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STUDI DI STORIA DELLA FILOSOFIA

Bruno Belletti*

LA DOTTRINA DELL’ASSIMILAZIONE A DIO


IN FILONE DI ALESSANDRIA

È noto che 1 'όμοίωσις θεώ costituisce il fine ultimo della filosofia plato­
nica 1 e viene ripreso e sistematizzato, dopo lo smarrimento durante l’età
ellenistica, nella prima metà del primo secolo dell'era cristiana. Il concetto
di assimilazione a Dio (che abbraccia una pluralità di termini tecnici e
sfumature linguistiche, come esamineremo in dettaglio) è pienamente atte­
stato nella « filosofia mosaica » di Filone di Alessandria che lo rivisita alla
luce della spiritualità veterotestamentaria e lo riforma nei suoi fondamenti
esemplaristico-metafisici sulla base della prima formulazione della dottrina
creazionistica.
L’approfondimento critico ed analitico di questi asserti costituisce l'og­
getto della presente ricerca, condotta sulla base di una accurata ricogni­
zione del testo filoniano.

* Università Cattolica di Milano.


’ Nei dialoghi platonici questo tema ricorre più volte. In Theaet., 176ab, l’assimila­
zione a Dio è intesa come la massima valenza dell’uomo in quanto comporta l’acqui­
sizione della giustizia, della santità e della saggezza. In Resp., X, 613a, è detto che
gli dei « non abbandonano chi esercita la virtù c vuole diventare per quanto è possibile
a un uomo eguale a Dio (όμοιοΰσθαι &εω)> (trad. di E. Turolla). La tematica dell’ami­
cizia divina di cui fruisce l'uomo virtuoso che cerca di rendersi simile a Dio è affrontata
in Leggi, IV, 716ad. In Timeo, 90cd, invece, si insiste sulla necessità di inserire l’anima
umana nella perfetta armonia cosmica, in completa unisonanza con l’ordine mirabile
che regola l’universo. Cfr. altresì Phaedr., 253ab; Tim., 89ac; sull'assimilazione platonica
si vedranno con profitto i seguenti lavori: C.G. Rutenber, Thè doctrine of thè imitation
of God in Plato, Philadelphia 1946; P. Rossano, L’ideale dell'assimilazione a Dio nello
Stoicismo e nel Nuovo Testamento, in Autori Vari, Scrinium Theologicum, voi. II, Alba
1954, pp. 11-70. Per una più ampia conoscenza della dottrina nella grecità, cfr. O. Faller,
Griechische Vergottung und Christtiche Vergottung, « Gregorianum », VI, 1925, pp. 405-
435; A. Heitmann, « Imitatio Dei ». Die etische Nachahmung Gottes nach der Vaeterlehre
der zwei ersten Jahrhunderte, « Studia Anselmiana » (Roma), 10, 1940; H. Merki,
‘ΟΜΟΙΩΣΙΣ ΘΕΩ von der Platonischen Angleichung an Goti zar Gottaehnlichkeit bei
Gregor von Nyssa, Freiburg in d.S. 1952; D. RoijOFF, Gottaehnlichkeit, Vergoettlichung
und Erhòhung zu seligem Leben, Berlin 1970. NelYAnthologium di Stobeo, Ario Didimo
identifica in Pitagora il filosofo che, prima di Platone e di Socrate, sostiene il télos
metempirico: cfr. Ecl., Il, p. 49, 8 ss., ed. Wachsmuth-Hense. La formulazione pitagorica
della dottrina (έπου θεω) viene ripresa da Apuleio, De Platone. II, 23 , 253. Cfr. inoltre,
Isocrate, Apophtegma, 7; Plutarco, De audiendo, c. 1; Giamblico, De vita Pytagorica, in
D.L., p. 137; Clem. Alex., Strom., II (PG Vili, 1007); Euano, Varia Historia, XII, 59;
Fragm. phil. graec., II, ed. Mullach, p. 15.
I - RICOGNIZIONE E LETTURA CRITICA DEI PASSI FILONIANI

L’assimilazione a Dio (έξομοιουσ&αι θεω)


Il Voelker, nella sua preziosa ricerca dedicata alla religiosità di Filone,
ha indicato l’autentica cifra dell’etica filoniana nella formula θεψ μόνω
ζήσαι 2· In questa « ricerca di Dio » si consuma l’ascesi dell’uomo verso
l’eterno che trova il suo apogeo nella « ή προς 0-έον έξομοίωσις »· Nel De
decalogo (par. 73) infatti leggiamo: « il fine ultimo della felicità e l’auspicio
migliore è divenire simili a Dio »3. Nel par. 107 l’assimilazione, intesa come
somiglianza, contempla l’aspetto della prolificazione: « La condizione dei
genitori è a metà strada tra la condizione immortale e la condizione mor­
tale. Alla condizione mortale li riconduce la caratteristica che essi hanno in
comune con gli altri uomini e gli esseri viventi, vale a dire di essere soggetti
alla morte del corpo; alla condizione immortale la facoltà di generare che li
rende simili a Dio, il Genitore dell'universo »4. Nel De virtutibus Mosè,
dopo aver descritto il pregio del corpo che è un dono della natura, passa a
trattare della ricchezza più nobile della saggezza: « Ora dobbiamo discor­
rere intorno a quella più nobile ricchezza che non sembra essere alla por­
tata di tutti ma solamente degli uomini effettivamente nobili ed illuminati
da Dio. Questa ricchezza è la saggezza che si può conseguire per mezzo delle
dottrine e delle teorie di logica, etica e fisica; questi [principi] generano le
virtù che distolgono l’anima dalla tendenza a dissipare [le proprie energie]
e che producono l’amore della temperanza che rende l’anima simile a Dìo »5.
Nel De specialibus legibus, dopo aver ribadito la necessità di « seguire Dio »
(τό έπεσθαι θεω), la dottrina assimilativa si colora della componente poli­
tica, allorché si afferma che l’autorità umana deve essere esercitata a guisa
della superiore autorità divina: « Vi sono delle decisioni che spetta ai buoni
comandanti di imitare a condizione invero che essi si sforzino di diventare
simili a Dio » (IV, par. 188)6.
Nel De Abrahamo la contemplazione dell’ordine mirabile della natura
(opera di Dio) e dell’assetto politico della città terrena (opera a somiglianza
di Dio) suscita nell’uomo sentimenti d’inesprimibile ammirazione: « Chi
contempla l’ordine nella natura e l’ordinamento politico della città che
nessuna descrizione può adeguare, non ha bisogno di chi gli insegni a
condurre una vita retta da buone leggi e ad aspirare all’assimilazione a
queste belle cose » (par. 61). Più avanti, sempre nella stessa opera, Filone
sostiene che per trovare Dio è necessaria una preliminare condizione di

2 W. VOlker, Fortschritt und Vollendung bei Philo von Alexandrien, Leipzig 1938;
p. 206; la formula filoniana è contenuta in Mut., 213; cfr. anche Leg., Ili, 47; Migr., 176;
Fug., 141; Spec., II, 32.
5 «... τέλος ευδαιμονίας τήν πρύς θεόν έξομοίω<ην». Cfr. A. Ηειτμανν, Imitatio Dei...,
cit., p. 50 e H. Merki, Homoiosis..., cit., p. 36.
4 II tema della somiglianza tra genitori mortali e Genitore archetipo è ripreso in
Spec., II, 225, che esamineremo più avanti.
’ Viri., 8. « In Viri., 8 f. (...) stellen wir fest, dass man sich Gott nicht bloss durch
die Tugend im allgemeinen, sondern auch ein έπιγέννημα der Tugcnd mit Gott veraehn-
licht » (H. Merki, Homoiosis..., cit., p. 38).
4 «Ταυτα μιμεΐσθαι προσήκει τούς άγαθούς άρχοντας, εϊ γέ τις αύτοις φροντίς έστιν
έςομοιώσεως της πρός θεόν ».
solitudine (μόνωσις) che, distogliendo l’anima dal divertissement mondano,
sappia concentrare lo spirito sulla pregnanza incommensurabile dell’Asso-
luto: « Coloro che cercano Dio e bramano di trovarlo, amano la solitudine
che è cara a Lui ed è innanzitutto in questo modo che essi si sforzano di
assimilarsi alla sua natura beata e felice » (par. 87)7. Ecco come Filone
descrive il primo uomo creato nel De opificio mundi: « Essendo congenere
ed affine alla Guida, poiché in lui abbondantemente è affluito il soffio divino,
egli si curava di dire e fare tutto in onore del Padre e Re, seguendone le
tracce sulle grandi strade che le virtù aprono, perché è lecito avanzare alle
sole anime che ritengono loro fine quello di assimilarsi a Dio che le ha
generate (τέλος... την πρός τόν γεννήσαντα θεόν έξομοίωσιν ) » 8· In preceden­
za, sempre nella stessa opera, Filone aveva affrontato il motivo della « so­
miglianza » in chiave spiccatamente cosmologica, affermando che il creatore
impone al mondo la sua somiglianza secondo l’unicità: « il mondo è uno
solo, perché uno solo è il suo Creatore, il quale ha fatto la sua opera simile
a se stesso nell’unicità, servendosi di tutta quanta la materia per la genera­
zione dell'universo9.
Alquanto interessante è, infine, un brano del De fuga et inventione in
cui Filone riporta testualmente il famoso luogo del Teeteto, opportuna­
mente inserito nel contesto di un discorso d’inconfondibile ispirazione bi­
blica 10. L’autore infatti discute la disposizione della legge mosaica che con­
cerne gli assassini (in Es., 21,12 leggiamo che « chi percuote un uomo per
farlo morire, sia messo a morte »). Filone afferma, sulla base dell’insegna-
mento platonico, che il male deve esistere da sempre come eterna antitesi
del bene; questa affermazione viene tuttavia giustificata alla luce della Rive­
lazione biblica, con il famoso divieto di cui recita Gen., 4,15: « Orbene chiun­
que ucciderà Caino sarà punito sette volte tanto. Poi il Signore pose un
segno su Caino, affinché chiunque Io incontrasse non lo uccidesse ». Caino è
il simbolo del male e come egli non potè essere ucciso, così anche il male
non può essere definitivamente estirpato: tra male e bene si dà una perma­
nente opposizione. Infatti « bisognava assolutamente assegnare due luoghi
differenti a due differenti realtà: il cielo al bene, la regione terrestre al
male... Un uomo famoso, fra coloro che sono ammirati per la loro saggezza,

7 In Deus., 48 è detto che Tanima sola riceve la facoltà del « movimento volontario »
che la rende simile a Dio.
• Opif., 144. La traduzione dei passi del De opificio mundi, che riportiamo è di
G. Calvetti ed è pubblicata, insieme alla traduzione della Legum Allegoriae di R. Bigatti,
in Filone di Alessandria, La creazione del mondo, Le allegorie delle leggi, a cura di
G. Reale, Milano 1978; la versione it. del Quis rerum divinarum heres sit è invece di
R. Radice, in Filone di Alessandria, L'erede delle cose divine, a cura di G. Reale, Mila­
no 1981.
’ Opif., 171. Notevole è anche ibid., 19: « Egli (se.: Dio), dunque, dopo aver deciso
di fondare la grande città dell'universo, pensò dapprima come le impronte di essa, e
dopo aver costruito mediante queste il mondo intelligibile, portò a compimento anche
il sensibile, servendosi di quello come di un modello». Cfr. inoltre Migr., 123 e Somn.,
I, 73.
10 Filone infatti, pur privilegiando in modo assoluto la Legge mosaica, non disdegna
di rilevare una certa continuità tra filosofia ellenica e Rivelazione biblica: cfr. su questo
punto H.A. Wolfson, Philo, Foundations of Religious Philosophy in Judaism, Christianity
and Islam, voi. I, Cambridge (Mass.) 1947, pp. 138-144; E. Zeller-R. Mondolfo, La filosofia
dei Greci nel suo sviluppo storico, trad. it. di R. Del Re, parte III, voi. IV, Firenze 1979,
pp. 480486; G. Reale, Storia della filosofia antica, voi. IV, Milano 1978, pp. 247-260.
ha espresso magnificamente questo pensiero nel Teeteto: “Ma non è possibi­
le che il male possa perire, perché ha pur da esserci sempre qualcosa di
contrario al bene; né può aver sede tra le cose divine n, ma deve aggirarsi
intorno alla natura mortale e su questa nostra terra. Bisogna pertanto
cercare di fuggire di qua al più presto per andare lassù. E fuggire è un
assimilarsi a Dio nella misura del possibile e assimilarsi [a Dio] è diventare
giusti e santi in conformità alla saggezza” »12 (φυγή δέ όμοίωσις θεω κατά
τδ δυνατόν · όμοίωσις δέ δίκαιον και όσιον μετά φρονήσεως γενέσθαι).

L’imitazione di Dio (μιμεΐσθαι θεόν)


Il motivo dell’imitazione di Dio, come hanno giustamente rilevato alcu­
ni studiosi B, s’identifica pienamente in Filone con l’analogo tema dell’assi-
milazione a Dio, costituendo pertanto una mera variazione lessicale del
medesimo concetto filosofico-religioso. Il brano più significativo al riguardo
è il seguente: « In primo luogo egli (scil: Mosè) insegna una scienza che è
del tutto alla portata degli esseri dotati di ragione, vale a dire imitare Dio
nella misura del possibile, avendo cura di non tralasciare alcun aspetto di
ciò che conduce all’assimilazione di cui si è capaci. Egli dice: “Giacché tu
hai ricevuto una forza dall'onnipotente, fai in modo di partecipare questa
forza agli altri, allo scopo di imitare Dio con una generosità pari alla
sua” » ’4. Filone intende qui riferirsi a Deut., 8,18 in cui è contenuta questa
precisa esortazione.
Nel De opificio mundi viene esaltata la mirabile superiorità dell’anima
del primo uomo creato, immagine e somiglianza del Logos divino: « Ma è
chiaro che egli (se.: il primo uomo creato) era eccellente anche nell’anima:
Dio infatti, non sembra aver usato, per costruirlo, di alcun modello delle
cose soggette al divenire, ma solo, come ho detto, del suo Logos. Per questo,
dice Mosè che l'uomo, vivificato dal soffio sul viso, è divenuto un’immagine
ed un’imitazione (άπεικόνισμα και μίμημα ) di questo Logos »15. Il rapporto
esemplaristico che definisce il legame fra il terrestre ed il celeste è ancora
una volta esplicitato in questa testimonianza tratta dalle Legum allegoriae
(I, par. 45): « Dunque Dio semina e pianta per la razza mortale la virtù
terrestre, che è imitazione ed immagine di quella celeste ». E ancora: « È
bene che nessun uomo sia solo. Due sono i generi di uomo: quello creato
a immagine di Dio e quello plasmato dalla terra. Ora, per l’uomo creato a
immagine di Dio, non è bene essere solo, giacché egli tende a quell’imma-

“ Nel Teeteto leggiamo invece: « né può aver sede tra gli dei · (Οεοΐς e non già
θείοις,οοπιβ qui troviamo). Sottoscriviamo la tesi del Colson, secondo il quale Filone
intese mondare il testo originario da connotazioni politeistiche.
“ Fug., 62-63; sull’ispirazione biblica scrive giustamente il Merki, dopo aver rilevato
l'impiego del linguaggio platonico: « Dcr Alexandriner hat aber, obschon die Termino­
logie wahrend, nicht auch den Inhalt ùbernommen, denn das δίκαιος καί δσιος μετά
φονήσεως hat nicht mehr den platonischen Inhalt, sondem bedeutet nach dem Zusam-
menhang einfachhin die Beobachtung und Erfiillung der Gesetzesvorschriften » (H.
Merki, Homoiosis..., cit., p. 37); ricordiamo che il passo platonico è Theaet., 176ab.
“ Cfr. A. Heitmann, Imitatio Dei..., cit., p. 62 e H. Merki, Homoiosis..., cit., p. 81.
’♦ Viri., 168; cfr. A. Heitmann, Imitatio Dei..., cit., pp. 59-60.
” Opif., 139. L’espressione μίμημα καί άπεικόνισμα è ricorrente in Filone: cfr. Deter.,
83; Post., 105; Heres, 112.
gine, e l'immagine di Dio è archetipo rispetto a ogni altra cosa » 16. Questa
affermazione evidenzia come la dottrina assimilativa filoniana sia perfetta­
mente in sintonia con il sistema metafisico dell’autore. Infatti, secondo
l’interpretazione allegorica di Filone, Dio ha creato l’uomo intelligibile, im­
magine ideale dell'uomo, « a sua immagine e somiglianza » (Gen., 1,26:
κατ’είκόνα θεού και καθ’όμοίωσιν) e successivamente ha plasmato l'uomo
reale secondo questa immagine, ragion per cui l’uomo in carne ed ossa
risulterebbe imago imaginis Dei (sfato είκόνος, come è detto in Opif., 25). Va
comunque notato che il saggio (άστεΐος), l'uomo dotato di virtù perfetta,
può, secondo Filone, legittimamente aspirare a divenire egli stesso diretta
immagine di Dio, identificandosi quindi con l’uomo ideale e il Logos, che
egli definisce a più riprese diretta immagine di Dio17.
Nel De decalogo Filone giunge addirittura ad affermare che l’uomo,
limitatamente alla parte più nobile del suo essere, è « apparentato al cielo »
e « al Padre dell'universo »: « L’uomo questa creatura eccezionale è, per
quanto concerne la parte più nobile del suo essere, l’anima, strettamente
apparentato al cielo e, persino, secondo l’espressione più frequente, al Pa­
dre dell’universo poiché egli, avendo ricevuto il suo intelletto, è stato dotato
de\Vimmagine e àe\Vimitazione più fedele al modo dell’idea eterna e bea­
ta »18. Essendo Dio il paradigma assoluto e, d’altro canto, considerato il
ruolo eminente dell’uomo nel contesto creaturale, si può a buon diritto
affermare che « è cosa santa imitare le opere di Dio » (Leg., I, par. 48). Inol­
tre, tra le virtù umane, speciale dignità è riservata alla generosità, che più di
ogni altra incrementa Vimitatio Dei, poiché esalta in sommo grado il divino
valore di gratuità e donazione che caratterizza la creazione del mondo e
dell’uomo: « Nel comportamento umano non vi è nulla che assomigli mag­
giormente a Dio che la generosità. Ora, cosa c’è di più prezioso per le
creature che imitare il Dio eterno? » 19. Il principio esemplaristico che domi­
na e presiede alla totalità del reale20 si estende di necessità anche alla sfera
familiare: « Io ritengo che i genitori stiano ai figli come Dio sta al mondo;
infatti, come Dio ha dato la vita a coloro che non esistevano, così essi
danno, nella misura del possibile, immortalità alla nostra specie »21.
Il motivo dell’imitazione è ripreso in chiave cosmologica nel De opificio
mundi: « Dio, infatti, sapendo già prima, in quanto Dio, che senza un bel
modello non si sarebbe potuta produrre una bella imitazione (μίμημα) e che
nel sensibile nulla, se non è una copia di un’idea archetipa e intelligibile, è
esente da difetto, avendo voluto creare questo mondo visibile di quaggiù,
foggiò prima il mondo intelligibile, allo scopo di poter realizzare il mondo
corporeo facendo uso appunto di un modello incorporeo e del tutto simile
al divino, essendo tale mondo corporeo come una più giovane immagine di

* Leg., II, 4.
” Quando tratteremo della fondazione metafisica dell’homoiosis ritorneremo am­
piamente su questo tema, che era necessario anticipare per una più agevole compren­
sione della prospettiva filoniana.
’· Decal., 134. Compare qui il concetto di synghéneia che esamineremo successiva­
mente.
w Spec., IV, 73.
* Cfr. B. Mondin, I fondatori della filosofia religiosa: Filone e Clemente, xMilano
1968, pp. 77-87.
* Spec.. Il, 225; cfr. anche ibid., 68.
una più antica e dovendo includere in sé altrettanti generi sensibili quanti
sono quelli intelligibili nel mondo intelligibile » Ώ·. Pertanto anche il mondo,
essendo imitazione di un « bel modello » voluto da Dio, risulta inserito nello
imaginismo metafisico filoniano, poiché è legato da un rapporto di somi­
glianza alla dimensione intelligibile. L’esemplarismo, che giustifica il rap­
porto causale tra le idee e le cose sensibili, è ripreso, secondo il motivo
deirimitazione, nel secondo libro del De vita Mosis, allorquando Filone
scrive intorno alla dottrina delle idee: « Le cose sensibili sono delle imita­
zioni e delle copie (μιμήματα καί άπεικονίσματα) di queste idee, da cui que­
sto mondo fu costituito »Come possiamo agevolmente desumere dalle
testimonianze fin qui raccolte, il tema dell’imitazione non coinvolge sempre
e solo Dio e l’uomo ma anche, in modo più articolato, il mondo intelligibile
ed il mondo sensibile: tra Dio e l’uomo, come avremo modo di esaminare
più avanti, è possibile stabilire una ben precisa gerarchia imaginistica per
cui l’uomo, se da un lato può dirsi in rapporto di diretta somiglianza con
Dio (qualora raggiunga l’ideale della perfetta virtù), dall’altro può assimi­
larsi all'assoluto solo nella misura in cui partecipa della dimensione intelli­
gibile degli « intermediari » u.

La sequela di Dio [έπεσθαι, άκολου&εϊν θεω]


Il tema della sequela di Dio è assai ricorrente nelle opere filoniane;
oltre alla ripresa della dottrina nella sua formulazione pitagorica (έπεσθαι
θεω), è alquanto significativa la metànoia semantica che, nella speculazione
dei Nostro, subisce il télos stoico (e, più genericamente, ellenistico) del
vivere secondo natura, interpretato, alla luce della sua « filosofia mosaica »,
come un Deum sequi e quindi « svuotato » di tutte le originarie connota­
zioni immanentistiche e « riempito », per così dire, di un nuovo significato
trascendentistico e spiritualistico che s’ispira alla Sacra Scrittura. Infatti,
per Filone, vivere secondo i dettami della natura significa obbedire alla
legge della natura che si esprime e si realizza nella legge mosaica25. A
questo proposito sono particolarmente interessanti alcuni luoghi del De
migratione Abrahami; nel par. 128 parlando, sull'esempio di Abramo, dei
benefici che Dio è solito accordare a coloro che intraprendono la via della
perfezione santificante, Filone così prosegue: « Questa (via) è la perfezione
ed il fine ultimo celebrato dai migliori filosofi: vivere secondo natura (τό
άκολούθως τη φύσει ζην). (Questi scopi) vengono raggiunti allorché il pen-
“ Opif., 16. Interessante è pure il par. 141: « le imitazioni sono inferiori ai modelli
e ancor più è inferiore ciò che viene dipinto e scolpito a partire dalle imitazioni, essendo
tanto lontano dallOriginale ». Per quanto riguarda il rapporto tra copia e modello
nella grecità, rimandiamo al pregevole studio di F.W. Èltester, Eikon im Neuen
Testament, Berlin 1958, pp. 2-13. Cfr. inoltre H. Crouzel, Théologie de l’image de Dieu
chez Origène, Paris 1956, p. 54.
“ Mos., Il, 127; cfr. anche ibid.. Il, 135; Somn., I, 215; Aet., 15.
24 Cfr. K. Bormann, Die Ideen-und Logoslehre Philons von Alexandrien, Kòln 1955,
pp. 35-44 e 76-78.
a J. Pouilloux, dopo aver affermato che l’accordo di Filone con la filosofìa stoica è
più apparente che reale, così prosegue: « Secondo lui vivere in accordo con la natura
consiste nello scoprire la verità della parola rivelata » (De Plantatione, J. Pouilloux éd„
Paris 1963, p. 46, nota 1). Le connessioni tra legge mosaica e legge di natura sono illu­
strate da S. Daniel nella sua Introduzione alla trad. francese dell’opera filoniana De
specialibus legibus, Paris 1975, pp. XLIX-L.
siero, avanzando sul sentiero della virtù, procede sulle orme della retta
ragione e segue Dio (έπεται θεω ), tenendo a memoria i suoi comandamenti,
mettendoli in pratica sempre e dovunque, sia nelle opere che nelle parole ».
Il télos della sequela è ripreso nel par. 131: « Secondo Mosè, il più santo fra
gli uomini, il fine ultimo consiste nel seguire Dio. Egli dice altrove: “Proce­
derai al seguito del Signore Dio tuo" (Deut., 13,4); non si tratta natural­
mente di mettere un piede davanti all’altro, perché, se la terra serve da
veicolo per l'uomo, di certo il mondo, persino se considerato nella sua
totalità, non sarebbe sufficiente per Dio: evidentemente ci troviamo di fron­
te ad una allegoria, per cui l’anima segue i precetti divini dei quali ella
innalza l’ossequio a onore della sua causa universale ».
Inoltre, nel par. 173 leggiamo che: « Colui che procede al seguito di Dio
ottiene come compagni di strada le Parole che seguono Dio ed il cui nome
ricorrente è quello di angeli. Egli dice: “Abramo si accompagnò a loro,
scortandoli (Gen., 18,16)” “ Nel De Abraham#, esaltando la pietà quale
somma virtù, Filone così scrive: “Abramo, ricolmo di zelo per la pietà, la
più alta e grande delle virtù, fu desideroso di seguire Dio e di essere
obbediente ai suoi comandi” » (par. 60). Rilevante è anche il par. 204 in cui è
detto che si è meritevoli di salvezza se si segue Dio e la sua volontà. Da
ultimo rammentiamo il par. 165 del De fuga et inventione in cui l’autore
prende in considerazione Es. 33,23 (« Tu mi vedrai da dietro ma giammai
potrai scorgere il mio volto ») e così lo commenta: « Αυτάρκες γάρ έστι
σοφω τά άκόλουθα καί επόμενα καί όσα μετά τον θεόν γνώναι, την 8’ήγεμο-
νικήν ουσίαν ό βουλόμενος καταθεάσασθαι τω περιαυγεϊ των άκτίνων πριν ίδεϊν
πηρός έσται»27·

La parentela (συγγένεια) tra uomo e Dio e il concetto di frammento (άπό­


σπασμα) divino
La parentela o affinità tra l’uomo e Dio è intesa da Filone come un dono
che Dio elargisce al genere umano e questo è un aspetto rilevante che va
adeguatamente sottolineato. Infatti, mentre la dottrina della homoiosis en­
fatizza la possibilità e la ricerca di un rapporto assimilativo con l’Assoluto
(e questo aspetto costituisce la tensione morale in cui l’uomo impegna la
propria volontà per raggiungere e « ritornare » a Dio con le sue sole forze
spirituali, una volta che Egli l'ha creato secondo l’immagine e la somiglian­
za23), la teoria della synghéneia sottolinea soprattutto la realtà di un legame
sostanziale, in certo senso ontologico, che unisce l’uomo a Dio29. Nel De

* Per l’interpretazione dei Logoi come angeli e del Logos come parola, cfr. il saggio
succitato del Bormann rispettivamente a p. 69 e alle pp. 79-82.
21 II tema della sequela compare anche nei seguenti passi: Spec., I, 155; II, 42, 52,
150; III, 48, 176, 180; IV, 46 e 187; Plani., 49; Prob., 160; Ebr., 34, 38, 55; Mos., Il, 48 e
211; Viri., 18; Abr., 6; Somn., II, 174; Cher., 43; Dee., 81, 98, 100.
a Infatti non è certo sufficiente affermare una primordiale affinità a livello metafi­
sico per assicurare l’effettivo (quasi « automatico ») ritorno dell’anima a Dio: tale ascesa
non è pre-garantita ma è da conquistare gradualmente; la somiglianza ontologica tra
copia e archetipo è reale, ma l’approdo dell’uomo all’Assoluto è solo possibile e si
rende tanto più probabile quanto più intensa è la catarsi (o meglio Vek-stasis, in senso
filoniano) dell'uomo di fede.
» A nostro giudizio, questa tematica non è stata presa in adeguata considerazione
dagli studiosi. Sia Heitmann (Imitatio Dei..., cit., p. 39) che Merki (Homoiosis, cit.,
pp. 12-13) ravvisarono nell’ambiente filosofico neostoico influenzato da Posidonio la
opificio mundi (par. 145-146), è espressamente considerata la parentela del­
l’uomo con il Creatore. Dopo aver trattato del primo uomo generato, il testo
così prosegue: « Si è detto, dunque, del primo uomo generato, della sua
bellezza nell’anima e nel corpo, sia pure restando molto al di sotto della
verità, e tuttavia secondo le nostre capacità, per quanto era possibile. Ora, i
discendenti che partecipano dell’idea di quello, devono necessariamente
conservare ancora, anche se debolmente, le tracce di quella parentela con il
loro primo padre. Ma qual è questa parentela? Ogni uomo per la sua
intelligenza è intimamente unito al Logos divino essendo un’immagine o
una particella o un riflesso della natura beata, mentre per la costituzione
del suo corpo è unito a tutto quanto il mondo ». L’uomo dunque appare
intimamente unito al Logos divino che, tra gli altri significati, è inteso da
Filone come mediatore tra Dio e l'uomo ». Nella fattispecie, il Logos sembra
adombrare la stessa attività creatrice di Dio. In un precedente passo della
stessa opera il Nostro aveva sostenuto che l’uomo « è fatto partecipe dello
stesso genere (της αύτοΰ συγγένειας) di Dio attraverso la ragione che è il
bene più grande »31.
Nel De praemiis et poenis, Filone narra che Dio salvatore e misericor­
dioso ha concesso agli uomini (nel caso specifico, intende riferirsi ai conver­
titi) il dono (δωρεά) eccellente della parentela con il Suo Logos, archetipo
del nous umano. Ancor più significativo è un brano dell’opera De congressu
eruditionis causa in cui è chiaramente detto che l'adesione a Dio si confi­
gura in termini di vera e propria parentela: « “Figlio mio, non sdegnare gli
insegnamenti del Signore, né ti rincresca quando Egli ti ammonisce, poiché
il Signore redarguisce chi ama e fustiga coloro che riconosce come suoi
figli” (Prov., 3,11-12). La reprimenda e l'ammonimento sono dunque giudi­
cati così belli che l’adesione a Dio diventa parentela (ώστε δι’αύτης ή πρός
θεόν όμολογία συγγένεια γίνεται ) : del resto, cosa c’è di più prossimo per il
figlio che suo padre e per suo padre che suo figlio? » (par. 177).
Nel De Abrahamo (par. 41) leggiamo: « Naturalmente suscita l’ira di Dio
pensare che l’uomo, il quale sembra la migliore delle creature viventi ed è

tematica della parentela con Dio (cfr. Cicerone, De leg., I, 22-26; Seneca, Ep., 31, 10 ss.).
Il Merki, notando la presenza di questo motivo nelle opere filoniane, afferma: « Irgend-
wie in poseidonisch-stoische Naehe fuehren wohl jene Wendungen, in denen mit der
Abbildlehre das synghéneia-Theorem anklingt ». Tuttavia, già il Voelker aveva delimi­
tato la portata del concetto: « (Posidonius) die Verwandtschaft mit Gott nur auf dem
nous beschrankt » (W. Volker, Fortschritt..., cit., p. 53, nota 6). Dato e non concesso
che Posidonio possa aver sviluppato la dottrina (< su Posidonio si è detto e scritto
troppo: incredibilmente più di quanto le testimonianze sicure non permettano », ammo­
nisce G. Reale, Storia della filosofia antica, cit., voi. Ili, 1976, pp. 446), rimane pur
sempre vero che, prima di Posidonio, Platone conferì alla synghéneia una precisa acce­
zione teologica (cfr. Leg., X, 899d; Prot., 322a). Pertanto non ci sembra accettabile la
presunzione secondo cui Filone dovette necessariamente « fare i conti » con il filosofo
di Apamea, dal momento che gli bastava, assai più ragionevolmente, rifarsi a quella
speculazione platonica che, peraltro, egli dimostra di seguire nello spirito e nella lettera
in parecchi luoghi delle sue opere, condividendo quella « seconda navigazione » che
Posidonio sembrò rifiutare. Cfr. altresì F.W. Eltester, Eikon..., cit., p. 30, e M. Pohlenz,
La Stoa. Storia di un movimento spirituale, trad. it., voi. I, Firenze 1967, p. 468, nota 67.
30 L’importanza del Logos ai fini della determinazione del télos venne segnalata a
suo tempo da H. Heinze, Die Lehre vom Logos in der griechischen Philosophie, 01-
denburg 1872 (rist. anast. Aalen 1961), pp. 262-263.
” Opif., 77. In questi due ultimi brani è palese una flessione intellettualistica di
origine platonica.
stato giudicato degno della parentela con Dio poiché partecipa della ragio­
ne, invece di praticare le virtù come Egli avrebbe voluto, ricercò il vizio ed
ogni sua forma particolare ». Il termine in parola ricorre ancora nel De
opificio mundi per esprimere l’affinità delle cose a Dio: « E veramente si
addiceva alla natura di Dio, Padre di tutte le cose, il fare da solo tutti gli
esseri virtuosi, a motivo della loro affinità con Lui stesso, né d’altra parte
era sconveniente ch’Egli facesse gli esseri indifferenti, perché anche questi
non hanno parte nel vizio a lui inviso » (par. 74).
Il motivo della parentela è sviluppato da Filone anche in diretta con­
nessione alla struttura imaginistica: il par. 18 del De Plantatione è la testi­
monianza più esplicita al riguardo: « ...gli altri (pensatori) hanno detto che
il nostro intelletto è una particella della natura eterea, apparentando, in
virtù di questa relazione, l'uomo al cielo; il grande Mosè non ha assimilato
la forma dell'anima razionale ad alcuno degli esseri corruttibili, ma ha
detto che essa è un esemplare autentico di quel soffio invisibile di Dio,
contrassegnato e marchiato dal sigillo di Dio, la cui impronta è il Logos
eterno. Infatti egli dice: “Dio gli soffiò sul suo viso un alito di vita”
(Gen., 2,7). Pertanto, chi riceve l'impronta necessariamente riproduce l’im-
magine di colui che l'ha trasmessa; è in questo senso che si dice che l’uomo
fu creato a immagine di Dio (Gen., 1,26 ss.) e non già a immagine di un
essere generato ».
In Viri., 79 la parentela con le realtà divine è definita quel legame
« strettissimo » di assoluta nobiltà che unisce il popolo eletto all’Assoluto,
di gran lunga più puro della semplice parentela basata sul sangue.
Accanto al tema della synghéneia, è presente nelle opere filoniane un
altro motivo che esprime, a livello ontologico, un rapporto di affinità tra la
dimensione incorporea dell’uomo ed il divino. Nel De opificio mundi (par.
145-146) abbiamo visto che Filone definisce l’intelligenza umana come « un
frammento della natura beata ». Orbene, il tema della ragione o dell’intelli­
genza intese come frammenti del divino è ripreso da Filone in altri luoghi
che è necessario esaminare in questa sede. Nel De mutatione nominum
(par. 223) leggiamo: « “Ragione” non è che una piccola parola ma è la cosa
più perfetta e più divina, è un frammento (άπόσπασμα) dell’anima dell’uni­
verso, o meglio, secondo l’espressione più conforme alla legge divina adot­
tata dai filosofi che seguono Mosè, è impronta rassomigliante di un'imma­
gine divina » (ειχόνος θείας έκμαγεΐον εμοερές). La ragione umana, frammen­
to del divino, è definita qui come l’impronta dell’immagine divina e sembre­
rebbe quindi porsi « al terzo posto », al seguito di Dio e del Logos. Va però
ribadito che il saggio perfetto, che s’identifica con il perfetto uomo di fede,
potrà conseguire la stessa dignità metafisica del Logos, diretta immagine di
Dio, come avremo modo di esaminare successivamente. Nelle Legum allego­
riae (III, par. 161) Filone, evidenziando l'incorporeità dell’anima, sostiene
che essa « è fatta di aria, frammento divino »: « L’espressione “mangerai
terra per tutti i giorni della tua vita” è stata pronunciata a ragione, poiché i
piaceri del nutrimento del corpo sono terrestri. Ed è forse naturale: due
sono, infatti, le cose di cui consistiamo, anima e corpo. Il corpo è stato
formato dalla terra, mentre Vanima è fatta d’aria, frammento divino
(άπόσπασμα θειον) *· Π Merki — osservando come nella speculazione filo­
niana ricorrano termini platonici accanto a concetti di origine stoica (tra i
quali, appunto, apóspasma) — è giunto alla conclusione che tale commistio­
ne lessicale attesta inequivocabilmente Γ« acritico eclettismo » del nostro
filosofo32. Irène Feuer, a questo proposito, fa notare che il termine in
questione non è tecnico in Filone, « il che implicherebbe il panteismo stoi­
co », ma è piuttosto « una espressione inadeguata ». Infatti non è certamen­
te casuale che, nel precedente brano del De mutatione nominum, il nostro
autore, dopo aver usato il termine apóspasma, pensi bene di sostituirlo, nel
prosieguo del discorso, col termine platonico di έκμαγεΐον33· Assai interes­
sante è anche la seguente testimonianza tratta dal Quod deterius potiori
insidiari soleat (par. 89-90): « ...la mente umana non si ferma, pur dopo
essere giunta ai confini della terra e del mare e dell’aria e del cielo, ma,
pensando che il cosmo sia un limite angusto per la sua continua corsa
incessante, brama... cogliere, se può, la natura del Dio, inafferrabile se non
per quanto riguarda resistenza... Come dunque potrebbe la mente dell’uo­
mo, così piccola e contenuta entro il piccolo spazio del cervello o del cuore,
percorrere lo spazio così grande del cielo e del cosmo, se non fosse un
frammento (άπόσπασμα) di quell'anima che è divina e beata?»34.

Il concetto di « unione » (ένωσις)


Filone, a differenza di Plotino, non proclama la possibilità di un’unione
mistico-estatica con il divino35. Infatti la sua stessa concezione dell'estasi
non è, come taluni interpreti hanno erroneamente sostenuto, né una deifica­
zione « autarchica » che implica l’identificazione dell’uomo con Dio, né il
supremo rapimento mistico che coglie una privilegiata figura di asceta ma
il distacco, l'allontanamento ed il superamento (il verbo greco έξίστημι,
corrispondente al latino excedo, dà la misura del significato) dalle presun­
zioni e dalle false convinzioni dell’umano intelletto, per opera dello Spirito
di Dio che pervade la nostra anima: è questo, infatti, il traguardo a cui
l’anima perviene quando ripone ogni sua speranza in Dio. Il fatto che Filone
non prenda in con si derazione, in sede di filosofia morale, l’estrema parabola
di un rapporto unitivo (in senso forte) con l’Assoluto risulta pienamente giu­
stificato in forza del più cospicuo guadagno e corollario che, a livello etico­
antropologico, la dottrina della creazione non poteva non comportare, vale
a dire la piena consapevolezza della strutturale dimensione di contingenza
che caratterizza l’essere umano ed il complesso e dialettico rapporto di
affinità ed alterità che lega il « derivato » all’« originario » Del resto, è

» Cfr. H. Merki, Homoiosis..., cit., p. 80.


" Cfr. I. Feuer, Philon d'Alexandrie, « Quod deterius potiori insidiari soleat », Paris
1967, p. 77, nota 2.
M Trad. in A. Maddalena, Filone Alessandrino, Milano 1970, p. 65, con ritocchi.
Il termine compare anche in Opif., I, 61 e Leg., Ili, 161; cfr. ibid., trad. it., pp. 36-37,
nota 7. Nelle opere filoniane ricorrono altri termini per esprimere il rapporto di origi­
naria affinità tra divino e umano. Assai frequente è l'attributo « θεοειδής » che definisce
l’uomo o l’anima umana (già in Platone designava l’ousia dell’anima: cfr. Phaedo, 95c);
cfr. Spec., Ili, 83, 207; Deter., 84. Le anime degli asceti sono definite di « forma divina »
{Her., 38) e l’anima razionale è detta < la più simile a Dio tra le immagini divine » in
Opif., 137. La valenza cosmologica è attestata nei parr. 16 e 53.
35 Cfr. F.W. Eltester, Eikon..., cit., p. 57.
36 Cfr. W. Vólker, Fortschritt..., cit., p. 314, che sostiene appunto questa erronea tesi.
31 L’attribuzione a Filone del guadagno della prospettiva creazionistica è stata soste­
nuta, tra gli altri, dai seguenti autori: G. Martin, Philon, Paris 1907, pp. 68-87; F.V.
quanto mai eloquente che nel lessico filoniano non compaiano punto il ter­
mine θέωσις e altri termini consimili che, in senso tecnico, esprimono un
rapporto d'identificazione dell’uomo con Dio. Sulla base di queste conside­
razioni, appare evidente come il concetto filoniano di unione abbia una
ridotta pregnanza semantica; esso infatti non ricorre frequentemente nelle
varie opere del nostro autore, né ci sembra di capitale importanza ai fini di
una ricostruzione storico-filosofica del télos filoniano. L’unica signicativa
testimonianza è contenuta nel De posteritate Caini, là dove Filone inter­
preta il « bellissimo comandamento di Mosè »: « Amare Dio, ubbidire alla
sua voce e tenersi stretti a Lui » (Deut., 30,20). Ecco il brano in questione:
« ...egli (se.: Mosè) invita a rendere omaggio all’Essere tre volte desiderato e
degno di amore, dicendo appunto “tenersi stretti a lui”; in questo è indicato
ciò che vi è di continuo, coerente ed ininterrotto nell’armonia e neWunione
fondata su un vincolo di affinità (τό συνεχές καί έπάλληλον καί άδιάστατον
της κατ’ οίκείωσιν άρμονίας καί ένώσεως παριστάς)38·
L’« unione » di cui parla Filone appare quindi tutt’altra cosa rispetto
all’* indiamento » di matrice neopitagorica o neoplatonica e afferma piut­
tosto, con immagine figurata, la necessità di seguire gli insegnamenti del
Signore. Sulla base del testo vetero-testamentario l'affinità di fondo tra Dio
e l'uomo non può allora che configurarsi come relazione strutturale tra
Colui che è l'Essere e colui che riceve l’essere per atto di pura gratuità.

II - LA FONDAZIONE METAFISICA DELLA DOTTRINA

Le testimonianze da noi raccolte rivelano con sufficiente chiarezza una


sostanziale diversità di impostazione filosofica rispetto alla proto-formula­
zione platonica della dottrina. In particolare, vengono meno, nella specula­
zione filoniana, tutti quei motivi che possono essere ricondotti al classico
tema, squisitamente ellenico, dell’autarchia del filosofo, secondo cui l’uomo
sapiente può attingere con le sole sue forze il sapere epistemico La fede,
afferma Filone, costituisce per l’uomo una garanzia di verità che trascende
l'insufficienza dei ragionamenti umani.
« La cosa migliore è senz’altro avere fede in Dio, e non nei ragionamenti
oscuri e nelle congetture incerte. “Abramo credette in Dio e fu ritenuto

Courneen, Philo Judaeus had thè concepì of creation, « Thè New Scholasticism » (1941),
pp. 46-58; H.A. Wolfson, Philo..., cit., voi. I, pp. 295-324; G. Reale, Filone di Alessandria
e la prima elaborazione filosofica della dottrina della creazione, in Autori Vari, Para-
doxos Politeia. Studi patristici in onore di G. Lazzati, Milano 1979, pp. 247-287. Sulla
questione dell’« indiamento » è interessante la posizione di J. Pascher, Ή βασιλική οδός.
Der Kònigsweg zu Wiedergeburt und Vergottung bei Philo von Alexandria, Paderbom
1911, p. 253.
34 Post., 12. Compare il termine oikeiosis che, nella fattispecie, abbiamo tradotto
con « affinità ». È questo un altro esempio del diverso significato che alcuni termini,
sussunti dalla filosofia stoica, hanno nel contesto del Sionismo (intorno all’accezione
stoica del termine, cfr. S.V.F., I, frr. 197 ss.; Il, frr. 178 ss. e inoltre M. Pohlenz, La
Stoa..., cit., I, pp. 105- 106; 163-164; 228-229).
* Cfr. W. Jaeger, Paideia. La formazione dell'uomo greco, trad. it., Firenze 1954,
voi. II, pp. 91 ss.
giusto” (Gen., 15,6) » E nel De Abrahamo (par. 268) è detto a chiare
lettere: «μόνον ούν αψευδές καί βέβαιον αγαθόν ή πρός θεόν πίστις»·
La Rivelazione di Dio all’uomo, fissata nelle Sacre Scritture, è la fon­
damentale scaturigine della fede e la fede stessa, si badi bene, appare come
il risultato della gratuita iniziativa dell'Assoluto: Dio, rivelandosi all’uomo e
dettando a Mosè le tavole della Legge, pone nell'uomo la fede salvifica.
Questo è un punto di capitale importanza anche ai fini della nostra dottrina.
Il Maddalena lo ha sintetizzato nei seguenti termini: « ;..se Platone e Filone
parlano medesimamente di homoiosis theó (...), Platone affida poi all'uomo
stesso e Filone a Dio l'assimilazione dell’uomo a Lui »40 41.
A questo punto è d’uopo chiederci: esistono sostanziali differenze tra
metafisica platonica e metafisica filoniana per quanto concerne la dottrina
esemplaristica, intesa come fondamento metempirico del processo assimila­
tivo? La risposta a quest’ultimo interrogativo non può che essere positiva:
infatti, mentre in Platone il primum metafisico era costituito dal mondo
delle Idee, in Filone, per contro, « le Idee cessano di essere paradigmi
assoluti e diventano, esse stesse, immagini di Dio. Esse svolgono un ruolo di
paradigmi rispetto alle cose ad esse inferiori, ma rispetto al Creatore diven­
tano immagini. L’assoluto paradigma resta unicamente Dio, in quanto crea­
tore » 42. L’esemplarismo filoniano si costituisce pertanto come imaginismo43
metafisico, su basi teoreticamente più progredite rispetto alla concezione
platonica: il rapporto che lega la creatura al creatore è un rapporto di
somiglianza, in quanto la « copia » è immagine {imago, eikóri) dell’archeti­
po4445*. Va ulteriormente precisato che il concetto di eikón appare di fonda­
mentale importanza non solo da un punto di vista metafisico-cosmologico
ma anche in sede gnoseologica e morale. Non certo a caso J. Jervel ha
scritto che in Filone « l’essere immagine di Dio {Gottesebenbildlichkeit)
costituisce la possibilità della conoscenza di Dio {Gotteserkenntnis) ». Ancor
più esplicito è il giudizio del Voelker: « l’imitazione di Dio è null’altro che il
compimento {Vollendung) dell'immagine di Dio nell’uomo » Il passo in­
nanzi che dobbiamo ora compiere consiste in una circostanziata risposta al
seguente quesito: quale posizione occupa l’uomo in questo panorama esem-
plaristico? In altri termini: di che cosa l’uomo è propriamente immagine?
È notorio che Filone interpreta le due narrazioni della creazione del­
l’uomo contenute nel Genesi « come una effettiva duplice creazione » * Dio
infatti dapprima crea ì’Uomo ideale e, successivamente, l’uomo terrestre.

40 Leg., Ili, 228.


41 A. Maddalena, Filone Alessandrino, cit., p. 26, nota 5; cfr. W. Vólker, Fortschritt...,
cit., pp. 239-259. In Leg., Il, 89 è detto: « Come, dunque, si può credere in Dio? Si può
credere in Dio, se si apprende che ogni altra realtà è mutevole, e che Lui solo resta
immutabile ». E in Heres, 93: « ...aver fede solo in Dio che è l’unico che sia veramente
degno di fede, questa è l’opera di una mente veramente grande ed olimpica, che da
nessuna delle realtà che ci circondano può essere ingannata ». Cfr. altresì Mut., 204.
42 G. Reale, Filone di Alessandria..., cit., p. 263.
43 A coniare questo termine filosofico esaminando il concetto di immagine fu L.
Stefanini, nel saggio Imaginismo come problema filosofico, Padova 1936.
44 Cfr. G. Reale, Filone di Alessandria..., cit., p. 308, e J. Giblet, L’homme image de
Dieu dans les commentaires littéraux de Philon d'Alexandrie, « Studia Ellenistica »,
1948, pp. 93-118.
45 W. Vòlker, Fortschritt..., cit., p. 207; J. Jervel, Imago Dei, Goettingen 1960, p. 70.
44 G. Reale, Filone di Alessandria..., cit., pp. 268-269.
L’interpretazione di questa particolare dottrina è quanto mai complessa e
ha sovente ingenerato confusioni e fraintendimenti fra gli studiosi. Infatti
tra questi due tipi di uomo non si dà una rigida distinzione ontologica, in
quanto l’uomo hic et nunc partecipa, limitatamente alla propria dimensione
incorporea (nous, anima e Spirito-pneuma sono le tre parti che Filone
contempla), della natura intelligibile dell’uomo ideale. Il punctum dolens
sopravviene allorché si tratta di definire questo tipo di partecipazione.
Filone infatti sembra interpretare in due maniere sostanzialmente diverse il
versetto 1,26 del Genesi: 1) l'uomo è creato a immagine e somiglianza di Dio
(e quindi l'uomo in carne e ossa è, limitatamente alla sua componente
incorporea, imago Dei); 2) l’uomo è creato secondo l’immagine di Dio che
sappiamo essere il Logos, definito a più riprese diretta immagine di Dio47 (e,
in tal caso, l’uomo sarebbe indiretta immagine di Dio, imago imaginis Dei).
È pertanto necessario procedere con ordine vagliando le due diverse
interpretazioni. Incominciamo dalla prima ipotesi filoniana: l’uomo è diret­
ta immagine di Dio. « Nel De opificio » — scrive il Bréhier alludendo al
par. 69 del trattato — « l’uomo ad immagine di Dio è identificato con
l'intelligenza umana che guida l’anima... L’Anthropos è come un dio interno
all’uomo che contempla gli intelligibili. Questa è la prima nozione dell’An-
thropos divino »
La ragione umana è quindi considerata da Filone come immagine di
Dio. Nel De Somniis (I, par. 73-74) l’anima sembra essere considerata im­
magine di Dio: « In verità non vi è nulla di simile a Dio, però vi sono due
sole realtà che sono tenute per tali nell’opinione degli uomini, una invisibile
e l’altra visibile; l’invisibile è l’anima, la visibile il sole. La somiglianza
dell’anima è testimoniata in un altro brano, là dove si afferma: “Dio creò
l’uomo, egli lo creò a sua immagine” (Gen., 1,27) e, di nuovo, nella legge
contro gli assassini: “Chi spargerà il sangue dell’uomo, avrà il proprio
sangue sparso in compenso di quello, poiché io ho fatto l'uomo a immagine
di Dio (Gen., 9,6)” ». In questo passo non viene specificato che l'uomo è
immagine di una diretta immagine di Dio ed il significato prevalente sem­
bra essere quello di un diretto rapporto imaginistico tra l’uomo terrestre e
Dio. Oltre all’anima e alla guida della medesima (l'intelletto), anche lo
Spirito-pneuma può dirsi, per alcuni versi, diretta immagine di Dio. Ecco il
testo più esplicito al riguardo: « Ciascuno di noi, per quanto concerne le
parti che lo costituiscono è fondamentalmente due cose: animale ed uomo.
A ciascuna di queste due parti è stata assegnata una corrispettiva facoltà,
che dipende dall’anima; all'una la facoltà vitale che ci consente di vivere,
all’altra la facoltà razionale che ci rende degli esseri razionali. Della facoltà
vitale partecipano pure gli esseri sprovvisti di ragione. Della facoltà razio­
nale Dio non partecipa poiché Egli ne è la scaturigine, essendo la fonte della
ragione venerabile. La facoltà che noi abbiamo in comune con gli esseri
sprovvisti di ragione ricevette come essenza il sangue, mentre quella che
promana dalla sorgente razionale è lo Spirito (pneuma); non si tratta di

47 Cfr. Conf., 147; Leg., Ili, 96; Opif., 25; Plant., 19; Somn., I, 239-240; ibid., II, 45;
Quaest. Gen., I, 4; Spec., I, 81; Her., 230-231. Ulteriori approfondimenti di carattere filo­
logico sono contenuti in H. Willms, Eikon. Eine begriffsgeschichtliche Untersuchung
zum Platonismus. I, Philon von Alexandreia, Munchen i. West. 1935, pp. 75-77.
• E. Bréhier, Les idées philosophiqu.es et religieuses de Philon d’Alexandrie, Paris
1925, p. 121.
aria in movimento ma di un'impronta o di un sigillo della potenza divina,
che Mosè denomina immagine, mostrando che Dio è l'archetipo della natura
razionale, mentre l’uomo ne è una imitazione ed una copia; l’uomo di cui si
parla qui non è evidentemente quello dalla duplice natura che noi cono­
sciamo, ma la forma più nobile dell’anima, che è chiamata spirito e ragio­
ne » 49. Nei brani che abbiamo sopra esaminato appare chiaro che l’uomo
come diretta immagine di Dio non è mai l’uomo inteso come composto (hic
et nunc), ma piuttosto l’uomo considerato nella sua particolare dimensione
incorporea e spirituale, ossia l’uomo in quanto dotato di anima, intelletto e
pneuma. Queste componenti, che pure non esauriscono l’uomo nella sua
complessità ontologica, sono le dimensioni che consentono all’uomo di tra­
scendere la propria condizione di contingenza e di elevarsi all’Assoluto
secondo la modalità partecipativa della diretta immagine di Dio.
È ora giunto il momento di considerare la seconda interpretazione che
Filone fornisce di Gen., 1,26: l’uomo come indiretta immagine di Dio, vale a
dire come immagine della diretta immagine di Dio che è il Logos e, quindi,
imago imaginis Dei. Nelle Legum allegoriae (III, par. 96) leggiamo al ri­
guardo: « Bezaleel significa “nell’ombra di Dio”, ma l’ombra di Dio è il suo
Logos del quale egli si è servito come di uno strumento per creare il mondo.
Quest’ombra, che pure è come una immagine, è archetipo delle altre cose.
E come Dio è il modello della sua immagine, che qui Mosè ha chiamato
ombra, così l’immagine diventa modello delle altre cose, come egli ha rive­
lato all’inizio della Legge con le parole: “E Dio fece l’uomo secondo l'imma­
gine di Dio" (Gen., 1,27), poiché l'immagine è stata riprodotta su Dio e
l’uomo sull’immagine (κατά τήν εικόνα), che ha acquisito la potenza di un
modello ». Da questa seconda interpretazione di Gen., 1,26 ss. affiora in tutta
la sua rilevanza il ruolo metafisico del Logos che, nel contesto esemplari-
stico filoniano, assurge al livello di mediatore tra Dio e l’uomo e alla
funzione di intermediario tra Dio e mondo sensibile. Questa duplice media­
zione è attestata nel De opificio mundi (par. 24-25): « ...si può dire che il
mondo intelligibile è null’altro che il Logos di Dio, già nell’atto di creare il
mondo stesso, nello stesso modo in cui la città intelligibile non è altro che il
calcolo dell’architetto, già quando egli progetta di fondare la città. Questa
dottrina è di Mosè, non mia. In ciò che segue, descrivendo la generazione
dell’uomo, egli ammette chiaramente che l'uomo fu foggiato a immagine di
Dio. Ma se la parte è un’immagine dell’immagine (είκών εϊκόνος), è chiaro
che anche il tutto è così; e se tutto questo mondo sensibile, che è più
grande dell’immagine dell’uomo, è imitazione dell'immagine divina, è evi­
dente che il sigillo archetipo, che diciamo essere il mondo intelligibile, è il
Logos di Dio ».
Il Logos filoniano non va però schematicamente interpretato come una

" Dei., 82-83. Più avanti, al par. 86, Filone così, prosegue: « Il Creatore non ha fatto
per il corpo un’anima capace di vedere con le sue sole forze Colui che la fece, ma ha
pensato che sarebbe stato di grande profitto per la creatura avere una nozione del
proprio Creatore — perché è proprio questo che determina la felicità e la beatitudine —
e pertanto gli soffiò dall'alto qualcosa della sua propria divinità. La divinità invisibile
ha marchiato con le sue impronte l'anima invisibile, affinché la regione terrestre non
fosse privata dell'immagine di Dio. Ma l’Archetipo è a tal punto invisibile che neppure
la sua immagine può essere vista in quanto, foggiata secondo il modello, ricevette delle
nozioni che non sono più mortali, bensì immortali».
realtà metafisica che si pone, per così dire, « a metà strada » tra il divino e
l'umano; infatti il nostro autore non esita a distinguere un « Logos sopra di
noi » ed un « Logos in noi », l’uno archetipo dell'altro. A questo proposito è
istruttivo il seguente passo del Quis rerum divinarum heres sit (par. 231):
« Mosè chiama quello che sta sopra di noi “immagine di Dio”, e quello che
sta in noi “impronta dell'immagine” (της είκόνος έκμαγεϊον). Dice infatti:
“Dio fece l’uomo”, non già “immagine” (di Dio) ma “secondo l’immagine”
(ούχΐ εικόνα θεού, άλλα κατ’είκόνα), cosicché l'intelletto che è in ciascuno di
noi, il quale, propriamente, è il vero uomo, è l'impronta del Creatore, che
viene al terzo posto (τρίτον τύπον ), in quanto il modello di questo è l'intel­
letto intermedio che, a sua volta, è copia di quello di Dio » Λ.
In questo brano, quindi, è detto testualmente che l’intelletto in noi
(coincidente con il Logos in noi) viene al terzo posto nella gerarchia esem-
plaristica, dopo Vintelletto archetipo (Dio) e l’intelletto intermediario (Lo­
gos sopra di noi). Nelle Legum allegoriae (II, par. 4) leggiamo altresì: « E
bene che nessun uomo sia solo. Due sono i generi di uomo: quello creato
a immagine di Dio e quello plasmato dalla terra. Ora, per l’uomo creato ad
immagine di Dio non è bene essere solo, giacché egli tende a quell'immagine
e l'immagine di Dio è archetipo rispetto ad ogni altra cosa; e ogni imitazio­
ne brama ciò di cui è imitazione, e si colloca accanto ». Questo brano
depone certamente a favore dell'ipotesi dell'uomo come indiretta immagine
di Dio5051. A questo punto ci si potrebbe domandare quale sia la precisa
funzione dell’uomo ideale nel processo assimilativo ed imaginistico, consi­
derato il privilegiato ruolo di mediatore metafisico svolto dal Logos. Infatti
nel commentario allegorico la distinzione tra uomo ideale e Logos sembra
quasi venir meno e l’uomo ideale pare, di conseguenza, assumere i contorni
deH’intermediario, riunendo in sé — come ha opportunamente rilevato il
Bréhier — i caratteri dell'intelligenza umana e del modello intelligibile s. In
taluni passi, addirittura, l’autore sembra identificare Logos e Uomo Ideale
L'estrema mobilità del linguaggio filoniano e la mancata rigorizzazione
semantica di alcune figure basilari del suo impianto metafisico sono quindi
la causa delle grandi difficoltà che gli studiosi moderni hanno riscontrato
nel voler conglobare a tutti i costi in una sintesi unitaria e tendenzialmente
inoppugnabile le disparate e, a volte, contraddittorie connotazioni del filoni-
smo quali emergono da una lettura critica di tutti i trattati in nostro
possesso. Per quanto ci riguarda, abbiamo notato a più riprese le palesi
oscillazioni di significato che riscontriamo nelle definizioni di uomo ideale,
uomo terrestre, Logos e, principalmente, l’aporeticità del concetto di « im­
magine ». D’altro canto l’elaborazione di una ricognizione scientifica dei
testi non può che fare i conti con tutte le testimonianze, per quanto confuse
ed ambivalenti esse siano, senza tralasciare alcun documento che possa
inerire alla problematica in parola.

50 Altri passi in cui Filone pone l’uomo come immagine del Logos sono: Opif., 25;
Leg., III, 96; Mutat., 223; Spec., I, 81; Plani., 18. Giustamente il Merki ha sostenuto che
il concetto filoniano di eikon risulta « spiritualizzato » in quanto si riferisce soltanto
all’uomo nella sua dimensione incorporea (H. Merki, Homoiosis..., cit., p. 79).
« Cfr. Her., 57 e Gig., 32.
u É. Bréhier, Les idées..., cit., pp. 121-122.
u Cfr. F.W. Eltester, Eikon..., cit., pp. 39-41.
L’Eltester, che rileva con pregevole meticolosità le oscurità e le defi­
cienze semantiche dei principali concetti filosofici filoniani, ha scritto che
« in linea generale, Filone vede nella parte spirituale dell’uomo l’immagine
del Logos (Logosebenbildlichkeit) » M. Se questo aspetto è certamente vero,
in linea generale, non va però sottaciuto, che vi sono casi eccezionali in cui
particolari figure storiche di uomini sembrano essere chiaramente equipa­
rate da Filone al Logos medesimo. Egli infatti non indulge sempre ad una
netta distinzione tra uomo ideale e uomo terrestre. L’uomo ad immagine di
Dio non va quindi rigidamente inteso come un vero e proprio archetipo
dell’uomo in carne e ossa (ipostaticamente separato da quest’ultimo) poiché
in taluni contesti esso adombra l’ideale del saggio perfetto55.
Questo ideale, vale la pena ripeterlo, non è utopicamente inteso ma, di
fatto, secondo Filone, si è già storicamente incarnato in personaggi esem­
plari dell’Antico Testamento. Infatti non è certamente un caso che uomini
come Abramo e Mose, reputati autentici paradigmi di perfetta virtù, ven­
gano espressamente definiti come « uomini di Dio » e « uomini celesti » e
che, parallelamente, queste due espressioni siano attribuite da Filone anche
al Logos medesimo56. L’Eltester ha puntualizzato nei seguenti termini la
questione qui dibattuta: « Chi non può cogliere Dio direttamente, può quan­
tomeno comprendere indirettamente la sua immagine, il Logos. Chi, però,

54 Ibid., p. 50.
55 II saggio perfetto assume pertanto i tratti peculiari dell'uomo creato ad imma­
gine di Dio. In Leg., I, 94, dopo aver detto che Dio impartisce i comandi all'uomo terre­
stre e « non all’uomo creato secondo l’immagine e l’idea di Dio, poiché questo possiede
già di per se stesso la virtù senza che intervenga alcuna esortazione dall'esterno, mentre
quello non potrebbe conseguire la saggezza senza insegnamento » (par. 92), Filone così
prosegue: « all’uomo perfetto, quello creato ad immagine di Dio, non è necessario im­
partire ordini, né porre divieti, né dare consigli. Chi è perfetto non ha bisogno di
nessuna di queste cose, mentre il malvagio ha bisogno di ordini e di divieti e il fanciullo
di consigli e di insegnamenti ». L’Eltester, commentando questo passo, afferma: « l'idea
“Uomo” è diventata l’ideale del Saggio perfetto » (ibid., p. 55).
56 In Gig., 60-61 leggiamo: « Uomini del cielo sono gli artisti, gli scienziati, gli eru­
diti, poiché in noi la mente è una parte celeste che esercita le dottrine encicliche e le
altre arti che si affinano e si formano negli esercizi intellettivi: uomini di Dio sono
invece i sacerdoti ed i profeti, che non vollero vivere nella città del cosmo e diventare
cittadini del mondo, ma trascesero tutto il mondo sensibile e trasmigrarono nel mondo
intelligibile, e là vissero, nella città delle idee incorruttibili ed incorporee » (trad. di
A. Maddalena, con lievi ritocchi). Nel par. 63 Abramo è definito « uomo di Dio »; Filone,
sulla base della differenza tra « uomini del cielo » e « uomini di Dio », distingue Abramo
(con una « a ») da Abraamo (con due « a »). Abramo è il « simbolo dello scienziato che
non ha ancora ascoltato la parola di Dio », mentre Abraamo adombra « l’eletto che,
nutrito dalla Parola santa, segue la via regia senza deviare mai né a destra, né a sini­
stra » (A. Maddalena, Filone Alessandrino, cit., p. 29). Mosè, dal canto suo, è espres­
samente designato « uomo di Dio » in Mutat., 24-25. Dopo aver dimostrato che Filone
pone Abramo e Mosè come uomini di Dio, non ci resta che considerare la testimo­
nianza decisiva che identifica « uomo di Dio » e Logos: < come potreste non odiare
la guerra e amare la pace, voi che siete figli di un solo padre, non mortale ma immor­
tale, Yuomo di Dio che, essendo il Logos dell’eterno, [άλλ’άθάνατον, άνθρωπον θεού, δς
του άϊδίου λόγος] per necessità è immortale? » (Conf., 41). « L’uomo divino » — ha scritto
il Bréhier — « che è nel contempo intelligenza umana e modello intelligibile, non è più
un'idea platonica eternamente separata dalla nostra anima. 'Essa diviene più penetrabile
da parte della nostra intelligenza e da Idea si trasforma in ideale pratico. Insomma,
questo progresso si dà in forza deH'awicinamento dell'idea — modello fìsico ed eter­
no — al Saggio, essere reale e concreto che l'uomo cerca d'imitare » (E. Bréhier, Les
idées..., cit., p. 122).
può, come contemplatore (Schauender), comprendere direttamente Dio, non
ha più bisogno della mediazione del Logos, immagine di Dio, perché egli
stesso è diventato immagine di Dio»57. D’altro canto, questa affermazione,
può essere suffragata anche dalla precisa funzione dello Spirito-pneuma che
in certi contesti, sembra spirare direttamente da Dio58*. Se tutto questo
risulta essere vero, dobbiamo quindi concludere che « l’uomo ad immagine
di Dio non è dunque l'idea di uomo, bensì rappresenta una possibilità
umana, un livello di vita, che l’uomo — inteso come saggio perfetto, ossia
come uomo dotato di pneuma (als Pneumatikef) — può raggiungere »
Pertanto, sulla base dell’identificazione (limitatamente a certi aspetti e a
certi contesti) di uomo ideale, saggio perfetto e Logos, l’ultimo passo del
télos filoniano sembra essere il pieno conseguimento della diretta immagi­
ne di Dio. Quest’affermazione è, a nostro avviso, plausibile e sufficiente-
mente documentata, tuttavia è opportuno delimitarne l’effettiva portata, al
fine di evitare qualsiasi assolutizzazione di questo asserto. Infatti il fatto
che l'uomo storico dotato di perfetta virtù possa essere considerato alla
stregua della diretta immagine di Dio, costituisce l’eccezione e non già la
regola della dottrina filoniana del télos. Filone sembra attribuire questa
prerogativa solo ad alcuni personaggi dell’Antico Testamento, a certi con­
dottieri e profeti del popolo eletto (segnatamente Mosè e Abramo).
Su questa base, allora, è senz’altro preferibile sostenere che Filone pro­
spetta per il « comune » uomo di fede, che è pure uomo di speranza e di
amore il télos dell’indiretta immagine di Dio: l’uomo che segue ascetica­
mente i dettami che Dio affida ai Suoi profeti può legittimamente conse­
guire l’immagine del Logos, configurandosi pertanto come imago imaginis
Dei. Potremmo quindi affermare che, mentre il τέλειος (il perfetto o compiu­
to) diventa diretta immagine di Dio, il προκόπτων (il progrediente, l’asceta,
l’atleta spirituale) si arresta al livello immediatamente inferiore, diventando
immagine dell’immagine61. Se volessimo condurre alle estreme conseguenze
questo discorso, potremmo sostenere che il compiuto è diretta immagine di
Dio, mentre l’asceta si pone come immagine del téleios e quindi come
immagine dell’immaginea. Pertanto solo chi è perfettamente virtuoso
— 1'άστεΐος per eccellenza — può eguagliare il Logos e divenire « figlio di
Dio ». L’asceta, colui che si esercita, progredisce ma non è ancora pervenuto
alla compiutezza perché non ha definitivamente superato le insidie che
provengono da tutto ciò che è corporeo e mondano, non può acquisire
perfetta saggezza poiché la sua fede non è del tutto pura; il suo fine ultimo
sarà dunque assimilarsi e imitare il divino Logos, divenendone immagine. È
ovvio che il caso qui prospettato è senz’altro quello più frequente tra gli

57 F.W. Eltester, Eikon..., cit., p. 57.


51 Cfr. A. Maddalena, Filone Alessandrino, cit., pp. 31-33 e G. Reale, Storia..., cit.,
IV, pp. 298-299.
” F.W. Eltester, Eikon..., cit., p. 55.
40 Cfr. A. Maddalena, Filone Alessandrino, cit., pp. 381-395.
" Su queste due figure di uomo cfr. Leg., I, 82-83; III, 135-140. Ecco come il Volker
ebbe ad interpretare il concetto di perfezione: « Vollkommenheit bedeutet fiir Philo
nicht anderes als den Lebensgipfel, wo mit der Hòhe des Tugcndlebens die Schau.
Gottes verbunden ist, wo ist das Ganze Dasein als ein Dienst Gottes und ein Dienst an
der Brudern aufgefasst, wo alles als ein Geschenk Gottes empfunden und mìmesis
theoù gestaltet wird » (W. Vólker, Fortschriftt..., cit., p. 263).
tì Cfr. B.L. Mack, Imitatio Mosis, « Studia Philonica », I, 1972, pp. 27-55.
uomini di fede, in quanto, come abbiamo già visto, la perfezione è solo alla
portata di pochi. D’altronde, la gerarchia esemplaristica che pone l’uomo
come indiretta immagine di Dio risulta maggiormente conciliabile, a nostro
giudizio, con la manifesta impossibilità da parte dell'uomo — ribadita in
parecchie circostanze da Filone — di conoscere adeguatamente il Dio crea­
tore e anche con la tematica della nullità dell'uomo, corollario della sua
condizione di strutturale contingenza Quindi, in linea generale, possiamo
concludere che iassimilazione a Dio è vista da Filone Alessandrino come
approdo dell’uomo all’immagine di Dio, il Logos. Alla luce di questa affer­
mazione, possiamo quindi interpretare la famosa frase « l’uomo fu creato
ad immagine e somiglianza di Dio» (κατ’είκόνα θεού καί κα^'όμοίωσιν).
L’immagine di Dio è il fondamento metafisico della somiglianza dell’uomo
a Dio. In altri termini: l’uomo è reso somigliante a Dio in quanto è stato
creato secondo l’immagine di Lui.
Nel De confusione Linguarum (par. 146-148) Filone definisce gli uomini
come « figli d’Israele », ossia figli del divino Logos: « ...se noi non siamo
ancora degni di essere considerati figli di Dio, possiamo almeno essere
considerati (figli) della sua immagine invisibile, il santissimo Logos. ...Inol­
tre, si trova spesso nella Legge un’ulteriore denominazione: “figli d'Israele”,
cioè coloro che ascoltano Colui che vede, poiché l’udito è considerato al
secondo posto dopo la vista e poiché apprendere è di secondaria importanza
rispetto al privilegio di ricevere direttamente, senza essere guidati, le chiare
impronte della realtà »
A favore della nostra duplice ipotesi interpretativa depone Heres
(par. 78) in cui Ι’άστεΐος non è detto « figlio di Israele » (come il comune
uomo di fede), bensì, al pari del Logos medesimo, « Israele », cioè « colui
che vede Dio »: il compiuto è dunque immagine di Dio, mentre l’asceta è
immagine dell'immagine. Pertanto la risoluzione ermeneutica della questio­
ne non può essere impostata secondo la drastica logica délì’aut-aut, ma solo
sulla base di un più equilibrato et-et: Il saggio perfetto è « Israele », l’imper­
fetto uomo di fede è « figlio d’Israele » e la nota discriminante è costituita
dalla diversa qualità e purezza della πίστις. Di conseguenza, per la maggio­
ranza dei credenti nel Dio biblico vale quanto Filone scrive nel De mutatio­
ne nominum (par. 183): « sarebbe indice di vasta ignoranza ritenere che

“ Il Wolfson ha dimostrato che Filone tematizzò per primo la dottrina della inco­
noscibilità di Dio (cfr. HA. Wolfson, Philo, II, pp. 94-164; di particolare interesse sono
le pp. 117-120 in cui lo studioso evidenzia il merito fondamentale del Nostro, che consiste
nell'aver esplicitato quanto in Platone ed in Aristotele era implìcitamente presupposto).
Cfr. anche J. DrUxVLMOND, Philo Judaeus; or thè Jewish-Alexandrian Philosophy in its
Development and Completion, London 1888, pp. 1-20; B. Mondin, Filone..., cit., pp. 42-54;
G. Reale, Storia della filosofia antica, cit., IV, p. 277. Ecco i passi filoniani più signifi­
cativi: Opif., 8; Somn., I, 73, 184; Fug., 164-165; Mutat., 7-15; Spec., I, 3647; Abr., 75-79;
Praem., 3646; Deter., 89-90; Post., 168-169. Uno studio analitico sulla dottrina è l’articolo
di B. Mondin, Esistenza, natura, inconoscibilità ed ineffabilità di Dio nel pensiero di
Filone Alessandrino, « La Scuola cattolica », XCV, 1967, pp. 423-447. Per quanto concerne
il tema della nullità cfr. Her., 30; Sacrif., 55; Congr., 107; Mutat., 54, 155; Somn., I, 60
e la persuasiva interpretazione di A. Maddalena, Filone. Alessandrino, cit., pp. 177-178.
64 Conf. 146148. Cfr. anche Quaest. Gen. II 62: « Perché la Scrittura afferma, come
se parlasse di un secondo Dio: “Dio ha fatto l'uomo a immagine di Dio” e non già
“a sua propria immagine”?... Perché nulla di mortale poteva essere fatto a immagine
deH’Altissimo, Padre dell’universo, ma solamente a immagine del Dio secondo, ossia
del suo Logos ».
l’anima umana possa contenere le virtù di Dio che sono salde ed assoluta-
mente ferme. Bisogna quindi ritenersi fortunati di possedere delle immagini
di un gran numero di gradi inferiori agli archetipi ». Una definizione più
precisa troviamo nel terzo libro De specialibus legibus (par. 83): « tra le
cose terrestri nulla è più sacro e più simile a Dio che l’uomo, poiché egli è
l’impronta eccellente di un’immagine eccellente, essendo formata sul model­
lo dell'archetipo ideale » (παγκάλης εϊκόνος πάγκαλον έκμαγεϊον αρχετύπου
λογικής Ιδέας παραδείγματι τυπωθέν)®·
Pertanto — nel secondo libro del De vita Mosis (par. 65) — Filone può a
buon diritto esaltare, con accenti che ricordano il famoso Salmo ottavo
(« Gloria di Dio e dignità dell’uomo »), « la più alta specie vivente, che sola
ha ricevuto la signoria su tutto ciò che popola la terra, poiché è stata creata
a somiglianza della potenza divina, immagine visibile dell’Essere invisibile,
immagine generata dall'Eterno » (είκών τής άοράτου φύσεως έμφανής, άϊδίου
γενητή).

Ili - FILONE DI ALESSANDRIA E IL RECUPERO


DELLA DOTTRINA NELL'ETÀ IMPERIALE

Nell’Introduzione abbiamo accennato allo smarrimento cui va incontro


la nostra dottrina dopo la prima trattazione nella forma originale che ne
diede Platone. Già a partire dall'Antica Accademia possiamo documentare
l’« eclissi » della teoria assimilativa: Speusippo, primo successore di Plato­
ne, afferma che la felicità consiste in un « sistema perfetto di realizzazione
delle cose che sono conformi a natura », prefigurando in tal modo l’ideale
immanentistico che contraddistingue, in diversa misura, le varie scuole
dell’età ellenistica66. Nemmeno in Senocrate, secondo Scolarca dell’Accade-
mia, assistiamo a sensibili modificazioni del télos e altrettanto dicasi di
Polemone67. L’analisi delle posizioni filosofiche dei successori di Polemone,
così come degli esponenti della seconda, terza, quarta e quinta Accademia
non porterebbe alla nostra ricognizione alcun elemento significativo, dal
momento che — almeno fino alla prima metà del I sec. a.C. — il télos del
« vivere secondo natura » sembra ormai aver definitivamente soppiantato
l’homoiosis theò: per circa tre secoli la tradizione platonica disconobbe
l’insegnamento del proprio maestro, rifugiandosi ora in posizioni scettiche
(Arcesilao e Cameade), ora in motivi eclettici (Filone di Larissa). Neppure il
ripudio dello scetticismo accademico che il dogmatico Antioco di Ascalona
perpetrò nella prima metà del I sec. a.C. servì a recuperare la dottrina, se
prestiamo fede alle testimonianze di Sesto Empirico68 e di Cicerone69. Co­
munque, siccome a partire dalla seconda metà del I sec. a.C. la dottrina

« Cfr. inoltre Opif., 140-141.


* Cfr. Clem. Alex., Strom., II 133, 4 = Fr. 57 ed. Lang. « This definition, ... antici­
patos largely thè Stoic definition “living in accordance with Nature” » (J. Dillon, Thè
Middle Platonists, New York 1977, p. 18).
·’ Clem. Alex., Strom., II 133, 5 ss. = fr. 77 Heinze; Strom., VII, 6 = fr. 1000 ed.
Hbinze.
“ Sesto Empirico, Schizzi Pirroniani, I, 235.
M Cicerone, Acad. pr., II, 43,132.
risulta inequivocabilmente attestata sulla base delle testimonianze in nostro
possesso, la moderna storiografia si è posta il problema della precisa indi­
viduazione di quell’autore (o di quegli autori) che, riprendendo Yhomoiosis,
ha contribuito in misura decisiva a sistematizzarla e diffonderla nel conte­
sto della filosofia tardo-antica dell’età imperiale.
Le ipotesi che vedevano rispettivamente in Antioco di Ascalona70 e
Posidonio di Apamea71 gli autori di quest’opera di sistematizzazione risul­
tano assai poco convincenti poiché sono contraddette da esplicite testimo­
nianze; l’unica ipotesi plausibile, sebbene non suffragata da una precisa
documentazione, ci pare quella che ravvisa in Eudoro di Alessandria72 colui
che riprese la dottrina in parola. Infatti nell’epitome di Ario Didimo il
paragrafo «Περίτέλους» (in cui è contenuta l’esposizione àelYhomoiosis theo)
è immediatamente preceduto dal paragrafo « Διαίρεσις ήΟτκοΰ τόπου * in
cui viene espressamente attribuita ad Eudoro la diatresis dell’etica. Se il
passo di Ario Didimo sul télos non derivasse da Eudoro, bisognerebbe
supporre che egli avesse come fonte Antioco; ma questa congettura risulte­
rebbe poi contraddetta dalla testimonianza di Cicerone che attribuisce al-
l’Ascalonita un fine ultimo essenzialmente immanentistico73. Inoltre in Eu­
doro, a differenza che in Antioco e Posidonio, la ripresa della « seconda
navigazione » può essere documentata dalla sua particolare frequentazione
del Timeo platonico e della Metafisica aristotelica, oltre che da una perso­
nale interpretazione del pitagorismo che, deducendo l’intera realtà da un
supremo Uno (identificato con Dio), prelude chiaramente al sistema iposta­
tico neoplatonico7*. La rilettura eudoriana del pensiero platonico secondo
categorie pitagoriche è quindi interessante e significativa, ai fini della pre­
sente trattazione, non tanto da un punto di vista teoretico (cioè per le
particolari soluzioni che Eudoro propose), quanto piuttosto da un punto di
vista storico-formale, poiché testimonia l’avvenuto ripudio del sistema stoi­
co-immanentistico e la ripresa di parametri filosofici che, in qualche misura,
ripristinano (ne è conferma l’assetto ipostatico) la distinzione tra sensibile
ed intelligibile, nota definitoria ed irrinunciabile della tradizione platoni­
ca 7S. Nonostante tutte queste considerazioni, è agevolmente rilevabile come

70 I fautori di questa tesi sono stati, H. Diels-W. Schubart, Anonymer Rammentar


zu Platons Theaetet (Papyrus 9782) nebst drei Bruchstiicken philosophischen Inhalts
(pap. 8; pap. 9766-9569), « Berliner Klassikertexte », Heft II, Berlin 1905, p. XXXI) e,
successivamente, H. Strache, De Arii Didymi in morali philosophia auctoribus, Diss.,
Berolini 1909; cfr. anche Der Eklektizismus des Antiochus von Askalon, « Philologische
Untersuchungcn », XXVI, Berlin 1921, pp. 42-83; W. Theiler, Die Vorbereitung des Neu-
platonismus, Berlin 1930, p. 53; C. Moreschini, Apuleio e il Platonismo, Firenze 1978, p. 8.
71 Cfr. A. Heitmann, Imitatio Dei..., cit., pp. 36 ss.; H. Merki, Homoiosis..., cit., pp.
9 ss.; M. Pohlenz, La Stoa..., cit., I, p. 648, nota 67; p. 533, nota 21; voi. II, p. 166.
72 Cfr. K. Praechter, Die Philosophie des Altertums, in F. Ueberweg, Grundriss der
Geschichte der Philosophie, I, Basel 1953, p. 531; H. Doerrie, Der Platoniker Eudoros von
Alexandreia, « Hermes », LXXIX, 1944, pp. 31 ss.; J. Dillon, Thè Middle Platonists, New
York 1977, pp. 114-135. Il passo discusso è Ar. Didym., in Stob., Ecl., II, p. 49, 8 ss. ed.
Wachsmuth.
” De fin., V, 26 («vivere ex hominis natura undique perfecta et nihil requirente»).
74 Cfr. G. Calvetti, Eudoro di Alessandria: Medioplatonismo e Neopitagorismo nel
I sec. a.C., « Rivista di Filosofia neo-scolastica », LXIX, 1977, pp. 9 ss.
75 Cfr. H. Doerrie, Der Platoniker..., cit., passim’, e Die Frage nach dem Transzen-
denten im Mittelplatonismus, ora in Platonica Minora, Miinchen 1976, pp. 274-275; W.
Theiler, Philo von Alexandria und der Beginn des kaiserzeitlichen Platonismus, in Àuro-
queste conclusioni siano largamente congetturali. Infatti non esistono fram­
menti autentici o testimonianze dossografiche che attribuiscano apertis
verbis ad Eudoro il recupero della dottrina. Nell’epitome il nome di Eudoro
è citato nell'analisi della diairesis, ma non in quella delVhomoiosis e non
possediamo alcuna documentazione che possa inequivocabilmente attestare
che il filosofo abbia trattato del télos platonico. L’unico dato certo è che i
suoi interessi filosofici (nei quali risultano inoperanti influssi stoico-imma­
nentistici o eclettici) non si pongono in contrasto con un’eventuale sua
riscoperta della dottrina; ma questo è solo un ragionamento ipotetico e
astratto che, di per sé, non può avere un valore probante per suffragare la
tesi che discutiamo.
Quindi, per ritornare all’argomento della nostra trattazione dopo que­
sta necessaria digressione, se consideriamo:
1) che Filone di Alessandria fu, grosso modo, contemporaneo di Eudo­
ro (forse quest'ultimo fu più anziano)
2) che i Medioplatonici che sostennero il fine ultimo dell’homoiosis theó
furono posteriori a Filone (li possiamo collocare tra gli ultimi decenni del I
sec. d.C. e la seconda metà del II sec. d.C)71. Orbene, se consideriamo questi
fatti sulla base della documentazione da noi riportata nelle pagine prece­
denti, appare evidente che Filone recuperò la dottrina (certamente Filone e
forse un suo coevo e concittadino che maturò la propria speculazione nel
medesimo humus filosofico) ed operò una vera e propria rifondazione teore­
tica della medesima alla luce della dottrina creazionistica, in funzione della
quale egli ripensa radicalmente la metafisica platonica: paradigmatica in
questo senso è la sua teoria imaginistica. Pertanto, se si pone mente al
rapporto inversamente proporizonale tra congetture e documenti (tanto
numerose le prime, quanto esigui i secondi) circa l’attribuzione ad Eudoro
del recupero e della sistematizzazione dell'homoiosis, non pare certo azzar­
dato attribuire direttamente a Filone la riscoperta in parola, tanto più che
egli operò quasi contemporaneamente ad Eudoro e nel medesimo ambiente
culturale, in quella Alessandria, novella Atene, patria del redivivo spiritua­
lismo dell’età imperiale7®.

ri Vari, Parusia. Studien zur Philosophie Platons und zur Problemgeschichte des Pia-
tonismus, Frankfurt a.M. 1965, pp. 211 ss.; P. Boyancé, Études philoniennes, « Revue des
Études grecques », LXXVI, 1973, pp. 86 ss.
76 Di Eudoro come di un suo coevo Strabone parla in Geogr., XVII, 5, 790.
77 Per quanto concerne gli autori medioplatonici si vedranno con profitto le seguenti
testimonianze: Plutarco, De sera nun. vind., 550d; De superst., 169e; Albino, Didascalico,
XXVIII, 14, nonché l’introduzione all'opera di Platone o Prologo (cfr. G. Invernizzi,
Il « Prologo » di Albino: introduzione, traduzione e note, « Rivista di Filosofia neo-scola­
stica », LXXI, 1979, pp. 352-361); Apuleio, De Platone, II, 23 , 253; Teone di Smirne, Expo­
sitio, p. 16, 1 ss., ed. Hiller; Massimo di Tiro, Orat., XIII, 1; XXVI, 9 ed. Hobein; Ano­
nimo, Comm. in Piai. Theaet., c. 7, 17 ss. ed. Diels-Schubart; Iunco, in Stob., Anthol.,
IV, p. 1064, 4, ed. Wachsmuth (dissentiamo dalla presunzione di A. Dyroff, Junkos und
Ariston von Keos iiber Greisenalter, « Rheinisches Museum », LXVIII, 1937, pp. 241 ss.,
che ritiene Iunco un aristotelico del III sec. a.C.: i frammenti in nostro possesso sem­
brano attestare quella precisa ispirazione platonica che caratterizza i pensatori sum­
menzionati). Anche i resoconti dossografici che maggiormente risentirono del clima
medioplatonico attestano il recupero della dottrina; cfr. Diogene Laerzio, Vitae Philo­
sophorum, III, 78, e Ippolito, Philosophumena, 19, 17.
71 Cfr. G. Reale, Storia della filosofia antica, cit., IV, pp. 249 ss.; pp. 313 ss.; p. 319.
J. Dillon, Thè Middle Platonists, cit., pp. 114 ss. Ritornando per un attimo sulla tesi
Infine, se consideriamo che Filone — pur operando rincontro storico
tra filosofia ellenica e Rivelazione biblica — privilegiò la Legge mosaica
ritenendola parola di verità eterna, potremmo giungere alla conclusione che
il significato più profondo deH'assimilazione a Dio filoniana appare non solo
radicalmente mutato rispetto a quello del platonismo originario ma anche
trasposto in una nuova temperie spirituale da cui nasce il primo tentativo
di una filosofia della religione di matrice veterotestamentaria79. Nella Gè-
stali della terminologia platonica è riposto VInhalt del messaggio filoniano:
Dio crea l’uomo come immagine del divino e lo chiama al riconoscimento
morale dell'Essere80. Alla libertà e alla gratuità della creazione consegue la
libera e grata risposta dell'uomo di cui l'assimilazione a Dio traccia la
possibilità e l'ideale di salvezza. In altri termini: solo il creazionismo poteva
fondare quei presupposti metafisici dell’itinerario a Dio che il platonismo
lasciò del tutto impregiudicati, a causa di un’aporetica giustificazione filo­
sofica dei rapporti intercorrenti tra essere e dover essere.

che individua in Eudoro l’autore della ripresa e della sistematizzazione della dottrina,
mette conto registrare che il Pohlenz, cauto sostenitore della tesi « pro-Posidonio »,
ritiene, in ultima analisi « del tutto plausibile » la tesi del Doerrie (cfr. La Stoa..., cit.,
I, p. 533, nota 21).
” In sede conclusiva è opportuno rammentare che anche la letteratura biblico-
jjiudaica sviluppa una sua concezione assimilativa e imaginistica, la cui trattazione esula
peraltro dalle finalità del presente lavoro. Rimandiamo pertanto ai seguenti studi:
M. Buher, Nachahmung Gottes, « Der Morgen », 1, 1925, pp. 633-647, ora in Werke. II,
Schriften zur Bibel, Miinchen-Heidelberg 1964, pp. 1055-1065; H. Gross, Die Gottebenbild-
lichkeit des Menschen, in Lex tua veritas, Festschrift fiir Hubert Junker, Trier 1961,
pp. 89-100 (e bibl. ivi cit.); H. Wildberger, Dos Abbild Gottes, « Theologische Zeitschrift »,
XXI, 1965, pp. 245-259.
* Ecco quanto scrive Filone al riguardo, delineando la differenza tra Giuda (il per­
fetto o compiuto) e Issacar (il progrediente): « ...Giuda, che rappresenta Patteggiamento
della riconoscenza, è immateriale e incorporeo; e infatti, la stessa parola “riconoscenza”
è indice di qualcosa che è al di fuori di se stesso. Quando, infatti, l’intelligenza esce da
se stessa e si offre a Dio..., allora essa compie un atto di riconoscimento nei confronti
dell’Essere » (Leg., I. 82).

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