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INTRODUZIONE

Parlare oggi degli angeli può far sorridere alcuni i quali vedono, come

compito esclusivo di queste creature, l'essere messaggeri dell’Altissimo o

semplici sue personificazioni, trascurando che l’angelo ha altri doveri per

aiutare l’uomo a raggiungere la salvezza. La figura angelica ha sempre

suscitato molteplici domande quali, ad esempio: in che modo l’angelo ha

meritato la visione beatifica? Questo messo celeste è da considerarsi un

automa che accetta un ordine in modo incondizionato oppure ha una sua

volontà? Se l’angelo è un semplice messaggero, qual è il suo posto alla fine

dei tempi?

Per cercare una risposta adeguata a queste domande il primo passo può

essere la consultazione delle opere che in qualche modo toccano l’argomento:

dalle fonti bibliche canoniche ai testi apocrifi, dai Padri e dagli Scrittori

Ecclesiastici che vanno dal II al VIII secolo, dagli interventi magisteriali fino

a considerare gli angeli nelle altre religioni. Un posto di grande rilievo ha la

speculazione medievale con i suoi teologi, in particolare Tommaso D’Aquino,

che ha cercato, soprattutto nella Somma Teologica, nelle questioni che vanno

dalla 50 alla 64 (gli angeli nell'opera della Creazione) e dalla 106 alla 113 (il

1
ruolo angelico nel governo provvidenziale delle creature) della Prima Pars, di

dare non solo una risposta esauriente alle domande di sempre, ma ne ha

suscitate ed esaminate altre, approfondendo l'argomento in una sintesi fino ad

allora, e probabilmente ancor oggi, insuperata. Anche per questo ha meritato il

titolo, che spesso adotteremo, di "Dottore Angelico".

Tommaso colloca l’angelo tra Dio e l’uomo, nella ricerca di una

comprensione del cosmo e di una visione soteriologica ed escatologica della

storia. Vedremo come lo studio sugli angeli dell'Aquinate costituisce il punto

delicato d’incontro tra la filosofia e la cultura religiosa umana con la

rivelazione cristiana, rendendolo come un filtro capace di una sintesi armonica

e saggia, senza venir meno alle verità di fede: si pensi all'affermazione della

creaturalità angelica, superamento dell’emanazionismo neoplatonico e dello

gnosticismo, o alla salvaguardia della libera scelta di fronte al dualismo

manicheo riguardo al problema delle origini del mondo e del male.

L'attenta analisi condotta sul pensiero di San Tommaso fa emergere

soprattutto il pensiero maturo della prima parte della Somma Teologica,

rivelando poco utili gli scritti sui Novissimi nel Supplemento, sintesi redatta

da un allievo di San Tommaso a partire dall'opera giovanile del Commento

alle Sentenze di Pietro Lombardo.

2
In questo excursus nella Somma Teologica, ci renderemo conto che una

delle principali preoccupazioni di San Tommaso era di risolvere quei

problemi che la Sacra Scrittura lasciava in penombra o addirittura non

toccava; ovviamente lo stesso trattato, come osserva il padre Centi 1 non è

sempre del tutto limpido e convincente 2, spesso Il Dottore angelico, a causa

dei modesti dati espressi nella Rivelazione, è costretto ad adattare dei principi

di ordine razionale che possiamo reputare validi fino a un certo punto quando

vengono applicati a queste creature superiori. Nonostante tutto, l’opera di San

Tommaso ha dato un carattere sistematico che nessuna scuola teologica,

ancora oggi, riesce ad eguagliare.

Questo lavoro ha come obiettivo di mettere in appropriato rilievo il ruolo

cosmologico e sovrannaturale degli angeli buoni, spesso poco trattatati nelle

varie opere a tutto vantaggio degli angeli cattivi, i quali occupano un posto

rilevante fra i tanti studi esistenti. Si è cercato, perciò, di circoscrivere il

presente studio compilativo agli angeli buoni dividendo tale trattato in due

grandi parti: nella prima parte è stato messo in risalto l’angelo in quanto

creatura, toccando la sua esistenza, la sua natura, il rapporto con lo spazio, la

volontà, l’amore e la gerarchia dei vari ordini angelici. Nella seconda parte

invece si è trattato degli argomenti che toccano l'azione degli angeli sull’uomo

1
Il curatore principale dell'edizione della Somma da noi utilizzata.
2
T. CENTI, La Somma Teologica, vol. IV, ed. A. Salani, p. 156, Firenze 1952.

3
e sulle altre realtà create. In ultimo, si è abbozzata una panoramica

sull’angelologia da San Tommaso ai nostri giorni.

CAPITOLO I

L'ESISTENZA E LA SOSTANZA DEGLI

ANGELI

1.1 L’esistenza angelica

Volendo condurre un discorso sistematico sulle creature angeliche, il primo

quesito che necessariamente si pone, secondo il metodo3 della Somma, è

quello della loro effettiva esistenza 4. Infatti, se passiamo dal campo

strettamente della fede a quello della ragione, dobbiamo subito dire che non

abbiamo prove scientifiche sperimentali che possano dimostrare l’esistenza

degli angeli, perciò, per la pura ragione, l’effettiva esistenza di questi esseri

superiori agli uomini e inferiori a Dio, è un mistero. Tuttavia, su di loro la

stessa ragione si sforza di togliere qualche velo, in quanto ci presenta delle


3
Il metodo che San Tommaso usa nella Somma Teologica consiste innanzitutto nell'enunciare il quesito,
presentare le obiezioni poste storicamente o fittiziamente sull’argomento, infine dare la propria risposta
seguita dalle soluzioni alle difficoltà. In genere egli esordisce con la domanda sull'esistenza (es. De Deo, an
Deus sit, I, q. 2) o sulla sostanza del soggetto da indagare (De substantia angelorum absolute, I, q. 50).
4
San Tommaso per dimostrare l’esistenza degli angeli parlerà di necessità: da un punto di vista razionale, si
tratta solo della sua convenienza.

4
convenienze alla loro esistenza5, né vi sono dei principi generali di ragione

che ci obblighino a negarla.

Risulta ben diversa l’impostazione della questione se viene analizzata

attraverso la prospettiva e il mezzo della fede, la quale ci mostra la loro

effettiva presenza. L’esistenza di esseri sovrannaturali e intermediari tra il

mondo divino e la realtà umana è oggetto di un convincimento molto diffuso

anche al di fuori dell’ambito della rivelazione biblica, come risulta dalle

ricerche sulle antiche religioni dei popoli vicini ad Israele 6. Questa credenza

universale, pur con sfumature diverse, fa parte della visione che i popoli

hanno costruito circa l’universo.

1.1.1 La figura angelica nelle altre religioni e culture extra bibliche

Nell’antica religione assiro-babilonese gli spiriti sono tenuti in gran

considerazione. Essi sono molto numerosi ed esercitano un influsso

determinante sulle vicende umane. Vengono descritti con caratteri personali e

con funzioni proprie; appaiono in forme iconografiche precise e possiedono

un nome proprio. Tra di loro vi sono quelli benevoli come i Karibu accadici, i

quali intercedono per gli uomini; altri invece sono nocivi e maligni7.

5
Naturalmente, e a scanso di equivoci, i fatti medianici e spiritistici, appartenenti al campo dell'irrazionalità,
non permettono di risalire con certezza scientifica all'esistenza di creature intermedie tra l'uomo e Dio.
6
Cfr. M. FLICK, Il Creatore. L’inizio della salvezza, ed. Paoline, Cinisello Balsamo 1964, pp.518-528.
7
A. FINET, Les anges gardiens du Babylonien, ed. RIES, Louvain La Neuve 1989, pp. 37-52.

5
Nella religione dell’antico Egitto ritroviamo molti spiriti considerati

divinità inferiori, che formano la corte celeste e sorvegliano il mondo

sotterraneo degli spiriti dei morti. Alcuni di loro sono buoni, ma perlopiù sono

esseri pericolosi e ostili, male intenzionati nei confronti del genere umano8.

La religione persiana, imbevuta di dualismo, ammette l’esistenza sia dello

spirito malvagio, Ahriman, con i suoi demoni, sia dello spirito salvatore,

Ahura Mazda, dio buono che guida una schiera di angeli. Fra i due spiriti si

stabilisce una lotta accanita, fino a quando prevale lo spirito buono grazie alla

collaborazione dell’uomo con la preghiera, il sacrificio, la lotta. Gli spiriti

buoni presentano dei tratti di somiglianza con i sette spiriti che stanno davanti

alla gloria di Jahwé 9.

Nella cultura ellenica άγγελος è colui che reca un messaggio 10. Nella

riflessione filosofica e teologica di Filone, άγγελος viene collegato al λόγος 11.

Aristotele ammette l’esistenza di esseri, sopra il cielo, che non sono soggetti a

mutazioni o a passioni e conducono una vita eterna 12. Considera questi esseri

intelligenze inferiori al primo motore immobile; essi muovono i cieli e

8
R. LAVATORI, Gli angeli, ed. Marietti, Genova 1991, p. 20.
9
P. D. CHANTEPIE DE LA SAUSSAYE, Il libro delle religioni antiche, GLNT, p. 230.
10
W. GRUNDMANN, άγγελος nella grecità e nell’ellenismo, GLNT, p. 195.
11
Ibidem, pp. 200-201.
12
V. ARISTOTELE, Le opere. De Coelo, 1.1, c.9, ed. La Terza, Bari 1973, pp. 359-360.

6
possiedono qualità divine13. La religione romana parla di esseri celesti

protettori della natura, insieme al culto reso a personaggi illustri o ad eroi 14.

Nel Corano si parla spesso degli angeli, della loro natura e missione.

L’esistenza degli angeli è un articolo di fede per l’Islam; si possono

distinguere tre specie di esseri invisibili: gli angeli, i Dijnns (geni) e i Shayatin

(demoni),che hanno la medesima natura ma differiscono quanto a grado,

funzioni e attributi15.

1.1.2. Terminologia biblica

Con il termine, dunque, di “angeli”, si designano questi esseri misteriosi,

ordinariamente e per essenza invisibili, tanto diversi da tutte le altre creature.

Nel Vecchio Testamento li troviamo designati con tanti nomi 16, ma il più

usato è quello di mal àk. Questo termine è simile alla parola araba la’ak, che

significa mandare uno con un incarico17. Da questo possiamo dedurre che il

suo significato fondamentale è proprio quello di inviato o messaggero, riferito

originariamente più alla missione che al personaggio incaricato. Il termine può

essere inteso in due accezioni: un messaggero umano inviato da un uomo o da

13
Ibidem. Le opere Metaph., XII, c.7, ed. La Terza, Bari 1973, p.242.
14
Cfr. R. LAVATORI, Op. cit., p. 24.
15
Corano, Sura 55,15; 69,17; 74,34, ed. Fabbri, Milano 1997.
16
Vengono chiamati: "l’esercito celeste" (I Re 22, 19; Sal 148, 2; Ne 9,6) ; "servi" (Gb 4, 18); "santi di Dio"
(Gb 5 1; 15, 15; Sal 29, 1; Dn 32,8) e anche "figli di Dio" (Dt 32, 8; Sal 29, 1; 89, 7).
17
G. VON RAD, Mal’ak nell’Antico Testamento, GLNT, pp. 202-203.

7
Dio, oppure un essere celeste al quale Dio ha affidato un incarico o una

missione. Lo stesso significato si ritrova nella parola greca άγγελος, riferita

sia ad un messaggero umano sia ad un essere superiore. I latini a loro volta

distinsero con nuntius l’uomo messaggero e con angelus l’essere celeste

inviato da Dio.

1.1.3 Lo sviluppo della figura angelica nelle Sacre Scritture

Nell’arco dell’Antico Testamento si possono distinguere tre fasi che

consentono di cogliere il progressivo sviluppo della comprensione circa la

natura e l’operato degli angeli. La prima fase può essere definita come la

concezione primitiva, infatti, troviamo in tutti gli scritti veterotestamentari la

figura del ml’k jhwh, l’angelo di Jahwé18. Tra loro l’angelo del Signore è una

speciale manifestazione di Dio, in cui si evidenzia una straordinaria vicinanza

tra Dio e l’angelo, tanto che spesso non è possibile distinguere esattamente,

nel medesimo testo, l’uno e l’altro19.

La seconda fase coincide con l’interpretazione data prima dell'esilio.

Questo stadio comincia con il periodo dei Re, in cui viene istituzionalizzata la

dimensione guerriera del periodo della conquista, si fa strada la concezione

del regno e del potere. Da qui l’idea delle schiere di angeli o di eserciti celesti
18
Gen 16, 7-14; 21, 17-19; 22, 11-13; Es 3, 2-6.
19
Gen 16, 7-13.

8
quali espressioni della sovranità e della potenza di Dio. Si sviluppa ancora di

più la figura dell’angelo del Signore, il quale però non viene più identificato

con Dio, ma assume caratteristiche precise che lo contraddistinguono.

Infine il periodo posteriore all'esilio, in cui si riscontra una concezione degli

angeli molto arricchita a causa della vicinanza con la cultura babilonese e con

altre religioni20. In questa fase si sottolinea ancor più la trascendenza di Dio,

l’angelo diviene l’unico intermediario tra l’uomo e il suo creatore 21. Un

aspetto nuovo, in questa fase, è costituito dall’angelo come interprete, poiché

egli si pone fra l'uomo e Dio, il quale non parla più direttamente al veggente o

al profeta ma lo illumina e istruisce tramite l’angelo22.

Nel Nuovo Testamento permane la concezione veterotestamentaria degli

angeli come rappresentanti del mondo celeste e messaggeri di Dio23. Uno

parallelo sviluppo della figura angelica si delinea negli scritti apocrifi, i quali

superano la sobrietà canonica, inoltrandosi in ampie speculazioni; nel Libro di

Enoc, ad esempio, gli angeli vengono descritti con ali, patiscono la fame, la

sete, possono riprodursi per generazione e vengono divisi in categorie24.

20
G. VON RAD, l. cit., GLNT pp. 213-215.
21
Cfr. J. MICHL, Gli angeli nell’Antico Testamento e nei libri extracanonici del tardo giudaismo, DTBB, pp.
98-99.
22
Zc 1, 9; 4, 1; 5, 5; Ez. 40, 3; 43, 6; 47, 3-6; Dn 8, 16.
23
Lc 12, 8; 15, 10; Gv 1, 51, Mt 1, 20; 2, 13; 4, 11.
24
J.MICHL, Gli angeli nell’Antico Testamento e nei libri extracanonici del tardo giudaismo, DTBB, p. 104.

9
1.1.4 L’esistenza degli angeli nei Padri della Chiesa e nel Magistero

Anche i Padri della Chiesa parlarono della loro esistenza: Clemente Romano

nell’Epistola ai Corinzi afferma: “Assoggettiamoci alla volontà di Dio e

diligentemente consideriamo tutta la moltitudine dei suoi angeli, in che modo,

pronti eseguiscano la sua volontà”25. Il Pastore di Erma, spiegando una

visione, dice: “Questi sono santi angeli di Dio, che per primi sono stati

creati”26. Origene, a sua volta, scrive “Vi è anche questo nella predicazione

ecclesiastica, che vi sono angeli di Dio, alcune buone potenze, i quali gli

servono per portare a termine la salvezza degli uomini” 27. San Giovanni

Crisostomo in un suo discorso esclama: “In che modo, di grazia, fece le

immense virtù, le torme celesti degli angeli e degli arcangeli e le schiere

superiori a questi?”28. San Giovanni Damasceno afferma che gli angeli sono

creature che Dio ha creato dal nulla, a sua immagine29.

Il simbolo di fede promulgato a Nicea nel I Concilio ecumenico (325) poi

confermato nel concilio di Costantinopoli (381), afferma, contro le dottrine

dualiste, che Dio ha creato tutte le cose visibili e invisibili 30. La Chiesa si
25
“Voluntati eius subiciamur et multitudinem universam angelorum eius diligenter consideremus quomodo
adstantes voluntatem eius exsequantur”, CLEMENTE ROMANO, Epistula ad Corinthios, 34, 5, traduzione latina
dell'EP, 17.
26
“Hi sunt, inquit, sancti angeli Dei, qui primi creati sunt”, PASTORE DI ERMA, traduzione latina dell'EP 83.
27
ORIGENE, Perì archon, I 6, 2, SCh 52
28
“Quomodo, quaeso, fecit virtutes immensas, turmas caelestes angelorum et archangelorum, superioraque
his agminia?” S. GIOVANNI CRISOSTOMO Sermones panegirici de resurrectione mortuorum, 7, traduzione
latina dell'EP 1141.
29
S. GIOVANNI DAMASCENO, De fide orthodoxa, 2, 3, EP 2350.
30
Denz n.150.

10
pronuncerà ancora sulla loro effettiva esistenza, ma le controversie

nasceranno sulla composizione ilemorfica degli angeli.

Su questo argomento i pareri sono contrastanti fra di loro. San Giovanni

Damasceno nel De Fide Orthodoxa presenta due tesi per dimostrare che

l’angelo è corporeo: nella prima tesi paragona l’angelo all’uomo, e si nota che

l’angelo è del tutto incorporeo; quando però paragona l’angelo a Dio, emerge

tutta la sua "corporeità". La seconda tesi parte da una personale

interpretazione del moto presentata in Aristotele31, secondo il quale ogni corpo

creato può muoversi, perciò riguardo all'angelo, essendo sostanza intellettuale

sempre mobile, si può parlare di corporeità.

Anche Sant’Ambrogio nega la possibilità che ci siano esseri assolutamente

incorporei, infatti, per il santo vescovo, soltanto Dio è l’essere incorporeo 32.

1.1.5 Gli angeli in S. Tommaso

Di diverso parere si manifesta il pensiero di S. Tommaso, il quale afferma

innanzitutto che le sostanze incorporee si trovano nel mezzo tra Dio e l’uomo.

Se vengono paragonate a una di queste due categorie, emerge che

assomigliano a quella opposta. L’Aquinate ribadisce, nella Somma

31
ARISTOTELE, Le opere, 1, Physiché, c. 4, l, 5, ed. Laterza Bari 1973, p. 84.
32
“Omnis creatura certis suae naturae circumscripta est limitibus”, S. AMBROGIO, De Spiritu Sancto c 1, 7,
ed. Fabbri, Milano 1997, pp. 159-160.

11
Teologica33, che Dio per la perfezione dell’universo ha prodotto delle creature

puramente intellettuali, e l’intellezione non è una facoltà corporea; la

corporeità è limitata nello spazio e nel tempo, da questo si deduce che

ammettere la presenza degli angeli rientra nell’economia della perfezione

dell’universo. San Tommaso non si ferma soltanto a specificare che la

sostanza degli angeli è incorporea, ma continua nel rispondere ad alcuni errori

che in passato non erano stati confutati in modo soddisfacente e che nel

Medioevo minacciavano l’ortodossia cattolica.

Il primo di questi problemi era se considerare gli angeli dei puri spiriti

oppure formati di materia e forma. Il Concilio di Costantinopoli del 553 si

oppose al pensiero origenista, il quale negava agli angeli la natura di puri

spiriti. Le stesse Sacre Scritture34 non chiariscono in modo definitivo il

problema. Se passiamo invece alla Tradizione, ci troviamo davanti a posizione

incerte e spesso addirittura ambigue.

Alcuni Padri, formatisi sotto l’influsso della filosofia stoica e di quella

platonica35, furono indotti ad attribuire agli angeli una materia aerea,

sottilissima e invisibile per riservare a Dio soltanto la qualificazione di puro

33
ST I, q. 50, a. 1.
34
Vedi le apparizioni e le sparizioni riferite all’angelo Raffaele nel libro di Tobia (Tb 3, 17; 5, 23; 6, 1-6; 12,
21)
35
La filosofia stoica affermava che tutti gli individui hanno una natura corporea; mentre la filosofia platonica
affermava che gli spiriti sono rivestiti di corpi.

12
spirito36. Altri Padri occidentali, invece, concepirono una corporeità sui

generis, affermando che gli angeli sono materiali di fuoco o di etere: intesero

forse queste parole in senso analogo e non contraddittorio alla vera

spiritualità37. Altri ancora, si mostrarono più decisi affermando l’assoluta

spiritualità degli angeli38. Molto più Tardi, nel concilio Laterano IV, la Chiesa

affermò che gli angeli sono spiriti senza corpo39.

Un ulteriore problema viene introdotto dal pensiero di Avicebron, espresso

nel libro Fons Vitae, il quale sosteneva che se una sostanza riceve una forma

per essere distinta, questa ne costituisce la materia; in questo Avicebron

dichiarava che è identica la materia degli esseri spirituali e di quelli corporei 40.

San Tommaso risponde nella Somma Teologica41 mettendo in risalto una

profonda differenza tra l’oggetto dell’intelligenza umana, che è l’essenza delle

cose materiali, e l’oggetto dell’intelligenza angelica, che è l’essenza delle cose

universali, per cui si deve ammettere che la natura dell’angelo è assolutamente

differente dalla natura dell’uomo. Inoltre, rifiutando all’intelligenza angelica

altro oggetto diretto all’infuori dell’universale, si devono considerare gli

angeli come esseri senza alcuna mescolanza di materia. Da questo si evince


36
GIUSTINO, 2 Apol.2, 5, PG 6, 451; AMBROGIO, De Virginitate, I 8, 53, CSEL 64, 207; CASSIANO
Collationes 7, 13, SCh 42, 56.
37
BASILIO, De Spiritu Sancto XVI, 38, PG 38,1038A. GREGORIO NAZIANZENO, Orationes, 38, 9, in EP 989;
GIOVANNI DAMASCENO, De Fide ortodoxa 2, 3, PG 94, 865, A.
38
Eusebio di Cesarea afferma che gli angeli senz’altro sono puri spiriti privi di materia (Demonstratio
evangelica 4, 1, EP 667).
39
Denz n. 739.
40
R. LAVATORI, Op. cit., p. 132.
41
ST I, q. 50, a. 2.

13
che gli angeli non solo sono incorporei, ma che non sono composti di materia

e forma. Contro coloro che trovavano difficoltà nell’accettare gli angeli come

puri spiriti, per timore di confonderli con Dio, San Tommaso mostra che c’è

un invalicabile differenza con Dio per il fatto che nell’angelo rimane ancora la

composizione metafisica di atto e di potenza e questa composizione distingue

nettamente ogni creatura dal Creatore42.

1.2 Il numero e la specie angelica

Dopo aver trattato della loro sostanza, l’Aquinate, nella Prima parte della

Somma Teologica, questione cinquanta, all’articolo tre, esamina il tema del

numero degli angeli, chiedendosi anche se ci sono specie diverse tra loro.

Riguardo al numero, nella prima metà del secolo XIII serpeggiava la tesi

averroistica che postulava l’impossibilità di una molteplicità numerica delle

sostanze immateriali nell’ambito della medesima specie. Al Dottore Angelico

non bastava la testimonianza che le Sacre Scritture apportavano nei numerosi

passi43, ma volle chiarire in modo definitivo il problema sostenendo

l'incomparabile numero degli esseri puramente intellettuali. Egli afferma:

42
Ibidem.
43
“Angeli di Dio che salivano e scendevano” Gen 28, 12; “Mille migliaia lo servivano e diecimila miriadi lo
servivano ” Dn 7, 10; “Il Padre mio mi darebbe subito dieci legioni di angeli” Mt 26, 53; “Miriadi di angeli ,
all’adunanza festosa”, Eb 12, 22; “Molti angeli attorno al trono” Ap 5, 11.

14
Negli angeli non esiste quella specie del numero che è causata dalla
divisione del continuo, ossia la quantità aritmetica (…). La natura
angelica a motivo della sua vicinanza con Dio, deve avere il minimo di
complessità nella sua costituzione, ma non richiede affatto di trovarsi in
pochi individui44.

L’altro problema sollevato dagli averroisti era sulle specie differenti degli

angeli. Già in passato Origene affermava che tutte le sostanze spirituali,

comprese le anime, appartengono ad un’unica specie45. San Bonaventura, poi,

sosteneva che tutti gli angeli sono di un'unica specie, mentre diversa sarebbe

la specie delle anime46.

San Tommaso, nella Somma Teologica, nella questione cinquanta,

all’articolo quattro, trova la soluzione. Ispirandosi alla filosofia aristotelica,

afferma che gli angeli non possono moltiplicarsi entro la stessa specie: manca

il principio di distinzione numerica, ossia la materia contrassegnata dalla

quantità. Non possono esserci due angeli della stessa specie. Tante sono le

specie angeliche quanti sono gli angeli. Tale diversità viene a coincidere con

una disuguaglianza naturale, poiché le differenze che dividono il genere sono

contrarie, ed i contrari stanno fra loro come perfetti a imperfetti, sicché gli

angeli differiscono tra di loro secondo i vari gradi della natura intellettiva47.
44
ST I, q. 50, a. 3, ad 1um et 2um.
45
ORIGENE, Peri Archon, ,SCh I, 8, 61.
46
BONAVENTURA, II sententia, d. 3, Commentari al libro delle Sentenze, in Opere di San Bonaventura, ed.
Quaracchi, Madrid 1882.
47
ST I, q. 50, a. 4, c. et ad 1um.

15
1.3 L’incorruttibilità e l’immortalità angelica

L’ultimo problema legato alla sostanza degli angeli, è la loro immortalità.

Potrebbe sembrare un pleonasmo, ma non lo è.

In materia strettamente teologica, il Diekamp considera prossima alla fede

l’immortalità degli angeli48. Anche il Concilio Laterano V asserisce che la

sostanza degli angeli è immortale49. La ragione sta nel fatto che attribuire

l’immortalità alla sostanza, sia pure degli angeli, è questione filosofico-

teologica, che lascia spazio ad opinioni diverse. Dalle Sacre Scritture non

possiamo trovare argomentazioni tali che possano aiutarci a risolvere il

problema che già si presentava ai primi Padri. Secondo San Gregorio Magno,

l’intervento dell’Onnipotente permette di conservare tutte le cose dalla

possibile corruttibilità50.

San Giovanni Damasceno, per mettere in risalto l’indistruttibilità di Dio,

afferma che l’angelo è una sostanza immortale per grazia e non per natura51.

48
F. DIEKAMP, Theologiae dogmaticae manuale, vol. 3, Desclée, Roma 1933, p. 131.
49
“De natura praesertim animae rationalis, quod videlicet sit, aut unica in cunctis hominibus” Denz n.738.
50
GREGORIO MAGNO, 16 Moral, 3, 7, PL 76, 1250 B.
51
GIOVANNI DAMASCENO, De Fide ortodoxa, II, PG 94, 861 C.

16
Secondo San Tommaso l’Angelo sfugge alla legge della morte, che

presiede all'evoluzione degli esseri materiali, sostanzialmente composti; di qui

la sua immutabilità e incorruttibilità intrinseche, e non dovute soltanto alla

volontà divina. L’essere compete alla forma per sé stessa, mentre la materia

non è in atto che attraverso la forma. Il composto di materia e forma cessa

dunque di esistere con il separarsi della forma dalla materia. Se però, come

negli angeli, la forma sussiste per sé stessa, non può perdere evidentemente

l’essere52.

La Chiesa, col passar dei secoli, ha vinto tutte le resistenze che venivano

mosse a San Tommaso; soprattutto la settima ed ottava delle XXIV Tesi

promulgate da San Pio X:

VII. Nella sua essenza, la creatura spirituale, è in tutto una; ma


rimane duplice nella composizione: l'essenza con ciò che è, le sostanze
con gli accidenti.
VIII. Inoltre la creatura corporale rispetto alla sua essenza è
composta da potenza ed atto; le quali potenza ed atto, nell’ordine
dell’essenza, sono designati coi nomi di forma e materia, ovvero,
passando alla categoria dell’essenza, potenza e atto cambiano nomi53.

Nel Catechismo della Chiesa Cattolica viene definitivamente accettata la

teologia tomista sugli angeli, infatti leggiamo: “In quanto creature puramente

52
ST I, q. 50, a.5.
53
Denz. nn. 3607-3608.

17
spirituali, essi hanno intelligenza e volontà: sono creature personali e

immortali. Superano in perfezione tutte le creature visibili”54. Giovanni Paolo

II nelle sue catechesi svolte tra il 9 Luglio e 20 Agosto del 1986, riprende il

concetto espresso dal Concilio Vaticano I, ribadisce la loro esistenza e ricorda

i gruppi che anche ai tempi di Gesù, come i Sadducei, la negavano55.

54
CCC N°330.
55
GIOVANNI PAOLO II, Gli angeli. Catechesi al popolo di Dio, ed. Michael, Foggia 1986.

18
CAPITOLO II

GLI ANGELI A CONTATTO CON LO SPAZIO

2.1 la corporeità degli angeli

Nella summenzionata questione 50 della Prima Parte San Tommaso ha

dimostrato l’esistenza degli angeli, ora il suo intento è quello di far

comprendere come un angelo possa stabilire una relazione con lo spazio. Se

partiamo dal concetto che l’angelo è puro spirito, si arriva a dire che non ha

bisogno di un corpo per trovare il suo completamento; in questo modo però, si

presenta il problema in che modo possa entrare a contatto con la realtà terrena.

San Tommaso ha dedicato, nella Somma, tre questioni della Prima parte, dalla

51 alla 53, ed i loro nove articoli complessivi per rispondere in modo

esaustivo a questo problema.

Nella questione 51, il Dottore angelico tratta del rapporto tra l’angelo ed i

corpi. Alcuni Padri, per salvaguardare la nozione di immaterialità e

19
incorporeità in Dio, affermarono la naturale unione degli angeli a dei corpi 56.

Sant’Agostino riprendendo il testo di Genesi 18, 16 asserisce che gli angeli

apparvero ad Abramo mediante corpi57. L’Aquinate sostiene, invece, che

l'angelo non può essere unito naturalmente ad un corpo, e ciò risulta dalla

stessa natura dell’angelo perché, in quanto puro spirito, è già completo in sé

stesso, quindi non può trovare la sua completezza nell’unione sostanziale con

un corpo, come invece si verifica per l’anima umana. La ragione più profonda

del diverso ordine e della distinzione in rapporto all’anima umana consiste nel

fatto che l’angelo, per acquistare le sue idee, non ha bisogno di astrarle dalle

cose sensibili, e quindi di servirsi di un corpo, al contrario di quanto invece si

verifica per le facoltà intellettive umane58.

Nel costruire la sintesi teorica sugli angeli, San Tommaso parte dal

presupposto della loro sostanziale attualità e perfezione d’ordine conoscitivo.

In virtù di questa perfezione, gli angeli non possono essere uniti ai corpi.

Tuttavia, bisognava dare una spiegazione alle apparizioni di cui parla la Sacra

Scrittura, e il nostro teologo così riassume l'obiezione scritturistica:

Talvolta la Scrittura ci parla di apparizioni di angeli veduti


indistintamente da tutti. Così gli angeli apparsi ad Abramo furono visti
da lui, da tutta la sua famiglia, da Lot e dai cittadini di Sodoma. Anche
56
AGOSTINO, De Genesi ad litteram libri 12, PL 34, 245 GREGORIO MAGNO, Homil. in Evang., 1, PL 76,
1079A
57
AGOSTINO, La città di Dio, 6, 7, ed. Bompiani Milano 2001, pp. 321-325.
58
Cfr. ST I, q. 51 , a.1

20
l’angelo apparso a Tobia era veduto da tutti. È chiaro dunque che tutte
queste apparizioni furono oggetto di visione corporea, con la quale si
coglie una cosa esterna a chi vede, perciò a tutti. Ma per mezzo di tale
visione non si può cogliere se non ciò che è corporeo. Ora, perché gli
angeli, come si è visto non sono corpi e neppure sono uniti
naturalmente a dei corpi, si deve concludere che essi talora assumono
dei corpi59.

Le apparizioni vengono, nella soluzione alla prima difficoltà dello stesso

articolo, chiarite da San Tommaso: “Gli angeli non per se stessi hanno

bisogno di un corpo assunto, ma per noi; poiché trattando familiarmente con

gli uomini, rendono certa a questi ultimi quella compagnia spirituale che gli

uomini attendono di conseguire con essi nella vita futura”60. Procedendo

nell’analisi di questi corpi assunti occasionalmente dagli angeli, l’Aquinate

risponde, con il quarto articolo della questione cinquantuno, alla possibilità di

esercitare operazioni vitali attraverso questi corpi. Egli sottolinea come gli

angeli siano incapaci di creare alcun essere, sia pure come semplici ministri di

Dio. La creazione è, infatti, attribuibile solo a Dio; gli angeli non potrebbero

agire direttamente neppure sulla materia prima per produrre dei corpi, perché

non hanno l’onnipotenza divina, e non sono forme capaci di unirsi alla

materia, né agli agenti corporali.

59
ST I, q. 51, a.2, c.
60
ST I, q. 51, a.2, ad 1um.

21
Essi possono solamente imprimere ai corpi un movimento locale e per

mezzo di questo movimento produrre con l’aiuto di agenti materiali gli altri

cambiamenti corporei61.

2.2 Come l’angelo si trovi in un luogo

San Tommaso nella Somma Teologica, alla questione connessa se l’angelo

possa essere in un determinato luogo62, pur rispondendo affermativamente, fa

però osservare che il modo angelico di essere nel luogo è del tutto diverso da

quello in cui vi si trova un corpo. La componente principale per il corpo,

quando stabilisce un contatto, è la sua quantità spaziale; mentre per l’angelo la

componente principale è la quantità virtuale, in quanto egli applica la sua

virtù, in qualunque modo ciò possa avvenire63.

La risposta che il Dottore angelico dà nella Somma Teologica alla

questione se l’angelo possa trovarsi contemporaneamente in più luoghi64,

aggiunge un complemento importante all'argomentazione precedente, sicché

egli scrive:

61
ST I, q. 51, a.3.
62
ST. I, q. 52, a .1
63
Ibid.
64
ST I, q. 52, a. 2

22
L’angelo è dotato di una virtù finita, ed essendo finita, non si estende a tutti
gli esseri, ma soltanto a qualcuno determinato. Perciò, come l’universalità
dell’essere può venir considerata un tutto unico alla virtù universale di Dio,
così anche gli esseri particolari devono potersi considerare un tutto unico
rispetto alla virtù dell’angelo. Ne segue che, essendo l’angelo localizzato in
forza dell’applicazione della sua virtù ad un dato luogo, non possa trovarsi
dovunque, né in più luoghi, ma in un luogo soltanto65.

La questione 52, con l’articolo 3 e tutta la questione 54, trovarono grande

perplessità nei teologi dell’università di Parigi, i quali vi si opposero

fermamente. Secondo il Dottore angelico, più angeli non possono trovarsi

nello stesso luogo. Per comprendere questa risposta si deve tener presente che

in tanto l’angelo è presente in un luogo in quanto egli vi applica la sua potenza

operativa e con ciò in qualche modo riempie quel luogo, perciò è impossibile

che vi siano due cause immediate e complete di una stessa identica cosa.

L’angelo si trova in un luogo in qualità di perfetto contenente quando applica

ad esso la propria virtù, quindi in uno stesso luogo non si può trovare che un

unico angelo66. Questa affermazione sembrava in netto contrasto con le Sacre

scritture dove si parla della presenza di più demoni in un medesimo

soggetto67. Naturalmente il testo evangelico citato non poteva sfuggire a San

Tommaso d'Aquino; egli effettivamente lo spiega, nell’articolo tre della

65
Ibidem
66
ST I, q. 52, a. 3.
67
Lc 8 ,30.

23
questione cinquantadue della Somma Teologica, in armonia con la sua teoria,

dicendo che non si può parlare della presenza formale di più angeli -o demoni-

nello stesso soggetto: i demoni che costituivano “ la legione” dentro il corpo

di quel soggetto, vi avevano quindi ciascuno una localizzazione particolare, in

tante distinte funzioni e facoltà68.

Secondo Tommaso, non si tratta di semplice dislocazione della sostanza

angelica nella sua finitezza di creatura, ma di immediata applicazione delle

sue energie spirituali, per il raggiungimento di determinati effetti. Ora, se si

ammette che ogni essere spirituale ha un’efficacia completa sugli esseri

inferiori, si viene ad escludere necessariamente la concomitanza formale di

più agenti completi nel medesimo luogo. La posizione del Dottore Angelico è

enunciata nei seguenti termini:

Dal momento che l’Angelo si trova in un luogo per il contatto della


sua virtù, ne segue necessariamente che il moto locale dell’angelo non
fa altro che il succedersi di tali contatti su luoghi diversi poiché non
può trovarsi simultaneamente in più luoghi, come si è visto sopra. Ma
non è necessario che questi contatti abbiano una continuità. Può darsi
tuttavia in questi contatti anche una certa continuità. Infatti niente
impedisce (….) che, come un corpo, si trovi applicando a tale scopo
divisibile la sua virtù. Allo stesso modo, può anche abbandonare

68
ST I, q. 52, a. 3.

24
istantaneamente tutto il luogo per unirsi istantaneamente a tutto un
altro luogo e in questo caso il suo moto non sarà continuo69.

Tuttavia, questa esposizione chiara e persuasiva non soddisfece diversi

teologi, e continuarono le difficoltà dei commentatori antichi e degli

oppositori, seguaci di altre scuole. A San Tommaso interessava sottolineare

che l’angelo non si trova in un luogo circoscritto e cioè che, essendo una

sostanza semplice, non si diffonde per parti, in modo che ogni sua parte possa

corrispondere ad una parte della qualità corporea; d’altro canto sottolinea che

la finitezza dell’angelo non può essere onnipresente.

San Tommaso mostra lo scrupolo di precisione metafisica anche

nell’articolo successivo della Somma Teologica, dove si interroga se l’angelo

per passare da un luogo a un altro, sia costretto a percorrere lo spazio

intermedio. Egli risponde:

Come già è stato spiegato, il moto locale dell’angelo può essere


continuo e discontinuo. Se dunque si tratta di moto continuo, l’angelo
non può muoversi da un estremo all’altro senza percorrere lo spazio
intermedio (…). Ma quando il suo moto non è continuo, l’angelo può
passare da un estremo all’altro senza percorrere lo spazio intermedio.
Ed ecco la spiegazione. Fra due estremi, qualunque essi siano, ci sono
infiniti luoghi intermedi: luoghi divisibili e luoghi indivisibili, la cosa
è chiara: poiché tra due punti qualsiasi ci sono infiniti punti intermedi,

69
ST I, q. 53 a.1.

25
non potendo due punti susseguirsi l’uno all’altro, senza un punto
intermedio, come dimostra Aristotele. Quanto poi ai luoghi divisibili si
deve affermare la stessa cosa. E se ne ha la dimostrazione esaminando
il moto continuo dei corpi. Il corpo infatti non si muove da un luogo
all’altro se non in un tempo determinato. Ora, in tutto il tempo che
misura il moto di quel corpo non si possono trovare due istanti, nei
quali il corpo in movimento non sia in due luoghi diversi: perché se
per due istanti si trovasse in uno stesso luogo, ne seguirebbe che in
quel momento sarebbe stato fermo. (…) Per il fatto quindi che tra il
primo e l’ultimo istante del tempo che misura il moto vi sono infiniti
istanti, è anche necessario che tra il primo luogo, da cui comincia il
moto, e l’ultimo, in cui il moto si arresta, vi siano infiniti luoghi70.

La risposta che l’Aquinate dà nel considerare l’angelo capace di passare da

un luogo all’altro in un istante si riallaccia totalmente all’articolo

precedentemente trattato, e dopo un lungo ragionamento, egli termina: “Ne

segue che il moto dell’angelo si svolge nel tempo: nel tempo continuo, se il

moto è continuo; nel tempo non continuo, se il moto non è continuo poiché la

continuità del tempo deriva dalla continuità del moto, come insegna

Aristotele”71.

70
ST I, q. 53, a. 2.
71
ST I, q. 53, a. 3.

26
CAPITOLO III

LA CONOSCENZA ANGELICA

3.1 Natura della conoscenza degli angeli.

L’angelo è dotato di una pura intelligenza e una pura volontà che

scaturiscono dalla natura stessa di creature spirituali. A farci comprendere

quanto esse siano grandi e perfette, spesso i testi Sacri ci vengono in aiuto 72.

Nonostante ciò, anch'essi fanno parte delle creature di Dio e anche per gli

angeli s’impongono necessariamente dei limiti. Vagaggini ricorda: “La

scienza degli angeli è limitata e ammette progressi” 73. I limiti si riferiscono

alle cose stesse di Dio del quale non conoscono completamente il pensiero né

possono prevedere infallibilmente i futuri liberi. San Tommaso, per avviarci

alla comprensione della conoscenza angelica, fissa alcuni principi filosofici

sull’intelligenza dell’uomo e il suo esercizio. L’oggetto dell’intelligenza

umana è l’essenza delle cose materiali74. L’intelligenza ha perciò solo

indirettamente come oggetto il concreto, il singolare: questo è invece oggetto


72
Mt 24, 36; Ez 1, 6 ss.; Ap 4, 8.
73
C. VAGAGGINI, Angelo nel nuovo testamento, in Enciclopedia Cattolica I, p. 1248.
74
ST I, q. 12, a. 11.

27
diretto dei sensi. L’azione dell’oggetto è quello di informare l’intelligenza e

trasformarla. Da questo si deduce che la conoscenza è oggettiva e vera.

San Tommaso tratterà largamente della conoscenza angelica nella Somma

Teologica dalla questione cinquantaquattro fino alla cinquantotto lungo ben

ventisei articoli. I primi interrogativi sollevati li potremmo definirli a carattere

ontologico, infatti il Dottore angelico nel primo articolo della questione

cinquantaquattro si propone di considerare “se l’azione d’intendere

dell’angelo sia la sua stessa sostanza o essenza”75. La risposta dell’Aquinate è

categorica:

E’ impossibile che l’azione dell’angelo, o di un’altra creatura, ne


sia sostanza o essenza. L’azione, infatti, è l’atto di una facoltà (…),
ora, è impossibile che una realtà la quale non è atto puro ed ha
qualcosa di potenziale sia la sua propria attualità, poiché l’attualità è
contrario della potenzialità. Ma soltanto Dio è atto puro. Quindi
soltanto in Dio la sostanza è il suo essere e il suo agire76.

San Tommaso giunge alle stesse conclusione quando considera l’esistenza

dell’angelo. Anche in questo caso solo in Dio s’identifica l’essere con la sua

azione d’intendere, mentre in ogni creatura l’intendere è solo un’espressione

dell’essere, senza identificarsi con questo77.

75
ST I, q. 54, a.1
76
Ibidem
77
Cfr. ST I, q. 54, a.2.

28
L’analisi che il Dottore angelico propone, nel terzo articolo della questione

54, appare analoga all’articolo appena affrontato. Infatti, sinora ci si era

domandato se l’azione d’intendere si potesse identificare con la sua esistenza,

ora invece si vuole sapere se la facoltà intellettiva può identificarsi con la sua

essenza. La risposta che San Tommaso dà è prettamente di carattere

metafisico, affermando: “Nell’angelo, come in ogni altra creatura, la virtù o la

potenza operativa non s’identifica con l’essenza” 78. Siccome la potenza è

ordinata all’atto, bisogna perciò distinguere le diverse potenze secondo gli

atti. Conclude l'Angelico: “Se l’azione d’intendere dell’angelo non s’identifica

con la sua essenza, necessariamente non può identificarsi con questa essenza

la facoltà con cui scaturisce quell’azione d’intendere e cioè l’intelletto

angelico”79.

Nell’angelo, oltre la facoltà intellettiva, non vi sono altre facoltà

conoscitive come invece accade nell’uomo, il quale possiede le facoltà

organiche conoscitive, come la vista, l’udito ecc. Queste facoltà sono presenti

in noi in quanto la nostra anima è unita naturalmente a un corpo, con il quale

si compiono azioni che ci perfezionano. Siccome l’angelo non è unito

78
ST I, q. 54, a. 3.
79
Ibidem.

29
naturalmente ad un corpo, non può avere le facoltà che provengono solo

dall’unione naturale e sostanziale con il corpo80.

3.2 Il mezzo della conoscenza angelica

Ad una più accurata disamina delle facoltà angeliche fa riscontro

l'intervento di diverse scuole filosofiche e teologiche e di più branche della

filosofia. San Tommaso applica, in questo campo, i concetti filosofici della

psicologia aristotelica ponendo le differenze fondamentali tra l’intelletto

dell’uomo e quello delle intelligenze angeliche.

La prima domanda che il Dottore angelico si pone nella questione

cinquantacinque della Somma Teologica, è se gli angeli conoscano mediante

la loro sostanza. Per San Tommaso soltanto la conoscenza di Dio può essere

illimitata perché ha una essenza infinita, mentre nell’angelo abbiamo una

essenza limitata alla sua specie individuale e non può conoscere in sé stesso

ogni cosa: solo l’intervento di Dio gli infonde questa visione 81; Tommaso

continua:

Gli esseri che sono inferiori agli angeli, si trovano in un certo senso
nella sostanza dei medesimi, non però in una maniera perfetta, né
secondo la propria ragione di essere; ma secondo certi aspetti generici
80
ST I, q. 54, a. 5.
81
ST I, q. 55, a. 1.

30
e comuni. Tutte le cose ritrovano invece perfettamente e secondo la
propria ragione di essere nell’essenza di Dio, che è la prima, sia che si
tratti di elementi propri o di elementi comuni; Dio perciò mediante la
sua essenza ha una cognizione propria di tutte le cose; non così
l’angelo, il quale ne ricava soltanto una cognizione generica82.

L’angelo, per passare dalla conoscenza generica a quella propria, ha

bisogno di qualcosa che non si trova nella sua essenza e che solo Dio gli può

fornire.

Dopo aver chiarito che gli angeli non hanno nella loro sostanza una

conoscenza propria di tutte le cose, l'Aquinate invita a comprendere come essi

possano avere altre conoscenze oltre a quella di sé. Partendo dalle

affermazioni dello pseudo-Dionigi nel De Divinis Nominibus, egli risolve il

problema:

Le specie mediante le quali gli angeli conoscono non derivano dalle


cose, ma sono ad essi connaturali (…). Le sostanze intellettuali
inferiori, ossia le anime umane, hanno una potenza intellettiva che per
natura non è completa, ma viene completata man mano che le anime
derivano le specie intelligibili dalle cose. Invece la potenza intellettiva
delle sostanze spirituali superiori, cioè degli angeli, è per natura
corredata di specie intelligibili, perché gli angeli hanno specie
intelligibili congenite, mediante le quali conoscono tutte le cose che
essi possono apprendere con le loro capacità naturali.

82
ST I, q.55, a. 1, ad 3um.

31
Tutto questo si può anche provare partendo dal modo stesso di
essere di tali sostanze. Infatti, le sostanze spirituali inferiori, cioè le
anime umane, hanno un essere affine al corpo, essendo forme dei
corpi: diversamente esse sarebbero unite ai corpi senza uno scopo. Al
contrario le sostanze superiori, ossia gli angeli, sono totalmente
svincolate dai corpi, poiché sussistono come esseri intellettuali
indipendentemente dalla materia. Di conseguenza essi derivano la
propria perfezione di ordine conoscitivo da una effusione intellettuale,
in virtù della quale ricevono da Dio, unitamente alla natura intellettiva,
le specie delle cose conosciute83.

Per illustrare la conoscenza degli angeli, il Santo Dottore, la confronta

ancora una volta con la conoscenza dell’uomo. Nell’infanzia lo spirito umano

è del tutto addormentato: si sveglia colpito dalle immagini delle cose sensibili,

da principio accessibili solo alle impressioni materiali del piacere e del dolore.

Poi la ragione fa la sua comparsa: l’uomo prende coscienza di sé stesso,

acquista un bene che non è il piacere, e un male che non s’identifica con il

dolore: passa cioè allo stato di essere morale. L’intelligenza si apre a poco a

poco: cerca di sondare la verità su tutte le cose; aiutata dall’insegnamento

sociale, concepisce chiaramente che oltre la sfera materiale c’è un mondo

aperto al solo pensiero, che si sforza di penetrare come suo nobile dominio. È

lunga, però, e soggetta all’errore, questa formazione.

83
ST I, q. 55, a. 2.

32
Anche nei concetti che tanto laboriosamente si forma delle cose spirituali,

l’uomo trascina sempre con sé qualcosa di sensibile, di cui non può

sbarazzarsi. Collegato ad un corpo, il suo pensiero ha bisogno di prendere un

punto d’appoggio nel mondo sensibile per slanciarsi in quello intellettuale.

Tali imperfezioni mancano nell’intelligenza angelica. L’angelo non

conosce questa letargia dello spirito costretto in un corpo. La sua mente non è

mai assopita: dal momento in cui è creato dal nulla, ha continuamente

prodotto il suo atto, immerso com’è negli splendori del mondo intellettuale

che costituisce il suo proprio ambito. Non ha avuto bisogno di formazione

intellettuale: gli è bastato uno sguardo per penetrare perfettamente il suo

mondo naturale84. Una volta chiarito che negli angeli non possono formarsi

nuove idee, ma devono conoscere per mezzo di idee innate, il Dottore

angelico vuole definire più dettagliatamente questo procedimento conoscitivo.

Nell’articolo terzo della questione cinquantacinque della Somma

Teologica, l’Aquinate si domanda se gli angeli superiori conoscano mediante

specie più universali rispetto quelli inferiori. Ripercorrendo la strada gia

aperta dallo Pseudo-Dionigi nel De Caelesti Hierarchia, il Dottore Angelico

afferma che Dio è il principio di tutta la conoscenza, mentre gli intelletti

inferiori conoscono per mezzo di molte idee, e conoscono mediante un

84
A. PIOLANTI, Dio nell’uomo e nel mondo, ed. Vaticana, Città del Vaticano 19942, pp. 202-203.

33
numero di idee tanto maggiore quanto più limitato è il loro intelletto. Di

conseguenza, più un angelo è superiore, tanto meno numerose saranno le

specie di cui ha bisogno per conoscere tutti gli oggetti intelligibili; ma ognuna

di quelle specie abbraccia una più estesa pluralità di cose.

Riguardo a queste idee innate degli angeli ed alle loro specie, il padre Tito

Centi, commentatore della Somma, fa delle osservazioni molto interessanti,

ristabilendo un certo realismo sulla comprensione analogica che il discorso

teologico offre, soprattutto riguardo a realtà così alte e misteriose:

Le idee innate servono magnificamente a porre la natura angelica


al di sopra dei suoi oggetti, materiali e immateriali che siano; ma
questa attualità sopraeminente compromette un poco l’autonomia delle
intelligenze angeliche, poiché le idee connaturali, non solo
sostituiscono il contatto immediato e diretto con la realtà, ma lo
impediscono. Un angelo, per conoscere un uomo nella sua
concretezza, ha sempre bisogno di rivolgersi alle sue specie
“intenzionali”, che egli non saprebbe costruirsi da sé, ma che sono date
direttamente da Dio. Dinanzi a queste conclusioni estreme viene da
pensare che dopo tutto la nostra costruzione psicologica degli angeli
non può essere che molto approssimativa e che forse a noi sfugge
l’aspetto più originale della loro attività85.

85
T. CENTI, La Somma Teologica, vol. IV, ed. A. Salani, Firenze, 1952, p. 156.

34
3.3 L’oggetto della conoscenza angelica

3.3.1 Conoscenza angelica delle cose immateriali

Dopo aver trattato le idee innate degli angeli, San Tommaso, come tutti i

teologi medievali, scende in particolari che possono riscuotere interesse anche

per il pensiero e la mentalità moderni. Tracciando un percorso analitico,

toccheremo i principali passi che ci vengono presentati nella Somma

Teologica.

Il primo campo d'indagine è offerto dalla questione cinquantasei, dove il

Dottore angelico pone l'interrogativo magistrale se gli angeli sono in grado di

conoscere sé stessi. I teologi sono concordi, ammettendo nell’angelo una

perfetta autoconoscenza, ma vi è discrepanza di opinioni riguardo le modalità

di tale conoscenza.

Il Doctor Communis concepisce le varie obiezioni possibili traendo spunto

da affermazioni patristiche o da nozioni filosofiche. Ad esempio, secondo lo

pseudo Dionigi, nel De Caelesti Hierarchia, gli angeli ignorano le proprie

virtù e conseguentemente, sembra che ignorino anche la propria sostanza 86.

Un'altra obiezione è di matrice aristotelica: l’angelo, in quanto sostanza

86
PSEUDO DIONIGI, De Caelesti Hierarchia, SC 62.

35
individuale, non sarebbe intelligibile dal momento che nella singolarità nessun

essere individuale è intelligibile. Perciò l’angelo, che ha soltanto la cognizione

intellettiva, non può conoscere sé stesso. Secondo Agostino d'Ippona,

invece87, nel De Genesi ad litteram, l’angelo per una illuminazione della

verità, ha conosciuto sé stesso nell’atto medesimo in cui venne formato88.

San Tommaso per spiegare tale conoscenza fa il seguente ragionamento.

Se l’immagine dell’oggetto si trova nella facoltà conoscitiva soltanto in

stato potenziale, allora si ha una conoscenza soltanto in potenza, come

concretamente si verifica per l’uomo. In tal caso per render la conoscenza

attuale si richiede un’attività mentale capace di produrre un “concetto”. Si ha

pertanto una fase ricettiva, nella quale il soggetto conoscente si forma una

immagine, e una fase attiva che è l’atto conoscitivo. Questo procedimento,

afferma il Dottore angelico, non è indispensabile nell’angelo, il quale possiede

sempre nel suo intelletto la specie o l’immagine dell’oggetto da conoscere;

perciò il suo modo di conoscere è sempre attuale e non ha bisogno di una fase

preparatoria o recettiva; in lui si ha una conoscenza diretta e innata. Conclude,

San Tommaso, che siccome l’angelo è immateriale, e tra immaterialità e

intelligibilità c’è uno stretto legame, egli ha necessariamente una conoscenza

87
È il sed contra della I, q. 56, a. 1.
88
S. AGOSTINO, De Genesi ad litteram libri 12, CSEL 28/1, p. 58.

36
di sé stesso; questa conoscenza si verifica senza alcuna specie intenzionale

distinta dalla stessa sostanza dell’angelo89.

Piolanti, quando parla dell’oggetto della conoscenza degli angeli afferma:

L’angelo conosce se stesso con un solo sguardo; egli si possiede e


si comprende. La sua pura intelligenza penetra nel suo essere
luminoso, e non incontrandovi ombra alcuna, l’abbraccia interamente.
La conoscenza naturale che l’angelo ha di se stesso può dirsi
veramente per essenza. Questa, infatti, per la sua assoluta spiritualità, è
immediatamente presente al suo intelletto senz’alcun intermediario
psicologico, cioè senza alcuna specie informante. Dalla comprensione
di sé come essere partecipato, imperfetto e insieme ricco di altissime
doti, l’angelo con irresistibile movimento risale alla sorgente ultima e
zampillante, alla Causa Suprema90.

Il Dottore Angelico ci fa notare, nel secondo articolo della suddetta

questione, che la conoscenza degli angeli è possibile in quanto Dio ha

impresso idee spirituali in ogni creatura spirituale. Mentre, però, un angelo

conosce sé stesso immediatamente, conosce invece gli altri angeli grazie alle

idee innate che ha ricevuto91. Il tomismo, e la teologia cattolica in genere,

ammettono che l’angelo conosca un altro angelo, e le cose materiali, anche in

ciò che hanno di singolare e d’incomunicabile per via di specie infuse,

89
ST I, q. 56, a. 1.
90
A. PIOLANTI, Op. cit., p. 203.
91
ST I, q. 56, a. 2.

37
derivate cioè direttamente dalle idee divine. Per questa derivazione immediata

le idee angeliche ritengono in sé una straordinaria ricchezza oggettiva.

Si può ben dire che ciascuna realizza una presentazione adeguata e unitaria

dell’intelligibilità del suo oggetto, quale può essere comunicata ad una

creatura. Esse tuttavia, paragonate alle Idee divine, sono molto inferiori,

anzitutto perché, per poche che siano, sono sempre molteplici, mentre Dio

tutto intende: sé, le altre cose, nell’unico Verbo92.

Dopo aver chiarito come un angelo conosca un altro angelo, il Dottore

angelico passa ad esaminare, nel terzo articolo, se gli angeli possano

conoscere Dio con le proprie forze naturali. La prima, ed immediata,

obiezione che si presenta alla mente è sintetizzata grazie allo Pseudo-Dionigi

che, nel De Divinis Nominibus, mette in risalto la perfezione di Dio

sottolineando come essa non possa essere scandagliata da una sua creatura93.

San Tommaso risponde che l’angelo può avere una conoscenza di Dio

attraverso le proprie forze naturali; in questo caso, però, non si tratta certo

della conoscenza di Dio per mezzo della sua essenza, cosa che nessuna

creatura potrebbe raggiungere con le proprie forze naturali, né tanto meno si

tratta della conoscenza molto imperfetta che può avere l’uomo in questa vita.

La conoscenza degli angeli è superiore a quella umana perché “l'immagine di

92
A. PIOLANTI, Op. cit., p. 205.
93
PSEUDO DIONIGI, De Divinis nominibus, SCh 278.

38
Dio è impressa nella natura dell'angelo proprio mediante l'essenza di

quest'ultimo e quindi l'angelo conosce Dio in quanto egli stesso ne è

un'immagine” 94.

3.3.2 Conoscenza angelica degli esseri materiali

Dopo lo studio della conoscenza angelica delle cose immateriali, il nostro

Dottore continua, in una progressione gerarchica discendente, l'analisi

dell'intelletto angelico, rivolgendo l’attenzione alla cognizione delle cose

materiali, o anche dell'uomo e di quanto egli racchiude in sé.

Nella questione cinquantasette, si pone come primo interrogativo la

possibilità da parte dell’angelo di conoscere le cose materiali.

Partendo dal principio che gli esseri superiori partecipano più da vicino alla

perfezione di Dio, il Dottore angelico afferma: “Come Dio conosce le cose

materiali per mezzo della sua essenza, così gli angeli conoscono tali cose in

quanto le hanno presenti in loro stessi per mezzo delle rispettive specie

intelligibili” 95.

La cognizione che gli angeli posseggono non è limitata alle nature

universali, dal momento che possono conoscere anche le singole cose; infatti,

94
ST I, q. 56, a. 3
95
ST I, q. 57, a.1.

39
il Dottore Angelico sostiene: “L’angelo essendo superiore all’uomo, sarebbe

poco ragionevole affermare che l’angelo non sia in grado di conoscere con la

sua unica facoltà conoscitiva, che è l’intelletto, in quanto l’uomo conosce con

una qualsiasi delle sue potenze” 96.

Continua San Tommaso:

Possiamo farci un’idea del modo con cui l’intelletto dell’angelo


conosce i singolari, ricordando che la cose derivano da Dio non
soltanto per sussistere nella propria natura, ma anche per inserirsi nella
cognizione angelica. Ora è evidente che da Dio non deriva soltanto ciò
che appartiene alla natura universale, ma altresì tutto ciò che è
principio di individuazione (…). Perciò come Dio con la sua essenza,
principio di tutte le cose, è causa esemplare di tutti gli esseri, e per
mezzo di essa conosce tutte le cose non solo nella loro essenza
universale, ma anche nella loro singolarità, così gli angeli, per mezzo
delle specie infuse in essi da Dio, conoscono le cose, non solo quanto
alla loro natura universale, ma anche nella loro singolarità, in quanto
(tali specie) sono immagini molteplici di quella essenza unica e
semplice97.

Appare molto interessante conoscere i motivi che invece portarono San

Tommaso a negare negli angeli la conoscenza delle cose future. Egli, infatti,

parte dal principio che solo Dio, nella sua eternità, possa conoscere con

assoluta certezza ogni cosa futura; il futuro così com’è in se stesso, non può
96
ST I, q. 57, a. 2.
97
Ibidem.

40
essere conosciuto da nessun intelletto creato 98. Questa affermazione, del resto,

fa nascere una difficoltà: se si è detto che l’angelo conosce le cose mediante

specie innate universali, si dovrebbe accettare anche che l’angelo sia in grado

di conoscere le cose future99.

La risposta è la seguente:

Sebbene la specie esistenti nell’intelletto angelico, considerate in


se stesse, riguardino ugualmente tanto le cose presenti, che le cose
passate e future; tuttavia le cose stesse, presenti, passate e future, non
si riferiscono nello stesso modo alle specie. Le cose presenti hanno
una natura in forza della quale possono somigliare alle specie esistenti
nella mente dell’angelo: quindi possono essere conosciute per mezzo
di esse .Le cose future invece non hanno ancora una natura per poter
somigliare con essa alle specie; e pertanto non possono essere
conosciute per mezzo della specie100.

Commenta il P. Centi:

Le specie intenzionali degli angeli, per avere questa elasticità di


rapporti, devono essere concepite come in un perenne flusso vitale,
che congiunge l’angelo alla realtà concreta attraverso la causalità
divina. Possiamo dire che le idee degli angeli si innescano sulla
causalità di Dio; esse sono perciò sempre pronte a tutte le vicende
delle cose nella loro concretezza101.

98
ST I, q 57, a. 3.
99
Terza obiezione della ST I, q. 57, a. 3.
100
ST I, q. 57, a. 3, ad 3um.
101
T. CENTI , op. cit., pp. 271-272.

41
Da questo possiamo dedurre che una scienza tanto perfetta ha dei limiti: il

segreto dell’avvenire, che dipende, al di sopra delle leggi naturali, dalla

volontà divina e dalla libertà umana, dal miracolo e dal libero arbitrio. Con le

proprie forze, l’angelo può prevedere nelle sue cause naturali -ma non può

predire in modo infallibile- il futuro, le evenienze più generiche e necessarie,

non i casi fortuiti. In nessun modo, com’è stato già riportato, potrà conoscere

il futuro libero.

Dopo aver trattato dei limiti della conoscenza angelica per quanto riguarda

le cose future, il Santo Dottore ci presenta un altro limite della conoscenza

degli angeli, e specificamente i segreti del cuore. Si può intuire quanto la

questione che viene trattata sia delicata. Infatti, si cerca di capire se i segreti

del cuore si trovino nell’intelletto e negli affetti, o nella volontà. San Gregorio

Magno nei Moralia afferma che gli angeli possono vedere nella coscienza

delle persone102.

Per San Tommaso gli angeli non possono avere tale conoscenza, perché

occorre attribuire e preservare tale conoscenza solo a Dio, dal momento che la

volontà razionale è soggetta soltanto a Dio, ed Egli solo può operare in essa, e

102
GREGORIO MAGNO, Moralia, l18, PL75, 1250B. È la prima obiezione della ST I, q. 57, a. 4.

42
ne è l’oggetto principale ed ultimo. Tutto quello che si trova nella volontà, o

che dipende esclusivamente da questa, compete soltanto a Dio103.

Se si considerano i segreti del cuore nei loro effetti, in tal caso essi possono

essere conosciuti non solo dall’angelo, ma anche dall’uomo: e questa

cognizione sarà più acuta quanto questi effetti siano più occulti. Da ciò

possiamo desumere che solo Dio può comprendere e smuovere i segreti del

cuore. Coi soli mezzi naturali, l’angelo non può imporre, così come non può

conoscere, un pensiero del nostro intelletto o una decisione della nostra

volontà. Gli rimane una risorsa, quella d’interpretare le manifestazioni

esteriori dei nostri sentimenti intimi: parole, gesti, azioni, modificazioni del

nostro stato fisiologico104.

L’ultimo articolo, il quinto, della questione cinquantasette nella Prima

Pars della Somma Teologica, tratta della possibilità degli angeli di conoscere

i misteri della Grazia. Questo interrogativo nasce dalla difficile esegesi di

alcuni passi biblici, specialmente quelli inerenti al corpus paolino. Nella

lettera agli Efesini, troviamo scritto:

A me, che sono l'infimo fra tutti i santi, è stata concessa questa
grazia di annunziare ai Gentili le imperscrutabili ricchezze di Cristo, e
di far risplendere agli occhi di tutti qual è l'adempimento del mistero

103
ST I, q. 57, a.4.
104
A. PIOLANTI, Op. cit., p. 205.

43
nascosto da secoli nella mente di Dio, creatore dell'universo, perché sia
manifestata ora nel cielo, per mezzo della Chiesa, ai Principati e alle
Potestà la multiforme sapienza di Dio105.

Il padre Centi nel presentare la questione commenta:

Alcuni Padri, come San Gregorio Nisseno e San Giovanni


Crisostomo, pensarono effettivamente che gli angeli avessero appreso
alcuni misteri riguardanti l’incarnazione del Verbo dall’insegnamento
della Chiesa. Di tutt’altro avviso erano altri Padri i quali affermarono
che la rivelazione di tali misteri fu fatta agli angeli sin dalla loro
origine. Per Sant'Agostino la rivelazione sarebbe avvenuta fin
dall’inizio mediante la visione del Verbo, visione che avrebbe
arricchito l’intelligenza degli angeli di ogni verità sia di ordine
naturale che di ordine soprannaturale106.

San Tommaso, come spesso accade, opera una distinzione che permette di

evitare le semplificazioni e coglie la particella di verità contenuta anche negli

errori. Negli angeli c’è una cognizione naturale che permette una conoscenza

delle cose sia per mezzo della propria essenza, sia per mezzo delle specie

innate. In virtù di tale cognizione, gli angeli non sono in grado di conoscere i

misteri della Grazia, i quali dipendono solo dalla volontà di Dio. Se un angelo

105
Ef 3, 8-10.
106
T. CENTI, op. cit., p. 277.

44
non può conoscere i misteri di un altro angelo, tanto meno potrà conoscere

quanto dipende dalla volontà di Dio.

D'altra parte le creature spirituali posseggono anche la scienza beatifica che

permette la contemplazione del Verbo divino e dei misteri in Lui contenuti, in

proporzione al grado di beatitudine goduta ed ai disegni della Trinità107.

3.3.3 Il modo della conoscenza angelica

Nella questione cinquantotto della Prima Pars, San Tommaso

approfondisce alcune tematiche soltanto accennate precedentemente; infatti,

nella questione cinquantaquattro il Dottore Angelico si era interrogato sulle

facoltà conoscitive degli angeli senza soffermarsi sul modo in cui si

esercitano; nella questione cinquantasette, poi, aveva determinato l’oggetto

della conoscenza senza tener esaminare la natura di quest'ultima.

Nel primo articolo della questione cinquantotto, San Tommaso si sofferma

sull’intelletto angelico domandandosi se può essere sempre in atto. Se

partiamo dalla Sacra Scrittura, uno dei testi più importanti per l’angelologia

cristiana è la prima lettera di San Pietro; in essa viene citato il desiderio di

conoscenza che gli angeli hanno dei misteri soprannaturali:

107
ST I, q. 57, a. 5.

45
Su questa salvezza indagarono e scrutarono i profeti che
profetizzarono sulla grazia a voi destinata11 cercando di indagare a
quale momento o a quali circostanze accennasse lo Spirito di Cristo
che era in loro, quando prediceva le sofferenze destinate a Cristo e le
glorie che dovevano seguirle. E fu loro rivelato che non per se stessi,
ma per voi, erano ministri di quelle cose che ora vi sono state
annunziate da coloro che vi hanno predicato il vangelo nello Spirito
Santo mandato dal cielo; cose nelle quali gli angeli desiderano fissare
lo sguardo108.

Il Dottore Angelico, nel luogo citato ricorda, distinguendo, che l’intelletto

può essere in potenza in due maniere:

a) in quanto prima ha la capacità di apprendere e poi effettivamente apprende,

e con ciò acquista l’abito della scienza. In questo senso, secondo San

Tommaso, l’intelletto angelico non è mai in potenza rispetto a quelle cose che

la sua cognizione naturale può raggiungere, perché la loro potenzialità

nell'ordine conoscitivo è perfettamente colmata dalle specie intelligibili a loro

connaturali. Ma niente impedisce che l’intelletto degli angeli sia in potenza

rispetto alle cose che vengono loro rivelate da Dio.

b) quando “pur avendo l’abito della scienza, uno non se ne serve”, e questo

può convenire anche all’angelo, per esempio riguardo alle cose future che

108
1 Pt 1, 10-12.

46
raggiunge con la sua cognizione naturale, giacché non sempre considera in

atto quanto possiede per scienza.

Tutto ciò che l’angelo vede nel Verbo, infine, non è mai in potenza, perché

egli ha sempre attualmente fisso lo sguardo su Dio e su quanto vede in Lui, ed

in ciò consiste appunto la sua beatitudine, che non è un abito, ma un atto109.

L’articolo su cui ci soffermiamo adesso può essere definito fondamentale

per comprendere il pensiero di San Tommaso intorno al problema della

cognizione umana. L’Aquinate con maestria, nel secondo articolo della

questione cinquantotto110, mostra il funzionamento delle nostre facoltà

conoscitive superiori, traendo delle analogie che fan comprendere il

funzionamento e le varie modalità dell’intelletto angelico.

Innanzitutto, parte dal principio che ogni cosa è intelligibile in quanto

nell’intelletto si trova una specie rappresentativa di essa. Da questo si deduce

che “tutte le cose che si possono conoscere per mezzo di una sola specie

intelligibile, essendo apprese come un solo intelligibile, si conoscono

simultaneamente. Quelle invece che sono conosciute per mezzo di più specie

intelligibili, sono apprese come più oggetti intelligibili”111. Applicandolo agli

angeli, ne segue che quanto essi vedono nel Verbo, lo

109
ST I, q. 58, a. 1.
110
“Se l'angelo possa conoscere simultaneamente molte cose”.
111
ST I, q. 58 a. 2.

47
percepiscono tutto con una sola specie intelligibile, che è l’essenza
divina. In forza di tale cognizione tutte le cose sono perciò conosciute
simultaneamente: cosicché nella patria, al dire di Sant’Agostino “I
nostri pensieri non saranno volubili, passando e ripassando da una cosa
all’altra, ma abbracceremo con un solo sguardo tutta la nostra scienza”
112
.

Diversa, invece, si presenta la realtà per quanto gli angeli apprendono per

mezzo delle idee innate, perché in questo caso essi possono conoscere con una

sola specie, ma non ciò che richiede diverse specie.

Nel terzo articolo della questione cinquantotto, il Dottore Angelico tratta

della possibilità che l’angelo per conoscere usi il raziocinio, il sillogismo o

qualsiasi altro procedimento dialettico. Nella risposta, emerge chiaramente la

differenza tra l’intelligenza angelica e quella umana. Ecco le chiare

espressioni dell’Aquinate:

(...) le intelligenze inferiori, ossia quelle umane, raggiungono la


perfezione nella conoscenza della verità attraverso un moto e un
procedimento raziocinativo dell’operazione intellettuale: poiché si
procede dalla conoscenza di una cosa alla cognizione di un’altra. Se
invece nella conoscenza di un principio già noto scorgessero
distintamente tutte le conclusioni che ne conseguono, non si avrebbe
più il raziocinio. E’ ciò che avviene negli angeli, i quali nelle nozioni
che naturalmente essi hanno fin da principio, vedono tutto quello che
per mezzo di esse si può conoscere. Per questo gli angeli sono detti

112
Ibidem.

48
intellettuali (…). Le anime umane, invece, sono dette razionali, perché
acquistano la cognizione della verità con un procedimento
raziocinativo. E ciò dipende dalla debolezza della loro luce
intellettuale. Se infatti avessero la pienezza della luce intellettuale,
come gli angeli, alla prima apprensione dei principi ne coglierebbero
immediatamente tutta la virtualità , scorgendo tutto quello che da essi
si può dedurre col sillogismo113.

Si noti che San Tommaso, nell’ambito della proposizione, tra soggetto e

predicato, attribuisce agli angeli una intelligenza intuitiva capace di giungere,

attraverso l’apprensione dei termini dei giudizi, subito alla comprensione della

relazione fra di essi. Afferma il Dottore Angelico:

Appare dunque evidente che identica è la ragione per cui il nostro


intelletto conosce servendosi del raziocinio, e formulando giudizi
affermativi e negativi: per il fatto cioè che esso nella prima
apprensione di un oggetto non è in grado di conoscere subito tutto ciò
che quello contiene nella sua virtualità. E ciò proviene, come si è
detto, dalla nostra luce intellettuale. Essendovi dunque nell’angelo una
luce intellettuale perfetta (…), ne segue che l’angelo, come intende
non servendosi del raziocinio, così neppure intende formando giudizi
affermativi o negativi. Pur tuttavia egli comprende le affermazioni e le
negazioni degli enunciati, come capisce la logicità dei sillogismi: egli
infatti conosce le cose composte in modo semplice, le cose mutevoli in
maniera immutabile, le cose materiali in modo immateriale114.

113
ST I, q. 58, a. 3.
114
ST I, q. 58 a. 4

49
Nel suddetto articolo, il quarto, il Dottore Angelico ci ha mostrato che

nell’angelo non ci sono giudizi affermativi o negativi; ora invece s’interroga

se nella comprensione angelica ci possa essere la falsità. Cercando di ridurre

all’essenziale la spiegazione addotta, possiamo trarre dal corpus quanto segue:

Gli angeli buoni, avendo una volontà retta, dalla conoscenza della
essenza di una cosa non formulano alcun giudizio su ciò che la
riguarda nell’ordine soprannaturale, se non presupponendo una
disposizione divina. E così in essi non può insinuarsi né la falsità né
l’errore. I demoni, invece, avendo sottratto con volontà perversa
l’intelletto proprio alla sapienza divina, portano talora un giudizio
assoluto sulle cose, considerate nella loro condizione naturale. E in ciò
che appartiene naturalmente ad esse non si inganna. Ma possono
ingannarsi in tutto ciò che può esserci in esse di soprannaturale115.

Il presupposto di tale inerranza si trova in un principio intuito e formulato

già da Aristotele:

La vera soluzione di questo problema dipende in gran parte da


quello precedente. Si è detto, infatti, che l’angelo per conoscere non ha
bisogno di formulare giudizi affermativi e negativi, ma gli basta intuire
la quiddità116 delle cose. Ora, al dire di Aristotele, l’intelletto riguardo
alle quiddità è sempre nel vero, come il senso rispetto all’oggetto117.

115
ST I, q. 58 a. 5
116
Cioè l’essenza o la natura.
117
Ibidem.

50
Possiamo allora affermare, sintetizzando il ragionamento dell’Aquinate, che

l’uomo può sbagliare quando formula giudizi avventati o ragionamenti

illogici; l’angelo, invece, non avendo bisogno dei ragionamenti, non ha la

possibilità di sbagliare. Si giunge alla stessa conclusione se riflettiamo che

l’angelo, secondo San Tommaso, conosce o per idee innate, infusegli

direttamente da Dio o attraverso la conoscenza diretta della sua essenza o

nella visione soprannaturale dell’essenza di Dio. Per nessuna di queste vie può

insinuarsi l’errore.

51
CAPITOLO IV

LA VOLONTÀ E L’AMORE NELL’ANGELO

4.1 La volontà nell’angelo.

Dopo aver trattato ampiamente, nel capitolo precedente, della conoscenza e

dell’oggetto della conoscenza angelica, passiamo ad esaminare la volontà

degli angeli e l’oggetto del loro amore. La volontà negli angeli si manifesta

con una totale disponibilità nei confronti del Creatore. Il primo quesito che il

Dottore Angelico tratta nella questione cinquantanove della Prima Pars

considera la presenza della volontà negli angeli.

Già San Bernardo di Chiaravalle aveva offerto una sintetica presentazione

della sua angelologia nel De consideratione, dove si trovano descritte alcune

caratteristiche degli angeli: “Sono spiriti potenti, buoni nella loro dignità,

perfetti nella volontà, devoti a Dio e totalmente grati”118.

BERNARDO, De consideratione 5, 4, 7, in Opere di San Bernardo, a cura di F. GASTALDELLI, ed. Paoline


118

Milano, 1984.

52
San Bonaventura, poi, ha esposto la sua visione generale sugli angeli nel

Breviloquium, dove considera la distinzione personale un attributo angelico.

Ogni angelo, secondo San Bonaventura, è una persona individua pur

appartenendo alla medesima specie; similmente all’uomo egli possiede le

facoltà e le attività della ragione: la memoria, l’intelligenza, e la volontà119 .

Dimostrare l’esistenza della volontà nell’angelo, per San Tommaso, non

comporta dunque nessuno sforzo. Infatti, sostiene l’Aquinate, tutte le cose

procedono dalla volontà di Dio e ad essa tendono: le piante e i corpi inanimati

possiedono un’inclinazione naturale al bene senza però conoscerlo. Questa

inclinazione è chiamata appetito naturale. Negli animali, i quali conoscono

una parte del bene ma non la natura stessa del bene, quest’inclinazione è

chiamata appetito sensitivo. L’uomo invece, tende alla natura stessa del bene

attraverso il suo intelletto; e questo è considerato il modo più perfetto. Egli

non tende al bene solo perché riceve un impulso e la direzione da un altro

essere, come nelle piante e nelle cose inanimate; nemmeno tende ad un bene

particolare, come negli animali, ma possiede quell’inclinazione al bene

universale chiamata volontà. Ora gli angeli, attraverso il loro intelletto

conoscono la stessa ragione del bene, e da questo si può dedurre che in loro è

presente la volontà120.
119
BONAVENTURA, Breviloquium II 6, in Opere di San Bonaventura, Ed Quaracchi, Madrid 1882, pp. 195-
198.
120
ST I, q. 59, a. 1.

53
Il terzo articolo rappresenta il fulcro di tutta la questione cinquantanove. Il

Dottore Angelico, infatti, si interroga sulla presenza del libero arbitrio nelle

creature puramente spirituali. Dalle Sacre Scritture si può desumere il libero

arbitrio dell’uomo, ma non quello degli angeli121. Sarà Taziano, nella Oratio

Adversus Graecos, composta tra il 155 e il 170, a parlare per primo del libero

arbitrio degli angeli. Infatti, egli afferma: “Sia l’uomo che le creature

angeliche furono fatte libere, senza che possedessero per natura il bene,

caratteristica che appartiene unicamente a Dio. Solo in forza del libero arbitrio

l’angelo e l’uomo possono fare il male e ricevere il giusto castigo, come pure

compiere il bene e ottenere la ricompensa122”.

Anche Origene allude, nel Perì Archon, al libero arbitrio degli angeli; egli

si preoccupa di salvaguardare l’origine buona di ogni creatura e quindi la

bontà del Creatore, contro le varie dottrine gnostiche che in quel tempo si

erano formate. Per Origene Dio ha creato un numero molto grande ma finito

di creature razionali, le quali sono tutte ugualmente perfette e buone. Esse, in

quanto create liberamente da Dio, non partecipano all’essere e alla bontà in

modo sostanziale, come la Trinità, ma solo in modo accidentale. Da ciò deriva

il loro libero arbitrio, in forza del quale queste creature, prodotte nel bene,

possono liberamente e volontariamente rimanergli fedeli o allontanarsene. Lo

121
Gn 2-3; Dt 11, 26; 30, 15-19; Gr 21, 8; Sir 15, 14-17
122
In R. LAVATORI, Op. cit., p.70

54
stesso principio si presenta per le potenze malvagie, le quali furono un tempo

immacolate in mezzo a quelle che ancora permangono immacolate: ciò

dimostra che nessuno è immacolato in modo sostanziale o naturale, né impuro

in modo sostanziale. Ne consegue che dipende da noi e dai nostri sentimenti

essere santi e beati, oppure per pigrizia e negligenza allontanarci dalla grazia

per cadere nella malizia e nella perdizione123.

Sant’Agostino nella Città di Dio afferma che gli angeli sono dotati del

libero arbitrio ed è quello che permette loro di rimanere nella beatitudine

oppure di andare nella grande miseria. Secondo il Santo Dottore, Dio, pur

sapendo che alcuni angeli per propria scelta avrebbero abbandonato il bene

vero, non li privò di questo potere, giudicando più degno e consono alla Sua

onnipotenza e bontà trarre il bene dal male, piuttosto che non permettere il

male. In ragione di questa libertà, quindi, deriva agli angeli la possibilità della

caduta. Essi sono stati creati buoni, ma alcuni sono diventati cattivi in virtù

della cattiva volontà, perché non hanno accolto in pienezza di grazia l’amore

divino, come invece hanno fatto gli angeli che hanno preservato l’amore di

Dio in loro124.

Nell’opera Cur Homo Deus, Sant’Anselmo d’Aosta affronta la realtà del

libero arbitrio quale facoltà di ogni creatura razionale e quindi anche degli

123
ORIGENE, Perì Archon, I, 8, 3 SCh 62.
124
AGOSTINO, La città di Dio,II, 9, ed. Bompiani, Milano 2001, p. 572.

55
angeli125. Il Concilio Lateranense IV definì che “Il diavolo e gli altri demoni

furono creati da Dio naturalmente buoni, ma essi divennero cattivi da sé

stessi”126.

San Tommaso, nella questione cinquantanove della Somma Teologica,

sostiene che il libero arbitrio è una facoltà di coloro che hanno intelligenza, in

quanto possono agire in forza di un giudizio liberamente concepito. Perciò

anche negli angeli vi è il libero arbitrio, che è ancora più perfetto di quello

degli uomini, come si verifica anche per quanto riguarda l’intelligenza127.

Il concetto espresso nella Somma Teologica viene ripreso dal Catechismo

della Chiesa Cattolica, che dichiara:

Gli angeli e gli uomini, creature intelligenti e libere, devono


camminare verso il loro destino ultimo per una libera scelta e un
amore di preferenza. Essi possono, quindi deviare. In realtà, hanno
peccato. È così che nel mondo è entrato il male morale,
incommensurabilmente più grave del male fisico. Dio non è in alcun
modo, né direttamente né indirettamente, la causa del male morale.
Però rispettando la libertà della sua creatura, lo permette e
misteriosamente, sa trarne il bene128.

125
ANSELMO D'AOSTA, Cur Homo Deus, 16-18, ed. critica di P. SCHMIDT in Opera completa di San Anselmo,
Parigi 1948, pp. 786-787.
126
Denz n. 428.
127
ST I, q. 59 a. 3.
128
CCC 313.

56
Lo stesso Papa Giovanni Paolo II nelle catechesi svolte nel 1986 ribadisce

il concetto che ampiamente il Dottore Angelico ha presentato sul libero

arbitrio degli angeli129.

San Tommaso termina la questione cinquantanove trattando nell'ultimo

articolo, il quarto, la possibilità che negli angeli vi sia la concupiscenza e

l’irascibilità. Il padre Centi, nell’analizzare questo punto, chiarisce: “Il

problema nasce dalla suddivisione aristotelica delle potenze affettive

dell’uomo. Concupiscenza significa etimologicamente desiderio, inclinazione

verso l’oggetto piacevole. Per Aristotele la concupiscenza è una facoltà

dell’appetito sensitivo insieme con l’ira, distinguendole dall’appetito

razionale”130.

In San Tommaso la concupiscenza e l’irascibilità sono caratteristiche della

parte sensitiva, mentre la volontà si trova nell'appetito intellettivo. L’oggetto

di questo appetito è il bene secondo la ragione universale di bene. Tale

appetito è unico ed è ordinato al bene. Da questo possiamo dedurre che

l’appetito intellettivo non è suddiviso in base alla distinzione dei beni, come

invece è suddiviso l’appetito sensitivo, il quale tende non già al bene secondo

la ragione universale di bene, ma di beni particolari. Naturalmente, conclude il

Dottore Angelico, se negli angeli vi è la volontà, in forza della natura

129
Cfr. GIOVANNI PAOLO II, Gli angeli. Catechesi al popolo di Dio, ed. Michael, Foggia 1986.
130
T. CENTI, op. cit., pp. 316-317.

57
intellettuale, in essi non vi può essere quanto nell’uomo segue la condizione

del corpo, come la concupiscenza e l’irascibilità131.

4. 2 L’amore nell’angelo.

Dopo aver trattato, nella precedente questione, della volontà degli angeli,

San Tommaso, nella Somma Teologica, tratta dell’amore come atto stesso

della volontà. Nel primo articolo della questione sessanta, il Dottore Angelico

ricerca la presenza, nell’angelo, dell'amore, ossia della dilezione naturale. Sia

l’Antico sia il Nuovo Testamento non esplicitano in che modo l’angelo

manifesti il suo amore; si può però desumere che tutte le azioni che compie

rivelano, seppur in modo velato, un forte amore verso il Creatore. Questo

amore, di riflesso ricade anche sull’altra creatura dell'Altissimo e cioè l’uomo,

il quale viene indirizzato a quest’eterno amore132. Policarpo di Smirne nel suo

Martyrium Polycarpi dichiara: “Coloro che subiscono il martirio amano come

gli angeli”133.

Alcuni Padri apologisti come Giustino e Atenagora sostenevano che gli

angeli, per amore verso Dio, si prendono cura degli uomini 134. Ruperto di

131
ST I, q. 59 a. 4.
132
P. SULLIVAN, Tutto sugli angeli, Piero Gribaudi Editore, Milano 1995, p. 60.
133
POLICARPO, Martyrium Polycarpi, 2, 3 SC. 215.
134
J. DANIÉLOU, Messaggio evangelico e cultura ellenista, ed. EDB, Bologna 1976, p.392.

58
Deutz sottolineava il particolare rapporto di amore tra gli angeli e il Verbo di

Dio, in quanto essi partecipano della sua luce e sono totalmente dipendenti da

Lui135. San Tommaso afferma:

E’ necessario ammettere negli angeli la dilezione naturale. (...)


Tutte le nature hanno come comune proprietà un’inclinazione, che è
precisamente l’appetito o amore naturale. Anche gli esseri dotati
d’intelligenza, hanno tale inclinazione naturale che si produce nella
volontà, perciò avendo gli angeli intelligenza, devono avere nella
volontà anche la dilezione naturale136.

Vi è appena bisogno di osservare che l’inclinazione naturale deve essere

specificamente diversa per ogni genere di cose. Siccome l’inclinazione

naturale esige il movimento per il conseguimento del bene al quale tende,

spetta alla volontà scegliere liberamente i mezzi concreti da usarsi per

raggiungere la felicità che si vuole conseguire137.

Nell'articolo appena trattato, il Dottore Angelico, ha dimostrato che

nell’angelo è presente l’amore o dilezione naturale; quest’ultima a sua volta,

si divide in dilezione naturale e in dilezione deliberata. Infatti, San Tommaso

nel secondo articolo della questione sessanta, ricorda:

135
RUPERTO DI DEUTZ, De victoria Verbi Dei, I 12, PL 169, 1262
136
ST I, q 60, a. 1.
137
T. CENTI, op. cit., p. 323.

59
Esiste Negli angeli una dilezione naturale e una dilezione
deliberata. La dilezione naturale è per gli angeli principio di quella
deliberata (…). La volontà tende per natura al suo ultimo fine; ogni
uomo, infatti, vuole per natura la beatitudine. Da questo atto naturale
della volontà sono causati tutti gli altri atti volitivi, poiché tutto ciò che
l’uomo vuole, lo vuole in vista del fine. Perciò la dilezione del bene,
che l’uomo appetisce naturalmente come suo fine, è una dilezione
naturale: la dilezione invece che ne deriva, che cioè appetisce un bene
in vista del fine, è una dilezione deliberata150.

L’amore naturale e l’amore di dilezione si esercitano nell’angelo sia verso

Dio, sia verso l’uomo. L’angelo poi, come del resto l’uomo, ama naturalmente

Dio più di sé stesso, sostiene il Doctor Communis nel quinto articolo:

Poiché dunque Dio è il bene universale, e sotto questo bene


rientrano l’angelo, l’uomo e ogni altra creatura, essendo ogni creatura
in tutto il suo essere qualche cosa di Dio, ne segue che anche
naturalmente l’angelo e l’uomo amano Dio prima e più di se stessi.
Diversamente, se cioè amassero per natura più se stessi che Dio, ne
seguirebbe che la dilezione naturale sarebbe perversa; essa perciò non
sarebbe perfezionata ma distrutta dalla carità138.

In questo modo, il Dottore Angelico, ha illustrato le doti naturali della

natura angelica, e ci ha preparato ad ascoltare ciò che ha da dire sulla

elevazione degli angeli allo stato soprannaturale.

ST I, q. 60, a. 2.
150

ST I, q. 60, a. 5.
138

60
CAPITOLO V

ELEVAZIONE DEGLI ANGELI

Dopo aver trattato dell’amore negli angeli, si passerà a considerare la loro

elevazione soprannaturale, tralasciando la questione della loro creazione

nell’essere naturale, dove il Santo Dottore elabora la sua disquisizione in

chiave squisitamente filosofica.

5.1 Elevazione soprannaturale degli angeli

Gli angeli hanno ricevuto un compito, un fine superiore; esso però non può

essere conseguito senza la somministrazione da parte di Dio della Grazia. Ora,

il fine supremo è la visione beatifica di Dio, in cui il beato contempla faccia a

faccia Dio. Nessuna creatura ragionevole o intellettuale vi è ordinata per sua

natura, ma può essere elevata gratuitamente da Dio stesso, che dà i mezzi e gli

aiuti proporzionati al raggiungimento del fine ultimo. Questo, però, è del tutto

gratuito e nessuna creatura può raggiungerlo senza la grazia divina129.

129
Cfr. A. PIOLANTI, Op. cit., pp. 211-212.

61
Nel 1567 Pio V dichiarò contro Baio che gli angeli non poterono meritare

la beatitudine celeste come ricompensa delle loro opere buone naturali ma fu

data loro come grazia130. In questo modo emerge che il fine degli angeli supera

del tutto le loro esigenze naturali e la beatitudine non fu loro concessa per

meriti ma come grazia elargita dallo Spirito. Il loro stato di beatitudine viene

testimoniato dalle Scritture che parlano degli angeli davanti a Dio o al Suo

trono131.

Lo stesso Gesù afferma: “Guardatevi dal disprezzare uno solo di questi

piccoli, perché vi dico che i loro angeli nel cielo vedono sempre la faccia del

Padre mio che è nei cieli”132. Dalle Scritture spesso emerge che gli angeli e gli

uomini hanno in comune la stessa meta; i secondi sono chiamati a partecipare

allo scopo che è già stato conseguito dagli angeli buoni. Se si passa alla

tradizione dei Santi Padri, troviamo espressamente confermata la dottrina

della Grazia presente negli angeli. San Basilio afferma:

Non si consegue alcuna santità se non per la presenza dello Spirito


Santo. Pertanto, gli angeli hanno la loro esistenza dal Verbo che ha
creato tutte le cose; a loro poi lo Spirito Santo conferì la santità. Gli
angeli, infatti, non sono stati creati infanti, e poi resi perfetti un po’
alla volta con l’esercizio, e così divenuti degni di ricevere lo Spirito;

130
Denz nn 1001, 1003, 1004.
131
Tb 12, 15; Ap 1, 4; 5, 11; 7, 11.
132
Mt 18, 10.

62
ma ebbero la santità infusa nella prima costituzione e quasi insieme
con la mescolanza della loro sostanza133.

Nella Chiesa occidentale S. Ambrogio scrive: “Lo stesso diavolo perdette

la grazia per la superbia della sua natura” 134. San Girolamo ci ricorda che i

demoni, caduti dalla propria dignità, non posseggono nulla dell’antica grazia
135
. Sant’Agostino nella Città di Dio asserisce: “E questa (buona volontà ) chi

l’aveva fatta, se non colui li creò con la buona volontà, vale a dire con l’amore

casto, per il quale aderissero a lui, insieme formando per essi la natura e

largendo loro la grazia?” 136.

La ragione teologica ha un motivo valido da addurre per l’elevazione degli

angeli all’ordine soprannaturale: è dogma cattolico che gli uomini siano stati

elevati al fine soprannaturale; ora non è probabile che Dio abbia dato

all’uomo, creatura inferiore, una così grande dignità per poi negarla agli

angeli, creature superiori137.

133
BASILIO, In Psalmos homiliae, 32, 4, EP 960.
134
“Ipse diabolus per superbiam naturae amisit gratiam”, AMBROGIO, In Psalmos118, 7, 8, PL 37, 1037A.
135
GIROLAMO, In Oseam, 3,1, PL 25, 283.
136
AGOSTINO, La città di Dio, XII, 9.2, ed. Bompiani, Milano 2001, p. 573.
137
R. LAVATORI, Op. cit., p. 99.

63
5.2 Prova degli angeli.

Che molti angeli, abusando della propria libertà, siano caduti in peccato e

siano divenuti cattivi, è verità di fede definita dal Concilio Lateranense IV138.

San Tommaso non si limita a parlarci semplicemente dell’elevazione degli

angeli allo stato soprannaturale, ma formula alcuni interrogativi sul

conseguimento della gloria in seguito ad una prova di fedeltà cui gli angeli

furono sottoposti. Nel primo articolo della questione sessantadue della Prima

Pars, il Dottore Angelico si chiede “se gli angeli abbiano conseguito la

beatitudine fin dalla loro creazione”.

Egli spiega innanzitutto che per la creatura ragionevole o intellettuale, dire

“beati” è lo stesso che dire “conseguimento della beatitudine” che è il

conseguimento ultimo della perfezione. Per tali creature l’ultima perfezione

può essere di due specie: “La prima è quella che la creatura può conseguire

con le sue capacità naturali”. La seconda invece, è quella che attendiamo nella

vita futura, dove saremo capaci di vedere “Dio così come Egli è”. Questo tipo

di visione supera le possibilità naturali di ogni intelletto creato 139. Ne

scaturisce immediatamente che

138
Denz nn. 457, 797.
139
ST I, q. 62, a. 1.

64
L’angelo fu creato beato, se per beatitudine s’intende quella che
egli può conseguire con le capacità naturali. L’angelo, infatti, non
acquista questa perfezione con processo discorsivo, come fa l’uomo:
egli la possiede subito in forza della nobiltà della sua natura, come
abbiamo gia spiegato. Ma la beatitudine suprema, che supera la
capacità della natura, gli angeli non l’ebbero nel primo istante della
loro creazione, poiché tale beatitudine non fa parte della natura, ma ne
è il fine. Quindi non era giusto che la possedessero fin dal primo
istante140.

Nell'articolo seguente il Santo Dottore espone come l’angelo, per volgersi

a Dio, abbia bisogno della grazia.

Il padre Centi precisa che tutto l’articolo si basa sul concetto originario di

conversione. Infatti il termine latino converti viene tradotto con il verbo

volgersi, da cui si può dedurre tutto il valore di questo termine141.

Per San Tommaso è ovvio che la grazia di cui si sta trattando non è altro

che la grazia santificante. Rivolgersi a Dio significa anche raggiungere Dio, il

quale rende beato con la visione della Sua essenza, e quest’ultima beatitudine

è soprannaturale. Quindi, volgersi a Dio significa conoscerlo “per essenza”, il

che sorpassa le facoltà naturali di qualsiasi intelletto142. Perciò L’Aquinate

conclude:

140
Ibidem.
141
T. CENTI, op. cit., p. 354
142
ST I, q. 62, a. 2.

65
Nessuna creatura ragionevole può aver un atto della volontà
proporzionato a quella beatitudine, senza mozione di una causa
soprannaturale. È quello che noi chiamiamo aiuto della grazia. Perciò
si deve concludere che l’angelo non poteva con la sua volontà volgersi
a quella beatitudine senza l’aiuto della Grazia143.

La questione che viene proposta nel terzo articolo, “Se gli angeli siano stati

creati in grazia”, per quanto sembri simile a quella del primo articolo, è ben

diversa: infatti, qui si vuole comprendere se la grazia santificante era presente

negli angeli già dalla loro creazione. Alcuni teologi scolastici, come Pietro

Lombardo, Ugo da San Vittore, e lo stesso San Bonaventura, ritenevano che

Dio al tempo della prova avesse dato agli angeli solo delle grazie attuali con le

quali vincere la prova e prepararsi alla Grazia abituale, e quindi che non

furono creati con l’ornamento della Grazia santificante 144. San Tommaso, in

armonia con la dottrina insegnata da molti Padri della Chiesa, ritiene che gli

angeli furono creati in grazia e perciò al momento della prova avessero tutti la

Grazia abituale, alla quale si aggiunsero le grazie attuali per potersi rivolgere

attualmente a Dio come fine soprannaturale, e così perseverare nella Grazia145.

San Tommaso, nel commentare i Libri delle Sentenze di Pietro

lombardo146, aveva già manifestato la sua simpatia per l’opinione che poi qui

143
Ibidem
144
ST I, q. 62, a. 3
145
Cfr. A. PIOLANTI Op. cit., pp. 210-211.
146
SAN TOMMASO, Commento alle sentenze di Pietro Lombardo, d. 4, q. 1, a. 3, in Opera omnia, tomus VIII,
Parma 1856

66
apertamente difende, sia pure non osando presentarla come dottrina certa,

poiché l'opinione contraria appariva maggiormente coerente con la dottrina

agostiniana della creazione. Egli ora, invece, scrive: “Sebbene tuttavia si

debba ritenere come più probabile e più conforme alla dottrina dei Santi che

gli angeli furono creati in possesso della grazia abituale” 147, concependo la

grazia santificante come “ragione seminale della beatitudine” 148. Egli termina

dicendo: “Perciò, come si afferma, seguendo Sant’Agostino, che dal primo

istante della creazione gli esseri corporei ebbero in sé le ragioni seminali di

tutti gli effetti di ordine naturale, così (si dirà) che gli angeli fin dall’inizio

sono stati creati in Grazia”149.

5.3 La beatitudine degli angeli

Tralasciando il quarto articolo (“Se gli angeli beati abbiano meritato la loro

beatitudine)”, che approfondiremo successivamente, soffermiamo il nostro

interesse sul quinto articolo della questione sessantadue, dove viene trattata la

possibilità dell’angelo di raggiungere la beatitudine subito dopo il primo atto

meritorio.

147
ST I, q. 62, a. 3
148
Ibidem.
149
Ibidem.

67
Per San Tommaso l’angelo conseguì la beatitudine soprannaturale subito

dopo il primo atto di carità col quale egli la meritò. Al Dottore Angelico urge

precisare che non solo l’angelo può acquistare con un unico atto la

beatitudine, ma anche l’uomo può acquistare la beatitudine con ciascun atto di

carità. Ne consegue che possiamo dire, con San Tommaso, che l’angelo fu

beato subito dopo il primo atto informato dalla carità150.

Possiamo ora affrontare i tre quesiti teologici riguardanti la beatitudine

degli angeli e cioè: se gli angeli abbiano meritato la loro beatitudine; se

l’angelo beato possa peccare e quindi perdere la beatitudine conquistata;

infine il grado di beatitudine degli angeli.

5.3.1 L’angelo ha meritato la beatitudine

Nell'articolo 4 della questione 62, il Dottore Angelico volge lo sguardo al

merito degli angeli verso la loro beatitudine, approfittandone per chiarire

maggiormente quanto è stato detto sulle relazioni tra grazia e beatitudine. Uno

dei pregi rilevanti del presente trattato è, difatti, l'approfondimento di riflesso

offerto sulla psicologia e gnoseologia umana, oltre che sugli effetti della

grazia.

150
ST I, q. 62, a. 5

68
San Tommaso rileva innanzitutto che la beatitudine perfetta si trova

solo in Dio, solo per Lui “esistere” ed “essere beato” è la stessa cosa, mentre

per tutte le Sue creature, essere beato non rientra nella propria natura, ma è il

fine ultimo al quale esse anelano. Ogni creatura deve perseguire il fine ultimo

con tutte le sue forze. Se però questo fine supera la stessa operazione naturale,

allora il conseguimento si può solo attendere come dono elargito da un altro.

Questo è il caso della beatitudine ultima soprannaturale, la quale supera ogni

natura, angelica, umana e qualunque altra natura creata. Sia l’uomo sia

l’angelo hanno dovuto meritarla151, ed il merito è indissolubilmente legato alla

grazia, per cui non è possibile affermare che gli angeli furono creati

direttamente senza quest'ultima:

Se invece gli angeli non ebbero la grazia prima di essere beati, si


dovrà dire che essi ebbero la beatitudine senza meritarla, come noi
riceviamo la grazia. Ma ciò è contro la nozione di beatitudine, la quale
presenta il carattere di fine, ed è premio della virtù (…). Oppure
bisogna dire, come altri sostennero, che gli angeli meritano la
beatitudine con gli atti che essi compiono nel ministero divino. Ma ciò
sarebbe in contrasto con il concetto di merito: il merito infatti è la via
che conduce al fine; ora chi è gia arrivato al termine non ha più
ragione di muoversi. Per questo nessuno merita quello che possiede.
Ovvero si dovrebbe arrivare a dire che lo stesso e identico atto della
conversione a Dio, in quanto procede dal libero arbitrio, è meritorio, e

151
ST I, q. 62, a. 4

69
in quanto raggiunge il fine è fruizione beata. Ma anche questo non è
ammissibile. Il libero arbitrio infatti non è causa sufficiente del merito;
perciò, l’atto che procede dal libero arbitrio non è meritorio, se non in
quanto è informato dalla grazia. (...) È meglio ritenere perciò che gli
angeli ebbero la grazia prima di essere beati, e che per mezzo di essa
meritarono la beatitudine152.

5.3.2 Impossibilità per l’angelo di peccare

Sicuramente l’ottavo articolo della questione sessantadue, incentrato

sull’eventualità che gli angeli possano peccare, è di grande interesse. Da

sempre la Chiesa sostiene come dottrina di fede che per gli angeli buoni e i

beati in cielo è impossibile perdere la beatitudine e quindi peccare. La

Tradizione, il magistero ecclesiastico, la riflessione teologica hanno ribadito

tale concetto. Proprio in Sant'Agostino troviamo scritto: “Aberra dalla regola

della fede chi nega che gli angeli santi, posti nelle sedi dei cieli, sono sicuri e

certi della loro sempiterna e vera felicità”154. Non tutti i teologi hanno saputo

giustificare in modo convincente questa verità di fede. San Tommaso, nella

questione sessantadue della Prima Pars, si è premurato di addurre delle

ragioni intrinseche, diventate poi patrimonio comune tra gli studiosi.

Egli presenta in questo modo il suo pensiero sull’impeccabilità degli

angeli beati: la beatitudine consiste nel vedere Dio nella sua essenza, perciò
152
Ibidem.
154
AGOSTINO, La città di Dio, XI, edizioni Bompiani, Milano 2001, p.531

70
possiamo dire che la bontà è l’essenza di Dio. È impossibile pensare che

qualsiasi creatura faccia qualcosa senza mirare al proprio bene o voglia

fuggire il bene proprio in quanto bene, perciò conclude: “L’angelo beato non

può volere o compiere niente senza mirare a Dio. Ma chi vuole ed agisce in tal

modo non può peccare. Dunque in nessuna maniera può peccare”155.

Importante, anche per il pensiero contemporaneo, è poi il principio esposto

nella soluzione alla terza difficoltà, in cui si paventava, a causa

dell'impeccabilità, una diminuzione del libero arbitrio:

Il libero arbitrio, rispetto alle scelta delle cose ad un fine, si


comporta come l’intelletto rispetto alle conclusioni di un
ragionamento. Ora, è chiaro che la facoltà di ricavare certe
conclusioni, partendo da determinati principi, deriva dalla perfezione
dell’intelletto: mentre, invece, dedurre delle conclusioni violando
l’ordine dei principi, deriva da una deficienza dell’intelletto stesso.
Perciò il voler scegliere le cose diverse senza perdere di vista il fine,
deriva dalla perfezione del libero arbitrio; ma scegliere qualcosa
perdendo di vista il fine col peccato, deriva da una deficienza della
libertà. C’è quindi una maggiore libertà negli angeli i quali non
possono peccare, che non in noi che possiamo peccare156.

155
ST I, q. 62, a. 8
156
ST I, q. 62, a. 8, ad. 3um.

71
Lo stesso padre Tito Centi nota come con questa soluzione si arrivi ad

un'efficace confutazione di quella falsa concezione della libertà che confonde

il libero arbitrio con la facoltà di trasgredire ogni legge157.

5.3.3 Il grado della beatitudine degli angeli

In quest’ultimo articolo, il nono, della questione sessantadue, il Dottore

Angelico si chiede se gli angeli possano accrescere la loro beatitudine.

Per il Santo Dottore il grado di beatitudine dei singoli angeli è stabilito

dalla divina predestinazione. Per quanto riguarda la sostanza, essa non può

aumentare:

Si è già visto che la creatura ragionevole non potendo con la propria


virtù conseguire la sua beatitudine (...), deve essere mossa da Dio, al
conseguimento di questa beatitudine. Bisogna quindi che sia ben
determinato il termine cui la creatura ragionevole deve essere diretta
come a suo ultimo fine. (...) Per le creature ragionevoli vi sono infiniti
modi di conoscere Dio, con maggiore o minore chiarezza. E come la
beatitudine consiste nella visione stessa di Dio, così il grado di
beatitudine consiste in un determinato grado di attitudine alla visione.
Perciò Dio non solo conduce la creatura ragionevole al fine della
beatitudine ma le fa anche raggiungere il grado di beatitudine stabilito
dalla divina predestinazione. Una volta quindi raggiunto quel grado,
la creatura non può conseguire un grado più elevato158.

157
T. CENTI, op. cit., p. 273.
158
ST I, q. 62, a. 9.

72
Possiamo vedere chiaramente che per San Tommaso il grado di beatitudine

accordato ai singoli angeli corrisponde alla misura della loro perfezione.

Sembra, infatti, che Dio abbia dato agli angeli gradi diversi di perfezione per

prepararli a gradi diversi di beatitudine. Gli angeli sono portati a donarsi

totalmente a Dio, non avendo degli impedimenti in sé stessi, data la semplicità

della loro natura, e che quelli che possedevano una natura più perfetta hanno

amato perfettamente Dio e così hanno meritato una beatitudine maggiore 159.

Nondimeno, quando la missione angelica verso gli uomini si conclude con la

salvezza dei loro assistiti, può aumentare la gioia degli angeli, e tale gioia

costituisce un premio accidentale160.

In altre sue opere il Santo Dottore afferma che la grazia data agli angeli

durante la prova non è stata loro meritata da Cristo in ciò che vi è di

essenziale nella loro beatitudine161. Tuttavia Cristo è il loro capo e il suo

influsso si esercita su di loro. Questo influsso, secondo San Tommaso, non è il

fine dell’Incarnazione, che si evince fatta per gli uomini, ma solo una

conseguenza162.

Di fronte a certi dettagli di queste dottrine si rimane un po' perplessi; lo

stesso Centi scrive:


159
R. LAVATORI, Op. cit., pp. 148-149.
160
ST I, q. 62, a. 9 ad 3um.
161
SAN TOMMASO, De veritate, q. 29, a. 7, ad 5um, ed. Spiazzi, Roma 1953.
162
Ibid. a. 4, ad 5um.

73
La coerenza sistematica arriva certamente a queste determinazioni.
Ma di fronte ad esse dobbiamo francamente confessare che sentiamo
un senso di disagio. Qui la costruzione non trova più nessun appoggio
concreto nella rivelazione; e le nature angeliche sembrano sacrificate
da un motivo, che inizialmente tendeva ad esaltarne la nobiltà e la
grandezza. In definitiva sembra menomata la loro dignità di cause,
perché vien ridotta sensibilmente la loro iniziativa, in confronto di
quella concessa alla natura umana. L’uomo è l’artefice del suo destino
fin dei minimi particolari; l’angelo invece è costretto a muoversi sul
binario unico delle sue doti naturali, e della sua nobiltà e perfezione
innata. (...) Viene da pensare che dopo tutto la nostra ricostruzione
della psicologia degli angeli non può essere che molto approssimativa;
e che forse a noi sfugge l'aspetto più originale della loro attività163.

163
T. CENTI, op. cit., pp. 155-156.

74
CAPITOLO VI

L’ILLUMINAZIONE E LA LOCUZIONE

DEGLI ANGELI

Nelle questioni che fino adesso sono state trattate si è rivolto l’attenzione

agli angeli nell'ottica della Creazione, ora invece si esaminerà la figura

angelica nel quadro della Provvidenza e del Governo Divino.

6.1 L’illuminazione degli angeli

Quando San Tommaso parla di illuminazione intende esprimere una

manifestazione, e trattandosi di illuminazione degli angeli, pensa alla

manifestazione di una verità che un angelo fa ad un altro angelo. Questo

fenomeno avviene quando un angelo manifesta all’altro la verità o

rafforzandone la virtù intellettiva -per il fatto stesso che l’angelo superiore si

volge verso lui- oppure quanto alle specie intelligibili. Nel secondo caso,

l’angelo superiore conosce la verità con concetti o idee così universali che

75
l’intelletto dell’angelo inferiore non sarebbe in grado di comprendere, essendo

a lui connaturale conoscere le verità mediante idee più ristrette: perciò

l’angelo superiore suddivide, in certo qual modo, la verità da lui concepita più

universalmente, affinché possa essere compresa dagli angeli inferiori. Allo

stesso modo anche gli insegnanti suddividono analiticamente le verità da loro

possedute in maniera sintetica, per andare incontro alle capacità più limitate

degli allievi164.

San Tommaso tiene a chiarire che “un angelo non illumina l’altro

comunicandogli il lume di natura, di grazia e di gloria, ma corroborando il suo

lume naturale, e manifestandogli la verità su cose pertinenti allo stato di

natura, di grazia e di gloria”165.

Nel secondo articolo della questione centosei, il Dottore Angelico tratta

della possibilità per l’angelo di muovere la volontà di un altro angelo. Egli

sostiene che la volontà può essere mossa solo da Dio, che interviene su una

volontà senza compromettere la spontaneità della natura e senza alterare la

libertà del volere. Perciò anche quando interviene Dio, la volontà creata

conserva la sua libertà, più di quanto la natura possa conservare la

spontaneità. Anche in questo caso l’atto della volontà non sarà soggetto a

violenza, perché la mozione divina interiore pone in atto tutti quei

164
ST I, q. 106, a. 1.
165
Ibid. ad.2um.

76
procedimenti psicologici che sono caratteristica della sua spontaneità

naturale166.

Proseguendo nel corso della questione, il Dottore Angelico, spiega perché

gli angeli desiderino diffondere agli altri il bene che possiedono, e scrive:

Quanto più dunque gli agenti godono di una maggiore


partecipazione della bontà divina, tanto più si sforzano, secondo le
loro possibilità, di trasmettere negli altri le proprie perfezioni (…).
Tuttavia quanto è ricevuto dagli angeli inferiori, non viene mai a
trovarsi in loro in quella maniera eminente in cui si trova negli angeli
superiori. Perciò questi restano sempre in un grado più elevato, e
possiedono sempre una scienza più perfetta167.

6.2 La locuzione degli angeli.

Mentre l’illuminazione viene concepita come comunicazione di una verità

conosciuta da chi illumina, e ignorata da chi è illuminato, la locuzione invece

avviene quando un angelo manifesta qualcosa per un puro scambio di idee.

Nell’uno e nell’altro caso ci manteniamo nell'ambito delle relazioni

conoscitive.

166
ST I, q. 106, a. 2.
167
Ibid., a. 4.

77
Per capire in che modo un angelo parli all’altro, bisogna ricordare
(…) che è la volontà a muovere l’intelletto alle sue operazioni. Ora
l’oggetto intelligibile si trova nell’intelletto in tre modi: primo, sotto
forma di abito, cioè come oggetto della memoria, conforme
all’insegnamento di sant’Agostino; secondo, come oggetto del
pensiero attuale; terzo come riferito ad altro (…). Ora, quando la
mente si applica a considerare quello che possiede in maniera abituale,
si dice che uno parla a se stesso: infatti, il concetto della mente viene
chiamato parola interiore. Quando poi l’idea d’una mente angelica
viene ordinata dalla rispettiva volontà ad essere manifestata ad un
altro, essa viene ad essere conosciuta dall’altro: e così un angelo parla
all’altro. Parlare, infatti, è lo stesso che manifestare agli altri i propri
pensieri168.

In base a questa spiegazione si comprende che per la locuzione di un angelo

ad un altro c’è bisogno di un atto positivo della volontà che stabilisca il

contatto spirituale fra due pure intelligenze.

Nell'articolo appena esaminato il Dottore Angelico ha voluto dimostrare

che gli angeli comunicano tra loro ed il modo in cui ciò avviene, ma secondo

un ordine discendente; nel secondo articolo della questione centosette, viene

trattata la possibilità dell’angelo di parlare ad angeli superiori. Per San

Tommaso ammettere una comunicazione tra gli angeli superiori e quelli

inferiori non comporta difficoltà, poiché gli angeli sono pura manifestazione e

attraverso la loro volontà possono comunicare quello che vogliono a chi

168
ST I, q. 107, a. 1.

78
vogliono. Non altrettanto avviene per l'illuminazione, che si diffonde in

maniera gerarchicamente discendente dal primo principio, che è Dio169.

In seguito, l’Aquinate s’interessa alla possibilità di comunicazione tra gli

angeli e Dio. Per San Tommaso l’angelo non parla a Dio per comunicarGli

qualche cosa che Dio non sappia già, perché Dio è causa di ogni verità e in

nessun modo dipende dalle creature. L’angelo parla a Dio per consultare la

volontà divina sul da farsi, o per ammirare l’Eccellenza che egli non potrà mai

comprendere totalmente170.

Nell’ultimo articolo della questione centosette, il Dottore Angelico tratta

dell'eventualità di una partecipazione automatica di tutti gli angeli alle loro

comunicazioni particolari.

San Tommaso non esita a rispondere negativamente, ragionando in questa

maniera:

Il pensiero di un angelo può essere percepito dall’altro (…) per il


fatto che il soggetto pensante con la sua volontà lo indirizza a un altro.
Ora, può esserci un motivo per cui una cosa deve essere indirizzata a
uno e non a un altro. Perciò il pensiero di un angelo potrà essere
conosciuto da uno, e non dagli altri. Cosicché la comunicazione di un
angelo con un altro non sarà percepita dagli altri, non per colpa della
distanza locale, ma perché così determina la volontà171.

169
ST I, q. 107, a. 2.
170
Ibid., a. 3
171
Ibid, a. 5

79
CAPITOLO VII

LA GERARCHIA E GLI ORDINI

TRA GLI ANGELI

Nella Sacra Scrittura troviamo sia dei nomi specifici per l’uno o l’altro

angelo, sia dei termini che indicano le categorie. Nel libro della Genesi e nel

libro dell’Esodo vengono menzionati i cherubini172. Isaia invece descrive i

serafini che si trovano dinanzi al trono del Signore173. San Paolo, nelle sue

epistole, parla di Troni, Dominazioni, Virtù, Principati, Dominazioni, Potestà

e Arcangeli174. Alcune notizie le rinveniamo invece nei testi apocrifi, come

nell’Ascensione di Isaia, dove troviamo scritto che gli angeli si dividono in

molteplici categorie: gli ordini più elevati sono destinati alla corte divina,

mentre quelli inferiori sono inviati ad amministrare le realtà terrestri175.

Clemente D’Alessandria, nel suo Pedagogo, parla di una gerarchia celeste

che viene considerata nella prospettiva sacerdotale, che non ha solo un ruolo

liturgico, ma anche una dimensione spirituale e gnostica176. Lo stesso Origene,

172
Gn 3, 24; Es 25, 22.
173
Is 6, 2-6.
174
Col 1, 16; Ef 1, 21; 1Ts 4, 16.
175
L. MORALDI, Apocrifi dell’antico Testamento. L’ascensione di Isaia,VIII, 16-18, ed. Piemme, Casal
Monferrato 1996.
176
CLEMENTE D’ALESSANDRIA, Il Pedagogo, SCh 75, 2.

80
nel Perì Archòn, quando accenna al libero arbitrio divide la categoria degli

angeli in Virtù, Principati, Dominazioni177. Girolamo, sulla scia di Origene,

ammette che la differenza è data dalla diversità dei meriti, di potere e di

autorità: gli Arcangeli, Potestà e Dominazioni esercitano le loro funzioni

servendosi degli angeli subalterni178. San Giovanni Crisostomo afferma:

“Nella capitale celeste, Gerusalemme, nostra madre, ci sono serafini,

cherubini, molte migliaia di arcangeli e innumerevoli angeli”179.

San Tommaso, nella Somma Teologica, ha dedicato due questioni in merito

alle gerarchie: nella questione centootto presenta l’ordinamento degli angeli

buoni; mentre nella questione centonove l’ordinamento degli angeli cattivi. In

questo studio ci interesseremo soltanto agli angeli buoni e perciò alla

questione centotto della Prima Pars della Somma Teologica. Il primo articolo

che ci propone l’Aquinate tratta della possibilità degli angeli di appartenere ad

una sola gerarchia celeste. Per rispondere alla domanda generale posta, tali

sono gli argomenti addotti:

La gerarchia è un sacro principato. Ma il termine principato sta a


indicare sia il principe, sia la moltitudine ordinata sotto di lui. Siccome
l’unico principe è Dio, capo non solamente di tutti gli angeli, ma
altresì degli uomini e di tutto il creato; ne segue che una sola è pure la

177
ORIGENE, Perì Archòn, I, 8, 4; SCh 95.
178
GIROLAMO, Adversus Jovinianum, II; PL 22.
179
GIOVANNI CRISOSTOMO, Omelie VI, 1, 18-21; SCh 277.

81
gerarchia non solo di tutti gli angeli, ma di tutte le creature
ragionevoli, atte a partecipare le cose sante, come si può capire
dall’espressione di Sant’Agostino, che parla di "due città o società,
l’una degli angeli e degli uomini buoni, l’altra dei cattivi". Se invece
consideriamo il principato in rapporto alle moltitudine ordinata sotto il
principe, allora si può parlare di un solo principato quando la
moltitudine è fatta per essere governata con un unico identico regime.
Ma le cose che non possono sottostare ad un unico regime devono
appartenere a principati diversi: difatti possono trovarsi città diverse,
governate da leggi e da magistrati differenti. Ora è evidente che gli
uomini percepiscono le illuminazioni divine in maniera differente
dagli angeli: mentre, infatti, gli angeli le percepiscono nella loro nuda
intelligibilità, gli uomini le percepiscono attraverso immagini sensibili,
come insegna Dionigi. Era perciò necessario distinguere le gerarchia
umana da quella angeliche. In base allo stesso criterio anche negli
angeli si distinguono tre gerarchie180.

San Tommaso rileva l'ordinamento interno al mondo angelico secondo il

modo diverso in cui viene concepita la conoscenza nei singoli raggruppamenti

di angeli cioè secondo che le idee infuse sono più comprensive o meno

comprensive:

Primo, in quanto emanano dal principio universale che è Dio: e


codesto modo di conoscere compete alla prima gerarchia che si trova a
contatto immediato con Dio, e quasi dimora nei vestiboli della
divinità, come si esprime Dionigi. Secondo, in quanto tali ragioni
dipendono dalle cause universali create, che includono già una certa
180
ST I, q. 108, a. 1.

82
molteplicità: e codesto modo di conoscere conviene alla seconda
gerarchia. Terzo, in quanto tali ragioni vengono applicate alle singole
cose in quanto dipendono dalle loro cause particolari: e codesto modo
di conoscere conviene all’infima gerarchia181.

Come si vede la costruzione del discorso si mantiene su uno stile

puramente razionale che mette le sue radici negli insegnamenti dello pseudo

Dionigi; d’altro canto dobbiamo considerare sempre che nel Medioevo le

opere dello pseudo Dionigi venivano datate all’epoca apostolica e in seguito a

questo godevano di una notevole considerazione.

San Tommaso prosegue il filo del ragionamento già iniziato anche nel

secondo articolo della questione centootto:

Secondo quanto si è detto, una gerarchia costituisce un unico


principato, vale a dire una sola moltitudine ordinata con un solo
regime, sotto il governo di un solo principe. Ora, una moltitudine non
sarebbe ordinata, ma confusa, se in essa non vi fossero diversi ordini.
Dunque il concetto stesso di gerarchia esige una diversità degli uffici e
delle attività. Del resto così avviene anche nella società civile, dove
troviamo diversi ordini in base all’attività: infatti, l’ordine dei
magistrati è diverso da quello dei militari, da quello degli agricoltori e
via dicendo. Ma sebbene questi ordini siano molti, essi nondimeno
possono ridursi tutti a tre, considerando che ogni comunità perfetta
presenta principio, mezzo e fine. Cosicché in qualsiasi stato o città si
riscontra un triplice ordine di persone: vi sono infatti quelle di grado
più elevato, come i patrizi, altre di grado infimo, come il popolo

181
Ibidem.

83
minuto; altre di grado intermedio, come la classe media.
Analogamente si possono distinguere gli ordini in ciascuna gerarchia
in base alle attività e alle funzioni (degli angeli); e tutta codesta
diversità si riduce a tre gradi: supremo, medio e infimo. Questa è la
ragione per cui Dionigi ammette tre ordini in ciascuna gerarchia182.

Il testo Dello pseudo Dionigi rimane, quindi, la guida su cui il nostro

Dottore fonda e amplia la sua dottrina.

Una volta stabilite la gerarchia e gli ordini, le distinzioni e le esplicitazioni

continuano. Così San Tommaso si domanda “Se vi siano in un ordine più

angeli”183. Pur rispondendo positivamente al quesito, il Dottore Angelico

osserva che la conoscenza sugli angeli e sui loro uffici è imperfetta, perciò

possiamo parlarne soltanto in modo generale; se la nostra conoscenza su tale

materia fosse perfetta, potremmo conoscere sia gli uffici degli angeli sia il

loro ordine184.

Proseguendo nella sua analisi, il Dottore Angelico afferma che la

distinzione delle gerarchie e degli ordini avviene attraverso i doni naturali

degli stessi angeli che in un secondo momento vengono perfezionati dai doni

soprannaturali. Infatti:

La distinzione degli ordini deriva negli angeli come coronamento


dai doni gratuiti, ma come predisposizione dai doni naturali: perché
182
ST I, q.108, a. 2.
183
ST I, q. 108, a. 3.
184
Ibidem.

84
agli angeli, come si disse, i doni gratuiti furono concessi secondo la
portata dei doni naturali, ciò che non si verifica negli uomini. Ed è
questa la ragione per cui negli uomini gli ordini si distinguono soltanto
in base ai doni gratuiti e non in base alla natura185.

Per quanto riguarda i nomi dei singoli ordini, afferma l'Aquinate, è facile

rintracciarli nella Sacra Scrittura, sia pure in luoghi diversi. Infatti, troviamo i

Serafini in Isaia; i Cherubini in Ezechiele; i Troni nella lettera ai Colossesi; le

Dominazioni, le Virtù, le Potestà e i Principati nella lettera agli Efesini. Nella

lettera di Giuda troviamo invece gli arcangeli, mentre gli angeli vengono

menzionati in moltissimi luoghi della Sacra Scrittura186.

Nel Medioevo anche le minime questioni sugli angeli assumevano

notevole importanza. Così il Dottore Angelico, nel sesto articolo della

questione centootto, si preoccupa di spiegare le differenze che intercorrono tra

l'ordinamento dello Pseudo Dionigi e quello di San Gregorio Magno.

Per poter comprendere meglio il problema, si riporta lo schema dei due

ordinamenti uno a fianco all’altro per poi confrontarli.

Pseudo Dionigi San Gregorio Magno


1° gerarchia: Serafini 1° gerarchia: Serafini
Cherubini Cherubini
Troni Troni
185
ST I, q. 108, a. 4.
186
ST I, q. 108, a. 5.

85
2° gerarchia: Dominazioni 2° gerarchia: Dominazioni
Virtù Principati
Potestà Potestà

3° gerarchia: Principati 3° gerarchia: Virtù


Arcangeli Arcangeli
Angeli Angeli

Come si può notare, le differenze che emergono riguardano la seconda e la

terza gerarchia, dove lo Pseudo Dionigi colloca le Virtù nella seconda

gerarchia e i Principati nella terza. Inversamente, San Gregorio Magno

dispone i Principati nella seconda Gerarchia e le Virtù nella terza.

San Tommaso, dopo aver giustificato ampiamente la classificazione dello

Pseudo Dionigi, spiega pure le discrepanze che si riscontrano rispetto a San

Gregorio Magno in questo modo:

Chi esamini diligentemente le determinazione degli ordini fatta da


Dionigi e quella fatta da S. Gregorio, si accorgerà che esse
differiscono poco o nulla per quanto alla sostanza. E invero, S.
Gregorio fa derivare il nome dei Principati dal fatto che essi
"presiedono agli spiriti buoni": e ciò compete anche alle Virtù, in
quanto il nome Virtù importa una certa fortezza che dà vigore agli
spiriti inferiori, per eseguire efficacemente i divini ministeri. Inoltre le
Virtù di S. Gregorio sembrano identificarsi con i Principati di Dionigi.

86
Infatti, il primo dei ministeri divini è il compimento dei miracoli,
perché è in questo modo che si apre la strada agli annunzi degli
arcangeli e degli angeli187.

Oggi i teologi non attribuiscono grande importanza a questa divisione

anche perché essa non trova un fondamento all’interno delle Scritture, da cui

trarre con sicurezza conclusioni aderenti ai testi ispirati; né si può negare con

sicurezza che non ce ne siano altri, per cui l’uomo ancora non li ha disposti

all’interno di questo tipo di ordinamento188.

L’ultimo articolo della questione centootto può creare un notevole

interesse, infatti, l’Aquinate tratta della possibilità che gli uomini vengano

aggregati agli ordini degli angeli.

Secondo il Dottore Angelico, se consideriamo la natura, non vi potrà mai

essere uguaglianza tra gli uomini e gli angeli e quindi, sotto questo aspetto, gli

ordini angelici hanno l'esclusività della loro gerarchia. Se invece teniamo

conto dell’ordine della grazia, emerge che tutto dipende dalla libertà di Dio e

non della nobiltà della natura; quindi l’uomo, mediante il dono gratuito della

grazia può meritare in egual misura agli angeli tanto da essere aggregato a

loro189.

187
ST I, q. 108, a. 6, ad 4um.
188
Cfr. R. LAVATORI, Op. cit., p. 241.
189
ST I, q. 108, a. 8.

87
Nel commento al secondo libro delle Sentenze di Pietro Lombardo, San

Tommaso è ancora più esplicito nella formulazione del suo pensiero, infatti,

dopo aver esposto altre due opinioni, aggiunge:

Perciò a me piace di più la terza opinione, che è anche la più


consona alle parole dei santi (Padri), vale a dire che tutti gli eletti
saranno aggregati agli ordini degli angeli, chi alla prima gerarchia, chi
all’ultima, e chi a quella intermedia, secondo la diversità dei meriti;
mentre la Beata Vergine Maria sarà sopra tutti (…). Se poi verranno
aggregati tanti uomini quanti furono gli angeli prevaricatori, se di più
o di meno, lo sa soltanto Colui che solo conosce il numero degli eletti
da collocare nella felicità eterna190.

È chiaro che sta all’uomo collaborare con la Grazia per meritare questo

avvicinamento alla gloria dell’angelo.

190
SAN TOMMASO, Commento alle sentenze di Pietro Lombardo, d. 4, q. 1, a. 8, in Opera omnia, t.VIII,
Parma 1856.

88
CAPITOLO VIII

IL DOMINIO DEGLI ANGELI

SU TUTTI GLI ESSERI CORPOREI

8.1. Il dominio sulla materia corporea

Nelle precedenti questioni su cui ci siamo soffermati, il Dottore Angelico

ha mostrato le peculiarità principali degli angeli in quanto creature, ora

invece, seguendo sempre il filo della sua esposizione, si tratterà del loro ruolo

provvidenziale nei confronti di tutto il creato. Il primo argomento che viene

trattato da San Tommaso è il potere che gli angeli esercitano su tutta la

materia corporea191.

Tito Centi afferma che nel Medioevo questo problema assumeva anche un

aspetto filosofico naturalistico, dal momento che tutti gli eventi fisici che

rientravano nel campo dell’astronomia presentavano delle problematiche tali

da far pensare a un abituale intervento di queste creature incorporee192.

191
ST I, q.110, a.1
192
T. CENTI, op. cit., p. 151.

89
Nel primo articolo della questione centodieci della Somma Teologica, San

Tommaso tratta della possibilità per gli angeli di governare gli esseri corporei.

Il Dottore Angelico sostiene che sia nel mondo umano sia quello in della

materia, un potere limitato è governato a sua volta da un potere più grande ed

universale: anche tra gli angeli possiamo notare che quelli inferiori sono

governati da quelli superiori. La materia rende limitati gli esseri corporei,

mentre gli esseri immateriali non hanno questo vincolo e sono liberi da tali

condizioni. Emerge dal ragionamento che tutti i corpi sono governati per

mezzo del principio superiore angelico. Questa è l’avviso non solo dei santi

Dottori della Chiesa ma anche di tutti i filosofi193.

Il Dottore Angelico nelle soluzione delle difficoltà spiega quest'ultima

affermazione, scrivendo che per Platone le sostanze immateriali sono le

essenze e le specie sussistenti dei corpi sensibili; per Aristotele invece le

sostanze immateriali non sono soltanto l’essenza dei corpi sensibili, ma

qualcosa di più alto e di più universale, per questo attribuisce loro un

immediato influsso su tutti i singoli corpi celesti. Alcuni Dottori della Chiesa,

come Sant’Agostino e San Giovanni Damasceno, ripresero le concezioni dei

filosofi sopra citati tanto da assegnare ad ogni essere corporeo una sostanza

spirituale. Così, a detta del Dottore Angelico, possiamo ammettere che tutti gli

193
ST I, q. 110, a.1.

90
angeli hanno un potere sulle cose puramente corporee, infatti è per mezzo loro

che talvolta si compiono dei miracoli194.

La materia corporea, così come gli esseri incorporei, non è tenuta ad

obbedire immediatamente agli angeli, ma soltanto a Dio che è il loro Creatore

ed ha questa esclusività che nessuno può eguagliare o addirittura sottrarGli 195.

Gli esseri spirituali, a loro volta, hanno il potere su tutti gli esseri corporei, ma

non potendoli trasformare secondo il loro compiacimento, possono soltanto

spostarli per prepararli alle trasformazioni sia sostanziali sia accidentali196.

L’ultimo articolo della questione centodieci ha forse un'attrattiva maggiore

per la nostra curiosità moderna, poiché tratta della possibilità per gli angeli di

fare miracoli. Nelle obiezioni San Tommaso presenta il pensiero di San

Gregorio e di Sant’Agostino i quali parlano di miracoli attuati dagli angeli 197.

Nella Sacra Scrittura invece non si accenna mai a miracoli compiuti dagli

angeli: nel libro di Tobia, dove viene riscontrato un evento miracoloso alla

presenza di un angelo, questi non viene ringraziato, ma viene lodato Dio che

ha avuto pietà di Tobia198.

San Tommaso, innanzitutto, ricorda che, per parlare di miracolo, un evento

deve andare al di là dell’ordine stesso della natura creata e ciò può essere

194
ST I, q. 110, a.1, ad 3um.
195
ST I, q. 110, a.2.
196
ST I, q. 110, a.3.
197
ST I, q. 110, a.5, obiezioni 2 e 3.
198
Tb 11, 11-15.

91
compiuto soltanto da Dio e non dalle sue creature, che invece possono operare

soltanto nell’ordine della natura stessa 199. Il Santo Dottore conclude la sua

spiegazione affermando che sia gli angeli sia i santi possono intercedere

presso Dio affinché compia miracoli, ma di per sé né gli angeli né i santi

possono compiere per loro volere un miracolo200.

8.2 L’azione degli angeli sugli uomini

Dopo aver trattato del dominio degli angeli sulla materia corporea, il

Dottore Angelico prosegue esaminando l’azione degli angeli sugli uomini.

Nel primo articolo della questione centoundici, San Tommaso si preoccupa di

mostrare come l’angelo possa illuminare gli uomini. Innanzitutto si deve

affermare, con il padre Centi, che l’angelo, attraverso la sua presenza, ha

sempre guidato sia i profeti sia patriarchi, perciò era pensiero comune dei SS.

Padri che gli angeli illuminassero il cammino dell’uomo201.

San Tommaso approfondisce il perché di quest’illuminazione e asserisce

che un intelletto inferiore è fortificato da un intelletto superiore, e ciò si

verifica già tra gli angeli superiori e quelli inferiori. L’intelletto dell’uomo
199
ST I, q. 110, a.4
200
Ibid., ad 1um.
201
T. CENTI, op. cit., p. 167

92
non è in grado di comprendere tutte le verità intelligibili, perciò sono proprio

gli angeli ad aiutarlo a raggiungere più perfettamente la conoscenza di Dio,

rendendo questa verità accessibile all’uomo attraverso immagini sensibili che

sono di più facile comprensione202.

Il secondo articolo della questione centoundici è nello stesso tempo molto

interessante ma anche molto delicato, difatti San Tommaso passa ad

esaminare se la volontà dell’uomo possa essere in qualche maniera influenzata

dagli angeli. L'Aquinate afferma che la volontà degli uomini può esser mossa

in due modi: prima di tutto dall’interno, ma Dio solo può muovere

interiormente l’intelletto dell’uomo senza fargli una violenza, perché dona alla

natura intellettiva le virtù necessarie per tale inclinazione.

Il secondo modo viene dall’esterno. L’angelo, solo attraverso un’opera di

persuasione può influire sulla volontà dell’uomo: presentandogli un oggetto

come bene desiderabile può muoverne la risoluzione203. Continua il Dottore

Angelico:

Può essere mossa dall’esterno anche in altra maniera, e cioè dalla


passione che sorge nell’appetito sensitivo; cosi la volontà viene spinta
a volere qualche cosa dalla concupiscenza o dall’ira. E per questo
verso, in quanto hanno il potere di suscitare tali passioni, possono
muovere la volontà anche gli angeli. Non è tuttavia un moto
202
ST I, q. 111, a.1.
203
ST I, q. 111, a.2.

93
necessitante: perché la volontà resta sempre libera di accedere o
resistere alla passione204.

Le due risposte del Dottore Angelico ci fanno comprendere che la libertà

dell’uomo non è mai intaccata dagli angeli, i quali possono sì persuadere

l’uomo, ma non imporre la propria volontà .

Gli ultimi due articoli della questione centoundici sono sicuramente meno

delicati ma collegati al precedente, ed altrettanto degni di attenzione. Il

Dottore Angelico nel terzo articolo tratta della possibilità da parte degli

angeli di influire sull’immaginativa dell’uomo, mentre nel quarto articolo

tratta della possibilità per gli angeli di influire sui sensi dell’uomo.

Innanzitutto dobbiamo comprendere che con il termine immaginativa

s’intendono tutte le facoltà sensitive interiori, come la memoria e la

cognitività. Il Dottore Angelico afferma che sia gli angeli buoni sia quelli

cattivi, in forza del potere della loro natura, possono influire

sull’immaginativa dell’uomo. Negli articoli precedenti abbiamo visto che tutti

i fenomeni derivanti dal moto locale sono sotto l’influenza degli angeli. Le

immagini della fantasia sono talvolta causate in noi dagli spostamenti degli

spiriti vitali e degli umori205. Tanto forte può essere l’agitazione degli spiriti e

204
Ibidem.
205
Il Centi afferma che gli spiriti vitali e gli umori erano i cavalli di battaglia della fisiologia antica e
medievale; ad essi venivano attribuite quasi tutte le funzioni che la scienza medica attuale attribuisce al
sistema nervoso; T. CENTI, op. cit., p. 175.

94
degli umori, da produrre delle apparizioni anche quando il soggetto è in stato

di veglia, come avviene nelle persone con problemi psichici. Quindi la causa

di questi fenomeni può essere un turbamento naturale degli umori, talvolta

causato dalla stessa volontà dell’uomo, oppure l’influsso degli angeli buoni o

cattivi206. Per quanto riguarda l’influenza che hanno sui sensi dell’uomo, gli

angeli possono interferire in due modi: sia dall’esterno sia dall’interno.

Possono influire dall’esterno alla stessa maniera di quando assumono un

corpo; infatti, possono presentare ai sensi tutto ciò che desiderano, sia del

mondo creato sia di quello sensibile. Dall’interno, invece, quando muovono a

loro compiacimento gli spiriti vitali e gli umori tanto da produrre

un'alterazione dei sensi207.

206
ST I, q. 111, a. 3.
207
ST I, q. 111, a. 4

95
CAPITOLO IX

LA MISSIONE DEGLI ANGELI

Gli angeli, è già emerso in precedenza, svolgono diversi ministeri: alcuni

presso il trono dell’Altissimo, dove il loro ufficio non si esaurisce soltanto con

l’adorazione, ma continua nello svolgere premurosamente i Suoi comandi;

altri compiti, invece, li realizzano in mezzo agli uomini, dove sono chiamati

non solo a proteggerli ma anche a essere di aiuto su di un piano

comunitario208.

Per comprendere meglio e -si potrebbe dire- in tutta la sua organicità la

loro missione, per convenienza divideremo in tre parti questo capitolo; nella

prima parte toccheremo il loro ministero in genere, nella seconda parte

approfondiremo la loro missione principale in mezzo ai singoli uomini,

mentre nell’ultima parte tratteremo degli angeli che custodiscono i popoli.

9.1 Il ministero angelico

208
Cfr. R. Lavatori, op. cit., p. 40.

96
Il primo tra gli articoli che suddivide la questione centododici della Somma

Teologica esamina se gli angeli sono inviati a compiere il loro ministero.

Nella Sacra Scrittura l’unico testo che riferisce del ministero di un angelo è il

libro dell’Esodo, dove appare chiaro che il suo intento è quello di preparare la

terra promessa agli Ebrei scacciando i popoli che fino a quel momento vi

risiedevano209.

San Tommaso afferma che gli angeli sono inviati da Dio a compiere un

ministero loro affidato. L'attività che svolgono procede da Dio, che è il fine

ultimo del loro obbedire ed agire. Per il Dottore Angelico la condizione del

ministero esercitato dagli angeli è il procedere da Dio, in quanto primo

principio ed autorità, e la tensione a Lui come ultimo fine: l'angelo è un docile

strumento nelle mani dell’Onnipotente, il quale decide i tempi di questi

interventi. In quanto cause secondarie ed intellettuali, gli angeli esercitano il

loro compito non spostandosi localmente, ma applicando la virtù posseduta

all'essere oggetto del compito affidato210.

Se tutti gli angeli svolgono un ministero, è anche vero che non tutti gli

angeli svolgono un ministero nel mondo materiale; anzi, come afferma San

Tommaso citando lo Pseudo Dionigi, gli angeli superiori non sono mai inviati

per i ministeri esterni211.


209
Es 23, 20.
210
ST I, q. 112, a. 1.
211
ST I, q. 112, a. 2.

97
Dopo aver rilevato che non tutti gli angeli sono deputati a svolgere un

ministero nel mondo della materia, San Tommaso ribadisce la gerarchia

angelica di natura e di ruolo, affermando:

Tutti gli angeli vedono immediatamente la divina essenza (…). Non


tutti però hanno il potere di apprendere i divini segreti negli splendori
della divina essenza; ma soltanto quelli di grado superiore, per mezzo
dei quali sono svelati agli angeli inferiori. E sotto questo aspetto, son
detti assistenti soltanto gli angeli superiori che appartengono alla
prima gerarchia la quale, secondo Dionigi, ha il privilegio di essere
illuminata immediatamente da Dio212.

Sulla precedente spiegazione nasce spontaneo pensare che se gli angeli

della prima gerarchia hanno il compito di assistere Dio, il compito di tutti gli

altri angeli è quello di svolgere il ministero nel mondo materiale. Anche

questa difficoltà dell'angelologia è affrontata dal Dottore Angelico:

In base alle spiegazioni date, l’essere inviato per ministero esterno


compete propriamente agli angeli, in quanto compiono qualche opera
sulle creature materiali per comando di Dio; ciò che appartiene
all’esecuzione del ministero divino. Ora, le proprietà degli angeli
vengono rivelate dai loro nomi, come insegna Dionigi, perciò vengono
inviati per ministero gli angeli di quegli ordini, i cui nomi denotano
una esecuzione. Il nome invece delle Dominazioni non denota alcuna
esecuzione, ma solo disposizione e comando sulle cose da fare. Al
212
ST I, q. 112, a. 3.

98
contrario, nei nomi degli ordini inferiori è chiaramente espressa
l’esecuzione: difatti, gli Angeli e gli Arcangeli sono così denominati
perché annunziano, le Virtù e le Potestà, perché dicono rapporto con
qualche azione da compiere (…). Quindi l’essere inviati per ministeri
esterni appartiene a questi cinque ordini213, e non ai quattro
superiori214.

9. 2 Il ministero degli angeli verso l’uomo

Dopo aver accennato ai ministeri che gli angeli sono chiamati a svolgere e a

come si dividono tali uffici, ora condurremo la nostra sintesi considerando il

ministero che essi svolgono verso gli uomini.

Innanzitutto è opportuno ribadire che il ministero degli angeli verso gli

uomini è un ministero non necessario, ma che Dio liberamente affida ai suoi

ministri celesti. Al tempo degli Apostoli cominciò a serpeggiare un’eresia che

accentuava a tal punto la trascendenza di Dio da affermare che il Signore non

poteva avere alcun contatto con l’uomo se non per mezzo di questi

intermediari. Più tardi si enfatizzò ancor di più tale opinione tanto da

considerare la figura e la missione di Cristo abbassata e messa in linea con

tutti questi altri mediatori215. A tal proposito, sia la lettera di San Paolo ai
213
Per quanto riguarda la visione di tutte le gerarchie ci rifacciamo alla questione 108, articolo 6 della Somma
Teologica,dove vengono presentati i nomi e tutta la gerarchia celeste.
214
ST I, q.112, a. 4
215
Cfr. R. LAVATORI, op. cit., p. 47.

99
Colossesi, sia la lettera agli Ebrei, sia il Prologo del Vangelo secondo

Giovanni216, chiariscono definitivamente che la grandezza degli angeli si

risolve nella glorificazione della grandezza di Cristo217.

Dopo aver fatto questa precisazione, passiamo ad analizzare i vari quesiti

che San Tommaso affronta nella questione centotredici della Prima Pars della

Somma Teologica.

Nel primo articolo, il Dottore Angelico tratta della possibilità che gli angeli

custodiscano gli uomini. Il padre Centi scrive: “È verità di fede che gli uomini

sono custoditi dagli angeli”218. Spiega ancora che “questa verità era così

radicata nell’anima umana, che gli stessi pagani popolarono di geni e di

dèmoni le loro case e i loro campi; e la riforma protestante non osò

distruggerla219”. Del resto l’affermazione del Centi si regge su diversi passi

della Sacra Scrittura. Nel salmo 90, infatti, troviamo scritto: “Egli darà ordine

ai suoi angeli di custodirti in tutti i tuoi passi. Sulle loro mani ti porteranno

perché non inciampi nella pietra il tuo piede”220. Ancora più espliciti sono

taluni passaggi della lettera agli Ebrei e del Vangelo secondo Matteo 221. Molti

Padri della Chiesa professarono apertamente che gli angeli sono custodi degli

uomini. Per citarne qualcuno, ricordiamo San Giovanni Crisostomo, il quale


216
Col 1, 16; Eb1, 3; Gv, 1, 1-3.
217
R. LAVATORI, op. cit., pp. 48-50.
218
T. CENTI, op. cit., p.192.
219
Ibidem.
220
Sal 90, 11-12.
221
Eb 1, 14; Mt 18, 10.

100
nelle sue Omelie scrive: “Gli angeli sono al servizio degli uomini, poiché sono

al servizio del Maestro che si è umiliato fino all’incarnazione e alla morte per

aiutare gli uomini”222. San Basilio contro Eunomio: “Tutti gli angeli, come

hanno un solo nome, così hanno fra loro al tutto la stessa natura; tuttavia fra

loro altri sono preposti alle genti e altri sono dati come compagnia a ciascuno

dei fedeli”223. Anche Origene ci presenta gli angeli custodi nel suo Perì

archòn, e asserisce: “C’è anche questo nella predicazione ecclesiastica, che

alcuni angeli di Dio e buone potenze lo servano per condurre a termine la

salvezza degli uomini”224.

San Tommaso, per dimostrare l’esistenza degli angeli custodi sugli uomini,

parte dal principio che nel creato tutti gli esseri mobili e mutabili sono mossi e

regolati da esseri immobili e immutabili225.

Da ciò egli trae la seguente conclusione: “Ora è evidente che la conoscenza

e gli effetti dell’uomo, nell’attività pratica, possono variare e deviare in più

modi dal bene. Era perciò necessario che all’uomo fossero assegnati degli

angeli custodi, affinché lo guidassero e lo movessero al bene” 226. Una

spiegazione ancora più approfondita, il Dottore Angelico la dà nella soluzione

222
GIOVANNI CRISOSTOMO, Omelie 2; PG 63, 30.
223
BASILIO, Adversus Eunomium, 3, 1, EP 940.
224
ORIGENE, Perì archòn, I 8, 4, SCh 98.
225
ST I, q. 113, a. 1
226
ST I, q. 113, a. 1.

101
delle difficoltà, perché mostra più determinatamente le debolezze della natura

umana, che ha bisogno di un sostegno nella custodia degli angeli:

L’uomo, col suo arbitrio, è in grado di evitare il male in parte, ma


non in tutto; perché egli è reso debole, nel suo amore del bene, dalle
molte passioni dell’anima. Parimente, anche la conoscenza che egli
possiede della legge naturale, e che è a lui congenita, può in parte
dirigerlo al bene, ma non in maniera adeguata: perché nell’applicare i
principii generali del diritto alle azioni particolari, l’uomo più volte
s’inganna. Non per nulla sta scritto: Timidi sono i ragionamenti dei
mortali e malsicuri i nostri divisamenti. Era quindi necessaria
all’uomo la custodia degli angeli227.

Nell’articolo precedente si è ribadito che gli angeli sono custodi degli

uomini, ora San Tommaso passa ad esaminare se gli angeli custodiscano tutti

gli uomini o soltanto una parte di essi.

Origene, nell’opera De Perì archòn, limita questa presenza soltanto ai

Cristiani: “Si dice che nella Chiesa di Dio a ciascuno dei fedeli sia assegnato

un angelo di Dio, che il Salvatore afferma che vede sempre la faccia di Dio

Padre”228. Anche San Girolamo si ricollega al pensiero espresso da Origene, e

sostiene che gli uomini che hanno un angelo custode hanno una grande

dignità”229. Lo stesso Catechismo della Chiesa Cattolica conferma le

227
Ibid. ad 1um.
228
ORIGENE, Perì archòn, I 27, 9, SCh 147.
229
GIROLAMO, Evangelium Matthaei, l. III, 18, 10, EP 1387.

102
considerazioni espresse da Basilio e Origene: “Dall’infanzia fino all’ora della

morte la vita umana è circondata dalla loro protezione e dalla loro

intercessione. Ogni fedele ha al proprio fianco un angelo come protettore e

pastore, per condurlo alla vita. Fina da quaggiù, la vita cristiana partecipa,

nella fede, alla beata comunità degli angeli e degli uomini, uniti in Dio”230.

San Tommaso, contro ogni forma di disparità, sostiene la custodia degli

angeli per tutti gli uomini. Infatti, il Dottore Angelico dedica due articoli della

questione centotredici della Somma Teologica ad affrontare esaurientemente a

questo soggetto. Nel primo dei due articoli San Tommaso precisa che l’uomo

possiede l’anima razionale. Questa lo rende incorruttibile, a differenza degli

altri esseri visibili che sono corruttibili; quindi Dio ha una cura particolare per

l’uomo e la manifesta attraverso l’assegnazione degli angeli per ogni uomo 231.

Poi, il Dottore Angelico, espone la ragione per ammettere questa universale

custodia da parte degli angeli custodi:

Finché vive in questo mondo, l’uomo si trova come su una strada


che deve condurlo alla patria. Lungo la strada, molti pericoli
incombono su di lui, sia dall’interno, che dall’esterno (…). Quindi,
come si dà una scorta alle persone che devono transitare per strade
malsicure, così dà un angelo custode all’uomo, finché dura il suo stato
di viatore. Quando invece sarà giunto al termine della strada, allora

230
CCC 336.
231
ST I, q. 113, a. 2.

103
l’uomo non avrà più un angelo custode, ma avrà in cielo un angelo
conregnate, o nell’inferno un demonio tormentatore232.

Nella soluzione alla terza difficoltà del suddetto articolo troviamo il motivo

per cui San Tommaso assegna indiscriminatamente a tutti gli uomini un

angelo custode:

I presciti233, gli infedeli e l’Anticristo, come non sono privati


dell’aiuto interno della ragione naturale, così non sono neppure privati
dell’aiuto esterno concesso da Dio a tutto il genere umano, e cioè della
custodia da parte degli angeli. Sebbene non ne ricevano un aiuto al
punto di meritare la vita eterna con le buone opere, tuttavia sono così
portati a evitare dei mali con i quali potrebbero danneggiare se stessi e
gli altri. Infatti, perfino gli stessi demoni sono tenuti a freno dagli
angeli buoni, affinché non arrechino tutto il nocumento che
vorrebbero. E così pure l'Anticristo non potrà nuocere quanto
vorrebbe234.

San Tommaso ci ha fin qui spiegato il motivo dell’assegnazione

dell’angelo custode, ora sposta la discussione su un altro argomento dibattuto

nella Chiesa del suo tempo, e cioè quando l’uomo riceva il suo angelo

custode. Al tempo di Origene, era opinione comune che solo dopo il battesimo

fosse assegnato l’angelo custode235. San Tommaso, riprendendo l’opinione di

232
ST I, q. 113, a. 4.
233
Col termine "presciti" s’intendono coloro che sono oggetto della predestinazione divina, a prescindere dal
modo in cui tale predestinazione venga spiegata.
234
ST I, q. 113, a. 4, ad 3um.
235
R. LAVATORI, op. cit., pp. 89-90.

104
San Girolamo, spiega: “Come l’uomo riceve l’anima razionale e prende

possesso di tale natura al momento della nascita, cosi Dio gli concede al

momento della nascita un angelo custode”236. Questo angelo, una volta iniziata

la sua custodia, accompagna l’uomo fino alla morte senza mai abbandonarlo;

se talvolta l’angelo si allontana è perché l’uomo deve essere provato

attraverso la tribolazione oppure perché lo stesso uomo sceglie il peccato237.

Le creature angeliche non patiscono i mali che capitano ai loro protetti

perché comunque godono continuamente della beatitudine di Dio e seguono la

Sua volontà. Sicuramente gli angeli non vogliono la sofferenza o il peccato

dell’uomo: “Vogliono però che sia capace di giungere alla salvezza secondo

l’ordine di giustizia divina, il quale esige che alcuni siano sottoposti alla pena,

e che sia permesso il peccato”238.

9.3. La custodia dei popoli

Oltre agli angeli custodi assegnati ai singoli uomini, alcuni Padri della

Chiesa, tra cui Sant'Ireneo, ritenevano che alcuni angeli abbiano il compito di

custodire i popoli239. Questa opinione trova il suo fondamento nei testi della

236
ST I, q. 113, a. 5.
237
ST I, q. 113, a. 6.
238
ST I, q. 113, a. 7.
239
IRENEO DI LIONE, Contro le eresie, III, 12, 9, ed. Cantagalli, Siena 1968, p. 278.

105
Sacra Scrittura, dove troviamo scritto: “Ora in quel tempo sorgerà Michele, il

gran principe, che vigila sui figli del tuo popolo” 240; “Ma il principe del regno

di Persia mi si è opposto per ventun giorni: però Michele, uno dei primi

principi, mi è venuto in aiuto e io l’ho lasciato là presso il principe del regno

di Persia”241. Anche nell’Apocalisse troviamo un riferimento a questi angeli

che custodiscono le nazioni242. San Tommaso per dare una spiegazione ai testi

biblici afferma:

La custodia della collettività umane spetta all’ordine dei Principati,


o forse degli Arcangeli, il cui nome significa angeli dei Principi: tanto
è vero che Michele, il quale è un arcangelo, vien detto in Daniele “uno
dei Principi”. Salendo vengono le Virtù che esercitano la custodia su
tutte le nature corporee. Salendo ancora, vengono le Potestà che stanno
a guardia dei demoni. Da ultimo vengono i Principati che, secondo San
Gregorio, fanno da custodi agli spiriti buoni243.

Schmaus, nel difendere la sentenza del Dottore Angelico, afferma che un

popolo con caratteristiche e fisionomia proprie forma un tutt’uno omogeneo.

Ci sono alcuni angeli custodi che rappresentano il popolo nella sua totalità

davanti a Dio, hanno il compito di preservarlo dai pericoli che lo minacciano e

intercedono per loro244.


240
Dn 12, 1.
241
Dn 10, 13.
242
Ap 1, 20.
243
ST I, q. 113, a. 3
244
M. SCHMAUS, Dogmatica cattolica, ed. LDC, Torino 1963, p.626.

106
Per Vagaggini la spiegazione plausibile agli angeli custodi delle nazioni va

ritrovata nel libro apocrifo dello Pseudo Henoc il quale influenzò, con molta

probabilità, i Cristiani che provenivano dalla cultura ellenistica, tanto da

assegnare un protettore non solo a l’uomo, ma ad ogni cosa, comprese le

nazioni e ogni elemento materiale245.

Tralasciando i testi che parlano dell’origine di questa custodia, possiamo

terminare con l’affermare che gli angeli esercitano il loro ufficio di custodi

fino al momento della comparsa dell’anima davanti a Dio, quando ad essa

viene assegnata il premio o il castigo che merita.

245
C. VAGAGGINI, Angelo nel nuovo testamento, in Enciclopedia Cattolica, I, p. 1249.

107
CAPITOLO X

LA TEOLOGIA SUGLI ANGELI

DOPO SAN TOMMASO

10.1. La teologia angelica di Duns Scoto

Dopo San Tommaso la teologia sugli angeli accoglierà passivamente il

formalismo di certa scolastica inaugurato da Giovanni Duns Scoto, la cui

posizione verso la dottrina tomista è piuttosto critica. Essa segna una svolta

decisiva che condurrà al declino dell’equilibrio tomistico tra scienza e fede,

tra filosofia e teologia246, affermando il primato della volontà: ciò che non può

essere rigorosamente dimostrato dalla ragione appartiene al dominio arbitrario

e libero della volontà. Tale dominio non può far parte della scienza, ma solo

dell’azione o della conoscenza pratica. Ora le verità della rivelazione cristiana

sono frutto solo della libera e suprema volontà di Dio e non possono essere

dimostrate con la ragione, perciò non formano l’oggetto della conoscenza

scientifica247.
246
R. LAVATORI, op. cit., p.152.
247
Ibid., p. 153.

108
Dal punto di vista ontologico, Scoto afferma l’univocità dell’essere in

polemica con Tommaso, per cui l’essere è uguale in Dio e nelle creature, la

diversità sta solo nella rispettività che distingue l’uno dalle altre. Tali

presupposti ci consentono di comprendere il suo pensiero teologico sugli

angeli. Anzitutto avvicina profondamente il mondo angelico e quello umano,

mentre Tommaso li distingue ontologicamente.

L’oggetto della conoscenza umana e di quella angelica è il medesimo:

l’essere reale e concreto nell’intuizione, oppure l’essere universale e teorico

nell’astrazione; l’essere è colto attraverso la “species intelligibilis”prodotta

dall’intelletto. Da ciò segue che l’angelo possiede un’intelligenza attiva e

conosce le cose concrete come l’uomo; il suo pensiero quindi procede in

modo discorsivo e argomentativo, non solo contemplativo248. L’unica

differenza rispetto all’intelletto umano sta nella maggiore universalità o

comprensione249. L’angelo inoltre può conoscere i pensieri segreti e gli atti

liberi di un altro angelo, anche se questo li vuole nascondere250.

Per quanto riguarda la volontà, Scoto propone un capovolgimento rispetto

a Tommaso, nel senso che le scelte della volontà non sono guidate dalla luce

dell’intelletto, ma sono originate solo dalla libertà. La volontà non ha altra

248
GIOVANNI DUNS SCOTO, Quaestiones in librum IV Sententiarum 1.2, d.3, q.11, n.439. Lugduni 1939.
Questa e le seguenti citazioni sono in R. LAVATORI, Op. cit., pp. 152 ss.
249
GIOVANNI DUNS SCOTO, Op. cit., 1. 2, d.3, q.10 n.22.
250
Ibid., 1.2 d.9, q.2, n.27.

109
causa che se stessa; non è mossa dalla bontà dell’oggetto, ma unicamente

dalla libertà di aderire al bene o di rifiutarlo; l’intelletto stesso dipende, come

strumento, dalla volontà251. Per questa ragione gli angeli non compiono un

solo atto di scelta immutabile, sia nel bene sia nel male, ma possono fare

diverse scelte successive. I demoni, nella loro libertà, hanno commesso una

serie di errori, di fronte ai quali potevano pentirsi252; caduti nella dannazione,

essi non hanno perduto questa libertà, propria della loro natura 253; tuttavia non

possono ravvedersi, poiché non è concesso loro da Dio 254. Ugualmente gli

angeli buoni possiedono la libertà naturale, anche se sono nella beatitudine;

non possono però aumentare la loro gloria255.

Scoto ammette, contrariamente a Tommaso, la composizione di forma e di

materia nella natura angelica256; tuttavia afferma la loro spiritualità, poiché la

materia di cui è composto l’angelo non è corporea, ed è come assorbita

dall’attività spirituale257.

È chiara la diversità tra la teoria scotista e la sintesi tomista; ciò sarà causa

di continue tensioni tra le due correnti teologiche che esse originarono, anche

nei secoli successivi. Occorre tuttavia rilevare che nessuna delle due posizioni

251
R. LAVATORI, Op. cit., p. 153.
252
GIOVANNI DUNS SCOTO, Op. cit, 1.2 d.6, q.2.n.16.
253
Ibid., 1.2 d.7, q. unica n.4-6.
254
1.2 d.7, q. unica n. 27.
255
1.2 d.7, q. unica n. 28.
256
GIOVANNI DUNS SCOTO, De rerum principio, q.7, Quaracchi 1910.
257
Ibid., n. 27.

110
è stata fatta propria dalla dottrina ufficiale della Chiesa quale elemento

costitutivo della fede.

10.2. La concezione di Meister Eckhart sugli angeli

La concezione sugli angeli della grande scolastica continua anche con il

pensiero mistico dei secoli XIII e XIV, in particolare quello della scuola

renana la cui massima espressione fu rappresentata da Eckhart, frate

domenicano discepolo di Tommaso D’Aquino, ma anche di Agostino e dello

Pseudo Dionigi. La sua teologia risente profondamente della filosofia

plotiniana e araba, privilegiando l’aspetto mistico, che per il Meister

costituisce un tutt’uno con la filosofia258. La sua impostazione metafisica

segue la tradizione aristotelico–tomista, con la teoria dei gradi degli esseri:

sotto l’essere divino sono posti, in ordine gerarchico, gli angeli, poi le sfere

celesti mosse dalle intelligenze angeliche e infine il pianeta terrestre,

immobile al centro dell’universo, dimora dell’uomo259. Gli enti così ordinati

sono in rapporto tra loro con influssi e azioni reciproche, in modo che i

superiori siano collegati con gli inferiori. Ai due punti estremi della realtà,

delimitata dal tempo e dallo spazio, c’è il nulla: al punto superiore c’è il Nulla
258
Cfr. R. LAVATORI, op. cit., p. 160.
259
P.161.

111
di Dio quale negazione di ogni finitezza e distinzione, al punto inferiore c’è il

nulla come totale non-essere, dal quale Dio trae le creature con un atto della

libera volontà. Tra questi due nulla estremi è posta la coscienza dell’anima,

che con la sua soggettività sa elevarsi sopra il tempo e lo spazio per

immergersi nell’eterno e nell’universale260.

Nella profonda distanza tra l’infinito e il finito s’inseriscono le gerarchie

angeliche, che svolgono le medesime funzioni teologiche e cosmologiche

descritte da Tommaso D’Aquino. Tuttavia l’angelo, per quanto rappresenti un

grado di perfezione superiore all’uomo e quindi una forma superiore di

conoscenza e di potenza, non può partecipare all’azione che compete

unicamente all’anima. Eckhart si distingue da Tommaso cambiando l’ordine

gerarchico, poiché dona alla conoscenza umana una capacità contemplativa

maggiore di quella angelica261. Si ha uno spostamento gnoseologico, in forza

del quale l’intelletto umano diventa massima espressione di vicinanza con

Dio, in una sorta d’immedesimazione con il nulla assoluto; benché dal punto

di vista ontologico l’uomo sia ritenuto inferiore all’angelo, per quanto

riguarda la sua apertura intellettiva egli supera la mente angelica.

Si tratta di uno strano antropocentrismo razionale, che prelude alla svolta

cartesiana e poi alle estreme conseguenze dell’idealismo tedesco. Per questo


Ibidem.
260

Cfr.. M. VANNINI, Meister Eckhart. Trattati e prediche, Edizioni Piemme , Casale Monferrato 1996. p.
261

328.

112
aspetto si può dire che il misticismo filosofico di Eckhart inauguri l’epoca

moderna del razionalismo262.

Aderendo alla dottrina tomista, egli sostiene che ogni angelo forma una

specie a sé, cioè possiede una natura propria specificamente distinta dalle

altre. Molte sono le specie angeliche, che costituiscono la moltitudine delle

schiere celesti alla dipendenza di Dio loro Signore, manifestando la potenza e

la meraviglia del regno di Dio; perciò chi conosce le specie angeliche conosce

il regno stesso di Dio263. In forza della loro azione gli angeli si pongono in

rapporto con la terra attraverso l’influsso sugli astri. In particolare, afferma il

Meister:

l’angelo più basso riversa la sua potenza nel cielo e lo muove e lo


dirige nella sua corsa e nella sua operazione, così il cielo riversa la sua
potenza in tutta segretezza in ogni pianta e in ogni animale. Ecco
perché ogni pianta trae dal cielo una sua proprietà che s’aggira attorno
ad essa come il cielo264 .

Dal punto di vista della grazia, però, l’anima umana oltrepassa la

perfezione degli angeli; infatti costoro sono destinati a cooperare e prestare la

loro opera alla nascita di Dio nell’anima, un atto infinitamente grande, che

può essere eguagliato solo alla generazione che il Padre attua eternamente nel

suo essere divino, al di sopra delle nature angeliche. In questa nascita gli
262
R. LAVATORI, op. cit., p. 162.
263
M. Vannini, op. cit., p. 328.
264
Ibid., p. 329.

113
angeli provano piacere, gioia e diletto, ma non sono loro che agiscono. Questa

non è un’attività delle creature, poiché solo Dio opera tale nascita. L’opera

degli angeli è qui un servizio265, infatti, l’angelo per quanto vicino a Dio e

affine a Lui, e per quanto unito a Lui e dimorante in Lui, non può tuttavia

penetrare nell’anima266.

Per Eckhart l’azione interiore della generazione del Figlio nell’anima è

opera solo di Dio, poiché non riceve il proprio essere altro che dal cuore e nel

cuore di Dio; essa attinge il Figlio ed è generata come figlio nel seno del

Padre celeste. In tal modo l’angelo rimane estraneo a quest’evento esclusivo

dell’uomo che pone l’anima umana in strettissima comunione con l’essere

stesso di Dio senza altre mediazioni267.

10.3. L’angelologia protestante e ortodossa

L’epoca moderna è caratterizzata da un forte senso del soggettivismo e del

relativismo che gradualmente, dal secolo XIV fino al XVI, è penetrato anche

in campo religioso producendo quei fenomeni che costituiscono la svolta

fondamentale della storia cristiana: da una parte l’Umanesimo e il

265
Ibid., p. 331.
266
Pp. 331-332.
267
P. 332.

114
Rinascimento, i quali poi hanno dato origine al processo del razionalismo e

della secolarizzazione esplosi nell’età contemporanea; dall’altra parta la

riforma luterana che ha introdotto la libera interpretazione personale della

Rivelazione. A queste due matrici risalgono le linee di sviluppo dei secoli

successivi, dando vita a una molteplicità di concezioni del mondo e della fede,

ponendo così il termine alla visione unitaria del medioevo268.

10. 3.1 La Riforma protestante

Mentre su altri punti dottrinali il pensiero della Riforma si oppone in modo

radicale all’insegnamento della Chiesa cattolica, per quanto riguarda la

dottrina sugli angeli e sui demoni si nota un’apparentemente sostanziale

convergenza269.

I Riformatori non accettano le speculazioni scolastiche a sfondo filosofico

né le espressioni devozionali troppo accentuate, ma fanno propri alcuni aspetti

fondamentali dell’angelologia e della demonologia tradizionali. Lutero

respinge decisamente il culto degli angeli, posto sullo stesso piano di quello

dei santi, ma accentua a tal punto il ruolo e l’influsso del demonio da giungere

quasi a identificare il peccato con Satana270. La demonologia che ne risulta

268
Cfr. R. LAVATORI, op. cit., p. 165.
269
Ibid., pp. 165-166.
270
P. 166.

115
finisce per sottolineare indebitamente la presenza e l’attività del diavolo,

offuscando il primato della vittoria escatologica di Cristo, centro

dell’annuncio neotestamentario.

Posizione analoga la troviamo in Calvino e in altri Riformatori 271. Calvino

denuncia ripetutamente le curiosità sul numero, sulla natura e sulle funzioni

degli angeli, ciò nondimeno afferma che la fede negli angeli è sommamente

necessaria per confutare molti errori272. Il principio fondamentale di Calvino è

la stretta attinenza alla Parola; per questa ragione teme le questioni filosofiche,

che si allontanano dalle indicazioni della Bibbia, e respinge in blocco le

speculazioni scolastiche, come anche il culto degli angeli273. I teologi

protestanti del XVII secolo scriveranno varie opere sugli angeli e demoni, di

scarso rigore teologico274. Tra gli scritti di qualche rilievo si possono ricordare

in particolare il De operibus Dei di G. Zanchi e i due poemi Il Paradiso

perduto e Il Paradiso ritrovato di J. Milton che si dilungano sulla natura e

sulle attività degli angeli e dei demoni275. Accanto a queste posizioni si

sviluppa una tendenza piuttosto scettica e dubbiosa, che considera

l’angelologia quale punto di demarcazione e contrapposizione tra Cattolici e

271
Ibidem.
272
Cfr. G. TAVARD , Gli angeli. Ed. Elledici Torino 1973, p.88.
273
Cfr. R. LAVATORI, op. cit., p. 167.
274
Ibidem.
275
Ibidem.

116
Protestanti, rifiutando tale dottrina come contraria al pensiero dei Riformatori.

Ciò si determina soprattutto nell’area della teologia americana276.

Il Protestantesimo tuttavia manterrà la dottrina classica della Riforma fino

ai secoli XVIII e XIX. Saranno F. Schleimarcher, A. Ritschl e A. Von

Harnack a porre decisamente in dubbio la pertinenza di una fede nell’esistenza

degli angeli e soprattutto a respingere la credenza nel diavolo, ritenuta una

inaccettabile superstizione277.

10.3.2 La teologia ortodossa

La riflessione ortodossa sugli angeli attinge soprattutto alla liturgia

orientale, più ricca di richiami agli angeli rispetto alla liturgia latina. La

sostanza delle affermazioni, tuttavia rimane, molto simile all’angelologia

occidentale. Nel secolo XIV la festa della dormizione della Theotokos fu

integrata dall’idea dell’esaltazione di Maria al di sopra delle gerarchie

angeliche. Da qui la tendenza dei teologi ortodossi a studiare il rapporto tra la

Vergine e gli angeli, aspetto che ha poco riscontro nel pensiero cattolico 278. La

teologia ortodossa subordina gli angeli non solo a Cristo, unico principio della

Grazia, ma anche a Maria quale mediatrice di grazia per gli angeli; Gregorio
276
G. TAVARD , Op.cit,, p.96.
277
R. LAVATORI, op. cit., p. 168.
278
Cfr.M. JUGIE, Teologia Orientalium II, Parigi 1933, 551, 1.

117
Palamas afferma che “nessuno arriva a Dio se non per mezzo di lei e per il

mediatore nato da lei; nessuna forza da Dio arriva agli angeli e agli uomini se

non per lei” 279.

Anche altri teologi bizantini ritengono che il Verbo distribuisce la grazia

per mezzo di Maria. Così Nicola Cabasilas dice che gli angeli possono

ottenere da Maria un aumento della grazia 280. Nei secoli XVI e XVII gli

ortodossi hanno voluto ribadire la loro fede contro i Luterani anche per quanto

riguarda la dottrina angelica. Significativa è la professione di fede di Pietro

Moghila, metropolita di Kiev dal 1633 al 1646, che fu approvata dal Sinodo

Permanente nel 1643. In essa si ripropone la visione tradizionale sulla

creazione degli angeli, la loro spiritualità, il servizio reso a Dio, il loro aiuto

agli uomini, la loro protezione alle singole persone; si riprende anche la

concezione gerarchica di Dionigi281. La teologia sugli angeli che verrà

sviluppata nei secoli successivi sarà più contenuta e vicina alla tradizione

patristica rispetto a quella del XIV secolo.

10.4. La teologia cattolica postridentina.

La teologia cattolica dei secoli XVI e XVII misconosce la testimonianza

della grande scolastica, non presenta uno sviluppo di valore analogo per
279
Ibid., 551, 3.
280
N. CABASILAS, La vita di Cristo, tr. it. a cura di U. Neri, Ed. Elledici, Torino 1981, p. 80.
281
Cfr. R. LAVATORI, op. cit., p. 170.

118
quanto riguarda la dottrina degli angeli. Ciò dipende anche dal fatto che nel

Concilio di Trento tale questione non è stata trattata ex professo. Ben altre

erano le tematiche affrontate e chiarite dal Concilio e intorno alle quali si

concentrò tutto lo sforzo della teologia postridentina.

10.4.1 Il Catechismo Romano

Lo stesso Catechismo Romano ad uso dei parroci, deciso dal Concilio e

promulgato da Pio V nel 1566282 riserva agli angeli appena un paragrafo di

poche righe, inserito nel contesto più ampio dell’analisi degli articoli del

simbolo di fede, mentre dà ampio spazio ai sacramenti, in particolare

all’Eucarestia e alla Confessione 283. In esso si ripropone anzitutto

l’affermazione della creazione dal nulla del mondo spirituale e degli angeli,

considerati quali ministri di Dio, colmi della grazia e del potere divino; anche

i demoni hanno ricevuto la Grazia, ma non hanno perseverato in essa, secondo

l’insegnamento di Sant’Agostino, che il catechismo fa proprio 284. Viene

ribadita l’idea della colpa angelica, cui è seguita la condanna divina: “Sebbene

tutti arricchiti di tali doni celesti, molti, avendo ripudiato Dio loro Padre e

282
Catechismo tridentino , tr. a cura di T.S. CENTI, Ed. Cantagalli, Siena 1985, parte IV pref., nn 375 e 542.
283
R. LAVATORI, op. cit., p. 170.
28 4
Cfr. AGOSTINO, La città di Dio, XII, Bompiani, Milano 20019, pp. 572-574.

119
Creatore, furono espulsi dalle sublimi sedi e chiusi nel carcere oscurissimo

della terra, dove pagano eternamente la pena della superbia”285.

Nella Parte Quarta, dedicata all’orazione domenicale si parla degli angeli

custodi quali strumenti della provvidenza divina: “Per divino volere è affidato

agli angeli il compito di custodire il genere umano, e di vegliare al fianco di

ogni individuo, affinché non lo colpisca troppo grave danno”286.

Viene spiegato poi il compito svolto dagli angeli, quali guide sagge

incaricate dal Padre celeste di proteggere i suoi figli287. Si afferma, di

passaggio, che la natura degli angeli appare intermedia tra quella di Dio e

quella degli uomini, sottintendendo la gradualità degli esseri creati e l’ordine

dell’universo. Per illustrare i benèfici influssi degli angeli, vengono riportati

alcuni episodi della Scrittura, come l’aiuto di Raffaele a Tobia e la liberazione

di Pietro dalle carceri. Si ribadisce, infine, che gli angeli custodi non sono

inviati soltanto per alcune circostanze, ma sono preposti alla nostra

sorveglianza dal primo battito di vita, e incaricati di favorire la salvezza

dell’uomo288.

285
Catechismo tridentino , parte I, art.1, 27, 50.
286
Ibid., parte IV, pref., nn 375 e 542.
287
“ Come i genitori scelgono delle guide e dei sorveglianti per i figliuoli che affrontano un viaggio per un
sentiero pericoloso ed insidioso, così il Padre Celeste, nella via che mena alla pratica dei cieli, assegnò a
ciascuno di noi degli angeli, perché noi fiancheggiati dal loro solerte appoggio, evitassimo i tranelli tesi dal
nemico, respingessimo i suoi terribili attacchi sotto la loro guida, non smarrissimo la retta strada e nessun
inganno tramato dall’avversario insidioso, ci spingesse lungi dal cammino che mena al paradiso”, ibid., n
542.
288
Ibid., n 543.

120
10.4.2 La teologia sugli angeli di Francisco Suarez

La sintesi più completa sugli angeli, in età moderna, è rappresentata

sicuramente dal De Angelis del teologo gesuita Francisco Suarez. Egli cerca

di mediare tra la posizione tomista e quella scotista, privilegiando tuttavia

quest’ultima in diversi punti. Sulla questione della pura spiritualità degli

angeli e della loro immortalità naturale, segue la dottrina di San Tommaso 289,

ma ammette che possono esserci molti diversi angeli all’interno della

medesima specie, come aveva sostenuto Scoto290. Per quanto riguarda la

conoscenza e la volontà angelica, Suarez resta fondamentalmente fedele alla

posizione tomista, ma se ne distacca quando afferma il primato della libertà,

secondo il pensiero scotista, secondo il quale l’angelo avrebbe potuto peccare

contro l’ordine naturale, anche in modo veniale291, e se ne sarebbe potuto

pentire, poiché non è determinato irrevocabilmente nel bene o nel male, per il

fatto stesso che almeno una volta ha scelto liberamente292.

Da questi presupposti Suarez ricava la sua visione circa la prova e la colpa

degli angeli, allontanandosi notevolmente dalle posizioni di Tommaso, infatti,

egli descrive tre periodi, durante i quali gli angeli hanno potuto fare le proprie

scelte nel bene o nel male. In un primo momento, tutti gli angeli, anche i futuri
289
Cfr.. F. SUAREZ, De Angelis, I c. 5, 6, 7, 9, 10. La sintesi del pensiero suareziano ed i rinvii alle sue opere
sono tratti da GIOVANNI MONGELLI, Gli Angeli, ed. Michael, Foggia 1986, pp. 86-98.
290
Ibid., I, c.15.
291
Ibid., I, c. 8.
292
Ibid., III, c. 10.

121
demoni, hanno compiuto azioni buone meritorie, in forza delle quali sono

avanzati nello stato di grazia e di perfezione 293. È impossibile precisare la

durata di questo periodo, poiché corrisponde a un istante rispetto al nostro

tempo294. Rafforzati dalla Grazia, sono passati ad un secondo periodo,

caratterizzato non solo da nuove grazie attuali concesse da Dio295, ma anche da

una nuova rivelazione fatta a tutti gli angeli: l’incarnazione del Verbo. È stato

loro ordinato di riconoscere Cristo fatto uomo come loro capo e salvatore,

adorandolo come Dio. Lucifero si è opposto presumendo che tale onore fosse

riservato a lui, trascinando altri angeli nella ribbellione 296. Il peccato consiste

nella disobbedienza e nell’orgoglio. Dopo la prova, gli angeli cattivi sono stati

precipitati nell’inferno297, mentre gli angeli buoni sono entrati nella

beatitudine eterna, che costituisce il terzo periodo della loro esistenza298.

La novità del pensiero di Suarez sta nell’aver rilevato la centralità di Cristo

e la sua signoria anche sugli angeli, riferendosi per certi aspetti alla visione

biblica299. In lui si nota una straordinaria capacità inventiva nel descrivere, con

precisione di particolari, gli avvenimenti di un mondo che sfugge

293
V, c. 10.
294
V, c. 11, n. 5.
295
V, c. 12.
296
V, c. 12, n. 13.
297
VIII, c. 2.
298
VI, cc. 1-3.
299
Ciò viene ribadito nel De Incarnatione, disp. 23, sect. 1 n. 6, dove si sostiene non solamente che Cristo è
il capo degli angeli, ma anche che ha meritato loro tutte le grazie e la gloria che hanno ricevuto. Infatti,
l’Incarnazione sarebbe ugualmente avvenuta, anche se Adamo non avesse peccato, conformemente
all’opinione di Scoto; De Incanatione in Opera Omnia, Venezia 1856.

122
completamente all’esperienza o alla testimonianza del dato rivelato; non si

tratta soltanto di un’astrazione speculativa ma di una pura costruzione

immaginativa300.

Suarez si dilunga anche nella descrizione del ministero svolto dagli angeli a

favore degli uomini. La loro funzione principale consiste nel custodire ogni

uomo, attraverso sei tipi di azioni: allontanare i pericoli esterni e interiori che

minacciano il corpo e l’anima dell’uomo; aiutare a cacciare i demoni,

attenuando le loro tentazioni; presentare a Dio le preghiere umane; pregare per

gli uomini; correggere e punire gli errori, in vista della conversione

dell’uomo301. L’assistenza degli angeli termina con la nostra morte, quando

l’anima viene accompagnata fino al cielo oppure è consolata, se deve passare

in Purgatorio301. La missione degli angeli custodi è una verità comunemente

accettata e proposta dalla Chiesa,e secondo Suarez, non la si può negare

senza cadere in errore302. A maggior ragione l’esistenza delle gerarchie

angeliche è una dottrina ammessa dall’unanimità dai teologi e dalla Scrittura,

e deve essere ritenuta verità di fede303.

300
Cfr. R. LAVATORI, op. cit., p. 180.
301
Cfr, F. SUAREZ, De Angelis, VI, c. 19 n.1-5.
301
Ibid.., VIII, c. 19.
302
VI c. 17, a. 8.
303
III, c. 13, n. 2.

123
10.5. La situazione contemporanea: il XX secolo.

La teologia sugli angeli, agli inizi di questo secolo, soprattutto nella sua

forma manualistica, sembra incapace di affrontare le questioni poste sia dalla

teologia protestante sia dalla teologia cattolica e risente delle problematiche

poste dalle filosofie e dalle scienze positive della fine dell’Ottocento 304.

Pertanto essa subisce forti contraccolpi su tutti i fronti, interni ed esterni

all’area propriamente teologica. Gli sviluppi degli studi storici e critici, che

hanno il loro culmine nella demitizzazione bultmaniana; l’affermazione

dell’antropocentrismo; la diffusione della teoria dell’evoluzione; la Concezio-

ne esistenzialistica e fenomenologica della vita; lo spirito di laicizzazione e di

secolarismo che si diffonde dovunque, contrastano con la dottrina tradizionale

di esseri spirituali e trascendenti, minando i fondamenti stessi sui quali si

basava. Anche l’esistenza degli angeli viene messa seriamente in

discussione305. In tale contesto si spiegano alcuni interventi del Magistero,

come l’enciclica Humani generis di Pio XII nel 1950, che richiamò i Cattolici

alla vigilanza di fronte ad alcune posizioni imprudenti che mettevano in

discussione la personalità degli angeli e la distinzione esenziale tra spirito e

materia306.
304
Cfr. R. LAVATORI, op. cit., p. 200.
305
Ibid., p. 202.
306
Ibid., p. 203.

124
Il Concilio Vaticano II, impegnato soprattutto a riscoprire la natura della

Chiesa e la sua missione nel mondo contemporaneo, non si è occupato

direttamente del tema degli angeli; ne parla appena in tre contesti: uno

ecclesiologico, in quanto gli angeli fanno parte della Chiesa celeste e sono

venerati dai cristiani insieme alla Beata Vergine Maria, gli apostoli e i martiri

formando con essi la comunione spirituale307; un altro escatologico,

ricordando che alla fine dei tempi il Signore verrà nella gloria con i suoi

angeli308; infine un ambito mariologico, dove si afferma che la Madre di Dio è

esaltata sopra tutti gli angeli309. Incisiva si presenta la professione di fede di

Paolo VI il 30 giugno del 1968:

Noi crediamo in un solo Dio, Padre Figlio e Spirito Santo, Creatore


delle cose visibili, come di questo mondo ove trascorre la nostra vita
fuggevole, così delle cose invisibili quali i puri spiriti, chiamati altresì
angeli, e Creatore in ciascun uomo dell’anima spirituale e
immortale310.

Giovanni Paolo II si è soffermato sugli angeli in sei incontri di catechesi al

popolo di Dio, proponendo una visione sistematica e assai completa, conforme

alla dottrina tradizionale. La prima catechesi tratta della creazione da parte di

307
Lumen gentium, n. 50.
308
Ibid., n. 48.
309
Ibid., n. 69.
310
PAOLO VI, Professione di fede, tratto da: «OSSERVATORE ROMANO», 10 Luglio 1986, p.4

125
Dio degli esseri invisibili, cioè gli angeli, creature puramente spirituali e più

vicine a Dio. A livello teologico, egli fa una precisazione di rilievo:

Il riferimento al primato di Cristo ci aiuta a comprendere che la


verità circa l’esistenza e l’opera degli angeli buoni e cattivi non
costituisce il contenuto centrale della Parola di Dio. Così la profonda
verità sia di Dio sia della salvezza degli uomini è il contenuto centrale
della rivelazione che risplende più pienamente nella persona di Cristo.
La verità sugli angeli è in un certo senso collaterale, eppure
inseparabile dalla rivelazione centrale, che è l’esistenza, la maestà e la
gloria del Creatore che rifulgono in tutta la creazione e nell’azione
salvifica di Dio nella storia dell’uomo. Gli angeli dunque non sono
creature di primo piano nella realtà della Rivelazione, eppure vi
appartengono pienamente, tanto che in alcuni momenti li vediamo
adempiere compiti fondamentali a nome di Dio stesso311.

La seconda catechesi considera la scelta libera operata dagli angeli in forza

della quale ci sono angeli buoni e angeli cattivi 312. La terza sottolinea la

funzione mediatrice degli angeli svolta in tutta la storia della salvezza, che ha

il suo culmine in Cristo313. La quarta evidenzia il compito degli angeli nel

cammino della Chiesa e dei Cristiani, secondo il sapiente disegno divino314. La

quinta tratta della colpa di Satana e delle sue conseguenze 315, per mettere in

311
GIOVANNI PAOLO II, Gli angeli. Catechesi al popolo di Dio, ed. Michael, Foggia 1986 p. 4.
312
Ibid., p. 7.
313
P. 12.
314
P. 13.
315
P. 15.

126
evidenza, nella sesta e ultima, la vittoria definitiva attuata da Cristo sulle

potenze del male316.

Questi interventi del magistero si spiegano, in buona parte, in relazione alle

questioni poste dalla riflessione teologica contemporanea la quale ha talvolta

sollevato forti dubbi sulla esistenza degli angeli, sul significato della loro

presenza per l’uomo e per il mondo, sul loro senso all’interno della

rivelazione cristiana.

316
P. 16.

127
CONCLUSIONE

L’uomo, attraverso la presenza angelica, riscopre la sua vera immagine, in

tutte le sue sfaccettature: essere debole per la gracilità della corporeità, ma

potente per le doti di spiritualità; inadeguato ad un'autonomia assoluta, ma pur

sempre padrone della libertà; bisognoso di qualcuno più forte di lui, ma

capace di esaltare le proprie capacità. Proprio attraverso questa visione

antropologica possiamo cogliere due aspetti particolarmente importanti

dell’essere angelico: la creaturalità e la spiritualità, che lo contraddistinguono

per l'intervento sul mondo terrestre. Queste due caratteristiche principali

dell’angelo ci permettono di comprendere meglio l’uomo e il suo essere nel

mondo.

Innanzitutto l’angelo, così come l’uomo, vive le stesse delimitazioni

creaturali: anch’egli deve accogliere e scoprire Dio, ed infatti compie questa

accoglienza e questa scoperta con una capacità interiore che è totalmente

orientata verso l’accettazione universale della verità e dell’amore. La

caratteristica della forma spirituale, priva del limite della materia, fa intendere

invece che non soltanto Dio vive al di fuori della materia, ma anche l'angelo,

che appartiene al mondo finito delle creature.

128
San Tommaso ci ha indicato precisamente il limite metafisico che

distingue radicalmente le creature dal Creatore. La natura dell’angelo ci

consente di comprendere il confine tra l’Essere Assoluto e l’essere creato. È

proprio il Dottore Angelico che getta le basi di una autentica e piena

comprensione dell'universo, quindi. La figura angelica svela la dimensione

spirituale dell’uomo nel suo senso autentico, quello di uno spirito che può

innalzarsi ai valori del vero e del buono, senza perdere la propria limitatezza.

L’uomo deve aspirare ai valori superiori dello spirito poiché anche lo spirito

finito, come testimonia la realtà angelica, può superare i limiti dei sensi.

L’uomo, tenendo presente il le realtà metafisiche, che riscopre attraverso

l’angelo, e restando sempre nell’ordine delle creature, arriva a cogliere i valori

assoluti dell’essere oltre le impressioni sensibili.

Se consideriamo le facoltà inerenti allo spirito presenti negli esseri celesti,

arriveremo a dire, con San Tommaso, che la conoscenza intellettiva pura e la

volontà pienamente libera sono doni elargiti dall’Altissimo, ed è proprio

questo che ci fa comprendere il limite invalicabile che c’è tra l’intelletto

dell’angelo e l’intellezione assoluta di Dio.

Sia l’angelo, sia l’uomo, partecipano alle facoltà spirituali del conoscere;

tutti e due, infatti non possono collegare direttamente il proprio pensiero a

quello di Dio, come se fossero uniti da un’intuizione diretta d’identità. Essi

129
devono riconoscere la dipendenza del loro conoscere da Dio, verso il quale

sono disposti in un rapporto di apertura intellettiva, nella scoperta di ciò che

viene dato loro. L’uomo, considerando la conoscenza dell’angelo, arriva a

misurare la propria consistenza spirituale e a non ingannarsi sul proprio conto,

riconoscendo quando il pensiero sfocia nell’assoluto o nel suo

annullamento317.

Possiamo infine riaffermare che anche uno spirito puro, come quello

dell’angelo, non può ritenersi autosufficiente e perfetto; gli si chiede un atto

positivo di disponibilità e di adesione al bene assoluto, da cui gli deriva la

fermezza nella propria perfezione. In forza di questa libera scelta egli spinge

lo spirito verso il possesso definitivo del bene e contraddistingue così il suo

impegno per il compimento perfetto, sebbene questo non possa essere

totalmente da lui predisposto, ma viene da lui accolto. L’essere angelico

assume un principio di riferimento escatologico per la sollecitazione della

volontà dell’uomo, il quale quotidianamente "costruisce" il suo futuro; infatti,

attraverso la libera scelta degli atti, egli arriva a quel fine ultimo che ora è solo

velatamente prefigurato dal bene comune. Lo spirito umano scorge, per così

dire, nella figura celeste il ruolo che è chiamato a compiere nel mondo.

317
Cfr. R. LAVATORI, op. cit., pp. 263-266.

130
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VAGAGGINI, C., Angelo nel Nuovo Testamento, in Enciclopedia Cattolica, 1,

coll.

VON RAD, G., Mal’ak nell’Antico Testamento, in GLNT, I.

INDICE

135
INTRODUZIONE 1

CAPITOLO I L'ESISTENZA E LA SOSTANZA DEGLI ANGELI 4


1.1 L’ESISTENZA ANGELICA 4
1.1.1 LA FIGURA ANGELICA NELLE ALTRE RELIGIONI E CULTURE EXTRA BIBLICHE 5
1.1.2. TERMINOLOGIA BIBLICA 7
1.1.3 LO SVILUPPO DELLA FIGURA ANGELICA NELLE SACRE SCRITTURE 8
1.1.4 L’ESISTENZA DEGLI ANGELI NEI PADRI DELLA CHIESA E NEL MAGISTERO 10
1.1.5 GLI ANGELI IN S. TOMMASO 12
1.2 IL NUMERO E LA SPECIE ANGELICA 14
1.3 L’INCORRUTTIBILITÀ E L’IMMORTALITÀ ANGELICA 16

CAPITOLO II GLI ANGELI A CONTATTO CON LO SPAZIO 19


2.1 LA CORPOREITÀ DEGLI ANGELI 19
2.2 COME L’ANGELO SI TROVI IN UN LUOGO 22

CAPITOLO III LA CONOSCENZA ANGELICA 27


3.1 NATURA DELLA CONOSCENZA DEGLI ANGELI. 27
3.2 IL MEZZO DELLA CONOSCENZA ANGELICA 30
3.3 L’OGGETTO DELLA CONOSCENZA ANGELICA 35
3.3.1 CONOSCENZA ANGELICA DELLE COSE IMMATERIALI 35
3.3.2 CONOSCENZA ANGELICA DEGLI ESSERI MATERIALI 39
3.3.3 IL MODO DELLA CONOSCENZA ANGELICA 45

CAPITOLO IV LA VOLONTÀ E L’AMORE NELL’ANGELO 52


4.1 LA VOLONTÀ NELL’ANGELO. 52
4.2 L’AMORE NELL’ANGELO. 58

CAPITOLO V ELEVAZIONE DEGLI ANGELI 62


5.1 ELEVAZIONE SOPRANNATURALE DEGLI ANGELI 62
5.2 PROVA DEGLI ANGELI 65
5.3 LA BEATITUDINE DEGLI ANGELI 68
5.3.1 L’ANGELO HA MERITATO LA BEATITUDINE 69
5.3.2 IMPOSSIBILITÀ PER L’ANGELO DI PECCARE 71
5 3.3 IL GRADO DELLA BEATITUDINE DEGLI ANGELI 73

CAPITOLO VI L’ILLUMINAZIONE E LA LOCUZIONE DEGLI ANGELI 76


6.1 L’ILLUMINAZIONE DEGLI ANGELI 76
6.2 LA LOCUZIONE DEGLI ANGELI. 78

CAPITOLO VII LA GERARCHIA E GLI ORDINI TRA GLI ANGELI 81

CAPITOLO VIII IL DOMINIO DEGLI ANGELI SU TUTTI GLI ESSERI CORPOREI 90


8.1. IL DOMINIO SULLA MATERIA CORPOREA 90
8.2 L’AZIONE DEGLI ANGELI SUGLI UOMINI 93

CAPITOLO IX LA MISSIONE DEGLI ANGELI 97


9.1 IL MINISTERO ANGELICO 97
9.2 IL MINISTERO DEGLI ANGELI VERSO L’UOMO 100
9.3. LA CUSTODIA DEI POPOLI 107

136
CAPITOLO X LA TEOLOGIA SUGLI ANGELI DOPO SAN TOMMASO 109
10.1. LA TEOLOGIA ANGELICA DI DUNS SCOTO 109
10.2. LA CONCEZIONE DI MEISTER ECKHART SUGLI ANGELI 112
10.3. L’ANGELOLOGIA PROTESTANTE E ORTODOSSA 115
10.3.1 LA RIFORMA PROTESTANTE 116
10.3.2 LA TEOLOGIA ORTODOSSA 118
10.4. LA TEOLOGIA CATTOLICA POSTRIDENTINA. 120
10.4.1 IL CATECHISMO ROMANO 120
10.4.2 LA TEOLOGIA SUGLI ANGELI DI FRANCISCO SUAREZ 122
10.5. LA SITUAZIONE CONTEMPORANEA: IL XX SECOLO. 125

CONCLUSIONE 129

BIBLIOGRAFIA 132

INDICE 137

137

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