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Bruno Belletti*
È noto che 1 'όμοίωσις θεώ costituisce il fine ultimo della filosofia plato
nica 1 e viene ripreso e sistematizzato, dopo lo smarrimento durante l’età
ellenistica, nella prima metà del primo secolo dell'era cristiana. Il concetto
di assimilazione a Dio (che abbraccia una pluralità di termini tecnici e
sfumature linguistiche, come esamineremo in dettaglio) è pienamente atte
stato nella « filosofia mosaica » di Filone di Alessandria che lo rivisita alla
luce della spiritualità veterotestamentaria e lo riforma nei suoi fondamenti
esemplaristico-metafisici sulla base della prima formulazione della dottrina
creazionistica.
L’approfondimento critico ed analitico di questi asserti costituisce l'og
getto della presente ricerca, condotta sulla base di una accurata ricogni
zione del testo filoniano.
2 W. VOlker, Fortschritt und Vollendung bei Philo von Alexandrien, Leipzig 1938;
p. 206; la formula filoniana è contenuta in Mut., 213; cfr. anche Leg., Ili, 47; Migr., 176;
Fug., 141; Spec., II, 32.
5 «... τέλος ευδαιμονίας τήν πρύς θεόν έξομοίω<ην». Cfr. A. Ηειτμανν, Imitatio Dei...,
cit., p. 50 e H. Merki, Homoiosis..., cit., p. 36.
4 II tema della somiglianza tra genitori mortali e Genitore archetipo è ripreso in
Spec., II, 225, che esamineremo più avanti.
’ Viri., 8. « In Viri., 8 f. (...) stellen wir fest, dass man sich Gott nicht bloss durch
die Tugend im allgemeinen, sondern auch ein έπιγέννημα der Tugcnd mit Gott veraehn-
licht » (H. Merki, Homoiosis..., cit., p. 38).
4 «Ταυτα μιμεΐσθαι προσήκει τούς άγαθούς άρχοντας, εϊ γέ τις αύτοις φροντίς έστιν
έςομοιώσεως της πρός θεόν ».
solitudine (μόνωσις) che, distogliendo l’anima dal divertissement mondano,
sappia concentrare lo spirito sulla pregnanza incommensurabile dell’Asso-
luto: « Coloro che cercano Dio e bramano di trovarlo, amano la solitudine
che è cara a Lui ed è innanzitutto in questo modo che essi si sforzano di
assimilarsi alla sua natura beata e felice » (par. 87)7. Ecco come Filone
descrive il primo uomo creato nel De opificio mundi: « Essendo congenere
ed affine alla Guida, poiché in lui abbondantemente è affluito il soffio divino,
egli si curava di dire e fare tutto in onore del Padre e Re, seguendone le
tracce sulle grandi strade che le virtù aprono, perché è lecito avanzare alle
sole anime che ritengono loro fine quello di assimilarsi a Dio che le ha
generate (τέλος... την πρός τόν γεννήσαντα θεόν έξομοίωσιν ) » 8· In preceden
za, sempre nella stessa opera, Filone aveva affrontato il motivo della « so
miglianza » in chiave spiccatamente cosmologica, affermando che il creatore
impone al mondo la sua somiglianza secondo l’unicità: « il mondo è uno
solo, perché uno solo è il suo Creatore, il quale ha fatto la sua opera simile
a se stesso nell’unicità, servendosi di tutta quanta la materia per la genera
zione dell'universo9.
Alquanto interessante è, infine, un brano del De fuga et inventione in
cui Filone riporta testualmente il famoso luogo del Teeteto, opportuna
mente inserito nel contesto di un discorso d’inconfondibile ispirazione bi
blica 10. L’autore infatti discute la disposizione della legge mosaica che con
cerne gli assassini (in Es., 21,12 leggiamo che « chi percuote un uomo per
farlo morire, sia messo a morte »). Filone afferma, sulla base dell’insegna-
mento platonico, che il male deve esistere da sempre come eterna antitesi
del bene; questa affermazione viene tuttavia giustificata alla luce della Rive
lazione biblica, con il famoso divieto di cui recita Gen., 4,15: « Orbene chiun
que ucciderà Caino sarà punito sette volte tanto. Poi il Signore pose un
segno su Caino, affinché chiunque Io incontrasse non lo uccidesse ». Caino è
il simbolo del male e come egli non potè essere ucciso, così anche il male
non può essere definitivamente estirpato: tra male e bene si dà una perma
nente opposizione. Infatti « bisognava assolutamente assegnare due luoghi
differenti a due differenti realtà: il cielo al bene, la regione terrestre al
male... Un uomo famoso, fra coloro che sono ammirati per la loro saggezza,
7 In Deus., 48 è detto che Tanima sola riceve la facoltà del « movimento volontario »
che la rende simile a Dio.
• Opif., 144. La traduzione dei passi del De opificio mundi, che riportiamo è di
G. Calvetti ed è pubblicata, insieme alla traduzione della Legum Allegoriae di R. Bigatti,
in Filone di Alessandria, La creazione del mondo, Le allegorie delle leggi, a cura di
G. Reale, Milano 1978; la versione it. del Quis rerum divinarum heres sit è invece di
R. Radice, in Filone di Alessandria, L'erede delle cose divine, a cura di G. Reale, Mila
no 1981.
’ Opif., 171. Notevole è anche ibid., 19: « Egli (se.: Dio), dunque, dopo aver deciso
di fondare la grande città dell'universo, pensò dapprima come le impronte di essa, e
dopo aver costruito mediante queste il mondo intelligibile, portò a compimento anche
il sensibile, servendosi di quello come di un modello». Cfr. inoltre Migr., 123 e Somn.,
I, 73.
10 Filone infatti, pur privilegiando in modo assoluto la Legge mosaica, non disdegna
di rilevare una certa continuità tra filosofia ellenica e Rivelazione biblica: cfr. su questo
punto H.A. Wolfson, Philo, Foundations of Religious Philosophy in Judaism, Christianity
and Islam, voi. I, Cambridge (Mass.) 1947, pp. 138-144; E. Zeller-R. Mondolfo, La filosofia
dei Greci nel suo sviluppo storico, trad. it. di R. Del Re, parte III, voi. IV, Firenze 1979,
pp. 480486; G. Reale, Storia della filosofia antica, voi. IV, Milano 1978, pp. 247-260.
ha espresso magnificamente questo pensiero nel Teeteto: “Ma non è possibi
le che il male possa perire, perché ha pur da esserci sempre qualcosa di
contrario al bene; né può aver sede tra le cose divine n, ma deve aggirarsi
intorno alla natura mortale e su questa nostra terra. Bisogna pertanto
cercare di fuggire di qua al più presto per andare lassù. E fuggire è un
assimilarsi a Dio nella misura del possibile e assimilarsi [a Dio] è diventare
giusti e santi in conformità alla saggezza” »12 (φυγή δέ όμοίωσις θεω κατά
τδ δυνατόν · όμοίωσις δέ δίκαιον και όσιον μετά φρονήσεως γενέσθαι).
“ Nel Teeteto leggiamo invece: « né può aver sede tra gli dei · (Οεοΐς e non già
θείοις,οοπιβ qui troviamo). Sottoscriviamo la tesi del Colson, secondo il quale Filone
intese mondare il testo originario da connotazioni politeistiche.
“ Fug., 62-63; sull’ispirazione biblica scrive giustamente il Merki, dopo aver rilevato
l'impiego del linguaggio platonico: « Dcr Alexandriner hat aber, obschon die Termino
logie wahrend, nicht auch den Inhalt ùbernommen, denn das δίκαιος καί δσιος μετά
φονήσεως hat nicht mehr den platonischen Inhalt, sondem bedeutet nach dem Zusam-
menhang einfachhin die Beobachtung und Erfiillung der Gesetzesvorschriften » (H.
Merki, Homoiosis..., cit., p. 37); ricordiamo che il passo platonico è Theaet., 176ab.
“ Cfr. A. Heitmann, Imitatio Dei..., cit., p. 62 e H. Merki, Homoiosis..., cit., p. 81.
’♦ Viri., 168; cfr. A. Heitmann, Imitatio Dei..., cit., pp. 59-60.
” Opif., 139. L’espressione μίμημα καί άπεικόνισμα è ricorrente in Filone: cfr. Deter.,
83; Post., 105; Heres, 112.
gine, e l'immagine di Dio è archetipo rispetto a ogni altra cosa » 16. Questa
affermazione evidenzia come la dottrina assimilativa filoniana sia perfetta
mente in sintonia con il sistema metafisico dell’autore. Infatti, secondo
l’interpretazione allegorica di Filone, Dio ha creato l’uomo intelligibile, im
magine ideale dell'uomo, « a sua immagine e somiglianza » (Gen., 1,26:
κατ’είκόνα θεού και καθ’όμοίωσιν) e successivamente ha plasmato l'uomo
reale secondo questa immagine, ragion per cui l’uomo in carne ed ossa
risulterebbe imago imaginis Dei (sfato είκόνος, come è detto in Opif., 25). Va
comunque notato che il saggio (άστεΐος), l'uomo dotato di virtù perfetta,
può, secondo Filone, legittimamente aspirare a divenire egli stesso diretta
immagine di Dio, identificandosi quindi con l’uomo ideale e il Logos, che
egli definisce a più riprese diretta immagine di Dio17.
Nel De decalogo Filone giunge addirittura ad affermare che l’uomo,
limitatamente alla parte più nobile del suo essere, è « apparentato al cielo »
e « al Padre dell'universo »: « L’uomo questa creatura eccezionale è, per
quanto concerne la parte più nobile del suo essere, l’anima, strettamente
apparentato al cielo e, persino, secondo l’espressione più frequente, al Pa
dre dell’universo poiché egli, avendo ricevuto il suo intelletto, è stato dotato
de\Vimmagine e àe\Vimitazione più fedele al modo dell’idea eterna e bea
ta »18. Essendo Dio il paradigma assoluto e, d’altro canto, considerato il
ruolo eminente dell’uomo nel contesto creaturale, si può a buon diritto
affermare che « è cosa santa imitare le opere di Dio » (Leg., I, par. 48). Inol
tre, tra le virtù umane, speciale dignità è riservata alla generosità, che più di
ogni altra incrementa Vimitatio Dei, poiché esalta in sommo grado il divino
valore di gratuità e donazione che caratterizza la creazione del mondo e
dell’uomo: « Nel comportamento umano non vi è nulla che assomigli mag
giormente a Dio che la generosità. Ora, cosa c’è di più prezioso per le
creature che imitare il Dio eterno? » 19. Il principio esemplaristico che domi
na e presiede alla totalità del reale20 si estende di necessità anche alla sfera
familiare: « Io ritengo che i genitori stiano ai figli come Dio sta al mondo;
infatti, come Dio ha dato la vita a coloro che non esistevano, così essi
danno, nella misura del possibile, immortalità alla nostra specie »21.
Il motivo dell’imitazione è ripreso in chiave cosmologica nel De opificio
mundi: « Dio, infatti, sapendo già prima, in quanto Dio, che senza un bel
modello non si sarebbe potuta produrre una bella imitazione (μίμημα) e che
nel sensibile nulla, se non è una copia di un’idea archetipa e intelligibile, è
esente da difetto, avendo voluto creare questo mondo visibile di quaggiù,
foggiò prima il mondo intelligibile, allo scopo di poter realizzare il mondo
corporeo facendo uso appunto di un modello incorporeo e del tutto simile
al divino, essendo tale mondo corporeo come una più giovane immagine di
* Leg., II, 4.
” Quando tratteremo della fondazione metafisica dell’homoiosis ritorneremo am
piamente su questo tema, che era necessario anticipare per una più agevole compren
sione della prospettiva filoniana.
’· Decal., 134. Compare qui il concetto di synghéneia che esamineremo successiva
mente.
w Spec., IV, 73.
* Cfr. B. Mondin, I fondatori della filosofia religiosa: Filone e Clemente, xMilano
1968, pp. 77-87.
* Spec.. Il, 225; cfr. anche ibid., 68.
una più antica e dovendo includere in sé altrettanti generi sensibili quanti
sono quelli intelligibili nel mondo intelligibile » Ώ·. Pertanto anche il mondo,
essendo imitazione di un « bel modello » voluto da Dio, risulta inserito nello
imaginismo metafisico filoniano, poiché è legato da un rapporto di somi
glianza alla dimensione intelligibile. L’esemplarismo, che giustifica il rap
porto causale tra le idee e le cose sensibili, è ripreso, secondo il motivo
deirimitazione, nel secondo libro del De vita Mosis, allorquando Filone
scrive intorno alla dottrina delle idee: « Le cose sensibili sono delle imita
zioni e delle copie (μιμήματα καί άπεικονίσματα) di queste idee, da cui que
sto mondo fu costituito »Come possiamo agevolmente desumere dalle
testimonianze fin qui raccolte, il tema dell’imitazione non coinvolge sempre
e solo Dio e l’uomo ma anche, in modo più articolato, il mondo intelligibile
ed il mondo sensibile: tra Dio e l’uomo, come avremo modo di esaminare
più avanti, è possibile stabilire una ben precisa gerarchia imaginistica per
cui l’uomo, se da un lato può dirsi in rapporto di diretta somiglianza con
Dio (qualora raggiunga l’ideale della perfetta virtù), dall’altro può assimi
larsi all'assoluto solo nella misura in cui partecipa della dimensione intelli
gibile degli « intermediari » u.
* Per l’interpretazione dei Logoi come angeli e del Logos come parola, cfr. il saggio
succitato del Bormann rispettivamente a p. 69 e alle pp. 79-82.
21 II tema della sequela compare anche nei seguenti passi: Spec., I, 155; II, 42, 52,
150; III, 48, 176, 180; IV, 46 e 187; Plani., 49; Prob., 160; Ebr., 34, 38, 55; Mos., Il, 48 e
211; Viri., 18; Abr., 6; Somn., II, 174; Cher., 43; Dee., 81, 98, 100.
a Infatti non è certo sufficiente affermare una primordiale affinità a livello metafi
sico per assicurare l’effettivo (quasi « automatico ») ritorno dell’anima a Dio: tale ascesa
non è pre-garantita ma è da conquistare gradualmente; la somiglianza ontologica tra
copia e archetipo è reale, ma l’approdo dell’uomo all’Assoluto è solo possibile e si
rende tanto più probabile quanto più intensa è la catarsi (o meglio Vek-stasis, in senso
filoniano) dell'uomo di fede.
» A nostro giudizio, questa tematica non è stata presa in adeguata considerazione
dagli studiosi. Sia Heitmann (Imitatio Dei..., cit., p. 39) che Merki (Homoiosis, cit.,
pp. 12-13) ravvisarono nell’ambiente filosofico neostoico influenzato da Posidonio la
opificio mundi (par. 145-146), è espressamente considerata la parentela del
l’uomo con il Creatore. Dopo aver trattato del primo uomo generato, il testo
così prosegue: « Si è detto, dunque, del primo uomo generato, della sua
bellezza nell’anima e nel corpo, sia pure restando molto al di sotto della
verità, e tuttavia secondo le nostre capacità, per quanto era possibile. Ora, i
discendenti che partecipano dell’idea di quello, devono necessariamente
conservare ancora, anche se debolmente, le tracce di quella parentela con il
loro primo padre. Ma qual è questa parentela? Ogni uomo per la sua
intelligenza è intimamente unito al Logos divino essendo un’immagine o
una particella o un riflesso della natura beata, mentre per la costituzione
del suo corpo è unito a tutto quanto il mondo ». L’uomo dunque appare
intimamente unito al Logos divino che, tra gli altri significati, è inteso da
Filone come mediatore tra Dio e l'uomo ». Nella fattispecie, il Logos sembra
adombrare la stessa attività creatrice di Dio. In un precedente passo della
stessa opera il Nostro aveva sostenuto che l’uomo « è fatto partecipe dello
stesso genere (της αύτοΰ συγγένειας) di Dio attraverso la ragione che è il
bene più grande »31.
Nel De praemiis et poenis, Filone narra che Dio salvatore e misericor
dioso ha concesso agli uomini (nel caso specifico, intende riferirsi ai conver
titi) il dono (δωρεά) eccellente della parentela con il Suo Logos, archetipo
del nous umano. Ancor più significativo è un brano dell’opera De congressu
eruditionis causa in cui è chiaramente detto che l'adesione a Dio si confi
gura in termini di vera e propria parentela: « “Figlio mio, non sdegnare gli
insegnamenti del Signore, né ti rincresca quando Egli ti ammonisce, poiché
il Signore redarguisce chi ama e fustiga coloro che riconosce come suoi
figli” (Prov., 3,11-12). La reprimenda e l'ammonimento sono dunque giudi
cati così belli che l’adesione a Dio diventa parentela (ώστε δι’αύτης ή πρός
θεόν όμολογία συγγένεια γίνεται ) : del resto, cosa c’è di più prossimo per il
figlio che suo padre e per suo padre che suo figlio? » (par. 177).
Nel De Abrahamo (par. 41) leggiamo: « Naturalmente suscita l’ira di Dio
pensare che l’uomo, il quale sembra la migliore delle creature viventi ed è
tematica della parentela con Dio (cfr. Cicerone, De leg., I, 22-26; Seneca, Ep., 31, 10 ss.).
Il Merki, notando la presenza di questo motivo nelle opere filoniane, afferma: « Irgend-
wie in poseidonisch-stoische Naehe fuehren wohl jene Wendungen, in denen mit der
Abbildlehre das synghéneia-Theorem anklingt ». Tuttavia, già il Voelker aveva delimi
tato la portata del concetto: « (Posidonius) die Verwandtschaft mit Gott nur auf dem
nous beschrankt » (W. Volker, Fortschritt..., cit., p. 53, nota 6). Dato e non concesso
che Posidonio possa aver sviluppato la dottrina (< su Posidonio si è detto e scritto
troppo: incredibilmente più di quanto le testimonianze sicure non permettano », ammo
nisce G. Reale, Storia della filosofia antica, cit., voi. Ili, 1976, pp. 446), rimane pur
sempre vero che, prima di Posidonio, Platone conferì alla synghéneia una precisa acce
zione teologica (cfr. Leg., X, 899d; Prot., 322a). Pertanto non ci sembra accettabile la
presunzione secondo cui Filone dovette necessariamente « fare i conti » con il filosofo
di Apamea, dal momento che gli bastava, assai più ragionevolmente, rifarsi a quella
speculazione platonica che, peraltro, egli dimostra di seguire nello spirito e nella lettera
in parecchi luoghi delle sue opere, condividendo quella « seconda navigazione » che
Posidonio sembrò rifiutare. Cfr. altresì F.W. Eltester, Eikon..., cit., p. 30, e M. Pohlenz,
La Stoa. Storia di un movimento spirituale, trad. it., voi. I, Firenze 1967, p. 468, nota 67.
30 L’importanza del Logos ai fini della determinazione del télos venne segnalata a
suo tempo da H. Heinze, Die Lehre vom Logos in der griechischen Philosophie, 01-
denburg 1872 (rist. anast. Aalen 1961), pp. 262-263.
” Opif., 77. In questi due ultimi brani è palese una flessione intellettualistica di
origine platonica.
stato giudicato degno della parentela con Dio poiché partecipa della ragio
ne, invece di praticare le virtù come Egli avrebbe voluto, ricercò il vizio ed
ogni sua forma particolare ». Il termine in parola ricorre ancora nel De
opificio mundi per esprimere l’affinità delle cose a Dio: « E veramente si
addiceva alla natura di Dio, Padre di tutte le cose, il fare da solo tutti gli
esseri virtuosi, a motivo della loro affinità con Lui stesso, né d’altra parte
era sconveniente ch’Egli facesse gli esseri indifferenti, perché anche questi
non hanno parte nel vizio a lui inviso » (par. 74).
Il motivo della parentela è sviluppato da Filone anche in diretta con
nessione alla struttura imaginistica: il par. 18 del De Plantatione è la testi
monianza più esplicita al riguardo: « ...gli altri (pensatori) hanno detto che
il nostro intelletto è una particella della natura eterea, apparentando, in
virtù di questa relazione, l'uomo al cielo; il grande Mosè non ha assimilato
la forma dell'anima razionale ad alcuno degli esseri corruttibili, ma ha
detto che essa è un esemplare autentico di quel soffio invisibile di Dio,
contrassegnato e marchiato dal sigillo di Dio, la cui impronta è il Logos
eterno. Infatti egli dice: “Dio gli soffiò sul suo viso un alito di vita”
(Gen., 2,7). Pertanto, chi riceve l'impronta necessariamente riproduce l’im-
magine di colui che l'ha trasmessa; è in questo senso che si dice che l’uomo
fu creato a immagine di Dio (Gen., 1,26 ss.) e non già a immagine di un
essere generato ».
In Viri., 79 la parentela con le realtà divine è definita quel legame
« strettissimo » di assoluta nobiltà che unisce il popolo eletto all’Assoluto,
di gran lunga più puro della semplice parentela basata sul sangue.
Accanto al tema della synghéneia, è presente nelle opere filoniane un
altro motivo che esprime, a livello ontologico, un rapporto di affinità tra la
dimensione incorporea dell’uomo ed il divino. Nel De opificio mundi (par.
145-146) abbiamo visto che Filone definisce l’intelligenza umana come « un
frammento della natura beata ». Orbene, il tema della ragione o dell’intelli
genza intese come frammenti del divino è ripreso da Filone in altri luoghi
che è necessario esaminare in questa sede. Nel De mutatione nominum
(par. 223) leggiamo: « “Ragione” non è che una piccola parola ma è la cosa
più perfetta e più divina, è un frammento (άπόσπασμα) dell’anima dell’uni
verso, o meglio, secondo l’espressione più conforme alla legge divina adot
tata dai filosofi che seguono Mosè, è impronta rassomigliante di un'imma
gine divina » (ειχόνος θείας έκμαγεΐον εμοερές). La ragione umana, frammen
to del divino, è definita qui come l’impronta dell’immagine divina e sembre
rebbe quindi porsi « al terzo posto », al seguito di Dio e del Logos. Va però
ribadito che il saggio perfetto, che s’identifica con il perfetto uomo di fede,
potrà conseguire la stessa dignità metafisica del Logos, diretta immagine di
Dio, come avremo modo di esaminare successivamente. Nelle Legum allego
riae (III, par. 161) Filone, evidenziando l'incorporeità dell’anima, sostiene
che essa « è fatta di aria, frammento divino »: « L’espressione “mangerai
terra per tutti i giorni della tua vita” è stata pronunciata a ragione, poiché i
piaceri del nutrimento del corpo sono terrestri. Ed è forse naturale: due
sono, infatti, le cose di cui consistiamo, anima e corpo. Il corpo è stato
formato dalla terra, mentre Vanima è fatta d’aria, frammento divino
(άπόσπασμα θειον) *· Π Merki — osservando come nella speculazione filo
niana ricorrano termini platonici accanto a concetti di origine stoica (tra i
quali, appunto, apóspasma) — è giunto alla conclusione che tale commistio
ne lessicale attesta inequivocabilmente Γ« acritico eclettismo » del nostro
filosofo32. Irène Feuer, a questo proposito, fa notare che il termine in
questione non è tecnico in Filone, « il che implicherebbe il panteismo stoi
co », ma è piuttosto « una espressione inadeguata ». Infatti non è certamen
te casuale che, nel precedente brano del De mutatione nominum, il nostro
autore, dopo aver usato il termine apóspasma, pensi bene di sostituirlo, nel
prosieguo del discorso, col termine platonico di έκμαγεΐον33· Assai interes
sante è anche la seguente testimonianza tratta dal Quod deterius potiori
insidiari soleat (par. 89-90): « ...la mente umana non si ferma, pur dopo
essere giunta ai confini della terra e del mare e dell’aria e del cielo, ma,
pensando che il cosmo sia un limite angusto per la sua continua corsa
incessante, brama... cogliere, se può, la natura del Dio, inafferrabile se non
per quanto riguarda resistenza... Come dunque potrebbe la mente dell’uo
mo, così piccola e contenuta entro il piccolo spazio del cervello o del cuore,
percorrere lo spazio così grande del cielo e del cosmo, se non fosse un
frammento (άπόσπασμα) di quell'anima che è divina e beata?»34.
Courneen, Philo Judaeus had thè concepì of creation, « Thè New Scholasticism » (1941),
pp. 46-58; H.A. Wolfson, Philo..., cit., voi. I, pp. 295-324; G. Reale, Filone di Alessandria
e la prima elaborazione filosofica della dottrina della creazione, in Autori Vari, Para-
doxos Politeia. Studi patristici in onore di G. Lazzati, Milano 1979, pp. 247-287. Sulla
questione dell’« indiamento » è interessante la posizione di J. Pascher, Ή βασιλική οδός.
Der Kònigsweg zu Wiedergeburt und Vergottung bei Philo von Alexandria, Paderbom
1911, p. 253.
34 Post., 12. Compare il termine oikeiosis che, nella fattispecie, abbiamo tradotto
con « affinità ». È questo un altro esempio del diverso significato che alcuni termini,
sussunti dalla filosofia stoica, hanno nel contesto del Sionismo (intorno all’accezione
stoica del termine, cfr. S.V.F., I, frr. 197 ss.; Il, frr. 178 ss. e inoltre M. Pohlenz, La
Stoa..., cit., I, pp. 105- 106; 163-164; 228-229).
* Cfr. W. Jaeger, Paideia. La formazione dell'uomo greco, trad. it., Firenze 1954,
voi. II, pp. 91 ss.
giusto” (Gen., 15,6) » E nel De Abrahamo (par. 268) è detto a chiare
lettere: «μόνον ούν αψευδές καί βέβαιον αγαθόν ή πρός θεόν πίστις»·
La Rivelazione di Dio all’uomo, fissata nelle Sacre Scritture, è la fon
damentale scaturigine della fede e la fede stessa, si badi bene, appare come
il risultato della gratuita iniziativa dell'Assoluto: Dio, rivelandosi all’uomo e
dettando a Mosè le tavole della Legge, pone nell'uomo la fede salvifica.
Questo è un punto di capitale importanza anche ai fini della nostra dottrina.
Il Maddalena lo ha sintetizzato nei seguenti termini: « ;..se Platone e Filone
parlano medesimamente di homoiosis theó (...), Platone affida poi all'uomo
stesso e Filone a Dio l'assimilazione dell’uomo a Lui »40 41.
A questo punto è d’uopo chiederci: esistono sostanziali differenze tra
metafisica platonica e metafisica filoniana per quanto concerne la dottrina
esemplaristica, intesa come fondamento metempirico del processo assimila
tivo? La risposta a quest’ultimo interrogativo non può che essere positiva:
infatti, mentre in Platone il primum metafisico era costituito dal mondo
delle Idee, in Filone, per contro, « le Idee cessano di essere paradigmi
assoluti e diventano, esse stesse, immagini di Dio. Esse svolgono un ruolo di
paradigmi rispetto alle cose ad esse inferiori, ma rispetto al Creatore diven
tano immagini. L’assoluto paradigma resta unicamente Dio, in quanto crea
tore » 42. L’esemplarismo filoniano si costituisce pertanto come imaginismo43
metafisico, su basi teoreticamente più progredite rispetto alla concezione
platonica: il rapporto che lega la creatura al creatore è un rapporto di
somiglianza, in quanto la « copia » è immagine {imago, eikóri) dell’archeti
po4445*. Va ulteriormente precisato che il concetto di eikón appare di fonda
mentale importanza non solo da un punto di vista metafisico-cosmologico
ma anche in sede gnoseologica e morale. Non certo a caso J. Jervel ha
scritto che in Filone « l’essere immagine di Dio {Gottesebenbildlichkeit)
costituisce la possibilità della conoscenza di Dio {Gotteserkenntnis) ». Ancor
più esplicito è il giudizio del Voelker: « l’imitazione di Dio è null’altro che il
compimento {Vollendung) dell'immagine di Dio nell’uomo » Il passo in
nanzi che dobbiamo ora compiere consiste in una circostanziata risposta al
seguente quesito: quale posizione occupa l’uomo in questo panorama esem-
plaristico? In altri termini: di che cosa l’uomo è propriamente immagine?
È notorio che Filone interpreta le due narrazioni della creazione del
l’uomo contenute nel Genesi « come una effettiva duplice creazione » * Dio
infatti dapprima crea ì’Uomo ideale e, successivamente, l’uomo terrestre.
47 Cfr. Conf., 147; Leg., Ili, 96; Opif., 25; Plant., 19; Somn., I, 239-240; ibid., II, 45;
Quaest. Gen., I, 4; Spec., I, 81; Her., 230-231. Ulteriori approfondimenti di carattere filo
logico sono contenuti in H. Willms, Eikon. Eine begriffsgeschichtliche Untersuchung
zum Platonismus. I, Philon von Alexandreia, Munchen i. West. 1935, pp. 75-77.
• E. Bréhier, Les idées philosophiqu.es et religieuses de Philon d’Alexandrie, Paris
1925, p. 121.
aria in movimento ma di un'impronta o di un sigillo della potenza divina,
che Mosè denomina immagine, mostrando che Dio è l'archetipo della natura
razionale, mentre l’uomo ne è una imitazione ed una copia; l’uomo di cui si
parla qui non è evidentemente quello dalla duplice natura che noi cono
sciamo, ma la forma più nobile dell’anima, che è chiamata spirito e ragio
ne » 49. Nei brani che abbiamo sopra esaminato appare chiaro che l’uomo
come diretta immagine di Dio non è mai l’uomo inteso come composto (hic
et nunc), ma piuttosto l’uomo considerato nella sua particolare dimensione
incorporea e spirituale, ossia l’uomo in quanto dotato di anima, intelletto e
pneuma. Queste componenti, che pure non esauriscono l’uomo nella sua
complessità ontologica, sono le dimensioni che consentono all’uomo di tra
scendere la propria condizione di contingenza e di elevarsi all’Assoluto
secondo la modalità partecipativa della diretta immagine di Dio.
È ora giunto il momento di considerare la seconda interpretazione che
Filone fornisce di Gen., 1,26: l’uomo come indiretta immagine di Dio, vale a
dire come immagine della diretta immagine di Dio che è il Logos e, quindi,
imago imaginis Dei. Nelle Legum allegoriae (III, par. 96) leggiamo al ri
guardo: « Bezaleel significa “nell’ombra di Dio”, ma l’ombra di Dio è il suo
Logos del quale egli si è servito come di uno strumento per creare il mondo.
Quest’ombra, che pure è come una immagine, è archetipo delle altre cose.
E come Dio è il modello della sua immagine, che qui Mosè ha chiamato
ombra, così l’immagine diventa modello delle altre cose, come egli ha rive
lato all’inizio della Legge con le parole: “E Dio fece l’uomo secondo l'imma
gine di Dio" (Gen., 1,27), poiché l'immagine è stata riprodotta su Dio e
l’uomo sull’immagine (κατά τήν εικόνα), che ha acquisito la potenza di un
modello ». Da questa seconda interpretazione di Gen., 1,26 ss. affiora in tutta
la sua rilevanza il ruolo metafisico del Logos che, nel contesto esemplari-
stico filoniano, assurge al livello di mediatore tra Dio e l’uomo e alla
funzione di intermediario tra Dio e mondo sensibile. Questa duplice media
zione è attestata nel De opificio mundi (par. 24-25): « ...si può dire che il
mondo intelligibile è null’altro che il Logos di Dio, già nell’atto di creare il
mondo stesso, nello stesso modo in cui la città intelligibile non è altro che il
calcolo dell’architetto, già quando egli progetta di fondare la città. Questa
dottrina è di Mosè, non mia. In ciò che segue, descrivendo la generazione
dell’uomo, egli ammette chiaramente che l'uomo fu foggiato a immagine di
Dio. Ma se la parte è un’immagine dell’immagine (είκών εϊκόνος), è chiaro
che anche il tutto è così; e se tutto questo mondo sensibile, che è più
grande dell’immagine dell’uomo, è imitazione dell'immagine divina, è evi
dente che il sigillo archetipo, che diciamo essere il mondo intelligibile, è il
Logos di Dio ».
Il Logos filoniano non va però schematicamente interpretato come una
" Dei., 82-83. Più avanti, al par. 86, Filone così, prosegue: « Il Creatore non ha fatto
per il corpo un’anima capace di vedere con le sue sole forze Colui che la fece, ma ha
pensato che sarebbe stato di grande profitto per la creatura avere una nozione del
proprio Creatore — perché è proprio questo che determina la felicità e la beatitudine —
e pertanto gli soffiò dall'alto qualcosa della sua propria divinità. La divinità invisibile
ha marchiato con le sue impronte l'anima invisibile, affinché la regione terrestre non
fosse privata dell'immagine di Dio. Ma l’Archetipo è a tal punto invisibile che neppure
la sua immagine può essere vista in quanto, foggiata secondo il modello, ricevette delle
nozioni che non sono più mortali, bensì immortali».
realtà metafisica che si pone, per così dire, « a metà strada » tra il divino e
l'umano; infatti il nostro autore non esita a distinguere un « Logos sopra di
noi » ed un « Logos in noi », l’uno archetipo dell'altro. A questo proposito è
istruttivo il seguente passo del Quis rerum divinarum heres sit (par. 231):
« Mosè chiama quello che sta sopra di noi “immagine di Dio”, e quello che
sta in noi “impronta dell'immagine” (της είκόνος έκμαγεϊον). Dice infatti:
“Dio fece l’uomo”, non già “immagine” (di Dio) ma “secondo l’immagine”
(ούχΐ εικόνα θεού, άλλα κατ’είκόνα), cosicché l'intelletto che è in ciascuno di
noi, il quale, propriamente, è il vero uomo, è l'impronta del Creatore, che
viene al terzo posto (τρίτον τύπον ), in quanto il modello di questo è l'intel
letto intermedio che, a sua volta, è copia di quello di Dio » Λ.
In questo brano, quindi, è detto testualmente che l’intelletto in noi
(coincidente con il Logos in noi) viene al terzo posto nella gerarchia esem-
plaristica, dopo Vintelletto archetipo (Dio) e l’intelletto intermediario (Lo
gos sopra di noi). Nelle Legum allegoriae (II, par. 4) leggiamo altresì: « E
bene che nessun uomo sia solo. Due sono i generi di uomo: quello creato
a immagine di Dio e quello plasmato dalla terra. Ora, per l’uomo creato ad
immagine di Dio non è bene essere solo, giacché egli tende a quell'immagine
e l'immagine di Dio è archetipo rispetto ad ogni altra cosa; e ogni imitazio
ne brama ciò di cui è imitazione, e si colloca accanto ». Questo brano
depone certamente a favore dell'ipotesi dell'uomo come indiretta immagine
di Dio5051. A questo punto ci si potrebbe domandare quale sia la precisa
funzione dell’uomo ideale nel processo assimilativo ed imaginistico, consi
derato il privilegiato ruolo di mediatore metafisico svolto dal Logos. Infatti
nel commentario allegorico la distinzione tra uomo ideale e Logos sembra
quasi venir meno e l’uomo ideale pare, di conseguenza, assumere i contorni
deH’intermediario, riunendo in sé — come ha opportunamente rilevato il
Bréhier — i caratteri dell'intelligenza umana e del modello intelligibile s. In
taluni passi, addirittura, l’autore sembra identificare Logos e Uomo Ideale
L'estrema mobilità del linguaggio filoniano e la mancata rigorizzazione
semantica di alcune figure basilari del suo impianto metafisico sono quindi
la causa delle grandi difficoltà che gli studiosi moderni hanno riscontrato
nel voler conglobare a tutti i costi in una sintesi unitaria e tendenzialmente
inoppugnabile le disparate e, a volte, contraddittorie connotazioni del filoni-
smo quali emergono da una lettura critica di tutti i trattati in nostro
possesso. Per quanto ci riguarda, abbiamo notato a più riprese le palesi
oscillazioni di significato che riscontriamo nelle definizioni di uomo ideale,
uomo terrestre, Logos e, principalmente, l’aporeticità del concetto di « im
magine ». D’altro canto l’elaborazione di una ricognizione scientifica dei
testi non può che fare i conti con tutte le testimonianze, per quanto confuse
ed ambivalenti esse siano, senza tralasciare alcun documento che possa
inerire alla problematica in parola.
50 Altri passi in cui Filone pone l’uomo come immagine del Logos sono: Opif., 25;
Leg., III, 96; Mutat., 223; Spec., I, 81; Plani., 18. Giustamente il Merki ha sostenuto che
il concetto filoniano di eikon risulta « spiritualizzato » in quanto si riferisce soltanto
all’uomo nella sua dimensione incorporea (H. Merki, Homoiosis..., cit., p. 79).
« Cfr. Her., 57 e Gig., 32.
u É. Bréhier, Les idées..., cit., pp. 121-122.
u Cfr. F.W. Eltester, Eikon..., cit., pp. 39-41.
L’Eltester, che rileva con pregevole meticolosità le oscurità e le defi
cienze semantiche dei principali concetti filosofici filoniani, ha scritto che
« in linea generale, Filone vede nella parte spirituale dell’uomo l’immagine
del Logos (Logosebenbildlichkeit) » M. Se questo aspetto è certamente vero,
in linea generale, non va però sottaciuto, che vi sono casi eccezionali in cui
particolari figure storiche di uomini sembrano essere chiaramente equipa
rate da Filone al Logos medesimo. Egli infatti non indulge sempre ad una
netta distinzione tra uomo ideale e uomo terrestre. L’uomo ad immagine di
Dio non va quindi rigidamente inteso come un vero e proprio archetipo
dell’uomo in carne e ossa (ipostaticamente separato da quest’ultimo) poiché
in taluni contesti esso adombra l’ideale del saggio perfetto55.
Questo ideale, vale la pena ripeterlo, non è utopicamente inteso ma, di
fatto, secondo Filone, si è già storicamente incarnato in personaggi esem
plari dell’Antico Testamento. Infatti non è certamente un caso che uomini
come Abramo e Mose, reputati autentici paradigmi di perfetta virtù, ven
gano espressamente definiti come « uomini di Dio » e « uomini celesti » e
che, parallelamente, queste due espressioni siano attribuite da Filone anche
al Logos medesimo56. L’Eltester ha puntualizzato nei seguenti termini la
questione qui dibattuta: « Chi non può cogliere Dio direttamente, può quan
tomeno comprendere indirettamente la sua immagine, il Logos. Chi, però,
54 Ibid., p. 50.
55 II saggio perfetto assume pertanto i tratti peculiari dell'uomo creato ad imma
gine di Dio. In Leg., I, 94, dopo aver detto che Dio impartisce i comandi all'uomo terre
stre e « non all’uomo creato secondo l’immagine e l’idea di Dio, poiché questo possiede
già di per se stesso la virtù senza che intervenga alcuna esortazione dall'esterno, mentre
quello non potrebbe conseguire la saggezza senza insegnamento » (par. 92), Filone così
prosegue: « all’uomo perfetto, quello creato ad immagine di Dio, non è necessario im
partire ordini, né porre divieti, né dare consigli. Chi è perfetto non ha bisogno di
nessuna di queste cose, mentre il malvagio ha bisogno di ordini e di divieti e il fanciullo
di consigli e di insegnamenti ». L’Eltester, commentando questo passo, afferma: « l'idea
“Uomo” è diventata l’ideale del Saggio perfetto » (ibid., p. 55).
56 In Gig., 60-61 leggiamo: « Uomini del cielo sono gli artisti, gli scienziati, gli eru
diti, poiché in noi la mente è una parte celeste che esercita le dottrine encicliche e le
altre arti che si affinano e si formano negli esercizi intellettivi: uomini di Dio sono
invece i sacerdoti ed i profeti, che non vollero vivere nella città del cosmo e diventare
cittadini del mondo, ma trascesero tutto il mondo sensibile e trasmigrarono nel mondo
intelligibile, e là vissero, nella città delle idee incorruttibili ed incorporee » (trad. di
A. Maddalena, con lievi ritocchi). Nel par. 63 Abramo è definito « uomo di Dio »; Filone,
sulla base della differenza tra « uomini del cielo » e « uomini di Dio », distingue Abramo
(con una « a ») da Abraamo (con due « a »). Abramo è il « simbolo dello scienziato che
non ha ancora ascoltato la parola di Dio », mentre Abraamo adombra « l’eletto che,
nutrito dalla Parola santa, segue la via regia senza deviare mai né a destra, né a sini
stra » (A. Maddalena, Filone Alessandrino, cit., p. 29). Mosè, dal canto suo, è espres
samente designato « uomo di Dio » in Mutat., 24-25. Dopo aver dimostrato che Filone
pone Abramo e Mosè come uomini di Dio, non ci resta che considerare la testimo
nianza decisiva che identifica « uomo di Dio » e Logos: < come potreste non odiare
la guerra e amare la pace, voi che siete figli di un solo padre, non mortale ma immor
tale, Yuomo di Dio che, essendo il Logos dell’eterno, [άλλ’άθάνατον, άνθρωπον θεού, δς
του άϊδίου λόγος] per necessità è immortale? » (Conf., 41). « L’uomo divino » — ha scritto
il Bréhier — « che è nel contempo intelligenza umana e modello intelligibile, non è più
un'idea platonica eternamente separata dalla nostra anima. 'Essa diviene più penetrabile
da parte della nostra intelligenza e da Idea si trasforma in ideale pratico. Insomma,
questo progresso si dà in forza deH'awicinamento dell'idea — modello fìsico ed eter
no — al Saggio, essere reale e concreto che l'uomo cerca d'imitare » (E. Bréhier, Les
idées..., cit., p. 122).
può, come contemplatore (Schauender), comprendere direttamente Dio, non
ha più bisogno della mediazione del Logos, immagine di Dio, perché egli
stesso è diventato immagine di Dio»57. D’altro canto, questa affermazione,
può essere suffragata anche dalla precisa funzione dello Spirito-pneuma che
in certi contesti, sembra spirare direttamente da Dio58*. Se tutto questo
risulta essere vero, dobbiamo quindi concludere che « l’uomo ad immagine
di Dio non è dunque l'idea di uomo, bensì rappresenta una possibilità
umana, un livello di vita, che l’uomo — inteso come saggio perfetto, ossia
come uomo dotato di pneuma (als Pneumatikef) — può raggiungere »
Pertanto, sulla base dell’identificazione (limitatamente a certi aspetti e a
certi contesti) di uomo ideale, saggio perfetto e Logos, l’ultimo passo del
télos filoniano sembra essere il pieno conseguimento della diretta immagi
ne di Dio. Quest’affermazione è, a nostro avviso, plausibile e sufficiente-
mente documentata, tuttavia è opportuno delimitarne l’effettiva portata, al
fine di evitare qualsiasi assolutizzazione di questo asserto. Infatti il fatto
che l'uomo storico dotato di perfetta virtù possa essere considerato alla
stregua della diretta immagine di Dio, costituisce l’eccezione e non già la
regola della dottrina filoniana del télos. Filone sembra attribuire questa
prerogativa solo ad alcuni personaggi dell’Antico Testamento, a certi con
dottieri e profeti del popolo eletto (segnatamente Mosè e Abramo).
Su questa base, allora, è senz’altro preferibile sostenere che Filone pro
spetta per il « comune » uomo di fede, che è pure uomo di speranza e di
amore il télos dell’indiretta immagine di Dio: l’uomo che segue ascetica
mente i dettami che Dio affida ai Suoi profeti può legittimamente conse
guire l’immagine del Logos, configurandosi pertanto come imago imaginis
Dei. Potremmo quindi affermare che, mentre il τέλειος (il perfetto o compiu
to) diventa diretta immagine di Dio, il προκόπτων (il progrediente, l’asceta,
l’atleta spirituale) si arresta al livello immediatamente inferiore, diventando
immagine dell’immagine61. Se volessimo condurre alle estreme conseguenze
questo discorso, potremmo sostenere che il compiuto è diretta immagine di
Dio, mentre l’asceta si pone come immagine del téleios e quindi come
immagine dell’immaginea. Pertanto solo chi è perfettamente virtuoso
— 1'άστεΐος per eccellenza — può eguagliare il Logos e divenire « figlio di
Dio ». L’asceta, colui che si esercita, progredisce ma non è ancora pervenuto
alla compiutezza perché non ha definitivamente superato le insidie che
provengono da tutto ciò che è corporeo e mondano, non può acquisire
perfetta saggezza poiché la sua fede non è del tutto pura; il suo fine ultimo
sarà dunque assimilarsi e imitare il divino Logos, divenendone immagine. È
ovvio che il caso qui prospettato è senz’altro quello più frequente tra gli
“ Il Wolfson ha dimostrato che Filone tematizzò per primo la dottrina della inco
noscibilità di Dio (cfr. HA. Wolfson, Philo, II, pp. 94-164; di particolare interesse sono
le pp. 117-120 in cui lo studioso evidenzia il merito fondamentale del Nostro, che consiste
nell'aver esplicitato quanto in Platone ed in Aristotele era implìcitamente presupposto).
Cfr. anche J. DrUxVLMOND, Philo Judaeus; or thè Jewish-Alexandrian Philosophy in its
Development and Completion, London 1888, pp. 1-20; B. Mondin, Filone..., cit., pp. 42-54;
G. Reale, Storia della filosofia antica, cit., IV, p. 277. Ecco i passi filoniani più signifi
cativi: Opif., 8; Somn., I, 73, 184; Fug., 164-165; Mutat., 7-15; Spec., I, 3647; Abr., 75-79;
Praem., 3646; Deter., 89-90; Post., 168-169. Uno studio analitico sulla dottrina è l’articolo
di B. Mondin, Esistenza, natura, inconoscibilità ed ineffabilità di Dio nel pensiero di
Filone Alessandrino, « La Scuola cattolica », XCV, 1967, pp. 423-447. Per quanto concerne
il tema della nullità cfr. Her., 30; Sacrif., 55; Congr., 107; Mutat., 54, 155; Somn., I, 60
e la persuasiva interpretazione di A. Maddalena, Filone. Alessandrino, cit., pp. 177-178.
64 Conf. 146148. Cfr. anche Quaest. Gen. II 62: « Perché la Scrittura afferma, come
se parlasse di un secondo Dio: “Dio ha fatto l'uomo a immagine di Dio” e non già
“a sua propria immagine”?... Perché nulla di mortale poteva essere fatto a immagine
deH’Altissimo, Padre dell’universo, ma solamente a immagine del Dio secondo, ossia
del suo Logos ».
l’anima umana possa contenere le virtù di Dio che sono salde ed assoluta-
mente ferme. Bisogna quindi ritenersi fortunati di possedere delle immagini
di un gran numero di gradi inferiori agli archetipi ». Una definizione più
precisa troviamo nel terzo libro De specialibus legibus (par. 83): « tra le
cose terrestri nulla è più sacro e più simile a Dio che l’uomo, poiché egli è
l’impronta eccellente di un’immagine eccellente, essendo formata sul model
lo dell'archetipo ideale » (παγκάλης εϊκόνος πάγκαλον έκμαγεϊον αρχετύπου
λογικής Ιδέας παραδείγματι τυπωθέν)®·
Pertanto — nel secondo libro del De vita Mosis (par. 65) — Filone può a
buon diritto esaltare, con accenti che ricordano il famoso Salmo ottavo
(« Gloria di Dio e dignità dell’uomo »), « la più alta specie vivente, che sola
ha ricevuto la signoria su tutto ciò che popola la terra, poiché è stata creata
a somiglianza della potenza divina, immagine visibile dell’Essere invisibile,
immagine generata dall'Eterno » (είκών τής άοράτου φύσεως έμφανής, άϊδίου
γενητή).
ri Vari, Parusia. Studien zur Philosophie Platons und zur Problemgeschichte des Pia-
tonismus, Frankfurt a.M. 1965, pp. 211 ss.; P. Boyancé, Études philoniennes, « Revue des
Études grecques », LXXVI, 1973, pp. 86 ss.
76 Di Eudoro come di un suo coevo Strabone parla in Geogr., XVII, 5, 790.
77 Per quanto concerne gli autori medioplatonici si vedranno con profitto le seguenti
testimonianze: Plutarco, De sera nun. vind., 550d; De superst., 169e; Albino, Didascalico,
XXVIII, 14, nonché l’introduzione all'opera di Platone o Prologo (cfr. G. Invernizzi,
Il « Prologo » di Albino: introduzione, traduzione e note, « Rivista di Filosofia neo-scola
stica », LXXI, 1979, pp. 352-361); Apuleio, De Platone, II, 23 , 253; Teone di Smirne, Expo
sitio, p. 16, 1 ss., ed. Hiller; Massimo di Tiro, Orat., XIII, 1; XXVI, 9 ed. Hobein; Ano
nimo, Comm. in Piai. Theaet., c. 7, 17 ss. ed. Diels-Schubart; Iunco, in Stob., Anthol.,
IV, p. 1064, 4, ed. Wachsmuth (dissentiamo dalla presunzione di A. Dyroff, Junkos und
Ariston von Keos iiber Greisenalter, « Rheinisches Museum », LXVIII, 1937, pp. 241 ss.,
che ritiene Iunco un aristotelico del III sec. a.C.: i frammenti in nostro possesso sem
brano attestare quella precisa ispirazione platonica che caratterizza i pensatori sum
menzionati). Anche i resoconti dossografici che maggiormente risentirono del clima
medioplatonico attestano il recupero della dottrina; cfr. Diogene Laerzio, Vitae Philo
sophorum, III, 78, e Ippolito, Philosophumena, 19, 17.
71 Cfr. G. Reale, Storia della filosofia antica, cit., IV, pp. 249 ss.; pp. 313 ss.; p. 319.
J. Dillon, Thè Middle Platonists, cit., pp. 114 ss. Ritornando per un attimo sulla tesi
Infine, se consideriamo che Filone — pur operando rincontro storico
tra filosofia ellenica e Rivelazione biblica — privilegiò la Legge mosaica
ritenendola parola di verità eterna, potremmo giungere alla conclusione che
il significato più profondo deH'assimilazione a Dio filoniana appare non solo
radicalmente mutato rispetto a quello del platonismo originario ma anche
trasposto in una nuova temperie spirituale da cui nasce il primo tentativo
di una filosofia della religione di matrice veterotestamentaria79. Nella Gè-
stali della terminologia platonica è riposto VInhalt del messaggio filoniano:
Dio crea l’uomo come immagine del divino e lo chiama al riconoscimento
morale dell'Essere80. Alla libertà e alla gratuità della creazione consegue la
libera e grata risposta dell'uomo di cui l'assimilazione a Dio traccia la
possibilità e l'ideale di salvezza. In altri termini: solo il creazionismo poteva
fondare quei presupposti metafisici dell’itinerario a Dio che il platonismo
lasciò del tutto impregiudicati, a causa di un’aporetica giustificazione filo
sofica dei rapporti intercorrenti tra essere e dover essere.
che individua in Eudoro l’autore della ripresa e della sistematizzazione della dottrina,
mette conto registrare che il Pohlenz, cauto sostenitore della tesi « pro-Posidonio »,
ritiene, in ultima analisi « del tutto plausibile » la tesi del Doerrie (cfr. La Stoa..., cit.,
I, p. 533, nota 21).
” In sede conclusiva è opportuno rammentare che anche la letteratura biblico-
jjiudaica sviluppa una sua concezione assimilativa e imaginistica, la cui trattazione esula
peraltro dalle finalità del presente lavoro. Rimandiamo pertanto ai seguenti studi:
M. Buher, Nachahmung Gottes, « Der Morgen », 1, 1925, pp. 633-647, ora in Werke. II,
Schriften zur Bibel, Miinchen-Heidelberg 1964, pp. 1055-1065; H. Gross, Die Gottebenbild-
lichkeit des Menschen, in Lex tua veritas, Festschrift fiir Hubert Junker, Trier 1961,
pp. 89-100 (e bibl. ivi cit.); H. Wildberger, Dos Abbild Gottes, « Theologische Zeitschrift »,
XXI, 1965, pp. 245-259.
* Ecco quanto scrive Filone al riguardo, delineando la differenza tra Giuda (il per
fetto o compiuto) e Issacar (il progrediente): « ...Giuda, che rappresenta Patteggiamento
della riconoscenza, è immateriale e incorporeo; e infatti, la stessa parola “riconoscenza”
è indice di qualcosa che è al di fuori di se stesso. Quando, infatti, l’intelligenza esce da
se stessa e si offre a Dio..., allora essa compie un atto di riconoscimento nei confronti
dell’Essere » (Leg., I. 82).