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UN PREDICATORE STRAORDINARIO:

GESÙ DI NAZARET
Stile, metodo e contenuti

GAETANO DI PALMA

RIASSUNTO - I Vangeli testimoniano che Gesù si è dedicato con impegno costante


alla predicazione, basata sull’annuncio del regno di Dio e delle sue caratteristiche. Le
“parabole” sono state il suo strumento comunicativo privilegiato per parlare a tutti, alle
folle come ai capi del popolo. Infatti, le parabole uniscono la logica argomentativa alla
forza narrativa, ottenendo il risultato di offrire un messaggio che coniuga bellezza, sem-
plicità e attualità. Un predicatore dei nostri tempi può imparare da Gesù a usare un lin-
guaggio capace di creare empatia con gli ascoltatori e impegnarsi a farli diventare disce-
poli; allo stesso tempo, egli deve ricordare che i frutti dipendono soprattutto dall’opera
dello Spirito Santo e dalla buona disposizione del cuore di chi accoglie la predicazione.
PAROLE CHIAVE - Predicazione, Parabole, Destinatari, Argomentazione, Narrazione.

ABSTRACT - An extraordinary Preacher: Jesus. Style, method and contents. The go-
spels testify that Jesus devoted himself to the preaching with a steady commitment. The
preaching is based on the announcement of the kingdom of god and of his features. The
“parables” were his preferred communicative means to speak to everyone, both to the
crowd and to the leader of people. In fact the parables put the argumentative reason and
the narrative strength together, and in this way he succeeds in giving a message that puts
beauty, simplicity and topicality together. In our time a preacher can learn from Jesus to
use a language that is able to create empathy with the audience and to get them to beco-
me disciples; at the same time, he must remember that the results depend on the action of
the Holy Spirit above all and on the good disposition of heart of people who agree to the
preaching.
Mancano
KEYWORDS - Preaching, Parables, ??????????, ??????????, ??????????.
Keywords

Il Vangelo più antico, quello di Marco, inizia presentandoci la figu-


ra di un predicatore, Giovanni il Battista, che ebbe un certo impatto tra
il popolo giudaico, dai capi e sacerdoti fino alle persone più umili, du-
rante gli anni ’20 del primo secolo dopo Cristo. Al v. 4 del primo capi-
tolo, infatti, si legge: «Vi fu Giovanni che battezzava nel deserto e pre-
dicava il battesimo di conversione in funzione della remissione dei pec-
cati». L’evangelista impiega il ben noto verbo khruvssw, il cui signifi-
cato originario è “gridare con voce forte”, “proclamare ad alta voce”,
72 [312] Gaetano Di Palma

“bandire”, “notificare” 1. Non ci soffermiamo a descrivere la storia e


gli usi di tale verbo perché abbondantemente trattati 2, ma segnaliamo
soltanto alcuni dettagli. In primo luogo, nella versione dei Settanta es-
so è impiegato trentatré volte e rende vari verbi ebraici, dimostrando
di non essere «un termine ben definito per designare una certa predi-
cazione o annunzio» 3. Inoltre, è raro che indichi la predicazione pro-
fetica, ricorrendo solo in Is 61,1, Gn 1,2 e 3,4; invece altrove, come in
Gl 2,1 e Zc 9,9, rispecchia il suo significato originario di “proclamare
ad alta voce”.
In secondo luogo, il Nuovo Testamento, pur attribuendo una certa
rilevanza a khruvssw, che non va tradotto sic et simpliciter in ogni caso
con “predicare”, perché designa primariamente l’annuncio, conosce
un’ampia gamma di verbi designanti la varietà e la ricchezza di linguag-
gio con cui le comunità delle origini definivano l’attività di annuncio e
predicazione. In questo contributo ne segnaleremo qualcuno qualora se
ne verifichi la necessità.

1. Qualche premessa

Prendiamo come punto di riferimento il Vangelo di Marco, nel qua-


le khruvssw ricorre dodici volte, a cui si aggiungono le due volte nella fi-
nale: in 16,15 (mandato di predicare conferito da Gesù agli Undici) e in
16,20 (sommario dell’attività missionaria dei discepoli). Se togliamo le
due ricorrenze riguardanti Giovanni il Battista (cf. 1,4.7) e le due per gli
apostoli (cf. 3,14 e 6,12), quella riferita al lebbroso (cf. 1,45), all’inde-
moniato di Gerasa esorcizzato (cf. 5,20) e ai testimoni della guarigione
di un sordomuto (cf. 7,36), le predizioni dell’attività missionaria futura
(cf. 13,10) e del ricordo dell’unzione di Gesù compiuta da una donna in
casa di Simone il lebbroso a Betania (cf. 14,9), restano soltanto tre casi in
cui il verbo interessa direttamente Gesù: 1,14.38.39 4. Non è, comunque,

1 Questo verbo potrebbe essere accostato all’ebraico qārā’. Cf. G. SEMERANO, Le origini
della cultura europea. II. Dizionari etimologici. Dizionario della lingua greca, Firenze 1994, 139.
2 Cf. almeno G. FRIEDRICH, khruvssw, in GLNT V, 424-472.
3 Ivi 434.
4 Delle nove ricorrenze di khruvssw in Matteo sono riferite a Gesù 4,17.23, 9,35, 11,1; a
Giovanni in 3,1; ai Dodici in 10,7.27; alla futura azione missionaria in 24,14 e in 26,13 all’un-
zione della donna a Betania. Le nove ricorrenze lucane riguardano Gesù in 4,18 (citazione di
Un predicatore straordinario: Gesù di Nazaret [313] 73

da queste poche ricorrenze che si può dedurre l’impegno di predicato-


re assunto dal Maestro di Nazaret. Abbiamo ricordato, infatti, che vi so-
no altri verbi che ne descrivono l’attività.
È opportuno, insieme alla terminologia, ricordare che i Vangeli so-
no il frutto di una complessa attività di autori, i quali hanno consultato
testimoni e fonti scritte relazionandosi alle proprie comunità in cui vi-
vevano la loro esperienza di fede e riportando in lingua greca il messag-
gio di Gesù, espresso originariamente in lingua aramaica. Quanto ci è
stato trasmesso rappresenta l’insegnamento del Maestro di Nazaret nei
suoi contenuti fondamentali, inserito nel suo contesto prima galilaico
poi gerosolimitano, presentato secondo il genio letterario e le preoccu-
pazioni teologiche di ciascuno degli evangelisti. L’insegnamento offerto
sotto forma di parabole e discorsi proviene da Gesù, di cui gli evangeli-
sti ci hanno tramandato i contenuti giunti loro – come già detto – attra-
verso le varie tradizioni e fonti scritte, nelle quali si conservano elemen-
ti formali (per esempio talune espressioni linguistiche) che non rara-
mente ne avvalorano l’origine gesuana. D’altronde, non sarebbe giusto
perdere fiducia negli evangelisti, scelti da Dio e al suo servizio, «nel
possesso delle loro facoltà e capacità, affinché, agendo egli in essi e per
loro mezzo, scrivessero come veri autori, tutte e soltanto quelle cose che
egli voleva fossero scritte» (DV 12).

2. E andò per tutta la Galilea, predicando nelle loro sinagoghe (Mc 1,39)

Tali premesse erano necessarie per inquadrare gli obiettivi e i limi-


ti di questo contributo. Infatti, per noi non si rivela per nulla facile ac-
cedere all’originaria predicazione di Gesù. Servendoci, dunque, dei do-
cumenti a nostra disposizione, i Vangeli, cerchiamo di delineare un pro-
filo di quest’attività del Maestro di Nazaret.
Innanzitutto, indichiamo quali erano i luoghi nei quali egli svolge-
va il suo ministero di predicazione. Il primo corrisponde alla sinagoga,
posto tipicamente adibito alla lettura e alla predicazione della Parola 5.
Il Vangelo di Marco riferisce in 1,21.39 e 6,2 tale notizia; a sua volta, il

Is 61,1) e 19.44, 8,1; a Giovanni in 3,3; all’indemoniato geraseno in 8,39; ai Dodici in 9,2 e ai
discepoli in 12,3 e 24,47. Nel Quarto Vangelo tale verbo non ricorre.
5 Ricordiamo soltanto la fioritura dei targumim e dei midrashim nell’ambito palestinese.
74 [314] Gaetano Di Palma

Vangelo di Luca narra in 4,16-30 l’inaugurazione solenne del ministe-


ro in Galilea; in ogni caso, oltre a 4,15.44, anche in 13,10 si conferma
tale dato. Ugualmente il Vangelo di Matteo ribadisce questa notizia in
4,23, 9,35 e 13,54. Il Quarto Vangelo racconta la predicazione tenuta
da Gesù in una sinagoga, nello specifico quella di Cafarnao a seguito
della moltiplicazione dei pani e dei pesci nel capitolo sesto (cf. pure 6,59);
inoltre, in 18,20, durante l’interrogatorio a casa di Anna è Gesù stesso a
ricordare di aver solitamente insegnato nelle sinagoghe. In quella stessa
occasione, egli afferma di aver insegnato perfino nel tempio, come si
legge in 7,14.28 e 8,20. Anche gli altri evangelisti riferiscono questo par-
ticolare, parlando del ministero gerosolimitano di Gesù: cf. Mt 26,55;
Mc 12,35; 14,49; Lc 19,47; 20,1; 21,37. Facciamo notare che il verbo
adoperato in tutte queste ricorrenze è didavskw 6, ad eccezione di Mc
1,39 e Lc 4,44, dove si trova khruvssw.
I luoghi “istituzionali” non esauriscono gli spazi per espletare l’at-
tività d’insegnamento, poiché il Maestro ha predicato sistematicamente
all’aperto (cf. Mc 6,34) su un monte (cf. Mt 5,2), sulla spiaggia di Cafar-
nao (cf. Mc 2,13; 4,1), da una barca (cf. Lc 5,3 e Mt 13,2) 7, nelle piazze
(cf. Lc 13,26). È un predicatore itinerante, come dicono Mc 6,6b, Lc
13,22 e Mt 11,1. In tutte queste ricorrenze e altrove vengono nominati
pure i destinatari: le folle, poi in contesti riservati, per esempio in case,
i discepoli, e non raramente perfino gli avversari, scribi, farisei e sacer-
doti. Ne accenneremo ancora successivamente.
Non possiamo ignorare una nota di “stile” immediatamente rileva-
ta dalla gente: egli insegna con ejxousiva, come si legge in Mc 1,22.27,
Lc 4,32 e Mt 7,29. A tal proposito, si rivelano interessanti le considera-
zioni esposte da James Dunn 8, il quale coinvolge anche altri brani come
Mc 6,2, dove si esprime lo stupore dei nazaretani di fronte a quanto
Gesù è capace di predicare e compiere, e Mt 8,9 (con il parallelo Lc
7,8), in cui il centurione di Cafarnao pone a confronto la propria auto-
rità con quella di Gesù. Notevole è pure l’incontro nel tempio tra Gesù

6 Cf. K. H. RENGSTORF, didavskw, in GLNT II, 1093-1126. Cf. pure D. C. MOHRMANN,


The Power of Proclamation in the New Testament, in Anglican Theological Review 101 (2019)
1, 27-44.
7 Mt 13,2 introduce con ejlavlhsen aujtoi`" polla; ejn parabolai`" il discorso cosiddetto
delle parabole. Anche il verbo lalevw è adoperato per la predicazione di Gesù.
8 Cf. J. D. G. DUNN, Gli albori del cristianesimo. 1/2. La memoria di Gesù. La missione di
Gesù, Brescia 2006, 733-737.
Un predicatore straordinario: Gesù di Nazaret [315] 75

e i rappresentanti del potere, capi dei sacerdoti e anziani. Costoro gli


chiedono conto del suo comportamento obiettando: «Con quale auto-
rità fai queste cose?» (Mc 11,28 e paralleli) 9. Limitandoci alla predica-
zione, l’autorità riconosciuta dagli ascoltatori proviene da varie ragioni:
l’indipendenza di Gesù dall’insegnamento di altri maestri; il radica-
mento di tale insegnamento del Maestro di Nazaret nella Scrittura; il te-
ma fondamentale della sua predicazione, ossia il regno di Dio; la sua
metodologia, ossia il frequente uso di parabole. Allo stesso tempo, è da
segnalare l’impiego costante da parte di Gesù del termine Amen per in-
trodurre “con autorità” le sue affermazioni, diventandone, pertanto, un
tratto tipico del suo stile didascalico 10.

3. Come possiamo paragonare il regno di Dio? (cf. Mc 4,30)

Il Vangelo di Marco, alla fine della sua introduzione in 1,14-15,


presenta un sommario della predicazione di Gesù: «Dopo che Giovan-
ni era stato consegnato 11, Gesù andò in Galilea a proclamare il vangelo
di Dio e diceva: “Il tempo è compiuto e il regno di Dio è vicino: con-
vertitevi e credete nel vangelo”» 12. A sua volta, Mt 4,12-17 riprende da
Marco la notizia della “consegna” di Giovanni il Battista, precisa il luo-
go della Galilea in cui Gesù si stabilisce e amplia la nozione del compi-
mento con la citazione di Is 8,23-9,1, concludendo così: «Convertitevi:
il regno dei cieli si è fatto vicino» (4,17). Indubitabilmente, quindi, la
predicazione riguardante la basileiva tou` Qeou`, il “regno di Dio”, rap-
presenta il nucleo centrale dell’insegnamento di Gesù da cui si dipartono

9 Cf. G. DI PALMA, Sei tu il Cristo? Tra gesuologia e messianicità, Roma 2015, 111-115.
10 Cf. DUNN, Gli albori del cristianesimo. 1/2., 736-737. Dunn sostiene, a nostro parere
giustamente, che tali caratteristiche risalgono a Gesù stesso. Nel nostro caso, l’uso di Amen è
specificamente del Maestro, mentre tra i cristiani delle origini esso è adoperato secondo il tra-
dizionale modulo liturgico, già proprio della sinagoga.
11 L’evangelista scrive paradoqh`nai, da paradivdwmi, stabilendo un parallelismo tra Gio-
vanni e Gesù e la loro “consegna” alla morte.
12 Marco individua nell’annuncio di Gesù quattro elementi: il primo riguarda il compi-
mento del tempo, ossia il kairo;" che deve accadere può avvenire in qualsiasi momento; il se-
condo concerne quanto deve accadere, ossia l’approssimarsi del regno di Dio, poiché il verbo
greco h[ggiken esprime il senso del farsi vicino; gli ultimi due elementi richiamano il modo di
rispondere alla notizia dell’imminenza del regno, ovvero la “conversione”, il cambiamento di
mentalità, e il “credere”, cioè il prestare fede al vangelo.
76 [316] Gaetano Di Palma

tutti gli altri temi (amore per Dio e per i fratelli, riconciliazione, perdo-
no, giustizia, preghiera…), come ormai molti studiosi hanno sufficien-
temente spiegato 13, e che non è possibile anche solo riassumere in que-
sta sede.
Ogni lettore dei Vangeli, però, ha senz’altro notato che il tema del
regno di Dio è trattato da Gesù prevalentemente con una modalità co-
municativa ancora oggi molto suggestiva e attraente: la parabola. Non
sono per nulla poche le parabole che iniziamo con formule di confron-
to tra il regno e una realtà, un fatto preciso 14. Per esempio, la parabola
del seme in Mc 4,26-29 è introdotta da «Così è il regno di Dio», mentre
la successiva, quella del granello di senape in Mc 4,30-32, comincia con
«Come possiamo paragonare (oJmoiwvswmen) il regno di Dio o con quale
parabola lo presentiamo?» 15. Le parabole, dunque, rappresentano la
grande e innovativa risorsa comunicativa impiegata da Gesù per parla-
re a un pubblico composto di contadini e pescatori della Galilea, ma fa-
cendosi comprendere anche da scribi, farisei e capi dei sacerdoti, per-
ché costoro erano in grado di individuare nessi ed echi della tradizione
biblica. Non ci nascondiamo, comunque, il problema della delimitazio-
ne del corpus parabolico 16, che determina una difformità di numera-
zione tra i vari esegeti 17. Tuttavia, per i nostri scopi non è importante

13 Indichiamo soltanto alcuni studi più autorevoli che, trattando il Gesù storico, ne evi-
denziano articolatamente il messaggio. Cf. per esempio G. BARBAGLIO, Gesù ebreo di Galilea.
Indagine storica, Bologna 2002, 255-298; J. P. MEIER, Un ebreo marginale. Ripensare il Gesù stori-
co. 2. Mentore, messaggio e miracoli, Brescia 2002, 285-592; DUNN, Gli albori del cristianesimo.
1/2., 424-528. J. GNILKA, Jesus von Nazaret. Botschaft und Geschichte, Freiburg 1990 [Gesù di
Nazaret. Annuncio e storia, Brescia 1993] preferisce «die Gottesherrschaft» (“la signoria di
Dio”) all’usuale espressione «das Reich Gottes» (“il regno di Dio”).
14 Addirittura A. J. HULTGREN, Le parabole di Gesù, Brescia 2004, 23 fornisce tale defini-
zione: «Una parabola è una figura retorica in cui si paragonano il regno, le azioni o le aspetta-
tive di Dio a qualcosa, reale o immaginario, di questo mondo».
15 Abbiamo tradotto in maniera letterale Mc 4,30. Segnaliamo soltanto che il verbo
oJmoiovw, ricorrente dodici volte nei Vangeli, è impiegato per introdurre il confronto tra il regno
di Dio e una realtà espressa in parabola solo in 4,30 nel Vangelo di Marco (tra l’altro, unica ri-
correnza del verbo), in Luca solo in 13,8.20 (su tre ricorrenze), mentre in Matteo in 13,24,
18,23, 22,2 e 25,1 (su otto ricorrenze). In Mt 13,31.33.44.45.47 e 20,1 si trova l’aggettivo oJmoiva
(“simile”).
16 Cf. V. FUSCO, Oltre la parabola. Introduzione alle parabole di Gesù, Roma 1983, 49-51.
Di quest’autore cf. pure Parole e regno. La sezione delle parabole (Mc 4,1-34) nella prospettiva
marciana, Brescia 1980.
17 La bibliografia sulle parabole è sterminata. Indichiamo almeno qualche titolo più re-
cente: HULTGREN, Le parabole di Gesù; R. ZIMMERMANN, Compendio delle parabole di Gesù,
Un predicatore straordinario: Gesù di Nazaret [317] 77

quest’aspetto, bensì quello che eventualmente si può imparare dal mo-


do di predicare di Gesù e da come gli evangelisti lo hanno trasmesso 18.
D’altronde, le parabole sono apprezzate per una serie di caratteri-
stiche che le rendono decisamente originali 19. Proviamo a elencarne al-
cune, partendo dall’abitudine di Gesù di rivolgersi al suo uditorio coin-
volgendolo soprattutto quando pone delle domande dirette del tipo:
«Chi di voi?» (per esempio Lc 11,5), oppure «Che ne pensate?» (Mt
18,12). Rispetto, poi, alle parabole rabbiniche, quelle gesuane non han-
no lo scopo d’interpretare passi biblici, né quello di corroborare una te-
si, come invece avviene nelle parabole di cui facevano uso alcuni filoso-
fi greci, bensì contengono in sé il messaggio che il Maestro di Nazaret
intende trasmettere, sollecitando l’ascoltatore/lettore a riflettere e a in-
terpretare. Esse sono tratte dall’esperienza comune di vita che qualsiasi
giudeo della sua epoca poteva fare e parlano di Dio in maniera concre-
ta. Non raramente, inoltre, presentano un finale imprevisto, che è utile
per rappresentare la condotta di Dio spesso in contrasto con quella
umana. Infine, in esse confluiscono due importanti tradizioni giudai-
che, ossia la sapienziale e l’escatologica, spesso addirittura presenti nel-
la medesima parabola (per esempio, le vergini saggie e quelle stolte in
Mt 25,1-13).
Da questo punto di vista, ci sembrano interessanti anche i brevi ac-
cenni di Vittorio Fusco alla classificazione della parabola come retorica
o poetica 20. Infatti, questo esegeta riprende la questione posta da Adolf
Jülicher (1857-1938), il quale ha dedicato un imponente e pioneristico
studio alle parabole 21, in cui propende per collocarle nelle forme retori-
che, benché riconosca loro una certa forza poetica. In realtà, le parabo-
le sfuggono alle classificazioni della retorica, se intendiamo quella greco-
romana, e costringono il destinatario a riflettere in maniera induttiva, in
un quadro definibile piuttosto di rhetorica perennis, cioè di tipo popo-
lare e universale. Tale processo induttivo che scopre il meccanismo

Brescia 2011; J.P. MEIER, Un ebreo marginale. Ripensare il Gesù storico. 5. L’autenticità delle
parabole, Brescia 2017.
18 Cf. per esempio B. YOUNGER, Preaching Like Mark, in Review and Expositor 107
(2010) 355-362. M. GRAVES, WWLD? The Writer of Luke-Acts as a Paradigm for Pastoral Pro-
phetic Preaching, in Review and Expositor 109 (2012) 397-412.
19 Cf. HULTGREN, Le parabole di Gesù, 27-31.
20 Cf. FUSCO, Oltre la parabola. Introduzione alle parabole di Gesù, 120-128.
21 Cf. A. JÜLICHER, Die Gleichnisreden Jesu, 2 voll., Tübingen 1888-1899.
78 [318] Gaetano Di Palma

argomentativo della parabola fa orientare piuttosto verso una sua com-


parazione con la “maieutica” socratica 22, benché ciò non debba far tra-
scurare un altro fondamentale aspetto della parabola, ossia la narrazio-
ne. In altre parole, l’argomentazione va integrata con la narrazione.
La ricerca di quanto attiene specificamente alla parabola costringe,
quindi, a non assolutizzare le varie componenti: l’argomentazione, la
narrazione, il suo valore performativo esaltato dalla strategia dialogica,
il capovolgimento delle aspettative del lettore, l’ironia bonaria e garba-
ta. Esse vanno declinate insieme, per analizzare qualcosa di originale,
unico, sempre attuale perché si aggancia una realtà concreta, condivisi-
bile parimenti dal parabolista e dal destinatario.

4. I destinatari: folle, discepoli e altre categorie

La narrazione evangelica, come abbiamo già accennato, presta una


certa attenzione anche ai destinatari della predicazione di Gesù. Non è
un caso se il vocabolo o[clo", “folla”, ricorra soltanto nei quattro Van-
geli, fatta eccezione di Ap 7,9, 17,15 e 19,1.6 23. Se si esclude la “schie-
ra” che con spade e bastoni andò nel Getsemani per arrestare Gesù e
qualche altra ricorrenza, in linea generale il termine indica la “massa di
gente al seguito del Maestro di Nazaret”. Essa accorre per vederlo op-
pure per ascoltarlo, lo cerca perché guarisca gli infermi; talvolta è pro-
prio Gesù a convocarla e ad averne compassione poiché la vede come
un gregge senza pastore (cf. Mc 6,34). In talune occasioni egli se ne di-
stacca per dedicarsi alla formazione dei suoi discepoli o per compiere
una guarigione particolare. Di norma, il rapporto tra la folla e Gesù è
buono; difatti, è il favore di questa nei suoi confronti a frenare i capi del
popolo, in vari frangenti, dall’arrestarlo.
Tra tali folle vi sono le categorie di persone particolari alle quali
Gesù si rivolge: i poveri, gli infermi, i peccatori, le donne, i discepoli. Si
tratta di persone “marginali”, alle quali egli predica, annuncia il vange-
lo del regno, perché è consapevole di essere stato inviato alle pecore

22 Circa quest’aspetto, utile a livello pastorale, cf. K. WOODHULL, The Art of Parabling:
Leveraging the Narrative Parables of Jesus as Models of Missional Engagement, in Missiology: An
International Review 41 (2013) 1, 74-86.
23 Cf. R. MEYER, o[clo", in GLNT IX, 67-92.
Un predicatore straordinario: Gesù di Nazaret [319] 79

perdute della casa d’Israele: si vedano Mt 10,6, quando specifica ai di-


scepoli chi sono i destinatari della loro missione, e 15,24, quando ri-
sponde alla donna cananea. Quanto ai poveri 24, in Lc 4,18 egli svela il
suo fermo proposito di “annunciare loro la buona notizia”. I discepoli,
in particolare i Dodici, diventano poi i principali interlocutori dell’inse-
gnamento del Maestro. D’altronde, come si dice in Mc 3,14, «ne costi-
tuì Dodici – che chiamò apostoli –, perché stessero con lui e per man-
darli a predicare». Anch’essi, quindi, dovranno imparare a predicare.
Gli ultimi destinatari della sua predicazione a cui accenniamo sono
proprio gli avversari: i farisei, i dottori della legge, i capi dei sacerdoti:
cf. per esempio Mt 21,45 e Lc 15,2-3. Il loro comportamento general-
mente ostile, talvolta falsamente adulatorio, provocava in Gesù la ne-
cessità di esprimere una risposta anche attraverso la sua predicazione.
Tuttavia, egli non era interessato a contestare e condannare sterilmente
o per desiderio di rivalsa, bensì ha parlato con loro nutrendo la speran-
za di “convertirne” qualcuno.

5. Conclusioni

Al termine di questo breve percorso riteniamo opportuno chieder-


si se è ricavabile qualcosa per la nostra prassi. Indubbiamente, la predi-
cazione di Gesù è inimitabile perché esprime la sua singolare genialità.
Tuttavia, vale pur sempre la pena di ispirarsi per conferire maggiore vi-
talità al nostro predicare.
Ravvisiamo in primo luogo la capacità del Maestro nazaretano di
saper entrare in empatia con gli interlocutori, eccezion fatta per gli av-
versari, di per sé maldisposti nei suoi confronti. Gesù si dimostra acco-
gliente, comprensivo verso le folle che si rivolgevano a lui e da lui si sen-
tono amate. Queste lo cercavano anche per ragioni “materiali”, ma in
ogni caso non rifiutavano di ascoltarne la parola, sapendo di non avere
di fronte un giudice, uno che punta il dito per condannare, bensì qual-
cuno che si pone nella condizione di incoraggiare a recuperare fiducia
in se stessi. Egli presenta Dio per quello che è veramente: un padre sol-
lecito del bene dei suoi figli.

24 Cf. G. DI PALMA - P. GIUSTINIANI, Una Chiesa povera per i poveri? Profili biblici e sto-
rico-teologici di un’antica questione, Roma 2016.
80 [320] Gaetano Di Palma

Ciò non significa che Gesù rinunci a rimproverare, quando è il ca-


so, oppure, tenda ad “annacquare” le esigenze della sequela. Al contra-
rio, può permettersi di affermare: «Se qualcuno vuol venire dietro a me,
rinneghi se stesso, prenda la sua croce e mi segua. Perché chi vuole sal-
vare la propria vita, la perderà; ma chi perderà la propria vita per causa
mia e del Vangelo, la salverà» (Mc 8,34-35), sulla base della profonda
coerenza tra le sue parole e le sue azioni 25.
La gente gli vuol bene e lo segue con piacere non soltanto perché
parla bene 26 e compie tanti miracoli. Gesù dice cose “interessanti”, ra-
dicate nell’insegnamento della Sacra Scrittura, ma anche legate all’e-
sperienza quotidiana degli uomini, com’è tipico della tradizione sapien-
ziale. Egli non è un predicatore “asettico”, che va bene per qualsiasi si-
tuazione, ma stabilisce un rapporto con le persone, le quali si sentono
coinvolte, e le invita a fare una verifica della propria vita. La sua è una
parola che illumina la vita e scalda il cuore, come accadde ai discepoli
lungo la via per Emmaus.
Nell’annunciare il Vangelo, egli reca la gioia dell’ingresso di Dio
nella storia del mondo e nella vita di ogni uomo che apre il cuore per
accoglierlo, come insegna la parabola del seminatore (cf. Mc 4,3-8.13-
20), nonostante le croci e le persecuzioni 27.
Sarà compito di altri offrire ulteriori indicazioni al predicatore dei
nostri giorni, ma non crediamo di sbagliare se indichiamo ancora a chi
ci legge la necessità di saper avere un linguaggio suggestivo, con ac-
centi poetici, quando è possibile, con un’argomentazione ben condot-
ta senza fare sfoggio di saccenteria o di imparaticcio, rifuggendo so-
prattutto la teatralità, affinché l’attenzione sia concentrata su Gesù e il
suo messaggio e non sul predicatore. Si adoperi, invece, un linguaggio
“saporoso”, “gustoso”, profondamente umano, perché proprio Dio ha

25 Cf. G. DI PALMA, L’umanità di Gesù e la sua prassi di vita, in Maria, Madre di Miseri-
cordia. I santuari luoghi della tenerezza di Dio. Fascicolo monografico di Asprenas 64 (2017) 1,
39-57.
26 Perfino le guardie mandate ad arrestarlo non hanno il coraggio di eseguire gli ordini:
«Le guardie tornarono quindi dai capi dei sacerdoti e dai farisei e questi dissero loro: “Perché
non lo avete condotto qui?”. Risposero le guardie: “Mai un uomo ha parlato così!”» (Gv 7,45-
46). A sua volta, Lc 19,48 racconta che i suoi avversari non potevano arrestarlo «perché tutto il
popolo pendeva dalle sue labbra nell’ascoltarlo».
27 Cf. G. DI PALMA, «Vi annuncio una grande gioia, che sarà di tutto il popolo» (Lc 2,10).
Cristo e la gioia nei Vangeli sinottici, Bornato in Franciacorta (Brescia) 2016.
Un predicatore straordinario: Gesù di Nazaret [321] 81

voluto esprimersi con parole umane al fine di comunicare e rivelare se


stesso.
Almeno questo ci è sembrato opportuno segnalare, tenendo pre-
sente l’esempio di Gesù, con la consapevolezza che il successo della
predicazione non è dato dall’entusiasmo di chi ascolta, ma dal frutto
che lo Spirito produrrà in un cuore ben disposto.

GAETANO DI PALMA
Pontificia Facoltà Teologica dell’Italia Meridionale - Napoli

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