccle-
siologia di comunione. Come ci esorta Chiara: «È nostra convinzione che
anche le Chiese in quanto tali debbano amarsi con questo amore. E noi ci
sforziamo di lavorare in questo senso».

Cf. Giovanni Paolo II, Ut unum sint.


1 

Dal conflitto alla comunione. La Commissione luterana-cattolica sull’unità e la com-


2 

memorazione comune della Riforma nel 2017, in «Il Regno - documenti», n. 11, 1 giugno
2013, p. 384.
3 
C. Lubich, L’arte di amare, Città Nuova, Roma 2005, p. 29.
4 
Cf. Unitatis redintegratio.
5 
Dal conflitto alla comunione. La Commissione luterana-cattolica sull’unità e la com-
memorazione comune della Riforma nel 2017, cit.
6 
C. Lubich, La dottrina spirituale, Città Nuova, Roma 2006, p. 142.
7 
Dal conflitto alla comunione. La Commissione luterana-cattolica sull’unità e la com-
memorazione comune della Riforma nel 2017, cit.
8 
Ibid.
9 
Ibid.
10 
La Dichiarazione di Ottmaring. Nuovo impegno ecumenico dei Focolari. Intervista
a Maria Voce, Ottmaring, 21 febbraio 2017.

56 nu 231
focus. prospettive per l’unità dei cristiani

Protagonisti di dialogo:
patriarca Athenagoras I
e Chiara Lubich

Credo si possa affermare che il patriarca ecumenico


Gennadios Athenagoras e Chiara Lubich, fondatrice del Movimento
Zervos dei Focolari, sono stati due indimenticabili protagonisti
del dialogo della carità, due grandi testimoni del dialo-
arcivescovo
go del popolo. Mandati da Dio per cambiare l’umanità
ortodosso,
metropolita cristiana, sono stati due meravigliosi seguaci di Gesù
d’italia e malta Cristo, che con la loro vita hanno incarnato il versetto
ed esarca di Matteo «Dove sono due o tre…» (cf. Mt 18, 20); sono
per l’europa stati, cioè, l’espressione vivente di questa realtà evange-
meridionale.
lica e l’hanno trasmessa a tutto il mondo.
Non c’è dubbio che entrambi, illuminati da Dio per
aiutare l’uomo a inaugurare una nuova vita di spiritua-
lità sociale e morale, hanno dedicato tutto il loro essere
all’unità, alla pace e alla buona convivenza dei popoli,
facendo una rivoluzione pacifica. Con la loro vita umile,
seria, disponibile, con la dedizione, l’amore e la preghie-
ra, sono stati gli iniziatori di una nuova era ecumenica e
hanno certamente contribuito a cambiare la situazione
e l’atmosfera tra la Chiesa ortodossa e quella cattolica
romana, ammaestrando popoli, dando coraggio, forza,
pazienza, fedeltà, disponibilità, amore e unità.
Il patriarca Athenagoras e Chiara Lubich hanno
aperto la porta e nessuno può più chiuderla; lo dice in
modo ammirabile l’Apocalisse: «Ho aperto davanti a te
una porta che nessuno può chiudere» (Ap 3, 8). Natu-
ralmente le difficoltà, quelle dovute alle antiche e alle

nuova umanità 231 57


focus. prospettive per l’unità dei cristiani
Protagonisti di dialogo: patriarca Athenagoras I e Chiara Lubich

nuove divisioni, non mancano, ma con fiducia possiamo dire che le speranze
per l’avvenire sussistono.
È indiscutibile che già l’annuncio del Concilio Vaticano II aveva indub-
biamente inaugurato un clima nuovo, di comprensione e di riconciliazione,
di fratellanza e di solidarietà, di pace e di dialogo, tanto in seno alla Chiesa
cattolica romana, quanto in seno all’umanità cristiana, grazie al quale molte
posizioni rigide, presenti da secoli nella società, si sono poi poco a poco
ammorbidite. Il patriarca Athenagoras, nel quale era tanto forte il desiderio
di attuare un riavvicinamento tra le due Chiese, non perse occasione per
manifestare la propria simpatia già a papa Giovanni XXIII, che per lui era un
«uomo mandato da Dio»1.
Con il Vaticano II e Paolo VI tutto questo divenne realtà e non è neces-
sario riportare qui quanto è già universalmente conosciuto: gli avvenimenti,
gli incontri, i discorsi, la stima e l’affetto che hanno legato questi due fari di
santità e di sapienza.
Ma occorre tenere presente che Paolo VI aveva una profondissima stima
di Chiara, la quale, a sua volta, aveva una vicinanza personale al papa della
massima importanza, elementi risultati utili e necessari per la riconciliazio-
ne e il progresso fra Roma e Costantinopoli.
Chiara Lubich si recò per la prima volta nella sede del patriarcato ecu-
menico di Costantinopoli il 13 giugno 1967, ma in precedenza il patriarca
Athenagoras aveva già sentito parlare del Movimento dei Focolari e della
spiritualità dell’unità soprattutto da padre Angelo Beghetto, francescano
conventuale, rettore della chiesa di Sant’Antonio di Istanbul.
Fino alla morte del patriarca, la Lubich compì otto viaggi per incontrarlo
25 o 27 volte, se si includono i due colloqui ufficiosi, svoltisi nella Facol-
tà patriarcale di Chalki. Ma quella prima volta fu l’evento da Dio preparato
dall’eternità.
Chi può dimenticare l’accoglienza cordiale, paterna, di Athenagoras nei
confronti di Chiara e del suo seguito? Fu un incontro pieno di realtà simbo-
liche. L’amore del patriarca, la sua paternità e la sua umiltà furono commo-
venti. Uomo di Dio, uomo di unità, carismi che ha riconosciuto anche alla Lu-
bich, egli dimostrò la sua unità a Chiara e ai suoi collaboratori con due gesti
significativi: innanzitutto, fece accomodare attorno alla sua scrivania tutti,

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gennadios zervos

poi, abbracciò i due sacerdoti cattolici, volendo con ciò esprimere quell’uni-
tà che ancora non c’era, ma che «egli ardentemente agognava»2.
Subito dopo confessò: «Aspettavo questo incontro con grande deside-
rio», e prendendo le mani della Lubich, le manifestò paternamente la sua
immensa gioia e la sua commozione: «Prego per la vostra opera. L’ammiro.
Conosco il grande messaggio del Movimento».
La spiritualità del Movimento dei Focolari fu il primo argomento della
loro conversazione. Il patriarca accoglieva con amore tutto ciò che di prezio-
so Chiara esponeva con maestria e serenità. Moltissime volte Athenagoras
intervenne e fece considerazioni, sottolineando i valori spirituali che univa-
no ortodossi e cattolici. Gli fecero grande impressione le parole di Chiara, di
come «si fossero accorti che la spiritualità del Movimento era adatta anche
per gli altri cristiani», e le commentò così: «Abbiamo sete della spiritualità»,
volendo in questo modo esprimere il suo desiderio di riconciliazione e di
ritorno alle origini.
Un altro aspetto colpì tanto il patriarca: che la spiritualità del Movimento
era centrata sul vangelo e sull’amore scambievole, cosa che poteva offrire
molto a ogni Chiesa. Vigorosa fu la risposta di Athenagoras: «Come dap-
pertutto, come dappertutto», esprimendo così la volontà che i suoi cristiani
potessero presto prendere contatto con il Movimento. Poi, soffermandosi
sulla carità reciproca che unisce i popoli, affermò: «È una gran cosa cono-
scersi. Abbiamo vissuto isolati, senza avere fratelli, senza avere sorelle per
tanti secoli, come orfani. Perché? Il fratello è la porta. Ecco il segreto!». Sono
parole illuminate da Dio.
Chiara, con la sua spiritualità e la sua meravigliosa personalità, non solo
ha preparato, ma è anche riuscita a unire saldamente i due ponti: Paolo VI
e Athenagoras, cosa che ha dato luogo a inaspettati e gloriosi avvenimenti
ecclesiali.
Il patriarca è stato colui che ha camminato e aperto nuove strade, co-
struendo rapporti e sottolineando nuovi termini nella spiritualità, nella vita
dell’uomo sofferente, ferito dalle divisioni e dall’indifferenza: «Abbiamo lo
stesso Battesimo: la porta della Chiesa. Per il Battesimo siamo entrati tutti
dalla stessa porta. Mi dica, perché non ritorniamo allo stesso calice?».

nuova umanità 231 59


focus. prospettive per l’unità dei cristiani
Protagonisti di dialogo: patriarca Athenagoras I e Chiara Lubich

Rimase scolpita nei cuori di tutti l’inusuale raccomandazione di Athe-


nagoras a Chiara: «Fate sapere a tutti di questo incontro: ditelo a tutti per
radio, con la radio del vostro cuore».
Dopo aver loro rivolto un ultimo saluto, carico di sentimenti di amore, di
unità e di speranza, la cordialità e la paternità del patriarca li accompagna-
rono con lo sguardo finché non scomparvero oltre il recinto del patriarcato.
L’unità sperimentata, pur nell’acuto dolore per la divisione, l’ansia per
la realizzazione della richiesta di Gesù al Padre, un’intensa preghiera e una
pacifica speranza: ecco i sentimenti di questo incontro certamente storico.
Si trattò dell’inizio di una stabile riconciliazione cristiana, perché dominata
dalla fratellanza e non dal fanatismo e dalla terribile espressione di fratelli
separati. Il patriarca Athenagoras, che si dichiarava focolarino, avvertiva che
il carisma di Chiara andava d’accordo con la sua tradizione: «Chi ci separerà,
se abbiamo Gesù tra noi?»3. Finalmente si poteva vivere con Gesù in mezzo
secondo la sua promessa: «Dove due o più …» (cf. Mt 18, 20).
Il patriarca approvò e accolse con amore e serietà il carisma di Chia-
ra che creava una spiritualità mistica, che è la spiritualità della Chiesa, che
ci fa vivere la Chiesa. Possiamo dire, sempre secondo Athenagoras, che la
Lubich offriva moltissimo all’ecumenismo attraverso il suo carisma e la sua
celebre spiritualità: non più discutere su strutture, dottrina, organizzazioni
e associazioni per diventare eventualmente uno, ma, al contrario, vivere il
vangelo a partire da quella nuova spiritualità che traspariva dalle testimo-
nianze personali.
La via della carità, con i relativi gesti, diventava la reciprocità di per-
sone che si sentono membri dello stesso corpo; la via della preghiera con
Gesù vivo fra i suoi, diveniva il modo più potente perché le suppliche fos-
sero ascoltate dal Padre; la via del dialogo teologico si faceva via maestra,
perché l’amore reciproco dava a Gesù la possibilità di rendersi presente, di
illuminare ogni cosa e di dare la sua luce per aprire porte di riconciliazione,
di fratellanza e di unità.
In più occasioni il patriarca ha ripetuto con commozione i suoi ringra-
ziamenti e la sua fierezza spirituale: «In questo Movimento abbiamo tut-
to il vostro mondo, così prezioso per l’unità delle Chiese, delle due Chiese
dell’Occidente e dell’Oriente, come eravamo durante i primi dieci secoli»;

60 nu 231
gennadios zervos

e nella stessa lettera, indirizzata a Chiara, afferma: «Cristiani d’Oriente e


d’Occidente, noi siamo chiamati adesso a coltivare proprio noi, gli uni con gli
altri, fra i nostri amici, tra conoscenti e sconosciuti, questa dolce coscienza
di appartenere alla stessa Chiesa, e questo al più presto possibile». Poi, con-
clude con un desiderio: «Se Dio mi dà l’occasione di visitare ancora Roma
[…] verrò anche da voi in Mariapoli, per vedervi da vicino e di persona».
Restano indimenticabili le parole del patriarca rivolte a Chiara e al suo
Movimento: «Chiara Lubich è a capo di questo Movimento, al quale mi sen-
to di appartenere come membro».
Il mondo ortodosso, grazie al patriarca Athenagoras, ha iniziato così a
conoscere la spiritualità e il Movimento dei Focolari, che pian piano comin-
cia a diffondersi nelle terre ortodosse orientali. Ogni persona che lo conosce
l’ammira e constata in primo luogo che non è un movimento che parte dalla
teologia, ma dalla testimonianza, dal vangelo vissuto.
La Lubich, intanto, promuove incontri a Rocca di Papa e il patriarca Athe-
nagoras invia vescovi. Si costituiscono ponti di unità fra ortodossi e cattolici
che vivono insieme la Parola di Dio, la Parola di vita. Dobbiamo tener pre-
sente che lo stesso Paolo VI aveva conosciuto da vicino la spiritualità del
Movimento.
Per questo penso di poter dire che Athenagoras, Chiara e Paolo VI
compongono la triade dei protagonisti per la riconciliazione tra Roma e
Costantinopoli.
Gli ortodossi e i cattolici, attraverso i vari incontri, fanno esperienza
del­l’unità e acquistano la convinzione che l’ecumenismo deve diventare
coscienza dei fedeli in ogni parrocchia, in ogni famiglia; occorre diventare
apostoli e testimoni dell’unità proprio per la realizzazione del supremo te-
stamento di Gesù «Che tutti siano una sola cosa» (Gv 17, 21), che è il primo
messaggio che Athenagoras e Chiara vivono e trasmettono a ogni persona.
I veri passi ecumenici che si evidenziano negli incontri e nelle conver-
sazioni diventano noti anche al popolo di Dio, che deve vivere il vangelo e
mettere in atto il comandamento dell’amore reciproco per il quale, come ha
detto Gesù, i cristiani sono riconosciuti come suoi discepoli.
L’unità di tutti i suoi figli, amati immensamente da Dio, è parte costitutiva
dell’unità «della sua unica Chiesa». Il grande successo, a cui plaude il mon-

nuova umanità 231 61


focus. prospettive per l’unità dei cristiani
Protagonisti di dialogo: patriarca Athenagoras I e Chiara Lubich

do orientale riguardo al Movimento e a Chiara, è costituito dalla diffusione


dell’ideale dell’unità nel cuore del popolo, nel cuore di ogni uomo, senza
distinzioni e senza discriminazioni.
Gli ortodossi ammirano il Movimento dei Focolari che va sempre avanti.
Ne apprezzano soprattutto la spiritualità, ma anche le piccole comunità di
celibi e sposati, maschili e femminili, nelle quali regnano l’unità, l’amore, la
fratellanza, la comunione dei beni, la solidarietà e la pace.
Athenagoras ha seminato e ha desiderato con tutto se stesso il progres-
so dell’ecumenismo.
Sin dal primo momento Athenagoras è stato vicino a Chiara e al suo Mo-
vimento con la sua continua preghiera. Con la loro vita di comprensione e di
unità entrambi hanno insegnato la pazienza, la semplicità, la disponibilità, il
sacrificio; hanno predicato i segni mistici di Gesù, umani e divini, che condu-
cono alla realizzazione del testamento divino.
Il patriarca, pastore e mistico, viveva intensamente la regola evangeli-
ca «Che tutti siano una sola cosa» (Gv 17, 21) per giungere presto all’unico
calice. Con parole commoventi amava ripetere: «Sarebbe per me un giorno
di Paradiso»; e Chiara fu la prima ad ascoltare questo suo anelito mistico,
come pure quel suo desiderio: «Voglio andare di nuovo a Roma e incontrar-
mi con il papa e concludere con questo avvenimento […]». Davvero il fuoco
dell’unità prendeva tutto il suo cuore e riscaldava tutto il suo essere.
Chi ha conosciuto bene queste beate personalità, Athenagoras e Chiara,
e la loro opera, certamente ricorda le meravigliose parole che Chiara disse
nel giorno della partenza per il cielo del patriarca: «La mia prima reazione è
stata di grande felicità […], questo è stato il primo pensiero: un pensiero mio
personale, che forse altri non condividono […], egli ha tentato il tentabile
con una pazienza infinita e una fede illimitata; nel suo cuore egli aveva già
realizzato l’unità fra Chiesa Ortodossa e Chiesa Cattolica».
Athenagoras, il gigante dell’amore e della pace, è vivo, e continua ad in-
segnare con il suo generoso lavoro, con i suoi gesti e con le sue immortali
parole, che sono di speranza e di luce, per sempre.
Ha creato un nuovo cammino e nel percorso verso l’unità ha scelto
Chiara e il suo Movimento. Dio gli ha fatto anche pregustare molti frutti:
gli incontri con papa Paolo VI, l’abolizione degli anatemi, il dialogo teolo-

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gennadios zervos

gico e, prima di esso, il dialogo della carità, opera di Athenagoras, Chiara


e Paolo VI.
L’amore che ha unito Athenagoras, Chiara e Paolo VI è così potente che
nessuno potrà spegnerlo; quell’esperienza di Gesù presente fra loro è il
messaggio patristico trasmesso al popolo, al mondo intero.
Questo cammino va avanti; camminare insieme significa: andare avanti
uniti. Il cammino ecumenico va avanti e la sua meta è il regno dei cieli. L’u-
nione ci sarà e sarà frutto di «una continua preghiera, accompagnata da
una grande pazienza e umiltà, dalla Pace e dalla solidarietà; sarà dono dello
Spirito Santo».
La potente aspirazione all’unità di Athenagoras emanava dalla volontà di
Dio. Chiara ha dichiarato questa verità con fierezza: «[…] il contatto con il
Patriarca e […] gli incontri hanno fatto aumentare dentro di me l’amore per
la Madonna». Come possiamo spiegare questo incastro di amore e di unità
tra queste grandi personalità della cristianità che aspiravano a un mondo
unito, a una umanità unita in una convivenza libera, pacifica e fraterna?
Athenagoras ha sempre considerato il suo incontro con Chiara come
un’estasi; il fuoco dell’unità governava il suo cuore, tanto che normalmente
parlava di Chiesa d’Occidente e di Chiesa d’Oriente.
Le Chiese sono così uscite dai loro limiti e camminano verso questo nuo-
vo ponte che hanno costruito questi beati di Dio, per arrivare alla meta della
volontà di Dio che sarà il nuovo naturale incontro della Chiesa, quel giorno
pasquale che Dio ha fatto per l’uomo: «Questo è il giorno che ha creato il
Signore […], il giorno Pasquale, il giorno della Risurrezione, il giorno della
Santità, il giorno dell’unità».
Diceva Athenagoras a Chiara: «Il Papa è il nostro leader […]; vedo alle
volte il Papa “in agonia”, perché egli conosce tutto ciò che c’è di negativo nel
mondo. È per questo che mi sono messo al suo servizio al cento per cento.
Lo seguo, lo capisco, lo amo, lo rispetto, lo ammiro. Lui sa bene quello che
deve fare, sa quello che vuole ed è forte».
E in un suo messaggio, indirizzato in particolare al Movimento dei Fo-
colari, si legge: «I tre incontri con Sua Santità il Papa di Roma Paolo VI a
Gerusalemme il 5 gennaio 1964, qui a Istanbul il 25 giugno 1967 e a Roma
il 26 ottobre 1967, che costituiscono il segno sorprendente e glorioso del

nuova umanità 231 63


focus. prospettive per l’unità dei cristiani
Protagonisti di dialogo: patriarca Athenagoras I e Chiara Lubich

trionfo dell’amore di Cristo e della grandezza di Sua Santità il Papa di Roma,


ci hanno definitivamente messo, con fermezza di fede e di speranza, nella
via benedetta per la realizzazione della volontà di Gesù, cioè l’incontro di
nuovo nello stesso Calice del Suo Sangue e del Suo Corpo». E in modo ac-
corato, con parole angeliche, suggerisce: «Andiamo, figli e figlie amatissime
dell’unica Chiesa di Cristo».
Altrettanto angeliche sono le espressioni della Lubich (1969): «Il Patriar-
ca appariva come un Arcangelo che lotta e lotterà fino alla fine per il suo
ideale: un uomo di Dio, provato nella carità eroica e nella pazienza eroica».
Per il patriarca l’unità era la volontà di Dio da fare; ricomporre l’unità era
una necessità impellente. La profondità della sua anima e la ricchezza del
suo pensiero commuovevano quelli che l’avvicinavano e con voce paterna
ripeteva con gioia: «L’unità è un dono che edifica tutti», che orienta tutti
«verso il mistero dell’amore che è l’Alfa e l’Omega della Parola di Dio».
Attualmente è il patriarca Bartolomeo che invita i focolarini a «continua-
re a essere costruttori di unità tra Cristiani, di fraternità tra tutti gli uomi-
ni, seguendo la luminosa testimonianza di Chiara». E aggiunge: «Il ruolo di
Chiara e del suo Movimento nel ristabilimento della comunione tra le Chie-
se dell’Antica Roma e della Nuova Roma è stato colto da quel nostro indi-
menticabile predecessore, che accogliendola con gioia, la chiamava Tecla»,
perché scorgeva in lei «lo zelo dell’antica Isapostola» 4.
Anche papa Francesco desidera che «il carisma proprio del Movimento
dei Focolari […] aperto all’azione dello Spirito […] continui a essere un luogo
d’incontro e di dialogo tra culture e religioni diverse»5.
Nessuna istituzione al mondo lavora, prega e si interessa con tanto entu-
siasmo, zelo, tanta serietà e responsabilità per l’amore e l’unità dei cristiani,
come il Movimento dei Focolari, movimento evangelico, carismatico, misti-
co, che ha Gesù come inizio, base e meta.
Dio vuole la realizzazione del suo supremo testamento, pronunciato
poco prima della sua passione, testamento sostanziale e preziosissimo per
il suo contenuto: amore e unità. È il principale messaggio del vangelo, della
Parola di Dio, della Parola della vita: è Gesù Cristo stesso con la sua Chiesa
che dà la salvezza e l’eternità.

64 nu 231
gennadios zervos

Offriamo dal nostro cuore un grande grazie, come dei bellissimi fiori, ad
Athenagoras e a Chiara, mandati da Dio, che hanno dato la loro vita per la
realizzazione della volontà di Dio «Che tutti siano una sola cosa» (Gv 17, 21),
che si realizzerà come dono dello Spirito Santo.

1 
Dalla Lettera al papa Giovanni XXIII nel Natale del 1958. Cf. «Tomos Aga-
pis», 1958, pp. 20-25.
2 
Nota generale: alcune citazioni sono o dirette espressioni del metropolita
Zervos, oppure frasi di documenti da lui conosciuti.
3 
C. Lubich agli interni del Movimento dei Focolari della Gran Bretagna e dell’Ir-
landa: risposte a 21 domande. Londra, 16 novembre 1996.
4 
Prolusione di sua eminenza reverendissima il metropolita Gennadios Zervos
per l’inizio delle attività della Cattedra ecumenica internazionale Patriarca Athena-
goras - Chiara Lubich dell’Istituto Universitario Sophia. Loppiano (Firenze), 14 dicem-
bre 2017.
5 
Messaggio di papa Francesco in occasione del conferimento del dottorato ho-
noris causa in Cultura dell’Unità a sua santità Bartolomeo I, Città del Vaticano, 26
ottobre 2015.

nuova umanità 231 65


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focus. prospettive per l’unità dei cristiani

Il dialogo è vita

Nel 1996 Chiara Lubich si è trovata a York, in Gran


Bretagna, con il Consiglio ecumenico dello Yorkshire.
In quella occasione ha parlato del contributo tipico che
Angelo e il Movimento dei Focolari può offrire all’unità dei cri-
Anna Torre stiani. L’ha descritto così: «Il nostro è un ecumenismo
Garo Amidi della vita. Noi diciamo che abbiamo un patrimonio co-
mune – perché non viverlo insieme? Il nostro è un ecu-
Liliana Sabet menismo del popolo, un popolo che si sta svegliando e
Sami Creta sta formando un unico popolo cristiano, fatto di tutte
le denominazioni»1.
Nina Qui non s’intende un dialogo di base che potrebbe
Vyazovetskaya contrapporsi al dialogo dei responsabili di Chiesa, ma un
e Djordje dialogo di tutti coloro che fanno parte del corpo mistico
Popovic di Cristo. Il dialogo della vita desidera ravvivare nel po-
Peter Dettwiler polo il senso che tutti i cristiani possono amare, che tutti
– fin dove è possibile – possono realizzare il testamento
Ilona Toth di Gesù.
Una raccolta di testimonianze illustra come il dialogo
della vita viene vissuto nel quotidiano: sono segni, gesti,
piccoli o grandi, che contribuiscono a creare un clima
nuovo tra i cristiani, generando fiducia e stima recipro-
che. Vivendo il dialogo della vita si testimonia che è pos-
sibile camminare insieme.

nuova umanità 231 67


focus. prospettive per l’unità dei cristiani
Il dialogo è vita

battisti e cattolici: dialogo e perdono


Angelo e Anna Torre

Siamo di Barletta, una città del Sud Italia e siamo cattolici.


La spiritualità dell’unità che cerchiamo di vivere ci aiuta sempre più ad
accogliere le necessità della nostra città e a vedere le sue ferite, sia in campo
civile che nella Chiesa locale.
In particolare in campo ecumenico, abbiamo scritto al vescovo che – ol-
tre ai dialoghi già esistenti tra le Chiese cristiane: il dialogo della carità, la
preghiera comune e il dialogo teologico – era necessario anche un nuovo e
forte impulso: il dialogo del popolo.
Nel 2012 ci siamo guardati intorno e abbiamo pensato alla Chiesa evan-
gelica battista a duecento metri da casa nostra.
Negli anni precedenti avevamo seguito gli appuntamenti previsti nella
Settimana di preghiera per l’unità dei cristiani, ma tutto finiva lì. Non c’era-
no, nell’anno, ulteriori momenti di condivisione. Così siamo andati a trovarli.
Ci siamo presentati e abbiamo detto al responsabile della comunità di
Barletta che sentivamo urgente lavorare insieme per una completa riconci-
liazione fra le Chiese cristiane.
In quell’occasione ci siamo accorti che nella chiesa c’era una lapide com-
memorativa di un episodio che in città non si conosceva o, peggio, che si
voleva sottacere. Infatti, i libri di storia locale non ne fanno alcun cenno.
Ricordava l’evento del 19 marzo 1866 causato da un gravissimo episodio di
intolleranza. La comunità evangelica battista fu assalita da una folla infe-
rocita, aizzata da alcuni preti cattolici: furono barbaramente uccisi cinque
evangelici battisti e un cattolico. Nella storia delle Chiese evangeliche si leg-
ge che «in nessun’altra parte ci fu tanta efferatezza come a Barletta». Una
ferita enorme, mai sanata.
Abbiamo scoperto che di lì a qualche anno la comunità battista avrebbe
festeggiato i 150 anni di presenza in città. Partendo da questa ricorrenza
abbiamo scritto ancora al vescovo, proponendo di chiedere perdono per i
lutti arrecati dalla comunità cattolica. Abbiamo pensato di coinvolgere an-
che l’amministrazione comunale, perché tutta la città di Barletta facesse lo
stesso passo per la responsabilità avuta dai suoi numerosi cittadini.

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autori vari

Intanto cresceva il nostro rapporto con la comunità battista, partecipan-


do anche ad alcuni loro momenti di culto. La stima reciproca ha prodotto
diversi frutti. Ad esempio, il mensile diocesano ha iniziato a mettere a dispo-
sizione della comunità battista un’intera pagina.
Forti di tutto questo lavoro di comunione, nel 2015 abbiamo preso parte
alle celebrazioni del 150° anniversario della presenza battista in Italia. Poi
ci siamo dati tutti appuntamento per il sabato 19 marzo 2016, il giorno del
150° anniversario della strage. Nella commemorazione due pastori hanno
detto che l’elemento più importante della comunità battista di Barletta non
è la strage, ma il processo di integrazione con le altre confessioni e religioni,
che è riuscito a far superare quei tragici eventi.
E lo stesso nostro vescovo, sorprendendo tutti, ha affermato: «La Chiesa
cattolica chiede perdono per l’esecrando atto perpetrato dai cristiani del
tempo, istigati dal clero; ci riconosciamo, in Gesù Cristo, tutti fratelli da lui
riconciliati; e ci poniamo in cammino dietro di lui; via-verità-vita, per essere
sua Chiesa, posta nel mondo come luce, sale, fermento di fraternità, di giu-
stizia, di pace».
È stato un momento di forte grazia e commozione: ci sono voluti 150
anni!
I rapporti fraterni con la comunità battista sono andati avanti.
Nel maggio 2016 si è svolto in città il convegno La fraternità costruisce
ponti tra le Chiese: a grandi passi verso un ecumenismo della vita.
Partendo dal contributo di Chiara Lubich nel dialogo ecumenico, è stato
possibile tracciare un bilancio sull’ecumenismo nella nostra diocesi e pro-
spettare gli sviluppi immediati e futuri.
«La fraternità è un ponte tra le comunità», ha affermato in quell’occa-
sione il pastore emerito evangelico battista Isaia Saliani. E Huw Anderson,
pastore della Chiesa battista di Matera: «Avere questo tipo di incontri è un
altro passo verso l’unità: quando cerchiamo il Signore, ci avviciniamo tra
noi stessi; quando avanziamo verso di lui andiamo anche verso noi stessi,
perché noi stessi saremo più vicini se saremo più vicini a Gesù».
Durante la Settimana di preghiera per l’unità dei cristiani, il 22 gennaio
2017 è stata inserita la manifestazione dell’apposizione della targa comme-
morativa del 150°, all’esterno della chiesa battista, bene in vista, e con la

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focus. prospettive per l’unità dei cristiani
Il dialogo è vita

partecipazione anche del Comune di Barletta. Significativo il fatto che que-


sto atto viene fatto nell’anno 2017, nel 500° anniversario della Riforma pro-
testante, e proprio quando anche papa Francesco riconosce l’apporto dato
da Lutero alla Chiesa cattolica per la riscoperta del vangelo.
Un pastore battista, nel ricordare gli eventi di Barletta, ha sottolineato i
molteplici passi degli ultimi decenni per arrivare alla piena comunione, ed
ha auspicato la necessità di creare più momenti di unità nell’anno, senza
limitarsi alla Settimana di preghiera per l’unità prevista a gennaio.
Da parte nostra abbiamo voluto essere presenti alla manifestazione per
testimoniare ai fratelli battisti concretamente la nostra stima e il desiderio
di unità. Infatti: «Indietro non si torna»; siamo contenti di lavorare insieme,
perché l’ecumenismo della vita (espressione usata dai battisti) emerga
sempre di più e faccia breccia nei cuori dei teologi.

costruire ponti di comunione


Garo Amidi

Sono della Chiesa armena apostolica. Quando avevo diciotto anni, il mio
Paese, il Libano, era nel bel mezzo della guerra. Attraversavo un momento
di crisi proprio a causa di quel conflitto scandaloso e assurdo. Così avevo
ideato una religione a mio uso e consumo, non credevo più in alcun valore di
quel mondo pazzo in cui vivevo.
Quando ho incontrato i giovani dei Focolari, ho semplicemente voluto
seguirli. Il contrasto tra il contesto malato nel quale vivevamo e la semplicità
con cui essi esprimevano la gioia di vivere anche in quelle circostanze hanno
avuto il sopravvento sulle mie fantasie e sulle mie rivolte.
Così ho iniziato la mia avventura nell’ideale dell’unità, con la semplicità
e il coraggio di rispondere all’odio con l’amore, di lottare contro la follia del
mondo con la sapienza che Chiara Lubich aveva messo nei cuori di quelle
persone. Ho desiderato crescere con loro per diventare come loro.
Un momento importante è stato quando qualcuno mi ha parlato di Gesù
abbandonato. Io, che ero solo un giovane ribelle, avevo trovato un signifi-
cato per la mia vita. Avevo trovato la rivoluzione per la quale vale la pena

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autori vari

vivere e combattere, il segreto della vita e della morte, l’alchimia divina che
trasforma il dolore in amore, le sofferenze in trampolino per lanciarsi più in
alto e andare oltre. In realtà, quel giorno ho capito che non dovevamo più
lamentarci a causa della guerra, perché saremmo stati in grado di uscirne
vittoriosi, a condizione di restare fedeli a Gesù abbandonato e di amare an-
dando al di là della piaga, ricominciando sempre, subito e con gioia.
Come gruppo di giovani avevamo adottato un villaggio dal quale gli
abitanti originari, a causa della loro appartenenza religiosa, erano fuggiti.
Altre persone, infatti, provenienti da regioni distrutte, l’avevano occupato.
Tutte le settimane visitavamo i giovani in questo villaggio, cercando di aiu-
tarli moralmente e materialmente quando era possibile. All’inizio, però, non
sapevamo che alcuni degli abitanti originari erano rimasti nel villaggio con
i loro figli. Noi ci occupavamo sia dei giovani che erano rimasti nascosti nel
villaggio, sia dei giovani rifugiati, e pian piano il villaggio ha superato questo
periodo critico senza spiacevoli incidenti. Più di venticinque anni dopo, ho
incontrato uno di questi ex giovani fuggiaschi, il quale mi ha detto che, senza
la nostra azione, la sua vita sarebbe stata spezzata; aveva potuto superare la
paura e rimanere ottimista. Ciò gli ha permesso di sfruttare le opportunità
che la vita gli ha offerto.
Così le occasioni di riconoscere il volto di Gesù abbandonato e continua-
re ad amare e ad andare oltre la piaga si sono moltiplicate e il mio impegno
si è rafforzato.
Un altro momento molto importante nella mia vita è stato quando Chia-
ra ha detto ai membri del Movimento, che non appartenevano alla Chiesa
cattolica, di andare ciascuno nella propria Chiesa, essendo attivi in essa. Ho
deciso di fare senza esitazione quello che Chiara ci chiedeva, nonostante la
difficoltà che ciò rappresentava per me, che conoscevo poco la lingua arme-
na utilizzata per la liturgia e nelle conversazioni con gli altri fedeli. A causa
di questo, avevo paura di essere rifiutato dalla comunità armena. Quello che
mi ha incoraggiato ad andare avanti e a riprendere i legami con la mia Chie-
sa è stato sapere che avrei potuto portare tutta la ricchezza della mia Chiesa
alla comunità dei Focolari, dove ho imparato che ogni Chiesa è una ricchez-
za per gli altri, e che l’unità non significa l’assimilazione delle Chiese le une
nelle altre, ma la complementarietà nell’armonia nonostante le differenze.

nuova umanità 231 71


focus. prospettive per l’unità dei cristiani
Il dialogo è vita

Lo scandalo della divisione della Chiesa mi si presentava in maniera forte e


mi dava profondo dolore. Ma anche qui l’amore per Gesù abbandonato è
stato la chiave per amare e costruire ponti di comunione.
Adesso, dopo quasi quarant’anni di vita nel Movimento, sono sposato e
ho tre figlie battezzate nella Chiesa armena. Anch’io appartengo interamen-
te alla parrocchia, partecipo alla vita liturgica e ho un rapporto personale
con il nostro parroco e un giovane diacono che incontro spesso in attività
religiose e sociali.

essere famiglia in due chiese diverse


Liliana Sabet

Quando abbiamo cominciato a frequentarci – Hani copto-ortodosso ed


io cattolica – eravamo già profondamente radicati ciascuno nella propria
Chiesa ed eravamo, quindi, coscienti delle differenze che esistevano fra noi,
soprattutto in materia di dottrina. Per cui, quando ci siamo sposati, eravamo
consapevoli che dietro al nostro matrimonio ci fosse un disegno di Dio e che
avremmo trovato la nostra strada e la nostra felicità solo in lui. Da subito,
grazie alla vita secondo il vangelo imparata da Chiara Lubich – che entrambi
conoscevamo fin da ragazzi – ci è stato chiaro che sulla strada dell’unità
avremmo dovuto sempre puntare a ciò che ci unisce – che è tantissimo –,
anziché guardare a quello che ci divide.
Certamente, quando la domenica ognuno di noi prende una strada di-
versa per andare a messa è sempre un dolore, così come quando involonta-
riamente nei nostri discorsi viene fuori il “noi” e il “voi” o ci viene da criticare
qualcosa della Chiesa dell’altro. In questi casi, ci rendiamo conto che niente
è costruito una volta per tutte e che ogni giorno Dio ci chiede di scegliere
di amare la Chiesa dell’altro come la propria. Abbiamo anche imparato che,
tutte le volte che proviamo una disunità, abbiamo la possibilità di offrire a
Dio questo dolore, per la piena unità dei cristiani.
A volte, però, proprio per vivere in maniera più piena l’unità fra noi e
nella nostra famiglia, decidiamo di andare tutti insieme nell’una o nell’altra

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autori vari

chiesa, condividendo anche certe pratiche spirituali come, ad esempio, il


digiuno.
Un momento molto importante per noi è stato il battesimo di Giulia, la
prima figlia. Abbiamo discusso a lungo, ma non riuscivamo a decidere quale
fosse la scelta giusta: il battesimo cattolico o quello ortodosso. Ovviamente,
il sacramento era uguale in entrambe le Chiese, ma le conseguenze sareb-
bero state profondamente diverse. Hani, infatti, è diacono ed era già stato
temporaneamente allontanato dalla sua Chiesa a causa del matrimonio ce-
lebrato con rito cattolico-misto. Il battesimo cattolico lo avrebbe messo in
seria difficoltà.
Ho capito che avrei dovuto parlarne anche con il mio vescovo. Sono an-
data da lui e gli ho spiegato la situazione. Mi sono sentita accolta e ascoltata
fino in fondo. Egli era contento che fossi andata a parlargli e mi disse chia-
ramente che avrebbe capito e appoggiato qualsiasi decisione che Hani ed
io avremmo preso, seguendo la nostra coscienza. A quel punto mi è stato
chiaro che per amore di Hani e della sua Chiesa avremmo dovuto celebrare
il battesimo ortodosso.
Naturalmente, in questa, come in mille altre occasioni, non si è trattato e
non si tratta di trovare dei compromessi, ma di cercare sempre la volontà di
Dio nelle varie situazioni, perché è l’unica cosa che ci può rendere davvero
felici.
È chiaro che tutto ciò richiede una fatica supplementare, costa sudore,
anche con i figli, che da piccoli non capivano perché potevano fare la comu-
nione nella Chiesa ortodossa, ma non in quella cattolica. Infatti nella Chiesa
ortodossa, contemporaneamente al battesimo, vengono somministrati an-
che i sacramenti della comunione e della cresima.
L’anno scorso abbiamo passato un periodo piuttosto difficile con la figlia
più grande, che allora aveva quindici anni. Lei iniziava a chiedere autonomia
e lo faceva con aggressività e noi non eravamo preparati a questo suo re-
pentino cambiamento. Le liti, anche molto accese, erano praticamente quo-
tidiane. Noi cercavamo di proteggerla da alcune situazioni che ritenevamo
potenzialmente pericolose; ma più le stavamo addosso, più lei si ribellava.
Ho passato tante sere a piangere per questa figlia che non riconoscevo più.
Non è stato facile anche tra di noi, anche perché a me sembrava che il modo

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focus. prospettive per l’unità dei cristiani
Il dialogo è vita

in cui Hani affrontava la situazione non andasse bene. Ma in tutta questa


confusione, abbiamo sempre cercato di mantenere alcuni punti che ci sem-
bravano importanti, come la preghiera tutti insieme, oppure l’umiltà di chie-
derci scusa, anche con i ragazzi.
Da alcuni mesi la situazione è molto migliorata: quel dolore abbracciato
fino in fondo – dolore, in cui abbiamo riconosciuto un volto di Gesù nel suo
abbandono – e l’unità fra noi ci hanno dato forza e luce e ci hanno fatto fare
un passo importante verso nostra figlia, alla quale abbiamo deciso di dare
fiducia fino in fondo; questo ha completamente cambiato il nostro rapporto
con lei e ha riportato serenità in casa.
In diverse occasioni, soprattutto in quelle più difficili, ci siamo resi conto
di quanto sia eroico stare insieme e anche di quanto sia importante l’unità
tra noi due, un’unità fondata certamente sull’amore umano, ma anche e so-
prattutto sulla grazia del sacramento che ci ha uniti, alla quale non abbiamo
mai smesso di credere.

fraternità copto-ortodossa - cattolica
Sami Creta

La storia è iniziata il 10 maggio 1973, quando papa Shenouda, patriarca


della Chiesa copto-ortodossa, fece visita a papa Paolo VI in Vaticano. A di-
stanza di circa quarant’anni sarebbero poi stati eletti due nuovi leader nelle
rispettive Chiese: nel novembre 2012 papa Tawadros II e nel marzo 2013
papa Francesco.
Quando si ebbe notizia dell’elezione del nuovo papa, Francesco, papa
Tawadros chiese un’udienza in Vaticano per incontrarlo, in un giorno spe-
ciale: il 10 maggio. Nonostante il breve preavviso, la data venne accettata.
Questo fu così il secondo incontro in Vaticano tra il patriarca copto di Ales-
sandria e il vescovo di Roma.
Durante il loro incontro fraterno papa Tawadros chiese se si potesse far
memoria di questa data del 10 maggio quale giorno della fraternità tra le
due Chiese.

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autori vari

Così due anni dopo, nel 2015, Anis, un mio amico della Chiesa copto-
ortodossa, e io avemmo l’idea di realizzare un evento speciale in quella data:
una mostra d’arte moderna copta. Il progetto era di mettere insieme i capi
delle due Chiese in modo amichevole e non ufficiale, presso il centro cultu-
rale gesuita, dove lavoro come responsabile dei programmi.
Facemmo visita a papa Tawadros, il quale accettò subito il nostro invito
a visitare una piccola chiesa cattolica per un incontro non ufficiale, cosa non
affatto semplice in Egitto. Quell’atto rivelò la sua semplicità e il suo profon-
do desiderio di questo incontro.
Prima di inaugurare la mostra, nella chiesa ci fu una breve preghiera con
un centinaio di partecipanti di entrambe le Chiese. Nel suo discorso papa
Tawadros illustrò tutte le diverse forme di unità e di fraternità, e affermò che
per realizzare l’unità c’è bisogno di eroi nella fede.
Fu proprio una bella giornata! Il papa ne rimase contento e decise di in-
vitare i cattolici l’anno seguente, sempre in questa data speciale, per com-
memorare questa fraternità presso uno dei monasteri copti nel suo nuovo
centro chiamato Logos.
Nel 2016, l’incontro andò molto bene e questa volta ricevemmo una let-
tera ufficiale da parte di papa Francesco, letta dal nunzio apostolico nel suo
saluto per l’occasione.
Papa Tawadros ebbe poi un’idea per una nuova iniziativa: onorare una
figura cattolica l’anno seguente. In quell’occasione rese onore a padre Henri
Boulad, sj, per il lavoro svolto per molti anni a favore della formazione dei
giovani in Egitto.
Questa azione è il frutto di due giovani, uno copto-ortodosso e l’altro
cattolico, non sacerdoti, che credono nella fraternità e nell’unità dei popoli.

la festa della slava


Nina Vyazovetskaya e Djordje Popovic

Sono medico internista e appartengo alla Chiesa russo-ortodossa. Come


persona e come credente sono stata formata dal mio parroco e dalla spiri-
tualità di Chiara Lubich. Ero ancora molto giovane quando, a contatto con le

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focus. prospettive per l’unità dei cristiani
Il dialogo è vita

focolarine di Mosca, ho avvertito la chiamata a seguire Dio in modo radicale


e da sette anni vivo nel focolare di Belgrado (Serbia) con altre consacrate.
In Serbia c’è una tradizione particolare, unica: la festa della Slava, che
le famiglie celebrano nel giorno del santo protettore di quella famiglia. Per
il popolo serbo, la Slava è antica quanto il cristianesimo stesso. Nessuna
nazione cristiana ha questo tipo di celebrazione, tranne gli ortodossi serbi.
Per una famiglia serba, la Slava, come importanza, viene subito dopo la Pa-
squa e il Natale. I missionari cristiani ortodossi, che convertirono i serbi alla
santa fede ortodossa, cristianizzarono anche le loro consuetudini. Divenen-
do cristiani ortodossi, i serbi accettarono il santo o i santi del giorno in cui
venivano battezzati.
Per quanto riguarda la cultura serba, la Slava è un elemento unico e inin-
terrotto attraverso tutta la storia del popolo serbo ortodosso. Poiché i serbi
si trovano in una regione geografica tra l’Oriente e l’Occidente, tra culture
diverse, la Slava è divenuta per i serbi una festa spirituale identificata con il
proprio nome e la propria esistenza.
L’osservanza della Slava è compiuta anche da organizzazioni culturali e
sociali, da città, e perfino da unità militari. Insieme ai parenti, si riuniscono
in quel giorno amici e conoscenti; la casa è aperta a tutti quelli che arrivano.
Il nostro focolare è composto da alcune cattoliche di varie nazioni e da
me. Da tempo sentivamo il desiderio, come focolare, di fare nostra questa
bellissima tradizione del popolo serbo e viverla insieme ai nostri fratelli. Nel-
la scelta del santo protettore, nello spirito ecumenico del focolare, siamo
state aiutate dal nostro amico monaco, padre Djordje Popovic, che ci ha
proposto di festeggiare le sante donne “mironosice” (le donne che si recarono
al sepolcro con gli aromi… Κυριακή των Μυροφόρων), alle quali la Chiesa orto-
dossa dedica una settimana intera a partire dalla seconda domenica dopo
la Pasqua.
Così dal 2014 abbiamo cominciato a celebrare la Slava del focolare. Tanti
nostri amici ortodossi sono stati entusiasti della nostra decisione e ci aiuta-
no a preparare il necessario per la festa. Ogni anno, per la domenica delle
sante donne al sepolcro, accogliamo in focolare i nostri amici di varie Chie-
se, tra cui anche i nostri vicini di casa, qualche collega di lavoro, operaio o
medico. Il momento principale – il rito del taglio del pane di Slava– viene

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autori vari

celebrato dal nostro amico padre Djordje, davanti all’icona delle donne al
sepolcro. Si inizia con una preghiera raccolta, accompagnata da canti, poi
con commozione, tenendoci tutti per mano, preghiamo secondo la tradi-
zione della festa di Slava. Dando la benedizione per la prima volta, padre
Djordje ci ha indicato le sante donne del sepolcro come modelli e protettrici
del focolare, incoraggiandoci sull’esempio delle donne che seguirono Gesù
ad essere «come allora il sale che trasforma la società e tutti attorno».
Al rito segue l’agape, con varie specialità culinarie, in un’atmosfera di
festa e comunione, come in una famiglia.
Una nostra conoscente ci aveva detto che vede in questo passo «una
vera inculturazione che apprezza e fa propria la cultura dell’altro: il vero cri-
stianesimo». Un’altra persona ci ha ringraziato, «perché ogni incontro che
fate è un’esperienza di vangelo».

riconciliazione tra mennoniti e riformati


Peter Dettwiler

«Le vostre scuse arrivano un po’ in ritardo – quasi 480 anni dopo l’esecu-
zione di Felix Manz a Zurigo». Manca autore della frase e relativa citazione.
Egli era un mennonita proveniente dagli Usa, nel giorno della Riconciliazione
nel 2004, nella città che per i riformisti era quella di Zwingli e per gli anabat-
tisti quella di Felix Manz, nonché culla del movimento anabattista. Il 5 gen-
naio 1527 Felix Manz, primo capo anabattista, venne annegato nelle acque
del fiume Limmat. Sulla strada verso l’esecuzione cantava ad alta voce: «In
manus tuas, Domine, commendo spiritum meum» («Nelle tue mani, Signore,
affido il mio spirito»).
Ho lavorato per vent’anni a Zurigo per la Chiesa riformata come rappre-
sentante per le relazioni ecumeniche. Come è noto, Zurigo era stata sotto-
posta ad una riforma fondamentale trecento anni dopo la Riforma. I cattolici
furono esclusi dalla città. La Svizzera fu divisa in cantoni riformati e cantoni
cattolici. Oggi a Zurigo sono nuovamente presenti chiese cattoliche e un
ecumenismo vivace, con sorelle e fratelli di molte Chiese ortodosse. Ma un
giorno ho scoperto che, in questa città, era stato emarginato da tempo un

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focus. prospettive per l’unità dei cristiani
Il dialogo è vita

altro gruppo: gli anabattisti! A Zurigo, non mancano monumenti per i suoi
riformatori: Huldrych Zwingli e il suo successore Heinrich Bullinger. Tutta-
via, degli anabattisti non vi era traccia. Noi riformatori abbiamo rimosso gli
anabattisti non solo dalla nostra città e dal nostro Paese, ma anche dalla
nostra memoria.
I primi anabattisti, come Felix Manz, erano amici di Zwingli. Formavano
l’ala radicale della Riforma. Orientavano con costanza le proprie vite al Di-
scorso della montagna, rifiutavano il servizio militare e volevano una Chiesa
separata dallo Stato, comprendente solo credenti convinti. Il sigillo di appar-
tenenza era costituito dal battesimo in età adulta. Rifiutavano il battesimo
ai bambini.
Dopo secoli ha ancora senso la riconciliazione? Stiamo lontani gli uni
dagli altri! La domanda è giustificata. Ma con nostra sorpresa e quella di
molti mennoniti, questi segni di riconciliazione hanno prodotto effetti più
di quanto potessimo prevedere. I discendenti degli anabattisti oggi sono i
mennoniti, gli amish e gli hutteriti. E la storia della persecuzione dei loro
antenati è viva ancora oggi.
Il 26 giugno 2004, sul fiume Limmat a Zurigo, è stata dedicata una targa
alla memoria dell’esecuzione dei sette capi anabattisti al tempo della Riforma.
Ed altrettanto importante è stato il riconoscimento da parte dei riforma-
ti, che con chiarezza ha espresso la propria responsabilità: «Confessiamo
che la persecuzione avvenuta, secondo la nostra attuale convinzione, è sta-
ta un tradimento del Vangelo e che i nostri padri Riformati si sono sbagliati
su questo punto».
Non solo in Svizzera, ma anche in altri Paesi, gli anabattisti furono per-
seguitati senza pietà. È durato a lungo il periodo della persecuzione, dell’e-
spropriazione e dell’espulsione degli anabattisti in Svizzera: quasi trecento
anni! E l’inimicizia con gli anabattisti si è tramandata di generazione in ge-
nerazione nelle confessioni riformate più importanti. Ecco quanto contenuto
nella dichiarazione di colpevolezza di Zurigo del 2004: «Ammettiamo che
il giudizio sugli anabattisti nella Seconda Confessione Elvetica, che respinge
gli insegnamenti degli anabattisti in quanto non biblici e rifiuta ogni comu-
nione con loro, per noi non è più valido e siamo ansiosi di scoprire e raffor-
zare ciò che unisce».

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autori vari

È significativo che i persecutori abbiano in gran parte rimosso questa


pagina oscura della loro storia. Gli anabattisti, invece, hanno trasmesso la
storia dei martiri di generazione in generazione.
Pertanto questi segni di riconciliazione a Zurigo sono stati importanti
non solo per gli anabattisti, ma anche per gli stessi riformati. È importante
affrontare il proprio passato con onestà. C’erano visitatori mennoniti che mi
hanno fatto scoprire che a Zurigo ci sono numerosi monumenti che ono-
rano i riformatori, anche se pochi sono gli accenni che ricordano la nascita
dell’anabattismo.
La targa commemorativa sul fiume Limmat rappresenta oggi per molti
mennoniti e amish, a volte anche per i visitatori provenienti dagli Stati Uniti
e da tutto il mondo, un programma imprescindibile nella città dei loro ante-
nati. John Sharp, storico mennonita, lo riassume in questo modo:

Quando mi trovo sulla riva occidentale del Limmat e leggo la nuova


iscrizione della targa, allora so che questa storia ha trovato un finale
nuovo. I persecutori dei nostri antenati [...] hanno «riconosciuto il
loro peccato storico e considerano la persecuzione un tradimento
del Vangelo». Loro e noi siamo ramoscelli dello stesso ramo del
grande albero cristiano. Siamo chiamati a collaborare per la ricon-
ciliazione di Dio nel piccolo come nel grande. Con questo compito
comune, la società di Zurigo è diventata una casa2.

Io stesso sono rimasto sorpreso e colpito dalle molte reazioni positive


da parte degli anabattisti. Alcuni di loro mi hanno rivelato in lacrime che
questa confessione aveva toccato e guarito in loro qualcosa di intangibile.
Non si erano resi conto che in fondo al proprio cuore vi era ancora del dolore
per la crudele persecuzione dei loro antenati. «La guarigione è possibile», ha
sintetizzato un ragazzo mennonita. «Grazie a Dio, la guarigione è possibile.
Si può ristabilire la fiducia». In altre parole: anche dopo quasi cinquecento
anni, la riconciliazione è possibile; i messaggi danno un significato alla ri-
conciliazione e liberano energie per la testimonianza comune del vangelo.
Ho portato il messaggio di riconciliazione e la richiesta di perdono – in-
sieme agli altri riformati – anche ai mennoniti e agli amish negli Stati Uniti. Ci
sono stati molti grandi incontri. Più volte abbiamo ricevuto fratelli e sorelle

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focus. prospettive per l’unità dei cristiani
Il dialogo è vita

anabattisti: «Non ci saremmo mai sognati che un giorno i riformati dalla


Svizzera sarebbero venuti a farci visita per chiedere perdono per i peccati
dei loro antenati. Se racconteremo ai nostri figli e nipoti le storie dei nostri
martiri, dovremo renderli partecipi anche di questa riconciliazione».

insieme per l’europa


Ilona Toth
(Membro del Comitato di orientamento di Insieme per l’Europa)

Il 31 ottobre 1999 ad Augsburg (Germania) si è solennemente firma-


ta la Dichiarazione congiunta sulla dottrina della giustificazione tra la Chiesa
cattolica e la Federazione luterana mondiale. Quello stesso giorno lì vicino,
nel Centro ecumenico di Ottmaring, i responsabili di comunità e movimenti
evangelici si incontrano con Chiara Lubich, Andrea Riccardi (fondatore del-
la comunità di Sant’Egidio), padre Michael Marmann (dei Padri di Schoen-
statt) ed altri responsabili di movimenti cattolici.
Il cammino di conoscenza e stima reciproca tra comunità e movimenti
cattolici era iniziato dopo l’incontro di Giovanni Paolo II alla vigilia di Pente-
coste del 1998. Ora esso si estende a movimenti evangelici, anglicani, or-
todossi e di Chiese libere. Si intensificano gli incontri e lo scambio di espe-
rienze, cosa che nel 2001 porterà a fare a Monaco un’alleanza, un patto
di amore scambievole secondo il vangelo, tra i responsabili di movimenti e
comunità di varie Chiese.
Su questa base nel 2002 emerge una proposta concreta: impegniamoci
insieme per l’Europa! È la nascita di Insieme per l’Europa (IpE), rete che oggi
conta più di trecento tra movimenti e comunità delle varie Chiese sparse
nel continente. Negli anni seguenti si realizzano grandi manifestazioni a
Stoccarda (2004, 2007), a Bruxelles (2012) e a Monaco di Baviera (2016).
Insieme per l’Europa mostra i frutti dei vari carismi in un comune impegno
per la vita, per la pace, per una economia equa e solidale, per la famiglia, per
una maggiore responsabilità sociale e politica, per la tutela del creato. Nel
Messaggio di Monaco 2016, Insieme per l’Europa si impegna per un insieme

80 nu 231
autori vari

in una diversità riconciliata, anche per accelerare il cammino verso la piena


comunione visibile tra i cristiani.
Chiara Lubich sin dall’inizio sottolineava di dover dare all’Europa il dono
di Gesù in mezzo, la sua presenza, i frutti dei vari carismi. Pur essendo diver-
si, è lo Spirito Santo che unisce.
La vocazione dell’Insieme per l’Europa è nel suo nome: insieme, tradotto
per tutti come fraternità. Mentre Europa significa voler essere a servizio di
essa per ravvivarvi le radici cristiane.
Si offre all’Europa una rete di movimenti e comunità cristiani, figli di un
unico Padre, fratelli fra di loro: sulla base del Patto dell’amore reciproco, nel-
la collaborazione si realizza la fraternità, che è fondamento unificante per
la ricchezza delle diversità e perciò modello di convivenza per i popoli del
continente.
Il patriarca Bartolomeo incoraggia così in un messaggio: «Il nostro mon-
do si trova ad affrontare sfide senza precedenti, che ci obbligano a stare
uniti, a lavorare insieme e a sostenerci l’uno l’altro»3.
Nel grande incontro di Insieme per l’Europa dell’estate 2016 a Monaco
sono evidenti i passi di riconciliazione fatti l’uno verso l’altro anche da rap-
presentanti di varie Chiese, che coinvolgono il popolo di Dio. L’unità tra i
cristiani sarà radice dell’unità dell’Europa e del mondo.
Il patriarca russo-ortodosso Kirill e papa Francesco sottolineano tra
l’altro a Cuba: «Dalla nostra capacità di dare insieme testimonianza dello
Spirito di verità in questi tempi difficili dipende in gran parte il futuro dell’u-
manità»4. La storia – forse oggi più che mai – interpella i cristiani insieme.
Nel marzo del 2017 si coglie l’occasione del 60° dei Trattati di Roma, che
hanno dato inizio alla Comunità europea, per pregare per l’Europa. A Roma
si fa una veglia ecumenica di preghiera alla presenza di autorità civili e reli-
giose; in 57 città europee si ripete la stessa esperienza, nei più vari modi. In
questa occasione Insieme per l’Europa ha fatto sentire la propria voce.
Proprio nel momento in cui si fanno strada forze contrarie all’Europa, In-
sieme per l’Europa vuole mettere in relazione i popoli e le tradizioni europee –
l’Est, il Centro e l’Ovest; vuol essere laboratorio di rapporti di fraternità; vuole
superare pregiudizi e incomprensioni, per potersi donare le rispettive ricchez-
ze in un’Europa casa delle nazioni, famiglia di popoli.

nuova umanità 231 81


focus. prospettive per l’unità dei cristiani
Il dialogo è vita

Si vuole valorizzare il 9 maggio, la festa dell’Europa come Giornata di


Insieme per l’Europa, mettendo in atto azioni condivise, preghiere, serate cul-
turali, feste, tavole rotonde ecc., per dare spazio e voce ad un nuovo stile di
vita: insieme per.
Papa Francesco ha definito così questa rete di movimenti e comunità:
«Insieme per l’Europa è una forza di coesione con l’obiettivo chiaro di tradurre
i valori base del cristianesimo in risposta concreta alle sfide di un continente
in crisi»5.

1 
C. Lubich, 13 novembre 1996, York (Gran Bretagna).
2 
J. Sharp, Steps to Reconciliation. Reformed and Anabaptist Churches in Dialogue,
TVZ Theologischer Verlag, Zürich 2007, pp. 51-52, testo tradotto dall’Autore.
3 
Dal Messaggio-video di S.S. il Patriarca Bartolomeo per la Manifestazione di
Insieme per l’Europa a Monaco di Baviera, 2 luglio 2016.
4 
Firma della Dichiarazione congiunta di Papa Francesco e del Patriarca russo-
ortodosso Kirill a Cuba, 13 febbraio 2016, par. 28
5 
Dal Messaggio-video di Papa Francesco per la Manifestazione di Insieme per
l’Europa a Monaco di Baviera, 2 luglio 2016.

82 nu 231
scripta manent

La mia esperienza
su Gesù abbandonato

Signore e signori, metropoliti, vescovi, teologi1. È ve-


Chiara ramente una sorpresa per me oggi trovarmi con tante
personalità e sentirmi a casa. Dico “a casa”, perché ho
Lubich l’impressione che ci sia già una tale profonda comunione
(trento, 22 fra noi, una conoscenza di tante cose comuni, che sono
gennaio 1920 – certa che Gesù è qui in mezzo a noi. E questa è la base di
rocca di papa, tutto. Era desiderato che anch’io dicessi qualcosa della
14 marzo 2008) mia esperienza, soprattutto per quanto riguarda Gesù
è la fondatrice
del movimento
crocifisso e abbandonato.
dei focolari. Senz’altro dirò cose conosciutissime, perché tanti di
esso ha come loro da tempo sono in contatto col Movimento dei Foco-
obiettivo l’unità lari. Con coraggio, cercherò di esporre quello che è l’a-
fra i popoli, spetto della nostra spiritualità più amato, perché Gesù
la fraternità
universale.
abbandonato, fra il resto, è lo sposo della nostra anima,
di noi consacrati a Dio.
Per parlare di Gesù crocifisso e abbandonato nella
mia esperienza – mi hanno detto di fare una cosa per-
sonale – prima devo dire che lo specifico del nostro Mo-
vimento è l’unità: noi siamo fatti per l’unità. Quando il
Movimento è nato, nessuno parlava d’unità, tranne i co-
munisti. Il loro giornale, anche in Italia, era intitolato L’U-
nità. Ma fra i cattolici nessuno parlava di unità. Più tardi,
verso il ’60, già incominciava il Movimento ecumenico e
ricordo che erano le prime volte che usciva fuori questa
parola: unità.
Loro sanno dei nostri primi tempi, quando durante
la guerra noi prime focolarine ci siamo trovate in una
cantina buia per ripararci dalle bombe, portando con noi

nuova umanità 231 83


scripta manent
La mia esperienza su Gesù abbandonato

solo il Vangelo. Un giorno, aprendo a caso il Vangelo, ci siamo imbattute


nel testamento di Gesù e a lume di candela l’abbiamo letto dal principio alla
fine. Per noi era un testo difficile, perché eravamo giovani, preparate sì, ma
fino a un certo punto. Però, abbiamo avuto l’impressione che quelle parole si
illuminassero una ad una. Adesso capiamo che era effetto del carisma, una
luce nuova per chi lo riceveva, a vantaggio però di tanti altri.
Quello che abbiamo capito, soprattutto, è che Gesù aveva chiesto l’uni-
tà: «Che siano uno come io e te, Padre». Che siano uno. E abbiamo capito
con forza che quella pagina del Vangelo, il testamento di Gesù, era la magna
charta del Movimento che stava per nascere. Naturalmente ci siamo rese
conto subito che non era facile fare l’unità; non sapevamo come fare. E ci
siamo messe noi, sette, otto prime focolarine, intorno a un altare – ricordo
che era la festa di Cristo Re – e lì abbiamo chiesto a Gesù: «Noi ci sentiamo
chiamate a realizzare quello che tu lì hai pregato: l’unità, ma noi non sappia-
mo come fare. Se tu credi, facci strumenti di unità». Poi, proprio perché era
la festa di Cristo Re e nella liturgia si ricordavano le parole di Gesù: «Chie-
dete e vi darò in eredità le genti fino agli ultimi confini della terra», piene
di fede, noi ragazze, credendo a tutto quello che Dio poteva fare, abbiamo
chiesto di servirlo fino agli ultimi confini della terra. Ora, dopo 58 anni di
vita, vediamo che lui questo l’ha esaudito, perché, come loro sanno, il no-
stro Movimento, che è cattolico, ecumenico, è in rapporto con fedeli di 350
Chiese e con tantissimi capi di Chiese. Dicevo prima, a una personalità qui
presente, che ho conosciuto Athenagoras, dopo ho conosciuto anche De-
metrios, poi Bartolomeo. Dicevo a una signora anglicana che conosco molto
bene Carey, però avevo conosciuto anche Runcie, Coggan, Ramsey, che è
stato il primo che ho incontrato. Per dire che siamo stati in contatto anche
con le personalità, non solo col popolo. Ma soprattutto col popolo.
Adesso vediamo che quella preghiera di noi ragazzine il Signore l’ha
esaudita, portandoci così a sviluppare questo Movimento fra Chiese, e an-
che, persino, fra persone di altre fedi, fino agli ultimi confini della terra: in
pratica, in tutte le nazioni del mondo.
Questo è il nostro primo contatto con l’unità. Naturalmente, a un dato
punto bisognava scoprire quale fosse la chiave dell’unità, come si doveva

84 nu 231
chiara lubich

fare per realizzarla. La preghiera era stata fatta e la risposta ce l’ha data il
Signore in un’altra circostanza.
Sempre durante la guerra, andavamo a trovare i poveri nelle loro case e
una mia compagna, come del resto facevamo noi tutte, un giorno era salita
nella stanza di una povera signora ammalata per rifarle il letto, pulirle il pa-
vimento ecc. Facendo questo, si era presa un’infezione sulla faccia tale da
non poter uscire di casa. Allora sono andata a trovarla e lei mi ha detto che
avrebbe tanto desiderato ricevere l’eucaristia, come faceva quando veniva a
messa con noi ogni giorno. Così ho chiesto a un sacerdote di portarle la co-
munione. Dopo averle dato l’eucaristia, lui ci ha chiesto: «Sapete quando è
stato che Gesù ha sofferto di più?». Noi abbiamo risposto: «Dicono nell’orto
degli ulivi». Ma lui ha precisato: «No. Ha sofferto di più quando ha gridato:
“Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?”».
Appena il prete è uscito, noi subito ci siamo guardate e, spinte dalla gio-
vane età, dall’entusiasmo, dal desiderio di una vita cristiana evangelica radi-
cale, ma soprattutto dalla grazia di Dio, abbiamo detto: «Abbiamo una vita
sola e vogliamo darla a lui, seguire lui, seguire lui crocifisso che grida: “Dio
mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?”».
E subito dopo, non si sa come, ma sempre spinte dallo Spirito Santo, ab-
biamo trovato il suo volto emergere un po’ dappertutto. Quando, per esem-
pio, avevamo dei dolori spirituali personali: dubbi, crisi, paure, il peso dei
nostri peccati, qualche lacerazione interna, ci ricordavamo di lui, perché an-
che lui aveva avuto in certo modo paura, anche lui si sentiva lacerato dentro,
anche lui ha sentito il peso dei nostri peccati. Ogni dolore, ogni situazione
difficile che incontravamo ci faceva ricordare lui. Più tardi abbiamo capito il
perché di tutto questo: perché il Verbo di Dio, facendosi uomo e assumendo
la natura umana, ha assunto tutto quello che è legato alla natura umana, le
nostre fatiche, i nostri limiti, i nostri peccati; tanto è vero che si è fatto pec-
cato, che si è fatto scomunica. Non peccatore, non scomunicato: si è fatto
peccato, si è fatto scomunica. Per cui, dovunque si vede un dolore, lì c’è lui,
perché tutto questo lui l’ha assunto. Teresina del Bambino Gesù, morta a
soli ventiquattro anni quando è iniziata la malattia mortale, ha avuto uno
sbocco di sangue, e invece di dire: «È la tubercolosi», ha detto: «È arrivato lo
Sposo!». Lei era una sposa di Cristo, aveva sposato Gesù. Lei non ha detto:

nuova umanità 231 85


scripta manent
La mia esperienza su Gesù abbandonato

«È arrivato lo sbocco di sangue». Ha detto: «È arrivato lo Sposo!». Ma lei –


domandiamoci – ha detto questo come una frase sentimentale, o ha detto la
verità? Per tutte le cose ci sono due verità: una umana e una soprannaturale.
Lo sbocco di sangue era la verità umana, l’altra era la verità soprannaturale,
cioè come si devono vedere le cose. Gesù, il Verbo, assumendo la natura
umana ha assunto tutte le nostre difficoltà, le malattie, i peccati. Quindi lei
ha detto bene dicendo: «È arrivato lo sposo». È arrivato lo sposo coperto di
questa mia malattia.
Così anche noi, quando vediamo, per esempio, nei dolori spirituali qual-
che cosa che grava sulla nostra vita spirituale, noi cerchiamo di vedere lui;
diciamo: «Qui è lui; c’è un suo volto». Che cosa facciamo? Lo abbracciamo;
anche noi come lui, quando in croce non si è fermato impietrito nel baratro
del dolore e della divisione che aveva con il Padre, ma si è riabbandonato al
Padre, ha fatto uno sforzo immenso – solo Dio poteva farlo: «Nelle tue mani
raccomando il mio spirito». Nelle tue mani... E così Gesù si è guadagnato
la risurrezione. Così facciamo anche noi, quando c’è un dolore, qualsiasi
dolore. Provino anche loro a vedere come ogni dolore ricorda lui, qualsiasi
dolore, perché lui li ha provati tutti. Il teologo Rahner non ha nessun dubbio
nell’affermare che tutte le prove che succedono sulla terra lui, in quel mo-
mento, le ha vissute. È la sintesi di tutte le prove che esistono sulla terra.
Naturalmente noi l’abbiamo amato interiormente, nella nostra vita spi-
rituale, ma anche nella vita fisica, perché Gesù in croce ha patito talmente
tanto da morire, cioè da arrivare alla separazione dell’anima dal corpo. An-
che questo ci ricorda Gesù crocifisso e abbandonato, il separato, il diviso.
Per cui anche nei dolori fisici noi ricordiamo lui; nella morte stessa noi
ricordiamo lui; poi lo vediamo nei nostri fratelli che soffrono; negli orfani, per
esempio, lui si è sentito orfano del Padre; nelle divisioni delle famiglie, nelle
famiglie raffreddate dal poco amore. E allora noi lo amiamo e cerchiamo di
aiutarlo a ricomporre la famiglia, a mettere a posto le cose. Ma non solo nei
nostri fratelli: lo vediamo anche nelle piccole e grandi comunità, quando c’è
una piccola divisione. Ricordo sempre la prima volta che l’ho sperimentato
nel primo focolare; le mie compagne erano andate a lavorare, io dovevo sta-
re a casa a fare da mangiare, ma quando ci siamo lasciate la mattina, non
c’era la piena unità, non c’era Gesù in mezzo, quel Gesù in mezzo che spero

86 nu 231
chiara lubich

sia anche qui. Per cui sono rimasta così male, come se tutto quello che avevo
intrapreso da pochi mesi fosse senza senso, non avesse un perché, perché
Dio non c’era più in mezzo a noi. Ricordo che sono andata in soffitta, dove
avevo messo tutti i miei libri di filosofia; avevo amato tanto la filosofia, ma,
iniziato il Movimento, avevo portato i libri in soffitta. E lì mi è caduta una
lacrima su quei libri. Ricordo ancora lo sbuffo di polvere che la lacrima, ca-
dendo, ha fatto sollevare.
Piangevo, perché non capivo più; ma poi ho capito che anche lui in croce
ha sentito l’abbandono del Padre, si è sentito senza senso, quasi tradito; e,
come lui, ho cercato di abbracciare il dolore della nostra disunità. Quando
le mie compagne sono tornate, ho parlato subito a loro, prima ancora di
pranzo: «Stamattina ci siamo lasciate con poca unità, non c’era lui in mezzo
a noi. Dobbiamo ricomporre subito l’unità». L’abbiamo ricomposta e abbia-
mo capito che anche le piccole comunità come un focolare, come anche
le grandi comunità, possono attraversare queste divisioni: quante indiffe-
renze, quanti traumi ci sono! Poi abbiamo scoperto che anche nella nostra
Chiesa, fra i movimenti per esempio, c’è una grande indifferenza; fra par-
rocchia e parrocchia, fra diocesi e diocesi; o anche fra gruppi di associazioni
ecc. Poi ancora abbiamo scoperto Gesù abbandonato nella cristianità, fra
le Chiese. Quelle che hanno a che fare con il Movimento dei Focolari sono
350, ma ce ne sono molte di più; quindi, uno scandalo che diamo al mondo
per la disunità che abbiamo fra noi. Dopo, diffondendoci in tutto il mondo,
era logico che incontrassimo persone di tutte le religioni, dai buddhisti agli
scintoisti, dai musulmani, agli ebrei ecc. E anche in tutte queste persone che
ignorano Cristo noi vedevamo una presenza di Gesù abbandonato. Quindi,
non è che esse ci fanno scappare! Al contrario, ci attirano, perché sono lui
che vogliamo servire, lui che vogliamo seguire.
Così gli atei: c’è qualcuno, anche fra i teologi, che dice che Gesù abban-
donato è proprio la figura dell’ateismo. È un po’ esagerato, secondo me, però
è anche vero che nell’abbandono lui ha gridato, non tanto: “Padre”, ma: “Dio
mio!” Anche lì noi non è che scappiamo, non è che li abbandoniamo a loro
stessi; li amiamo, vogliamo collaborare anche con loro. Essi, per esempio,
sono tanto sensibili ai valori umani; allora, anche noi con loro viviamo per
i valori. E proprio perché hanno sviluppato la parte umana, diciamo: «Gesù

nuova umanità 231 87


scripta manent
La mia esperienza su Gesù abbandonato

non è mica solo Dio, è anche uomo; quindi noi stiamo con voi per amarlo,
almeno come uomo». Per cui, nella nostra vita sono nati i quattro dialoghi2,
che poi si sono sviluppati sempre più al largo. Naturalmente nella nostra
Opera ci sono state anche le prove, non è che tutto sia andato liscio, siamo
stati calunniati. Per esempio, con una spiritualità di comunione era logico
per noi mettere insieme anche i nostri beni: abbiamo una comunione di beni
in tutto il Movimento, fra tutti. Ma allora venivamo considerati come comu-
nisti, ci criticavano! Tant’è vero che la Chiesa in quel periodo, è stata un po’
sospesa nei nostri confronti. Prima ci aveva approvato attraverso il vescovo
di Trento, poi è rimasta un po’ sospesa, con grande dolore per noi.
Ma anche quella sospensione non era estranea alla nostra vita: era Gesù
crocifisso e abbandonato, che è rimasto sospeso al punto di gridare: «Dio
mio, perché?». E abbracciando lui, siamo andati avanti. La Chiesa, natu-
ralmente, ci ha studiato, ci ha capito e ci ha dato tutte le benedizioni. Per
cui, finita la prova, ci siamo sentiti caricati sulle spalle non solo delle nostre
prove personali, ma delle prove stesse della Chiesa; quindi, ecco un nuovo
ampliamento dei dialoghi in tutto il mondo. E così in tante altre cose che
la Chiesa promuove. Per esempio, essa lavora per il sottosviluppo, ma nel
sottosviluppo del mondo noi vediamo Gesù abbandonato. Sembra davvero
poco sviluppato un Dio che grida “perché?”. Anche nel materialismo, nel
secolarismo noi vediamo Gesù che sembra perdere Dio, quindi un qualche
cosa che assomiglia al materialismo, al secolarismo. Ma anche lì non è che
ci fermiamo, andiamo avanti, perché troviamo lui, amiamo lui in tutti questi
problemi, soprattutto nelle persone che portano in sé questi problemi.

1 
Incontro di Chiara Lubich con alcune personalità ecumeniche. Vienna, 5 no-
vembre 2001. Trascrizione da registrazione con leggeri ritocchi editoriali per facili-
tarne la lettura.
2 
Si tratta dei dialoghi: all’interno della Chiesa cattolica; con le varie Chiese; con
le persone di altre religioni; con le persone senza convinzioni religiose.

88 nu 231
punti cardinali

Gesù crocifisso
e abbandonato:
chiave dell’unità

Joan
Negli anni recenti emerge all’interno del movimento
Patricia ecumenico una rinnovata urgenza di vivere e testimo-
Back niare insieme la nostra fede cristiana comune.
In questo contesto si propone un breve studio di un
teologa, esperta ortodosso e di una cattolica su una delle intuizioni intrin-
in ecumenismo.
membro seche nella spiritualità dei Focolari, Gesù abbandonato
del centro come chiave dell’unità.
interdisciplinare Egli è la radice dei cinquant’anni di stile di vita ecume-
di studi “scuola nica del Movimento, caratterizzata dal dialogo della vita,
abbà”. che si è diffuso a livello mondiale in oltre 350 Chiese.

Augustinos gesù abbandonato: chiave dell’unità


Bairactaris Joan Patricia Back
ortodosso. In questa sessione dedicata al
professore
di teologia tema Gesù abbandonato: chiave dell’u-
ecumenica nità entriamo più profondamente
all’università nella realtà di questo nesso tra Gesù
ecclesiale abbandonato e l’unità dei cristiani.
accademia
di creta.
1. Cristo crocifisso: un modello

Anzitutto diamo uno sguardo al movimento ecume-


nico nato più di cento anni fa. Si è vista un’evoluzione nel
suo comprendere Gesù in croce rispetto all’unità della
Chiesa.

nuova umanità 231 89


punti cardinali
Gesù crocifisso e abbandonato: chiave dell’unità

Già nel 1925 a Stoccolma, nella conferenza di Vita e Azione, si è dichia-


rato che «più ci avvicineremo alla croce di Cristo, più ci avvicineremo gli uni
gli altri»1.
Si è cominciato a vedere Cristo crocifisso come un paradigma, un model-
lo, per allacciare o rinnovare i rapporti tra cristiani divisi. Fil 2, 7-8 è centrato
su questo: «Spogliò se stesso, […] umiliò se stesso, facendosi obbediente
fino alla morte e alla morte di croce». Qui si usa la parola greca kénosis, che
descrive lo svuotarsi, lo spogliamento.
Col passare degli anni, l’importanza dell’aspetto kenotico in rapporto
all’unità cristiana è venuta sempre più in rilievo, come suggerisce la seguen-
te affermazione: «Nella terza fase del Movimento ecumenico s’invitano le
Chiese a prendere la via della kenosis nelle loro relazioni reciproche»2.
Per cogliere il contesto in cui ha preso forma il pensiero di Chiara su
Gesù abbandonato quale chiave per l’unità, di cui parlerò in seguito, vorrei
solo menzionare alcune proposte emerse in questi anni che spiegano l’affer-
mazione appena riportata: le Chiese sono invitate ad abbracciare la strada
della kénosis nelle loro relazioni reciproche.
Per fare questo è utile consultare alcuni documenti del Consiglio ecume-
nico delle Chiese – fraternità ecumenica di 348 Chiese –, nei quali è tema
ricorrente che «la Chiesa è chiamata a lavorare per l’unità, attraverso la sof-
ferenza, sotto il segno della croce»3.
Alla Conferenza mondiale del suo dipartimento di teologia, Fede e Costi-
tuzione, nel 1993 si è affermato che

Cercare di instaurare la koinonia [parola greca che significa comu-


nione] implica il fare propri i dolori e le pene dell’altro. E attraverso
un processo di pentimento individuale e collettivo, di perdono e di
rinnovamento implica l’assunzione di responsabilità per quella sof-
ferenza. Il confronto con gli altri, individuale e collettivo, è sempre
un procedimento doloroso, dal momento che sfida il nostro stile di
vita, le nostre convinzioni, la nostra religiosità e il nostro modo di
pensare4.

90 nu 231
joan patricia back - augustinos bairactaris

Lo stesso documento affronta altri aspetti che sono centrali per il nostro
tema: «L’incontro con l’altro nel tentativo di instaurare la koinonia […] invita
a una kenosis – dare sé stessi e svuotare sé stessi»5.
Essi poi individuano le questioni in gioco: «Tale kenosis risveglia il timo-
re di una perdita d’identità e ci chiede di essere vulnerabili, ma essa non è
niente di più della fedeltà al ministero di vulnerabilità e morte di Gesù, che
ha voluto riunire il genere umano nella comunione con Dio e con gli altri»6.
Questa e la frase che segue corrispondono alla comprensione di Gesù croci-
fisso e abbandonato propria della spiritualità dei Focolari: «Egli è il modello e
il protettore della riconciliazione che conduce alla koinonia. Come individui e
come comunità, siamo invitati a instaurare la koinonia attraverso il ministero
di kenosis»7.
Perciò la kénosis (svuotarsi) e la koinonía (comunione) sono di per sé
stesse collegate.
Dopo aver ascoltato il discorso di Chiara Lubich8, Konrad Raiser, già se-
gretario generale del Consiglio ecumenico delle Chiese, ha dichiarato: «La
nostra ricerca dell’unità non sta perciò nel costruire un edificio, bensì in un
processo di spogliamento, di svuotamento di noi stessi, di tutto ciò che ci
tiene separati da Cristo e gli uni dagli altri»9.
Questo processo di spogliamento così necessario per stringere rapporti
tra cristiani richiede:
- una conversione (la parola greca metánoia utilizzata per descrivere il
cambiamento del cuore e della mentalità che questa conversione richiede);
- una purificazione della memoria, che comporta un riconoscimento dei
nostri peccati contro l’unità, un sincero pentimento, gesti di perdono e di
accettare la richiesta di perdono che gli altri ci rivolgono.
Forse si soffre nel perdere le proprie idee per ascoltare con attenzione
qualcuno che ha opinioni diverse dalle nostre, o nel superarsi, perdonando
l’ingiustizia subita: tutto questo richiede una vita spirituale profondamente
radicata in Dio, che solo si può trovare guardando a Gesù in croce come
nostro modello e vivendo, in unione con lui, la nostra kénosis.
In Francia teologi di Chiese diverse si sono incontrati insieme per de-
cenni a Dombes. Questo gruppo, chiamato Gruppo di Dombes, ha pubbli-
cato uno studio intitolato Per la conversione delle Chiese ed è giunto alla

nuova umanità 231 91


punti cardinali
Gesù crocifisso e abbandonato: chiave dell’unità

conclusione che senza una conversione continua l’unità non sarà mai re-
alizzata. Essi invitano le Chiese a conversione tramite una metánoia conti-
nua, dallo stesso punto di partenza che abbiamo appena preso in esame:
l’esemplare kénosis di Cristo10.
Nel loro documento essi citano l’arcivescovo di Canterbury William
Temple, che nel 1943 disse: «Si chiede a ognuna delle nostre denominazioni
cristiane esistenti di morire per risorgere di nuovo in forma più splendida»11.
Similmente, l’assemblea generale del Consiglio ecumenico delle Chiese
nel 1961, in una sua dichiarazione, affermò: «La realizzazione dell’unità non
richiederà niente di meno che la morte e la nuova nascita di numerose for-
me di vita ecclesiali quali le abbiamo conosciute. Noi crediamo che nessuna
soluzione meno costosa sarà in fin dei conti sufficiente»12.
Questo stile di vita kenotico richiede una conversione ecclesiale, inten-
dendo lo sforzo che ciascuna Chiesa deve fare per purificare e arricchire
il proprio patrimonio in modo da ritrovare la piena comunione con le altre
Chiese13.
Negli Stati Uniti un gruppo ecumenico di teologi si è incontrato a
Princeton (New Jersey) ed è giunto a un’altra proposizione partendo da
Ef 2, 1614: siamo riconciliati in un solo corpo tramite Cristo crocifisso e
risorto (Ef 1, 20-23; 2, 4-7; 2, 13-16).
Il decreto del Concilio Vaticano II sull’ecumenismo «è pervaso dallo spi-
rito di conversione»15 e parla di metánoia, «conversione di cuore e di men-
te»16, mentre l’enciclica Ut unum sint parla di dialogo ecumenico che diventa
«dialogo di conversione»17.Documenti successivi, per esempio Memoria e
riconciliazione: la Chiesa e le colpe del passato18, sottolineano la conversione
come un imperativo.

2. Il contributo di Chiara Lubich

Alla seconda Assemblea ecumenica europea a Graz, nel 1997, Chiara,


con la sua ottimistica visione ecumenica, disse: «Non è che una Chiesa o
l’altra dovrà morire – come, a volte, si teme – ma ognuna dovrà rinascere
nuova nell’unità»19.

92 nu 231
joan patricia back - augustinos bairactaris

Adesso daremo un rapido sguardo al rapporto tra Gesù abbandonato e


l’unità dei cristiani, per cogliere qualche luce in ciò che Chiara ha affermato
a Graz.

a) Gesù abbandonato e l’unità


C’è un legame assolutamente! – ha detto la Lubich nella Settimana
ecumenica del 2001 – Gesù in croce, morendo, ha ristabilito l’uni-
tà di noi tutti con Dio e di noi fra noi. È riuscito a far questo nella
sua morte e risurrezione […], quando ha gridato: «Dio mio, Dio mio,
perché mi hai abbandonato?» e s’è riabbandonato al Padre, cioè ha
superato la divisione. Quindi c’è rapporto assolutamente fra Gesù
che muore abbandonato sulla croce e l’unità che realizza in sé stes-
so, ma che ci dà modo anche di viverla noi20.

Già prima del 1961, anno in cui il Movimento dei Focolari è entrato nel
dialogo ecumenico, Gesù abbandonato è stato visto come la chiave e il segre-
to dell’unità. Chiara infatti ha parlato di Gesù abbandonato e dell’unità come
di «due aspetti di un’unica medaglia»21.

b) L’amore per Gesù crocifisso e abbandonato, motivo per cui il


Movimento dei Focolari è entrato nel movimento ecumenico

Benché Chiara abbia sempre parlato di “segreto legame”22 tra la croce e


l’unità, non aveva in mente all’inizio l’unità dei cristiani.
Quando comprese che era volontà di Dio impegnarsi nel dialogo con cri-
stiani di altre Chiese, per contribuire alla realizzazione del testamento di
Gesù «che tutti siano una cosa sola» (cf. Gv 17, 21), si chiese: «Che Gesù ci
abbia messo in mano la chiave per attuarlo?» – e trovò la risposta nel Van-
gelo: «Quando sarò innalzato sulla croce…» (cf. Gv 12, 32), e continua: «È
stata la croce il suo segreto. […] Che sia allora il dolore la strada, la chiave, il
segreto dell’unità di tutti? Sì, è così»23.
È con questa consapevolezza che lanciò – la parola è sua – il Movimen-
to dei Focolari in quella che descrisse come «un’avventura ecumenica»24. È
Gesù abbandonato che ha spinto Chiara e le sue compagne a dialogare con

nuova umanità 231 93


punti cardinali
Gesù crocifisso e abbandonato: chiave dell’unità

altri cristiani: «Chi spinge tutti i membri cristiani del Movimento al dialogo
fra loro, a costruire giorno per giorno tutta quella comunione che già è pos-
sibile, a stabilire fra tutti la presenza di Gesù, che il comune battesimo ci
garantisce? […] È Gesù crocifisso […], nel suo grido d’abbandono, […] non
desistiamo se l’impresa sembra ardua»25.

c) Gesù crocifisso e abbandonato, paradigma per il dialogo ecumenico

Chiara attribuisce la fecondità del dialogo ecumenico precisamente a


Gesù abbandonato, punto cruciale della spiritualità del Movimento: «Una
spiritualità ecumenica sarà feconda in proporzione di quanto, chi vi si dedi-
ca, vedrà in Gesù crocifisso e abbandonato, che si riabbandona al Padre, la
chiave per capire ogni disunità e per ricomporre l’unità»26.
Gesù abbandonato perciò è considerato da Chiara come il paradigma del
dialogo ecumenico.

3. Gesù crocifisso e abbandonato, maestro di unità e divino modello

Lei guardò a lui quale maestro dell’unità27 e modello divino28. In lui tro-
vò «l’immagine di ogni divisione dolorosa fra fratelli, fra Chiese»29. Egli è
come una lente attraverso la quale possiamo vedere il dolore delle divisioni.
In base alla sua esperienza, Chiara dice: «Succede che invece che vedere i
traumi, noi vediamo Lui, il suo volto, è Lui che grida. Invece che vedere le
divisioni così […] è il suo volto. Se noi sentiamo dentro di noi delle divisioni,
dei dubbi, dei perché, è Lui che grida, è il Suo volto, è la Sua persona»30.
E «in Lui è il segreto della ricomposizione di tutti i fratelli e sorelle cristia-
ni nella piena comunione visibile, che Cristo ha pensato»31; egli è «la stella
più luminosa che deve illuminare il cammino ecumenico»32.

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joan patricia back - augustinos bairactaris

4. Gesù abbandonato c’insegna a non evitare


la sofferenza causata dalle divisioni

Amare Gesù abbandonato c’insegna a non evitare il dolore causato dalla


disunità: «Occorrono, per un proficuo ecumenismo, cuori toccati da Lui, che
non Lo fuggono, ma Lo capiscono, Lo amano, Lo scelgono e sanno vedere
il Suo volto divino in ogni disunità che incontrano; e trovano in Lui la luce e
la forza per non fermarsi nel trauma, nello spacco della divisione, ma per
andare sempre al di là e trovarvi rimedio, tutto il rimedio possibile»33.
Al Congresso ecumenico nel 2001 confidò circa l’amore a lui: «Se avessi-
mo guardato agli ostacoli, al primo che arrivava ci saremmo fermati. Invece:
[…] ogni ostacolo era un salto»34.
E spiega come fare: «Bisogna andare in fondo al cuore e dire: “Sei tu,
ti voglio”. E poi avvicinare i nostri fratelli […] che sentano di essere amati
e aiutarli, e far capire loro, possibilmente, il mistero di Gesù abbandonato
che ha superato queste divisioni e che quindi lo possiamo fare anche noi»35.
Vogliamo con lui superare, come ha fatto lui: in manus tuas Domine... 36 (Nelle
tue mani, Signore affido il mio spirito).

5. Gesù crocifisso e abbandonato come stile di vita

Amare Gesù crocifisso e abbandonato, nostro modello: egli ci mostra la


misura dell’amore. Sappiamo che le divisioni tra cristiani non sono dovute a
motivi solo teologici, perché vi contribuiscono anche le differenze culturali,
come pure i fattori sociali e politici; ma l’elemento principale è la mancanza
d’amore37. Perciò si richiede un amore senza misura, basato sulle parole di
Gesù: «Amatevi gli uni gli altri come io vi ho amato. Nessuno ha un amore
più grande di questo: dare la vita per i propri amici» (Gv 15, 12-13). Occorre
amore per guarire le ferite profonde della divisione e per favorire la purifi-
cazione della memoria. Questo richiede amore reciproco in abbondanza,
come Chiara ha suggerito: «Occorre perciò in ognuna un supplemento d’a-
more; occorrerebbe, anzi, che la cristianità venisse invasa da una fiumana
di amore»38.

nuova umanità 231 95


punti cardinali
Gesù crocifisso e abbandonato: chiave dell’unità

6. “Farsi uno” (cf. 1 Cor 9, 22. «Mi sono fatto debole per i deboli, [...]
mi sono fatto tutto per tutti»)

Gesù in croce è il modello del “farsi uno” con gli altri; egli si rivela come
un “nulla d’amore” che non è qualcosa di negativo o passivo, ma, al contra-
rio, di positivo. È un “nulla attivo”, perché viviamo una kénosis per fare spazio,
perché Dio possa entrare con il suo amore in noi, ed è con il suo amore che
amiamo gli altri.
Nel 1997, a un’altra Settimana ecumenica, Chiara spiega: «Egli ci insegna
a esser niente, a vuotarci del tutto. E noi, per capire l’altro, bisogna che spo-
stiamo tutto quello che abbiamo dentro nel cuore e nella mente. Se no non
si entra nell’altro, non si capisce l’altro»39. «Ora, solo Gesù abbandonato mi
fa essere così niente e avvicinare le persone e fare un dialogo costruttivo.
Solo Lui ci può insegnare a staccarci da tutto per capire l’altro, per capire
il dono che mi fa, per poter mettere insieme tutti questi doni in unità, nella
diversità»40.
“Farsi uno” favorisce la comprensione reciproca: ci rende capaci di com-
prendere la dottrina, parole o prospettive storiche diverse dalle nostre; pos-
siamo scoprire che ciò che sembra una differenza di dottrina potrebbe es-
sere una diversità legittima.

7. Chiedere perdono e perdonare

Questo “svuotarsi” è importante per un altro aspetto necessario per ri-


conciliarsi: perdonare41.
Negli scritti di Chiara troviamo questa prospettiva quando parla di “ap-
propriarsi” degli sbagli dell’altro: «A ogni sbaglio fatto dal fratello chiedo
io perdono al Padre, come fosse mio ed è mio perché il mio amore se ne
impossessa»42.

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joan patricia back - augustinos bairactaris

gesù abbandonato: chiave dell’unità.


il mistero del cristo vivente sulla croce
Augustinos Bairactaris

1. Cristo crocifisso e abbandonato quale modello vivente

«Chi dite che io sia?» (Mc 8, 29). Gesù fu davvero ab-


bandonato sulla croce durante la sua sofferenza? Gesù
non è il Dio del fascino. Al contrario, è un Dio che dà tut-
to se stesso (teologia kenotica), affinché l’umanità viva.
«Pur essendo di natura divina, non considerò un tesoro
geloso la sua uguaglianza con Dio; ma spogliò se stesso
assumendo la condizione di servo e divenendo simile agli uomini» (Fil 2, 6-7).
Lo svuotamento di se stesso, del Servo che visse tra la gente, condivi-
dendone speranze e sofferenze, dando la propria vita sulla croce per tutta
l’umanità: questo è stato Cristo e noi, quali suoi discepoli, abbiamo il dovere
di seguire lo stesso esempio. Sulla croce Gesù perde tutto, ma nello stesso
tempo trova tutto. Gesù sulla croce è stato abbandonato dagli esseri umani;
dove erano tutte quelle persone su cui lui aveva operato miracoli? Dove era-
no tutti i suoi discepoli? Solo alcuni ebbero la forza di restare sotto la croce
ad assistere a una scena tanto orribile.
È il Dio che serve, ascolta, costruisce ponti tra Dio e la storia in ogni
direzione. Non si impone, ma rispetta il libero arbitrio e la libertà personale.
Cristo è il dono d’amore offerto nell’ambito della libertà personale. Cristo è
venuto per salvare, non per giudicare il mondo. È venuto a liberare la gen-
te e servire gli altri. Gesù è esattamente l’esempio che mostra alla Chiesa
che l’unico modo è quello del martirio culminante sulla croce; la croce è in
realtà il luogo della nascita – il luogo della libertà cristiana. Mentre Gesù si
è sacrificato volentieri sulla croce, noi dobbiamo parimenti seguire il suo
paradigma, sacrificando i nostri interessi personali per amore, condividendo
e unendoci al nostro fratello e alla nostra sorella. Siamo chiamati a ricono-
scerlo in noi stessi e nel nostro prossimo. Inoltre, con il mistero della croce,
noi testimoniamo il mistero della sinergia, della cooperazione dell’uomo con

nuova umanità 231 97


punti cardinali
Gesù crocifisso e abbandonato: chiave dell’unità

Dio attraverso suo Figlio. I cristiani moderni sono chiamati a crocifiggere la


propria vita coscientemente (in modo spirituale) contro la tendenza mo-
derna e contro lo stile di vita proposti dai media, che desiderano una vita
sociale secolarizzata senza Dio, una vita senza Gesù, che significa una vita
senza una vera vita. La vita viene da Dio ed è nelle mani di Dio. «Il mio regno
non è di questo mondo» (Gv 18, 36). Questa nuova vita offerta all’uomo
dal Cristo crocifisso, abbandonato e risorto, è vissuta nel corpo. L’apostolo
Paolo scrive ai Corinzi:

Siamo perseguitati, ma non abbandonati; colpiti, ma non uccisi;


portando sempre e dovunque nel nostro corpo la morte di Gesù,
perché anche la vita di Gesù si manifesti nel nostro corpo. Sempre
infatti, noi che siamo vivi, veniamo esposti alla morte a causa di
Gesù, perché anche la vita di Gesù si manifesta nella nostra carne
mortale. Di modo che in noi opera la morte, ma in voi la vita (2 Cor
4, 9-11).

Con la presenza di Gesù in mezzo a noi riceviamo il potere spirituale


necessario per essere in grado di essere come lui e con lui. Senza dubbio, se
riusciamo a fare qualcosa di positivo nei confronti della koinonía ecumenica
e dell’unità, è perché lo facciamo secondo la sua grazia. Poiché la koinonía è
una partecipazione a Cristo crocifisso e risorto, è anche parte della missio-
ne della Chiesa condividere le sofferenze e le speranze dell’umanità. In lui
ci è stato rivelato come partecipare alla vita della Trinità. Come Chiara era
solita evidenziare, Gesù crocifisso, abbandonato e risorto è «la finestra di
Dio spalancata sul mondo e la finestra dell’umanità attraverso la quale [si]
vede Dio».

2. Gesù sulla croce quale evento per il pentimento e la trasformazione


dell’uomo

La croce di Gesù opera come luogo della nostra trasformazione perso-


nale della nostra natura corrotta e depravata. Con il sì convinto sulla croce,
siamo stati adottati come figli e figlie di Dio alla vita eterna. La croce è il la-

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joan patricia back - augustinos bairactaris

boratorio della giustizia e la primavera della vita. La croce viene trasformata


da un luogo di punizione in un luogo di grazia. La trasformazione avviene
nel mezzo della nostra realtà storica e incorpora la totalità della nostra vita,
perché l’amore di Dio si preoccupa di questa totalità. La chiamata di Gesù è
un invito a seguirlo con gioia, a partecipare al suo corpo servitore, a condivi-
dere con lui la lotta per superare il peccato, la povertà e, infine, la morte. La
trasformazione è un processo dinamico e continuo che coinvolge un punto
di svolta da e per l’éschaton. Ciò richiede sempre la riconciliazione e una
nuova relazione sia con Dio, sia con gli altri. Ognuno di noi dovrebbe morire
con Cristo e risorgere con lui nel corpo servitore di Cristo, per diventare una
benedizione per la comunità che ci circonda.

3. Gesù abbandonato: una chiamata all’unità

Siamo chiamati ad esprimerlo con le nostre vite, ad adorarlo e a ser-


virlo nella vita degli altri e nella vita che ci circonda. Superando tutte le
barriere, siamo chiamati ad essere il suo corpo e ad essere uno nell’unità
con lui (cf. Gv 17, 11).
Secondo gli insegnamenti di Chiara, Gesù abbandonato mostra come
diventare veri membri del corpo mistico di Cristo, così da costruire le cellule
viventi del suo corpo che operano come poli positivi e negativi, accogliendo-
ci l’un l’altro oltre le nostre differenze, guidati dallo spirito di solidarietà, di
accettazione comune e di umiliazione. E leggendo ciò, mi è venuta in mente
l’immagine della costruzione di un edificio, dove è necessario utilizzare ele-
menti diversi, come la pietra, il cemento, il ferro, il legno, la pittura ecc. Ma
la pietra d’angolo di quell’edificio spirituale è sempre la stessa: Gesù Cristo.
Quindi, la ricerca dell’unità attraverso l’immagine del Cristo crocifisso e ab-
bandonato non si fonda sull’uniformità, ma sulle espressioni multiple di una
fede comune e di una missione comune.
La diversità è uno dei tanti carismi attribuiti alla Chiesa. Aiuta a man-
tenere reciprocamente affidabili le persone con doni e prospettive diverse
all’interno della comunione. La diversità nell’unità e l’unità nella diversità

nuova umanità 231 99


punti cardinali
Gesù crocifisso e abbandonato: chiave dell’unità

sono doni di Dio alla Chiesa, che esiste per servire la riconciliazione dell’u-
manità, in obbedienza al comando di Cristo.

4. Eloì, Eloì, lemà sabactàni

1. Le parole di Gesù sulla croce «Eloì, Eloì, lemà sabactàni» (Mc 15, 34)
confermano l’attuale fiducia tra il Figlio e il Padre, e non l’abbandono di Gesù
da parte di Dio. Quello che vediamo nella scena di Gesù sulla croce non è
la paura di Gesù della morte. Vorrei fare una variazione e dire: Uomo, uomo,
perché mi hai abbandonato? Sono morto per te, cosa mi hai offerto? Gesù che
stava facendo la sua volontà, allo stesso tempo fa la volontà del Padre suo,
poiché nella Santissima Trinità c’è solo una volontà. Gesù aveva una chiara
comprensione del suo sacrificio, cosa che diventa evidente durante la sua
preghiera nel giardino di Getsemani. Gesù ha sofferto sulla croce non per
quello che ha commesso, ma per il bene spirituale di coloro che lo guarda-
vano inchiodato e sofferente.

2. Mentre Gesù sulla croce appariva a tutti debole, egli aveva un potere
totale di dominio sulla storia. Leggiamo nel Vangelo di Giovanni: «Per que-
sto il Padre mi ama: perché io offro la mia vita, per poi riprenderla di nuovo.
Nessuno me la toglie, ma la offro da me stesso, poiché ho il potere di offrirla
e il potere di riprenderla di nuovo. Questo comando ho ricevuto dal Padre
mio» (Gv 10, 17-19). Gesù è stato colui che ha confermato che tutto è stato
compiuto secondo il progetto di salvezza dell’umanità, affermando: «Tutto
è compiuto» (Gv 19, 30). Allora Gesù gridò ad alta voce: «Padre, nelle tue
mani consegno il mio spirito. Detto questo spirò» (Lc 23, 46). Perché «anche
Cristo è morto una volta per sempre per i peccati, giusto per gli ingiusti, per
ricondurvi a Dio; messo a morte nella carne, ma reso vivo nello Spirito» (1 Pt
3, 18). È chiaro che Cristo non ha sperimentato sulla croce la sensazione di
deserto, ma la sensazione di completezza, di unità e dell’amore più grande per
il Padre e per il genere umano.

100 nu 231
joan patricia back - augustinos bairactaris

3. Questo è ciò che Chiara chiamava scopo paradossale della croce, poi-
ché il dolore proveniente dalla croce è in realtà il canale che porta alla felici-
tà. Ma questa felicità non ha nulla in comune con quella del mondo. Questa
felicità deriva dal sacrificio volontario personale o collegiale, per poter far
vivere mio fratello. Così, in altri termini, abbandonato significa, per me orto-
dosso, che non mi affido più a me stesso, bensì mi affido o abbandono la mia
vita nelle mani di Dio e nella spinta dello Spirito. Sono debole e la mia debo-
lezza si trasforma in forza ogni volta che mi faccio servitore sotto forma di
offerta vivente al mio fratello e alla mia sorella. In questo senso accogliamo
le parole di Chiara: «Chi mi sta vicino è stato creato in dono per me ed io
sono stata creata in dono a chi mi sta vicino».

4. Infine, potremmo distinguere, seguendo l’insegnamento patristico or-


todosso, tre livelli o stadi della teologia della croce.
- Penitenza, che significa conversione della mente.
- Purificazione, che significa liberazione dalle passioni.
- Perfezione, che significa acquisizione dell’amore perfetto.
Questi tre passi conducono gradualmente alla pienezza della grazia.

1 
Messaggio della Conferenza mondiale di Vita e Azione, n. 14. Cf. G.K.A. Bell
(ed.), The Stockholm Conference 1925. The Office Report of the Universal Christian
Conference on Life and Work held in Stockholm, 19-30 August 1925, Oxford Uni-
versity Press, London 1926, pp. 710-716.
2 
A. Falconer, Beyond the Limits of the Familiar Landscape, in «Studi Ecumenici»,
aprile-giugno 1997, p. 49.
3 
“Towards Unity in Tension” (1974) Document III.11 §11, in G. Gassmann (ed.),
Documentary History of Faith and Order, 1968-1993, World Council of Churches publi-
cations, Geneva 1993, p. 146.
4 
V Conferenza mondiale di Fede e Costituzione 1993, Documenti parte II C. 20,
in Fede e Costituzione, Conferenze Mondiali 1927-1993, Enchiridion Oecumenicum
vol. 6, Edizioni Dehoniane, Bologna 2015, p. 1395.
5 
Ibid.
6 
Ibid.
7 
Ibid.

nuova umanità 231 101


punti cardinali
Gesù crocifisso e abbandonato: chiave dell’unità

8 
Cf. C. Lubich, L’unità di Gesù crocifisso e abbandonato, in Id., Il dialogo è vita, Città
Nuova, Roma 2007, pp. 52-69.
9 
Ibid., p. 73.
10 
Cf. Gruppo di Dombes, Per la conversione delle Chiese, Enchiridion Oecumeni-
cum vol. 4, Edizioni Dehoniane, Bologna 1996, pp. 306-399.
11 
Ibid., n. 33, p. 329.
12 
Rapporti delle Sezioni: Unità n. 3, Consiglio ecumenico delle Chiese 3a As-
semblea Nuova Delhi, 1961, n. 3 in Consiglio ecumenico delle Chiese Assemblee
Generali 1948-1998, Enchiridion Oecumenicum vol. 5, Edizioni Dehoniane Bologna
2001, pp. 250-251.
13 
Cf. Gruppo di Dombes, Per la conversione delle Chiese, cit., n. 55, p. 334.
14 
Cf. C. Braaten - R.W. Jenson (edd.), In One Body Through the Cross, the Princeton
Proposal for Christian Unity, Eerdmans Publishing, Michigan - Cambridge UK, 2003.
15 
Giovanni Paolo II, Ut unum sint, 35.
16 
Cf. Unitatis redintegratio, 7-8.
17 
Giovanni Paolo II, Ut unum sint, 35; cf. anche nn. 15–17.
18 
Commissione internazionale teologica, Memoria e riconciliazione: la Chiesa e le
colpe del passato, dicembre 1999, n. 5:2.
19 
C. Lubich, Una spiritualità per la riconciliazione, in «Nuova Umanità», 113
(1997/5), p. 548.
20 
Id., Congresso ecumenico 20 aprile 2001, Castel Gandolfo, risposta n. 3 (ine-
dito).
21 
Id., La dottrina spirituale, Mondadori, Milano 2001, p. 66.
22 
Id., Colloqui con i gen. Anni 1966-1969, Città Nuova, Roma 1998, p. 35.
23 
Ibid., p. 36.
24 
C. Lubich, Discorso al Consiglio ecumenico delle Chiese, 5 ottobre 1982 (ine-
dito).
25 
Id., a sacerdoti, religiosi e seminaristi nell’Aula Paolo VI, citato in P. Coda - B.
Leahy (edd.), Preti in un mondo che cambia, Città Nuova, Roma 2010, pp. 24-25.
26 
C. Lubich, Una spiritualità per la riconciliazione, cit., p. 550.
27 
Cf. Id., Il grido, Città Nuova, Roma 2000, p. 25.
28 
Cf. ibid., p. 26.
29 
C. Lubich, Gesù abbandonato, a cura di H. Blaumeiser, Città Nuova, Roma
2016, p. 151.
30 
C. Lubich, Congresso ecumenico 20 aprile 2001, Castel Gandolfo, risposta n.
3 (inedito).
31 
Id., Il grido, cit., p. 105.
32 
Id., Una spiritualità per la riconciliazione, cit., p. 549.
33 
Ibid., p. 550.

102 nu 231
joan patricia back - augustinos bairactaris

34 
C. Lubich, Congresso ecumenico 20 aprile 2001, Castel Gandolfo, risposta n.
3 (inedito).
35 
Ibid.
36 
Ibid.
37 
Cf. Unitatis redintegratio, 14.
38 
C. Lubich, Una spiritualità per la riconciliazione, cit., p. 548.
39 
Id., citato in J.P. Back, Spunti per una riflessione su Gesù abbandonato in relazione
alla riconciliazione fra i cristiani, in «Nuova Umanità», 133 (2001/1), p. 46.
40 
C. Lubich, Congresso ecumenico 4 aprile 1997, citato in J.P. Back, Spunti
per una riflessione su Gesù abbandonato in relazione alla riconciliazione fra i cristiani,
cit., p. 46.
41 
Cf. Giovanni Paolo II, La Chiesa chiede perdono per le colpe dei suoi figli, in «L’Os-
servatore Romano», 2 settembre 1999, p. 4.
42 
C. Lubich, citato in J.P. Back, Spunti per una riflessione su Gesù abbandonato in
relazione alla riconciliazione fra i cristiani, cit., p. 47.

nuova umanità 231 103


dallo scaffale di città nuova

Accogli lo straniero
storie esemplari
dell’Antico Testamento
di Lucio Sembrano

Si può leggere la Bibbia nella prospettiva del


dialogo interculturale e interreligioso?
Come si è confrontato Israele con le altre culture
che ha incontrato nella sua storia?

Affacciarsi ad alcune storie collocate nei momenti epocali


della sto­ria biblica potrà aiutare a superare i pregiudizi che
molti nutrono su questioni come la violenza nella Bibbia o la
giustizia di Dio, e offrire spunti rilevanti anche ai nostri giorni
isbn per comprende­re il cammino del dialogo interculturale e in-
9788831188005 terreligioso.
L’avventura dell’esodo dall’Egitto, la conquista della Terra, la
pagine se­dentarizzazione in Canaan, l’esperienza della diaspora esili-
130 ca, la ricostruzione del Tempio al ritorno da Babilonia, l’impat-
prezzo to con la cultura ellenistica hanno offerto al popolo d’Israele
occasioni di confronto con persone e culture diverse, che han-
euro 16,00
no lasciato una traccia viva nella sua storia, a volte segnando
in profondità la ma­niera stessa con cui viene espressa la rela-
zione con JHWH.
Gli stranieri in Israele, gli Ebrei in terra straniera, e infine i
Maccabei a Gerusalemme sfidano i cristiani a superare le di­
scriminazioni e ad affermare la libertà religiosa e di coscien-
za, con la consapevolezza ecclesiale e la fiducia che tutte le
differenze sono ordinate all’unico popolo di Dio (cf. Lumen
gentium, 1).

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nu 231
punti cardinali

Il dialogo della fede


e il primato dell’amore
Patriarca Athenagoras, papa
Paolo VI e Chiara Lubich
Vasile
Stanciu
Il mondo cristiano del XX secolo si è confrontato con
decano della una serie di problemi sociali, politici, culturali e religiosi.
facoltà di
I Paesi dell’Europa orientale, a maggioranza ortodossa
teologia
ortodossa (Albania, Bulgaria, Jugoslavia, Romania, Russia), hanno
dell’università dovuto affrontare l’insormontabile piaga del comuni-
”babes,-bolyai” smo che combatteva apertamente contro Dio, mentre
di cluj-napoca, una parte dei Paesi a maggioranza cattolica o protestan-
romania.
te (Polonia, Germania democratica, Repubblica Ceca e
Slovacchia, Ungheria) hanno dovuto confrontarsi con al-
tre ideologie, con un sincretismo ideologico e filosofico
che ha colpito in modo più visibile la stessa lotta contro
Dio. La Seconda guerra mondiale non solo ha diviso l’u-
manità, ma ha creato tutte le premesse per una nuova
ideologia contro la fede cristiana. La necessità di una
nuova spiritualità per far rivivere il cristianesimo euro-
peo di fronte a queste ideologie distruttive era sempre
più opportuna ed evidente. In questo contesto, come un
miracolo di Dio e come opera della sua provvidenza, è
nato il Movimento dei Focolari, che intendeva stabilire
tra le persone un nuovo tipo di rapporto basato sull’a-
more reciproco, indipendentemente da tendenze politi-
che, posizioni sociali o credenze religiose. La personalità
di Chiara Lubich ha lasciato un segno decisivo attraverso
questa nuova forma di spiritualità. Lei stessa ha vissuto

nuova umanità 231 105


punti cardinali
Il dialogo della fede e il primato dell’amore

un autentico spirito del vangelo; ha creato attorno a sé un nucleo di persone:


uomini e donne, giovani e anziani, ricchi e poveri, sacerdoti e vescovi, medici
ed artisti, semplici operai e contadini, disposti ad assumere nella loro vita il
vangelo messo in pratica, condividendone poi gli effetti con gli altri. Dal mio
punto di vista, Chiara Lubich ha fissato un progetto spirituale basato su due
pilastri centrali, a cui aggiungerà più tardi anche il terzo.

1. il dialogo della fede sotto l’influsso o l’assistenza


dello spirito

Un dialogo coinvolge almeno due persone. Se l’argomento non viene ca-


pito dagli interlocutori, interviene il disaccordo con conseguenze indeside-
rate e dannose. Che cosa succederebbe se le persone coinvolte nel dialogo,
su un tema capito diversamente, non si parlassero? Esse imporrebbero con
forza i propri punti di vista. Il dialogo è il primo passo per comprendere il
tema da tutte e due le parti. Ma Chiara non si accontenta di questo. Vuo-
le un approccio superiore, che trascende la lettera, la legge, le regole per
raggiungere una comprensione o una percezione del tema nello spirito di
concordia, d’amore, di comprensione, di comunione, e questo è lo Spirito
di Dio, lo Spirito Santo. Il dialogo nello Spirito della verità è l’unico che può
portare a una comprensione autentica del tema e può creare premesse per
la continui­tà nel dialogo. Secondo Chiara, la presenza dello Spirito Santo
deve essere seriamente invocata con la preghiera, sia nel privato che in pub-
blico, dalla Chiesa. Altrimenti lo Spirito non solo non viene, ma, se è stato
presente, si allontana. Qualsiasi lavoro duraturo nel mondo non può essere
realizzato senza la partecipazione e la collaborazione dello Spirito Santo.
Questa verità è praticata nella spiritualità ortodossa attraverso un’affasci-
nante preghiera: «Re celeste, Consolatore, Spirito di Verità che ovunque sei
e tutto compi, vieni e trova dimora in noi». La vita dello Spirito in noi è essen-
ziale e decisiva. Egli mantiene Cristo in noi e lo forma. Dà forza costruttiva
alla Chiesa e disperde il lavoro distruttivo.
La preghiera che conclude l’epiclesi eucaristica della liturgia di san Basi-
lio Magno mette in luce il potere dello Spirito Santo nel nostro sforzo di en-

106 nu 231
vasile stanciu

trare in comunione l’uno con l’altro: «E tutti noi, che ci comunichiamo dallo
stesso pane e dallo stesso vino, uniscici l’un l’altro con la comunione con lo
stesso Spirito Santo». Un canto del Mattutino ortodosso di domenica pro-
clama: «Attraverso lo Spirito Santo avviene la deificazione di tutti, la buona
volontà, la comprensione, la pace e la benedizione». E ancora: «Se lo Spirito
Santo soffia verso qualcuno, lo alza dalla terra, gli dà le ali, lo fa crescere e lo
mette su». Chiara non solo ha capito il vero significato di queste parole, ma
le ha incarnate in tutte le sue azioni. Il dialogo tra le persone e tra le persone
e Dio nello Spirito Santo porta frutti inaspettati, apre ponti di comunicazione
e comunione inattese, stabilisce le nostre relazioni su coordinate diverse
da quelle puramente umane, ci lancia nel mondo celeste, nell’ineffabile, e
in questo stato il dialogo nello Spirito illumina la mente per comprendere il
vero significato delle cose.
Senza il dialogo nello Spirito, la santità non è possibile e i santi sono il
dialogo di Dio con il mondo o del mondo con Dio. Chiara ci convince di que-
sta verità in un testo ammirevole: «I santi sono stati e sono una parola di
Dio detta al mondo e, poiché si sono identificati con quella parola, non pas-
seranno»1. Un teologo contemporaneo che parla dello Spirito Santo e del-
la preghiera, dice letteralmente: «Lo Spirito Santo è lo Spirito di preghiera,
perchè Lui stesso la realizza in noi»2, e di conseguenza lui, lo Spirito Santo,
diventa il nostro interlocutore nel dialogo e fa sì «che la nostra individualità
diventi un veicolo dello Spirito senza che la sua personalità sia diminuita o
addirittura distrutta, ma al contrario, ascende ad un gradino superiore nella
comunione dello Spirito Santo, attualizzata nella preghiera»3. Tuttavia, sic-
come non possiamo facilmente sfuggire all’individualità, essendo questa
una caratteristica della personalità umana, la spiritualità cristiana, implicita-
mente quella del Movimento dei Focolari, introduce nell’equazione il dialo-
go nello Spirito Santo, e l’individualità umana diventa dialogica, predisposta
alla comunione. L’apostolo Paolo scrive ai Romani: «Allo stesso modo anche
lo Spirito viene in aiuto alla nostra debolezza, perché nemmeno sappiamo
che cosa sia conveniente domandare, ma lo Spirito stesso intercede con in-
sistenza per noi, con gemiti inesprimibili» (Rm 8, 36).
La nostra debolezza o imperfezione è innestata sulla potenza dello Spiri-
to Santo, sulla sua opera, e proprio questa presenza partecipativa dà senso

nuova umanità 231 107


punti cardinali
Il dialogo della fede e il primato dell’amore

alle nostre azioni che, da individualiste, diventano azioni di Cristo aggior-


nato in noi dallo Spirito Santo. Il dialogo nello Spirito non è possibile senza
la preghiera nello Spirito, che ci riempie di genuini sentimenti di umiltà, de-
vozione, gratitudine, lode, richiesta, pentimento, obbedienza alla volontà di
Dio e del fratello, come dice il teologo Karl Christian Felmy4. Chiara Lubich
mette l’accento in modo particolare sulla capacità della persona umana di
autosuperarsi nella comunione con gli altri, facendo sia la volontà di Dio che
quella dei nostri fratelli. In questo senso, un testo di Chiara è edificante: «Il
rilascio dell’ego da tutte le condizioni interne ed esterne ed il riconoscimen-
to della relatività del proprio sé (cessare di difenderlo, di contrapporlo a Dio
e agli altri) significa accettarsi senza alcuna maschera, per far coincidere
la propria volontà con una Volontà trascendente. Questa è la perfezione,
compresa quella umana; quindi, se la volontà di Dio è amare il prossimo,
farsi uno con il prossimo significa rinunciare a difendere il proprio ego per
immedesimarsi coll’altro, e finalmente nell’Altro (...l’avete fatto a me)»5.
In perfetta sintonia con Chiara, si trova anche padre Stăniloae che, in uno
studio sul ruolo e sull’importanza della musica nella vita cristiana di comu-
nione, ribadiva: «È stato detto che il tema della liturgia (il soggetto partner,
responsoriale del lavoro di Cristo attraverso il sacerdote) non è l’io, ma il noi.
Questo noi non è solo l’unione degli io, ma una presenza dell’ego degli altri in
me stesso e il mio negli altri senza il mio annullamento, senza l’annullamen-
to di nessuno. Gli altri sono in me come i fratelli sono l’uno nell’altro; e tutti
sono uniti in Dio come i figli nella madre e lei in loro; perché lei soffre per
loro, come se la loro sofferenza fosse anche sua e sente la loro mancanza
come la mancanza d’una parte di se stessa. Colui che amo è come il mio
essere interiore, non solo come un tu, perché tutto il suo dolore scorre nel
mio ego. Il mio io si rafforza, si allarga, si completa attraverso il suo io; se si
confondesse totalmente con me, non sarebbe più la mia fortezza, il mio con-
solatore, non sentirei più la gioia da lui e il dolore per lui. Egli è dentro il mio
io, il mio io è aperto a lui, è una comunicazione reciproca costitutiva del mio
io, ognuno è un io bipolare. Sono un io e siamo un noi nello stesso tempo»6.
Il dialogo quindi è la prima forma di comunicazione tra due o più persone
e una forma diretta e concreta di conoscenza reciproca.

108 nu 231
vasile stanciu

Il dialogo nello Spirito Santo crea premesse reali per una comprensione
oggettiva delle realtà attorno a noi.
La preghiera nello Spirito sostiene la comunione tra noi e quindi ogni
dialogo deve iniziare con la preghiera nello Spirito.
Senza questi princìpi non è possibile il dialogo della fede e i nostri sforzi
di unità rimangono solo a livello teorico.
Le Chiese si sono incontrate in convegni ecumenici, si sono conosciu-
te meglio, si sono avvicinate l’una all’altra. Ma è evidente che ciò non era
sufficiente e che Dio vuole qualcosa di più. Il solo dialogo teologico non co-
pre le aspettative delle persone o di Dio. E Chiara attraverso questa nuova
forma di spiritualità del Movimento dei Focolari propone un nuovo assetto
della struttura e della mentalità del dialogo teologico, basato non solo sul-
la teorizzazione della teologia, ma sul dialogo di fede illuminato dall’amore
reciproco, al centro del quale si trovano i due princìpi fondamentali del Mo-
vimento: vivere il vangelo nella propria Chiesa e la presenza di Gesù abban-
donato tra gli uomini, colui che troviamo in tutte le ipostasi della vita, anche
nel dialogo della fede.

2. il primato dell’amore

È noto l’episodio riportato dall’evangelista Marco al capitolo 10 del suo


Vangelo, quando il Redentore parlava ai suoi discepoli dell’imminente vici-
nanza della sua passione e quando Giacomo e Giovanni chiedevano il primo
posto tra gli altri apostoli. Gesù rispose: «Voi non sapete ciò che doman-
date» (Mc 10, 38), procedendo poi con una lezione d’amore umile: «Allora
Gesù, chiamatili a sé, disse loro: “Voi sapete che coloro che sono ritenuti
capi delle nazioni le dominano e i loro grandi esercitano su di esse il potere.
Fra voi però non è così; ma chi vuol essere grande tra voi si farà vostro ser-
vo, e chi vuol essere il primo tra voi sarà il servo di tutti. Il Figlio dell’uomo
infatti non è venuto per essere servito, ma per servire e dare la propria vita
in riscatto per molti”» (Mc 10, 42-45). I fondamenti biblici di questo primato
sono molto chiari ed espliciti: non dobbiamo mai chiedere a Dio la prece-
denza per soddisfare il nostro orgoglio o gli egoismi personali; l’esempio del

nuova umanità 231 109


punti cardinali
Il dialogo della fede e il primato dell’amore

mondo è fuori dallo spirito del vangelo e pertanto Cristo non lo accredita; la
preoccupazione essenziale dei cristiani deve essere quella di servire il pros-
simo, perché coloro che portano il nome di Cristo hanno come modello il
loro Maestro.
Sfortunatamente, il primato dell’amore è passato in secondo piano
o almeno non è preso sul serio. I cristiani si dividono tra loro i primi posti
mondani e non seguono l’esempio del Maestro. Però, nel corso della storia
abbiamo alcuni esempi in cui il primato dell’amore7 nei rapporti tra le Chie-
se è stato messo in luce. Mi soffermo solo su uno di essi che considero elo-
quente e senza precedenti nei rapporti tra le Chiese, in particolare perchè
nel 2017 si sono compiuti cinquanta anni da questo evento, unico nella vita
della Chiesa.

3. il primato dell’amore in papa paolo vi e nel patriarca


athenagoras

Nel giugno 1967, il patriarca ecumenico Athenagoras riceve il cardinale


Bea, accompagnato da una lettera, in cui affermava:

Il direttore è inteso a promuovere la decisione del decreto sinodale


sull’ecumenismo. I nostri appelli sono intesi a fare uno sforzo per
testimoniare la verità e il rispetto reciproco, riferendoci al caso
dato alla venerabile Chiesa ortodossa come fonte di ispirazione,
alla quale siamo così profondamente legati. I membri vogliono venir
incontro alla situazione attuale e sono anche aperti agli sviluppi che
lo Spirito vorrà inviarci8.

Il documento è stato ricevuto con gioia dal patriarca e ha preceduto la


storica visita di papa Paolo VI a Constantinopoli, dal 25 al 26 Iuglio 1967:
per la prima volta dopo tredici secoli un papa visita un patriarca ecumenico.
I due si erano precedentemente incontati a Gerusalemme e ora ricordano i
momenti trascorsi insieme nella Città santa. Papa Paolo VI prese la decisio-
ne di essere il primo a visitare il patriarcato ecumenico, secondo il principio
lanciato da Cristo: amare per primo! Spinto dallo spirito di questo principio,

110 nu 231
vasile stanciu

il papa ha aperto nuovi ponti. I motivi della visita sono stati i seguenti: raf-
forzare l’amicizia; mantenere vivo il ricordo dell’incontro a Gerusalemme;
ringraziare il patriarca per le ripetute delegazioni inviate a Roma; chieder-
gli di unirsi spiritualmente a lui nella celebrazione del centenario dei Santi
apostoli Pietro e Paolo; chiedere al patriarca di indicare i modi migliori per
realizzare l’obiettivo santo di ripristinare la piena comunione tra la Chiesa
ortodossa e quella cattolica9.
Attraverso questi obiettivi il papa ha assunto un altro primato, quello
dell’amore, del servire il prossimo, dell’umilità, della speranza. Una lezione
quasi incredibile per molti capi della Chiesa di oggi, che non è stata più ri-
petuta per modo e intensità. L’arcivescovo Kallistos Ware ha dichiarato: «Il
Papa ha conferito al primato giurisdizionale una nuova dimensione, ha teso
una mano al Patriarca come un umile atto di servizio in amore»10. Il papa
stesso ha testimoniato: «Noi abbiamo cercato di incontrarci l’uno con l’altro
e in tal modo abbiamo incontrato il Signore. Il mistero del nostro incontro,
cioè il ritrovo crescente, reciproco delle nostre Chiese, non è forse l’inces-
sante ricerca di Cristo e la fedeltà a Cristo che ci fa avvicinare gli uni agli
altri?»11.
Il loro incontro ha creato uno stato di grazia che non può essere espresso
in parole. Il gesto del loro abbraccio parlava infatti della gioia del ritrovarsi e
rivedersi. Cristo era presente in mezzo a loro e li ha avvolti con il suo amore.
E in questo abbraccio, con Cristo in mezzo a loro, emerge tutta la passione
per la Chiesa, la passione di cui parlava Paolo VI e su cui Chiara ha fatto
anche un breve commento:

La passione per la Chiesa, di cui ha parlato un giorno Papa Paolo


VI, regna nei cuori dei veri cristiani. Però deve passare dal piano
sentimentale a quello pratico, dove l’amore per tutta la Chiesa così
com’é - con le sue istituzioni, frutto di molti carismi che lo Spirito
Santo ha dato e le dà - chiama la conoscenza, e la conoscenza chia-
ma un nuovo amore12.

In risposta al gesto, unico, di papa Paolo VI, il patriarca Athenagoras ha


fatto un discorso nel quale affermava tra l’altro:

nuova umanità 231 111


punti cardinali
Il dialogo della fede e il primato dell’amore

Ed eccoci qui, guardando insieme al santo dovere verso la Chiesa e


il mondo intero [...] nel farlo, cerchiamo non solo l’unione delle no-
stre sante Chiese, ma anche l’adempimento di un riferimento uni-
versale. Vogliamo proprio mostrare con il nostro esempio e servizio
a tutti i nostri fratelli cristiani che siamo desiderosi di compiere la
volontà di Dio: che tutti siano uno, che il mondo creda che Cristo è
stato mandato nel mondo da Dio. Inoltre, ci rivolgiamo a tutti coloro
che credono in un unico Dio, il Creatore dell’uomo e dell’universo.
Collaborando con loro, vogliamo portare la buona notizia a tutti,
senza fare differenze di razza, fede o convizione. Quindi vogliamo
costruire la pace nel mondo e diffondere il regno di Dio sulla terra13.

Nell’autunno dello stesso anno, più precisamente il 26 ottobre, nel gior-


no di San Demetrio, il patriarca Athenagoras farà una nuova visita a papa
Paolo VI, questa volta in Vaticano, esclamando entrando a Roma: «Non
sono mai stato più felice di oggi» e aveva in mano l’invito del papa.
Questi due grandi uomini della Chiesa di Cristo, Paolo VI e Athhenago-
ras, sono divenuti amici di Chiara. Entrambi l’hanno riconosciuta e l’hanno
amata come una figlia spirituale, e lei li ha riconosciuti e amati come padri
spirituali. Questa relazione non sarebbe stata possibile se i tre non avessero
il carisma dell’unità. E questo dono dello Spirito Santo ha dato i suoi frutti
nella vita della Chiesa in un modo totalmente eccezionale.
Un dono simile si è ripetuto nella storia recente nel maggio 1999, quando
il papa Giovanni Paolo II ha visitato la Romania su invito del patriarca Teoc-
tist, quando davanti a quasi un milione di persone ha invocato a gran voce:
«Unità! Unità!», e poi nell’estate del 2001, quando il patriarca Teoctist ha
visitato il Vaticano.
È superfluo ricordare che il Movimento dei Focolari ha dato un contribu-
to essenziale anche in questa circostanza.

conclusioni

Dio è e rimane presente nella storia, prendendosi cura del mondo e del
suo popolo. La Chiesa è chiamata oggi a rispondere a tutte le sfide affrontate

112 nu 231
vasile stanciu

dall’umanità, ma anche alle sue sfide, sia interne che esterne. La spiritualità
dell’unità promossa dal Movimento dei Focolari rappresenta un’alternativa
credibile e voluta da Dio nel nostro sforzo per compiere il testamento del
nostro Salvatore «che tutti siano uno» (Gv 17, 21).
Chiara Lubich, il patriarca Athenagoras e papa Paolo VI hanno mostrato
concretamente che l’unità tra di noi si basa sull’amore e che l’unico primato
della speranza è quello dell’amore.
Siamo noi oggi in grado di seguire il loro esempio? Penso di sì! Attra-
verso l’opera dello Spirito Santo, attraverso la preghiera, chiamando Cristo
in mezzo a noi come l’unico che può sostenere questo sforzo di seminare il
primato dell’amore nel dialogo di fede.

1 
C. Lubich, Căi ale luminii, a cura di M. Vandeleene, trad. di M. Goţia, ARCB,
Bucarest 2008, p. 158; questo articolo, comprese le citazioni, è stato tradotto dalla
lingua romena.
2 
K.C. Felmy, Dogmatica experienței ecleziale – innoirea teologiei ortodoxe contem-
porane, introduzione e traduzione di I. Ică, Deisis, Sibiu 1999, p. 185.
3 
Ibid.
4 
Cf. ibid., p. 187.
5 
C. Lubich, Căi ale luminii, cit., pp. 313-314.
6 
D. Stăniloae, Spiritualitate și comuniune în Liturghia Ortodoxă, Mitropolia
d’Oltenia, Craiova 1986, pp. 431-432.
7 
La sintesi del primato dell’amore è stata ripresa dal patriarca ecumenico Athe-
nagoras che ha affermato: «Il dialogo più autentico e importante è il dialogo dell’a-
more», e queste parole rappresentano il motto scelto da Alja Payer nel suo libro
dedicato al centenario della nascita del venerabile patriarca.
8 
A. Payer, Der Őkumenische Patriarch Athenagoras I, ein Friedensbringer aus dem
Osten, Catholica Unio, Würzburg 1986, p. 101.
9 
Cf. ibid.
10 
Ibid.
11 
Ibid.
12 
C. Lubich, Căi ale luminii, cit., p. 156.
13 
Ibid.

nuova umanità 231 113


dallo scaffale di città nuova

Dare un volto alla Chiesa


le prime comunità negli Atti degli
Apostoli
di Carlo Broccardo

Le parole, le azioni, le scelte e perfino gli errori


dei primi cristiani possono oggi illuminare il
cammino dei credenti e della Chiesa?

Gli Atti degli Apostoli raccontano la vita quotidiana di alcune


tra le prime comunità cristiane; le azioni, le parole, le scelte di
persone che costruiscono la Chiesa, che le danno un volto at-
traverso i loro volti. Non è un’immagine preconfezionata, una
copia perfetta dell’idea che sta nella mente di Dio; Gesù all’i-
isbn nizio degli Atti dice a grandi linee qual è il progetto, ma come
poi si è realizzato è dipeso dalle scelte di gente come Barnaba
97888311188012 e Saulo, Pietro e Giovanni, Filippo e tanti altri di cui non cono-
pagine sciamo neppure il nome.
130 Oggi come Chiesa ci troviamo a vivere in una realtà che cam-
bia molto rapidamente e di fronte alla quale non è facile avere
prezzo
punti di riferi­mento; per questo continuiamo a leggere il libro
euro 16,00 degli Atti: perché le opere dei primi credenti sono per noi pa-
rola di Dio, una lampada che illumina, un punto di riferimento
a cui guardare.

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nu 231
alla fonte del carisma dell’unità

La centralità carismatica
nelle prime Parole di Vita

Il volume Parole di Vita1 inaugura la collana “Opere di


Fabio Chiara” edita dal Centro Chiara Lubich in collaborazione
con la casa editrice Città Nuova. L’iniziativa si propone
Ciardi di presentare in maniera sistematica il patrimonio di ri-
membro del ferimento del pensiero di Chiara Lubich, attingendo sia a
comitato quanto già edito sia a quanto ancora ampiamente inedi-
direttivo per la to. Gli scritti sono organizzati in blocchi omogenei: 1. La
pubblicazione persona; 2. La via spirituale; 3. L’opera. Parole di Vita è il
delle opere quinto volume della collana, nella seconda sezione, “La
di chiara
lubich. membro via spirituale”. È stato scelto di iniziare la pubblicazione
del centro delle “Opere” con questo titolo non soltanto perché le
interdisciplinare Parole di Vita costituiscono gli scritti più noti e più diffusi
di studi “scuola di Chiara Lubich, ma soprattutto perché la Parola di Dio
abbà”. vissuta è costitutiva del Movimento dei Focolari, definito
in maniera significativa: Un popolo nato dal Vangelo2.
All’edizione, da me curata, ho premesso una intro-
duzione che narra l’origine e lo sviluppo di questo sin-
golare genere letterario. La scelta di prendere in rilievo,
con scadenza regolare, una frase della Scrittura, di com-
mentarla e di proporla a un pubblico sempre più vasto
per essere vissuta costituisce un’autentica creazione di
Chiara. Apparsa su foglietti modesti e scritta con un lin-
guaggio alla portata di tutti, immediato, incisivo, diretto,
la Parola di Vita potrebbe dare l’impressione di essere
tra le opere minori di Chiara. La semplicità dei suoi com-
menti non deve tuttavia trarre in inganno. Vi si è dedi-
cata per quasi sessant’anni, convinta che fosse lo stru-
mento adatto per accostare il maggior numero possibile

nuova umanità 231 115


alla fonte del carisma dell’unità
La centralità carismatica nelle prime Parole di Vita

di persone alla Parola di Dio. La sua iniziativa ha offerto un notevole contri-


buto alla riscoperta della Sacra Scrittura nel mondo cristiano del Novecento,
trasmettendo soprattutto un “metodo” per viverla e condividerne i frutti.
Più che un commento al Vangelo, la Parola di Vita appare una sua lettura
carismatica, frutto di un’intuizione, di uno sprazzo di luce, di un deciso im-
pulso a metterlo in pratica, a viverlo. Essa non è ai margini della spiritualità
dell’unità propria di Chiara Lubich, ma una sua espressione “popolare”.
Specialmente nelle prime Parole di Vita, che guideranno la modalità di
lettura e di scrittura delle successive, appare evidente come l’intero Van-
gelo si incentri sull’amore, sull’amore reciproco, così che ogni Parola di
Vita porta a vivere l’amore, a generare la comunità cristiana, a rendere
viva la presenza di Gesù in mezzo ad essa, così da giungere all’unità chie-
sta da Gesù al Padre e venire introdotti nella vita trinitaria. È una lettura
della Parola di Dio fortemente carismatica, tutta nell’ottica dell’unità.
Nel 1980, quando la diffusione della Parola di Vita, ormai tradotta in de-
cine e decine di lingue, stava raggiungendo il suo apogeo, Chiara richiamava
fortemente i membri del suo Movimento a non identificare il proprio cari-
sma con la Parola di Vita, quanto piuttosto con l’unità, pur nella consapevo-
lezza che ad essa si giunge vivendo il Vangelo3.
Forse, con il passare degli anni, soprattutto quando Chiara ha chiesto ad
alcune persone una collaborazione nella stesura dei commenti, si è rischia-
to di perdere la visione originale della Parola di Vita quale strumento per
giungere all’unità. Per questo ho pensato di rileggere le prime sette Parole di
Vita, scritte tra il 1947 e il 19494, in modo da coglierne l’intenzionalità ultima
in esse fortemente presente. Ho scelto le prime sette semplicemente per
il simbolismo del numero, ma si potrebbe proseguire e scavare, al di sotto
dell’apparente semplicità, la profondità racchiusa in tante delle successive
Parole di Vita.

Giugno 1947: «Chi ascolta voi, ascolta me» (Lc 10, 16)

L’interpretazione della prima Parola di Vita, «Chi ascolta voi, ascolta


me», è fortemente legata alla tradizione, che vedeva nel sacerdote «colui

116 nu 231
fabio ciardi

che ti porta la voce di Gesù, chiunque Esso sia», anche perché era rivolta
ad un gruppo particolare denominato «La Crociata dell’unità»5. Si afferma,
senza distinzione e senza una necessaria opera di discernimento, che «la
sua parola è Parola di Dio». Si intravede una visione sacrale del sacerdote,
tipica del tempo nel quale Chiara Lubich scrive e di cui è debitrice6. Trent’an-
ni più tardi, nel 1978, nei suoi scritti sulla gerarchia della Chiesa, la lettura
di questa stessa pagina evangelica è già notevolmente sviluppata. Narrando
l’esperienza degli inizi del Movimento Chiara riporta questo commento del
1947, ma lo riferisce ai vescovi, non più ai sacerdoti. Legge infatti la frase di
Gesù nel contesto evangelico, e mette in luce come essa sia stata rivolta
agli apostoli. Il riferimento è al magistero nel suo insieme, piuttosto che al
singolo sacerdote7.
In queste conversazioni del 1978, che hanno come titolo Uomini al servi-
zio di tutti, si ripercorre la storia del Movimento mostrando i frutti del rap-
porto d’obbedienza ai vescovi e più in generale al magistero della Chiesa.
Significativo, tra gli scritti degli anni precedenti e citati da Chiara, uno del
1960: «Io ammetto adesso, voltandomi indietro, che il vivere profondamen-
te, sinceramente, generosamente questa parola (“Chi ascolta voi ascolta
me”) è stata una delle cause per cui il nostro Movimento si è diffuso come
un’esplosione. Veramente, chi resta unito a Lui, attraverso la Gerarchia, por-
ta gran frutto»8. «Non ci occorse un lungo studio – conclude Chiara – per
sapere se Cristo era presente o no nella Gerarchia, che continua Pietro e gli
Apostoli. Bastò che balzasse luminosa al nostro cuore e alla nostra mente
la verità contenuta nella parola del Vangelo: “Chi ascolta voi, ascolta me”»9.
Nel commento del 1947 appare assertiva e perentoria anche l’afferma-
zione: «Ogni autorità viene da Dio. Obbedisci dunque all’autorità, perché
essa ti dice quello che Dio vuole da te». È evidente il riferimento a Rm 13, 1-2,
senza tuttavia che il commento accenni alla distinzione fra il valore dell’au-
torità in sé e il suo esercizio. Che l’ordine sociale sia voluto da Dio e che
occorra un’autorità non significa che tutto ciò che essa comanda sia voluto
da Dio10.
Nonostante questo limite, il commento di Chiara sull’autorità presenta
spunti interessanti. Si rivolge innanzitutto non soltanto a chi deve obbedi-
re, invitandolo a un’obbedienza perfetta, sia esso figlio, cittadino, operaio,

nuova umanità 231 117


alla fonte del carisma dell’unità
La centralità carismatica nelle prime Parole di Vita

studente, religioso, socio di una società, ma anche a chi è in autorità, chie-


dendo che sia altrettanto perfetto nell’esercizio del suo ufficio; ed eccola
indirizzarsi al padre, al governante, al datore di lavoro, all’insegnante, al
superiore, al direttore. Il rapporto tra autorità e obbedienza è coniugato in
maniera diffuso nella vita quotidiana ad ogni livello. Ognuno, qualsiasi sia
la sua posizione, è chiamato a trascendere il proprio ruolo nella comune
ricerca della volontà di Dio, più ancora a cercare uno solo: Dio – scritto con
lettere maiuscole.
Il commento, fin qui, paga il tributo ad una interpretazione comune, pur
corretto con quest’ultimo deciso orientamento di tutti verso l’unico Dio.
Ma ecco, improvviso e inatteso, un cambio di direzione, un salto di qua-
lità. Il compito a cui è chiamato chi legge la Parola di Vita non è più coman-
dare o obbedire in maniera perfetta, ma «far crescere Cristo in mezzo alla
società». L’affermazione è corroborata dal punto esclamativo. Il rapporto tra
autorità e “sudditi” sfocia in una socialità nuova, che «ha Cristo in mezzo», e
che, grazie a questa presenza, si “rivoluziona” nelle persone e nelle dinami-
che relazionali, apportando i frutti del Cristo presente: pace, luce, prosperi-
tà, progresso, benessere. È l’idea di Gesù in mezzo e della sua azione sulla
comunità, idea centrale che Chiara, negli ultimi anni della vita, ha collocato
a conclusione dell’elenco delle varie componenti della sua spiritualità dell’u-
nità, come dodicesimo “punto”, quasi compimento di essa.
Il commento, iniziato con un forte accento sull’autorità e sull’obbedien-
za, porta a vivere la Parola alla luce del carisma dell’unità, a rapporti non più
o non solo improntati dal comando e dall’obbedienza, ma dalla ricerca di
Dio, dall’amore reciproco, fino a generare tra tutti la presenza di Gesù e una
nuova conseguente socialità.

9 settembre 1947: «Se la vostra giustizia non avrà abbondato più di quella
degli scribi e dei farisei, non entrerete nel regno dei cieli» (Mt 5, 20)

Questa seconda Parola di Vita inizia come termina la precedente, met-


tendo immediatamente in rilievo il punto di approdo: «far crescere Cristo in

118 nu 231
fabio ciardi

te e nei tuoi fratelli, perché tutti siano uno ed il Testamento di Gesù abbia il
suo compimento».
Essa è interamente centrata sull’“amore”, lemma che nel breve com-
mento è presente 16 volte, seguito da “carità”, che ricorre 9 volte. Il motivo
è presto detto: «Perché Dio è Amore e vuole amore. Là dov’è il cuore è tutto
il nostro essere». Tutto parte dalla carità e ad essa converge, perché Dio è
carità.
Al centro del commento si legge un credo di rara bellezza, scandito
come una poesia:

Credo in Dio che è amore;


Che mi ha creato per amore;
Che mi ha redento per amore;
Che mi vuol salvo per amore;
Che esige amore per darci se stesso che è l’Amore.

La superiorità della giustizia chiesta da Gesù sta dunque nell’amore: «La


giustizia di Dio che è Carità». La vera giustizia promana dall’amore di Dio
e insieme è risposta a tale amore. La giustizia chiesta da Gesù, secondo la
lettura di Chiara, è dunque:

la giustizia nella Carità


la giustizia della Carità
la giustizia che è Carità.

Non si tratta di mero sentimento, precisa con forza, ma di pieno ed esi-


gente adempimento della volontà di Dio.
Una volta che la persona, “l’intimo”, è ordinato dalla carità, tutto l’agire
è informato dalla carità ed è quindi adeguato alla costruzione di una società
nuova: «solo in quest’ordine le leggi avranno valore».
Il commento alla Parola di Dio approda a quanto enunciato fin dalla pri-
ma riga: occorre riaccendere «la fiamma della divina Carità», amando Dio e,
per dimostrargli quest’amore, amando i fratelli.

nuova umanità 231 119


alla fonte del carisma dell’unità
La centralità carismatica nelle prime Parole di Vita

Senza un’apparente continuità logica, l’amore richiesto è detto essere


quello della «mutua continua Carità che precede tutte le cose» e che regola
i rapporti con gli altri. È questa la giustizia grata a Dio.
Ancora una volta la lettura che Chiara fa di una parola evangelica è in-
teramente orientata a far emergere l’esigenza dell’amore insita in essa, so-
prattutto dall’amore reciproco, in vista del dispiegarsi del regno dei cieli.

26 ottobre 1947: «Chi resta in me ed io in lui, questi porta


grande frutto» (Gv 15, 5)

Il commento inizia col riaffermare la dottrina classica della “grazia san-


tificante”, sempre “suscettibile di aumento”, che porta come frutto la “sal-
vezza eterna”. Più personale la proposta del compimento della volontà di
Dio (“io in lui”) come via perché la sua volontà rimanga in noi (“lui in me”).
Dopo questo avvio piano, ecco l’impennata inattesa e originale che
collega la volontà di Dio con il testamento di Gesù, ossia, come lo intende
Chiara, l’amore reciproco vissuto in modo da condurre all’unità. Ancora una
volta siamo davanti a una lettura della Parola di Dio nella luce carismatica
dell’unità.
La spiegazione del collegamento tra volontà di Dio e unità è mediata da
un’immagine cara a Chiara, che tornerà anche in successivi commenti alla
Parola di Vita, quella del sole, simbolo della volontà di Dio, che è Dio stesso,
e dei raggi che rappresentano la divina volontà su ciascuno.
Se ognuno cammina verso il sole nella luce del proprio raggio, diverso e
distinto da quello degli altri, compiendo il particolare disegno di Dio su di sé,
quanto più s’avvicina al sole tanto più s’avvicina agli altri: «Quanto più ci av-
viciniamo a Dio coll’adempimento sempre più perfetto della divina Volontà,
tanto più ci avviciniamo fra noi... finché saremo tutti UNO», quell’Uno che è
compimento finale della volontà di Dio11.
Dunque, anche questa Parola di Vita, come le altre, si mostra via all’u-
nità. In quel «finché saremo tutti UNO» appare evidente il riferimento alle
ultime invocazioni rivolte da Gesù al Padre nel capitolo 17 di Giovanni, che

120 nu 231
fabio ciardi

costituiscono il cuore del carisma di Chiara: «Perché siano come noi una
cosa sola». Il versetto in oggetto, Gv 15, 5, viene letto alla luce di Gv 17, 22.
Il passaggio successivo è ancora in linea con la comprensione carisma-
tica del Vangelo propria di Chiara, ed appare inaspettata e originalissima:
“rimanere in Cristo” viene inteso come “rimanere nel fratello”, dal momento
che «Gesù s’è fatto “presenza” in tutti i tuoi fratelli». La proposta di vita è
dunque rimanere «nei loro dolori, nelle loro preoccupazioni, nelle loro fati-
che, nei loro bisogni, nelle loro gioie», in modo che, a loro volta, «i dolori, le
preoccupazioni, le fatiche, le pene, i travagli, le gioie [degli altri] rimangono
in te».
Di conseguenza – ma è una logica ancora una volta sorprendente – i frut-
ti di cui parla Gesù in Gv 15, 5 per Chiara sono le “opere di misericordia”. Si
torna dunque alla centralità della carità che sprigiona anche da questa Paro-
la di Vita e che porta a costruire la comunità. Se infatti si vive Gesù nell’altro,
così che l’altro viva in noi, ciò che si raccoglierà – ed è questa la conclusione
del commento – saranno “anime per il Paradiso”: ecco apparire di nuovo
l’unità (il Paradiso) dei molti (le anime).

Marzo-aprile 1948: «Vigilate e pregate per non entrare in tentazione»


(Mt 26, 41)

La quarta Parola di Vita inizia in maniera colloquiale, col pensiero alla co-
municazione di «esperienze, vita vissuta, pratica del Vangelo», tipico aspet-
to di come va vissuta la Parola di Vita, affidata a una comunità prima che a
singole persone12.
Chiara passa quindi in rassegna le Parole di Vita vissute nei mesi prece-
denti mostrando il legame che le unisce, sorpresa lei stessa della continuità
tra l’una e l’altra: «Come guida bene le cose il Signore!». Il susseguirsi del-
le Parole di Vita è dunque inteso come un cammino progressivo nella vita
spirituale. Non è evidente una logica successione tra le varie frasi bibliche
scelte in quei mesi per essere vissute una dopo l’altra, eppure i frutti che
esse operano mostrano un legame nascosto, una logica divina, che nasce
dal valore intrinseco della Parola di Dio13.

nuova umanità 231 121


alla fonte del carisma dell’unità
La centralità carismatica nelle prime Parole di Vita

Riferendosi ad esempio alla precedente Parola – «Chi resta in me ed io


in lui, questi porta grande frutto» – scopre che tra quanti l’hanno vissuta
essa ha operato «spontanea, benefica, meravigliosa espressione della vita
d’unità, la “comunità cristiana” colla equiparazione dei beni, voluta dal dono
libero ed amoroso del soprappiù, tanto da emulare fra noi la vita dei primi
Cristiani»14. La reciproca immanenza tra la singola persona e Cristo si dilata
in una comunione più ampia che porta a vivere l’unità e quindi a far nascere
la comunità cristiana. È proprio questo lo scopo della Parola di Vita, creare
la comunità15.
Giunge ora la nuova Parola di Vita – «Vigilate e pregate per non entrare
in tentazione» (Mt 26, 41). Anche questa viene letta alla luce del carisma
dell’unità – «l’ideale che il Signore ci ha donato» – proteso verso «l’unità di
tutti i cristiani cattolici, e per essi di tutto il mondo, nella mutua carità, che
abbellisca d’ogni virtù la “Sposa di Cristo”». Ancora una volta l’unità si con-
ferma come la meta a cui la Parola di Vita intende condurre.
Essa cada su persone che conoscono «la pienezza del gaudio e della
pace nella vita d’unità, pienezza concessa a chi è Uno con Dio e col pros-
simo». L’unità non è soltanto il frutto della Parola vissuta, ma anche il luo-
go in cui essa viene accolta: la Parola di Dio domanda di essere vissuta da
una comunità con Gesù in mezzo, l’unico che può interpretare, nello Spirito,
le proprie parole16. Vivendo la Parola in unità essa genera un’unità anco-
ra maggiore, fino a lasciare intravedere «i bagliori “dell’aurora” d’un nuovo
giorno, il giorno del fraterno amore, della mutua carità».
Il commento si conclude con la parola “amore”, chiesta come dono a Dio:
«Che Dio ci arda di amore».

Luglio 1948: «...Non c’è remissione, senza spargimento di sangue» (Eb 9, 22)

Più ancora che nelle precedenti Parole di Vita in questa l’accento è posto
quasi esclusivamente sulla carità e sull’unità.
Inizia rivolgendosi ai lettori chiamandoli «fratelli e sorelle nell’Unità», e
ricordando che il sangue di Gesù, a cui fa riferimento la Lettera agli Ebrei, è
«l’ultima e più forte espressione d’un’infinita carità».

122 nu 231
fabio ciardi

Dare la vita fino all’estremo – lo spargimento del sangue – è richiesto non


soltanto per «la conversione e la santificazione delle anime», ma anche per
il raggiungimento dell’unità, che è lo scopo che si prefigge il Movimento, al-
lora chiamato semplicemente con il nome di “Unità”, «movimento di anime
verso il compimento dell’ultimo desiderio di Gesù».
Anche in questo commento il legame tra l’affermazione della Lettera
agli Ebrei e la preghiera di Gesù al Padre, esplicitamente citata – «il grido
del Sangue di Gesù: “Ut omnes unum sint!”» – non è immediato né evidente.
Chiara ne trova il nesso grazie alla sua tipica ottica carismatica, che le fa
percepire tutto alla luce dell’unità e tutto tendente all’unità.
Il richiamo al sangue porta a considerare la necessità della «rinunzia,
sacrificio, morte di sé» per giungere all’unità: «Anche noi, Fratelli e Sorelle
[…] possiamo offrire al Signore una moneta che valga per la realizzazione di
quell’Ideale che nessun dolore riuscirà a strapparci dal cuore». Si intravede
l’altro grande tema della spiritualità dell’unità: Gesù abbandonato – «La Cro-
ce di Gesù ed il suo massimo grido di dolore» – che genera l’unità proprio
nel momento dell’apparente disunità con il Padre, quando amore e dolore si
identificano: «È puro amore soltanto il puro dolore».
Sviluppando il tema del dolore come via all’unità, il commento offre
un’ulteriore comprensione su come Chiara preparava i commenti: attingen-
do alla propria esperienza. La domanda retorica che rivolge al lettore – «E
allora come ci potranno spaventare le persecuzioni, le mormorazioni, le fal-
se interpretazioni, l’esser chiamati pazzi, insensati, fanatici, l’esser da tutti
abbandonati?» – è articolata accennando a una serie di situazioni che, a
una prima lettura, sembrano scelte grazie a sensibilità letteraria, passando
in rassegna, in maniera astratta, le più diverse sofferenze che domandano
di essere vissute in sintonia con il grido di Gesù in croce. Ognuna di que-
ste Parole descrive invece l’esatta situazione che Chiara e il suo Movimento
stanno vivendo in questo momento, quando al vescovo di Trento giungono
accuse nei loro confronti e si prospetta lo scioglimento del gruppo17. Questa
situazione, nella quale il Movimento e la persona stessa di Chiara sono sotto
processo, non scalfisce, anzi rafforza l’unità – tema centrale del commento
alla Parola di Vita – con la Chiesa rappresentata dalla persona del vescovo:

nuova umanità 231 123


alla fonte del carisma dell’unità
La centralità carismatica nelle prime Parole di Vita

«per nessun motivo, rompiamo l’unità perché l’unità è sacra come il deside-
rio d’un Dio».
Come nelle precedenti Parole di Vita riappare la figura di «Gesù fra noi,
uniti nel suo Nome», che giganteggia grazie ad una vita vissuta nell’amore
a Dio e nel «vicendevole amore, che UNO SOLO È IL COMANDO DEL DIO
FATTO UOMO, A CUI TUTTI GLI ALTRI CONVERGONO: “Amatevi gli uni
gli altri. Come Io ho amato voi, così amatevi a vicenda. Da questo tutti co-
nosceranno che siete miei discepoli, se vi amerete scambievolmente” (Gv
13, 34-35)».
Parola dopo Parola si continuano a ribadire la centralità dell’unità, la ca-
rità, l’amore reciproco, Gesù in mezzo. Quest’ultimo commento termina, in
maniera significativa, con due sole parole: «Carità – Unità».

12 novembre 1949: «Lucerna del tuo corpo è l’occhio. Se il tuo


occhio è puro, tutto il tuo corpo sarà illuminato» (Lc 11, 34)

Il commento a questa Parola di Vita, inserito da Chiara nel suo libro an-
cora inedito “Paradiso ’49”, è uno dei testi più noti dell’Autrice.
La prima parte, un autentico inno all’unità e a “Gesù in mezzo”, inizia con
il famoso: «Se siamo uniti Gesù è fra noi. E questo vale. Vale più d’ogni altro
tesoro […]. Vale più […] delle opere d’arte d’una grande città come Roma,
[…] più della nostra anima!»18.
Chiara continua tematizzando la santità comune, in questa che è l’era
«non d’un santo, ma di Lui; di Lui fra noi», così che il corpo mistico e la «Co-
munità Cristiana» vengono edificati insieme, «in unità d’amore»19. Viene ri-
affermata la centralità della carità fraterna quale «comandamento-base»,
perché «ove è la carità ivi è il Cristo nel Cristiano». La finalità ultima rimane
«far uno di tutti ed in tutti l’Uno!».
Anche questa Parola di Vita è per Chiara l’occasione per esporre la cen-
tralità evangelica della carità e dell’unità colte alla luce del proprio carisma:
è lo sguardo dell’occhio puro illuminato dalla luce dello Spirito, attraverso il
quale «chi guarda in esso è Dio», che le fa leggere il Vangelo in profondità e
con una sintesi nuova.

124 nu 231
fabio ciardi

La seconda parte del commento riprende, in continue variazioni, il me-


desimo motivo dell’amore che proietta fuori di sé, nell’altro: «Guarda fuori di
te: non in te, non nelle cose, non nelle creature: guarda al Dio fuori di te per
unirti con Lui». Fino a ingenerare la reciprocità dell’amore, perché «l’amore
è amare ed esser amato: è la Trinità». Siamo ancora una volta riportati al
comandamento nuovo dell’amore reciproco: «Nel fraterno amore è il com-
pimento d’ogni desiderio di Dio che è comando: “Io vi do un comandamento
nuovo: Amatevi a vicenda”», capace di compenetrare i cuori «in fusione per-
fetta», fino a che «tutti saranno uno. E attorno a te crescerà la Comunità
come attorno a Gesù: dodici, settantadue, migliaia...».
È un compendio del carisma dell’unità affidato a Chiara, dove tornano, in
maniera ciclica, i temi dell’amore e del dono, della reciprocità dell’amore, di
Gesù in mezzo, dell’unità, della comunità cristiana. La Parola di Vita fiorisce
su queste realtà e insieme le genera.

10 dicembre 1949: «Se avrete fede quanto un granello di senapa,


direte a questo monte: Passa di qua a là, e passerà, e niente vi sarà
impossibile» (Mt 17, 19)

Il commento alla Parola, anch’esso inserito nel libro “Paradiso ’49”, riba-
disce in maniera sintetica la tematica dell’amore, affidandola ad un breve
scritto dall’accento fortemente autobiografico: «Devo avere in cuore solo
una cosa: amore. E metter questo amore alla base».
Originale l’interpretazione del “monte” da spostare, costituito da tutto
ciò che impedisce la presenza viva, la voce e l’azione dello Spirito: «Io vivo
credendo ed agendo in modo che in me ed attorno a me ogni montagna
sia spostata ed al suo posto viva lo Spirito Santo». Lo spostamento o la di-
sintegrazione di ogni ostacolo all’azione di Dio, «perché viva Dio, lo Spirito
Santo», richiede il distacco da tutto, «anche da Dio per Iddio, vivendo Gesù
Abbandonato come fine dell’attimo presente».
In questo rapporto tra io e Dio, ecco apparire, nella seconda parte del
breve commento, il terzo soggetto del rapporto, il fratello. L’attenzione, por-
tata finora su se stesso e sulla propria azione purificatrice, si rivolge adesso

nuova umanità 231 125


alla fonte del carisma dell’unità
La centralità carismatica nelle prime Parole di Vita

verso l’altro, che domanda di essere amato come se stessi: «Voglio – duran-
te la mia giornata – trasportare ogni montagna che incontro nell’anima del
fratello o dei fratelli. Le incenero coll’amore».
Chiara fa suo il peso e l’abbandono dell’altro, la sua “montagna”, che sarà
trasportata, eliminata, perché non ponga più alcun ostacolo alla presenza
e all’azione di Dio. «Allora vivrò tutta la mia giornata trasportando tutte le
montagne, incendiando tutte le anime». Il lavoro su se stessa sarà frutto del
lavoro operato sulle persone incontrate. Ancora una volta la Parola di Vita
orienta all’amore del fratello, in modo che ogni ostacolo sia superato e si
generi fra tutti l’unità.

In conclusione, queste prime Parole di Vita propongono una lettura del


Vangelo a partire da quello che Chiara considera il punto centrale e finale
di esso, il testamento di Gesù20. Questa sua tipica visione è frutto di un ca-
risma caratterizzato, fra l’altro, in quanto dono dello Spirito, proprio da un
particolare tipo di lettura evangelica. Ogni Parola di Dio, perché contiene
ed esprime tutte le altre Parole, ha in sé tutte le componenti degli elemen-
ti carismatici della spiritualità propria di Chiara Lubich: scaturisce da Dio
amore e ne è una sua espressione, porta a vivere la sua volontà, soprattut-
to nell’amore al fratello, più ancora nell’amore reciproco, fino a condividere
l’abbandono di Gesù come espressione concreta dell’amore, così da avere
la pienezza della presenza di Gesù in mezzo, che crea la comunità, l’unità21.
Sono le “idee-forza” della spiritualità dell’unità che Chiara ritrova in ogni Pa-
rola di Vita.
Quando all’inizio del 2000 ella mi chiamò a collaborare con lei alla pre-
parazione dei commenti, più volte, sorridendo e compiaciuta, rilevava come
ogni Parola di Vita, qualunque essa fosse, alla fine portava ad amare e che,
di conseguenza, ogni commento giungeva a questa conclusione. Mi figura-
vo allora il Vangelo come un prato dai mille fiori, tanti quante le sue parole;
un prato impregnato d’acqua – l’amore –, che non si vede in superficie, ma
che affiora ad ogni passo: tutto amore.
Che ogni Parola di Dio sia amore appare ancora più evidente in quelle
prime Parole di Vita che Chiara scriveva sotto una grazia particolarmente
intensa, legata alle origini carismatiche. Potrebbe sembrare un’enfasi ecces-

126 nu 231
fabio ciardi

siva, non sempre rispettosa di una lettura esegetica oggettiva. Al contrario,


cogliere la centralità dell’agápe in ogni parola evangelica è andare al cuore
della Buona notizia, che fa coincidere l’annuncio con il Maestro stesso che
l’annuncia; ogni sua parola è dunque espressione del suo essere amore.
Chiara lo aveva scoperto, con intensità unica, proprio nel periodo in cui
iniziava a scrivere questi primi commenti. Lei stessa l’ha narrato più tardi:

Vivendo una Parola e poi un’altra e un’altra ancora, avevamo costa-


tato come, mettendo in pratica qualsiasi Parola di Dio, gli effetti alla
fine erano identici. Il fatto è che ogni Parola, pur essendo espressa
in termini umani e diversi, è Parola di Dio. Ma siccome Dio è Amore,
ogni Parola è carità. Crediamo d’aver in quel tempo scoperto sotto
ogni Parola la carità. E, quando una di queste Parole cadeva nella
nostra anima, ci sembrava che si trasformasse in fuoco, in fiamme,
si trasformasse in amore. Si poteva affermare che la nostra vita in-
teriore era tutta amore22.

Nel commento alla Parola di Vita di gennaio 1950, appena successiva


alle sette prese in considerazione, ne spiega in maniera ancora più profonda
il motivo: «Ogni Parola di Dio è come un frammento d’Ostia Santa: contiene
tutto Gesù. Contiene cioè l’Uomo-Dio, un finito infinitizzato ed un infinito
finitizzato. È un’espressione particolare, fatta per alcune persone che con-
tiene però in sé la Luce per tutte». Vi è dunque una pericoresi tra tutte le
parole del Vangelo, ognuna esprime tutto Gesù e tutto il suo amore. È così
che ogni parola può trasformarsi in fuoco, in fiamme, in amore.
Termino ponendo in rilievo un verbo che appare nel commento di mar-
zo-aprile 1948. Parlando della Parola di Vita vissuta nel mese precedente
vi si afferma: «La gustammo, la vivemmo il più possibile». La prima azione
nell’accogliere la frase evangelica proposta per il mese non è dunque leg-
gerla con attenzione, studiarla, meditarla, pregarla, neppure viverla: è “gu-
starla”, un verbo che ricorda il Sal 34, 21: «Gustate e vedete com’è buono
il Signore», o ancora Eb 6, 4-5: «Quelli che sono stati una volta illuminati e
hanno gustato il dono celeste e sono stati fatti partecipi dello Spirito Santo
e hanno gustato la buona parola di Dio». Viene alla memoria lo stupore e la
meraviglia di quanti ascoltavano le parole di Gesù (cf. Mt 7, 28), al punto che

nuova umanità 231 127


alla fonte del carisma dell’unità
La centralità carismatica nelle prime Parole di Vita

anche le guardie del tempio erano costrette ad ammettere: «Mai un uomo


ha parlato così» (Gv 7, 46).
Per poter vivere la Parola di Vita occorre premettere un atto di contem-
plazione, gustarne la bellezza, prendere coscienza che è Dio stesso che si ri-
volge a noi con amorevole condiscendenza, desideroso di avviare un dialogo
di salvezza. Solo allora, quando la si è accolta come autentica Parola di Dio
che ci parla, si può sperare di viverla e ci si lascia vivere da essa.

1 
C. Lubich, Parole di Vita, a cura di F. Ciardi, Città Nuova, Roma 2017.
2 
Cf. E.M. Fondi - M. Zanzucchi, Un popolo nato dal Vangelo, San Paolo, Cinisello
Balsamo 2003.
3 
«L’unità, dunque, è il nostro ideale e non un altro. E ciò va sottolineato anche
oggi e molto più oggi che i primi tempi. Allora, sotto la spinta dello Spirito, la cosa
era chiara. Adesso è evidente per i focolarini e per quegli altri membri dell’Opera
che noi chiamiamo interni. Senz’altro si fa unità in focolare e così, spero, nei nuclei,
nelle unità gen e così via. Ma nel Movimento? Fra tutti gli altri? Non c’è il pericolo
che in certi luoghi il nostro, anziché apparire il Movimento dell’unità possa sembra-
re un Movimento che vive e diffonde la Parola di Vita? Vivere la Parola è cosa otti-
ma, ma anche questa pratica deve svolgersi nella realtà dell’unità. L’unità prima di
tutto» (C. Lubich, L’unità e Gesù Abbandonato, Città Nuova, Roma 1984, pp. 43-44). 
4 
Il commento pubblicato per primo nel libro delle “Opere” è stato inserito come
esempio dei commenti al Vangelo che Chiara faceva a voce, agli inizi della sua espe-
rienza, o nelle lettere che scriveva a diversi destinatari, sia personalmente che a
gruppi. Non si tratta ancora propriamente del genere letterario “Parole di Vita”, che
inizia nel 1947 con la loro pubblicazione. Lo stesso si può dire di quella, non pubbli-
cata, datata settembre 1951, e per quelle senza data, alle pp. 92-95, testimonianza
di come Chiara leggeva il Vangelo e lo applicava alla vita.
5 
Cf. L. Abignente, “Qui c’è il dito di Dio”. Carlo de Ferrari e Chiara Lubich: il discerni-
mento di un carisma, Città Nuova, Roma 2017, pp. 90-105.
6 
In particolare, in questa prima parte del commento si può riconoscere l’influs-
so di padre Casimiro Bonetti, ofm capp, allora assistente del nascente gruppo.
7 
Riportando il testo della Parola di Vita del 1947, là dove indica i ministri come
«quelli che avrebbero fatto la parte Sua», omette la specificazione: «Sono i suoi Sa-
cerdoti». Corregge «vedi nel Sacerdote colui che ti porta la voce di Gesù», con: «vedi
nel ministro…»; ugualmente «Gesù vuol farsi ascoltare attraverso i Suoi Sacerdoti»,

128 nu 231
fabio ciardi

con: «i suoi ministri» (cf. Uomini al servizio di tutti [1979], in Dio è vicino, (C. Lubich,
Scritti spirituali / 4, Città Nuova, Roma 1981, p. 102).
8 
Ibid., p. 104.
9 
Ibid., p. 125.
10 
Basterebbe rileggere al riguardo l’enciclica Pacem in terris, di Giovanni XXIII,
quando ricorda: «L’autorità umana può obbligare moralmente solo se è in rapporto
intrinseco con l’autorità di Dio, ed è una partecipazione di essa. In tal modo è pure
salvaguardata la dignità personale dei cittadini, giacché la loro obbedienza ai poteri
pubblici non è sudditanza di uomo a uomo, ma nel suo vero significato è un atto di
omaggio a Dio creatore e provvido, il quale ha disposto che i rapporti della convi-
venza siano regolati secondo un ordine da lui stesso stabilito; e rendendo omaggio
a Dio, non ci si umilia, ma ci si eleva e ci si nobilita, giacché “servire Deo regnare
est”» (n. 29). «Qualora pertanto le sue leggi o autorizzazioni siano in contrasto con
quell’ordine, e quindi in contrasto con la volontà di Dio, esse non hanno forza di ob-
bligare in coscienza, poiché “bisogna obbedire a Dio piuttosto che agli uomini” (At
5, 29); in tal caso, anzi, l’autorità cessa di essere tale e degenera in sopruso» (n. 30).
11 
È un’immagine che, con modalità diverse, ritroviamo nella storia della spiri-
tualità, ad esempio in Doroteo di Gaza, che descrive un cerchio disegnato per terra:
«Pensate che questo cerchio sia il mondo, il centro del cerchio, Dio, e le linee che
vanno dal cerchio al centro le vie, ossia i modi di vivere degli uomini». L’immagine
prosegue in maniera particolareggiata mostrando come gli uomini, simboleggiati
dalle linee, «a mano a mano che procedono si avvicinano a Dio e si avvicinano l’un
l’altro e quanto più si avvicinano l’un l’altro, si avvicinano a Dio», e viceversa… (cf.
Doroteo di Gaza, Insegnamenti spirituali, traduzione e note a cura di M. Paparozzi,
Città Nuova, Roma 1979, pp. 123-125). Chiara non poteva naturalmente conoscere
questo testo, allora praticamente inaccessibile.
12 
Più tardi lei stessa metterà in rilievo la dinamica della comunicazione delle
esperienze come espressione caratteristica della Parola di Vita: «Non si viveva sol-
tanto singolarmente, ciascuna per pro­prio conto, la Parola di Dio. Le utili esperienze,
le illuminazioni, le grazie ricavate dalla vita di essa erano messe in comune, dove-
vano essere messe in comune, per l’esigenza della spiritualità dell’unità che vuole
che ci santifichiamo insieme. Si sentiva il dovere di co­municare agli altri quanto si
sperimentava» (C. Lubich, Essere tua Parola [testi scelti a cura di F. Ciardi], Città
Nuova, Roma 2008, p. 41).
13 
Nei Vangeli stessi spesso i diversi detti di Gesù solo legati tra loro artificial-
mente, a volte soltanto grazie a parole simili, ad accorgimenti mnemonici, a richiami
tematici.
14 
Fa riferimento anche a una successiva parola evangelica, di cui non è giunto
il commento – «Se non vi convertirete e non diverrete come i piccoli, non entrerete

nuova umanità 231 129


alla fonte del carisma dell’unità
La centralità carismatica nelle prime Parole di Vita

nel Regno dei Cieli» (Mt 18, 3) – che ha avuto come effetto: «annientarci, annullarci,
per lasciar vivere Lui in noi. Due voci distinguemmo dentro di noi: la Sua, la nostra».
15 
Probabilmente il termine “comunità cristiana”, virgolettato, si riferisce all’O-
pera di padre Beda Hernegger. Al Focolare era stato chiesto di animare, anche
proprio attraverso la Parola di Vita, i membri di quest’Opera che si costituivano
appunto in gruppi denominati “comunità cristiane” (cf. L. Abignente, “Qui c’è il dito
di Dio”, cit., pp. 116-121, 131-133). Il frutto della Parola di Vita è comunque più ampio
del servizio alla “comunità cristiana” di padre Beda. Essa porta, come viene qui af-
fermato esplicitamente, «a vivere l’unità».
16 
Cf. nota 20.
17 
Cf. L. Abignente, “Qui c’è il dito di Dio”, cit., pp. 107-116, 134-139.
18 
Chiara ricordava l’impressione che fecero su papa Paolo VI queste parole, ri-
ferite soprattutto alla città di Roma, quando lei per la prima volta gli parlò di Gesù
in mezzo.
19 
Il riferimento sembra essere ancora quello alle “comunità cristiane” di padre
Beda, ma si intravede comunque la comunità cristiana in quanto tale.
20 
In maniera colloquiale, parlando a un gruppo di giovani religiosi, così si espri-
meva: «Una delle prime pagine che abbiamo letto ancora i primissimi tempi, quando
forse avevo due, tre, quattro compagne, è stato il Testamento di Gesù, come loro
sanno. E il Testamento di Gesù mi si è tutto illuminato, tanto che lo capivo, ed è tan-
to difficile specie per una ragazza come io ero allora. […] Ora, quando leggevamo
poi il Vangelo, chi ci insegnava a capire la Parola di vita? Era Gesù in mezzo a noi. Lui
proprio come in mezzo ai discepoli di Emmaus spiegava la Parola e il nostro cuore
batteva in petto, perché trovavamo qualche cosa di questa Parola, qualche cosa di
bello da mettere in pratica, da vivere, e soprattutto la trovavamo rivoluzionaria, per-
ché vedevamo la comunità cristiana che andava crescendo attorno a noi. […] Se si
potesse raffigurare il Vangelo come un terreno, e qui c’è il Testamento di Gesù che
è alla fine, prima della morte di Gesù, il Signore ha come bucato lì il terreno e ci ha
fatto andare sotto, e ci ha fatto scoprire le radici della Parola, di ogni Parola di Dio,
le radichette. E noi abbiamo scoperto, vivendola la Parola, che le radici erano tutte
Amore» (C. Lubich, Una domanda. Una risposta, in «Gen Re», 11 [1986], pp. 1, 9).
21 
Così ad esempio, nel Discorso per il dottorato honoris causa in Sacra teologia a
Manila, il 14 gennaio 1997, sintetizza le «idee-forza colte nel Vangelo», che avrebbe-
ro dato vita alla spiritualità dell’unità: «Dio, nuovo Ideale della nostra vita, che si ma-
nifestò, in mezzo agli orrori della guerra, frutto dell’odio, per quello che veramente
era: Amore; fare la volontà di Dio ed il vivere la sua Parola come nostra possibilità di
rispondere al suo amore con il nostro; amore al fratello, specie se bisognoso, come
comando in cui sta tutta la legge; attuare con radicalità il comandamento nuovo,
tipico di Gesù; farsi carico della croce, di ogni croce, personale, dei prossimi, e pre-

130 nu 231
fabio ciardi

sente nella Chiesa o nell’umanità; realizzare l’unità con Gesù e con i fratelli, come
si coglie nella sua preghiera per l’unità; vivere con quella presenza di Gesù fra noi
promessa a coloro che si uniscono nel suo Nome e cioè nel suo amore. Tutto ciò
cibandoci ogni giorno dell’Eucaristia, vincolo d’unità; vivendo la Chiesa soprattut-
to come “comunione”; imitando Maria, “Madre dell’unità” nella sua desolazione;
lasciandoci guidare singolarmente ed insieme dallo Spirito Santo, Amore-Persona
nella Trinità e vincolo d’unità anche fra le membra del Corpo di Cristo» (Dottorati
honoris causa conferiti a Chiara Lubich, a cura di F. Gillet e R. Parlapiano, Città Nuova,
Roma 2016, p. 81).
22 
Paradiso ’49, in AA.VV., Il Patto del ’49 nell’esperienza di Chiara Lubich, Studi
della Scuola Abbà, Città Nuova, Roma 2012, pp. 12-13.

nuova umanità 231 131


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si è fermata lì, non è cambiata seguendo il procedere del no-
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nu 231
alla fonte del carisma dell’unità

Storia di Light. 15
Vita in Mariapoli

semplicità
Igino
I programmi dei corsi di lezioni – o delle missioni?
Giordani non si sa come chiamarli, perché tutto avviene in letizia,
alla luce del sole in libertà e carità – sono concepiti se-
(1894-1980)
confondatore condo una gradualità per cui partono dai primi rudimen-
del movimento ti per gli ignari e arrivano ai più intensi insegnamenti per
dei focolari. i formati.
scrittore, I nuovi arrivati, detti novissimi, conoscono la città da
giornalista e
una pellicola illustrativa delle vicende del 1958 e da una
parlamentare
della repubblica spiegazione elementare fornita da una ragazza. Anche
italiana. i bambini, poiché partecipano con eguaglianza di titoli
– e qualche preminenza altresì – alla vita della Mariapo-
li, seguono un loro corso, in cui si impiegano le risorse
della pedagogia più recente che è poi quella della carità,
per cui il maestro si fa uno con gli scolari, e adopera
rumori, suoni, canti, passeggiate, e corse…
C’era ieri mattina un francesino il quale piangeva
fuori la porta della sala San Paolo perché nessuno lo
conduceva alla sala del suo convegno a Tonadico! Fi-
gurarsi! Appena seppero la causa di quella desolazione
auto e motoscooter e biciclette furono offerte per tra-
sbordarlo alla sede di sua competenza, previo un gelato
da passeggio.

nuova umanità 231 133


alla fonte del carisma dell’unità
Storia di Light. 15

Nella repubblica di questi bambini – Mariapoli nella Mariapoli – ferve


un’attività intensa, di sport, di canti, di giochi.
Ieri in focolare, giocarono a fare il dentista. Un bambino di quattro anni
segnalò che gli tremava un incisivo, ragione per cui il facente funzioni di
odontoiatra, di sei anni, lo fece sedere su una sedia a sdraio, mentre un aiuto
dentista quattrenne apprestava un asciugamano; e gli altri addetti al gabi-
netto gli reggevano la testa e le gambe… E tutto fatto con serietà, regolarità
e probità professionali; tanto è vero che l’odontoiatra, avvolto da una specie
di camice bianco, esaminato il dente, prese a tirarlo, quantunque il paziente
gridasse. Ma gli infermieri lo inchiodarono alla sedia fino a che, tira e tira,
non riuscì al cerusico di estrarre l’incisivo ed esibirlo con un gesto di trionfo,
tra gli alalà della folla.
Hanno sei, otto, dodici anni… ma partecipano alla vita intensa della Ma-
riapoli obbedienti e infaticabili.
Vanno al cinema nel convento delle suore e al vedere Monsier Vincent,
Gaietta spiega che il protagonista è lo stesso attore, Fresnay, dello “Spretato”.
«Che parola! – obietta Maria Assunta – quello spretato. Meglio sarebbe
dire “imprestato”».
Nei propri reparti, vigilati da focolarini e focolarine i bambini la sera con-
fabulano pur se cascano dal sonno e confondendo questa decadenza delle
loro testoline sul petto e sul tavolo, mentre le focolarine grandi a quell’ora
lavorano, leggono, fanno tante cose, Elena geme: «Che disgrazia essere nate
piccole!» e compatisce con uno sbadiglio Cosetta che dorme.
Però una mattina che, per la prima comunione di Anna, un focolarino
ha fatto un brindisi dicendo che occorre farsi piccoli come Anna, Elena ha
bisbigliato: «Che fortuna che noi siamo già piccole!».
I ragazzi recitano un dramma di loro composizione: “Il martirio di san
Tarcisio”. Ci si sono preparati con una serietà, che costituisce un esempio.
La naturalezza degli attori è tale che quando il compagno di giochi scopre
Tarcisio ucciso, e deve gettarsi sul suo corpo piangendo, si mette a piangere
sul serio con tale intensità emotiva che tutti gli spettatori fanno altrettanto.
Tutto in libertà. A nessuno si impone nulla, non esistono regolamenti.
Tutti però capiscono che nell’atmosfera della Madre, occorre farsi uno: farsi
la volontà del fratello, possibilmente del capofocolare o di chi è incaricato

134 nu 231
igino giordani

a dirigere la mensa, a governare la casa, a disporre i raduni. Chi dirige a sua


volta è diretto da altri responsabili i quali prendono gli ordini da chi è a capo
della città.
Ma gli ordini si distribuiscono – scendono come alito dalle cime, libera-
mente, invisibilmente, portando l’amore; e in essi si vede che l’autorità se-
condo il Vangelo è carità. Tanto che tutti sono felici di obbedire; considerano
un atto di amore l’obbedienza. E questo determina una disciplina profonda,
anche se non è appariscente poiché non si accompagna a passi dell’oca, a
colpi di tacchi, a grida perentorie… Qui l’autorità difende la libertà: che è la
libertà d’amare, cioè di servire.
Obbedendo a questo programma, che la mattina padre Nazareno legge
al termine della Messa della comunità e che così sembra scaturire dall’alta-
re, quasi dal calice del sangue di Cristo, insieme con la parola di vita che sca-
turisce quasi dal messale, essendo prelevata dal Vangelo, tutti sperimenta-
no di giorno in giorno che pianamente, soavemente, in Mariapoli si realizza
il piano di Maria tra gli uomini, che è di fare un cuore solo e un’anima sola.
E si vede che la cosa non è poi così difficile. Questi giovani tedeschi sono
i primi a prendere in giro l’Organisation, l’Ueber Organisation, teorizzata da
qualche maestro impastoiato di filosofia metodologica: questi francesi sono
i primi a ridere di certe manie esistenziali espresse dalle immancabili burle
circolatorie: brasiliani e olandesi e inglesi e africani e asiatici di ogni terra
salutano esclamando: «Ciao…» e cantano le canzoni di altre lingue…
Tutto si mette in comune, con una naturalezza, semplicità e logica tali
che piuttosto le divisioni qui risultano artifici di Satana per ammazzare,
come è suo programma, l’uomo.
Così il secondo giorno i novi che ieri erano novissimi, vanno alla sala
Santa Caterina; fuoco e sangue.
Parla Giosi, una delle prime compagne. La sala è gremita, gli stranie-
ri mettono la cuffia e un religioso – che chiamano Nazareno perché il suo
sguardo naviga sul mare di Galilea – presenta la popa.
La quale sottile, pallida in volto, con occhi azzurri, assorta, parla della
Chiesa: figlia che parla della madre. Subito chi ascolta vede la Madre, per-
ché sente la figlia: l’innocenza di quegli occhi, la convinzione di quelle parole
dicono la realtà viva del corpo mistico: se è possibile quel candore, se si dà

nuova umanità 231 135


alla fonte del carisma dell’unità
Storia di Light. 15

quella limpidezza di idee, uno argomenta che la Chiesa c’è, ed è vergine e


madre; e che è bella e dolorante come Maria.
Non si ama con quella dedizione una struttura umana, un’organizzazione
anche bella; si ama con quell’amore una creatura divina e umana. Che è il
corpo stesso di Cristo.
Anche i sacerdoti sono commossi; anche i bambini stanno incantati ad
ascoltare; non capiscono le parole, ma sentono l’alito dello Spirito…
Sempre quel congegno del Magnificat: del Signore che si vale degli umili
per le cose grandi; che prende una giovinetta di un villaggio ignorato e la fa
Regina dell’universo: Madre di Dio.
Sulle labbra di queste focolarine – e presto tutti conoscono per nome
almeno Chiara e di vista almeno Silvana e Graziella e tante altre – fiorisce un
linguaggio religioso che è teologicamente corretto. Solo che non è fatto del
frasario tradizionale: si esprime con formule nuove, immagini trovate ora,
parlando della lingua del nostro tempo. Nova et vetera. E la teologia ringiova-
nisce; cola dai volumi in folio e si fa linguaggio di giornata.
Presentata, per esempio, come è presentata nell’esposizione di Giosi, la
Gerarchia si illumina di una bellezza nuova ed il suo mistero s’incardina nel
sacrificio dell’altare: organo di trasmissione del divino nel mondo.
La lezione si snoda dentro un silenzio la cui profondità si misura quando
al termine, di colpo, da tutte quelle persone che parevano statue, erompe
un’ovazione impetuosa, pari a un incendio in una cattedrale.
Segue un’interruzione, in cui la folla sciama nel cortile a raccontare l’una
all’altro le proprie impressioni.
Poi dopo dieci minuti si riprende.
Ora parla Marco il primo focolarino, ex-elettricista. Egli è stato con due
compagne, Lia e Fiore, nell’America del Sud e racconta l’avventura. Un’av-
ventura è perché nessuno dei tre era stato mai oltre il mare. Presero l’aereo
e andarono fidati in Dio, senza programmi precisi; in questo Movimento non
ci si muove mai con elenchi precisi e piani prefabbricati; ci si affida a Dio.
Non c’è pericolo di fissarsi nell’immobilismo o di perdersi nell’uniformità.
Laggiù incontrarono un apostolo della famiglia cristiana, il passionista
padre Richard, il quale lo scorso inverno a Roma, conosciuto il Movimento,
ebbe a dire che esso stava alla sua opera come il medicinale sta alla clinica.

136 nu 231
igino giordani

Attraverso quei viaggi si vide che dovunque si va, si va a casa; dove sono
uomini, sono fratelli; l’amore è fatto per tutti e apre le porte di tutti.
In Argentina e in Cile e in Brasile sempre tra i nostri si sta, e l’ecumenicità
della Chiesa ecumenizza la vita del focolarino. Marco non sapeva né spa-
gnolo né portoghese e tuttavia parlò a congressi dove erano anche vescovi
e professori universitari. Per la sua semplicità, per la validità del messaggio
da lui portato, lo capirono e molti si associarono, sì che anche laggiù fiorisce
la nostra famiglia.
E ora in Mariapoli ci sono brasiliane, di cui due dalla pelle nericante a
testimoniare che ci vogliono tutti e sette i colori per formare la bianchezza
dell’iride che è Maria.
Da Montevideo a San Paulo, da Rio de Janeiro a Santiago, come ieri, da
Malè a Bolzano.

armonia di fuori e di dentro

Nei raduni qualcuno narra la sua esperienza. Ed è quanto mai istruttiva.


Perché infine le prove sono sempre simili e capitano in forme nuove e pur
fondamentalmente identiche a tutti o a molti.
Per esempio, questa persona, la quale i primi giorni si sente a disagio tra
i popi, perché abituata in ambienti difficili, tra persone dotte, che si scam-
biano salamelecchi e giudizi temerari su terzi, incarna un tipo quanto mai
frequente. Per illuminarla su questa verità: che c’è una sapienza dei piccoli,
dei semplici, la quale, essendo da Dio anziché dai libri, vale per la vita dello
spirito più dei filosofemi dei dotti, senza nulla detrarre a questi – e si pensa
al grande Pasteur che avrebbe voluto avere la fede almeno del carbonaio,
non potendo aspirare a quella della carbonaia –, i ragionamenti non servono:
radicata nella convinzione che contino più le carte stampate che la vita, più i
concetti che le virtù e che la fede sia cultura (come si diceva in antico: la pi-
stis sia gnosis)… Per illuminarla su questa verità ci vogliono altre esperienze.
Tra i divieti di questa città uno dei più perentori è quello che bandisce la
musoneria.

nuova umanità 231 137


alla fonte del carisma dell’unità
Storia di Light. 15

La musoneria, al pari di sua sorella maggiore la solitudine, è il rivesti-


mento color nocciola dell’uomo vecchio: e qui dove si è tutti popi, non si
ammettono che uomini nuovi.
A ogni buon conto, per contribuire alla vaporizzazione di malinconie,
idropisie e altri umori grigio-plumbei, agisce un servizio di commedie comi-
co-morali e di canzoni da festival.
Lo scenario, fatto di coste erbose con sopracciglia di rocce, culminan-
te nelle tre pale di San Martino, che dispiega filari di conifere come canne
d’organo, si spalanca ad accogliere canti senza fine e li rinforza con echi
sfuggenti offrendo il fondale in sol minore del torrente che scroscia lontano.
La mattina in chiesa si canta in italiano, in tedesco, in latino, in francese,
in spagnolo e altre lingue di passaggio. Sono canti corali, alcuni nuovissimi,
altri antichi in cui le voci stesse, con la loro varietà si compongono per l’a-
more a Dio, in armonie innamorate, sì che ne vengono fuori laudi maliose
alla cui auscultazione bravo è chi non si commuove. Più d’uno che non si era
convertito agli argomenti della teologia, si converte a questi accenti della
liturgia, a cui le ogive della cattedrale e le vetrate d’oro e di viola fanno cassa
armonica. Veder occhi stillar pianto è lo spettacolo di ogni giorno in chiesa.
Ma si canta anche fuori chiesa. E con canti scherzosi spesso, e belli sem-
pre: perché curati con impegno.
Li cura un ex-operaio tessile, cuciniere in focolare e maestro di musica
in Mariapoli: un compositore delicato per il quale il canto è preghiera: lode
al Signore e pianto del peccatore e poi eruzione di letizia per la gratitudine a
chi ci ha creato. Ché qui veramente si vede che la vita è bella. È bella e unica:
e si vive intensamente, per sfruttarla sino all’ultimo minuto; restituendola
in offerte d’amore al suo Creatore. La giornata così è tutta un’opus Dei: una
liturgia; ché parlando e trattando col fratello si ama e si serve in lui il Signore,
riposandosi e cantando si rende gloria al Signore, componendosi e ricompo-
nendosi in corpo sociale di Maria si dona ai fratelli il Signore. Si vive con Dio:
e Dio è la Vita: e vita più oltretomba.
Altro che malinconia, altro che musoneria. Se il dolore viene – e il dolore
sempre viene – se ne fa combustibile di amore.
Emilio Faggioli ha allestito una schola cantorum, che riceve le lezioni sui
prati entro vallette amene, al riparo di meli e poggi. Ai cantori il maestro ha

138 nu 231
igino giordani

messo in testa – e lo mette nelle nostre orecchie con inserzioni canore, pari
a irruzioni d’energia d’oltremondo – che attraverso le note musicali si scala il
cielo. E non ha torto: ché alla fine se si va a vedere, si trova che quella scala
è Maria.
Però – dicono i mariapoliti – se Emilio seguita a digiunare, un bel giorno
– anzi un brutto giorno – ci sfuma come un sospiro sensibilizzato nell’etere,
al primo ventar dalle Alpi. Onde gli fanno festa, per animarlo a prendere
zabaioni. Cantano in sua lode:

È una musica soave


Come un piatto di ravioli,
che intramezzano le fave
Colle note di Faggioli.
Ché Faggioli col suo canto
Ti trasforma in poesia
Melotragica il tuo pianto,
ti fa il duolo melodia.
E su quelle zone belle
Par che il cielo più non piova,
accordando dalle stelle
luce a questa città nuova.

L’armonia esprime bene l’operazione comunitaria della Mariapoli, intesa


a suscitare un’armonia degli spiriti. È promossa difatti dai focolarini dell’uni-
tà, e cioè da una famiglia religiosa, che si propone di realizzare il testamento
di Gesù: «Che tutti siano uno».
Era il programma del papa e rispondeva all’istanza più impellente di
una generazione cacciata contro lo spigolo aguzzo di un dilemma: o unità
o atomica.
Questa spiritualità scaturisce dal Testamento di Gesù: «Io non sono più
nel mondo, ma essi sono nel mondo […]. Conservali nel Tuo nome, Tu che
me li hai dati, affinché siano uno, come siamo noi. […] Ora io vengo a te, e
questo dico al mondo, affinché abbiano la gioia perfetta […]. Come tu, Pa-
dre, sei in me e io sono in te, anche essi siano uno in noi, affinché il mondo
creda» (Gv 17, 11-21).

nuova umanità 231 139


alla fonte del carisma dell’unità
Storia di Light. 15

Tutti vedono quanto il Signore dicesse la verità chiedendo questa unità


al Padre.
Farsi uno è rinunziare al proprio io.
L’ascetica cristiana inizia da questa rinunzia lo smantellamento degli
egoismi e dei particolarismi. A chi arriva in Mariapoli spesso par questo un
rinunziare alla propria personalità, come a un valore; e invece è un sostituire
a un elemento umano un dono divino: un mettere la personalità di Cristo
nelle specie umane di me, di te…: quasi un’incarnazione del divino in noi. E
quella che pareva una perdita, risulta un guadagno: guadagno di Dio, gua-
dagno del fratello, guadagno di una gioia perfetta: e il frutto è – come qui si
vede – che chi vede questa gioia, fiore di questo farsi uno, crede in Cristo, si
converte.
E si sperimenta che il fratello, con cui ci si fa uno, è come ianua coeli, che
apre l’accesso all’Eterno: questo fratello, coi reumi, statico, ineducato, ma-
laticcio, si fa viadotto a Dio, alla pienezza della vita, a una letizia mai sentita
uguale.
Si capisce qui la verità che qualche padre greco colse: che il peccato è
essenzialmente divisione. Entrata la colpa in casa di Adamo, Caino uccide
Abele.
Il nuovo Adamo, Gesù Cristo, si fa uccidere lui perché i fratelli si riuni-
scano; la nuova Eva, offre lei il Figlio alla croce perché si ricomponga l’unica
famiglia.
Il sacrificio del Calvario suggellò col sangue la preghiera del crocifisso:
che siano tutti uno.
La santa Messa che prolunga quel sacrificio, aduna i fedeli perché fatti
uno, accolgano le grazie di esso.
E il 3 agosto, domenica, in una chiesa zeppa di popolo mariapolita, il no-
stro direttore spirituale – l’assistente dell’Opera di Maria, don Pasquale Fo-
resi – ha ricordato i valori anche sociali della Messa. Essa è il sacrificio a cui il
popolo di Dio, l’assemblea liturgica, partecipa e, in questo si fa uno, è corpo
mistico di Cristo che offre l’olocausto – e si offre anche con Cristo in olocau-
sto – al Padre. Separarsi e chiudersi in se stessi, durante quell’offerta comu-
nitaria, fatta anche per farci uno, perché viviamo la natura umano-divina su-
scitata dall’uomo-Dio con l’incarnazione, illuminata con l’evangelizzazione

140 nu 231
igino giordani

e suggellata con la passione, morte e resurrezione – chiudersi nel guscio del


proprio io per allacciare rapporti esclusivistici col Signore, individualmente,
per filo diretto e scomporre il disegno di Dio e sciupare la bellezza del valore
comunitario e unitario della Messa: è perdere il beneficio di una preghiera,
la cui potenza principale risiede nell’unità dei richiedenti.
Queste cose ci ricorda il celebrante al Vangelo. Egli è forse il più giovane
dei sacerdoti presenti in Mariapoli e tuttavia lo sentiamo padre e maestro e
non ci stupiamo della sua giovinezza in questo sodalizio civico della Maria-
poli che è nato da giovinette, è fatto da ragazzi e mira alla giovinezza peren-
ne dello spirito. Sapendo quale sia la sua funzione tra noi, mentre ascoltiamo
una parola chiara, che mette a portata nostra i misteri della fede e dispiega
i valori supremi della Messa, viviamo con immediatezza la comunione tra
noi, come avvio e condizione della comunione con Dio. Ché il senso del di-
scorso detto in tutta semplicità, secondo lo stile del Vangelo, sta in questo:
abbattere le paratoie levate tra uomo e uomo, tra popolo e popolo, abbat-
tendo insieme le paratoie levate tra umanità e divinità e già solo tra laicato
e sacerdozio, tra città e Chiesa. La convivenza umana, per questa coscienza
si fa stanza della comunione con Dio: la città degli uomini si fa tempio per
unirsi al Padre; l’umanità dà immagine e somiglianza di Dio, facendosi corpo
mistico di Cristo, s’inserisce nel circuito della Trinità.
Fuori dalla porta laterale, mentre don Foresi predica, si muove una cala-
ta di prati e abetaie su per il monte, fino a quella parete di Dolomite che si
svolge a mo’ di un castello lacrimante al primo sole.
E vedendo questi tesori e intuendo il Paradiso, tra il ricordo del tempo
sciupato, una nostalgia corale ci prende, come un canto di esilio, iridato di
speranza: un canto che di colpo si fa eterno, soave, come intonato da angeli
pellegrini: e dice con invocazione accorata: Viviamo insiem Gesù.
Questo è: vivere ciascuno insieme con Gesù; vivere Gesù tutti quanti
insieme. E allora è essere Cristo amans se ipsum: Cristo che amando, ama,
nei fratelli, sé.
Mettendosi a circolare tra i mariapoliti e conversando con loro e veden-
done la vita, anche i villeggianti di Primiero intravedono di che si tratta. Ca-
piscono che i mariapoliti non sono venuti per smorzare e attenuare i lumi e
comprimere l’intelligenza e il sentimento: tutt’altro: sono venuti per viverla

nuova umanità 231 141


alla fonte del carisma dell’unità
Storia di Light. 15

la vita e viverla più abbondante. I villeggianti cioè da quel che dice e fa la


Mariapoli, si accorgono che occorre sì, accumulare vitamine, immagazzi-
nare ossigeno, rifornirsi di fosforo e allenare i muscoli: ma le vitamine non
bastano, il fosforo non soddisfa che il corpo, i muscoli non allestiscono il
moto dello spirito. Insomma: «non di solo pane vive l’uomo»: vuole anche il
companatico, a cui il Vangelo dà il nome di Amore. E di questo ha parlato il
5 agosto la Lia, trattando il tema: «Dio Amore».
La Lia è una delle prime focolarine che nel 1948 insegnava a Fustro, un
villaggio alpino dove – quando lo vidi col suo abbandono tra conifere e scapi-
colli – ebbi l’impressione che una maestra dovesse salirvi per accender lumi.
Lia vi accese fuochi.
Lia non recita una lezione: dona l’anima; con semplicità e forza. Racconta
come le prime focolarine sotto i bombardamenti nel 1943-1945, per cercare
una liberazione si volgessero a Dio – la Vita – e trovassero che la scala d’ac-
cesso era l’amore.
Questo si tradusse in servizio ai fratelli, qualunque essi fossero. E in quel
servizio trovarono uno scopo all’esistenza e una fonte di letizia, in mezzo
agli orrori del conflitto. Una vicenda inconsueta, piena di imprevisti che Lia
ha esposto con semplicità, svegliando una commozione intensa quando ha
recitato brani di un articolo su Città Nuova, dove si esprime la volontà di
concorrere a suscitare una primavera nuova sopra l’inverno glaciale dell’a-
teismo e dell’amoralismo.
Nell’intervallo i nuovi arrivati tedeschi parlavano con gli italiani a portata
di mano e mentre glottologicamente non si comprendevano, spiritualmente
si comunicavano l’anima: e più si ingolfavano in quel colloquio in cui gli uni
non capivano gli altri, più cresceva la gioia, che zampillava in esclamazioni
tripudianti, con esplosioni di risate.
A Fiera di Primiero e paesi circonvicini dove la Mariapoli si incastella,
circolano persone di ogni gusto, provenienza e calibro. Circolano turisti
equipaggiati per scalare con ricche auto le montagne, e signore agghindate
secondo le prescrizioni Schuster e Dior, e giovinette coi pantaloni alle gam-
be e un cane al guinzaglio. E tra mezzo circolano i mariapoliti. Si mescolano,
ma non si confondono. I mariapoliti possono anche essi calzare scarponi e
giacche a vento. Le donne possono anche esse andar vestite con garbo, ma

142 nu 231
igino giordani

le ragazze non indossano calzoni; e tutti, di ogni età, presto si riconoscono


a occhio nudo: si riconoscono dalla modestia del vestito e dell’espressione:
immessi nell’orbita mariale tutti, dopo un giorno, due, tre, intonano l’ester-
no, vesti e occhi, all’interiore anelito alla purezza di Maria: e allora anche le
vesti più dimesse perché portate col proposito di onorare Maria, diventano
eleganti dell’eleganza della virtù sorella della bellezza.
Arrivano uomini del mondo finanziario, degli affari, della politica e della
cultura; i quali non degnano di prestar l’orecchio a ragazze o persone che
parlano di religione. Sì, magari, credono in Dio, sì, magari potranno un al-
tro giorno attendere a queste cose, ma ora vogliono distrarsi; sono venuti
quassù per divertirsi; le loro dame fumano a tutto spiano con arie cosmo-
politiche.
Accade che qualcuno per motivi di conoscenza o per qualche circostan-
za inattesa, ascolti una focolarina o un focolarino o un sacerdote, oppure
vada in chiesa, ascolti i canti, ed ecco che resta colpito; intravede un mondo
insospettato; si informa e la folgorazione – tale è spesso – l’investe; e – fatto
comune – la notte non dorme. L’anima ha sentito l’afrore (n.d.r., odore pene-
trante) del paradiso, è la patria – e si agita e grida… E anche i più refrattari
si confessano (se i confessori potessero parlare, verrebbero fuori drammi
potenti, racconti di gloria) e, contrariamente agli impegni, non partono: si
fermano sinché abbiano bene ancorato il cuore a questa famiglia.
Sono quattro le conferenze al giorno.
Con questi monti stupendi uno preferirebbe spender la giornata a sca-
larli. E invece qui migliaia di persone spendono la giornata a scalare il cielo,
ascoltando giovanette e preti e uomini maturi… per ore sino a che rivoli di la-
crime non solchino le gote… Come non bastasse, dietro le colonne e sotto le
sedie, sono nascosti magnetofoni di ogni calibro per captare parole e canti,
e portarseli lontano, sì da prolungare la Mariapoli dentro la prosa massiccia,
vocale e strumentale della città.
E questo è il miracolo di Dio, ché chi parla è gente semplice, umile e
magari timida.
È venuto uno stormo di inglesi, non tutti cattolici. E tra loro un giovinotto
alla teddy-boy, con la pelle tatuata, i capelli all’aria. Egli la sera, dopo cena,
va al dancing. Sorpresa della Mariapoli, in cui il dancing non ha senso, come

nuova umanità 231 143


alla fonte del carisma dell’unità
Storia di Light. 15

non hanno senso quei concerti con canzonette, dai caffè, dove la gente affa-
ticata per parer divertita, si strugge di noia. Alle caute rimostranze, il teddy-
boy replica che non si dà cena senza danza.
Si convertirà? Dopo tre giorni, nel partire, gli si domanda: «Che porti via
dalla Mariapoli?».
Egli si torce un ciurlo in capo e dopo averci ripensato, scoppia: «Porto via
acqua e sassi. Ora crosciano in fondo alla mia anima… Non so che ne verrà
fuori».
Non c’è che fare: qui o ci si converte o si parte. Quest’anno capita que-
sto: che per convertirsi i nuovi venuti per prima cosa vanno a confessarsi,
quasi per gittare a valle l’uomo vecchio e scalare l’altura. Il confessionale è
la porta d’accesso: di lì entrano nella comunità, qui trovano Padre e fratelli,
a cui li presenta la Madre.
I flussi più intensi di mariapoliti si verificano il sabato sera in arrivo, la
domenica sera in partenza: nella notte di mezzo molti non sanno dove dor-
mire. Allora sopravviene la carità: e molti dei futuri partenti sono lieti di dare
i propri letti ai nuovi arrivati. Dormono per terra e con questo atto coronano
la Mariapoli.
Alcuni dei nuovi arrivati di primo acchito brontolano perché non trovano
il bagno o mancano degli agi e servizi dei grandi alberghi, però quando se ne
vanno sono lieti di aver dato il letto o magari il materasso ad altri pellegrini, a
fratelli. Hanno scoperto la felicità inaudita che si trae dal servire il prossimo.
Arrivano pullman pieni di persone che vengono magari per un giorno in
Mariapoli, come a un santuario. Difatti vi si confessano, ascoltano la Messa,
fanno la comunione: come da una piscina in cui si purificano. E tornano giù
nel piano, stanchi e felici.
Quanto sia fascinosa questa convivenza, lo dicono i fatti: e il fatto più
grave che tutti deplorano, quasi furto continuato, anche se non ci sia scasso,
è questo: che i giorni volano. Sono soffiati via da un angelo, il quale passa
ratto (n.d.r., veloce). Ti alzi la mattina e, appena ti volti, sei a letto, la sera.
10, 20, 30 giorni: un soffio. Sei arrivato e riparti. Qui, anche senza aver letto
Goethe uno si volge all’etere, specie nei giorni che non lo pezzano le nubi
e grida: «Attimo fermati, sei bello!». Ogni attimo è bello, perché ancorato

144 nu 231
igino giordani

all’eterno e speso per Iddio e non annegato nell’aspettativa nirvanica o nei


ricordi del passato.
Ogni momento è «una piccola eternità», come dice Fenelon: e si spende
per la grande eternità. E perciò il Signore viene come un ladro e se lo porta
via per farne la condizione della beatitudine senza fine. E i mariapoliti canta-
no, coi ritmi popolareschi:

Come una fiaba


l’estate passa:
c’era una volta,
poi non c’è più.

Vero è che la canzone corretta in Mariapoli prosegue, insegnando come


perpetuare questo incanto anche nel lavoro, giù in città e anche nel dolore
dentro la solitudine.

nuova umanità 231 145


dallo scaffale di città nuova

LA CHIESA
di Chiara Lubich
a cura di Brendan Leahy e Hubertus Blaumeiser
Meditazioni sulla Chiesa, comunità ecclesiale
cristiana, che incarna l’esperienza comunitaria di
amore evangelico.
Un “giardino” in cui fioriscono le parole di Gesù: è la carat-
teristica prospettiva da cui Chiara Lubich coglie ciò che è la
Chiesa nei piani di Dio. La vede perciò innanzi tutto nella sua
isbn dimensione carismatica, come “Vangelo incarnato”, e in que-
97888311144537 sta chiave legge anche la sua dimensione gerarchica.
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Per la prima volta una raccolta di testi di Chiara
Lubich sullo Spirito Santo.
Da qualche anno, il Movimento dei Focolari propone ai lettori
raccolte di scritti, pensieri, e testi vari di Chiara Lubich su ogni
cardine della spiritualità dell’unità.
È arrivato il momento di raccogliere in un volume i testi
dell’Autrice con particolare attenzione all’effusione dello Spi-
rito agli inizi del Movimento, al suo ruolo di Maestro interiore,
agli insegnamenti e all’azione rinnovatrice dello Spirito.
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nu 231
in biblioteca

Contro il sacro o contro pregiudizi


invalidanti?
E. Boncinelli, Contro il sacro. Perché le fedi ci rendono stupidi, Rizzoli,
Milano 2016

Il testo dello scienziato italiano Edoardo Boncinelli, dal titolo ad effet-


to Contro il sacro. Perché le fedi ci rendono stupidi, indaga, dal punto di vista
di uno scienziato non credente, l’importante e complessa realtà del Sacro.
Nella prima parte di questa recensione si richiameranno brevemente le idee
e le convinzioni di fondo che ci sembra di aver colto del testo, cosicché si
possano avere a disposizione degli elementi necessari per capire realmente
di cosa si stia parlando. In un secondo momento, invece, si farà qualche con-
siderazione, anche critica, su alcuni punti che suscitano perplessità.

ripresa del testo

Dalla ricchezza del testo è possibile enucleare alcuni centri tematici fon-
damentali. Il primo verte sull’idea (?) del sacro. Al sacro come realtà chiusa
e piena di significato, si contrapporrebbe la categoria di profano: come ciò
che sta al di fuori del sacro1. Il sacro però sarebbe uno spaccato della nostra
psiche più profonda e un sentimento, risultando un vero problema per la nostra
facoltà razionale. Apparterrebbe, infatti, alla regione più profonda della nostra
irrazionalità: risultando quasi una necessità fisica di una serie di punti fissi da cui
partire e sui quali fondarsi. Così parlare di sacro significa sancire l’intoccabilità
di cose e di concetti, ma anche di valori e norme assunte a priori e senza discu-
terle. Ciò sarebbe la base che condurrebbe a posizioni e convinzioni assolute
e settarie. La tesi di fondo vuole sostenere che la realtà del sacro si fonda
sul quel senso di nullità che l’uomo, diversamente da ogni altro animale,
avverte nei confronti della natura; vissuto alla base sia della convinzione di

nuova umanità 231 147


in biblioteca

una presunta provenienza da una realtà altra alla quale si vuole fare ritorno
(causa della nascita dei miti delle origini e di un’età dell’oro perduta presenti in
buona parte delle civiltà antiche), sia del bisogno di comunanza e di socialità
che delineano un témenos: area sicura e familiare che assolve al bisogno di
una casa comune e di una legittimazione di un ordine superiore.
Lo scienziato poi si sofferma a delineare la (inesatta) mentalità causale
e la concezione fantastica di reale che ha la visione sacrale. Lo spaesamen-
to in una natura apparentemente inanimata e meccanica produce, attra-
verso il pensiero, essenze fondanti ed intenzionali: ciò che le varie religioni
(quali?) declinano in un pantheon con a capo un’entità suprema (intesa da
alcune di esse anche come persona e padre). Tra le essenze ci sono i valori
come contraltare e complemento normativo. Mentre le entità prime giustifica-
no i valori, questi a loro volta ci esimono dal giustificare le prime. Questa con-
cezione tende a creare una mentalità chiusa e autoreferenziale, nonché a
ritenere che dietro ogni accadere ci siano queste essenze personificate.
Boncinelli, però, denuncia la fallacità del ragionamento religioso o super-
stizioso o basato sulla successione lineare di cause ed effetti con l’esclusione
della categoria di caso.
Oltre ciò, l’inveramento del sacro nel quotidiano manifesta anche la
sua funzione sociale eticamente normata. Tuttavia l’etica si limiterebbe
solamente ad applicare un quadro valoriale e normativo che discenderebbe
dalla dimensione sacrale, e riterrebbe buona o cattiva un’azione facen-
do a questo riferimento. Chi non si attiene a questo quadro commette
peccato, dimensione centrale dell’etica religiosa che apre alle polarità
colpa-espiazione, premio-castigo, inferno-paradiso ecc.; peccato (pecca-
re, hamartánein) che per Boncinelli romperebbe lo schema ideale amore-
confidenza-rapporto, assetto principale della convivenza sociale. È pertanto
su questa base che fa leva la dottrina del peccato, che le etiche laiche cerca-
no di arginare battendo su intelligenza e razionalità per la valutazione del
comportamento personale.
Infine, si vuole bandire l’idea di sacro come intoccabile e accettato a prio-
ri, in favore dell’argomentazione a posteriori. Il sacro non è un elemento nella
struttura della coscienza (R. Otto), ma va riconosciuto a posteriori e non as-
sunto a priori come qualcosa di intoccabile. Purtroppo, avverte il professore,

148 nu 231
Contro il sacro o contro pregiudizi invalidanti?

l’asservimento all’irrazionale, al terrore, all’ignoranza e l’apriorismo che ca-


ratterizza il sacro, pur se deleteri, hanno fondamenti biologici molto profondi.
Tuttavia c’è da considerare che per tutti c’è una realtà sacra! È inutile imporla
perché ognuno nella sua vita avrà la possibilità di riconoscerla e di viverla.
L’imposizione non rispetta intelligenza e libertà, uniche caratteristiche che
tutelano da immobilità e fatalismo da un lato e da fanatismo e fondamentalismo
dall’altro.

alcune considerazioni

La sintesi proposta non rende ragione della ricchezza che caratterizza il


libro in oggetto. Tuttavia si è cercato con molta accuratezza di trarre i punti
fondamentali di un discorso molto ricco, forse troppo, sia di contenuti e di
tematiche sia di scienze richiamate, che a tratti rischia la confusione e la
superficialità. Data questa nota, che credo che chiunque legga il testo possa
constatare e condividere, di seguito esporrò qualche perplessità facendo
alcune considerazioni.
La prima perplessità è sulla nozione stessa di sacro. L’Autore dopo aver
riportato alcune citazioni di studiosi eminenti in materia, ha poi lasciato la
sua riflessione in mano a linee di pensiero demistificanti di natura filosofica e
psicologica che forse trovano la loro esplicitazione più pungente nei maestri
del sospetto2. Inoltre, non basta richiamarsi continuamente, rispetto al sa-
cro, ad esigenze di natura biologica o psicologica che l’avrebbero generato,
perché la realtà (non un’idea!) del sacro si presenta all’uomo come alterità
assoluta davanti alla cui esperienza, qualora si verifichi, non si può far altro
che inginocchiarsi e commuoversi. Non mi sembra di aver colto in nessun
frangente questa caratteristica che contraddistingue l’esperienza del sacro
e senza la quale è difficile argomentare. Inoltre per fare esperienza ci vuo-
le necessariamente una caratteristica antropologica che la permetta e che
Rudolf Otto si limita a ritenere un apriori di natura emozionale, differenzian-
dolo da una conoscenza riflessa. Questo apriori è completamente diverso
da quello che Boncinelli vuole rifuggire perché inteso non come condizione
di possibilità (Otto) ma come qualcosa di contenutisticamente determinato

nuova umanità 231 149


in biblioteca

(norme anche pratiche, essenze, valori). Ma ciò risulta essere un vero frain-
tendimento, così come ritenere il sacro un sentimento: visto che sebbene ci
emozioni dentro non può essere da noi generato, in quanto si presenta e si
avverte come qualitativamente (ontologicamente) diverso dall’io.
Infine, non è condivisibile la separazione tra sacro e profano né ritenere
il sacro un’ideologia. La separazione tra sacro e profano è alla base delle
più grandi aberrazioni e scissioni del reale e dell’uomo, che lo stesso Bon-
cinelli rifiuta. Essa ha considerato il valore del profano, anche dell’uomo
purtroppo, solamente in virtù del sacro e non in se stesso e di conseguenza
spesso ha ritenuto l’uomo un semplice mezzo e non un fine. L’ideologia del
sacro è poi vera solo in un fraintendimento: dove l’uomo non vive una rela-
zione con una realtà che riempie di valore il mondo e l’uomo e conduce alla
ricerca della sua tutela, senza considerare che tale relazione non fornisce
norme pratiche immutabili da applicare, ma un orientamento relazionale
come orizzonte. Il terrorismo che oggi insanguina il mondo manifesta que-
sto grande fraintendimento.
Un’altra perplessità sorge dalla non distinzione tra sacerdoti e presbiteri.
I sacerdoti dell’antichità, anche quelli che ritroviamo nell’Antico Testamen-
to, erano considerati mediatori tra il sacro/divino e l’uomo, ma con Gesù
tale mediazione è stata per sempre abolita. Egli, pur non essendo sacerdote,
viveva la relazione col Dio in prima persona e chiedeva a tutti di farlo senza
nessuna forma di mediazione se non la coscienza dell’orante che invoca e
ringrazia. I presbiteri cristiani non sono mediatori del sacro, ma collaboratori
ordinati che aiutano a rafforzare la relazione che ognuno vive in coscienza col
Dio. Mettere sullo stesso piano e non notare questa fondamentale distinzio-
ne, apportata soprattutto dal cristianesimo, denuncia una superficialità che
poco s’addice all’intelligenza che Boncinelli dimostra in altri frangenti.
Un ultimo punto verte su alcuni aspetti della morale. Per prima cosa, non
tutte le morali religiose si limitano ad applicare norme già date per paura di
punizioni o castighi e a riconoscere valori non negoziabili, in quanto alcune
correnti della morale cristiana, soprattutto post-Vaticano II, si basano, per
l’argomentazione, su libertà, intelligenza, razionalità e responsabilità, fattori
che Boncinelli attribuisce solo alla morale laica. La morale cristiana, in que-
sto senso, non è etero-determinata apriori da concezioni sacrali, valoriali

150 nu 231
Contro il sacro o contro pregiudizi invalidanti?

e normative, che pregiudicherebbero la ricerca umana del bene ma, vice-


versa, si auto-determina nella risposta intelligente e responsabile all’appello
che gli proviene dalla realtà.
Un secondo aspetto è quello dei valori colti dal soggetto. Una cosa è ritenerli
entità astratte che deriverebbero da entità prime indimostrabili e un’altra
è ritenerli astrazioni di beni concreti che opera l’uomo quando distingue
l’amico dall’amicizia, per esempio. Inoltre, la relazione positiva (o negativa) di
un soggetto ad un bene come realtà del mondo (bonum physicum), determina
il valore morale. Quest’ultimo manifesta la vera dimensione universale per
la scienza etica. Inoltre, il valore cardine da assolutizzare, che cementifica
culture e religioni diverse, non dovrebbe essere il sacro ma l’amore come
dono e compito etico.
Infine, come terzo punto, ci sono i giudizi pratici o norme comportamentali.
Giustamente lo scienziato riconosce che accettarle passivamente e
assecondarle sempre e comunque ci rende alquanto rigidi e automatici e talvolta
assai pericolosi. Come dargli torto? Bisognerebbe però distinguere, come
fa buona parte della morale, tra norme universali, trascendentali, generali
e particolari. Solo le norme particolari determinano un agire concreto
in una determinata situazione e pertanto non sono date a priori, come
pensa Boncinelli, ma sono formulate a posteriori attraverso la valutazione
intelligente e razionale propria della conoscenza etica.
Tante cose si potrebbero ancora dire grazie alla ricchezza del testo esa-
minato, ma i margini non lo consentono. Per chiudere volevo ringraziare
l’Autore per tanta ricchezza e per lo sforzo di intelligenza compiuto nel ri-
conoscere relazioni molto significative e stimolanti, partendo dalla biologia
dell’uomo. Devo dire, però, che il pre-giudizio negativo rispetto al religioso,
concepito in maniera forse limitata, pregiudica l’oggettività e la condivisibili-
tà di buona parte della sua intelligente argomentazione in merito. Il compor-
tamento deludente sia a livello pratico che intellettuale di molti noi credenti
e religiosi alimenta il pregiudizio e inficia quell’unità con tutti, soprattutto
con chi si dedica alla ricerca con amore secondo la richiesta del Signore:
farete cose più grandi di me.

Davide Lodato

nuova umanità 231 151


in biblioteca

  Per non citare costantemente si preferisce scrivere in corsivo espressioni o


1

frasi proprie dell’Autore. Sarà facile, per chi legge il presente lavoro, andarle a rin-
tracciare nel testo.
2
  L. Feuerbach, F. Nietzsche, K. Marx, S. Freud. Cf C. Greco, L’esperienza religio-
sa. Essenza, valore, libertà. Un itinerario di filosofia della religione, San Paolo, Cinisello
Balsamo 2004; R. Otto, Il sacro, trad. it. a cura di E. Buonaiuti, SE, Milano 2009; M.
Eliade, Il sacro e il profano, trad. it. a cura di E. Fadini, Bollati Boringhieri, Torino 2013.

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Nina e le donne di desiderio spirituale

Nina e le donne di desiderio spirituale


L. Fagnoni (ed.), Donne di desiderio. Nina Kauchtschischwili tra oriente e occi-
dente, Effatà, Cantalupa 2016

La studiosa georgiana Nina Kauchtschischwili, scomparsa nel 2010, è


stata una ricercatrice dell’unità fra cristiani. Viene ricordata in un libro-sag-
gio in cui si racconta il suo interesse per le figure femminili della santità or-
todossa e con gli inediti su Mat’ Maria, Santa Nino e Tamara Mardžanišvili.
Geografia dell’anima e migrazione.

Nella Bibbia il vir desideriorum del libro di Daniele è colui che non si ac-
contenta della realtà tangibile e per tale ragione non soffoca l’inquietudine
santa del cuore alle cose di Dio. Nina Kauchtschischwili (1919-2010), geor-
giana, professore di letteratura russa presso l’Università di Bergamo, po-
tremmo definirla in modo prepotente una “donna di desiderio” così come
quelle figure femminili ortodosse che ha studiato e ha fatto conoscere al
mondo occidentale. Il libro curato da Lucia Fagnoni dal titolo Donne di de-
siderio. Nina Kauchtschischwili tra oriente e occidente1 racconta entrambe: da
un lato la studiosa di slavistica e dall’altro figure quali Elisabeth Behr-Sigel,
Celia Deane-Drummond, Lulianija Lazarevskaja, la principessa tedesca Eli-
zaveta Feodorovna e tre profili di donne ortodosse mai editi da Nina Kauch-
tschischwili (Mat’ Maria, santa Nino e Tamara Mardžanišvili). Il volume è
attraversato dal ricordo e dall’eredità di Nina, dall’introduzione a cura della
cognata Francesca Melzi d’Eril in cui si traccia un profilo letterario e spiritua-
le della studiosa fino agli interventi degli studiosi, collaboratori e altri acca-
demici, che popolano il volume frutto della conferenza tenutasi all’Ambro-
sianeum, a Milano, il 13 settembre 2015. Nina, cattolica, è stata un’apolide
al pari di Mat’ Maria, santa Nino e Tamara Mardžanišvili: padre georgiano
e mamma russa, infanzia in Germania e studi in Italia2. Ha ricoperto il ruolo
di docente di slavistica per l’Università di Bergamo. Proprio lo studio dei
grandi pensatori dell’inizio del XX secolo quali Dostoevskij, Berdjaev e Flo-

nuova umanità 231 153


in biblioteca

renskij ha permesso a Nina l’esplorazione nel mondo della spiritualità russa


e dell’ortodossia. Ma Nina è stata anche una donna cittadina del mondo che
ha vissuto per l’ecumenismo organizzando diversi convegni ecumenici di
spiritualità ortodossa presso il monastero di Bose a cui restò sempre legata.
Il suo cristianesimo è caratterizzato dall’assenza di confini al pari di quel-
lo russo per usare un’espressione del filosofo russo Nikolaj Aleksandrovič
Berdjaev. Un aspetto, questo, rintracciabile anzitutto nel primo inedito su
Elizaveta Pilenko, divenuta monaca col nome di Mat’ Maria. Donna dalla vita
poliedrica: madre, monaca, intellettuale e combattente per la libertà. Nata
nel 1891 nella Russia zarista, attraversa il periodo della rivoluzione bolsce-
vica, vivendo successivamente in Turchia e Francia e morendo nel 1945 nel
campo di concentramento di Ravensbrück, quando prende il posto di una
donna già condannata. Nina ricostruisce il profilo di questa donna canoniz-
zata nel 2004, riuscendo a costruire un prezioso quanto inedito parallelo
con le spiritualità di Simone Weil ed Edith Stein, per il fatto che anche loro
hanno cercato di raggiungere una sintesi penetrante tra lo spirituale e la
realtà del quotidiano. Mat’ Maria, e qui ancora altri sono i punti di contat-
to con Simone Weil ed Edith Stein, fu inoltre protagonista culturale del XX
secolo. Insieme a Berdjaev, infatti, fu artefice della rinascita culturale russa
e insieme a lui fondò il Pravoslavnoe, un’associazione che aveva lo scopo di
affiancare l’attività sociale alle iniziative culturali e religiose per l’emigrazio-
ne. Il suo monachesimo, del tutto nuovo, era aperto ai nuovi problemi della
sua epoca e in particolar modo rivolto ai russi nella Germania nazista, ma
anche al popolo ebraico: l’elemento della carità, estraneo all’Oriente, entra
con Mat’ Maria in modo prepotente nella storia dell’ortodossia. In Mat’ Ma-
ria insomma è possibile ritrovare quelle parole di Berdjaev che «esiste una
corrispondenza tra l’immensità, l’incommensurabilità e l’illimitatezza della
terra russa e dell’anima russa, tra la geografia fisica e la geografia dell’ani-
ma»3 e che Nina descrive in un altro studio del 2002 come una strada ampia
«in cui si vive solo alla presenza di Dio»4.
Gli altri due inediti sono incentrati su due figure legate alla Georgia, per
lo più sconosciute all’Occidente e vissute in epoche distanti sideralmen-
te: la patrona del Paese, santa Nino, e Tamara Mardžanišvili divenuta poi
Matuška Famar’. La prima, santa Nino – mai citata tra i grandi santi dell’era

154 nu 231
Nina e le donne di desiderio spirituale

bizantina e ignorata dalle fonti georgiane fino all’VIII secolo –, è vissuta nel
IV secolo. Originaria della Cappadocia, compie un pellegrinaggio attraverso
vari Paesi prima di giungere a Mtskheta, l’antica capitale della Georgia. Tale
percorso, sottolinea Nina, l’ha in qualche modo aiutata a rinvigorire la geo-
grafia della sua anima e a restare fedele alla sua vocazione. In Nina invece
sembra che questo passaggio sia avvenuto in qualche modo dagli anni ’90,
quando cioè all’apertura delle frontiere russe visitò quei luoghi che fino ad
allora erano solo frutto di studi e della letteratura. In molti sostengono che
quei viaggi cambiarono il corso degli studi di Nina, imprimendogli valenza
spirituale oltre che culturale. Nella sua vita, insomma, sembra prendere vi-
gore quando nel 2013, in occasione dei 1.025 anni della Chiesa ortodossa
russa, papa Bergoglio disse: «Lux ex oriente, ex occidente luxus». Con Ta-
mara Mardžanišvili, divenuta Matuška Famar’ e con il terzo studio inedito
di Nina, viene fuori l’altro suo filone di studi: l’approfondimento delle figure
delle madri spirituali, che in tempi sovietici ebbero un’enorme importanza.
Di Tamara ancor oggi si conosce molto poco. Nata nel 1800 quando la Ge-
orgia era ancora annessa alla Russia, è sorella di un noto regista georgiano,
Kote Mardžanišvili. Visse per lunghi periodi in Russia e fu deportata in Si-
beria.
La migrazione che accomuna Nina a Mat’ Maria, santa Nino e Tamara
Mardžanišvili è stata perciò la fonte inesauribile per tracciare la spiritua-
lità di queste donne di desiderio in modo assolutamente creativo. E Nina
è stata una di quegli occidentali di fiuto attratti dall’Oriente, per dirla alla
Berdjaev, secondo cui proprio la conformazione delle terre russe, senza
confini, risponde a quella della geografia dell’anima. In Nina troviamo tutto
questo: dichiarò che non sapeva quale fosse effettivamente per lei una lin-
gua familiare nonostante la conoscenza del francese, del tedesco, del russo,
del georgiano e dell’italiano. Trattasi infatti delle molte lingue di Nina cor-
rispondenti ai «molti volti che sapeva accogliere e amare, facendo sentire
vicini i lontani, riconducendo quel che appariva straniero a ciò che è proprio
dell’uomo»5. Frutto dell’essere migranti, nella vita come nella fede, poiché
come ha dichiarato recentemente papa Francesco «la nostra è una teologia
di migranti, perché lo siamo tutti fin dall’appello di Abramo, con tutte le
migrazioni del popolo d’Israele. E lo stesso Gesù è stato un rifugiato, un mi-

nuova umanità 231 155


in biblioteca

grante. Esistenzialmente, attraverso la fede, siamo dei migranti. La dignità


umana implica necessariamente di essere in cammino»6.

Maria Grazia Baroni

  L. Fagnoni (ed.), Donne di desiderio. Nina Kauchtschischwili tra oriente e occidente,


1

Effatà, Cantalupa 2016.


2
  Nina Kauchtschischwili (cognome italianizzato in Kaucisvili) nasce a Berlino
nel 1919 da padre georgiano e madre russa. Ha vissuto il dramma della Germania
nazista da cui scappa nel 1940. Trasferitasi in Italia si è laureata a Milano in filologia
romanza nel 1945. Docente di lingua russa all’Università di Milano, Torino e Bari.
Negli anni ’60 ha fondato l’Istituto di slavistica e il Seminario internazionale di lin-
gua russa, divenendo professore di letteratura russa presso l’Università di Bergamo.
Negli ultimi anni continua ad essere particolarmente attiva e fonda l’associazione
“Con la Georgia nel cuore”.
3
  N.A. Berdjaev, L’idea russa. I pensieri fondamentali del pensiero russo (XIX e inizio
XX secolo), Ugo Mursia Editore, Milano 2014, p. 48.
4
  N. Kauchtschischwili, La santità laica nella letteratura russa, in Forme della santità
russa. Atti dell’VIII Convegno ecumenico internazionale di spiritualità ortodossa.
Sezione russa, Bose, 21-23 settembre 2000, Qiqajon, Magnano 2002, p. 259.
5
  http://www.monasterodibose.it/comunita/notizie/amici-luce-senza-
fine/4788-nina-kauchtschischwili-e-passata-da-questo-mondo-al-padre?tmpl=c
omponent&print=1&pdf=1&layout=default.
6
  http://www.huffingtonpost.it/2017/09/01/papa-francesco-e-la-psicoanali-
si-mi-ha-aiutato-moltissimo_a_23193238/. Articolo sui colloqui di papa Francesco
con il sociologo Dominique Wolton (colloqui poi pubblicati in Politique et société. Un
dialogue inédit, Les Éditions de l’Observatoire, Paris 2017; trad. it., Dio è un poeta. Un
dialogo inedito sulla politica e la società, Rozzoli, Milano 2018).

156 nu 231
english summary

controcorrente manity. The key to this charism is Jesus’


cry on the cross: «My God, my God, why
Towards a Way of Living that have you forsaken me?» (Mk 15:34; Mt
Promotes Christian Unity 27:46), a cry where God takes up the
J. Morán questions of all times and offers stimu-
lus to a universal dialogue.
p. 5
Jesús Morán, co-president of the Foco-
lare Movement, in dialogue with a syr-
ian orthodox focolarina from the Middle Focus
East, an evangelical focolarina from Ger- prospects for christian unity
many and an Anglican focolarino from Walking Together
Great Britain, discusses the foundations
of ecumenical dialogue in the light of the D. Goller, M. Wienken
charism of unity. There is an invitation p. 23
to recognize the gift of “otherness”, to a Chiara Lubich affirmed that «God has
deeper “making ourselves one”, to free given us a new ecumenism». This ecu-
oneself from prejudices. Inspired by a menism has its roots and strength in the
text of Chiara Lubich, he affirms that it spreading of a charism, in a gift of God
is «Jesus in the midst who is the exem- capable of contributing to the unity of
plary ecumenical event». Jesus forsaken the disciples of Christ. This ecumenism
«unfolds the only ecumenical model does not call for the conversion of the
possible, namely the trinitarian model». other, but for one’s own conversion to
God and to the gospel, and in particular
to the heart of the gospel, namely the
The God of our Times reciprocal love commanded by Jesus. It
H. Blaumeiser  throws new light on the journey towards
p. 13 the full and visible communion between
Christians.
This essay takes the form of a histori-
cal reading of the interpretation of the
double commandment to love God and On the Crossroads of History
love one’s neighbour. Our millennium Patriarch Bartolomeo I, O. F. Tveit,
needs witness to God through recipro-
cal love, through the unity that will bring
K. Koch
the world to believe (see Jn 17:21). This p. 27
is proposed as the foundation of the de- The ecumenical patriarch of Constan-
sire for a spirituality of communion in tinople-New Rome, Bartholomew I, the
an ecumenical dimension. In this sense, general secretary of the ecumenical
the charism of Chiara Lubich is a special council of Churches, Olav Fyske Tweit,
gift that God is offering to today’s hu- and the president of the Pontifical

nuova umanità 231 157


english summary

Council for the promotion of Christian Protagonists of Dialogue:


unity, cardinal Kurt Koch, recognize in Patriarch Athenagoras I and
the Week of Prayer for Christian Unity
Chiara Lubich
2017 a contribution towards Christian
unity. Such unity essentially consists in G. Zervos
walking together towards justice and p. 57
peace. Progressing towards Jesus cruci-
The 13 June 2017 was the 50th anni-
fied and forsaken, the key to unity, we
versary of the first meeting between
grow in unity among us, which is life in
two protagonists of dialogue: the ecu-
a communion of love. The authors ap-
menical patriarch Athenagoras I and
preciate the sincere and faithful com-
Chiara Lubich. Gennadios Zervos, the
mitment of the Focolare Movement to
metropolitan of Italy and Malta, gives
the spirit of Chiara Lubich.
a personal account of the relationship
between these two figures who «with
Spirituality and Ecclesiology of their humble yet committed lives, with
their dedication, love and prayers, were
Communion
the beginners of a new ecumenical age
M. Voce, C. Krause, M. Robra, and certainly contributed to change the
B. Farrell situation and atmosphere between the
p. 33 Orthodox Church and the Roman Cath-
olic Church».
In a round table on the occasion of the
commemoration of 500 years from the
Lutheran Reform, Maria Voce, presi- Dialogue is Life
dent of the Focolare Movement, the
Lutheran bishop Christian Krause, the
AA.VV.
Lutheran theologian from the Ecumeni- p. 67
cal Council of Churches, Martin Robra, Living the dialogue of life one gives wit-
and the Catholic bishop, secretary of ness to the fact that it is possible to live
the Pontifical Council for the Promotion together and create a new climate of
of Christian Unity respond to the ques- reciprocal trust among Christians, ge-
tion: «What contribution does Chiara nerating mutual respect and esteem.
Lubich and the charism of unity make to This is shown through some testimo-
the journey towards the full and visible nies: Christians from various churches
communion of churches?». and backgrounds who go beyond ob-
stacles due to inevitable differences in
their daily lives. What motivates them
is reciprocal love practised according to
the gospel which permits the presence
of the Risen One in their midst (see Mt
18:20), and it is this that is the greatest

158 nu 231
english summary

witness: «What all may be one […] so minates it. In the “ecumenical crucified
that the world might believe» (Jn 17:21). one” she sees – in his cry and in his self-
delivery to the Father, in which all suf-
scripta manent fering and separations are embraced,
and reconciliation is brought about – a
My Experience of Jesus Forsaken key for unity. Chiara Lubich discovers
C. Lubich this key of Jesus forsaken and risen not
p. 83 just in theology but also in life. 
We publish a conversation that Chiara
Lubich held with around 10 church lead- The Dialogue of Faith and the
ers present in Austria. This meeting Primacy of Love
took place on the 5 November 2001 at
the Edelweiss Mariapolis Centre in Vi- V. Stanciu
enna. Chiara Lubich gives a special wit- p. 105
ness to her experience of Jesus cruci- The Christian world of the 20th cen-
fied and forsaken, and the infinite ways tury had to face social, political, cul-
in which the latter presents himself. She tural, religious problems as well as war.
communicates how she discovered Je- A new spirituality to give new vigor to
sus forsaken within the Christian world, Christianity was called for. The Focolare
in the divisions between the churches, Movement was born in this context,
which she sees as “scandal”, and how founded by Chiara Lubich. It is based
recognizing and loving him can con- on reciprocal love and approaches dia-
tribute to the healing of centuries old logue on the basis of communion, con-
wounds. tributing to dialogue of faith. The action
of the Holy Spirit is absolutely central
punti cardinali for this movement, as is the primacy
Jesus Crucified and Fosaken: of love. A splendid example of this was
the historic meeting between patriarch
Key to Unity Athenagoras and pope Paul VI in 1967.
J.P. Back, A. Bairactaris The churches of Constantinople and
p. 89 Rome meet again with the desire to one
day participate in the Eucharistic ban-
The charism of unity of Chiara Lubich quet together.
offers the ecumenical movement many
intuitions for the journey towards full
communion. One of these is its under-
standing of the mystery of Jesus on the
cross. Chiara adds a new element to the
paradigm of the crucified as emblem of
divided Christianity which further illu-

nuova umanità 231 159


english summary

alla fonte del carisma dell’unità Story of Light. 15. Life in the
The Centrality of Charism in the Mariapolis
First Words of Life I. Giordani
F. Ciardi p. 133
p. 115 Giordani continues to speak of life in the
Mariapolis and does so in alternatively
In this essay, some of the first Words
humorous and serious tones. Light-
of Life of Chiara Lubich are examined.
hearted anecdotes help the reader to
It these we find not just a comment on
grasp with a smile the profoundly evan-
the gospel, but a charismatic reading of
gelical simplicity of the days passed in
the same, fruit of an impulse to put it
the city of Mary. Even children are part
in practice and live it. The end purpose
of this city, and tourists walking in the
of this is unity. For Chiara, unity is not
mountains with entirely other inten-
just the fruit of the lived word of God,
tions are attracted and conquered.
but also the place in which the latter is
There is much singing. Pasquale Foresi,
received.
Lia Brunet, and Emilio Faggioli are some
of the personalities that people this tale
and are some of the first builders of this
unique event, alongside Chiara Lubich.

in biblioteca
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Rivista Nuova Umanità Umanità-596992113781931/
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Fondata da Chiara Lubich nel 1978,
231
Nuova Umanità è una rivista
multitematica che, alla luce del carisma 231
nuova umanità trimestrale di cultura
dell’unità, dialoga con le prospettive
culturali del mondo contemporaneo.
controcorrente

Prospettive per l’unità dei cristiani nuova umanità


Uno stile di vita per l’unità dei cristiani – J. Morán
Il Dio del nostro tempo – H. Blaumeiser

Focus
Prospettive per l’unità dei cristiani
Camminando insieme – D. Goller, M. Wienken
Nel crocevia della storia – Bartolomeo I, O.F. Tveit, K. Koch
Spiritualità ed ecclesiologia di comunione – M. Voce, C. Krause,
M. Robra, B. Farrell
Protagonisti di dialogo: patriarca Athenagoras I e C. Lubich – G. Zervos
Il dialogo è vita – AA.VV.
scripta manent
La mia esperienza su Gesù abbandonato – C. Lubich

punti cardinali
Gesù crocifisso e abbandonato:
chiave dell’unità –
J.P. Back, A. Bairactaris
Il dialogo della fede e il primato
dell’amore – V. Stanciu
alla fonte del carisma dell’unità
Le centralità carismatica
nelle prime Parole di Vita –
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Postale - D.L. 353/2003 (conv. in L. 27/02/2004 n. 46) F. Ciardi
art. 1, comma 1, Aut. GIPA/C/RM/27/2012 Storia di Light. 15 – I. Giordani
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