Sei sulla pagina 1di 14

DI TE SI DICONO COSE STUPENDE, CITTÀ DI DIO

Il Sal 86 tra le fonti bibliche del De civitate Dei

GAETANO DI PALMA

Opera senza alcun dubbio tra le più importanti, probabilmente la


maggiore di Agostino1, il De civitate Dei non ha mai mancato d’interessare
fino a oggi gli studiosi delle varie discipline, teologiche e non, come i
repertori bibliografici dimostrano2. Il nostro compito, a tal riguardo, è in
verità modesto, essendoci stato assegnato il compito di perlustrare l’uso che
Agostino in quest’opera fa di un salmo, l’86 (87 secondo il testo
masoretico), di cui almeno tre volte viene citato il versetto 3 e una il versetto
53 .
Scorrendo l’indice scritturistico dell’edizione della Nuova Biblioteca
Agostiniana, si nota che sono davvero pochi i libri biblici non citati; tuttavia
cospicua è anche la presenza di autori della classicità, e di filosofi in
particolare, dal momento che l’Ipponate scrisse quest’opera nel 410,
quando, verificatosi lo choc del saccheggio di Roma, durato tre giorni ed
effettuato dai visigoti di Alarico, vi fu la conseguente accusa rivolta dai
pagani ai cristiani di essere stati la causa della decadenza dell’impero4.
Perciò, taluni dicono che quest’opera fu «occasionale», come lo stesso
Agostino fa capire nel celebre passo delle Retractationes 2, 43,1, ma anche
«lungamente meditata e rigorosamente programmata fin dall’inizio»5. Ciò
vuol dire che egli, spinto dai fatti accaduti e dalle richieste di vari amici, che

1
Cf. A. TRAPÉ , S. Agostino, in A. DI BERARDINO (cur.), Patrologia. 3. Dal Concilio
di Nicea (325) al Concilio di Calcedonia (451). I padri latini, Casale Monferrato
(Alessandria) 1983, 343.
2
Il De civitate Dei ha anche una ricca Wirkungsgeschichte, in particolare nella cultura
medievale. Solo a titolo esemplificativo, citiamo l’articolo di V. DE FRAJA, Da
Gerusalemme a Babilonia. La tipologia della contrapposizione e della decadenza tra XII e
XIII secolo, in Rivista di Storia del Cristianesimo 1 (2004) 1, 39-66.
3
Per non generare malintesi, indicherò questo salmo sempre con il numero 86.
4
Il 24 agosto i visigoti entrarono in Roma, ma il danno, più che militare, fu dal punto di
vista psicologico, in quanto la Città eterna appariva sempre più alla mercé di chiunque. Si
ricordino le considerazioni quasi di smarrimento di Girolamo nel parlare dell’evento (cf. ad
esempio, S. COLA , San Girolamo. Le lettere, Roma 1997, IV, 223-248, per ep. 123; 295-
308, per ep. 127; 329-359, per ep. 130). Sulle accuse dei pagani, cf. A. TRAPÉ,
Introduzione generale. Teologia, in SANT’AGOSTINO, La città di Dio (libri I-X),
introduzioni a cura di A. Trapé, R. Russel e S. Cotta, traduzione di D. Gentili, Roma 1978,
XXXIV-XXXV (d’ora in poi NBA V/1). In De civitate Dei 2, 3,1 (NBA V/1, 98) si
riferisce il “simpatico” proverbio: «Pluvia defit, causa christiani sunt», un po’ come oggi, al
contrario, diciamo: «Piove, governo ladro».
5
NBA V/1, XI.

1
chiedevano un suo intervento in risposte alle ingenerose accuse di parte
pagana, fin dall’inizio della stesura ebbe chiaro il progetto dell’intera opera6.
Sappiamo che queste accuse sono ingiuste, poiché esisteva un robusto
«patriottismo cristiano», di cui furono partecipi lo stesso Agostino, come
Girolamo, Paolino di Nola, Prudenzio. Tra l’altro, le invasioni barbariche
avevano fatto nascere un diffuso senso di ostilità verso gli invasori7. Da
parte sua, Agostino s’impegna a dimostrare quale sia il vero rapporto tra la
città terrestre e quella celeste, quella umana e quella divina, facendo anche
una critica serrata al modo di concepire la città nel mondo pagano. È per
questo che tra i libri biblici più adoperati nel De civitate Dei vi sono da una
parte i Salmi e dall’altra l’Apocalisse8.

1. Il Sal 86 nel De civitate Dei

In genere, quando si valuta l’importanza di un testo citato all’interno di


un’opera, si tiene presente con attenzione quante volte e in quali contesti ciò
avviene. Pensando, allora, alla notevole mole di testi biblici citati, verrebbe
da dire che il Sal 86 non rappresenti, tutto sommato, qualcosa di rilevante,
dato il suo scarso ricorrere.
Probabilmente, non è solo questo il metro di giudizio valido per
affrontare una riflessione del genere, dal momento che il dato quantitativo
va comunque sempre interpretato e considerato alla luce di fattori più ampi.
Uno di questi fattori potrebbe essere una certa coincidenza di date: i primi
tre libri del De civitate Dei furono iniziati tra la fine del 412 e l’agosto del
413, mentre al 412 risale il commento al Sal 86, tenuto da Agostino a
Cartagine su invito del vescovo di quella città Aurelio9. Ciò dovette
avvenire durante una celebrazione eucaristica festiva, nel corso della quale
si teneva di norma l’omelia che Agostino, preferibilmente, concentrava sui
Vangeli e sui Salmi10. A leggere l’enarratio del Sal 86, sembra proprio di

6
Ne sarebbe dimostrazione De civitate Dei 1, 36: NBA V/1, 86.
7
Proprio di «patriottismo cristiano», a proposito di questi padri e scrittori ecclesiastici,
parla S. PRICOCO, La chiesa dei barbari: dal Concilio di Calcedonia alla morte di
Gregorio Magno (451-604), in G. FILORAMO - D. MENOZZI, Storia del cristianesimo. 1.
L’antichità, Roma-Bari 1997, 392.
8
I salmi citati sono almeno 83, tra cui i seguenti, che parlano della città di Gerusalemme
e di Sion: 44; 47; 50; 83; 86; 147. L’Apocalisse non può mancare a causa del classico
confronto tra Babilonia e Gerusalemme, considerate due realtà irriducibili. Sulle citazioni
bibliche in quest’opera, cf. D. DE BRUYNE, Les citations bibliques dans le De Civitate Dei,
in Revue Biblique 41 (1932) 550-560.
9
Cf. M. SIMONETTI (cur.), Sant’Agostino. Commento ai Salmi, Milano 1989, 636.
L’invito fu improvviso, come dice all’inizio del discorso: «Repentina propositio me
gravaret, nisi me continuo proponentis oratio sublevaret». Simonetti, per la questione
cronologica delle Enarrationes, si rifà a S. ZARB , Chronologia Enarrationum S. Augustini
in Psalmos, Malta 1948.
10
Si calcola che su ottocentosettanta prediche di Agostino giunteci, almeno quattrocento
siano dedicate ai Salmi: cf. SIMONETTI, Commento ai Salmi, XXII.

2
avvertire qualcosa di ciò che, con sublime profondità e ampiezza, maturerà
in seguito nel De civitate Dei. Basti considerare il continuo confronto con i
pagani, il riferimento a Cristo e alla chiesa, ma in particolare alle due città,
identificate in Babilonia e Gerusalemme:

«Babylon civitas dicitur secundum saeculum. Quomodo una civitas sancta, Ierusalem,
una civitas iniqua, Babylon; omnes iniqui ad Babyloniam pertinent, quomodo omnes sancti
11
ad Ierusalem» .

Naturalmente, il padre della chiesa tiene ben presente la prospettiva


salvifica, per cui anche a chi è “pertinente” a Babilonia viene offerta da
Cristo la giustificazione. Il fine non è quello di condannare sbrigativamente,
come se chi appartiene a Babilonia sia da considerare irredimibile:
Gerusalemme può trionfare se chi si trova a Babilonia giunge a essa
passando attraverso Gesù Cristo. Peraltro, il confronto tra le due città e il
linguaggio che vi è sotteso erano familiari ad Agostino, lettore della Bibbia
e, in chiave antimillenarista, di quel libro, così difficile ancora oggi, che è
l’Apocalisse di Giovanni12. Inoltre, non bisogna dimenticare che diverse
idee del De civitate Dei, tra cui proprio quella dell’antitesi tra le due città,
erano state anticipate nel De vera religione, scritto a Tagaste intorno al 390,
e nel De Genesi ad litteram 11, 15.20, dove troviamo il raffronto tra i due
amores13, che danno origine alle due civitates («et distinxerunt conditas in
genere humano civitates duas») che produrranno nei seguaci dell’uno e
dell’altro una destinazione eterna diversa. Alla fine di questo breve
ragionamento, poi, Agostino annuncia di volerne parlare più
approfonditamente in seguito, se Dio vorrà: «De quibus duabus civitatibus
latius fortasse alio loco, si Dominus voluerit, disseremus».

11
SANT’AGOSTINO, Enarratio in psalmum 86,6: SIMONETTI, Commento ai Salmi,
298.
12
Cf. L. ALICI, Storia e salvezza nel De civitate Dei, in M. N ALDINI (cur.), La fine dei
tempi. Storia ed escatologia, Fiesole 1994, 85-100. Cf. M.L. GATTI PERER (cur.), “La
dimora di Dio con gli uomini” (Ap 21,3). Immagini della Gerusalemme celeste dal III al
XIV secolo, Milano 1983; C. NARDI, L’Apocalisse nella lettura dei Padri, in M. NALDINI
(cur.), La Bibbia nei padri della chiesa: il Nuovo Testamento, Bologna 2000, 165-188. Non
è pertinente al nostro lavoro, tuttavia ricordiamo soltanto che, oltre alle fonti bibliche, vi
sono anche quelle patristiche, come testi di Ticonio, Origene, Ambrogio e Girolamo, sulla
contrapposizione delle due città. Cf. J. VAN OORT, Jerusalem and Babylon: a Study into
Augustine’s City of God and the Sources of his Doctrine of the Two Cities, Leiden 1991;
M.C. PACZKOWSKI, Gerusalemme in Origene e san Girolamo, in G. BISSOLI (cur.),
Gerusalemme: realtà, sogni e speranze, Gerusalemme 1996, 106-123.
13
NBA IX/2, 582: «Hi duo amores, quorum alter sanctus est, alter immundus; alter
socialis, alter privatus; alter communi utilitati consulens propter supernam societatem, alter
etiam rem communem in potestatem propriam redigens propter arrogantem dominationem;
alter subditus, alter aemulus Deo; alter tranquillus, alter turbulentus; alter pacificus, alter
seditiosus; alter veritatem laudibus errantium praeferens, alter quoquo modo laudis avidus;
alter amicalis, alter invidus; alter hoc volens proximo quod sibi, alter subicere proximum
sibi; alter propter proximi utilitatem regens proximum, alter propter suam: praecesserunt in
Angelis; alter in bonis, alter in malis».

3
Tornando al nostro argomento, prendiamo subito nota dei luoghi in cui si
trovano le citazioni salmiche nell’opera in oggetto. Nella prima parte del De
civitate Dei – i libri dal primo al decimo –, volta a dimostrare l’incapacità
della religione tradizionale romana a procurare felicità a coloro che la
praticano, ricorre due volte il versetto 3: in 2, 21.4 (NBA V/1, 138) e in 10,
7 (NBA V/1, 696-698). La terza e ultima citazione è in 11, 1 (NBA V/2, 66-
68), all’inizio della seconda parte, in cui si espone la dottrina cristiana che
rende intellegibile la historia salutis. Il versetto 5, invece, si trova in 17,
16.2 (NBA V/2, 618-620). Prima, però, di procedere, riteniamo di qualche
interesse offrire dei cenni sul Sal 86 e sul suo significato.

2. Un breve profilo del Sal 86

Esso fa parte di un gruppo che viene solitamente classificato “canti di


Sion”, insieme al 45, 47, 83 e 121, una categoria che ha un valore
puramente tematico e non di genere letterario. Tra questi salmi, l’86 si
differenzia per non pochi motivi: è un salmo dal respiro universalista14 e non
nazionalista o intimista; di Gerusalemme non vengono ammirati gli edifici,
bensì la fondazione divina; Gerusalemme, inoltre, non è vista come una città
assediata, ma addirittura come madre dei popoli. Certamente, i pensieri di
questo salmo non sono isolati all’interno dell’Antico Testamento: si possono
richiamare alla memoria brani quali Is 2,2-5; 66,18.23; Zc 2,14-15. In ogni
caso, quel che non ha mai mancato di impressionare i commentatori antichi
e moderni, all’inizio del salmo, è la sua brusca apertura15: lo rilevò Agostino
stesso nella già ricordata enarratio, al primo paragrafo. Gli studiosi non
mancano di far notare, oltre all’insolita apertura, anche il fatto che dal punto
di vista critico il testo sia problematico, da cui dipende la difficoltà di
coordinare le varie affermazioni e di dare un senso al versetto 716.
Senza addentrarci in discussioni che rischierebbero di portarci lontano,
consigliamo di leggere il commento di Ravasi, il quale, in compagnia di altri
grandi esperti biblisti come Dahood e Beaucamp, ritiene che il testo
masoretico vada rispettato, senza pensare di correggerlo ipotizzando che il
salmo sia stato troncato oppure doveva essere unito a qualche altro salmo17.
e e e
È vero che è strano l’inizio, con l’espressione «y sûdãtô b har rê-qõdesh»,
14
M. CIMOSA , Gerusalemme, patria di tutti i popoli. Il Signore scriverà nel libro: «là
costui è nato» [Salmo 87 (86)], in F. MOSETTO (cur.), Ecce ascendimus Jerosolymam (Lc
18,31), Roma 2003, 63-74.
15
Qualche studioso ipotizza la perdita del primo emistichio, che doveva introdurre il
discorso: cf. ad esempio A. LANCELLOTTI, Salmi, Roma 1984, 579-580.
16
Di tali difficoltà e delle svariate proposte di soluzione, in ogni caso riconosciute
insoddisfacenti, parla T. BOOJ, Some observations on Ps 87, in Vetus Testamentum 37
(1987) 16-25. Cf. anche E. BEAUCAMP , Le problème du Ps 87, in Liber Annuus 13
(1962/1963) 53-75.
17
Cf. G. RAVASI, Il libro dei Salmi. Commento e attualizzazione, vol. II, Bologna 1986,
793-796.

4
dove la prima parola, dalla radice ysd, tecnicamente può essere un
sostantivo femminile – come ritiene gran parte dei commentatori –, oppure
un participio passivo femminile singolare di forma qal, con un suffisso
pronominale di terza singolare maschile, che si riferisce a Dio18, ma
l’apertura brusca sarebbe giustificabile poiché abbiamo a che fare con un
linguaggio di tipo affettivo, dove solo successivamente viene svelata la
realtà decantata (cf. Is 60).
Anche il versetto 3 presenta una piccola difficoltà di lettura, relativa al
e
participio pual maschile singolare m dubbãr, che è collegato a sua volta a un
e
participio niphal plurale femminile, nik bãdôt. La LXX traduce abbastanza
fedelmente «dedoxasmevna ejlalhvqh», mentre nella Vulgata, come
sappiamo, l’espressione viene semplificata: «Gloriosa dicta sunt». In ebraico
si potrebbe trattare di una costruzione impersonale con un complemento19,
e e
ma si potrebbe anche leggere al posto del pual m dubbãr il piel m dãbber,
per cui la traduzione sarebbe non «è stato detto cose gloriose», bensì «egli
[Dio] ha detto cose gloriose», in parallelismo con il versetto precedente,
dove si affermava l’amore che Dio nutriva per le porte di Sion20. Del v. 4
riferiamo solo un fatto abbastanza particolare: nella Vetus Latina c’è una
lectio alquanto incomprensibile, basata sul fatto che l’ultima parola della
frase «zeh yullad-shãm» è stata invece letta shem, confondendo l’avverbio
di luogo shãm (là) con il sostantivo shem (nome). Il risultato era una lettura
che aveva poco senso: «ipsi facti sunt nomen»21.
Il versetto 5 presenta un altro caso curioso di fraintendimento del testo
a
ebraico: l’espressione «ûl zîôn» si trova nella LXX resa con «mhvthr Siwn»,
a
derivante da un errore di comprensione dell’ebraico: ûl (waw copulativo, a
cui è aggiunta la preposizione lamed), che significa a sua volta «e a».
Questa è la lectio, «mater Sion», che Agostino segue in De civitate Dei 17,
16.222, ritenendo un errore, peraltro non ignoto agli antichi, preferibile
perché comunque più ricco e suggestivo dal punto di vista simbolico-

18
Sulla prima ipotesi, cf. ad esempio R. MOSIS, jasad, in G.J. BOTTERWECK - H.
RINGGREN (curr.), Grande Lessico dell’Antico Testamento, edizione italiana a cura di P.G.
Borbone, Brescia 2003, III, 783; sulla seconda, invece, RAVASI, Il libro dei Salmi, 794.
19
Cf. P. JOÜON - T. MURAOKA, A Grammar of Biblical Hebrew, Roma 1996, § 128b.
20
Seguendo ciò che la Biblia Hebraica Stuttgartensia propone ad locum. Cf. RAVASI,
Il libro dei Salmi, 794. Questa lettura alternativa è possibile dal momento che il testo
ebraico non vocalizzato la permette. Infatti, le consonanti rimangono tali, quello che cambia
è la loro vocalizzazione.
21
Cf. M. KRAUS, Hebraisms in the Old Latin Version of the Bible, in Vetus
Testamentum 53 (2003) 496.
22
Questa lectio era molto gradita ad Agostino, il quale, interpretando in chiave
ecclesiologica l’immagine di Sion, considera Gal 4,26 («Quae sursum est Ierusalem, mater
nostra aeterna in caelis») quale attualizzazione nel Nuovo Testamento di questo e altri
riferimenti anticotestamentari. Cf., SANT’AGOSTINO , De civitate Dei 11, 7: NBA/2, 78;
15, 2: NBA/2, 378; 17, 3.1: NBA/2, 566; 20, 21.1: NBA/3, 164. Anche nel commento al
salmo 86, Agostino cita il testo paolino: cf. SANT’AGOSTINO, Esposizione sui salmi (NBA
27), traduzione, revisione e note di T. Mariucci e V. Tarulli, Roma 1976, III, 4.

5
teologico23. La confusione è sorta perché la LXX ha letto ûlaj, che è una
particella dubitativa, e ha tradotto di conseguenza «mhv th'/» (nella Vulgata
«numquid»), che per un errore nella trasmissione testuale è diventato
«mhvthr». I versetti 6 e 7, infine, mostrano una notevole diversità tra il testo
ebraico e quelli greco e latino:

Yhwh
e
yis põr kuvrio" dihghvsetai ejn Dominus narrabit in
v. 6 e
bik tôv ‘ammîm grafh'/ law'n kai; ajrcovntwn scriptura populorum
touvtwn tw'n gegenhmevnwn et principum horum
zeh yullad-shãm
ejn aujth'/ qui fuerunt in ea
e e e
w shârîm k hõl lîm wJ" eujfrainomevnwn sicut laetantium
v. 7 e
kol-ma‘ yãnay bãk pavntwn hJ katoikiva ejn omnium habitatio in
soiv te

Il testo ebraico suona in italiano così: «Il Signore iscriverà nel libro dei
popoli: “Costui è nato là». E danzando mentre si canta: “Ogni mia sorgente
è in te». Il testo greco e latino, invece, dicono: «Il Signore racconterà nella
scrittura di quei popoli e principi che furono in essa, mentre [costoro]
gioiscono: è in te la dimora di tutti»24.
Dal punto di vista strutturale, il salmo non dovrebbe costituire difficoltà.
Infatti, nel testo vi è il termine selah – forse una specie d’indicazione di un
intermezzo25 –, che lo divide in tre parti: i versetti 1-3, caratterizzati da
riferimenti sulla fondazione di una città; i versetti 4-6, con la suggestiva
triangolazione che insiste, in ognuno dei tre versetti, sul tema della nascita
dei popoli all’interno della città di cui si sono lodate le fondamenta (jullad
sham-jullad bah-jullad sham: nato là-nato in essa-nato là), e con il tema del
libro della storia; infine, il versetto 7, quale acclamazione finale sintetica,
con il motivo delle sorgenti, con il quali viene ripreso il tema della nascita
nella città.
Da questa rapida escursione sul testo salmico, crediamo che emerga
palesemente la necessità di prestare attenzione al suo sistema simbolico, di
cui fa parte il discorso della fondazione della città di Gerusalemme26, che è a
sua volta madre di tutti i popoli. Il cosiddetto universalismo27, quindi, trae i
suoi argomenti per il fatto che Dio in persona l’ha fondata. Questo

23
Cf. LANCELLOTTI, Salmi, 582; RAVASI, Il libro dei Salmi, II, 795. Del fatto che da
«mhv th'/» si sia giunti poi a «mhvthr», ci dà notizia anche ORIGENE, Omelia sul salmo
86, 5: PL 26, 1144-1150 (qui 1148) e PG 12, 1545-1547; per la versione italiana, cf. G.
COPPA, Origene-Girolamo. 74 omelie sul libro dei Salmi, Milano 1993, 249-250.
24
Spiegare le ragioni di queste differenze è lungo e complesso ed esula dagli interessi
specifici di questo lavoro. Perciò rimandiamo ai commentari già citati.
25
Cf. LANCELLOTTI, Salmi, 13.
26
Da notare la menzione di fondamenta e porte (spesso sinonimo della città, per mezzo
della figura retorica della metonimia): cf. L. ALONSO SCHÖKEL - C. CARNITI, I Salmi,
vol. II, Roma 1993, 204-205.
27
Cf. G. RAVASI, A Sion tutti sono nati! L’universalismo del salmo 87, in Parola
Spirito e Vita 16 (1987) 53-63; G. BISSOLI, Gerusalemme nel piano di Dio dopo tremila
anni, in ID., Gerusalemme: realtà, sogni e speranze, 19-32.

6
conferisce a Gerusalemme un particolare status di “metro-poli”, di città
madre. La fondazione di una città, nel mondo antico, era una faccenda molto
seria; limitandoci alla Bibbia, ricordiamo l’oscuro accenno alla rifondazione
di Gerico in 1Re 16,34, dove si dice che Chiel di Betel pose le fondamenta
sul primogenito Abiram e ne innalzò le porte sull’ultimogenito Segub: vi si
deve ravvisare un sacrificio di fondazione, come facevano gli esegeti
qualche tempo fa, oppure una semplice disgrazia, magari riferibile alla
maledizione pronunciata da Giosuè in Gs 6,26 riguardo a chi avesse osato
ricostruire Gerico?28.
La Bibbia tiene molto a far figurare Dio come signore di Gerusalemme,
considerandola città da lui eletta per esserne la dimora terrena, a causa della
presenza del tempio. Si parla poco, invece, della sua fondazione: oltre il
nostro testo, ne parlano esplicitamente solo Sal 47,9 e Is 14,32. In realtà, si
sa bene che essa era stata città cananea fino all’epoca della conquista di
Davide (997 a.C.; cf. 2Sam 5,6-12; 1Cr 11,4-9). La sua esistenza pare già
attestata fin dal sec. XX a.C. e il suo nome è chiaramente preisraelitico,
poiché ha a che fare con una divinità della teologia cananea. Esso significa,
infatti, «fondazione di Salem»29, un dio, questo, che sovrintendeva alla pace
e alla salute, forse di origine mesopotamica, conosciuto a Ugarit e, poi,
anche nella terra di Canaan30. Quando, fin dall’antichità, s’interpretava il
nome di Gerusalemme come “città della pace”, non si era poi tanto lontano
dal vero significato, visto che il nome del dio corrisponde alla radice che in
parecchie lingue semitiche vuol dire appunto “pace”31.

28
Alla prima ipotesi accennano, ad esempio, A. ROLLA, Libri dei re, Cinisello Balsamo
(Milano) 1989, 160 e R. RIESNER, Gerico, in H. BURKHARDT - F. GRÜNZWEIG - F.
LAUBACH - G. MAIER, Grande Enciclopedia illustrata della Bibbia, Casale Monferrato
(Alessandria) 1997, II, 34; alla seconda, senz’altro più certa, perché manca un giudizio
morale sul sacrificio di fondazione, qualora ci fosse stato, e che nella Bibbia non sarebbe
mancato come per tutte le cose che avevano qualche rapporto con usanze “estranee”,
mentre s’insiste sul legame con le parole di Giosuè, fanno riferimento G. CORTI, 1-2Re, in
F. DALLA VECCHIA - A. PITTA (curr.), La Bibbia, Casale Monferrato 1995, 727; D.J.
WISEMAN , Fondare/fondamento, in BURKHARDT - GRÜNZWEIG - LAUBACH - MAIER,
Grande Enciclopedia illustrata della Bibbia, I, 558-559.
29
Cf. L. K OEHLER - W. BAUMGARTNER, Hebräisches und Aramäisches Lexikon zum
e e
AT, Brill, Leiden 1967ss, 417; M. TSEVAT, j rûshalem / j rûshalajim, in Grande Lessico
dell’Antico Testamento, III, 1086-1096, qui 1091.
30
Cf. M. BALDACCI, La scoperta di Ugarit. La città-stato ai primordi della Bibbia,
Casale Monferrato 1996, 88; G. FOHRER, Siwvn ktl., in G. KITTEL - G. FRIEDRICH
(curr.), Grande Lessico del Nuovo Testamento, XII, 260-270.
31
Ci piace ricordare in proposito il Sal 121, il quale, letto in ebraico, ha tutta una sua
e
bellezza: in primo luogo, il richiamo tra J rûshalajim e il termine shalôm; in secondo luogo,
l’uso frequente della lettera shin, con il cui suono si produce una musicalità che richiama
continuamente il tema della lode di Gerusalemme e della pace che vi regna. Sui significati
d’Israele nell’Antico Testamento, cf. FOHRER, Siwvn ktl., 290-322.

7
3. L’uso di Sal 86,3.5 da parte di Agostino

Ritorniamo, dunque, al De civitate Dei, al fine di esaminare nel dettaglio


l’uso che Agostino fa del salmo. Naturalmente, non basta prendere in
considerazione le citazioni, senza almeno collocarle nel piano dell’opera. In
precedenza abbiamo già fatto cenno alla collocazione delle citazioni nelle
due grandi parti in cui è divisa l’opera. Infatti, due citazioni si trovano nella
prima parte (libri 1-10), quella polemica, volta a dimostrare le insufficienze
sia sociali che religiose del paganesimo, e le ultime due, invece, nella
seconda parte (libri 11-22), che espongono la dottrina cristiana e illustrano
la storia della salvezza. Ciascuna delle due parti, inoltre, si suddivide in
sezioni. Per cui, è opportuno seguire il filo delle citazioni e giustificarle in
base al contesto.

1. «In ea certe civitate est vera iustitia, de qua Scriptura sancta dicit:
Gloriosa dicta sunt de te, civitas Dei». Siamo nella prima sezione (libri 1-5)
della prima parte, nella quale Agostino intende dimostrare l’insufficienza
sociale del paganesimo. Nel secondo libro egli sta trattando del rapporto tra
la decadenza morale e la corruzione da una parte, e il culto degli dei
dall’altra. Servendosi della testimonianza di autorevoli rappresentanti della
cultura romana quali Cicerone e Sallustio, l’Ipponense argomenta che non si
può imputare al cristianesimo la colpa di aver fatto venir meno le basi della
società romana, dal momento che essa era già minata da secoli di lotte,
ingiustizie, eccidi e altro ancora32. Agostino incalza: Cicerone e gli altri
avevano lodato il tempo antico, pieno di virtù esercitate da uomini degni;
egli si spinge, però, a non annettere troppa importanza a questo dato,
sostenendo che, se la giustizia mancava all’epoca della fine della repubblica,
nemmeno ai suoi inizi si può dire che essa trionfasse totalmente, per quanto
la situazione antica fosse migliore di quella successiva33.
Perciò il padre rivendica alla società di cui è fondatore e sovrano Cristo
di essere espressione della vera giustizia: «Vera autem iustitia non est nisi in
ea re publica, cuius conditor rectorque Christus est, si et ipsam rem
publicam placet dicere, quoniam eam rem populi esse negare non possumus.

32
SANT’AGOSTINO, De civitate Dei 2, 21.4: NBA V/1, 136: «Haec Cicero fatebatur,
longe quidem post mortem Africani, quem in suis libris fecit de re publica disputare, adhuc
tamen ante adventum Christi; quae si diffamata et praevalescente religione Christiana
sentirentur atque dicerentur, quis non istorum ea Christianis imputanda esse censeret?
Quam ob rem cur non curarunt dii eorum, ne tunc periret atque amitteretur illa res publica,
quam Cicero longe, antequam Christus in carne venisset, tam lugubriter deplorat
amissam?».
33
Nonostante la polemica, Agostino non è spinto a negare in toto il valore della cultura
classica. A parte l’ammirazione per molti dei suoi esponenti, egli sviluppa un metodo,
secondo il quale, affermata la dottrina cristiana, si tenta di recuperare ciò che di valido vi è
nella dottrina antica e di giungere a una sintesi, in cui il cristianesimo perfeziona il
precedente e fa compiere passi in avanti. Cf. le pagine di Trapé sul metodo agostiniano in
NBA V/1, XVII-XXIV.

8
Si autem hoc nomen, quod alibi aliterque vulgatum est, ab usu nostrae
locutionis est forte remotius, in ea certe civitate est vera iustitia de qua
Scriptura sancta dicit: Gloriosa dicta sunt de te, civitas Dei»34. La res
publica è res populi; ma come meglio definire la res publica di cui Cristo è
fondatore e sovrano? Il problema è posto dal fatto che bisogna capire che
cosa s’intende quando si parla di popolo («hoc nomen, quod alibi aliterque
vulgatum est»). Perciò sembra più opportuno ad Agostino adoperare il
termine «civitas», sulla scorta della fonte biblica che cita. Inoltre, il genitivo
«Dei» non inficia la realtà di popolo che esprime la «civitas», il cui primo
significato è legato al concetto di cittadinanza, più che di città
materialmente intesa con mura e abitazioni (urbs).

2. «Cum ipsis enim sumus una civitas Dei, cui dicitur in psalmo:
Gloriosissima dicta sunt de te civitas Dei». La seconda citazione, in 10, 7, si
trova nella seconda sezione, dove, dimostrando l’insufficienza spirituale del
paganesimo, si arriva alla fine ad asserire che l’unico culto al vero Dio è
realizzabile solo attraverso il sacrificio del Mediatore Gesù Cristo, il quale
ha stabilito che questo suo sacrificio fosse pure quello quotidiano della
Chiesa35.
Il nostro testo, quindi, si trova nel corso di questa dimostrazione della
perfezione e completezza del sacrificio cristiano, il quale si presenta
superiore perché è offerto solo a Dio; inoltre, nella sua esteriorità è
sacramento di quello interiore, ossia dell’offerta che l’uomo fa di se stesso a
Dio (il cosiddetto culto spirituale); infine, è sacrificio universale perché la
Chiesa capisce di essere offerta nella medesima cosa che offre, allo stesso
modo in cui Cristo è stato al tempo stesso vittima e sacerdote.
L’esclusività di Dio nel ricevere il sacrificio è tale che nemmeno gli
angeli, pur «immortales et beati»36, possono rivendicarne una quota, e
neanche lo desiderano, poiché si associano ai cristiani nell’offerta di sé.
Quest’associarsi degli angeli nel sacrificio è motivata dal fatto che anch’essi
appartengono alla città di Dio37. Ancora una volta, dunque, ritorna il tema
della cittadinanza nell’ambito di questa città di Dio. Il fatto che anche gli
angeli facciano parte dei suoi abitanti, le conferisce un duplice statuto, come

34
Ivi: NBA V/1, 138.
35
Si tratta del sacrificio eucaristico: «Quod etiam sacramento altaris fidelibus noto
frequentat Ecclesia, ubi ei demostratur, quod in ea re, quam offert, ipsa offeratur» (10, 6:
NBA V/1, 696). Su questi temi, cf. G. LETTIERI, Sacrificium civitas est. Sacrifici pagani e
sacrificio cristiano nel De civitate Dei di Agostino, in Annali di Storia dell’Esegesi 19
(2002) 2, 127-166.
36
Cf. NBA V/1, LV-LVII.
37
Sia in questo passo che in 12, 1,1 (NBA V/2, 146), Agostino sostiene una trasversalità
nell’appartenenza a ciascuna delle due città tra le creature angeliche e quelle umane, in
quanto fondate sull’unica opposizione, che è quella tra bene e male. Trapé sintetizza: «Ora
le due città, prima che tra gli uomini, si sono costituite tra gli angeli, e non sono quattro
città, bensì due, perché angeli e uomini appartengono ad una delle due città, a quella dei
buoni o a quella degli iniqui» (NBA V/2, 26).

9
poi Agostino spiega: «cuius pars in nobis peregrinatur, pars in illis
opitulatur»38. Da una parte, dunque, ci sono i cristiani che menano la loro
vita terrena affrontando i rischi e le relative traversie che essa comporta,
dall’altra gli angeli, che di quella città sono la curia, svolgendo una funzione
d’intercessione e mediazione a favore dei primi.

3. «Civitatem Dei dicimus, cuius ea Scriptura testis est […]. Ibi quippe
scriptum est: Gloriosa dicta sunt de te, civitas Dei». La terza citazione,
l’ultima riguardante il v. 3 del salmo, si trova in 11, 139, cioè all’inizio della
seconda parte dell’opera, quella più propriamente dottrinale, nella quale,
divisa in tre sezioni di quattro libri ciascuna, sono esposti l’origine (libri 11-
14), il corso (libri 15-18) e i destini (libri 19-22) delle due civitates, quella
di Dio e quella del mondo.
Siamo nel libro undicesimo, che ha come argomento la creazione
dell’universo, in cui sono inclusi anche gli angeli. Sal 86,3 è il primo testo
biblico che viene citato quando l’Ipponense, riprendendo il lavoro della
composizione del De civitate Dei, giustifica il motivo per il quale adopera
quest’espressione40. Egli s’appella, infatti, non a un’opera qualsiasi,
dipendente dal mero ingegno umano, bensì alla Sacra Scrittura, nella quale
vi sono molteplici attestazioni, di cui egli fornisce alcuni saggi, citando in
primo luogo Sal 86,3, poi Sal 47,2-3 e 9, infine Sal 45,5-6. Potrebbe
continuare ancora a citare altre testimonianze, ma preferisce non
dilungarsi41. Piuttosto, richiama la nozione che la città di Dio come la città
del mondo sono «in hoc interim saeculo perplexas […] invicemque
permixtas» e illustra il fatto che esse ebbero origine nella diversità degli
angeli42.

4. «De qua civitate Psalmus alius ait: Mater Sion, dicet homo, et homo
natus est in ea, et ipse fundavit eam Altissimus. Quis est iste Altissimus nisi
Deus? Ac per hoc Christus Deus, antequam in illa civitate per Mariam
fieret homo, ipse in Patriarchis et Prophetis fundavit eam». L’ultima
citazione che Agostino fa dal salmo 86 non è, come abbiamo detto
precedentemente, quella del versetto 3, bensì del versetto 5. Siamo, con 17,
16.2, nella seconda sezione della seconda parte. In questa seconda sezione il
padre della chiesa è impegnato a descrivere il lungo, accidentato e tragico
percorso della storia che le due città, animate dai duo amores, realizzano in

38
SANT’AGOSTINO , De civitate Dei 10, 7: NBA V/1, 696-698.
39
Cf. SANT’AGOSTINO , La città di Dio (libri XI-XVIII), introduzione e note a cura di
D. Gentili e A. Trapé, traduzione di D. Gentili, Roma 1988, 66-68 [d’ora in poi NBA V/2].
40
Come è noto, Agostino compone la prima sezione della seconda parte dell’opera in
parola nel biennio 417-418 (cf. NBA V/2, 8).
41
SANT’AGOSTINO , De civitate Dei 11,1: NBA V/2, 66: «His atque huiusmodi
testimoniis, quae omnia commemorare nimis longum est».
42
Cf. SANT’AGOSTINO , De civitate Dei 11,1: NBA V/2, 66-68. Cf. anche quanto si
dice in NBA V/1, LIX-LX e in NBA V/2, 26-29.

10
mezzo all’umanità: a) si comincia da Abele e da Caino, prototipi delle due
città, fino al diluvio (libro 15); b) il secondo momento inizia dal diluvio per
concludersi con Abramo, quando la città di Dio si manifesta per la prima
volta con maggiore evidenza, e con i re e i profeti d’Israele, nazione che
rappresenta l’immagine profetica della città di Dio (libri 16-17); c) infine,
tratteggia il percorso della città terrena e della sua interazione con la città di
Dio, la quale con la venuta di Cristo è presente nella sua dimensione sociale
e istituzionale (libro 18).
Il nostro salmo viene citato nel contesto di un commento che Agostino fa
al Sal 44 (45 secondo il testo masoretico), interpretato prosopograficamente
in chiave cristologica ed ecclesiologica. Infatti, nel re-sposo descritto nella
prima parte del salmo è da vedere Cristo43, mentre nella regina-sposa la
Chiesa44. Essa è la Sion e la Gerusalemme in senso spirituale, come si dice
più oltre, avendo come nemica Babilonia, il cui re è il diavolo. Nella città di
Dio, quand’era abitata da soli ebrei, si è incarnato Cristo. Qui viene
chiamato in causa Sal 86,5, che viene spiegato così da Agostino: l’Altissimo
di cui si parla è Dio; perciò Cristo, che è Dio, prima che divenisse uomo nel
grembo di Maria, diede a questa città quali salde fondamenta i patriarchi e i
profeti.

4. Una valutazione sul ruolo del Sal 86

A differenza di altri salmi, come il 44 (45) e il 109 (110), il Sal 86 nel De


civitate Dei non viene commentato interamente e specificamente.
Nondimeno, esso viene impiegato in vece di autorità, essendo parte della
Sacra Scrittura, del cui influsso, non è inutile rammentarlo, quest’opera,
come le altre di Agostino, è pienamente impregnata. Per Agostino, adottare
l’autorità della Sacra Scrittura è questione irrinunciabile di metodo, insieme
alla fermezza della fede e alla fiducia nella ragione, al fine di dimostrare
l’originalità della dottrina cristiana45.
In queste conclusioni, riteniamo inutile presentare ciò che è già noto e
che, anche con l’ausilio del Sal 86, Agostino afferma circa le peculiarità
della civitas Dei. Piuttosto, consideriamo più proficuo sottolineare
l’importanza che il concetto di civitas, mutuato dalla Scrittura, riveste per
l’Ipponense.
Il concetto di città nella Bibbia non è identificabile con quello della

43
SANT’AGOSTINO, De civitate Dei 17, 16,1: «Quis non hic Christum, quem
praedicamus et in quem credimus, quamlibet sit tardus, agnoscat, cum audiat Deum, cuius
sedes est in saecula saeculorum, et unctum a Deo, utique sicut unguit Deus, non visibili, sed
spiritali atque intellegibili chrismate?» (NBA V/2, 616).
44
SANT’AGOSTINO, De civitate Dei 17, 16,2: «Deinde aspiciat eius Ecclesiam tanto
viro suo spiritali connubio et divino amore coniunctam, de qua dicitur in his quae
sequuntur» (NBA V/2, 618).
45
Cf. NBA V/1, XVIII-XX.

11
povli" greca, benché nella LXX il vocabolo ebraico ‘ir venga, di norma,
tradotto di solito con questo termine. Infatti, povli" ricorre almeno 1489
volte nella LXX, indicando anche talvolta realtà che città non sono, ma che
in ebraico erano tuttavia chiamate ‘ir, come nel caso di 2Re 17,9, dove sta a
intendere quella che noi chiameremmo una rocca. Inoltre, per la mentalità
ebraica del tempo anticotestamentario, la città non interessa come centro
d’irradiazione di civiltà e luogo in cui si sviluppano ordinamenti e leggi –
tra l’altro, sulle città cananee dominavano delle monarchie dinastiche,
mentre in quelle d’Israele c’era un consiglio di anziani, per cui non vi era
una vita “democratica” –, bensì in prima istanza per il suo scopo pratico di
rifugio fortificato, su cui contare nel momento di necessità.
Tra le città d’Israele, spicca ovviamente Gerusalemme, l’antica rocca dei
gebusei, conquistata da Davide, resa capitale politica del regno, ma anche
centro religioso con la costruzione del tempio. Di essa, a più riprese la
Bibbia dice che è la città scelta da Dio, a causa del tempio46, e anche la città
di Dio47. Com’è noto, però, nella letteratura profetica in specie si evidenzia
che, nonostante la sua santità, Gerusalemme è esposta al giudizio divino,
qualora tradisca Dio e si abbandoni all’idolatria. Tale peccato d’idolatria
non si esaurisce nel semplice “adorare altri dei”, ma comprende anche delle
scelte morali in contrasto con la giustizia di Dio. Le vicende storiche,
abbastanza convulse, di questa città sono, per la Bibbia, la prova che nella
santa città di Dio non ci si comporta con la coerenza etico-religiosa che
sarebbe auspicabile; tuttavia, emerge con nettezza la speranza di ritrovarsi,
un “giorno”, in avvenire, in una Gerusalemme rinnovata da Dio: è la
prospettiva escatologica, che dai profeti postesilici e dal tardo giudaismo,
passa poi nel Nuovo Testamento, dove la parola povli" ricorre almeno 170
volte e viene impiegata in sostanziale coerenza con l’uso
anticotestamentario, ossia senza le implicazioni politiche che ha nel mondo
greco. Anche qui Gerusalemme ha grande rilievo come città santa e celeste,
con chiari collegamenti all’Antico Testamento48.
La città, secondo la storia biblica, non ha avuto un’origine positiva.
Infatti, il primo ad avere fondato una città è Caino, come recita Gen 4,17:
«Ora Caino si unì alla moglie che concepì e partorì Enoch; poi divenne
costruttore di una città, che chiamò Enoch, dal nome del figlio»49. Il secondo
impatto negativo si ha in Gen 11,4.5.8, nell’ambito del celebre racconto
della costruzione della città e torre di Babele50, la quale rappresenta la
46
Nella LXX, cf. 2Cr 6,38; 1Re 8,44; 11,36.
47
Oltre al nostro salmo, cf. Sal 45,5 e 47,2.9; cf. pure Dan 3,28 e 9,16. Per altri
sinonimi, cf. H. STRATHMANN, povli", in Grande Lessico del Nuovo Testamento X, 1295-
1296.
48
Cf. ivi 1314-1321. Agostino ha grande stima di questa città: cf. I. GREGO, «Tutti là
sono nati». Gerusalemme nella Bibbia e nei padri, in Asprenas 42 (1995) 203-220, in
particolare 213-217.
49
Non si trascuri di ricordare che il nome Enoch viene da una radice ebraica che
significa “inaugurare”.
50
Gen 11,1-9 viene citato più volte nell’ambito del libro XVI di quest’opera.

12
realizzazione di un progetto totalitario, con la concentrazione dell’umanità
sotto un unico padrone51. Dio ha sventato un piano imperialistico, totalitario:
Babilonia è una città simbolo dell’imperialismo e della concentrazione dei
popoli (considerando il metodo della deportazione). La storia è piena di
queste esperienze e gli ebrei, nel corso della loro più che trimillenaria storia,
lo sanno. Nel piano divino, invece, la terra dev’essere abitata in tutte le sue
parti e il capitolo 10 già parla della dispersione dei popoli, giudicata
positivamente, a seguito del diluvio52. Negativa, infine, è anche l’immagine
dell’altra città di cui si parla in Gen 18,16-19,29, ossia Sodoma, di cui
Abramo tenta il salvataggio con la sua intercessione, ma invano, perché la
malvagità dei suoi abitanti era grande.
Nella letteratura profetica, ritorna il nome di Babilonia quale
destinazione dell’esilio, ma anche come destinataria di oracoli di
maledizione (cf. Ger 50-51). Essa è la superba città, che verrà umiliata al
momento opportuno (cf. i capp. 43, 46, 47, 48 del Deutero-Isaia, oltre a Is
13-14)53. Potremmo dire che, sullo sfondo, c’è come un confronto tra le due
realtà di Gerusalemme e Babilonia: nella prima c’è il tempio, luogo in cui si
svolge il culto d’Israele; nella seconda c’è l’Esaghila (che, si badi bene, non
può essere identificata con la “torre di Babele”), espressione di un culto
idolatra, attraverso il quale quella città pretendeva che la si guardasse come
la “porta degli dei”54.
Nel rapporto tra le due città, allora, si può, in un certo qual modo, leggere

51
La traduzione del versetto 1 è generalmente questa: «Tutta la terra aveva una sola
lingua e le stesse parole». Occorrebbe, invece, tradurre invece: «Tutta la terra aveva un
labbro solo e uguali imprese». La differenza sta nel fatto che il vocabolo sãfãh indica in
e
prima istanza il labbro, mentre il termine d vãrîm può significare anche opere. Questo
senso del testo è avvalorato anche dall’uso dell’espressione un solo labbro in testi accadici:
chi si ribella al re non ha un solo labbro, mentre chi gli si sottomette ha un solo labbro. Il
testo, quindi, ci spinge a considerare che tutta la terra era in armonia perché tutti gli uomini
pensavano allo stesso modo. Cf. E. TESTA, Genesi, Cinisello Balsamo 1986, 131-132; J.L.
SKA, La benedizione di Babele, in R. FABRIS e altri, Bibbia, popoli e lingue, Casale
Monferrato 1998, 47-62 (in particolare 52-57).
52
Da questo, ci rendiamo conto che il capitolo 10 è in correlazione con questo brano.
Abbiamo però una differenza: la dispersione dei popoli e la diversità delle lingue sono
reputati un processo naturale nel capitolo 10, mentre nel nostro brano sembrano una
punizione divina. In realtà, l’intervento di Dio reagisce alla sua preoccupazione di
proteggere i sacri valori della diversità, della libertà, dell’autodeterminazione. Allora Dio
non è intervenuto per maledire, ma per benedire.
53
Per una sintesi sulla posizione dell’Antico Testamento in merito, cf. H. RINGREEN,
babel, in Grande Lessico dell’Antico Testamento, I, 1013-1022.
54
Il significato del nome Babilonia viene fatto risalire a questo significato. La ziqqurat
dal nome Esaghila, a sua volta, significa “casa che alza la testa”, il che ha suggerito a
qualche studioso di vedere un’allusione a essa nel racconto della torre di Babele quando, al
v. 4 si dice che la costruenda torre dovrà toccare il cielo: tra questi, cf. più di recente J.H.
WALTON, The Mesopotamian Background of the Tower of Babel Account and Its
Implications, in Bullettin for Biblical Research 5 (1995) 155-175. Sul mito di Babilonia
attraverso i secoli, cf. G. PETTINATO, Babilonia, centro dell’universo, Milano 1994, 7-19 e
255-267.

13
la storia della salvezza, secondo un schema definibile con l’aggettivo
“apocalittico”. Perché l’apocalissi è rivelazione, sguardo che interpreta i
fatti storici alla luce della lotta tra il bene e il male, che per noi, ancora
pellegrini su questa terra, è difficile distinguere. Questo è il motivo
fondamentale per cui non si può hic et nunc giudicare, ossia separare,
perché quest’operazione si terrà alla fine della storia. L’Apocalisse di
Giovanni assume questa logica, aiutando a capire che, nel frattempo,
bisogna decidersi a entrare in Gerusalemme, abbandonando la seduzione di
Babilonia, che al suo tempo era il nome che nascondeva l’imperialismo
idolatra di Roma.
Con premesse del genere, Agostino può fare a meno di prendere a
prestito idee dai manichei, per il dualismo cosmico, come dai donatisti, per
una visione ecclesiologico-sacramentaria impossibile da accettare, come dai
pelagiani, per un’antropologia che metteva a rischio la mediazione salvifica
di Cristo. Rimane, quindi, la Scrittura, di cui egli è, nonostante la difficoltà
di un testo non sempre criticamente solido, tuttavia sicuro interprete.

14

Potrebbero piacerti anche