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GAETANO DI PALMA
SOMMARIO - 1. Alcuni rilievi sul Sal 8. 2. Profilo della visione dell’uomo in Mesopota-
mia e Iran. 3. Il Sal 8 nell’antropologia dell’Antico Testamento. 4. Il Sal 8 letto dal Nuovo
Testamento. 5. Conclusioni.
ABSTRACT - “What are human beings that you spare a thought for them?”. The bibli-
cal wisdom for a new dignity of the man. Pico della Mirandola, a Renaissance’s intellectual,
wrote a speech about the human dignity, quoting also the Psalm 8. The author of this ar-
ticle, beginning from this quotation, examines the psalm and compares not only with the
anthropology of the Ancient Near East, but also with that biblical, the Old and the New
Testament. He concludes that we must recover the biblical vision, where it is said that
man cannot assert unilaterally his dignity. But, he has to acknowledge that there’s a per-
son, “an You”, who considers him as a partner, because he has created him to his own
image and likeness.
Giovanni Pico della Mirandola, giovane intellettuale alla corte dei Me-
dici, nella quale aveva conosciuto Marsilio Ficino e Angelo Poliziano, all’ini-
zio della sua Oratio de hominis dignitate (§ 2), composta nel 1486, scrisse:
«Horum dictorum rationem cogitanti mihi non satis illa faciebant, quae mul-
ta de humanae naturae praestantia afferuntur a multis: esse hominem creatura-
rum internuntium, superis familiarem, regem inferiorum; sensuum perspicacia,
rationis indagine, intelligentiae lumine, naturae interpretem; stabilis evi et fluxi
temporis interstitium, et (quod Persae dicunt) mundi copulam, immo hymeneum,
ab angelis, teste Davide, paulo deminutum» 1.
1 L’Oratio non fu resa nota dall’autore. Soltanto due anni dopo la sua morte, nel 1496, il ni-
pote Giovan Francesco la pubblicò a Bologna. Il titolo De hominis dignitate risale all’edizione
di Strasburgo delle opere di Pico (1504). Innumerevoli sono le edizioni dell’opera: cf. P. C. BORI,
Alle origini del Discorso sulla dignità umana di Pico della Mirandola, testo latino, versione ita-
liana e apparato testuale a cura di S. Marchignoli, Milano 2000.
8 Gaetano Di Palma
5 Cf. almeno A. LANCELLOTTI, I Salmi, Roma 1984, 110-113; G. RAVASI, Il libro dei Salmi.
Commento e attualizzazione, Bologna 31986, I, 177-203; L. ALONSO SCHÖKEL - C. CARNITI, I
Salmi, Roma 1992, I, 238-254; T. LORENZIN, I Salmi, Milano 2000, 71-73.
6 Cf. K. SEYBOLD, Poetica dei Salmi, Brescia 2007, 211, 227, secondo il quale il salmo – for-
se un testo preesistente e rielaborato per esprimere contenuti di antropologia teologica allinea-
ti a Gen 1 – era perfettamente simmetrico, ma nella fase di conservazione del testo, i vv. 2b.3
sono stati danneggiati, alterandone la struttura.
7 Cf. P. JOÜON - T. MURAOKA, A Grammar of Biblical Hebrew, Roma 1996, 535.
10 Gaetano Di Palma
8 --
Cf. H.-J. FABRY, h.ase r, in GLAT 3, 103-115, in particolare 114-115.
9 -
Cf. H. GROSS, mašal, in GLAT 5, 428-433, in particolare 430.
La sapienza biblica per una nuova dignità dell’essere umano 11
domestici e selvatici, quelli che vivono sulla terra, nei cieli e nel mare.
Due volte, infatti, compare la parola “tutto”, che include gli esseri da ri-
tenere «sotto i piedi» (tah.at-ragla-yw) dell’uomo.
È vero che Dio si riserva la propria superiorità, ma concede all’uo-
mo di partecipare, rispettandone le potenzialità e i limiti, al governo del
mondo, del quale deve sentirsi responsabile. L’uomo si trova, così, col-
locato in una posizione particolare: fa parte della creazione, ma ne è
l’amministratore; partecipa al governo del mondo, ma non tutto dipen-
de da lui, perché tale potere gli è stato affidato e lo esercita sulla base di
un mandato divino. È stato inserito in un rapporto che si può definire
“triangolare”: Dio, il mondo ed egli, unica tra le creature a essere con-
sapevole del proprio posto e capace di un protagonismo dal quale nasce
la storia.
La risposta all’interrogativo del v. 5 non era difficile, mentre è for-
se più complesso cercare di capire da dove sorge quella domanda. La
logica suggerirebbe d’individuare la datazione del salmo, ma ogni ese-
geta conosce bene quanto sia complesso uno studio del genere su testi
che raramente contengono dettagli storici e che, dal punto di vista lin-
guistico, possono presentare forme arcaizzanti gradite al gusto del poe-
ta. Un’ipotesi plausibile potrebbe essere questa: il salmo è stato redatto
in forma definitiva nell’epoca postesilica, adattando probabilmente
qualche testo della tradizione cananea – com’è avvenuto per non pochi
salmi 10 – e risentendo delle idee teologiche maturate a contatto con la
cosmogonia mesopotamica e con la dottrina del mazdeismo (o zoroa-
strismo) 11. L’epoca postesilica, com’è noto, è stata contrassegnata dal
dominio persiano. Si potrebbe pensare, quindi, come terminus a quo,
all’epoca successiva all’elaborazione del tema della creazione e alla re-
dazione di Gen 1.
delle loro capacità “speculative” usando le parole della loro lingua, l’ac-
cadico 12. Essi partono da quattro parole: awilum, “uomo”; ilum, “dio”;
(w)et’emmu, “spettro”; t’emu, “personalità”, ma anche “intelligenza”.
Dal modo in cui sono scritte tali parole, essi cercavano di spiegare i rap-
porti tra i concetti che esprimono. Awilum risulta composto da tre gra-
femi: A + WI + LUM, la cui parte finale suona ilum (“dio”) e il secon-
do grafema, WI, corrisponde al segno (ideogramma) che in sumerico si-
gnifica “intelligenza”, che corrisponde all’accadico t’emu, a sua volta
assonante con et’emmu, per indicare che essa risiede nella dimensione
non corporea. Inoltre, WI, nel poema Atra-hasîs, è il nome del dio Alla,
+
ucciso dagli altri dèi affinché con il suo sangue e la sua carne, impastati
insieme all’argilla, fosse creato l’uomo. Il senso è chiaro: l’uomo, in
quanto fatto di argilla mista a carne e sangue di un dio, è mortale e con-
temporaneamente partecipe della natura divina; ha una dimensione
corporea e una incorporea, nella quale risiede l’intelligenza.
Tuttavia, una visione talmente positiva della dignità umana quale
traspare dai vari luoghi della Bibbia, tra cui il Sal 8, non ha eguali nelle
pur evolute culture del Vicino Oriente antico. Infatti, commentando
brevemente l’Atra-hasîs, l’assiriologo Jean Bottéro ha scritto:
+
«La dottrina antropogonica in esso contenuta è perfettamente chiara nei
suoi tratti essenziali: gli uomini sono stati creati e messi al mondo e la loro rea-
lizzazione sottilmente calcolata e condotta a termine per svolgere, nei confronti
degli dèi, il ruolo di servitori. Sono semplicemente dei produttori, il cui fine è
quello di mettere in risalto, col loro lavoro, le ricchezze di questo mondo, for-
nendo innanzitutto al mondo soprannaturale i beni materiali indispensabili, qua-
li il cibo e le bevande, l’abbigliamento e gli ornamenti, la suppellettile e le abita-
zioni» 13.
12 Per queste notizie, cf. P. MANDER, La religione dell’antica Mesopotamia, Roma 2009,
40-41.
13 J. BOTTÉRO, Mesopotamia. La scrittura, la mentalità e gli dèi, Torino 1991, 246.
14 Per le notizie che seguiranno, cf. M. BALDACCI, Il diluvio. Mito e realtà del più grande
cataclisma di tutti i tempi, Milano 1999, 119ss.
15 Per un breve profilo di questa divinità, cf. MANDER, La religione dell’antica Mesopota-
mia, 74-76.
La sapienza biblica per una nuova dignità dell’essere umano 13
edulcorare il fardello del lavoro, insistendo sul fatto che era il lavoro
“degli dèi”. Era pur sempre, però, il lavoro che gli dèi non avevano vo-
luto più compiere perché troppo faticoso. Inoltre, la mescolanza del
sangue di un dio con l’argilla per creare l’uomo ha lo scopo di rafforza-
re quest’ultimo e per dargli un minimo di valore, ma gli dèi rimangono
sprezzanti nei confronti di queste creature perché alla loro ribellione a
causa del lavoro troppo faticoso reagiranno mandando il diluvio.
È stato ormai scritto tanto sul rapporto tra la cosmogonia mesopo-
tamica e i racconti biblici sulla creazione ed è stato fatto notare come in
questi ultimi se ne recepiscano gli stimoli, elaborandoli in maniera ori-
ginale nel rispetto della propria tradizione religiosa. Ad esempio, in
Gen 2,15 si dice che Dio pose l’uomo nel giardino di Eden le‘a-bda-h
ûleša-mra-h, «per lavorarlo e custodirlo»: lo scopo divino non è quello di
sottrarsi al lavoro, ma di rendere l’uomo “amministratore” del creato e
prosecutore dell’opera iniziata da Dio. Si nota un notevole scarto tra la
dignità riconosciuta all’uomo – pur con tutti i limiti che saranno indi-
cati dopo – nella Bibbia e la finalità per cui è creato l’uomo secondo il
pensiero delle culture mesopotamiche.
Qualche ulteriore influsso, da valutare sempre con prudenza e sen-
za mai ritenere che determinati contatti tra culture e religioni diverse
generino automaticamente dei cambiamenti se prima non si è verificata
una maturazione, può essere venuto dallo zoroastrismo. È vero che esi-
stono tuttora molte incertezze se esso corrisponda alla religione degli
Achemenidi 21. D’altronde, la religione aveva un ruolo importante nella
loro concezione dell’imperialismo, come testimoniano, ad esempio, le
iscrizioni di Persepoli, in particolare alcune dove Ahura Mazda- è de-
scritto come il creatore di tutto e il datore del potere su ogni persona e
21 Gli studiosi fanno notare che non è risolta in maniera convincente la datazione della
vita di Zaraquštra: c’è la proposta di una cronologia alta, secondo la quale il profeta sarebbe
vissuto a cavallo del II e del I millennio, e di una cronologia bassa, che lo colloca tra la secon-
da metà del VII secolo e la prima del VI secolo a.C., che sembrerebbe la più attendibile. Tale
cronologia, unitamente al fatto che il profeta avrebbe operato nell’Iran orientale, rende più
difficile ammettere lo zoroastrismo quale religione di tutti gli Achemenidi, originari dell’Iran
sud-occidentale, che corrisponde alla regione che era chiamata Persia. Il dubbio è alimentato
anche dalla mancanza nelle iscrizioni achemenidi di ogni menzione di Zaraquštra e dei con-
-
cetti più importanti della sua religione, pur avendo il medesimo dio, Ahura Mazda, “il Signo-
re che crea con la mente”. Cf. A. PANAINO, L’ecumene iranica e lo zoroastrismo nel loro svilup-
po storico, in BIBLIA (cur.), Il popolo del ritorno: l’epoca persiana e la Bibbia. Atti del Seminario
invernale (Lucca, 25-27 gennaio 2000), Settimello (Firenze) 2001, 39-46; cf. i copiosi riferi-
menti bibliografici sullo zoroastrismo nelle pagine 84-100.
La sapienza biblica per una nuova dignità dell’essere umano 15
22 F. H. WEISSBACH (ed.), Die Keilinschriften der Achämeniden, Leipzig 1911, 85. La tra-
duzione dal tedesco è nostra. Per il commento all’iscrizione, cf. B. LINCOLN, The Role of Reli-
gion in Achaemenian Imperialism, in N. BRISCH (ed.), Religion and Power. Divine Kingship in
the Ancient World and Beyond, Chicago 2008, 222ss.
23 G. GNOLI, Zoroastrismo, in M. ELIADE e altri, Enciclopedia delle religioni. 11. Religio-
ni del Mediterraneo e del Vicino Oriente antico, Roma-Milano 2002, 556.
16 Gaetano Di Palma
33 Cf. BOCCACCINI, I giudaismi del Secondo Tempio. Da Ezechiele a Daniele, 126ss. Boc-
caccini utilizza quest’aggettivo non nel senso moderno, ma per illustrare l’esistenza di un giu-
daismo, tra i vari tipi dell’epoca del Secondo Tempio, che chiama “sapienziale”, diverso da
quello “sadocita”, espressione della classe sacerdotale.
34 Cf. ALONSO SCHÖKEL - CARNITI, I Salmi, 251.
La sapienza biblica per una nuova dignità dell’essere umano 19
-
38 E.-J. WASCHKE, rabaz, in GLAT 8, 177: «Stando alla maggior parte delle attestazioni,
sullo sfondo c’è l’idea del comportamento di riposo degli animali». Gen 4,7 è un testo molto di-
scusso; cf. ivi 182.
39 J. D. G. DUNN, La teologia dell’apostolo Paolo, Brescia 1999, 132.
40 Cf. F. MAASS, ’ænôš, in GLAT 1, 747. La nuance fondamentale del termine è “essere
--
debole”; tuttavia, nella Bibbia è spesso usato, come in Sal 8,5, come sinonimo di ben-’adam o,
--
altrove, di ’adam.
41 Circa l’uomo interlocutore di Dio, cf. G. DI PALMA, «Troppo caro sarebbe il riscatto di
una vita: non sarà mai sufficiente» (Sal 49,9). Ragioni bibliche per una nuova visione della per-
sona, in G. DI PALMA - P. GIUSTINIANI (curr.), Teologia e modernità, Napoli 2010, 69-86.
La sapienza biblica per una nuova dignità dell’essere umano 21
1. 1Cor 15,27: «Perché ogni cosa ha posto sotto i suoi piedi». La cita-
zione di Sal 8,7 nel capitolo 15 della Prima Lettera ai Corinzi s’innesta
nel tema della risurrezione, di cui Paolo sta parlando 44, con l’obiettivo
di dimostrare che quanto è avvenuto a Cristo accadrà anche ai credenti.
Egli parte, nel v. 20, dal dato che Cristo è risorto dai morti ed è la “primi-
zia” di coloro che si sono addormentati (ajparch; tw`n kekoimhmevnwn),
volendo dire che dopo la primizia verranno gli altri frutti, cioè i creden-
ti, i quali, per raggiungere la risurrezione, dovranno, allo stesso modo di
42 Cf. B. PASCAL, Pensieri, 230: G. RABONI - C. CARENA (curr.), Blaise Pascal. Pensieri, in
A. MASSARETTI (cur.), Pascal, Milano 2006, 437: «Perché infine, che cos’è l’uomo nella natura?
Un nulla rispetto all’infinito, un tutto rispetto al nulla, un medio fra il nulla e il tutto».
43 Circa questi tre testi, seguiremo P. GRELOT, Il mistero del Cristo nei Salmi, Bologna
2000, 58-62, insieme ad altri saggi e commentari che indicheremo di seguito.
44 Per un primo approccio al tema, con bibliografia, cf. G. DI PALMA, Escatologia neote-
stamentaria: la risurrezione di Gesù come contenuto fondamentale dell’escatologia cristiana in
prospettiva trinitaria, in ARCIDIOCESI DI CATANZARO-SQUILLACE (cur.), Ogni attimo è carico di
eterno. Atti del Convegno diocesano (Catanzaro, 14-15 ottobre 2011), Catanzaro 2011, 66-89.
22 Gaetano Di Palma
della chiesa (v. 23) 47. Nella confessione cristologica è Dio il protagoni-
sta: egli ha manifestato la sua forza facendo risorgere Cristo e insedian-
dolo alla sua destra, nella posizione di dominio cosmico su ogni princi-
pato e autorità, e mettendogli sotto i piedi tutte le cose. Si nota un’evi-
dente sintonia con 1Cor 15, pur essendoci delle differenze. Infatti, an-
che in questo caso si riscontra il legame tra Sal 110,1 e 8,7 per descrive-
re il dominio cosmico e universale di Cristo ma, rispetto a 1Cor, che si
sofferma sugli eventi riguardanti la fine, in Ef sembra che l’escatologia
sia già realizzata; inoltre, in 1Cor il soggetto delle azioni è Cristo, men-
tre in Ef è Dio 48. Al di là di ogni altra considerazione, il testo afferma la
superiorità di Cristo, utilizzando Sal 8,7, che ha un chiaro senso antro-
pologico. L’autore compie qui un passaggio interpretando in chiave cri-
stologica un testo di natura antropologica, quasi a voler dire che la rea-
lizzazione piena dell’uomo è in Cristo e che nel suo corpo, la chiesa (cf.
v. 23), egli trova la dimensione giusta della sua pienezza, come dice in
4,13: «Finché non arriviamo tutti all’unità della fede e della conoscenza
del Figlio di Dio, fino all’uomo perfetto, fino a raggiungere la misura
della pienezza di Cristo». Tali premesse giustificano una doverosa con-
clusione: se Cristo è al di sopra di tutto e tutto è stato posto sotto i suoi
piedi, e se egli è il punto d’arrivo della pienezza che l’uomo è chiamato
a raggiungere, allora anche l’uomo deve considerarsi “libero” da ognu-
no, persona o struttura di potere, che voglia assoggettarlo, diminuirlo
nella sua dignità, né egli deve volontariamente asservirsi ad alcuno, va-
nificando la liberazione di Cristo.
5. Conclusioni
GAETANO DI PALMA
Pontificia Facoltà Teologica dell’Italia Meridionale, Napoli
53 Cf. B. L. GLADD, The Last Adam as the “Life-Giving Spirit” Revisited: a Possible Old
Testament Background of One of Paul’s Most Perplexing Phrases, in Westminster Theological
Journal 71 (2009) 305-309.