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III.

DIO CERCA L’UOMO E SI RIVELA

Petroc Willey

Dio cerca l’uomo per potersi rivelare: Rivelazione, infatti, è comunicazione; è Dio che comunica
se stesso all’uomo e tale rivelazione è fonte della catechesi. La catechesi, eco della comunicazione,
consiste nel lavoro della Chiesa di trasmettere la Rivelazione. In questo studio, poniamo attenzione
ad una parola che può aiutarci a comprendere cosa sia la rivelazione e come possiamo parlarne in
modo adeguato: questa parola greca, che viene dal Nuovo Testamento, è parresia.
Guardiamo innanzitutto al perché Dio si è rivelato. Ciò viene spiegato nella Dei Verbum: «il
santo Concilio […], seguendo le orme dei Concili Tridentino e Vaticano I, intende proporre la
genuina dottrina sulla divina Rivelazione e la sua trasmissione, affinché per l’annuncio della
salvezza il mondo intero ascoltando creda, credendo speri, sperando ami» (DV 18). Queste parole,
che presentano in modo chiaro lo scopo ultimo della Rivelazione, cioè portare il mondo intero a
prendere parte all’amore eterno di Dio, esprimono anche il legame indissolubile tra la Rivelazione
divina e la catechesi. La catechesi è «l’annuncio della salvezza» per il mondo intero e, attraverso
questo annuncio, coloro che vengono a conoscere la Rivelazione divina possono arrivare a credere
in Lui; quanti credono, ricevono una nuova speranza per le loro vite e, da questa viva speranza,
possono arrivare a prendere parte alla vita eterna dell’amore di Dio. La Rivelazione di Dio è,
dunque, il fondamento certo della catechesi. Dio ha scelto liberamente di farsi conoscere, per
mettere a disposizione dell’uomo la propria vita e, di conseguenza, vuole che la sua Chiesa sia
coraggiosa e sicura nella proclamazione della verità, di modo che possa davvero «annunciare» al
mondo la salvezza mentre proclama e spiega la Buona Notizia di Cristo.

Parresia

1
Rivolgiamo l’attenzione alla parola parresia1, termine che nelle Scritture indica sia la fiducia nel
Padre misericordioso che si è rivelato all’uomo, sia il coraggio che deve caratterizzare la catechesi.
Il termine si trova soprattutto negli scritti di Giovanni2, Paolo3 e Luca4. Parresia è una parola molto
significativa per tutti quelli che trasmettono la fede della Chiesa: per i genitori, per i sacerdoti, per i
catechisti nelle parrocchie, per gli insegnanti nelle scuole. Essa riassume come dovremmo imparare
a fare catechesi per una nuova evangelizzazione. Parresia è una parola con un ricco spettro di
significati: significa parlare in modo chiaro, non ambiguamente; significa parlare in modo semplice,
senza evadere l’argomento; significa parlare con coraggio, senza esitazioni; significa anche parlare
in modo completo, senza omettere i problemi. Il Catechismo della Chiesa Cattolica usa una serie di
espressioni per esprimere il significato centrale di questo splendido termine: «semplicità schietta,
fiducia filiale, gioiosa sicurezza, umile audacia, certezza di essere amati» (CCC 2778). Queste
parole descrivono con efficacia gli atteggiamenti e le convinzioni che possiamo avere da catechisti:
possiamo parlare con «schietta semplicità» perché abbiamo la certezza di «essere amati»; possiamo
parlare con «umile audacia» grazie alla «fiducia filiale».
Il termine proviene dal mondo della politica dell’antica Grecia e faceva riferimento alla libertà di
parola e d’espressione data ai cittadini. Essi erano liberi di dire tutto e potevano parlare senza
riserve, ma, proprio perché a volte praticamente questo modo di parlare può essere difficile,
parresia passò a significare anche parlare con una certa audacia e con una certa franchezza5. Nel
Nuovo Testamento il termine parresia sarà poi associato all’audacia che ogni cristiano può avere,
nella consapevolezza che Dio ci ha resi a pieno titolo cittadini del Regno dei cieli. Egli ha dato
all’uomo una nuova dignità in Cristo, lo ha fatto suo figlio e gli ha detto che può chiedergli ogni
cosa. La capacità di riuscire a parlare con parresia scaturisce dalla rivelazione del Padre a noi e
dalla certezza che, come figli e figlie, siamo stati uniti al Figlio nell’amore del Padre.

Rivelazione e parresia

Vediamo come la parresia caratterizzi la rivelazione di Dio. La parresia descrive il modo in cui
Dio Padre parla: Gesù è tutto ciò che il Padre vuole dirci. Il Padre comunica la sua Parola divina a
noi, rivolgendosi con pienezza e completezza, senza trattenere nulla. Il Catechismo, nella parte sulla
1
Il termine è composto dalle parole greche pan, tutto, e rhēsis, discorso. Per un’introduzione generale al concetto cf.
P. JOÜON, Divers sens de parrhēsia dans le Nouveau Testament, Recherches de Science Religieuse 30, 1940, pp. 239 ss.
2
Nell’opera giovannea, il termine si trova in totale 13 volte: Gv 7,4.13.26; 10,24; 11,14.54; 16,25.29; 18,20; 1Gv
2,28; 3,21; 4,17; 5,14.
3
Paolo usa la parola parresia in Fil 1,20; 1Ts 2,2; Ef 3,12; 6,19.20; Col 2,15.
4
I riferimenti al termine parresia sono molto rilevanti negli Atti; per esempio, 2,29; 4,13.29.31; 9,27; 13,46, ecc.
5
Cf. H. SCHLIER, Parrhēsia, parrēsiazomai, Theological Dictionary of the New Testament, V, pp. 871-886.
2
Rivelazione, insegna che il Padre «ci ha detto tutto in una sola volta in questa sola Parola e non ha
più nulla da dire. […] Infatti quello che un giorno diceva parzialmente ai profeti, ce l’ha detto tutto
nel suo Figlio, donandoci questo tutto che è il suo Figlio»6. La Lettera agli Ebrei dice che Dio ha
parlato «molte volte e in diversi modi» (Eb 1,1), ma la sua Parola per noi, completa e definitiva, è
suo Figlio (Eb 1,2). Il Padre, la fonte di tutto il creato, ha rivelato la pienezza della verità. Il Figlio è
la parresia del Padre, la sua piena rivelazione.
La parresia descrive non solo il modo con cui il Padre si rivolge a noi, ma anche la relazione del
Figlio con il Padre. Il Figlio è certo del suo essere amato dal Padre e ha «fiducia filiale» in Lui; per
questo, invita tutti a prendere parte al suo rapporto unico col Padre, che Egli chiama «Abba!». La
Lettera agli Efesini ricorda che possiamo avere «coraggio» davanti al Padre – cioè parresia –
perché noi siamo in Cristo (Ef 3,12) e a noi è dato il privilegio di prendere parte al rapporto tra il
Figlio e il Padre.
La parresia indica anche il modo in cui il Figlio parla con noi: Gesù ci chiama infatti suoi
«amici». Egli dice: «Non vi chiamo più servi, perché il servo non sa quello che fa il suo padrone;
ma vi ho chiamato amici, perché tutto ciò che ho udito dal Padre mio l’ho fatto conoscere a voi»
(Gv 15,15). Tutto ciò che il Figlio ha ricevuto dal Padre l’ha fatto conoscere a noi. Gesù parla con
noi apertamente, semplicemente, sinceramente, dicendo tutto, e insegna tutto rivelandoci il volto del
Padre (Gv 14,8). Gesù dice che Egli è il Figlio che sceglie di rivelare il Padre (cf Mt 11,27); il Figlio
sceglie: ‘rivelarsi’ è infatti sempre un’iniziativa di Dio, una sua azione libera. Dunque, il termine
parresia delinea Dio e la sua Rivelazione, ma anche il modo in cui il Padre dice la Parola divina di
suo Figlio; descrive inoltre il rapporto del Figlio con il Padre e il rapporto del Figlio con noi, il suo
modo di parlare a coloro che chiama amici.
Quando siamo in comunione con Cristo e siamo da Lui istruiti per mezzo della Chiesa, anche noi
impariamo a parlare con parresia e da Cristo acquisiamo la franchezza, il coraggio e la confidenza
nel parlare. Per rendere possibile questo, lo Spirito Santo ci deve rendere «come bambini» (cf Mt
18,1-4). Paolo, nella sua Lettera ai Romani, rassicura che proprio questa è l’opera dello Spirito
Santo: «Voi avete ricevuto uno spirito da figli adottivi per mezzo del quale gridiamo: “Abbà,
Padre!”. Lo Spirito stesso attesta al nostro spirito che siamo figli di Dio» (Rm 8,15-16).
Allo stesso modo troviamo che questa qualità di parresia è fondamentale nella catechesi degli
apostoli. Il coraggio era una caratteristica dei discorsi di Paolo (cf At 18,26; 19,8); ai Tessalonicesi
dice: «Come ben sapete, abbiamo avuto il coraggio (cioè parresia) nel nostro Dio di annunziarvi il
vangelo di Dio in mezzo a molte lotte» (1Ts 2,2). Gli Atti degli Apostoli si concludono poi con
Paolo a Roma che «insegnava tutto quello che riguarda il Signore Gesù Cristo con grande coraggio
6
SAN GIOVANNI DELLA CROCE, Subida del Monte Carmelo 2, 22. 3-5: Biblioteca Mistica Carmelitana, v. 11
(Burgos 1929), p. 184; cit. in CCC 65.
3
e senza essere ostacolato» (At 28,31): «con grande coraggio» è, in questo caso, una traduzione di
parresia. Abbiamo un’immagine vivida di Paolo che catechizza con coraggio e proclama la Buona
Notizia nel cuore dell’impero pagano; questo coraggio scaturiva dalla fiducia che egli aveva nella
rivelazione di Dio. Egli sapeva che quello che insegnava non era una sua creazione, ma qualcosa
che gli era stato donato: «io, infatti, ho ricevuto dal Signore quello che a mia volta vi ho trasmesso»
(1Cor 11,23). Alla comunità cristiana di Tessalonica Paolo dice che ringrazia Dio perché hanno
accolto i suoi insegnamenti «non quale parola di uomini, ma, come è veramente, quale parola di
Dio» (1Ts 2,13).
Paolo mostra che, come catechisti, è possibile avere fiducia nell’insegnare con coraggio ciò che
abbiamo ricevuto «dal Signore». Dio si è rivelato totalmente nella Persona del suo Figlio divino e si
è fatto conoscere, per il suo grande amore, alla sua Sposa, la Chiesa, che trasmette questa preziosa
Rivelazione. Nel CCC, la Chiesa ha messo a disposizione di tutti una perla d’immenso valore
perché nella catechesi si possa annunciare a ogni persona la conoscenza della verità salvifica di Dio.

Le tappe della rivelazione sulla «Via»

Sulla strada per Emmaus il Signore si è rivelato ai discepoli e li ha istruiti; sulla via,
camminando con Gesù, hanno imparato a parlare di Lui agli altri con libertà e coraggio. In questo
racconto si vede bene, come afferma il Concilio, che «Dio invisibile nel suo grande amore parla agli
uomini come ad amici e si intrattiene con essi, per invitarli e ammetterli alla comunione con sé»
(DV 2). Esaminiamo come questo racconto illustri le verità fondamentali per la catechesi.
L’episodio di Emmaus inizia con una difficoltà: i discepoli non riescono a riconoscere Gesù
risorto. Noi sappiamo dalle Scritture che il Padre, che si rivela nella sua pienezza, abita una «luce
inaccessibile» (1Tm 6,16). Come può un uomo qualunque fissare lo sguardo alla pienezza della
verità, quando non gli è possibile nemmeno guardare direttamente al sole che è stato creato? I
Vangeli dicono che, nella sua trasfigurazione, il volto di Gesù «brillò come il sole e le sue vesti
divennero candide come la luce» e i discepoli caddero con la faccia a terra (Mt 17,1-8). Dio deve
rendere i nostri occhi capaci di vederlo. Nella sua benevolenza, il Padre ci dona una luce interiore,
la luce della fede, affinché siamo capaci di vedere e di rispondere alla Rivelazione del Dio di luce
sul volto di suo Figlio. Paolo dice: «E Dio, che ha detto: “Risplenda la luce nelle tenebre”, ha fatto
risplendere in noi la luce per farci conoscere la gloria di Dio riflessa sul volto di Cristo» ( 2Cor 4,6).
È questa luce, egli dice, che permette di comportarci «con molta franchezza» (2Cor 3,12): la parola
usata è parresia e si sta parlando della fiducia piena di coraggio con cui possiamo accogliere la

4
Rivelazione divina. È come se un velo fosse steso sul nostro cuore, dice Paolo, ma quando il
Signore viene e noi ci rivolgiamo a Lui, Egli solleva il velo perché possiamo vederlo e riconoscerlo
(cf 2Cor 3,15-ss). Nel racconto dei discepoli sulla strada per Emmaus, Luca spiega come i loro
occhi siano stati gradualmente aperti, passo dopo passo, affinché potessero riconoscere Gesù.
L’occhio umano non può vedere Dio ed Egli deve farci abituare a sostenere la sua gloria: Egli ci
aiuta a vederlo per gradi (cf CCC 53). Ireneo di Lione insegna che «il Verbo di Dio […] pose la sua
abitazione tra gli uomini e si è fatto Figlio dell’uomo, per abituare l’uomo a comprendere Dio»7.
Sulla strada per Emmaus Gesù ha aperto gli occhi dei discepoli perché percepissero la sua realtà e
potessero così parlarne con coraggio agli altri.
Prima di tutto, Egli cammina davanti a loro sulla “Via”. Il termine “Via” indica che non si parla
di un cammino materiale, ma dell’ordinario percorso spirituale della vita cristiana: negli Atti
troviamo una prima descrizione dei discepoli del Signore risorto come seguaci della “Via” (cf At
9,2)8. Questo episodio alla fine del Vangelo di Luca, perciò, non è una storia isolata che riguarda
solo questi due discepoli; piuttosto, mostra come Cristo si rivela a tutti noi, che siamo sulla “Via”
cristiana. Su questa via, Egli si rivela a noi, poco a poco e a tappe, in modo che possiamo accogliere
lo splendore della sua gloria.
Vediamo anche che, mentre cammina con loro, Gesù li istruisce (cf Lc 24.25-27). I discepoli
vogliono offrire il racconto di quanto è loro successo, ma possono parlare solo di un Cristo che è
morto; parlano senza fede9 e Gesù li chiama «stolti e lenti di cuore» (Lc 24,25). I discepoli hanno da
imparare a essere accoglienti del suo insegnamento e devono ascoltare le sue parole così che
possano annunziare agli altri la Buona Notizia; diversamente, essi avranno da comunicare solo la
propria esperienza e la propria storia. Cristo si rivela alla sua Sposa, la Chiesa, così che possa
parlare con parresia. Come catechisti, dobbiamo accogliere l’insegnamento del Signore attraverso
la Chiesa per diventarne poi maestri. Giovanni Paolo II, nell’esortazione apostolica Catechesi
tradendae, afferma: «Solo Cristo insegna, mentre ogni altro lo fa nella misura in cui è il suo
portavoce, consentendo al Cristo di insegnare per bocca sua. […] Ogni catechista dovrebbe poter
applicare a se stesso la misteriosa parola di Gesù: “La mia dottrina non è mia, ma di colui che mi ha
mandato”» (CT 16). Come catechisti sulla “Via” dobbiamo prima diventare discepoli, per studiare
la Rivelazione di Dio alla luce della fede e accogliere ciò che Cristo vuole donarci nella sua Chiesa.

7
SANT’IRENEO DI LIONE, Adversus haereses 3,20,2: PG 7/1,944; cf. 3,17,1; 4,12,4; 4,21,3.
8
Gesù è la Via (Gv 14,6).
9
Cf. le osservazioni acute dell’Instrumentum laboris della XIII Assemblea Generale Ordinaria del Sinodo dei
Vescovi sul tema La nuova evangelizzazione per la trasmissione della fede cristiana, Città del Vaticano 2012, n. 38:
“La vicenda dei discepoli di Emmaus (cf. Lc 24,13-35) è emblematica della possibilità di una conoscenza fallimentare
di Cristo. I due di Emmaus parlano di un morto (cf. Lc 24,21-24), narrano la loro frustrazione e la loro perdita di
speranza. Essi dicono la possibilità, per la Chiesa di sempre, di essere portatrice di un annuncio che non dà vita, ma
tiene chiusi nella morte il Cristo annunciato, gli annunciatori e di conseguenza anche i destinatari dell’annuncio”. 
5
Uno studio continuo delle Scritture e del Catechismo è essenziale per la nostra capacità di essere
catechisti secondo il cuore del Signore; solo allora saremo capaci di trasmettere fedelmente e
pienamente quello che il Signore vuole insegnarci. Luca enfatizza quel «tutto» che il Signore
insegna: questo «tutto» è Mosè e «tutti» i profeti: egli spiega come «tutte» le Scritture indichino
Lui. L’insegnamento di Cristo è caratterizzato da questo «tutto»: è pieno e completo, è parresia.
In conclusione, vediamo che l’insegnamento di Gesù è unito alla liturgia; è unito alla sua
presenza sacramentale nell’atto dello «spezzare il pane» (Lc 24,29-30). È grazie al riconoscimento
di Lui che «gli occhi dei discepoli furono aperti» (Lc 24,31), rendendoli così capaci di raccontare ad
altri discepoli quanto era successo sulla «Via» (Lc 24,35). Giovanni Paolo II insegna che «la
catechesi è intrinsecamente collegata con tutta l’azione liturgica e sacramentale, perché è nei
sacramenti e, soprattutto, nell’Eucaristia che Gesù Cristo agisce in pienezza» (CT 23) per la nostra
trasformazione. La catechesi porta sempre ai sacramenti, e specialmente all’Eucarestia, poiché è «il
compendio e la somma della nostra fede» (CCC 1327) e la fonte dell’opera di trasformazione della
grazia: qui si trova la vita del Cristo risorto, presente a noi e disponibile per le nostre vite.
Abbiamo notato che il termine parresia proviene dalla politica della Grecia antica e si riferiva
alla libertà di parola data ad ogni libero cittadino nella pubblica assemblea, dove - si pensava - si
poteva imparare a dire la verità senza riserve e senza trattenere nulla. La piena verità che ci è stata
rivelata è la Parola divina, pronunciata dal Padre. Dio ha fornito alla Chiesa un luogo pubblico per
l’assemblea, dove questa parola è pronunciata e si rende a noi presente pienamente, giorno dopo
giorno: la divina liturgia. La parresia del Padre, quindi, e la pienezza del suo progetto d’amore si
sono resi presenti a noi. Proprio dalla pienezza della Rivelazione il Popolo di Dio impara la
parresia: il Credo, espressione piena della fede, è infatti proclamato nella liturgia; è ancora nella
liturgia che noi impariamo a pregare la Preghiera del Signore, a pregare il Padre dei cieli con
«fiducia filiale»; più di ogni altra cosa, è nella liturgia che troviamo la pienezza del dono di Dio per
noi, cioè Lui stesso che si fa presente nell’opera della nostra redenzione. La liturgia, pertanto, è il
luogo della parresia, dove possiamo condurre altri a riconoscere Cristo, così che gli occhi siano
aperti e i discepoli possano diventare catechisti, che partono per annunziare la Buona Notizia con
l’«umile audacia» dei figli di Dio.

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