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GABRIELE TOMASI

La bellezza
e la frbbrica
d,el mond,o
ESTETICA E METAFISICA IN G.\ü. LEIBNIZ

@
EDIZIONI ETS
>*< La bellezzt e lafabbrica d'el mondo

www.edizioniets.com

Volune pubblicato con il contibulo del


Dipartimento di Filosofia
dellUniuersitá degli Studi di pa¿ori pori¡
tUUASf
cofinanzianento anni 1997 e L999.

@Copyright zooz
EDIZIONIETS
Piazza Carrara, t6_tg, I-56126 pisa
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Distribuzione
PDE, Via Tevere 54, I-50019 Sesto
Fio¡entino [Firenze]

ISBN 88-467-0r26-2
AWERTENZA

Nel testo e nelle note le opere di Leibniz sono citate nei due
modi seguenti: indicando il titolo abbreviato dello scritto e il para-
grafo da cui il passo é tratto, seguiti, dopo la bana, dal numero di
volume e pagina dell'edizione consultata (in questo caso é inteso
che la traduzione italiana úportata é quella di Mugnai/Pasini); op-
pure indicando sigla, volume e numero dipgqna dell'edizione-con-
iultutr, seguiti, dopo 1a bana, da1la sigla della traduzione itahana
usata e dJrelativo numero di volume e pagina. Dove compare solo
la sigla dell'edizione con i numeri di volume e pagina, é inteso che
la uaduzione é dello scrivente'

Sigle delle edizioni consultate

A G.\í. L¡,IsNIz, Sdrntlicbe Scbriften und Briefe, Akademie Verlag,


Berln 1923 ss. (la sigla é seguita da numero di serie e numero del
volume).
C Opuscules et fragrnents inédits de Leibniz, éd.,pat L.Cou1911t, A-9a1,
Paris 1901 (Nachdruckauflage Olms, Hildesheim/ZürichlNew York
1e88).

FdC Nouuelles Lettres et Opuscoles inédits de Leibniz, publ. par A' Fou-
cher de Careil, Durand, Paris 1857 (repr. Nachdruck Olms, Hilde-
sheim 1971).
Gr G.\ü. LamNz,Textes inédits, publiés et annotés par G. Grua, Presses
Universitaires de France, Paris 1948.
GM G.\L LsIsNlz, Matbematische Schriften,hrsg. von C.I. Gerhardt, re-
pr. Nachdruck der Ausgabe Berlin-Halle t849'L863, Olms, Hide-
sheim 1962.
GP Die philosophische Schriften uon G.V. Leibniz, hrsg' von C-I'
Gerhardt, Nachdruck der Ausgabe Berlin 1875-1890, Olms, Hilde-
sheim/New York 1978.
r
10 La bellezza e la fabbrica del mondo

Abbreuiazioni usate per gli scritti


INTRODUZIONE
CD CausaDei.
cph confessio phirosopb-i r-inquesro
caso ir numero che segue Ia
ta pagina siera in-
dica_ di''edizione di ó.
am Main 1967), quello dopo la
¡;;. (KI";;;?;,;#i.fr*
E pirol.
b..rJ; pagina della traduzione di
DM Discours de métaphysíque.
LW Briefuechsel zwighey
-Leibníz und Christian \y/olff, hrsg. von C.I.
f;:'ffi:r:.rr.
Nachdruck d;. A;ü;.
H¿. ríao,ó1"*.,"riiü. Al leibniziano A.G. Baumgarten é riconosciuta, come é noto,
M la paternitá della parola <<estetica>> e insieme il progetto ela realnza-
Monadologie.
ziJne, anche se párziale, della nuova disciplina che essa era chiama-
NE Nouueaux essais sur I,entendernent
bumain. ta a designarel, nella quale I'intima connessione dei fenomeni del
PNG Principes de la nature et d.e la gr,ice,
fondés en raison. bello e dáil'arte con il sensibile, ossia con I'estetico, doveva trovare
T Essaís de Théodicée. pieno sviluppo. Tale connessione risulta giá dalle definizioni che
TS Tbeologiscbes sts.tey,Eine
mógrichst korrekre Ausgabe des i'..ecc.lle.rtá analistao - cosi lo chiamerá Kant2 - propone di <esteti
lateini-
schen Textes und d....r, üil;r?;;;sji, D.utr.h.; nach dem Ma_ ca>>. Baumgarten infatti chiama estetica <da scienza di tutto ció che é
nuskript der Staatsbibliothek sensibilerr,ka tale nome potrebbe a suo awiso indicare anche, <<sul-
Nachdruck der Ausgabe
von Carl
Haas, repr.
Tüb;;;ñ;ó,
'f,ri;?,;;".,
omr, Hildesheim 1966. la base di una qualche somiglianzat con la disciplina che <<contiene
la parte generale delle scienze , ...Iu metafisica del bello>; I'estetica,
Sigle delle traduzioni italiane
seguite .nii ,or,Én. inoltre, <.deve dire cid che vale per tufte le forme del
P Appendice b-ellool. E stuto osservato chelaforza di Baumgarten consiste nella
matrice letbniziana della sua riflessionea: Leibniz é il gigante sulle
1G V LersNrz, Confessio philosophi e
a cura di F. piro, altri scritti,
Cronopio,Na pol¡ tggZ.
.tFI,II,III G.!ü. LElsrvrz, Scrittifítosofíci,trad. cui spalle egli é consapevolmente seduto: <<Leibniz - si legge nelle
ed E. pasini, Utet, Toiino -- it. a cura di M. Mugnai Lezioní di Estetica - che era grande da tutti i punti di vista, si mostra
zíioó.
II anche come una grande mente in campo estetico>>.
.tFu I, G.\[ Lemrulz , Scritti fílosofici,trad.
it. sa Lqr.
utet, Torino 1988.
cura u¡ u'\J'
di D.O. Bianca
DLanca' Le parole di Bu.r*gutten alludono alfabelTezza della Teodícea
'tF¿ G.\( LptnNrz, saggi firosofici e rettere,trad.
. all. tesiim onianze offerte dagli studi storici e linguistici del filo-
Mathieu, Laterza,nor"r_grri
it. a cura di v sofo, cioé nel campo delle scienze belle o litterae humaniores5. sul-
9el.-"'
f
I'importanza della filosofi a leibniziana per il progetto di Baumgarten
't¿ I, II G.s7. LrmNz, soíttí dí rogica,
Roma_Bari
a cura di E Barone, Latena, it
piü generale, per la storia e la concezione dell'estetica, é stata
1992. ",
urr.h. di i..".t.
altftata I'attenzione6; rispetto a cid, l'oggetto della
-tP G.!ü LeisNlz, scrítti politici e di dirrtto naturare,a cura presente ricerca é piü limitato, é rutto interno al pensiero di Leibniz
Mathieu, Utet, Torino 19i2. di v
I Cfr. in proposito AMoRoso 2000, pp.19-72.
Viene inoltre usata la sigla
Locrcr, An Essay Concer_
2 Cfr. K,rur 1977 , p. 66.
ning Human [Jrcderstanding."I ! R.r, J. I B¡uMG,tnrEN 1998, PP.25-28.
,if.iirrr.írlJorro, come d,uso, a li_ { F¡n¡¡nis in: Fpn¡,q.nts-Konau 2001, p. 30.
bro, capitolo e sezione; l" ,*¿rri.r.'ür;
é quella di C. pellizzi. t B¡uuc¡nreu 1998, p.29.

il:.t:,?i fi ; :u,ru,
con inro du,i;"; ;i¿;.
ü;;;, ;;.; ñ: 6 Cfr. ad es., oltre ai giá citati lavori di Anonoso e FEn¡¡nls-Kos ¡u 1991, ma
il rilievo Leibniz per la storia dell'estetica era giá stato sottolineato da C¡ssln¡n 1962,
di
pp.458-412icRocÉ 1928, pp.224'241; Bnc¡vN 1969; CoLoRNI 1975.
T-

1,2 La bellezza e la fabbrica del mond.o


lntroduzione T3

in ga¡{colare, a che é sta¡a definita la <<riapertura nei


;,
fronti -guella con_ turare che entrambi i punti di vista sulla bellezza abbiano le loro
del tema della_ bellezza>>, conresruale n" ..;-;;[^;ii;,
dellafilosofianzionalisticaoperata>d"Liilorofor.;;b;Xr;";:i;;r" ragioni e risultino legittlmi in relazione a un modo di considerare le
narura e.il suo significato p.i L.ibnir, é infatd .o-r.; utr^ parte consistente del lavoro che segue é volta a corrobo-
il;;;ú;i;;"
pongo diesaminare, sollecitato dalla constatazione.h. ,"r. q.r.rfipotesi, partendo dal luogo di formazione dei punti di
adoftare due punti di üsta rpp"r.n,.-.rri. ult.rrr"ti ri
.gi r.-ríüru vista sul nondo, l'anivitá della mente. A questo tema é dedicato il
connesso alla codificazione in senso esterico
rJ.úil';;. primo capitolo del libro, nel quale, prendendo le mosse dal concet-
d.n,.rf*;;.";;;" io chiave di espressione, cerco di offrire un quadro degli aspeni
.r: *.", I'altro piü conforme al lessico tradizionale á.1, ..iufiri.u, della teoria della conoscenza dileibniz, rilevanti per comprendere
il primo, adottato in contesti di dis.,rrriárr. d.ll.
le qualitá sensibili, sembra.corrirpona.t. utta
id..:;i;il; che cosa cantteúzzi i punti vista soggettivi e quello oggettivo sul
te soggettivistica dei <<m-oderni>>, il secondo,
visione tendenzialmen- mondo ed esaminare poi, che cosa succeda di una proprietá come
modurato ¿i labelfezza quando si passa da un tipo di visione all'altro.
una concezione della b.l.,r:u".gTe proprietá
d.ll,.*.[,".i1.1*"
l;;;r;_ Modi diversi di descrivere il mondo mettono infatti in evi-
vicino agli <antichb>8. Di fronte a quesra arpfi.ita
l:-.. ?iü
dr vedere, é naurale domandarsi se si tratti d] .rrr,ult.r.rrri""
ái_.ai denza oggetti diversi e proprietá diverse degli oggetti; fenomeni
sol'rzioni incompatibili alla question. ,. lu
i.¡.. ¿i
qualitá oggettiva delle cose;ma ci si p"o
b.l;;-;;;;;;" prensione che Leibniz aveva del senso ultimo della propria filosofia, sia perché mi pare le-
gitti-i it percorso della presente ricerca: <<Questo sistema sembra alleare Platone con De-
a noi ap_paiono punti di vista .orrtodditrori-.h..hü;;;;"fi.i;. i,ocrito, Aristotele .on b.r."rt.r, gli scolastici con i moderni, la teologia e la morale con
tali per Leibniz' Forse egli giudicava f .oiir""o
forr.ro.ff.i;;;;. la ragione. Pare che prenda il meglio da ogni parte e che poi si spinga,piü avanti di quan-
risolvibire, il"urit ro si"sia fat¡o fino.". Vi t.o.,ro unaipiegazione intelligibile dell'unione dell'anima e del cor-
secondo la sua inrenzioná di conciliare antichi po, cosa di cui prima avevo dispeiato. Trovo i veri principi delle cose nelle uniti di so-
e moderni.
stanra che quesio sistema introduce, e nella loro armonia pre-stabilita dalla sostanza pri
Quest'ultima eventualitá va presa sul serio, perché l,intento puó- dire esser dovun-
leibniziano di conciliazione non irt"rro -a. Vi trouó una semplicitá e uniformitá sorprendenti, tanto che si
ái un ingenuo irenismo, que e sempre la medesima cosa fuorché per I grado di perfezione. Vedo adesso quel che
b,ensi poggia su precise ragioni ,."iü. iot.nd.u"'Plato.re, quando prendeva la materia per un essere imperfetto e transitorio¡ió
J cioé suna convinzione
cne, una volta penetrati <<nel fondo delle che Aristotele voleua dire áon la srra entelechia; in cosa consistesse la promessa che De-
coso>, é possibile u.d.r. mocrito stesso faceva, secondo Plinio, di un'altra vita; fino a che punto gli scettici avevano
c_om_e- ogni punto di vista teorico ha una sua veritá (cfr. ragione levando le loro accuse contro i sensi; in che maniera gli animali siano automi, se-
-quasi
IV,523-524/SF Gp
I, 50j). La veritá di unipotesi per Leibniz non .o"ndo D.r.".,.s, e come abbiano purtuttavia anime e facoltá di sentire, secondo l'opinio-
é al_
tro che la sua intelligibilirá e, da un purii.otrr. ne del genere umano. Vedo in chi modo occorre spiegare ragionevolmente coloro.che
punro di vista sulre hrrrno áotuto di vita e percezione ogni cosa ... Vedo come le leggi della na¡ura ... abbia-
cose, un'ipotesi puó risultare piri lnte[igibil.,
. i.rnqu. ,.;jü no la loro origine dai principi superiori della materia, nonostante che tutto si svolga mec-
puó approssimaxi meglio ullu"reritárrrol,rü c^nicamente iella maieria ... V.áo ogni cosa regolata e abbellita al di lá di tuao ció che si
lfl:,1_rti,
awrso, ü;r; t" q¡oto, sterile, negletto, niente
convergono tutre le visioni parziake. Si puó é concepito finora: oq:nque la mateiia organica, niente di
dunque ;;;;.;_ di troppo uniforme, tutto variato, ma con ordine, cosa questa che supera I'immaginazio-
/ Le espressioní son-o di AMoRoso 2000, p. n., tuiü l'uniu.rso in scorcio, ma secondo una prospettiva differente in ciascuna delle sue
127. in ciascuna unitá di sostanza. Ol¡re a questa nuova analisi delle cose, io ho
" E' quesra' come é facile immaginare, purti .
,.r.güo ^.h.
una schematizzazione ispirara da una oo-
posizione comune anche in Leibniz.
rn i.¿r¡ í"
.o.p..ra quella delle nozioni, o idee, e delle veritá . .. Infine resterete sorpreso, si-
sr.r;;;
le atrribuiamo una qualitá che essa possiede.n"'rir.-.rl,
r., dicendo ,na cosa *beüarr, gno".., n.il,árco¡ui. rutto cid che ho da dirvi e, soprattutto, nel comprendere quanto da
oppure esprimiamo semorí- Iió ,iu erultutu la conoscenza de\la grandezza e delle perfezioni di Dio. Poiché non potrei
cemenre la nosrra reazione a essa, conferen¿"l.
de, anraversa giá il pensiero andco. Cfr.
p-p.f;;il;"iJü;;iliit:
r"" celare a voi . . ., quanto io sia adesso pieno di ammirazione, e (se possiamo osare servirci di
e f*^^*,r*,il^l"s; , pp. 221-245. tale termine) di'amore per questa Sóv.ana fonte delle cose e delle perfezioni, avendo tro-
Cfr. Loprsou 1999, p. ¡2.., ,. qÁillálái *.ir¿, anche M¡cDoru¡ro vato che quelle che qu.ito rirt.-, porta alla luce super4no tutto quanto se ne é concepito
Ross 1984, pp.75.76. Ne consigue ,n,
I i'
¿ir¡¿r)i)-, filosofiu, doveva apparire a
Leibniz un modello teorico crpac! di massimizzare finora. Voi .up.t. d?lt.u parte ché un tempo m'ero spinto un po' troppo lontano e che
i;;;;;."b,ñ;:rL ff;iifill:
ditá contenuti nelle diverse dór¡ine. c.ri.gü.*.piu1'fprop.io cominciavo a Lclinare verio gli spinozisti, i quali non lasciano altro a Dio che una poten-
dalla descrizione encomiastica che Teofilo sistema, come risulta za l¡tfi¡ira, senza riconoscergú né perfezion { né saggezza e, disprezzando la ricerca delle
po' lungo, ma merita di essere riportato
r. ¡íJ*.-
rl , nei Nuoui saggi;il passo é un cause finai, derivano tutto-da uná necessit)L bruta; ma questi nuoü lumi me ne hanno
ilJr'* *" pr..ir" idea dela com_
ri" p.rJá
guarito, e da quel tempo prendo talvolta il nome diTeofilo>> (NE, I.i/A VI 6'71'7))
14 La bellezza e la fabbrica del
mondo lntroduzione l5
presenti a un livello,di.rappresen:rlzione
Fmblematicg é, p:. L.ib"ir;1.;r;;t scompaiono a un alrro. be cosi pensare che, predicando la belLezza, non ci riferiamo a og-
corpi: il modo comune di getti, má descriviamo una proprietá delle nostre percezioni e dun-
rappresentazione Ii considera
sostanze, ma una visione scientifical0
della realtá suggerisce que che essa é <<in>> noi e non ha alcuna controparte in qualcosa di
.h" r;"" . .rr. ricavano invece Ia roro
";;r"Jriü
unirá, e dunque sostanzialitá, esterno. In realtá, come si vedrá, le cose non stanno proprio in
forme pensabü in a¡arogi"
á.nre che li percepisce o da questi termini e concluderne che labellezza é una mera proprietá
.;;;;.'rr. chiamiamo <io>>ri. La soggettiva, assimilabile alle qualitá secondarie, posto che queste ve-
questione non é irrilevrrr-t"
p., l^ Lriuru,""iperché se i corpi sono
meri fenomeni, cioé quur.or, ,u-irrt. non siano altro che soggettive, é forse affrettato, per quan-
qualitá saranno dei seli_accld.*i
;;; semi_enri, anche le roro to anche la bellezza sia coinvolta nei salti rappresentativi che la
f" ."1 realtá, come quella dei
corpi cui appaftensono, risurra
diÉ;;;"rri" ';;.: Iirll"o- mente compie quando dal sensibile passa all'intelligibile e nei mu-
tamenti di ontologia che a essi corrispondono.
l0 si potrebbe essere tentati La suggestione soggettivistica é comunque forte, perché in al-
di riportare ir contrasto,in questíone
scrítro da ScLl,lHs 1963 o.p
.orf"ri i"i)J ,r,*,,¡, image, senon
t..+o-fr^
secondo Setlars, grí oge.,,ílu,..
a quello de-
cuni passi iáibniriani le modalitá di percezione del bello e delle
fosse che,
á.ú;;;i:i;;;,';';ál lono qualitá secondarie risultano assimilate. Alla questione é interamente
:ffi r:',i::5:11,%jj;l'l'-:rrrono l ;¡.1;;; r'sare
vare a dire entita der
gr i erem en ti ur rim
'",..on.. i deua dedicato il secondo capitolo del libro, nel quale propongo una rico-
struzione del modo in cui Leibniz riconduce labellezza a un tipo di
1*iJi:*,*il.#:i#{rff';1:;},r:;z:;";:1T:il:n:rm*kl]. risposta soggettiva come il piacere, conservandone tuttavia un an-
,",",,*'.Ílj.Sl,'* lif:r!,,,",:::;|;:";.;.;:..._l:.::::,"," corporee abbiano coiaggio oggettivo nella struttura del mondo. Data la somiglianza
scussa fra gli interpreti ai Pluttosto complessa
r.it"ir. f...-rrrl ff;;ii';." e assai di- che iliilosofo sembra supporre fral'una e le altre, ho dato un certo
concordi . ..'nu.rno *1,.,r... ,rn,o una lerrura .#::rTffi:.;::?:Ji:T::i.; spazio all'esame della concezione delle qualitá sensibili, per eviden-
idealis¡a. Vi accenneremo
H'tsu' 1992' p'r'r's'rcR lgsg'".1,
".1
p._;;;;;;;'ilil oloorno cfr. Hocrs.r'r,rR iiarefino a che punto labellezzane condivida lo status e delineare,
1966,
.¡i""r;
pp t27'163)- A vorre Leibniz ¿¡ t'rá." li.rro."."l'.la quesrione i' trrtu.,iv,ri ioot, conseguentemente, il tipo dí riduzionismo ascrivibile aLelbniz.
Jil.r.lri'.i."t *¿. si riduca ar mentare o a pr:.rto é teoricamente rilevante, perché l'esperienza che po-
qualcosa che ha Ia narura
.rr-j.r'üi"'óp u, rro (iettera a De Volder der
del menrare; il
30 giugno 1704): <Considerando
Ia..r" ;;;;;;;;nte, bisogna dire che tremmo chiamare estetica risulta, anche in Leibniz, costitutivamen-
non c,é
;:llil:.r;::J-:*,;"T"":, r. *.,*,.,._p;:i.":;,;.,," percezione e apperiro La te ambigua. Essa si presenta tipicamente come confronto con un
scono. ra."i ..J,J,i,i.á. valore, o*.to come consapevolezza che un valore, per cosi dire, rí-
":=li.:,.::ilq,.r...ñH1li:j.:.f..:lff,.,'ffii:1,;,:*:rJ siede in un oggetto e pud esservi incontrato. Non diversamente dal-
;:T¿1.. j:,1",:J1,ir#* tl::." ¡" Ái.'"1,. .ri,._ u * invece in cludere neu.in
r""á"..*.i.eri;.:i::;:;:,ffi: j,:?:'ü;,?;;i?fi
_

I'esperienza in general., anche I'esperienza estetica é sempre /i


mentali del mondo. Nel ,"gu"n,. passo deUa :XTr.r1*i:*?::r_l quilroto, cioé ha un oggetto nel senso piü ampio della,parola, é
conslderare necessaria l'esistenza,áei nii,r* iSrro,. rd esempio, egli sembra
ásperienzu di cose, processi e stad fisici, condivisí con le altre forme
<<Se non vi fossero -.pi f."p.. i"..-h¿ .i di, un ordine nel r"moo,
che soiriri.s¿¡g![g¡;;;;i;;il.;#:.,]...rrr.io. inu, cioé dell'esp erienza degli oggetti del mondo
dil'esperien tu
dinedei tempi e dei luoihi. Un
ra.le ordine richiede le mat
sarebbero r.nr" lb._
"rt
esterno, che facciamo attraverso i sensi. Neüo stesso tempo, peró,
vI nztifli,i'á),. l .o'menro e le sue leg_
i:, 1gp e
un J///r-r una relazione di r
oun,o é che le monadi .o,,^"_l: 1
I'esperienza estetica sembra implicare un'essenziale componente
r"i¡n¿on.-";ffi :,::::jit**.;,*:fJi*H,#[?T,1"..[.,ffi emótiva, qualcosa come un piacere (o dispiacere) che nasce all'atto
corpo> (Gp rr' 25i)' poiché egli, ..;;;"rr";;,
;tiá"
;:Hl
conresrualmenre sia che-ra della percézione o della rappresentazione le é consustanziale; sem-
realti é cosrituira solo di sosranze.semplici,.i".rr.-"...r",
qr:alche corpo orsanizzaro
r.f. ,d .. ';]'#Lr)dí esse esiste separata da un bra cósi che, nella sua specificitá, essa sia caratretizzable, piü che a
ój;:n;.1
che considerasse le due tesi .i,
co.pat;bi_li. p.ot^b,h;.;;, vr. ,6r. si deve presumere partire dagli oggetti che ne costituiscono il contenuto, dal modo in
di punti di visra, nel ,"n.o Di fatto, I'aggettivo <<estetica>' nell'e-
rumenre fenomenico' menrre
ir," p,"rp.,iil;:il;il:::;.::;::,.r::'r.;ffi'Jt:::
.h" crri q.restirono appresi12.
conside;"r¿irl
vina)' il corpo organico della -"rai .;;:. ,n se (o dara prospertiva di_
monade ris"liJ-.Ji ir'uiu
piu.utitá di monadi. r: Cfr. vox Kutsr:st R-t 1998, pp. 69-88.
r
16 La belleua e la fabbrica del mond.o
lntroduzione t7
spressione <<esperienza estetica>>, modifica il
sostantivo con allusio_
ne a un qualche sraro mentale che si produce oggetti dei sensi, in modi che culminano nella bellezza delle leggi
r.ll,orr.*uiár-ir, ,. naturali e, infine, come proprietá dell'ordine generale del mondo,
sposra a opere d'a.e o alla bellezri drllu narura. ñ.i;¡É;*,
esperienze estetiche di dipinti, di concerti che dá piacere in primo luogo non alla mente finita, bensi a Dio.
o di angoli
sendo tutravia questi oggetti comuni e ulcessibiliaJJii.i.r,,,.'¿r
di;;;;;;^., La metafisica della bell,ezza, cui é dedicato il terzo capitolo, ci pone
espe.rienza (si pensi, ad. esempio, all'analisi cosi di fronte ai problemi dell'orígine e del senso del mondo; a essi
chimica ¿.i pin_.rrri accennerd nel quarto e ultimo capitolo, nel quale non si paderá
usari in un dipinto o alla ricoitruzione ,"¿itil"á.i; il?i;;,"
formale), nel definire il cararrere .r,.ii.r molto di bel)ezza, ma si richiamerá il quadro sistematico che pud
non puó
d.ll'.rf..i.rr"lLi"ri consentire, a mio parere, una piü chiara comprensione dei motivi
non cadere in.primo luogo sul soggetto i,.rp.ri.rrru_bu
,,1 l1:o, dunque,_l'esperrenza .steti"cu, r.lü dell'interesse dí Leibniz per la bellezza e dunque una piü precisa
ruu intenzionalitá, solle_
cita i-l pensiero che il yd9.-., p., urrr" lbsp..srior,. valutazione della sua concezione del bello.
di J.L. Mackie
Come si vedrá, tale concezione offre spunti interessanti per
*r
d"f h" ripreso nel titoro. der iiüt", tiu .gu.ri ¿.il" r¿uri." ¿.i
e che il piacere che la accomf"i* -"" I'una e l'altra estetical6, cioé sia per un'estetica intesa come filosofia
, ,o.g^ ¿¿,rppr""r.r."¿i
qualitá che sono proprietá.dell. .or. del bello e dell'arte17, sia per un'estetica intesa come dottrina del
ir. p.op.i"ta che la creazione
artistica metterebbe in risalto rispetto sensibilers. A mio parere, tuttavia, l'orizzonte ultímo dal quale la ri-
u¿'¿tr"); duil'ultro .rr"-irrá,r-
ce peró anche a pensare .h.. flessione leibniziana sul bello ricava il proprio senso é e resta metafi-
pll iroprietá non siano ua.g,ru,uÁ;rrr.
concepibili se non in termini di;pü;;; sico-teologico; ritengo, in altri termini, che I'interesse di Leibniz per
a un soggerto senzienre.
crcme va interpretato alora ció.che'l;.rp..-i.rr"
estetica pretende di l(' Riprendo la feüce espressione che fa da titolo al volume curato da M. Ferr¿-
dirci,, q-t'ando- ci present u ru b"r.t"u.í,,'.'
pu.r. deila fabb¡ica der ris e P Kobau citato sopra.
mondo? Qualé propriament. il.o;;.;;;.
ali q".r* l7 SuI tema dell'arte non si trover) molto nella presente ricerca; un'osservazione
Il tentativo di risponder. u q'.r* d.;";á.;;;;1;;""_ "p;;;;;;; puó tuttavia essere gii ora fatta in merito a una tesi piuttosto forte che risulterir attribui-
menre ai diversi asoetti che il mondá bile a Leibniz. Alludo all'idea che il piacere estetico si ottiene grazie alla conoscenza.
urru_., qrlurrao U r*r";;,
sa dalla ruppr.r.n,rrio.," ,.nribil" Ora, che la conoscenza produca piacere é innegabile, ma l'ipotesi che il piacere estetico
quella metafisica della realtá, ¿ou" "
qr"il, scientifica e infine a risulti dalla conoscenza non appare altrettanto plausibile, dato che tale piacere spesso
ú ;;* ;;;;;#;.;dir. ;;'l"Sd=i:3ffiJ,iffi_ii;
,o.,o] o-. deriva da opere che sono finzioni. Teorico dei mondi possibili, Leibniz era certamente
consapevole di cid e appunto per questo la sua tesi risulta significatíva. Nell'affermazio-
livello si puó constatare- come sembrino ne di un legame fra belJezza e conoscenza, e dunque nell'idea di un fondo di verit) nella
,rr'.rture Ia torma e, per cosi
di¡e, il luogo della b.llerra,-.rsu percezione estetica e nella produzione artistica, si puó infani leggere un segno del neo-
,oor*'ilrrialmenre nel piacere platonismo che impronta la sua concezione del bello. Sotto questo aspetto essa appare
sensibile suscitato dalla contem;ñ;; certi oggetti, poi emeree in linea con il classicismo barocco, almeno in quanto quest'ultimo esprime un'estetica
come proprietá delle rcIazioni.h" bas¿ta sul piacere della conoscenza, sull'afferrare l'Idea reso possibile dalle immagini ar-
du'no
""i;;-¿";.;iái, ü".i1, tistiche (cfr. le osservazioni di Boz,tr- 1996, pp. 61-6).
ls I-limponanza di questa estetica risulta evidente, se si ricorda che Leibniz, tan-
rr Mlcttr1977'p l5.Laparolainglese/abricsígnificaressuro.maanchesrrut- to é combattuto sulla soluzione da adottare in merito ali'ontologia della re¿ltá corporea,
rura' comprendendo, se riferita a
un edificiol
-.n. i -r,'.¡"i, con cui é cosrruiro. Ir altrettanro é risoluto nell'affermare che gli spiriti finiti sono sempre congiunti a un corpo
gnificato di stru*u¡a é presente si_
anche nel utÁ"'iil)*',che puó inoltre significare organico e si rappresentano il mondo in relazione a esso: <<noi - scrive ad Arnauld - non
creazione in senso religioso.
euelcosa aior.". '..1"i ra
appercepiamo gli altri corpi se non attraverso il rapporto che hanno col nostro" (GP II,
non nett'uso piü comuñe. ,i ,.",,"Lütil;;: *ili;.'i:ili::: J:T:l.#::[i;
significato piü immediato ,r:^o'!F
1B /SF l, J67): e a De Volder il 20 giugno 1703 : <ogni anima . . . esprime il suo proprio

forzandone un po'la semantica,


il;iil;ü l,'i.,"u"prod.,rion. indusrriate, bensi, corpo e attraverso esso ogni altra cosao (GP II,251). E un dato che Leibniz ribadisce
con riferimenro ,igrrri*a difabrica efabríc, cheben anche nella Monadologia: <<é necessario che vi sia un ordine ... nelle percezioni dell'ani-
corrisponde al tema della ricerc¿. "l
1a La formulazrone ma, e quindi nel corpo secondo il quale I'universo é rappresentato nell'anima> (M, S
r5 Cfr, fra i
della domanda é .ispirara a McDorve ¡_L 199g,
p. I13.
63/GP VL,618). Il corpo appare dunque, per le menti finite, un ntcdittm per la cono-
molti luoghi p..ri¡ifi,-pü,'i'ii.'C, scenza del mondo, per I'esperienza che é innanzitutto esperienza sensibile di qualcosa
vari livelli esplicativi del mondá rrr ¡02. Su_lla quesrione dei
d..;i;;';;x;i#;;;;". cfr. G¡nsrn 1ee5. che c'é. il tema del corpo e della sua funzione conoscitiva non é neppure sfiorato nell¿
presente ricerca, ma la questione é studiata in modo dettagliato da Pasini 1996.
18 La bellezza e la fabbrica del mondo Introduzione 1.9

i fenomeni del bello e dell'arte, anche nella loro connessione con il nozioni impiegate nella spiegazione scientifica del mondo' Ora,
sensibile-estetico, fosse motivato soprattutto dal fano che in essi egli benché il pr.rippotto di iomprensibilitá qui in questione sia.mol-
vedeva-indizí del tipo di risposta da dare alle questioni cruciaü iel to impegnativo, egli non ha difficolta ad assumerlo, perché ritiene
che d rigione ,r*rru partecipi di quella divina, cioé del punto di
percbéle cose sono e del come sono date alla comprensione.
. Nell'ultimo capitolo ho cercato di dare eviáenza a questa mo_ vista asso'iuto sulle.oré. Co-é é noto, Leibniz riconosce alle anime
tivazione e a queste domande, percepibili tuttavia, sia pure suilo razionaliil possesso di veritá indipendenti dalla mediazione corpgl
sfondo, anche nel contenuro déi capitoli precedenti. Ii percorso ," , ir*¡" alle quali esse possono revocare in dubbio la realtá del
dall'esperienza sensibile del bello ailá metafisica della bellizza puó ;;;e; -uteriaf. . ,ort.i.r" un'immagine delle cose diversa da
infatti essere visto come un percorso artraverso la comprensibiitá
lrr.ll^ che il corpo organico cui so¡o legate presenta loro, entitá
ad esem--
del mondo, significativo giá nel suo primo passo, alme.rá per quan_ pio conside.uráo .*. 'o.r" realtá fondanti le apparenze
to porta in luce e cioé il coinvolgimento di .o-p.t"rr. razionali non percepibili attraverso i sensi, quali sono le monadi'
anche laddove esse non appaiono. E q.rurrto risulta, pur con i limiri 'S. q.resto é vero, non meno vero é peró che egli riconosce lo
che essa incontra, dall'assimilazione Jd piacere .rtii.o alla perce- .rírt.nt.per la ragione umana fra mondo fenomenico e mondo
iuto
zione di qualitá secondarie. La somiglianz a, infatti, se affermáta del intelligibile, ,i.orror.J.he essa non é in grado di derivare dalla sua
piacere estetico verso le qualit) secondarie rivela la dipendenza re-
ult¡rni ratiol'ordtrte della natura costruito dalla conoscenza. Resta
ciproca che sembra esserci, sul piano sensibile, fra ii concetto di .rru fr"rr,rru nelfa fondazione metafisica della razionalitá del mon'
una proprietá e il fatto che gli oggetti appaiano come dotati di tale do, un salto fra i principi riguardanti le forme da cui le apparenze
proprietá; se affermata, invece, in senso opposto, mostra un dato, e risitano e queste app^irn". e la conoscenza che le concerne; con-
cioé l'integrazione della ps¡ss2ione sensibile nell'esercizio di capa- ,id".urrdo q,r"rto salto, si puó vedere come la questione della.com-
citá concettuali (emblemarico, vedremo, é il modo in cui Leibniz percbé esso esiste ed é cosi
frensibilitá'del mondo incroci quella del
spiega il piacere per la musica), che tale percezione non puó di per come é, e apprezzarc, di conseguenza' questa almeno é la tesi che
sé lasciar emergere, in quanto in essa e nei concetti a essa correiati
."r.o Á dif.nd..e negli ultimitue capitoli del libro, il significato
le competenze razionali attive.nella concezione del mondo sono agli occhi di Leibniz.
coinvolte grado minimo. S9¡za il presupposto di queste compe_
-.t^firi.o che la bellezza sembra assumere a quello che separa la fi-
-rn Il salto in questione é infatti analogo
tenze risulterebbe tutravia difficile spiegaré cid che, ád es.mpio, lu
ducia razionale nel fatto che il mondo esistente é il migliore_ dei
percezione dei colori sembra presupporre, e cioé che essi ,orrt pro_ p"rrrUifl dalla conoscenza delle ragioni particolari per cui é tal.eio.
prietá potenzlali degli oggetti e non della nosrra esperienza, n3 sa_ i" i casi la ragione si muove fra conoscenze parziali o
rebbe.spiegabile, piü in generale, I'idea che le nosrre esperienze "ri.r-Ui
astratte e una visione d'iisieme che quelle non bastano a
giustif-ica-
sensíbili sono <<scorci del mondo>>le, modi di cogliere le cose che re, e tanto in un caso quanto nell'alüo l'esperienza del bello si fa
ri-
vanno al di lá di ció che é manifesto nell'esperienza stessa. ,reiut.i.e; infatti, cosi come ii piacere estetico fornisce un indizio
Dove sono attive comp etenze razionali c'é peró anche una della comprensibilitá del sensibile, della presenza di ragione_in-es-
presunzione di ragione; concepire le esperienze r.nribili come scor-
,", ¡rr.tiir, olabelJezza. riportata alle sue ragioni intellettuali, for-
ci significa perciostesso collocarle nel conresto di una realtá piü .riáce un indizio della pervasivitá della ragione. Essa sembra
quasi
ampia che in esse non é disponibile. Leibniz presume .h. ü1. gettare un ponte fra il mondo come appare e come é, assicurare
realtá possa, almeno idealmente, essere abbracciaia dal pensiero via
via che questo supera la relativitá alla percezione dei üncetti con 20 Cfr. K¡¡H¡¡n 1999, pp. 28-215. Dalla necessitá di colmare in qualche modo
cui spiega le cose; relativitá che caratterizza, a suo awiso, anche le tale salto, ,irpo| A q,.rut. t;ia"á del mundus optimus sembra assumere la funzione di
.;;.;i; á ir,ürp..tu"iár,. del mondo esistente all" L.,ce della dottrina biblica della crea-
(.fr. Fn¡Ñrn 1992), derivano il compito e le varie strategie argomentative della
re Riprendo quest'espressione di sapore leibniziano "lot.
daMcDovrll 1999,p. )1. teodicea (cfr. in proposito Polr¡ 1995 e Lon¡Nz 1991 , pp' 47 -98) '
20 La bellezza e la fabbrica del mondo

che un ordine piü generale, benché destinato a restare sconosciuto


per le menti finite, almeno in questa vita, non solo é ir fondamento
dell'ordine che esse .oror.ono relle parti, ma riscatta rrr.h", .o-.
apparente' il disordine che, nelle forme del male e dell'incoÁpren-
sibile, spesso le colpisce. Scrive Leibniz:

dal momento che tutto é legato qel Srande disegno divino, bisogna
c¡edere che- il regno della grazia sia anch'eiso, in quallhe *odo,'"..oño_
dato a quello della natura, in modo che quest'ultimo conservi il massimo
di ordine e di be-?,p_er rendere il composto di entrambi il piü p;.fdr; Capitolo Primo
possibile (T' S 118/GP VI, 168).
MENTE E RAPPRESENTAZIONE DEL MONDO
_ Come si vede, egli colloca labdlezzain un regno, ma la men_
IL TEATRO DI LEIBNIZ
te che ne fruisce abital'altro; essendo labelrezzatág tu apiu..r.,
essa appare cosi ii caso emblematico del .on.orr.i. di una pro- Somn¿ario
prietá dell'essere alla produzione di quello che, sul piuno menial.,
é.I'equivalente della perfezione deile iose, cioé la fáicita; ¿ f ;;" 1. Sull'espressione e Ie sue forme. -2.Lamente e le idee. -
che aftesta la convergenzaftabenemetafisico e bene 3. Scenografia e icnografia. -5.Bellezza, punto
-orul., p.rf.-
zione delle cose e felicitá delle menti. Si capisce, allora, .*'¿ i' di vista e visione oggettiva.
gioco, per Leibniz, nell'idea che la bellezza á nelle cose; che la
si
trovi é.per lo piü questione di un'appropriata esperienza (cfr. T,
S
1.46), del giusro punto di vista; ma irovarla é imiortant", p.r.hé
é
un segno che il mondo presenra i caratteri del suo aurore (cfr. DM,
S,.2), un pegno, si potrebbe dire, dell'ordine divino delle cose, che
dá motivo di credere che il mondo esisrenre é il mundus optiius.

,. cerro é impegnativo quanro Leibniz invita a credere e fragile


I'argomenro che la bellez za off.re: la parte del miglior *n,o, .gli';-
stiene, <<non é necessariamente il meglio che si pátesse fare dI que-
sta--parte>, proprio come <<la parte di una cosa beila non é sempre
bella, potendo esser ricavata Jd u.rtto, o presa nel tutto, i.,
-rrÉru
irregolaro> (7, S 2I3/GP YI,,245); ma párché allora, se non p", i._
de, dovremmo dar credito all'inferenri ir, ,.nro opposto e ieguire
iI suo invitoa trarre conseguenze dalla saggezr^, á^rubontá Áe si
rivelano.nelle parti che <<presentano un tutto compiuto>>, cioé nelle
ggi!:{"_: <anche riguardo alle cose che non conosciamo> (zzi, S
I94/GP VI,232)? Non potrebbero queste pani essere p"rti .uruul_
mente compiure di un tutto per il resto disarmonico? Éotrebbe es-
sere; ma bisogna essere cauti nella scelta della risposta da dare
e so-
prattutto si deve mettere in conto che la fiducia richiesta da Leib-
niz non é meno nella ragione che nella bellezza.
É b.t nota I'immagine leibniziana delle anime come specchi
dell,universo; essa dá espressione a una tesi generale sulla natura
delle sostanze ma finisce per riguardare anche I'oggetto rispecchia-
to. Avendo <<ogni sostanrá r.-pli.. rapporti che esprimono tutt¿ le
altre ... di conseguenza>>, sostiene Leibniz, essa é <<un perpetuto
specchio vivente áefl'universo>t (M, S 56lGP VI, 616)' Comune-
Á.rr,. si assume I'esisrenza di una qualche dlffercnza ontologica fra
I'oggetto rispecchiato e I'immagine che lo specchio ne rimanda; ta-
l. áíff.r"rrz sembra svanire nella metafora leibniziana: le sostanze-
specchio sembrano riflettere altre sostanze specchio e conseguente-
Á.rrr" I'universo. Quest'ultimo, piü che I'originale rispecchiato,
sembra essere una qualche connessione dei rapporti di rispecchia-
mento reciproco deie ,ostunre semplici. Secondo Leibniz, ció che
noi chiamiámo mondo ha in effetti una realtá derivata rispetto a
quella delle sosranze semplici. Fra queste ultime egli introduce tut-
távia una distinzione fondamentale: ogni sostanza é come uno
specchio, cioé ha natura rappresentativa, ma alcune, vale a dire le
,Lrturrr. intelligenti, gli spiriti, hanno cognizione di ció; tra queste
e le altre .orre percié ut, diff...ttza tanÍo grande <quanto quella
che intercorre tia lo specchio e colui che vede>> (DM, S 35/GP IV,
460): le anime razionali, si puó forse dire, non solo riflettono m¿
sanno di riflettere, sanno che ció che riflettono proviene da loro. E
una differen za che, come vedremo, Leibniz sottolinea anche preci-
sando che gli spiriti esprimono piuttosto Dio che il mondo, il che,
data I'assimilazione di Dio a una fonte di luce, spinge a interpretare
I'immagine non sulla base del rispecchiamento di oggetti bensi del-
l" l.rc.i owero precisamenre dei'elemenro che porta gli oggetti ad
apparlre.
Alla metafora dello specchio in alcuni luoghi Lelbniz associa

I Sul significato di queste immagini tomeremo nel IV capitolo'


24 La belleua e la fabbrica del mondo Mente e rappresentazione del mondo 25

quella della cittá rappresenrara diversamenre a seconda della turbine di una sottiüssima polvere; se il suono si produ-
collo- se il calore sia un
cazione dell'osservatore (cfr. iui, S 9). Tale metaforu, pu, .rt.nd.n_ ca nell,aria, come i cerchi nell'acqua quando qualcuno vi getta una píetra,
dosi all'intero universo delle monadi, sembra t"rrd"r. in p;;;iJ;r. come pretendono certi filosofi: tutto ció non lo vediamo, né potremmo
il ra-pporto fra le m.enti e il mondo2; una varianre pi,i buro.cu, .o-p*td... come quel volteggiare, quel turbinio, quei cerchi, fossero
conforme all'idea del mondo-come tearro, é quella a.i¿rr.*i,p.r- pure ueri, co-po.rguno proprio le percezioni del rosso, del caldo, del ru-
tatori che credono di vedere la sressa cosa, bánché ciascuno u.áu. more, che noi províamo.
parli secondo la misura della propria visuale (cfr. iui, 14). En
S Ció che ci é familiare dall'immagine fenomenica del mondo: i
trambe, almeno apparenremente, sono piü vicine all'idea di senso
colori, i suoni, i sapori, ecc. ha nondimeno I'aspetto delle <<qualiti
comune che il mondo ci sia, sia un dato, sia qualcosa .o-. lu totu_
ocrult:err; bisogna, ir.rrrqr.r., argoment¿ Leibniz, che vi siano altre
litá di ció che accade, e che la menre in qualcire modo ro ,irp...ii; qualid ...he p*.r-.tturro di spiegade>1. I sensi, infatti, ..oltre a que-
in realtá esse modificano su un punto iondamentar. qu"rtid.r. ste qualitá o..rrlt. ce ne fanno óoror..r" altre piü manifeste e.che
Raffigurando il moltiplicarsi, nei rispecchiamenti, dell-,unitá del
forniscono nozioni piü distinte>. Si tratta delle idee che si atribui-
mondo (cf.r. iui, S 9), esse suggeriscono che il moio di ¿ scono al ,rrro ,o*ire, ovvero delle idee, come quelle di numero e
""i.r.
parte della cosrruzione di ció che viene visto. ció non toglie
l,rrnitá figura, che non sono proprie di un senso esterno particolare. Tali
dell'universo , mala rende, per cosi dire, plurale, "
id"ee, assieme a quelle dei sensi, sono comprese nell'immaginazione;
E come una stessa citt), osservata darati differenti, sembra del esse sono ..gli oggetti delfe scienZe matematicbe, ossia dell'aritmeti-
rutto
diversa ed é come moltiplicata prospetticamente, alfor,ü;;i;,;;1,; ca e della g;o-Júiu, che sono scienze matematiche pure, e dell'ap-
finita moltitudine delle iostanzl semplici, urruá.- che vi siano.;;:;;, plicazione"di tali scienze alla nafura, che sono le matematiche mi-
tanti universi differenti, i quali tuttavia non sono che le prospeni sterr. Prende cosi forma una diversa immagine del mondo, che
pri-
r.di,rrro
solo, secondo i dtversi punli di uista di ogni monade vilegia qualitá diverse da quelle dei sensi particolari, le quali, tutta-
t¡¿, b ;ziCp vr, ZiZj.
via,"proprio in tal modo diventano spiegabili. Scrive Leibniz:
Ora, vi sono punti di vista diversi, ma anche modi diversi di
¡appresenrare il mondo; la diversirá dei punti di vista é dererminata Si vede anche come le qualitá sensibili particolari non siano suscetti-
anzi, in buona misura, dalla modalitá di rappresenrazione bili di spiegazione e ragiona-.nto, se non in quanto contengono cid che é
del mon_
do' Per Leibniz tali modalitá si riducono g.órto modo a rr., t'.rp"- .o*.r.r. ag'ii oggetti didiversi sensí esterni ed appartiene al senso interno
quaiit)
úenza sensibile, unico veicolo, in ogni .rro, p., l'rppr.rrsiorr. llimmagiíazíJiel: giacché chi cerca di spiegare dístintamente Ie
á.1_ sensibilil fa sempre alle idee della matematica, idee che contengo-
ii.o.ro
l'ente attuale; la rappres entazione dá mondo attraverso concetti
ri- no sempre Ia grandezza, o la moltitudine delle parti'
cavati olme che dall'esperienza anche dall'intelletto, o*.ro t, .o
noscenza scientifica e, infine, la spiegazione metafisica della
realt). Egli riconosce perd che per concepire distintamente le nozio-
A ciascuna forma di rappresent^rion corrispondo'o ogg"tti di;;i_ ni di nimero e figuia e per fórmarsene una scienza <bisogna-vol-
si e-dunque una diversa immagine del mondo. I sensi
oIárri, ,.ri* gersi a qualcosa Áe i sensi non pos_sono fornire e che I'intelletto
il filosofo aIJa regtna Sofia Carlotta, ággi.rngé ai sensi>>. <<In soccorso dell'immagin azione e dei sensb>
dÉí" u.rrir..<qualcosa di superiore e che solo I'intellezione puó for-
ci fanno conoscere i loro oggetti particorari, che sono i colori,
i suo- nire>>. Da ció la conclusione:
ni, gli odori, i sapori e le qualitá áá t.tto. Ma non ci fanno .oror.é..-.t.
cosa siano queste-qualitá e in che cosa consistano: per esempio I
se il rosso II punto che piü gü appare oscuro é come, dalle cause delle quaiitá' <risultila
sia il volteggiare di certi minuti globi che si pretende .""rp;;;;;;l;;;, percezione .h. prorriu-o, tCp Vt, 492/5FI,529). Nel 5 17 della Monadologia (GP VI'
L09), la celebre metafora del mulino, Leibniz sosterrá che ¿apercezionc,ln'
.i.Á. "r,.uu.r.o
.on ció che ne dipende, é inspiegabilc mediantc ragioni meccanichc, ossia median-
sui limiti e i problemi sotresi aü'uso di queste immagini cfr. Mr'ls che pot.,ru upp"ri.. un.d.eficit nella comprensione di un feno-
78-81 e SplÉrr'2001.
19g6, pp. ;" ig;;; e mori>. euello
men-o risulta ora un limite insuperabile di un modello di spiegazione'
r

26 La bellezza e la fabbríca del mondo


Mente e rappresentazione del mondo 27

sono_dunque anche oggetti di un'alta natura,


.Vi che non sono affatto
inclusi tra quelli che si osseruanó medianre i sensi Nello scritto Che cos'é l'idea, antetiore alla corrispondenza
estemi, i'p".,i.oLi" o'in
con Arnauld, dopo la definizione dell'idea come <.facoltb>, disposi-
:oTun:, e di conseguenza non sono neppu¡e oggetti d.il,;*;ñ;;;.
cosi, oltre aJ sensibile e aJI'inmaginao¡te,'a ¿.iJii" zione a pensare una cosa, e I'osservazione che oltre a questa dispo-
;;;;;i;-i"íit¡
"""
sibíle, n quanro ogsetto der sorolnrciletto (Gp VI, 492-493/sF r,lzá iilji. sizione obitogn, che vi sia in me qualcosa che non soltanto conduca
alla cosa, ma cbe altresi la esprirna>>, troviamo la seguente definizio-
Leibniz sembra distinguere tre ordini di nozioni
e, in relazio_ ne, corredata di esemplificazioni:
ne a esse' tre insiemi di oggetti; forse si tratta peró
di i.. -oái ái
rappresentare lo s/esso, perché, come si vedrá,
.i¿ .h. ,r"i.;;;"; Si dice dunque esprimere una cosa, cid in cui vi sono abítudni (ha-
sando da un ordine di nózioni all'alüo é qualcosa
..-. bitudines) corrispondenti alle abitudini della cosa da esprimere. Ma le
mento di punto di vista, owero un cambiamento ";;;;;;;p..
di ,.."og.#,
espressione sono svariate: per esempio, il modello di una macchina espri-
ci appare. diversamenre. Riguardana" gfi?gg*i, i mé h macchina stessa, il disegno scenografico kcenograpbica) della cosa
:l] i.rfd*imo
cambr dr scena o prospettiva investono inevirabilme'teár,.h"Jl. nel piano esprime il solido, 1'orazione esprime pensieri e veritá, i caratteri
ro proprietá e dunque, posto che rientri fra esse,
lo_ .rpii*orro i numeri, un'equazione algebrica esprime il cerchio o un'altra
anche la bellezza. figura: ció che é comune a queste espressioni é che, dalla sola considera-
perció conge*urare che i diversi ."ro.o.rrí.h.
:1.p"9 ,.-f;;;;r;;:
b,ile darne.corrispondano, almeno i' purt., ui p.rnto-ái;;;;;;;
zione delle abitudini esprimenti possiamo giungere alla conoscenza del\e
proprietá corrispondenti della cosa che é espressa. Donde risulta che non
are percezronr e ai concetti che determinano il forma¡si ! n.."s.r.io chi cid che esprime sia simile alla cosa espressa' purché le
di un,im_
magine del mondo. prima di affrontare I'analisi abitudini conservino una qualche analogía (GP VII, 263/SFf,193-191).
¿.1 U.Ur, ¿ if.L
opportuno cercare di entrare in.questo gioco <<teatrul"o,
purr.rrJo
dal meccanismo che lo genera: it modo í-r .ri, Ad accomunare gli esempi forniti daLeibniz sembra essere il
secondo flnn¡r,1)
mente si rappresenta il mondo. fatto che la connessione fra i termini associati é data non da una re-
lazione di identitá, bensi da una telazione di conservazione della
struttura; infatti, si legge in un altro testo,
L. Sull'espressiorue e le sue
forme
per I'espressione di una cosa in un'altra é sufficiente che vi sia una
. !-a.ylVVresenrazione del mondo
quindi delle
da parte delle monadi e certa legg" coitante di relazione, in virtü della quale i singolari di una pos-
menti, owero la rappresen tazioÁe..del compora, sono essere riferiti a singolari corrispondenti in un'altra (C' 15).
ció che é all'esrerno, nel semplicéo (pNG, 2/Gp "^ai
S Vf, iéS), J,pi.
gata da Leibniz ricorrendo alla nozione Non sorprende, dunque, che il filosofo suggerisca ad Arnauld,
ái A tale no_
zione egli assegna un senso recnico, nel quale "rp..rrio.re. come caso paiadigmatico di cid che intende con <<espressione>, la
l'espressione sia di per sé pensiero o.o.or..nra
no;;;plt;.h. -^ proiezione prospettica. É tuttavia importante rilevare che cid che fa
di qualc'os;,'
della relazione proiettiva il paradigma dell'espressione non é tanto
una cosa - scrive Arnaurd che gri aveva chiesto chiarimenti
-ad in l'esistenza di un rapporto esatto tra i punti delle figure in proiezio-
proposito - esprime un'alrra_, nel mio lingu"aggio, quando
costanre e regolaro tra ció che si puó diie
vi é un ;;;r;; ne, quanto piuttosto il fatto che in essa certe relazioni, owero un
d"i'"ná. ¿"1|Jt.ulÉ;i;" certo tipo ,i.,.rttrr.u, vengono conservate5. Nell'espressione di una
:y.pjgi.r¡9."e prospertica esprime il suo piano geomerrale (Gp
1t2/SF I,366).
II,
t Cfr. Srx'ctvun 1995. Sulia storia del concetto di espressione cfr. Gnlo 1979, il
I lntclligibilc éprima di rurro, per Leibniz, ..,oggetto quale mostra come l'ídea leibniziana di espressione sia da porre in relazione al secolare
del mio pensiero quando p.o..rro dí decantazione della nozione di causa emanativa, nel senso del creazionismo
penso a me sressor. dal qua.le si forma ia nozione
di .ciJihe sí chi"m, i; ;;;;;;;;';;
nerale> e alrre nozioni delra metafisica <<come quelie cristiano. Tale processo aveva trovato una prima decisiva formuiazione in S. Tommaso,
ne. ecc.>> (GP VI.
d;.;.r, effetto, rzion.,'ri-ilrr.,?t dal quale, ,..ondo Ghio, Leibniz eredita in modo esplicito e consapevole i-l concetto di
I,5l I ). Sulla disrinziáne fra sensibile, ,-_"e;;ll: ;ffi;;;
',J/SF
bile cfr. Mr;Rtt 1995, pp. 17g-1g8 e sopratuco pnr,", iSó,r, pp. 152 analágia, elemento fondamentale della concezione cristiana dell'espressione. Rilevante.a
ss.
questá riguardo appare la somiglianza, nei due aurori, dell'uso della nozione di habitudo
T

28 La bellezza e Ia fabbrica del mondo


Mente e rappresentazione del mondo 29
cosa in un'altra, la relazione di corrispondenza
uno_a_uno si ha in
alcuni casi ma non in altri; <ogni pu.,io no in qualche modo al cerchio di cui sono la proiezione sul piano: poiché vi
d"lf,.i;;;-r]r'Jrr¿t r. é un certo rapporto esatto e naturale tra ció che ¿ pro¡ettato e la proiezione
una cena legge a un puiito^del cerchio>> (Gp
::19"
I94), ma quesro non accade-nei modelli
\TI,)6 qSF I,
".ori, che ne viene fatta, ciascun punto dell'uno corrispondendo secondo una
o ,r.ll. _"pp", i certa relazione a ciascun punto dell'altra (iui,ILvll.l3/ AVI6, 131).
dunque, che essi rappresentano, bensi "", d,or_
conservando rapporti
dine e-di srrurtura' iiámorfismi, ;;".; Leibniz assume dunque che percezione, sensazione e cono-
riu quui.h. similitudine.
Pur non definendola come comprrrnru scenza rappresentino come espressioni, o\,I/ero secondo un rappor-
cognitiva, Leibniz
considera rurtavia l,espressione il g"n..J
odi .ri t;;;;;;;on1".iru - to che ha nella proiezione prospettica il caso esemplare. Essendo
rale, la sensazione animale h ;;;;.;n, un genere di cui sono specie anche equazioni, modelli e mappe' I'e-
intell.i¡r;.;;;;;.-
cio (GP II, 772/SF I,366). "euale sia l,importa nza diqu.r,, spressione non pud peró, di per sé, essere considerata uno stato co-
_á'rru
teorica, lo..si compren de consid_eran do,
áa gnitivoT; si tratta allora di capire che cosa la specifichi in questo
consenre di risolvere aila radice |equivoco "r.rrpi",if*'.r, J i
gf
d.rd;;;;ilJ^ii^ -

t^
áodo. Ora, la percezione come stato passeggero che ..racchiude
rappresentazione e il suo oggetto. (enueloppe) e rappresenta una moltitudine nell'unitá, o nella so-
euesta era, come é ioto, la posi_
zione di Locke almeno con riguardo st^nza semplice>> (M, S 14lGP \T, 608), non sembra poter essere
alle qualita p.i_rri.á;'*r"
comporrava perd qualche difficoltá neila considerata tale. Essa, cosi come la sensazione, é una specie di
spiegazl""" ¿.il^pprrr"
delle idee.delle qualite_r..onduri" espressione; il tipo di espressione che esemplifica é diverso da
ogg.*o. Leibniz, inrer_
pretan do Ia t elazione. di rapprese "iloro -
quello esemplificato da una mapp^, perché nella percezione natu-
nt^zion.- ii"rermini di ;;;;;;,"
d'ordine, pud evitare di ,rrpiárr. .Á.-id..- rale, cosi come nella sensazione, <<ció che é divisibile e materiale e
si trova disperso in molteplici esseri>> viene espresso o rappresenta-
come quelle del colore o der dorore siano
o connessione naturale con le roro cause:
arbitrarie e senza rapporto to <<in un solo essere indivisibile, ossia nella sostanza dotata di vera
non é consuerudin. di
con si poco ordine e ragione. Direi piurtosto _ Diiür. unitá>>; ma ció non sembra configurare ancora, per Leibniz, uno
.gli ,..i* _ .f,.-.;;" ;;" stato cognitivo. Perché una rappresentazione sia uno stato cognitivo
di somiglianza .ron totar". . p.--.i
ái* ir',"rr*¡r¿.r. ma espressiva o di rap-
porto d'ordíne; come un,elliss". pur. non basia che essa esprima il molteplice nel semplice; occorre del-
un" ;^r;;d^;;";il;;ü;üi" I'altro e cioé I'uso di qualche tipo di concetti. Leibniz lascia inten-
nel senso di,reiazione o- rapporto-.come si é visto,
in uno dei passi citati Leibniz se ne dere questa condizione, sostenendo che quando la rappresentazione
serve per indicare ció che fondal'espressione;
üp"r.r"l, semantica fra ra nozione to_
mistica di habindo e l'accezione l.i¡"i"i'.
¿-áii.i-.. ¿ ríuerara appunro dal fatto che 7 Considerando alcuni degli esempi geometrici portati da Leibniz, si potrebbe
essa é intesa da Tommaso come
ca¡attere distin¡ívo dell;analogia di proporzione, ilterpretare il significato di <espressione> anche attraverso il concetto di funzíone (cfr.
le'sostiene.Ghio (cfr'iui.p.72),corrispond;J;;;p;;;.'..gorareecosranreche,nerrin- la qua_
Kut-s'l,ro 1977), ma il senso non sembra cambiarc. Ilaffermazione che un'equazione
guaggio leibniziano' sra alla base ¿.1 esprime un cerchio forse é un'abbreviazione, perché a esprimere la figura é propriamen-
.on..,,o ái'.1p..].i""., <in quelle cose che sono
predicate analogicamente nel primo ,.l,irr.i.rn" di coppie ordinate di numeri che soddisfano l'equazione. Se poi ci si chiede
necessario sussista un certo determina,o
-;; i;; ;:;il. l,analogia di proporzionel é
.rppo.ro t"i),,"* detenlinatant babitudinct¡) che cosa consenta di raccogliere sotto uno stesso concetto un'equazione e la percezione,
fra quelle cose che hanno alcunché i, la risposta sembra essere che in entrambi i casi opera una legge. Infatti, come un-'equa-
...il. f", (Ver., q. II,a. 11). E inte_
ressanre osse¡vare come la conrinuir¿
fra il .oni.*o":r:^;';g*,
reibiiziano ¿i"rp.ári.r"'. q;Jil zione algebrica esprime una figura in quanto é una legge che fa corrispondere all'insie-
el¿borato nella ¡radizione d.r pr,rtonismo
;;;;';'r.*tri anche neüa ripresa di rer,r_ me di cáppie ordinate che la soddisfano un insieme di punti ir un piano cartesiano, al-
zioni.molto"parricoleri' quale é quelra ¿¿, t."tturrto, u--.r.u l'armonia che regola i rapporti fra l'anima e il mondo materiale' 1a
sempío é infatti presente anche ín Cusano:
-+pr"."n-i. ..gion. che rappresenta; r.e-
,,... i;bir;;; mappae ad verum mundum>, Iegge costitutiva della natura rappresentativa dell'anima pone una corrispondenza esatta
(Corupendiunt, c. VI[, 172
r). f.ala se.i. delle sue rappresentazioni e quella dei muramenti dell'universo, owero fra le
<Le idee delle qualiri piTr:i. dei sue idee e <ció che segue dalle cose> (GP vLI,261/5F1,19,{). Per Leibniz dire che la na-
corpi _ scrive íl fiJosofo inglese _ somislia_
no , quesl.e qualiri. e . . oli esemplari di tura dell'anima ¿ rapprcscnlaliua, significa dire che essa é capace di esprimere gli esseri
tali idee'esiston" ..rt_.ri"
' ' ' le idee prodorte in noid.ri. q,i¿ir¡ *."rir;;;;;*r*ono ".i.*p, ##:fi esterni in rapporto ai propri organi; e dato che, a ragione di cid' ogni anima ha la pro-
alcuna somiglianza, e
n nulla nei corpi stessi che abbia d.;;;L._itá
con queste idee> (8, prietá di rappresentarsi esattamente l'universo.,alla sua maniera e secondo un certo
,r punto di vísta>, taie natura, che le é stata a¡tribuita sin dalla sua creazione, ne costituisce
"liiri
anche il carattere individuale (GP IV 181/SF I, 151).
T

30 La bellezza e la fabbrica del mondo


Mente e rappresentazione del mondo )I
<é accompagnata da coscienza>>, cioé
nell'anima razionale, allota una corrispondenza precisa fra la percezione e I'impressione che
<la si chiama pensiero>> (Gp II, úzÁil:ee-lel¡. essa esprlme:
La connessione fra conos cenza e.árci.nru
risulta stretta, per_
ché I'uso di concetti e il ragionam""io le espressioni piü distinte dell'anima corrispondono alle impressioni
iurrno ru*'uno per Leibniz
con ,a capacitá di compi.r. gli .ifl.rri.,i <i quali ci fanno Densa- piü distinte del corpo (GP II, 9l/SF I,350)e.
"mi
re a ció che si chiam a io>> e cánsiderare
noí>, (M, S lOlcp W, 612): il legame ".h.
i.iru lr*;l;,;;
,n I'anima, si pud dire, esprime il mondo in quanto esprime
di pensiero e coscienza si siu_
un'espressione del mondo: quella che ha luogo nei sui suoi organi
¡¡llica
dun e ue sia perché, in gerierate, l,
l appercezrone, sia, piü-radicalmente, perché
il ;i.;;.J;;J ;-."" di senso. Sembra cosi che glí stati mentali di piü alto livello cogniti-
alcuni di essi, . iJnnu_ vo siano basati o derivino da percezioni di un certo tipo, cioé da
tamenre i concetti fondamentari, sono ricavari
¿rl, rin.rlir".kl
I'io' connesso all'autocoscienza, ir p..rri..o sembra sensazioni dovute al possesso di organi di senso abbastanza affna-
tuttavia avere ti. E I'ineliminabile vincolo sensibile delle capacitá cognitive della
una condizione ner sentimento o sensazio'e;
non pud infatti esserci mente finita. Nel prossimo paragrafo vedremo cosa consegue da
la percezione é insensibile. Determinunt. p.,
:::::.:il
or :. cognitivo
uno stato
il áurri
sembra perciñ il passaggio ddlu p"r..rion"
ció; ora é invece opportuno tornare brevemente sulla natura della
naturale alla sensazione; ma cosa distingue sensazione, anche al fine di precisare, per contrasto, il carattere del
queste due specie di pensiero.
espressione?
La sensazione, scrive Lelbniz, La posizione della sensazione é delicata:Letbniz da un lato la
<<é qualcosa di piü della sempli_
ce percezione>>;il <<di piü in quesrione non ¿ datoir;;"i; attribuisce anche a creature cui nega il possesso del pensiero, dal-
cosa di diverso dalla.percezione, bensi, porr. ..rr"
üqlal I'altro sembra ritenere che una mente finita non possa sviluppare
condizioni, dal stati cognitivi, se non possiede percezioni e sansazioni; dunque: si
carateredella percezione stessa, ovvero iuilu
,uu natura <piü distin-
ta> (iui,.S.I,/GP VI, 610). Tale differenru
,i pro¿u.", .flü, ,.'*fl ') Come sottolinea M<;R'rr- 1976, p.28,la differenza fra impressione e percezio-
organi del corpo cui la sostanza semprice
o monade, che ailora viene ne é da vedere nel fatto che l'impressione non é espressione dei molti in uno, perché gli
chiamata anima, é unita, sono cosi sirutturati
...h" p.. láro Áá"'ri organi di senso non hanno vera unitá. Ne consegue che mentre l'impressione puó avere
sia rilievo e distinzione neile impresriori
li.
guenza nelle percezioni che l. rappresentano>.
ricevono, e di conse- una spiegazione meccanica, la percezione, a motivo dell'unitá e semplicitá della sostanza
in cui si realizza, non puó invece everla (cfr. M, S 17). E quanto sembra emergere anche
In qu.riolurr, ,;;; dall'aggiunta alla celebre immagine lockeana dell'intelletto come camera oscura' che
si puó giungere ulLu ,urrazione,ossia Leibnii propon e nei Nuoui Saggi: <<Per rendere maggiore la somiglianza, bisognerebbe
Í_l^ftl"t"f",
cezlone accompagnata da m-etnoria,"riio di a una per_
cui cioé perman.
certa eco, per farsi senrire all'occasione> (pNG, "
lr;;;;;, supporre che nella camera oscura vi fosse una tela per ricevere le immagini, una tela che
non fosse liscia, ma variegata da pieghe rappresentanti le conoscenze innate; e che per di
S 4/GpVI,;;"ti" piü questa tela o membrana, essendo tesa, avesse una sorta di proprietá elastica o forza
Come si vede, il cara*ere distinto ieilu p.r.erione
é correlaro ái agire, e pure un'azione o reazione corríspondente tanto alle pieghe passate che a
a quello dell'impressione ricevur a dagli
la disdnzione della úacciadi questa "rgr"i
d.l .orpo o*";;; quelle nuove derivate dalle impressione delle immagíni ... Poiché non soltanto noi rice-
i.l
.É*.uo, Lelbnizstabilisce viamo immagini o tracce nel cervello, ma ce ne formiamo anche di nuove' quando pren-
diamo in considerazione dell,e idca complesse. Cosi occorre che la tela che rappresenta il
s Implicando percezioni distinte e appercezione nostro cerveilo sia attiva ed elastica>. Ritoccata I'immagine, egli osserva poi: <Questo
porra memoria e ¿rrenzione (cfr..NE, pref./A
di queste, la sensazione com- paragone spiegherebbe passabilmente cíd che awiene nel cervello, ma quanto all'anima,
VI 6, 5.1); non ogni memoria peró é rifles_
siva: <Diró dunque scrive Leibniz iha ¿,rtr" sostanza semplice o monade, essa rappresenta senza estensione queste medesi-
- - che si ¡^ t"7tii")r, quando si appercepisce un me varieti delle masse estese, e ne ha percezione> (NE, II.xii.17 / AVI 6, 1'1'1- 1'15 ). I- os-
oggerro esrerno, chela ren¡inisccnía (róminísccnccl
si-iipresenti; -..rr.-q;;;;; si sa di averla
* tl" ,
servazione potrebbe valere anche per la metafora dello specchio, dato che la differenza
II xix'l'zA vI 6, rór) Le reminiscenza *,, ,"*r-jt?tj'i::;;'i::,::;!,::t:t;i, carat¡eristica fra la rappresentazione prodotta dall'anima e quella che si ha grazie a uno
..-u."?r..il
ii ..-o.iu non riflessiva, specchio é appunto che la prima, ma non la seconda, risulta da un'uniti originaria: <E
non implicante,consapevolezza dell'io, che
.";¡iríi;; con gli altri animali cioé e dalla chiaro inoltre che cosa sia la percezione ... appunto l'espressione dei molti in uno, la
quale sorge quella.<ombra del ragionaÁent;il';;il;;o anche a essi (NEpref./,i quale differisce di gran lunga dall'espressione in uno specchio o nell'organo corporeo'
VI 6, 51; cÍr. anche iui,II.xi.1 1, Ii.xvii.J; M, SS zZ . )iiii,'oisc. prel., S 65). che non ¿ veramente uno> (GP VII, 117)
r
32 La bellezza e Ia fabbríca del mondo Mente e rappresentazione del mondo 31

puó avere sensazione o sentiment o senza conoscenza, ma non dente dal possesso di veritá necessarie, e che egli collega questa ca-
co-
noscenza senza sensazione. É cosi? pacitá al compimento degli atti riflessivi che <<ci fanno pensare a
In termini molto generali si pud dire che la sensazione rende iid .h" si chiama io>> (M, S lOlGP VI,612). Considerato sullo stes-
disponibile a una creat; ra inform-azioni sul pr";ri;;;-b;;. so piano della conoscenza dimosttativa, questo pensiero dell'io ap-
.'r.,
se stessa. Perchévi sia sensazione, come si é viito, occorre che Ia pare un'appercezione mediata, una conoscenza riflessiva di ció che'
percezione sia notata; cid puó awenire grazie al suo sembra lecito congetturare, giá si chiama <<io>> sulla base di un'altra
carattere di-
stinto. Ma cos'é questo notare quel che é nel'anima? si tra*a esperienzall , vale a dire, presumo, dell'appercezione immediata
di
ció che viene demo coscienza o aipercezione, oppure di qualcos'al_ della propria esistenza e dei propri pensieri quale veritá di fatto.
tro? secondo Leibniz la sensazione é cid che áistingu" gli ,ni..'uti Tale veritá, sostiene Leibniz, non puó essere provata ed é chiamata
da forme inferiori di vita (cfr. pNG, s 4); essa non pud immediata appunto <perché vi é un rapporto immediato fra I'intel-
ruuavia im-
plicare la coscienza, perché in tar caso ve*ebbe *i"á lpr-.ip¡ letto e il suo oggettot (NE, IY. ix.2/AVI6, $4). Essa é un'espe-
di distinzione degli spiriti o anime razionak dugli ,ri*uli:¡i;;". rienza prima nella quale la coscienza sembra fare tutt'uno col senti-
dunque pensare che Leibniz riconosca unu foir.ru ¿i .ot.i*ru
o mento dell'io. Si puó forse dire che, mentre il sentimento dell'io é
conoscenza riflessiva degli stati interiori distinta dall'atto del proprio io, il pensiero dell'io é una conoscenza riflessa della na-
riflessivo
che consenre il pensiero dell'io (cft. iui, S 5;M, jO). tura dell'egoitá12.
S
, \:lN::oui Saggi egli associa I'appercezione ail,ariflessione (cfr. Quanto detto lascia supporre, tornando alla piü generale que-
ad es. NE, II.ix.14), ma parla un.h.-ái <<consciosirá (consciositó>> stione del rapporto fra sensazione e pensiero, che gli animali abbia-
o
<<sentimento dell'io>> (iui, rr. xxvli.9/ Avr 6, 236-237); no appercezione degli stati interni dell'anima, e dunque sensazione,
abbiamo co-
s) quattro termini che apparentemente si equivalgoro, senza avete peró un sentimento come quello dell'io, nel quale la co-
-, f .ri ,i
gnificato in realtá é internamente stratificato . .L¿, appercezione, scienza e dunque il pensiero sembrano implicati. Il seguente passo
riflessione, coscienza, sentimento del|ior'. o¡a, rerativámente
alre
posr-e sopra si pud osservare che per Lelbnizil 1l Ne consegue che la riflessione esercitata negli atti cui fa riferimento il passo
{gnrande criterio di
distinzione dell'anima rizionale é la capacitá di conoscenr; i;; del]a Monadolog¡¿ non sembra quella intesa dal termine riflessione, quando viene usato
per indicare, genericamente, la <<attenzione a ció che é in noi>>, ossia l'atto dell'anima,
srrariva, del <<uero ragioruamento>> (pNG, S 5/Gp \T, 600),
dñ;; gtazie ú quale essa awerte percezioni di cui prima non era cosciente
12 Pensiero e riflessione sembrano, per Leibniz, strettamente connessi, cosi co-
r0 come é noto,
- Leibniz introduce il termine d'apperception> confrontandosi me pensiero e coscienza, essendo il pensiero .da percezione implicante coscienzao (cfr.
con il pensiero di Locke, il quale sembra ammettere u.r. iirrirrio.,. r." la leitera a Treuer citata in Jot-t-ul' 1986, p. 117). Al significato base di <pensiero', che
percezione) e riflessione. Il filosofo inglese parla infatti
.or.i*r, Lo
di un" identifica ogni percezione unit¿ alla facoltir di riflettere, segue la specificazione che se la
sciousncss) che é inseparabile dal pensare, ed... essenzia.le ".onrrp.uátJ"-t*',
ad esso' rr, l. ,.,."lilii, ,n percezione, e di conseguenza il pensiero, sono distinti, allora si ha l'intellezione, cioé l'e-
quanto non ritiene possibile un atto di pensiero che non sercizio dell'i¡telletto (NE, ILxxi.5/A VI 6, 11)). Comunque scelga di definirlo nel det-
sia accompagna,o ¿u ,n;i--"-
diata consapevolezza; <<riflessioner é invece il termine iecnico
con cui indica ir senso in- taglio, Leibniz non manca di ribadire che le bestie sono prive di pensiero. Nei N¿o_¿z
terno (cfr. iui,il.i.4). La differenza fondamentale fra coscienza siggi, aI'afÍermazione di Filalete che <<rl pcnsiero sígnifica sovente l'operazione dello
e riflessione é dara dal
fatto che la riflessione si presenta come una percezíone di ,piiito.ull. proprie idee, quando é attivo e considera una cosa con un certo grado di at-
secondo ordine (la mente os-
serva le proprie operazioni e ne ricava idee) risperto
all,imm ediatezzad.ii; ;;.;;;;;; t.nrio.," volontariar, Teofilo risponde proponendo con cautela di aggiungere <che le
che c^rarterizza la coscienza, in virtü della qui. qu.rt'ulii-a bestie hanno percezione e che non é necessario abbiano pensiero, vale a dire che abbia-
é legata ar,intuizione (cfr
THI¡I- 199.1, pp..202-203 e, piü ampiamenrq T,,,i, 19gi, pp.
66-115). Linusitato <con- no riflessione o cid che puó esserne l'oggettoo (iui,ll.ixl/A VI 6, 111) Laffermazione
sciosité>> e talvolta <<conscienciosiré> (NE, Il.xvii.2l dell'esistenza nelle bestie di un principio sensitivo sostanzialmente diverso da quello de-
/AVI 6,2,15) sono le rese leibnízi _
ne di <consciousness>>, ma le due parole, come si é visto, gli uomini era piü risoluta nelfe Annolazioni di Leibniz sulla lcttera di Fotchar 11696):
vengono usate quali alternative
per lo stesso conce*o significato anche da .rsendm"nto i.non risuha che le bestie abbiano quella riflessivitir che costituisce la ragione e, dando la
de..-l|io, (cfr. ñ¿, nr-"r.sl,
espressione_.con la quale Leibniz presumibilmente intende
sottolin.".. il .u.r,t... il_ conoscenza delie veritá necessarie o delle scienze, rende I'anima capace di personaliti.
mediaro dell'esperienza dell'io inteia da questi termini. Le bestie distinguono il bene dal male, ma non sono capaci di bene o di male morale,
Rispetto ad esse, nel tipo ái-con-
sapevolezza chiamata appercezione sembra trov¿r posto che presuppone ragione e coscienza>, \GP lV,192/SFL, 218). Su tutta questa complessa
anche ur,'espe.ier"i ái
piü elevato, paragonabíle al <<secondo riveilo, proprio d"["
b.¿;;r;ih"..i;;.."^ "'"' ".J" questione cfr. KuLs'r¡o 1991, pp. 16-81.
r
34 La bellezza e Ia fabbrica del mondo
Mente e rappresentazione del mondo 35

dei Nuoui Saggr conferma quesra ipotesi:


Se peró il ritorno riflessivo degli spiriti sulle proprie percezioni é
Abbiamo appercezione di molte cose in noi e fuori di noi che peró radicalmente diverso da quello atribuibile anche agli animali, dato
non intendiamo, e che intendiarno invece quando ne abbiamo idee distin- il mondo in cui Leibniz concepiscelavita delle anime, deve essere
te, col potere di riflettere e di ricavarne deile veritá necessarie. É p., q;.- per qualcosa che marca g1á \a percezione stessa. Qual é dunque il
sto che le bestie non hanno intelletto, almeno in questo senso, nonostante punto?
abbiano la facoltá di appercepire le impressioni piü notevoli e piü distinte, Credo che la differenza sia data dal fatto che mentre I'anima
come quando il cinghiale si-accorge di una persona che gli g.id, . p,rnt,
animale torna sulla percezione, cioé sullo stato interiore che rap-
dritto su questa persona, della quale prima non ,rru-to Ih. una mera presenta le cose esterne, I'intelletto ha anche oggetti non compresi
percezione, ma confusa da tutti gli altri oggetti "u.u"
che cadevano sotto i suoi
occhi e i cui raggi colpivano il suo cristalli
fra quelli esterni, sensibili, e di tale tipo é appunto l'oggetto del
ió Gr¡,II.xxi.5/A VI 6, Ii3) . pensiero quando si pensa a se stessi:
Il passo sembra implicare il carattere non volontario dell'at-
Questo pensiero di me che ho appercezione degli oggetti sensibili e
tenzione animale, quasi che negli animali siano sempre le impres-
della mia propria azione, che ne risulta, aggiunge qualcosa agli oggetti dei
sioni, il risultato cerebrale dell'azione esercirata da\li species ittra- sensi. Pensare a un colore e considerare che vi si pensa, sono due pensieri
vetso gli organi di senso, a imporsi all'aüenzione. Se querto é vero, molto differenti, tanto quanto iI colore é una cosa differente da me che vi
allora l'appercezione che Leibniz riconosce loro non é la capacit) penso (GP YI, 502/SF I, 531).
di riflessione inresa come <<oper azione dello spirito sune proprie
idee>>; é cerramente una qualihe forma di ritorno dell'unima su
di
In questo caso, infatti, <<la riflessione non si limita alle sole
sé, senza la quale la sensazione non sarebbe spiegabile, ma non operazioni dello spirito ..., ma va fino allo spirito stesso>> (GP V,
é la
riflessivitá costitutiva della ragionelr. 23/SF B II, 16.1). Rispetto al ritorno riflessivo sulla percezione, I'io
Nella letteratura critica é giá stato proposto di assegnare due sembra dunque rappresentare l'aggiunta, ad opera dell'intelletto, di
significati al concetto di appercezion., uno piü ampio, .oir. p.r.._ un nuovo oggetto, dell'oggetto, cioé, con cui l'intelletto é in rappor-
zione attenta,,e uno piü stretto, come riflessione razionale, in ,.lu_ to immediato quando appercepiamo la nostra esistenza e i nostri
,:g"?.4? quale si specifica il gradino piü alto della gerarchiu pensieri. Ció che stacca il pensiero dalla sensazione sembra dunque
-onu- il fatto che la coscienza non é semplicemente memoria della perce-
{i:ltu. Lappercezione mediara, r. .ori si puó chiaÁare il p".,ri.ro zione, ma comporta il pensiero che la percezione é nostra, owero
dell'io, é un sapere che cosa si é e in tal senso un risultato iellu ca-
pacitá di rifletrere per cui si conoscono anche le veritá di ragione. <<implica la stessa vera sostanza o I'io>> (C,495), implica, in altri ter-
mini, la consapevolezza delf'unitá in cui il molteplice viene espres-
lr La dis¡inzione sembra poggiare su quella fra le idee so. Nella riflessione, scrive Leibniz a T. Burnett il, 2 agosto 1704,
che sono nella mente e le
tracce impresse nel cervello e dunque sulla distinzione fra mente, anima <<non solo mi rappresento la mia azione a me stesso, ma penso an-
e cervello (cfr.
GP vn' 261/sF l, 1%). La sensazione animale, nel modelo leibnizíano, pr..
,pi"gulil. che che sono io a compierla o che l'ho compiuta>> (GP III,299).
sulla base della corrispondenza Íra anima e cervello, senza ir coinvolgimento
¿i ia.?, *- Se la sensazione animale si stacca dalla percezione naturale
sia di elementi di natura mentale, come accade invece nela sensaziorie degli
nevoli. In quesro caso, infatti, la capacitá di riconoscimento ímplicata ri.[.
esseri raE¡io- per la presenza di una qualche struttura riflessiva, la sensazione
rd.. dil. propria degli esseri ragionevoli comporta I'ascrizione a sé dell'atto
q.ualitá peculiari ai sensi, implicando un universale, porta a co.rcludere
non solo .he non
c'é pensiero senz:r sensazione, ma neppure sensazíone senza pensiero.
euesto perché. se percettivo, coinvolge un senso dell'io che puó elevarsi a pensiero
la sensazione da un lato risulta essere un appercepire percezioni sufficientemente
disiin- dell'io e dar luogo, secondo la metafon usata da Leibniz, a una
te da essere notate, dall'altro, posto che il nátare in cui co.rsist", sia ad esempio
re il colore di qualcosa, essa appare un atto di riconoscimento come
un nota- differenza assimilabile a quella che intercorre tra lo specchio e co-
tal" sembra pre-
supporre il pensiero (cfr. Mc Ru 1976, pp.76-711. " lui che vede (cfr. DM, S 35): Sli spiriti non solo rispecchiano ma
ra cfr per le indicazioni bibliografiche
e la discussione della questione Busr;rn hanno in piü la capacitá di guardare nello specchío che sono, owe-
1991.
ro hanno consapevolezza della loro natura espressiva; con essi non
36 La bellezza e la fabbrica del tnondo Mente e rappreserctazione del mondo )7

si rcalizza la semplice espressione dei molti in uno, ma anche quel- medesimo individuo>> sono, infatti, proprio le percezioni la cui pe-
la, tipica dell'attivitá concetruale, dell'uno nei molti. culiaritá é di farsi sentire, confusamente, solo nel loro insieme. E a
Riassumendo: percezione, sensazione e pensiero per Leibniz partire da esse che, secondo Lelbniz, si puó spiegare <<perché due
sono specie di espressione, mediante cui qualcosa viene rappresen- anime umane ... non escano mai perfettamente simili dalle mani del
tato; se la percezione é sufficientemente distinta essa diventa consa- Creatore, e come ciascuna racchiuda sempre il proprio originario
pevole; rispetto alla consapevolezza che puó aver luogo giá nelle rapporto con il punto di vista che avrá nell'universo>> (NE, Pref./A
anime degli animali, a caratterizzare gli spiriti é il fatto che in essi, Vi 3, ¡A). La ríflessione che va fino allo spirito stesso si muove nel
<<ogniqualvolta la consapevolezza o appercezione soprawiene sulla pensiero dell'io, ma nel senso dell'io entra la specificitá di un rap-
percezione, I'io é inseparabilmente implicato in ció di cui <sono> porto al mondo, che é dato dalla posizione corporea in cui una
direttamente consapevoli>>1t. Questa implicazione dell'io pud esse- mente é posta dalle sue percezioni confuse.
re intesa come la forma particolare che la prospetticitá del rispec-
chiamento del mondo da parte delle sostanze semplici assume nel
2. La mente e le idee
caso delle anime razionali. Per Leibniz, come si é visto, ogni so-
sfanza esprime a suo modo I'universo; questo <<a suo modorrln cer- Pensiero e sensazione sono le specie di espressione che hanno
te sostanze prende la forma della prospettiva di prima persona: il valore di stati cognitivi; anche la sensazione infattí, almeno nella
mondo é allora, per queste sostanze, l, loro mondo, il mondo come misura in cui implica una capacitá di riconoscimento, puó essere
é espresso dal loro punto di vista. L'anima, sostiene Leibniz, espri- intesa come un tipo di attivitá conforme a regole e dunque com-
me I'universo secondo il rapporto degli altri corpi al suo e dunque portante, almeno negli esseri ragionevoli, I'uso di concettilT. Nel
esprimendo in modo piü distinto certe cose piuttosto che altre, <<al- parugrufo precedente si é visto che a tali stati cognitiviLelbniz fa
trimenti non vi sarebbe distinzione tra le anime" (GP II, 90/.tF I, .or.iipond"re oggetti diversi. Si tratta ora dí precisare meglio que-
349). Si ha qui, come si vedrá, un asperto essenziale del teatro leib- sta diversitá e, con essa, la nalura e I'origine della conoscenza.Per
nizianorí, perché, se il pensiero dell'io é connesso alla capacitá di fa{o dov¡emo considerare, sia pur brevemente, la dottrina leibni-
conoscenza distinta, tuttavia per ognuno, cid che é chiamato <<io>> ziana delle idee; ad essa ci conduce infatti, immediatamente, la do-
risulta legato al dato cognitivamente non rrasparente per eccellen- manda sugli oggetti di pensiero e sensazione; la dottrina delle idee,
za, cioé alle piccole percezioni. A contrassegnare e costituire <<il poi, ci poiterá nel meccanismo che regola i cambí di scena nel tea-
tro di Leibniz.
r5 M<:Rrr, 1976,p.26. Che le idee siano i correlati degli stati cognitivi, <gli oggetti in-
l6 IJimmagine del tearro é qui usata per raffigurare sia il carattere prospettivisti- terni del pensiero>> (NE,II.x.2/A \T 6, 1'tr0)18, é una convinzione
co della mente e della sua rappresentazione del mondo, sía i cambiamenri di oggerto, condivisa da Leibniz con altri filosofi moderni; si tratta, infatti, di
paragonabili a cambiamenti di scena, cui essa é sottoposta con il mut¿re della natura
delle sue rappresentazioni (sul complesso retrorerra teorico di quesla concezione, che
un dato teorico comunemente accettatole, rispetto al quale la pecu-
fra I'altro consente l'armonizzazione della metafisica con la spiegazione mecca¡ico-cau- liarirá della gnoseologia lelbníziana é da vedere piurtosro nella con-
(iui,
sale della natura, cfr. Buscru 1997). Mi sembra che la scelta non manchi di ragioni og- siderazione delle idee da un lato come <<disposizioni>> a pensare
gettive; tuttavia é interessante ricordare che Leibniz, oltre a usare in varie occasioni ana-
logie con elementi o situazioni del teatro, in una lettera alla regina Sofia Carlotta si serve 17 Cfr.
Jolll.v 198'1, p. 186.
anche di une bartuta proveniente da quel mondo. per illustrare un principio chiave deila rs <Glioggetti esterni sensibili non sono che ncdiati perché - spiega Leibniz -
propria filosofia: <<Ecco in poche parole tutta la mia filosofia, senza dubtio assai comu- non saprebbero agire immediatamente sull'anima. Dio solo é l'oggetto cstcrno imncdia'
ne, poiché non accoglie nulla che non corrisponda a ció che noi sperimentiamo e si basa ¡o, (NÉ, II.i.1/A VI 6, 109); e in questo senso, scrive il filosofo richiamandosi ad Agosti-
su due detti popolari quanto quello del teatro italiano, che dappertutto la va come qua, no e Malebranche, si puó dire chá <Dio é per la mente ció che la luce é per l'occhio"lil
e quest'altro di rasso, che per variar natura é bella; detti che sembrano contraddirsi, ma passo, dail'edizione Dutens delle opere di Leibniz {JI,221-225) é citato in Rurttcttt-tlrur
che bisogna concilíare intendendo l'uno come riferiro al fondo delle cose. I'altro ai modi 1995 , p. 91; cfr. anche DM S 281.
e alle apparenze> (GP III, 1.+8). re Cfr. McR'r¡: 1965 e F¡rroru-Bt,tN<lHI 1990, pp. 155 ss.
38 La bellezza e la fabbrica del mondo
Mente e rappresentazione del mondo 39

Pref./AW 6, i2 e L1.26) e dall,alro come <<espressione


o delle qualitá delle coser, (zui,II.is/Á-ü della naura semplici definizioni nominali, ,<che contengono soltanto le caratte-
e, tOq). Cid che Lelbniz ristiihe della cosa che servono a distinguerla dalle altrerr, bensi le
a.uu]c9sL ;ir; ilifiü
<<idea>> é
¡hiaqé una proprierá
senso
disporizionale2., e in tal
definizioni reali, ossia quelle da cui risulta .,che la cosa é possibile>,
dell,animu, _u,-inri..e, é anche
della disposizione stessa, posto il termine (GP IV 121-425/SF I,255), che mostrano, cioé, <'la possibilitá del
in una relazione di rappresentazione
con la definito> (NE, III.iii.18/A VI 6,294'295; cfr. anche DM, S 21),la
cosa ad esso ordinaia. l, egli pud sosrenere che
"iri,iii.ii, sua essenza. Leibniz afferma che le idee distinte rappresentano
l'anima stessa é i.l suo oggetto immediato piuttosto Dio che il mondo, probabilmenre considerando che le
tiene le idee o queto .h...orffind. interno,ma in quanto con-
;il.il
fanima infatri é un picco-
lo mondo in cui Ie idee disrrnte's;;;';;rrppresenrazione
áefinizioni rese possibili da mli idee rinviano, come fondame¡to di
quelle confuse sono una rappresentazione di Dio e in cui realtá, all'intelletto divino, alla <.regione delle idee> (GP VII,
deli,unive rso (ibid.). 305/SF I,481; cft. CD, S 8;M, SS 4l-44)22.
La prccisazione é importante, perché Di genere ben diverso sono invece, a suo awiso, idee come
mosrra che ir cambia_
menro scenografico fondamentare quelle dell .olore e delle altre qualitá sensibili: esse sono chiare,
in una mente l.iuniriu* li'.,,i.rr.
ad opera della natura d.t" i-á... perché riconoscibili, e tuttavia confuse, perché non si distingue cid
modo ..concentrano__in ,. ,,.rr.'tl
ñ.i. -"rri, re quari in quarche ihe racchiudono (NE, Il'xxix.4)2r. Tali idee rendono riconoscibili e
<<parri rotalf> (Gp VII,
,*";, e perció possono dirsi
307 /SF I, +Se ¡ pl¿ essere con il
presenrazione proie ttata la rap_ ferenziandole áúIe <<intnagizti>, (NE, II.ix.8/A V16,I37). Egli illustra la distinzione
di oegetti diversi. qurlí i*o I,urr*l.r-ol';;;r.,r" noto esempio del moáo in cui concepiamo un chiliagono (cfr. ¡ui, Ilxxix lJ);esem-
ben
conda del .ururr.rüonfuro
o-Jirrir,';i.il. idee di cui esse disoon_ pio ,-rr",o -.h. d, Cartesio per marcare la differenz-a tra <l'immaginazione e la pura in-
gono; ma in cosa consisre quesra iellezione o concezione>, (cfi. Mcditazioni ntctafisichc, Sesta meditazione, in:
C^Rltrsl()
differe'z¿-e o*i.';" ui:rl't!uti", riprende nel contesto di una critica aüa confusione, a suo
Scrive in proposito Leibniz: iésá, pp. 6l-68) eche Leibniz
percezioni
ur'Vi.o'ru,," da Locke, fra le idee e le immagini, cioé le configurazioni delle_
Dico dunque che un'idea é chiara p.oáo." dall'immaginazione. Diverso dal caso del chiliagono sembra quello degli oggetti
quando basra per riconoscere matematici .he .roi possono essere immaginati, cioé costruiti nell'immaginazione,
in
cosa e per distinguerra' come ra
quando
non ne prenderó un altro per quello
to u"ri¿..
ben chiara di un colore, q"""a if loro.or,..tto contiene unu .ont."ádirione. Sono, queste ultime, le "utili finzio-
tutre quelle che sono ben^distinguenJ'"
.il;;;...
chiamiamo distinte non *, (cp II, 105) usate <nei calcoli dei geometri>> (NE, Il.xvii.l/A VI 6, 158),
infinitamente piccolo
come gli infi-
(cfr. GM IV 9l).
ni,.rl-uti l'id.a la quiete sia un movimento
quelle "' che sono distinre ir .i?i"rlnguono gli oggetti, ma o che
22 <<Tutre le idee intelligibili - sostiene Leibniz con accento neoplatonico, ma-va
r.'".rr. . ¿irri"'u"."" ne',oggetto i sesni fra
che lo fanno conoscere, ir
.h" ;;'r";;" ricordata I,importanza che ebbe, per questo aspetto della sua dottrina, la controversia
conrrario re
¿i:*rrtrt o definizione; in cr-s., Mut.U.urr.t.. Arnauld sulla natura áelle idee - hanno i loro archetipi nella possibilita
chiamiamo confuse r¡v¿, rrl**.ü)avl
u,2iq_2rr). ererna delle cose> (NE. IViv5/A YI 6,)92);esse, senza distinzione,
<<sono in Dio da tut-

Dal passo risulta.ch.e a qualificare iri.r"rnit¡ e sono anche in noi prima che vi pensiamo attualmente> Uui,Ill.iv.l7/AYI
gli antichi>', i1
le idee distinte é Ia possibi_ e, lóOl. Si tra*a, scrive Leibniz, del omondo intelligibile di cui parlano
litá dell'analisi: sono t. ia."=.rr.^:;;;;" q,-,¡" tanto in Dio e in qualche modo anche in noil' (GP IV 571 cit in Ru tl tlIu'orur
iui,II.xxxi.2) le definizioni delle o ¡acchiudono (cfr. "¿
.;;;;';;; precisamenre: non Ie igsi,p 75). Lidea che l'anima razionale condivida una porzione della realti intelligibile
Ie essenze, cioé ¿a possibilitl
irár*',. ".ff,.,elletto divino, e possa dunque considerare
l" ii.id.h" si concepisce> (NE, III.fi.15lA V1 6,293), é molto importante; queste essen-
La n,rrure disoosizionlle dell,idea. ze, tnfatti, costituiscono per Leibniz l'oggetto dela metafisica, che
egli chiama appunto
il suo risulr:¡re cosrituire d¡r una caDaciri
che' come si vedri' ¿ di
;;;*";, áegü intelligibili> (C,5i6). Oi., d"to che egli considera ente tutto cid(cfr..GP che ha
'i-nos.i,n.nro n.r .r*!l"uiiJr'.ttr,.,, di definizione n.l .r.u
dell'idea disrinta, viene sortorine¿,"
r-.iürlrl",;;di,
¿r. disrinzione fra idee e pensie-
unl no¡onJ.o.,..piÉil. i., modo distinto e tale da non implicare contraddizioni
Y"'¿' 1"'-" "i',0".1i,."-'in rer:,zione ¿ilá veriri
vli, ¡rpl, o..rrp".ri degli intelligibili non é altra cosa che occuparsi dell'essere e poiché
;"*.3i.llj;í:j''j:,lJ:i: f.-rl¡il a.gli int"[igÑi é foni¿ta nelf i¡telletto divino, occuparsi del]'essere signífica
,,.n,. n.r" ,a, .,p,.r,jii;ir':,"T:."J:j;
i::fi:::.::. "r,-r,¡ ",¿,", .*,;.
come <<unx rttitudine.
o...,p"*i dI nio. Sicapisce allora, perché <la vera metafisica che Aristotele cerc¿va>>,
preforma_zíone che Jerermin¿la,;r;;;;;;Jl;'r[iitt Dio, fonte dell'es-
una cioé ia *scienza superioier che .deve avere I'essere, e di conseguenza
te> (NE.,l.LlllA VI 6. 80).
Cfr. pt¡srn lg9'.
"'-'-'''¡¡e esse possano esserne ricava- ,..", p". forr. per Leibniz la teologia (T 5 1S1/ GP VI' 221) ' Suü'ide¿ leibni
-r Leibniz chiama anche *.."a.r'1. id..
"ggoro',
,iunu ¿i -"'üfitica, la sua possibilitá e i suoi iimiti cfr. Rulltlnt'1¡nlr 1995.
pp. 71-98.
<<che consistono neüe defínizioni>r, 2i oÉ un.to.r ro .h., - scrive Leibniz - di cui si ha appercezione' ma di cui non
dif-
l-

40 La belleua e la fabbrica del mondo Mente e rappresefttazione del mondo 4L

distinguibili le cose rappresentate, conferiscono una capacitá di ri- in tal senso esse si rapportano a pensiero e percezione in qualche
conoscimento, senza perd fornire le note sufficienti alla distinzione. modo come la potenza aif'atlo2'. Ne consegue che la confusione e
esse rappresentano il -ondo come ci appare: sono le idee che dil distinzione dei pensieri dipende dal tipo di percezíoni cui si appli-
¡emmo provenienti dai sensi e non, come quelle intellettuali o di- ca la riflessione, ovvero dal tipo di idea che essi realizzano.
stinte, dalla riflessione dello spirito. A questo proposito é interessante rilevare che il pensiero di-
La diversitá d'origine delle idee (cfr. GP VI, 493-491/SF I, stinto sembra sorgere quando la riflessione si applica non semplice-
511) non va tuttavia presa alla lettera; occorre ricordare che a rigo- mente a qualcosa che é presente nell'anima, bensi a ció che é una
re, per Lelbniz, tutte le idee <<sono originariamente nel nostro spiri- proprietá dell'anima stessa, owero quando la natura disposizionale
to e ... anche i nostri pensieri ci vengono dal nostro proprio fondo> á.il;id.a coincide col carattere innato di un contenuto concettuale'
(NE, IV.iv.5/A YI 6, 392; DM, SS 27 e 33). La natura espressiva Leibniz stesso pare suggerire questa conclusione:
dell'anima, la qualitá che le é propria di rappresentarsi le cose, fa
la riflessione non é altro che un'attenzione a cid che é in noi, e i sen-
infatti tutt'uno con le idee, le quali sono in essa <<come la mateúa
si non ci danno in alcun modo cid che giá portiamo con noi' Ma se le cose
da cui si forma> il pensiero delle cose2a. Come si é visto, le idee
stanno cosi, si puó forse negare che nel nostro spirito vi sia molto di inna-
non sono soltanto I'oggetto del pensiero, sono anche disposizioni e
to, dal momenio che siamo innati a noi stessi, per cosi dire, e che dunque
ci sono in noi: essere, unitá, sostanza' durata, mutamento' azione, perce-
si pud rendere conroo (GP VI,500/JFI,5l0). Oltre che alle idee, egli attribuisce chia- zione, piacere, e mille altri oggetti delle nostre idee intellettuall? Uui,
rezza, confusione e dis¡inzione anche alle nozioni e alla conoscenza (cfr. ad es. GP IV Pref./AVi 6,51)26.
122-1?f. /SF l, 252-25J: <<Oscura é la nozione che non basra a riconosc... l^ .o., .rppr.-
sen¡ata . . . La conoscenza é cbiaru, dunque, quando possiedo di che riconoscere la cosa Come ha sottolineato N. Jolley, se la ríflessione, ii volgersi del-
rappresentata; é poi a sua volra confusa o distinta. Confusa, quando non posso enumera- lo sguardo mentale verso l'interno, fornisce il concetto di sostanza,
re separatamente delle caratteristiche sufficienti a distinguere queila cosa dalle altre,
sebbene la cosa possieda veramente tali caratteristiche e requisiti, nei quali si possa risol-
non¿ certo perché tale concetto sia un contenuto della mente' per
vere ia sua nozione .... Invece una nozionc distinta é come queila che dell'oro h¿nno i cosi dire un articolo presente nel suo magazzino concettuale, ma ¿
periti, ossia attraverso caratteristiche ed esami sufficienti a distinguere la cosa da tutti gli piuttosto perché <<sostanza>> esprime un tratto categoriale della
altri corpi simili>>). Lo scambio dei rermini di riferimento della qualificazione si puó for-
mente stessa, una sua proprietá. In altri termini: il motivo per cui il
se giustificare considerando che per Leibniz la conoscenza non é necessariamente pro-
posizionale; essa pud consistere nel semplice possesso di idee o nozioni, perché le idee,
come capacitá di riconoscimento, sono una sorta di conoscenza (su ció e sulla termino- 2t Nel resoconto leibniziano sembrano incrociarsi due linguaggi: quello proprio
logia in questione cfr. Mt;Rl¡ 1976, pp.72-78). Sopranutto per la coppia confuso/di- della sua metefisica e quello artraverso cui eglí cerca un terreno comune con i suoi inter-
stinto occorre prestare a¡tenzione all'ambito di applicazione. Emblematico é iI caso della locurori (Locke in queito caso). Inoltre, nel presentare I'idea come disposizione, Leibniz
sensazione. La distinzione, infatti, entrá neila definizione stesse della sensazione in marca la differenzaJra ia sua concezione e le .facoltl senza atto, ... le pure potenze de-
quanto, perché vi sia sensazione, occorre che le percezioni siano abbas¡anza distinte da gli scolastici>,, che egli riteneva <.finzionirr, perché pensava ci fosse,<sempre una disposi-
essere appercepite (la sensazione c'é solo per un'anima che appercepisce e in quanro ap- iione particolare all'azione, e ad un'azione piuttosto che all'altrar. <Le potenze vere -
percepisce le percezioni); ma la sensazione é uno stato rappresentativo confuso, perché egli sciive - non sono mai semplici possibilitá, ma vi é sempre qualche tendenza e azio-
non di modo di distinguere il suo conrenuto. Cfr. in proposiro P^RKtNsoN 1982 e inol- n!" (NE, II.i.2 e 10/AVI 6, 110 e 112). Ne consegue che le idee stesse, intese come di-
tre BR,\Nr.ron 1981, per una efficace sottolinearura del diverso significato óhe <<confuso>> sposizioni, devono poggiare iu proprietá non meramente disposizionali dell'anima,,or.
e <<distinto> assumono in relazione alle idee e alle percezioni. uaro ,u qudaora cotne una percezione inconscia del loro contenuto. Esse, scrive infatti
2r Delle idee confuse, che sono artribui¡e ai sensi (cfr NE, I.i.11), si dovr) per- Leibniz, sono innate in noi iome disposizioni <<e non come delle azioni; nonostante che
ció propriamente dire che provengono <<dalle nostre percezioni confuser, (iui,N.iv.5/A queste virtualitá siano sempre accompagnate da certe azioni, sovente insensibili, che vi
VI,J92), cioé dalla <infinitá di percezioni, senza appercezione peró, e senza riflessione>> corrispondonor, (iui, P ref / A VI 6, 52l. Cfr. Jolln' 1991, pp. 412 -11).
.

che <<c'é in noi ad ogni momento>; si tratta dei mutamenti nell'anima stess¿ <<che noi 2(; Lá domanda retorica d occasionata dal rilievo che il ttvalente>> Locke,
"dopo
non appercepiamo, perché queste impressioni sono o troppo piccole, e in numero trop- avere impiegato ... turto il primo libror delsaggio utll'intalligcnza ¿tflMna a <confutare i
po elevato, o troppo unite, in modo che, separate, non hanno niente che le faccia distin- principi innati presi in un certo senso, ammette poi, all'inizio del secondo e nel seguito,
guere, mentre aggiunte ad altre non mancano di avere il loro effe¡to e di farsi sentire, se .h. l.^id.. chenon hanno origine nella sensazione, provengono dalla riflessione> (NE,
non altro confusamente, nell'ínsieme>, (iui,Pref./A VI 6,51). Pref./A VI 6.51).

¡.. ¡
42 La bellezza e Ia fabbrica del mondo Mente e rappresentazione del mondo 43

concetto di sostanza risulta connesso alla riflessione sembra dato Lesperienza - sostiene Leibniz - é necessaria .. ' affinché I'anima sia
dal fatto che la mente offre il pandigma di che cos'é sostanz a2i; ta- determinaia a tali o a tal'akri pensieri, e affinché presri arrenzione alle idee
le concetto, e lo sresso uale per gli altri indicati da Leibniz, pua che sono ín noi (iui,II.t.2/AVI 6, 110)r0.
perció essere afferrato solo amraverso la capacitá di riflettere. ^Gli
spiriti, egli scrive, Si pud dunque dire che la conoscenza passa attraverso la ri-
flessione su noi stessi, Perché
_ sono capaci di compiere degli atti riflessivi e di considerare cid che
la natura delle cose e Ia natura dello spirito ci partecipano ... e assai
si dice io, sostanza, anima, spirito, i'
unu parola le cose e le veriti immate_
spesso la considerazione della natura delle cose non é altro che la cono-
riali; ed é questo a renderci suscettibili deie scienze e delle conoscenze di-
mostrative (PNG, scenza della natura del nostro spirito e di quelle idee innate che non si ha
5/GP VI610;M, l0). affatto bisogno di cercare al di fuori (iui,l.i.2l/A VI 6, 81).
S S

La riflessione appare i. mezzo che ci dá modo di fare uso del Nello stesso tempo si deve peró riconoscere che .,la materia
concetto di sostanza e degli altri concetti inrellettuali2s,la via attra-
alle riflessionil> é fornita dai sensi e che noi <<non penseremmo nep-
verso cui la disposizione al pensiero distinto si rcalizza2e. ció non pure al pensiero se non pensassimo a qualche altra cosa, vale a dire
significa chr I'esperienza non giochi una parte importante; se é ve-
áí particolari che i sensi ci forniscono>> Guí,II.xxí"73).
ro infatti che nel nosrro spirito c'é molto di innato, é anche vero La portau di quest'ultima afferm azione va valufata conside-
che <<non vi penseremmo mai senza i sensf> (NE,I.i.11lA VI6, g1):
rando che nello scritto da cui é tratta Leibniz cerca un terreno co-
mune per il dialogo con Locke. Le idee sensibili, infatti, non meno
27 *É ben vero si legge in un passo
- in parte gi) citato - che le nostre percezio- di quelle intellettuali, sono nell'anima. Si puó certo dire, egli sostie-
ni delle idee provengono o dai sensi esterni o d"l s""so interno che si pua chi^-".. ri ne, ,,che noi riceviamo dall'esterno conoscenze attraverso i sensi>>,
cosi come i seguaci di Copernico <<non smettono di dire che il sole
flessione: ma questa riflessione non si limita alle sole operazioni clello spirito
.. ma va ti
no allo spiriro sresso, ed é awedendoci di lui, che noi ci accorgiamo áeila sosranzao (A
vI 6, l.+/J'F rr II, 16"1). si leva e si corica>>; ma secondo la veritá metafisica é importante ri-
:3 Jctr-lur' 1981, pp. 17j-Ilg. conoscere I'estensione e l'indipendenza dell'anima e che essa
2') Nel D¡s¿¿rso di ttatafisica, dopo avere proposto di chiamare idca <<quene
espressioni che sono nella nostra anima, sia che le si concr giunge infinitamente piü lontano di quanto pensi il volgo, benché
/as, invece,..quelle che si concepiscono o si formano>, t:i;:ir".?r:;íií:T'::::t:i, nell',rso comune della vita non le si attribuisca se non ció che si appercepi-
che ho <di me stesso e dei miei pensieri, e di conseguenza deil'esse¡e, d"riu
,ortrnrr, sce piü manifestamente e ci appartiene ín modo particolare, giacché non
dell'azione. dell'ídentiti e di molto altro. provengon oluianncn¡\ d, urr,..p".i.n,
na>> (DM, s
int".-
/GP lv, 152-ly). Ne consegue che i concetti metafisici risuhano innati
,"*" nulla spingersi piü avanti (DM, S 2l /GP IV' 152Yt.
27 ^
nel senso che il loro oggetto é appreso nell'appercezione de['io: questo senso
d"rlt;-
tezz¡ rlnvi'¿ al carattere innato delle idee come disposizíoni , p..r.n.., nel quale proba-
-1, é l0 *Credo che noi non siamo mai senza idee, mai senza pensieri e anche mei
bilmente da vedere I'essere rurt'uno dell'idea .on rn"r,,. stéssa. I due sensi di innatez- senza sensazione. Distinguo soltanto tra le idee e i pensieri. Poiché abbiamo sempre tut-
za si richiam¿no l'un I'altro. Infatti, dato che, secondo Leíbniz,
é atraverso gli atti rifles- te Ie idee pure o distinte indipendentemente dai sensi, ma i pensieri corrispondono_sem-
sivi che.la menre diventa capace di conoscenza dimostrariva e dei ragionaminti
i .uiog pr. qrrri.h. sensazione,, (NE,l¡i2J/A VI 6, 119). T¿le distinzione, simile ¿ quella ap-
getti principali sono le nozioni di essere, sostanza, unitá ecc., si puó supporre
che l,autJ- p.n"" .i.o.dat, fra idcc e concatti, segna uno scarto che aiuta a comprendere la possibi-
coscienz¿ implichi una consapevolezza, seppur oscura, di essere sostanza,
unit), anima, iiti di disti.rguere fra un ordine naturale delle idee, comune per Leibniz a tutte le intelli-
spirito ecc. Se.si,ammene questo, ne consegue, come osserva McRu 1976, p.'97,
ch" genze in generale, e l'ordine <<che le occasioni e gli accidenti cui Ia nostra specie é sog-
l'io,<invirtüdell'esserconsciodi sé,diuct¡taunantentc>>ivaleadire:én.ttu'.in.op.uo_ ma. per cosi dire, la s¡o-
lezza di sé come anima o monade, le cui azioni sono percezioni, che |io
letta ci ha.,.,o fornito>r, il quale <,non dál'origine dcllc nozioni,
é conscio es- ii ria dclla nostra scopcrtc>> Uui,IlI.i.5/ AYI6'276).
sere, di essere sostanza, unit) ecc. e, acquisendo idee come queste, acquista
le capaciti rI Se il richiamo al sistema copernicano, in un conresto in cui viene affermata
di pensare e di avere scienza, costitutive della natura dello spirito, ossia d;";;;;;; I'indipendenza dell'anima, fa pensare a Kant, la sotolineatura dell'estensione dell'ani-
mente, un'anima ¡,zionale. Laffermazione della nostra 'tnnatezzaa noi stessi invece Eraclito (Dlrl,s-Kn'rNz fr. -15): <Per quanto tu cammi¡i, ed anche
forse va in- *r.i.o.d,
tesa allora nel senso che l'essere una mente, con le considerazioni categoriali
che ne con- percorrendo ogni strada, non potrai raggiungere i confini dell'anima: tanto profonda d
seguono, é un dato emergente dall'autocoscienza.
la sua vera essenza>>.
T

44 La bellezza e la fabbrica del mondo Mertte e rappresentazione del mondo 45

_
Bisogna che I'anima sia realmente modificata quando pensa a pleto e come in una proiezione prospettica. Cid non significa che
qualcosa, ma I'essenza della sua natura rappresentatiuu ,tu upp.rrrro i'immugirr. fenomenica del mondo sia illusoria o sbagliata. Per
nel fatto che essa ha in sé non solo lapotéizupassiva di venir affet- Leibnilla rappresentazione ha sempre <<un rapporto naturale con
ta in un certo modo, ma anche una potenza attiva, in virtü della ció che deve-eisere rappresentato>>, e anche se <<sovente sopprime
quale ha la disposizione a produrre il pensiero di qualcosa. L'idea, qualcosarr, vi é in .ttu, ..it quantoi confusa, piü di quel che noi vi
compresa in tale pensiero, implica rurto ció kfr. iui, S 29). vediamoo (7, S )56/GP VI,326)' E uero peró, che la medesima co-
sa viene rappresentata in modi differenti, <<che ciascuna anima
si

3. Scenografia e icnografia rappresenr; i'universo secondo il proprio punto di vista e secondo


.rr, ,uppotto che le é proprio>>; Leibniz é perció condotto ad affer-
Diverse nell'origine e nelle condizioni d,uso, le idee distinte e
quelle confuse hanno anche un diverso contenuto, come si é visto,
-ur. tt.t solo l'esisten za di <<un rapporto esatto tra la rappresenta-
zione e la cosarr, ma anche l'esistenza di un rapporto <<tra le diverse
e cioé, rispettivamente, <<Dio e I'universo>> (NE, II.i.1/A VI 6, 109), rappresentazioni di una medesima cosa>> (iui, S 351/GP VI,327)'
ovvero <<tutte le essenze, come pure tutte le esistenze>> (DM, S pü. not avendo <<porte e finestrer, (DM S 26/GP IV, 151) le menti
26/GP IV '151): la conoscenza delle possibilitá e quella dei fatti. leibniziane non sono chiuse in mondi non comunicanti:
Scrive in proposito Lelbniz:
Dio -scrive Lelb¡íz,considerando per un attimo questa eventualitá_-
ci sono due tipi di conoscenza: quella dei fani, che é chiamat perce- poteva attribuire a ogni sostanza i suoi fenomeni, indipendenti da quelli
zione, e quella delle ragioni, che é chiamata intelligenza. La percezi,one
^
á.11. u1,.., ma in tal riunieru avrebbe fatto, per cosi dire, altrettanti
mondi
é
delle cose singolari, l'intelligenza ha come suoi ogletti gli universali o le senza connessione quante vi sono sostanze; Pressappoco come
quando si
veritá eterne (Gr, 581). dice che, mentfe si iogna, si é in un mondo a parte e che, al risveglio, si

.nt." .,"Í mondo .o-ur,. (GP IV, 519/SF I, t00-501)r2'


Delle cose singolari, la percezione dei sensi che Leibniz chia-
ma esterni ci fa conoscere le qualitá sensibili, senza farcene perd IJimmagine, spesso usata dal filosofo, della cittá rappresenta-
comprendere la natura; le idee confuse, infatd, ..no.,ostante esp.i- ta da diversí p"nti ái vista presuppone non solo che ogni sostanza
mano la potenza che produce la sensazione, non la esprimono inte- esprima l'intiro universo, ma che le diverse sostanze esprimano
ramente>> (NE, III.xxxi.l/A VI G,267).l,immagine del mondo che tuit. lo s/esso universo, benché ciascuna dal punto di vista che le é
si configura a parfire da esse non puó dunque essere che parziale, proprlo (cfr. GP VII, )22/sF I,25I). ci si puó tuttavia chiedere
incompleta, e soprattutto relativa al punto di vista dell'anima che le ah"-.oru sia questo stesso che esse esprimono; ciascuna sostanza ha
percepisce, la quale, secondo la similitudine ricordata, é si come infatti i ptopti fenomeni, ovvero ogni mente ha le proprie rappre-
uno specchio di tutto l'universo, ma lo esprime a suo modo. ,.rrtorioni, il p.optio mondo. Leibniz pensa all'esistenza di un
alü menti oppure all'esístenza di connessioni fra i
^_L, menti, per Leibniz, sono <<come mondi interi>> (DM, S 1'1orrdo
"rr.rrrá
9/GP I\1,434), <<parti torali>>, in quanro, come ogni ult u,ortun i, mondi menta[rr? Sembra lecito congetturare che il mondo comune
<<esprimono in qualche modo e concentrano in se stesse il tutto>>.
inoltre_esse <ripioducono da presso I'immagine dell'autore r2 Il desti hanno un unico mondo comune' m¿ nel
*;:
mo> (GP ]fII,307/SF I,186), tanfo da potersi dire che ,.m.nti. le
passo ricorda Eraclito:
,or,r,o ogn.l.tá si apparta in un mondo
'Iproprio>t (Dtlls-Kn'lNz' 89)'
f L, ,..i i"ib.tiziana che.ogni .or,"n" é come un mondo a parte' indipenden-
altre sostanze semplici esprimono piuttósto il mondo che Dio, gri
te da ogni altra cosa. fuorché da Dio> (DM' S l1/GP IV 119)' sembra
comporta¡e una
spiriti esprimono piurrosro Dio che il mondo>, (Gp II, L4/5FI,306). for*" ái solipsismo; essa conduce infatti al <<bel pensiero che I'anima deve concepire le
(Gr, 10J; cfr. anche DM, S l2 e GP
_ Gli spiriti hanno questa peculiaritá perché sono capaci di
idee distinte;la maggior parte delle loro percezioni é perd clnf.rru,
cose come se rl -ondo non vi fossero che lei e Dio>
iV, +sl¡Sf I, -15-l), direttamente conseguente dal fano che, nell'universo leibniziano' le
sé le proprie percezioni'
rappresenta il mondo e non Dio e lo rappresenta in modo incom_ sostanze non interagiscono ."rrsal-ent". ma ognuna ricava da
o;;;.r. tuttavi¡ cÁsiderare che questo stesso universo é caratterizzato dall'armonia
46 La bellezza e la fabbrica del rzondo Mente e rappresentazione del tnondo 41

del passo citato, il mondo in cui le menti convergono, sia quello medesimi fenomeni sembra significare che esse si rappresentano le
che per tutte e per ciascuna pud assumere il valore di mondo vero stesse cose; che cid awenga in modo proporzionale segnala la di
ed equivalente alla veritá (GP VII,320-321/SF I,249-250), cioé di versitá delle rappresentazioni, ma insieme implica l'esistenza di un
mondo- oggettivo. Il profilo di questo mondo si disegna giá dall'in- rapporto fra esse. Cerchiamo di capire meglio la natura dei feno-
terno del mondo rappresentarivo di ogni mente: tutti i nástri feno- meni di cui Leibniz parla.
meni, scrive Leibniz, Il termine <<fenomenor> indica, in generale, gli <oggetti di
menti finite" (GP VII, 561): <.la nostra mente - scrive Lelbniz -
- rispettano un certo ordine conforme alla nostra natura, o per cosi
dire al mondo che é in noi, ordine il quale fa si che possiamo cá-piere
produce il fenomeno> (C, 528). Per I'aspetto per cui i fenomeni so-
delle osservazioni utili per regolare h nóstra condottu, girrstificate dir,r.- no qualitá o modificazioni della sostanza percipiente, possiamo af-
cesso con i fenomeni futuri, e che cosi possiamo ,ou"rrt. giudicare dell'av- fermare che sono il contenuto rappresentativo di tali modificazioni,
venire in base al passato senza ingannarci. vale a dire, usando una terminologia cartesiana,le percezioni nella
loro realtá oggettivall. Lelbniz li chiama peró anche enti <<semi-
Questo, a suo awiso, basta per dire che <<quei fenomeni sono mentalil> (GP II, 306/SF III,4)4), owero <<semi-enti>> (GP II, 506),
veritieril>; egli tuttavia aggiunge che <de percezioni o espressioni di lasciando intendere che i fenomeni si collocano rra il piano memfi-
tutte le sostanze si corrispondono vicendevolmente, in modo che sico delle vere sostanze e quello ideale di costrutti puramente men-
ciascuno, seguendo con cura certe ragioni o leggi che ha osservato, tali come lo spazio e il tempo. Semi-enti o enti semí-menalí, i feno-
si armonizza con I'altro che fa altrettanto>>; e inoltre che esse <<espri- meni partecipando del reale e dell'ideale, sembrano appatenze dí
mono i medesimi fenomeni>>: non in modo perfettamente simile, sostanze e non solo a sosfanze)5. Che cosa esprimono dunque le
ma proporzionale (DM S 14lGP IV,439). Che le menri esprimano i menti, quando esprimono gli stessi fenomeni, anche se non in stati
mentali qualitativamente identici? In che cosa convergono menti
universale e che in esso la vita percettiva delle sostanze configura un'espressione: gli
sta- che sono differenziate a seconda del grado di distinzione delle loro
ti dell'anima, scríve Leibniz, sono <<naruralmenre ed essenziai-.n¡. d.li..rp."r.iJ.,l J.- percezioni (cfr. M, S 60)?
g-li stati corrispondenri del mondo>> (Gp II, 1l4/sF I, 16g). Dato
che Leibniz ritiene in-
dimos¡rabile l'esistenza di un mondo esterno (cfr. Gp vII, i20-J21/sF l, zcg zso¡,
Torniamo alla condizione cognitiva delle menti leibniziane
puó presumere che l'affermazione intenda sempücemente stabilire una corrispondenza"i cosi come é stata descritta a grandi linee nei patagrafi precedenti.
fra le percezioni e ció che esse esprimono, ossia I'esistenza di un ordine .o-un. f*
l, Come si é visto, il livello cognitivo elementare é rappresentato dalla
rappresentazione e iJ rappresentato. Da¡ credito alla clausola <<come se>> del <bel pensie-
sensazione, la quale si produce quando un'anima capace di apper-
ro> compor¡erebbe dunque la messa fra parentesi di aspetti cruciali della meiafisica
leíbniziana; come Leibniz stesso spiega, essa é una finzione cui ricorre con uno cezione diventa consapevole di percepire; per quanto sia una com-
scopo
ben preciso: <<sottolineare che le sensazioni dell'anima non sono altro che ,n" .onr", pefenza cognitiva di base, la sensazione non sembra prescindere
guenza di quanto giá é in lei>> (GP IV ¡tZ¡S¡ I, 199). Il <<bel pensiero>, mira
dunque a áall'uso di nozioni. Si pensi all'idea di un colore: essa é relativa ai
evidenziare I'autonomia e la spontaneiti dell'anima. Da questa natura dell,anim,
.ánr"-
gue che, per spiegare la corrispondenza dei mondi priuati d"lle menti, non
é necessario
ammettere l'esistenza di un mondo esterno, di un universo fisico indipendente, quale i{ Cfr. A¡,r¡,ts 1991,222.
oggetto comune delle loro percezioni: .,É 15 Contro l'attribuzione a Leibniz di una forma di fenomenalismo, sostenuta ad
gno 1712 - che ció che ar'wiene neil'anima "satto
- scrive Leibniz , D.. bor"ss il te giu
deve ¿ndar d'accordo con ció che si svolg"e al esempio da Ao,tns 1991, pp. 211 -261, argomenta RulL luttl'oltrr 1995' pp. 225-226, mo-
di fuori: ma a ció é sufficiente che ció che si svolge in un'anima, da un lato sia coe.lente stranáo che il filosofo rende intelligibili i fenomeni corporei come immagini confuse
con sé, dall'altro vad¿ d'accordo con ció che si svolge in una qualsiasi ¿l¡ra anima; della realtá sovrasensibile di altre monadi. La rappresentazione di un Leibniz idealista d
né é
necessario porre qualcosa al di fuori di tutte le anime> (Gp lI, 15I/SFL, j22). piü
che messa in questione anche da PttuirtlSr'¡n 1998, con buoni argomenti a difesa di un Leib-
un dato, il mondo comune appare una costruzione risultante da due conclizioni: la coe- niz aristotelico, per il quaie gli animali sarebbero sostanze, ciascuna con un'anima domi-
renza interna delle rappresentazioni di una mente e il loro accordo con quelle nante, e neoplatonico nel riconoscere in ogni porzione di materia un mondo di vivenri,
di altre
menti e dunque da una strutturazione e coordinazione delle rappresentazioni soggettive. di anime (cfr. M, $ 66). A favore del carattere non idealista del sistema di Leibniz argo-
Sulla questione del solipsisrno implicato dalla filosofia di Leibniz cfr. McRrJissz
e men¡a anche LOprSCtru 1999. I termini fondamentali della questione sono espostí e di-
Mcrrr¡D¡nonr 1978, 1982 e 1991. scussi, con la consueta chiarezza, in Muc;N,rl 2001, pp. 152-163.
48 La bellezza e la fabbrica del mondo Mente e rappresentaziorce del mondo 49

sensi e nondimeno ha un carattere universale; possederla significa Ilpasso, nell'ipotizzare che la realtá dei corpi sia data dal loro
infatd saperne riconoscere le esemplificazioni. La mente dispone essefe o;getto della scienza divina concernente le veritá contingenti
tuttavia anche di nozioni disdnte, di natura intellettuale, e di con- artuali (cfr. T, s 40 e cD, s 17), contiene un suggerimento impor-
cetti meafisici non dipendenti dall'esperienza, servendosi dei quali tante per il problema che si sta discutendo. considerando i corpi
essa conferisce all'esperienza stessa una forma intelligibile, renden- enti per aggreg zione, cioé enti la cui realü, owero unitá compiu-
done riconoscibile la corrispon denza all'ordine concettuale costrui- ta, é mená-le,f-eibniz sembra ritenere che anche il loro essere, di
to attraverso le nozioni di spazio, tempo, estensione, massa, figura, .otr"grr..tru, sia in qualche modo mentale o fenomenicolg' Ció
numero ecc.l6. Da un lato dunque, quasi indipendentemente dal non l;induce tuttavia a pensare che I'unitá, opera specifica dell'in-
pensiero, i sensi esprimono il mondo fisico, dall'altro, quasi indi- relletro, sia senza fondamento (cfr. NE, Il.xii.3); egli sostiene anzi
pendentemente dai sensi, I'intelletto elabora le caratteristiche gene- che I'unitá dell'aggregato <<¿ un fapporto o una relazione il cui fon-
rali di tale mondolT. Ora, il mondo in cui le menti convergono non damento risiede in cid che si trova in ciascuna delle sostanze singo-
sembra poter essere quello cosrruito sulla base delle informazioni lari a parte>> (íui,ll.xti.7 /A \lI 6, 116) e, inoltre, .1t" 1u tsal¡) delle
fornite dai sensi, perché le percezioni confuse sono proprio quelle rehzióni é si dípendente dallo spirito, <<ma non dallo spirito degli
che costituiscono la particolarit) dei punti di vista e dunque cid per uomini, poiché c'é sempre una suprema intelligenza che le deter-
cui I'espressione degli stessi fenomeni da parte delle menti differi- mina per tutti i tempi>> (íuí,Ilxxx'4/AVI6,265)'
sce. Se ci affidassimo ai sensi, risulterebbe compromess a la rcaltá
Quest'ultim a'affermazione, che richíama la funzione chiave
stessa dei corpi, cioé degli elementi che nell'espetienza comune so- della mente divina, é molto importante. Infatti, se reali sono le so-
no considerati relativamente stabíli e permanenti e ai quali ci si ri- stanze e la realtá delle altre cose <<non consiste che nel fondamento
ferisce come ai portatori delle qualitá sensibili. Scrive in proposito delle percezioni o dei fenomeni delle sostanze semplici> (iaa,
Leibniz: ll.xtt.i/AVl6,I45), ne consegue che la realtá dei corpi si fonda
se i corpi sono fenomeni e se sono giudicati secondo quanto a noi sul fatto che una mente conosca in dettaglio le modificazioni delle
appare, non saranno reali, perché agli uni appaiono in un modo, agli altri monadi dalle quali risultano le loro correlazioni. Tale mente pud
in un altro. Perció la realtá dei corpi, dello spazio, del movimento, del essere appunt; solo la mente divina, la quale gioca cosi il ruolo
tempo sembra consistere nell'essere essi fenomeni di Dio, ossia oggetto cruciale-di conferire realtá a un tipo di enti, i corpi, sulla base del-
dell,a scientia uisionis (GP II, 418)r8. l'esistenza preliminare di altre entítá sostanziali. Sembra in altri ter-
mini che per Leibniz, posta I'esistenza delle monadi e di una mente
ru Cfr. i tre tipi di nozioni distinti da Leibniz nella citata letrera a Sofia Carlorta: in grado ii .onor."rne gli stati e le relazioni in essi fondate, risulti'
quelle meramente sensibili, cioé le idee confuse, quelle intellettuali e, tra le une e le al- no dei particolari enti di aggregazione, in virtü della conoscenza
tre, le nozioni sensibili e inteliigibili a un rempo. Su queste, scrive M. Mugnai, interviene
l'intelletto, elaborando descrizioni e definizioni <il cui contenuto concettuale é indipen-
dente da rappresentazioni e immagini>> (MLl(;N^r 2001, p. 72). (GPlt,
r7 Cf¡. Mr;R¡n 1976, pp. 112"1$. <Il fondamento dell¿ nostra cerrezza riguar- cose in veritá> 111/SFL,5'l'{). Per la discussione di questa tesi cfr' Bnon'N 1987

e Ru'nrunt'rtno 199.1.
do alle veriti universali ed eterne consiste nelle idee medesime indipendentemente dai rq Lontologia leibniziana é piuttosto minimalista nell'attribuzione dello sta¡us di
sensi, allo stesso modo che ¿nche le idee pure e intelligibili non dipendono dai sensi ...
vera realti; .o., un J.*o grado di approssimazione si puó dire che per Leibniz gli esisten-
Ma le idee delle qualiti sensibili, come quelle del colore, del sapore, ecc. ci'engono dai
ti base dell'universo sono oggeni itrdi riduali aventi natura di sostanze semplici e i loro
sensi, vale a dire dalle nosrre percezioni confuse. E il fondamento della veritir delle cose
srati. Tali oggetti, cioé le monadi, non sono quelli in cui ci imba¡tiamo nell'esperienza
contingenti e singolari consiste nel fatto che si verifica che i fenomeni dei sensi siano
q"oiiaiu"" J"di .,-ri .i occupiamo nella fisica; nell'una e neü'altra abbiamo piuttosto a che
connessi proprio come le verit) intelligibili lo richiedono> (NE, IV.iv.5/A Vl 6, )92).
rs Cfr. anche la letter¿ ¿ Des Bosses del 2.1 gennaio 17ll: <Posto ... che le mo- fur. .o., aggregati da cui risultano fenomeni e la cui realti deriva dal fatto che, conven-
zionalmená ['si considera come unitá. Né, come si vedrá, sembra esserci spazio, nell'on-
nadi non siano parti sostanziali deí corpi, e i composti siano meri fenomeni, si dovrá di-
rologia leibniziana, per qualcosa come entit)r universali. Sia rispetto ai costituentib.ase
re che la sostenza dei corpi consisre nei fenomeni veri, cioé in quelli che Dio stesso vi
percepisce per scienza di visione, e cosi pure gli angeli e i beati, a cui é dato vedere le
á.ii.o"¿o, sia rispeito ile entirir derivate - le cose alle quali ci riferiamo nelle predica-
zioni comuni le froprietá esistono sempre e solo come modi o stati, sono cioé insature.
-
50 La bellezza e la fabbrica del mondo Mente e rappresetxtazione del mondo 5t

che tale mente ha degli stati monadici. gradazioni di realtá a seconda delle nozioni che accompagnano la
Secondo il passo citato, tali enti sono oggetto dell.a scierutia ui- sensazione. Da esse dipenderá anche, di conseguenza,la proporzio-
sionis; ora, questa scienza, in quanto ha ad oggetto <<gli awenimen- nalitá e la convergenza delle espressioni mentali del mondo. Emble-
ti che accadono attualmente nell'ordine dell'universo>> (7, S 40lGP matico é il seguente passo, che merita di essere citato anche perché
VI, 124)10, trova un analogo, sul piano delle menti finite, in scienze contiene un riferimento al colore, la cui importanza per I'argomento
come l'astronomia e la fisica, che giustificano i loro assefii fondan- della ricerca risulterá evidente nel prossimo capitolo; scrive Leibniz:
doli sulle osservazioni costanti dei fenomeni e sulle veritá di ragio-
ne (cfr. NE, IV.xi.10 e 1l). Ne consegue che I'universo dei fenome- L'arcobaleno é un aggregato di gocce che congiunte insieme pro-
ducono certi colori che ci appaiono ... Dunque l'arcobaleno ha una
ni fisici acquista realtá, per le menti finite, in quanto oggetto prin-
realtá diminuita sotto due aspetti, sia perché é un ente per aggregazione
cipalmente della scienza e non dei sensi, owero che la realtá dei
di gocce, sia perché le qualitá attraverso cui é conosciuto sono apparenti
corpi come fenomeni dipende dal fatto che essi trovino posto nella o almeno appartengano a quel genere di realtá che sono relative ai nostri
descrizione scientifica del mondo. sensi (Gr, 122).
lanima umana, scrive Leibniz, é architettonica a immagine di
Dio, <<allorché scopre le scienze secondo cui Dio ha regolato le cose I1 motivo per cui un arcobaleno, ín quanto ente per aggreg -
(pondere, mercs?tra, nt¿mero etc.)> (PNG, S 1rllcP VI, 60.1). Se, zione, é un semi-ente, lo si é visto; interessante é peró che Lelbníz
quando conosce, l'anima si fa architettonica aimitazione di Dio, cid sottolinei, che la realtá diminuita di questo fenomeno ha a che fare
significa che quando conosce essa costruisce un mondo, produce anche con la relativitá ai sensi della qualitá sotto cui lo conosciamo,
qualcosa che assomiglia all'opera di Dio, cioé alla creazione, e ha cioé iI colore. Il colore é una qualitá apparente, ovvero, come si ve-
un'analoga consistenza. Alla domanda che ci eravamo posti e cio¿ drá, é reale nella cosa in quanto questa ha la disposizione a produr-
che cosa esprimano le menti quando esprimono gli stessi fenomeni, re, nelle condizioni adeguate, la sensazione di colore. Proprio il co-
anche se non in modo perfettamente simile, si pud dunque dare la lore é peró il criterio secondo cui i sensi raggruppano le gocce d'ac-
seguente risposta: esse esprimono un mondo che tanto piü si awici- qua presenti in aúa nell'ente chiamato arcobaleno; per i sensi, in al-
na a quello prodotto da Dio, quanto piü esse ne imitano la scienza. tri termini, la realt) dell'arcobaleno dipende da una proprietá appa-
Ció conferma il ruolo chiave assunto dalla mente nella costru- rente nel senso radicale di dipendente dal fatto che le gocce siano
zione di un mondo oggettivo; ruolo dato dalfatto che l'unitá, e dun- percepite da un particolare punto di vistaa2. Ora, questa relativitá
que la realtá dei fenomeni, é un suo prodotto{r. Questo significa
peró che l'ambito dell' .,ente di immaginazione, o di percezione>> {2 I-lesempio dell'arcobaleno ricorre frequentemente nell¿ discussione leibnizia-
(GP II, 96/SF I, 355; NE,Il.xii.7), non é omogeneo, ma conosce na degli enti per aggregazionel si tratta in effetti di un caso paradigmatico. perché l'arco-
baleno ¿) un insieme di goccioline d'acqua, che ci appare in questo modo peculiare per
la rifrazione dei raggi del sole. Parlando di arcobaleno, tuttavia, non travisiamo la realt),
40 ,<La scienza delle .¿se altuali, ossia del mondo portato all'esistenza e di tutte semplicemente <reifichiamo certe proprietá delle gocce di pioggia, cioé il modo in cui
le cose che in esso sono ptssate, presenti e future, si chiama scicnza di uisionc> (CD,5 abitualmente ci appaiono quando la luce le attraversat. Focalízzandosi sull'apparenza, il
16lGP VI..+11). nos¡ro modo di parlare fa capire che non vediamo distintamente le gocce come gocce,
rr Scrive Leibniz ad Arnauld il 30 apríle 1687: <considero un assioma questa bensi <<confusamente>> come arcobaleno; questo peró non significa <che ció che esperia-
proposizíone identica, che non é diversificata che dall'accento: ció che non ) ucrancntc mo non sia ció che ha quelle qualitá, vale a dire il corpo di gocce>. <Ció che vediamo -
vn cntc, non i ucrantanla un enre>>i dall'assioma consegue che se i corpi non avessero osserva A. Savile - sono le gocce, ed esse sono l'arco' (S¡r'n.tl 2000, pp. 160-161). Il c¿-
unit) sarebbero fenomeni privi di realtá, del tutto immaginari; essi risultano da enti do- ra¡tere confuso delle idee sensibili risulta, per cosi dire, incapsulato nelle parole con cui
tatí di vera unit), ma non hanno unit), si legge nelia minuta della lettera, <<se non nel no- le denotiamo. Le une e le altre hanno una certa relativirá alla prospettiva umana sulle
stro spirito, fondata sui rapporti o sui modi delle vere sostanze>> (GP 1I, 97 /SF I, 356). Il cose, mediata dal corpo (cfr M, $ 6l; NE, Ilviii.21), e tuttavia si applicano al mondo
rapporto fra le sostanze e i fenomeni reali, i corpi, non é quello della parte al composto, piuttosto che ¿üa nostra esperienza di esso, perché gli oggetti che percepiamo h¿nno la
ma del fondamento al fondato (GP II, 268); la parte é infatti omogenea al tutto, ma le capacit) di produrre vari tipi di esperienza sensoriale. Questo é appunto cid che inten-
sostanze non sono omogenee ai corpi (non sono estese, non hanno parti ecc.). diamo, quando li diciamo rossi, caldi, piacevoii ecc. (cfr. S^\'ll-E 2000, pp. 162-161).
T

52 La belleua e la fabbrica del mondo Mente e rappresentazione del mondo 53

alla percezione sensibile é almeno in parte superata dalla spiegazio- fondamento resta, per Leibniz, tema della metafisica.
ne sciendfica, la quale indica lanatura della relazione da cui dipen- É pertunto ragionevole pensare che il rapporto <<tra le diverse
de I'unitá e la realtá del fenomeno, dando ragione, fra I'altro, del rappresentazioni di una stessa cosa> (T, S)57/GPVI,32-7), owero
perché I'arcobaleno appaia solo da un certo punto di vista. La la connessione tra le immagini del mondo proprie delle singole
scienza, dunque, sembra poter entrare piü della conoscenza sensi- menti, sia dato da cid che é invariante in ognuna, dal contenuto co-
bile nella costituzione del mondo fisicoal, nel <<sistema generale dei mune alle differenti rappresentazioni soggettive; sulla base di quan-
fenomenir> (DM S l4/GP LV,439) che Dio ha ritenuto opportuno to si ¿ detto, tale risulta essere soprattutto la conoscenza delle ve-
produrre, perché ricostruisce le forme relazionali da cui dipendono riü di ragione e delle veritá miste, cioé delle veritá concluse in par-
l'unitá e la realtá del mondo fenomenico, anche se il fondamento di te da premesse ricavate dai sensi, in parte da premesse ricavate dal-
tale mondo non é parte delle descrizioni che essa elaboraaa. Tale I'intellettort, e non ció che proviene dai sensia6. Le stesse qualitá
sensibili diventano infatti intelligibili solo in quanto contengono
qualcosa in piü delle nozioni sensibili, vale a dire <<contengono ció
1r Certo a questo riguardo si pongono questioni piuttosto complesse e cioé: a
che é comune agli oggetti di diversi sensi esterni ed appartiene al
quali condizioni si possono iden¡ificare gli aggregati originariamente determinati dalia
conoscenza divina delle relazioni fra le monadi con i corpi che percepiamo? Vale a dire: senso interno>> o immaginazione, cioé le <idee della matematica>>
che tipo di rapporto c'é fra l'immagine metafisica e quella fenomenica del mondo? E (GP VI, 4%/SFI,53O), owero racchiudono idee come quelle di
inoltre: in che modo gli enti per aggregazione vengono ad acquisire il ripo di proprieri <<spazio, figura, moto quiete>>, per cosi dire intermedie, in quanto
descrítte dalla fisica? Ossia: che rapporti corrono fra l'immagine scientifica del mondo e
quelle metafisica e fenomeníca? Cfr. in proposito le considerazioni di Ao,rtts 199.1, pp.
sono <<idee dell'intelletto puro, ma che hanno rapporto all'esterno,
)7 8-J99, Rur mRr.onn 1995, pp. 223 -226 e 2)7 -264 e K¡lHLuR 1999, pp. 210-215. e che i sensi fanno appercepire>> (NE, Il.v/AVI,6,128). Attraverso
{a Secondo i
criteri, per lo piü epistemici, di solito indicati da Leibniz per la tali idee non si ha una risoluzione della sensazione in pensiero di-
realtá dei fenomeni (cfr. ad es. GP II, 270; GP III, 621; GP VII, 119-322/SF I,218-251).
stinto. Quanto Leibniz ha in mente - lo si vedrá meglio in seguito -
risultano reali i fenomeni che possono far parte di una descrízione scientifica coerente,
condivisa sempre o per lo piü dalla maggior parte dei percipienti. Tali criteri identifica- sembra piuttosto essere, sull'esempio delle scienze empiriche, la
no i fenomeni ¡eali, ma non definiscono i¡ che cosa consista la realti stessa. Il fatto che possibilitá di correlare idee sensibili ad altre di origine intellettuale'
la scienza costituisca la realtá degli oggetti deil'esperienza non significa dunque che essa Egli sostiene infatti che le connessioni fra le idee delle qualitá sen-
fornisca la conoscenza della realt) come é in sé. <La spiegazione scientifica delle cose ri-
chiede astrazionin (GP II, 252), scrive Leibniz, lasciando intendere che la distinzione
sibili <<non si possono conoscere che per esperienza, in quanto le si
che la caratterizza é o¡tenuta attraverso un'idealizz¿zione matematica dei fenomeni; an- riducono alle idee distinte che le accompagnano, cosi come si fa
che l¿ scienza, dunque. seppur per motivi opposti rispetto alla rappresentazione sensibi-
le, fornisce un'immagine incompleta della realti: le nozioni che essa usa, essendo di na-
tura ideale, non corrispondono esattamente alla complessit) delle cose esistenti (cfr. GP buona metafisic a (it'i,Pref ./ AVI 6,57). Ai limiti della mente corrispondono due tipi di
VII, 561 e NE, Pref./A Vl 6,57) e impongono anzi una semplificazione del contenuto indefinibili: i semplici rispetto alla ragione, cioé le nozioni primitive, e i semplici rispetto
implicito nella percezione sensibile. Leibniz sottolinea inoltre che le nozioni di proprietá ai sensi, ol'vero le idee confuse, semplici in apparenza, ma composte da una massa di
piccole percezioni.
meccaniche come figura, grandezza e movimento <<non sono cosi distinte come ci s'im- - '{5 Sulle veritá miste cfr. MucN,r¡ 2001, pp. 81-8'l e, piü in gencrale' sulla conce-
magino>. Spingendo a fondo l'analisi, si trova infatti, che tali nozioni contengono aricora
elementi di confusione (cfr. GP I,392), che esse <<contengono qualcosa d'immaginario e zione leibniziana del rapporto fra principi a priorí ed esperienza nelle scienze, Posutt
di relativo alle nostre percezioni, come pure (benché assai di piü) il colore, il calore e al- 1981, pp. 135-115.
ao Vale tuttlvia la pena di ricordare che Leibniz' a certe condizioni, non manca
tre qualitá sensibili', (DM, S l2/GP ly,4J6). Cfr. in proposito Pi\stNI 1996, pp. 116-201.
La mente finita si muove dunque tra due limiti: da un lato non ha <<sensi abbastanza pe- di proporre il sensibile sresso come valida possibilitir di conoscenza: <Poiché invero non
netranti per decifrare le idee confuse, oppure abbastanza estesi per appercepírle tutter; ci é sempre dato trovare le ragioni a prioti di tutte le cose, siamo per ció stesso spinti ad
dall'altro ha si <tutte le idee distinte occorrenti per conoscere i corpi e gli spiriti, ma non aver fiducia nei sensi e nelle autorit) e massimamente anche nelle percezioni intime e
per conoscere in maniera soddisfacente i dettagli delle loro proprietá e azioni> (NE, nelle percezioni diverse conspíranti tra loro. Ci é data un'inclinazione lpropcnsio) n¿tu-
IV.tj:.2l/A VI 6, 189). Tale conoscenza é accessibile solo aila mente divin¿; tuttavia, so- rale a prestar fede ai sensi e a ritenere identiche le cose in cui non troviamo differenza E
stiene Leibniz, se noi non avessimo una conoscenza almeno confusa dell'infinitá racchiu- a credere a tutto ció che appare se non c'é ragione in contrario, altrimenti non faremmo
sa nelle cose non solo <<avremmo una nozione molto imperfett¿ della bellezza e grandez- mai nulla. Neile cose di fatto sono sufficientemente vere quelle <che> sono tanto certe
za dell'universo>>, ma non saremmo neppure in grado di avere <<una buona fisica> e una quanto le mie propríe riflessioni e percezioni>> rc,5Á/SL I, 121 )

L¡q
T

54 La belleua e la fabbrica del mondo Mente e rappresentazíone del tnondo 55

(per esempio) riguardo ai colori dell'arcobaleno e dei prismi. E tale distinzione, tracciata daLeibniz nel Discorso di metafisica, fra ció
metodo offre un awio di analisf> (iuí,IY.11i.L6/AVI6,382-353). che la nostra essenza e la nostra natura, rispettivamente, esprimo-
Lo scopo della descrizione scientifica sembra essere una con- no. L'essenza della sostanza, infatti, esprime ogni cosa, ma la sua
nessione dei fenomeni dei sensi <<proprio come le veritá intelligibili natura fa tutt'uno con la sua espressione distinta delle cose' la qua-
... richiedono>> (iui, IY.iv.5/AVI 6, 392), ossia una costruzione e le, sostiene Leibniz, appartiene ad essa in modo particolare e ne
un'interpretazione delle apparenze alfa luce della ragione, dove con costituisce Ia potenza (cfr. DM, S 16); ora, poiché questa espressio-
<<ragione>> Leibniz non intende la facoltá di ragionare, bensi .,la ne delle cose ha luogo secondo le leggí della natura' ne consegue
causa non solo del nostro giudizio, ma anche della veritá stessa>>, che ció che é piü proprio dello spirito é anche ció che é meno mar-
cioé <<quello che si chiama ragione a priori>> Guí,lY.xvii3/AVI6, cato dalla sua prospettiva individuale. Si pud presumere che le leg-
415). TaIe ragione, <<dal momento che ... consiste nel concatena- gi di natura siáno le leggi secondo le quali, nella scelta divina del-
mento delle verit), ha diritto - egli scrive - di collegare anche quel- lordine del mondo, si accordano le percezioni delle mentí o, me-
le fornitele dall'esperienza, pff ricavarne delle conclusioni miste>> glio, siano le leggi che determinano la corretta interpretazione -di
(7, Disc. Prel., S 1/GP \I[, 49). Come la maggior parte dei filosofi .l¿ .h" é espresso da ogni monade, le regole di traduzione della
moderni, anche Leibniz sembra peró assumere I'esistenza di note- prospettiva particolare che ognuna ha sull'universo nel contenuto
voli differenze qualitative tra il modo in cui il mondo appare all'e- comune a tutte, owero nell'immagine del sistema dei fenomeni che
sperienza sensibile immediata e il modo in cui é visto dalla scien- tutte possono chiamare reale.
zaa'-; dlfferenze dovute al fatto che la spiegazione sciendfica, in Quanto si legge ín un abbozzo di lettera a Rémond del 1711,
quanto rappresentazione distinta delle cose, configura un supera- e cioé che il mondo ha realtá <.dal consenso delle percezioni delle
mento del rapporto che ogni anima ha con il punto di vista da essa sostanze percettive>> (GP III, 623/SF III,142)1e, sembra conferma-
occupato nell'universo, essendo quest'ultimo definito in modo de- re quest'ípotesi. Se ne puó evincere che, come la convergenza delle
terminante dall'insieme delle sue percezioni confuse. menti, risultante da ció che é comune e attraversa i punti di vista, é
Ció non significa che la mente, quando si rappresenta le cose una sorta di emulazione dello sguardo divino, altrettanto l'immagi-
in modi che non possono entrare in una descrizione scientifica, si ne che ne risulta é paragonabile a quella vísta dall'occhio di Dio. In
rappresenta cose false o immaginarie+s. Forse si rappresenta oggetti tale convergenza, infatti, si realizza, per la mente, il passaggío da
almeno in parte diversi, nel senso che ció che appare ai sensi; pur una rappresentazione scenografica ad una icnografica50, cioé da un
esprimendolo, non é propriamente cid che accade nei corpi; cosi
come cid che compare nella descrizione sciendfica, pLrr spiegando e a" Tale consenso, spiega Leibniz, deriva <d¿ll'armonia prestabilita delle sostan-
supponendo I'oggetto fenomenico non coincide con esso; i sensi ze, perché ogni sostanza semplice é uno specchio del medesimo universo, altrettanto du-
rappresentano infatti qualcosa che in tale descrizione non sembra ."uol" altrettanto estes¿ di esso, benché tali percezioni delle creature non possano es-
"
sere distinte che a riguardo di poche cose per volta e benché síano diversificate dai rap-
poter entrare. Si puó congetturare che nella percezione, in quanto
porti o, per cosi dire, dai punti di vista degli specchi, ragion per cui uno stesso uniyerso
espressione, sia presente in modo confuso I'oggetto dell'immagine I moltiplicaro in un'infinirrl di modi da thrertenri specchi viventi. cilscuno rappresen-
metafisica del mondo e che la scienza, dal canto suo, dia un'imma- ta.,dos"lo a proprio modo. Si puó dunque dire che ogni sostanza semplice é un'immagi-
gine della realtá fenomenica, owero di cid che é reale nei fenomeni. ne dell,unirérso, ma ogni spirito é, in aggiunta un'immagine di Dio: ha infatti conoscen-
za non solo dei fatti e dei loro legami di esperienza, come le anime prive di ragione, le
Quest'ipotesi sembra trovare un riscontro terminologico nella quali non sono che empiriche, ma ha altresi conoscenze delh necessiti delle veritl eter-
n., .o.pr"nd..rdo le ragioni dei fani e imitando l'¿rchitettura di Dio> (GP IIl,6n/SF
{7 Cfr. Alr,rus 1991,226-227. il, 111i. Linvariante in ogni mente, dal quale deriv¡ Ia realtá dei fenomeni, sembra da-
{3 Benché solo le idee distinte consentano la definizione delle essenze, anche il to dall,intersezione dell'insieme di idee che rendono un'¿nima immagine di Dio con
sensibile-confuso puó essere considerato apparenza di reait): per Leibniz. infani, l'es- quello per cui essa é un'immagine dell'universo.
' io Scenografia e icnografia, owero disegno in scorcio o prospettiva e disegno_in
senz¿ di una cosir ü ció che.,fa emanare dal proprio fondo, le qualit) sensibili e <si fa
conoscere, almeno confusamente, attraverso di esse> (NE, IVvi.8/A VI 6, "105). pianra, rientravano per Vitruvio nelll dispositio (di Euá$eo¿q). la <categoria>' dell'archi- I

I
I

br I
56 La bellezza e la fabbrica del mondo Mente e rappresentúzione del mondo 57

modo di vedere che cambia a seconda dell'osservatore ad una rap- del dispiegamento delle sue <<pieghe>> (ib¡d.), cioé delle sue perce-
presentazione unica, secondo veritá: zioni. Secondo Leibniz questo svolgimento é possibile, anche se
non fino in fondotr, solo nel tempo, perché le pieghe dell'anima
La differcnza tral'apparenza dei corpi rispetro a noi e |'apparenza
<<vanno all'infinito>> (M, S 61lGP VI, 617), in quanto ogni sua per-
1sp9tt9 a Dio é, in qualche modo, quella che c'é tr^ scenografia ed icnogra- cezione distinta ..comprende un'infinitá di percezioni confuse, che
fia.lnfattile scenografie sono diverse a seconda della posizione dello sfet-
tatore, l'icnografia o rappresenrazione geometrica é unica; cosi Dio u"d-e le racchiudono tutto I'universo>> (PNG, S 1llGP VI, 604)t1.
cose esattamente secondo la veritá geometrica, sebbene sappia altresi in E itrt"t.ttuttte rilevate, di passaggio, la connessione che tale
qual modo ciascuna cosa appaia ad ogni soggetto e conte.rgu in sé eminen- possibilitá ha con la beatitudine. Leibniz ritiene infatti che I'anima
temente tutte le altre apparenze (GP II, 4iS/SF II, 81j-816).
B
abbia perfezione <<nella misura in cui ha percezioni distinte>> (ibid.),
owero passi a un grado superiore di perfezione, quanto piü perfet-
Nei Principi della rcatura e della grazia, fondati nella ragione la ta é la sua espressione (cfr. DM, S 15) e che a questi incrementi,
visione divina delle cose é resa da Leibniz attraverso un'immagine estensibili all'infinito, si accompagni uno stato di piacere. Ora, es-
familiare ail.a tradizione filosofica e teologica: sendolafeliciti <<un piacere durevole>r, cioé un piacere che non po-
Ogni anima - egli scrive - conosce I'infiníto, conosce tutto, ma confu- trebbe aver luogo <<senza una progressione continua verso nuovi
samente ... Dio solo ha una conoscenza distinta di tutto, essendone la fon- piacerb> (NE, Il.xxi.42/AVI6, 194), ne consegue che a rendere
te. É stato detto bene che egli é dovunque, quanto ul centro, menrre la sua possibile questo <<cammino attraverso i piaceril> é proprio l'infini-
circonferenza non é in nessun luogosl: dato che tutto gli é presente imme- rczza del mondo contenuto nell'anima. Il piacere che accompagna
diatamente, senza lonrananza al,cuna dal centro (PNG, S' I3/Gp VI, 604). il passaggio dell'anima a rappresentazioni piü distinte pud essere
considerato <<un passo e vn avanzare verso la felicitb, in un cam-
Se la conoscenza divina é I'ideale cui deve approssimarsi la mino in cui i piaceri piü pregevoli, owero i passi piü sicuri, <<si tro-
conoscenza del mondot2, se ne desume che la mente puó perse- vano nella conoscenza e nella produzione dell'ordine e dell'armo-
guido nella misura in cui la sua visione pud superar. il .urrtt.r. nia>> (iui,Il.xxi.36/AVI6, 1,94-195), cioé nel sapere e nella virtü,
scenografico che le é proprio, la dipendenza da una posizione, da forme apparenti di deindividualizzazione, alle quali corrisponde in
un punto di vista. L'avere un punto di vista é perd costitutivo del- realtá un farsi dell'anima ímmagine di Dio, un suo indiarsi, un sa-
la sua individualitá, la quale fa rutt'uno .on il tipo di immagine pere la propria individualitá come risultato di una <<veduta>> divina
del mondo espresso dalle sue percezioni. I-ideale della conosien- áell'universo <<da un certo luogo>>, che Dio ha trovato confacente
za distinta d in fondo l'ideale della piena traspatenza dell'anima, rendere effettiva (DM, S I4/GP IV, $9).

tettura rivolta alla <appropriata collocazione degli elementi in modo che l'insieme renda
un effetto di eleganza sul piano della qualitl>. Tre i tipi (iEéa¿) di disposizione: <<icno-
grafia (pianta), ortografia (.alzato), scenografia (disegno prospettico). I-icnografia é il di-
segno in pianta delle forme architettoniche . .. La scenografia ... é lo schízzo prospettico tr oOgni sostanza semplice racchiude I'universo mediante le sue percezioni
della facciata e dei lati, le cui linee sembrano fuggire, convergendo tutte rr"rso il-cenr.o confuse o sentimenti, e ... la successione di tali percezioni é regolata dalla natura parti-
del compasso, (Vrrnuvlo 1978, pp. 1.1-15). colare di queste sostanza, ma in una maniera che esprime Sempre tutta la natura univer-
tr Cfr. Plolrrur¡, Enn.Y, 1,2;YÍ, 5,5;yI,9,g.
sale ... É impossibile perd che l'anima possa conoscere distintamente tutta la propria
t2 Come si é visto, per Leibniz la conoscenza é uno dei modi in cui la mente di-
natura, e appercepire come faccia a formarsi questo numero innumerevole di piccole
venta ímmagine di Dio, owero realizza consapevoLnen¡e e al grado piü alto quel che percezioni, ammassate o Piuttosto concentrete insieme. Per poter fare ció, bisognerebbe
ogni sostanza in fondo é, se é vero che <<ogni sostanza porta in qualche maniera il carat- ih. .onor..rr" perfettamente tutto I'universo che vi é implicato, vale a dire che fosse
tere della saggezza infinira ... e, nella misura i¡ cui ne é suscettibile, l'imita. ció perché Dio> (l S 1oilcP VI, 356-)51) .
essa esprime, benché confus¿mente, tutto ció che accade nell'universo, passato, pi....rt. 5a Nei N¿roui i¿ggi, come si é visto, f immagine delle pieghe sembra avere un re-
o futuro, il che ha una certa somiglianza con una percezione o u.r, aono..a.rza infini¡e, ferente diverso: le pieghe sono nella tela che raffigura iI cervelio; I'anima, infatti, rappre-
(DM, S 9/GP IV, 131).
senta senza estensione (cfr. NE, Il.xii.17).
58 La bellezza e Ia fabbríca del tnondo Mente e rappresefttazione del mondo 59

4. Bellezza, ptmto di uista e uisione oggettíua della cittá rappresentata dive¡samente a seconda della posizione di
chi la guarda, dell'universo prospetticamente moltiplicato secondo
Nel paragrafo precedente si é visto che la mente finita puó
i punti di vista delle diverse monadi (cf.r. DM, S 9; M, S 57), o degli
praticare una forma di autotrascendenza grazie alla quale dispone
spettatori che ..credono di vedere la stessa cosa e si intendono in
di una duplice rappresentazione di uno stesso contenuto, or,'vero di
effetd a vicenda, benché ciascuno veda e parli solo secondo la mi-
un duplice punto di vista, per cui pud passare dall'esperienza sog-
sura della propria visuale>> (DM, SI4/GP IV,139-140), sono imma-
gettiva, dalle rappresentazioni che le sono proprie e la individuano
gini di queste differenze, cosi come la tesi secondo cui c'é sempre
come particolare veduta dell'universo , a \rna descrizione delle cose
un rapporto esatto tra la rappresenfazione e la cosa e, di conse-
che non risente di alcuna prospettiva particolare. Le anime razio-
guenza, fra le diverse rappresentazioni di una stessa cosa (cfr. T, S
nali sembrano capaci di ut{izzare le loro esperienze individuali per
357), offte un'indicazione del modo ín cui sono superabili.
costruire una descrizione oggettiva, una visione acenfrata del mon-
Tale tesi, almeno implicitamente, sembra supporre la disponi
dott nella quale possono convergere e alla luce della quale possono
bilitá di una concezione inclusiva dei vari punti di vista, quale é la vi-
spiegare perché ad esse le cose appaiono nel modo in cui appaiono
(cfr. NE, IV.vi.7). Si é argomentato che il mondo della conoscenza sione ícnografica divina, partecipabile almeno in parte anche dalle
menti finite, owero di una <<concezione assoluta della realtánt7, di
é in senso proprio il mondo che rimane invariato dai punti di vista
una descrizione di come il mondo oggettivamente é, nella quale rien-
di tutte le mentí particolari, il mondo che ognuna, quale che sia la
trino anche gli stati mentali come parti del mondo interagenti con il
sua situazione, pud arrivare a descrivere nello stesso modo delle al-
resto di esso. Si puó ritenere che per Lelbniz una mente finita possa
tre e puó perció considerare la rcaltá comune in cui é situata assie-
almeno approssimarsi a una concezione di questo tipo; la distinzione
me a esse.
che egli propone fra la facoltá di ragionare o di appercepire il legame
Si pud presumere che le anime razionali cerchino di uscire
delle verit) ela catena stessa delle veritá (cfr. I Disc. Prel. SS 63,
dal loro mondo privato, mosse dall'idea che le apparenze sono ma-
65), cioé la causa della veritá, che,.per eccellenza si chiama ragione>>,
nifestazioni di qualcos'altro. Nella prospettiva di Leibniz, si pud
owero <<ragione a priori>> (NE, IV.xvií.3/AW 6, 175), comporta in-
sostenere che tali anime hanno la nozione di apparcnza, perché di-
fami che il punto di vista di ogni mente possa entrare in due modi
spongono di veritá che non risultano mutevoli come i fenomeni
nei pensieri: come forma e come contenuto. I nostri pensieri, in altri
che percepiscono; a partire da queste veritá esse si formano l'idea
termini, sembrano poter avere un contenuto del tutto indipendente
che il mondo é in un certo modo e che le cose percepite, per quan-
dalla forma particolare che esso assume per risultarci accessibile e
to diversamente percepite da ognuna o da ciascuna in tempi diver-
appunto per questo, ossia perché il contenuto di alcuni pensíeri tra-
si, possono essere le stesse e questa realtá che permane esse cerca-
siende la forma che essi prendono nella nostra mente5S, siamo in
no di ricostruire. B. Williams ha osservato che l'idea di una realtá
grado di giudicare le apparenze, le esperienze individuali, e di usarle
esistente indipendentemente dall'esperienza che ne abbiamo, é in-
come dati per la costruzione di una concezione oggettiva.
tessuta nell'idea stessa che la conoscenza sia conoscenza di ció che
Per Leibniz questa possibilitá é fondata nella continuitá esi-
comunque c'¿56. Da tale idea consegue che, se la rappresenfazione
stente fra ragione divina e ragione umana. Dio é profondamente
del mondo (o di una parte di esso) propria di una mente pud diffe-
implicato nel fatto che le menti finite possano disporre di una vi-
rire da quella di altre menti, deve esserci un qualche modo coeren-
sione oggettiva, perché le ragioni delle veritá sono idee del suo in-
te per comprendere le ragioni di questa differenza e insíeme la cor-
telletto, il quale é dunque la ragione in senso propriote, e I'uomo
relazione delle diverse rappresentazioni. Le immagini leibniziane

5t Riprendo l'espressione di N,rc;el 1988, p. 78. t7 IJespressione é di \X/tlll'uts 1990, p. 65.


t('Cfr. per la discussione di quest'idea rü7tll-l,rtts 1990, pp. 6-1-67 e Morxl ts N,\( jr-L 1988, p. 125.
1987, dove l'idea é confrontata con quella di punto di vista. i!' .<Se non ci fosse un Dio, - scrive Leibniz - non solo non vi sarebbe nulla di
60 La belleua e la fabbrica del mondo Mente e rappresefttazione del mondo 6l

pud elaborare una concezione assoluta della realtá solo in quanto la distinzione fra rcaltd e e, combinandosi con I'idea di co-
sua ragione, il lume naturale, é una porzione di quella divina. Leib- ^pparenza
me il mondo é in se stesso, la distinzione fra immagine fenomenica,
niz considera inf.atti la ragione un .<dono di Dio> (7, Disc. Prel. S scientifica e metafisica delle cose.
39/GPVI,73), cioé un modo in cui Dio si comunica all'uomo;for- Tale distinzione non implica, per Leibniz, che la rappresenta-
se si puó dire che la ragione é I'aspetto per cui egli fa dell'uomo zione soggettiva, fenomenica, del mondo sia priva di relazione con
una sua immagine con riguardo alle idee contenute nel suo intellet- 7a realtá62, bensi che essa ha caratteristiche peculiari a noi e dunque
to (cfr. DM S 28)60. La partecipazione a17a ragione divina costitui- che il mondo come é realmente differisce da come appare da un
sce percid la base a partire dalla quale I'anima razionale puó elabo- punto di vista. Il contrasto in questione non implica neppure che i
rare la distinzione f¡a il mondo come é e come appare, owero por- fatti sensoriali, in quanto non riflessi nei concetti scientifici (i colo-
re una descrizione del mondo ulteriore rispetto a quella suggerita ri, ad esempio, scompaiono molto presto dalle spiegazioni), siano
dalle percezioni sensibili di oggetti, distinguere le apparenze, i fe- illusori; al contrario essi esistono, sono qualcosa nel mondo e sono
nomeni ben fondati e le vere sostanze. un oggetto dello sguardo icnografico di Dio. Non sembra tuttavia
A questo proposito risulta assai signific ativa giá la distinzione, possibile disporre in un corctinuum la rappresentazione fenomenica
nell'ambito del fenomenico, tra qualitá primarie e secondarie; in- della realtá, quella scientifica e quella metafisica: I'una nasconde fe-
fatti, benché le cose ci appaiano con qualitá come i colori, gli odo- nomeni e proprietá che compaiono nelle alue e viceversa6l.
ri, i sapori ecc., tuttavia riconosciamo di poter spiegare queste ap- Ora, la varietá dei modi in cui la mente pud rappresentarsi il
parenze senza attribuire intrinseche proprietá di colore o sapore mondo non ¿ priva di conseguenze per la concezione delle pro-
agli oggetti e di poterle spiegare mediante proprietá, come la forma prietá delle cose che entrano nella rappresentazione e dunque an-
ad esempio, canttetizzate dal fatto di entrare nella spiegazione del- che per la concezione della bellezza; questo é almeno quanto si ¿
la variabilitá della loro apparenza, mentre proprio la variabilitá del- ipotizzato nell'introduzione e alf inizio di questo capitolo. Gravida
le apparenze rendeva implausibile I'attribuzione agli oggetti di in- di conseguenze sembra essere in particolare la distinzione fra il
trinseche proprietá di colore e sapore. Riconoscere che una visione mondo come appare e il mondo come é in sé, owero come ¿ de-
del mondo basata sulle nostre percezioni di oggetti non é in grado scritto nella concezione assoluta della realtá. Secondo quanto si ¿
di includere e spiegare se stessa, cioé di spiegare perché le cose ci detto, in tale concezione il mondo viene spiegato nei termini di
appaiono come ci appaiono, mentre questo sembra invece possíbi- proprietá comprensibili senza ¡iferimenti essenziali ai loro effetti su
le basandosi sulla forma e su altre qualitá61, che non sono solo esseri senzienti come gli uomini. Ne consegue che, se \a belfezza
aspetti del mondo ma possono anche essere usate per spiegare l'ap- non dovesse risultare una proprietá di questo tipo, la si dovrebbe
parcnza del mondo, é molto imporrante, perché rende possibile la escludere dall'arredo base o dalla <fabbrica>>, dalla struttura del
mondo? La domanda é cruciale perché, per Leibniz, I'esperienza
realmente esistente, ma nulla sarebbe nemmeno possibile e quindi il vero e il bene insie-
me sarebbero annullati. Si pud perció dire che tl uaro é ció che conviene con l'intelletro di valore estetico é connessa a un sentimento di piacere in un mo-
di Dio, in quanto essere origínario, e i\ bcne ció che conviene con la sua volonti> (GP do che la au¿icina alJ.a percezione delle qualitá secondarie e sembra
VIII, 111 cit. in Porrr¡ 1995, p.75).
t'{) Cfr. Ptlt't,r 1995, p.78. L'importanza fondamentale che questa concezione ha
fare della bellezza una proprietá soggettiva, cioé un tipo di pro-
per la conoscenza, si coglie ricordando che nella prospettiva leibniziana Ia veriti é fon-
prietá di cui non é disponibile una concezione adeguata di che cosa
data nel legame delle idee e da ultimo nell'intelletro divino, senza del quale le veritá, es- significhi per un oggetto possederla, eccetto in termini di come le
sendo anteriori alle esistenze degli esseri contingenti, non sarebbero. L'intelletto divino,
scrive Leibniz, <<é Ia regione delle veriti ererne, come ha riconosciuto sant'Agostino>>, le 62 Egli ritiene anzi che parte della perfezione e della bellezza del mondo sia data
quali <<contengono la ragione determinante e il principio regolativo delle esistenze stesse proprio dal suo infinito moltiplicarsi attraverso gli osservatori (cfr. DM, 5 9).
e, in una parola, le leggi dell'universo> (NE, IVxi.1.1/A VI, ó, 1.17). Averne parte é dun- ('r ..Con gii occhi dell'intelletto scrive Leibniz - possiamo collocarci in un
que essenziale, per poter conoscere la realti.
-
('r Cfr. N,rcDL 1988, pp. 9J-9-1r \X/nlr,rlrs 1990, pp. B6-216. punto di visra che gli occhi del corpo non occupano e non possono occupare>> (cit. in
Rurrmru,ono 199"1, p. 90).
'j-

62 La belleua e Ia fabbrica del mc¡ndo Mente e rappresentazione del mondo 6)

cose, nelle circostanze appropriate, appaiono a un soggetto. non per la seguente ragione formale: che Dio le ha fatte. Perché se cid fos-
In termini generali, la questione puó essere cosi formulata: se se, Dio, sapendo di esserne I'autore, non avrebbe motivo di guardarle suc-
non possiamo costruire una concezione del bello (o, in generale, del cessivamente e trovarle buone, come testimonia la Sacra Scrittura, la quale
valore estetico) separata dall'esperienza del modo in cuí certi ogget- non pare servirsi di tale antropomorfismo se non per mostrarci come la lo-
ti appaiono, owero selabell,ezza risulta esse¡e una proprietá non ro eccellenza si riconosca a guardarle in se stesse, persino senza riflettere
affatto sulla nuda denominazione esteriore che le mette in rapporto con la
concepibile indipendentemente dalla risposta sensoriale a essa, ci é
loro causa. Il che é tanto piü vero, in quanto proprio dalla considerazione
per ció stesso impedito di supporre che <<si trovi>> nel mondoóa?
delle opere se ne puó scoprire l'artefice: bisogna dunque che tali opere
Nel prossimo capitolo cercherd di mostrare che per Leibniz portino in se stesse il suo carattere. Confesso che I'opinione contraria mi
la risposta soggettiva puó riferirsi a qualcosa che puó darsi in ogni pare estremamente pericolosa e molto vicina a quella dei piü recenti inno-
caso, é cioé una sorta di suscettibilitá a un tipo di stato di cose nel vatori, i quali ritengono che la bellezza dell'universo e la bontá che attri-
mondo. Come si vedrá, egli considera il piacere estetico una forma buiamo alle opere di Dio non siano se non chimere degli uomini, i quali
di consapevolezza percettiva di proprietá genuinamente possedute concepiscono Dio simile a loro. Cosi, sostenendo che le cose non sono
dagli oggetti; proprietá che, almeno in prima isfanza, si possono buone per una regola di bontá, ma per la sola volont) di Dio, si distrugge
definire fenomeniche nel senso che non sono adeguatamente con- senza farci caso, mi sembra, tutto l'amore di Dio e tutta la sua gloria (DM,

cepibili se non in termini di come gli oggetti che le possiedono ap- s 2/GP IV, 127 -128).
paiono, ovvero nei termini dell'appropriata modificazione della La polemica é con campioni della concezione assoluta come
sensibilitá umana. Cartesio e Spinoza; nei loro confronti Leibniz sottolinea in partico-
Per Leibniz la concezione assoluta della realtá implica il supe- lare due conseguenze della negazione che labellezza sia una pro-
ramento del punto di vista da cui una certa gamma di concetti sog- prietá reale, una qualitá strutturale del mondo, e cioé I'impossibi-
gettivi sembra richiesta per descrivere le cose; egli non ne trae perd litá, che ne deriva, di attribuirla al creatore e la distruzione dell'a-
la conseguenza che tale concezione, a motivo del suo potere espli- more di Dio, della sua gloria in quanto coincidente con il bene co-
cativo anche dei punti dí vista che trascende, possa legittimamente mune (cfr. T, Ptef ./GP VI, 27)66. Per contro egli sostiene invece,
pretendere, per cosi dire, al monopolio del reale, espellendo dalla che la bellezza é una forma di manifestazione dell'amore di Dio,
struttura del mondo quanto non rientra in essa. Emblematico é il quale si esprime nella particolare struttura assegnata al mondo:
fatto che proprio al portatore ideale della concezione assoluta, cioé
Lordine, le proporzioni, I'armonia ci jncantano, pittura e musica ne
a Dio, egli attribuisca anche una risposta estetica, <<soggettiva>>, alla
sono dei saggi: Dio é tutto ordine, conserva sempre Ia giustezza delle pro-
visione del mondo6t, quasi a segnalare, nella figura antropologica
porzioni, fa I'armonia universale; tutta la belfezza é una diffusione dei suoi
del Dio che si compiace della sua opera, la difficoltá di separare, raggi Qbid.).
come esigerebbe la concezione assoluta, le proprietá soggettive da-
gli oggetti, tenendo fermo ruttavia il pensiero che esse figurano nel- Quanto labelfezza sia intessuta nell'ontologia leibniziana, lo
la nostra esperienza: lascia intendere la consonanza che egli afferma fra una passo del
Fedone e il suo pensiero Gft. DM, S 20); il passo, nella traduzione
Sono ... molto lontano - scrive Leibniz - dalJ.a posizione di chi so- un po' libera di Leibniz stesso, si conclude con I'affermazione che
stiene che non c'é alcuna regola di bontá e di perfezione nella natura delle
<.é la potenza divina a disporre tutto nel modo migliore>> e ..sono il
cose, o nelle idee che ne ha Dio, e che le opere di Dio non sono buone se
bene e il bello ció che lega, forma e tiene ínsieme il mondo> (GP
vrr,T6)6i.
6a Cfr, per una stimolanre discussione della quesrione, McDclu'ell 1998, pp.
t12-t50. 66 Cfr. Mtc;NtNt 1985, pp. lD-I21.
6t Come si vedri, la suprema bellezzt é per Leibníz <l'armonia universale>, la (;i Il passo in questione éFednnc,97 b-99 c; cfr. anche GP1,)2'31; GP III' tl
quale é l'unica <<della cui esistenza Dio gioisca assolutamente>> (CPh, 56 e 60/28 e ) l). 55 e Fdc,78-80.

I
I
La belleua e la fabbrica del mondo
Mente e rappresentazione del mondo 65
64

Tuttavia non é solo per il caso limite dello sguardo divino, fatto che quello che dí volta in volta si presenta alla mente sia un
che qualcosa che é semplicemente <<lá>> puó nondimeno avere un oggetto diverso. Di conseguenza si puó presumere che un'eventua-
valore estetico, cioé proprietá che non semb¡ano concepibili indi- le proprietá estetica, rilevabile in un oggetto a un livello rappresen-
pendentemente dalla nostra sensibilitá; secondo Leibniz anche la tativo, si ritrovi anche nel suo corrispondente a un livello teorico
mente tinita pud ar,wicinarsi alla comprensione della natura oggetti- diverso, ma qualitativamente mutata. In effetti é questo che sembra
va di questo valore. Poche righe prima di quelle dedicate alla criti- accadere per Leibniz e cioé che quella che appare come la belJezza
ca dei <piü recenti innovatori>>, quasi a commento dell'affermazio- di un fenomeno, emerga poi come belTezza delle leggi o delle rela-
ne che Dio agisce nel modo piü perfetto, egli aveva significativa- zioni che conferiscono al fenomeno la sua specifica unitá e com-
mente osservato: prensibilitá, owero proprio i caratteri che lo rendono piacevole, e
infine come bellezza dell'ordine generale del mondo, al quale quel-
Cid si puó esprimere a nostro riguardo cosi: piü si sará resi edomi e le leggi sono subordinate, mostrando cosi di essere esse stesse una
informati delle opere di Dio, piü si sará disposti a trovarle eccellenti e pie- conseguenza dell,abe.llezza per cui questo mondo piace a Dio piü
namente soddisfacenti per tutto quanto si possa desiderare (DM, S l/GP di ogni altro.
ry,127). Modi diversi di descrivere il mondo mettono dunque in evi-
I-approfondimento della conoscenza, i. passaggio dal punto denza oggetti diversi; dati che compaiono a un livello scompaiono
di vista soggettivo alla concezione assoluta, lungi dal dissolvere in altri; questo ¿ parte del gioco del teatro leibniziano, in cui uno
sembra invece aprire I'accesso, e dunque consolidarelo status on- stesso oggetto puó essere rappresentato non solo diversamente dal-
tologico, di proprietá come il valore estetico e la bontá morale, che, le menti, ma anche in modi diversi, cioé facendo uso di nozioni di-
a prima vita, sembrano avere un'intrinseca relazione interna con verse. In questo gioco é presa anche labellezza, senza che ció ne
I'attivitá della sensibilitá umana. Si tratterá di vedere se la proprietá determini la riduzione a mera proprietá soggettiva; nei capitoli che
conservi, in questo passaggio, la stessa forma. Questo é infatti il seguono cercherd di ricostruire I'impianto teorico che consente a
problema che si pone, se si collegano queste considerazioni aif in- Lelbniz di evitare questa conclusione, benché labelfezza si presen-
dividuazione dei diversi livelli conoscitivi (quello sensibile, quello ti, almeno a livello dell'esperienza sensibile, come legata al modo in
delle scienze fisíche e quello metafisico) u .,-ri ri cosrruisce lá rap- cui gli oggetti appaiono e sembri avere uno status ontologico simile
presentazione mentale del mondo. Si pud congetturare che i reso- a quello delle qualitá secondarie. Questo sar) in particolare il tema
conti del bello, ricavabili dagli scritti leibniziani, corrispondano del prossimo capitolo, a conclusione del quale verrá discusso lo
tendenzialmente l'uno alla rappresentazione del mondo quale ci specifico problema di riduzione, owero di mutamento nell'oggetto
appare, alf immagine fenomenica che ne abbiamo, l'altro all'imma- della mente, che si pone quando dal piano delle idee sensibili si
gine che di esso offre la metafisica. Se tra I'uno e I'altro possa inse- passa a quello dei concetti dell'intelletto. E il primo, cruciale cam-
rirsi una possibile descrizione scien¡ifica del fenomeno é dubbio. bio di scena nel teatro di Lerbniz; nel terzo capitolo si vedrá poi
Come si vedrá, tra i vari livelli rappresentativi sembrano es- quale forma I'analisi dellabellezza assume, quando viene elaborata
serci rapporti di corrispondenza espressiva6s; il rapporto di espres- secondo il lessico della metafisica.
sione non é peró un rapporto di identitá; la conservazione delle re-
lazioni tra le parti, richiesta dall'espressione, é compatibile con il

6s <<I movimenti sviiuppati nei corpi sono concentrati <nell'anima> mediante


la rappresentazione, come in un mondo ideale, che espríme le leggi del mondo attuale
e le loro conseguenze, con questa differenza, rispetto al mondo ideale perfetto che é in
Dío: che la maggior parte delle percezioni, negli altri, non sono che confuse.> (l', S
403/GP Vl,)56).

h*!
Capitolo Secondo
PIACERE, BELLEZZAE QUALITA SENSIBILI

Sommario

I.Bellezzae piacere. -2.Idee confuse e qualitá sensibili. -


l. Indicalitá, natura della mente e qualitá sensibili. -
4. Riduzionismo leibniziano?
Nel capitolo precedente si é visto come Leibniz riconosca di-
verse modalitá di rappresentazione del mondo, tutte ugualmente
legittime, in quanto in tutte si conserva un rapporto espressivo con
la cosa rappresentata, secondo quella che é la natura propria della
mente. Formate sulla base del continuum percetlivo costitutivo del-
lattta dell'anima, tali modalitá di rappresenÍazione sembrano tut-
aviaftaloro irriducibili, in quanto differenti per origine, condizio-
ni d'uso e contenuto. C'é un salto fra la rappresentazione ordinaria
del mondo, costruita soprattutto sulla base delle nozioni prove-
nienti dalla sensazione, e quella scientifica, cosi come c'é fra questa
e la rappresentazione metafisica, la quale, dai fenomeni ben fonda-
ti, pretende di spingersi fino alle realtá da cui questi risultano.
Poiché a questi salti sembra corrispondere uno smarcamento
sempre piü pronunciato della mente dal suo punto di vista in dite-
zione di una visione oggettiva delle cose, idealmente regolata su
quella divina, si pone il problema dello status delle proprietá che
sembrano avere una relazione intrinseca al modo in cui gli oggettí
appaiono, all'effetto che essi fanno su esseri senzienti come gli uo-
mini. Il problema riguarda direttamente la bellezza, perché, lo si
vedrá subito, essa é definita daLeibniz in rapporto a un tipo di ri-
sposta soggettiva come il piacere; dato che egli non sembra uttavia
ridurla a una proiezione sul mondo di proprietá dei nostri stati psi-
chici, si tratta di capire come possa considerarla dipendente dall'e-
sperienza del modo in cui gli oggetti appaiono e insieme ritenerla
una proprietá di oggetti e non della nostra esperienza. Come essa
sia nel mondo non é semplice dirlo, cosi come non é semplice pre-
cisare la relazione fra i diversi resoconti che sembra possibile. darne
a seconda della modalitá di rappresentazione del mondo. E un'i-
dentica proprietá quella che viene percepita sensibilmente ed ana-
Ezzata metafisicamente a un livello piuttosto astratto anche se piü
fondamentale? E in che rapporto sta il piacere che connota l'espe-

E.
70 La belleua e la fabbrica del mondo Piacere, belleua e qualiti sensibilt 7T

úenza di certi oggetti con eventi che hanno luogo a livello fisico? sua volta un dato del quale non si hanno caratterisdche enunciabili,
Come si concilia la storia che la fisica ci racconta con quanto appa- benché sia forse spiegabile.
re ai sensi? Il passo seguente, nel quale compare un caso emblematico di
In questo capitolo e nel successivo, cercherd di dire qualco- piacere estetico, é abbastanza esplicito circa il tipo di situazíone
sa su quella che in proposito mi pare essere la posizione di Leib che Leibniz ha in mente; esso mostra che il filosofo pensa alla pos-
niz, partendo dal dato che egli assume come rivelativo del bello: sibilitá di ricondurre il piacere ai suoi requisiti, cioé a un fonda-
il piacere. mento reale anche se per noi impercettibile:
Il piacere é la sensazione di una perfezione o eccellenza che é in noi
l. Bellezza e piacere o in qualcos'altro ... Infatti, I'immagine di una perfezione esterna impressa
in noi, fa si che anche qualcosa di essa venga trasferita o suscitata in noi
Bello, scrive Leibniz, portandosi apparentemente sul piano stessi ... Non sempre si nota in che risegga la perfezione delle cose grade-
dell'esperienza piú comunel, é cid che é <<dilettoso a chi lo percepi- voli o di quale perfezione ci producano I'effetto, quando sono percepite
sce>>, <<ció che é piacevole a contemplarsil> (A VI 1, 464-465/5P,94- dal nostro animo (gemütá) e non dal nostro intelletto. Comunemente si di-
95). In reakála definizione é piü intrigante di quanto a prima vista ce: é un non so che, che mi piace nella cosa e lo si chiama simpatia, ma co-
sembri: per il suo contenuto, perché per Leibniz il piacere é <<un loro che cercano le cause delle cose ne trovano spesso il fondamento e ri-
sentimento (sensum) di perfezione>> (C, 5I7; cft. anche Gq 1llP, tengono che in esso vi sia qualcosa, per noi impercettibile ma che nondi-
97), anzi consiste <<nella percezione della perfezione> (GP VII, meno c'¿ nella realtá. La musica ne dá un bell'esempio. Tutto cid che pro-
29I/SF 8I,230), dal che consegue che la percezione del bello, es- duce un suono ha in sé una vibrazione ... dunque ... produce colpi imper-
sendo piacevole, é una forma di percezione della perfezione2. Ma la cettibili che, se si producono senza confusione ma secondo un ordine e se
si riuniscono in certi intervalli, sono gradevoli (GP VII, 86/SF BII,75L).
definizione é intrigante anche per la sua natura; definire il bello at-
traverso il piacere, cioé attraverso un dato di cui non si dá una defi- Come si vede, Leibniz ribadisce che ogni piacere pud essere
nizione nominalel, significa infatd ricondurne la comprensione al- interpretato come sensazione, percezione simpatetica di una perfe-
I'esperienza, analogamente a quanto accade, come si vedrá, per i zione, di un ordine; egli sembra tuttavia stabilire una d1ffercnza fra
termini di colore, oppure a un'eventuale spiegazione causale. In al- la percezione delle cose gradevoli da parte dell'animo e quella che
tri termini, sembra che, come accade per il colore, che cosa sia il awiene invece a opera dell'intelletto, considerando che, nel primo
piacere, e dunque il bello, lo si apprenda <<per la mera testimonian- caso, puó non essere notato, cioé colto consapevolmente, o I'aspet-
za deí sensil> (GP lV, 122/SF I, 253; cfr. anche C, 432/SL I, 138- to per cui la cosa piacevole risulta perfetta, oppure il tipo di perfe-
139); oppure risolvendo la nozione attraverso una spiegazione di ti- zione che essa evoca. Interessante é che la registrazione di questo
po causale. Essendo connessa a una forma di piacere - il piacere deficit conoscitivo sia seguita dall'affermazione, che una ricerca
generato dalla contemplazione di un oggetto - la bellezza appare a delle cause puó chiarire cid che l'animo non percepisce. Su questa
eventualitá, che richiama I'analisi delle idee sensibili secondo il me-
I Cfr. A VI 1,481/5P,10.1: <popolarmente bello significa ció che é piacevole a todo seguito dalle scienze empiriche, si torner) piü avanti; per ora
vedersi>>.
2 Stabilendo una correlazione fra i.l concetto di perfezione e quello di armonia, fermiamoci sul contenuto delle príme righe del passo.
Leibniz puó presentare il piacere anche come sensazione dell'armonia kfn CP,32-11D, La canlterizzazione del piacere come sentimento, sensazione
1l-14). Nel prossimo capitolo vedremo tutta l'importanza di queste connessioni. di una perfezione, é piuttosto importante, perché riconosce nel pia-
r Il piacere, scrive Leibniz, non puó <piü della luce o del calore>>, ricevere una
cere uno stato di tipo cognitivo. In quanto sensazione esso é infatti
definizione nominale, ma, come la luce e il calore, <<ne pud ricevere .. una causale> (NE,
<<una percezione accompagnat^ da memoria> (PNG, S 4/GP VI,
II.xxi..16lA VI 6, 191). Come si é ricordato, la differenza tra queste due definizioni sta
nel fatto che la definizione reale fa vedere la possibilitá del definito, quella nominale no 599), cioé una percezione cosciente (cfr. NE, II.xxí.46) in qualche
(cfr NE, III.iii.15 e 18). modo retrospettiva kfr. iui,Il.xxvii.ll). Lo si pud pensare come

b{
72 La belleua e Ia fabbrica del rnorcdo Piacere, bellezza e qnalit¿ sensibili 73

una sorta di eco di precedenti stati percettivi sufficientemente di- nel dire bello ció che é <<dilettoso a chi lo percepisce>>' non ci si ri-
stinti per essere appercepiti, come un loro sviluppo, intenzionante ferisce immediatamente all'anima, bensi, intenzionalmente, all'e-
o lo stesso contenuto, oppure un contenuto piü distintoa; questo semplificazione di una ProPried?
perché il piacere é connesso al passaggío dell'anima a stati percetti- Il piacere appare da un lato, per come é definito, introspetti-
vi piü distinti (cft. DM, S 15). Secondo Leibniz, infatti, l'anima non vo, ow;ro come un'espenenza percettiva in cui I'anima é rivolta a
solo conosce le cose di cui ha percezione <<nella misura in cui ne ha se stessa, dall'altro, invece, come un'esperienza fornita di un conte-
percezioni distinte e affinate>r, ma <<é perfetta in proporzione alle nuto rappresentativo, ossia un'esp etienza specificabile in _riferi-
sue percezioni distinte>> (PNG, S lllcP VI, 60,{). Poiché il piacere mento al-mondo esterno. Leibniz sembra spiegare questa doppia
é un sentimento di perfezione, se ne evince che un sentimento di direzione del piacere con I'ipotesi, adombrata nel passo citato, di
piacere accompagnerá sempre il passaggio dell'anima a srati percet- urra sorra di trasferimento in viftü del quale la perfezione, da aflri-
tivi piü distinti rispetto a quelli in cui si trovava; e inoltre che il bel- buto di ció che é percepito, puó diventare atüibuto dell'anima che
lo, in quanto píacere derivante dalla contemplazione di un oggerto, percepisce. Adottándo un lessico non del tutto compatibile con la
deve essere direttamente riferito allo svolgimento degli stati percer- ,r.guriot delf interazione anima-corpo, egli sembra pensare--che,
tivi di una mente nel senso della distinzione. E comparibile quesr'i- gr;ie "
all'eco dell'impressione nella memoria, la perfezione dell'og-
potesi esplicativa, rispondente alla considerazione della cosa <<se- !.tro u"rrgu trasferita o suscitata nell'anima e che la consapevolezza
condo un certo rigore metafisico>>, per la quale l'origine del piacere áella perfezione, che sorge da questo <<trasferimento>>, diventi, per
é <<nell'anima stessa>> (NE, Ilxxi, 12/AVI6, I95)t, con il fatto che, I'anima, un'esperienza della propria perfezione' Cid si pud intende-
re, considerando che la perfezione, e con essa' come si vedrá, I'ar-
a Come é noto, per Leibniz <ogni stato presente di una sostanza semplice é na-
monia, si realizzano in strutture unificanti un molteplice, owero in
turaLmente una conseguenza del suo stato precedente... una percezione non puó deri-
vare naturalmente che da un'altra percezione> (M, SS 22-23/GP VI, 610). strutture che, dando ordine alle cose, ne facilitano la pensabilitá di-
t A Filaiete, il quale rilevava che.<quando conveniamo che il corpo produce il stinta e pefianto il passaggio dell'anima a un grado- maggiore di
piacere e il doiore, or,wero I'idea di un colore o di un suono, sembra che siamo obbligati perfezione. Se, dunque, la rappresentazione della perfezione ¿ pure
ad abbandonare la nostra ragione e ad andare al di li delle nosrre idee, e ad attribuire
una tale produzione al solo bcncplacito del nostro Crearore>>, Teofilo risponde: <Vi diró,
una perfezione (cfr. Gr,582)6, si pud affermare che l'esperienza
come giustamente vi aspettate, che la materia non potrebbe produrre piacere, dolore o della perfezione in un oggetto é il <veicolo>> principale dell'espe-
sensazioni in noi. E l'anima che se li produce da sé, conformemente a quanto accade
nella materia ... Ora, posto ció, non awiene níenre di inintelligibile, eccetto che non po- po in ogni circostanza, né derivato, cioé posseduto dal corpo in circostanze specifiche in
tremmo distinguere tutto quello che entra nelle nostre percezioni confuse che implicano .ongi,-riríon. con altre cause. Sul piano epistemico, il ricorso a questo terzo tipo di po-
anche l'infinito, e che sono espressioni dei minimi particolari dí quanto si verifica nei ,.rápprr. Iegittimo, perché una cosa é dire che la percezione di un colore o di un odo-
corpi ...> (NE. IV.iii.6/A VI ó, r81). Lo scambio di battute é interessanre, perché docu- ,. .irultu da poteri posseduti dai <<corpuscoli>> materiali (cft. iui,lY.11i.25), un'altra rite-
menta il modo diverso in cui Locke e Leibniz affrontano il problema dell'interazione nere che il modo in cui ció awiene sia spiegabile. come i corpi producano piacere o do-
causale fra corpi e menti. Locke é in evidente'tmbarazzo, perché sembra che I'illustra- lore e le idee di qualitá secondarie, secondo Locke é anzi inconcepiblle (cft. iui,
zione del modo in cui i corpi producono le sensazioni di piacere e dolore o le idee delle N.iii.2g), ed é appunto perché egli considera tali idee "effetti prodotti per istituto di un
qualit) secondarie trascenda lo schema esplicativo causale. Presumibilmente ció accade Agenteinfinitamentes"ggio, Qbid.),chepuóintrodurrel'ideadiunpoteredefinitonei
per l'implicita assunzione che gli eventi mentali ín questione non siano di natura corpo- teimini delle condizioni in cui, ció che lo possiede, lo manifesterá, senza tuttavia che
rea, o\,'vero che la mente sia una sostanza immateríale; con I'immaterialí¡á della mente qualcosa spieghí perché esso é attualizzato in certe circostanze piuttosto che i¡ ¿ltre.
viene infatti a mancere la soliditá necessaria per la collisione e f impulso, ríchiestí dal óu.rto ¿ iof"iri ,it.ib,rito <alla volontá arbitraria e al buon piacere del Saggio Architet-
modello di meccanicismo adott¿to da Locke. Egli si trova cosi a riconoscere che i corpi ti, (¡r¡,IV.l¡i.29). Ben diversa la posizione di Leibniz, il quale non si limita a-co_nsidera-
producono effetti come il piacere e il dolore o la percezione di colori, e insieme che re inconcepibile la causalitl mente-corpo, come in genere l'interazione causale fra le so-
niente spiega perché questi loro poteri siano uniti alle qualitá primarie nella sressa so- stanze cre;te, ma riesce a proporre una versione piü perspicua del meccanicismo, impli
stanza, in quanto, se le menti sono immateriali, non é possibile che le loro operazioni si cante la negazione di leggi causali psicofisiche. Cfr. Bn¡No'l' BoLTC)N, 1998'
combinino con quelle meccaniche. Con ció sembra inrrodursi nell'ontologia meccanici- 6 i.Il piac".. é <una conoscenza o> [Un] sentimento del<la> perfezione [o or-
sta un tipo di potere - cioé di effettiva causalitá, dato che il potere é la fonte da cui pro- dine] non soloin noi, ma anche in altri, poiché allora si suscita ancora qualche perfezio-
cede l'azione (cfr. E, II.xxii. I 1 ) - che non risulta né originario, ossia manifestato dal cor- ne <in noi>>> (Gr,519).
74 La bellezza e la fabbríca del mondo Piacere, bellezza e qualiti sensibili 75

ríenza della perfezione nell'anima, owero é per I'anima un'espe- alrisensi causano, metteranno capo a qualcosa di simile, benché non pos-
úenza delfa sua stessa perfezione e percid una fonte di piacereT. siamo spiegarlo cosi distintamente (PNG, S 17lGP VI, 605-606)10.
Questa sembra la chiave del diletto proveniente dalla con- Il comune amatore per lo piü non ¿ in grado di notare in che
templazione, cioé del bello, dato il legame posto da Lelbniz f.ra or-
cosa consistala perfezione del brano che ascolta, cosi come non ¿
dine, pensabilitá distinta e beTlezza (cfr. GP VII, 290/SF BI, 229-
in grado di decifrare la segreta matematica di una veduta prospetti-
2)0); legame che conferma la connessione di quest'ultima-allo svi-
ca o della facciat"a di un edificio; per Leibniz, tuttavia, come si é vi-
luppo della vita mentale nel senso della disdnzione crescente delle
sto, <<coloro che cercano le cause delle cose>> spesso trovano il fon-
rappresentazioni. Il bello, si potrebbe dire, é piacevole a contem-
plarsi, perché la sua rappresentazione é per l'anima stessa una per- damento di ció che piace in qualcosa <<per noi impercettibile ma
che nondimeno c'¿ nella realtb> (GP VII, 86/SF RII,75I).
fezione; ovvero: nel piacere per il bello, in quanto piacere per cid
che presenta armonia, ordine, conformitá a regole, I'anima si com-
Il punto é complesso e cruciale; Leibniz non sembra sempli-
piace anche di sé.
cement; rivendicare un fondamento oggettivo della belfezza della
musica, bensi affermare, piü in generale, la riconducibilitá dei pía-
Quanto detto vale tuttavia in termini generali, perché la di-
stinzione, richiamata nel passo citato sopra, frala percezione delle ceri stessi dei sensi <<a piaceri intellettuali conosciuti confusamen-
te>> (PNG, S 17lGP VI, 605). I casi della musica e delle proporzio-
cose gradevoli da parte dell'intelletto e quella da parte dell'animo,
si traduce in una distinzione, anche qualitafiva, fra tipi di piaceres.
ni visive sembrano imporsi, perché esemplificano uno stato di cose
Leibniz distingue infatti i piaceri dei sensi, i cui elemenri sono le altrimenti difficile da spiegare chiaramente e cioé l'origine del pia-
piccole percezioni, dalle quali risuhano idee confuse, dai piaceri in- cere nella percezione di rapporti d'ordine: <é facile - scrive Leib-
tellettuali, generati da rappresentazioni fornite dalla ragione. I pia- niz riguardo a essi - comprendere le ragioni dell'armonia o di quel-
la perfezione che cí dá piacere>> (Gr, 580). Il motivo di cid é proba-
ceri di questo secondo tipo, per 7a natura delle rappresentazioni
che li producono, comportano la conoscenza dell'oggetto e sono i
bilmente dovuto al fatto che nei prodotti della musica e della pittu-
piaceri <piü pregevoli>> (NE, II.xxi.42/ AVI 6, L95). ra non si trovano solo qualitá sensibili, come il suono e il colore,
provenienti da un senso particolare, ma anche idee come quelle di
E interessante rilevare che il piacere per la bell,ezza non solo
risulta presente in entrambi i rami della divisione ma li mette, per nu-.ro, figura, spazio, gtandezza, attribuite al senso comune, le
quali, comé si é visto, sono soggette all'immaginazione e sono, oltre
cosi dire, in comunicazione. Vi sono infatti per Leibniz dei piaceri
sensibili che sembrano approssimarsi ai piaceri della ragione. Tali che chiare, distinte, tanto da costituire gli oggetti delle scienze ma-
sono, ad esempio, i piaceri per la musica e per le proporzioni: tematiche (cfr. GP VI, 593 / SF I, 1l.0).

la musica ci incanra (nous charme), benché la sua bellezza consisra 10 Sembrano riecheggiare qui idee molto simili a quelle espresse da Agostino.
soltanto nella convenienza dei numeri e nel calcolo, di cui non abbiamo lI, ll, fi: <<Possediamo, per quanto si sia potuto ricercare, alcune tracce
Cfr. Dc ord.
appercezione ma che I'anima non manca di fare, dei battiti o delle vibra- della ragione nei sensi, sia per quanto riguarda Ia vista e I'udito' sia nelio stesso piacere.
zioni dei corpi sonanti, che si incontrano secondo certi inrervallie. I piaceri Gli altrisensi, non per il piacere che é loro proprio, ma per qualcosa d'altro sono soliti
che la vista trae dalle proporzioni sono della stessa narura; e quelli che gli ottenere questo nome: cioé per qualcosa che é fatto dall'animale dotato di ragione in vi-
sta di un fine. Ció che compete alla vista, a proposito del quale si dice che la proporzio-
ne delle parti é razionale, ái solito si chiama bello. Ció che compete all'udito, quando
7 Cfr. C,u,r¡r 19%,pp.251-2i6. diciamo che un concento é razionale e che un canto ritmico é composto razionalmente,
b Come si ricorderá, quando la cosa piacevole é percepita dail'animo e non ormai con nome appropriato é chiamato dolcezza. Ma non siamo soliti definire raziona-
dall'intelletto, secondo Leibniz non si nota quale sia o in che consisra la perfezione (cfr. Ie né ció che ci dilena nelle cose belle, né ció che ci diletra nella dolcezza dell'udito
GP VII, 86/SF BII,751)r é un caso parricolare della situazione generale per cui noi ab- quando la corda roccara suona in modo quasi liquido e puro. Ne consegue quindi che
biamo appercezione di mohe cose in noi e fuorí dí noi che peró non inrendiamo, delle áobbiamo accettare che il piacere di questi sensi appartenga alla ragione quando c'é
quali, cioé. non abbiamo idee distinte. proporzione e misura>r. Sul retroterra di s¡oria delle teorie musicali sotteso all¿ conce-
'r Cfr. anche GP IV 550-551. ,io.r. l"ib.ririrna cfr. Luppt 1989, B,ult t,rcut: 7999 e MUNÉNlrtz ToRR-L'LL^s 1999'

b
-f

1-7
Piacere, bellezza e qualíti sensíbili
16 La bellezza e la fabbrica del tnondo

<<essere bello> significa <<apparire bello>t, cioé <piacere a- qualcu-


Probabilmente é per questo che i piaceri estetici, ammesso no>>, e dunque ,. lu pt.t.nra del piacere é costitutiva del fatto che
che quanto vale per la musica e le arti figurative abbia una portata un oggetro siu .o.rtid.rato bello, allora il fondamento reale della
piü generale, risultano i piaceri dei sensi piü vicini a quelli generati bell,eiza,la <.potenza> propria di un oggetto, di produrre piacere-in
áu[írugiotátt; si pud forse dire, sono privilegiati da Leib.niz,
"rsi,di cogliere in modo esemplare olarmonia delle chi lo contempla, owero di apparire bello, non é interamente ridu-
f"t.he lorrr.rriono cibile a un fondumento causale, perché una tale riduzione esclude-
tíg,rr., dei numeri e dei movimentl> (A VI t,484/SP, 104) che co- ,.bb" p.op.io la presenza di un punto di vista percettivo- E una di-
sJtuisce il fondamento del piacere in quanto tale' stinzione iottile á probabilmenre discuribile, ma difendibile, alme-
L- app arente p"r-"ubilita dell'estetico- sensibile al t azionale
no a mio parere, se si dá credito teorico all'analogia che Leibniz
solleva tutiarria al.rrtr. quesrioni; in primo luogo circa il tipo di tra- suggerisceira il piacere estetico e la percezione di qualitá sensibili.
ducibilitá di un piaceré dei sensi in uno intellettuale, previsto da ilanaTogia, che spingerebbe ad ascrivere alla base oggettiva
Leibniz. A questó proposito il dato rilevante mi pare il.fatto che il dell,abelTezzi uno status paragonabile a quello delle qualitá prima-
piacere, per definiz1or,", u..o-pugna la percezione del bello su en- rie, é rinvenibile in conresti dove sono discusse le idee cafa;tlefizz -
irumbi i livelli della vita rappresentativa della mente, cioé sia sul te dal fatto di essere <<chiare nell'insieme, ma confuse nelle partil>
piano sensibile, sia s,, q.r.[ó áeila conoscenza distinta; ció é molto (NE, Pref./A VI 6,54-5r. Di tal genere sono appunto le idee di
importante, perché arresta I'intrinsecitá del piacere alla percezione quu[ta sensibili, ma anche il piacere estetico, in quanto-racchiude
d"i bello. Oicorre tuttavia domandarsi se sia veramenfe lo stesso ,.-pt" il confuso di un <<nescío quid>>; questo é cid che lo awicina
che piace, quando, ad esempio, una melodia ci affascina all'ascolto alTa percerione delle qualitá sensibili e non a caso I'uno e l',altra so-
. q,ru.rdo ne penetriamo intellettualmente il fondamento, cioé la no ricordati da Leibniz, quando presenta la sua definizione di co-
,,r,rrrr]ru in uliima analisi matematica, e, piü in generale, quale sia il noscenza confusal2. Egli la esemplifica ricorrendo alla lista piutto-
rapporto posto da Leibniz fralabellezza e le sue ragioni nelle cose. sto comune delle qualitá secondarie: colori, sapori e odori, che noi,
Ho parluto di intrinsecitá del piacere alla percezione del bel- sosriene, ..riconosiiamo con sufficiente chiarezz^ e .... distinguia-
lo; se veramente, per Leíbniz,la percezione del bello ha questo ca- mo gli uni dagli altri, ma per la mera testimonianza dei sensi "'
rattere, ne consegue che, pur riconoscendo un fondamento reale be.,ch¿ sia cerro che le nozioni di quelle qualit) sono composte e si
della bellezzu, non la considera una propriet) indipendente possono risolvere, avendo ceftamente la loro causa>>. Alle conside-
"g1i
dall,apparenza elnoltre che il significato di <<essere bello>, non ri- iazioni sulle qualitá sensibili, in una occasione aggiunge poi la se-
,r.,lt, i.t"t-inabile indipendentemente dal piacere stesso' Se peró guente, significativa, osservazione: I

l1 É significativo che Leibniz esemplifichi l'idea che si conoscono certe proposi-


Similmente, vediamo che i pittori e gli altri artefici riconoscono cor-
zioní particolari <in virtü di una medesima ragione generale che vi i come incorporata e
riflessar, sostenendo che.,allo sresso modo ... si vedono dei disegni carichi di colori, nei
rettamente ció che é fatto bene da cid che é fatto male, ma sovente non
quali la proporzione e Ia configurazione consiste propri'lmente nel disegno' qualunque sanno dar ragione dei loro giudizi e, a chi ne domanda loro, rispondono
.i, il .olor", (NE, IVxii.2/A V-i 6, 118). La metafora mi pare miri a suggerire il tipo di che nella cos-u che non é loro piaciuta sentono Ia mancanza di un certo
(i
,"ppo*o esistente, nella conoscenza umena, fra il contenuto dell'esperienza colori) e non so che (GP IV,lD/SF I,2fi)\) '
(i tratti delle figure marcati dal disegno). Essa é peró in-
le sirutture inn¿te dell'intelletto
teressante anche per ció che suggerisce in merito a1 modo in cui la pittura é concepita;
se ne ricava i¡fatti che, secondo Leibniz, é la trama costruita dal disegno
a legare a sé il l: Per Leibniz, osserva Adams, le nostre concezioni delle qualitá sensibili sono
concezioni confuse di aspetti del mondo aventi in se stessi qualche misura di
colore e a strutturare il dipinto, conferendo unitá e coerenza a ció che é rappresentato. realtir e
Ildisegno, probabilmente per le sue componenti matematiche, appare una sorta di ra- p.rf.rio.,", ma anche di limitazione e imperfezione (cfr. At>'uts 199-1, pp. 119-122). Sul-
gion. it.o.po.rta nel dipinro. Relativamente alla musica il filosofo é piü esplicito; egli la nozione di idea confusa cfr. anche
rü/tLSrlN 199'1'

iarl^ infattidl oregole delle proporzioni e dell'armonia>, essenziali


<<a una buona mu'si- D cfr. anche DM, S 21/GP IV ,1.19: <... conosci¿mo ralvolt'¿ chianntültc, senz^
iao, le quali si ,.allrano si nella pratica musicale, ma,convengono alla musica <giir nello restare mi¡imamente in dubbio se un poemi.r, o magari un quadro, sia ben fatto
o mal
stato idéaler, anche quando nessuno abbia in mente di cantare o suonare uno strumento fatto, perché vi é in esso ün non so cha' che ci soddisfa o ci urta>>'
(r. s 181/GP Vr,2T).
78 La bellezza e la fabbrica del tnondo Piacere, bellezza e qualiti sensibili 79

Con il <<similmente>> Leibniz sembra paragonare la percezione scenz come il luogo proprio dell'esperienza dellabelfezza
dellabelfezza di un'opera da parte degli artisti ullu p.r."rione dele
bello é ció la cui contemplazione é per sé piacevole quando' cioé, si
qualitá sensibili; presumibilmente il senso dell'analogia é da porre
puó dar ragione del piacere, o si percepisce in modo chiaro e distinto, ov-
nel fatto che il piacere che essi provano, non meno di un'idea con-
vero quando il comprendere é piacevole (Gr,516).
fusa, rende riconoscibile I'oggetto bello, ma non consente di indica-
re il fondamento del giudizio in esso implicito: gli artisti senrono, Lo stretto legame posto fra belTezza e comprensione spinge a
per cosi dire, che una cosa é bella, ma non sentono cos'é la bellez- pensare che il piacere estetico contenga elementi che ne implicano
2a14. <<Non so che>, é appunto I'espressione che copre questo deficit io sviluppo in un piacere intellettuale; quali siano questi elementi,
conoscitivo, ossia I'incapacitá di definire ció che piace nella cosa. lo mostrano emblematicamente, come si é visto, i prodotti delle arti
Come si é visto, Lelbniz sembra tuftavia ammettere che que_ belle. Il problema é il tipo di traducibilitá cui Leibniz pensa, owe-
sto nucleo confuso, in linea di principio, possa essere tradott; in ro come egli intenda la riduzione di uno stato mentale simile a
una conoscenza piü distinta; un'indicazione data dal filosofo circa quello della percezione di qualitá secondarie a uno - il piacere in-
il modo in cui cid potrebbe awenire, l'abbiamo giá ricordata nel tillettuale - che accompagna la conoscenza distinta; problema
capitolo precedente; si traterá di approfondirla. euello che per acuito dal fatto che, mentre la percezione sensibile sembra dipen-
ora si puó dire, é che se i. ruon so cbe, che piace, pud in qualihe dere dalla rappresentazione del mondo esterno, quella intellettuale
modo svolgersi in una percezione intellett.tál. d"iu belrezza, ció riconducibile alla consapevolezza riflessiva di proprietá del-
deve- dar luogo a un piacere di natura diversa da quello sensitile,
^ppare
la mente.
perché corrispondente a una maggior perfezione áeil'anima stes- Come risulta definito, dunque, lo status deglí aspetti qualitati-
sa15. Passi come il seguente sembrano ,ádiritt.rru indicare la cono- vi che la realtá assume nella percezione sensibile? E come pud aver
luogo una loro riduzione a dati di natura intellettuale, se il distinto
ia I gusti' sosriene Leibniz, ricordando il detto che su di essi <non non risulk per analisi dal confuso, ma ha tutt'altra origine? Come si
bisogna di-
sputare ... non sono che percezioni confuse>> (NE, Il.xxi.i1lA vI 6, 200). In ció essí as- rapportano i tratti sensibili della realtá agli elementi forniti dalla co-
somigliano ai sensi, i quali <ci fanno conoscere i loro oggeni particolari, che sono i colo-
nora".rru distinta e cosa comporta, per la nozione di bellezza, 1'ac'
ri, i suoni, gli odori, i sapori e le qualitá del tatro. Ma non .i f".,.,o conoscere che cosa
sianoquestequalit)sensibilieinchecosaconsisrano>>(GpvI, r92/sFr,i2g-5291. costamento della sua percezione da un lato a quella delle qualitá
15 <<La conoscenza delle ragioni
- scrive Leibniz - ci perfeziona perché ci inse- sensibili, dall'altro alla conoscenzal Labellezza che piace ai sensi ?
gna veritá universali ed ererne che esprimono l'essere perfetto> (Gr, 5g0; cfr. anche
Gp labellezzache fa iltt'uno con la pensabfitá distinta o é altra cosa?
II,82-81). I piaceri intellettuali sono una sorta di..o d.il'"u..nto di perfezione che
questa conoscenza comporra per l'anima, della quale vanno perció a comporre la gioia
duratura; in tal senso essi rappresentano dei passi piü sicuri nel cammino attraveiso i 2.Idee confuse e qualiti sercsibili
piaceri che cosrituisce la feliciti¡ (cfr. NE, Il.xxi..l2). La portata di questa concezione si
apptezz , se_si considera la posizione privilegiata che secondo Leibniz gli spiriti, cioé gli Il piacere estetico, cioé quel particolare tipo di piacere che
enti capaci di felicitá (cfr. T, $ 250), occupano nell'universo e se, conseguentemenre, si
valuta il significato che essa assume per la questione della teodicea. oli ca.rsa p.i-á
sorge dalla contemplazione di un oggetto e porta a dirlo <<bello>>, é

scrive il filosofo - ¿ dorara di somma bontá, perché mentre produce nelle cose il massi-
- per I'anima un'esperienza di pefiezione: dell'oggetto e pr-opria;
mo di perfezione, largisce al temp-o stesso il massimo piacere alle menti, dato che il pia- ésperienza che pud essere piü o meno trasparente nel suo fonda-
cere consiste nella percezione della perfezione" (Gp VII, 29I/SF I, 210). Ora, óio,
t\ mento, a seconda che il piacere si dia come piacere dei sensi oppu-
creando la_maggior perfezione_possibile nel mondo, produce ¿n.he'ie condizioni per la
maggiore felicitá possibile per le menti. Infatti, la perfezione del mondo fa tutt'rnt con re come piacere intellettuale, sia cioé generato da rappresentazioni
la sua comprensibilitá e poiché la comprensione é ess¿ stessa una perfezione, conoscen- confuse oppure da idee distinte. Secondo quanto si é detto nel
do, la mente aumenra anche la propria perfezione e con essa íl pia&re, drto che íl pirce-
re derivante dalla percezione distinra della perfezione é di farto il risuitato della consente ia felicitá delle menti e, viceversa, solo la presenza in esso delle menti, con la
ierce-
zione riflessiva, da parte della menre, dell'aumento della propria perfezione (cfr. loro potenzialitl di accrescere indefinitamente il grado di perfezione dell'universo stesso
Rulntit<rro 1995, p.51). Dunque, solo un universo perfetto, ái compirta bellezza. (cfr. DM, S 16), ne assicura la perfezione. Cfr. anche Blu¡,tl,Nl'l,l-o 1995.

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80 La bellezza e la fabbrica del morcdo Piacere, bellezza e qualiti sensibili 81

primo capitolo, tra le une e le altre c'é un salto non colmabile; nel Con una certa misura di approssimazione, si pud dire che una
paragrafo precedente si é perd visto, che una delle caratteristiche percezione confusa é una percezione non appercepita; le percezio-
riconosciute daLelbniz al piacere esterico, anche quando si dá co- ni, infatti, risultano piü o meno distinte nella misura in cui se ne é
me piacere dei sensi, é di essere, risperro ad altri piaceri di questo coscienti e si é consapevoli delle loro differenze.Un'idea confusa é
genere, piü prossimo alla ragione e facilmente riconducibile a un invece un'idea che, pur consentendo il riconoscimento e la distin-
piacere intellettuale. Di qui il problema: se le rappresentazioni che zione dell'oggetto cui si riferisce, ed essendo dunque chiara, tutta-
generano questi tipi di piacere non sono riducibili l'una all'alúa, via non spiega che cosa differenzi il suo oggetto da altri. Il fatto che
come possono esserlo i piaceri che da esse risultano? A quale dpo un'idea renda possibile il riconoscimento e la distinzione della cosa
di riducibilitá pensa Leibniz? consente di qualificada come chiaru in opposizione a oscura; tutta-
Laportata teorica della questione si puó intendere, se si con- via un'idea chiara pud essere nello stesso tempo confusa, se non se
sidera che, non essendo labell,ezza concepibile indipendentemenre ne distingue il contenuto. Chiare e confuse nel medesimo tempo
da una risposta sensoriale, é proprio la possibilit) di collegare il sono appunto <<1e idee delle qualitá sensibili, che appartengono ai
piacere alle idee distinte, ovvero al tipo di idee che configuranola vari organi, come quella del colore o del caloret (NE, II.xxix.'{/A
concezione oggettiva, a consentire di includere \a bellezza nella VI 6,25r. Tali idee, osserva Leibniz contro I'opinione lockeana,
struttura del mondo. Il punto problematico é che cosa awenga <<sono sempliciin apparenza, perché essendo confuse, non danno
quando un piacere dei sensi é ricondotto a uno intellettuale. Anche modo allo spirito di distinguere cid che contengono>>; vale a dire:
se cid comporterá una diversione piuttosto lunga, affronteró la appaiono semplici <perché la nostra appercezione non le divíde>
questione, assumendo come filo-conduttore la somiglianza fta 1l Uui,Lli.I/A \T 6, 120), tanto che ci riferiamo a esse con termini
piacere estetico e la percezione di qualitá secondarie, suggerita, co- semplici, benché siano complesselT.
me si é visto, da alcune osservazioni leibniziane sulle idee confuse. In tal modo egli lascia intendere che le idee delle qualitá sen-
La mia ipotesi é che, almeno fino a un cerro punto, il modello sibili sono costituite da piccole percezioni indistinguibili; nello
esplicativo della percezione di qualitá secondaríe valga anche per il stesso tempo sostiene tuttavia che <de nozioni di quelle qualitá so-
piacere estetico. Vediamo dunque, prima di tutto, come Leibniz no composte e si possono risolvere, avendo certamente le loro cau-
concepisce tali qualitá. se> (GP IV, 122-123/SF I,253), owero che .<occorre pervenire alla
Il passo che suggerisce la somiglianza fra il modo in cui il pia- loro analisi con altre esperienze e con la ragione, a misura che le si
cere estetico rende riconoscibile la bontá di un'opera e quello in possono rendere piü intelligibilil> (NE, Il.1il/A VI6, 120). La pre-
cui usiamo i termini di qualitá secondarie, presenta queste ultime cisazione é importante, perché la confusione delle idee delle qua-
come <<oggetti particolari dei sensil>, distinguibili <<per la mera testi- lítá sensibili non sembra risolvibile sul piano dell'esperienza deí
monianza dei sensi>> e non ..mediante caratteristiche enunciabilb> sensi; infatti, poiché la natura della percezione sensibile é <<di esse-
(GP IV 42)/5FI,253).lindicazione é fornita daLeibniz esempli- re e rimanere confusa>> Gui,IY.vi.7/A VI 6, 403), attraverso i sensi
ficando, nel contesto di una ripresa critica delle nozioni cartesiane possiamo avere solo idee confuse delle qualitá sensibili, senza esse-
di chiarczza e disdnzionel6, che cosa debba intendersi per cono- re in grado di articolarne il contenuto e dunque di convertire il po-
scenza confusa. Ritorniamo percid, brevemente, sulla nozione di tere di riconoscimento dell'idea nella capacitá di esprimere le note
confusione. e i requisiti di distinzione, che essa <in réaltb contiene. E in fondo

l(' In realti Leibniz, vi si é accennato, applica tale coppia concettuale, con le r; Cfr. IsHt<;uno 1972, pp. 19-$. Da un punto di vista logico <tutti quei feno-
combinazioni che la articolano, sia a livelli diversi di abilitá concettuale sia a cararteri meni confusi dei sensi, che noi percepiamo chiaramente, ma che non possiamo esplicare
delle percezioni. <<Chiaro>, <<distinto>r, <<confuso>> e <<oscuro>> sono infatti usati per quali- in modo distinto>, cioó qualitá sensibili come il calore e il colore, sono per Leibniz ter-
ficare una gamma piuttosto ampia di termini, fra i quaii: percezione, idea, rappresenta- mini semplicí (egli usa la parola <<terminer> sia per i concetti sia per i loro oggetti), per-
zione. espressione, pensiero, conoscenza. ché non possiamo definirli <<per mezzo di altre nozioni>> rc, 360/SL Il, 217 )

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tÉr,, ¡
82 La belleua e Ia fabbrica del tnondo qualiti sensíbili 8l
Piacere, bellezza e

questa la ragione per cui, secondo Leibniz, sulla base di un'idea determinasse la non riducibilitá a un fondamento causale.
confusa, <<non possiamo spiegare a un cieco cos'é il rosso>> (Gp IV
Prima di tornare al piacere estetico é perd opportuno aggiun-
1??/SF I,25)), ma possiamoTarlo, una volta pervenuri alla .rorionJ
gere qualche altro elemento udle a comprendere il modo in cui
della complessa struttura superficiale per cui un oggetto riflette lu-
Leibniz concepisce le qualitá sensibili. In una occasione egli dichia-
c,e_di una certa-lunghezza d'onda e assorbe 1,r.. Ji,rru lunghezz:a
ra che colori, sapori ecc. meritano il nome di fantasmí sensibili,
differente e della risposra della retina e dei neuronils.
piuttosto che quello di qualitá o idee (cfr. NE, IV.vi.7), lasciando
or'viamente il cieco non ricaverá per questa via I'idea confusa
cosi intendere - come si vedrá meglio piü avanti - che le qualitá
del rosso, non conoscerá il rosso come quafiá sensibi]e, o*.ro ,oiio
sensibili non sono proprietá negli oggetti fisici, in modo del tutto
I'aspetto per cui la qualitá si identifica con l'esperie nza che se ne ha.
La fisica pud fornirgli una conoscenza discorsiva, concerruale, di una
contingente riconosciute e distinte dai sensi, ma sono totalmente
connesse alla natura propria dell'esperienza sensibile. E peró inte-
qualitá sensibile come il colore, ma non un'immagine a.u q"aita,
ressante rilevare che quest'ammissione si accompagna all'affetma-
cioé uninterpretazione senso¡iale della spiegazioné teorica .É. .rru
zione del carattere non a¡bitrario di tale esperienza.
offre. della qualitále. Questo significa .he Lnid"u distinta, p",
nendo la spiegazione causale di una qualitá, non informa r,, .h.
*"i.- Ancora una volta contro Locke, ma in fondo contro Cartesío,
.oru visto che, su questo punto, egli vede un'immotivata concessione
essa sia o in che consista come idea sensibile. E precisamente questo
il punto che si sottolineava quando, rilevando |iáentitá di del filosofo inglese aí cartesiani, Leibniz sostiene infatti che idee
b.t- <<come quelle del colore o del dolore>> (e dunque del piacere) han-
lo>> e .<apparire bello>> cioé <<piacere a qualcuno >>, ""rrÉ.
si ipotizzava che la no un rapporto <<o connessione naturale con le loro cause>>, perché
presenza costitutiva del piacere per I'attribuzione Jeila qualitá,
ne <<non é consuetudine di Dio agire con si poco ordine e ragione>>
(iui,ILv11i.LTlA VI 6,I31). La sua posizione in proposito mi pare
rs Naruralmente Lei.!¡riz
lo1_¡arla di lunghezze d'onda e neuroni ma di <figure efficacemente riassunta nel seguente passo:
e moti.. . minurissimi> (GP lV q26/SF I, 257 ) o, come nella citata le¡tera a Sofia Ca-rlor-
ta, di <minuti globi>, volteggianti (Gp vI, qg2/sFr,529). considerando
qu..t'urt;;rf- queste idee setzsibili dipendono dai particolari delle figure e dei mo-
fermazione leibniziana, P¡\RKTNSON 1982, p.19, rileva che forse l,inrenro
á"1 fil;..i" *" vimenti e li esprimono esattamente, benché non possiamo porre in eviden-
solo di d.escrivere l'aspetto fisico della percezione del iolore e non
di ,o.,.n.r..i" za simili dettagli nella confusione di una troppo grande molteplicitá e pic-
quanto alla percezione di colore, quesio ¿ tutto ció che c'd, ranto pñ
giungere - egli considerava la percezione inesplicabile meccanicamente.
.rr" -.i f"a-"f colezza delle azioni meccaniche che colpiscono i nostri sensi. Tuttavia, se
r1) un cieco nato,
scrive Leibniz, distinguendo re intnagini dane idac csattc <<che
fossimo pervenuti alla costituzione interna di alcuni corpi, vedremmo an-
consistono nelle definizioni ... puó intendere la teoria ottica, in quanto che quando dovrebbero avere tali qualitá, che verrebbero ricondotte esse
essa é dipenden-
te dalle idee distinte e matematiche, nonostante non possa gíungere
, con.epi.e ció Je stesse alle loro ragioni intelligibili, quand'anche non fosse mai in nostro
vi é di chiaro-confico, vale a dire le immagini della luce e dei colJrio
rnr, rr.i".s7Áii-i, potere riconoscerle sensibilmente in quelle idee sensibili che sono un ri-
137; cír. anche III.ii.1). Analogamente si Lgge n"ll. Ricercltc gcncrali,
sultato confuso delle azioni dei corpi su di noi (iui,IY.vi.l / A VI 6, 101).
re senza dubbio molte cose ad un cieco intoino aü'estensionel "ñil;;;;;l
aila intensitáiail; fig*;;
alle altre varie cose che s'accompagnano ai colori, ma ortre a queste
nozioni concomitan- Come si vede, Leibniz stabilisce un rapporto fra la costituzio-
ti c'é qualcosa di confuso nel colore, che il cieco non puó cáncepire aiutato da
nostra parola, se non gli sia dato una volta di aprire gli occhi. E
alcuna ne interna dei corpi e le qualitá sensibili che essi hanno (cfr. anche
in questo,*..,'uir-"*,
rosso, giallo, ceruleo, nella misura in cui coniisrorio in quella
.á.pri.^tir. lir".n"gi-
iui,Ill.xi.2l) e dunque I'esistenza di ragioni intelligibili di tali qua-
ne]<espressione della nostra immaginazione> sono termini in qualche
o,oao p.i-iri.i; litá, benché forse non riconoscibili sensibilmente. Egli si oppone
rc,.160/sLrr,277).I passi citati confermano ra discontinuiti fra pensiero
air,iii.. p.. all'idea che le qualitá sensibili abbiano un rapporto arbitrario con
c.ezione sensibile e soprattutto che l'esperienza diretta é la
base canonica p". i**"ii.* il loro fondamento reale nei corpi, perché ritiene che sia l' .,essenza
di qualiti sensibili. Infarti, tali quaritá degri oggetti appaiono a un soggerro
senzienre in
virtü della rcaltzzazione, nella sua esperi..t"a, ái quaiii senso.'ali.
ossia"in vi¡tü del faro
specifica>>di un corpo a far <remanare ... dal proprio fondo>> le
che, nella percezione sensibile, gli oggetti lo determinano in modo,a.
au qualitá di quel corpo e a farsi conoscere , <<almeno confusamente,
¿" "rr.."..gi-
strati in stari sensoriali che possiedono e sono differenziati da qttalia..¿¿
che espenenzra_tj inrrinseche (cfr. S,vutn 1990, pp. 239-2qJ).
...ri*.¡,li- attraverso di esse> Uui,lY.vi.8/A VI 6,'105).
Il passo citato é peró importante anche perché lascia intendere

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84 La belleua e la fabbrica del mondo
Piacere, bellezza e qualiti sensibili 85

il tipo di relazione esistente fra la costituzione del corpo e le sue


qualitá sensibili. Leibniz, come é noto, non crede nell'interazione
La prima immagine é in larga misura il prodotto di astrazioni a pat-
causale; il suo padare di azione dei corpi sui nostri sensi pud essere
drt dal modo in cui, nell'immagine fenomenica, appaíono gli og-
getd dotati di realtá metafisica. Tra gli oggetti e le proprietá che es-
inteso sia come una concessione al lessico lockeano, sia come
un'implicita collocazione del discorso sul piano scientifico dell'ana-
ii hunno a questi vari livelli non c'é identitá stretta, bensi una rela-
zione di isomorfismo.
lisi dei fenomeni. A questo livello appare infatd ammissibile porre
Riprendendo la concezione lockeana delle qualitá come fa-
una relazione causale f.rala percezione sensibile di un oggetto fisico
coltá che le cose hanno <di produrre in noi la percezione delle
e la presenza negli organi di senso di fenomeni riconducibili ail'og-
idee>> e la conseguente distinzione fra qualitá <<originarie e insepa-
getto, benché resti comunque inesplicabile come da certe cause ri-
rabili dal corpo>>, chiamate primarie, e <facoltá o potenze che i cor-
sulti la percezione di certe qualitá. Sul piano metafisico questo lin-
guaggio non risulta ruttavia appropriato, perché I'interazione cau-
pi hanno di produrre certe sensazioni in noi ...>>, chiamate invece
qualit) s econdarie, Leibniz osserva:
sale fra le sostanze create non é sostenibile. Ció che é concepito
inadeguatamente in termini di causazione, per Leibniz puó essere Credo si potrebbe dire che quando la facoltá é intelligibile e si puó
formulato in modo piü preciso, sostenendo che lo stato mentale spiegare distintamente, deve essere annoverata tale qztalitá ptitnatie; ma
corispondente alla percezione sensibile di un oggetto esprime in quando non é che sensibile e non dá che un'idea confusa, bisogneri met-
un certo modo l'oggetto stesso. Il tipo di relazione esistente fra il íerla trale qualitá secondarie Uui,fl.vltí.L)/A VI 6, 110)21.
corpo e le sue qualitá sensibilí é appunto 7'espressione esatta, dove Il passo sembra confermare l'adozione, da parte di Leibniz,
a <<espressione>> va attribuito il significato tecnico che abbiamo vi- di un punto di vista epistemico sulle qualitá22, e insieme suggerire
sto, mentre, con la qualificazione <<esaita>>, Lelbniz forse allude al
fatto che in questo caso non si ha solo una conservazione, nell'e- saria la vista, occorre cioé che si sappia che effetto fa iI vederlo. Delle qualitá sensibi.li,
spressione, delle relazioni fra gli elementi dell'espresso, come acca- scrive Leibniz, *non possediamo neppure definizioni nominali ... con cui spiegare i ter-
mini corrispondenti>r. Scopo di tali definizioni <é di offrire sufficienti segni mediante i
de tra una mappa e un territorio, bensi anche una relazione di cor-
quali si possano riconoscere le cose ... Ma non é cosi per Ie qualita sensibili e non si
rispondenza uno-a-uno fra ció che é conrenuto nell'idea e la costi- po.rono, per esempio, fornire dei segni per riconoscere il blu se non lo si é mai visto;
tuzione del corpo, per quanto il contenuto sia poi <<concentrato>> p..t".,,o il blu é r"gno di se stesso e perché un uomo sappia che cos'é il blu, bisogna ne-
confusamente nella rappresentazione dell'anima. cessariamente mostrarglielo> (GP VI, 192/SF I, 529).
2l Suila demarcazione lockeana, da cui muove Leibniz, fra qualitl che sono
Ora, ció non significa che la relazione di espressione sia una considerate.originali o primarier, in quanto permengono nei corpi. comunque essi ven'
relazione di identitá; essa é fondamentalmente una relazione di geno alterati, . ii .itrouo.,o nelle loro parti per quanto piccole queste siano, e qualitá
conservazione di struttura, sulla cui base risulta possibile affermare Lseconda.ieo, da intendere invece come <il potere>r proprio dei corpi, di causare sensa-
che il rapporto di un'idea sensibile con la cosa rappresentata non é zioni per mezzo delle loro qualitá primarie rE. ILviii.8-10. pp. l]l-11{1. cfr. ALl.x.rxl>llH
1985, A)'r,Rs 1986, KItiNZI-l:1989, C,rs¡rr 1990, Ctt,rppul 199'1. Sulla critica di Leibniz
meno naturale di quello proprio di un'idea distinta: entrambe rap- al modo in cui la distinzione delle qualitá é formulat¿ da Locke cfr Sc;tltl,tl,rt.l ¡tln 2001.
presentano esattamente, anche se in modi differenti. Si puó conget- :2 Piü esattamente: nella classificazione delle qualitá egli sembra assegnare un
turare che la dlfferenza che separa I'idea di una qualitá sensibile ruolo determinante ai concetti o aIIe idee che ne abbiamo, owero al modo in cuí ce le
rappresenriamo. cfr. in proposito Slilr'il 1990, pp. T02J1,la cuí sottolineatur¡ del ca-
dall'idea della costituzione dell'oggemo, sia quella stessa che corre,
raitere di distorsione implicato nella rappresentazione sensibile di una proprietá, non mi
in generale, fra l'immagine scientifica e quella fenomenica della pare ruttavia compatibile con la tesi leibniziana che le idee sensibili esprimono esatta-
realtá, il modo in cui essa ci appare, owero fra il punto di vista di Lente ció che, neicorpi, causa h presenza della proprieti in questione. Leibniz si limita
una descrizione del mondo in termini di qualitá primarie e quello a rilevare che <<sovente la rappresentazione sopprime qualcosa negli oggetti, quando é
ímperfetta ... Senza cont¡re che la soppressione non é mai intera nelle nostre percezioni
di una descrizione in cui compaiono anche le qualitá secondarie2o. e c-'é nella rappresenrazione, in quanto é confuse, piü di quel che noi vi vediamo. Per cui
c,é motivo di credere che le idee del calore, del freddo, dei colori, ecc. non fanno altro
20 É da quest'ultimo punto di vista che, per che rappresentare i piccoli movimenti esercitati negli organi quando si sentono tali qua-
<<sapere che cos'é il rosso>>, é neces-
lit), sebbene la moltitudine e la piccolezza di questi movimenti ne impedisca la rappre-

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86 La belleua e la fabbrica del mondo Piacere, bellezza e qualiti sensibili 87

indirettamente anche dell'altro, e cioé che una volta giunti alla co- Riconoscendo che vi sono, per cosi dire, fatti che riguardano
noscenza delle cause per cui i corpi ci appaiono sensibilmente in le qualitá sensibili, ovve¡o che esse hanno una base reale nella co-
un certo modo, sia possibile lasciarsi alle spalle la rappresentazione stituzione dell'oggetto, Lelbniz ne ammette dunque I'analisi causa-
<<secondaria>> del mondo; é dunque possibile una riduzione delle le, ammette cioé che sia possibile spiegare le qualit) di cui abbiamo
qualitá secondarie a quelle primarie? Se é vero che le idee confuse idee confuse, attraverso altre che intendiamo piü distintamente, an-
non sono riducibili a idee distinte, si dovrebbe rispondere di no; che se la loro ragione uldma dipende da un meccanismo destinato
non é chiaro peró in che modo le qualitá sensibilí siano nei corpi. a rimanere occulto; da ció non ne deduce perd la possibile riduzio-
Qualitá come il colore, il sapore ecc. sembrano intrinseca- ne a esse. Egli sembra anzi sostenere la non eliminabilitá del carat-
mente collegate a una risposta sensoriale; ne consegue che gli og- tere confuso delle qualitá sensibili. Come si vedrá, questo ne costi-
getti non hanno queste qualitá, non sono cioé, ad esempio, colorati tuisce l'irriducibile marcatura soggettiva, da cui consegue che il
o dolci? Forse Leibniz sarebbe d'accordo nel dire che gli oggeti modo in cui gli oggetti ci appaiono quando appaiono, ad esempio,
sono realmente coloratí, cioé veramente, ma non oggettivamente. rossi, owero il. quale che esperiamo, non trova posto nella spiega-
Dire che un oggetto ha realmente una certa qualitá, puó voler díre zione fisica24: é un fatto irriducibilmente soggettivo; lo si puó chia-
che nell'oggetto ci sono figure e movimenri non sensibili distinta- mare <<un fatto indicale>>2'.
mente, ma la cui confusione o congiunzione diviene sensibile e ci é Se questo é vero, allora sembra legittima la congettura che
rappresentata dall'idea di quella qualitá, la quale é dunque nell'og- con <<¿ rosso>> e con <,la costituzione del corpo presenta tali e tali
getto in quanto esso ha il potere di produrne in noi I'esperienza particolari delle figure e dei movimenti>>, non si ascrive veramente
percettiva, I'idea, e tuttavia non d nell'oggetto, in quanto non c'é un'identica proprietá. Secondo Leibniz, come si é visto, fra gli og-
niente in esso che le somigli. Le cause cui sono riportabili le qualitá getti e le proprietá che essi hanno rispettivamente nell'immagine
sono infatti piuttosto lontane dal tipo di esperienze che ci porrano fenomenica e in quella scientifica esistono isomorfismi, ma I'iso-
a descrivere le cose come colorate, profumate ecc.2l. morfismo non buriu per stabilire l'identitá. ..É ,orro> significa in-
f.atti <<apparc rosso>>, ma noi non vediamo quelle figure e quei mo-
sentazione distinta. All'incirca come accade quando non discerniamo il blu dal giallo,
che entrano sia nella rappresenrazione sia nella composizione del verde, mentre il micro- vimenti; tuttavia egli non sembra separare lo stato fisico e quello
scopio fa vedere che quel che pare verde é composto di parti gialle e blu> (7, S 156lcp mentale. Certo doveva avere ben presenti i problemi che la fisica
vr,326'327). Lisomorfismo in senso srretro, la corrispondenza biunivoca fra la srrumura poneva riguardo alle qualitá sensibili, ma piü che oscillare, anche
della rappresentazione e quella del suo oggerro, é un caso limite, perché la rappresenta-
se a volte sembra farlo, tra un riduzionismo fisicalista e uno menta-
zione per lo piü seleziona, in un cerro senso ri¿ssume e distilla; questo non wol dire,
peró. che essa alterí l'oggeno.
2r Se la mia interpretazione ¿ correrta, ne consegue che per Leibniz il signifícato propriamente il colore che attribuiamo a esso, bensi certe proprietir della sua micro-
dei predicati di qualiti secondarie ha carattere disposizionalel predicando <<é rosso>> ció it.uttu.r, nelle quali il giallo non compare; egli ipotizza piuttosto che al suo posto po-
che attribuiamo a un oggetto non é il rosso, bensi la capaciti di causare dati sensori¿li trebbero comparire altre proprieti cromatiche a loro volta riducibili in un processo de-
corrispondenti a questa qualiti cromatica. Contro di essa non parla necessariamente stinaro ad andare all'infinito. Il punto chiave é peró che, se anche le proprieti cromati-
l'affermazione della realtá del colore, sosrenuta in uno scambio con il portavoce di che si ripresentano, ad ogni passaggio risolutivo scompare il colore predicato al livelio
Locke. All'opinione di Filalete che <se i nosrri sensi fossero abbastanza penetranri, le superiore.
qualiti sensibili, per esempio il colore giallo dell'oro, sparirebbero e al loro posro ve- 21 In quanto termini semplici, le qualitá sensibili non consenlono connessioni e
dremmo una certa connessione ammirabile delle parti>>, come appere <<in modo evidente Leibniz, considerandone il carattere confuso e I'inutilitir al ragionamento, invita a evitar-
attraverso i microscopf>, Teofilo replica infatti che <<tutto ció é vero ... Tumavi¿ il color ne, <<per quanto é possibile', I'uso, <<impiegando in luogo delle definizioni le nozioni di-
giallo non cessa di essere una realtá come l'arcobaleno .. . Del resto se qualche colore o stinté che li accompagnano, nella misura in cui esse sono sufficienti a f¿r discernere tra
qualitá scomparisse davanti ai nostri occhi meglio armati o divenuti piü penetranti, ne di loro le nozioni confuse> (C,)60/SLII,277-278).
nascerebbero verosimilmente altri: e sarebbe necessario un nuovo aumento della nostra 2t Uso questa espressione, cosi come, piü avanti, parleró di <<carattere indicale>
penetrazione per farli sparire a loro volta; e questo processo potrebbe andare all'infini- delle rappresentazioni di una mente, consider¿ndo che attr¿verso gli indicali sí esprime I

to, come in effetti procede la divisione attuale della mareri¿>> (NE, Il.xxiii.l2lA VI 6, la prospettiva del parlante (o di chi pensa), owero che cose voglia dire avere una pro-
279).Letbniz non sembr¿ contestare che, quando diciamo che un oggetto é giallo, non é spettiva in prima persona, rappresentare il mondo d¿ un certo punto di vista.

I
88 La belleua e la fabbrica del mondo Piacere, bellezza e qualiti sensibili 89

lista, forse cerca di incorporare entrambi gli aspetti26. Ci si deve ragioni di questi fenomeni, del modo in cuí sono generati (cfr. NE,
dunque chiedere, in termini piü generali, come si rapportino per III.iv16); egli sembra pensare che la costituzione di un oggetto ab-
Leibniz i fatti indicali, le qualitá sensibili e il mondo oggettivo. bia una relazione non contingente con il colore che esso presenta e
in generale con le sue proprietá sensibili (cf.r. iui,IV.vi.8), e dunque
che percependo queste qualitá noi percepiamo confusamente I'es-
3. Indícalitñ, natura della mente e qualiti sensibili
senza dell'oggetto. La dotrina della rappresentazione come espres-
La domanda posta alla fine del paragrafo precedente ripropo- sione, implicando una similaritá di struttura fral'idea sensibile e
ne la questione del modo in cui le qualitá sensibili esistono nelle quella della costituzione della cosa (cfr. iui,II.vili.S e IV'vi.7), per-
cose; essa é infatti implicata dall'ipotesi che l'espressione <<la costi- mette di intendere la proprietá percepita come proprietá della cosa
tuzione del corpo presenta tali e tali particolari delle figure e dei stessa e non semplicemente dell'esperienza che ne abbiamo. Non
movimenti>> contenga una spiegazione di <<é rosso>>; il punto é che pare, tuttavia, che, per Leibniz, la conoscenza della struttura della
forse non nomina la stessa proprietá che é nominata da <<é rosso>r27. cosa spieghi come da essa risulti la percezione del suo colore, ben-
Nella prima espressione compaiono qualitá primarie, accertabili ché egli connetta causalmente tale struttura all'esperienza del vede-
con i metodi della fisica, proprietá, si potrebbe dire, che sembrano re un certo colore e sembri pensare che una conoscenza adeguafa
ascrivibili alle cose in ogni contesro e accompagnade lungo tutta la della costituzione degli oggetti e delle leggi naturali potrebbe mo-
lo¡o storia2S; le qualitá sensibili non presentano tale carattere e strare che le cose rosse sono necessariamente le cose che, a date
sembrano invece dipendenti da contesti intensionali, cioé da conre- condizioni, riflettono la luce in un certo modo.
sti introdotti da espressioni come <<opinare>>, <<credere>> e <<percepi- La singolaritá della situazione trova una conferma a livello
rerr, e dunque appartenere alle cose in quanto si rapportano alla linguistico nella relativa stabilitá del significato dei termini di colo-
mente sotto un certo aspetto2e. I passi citati sembrano di fatto con- relo, rispetto alla varietá dei modi in cui í colori sono statí spiegati.
siderare le qualitá sensibili come relazioni fra una modificazione fi- Considérando la cosa da un punto di vista leibniziano, si potrebbe
sica e una mentale, ossia come dípendenti in parte da modlficazio- dire che tale stabilitá, cui é connesso un innegabile effetto antiridu-
ni degli oggetti, in parte dai sensi e dunque sia da una rclazione zionista, é dovuta a\ fatto che la qualitá di colore é <<segno di se
causale che da una cognitiva. Ma se le qualitá sensibili sono appa- stessa>>, o\ryero si identifica con I'esperienza che ne abbiamo. Que-
renze a soggetti senzienti di modificazioni dei corpi, cosa si spiega, sto significa che il modo in cui, attraverso <<rosso>>, identifichiamo
quando si spiega una qualitá o, meglio, si spiega veramente la qua- una proprietá,ha a che fare con come le cose ci appaiono; lo stesso a
litá, quando si spíega distintamente la ..facoltá>> del corpo di pro- non vale per la spiegazione fisíca del colore, la quale risulta accessi-
durne I'idea? bile a un cieco (cfr. iui,IILti.3), appunto perché non ha un conte-
Discutendo il caso emblematico dei colori, Leibniz parla delle nuto sensoriale, o, meglio, perché in essa il carattere sensibile della
qualitá non gioca un ruolo causale. Tale spiegazione, come sottoli-
:(, Bn rNor:Brtn'oN 2001, p. 1.12. nea Leibniz, coglie piuttosto le <ragioni intelligibílf> delle qualitá
:7 Secondo H. Ishiguro si puó invece ritenere che per Leibniz <<é rosso>> e <<ri- sensibili icft. iui,IV.vi.7). Ne consegue che, pur risultando la defi-
flette luce di una certa lunghezza d'onda, ascrivano un'identica proprieti se tali espres- nizione teorica del rosso, data la struttura nomologíca del mondo
sioni risultano, a motivo della loro definizione, la quale include assunrí nomologici, coe-
esistente, coestensiva al significato di ,.rossorr, resta tra l'una e l'al-
stensive in tutti i mondi possibili (cfr. Hlsl tlc;uno 1972, pp. 56-6)).
2s Cfr. la definizione standard di Locke, il quale parla di qualit) <<che sono inre- tro un'assimetria; <<rosso>>, come nome di una qualitá sensibile, non
ramente inseparabili dal corpo, in qualunque stato esso sia, in modo che esso le conser-
va sempre, quali che siano le alterazioni e i cambiamenti che ... viene a subire eIa fo¡za r0 Uafferm¿zione andrebbe meglio circostanzi¿ta tlla luce dello studio deil'evo-
che si eserciti sopra di essor' (8, Ilviii.g). luzione del signiticato dí tali termini, dal quale risulta ad esempio che essi inízialmente
:1) Per una introduzione teorica alla distinzione formulata cfr. RuNc;t;,rLltrlR- indicevano rapporti di chiarczz¡ e solo in seguito tinte vere e proprie. Cfr. i saggi raccol-
K¡Nzr¡¡r 1998, pp. 168-182 e Lo\\'r,2000, pp. 119-129. ti in H,uurtN-M¡t'r'l (eds.) 1997.

h
90 La bellezza e la fabbríca del ruondo Piacere, bellezza e qualitá sensibih 91

entra infatti nella spiegazione del mondo. Questo non significa che come una stessa citt), osservata da lati differenti, sembra del tutto
il rosso non sia nel mondo. Cid che rende irriducibile il significato diversa ed é come moltiplicata p rospettical/¿enle , allo stesso modo, per f in-
di una parola di colore alla spiegazione fisica del colore é piuttosto finita moltitudine delle sostanze semplici, accade che vi siano come altret-
il fatto che .,esser rosso>> consiste, almeno a certe condizioni, nell' tanti universi differenti, i quali tuttavia non sono che le prospettive di uno
<<apparire rosso>>. Se, infatti, un cieco puó conoscere il colore, é solo, secondo í diversí punti di uista di ogni monade (GP VI, 616)rr'
perché le cose sono realmente colorate, ossía perché ci sono fatti
lranalogia suggerisce di interpretare l'ínsieme della vita rap-
relativi al colore; ma se la conoscenza del colore d possibile anche presentativa della mente , con il grado di distinzione che ne caratte-
in assenza della corrispondente esperienza percettiva é perché esse rizzale rappresentazioni, nei termini di una particolare presa di co-
non lo sono oggettivamente. E un risultato da tenere pi.r.rrt. p.,
scienza individuale del mondora.
l'interpretazione dell'analogia fra il piacere estetico e la percezione Benché I'immagine usata da Leibniz possa far pensare che sía
delle qualiti sensibili.
il punto di vista, cioé la posizione spaziale di una mente, a generare
C'é tuttavia un altro aspetro nella concezione leibniziana di il grado dí chiarezza delle sue rappresentazioni, vero é piuttosto il
tali qualitá, che mi pare opporruno sottolineare prima di tornare al contrario, anche perché la mente non ¿ un oggetto nello spazio: so-
piacere per ii bello. Si tratta del fafto che, essendo le qualitá sensi-
no cioé i diversi punti di vista sul mondo a derivare dal grado di di-
bili idee confuse, esse risultano legate al modo in cui le cose ap- stinzione delle rappresentazioni mentalil5. Questo é del resto quan-
paiono da un particolare punto di vista percettivo. La confusione
to Leibniz lascia intendere nella Prefazione ai Nttoui Saggí' affet-
presente nelle idee é infatti strettamente connessa al punto di vista
mando che la conoscenza delle percezioni insensibili, cioé di quelle
particolare che la mente occupa nel mondo, o, meglio, é costitutiva
percezioni che formano le idee chiare nell'ínsieme, ma confuse nel-
di tale punto di vista. le parti,
Come é noto, per Leibniz le menti sono sostanze semplici la
cui natura é rappresentativa (cfr. GP IY 151/SF I,l5l; M, S 60), serve anche a spiegare perché e come due anime umane, altrimenti
sono cioé monadi di un tipo particolare, le quali, come ogni alÍa di una medesima specie, non escano mai perfettamente simili dalle mani
monade, rispecchiano I'universo (cfr. PNG, S L2; M, S 56)rr. Esse del Creatore, e come ciascuna racchiuda sempre il proprio originario rap-
hanno dunque un identico contenuto, che rappresentano peró di- porto con il punto di vista che avrá nell'universo (NE, Pref'/A VI 6, t8).
versamente a seconda della qualitá delle percezioni che ne hanno. Il punto di vista per cui le anime si differenziano, sembra dire
Le menti, scrive Leibniz, <<sono limitate e contraddistinte dai gradi Lelbniz, é una proprietá individuale, unica per ognuna in ogni tem-
delle percezioni disdnte> (M, S 60/GP VI, 6L7)32. po e risultante da una qualificazione - il grado di disdnzione delle
E b.n nota I'immagine con cui, nel S 57 della Monadología, percezioni - peculiare alla loro attivitá rappresentativa. Il che é
egli esemplifica questo assunto reorico:

senteranno í mutamenti dell'universo, e che le altre anime ne a\¡r¿nno altri, peró corri-
rr Leibniz in realti precisa che <<mentre le altre sostanze esprimono piuttosto il spondenti> (GP IV 512/SFL,27'1). Secondo Leibniz le anime non possono esprimere
mondo che Dio, gli spiriti esprimono piutrosto Dio che il mondo>> (GP II, 14lJFI, 106). uguelmente tutre le cose, <<altrimenti non vi sarebbe dístinzione> fra esse
(GP II, 90/SF
Nelle anime razion¿li o spiriti c'é dunque .<qualcosa di piü rispetto alle mon¿di o addi- II,)19). Cfr M;vl rjs 1986, pp.78"83.
ri¡tura ¿lle semplici anime>>; esse non sono soltanto <<uno specchio dell'universo delle rr Cfr. anche DM, S9 e C,521.
creature, ma anche un'ímmagine della divinit)>, perché non hanno una semplice perce- ri Cfr. S¡r'tls 2000, p. 1J8.
zione deile opere di Dio, ma possono produrre, nella conoscenza e nell'azione, <<qualco- r5 Cfr Russull 1971, pp. 212-2$. Dio, conoscendo distintamente ogni cosa,
sa che somiglia ad esse>, (PNG, S l1lGP VI, 60.1). non ha punto di vista; per lui non c'é né <quitt né <d)> e percid Leibniz lo raffigura co-
rl <<Dio - scrive Leibniz ha messo ín ciascun'anima una concentrazione del me un cenrro che é dappertu6o (cfr. PNG, S 1l). Limmagine conferma indirettamente
-
mondo, ossia la forza di rappresenrare l'universo da un punto di vista, proprio di quel- che la generazione dei punti di vista particolari puó derivare solo dalle rappresentdzioni
I'anima; e questo é il principio delle sue azioni, che le distingue tra loro e dalle azioni di confuse. Rispetto a esse, quelle distinte rendono i tra6i del mondo che rimangono inva-
un'altra anima. Ne consegue, infatti, che esse avranno continui mutamenti, che rappre- rianti nella relazione proiettiva che connette le singole menti al mondo.

b¡. f
-T

92 La belleua e la fabbrica del mondo Piacere, bellezza e qnalüi sensibili 93

piuttosto interessante, se si considera che un identico fattore le nostra fantasia non potrebbe distinguerla (NE, IV.vi.7/A VI 6"101)'
-
piccole percezioni - é all'origine ranto delle idee delle qualitá sensi-
I denti della ruota, secondo Lelbniz, <<si trovano nella nozione
bili, quanto del caratrere indicale delle rappresentazioni di una distinta di una tale trasparenza, ma non nella percezione sensibile
mente finita36. Questo sembra confermare la naturaeminentemen-
confusa>>. Vale a dire: i particolari dei corpi che colpíscono i sensi
te soggettiva di tali qualit), owero il loro avere a che fare con come
ed entrano nelle nosrre idee sensibili sarebbero riconoscibili in una
il mondo appare a una mente che ne ha percezione. Ció non signi-
ipotetica nozione dístinta, ma confluiscono índistintamente nella
fica che le qualitá sensibili non possano essere corretru*.nt" prédi-
sensazione appercebile in cui é ríunito I'insíeme delle impressioní
cate di oggetti non mentalilT; avendo origine soggettiva, non é peró
non coglibili in dettaglio. A questa sensazione egli attribuisce signi-
lecito pretenderne I'adeguazione a ció che é oggettivam".,t. p."-
ficativamente un carattere <<immaginario>>, lasciando intendere che
sente nel mondo.
ad operare la sinresi é I'immaginazione e dunque che le idee sensibi-
Quanto detto sembra trovare conferma nell'esempio molto li sono i corrispondend dei phaptasmata della dottrin a ttadizionale:
efficace con cui Leibniz illustra la genesi delle idee dei sensi dal
confluire delle percezioni insensibili. A chiarimento della tesi che si comprende che essa - osserva il filosofo riferendosi sempre all'ap-
le idee sensibili <dipendono dai particolari delle figure e dei movi- parenza di trasparenza - non é che un'espressione confusa di quanto si ve-
menti e li esprimono esattamente>, benché <nella confusione di rifica in tale móvimento (espressione, dico, che consiste nel fatto che cose
una troppo grande molteplicitá e piccolezza delle azioni meccani_ successive sono confuse in una simultaneitá apparente); cosi é facile giudi-
che_che colpiscono i nostri sensi>> tali dettagli non possano essere care che lo stesso awerrá riguardo agli altri fantasmi sensibili, dei quali
evidenziati, egli scrive: non abbiamo ancora una si perfetta analisi come colori, sapori ecc. Poiché
a dire il vero, essi meritano il nome di fantasmi piuttosto che quello di
É ail'incirca come quando non si riesce a individuare I'idea dei denti qualitá o anche di idee (ibid./A VI 6, 103-404).
della ruota, cioé della causa, nella percezione di una trasparenza artif.iciale
che.ho osservato negli orologi, ottenura dalla rapida rotazione di una ruo- Equiparare le qualitá sensibili a fantasmi non significa ricon-
ta dentata; rotazione che ne fa sparire i denti e fa apparire al loro posto durle a .rnin.apu.itá di percezione esatta, farne qualcosa come del-
una trasparenza continua immaginaria composta dalle apparenze successi- le illusioni percettive, rispetto alle quali sarebbe pensabile un'e-
ve dei denti e dei loro intervalli, ma in cui 1á successioné é si rapida che la mendazione della percezionels. credo che Leibniz considererebbe
una simile congettura contraddittoria, perché se la confusione ces-
r';
sasse, la percezione non sarebbe piü sensibile. proprio come, se po-
L'analogia fra indicali e qualiti secondarie si impone per il fatto che entrambi
riguardano il modo ir cui il mondo puó essere rappresentrro á" un punto di vista. In
una descrizione oggettiva del mondo non sembra esserci posto né per gti inclicali, né per tessimo árr.ruur. i denti della ruota, verrebbe meno I'apparenza dí
le qualit) secondarie: noi le percepiamo, ma il mondo pub.r..r" spiegato senza farviri- trasparenz . Alüettanto inadeguato mi sembra ritenere che la con-
ferimento.. Sotto questo ¿spetto, menrre la r,ísione distinta che Dio io un, scienza perfet_ nessione delle qualitá sensibili aí limiti delle nostre capacitá senso-
riali abbia come conse guenza il loro riferimento alla nostra espe-
ta) ha delle cose, p¿re essere une visione assolut¿,.<da nessun luogo>, senza puntá di vi-
sta, I'indicaliti e la percezione di qualiti secondarie sembrano appartene¡e invece all,in-
sieme dei fatti costirutivi di che cosa sia essere un ío finíto (cfr.-Mr:GlirN 19$,pp.23_ rienza piuttosto che al mondo. Si potrebbe sostenere' ad esempio,
'{3). A questo proposito colpisce che nelle Riccrcbc gcnarari Leibniz, p.opon"náo un come fa Locke, che percepiamo colori, perché i nostri sensi non
elenco dei termini primitii'i semplici, <o da assumersi Lrtt".rto i luogo d^i essirr, vi inclu-
da <ior', osservando che <vi é qualcosa di peculiare, e di difficilment-e espliclbile in que-
sta nozione> e subito dopo richiami <<quei fenomeni confusi dei sensi, che noi percepia-
rs Cfr. P,rslNl 1996,p.117. Fondato nel contenuto reale dell¿ sensazione, il fan-
mo chiaramenre, ma che non possiamo esplicare in modo distinto, né definire per Áez- tasma é piuttosto un p.odotto dell'immaginazione che si colloca in posizione mediale tra
zo dr-allje nozioni, né designare peÍ mezzo di paroleo. cioé le qualit) r.nrlbili (c, la semplice percezione e la conoscenza razionale (cfr. in proposito T,¡¡,rl 1998);.esso
360/.tL 11.277). .,o., é né ¿,n, falsifi.rziotre, né una riproduzione precisa del contenuto della percezione.
r; E vero anzi il contrario, visro che, pur non fornendo, data la loro L'idea sensibile, o di una qualiti sensibile, é infani semplice solo in apparenza, perché,
natura di per cosi dire,
idee confuse, criteri di identit) esplicitabili, i concetti di qualiti sensibili consen¡ono co- essendo confusa, non di modo di distinguere ció che contiene; essa risulta,
munque operazioni di riconoscimento e identificazione. dall'aggregazione, da parte dell'anima, di infinite impressioni differenti'

b
94 La bellezza e la fabbrica del mondo Piacere, bellezza e qxtalit¿ sensibili 95

sono cosi affinati da percepire i particolari delle figure e dei movi- a un punto di vista particolare e percepisce il mondo in modo non
mend dei corpi che li colpiscono e dunque che i colori, e in genere soggettivo e relativo, cioé come noi aspiriamo a rappresentarlo nel-
le qualitá sensibili, in realtá non sono che proiezioni sugli oggerti di la visione scientifica oggettiva, nella quale, per questa ragione, non
qualcosa che é solo nella mentele. Leibniz perd non sembra dispo- entrano le qualitá sensibili +1.
sto ad accettare l'idea che i sensi non siano informativi sulla natura All'indicalit) delle rappresentazioni delle menti finitea2 e alla
delle modificazioni dei corpi, perché cid toglierebbe ogni possibi- soggettivitá delle qualitá sensibili corrisponde la discontinuitá trala
litá di comprensione delTa relazione fra gli srari sensoriali e le loro conoscenza sensibile e quella intellettuale, messa in luce nel capiro-
cause nei corpiao. Se poi si pensasse che il potenziamento dei sensi lo precedente. Come si é detto, tale discontinuitá comporta non
attraverso I'uso di strumenri potrebbe spingersi fino a eliminare il tanto che I'oggetto dell'una sia diverso da quello dell'altra, bensi
carattere confuso della percezione sensibile, si dovrebbe ribattere che appaia diversamente, perché in un caso, ma non nell'altro, de-
che allora i sensi non sarebbero piü i nostri sensi. terminante é I'esperienza degli oggetti, la visione soggettíva. Il caso
Nella concezione delle qualitá sensibili gioca inoltre un ruolo del cieco nato che apprende la geometria e l'ottica vale appunto
importante la loro connessione all'individualitá delle anime, defini- come esempio del possesso di idee in assenza di immagini, owero
ta, come si é ricordato, dal grado di distinzione delle percezioni; del possesso di una conoscenza di oggetti senzal'esperíenza di og-
che, per Lelbniz, quante sono le menti, altrettante siano le relazioní getti, vale a dire senza che si stabilisca quella forma di relazione in-
al mondo, non comporta solo che ogni mente si rappresenta il terna tra la mente e il suo oggetto che é data dalla percezione di
mondo da una particolare prospettiva, ma anche, come si é visto, qualitá sensibili. Tale relazione, ossia la dipendenza dall'esperienza,
che l'individualitá della singola mente si costruisce in relazione alle fa si che le qualitá sensibili abbiano un carattere mentale, immagi-
cose percepite. Ne consegue che, per la mente finita, il possesso di nativo; essa non ne comporta peró, giova ripeterlo, I'arbitrariet).
una conoscenza compiutamente distinta, o\,'vero, secondo l'imma- L'esempio della ruota dentata mostra infatti come sia possibile, per
gine leibniziana, 11 dispiegamento delle <pieghe dell'anima>> (pNG, Leibniz, da un lato sostenere l'esistenza di un legame naturale fra le
S 13lGP VI, 60.+), equivarrebbe alla perdita dell'individualitá, del idee sensibili e certi dati della realtá fisica, senza tuttavia pretende-
punto di vista sul mondo che le é peculiare, in quanto é definito re, dall'altro, che esse corrispondano a cid che é oggettivamente
dalle sue rappresentazioni confuse. Solo Dio, per Leibniz, ha cono- presente nel mondo indipendenternente dall'esperienza. Si potreb-
scenza distinta di ogni cosa icfr. PNG, S 13; M, S 60), non é legato be dire, per formulare il punto con riguardo al colore, che non si
dá solo che certe cose siano viste come rosse; esistono anche fatti
re Cfr. E, Il.vlii.2l-25. Anche Leibniz di una qualitá come il colore sosriene
che
racchiude <<qualcosa di immaginario e di relativo alle nostre percezioni>>, tanto che si
puó dubitare se si trovi <<veramente nella natura delie cose fuori di noi>, DM,S 12/Gp {r Questo non significa che, per Leibniz, Dio non percepisca le qualit) sensibili.
lY'1J6); é perd interessante che egli assimili la realti del colore a quella dell'arcobaleno Infatti, come si é visto, egli attribuisce a Dio anche una conoscenza dei punti vista parti-
(cfr. NE, II. xxiii.12). Infatti, l'arcobaleno é l'esempio tipico di ció che egli chiama <fe- cola¡i: <<Dio vede Ie cose esattamente secondo la veriti geometrica. sebbene sappia altre-
nomeno vero>, (cfr. ad es. C, 52)) o <<ben fondatoo, cioé un ente di immaginazione o si in quai modo ciascuna cosa appaia ad ogni soggetto e contenga in sé eminentemente
percezione che ha un fondamento oggettivo in vere unit), ma la cuí specifica unit) é un tutte Ie altre apparenze)> (GP II,'11Sl"tF I II, 815-816). Quanto alla mente finíta, si pud
prodotto mentaie (cfr GP I1,96-97/SF l,)55-)56). Paragonare la realt) delle immagini rilevare che. cosi come non é ragionevole pretendere che i fantasmi sensibili rimangano
sensibili risultanti da un'infinitá di elementi di per sé non appercepiti a quella deí feno- e che tuttavia il loro contenuto sia distinto, sembra altrettanto poco piausibile pensare a
meni bene fondati, pud significare che, cosi come l'unitá, e dunque la realt) dell'arcoba- un'interpretazione sensoriale dell'immagine scientifica del mondo' nel senso di una for-
leno d un dato mentale, altrettanto, per restare al nostro esempio, lo é quella del colore. ma di esperienza in cui siano percepite solo qualitá primarie. Per Leibniz la percezione
La rappresentazione di qualitl sensibili é infatti strutturata da un intervento costrutrivo sensíbile e il pensiero disti¡to sono diversi per origine; se, dunque' siamo capaci di qual-
dell'immaginazione nella percezione, ranro che rale facoltá risulta <il luogo o il processo cosa come una concezione oggettiva, forse é perché siamo i¡ grado di costruire concetti
in cui le percezioni sono incanalate in rappresentazioni determinate e dominabili>> (p,lst- che non derivano semplicemente dall'esperienza né sono ristretti ad ess¿ nel loro uso.
Nt 1996, p. 169). Come si diceva, le qualít) sensibiii consisrono in una relazione fra mo- {2 Posun 1996, p. 175 sottolinea come I'appercezione propria delle sostanze ca-
dificazioni fisiche e mentali. paci di dire <<io>> sia un tipo dí percezione che include I'io che percepisce, I'individualith
ao Cfr. BnrNor:Br¡rroN 2001, p. 111. di un particolare punto di vista sul mondo.

! h
96 La belleua e la fabbrica del ruondo Piacere, bellezza e qualit¿ sensibili 91

costitutivi del loro apparire rosse, ovvero una disposizione negli estetico racchiudono un insuperabile elemento di confusione. En-
oggetti, un potere di produrre l'appropriata esperienza sensoriale, trambi, si pud ora aggiungere, hanno un carattere immaginario e
benché quello che é presente in quest'esperienza non si trovi og- una natura soggettiva, contengono cioé un riferimento al punto di
gettivamente nelle cose e viceversa. vista particolare di una mente finita. Né I'uno né le altre sembrano
Rispetto ai punti di vista individuali, la mente divina rappre- poter entrare in un'immagine scientifica del mondo, ma questo no¡
senta il caso limite, l'ideale di una conoscenza completamente di- significa che cid cui si riferiscono non siano genuine proprietá delle
stinta. Poiché una mente capace di tale conoscenza sarebbe una cóse. Il piacere é certo<<nella mente>>, ma non ne consegue che
mente priva di punto di vista, ne consegue che il mondo visto da <<piacevole>> sia predicabile soltanto di qualcosa che ha natura men-
Dio, o da una scienza perfetta, é un mondo indipendente da pecu- tale, sia un predicato non di oggetti, ma della nostra esperienza di
liaritá percettive. A rigore, quella di cui Dio o una scienza perfetta oggetti; il termine rinvia piuttosto a una disposizione dell'oggetto a
dispongono, non é neppure un'immagine del mondo, perché qual- piodurre esperienze di un certo tipoaa. Occorre inoltre ricordare
cosa come un'immagine prende forma soltanto dal particolare pun- ihe I'anulogia suggerita da Leibniz é fra piacere estetíco e qualitá
to di vista percettivo di qualcuno, presuppone cioé un'individualitá sensibili, non fra belfezza e qualitá sensibili. Puó allora essere che il
e il possesso di una prospettiva in prima persona4l. piacere si rapporti a ció che chiamiamo belfezza in un modo analo-
Torniamo ora al punto che ha occasionato quesra lunga di- go u qr.llo in cui la trasparenza corrisponcie al movimento della
gressione sulla concezione leibniziana delle qualitá sensibili. Come iuota? Or,'vero che la bellez za síe- pen il píacere cid che forme e mo-
si ricorderá, I'esame di tale dottrina é stato inrrapreso, perché Leib- vimenti sono per i colori? Ma allora che cos'élabelfezza?
niz associa al),a percezione delle qualitá sensibili anche il tipo di
piacere o dispiacere con cui a volte conosciamo se un'opera é ben 1. Riduzionismo leibrtiziano ?
fatta o mal fatta. Si tratta ora di valutare, che cosa I'analisi svolta ci
permetta di concludere in merito alla questione del piacere esteti- Come é facile intuire, siamo al nodo cruciale del capitolo, alla
co. Possiamo considerare tale piacere come una forma di percezío- questione del fondamento e della consistenza delJ'abellezza che ap-
ne di ipotetiche qualitá estetiche o, forse meglio, come un fenome- parc ai sensi, che é rivelata dal piacere estetico sensibile' Il fatto
no che ne accompagna la percezione? ihe l'esperienza del\abellezza si dia nel medium del piacere, sem-
Per Leibniz sia le idee delle qualitá sensibili, sia il piacere bra assimilarla a qualitá sensibili come il calore, il colore, gli odori
ecc. Il caso, spesso citato da Leibniz, della musica e delle artí visi-
lr In Spinoza questa distinzione prende la forma della caratteristica contrappo-
ve, pud essere letto in base a questa somiglianza'. come i colorí sem-
sizione fra 1e immagini delle cose (cfr. Etíca II, prop. 17, scolio), condizionate dalla di-
sposizione del corpo del soggetto percipiente, e I'idea vera, che mostra l'oggetto come é brano riportabili ai mo../imenti dei corpuscoli,labelTezza dei pro-
in se stesso. Rispetto alla produzione, da parte dell'intelleno, di un'apprensione della dotti di q.t.tt. arti potrebbe essere, secondo quanto sostiene il fílo-
cosa stb spacic actarflildtri, corrispondenre all.o <<in Dco cssc>> della mente (r'ai, V, prop. sofo, una sofia di matematica <<travestita>>+5, vale a dire: potrebbe
29 e)0), I'immaginazione soggettivizza la rappresentazione delle cose, la riporta cioé a
un punto di vista umano (cfr. iti,7, app.). Dal canro suo, Leibniz, come si é visto, rico-
nosce che vi sono concerri (e oggemi) soltanto intelligibili, del rutto al di fuori della por- 4a Leibniz parla di ofacolti (pttissancas)>, (NE, IVíii.16lA VI 6, 382) che produ-
tata dei sensi e dell'immaginazione (cfr. GP vI, 502), i quali sono tuttavia necessari alla cono le idee delle qualiti sensibili, riprendendo il termine <<poucb>. usaro da Locke per
(cfr. E,
comprensionedellarealtirfisica. Ilconcerto diforza,cheperLeibnízédinaturamerafi- signíficare un'immediat¿ fonte di mutamento, una forza di causare il mutamento
sica, é uno di questi. Ne consegue che la spiegazione del mondo fisico, proprio perché, Il.xxi.4.20; Il.xxii.10-11; Il.xxxi.2), ma precisa che le facoltá o <<poteri deriuati . . non
accanto a concetti soggetti all'irnmaginazione, contiene anche principi metafisici <perce- sono che modi d'essere che bisogna derivare dalle sostanzett, cioé dai potcri pfilililiui
pibili>> solo dall'intelletto, non puó essere ricondorra al conrenuto di qualche esperienza che <<costituiscono le sostanze stesse ... mentre non possono essere ricavati dalla materia
sensoríale attuale o possibile. Anche per questa ragione una concezione come la fisica in quanto essa non é che una macchina" (NE' Iviii l/A VI 6, 378)'
cartesiana, per la quale i principi <<geomerricil> sono sufficienti alla spiegazione completa a5 Riprendo l'espressione di Boul-.l,rlrr 1983, p. 12. Che il segreto dell'armo-
dei fenomeni, appariva a Leibniz soggetta a un'illusione attribuibile alla seduzioneáeila nia risieda nei numeri é un'idea che puó esser fatta risalire. come é noto, al pensiero
rappresentazione immaginativa (cfr. C, 626-627; GP VII, 271). pitagorico e alla scoperta che i suoni consonanti stanno tra loro in rapporti numerici

L
ffi

98 La bellezza e la fabbrica del mondo Piacere, belleua e qualiti sensibili 99

essere riducibile all'esistenza di rapporti di tipo matematico fra gli tere la possibilitá che il sentimento confuso della perfezione possa
elementi della musica o della figurazione, rapporti che peró non svilupparsi in una rappresentazione distinta di cid che piace nella
percepiamo consapevolmente, cosi come non appercepiamo i mo- cosa. Secondo quanto si é detto a proposito delle idee, tale riduci-
vimenti dei corpuscoli da cui risultano i colori; ció che percepiamo bilitá non dovrebbe tuttavia essere intesa come una risoluzione,
é infatti una forma di piacere. Labell'ezza consiste dunque in que- mediante analisi, della sensazione in idea distinta; ció che appare
sti rapporti? E, se si riduce a essi, dove é: nella mente o nelle cose? possibile é piuttosto una riconduzione, nel senso di un collegamen-
La situazione é veramente assimilabile a quella di qualitá come il to causale, dell'opaco di questo <<non so che>, che piace o dispiace
colore? negli oggetti, a qualcosa che, per quanto impercettibile, c'é nella
Lelbniz,lo si é visto, a volte parla di un nescio quid che piace rcaltá, owero a qualitá piü distinte e a idee matemadche. Quando
(o dispiace) nelle cose. Come é noto, nella cultura del tempo I'e- questo collegamento riesce, la perfezione viene riconosciuta con
spressione <<non so cherr, pur usata in molteplici accezioni, andava l'intelletto.
precisando un suo significato estetico in riferimento a qualitá rite- Quali siano i limiti di questa operazione cognitiva, é la stessa
nute non risolvibili in regole e rapporti misurabili e percid conside- anaTogia con le idee delle qualitá sensibili a suggerirlo. Come si é
rate di pertinenza del senso e non della ragione. Con <<non so che>> visto, la possibilitá di assegnare a una qualitá una base causale nel-
si alludeva a qualcosa che si puó a'vvertire e sentire, conoscere negli I'oggetto non comporlavna correzione della sua ascrizione abitua-
effetti che produce, ma non definire e spiegare, quasi che il riferi- le sulla base dei sensi. Nella prospettiva leibniziana cid si giustifica
mento dell'espressione avesse una sorta di carattere residuale, fosse perché uno stesso oggetto si presenta diversamente alla percezione
cioé rappresentato da quanto rimane di non risolto in un processo sensibile e alla conoscenza intellettuale, in quanto sensazione e co-
di spiegazione attraverso cause, regole e leggia6. noscenza distinta hanno un'origine diversa. Quando ci chiediamo
Convinto come era della possibilitá di sentire la perfezione di selabell,ezza percepita dai sensi realmente alla ,.fabbri-
^pp^rtenga
un oggetto pur senza comprenderla, ossia di a'"wertire, nel piacere, ca del mondon, quel che chiediamo é allora se vi sia e quale sia, in
qualcosa come una perfezione occulta, indistínguibile nelle sue ra- questo caso, il corrispondente dei minuti globi volteggianti cui é ri-
gioni, Leibniz adottala parola in questa sua valenza e interpreta il condotto il colore o dei denti della ruota nell'esempio della traspa-
piacere estetico come una forma di consapevolezza confusa del7a renza; in altri termini: che cosa esprime il piacere estetico?
perfezione, per sua natura opaca riguardo a ció che la fonda. Una Riprendiamo, dunque, l'accostamento della percezione del
cosa, infatti, é dire che il piacere é un sentimento di perfezione, bello a quella di qualitá sensibili come i colori, i suoni, gli odori, i
un'altra, ben diversa, é dire che cosa sia, propriamente, a piacere. sapori, il caldo e il freddo. Sul piano epistemico l'analogia fra i due a

Questo é per lo piü fuori dalla nostra portata e perció si dice che stati percettivi é abbastanza evidente; tanto il piacere estetico,
ció che piace é un <<non so che>r. quanto la percezione di una qualitá sensibile, risultano infatti avere
Almeno in linea di principio Leibniz sembra tuttavia ammet- una capacitá discriminante della quale non é peró possibile rendere
ragione in modo discorsivo. Questa opacitá dell'idea non impedi-
semplici (cfr. Luppt 1989 e MLNÚNlluz Tt¡inl,t.l'rs 1999).ln tempi piü vicini a Leibniz, sce tuttavia a Lelbniz, nel caso delle qualitá sensibili, di assumere
Galileo fu condotto dai suoi studi sul pendolo adipotizzare che la qualiti armonica dei l'esistenza di una relazione espressiva con <.ragioni intelligibilil>, ov-
suoni abbia a che fare con l'appaiamento periodico delle onde che colpiscono il timpa-
vero cause o disposizioni negli oggetti, a produrne I'esperienza;
no. Sul piano teorico é interessante che l'intuizione leibniziana, secondo cui nella per-
cezione della musica opera una matematica inconscia, sembri trovare oggi conferma ne- cause che, giova ripeterlo, si sottraggono al discernimento nelle
gli studi di psicoacustica, dai quali risulta che il cervello saprebbe contare - owero: corrispondenti idee sensibili:
¿ontare senza sapere di contare - gli impulsi di energia acustica in funzione del tempo.
Cfr. Fnov¡ 2001. c'é motivo di credere che le idee del calore, del freddo, dei colori,
rr' Cfr. la ricostruzione deli'uso del termine in D'ANc;l,l-o-Vur-olll 1997, pp. ecc. non fanno altro che rappresentare i piccoli movimenti esercitati negli
9-11. organi quando si sentono tali qualitá, sebbene la moltitudine ela piccolezza

¡¡ b
100 La belleua e la fabbrica del mondo Piacere, belleua e qualiti sensibilz 101

di questi movimenti ne impedisca la rappresentazione distinta (T, S


che una proprietá di valore come la bellezza possa essere ridotta a
356/GP Vr,327)47 .
una qualche sottostante condizione empirica, paragonabile ai <<pic-
Si puó forse dire, per esemplificare, che un oggetto é rosso, se coli movimentil> invocati per spiegare la percezione di qualiü se-
appare rosso a qualcuno, ma in questa apparcnza c'é molto piü di condarie, va tuttavia assunta con cautela. Il parallelo posto da Leib-
quello che si vede e, soprattutto, c'é una corrispondenza a qualcosa niz, occorre ricordarlo, é fra le qualitá sensibili e il piacere estetico,
di reale nell'oggetto. La sottolineatura dell'apparire qualcuno mira owero fra lo stato percettivo che é parte dei predicati di qualitá se-
^ condarie come <<é rosso>> e lo stato psicologico valutazionale che é
a dar rilievo al fatto che la qualitá emerge per una mente che apper-
cepisce, ma non é in grado di distinguere ció da cui risulta il perce- parte dell'uso del predicato <<¿ bello>>. Cosi come essere rosso con-
pito, ossia il fondamento della sensazione. Benché il colore esista so- siste nell'apparire rosso a un percepiente, altrettanto esser bello
lo per la mente che lo appercepisce esso é, tuttavia, un dato percet- consiste nella reazione di compiacimento che una cosa suscita in
tivo con valore rappresentativo: a motivo dell'isomorfismo presup- chi la contempla. Ció non significa che le proprietá estetiche siano
posto dall'espressione, il colore, pur qualitativamente diverso dagli proprietá di stati mentali. Dato I'accostamento del piacere estetico
elementi nel corpo che esso esprime, ne condivide la forma, la sffut- alle idee sensibili e il valore rappresentativo attribuito a queste uld-
tura e in tal senso li rappresentaa8. Chiediamoci ora: I'accostamento me, ne consegue, infatti, che anche le proprietá estetiche, pur im-
fra piacere estetico e percezione di qualit) sensibfi rende pensabile plicando la rclazione a un osservatore, sono caratteri percepibili del
anche per il primo una riconduzione a<<ragioni intelligibilb? mondo esterno: esse sono <<nel mondo>>, ma cosi da appartenere
Leibniz, come si é visto, considera il piacere una sensazione di agli oggetti solo in virtü della relazione che hanno con una mente.
qualche perfezione e sostiene che coloro che cercano le cause delle Su questa base si puó sostenere che il piacere per cui si dice
cose ritengono vi sia in ció che piace un fondamento in qualcosa bello un oggetto contemplato é si <<nella mente>>, maha anche un
per noi impercettibile ma che nondimeno c'é nella realtá. I-ipotesi valore di giudizio e dunque un contenuto intenzionale, é cioé assi-
milabile alla rappresentazione di un oggetto come fornito di una
a7 Secondo Leibniz le idee confuse <<sono un risultato di parecchie piccole idee particolare proprietá. Proprio a questo riguardo emerge tuttavia il
distinte in se stesse, ma delle quali non si ha appercezione distinto> (NE, tv.xvii.lrlA VI limite dell'analogia proposta; mentre nfatti non pare esserci possí-
6,487'). A proposito dei colori egli osserva, ad esempio, che, quando li percepiamo, bilitá di errore nell'ascrizione di qualitá secondarie, I'ertore nella
<<non abbiamo comr¡nque altra percezione che di figure e moti, ma tanto molteplici ed
esigui che la nostra mente non basta, nello stato presente, a considerarli distintamente
valutazione estetica, nel giudizio implicito nel piacere, é sempre
come singoü e, pertanto, non avverte che Ia sua percezione é composta dalle percezioni possibile: a volte succede che un oggetto che dovrebbe piacere, in-
di figure e di moti minutissimi, allo stesso modo in cui, quando dalla mescolanza di pol- vece dispiace, per cui si assegna a esso un errato valore. Se tuttavia
veri gialle e percepiamo il verde, non abbiamo la sensazione di altro che del gial-
^znrrre labellezza consiste nel suscitare piacere, I'errore nella valutazione
lo e dell'azzurro finissimamente mescolati, quantunque non ce ne accorgiamo e ci fog-
giamo piuttosto un qualche nuovo ente' (GP fV, 426/SF 1,257). estetica sembra da escludere proprio come nella percezione di un
18 A sostenere la relazione di espressione con le <<ragionb> dell'apparenza, owe- colore, dove I'esser verde, ad esempio, fa tutt'uno con I'apparire
ro con quanto accade negli organi di senso, é la massa di percezioni insensibili da cui ri- verde. Come possa accadere che ci si sbagli, Leibniz potrebbe spie-
sulta la percezione del colore o di altre qualitá. Per questo motivo, la relazione espressi-
garlo richiamando I'inevitabile parzialitá della mente finita, appli-
va non appaniene al contenuto consapevole della mente: <<Resta vero - scrive Leibniz -
che, allorché l'organo e I'ambiente sono costiruiti come si deve, i movimenti interni e le cando cioé, al caso del bello, considerazioni di portata piü genera-
idee che li rappresentano all'anima, somigliano ai movimenti dell'oggetto che causano i.l le, come la seguente:
colore, il calore, il dolore, ecc. owero, ció che in tal caso significa la medesima cosa, li
esprimono mediante un rapporto abbastanza esatto, benché questo rapporto non ci ap- dato che tutte le cose, in senso assoluto, sono ordinate ... quando
paia distintamente, poiché non sapremmo sceverare questa moltitudine di piccole im- nella serie delle cose, qualcosa ci dispiace, ció dipende da difetto di com-
pressioni né nell¿ nostra anima, né nel nos¡ro corpo, né in ció che é fuor di nob> (NE, prensione (GP VII, 290/SF cfr. anche T, S 146).
ll.vtij.2l/ AVI 6, 1,12-B)\. Leibniz nomina il dolore; é ragionevole pensare che quanto "I,230;
detto valga pure per il piacere.
Per poter sostenere questo, occorre peró disporre di un
1,02 La belleua e k fabbrica del mondo Piacere, bellena e qualit¿ sensibilt t03

criterio esterno all'esperienza percettiva e dunque di una concezio- rende pensabile la continuitá della vita percettiva della mente, ma
ne della bellezza ulteriore rispetto a quella disposizionale, implicata lascia sussistere, relativamente alle idee, veri e propri salti, differen-
dalla concezione del piacere estetico. Non solo; legando il dispiace- ze fondamentalt, catturate dalle dicotomie oscuro-chiaro, confuso-
re a un difetto di comprensione, Leibniz sembra suggerire che la distinto. Le idee, lo si é ricordato, sono chiamate chiare od oscure
consapevolezza del valore estetico, diversamente da quella delle a seconda della capacitá che hanno dí rendere riconoscibile la cosa
qualitá sensibili, non é costitutiva dell'esperienza percettiva del rappresentata: oscura é la nozione insufficiente a tal. fine, chiaru
mondo esterno49. Certo, si puó presumere che, una volta sviluppa- quella che consente il riconoscimento della cosa. Fra le idee chiare
to un qualche senso estetico, esso sia sempre all'opera nella perce- ve ne sono poi alcune, e di questo tipo sono quelle delle qualitá
zione del mondo. Il punto é perd che se esso dipende dalla com- sensibili, che possono essere chiare e confuse nel medesimo tempo:
prensione, allora non é immediatamente dato con la capacitá di <<esse sono chiare, perché le si riconoscono e le si discernono facil-
percepire, ma implica qualcos'altro, vale a dire ii possesso della ra- mente le une dalle altre, ma non sono distinte, poiché non si distin-
zionalitá5} e se implica il possesso della ruzionalitá forse é perché gue cid che racchiudono>>, tanto che non si é in grado di darne la
le propriet) costitutive delfabellezza non sono date aisingoli sensi. definizione, ma solo di esporle <<mediante esempí>; per il resto, so-
Il tipo di riduzionismo che Leibniz applica nel caso della mu- stiene Leibniz, <<fin quando non se ne decifri la struttura, bisogna
sica é emblematico: la sua tesi é che la <<causa>> della bellezza di un dire che si tratta di un non so che>> (NE, Ilxxix.4/AVI6,255).
brano musicale, owero ció per cui piace, é l'armonia risultante dal Con queste precisazioni egli fissa la dlff.erenza fra le idee o
computo che l'anima fa delle vibrazioni del corpo sonante. Egli immagini dei sensi e le idee che, contenendo la possibilitá della de-
sembra ricondurre il valore estetico alle proprietá matematiche e finizione, sono proprie della ragione e insieme mostra che la confu-
combinare una certa oggettivitá a una forma di trascendenza e sione é un carattere che deriva aJIa percezione delle qualitá sensibi-
semplificazione rispetto all'ordine causale. Del computo in questio- li d4 una soggettiva incapacitá a distinguerne il contenuto, owero
ne, e dunque delle vibrazioni del corpo, non si ha infatti coscienza, dalTa nozione che ne abbiamo. Leibniz, si é visto, atribuisce un si-
se non nel loro effetto d'insieme, per cui anche in questo caso, co- gnificato epistemico alla distinzione delle qualitá in primarie e se-
me in quello delle idee di qualitá secondarie, nella percezione c'é condarie, e riporta all'ambito delle qualit) secondarie le facoltá che
molto piü di ció che appercepiamo. le cose hanno di produrre in noi idee, quando dette facoltá, non es-
Come si é visto, I'esistenza di un rapporto determinato, sendo intelligibili, danno luogo a idee confuse (cfr. iui,Il.viii.l0).
espressivo, tra le cause e la qualid o il piacere percepito, pur essen- Lesemplificazione con il caso dei colori é assai efficace: quando li
doci una dlffercnza di livelio fra le une e le ahre, é assicurato da percepiamo in realtá percepiamo figure e movimenti che la mente
Leibniz attraverso la nozione di piccola percezionesl. Tale nozione non ¿ peró in grado di osservare distintamente, per cui sembra
quasi che il reale contenuto percettivo dell'idea non corrisponda al
ae Nello sviluppare le considerazioni che seguono ho preso spunto da quanto
McGIN¡t 1981, pp. 145-155 osserva a proposito delle proprieti morali.
contenuto consapevole, che il vero oggetto della percezione sia
t0 <<Il gusro distinto dall'intelletto scrive Leibniz a Coste é costituito dalle qualcosa che la mente non puó appercepire, benché possa averne,
- -
percezioni confuse di cui non si saprebbe sufficientemente rendere ragione. E qualcosa per altra via, una qualche nozione.
che si awicina all'istinto. ü gusto é formato dalla natura e dall'uso e per averlo buono
occorre esercitarsi a gustare le cose buone che la ragione e l'esperienza hanno giá appro-
Qualcosa del genere succede con le vibrazioni del corpo so-
vato> (GP III, $0-41). nante nell'ascolto della musica. Ora, il salto cognitivo fra l'idea sen-
tr Nei Nzoa¡ Jzggz, osserva M. Br¡uor-BoLToN 2001, pp. 144-145,Leibniz sibile o il piacere estetico e la loro base oggettiva,ln rclazione alla
sembra proporre una teoria della rappresentazione percettiva iconica nello spirito: che
l'anima percepisca uno stato di cose significa che le sue modificazioni modellano lo stato tuenti Ie immagini delle qualitá sensibili, consente a Leibniz di rendere conto del fatto
di cose, formandone un'immagine. Ció compona che le parti di una percezione rappre- che le idee di tali qualitá, benché semplici, rappresentano stati di cose complessi. Sembra
sentino parti dell'oggetto percepito; quando questo é complesso non tutte le parti della anzi che la funzione specifica della rappresentazione sensibile, la cui consapevolezza é
percezione possono perd essere appercepite. La teoria delle piccole percezioni, costi confusa, sia proprio quella di rappresentare oggetti e stati di cose di infinita complessitá.
I04 La belleua e Ia fabbrica del mondo Piacere, belleua e qualit¿ sensibilt 105

quale risulta appropriato I'uso dell'espressione <<non so che>>, non Pertanto, se una volt^ affivati alle cause delle qualid sensibili, si
esclude che i primi siano riportabli a17a seconda. In proposito il identificassero tali qualitá con il loro correlato nella spiegazione
punto importante non é tanto l'impossibilitá, date le capacitá attua- scientifica, esse verrebbero private della natura percettiva sensibile
li della mente finita, di ticonoscete sensibilmente le ragioni della sotto cui le conosciamo5l.
qualitá percepita o del piacere in queste stesse idee sensibili (cfr. Ancora una volta torna utile I'esempio del colore: il fatto che
iui,IY.vt.7), quanto il fatto che, differendo il contenuto consapevo- noi percepiamo colori e non figure e movimenti, non significa che i
le da ció che realmente percepiamo, il riconoscimento comporte- colori non abbiano a che fare con particolari figure e movimenti,
rebbe, come si é visto nel caso della trasparenza prodotta dal moü- benché noi non percepiamo distintamente questi ultimi come tali,
mento di una ruota dentata, il venir meno deli'idea sensibile stessa: bensi confusamente come colori (cft. iui,Il.viii.15). Cid che perce-
piamo, secondo Leibniz, sono figure e movimenti della microstrut-
volere che tali fantasmi confusi rimangano e che tuttavia vi si disdn-
guano gli ingredienti con la fantasia stessa, significa contaddirsi, é voler iura dei corpi e da questo risultano i colori; ma la nozione che ab-
avere il piacere di essere ingannato da una gradevole prospettiva e volere biamo dei colori ricava il proprio contenuto da77a nostra esperienza
che al tempo stesso l'occhio veda l'inganno, iI che equivarrebbe a guastar- ed é per questo che, mentre lamancanza della specifica esperienza
la (ibid./ A.VI 6, 404). sensoriale del colore, come awiene nel caso di un cieco, non impe-
disce l'acquisizione della spiegazione fisica del colore, il possesso
Certo, nella percezione confusa non si tratta di un inganno
del concetto di rosso richiede I'esperienza di cose rosse. Se perd i
prospettico; per Leibniz, quando percepiamo colori o altre qualitá
colori non sono movimenti di corpuscoli, ma risultano da questi,
sensibili, in realtá percepiamo figure e movimenti, caratteristiche
dato un soggetto percipiente; se in generale le idee delle qualitá
dei corpi. Questo <<in realtb> non indica peró un'identitá fra I'idea
sensibili rappresentano i particolari delle figure e dei movimenti
sensibile e la sua causa, bensi un <<rapporto o connessione natura-
della materia, ma non si identificano con queste figure e movimen-
le>r, owero la forma di corrispondenza o rclazione f.ra gli elementi
ti, allora il tipo di riduzione delle qualitá, cui Leibniz pensa' non
dell'una e dell'altra che Leibniz chiama <<espressione>>, pensando,
puó essere eliminativo; come si diceva, egli cerca piuttosto-di incor-
come si é visto, non a una somiglianza totale, ma di rapporto d'or-
porur" I'uno nell'altro I'aspetto fisico e quello mentale delle qualitá
dine (cfr. iui,II.v11i.I3). Ció che esempi come quello dei colori
iensibili. Il seguente passo, sembra awalorare questa conclusione:
compostis2 o della ruota dentata consentono di sottolineare, é la
non permeabilitá dell'idea sensibile alla sua spiegazione intellettua- Il segreto dell'analisi nella fisica consiste in quest'unica arte, che ri-
le e, viceversa, la non derivabilitá di quest'ultima dall'analisi della duciamo (ieuocemus) le qualitá confuse dei sensi (cioé il calore e il freddo
prima. Pretendere che I'idea sensibile riceva in sé le proprie ragio- nel caso del tatto; i sapori per il gusto; gli odori per I'olfatto; i suoni per
ni, per Leibniz significa pretendere che cessi di essere una rappre- I'udito; i colori per la vista) alle qualitá distinte che le accompagnano, che
sentazione la cui natura é la confusione, cioé <la mancanza dell'a- sono il,r,rtt..o, la grandezza,la figura, il movimento e la coesione, delle
quali le ultime due sono in particolare pertinenti alla fisica. Pertanto se
nalisi della nozione che se ne ha>> (iui,ILxxix.lO/A VI 6,258).
scopriamo che certe qualitá distinte accompagnano sempre certe quaütA
52 <<Adesso che abbiamo la perfetta analisi del uerde tn bleu e giallo, e che non confuse ... e che grazie a queste qualitá distinte possiamo spiegare con
abbiamo quasi piü nulla da chiedere riguardo ad esso se non in relazione atalj ingre- precisione I'intera natura <di certi corPi>, cosi che possiamo dimostrare
dicnti, siamo tuttavia incapaci di distinguere le idee del bleu e del giallo nella nostra idea che essa é di tale grandezza, figura e movimento; per ció stesso ¿ necessa-
sensibile del verde, per il fatto stesso che é un'idea confusar, (NE, tV.vi.7/A Vl 6,403). rio che anche le qualitá confuse risulti¡o da tale stmttura (ex tali structura
Secondo Leibniz, alla conoscenza delle ragioni per cui i corpi hanno certe qualitá non
resultare), sebbene non possiamo dimostare diversamente le qualitá con-
cortisponde dunque una capacitá di riconoscere sensibilmente quelle ragioni nelle idee
che risultano dall'esperienza dei corpi. Sembra pertanto, non solo che la conoscenza di-
fuse a partire da quelle distinte. Poiché non c'é definizione delle qualitá
stinta, costitutiva dell'immagine scientifica del mondo, presenti un contenuro spesso confusé, di esse non si.dá conseguentemente dimostrazione. E sufficiente
lontanissimo da queüo della percezione sensíbile, bensi che tale contenuto non possa
neppure diventare un possibile oggetto d'esperienza sensibile. 5r Cfr. VIsloN 1982.

b..-
106 La bellezza e la fabbrica del mondo Píacere, bellezza e qualitá sensibili t01

dunque che, per mezzo ü inferenze consistenti, concordanti con l,espe-


delle idee delle qualitá sensibili, lascia supporre che la riconduzio-
rienza, possiamo-spiegare tutte le cose pensabili distinramente .h. l.'r.-
compagnano. Infatti, con I'aiuto di certe qualitá sufficienti a determina¡e ne del piacere dei sensi a quello intellettuale aweng tramite le
la natura dei corpi possiamo scoprire le cause; e da queste .^.rr.di-orto idee distinte che accomp agnano la percezione degli oggetti piace-
re le altre affezioni o le qualitá rimanenti, e cosi indiretramenre ,i voli. Si puó cosi pensare che I'incanto della musica possa essere
,.oorir¿
che cosa di reale e distinto vi é nelle qualit) confuse. Il resto sciolto utt.uu"mo l" .onor..rra delle idee distinte unite al suono e
-f;;,
non p.uó essere spiegato, come ad esempio l'apparenza che diciamo 'esser
.il.
lo stesso vale per la pittura; in entrambi i casi é infatti presente una
giallo' sorga da ció in cui abbiamo
-ót*"to consistere I'esse, giallo <, componente matematico- nzionaleSS .IJimpressione é anzi, come si
parte 11>, si deve sapere che
{lende non dalla cosa, bensi dalla"disposi_ anticipava all'inizio del paragrafo, che proprio questa componente'
z:ione dei nostri organi <e dalle minutissime strutture (constitutionibtus)
cioé la convenienza, I'armonia dei numeri, oggetto di pensiero di-
delle cose> ... (C, 190)t1.
stinto, sialabellezza o, meglio, sia ció da cuilabellezza risulta, pro-
Data.l'analogiafta quaiitá sensibili e piacere estetico abbiamo prio come le figure e i movimenti nella microstruttura dei corpi so-
cosi una chiave di comprensione del tipo di riduzione praticabile no ció da cui risulta il colore: <<c1ó da cui>>,perché nell'un caso co-
nei riguardi di quest'ultimo. Leibniz, si é visro, affermaiu possibi- me nell'altro, la quaiitá ha un rapporto intrinseco alla mente. Come
litá di ricondurre il piacere dei sensi a quello int.ll.m"d" . iun- le qualitá sensibü, anche la belfezza risulta irriducibile a una base
que, sembra lecito concluderne, la perfézione awertita confusa- .u.riul. nell'oggetto, perché dell'esser bello é costitutivo l'apparire
menre nel piacere alle sue ragjoni intJligibili. Infami, se un piacere bello, cioé il piacere a qualcuno.
é riconducibile all'alrro, danla narura intenzionale del piacáre, Ora, nélla conoscenza delle strutture matematiche dei feno-
che I'oggerto del primo sembra riconducibire a quelo ¿"1r..onJo.
an-
meni musicali o della costfuzione dello spazio visivo non c'é nulla
Le cose peró non possono stare cosi; da un lato perché l.,uppr._ della confusione del <<non so che>r, ma forse non c'é neppure nulla
sentazioni confuse non- possono, per la loro naturá e origine, .iri ri- della particolare relazione a un sistema sensoriale o a un determi-
pangre confuse; dall'altro perché, a motivo del salto esñterrte fra il nato ámbienre. Il resoconto delle cause intelligibili astrae da tutto
livello del sensibile/confuio e quello dell'inrellett"al.zdirtinto, si ció, non invece la sensazione; é dunque solo a livello sensibile che
deve ritenere che il piacere intellettuale sorga da ,rrru piacere é propriamente piacere a qualcuno' ossia piacer" d1 Y-n
-ut.ri" Ji*.-
sa, non sensibile ma, appunto, intellettuale. Se I'analogia tiene,
particolurá punto di vista. Il punto di vista é infatti costituito dalle
nintelligibilitá della rappresenrazione percettiva, riciia,nu,r' n.l
l,i_
iuppr.r.r,turioni confuse della mente che in esso si individua e si
passo citato, deve valere anche per il piácere estetico; si ,rppotr, all'ambiente circostante; ne consegue che I'esperienza-del
deve cioé
riconoscere che il piacere rappresenta un dato non completamente be^llo che abbiamo nel piacere esrerico non solo non é riducibile
articolabile in concetti; il fatto che non possiamo d^rne .rna d"r.ri- ma, a rigore, non riproduce soltanto le cause intelligibili da cui ri-
zione non é tuttavia una ragione per negare che percepiamo qual_ sulta, pérché rispetto a esse contiene sempre anche dell'altro' La
c.o9a di reale nell'oggetto. A cosa pud .orru"ni"nru dei numeri, owero delle proporzioni da cui risulta il
-.rt.r. .upt, ,[oru,
del piacere esrerico, I'idea leibniziana di una riducibiüt¿ ¿ár".1;;r; bello é presente nelle rappresentazioni che danno luogo al piacere
pr..r. estetico, proprio come lé insensibili percezioni dei movimenti dei
sensibile a uno intellettuale, conosciuto peró confusr-.ni. (.ir.
PNG, s 17)? Non sono forsel'uno e I'altro, e i loro rispettivi ogg.i
ti, separari da veri e propri salti cognitivi? tt pur essendo un brano musicale udito e un quadro visto, in senso proprio essi
Il passo sull'analisi in fisña (cfr. anche NE, IV.iii.16 e non possono dunque essere considerati meri oggetti di un solo senso, perché le idee del-
IV.ii.12), illustrando il modo in cui Leibniz ritiene porribil.l'analisi lo spazio, della figura, del movimento, scrive Leibniz, ..sono del senso comune, vale a
dlre dello spirito s=tesso, poiché sono idee dell'intelletto puro, ma che hanno rapporto al-
l'esterno, e che i sensi fanno appercepire" (NE, II, v/A VI 6,128)'La capacitá di perce-
t'r pirelabellezza, come si diceva, non é data con la semplice capacitá di percepire oggetti
Cir. in Panzui.lsou 1982, p. 20.
dei singoli sensi.
108 La belleua e la fabbrica del mondo

corpuscoli che danno luogo all'idea sensibile di una qualitá sono


presenti in quest'idea. Con le proprie ragioni inteliigibü iI piacere
si trova nella stessa rclazione espressiva in cui si trovano le qualitá
con le loro: esso ne é I'espressione sensibile, la conoscenza sensibi-
le; ma con il piacere intellettuale, al quale Leibniz lo considera ri
conducibile, in che rapporto si trova?
I numeri, le proporzioni e le altre idee distinte che accompa-
gnano la percezione confusa, sono ció per cui le cose belle possono
diventare oggetto di conoscenza disttnta e dunque di un piacere in- Capitolo Terzo
tellettuale; ma se quanto si é detto é plausibile, si deve riconoscere
LA METAFISICA DELLA BELLEZZA
che tale piacere, cosi come le rappresentazioni da cui risulta, com-
porta un allentamento del rapporto della mente al suo punto di vi-
Sornmario
sta, una de-individualizzazione si potebbe dire. Con il passaggio
alla rappresentazione distinta, infatti,la mente non rispecchia piü il | . La b ellezza come modo dell' ente. - 2. La bellezza e l' armonia
mondo secondo il punto di vista che le é proprio, ma piuttosto del perfetto . - 3 . BelTezza e comprensibilitá' - 4. Intermezzo:
Dio; non sente p1ú la perfezione deglí oggetti, ma ne conosce la n- il significato di una triade e la polemica con i <<filosofi
gione e in qualche modo si india, godendo di essa in un modo simi piü recentil>. Gli specchi dell'armonia'
le a quello in cui ne gode Dio. La distanza e la riducibilitá del pia-
- 5.

cere estetico a un piacere intellettuale é allora quella stessa che se-


para e lega immagine fenomenica e immagine scientifica del mon-
do; che si diano piaceri cosi diversi dipende dal fatto che le anime
nzionaJi non sono chiuse nel punto di vista che le individua, ma
hanno la capacitá di elaborare descrizioni delle cose non influenza-
te dalla loro prospettiva particolare. Che essi si corrispondano é un
aspetto della generale convenien za fta i diversi modi in cui la realtá
si presenta ed é appresa, owero dell'armonia che domina la vita
delle anime nel loro rapporto al corpo e all'universo.
Per Leibniz queste corrispondenze sono parte costitutiva del-
la bellezza del mondo, sono I'aspetto macroscopico dell'armonia
che, contenuta in ogni apparenza übellezza, viene pienamente allo
scoperto come ¡adice ultima del bello, quando dal piano fenomeni-
co si passa a quello dei principi metafisici in cui si compie la spie-
gazione della realtá sensibile.
I
l

Seguendo il filo-conduttore dell'analogia suggerita da Leibniz


fra il tipo di conoscenza che un artista puó avere delle opere d'arte
e la conoscenza chian e confusa, che abbiamo di oggetti dei sensi
come i colori, i sapori e gli odori, nel capitolo precedente si é pro-
p osta un'interp retazione dell' esperienza s ensibile delIa b ellezza.
lanalogia ci ha portato a collocare il piacere estetico nel contesto
della üta cognitiva di menti che appaiono legate a un fondo irridu-
cibile di rappresentazioni confuse e si é argomentato che, cosi co-
me le qualitá sensibili non sono riducibili a una base causale, pur
rappresentando esattamente elementi della struttura dei corpi, al-
trettanto il piacere estetico é una forma di consapevolezza confusa
di relazioni d'ordine presenti negli oggetti belli. Si é inolme soste-
nuto che il piacere intellettuale é il, pendant, sul piano del sentimen-
to, della conoscenza distinta di relazioni di questo tipo. Il piacere
intellettuale, come piacere di chi capisce, sembra consistere infatti
nella conoscenza delle ragioni delle perfezioni (cfr. Gr,579).
Alf'affermazione leibniziana che il piacere sensibile é ricon-
ducibile a un piacere intellettuale conosciuto confusamente si é poi
cercato di dare un senso coerente con il tipo di riduzionismo rite-
nuto praticabile dal filosofo nel caso delle qualitá sensibili, mo-
sffando che ció che diletta é in fondo lo stesso, cosi come é lo stes-
so ció da cui risulta la percezione del giallo e cid che appare al mi-
croscopio, benché il fatto che i due tipi di piacere sorgano da espe-
rienze appartenenti a livelli diversi dell'attivitá rappresentativa del-
I'anima abbia come conseguenza che ció che appare é diverso, qua-
si che alla riconduzione del piacere sensibile a quello intellettuale
fosse sotteso un cambiamento di oggetto. E in un certo senso ¿ co-
si, perché l'armonia o perfezione percepita dail'intelletto in un og-
getto differisce da quella percepita in esso dai sensil,

Cosi anche C¡L¡sl 1991, pp,259-269


11,2 La belleua e la fabbrica del mondo La rnetafisica della belleua t13

Llesempio della musica é emblematico: ció che piace (o dispia- avrebbero allora natura concettuale. Ció che awiene in questo caso
ce) all'ascolto di un brano musicale é il suono; ora, Leibniz conside-
non é un'eliminazione del precedente oggetto del piacere, ma piut-
ra questo piacere una conoscenza confusa dellabelfezza del brano, tosto qualcosa come latraduzione in un altro linguaggior.
il fatto é peró che esso é un piacere per qualcosa di diverso dagli Come sappiamo, per Leibniz c'é peró un ulteriore e piü fon-
elementi da cui la bella musica risuita: é, appunto, un piacere per il damentale livello di analisi: quello metafisico. Ora, l'ipotesi di ridu-
suono e non per I'accordo numerico della struttura armonica e me- zione del piacere estetico in analogia a quanto ar,r¿iene per le qua-
lodica del brano e per il compuro dei battiti dei corpi sonanri, ben- litá sensibili resta nel campo del fenomenico, non taggiunge le ra-
ché, a rigore, in questo consista labellezza del suono. Il fato é che gioni ultime delle cose. Cosa accade dunque, della bellezza, passan-
quando questi elementi sono saputi e diventano oggetto di piacere,
áo q.t.tto piano analitico? Scompare dall'arredo del mondo o le
il piacere non é piü sensibile ma inrellettuale; in questo caso, infatti, ^
é riconosciuta una qualche consistenza?
ció che piace, in quanto consta di elementi concettualmente e lin- La seconda possibilitá, come vedremo, é quella cui dá credito
guisticamente esprimibili, non é piü accessibiie solo sensibilmente.
Leibniz; le sue riflessioni conducono anzi a un esito assai rilevante
Il salto é quello.stesso che separa la conoscenza confusa da per una qualit) che, sul piano fenomenico, sembra condividere lo
quella distinta. Si puó presumere che il piacere esrerico, analoga-
status prcblematico delle qualitá secondarie, e cioé a riconoscere
mente alla conoscenza confusa, risulti dalla congiunzione delle per-
che la bellez z , in quanto armonia, ha a che fare con la ragione e la
cezioni insensibili di qualche perfezione (cfr. NE, Ilxxi.l6), segnali,
bontá del mondo. Per Leibniz, infatti, il mondo scelto da Dio é,
per cosi dire, la particolare natura armonica del confluire in una prima di tutto, I'universo della cui armonia egli gioisce. Formal-
rappresentazione di percezioni singolarmente non awefiitd. Q.ran- mente la situazione riproduce quanto accade per le menti finite sul
do I'armonia é conosciuta, si ha invece il piacere intellettuale; nel- piano fenomenico: la belfezza resta una proprietá legata d' piacere,
I'un caso come nell'altro chiamiamo <<belTezza>> ció che piace, e c'é solo che il piacere questa volta é uno stato della mente divina e cid
motivo di pensare che la causa del piacere sia identica, ma la bellez- conferisce un rilievo oggettivo alla proprietá che in esso appare. Ne
za conosciuta non é quella serctita, perché nella sua natura di ordine
consegue non solo l'aff.ermazione che Iebellezza é nelle cose' ma
o coerenza concettuale essa non puó apparire alla sensazione. Il ca- anche un'importante considerazione di teodicea; il collegamento
so é analogo a quello dei denti della ruota dentata dell'esempio delfa bellezza al piacere della conoscenza, I'interpretazione della
leibniziano: essi non possono apparire nella percezione della tra- sua esperienza come esperienza di comprensione, lascia infatti con-
sparenzaprodotta dal suo movimento; tuttavia, come la tr^sparcnza getturare che la beilezza,la quale per lo piü si dá nella forma di un
é un'espressione di ció che si verifica nel movimento, altrettanto il
nescio quid che piace, rappresenti per Leibniz un indizio che il
piacere estetico esprime qualcosa che c'é nella realtá, benché sul
mondo é comprensibile e sensato anche negli aspetti che non ap-
piano sensibile non sia determinabile indipendenremenre dal piace- tali.
paiono
-
re stesso. La conoscenza puó ricondurre questo qualcosa a idee di Alla luce di questo esito, acquisterá particolare riüevo l'ipote-
stinte, magari a determinazioni fisico-matemadche, puó arrivare al
si, formulata nel capitolo precedente, che per Leibniz la consape-
fondamento del <<non so che>> che piace, generando nuovo piacere,
volezza del vaiore estetico non sia costitutiva dell'esperienza imme-
non piü sensibile, ma intellettuale, perché le ragioni del piacere
I Owero I'adozione di un diverso punto di vista. Anche qui, infatti, é questio-
2 ne del modo in cui si guarda al mondo, ed é per questo che, cosi come la riduzione delle
La percezione é definita da Leibniz.do stato passeggero che racchiude e rap-
qualitá sensibü a grandezza, figura e movimento non -significa la loro totale risoluzione
presenta una molteplicitá nell'unitá, o nella sosranza semplice> (M, S 14lGP VI, 608) e
in qrresti elementi e la perdita della particolarit) specifica che le ca¡atterizza (cfr. C¡ssl-
dato che I'unitá nella pluraliti non é altro che armonia, sembra conseguirne che la tona-
n¡n tgOS, pp.202-204), altrettanto la riduzione del piacere sensibile a quello intellettua-
litá di fondo della vita mentale é il piacere. Forse nell'esperienza estetica si puó vedere
le non comporta il venir meno della sua particolaritá. Dal punto di vista sensibile tanto
l'emergenza a livello consapevole, occasionata dalla ricezione di particolari oggetti, di un
le une quanto I'altro conservano la capaciti che hanno, di esprimere proprieti reali che i
dato che appartiene costitutivamente all'attivitá dell'anima.
corpi possiedono con riferimento al nostro apparato sensoriale'
TL4 La bellezza e Ia fabbrica del mondo La rnetafísica della belleun ID
diata del mondo esterno, cosi come sembrano essedo invece le per- qui interessa semplicemente perché la collocazione assegnata a un
cezioni di qualitá sensibili. La congettura era suggerita in particola- concetto, all'interno del quadro categoriale assunto come fonda-
re da alcune considerazioni del filosofo, riguardanti la percezione mentale, offre un'indicazione abbastanza sicura del modo in cui es-
della belfezza di oggetti artistici, dalle quali risultava che in essa so é compreso. Sotto questo riguardo é interessante osservare come
non sono coinvolte soltanto nozioni dei sensi particolari, ma anche Ia categorizzazione della bellezza nella classificazione delle nozioni
nozioni del senso comune e dell'intelletto. Ne abbiamo desunto fondamentali converga con quella che troviamo nell'analisi delle
che egli doveva attribuire al piacere per il bello, anche quando si idee condottaneiNuoui Saggi.In entrambi i casi, infatti,labellezza
dá nella forma confusa di un piacere sensibile, un contenuto cogni- é consideratá un modo dell'ente.
tivo ulteriore rispetto alla semplice sensazione. Ora, il fatto che gli Nel confronto con Locke, Leibniz afferma che la <<diüsione
aspetti estetici della realtá siano rilevanti per la scelta divina, ma degü oggetti dei nostri pensieri in sostanze, modi e relazionl> é <<as-
nel mondo emergano, con la loro capacitá di generare piacere, solo sab> di suo <<gradimento>>, e'aggiunge inoltre di credere che <de
per gli esseri razionali, sul piano metafisico delle ragioni dell'essere qualitá non siano che modificazioni delle sostanze>> (NE, ILxii.l/A
acquista un significato particolare, perché diventa interpretabile VI6, I45). Signíficativamente poi, nel riportare la distinzione
come segno che Dio, scegliendo di creare questo mondo per la sua lockeana fra modi semplici e modi misti, fra i due esempi del corri-
armonia, in fondo mostra di tenere in massimo conto le menti (cfr. spondente passo del Saggio (labellezza e il furto), sceglie di far ci
GP \TI, 307/5FI,486 e GP VII, 291/SFBI,230). La considerazio- tarc da Filalete proprio Labelfezza. In essa, sostiene il portavoce di
ne metafisica apfe dunque la prospettiva che nella bellezza, cioé Locke, <<entrano idee semplici di differente specie>> (ibid.); entrano,
nella forma di un piacere per la comprensione, ci venga incontro direbbe Leibniz, idee sensibili come quelle del suono o del colore,
qualcosa di molto prossimo alla ragione ultima delle cose; quella ma anche idee che provengono dallo spirito stesso, come quelle di
ragione che, cosi come la bellezza,l'anima conoscerebbe in se stes- figuta, numero o movimento5.
sa, se, scrive Leibniz, potesse <<svolgere>> tutte le sue <<pieghe>>
(PNG, S ltlcP VI,604). 5 Va comunque ricordato che, mentre per Locke i modi misti sono costrutti
In questo capitolo e nel prossimo cercheró di corroborare mentali, carattertzzati deJla sepantezzafral'idea formata dalla mente e le cose che, in
base ad essa, vengono classific¿te sotto un certo nome, Leibniz non ammette l'arbitra-
quest'ipotesi interpretativa. Dato che, preliminarmente alla rico-
rietá dell'idea e la sua dipendenza dal nome, e sostiene che essa é invece <in Dio da tutta
struzione del resoconto metafisico del bello, puó essere utile preci I'ete¡nitl e . . . anche in noi prima che vi pensiamo attualmento> (NE, III.iv 17lA VI 6,
sare quella che potremmo chiamare l'ontologia delTa belTezza, co- 300. Su questa doppialocüzzazione delle idee, in Dio e nella mente degü uomini, cfr.
minceró con alcune osservazioni in proposito. MucN¡I 2001, pp. 42-49). Nei Nuoui Saggi Leibniz sembra ammettere che <i modi
misti>> possano..essere accidenti realb (NE, II.xxx.4,/A VI 6,265), cioé accidenti che so-
no piü che modrÍicazioni. É difficile vdutare la portata della congenura, perché egli non
I. La belleua come modo dell'ente pare dar credito alla nozione di accidente reale; nella corrispondenza con Des Bosses, ad
esempio, dichiara esplicitamente <<senza altro superfluL> gli accidenti reali, osservando
Attribuendo grande impofianza alle definizioni reali per lo che <<tutto ció che vi é in essi, all'infuori della modificazione>>, é piuttosto da ascrivere
<<alla cosa sostanziale>>. Quanto aggiunge subito dopo, e cioé di non poter vedere <in
sviluppo della metafisica, Leibniz ha profuso un notevole impegno che modo possiamo distinguere I'astratto dal concreto ol'vero dal subietto a cui ineri-
nell'elaborazione, se non di un insieme di concetti base da cui deri sce>>, se non considerando cid che inerisce un modo, lascia intendere, come si vedrá, che

vare ogni altra conoscenza, almeno di una classificazione delle cate- la distinzione fra sostanza individuale e accidente, essere incompleto ed essere comple-
to, tende a coincidere con quella fra astratto e concreto, essendo ogni accidente <sempre
gorie fondamentali del pensiero e dell'essere, sotto le quali organiz-
in certo modo un astratto>>, e <solo la sostanza r¡n concreto> (a Des Bosses,20 settembre
zare tutte le altre nozioni. Questo aspetto del pensiero leibnizianoa 1712: GP I1,458/SFL,528). Poiché gli accidenti sono modificazioni di sostanze indivi-
duali, concepire un accidente come reale significa concepirlo in qualche modo come un
individuo, ma ció non pare possibile, se non considerandolo concretamente, ovvero co-
Cfr. la chiara esposizione che ne offrono PIRo 1990 e Ruruppono 1995, pp. me in un soggetto, e non come detto di qualche soggetto. In tal senso esso d questo sog-
99-u2. gett'o stesso, designato peró da un temine connozionale concreto, cioé da un termine
IL6 La belleua e la fabbrica del n¿ondo La metafisica della belleun tt7

Ora, al di lá del gradimento per la diüsione degli oggetti del quanto per sé non costituisce un ente9.
- Sullo status di proprietá di questo tipo Leibniz si é ripetuta-
pensiero proposta da Locke, comprensibile data I'ontologia sotto-
scritta daLelbniz, precisa é la convergenza nella categorizzazione mente interrogato in relazione alla questione dei termini astratti e
delfabellezza con quanto sostenuto nel tentativo di analisi <dei pen- concreti, cioé a una distinzione che ha luogo prima di tutto sul pia-
sieri umani quasi in un alfabeto delle nozioni primitive>> (GP IV no linguistico-grammaticale. Ora, é interessante che mentre su que-
1,03/SL I, 61), contenuto nella giovanile Arte combinatoria.In quella sto piano I'astratto risulta un sostantivo derivato da altti sostantivi
sede infatti, criticando la determina2i6¡s lulliana dei termini sempli- o dá aggettivi, sul piano logico la rcIazione é invece capovolk, in
ci6, Leibniz sembra considerare opportuno includere labellezzafra quanto é I'astratto a fornire la ragione dei termini concreti'
gli astrattissimi predicati assoluti, il cui genere é la qualitá (A \y'I 1, <<Astratti - scrive infatti Leibniz - sono i termini escogitati per si-
L93/iui,45), é cioé una delle categorie sotto le quali egli raccoglie ap- gnificare le ragioni formali dei termini concret;>, cioé le proprietá
punto le modificazioni degli enti. Riportare <<belfezza>>, come termi- inerenti agli individui, che giustificano I'attribuzione a essi di un
ne primitivo, alla qualitá significa dunque considerare il suo denota- concreto. <<Per esempio, - chiarisce il filosofo -la giustizia é la ra-
to non un ente, ma un modo dell'ente e in particolare una affezione gione formale del giusto, la bontá del buono. Platone chiama il
assoluta, non relazionaleT. Se ne evince che per Leibniz labelfezza é buono stesso, il giusto stesso, ció per la cui partecipazione siamo
un accidente che determina la cosa, é un qualcosa di estemo all'es- detti buoni e giustf> (SFI, 390). Fra gli esempi che egli porta ci so-
senza della cosa, ma non disdnto da essa come lo sono due cose8, in no anche bumanitas e pulcritudo (sic): uomo é infatti ció che.ha
umanit), bello ció che ha belTezza (C,243).
che si riferisce al soggetto mediate qualcosa (di carattere essenziale o accidentale) che vi L-astratto risulta dunque la condizione immediata del concre-
é aggiunto (cfr. GP lI,471/5FL,541). Cfr. Rovrn¡ 2000.
6 Cfr. in proposito \I/tlsoN 1989, pp.7-44. maniera o modo, non intendo altro che quello che chiamo altrove attributo o qualitá.
i A differenza dalla relazione la qualitá, scrive Leibniz, é <ció che puó esser co- Ma quando considero che la sostanza ne é altrimenti disposta o diversificata, mi servo
nosciuto nelle cose, quando sono osseryate singolarmente, senza che sia necessaria la particolarmente del nome di modo o di maniera; e quando, per questa disposizione o
compresenza di altre cose> (GM VII, 19); essa é un'affezione che la cosa ha non rispetto cambiamento, essa puó essere chiamata tale, io chiamo qualitá i diversi modi per i quü
alla sua parte né rispetto ad altre cose (cfr. A VI 1,170/SLl,15). essa é cosi nominatá; infine, quando penso piü generalmente che questi modi o qualitá
8 Cfr le nozioni di modo e distinzione modale in Su¡nsz, Disp. metapb.,Yll, sono nella sostanza, senza considerarli altrimenti che come inerenti a questa sostanza, li
sec. I. Lo slatus e Ia definizione stessa di .<modo> in realtá sono piuttosto complessi, chiamo attributb> (C¡nresto, I principi della fílosofia,I,56 in C¡nr¡slo 1986, vol. 3, p.
perché risulta difficile concepire una distinzione che non é reale ma neppure meramen- 50). Nella Prefazione aiNuooi saggiLeibniz sembra precisare questa terminologia, sot-
te di ragione; <<modo>> é inoltre termine che puó assumere diversi significati in quanto tolineando la necessitá di <distinguere bene tra modificazioni e attributi. Le facoltá di
puó applicarsi a qualsivoglia determinazione di un qualche essere, essendo, in senso ge- avere percezioni e di agire, I'estensione, la soliditá, sono attributi o predicati perpetui e
nerale, ció che determina qualcosa ad essere in un certo modo.Modo é cosi Ia differen- principali, ma il pensiéro, l'impetuositá, le figure, i movimenti sono modificazioni di
za rispetto al genere, la forma per la materia, l'accidente per il suo soggetto. Un genere questiattributir, (A VI 6, 61). Come si vede, alla base della disti¡zione fra modi e attri-
é nfa¡ti in altro modo quando ha una differenza, e cosi la materia quando ha una forma buti c'é quella fra I'accidentale e l'essenziale (cfr RovIn¡ 2000, pp. 79-82). Leibntz, n'
e il soggetto quando ha un accidente (cfr. Cs¡uvtN 1711, pp. 412-414 art. Modus). fatti, sembra assumere che certe proprieti siano essenziali a un individuo se apparten-
Tendenzialmente la nozione di modo finisce per esprimere la natura dell'accidente, aI- gono a esso in ogni tempo e siano invece accidentali, quando possono appartenergli in
meno per quei filosofi che negano l'attribuzione ai pretesi accidenti reali della tradizio- Ierti tempi. non itt altri (cfr. anche Gr, 183). Nel carteggio con Des Bosses la distinzio-
ne scolastica di un'autonoma consistenza ontologica; questo non rende tuttavia la no- ne é tracciata all'interno della nozione di modo: il modo, sostiene Leibniz, <<o é essen-
zione meno ambigua. Emblematiche sono in proposito le oscillazioni nella definizione ziale, e non puó mutare se non con il mutamento deüa sostanza, da cui in veritá non
di accidente, registrate da Hobbes neJDe corpore (VIII, S 2) - testo che Leibniz aveva differisce se non relativamente al punto di vista da cui lo si considera; oppure é acci-
ben presente; prima di concludere che <d'accidente é il modo di concepire il corpo>, dentale, e prende il nome di modificazione: questa puó nascere e perire fermo restando
Hobbes nota infatti che l'accidente é per alcuni un ..modo del corpo, secondo cui que- il subiettoo (GP II, 45sl.tF¡,528; cft. anche GP II, 47L/SFL' 541). Cfr. MArES 1986,
st'ultimo viene concepito>>, owero una <facoltá del corpo, mediante la quale esso im- pp. 195-198.
prime in noi la sua nozione> (Honnrs 1972, pp. 155-156). Ora, mentre la prima defini- e <<Le affezioni dell'ente non sono enti
' . né la qualitá, né la
quantiti, né ia re-
zione sottolinea la soggettivitá dell'accidente, la seconda sembra evocare una sua base lazione sono enri>> (A vl 1,170/sL I, 15). I
passo appartiene ad una sezione delf'Artc
in proprieti reali del corpo stesso. Leibniz tiene conto dell'uno e dell'altro aspetto del- combinatoria significativamente titolata <Con Dio!>, quasi a significare il livello origina-
Ia nozione e con ogni probabiliti anche di quanto scrive Cartesio: <Quando io dico qui rio della materia considerata.
118 La belleua e k fabbrica del mondo La metafisica della belleua 1,1,9

se non c'é il primo, non sembra poterci essere neppure il secon-


to: averli lui stesso inffodotti nella filosofia (cfr. SFI, )94). Si tratta di
do: <<se non vi é la sapienza, non vi sará neppure il sapiente> (SFI, astratti che risultano dalla riduzione delle predicazioni in terminil2'
391); un soggetto é infatti sapiente solo se hala sapienza, la quale é owero dalla considerazione di proposizioni del tipo <A é B>> come
dunque la ragione formale per cui il predicato si dice del soggetto. un termine. Grazie a essi Leibniz ritiene di poter catturare la fun-
Leibniz non ne trae tuttavia la conseguenza che gli astratti sono en- zione logica dell'astratto senza doversi impegnare ontologicamente;
ti reali. egli pensa, cioé, di poter salvare la capacitá dell'astratto di esprime-
La considerazione delle aporie cui conduce l'ipotesi che gli re l. proptieü svincolandole dai relativi oggettill, e insieme di af-
astratti designino delle realtá (cfr. Gr, 546-547 /SF I, 397 -399)10, lo francare il linguaggio da un imbar^zzanfe impegno ontologico con
rende molto prudenre in proposito, cosicché egli sceglie di non im- termini satud irriducibili ai concreti; risultato, quest'ultimo, che
pegnarsi ontologicamente, adottando, <.se non altro a scopo caute- vede assicurato dalla messa in luce della genesi proposizionale de-
lativo> (Gr, 547 /SF I, 399), una posizione nominalista, pei la quale gli astratti stessil4.
gli astratti possono essere riguardati come concettí consideratinon Come si é ricordato, I'ontologia di Leibniz é piuttosto patcai
per accidens ma per se, vale a dire <.secondo le formalitá stesse>> o il gli unici enti esistenti sono le sostante individuali con le loro modi-
rnodus rei, asúaendo dal soggetto cui ineriscono e cosi dal tempo, ficazioni intrinseche; nel suo pensiero appare fondamentale l'idea
dal luogo e dalla circosranza (cfr. C, 432). Cos\ consideraro, un rer- che ogni elemento reale é individuale e completo e dunque discer-
mine come <rbellezza>> non designa un concreto, una cosa11, né si nibile. Ora, l'affezione espressa dal termine astratto non sembra
riferisce a un soggetto determinato che f.accia da sostrato alla deter- capace di un'autonoma individuazioner5 ela paraftasi logica, im-
minazione da esso rappresentata; per Leibniz esso é piuttosto un plLando un soggetto concreto diinerenza, soccorre I'opzione anti-
compendio del discorso (cfr. Gr, 547 /IFI,39il. Che cosa ció signi- ieaüsta mettendo in luce la natura insatura degli astratti, la loro so-
fichi, si puó chiarire alla luce di un passo dei Nuouí Saggi, rn cui lo apparente referenzialit). <<Esser bello>>, per restare al caso che
egli riassume felicemente una convinzione maturata nel iorso di quí interessa, l'astratto logico corrispondente a bellezza, a dlffe-
una ricerca piü che decennale: ienza dalf'astratto reale richiama Ia telazione a qualcosa, come se
Sono anche uso distinguere due sorta di astratti. Vi sono termini
si dicesse <da proprietá di esser bello>t, ma non sembra un'espres-
astratti logici, e vi sono anche termini astratti reali. Gli astratti reali, o con- sione che impegna ontologicamente al modo di <<ha la belTezza co-
cepiti almeno come reali, sono: o essenze e parti dell'essenza, oppure acci- me proprietb>16.
denti, vale a dire esseri aggiunti alla sosranza. I termini astrattlíogici sono
le predicazioni ridotte in termini; come se dicessi: esser uomo, esiere ani- l? .,Generalmente - scrive Leibniz - ... se si dice'qualcosa é B', allora questo
male ... (NE, III.vüi.1 / AVI 6, 333 -334). enunciato 'l'esser qualcosa B' non é altro che la B-itá; cosi 'l'esser qualcosa anímale'
niente ¿ltro é che'l' animalitá' >> (C ) 89 / SL ll, ) 14).
Gli astrattí rcaft, d, loro interno distinti conformemente alla lr Poiché questa é la condizione per cui ne diventa possibile l'uso calcolistico, si
differenza fra attributi e modificazioni, sono gü astratti della tadi- comprende l,importanza assegnara da Leibniz agli astratti logici. Nel suo progeto di un
zione scolastica realista, i termini designanti le realitates, come si é calcólo logico di grande generalitá, tali astratti assolvono inoltre l'importante funzione
di conseniire la riconduzione degli enunciati ipotetici a enunciati categorici e dunque la
visto, le ragioni formali e verso la cui natura ontologica Leibniz é tr^rr^zione della logica delle proposizioni sulla base della logica dei termini.
molto cauto; da questi egli distingue gli asrrarri logici, affermando di r1 Cfr. DI Bslt-¡ 1998.
15 Osserva S. Di Bella: <<Due bianchezze particolari per essere numericamente
r0 Cfr la discussione in Mucr.¡.u distinte devono essere discernibili anche qualitativamente, ma possono esserlo solo nel
2001, pp. 54-61.
lI I termini concre¡i, per Leibniz, rapporto con gli altri accidenti, cioé in quel plesso che la monadologia qualificher) (uti-
implicano un duplice riferimento: <<quando laiando anche l'analogía psicologica con la percezione) come 'stato' della sosta¡zo> (Dt
si dice sapiente, che é concreto, si dicono due cose: in modo retro I'ente, e ín obiiquo
Bzrr,t 1998, p.259).
lcioé nei casi diversi dal nominativo] l'astratro del sapiente, con obliquit] semplice> 16 <Nel filosofare accuratamente - si legge nellaPrefazione al Nizolio - bisogna
(sFt.390-39r).
fare uso unicamente di termini concreti; e vedo che lo stesso Aristotele lo ha fatto nella
r20 La belleua e la fabbrica del nzondo La metafisica della bellezza t2r

La riduzione logica dell'asrramo evidenzia dunque il fatto che valore soprattutto epistemico e riguardi le menti tinitel8. Ció sem-
le formalitá si collocano su un piano ontologico divérso risperro a bra trovaie conferma in quanto Leibniz sostiene in opposizione al-
quello degli oggetti particolari, i quali, almeno sul piano sensibile, I'idea lockeana che gli oggetti siano complessi di qualitá riferite a
costituiscono le entitá-base, e in tal modo neutraJszzal'opzione rea- un sostrato privo di caratteristiche:
lista veicolata dagh astrami <<filosoficil>, cioé dagli uttt"tli tadizio-
nalmente pensati come anteriori ai concreti e concepiti come realtá É piuttosto tl conctetunt, come sapiente, caldo, lucente, che colpisce
partecipando alle quali i concreti si costituiscono. la nostra mente, e non le astrazioni o qualitá ... come sapere' calore, luce
ecc. che sono assai piü difficili da comprendere (NE, Il.xxif.l/A VI 6,217) '
Nonostante I'anti-realismo implicito nella concezione degli
astratti logici, cioé nella parafrasi proposizionale della forma[á, Lo sbilanciamento epistemico a f.avore del concreto non to-
che presenta i concetti astratti a disposizione deile mente finita co- glie, sul piano logico-ontologico generale, la forma di prioritá del-
me una sorta di abbreviazione delle proposizioni che vertono sui f^rtrutto richiesta come condizione formale dei predicati di un en-
concreti (cfr. Gr. 547),Lelbniz non sembraúÍtairapropendere per te, secondo I'ideale di una genesi combinatoria del concrefo a par'
una positiva posizione anti-realista. Il suo concettualismo, infani, dre dalle forme, corrispondente all'idea metafisica del costituirsi I'
non ha come unico riferimento gli oggetti sostanziali; questi rap- delle proprietá degli enti creati per limitazione o partecipazíone I

presentano uno dei due poli fra cui si muove: I'altro é dato dalla delle perfezioni divine.
I

I
presenza delle idee in mente Dei e, piü radicalmente, dalla convin- ton riguardo al termine belfezza possiamo dunque conclude- I

zione che le proprietá delle cose si costituiscono per partecipazione re quanto segue: i, denotatum di <<bellezza>> non rientra fra le en- j

o limitazione delle perfezioni divine. titá-base di una descrizione metafisica del mondo, bensi ha il tipo
i
i
Come osserva D. Rutherford, Leibniz é nominalista in rela- di essere che si risolve nell'inerenzate.Bellezza é infatti un astratto l

zione al. mondo creato, in quanto assume che in esso esistono solo reale, cioé un termine designante una qualit) reale in singoü ogget-
entia concreta, sostanze (unum per se), o entitá sostanziate (ununt ti, cioé una qualitá di cui si puó dire, applicando a questo caso
per accidens), ma non entia abstractarT; questo anti-realismo, per un'osservazione piü generale di M. Mugnai, che <<sussiste ed é pen-
cosi dire, locale trova peró un contrappeso in una forma di platoni- sabile (almeno nel caso della conoscenza umana) solo nel concre-
smo sul piano metafisico, tanto da suggerire I'ipotesi che la conce- to>>, ma <<non implica affatto una duplicitá di esistenti>>20. Per Leib-
zione degli astrami come risultati di generalizzazioni di proprietá niz,ln altri termini, non si dá che ci sia da una pafie la cosa bella e
individuali di singoli oggeti, e posteriori dunque ai concréti, abbia dall'altralabellezza; vero é piuttosto che <<bellezza>>' pur non rife-
rendosi a un individuo, a un'entitá, ma a un'essenza, a un astratto e
maggior parte dei casi; nooóv, rocóv,ta".póq c¿ sono sulla sua bocca piuttosto che ro- incompleto ente di ragione, richiama Ia rclazione a un soggetto
oórnq,".cót'r¿e , c¡éou6 ossia, se fosse lecito esprimersi cosi, npo6-rr.vóir¡6; ma i suoi se- .on.r.to di inerenza, perché cid che indica é un modo, uno stato di
guaci scusano di soüto ció come se fosse una grossolanitá, e, piacendo a Dio, fantasrica-
no di essere piü acuti quando riempiono ogni discorso esclusivamente di termini astrat-
ti, laddove al contrario si sa per certo che codesta passione sfrenata di escogitare voca- 18 <<La conoscenza dei concreti - scrive Leibniz - é sempre anteriore a quella
boli astratti ha reso oscura quasi rutta la filosofia, -.rrt.. .. ne puó sufficieniemente fa- degli astranil> (NE, ILxii.6/A VI6, 145).
re a meno nel filosofare. Poiché i concreti sono cose, mentre gli astratti non sono cose, - le ..Non vedo scrive Leibniz a Des Bosses in che modo ... possiamo spiega-
- -
ma modi delle cose e i modi inoltre per lo piü non sono altro che relazioni della cosa re intelligibilmente che cosa síal'inesse o I'inerire a un subietto, se non consideriamo cid
con I'intelletto, ossia facolti dell'apparire> (GP N, 1,47/SLI,77-iB). La comprensione, che inerisce come r¡n modo o uno stato del subietton (GP II,458/5FL,528). <Leibniz -
in questo testo, dei modi come <facoltá dell'apparire> accentua spiega Mugnai - nega che la relazione di inerenza debba essere considerata una relazio-
-"r.utu-.rrte il .".ate-
re soggettivo e relazionale di queste dete¡minazioni delle cose, la loro natura di enti ne fia due entitá distinte. 'P inerisce in S' significa propriamente che P é un 'modo d'es-
mentali. Non va peró dimenticato che nei Nuoui saggr, a proposito del costituirsi delle sere' del soggetto S> (MucN¡I 1992, p.120). Questa, come rilevava Suarez, é appunto
relazioni ad opera dell'intelletto, Leibniz osserverá che questo non significa negarne in- l'imperfezione dell'accidente; esso é l'affezione di un ente: entis ens (Disp. nctaph''17,
teramente la realtá (cfr. NE, Il.xii.l). sectio II, 15 [cit. in Rovru 2000, p. 801).
17 Ruru¡n¡ono 1995, pp. ll1-Il9. 20 MucN¡l 1976, pp. 137 -138.
t22 La bellezza e la fabbrica del mondo La rnetafisica della belleua I2J

un soggetto: labelfezza é I'esser qualcosa bello. la qualitá costituente la ragione formale di <<bello>> é posseduta da
Che le qualitá siano nei soggerti come modificazioni e non Dio nel grado massimo, mentre le creature partecipano di essa in
siano distinguibili da essi come cosa da cosa2l, non significa perd, forma limitata (cfr. Gr, t26). Lo stesso si puó dire, considemndola
lo si é ricordato, che esse siano mere denomtnazioni estrinseche da prospettiva emanativista accolta nell.a P rcfazione alla Te odicea, se-
parte dell'intelletto. Dal carattere marcatamente soggettivo e rela- condo la quale labelfezza é una diffusione dei raggi divini (cfr. GP
zionale, che Leibniz sembra in alcuni casi attribuire ai modi, non W,27/SF III, 21). Nell'un caso, come nell'altro, viene posta una
consegue che egii li consideri del tutto privi di rcaltá22: Ia loro corrispondenza fra gli stati degli individui concreti, ovvero il fon-
realtá é l'inesse. damento reale dell'attribuzione di <<bello>>, e la mente o la natura
Considerata come modo dell'ente, labelTezza é dunque qual- divina; corrispondenza che, a dispetto del disimpegno ontologico
cosa di reale e <<bell.ezza>>, pur essendo un astratto, conserva un diLeibniz nei confronti degli astratti reali, incorpotaln <<belfezza>>
rapporto con ció che c'é, perché le determinazioni qualitative si ra- un contenuto metafisico non indifferente.
dicano direttamente nella sostanza atttaverso la forma. Inoltre, il
fatto che <<belJ,ezza>>, come termine semplice del genere qualiti,
2. La bellezza e /arn¿onia del perfeno
rientri fra i predicati assoluti, sia cioé una perfezione, ha implica-
zioni non indifferenti, che si fanno chiare non appena si cambia Se la conclusione del pangrafo precedente é plausibile,
punto di vista, si passa cioé dal piano del mondo crearo, in riferi- Lelbniz risulta sostenere un duplice punto di vista sul significato e
mento al quale vale il cauto nominalismo con cui Leibniz cerca di la natura di qualitá come quelle espresse dal termine <<bellezza>r,
neutralrzzare il realismo contenuto nell'idea che bello é cid che ha vale a dire una prospettiva nominalista in relazione al mondo e al
labellezza, a quello metafisico della mente e della realtá divina. Gli modo in cui la mente finita lo conosce, e una posizione di tipo pla-
assoluti, infatti, risultano allora <<gli attributi di Dio>> (iui, tonico in riferimento a Dio e al modo in cui le cose derivano da
II.xv1i.3/A VI 6, 158), dei quali le perfezioni delle creature sono lui. Il concettualismo di Leibniz mi pare coerente con la dottrina
<<intensionil>, cioé qualitá possedenti un grado, owero <<imitazionil> delle idee cui si é accennato nel primo capitolo; esso ben corri-
(M, S 48lGP VI, 61.5)23 . Secondo quesra prospemiva parrecipativa, sponde infatti alla convinzione che le idee, come disposizioni del-
lLnima, non hanno alcuna esistenza indipendente da essa: idee e
2l Cfr. G¡ 546-547. <Si pud anche dubitare se questi accidenti siano veri e pro- concetti hanno una realtá mentale, <<non esistono come entiü a sé
pri enti, non essendo sovenre che rapportf> (NE, II. xxiii.l/AVl6,2l7).
22 Contro il caratere meramente relazionale dei modi (o, stanti; né, d'altra parte, possono sempre esser colte dalla mente in
almeno, di utti i mo-
di), parla il fatto che in essi o, piü precisamente, negli accidente assolud, Leibniz indica
ifundamentam in re delle relazioni, cioé la variazione reale nelle cose, presupposta dal mone di perfectu.r come ció che é compiuto, pienamente tealazato e rappresenta peftan-
darsi delle rel¿zioni fra esse (cfr. le note di Leibniz in margine al rratraro del gesuita A. to un esempio supremo del suo genere. Perfezioni sono dunque solo le forme o nature
Tr¡r¡tr¡rx, Philosopbia uera Tbcologiae ct Medicínae Ministra,KóLn 1706 in MucNAr 1992, suscettibili di un ultimo grado (cfr. DM, S 1). L anributo dell'assolutezza puó tuttavia in-
p. 161). Le relazioni, come sosriene Leibniz, possono ricevere realtá dall'intelletto divi- dicare anche il carartere non composto, primitivo della qualitá (cfr. c, 409) e includere
no (cfr NE, Il.xxx.l), perché Dio, riunendo gli individui che compongono un dato dunque tanto il significato di <semplice>, quanto quello di <positivo>. Consegue da-ció,
mondo, ne connette anche gli stati e, dunque, dá forma alle relazioni réciproche; ma che le perfezioni in senso proprio sono gli attributi divini. Gli assoluti, infatti, sono il ve-
queste non potrebbero avere realtá in questo modo, se mancassero di una base reale su ro infinito, anteriore al fi¡ito-limitato (cfr. NE, Il.xvii), il semplice, non anaJizzabtle,
cui poggiare. compreso per se sresso e non mediante altro. A partire dall'essenza divna, data dalla
2r Le perfezioni sono per Leibniz qualitá semplici, positive e assolute (cfr.
Gp congiunrione dei predicati assoluti, sono costruite, per limitazione, Ie essenze delle cose
vll, 261/sF r, 179: <chiamo p erfezíone ogni qualitá semplice che sia positiva e assoluta, .r.ui., le quali risulterebbero, secondo Ia tradizione scolastica qui ripresa da Leibniz,
ossia che esprime senza alcun limite ció che esprime>). In quanto qualiti esse sono dagli atti di riflessione compiuti da Dio sulle proprie oerfezioni (MucN¡I 200I'p.44).
espresse da predicati monadici; che siano quúitá semplici significa che non sono analiz- Dii dunque, contenendone le essenze, contiene in modo eminente tutte le creature (cfr.
zabiü come congiunzioni di altre proprietá; che siano pos itiue signihca che non risultano GP III,115) e dato che alla prioritá logica della sua essenza si accompagna la sua prio-
dall¿ ¡sg¿216¡s di altre qualitá. Una perfezione, infine, é una qualiti assoluta nel senso
ritá ontologica come principio delle cose, egli puó essere considerato fonte deüe essenze
che non é un grado limitato di una quütá. E, evidente qui iI legame con il significato co- e delle esistenze (cfr. GP VII, 105/ SF I,481)
I
t24 La bellezza e la fabbrica del mondo La metafisica della bellezza 125

manieta diretta>24. Questa convinzione non impedisce tuttavia a questo rema; per ora soffermiamoci sulle due tesi fondamentali che
Leibniz, di affermare la sintonia del proprio pensiero con quello di aonu"rgorro in queste metafore. Esse sono strettamente legate,l'una
Platone (cft. DM, SS 26-27 e NE, Pref.) e di amribuire alle idee una all,ahrl;h prima ci é giá nora e stabilisce che l'armonia rísultante
realtá indipendente dal nostro inrellerto, anche se non da quello di- dalla riconduzione dei <molti . . . a una qualche unitb>
(Gt, 12-13),
vino. Ció comporta peró il riproporsi, sul piano della mente divina ossia dal fatto che un atto di pensiero possa estendersi a piü ogget-
delia domandá rehtiva allu rugion. formalá del bello' *;it; *r. ti, é la perfezione propria del pensabile' la quale dá a un tempo I

so secondo cui le idee sono in Dio e anzi, poiché in Dio rurto ¿ arto, <ordine alla cosa e bellezza a chi pensa>>. Dell'altra ci si occuperá in I

se esse fanno turt'uno col pensiero divino,^é forr. Ji qur"l.h";o.r; questo paragraf.o;essa afferma che <¿'esistere non é altro che l'esse-
del pensiero divino che partecipano o che riflettono le cose belle? r ur-orri.ó> (SF I, t66). Dail¿ loro combinazione segue che il I

Un passo, appena ricordato, dalla Prcf.azione alla Teodicea mondo, nella sua natura di serie ordinata, é un xóo¡roq la cui bel-
l

contiene in proposito un suggerimento molto imporrante: lezza coincide con la soddisfazione che dá <<a chi lo capisco>; per I
I

Leibniz infatti, lo si é visto,


Dio é tutto ordine, conserva sempre l^ giustezza delle proporzioni, i

fa I'armonia universale; tutta 7a bellezza é una diffusione déi suoi raggi il piacere di chi capisce ... non é altro che la percezíone della bellez-
(GP VI, 27/SFIII,2I).
za, de['órdine, della perfezione (GP VII,290/SF 8I,229-2]0)'

E d.rnque di quest'ordine che partecipano le cose belle? E Perfezione, ordine' armonia sembrano le proprietá in virtü
che cosa significa I'immagine della diffusione? delle quali il mondo si carica di valore estetico; pur nominalmente
L. Feuerbach illustró la dlffercnza frala concezione leibnizia- distinte, esse risultano strettamente corfelate, come é facile vedere,
ma e quella spinoziana del mondo, paragonando il mondo di Spi- se si enüa un po' nell'assunto leibniziano che il mondo esistente é
noza a una <<trasparenza acromatica della divinitá, un medíum at- il piü perfetto2Z e si articola I'idea che tale mondo sia <<a un tempo
traverso il quale non vediamo altro che I'incolore luce celeste del- ii pitr remplice quanto a ipotesi eil piü ricco di fenomenil> (DM, S
I'unica sostanza>> e quello di Leibniz a <<un cristallo sfaccettato, un eicp lV,+¡t). Notr si tratta qui di esaminare nel dettaglio il modo
brillante, che per la sua particolare natura moltiplica e oscura la lu- in cui, secondo il filosofo, viene soddisfatta I'esigenza che queste
ce semplice della sostanza in una ricchezza di colori infinitamente due componenti, cioé la semplicitá e Ia úcchezza, siano in equili-
vatia>>25. I-immagine mi pare straordinariamente rispondente alla brio fra úro (cfr. iui, S 5)27; puó bustrte qualche semplice conside-
varietá che, sotto diversi aspetti, caÍ attetizza I'universo leibniziano;
essa, peró, puó assumere un ulteriore, importante significato. Se si 26 Per Leibniz, <<se non ci fosse il migliore (optiruum\ tra tutti i mondi possibili,
considera che la luce vale come metaf.ora della ragione, la quale é a Dio non ne avrebbe prodotto alcuno>> (7, S S/GP VI, 107). Sulla questione se
il migliore
sua volta <<immagine della divinitil (I, S 26/GP VI, LL8), si puó ,iu rl *rndu, optinus o i pedectissimus, se le due qualificazioni, la prima piü marcata in

leggervi una resa dell'idea lelbniziana che la comprensibilirá del ..nro -o.^1", i" ...onda io senso metafisico, convergano e sui problemi che ció-com-
p"i, .rt le osservazioni di M¡cDoN¡l-n Ross 1992 e, piü in generale sulle difficolti
mondo é parte della sua bellezza e di ció che ne fa un'espressione dell'ottimalitá, BR-EGER 1992.
di Dio. La comprensibilitá del mondo, owero la diffusione in esso 27 Tendo a pensare che Leibniz non abbia in mente una sorta di bilanciamento
o combinazione ottimale di fanori conflittuali (cosi invece R¡scsen 1967,
pp. 19-20 e
della luce divina, cioé della ragione, apparriene infatti sia ai modi
iSSg, pp. 148 ss.; Gar-E 1976; Bno,x¡N 1987 e 1988) o subordinati l'uno all'altro, come
in cui la perfezione di Dio si manifesta, sia agliindicatori del valore
p""ÁU. far pensare il riferimento della semplicitá ai mezzi e della varietá e ricchezza ai
estetico del mondo. ñ"i t.f. O¡¿,\ 5). Considerando che, secondo Leibniz, <il piü saggio ... fa in modo, per
Riprenderemo piü avanti, e soprattutto nel prossimo capitolo, auanto Duó, che i mezzi siano anche in qualche misura, scopi, cioé deside¡abili non solo
(l mi pare piü
i.r qui che fanno, ma anche per quello che sono> S 208/GP VI,24l),
"pür.=iUif. ,it.r,.r. i.or Roruc¡clr¡ 1990 e RurHenrono 1995, pp. D-45) che la perf.e-
2a MucN¡r 2001, p.50.
iion. .orrrirt^ nella massimizzazione di entrambi i fattori da cui risulta' cioé tanto della
2t Fru¡n¡¿cu 1969, p. 40. icchezzafenomenica, quanto della semplicitá esplicativa, considerate come condizioni
126 La bellezza e la fabbrica del mondo La ruetafisica della bellezza 127

razione, partendo dalla domanda che si pone, una volta constatato aggiunge due cose molto importanti: che il grado dell'essenza é
che il rapporto-semplicitá/vaietá dá una misura della perfezione; .óndiriott" della compossibilitá e che la perfezione é il principio
ne consegue infani che la perfezione é una quantitá (o una misura dell'esistenza. Le due cose sono strettamente collegate, perché per
di quantitá); ma di che cosa? Leibniz I'atto creatore divino interviene precisament e ffa l' esigenza
Le definizioni che Leibniz offre della perfezione includono di esistenza dei possibü, che conferisce a essi un grado di realt), e
sp,esso la nozione di realtá o concetri a essa iorrelad. Egli afferma I'esistenza stessa, facendo si che a raggiungere quest'ultima siano i
ad esempio che da perfezione é la grandezza delfa realtár, (C,474), possibilí che, <<uniti insieme, producono- il piü alto grado di realt)-e
la<<quantitá> (iui,534) o il grado dí essa (Gr, 1l), che é da quan- ii perfezionen (T, S201/GP VI,236Y0. La compossibilitá, quale
titá dell'essenza>> (GP VII,303/SF I, 481), owero <<realtá pur", o, criterio di formazione di un mondo, acquista dunque un significato
se si vuole, ció che nelle essenze é positivo o assoluto>> (Gr,)24; cft. non banalell una volta posta in relazione al <primo libero decreto>>
anche T, S 3l e GP \TI, 261/SF I, L79). Se ne desume che il piü di Dio, di <fare sempre ció che é piü perfetto>, (DM, S lllcP IV'
perfetto é ció che ha piü realtá o entirá positiva (cf.r. iui,325j2B. 438).TaJe decreto rende infatti saliente la nozione di ordiner2, e in
On,la realtá, ovvero ció in virtü di cui qualcosa é una res, é diver- particolare quella dell'ordine per cui piü cose sono compossibili,
sa dalla semplice esistenza e ammette gradi: di due cose esistenti, per il quale, cioé, pud essere realizzatala massima varietá di esseri e
I'una puó avere piü realtá dell'altra2e; nondimeno essa é connessa áunq.r. il grado piü alto di perfezione (cfr. DM, S 6). La perfezione
all'esistenza, come risulta dall'idea che la perfezione o essenza sia o grado di reaitá é cosi insieme una misura della compossibilitá e-ii
<<l'esigenza di esistenzo> (Gr, 288). Il seguente passo sembra corro- principio dell'esistenza e percid Leibniz puó sostenere non solo
borare questa connessione e fornire inoltre una risposta alla do- .h. il pil perfetto é cid che ha piü realtá, ma anche che <<l'esistenza
manda posta sopra: é la partecip azione alla serie di cose piü perfetto> (C, 9).
Qualche ulteriore precisazione in merito a queste nozioni
- cgTe la possibilitá é íl principio dell'essenza, cosi la perfezione o
gra.do dell'esselza (per il qg+ piü puó venire dalle seguenti osservazioni del filosofo:
cose sono compossibili) É il principio
dell'esistenza (GP VII, 304/SF
BI,2I9). La perfezione non dev'essere collocata soltanto nella materia, cioé
Leibniz ribadisce che la perfezione é il grado dell'essenza, ma in quanto riempie lo spazio e il tempo, in qualunque modo sia posta una
stesia quantitá, ma nella forma o varietá' Dal che consegue che la materia
che .<si possono ricondurre ... a un solo vantaggio>, quello appunto <<di produrre
... é reia dissimile dalle forme, altrimenti non si otterrebbe tutta la varietá
maggiore perfezione possibile> (¡ázl).
la possibile ... Ne deriva altresi che abbia prevalso,quella serie, per la quale
2E Il grado o la misura in questione
in questi passi non sembrano determinazio- sorge il massimo di pensabiütá distinta. Inoltre la pensabiütá distinta dá
ni numeriche; si tratta piuttosto del rapporto qualitativo del positivo al privativo o del. ord]rre alla cosa e bellezza a chi pensa. IJordine, infatti, non é altro che la
l'assoluto al limitato (cfr. Gr, l7l). Su realitas e per/ectzo cfr. Heixex¡ ¡oí peg,pp. laa- relazione distinta di piü cose (GP VII, 290/SF 8I,229).
151 e Pmo 1990. pp. 224-226.
2e Cfr. M¡cDoN¡l-o Ross 1992, pp. 148-149,
il quale ricorda come diversi sia-
no per Leibniz i fattori che concorrono a costituire la <cosalitb>, ognuno dei quali am- r0 Cfr. ScuEpBns 1965, pp. )41'148. Risulta evidente allora l'importanza della
mette un grado; rilevanti sembrano in particolare il possesso di qudita, I'unitá, Ila forma, definizione della perfezione come grado della realtá, con la quale Leibniz rompe_l'irle_n-
l'attivitá. MacDonald Ross richiama infatti non solo l'adozione, i^ pr.t. ¿i rál¡niz, ¿i tificazione spinoziana di realtá e perfezione (cft. Etica, II, def. VI). Lesistenza di diffe
principio per cui I'ente é uno, ma anche la convinzione del filosofo, che piü attributi renze nel grado di realti sembra infatti rientrare fra le condizioni perché qualcosacome
ha
una sostanza, piü essa é perfetta (cfr. GP r,144) e l'enfasi posta sulle noiioni, a¡istoteli- la scelta divina fra i possibili, e dunque la contingenza del mondo attuale, sia pensabile.
camente associate, di forma e di ativitá (cfr T, S 87 /Gp VI, 149-150: <Aristotele e, do- rI
Ogni mondo, infatti, a prescindere dal suo grado di perfezione, é comunque
po di lui, gli scolastici hanno chiamato forma ció che é un principio dell'azione . ,i t.ou, una rete piü o meno estesa e ordinata di compossibü (cfr. R¡scsrn 1996, pp. 146'148)'
in colui che agisce>. se questo principio interno é.ort"nrid..-ri trou" in un corpó or- tí ,.DaJfi suprema perfezione di Dio segue che, producendo I'universo, egli ha
ganico, <<é chiamato ¿nima>> all.a quale, scrive Leibniz,.do stesso filosofo ha dato...
il seguito il miglior piano possibile, in cui si trovano la massima varietá e il massimo ordi
nome generico di entelechia o di atto. Questa parola: entelechia, trae verosimilmente l¿ n"]' (pNG, S 10/GP VI, 601). Cfr' MoNo¡ooRI 1978, pp. lfi'162 e LrtNx¡ur 1996,
propria origine dalla parola greca che significa perfetto>>). pp.92-96.
t28 La belleua e la fabbrica del mondo La metafisica della bellezza r29

-_ _ il passo suggerisce una relazíone prioritaria della perfezione che tutte le diverse classi di esseri, il cui insieme costituisce I'univer-
alra forma, perché la varietá (uno dei fattori da cui la perfezione ri- so, sono, nelle idee di Dio che le conosce, altrettante ordinate di una sola
sulta) é una funzione delia forma; ció si puó .o-pr.ná.re conside- curva, cosi strettamente congiunte che sarebbe impossibile pome altre fra
rando che per Leibniz non si danno cose singole áifferenti solo per l'una e I'altra di esse, dato che ció importerebbe disordine e imperfezione
numero e poiché a dare individualitá é la forma, non la materiá, il (.tFBII' 765-166).
mondo piü ricco di cose sará quello in cui esiste la massima quan-
Leibniz sembra patagonarc l'ordine del mondo all'equazione
titá di f.orma o essenza possibile. Ijulteriore conseguenza .h. n.
di una linea geometrica, secondo un'analogia usata anche nel S 6
viene ricavata, e cioé che la serie dei possibili che passa all'esistenza
del Discorso di metafisica; nel passo citato, tuttavia, il carattere or-
é queila piü comprensibile, non é immediatamenie evidente; come
dinato dell'universo é collegato all'idea che le serie naturali sono
si puó intuire, essa coinvolge il secondo faftore della perfezione, la
<<piene>>, perché <la legge di continuiti comporta che la natura non
semplicit), cogliendolo, per cosi dire, nei suoi effetti sulla menre,
lasci vuoti nell'ordine che essa segue>>. Ne deriva che nell'universo
ma non é evidente quale nesso vi sia fra pensabilitá distinta e fun-
ci sono <<tutte le cose>, che la sua <.perfetta armonia poteva riceve-
zionahtá della forma alla varietá. Forse la relazione é data dal fano
re> (NE, IILvt.I2/AW 6,307) e dunque che Dio, creando I'ordine
che, per Leibniz, le vie piü feconde sono anche le piü semplici, in
quanto sono quelle che meno si ostacolano fra loro, cioé quille che
ottimale suggerito dal principio di continuitá, ha creato anche ció
che rcalizza la massima quantitA di essenza o variet) di esseri.
realizzano I'ordine migliore (cf.r. T, S 208), il quale, si iicava dal
passo, consenre anche la pensabilitá distinra delle cose.
Il principio di continuitá apparc cosi il mezzo piü idoneo per
A dare rilievo a questa connessione sono due elementi fonda-
la creazione del mondo perfetto; un mezzo che, dato il contenuto
del primo decreto divino, proprio perché produce ordine e intelli-
mentali nella concezione leibniziana del mondo. Il primo é rappre-
^d-ulle gibilitá, appare desiderabile anche in sé, e dunque in qualche misu-
sentato dalla posizione privilegiara occupata nell'universo
ra uno scopo per la saggezza divina, secondo quanto auspicato dal
creature fat19 a immagine di Dio e a lui, per piü ragioni, particolar-
S 208 della Teodicea. Questa conclusione risulta tanto piü plausibi
mente care3i, cioé dagli spiriti (cfr. DM, S 36), e póna a metere in
le, se si considera la posizione privilegiata delle menti; la presenza
relazionela ptef.erc-nza divina per l'ordine e l'intelligibilitá alla pro-
mozione della perfezione di queste creature. Il secondo eleminto
di salti nell'ordine, introducendo discontinuitá nei fenomeni, ob-
bligherebbe infatti <<a ricorrere ai miracoli o al caso>> nella loro
da considerare é il significato del principio che per Lelbnizvale co-
spiegazione (JF B II, 764 e GP II, 168), cioé a rinunciarc a ogni si-
me <principio d'o¡dine generalo> (GP III, 52/SF II, 759), cioé il
r curo principio di comprensione, owero di possibile perfezione de-
principio di continuitá. Enunciato in modo inforñiale esso suona:
gli spiritisa.
<<la natura non fa mai salti>> (NE, Pref./A W 6, 56) e stabilisce
che Ora, non solo ordine e perfezione risultano sffettamente cor-
tutti gli ordini di
esseri naturali formano una sola catena, in cui le relati; anche I'armonia appartiene al contesto concettuale di queste
diverse specie, come altrettanti anelli, sono cosi sÍettamente connesse le nozioni. Leibniz, ad esempio, paragona I'agire della saggezza divi-
une alle altre che é impossibile per i sensi o per I'immaginazione determi na a quello di ..un geometra perfetto>>, che procede <<secondo
nare esattamente il punto in cui una finisce e l'altra comincia; un'armonia alla quale nulla pud essere aggiunto> (GP III,52/SF B
1I,759)35, appunto perché, sembra il senso dell'immagine, in ul
owefo:
11 La funzione di principio architettonico fondamentale, conseguentemente as-
- " -gli spiriti sono non solo Ie creature
anche quelle per
con cui Dio entra in comunicazione, ma sunta sul piano epistemologico dal principio di con¡inuitá, é illustrata con chiarezza da
mezzo delle quali <<si ottiene la massima varietá nel minimo spazio, DucursNs¡u 1992, pp. 179-189, il quale sottolinea come tale principio esiga che la le-
(GP.VII, 2?1:/SF
8\,230), in quanto nelle loro rappresentazioni l,universo é rispecchia_ galitá dei fenomeni sia concepita come espressione di un sistema integrato di elementi
to e in qualche modo moltiplicato (cfr. DM, s 9); inoltre essi sono le creature .he..meno
individuali.
si ostacolano a ücendo> (iui, S 5/GP [Y,410), dunque le piü perfette. 15 lJimmagine del geometra é riproposta da Leibniz anche in un'altra variante,
J'

130 La belleua e Ia fabbrica del mondo La metafisica della belleua l3I


modo egli consegue il massimo di reaitá. Giá negli Elementi di arca- priva di ordine, priva di proporzione, priva di concordia, non vi é armonia
na filosofia (1676) Leibniz sostiene che la quantitá di essenz a realiz- (Gt I2/P,97-98).
zable tn un mondo é correlata alle proprietá armoniche del mondo
SteSSo: Perché vi sia armonia deve darsi una pluralitá di entitá distin-
te e un ordine che le unifichil6, cosicché l'armonia aumenta con
Considerate bene le cose - egli scrive - erigo a principio l'armonia l'accrescersi dei fattori da cui risulta:
delle cose, ossia che esista il massimo possibile di essenza (.tF I, 164).
quanto maggiori sono sia la varietá che I'unitá nella varietá, tanto
E a Des Bosses, il,29 apnle 1715, scriver) che Dio ha decreta- maggiore é l'armonia (Gr, L2/P,98).
to di <<fare tutto sapientissimamente e áp¡rovrxtorúr<oq>> (GP II,
496/5FL,555), lasciando cosi intendere che la scelta di fare cid che Con I'introduzione della nozione di armonia si chiarifica an-
é piü perfetto porta a rcaJizzare il mondo piü armonico. I-larmonia, che il legame fra la costituzione dell'universo e la sua qualitá esteri-
infatti, é a sua volta una funzione della varietá e dell'ordine; essa é ca. Dato che la condizione base perché si dia un mondo é la com-
<<unitá nella varietá>> e perció si ha possibilitá, intesa come generica capacid possedum da un ínsieme
di possibfi di coesistere, ne segue che ogni mondo possibile pre-
quando i molti sono ricondotti a una qualche unitá. ... Laddove senta un certo grado di armonia e dunque un qualche valore esteti-
non vi é alcuna variet), non vi é armonia ... Viceversa, laddove la varietá é co. Il mondo esistente, essendo il compossibile piü perferto (cfr. Gr,
325), cioé piü armonico, é quello che massimalizza quesfo valore.
paragonando l'attivitá divina alla capacítá di <<trovare le migliori cosrruzioni di un pro- Come si é visto, per Leibniz esistere non ¿ altro che essere armoni-
blema> (DM, S 5/GP IV, $0). Fra le altre immagini usate dal filosofo per offri¡e una co e poiché nell'essere armonico <<consiste labellezza e il piacere>>
qualche rappresentazione della condotta di Dio, senza pretendere tuttavia <di spiegare
(Gg267), si ha che il mondo esistente é un potenziale oggetto di
in tal modo il grande mistero da cui dipende tutto l'universo> (iui, S 6/GP N,432),vl
sono quelle del buon architetto, che sa amministrare il terreno e i fondi desdnati all'edi piacere estetico: prima di tutto per Dio, in secondo luogo per gli
ficio <nel modo piü vantaggioso, non lasciando nulla di urtante o che manchi della bel- spiriti. Esso é un xóopo6 nel duplice significato della parola: é cioé
lezza di cui sarebbe suscettibile"; del buon padre di famiglia <che impiega i propri beni
una serie ordinata, anzi éla serie che presenta I'ordine piü compiu-
in modo che non vi sia nulla di incolto, né di sterile>; dell'abile meccanico, <<che ottiene
l'effetto desiderato nel modo meno complicato che si possa scegliere>> e dell'autore eru- to, vale a dire I'ordine che insieme consente la massima varietá (cfr.
dito, che sa racchiudere <il maggior numero di realtá nel minor volume possibile" (¡a¡l S
5/GP IV 410). Quelle del geometra e dell'architetto sono probabilmenre variazioni dal 16 Secondo una delle formulazioni leibniziane piü note, I'armonia é da simütu-
Timeo di Platone; quelle del padre e dell'artista (Leibniz paragona Dio.non solo a uno nella varietá o la diversitá compensata dall'identitá> (CPh, )2/14). <<Armonico -
dine
scrittore, ma anche a un compositote e a un pittore) hanno un sapore piü biblico. Esa- scrive Leibniz - é I'uniformemente dissimile. Piace la varietá, ma ridotta in unitá, ben
minando la ricca galleria di figure della divinitá messa insieme da Leibniz, JEslERs 1998 disposta e collegata. IJomogeneitá ... é gradevole soprarturto tra cose diversissime, in
rileva che il filosofo si serve per 1o piü di metafore ricavate d¿lla natura (es.: fonte, ocea-
cui nessuno sospetterebbe una connessione" (A M 1,181-185/5P,101-105). Suüa no-
no, Iuce, sole) e dalla geometria (centro che é dappertutto) per rappresentare l'onnipo-
zíone cfr. Moxo,roont 1978. Fino a che punto, in formule come quelle citate, Leibniz
tenza e I'onniscienza di Dio, cioé gli attributi divi¡i conoscibili mediante la ragione,
miri a dare espressione a un concetto di mondo come esplicazione di una menre e un
mentre preferisce usare analogie con persone concrete (oltre a quelle citate, ricordiamo: volere perfetti, lo documenta LolNrrrur 1996.Ya da sé che il carattere armonico e armo-
principe, signore, legislatore, inventore, educatore, giudice) o artivitá (produrre pensieri,
nizzante dell'operare di Dio si rivela pienamente considerando le relazioni di ordine e le
comunicare, fare a propria immagine), quando si propone di fornire un'immagine di mi-
armonie che esso genera non solo all'interno dei vari livelli ontologici, ma anche fra essii
steri quali la bontá, la prowidenza e la creazione. E chiaro che Leibniz puó ricorrere a
ad esempio creando non solo perfezione negli enti, ma anche <(ornamento>> nei fenome-
tali analogie, perché ritiene che le ragioni della bontá e della creazione divina, benché ni percepiti dalle menti. Rutherford cita a questo riguardo una lertera di Leibniz ad A¡-
misteriose nel dettaglio, siano tuttaüa conformi alle ragioni che, sotto diversi punti di ü-
tonio Conti, nella quale si legge che <da natura ... ha creato L'apparcnza di cosi tanti
sta, determinano la bontá della condotta umana. Solo su quesro presupposto, infatti, il
nuovi esseri o nuove qualitá che, come disse Democrito, esistono per convenzione nel-
comportamento di Dio diventa rappresentabile per analogia con quello umano. Si puó I'anima e non nella realtá, ma sono un ornamento meraviglioso del mondo> (cit. in
inoltre osservare che le analogie usate da Leibniz danno espressione anche a due qualiti
Rutnrnrono 1995, p..11). Posto che sia corretta, l'analisi della concezione leibniziana
che egli riteneva essenziali all'agire divino: la sua necessitá morale e non assolum (contro
delle qualitá sensibili, svolta nel capitolo precedente, dovrebbe indurre ad atenuare ia
Spinoza) e la sua non arbitrarietá (contro Descartes). portata di questo convenzionalismo.
t32 La bellezza e la fabbríca del mondo La metafísica della bellezza t3)

PRNG, S 10), e, proprio per questo, é un ornatuslT, ossia bellezza. appare il


carattere del mondo esistente per cui esso risulta ornato
Dall'unitá nella molteplicitá, cioé dalla concordanza, deriva infatti drbelTezza, anzi della suprema bellezza, non essendo questa altro
I'ordine e da questo, scrive Leibniz, <<proviene ogni belTezza>> (GP che I'armonia universale (cft. CPb,60/3I). Ció che importa rilevare
I/I.I,87/SF dall'ordine proviene peró, come si é üsto, in questa concezione leibniziana non ¿ tanto la definizione, piutto-
"II,752)38; del mondo. Belfezza e comprensibiliti
anche la comprensibilitá sto tradizionale, della bellezza in termini di ordine e armonia)e,
sembrano valori correlati; é un punto molto importante, cui si é gi) quanto il fatto che la belfezza, per questa via, risulta collegata al
accennato e sul quale vale la pena di soffermarsi ancora un po'. concetto di perfezione e appare pertanto una proprietá del mondo
derivante dalla sua fotma; ne consegue che, come ornatus, essa non
é qualcosa di accessorio o supplementare rispetto alla forma o
). Bellezza e conaprensibiliti
struttura del mondo, bensi emerge da essa. Il fatto che Leibniz, co-
Funzione dell'ordine come relazione dei distinti, I'armonia me si ¿ visto, sottolinei che la bellezza fa tutt'uno con la soddisfa-
zione derivante dalla comprensione (cfr. GP VII,290/SF 1,2)0),
17 Kóo¡.r.o6, come é noto, é termine che la tradizione retorica rende con ornatus, sembra tuttavia confermare, nello stesso tempo, un tratto giá emer-
intendendo il <<trucco>r, il belletto, l'abbellimento rappresentato dalla forma esterna di so nell'analisi della sua apparenza sensibile e cio¿ la relazione in-
una parola (cfr. Arusr., Poet., 1457 b 2, )1-1458 a 7) o dall'ornamentazione lessicale e ffinseca che essa ha con la mente.
stilistica di un discorso (cfr QutNrII-t¡No, Inst. Ox, VIII, ,1). Cunrtus 1995, p. 81, sotto-
lineando chel'ornatus é la grande aspirazione stilistica <<e resta tale fino al XVIII seco-
Questo tratto risulta con particolare chiarezza, considerando
lo>>, porta quale esempio significativo dell'importanza di tale elemento, il fatto che <üir-
il modo in cui Leibniz definisce le nozioni di armonia e perfezione,
giüo üene inviato da Beatrice in soccorso di Dante, perché é maestro del)aparola omata che abbiamo visto essere correlate a quella della bellezza, in alcune
(Inf.,ll 67)> e ricorda che Dante stesso dice che la bellezza delle proprie canzoni <<é nel- lettere a Ch. Volff, scritte verso la fine della víta. La perfezione, af-
I'ornamento delle parole> (Conu.,II 11, 4). Nelle arti visive e soprattutto in architettura
ferma il filosofo, rispondendo alla richiesta di una definizione del
l'ornamento é spesso distinto dalla struttura; nel linguaggio scolastico, ad esempio, or-
namento e struttura configurano i due valori estetici delTa formositas/compositio e, ap- concetto
punto, dell'ornamefttuffi o oftiatusi valori variamente considerati a seconda delle epoche
(cfr. T¡r¡nxlevrcz1997, pp. 189-192). Forse é un indizio della sensibilitá barocca di é il grado di realtá positiva, o ció che é lo stesso, il grado di intelligi-
Leibniz, che egli consideril'ornatus I complemento della composizione ordinata. bilitá affermativa, cosi che il piü perfetto sia quello in cui si trovano piü
'8 Ii legame di ordine e ornarnento del mondo é antico; basti qui un richiamo a cose degne di osservazion e (L'W, L6l) .
Cicerone. Discutendo, nelDe xatura deorum, <da mente del mondor, rawisabile nell'or-
dinamento ammirabile e nell'incredibile regolaritá del cielo (cft. nat. deor. 2,56), e i mo- Come nel passo esaminato sopra, anche in questo non é subi-
tivi per cui si puó chiamarla prowidenza, Cicerone afferma che <<a questo soprattutto
to chiaro in che senso il grado di realtá positiva, cioé di perfezione,
essa e in questo é principalmente occupata: in primo luogo a che il mondo sia il piü
adatto possibile a permanere, poi che non manchi di nulla, ma soprattutto che possieda sia insieme un grado di intelligibiütá. Da una successiva lettera ri-
una bellezza superiore e ogni ornamento (ut in eo exirnia pulcbritudo sit atque omnis or- sulta che le osservazioni di cui le cose perfette sarebbero partico-
natus)>> (iui,2,58) Con ornalus Cicerone intende peró anche Io stesso ordinamento del larmente feconde sono <<osservazioni generali>r, owero osservazíoni
mondo (8¿axóo¡rr¡orq) penetrato da tale mente. Di quanti, come gli epicurei, ritengono
che il mondo sia prodotto da una collisíone casuale di atomi, egli scrive: <<Senza dubbio
conformi a regole generali. Ne consegue che il piü perfetto é il piü
parlano cosi a vanvera del mondo che mi sembra non abbiano mai contemplato questa regolare (iuí, 1.63), vale a dire ció che contiene piü armonía:
straordinaria büezza del cielo (adnirabilem caeli onatum)>> (iui, 2,94). E ancora: <<puó
un uomo sano di mente ritenere che tuta la disposizione delle stelle e questo cosi gran- La perfezione é l'armonia delle cose, ossia I'osservabilitá delle pro-
de ornamento (ornatus) del cielo abbiano potuto essere prodotti da corpuscoli che scon- priet) generali o, se si vuole, l'accordo o I'identitá nella varietá; puoi anche
trano qua e lá, a caso e in modo fortuito?> Uui, 2, 115). Interessante é inoltre ricordare dire che essa é il grado di contemplabi.litá (iui,I72).
che nelle discussioni medievali sulla dottrina della creazione contenuta nel racconto del"
la Genesi, era abbastanza comune la distinzione fra cteatio,l'operu dei primi tre giorni, e Per Leibniz l'ordine che consentela rcalizzazione di un mas-
ornatus,l'opera di abbellimento compiuta nei restanti tre, nei quali, in modi diversi a se-
conda delle concezioni, si vedeva esplicarsi I'azione vivifica¡te e ordinat¡ice della forma
(cfr. Gnoss 1985). re Cfr. Tar¡nx:m\x¡tcz 7997 , pp. 147 -155
134 La belleua e la fabbrica del mondo La metafisica della bellezza 135

simo di essenza4o é dunque anche I'ordine che consente un massi- tuttavia, il legame con I'osservabilid ne attesta anche I'intrinseca
mo di intelligibütá: <<ordine, regolaritá e armonia - egli scrive - ri rclazione alla mente. La concezione della bellezza in termini di ar-
sultano la stessa cosa>> (iui,172) e sono riconducibili alla perfezio- monia sembra dunque definirne lo status mediante un duplice rife-
ne. Ora, vi sono proprietá, e sono quelle che <<discendono>> dall'es- rimento: alla struttura del mondo esistente, e in particolare alle
senza, delle quali Leibniz aff.erma che <<é lo stesso cercare la perfe- proprietá per cui é il migliore dei possibili, e all'attivitá della men-
zione in un'essenza>> e in esse (iui, 770). Tali proprietá sembrano te, perché I'armonia é non solo principio di esistenza, ma anche
essere eminentemente quelle che rendono possibili <<osservazioni condizione di pensabilitáaa. Radicata in propriet) strutturali del
generalil>, cioé le proprietá armoniche che catrurano il significato mondo, labellezza, si puó forse dire, emerge ad opera di una men-
della nozione di perfezioneal. Dato che la regolaritá che cosriruisce te, in virtü della quale appaiono le relazioni armoniche fondate in
I'ordine, e rende possibili tali osservazioni, é la stessa che costitui- quelle proprietá.
sce la bellezza - <deggi e regole>r, infatti, <<costituiscono I'ordine e la A questo proposito vale la pena di ricordare che un aspetto
bellezza>> (T, S 359/GP VI, 328) -, sembra lecito concludere che la particolare, sotto cui si presenta I'associazione dtbelfezza e armo-
belfezza rientra fra le proprietá manifestative della perfezione del nia, é rappresentato per Leibniz dal valore estetico delle leggi natu-
mondo, é uno degli aspetti sotto cui tale perfezione appare42. rali. Come si é visto, bello é ció la cui contemplazione é piacevole,
Se da un lato ció conferma che la bellezza é una proprietá es- quando si pud veramente rendere ragione del piacere; piacevole é il
senziale, permanente, e non accidentale del mondoal, dall'alüo, passaggio a rappresentazioni piü distinte e qualora si comprenda in
che modo esso awenga, anche il piacere sará distinto, intellettuale:
10 <<Potresti anche dire scrive Leibniz che
- - üa perfezionel é il grado dell'es-
senza, se l'essenza é valutata dalle proprietá armoniche, le quü, per cosi dire, conferi- Tale piacere distinto - scrive Leibniz - é in chi trova certe belle pro-
scono peso e momento all'essenzo> (L:|Y,172). Sembra quasi che la perfezione, come va- porzioni o dimostra delle proprietá (Gt 532-fi3).
lutazione dell'essenza secondo le proprietá armoniche, cioé secondo le proprietá per cui
risulta compossibile con piü cose, sia il rermine medio tra l'essenza o possibiütá dell'esi- Sembra che riconoscimento delfa belTezza sia il termine di
il
stenza, e l'esistenza stessa; la misura che essa fornisce é dunque quella, metaforica, della
forza con cui I'essenza tende all'esistenza (HelNr.x¡r¿p , 1969, p. 159). Si comprende al-
un progresso intellettuale, un portato del pensiero che si fa piü di-
lora f immagine del <<meccanismo metafisico>> posto da Leibniz all'origine delle cose; as- stinto, che percepisce meglio le relazioni che legano i fenomeni. Il
similando tl. conatus dei possibili all'esistenza a quello dei corpi a discendere, e dunque passo appen a citato é tratto da un testo del 1679 , ma puó essere ac-
la realtá all,a gravitá, egli mostra di considerare il mondo nel quale si ha ia massima pro-
costato senza f.orzature a quelli riportati dalle lettere a Volff, nei
duzione di possibü, cioé iI mondo esistenre, come una risultante del contrasto fra i pos-
sibili stessi, esattamente come awiene nella meccanica, che <da molti corpi gravi che quali veniva sottolineata la connessione di armonia e osservabilitá.
contrastano gli uni con gli altri, nasce infine un moto che produce la massima discesa to. Ora I'individuazione di relazioni fra i fenomeni, cioé di leggi, in
tale". In tal senso egli puó dunque sostenere, lo si é visto, che <<come la possibiüti é il quanto fonda il riconoscimento di unitá nella molteplicitá, é essa
principio dell'essenza, cosi la perfezione, o grado dell'essenza (per cui piü cose sono
stessa armonica ed é dunque bella. Sotto questo aspetto, bello é ció
compossibiü), é il principio dell'esistenzo> (GP VII, t04/5F1,482).
11 RurHnn¡ono 1995, p. )5.
a2 La bellezza, come si é visto, sembra essere un sentimento della perfezione.
ü un individuo non potrebbe (almeno da un punto di vista naturale) cessare di far parte,
Considerando il modo in cui Leibniz definisce tale sentimento (cft. L\Y/,171), si puó di- quando ne ha fatto parte una volto> e quelle che sono invece <accidentali ... rispetto
re che il piacere per il bello risulta da un sentire I'armonia, perché I'armonia facilita la agli individui che ne fanno parte, e che possono cessare di appartenervf>, egli porta fra
percezione, districandola dalla confusione, e l'accordo nella varietá piace tanto piü, gli esempi di queste ultime anche labellezza (NE, III.vi.4/A VI 6, 105). Un individuo
quanto piü facilmente é osservato. Ne consegue che la bellezza risulta strettamente cor- puó dunque cessare di essere bello; lo stesso non si puó tuttavia dire del mondo, se é ve-
rela¡a alle condizioni della conoscenza: il mondo piü perfetto, infatti, é il mondo piü ar. ro che la sua qualitá base é I'armonia.
monico, piü regolare e perció non soltanto piü bello, ma anche piü capace di osservazio- {4 Sotto questo aspetto l'armonia risulta I'aggregato delle relazioni presenti in
ni generali. un oggetto pensabile. <<La relazione - spiega Leibniz - é una specie di unitá nel molte-
ar Da ció non segue che la bellezza non sia anche I'accidentale proprietá esteti- püce. E le forme di relazione sono i nessi e i rapporti delle cose tra loro, le proporzioni,
ca che siamo soliti predicare di certi oggetti piuttosto che di altri o che un oggetto puó le proporzionalitá. Da tutte queste relazioni considerate insieme in una dato oggetto ri-
avere o non avere. Quando Leibniz illustra la distinzione fra le .<sorta o specie delle qua- sulta l'armonia>> (Gt ú/P,99\.
I
I
I

136 La belleaa e Ia fabbrica del mondo La rnetafisica della belleua 37

per cui I'apprensione sensibile dei fenomeni pud essere resa distin- divina: essere armonico e piacere a Dio, ossia essere bello, sono per
ta, ovvero, come osserva M. Fichant, bello <<é precisamente che i fe- Leibniz tutt'uno, cosi come lo sono esistere ed essere armonico,
nomeni possano essere riportati a equazioni ... e che queste equa- Derché ció che Diace a Dio esiste.
zioni a loro volta si ordinino armonicamente in un sistema comple-
' Dio, scriv; il filosofo, accreditando labellezza di una sorta di
to in cui la diversitá delle forme matematiche risulta unificata#5. Per la volontá divina,
La distinzione che dá ordine all'oggetto ebellezza a chi pensa ^firattiv^
(GP VII, 290/SF non poteva mancare di stabilire delle leggi e di ses,uire delle regole,
,.I,229) fa tutt'uno con il fatto che i fenomeni so- perché le ieggi e le regole sono ció che fa I'ordine elabellezza (T, S
no riportabfi a leggi; e dato che in ció si puó vedere un'espressione
359/GPVr,328).
dell'ordine ideale che li governa, essa é insieme una manifestazione
della stessa belfezza divina. Per Leibniz talebelTezza si vede, infattí, LabelTezzae I'ordine sembrano il sigillo del mondo perfetto;
in due modi: o nella conoscenza delle veritá eterne o nella cono- é infatti 1o stesso dire che da Dio, ragione uldma delle cose, deriva
scenza dell'armonia dell'universo, applicando le ragioni ai fatti, ov- solo <<ció che é conforme alla suprema bellezza ovvero all'armonia
vero conoscendo <<le meraviglie della ragione e le meraviglie della universale>> (CPh,60/31; cfr. anche GP VII, 74)a7 e dire, come il fi-
natura>>, il sistema dell'universo (Gr, 5S0-5S1). Belle sono dunque losofo scrive a \lolfl che <<fonte di tutre le regolen, I'intelletto diü-
le stesse leggi naturali, in quanto configurano forme eminenti di no <<produce il sistema del mondo piü regolare o piü perfetto e il
consenso nella varietá, cioé dell'armonia propria del mondo esi- piü armonico possibile>r, ossia un sistema che ammette il piü gran-
stente, ed esse sono tanto piü rivelatríci della belfezza divina per- i" ,r.r-"ro di osservazioni generali, cioé osservazioni conformi a
ché, mancando della necessitá che caratterizzale proposizioni della regole generali (L\I(/,171). Dall'ordine deriva infami la comprensi-
geometria, possono essere fatte risalire alla scelta divina del meglio bil"itá ela questa il piacere per la conremplazione, cioé la belfezza.
(cfr. T, S 349), vale a dire derivate <dal principio della perfezione e Essa ii pt.t.ttt" dunque in tre modi alla mente, conforme-
dell'ordine>> (iui, S 345/GP VI, 119)16. All'apparente progressiva menre ai tipi ái nozioni con cui quesra si rappresenta il mo-ndo. Sul
mentalrzzazione della bellezza fa cosi dapendant il suo ancoraggio piano sensib lelabellezza risulta essefe una proprieta confusamen-
ultimo al piano metafisico della scelta divina dell'ordine del mon- ie percepibile neglí oggetti; a livello metafisico essa é spiegata at-
do, gtazie al quale essa viene accreditata come qualitá pervasiva truju.rro-torioni ihe conferiscono all'astratto reale che la nomina
dell'essere o, meglio, come una forma di percezione della qualitá un riferimento a proprietá ontologiche ultime del mondo; sul pia-
armonica dell'essere. Ció vale sia per la mente finita che per quella no della rapprese;taiione scientifica, invece, la bellezza, legata co-
me su quef; fenomenico al piacere per il passaggio-della mente da
at F¡ctt¡Nt 1992, p.213. ¡¡¡¡elligibilitá del movimento, ad esempio, puó essere ,rnu ,uppt.tentazione confusa a una piü distinta delle cose, si.spe-
espressa attraverso principi diversi (cfr. T, 5 146); si trana solo di isolare, artraverso una cifica nón ranro come proprierá dei fenomeni quanto delle leggi
relazione di equivalenza, un invariante, la cui esistenza, sottolinea Fichant, in quanto unfi.
che li connettono, delle regole che, fondandone il consenso' ne co-
cante, é essa stessa armonica: istituisce semplicitá nella varietá. Pane della bellezza delle
leggi scelte da Dio sembra data proprio dal fatto che in esse <<numerosi e belli assiomi si stituiscono anche la realtá. Le leggi naturali, come si é accennato,
trovano riuniti, senza che si possa dire qual é il piü primitivo> (iui, S 147 /GP Y7,121). sono forme ái rcalizzazione dell'armonia e perció sono esse stesse
a6 Non c'é nessuna necessitá, sostiene Leibniz, nel fatto che il moto di una pal-
belleas.
Ia, a una certa velocitá, su un piano o¡izzontale continuo, debba avere de proprietá che
avrebbe se la palla si muovesse meno velocemente su un battello, il quale a sua volta fos-
se in moto nella medesima direzione alla velocitá residua, in modo che la sfera, visra dal-
at sul valore di principio universale attribuito d-a_Leibniz all'¿rmonia cfr. Bpl¡-
la rivo si muova alla stessa velocitá. lapparenza che risulta é la medesima, ma <<non si vx- 1976, pp. 86-1b5 . .op."itutto SgrwenEns 1984. MAGNARD 1999 lega I'adozione
tratta affatto della stessa coso>. Che il moto abbia le stesse proprietá <é bello, ma non si d"ll" no"ion. di armonia ila crisi dell'ordinamento analogico e gerarchico che costitui
va, fino al XVI sec., la grande catena deü'essere. I-larmonia sarebbe in altri termini
vede affatto come sia assolutamente necessario>>, <ed é proprio questa mancanza di ne- un
cessitá - egli con¡menta - a mettere in risalto la bellezza delle leggi che Dio ha scelto . ..> piü"tiuo per il crollo dJll'ontologia scalare, uno strumento per ricomporre il.cosm::
(T, S t 47 / GP Vt, )20 -)21). a8 certo, si potrebbe dire che non solo le leggi naturali, ma anche la realtá da
ú8 La belleua e Ia fabbrica del mondo La metafisica della belleua 139

Decifrata giá d.livello esrerico-sensibile come forma di perce_ 4. lntermezzo: il significato di una triade e la polemica
zione della perfezione, una volta ricondotta metafisicam..rt. ^ull'r.- con i <<filosofi Piü recenti>
monia, labellezza appare un risvolto dell,optimum, ossia della
combinazione ordinaiá di possibili che raggiung" t'".Lt*rr, p.i- Il pathos con cui parla degli esempi dibellezzaincontrati nel-
ché mediante essa si rcahzza il massimo diitsenzu, di perfezióne, le matematiche e nelle scienze mostra quanto Lelbniz fosse sensibi-
cioé di bene merafisico. L'osservabilitá dei fenomeni, la loro le agli aspetti estetici della conoscenza; egli racconta che, voltosi
conformitá aleg-gi a loro volta belle, non é che un ulteriore asperto dagli stuái teologici a quelli matematici, fu tenuto dalla loro dol-
sotto cui la perfezione del mondo si manifesra. Nella bellezzi con- ceiza <<vicino allo scoglio delle sirene>>; e commenta: <<Quanto pia-
fusamente percepita nel piacere estetico e in quella che si mostra cere dia un bel teorema, possono capire coloro che sono capaci di
nel piacere distinto, dato dalla conoscenza delle leggi naturali, é cogliere con mente pura quell'armonia interiore>. Il motivo del fa-
dunque un identico ció che scino della bellezza delle matematiche e delle scienze é tuttavia ri-
lppare e cioé un frammá"to, ur, ,rp.,- in va oltre il loro contenuto' ossia
to della perfezione del mondo, dell'ordine metafisico delre cose, la posto da Leibniz qualcosa che
cui compiutabelfezza é solo in parre percepibile. che tare perfezio- nel fatto che tali discipline offrono una traccia della radice intellet-
ne sia il risuhato di una scelta lo ptova fual-'alüo, come si Jricorda- tuale di ció che non sembra formalízzabile; gli studi matematici,
to, proprio la mancanza di necessitá assolura delle belle leggi della egli scrive, dovrebbero essere indirizzati
natura, dell'architetrura matematica della realtá, che Leibñiz assu-
sia a esercitar la mente al rigore, sia a conoscere quasi I'idea dell'ar-
me a testimone della bellezza di Dio. Llordine fisico, egli scrive, ha monia e ddlabellezza, e gli studi naturali ad ammirare l'Autore che, nel
mondo sensibile, espresse I'immagine del mondo ideale (GP YII, )23 e
, qualcosa di morale e di volontario in rapporto a Dio, dal momento
che le le_ggi del movimento non hanno altra necessitá se non quella deri )25/SFL,52 e55)'0.
vante dalla scelta di ció che é migliore (NE, Il.xxi.13 /AVI6, nb). Come si é visto Leibniz dá una lettura dell'armonia e della
Ne consegue che conoscendo tale ordine si pud conoscere in bellezza anche in terminí di osservabilitá e traducibilitá matematica
_ dell'ordine dei fenomeni. Del resto, I'idea stessa che I'armonia sia
qualche modo anche labellezza divina, I'armonia da cui esso deri-
va; e forse che I'esperienza dellabellezza del mondo e delle leggi una forma di unitá del molteplice e dunque di rapporto delle cose
che lo governano puó essere considerara un indizio del suo senlá tra loro, ne comporta la comprensione come <<qualcosa di matema-
tico, consistente in certe proporzionil> (Gt,)79). Ora, I'idea che la
della suaragione ultima: <<Dio - scrive Leibni"
-h^ r;¿;;;.*;;: bellezza sia armonia, cioé proporzione delle parti esprimibile in
sa secondo la massima armonia obeTTezza possibile>> (Gp VII, 74).
Egli tunavia non crede che le ragioni partiiolari della scelta divina, forma numetica, vatiata e precisata in diverse versioni, en ampia-
il dettaglio di tale armonia, siano conóscibili in quesra vita. In una mente diffusa nella cultura filosofica fin dall'antichitá; c'é tuttavia
occasione parla della fisica come della <<matematiia divina esercira- un momento della sua elaborazione sul quale quanto detto nel pa-
ta nella natura>>4e-; probabilmente egli intendeva la stessa particola- rugrafo precedente pofta a rivolgere I'attenzione, perché pud-risul-
rcbelfezza delle leggi del moto come un indice simbolico della mi- taie utilé a intendere il senso e le implicazioni dell'immagine di una
steriosa matematica operante nell'origine delle cose, imitata dalla matemática divina funitata, nella sua applicazione alla natura, dalle
nostra conoscenza nell.a creazione del mondo dei fenomeni reali. scienze. Si tratta della connessione, proposta ad esempio da S. Ago-
sdno, fra I'idea che nel bello piacciano le forme proporzionate e
nelle proporzioniinumeri, e la triade modus (o mensura), species ,(o
esse cost¡rilra, in quanto rappresenta I'inva¡iante nei diversi punti di vista delle
menti,
nu*irrrl, pondus (owero ordo)5r. Essa merita attenzione, perché
ossia una forma di riduzione della varierá a unitá, é un dato armonico. dunqu..rr.
stessa bella. TaIe realtá sembra peró un costrutto concettuale e non un d"to f.rro-*i.o 50 Cfr. in proposito BREcER 1994'
4e A18,27 cit. in Frcu¡Nr 1992,p.215. tl Che la definizione del bello connessa a tale triade fosse anco¡a presente nel

L
r40 La bellezza e la fabbrica del rnorudo La metafisica della bellezza T4L

Leibniz richiama precisamenre quesra triade quando parla delle <<Platone>>, egli scrive, soffolinea con autorevolezza <<i1 fondamento
scienze secondo cui Dio ha regolato le cose (cfr. PNG, S 14). Rife- numerico deia costruzione del mondo da parte di Dio>>, ma anche
rendosi alle scienze di Dio, sembra lecito congetrurare che egli as- <<i nostri testil>, cioé le Sacre Scritturds. Tanto I'uno quanto le altre
segni ai tre termini non tanto il significato fisico-matematico che porterebbero dunque a intendere il numero, in quanto conferisce
essi hanno in relazione ai fenomeni, quanto piuttosto un significato ior-u, come fondámento di essere e intelligibilitá delle cose che
metafisico, fondante rispetto a quello fisico, e che tale significato sono56. Pondus é infine ció in virtü di cui le cose vanno a occupare
sia conforme a quello che essi avevano nella tadizione melafisico- il luogo che a ciascuna é proprio nel tutto armonico dell'universo,
teologica da cui provenivano. Vediamo brevemente, con un riferi- atttalizzando cosi la loro essenza5T'
mento quasi-esclusivo a S. Agostino e un cenno a S. Tommaso, di Mensura o modus, numerus o species, pondus oppure ordo so'
che si ffatta52. no dunque nozioni che, in generale, nell'opera agostiniana si riferi-
Senza entare troppo nel dettaglio, é abbastanza agevole con- ,.oto ,ll^ costituzione ontologica di ogni ente individuale e cioé,
statare che, per Agostino, ogni termine della triade définisce un rispettivamente, al suo essere' all'essere qualcosa di determinato e
aspetto particolare della creazione divina. Cosi mensara secondo ul i.rogo che, nel tutto armonico, é a esso proprio. Come il-demiur-
l'idea platonica che Dio sia misura di tutte le cosesr, indica la de- go deia tradizione platonica il Creatore cristiano assegna all'ente la
terminatezza dell'ente, senza la quale esso non puó essere idendfi- determinate zza e la forma senza le quali non pud essere né essere
cato e dunque non puó essere. Quanto al significato di numerus, concepito e stabilisce inoltre il luogo che esso deve occupare nel-
Agostino sostiene che <<il cielo, la terra, il mare e tutte le cose>> che li I'univirsoss. Agostino tuttavia interpreta la triade non solo per do-
arredano <<hanno una forma perché hanno il numero>>)a. Non solo cumentare I'oráine intelligibile della creazione, ma anche il suo va-
lore estetico.
XVII secolo, lo documenta significativamente la convinzione di N. poussin, riportata Nell'affermare la dipendenza dellaforma dai numeri, egli sot-
ndle vite del Bellori, secondo cui <d'idea ddlabüezza non discende nell¿ materia che tolinea infatti come la belJezza delle cose non sia che la manifesta-
zione della struttura configurata dai numeri (cft. De ciu. Dei, ÑI,
non sia preparata il piü possibile>, consistendo la <preparatione> in tre cose: <nell'ordi-
ne, nel modo, e nella specie o vero formarr. Lordine <significa I'intervallo delle pani . . . e
che tutti Ii membri del corpo habbiano il loro sito naiuraler; il modo *ha rispetto alla 41,-$)'e e realizzantesi grazie alla funzione ordinatrice del peso dal
quantitb' owero dá <<a ciascun membro la debita grutdezza proportionata al corpo>; la
forma infine, o specie, sa¡ebbe data per Poussin dall'esser le linee *fatte con gr"tiu, . .on t5 De ciu. Dei,XIl,19. Lallusione, owiamente, é in primo luogo aSap 11,21'
soave concordia di lumi vicino all'ombrer. Se la materia non é disposta .on
{rr.rt. .p.._ tG Cft. iui, 44.
parationi incorporee>>, rabellezza non si awicina al corpo, <et quili conclude che la-pit- t7 Mentre Agostino interpreta il significato dei primi due termi¡i della triade ri-
tura altro non é che una idea delle cose incorporee, quantr¡nque dimostri li corpi, rappre- chiamandosi all" traJirione platonico-neoplatonica, per I'interpretazione del significato
sentandosolol'ordine,e'lmododellespeciedellecose...))(Berloru t672,pp.'55a-i5il.
t2 Ricostruire la tradizione della triade, sia attraverso i commenti-al del terzo termine egli se-bra in.rece fare riferimento all'idea aristotelica di un legame fra
libro della la nozione di peso e quella di luogo naturale, quale si trova esposta ad esempio nei capi-
Sapienza (cfr. ad es. Musren Ecr¿Hnr, Exp. tib. Sap.,2l9),sia considerandone la ripre-
toli 1-4 del ñ üb.o Jel De caelo. Con accenti aristotelici Agostino intende infatti il peso
in contesti piü marcatamenre filosofici lsi pensi ad es. a]la sua ricezione nell'opera di
come r¡n movimen¡o spontaneo, un iwpetus della cosa che brama il luogo che le é pro-
sa
Cusano (cfr. D. ign. II,176)1, richiederebbe ben altro spazio. Lo scopo ái qu..,o prr"_ prio(cfr. En. InPs.Zi,Z,tO),tuttiglienti,egliscrive,<gortatidalloropesocetcano,il
grafo é molto piü limitato: abbozzate un possibile contesro teorico di.if.ii-.rrtá p.,
io.o luogoo (Conf.,frll,9;De ciu. Dei,Xl,27-28). Benché la traduzione latina delle C¿-
I'interpretazione di un passo di Leibniz. sulla storia della triade cfr. KnrNcs r9g2;hxt-
tegorie {ra stata probabilmente Ia sua unica lettura aristotelica, Agostino puó aver_awto
MERMANN (ed.) 1983 e i cenni in Lotm¡noo 1995, pp. 124 ss.
t) ,-,ri" .orror..nru indiretta di questa concezione, data la diffusione delle dottrine fisiche
Cft. Leg.7 76 c; Tin. 53 a-b.
5a De lib. arb. dello Stagirita nella cultura dil te-po. Per indicazioni piü dettagliate sullefonti e il si
lf, 16,42. Le cose, afferma il santo, .üanno forme, perché hanno gnificato della concezione agostiniana della triade cfr. Bur,nv¡rrps 1969, M^GNAV CCA
numeri: strappaglieli, non saranno piü nullo (iui,lr, 16, 42). Leibniz si colloca comple-
1985, H^RRISoN 1988.
tamente in questa tradizione quando sostiene che <nulla v'é che non sia subordinato al t8 Da Dio, scrive Agostino, <deriva ogni modo di essere, ogni specie, ogni ordi-
numero>> e considera il numero <quasi una figura metafisica, e I'aritmetica ... una
specie ne, e derivano ogni misura, numero, pesot (De ciu. Dei, V 11), tolti i quali <non rimarri
¿ilqr* dell'universo, per mezzo della quale vengono investigate le potenze delle cose, assolutamente niente>> (Lib. arb. II,20)
(GP VrL 184/SLI,14t). 5e Cfr. De ciu. Dei, XXII 19, 2: <<Ognibelfezza corporea consiste nella propor-
r42 La bellezza e la fabbrica del rnondo La rnetafisica deila bellezza r43

quale ogni ente é porraro a occupare il posto che gli é proprio giustificare la diversitá delle forme é per Tommaso il fine della
nelf'ordo reruln. La colfocazione delle cose nel porto .h. loio spet- Prowidenza, di imprimere nelle cose la propria bontá. Essendo in-
ta é-appunto ció che costiruisce labelfezza dell'universo, la quale fattile creature inevitabilmente al di sotto di tale bontá, la loro di-
<brilla ancor piü nell'opposizione dei conrrari>>, che impreziosisce versitá risulta necessaria, affinché essa sia comunicata nel modo piü
<<il corso dei secoli ... come un bellissmo poema s'impreziosisce an- perfetto, dato che quanto non puó essere rappresentato adeguata-
che di certe specie di antitesb>. Scrive Agostino: mente da una sola cosa, puó essere meglio rappresentato mediante
cose diverse (cfr. S. c. Gent.III,97). Ora, ciascuna cosa, in quanto
Come dunque l'opposizione di contrari a contrari accresce la bellez-
zadi un discorso, cosi I'eloquenza, se si pud dire, non delle parole ma del- ha I'essere, si awicina alla somiglianza con Dio, e perció la forma
le cose compone Tabellezza del tempo mediante l'opposizione dei conmari in virtü della quale ha I'essere puó venire intesa come la somiglian-
(iui,XI,1.8). za che Dio le partecipa, secondo il grado di perfezione che é a essa
proprio. Per Tommaso, dunque, I'ordinamento delle cose alla
il un topos variaro conrinuamente anche da Leibniz60 il quale, bontá divina richiede la loro diversitá e pluralitá; queste dipendono
pur in un paradigma fisico diverso da quello di Agostino, assume il dalla variet) delle forme, dalla quale conseguono anche ordine e
peso a immagine delle proprierá armoniche che conferiscono alle gradi delle cose.
essenze, in un immaginario meccanismo metafisico, lafotzacon cui Nel piano della prowidenza,la pluralitá delle cose segue su-
tendono a rcalizzarci, situandosi nell'ordine universale. Tanto la bito la bontá divina; scrive I'Aquinate: <da ragione prima della
tendenza dei possibili a esistere quanto quella dei pesi a discende- prowidenza divina é assolutamente parlando la bontá di Dio ... la
re, prevedono infatd un esito posto sotto il segno dála composizio- ragione prima esistente nelle creature é il loro numero, alla cui isti-
ne armonica. tuzione e conservazione sembrano ordinate tutte le altre cose>> (S.
Un ulteriore indizio del legame di Leibniz con quesra rradi- c. Gent.III,97). Una volta determinatosi a creare, cioé a raffigura-
zione é offerto da un dato messo in evidenza nella riprisa dell'ese- re la propria bontá nelle creature, Dio non poteva che creare un
gesi agostiniana di Sap. It,2I da parte di S. Tommaso. Tommaso universo carutterizz to da pluralitá e diversitá, perché é solo nella
interpreta la misura come grado di perfezione di una cosa, dato varietá che la sua bontá puó trovare uno specchio adeguato. Salta
dalla sua somiglianza con Dio, e il numero come pluralit) e diver- subito agli occhi quanto I'esigenza lelbniziana della varietá dei fe-
sitá delle specie, conseguenre dai diversi gradi ái perfezione. A nomeni per Ia realizz zione del bene metafisico sia vicina a questo
pensiero di Tommaso; non meno rilevante é la sottolineatura, da
zione delle parti con una certa dolcezza neí colori. Dove non si ha la proporzione delle
parti, cid che risulta sgradevole lo é perché deforme, o perché é troppo piicolo o troppo parte di entrambi, della funzione cruciale della forma come ele-
grosso>>. Label)ezza, dunque, é misurata, relativa a un'unitá di misuia. Dio hu disposto mento differenziante e insieme costitutivo dell'ordine delle cose.
tuttosecondomisura,numeroepeso(cfr.ilcommento asap. ll,2lnDeGen.adlitt., Ora, il fatto che Leibniz, parlando delle scienze secondo le
N 3,7 9, 11). Secondo Agostino <<tutto ció che ... piace .rll .o.po, e ... awince con i quali Dio ha regolato le cose, nomini la triade di Sap. ll,2l, appa-
sensi del corpo, é dato dal numero>) (De lib. arb. II, 16, 4I): no.i.-" la bellezza di un
oggetto d'arte; i numeri sono racchiusi nello spazio>> (iui,Il, 16, 42). re, aJTa luce di queste considerazioni, particolarmente significativo'
60 Cfr. Gr, l2/P,98:.Le dissonanzeiresse
aumenrano la gradevolezza, se sono Egli sostiene che I'anima, scoprendo tali scienze, <<imita nel pro-
subito ricondotte alla concordia mediante altre dissonanzerr; rdabeliezza della natura, che prio settore e nel suo piccolo mondo ... quel che Dio fa in quello
esige percezioni disdnte, richiede apparenze di salti e, per cosi dire, cadute di registro
grande>> (PNG, S 14lGP VI, 604). I-lallusione puó essere alle scien-
musicale nei fenomenil> (NE, Ivxei.l2lA Yl 6,47i). La musica rappresenra per Le-ibniz
il modello emblematico dell'armonico e dunque di ció che origin , per-
ie fisico-matematiche, interpretate come la matematica divina che
^Ééjf.rrt fi^rere,
ché la sua struttura unisce materiale tonale diverso, offrendo un'immagine si esercita nella natura; ma il riferimento, dato il significato metafi-
áeü'armo.ria
universale, la quale <é infani un'affezione dell'intera serie e non dei suoicomponentil> ed
sico della triade, potrebbe essere anche al valore esplicativo delle
<é resa gradevole dalle dissonanze che vi sono interposte e che vengono .o-i.nrrt. .on
ammirevole razionahtd>> (cPb,56/28-29). AJtro esempio ricorrente é quello áele ombre nozioni di forma e ordine e alla necessitá che i principi delle scien-
nei dipinti (cfr. ad es. CPh,)6/1.5 e, in generale, GP VII, )06-J07 /SF l, 4gr. ze siano riportati alla conoscenza di Dio (cfr. GP III, 54-55/SF BII,
144 La belleua e k fabbrica del mondo La metafisica della bellezza r45

762-763) e del mondo ideale, del quale egli ha impresso un'imma- innovatorí> cui Leibniz allude nel S 2 delDiscorso.Latúade riassu-
gi"e q quello sensibile. me infatti le regole di bontá e pedezione seguite da Dio nella crea-
E abbastanzanaturale collegare quesro riferimento alla <<figu- zione e poiché da esse deriva anche il valore estetico del mondo, ne
ra antropologicu di Gen.I,31, ripresa daLelbniz nelDiscorso di consegue che la bellezza, comela bontá, ha un fondamento oggetti-
rnetafisica6L.I-immagine di un Dio che si compiace della sua opera vo, dato dal modo in cui Dio ha disposto le cose.
ha infani senso solo se le cose sono buone in sé e non perché Dio
ha voluto fade come le ha fatte: <<se cosi fosse - osserva Leibniz
contro l'opinione cafiesiana62 -, Dio, sapendo di esserne I'autore, 5. Gli specchi dell'armonia
non avrebbe avuto motivo>, di guardare le cose create <<e trovade
Categonzzata come modo dell'ente, la belfezza acquista pieno
buone>>; invece, é proprio perché egli agisce conformemente a re-
gole ideali di bontá e perfezione, che puó ammirare I'eccellenza diritto di cittadinanza nel mondo ideale della metafisica grazie alla
dottrina dell'armonia e all'affermazione dell'esistenza di regole di
delle opere compiute, guardandole in se stesse63. Per la stessa ra-
gione, conoscendole, noi possiamo scoprire chi ne é I'autore, per- bellezza nelle idee di Dio. Convinto che il mondo sia stato creato
secondo la massima armonia obelfezza possibile (cfr. GP VII,74),
ché ne presentano in se stesse il cararrere (DM, 5 2/GP IV,427-
Leibniz contesta la risoluzione del bello in uno stato soggettivo, in
428).Iluniverso, sembra dire Leibniz, vale in cerro modo come im-
un mero effetto prodotto, come volevano i <<modernb>, dall'oggetto
magíne di Dio (cfr. CPb,52/26), perché é buono in sé ed é buono
in sé, perché rispecchia regole ideali di bontá. Sotto questo riguar- in chi lo contempla, senza con questo negare che la bellezza, come
proprietá, si qualifichi anche per il peculiare stato sensoriale in cui
do, il richiamo della triade mensura, nunxerus et pondus per dire il
modo in cui Dio avrebbe regolato le cose, conferma appunto che
perfezione, ordine e armonia sono caratteristiche costitutive del necessari¿mente ammettere I'una delle due: o Dio ha fatto il mondo per soddisfare il pia-
cere e la vista dell'uomo, o il piacere e la vista dell'uomo in conformiti al mondo" (SpI-
mondo creato e non proiezioni della mente, owero proprietá ridu- NozL 1974, ep. 54, p. 214). Spinoza aveva chiaramente espresso il suo punto di vista in
cibili alla sfera delle valutazioni meramenre soggetrive o delle chi- proposito anche nella lettera a Oldenburg del 20 novemb¡e 1665: <io non attribuisco alla
mere umane, come pensavano Cartesio e Spinoza64, i <piü recenti natura né bellezza, né ordine né confusione, giacché le cose non si possono dire belle o
brutte, ordinate o confuse, se non relativamente alla nosra immaginazione> (iui, ep. )2,
p. 168; cfr. inoltre I'Appendice alla parte p''!ma dell'Etica). Significativamente il g 2 del
ór Cfr. anche la lertera a Philipp del gennaio 1680 (GP fV,28?'-28:i/SF Discorso di metafisica é cosi ri¿ssunto da Leibniz: .<Contro chi sostiene che non c'é bonti
Bll,6l-
65). Un'immagine simile, come é noto, si trova anche n Tin. j7 c. alcuna nelle opere di Dio, oppure che le regole della bontá e della bellezza sono arbitra-
62 Cft. Risposte alle seste obiezioni, S 8.
rie> (GP Il, L2/SFI,J04).La prima é la posizione di Spinoza, la seconda sembra quella
6J Cfr. G¡ 17: <Ció che é perfettissimo non poté non piacere aI sapientissimo,
di Cartesio; per Leibniz esse sono strettamente connesse, perché a motivo della tesi meta-
ma d'altra parte ció che piacque all'ente piü potente non poté non esisrero>. fisica dell'esistenza atfuale dei possibili, I'arbitrarismo cartesiano si capovolge nel necessi-
s .,Noi - sosteneva Cartesio - chiamiamo ... comunemente bene o male quanto tarismo di Spinoza. Se infani, come Cartesio sostiene nei Principi della filosofu (m, 47),
i nostri sensi inter¡i o la nostra ragione ci fanno giudicare conveniente o contrario all¿ le leggi di natura <<fanno si che la materia assuma successivamente tutte le forme di cui é
nostra natura, mentre chiamiamo bello o brutto ció che ci é presentato come tale dai sen- capace>>, non vi é nulla, per quanto assurdo, bizzarco e contrario alla giustizia,.<che non
si esteriori, specialmente da quello della vista, che é piü valorizzaro degli altri>> sia awenuto e che non awer¡á un giorno> e queste, commentaLeibnz, <sono proprio le
(C¡nr¡sto, Le passioni dell'axima, S 85, in: C¡nr:¡slo 1986, vol. 4, p. 52). E a Mersenne idee che Spinoza h¿ illustrato piü chiaramente, ossia che giustizia, bdJezza, ordine, non
scriveva: <<In generale il bello e il gradevole non significano alrro che un rapporto del no- sono se non cose che si rapponano a noi, mentre la perfezione di Dio consiste nell'am-
stro giudizio all'oggetto; e poiché i giudizi degli uomini sono tanto diversi, non si puó di- piezza delle sue operazioni>>. Del resto, annota inoltre il filosofo, che le regole di bontá (e
re che il bello o il gradevole abbiano qualche misura dererminarar, (lenera del 18 m¿rzo büezza si pud aggiungere) siano tali per un atto arbitrario della volontá divina, é ben
1630 in: Drsc¡RTES 1916, t. l, p. 127). Dal canto suo Spinoza, scrivendo a U. Boxel, so- strano, perché se le cose non sono buone o malvagie (o belle o brune), il bene (e la bel-
steneva che <da bellezza... non é ranro una qualiti dell'oggetto che si contempla, quanto lezza) non puó essere un motivo della volontá divina, essendo posteriore alla volonti (GP
un effetto prodotto nel contemplante. Se la nostra vista fosse piü lunga o piü corta, o se il N,281-285/5FI,220-221). Si deve all'armonia, osserva Leibniz, <<se una cosa é migliore
nostro temperamento fosse diverso, ció che ora ci appare bello ci sembrerebbe brutto, e di un'altra e ció non awiene perché Dio lo ruole, ma perché lo contempla. Perció, se é
ció che é brutto, bello ... Le cose, in sé considerate o rispetto a Dio, non sono né belle né vero che r¡na cosa esiste perché Dio la vuole, é anche vero che Dio la vuole perché la ve-
brune. Chi dice, dunque, che Dio creó il mondo con l'intenzione che fosse bello, deve de come ottima orwero come massimamente armoniosa> (CPb 48-49/24\.
146 La belleaa e Ia fabbrica del rnondo La netafisica della bellezza r47

dispone il soggetto che percepisce. Egli interpreta piuttosto questo miglior tutto non sia necessariamente <<il meglio che si potesse fare
stato, cioé il piacere che la connota, l'elemento che la apparenta al- di questa parte>>. Questo perché la bontá, come la belTezza, non
le qualitá secondarie, come esperienza sensibile, coglimento in una consistono <<in qualcosa di assoluto e di uniforme, come l'estensio-
forma diversa da quella logica, dell'armonia dell'universo o di ne, la materia, I'oro, I'acqua e altri corpi che si suppone siano omo-
aspetti o parti di esso65. Scrive Leibniz, accostando significativa- genei o similb>; se fossero tali, <<bisognerebbe dire che la parte del
mente stati soggettivi e proprietá oggettive dell'essere, e richiaman- buono o del bello é bella e buona come il tutto, poiché sarebbe
do la rete di relazioni concettuali esaminata: sempre somigliante al tutto>>, ma bontá ebelJezza non hanno que-
sta natura; esse sono relative (T, S 213/GP Vl,245-246), ossia ri
I- unit) nella molteplicit) non é altro che la concordanza e dalla con-
chiedono la valutazione dell'intero. Scrive Leibniz:
cordanza dell'uno con questo piü che con quello deriva l'ordine, dal quale
proviene ogni belTezza, che a sua volta suscita amore. Felicitá, piacere, Rimiriamo una pittura bellissima coprendola tutta e lasciandone li-
amore, perfezione, essenza, forza, libertá, coincidonoi ordine e bellezza bera solo una minima parte: anche guardando intensamente, anzi, quanto
sono tra loro connessi, cid che da poco ¿ stato rettamente inteso (GP VII, piü la si guardi da presso, che altro apparirá in quella parte se non una
87/sF BII,752). congerie confusa di colori senza gusto, senza arte? E tuttavia, levata la co-
pertura e contemplato il quadro in una collocazione conveniente, com-
Alla luce dei concetti introdotti, forse risultano piü chiari an- prenderai come ció che sembrava buttato a caso sulla tela fosse stato ese-
che i motivi del significato atribuito daLerbniz alle arti, e in parti guito dall'autore dell'opera con artificio sommo. Ció che gli occhi trovano
colare alla musica e alla pittura; riprendiamo percid, sia pur breve- in una pittura, le orecchie lo sperimentano nella musica ... (GP VII,
mente, i cenni g)áf.atti a questa tematica. 306/SF 1,485).
Come si é visto, musica e pittura hanno valore di paradigma,
perché nelle loro opere é piü agevole che in altri casi comprendere Il modo in cui I'opera d'afie richiede di essere fruita sembra
le ragioni dell'armonia o della perfezione da cui deriva il piacere imporsi come paradigmatico dell'atteggiamento da adottare nella
considerazione del mondo, a sua volta opera, non di un artefice
sensibile; al piacere generato dalla musica e dalle arti visive Leibniz
umano, ma del divino architetto che costruisce il suo edificio, fa-
riconosce inoltre la proprietá di awicinarsi ai piaceri dello spirito,
cendo in modo che nulla <<manchi della belfezza di cui sarebbe su-
cioé ai piaceri piü purí, costitutivi della gioia durevole (cfr. Gr,
scettibile>> (DM, 5 5/GPIV,430). Si legge nella Teodicea:
580). Ora, ció non accade solo perché alla produzione di tale pia-
cere concorrono anche elementi intellettuali; a mio parere c'é un <I cieli e tutto il resto dell'universo - aggiunge Bayle - cantano la
ulteriore elemento da considerare e cioé che nelle opere della musi- gloria,la potenza,l'unitá di Dio>>. Da ció era necessario ricavare la conse-
ca e della pittura, e nella loro fruizione, Leibniz vede esemplificato gtrcnz^ che la ragione di tutto questo ... risiede nel fatto che in questi og-
un aspetto della sua concezione dell'armonia. Consideriamo in pri- getti noi vediamo qualcosa, per cosi dire, di intero e di isolato; e tutte le
mo luogo il rapporto fra armonia e fruizione dell'opera. volte che vediamo una tale opera di Dio, la rroüamo cosi compiuta che bi-
sogna ammirarne l'artificio elabellezza; ma quando non si vede un'opera
Llarmonia, si é visto, é insieme un risultato e una misura del
intera, quando ci si limita a considerare dei brandelli e frammenti, non c'é
contenuto di perfezione del mondo; come tale essa é una proprietá
da meravigliarsi se il buon ordine non vi compare (T, S 1,46/GP VI, 196).
del tutto, non delle parti. Puó cosi accadere che come <da parte di
una cosa bella non é sempre bella, potendo essere icavata dal tut- La visione di un dipinto con luci e ombre,l'ascolro di un bra-
to, o presa nel tutto, in maniera irregolare>>, altrettanto la parte del no musicale con armonie e dissonanze, la risoluzione che pofta a
unit) la trama di un racconto66, sono tutte esperienze che indicano
6t Si comprende di conseguenza, perché Leibniz sonolineila dolcezza prodotta
dall'ammirazione della bellezza della natura, <da luce e Ia commozione che ne derivano>> 66 Per l'allusione di Leibniz ai romanzi come rappresentazione in compendio
e i <<tanti vantaggi> che esse danno <<anche in questa vito>, tanto che <chi ü ha gustati - del risolversi dell'intricata trama del poema del mondo in mirabile armonia, cfr. Colon-
egli scrive - disp rezz tutti gli altri piacere> (GP VII, 89 / SF Bll, 7 55). ttt 1975, p. 102.
t48 La belleaa e Ia fabbrica del mondo La metafisica della bellezza 149

come I'armonia sia una proprietá non delle parti, bensi del tutto e si puó indicare il modo in cui considerare I'opera di Dio, perché in-
manifesti, come Ia bellezza di un'opera, nella percezione dell'intero sieme ne comunica in qualche modo il senso. Il fatto che Leibniz si
(cfr. anche iui, S I34). Dunque, come i dipinti richiedono I'assun-
serva spesso di immagini ed esempi úatti d mondo artisrico, e so-
zione di un certo punto di vista e i brani musicali una precisa esten- prattutto dalla musica e dalla pittura, sia per illustrare la sua conce-
sione temporale dell'ascolto, non limitata a singole parti, allo stesso zione del mondo, sia nelle delicate argomentazioni di teodicea, fa
modo il mondo deve essere considerato nell'estensione temporale a pensare che nei prodotti di queste arti egli vedesse rcaJizzate forme
esso propria (cfr. GP VII, 308/SF I, 486-487) e dal punto di vista di armonia capaci di manifestare la natura della realtá, e conside-
non del <<frammento>> dell'opera divina, quale é il genere umano, rasse il dilemo che esse originano, assimilabile a esperienze di quel-
<<nella misura in cui ci é noto>> (T, S I46/GP VI, 196), bensi del la diuersitas identitate compensata, che a suo awiso costituisce la
<<centro originale e universale (GP VII, 566), d quale tutti i parti-
chiave dell'ordine metafisico del mondo. Sembra, in altri rermini,
colari risultano collocati nella prospettiva che lascia appaire I'ordi- che Leibniz guardi alle opere d'arte, e in particolare a quelle della
ne e la perfezione della composizione, cioé dal punto di vista divino. musica, come a delle forme di rispecchiamento o di traduzione sul
Forse si puó allora dire che la fruizione del bello artistico rap- piano sensoriale dell'armonia del cosmo, capaci di anticipare in
presenta una sorta di pedagogia e di disciplina dello sguardo sul qualche modo la comprensione dell'armonia che la scienza e la me-
mondo; infatti, cosi come nell'opera bella tutto sembra coorigina- tafisica, sia pur parzialmente, riveleranno poi sul piano della cono-
rio e inseparabile e non sembra possibile isolare delle parti, distin- scenza distinta; in una occasione egli scrive:
guere fra essenziale e accessorio, altrettanto nel mondo
come per i sensi umani quasi nulla é piü piacevole dell'accordo della
é soltanto il tutto ad essere gradito, soltanto il tutto ad essere armoni- musica, cosi per I'intelletto niente é piü piacevole del meraviglioso accor-
co, e I'armonia sussiste soltanto come configurazione del tutto (CPb,74/38). do della natura, del quale la musica é solo un assaggio e una piccola prova
(GP VII, 122).
I-lesperienza dell'arte evidenzia una condizione del giudizio
estetico che sembra necessaria anche alla valutazione della bontá Come si vede, la musica é connessa alla piü generale armonia
del mondo, ossia la necessitá di un'apprensione integrale deil'og- della natura; di quest'armonia essa é un'imitazione, ossia é uno dei
getto da valutarc67. Le opere d'arte insegnano a guardare il mondo modi attraverso cui I'accordo esistente nel mondo, precedentemen-
e ció é molto importante, perché imparare a scorgere la presenza te e indipendentemente dall'esecuzione musicale, é reso percepibi-
dell'armonia in alcune cose alimenta la presunzione che essa perva- le ai sensi, offrendo cosi, nello stesso tempo, una qualche percezio-
da anche altre e sollecita a giudicare di conseguenza I'intera opera ne, un'eco nell'anima si potrebbe dire, dell'infinita perfezione di
di Dio68, vale a dire, scrive Leibniz, Dio6e. Probabilmente questo vale anche per la pittura, almeno in
quanto anch'essa é un saggio di ordine, proporzione e armonia.
con la stessa s^ggezz di Socrate quando giudicó üe operel di Era-
Reminiscenze pitagoriche modernamente rivisitate e specula-
clito, dicendo: <<Quello che ne ho compreso mi piace, credo che il resto
zioni baroccheTo sembrano alla base di questa concezione, dalla
non mi piacerebbe meno, se lo comprendessf> (7, S 146lGP W, L97).

Leffetto del bello artistico, cosi come quello del beilo di na- óe Cfr. MrNÉNoEz Tom¡ll¡s 1999, p.54. A. Luppi presenra I'universo leibni-
tura, non si risolve tuttavia in una pedagogia dello sguardo; esso ziano come <<un gigantesco contrappunto>>: <<dal momento che ciascuna delle sostanze
esprime tutte le altre dal proprio punto di vista>, la creazione, egli scrive, risulta assimila-
67 Cfr. FrcH¡r.¡ bile <ad una fuga di estrema complessiti, nella quale ogni monade 'canfa'la propria par-
r 1992, p. T7 .
te in perfetto accordo con il resto dell'universo>> (Luppt 1989, pp. 141-112).I-limmagine
68 Questo effetto indiretto dell'arte é probabilmente piü rilevante dell'utiliti
dá efficacemente corpo alla corrispondenza fra il pensiero di Leibniz e il mondo del ba-
che la pittura puó avere ..per rendere chiara la veritá> e la musica <<per renderla capace
rocco, ma si regge anche sul particolare statuto riconosciuto dal filosofo alla musica, in
di commuovere>>, risultato, quest'ultimo, che, osserva Leibniz, <<deve essere anche quel- quanto imitazione dell'armonia universale posta da Dio nel mondo (cfr. iuí,p.741).
lo della poesia, che partecipa della retorica e della musica> (NE,lILx34/AVI 6, rj0). 70 Cfr., per quanto riguarda la musica, MeNÉnoez ToRRELL^s 1999.
150 La belleua e la fabbrica del mondo La metafisica della bellezu L5I

quale deriva un significato tutt'altro che esteriore all'analogia fta opera e dunque al tentativo di riscattare labruttezza del particola-
l'opera d'arte e il mondo come artificium Dei (GP IV 505/SF I, re, la sua dissonanza o discordanza, attribuendo a Dio procedi-
508). Leibniz, infatti, non si limita a considerare pittura e musica menti simili a quelli usati nella pratica artistica, cosi da poter inter-
esempi dell'armonia che é in Dio e nel mondo, ma assimila la stessa pretare il disordine come diversitá riconducibile a una forma speci-
opera divina alla composizione musicale e pittorica, sostenendo, ad fica e risolverlo attraverso la considerazione della giusta collocazio-
esempio, che come un musico fa posto alle dissonanze per produr- ne del particolare nel contesto da cui risulta l'ordinamento delle
re una migliore armonia (cfr. Gr, 275-276) o un pitrore usa le om- parti al meglioTr.
bre per dar risalto alla luce (cft. iui, 365-366), Dio permetterebbe il Si comprende percid I'insistenza di Leibniz sul punto di vista
male e il peccato, traendo un ordine ammirevole da una discordan- da cui si valuta iI mondo: il mondo é un'opera e come tale va osser-
zaturbataTt. Scrive il filosofo a Sofia Carlotta 1.9 maggio 1697: vato, ossia va considerato come chiede di essere guardato un dipin-
to o ascoltato un brano musicale, cioé in modo da poter cogliere
Il disordine apparente é come certi accordi nella musica che sem-
bene i legami delle partiTa. Egli assume evidentemente che I'opera-
brano di cattivo gusto, quando li si sente da soli, ma che un compositore
capace fa entrare nel suo componimento, perché, unendoli con altri accor- re di Dio e quello degli artisti convergano nella regola intelligibile
di, ne mettono in risalto il gusto e rendono I'intera armonia piü bella (GP del bello - I'unitá nella varietá - e perció puó riguardare la presen-
vrr,545). za di apparenti irregolaritá nelle composizioni artistiche come
un'immagine della <<arte meraviglioso> di Dio, di volgere i difeni
Di per sé poco rilevante argomentativamente, se non irritan- dei piccoli mondi umani <<verso il massimo ornamento del suo
te, I'analogia proposta da Lelbniz acquista tuttavia un qualche va- grande mondo>> (7, S I47 /GP \II, 197).
lore se letta tenendo conto della dimosfnazione dell'esistenza di I-lopera d'arte compiuta, in quanto in essa una pluralitá di
Dio come causa intelligente del mondo, aurore dell'opera della elementi viene ricondotta a una superiore unitá, risulta dunque un
creazioneT2. Essa offre infatti un fondamento all'analogia mondo- luogo privilegiato <di manifestazione dell'armonia universale>r7t. Si
pud forse dire che labellezza dell'arte, rispecchiando I'armonia che
7l Come sottolinea M¡NÉNosz Tomtl¡s 1999, p.49, nella concezione leibni
congiunge le parti della realtá, ne diventa una sorta di simboloT6 e
ziana dell'armonia viene collegata un'antica dottrina pitagorica con il piü tardo concetto
cristiano della creazione. A tale collegamento corrisponde l'idea del cosmo come con- port^ a leggere come tale anche la bellezza della natura; I'arte, inol-
certo, circolante nella cultura del '600, ad esempio in A. Kircher. Leibniz, come é noro, tre, occasionando esperienze di perfezione, favorisce la traduzione
si serve di un'analogia musicale simile, per illustrare, con l'immagine dell'accordo sinfo-
nico di piü cori o orchestre, I'unione dell'anima e dei corpo come concomitanza[cfr.la
lettera ad Arnauld del 30 aprile 1687 (GP lI, 95/SF l, )54)1. Neüe osservazioni all'arti 7r Questo modo di pensare é esemplificato anche in riferimento alla geometria.
colo <<Rorarius>> delDizionario di Bayle compare, in relazione a una problematica analo- Per Leibniz, cosi come nell'equazione e nella costruzione un geometra trova <da ragione
ga, un'altra immagine musicale: quella del canlore che canta a libro aperto. <<I suoi occhi e la convenienza>> di tutte Ie <cosiddette irregolaritb di una linea (T, S 212/GP VI,
- scrive Leibniz - sono guidati dal libro, la sua lingua e la sua gola sono guidate dagli 262), ahrettanto per chi si mette <<sulla vi¿ dell'ordine> risulteranno apparenti le irrego-
occhi: ma la sua anima canta, per dir cosi, a memoria, o in virtü di qualcosa equivalente laritá e i difetti deil'universo (ái, S 2$/GP VL,262).I-largomento ha anche un imme-
alla memoria. Infani, poíché ii libro di musica, gli occhi e le orecchie non possono in- diato valore estetico; esso, osserva R. Assunto, salutando in Leibniz l'interprete filosofi-
fluíre sull'anima, occorre che essa trovi da sé, e senza fatica e applicazione, senza neppu- co dell'arte barocca, <in sede estetica potrebbe sembrare scritto appositamente per for-
re cercarlo, ció che il suo cervello e i suoi organi trovano con i'aiuto del libro. Ció awie- nire una replica alla polemica classicistica>, quasi un'apologia della linea curva, <resti-
ne perché l'intero spartito di quel libro o dei librí che si dovranno successivamenre can- ruita ad una sua razionalitá matematica>> (Assuxro 1969, p. )ll).
tare, é stampato nella sua anima virtualmente, fin dal momenro in cui ha cominciato a 7a Llidea che ii mondo sia opera di Dio consente di porre in continuitá la bellez-
esistere: come quello spartito é stato stampato in qualche modo nelle cause materiali, za della natura e quella dell'arte e dunque anche i modi usati per conseguirle: <<vi é una
prima che si sia pervenuti a comporre queí pezzi e a farne un libro. Ma I'anima non puó grande varietá nelle opere di Dio>, scrive Leibniz a Sofia Carlotta, citando poi iI <<per ua-
accorgersene, perché esso é inviluppato nelle sue percezioni confuse, che esprimono tut- riar natura i bella>> del Tasso e riprendendo l'esempio delle dissonanze che concorrono
ti í particolari dell'universo>> (GP ry 519-550 /9FL,281-282). all'armonia nella musica (GP III, t48).
72 Per la ricostruzione del quadro teorico in cui collocare gli argomenti formu- ;5 Luppr 1989.p.121.
lati da Leibniz per dar ragione del male cfr. Pou¡ 1995. i6 Cfr. C¡ssrnr* 1962, p. 467.
152 La bellezza e kfabbrica del rnondo La metafisica della belleua 153

conoscitiva dell'armonia universale da parte degli spiriri e in tal mondo, appunto perché LabelTezza, da un lato é connessa alle con-
modo la sua ulteriore estensione. Come si é visto, per Leibniz, dizioni della comprensibiütá e, dall'altro, deriva dalla stessa armo-
ogni sostanza é come un mondo intero e come uno specchio di Dio nia da cui deriva íl mondo e, come si é visto, disciplinando lo
... cosi I'universo, in certo modo, é moltiplicato tante volte quante sono le sguardo, insegna a coglieda e ad attendeda anche laddove a pirna
sostanze, e la gloria di Dio é parimenti raddoppiata da ciascuna delle rap- vista non appare; e ció tanto piü in quanto la dimostrazione dell'e-
presentazioni della sua opera, tume differenti (DM, S 9/GP IV,434). sistenza di Dio fonda la fiducia nel fatto che egli <<fa tutto per il
meglio>> (ibid.)1e.
Uarte é un elemento importante in questo gioco barocco di Riferendosi alla conoscenza che dagli effetti tende alle cause
specchi che moltiplica I'unitá dell'universoTT ed é insieme un moü-
e dal confuso muove al distinto, Leibníz usa una bella espressione:
mento di spiritualizzazione del materiale della narura e dell'arte noi, scrive, <<quasi vediamo, come Mosé, il dorso di Dio> (GP VII,
stessa, convergente verso le menti, le <<parti totalb> che concentrano
55/5FI,226). Ebbene, l'analogia mondo-opera porta a ritenere
in sé ed esprimono il rutto (GP VII 307 /SF I,486). Nelle menti, in-
che il piacere estetico fornisca, delle ragioni del mondo, una cono-
fatti, differenti dalle altre sostanze come lo specchio da colui che scenza paragonabile a questa visione paruiale di Dio. Come si é vi-
vede (cfr. DM, S 35), si raccoglie, anche esteticamente, la perfezio-
sto, tale piacere contiene molto di confuso, non fa comprendere le
ne della realtá; in esse, specchi capaci di vedere, I'opera diventa al-
ragioni della perfezione percepita, únvia a un <ge fte sQay quoy>>, e
legoria, movimento del sensibile verso I'intelligibil;78, el'ornatus tuttavia rende capaci di conoscere la bontá di un'opera (DM, S
mundi,labellezza esibita dal <<tearo del mondo corporeo>> (CD, 5 24/GP IY, 449); allo stesso modo, si puó supporre, esso puó gui-
1.43/GP VI, 460), diventa segno della <divina sapienz >>, del <Dio
dare al riconoscimento della perfezione di quell'opera che é ap-
nascosto>. IJorigine del mondo non é infatti differente, per Leib- punto il mondo, owero <<di almeno una frazione sensibile> della
niz, dal)a <<armonia universale delle cose>>, da cui la bellezza risulta sua armoniaSo, cioé di Dio, anche se non del suo volto, vale a dire,
(iai, S 142/GP VI, 460); ma essa é per noi misreriosa perché, pur
fuor di metafora, delle ragioni particolari che lo hanno guidato
non essendo all'oscuro della narura dell'artefice divino e delle ra- nella creazionesl.
gioni che lo hanno guidato nelfa rcalizzazione della sua opera, il lo-
ro dettaglio é fuo¡i dalla nostra portara: 7e Scrive Leibniz a Carlotta di Brandeburgo: <<E come ció che adesso vediamo
conoscere in particolare le ragioni che hanno poturo spingere [Dio] non é che una parte assai piccola dell'universo infinito e la nostra vita presente non é
a scegliere quest'ordine dell'universo ... supera le forze di uno spirito fini- che una piccola particella di quello che ci dovrá succedere, non ci si deve affatto stupire
se tutta la bellezza delle cose non vi si manifesta inizialmente, ma vi penetreremo sempre
to, soprattutto quando non é ancora giunto a godere della visione di Dio
piü ed é proprio per questo che é necessario cambiare punto di üsta. E pressappoco co-
(DM, S 5/GPrV,430). me i movimenti degli astri semb¡ano irregolari a chi non ü osserva che per pochi anni,
tuttavia la serie dei secoli ha fatto conoscere che non c'é niente di cosi bello né di cosi
C'é un salto, nelle nostre capacitá conoscitive, fra il piano regolato. É per ció che il volgo non comprende queste cose, non si eleva all'ordine gene-
delle ragioni generali e quello delle ragioni particolari, ed é ctn ri rale, non conosce neppure la propria religione e non avendo che idee false della diviniti
guardo a questo salto che Leibniz sembra considerare I'esperienza oscilla fra la superstizione e il libertinaggio> (GP VII, 545-546)
80 Lul,pr 1989, p. 117 .
del bello un'anticipazione della comprensione delle ragioni del 8r Nel testo dal quale si é presa I'immagine di Mosé, Leibniz descrive la via op-
posta a quella che dal confuso muove verso il distinto, come un percorso che dalle pri-
71 Larte in generale, si dovrebbe dire, e soprattutto
l'arte bella, dato che, osser- me e piü semplici idee, cioé gli attributi di Dio <quali ragioni delle cose e lume limpidis-
va Leibniz, <<nella misura in cui gli spiriti dominano nella materia, vi producono ordina- simo>>, porta a risalire <alla fonte dell'essenza che si effonde" e ad ascoltare ..con la
menti meravigüosi. cid é manifesto nei mutamenti che gli uomini hanno fatto per abbel- mente le veritá eterne che si proferiscono ordinatamente in noi>t. Niente, scrive il filo-
lire la superficie terreste, come piccoli dei che imitano il grande architetto dell'universo, sofo, é piü gradito di tali veriti, per le quali l'animo prova un'ammirazione che oha per
benché ció si verifíchi mediante l'impiego dei corpi e delle loro leggb> (NE, N.i]i.27/Á madre la scienza stessa, la volutá per figlio e non é diversa <<dall'amore per il bello con-
vI 6,189). giunto con la contemplazione della perfezione suprema. Aderire ad essa con volontá fer-
78 Cfr. AssuNro 1969, p. )8. maepurissima,godereditaleletiziapurissimaéverafelicitá> (GP]lII,55/5FI,226).
1,54 La bellezza e Ia fabbrica del rnondo La metafisíca della belleua 55

A favore dell'ipotesi che, nella non disponibilitá di queste ra- grandezza, ma anche alla bontil> (CD, S 78/GP Vl,450-451)81.
gioni, la dimensione del piacere estetico risulti epifanica, parla a Se si tiene conto dello sfondo metafisico-teologico di queste
mio parere il fatto che per Lelbniz esistere non é altro che essere affermazioni, si puó mostrare, a completamento di quanto fin qui
armonico, ossia piacere a Dio; data questa concezione, non sembra esposto, che il senso ultimo della riapertura leibniziana nei con-
arbitrario considerare il piacere per il bello come il modo in cui fronti del tema della belfezza é dato dalla convinzione che essa in-
viene a raccogliersi, nelle menti, la perfezione della realtá, il detta- ffoduce nel movimento della gloria di Dio, cioé della bontá in cui
glio delle ragioni del mondo, inaccessibile, in quésta vita, alla cono- va posta, a suo awiso, la ragione ultima dell'essere. Nel prossimo,
scenza distinta, esattamente come lo sono i particolari dei corpi da conclusivo, capitolo cercheró di corroborare quest'ipotesi interpre-
cui risultano le qualid sensibili82. tativa, dalla quale mi pare risulti precisato anche il significato del-
Non diversamente da un'opera d'arte, il mondo esiste perché I'immagine dellabellezza come effusione della luce divina.
piace al. suo autore, il quale ín esso in quaiche modo si rappresenta
(cfr. GP VII,264/SF I,I94); ma se nel mondo Dio offre un'imma-
gine di sé (cfr. CPh,52/26), proprio perché in luí <tutto é ordino>
(7, Pref./GP W,27), <<belfezza>> risulta una parola chiave per dire
la ragione e il senso del mondo, dell'artificium Dei. La relazione del
suo significato a quello dei concetti che definiscono la struttura
metafisica della realtá, messo in luce nelle pagine precedenti, pud
valere come conferma di ció. Tuttavia la funzione del bello come
anticipo di senso si dischiude interamente, se si considera che per
indicare la ragione del mondo Leibniz usa anche il termine <<glo-
rio. Egli é esplicito in proposito:
Dio cred le creature e soprattutto quelle dotate di intelletto per la
sua gloria o, se si lrrole, per amore di sé (GP I/II,74).

Si potrebbe pensare che il filosofo assimili l'operare di Dio a


quello perseguito dai sovrani temporali attraverso opere d'arte e
programmi di architettura trionfalisticas3; benché qualcosa dello
spirito dell'arte barocca traspaia dalle riflessioni leibniziane, tutta-
via non é questo il senso in cui, creando un mondo, Dio vuol dare
un riflesso della sua gloria. Dio, sottolineaLeibniz, non é tutto pre-
so dalla gloria della sua grandezza come un sovrano temporale; ep-
pure crea per la gloria, per la <<vera gloria e perfezione>>, cioé per la
gloria <il cui splendore - egli scrive - si rapporta non solo alla

82 E come lo é, giovaricordarlo per il valore di paradigma assunto dalla musica,


il sistema di rapporti numerici cui danno espressione i battiti e le vibrazioni che risulta-
no meccanicamente dal movimento dell'aria. Tali rapporti sono infatti percepiti confusa-
sa
mente, in una percezione che produce grande piacere.
8r Cfr. le suggestive osservazioni sul soggiorno di Leibniz nella Parigi che vede-
.<Il bene comune - sottolínea Leibniz - non é differente dalla gloria di Dio"
(I, Pref. /GP VI,27), cosicché si pud dire che obbedisce a Dio <colui che desidera in-
varcaüzzarsii. programma estetico del Re Sole in AssuNro 1969, pp. )03-)08. sieme la gloria di Dio e il bene comu¡o> (GP VII,74).
Capitolo Quarto
ESSERE PER GMZIA
Somnario
1. Prologo in cielo. -2.Perché qualcosa piuttosto che niente? -
J. Excursus: il principio di ragione tra logica, metafisica
e teologia. - 4. ... ad majorem Dei gloriam. -
5. <<...come noi produciamo i nostri
pensierb>. Metafisica ed estetica
dell'emanazione.
Il mondo, cosi come apparc ed é configurato dalle menti, é
un sistema di fenomeni risultante da una realtá sostanziaJe dotata
di proprietá diverse da quelle che i sensi apprendono o che sono
costruite a partire dai sensi. Benché non sia sempre distintamente
conoscibile, il rapporto üa le une e le altre, per Leibniz, non é tut-
tavta arbitrario; egli é infatti convinto che non sta nell'arbitrio divi-
no ..dare indifferentemente alle sostanze tali o talaltre qualitil>, e
che Dio attribuisce anzi ad esse <<solo quelle che saranno naturall>,
cioé che potranno essere derivate dalfa loro natura <<come modifi-
cazioni espücabilil>.
La tesi sembra avere una poftata generale: <<tutte le volte che
si trova una qualche qualitá in un soggetto, si deve credere che, se
si comprendesse la natura di questo soggetto e di questa qualitá, si
concepirebbe come questa qualitá puó risultarnen (NE, Pref./A VI
6, 66) . Nei capitoli precedenti, partendo da uno sguardo al modo in
cui la mente si rappresenta il mondo, ho cercato di ricostruire il
possibile schema esplicativo di quella qualitá particolare che é la
belfezza. Si é cosi visto, sviluppando l'analogia posta da Lelbniz fra
la percezione di qualitá secondarie e il piacere estetico, che, sul pia-
no della sua apprensione sensibile, essa appare, proprio come que-
ste qualitá, da un lato intrinseca alla nostra esperienza e, dall'altro,
riconducibile a dati oggettivi, vale a dire a una particolare struttura
dell'oggetto, in virtü della quale esso ha la capacitá di produrre lo
stato percettivo che é qualitativamente compresa come esperienza
dellabelfezzal. Ció che, su questa base comune, sembra distinguere

I In realtá il quadro é un po'piü complesso, perché la sensazione di una qua-


liticontiene anche dell'altro; a proposito dei colori, caso che per noi é stato paradigma-
tico, Leibniz scrive ad esempio che essi <inglobano nel loro intemo qualcosa della lumi
nositi che li suscita, dell'oggetto da cui provengono e del mezzo attraverso cui passano:
e devono risentire di tuno cid, e, conseguentemente, di una infinita di cose che diversifi-
cano tf mezzo attraversato, cosi come I'acqua risente sempre un po' del canale in cui

b.-
160 La bellezza e la fabbrica del nondo Essere per grazia t6r
la percezione del bello da quella delle qualitá secondarie é il fatto perché essa appaia con tale proprietá; come si é visto, esso ci forni-
che essa richiede un intervento piü o meno esplicito della ragione. sce la nozione del bello e ci consente di riconoscere le cose belle in
Questo dato, implicito giá nell'affermazione leibniziana che i modo simile a come I'esperienza sensoriale ci fornisce la nozione di
piaceri estetici sono i piü prossimi a quelli intellettuali (cfr. Gr, un colore e ci dice se essa si applica a un oggetto oppure no, cioé
580), ¿ esemplificato dalla musica, relarivamenre alla quale Leibniz senza conoscenza delle <<ragioni intelligibilil> del possesso della
sostiene che <da percezione confusa del piacere o dispiacere che si qualitá. Per questo motivo, il gusto rappresenra un tipo di espe-
trova nelle consonanze o dissonanze consiste in una aritmetica ce- rienza egocentrica, nel senso di reladva al punto di vista individua-
lato>, in un conto che l'anima fa <<senza saperlo>>: <<l'anima - egli le; poiché, peró, pud avere una validitá piü ampia della sfera delle
scrive - conta i battiti del corpo sonante in vibrazione, e quando preferenze soggettive, esso configura anche un'esperienza simile a
tali battiti si incontrano regolarmente a brevi intervalli, vi trova pia- quella che, per contrasto, si puó chiamare acentrata, cioé all'espe-
cero> (GP T{, 550-551/SFL, 282). Ora, la regolaritá dei battiti, che nenza delle cose come le vede la ragione.
nel caso della musica appare essere la fonte del piacere che essa ge- Verso la fine del capitolo precedente si é sostenuto che, per
nera, per Leibniz non é che un aspemo dell'osservabilitá del molte- come é concepita daLeibniz,labelfezza non solo é legata alle con-
plice in cui consiste la perfezione; per quesra ragione egli considera dizioni della conoscenza distinta, ma risulta avere un'importante
la musica e, con ogni probabilitá, I'opera d'arte in genere, una sor- funzione tndiziaria sulla ragione ultima del mondo. Cercheró ora di
ta di termine di paragone o di immagine dell'armonia universale corroborare questa tesi, collocandola nel contesto teorico che puó
posta da Dio nel mondo. La ríconduzione del piacere all'osservabi- renderla meglio intelligibile. Questo ci porta a occuparci, anche se
litá rinvia peró anche al nesso, esplicitamente fissato dal filosofo, per brevi cenni, del complesso problema del perché esiste qualcosa
ftabellezza e comprensione e dunque a una qualche relativitá della piuttosto che niente, del significato del principio di ragione, del
bellezza al percipiente; anzi, dato che labellezza pare emergere teismo di Leibniz e del modo in cui egli concepisce l'esistenza del
compiutamente come qualitá del mondo o di parti di esso, una vol- mondo in rapporto a Dio. E giocoforza, dati gli argomenri in di-
ta che la comprensione abbia dischiuso proprietá strutturali di or- scussione, che il teismo leibniziano sia il nostro punto di partenza;
dine e regolaritá, riportabili al concetto di armonia, la percezione come si vedrá, sará peró anche il punto di arrivo, nel quale la con-
della bellezza risulta fare tutt'uno con il piacere di chi capisce. cezione dellabelfezza il suo pieno significato.
Giustappunto I'intrinsecitá del piacere al bello fa si che anche ^ttinge
sul piano intellettuale labellezza conservi l'ambiguitá per cui é in-
I. Prologo in cielo
sieme oggettiva e relativa all'esperienza di un soggetto conoscente,
owero I'ambiguitá per cui esser bello non differisce da apparire La concezione leibniziana di Dio sembra dipendere in modo
bello, anche se la dipendenza reciproca dei concerti di bello e ap- essenziale dall'esigenza posta dal principio di ragione2. ,<Senza
parire bello, cioé la relativitá al soggetto, in questo caso, é molio questo gran principio - scrive il filosofo - non potremmo mai
particolare; inf.atti, essa si toglie nel momento stesso in cui si affer- provare l'esistenza di Dio> (7, S 44/GP VI, 127Y. Asserendo il
ma, perché tl medium dell'apparenza del bello é un'esperienza co-
noscitiva, una visione, anche se parziale e limitata, di come le cose 2 Leibniz parla per lo piü di ragione sufficiente, lasciando intendere, con l'ag-
sono, ben diversa da quella sensibile. In quest'ultimo caso, a dirci giunta dell'aggettivo, che la ragione evocata dal principio non é una condizione sine qua
tox,vafe a dire, che la pretesa fatta valere da esso non é la semplice possibi.lirá di stabü-
se una cosa é bella, é il gusto, il quale non dá modo peró di spíegare
re una condizione necessaria della spiegazione o dell'esístenza di una data cosa, stato di
cose o evento. Quando Leibniz lascia cadere l'aggettivo non inrende tunavia qualcos'al-
scorre> (GP N, 550/5FL,282). Come si vede, egli definisce la natura disposizionale del tro; lo stesso vale per l'uso, da parte mia, dell'espressione <principio di ragiono.
colore non solo in relazione all'oggetto, ma anche alla luce e aJ mezzo; il colore sembra I Per la discussione delle prove dell'esistenza di Dio formulate da Leibniz cfr.
cosi la proprietá di un corpo di apparire, a date condizioni, in un modo particolare a os- soprattutto P¡nxtNSoN 1965, pp.76-103; Ao¡ns 1994, 1,1-3-213; Scnl¡¡No 1994, pp.
servatori normali. 117 -17 L ; Brun¡NnrLo 1 995 ; \)TrEHARr-Hov¡lor 199 6, pp. 57 -86.
L

162 La belleua e la fabbrica del mondo Essere per grazia L63

darsi di ragioni sufficienti, o ultime, dei fatti o della veritá delle dunque il superamento del contingente verso un ente necessario
proposizionia, il principio lascia intravedere che vi sono ragioni di nel quale Leibniz ritiene si trovi inoltre <<il dettaglio dei muramen-
questo tipo (cfr. ibid.),benché perlopiü possano non esserci note,
e, soprattutto, che esse si trovano in qualcosa di esterno alla serie eterno, si avrebbe semplicemente posto la successione dei suoi stati, in nessuno dei quali
si trova una ragione sufficiente; tale ragione, sostiene pe¡ció Leibniz, va <<cercata altrove>t
delle cose contingenti, pena I'indefinito reiterarsi dell'esigenza
owero <<in qualcosa di extramondano> (GP \TI, 302Jú/5FI,480-481), lascia¡do in-
che esso pone (cfr. CPb,40/L7)5. Il principio di ragione comporra tendere che Ia spiegazione piena degli stati del mondo pud essere conseguita soltan¡o dal
di fuori della serie infinita delle condizioni che li originano, in una ragione della se¡ie co-
I In realtá la formulazione del principio di ragion sufficiente, cosi come quella me tutto, che egli identifica con Dio. Come é stato osservato (cfr. Polr¡ 1995, pp.220-
del principio di contraddizione, non é univoca; per una messa a punto testualmente mol- 225),1'aryomento si fonda in realtá sull'assunto a priori del principio di ragione e della
to documentata cfr. SI-EIcu 1981; M¡rEs 1986, pp. 154-162 e Dr Br,ll¡ 2001. LrsKE sua portata universale e, inoltre, sul presupposto della contingenza del mondo, sia nel
19%,pp.114-117 sonolinea la peculiaritá del significato attribuito da Leibniz a <<ragione senso tradizionale, secondo cui il mondo ha in altro la ragione del suo essere, sia in quel-
sufficiente>> sia rispetto alla concezione scolastica della sfficiens causa, rferita a decorsi lo specificamente leibniziano, per cui la prova della veritá di certe proposizioni che lo ri-
causali contingenti, sia rispetto alla comprensione contemporanea della condizione suffi- guardano - le contingenti appunto - awiene .<mediante una scomposizione continuata
ciente in relazione a quella necessaria, la quale, in quanto rapporto di conseguenza logi- all'infinito> (C, IAS; per la messa a punto della nozione cfr. Scupppns 1965). Secondo
ca, comporterebbe una necessitá che Leibniz invece respinge. Va tuttavia ricordato, co" Leibniz, infatd, la radice della contingenza é il processo all'infiniro e il mondo risulta
me mostra PIRo 2001, pp. 1008-1009, che l'originaria formulazione leibniziana del prin- contingente appunto perché é una serie infinita, determinata secondo una regola il cui
cipio di ragione deriva dalla trasformazione hobbesia¡a della scolastica causa totalis nef principio é a essa esterno. A questo principio egli puó peró risalire, e puó affermame il
senso di causa praecisa ed é a sua volta una trasformazione della causa integra üHobbes carattere di sostanza necessaria, solo presupponendo il principio di ragione, il quale ri-
(cft. De Corpore, IX, 1-5). Nella sua forma originaria il principio non é dunque connesso sulta cosi non piü originario di Dio - se Dio esiste, esiste a prescindere dal fatto che ne
alla dottrina della veritá, bensi appare una indiretta ereditá della concezione scolastica dimostriamo l'esistenza - ma di ogni nostra dimostrazione dell'esistenza di Dio, dato che
della causa come conditio sine qua non. <<Per I'esistenza - scrive Leibniz - é necess¿rio essa non puó prodursi se non presupponendo il principio di ragione. Questo vale anche
che ü sia I'aggregato di tutti i requisiti. Requisito (rcqúsitum) é ció senza di cui una cosa per l'argomento ontologico o, meglio, per la versione piü semplice che Leibniz ne offre,
non puó esistere; l'aggregato di tutti i requisiti é Ia causa intera della cosa ... Niente esi formulando la proposizione modale che considera <tra i migliori frutti di tutta la logíco,
ste senza una ragione. Perché niente esiste senza I'aggregato di tutri i requisiti> (Gr,267), vale a dire: <<se I'entc nccessario é possibile, allora esiste. lentc necessaio, nfatti, el'cn¡e
il quale <costituiscela ragion sfficicnte dell'esistenza>> (CPh,40/17).I-idea si ritrova nel per propria cssettza, sono r¡na cosa sola, e un ente che esiste per la sua essenza, se é possi-
S 18 del quinto scritto a Clarke: <<La natura delle cose comporta ... che ogni evento ab- bile, esiste necessariamente (GP lV,406/SFI,521). Ora, se anche si concede aLeibniz
bia preliminarmente le proprie condizioni, requisiti, disposizioni convenienti, la cui esi- che <nulla puó impedire la possibütá di ció che non comporta nessun limire, nessuna
stenza ne produce la ragione sufficiente>> (GP \TI, )93/SFIll,528).La ragione sufficien- negazione, e di conseguenza nessuna contraddiziono> (M, S 45/GP IV, 106), la prova
te leibniziana si riferisce dunque a rapponi di determinazione, indicando un principio fo¡mu.lata non sembra conclusiva, se non si é giir in grado di affermare che Dio esiste,
capace di stabilire il risultato fin nel piü piccolo dettaglio. I-lessere sufficiente di una ra- perché solo a questa condizione se ne puó affermarne l'esistenza necessaría (cfr. S¡vne
gione, si puó dire, é dato dal fatto che essa basta ..per determinare perché é stato cosi e 2000, 51-53). A chi nega la possibütá dell'ente da sé Leibníz oppone infatti che <se l'en-
non altrimenti>> (PNG, S 7 /GP V1,602). Sulla nozione di requisito, essenziale, come si é te da sé é impossibile, lo sono a ioro volta tutti gli enti per altro, perché questi, in ultimo,
visto, alla definizione della ragione sufficiente cfr. Dr Brlr-n 1991. non sono se non per I'ente da sé>>; ma concludendo che, se questo non fosse, <<nulla po-
t Il principio che Leibniz indica anche come <<il grande principio del perché> trebbe esistere>>, egli mostra che I'affermazione dell'esistenza di Dio é assicurata per
(GP III,510) sembra sottendere I'idea che ció che fornisce la spiegazione di un dato un'altra via, ossia con il ricorso alla considerazione del contingente, tanto che il ragiona-
debba avere, a sua volta, una completa ragione sufficiente. Tale idea ha come conseguen- mento proposto lo conduce a formulare la proposizione modafe <<se l'ente ncccssario non
za che la comprensibilitá di uno stato di cose, ricercara ricostruendone gli antecedenti, i, alhra non c'D cnte possibila> (GP IV 106/SFI, 524). Con cid si ritorna peró all'argo-
non puó mai risultare compiuta. Leibniz rende bene la situa2ione attraverso il paragone mento della ragione sufficiente, che pona a ristre dal contingente all'essere n...ss^iio.
con il processo di riproduzione di un libro: <<Immaginiamo che il übro deg\ Elenenti Riprendendo quanto osserva Sczus,{No 1994,pp.141-115, si puó forse dire che la prova
della geometria sia etemo, ogni esemplare sempre riprodotto da uno precedente: se an- ha una parte a postcriori, in cui dall'esistenza del mondo si deduce cE¿ Dio esiste, e una
che si potesse dar ragione dal libro presente in base a quello passato da cui é stato deri- parte a priori, in cui si dimostr a invece perché Dio esiste, owero che la sua esistenza é ne-
vato, tuttavia, per quanti libri si assumessero nel tempo andato, non si giungerebbe mai a cessaria rispetto alla sua definizione. La seconda non sembra poter stare senza la prima,
una piena ragione, in quanto sarebbe sempre lecito domandarsi come mai siano esistiti visto che, come rileva sempre E. Scribano, <do strumenro piü sicuro proposto da Leibniz
dal tempo dei tempi tali libri: ossia, perché dei libri e perché scritti cosi. Ció che é vero per dímostrare che l'essenza di Dio non é contraddittoria é ... la prova cosmologica, tra-
dei libri lo é pure dei diversi stati del mondo: alio stesso modo, infani, il seguente é deri- mite la quale si dimostra che l'ente a sa é possibile, dal momento che esisre>>. Tale prova,
vato dal precedente (benché secondo leggi certe del mutamento). E cosi, per quanto si nelle mani di Leibniz, diventa dunque <{o srrumenro per accertare che all'idea di Dio
risalga agli stati anteriori, non si troverá mai in essi una piena ragione perché vi sia un corrisponda una vera essenza>>, data la difficoltá di stabiüre la non contraddittorietá della
qualche mondo e perché sia tale qual é>. Dunque, anche immaginando il mondo come nozione attraverso l'analisi delle sue componenti (iui, p.166).
164 La belleua e Ia fabbrica del raondo Essere per grazia r65

ti ín modo eminente, come nella fonten; appunto per questo, tale necessaria con il Dio personale del teismo tradizionale8.
ente puó, a suo awiso, essere considerato <<ció che chiamiamo Ora, questa scelta teorica é ricca di conseguenze 1n merito al
Dio>> (M, S 3SIGP YI,613; PNG S 8/GP VI, 602). Dio, egli scri- modo di pensare il processo inverso a quello che conduce dall'esi-
ve, é <<virtualmente tutte le cose>>, in quanto é la loro <<ragione ul- stente contin gente all' ens a se. Il percorso logico che dal contingen-
tima, ed in quanto ne contiene le realtá o perfezioni. E poiché la te porta all'Essere necessario, alJ,a ngione ultima delle cose, non é
ragione piena delle cose é I'insieme di tutti i requisiti primitivi infatti immediatamente percorribile nella direzione opposta, né
(che non hanno bisogno di altri requisiti) é evidente che le cause puó reggere la conclusione che <<le creature hanno le loro perfezio-
di tutte le cose si risolvono negli stessi attributi di Dio> (GP VII, ni per I'influsso di Dio>>, perché il darsi di un Essere necessario
310/SFBI,250). Dio é dunquel'ens perfectissimum (cf.r. DM, S 1e non implica la creazione del contingente. <<L'Essere necessario, che
M, SS 4L-48) e insieme la sostanza necessaria nella quale deve é in sé e per sé, non ha alcuna esigenza essenziale di uscire fuori di
consistere la <.ragione sufficiente>> esterna alla serie, che puó an- sé, di essere produttivo. Dio come Essere necessario, dunque, non
dare all'infinito, delle cose sparse per I'universo delle creature (M, spiega di per sé I'origine dell'essere contingente del mondone. Un
s 37/GP VI, 613). <<qualcosa metafisicamente necessario>> potrebbe essere considerato
In realtá il passaggio dall'idea della sostanza necessaria a quel- la causa del mondo, solo identificandolo spinozianamente con il
la di Dio non é immediato; una volta provato che la ragione ultima mondo e dunque considerando il mondo stesso come necessario;
delle cose deve consistere in una sostanza di questo tipo, Leibniz ne questa non é peró la prospettiva di Leibniz:
aff.erma l'unicitá6 e I' assoluta perfezione, ..non essend o la p erfe zi o n e
altro che la grandezza della realtá positiva, intesa con precisione, la- Se tutto ció che accade fosse necessario, ne seguirebbe che solo le
cose che esistono in qualche momento sono possibili (come vogliono
sciando da pane i limiti o i confini delle cose che li possiedono>>
Hobbes e Spinoza) e la materia assumerebbe tutte le forme possibili (co-
(iui, S 41./GP VI, 613). Egli sostiene, in altri termini, che la sostanza
me voleva Descartes). Allora non si potrebbe immaginare una vicenda ro-
necessaria é assoluta, infinita, ossia perfetta nel senso che la realtá manzesca che non esistesse in qualche tempo o luogo, il che é assurdo. E
che essa esprime non risulta dalla negazione di qualche altra realtá. cosi, diremo piuttosto che Dio ha scelto una tra le infinite serie possibiü,
Forse si puó dubitare che la congiunzione di assoluti, cioé di attri per ragioni che superano la comprensione delle creature (SFI,42l).
buti che esprimono senza limiti ció che esprimono (cfr. NE,
II.xvii/A VI6, 158), fornisca il concetto dell'ente
che comunemen- Assumere che all'origine del mondo vi sia una scelta, significa
te chiamiamo Dio; Leibniz ne é peró convinto: gli assoluti che egli appunto assumere che la necessitá che porta dal mondo a Dio non
considera <<la fonte delle idee>>, non gli sembrano altro che gli attri si trasferisce alla direzione opposta; inoltre, argomenta Leibniz, bi-
bud di Dio, il principio degli esseri (iui,Il.xv1i.3)7, tanto che li sogna che la causa ultima sia, oltre che necessaria, intelligente (cfr.
esemplifica richiamando qualitá come I'immensitá, I'eternitá (cfr. T, S 173), perché
iui,3 e L6), l'onniscienza, I'onnipotenza,la sovrana bontá e giustizia bisogna che ... abbia preso in considerazione, o si sia posta in rap-
(cfr. PNG, S 9), mostrando in tal modo di identificare la sostanza porto con tutti questi mondi possibili, al fine di determinarne uno. E que-
sta considerazione o rapporto di una sostanza esistente con delle semplici
6 Su ció cfr. BlunrNruo 1974. possibilitá non puó essere alrro chel'intelletto che ne ha le idee; e deter-
7 Da associare all'immagine di Dio come fonte, assai sígnificativa, come si ve"
minarne una non puó esser altro che l'atto della uolonti che sceglie. Ed é
drá, per il modo di concepire il rapporto fra Dio e il mondo, é il seguente passo deü'Ia-
7a potenza di tale sostanza a rendere la volonti efficace. La potenza si vol-
troduzione all'enciclopedia arcana: <<1n realtá niente é nelle cose se non per influsso di
Dio e niente viene pensato nella mente se non mediante I'idea di Dio, benché non cono- ge all'essere, la saggezza o l'intelletto al vero e la volontá al bene.
sciamo abbastanza distintamente né il modo in cui le nature delle cose derivino (pro-
fluant) da Dio, né il modo in cui le idee delle cose derivino dall'idea di Dio, nel che con- 8 Per l'analisi degü attributi divini cfr. An¡ns 1994, pp.115-134; PoMA 199i,
sisterebbe l'analisi ultima o la conoscenza adeguata di tutte le cose attraverso la lo¡o pp. 209 -220 e \ü¡ru¡nr-Hov¡ LDr 799 6, pp. 87 - 14 4..
causa>> (C, 5 71 / SL I, 126). o Porvr¡ 1995,p.225.
r66 La bellezza e la fabbrica del mortdo Essere per grazia 167

damentali del Dio della tradizione ebraico-cristiana. Il suo profilo


Questa causa intelligente, continua il filosofo, completando il
disegno che porta la sostanza necessaria a coincidere con la rappre- non üene tuttavia disegnato per la preoccupazione di adeguarsi al-
sentazione di Dio del teismo tradizionaler], I'ortodossia teologica; é piuttosto il principio di ragione a definirlo,
owero a implicare che la causa ultima possieda in grado infinito gli
dev'essere infinita in tutte le maniere e assolutamente perfetta ri- attributi della potenza, dell'intelligenza e della volontá, coincida
guardo potenza, s^ggezz e bontá, poiché si volge a tutto quel che é pos- cioé con cid che chiamiamo Diol2.La concezione di Dio in Leibniz
^
sibile. E poiché tutto ¿ connesso, non c'é motivo di ammetterne piü di é a tal punto informata da quella del principio di ragione, che egli ri-
una. Il suo intelletto é la fonte delle essenze, mentre la sua volontá é I'ori tiene che il primo atto divino sia di vincolarsi al principio di ragione:
gine delle esistenze Uui,S7/GP VI, 106-107)11.
come per iJ sapiente, anche per Dio il primo decreto o proposito é
Ijente necessario che Leibniz considera la ragione ultima del di compiere tutto secondo la somma ragione (SFI,42l).
mondo é dunque un ente in cui si possono riconoscere i tratti fon-
Consegue da questa decisione oúginaúa, oltre la quale non é
r0 In possibile risalire in quanto fa tutt'uno con Dio, ragione ultima, che
queste tre perfezioni di Dio, nota in seguito Leibniz, <parecchi hanno ad-
dirittura creduto che vi fosse un segreto rapporto con la Santa Trinitá: che la potenza si ogni altra scelta divina, compresa quella di creare questo universo
riferisca al Padre, vale a dire alla fonte della divi¡iti; lasaggezza al Verbo eterno che é piuttosto che altri, ha una ragione (cf.r. M, S 5l). Ora, considerando
chiamato ).ó1oq dal piü sublime degli evangelisti e la volont), o l'amore, allo Spirito che Leibniz fa del principio del meglio il contenuto stesso del pri-
santo>> e osserva che <<quasi tutte le espressioni o i paragoni presi dalla natura della so-
stanza intelligente, tendono a cid> (l S 150/GP VI, 199). Leibniz era consapevole della
mo libero decreto di Dio kfr. DM, S 1l), si pud congetturare che
problematicitá del passaggio dall'essere necessario, cui giungevano le prove dell'esísten- <<fare tutto con somma ragione>> significhi <<fare sempre cid che é
za di Dio, al Dio buono, saggio e potente; ne scrive a \X/olff ín una lettera dell'8 dicem- píü perfetto>>, e dunque che íl principio del meglio sia una sorta di
bre 1705: ..É u.ro che I'czs ¿ s¿ esiste necessariamente e che, se non esistesse, non esi
complemento della ragione sufficiente. Ne deriva la necessitá di
s¡erebbero nemmeno g\i entia ab alio.Ma non ¿ altrettanto facile dimostrare rigorosa-
mente che I'ens a st' é Dio, cioé che é onnisciente, onnipotente e unico ... bisogna ag- supporre in Dio non solo una conoscenza della setie che compone
giungere altri ragionamenti, che, d'altra parte, sono giá disponibili in gran numero> I'universo, ma anche una capacitA di companzione di esso con tutti
(LIY/,50\. Fra questi Leibniz comprendeva con ogni probabilitá l'argomento a partire gli altri possibfi (C, 19; T, S 225) ela potenza di attualizzare la serie
dall'armonir. Egli considerava infatti le prova che da qui si ricava' .<una nuova prov¿
dell'esistenza di Dio, di un'evidenza sorprendenten (GP IV 186/5F1,156\, <una dclle
sceltair. Possedendo tali attributi egli possiede peró, e in grado
proue pü) forti dcll'esistenza di Dio> (GP Il, 115/SFI, 170; cft. anche GP VII' 411/JF massimo, anche cid che é richiesto dall'idea di libertá come aurode-
Ill, 517); di Dio appunto e non semplicem ente dell' cns a sc, perché non vi é ipotesi che, terminazione e consapevolezza delle alternative a disposizione per
meglio di quella dell'armonia, mostri il bisogno dell'esistenza di un autore infinitamente la scelta. Dio é dunque ragione sufficiente del mondo come causa
potente e saggio (GP IV,57S). Per l'analisi di tale prova cfr. \ü/t¡,tt,tR'rHout¡lor' 1996,
pp.61-74. libera; é la ragione sufficiente nel senso che esso basta, perché un
rr Analogamente nella Monadologia: <<In Dio vi sono la potcnza, che é la fonte mondo esista, ma lo é in modo tale che la sua causa[tA diventa effi-
di tutto, poila conosccnza, che contiene i dcttagli delle idee, e i¡fine la uolonti,la quale cace solo se subentrano altre condizioni, owero se egli decide effet-
effc¡na i mutamenti o le produzioni secondo il principio del meglio. Ció - continua il
passo - corrisponde a quello che nelle monadi create costituisce il soggetto, o la base, la
12 Che tale causa, owero Dio, oltre a questi attributi, abbia <propriamente della
facoltá percettiva e la facoltá appetitiva. Ma in Dio questi attributi sono assolutamente
infiniti o perfetti, mentre nelle monadi create o nelfe cntelecltic (o pet'factihab¡es, come bontb>, secondo Leibniz risulta se si considera Ia sorta di societá che gli spiriti possono
avere con lui, la ciná divina che essi compongono sotto dí lui come principe e padre (M,
Ermolao Barbaro traduceva questo termine) non sono che imitazioni, in misura corri-
spondente aüa perfezione che vi si trova>> (M, S 18/GP VI, 615). Leibniz, come si é vi S 86/GP VI,622\. Quelle del principe e del padre sono di fatto le analogie principali,
entrambe connesse anche alla prowidenza divina, di cui il filosofo si serve per esprimere
sto, ritiene che le cose ricevano da Dio le perfezioni che possiedono; le imperfezioni, in-
vece, le avrebbero <<per Ia loro propria natura, incapace di non avere confini: giacché é
la bonti di Dio, dalla quale consegue la comunitá con gli uomini.
rl La conoscenza infinita, necessaria alla combinazione e comparazione di infi-
in questo che sono distinte da Dio>> (iui, S 42/GP VI, 611). Limperfezione originaria
delle cose fa dunque tutt'uno con il loro essere essenzialmente Iimitate nel ricevere le nite serie di possibilí, non é la scienza divina di visione, la quale riguarda le esistenze,
perfezioni trasmesse da Dio (cfr. t SS 20, 30-31).Le cose, scrive Leibniz in un'occasio- bensi la scienza di semplíce intelligenza, concernenre tutti i possibili; in questa, scrive
ne, hanno origine <dall'Ente puro e dal nulla, o privazione (C, 4J|/SL \ l)61 .
Leibniz, <bisogna cercare la sorgente delle cosen (7, S 417 /GP VI, )65).

!--
168 La belleua e la fabbrica del nzondo Essere per grazia r69

tivamente di creare, se ha una buona ragione per fadola. rappresenta per Leibniz anche la ragione della prevalenza del qual-
Per Leibniz iI discorso che porta a riconoscere Dio come ra- cosa rispetto al niente:
gione ultima del mondo non va dunque oltre I'affermazione che, se
Senza Dio - egli scrive - non ci sarebbe neppure alcuna ragione del-
un qualche mondo esiste, per ragione sufficiente Dio deve esserne
I'esistenza, e meno ancora dell'esistenza di questa o di quella cosa (rtlu; S
il creatore. Il Dio cosi raggiunto avrebbe peró potuto astenersi dal 187/GPVr,228),
creare; se ha creato, é stato allora per un puro atto di grazia, rispet-
to al quale si ripropone tuttaviala domanda del perché: perché Dio Posto Dio quale ragione sufficiente, sono posti anche i requi-
volle il mondo? siti dell'esistenza di un mondo; ma Dio avrebbe potuto non creare:
<Non implicando il contrarío nessuna contraddizione, - scrive
2. Percbé qualcosa piuttosto che niente? Lelbniz a Coste il 19 dicemb re 1707 - non era affatto necessario né
essenziale che Dio creasse. Né che creasse questo mondo in parti
Dio sembra posto dalla sua essenza al di fuori del raggio d'a- colare>> (GP III, 402/SF 8II,769)17. La decisione di creare, come si
zione della domanda metafisica fondamentale: <<perché vi é qualco- é detto, un atto dr grazia; questo non significa che essa sia
sa piuttosto che nulla?>> (PNG, S 7/GP VI, 602)1t, la quale investe
^pparc
invece tutto ció che é diverso da Dio e non gode del privilegio di A suo awiso, infatti, <<nelle cose eterne, quand'anche non vi fosse alcuna causa, deve
tuttavia concepirsi una ragione>>, e questa non puó che essere esterna alla serie eterna,
esistere da sé16. <<Fonte dell'essere>> (7, S 184lGP VI,227),Dio
ossia <<extramondano (.1FI,480-481). Secondo Allen ció che Leibniz avrebbe in mente
nel formulare la domanda non é tanto la possíbfitá che niente esista, quanto appunto
la Dio, scrive Leibniz, <<é incapace di agire senza ragione>> (l S 196lGP VI, l'argomento che la necessitá fisica della serie di stati del mondo deve avere una ragione
ZJ2); eü ritiene peró che *quando non si ha una ragione per agire nel lal modo, ... non metafisica, dato che nessun membro della serie puó spiegame I'esistenza (ALLEN 1981,
si ha una buona ragione per agire, essendo ogni azione individuale e non generale, né pp. )l-32). Non solo; la domanda potrebbe porsi anche senza assr¡mere la validitá del
astratta dalle proprie circostanze, e avendo bisogno di qualche mezzo per essere effet- principio di ragione; da ció non segue infatti che la serie sia senza spiegazione: essa po-
tuato (GP VÍI, tgj/SF Ill,527). Questo vale anche per la creazione: Dio non ha sem- trebbe sempücemente esistere e la sua esistenza potrebbe avere o non avere una ragione.
plicemente decretato di creare un universo, bensi di crearne uno in particolare, ma pro- Infatti, in una situazione in cui non si sa se iI principio di ragione é valido oppure no, e
prio perché agisce con ragione, egli deve aver avuto una buona ragione per creare quello dr.rnque non si sa se l'esistenza del mondo abbia o meno una ragione, é tuttavia sempre
che ha creato. possibilechiederesel'universoétuttocióche.c'é(cfr. iui,pp.98-$),risolvendocosiin
lt Come é noto, cosi definisce la domanda Heidegger nell'Ia troduzione alla me- luesta domanda le due questioni leibniziane. E interessante osservare che la loro formu-
tafisica (cfr. Hr,roEccm 1968, cap. I). lazione sembra implicare non solo il principio di ragione, ma anche un presupposto teo-
16 Secondo R. Nozick, la domanda presuppone I'adozione di quella che egü logico, se é vero che nell'assunto della maggiore sempliciti del nulla viene in luce la con-
chiama una teoria non egualitaria, cioé una teoria che <divide gli stati in due classi: quel- cezione creazionistica di Leibniz. La domanda <perché qualcosa piuttosto che niente?>,
li che richiedono una spiegazione e quelli che né ne hanno bisogno né I'ammettono>> scrive RuccBNlNI 1991, p. 101 <é gii teologica, nella sua radice e nella sua natura>>, in
(NozIcr 1987, p. 147). Gil il solo porre quella che é considerata la prima domanda filo- quanto a destabilizzare il mondo é l'idea del Dio creatore (iui, pp. 110-IL2). Principio di
sofica presuppone dunque molto, <<e cioé che la nientitá sia uno stato naturale che non ragione e premessa teologica sembrano coappanenersi.
ha bisogno di spiegazioni mentre ne hanno tutte le deviazioni dalla nientitá> (rur, p. 17 Leibniz assume questa eventualitá, quando riconosce che <<se non ci fosse iI
152). E, questo che Leibniz presuppone, quando afferma che <il nulla é piü semplice e migliore (optimum) fra tutti i mondi possibili, Dio non ne avrebbe prodotto alcuno> (I,
piü facile rispetto al qualcosar> (PNG, S 7 /GP VI, 602)? E se si, come si concüa questa S 8/GP VI, 107; cfr. inohre iui, S 416 e GP VI,376-377). Applicando all'agire divino il
afrermazione con l'idea che una propensione all'esistenza é inscritta nella natnra dell'es- principio secondo cui, se non c'é una ragione per agire in un modo preciso, non c'é una
senza (cfr. ADAMS 1994, pp.2L0-2tl), altrimenti <nulla esiste¡ebbe> (.lF I, 479)? Suppo- buona ragione per agire, egü conferma che a spiegare I'esistenza del mondo non basta il
niamo di aver scalzato la convinzione che la nientit) é lo stato naturale con il seguente riferimento all'esistenza necessaria di Dio; occorre inoltre il riferimento a ragioni dell'at-
argomento, che R. Nozick attribuisce a E. Nozick <<che allora aveva dodici annb>: <<se il to creativo poste nella qualitá dell'insieme di essenze che Dio at¡ualizza.Il mondo esi-
qualcosa non puó essere c¡eato dal niente allora, visto che c'é qualcosa, questo non é ve- stente dá dunque, almeno in parte, ragione della propria esistenza (cfr. T, 5 196), della
nuto dal niente e non c'é mai stato un tempo in cui c'era solo il nienter, (NozIcK 1987, quale si dá pienamente conto riferendosi all'essenza delle cose create e all'essenza del^
p. 151). Se non c'é mai stato un tempo in cui c'era solo il niente, diventa insensata la do- I'ens ¿ se (cfr. Au-pN 1983, pp. )-4). Ilaffermazione che I'esistente é ció che piace alla
manda di Leibniz? Secondo D. Allen essa conserva il suo senso anche senza assumere la mente divina (ck. C, )7 6/SL Il, 297) va infani letta, ricordando che Leibniz suppone in
possibütá di una situazione in cui niente esiste; Leibniz stesso considera l'eventualiti Dio una volontá razionale nella cui deüberazione il principio di ragione prende la forma
che il mondo sia eterno e nondimeno ritiene che resti da spiegare perché esiste qualcosa. di principio del meglio.
170 La belleua e la fabbrica del ntondo Essere per grazia 17L

un atto arbitrario. Proprio perché Dio si vincola ad agfte con ragio- Che I'atto creativo, pur cosi motivato, resti un atto di gtazia
ne, essa deve avere una ragione, la quale, essendo Dio la ragione ul- lo si deve alfatto che é un atto libero:
tima, non puó consistere che nella stessa natura o perfezione divina
(cfr. C, 405 Gr,289). Vediamo, brevemente, in che modo Leibniz Il decreto di creare é libero: Dio é portato a ogni bene; il bene, e an-
illustra questo passaggio. che il meglio, lo inclina ad agire, ma non lo necessita, poiché la sua scelta
Si noti, prima di turro, nel passo della lettera a Cosre appena non rendé affatto impossibile ció che é distinto dal migliore, non fa si che
citato, il riferimento a una duplice possibilirá per Dio: non cre;re e quel che Dio omette implichi contraddizione (iui, S 80/GP vr,255)21'
creare qualcosa di diverso; ad essa corrisponde, nella formul azione
del principio di ragione, la distinzion e ftala ragione della prevalen- sufficiente consiste nell'assunto, che la causa per la quale I'esistenza prevale sulla non-
esistenza é una ratio boni, sía nel senso che é bene che Ie cose esistano anziché no, sia
za dell'esistenza sulla non esistenza e la ragione per cui esiste que-
nel senso che si dá una ragione, per la quale é necessario che esistano le cose buone; in
sto, piuttosto che altro (cfr. GP VII,289/SF I,228). Quali sono breve: che la ragione del bene é Ia ragion d'essere dell'ordine dell'esistenzo. La seconda
dunque, per Leibniz, queste ragioni? La risposta é semplice e ricca parte del principio di ragione si risolve sostanzialmente nel principio del meglio, la cui
di conseguenze: i-po.t^r" va considerata anche con riguardo alla natura della spiegazione, quando-si
t ittaad esempio di spiegare perché il mondo sia costruito in modo regolare e cosi che
E la bontá a spingere Dio a creare, affinché possa comunicare valgano certe leggi e non altre. Scrive NozIcK 1987, p. 144: <Se ogni spiegazione usa

leggi, nella spiegazione del perché esistono leggi comparirá qualche legge. E allora non
stesso; e questa medesima bontá, unita alla s^ggezz ,lo porta a creare il reiierá forse senza risposta la domanda sul perché questa legge vale, e quindi anche
meglio (7, S 228/GP VI, 253). quella sul perché ci sono leggi che valgono)>' Davanti lll'alternativa fra una catena infi-
nit" dl l.ggi e teorie distinte, ognuna delle quali spiega la successiva, e una catena finita,
Alla domanda: <<perché vi é qualcosa piurrosto che nulla?>>, Ie cui leggi terminali sono fatti non spiegabü, veritá necessarie o leggi che sussr¡mono se
Leibniz, riecheggiando il principio scolastico omne bonum est diffa- ,t.rr., .gü guarda con interesse a quest'ultima possibilitá, considerando legittimo che le
siuum sui18, risponde dunque: per la bontá di Dio, la quale lo porta leggi fondamentali, pur essendo la spiegazione di norma ariflessiva, sussr¡mano esplicati
uu-..rt. se stesse (cfr. iui, pp.146-147). Per Leibniz' a questioni di questo tipo si puó
antecedenterr¿eftte a creare <<e a produrre ogni bene possibilolg; a
invece rispondere solo riferendosi alla scelta divina del meglio. <! a vera fisica - egli scri-
quella che chiede perché le cose che esistono, esistono cosi e non ve -,ra effettivamenre atrinta alla fonre delle perfezioni divine. É Dio la ragione ultima
altrimenti, egli risponde: perché la saggezza di Dio <<ha operaro la delle cose ... Concedo che gli effetti particolari della natura si possono e si devono spie-
gare meccanicamenre ...; ma i principi generali della fisica e della stessa meccanica di-
selezione, facendo in modo che scegliesse cid che é meglio conse-
pendono dalla condotta di un'intelligenza suprema e non potrebbero spiegarsi senza te-
guentemente>> (iui, S 116/ GP YI, 167 ; cfr. anche DM, S 3 6)20. nerla in considerazione>> (GP III, 54-5r/SFl, tBSJ89). Nella concezione leibniziana Ia
scienza é conoscenza delle ragioni, <e le ragioni di ció che é stato fatto mediante intellet-
18 Cfr. .1. c. Gent. I,9J, 6. to sono le cause finali o gli intenti di colui che ha fatto le cose>> (SFI' 215).
2l Cfr. anche Gr,297: segue dall'essenza di Dio che egli sceglie l'ottimo e tutta-
tr Qual é il bene che Dio vuole? Il bene metafisico, cioé la perfezione di cui via lo scegüe liberamente, <<perché nell'ottimo stesso non c'é alcuna necessitá assolutat;
partecipano tutte le crearure, quello fisico, vale a dire, in modo speciale, il benessere
e T, S 45lGP VI, 128: <Dio non manca di scegliere il meglio, ma non é costretto a farlo,
delle sostanze intelligenti; infine il bene morale cioé la virtü di queste stesse sostanze
e neppure vi é necessitá nell'oggetto della scelta divina, poiché un'altra serie di cose é
(cfr. CD, SS 29-rrlcP Vl,44t).Il potenziale conflitto fra il primo tipo di bene e gli
altri uguu.l^.rrt. possibile. Ed é proprio per quesro che la scelta é libera e indipendente dal-
due, secondo Leibniz é evitato da Dio scegliendo il piano dell'universo che include la
linecessitá: lerché é effettuata su una pluralitá di possibili e la volonti non é determi
della piü grande varietá assieme al piü grande ordine, ossia la maggior per-
\eaJtzzazione nata che dalla bontá prevalente dell'oggetto>. Per Leibniz, dunque, la libená divina é
fezione, e insieme <il massimo di potenza, di conoscenza, di felicitá e di bonti cie l,unl-
g^f^ntit^ dal fatto che Dio sceglie tra i possibü (cfr. T, 5 235) e che l'esistenza di altri
verso potesse ammertere nelle crearure>> (PNG, S 10/GP vI, 60i).La teodicea leibnizia-
Áondi é esclusa non da interna inconsistenza, bensi dalla loro incompatibilitá col primo
na é costruita appunto in modo da accordare I'esistenza di due fond di bontá (cfr. Gp
decreto divino, di scegliere il meglio (cfr. CPh,48/D: <<Le serie contenenti altre cose so-
vlr' )06/sFr,484): l'una riguardante tutte le ceature e Ia costruzione del|universo co- no possibili in se stesie, ma non sono compossibili conla saggezza divino). Il mondo
me un tutto, l'altra rivolta esclusivamente alle creature razionali. Queste due fonti hanno
atr;ale, oggetto della scelta divina, é contingente, non ha necessitá in se stesso; la neces-
un unico principio, che per Leibniz é anche I'unica spiegazione convincente dell'orígine
sitá che sámbra appartenergli in quanto migliore dei mondi sorge infatti quando esso é
ultima delle cose: la determinazione divina a creare il mondo con il massimo .onteriuto
considerato in relazione alla volontá perfetta di Dio (sulla difesa della contingenza e
di bene. Cfr. Rurupnponn 1995, pp.8 ss. e BLul¡eNnpro 1995. della liberrá divina basata sulla teoria del possibile in sé cfr. Sr-rrcu 1990, pp. 80-81). Se
20 Scrive Lorr¿s¡RDo 1995,p. 144: <<La portata metafisica
del principio di ragion ció che Dio sceglie fosse necessario, scrive Leibniz a Clarke, <ogni altro paftito sarebbe
t72 La bellezza e k fabbrica del mondo Essere per grazia L7)

La possibilit) di alternarive esclude la necessitá logica: Dio I'atto riflessivo del decidersi, cioé della struttura propria di un agire
poteva non creare; e cosi come non lo necessita la bontá che lo determinato da sé, autofondantesi2a. Ora, dato che libero é non so-
spinge a comunicare le proprie petfezion?2, non lo necessita nep_ lo il decreto di creare, in quanto non ¿ una proposizione il cui con-
pure la saggezza che lo porta a creare il meglio. Leibniz sostiene trario implichi contraddizione, ma anche il decreto della scelta del
che quando si agisce per propria scelta, secondo la piü perfetta ra- meglio, la struttura riflessiva del decidersi pare informare I'intero
gione, non solo si partecipa della spontaneirá che deriva dall,avere significato della ragione ultima leibniziana. Scrive infatti il filosofo:
in si il principio dell'azione, ma si é nello srato di libertá piü am-
pia: l'intelligenza che guida la deliberazione é infani,.come I'anima Del perché Dio scelga ció che é piü perfetto non si puó dare alcuna
ragione, se non che lo vuole, ossia che scegliere il piü perfetto é la prima
della libertb (iui, S 288/GP W,2Bg)23; Dio, dunque, agisce in mo-
volontá divina. Cioé ció non consegue dalle cose stesse, ma puramente e
do del tutto indipendente o meglio, cosi che semplicemente da ció che Dio vuole. E vuole in modo assolutamente libe-
ro, poiché al di fuori della sua volontá non si pud dare alcun'alra ragione
la lsual g¡ustizia e la [sua] bontá ... lo rendono dipendente da se
che la volontá: quindi non si dá qualcosa senza ragione, ma quella ragione
stesso,_d,alla propria volontá, dal suo intelletto, dalla suá saggezza (iui,
é intrinseca alla volont) (G¡ 301)25.
s77/GP Vr, r44).
Dire che Dio é la ragione ultima del mondo significa dunque
Se perd la ragione ultima delle cose é negli amidi in un agente dire che ne é I'autore, owero che é <<ragione con la propria volontá
libero, sembra lecito desumerne che essa partácipi della t ur.r.i d.l-
dell'esistenza>> (CPh,64/33) del mondo; ma

la natura della volont) richiede la liberti, che consiste in ció: che I'a-
impossibile>, ma Dio sceglie tra molteplici serie delle cose o mondi possibili, e pertanto
inferire dal fatto che Dio non puó scegliere che il megüo, <<che ció che egli non scegüe é zione volontaria sia spontanea e deliberata, al punto da escludere la neces-
impossibile, vuol dire confondere i termini, la potenza e la volontá, la necessitá meáfisi-
ca e la necessitá morale, le essenze e le esistenze. ció che é necessario lo é infatti per 2a Questo in relazione alle esistenze; le essenze possibfi hanno invece la loro ra-
sua
essenza, perché l'opposto implica contraddizione; ma il contingente che esiste, ieve la gione ultima nell'intelletto divino (cfr. M,S $): esse si fondano nell'ente necessario e
propfla esisrenza al príncipio del meglio, ragione sufficiente delle cose> (Gp vII, poiché Leibniz concepisce tale ente come <<esistentificante>, egü puó poi sostenere che i
)90/SF lII, 525-526. A Clarke Leibniz rimprovera di confondere la potenza e la vo_ possibili hanno <<una qualche tensione verso l'esistenza> e predicare di essil'existiturire,
lontá di Dio, che sono invece facolti differenti con differenti oggeni, in quanto oggetto dire cioé che sono <<sul punto di esistere>> (GP VII, 289/SF 8I,228 e GP VII' 309-
della prima_sono tuni i possibili, menrre le cose esistenti rorro gli oggeni della váÍonte tl}/SF 8I,248-249. Cfr. in proposito Scurprns 1965, pp. )47'949 e PosEn 1969, pp.
decretoria di Dio (cfr. T, s ullcP Yr,2l6); e di confonderela rie-cessitá r.tufiril., 6l-66).lide^ che sia <<natura della possibilitá, o dell'essenza, esigere l'esistenzo (.lFI,
che ha luogo quando l'opposto impüca contraddizione, e la necessitá morale, la ofelice 479), spiega l'immagine della .dotto che ci sarebbe <<fra tutti i possibü", non appena
necessitá ... che obbliga il saggio a far bene> (iui, S 175/Gp VI,2l9). Cfr. in proposito Dio decreta di creare qualcosa. Con tale immagine Leibniz rende il <<conflitto di ragioni
SmsxrN 1977, BlururNpELD 1988 e Pou¡ 1999 e, sulla storia del .on..no, K*Enrr nell'intelletto, divino (T, S2OI/GPVl,216), owero il processo di esame, combinazione
1991. Sul modo in cui Leibniz concilia I'autodeterminazione con Ia completa riazionütá e comparazione dei possibiü, da cui risulta la scelta del megüo. Una volta posto che I'en-
della scelta divina, quale é profilata ad esempio nel s li7 dera Teoiicea, cfr. Lnxr te prevalga sul non ente, ne consegue infatti, <che esisterá quanto piü é possibile in rap-
1993, pp. 2t0-238. porto alla capacitá del tempo e del luogo (ossia dell'ordine possibile di esistenza)>> (GP
22 cfr. Iut-¡v 1998. rn un essere razionale, Vll, )04/SF l, 482), dato che i possibili non sono tutti compatibiü tra loro in una mede-
la perfezione morale risulta dalla
scelta dell'alternativa migliore; essa segue da un atto libeio deüa volontá.
euesto sembra sima serie (cfr. T, 5 201). Se tutti i possibiü potessero esser prodotti, non occorrerebbe
valere anche per Dio: nella sua scelta del piü perfetto, scrive Leibniz, .é impticata, alla una ragione per esistere: basterebbe la sola.possibilitá; ma allora Dio sarebbe metafisica-
fine, un'azione übera", la cui ragione é <da natura stessa, ossia Ia perfezione ¿"in'
ui mente necessitato alla creazione e, nota Leibniz, <<non sarebbe possibile il Dio delle per-
r'246).TaLe scelta sembra un qualcosa che Dio deve a se rt.rro, ullu propria natura (cfr. sone pie>> (AVl,),582 cit. in.lF I, 118).
T, $ 120); ma essendo libera, essa sembra conferi¡e r¡n carattere coniítrg..rte alla stessa 2t Ho citato il passo secondo la traduzione che ne é data in Polt't,t 1995, p. 88
perfezione mo¡ale di Dio (cfr. GP III, 402; Gp vl, L27-12g e in profosíto R¡scHÉn Poco dopo le righe riportate Leibniz indica nella proposizione <Dio uuole scegliere ció
1967, pp. )5'47 e soprattutto SrrszuN i.977, pp.94-98); ne deriva che ia creazione del cbe é piü perfettor> il principio primo delle esistenze (Gr, 101)' I libero decreto divino
miglíore dei mondi non é una conseguenza necessaria della sua essenza, come lo é inve- della scelta del meglio é la leibniziana rudix contingentiae e insieme il principio che ci
ce la su¿ stessa esistenza. consegna l'immagine di un Dio, scrive Leibniz, <(non come quello che insegnano De-
2' Sul ruolo della razionalitá per la übertá del volere cfr. pHnlrrsrsn 1991. scartes o Spinoza, bensi come lo insegnano i crisdanb> (cit. in Scueprns 1965, pp. )39).
174 La bellezza e Ia fabbrica del mondo Essere per grazia fl5
siti, la quale elimina la deliberazione (CD, 20lcp VI,
S .141)2(,.
owero, dato che il volere é precisamente <<il gioire dell'esi-
perché é in tal modo che Dio é ragione, credo si pos_ stenza di qualcosat rcPb, 61/33), essa vuole che esista cid che ha
-?roprio
sa affermare che la ragione per cui esiste quatosa piuttosto che ragione di esistere. Poiché perd ogni possibile tende all'esistenza,
nulla ed esiste il mondo attuale piuttosto che un altro, fa tutt'uno <<non v'é altra ragione di determinazione all'infuori di quella che
con un atto spontaneo delf'ens ¿7 se,ricordando perd che tale ente esistano le cose migliori, che implicano un piü di realtil (C, 510),
ha natura di Sé e che cid da cui da cui l'utto procede non ¿ rappre_ cioé quelle che realizzano il grado massimo di compossibilitá: le
sentato solo dalla potenza di Dio, ma anche dalla sua bontá e-áala piü perfette; queste sono le cose di cui la mente che le conosce, per
sua-saggezza, la quale <<rende perfetta al massimo grado>> la libertá l'appunto gioisce2s.
della volontá, facendo si che il suo oggetto, cioé ció che <<offre la Natura delle cose e libertá della volont) convergono dunque
ragione per volere e non volere>>, sia <<simultaneamente buono e ve- nella struttura riflessiva del decidersi, che sembra rendere la ragio-
ro>> (iui, SS t8, 19 e 2I/GP VI, ,{-11), vale a dire sia non un bene ne ultima dell'essere. Se ne evince che il mondo é un fatto divino,
apparente, bensi il bene reale. liberamente posto in essere2e, e insieme che I'essere é ín ragione del
Lidea che la ragione uldma dell'essere sia intrinseca alla benero. Poiché al di fuori della volontá divina non si puó dare al-
lontá sembra trovare corrispondenza nella definizione stessa'o-
di cun'altra ragione che di nuovo questa volontá, e tale ragione é il
<<esistente>>. Secondo Lelbniz bene (cfr. T, S 2"10), si puó inoltre dire che, per Leibniz, <<la bontá
dí Dio ... é íl fondamento originario del principio di ragione>> e che
si potrebbe definire I'esistente, ció che é compatibile con ii maggior
oggemi risperro a qualsiasi altro oggetto incompatibile .on-Jrro
in questa bontá <<la ragione stessa ha la sua origine>ttl.
1gm9r9
(c {i La portata di questa conclusione per la concezione della bel-
)60/sLII,277):
lezza é assai ri,levante. Se si richiama f immagine che la vuoie una
ma a suo awiso considerare l'esistente come <<l'ente compati- diffusione dei raggi della divinitái2 e si ricorda che la luce é anche
bile con moltissimi enti, ossia I'ente massimamente possibileo2T,
equivale a dire che <<esistente é cid che piace ad ,rn .rr.r. intelli- ls Come é noto, questa conclusione é fiitrata in Leibniz dalla messa in discus-
gente e potente>>, se una mente di tal genere esiste (cfr. anche c. sione dell'identitl di essere e bene, esistenza e perfezione, rrel carteggio con A. Eckh¿rd
(cfr. GP I,2Il'272). nel corso del quale il tilosofo concede che l'esistenza é unr perfe-
-105). Ora, alla mente
zione solo <<in questi termini ... cioé che, senza alcun¿ consíderazione delle altre circo-
piace che accada piuttosto cid che ha ragione di esistere che non cid stanze dellx vita, é meglio esistere che non esistere. Mcglio, peró, lo intendo nel senso:
-
che é senza ragione rc 37 6/SLII,296-297); piü desiderabiJe con la rrgione> IGP I,222: cit. nella trad. di Port.r 1995, p. 228). Dun-
que, <<non I'esistenzx é desiderabile per sé, ma il suo senso,, (GP I,2il), orvero, sembr¿
r" di poter dire, il f¡tto che esista queilo stato dell'universo che piace a Dio. A piacere e fer
<Ogni essere - si Iegge neila giovanile Confc.ssio phiktsophi _ é tanto piü scegliere un osgetto é infetti la sua bont) ideale, e ,<non ci sono che i veri beni a esser c¡-
spontaneo quanto piü i s.oi atti fluiscono dalla propria natur¿ e quanro meno
mo- paci di piacere a Dk>, (L S 11O/GP VI, 161). Anche dell'esistenze si puó allor¿ dire che
dificato dell'esrerno, ed é tanto piü libero quanto piü é capace ái ,."1t" ... f^ 'iene
,po,,tr_ é bene non semplicemente perché creata da Dio. ma perché da lui approvate e volut¿.
,ci/ti deriva dalla nostra potctti¿l.1¡ libcr/ti d¡ll, siir,¡rtr, (cph. sztl¡1. se libero ¿ cl¿ Luniti di essere e bene pcr Leibniz si ricostruisce in Dio sulla base del principio di ra-
che é spontaneo e dovuto a scelta, ne consegue che h scelt¡ razionale é ció
che rp..,fi.; gione, e di qui essa si diffonde come fondamento e senso delle esistenze.
la spontaneiti come liberr) (cfr. c. 25 e Cpb, 86/ 16 dove I'uso della ragior.re a p."r"nr.,o :" Cfr. Ruc;r;rNrNr 1991, p. 121.
come .<1a vera fonre dell¿ libertrr) e dun<¡ue che il momenro costitutirl ,1"11, ilb"n,
ap-
)0 (;i) B. Russell ¡'e,,'a rileveto che il principio di ragione sufficiente .conflri-
partiene al mentale, alla razionalit) che traduce la non determinatezza clall'esterno
in ii- sce al bene una rel¿zione con I'esistenza tale che nessun,rltro concetto possiede> e lnzi
bert) (cfr. Gr, -180 e T, S 288 per la classica ¿n¿lisi leibniziana delle conjizioni clella
ii che questa connessione tra il bene e I'esistenza <d) I'essenze del principio di lagione suf-
berti: intelligenza, spontaneiti e conringenza).
:;. cfr' SF r, 217: <,quel che é il piü pertetto rra i reciprocanre'te ficiente rpplicato egli esistentio (Rtrssl,.t-t. 1971. pp. 71-75). Ció comporta. come é statcr
. incomparibili osser\:ato da Gxrvlli 1996, che il principio del rneglio (conscguente dalla volonti divina
e'ice\:ersa, <¡uel che esiste é il piü perfétto di tutti>>r or¡r, da cid.on .onr"ju"
¿'-'.r/c
del bene). non sia logicamente irrdipendente da quello cli regione, comc ser¡brr invece
ch"
lesistenza sia una perlizione, essendo essa piuttosto <<una certir corrparazione
,l"il" p"r- pensare P.ttiKIrsoN 1965, pp. 105-10ó. Cfr. ¿nche RLst.tll,lt 1967 . p. )1.
fezioni tra loro> (cfr. nora seguente)i la si puó pertanro spiegare co're partecipazione
al-
ir Priirr.r 1.995.2]6.211.
la serie perfertissir¡,r delle cose (cfr. C. 9). r: Sul piano strettemente metafisico si puó ossen'are che il v¿lore es¡etico del
176 La belleua e la fabbrica del mondo Essere per grazia 177

una metafora della ragione, se ne puó desumere chelabelJezza ela concezione della struttura delle proposizioni e della veritá, é un da-
diffusione della ragione divina nel crearo per Leibniz sono fenome- to incontestabiiela; ció che é in discussione non é questo, bensi la
ni correlati; giá si é visro, come il filosofo sottolinei la connessione pretesa che la logica rappresenti l'orizzonte ultimo, dal quale il
dibellezza e comprensibilitá; il modo in cui egli concepisce la ra- principio ricava i. proprio significato. Contro tale pretesa puó esse-
gione ultima dei mondo fornisce ora un solido fondamento metafi- re addotta I'originaria formulazione del principio a partire dalla
sico a tale connessionell. Torneró tra breve su questo punto; prima nozione hobbesiana di causa praecisa)5; formulazione di cui resta
peró vorrei dedicare ancota qualche riflessione al principio di ra- un'eco anche in contesti in cui esso é presentato esplicitamente co-
gione, per difendere la letura, in ultima analisi teologica, ihe ne ho me principio logico, in connessione con la concezione della veritá:
proposto, e accennare poi a un altro tema che sembra rientrare nel
campo significativo dell'immagine della diffusione della diviniti, Due sono, ... i principi di tutti i ragionamenti: il principio di con-
traddizione . . .; ed il principio del rendere ragione, e cioé che ogni propo-
almeno in quanto essa vale anche come raffigurazione della crea-
sizione vera, che non sia per sé nota, comporta una dimostrazione a priori
zione e del suo rappofio a Dio. Nell'un caso come nell'altro, mi au-
owero che di ogni veritá si puó rendere ragione, o, come si dice comune-
guro che quanto si dirá risuld utile per approfondire lo sfondo reo- mente, che nulla accade senza causa (GP VII, 309/SF ,-I,248).
rico della concezione metafisica del bello, cui ci hanno riportato le
ultime osservazioni svolte. Come si vede, il principio di ragione viene introdotto come
principio dei ragionamenti, ma ne viene ricordato anche il valore di
principio generale di causalitá, pur presentandolo come I'accezione
3. Excursus: il principio dí ragione tra logica, metafisica
comune del principio. La sonolineafi)na del carattere, per cosi dire,
e teologia
popolare del significato causale del principio non comporta di per
Come si é accennaro, Leibniz offre diverse formulazioni del sé una presa di distanza critica; Leibniz stesso accredita infatti il
principio di ragion sufficienre, non immediatamenre riconducibili duplice valore del principio di ragione:
l'una all'altra e in alcuni casi ambigue. Definire con precisione il
consideriamo che nessun fatto possa risultare vero o esistente, nes-
con-tenuto del principio puó risuhare perció abbastanza difficile; suna proposizione veridica, senza che vi sia una ragione sufficiente per cui
mi limiteró ad alcune osservazioni, soprattutto allo scopo di corro- sia cosi e non altrimenti (M, SS I 1-12lGP VI, 612).
borare quanto sostenuto nel paragrafo precedente. Conffo I'inter-
pretazione proposra sembra parlare infatti giá il modo in cui il Il principio sembra dunque avere una doppia portata: da un
principio é introdotto ad esempio nelfa Monadologia, vale a dke lato in riferimento alla veritá delle proposizione e, dall'altro, all'esi-
come uno dei <<due grandi principi> - I'almo é il principio di con- stenza dei fatti; esso appare ad un tempo un principio di dimostra-
traddizione - su cui si fondano i nostri ragionamenti, dunque come bfitá (per le proposizione) e di causalitá (per i fatti o gli eventi).
un principio logico. Ora, che il principio di ragione abbü questa lidea che il significato del principio, e con esso la sua piü comune
natura, ovvero che una proposizione che Leibniz chiama <princi accezione causale, siano fondati nella logica, ha tuttavia forti sup-
pio di ragion sufficiente>> sia parte della sua logica, cioé della sua porti testuali:
Il predicato, o conseguente, é sempre incluso nel soggetto, o antece-
mondo é affermato in uno con la fondazione della sua contingenza nel principio del me- dente; e proprio in questo consiste in generale la natura della veritá, ossía
glio; mettendo in luce il necessítarismo implicito nella tesi cariesiana che la r¡lateria assu- la connessione tra i termini dell'enunciato ... E nelle identiche, la connes-
me successivamente tutte le fofine di cui é capace, Leibniz osserva infatti che se cosi fos-
sione e comprensione del predicato nel soggetto é espressa; in tutte le altre
se, sarebbe tolta <ogni bdlezza dell'universo e scelta di coso (F/C, 17 9). Cfr. anche la
citata lettera a Philipp del gennaio 1680 (GP ry 2S)ISF II, 61).
ll Quanto la metafora della luce sia semantica¡ñente
u
ricca tanto in riferimento ra Cfr. la chiara esposizione di P¡nrlNsoN 1965, pp. 56-69.
al bene che al vero lo documenta RIGorrr 1995,pp. 76 ss. It Cfr. Prno 2001.
178 La belleua e la fabbrica del mondo Essere per grazia 179

é implicita e va mostrata mediante I'analisi delle nozioni: in ció risiede la


livelii diversi della realt), cosi come fra modi diversi di rappresen-
dimostrazione a priori ... Ne scaturiscono molte conseguenze di grande
tare uno stesso univetso, forse si puó pensare che il significato del
impoftanza; immediatamente ne nasce I'assioma generalmente ammesso,
per il quale nulla é senza ragione, o ftessun effetto é priao di causa. Ntrj-
principio di ragione muti a seconda del punto di vista assunto e,
menti vi sarebbe una veritá che non si potebbe provare a priori, owero conformemente a cid, sostenere che esso é sia un principio logico,
che non si risolverebbe in quelle identiche; il che va contro lá natura della sia un principio generale di causalitá)7 , sia un principio metafisico.
veritá, che é sempre identica (C, 51.8-519/SF I, 4I2-4I3). Se si ammette questa possibilitá, allon a risultare rilevante nell'idea
che niente é senza ragione, non é tanto la natura specifica della ra-
Bisogna sempre che cí sia un qualche fondamento della connessione
gione addotta, quanto la possibfitá di fornire ció di cui tale ragione
dei termini di una proposizione, che deue trouarsi nelle loro nozioni. Ecco il
mio grande principio, su cui credo che tutti i filosofi dovranno concorda-
é parte, vale a dire una spiegazione. Ne consegue che ció che il
re' uno dei cui corollari é I'assioma popolare secondo cui nulla accade principio di ragione asserisce é in fondo la comprensibilitá del
senza ragione e si puó sempre indicare perché la cosa é andata cosi piutto- mondo, la possibilitá che tutto sia conoscibile e spiegabile, e che i
sto che altrimenti (GP II, 56/SF I, 327). diversi significati che esso sembra assumere corrispondono ai modi
diversi in cui spieghiamo le cose a seconda del tipo di veritá di cui
Leibniz sembra chiaramente stabilire la derivazione del prin- le consideriamo passibilirs.
cipio di ragione dalJa natva della veritá; egli non manca ruttaüa di A sostegno di questa conclusione sembra parlare anche il ca-
attenuare questa connessione: <<si puó dire irc qualcbe modo che rattere piuttosto sfumato che la distinzione fra cause e ragioni ha in
questi due principi [di ragion sufficiente e di contraddizione] siano Leibniz. Da un lato, infatti, egli sostiene che <de cause si assumono
contenuti nelle definizioni del vero e del falso> (GP VI, 414 corsi- non sulla base di un influsso reale, ma dalla ragione che sanno da-
vo mio). Va inoltre rilevaro che il valore causale del principio, pur re> (GP VII,3I2/SF ,I,252Ye; dall'altro, capovolgendo quasi la
essendo considerato la versione popolare di esso, o una soria di co- relazione fra i termini, che <<in particolare, e per eccellenza>> metita
rollario, diventa centrale sul piano metafisico, dove <da vera causa, il nome di ragione ció che é la causa <<non solo del nostro giudizio,
per cui esistono queste cose piuttosto che quelle>> non sembra po- ma anche della veritá stessa>>4o; questo é, a suo awiso,
sta in rapporti di inclusione fra concetti, bensi nei cliberi decieti
della volontá divino> (GP VII, 309/SF 17 Causalitá reale, come é noto, per Leibniz c'é solo a livello intramonadico, do-
BI,24g).
Si puó allora congetturare che le diversitá o, meglio, gli spo- ve ogni stato di una sostanza é una conseguenza dello stato antecedente (cfr. M,S 22) e,
stamenti d'accento sulla natura del principio derivino dal fatto che in ultima analisi, del principio interno, della legge che costituisce la natura rappresenta-
tiva della sostanza stessa (cfr. GP ry 484lJF I,454) ed é, per cosi dire, il corríspondente
<ragione> sembra poter assumere diversi significati: la parola pud
dinamico del concetto completo. Questo forse lascia intendere, perché il principio di ra-
indicare sia il fondamento di una conoscenza, di una pioposizitne gione risulti connesso alla concezione della veriti e perché la sua formulazione causale
vera, sia la causa efficiente o meccanica di un evento, sia la causa fi- ne rappresenti una sorta di versione popolare. Occorre peró ricordare: a) che, per Leib-
nale o il motivo di un'azione36. Questo non vuol dire che il princi- niz, al livello sostanziale e a quello fenomenico dei corpi vigono forme diverse di causa-
ütá: finale I'una, efficiente l'altra, con Ia conseguenza che le leggi delle anime sono teleo-
pio di ragione non abbia un significato unitario; i testi citati danno logiche, mentre quelle dei corpi sono meccaniche (cír. M, S 79); b) che I'origine stessa
chiaramente I'impressione che Leibniz lo assume come un singolo delle leggi meccaniche che regolano I'apparcnza di interazione causale sul piano feno-
principio, pur declinandolo secondo accezioni diverse. euat é dun- menico dei corpi, é posta dal filosofo in ragioni piü alte, da ricercare nei motivi delia
que il suo significato scelta divina del mondo esistente. Le cause efficienti risulta¡o dunque metafisicamente
base?
secondaríe, sia perché le leggi che le regolano hanno carattere derivativo rispetto ai de-
Considerando che la concezione letbniziana del mondo é po- creti diüni, sia perché si applicano ai corpi che, come si é visto, non sono sostanze ma
sta sotto il segno dell'armonia e della corrispondenza fra aspeúi e fenomeni ben fondati.
r8 Cfr. anche FMNKEL 1994.
19 Una sostanza é infani deta attiva, in quanto ció che si conosce distintamente
16 <Nihil est sine ratione>>, sostiene Lelbniz, si intende
della causa efficiente, in essa serve a rendere ragione di ció che awiene in un'altra (cfr. M, S 52 e DM, S 15).
materiale, formale e finale (Gr,269). a0 Sembra sottintesa qui un'ulteriore accezione del principio, secondo la quale
180 La bellezza e la fabbrica del mondo
Essere per grazia 181

quello che allora si chiama ragione a príori; ela causanelle


cose cor-
risponde alJa ragione nelle veritá. Eá é per'questo che l" ."r;;;;;; le nozioni dei terminil>, che vi sia cioé <<un fondamento a parte rei,
particolare la causa finale, é sovenre .hi"-"t" ragione (NE,
IV.xví.yA dal quale possa essere datala ragione della proposizione,
vI 6,475). ^pafifte
o possa essere trovata una ptova a priori>> (C, 402)43. Tale fonda-
mento, secondo la sua opinione, non va cercato nelle relazioni fta i
sembra che'anche la causa efficiente, pur avendo rerazione
ar- concetti che noi abbiamo delle cose, bensi in quelle che hanno luo-
I'esistenza, non sia un mero fatto, ma sia suÉordin"r"
di df;;;;;; go ftaleidee divine che sono gli archetipi delle idee umaneaa. Scri-
una ragione4l;-¡i puó supporre che ció sia dovuto ,l'rrr,rn,3
di *. ve il filosofo;
struttura parallela di logica e realtá, per cui cercare la causa di
un
evento o di uno stato di cose é insiéme dar conro aa p"t.ü É meglio situare le veritá nel rapporto fra gli oggetti delle idee, che
particolare predicato é asserito con verirá di un certo ,";;;;;.
ü
i. fa si che I'una sia compresa o non sia compresa nell'altra. Questo non di-
sottolineatura, d9 parte di Leibniz, dello stetto rapporro pende dalle lingue, e ci é comune con Dio e gli angeli. E quando Dio ci
esisrente
fra il principio di ragione e la concezione della ,"ii,i¿....-i".1"- manifesta una veritá, noi acquistiamo quella che é nel suo intelletto, poi-
sione del conce*o del.predicato in queilo der soggetto, p"rr.uü. ché, per quanto vi sia una differenza infinita tra le sue idee e le nostre ri-
allora essere letta ,nche come una iesi suila r"rñ" l.g-i*-á"u, guardo alla perfezione e all'estensione, é sempre vero che convergono nel
realtá- Questo comporra peró che íl significato fo"au.Eni¿. medesimo rapporto. E dunque in questo rapporto che si deve situare la
JA veritá (NE, N.v.2/ AVI 6, 397).
principio di ragione é da ricondurr., pii-u che a concerio;il;_
che, a premesse di ordine metafisico i i' ulti-u *¿iri, r."l-"gi."". La convinzione che la mente umana possieda idee corrispon-
La nozione di veritá pud infatti imporre una ce.a io..riiiu denti a quelle divine e partecipi del mondo intelligibile rappresen-
rcaltá42, perché I'una e l'altra rispecchiano relazioni .h;
,i¡;;;; tato dall'intelletto di Dio sembra il. garanre ultimo di una concezio-
ultima analisi nella menre divina e costiruiscono perranro il fonda- ne generale della veritá che, quanto a noi, trova riscontro per un in-
mento di ogni stato di cose e di ogni predicazione vera. sieme limitato di proposizioni, cioé in quelle che Leíbniz chiama
fn una occasione, dopo aver riproposto la sua abituale defini necessarie. É infatti solo per I'onniscienza divina che ogni veritá ri-
zione della veritá, Leibniz sosriene la nlcessitá di o.orrn"rri;i?; sulta analitica, perché Dio, vedendo le nozioni degli individui, <<vi
vede al tempo stesso il fondamento e la ragione di tutti i predicatil>
si dovrebbe distinguere fra le ragioni di un giudizio e quelle per
o, forse megüo, fra le ragioni p.. a..en".e Jrra p.oposirion..o-.
cui qualcosa é come é, che si possono asserire veridícamente di essi (DM, S 8/GP IV,
u..r.l..aiorridi 433)45, benché anche alla sua mente sembri preclusa, nel caso della
suo essere vera. Cfr. in proposito HnrupLlNc tSSi.
{l cfr' Dt BELLA 200.r. viceversa, la ragione, per esser tare, sembra richiedere veritá di fatto o contingenti, la dimostrazione dell'inclusione del
un supporto nell'esistenza: <v é una ragione nella natuia, perché
*i", qr¿..., pirri"- predicato nel soggetto:
sto che nulla . ' ' Quesra ragione deve trovarsi in ut q,rd.Ái
ente reale o ."ur". r"'a*r"
mtatü, non é null'altro che una ragione reale; né re veritá delle possibilitá
. d.x.;;;
sitá ... avrebbero un'efficacia qr:aliiasi se le possibütá non
si fondassero in ;;;r;
stente in atto> (GP vll,289/sF at LamiaattenzionesuquestopassoéstataattiratadaRuturn¡'o1tn1995,p.17.
Br,_22g). Il nesso f¡a ordine dei fatti e ¿.u. ¡i* 14 Quanto sia radicale su questo punto la tesi del fondamento delle veritá nel-
sembra tale che qualcosa é causa"nerf'uno se é ragione nelr'altro ".a*
,i*"....,
*b* u.:ui.,"::pgt3ra fatuale " -" il.di". I'intelletto divino, lo si intende considerando che secondo Leibniz <é l'intelletto divino
'r1:1.
delle
soto glzie alllessere ¿i"ir..
essenze a esisrere (Gr, 17) non ne fa infatti delle cause efficienti
il prp*rü* che fa la realtá delle veritá eterne>; esse dunque non sussisterebbero, se non ci fosse al-
.up".iai i.oau...
I'esistenza delle cose. Una causa efficiente, orr.-, Ao¡ui 1.994, p. fiá, p, d;;; cun intelletto, nemmeno quello di Dio, perché anche la loro realtá, come la realtá di
avere, per cosi dire, un punto d,appoggio nell,esistenza.
A Dio t'Je p;;"-¡;.e;;;gi" é ogni altra cosa, <<dev'essere fondata in qualcosa di esistento>. All'obiezione che un ateo
garantito dalla sua stessa essenza, cosi che egli puó essere
inteso .or* lu .uuru .rnii.i . puó essere geometra, egli risponde che, .<se non ci fosse Dio, non ci sarebbe I'oggetto
dell'esistenza delle cose finite, le cui essenzé .áno piutiorto
cause formü .h. della geometrian, cosi come non ci sarebbe niente né di possibile né di esistente. Questo
(G1 269), ossia sono le ragioni che influ enzanolascelta é ció che sfugge a coloro che, non vedendo il legame di tutte le cose tra loro e con Dio,
divina che le fa esse¡e. "fd;;;;
42 <<Il fatto é sc¡ive possono ben intendere <<certe scienze, senza conoscerne la fonte primaria che é in Diot
- Leibniz - che la veriti non é che condizionare e dice che.
nel caso i-l soggetto esísta, lo si troverá in quel certo mod." (ñt, (T, S 184/GP V1,226-227).
fv;.i;r; VI;;r?). ' at Su ció cfr. anche FR¡NxEL 1994,pp.6-67.
r82 La bellezza e k fabbrica del mondo Essere per grazia r83

la risoluzione - scrive in proposito Lelbniz - procede alf infinito. quanto affermato nel paragrafo precedente, sembra inoltre che il
Soltanto Dio vede, non certamente la tine della risoluzione, che non c'é, principio di ragione valga, perché liberamente Dio ha decretato di
ma la connessione dei termini, ossia l'involuzione del predicato nel sogget-
fare tutto con somma ragione, e dunque che la libertá di Dio sia
to, poiché egli vede tutto ció che é nella serie; anzi, questa stessa veritá é
I'origine dell'applicabilid del principio al mondoas.
nata 'tn parte dal suo intelletto, in pane dalla sua volont) ed esprime, in
Se questo é vero, occorre allora riconoscere la stretta connes-
certo modo peculiare, la sua infinita perfezione e I'armonia di tutia la serie
delle cose (FdC, 1,s2/SF 1,425). sione esístente frala natura delle cose, la nozione di veritá ela na-
tura di Dio, owero, come scrive Leibniz, che
I-ultima parte del passo é molto importante; essa mette nella
la vera metafisica si distingue appena dalla vera logica che é l'arte
giusta luce quello che altrimenti potrebbe apparire un limite della
dello scoprire in generale; poiché effettivamente la metafisica é teologia
mente divina. Per Leibniz, se un predicato é affermato con veritá di naturale, e lo stesso Dio che é la fonte di tutti i beni é anche il principio di
un soggetto, deve esserci una connessione fra il concetto dell'uno e ogni conoscen za (GP IV, 292).
quello dell'altro; come si é detto, questa connessione risulta dimo-
strabile, e dunque necessaria, nel caso delle veritá di ragionamento, Dio é per Leibniz il punto che tutto regge: le veritá di ragione,
mentre in altri casi la risoluzione del predicato in ció che é conrenu-
to nel soggetto non puó essere compiuta per mezzo di alcuna anal! suggerimento heideggeriano di vedere nelle formulazioni dei principio di ragione in
cui il <<ezn> si esplicita come <<cur potius quarnr> un riflesso dell'origine del fondamento
si. Tuttavia essa é presente a Dio, dato che il fondamento di tutte le nel fondare proprio della liberti (cfr. Sull'essenza de I fondamento in: H¡loeccER 1987,
veritá, anche di quelle di fatto, é nelle relazioni fra le idee del suo pp. t28-129).
intelletto; nel caso delle veritá di fatto peró, per vedere la connes- 18 Come é noto anche Heidegger, riferendosi perd all'esserci, individua nella li
bená I'origine del principio di ragione (cfr. Sull'essenza del fondamcnto in: Helorcc¡n
sione dei termini, oltre alla relazione fra le idee Dio deve considera-
1987, p.128). Senza neppure abbozzare un confronto che meriterebbe ben altro spazio
re dell'altro. La visione di Dio, scrive Leibniz, deve essere concepita (ma cfr. CrusuN 1990 e S¡x¡r 1993), mi limito a osservare che I'ontologia riflessiva pro-
pria deü'aas a re, conforme a quella della liberti, sembra il contesto adeguato per la
come una conoscenza a priori mediante ragioni delle veritá, in quan- comprensione del principio di ragione. Niente si dá senza ragione, owero c'é sempre
to vede le cose a partire da se stesso: quelle possibili in base dla coniide- una ragione da articolare, un principio di comprensione, perché tale ragione é nell'es-
razione della propria natura, quelle esistenti, invece, con l'aggiunta della senza stessa delle cose in quanto liberamente derivanti da Dio, il quale fa tutto con ra-
considerazione della sua volontá libera e dei suoi decreti, il primo dei qua- gione. Heidegger, imponendo 1o spostamento del discorso dagli enti all'essere, vede nel-
la tesi del fondamento un dire nascostamente dell'essere e vi legge I'affermazione che
li é quello di condurre tutte le cose in modo ottimo e con somma ragitne
<<all'essere appartiene un qualcosa come il fondamento. L'essere é dello stesso genere del
(Fdc,184/SF I,427).
fondamento, ha il carattere del fondamento> (Helonccpn 1991, pp. 90-91). Non credo
che egli avrebbe acce¡tato I'accostamento di questa concezione a quella del Dio creatore
Resta dunque certo che rutte le veritá hanno una prova, che si leibniziano, che toglie al mondo il suo carattere abissale, per farne un prodotto, e tutta-
puó dar ragione di esse, owero, secondo quello che Leibniz consi via c'é, come rileva Ruttt 1998, pp.66, una somiglianzanelfa forma del ragio¡amento
dera il modo di dire comune, che nulla accade senza ragione; nelle quando Leibniz parla di Dio e Heidegger dell'essere. A Dio, fondamento infondato,
sembra appücarsi lo scarto dal uaram ú. weil che Heidegger richiama, citando alcuni
proposizioni contingenti, tuttavia, I'inerenza del predicato al sog- versi di Angelo Silesio e di Goethe (cfr. H¡loEcceR 1991, rispettivamente pp. 68 ss. e
getto diventa visibile solo considerando le ragioni che hanno poft;- 21,3-218),per articolare una prospettiva sull'essere, secondo la quale non sia piü propo-
to alla scelta del mondo crearo. Sembra conseguirne che la réhzio- nibile la domanda di una ragione. <<Il termine 'perché?' - egli scrive - é usato per la do-
manda che chiede il fondamento. Il'poiché'lo adduce. Diverso é dunque iI modo in cuí
ne di inerenza, in questo caso, non é una relazione meramente logi
viene rappresentata la relazione con il fondamento> (iui, p.70). Il <poiché> blocca la ri
ca, bensi anche teologicaa6, perché dipende, almeno in parte, dalla cerca del <perché?>, <Il'poiché'infatti é senza'perché?', non ha un fondamento, é esso
risoluzione divina di creare il mondo attuale4T . In accordo con stesso il fondamentor>, o meglio, come Heidegger scrive poche righe dopo, <<nomina
l'esserci-gii supportante>> del fondamento e <<rimanda al tempo stesso all'essenza dell'es-
sere ... Essere e fondamento -nelrVcil-: lo Stesso. Entrambi si coappartengono>> (iui,
16 FR¡NxrL 1991,p.65. pp. 213 -2I5). Un'identica coappartenenza caratteúzza, secondo Leibniz, il Dio per gra-
a7 Mi sembra valga qui, estrapolandolo con un po'
di arbitrio dal contesro, il zia del quale le cose sono.
I84 La belleua e la fabbrica del mondo
Essere per grazía 185

perché esse risultano da connessioni di idee fondate


nel suo intel- unitario del principio di ragione, quale sembra dato daif'aff.erma-
letto, meraforicamente definito la <<regione delle veriti .i.*.r,
(NE, IVxil4 /AW 6, 447); e le verit) cJntingenti, zione della comprensibilitá del mondo, risulti meglio definito5o; si
relarive d Áon_ puó infatti vedere come tale preresa derivi dalla convinzione, fon-
do che egli ha scelto di creare, perché il fonáam.rrr;á; q;;;;
damentale nel sistema leibniziano, che il mondo e la mente abbiano
ritá é posto in ultima a,nalisi in ragioni riconducibili alla sc.lru
a.l una comune origine in Dio (cfr. GP VII,264/SF I, 194). Forse é
meglio (cft.DM, S 1l)1e.
questa la premessa implicita nell'assunzione del principio di ragio-
Se si assume che la ragione é qualcosa da fornire a
chi com_ ne, il quale é si interpretabile come conseguenza della domrina del-
prende, e si considera che questi é inprimo luogo
Dio, f.r* rr* ¿ la veritá, ma non pare essere una veritá necessaria. Leibniz lo ritie-
fuorviante sosrenere, che il principio ii ragionelcom"'prirr.ifio
ai ne un principio chiaro e arriva a chiedersi se abbia bisogno di pro-
conoscibilitá universale, ha la propria radiá in Dio. se poi
,i'ri.or- va, considerato che la sua validitá non sembra conoscere eccezioni
da che Leibniz stabilisce una coirispo ndenza tr^ ru ,igi"Á;^;.rk
o controesempi (cfr. GP \TI, 420/SF III,555-556). Llosservazione
veritá e la causa nelle cose, se ne evince che a Dio uppuri*.
l-ron- suona peró come un teorema della teodicea: non si danno esempi
damento, é resa la ragione, anche nel ,"rrro .h. ;6;;;ip;;r"
contrari al <<grande principio>>, ossia il mondo é razionale, perché
cid.che.esiste_in seguito al suo essere causa prima. Tutto
durrqu., Dio agisce con ragione. Probabilmente Leibniz, quando presenta il
nell'ordine delle essenze come in quello deil. erist.n;;;;;;"
principio di ragione come uno dei suoi grandi principi, non fa che
fondato da Dio' come ens a se Dio non ha invece bisogno
áiirr.r. esprimere la sua profonda fiducia nella perfezione divina e insieme
fondato; per cosi dire, <<c'é giáo in virtü della r"u .rr."7^,1"
la ragione che esclude la possibiritá de[a non esistenza, e or¿.
¿ nella ragione umana, che di quella perfezione partecipa: la <<nostra
c,é com. filosofia>, egli scrive, <<cerca delle ragioni>> e <<la divina saggezzale
cj9 supporra ogni altra cosa, nell'ordine delle idee e
9he - ou.lto
dei,fatti. Egli é .uglol:.dell'essere e ragione d"il";gi;;*;ü;;.
fornisce>> (NE, Pref./A W 6, 66). Sembra quasi che il principio e il
termine del procedere della ragione siano in Dio, principio di ragio-
della ragione, perché il suo inrelretto é ra connessiJne di
raiioni ne, owero ragione della ragione, e condizione ultíma dell'intelligi-
che il termine <ragiono>, propriamente indica; ragione d.lr'.r'r-...,
bilitá del mondo affermata dal principio di ragione.
perché la sua volontá del bene é la fonte del de.íeto
di;;á;;. Secondo I'opinione di Leibniz, si deve al modo in cui Dio ha
luttg cgn-somma ragione, dal quale conseguono il mondo e la sua disposto le cose e ha posto in noi, nella nosüa ragione, un <<vesti-
intelligibilirá.
gio> della sua immagíne (CD, S 98lGP W,453), se la realtá in cui
Tenendo conto di questo sfondo teologico, mi pare che
il senso viviamo é penetrabile dalla mente, se possiamo dar ragione di ció
4e .<A noi scrive Leibníz
- - rimangono due strade per conoscere ie veriti con- 50 Cosi come il principio di ragione puó assumere diversi
significati a seconda
tingenti: quella dell'espeienza e quell.a della ragione>
O¿é, nZtSli,;;;).;;;d_, del senso attribui¡o a <<ragione>>, convergenti tuttavia nel comune presupposto della
strada, per la quale fondamentó dela veritá id. .or. contingenti e singorari
"il
nel successo, che fa si che i fenomeni dei sensi siano connessi
risiede comprensibilitá del mondo, altrettanto convergono per Leibniz i corrispondenti modelli
proprio come re veritá in- esplicativi della realti. A suo awiso il sistema dell'armonia pona infatti .,anche a vedere
telligibü lo richiedono> (NE,Wiv5/A W 6,392),r.mb.u l, pi,i
te finita. La via della ragione, l" quale proceá. irr.,r... i.
i*riJif.;;il; che, una volta penetrati nel fondo delle cose, si riscontra piü ragione di quanto si cre-
bur. *principio g;;;.;; desse nella maggior parte delle sette dei filosofi. La poca realtá sostanziale delle cose
nu-lla accade senza.ragione: o*eio che sempre il predicato ^l
é in certo modo ner sosset- sensibili secondo gli scettici; la riduzione di tutro alle armonie o ai numeri, idee e perce-
to>, risulta. piü percorrere, e fo.s. non'a .rr. L.ib;i, ü;if;;ir;;;d:il;
_difficile da zioni, dei pitagorici e platonici; l'uno che insieme é tutto, di Parmenide e Plotino, senza
mente a Dio: <Quindi, possiamo ritenere per cerro che
tutte le cose *"o r"". ár 6io a il minimo spinozismo; la connessíone stoica, compatibile con la spontaneiti degli altri; la
modo perfettissimo e che nienre é compi.rio da parte sua
senza ragione; e mai si verifica filosofia vitale dei cabalisti e degli ermetici, che pongono o'v'unque la sensazione; le for-
qualcosa.senza che egli, che comprende, non cámpre.rda
la ragio"ne aá p...-lrlu.i"r" me ed entelechie di Aristotele e degli scolastici, e tuttavia la spiegazione meccanica di
di cose sia cosi piuttosto che altrimenti>, (r¿c, tsztsp i, cz:).
Ar,.h. le veritá contin_ tutti i fenomeni particolari, secondo Democriro e i moderni ecc., si rrovano riuniti come
genti, <rcome tutte le veritá>>, sono oggemo del|intelletto
divino (Gp vlj., >e¿lie1-,i)j¡ in un centro prospettico, da cui I'oggetto (che pare ingarbugliato guardandolo da qual-
e qui, dove per Leibniz é prototipo delie idee e delle veriti .h. ,oná
nostre animo>, esse hanno "il ñ;..;;i. "-"'
il loro fondamento ultimo (NE, rv.xi.14lA vl e ci\j.--
siasi altro luogo) mostra la propria regolaritá e la convenienza delle sue partb> (GP IV,
, 58 -521/sF I, 505).
186 La belleua e la fabbrica del mondo Essere per grazia t9l

che conosciamo, del perché le cose sono e sono come sono. Egli per ció che si é fatto. Si potrebbe inoltre, secondo la visione tutta
annota ln una occastone: barocca e spettacolare della creazione, del <<teatro del mondort
(CD, S 1.43/GP VI, 460)53, condivisa daLeibniz, pensare la gloia
non posso sempre spiegarmi completamente, ma cerco sempre di
parlarc in modo preciso. Comincio da filosofo, ma finisco da teologo. Uno di Dio in un senso non molto lontano da quello proprio della glo-
dei miei grandi principi é che nulla awiene senza ragione. É un principio ria che i monarchi assoluti volevano rispecchíata nell'architettura
di filosofia. Tuttavia, in fondo non é altro che un riconoscimento della sag- monumentaleta. Come é noto, Dio é paragonato da Leibniz non
gezza üvirra, benché io non ne parli all'inizio5l. solo a un architetto, ma anche a un monarca; Dio é anzi <<il massi-
mo e il migliore dei monarchil> (PNG, S 15lGP VI, 605). E perd
Torniamo ora, anche alla luce di queste conside¡azioni, alla interessante rilevare che secondo il filosofo la gloria di questo mo-
domanda <<perché vi é qualcosa piuttosto che nienre?> e a quella narca <<consiste veramente>> non tanto nel mondo naturale, nella
che appare essere una riformulazione della risposta leibniziana. teatralitá dell'universo, quanto nel mondo morale: non ci sarebbe
alcuna gloria, egli scrive, <<se la sua grandezza e la sua bontá non
4. ... ad naajorem Dei gloriam fossero conosciute e ammirate dagli spiritil>, dalle creature fatte <<a
sua immagine e quasi della sua stirpe>>5', vale a dire se non fosse
Per Leibniz, come si é visto, il mondo é liberamente posto in riconosciuta Ia dazione della sua saggezza e della sua potenza,
essere da Dio (cfr. T, S 210), ha la propria ragione ultima nella vo- che <<si mostrano ovunque>> (M, S 86/GP VI, 622), all.a realizza-
lontá divina del bene (cft. iui, S 226); piü precisamenre: nella vo- zione del ..bene dei buonil> (iui, S 90/GP VI,622)56. Ecco allora
lontá antecedente del bene e in quella conseguenre del meglio (cfr. la precisazione che <<piü un principe grande e buono avrá cura
eai, SS 116,228; CD, SS 24-27). Dio, scrive il filosofo, citando il della propria gloria, tanto piü penserá di rendere felici i propri
<<melius est dare quam accipere>> di At.20,35, <<agisce per fare del
sudditil> (T, S 79lGP VI, 145) e addirittural'affermazione della
bene e non per riceverne . ..: la sua beatitudine é sempre perfefta, e coincidenza della gloria di Dio con il bene comune, quel bene
non potrebbe ricevere alcun incremento né dall'interno né dall'e- che, secondo la convinzione di Lelbniz, <<diviene effettivamente il
sterno>> (7, S 2I7 /GP VI, 248) . In vari luoghi della sua opera egli
bene particolare di coloro che amano I'autore di ogni bene>> (zai, S
sembra tuttavia dare una ragione diversa del mondo, sostenendo 2t7/GPVI,248).
che Dio seleziona fra i molti possibili <<il sisrema generale dei feno- Il Dio-monarca di Leibniz sembra aver bisogno di riconosci-
meni che trova confacente produrre per manifestare la propria glo- mento, se ¿ vero che proprio dalle creature a lui piü simili egli
i'a>> (DM, S 14lGP IY,439; cfr. anche T, S 160)52.
<<trae infinitamente maggior gloria che dal resto degli esseril>, i qua-
Il paragone di Dio a un <<grande architerto che si proponga li, sostiene il filosofo, non danno <<se non la maleria, agli spiriti, per
quale fine la soddisfazione o la gloria di aver cosrruiro un bel palaz- glorificarlo>>; presumibilmente perché solo gli spiriti vedono in
zo>> (7, S 78lGP VI, I44) puó indurre a inrerpretare la gloria di cui
quegli esseri una manifestazione di Dio. E la considerazione degli
parla Leibniz nei termini della sdma e dell'onore che si guadagna spiriti, continua Leibniz sul filo dell'analogia,
tr Devo il riferimenro a Pou¡ 1995, p.242 e CuRr-Ey 1972, p. 96. Il cosranre e gli é tanto cara, che lo stato felice e florido del suo impero, consi-
profondo interesse di Leibniz per il rapporto fta razionalitá filosofica e teologia é analiti stente nella massima felicitá possibile dei suoi abitanti, diviene la suprema
camente documentato da ANrocN¡zz¡ 1999-
t2 Significativamente Leibniz afferma questo, dopo aver osservato che le sostan- tr Cfr. AssuNro 1969, pp. 317-i18.
ze sono prodotte <<per una sorta di emanazione> (DM, S 14lGP lY, $9\ torneremo su 5a Cft.Ia documentazione raccolta a titolo esemplficativo in AssuNTo 1969.
questa idea nel prossimo paragtafo; fin da ora si puó tuttavia intuire il legame fra I'im- tt Cosi si esprime Leibniz nel S 16 del Discorso di metafisica (GP IV, 461), ri-
magine della luce che si diffonde, quella della gloria e quella della creazione come ema- prendendo le parole usate da S. Paolo nel discorso all'Areopago (cft. At.17,29).
nazione. La virtü delle sosranze particolari emananti da Dio, scrive Leibniz, é esprimer- 56 <<Tutto deve giovare al massimo bene dei buoni>>, scrive Leibniz nel Discorso
ne bene la sua gloria (ctr. iui, S 15). di metafisica (S l7lGP ry 461), richiaman dosi a Rm.8,28.
188 La belleua e la fabbica del mondo Essere per grazia 189

ra le sue leggi. Poiché la felicitá é per le persone quel che la perfezione é


volontá di Dio, di essere riconosciuto é un tema centrale sia del-
per gli esseri (DM, S 36/GP I\1,462). I'Antico che del Nuovo Testamento; si pensi soltanto al prologo del
Vangelo di Giovanni, il <piü sublime degli evangelísti> (iui, S
Quando il filosofo riporta I'origine del mondo alla manifesta- I50/GP VI, 199) secondo Leibniz. Ora, Leibniz riconosce che la
zione della gloria di Dio non dice dunque qualcosa di sostanzial- gloria di Dio e il nostro culto <<non possono aggiungere nulla alla
mente diverso da quando aff.erma che la sua ragion d'essere é il be- soddisfazione>> divina e che la conoscenza delle creature, ben lungi
ne: la gloria, infatti, é la diffusione del bene. Tuttavia il richiamo al dal conmibuire o essere in parte la causa della sovrana e perfetta fe-
motivo della gloria pone la tesi che I'essere é in ragione del bene licitil di Dio, ne é invece <<una conseguenza>> (DM, S 35/GP I\1,
sotto una luce particolare. Si consideri, ad esempio, quanto Leibniz 46I); ma allora perché Dio ha bisogno di essere riconosciuto?
replica aBayle in un paragrafo della Teodicea: Credo che la domanda conduca direttamente nel circolo del
<Dio (egli dice), I'essere ererno e necessario, infinitamente buono, mistero dell'amore divino'8. Se I'amore é il piacere che si prova per
santo, saggio e potente, possiede da turta I'eternitá una gloria e una beatitu- la perfezione di un oggettose, che Dio ami se stesso ¿ necessario
dine che non possono mai né crescere né diminuire>. Questa proposizione (Gr, 288), ma questo amore, scrive Leibniz, <<non lo ha necessitato
di Bayle non é meno filosofica che teologica. Dire che Dio possiede una alfe azioni esterne: esse sono state libere>>; dunque se I'amore di sé
gloría quando é solo, é cosa che dipende dal significato del termine. Si puó gli é essenziale, <<l'amore per la propria gloria, o la volontá di pro-
dire, con certi autori, che la gloria é la soddisfazione che si prova nella co- curarsela non lo é affatto>>. Qual é dunque la ragione di questo vo-
noscenza delle proprie perfezioni; e in questo senso Dio la possiede sem- lere? La risposta del filosofo non va oltre quella che giá conoscia-
pre. Se peró la gloria significa che sono gli altri a prendeme conoscenza, si mo: <<Dio si é determinato a creare il mondo in uirtü di un moto libe'
puó dire che Dio I'acquisisce soltanto quando si fa conoscere a creature in-
ro della propria bontá; e ... questo stesso movimento lo ha portato a
telligenti, sebbene sia vero che Dio non ottiene in questo modo un nuovo
scegliere il meglio>> (7, S 233 /GP V7, 256). Quanto si legge aila fine
bene, e che sono piuttosto le creature razionaJs, a trafne un beneficio, quan-
do considerino nel modo dovuto la gloria di Dio (T, S 109/GP VI, 163). del S 109 della Teodicea, sopna citato, sembra confermare che per
Leibniz il libero movimento della bontá divina fa tutt'uno con I'a-
Leibniz sembra proiettare in Dio il bisogno, molto umano, di more di Dio per la propria gloria; egli sostiene infatti che dalla glo-
riconoscimento, secondo un'idea della gloria conforme al rapporto ria di Dio ricavano beneficio non Dio, bensi le creature razionali
di EóEa con Eoxé<o nel senso di <<vengo considerato>>. In questa ac- che tale gloria riconoscono, quando considerino nel modo dovuto
cezione la gloria di una persona fa tutt'uno con la considerazione, in che cosa essa consista. Ció equivale infatti al riconoscimento di
l'opinione che altri hanno di essa, e dunque con la sua buona fa- essere prese nel circolo dell'amore divino. Scrive Leibniz:
ma, il suo onore57. Occorre perd ricordare che tale bisogno, alme-
no nella tradizione ebraico-cristiana, é anche divino; la misteriosa t8 Ricondurre l'otigine e I'ordine del mondo alla gloria di Dio significa ricon-
durlo a questo mistero; e che tale sia la creazione, Leibniz lo afferma proprio quando ri
57 <<Gloña prende, considerandola <molto ben fondata>, la distinzione .<che si usa fare tra ció che é
- scrive Leibniz - é l'opinione di molti sulle cose che meritano lode
al di sopra della ragione e ció che é contro la ragione . . . Ció che é al di sopra della ragio-
in noi; piü in generale, sui nostri beni>> (C, 19)); <4a gloria éla fama dell'eccellenza di
qualcuno>> (NE, III.x.l/A VI 6, 140). Questo significato della parola rrova un risconrro ne é soltanto contrario a ció che si é soliti sperimentare o comprendere " Una veritá é
metaforico nell'immagine della diffusione per rispecchiamenro, con la quale é resa la al di sopra della ragione quando i-l nostro spirito, anzi qualsiasi spirito creato, non la pud
moltiplicazione della gloria di Dio attraverso le rappresentazioni della sua opera da par- comprenderer>. In tale insieme di veritá egli include la santa Trinitá e i miracoü riservati
te delle sostanze e insieme l'elemento di luminositá collegato alla gloria. I-immagine si soltanto a Dio, <<come, per esempio, la creazioner>, e inoltre <da scelta dell'ordine dell'u-
impone, perché Leibniz ritiene che ogni mente abbia <una sorta di specchio>, cosicché niverso, che dipende dall'armonia universale e dalla conoscenza distinta di un'infinitá di
<<vi sará una riflessione nella mente nostra ed un'altra in quella altrub> e quanto piü nu-
cose al medesimo tempo>> (T, Disc. Prel. S 2llGP VI, 64; cfr. anche iui,S 249)'
Je ,,Non c'é niente ... di cosi piacevole, quanto amare ció che é degno di amore.
merosi saranno gli specchi, cioé, in questo caso, le menti che conoscono e approvano la
bontá divina, tanto maggiore sará la luce, ovvero la diffusione della gloria, <<non soltanro Llamore é quel sentimento che ci fa trovar piacere nelle perfezioni di cid che si ama, e
per la riflessione di luce nell'occhio da parte degli specchi, ma anche per l'accrescimen- non c'é niente di piü perfetto di Dio, nien¡e di piü attraente. Per amarlo, basta conside-
to di luminositá> (A VI 1, 4U/5P,94\. rarne le perfezionb> (l Pref./GP \¡I, 27).
190 La belleua e la fabbrica del mondo Essere per grazia T9I

Sembra essere la massima soddisfazione che puó provare un,anima, anche l'idea paolina dell'uomo come immagine (eixóv) e gloria
che per il resto sia contenta, quella di .s.r" u^át, áa[e altre (DM, S
(Eó(a) di Dio kft. 1Cor.II,7).Il seguente passo offre una sintesi
35/GP lV,161). efficace di qucsti concetti:

Questo sembra valere anche per Dio, in quanto é uno spirito, Creando, Dio si é proposto come fine la propria gloria, perché la sua
con la differenza che tale amore, in lui, non aggiunge nulla alla sod- sapienza fosse riconosciuta anche da altri, ovvero si é proposto di creare del-
disfazione giá perfetta che egli prova, per il fatto di amare in se le creature a sua immagine, e di stabilire ogni cosa, cosi che sia perfettissima
stesso cid che é piü degno di amore, e soprattutto si capovolge nel- in considerazione delle creature razionaJi. O se si r'r-role, che piaccia tanto
I'amore di chi lo ama: piü a esse, quanto piü penetreranno nel segreto delle cose (Gr, 300-101).

Dio ama essere amaro, cioé coloro che lo amano (Gp VII, 7,1). É sorprendente, nelle parole di Leibniz, il movimento che sem-
bra portare Dio dall'aver cura della propria immagine alla creazione
I-lagnizione di questo fatto, mi sembra, é il cuore del ricono- di creature a propria immagine; come si é visto, é il misterioso biso-
scimento beatificante della gloria Dio, che fa tut'uno con la circo- gno divino diun alter ego, cioé di creature razionals., perché solo da
laritá dell'amore. <<Dio, formando il progetto di creare il mondo, si esse pud venire il riconoscimento delle sue perfezioni e, soprattutto,
é proposto unicamenre di manifestare e di comunicare le proprie della sua bontá. Dire che le cose sono per la glona di Dio é dunque
perfezionl> (l S 7SIGP VI, 14-+), e dunque non solo lu ,rru poi.n- ribadire il libero movimento della bontá che porta Dio a creare.
za, ma anche la sua bontá e la sua giustizia; la conoscenza delie per-
Questo movimento é libero, perché Dio non dípende che da
fezioni di Dio ha peró come conseguenza I'amore di Dio, cüsi- se stesso; ma per Dio, sottolineaLelbniz, dipendere da sé vuol dire
stente nel piacere che questa conoscenza dona (cfr. Gp VII, jgl/SF dipendere dalla propria bontá e giustizia (cfr. T, S 77); perció 1o
III, 526); piacere che non solo é ranro piü grande, in quanto l,og- splendore della vera gloria divina <<si rapporta non solo alla gran-
getto dell'amore é, in questo caso, cid che é piü amabilé (Gr, 10g), dezza, ma anche alla bontb (CD, S 78/GP VI, '151). Il dramma, i¡
ma si incrementa perché I'amante diventa a sua volta amato. questo movimento, é che la creazione comporta la produzione di
Gli elementi che confluiscono nella nozione di gloria sembra- enti diversi da Dio e dunque, fatalmente, meno perfetti, segnati
no cosi comporsi nel grande tema dell'amore divino. La gloria di dalJ,aprivazione e dalle varie forme del male (cfr. T, SS 20 21,l1).
Dio, come si é visto, é legata all'onore che gli viene tributáto dalle Leibniz tuttavia ribadisce, 1o si é visto, che la ricerca della gloria
creature razionali; in tal senso essa ¿ una adesione della creatura al- non é disgiunta dail¿ cura delle creature razionali (cÍr. iui, SS ZS-
l'essenza divina. <<Dare gloria a Dio>> non significa dargli qualcosa 79); si tratta di una linea di pensiero che trova un sigíllo emblema-
di cui egli manchi, quanto piuttosto, in linea con la tradizione bi- tico in quanto si legge nella Causa Dei:
blica, <<riconoscere ció che gli é proprio>>('0. La gloria divina ha tut-
tavia anche un senso marcatamente oggettivo, in quanto é intesa la principale ragione per scegliere l'ottima tra le serie di cose (cioé
come manifestazione dell'essenza di Dio nella sua creazione e nelle proprio questa) fu Cristo Oeáv$porroq ... a lui - scrive il filosofo con pa-
sue opere; a questo significato va connessa I'immagine della luce role ricche di riferimenti paolini - é stato dato infine ogni potere in cielo e
in terra, e in lui dovettero essere benedette tutte le genti: per suo mezzo
divina che si diffonde, dello splendore che rappresenta I'essenza di
ogni creatura sará liberata dalla servitü della corruzione e otterrá la libert)
Dio e del suo mondo61. In Leibniz rirroviamo inolffe, lo si é visto,
della gloria dei figli di Dio (CD, S 19lGP VI,116)62.

60 KNrnrl. 1966, coll. ú76"1ii7. sia passato; poi la toglie e solo allora Mosé puó vederlo di spalle. La natura irradiante
6l Significativo del valore di <gloria> come splendore divino o forse bellezza di della gloria di Dio si comunicher) poi al volto di Mosé nella conversazione con il Signo-
Dio (VoN R\D 196ó, col. 136i), é l'episodio vererorestamenrario di Es. lJ, lg ss., dove re sul monte Sinai; dopo il colloquio con Dio, egli ha infatti sul volto uno splendore che
si racconta del desiderio di Mosé di vedere t kabód di Jahvé; al passare della sua gloria, gli Israeliti non possono sostenere lcfr. iui.)1,29-351.
Jahvé pone Mosé in una fenditura della roccia e tiene la ,r," .^no su di lui, finclié non 62 .<La creazione stessa si legge nella Lcttcra ai Ronani - ¿ttende con impa-
-
t92 La belleua e la fabbríca del tnondo Essere per grazia 193

Nella manifestazione della gloria di Dio, Cristo gioca un ruo- E degno di nota che questi paragrafi dedicati al ruolo di Cri-
Io cruciale: eglí rivela la bontá divina, facendoci conoscere le am- sto nello svelamento delle perfezioni divine si concludano con I'af-
mirevoli leggi della cittá di Dio, owero <<quanto Dio ci ama e con fermazione, piü volte ricordata, che la bellezza ¿ una diffusione dei
quale esattezzaha proweduto a tutto cid che ci tocca>> (DM, 5 raggi della divinitá. I-immagine connetre labellezza diretramente al
37 /GP IV, 162-463). É ,rn ruolo sottolineato anche nella Prefazio- significato di gloria come splendore che manifesta I'essenza stessa
ne alla Teodicea: di Dio e forse si pud congetturare che cid che Cristo compie in re-
Gesü Cristo, portando a compimento quel che Mosé aveva comin- lazione alla bontá di Dio, Iabellezzalo rcalizzi per le ahre perfezio-
ciato, ha voluto che Dio fosse I'oggetto non soltanro della nostra paura e ni divine. Lo splendore dell'armonia, cioé della bellezza del mon-
della nostra venerazione, ma anche del nostro amore e del nostro affetto. do, non sarebbe, in altri termini, che I pendant dello splendore
Cid significava rendere gli uomini felici in anticipo e conceder loro, qui dell'amore di Dio che si rivela in Cristo, la manifestazione della
sulla terra, un assaggio della felicitá futura. Non c'é niente infatti di cosi perfezione metafisica del mondo cosi come Cristo lo é di quella
piacevole, quanto amare ció che é degno di amore (7, Pref./GP VI,21). moraleót.
Associando l'ímmagine di una luce che si diffonde all'idea
Cristo, dunque, vera gloria, splendore di Dio6l, é radice della
che Dio, con la creazione, abbia inteso manifestare la propria glo-
felicitá umana, perché rivela che il piano messo in atro da Dio per
ria, si veicola perd anche una precisa comprensione del rapporto
manifestare la propria gloria é anche un piano di glorificazione, di
tra Dio e il mondo. A ció dedicheró ora, conclusivamente, qualche
partecipazione delle creature a questa gloria: Mosé, scrive Leibniz,
considerazione, dalla quale spero risulti confermato il significato
aveva giá fatto conoscere le belle idee della grandezza e della bont) metafisico e teologico della be7\ezza, nonché la sua natura di pro-
di Dio ...; fu Cristo tuttavia a stabilirne tutte le conseguenze, facendo ve- prietá conseguente dalle caratteristiche che il mondo ha, appunto
dere che la bontá e la giustizia divina risplendono perfettamenre nella sor- perché deriva da Dio.
te che Dio prepara per le anime Gui/GP VI,26)64.

5. <<...come noi produciamo i nostri pefts¡eri>. Metafisíca


zienza l'¡ riveiazione dei figli di Dio; essa infatti é stata sotromess¿ alla caduciti . . . e nu- ed estetica dell' ema nazione
tre la speranza di essere lei pure liberata dalla schiavitü della corruzione, per entrare nel-
la liberth della gloria dei figli di Dío> (Rz¿. 8. 19-21). Sul potere dato a Cristo cfr., fra i Creare le cose, per Dio significa prowedere alla propria glo-
molti luoghi possibili, 1 Cor. 15,D-28 e Fil.1, 21; sulla benedizione di tutte le genti in
Cristo cfr. El.2, 12-19 e ),6 e Gal 1 .8-11.
ria, ma questo, si é visto, non differisce dal farle essere in ragione
('r Ttx;NCrN 1991, p. 1.12 riporta (dagli indediti di Hannover, Thiologia,vol. del bene; é lo stesso dire che la bontá spinge Dio a creare e a comu-
XX, 111) il seguente commento di Leibniz a un passo di Malebranche: <rpoteva forse nicare le proprie perfezioni e sostenere che il mondo é per la gloria
darsi che il disegno principale di Dio nella creazione fosse proprio I'incarnazione di suo
figlio e che I'ordine della natura non servisse che d'occasione a quello della grazia. Poi
di Dio. Secondo Leibniz, Dio, come un saggio monarca, cura la
ché i'obbedienza e il sacrificio del Verbo incarnaro gli era piaciuto piü di quanto glí era propria gloria preoccupandosi del bene delle creature; egli suggeri-
dispiaciuta la ribeilione dell'uomo. Dio dunque trae piü gloria da suo Figlio che da tutto sce inoltre l'idea che perfezione e felicitá si diffondono su quesre,
il resto delle sue opere>>. Guardando a Cristo, Leibniz pud sostenere, contro le apparen-
ze, che una serie di cose, nella quale entra il peccato e il male, é migliore di un'aitra sen- ('t Benché in un paragrafo volto a precisare l'immagine di Dio contro inoppor-
za il peccato, perché <crediamo all'apostolo, il quale dice (Ronani 5,2O) che laddove il
tuni antropomorfismi, Leibniz ricordi che <<solitamente si perviene alla salvezza attraver-
peccato ha abbondato, la grazia é stata sovrabbondante: e ci ricordiamo che Gesü Cristo
so molte sofferenze e portando la croce di Gesü Cristo> (T,S 122/GP VI, 177), occorre
l'abbiamo ottenuto con l'occasione del peccator, (T, S 11/GP VI, 109). Egli arriva anzi
comunque riflettere su quanto scrive von B,\últ¡\StR 1975, pp. 128-129 a proposito del-
ad affermare che <<pernettere il maie, come Dio Io permette, é la piü grande bont)> (za¿, la fi-losofia ieibniziana: <<Qualcosa dello spirito della grande arte barocca si illumina da
S 12llGP VI, 175 e soprartutto S 122). questo punto di vista: una convinzione di fede che vede nello splendore dell'armonia del
(ia Secondo Giovanni, l'evangelista
spesso citato da Leibniz, ola legge fu data per mondo una sola cosa con lo splendore dell'amore del Dio rivelantesi ... Leibniz costrui-
mezzo di Mosé, la grazia ela verir) vennero per mezzo di Gesü Cristo> (G¿, 1, 17). Per il
sce un ostensorio grandioso, ma ció che ci dovrebbe mostrare nel suo centro, la norre
confronto fra la gloria di Cristo e quella di Mosé cfr. ad es. 2 Cor. ),l ss.. Eb 1, 7-6. della Passione. ví mancatr.
194 La bellezza e la fabbrica del morcdo Essere per grazia 195

come i raggi di luce daila loro fonte. Nel motivo della gloria opera Si vede molto chiaramente che tutte le altre sostanze dipendono da
dunque la diffusivitá propria del bene, vale a dire il movimento in Dio come i pensieri emanano dalla nostra sostanza, che Dio é rutto in tut-
virtü del quale l'ens a se impone I'esistenza delle cose sulla sempli- to ed é unito intimamente con tutte le creature, in misura perd della loro
perfezione (iui, S 32/GP IV,457).
citá maggiore del nulla, che sembrava togüere ad esse ogni ragione.
Nella giovanie Confessio pbilosopbí Leibniz scrive che <<f in- NelLa Monadologia tale concetto é sostituito da quello, deri-
tera serie delle cose é tolta, se Dio é tolto; é posta, se Dio é posto>> vante dalla stessa rradizione, di folgorazione:
(CPb,48/22). Egli concepisce tuttavia tale rapporto come recipro-
co: se é tolta o mutata la serie delle cose, <<viene tolta di mezzo o Dio solo é l'unitá primitiva, o la sosranza semplice, di cui tutte le
mutata anche la ragione ultima delle cose, cioé Dio>>, del quale I'u- monadi create, o derivative, sono produzioni e nascono, per cosi dire, per
continue folgorazioni della divinitá, di momento in moménto, cui pone un
niverso pud essere considerato <<in certo modo I'immagine>> (iui,
limite la ricettivitá della creatura, alla quale essere limitata ¿ essenziale (M.
52/26); infatti, poiché I'immagine <<non é se non unica>> Gbid.), mu-
s 47GP Vr,6r4)6i.
tando questa deve mutare anche il modello. Benché assai stretto, il
rapporto fra Dio e la sua immagine non é tuttavia posto sotto il se- E chiaro che se Leibniz usa i concemi di emanazione e folgora-
gno della necessitá metafisica. La necessitá della serie, cioé dell'im- zione, pur sottoponendoli a dei cautelativi <<per una sorta df> e <<per
magine di Dio, come si é visto, non deriva dalla contraddittoriet) cosi dire>>, come metafore del modo in cui Dio, creando, producé le
delle alternative, bensi dalla loro incompossibilitá con la saggezza sostanze quali esempllficazioni finite delle sue illimitate perfezioni,
divina: <{a serie non é data, una volta dato Dio, se non per la ragio- deve considerarli compatibili con I'idea che la creazione risulti dal-
ne che un Dio supremamente saggio puó volere soltanto í1 meglio> 7'azione volontaria di un Dio trascendente. Si puó anzi congetturare
(iui,53/27). Nel pensare il rapporto fra Dio e il mondo Leibniz de- che, servendosi di tali metafore, egli intenda sottolineare aspetti de-
ve pertanto salvare due elementi: da un lato la trascendenza divina cisivi dell'atto creatore, quali la sua conrinuitá, il pieno dispiega-
e la libertá dell'atto creativo e, dall'altro, lo stretto legame esistente
fra Dio ela creazione, in virtü del quale questa pud essere conside- Nttn¡,tt¡ 1970,p. 15,nelle Qzucslionas Parisiensas sosriene appunro che Dio produce le
rafa una sua immagine; ovvero, fuor di metafora, deve garantire, sostirnze come noj i nosrri pensieri.
(;t Folgorazione traduce la parílarupsis di Enneadi Y.l, 15 e V 1, 6. L,espressio-
secondo I'idea della creazione come comunicazione delle perfezio- ne é ambigua: va intesa pensando al bagliore del lampo o all'irr¿diazione dalla luce? se-
ni divine, la continuitá, I'omogeneitá e I'univocitá fra essere divino condo il passo citato le folgorazioni sono <<continue>>; Dio, infami, non solo crea le cose
ed essere creato, cioé I'immanenza e insieme la trascendenza di ma le conserva nell'esisrenza (cfr. T, g 385). certo l'immagine dell¿ diffusione continua
della luce é piü rispondente al modo in cui noi percepiamo ia creazione nel rempo, men-
Dio. Ora, I'idea della creazione come gloria di Dio contiene un'in- tre <folgorazione>> pare rendere meglio I'uniciti atemporale dell'atto creatore divino
dicazione importante sul modo in cui Leibniz risponde a questa (cfr. \X/tu t,rm:Ho\\'/\Lr)1 , pp. 116-11l ). <<L¿ durara delle cose, o la mohirudine degli sta-
duplice esigenza. L immagine, cui é legata, di una luce che si ti momentanei, - scrive Leibniz alla principessa Sofia - é l'ammasso di una infiniti di
diffonde, richiama infatti la tradizione neoplatonico-cristiana e ap- lampi deila divinitá (...), ciascuno dei quali, a ogni istante, é una creazione o riproduzio-
ne di tutte le cose, non essendovi alcun passaggio continuo, per parlare p.opri"-ant",
punto da questa tradizione il fiiosofo sembra aver ripreso il concet- da uno stato a quello successivo>>. Non c'é passaggio continuo, p"r.hé un, sostanza
to per pensare il rapporto fra Dio e il mondo, vale a dire il concetto creata non puó produrre da sé la propria esistenza in momenti successívi del tempo, la
di emanazione: propria durata - per Leibniz la dipendenza della crearura é data appunto dal fatto che
esse non continuerebbe a esistere se Dio non continuasse ad agire (cfr. T, $ lgi); ne
é innanzitutto assai evidente - si legge nel Discorso di metafisica - consegue che la discontinuiti del passaggio a stati successivi <prova in modo es¡tto Ia
che le sostanze create dipendono da Dio, il quale le conserva e, anzi, le celebre veritá dei teologi e dei filosofi cristiani, che l¿ conservazione delle cose é un¿
creazione conti¡uo>. La nostra percezione perd, osserva il filosofo, proprio come nel ca-
produce continuamente per una sorta di emanazione, come noi producia-
so dell'apparenza di trasparenze prodotta da una ruota dentata in movimento, <unisce i
mo i nostri pensieri (DM, S IL/GP IV, $9)66. luoghi e i tempi separati> (GP VII, J61/SF 1.57.1), creando l'impressione di un passag-
gio continuo dove in realti non c'é. Forse nell'ambiguitá del senso di ofolgorazione, é
('(' Il passo sembra un riferimento diretto a Meister Eckhart, il quale, ricorda implicata questr appxrenza percertive.
196 La belleua e la fabbrica del mondo Essere per grazia r97

mento della volontá da cui procede, cosi come il suo prodursi dal- quale Leibniz sembra riproporre I'operazione di assimilazione del
I'antecedente possibilitá delle cose tendenti a esistere. La contestua-
concetto neoplatonico di causazione emanativa, opportunamente
le asserzione della prospettiva emanarista e del carattere libero del modificato per evitare appunto 7a tendenza panteista e necessitari-
fiat offrc una conferma di ció. Leibniz scrive infatti che il <<grado di sta in esso implicata, compiuta nella filosofia medievaleTl.
perfezione>> inerente alle cose <<promana sempre da Dio, padre di
E sufficiente, in questa sede, ricordare che Tommaso spiegava
luce e dispensatore di ogni bene>> (CD, 5 I2/GP VI,4.10), ma consi- I'atto creativo appunto come emanazione delle perfezioni dell'essei2,
derando la dipendenza delle cose atruali da Dio, sosriene che una sorta di esodo di perfezioni divine in virtü del quale le creature
ne dipendono nell'esistere, in quanto tutte le cose, pur essendo state sono e sono rese simili a Dio. Attraverso la nozione di partecipazio-
create da Dio liberamente, sono anche conservate da Dio; e non a torto si ne emanativa egli sottolin eava da un lato la differenza fra Dio e le
insegna che la conservazione da parte di Dio é una creazione continua, co- cose e dall'altro la somiglianza che si impone pur non essendocí,
me il raggio promana continuamente dal sole68, sebbene le creature non fra I'uno e le altre, convenienza, né quanto al nome, né quanto al
promanino dall'essenza divina, né da essa derivino necessariamente (iui, S concetto. Dio, scrive Tommaso, avendo dato alle cose tutte le per-
9/GP VI,140). fezioni, <<ha con esse sia una certa somiglianza, che una dissimi-
Leibniz associa dunque all'immagine dell'emanazione l'espli- glianza>>, é insieme simile e dissimile alle cose tutte: c'é dlfferenza
cito richiamo d.fatto che la causa delle esistenze éla libera volontá fra Dio e le cose, in quanto il partecipare comporta \a mancanza
di Dio e in tal modo ne evitalalettura nel senso dell'emanatismo della pienezza della perfezione partecipata; e c'é somiglianza, per-
necessitarista6e, per valorizzarc piuttosto la potenzialitá ad essa pro- ché <d'azione implica per sua natura che l'agente produca qualche
pria, di esprimere I'idea che il mondo é un riflesso, una manifésm- cosa di simile>>. Questo peró significa che il mondo non é solo ar-
zione delle perfezioni divine (cfr. DM, S 2). Quella fra creazione o chitettonicamente configurato da Dio, ma é un'immagine della
emanazione é dunque una disgiunzione apparenteT0, riguardo alla stessa natura divina, si assomiglia a essaTl.

t;6 Come é noro, si tratta di una familiare metafora plotiniana: Apollo, lo sguardo d'i¡sieme con riguardo a una possibile realizzazione, e i /itt della vo-
cft. Enneadi,y, l, lontlr di Gíove. Secondo Robinet, se il passaggio dall'cxisünu'ira dei possibiii all'esisten-
6;lY,J,I1 .

rr za si effettuasse direttamente, quest'ultima diventerebbe necessaria e si entrerebbe in


Nel S 171 della Teodicca (GP VI, T6) Lelbniz sembra criticare Spinoza non
un'emanazione senza creazione: l'esistenza sarebbe compresa nel calcolo di Pallade. Per
per l'uso del concetto di emanazione, bensi per il resoconto necessirarista d-i come l'e-
Leibniz invece Lfiat divno conseÍva la sua indipendenzai Giove, infani, non é né Palla-
manazione procede da Dio: <spinoza toglieva a Dio l'intelligenza e la scelta, lasciandogli
de né Apollo (cfr. RttslNll 1992,pp.95-981.
una potenza cieca, dalla quale turto emana necessariamenro>. Ció é interessant. p...hé, 7r Cfr. per i ríferimenti essenziali al neoplatonismo della filosofia tardo-medie-
come si ricorderá, nella Monadologia egli sostiene che il dettaglio dei mutamenii delle
vale e indicazioni bibliografiche in proposito FoUKE 199,1, pp. 176-181, il quale richia-
cose é contenuto in modo eminente nella sostanza necessaria ..come nella fonte, (M,
s ma l'importanza, per la ripresa medievale del concetto di emanazione, del Libar de Catr
i8lGP VI, 67); cft. Enn.lIl,8, 10), suggerendo cosi I'idea del loro <fluire> da Dio. I_u-
s¡i e dello sviJuppo, da parte di Proclo, della nozione di crusazione emanativa come par"
so del termine <<emanazione>> da parte di Leibniz mosrra come egli credesse nella dipen-
tecipazione, vale a dire processo di trasmissione, in forma meno perfetta, delle perfezio-
denza della causazione reale da una fonte di attivitá <dalla quale gli effetti leneralmente
ni possedute eminentemente da enti di un cer¡o livello di realt) a enti di un livello piü
fluiscono> Per Leibniz i problemi non venivano da questo tipo di causalirá, né da quel-
basso, resi, in virtü di ció, simili alla fonte della perfezione emaneta. Piuttosto difficile é
la per cui le menti, a imitazione di Dio, producono, per una sorta di emanazione, i pro-
ricostruire le fonti precise attraverso cui Leibniz si é familiarizzato con le nozioni di par-
pri stati, ma dalla causaliti <<transeunte>>, cioé dalla relazione causale fra le sostanzelini-
tecipazione ed emanazione, in parte, come sottolinea Fouke, per la pervasivitá dell'in-
te (Gr,rusrR 2002, p.l7-1). sulla teoria leibniziana della causalitá cfr. Bno¡Rr¡cr.¡r"r,nn-
fluenza neoplatonica nel XVII sec. Gli interpreti hanno di volta in volta ricordato I'im-
B,ru<;r r 1996 eJolltr' 1998.
portanza della tradizione mistica tedesca e di Cudworth, ma non va sottovalutata la co-
i0 Cfr. Ro¡rNe'r' 1986, pp. 11.8-1q2. Egli illustra iI punto richiamando il ruolo e
noscenza di S. Tommaso, variamente attestata da Leibniz stesso (cfr Fttuxr, 199.1, pp.
il rapporto fr¿ le tre divinit) del racconto che conclude \a Tcodicca, con il quale Leibniz
181-182 e ZtNc,tnt 1991). Sui rapporti di Leibniz con il neoplatonismo cfr. anche
mostrerebbe che il migliore dei mondi non riceve esistenza dalla sua l'esistenza
"rr.nr", di possi- MEyER 1971, \X/rr-sor.l 1989 e Burunnr¡ulrs 1991, pp.7I-71.
soprawiene a esso per cosi dire dall'esterno, rendendo attuale la combinazione 72 Cfr. .1. Th.l, q. 15 , a. 1: <<designamo con il nome di crcazionc . . . l'emanazíone
bili risultante d¿l calcolo di P¿llade, figura della scienza divina di semplice inrelliienza.
di tutto l'essere dalla causa universale che é Dio>.
La migliore combinazione dei possibili non sarebbe infami esistita senza la visione di ,-) c. G.7.29.
198 La belleua e la fabbrica del mondo Essere per grazía 199

Lo stesso, come si é visto, vale per Leibniz, il quale, come ne; la bellezza delle cose deriva dalla partecipazione a quesre pro-
Tommaso, considera Dio la fonte delle perfezioni: prietá divine. Non occore percid pensare alla partecip azione á un
attributo particolare; semplicemente I'esodo di perfézioni divine
Questa sostanza semplice primitiva [Dio] deve racchiudere in sé, che fa essere le cose, conferendo loro una forma e un ordine deter-
eminentemente, le perfezioni contenute nelle sostanze derivative, che sono
minati, fa si che siano anche belle.
i suoi effetti ... La ragione che ha fatto esistere le cose mediante lui, le fa
altresi dipendere da lui, esistendo e operando; e da lui ricevono conrinua-
Come si é visto, per Leibniz la forma non solo diversifica la
mente cid che fa avere loro qualche perfezione (PNG, S 9/ GP VI, 602- materia, ma insieme la ordina e le conferisce la pensabilitá distinta
603;cfr. anche T, S)92)i1. che fa tutCuno con la percezione della belfezza (GP VII, 290/SFRI,
229-2)0)i6. Certo tale concezione sembra estendere e far divenüre
Se si considera il retroterra dottrinale richiamato, il significa- piuttosto indeterminato il concerto del bello, rendendolo poco
to dell'affermazioneletbniziana che <<tutta labellezza é una diffu- adatto a selezionare le entitá, naturali o artiÍiciali, dotate di paitico-
sione>> dei raggi divini (7, Pref./GP VI,27), appare chiaramente lare valore estetico. Ció non rappresenta peró necessariamente un
nella sua portata metafisica. Limmagine sembra infatti significare problema; come si ricorderá, nella prospettiva leibniziana le opere
che la bellezza soprawiene alle cose per la loro partecipazione alle delle a¡ti belle si carafterizzano per il fano di rendere parric;lar-
perfezioni divine, e dunque all'ordine e all'armonia che sono nella mente percepibile l'armonia che informa I'universo intero; tali ope-
ragione ultimaTt. re, in altri termini, si distinguono non per il possesso di una quaiirA
Lelbniz non manca dí parlare della <bellezza dell'autore di particolare, bensi perché evidenziano una proprietá onnipervasiva:
tutte le cose, che é la fonte della verit}>> (iui, S 30/GP VI, 68); ed é sono casi esemplari o punti di emergenza dell'armonia costitutiva
significativo chebelfezza e veritá siano accostate.La fonte della ve- del mondo nel suo insieme e il particolare valore che esse hanno é
ritá cui pensa Leibniz é infatti la ragione a priori (cfr. NE, determinato appunto dal fatto di essere indici di una qualitá del
IV.xvii.l), la causa della veritá che fa tutt'uno con I'intelletto divi- tutto, che non sempre risulta evidente, dato che non ogni parte di
no, dal quale procede il lume naturale, la ragione umana. Ora, in un tutto bello é bella (cfr. T, S 2I3). Le cose belle, naturali o artifi-
Dio c'é bellezza appunto in quanto c'é armonia, ordine e perfezio- ciali, riducono, per cosi dire, la belJezza del mondo alla portata della

7r L'azione continua di Dio, che produce la partecipazione limitata della creatu- 76 Forse non é arbitrario accostare l'osservazione leibniziana
alla convinzione di
ra alla perfezione, é la sua influenza, f influxus che egli esercita sulle sostanze create (sul- Plotino che le cose del mondo sono belle in quanto partecipano di una form¿. <La foma
la storia della nozione e la relativa concezione leibniziana cfr. O'Nul 1992). Questa for- - si legge in Enn.I,6 - si awicina e díspone in un ordinamen¡o unico l'oggerto destina-
ma di dipendenza da Dio non toglie l'au¡onomia della natura, assicurara per Leibniz to ad essere formato da parti molteplici; lo riconduce poi ad una unitl completa e lo
proprio dal vestigio, dall'impronta durevole lasciata dalla parola creatrice divina nelle realizza interamente medianre I'accordo delle sue parti; e poiché una é la forma, anche
sue opere, owero dalla forma o forza <dalla quale conseguirebbe la serie dei fenomeni ció che da essa é modellato deve essere uno, per quanto almeno possa esserlo cid che é
secondo quanto prescritto dal primo comandon (GP IV 507lJ'FI,511). A detta di Leib- composto da una molteplicitá. cosi Iabellezza si stabilisce in esso, una volta che é rac-
niz, <da causa prima e universale, che tutto conserva, non elimina ma piuttosto istituisce colto in una uniti, ed essa si dona in modo uguale, alie parti come ail'interor. Secondo
la sussistenza na¡urale della cosa che ha iniziato a esistere>> (GP IV 511/SF l, 52C), la SrunN-Gllll.'¡ 2000 nelle Enncadi non ci sarebbe un riferimento chi¿ro e univoco a una
quale ha potere causale appunto perché, anche se limitatamente, partecipa della potenza specifica forma del bello, per cui risulterebbe legittimo congerturare che a conferire un
divina. grado di bellezza alle cose sia la partecipazione a una forma; il bello, in altri termini, fa-
7t Per Leibniz la via seguita da Dio nella creazione dell'universo é la piü sempli rebbe tutt'uno con il configurato. Plotino, almeno in certi tesri (cfr. ad es. Enn. yI, j,
ce e massimamente semplici sono le leggi secondo cui é organizzato, owero universali )2-33), parla del principio come porenza di ogni cosa bella, obellezza che fa la bell.ezzarr.
ma anche, come suggerisce BLU¡t¡Nrr,lo 1995, p.391, architettoniche, vale a dire tali da Esso é senza forma ma genera la forma, gtazie alla quale le cose acquistano belezza.
determinare l'uso piü efficiente degli aspetti dell'essere che coprono (cfr. le similitudini Quando, dopo aver sottolineato la funzione diversificante e ordinatrice della forma,
esplicative dell'operare divino presentate ad es. in DM, S 5), in modo da conseguire un Leibniz osserva: <<E ne consegue che, in generale, il mondo é un xóo¡.r,oq di compiuta
massimo (ad es. di varietá) con un minimo (¿d es. di complessitá). Ora, la via piü sem- bellezza, cioé in modo da soddisfare al massimo chi lo capisce, (Gp VII, 290/iF,. I.
plice per produrre l'effetto desiderato é qualificata anche come la piü bella: da Dio, so- 230), egli non pare moho lonrano dall'idea plotiniana che la bellezza é connesse all'aiti-
stiene Leibniz, <<sono create tutte le altre cose pulchcrrinta rationc> (T5,3). vitá unifícante della forma.
200 La belleua e la fabbrica del mondo Essere per grazia 201,

nostra vista, cuí spesso sfugge, per i limiti che le sono propri, la scienze reali, che sono altrettanti raggi della perfezíone divina, piü si é ca-
presenza di una qualitá pienamenre manifesta invece all'occhio di paci di amare Dio veramente (Gr, 91)82.
Dio; ma cosi facendo, esse riducono alla nostra portara anche I'in-
comprensibile ragione delle cose. Queste considerazioni confermano che la bellezza non ¿ un
Mi pare infatti possibile, senza con ció peccare di eccessivo epifenomeno di origine mentale, ma entra costitutivamente nella
arbitrio interpretativo, dato il platonismo professato da Leibniz,-,- , <<fabbrica> del mondo, in quanto deriva dalle caratteristiche per
congetturare che egli inrenda il bello, secondo l'immagine platoni- cui esso é immagine del suo Autore, lo <.esprime>. Tuttavia nella
ca, come il <<rifugio>> della potenza del bene7S. Il bene é per Leibniz bellezza delle cose c'é un aspetto mentale e gioca un ruolo impor-
la ragione dell'essere; una ragione che in Dio fa tutt'uno con la vo- tante in relazione a quello che é forse il problema fondamentale
lontá che ne orienta la potenza, ma che nel dettaglio sfugge alla no- della filosofialeibniziana: la teodicea. Il passo appena citato lo la-
stra comprensione (cfr. Gr, 380; T, S 104). Riprendendo I'espres- scia intendere, presentando le scienze come via per la conoscenza
sione platonica, si puó forse dire che con labellezza siamo innanzi dellabellezza divina che appare nelle cose. In esso torna I'immagi-
alle porte del bene e della sua dimoraTe, perché del famo che Dio fa ne dell'effusione dei raggi della divinitá, per significare, questa vol-
tutto per il meglio abbiamo una sorra di prova <.quando vediamo ta, non labellezza, ma le scienze. IJimmagine é naturale, se si ricor-
qualcosa d'intero, qualche totalitá in sé compiuta e isolata>, cioé da l'origine della ragione umana da quella divinasr; che essa possa
cose come le opere d'arte o i corpi organici, della cui struttura, essere dferita tanto allabellezza quanto alla conoscenza é forse se-
scrive Leibniz, <<non porremmo ammirare a sufficienzalabellezza e
gno di uno scambio metonimico: per Leibniz, infatti, ,,le cose sono
I'ingegnositlo (7, state costituite in modo da apparire tanto piü belle, quanto piü so-
S I34/GP VI, 188).
La bellezza pud condurre alle porte del bene, perché rende no comprese> (GP VII,3l6/SF 8I,256), owero: é in quanto le co-
evidente 7'efficacia del bene, il risultato della sua potenzasO. Non é nosciamo che la loro bellezza ci appare e puó essere considerata
un caso che Leibniz la consideri, proprio come la bontá, oltre che una diffusione dei raggi della divinitá. La conoscenza pud cosi di-
una qualitá delle cose, una proprietá che spetta a Dio in quanto ventare, come nel passo citato, una forma di ascesi dalla belfezza
trasmette I'essere8l ; egli scrive: del mondo a quella delle leggi che lo regolano e infine alfabellezza
e bontá del suo autore.
Il vero amore é fondato sulla conoscenza dellabeil,ezza dell'oggetto La doppia valenza dell'immagine é forse una eco ulteriore
amato. Ora, labellezza di Dio appare nelle meraviglie degli effetti di que- dell,a relazione di Leibniz all.a tradizione del platonismo cristiano.
sta causa sovrana. Cosi, piü si conoscono la natura e le salde veritá delle Pud valere, a titolo esemplificativo, un richiamo, ancora una volta,
77 Cfr. GP III, 605-ó06. Nella Prefazione ai Nuoui Sag¿i Leibniz all'opera di S. Tommaso. Come é noto, in Tommaso labellezza ri-
sos¡iene l,affi-
niti del suo sistema a quello platonico e accosta invece quello di Locke alla filosofia di sulta connessa alla metafora della luce intellettuale attraverso la
Aristotele (NE, Pref./A VI 6,17), nello stile del quale, aveva osservaro nel Discorso di
matafisica, riferendosi al paragone deil'anima a delle ravolette, é I'accordarsi <<con le no- s: Trad. in Po¡t¡ 1995,p.11.
zioni popolari>>, <<mentre Piarone va piü a fondo> @M, S 2j /GP IV,1j2). sr Per Leibniz, come sappíamo, la ragione é <un'immagine della divinitb (T, S
1 s
Cft . Pbil. 61 e 1-5 : <da porenza del bene si é rifugiata nella natura del bellor. 26/GPVL,118), un modo in cui Dio si comunica a noi (cfr. DM, S 28), e la conoscenza
1e Phil.61 c 7-2.
una forma di imitazione di Dio (cfr. PNG, S l4). Gli spiriti, egli scrive, rispetto alle for-
60 Come é noto, nel Titnco Plxone pone un legame diretro
fra la bonti del De- me.,sprofondate nella materia che ... si trovano dappertutto>>, sono <come piccoli dei,
miurgo e labellezza del mondo, affermando che a chi é ottimo <<non era, né é lecito fare fatti a immagine dí Dio>: essi portano in sé <qualche raggio della luce della divinitá>
altro se non ció che é bellissimo> (Tin. 10 a-b). Poiché il Demiurgo ottiene questo risul- (GP ry 179lSF I, "1'19). Quanto questa metaforica sia complessa e raccolga in sé eco di
tato ordinando la mareria con lo sguardo rivolto a cid che é ererno (cfr Tin.29 a-b. ¡radizioni diverse, lo attesta il richiamarsi di Leibniz anche all'idea di derivazione gnosti-
Sopb.265 c), il bello vale come segno .he ii mondo sensibile é immagine del mondo in- ca, che l'anima umana ha origine da <<una particella dell'aura divino (A VI 1,49ó; cfr.
telligibile al cuí verrice c'é l'idea del bene. anche GP IV,5l5/SF I,521). Per una ricostruzione del significato sistematico del tema
3r Analogamente in Tommaso la fornosítas che identifica Iabellezza divina é dellaluce,cheébenpiüampiodelparticolareaspettoquíesaminato,cfr.Buscllt 1997,
connessa con il dare forma. Cfr. ln Psahn.,ps.26,nr.1. pp.522-559.
202 La belleua e Ia fabbrica del mondo Essere per grazia 203

nozione di claritas, usata, assieme ai concetti di perfezione e armo- le metafore di cui si serve, fanno in effetti pensare che egli tenda a
nia, per spiegare in che cosa essa consistaS4. Sottolineare una pro- connettere labellezza con la metafisica, con questioni come quella
prietá come la claritas, significa riporrare Iabellezza al visiLile. del rapporto fra le nostri menti e le cose e, piü in generale, con il
To--rro, infatti, spesso Jsu ,loriti, per descriver. l" 1,r." ., f.. problema se il mondo é <<adatto a noi>> (T, S L91/GP Yl, 2)2) . Ta-
traslato, ció che rende evidente o manifesto. Se si considera che a li questioni sono del resto quelle che portano a riconoscere il ruo-
conferire a un ente un potere di manifestazione verso l'intelletto é lo cruciale della bellezz a in rclazíone al problema della bontá divi-
la forma, se ne evince chela claritas, quale elemento delfabellezza, na, vale a dire il suo valore di indizio che, .<come é stata ricercata
é la proprietá che ne sottolinea il legame al possesso di una la perfezione delle cose>>, é stata ricercata da Dio anche <.la felicitá
fo¡ma8t. Ora, secondo Tommaso, al potere rivelante della forma delle mentil> (GP VII, 3L6/SFBI,256); che l'una cosa non é di-
corrisponde nell'intelletto la capacitá di rendere manifesta la veritá. stinta dall'altra, bensi la porta con sé; per Leibniz si pud anzi af-
capacitá che esso possiede in virtü della partecipazionealla luce dil fermare che
vina dalla quale deriva, essendone un'ircadiaziones6. Le cose, dun-
que, risplendono di una intelligibilitá che rrova risposra nella parte- la causa prima é dotata di somma bontá, perché mentre produce
cipazíone dell'intelletto alla luce che rende visibile e capaci ái ve- nelle cose il massimo di perfezione, largisce al tempo stesso il massimo
dere87. Alla dottrina della belTezza come claritas, splendore delle piacere alle menti, dato che il piacere consiste nella percezione della perfe-
cose, sembra fare da pendarut la dottrina dell'intelletto divino come
zione (GP VII,29I/SF ,.I,230).
luce partecipata, cosicché diventa possibile conferire all'immagine Come si ¿ accennato, la perfezione é armonia e la felicitá, di
di una luce che si diffonde, come fa Lelbniz, una doppia valenz-a:la cui solo gli spiriti sono capaci, é consapevolezza dell'armonia. Il
bellezza riluce nelle cose, perché quesre hanno forma; poiché a dar mondo piü armonico, cioé quello esistente, é dunque il mondo che
forma é Dio, la claritas che la connota puó essere raffigurata come presenta il piü grande potenziale di felicitá, considerato che esso
diffusione della luce divina; come effetto di una luce che si diffon- <<non é fatto soltanto per noi>> (7, S 194lGP VI,2J2). Tale pro-
d_9 nuó essere perd rappresentato anche l'intelletto, perché é grazie prietá non é peró immediatamente evidente;Leibniz ritiene che noi
alla partecip azione della luce divina che esso é capaie di vedere la possiamo esserne rassicurati mediante dimostrazioni che fornisco-
forma. fnteressante é la conseguenza che se ne ricava e cioé che il no ragioni per credere nella bontá e nella giustizia di Dio, ma é an-
piacere per le cose belle fa tutt'uno con il piacere della mente con- che ben consapevole che le apparenze mostrano il contrario e che
templante e dunque che la bellezza, piú che rappresenrare un pe- la giustizia divina resta nascosta (cfr. iui,Disc. Prel., S 82)' Ora, in
culiare valore estetico, ha a che fare con il modo in cui le .or. ,ono questo contrasto che separa ció che la ragione suggerisce da ció che
date all,a comp ren sione. I'esperienza attesta, un punto d'appoggio sul piano delle apparenze
Probabilmenre su quesro punto il modo di pensare di Leibniz sembra fornirlo I'armonia che si ritrova ogniqualvolta consideria-
non é molto lontano da queilo di Tommaso; il ruolo che egli assegna mo le parti di mondo che si presentano come un tutto compiuto'
alfaforma come principio di ordine e pensabilitá distinta,la.orrri.r- Poiché tale armonia é precisamente il tipo di otdine da cui la bel-
sione che stabilisce fralabellezza e il piacere della comprensione, e Iezzasorge, si puó congetturare che la bellezza, alla quale non a ca-
so é connesso un sentimento della gioia piü pura, costitutiva della
E{ Cfr ad es..!. T/:. l, q. )9. a.8 e I, q.5, a. I ad I. felicitá, abbia un válore indiziario relativamente a quanto, della
st Cfr. Jono,rN 1989, pp. 195-igg anche per i riferimenti testuali, dai quali rísul_ perfezione del mondo, ci sfugge. Considerando che essa deriva
_
ta inoltre l'uso di claritas per descrivere lo splendore delle apparizioni divine, nonché, áall'armonia, si possono infatti trarre conseguenze in merito alla
per richiamare l'episodio biblico citato, la qualitá assunta dal volto di Mosé, dopo che
egli parló con Dio. s^ggezza e bontá divine, anche riguardo alle cose che non cono-
s6 S. Th.l, q.79, a.,l e I-II, q. 109, a. 1 ad2. sciamo kft. iui, S 146). Forse si puó dire che la bellezza,legata co-
37 Cfr.Jono,rN 1989, pp. )99-402.
me é alla comprensione, vale come una sorta di surrogato di una
204 La bellezza e la fabbrica del mondo Essere per grazia 205

ragione nascosta da apparcnze contrarie. In linea con questa tradizione Leibniz considera ogni sostanza come
Negli ultimi pangrafi della Teodicea Lelbniz si fa narrarore <<uno specchio di Dio, oppure di tutto l'universo, che ciascuna espri-
dell'immaginaria visita a un paJazzo i cui appartamenti sono altret- me a suo modo>r, cosicché la gloria stessa di Dio risulta moltiplicata
tanti mondi possibiliss e racconta: da questi rispecchiamenri (DM, S 9/GP IV, 434), che si producono
per il fatto stesso che ogni sostanz a emana da Dio ed é una sorta di
. Gli appartamenri erano disposti a piramide: diventavano sempre
piü belli a mano a mano che si saliva verso la punra e rappresentavano veduta divina entificata (cfr. iui, S 14). Si é visto, peró, che Dio si glo-
mondi piü belli. Si arrivó finalmente al supremo,che terminÁvalapirami- rifica soprattutto negli spiriti (cfr. iui, S 36), perché sono le sostanze
de e che era il piü bello di tutri. che meglio lo esprimono, in quanto sono capaci <<di conoscere gran-
di veritil> riguardo a lui stesso e all'universo; gli spiriti, scrive Leib-
La p-iramide degli appartamenti ha un verrice, ma ¿ priva di
-
base, perché <<rra un'infinitá di mondi possibili c'é íl miglior. di t.rt-
niz, hanno consapevolezza di ció che rispecchiano e, conseguente-
mente, sono capaci di riconoscere Dio, tanto che egli puó, <<per cosi
ti, altrimenti Dio non sarebbe determinato a crearne alcuno; ma dire, entrare in conversazione>> con loro (iui, S l5lGP IV, 460).
non ce n'é alcuno che non ne abbia di meno perfetti sotto di sé ...>>. Il fondamento di tale capacitá é in Dio stesso, che Leibniz
Il visitato¡e, entrando nell'appartamento poito al vertice, é rapito chiama <<sole e luce delle anime>> e, citando Gv 1, 9, <lumen illumi-
in ur'estasi di gioia e a questo punto la dea che lo accompagna gli nans omrcem bominem ueniefttem in hunc mundumr, (iui, S 2B/GP
rivela che egli é <nel vero mondo attuale>> e che si t.ou, ..uIu ,o..-r- IV, 4fi)e0. Come la conoscenza, anche la beTlezza risulta dalla dif-
gente della felicitil. Questo mondo di bellezza incomparabile é fusione di questa luce; identica é la fonte di entrambe. In Dio, nella
dunque quello stesso che contiene la mole di sofferenza e malvagitá ragione ultima al di sopra della ragione, fondamento delle essenze
che conosciamo; se a esserci presenti sono soprattutto queste é e delle esistenze, si chiude dunque il circolo che lega bellezza e
fer-
ché ci sfugge la visione della totalitá del monáo, del quale, p.oÁ.t- comprensione, e si chiude con un rinvio alla belJezza, fonte di feli-
te la dea al visitatore, citá, dell'ultima rerurn ratio, frulble dopo quello che per Leibniz é
tu ammirerai labellezza quando, dopo un felice passaggio da questo solo un ultimo cambiamento di teatroel:
stato moftale a uno migliore, gli dei ti avranno r.ro .áp.." ái conoscerla
(iui, S 41.6/GP VI, 361).
certo punto egli sintetizza iI suo sistema, scrivendo fra l'¿ltro: <In Dio l'universo si tro-
Noi conosciamolaparte, non il tufto, dunque al piü un rifles- va, non soio concentrato, ma anche perfettamente espresso ... Ma in Dio vi é, non sol-
tanto la concentrazione, ma anche ia fonte dell'universo: Egli é il centro originario da
so di questa belJ,ezza, e lo conosciamo attraversá un áltro riflesso: cui tutto emana>>; e continua affermando poi che <ogni monade é una concentrazione
quello della ragione divina. Tanto la bellezza quanro la compren- dell'universor', ma in essa, dati i limiti propri della creaturalitá, <<vi é soltanto una parte
sione rimontano a una <<luce>> che, lo si é ricordato, é il modo in cui espressa distintamente, piü o meno grande in proporzione dell'eccellenza dell'anima>
(GP lV,55i/IFL,285).
Dio, ragione uldma e senso delle cose, si comunica all'uomo, facen- ')0 <Dal tempo degli Scolastici molti hanno credu¡o che Dio é la luce dell'ani-
do della nostra anima <<una certa espressione, imitazione o immagi- ma>> (DM, S 28lGP lV,15)), nota Leibniz, certo sapendo che tale luce era per l'evange-
ne dell'essenza, pensiero e volonrá divina e di tutte le idee che vi lista il Verbo di Dío e forse sapendo anche che del Verbo Tommaso affermava l'affinitá
sono compreso> (DM, S 28lGP IV,4fj). non soio con la natura razionale, ma con tutte le creature: esso <<contiene le ragioni di
tutte le cose create da Dio ... Cosicché tutte le creature non sono altro che csprcssionc e
L'uso, in questo contesto, del termine <<espressione> é signifi rapprcscntazioflc di quanto é compreso nel pensiero del Verbo divinoo (C. G. IV, c..12),
cativo; come si é accennato, esso é ripreso dalla stessa tradizione del che.,manifesta la veritl alle menti umane come una lucer, (iui,IY, c. 1J corsivo mio).
platonismo cristiano da cui provengono le idee di emanazione e par- er .<La morte - scrive Leibniz alla principessa Sofia ii -1 novembre 1696 - ...
tecipazione, rese nell'immagine della diffusione della luce divinase. non é che un cambiamento di teatro>> (GP VII, 5.13): neppure gli animali, a suo awiso,
muoiono interamente <in ció che chiamiamo nrcrlc>>, me semplicemente <abbandona-
no Ia ioro maschera o i loro str¿cci, e ritornano <<a un teatro piü esiguo, dove tuttavia
8s In proposito cfr. Dloon l o 2001. possono essere altrettanto sensibili e ben regolati che in quello piü grande> (PNG, S
6e Leibniz stesso li usa contestualrnente. 6/GPVl,601). Cid che gli uomini chiamano morte, osserva BuscttE 1997, pp.555-556,
Nelie note aIDizíonario di Bayle, a un
206 La bellezza e la fabbrica del mondo

Risulta dalle Sacre Scritture, cfre a chiunque muore in amicizia con BIBLIOGRAFIA
Dio é destinata una felicit) eterna, la quale consisre sopratrutro nel piacere
della belTezza divina ... infatti Dio é la luce dell'anima e I'unico ógg"tto
immediato esterno del nostro intelletto, ma ora uediarno tutto come li uno
per cosi dire in un raggio di pensiero riflesso o rifratto attrauerso le
specchio,
qualiti corporee; onde i nostri pensíerí sono confusi. Soltanto allora invero,
quando avremo una conoscenza distínta, berremo alla fonte delle cose e
guarderemo Dio a faccia a faccia ffl,192-191, corsivo mio).

Le parole di Leibniz richiamano un celebre versetro della pri- R.M. Ao¡nls, Leibniz: Deterrninist, Tbeist, Idealist, Oxford University
ma lettera ai Corinzi: Press, New York-Oxford 1994.
Ora vediamo come in uno specchio, in maniera confusa (év alvly- S. AcosnNo, Ordin e, musíca, be llezza, Introduzione, traduzione, prefazio-
¡t"crrc); ma allora vedremo
a faccia a faccia. Ora conosco in modo imper- ni, note e indici di M. Bettetini, Rusconi, Mil.ano 1992.
fetto, ma allora conoscerd perfettamente, come anch'io ,ono .orro..i rto S. AcosrrNo, La feliciti. La liberti, intr. di M.T. Fumagalli Beonio Broc-
(1 Cor. 1J, 12). chieri, trad. it. e note di R. Fedriga e S. Puggioni, Rizzoli, Milano 1995.
Uassonanza con l'immagine paolina é profonda. Le menti S. Acosrxo, Le Confessioni,trad. it. di C. Vitali, NzzoIi, Milano 1981.
leibniziane sono specchi che vedono in quello specchio divino che é S. AcosrtNo , La citti di Dio, trad. e cura di C. Carena, Einaudi-Galli-
I'universo; per lo piü esse vedono in forme di pensiero dipendenti mard, 1.992.
da un rapporto sensibile alle cose, che offusca la luce diviná, owero P. At-Ex¡NoEn, Ideas, Qualities and Corpuscles: Locke and Boyle on the Ex-
la ragione di cui partecipano; ma a volte, quando conoscono o ternal World, Cambridge University Press, Cambridge 1985.
quando contemplano cose compiute e belle, vedono piü distinta- D. AII-IN, Mechanical Explanations and the Ultimate Origúz of the Un'iuer'
mente e l'enigma dell'ordine e della bontá del mondo sembra alme- se According to Leibniz, Studia Leibnitiana: Sonderheft 11, Steiner,
no in parte dissolversi. A quelli che nei capitoli precedenti abbiamo \üiesbaden 1981.
descritto come modi in cui la mente si rappresenta le cose, corri- L. Altonoso, Ratio & aesthetica. La nascita dell'estetica e la filosofia mo-
sponde, vi si é accennato, un itinerario di perfezionamento e da ulti- derna,ETS, Pisa 2000.
mo il passaggio dell'anima dalla srato mortale alJavita in Dio; tale M.R. ANrocN AZZA, Tr¡nitA e incarnazione. Il rapporto tra filosofia e teolo-
itinera¡io in buona parte coincide con il cammino attraverso i piace- gia riuelata nel pensiero di Leibniz, Vita e Pensiero, Milano 1999.
ri che costituisce la felicitá: senza fine I'uno e mai piena I'altrá, per- R. Assururo, Un filosofo nelle capitali d'Ezrropa. La filosofia di Leibniz tra
ché infinita come infinito é Dio (cfr. PNG, S 18). La bel).ezza, si é vi- Barocco e Rococo, <Storia dell'arten, 1969, pp.296-fl .
sto, nei modi del suo apparire, accompagna questo itinerario e for- M.R. Avens, Are Locke's ldeas Itnages, Intentional Objeas or Natural Si-
nisce inoltre una pregustazione del suo esito; il passo appena citato gns?, <<Locke Newslettero, 17 ft986), pp.3-36.
aggiunge un tassello importante, che aiuta a capire, conclusivamen- P. B¡nrl¡cttr, La musiqzte, une pratique cachée de l'aritmétique, in: BEn-
te, perché essa abbia quesro porere. Sembra infatti possibile affer- Lroz-NEIr (éd.) 1999, pp. 103 -426.
mare che I'esperienza del bello ha un valore epifanico del senso ulti- ), trad. it. di G.
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tempor¿neo distacco di un interprete e rappresentatore dagli affezionati compagni e \ü. BEtlnn¡lrt;lS, Augustins Interpretatiort uon Sapientia 11,21, <<Revue

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Bianca D.O.' 10
DeVolderB', 14, 17
Bianchi M.L., ]7 8., 46' 18, 115, 117' 121' lJ1
D., 7e' 161, 164' r70' 112' ó., Bo.r.,
si;;""f.ld Di Bella S., 119, 162' 180
198
Diodato R.,204
Boullart K.,97
Duchesneau F., 129
Boxel U., 144
Bozal\.,77
Eckhard 4., 175
Brandom R.,'10
Eckhart J. (Meister Eckhart), 140'
191
Brandt-Bolton M.' 7 1, 88, 9 1' 102
Eraclito, 43, 45 ' 118
Breger H., 125'Ú9
Brobro M., 196
Farina G., 10
Brov¡n C', 11
Fanori M.,17
Brown G.49, 125
Ferraris M., 11, 17
Burnett T., J5
Feuerbach L., 124
Busche H , J1,16,201,206
Fichant M., 116, 138' 148
Foucher De Careil A',9
Calabi C.,7'{' 111
220 La bellezza e la fabbrica del mondo Indice dei nomi
22r

Fouke D., 197 Sofia, duchessa, poi principessa elettrice


Lombardo M.G., 140, 170 Quintiüano M F., 112
Franke U., 19 Loptson P.,12,47 di Hannover, 195
Frankel L., ll9, IB1, 182 Lo¡enz S., 19 F¿d von G., 190 Spinoza 8., $,
96, 124, 1J0, 1'44' 145 '
Frova A., 98 LoweJ.,88 Rémond N,,55 t65,196
Luppi A., 7 5 ,98, 149, 1j1, t]?, Rescher N., 125, 127, 172, l7 5 Splett T.,2'l
Gale G., 125 Rigotti F., 176 Stern-Gillet S., 199
Galilei Galileo, 98 MacDonald Ross G., 12, 125, 126 Robinet A.,196,197 SuarezE,716,l27
Garber D., 16 MackieJ.L., 16 Roncaglia G., 125 Swoyer C.,27
Ge¡ha¡dt C.I., 9, 10 MagnardP.,737 RoviraR., 116,ll7,l2l
Ghio M.,27,28 Magnavacca S., 141 Ruggenini M., 169'I15 Tasso T., 16, 151
Giovanni, evangelista, santo, 189, 192,205 Malebranche N., )7 , )9, 192 Ruin H., 181
Tatarkieücz \ü. , 12, 1i2, Bt
Glauser R., 196 Maffi L.,89 Runggaldier E., 88 Tava¡i8.,91
GoetheJ.\X/., 18j Mates B., 24, 91, lli, 162
Russell B..91, 175
Temmik 4., 122
G¡oss C., ll2 Mathieu V., 10 Rutherford D., )7, 19, 47, 49, 52, 61' 78, Thiel U., 12
Grover S., 175 McDowellJ., 16,18,G2 114,120, t25, Út,134' r70, t8t Tosnon G., 192
Grua G.,9 McGinn C.,92,102 TJ-*..o D'Aquino, 27 ' 28. 140' 142'
Saame O., 10
McP.ae R., 26,3 1, J 4, 16, 37, 42, 46, 48
Sakai K., 181
t$, 197, 198, 200, 201' 202' 205
Haas C., 10 Menéndez Torrellas G.,7 i , 98, 14g, 1,50
Hanfling O., 180 Savile A.,51,91, 161
Mersenne M., 144
Hardin C.L.,89 Schepers H.,127 ' l6J Velotti S.,98
Meyer R., 197 rW.,
Harrison C., 141 Schneiders 117 Viano C.4., 10
Mignini F,,63 Vision G., 105
HarzG.H.,74 Schumacher R., 85
Heidegger M., 1ó8, 181
Mondadori F., 46, 127, úI Scribano E',161'163 Vitruvio,55,56
Mosé, 151, 190, 191, 192, 202
Heinekamp A.,126,1?4 Seeskin K.R., 172
Mugnai M., 9, 10, t4, 47, 48, jJ, 1 lj, 18, tW., 14
Hobbes T.,116, 162, 16i 121,122, t2J,124
1 Sellars lWiehart-Howaldt A, 161, 165,195
Hochstetter E., 14
Silesio 4., 181 \Williams B',58,59' 60
Sleigh R.C., 162,I1t lü/ilson C., 116,197
NagelT., 58,59,60
ImlayR.A., 172 NieraadJ., 195
Smith A.D., 82, 85 VolffCh., rr,Úr,t66
Ishiguro H., 81, 88 Socrate, 148
Nozick R., 168, 171 i"¡o".,
principessa elettrice del
éoii"
Brandeburgo, Poi regina di Prussia' Zimmermann A , 140
Jespers F, 130 Oldenburg H., ZngairG.,191
145 24,i6,48,82,150, t51
Jolley N., 11, 37, 41. 196 O'Neil E., 198
Jordan M.D.,202
Paolo, apostolo, santo, I87
Kaehler K.E., 19,52 Parkinson G.H.R., 40,82, tO6, 161.
Kant I., 11, ¡tl ti5
177
Kanzian C., 88 Parmenide, 185
Kienzle B., 85 Pasini E., 9, \0, 17, 26, i2, 91, 94
Kircher A., 150 Pellizzi C., 10
Knebel S.K., 172 Phemister P., 14, 47, 172
Iftittel G., 190 Philipp Ch., 1.44,176
Kobau P, 11, 17 Pi¡o F., 10, 114,126,162, ti7
Krings H., 140 Platone, B, 117, 1J0, 141, 200
Kulstad M.,29,31 Plinio, 19
Kutschera von E, 15 Plotino, )6, 185, 199
Poma A., 19, 60, ti}, t6i, t6i, 172, tii,
Leinkauf T., 121 ,ú1 186,201
Liske M.-T., 162, 172 Poser H., )8,fi,95
Locke J., 10, 28, 12, 39, 41, 72,83, 8j, 86, Poussin N., 140
88,91,97,115
INDICE

9
Aauertenza

11
Introduzione

MENTE **'#IIí!;Í;;T*"DEL MONDO


" IL TEATRO DI LEIBNIZ 2L

26
1. Sull'espressione e le sue forme
37
2.Lamente e le idee
44
3. Scenografia e icnografia
58
4. Bellezia,punto di vista e visione oggettiva

Capitolo Secondo
PIACERE, BELLEZZ AE QUALITA SEN SIBILI 67

70
I. Bellezza e Piacere
79
2. Ideeconfr¡se e qualitá sensibili
88
¡. na.¡ita, ,r",rr.u della mente e qualitá sensibili 97
4. Riduzionismo leibniziano?

CapitoloTeno
109
LA METAFISICA DELL ABELLEZZA
tr4
1. La bellezza come modo dell'ente
r23
2. La belTezza e l' armonia del perfetto
r32
3. Bellezza e comPrensibiüta
e la polemica
+.lit *rrzo: il significato di una triade 139
con i <<filosofi Piü recentil>
t45
5. Gli specchi dell'armonia
224 La bellezza e la fabbica del nondo

Capitolo Quarto
ESSERE PER GMZIA r57
1. Prologo in cielo
16r
2. Perché qualcosa piuttosto che niente? 168
3. Excursus: il principio di ragione tralogica,metafisica
e teologia
t76
4. ... ad majorem Dei gloriam 186
5. <...come noi produciamo i nostri pensierb>.
Metafisica ed estetica dell'emanazione t9)
Bibliografia 207

Indice dei norni 219


Finito ü stampare nel mese di aprile 2002
in Pisa dalle
EDIZIONIETS
PiazzaCalran, t6-I9, I-56126 pisa
info@edizioniets.com
wn¡qr. edizioniets. com

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