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Asprenas

STUDI 59 (2012) 7-26

“CHE COS’È L’UOMO PER CUI TE NE CURI?”


La sapienza biblica per una nuova dignità dell’essere umano

GAETANO DI PALMA

SOMMARIO - 1. Alcuni rilievi sul Sal 8. 2. Profilo della visione dell’uomo in Mesopota-
mia e Iran. 3. Il Sal 8 nell’antropologia dell’Antico Testamento. 4. Il Sal 8 letto dal Nuovo
Testamento. 5. Conclusioni.

ABSTRACT - “What are human beings that you spare a thought for them?”. The bibli-
cal wisdom for a new dignity of the man. Pico della Mirandola, a Renaissance’s intellectual,
wrote a speech about the human dignity, quoting also the Psalm 8. The author of this ar-
ticle, beginning from this quotation, examines the psalm and compares not only with the
anthropology of the Ancient Near East, but also with that biblical, the Old and the New
Testament. He concludes that we must recover the biblical vision, where it is said that
man cannot assert unilaterally his dignity. But, he has to acknowledge that there’s a per-
son, “an You”, who considers him as a partner, because he has created him to his own
image and likeness.

KEY WORDS - Psalm 8, Human Dignity, Anthropology, Man, Image.

Giovanni Pico della Mirandola, giovane intellettuale alla corte dei Me-
dici, nella quale aveva conosciuto Marsilio Ficino e Angelo Poliziano, all’ini-
zio della sua Oratio de hominis dignitate (§ 2), composta nel 1486, scrisse:
«Horum dictorum rationem cogitanti mihi non satis illa faciebant, quae mul-
ta de humanae naturae praestantia afferuntur a multis: esse hominem creatura-
rum internuntium, superis familiarem, regem inferiorum; sensuum perspicacia,
rationis indagine, intelligentiae lumine, naturae interpretem; stabilis evi et fluxi
temporis interstitium, et (quod Persae dicunt) mundi copulam, immo hymeneum,
ab angelis, teste Davide, paulo deminutum» 1.

1 L’Oratio non fu resa nota dall’autore. Soltanto due anni dopo la sua morte, nel 1496, il ni-
pote Giovan Francesco la pubblicò a Bologna. Il titolo De hominis dignitate risale all’edizione
di Strasburgo delle opere di Pico (1504). Innumerevoli sono le edizioni dell’opera: cf. P. C. BORI,
Alle origini del Discorso sulla dignità umana di Pico della Mirandola, testo latino, versione ita-
liana e apparato testuale a cura di S. Marchignoli, Milano 2000.
8 Gaetano Di Palma

Egli sapeva che diversi autorevoli testi antichi avevano riconosciuto


la grandezza dell’essere umano e, tra questi, in maniera indiretta, cita Sal
8,6: «ab angelis, teste Davide, paulo deminutum». Tuttavia, la dignità
dell’uomo, a suo parere, non risiedeva in ciò che tali testi indicavano,
ovvero la centralità umana nella creazione e il suo essere un “microco-
smo”, bensì nella possibilità di attingere l’identità finale con Dio, con
chiaro riferimento a Plotino 2. A tal proposito, ci sembra giusto, però,
ricordare che l’Oratio è profondamente ispirata da una genuina since-
rità della fede cristiana di Pico, come ha dimostrato Henry de Lubac 3,
che non gli impediva di cogliere i problemi e le tensioni del suo tempo,
né di ascoltare e valorizzare le altre tradizioni culturali e religiose, sia
antiche che coeve. Questa precisazione fornisce l’occasione per segna-
lare che Pico cita, nel § 10, la celebre frase del Sal 82,6: «Dii estis et filii
Excelsi omnes», e invita gli uomini a distaccarsi dalle cose di questo
mondo per occupare il posto che a essi spetta, emulando le schiere de-
gli angeli, poiché «erimus illis, cum voluerimus, nihilo inferiores».
L’essere umano, pur creato di poco inferiore agli angeli – come tra-
duce la versione dei Settanta e ripete la Vulgata, mentre nel testo ebrai-
co leggiamo me‘ath me-’ælohîm, cioè «poco meno di un dio» –, è stato
dotato di libertà, di cui gli angeli non dispongono; ciò l’avvicina a Dio,
benché tale libertà abbia comportato per lui il pericolo della degrada-
zione nel peccato, dalla quale è stato salvato dal Verbo incarnato affin-
ché possa ritrovare la via della vera felicità, ossia l’unione in un solo spi-
rito con Dio (cf. 1Cor 12,4-11), non nella confusione di entrambi, giac-
ché sono distinti, bensì nell’unione di un amore e di una conoscenza vi-
cendevole 4.
Non sfugge, quindi, che Pico sia stato travisato considerandolo un
antesignano del libero pensiero, affrancato dal teocentrismo medieva-
le e dalla fede cristiana, come se esaltare l’uomo significhi sminuire o
spodestare Dio. Al contrario, egli trova nelle radici bibliche e nella tra-
dizione cristiana notevole impulso in vista della rivalutazione del posto

2 Cf. ivi 35 e 37.


3 Cf. H. DE LUBAC, Pico della Mirandola. L’alba incompiuta del rinascimento, Milano 1977,
riedita nel 1994. Nonostante l’imbarazzante incidente di Arezzo, dove tentò di rapire Marghe-
rita, moglie di Giuliano dei Medici, mentre era in viaggio per Roma (1486), egli fu novizio do-
menicano e fu in stretti rapporti con Girolamo Savonarola, insieme al quale stette al capezzale
di Lorenzo de Medici mentre questi moriva.
4 Cf. ivi 189.
La sapienza biblica per una nuova dignità dell’essere umano 9

riservato all’uomo nel cosmo, riscontrando anche in altre tradizioni cul-


turali, dal platonismo e neoplatonismo al cristianesimo bizantino, dal-
l’ebraismo e dalla Cabala all’islamismo, delle interessanti sponde che lo
rendono uno dei precursori di un dialogo interculturale che cerca, in
primo luogo, ciò che unisce.

1. Alcuni rilievi sul Sal 8

La conoscenza dei testi delle varie tradizioni religiose e filosofiche


da parte di Pico e la sua capacità di collegarli c’impone di soffermarci
sul Sal 8, il primo inno di lode che s’incontra nel Salterio, per esamina-
re la domanda del versetto 5: «Che cos’è l’uomo al punto da ricordarte-
ne, e il figlio dell’uomo tanto da prendertene cura?». È il primo passo
che vogliamo muovere verso la risposta all’interrogativo che persegui-
remo in questo contributo.
I commentatori del salmo 5 invitano a prendere visione della sua
struttura 6. In primo luogo, si riscontra un’inclusione maggiore, ossia la
frase che apre il salmo è la medesima che lo chiude, includendo il testo,
il quale spiega i motivi che rendono più consapevoli gli oranti che ripe-
tono le stesse parole pronunciate all’inizio. S’intuisce un probabile con-
testo liturgico, in cui un’assemblea acclama e canta. Nel nostro caso la
frase, ai vv. 2a e 10, è:
- -
yhwh ’adonênû ma -’addîr šimka bekol ha ’a re z ---
O Signore, nostro Dio, quanto è maestoso il tuo nome su tutta la terra

In questa frase c’è il pronome interrogativo ma- che, quando è se-


guito da un aggettivo o da un verbo, assume un valore esclamativo, cor-
rispondente al nostro “quanto”, come ricorda un’autorevole grammati-
ca dell’ebraico biblico 7. Oltre che nei vv. 2a e 10, tale pronome – con il

5 Cf. almeno A. LANCELLOTTI, I Salmi, Roma 1984, 110-113; G. RAVASI, Il libro dei Salmi.
Commento e attualizzazione, Bologna 31986, I, 177-203; L. ALONSO SCHÖKEL - C. CARNITI, I
Salmi, Roma 1992, I, 238-254; T. LORENZIN, I Salmi, Milano 2000, 71-73.
6 Cf. K. SEYBOLD, Poetica dei Salmi, Brescia 2007, 211, 227, secondo il quale il salmo – for-
se un testo preesistente e rielaborato per esprimere contenuti di antropologia teologica allinea-
ti a Gen 1 – era perfettamente simmetrico, ma nella fase di conservazione del testo, i vv. 2b.3
sono stati danneggiati, alterandone la struttura.
7 Cf. P. JOÜON - T. MURAOKA, A Grammar of Biblical Hebrew, Roma 1996, 535.
10 Gaetano Di Palma

significato di “che cosa” – ricorre anche nel v. 5 per introdurre la do-


manda sull’uomo. La posizione del pronome viene considerata “strate-
gica”, perché l’ammirazione per Dio rivestito della sua maestà (vv. 2a.10)
si muta in uno stupore indescrivibile quando ci si sofferma a constatare
l’interesse da lui mostrato verso l’uomo (v. 5).
Il v. 5 funge da spartiacque tra la prima parte del salmo, vv. 2b-4, e
la seconda, vv. 6-9. La prima parte è dominata dalla potenza divina che
il poeta vorrebbe cantare, ma ammette di riuscire soltanto a balbettare,
perché meravigliato sia di fronte alla giustizia di Dio che zittisce i suoi
avversari sulla terra – uomini ribelli che non sono soddisfatti del ruolo
loro assegnato, di cui si farà cenno dopo – sia di fronte al suo “cielo”, al-
la luna e alle stelle plasmate dalle sue dita e collocate al loro posto. La
seconda, invece, riguarda la signoria sulla terra e su tutti gli esseri che la
popolano, affidata all’uomo dal condiscendente Dio. Tale condiscen-
denza divina è dimostrata con alcuni “dati di fatto”, che il poeta bibli-
co non esita a illustrare.
Al v. 6 troviamo la frase a cui aveva già alluso Pico nella sua Oratio:
watteh.assere-hu- me‘ath me-’ælohîm. Il verbo h.a-se-r (“mancare”) 8 è qui co-
niugato nella forma piel, che gli conferisce un senso comparativo a cau-
sa della presenza del min, per cui il suo significato diventa “rendere mi-
nore”. Il verbo, dunque, assume una precisa connotazione teologica,
che aiuta a rispondere all’interrogativo del versetto precedente. Se il
termine di paragone è Dio (’ælohîm), l’uomo è stato reso “di poco”
(me‘ath) inferiore, in una posizione che lo eleva di fronte alle altre crea-
ture e, contemporaneamente, non lo identifica con Dio, per quanto sia
stato incoronato di gloria e di onore.
“Gloria” e “onore” sono due caratteristiche che competono a un
sovrano quale l’uomo è stato reso, come si dice nel v. 7, usando un ver-
bo interessante: ma-šal, che esprime l’idea del potere in senso politico e
statale, come il suo sinonimo ma-lak, “regnare”, benché quest’ultimo in-
sista sulla persona che governa, mentre il primo sull’autorità e sul con-
cetto di sovranità in se stessa 9. Pure in questo caso, la coniugazione del
verbo aiuta a comprendere: il soggetto è Dio, che è la causa (forma
hiphil: causativa) per la quale l’uomo assume il dominio sull’opera del-
le mani divine. Si tratta di un dominio totale, che si estende su animali

8 --
Cf. H.-J. FABRY, h.ase r, in GLAT 3, 103-115, in particolare 114-115.
9 -
Cf. H. GROSS, mašal, in GLAT 5, 428-433, in particolare 430.
La sapienza biblica per una nuova dignità dell’essere umano 11

domestici e selvatici, quelli che vivono sulla terra, nei cieli e nel mare.
Due volte, infatti, compare la parola “tutto”, che include gli esseri da ri-
tenere «sotto i piedi» (tah.at-ragla-yw) dell’uomo.
È vero che Dio si riserva la propria superiorità, ma concede all’uo-
mo di partecipare, rispettandone le potenzialità e i limiti, al governo del
mondo, del quale deve sentirsi responsabile. L’uomo si trova, così, col-
locato in una posizione particolare: fa parte della creazione, ma ne è
l’amministratore; partecipa al governo del mondo, ma non tutto dipen-
de da lui, perché tale potere gli è stato affidato e lo esercita sulla base di
un mandato divino. È stato inserito in un rapporto che si può definire
“triangolare”: Dio, il mondo ed egli, unica tra le creature a essere con-
sapevole del proprio posto e capace di un protagonismo dal quale nasce
la storia.
La risposta all’interrogativo del v. 5 non era difficile, mentre è for-
se più complesso cercare di capire da dove sorge quella domanda. La
logica suggerirebbe d’individuare la datazione del salmo, ma ogni ese-
geta conosce bene quanto sia complesso uno studio del genere su testi
che raramente contengono dettagli storici e che, dal punto di vista lin-
guistico, possono presentare forme arcaizzanti gradite al gusto del poe-
ta. Un’ipotesi plausibile potrebbe essere questa: il salmo è stato redatto
in forma definitiva nell’epoca postesilica, adattando probabilmente
qualche testo della tradizione cananea – com’è avvenuto per non pochi
salmi 10 – e risentendo delle idee teologiche maturate a contatto con la
cosmogonia mesopotamica e con la dottrina del mazdeismo (o zoroa-
strismo) 11. L’epoca postesilica, com’è noto, è stata contrassegnata dal
dominio persiano. Si potrebbe pensare, quindi, come terminus a quo,
all’epoca successiva all’elaborazione del tema della creazione e alla re-
dazione di Gen 1.

2. Profilo della visione dell’uomo in Mesopotamia e Iran

Gli scribi babilonesi, in uno tra i poemi mesopotamici, quello di


Atra-hasîs, cioè Il sommamente saggio, hanno dato una piccola prova
+
10 Cf., ad esempio, Y. AVISHUR, Studies in Hebrew and Ugaritic Psalms, Jerusalem 1994.
11 Su questa religione, cf. M. BOYCE, A History of Zoroastrianism: The early period, Leiden
1996; P. CLARK, Zoroastrianism: an introduction to an ancient faith, Brighton-Portland 2001; M.
IYER, Faith & philosophy of Zoroastrianism, Delhi 2009.
12 Gaetano Di Palma

delle loro capacità “speculative” usando le parole della loro lingua, l’ac-
cadico 12. Essi partono da quattro parole: awilum, “uomo”; ilum, “dio”;
(w)et’emmu, “spettro”; t’emu, “personalità”, ma anche “intelligenza”.
Dal modo in cui sono scritte tali parole, essi cercavano di spiegare i rap-
porti tra i concetti che esprimono. Awilum risulta composto da tre gra-
femi: A + WI + LUM, la cui parte finale suona ilum (“dio”) e il secon-
do grafema, WI, corrisponde al segno (ideogramma) che in sumerico si-
gnifica “intelligenza”, che corrisponde all’accadico t’emu, a sua volta
assonante con et’emmu, per indicare che essa risiede nella dimensione
non corporea. Inoltre, WI, nel poema Atra-hasîs, è il nome del dio Alla,
+
ucciso dagli altri dèi affinché con il suo sangue e la sua carne, impastati
insieme all’argilla, fosse creato l’uomo. Il senso è chiaro: l’uomo, in
quanto fatto di argilla mista a carne e sangue di un dio, è mortale e con-
temporaneamente partecipe della natura divina; ha una dimensione
corporea e una incorporea, nella quale risiede l’intelligenza.
Tuttavia, una visione talmente positiva della dignità umana quale
traspare dai vari luoghi della Bibbia, tra cui il Sal 8, non ha eguali nelle
pur evolute culture del Vicino Oriente antico. Infatti, commentando
brevemente l’Atra-hasîs, l’assiriologo Jean Bottéro ha scritto:
+
«La dottrina antropogonica in esso contenuta è perfettamente chiara nei
suoi tratti essenziali: gli uomini sono stati creati e messi al mondo e la loro rea-
lizzazione sottilmente calcolata e condotta a termine per svolgere, nei confronti
degli dèi, il ruolo di servitori. Sono semplicemente dei produttori, il cui fine è
quello di mettere in risalto, col loro lavoro, le ricchezze di questo mondo, for-
nendo innanzitutto al mondo soprannaturale i beni materiali indispensabili, qua-
li il cibo e le bevande, l’abbigliamento e gli ornamenti, la suppellettile e le abita-
zioni» 13.

Conviene, comunque, soffermarsi ancora sulla concezione mesopo-


tamica dell’uomo 14. Nel poema sumerico Enki e Ninmah, la dea Nammu
+
rimprovera il dio Enki 15, il quale, mentre gli altri dei stanno lavorando

12 Per queste notizie, cf. P. MANDER, La religione dell’antica Mesopotamia, Roma 2009,
40-41.
13 J. BOTTÉRO, Mesopotamia. La scrittura, la mentalità e gli dèi, Torino 1991, 246.
14 Per le notizie che seguiranno, cf. M. BALDACCI, Il diluvio. Mito e realtà del più grande
cataclisma di tutti i tempi, Milano 1999, 119ss.
15 Per un breve profilo di questa divinità, cf. MANDER, La religione dell’antica Mesopota-
mia, 74-76.
La sapienza biblica per una nuova dignità dell’essere umano 13

per procurarsi il cibo, dorme saporitamente. Ella gli propone, allora, di


creare degli esseri che sostituiscano gli dèi, affinché costoro non lavori-
no più 16. In un testo scoperto nella biblioteca del palazzo del re assiro
Tiglatpileser I (1115-1107 a.C.) si legge che gli dèi, dopo la fatica della
creazione, chiesero al loro capo, Enlil 17, di fare gli uomini, affinché il la-
voro degli dèi fosse il loro lavoro 18. Celebre è, inoltre, la narrazione del
poema babilonese di Atra-hasîs: gli dèi superiori si dividono il potere e
+
le zone d’influenza, mentre quelli inferiori – gli Igigi – sono costretti a
lavorare la terra, finché non si ribellano inducendo gli dèi superiori a
trovare una soluzione. Durante un consiglio, le divinità decidono, su
proposta di Enki, di creare l’essere umano che porti il fardello del lavo-
ro 19. La procedura adoperata fu questa:
«Il primo, settimo e quindicesimo giorno del mese
promuoverò un bagno rituale:
che un dio sia immolato
e che gli dei si purifichino per immersione.
Con il suo corpo e il suo sangue
Amalgami Nintu l’argilla:
dio e uomo
siano una cosa sola nell’argilla!
Musiche noi udremo per il restante tempo!
Del corpo del dio permanga lo spirito:
sia lui a far sì che l’uomo resti in vita!
A salvaguardia di un [futuro] oblio permanga questo spirito!» 20.

Rimane, come già diceva Jean Bottéro, la fondamentale ragione


strumentale per la quale l’uomo è stato creato, nonostante si voglia

16 Cf. Enki e Ninmah 1-24; 28-33; 33-36.


+
17 Circa Enlil, cf. ancora MANDER, La religione dell’antica Mesopotamia, 71-74.
18 Cf. E. EBELING (ed.), Keilschrifttexte aus Assur religiösen Inhalts, Lipsia 1919, 4,1-6;
13-21; 25-29; 35-36; 39. È citata dagli assiriologi con l’abbreviazione KAR.
19 Queste varianti derivano dall’esistenza, presso i sumeri, di varie “scuole teologiche”,
che spiegavano in maniera differente la creazione dell’uomo. A Nippur si sosteneva che il dio
Enlil avesse fatto un buco nella terra dal quale uscivano gli uomini che, in una seconda fase,
ricevettero lo spirito vitale che li rese in grado di vivere civilmente. Secondo la scuola di Eri-
du fu il dio Enki a creare l’uomo con l’argilla. Per approfondimenti, cf. G. PETTINATO, Das
altorientalische Menschenbild und die sumerischen und akkadischen Schoepfungsmythen (Hei-
delberger Akademie der Wissenschaften), Heidelberg 1971; per una sintesi, cf. ID., I sumeri,
Milano 2005, 321-326.
20 Atra-hasîs IV, 206-217.
+
14 Gaetano Di Palma

edulcorare il fardello del lavoro, insistendo sul fatto che era il lavoro
“degli dèi”. Era pur sempre, però, il lavoro che gli dèi non avevano vo-
luto più compiere perché troppo faticoso. Inoltre, la mescolanza del
sangue di un dio con l’argilla per creare l’uomo ha lo scopo di rafforza-
re quest’ultimo e per dargli un minimo di valore, ma gli dèi rimangono
sprezzanti nei confronti di queste creature perché alla loro ribellione a
causa del lavoro troppo faticoso reagiranno mandando il diluvio.
È stato ormai scritto tanto sul rapporto tra la cosmogonia mesopo-
tamica e i racconti biblici sulla creazione ed è stato fatto notare come in
questi ultimi se ne recepiscano gli stimoli, elaborandoli in maniera ori-
ginale nel rispetto della propria tradizione religiosa. Ad esempio, in
Gen 2,15 si dice che Dio pose l’uomo nel giardino di Eden le‘a-bda-h
ûleša-mra-h, «per lavorarlo e custodirlo»: lo scopo divino non è quello di
sottrarsi al lavoro, ma di rendere l’uomo “amministratore” del creato e
prosecutore dell’opera iniziata da Dio. Si nota un notevole scarto tra la
dignità riconosciuta all’uomo – pur con tutti i limiti che saranno indi-
cati dopo – nella Bibbia e la finalità per cui è creato l’uomo secondo il
pensiero delle culture mesopotamiche.
Qualche ulteriore influsso, da valutare sempre con prudenza e sen-
za mai ritenere che determinati contatti tra culture e religioni diverse
generino automaticamente dei cambiamenti se prima non si è verificata
una maturazione, può essere venuto dallo zoroastrismo. È vero che esi-
stono tuttora molte incertezze se esso corrisponda alla religione degli
Achemenidi 21. D’altronde, la religione aveva un ruolo importante nella
loro concezione dell’imperialismo, come testimoniano, ad esempio, le
iscrizioni di Persepoli, in particolare alcune dove Ahura Mazda- è de-
scritto come il creatore di tutto e il datore del potere su ogni persona e

21 Gli studiosi fanno notare che non è risolta in maniera convincente la datazione della
vita di Zaraquštra: c’è la proposta di una cronologia alta, secondo la quale il profeta sarebbe
vissuto a cavallo del II e del I millennio, e di una cronologia bassa, che lo colloca tra la secon-
da metà del VII secolo e la prima del VI secolo a.C., che sembrerebbe la più attendibile. Tale
cronologia, unitamente al fatto che il profeta avrebbe operato nell’Iran orientale, rende più
difficile ammettere lo zoroastrismo quale religione di tutti gli Achemenidi, originari dell’Iran
sud-occidentale, che corrisponde alla regione che era chiamata Persia. Il dubbio è alimentato
anche dalla mancanza nelle iscrizioni achemenidi di ogni menzione di Zaraquštra e dei con-
-
cetti più importanti della sua religione, pur avendo il medesimo dio, Ahura Mazda, “il Signo-
re che crea con la mente”. Cf. A. PANAINO, L’ecumene iranica e lo zoroastrismo nel loro svilup-
po storico, in BIBLIA (cur.), Il popolo del ritorno: l’epoca persiana e la Bibbia. Atti del Seminario
invernale (Lucca, 25-27 gennaio 2000), Settimello (Firenze) 2001, 39-46; cf. i copiosi riferi-
menti bibliografici sullo zoroastrismo nelle pagine 84-100.
La sapienza biblica per una nuova dignità dell’essere umano 15

cosa al re. Per la maggiore ricchezza e precisione si distingue l’iscrizio-


ne, scritta in accadico, chiamata DPg (sigla che significa “Dario I, Per-
sepoli, iscrizione g) e che recita:
-
«Il grande Ahura Mazda è il più grande di tutti gli dei,
che creò cielo e terra, che creò le nazioni,
che diede prosperità alla gente che vive quaggiù,
che rese Dario re e diede al re Dario la regalità
su questa grande terra, dove egli possiede numerose nazioni:
Persia, Media, e altri paesi,
con altre lingue, montagne e pianure,
dalla riva di un mare alla riva di un altro,
da un deserto a un altro deserto» 22.

Naturalmente, la prospettiva biblica non è “imperialista”; anzi, ab-


biamo una sorta di “democratizzazione”, perché a ogni uomo in quan-
to tale, «coronato di gloria e di onore» e insignito della dignità regale,
viene affidato il dominio della terra.
È, tuttavia, interessante seguire brevemente il profilo della teoria di
Zaraquštra, secondo il quale Ahura Mazda-, creatore del cielo e della ter-
ra, del giorno e della notte, della luce e delle tenebre, ebbe due figli ge-
melli, Spenta Mainyu (“spirito benefattore”) e Angra Mainyu (“spirito
ostile”). I loro nomi si spiegano in quanto hanno compiuto la scelta tra
la verità e la menzogna, tra pensieri, parole e azioni buone e cattive.
Questo dualismo etico è il prototipo delle scelte che l’uomo ha davanti.
Per la forte caratterizzazione etica il messaggio di Zaraquštra si distan-
ziò dal ritualismo della tradizione religiosa precedente e questo “profe-
ta” si trasformò in predicatore del valore e della dignità umana, forse
anche in un contesto di tensioni sociali. In tal modo, l’uomo diventa
protagonista nella vittoria che il bene deve conseguire sul male.
Il dualismo etico vuole spiegare il problema del male nel mondo «e
l’urgente necessità di dare una risposta a questo problema si riconcilia
con la fede costante nella dignità e nella libertà dell’essere umano gra-
zie alla fede nel cosiddetto mito della scelta» 23. L’uomo è ostacolato a

22 F. H. WEISSBACH (ed.), Die Keilinschriften der Achämeniden, Leipzig 1911, 85. La tra-
duzione dal tedesco è nostra. Per il commento all’iscrizione, cf. B. LINCOLN, The Role of Reli-
gion in Achaemenian Imperialism, in N. BRISCH (ed.), Religion and Power. Divine Kingship in
the Ancient World and Beyond, Chicago 2008, 222ss.
23 G. GNOLI, Zoroastrismo, in M. ELIADE e altri, Enciclopedia delle religioni. 11. Religio-
ni del Mediterraneo e del Vicino Oriente antico, Roma-Milano 2002, 556.
16 Gaetano Di Palma

compiere il bene dall’interferenza dei daiva, cioè “dèi”, in seguito classifi-


cati come poteri demoniaci, il che fa comprendere che non c’è una visione
negativa della realtà materiale. Infatti, di ogni cosa esiste lo stato mentale,
il me-no-g, e quello materiale, il ge-ti-g, che è il frutto del primo. Lo “spi-
rito benefattore” può trasformare una cosa dallo stato mentale a quello fi-
sico, mentre lo “spirito ostile” non vi riesce, essendo distruttivo per sua na-
tura. Tuttavia, riesce a mescolarsi nell’esistenza materiale contaminando-
la. All’uomo che sceglie la verità e il bene sono destinati i benefici dell’esi-
stenza spirituale, che lo avvicinano alla beatitudine posteriore alla morte.
Una creazione considerata positivamente, una spiegazione della
presenza del male non come principio opposto a Dio, ma come realtà
che si mescola e compromette la serenità del creato, un uomo libero di
scegliere tra bene e male, tra la possibilità di contribuire al trionfo del
bene o di degradarsi asservendosi al male e all’ingiustizia: queste sono
idee suscettibili di arricchire la riflessione dei pensatori che rielabora-
rono e completarono gran parte del testo biblico. Non abbiamo, pur-
troppo, tracce precise del lavoro da costoro svolto 24, ma siamo autoriz-
zati a supporre contatti circa questo tema; infatti, è da molto tempo che
si è sviluppato un dibattito scientifico circa l’impatto dello zoroastrismo
sul giudaismo e, di conseguenza, sul cristianesimo 25.

3. Il Sal 8 nell’antropologia dell’Antico Testamento

Il pur importante apporto fornito dalle altre tradizioni religiose a


quella d’Israele non è sufficiente per giustificare la presenza nella Bib-
bia dell’idea della dignità umana. Infatti, dalla Mesopotamia non giun-
ge un messaggio consolante, anche se si dice che agli uomini è stato af-
fidato quel lavoro che prima era eseguito dagli dèi, i quali si erano rifiu-
tati di proseguirlo per vivere beatamente e oziosamente. Dalla religione
di Ahura Mazda- all’uomo è data una responsabilità, ma è al re – in
quanto scelto dalla divinità – che è stato concesso il potere su tutto. In-
vece, nel Sal 8, ma anche nei primi due capitoli della Genesi, ’a-da-m,
cioè ogni essere umano, viene costituito sovrano sulla creazione con lo

24 Cf. l’interessante tentativo di ricostruzione di W. M. SCHNIEDEWIND, Come la Bibbia


divenne un libro. La testualizzazione dell’antico Israele, Brescia 2008.
25 Su tale dibattito, cf. per iniziare PANAINO, L’ecumene iranica e lo zoroastrismo nel loro
sviluppo storico, 69-83, in particolare la bibliografia nelle pp. 72-74.
La sapienza biblica per una nuova dignità dell’essere umano 17

scopo di aver cura di lavorare non a beneficio di Dio, ma per il proprio


benessere, diversamente dagli dèi mesopotamici, che si avvalevano del
lavoro umano per mangiare.
È ampiamente possibile che i primi passi verso l’idea di un dio
creatore siano stati recepiti dal contatto con il mondo religioso semiti-
co-occidentale, di cui il Ciclo di Ba‘lu, di origine ugaritica, è una delle
più importanti testimonianze 26. Nei testi mitologici ugaritici il primato
appartiene al dio El, il quale è definito anche bny bnwt, “creatore (o,
forse meglio, costruttore) delle creature” 27, e ab adam, “padre dell’uma-
nità” 28. Ci sono, tuttavia, due punti da chiarire circa tali testi: il cosmo
è considerato una realtà già esistente, per cui El si limita a conservarne
l’ordine; poi, non viene narrata la creazione del cosmo né quella del-
l’uomo 29. A rigor di logica, dunque, non si può parlare di un’organica
dottrina circa la creazione riguardante il cosmo e l’uomo, ma soltanto di
un’acquisizione di una titolatura divina passata da El a Jhwh certamen-
te già in epoca anteriore all’esilio 30.
Fu durante il periodo persiano – se non all’inizio, quando la popo-
lazione della Giudea si dibatteva certamente nei problemi concreti del-
la sopravvivenza quotidiana, a causa di una situazione economica non
brillante ereditata dalla dominazione babilonese, almeno dopo la co-
struzione del Secondo Tempio – che i sadociti 31 concorsero, insieme ad
altre correnti religiose e culturali giudaiche e sotto una discreta vigilan-
za dei persiani, al lavoro di “riscrittura”, sistemazione e completamen-
to del corpus letterario biblico fino a quel momento esistente 32.

26 Cf. M. BALDACCI, La scoperta di Ugarit. La città-stato ai primordi della Bibbia, Casale


Monferrato (Alessandria) 1996, 241-252 (introduzione); 253-329 (testi).
27 Cf., ad esempio, M. DIETRICH - O. LORETZ - J. SANMARTÌN (edd.), Die Keilalphabeti-
schen Texte aus Ugarit, Neukirchen 1976, I.4.II,11; III,32. Gli studiosi abbreviano con KTU.
28 Cf. ivi I.14.I,37.43.
29 Cf. H. NIEHR, Il contesto religioso dell’Israele antico. Introduzione alle religioni della
Siria-Palestina, Brescia 2002, 30-31.
30 Cf. R. ALBERTZ, Storia della religione nell’Israele antico. 1. Dalle origini alla fine dell’età
monarchica, Brescia 2005, 213.
31 G. BOCCACCINI, I giudaismi del Secondo Tempio. Da Ezechiele a Daniele, Brescia 2008,
59: «I sadociti furono la prima e più potente dinastia di sommi sacerdoti nella storia del Se-
condo Tempio e l’istituzione dominante del giudaismo pre-maccabaico». Essi rivendicavano la
discendenza da Sadok, il sacerdote e compagno di Davide (cf. 2Sam 8,17) che presiedette al-
l’unzione di Salomone (cf. 1Re 1,32-46).
32 Cf. R. ALBERTZ, Storia della religione nell’Israele antico. 2. Dall’esilio ai Maccabei, Bre-
scia 2005, 537-601.
18 Gaetano Di Palma

L’idea di creazione che si trova in Gen 1 riflette la Weltanschauung


dei sadociti, per i quali il Signore ha stabilito un ordine, contrapposto al
caos primordiale, in cui è riservato un posto di riguardo all’uomo. Egli di-
venta, in tal modo, collaboratore di Dio in vista del mantenimento del-
l’ordine del creato, godendo della libertà, della capacità di distinzione e
scelta tra bene e male, puro e impuro, ma anche responsabile delle pro-
prie azioni, con le conseguenze derivanti da esse. All’individuo, dunque,
è riconosciuta la responsabilità sulle proprie azioni e una certa autonomia.
Non dovette essere assente la tradizione sapienziale che, da un ver-
sante più “laico” 33 ed esperienziale, rifletteva sulle situazioni della vita,
sulla condizione dell’uomo e sui rapporti che questi deve intrattenere
con i suoi simili, senza escludere dal proprio orizzonte il confronto con
la prospettiva religiosa. Infatti, i contatti tra Gen 1 e Sal 8 sono innega-
bili, nonostante alcune “mancanze”, come la menzione del sole e del fir-
mamento, considerato piuttosto una fortezza 34. Esplicita è, però, la na-
tura di commento a Gen 1-2 in Sir 16,24-17,12, specialmente in 17,2-4,
che ci riguardano più da vicino, perché dedicati all’uomo: «Egli assegnò
loro giorni contati e un tempo definito, dando loro potere su quanto es-
sa contiene (e[dwken aujtoi`" ejxousivan tw`n ejp j aujth`"). Li rivestì di
una forza pari alla sua e a sua immagine li formò (kat j eijkovna aujtou`
ejpoivhsen aujtouv"). In ogni vivente infuse il timore dell’uomo, perché
dominasse (katakurieuvein) sulle bestie e sugli uccelli». Si legga pure
Sap 9,2: «Con la tua sapienza hai formato l’uomo perché dominasse
(despovzh/) sulle creature che tu hai fatto». A mo’ di controcanto po-
trebbero essere richiamati i capitoli 38 e 39 di Giobbe, nei quali Dio ri-
vendica la sua onnipotenza e onniscienza (esaltate anche nel Sal 104),
che gli consente di governare tutta la creazione, dai fenomeni astrono-
mici e atmosferici alle esigenze delle piante e degli animali.
Il Sal 8 si colloca in quest’orizzonte “spirituale”, che pure conosce
espressioni intese, da cui trapela chiaramente la consapevolezza della fra-
gilità dell’esistenza umana. In particolare, ci sembra indicativo segnalare
alcuni luoghi in cui la vita dell’uomo è paragonata all’ombra. Gb 14,1-2:
«L’uomo, nato da donna, ha vita breve e piena d’inquietudine; come un

33 Cf. BOCCACCINI, I giudaismi del Secondo Tempio. Da Ezechiele a Daniele, 126ss. Boc-
caccini utilizza quest’aggettivo non nel senso moderno, ma per illustrare l’esistenza di un giu-
daismo, tra i vari tipi dell’epoca del Secondo Tempio, che chiama “sapienziale”, diverso da
quello “sadocita”, espressione della classe sacerdotale.
34 Cf. ALONSO SCHÖKEL - CARNITI, I Salmi, 251.
La sapienza biblica per una nuova dignità dell’essere umano 19

fiore spunta e avvizzisce, fugge come l’ombra (kazze-l) e mai si ferma»; e


ancora in 8,9: «perché noi siamo di ieri e nulla sappiamo, un’ombra
(kî ze-l) sono i nostri giorni sulla terra». Anche Qo 6,12 è dello stesso av-
viso: «Chi sa quel che è bene per l’uomo durante la sua vita, nei pochi
giorni della sua vana (heblô) esistenza, che passa via come un’ombra
(kazze-l)? Chi può indicare all’uomo che cosa avverrà dopo di lui sotto
il sole?». Non mancano gli echi provenienti dai Salmi, tra cui ricordia-
mo 144,4: «L’uomo è come un soffio (lahebel), i suoi giorni come ombra
(kazze-l) che passa».
Non è, allora, il Sal 8 ingenuamente ottimista? Non siamo, forse,
più consci, nella nostra epoca, della finitudine dell’essere umano? La
proposta dell’antropocentrismo non si è rivelata un danno, perché la
creazione è sottoposta a uno stress distruttivo e a un’illusione d’onnipo-
tenza? E se l’uomo è presentato in tal modo, chi è Dio? Questa serie di
domande, che non solo qualche studioso si pone 35, ci fa riconoscere che
l’uomo, collocato come “re” nel cosmo, risponde all’antico ideale orien-
tale secondo il quale il monarca deve adoperarsi per il bene dei suoi
sudditi, per cui la Bibbia non si schiera nella prospettiva di un antropo-
centrismo selvaggio, ma di una “dominazione umile” 36. Rimane il pro-
blema del mistero della finitudine umana che, in un orizzonte religioso,
viene risolto nel più ampio mistero divino.
La constatazione della fragilità umana, quasi un «pulvis et umbra
sumus» di oraziana memoria 37, supportata, però, dalla speranza nel-
l’intervento di Dio, non basta a inquadrare la visione antropologica del-
la Bibbia. Tale fragilità è esplosa in tutta la sua drammaticità a causa del
peccato, che trova la sua concreta manifestazione nelle singole tra-
sgressioni, ma che, in effetti, è qualcosa di più. Gen 4,7 ne parla così:
«Il peccato è accovacciato alla tua porta; verso di te è il suo istinto, e tu
lo dominerai». Sono le parole che il Signore rivolge a Caino, irritato
perché il suo sacrificio non era stato gradito. Il peccato è come una belva,

35 Cf. ad esempio J. L. MAYS, What is a Human Being? Reflections on Psalm 8, in Theology


Today 50 (1994).
36 Cf. J. B. TUBBS, Jr., Humble Dominion, in Theology Today 50 (1994).
37 QUINTO ORAZIO FLACCO, Odi 4, 7,16: E. CETRANGOLO (cur.), Quinto Orazio Flacco.
Tutte le opere, Firenze 1978, 178-179. Il poeta di Venosa afferma che il tempo passa in fretta e
nella natura una stagione segue l’altra. Rimane la luna a riparare i danni del cielo (damna tamen
celeres reparant caelestia lunae), ma per gli esseri umani che cadono non si può sperare salvez-
za da nessuno: nos ubi decidimus quo pater Aeneas, quo dives Tullus et Ancus, pulvis et umbra
sumus.
20 Gaetano Di Palma

o forse un demone, che si trova nella posizione di riposo – questo è il


senso del participio robe-z 38 –, presso la “porta” del cuore dell’uomo, in
attesa del momento opportuno per compiere il suo “desiderio”, in
ebraico espresso con un vocabolo raro e interessante, tešûq , usato an-
che in Gen 3,16 per indicare l’istinto della donna verso l’uomo e in Ct
7,11 dell’uomo verso la donna. Il consiglio dato da Dio è di “dominar-
lo”, impiegando lo stesso verbo m šal che ricorre in Sal 8,7.
Tale percezione della fragilità, insieme ontologica e ontica, passa per
Sir 17,10 («Il leone insidia la preda, così il peccato coloro che fanno cose
ingiuste») per arrivare a Paolo di Tarso, il quale, ricordando certamente
Gen 4,7, elabora una sua visione originale circa il peccato (cf. Rm 5,12-
8,3), inteso come potere personificato, qualcosa che oggi chiamiamo «com-
pulsione o costrizione che gli uomini in genere provano in se stessi o nel
loro contesto sociale, compulsione per atteggiamenti e atti che non sem-
pre sono frutto della loro volontà né godono della loro approvazione» 39.
Di tutta questa complessa situazione era cosciente l’autore del Sal 8?
Se la sua composizione, come tanti studiosi ammettono, è collegata alla
Genesi, certamente ne era almeno in parte consapevole, anche se non ne
fa parola, perché si proponeva di contemplare la dignità umana. Perciò
si chiede meravigliato il motivo per il quale il sommo Dio s’interessa di
un ’ænôš, che è un essere caduco 40, di un ben-’a-da-m qualsiasi, ossia di
un essere umano con il quale intrattiene un rapporto personale – espres-
so con verbi “ricordare” e “curarsi” – e costruisce la storia consideran-
dolo interlocutore 41. Nonostante la fragilità e la miseria, che sembrano
mostrare il fallimento della condizione umana, il testo salmico continua
a far risuonare la sua domanda retorica, costringendoci a continuare la
ricerca.

-
38 E.-J. WASCHKE, rabaz, in GLAT 8, 177: «Stando alla maggior parte delle attestazioni,
sullo sfondo c’è l’idea del comportamento di riposo degli animali». Gen 4,7 è un testo molto di-
scusso; cf. ivi 182.
39 J. D. G. DUNN, La teologia dell’apostolo Paolo, Brescia 1999, 132.
40 Cf. F. MAASS, ’ænôš, in GLAT 1, 747. La nuance fondamentale del termine è “essere
--
debole”; tuttavia, nella Bibbia è spesso usato, come in Sal 8,5, come sinonimo di ben-’adam o,
--
altrove, di ’adam.
41 Circa l’uomo interlocutore di Dio, cf. G. DI PALMA, «Troppo caro sarebbe il riscatto di
una vita: non sarà mai sufficiente» (Sal 49,9). Ragioni bibliche per una nuova visione della per-
sona, in G. DI PALMA - P. GIUSTINIANI (curr.), Teologia e modernità, Napoli 2010, 69-86.
La sapienza biblica per una nuova dignità dell’essere umano 21

4. Il Sal 8 letto dal Nuovo Testamento

Il nostro itinerario, a questo punto, potrebbe concludersi, attri-


buendo all’interrogativo dello stupito salmista un valore provocatorio,
rivolto a quest’essere, l’uomo, che sembra un roi déchu, sospeso tra l’in-
finito e il nulla 42. Egli vorrebbe riscattarsi tentando di esercitare il pro-
prio diritto di scegliere “come” diventare e riscontrando, purtroppo,
non solo la cocente frustrazione nel suo sforzo di migliorare se stesso,
ma anche di non veder condiviso – se non contrastato – dagli altri ap-
partenenti all’umanità, dai suoi prossimi, questo suo ardente desiderio.
Infatti, la tanto solennemente dichiarata dignità dell’uomo viene ancor
oggi vilipesa, e probabilmente in misura più straziante, perché, pur pos-
sedendone una chiara coscienza, l’umanità è stata capace di creare an-
che luoghi infami come i campi di sterminio.
Ci sono alcuni interessanti echi nel Nuovo Testamento che c’indu-
cono a proseguire il discorso e a spingerci oltre. Non si tratta di Mt
21,16, dove si narra che Gesù citò il v. 3 del salmo in chiave polemica
contro le autorità del suo tempo che gli erano ostili, ma piuttosto di
1Cor 15,27, di Ef 1,22 e di Eb 2,5-8 43. Ne illustreremo in breve il senso,
cercando i collegamenti con il nostro discorso.

1. 1Cor 15,27: «Perché ogni cosa ha posto sotto i suoi piedi». La cita-
zione di Sal 8,7 nel capitolo 15 della Prima Lettera ai Corinzi s’innesta
nel tema della risurrezione, di cui Paolo sta parlando 44, con l’obiettivo
di dimostrare che quanto è avvenuto a Cristo accadrà anche ai credenti.
Egli parte, nel v. 20, dal dato che Cristo è risorto dai morti ed è la “primi-
zia” di coloro che si sono addormentati (ajparch; tw`n kekoimhmevnwn),
volendo dire che dopo la primizia verranno gli altri frutti, cioè i creden-
ti, i quali, per raggiungere la risurrezione, dovranno, allo stesso modo di

42 Cf. B. PASCAL, Pensieri, 230: G. RABONI - C. CARENA (curr.), Blaise Pascal. Pensieri, in
A. MASSARETTI (cur.), Pascal, Milano 2006, 437: «Perché infine, che cos’è l’uomo nella natura?
Un nulla rispetto all’infinito, un tutto rispetto al nulla, un medio fra il nulla e il tutto».
43 Circa questi tre testi, seguiremo P. GRELOT, Il mistero del Cristo nei Salmi, Bologna
2000, 58-62, insieme ad altri saggi e commentari che indicheremo di seguito.
44 Per un primo approccio al tema, con bibliografia, cf. G. DI PALMA, Escatologia neote-
stamentaria: la risurrezione di Gesù come contenuto fondamentale dell’escatologia cristiana in
prospettiva trinitaria, in ARCIDIOCESI DI CATANZARO-SQUILLACE (cur.), Ogni attimo è carico di
eterno. Atti del Convegno diocesano (Catanzaro, 14-15 ottobre 2011), Catanzaro 2011, 66-89.
22 Gaetano Di Palma

Gesù, passare attraverso la morte. Il ragionamento dell’apostolo si av-


vale del parallelismo tra Adamo e Cristo: dal primo è venuta la morta
per tutti, dal secondo viene la vita. La risurrezione dei credenti, però,
s’inserisce in un ordine preciso, che abbraccia storia ed escatologia (cf.
vv. 23-24): il primo passo è la risurrezione di Cristo, che è la primizia; al-
la parusia toccherà a quelli che sono di Cristo; come atto contempora-
neo alla parusia il Figlio, sottomesso ogni nemico, consegnerà il regno a
Dio Padre. I nemici – ogni “principato” (ajrchv), potestà (ejxousiva) e po-
tenza (duvnami") – che «rappresentano grandezze cosmiche rivali e ne-
miche che Cristo, per poter affermare la sua regalità o signoria, deve ri-
durre all’impotenza. Il suo regno, dunque, in quanto scaturisce da una
vittoriosa lotta contro tali “nemici”, ha una specifica connotazione co-
smica» 45. Queste affermazioni sono suffragate dalle prove scritturisti-
che, in particolare dal Sal 110,1 (LXX 109,1): «è necessario infatti che
egli regni finché non abbia posto tutti i suoi nemici sotto i suoi piedi».
Quest’immagine, che si riferisce all’usanza dei re orientali di avere un
uJpopovdion, uno “sgabello” dov’erano intagliate le figure dei nemici
vinti e sul quale si poggiavano i piedi, come anche al rito di vittoria di
mettere i piedi sul vinto (cf. Gs 10,24; 1Re 5,17), richiama Sal 8,7, cita-
to in 15,27, che rafforza il senso della signoria totale, universale e co-
smica di Gesù Cristo. In tal modo, per Paolo «ciò che nel Salmo era
detto dell’uomo e del suo dominio creaturale sulla terra passa a indica-
re la signoria cosmica ed escatologica di Cristo», effettuando «un dop-
pio passaggio ermeneutico, dall’antropologia alla cristologia e dalla sto-
ria all’escatologia» 46.

2. Ef 1,22: «Tutto infatti egli ha messo sotto i suoi piedi e lo ha dato


alla chiesa come capo su tutte le cose». Questo versetto si trova quasi al-
la fine dell’apertura epistolare di Efesini, composta da 1,15-23, che a
sua volta si distingue in un cosiddetto ringraziamento post-protocollare
(vv. 15-16), in una preghiera d’intercessione (vv. 17-19), in una confes-
sione cristologica (vv. 20-22) e, infine, in una dichiarazione sulla natura

45 G. BARBAGLIO, La teologia di Paolo. Abbozzi in forma epistolare, Bologna 2008, 191.


Cf. pure D. G. REID, Principati e potestà, in G. F. HAWTHORNE - R. P. MARTIN - D. G. REID
(curr.), Dizionario di Paolo e delle sue lettere, Cinisello Balsamo (Milano) 1999, 1223-1232.
46 BARBAGLIO, La teologia di Paolo, 192. Per approfondimenti, cf. A.C. THISELTON, The
First Epistle to the Corinthians, Grand Rapids (MA)-Carlisle (UK) 2000, 1222-1236; G. D. FEE,
Pauline Christology. An Exegetical-Theological Study, Peabody 2007, 107-114.
La sapienza biblica per una nuova dignità dell’essere umano 23

della chiesa (v. 23) 47. Nella confessione cristologica è Dio il protagoni-
sta: egli ha manifestato la sua forza facendo risorgere Cristo e insedian-
dolo alla sua destra, nella posizione di dominio cosmico su ogni princi-
pato e autorità, e mettendogli sotto i piedi tutte le cose. Si nota un’evi-
dente sintonia con 1Cor 15, pur essendoci delle differenze. Infatti, an-
che in questo caso si riscontra il legame tra Sal 110,1 e 8,7 per descrive-
re il dominio cosmico e universale di Cristo ma, rispetto a 1Cor, che si
sofferma sugli eventi riguardanti la fine, in Ef sembra che l’escatologia
sia già realizzata; inoltre, in 1Cor il soggetto delle azioni è Cristo, men-
tre in Ef è Dio 48. Al di là di ogni altra considerazione, il testo afferma la
superiorità di Cristo, utilizzando Sal 8,7, che ha un chiaro senso antro-
pologico. L’autore compie qui un passaggio interpretando in chiave cri-
stologica un testo di natura antropologica, quasi a voler dire che la rea-
lizzazione piena dell’uomo è in Cristo e che nel suo corpo, la chiesa (cf.
v. 23), egli trova la dimensione giusta della sua pienezza, come dice in
4,13: «Finché non arriviamo tutti all’unità della fede e della conoscenza
del Figlio di Dio, fino all’uomo perfetto, fino a raggiungere la misura
della pienezza di Cristo». Tali premesse giustificano una doverosa con-
clusione: se Cristo è al di sopra di tutto e tutto è stato posto sotto i suoi
piedi, e se egli è il punto d’arrivo della pienezza che l’uomo è chiamato
a raggiungere, allora anche l’uomo deve considerarsi “libero” da ognu-
no, persona o struttura di potere, che voglia assoggettarlo, diminuirlo
nella sua dignità, né egli deve volontariamente asservirsi ad alcuno, va-
nificando la liberazione di Cristo.

3. Eb 2,5-8: «Non certo a degli angeli Dio ha sottomesso il mondo


futuro…». L’ultimo testo si trova nella Lettera agli Ebrei, dove si cita
Sal 8,5-7 secondo il testo della Settanta 49, facendone un commento nei
successivi vv. 9-18. Bisogna, allora, prendere in considerazione l’ampia
porzione di testo che si estende da 2,5 a 2,18, da esaminare soltanto per
l’argomento che ci riguarda. Il tema è introdotto in 2,5, dove si legge
che «non certo a degli angeli Dio ha sottomesso il mondo futuro, del

47 Cf. R. PENNA, Lettera agli Efesini, Bologna 1988, 111.


48 Cf. E. BEST, Lettera agli Efesini, Brescia 2001, 226-227; S. ROMANELLO, Lettera agli
Efesini, Milano 2003, 72.
49 Circa la citazione, cf. G. J. STEYN, Some observations about the Vorlage of Ps 8:5-7 in
Heb 2:6-8, in Verbum et Ecclesia 24 (2003) 2, 493-514.
24 Gaetano Di Palma

quale parliamo», presentando la lunga citazione di Sal 8,5-7 presa dalla


Bibbia greca, nella quale il paragone non è tra uomo ed ’ælohîm ma tra
uomo e a[ggeloi. L’autore della Lettera non si sofferma sulla doppia do-
manda retorica di Sal 8,5, ma si concentra sul v. 6 e sulla seconda parte
del v. 7 50, commentandola in Eb 2,8a-9. Qui egli risponde conseguente-
mente alla domanda retorica presentando Gesù come colui al quale è
stata sottomessa ogni cosa, “abbassato” perché fatto di poco inferiore
agli angeli, ma poi esaltato – cioè «coronato di gloria e di onore» – a
causa della morte patita, per grazia di Dio, a vantaggio di tutti, che nei
versetti successivi sono chiamati “fratelli” (cf. 2,11b-13). Il Sal 8 è stato
scelto proprio perché afferma il progetto del dominio universale: «Non
viene quindi promesso agli angeli, ma agli uomini. Il modo in cui sarà
loro dato viene indicato dal commento della citazione: attraverso la glo-
rificazione di un rappresentante dell’umanità, glorificazione ottenuta
mediante un abbassamento» 51.
Il Sal 8 si presta bene a questo discorso dell’autore della Lettera,
perché presenta la posizione dell’uomo come intermedia tra gli angeli e
le altre creature; ma ciò che nel salmo era espresso come contempora-
neità di una condizione, in Eb viene risolto come distinzione in due tap-
pe: l’incarnazione di Cristo quale abbassamento nella condizione uma-
na “di poco inferiore agli angeli” e l’incoronazione, ossia la risurrezione
e la glorificazione, che lo colloca in una posizione enormemente al di so-
pra agli angeli: «Nel mistero pasquale di Cristo, la vocazione dell’uomo
ha quindi trovato il suo compimento su questi due punti, il che dà la
certezza che si compirà anche sul terzo punto, il dominio universale» 52.
Infatti, realisticamente, in 2,8c si legge: «Al momento presente però
non vediamo ancora che ogni cosa sia a lui sottomessa». Si tratta, co-
munque, di una fase transitoria, perché il motivo per cui Dio ha inviato
suo Figlio risiede nel progetto di portare alla pienezza della dignità gli
esseri umani, con i quali egli è stato solidale fino alle estreme conse-
guenze.

50 Non è stata citata, infatti, la prima parte di questo versetto.


51 A. VANHOYE, L’Epistola agli Ebrei. «Un sacerdote diverso», Bologna 2010, 76. Cf. pure
H. W. ATTRIDGE, La Lettera agli Ebrei. Commento storico esegetico, Città del Vaticano 1999,
140-153; C. MARCHESELLI-CASALE, Lettera agli Ebrei, Milano 2005, 149ss.
52 VANHOYE, L’Epistola agli Ebrei, 76.
La sapienza biblica per una nuova dignità dell’essere umano 25

5. Conclusioni

L’obiettivo di questo contributo era far emergere l’irrinunciabile ric-


chezza della sapienza biblica in vista della costruzione di una nuova di-
gnità dell’essere umano. Il titolo cita il Sal 8, che non è l’unico, ma cer-
tamente uno dei più noti tra i luoghi biblici dove all’essere umano, no-
nostante la piccolezza e la miseria riconosciute e messe in risalto altro-
ve, è riservato un apprezzamento che ha il gusto dello stupore e della
meraviglia di fronte alla percezione di essere oggetto di tanta benevo-
lenza e considerazione da parte dell’onnipotente Dio.
Abbiamo tentato di offrire una lettura del Sal 8 concentrando dap-
prima l’attenzione sugli elementi essenziali della struttura del testo e sul-
la terminologia, per essere aiutati a tracciarne la visione antropologica
che era sottesa, inquadrata nella prospettiva storico-genetica. Infatti, pur
essendo molto difficile individuare la datazione di un salmo, ci è sem-
brato opportuno rilevare che, se i testi biblici furono redatti da uomini
che erano anche in ascolto del loro tempo, allora non potevano mostrar-
si insensibili a quanto era stato elaborato nelle culture vicine, che erano
spesso egemoni, le cui istanze richiedevano di essere discusse e confron-
tate con la propria fede. Potremmo dire che fu il coraggio del confronto
a salvare Israele e l’originalità del suo contributo, piuttosto che una ste-
rile chiusura autoreferenziale. Il retaggio della cultura degli antichi po-
poli semitici occidentali, la ricca tradizione letteraria della millenaria ci-
viltà mesopotamica, l’influsso proveniente dalla suggestiva visione reli-
giosa iranica, il dibattito delle varie componenti del giudaismo hanno
concorso a stimolare la riflessione degli agiografi in un periodo, ancora
in buona parte da scoprire, quale quello della dominazione persiana,
quando la tradizione precedente l’esilio venne integrata in una profonda
– ma non ancora definitiva – rifondazione religiosa del giudaismo.
Il mondo del Vicino Oriente antico era caratterizzato – come tutti i
popoli antichi – da una dimensione religiosa che avvolgeva e dava sen-
so a ogni aspetto della vita pubblica e privata. Non poteva, quindi, sfug-
gire l’elaborazione della visione della dignità umana: i miti mesopota-
mici e la dottrina religiosa iranica ne sono dimostrazione. A sua volta, la
Bibbia vede la creazione dell’uomo quale atto divino da cui prende av-
vio una storia complessa e affascinante, della quale Dio “condivide” la
responsabilità con l’uomo, che non è, perciò, solo partecipe di un quid
divino e dotato di coscienza per scegliere tra bene e male.
26 Gaetano Di Palma

Il riconoscimento della dignità umana non si fonda, dunque, su una


“pretesa” unilaterale e autonoma dell’uomo, ma sul beneplacito divino;
in altre parole, è il creatore che può riconoscere alla creatura il suo status,
poiché nessuno la conosce meglio di lui. Un profeta anonimo, forse
contemporaneo all’autore del Sal 8, ci ha lasciato queste parole: «Ma,
Signore, tu sei nostro padre; noi siamo argilla e tu colui che ci plasma,
tutti noi siamo opera delle tue mani» (Is 64,7). C’è un Tu, al di sopra di
noi, che instaura con noi un rapporto amicale e, di conseguenza, ci con-
sidera suoi interlocutori, dandoci ampia libertà di gestire un mondo che
non ci appartiene, ma nel quale ci muoviamo ed esistiamo. Tale dignità
è, inoltre, riconosciuta a ogni essere umano, senza alcuna preclusione,
poiché essa non dipende dalla nobiltà della nascita, dal patrimonio o da
altre caratteristiche che creano divisioni tra gli uomini. L’unica grande
eredità che un uomo consegna al suo discendente è, infatti, la somi-
glianza con il creatore, come suggerisce Gen 5,3 – «Adamo aveva cen-
totrenta anni quando generò un figlio a sua immagine, secondo la sua
somiglianza, e lo chiamò Set» –, con palese allusione a Gen 1,27-28 53.
La prospettiva biblica non sarebbe completa senza recepire un altro,
e non meno importante, riferimento: quello cristologico. L’incarnazione
di Cristo e la sua esaltazione dopo la vittoria sulla morte conferiscono
alla dignità un senso ancora più saldo, soprattutto perché il valore del-
la dignità umana non ha un confine puramente mondano, ma si esten-
de nell’orizzonte escatologico perché, «quando sarà distrutta la nostra
dimora terrena (hJ ejpivgeio" hJmw`n oijkiva), che è come una tenda, rice-
veremo da Dio un’abitazione, una dimora non costruita da mani d’uo-
mo, eterna (oijkivan ajceiropoivhton aijwvnion), nei cieli» (2Cor 5,1).
L’uomo, quindi, è stato creato per l’incorruttibilità (cf. Sap 2,23) e
nel dono stesso della vita, terrena ed eterna, può trovare la traccia della
sua incomparabile dignità, che Dio ha voluto conferirgli, desiderando
non privarsi della più preziosa delle sue creature, quella che più gli “as-
somiglia” e l’unico che è in grado di dialogare con lui.

GAETANO DI PALMA
Pontificia Facoltà Teologica dell’Italia Meridionale, Napoli

53 Cf. B. L. GLADD, The Last Adam as the “Life-Giving Spirit” Revisited: a Possible Old
Testament Background of One of Paul’s Most Perplexing Phrases, in Westminster Theological
Journal 71 (2009) 305-309.

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