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in: GERBERTO: SCIENZA, STORIA E MITO.

Atti del Gerberti Symposium (Bobbio 25-27


luglio 1983), Editrice degli A.SB., Bobbio 1985, pp. 577-596

KURT V O G E L

L'‘Aritmetica e la Geom etria di Gerberto

Q siamo cianiti' qui per commemorare una personalità che ha sog­


giornato a Bobbio m ille anni fa e del quale sappiamo dai suoi allievi e
biografi che era uno studioso e un ricercatore di vasta formazione:
G erberto d’Aurillac, consigliere ed amico degli imperatori Sassoni,
insegnante ed educatore fruttuoso in qualità di scholasticus alla scuola
cattedrale di Reims e che ha contribuito ad elevare il livello culturale
del suo tempo, anche al di là dell'am bito della sua scuola *.
Volendo parlare del suo contributo nel campo della matematica,
dobbiam o chiederci, in primo luogo, dove G erberto ha avuto il primo
incontro con essa, da chi ha ricevuto le prime ispirazioni sulle quali ba-1

1 Edizioni: A. O lleeis , Oeuvres de Gerbert, Qermont-Fertand Paris 1867;


N. Bubnov , Gerberti opera mathematica, Berolini 1899, ristampa Hildesheim 1963.
Bibliografia: N. Bubnov , Abak i Boecij, in « Zumai ministerstva narodnogo
prosvescenija », Se. Petersburg 1907-1909: Febr. 1907, pp. 1-33, 296-316; Màrz 1907, pp.
132-171; Aug. 1908, pp. 277-332; Okt. 1908, pp. 250-306; Febr. 1909, pp. 270-304;
Apr. 1909, 227-269; Mai 1909, pp. 84-111. M. Cantor, Vorlesungen Sber Geschichte der
Mathematik 1J, 1907, pp. 847-878 (Gerbert); pp. 879-911 (Abadsten und Algoritbmi-
ker). G . Friedlein, Die Zahlzeichert und das elementare Recbnen der Griechen und
Romer und des christlichen Abendlandes vom 7. bis 13. Jabrbundert, Erlangen
1869. J. E. H ofmann, Zum Winkelstreit der rbeiniseben Scholastiker in der ersten
tìilfte des 11. Jabrbunderts, in « Abh. Preuss. Akad. Hiss. Math.-Naturv. Klasse » 8,
Berlin 1942. U. LiNDGRZN, Gerbert von Aurillac und das Quadrivium, in « Sudboffs
Arcbiv », Beiheft 18, Wiesbaden 1976. A. Nagl, Gerbert uni die Recbenkunst des
X. Jabrbunderts, Wien 1888. D. J. Struik, Gerbert, in DSB, V, 1972, pp. 364-366.
sarsi, e soprattutto che cosa c’era da apprendere effettivamente allora,
in un’epoca, in cui la contrapposizione del livello culturale e scientifico
fra l’Oriente e l ’Occidente era enorme. L ’Occidente viveva, riguardo alla
matematica, dell’esigua eredità romana, mentre l’Oriente conservava con
cura, a Bisanzio, il grandioso tesoro della matematica greca che era stata
ripresa dagli studiosi'musulmani, poi da loro sviluppata e successivamente
restituita all’Ocddente insieme a contributi originali.
Fino allora le opere dei matematici gred erano affluite in Ocddente
solo in modo sporadico, e d ò era avvenuto in particolare in quella parte
d ell’antico impero che aveva appartenuto più a lungo all’impero romano
d ’Oriente. A Ravenna Boezio aveva tradotto raritmetica di N icomaco
in latino. Si trattava di una semplice teoria dei numeri che non ha nulla
in comune con il calcolo elementare, e nella quale venivano trattate le
proporzioni numeriche e soprattutto le cosiddette sttperpafkculares che
com paiono nella teoria della musica. Boezio aveva tradotto anche gli Ele­
m enti di E uclide ; non si sa tuttavia se si tratti dei primi cinque o nove
libri, perché la traduzione à andata perduta. Ci sono invece rimaste due
com pilazioni di E uclide , la cosiddetta geometria prima e seconda di
B o ezio , le cui relazioni tra loro e con l ’originale, sono state recentemente
oggetto di ricerche approfondite2.
Così Boezio mostra una diversa formazione dai Romani, rispetto ai
quali già Cicerone aveva osservato che avrebbero avuto interesse solo
p er la matematica pratica, per il calcolo elementare e per i procedimenti
d i misura, ma non per la teoria3. G li Etruschi avevano creato una parti­
colare professione, quella degli agrimensori, che si occupavano della costru­
zion e di templi, di accampamenti e della fondazione di città. Quando
C e sa r e progettò la misurazione dell’impero, A grippa fece venire degli

2 H. W eissenborn, Die Boetius-Frage, in « Abh. Gesch. Mathem. », 2, Leipzig


1879, pp. 187-240. P. Tannery, Notes sur la Pseudo-Géométrie de Boèee, in «BibL
Math. * 14, 1900, pp. 39-50 = « Mém. Se. », V, pp. 211-228. G Thuun, Zut Ueber-
Ueferungsgescbichte des Corpus agrimensorum, (Goceborgs Kungl. Vetenskaps och
Vttterhets-Samhalles Handlingar, fjàrde foljden XIV: 1), Goteborg 1911. M. Folkerts,
' Boethius ’ Geometrie II, ein mathematiche Lehrbucb des Mittelalters, in « Boethius »,
Bd- IX, Wlesbaden 1970.
3 Tuse. Quaestiones, lib. I, cap. 2,5.
esperti di Alessandria, le cui form ule sulla determinazione di superfid
e volum i da applicare meccanicamente furono riprese dagli agrimensori,
e-questi, le impiegarono, senza tuttavia sentire la necessità d i trovare per
esse dimostrazioni. Nel sesto, e undicesimo secolo tutti i. manoscritti di
carattere gromatico vennero riuniti in un corpus agrimensorum *.
D opo che i Romani si ritirarono dalla Gallia settentrionale, in seguito
alla pressione militare dei popoli Germanici, si sentì parlare d i nuovo di
scuole in Gallia solo quando incominciò l ’evangelizzazione del paese, con
la fondazione d i numerosi monasteri. Essa partì dapprima dal Sud, da
San Martino a Tours; poi vennero i missionari dalTIrlanda e dalla Scozia.
Iniziò Colombano che nel 590 fondò Luxeuil, seguirono St. Gallen nel
612 e B obbio nel 614. H monastero di Corbie (vicino a Parigi), fondato
nel 662 dalla regina merovingia Ratilde, merita una menzione speciale, in
quanto diventa nel nono secolo un centro di studi grom atico-geom etrids.
Ogni monastero aveva la sua scuola, in m odo da assicurare una adeguata
riserva di sacerdoti. L ’organizzazione e il programma d i studio di tali
scuole devono essere stati simili a quelle romane, ma noi possediamo ben
poche informazioni sicure al riguardo.
I l padre di O razio non aveva mandato suo figlio alla scuola {ludus)
della sua dttà natale, Venusta, dove il maestro Flavius insegnava ai figli
delle famiglie piu in vista 4
5
6. Per il calcolo elementare d si serviva in primo
luogo di tavole di calcolo {abaco), nelle cui colonne si mettevano — come
nella tavola di Salamis — i sassolini {calculi) mobili, che si potevano forse
anche disporre in orizzontale secondo 1’algorismus linealis medievale. Di
nuovo O razio d tramanda la notizia che gli scolari portavano, assicurata
alla spalla sinistra, la loro tavola di calcolo con uno scrignetto contenente
i sassolini.
Infine, esisteva inoltre uno strumento fisso, un abaco manuale, nel
quale i sassolini da calcolo scorrevano com e sferette su fili m etallid o in

4 Foljcejlts, o.c., pp. 96, 105.


5 Folkekts , o.c., p. 73. C£r. anche B. B ischoff , Mitteialteriiche Studien I,
Scuttgart 1966, p. 59.
6 Satyri, I, 6: Noluit in Flavi ludum me mittere, magni / Quo pueri magnis
e centurionibus orti / Laevo suspensi loculos tabulamque lacerto, / Ibant octonos
referentes Idibus aeris.
solchi perpendicolari (cfr. Fig. 1). Non si sa come venissero eseguite sin­
golarmente le quattro operazioni fondamentaliT, né fino a quale punto
la materia d’insegnamento elementare abbracciasse il quadrivio consigliato
da Boezio e da Cassiodoro , e rispettivamente le sette arti liberali. Spesso
essa si sarà limitata alla grammatica. £ ’ interessante notare qui che non
possediamo alcun manuale d’insegnamento romano del quadrivio, a diffe­
renza di quelli di Bisanzio che invece d tramandano, fin nei particolari,

Fig. 1: '‘Abaco roma­


no in MÌnninger K.,
Zablwort und Ziffer,
Bd. 2, 2 Auflage,
Gottigea 1958, p.
112.

Ròmischer Handabakus
Abgvd τοβ den StOds im Cabinet de» mtiaiCes, h r v . Ftat ouiU iiclM G ceecZw iicbaidcn berta
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G*a*e Uose»

il contenutos. Che l’insegnamento del calcolo elementare fosse, alquanto


noioso, a causa del m onotono redtare le regole « dell’uno più uno », Io
attesta sant’Agostino. Egli dice: « L ’uno più uno due, due più due quat­
tro, era per me una cantilena sgradevole » *. Parleremo più avanti di una7
*9

7 Fexf-Dlein, o.c., p. 87 s.
è J. L. Heiberg, Anonymi logica et quadrimum, in « Det Kgl Danske Videns-
kabemes Selbskab Hist. - filol. Meddelelser », XV, 1, Kobcahavn 1929; cfr. P.
TaNNERY, Quadrivium de Georges Pacbymère ou Σύνταγμα των τεσσάρων μαθημάτων,
Città del Vaticano 1940 [Studi e Testi, 94].
9 Confessiones, in Migne PL, 32, cc. 658-868.
lezione romana, di calcolo, nella quale gli scolari si esercitavano nel calcolo
con le frazioni.
G erberto ha studiato alla scuola del monastero di Aurillac, nell’Al-
vemia. L’abate era Geroldo, il maestro d i Gerberto era Raimondo, diven­
tato più [tardi abate, al quale — come riferisce lui stesso — deve tu tto101
2
3
4
.
Una svolta decisiva nella vita d i G erberto si verificò, quando il
margravio Borel , signore del margraviato relativamente autonomo di
Barcellona, posto fra la marra spagnola e il califfato di Cordova, durante
un viaggio politico fu ospite di Aurillac dell’abate G eroldo. L’abate gli
chiese, se in Spagna d fosse qualcuno, presso il quale d si potesse perfe­
zionare nelle artes. Borel rispose affermativamente e allora l’abate lo
pregò di condurre seco uno d d suoi m onad. Così nel 967 G erberto si
recò, forse diciassettenne (adolescens) u — era nato quindi intòm o al 950
— dal vescovo H atto a Vich, dove studiò intensamente e con profitto
la matematica {in matbesi plurimum et efficaciter studuit) a . Là potè co­
noscere le cifre arabe nella forma ocddentale, chiamata gubar. Esse ven­
gono documentate per la prima volta in un codice dell’anno 976, prove­
niente dal monastero A lbeldaa, situato in Austria. Insieme ad H atto
e a Borel Gerberto intraprese nel 970 un viaggio dal papa e alla corte
di Ottone I . Quando i due ripartirono, Gerberto rimase a Roma per
perfezionarsi nella logica, dato che in matematica era già perfetto {in ma­
thesi se-satis posse) M.
Dal 972 al 982, Gerberto diresse la scuola cattedrale di Reims, dove
istruì m olti allievi nelle disdpline delle artes liberales. Ma d ò che rese
celebre Gerberto fu il nuovo abaco, chiamato abacus geometricalis o mensa
Pythagorae e in tedesco « Kloster-Abacus » , che gli viene attribuito. Dalla
biografia di Gerberto, scritta dal suo scolaro Richerus negli anni fra il
996 e il 998, apprendiamo sulla confectio abaci quanto segue15:
« In preparazione alla Geometria (!) confezionò, con l’aiuto di un
costruttore di scudi, un abacus, d oè u n a tavola che si poteva sud­

10 Ep. 92, cfr. Bubnov, Gerberti opera......p. 103.


11 R ich erus , ΙΠ, 43, cfr. Bubnov, Gerberti opera..., p. 376.
12 Ivi, p. 376.
13 G. F. H ill , Tbe Oeoelopment of Arabie Numerais in Europe, Oxford 1915.
Π Codex Vigflanus (d- 1.2) del 976 è ora all’Escorial.
14 R icherus , IH, 44, cfr. Bubnov, Gerberti opera..., p. 377.
15 R ich erus , IH, 54, cfr. Bubnov, Gerberti opera..., pp. 380-381.
dividere in parti (dimensionibus aptam). La suddivise in lunghezza
in 27 colonne {partes), sulle quali distribuì i nove simboli numerici,
con i quali si potevano rappresentare tutti i numeri. Similmente a
questi sim boli, egli costruì mille figure (èaracteres o dptces) in cor­
no, le quali, disposte nelle 27 colonne dell’abaco, potevano eseguire
le m oltiplicazioni e le divisioni di tutti i numeri. In questo modo
si semplificavano talmente tutte le m oltiplicazioni e le divisioni che
— nonostante il gran numero di cifre — la comprensione risultava
più facile di quanto le parole fossero in grado d i fare. Chi però
volesse perfezionarsi in quest’arte, dovrebbe leggere il libro che
Gerberto ha mandato, insieme ad ima lettera, al grammatico Con­
stantinus. L ì egli troverà tutto d ò spiegato suffidentemente ed in
esteso ».

F3g. 2; Abaco in
« Boethius » Geome­
tria II, secondo il MS
London, Brit. tifar.,
Lansdowne 842 (in:
M enso F ol k er t s ,
|vwmls S«yt«M«min fartiMKcwximtr fi H+c m S· ' Boethius ' Geome­
fta wxiiww iwyiirrnr’ χιρ m trie 11, ein matemati-
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C osì scrive il biografo. Purtroppo questo libro, di cui ci parla R ichexus ,


non d è pervenuto. Possediamo però delle spiegazioni precise di Bernelx-
nos (principio dell’undicesimo secolo) e di R adolfo di Laon (órca 1030-
1117), ma senza illustrazioni della tavola, la quale d’altro canto possiamo
per esempio ritrovare in manoscritti posteriori della geometria seconda di
Boezio e altri (Fig. 2).
Delle ventisette colonne (talvolta sono meno o ne vengono aggiunte
tre per lè frazioni), chiuse in cima da un semicerchio, ne vengono con­
giunte tre alla volta con un ulteriore arco. Nella prima colonna — a partire
da destra — d sono le unità {digiti), nella seconda le decine .{articuli, così
chiamati dal calcolo digitale), e nella terza le centinaia (compositi). Un

Fig. 3: Àbaco della scuola di Gerberto, in MS Bemo, Biirgerbibliothek, 250, f. l r.

manoscritto da Berna mostra tutte le 27 colonne (Fig. 3). Il soprascritto


è: Qirbertus Latio numeros abacique figuras (dedit). Possiamo fard un’idea
di questo abaco, osservando i chiostri dei monasteri spagnoli (Fig. 4).
La grande innovazione di questo schema di abaco romano a colonna
è che i numeri non vengono posti sotto forma di calculi, ma viene posta
solo una cifra alla volta in una colonna (Fig. 5 ). Queste cifre sono i carac-
teres o apices, che come diceva Richerus, erano intagliate in corno e pote­
vano anche venire inscritte n d m odello. Sembra che i nomi e i simboli de­
rivino dall’arabo. Ciò risulta chiaramente per esempio dal nome A sbas ,
che deriva da A rbà e che significa quattro in arabo. N elle illustrazioni
dei manoscritti esse si trovano riportate per lo più nelle colonne contras-
segnate da uno, died e cento (Fig. 2 ), nonché nelle righe seguenti con la
metà del loro valore. Lo zero non era necessario: veniva sostituito dallo
spazio vuoto.

Come sono stati veramente eseguiti i calocli con l’abaco? Le addi­


zioni e le sottrazioni non vengono menzionate in nessun luogo. Nel mo­
dello romano c’erano solo da aggiungere o togliere i sassolini e si doveva
soltanto essere in grado di com porre 10 calculi per formare una nuova
unità (collectio) o di scomporla (dissipatio)161 7
. Dato che ogni colonna
viene superata o supera la vicina d i dieci (decuplo superat vel superatur) a.
La situazione era diversa con l ’abaco d i G e r b e r t o , perché si contava con
cifre invece che con calculi. Q u i era necessario, nella moltiplicazione e
divisione, stabilire sempre dapprima in oprale colonna sarebbe apparso il
risultato, dato che non si conosceva alcuna regola posizionale generale.
A questo proposito esiste un trattato autentico d i Gerbera) che B u b n o v

16 B ubnov , Gerberti opera__ , p. 265.


17 O l le s is , O e u a r e s p. 362.
ha intitolato « Regulae de numerorum abaci rationibus » ls, e che è stato
inviato, insieme ad una lettera, a quello stesso Constantinus , al quale
G erberto avrebbe inviato il suo libro sull’abaco. Non c’è alcun dubbio
che le molte regole, qui riportate da G erberto sui risultati delle molti­
plicazioni e divisioni, rappresentano solo la prima parte del libro sull’abaco
che non d è pervenuto e al quale accennava Richerus. Nella lettera a Con­
stantinus, Gerberto scrive che questi lo aveva pregato di spiegargli l’abaco.
Dato però che non se n’era più occupato da diversi lustri (d o è da circa
died, quindid anni), voleva riferirgli a memoria il contenuto di un libro.
Doveva, quindi, esistere prima di Gerberto un libro sull’abaco.

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Fig. 5: I simboli degli apices, in M. Folkerts, ' Boethius tav. 1.

Anche di H erigerus (scolasticus dal 930 al 990, abate p oi di Lobbes


fino al 1007) esiste un trattato sull’abaco a che tratta prindpalmente le
diverse spede d i divisioni, e che inizia anche con le regole stilla posizione
dei risultati, da cui si può dedurre che le Regulae di G erberto costitui-1 8
9

18 B ubnov , Gerberti opera. . p . 6 s.


19 Bubnov , Gerberti opera... . p. 205 s.
vano solo l’inizio di un’opera più vasta, che era un libro d ’abaco, andato
perduto. L ’abaco di H erigerus è indipendente da quello di G erberto .
Dato che Gerberto già nella sua gioventù aveva posseduto un tal libro, si
potrebbe dubitare che G erberto sia l’autore dell’abaco gerbertiano. Però,
secondo Richerus e. numerosi altri autori posteriori, Gerberto viene
sèmpre indicato come l’inventore dell’abaco, credo che il vecchio libro
trattasse un abaco romano a colonna che Gerberto sostituì p oi con il suo
m odello, ripristinando così, come dice Bernelinus , quello che era quasi
già andato perduto {jam pene demersa) m.
Dai testi non si riesce a sapere come i calcoli apparissero sull’abaco.
Lo si può ricostruire solo -in base alle descrizioni posteriori, in cui i numeri
sono scritti in latino o indicati con cifre romane o talvolta anche con i
nomi degli apices (igin, andras, etc. ) 2012
. L’addizione e la sottrazione non
vengono menzionate. Esse venivano manipolate come i calculi nell’abaco
romano. Si doveva solo conoscere bene lo « sgradevole uno più uno » e
la collectio e la dissipatio dei numeri nell’arco vicino. Anche la moltipli­
cazione viene trattata brevemente. Bernelinus adduce solo un unico
esempio tolto dai giochi matematici già in auge allora 2 {u t spiritum re­
creantes ad metiendum iter simus valentiores). Si tratta della somma della
serie di numeri
5
Σ 12“ = 12 + 144 4- 1728 + 20836 + 248836 = 271453
1
nella forma seguente: abbiamo una torre con 12 finestre, con 12 posti
cadauna {strata)·, in ogni posto d sono 12 uomini, con ognuno 12 donne,
e ogni donna ha 12 fandulli. La regola applicata nella m oltiplicazione è la
seguente: ogni elemento di un fattore viene m oltiplicato per ogni elemento
dell’altro fattore. Radolfo di Laon lo dimostra con l’esem pio {Fig. 6)

20 Bubnov , Gerberti opera.... p. 383. Affermazione simile si trova in


Radolfo di Laon: « Sed quum ea disciplina apud omnes fere occidentalium pardum
incolas oblivioni tradita est ». Cfr. A. N agl, Der aritbmetiscbe Tractat des Radulpb
von Laon, in « Abbh. Gesch. d. Math. », 5, 1890, p. 100.
21 Per es. in T u rch illu s . Su d ò cfr. E. N arducct, Due trattati inediti
d'abbaco, in « Boncompagni-Bullettino », XV, 1882, pp. 111-154. A p. 145 il quoziente
3 : 1 è espresso come quotiens est igin in hormis.
22 Cfr. J. T ropfke , Geschichte der Elementarmathematik, P, 1980, pp. 572-656.
468 · 24 a in particolare. Si tratta del problema del calcolo dei chiodi di
maniscalco per 468 cavalli. Se lo si riporta sull’ abaco ne risulta il seguente
schema: viene calcolato 4 -'8 4- 4 -6 4- 4 -4 etc. Si vede'che dopo te prime
tre moltiplicazioni si tira-una somma intermedia che noi eseguiamo a
mente. Poi 2 -8 -f- 2 -6 -f- 2 -4 etc.

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Fig. 6: la moltiplicazione di 468 · 24 nell’abaco.

N ei trattati sull’abaco la divisione viene trattata molto più in esteso


delle prime tre operazioni. Qui vengono distinte diverse specie: la divi­
sione è sim plex se il divisore ha solo una cifra; composita, se il dividendo
o il divisore hanno più cifre; intermissa, se nel mezzo dei numeri manca
un apex. Si accenna anche all’ esecuzione della divisione intesa come una
sottrazione continuata del divisore. La divisione può essere eseguita con
due m etodi23
24: uno viene chiamato la divisio aurea o domina, che è già

23 Cfr. N agl, Dir aritbmetiscbe .. ., p. 105 s.


24 Cfr. B ernelinus in O lleris , Òeuvres..., p. 369, dice: differentia quasi
famula. Ma si può subito dividere, allora è divisto domina ( . . . claret, bone quasi
dominam dividere, cui dividendi quidlibet aeque patet potestas). In Radolfo (cfr.
Nagl, p. 116): Et divisiones dtp sine differentiis fuerint, quas aureas appeilant, dtp
cum differentiis, qup ferree cognominantur.
simile alla nostra; l’altro m etodo è la divisio ferrea o famula: esso è più
complicato e pare essere il più antico. In quest’ultimo caso (divino cum
differentia), il dividendo non viene diviso per il divisore dato, ma con uno

a C o
— * —·( C - b) : b
b c c

fur a a a
— - — + — •(1 0 - b)
c =10 b 10 10

z.B . 20 20 20
—— r ——+ — •4 : 6
6 10 10

10 e 1
—■ = 2 + — = 3—
3 6 3
Fig. 7: Spiegazione della divisione nell’abaco.

maggiore, più opportuno. Cosi il quoziente risulta troppo piccolo; si deve


dunque aggiungere ancora qualcosa (Fig. 7). Nel caso della divisione a : b,
a
il primo quoziente è a : c (con c > b ) , a cui si deve aggiungere (c — b) — ,
c
che si deve dividere nuovamente per b. Vale quindi l’identità:
a a a
- = — (c — b ) -----: b
b c c
Ciò non viene spiegato in alcun testo. Un semplice esem pio (600 : 6) si
trova in R a d o u o di Laon3 . Vediamo subito che il risultato è cento, ma
R adolfo vuole spiegare il metodo. Invece di dividere per sei si divide per
10, cesa che con l’abaco si-presenta così (Fig. 8). La tavola viene suddivisa-
in segmenti (tramites0. Sopra vengono indicati E dividendo 600, E divisore
6, la differenza rispetto a dieci, cioè quattro, e sotto i risultati. La divisione
per dieci avviene riportando seicento nella seconda colonna come sessanta
(secundare). Π numero sei si trova nella colonna deHe decine. Poi abbiamo
da aggiungere 6 -4 = 24 etc. Nefl’esempio di Bernelinus (6131 : 344)
E divisore è 344. Qui viene presa una differenza rispetto a 400, cioè 56,
dato che è più facEe dividere per 400 che non per 344.

600 ■·s a no

Di/ftrtnz zu IO

OM sor

Dhnóffìd

♦s
♦2

Erytònà

Fig, 8: la divisione di 600 : 6 nell’abaco.

25 C£r. Nagl, Der aritbmetische... , p. 122.


Se nell’esercizio d sono delle frazioni, allora sorgono grosse difficoltà
nelle m oltiplicazioni e divisioni. Le frazioni romane sono derivate dalla
libbra (as) suddivisa in 12 parti, cosicché con ónda si indicava non solo
1/12 di libbra, bensì anche comunemente 1/ 12. Ogni 1/12 aveva il pro­
prio nome e un sim bolo determinato, come 2/12 = ,1/6 = sextans, oppure
1/2 — semis. Dividendo in due o in tre l ’onda, si ottenevano altre unità
ancora più piccole (cfr. Fig. 9 ).

X / As ! As fiat

X 1 As / > r/ r 12 1C h a rte r
h
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m- ir Detnx f£ ,L Setnjxja 24 \ z
•.T
0 5
m ir · S Dextans W
X Λ **’ 2S 3
9 2
ψ 12 ' 4
Dodrans ) S b fte u s 40 4

9 2
% ir * 3 9es, &sse w 7=T Sextukj 72 6
7
f 12 Septunx •gf Oragma 96 0
S 1
r 12 '* 2 Serris r Qùndiasextuia 144 12
5
» 12 Ckjmctrx * ^fS eneutus 200 24
4
12 * 2 Triens Obolui. 576 iO-
3
> ir 4 . Quadrans z 0S2 C tn tn 1152 96
2
1 12 * r Sextans r è s * 1* * " 1720 144
r
T ,7
ir Unda 4 . y jg C a c e te 2306 S t?

Fig. 9: le frazioni e i loro simboli romani e medioevali.

Si potevano esprimere certe frazioni sem piid solo com e somme, scri­
vendo 1 /9 = 1/12 + 1 /3 6 ; 1 /1 8 = 1 /2 4 + 1 /7 2 . N on era assoluta^
mente possibile indicare 1 /7 . Anche il com pito, di cui O razio 26 d parla a
proposito di una lezione d i calcolo con frazioni, e d o è di dividere un A s in
cento parti, non darà un risultato esatto, mentre al piccolo A lbino riescono2 6

26 Ars poetica, 223.


i due calcoli: 5 /1 2 — 1 /1 2 = 1 /3 [de quincunce remota est uncia, supe­
rat triens), e 5 /1 2 -f- 1 /1 2 = 1 /2 (quincunx et uncia semis).
Anche gli abadsri èseguono calcoli con queste frazioni romana ‘ai
quali premettono una spegazione dettagliata del valore di ogni singola

X T c X I

4 s 9

2 4

<· ar 3 2

4-6 * 2 4

i t i 1 S

Summ« t a 7 2

2 0* / 6

2 S * t 2

2 -4* 0

1 1 2 3 2

Fig. 10: La moltipBazioae di 12 5/6 ■ 2 1/2 sull’abaco.

frazione, con il relativo sim bolo. Un esempio di moltiplicazione si trova


in Bernelinus;
10 1
1 2 ----------- 2 —
12 2
(X II et dextans per duos asses et semissem). Sulla tavola Ώ lo si potrebbe
rappresentare come segue, d x. Fig. 10. La moltiplicazione è come per i
numeri interi.2
7

27 Bebneunus in O ujexis, Oeuares..., p. 397.


2 · 12 + 2 · 5 /6 + 1 /2 · 1 2 + 1 /2 -5 /6
Le onde vengono riportate in un’altra colonna vicino alle unità, le frazioni
nella quarta colonna: bes e quincunx fanno un A s e un’onda. Π risultato -è
32 1/ 12. A disposizione di chi faceva i calcoli c’erano tabelle con i pro­
dotti delle frazioni, alle quali è stato preso 1 /2 · 5 /6 = 5 /1 2 .
Bernelinus adduce anche un esempio di una divisione con frazioni
e d oè a :
11
120 : ( 11-1--------- )
12
eseguita con il metodo ferreo, completando 11 11/12 a 20, con la diffe­
renza 8 1/ 12; per 20 egli poteva dividere più facilmente. Mentre il me­
todo aureo si avvicina al nostro sistema moderno, negli ambienti monastid
si conservò a lungo il com plicato calcolo con la differenza,^ com e -anche
l'uso degli apices. In un’annotazione del manoscritto CIm 14368,f.94r si
legge: Pinge, precor, similes apicum, mi pusio, formas.
Una svolta definitiva subentrò qui con il liber abaci di Leonardo
P isano (1202). I nuovi metodi di calcolo con le frazioni comuni vennero
adottati con grande interesse dai maestri d ’abaco italiani, ai quali asse­
gnarono un vasto spazio nei loro trattati. Qui si nota come la parola abacus
abbia cambiato sostanzialmente il suo vecchio significato.
Oltre alle Regulae, G erberto d ha lasdato anche una seconda opera
autentica, la Geom etrìa, che era solo una com pilazione senza alcuna dimo­
strazione. Essa fu redatta nel 983, durante o dopo il suo soggiorno a
B o b b io 79. D opo una introduzione, nella quale si parla delle origini e del­
l ’ utilità della geometria, segue una spiegazione dei concetti fondamentali
d i punto, linea, superfide, solido (soliditas) con i loro nomi latini e gred
e , inoltre, delle misure lineari. Nelle sezioni seguenti vengono trattate le
figu re piane e — in esteso — i triangoli, distinti secondo i lati e gli an­
g o li. Delle proposizioni sugli angoli sono note quelle sugli angoli adiacenti
e quella sulla somma degli angoli nel triangolo. Per risolvere il problema,
s e un angolo sia minore, maggiore, o uguale ad un angolo retto, viene2 8
9

28 OrxERis, Oeuores..., p. 343.


29 B ubnov , Gerberti opera... ., p. 556.
presentata una costruzione che d. porta poi al triangolo d i Pitagora· A
metà del capitolo sugli angoli tetti, il testo si interrompe. Mancano così il
circolo, gli altri poligoni ed i solidi. D i particolare interesse, nella sua
geometria, sono i molti esempi numerici sul teorema d i P itagora, dove
G erberto mostra la sua abilita nel calcolo con frazioni.

Et ne in minutata quoque orthopum» exemplumtare suUerfogUm, eum


«opio cui nuperius τι et trientem 9Γiu allieto posuerim. Ipsum cathetum.
regulariter ut sbadita faallìmum est, in se ducens xt et tinriaa f et.
•i ji -!-
^ 2 36
duetient w> tetragonum inrenk», Ifem basi· qua est m i, quincunx Ve et'
ducila υο, in se ducta Gl Idragenia un et quadrans semunx C, sextula u, · — n 12
£ s2 4. A_L_L_ i
72 S76 1728 3*1728
obolus *-·, dua siliqua 55 et tertia unius. Ili duo tetragoni simul juncti fa»
anni tetragonum au» quincuncem Ve, obolum ·*-, duas siliquas SS, et ter*,
12 S76 1728 3 -1 7 2 8
tiara unius siliqua continentem. Cujus Ulus tetragonale inventum, quod
est x, setuis C, semunx C, sextula v, oam hoc io se multiplialum eum-- lU1 24 72
dem restituit, et hypotbenuse quantitatem osteodiL Ex eodem bypoihenusm
numero in se ducto* «a , quincunce 5f , obolo **·. duabus siliquis 55 et
terta porte siliqua, si eatbetnm iu « duetnin, id est xt. unciam f et dud·
lami» dempseris» reliqui. Id estua, quadrantal, semunciaC, sextula e ,'
oboli *■«.,duarum siliquarum 55 et (xieotis siliqua tetragonale latus erit, mi,
quincunx Ve, «ludia eo basi adsaibotur. Rumis e u a , quadrans f, se­
mionda 5.» scitula e, obolus*», bisdiqu·, terta silique ex eodem bjpo-
ibenusa numero dempta fuerint, remsoenta xl, undaΐ , et duella w , latus
tetragonale quod est n et (ricas K cathetum,restitui. Atque hara regula in
eetais quoque orthogoniis probare Tolentem nooqoam (albi, à lineares la*
teram mensuras iaremre placuerit.

Ftg. 11:
Calcolo della ipotenusa nel triangolo rettangolo, in Ollabis, Oettores. . p. 421.

Qui egli dice espressamente di non voler evitare 30 il calcolo con


frazioni. Ciò dimostra che si è riconosciuta l’importanza del calcolo nella
geometria ed è forse questa la ragione per cui i trattati sull’abaco spesso
si trovano fra i testi di geometria. Così, per esempio {Fig. 11), viene
calcolata l’ipotenusa 31 dai due cateti
1 5 1 .
V I et triens ( = 6 — ) e V il i et quincunx et duella ( = 8 ----------------).
3 12 36

30 Bubnov , Gerberti opera..., p. 89: « Et ne in minuriatis quoque orthogoniis


exemplum dare subterfugiam».
31 Bubnov , Gerbertì o p e r a p. 85.
I singoli passi sono i seguenti:
VI triens p er ,V I -f- triens = XL -(- uncia + duella
1 1
oppure: 40 4 ------------ 1----------.
12 36
Similmente:
V i l i + quincunx -f- duella per V i l i -f* quincunx 4* duella
— LXXI quadrans, semuncia, sextula, obolus, duo siliquae et
tercia siliquae
1 1 1 . 1 2 1
oppure: 71 4--------- 1------------- 1------------- ì----------------- 1
----------------- 1
-----------------
4 24 72 576 1728 χ 3-1728
I due quadrati vengono addizionati: juncti CXI quincunx, obolus, duo
siliquae et tercia unius siliquae·, oppure:
5 1 2 1
111 + ------- 4-------------- 4---------------- 4--------------------
12 576 1728 3-1728
Di questo, la radice quadrata è: X semis, semuncia, sextula, oppure:
1 1 1
10 4 — 4 . 4. -----
2 24' 72
Il calcolo è corretto, ma com e esso sia stato eseguito (in particolare quello
dell’estrazione della radice quadrata che d interesserebbe molto) non si sa.
Egli evidentemente risaliva all’unità più piccola, facendo un calcolo a parte
o a mente. C’è da dubitare che — come egli dice — questi calcoli per un
abadsta fossero veramente m olto facili32.
Come fonti per la Geometria di G erberto sono da nominare per
primo Boezio (Geom etrìa prima) e poi gli Agrimensori, dei quali B obbio
possedeva un manoscritto proveniente da Napoli, che aveva più tardi in­
viato a Liegi a Adelboldo 33. G erberto usa termini tecnid provenienti dagli
Agrim ensori, com e: hebes (obliquo), coraustus (linea che attraversa il

32 Bubnov , Gerberti opera.. . , p. 84 s.: « ut abadstae facillimum est ».


33 Folkerts , ' Boethius' . p. 106.
vertice del triangolo) oppure -podismus ( i p o t e n u s a ) A n c h e il Codex
Arcerianus allora era a B obbio. - -·
Anche dalle sue lettere si vede quale è la posizione di Gerberto ri­
guardo alle questioni geometriche. In una lettera a A df.t.boldo degli anni
983-997 egli si occupa dell’area del triangolo, in risposta ad una richiesta B.
La formula geometrica dell’area di un triangolo equilatero di 30 e l’altezza
con ima approssimazione data di 26 è 390. La formula aritmetica invece
(302 + 30) : 2, che deriva dalla teoria dei numeri figurati, dà al contrario
365. G erberto spiega ad A delboldo la ragione della differenza, prendendo
com e esempio un triangolo di lato 7. Π valore approssimativo per l’altezza,
in questo caso, è 6 e l ’area 21. Il valore aritmetico al contrario è

72 + 7
--------------- = 28
. 2

Per spiegare la differenza fra 28 — 21 = 7 Gerberto fa un disegno (Fig.


12). Compone una figura a scale con sette rettangoli. Il primo è costruito

Fig. 12: Spiegatone


di Gerberto del cal­
colo aritmetico e geo­
metrico della super­
ficie del triangolo.

34 B ubnov , Gerberti opera... , pp. 68, 77 s.


35 B ubnov, Gerberti opera... . p. 43 s.
sulla base sette. Tutti hanno la larghezza uno, mentre la lunghezza dimi­
nuisce sempre di uno. L ’area della figura è dunque: 7 + 6 - f - 5 + 4 - f
3 2 - f 1 = 28. Dato che sette unità si trovano al di fuori del trian­
golo, la figura era più grande di sette.
Il carteggio scientifico fra studiosi di Lorena, nel quale si era inserito
anche Gerberto, ha servito ad ima informazione reciproca e ad incrementa­
re ulteriori ricerche363
7
8
, Ci sono rimaste circa una dozzina di lettere nelle
quali G erberto tocca argomenti matematici oppure confinanti con la
matematica, com e l’ astronomia e la musica. V orrei far notare ancora lo
sforzo di G erberto per procurarsi la letteratura antica. Spesse volte chiede
il libricdno di Josephus H ispanus 38 sulle moltiplicazioni e sottrazioni
dei numeri. Prega il bibliotecario di Bobbio di procurargli^elle co p ie 39.
D ice: « Lo sai con quale zelo io vorrei acquistare ovunque libri? » . Qui
si trova già una tendenza umanistica nell’operato di Gerberto che è
decisamente in contrasto con coloro che ritenevano inutili e addirittura
nocivi lo studio e il « rifiorire » della letteratura pagana, cancellando e
rendendo illeggibili i testi, per prepararli così ad una nuova stesura e
sostituirli poi con testi religiosi. Proprio B obbio è stato un esempio di
paìinsestazione40.
H o tentato di farvi conoscere G erberto com e studioso di geometria
che ha cercato di esporla in modo sistematico, e come uno studioso di
aritmetica che ha fatto conoscere per primo all’Occidente le nuove cifre,
con le quali egli eseguiva abilmente le operazioni d i calcolo sul suo abaco
perfezionato, e che ha contribuito come pedagogo ed umanista a diffon­
dere le conoscenze matematiche e ad accrescere il livello culturale in una
epoca, in cui l’Occidente non era ancora in grado di attingere il sapere
dalle fonti, arabe e greche. Gerberto è stato veramente colui che ha por­
tato la luce della scienza nella Gallia ancora oscura.

36 Cfr. H ofmann , Zum Winkelslreii. . ., nota 1.


37 B ubnov, Gerberti opera. .., pp. 98-106.
38 Epistola 17, 25, cfr. Bubnov , Gerberti opera. . . . p. 101 s.
39 Epistola 130, cfr. B ubnov, Gerberti opera... , p . 103.
40 Cfr. B. B ischoff , Mittelalterliche..., p. 176 s.

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