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1La Sapienza in Pv.

PROVERBI: LA SAGGEZZA
DELLE PAROLE
È troppo semplice, sebbene quasi tradizionale, definire il libro dei
Proverbi come un compendio di etica, in questo caso della moralità
israelita. Giudizio che si è rafforzato per il tono ottimistico che risuona
frequentemente nell’opera e per il quale la sapienza, intesa come giustizia, prospera mentre la follia, l’empietà, si autodistrugge. A questo è
dovuta la popolarità del libro nella cultura occidentale, sia per la vividezza del suo linguaggio, sia perché portatore di verità sempre
opportune. Il libro viene citato liberamente, molte volte anche in maniera
inesatta, e ha goduto di un’autorevolezza maggiore rispetto a molti
altri libri della Sacra Scrittura. Ciò nonostante, raramente nell’uso
popolare se ne riconosce la vera e propria acutezza.
Il libro è permeato da un codice morale, ma il suo vero intento è
quello di formare la persona, forgiare il carattere, mostrare ciò che è
realmente la vita e indicare come meglio affrontarla. L’approccio preferito è quello di andare alla ricerca di paragoni ed analogie tra la
situazione umana e tutto il resto (animali e il resto della creazione).
Il libro non vuole imporre alcunché, tenta piuttosto di persuadere il
lettore, di stimolarlo a una condotta di vita (sebbene si debba ammettere che lo stile dei capp. 1-9 è più dogmatico che il resto dell’opera).
Forse nessun altro libro della Bibbia si presenta così ordinato: le sue
parti principali sono segnate da titoli:
1.1 “Proverbi di Salomone” (questo funge da titolo all’intero corpo
dei trentuno capitoli così come dei capp. 1-9);
10.1 “Proverbi di Salomone” (ma i capp. 10—22 si differenziano
abbastanza nello stile dai capp. 1—9);
22,17 “Le sentenze del savio” (si tratta di un testo emendato; se ne
riparlerà);
24,23 anche queste [appartengono] al savio;
25.1 “I proverbi di Salomone” (opera degli uomini del re Ezechia);
30.1 “I detti di Agur”;
30 L'albero della vita
31,1, “I detti di Lemuel”;
31,10-31 non presenta titolo, ma si tratta di un poema acrostico sulla
donna ideale.
E quasi impossibile discutere questo libro senza fame un commento.
Dato però che ciò qui è impossibile, appare più opportuno cercare di
comunicare il senso delle varie raccolte che lo compongono.
La visione di Proverbi 1-9
L’introduzione maestosa al libro (1,1-6) trascina il lettore verso
la meta dell’insegnamento della sapienza. Del libro viene data la
chiave interpretativa, tutto quello che segue serve a fornire una
guida (o una “direzione”, tahbulòt, 1,5) e un ammaestramento alla
virtù (1,3). Naturalmente l’autore di questi versetti non faceva alcuna distinzione tra il secolare e il religioso com e si fa adesso.
L’ammaestramento, cosiddetto “secolare” che viene dato nel corso
dei trentuno capitoli concerne la pratica di una sapienza che è
essenzialmente religiosa. La terminologia di 1,1-6 è travolgente:
l’apprendimento, la comprensione, la rettitudine, l’accortezza, la
conoscenza e così via. Tutto si coniuga perfettamente al fine di
spiegare esattamente le ricchezze della sapienza. Queste non sono
poi nemmeno astratte: non di virtù meramente intellettuali si tratta,
poiché esse sono strettamente legate agli aspetti pratici della condotta umana.
Il v. 7, dove il timor di Dio viene considerato come principio della
Sapienza, funge da epigrafe dopo il prologo (vv. 1-6). La posizione
di tale versetto (riecheggiato in 9,10; 15,33; Gb 28,28; Sal 111,10) è
rilevante.
È il settimo versetto, quello che segue l’introduzione, e viene ripetuto in 9,10, alla fine della prima raccolta. Il timor del Signore viene
citato anche in 31,30 come una specie di inclusione al libro. L’idea
stessa viene ripresa frequentemente nella Bibbia con varie sfumature
(il timore sacro davanti alla divinità, l’adorazione, l’osservanza della
Legge)1. È l’equivalente della religione e della pietà biblica e, nel contesto dei Proverbi, del comportamento morale corretto. Per Gerhard
1 Cf. J. B e c k e r , Gottesfurcht im Alten Testament (AnBib 25), Istituto Biblic…

von Rad tale versetto “contiene in nuce tutta la teoria israelita della
conoscenza”2. È certamente degno di nota come un rimando a Dio stia
alla base di tutto il movimento sapienziale.
Nel contesto del libro (l’espressione) “figlio mio” sta ad indicare il
lettore disposto ad aderire alla dottrina della Sapienza. L’insegnamento
dei genitori (paterno e materno) assumerebbe quindi una funzione
metaforica in riferimento ai maestri di Sapienza. Se i vv. 8-19 s’intendono come l’ammaestramento del padre, in esso si può vedere un
avvertimento contro il pericolo della seduzione di profferte peccaminose.
L’ammaestramento della madre si può forse vedere nei vv. 20-33 nel
discorso della Signora Sapienza3. Questa suscita grande impressione,
parla pubblicamente e in modo impetuoso come un profeta biblico che
minaccia rovina e distruzione a coloro che non raccolgono il suo messaggio4. Al lettore vengono lasciate due vie, fra cui scegliere: la via
della stoltezza e quella dell’obbedienza alla Sapienza (vv. 32-33).
11 cap. 2 è una straordinaria composizione letteraria5. Nel testo in
lingua ebraica è una lunga proposizione: un poema sistemato in ordine
alfabetico composto da 22 versetti, quante sono le lettere dell’alfabeto
ebraico. Le prime tre strofe (vv. 1-4; 5-8; 9-11) iniziano con la prima
lettera, 'aleph, e contengono un messaggio “se-allora”. Le strofe della
seconda parte (vv. 12-15, 16-19, 20-22) iniziano tutte con lamed, la
lettera centrale dell’alfabeto, mettendo in risalto come la Sapienza
“salva” (vv. 12,16) coloro che la seguono. Viene anche annunciato il
programma che si seguirà nei capitoli successivi.
Il timor del Signore, la conoscenza di Dio e la Sapienza vengono
strettamente abbinate (vv. 5-6). Uno dei molti paradossi presenti nel
libro è che anche se la Sapienza è da perseguire mediante sforzi individuali, essa è essenzialmente un dono di Dio (2,6). Il contrasto tra bene
e male (vv. 20-22) è una reminiscenza del Sal 1.
Il cap. 3 comincia con 6 ammonizioni accompagnate da proposizioni contenenti la motivazione (vv. 1-12). Vengono toccate le tipiche
preoccupazioni della Sapienza: la necessità di “ascoltare”, la pro2 G e r h a r d von R ad, Wisdom in Israel, Abingdon, Nashville 1972, 67.
C f. C a r o le R. F o n ta in e , Proverbs, in HBC 503.
* Su Prv 1,20-33 inteso come una forma di minaccia, si veda R o la n d E. M urphy,
Wisdom 's Song: Proverbs 1,20-33, in CBQ 49 (1 9 8 6 ) 4 5 6 -6 0 .
5 L'analisi condotta da P. S k e h a n su questo libro si trova nel suo Studies in
Israelite Poetry and Wisdom (CBQMS 1 ), Catholic Biblical Association, Washington
1971, 1-45, spec. 9-10 per il cap. 2.
32 L’albero della nta
messa della “vita”, e una “fede nel Signore” che debellerà il pericolo
di credersi “saggio ai propri occhi” (cf. 26,12). Infine il maestro anticipa con una mossa audace un’obiezione (vv. 11-12; cf. Eb 12,5-6):
se la promessa di una vita piena e prosperosa non si realizza, la si
dovrebbe considerare, paradossalmente, come un segno del favore di
Dio, poiché il Signore ammonisce coloro che sono oggetto dell’amore divino.
I vv. 13-18 sono costruiti su un’inclusione, con la ripetizione del termine “felice” (un detto ’asre, o beatitudine). Il simbolismo tradizionale
viene adottato in un elogio alla Sapienza che è preziosa più dell’oro
e dell’argento, colei che accorda sia vita che pace, “albero della vita”
appunto (cf. 11,30). Il riconoscim ento del ruolo della Sapienza
nell’attività creatrice del Signore viene introdotto quasi all’improvviso
(v. 19), sebbene questo sia un tema ricorrente (Sai 104,24; 147,5; Prv
8,22-31). Ne viene desunta un’immagine molto semplice: nessuno edifica la casa senza ricorrere alla Sapienza (Prv 24,3-4); così pure è
sempre la Sapienza al lavoro nell’atto della creazione, soprattutto in quella
dell’acqua così benefica per gli abitanti della Palestina (v. 20). Il capitolo termina così come era iniziato, cioè con una serie di ammonizioni
nei vv. 25ss.
II cap. 4 contiene una descrizione toccante del ricordo dell’istruzione dei genitori (vv. 1-5). Il maestro continua con una intensità (cf.
anche 7,1-4) che richiama una delle esortazioni del Deuteronomio:
acquista la Sapienza! La metafora del diadema e della corona richiama
1,9 e 3,3. “Via” e “vita” sono termini chiave che racchiudono in inclusione i vv. 10-27; la via della sapienza è il sentiero del giusto (v. 18)
che porta alla vita; mentre non si deve seguire la strada delTempio (v.
14). Il motivo delle due “vie” sviluppa il testo di l,32-336.
Il tema della “donna straniera” contenuto in 2,16 viene ripreso nei
capp. 5 -7 . L’insistenza su questo suscita qualche perplessità.
Ammesso che la condotta sessuale costituisca una materia legittima
per l’insegnamento della sapienza (22,14; 23,27-28), perché viene trattata in modo così dettagliato?7
Forse ha qualcosa a che fare con l’antitesi Signora Sapienza-Donna Follia (esplicitamente sviluppata nel cap. 9). Alla ricerca dellaSapienza
personificata in una donna viene opposta la sua controparte e
cioè la seduzione della Follia, anch’essa presentata come una donna. E
notorio l’impiego nella Bibbia del linguaggio figurato per esprimere la
fedeltà o l’infedeltà a Dio (Osea). Viene confermata più volte la triste
storia di “fornicazione” d’Israele con altri dèi, i Baal e le Asherah. Si è
suggerito che la “straniera” sia una devota del culto canaaneo della fertilità che attraeva tanti ebrei8. Identificazione difficile da stabilire. La
donna potrebbe essere semplicemente un’altra israelita e l’avvertimento riferirsi rigorosamente alla fedeltà coniugale. Allo stesso tempo, ci
potrebbe essere qui un altro livello di significato che suggerisce la
fedeltà religiosa e la ricerca del timor di Dio. La figura della Signora
Sapienza sembra aver fornito il modello per quello di Donna Follia
(9,13-18). In ogni caso è da notare come l’insegnamento si mantiene
su una linea unilaterale. Il giovane viene ammonito contro l’azione
seduttrice della donna, ma non viene mai fatta menzione della sua
responsabilità; non lo si porta mai a riflettere sul suo desiderio sessuale
o sull'asservimento alla sua passione sessuale.
L’ammonimento di 5,1-14 è abbastanza schietto: i piedi della “straniera” vanno verso la Morte/Sheol (v. 5), e all’infelice resta solo la
recriminazione (vv. 12-14). Al giovane viene data una precisa raccomandazione, quella di essere fedele alla propria sposa («Bevi l’acqua
della tua cisterna», v. 15), il cui amore sarà fonte di vita per lui (vv. 18-
19). Il tema dell’adulterio viene interrotto in 6,1-19 per dare dei consigli su altri argomenti: il farsi garante per il prossimo (vv. 1-5), la
diligenza (vv. 6-11), un giudizio sul malfattore (vv. 12-14). Segue un detto
numerico sulle cose che il Signore aborrisce (vv. 16-19). L’ammonimento pressante contro le parole adulataci dell’adultera viene comunque
ripreso di nuovo in 6,20-35. Il giovane viene posto di fronte agli
esiti negativi che può attendersi (se non osserva i precetti dati), come
le domande sull’impossibile dei vv. 27-28, e la follia dell’adulterio che
va incontro alla punizione fisica (vv. 32-35).
Nel cap. 7 viene vividamente narrata dal saggio la seduzione di un
giovane uomo. La donna parla a lungo con parole melliflue (vv. 14-
20). Di tutta la scena colpisce l’enfasi proprio sul parlare, come se la
seduzione prima ancora di essere sessuale si attuasse sul piano verbale
(in 7,5 e 6,24 si trova l’espressione “dolci parole”). La parola ha il potere di persuadere, persino di sedurre, e ciò viene messo in luce
tanto quanto la stessa compiacenza sessuale9.
Nei capp. 8-9 l’autore torna sull’esplicita personificazione della
Sapienza che s’incarna in una donna (cf. 1,20-33). La struttura del cap.
8 è stata variamente interpretata, ma il suo significato generale è chiaro10. La Sapienza viene presentata alla maniera di un profeta che
chiede di essere ascoltato, ponendo particolare enfasi sulla veridicità del
suo messaggio, sulle sue influenze regali («Grazie a me i re regnano»),
sul benessere e sulla gloria che lei reca a coloro che l’amano. In un
passo davvero sublime (vv. 22-31) ella descrive poi la sua origine divina quale principio della creazione divina. Essa è stata vicina non solo
a
Dio (come “architetto” o “prediletta”, v. 30) ma anche agli esseri
umani, trovando piacere nello stare con loro. Il suo discorso si conclude con un altro appello affinché le si presti attenzione (l’invito
“ascoltate” ricorre tre volte nei vv. 32-34), e con la sbalorditiva promessa di
vita opposta alla morte (vv. 35-36). Il senso del cap. 8 dei Proverbi
viene chiarito successivamente nel cap. 9 dove si parla della personificazione della Sapienza (cap. 9). Qui la Signora Sapienza si misura con
la Signora Follia (i detti dei vv. 7-12 separano queste due figure).
Entrambe inoltrano l’invito a un banchetto a cui prende parte la vita
(in quello della Sapienza, v. 6) mentre la morte è presente in quello
della Follia, i cui invitati finiranno nello Sheol (v. 18).
E facile notare come i capp. 1-9 si distinguano dal resto del libro sia
per quanto riguarda la forma (lunghi poemi) sia per il contenuto (tono
esortativo e forte enfasi sulla rettitudine e sulla cattiveria). Tranne che
in poche massime (come nel cap. 3 e in 6,1-19), l’intento in essi è
infatti quello di convincere il lettore a intraprendere il sentiero della
Sapienza/giustizia.
Poiché questa sezione del libro si differenzia notevolmente dai capi9 Vedi J.-N. A l e t t i , Séduction et parole en Proverbes i-tx, in VT 27
(1977) 129-44.
10 Skehan scopre sette unità di cinque linee (con 8,11 che è una glossa basata su
3,15), introdotte dall’enfatico ‘ani (“io”) nei vv. 12 e 17, le origini della Sapienza nei
vv. 22-31 (con 'ani nel v. 27), e la conclusione “adesso quindi" (w e'atta) nel v. 32; cf.
S k eh a n , Studies, 14. M. Gilbert descrive 8,1-3 com e un’introduzione e ritiene che
tutti “gli autori” distinguano quattro sezioni: 8,4-11.12-21.22-31 (un'unità). 32-36 (la
finale). Egli considera queste sezioni come una raccolta che fornisce al pubblico le
motivazioni necessarie per ascoltare l’insegnamento della Sapienza (contenuto nei
capp. 10—31 ). Cf. Le discours de la sagesse en Proverbes 8, in La sagesse de VAncien
Testament (BETL 51; a cura di M. G ilb e r t), Leuven University Press, Leuven 1979, toli successivi, sono sorte varie ipotesi circa
rambientazione e la data
del materiale in essa contenuto. Sebbene tali sforzi si siano rivelati di
una scoraggiante ambiguità, essi hanno comunque il non piccolo valore
di stimolare l’immaginazione del lettore. Due tesi possono essere considerate tipiche. La prima appartiene a Bernhard LangM, il quale
propende per l’influenza esercitata dalla letteratura sapienziale egiziana (vedi
Appendice). In Prv 1-9 egli vede dieci discorsi sapienziali che un maestro rivolge ad un allievo (“Figlio mio”). Essi costituivano un testo su
cui gli allievi continuavano il loro tirocinio per diventare funzionari di
cone (come succedeva pure in Egitto), nonostante il loro insegnamento
fosse meno rivolto verso una certa classe, forse per effetto delTinfluenza del carattere tribale del popolo di Israele. Questa influenza egiziana
si addice a una datazione remota del materiale, riconducibile perfino al
periodo di Salomone. Otto Plòger12, invece, è molto più cauto sull’attribuzione ad una scuola dei capitoli in questione. Questi suggerisce
che si tratta di una specie di manuale o guida destinati ad un pubblico più
vasto che quello di studenti. La datazione viene lasciata del tutto aperta.
In un periodo che abbraccia circa 7 secoli (dal 900 al 200 a.C.) viene
vista la compilazione delle ammonizioni e delle sentenze (si veda lo
stile dei capp. 1-9 per le prime e dei capp. lOss per le seconde).
Generalmente si è dell’opinione che i capp. 1-9 risalgano al periodo
successivo all’esilio, ma è ovvio che ci sia molta incertezza al riguardo.
Messi a confronto con i capp. lOss, i capp. 1-9 rivelano una concentrazione sulla Sapienza, proprio ciò che Gerhard von Rad ha definito
“sapienza teologica”13, ma ciò, ovviamente, ci dice poco sulla datazione.
202-218, spec. 218.

Riflessioni conclusive
1 ) STRUTTURA. Si tratta di una raccolta un po’ casuale dell’antica
Sapienza israelitica? Visto unicamente da un punto di vista strutturale,
il libro sembra molto di più di ciò. P. Skehan ha ritenuto che Fautore
abbia disposto le colonne portanti del testo seguendo il disegno di una
casa (che è stata chiamata “la casa della Sapienza” in 9,1 ), modellata
sul tempio di Salomone34. Si sia o meno disposti ad accogliere tutti i
dettagli architettonici di una tale ricostruzione, Tosservazione di
Skehan, comunque, riguardo al valore numerico dei nomi (e del termine hkmym, o “saggio”) nei titoli merita un’attenta considerazione.
In primo luogo 1,1 ha tre nomi, slmh, dwd, y sr ’l, il cui corrispondente numerico è 375, 14 e 541, per un totale di 930. Vedremo come
tale accenno nel titolo del libro viene avvalorato dal numero complessivo dei righi del libro, ovvero 930. Il titolo di 10,1, poi ha slmht
l’equivalente di 375, e questo è il numero dei singoli capoversi dei
proverbi in questa raccolta salomonica (10,1-22,16). In terzo luogo, la
collezione di “Ezechia” (i capp. 25-29) ha 140 capoversi o detti. Nel
titolo di 25,1 Ezechia è la parola che mette in funzione il tutto. Il valore numerico delle sue consonanti, può equivalere a 130 (così la
computazione a partire dal TM), 136, 140 o 146. La scelta corretta, tenendo conto dell’intero libro, e 140 (yhzqyh). Ancora, il termine
hkmym (il
titolo di 22,17 e 24,33) o “saggio" ha come valore numerico 118 e
questo è il numero dei capoversi di 22,17-24,32 e 30,7-33. In ultimo,
si può aggiungere a tutto questo il resto dei detti: 16 (per quelli di
Lemuel e di Agur) e 22 (il poema acrostico sulla donna di 31,1 Oss) per
un totale di 38, e 259 righi nei capp. 1-9.
Ne risulta: 259 righi per i capp. 1-9; 375 per 10,1-22,16; 118 per
i detti del hkmym di 22,17-24,32 e 30,7-33; 140 per i capp. 25-29;
38 per Lemuel e Agur ed il poema acrostico. La somma totale è 930
righi in tutto il libro, come si era accennato in 1,1. Di tale conteggio
non fanno parte le glosse che creano una certa armonizzazione in
1,16; 8,11; 24,33-34, sulle quali si sono interrogati molti studiosi
per varie ragioni35. Si deve dire, comunque, che un tale risultato non
può essere frutto di coincidenze. E ciò conduce a una conclusione
34 Cf. S k eh a n , Studies, cit., 27-45, con dettagli numerici indicati spec, alle pp. 43-45.
3:1 Si possono fare delle obiezioni contro questo calcolo numerico applicato al libro
dei Proverbi. Ci si chiede ad esempio se l'eliminazione di 1,16 e di 8,1 1 sia dettata dal
desiderio di arrivare a un certo numero (nei capp. 1-9 il numero dei versi arriva a 259).
°roverbi: la saggezza delle parole 49
del tutto plausibile: la redazione finale del libro si deve alla mano di
una sola persona.
2) TEOLOGIA. Il cap. 8 ha un posto d’onore nella storia della teologia, inquanto è servito come origine nella controversia ariana della
chiesa primitiva. La personificazione della Sapienza è molto importante, come vedremo nel cap. 9 di questo nostro studio. M a i teologi
raramente hanno considerato il libro nella sua interezza come una
fonte teologica36. Non è il tipo di opera che trova commentatori tranne che per il grande riformatore Melantone, che scrisse ben due com
mentari sul libro! Generalmente, il libro viene considerato come una
specie di fonte per una guida morale e in questo senso si può annoverare dietro alla stessa Torah. Il suo contributo non è poca cosa, e si
può facilmente immaginare l’importanza delle raccolte come strumento di formazione morale tra gli israeliti. L’estensione dei proverbi, con
un contenuto che m ira alla persuasione p iu tto sto che
all’imposizione, ne deve aver fatto un’avvincente fonte per l’affermazione dell’ethos di gruppo.
Quest’approccio al libro che sa di utilitarismo non è comunque
ancora quello adeguato. Lo appiattisce infatti, attribuendogli il carattere di manuale di morale. Ci si dovrebbe attenere alla miscela
misteriosa dei capp. 1-9, ai modi in cui quest’introduzione al libro (una continuazione del program m a posto in 1,1-6) m odella una visione
Su questi due versetti in passato i commentatori, a buon diritto, hanno aperto una questione in modo indipendente l'uno dall’altro. Due
importanti manoscritti della l x x non
presentano 1,16, che è una ripresa di Is 59,7. Nel cap. 8 il discorso in prima persona
viene interrotto da una proposizione in terza persona e precisamente 8,11, che riprende
Prv 3,15. Il caso di 24,33-34 si presenta più delicato. Questi versetti ripetono Prv 6,10-
11, che sono indirizzati al pigro in seconda persona. Nel contesto di 24,30-32, in cui un
“io” si riferisce al podere del pigro, il rivolgersi in seconda persona è quantomeno strano e probabilmente si tratta di un prestito da 6J 0-11.
Non vi è alcuna intenzionale
deviazione dal testo al solo scopo di giungere ai numeri prefissati. Può darsi che altri
versetti diversi da questi possano essere riconosciuti come inserzioni. La solidità di
una tale argomentazione proviene da un’analisi complessiva del modo in cui l’equivalente numerico dei nomi nei titoli ha indicato la
dimensione del libro (930 versi) e
rimprobabilità di una mera coincidenza. Al momento non c’è modo di determinare
quando è venuta in uso un’equazione di tal maniera tra lettere e numeri. Ma innegabilmente i saggi tradiscono una certa attenzione per le
lettere dell'alfabeto (acrostici e
poemi di 22-23 linee).
36 Cf. R o la n d E. M u rp h y , Proverbs and Theological Exegesis, in The Hermeneutical Quest (J.L. Mays Festschrift), a cura di D.G. M
ille r ; Pickwick, Allison Park
1986, 87-95. Vedi anche la trattazione della teologia al cap. 8.
50 L albero della vita
teologica. La visione teologica può essere enunciata chiaramente: il
libro ha la pretesa di offrire al lettore “la vita” o la “salvezza”.
Quando i salmisti pregano per essere “salvati”, essi aspirano ad una
restituzione della vita piena nell’immediato presente. Così essa è
anche intesa nei Proverbi. La Sapienza personificata ha un kerygma:
annuncia la “sicurezza” (1,33) e la “vita” (8,35). L’insegnamento del
saggio è “fonte di vita” (13,14); ciò è riferito anche al “timore di Dio”
(14,27), che è anche principio di sapienza. La fonte e l’albero della
vita sono simboli frequenti: 10,11; 16,22; 3,18; 11,30; 13,12. “Vita”
concretamente significa onori e ricchezze (22,4), un buon nome (10,7;
22,1) e una lunga vita (3,16; 28,16). Il kerygma dei saggi si trova
anche in altri libri. Amos esortava Israele a cercare il bene e non il
male “affinché possiate vivere” (Am 5,14). In Is 55,1-3 Israele viene
invitato da Dio ad un banchetto: «Ascoltatemi e avrete la vita». La predicazione deuteronomica offriva ad Israele la scelta tra la vita e la
morte (Dt 30,15-20; cf. Sir 15-17). La messa in guardia qui è d ’obbligo. La vita è molto di più che i beni semplicemente materiali; questi
sono considerati sacramentali, segni cioè della benedizione di Dio (Prv
10,22).
Per molti lettori il concetto di vita si schiude sempre a nuovi significati (persino all’interno dell’Antico Testamento; cf. Sap 1,15;
2,23-3,3; ecc.). Ma la prospettiva di Proverbi è la vita nell’immediato
presente.
L’offerta della vita è un dono, poiché la Sapienza stessa è un dono di
Dio (Prv 2,16). Paradossalmente, comunque, la Sapienza non si può
conseguire senza lo sforzo umano. Viene anche rivendicato il bisogno
di disciplina e di obbedienza agli insegnamenti. La Sapienza si rivela
almeno con due facce in questo libro: essa chiama (nei capp. 1-9), ma
gli uomini devono rispondere (capp. 10-31)37.
Si potrebbe muovere qualche obiezione a questa interpretazione di
Proverbi in quanto il suo insegnamento ottimistico è in conflitto con il
libro di Giobbe e di Qoelet. Conflitto che non si può negare: la sofferenza del giusto non viene trattata adeguatamente in Proverbi (vedi
Pr\> 3,11-12), e Qoelet prende una dura posizione contro la tradizione
sapienziale, in quanto questa non fornisce le risposte agli interrogativi
37 C f. R o la n d E. M u r p h y , The faces o f Wisdom in the Book o f Proverbs, in
Mèìanges bibliques et orientaux en I'honneur de M. Mathias Delcor (AOAT 212. a
cura di A. C a q u o t ed altri), Neukirchener, Neukirchen-Vluyn 1985, 337-45.
Proverbi: la saggezza delle parole 51
che egli pone. Ma che esista una certa tensione tra le varie parti della
Bibbia (la descrizione della conquista in Giosuè paragonata al cap. I
dei Giudici) o airintem o di un singolo libro (Qoelet) non è niente di
nuovo.
Sarebbe un errore sottovalutare ciò che hanno conseguito i saggi la
cui eredità è raccolta in Proverbi. Si potrebbe dire che essi partecipano
della debolezza del Deuteronomio (sul problema della retribuzione),
ma anche della forza di molti salmi (per esempio. Sai 16.11 ; 23, 6).

MURPHY, Roland E.. L’ALBERO DELLA VITA: Una esplorazione della letteratura sapienziale biblica. Editrice Queriniana.
1993,-2000 Editrice Queriniana, Brescia (Italia) P. 29.

La Sapienza
Proprio perché proviene da Dio e da Dio soltanto, in qualche passo biblico la “sapienza”
è personificata e posta accanto a Dio stesso. Essa è generata prima del creato e predica
nelle piazze invitando tutti al suo ricco banchetto:
LA SAPIENZA PERSONIFICATA
“Il Signore mi ebbe con sé al principio dei suoi atti, prima di fare alcuna
delle sue opere più antiche. Fui stabilita fin dall'eternità, dal principio,
prima che la terra fosse . . . io ero presso di lui come un artefice . . .
Ora, figlioli, ascoltatemi; beati quelli che osservano le mie vie!”.
Pr 8:22-31,
passim

Le personificazioni sono usare anche per altre realtà astratte. La follia è pure personificata,
sempre in Proverbi:
Personificazione della Follia
“La follia è una donna turbolenta, sciocca, che non sa nulla.
Siede alla porta di casa,
sopra una sedia, nei luoghi elevati della città, per chiamare quelli che
passano per la via, che vanno diritti per la loro strada, dicendo: ‘Chi
è sciocco venga qua!’. E a chi è privo di senno dice: ‘Le acque
rubate sono dolci, il pane mangiato di nascosto è delizioso’. Ma egli
non sa che là sono i defunti, che i suoi convitati giacciono in fondo al
soggiorno dei morti”. – Pr 9:13-18.

TNM, continuando a prendere lucciole per lanterne, anziché: “La follia è una donna
turbolenta”, traduce: “La donna stupida è tumultuosa” (Pr 9:13). Eppure, al v. 18 si dice:
“Quelli chiamati da lei sono nei bassi luoghi dello Sceol” (TNM) ovvero: quelli che la Follia
(personificata in donna) ha attirato, vanno incontro alla morte. Sostenere, viceversa, che
“quelli chiamati da lei” (dalla presunta “donna stupida”) finiscano per morire pare esagerato
e senza senso. E poi che senso ha dire, nello strano italiano che TNM adotta, che “la donna
4
stupida è tumultuosa” (TNM)? Una donna stupida non è necessariamente tumultuosa; una
donna tumultuosa potrebbe essere anche molto intelligente. Comunque, la parola ebraica
‫ִ )סילּותְ ּכ‬kesylùt), presente nel passo, significa “follia”.
Qui la Follia personificata è messa in contrasto con la sapienza personificata. Tutte e due
danno un banchetto e invitano le persone, ma con esiti ben diversi.
Sapienza personificata Follia personificata
“La Sapienza ha costruito la sua
casa … ha ucciso animali, ha
procurato il vino, ha già preparato
la sua tavola. Ha mandato le sue
serve a fare gli inviti … Agli
ignoranti la sapienza dice:
«Venite e mangiate il mio pane,
bevete il mio vino … se volete
vivere felici … prendete la via
dell’intelligenza»”. – Pr 9:1-6,
TILC.
“La Follia è una donna irrequieta,
sciocca e ignorante. Essa siede
sulla porta della sua casa … per
invitare i passanti. «Venite a me
… l’acqua proibita è sempre più
dolce e il pane preso di nascosto
è il più gustoso» … Le sue vittime
non sanno che là c’è la morte”. –
Pr 9:13-18, TILC

La “sapienza” non è altro che un’attività divina. Viene personificata perché si imprima
meglio nella mente degli uditori o dei lettori. Lo stesso concetto ebraico lo ritroviamo in
Sapienza 9:1-11, che – sebbene sia un libro non appartenente al canone delle Scritture (e
quindi non ispirato) - fa pur sempre parte del pensiero ebraico. Qui Salomone chiede la
sapienza:
“Dio dei padri e Signore di misericordia, che tutto hai creato con la tua parola, che con la tua sapienza hai formato l'uomo,
perché domini sulle creature fatte da te, e governi il mondo con santità e giustizia e pronunzi giudizi con animo retto,
dammi la sapienza, che siede in trono accanto a te e non mi escludere dal numero dei tuoi figli, perché io sono tuo
servo e figlio della tua ancella, uomo debole e di vita breve, incapace di comprendere la giustizia e le leggi. Se anche uno
fosse il più perfetto tra gli uomini, mancandogli la tua sapienza, sarebbe stimato un nulla. Tu mi hai prescelto come re del
tuo popolo e giudice dei tuoi figli e delle tue figlie; mi hai detto di costruirti un tempio sul tuo santo monte, un altare nella
città della tua dimora, un'imitazione della tenda santa che ti eri preparata fin da principio. Con te è la sapienza che
conosce le tue opere, che era presente quando creavi il mondo; essa conosce che cosa è gradito ai tuoi occhi e ciò che
è conforme ai tuoi decreti. Inviala dai cieli santi, mandala dal tuo trono glorioso, perché mi assista e mi affianchi nella mia
fatica e io sappia ciò che ti è gradito. Essa infatti tutto conosce e tutto comprende, e mi guiderà prudentemente nelle mie
azioni e mi proteggerà con la sua gloria”. - CEI.
In Pr 8:22-31 la Sapienza personificata giustifica la sua pretesa a istruire le persone
rivelando la propria origine. Generata prima di tutte le creature, fu testimone di tutte le opere
divine. Sebbene 8:22 venga tradotto con: “Il Signore mi ebbe con sé al principio dei suoi
atti”, il testo ebraico non dice così. Ma dice letteralmente: “Mi possedette [come la] prima”,
ִ ֵ ‫י ר ִאׁשית‬
‫ )נָנָ ק‬qanàny reshìyt), la prima delle sue azioni. Si noti la sostanziale differenza tra la
creazione dell’universo e il possedimento divino della sapienza:
Gn
1:1
“In principio [‫ֵ )אׁשית ְִרּב‬bereshìt)] Dio creò [‫ )ָא ָרּב‬barà)] i
cieli e la terra” (TNM).
“In principio”: è temporale.
“Creò”: prima non esisteva.
Pr
8:22
ֵ‫ ]ר ִאׁשית‬principio come)] qanàny (‫ ]קָ נָנִי‬possedette Mi“
(reshìt)] della sua via” (traduzione dall’ebraico).
“Principio”: inizia così.
“Mi possedette”: non creata.

TNM confonde le acque, traducendo: “Mi produsse come il principio della sua via”, dando
così l’idea che la sapienza sarebbe stata creata. Ma il verbo ebraico qanàh significa
5
“possedere”. È lo stesso verbo che incontriamo in Is 1:3: “Il bue conosce il suo possessore
ֵ‫]הּו‬
‫ )נ ֹק‬qonèhu), “colui che lo possiede]”. Di certo il bovaro non è produttore né tanto meno
creatore del bue.
Come se non bastasse, TNM fa un’altra forzatura quando traduce, sempre in Pr 8:22: “La
prima delle sue imprese di molto tempo fa”, dando di nuovo l’impressione che la sapienza
sia stata un’“impresa” come quelle della creazione. La Scrittura smentisce nuovamente
questa interpretazione. Il testo ebraico, infatti, ha:
ִ ‫ֶק דֶ ם מ ֵ ְפ ָעלָיו מָאז‬
qèdem mifalàyu meàs
prima delle sue imprese, da sempre
Traducendo bene, secondo il testo ebraico, letteralmente, abbiamo: “Yhvh mi possedette
principio di sua via, prima delle sue imprese, da sempre”. Che, messo in buon italiano,
suona: “Mi possedete [come] principio, da sempre, prima [di compiere] le sue imprese”.
Ovvero: prima che Dio iniziasse a creare, Dio già possedeva la sapienza. La sapienza divina
è, ovviamente, connaturata a Dio, non creata.

FACOLTÀ BIBLICA • CORSO: LA SAPIENZA BIBLICA


LEZIONE 2
La sapienza
La qualità e la pratica della sapienza
di GIANNI MONTEFAMEGLIO.

Personificazioni
del principio creatore
l. La signora Sapienza,
·forza vitale creatrice di Dio (Prv 8)
A partire dal IV secolo a.C. 'il principio' posto creativamente da JHWH e governante il cosmo viene condensato
in figure. Sono anzitutto la personificata signora Sapienza
(bokhma) e poi la Torah con essa identificata ad assumere
la forma di potenza creatrice di JHWH esistente prima della creazione, ad indurre JHWH a creare, ad assisterlo durante l'opera della
creazione e a scendere infine sulla terra
per indurre in maniera creativa sapienziale gli uomini a vivere in maniera conforme alla creazione. La signora Sapienza personificata
diventa per la prima volta riconoscibile come sintesi della teologia della creazione nella redazione del
libro dei Proverbi, che ha posto Prv 1-9 e Prv 3 1, l 0-3 1 come cornice teologica attorno al libro. Le affermazioni sulla
signora Sapienza di Prv 1-9 e la poesia sulla donna saggia
di Prv 31, l 0-3 1 vanno posti tra loro in relazione quando li
si interpreta: la donna sapiente di Prv 31 è una concretizza zione paradigmatica di una vita conforme alla sapienza,
cioè conforme alla creazione, a cui Prv 1-9 chiama62•
1.1 CONTESTO E STRUTTURA DI PRV 8,1-36
All'interno della prima parte del libro dei Proverbi (Prv
1-9)63 sono Prv 8,1-36 e Prv 1,20-33 a rivestire una posizione eminente, in quanto presentano dei discorsi alla prima
persona singolare della personificata (signora) Sapienza.
Ambedue i discorsi sono tenuti in scenari simili:
«La Sapienza grida per le strade,
nelle piazze fa udire la sua voce;
dall'alto delle mura essa chiama,
pronunzia i suoi detti alle porte della città» (Prv 1 ,20s.).
«La Sapienza forse non chiama
e la prudenza non fa udire la voce?
In cima alle alture, lungo la via,
nei cro.eicchi delle strade essa si è posta,
presso le porte, all'ingresso della città,
sulle soglie degli usci essa esclama» (Prv 8,1-3).

La Sapienza divina tiene i suoi discorsi in mezzo alla vita


secolare e politica pubblica. La porta della città e la piazza
ad essa antistante sono il luogo di raduno della città. Qui
tiene le sue sedute il tribunale. Qui si fanno conoscere le
decisioni politiche importanti. Qui i profeti tengono i loro
discorsi spettacolari. Qui la signora Sapienza si presenta e
proclama la sua dottrina valida per tutti. In Prv 1,22-33 essa
rivolge ai semplici e ai testardi una predica, in cui parla di
giudizio e di conversione e che culmina nella promessa:
«Chi ascolta me vivrà tranquillo
e sicuro dal timore del male» (Pro l ,3 3).
In Prv 8,4-36 pronuncia un ampio discorso didattico suddiviso in quattro parti64•
La prima parte, costituita da 8,4-11, è un'ampia prolusione e esortazione didattica, e in cui la Sapienza si rivolge ai
suoi destinatari, agli uomini d'Israele e ai figli dell'uomo:
«A voi, uomini, io mi rivolgo,
a (tutti) i figli dell'uomo è diretta la mia voce» (8,4).
Nella seconda parte, costituita da 8, 12-21, e il cui nuovo inizio è segnato da accentuati pronomi personali, «lo, sì io
[. . . ]», la Sapienza si presenta come forza che insegna a vivere
e che rende felici, nonché come giustizia e forza a tutti offerta:
«lo amo coloro che mi amano,
e coloro che mi cercano mi troveranno. [. .. ]
Io cammino sulla via della giustizia
e per i sentieri dell'equità,
per dotare di beni quanti mi amano
e riempire i loro forzieri» (Prv 8,17.20s.).

Il nuovo inizio della terza parte, costituita da 8,22-3 1, è


segnato dal tetragramma espressamente posto in testa.
Questa parte si distingue da quelle precedenti di 8,4-1 1.12-
21 per il fatto di non parlare a dei destinatari e in maniera
parenetica. In essa la Sapienza parla di se stessa quale forza
creatrice al momento della creazione e nella creazione e si
presenta come 'principio' della creazione diventato una figura, come principio della via di JHWH verso la creazione
e con la creazione. Le prime e le ultime parole di questa
parte indicano le due entità, tra cui la Sapienza personifica
'ta media: JHWH (8,22) e i figli dell'uomo (8,3 1). La possiamo dividere in quattro brani, che formano una composizione chiastica65:

A 22 ]HWH mi ha creato come principio delle sua via,


prima di ogni sua opera, da sempre .
23 . Prima del tempo del mondo sono stata costituita,
fin dal principio, dagli inizi della terra.

B 24 Quando non esistevano i flutti originari,


io fui generata;
quando ancora non vi erano
le sorgenti cariche d'acqua;
25 prima che fossero fissate le basi dei monti,
prima delle colline io sono stata generata.
26 Quando ancora non aveva fatto la terra e i campi,
né le prime zolle del mondo;

B' 27 quando egli fissava i cieli, io ero là;


quando tracciava un cerchio sull'oceano originario;
28 quando condensava le nubi in alto,
quando fissava le sorgenti dell'oceano originario;
29 quando stabiliva al mare i suoi limiti,
sicché le acque non ne oltrepassassero la spiaggia;
quando disponeva le fondamenta della terra,
30 allora io ero presente, con lui, come capomastro
(o: come beniamina)66,
N ero presente come la sua delizia ogni giorno,
mi rallegravo davanti a lui in ogni istante;
31 mi rallegravo sul globo terrestre,
ponendo le mie delizie tra i/igli dell'uomo.

Mentre i due brani interni illustrano la relazione della Sapienza con il 'mondo-prima-della-creazione' (B) e con l'evento della creazione (B'), i
due brani esterni descrivono il
suo rapporto con JHWH prima della creazione (A) e rispettivamente con JHWH, con il mondo e con gli uomini (A').
I quattro brani hanno ognuno un loro proprio profilo
linguistico e teologico.
l. Nel primo brano (A: v. 22s.) la Sapienza si presenta
come estrinsecazione originaria della vita dello stesso
JHWH. Da un lato essa è creata da JHWH, ma dall'altro
lato non è semplicemente come una delle altre opere della
creazione. Essa è formata «prima del tempo del mondo» e
«da sempre», cioè essa ha qualità divine simili a quelle che
il Sa/ 93 attribuisce all'essere-re di JHWH (c/. sopra). Essa
è il «principio della sua via» in ordine alla creazione; con la
sua creazione comincia l'esistenza di JHWH come creatore.
Essa è «il principio prima del principio» e, come tale, l'estrapolazione della stessa potenza creatrice di JHWH.
2. Il secondo brano (B: vv. 24-26) definisce il rapporto
della Sapienza precreaturale con il 'mondo-prima-dellacreazione' , che viene descritto nel già caratterizzato 'stilenon-ancora'. Sullo sfondo
c'è qui un edificio tripartito del
mondo (v. 24: inferi/oceano originario; v. 25 : monti come
sostegni del cielo e come fondamenta! colonne della terra; v.
26: il disco terrestre con i suoi due campi del suolo coltiva
·to e non coltivato), di fronte al cui non-essere-ancora la Sapienza annuncia la propria nascita. Essa è preesistente rispetto all'edificio del
mondo. Nei confronti di JHWH essa
è la figlia da lui generata. n testo adopera sì soltanto formulazioni passive («lo fui generata»), però dal contesto risulta
che solo JHWH può essere il soggetto della generazione.
Poiché questo brano e quello successivo adoperano, per
parlare delle opere vere e proprie della creazione, verbi desunti dal campo della tecnica edile (con in parte connota
:zioni giuridiche, cf più avanti), la metaforica della generazione e della nascita adoperata per parlare della Sapienza
ne sottolinea la posizione particolare: essa è il lato creatore
;dello stesso JHWH.
. 3. Il terzo brano (B': vv. 27-30) descrive l'evento della
;creazione del mondo. Mentre il secondo brano guardava
«dal basso verso l'alto per arrivare al centro», il terzo brano
çomincia due volte dall'alto e guarda ogni volta verso il
basso, prima di fermarsi sul disco terrestre. «In questo modo esso congiunge ogni volta tra di loro 'due piani del mon
do': il cielo (27 a) è collegato con il limite inferiore dello
spazio vitale umano (27b). Le nubi poste in alto (28a) , cioè
il confine tra la sfera umana e la sfera celeste, sono menzionate nel testo assieme alla massima profondità, alle fonti
dell'oceano originario (28b) . Poi i flutti d'acqua pericolosi
per la terra sono separati dallo spazio vitale umano (29a.b),
e a conclusione viene dato a tale spazio un fondamento e
vengono stabilite le sue basi (29c)»67• La creazione è pertanto qui descritta come «processo della separazione degli spazi vitali e del
contemporaneo loro reciproco collegamento»68. Non è però questa l'affermazione principale. L'affermazione principale ricorre nella prima e
nelle ultime righe
del brano, dove la Sapienza annuncia di essere stata presente all'evento della creazione, e precisamente accanto allo
stesso creatore. Dovunque egli era all'opera, in cielo o negli
inferi, ai margini del disco terrestre o vicino alle sue fondamenta, là essa era «con lui o accanto a lui».
4. n quarto brano (A': vv. 30b-31), che viene messo in risalto dalla sua artistica struttura chiastica ('delizia - mi rallegravo - mi rallegravo -
delizie') come il punto culminante
di questa parte, precisa il modo della presenza della Sapienza presso la creazione e nella creazione. Che il quarto brano
intenda proclamare la presenza della Sapienza non meglio
illustrata nel terzo brano risulta dalla ripresa dell' espressione chiave «io ero presente» (v. 30a e 30b) . Riprendendo costellazioni di
immagini e di miti egiziani e siriani69 la presenza della Sapienza è descritta come il sorridere, lo scherzar
e il danzare di una giovane donna felice di vivere, che delizia, ispira e erotizza il Dio creatore al punto che la sua opera diventa una vera
opera d'arte. Questa signora Sapienza
felice di vivere e meravigliosamente bella è in certo qual
modo l'idea plastica della creazione, che affascina JHWH e
lo fa diventare creatore, con lo scopo di riprodurre la sua
forma nell'opera d'arte del cosmo. n brano è perciò coerente quando poi conclude con una constatazione quasi paradossale, dicendo che la
signora Sapienza vuole continuare
adesso il suo gioco incantatore, dopo che il mondo è stato
creato, tra i figli degli uomini e con i figli degli uomini, affinché essi possano imparare a conoscere, per mezzo suo e
.con lei, il mistero della creazione e possano così vivere in
modo conforme alla creazione. Questa è in ogni caso la
conclusione che la quarta parte conclusiva del discorso didattico trae.
Nella quarta parte, costituita da 8,32-36, la Sapienza alterha esortazioni ad ascoltare, rivolte ai destinatari, e le beatitudini motivate e tipiche
della dottrina della vita:
32 Ora, figli, ascoltatemi,
beati quelli che seguono le mie vie.
3 3 Ascoltate l'esortazione e siate saggi,
non trascuratela.
34 Beato l'uomo che mi ascolta,
vegliando ogni giorno alle mie porte,
per custodire attentamente la soglia.
3 5 Infatti, chi trova me trova la vita,
e ottiene il favore di JHWH;
36 ma chi pecca contro di me, danneggia se stesso;
quanti mi odiano amano la morte.
La Sapienza, avendo presenziato alla creazione e avendo
i-spirato il creatore, conosce il mistero della creazione. Chi
91
vuole capire la creazione può andare a scuola da lei. Chi,
frequentandola, vuole imparare a vivere in maniera conforme alla creazione deve tener aperti gli occhi e il cuore, al fine di scorgerla e di
essere trasformato dall'incontro con lei,
in maniera simile a come un innamorato aspetta e vigila incessantemente davanti alla casa dell'amata per vederla e
non perdere la sua vista, quando ella esce di casa.

Poiché la Sapienza è la forza vitale creatrice di Dio, come


ha spiegato la parte precedente di 8,22-3 1, l'incontro con
lei è l'incontro con la stessa vita. Mettendo in rapporto le
parole chiave di 8,32 («Beati quelli che seguono le mie
vie») con 8,22 ( «JHWH mi creò come principio della sua
via») il testo sottolinea addirittura una cosa: chi incontra la
Sapienza incontra JHWH stesso; chi segue le sue vie si incontra, nel farlo, con un compagno di viaggio che è lo stesso Dio creatore.
1.2 LA RICERCA DELLA SAPIENZA, ARTE DEL VIVERE
IN MODO CONFORME ALLA CREAZIONE
Possiamo leggere Prv 8,22-3 1 come variazione di Gen l.
Ambedue i testi lavorano con il contrasto fra 'mondo-prima-della-creazione' e 'creazione del mondo attraverso l'azione separante e ordinante
del Dio creatore'. Ambedue i
testi adoperano una metaforica tecnica. Il Dio creatore costruisce il cosmo così come si costruisce una casa. Prv 8,27-
29 adopera naturalmente anche verbi che altrove ricorrono
soprattutto nel contesto dell'attività giuridica di JHWH
(fissare, stabilire, disporre), cosa mediante la quale l'attività
creatrice viene simultaneamente caratterizzata come lo stabilire un ordine del mondo e della vita. In ambedue i testi
svolge un ruolo una potenza creatrice di JHWH, che gode
di una certa autonomia. In Gen l ,2 essa è la ru'?J di Dio,
cioè la sua forza vitale creatrice materna. In Prv 8,22-31 essa è la bokhma personificata, che in veste di idea della creazione guida il Dio
creatore, è nascostamente presente nella
casa del mondo creato e vuole essere trovata. Nello stesso
tempo la bella e felice di vivere signora Sapienza di Prv 8 è
un commento mitico e poetico di Gen l ,31: «E Dio vide
quanto aveva fatto, ed ecco, era cosa molto buona», cioè
bella e favorevole alla vita. Prv 8 esplicita questa frase mediante la personificazione della sapienza come giovane donna danzante e
scherzante, la quale fa dell'artigiano un artista, che in una specie di ebbrezza della creazione forgia il
mondo come casa della vita.
Se teniamo presente il contesto di Prv 1-9, nel quale si
colloca Prv 8,22-31, riusciamo a vedere il diverso profilo,
rispetto a Gen l, di questa teologia sapienziale della creazione. Come Gen l, anche Prv 1-9 vuole indicare un senso
e 'aiutare ad orientarsi in mezzo a una profonda crisi di identità. Ma mentre Gen l è parte di una concezione teologica sistematica, Prv 8,22-
31 delinea, nel contesto di Prv
1-9, la propria «teologia della creazione sotto forma di fondazione di una concezione etico-religiosa, nella quale la figura della sapienza
assume una posizione centrale. Per arrivare a questo esso disegna l'immagine del mondo in una
maniera polare. La sapienza divina è contrapposta alla donna straniera e stolta del regno degli inferi. Ambedue queste
figure femminili operano nel campo degli uomini e cercano
di indurii a seguirle. A questo scopo la figura della sapienza
afferma che la sua autorità deriva dalla sua origine premondana, che è spiegata in Prv 8,22-31. TI collegamento tra la
sua richiesta di sequela con la realtà degli uomini è stabilito
- diversamente da Gen l - in maniera molto diretta: la sapienza ha assistito all'atto divino della creazione, che è illu strato con l'aiuto di
termini desunti dal linguaggio giuri dico. Perciò ella conosce il diritto vigente nel mondo ed è in
grado di guidare le sue seguaci e i suoi seguaci sulla via giusta attraverso la vita. [. . . ] La sapienza è il criterio della vita
giusta; e precisamente [. . . ] sotto forma di aiuto per orientarsi e parimenti sotto forma di contenuto e di dottrina della vita»70•
Chi cerca questa sapienza come guida all'arte di vivere in
maniera conforme alla creazione può lasciarsi a questo scopo guidare dal libro dei Proverbi di Salomone: questa è la
pretesa di questa concezione teologica della creazione.

1.3 LA T6RAH,
PIANO ARCHITETTONICO DELLA CREAZIONE
Circa duecento anni dopo Prv 8, la teologia della creazione ivi delineata viene portata avanti in maniera significativa
nel libro di Gesù Sirach. Possiamo leggere come una riformulazione e come una continuazione di Prv 8 soprattutto
Sir 24. Come in Prv 8,1-3, in Sir 24,1-2 viene anzitutto costruito lo scenario per il discorso pubblico, che la sapienza
personificata tiene in 24,3-22. In questo discorso alla prima
persona singolare la sapienza descrive (in modo analogo a
Prv 8) la propria origine da Dio 'in principio' (24,3s.), la
propria presenza universale al momento della/nella creazione (24,5s.) e infine la propria ascesa a Sion (24,7-12), nonché la propria attività
creatrice fruttuosa svolta da Sion
(24,13 -17). Come in Prv 8, così anche in Sir 24,19-22 ella
conclude il suo discorso con un invito a percepire e ad accogliere la vita in lei presente:
19 Avvicinatevi a me, voi che mi desiderate,
e saziatevi dei miei prodotti. [. . . ]
22 Chi mi obbedisce non si vergognerà,
e chi compie le mie opere non peccherà.
Se questa prima parte di Sir 24 rimane ancora sul piano
enunciativo di Prv 8 (anche se l'origine della sapienza non è
più descritta con la metaforica della nascita e la sapienza
non agisce più come una donna giovane e giocherellona), la
seconda parte pone chiaramente nuovi accenti rispetto a
.Prv 8: Sir 24,23-34 identifica la sapienza con il libro della
Torah e precisa che la ricerca della sapienza consiste nello
studio della Tòrah. La Torah di Israele, che è «uscita dalla
bocca dell'Altissimo» (24,3) e che egli ha così «creato pri
·ma dei secoli, fin dal principio» (24,9) , è il progetto che ha
guidato JHWH nella creazione. Chi capisce la Tòrah, capi
.sce il mondo. Perciò la giusta interpretazione della T orah
·çontribuisce al mantenimento della creazione, e una vita
1conforme alla Torah è di conseguenza una vita conforme alla creazione .
. . Questa idea proposta in Prv 8 e in Sir 24, seconda la quale la sapienza è 'il principio' della creazione (Prv 8,22; Sir
�4,9), condusse poi a una rilettura di Gen 1,1. Comune a
.questi tre passi è il fatto che essi adoperano, nella loro teologia della creazione, il termine 'principio' (réshi'th). Se non
.l�giamo l'indicazione di Gen 1,1 beréshfth in senso tempo
.rale, 'all'inizio', bensì intendiamo la preposizione be nel sen
•o di 'per mezzo di, con', possiamo stabilire una sottile allu
·4.k>ne a Prv 8,22 e Sir 24,9: «Per mezzo del principio = per
·�ezzo della sapienza e della Torah, Dio creò il cielo e la
terra». E in effetti così il Targùm Neo/t'ti e il cosiddetto
·targùm in frammenti parafrasano la prima proposizione di
:.Gen l.

Il fatto che la Torah sia stata e sia il piano architettonico


della creazione diventa poi una concezione centrale della
teologia rabbinica. Il testo classico in questo senso è il
midriish Genesis Rabba, dove leggiamo:
La Torah dice: io fui lo strumento di Dio. Abitualmente, quando un re umano costruisce un palazzo, non lo costruisce in base alle proprie
idee, ma in base alle idee del capomastro, e neppure questo costruisce a suo piacimento, bensì possiede pergamene e tavole, su cui è
disegnata la suddivisione delle camere e
delle stanze. Così anche Dio guardò nella Torah e creò il mondo. E la Torah dice: con reshith (b•réshith), termine sotto il
quale non bisogna intendere altro che la T ora h, Dio creò il
mondo (come risulta da Prv 8,22).

KARL LONING- ERICH ZENGER


IN PRINCIPIO
DIO CREÒ
Teologie bibliche della creazione
321
QUERINIANA Editrice Queriniana, Brescia.
via Ferri, 75 - 25 123 Brescia Utalia/UE)

Nel libro dei Proverbi si


dice, infatti, che la sapienza, personificata, si è
costruita una casa fondata su sette colonne (cf.
Pr 9,1), che forse sono le sette raccolte di cui si
compone il libro.
Nella Bibbia, particolarmente nel libro dei
Proverbi, si paragona la vita dell’uomo a una
via, a una “strada”, e capire dove ci porta questa strada definisce anche che cos’è la sapienza
per la Bibbia: “Sapienza dell’accorto è capire la
sua via” (Pr 14,8).
12
Dunque la sapienza è un tratto esistenziale, è
un fatto imprescindibile per orientarsi nella vita:
è un “saper vivere” che abbraccia tutte le dimensioni dell’esistenza. La sapienza biblica è molto
concreta. Non è una filosofia, anche se lo stesso
termine greco sophía, come l’ebraico h okhmà,
inizialmente era radicato nell’esperienza, nel saper fare e non solo nel pensare.
Diciamo che la sapienza è una certa, corretta,
esperienza del mondo. Ma subito aggiungiamo,
con un detto più volte citato, che per gli antichi “le esperienze del mondo erano sempre …
esperienze di Dio” 1. La sapienza è certamente la
componente più laica, e per questo più universale, della Bibbia ebraica, quella che è più debitrice
anche della ricerca dei popoli vicini, dall’Egitto
alla Mesopotamia.
Non per questo cessa di essere “religiosa”,
almeno nel senso che l’origine e l’autore della
sapienza è Dio stesso, e quindi la ricerca della
sapienza è anche, implicitamente, una ricerca
di Dio. Per la Bibbia, e per le sapienze antiche,
1 G. von Rad, La sapienza in Israele, Torino 1975, p. 65.
13
Dio e mondo non sono dissociati. Infatti questa
ricerca andrebbe delusa se Dio stesso non avesse
posto, nel mondo, un senso che, dopo tutto, resta
ancora decifrabile, rimane ancora attingibile, ma
che lui solo può rivelare.

Alberto Mello
Le quattro colonne
della sapienza
Edizioni Qiqajon
Comunità di Bose.
in copertina: Emanuele Luzzati, Rabbi Loew, tecnica mista e collage su carta
(1995), Collezione privata
© 2017 Edizioni Qiqajon
Comunità di Bose
13887 Magnano (Bi)

OBIETTIVO DEL LIBRO


I Proverbi sono appunto insegnamenti saggi che servono per orientare
la quotidianità, perché essa sia vissuta nella giustizia e nella verità, in
6
compagnia della Sapienza. Essa proviene da JHWH, il Creatore di ogni
cosa, del mondo e dell’umanità.
Mazzinghi: “Chi ha composto Pr 1-9 (e forse anche il poema finale sulla
donna forte) e lo ha posto come prologo dell’intero libro è dunque
anche il responsabile della redazione conclusiva del libro, colui che ha
messo insieme le sette raccolte dei detti propri della sapienza più
antica, offrendo tali raccolte ai suoi lettori (ai suoi discepoli)
all’interno di un preciso progetto educativo: valorizzare tutto il
materiale proveniente dalla sapienza più antica ed elevarlo al rango di
parola di Dio” (Mazzinghi L., Il Pentateuco sapienziale, EDB, 2012, 55).
Certamente c’è una dinamica di causa-effetto, che non è
semplicemente punizione del male e premio per il bene, ma più in
profondità “ristabilimento della giustizia”, cioè di un corretto
comportamento nei confronti degli altri e della comunità nella quale
vive.
Vivere poi secondo la Sapienza significa felicità, successo, gioia,
realizzazione piena della propria esistenza qui sulla terra. Questa
prospettiva antropologica è di somma importanza, soprattutto se si
tiene conto che a questi saggi manca una chiara fede nella
sopravvivenza dell’uomo dopo la morte.
Ne deriva una peculiare figura di saggio: non cioè di colui che
obbedisce alla Legge mosaica, ma di colui che ha imparato a formare il
proprio agire e il proprio pensare a partire dalla propria esperienza di
vita, in continuo confronto-relazione con Dio.
Al saggio si contrappone lo stupido, che è colui che gode nel fare il
male (cfr. 10,23), che non accoglie l’insegnamento dei maestri e va per
la sua strada (cfr. 12,15) e frequenta cattive compagnie (cfr. 13,20).
7
Accanto a questo c’è l’inesperto, che è il giovane superficiale, facile
preda delle cattive compagnie e che rifiuta di percorrere un cammino
formativo.
Il tutto dentro una dinamica di apertura universale, proprio perché la
Sapienza è per ogni uomo, ha un forte connotato antropologico: la
saggezza di Israele cioè è veramente per tutti, perché la dimensione
umana e quella religiosa mai sono in conflitto, ma sono per l’unificazione
della persona tutta intera e per l’edificazione del popolo. Tale
universalismo poggia sul fatto che il messaggio della Sapienza è legato
alla creazione e per questo è accessibile a tutti gli uomini attraverso il
loro quotidiano vivere. Il che significa che esiste una Sapienza che è
insieme umana e divina, che non si ottiene per rivelazione diretta di
Dio, ma che nasce dall’incontro misterioso tra Dio (Sapienza
trascendente) e l’uomo (Sapienza immanente) all’interno del creato. Dio
e l’uomo dunque si incontrano!
Scrive il biblista Mazzinghi:
“La finalità primaria del libro dei Proverbi [è] offrire a tutti sapienza,
intelligenza e formazione. La sapienza è così la somma delle virtù
richieste all’uomo, è il saper mettere a frutto la propria esperienza e
imparare a vivere. La sapienza è strettamente legata all’intelligenza e
soprattutto al mûsar, che dobbiamo intendere nel senso di formazione
o anche di educazione, o come in altri passi di esortazione. Lo scopo
della sapienza infatti è prima di tutto di carattere pedagogico:
l’educazione riguarda prima di tutto i giovani […]
Si tratta di formare l’uomo, di educare, cioè, la persona alla libertà e
alla responsabilità, a prendere in mano la propria vita” (Mazzinghi L., Il
pentateuco sapienziale, EDB, 2012, 51-52).
Per questo motivo ai saggi non importa dare giudizi sulla realtà (come
facevano invece, ad esempio, i profeti), quanto piuttosto
8
comprenderla: essi sono dei realisti che guardano al mondo per ciò che
esso è. Siccome poi non c’è mai una soluzione preordinata ai problemi,
saggezza è saper discernere di volta in volta la soluzione migliore. La
prospettiva è indubbiamente ottimistica: è ferma la certezza che gli
uomini hanno la capacità di comprendere ciò che accade nel mondo, di
raggiungere la Sapienza, di poter vivere in armonia con il creato, con
gli altri uomini e con Dio: questo pur nella consapevolezza dei propri
limiti (cfr. 30,18-19).
Tale ottimismo è basato su Dio: JHWH infatti è il Creatore, del mondo
e dell’uomo: per questo il saggio non vuole cambiare, ma comprendere.
Conoscendo, agendo e credendo, l’uomo può fare unità nella propria
vita.

SOTTO IL CIELO
IL LIBRO DEI PROVERBI

La lingua e le forme letterarie


È stato detto che un proverbio all’interno di una raccolta muore10.
Coloro che leggono per la prima volta le varie collezioni di detti del
Libro dei Proverbi potrebbero concordare fermamente su ciò. Dopo un
po’ i detti sembrano mescolarsi; il saggio/virtuoso prevale sugli
stolti/empi. Anche ciò che ci sembrava arguto a prima vista diviene
monotono e trito a causa della ripetitività. I proverbi, comunque, sono
lungi dal morire, se letti con attenzione e con la consapevolezza della
loro forza e forma letteraria. Robert Alter aveva ragione di intitolare il
10 W. M ied er, citato in F o n ta in e , Traditional Sayings, cit., 54.
20 L'albero della vita
suo capitolo su Proverbi: “La poesia dell’intelligenza”11. Alcune osservazioni fondamentali sui detti e le forme sapienziali possono tornare
a
far vivere il Libro dei Proverbi.


È troppo semplice, sebbene quasi tradizionale, definire il libro dei
Proverbi come un compendio di etica, in questo caso della moralità
israelita. Giudizio che si è rafforzato per il tono ottimistico che risuona
frequentemente nell’opera e per il quale la sapienza, intesa come giustizia, prospera mentre la follia, l’empietà, si autodistrugge. A questo è
dovuta la popolarità del libro nella cultura occidentale, sia per la vividezza del suo linguaggio, sia perché portatore di verità sempre
opportune. Il libro viene citato liberamente, molte volte anche in maniera
inesatta, e ha goduto di un’autorevolezza maggiore rispetto a molti
altri libri della Sacra Scrittura. Ciò nonostante, raramente nell’uso
popolare se ne riconosce la vera e propria acutezza.
Il libro è permeato da un codice morale, ma il suo vero intento è
quello di formare la persona, forgiare il carattere, mostrare ciò che è
realmente la vita e indicare come meglio affrontarla. L’approccio preferito è quello di andare alla ricerca di paragoni ed analogie tra la
situazione umana e tutto il resto (animali e il resto della creazione).
Il libro non vuole imporre alcunché, tenta piuttosto di persuadere il
lettore, di stimolarlo a una condotta di vita (sebbene si debba ammettere che lo stile dei capp. 1-9 è più dogmatico che il resto dell’opera).
Forse nessun altro libro della Bibbia si presenta così ordinato: le sue
parti principali sono segnate da titoli:
1.1 “Proverbi di Salomone” (questo funge da titolo all’intero corpo
dei trentuno capitoli così come dei capp. 1-9);

La visione di Proverbi 1-9


L’introduzione maestosa al libro (1,1-6) trascina il lettore verso
la meta dell’insegnamento della sapienza. Del libro viene data la
chiave interpretativa, tutto quello che segue serve a fornire una
guida (o una “direzione”, tahbulòt, 1,5) e un ammaestramento alla
virtù (1,3). Naturalmente l’autore di questi versetti non faceva alcuna distinzione tra il secolare e il religioso com e si fa adesso.
L’ammaestramento, cosiddetto “secolare” che viene dato nel corso
dei trentuno capitoli concerne la pratica di una sapienza che è
essenzialmente religiosa. La terminologia di 1,1-6 è travolgente:
l’apprendimento, la comprensione, la rettitudine, l’accortezza, la
conoscenza e così via. Tutto si coniuga perfettamente al fine di
spiegare esattamente le ricchezze della sapienza. Queste non sono
poi nemmeno astratte: non di virtù meramente intellettuali si tratta,
poiché esse sono strettamente legate agli aspetti pratici della condotta umana.
Il v. 7, dove il timor di Dio viene considerato come principio della
Sapienza, funge da epigrafe dopo il prologo (vv. 1-6). La posizione
di tale versetto (riecheggiato in 9,10; 15,33; Gb 28,28; Sal 111,10) è
rilevante.
È il settimo versetto, quello che segue l’introduzione, e viene ripetuto in 9,10, alla fine della prima raccolta. Il timor del Signore viene
citato anche in 31,30 come una specie di inclusione al libro. L’idea
stessa viene ripresa frequentemente nella Bibbia con varie sfumature
(il timore sacro davanti alla divinità, l’adorazione, l’osservanza della
Legge)1. È l’equivalente della religione e della pietà biblica e, nel contesto dei Proverbi, del comportamento morale corretto. Per Gerhard
1 Cf. J. B e c k e r , Gottesfurcht im Alten Testament (AnBib 25), Istituto Biblico,
Roma 1965, spec. 210ss; J. M a rb ò ck , Im Horizont der Gottesfurcht: Stellungnahme zu
Welt und Leben in der alttestamentichen Weisheit, in BN 26 (1985) 47-70.
Proverbi: la saggezza delle parole 31
von Rad tale versetto “contiene in nuce tutta la teoria israelita della
conoscenza”2. È certamente degno di nota come un rimando a Dio stia
alla base di tutto il movimento sapienziale.
Nel contesto del libro (l’espressione) “figlio mio” sta ad indicare il
lettore disposto ad aderire alla dottrina della Sapienza. L’insegnamento
dei genitori (paterno e materno) assumerebbe quindi una funzione
metaforica in riferimento ai maestri di Sapienza. Se i vv. 8-19 s’intendono come l’ammaestramento del padre, in esso si può vedere un
avvertimento contro il pericolo della seduzione di profferte peccaminose.
L’ammaestramento della madre si può forse vedere nei vv. 20-33 nel
discorso della Signora Sapienza3. Questa suscita grande impressione,
parla pubblicamente e in modo impetuoso come un profeta biblico che
minaccia rovina e distruzione a coloro che non raccolgono il suo messaggio4. Al lettore vengono lasciate due vie, fra cui scegliere: la via
della stoltezza e quella dell’obbedienza alla Sapienza (vv. 32-33).
11 cap. 2 è una straordinaria composizione letteraria5. Nel testo in
lingua ebraica è una lunga proposizione: un poema sistemato in ordine
alfabetico composto da 22 versetti, quante sono le lettere dell’alfabeto
ebraico. Le prime tre strofe (vv. 1-4; 5-8; 9-11) iniziano con la prima
lettera, 'aleph, e contengono un messaggio “se-allora”. Le strofe della
seconda parte (vv. 12-15, 16-19, 20-22) iniziano tutte con lamed, la
lettera centrale dell’alfabeto, mettendo in risalto come la Sapienza
“salva” (vv. 12,16) coloro che la seguono. Viene anche annunciato il
programma che si seguirà nei capitoli successivi.
Il timor del Signore, la conoscenza di Dio e la Sapienza vengono
strettamente abbinate (vv. 5-6). Uno dei molti paradossi presenti nel
libro è che anche se la Sapienza è da perseguire mediante sforzi individuali, essa è essenzialmente un dono di Dio (2,6). Il contrasto tra bene
e male (vv. 20-22) è una reminiscenza del Sal 1.
Il cap. 3 comincia con 6 ammonizioni accompagnate da proposizioni contenenti la motivazione (vv. 1-12). Vengono toccate le tipiche
preoccupazioni della Sapienza: la necessità di “ascoltare”, la pro messa della “vita”, e una “fede nel Signore” che debellerà il pericolo
di credersi “saggio ai propri occhi” (cf. 26,12). Infine il maestro anticipa con una mossa audace un’obiezione (vv. 11-12; cf. Eb 12,5-6):
se la promessa di una vita piena e prosperosa non si realizza, la si
dovrebbe considerare, paradossalmente, come un segno del favore di
Dio, poiché il Signore ammonisce coloro che sono oggetto dell’amore divino.
I vv. 13-18 sono costruiti su un’inclusione, con la ripetizione del termine “felice” (un detto ’asre, o beatitudine). Il simbolismo tradizionale
viene adottato in un elogio alla Sapienza che è preziosa più dell’oro
e dell’argento, colei che accorda sia vita che pace, “albero della vita”
appunto (cf. 11,30). Il riconoscim ento del ruolo della Sapienza
nell’attività creatrice del Signore viene introdotto quasi all’improvviso
(v. 19), sebbene questo sia un tema ricorrente (Sai 104,24; 147,5; Prv
8,22-31). Ne viene desunta un’immagine molto semplice: nessuno edifica la casa senza ricorrere alla Sapienza (Prv 24,3-4); così pure è
sempre la Sapienza al lavoro nell’atto della creazione, soprattutto in quella
dell’acqua così benefica per gli abitanti della Palestina (v. 20). Il capitolo termina così come era iniziato, cioè con una serie di ammonizioni
nei vv. 25ss.
II cap. 4 contiene una descrizione toccante del ricordo dell’istruzione dei genitori (vv. 1-5). Il maestro continua con una intensità (cf.
anche 7,1-4) che richiama una delle esortazioni del Deuteronomio:
acquista la Sapienza! La metafora del diadema e della corona richiama
1,9 e 3,3. “Via” e “vita” sono termini chiave che racchiudono in inclusione i vv. 10-27; la via della sapienza è il sentiero del giusto (v. 18)
che porta alla vita; mentre non si deve seguire la strada delTempio (v.
14). Il motivo delle due “vie” sviluppa il testo di l,32-336.
Il tema della “donna straniera” contenuto in 2,16 viene ripreso nei
capp. 5 -7 . L’insistenza su questo suscita qualche perplessità.
Ammesso che la condotta sessuale costituisca una materia legittima
per l’insegnamento della sapienza (22,14; 23,27-28), perché viene trattata in modo così dettagliato?7
Forse ha qualcosa a che fare con l’antitesi Signora Sapienza-Donna Follia (esplicitamente sviluppata nel cap. 9). Alla ricerca della
6 Sul tema della “via”, vedi N. H a b e l, The Symbolism of Wisdom in Proverbs 1-9,
in/m 26 (1972) 131-157.
7 Cf. R o la n d E. M urphy, Wisdom and Eros in Pro. 1-9, in CBQ 50 (1988) 500-
603.
Proverbi: la saggezza delle parole 33
Sapienza personificata in una donna viene opposta la sua controparte e
cioè la seduzione della Follia, anch’essa presentata come una donna. E
notorio l’impiego nella Bibbia del linguaggio figurato per esprimere la
fedeltà o l’infedeltà a Dio (Osea). Viene confermata più volte la triste
storia di “fornicazione” d’Israele con altri dèi, i Baal e le Asherah. Si è
suggerito che la “straniera” sia una devota del culto canaaneo della fertilità che attraeva tanti ebrei8. Identificazione difficile da stabilire. La
donna potrebbe essere semplicemente un’altra israelita e l’avvertimento riferirsi rigorosamente alla fedeltà coniugale. Allo stesso tempo, ci
potrebbe essere qui un altro livello di significato che suggerisce la
fedeltà religiosa e la ricerca del timor di Dio. La figura della Signora
Sapienza sembra aver fornito il modello per quello di Donna Follia
(9,13-18). In ogni caso è da notare come l’insegnamento si mantiene
su una linea unilaterale. Il giovane viene ammonito contro l’azione
seduttrice della donna, ma non viene mai fatta menzione della sua
responsabilità; non lo si porta mai a riflettere sul suo desiderio sessuale
o sull'asservimento alla sua passione sessuale.
L’ammonimento di 5,1-14 è abbastanza schietto: i piedi della “straniera” vanno verso la Morte/Sheol (v. 5), e all’infelice resta solo la
recriminazione (vv. 12-14). Al giovane viene data una precisa raccomandazione, quella di essere fedele alla propria sposa («Bevi l’acqua
della tua cisterna», v. 15), il cui amore sarà fonte di vita per lui (vv. 18-
19). Il tema dell’adulterio viene interrotto in 6,1-19 per dare dei consigli su altri argomenti: il farsi garante per il prossimo (vv. 1-5), la
diligenza (vv. 6-11), un giudizio sul malfattore (vv. 12-14). Segue un detto
numerico sulle cose che il Signore aborrisce (vv. 16-19). L’ammonimento pressante contro le parole adulataci dell’adultera viene comunque
ripreso di nuovo in 6,20-35. Il giovane viene posto di fronte agli
esiti negativi che può attendersi (se non osserva i precetti dati), come
le domande sull’impossibile dei vv. 27-28, e la follia dell’adulterio che
va incontro alla punizione fisica (vv. 32-35).
Nel cap. 7 viene vividamente narrata dal saggio la seduzione di un
giovane uomo. La donna parla a lungo con parole melliflue (vv. 14-
20). Di tutta la scena colpisce l’enfasi proprio sul parlare, come se la
seduzione prima ancora di essere sessuale si attuasse sul piano verbale
(in 7,5 e 6,24 si trova l’espressione “dolci parole”). La parola ha il
potere di persuadere, persino di sedurre, e ciò viene messo in luce
tanto quanto la stessa compiacenza sessuale9.
Nei capp. 8-9 l’autore torna sull’esplicita personificazione della
Sapienza che s’incarna in una donna (cf. 1,20-33). La struttura del cap.
8 è stata variamente interpretata, ma il suo significato generale è chiaro10. La Sapienza viene presentata alla maniera di un profeta che
chiede di essere ascoltato, ponendo particolare enfasi sulla veridicità del
suo messaggio, sulle sue influenze regali («Grazie a me i re regnano»),
sul benessere e sulla gloria che lei reca a coloro che l’amano. In un
passo davvero sublime (vv. 22-31) ella descrive poi la sua origine divina quale principio della creazione divina. Essa è stata vicina non solo
a
Dio (come “architetto” o “prediletta”, v. 30) ma anche agli esseri
umani, trovando piacere nello stare con loro. Il suo discorso si conclude con un altro appello affinché le si presti attenzione (l’invito
“ascoltate” ricorre tre volte nei vv. 32-34), e con la sbalorditiva promessa di
vita opposta alla morte (vv. 35-36). Il senso del cap. 8 dei Proverbi
viene chiarito successivamente nel cap. 9 dove si parla della personificazione della Sapienza (cap. 9). Qui la Signora Sapienza si misura con
la Signora Follia (i detti dei vv. 7-12 separano queste due figure).
Entrambe inoltrano l’invito a un banchetto a cui prende parte la vita
(in quello della Sapienza, v. 6) mentre la morte è presente in quello
della Follia, i cui invitati finiranno nello Sheol (v. 18).
E facile notare come i capp. 1-9 si distinguano dal resto del libro sia
per quanto riguarda la forma (lunghi poemi) sia per il contenuto (tono
esortativo e forte enfasi sulla rettitudine e sulla cattiveria). Tranne che
in poche massime (come nel cap. 3 e in 6,1-19), l’intento in essi è
infatti quello di convincere il lettore a intraprendere il sentiero della
Sapienza/giustizia.
Poiché questa sezione del libro si differenzia notevolmente dai capi9 Vedi J.-N. A l e t t i , Séduction et parole en Proverbes i-tx, in VT 27
(1977) 129-44.
10 Skehan scopre sette unità di cinque linee (con 8,11 che è una glossa basata su
3,15), introdotte dall’enfatico ‘ani (“io”) nei vv. 12 e 17, le origini della Sapienza nei
vv. 22-31 (con 'ani nel v. 27), e la conclusione “adesso quindi" (w e'atta) nel v. 32; cf.
S k eh a n , Studies, 14. M. Gilbert descrive 8,1-3 com e un’introduzione e ritiene che
tutti “gli autori” distinguano quattro sezioni: 8,4-11.12-21.22-31 (un'unità). 32-36 (la
finale). Egli considera queste sezioni come una raccolta che fornisce al pubblico le
motivazioni necessarie per ascoltare l’insegnamento della Sapienza (contenuto nei
capp. 10—31 ). Cf. Le discours de la sagesse en Proverbes 8, in La sagesse de VAncien
Testament (BETL 51; a cura di M. G ilb e r t), Leuven University Press, Leuven 1979,
202-218, spec. 218.
Prowrbi: la saggezza delle parole 35
toli successivi, sono sorte varie ipotesi circa rambientazione e la data
del materiale in essa contenuto. Sebbene tali sforzi si siano rivelati di
una scoraggiante ambiguità, essi hanno comunque il non piccolo valore
di stimolare l’immaginazione del lettore. Due tesi possono essere considerate tipiche. La prima appartiene a Bernhard LangM, il quale
propende
per l’influenza esercitata dalla letteratura sapienziale egiziana (vedi
Appendice). In Prv 1-9 egli vede dieci discorsi sapienziali che un maestro rivolge ad un allievo (“Figlio mio”). Essi costituivano un testo su
cui gli allievi continuavano il loro tirocinio per diventare funzionari di
cone (come succedeva pure in Egitto), nonostante il loro insegnamento
fosse meno rivolto verso una certa classe, forse per effetto delTinfluenza del carattere tribale del popolo di Israele. Questa influenza egiziana
si addice a una datazione remota del materiale, riconducibile perfino al
periodo di Salomone. Otto Plòger12, invece, è molto più cauto sull’attribuzione ad una scuola dei capitoli in questione. Questi suggerisce
che si
tratta di una specie di manuale o guida destinati ad un pubblico più
vasto che quello di studenti. La datazione viene lasciata del tutto aperta.
In un periodo che abbraccia circa 7 secoli (dal 900 al 200 a.C.) viene
vista la compilazione delle ammonizioni e delle sentenze (si veda lo
stile dei capp. 1-9 per le prime e dei capp. lOss per le seconde).
Generalmente si è dell’opinione che i capp. 1-9 risalgano al periodo
successivo all’esilio, ma è ovvio che ci sia molta incertezza al riguardo.
Messi a confronto con i capp. lOss, i capp. 1-9 rivelano una concentrazione sulla Sapienza, proprio ciò che Gerhard von Rad ha definito.

Riflessioni conclusive
1 ) STRUTTURA. Si tratta di una raccolta un po’ casuale dell’antica
Sapienza israelitica? Visto unicamente da un punto di vista strutturale,
il libro sembra molto di più di ciò. P. Skehan ha ritenuto che Fautore
abbia disposto le colonne portanti del testo seguendo il disegno di una
casa (che è stata chiamata “la casa della Sapienza” in 9,1 ), modellata
sul tempio di Salomone34. Si sia o meno disposti ad accogliere tutti i
dettagli architettonici di una tale ricostruzione, Tosservazione di
Skehan, comunque, riguardo al valore numerico dei nomi (e del termine hkmym, o “saggio”) nei titoli merita un’attenta considerazione.
In primo luogo 1,1 ha tre nomi, slmh, dwd, y sr ’l, il cui corrispondente numerico è 375, 14 e 541, per un totale di 930. Vedremo come
tale accenno nel titolo del libro viene avvalorato dal numero complessivo dei righi del libro, ovvero 930. Il titolo di 10,1, poi ha slmht
l’equivalente di 375, e questo è il numero dei singoli capoversi dei
proverbi in questa raccolta salomonica (10,1-22,16). In terzo luogo, la
collezione di “Ezechia” (i capp. 25-29) ha 140 capoversi o detti. Nel
titolo di 25,1 Ezechia è la parola che mette in funzione il tutto. Il valore numerico delle sue consonanti, può equivalere a 130 (così la
computazione a partire dal TM), 136, 140 o 146. La scelta corretta, tenendo conto dell’intero libro, e 140 (yhzqyh). Ancora, il termine
hkmym (il
titolo di 22,17 e 24,33) o “saggio" ha come valore numerico 118 e
questo è il numero dei capoversi di 22,17-24,32 e 30,7-33. In ultimo,
si può aggiungere a tutto questo il resto dei detti: 16 (per quelli di
Lemuel e di Agur) e 22 (il poema acrostico sulla donna di 31,1 Oss) per
un totale di 38, e 259 righi nei capp. 1-9.
Ne risulta: 259 righi per i capp. 1-9; 375 per 10,1-22,16; 118 per
i detti del hkmym di 22,17-24,32 e 30,7-33; 140 per i capp. 25-29;
38 per Lemuel e Agur ed il poema acrostico. La somma totale è 930
righi in tutto il libro, come si era accennato in 1,1. Di tale conteggio
non fanno parte le glosse che creano una certa armonizzazione in
1,16; 8,11; 24,33-34, sulle quali si sono interrogati molti studiosi
per varie ragioni35. Si deve dire, comunque, che un tale risultato non
può essere frutto di coincidenze. E ciò conduce a una conclusione
del tutto plausibile: la redazione finale del libro si deve alla mano di
una sola persona.
2) TEOLOGIA. Il cap. 8 ha un posto d’onore nella storia della teologia, inquanto è servito come origine nella controversia ariana della
chiesa primitiva. La personificazione della Sapienza è molto importante, come vedremo nel cap. 9 di questo nostro studio. M a i teologi
raramente hanno considerato il libro nella sua interezza come una
fonte teologica36. Non è il tipo di opera che trova commentatori tranne che per il grande riformatore Melantone, che scrisse ben due com
mentari sul libro! Generalmente, il libro viene considerato come una
specie di fonte per una guida morale e in questo senso si può annoverare dietro alla stessa Torah. Il suo contributo non è poca cosa, e si
può facilmente immaginare l’importanza delle raccolte come strumento di formazione morale tra gli israeliti. L’estensione dei proverbi, con
un contenuto che m ira alla persuasione p iu tto sto che
all’imposizione, ne deve aver fatto un’avvincente fonte per l’affermazione dell’ethos di gruppo.
Quest’approccio al libro che sa di utilitarismo non è comunque
ancora quello adeguato. Lo appiattisce infatti, attribuendogli il carattere di manuale di morale. Ci si dovrebbe attenere alla miscela
misteriosa dei capp. 1-9, ai modi in cui quest’introduzione al libro (una continuazione del program m a posto in 1,1-6) m odella una visione
teologica. La visione teologica può essere enunciata chiaramente: il
libro ha la pretesa di offrire al lettore “la vita” o la “salvezza”.
Quando i salmisti pregano per essere “salvati”, essi aspirano ad una
restituzione della vita piena nell’immediato presente. Così essa è
anche intesa nei Proverbi. La Sapienza personificata ha un kerygma:
annuncia la “sicurezza” (1,33) e la “vita” (8,35). L’insegnamento del
saggio è “fonte di vita” (13,14); ciò è riferito anche al “timore di Dio”
(14,27), che è anche principio di sapienza. La fonte e l’albero della
vita sono simboli frequenti: 10,11; 16,22; 3,18; 11,30; 13,12. “Vita”
concretamente significa onori e ricchezze (22,4), un buon nome (10,7;
22,1) e una lunga vita (3,16; 28,16). Il kerygma dei saggi si trova
anche in altri libri. Amos esortava Israele a cercare il bene e non il
male “affinché possiate vivere” (Am 5,14). In Is 55,1-3 Israele viene
invitato da Dio ad un banchetto: «Ascoltatemi e avrete la vita». La predicazione deuteronomica offriva ad Israele la scelta tra la vita e la
morte (Dt 30,15-20; cf. Sir 15-17). La messa in guardia qui è d ’obbligo. La vita è molto di più che i beni semplicemente materiali; questi
sono considerati sacramentali, segni cioè della benedizione di Dio (Prv
10,22).
Per molti lettori il concetto di vita si schiude sempre a nuovi significati (persino all’interno dell’Antico Testamento; cf. Sap 1,15;
2,23-3,3; ecc.). Ma la prospettiva di Proverbi è la vita nell’immediato
presente.
L’offerta della vita è un dono, poiché la Sapienza stessa è un dono di
Dio (Prv 2,16). Paradossalmente, comunque, la Sapienza non si può
conseguire senza lo sforzo umano. Viene anche rivendicato il bisogno
di disciplina e di obbedienza agli insegnamenti. La Sapienza si rivela
almeno con due facce in questo libro: essa chiama (nei capp. 1-9), ma
gli uomini devono rispondere (capp. 10-31)37.
Si potrebbe muovere qualche obiezione a questa interpretazione di
Proverbi in quanto il suo insegnamento ottimistico è in conflitto con il
libro di Giobbe e di Qoelet. Conflitto che non si può negare: la sofferenza del giusto non viene trattata adeguatamente in Proverbi (vedi
Pr\> 3,11-12), e Qoelet prende una dura posizione contro la tradizione
sapienziale, in quanto questa non fornisce le risposte agli interrogativi
37 C f. R o la n d E. M u r p h y , The faces o f Wisdom in the Book o f Proverbs, in
Mèìanges bibliques et orientaux en I'honneur de M. Mathias Delcor (AOAT 212. a
cura di A. C a q u o t ed altri), Neukirchener, Neukirchen-Vluyn 1985, 337-45.
Proverbi: la saggezza delle parole 51
che egli pone. Ma che esista una certa tensione tra le varie parti della
Bibbia (la descrizione della conquista in Giosuè paragonata al cap. I
dei Giudici) o airintem o di un singolo libro (Qoelet) non è niente di
nuovo.
Sarebbe un errore sottovalutare ciò che hanno conseguito i saggi la
cui eredità è raccolta in Proverbi. Si potrebbe dire che essi partecipano
della debolezza del Deuteronomio (sul problema della retribuzione),
ma anche della forza di molti salmi (per esempio. Sai 16.11 ; 23, 6).


SIGNORA SAPIENZA
Per motivi che a questo punto potranno apparire chiari (dalla visione femminista della sapienza personificata), sarebbe meglio parlare
forse di Donna Sapienza. Al cap. 9 ci interessava mettere ogni cosa in
chiaro, vale a dire esporre concisamente i dati biblici riguardanti la
Sapienza nella forma più obiettiva possibile, e penso di essere riuscito
a raggiungere questo obiettivo. Ho cercato anche di differenziare fra i
vari testi esam inati. Così la Sapienza di Prv 8 differisce dalla
Sapienza di Sir 24, nonostante alcuni punti di somiglianza. Il Siracide
identifica chiaramente la Sapienza con la Legge, mentre il testo dei
Proverbi che riguarda la Sapienza lascia aperta la sua identità e va
considerato alla luce della “donna straniera”, che funge da contrasto.
Dubito che si possa delineare un ritratto coerente della Sapienza nel
suo viaggio attraverso questi libri. Da un punto di vista ermeneutico
ho segnalato come i livelli più antichi dell’identità della Sapienza (ad
es., in Prv rispetto a Sir) conservino la loro validità. Non c’è bisogno
di combinarli insieme confondendoli, né lo stadio finale nello sviluppo della Sapienza è l’unica prospettiva valida. Personalmente ho cercato
(Murphy, 1994) di trarre da questi testi alcune conclusioni su
Dio, ma - a dire il vero — penso di non esserci molto riuscito. Un saggio scritto nel 1995 ha deliberatamente escluso la discussione teologica
(Murphy 1995, 233).
E stato scritto molto sullo sfondo della personificazione della
Donna Sapienza (vedi alle pp. 176-178, sopra), ma regna l’incertezza.
M. V. Fox (1995) ha mostrato in maniera definitiva che il parallelo
282 L'albero della vita
della Sapienza con l’egiziana Ma‘at non regge, né è valida l’associazione tra il presunto ordine del mondo nella sapienza israelitica e
Ma‘at.
Judith Hadley (1995, 234-243) ha passato in rassegna varie identificazioni della Sapienza con una qualche divinità. L’autrice ha analizzato i
dati di Prv 8 e Gb 28 per «esaminare se questa personificazione
della Signora Sapienza si riferisca o meno a una persona reale (una
divinità o una ipostasi), oppure se si tratti di un semplice espediente
letterario» (p. 234). L’autrice sembra essere favorevole a questa
seconda ipotesi, poiché esprime l’opinione che «la chiara apoteosi
della Signora Sapienza nella letteratura biblica non è una legittimazione del culto di una divinità “attuale”, ma piuttosto una compensazione
letteraria per lo sradicamento di questa divinità» (p. 236). La
sua dissertazione sul culto di Asherah è annunciata come «di prossima pubblicazione». Le scoperte di dipinti e iscrizioni a Kuntillet
Ajrud e Khirbet el-Qom hanno suscitato molte discussioni negli ultimi decenni, in particolare l’interpretazione di quello che sembra essere
un riferimento alla Ashera di yhwh. O. Keel e C. Uehlinger (1992,
237-282) si dicono fermamente convinti che queste scoperte non
hanno prodotto alcun argomento definitivo contro la tesi di uno jahvismo monoteistico in questo periodo (press’a poco nel see. vili) e che
di fatto esse militano contro l’esistenza di una paredros o consorte del
Signore (p. 282). Non diversa dalla “compensazione letteraria” di J. Hadley è l’ipotesi di J. Blenkinsopp (1995, 43-44; cf. anche 1991, 457-
473), secondo
cui la Donna Sapienza sarebbe stata creata come reazione alla “donna
straniera”: «Una linea più promettente di indagine, credo, inizia con il
presupposto che la Donna Sapienza di Prv 1-9 sia stata concepita
come contrapposizione all’influenza deleteria della Donna Straniera
la quale perciò costituisce la persona simbolica primaria in questi
capitoli. La Donna Straniera rappresenta culti stranieri, in particolare
quei culti caratterizzati da una forte componente sessuale» (1995,43).
Dietro a questo simbolo ci sono i culti della dea, in particolare i culti
di Asherah. Come abbiamo già segnalato, non c’è alcun motivo per
negare livelli di significato di queste figure in Prv 1-9, ma non c’è
alcuna prova chiara che mostri la direzione dell’influsso, in che modo
cioè una ha condizionato lo sviluppo dell’altra. Certamente, lo sviluppo della figura della Sapienza nei libri più recenti dipende dalla figura
della Donna Sapienza e non dalla “Donna Straniera”. La figura della
donna che è una “straniera” è tuttora oggetto di grande dibattito, ma
Supplemento 283
lo studio di C. Maier (1995) si dimostrerà fondamentale per la soluzione del problema. L’autrice analizza i testi pertinenti e situa questa
donna sullo sfondo postesilico al quale essa appartiene.

..
Proverbi 8
Proverbi 8 è il testo fondamentale per lo studio della Signora
Sapienza, poiché essa parla a lungo in prima persona (come fa pure,
ma più brevemente in 1,22-23 e 9,4-6). In ciascuno di questi esempi,
essa viene introdotta in modo simile; cf. 8.13 con 1,20-21 e 9,3. Il suo
appello è pubblico e universale (anche agli stolti e ai semplici). Per
prima cosa rivendica l’onestà e l'integrità del suo messaggio: in netto
contrasto con colei che parla in modo mellifluo, la donna “straniera" di
Prv 2,16; 5,3; 6,4; 7.21; la Sapienza offre 'émet e sedeq, verità e giustizia (8,7-8). Questa affermazione implicitamente dice di più che
semplice onestà; queste parole sono associate al Signore che è veritiero
( ’émunà) e giusto (saddìq) - tale è la via della Sapienza e della virtù.
Non sorprende che il suo insegnamento non abbia prezzo (8.10-11);
una dichiarazione che viene ripetuta molte volte nella letteratura
sapienziale (Prv 2,4; 3,14-16; Gb 28J 5-29; Sap 7,8; 8,5); 8,11, invero.
La Signora Sapienza 1 7 5
ripete 3,15 ed è palesemente una glossa perché non è nello stile
dell'appello in prima persona che la Signora Sapienza sta indirizzando.
In 8,12-16 essa continua la descrizione delle elevate qualità che lei
trasmette (il testo ebraico pone Taccento s u lf “io” o ego in tutti i
numerosi versetti successivi): prudenza, conoscenza e avversione a
qualsiasi cosa cattiva. Proprio le qualità di consiglio, fortezza e intelligenza rendono la Sapienza il fondamento del governo regale (queste
qualità sono divine secondo Gb 12,13 e per Is 11,2 sono doni dello spirito del Signore alla figura messianica). Non solo i regnanti, ma
chiunque l'amerà (vv. 17-21) avrà l'opportunità di arricchirsi. Poi viene il
celebre brano sulle sue origini: 8,22-31.
Il Signore generò la Sapienza come primogenita (fckgenerò"= "creò"
secondo la l x x ; altri intendono "acquistò", come se la Sapienza provenisse da un’altra area e fosse quindi utilizzata poi dal Signore)4.
L’enfasi sulle origini divine continua nei vv. 24-25 ("generata’',
“nata"). L’origine della Sapienza prima della creazione viene affermata in circa mezza dozzina di modi (8.23-29). Ciò permette al poeta di
dare una descrizione del cosmo, superiore e inferiore, che conduce ad
un’affermazione del posto proprio della Sapienza nella creazione:
A llora ero con lui co m e ’m w n.
e mi d ilettavo giorno per giorno,
giocan d o davanti a lui tutto il tem po,
giocan d o sulla superfìcie della sua terra,
e la m ia delizia (era) con il gen ere um ano (8,30-31 )
Questa traduzione letterale rispetta il mistero di Vmvrc, il cui significato, come abbiamo visto, è incerto (“l'artefice”? Allora la Sapienza
avrebbe un ruolo nell’attività creativa; “la prediletta”? Allora il ruolo
della Sapienza sarebbe quello di un bambino che sta semplicemente
giocando). In ogni caso, si dovrebbe prestare la dovuta attenzione alla
significativa ripetizione di “dilettarsi/delizia” e di “giocando”. La l x x
interpretò la delizia del v. 30c come delizia del Signore, ma il testo
dice semplicemente che è la Sapienza ad essere piena di delizia, e il v.
31 mostra come tale delizia viene associata all’umanità (oltre che a
Dio). La delizia viene ulteriormente qualificata con il riferimento al
“giocare” in presenza di Dio sulla faccia della sua terra. Possiamo
Sapienza, che in qualche modo è connessa con la sua associazione con
il genere umano. Il brano rimane misterioso.
La conclusione del discorso (8,32-36) è molto chiara e diretta. Inviti
a prestare ascolto (per tre volte in 32-34) e beatitudini sono diretti a
coloro che consacreranno se stessi al conseguimento della Sapienza.
Ma il v. 35 è sorprendente:
Chi trova me, ha trovato la vita e ottiene il favore del Signore.
È la ben nota associazione tra la vita e la Sapienza, ma resa in modo
molto personale (“chi trova me”). C’è qui una interessante sovrapposizione con Prv 18,22:
Chi ha trovato una moglie ha trovato una fortuna,
e riceve il favore del Signore.
Il “trovare” (cioè, ottenere) una buona moglie viene visto come un
grande dono nei Proverbi (18,22; 31,10) - così è anche il “trovare'’ la Signora Sapienza (8,35; cf. 3,13; 8,17). È una questione di vita o di
morte (8,36).
Questo straordinario discorso della Signora Sapienza sembra avere
un proposito deliberato all’interno del libro; se Prv 1-9 rappresenta
r “introduzione” alle successive collezioni di singole massime, questa
figura potente e stimolante assorbe tutta la Sapienza pratica d’Israele
dentro l’orbita della sua attività. E tuttavia ciò non può esaurire il
senso di una persona che, originata da Dio prima della creazione, è
causa di gioia e di diletto sulla terra, ed è coinvolta con gli esseri
umani. Le funzioni della Sapienza sono molteplici; sono estese quanto
la vita stessa, in armonia con le sue eterne origini dalla fonte di tutta la
vita. Come vedremo, questo personaggio “aperto”, come è la Signora
Sapienza, permise ai saggi posteriori di fare ulteriori aggiunte e di conseguire così una formidabile descrizione di lei stessa e delle sue
attività. E persino quando è specificamente identificata alla Torah da
Sirach e da Baruch, non è totalmente delimitata - essa sembra trascendere persino i più nobili limiti.
La questione dell’identità della Sapienza in Prv 8 ha rappresentato
una sfida particolarmente allettante per gli storici delle religioni, e la
questione rimane tuttora irrisolta. B. Lang ha soppesato attentamente i
Lo Signora Sapienza 177
vari tentativi di catturare le origini elusive di questa figura5. Egli ha
rifiutato la tesi dell’influenza cananea/assira che è stata proposta sulla
base del testo incerto di Ahiqar (vedi Appendice). In Ahiqar non è presente alcun discorso pronunciato da una dea della Sapienza, né la
Signora Sapienza ha tratti di una dea assira. Una tesi più solida è quella che vede una relazione tra la Sapienza e la ma'cit egiziana (si ricordi
che la “giustizia” astratta o ma'at era anche personificata come dea).
La descrizione di ma*at sembra aver influenzato la presentazione della
Sapienza in Prv 1-9 (vedi Appendice), sebbene questa influenza sia
meno evidente in Prv 8. Lang stesso giungeva alla conclusione che la
figura era una personificazione della scuola sapienziale: «una ricostruzione didattica finalizzata a lasciare un’impressione sullo studente»6.
Ma quando Lang tornò sull’argomento nella traduzione inglese e nella
revisione del suo studio, sostenne che Israele aveva un passato politeistico in cui veniva onorata una dea della Sapienza come la «patrona
dell’educazione e dell’istruzione dello scriba»7. Egli ha poi ipotizzato
che questa venne intesa come una semplice personificazione di genere
poetico, rappresentante «l'insegnamento sapienziale con le sue ingiunzioni morali»8. Così essa venne ricevuta nel canone biblico.
Teorizzazione certo ingegnosa ma altamente incerta.
Gerhard von Rad ha ritenuto che, soprattutto in Prv 8,22-29, «è
stato preso chiaramente in prestito lo stile di una specifica proclamazione divina egiziana, e che nei vv. 30ss l'idea egiziana di una divinità
innamorata della verità personificata (ma*at) in qualche modo si è
introdotta, seppur non senza modifiche interne, nel nostro poema
didattico... Ma cosa prova tutto ciò? Solamente che idee che avevano
di esse, per poter progredire nel suo pensiero all’interno dei suoi propri
ambiti»9. Von Rad vedeva la Signora Sapienza come una personificazione delfordine del mondo che egli considerava come centrale nel
pensiero sapienziale. Comunque, «la caratteristica più interessante
della nuova impostazione è che questo ordine del mondo si rivolge,
come una persona, agli uomini corteggiandoli e incoraggiandoli con
un discorso diretto. Ciò che qui è oggettivato, quindi, non è un attributo di Dio, ma un attributo del mondo, e cioè quel misterioso attributo,
in virtù del quale essa si rivolge agli uomini per mettere ordine nelle
loro vite»10. Se si ammette la centralità dell’ordine nel pensiero sapienziale, così come fanno tanti studiosi, allora la conclusione di von Rad
è
logica. La sapienza personificata è per lui ‘T autorivelazione della
creazione” (il titolo che egli dà alla trattazione di questo argomento nel
cap. 9 del suo Sapienza in Israele).
Comunque, le stesse origini e l'autorità della Sapienza suggeriscono
qualcosa di più che la personificazione di un ordine della creazione. La
Sapienza è in qualche modo identificata con il Signore. Il richiamo
della Signora Sapienza è la voce del Signore; lei è la rivelazione di
Dio, e non semplicemente l’autorivelazione della creazione. Lei è la
chiamata divina emessa nella e attraverso la creazione, che risuona
attraverso il vasto reame del mondo creato, e udita a livello delf esperienza umana. Questo è il compito che sembra esserle assegnato in Prv
8,31. La descrizione anteriore di von Rad della Signora Sapienza era
più accurata:
Non è meno corretto dire che la Sapienza è la forma in cui la volontà
di Jahweh ed il suo farsi compagno dell’uomo (cioè, la sua opera salvifica) accostano l’uomo. La Sapienza è l’essenza di ciò di cui l’uomo
ha
bisogno per una vita giusta, e che Dio gli concede. Inoltre, la cosa più
importante è che la Sapienza non si rivolge all’uomo sotto forma di un
soggetto "neutro”, insegnamento, guida, salvezza o cose simili, ma di
una persona, un "io” che lancia un invito. Così la Sapienza è davvero la
forma in cui Jahweh si fa presente e in cui desidera farsi cercare
dalfuom o. «Chi trova me, trova la vita» (Prv 8,35). Solo Jahweh può
parlare in questo modo. E tuttavia, la Sapienza non è Jahweh stesso; è
qualcosa di separato da lui: infatti, designa se stessa come creatura di
9 Vo n R a d , Wisdom in IsraeL c it.. 153.
10 V o n R a d , Wisdom in Israelyc it., 156.
La Signora Sapienza 179
Jahweh, quantunque la primogenita tra tutte le creature (P rv 8,22) e si
identifica con i pensieri che Dio nutriva in sé nel creare il mondo (Prv
3,19)".
Non si deve scegliere tra Dio e la creazione nella Signora Sapienza,
come fa von Rad. In definitiva, la rivelazione della creazione è la rivelazione di Dio. Dio parla attraverso la Sapienza/creazione, che è rivolta
agli uomini e parla con gli accenti di Dio. Questa è la nota fondamentale di Prv 8. P. 178

Roland E. Murphy
L’ALBERO DELLA VITA
Una esplorazione
della letteratura sapienziale biblica
seconda edizione aumentata
Editrice Queriniana
Titolo originale
The Tree of Life.
An Exploration o f Biblical Wisdom Literature
(The Anchor Bible Reference Library)
© 1990 by Doubleday (a division of Bantam Doubleday
Dell Publishing Group, Inc.), New York (U.S.A.)
© 1996 per il Supplemento
by William B. Eerdmans Publishing Company,
Grand Rapids, Michigan (U.S.A.)
© 1993, 20002 (aum.) by Editrice Queriniana, Brescia
via Ferri, 75 - 25123 Brescia (Italia)
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L'AUTORIVELARSI DELLA CREAZIONE


Affrontiamo a questo punto uno dei problemi più frequentemente
discussi di tutta la letteratura sapienziale. Come devono essere intesi
i grandi poemi didattici come Prov 8# Giob 28, Eccli 24 ed altri, che
parlano della « sapienza » come di una realtà personificata, immanente
alla creazione? Non è facile abbracciare con un solo sguardo la letteratura scientifica su questo tema. Se la si passa in rassegna, potrebbe
sembrare che il più grande enigma risieda nel problema dell'origine
storica di questo gruppo di nozioni veramente singolare, le quali parlano di una sapienza che si rivolge personalmente all'uomo. Si è risposto
in modo molto vario a questo problema certamente importante;
ma esso è secondario rispetto ad un altro problema, quello del significato per la fede in Jahve di questa concezione come attualmente
appare nei testi. (Se si crede di poter parlare di una ipostasi, non si è
dispensati dall'obbligo di rispondere alla domanda: Che cosa intendeva
Israele precisamente con questo?). A prima vista, i testi in questione
appaiono totalmente isolati, sembrano non aver alcun legame con il
loro contesto, hanno l'aspetto di massi erratici. Ma, dopo una constatazione del genere, bisognerebbe ancora chiedersi se questo gruppo di
nozioni non dovrebbe essere interpretato a partire da raggruppamenti
più vasti.
È chiaro che i testi suddetti causano difficoltà all'esegesi. Ciò si deve
innanzitutto alla loro mancanza d'interesse per le definizioni che dovrebbero fornire al lettore e che ci paiono indispensabili; e d'altra
parte ciò si deve all'estrema enfasi poetica che troviamo in essi. In
effetti, il cumulo patetico di termini ha sovente come effetto quello di
mantenere incerto il senso di ciò che si dice, rendendone difficile la
definizione. Ma la difficoltà in cui ci troviamo come interpreti può
provenire, in parte almeno, dal fatto che ci accostiamo a questi testi
ponendo problemi che non sono coerenti con la loro ottica. Noi cerchiamo idee, domandiamo definizioni, vogliamo concetti, quando Israele
parla di fatti e descrive un avvenimento. Bisognerà tenere presente
questo tipo di divergenza.
I. La s a p ie n z a im m a n e n t e al m o n d o
1. Vi sono per l'argento le miniere,
per l'oro luoghi dove lo si raffina.
2. Il ferro viene estratto dal suolo,
si trae il rame dalla pietra fusa.
3. Si mette fine alle tenebre,
si esplora fin nelle profondità...
4. Dimenticati, senza un luogo su cui posare il piede,
sono sospesi, penzolano lontano dagli uomini.
5. La terra da cui esce il pane,
la si rigira in profondità, « con » il fuoco.
6. Qui, le pietre sono il giacimento dello zaffiro
che contiene particelle d’oro.
7. Vi è un sentiero: nessun rapace lo conosce,
l'occhio dell'avvoltoio non lo vede,
8. le bestie selvatiche nobili non lo calpestano,
il leoncello non vi ha mai camminato.
9. Si mette la mano sulla roccia,
si rovesciano i monti dalle loro basi.
10. Nella roccia si scava una galleria,
e l'occhio scorge ciò che è prezioso.
11. Si chiudono le perdite d’acqua perché non gocciolino più,
si porta alla luce ciò che era nascosto.
12. Ma la sapienza da dove viene?
Dov'è il giacimento dell'intelligenza?
13. Nessun uomo ne conosce il prezzo,
non la si trova sulla terra dei viventi.
14. L'oceano primordiale dice: « lo non la contengo *,
il mare dice: « Non sta presso di me ».
15. Non la si può scambiare con oro puro,
o pagarla a peso d'argento.
16. Non la si pesa in cambio dell'oro di Ofir,
dell’agata preziosa o dello zaffiro.
17. Non può essere paragonata all’oro o al vetro,
non la si può scambiare con un vaso di oro fino.
18. Coralli e cristalli non meritano menzione,
possedere la sapienza vale molto più che le perle.
19. Al confronto con essa il topazio di Kush non ha valore,
l'oro puro non entra in paragone con essa.
20. Ma la sapienza da dove viene?
Dov'è il giacimento dell’intelligenza?
21. Essa è nascosta agli occhi di ogni vivente,
è occulta agli uccelli del cielo.
22. L'abisso e la morte dichiarano:
« È per sentito dire che la conosciamo ».
23. Dio salo ne conosce la via,
lui solo sa dove essa si trovi.
136 LA SAPIENZA IN ISRAELE - PARTE III
24. Poiché egli vede fino alle estremità della terra,
egli scorge tutto quanto è sotto i cieli.
25. Quando determinò il peso del vento,
quando fissò la misura per le acque,
26. quando impose le leggi della pioggia
e .tracciò la strada al rombo del tuono,
27. allora la vide e la soppesò1,
■la eresse e la mise alla prova,
28. (Poi disse all'uomo: Ecco, il timore del Signore è la sapienza,
fuggire il male, ecco l'intelligenza.) (Giob 28)
In questo poema che non manca di potenza2 vi è un'idea molto semplice che viene sviluppata con ampiezza, con una sorta di compiacenza
ad accumulare le parole. In contrasto sorprendente con le sue capacità
quasi illimitate di « homo faber », l'uomo non può assolutamente determinare il luogo in cui si trova la sapienza, mentre sarebbe la cosa
più preziosa di tutte. Dio solo l'ha vista e instaurata. Per fare risaltare
con più forza questo contrasto, il poema dipinge la cosa più straordinaria che l'ingegnosità umana osa intraprendere: la perforazione di
gallerie nella montagna. L'uomo penetra in un'oscurità assolutamente
sconosciuta; anche là dove lo sguardo penetrante degli animali selvatici nulla vede, egli trova ancora un cammino. La durezza della roccia
non lo ferma, giunge a colmare cascate d'acqua; nei pozzi delle miniere,
gli uomini sono sospesi a corde! È così che luomo giunge a portare alla
luce pietre e metalli preziosi. Ma dove si trova la sapienza, da dove
viene? La nozione di « sapienza » è posta parallelamente a quella d'« intelligenza » (bina), come sinonimo, il che mostra una volta di più che
non vi è interesse per una definizione concettuale precisa. Evidentemente chi legge o ascolta sa già di che si parla. Il secondo stico non
dà l'impressione di portare novità. Per noi le nozioni di « sapienza »
e d'« intelligenza » hanno qualcosa di strano in tale contesto, poiché
non designano una virtù umana o qualcosa che l'uomo possa acquistare, ma al contrario qualcosa di molto lontano dall'uomo. Nulla si
può dire del luogo in cui si trova: essa non è né nell'oceano primordiale
né nel mare; nessun essere vivente l'ha vista. Tutto ciò che si può dire
è che, alla creazione del mondo, Dio ha avuto a che fare con essa. Le
espressioni vaghe — egli « l'ha calcolata », « l'ha instaurata », « l'ha
scrutata » — implicano l'idea che l'ha creata. In ogni caso, essa è di
fronte a Dio, sottomessa al suo potere che crea l'ordine. Dai vv. 25-26
non si può dedurre che essa sia stata l'aiuto di Dio al momento della
creazione, poiché le attività di Dio nei confronti del vento e della pioggia da una parte e nei confronti della sapienza dall'altra, sono simul
tanee; anch'essa è stata l'oggetto di un atto divino. Ma soprattutto,
bisogna dire qualcosa della sua età, del suo « terminus a quo »: essa
risale all’epoca in cui Dio ha imposto alle opere più misteriose della
creazione il loro ordine.
Se, facendo l’esegesi, non si ammette in anticipo l’idea vaga di una
parentela con concezioni mitologiche apparentemente parallele nelle
religioni dei popoli vicini, non si potrà certo parlare della sapienza
come di una ipostasi in questo insieme di testi3. È uno dei concetti
a cui vien fatto immediatamente di pensare quando ci si occupa di
storia generale delle religioni, ma che invece di chiarirlo, altera il pensiero d’Israele. In questa sapienza non vi è nulla di immediatamente
divino e neppure nulla di mitologico; non è certamente una qualità
divina oggettivata e non vi è neppure la possibilità di parlare a suo
riguardo di una personificazione. Questa sapienza va ricercata nel mondo: essa è presente senza che vi si possa mettere le mani sopra. Se
non
fosse di questo mondo, l’allusione agli uomini che rimescolano le
viscere della terra sarebbe priva di significato. E d’altra parte — ciò è
veramente qualcosa di molto curioso — essa si trova ad una certa
distanza da tutte le opere della creazione. Questa « sapienza », questa
« ragione » dev’essere in qualche modo il « senso » che Dio ha introdotto nella creazione, essa deve significare il suo segreto, il suo mistero
creatore; tuttavia bisogna ricordare che il poema pensa meno ad una
realtà ideale che a qualcosa di materiale. Dio ne conosce « il luogo »,
egli l’ha « misurata », « stabilita ». Ritorneremo più tardi sul fatto
che, in un’epoca recente della storia d’Israele, queste idee si sono certamente sviluppate grazie ad influenze esterne al pensiero israelitico.
Per quanto riguarda l’insegnamento di questo poema, bisogna essere
prudenti nel paragonarlo agli altri testi sapienziali (Prov 8; Eccli 24
tra gli altri). Questo poema non dice tutto quel che vi è da dire sulla
« ragione » creata, presente nel mondo. Non è detto che l’uomo sia
totalmente privo della capacità di percepire questa sapienza. Come
potrebbe parlarne? Il cammino logico del poema è piuttosto questo:
la sapienza, l’ordine che Dio ha destinato al mondo, è ciò che vi è di più prezioso. Ma, mentre l'uomo ha trovato una strada che lo conduce
a possedere tutte le ricchezze, non trova la via che lo porta al mistero
della creazione. Solo Dio ne conosce il luogo, se n'è occupato fin dalla
creazione del mondo. Se l'uomo non può fissare e cogliere questo mistero, ciò significa evidentemente — questa conseguenza si trova
ancora
nell'ambito del poema — che sfugge alla sua impresa, che non può
essere oggetto del possesso dell'uomo. Mai questi ne è il padrone, come
lo è degli altri oggetti preziosi. Il mondo non concede il segreto del
suo ordine. Andare oltre nell'esegesi non è possibile.
Quale quantità di esperienze, quale perseveranza nella riflessione
devono aver preceduto la composizione di un simile poema, prima che
vedesse la luce ! Di tutto questo lavoro preliminare, niente ci è rimasto.
Si è concordi neH'ammettere che questo poema è stato inserito
secondariamente nei dialoghi del libro di Giobbe, cosicché è molto
difficile rispondere al problema della sua comparsa nel tempo: può
essere recente come può anche essere antico. Qualora si ammetta che
la sua datazione è posteriore all'esilio, rimane il problema di sapere
se solo in un'epoca così tardiva han potuto esprimersi conoscenze di
questa natura. Con ogni verosimiglianza, l'ultimo verso del poema
dev'essere considerato come un'aggiunta: proviene da qualcuno che
non ha voluto lasciare solo il lettore di fronte ad una conclusione
negativa così maestosa. La partecipazione dell'uomo alla sapienza rimane intatta; il cammino che vi porta è il timore di Jahve. In questo
modo il compilatore non solo abbandona il tema del poema, ma usa
anche la parola « sapienza » in un senso del tutto diverso, nel senso
cioè della sapienza umana.
1. La sapienza non chiama forse,
l'intelligenza non alza la voce?
2. In cima alle colline, sulla strada,
« in mezzo » ai sentieri, essa si apposta;
3. presso le porte della città,
sulle vie d’ingresso essa grida:
4. « Uomini, siete voi che io chiamo,
la mia voce si rivolge ai figli degli uomini.
5. Imparate quindi l'accortezza, voi semplici!
Insensati, imparate la ragione!
6. Ascoltate, ho da dirvi cose importanti,
le mie labbra si aprono per dire ciò che è retto.
7. Sì, la mia bocca proclama la verità,
alile mie 'labbra il male è in abominio.
8. Tutte 'le parole delle mie labbra sono giuste,
esse non hanno nulla di falso né di tortuoso.
9. Tutte sono franche per chi è intelligente,
rette per chi possiede il sapere.
10. Preferite i mìei insegnamenti all’argento,
e la conoscenza all'oro puro.
11. Poiché la sapienza vale più delle perle,
nessun gioiello gli si può paragonare 12. Io, la sapienza, sono vicina all'accortezza,
dispongo della conoscenza e della riflessione.
13. Il timore di Jahve è l'odio del male,
io detesto l'orgoglio, l’arroganza, la cattiva condotta
come pure la bocca perversa.
14. A me appartengono il consiglio e il buon senso,
a me l'intelligenza, a me la potenza!
15. Per mezzo mio regnano i re,
e i potenti fanno decreti giusti.
16. Per mezzo mio i capi governano,
e i grandi giudicano la terra.
17. Io amo coloro che mi amano,
chi mi cerca mi troverà.
18. Presso di me sono la ricchezza e la gloria,
i beni durevoli e la giustizia.
19. Il mio frutto è migliore dell'oro, dell’oro fino,
i miei prodotti migliori dell’argento puro.
20. Io cammino sul sentiero dèlia giustizila,
sul cammino del diritto,
21. per procurare beni a coloro che mi amano,
e riempire il loro tesoro».
22. Jahve mi ha creata all'inizio dei suoi piani,
prima delle sue opere più antiche.
23. Fin dall'eternità io fui stabilita,
fin daill’inizio, prima dell'origine della terra.
24. Quando d'oceano primordiale non esisteva io fui partorita,
quando ancora non vi erano sorgenti zampillanti.
25. Prima che le montagne fossero fondate,
prima che vi fossero le colline, fui partorita.
26. Prima che egli facesse la terra e le campagne,
e i primi elementi della polvere del mondo.
27. Quando consolidò i cieli, io ero là,
quando pose la volta celeste sull'oceano,
28. quando fissò le nubi dall'alto,
quando fece zampillare con forza le sorgenti dall’abisso.
29. Quando mise un confine ai flutti del mare,
affinché le loro acque non ne superassero il bordo,
quando consolidò le fondamenta della terra
30. Io ero al suo fianco come la sua prediletta,
facevo giorno per giorno le sue delizie,
trastullandomi senza posa alla sua presenza,
31. divertendomi sulla superficie della terra,
e ponendo le mie delizie nel vivere tra gli uomini'.
32. Ed ora, figli miei, ascoltatemi,
33. ascoltate l'insegnamento e diventate saggi,
non respingetelo.
34a. Beato l'uomo che mi ascolta,
32b. Beati coloro che osservano le mie vie
34b. Vegliando giorno per giorno davanti alla mia porta,
per osservarne gli stipiti.
35. Poiché chi trova me ha trovato la vita,
egli otterrà il favore di Jahve.
36. Ma chi mi offende danneggia se stesso,
chiunque mi odia ama 'la morte! (Prov 8)
Questo grande poema è nettamente diviso in tre parti. Prima parte:
w. 4-21 (w. 4-9, esortazione inaugurale di stile barocco): contiene un
appello della sapienza agli uomini, in cui si espongono il suo valore
e il fatto che essa è indispensabile. Seconda parte: vv. 22-31; in certo
senso, una parte indipendente; la sapienza vi parla delle sue origini
misteriose che risalgono fino all'epoca della creazione del mondo; terza
parte: vv. 32-36, in cui riappare, introdotto dalla formula caratteristica
« e ora », il tema esortativo della prima parte che sfocia in un appello
pressante ad ascoltare la sapienza, poiché la vita e la morte ne dipendono4. Noi ci occuperemo innanzitutto della parte intermedia. Prima
di porci i problemi sollevati da questa parte del poema didattico,
conviene far notare brevemente la sua costruzione artistica: si delineano quattro sottogruppi. Nel primo e nell'ultimo, la sapienza parla
di se stessa (vv. 22 s.; 30 s.). Nella prima delle due sezioni centrali
(vv. 24-26), si parla dello stato delle cose prima della creazione (« prima
che... »), e nella seconda (vv. 27-29), della creazione da parte di Jahve
(« Quando egli... »).
Il testo di Prov 8, 22-31 è stato sovente studiato ed il suo vocabolario come
le idee che vi si esprimono sono stati esaminati in ogni senso5. Se si considera l’insieme, la sezione vv. 22-31 non ha che una funzione
ausiliaria. La sua
importanza sta solo nel fatto che la voce che si rivolge agli uomini si presenta in prima persona. Se si vuole ben capire colei che parla, si
deve risalire fino alla creazione del mondo da parte di Dio, poiché là si trova la sua
origine. Proprio lei è stata il testimone della creazione, come « inizio dei suoi
piani », cioè come ciò che vi è di meglio nella creazione. Non vi è una ragione
che obblighi a partire dal nissakti del v. 23, « io fui stabilita », « consacrata ».
Il verbo holalti « sono stata partorita » deve essere inteso nel senso più largo
del termine (come in Deut 32, 18). Il verbo kànàni del v. 22 non offre una
difficoltà insormontabile. I LXX traducono con ektisen (creò), Àquila, Simmaco e Teodozione con ektesato (acquistò). La Peschitto ha il
termine siriaco
corrispondente al verbo ebraico bàrà (creare). Dietro questa differenza, non
vi è tuttavia alcun problema serio. Si sa che kdnà significa acquistare (creando) e può a volte riferirsi a Dio (Es 15, 16; Sai 74, 2). In qualche
caso, significa «foggiare, formare» (parlando di Dio), di modo che quesito verbo fa
l'impressione di essere un vestigio cultuale e mitico (Gen 14, 19, 22; Sai 139,
13, ecc.)6. Non ci sono dubbi che questo verbo significhi nel v. 222? « creare »
ma anche se si esitasse su questo significato, che cosa cambierebbe? In ogni
caso la sapienza fa parte del mondo delle creature. Si è discusso senza posa
sul termine *àmón del v. 307 : con la punteggiatura masoretica, non è del tutto
chiaro. I LXX traducono con harmozousa, da cui proviene il termine della
Volgata. Questa traduzione conferma l'opinione di coloro i quali pensano che
ad esso si debba sostituire il termine ebraico ’ammari = capo dei lavori,
termine che viene forse dall’accadico ( ummanu = operaio) e si trova in Ger
52, 15, testo d'altronde poco sicuro. Soprattutto Sap 7, 21; 8, 6 sembrano militare per l'interpretazione « operaio », poiché qui la sapienza è
effettivamente
chiamata technìtis = « artigiana », « operaia ». D’altra parte non si può pretendere che questo significato si addica siile altre espressioni dei
v. 30 s. (giocare, scherzare). Ciò conduce all'altra interpretazione che le fa concorrenza:
al v. 30, si parla di un fanciullo. Il termine in discussione dev'essere letto
*àmùn = « prescelto, favorito, beniamino ». A sostenere questa supposizione
è la traduzione di Aquila tithènoumenè = « fanciullo adottato, prediletto ».
Queste differenti lezioni non vanno sottovalutate; dietro di loro vi stanno diverse concezioni teologiche che culminano nella questione: la
sapienza ha
forse collaborato alla creazione del mondo, vi ha partecipato come « demiurgo»? Non è più possibile dirimere la questione partendo dailla
sola critica
testuale: ila lunghezza delle discussioni l'ha mostrato a sufficienza. Rimane
ancora una possibilità per determinare il significato di questo termine controverso.
La difficoltà testuale menzionata viene relegata nell’ombra da una
difficoltà ben più grande. Le idee riguardanti l'esistenza di una sapienza
anteriore alla creazione e concepita come una persona cosciente dotata
della parola sono così rare e si collegano così male a quel che sappiamo
o pensiamo di sapere dell'antica fede in Jahve, che da tempo ci si è
posti la domanda: si è forse Israele lasciato influenzare su questo
punto da una visione mitologica delle cose provenienti dall'esterno?
Ma è nuovamente sceso il silenzio su questa teoria, prima ammessa
con totale fiducia, che abbiamo cioè a che fare con un « mito della sapienza » orientale. Non si è riusciti a mettere la mano su fonti esterne
ad Israele, che possano servire di prova; si è rimasti ad una ricostruzione puramente ipotetica, postulata a partire dal materiale biblico.
Bisognerà procedere con minore sicurezza e chiedersi innanzitutto qual
è l'origine di questa curiosa forma di discorso dei vv. 22-31. Conosciamo
questo stile di discorso solenne in prima persona, con la ripetizione
caratteristica « prima che... prima che », dalle autopresentazioni di
alcuni dèi egizi. Non si può negare che vi sia qui un'affinità con questo
genere di testi egizi. Ma vi è di più ! Di recente si è fatta attenzione
ai testi egizi che parlano di una divinità la quale, padre della « Maat »,
rappresentata come sua figlia, si fa abbracciare da lei e la bacia, precisamente dopo averla posta « sul suo naso » 8. Il parallelismo con la
sapienza prescelta da Jahve, suo fanciullo amato che gioca davanti a
lui, è affatto sorprendente; poiché la « Maat » divina — nozione centrale
dell'insegnamento sapienziale egizio — incarna il diritto, lordine che
presiede il mondo, in breve, la giustizia *. Anche qui non può rimanere
alcun dubbio; i maestri israeliti si sono ispirati ad idee riguardanti
la dea egizia dell’ordine e ne hanno pure adottato alcune forme particolari di linguaggio10.
Quindi quel che possiamo dire dell'influenza extraisraelitica sul nostro testo, è che nei vv. 22-29 è stata ripresa molto nettamente la forma
stilistica di proclamazione di una divinità egizia e che nei v. 30 e s. la
concezione egizia di una divinità innamorata della verità personificata
(Maat) si è aperta la strada in un modo o in un altro — e non senza
modificazione interna — fino al nostro poema. Rimane da sottolineare
che, nel testo vv. 22-31, si può constatare una duplice influenza che
proviene da due settori del tutto indipendenti del culto egiziano.
Ma che cosa significa tutto ciò? Unicamente che idee provenienti
dall'esterno sono venute in aiuto ad Israele quando ha avuto bisogno
di proseguire la sua riflessione nel proprio campo specifico. L’introduzione infatti di queste nozioni straniere nel campo della riflessione
ebraica ha modificato molte cose. Quel che è descritto in Prov 8 come
« sapienza », come ordine cosmico, non può più facilmente essere paragonato con l'idea della « Maat » egizia. Essa non ha una condizione
divina, non è neppure una qualità ipostatizzata di Jahve; è piuttosto
qualcosa che da lui è stata creata e ha ricevuto una funzione da compiere. Benché distante da tutto ciò che è creato, essa è una realtà
immanente al mondo, anche se è il primogenito delle opere create, la
creatura che trascende tutte le creature. Questa posizione a parte della
sapienza di fronte a tutto ciò che è creato, ugualmente sottolineata da
Giob 28, è di grande importanza nel nostro poema didattico.
In queste condizioni, gli esegeti parlano quasi regolarmente di una
« speculazione sulla sapienza ». Si vuol dire con questo che la fede
d’Israele si è elevata in questi testi al livello della speculazione, a
dichiarazioni che hanno abbandonato il terreno dell'esperienza religiosa e sono piuttosto il prodotto di una capacità intellettuale di
deduzione e di astrazione. Ma è urgente modificare questo modo di
vedere. In Egitto, l’idea di un ordine primordiale che racchiude la
natura così come la vita umana risale alle epoche più remote. Non si
può supporre un’idea analoga in Israele? L'ipotesi secondo cui alla
concezione di un ordine generale ha fatto seguito solo molto più tardi
una speculazione tardiva che si sforzava di conoscere gli ordinamenti
particolari ha forse molti argomenti in suo favore? Su quale base si
appoggiava lo sforzo perseverante che mirava a fissare i singoli ordinamenti — soprattutto la ricerca di analogie tra i diversi campi del
resistenza — se non sul principio di un ordine universale degli esseri,
ordine immenso che si giunge a cogliere solo parzialmente? Senza
questo principio fondamentale, ogni sforzo di conoscenza delle regole
particolari non era forse illusorio? La più antica sapienza sperimentale
parla, essa pure e spesso, di Jahve come Creatore u. Egli ha creato i
poveri, lorecchio e l'occhio dell'uomo; anche i pesi di pietra di cui ci si
serve al mercato sono sue « opere ». Non vi è alcun dubbio che la
ricerca più antica delle leggi che reggono le cose si riferiva implicitamente in Israele ad un insieme e tendeva a ritrovarlo. Il che non vuol
dire che si possa pretendere di datare il poema didattico di Prov 8
ad un'epoca remota; vi sono tuttavia buone ragioni per chiedersi se il
poema di Prov 8, come quello di Giob 28, esprimano veramente una
concezione del tutto nuova. Cosa vi è di verosimile nell'idea che una
dottrina possa improvvisamente apparire in un gruppo di testi didattici
relativamente recenti senza alcun legame con dottrine della stessa
epoca o di epoca precedente?
Non sarebbe mai stato necessario parlare di speculazione sapienziale
per il semplice fatto che in Prov 8 si parla di un avvenimento, di qualcosa che giunge all'uomo nel mondo e che proviene realmente dal
mondo. Abbiamo già incontrato parecchie volte l'idea di uno choc di
rimbalzo dell'ambiente sull'uomo, di una potenza ordinatrice che lo
influenza e lo corregge. Questi testi relativamente recenti trattano
quindi di una forza ordinatrice la cui presenza è stata sempre percepita
in Israele. Senza dubbio si esprime in essi una generazione di maestri
che si è trovata di fronte alla necessità di riflettere più seriamente
e di formulare in modo nuovo un oggetto contenuto implicitamente
da molto tempo nell'insegnamento sapienziale 12. Parlano di quest'ordine in termini molto sottili, già all'estremo limite di ciò che si può
dire nel quadro della lingua ebraica. Israele non sarebbe giunto ad
esprimere queste cose senza l'aiuto delle nozioni egiziane, poiché i
mezzi tradizionali di espressione non esistevano per questo genere
d'oggetto; nondimeno sarebbe più conforme alla realtà considerare il
brano centrale del nostro poema come un'interpretazione rinnovata di
un'idea molto antica, anche se non ancora formulata.
Nell'inno didattico: « Tutte le tue opere, le hai fatte con sapienza »
(Sai 104, 24) compare in definitiva la stessa conoscenza che in Giob 28
e Prov 8, 22 ss., dove essa è semplicemente sviluppata in modo più
differenziato.
Jahve, con da sapienza, ha fondato la terra;
ha stabilito i cieli con l’intelligenza.
È per ila sua scienza che furono scavati gli abissi
e le nubi stillano la rugiada. (Prov 3, 19 s.)
Il lettore è spinto a riferire questo « con la sapienza » alla sapienza
creatrice di Dio ; si tratterebbe così di un attributo divino. Ma potrebbe
anche trattarsi di una qualità della terra, in questo senso: la creazione
è stata edificata nello stato di sapienza, di razionalità, da Dio. Tuttavia
la questione è un po’ oziosa; infatti, qualunque sia l’interpretazione,
non si può scartare l'idea che bisogna assegnare alla creazione la
qualità di essere ordinata secondo un ordine pieno di sapienza. Una
formula del Siracide è interessante: Dio ha « diffuso » la sapienza « su
tutte le sue opere » (Eccli 1, 9). Non è possibile intendere questo termine « diffuso » nel senso di un’immagine poetica fantastica; si tratta
piuttosto di un fatto cosmologico reale, l'inserimento di qualcosa di
particolare nella creazione, di modo che, come ce l’insegna Giob 28,
questa cosa vive in essa misteriosamente e interiormente. Infine sarà
bene menzionare anche il canto dei Serafini di Is 6, 3, benché non si
tratti qui della sapienza ma della gloria. Ma la tesi che « la gloria di
Jahve » riempie tutta la terra esprime pure una qualità immanente
alla creazione, con questa sola differenza che essendo redatta nel linguaggio dell’inno usa una nozione esteticamente più intensa, quella
della gloria di Dio.
Nella linea di quest’idea si situa anche il brano centrale del poema
di Prov 8, che si deve sempre considerare in rapporto al poema nella
sua interezzal3. Se abbiamo considerato la dottrina della « sapienza »
che dal mondo si rivolge all’uomo, come la reinterpretazione di una
concezione molto antica, saremo molto interessati alle modificazioni
che si sono verificate nel corso del processo di trasmissione. Secondo
la storia delle tradizioni, una nuova interpretazione non si limita mai
a dire la stessa cosa in una forma « più moderna »; comprende sempre
un accrescimento di sostanza. Il poema didattico di Prov 8 supera
l’antica dottrina nella spiegazione dell’idea di base non solo perché
giunge ad esprimere particolari sui rapporti tra Jahve e quest’ordine
del mondo. Quel che è più interessante, nella nuova impostazione,
è che quest'ordine del mondo si rivolge direttamente all’uomo per incitarlo e stimolarlo, come lo farebbe una persona. Non è quindi una
qualità di Dio che viene oggettivata, ma una qualità del mondo, cioè
questo misterioso elemento per mezzo del quale l’ordine cosmico si
volge verso l’uomo per ordinare la sua vita14.
Israele si è quindi trovato di fronte allo stesso fenomeno di quasi
tutte le religioni antiche, soprattutto le religioni naturali, che ne
sono rimaste affascinate: una provocazione religiosa dell’uomo da parte
del mondo. Ma non si è mai lasciato andare fino a divinizzare o a trasformare in mito il fondamento del mondo. L’ha interpretato in modo
del tutto diverso, perché si è limitato a considerare questo fenomeno
nella prospettiva della fede in Jahve come creatore.
Questo qualcosa d’immanente al mondo, che i testi chiamano « sapienza », lo possiamo semplicemente descrivere con una perifrasi. Sia
che lo chiamiamo « ordine primordiale », « mistero dell’ordine », « ragione cosmica » o « senso » incorporato da Dio nel mondo della
creazione, oppure « gloria » del mondo, ne parleremo in ogni caso solo
nella forma di una personificazione figurata. Questa personificazione
è molto diversa da un processo di stile decorativo arbitrario che il
maestro, rotto agli esercizi della retorica, avrebbe potuto sostituire con
ima nozione del tutto diversa per facilitarne la comprensione. Questo
modo di dire è stato, anzi, interamente determinato dal suo oggetto,
da ciò che doveva essere descritto e non poteva essere evocato che
in questo modo per evitare di perdersi nel verbalismo, poiché quest'ordine originale parlava all’uomo, cosa che tra breve dovremo esaminare
più da vicino. Non era una scelta arbitraria, poiché l’elemento personale era indispensabile. Questa ragione del mondo era presente prima
di ogni creatura, come un fanciullo che gioca sulla terra; essa era là,
come qualcuno che è « amato », che « fa le delizie » di Dio; e fin dagli
inizi — cosa importante per lo scopo a cui mira l'intero poema didattico! — essa si è rivolta agli uomini gioiosamente, con gaiezza. A
differenza di Giob 28, questa sapienza immanente è stata considerata, più
che sotto l’aspetto razionale dell’ordine economico, sotto quello estetico: come « prescelta », essa « fa le delizie » di Dio, « gioca » e, da
parte sua, « trova le sue delizie » nel frequentare gli uomini. I due testi
parlano di una realtà interamente circondata da un profondo mistero.
Nel culto, essa faceva l’oggetto delle lodi, nelle scuole era l’oggetto della
meditazione: che cosa è di preciso questa realtà, che interviene nella
vita umana, da una parte strettamente legata ad ogni essere creato e
dall'altra parte manifestativa del potere di Jahve?
GERHARD VON RAD
LA SAPIENZA
IN ISRAELE
Presentazione e revisione a cura di
NICOLA NEGRETTI
MARIETTI
Titolo originale dell'opera:
WEISHEIT IN ISRAEL
Neukirchener Verlag, Neukirchen-Vluyn 1970

La scienza vale più delle perle: era già stato detto precedentemente nel capitolo 3:
Beato l’uomo che ha trovato la sapienza e il mortale che ha acquistato la prudenza
perché il suo possesso è preferibile a quello dell’argento, il suo provento a quello
dell’oro. Essa è più preziosa delle perle e neppure l’oggetto più caro la uguaglia. (Pr
3,13-15)
Forse ci viene in mente qualcun altro che ha detto che il Regno dei cieli è come una perla preziosa
per la quale si può vendere tutto il resto.3
E dice ancora:
Io, la Sapienza, possiedo la prudenza e ho la scienza e la riflessione. Temere il Signore è
odiare il male. (Pr 8,12)
Questa volta pone l’accento sull’aspetto negativo, su quello che viene rifiutato a motivo del timore
del Signore:
Io detesto la superbia e l’arroganza, la cattiva condotta e la bocca perversa. A me
appartiene il consiglio e il buon senso. Io sono l’intelligenza, a me appartiene la
potenza. (Pr 8,13-14)
È vero che il termine “buon senso” mi faceva pensare, perché l’uso che ne facciamo abitualmente è
quasi svalutativo, perché si tende a considerare il buon senso come qualcosa di un po’ piatto; ora
forse, cercando di recuperare il suo senso primo, un suo valore, un suo significato più positivo
potremmo definirlo come un’acquisizione paziente, fatta con molti confronti e molti dialoghi (già,
perché la parola dialogo può venire anche buona...). La sapienza, il tema sapienziale apre la strada
al motivo del dialogo, della riflessione comune. È vero che il testo, così come ci arriva, è molto
formale: questo è giusto, questo è sbagliato, questo è saggio e questo è stolto e così via, ma questo è
il frutto, è il risultato di tutta una lunga storia in cui il motivo del confronto, il motivo del guardarsi
in faccia, del parlare, così presente d’altra parte anche nella tradizione di Israele e rabbinica,
qualcosa del genere ci sarà, ma adesso non saprei dire con maggior precisione.
Per mio mezzo regnano i re. (Pr 8,15)
È uno degli aspetti che viene fuori spesso, è una sapienza che sembra avere a che fare soprattutto
con gente di corte, gente che si trova ad avere incarichi di un certo rilievo e anche questo ha dei
paralleli in testi sapienziali non ebraici, che ho evocato, non commentato, non presentato.
Per mezzo mio i capi comandano e i grandi governano con giustizia. (Pr 8,16)
Qui non vengono fuori i problemi delle ingiustizie, del fatto che l’autorità può essere fuorviante e
prepotente; vengono fuori altrove. Si parte da una certa situazione di fatto che si assume per quello
che è. Questo fa pensare - non so se si possa dire teologicamente parlando - al canone con la sua
varietà, proprio perché ci sono voci diverse, apparentemente anche contraddittorie, per lo meno una
che corregge l’altra all’interno. L’abbiamo detto altre volte a proposito di certe affermazioni di
Qoèlet. Qoèlet appassiona, i Proverbi un po’ meno da questo lato, perché sembra che tutto sia,
come dire, messo sul piano di una saggezza ben riconoscibile e in cui le cose stanno tutte
abbastanza a posto. Ma dicevamo già prima che è una forma, un aspetto di saggezza che arriva a un
certo punto e che ha la sua crisi a suo tempo.
Proseguendo qui dice: “Io amo coloro che mi amano” (Pr 8,17). La sapienza dice questo e qui si
potrebbero fare anche dei paralleli neotestamentari, perché questo motivo di una risposta, di una
corrispondenza, di un essere insieme, di un essere in sintonia potrebbe essere facilmente
commentato, addirittura i paralleli della Bibbia di Gerusalemme richiamano dei passi di Matteo e di
Giovanni. “E quelli che mi cercano, mi troveranno” (Pr 8,17), e questo è un motivo che sappiamo
bene quanto è diventato propriamente evangelico.
Presso di me c’è ricchezza e onore e sicuro benessere ed equità, il mio frutto vale più
dell’oro, dell’oro fino, il mio provento più dell’argento scelto. Io cammino sulla via
della giustizia e per i sentieri dell’equità [queste sono parole chiave della tradizione
d’Israele] per dotare di beni quanti mi amano e riempire i loro forzieri. (Pr 8,18-21)
Questo lo accenno soltanto per sviluppi da fare un’altra volta , se si potrà: la ricchezza è vista bene,
non è vista così male, purché sia giusta, purché non sia una ricchezza acquisita male. D’altra parte
la preoccupazione dei poveri c’è. Molte volte ritorna questo motivo della necessità di essere
disponibili, di essere attenti a chi si trova in necessità. E poi comincia la parte più caratteristica che
è quella della sapienza che si presenta come la prima realtà della creazione che è accanto a Dio da
sempre. Si capisce che questo sarà uno di quei testi che diventeranno di notevole peso nello
sviluppo di una teologia, di una cristologia:
Il Signore mi ha creato all’inizio della sua attività, prima di ogni sua opera, fin d’allora.
Dall’eternità sono stata costituita, fin dal principio, dagli inizi della terra. Quando non
esistevano gli abissi, io fui generata, quando ancora non vi erano le sorgenti cariche
d’acqua; prima che fossero fissate le basi dei monti, prima delle colline, io sono stata
generata. Quando ancora non aveva fatto la terra e i campi, né le prime zolle del mondo;
quando egli fissava i cieli, io ero là; quando tracciava un cerchio sull’abisso, [...] quando
stabiliva al mare i suoi limiti, sicché le acque non ne oltrepassassero la spiaggia; quando
disponeva le fondamenta della terra, allora io ero con lui come architetto ed ero la sua
delizia ogni giorno, dilettandomi davanti a lui in ogni istante; dilettandomi sul globo
terrestre, ponendo le mie delizie tra i figli dell’uomo. (Pr 8,22-31)
Un’osservazione proprio molto rapida che sarebbe interessante sviluppare più analiticamente, più
minuziosamente: c’è proprio una corrispondenza qui. La sapienza è la delizia di Dio e nello stesso
tempo la sapienza ha la sua delizia tra gli uomini. La sapienza si diletta davanti a Dio e si diletta nel
mondo. Questo singolare collegamento, che ha qualche cosa anche di fortemente - come posso dire
9
– estetico, è visto su un piano non di produttività: in questo momento c’è proprio questa specie di
gioco, di felicità per una bellezza, per qualcosa di avvincente, di affascinante, di amabile.
Subito dopo dice:
Ora, figli, ascoltatemi: beati quelli che seguono le mie vie! Ascoltate l’esortazione e
siate saggi, non trascuratela! Beato l’uomo che mi ascolta, vegliando ogni giorno alle
mie porte, per custodire attentamente la soglia. Infatti, chi trova me trova la vita, e
ottiene favore dal Signore; ma chi pecca contro di me, danneggia se stesso, quanti mi
odiano amano la morte. (Pr 8,32-36).
Mi è venuto proprio da pensare “Ascolta, Israele” (cfr. Dt 6,4) anche se non è “Ascolta, Israele”, ma
qui è “Ascolta la sapienza”: detto proprio in questo certo modo, mettendo bene in guardia. Lo
ricordiamo tutti, il Deuteronomio:oltre ad avere l’ “Ascolta Israele” verso la fine ha l’indicazione
“scegli la vita” (cfr. Dt 30,19). C’è la vita e la morte. In un contesto alquanto diverso, però c’è
questa specie di convergenza per altra via e senza dirlo, con una serie di accostamenti che per un
orecchio attento, un orecchio abbastanza attento, affiorano presto. È in qualche modo un punto
culminante questo e a me veniva da pensare allora - ma non sono stato in grado di rifletterci molto –
che certamente sarebbe improprio porre la questione nei termini di grazia e libero arbitrio, ma qui fa
molto pensare al libero arbitrio. Questo passaggio dei Proverbi, all’interno di un discorso così
congegnato con tutta una serie di riferimenti molteplici, che vogliono aiutare a fare chiarezza, trova
qui il suo vertice: “potete restare indifferenti a uno splendore di questo genere?” Sembra proprio
che dica così. Si arriva alla fonte, questa fonte in Dio di una sapienza che è immersa in lui e viene
da lui ed effonde splendore, effonde bellezza, effonde attrattiva. Certo non dice: “Quando sarò
elevato da terra, attirerò tutti a me” (Gv 12,32), ma vuole essere una dichiarazione invitante: “che
cosa aspettate a venire?” Altrimenti a questo punto bisogna proprio non che uno non capisca nulla,
possiamo proprio dire così, visto che siamo sul piano dell’intelligenza, della comprensione. Finisco
subito. Dico una cosa soltanto, un suggerimento breve in rapporto al Nuovo Testamento. Non è che
adesso vada a vedere tutti i passi sulla sapienza citati nel NT, però due o tre, un paio, forse uno solo.
Prima vi voglio dare un riferimento ebraico. Nella tradizione di Israele il libro dei Proverbi è anche
molto vivo, molto presente. C’è nella tradizione un detto che ha come autore Rabbi Achibà, uno dei
massimi rabbini, muore martire nel II secolo, al tempo della rovina che i romani portarono, negli
anni 135 circa. Egli affermava:
Caro a Dio è l’uomo, che fu creato a sua somiglianza, ma egli ebbe una speciale
predilezione poiché gli fu reso noto il fatto di essere stato creato a immagine di Dio,
secondo quanto è detto: “Poiché a immagine di Dio fece l’uomo” (Gen 1,27).
Cari a Dio sono i figli di Israele, i quali furono chiamati figli di Dio. Una speciale prova
di predilezione Dio diede loro rendendo noto che furono chiamati figli di Dio secondo
quanto è detto: “Figli voi siete di Dio, del Signore vostro Dio” (Dt 14,1).
Cari a Dio sono i figli di Israele ai quali fu dato un dono delizioso, cioè la Torah, ma
Dio aggiunse una speciale dimostrazione di affetto rendendo loro noto che fu loro dato
quell’oggetto col quale fu creato il mondo, cioè la sapienza. Secondo quanto è detto,
poiché vi diede un buon insegnamento: “non abbandonate la mia voce” (Pr 4,2).

La Sapienza nel libro dei Proverbi


Lezione tenuta da don Paolo al Gruppo biblico interconfessionale presso la chiesa metodista di via
Venezian nel 1999-2000. Il programma dell’anno comprendeva Qoèlet, Proverbi, Cantico dei
Cantici. Il testo è tratto da registrazione.

5. Le caratteristiche della relazione Sapienza-sapiente in


Ben Sira e in confronto a Pr 8,12-36
Nel discorso di Pr 8, primo grande discorso della sapienza personificata nella Bibbia, essa si presenta come immagine femminile nella sua
origine divina; essa è
stata creata da Dio prima di ogni altra creatura (8,22-23), era presente al momento della creazione (8,24-30) come elemento ispiratore per
Dio, ritratta come una
fanciulla che gioca suscitando nell'ascoltatore bellezza, gioia e tenerezza. In Ben
Sira, invece, quando la riflessione sapienziale ha raggiunto in Israele la sua maturità, si può notare che la Sapienza è più esplicitamente
descritta come »parola«
pronunciata dal Creatore (24,3a), quindi come madre (24,18; anche 15,2 ove viene
descritta come sposa e madre) che si prende cura della vita di coloro che la cercano. Essa viene presentata nel Siracide non tanto come
»testimone« presente al
momento della creazione e perciò indispensabile per comprendere l'ordine creato,
quanto piuttosto nel suo movimento itinerante, in una sorta di viaggio17 che ha il
suo inizio in cielo ma che continua sulla terra (24,4-6) in cerca di una dimora, di un
luogo in cui porre radici e crescere. La seconda specificità che emerge dalla descrizione di Ben Sira è che l'agire della Sapienza, pur
inizialmente rivolto a tutta l'uma17 Su alcune relazioni tra Sapienza in Pr 8 e Sir 24: Schökel e Vílchez Líndez (1984; 1988, 284).
Maria Carmela Palmisano - La sapienza personificata e la sua relazione... 703
nità (in Pr 8,31 leggiamo: »ero lieta con gli uomini«), è più esplicitamente diretto
al popolo eletto. Infine l'attività della Sapienza descritta come gioco e diletto (in Pr
8,31 leggiamo »giocavo con l'orbe della sua terra«) viene presentata in Sir 24,10-
11 come officiare nella tenda sacra; la dimora della Sapienza è ritratta come un
ambiente liturgico-cultuale. Mentre il primo testo (Pr 8) mette a fuoco soprattutto
il momento »a monte«, ovvero l'origine della Sapienza, Ben Sira ricollegandosi al
testo più antico dedica uno spazio più ampio alla descrizione del momento »a valle«, ovvero all'incontro della Sapienza con l'umanità, nella
quale attribuisce un
ruolo preciso a Israele. Inoltre,se cisoffermiamo a considerare la relazione tra Sapienza e sapiente, il testo sapienziale più antico descrive la
relazione tra Sapienza
e sapiente come amore reciproco (8,17.21), gioia donata e ricevuta;18 la Sapienza
è descritta come fonte di vita (8,35-36) ed i suoi ascoltatori, potenziali sapienti,
sono invitati come figli a prestare ascolto al suo insegnamento.19
Se consideriamo il contenuto dell'invito che nei due testi fa seguito all'autopresentazione della Sapienza e mostra numerose analogie,20 in Pr
8,32-36 sisottolinea
che la ricerca della Sapienza viene saziata, chi la cerca la troverà; 8,32b.33b contengono due beatitudini legate all'ascolto del suo
insegnamento; in Sir 24,19-22
l'invito sembra andare oltre la promessa di beatitudine e benessere per chi ascolta il suo insegnamento e viene descritto come un'esperienza
più intensa, come
un partecipare della vita della Sapienza, stare nella sua compagnia, godere dei
suoi frutti, vivere di lei in un anelito profondo che provoca nel discepolo la costante ricerca non solo della vicinanza della Sapienza ma della
vita in lei che allontana
vergogna e peccato e offre una esistenza che a Dio piace. Ne deriva il ritratto di
una vita di valore, segnata da bellezza, robustezza interiore e morale.

Maria Carmela Palmisano


La sapienza personificata e la sua relazione con il
sapiente in Sir 24,1-2

IL MASHAL ( = PROVERBIO)
Quali forme assume la sapienza popolare per esprimersi e diffondersi ?
Possono essere diverse : il discorso parenetico (precetti morali spiccioli) come nel già citato
testamento di Tobi, la favola o l'apologo (si pensi al repertorio di Esopo o di Fedro). Ma la
forma ordinaria, più comune, efficace ed universale è costituita dal proverbio. Essi
costituiscono la sapienza del genere umano.
"Fra i tesori della sapienza sono le massime istruttive" (Sir 1,22).
10 In compagnia della sapienza.doc
24
- "Il mashal è la forma o genere letterario esclusivamente sapienziale" (Alonso). Quello che è
l'oracolo nella letteratura profetica, lo è il proverbio nel genere sapienziale. Conviene
fermarsi un istante ed approfondire la nozione di "mashal".
Il libro classico al riguardo è quello di O. EISSFELDT, Der Maschal im Alten Testament,
BZAW 24 (1913)
Il termine "mashal" ha un significato multiplo, che deborda il senso di proverbio. E'
interessante rilevare che la stessa parola oltre che sostantivo può anche essere verbo ed allora
significa "dominare" : il proverbio è un modo di "dominare - controllare - governare" la vita.
Il termine si applicava inizialmente a detti popolari brevi, caustici, incisivi : "come Nimrod,
valente cacciatore davanti al Signore" (Gn 10, 9) ; "Come dice il proverbio antico : Dagli
empi esce l'empietà e la mia mano non sarà contro di te" (1Sm 24,14) ; Ez 16,44 : "Ecco ogni
esperto di proverbi dovrà citare questo proverbio a tuo riguardo : Quale la madre, tale la
figlia" ecc ...
"Con il passar del tempo al detto popolare succede la sentenza più stilizzata secondo le norme
del parallelismo. In questo nuovo ambiente, quello dei saggi, il mashal amplia il suo campo ;
non riguarda più detti o brevi sentenze, ma anche aforismi, enigmi, poemetti numerici di
carattere profano e religioso" (Alonso).

Ogni proverbio si caratterizza per un contenuto ed una forma appropriata ; la sentenza è un


breve pensiero dal senso compiuto e dalla espressione forte.
Il contenuto è la sedimentazione di una esperienza, è il risultato di una ripetuta ed attenta
osservazione e interrogazione della realtà.
"Quanto un'esperienza ha trovato la sua espressione in un proverbio, una sentenza, una
massima o aforisma, tutta una elaborazione stratificata ha trovato il suo compimento" (Von
Rad).
Nel proverbio viene cristallizzata una esperienza del vivere, si incomincia ad avere
conoscenza e padronanza della realtà.
"Tutti i popoli civilizzati si sono dedicati alla cultura letteraria di questo sapere sperimentale
e ne hanno accuratamente collezionato le proposizioni, soprattutto sotto forma di proverbi o
sentenze" (Von Rad).
I campi di osservazione, gli ambiti analizzati sono molteplici ; "la sentenza può muoversi nei
quadri più diversi della vita" (Von Rad)
Talvolta interpretano fenomeni della natura : "Rosso di sera bel tempo si spera"
Pr14,4: "Senza buoi niente grano, l'abbondanza del raccolto sta nel vigore del toro"
"Nella Bibbia la saggezza antica si riconosce per il valore che dà alla terra" (Barros). "Non
dobbiamo dimenticare una saggezza popolare che fiorì tra i contadini, la vigorosa spina
dorsale della nazione. Queste grossolane perle della sapienza umana sono facilmente
discernibili nei proverbi" (Murphy).
Più spesso i proverbi sono "note di costume", nate dalla osservazione dei temperamenti e dei
comportamenti umani, intuizioni di psicologia e di sociologia da parte di persone intelligenti
e libere.
Pr 27,7 "Bocca sazia disprezza anche il miele, per chi ha fame anche l'amaro è dolce"
Sir 6,13 "Tieniti lontano dai tuoi nemici ma guardati dagli amici"
- Non è sufficiente al proverbio la "accumulazione delle esperienze". Gli risulta
indispensabile anche la formulazione letteraria del contenuto ; solo così risulta incisivo
colpisce, si fa memorizzare lascia traccia. Il proverbio è una sentenza artistica, "una formula
frappante" afferma la BJ. "In una sentenza il contenuto diventa significativo sol con la
coniatura, anche se primitiva o scurrile ... ciò vuol dire che in una sentenza si tratta di una
verità che viene sanzionata solo con la forma" (W. Preisendanz).
Ecco perché "la scoperta di proverbi è un lavoro ben faticoso" (Sir 13,26b).
Nella nostra cultura ad es l'efficacia di un proverbio dipende dalla capacità di trasformare un
principio in un'immagine, dalla brevità e concisione del testo, talvolta si aggiunge la rima :
"Non cade foglia che Dio non voglia"
"Le zucche vuote fanno più rumore"
"Fa più vittime la lingua che la spada"
Anche il linguaggio dei proverbi biblici è artistico e segue i canoni della poesia ; è
composto per lo più di due stichi, utilizza il parallelismo, gioca sulla assonanza o la rima.
L'immagine colpisce la fantasia, l'immaginazione, il ritmo comunica espressività : ambedue
elevano il linguaggio al livello letterario, artistico.
Purtroppo nella traduzione la sonorità del verso risulta sacrificata.
Ancora con Von Rad osserviamo : "L'esigenza cui il proverbio deve soddisfare in ogni
circostanza è la brevità, la densità - pur mantenendo la chiarezza - e in certi casi la plasticità ;
in breve la sentenza deve essere facile da ricordare ... eminente portata riceve in queste verità
tramandate la parola che fissa : solo con le sua formulazione la verità viene fissata e
sanzionata come verità.
- W. ZIMMERLI nella sua "Teologia dell'AT" distingue due tipi di proverbi : "detto di
constatazione e detto di ammonimento".
Il primo, come dice il nome, è una sentenza che verifica un fatto, che registra un fenomeno :
Pr 12,25: "L'affanno deprime il cuore dell'uomo, una parola buona, lo allieta"
Pr 15,17: "Un piatto di verdura con amore è meglio di un bue grasso con odio"
Sir 31,20: "Sonno salubre con stomaco ben regolato ; al mattino si alza e il suo spirito è
libero"
Il "detto di ammonimento" invece ha un valore morale, mette in guardia, suggerisce un
comportamento :
Pr 10,5: "Chi raccoglie d'estate è previdente, chi dorme al tempo della mietitura si
disonora"
Pr 13,24: "Chi risparmia il bastone odia suo figlio, chi lo ama è pronto a correggerlo"
Sir 33,4: "Preparati il discorso, così sarai ascoltato ; concatena il tuo sapere e poi
rispondi"
Una ulteriore suddivisione può essere introdotta tra"proverbi semplici" che constano di
una sola sentenza e "proverbi composti", dove l'unità letteraria si articola in due o tre pezzi.
- Conoscere i proverbi è certamente importante per comprendere l'anima di un popolo, la sua
filosofia della vita, i valori in cui crede ; si rivela strumento prezioso in un dialogo culturale,
nella inculturazione del messaggio cristiano. Con la "verità umana" dei proverbi della Bibbia
ci si può confrontare, Israele insegna.
Il volto dell'Israele premonarchico diventa visibile tramite questo ingente repertorio di
sentenze (sapienza popolare a carattere gnomico). Sembra si possa rintracciare la primitiva
10 In compagnia della sapienza.doc
26
sapienza israelitica principalmente nelle due raccolte salomoniche del Libro dei Proverbi che
corrispondono a 10,1-22,16 ; 25,1-29,27.
Ogni proverbio forma un'unità letteraria a se stante ; le sentenze sono raccolte senza
preoccupazione di ordine, sono semplicemente accostate, senza sviluppo logico nel discorso.
Potremmo chiamarli "pensieri spettinati" (Stanislaw J. Lec).
Ne può derivare un criterio di lettura : il libro dei Pr non è da leggersi da capo a fondo, ma
piuttosto da delibare qua e là, pescando da una parte o dall'altra ...
- Si può chiudere così in forma di sintesi questo capitoletto sulla primitiva sapienza biblica :
"Generalmente gli autori non ritengono sconveniente ammettere che l'antica sapienza, nella
sua fase orale e preletteraria, si radichi nell'humus del popolo ... luogo originario del
proverbio è la famiglia. Il focolare familiare è il luogo primigenio dove nasce e si sviluppa
l'individuo umano. E' anche il luogo dove incomincia il suo addestramento alla vita, cioè la
sapienza. Il padre o capo-clan è responsabile di tutto, in lui si concentra tutto il potere. E' il
depositario della tradizione e trasmettitore di essa a tutti i discendenti ... si considerano note
costitutive, se non esclusive della sapienza popolare la antichità, la semplicità o facilità di
comprensione, il suo carattere pratico, fondato sulla osservazione, la trasmissione orale, la
brevità e la plasticità della frase che lo contiene, anche se non artistica e l'anonimato"
(Vilchez).

"Il libro dei Proverbi è il più tipico delle letteratura sapienziale di Israele" (BJ) "Il più
rappresentativo dei sapienziali biblici.
In esso si incontrano le testimonianze più antiche e più raffinate dello stile letterario
sapienziale, che assomigliano abbastanza ad esemplari di altre letterature, per es. quella
dell'Egitto" (Vilchez).
In quest'opera si coglie la evoluzione del genere didattico nelle sue forme (da quelle più
semplici a quelle più elaborate) e nei suoi contenuti (dai temi di sapienza popolare o borghese
agli argomenti più profondi ed impegnativi. "Contiene senza dubbio l'essenza della sapienza
israelitica con il suo duplice volto : quello della sapienza popolare anche se stilizzata dai
saggi e quello della sapienza di scuola"(Vilchez).
- La tradizione testuale di Pr ci ha trasmesso una forma ebraica che presenta molte difficoltà
di comprensione ; alcuni termini risultano quasi intraducibili e spesso manca un contesto che
orienti a capire il loro significato. La versione greca si differenzia notevolmente dal TM e
presenta notevoli aggiunte (circa 130 stichi).
La maggioranza delle varianti sembra intenzionale, quasi frutto - come si sostiene
comunemente - di una interpretazione di tendenza haggadica.
Esse si trovano soprattutto nel manoscritto B.
"C'è da domandarsi se i LXX siano una specie di targum del TM oppure se sia legittimo
pensare a una duplice Vorlage ebraica : una confluita nel TM e un'altra nella versione dei
LXX. La Chiesa cattolica ha accolto e conservato sia il testo ebraico che il testo greco"
(Bonora).
TITOLO DEL LIBRO
"Proverbi di Salomone, figlio di Davide, re di Israele",
Abbiamo già visto che il termine ebraico "mashal" ha un ampio ventaglio di significati che
vanno dal semplice detto popolare alla sentenza raffinata, alla parabola e alla allegoria.
L'attribuzione salomonica è un indizio della tradizione creata dall'Illuminismo salomonico e
del prestigio di cui godeva il figlio di Davide nella corrente sapienziale. Del resto due
collezioni sono ricondotte esplicitamente a Salomone (10,1-22,16 e cc 25-29) ; secondo gli
studiosi rappresentano il polo di attrazione delle altre collezioni.
Il libro dei Pr concentra in effetti il prodotto del filone didattico di Israele, come il libro di Is
condensa la profezia e il Salterio colleziona la poesia religiosa destinata alla preghiera.
Una catena di autori anonimi ha coniato e collezionato i proverbi biblici ; non sapremo mai
chi sono, ma poco importa, perché ciò che resta è il prodotto finito e quello si può consumare,
perché di solito eccellente.
COMPOSIZIONE DELL’OPERA
I proverbi non sono un'opera unitaria, un poema didattico con sviluppo concettuale,
un trattato di buona condotta che obbedisca ad un piano regolatore. La struttura di superficie
è data da sottotitoli che compaiono nel testo biblico stesso e che aprono le diverse sezioni.
Il libro è eterogeneo e si presenta come una "collezione di collezioni " (TOB). La
maggioranza degli autori propone una suddivisione in nove raccolte o parti. Le passeremo in
rassegna, accennando anche al loro contenuto e all'epoca di composizione,
^ Prima Collezione (cc 1-9)
si apre con il titolo e propone il programma e lo scopo dell'intero libro. E' un'opera rivolta
primariamente all'insegnamento : vedere i cinque infiniti finali dei primi versi.
"Il tema o argomento principale è l'invito che il padre fa al figlio ad acquisire la sapienza,
cioè il buon senso e la prudenza della vita e a fuggire dai pericoli che accecano : le cattive
compagnie e in particolare quella della 'donna straniera'. Predominano i consigli ...
Sono degni di rilievo i discorsi della sapienza personificata, che parla della sua propria
origine e si raccomanda da sé (1,22-32 e 8,4-56) ; timidamente alza la voce 'Donna stoltezza'
(9,16-18) ...
La forma letteraria è unica nella letteratura israelitica fino a questo momento ... lo spirito che
si respira è profondamente religioso e jahvista. Tutti questi elementi sono decisivi per la
datazione tardiva della collezione" (Vilchez). Siamo in epoca postesilica.
Caratteristico di questa sezione è l'uso dell’appellativo "beni" = figlio mio ; secondo qualche
commentatore (Whybray) articola la collezione in dieci grandi paragrafi.
Per la fuga dai cattivi compagni cf 1,8-19 ; 4,10-19 ; 6,12-15
Per la messa in guardia contro la donna straniera si consulti : 2,16-22 ; 5,1-23 ; 6,20-35 ; c 7
Questa prima parte può essere vista come una grande introduzione generale all'opera intera,
composta forse dallo stesso redattore finale ed editore del libro, "molto probabilmente verso
la metà del secolo terzo aC" (Vilchez).
Il carattere recente di queste prima parte è documentato dalla evoluzione delle forme
letterarie sapienziali e dal maturare dei temi, specie quello della i-postatizzazione di Hokmah.
^ Seconda collezione (10,1-22,16)
porta come titolo "Proverbi di Salomone". E' una raccolta eterogenea di sentenze, una
antologia di brevi massime riunite senza un criterio coerente. Fin dal primo verso si avverte
che siamo passati ad un altro mondo letterario ; dai componimenti della prima parte al verso
corto di due emistichi. "Ogni proverbio sta a se, come unità indipendente, slegato dagli altri e
senza contesto, cosa che rende più difficile l'interpretazione. E’ possibile distinguere alcuni
piccolo raggruppamenti di proverbi collegati da parole-richiamo o dal tema omogeneo"
(Bonora).
Complessivamente abbiamo e che fare con 376 sentenze, che concernono per lo più la vita
morale : "ve ne sono di ingegnose ed acute, però in buona parte ci risultano convenzionali e
monotone" (Alonso).
Sono per lo più delle massime, i consigli sono rari. Le materia è eterogenea e si estende alla
vita intera nelle sue varie circostanze ed aspetti. Predomina il pragmatico e il profano sul
religioso.
"I temi trattati sono i più vari, numerosi come i fatti e le situazioni della vita quotidiana.
Domina sempre il desiderio di cogliere nel mondo un ordine e di elaborare di conseguenza,
norme di comportamento per il saggio che vuole vivere in sintonia con il cosmo e con
l'umanità. Sovrana fonte di sapienza è sempre la riflessione sull'esperienza" (Bonora).
Dato il carattere isolato delle massime, è difficile trattenere la attenzione in una lettura
cursiva e continuata del testo ; aiuta di più spigolare qua e là e assaporare una ad una le
singole massime. Questa prima raccolte salomonica è uno dei pilastri del libro intero ; sopra
la sua relativamente alta datazione esiste convergenza di pareri.
^ Terza collezione (22,17-24,22)
porta come titolo "proverbi dei saggi = massime dei maestri".
Questo terzo libro potrebbe essere del V-IV secolo aC date le sue caratteristiche tipicamente
"scolastiche". E' una collezione di 30 proverbi, "corrispondente - come dice Garbini - a un
mese lunare".
"In rapporto alla seconda sezione lo stile cambia notevolmente ; ai distici seguono strofe di 4
versi ; predomina l'uso della seconda persona come è proprio dei consigli. Ciò che non
cambia è la nota di varietà ed eterogeneità nel contenuto" (Alonso).
"E’ uno stile che sembra riflettere da vicino la relazione tra maestro e alunno. Questa raccolta
ha tutte le caratteristiche di un manuale scolastico su svariati argomenti.
Particolarmente grazioso e raffinato è il quadretto sull'ubriacone (23,29-35) descritto con
pathos e fine ironia. L'arte poetica è più elevata che nel libro II ; notevole è l'uso di squisite
metafore" (Bonora).
Gli autori hanno intravisto una parentela tra 22,17-23,11 con l'opera della sapienza egizia che
porta come titolo "Istruzione o insegnamento di Amenemope" (1000-600 aC). Il parere
dominante è che Pr sia posteriore ad Amenemope e che dipenda letterariamente da essa,
benché non in modo servile.
^ Quarta collezione (24,23-34)
"Anche queste sono parole dei saggi". Seconda breve collezione di massime di maestri, molto
simile alla precedente. Spicca il ritratto del pigro in 24,30-34.
^ Quinta collezione (cc 25-29)
Secondo la soprascritta, della cui attendibilità non vi è ragione di dubitare, "Anche questi
sono proverbi di Salomone, trascritti dagli uomini di Ezechia re di Giuda".
E' la seconda collezione salomonica e la parentela con la prima è evidente. La sapienza di
Israele si arricchisce con l’apporto probabile dei fuggitivi di Samaria. La collezione è databile
dunque verso il 700 aC.
Comprende 128 sentenze tra le più felici di tutta l'opera. Osserva Vilchez : "Leggere Pr 25-27
è una delizia. In questi capitoli si incontrano i proverbi più puri in forma e contenuto. Vi
trabocca la sapienza popolare in una forma perfetta. Sono bellissimi i proverbi che utilizzano
fenomeni atmosferici delle natura come termini di paragone. Predominano i distici con
parallelismo antitetico".
Circa i contenuti possiamo rilevare l'interesse per la persona del re data l'origine delle
collezione alla corte di Ezechia.
"La prima parte (cc 25-27) contiene la più antica presentazione sapienziale della dottrina
della retribuzione, intesa nel senso che ad ogni atto segue una conseguenza proporzionata per
connessione quasi automatica, in obbedienza a leggi universali poste da Jahvè (tale teoria è chiamata dai tedeschi Tat-Ergehen-
Zusammenhang). Si tratta di una constatazione derivata
dall'esperienza, non di un Vergeltungsdogma, cioè di una teoria generale della retribuzione
elevata a dogma.
Leggiamo ad es Prv 26,27 : 'Chi scava una fossa vi cadrà dentro, e chi rotola una pietra, gli
ricadrà addosso'.
L'uomo è punito dalle sue stesse azioni, le quali riversano su di lui il male che egli vuole fare
agli altri" (Bonora).
I cc 28-29 (seconda parte della collezione) sembrano "aver di mira anzitutto studenti che
aspirano a cariche pubbliche" (Lemaire). Infatti più accentuato è l'interesse per la condotta
sociale, pubblica, e rilevante è l'enfasi religiosa : sono frequenti le allusioni al Signore, si
inculca la osservanza della Legge e si contrappongono i malvagi ai giusti. Chi è saggio
edifica la società, incrementa il benessere e la prosperità della comunità intera.
^ Sesta collezione (30,1-l4)
Gli ultimi due cc dei libro dei Pr sono costituiti da massime varie. "Probabilmente vanno
attribuiti ad un redattore di epoca postesilica, che li ha aggiunti come appendici al resto del
libro, attingendo anche a materiale preesilico. Contengono quattro appendici" (Bonora).
La prima (30,1-14) contiene i "detti di Agur figlio di Iakè, da Massa". "Abbiamo qui una
breve raccolta di detti d'uno straniero, di uno di quei figli d’Oriente la cui saggezza gode
molta stima ... può darsi che Agur sia un personaggio immaginario, ma l'averlo messo in
scena testimonia che la sapienza trascende i confini del popolo eletto ; essa è universale e
bisogna accogliere la verità ovunque si trovi"(BCC).
Questa prima appendice è definita da D. Cox "un dialogo tra uno scettico e un credente ...
l'intera sezione è dominata da una certa nota di indipendenza e di astrazione intellettuale che
fa pensare ai tratti più di un manuale di esercizi (textbook exercise) di 'prò e contro' che un
reale sforzo di affrontare un problema".
In ogni modo non deve sfuggire quella essenziale e magnifica preghiera contenuta in 30,7-9.
Come è piena di equilibrio, di buon senso !
^ Settima collezione (30,15-33)
non porta titolo. E’ una litania di proverbi numerici del tipo x + 1.
Per questo si distingue dal resto. Sono pensieri di autentica ispirazione letteraria. "L'ambiente
originario sembra essere il deserto per la serie di animali che appaiono in così pochi versetti"
(Vilchez).
"Proverbi numerici, molto sofisticati, idonei ad esprimere lo stupore di fronte ai misteri della
vita e la curiosità del poeta pensatore" (Bonora).
^ Ottava collezione (31,1-9)
questa terza appendice è un’altra collezione di pensieri di un sapiente non israelita ; "parole di
Lemuel, re di Massa, che sua madre gli insegnò",
"Riflette la tipica saggezza di un amministratore o di un responsabile della comunità. E' una
istruzione attribuita alla madre per conferire ai consigli un carattere familiare. Chi è
responsabile della comunità deve giudicare in modo obiettivo e non lasciarsi fuorviare da
nulla : sono portati due esempi di tentazioni - il sesso e il vino - che possono far perdere la
lucidità e l'equilibrio necessari in chi ha una responsabilità sociale" (Bonora).
^ Nona collezione (31,10-31
è il celebre poemetto sulla "donna forte - la femme de caractère''. E’ l'elogio della donna
virtuosa, utile per capire la concezione ebraica della femminilità. E’ un "superbo poema,
senz'altro il miglior poema alfabetico dell'AT" (Pfeiffer).
Si tratta di un carme alfabetico ; ognuno dei 22 versetti del poema comincia con una delle 22
lettere dell’alfabeto ebraico. La serie alfabetica ha un valore beneaugurante (Garbini). Tutto
l’alfabeto è necessario per tessere le lodi della donna ideale, quasi a dire che non ci sono
parole sufficienti per cantare l’elogio della sua persona.
La collocazione però di questo componimento al termine del libro dei Pr suggerisce di vedere
in esso qualcosa di più di un testo riguardante la figura della donna. In realtà questo ritratto di
donna perfetta "personifica la sapienza, sia quella secolare sia quella religiosa. Con questo
ritratto vivo e incarnato della sapienza il redattore finale ha costruito un parallelo ai cc 1-9.
Nei primi cc ricorreva di continuo l'invito a cercare la sapienza ; dopo il lungo percorso
attraverso tutto il libro, ecco la immagine viva della vera sapienza nella figura di una donna
eccellente" (Bonora).
SIGNIFICATO DELL'OPERA
Non esiste una dottrina del libro dei Proverbi. Il compendio delle singole sezioni
mostra la molteplicità e variabilità dei temi. La sua composizione si deve a una catena
anonima di saggi che pazientemente hanno raccolto come pietre preziose le sentenze che si
ripetevano in mezzo al popolo e nelle scuole e alle quali hanno dato loro stessi un apporto.
"Il libro dei Pr e soprattutto lo spirito che lo ha visto nascere hanno prestato un servizio
inestimabile : quello di colmare il distacco tra la sfera sacra e quella profana del mondo. I
sapienti proclamano, senza erigere cattedra di dottori, il sacro e il religioso della natura e la
naturalezza del religioso. La sapienza che costituisce l'uomo che lo guida e lo conduce, si
scopre che è un dono di Dio. Per questo ha senso parlare di umanesimo credente dei saggi
dell'Antico Oriente e di Israele in particolare. Ieri come oggi è vero che 'l'abbondanza dei
saggi è la salvezza del mondo' (Sap 6,24)" (Vilchez)
- G. BERNINI, Proverbi (NVB) Roma 1978
- D. COX, Proverbs, Wilmington 1982.

STUDENTATO TEOLOGICO SAVERIANO


AFFILIATO ALLA
PONTIFICIA UNIVERSITÀ URBANIANA
IN ROMA
CORSO COMPLETO SULL’ANTICO TESTAMENTO
A CURA DI P. RENZO LARCHER
IN COMPAGNIA DELLA SAPIENZA.
10 In compagnia della sapienza.do

2.2 – Um estudo de Provérbios 8


Seguirei os mesmos passos exegéticos realizados para analisar Pr 1,20-23. No item
2.2.1 farei a tradução do texto massorético, ressaltando alguns problemas encontrados e as
opções feitas. Em 2.2.2, buscarei apresentar uma delimitação de Pr 8 e em 2.2.3, a sua
60
estrutura. Em 2.2.4, examinarei os termos que formam o campo semântico do nosso texto e
em 2.2.5 identificarei os gêneros literários usados na sua composição. No item 2.2.6,
retomarei os traços principais que desenham o rosto da sabedoria mulher em Pr 8.
2.2.1 – Tradução e comentário
1 Não chama151 a sabedoria
e o entendimento dá sua voz?
2 na cabeça das alturas,
junto ao caminho,
na casa das sendas152 se coloca
3 em direção ao batente153 das portas,
em direção à boca da cidade, ela grita 154
4 A vós, homens, grito
e minha voz para filhos de Adão155
.
5 Entendei, ignorantes156, sagacidade.
e estúpidos157, entendei de coração.
6 Escutai, porque coisas importantes158 falarei
e abertura de meus lábios (mostra) retidão.
7 Porque uma verdade rugirá meu paladar
e abominação nos meus lábios é injustiça159
.
8 Na justiça todos os dizeres da minha boca
nada neles torcido ou pervertido.
9 Todos eles justos 160 para quem entende
e acertados para quem encontrou conhecimento.
10 Recebei minha correção161 e não o dinheiro
e conhecimento mais que ouro162 escolhido.
11 Porque boa a Sabedoria163, mais que os corais
e todas as coisas desejáveis não se comparam com ela.
12 Eu, a Sabedoria, moro com a sagacidade164
e conhecimento encontrei na reflexão.
13 O temor de Javé (faz) detestar o mal, a soberba e a arrogância.
Caminho mal e boca de perversidades, eu detesto165
.
14 Eu possuo o conselho e o bom senso.
Eu sou a inteligência e meu é o poder.
15 Por mim reinam os rei
e os governantes decretam justiça166
.
16 Por mim os príncipes governam
e os nobres todos que julgam167 (com) justiça.


2.2.2 – Delimitação e divisão do texto, buscando encontrar a coesão interna

O cap.8 do livro dos Provérbios possui uma coesão interna formada pela metáfora
da sabedoria mulher que se auto-revela, chamando para um encontro com ela e oferecendo
seus ensinamentos e dons. Há uma evolução desta figura, chegando a ser apresentada como
imagem de Deus nos v.30-31. A estrutura deste capítulo é formada por quatro unidades ao
mesmo tempo distintas e entrelaçadas:
1ª unidade: convite e exortação da sabedoria (v.1-11)
2ª unidade: a sabedoria se revela e mostra os seus dons (v.12-21)
3ª unidade: a sabedoria é parceira de Deus na criação (v.22-31)
4ª unidade: exortação da sabedoria e convite à decisão (v.32-36)
1ª unidade: convite e exortação da sabedoria (v.1-11)
A primeira unidade tem uma estrutura concêntrica, formada pela repetição de
hm'k.x' hokmah no v.1 e no v.11. A repetição da palavra justiça qd,eece zedek, nos v.8 e
9, faz o enlace da primeira unidade (v.1-11) com a segunda (v.12-21), pois a palavra justiça
está repetida nos v.15, 16 e 20 da segunda unidade. Outro enlace entre a primeira e a
segunda unidades encontramos no termo “veredas” tAbytin. netibot que está no v.2 (na
casa das veredas coloca-se a sabedoria) e se enlaça com a expressão “na senda de justiça”
hq'd'c.-xr;aoB. be-’orah zedakah que inicia o v.20, fechando-o com outra expressão
semelhante: “veredas de direito” jP'v.mi tAbytin. netibot mixpat.
casa das sendas (v.2)
sendas de justiça (v.20a)
sendas de direito (v.20b)
Estas expressões, carregadas de sentido simbólico, tanto social como religioso,
formam um elo, entre a primeira e a segunda unidade, ao mesmo tempo em que tecem o
campo semântico de todo o capítulo 8. É interessante ainda observar a repetição de termos
que têm o sentido de “sendas” ou “veredas”:
a) xr;ao ’orah tem o sentido de “vereda”, “caminho” ou “senda”, também pode ser
usada para indicar o comportamento das mulheres ou sua maneira de ser.184
b) tAbytin> netibot tem o sentido de “caminho, “vereda”, “senda”185, e também de
“procedimento” ou “conduta”, sobretudo nos textos sapienciais.186
Relacionando o v.2, onde a sabedoria se coloca na “casa das veredas” hb'C'nI
tAbytin> tyBe bet netibot nizabah com o v.20a “na vereda de justiça ando” $Leh;a]
hq'd'c.-r;aoB. be’orah-zedaqah ’ahalek e com o v.20b: “no meio da vereda da justiça”
jP'v.mi tAbytin> %AtB. be-tok netibot mixpat, encontramos um aspecto
significativo do campo semântico do texto, que apresenta a religião da Sabedoria,
relacionando-a com a justiça, aspecto importante no comportamento ético da casa. Também
pode indicar o comportamento das mulheres, suas relações de cumplicidade que fazem
parte de uma cultura subterrânea, vivida nas contradições, encontros e confrontos do dia-adia.
2ª unidade: a sabedoria se revela e mostra os seus dons (v.12-21)
A segunda unidade, ao mesmo tempo em que está enlaçada com a primeira, tem sua
estrutura própria definida e iniciada com o pronome pessoal ynIa] ’ani que a caracteriza,
pois este poema é todo elaborado em primeira pessoa. Podemos dividir estes dez versos em
duas estrofes de cinco versos cada uma: os v.12-16 exaltam os dons da sabedoria: “temor
de Javé”, “conselho”, “bom senso”, “poder”, “justiça”187, ao mesmo tempo em que a
apresenta condenando o “orgulho, a arrogância e as perversidades”. Os v.17-21 insistem na
relação pessoal com a sabedoria e mostram as conseqüências desta relação em riquezas e
glórias. A teologia subjacente a estes versos está muito próxima à teologia da retribuição,
bastante desenvolvida por Eclesiástico 4,11-19.
3ª unidade: a sabedoria é parceira de Deus na criação (v.22-31)
A terceira unidade é formada por um poema cósmico em que a hokmah se apresenta
ao lado de Javé, na obra artesã da criação (v.22-31). Esta unidade pode ser dividida em
duas estrofes iguais. A primeira estrofe é formada pelos v.22-26 e se caracteriza pela
repetição da expressão “desde”, formado pela preposição inicial -m m-, repetida 8 vezes,
com algumas variações entre os v.22-26. É interessante observar que esta expressão
“desde” introduz a criação de elementos da natureza, como: “terra”, “abismos”,
“mananciais de água”, “montanhas” e “colinas” voltando ao elemento “terra”, no v.26. Esta
repetição forma uma estrutura circular nesta sub-unidade (v.22-26). A preposição “quando”
-b b- introduz a segunda estrofe (v.27-31), com a criação do “céu e do círculo sobre a face
do abismo” (v.27), “as nuvens em cima e as fontes do abismo” (v.28) o “mar e os
fundamentos da terra” (v.29). A repetição de “abismo” no final do v.29 forma um paralelo e
mantém o ritmo da poesia, fechando novamente a estrofe com a palavra “terra”, e
introduzindo a frase principal de todo o capítulo: “e era junto dele artífice” (v.30). O verso
seguinte (v.31) é uma continuidade da frase iniciada no v.30 wyn"p'l. tq,x,f;m.
mesaheqet le-panan “dançava diante dele” (v.30) e “dançava no universo” lbeteB.
tq,x,f;m. mesaheqet be-tebel (v.31). A forma verbal tq,x,,f;m. mesaheqet pode ser
também traduzida por “alegrava”, e sua repetição mostra o ambiente de intensa e
integradora alegria com que é concluída a apresentação do trabalho artesanal da criação. A
forma como se encerra o terceiro poema é coerente com o campo semântico desta unidade,
pois a execução de uma obra artística gera profunda alegria, por mais simples que esta seja.
E aqui não se trata de uma obra qualquer, pois a obra criadora da hokmah artesã (v.30) é o
“universo” lbete tebel (v.31). A opção que fizemos ao traduzir mesaheqet por dançava
parece ser ainda mais coerente com todo o campo semântico do texto. Ao mesmo tempo em
que a expressão “dançava” mostra o ambiente de alegria gerado pela ação criadora e
artística da sabedoria, deixa ver também um ambiente litúrgico, de gozo e de prazer, onde o
corpo está totalmente integrado. Aqui, o texto é quase um ícone.
4ª unidade: exortação da sabedoria e convite à decisão (32-36
Esta unidade inicia-se com o termo hT'[;w. ve-‘atah “e agora”. Depois de tudo o
que já foi apresentado, o texto pede uma definição. Talvez nem fizesse falta. Ouvintes e
leitores já estão seduzidos pela sabedoria e querem escutá-la. Mas nosso texto retoma o tom
exortativo da primeira unidade, iniciando uma instrução com o termo “e agora”, com a
finalidade de motivar seus ouvintes a escutar a sabedoria. Nos v.32-34 encontramos uma
dupla promessa da felicidade: “feliz quem escuta o chamado da sabedoria e feliz quem
guarda o seu caminho”. Este fecho é, então, uma volta ao começo e mostra a coerência do
texto. Motivando seus ouvintes com estas bem-aventuranças, o texto os desafia a fazer uma
escolha entre a vida e a morte: quem encontra a sabedoria, encontra a vida e quem a odeia
ama a morte (v.35-36). Desta maneira o capítulo 8 se fecha, formando uma inclusão,
elaborada a partir do gênero literário instrução.
2.2.3 – Estrutura de Provérbios 8,1-36
Uma das maneiras de apropriar-nos de um texto é perceber a forma como foi tecido,
isto é, como foram organizados os diferentes conteúdos que o compõem. Neste item, busco
apresentar minha própria visão da estrutura de Provérbios 8, apresentando também a visão
que um conhecido estudioso tem da organização deste texto.
A – convite e exortação da sabedoria (v.1-11)
1 – a sabedoria é apresentada como uma profetisa, que grita em lugares públicos (v.1-3).
2 – em primeira pessoa ela mostra a importância e o valor dos seus ensinamentos (v.4-11).
B – a sabedoria se revela e mostra os seus dons (v.12-21)
1 – exaltação dos dons da sabedoria (dons messiânicos confira Is 11) (v.12-16).
2 – mostra as conseqüências da relação pessoal com a sabedoria (v.17-21).
B’ – a sabedoria é parceira de Deus na criação (v.22-31).
1 – a sabedoria existe desde antes da criação (v.22-25).
2 – a sabedoria é artífice da criação, junto de Javé (v.26-31)
A’ – exortação da sabedoria e convite à decisão (v.32-26)
1 – promete felicidade para quem a escuta (v.32-34).
2 – desafia a escolher entre vida e morte (v.35-36).
Encontro uma estrutura concêntrica na elaboração de Pr 8,1-36, formada pelo
gênero da instrução com suas motivações e exortações. Este gênero aparece no início (8,1-
11) e no final do cap.8 (v.32-36), formando a inclusão para os dois poemas revelatórios da
sabedoria (v.12-21 e v.22-31). Estes dois poemas, ao mesmo tempo em que recolhem a
tradição sapiencial de Israel, apresentam também a nova situação em que se encontram as
famílias de Judá, no final do império persa, e as circunstâncias que lhes permitem expressar
com mais liberdade suas experiências religiosas ligadas à vida da casa e da comunidade.
Em seguida, quero demonstrar que há outras possibilidades de fazer uma divisão
literária do cap.8 de Provérbios. Entre estas possibilidades, escolho o trabalho realizado por
Roland Murphy. 188 A estrutura literária de Pr 8, por ele apresentada, é a seguinte:
I – Introdução para o discurso público da sabedoria (v.1-3)
A - Pergunta, chamando a atenção de todos para o discurso da sabedoria (v.1)
B - Descrição dos lugares públicos que ela ocupa (v.2-3)
II – O discurso da sabedoria (v.4-36)
A - Convite para escutar (v.4-5)
B - Razões para escutar, apresentando uma descrição dos muitos motivos
que a sabedoria tem para recomendar-se (v.6-31)
1. A retidão e o valor dos seus ensinamentos (v.6-11)
2. Suas qualidades (v.12-16)
3. Suas relações com seus seguidores (v.17-21)
4. Sua origem eterna junto de Deus (v.22-31)
C - Conclusão
1. Repetição do convite (v.32-33)
2. Promessa de vida, ameaça de morte (v.34-36).

Para Roland Murphy, Pr 8 tem duas partes, uma formada pela apresentação da
sabedoria (v.1-3) e a outra pelos seus discursos (v.4-36). Esse autor não vê uma estrutura
concêntrica nesta perícope.189 No entanto, prefiro a primeira estrutura, apresentada em
forma concêntrica, pois a última instrução não faria falta ao texto. Já está bem remarcada a
importância e o valor da sabedoria. As motivações iniciais já seriam suficientes para que
leitores e ouvintes a buscassem, não fosse a necessidade de criar uma inclusão para o
conteúdo principal de Pr 8, que é a apresentação da sabedoria, com todos os seus dons
importantes para a vida de seus seguidores e suas seguidoras, assim como sua presença
junto de Javé, desde antes da criação do universo. Repete-se, então, uma instrução no final
do capítulo, criando uma inclusão que aponta para os dois poemas, nos quais a sabedoria se
revela.

2.2.4 – O campo semântico


O campo semântico de Pr 8 é formado, antes de tudo, pelas palavras próprias do
gênero sapiencial: “sabedoria” hm'k.x' hokmah está repetida 3 vezes como nome
(v.1.11.12) e uma vez como verbo, no imperativo: “sede sábios” (v.33); “entendimento”
hn'ybi binah, que aparece 5 vezes (no v.1, no v.5 encontramos este verbo 2 vezes no
imperativo, no v.9 e no v.14); “conhecimento” t[;D' da‘at aparece 3 vezes (v.9.10.12).
Estas palavras aparecem na primeira, segunda e quarta unidades, deixando a terceira
entrelaçada pelo ritmo métrico do poema e totalmente distinta em relação ao campo
semântico. A terceira unidade (v.22-31) é como a pedra preciosa desta jóia que é o cap.8 do
livro dos Provérbios.
Uma palavra que aparece também muito repetida é “justiça” qd,c, zedek,
marcando com clareza o campo semântico da primeira e da segunda unidades
(v.8.15.16.18.20). No v.20, aparece ainda outra palavra do mesmo sentido, que é “direito” jP'v.mi mixpat. A palavra “justiça” qd,c, zedek
está ainda relacionada com “caminho”
%r,D; darek “veredas” tAbytin. netibot e “senda” xr;a, ’erah, ligando o v.2, onde a
sabedoria se coloca na “casa das sendas” hb'C'nI tAbytin> tyBe bet netibot nizabah,
com o v.20a “na senda de justiça ando” $Leh;a] hq'd'c.-xr;aoB. be-’orah zedaqah
’ahalek e com o v. 20b “no meio da senda do direito” @p'v.mi tAbytin> %AtB.
be’tok netibot mixpat. Nesta repetição, encontramos um aspecto significativo do campo
semântico do texto, que apresenta a identidade da sabedoria e as características da sua
religião, que tem como conseqüência a prática da justiça, postura ética principal na
organização da vida da casa (clã) e da comunidade.
A raíz “escutar” [m;v' xama‘, que também faz parte do campo semântico do
gênero sapiencial, aparece repetido 4 vezes, ligando a primeira unidade (v.6) com a última
(v.32-36), sempre no imperativo: “escutem” W[m.v. xeme‘u.
A expressão “mais que o ouro”, que aparece no v.10, está repetida duas vezes no v.
19, com um sentido enfático: “mais que o ouro e mais que o ouro puro” zP'miW
#Wrx'm. me-haruz umipaz. Além disso, nestes dois versos, ela vem seguida do verbo
“escolher” rx;B' bahar no nifal particípio, escolhido”. A frase: “mais que o ouro e mais
que o ouro puro, escolhido” tem um significado acumulativo para indicar o imenso valor da
sabedoria. Esta expressão fecha a sub-unidade formada pelos v.1-11 e a enlaça com a que
vem a seguir (v.12-21).
Outra ligação entre as duas unidades literárias aparece na última expressão do v.11:
“não se comparam com ela” Hb'-Wwv.yI aloo lo’ yixvu-bah. A expressão, terminada
com sufixo pronominal feminino de 3ª pessoas (v.11), cria o ambiente para a autorevelação da sabedoria, como se apontasse para ela, que se
auto-apresenta nesta segunda
unidade (v.12-21).
Na terceira unidade (v.22-31), há uma quebra total do campo semântico. Nenhum
dos termos próprios da literatura sapiencial aparece neste poema, o que mostra sua
originalidade. No entanto, o ritmo de todo o capítulo é mantido através da estrutura poética,
pois os versos continuam agrupados em duas estrofes e cada verso é formado com duas
frases. O verbo ynIn"q' qanani que traduzi como “criou-me” introduz o tema da criação,
que percorre toda a unidade (v.22-31).190 Este verbo tem a ver com o campo semântico do
texto. Cria-se nos v.22-31 um espaço e um tempo cósmicos, caracterizados pela preposição
inicial -m m- repetida com algumas variações entre os v.22 e 24: wyl'['p.mi mi-pe‘alav
“desde antes de suas obras”, za'me me-’az “desde então”; ~l'A[me me-‘olam “desde a
eternidade”; varome me-ro’x “desde o princípio” ~mid>Q;me me-qadmim “desde as
origens”. Esta representação poética, repetida como se fosse um refrão, cria um tempo
anterior à própria criação, para indicar que a sabedoria é pré-existente.
A forma que expressa o tempo primordial muda no v.25, passando a ser indicada
por -B be- antes de verbos no infinitivo: Anykih]B; ba-hakino “quando estabeleceu os
céus”. Com esta forma, é introduzida a ação criadora do universo.
Os verbos “criou-me” ynIn"q' qanani (v.22), “fui estabelecida” yTik.S;nI
nisakti (v.23) e “fui gerada” ytl.l'Ax holalti (v.24 e 25) estão relacionados, de certa
maneira, aos verbos que indicam a ação artesanal criadora do universo. A semântica e a
forma se unem para elaborar a poética: “antes que as montanhas fossem assentadas”
W[B'j.h' ~yrIh' ~r,j,B. be-terem harim hatba‘u (v.25), “quando traçou um círculo
sobre a face do abismo” ~Aht. ynEP.-l[; gWx AqWxB. be-huqo hug ‘al-pene
tehom (v.27), “quando firmou as nuvens de cima e se fizeram as fontes do abismo”
~AhT. tAny[i z[]B; l[;M'mi ~yqix'v. AcM.a;B. be-’amzo xehaqim mi-ma‘al ba’az ‘iynot tehom (v.28), “quando pôs ao mar sua norma”
AQxu ~Y"l; AmWfB.
be-sumo layam huqo e “quando marcou os fundamentos da terra” #r,a' ydes.Am
AqWxB. be-huqo mosde ’arez (v.29). Todos estes verbos indicam um trabalho criativo e
artesanal realizado por Javé e a hokmah. É interessante observar que Javé só aparece uma
vez em todo o cap.8 de Provérbios (v.22).
Em quase todos os verbos desta subunidade (v.24-29), encontramos este -b beinicial. Vem repetido 9 vezes nos v.24.25.27, criando um
ritmo intenso de expectativa que
desemboca na expressão conclusiva: “e era junto dele artífice” !Ama' Alc.a,
hy<h.a,w" va’eheyeh ’ezlo ’amon (v.30). Toda a construção deste poema está
direcionada para este verso em que a sabedoria se apresenta como artífice do universo ao
lado de Javé. Este é o ponto alto não só deste capítulo, mas de toda a primeira seção do
livro dos Provérbios (1-9).
Os v.30-31 apresentam termos e repetições importantes, que merecem uma atenção
especial. O verbo “ser”, “acontecer”, hyh hyh ocorre duas vezes no v.30, na forma
hy<h.a,w. ve-’eheyeh.
191 Este verbo foi traduzido por “e era”, para dar mais sentido à
frase: “e era junto dele artífice”. No entanto, dentro do campo semântico, quero ressaltar o
sentido de “acontecimento” que este verbo carrega. Há um dinamismo criativo, alegre e
prazeroso formado pelo conjunto das palavras dos v.30-31. A hokmah é o sujeito desta ação
dinâmica, realizada “junto dele”, isto é, junto de Javé. Sua ação de artífice !Ama'’amon
está claramente definida. Segundo Hans Wildderger, o termo !Ama' ’amon significa
“artista” e encontra-se em Ct 7,2; Jr 46,25 e Pr 8,30; !Ama' ’amon não tem nada a ver
com a raiz ’mn, como se pensava anteriormente e, seguramente, se remonta, através do
acádico ummanu, ao sumérico, que carrega o sentido de “artesão”, “artífice”. Hans
Wildderger, insiste em que o sentido de ’amon não é “criança mimada ou preferida”, mas “artista”192
.
O termo “delícias” ~y[ivu[]v, xe‘axu‘im também está repetido duas vezes. Uma
no v.30, como nome plural, e outra no 31, como verbo no piel particípio absoluto,
feminino, singular. Este termo, que traduzi por “delícias” (v.30), e “me deliciava” (v.31),
pode ser entendido como “prazer”, “delícia”, “deleite”, “encanto”193. Um prazer que
provém da ação criativa realizada em relação, pois está entrelaçado com a expressão: “junto
dele” Alc.a,, ’ezelo tem seu paralelo em outra expressão com sentido semelhante: “diante
dele” wyn"p'l. le-panav. O entrelaçamento destes termos e sua repetição comunicam a
prazerosa relação entre a hokmah e Javé e dela com a humanidade: “era delícias dia -a-dia”
(v.30) e “me deliciava (com) filhos de Adão” (v.31).
Outro termo repetido nos v.30 e 31 é a palavra tq,x,f;m. mesaheqet. Sua raíz
xmf smh ou qxc zhq é a mesma de “riso”, “risada”. Expressa a alegria vivenciada nas
festas profanas e também nas festas religiosas. Alegria se manifesta em saltos de gozo (Jr
50,11), em “dança”, música e gritos de júbilo (1Sm 18,6; 2Sm 6,12.14; 1Rs 1,40.45; Ne
12,27).194 tq,x,f;m. mesaheqet está no piel particípio, feminino, singular, expressando a
intensidade do verbo. Sua raíz é qxc zhq, uma forma alternativa de xmf smh que no qal
tem o sentido de “rir”, “alegrar-se”, “rejubilar-se”. Em Pr 31,25, a mulher forte “ri do
futuro” qx:f,Tiw: vatisehaq, dando a entender que, por ser competente, ela pode viver
sem preocupação. O hifil de qxc expressa “caçoar”. Em 2Cr 30,10, os israelitas do norte
receberam um convite de Ezequias para participar da páscoa de Jerusalém e “riam” ou
“caçoavam” ~yqiyhif.m: masehiqim dos seus mensageiros. Já o piel avança na direção
de conceitos mais positivos. Em Gn 26,8, Isaque foi visto “divertindo-se” qxec;m.
mesaheq com sua mulher, Rebeca.195 A Bíblia sagrada de João Ferreira de Almeida e a
Bíblia de Jerusalém traduzem este termo por “acariciava”, enquanto a Tradução Ecumência
da Bíblia traz o termo “divertia-se”. Em Pr 8,30 e 31, este termo tq,x,f;m. mesaheqet
aparece duas vezes, porém ele não se encontra em outra parte do Antigo Testamento, nesta
forma verbal. Somente aqui, e repetido duas vezes (Pr 8,30-31).196
Ao traduzir tq,x,f;m. mesaheqet por “dançava”, procurei ser fiel tanto à raíz do
verbo,197 como ao seu tronco (piel particípio). A expressão “dançava no universo” fecha
esta subunidade, em sintonia com a semântica das palavras anteriores: junto de Javé, a
hokmah realiza com arte a obra da criação, ao mesmo tempo em que causa prazer na sua
relação com Javé, ela encontra prazer na sua relação com a humanidade e dança de alegria
diante de Javé e do universo.
O cap.8 se fecha (v.32-36) com palavras próprias do gênero sapiencial, tal como foi
iniciado: “escutai” W[m.vi xime‘u, “caminho” %r,D, derek, correção”rs'Wmmusar,
“sede sábios” Wmk'x] hakamu (v.32-36). Estes termos já estavam presentes na primeira
unidade (v.4-11). No entanto, o final deste capítulo apresenta não somente esta
continuidade em relação ao seu início, mas traz uma novidade: a palavra yrev.a; ’axere
“feliz ou abençoado”. Este termo aparece duas vezes nesta última parte (v.32 e v.34). Este
morfema, repetido desta maneira, poderia ser uma indicação da memória da Deusa Aserá
no poema. Mas John Day é contrário a esta opinião, afirmando que “esta palavra é muito
freqüente no livro dos Provérbios e relacionada com a literatura sapiencial (conferir Pr
8,32.34; 14,21; 16,20; 20,7; 28,14; 29,18; Sl 127,5; 127,1)”198
. Judith Hadley, depois de uma exaustiva investigação sobre o uso da palavra ’axerah
na Bíblia Hebraica e de confrontar o resultado da sua pesquisa literária com as descobertas
arqueológicas de Khirbet el-Qon e Kuntillet ‘Agrud, afirma: “pode ser que o culto a Aserá
tenha sido uma parte legítima do culto a Javé”199
.
Portanto, mesmo que o sentido da palavra yrev.a; ’axere nos v.32 e 34 seja “feliz”
ou “abençoado”, isto não impede que a memória da Deusa esteja presente neste morfema,
como um símbolo que ecoa na vida das mulheres, nas casas. Esta palavra aparece também
em Pr 3,13: “feliz o homem que encontrou a sabedoria” e, especialmente, em 3,18: a
sabedoria “é uma árvore de vida para os que a acolhem, e felizes são os que a retêm”.
Assim sendo, o campo semântico de Pr 8 ao mesmo tempo que é tecido com a
repetição de termos próprios da literatura sapiencial, traz uma grande novidade, um tempo
primordial simbólico formado de formas adverbiais usadas junto a verbos relacionados à
ação de criar, tecendo desta maneira um tempo e um espaço próprios para a auto-revelação
da hokmah como parceira de Javé na criação do universo. O campo semântico de Pr 8 nos
mostra ainda aspectos importantes da religião da hokmah, com a repetição das palavras
“justiça” e “direito”.
2.2.5 – Gêneros literários
Quanto aos gêneros literários, em Pr 8,1-36 encontramos uma apresentação (8,1-3),
duas instruções (v.4-11 e 32-36) e dois poemas (v.12-21 e 22-31). Na apresentação (v.1-3),
encontramos um convite, feito em terceira pessoa, mostrando a sabedoria que começa
chamando (v.1) e termina gritando (v.3). A primeira instrução está nos v.4-11, onde a
sabedoria se dirige aos seus ouvintes mostrando a importância de seus ensinamentos. Nessa instrução, encontram-se alguns mexalim, como
os v.5,10 e 11, que estão repetidos dentro da
mesma seção (conferir 8,5 e 6,32; 8,10 e 2,4; 3,14; 8,19; 8,11 e 3,15) e em outros escritos
sapienciais (Pr 16,16; Jó 28,15-19).
Uma das características da poesia hebraica é a antítese. Nesta primeira unidade, ela
aparece elaborada em forma de quiasmo (v.7-8):200
A – meu paladar proncunciará a verdade B – abominação em meus lábios é maldade
B’ – não há neles nada pervertido A’ – na justiça todos os dizeres da minha boca
A conclusão desta instrução está no v.11, caracterizada por uma frase iniciada por
yKi ki “eis que a sabedoria é melhor que os corais e todas as coisas desejáveis não se
comparam com ela”.
O primeiro poema revelatório (v.12-21) é marcado por antítese, repetições,
paralelismos e comparações que revelam o rosto da sabedoria e os bens que ela oferece. As
palavras são próprias do vocabulário sapiencial, mas estão relacionadas através da poesia,
com um ritmo que gera um sentido novo, criando um espaço invisível entre as frases e
linhas.201 O sentido novo criado neste poema (v.12-21) é o espaço de atuação da sabedoria,
combinando palavras do vocabulário sapiencial com verbos:
Eu, a sabedoria, moro com a sagacidade
e conhecimento encontrei na reflexão (v.12).
A repetição do mesmo verbo, com tempos diferentes, cria também um sentido novo
que revela a identidade da sabedoria, deixando no ar uma pergunta sobre a relação amorosa
e gratuita que ela oferece:
Eu amo aos que me amam
e madrugando por mim, me encontrarão (v.17).
No segundo poema revelatório (v.22-31) cria-se um tempo anterior ao tempo
histórico e até mesmo ao momento da criação, além de um espaço cósmico formado pelos
advérbios “antes”, “desde” e “quando”, repetidos no início de cada frase. O tempo anterior
à criação, o “momento” da criação artesanal e o espaço cósmico são criados em um ritmo
envolvente, através de algumas repetições de advérbios e de elementos da natureza, como
“terra” (v.23.29), “abismo” (v.24.27.28), “mananciais de água e fontes do abismo”
(v.24.28). Esta repetição é um recurso poético importante na poesia hebraica. Tem a função
de criar um espaço e um tempo primordiais próprios para a apresentação da sabedoria
criadora do universo, ao lado de Javé. Ao concluir sua apresentação, o poeta usa outra
expressão poética para mostrar a sabedoria mulher “dançando no universo, sua terra” e
encontrando suas delícias no relacionamento com os “seres da terra”, “os filhos de homem”
~d'a' yneB. bene ’adam (v.31).
A poesia dos v.30-31 é construída através do paralelismo. “O paralelismo é muito
mais do que só uma forma literária. Ele revela algo da mentalidade do povo hebreu. Revela
um estilo contemplativo que não segue a nossa lógica.”202
E era a seu lado artífice
e era suas delícias dia a dia.
Dançava em sua presença todo o tempo,
dançava no vazio da terra
e me deliciava com a humanidade (v.30-31).
Entre estas palavras repetidas e aproximadas com cuidado e arte, encontra-se um
sentido escondido. No texto não aparecem os nomes de Javé e da hokmah. No entanto, o
texto apresenta uma visão da espiritualidade das famílias judaítas, no pós-exílio. Uma
espiritualidade marcada pela experiência do prazer, da integração com a natureza, das relações interpessoais que se expressam nas casas, das
liturgias domésticas. Porque dançar
diante de Javé é liturgia. A espiritualidade que transparece neste texto (v.30-31), não tem
uma visão solitária da divindade. Javé, que está subtendido no texto, tem a hokmah ao seu
lado, em prazerosa e criativa relação, enchendo de alegria o universo.
O cap.8 fecha-se com outra instrução (v.32-36), que retoma o gênero exortativo dos
v.4-11, iniciando com uma conjunção que tem o valor de conseqüência: “portanto, filhos,
escutai-me!” Esta exortação final também faz parte do gênero poesia, formada pelo
paralelismo das duas bem-aventuranças:
felizes os que guardam meus caminhos (v.32b)
feliz a pessoa que me escuta (v.34a)
Um outro aspecto da poesia hebraica que aparece nesta última instrução é a antítese,
fechando o capítulo com um convite para escolher entre vida e morte. Quem escolhe a
sabedoria encontra a vida e quem a rejeita está no caminho da morte:
Pois quem me encontra, encontra a vida e obtém o favor de Javé.
Mas, quem peca contra mim faz mal a si mesmo.
Os que me odeiam amam a morte (v.35-36).
Conclusão: a semântica e os gêneros literários de Pr 8 realçam a surpreendente imagem da
sabedoria como artista do universo. Nosso texto é formado por expressões adverbiais e
palavras escolhidas, usadas com arte para alcançar seu objetivo. As palavras e a forma se
unem para formar um desenho especial e único, dando visibilidade à sabedoria mulher que
se apresenta publicamente, oferece os seus dons e se revela como companheira de Javé e
artífice da criação.
2.2.6 – Uma visão da sabedoria mulher
Inicialmente, a sabedoria mulher é apresentada em Pr 8 como profetisa que grita
com alegria, força e autoridade em lugares públicos, chamando todas as pessoas para que
venham a seu encontro (v.1-3). A abrangência dos destinatários principais da sabedoria
mulher fica determinada pela expressão “filhos de Adão”, que é genérica e inclusiva (v.4).
Somente em um segundo momento ela se dirige aos ingênuos e insensatos (v.5).
Nos v.1-3 a sabedoria mulher é apresentada em terceira pessoa, pelo autor do texto.
A partir do v.4, ela se auto-revela, oferecendo seus ensinamentos e mostrando, através de
comparações, o valor imenso dos seus dons. Seus ensinamentos valem mais do que o ouro
puro, do que pérolas e jóias (v.10-11 e 19). Embora consciente de seu valor, ela está
totalmente aberta aos que a amam, sem colocar nenhuma outra condição para ser
encontrada, a não ser o desejo e a busca.
Um traço muito importante para se obter uma visão da sabedoria mulher em
Provérbios 8 é sua relação com a justiça. Ela caminha pelas “sendas da justiça” (v.20a) e
pelas “veredas do direito” (v.20b). Mas, a justiça e o direito não representam apenas uma
postura ética pessoal da sabedoria mulher. Ela dita “sentenças justas” (v.8) e leva os
governantes a serem justos e a exigir a justiça (v.15-16). Sua definição ética é muito clara e
não pode suportar “lábios mentirosos” (v.8). A Septuaginta entendeu este aspecto e
acrescentou, a partir do seu contexto, que a sabedoria mulher não aceita a “fraude”203. Estas
expressões que mostram a sabedoria mulher ligada à prática da justiça e do direito têm uma
relação muito forte com a religião de Israel. Elas refletem uma questão social subjacente ao
texto e, ao mesmo tempo, apresentam um aspecto ético característico da experiência
religiosa que gerou o povo bíblico. Por isso, é importante ressaltar estes aspectos, antes de
mostrar outro lado do rosto da sabedoria mulher.
No poema dos v.22-31, a figura da sabedoria mulher vai crescendo até tomar
aspectos de Deusa. Inicialmente ela é apresentada como criada por Javé (v.22). Mas,
imediatamente sua figura evolui, pois o texto a apresenta como pré-existente a toda a
criação (v.23-29). Aquela que inicialmente foi apresentada como profetisa em lugares públicos e muito movimentados, gritando junto às
portas da cidade, toma a palavra e se
auto-apresenta como possuidora de dons muito importantes para a esperança messiânica,
dentro da situação concreta do pós-exílio.
Logo, há um salto, uma mudança total de ambiente. Cria-se um espaço e um tempo
próprios, onde a Sabedoria se revela como artífice junto de Javé na obra da criação (8,22-
31). Introduzido pelo verbo qnh, todo este poema (v.22-31) celebra a força criadora de vida.
Desde o primeiro verso, já estamos no âmbito mitológico da criação, carregado de emoção
pela sua beleza e força. Em um ritmo sereno e harmonioso, o poema nos conduz através da
terra e dos abismos, até os mananciais de água (v.24). Eleva -nos pelas montanhas e colinas
até os céus, para contemplar do firmamento a abóbada que se traçava sobre a face do
abismo (v.27). Toma-nos pela mão e nos leva às origens do universo para mostrar ali a
presença da sabedoria mulher, junto com Javé, como a grande artista, ’amon “artífice” do
cosmos (v.30-31).204
Há, ainda, traços muito importantes do rosto da sabedoria mulher em Provérbios 8
que merecem ser ressaltados. Ela proclama bem aventurados os que guardam seus
caminhos (v.32) e todos aqueles que a escutam, velando à sua porta todos os dias (v.34).
São bem aventurados e felizes porque, buscando-a haverão de encontrá-la e, encontrando-a,
terão encontrado o dom maior, a vida (v.35). Esta conclusão enfatiza o aspecto divino da
sabedoria mulher, pois quem pode oferecer a vida, senão Deus?

UNIVERSIDADE METODISTA DE SÃO PAULO


FACULDADE DE FILOSOFIA E CIÊNCIAS DA RELIGIÃO
PROGRAMA DE PÓS-GRADUAÇÃO EM CIÊNCIAS DA RELIGIÃO
A mulher sábia e a sabedoria mulher – símbolos de co-inspiração
Um estudo sobre a mulher em textos de Provérbios
por Mercedes Lopes
ORIENTADOR: Prof. Dr.
Milton Schwantes
Tese de doutorado apresentada em
cumprimento parcial às exigências do
Programa de Pós-Graduação em Ciências da
Religião, para obtenção do grau de Doutor.
São Bernardo do Campo, abril de 2007.

3 PERSONIFICAÇÃO DA SABEDORIA NO LIVRO DE PROVÉRBIOS


Uma das figuras de linguagem das mais populares é o animismo ou
personificação que “É a atribuição de qualidades, ações ou características
humanas a seres mortos, irracionais, inanimados ou abstratos” (MAIA, 1995, p.
145). Essa figura de linguagem torna a revelação mais eficiente e mais
chamativa. O Livro de Provérbios lança mão dessa figura de linguagem para
falar da sabedoria. "Este motivo de Sabedoria Feminina repete-se em outros
livros judaicos, como Sabedoria de Salomão, Siraque, Baruque e em algumas
passagens dos materiais de Qumran" (CHAMPLIN, 2013, p. 7, Vol. 6) A primeira personificação15 da sabedoria em Provérbios aparece em
Pv
1,20-33. Nesses versos a Sabedoria semelhante a um pregoeiro que anda pelas
ruas da cidade, lembrando a figura dos profetas que admoestavam e advertiam o
povo (ver Jer 11,6). Essa imagem de um pregador ao ar livre lembra o apelo de
Is 55. Aqui a Sabedoria tem um objetivo: “A sabedoria personificada quer atrair o jovem e lhe servir de guia” (nota da BEA, p. 667).
Interessante é que a
sabedoria é uma figura feminina em Provérbios, onde aparece "como uma
Senhora Nobre que é tanto profetisa quanto professora" (CHAMPLIN, 2013, p. 7,
Vol. 6). Isso aliado à descrição da ‘mulher virtuosa’ no capítulo 31, torna o livro
de Provérbios um dos livros onde a mulher é mais valorizada no AT: “Mulher
virtuosa16, quem a achará? O seu valor muito excede o de finas joias?”17 (31,10).
Concordamos então com a opinião de o capítulo da 'mulher virtuosa' foi posto
como o final dos Provérbios porque funcionaria como uma alegoria que
descreve a Sabedoria personificada (nota da BJ, p. 1069).
O fato de a sabedoria aparecer personificada como uma mulher explica-se
porque o livro dirige-se principalmente aos homens, mais exatamente aos
rapazes, advertindo-os contra o perigo do sexo fácil, isso “por sua vez, reflete a
estratégia pedagógica dos mestres sapienciais, bem como seu desejo de atrair e
motivar os jovens homens que constituíam a maior parte de seu público, senão
todo ele” (REVISTA da Bíblia, 2006, p. 9). A personificação da sabedoria é como
a da noiva perfeita que todo homem deve procurar para fazê-la sua esposa, aliás,
“O que acha uma esposa acha o bem e alcançou o favor do Senhor” (18,22),
interessante comparar esse provérbio com este em que a sabedoria declara:
“Porque o que me acha acha a vida e alcança favor do Senhor” (8,35).
A sabedoria contrapõe-se a mulher-loucura (9,13-18), que seduz aqueles
que desconhecem que “seus convidados estão nas profundezas do inferno” (v.
18). Esta é descrita como assentada nas alturas da cidade e convidando todos
aqueles que passam. A mulher-loucura aparece como um pastiche malfeito da
sabedoria: o tolo que se esforça por parecer sábio, mas isso na verdade o torna
apenas mais tolo. Assentada nas alturas da cidade essa mulher convida à
transgressão: “As águas roubadas são mais doces” (9,17). Provérbios várias vezes
alerta contra o adultério18, como quando diz “Bebe a água da tua fonte” (5,15). A figura
16
Feministas podem, no entanto, criticar essa passagem como se referindo a “perfeita dona de casa” (cf.
BJ, p. 1068), ou “perfeita Amélia”. Uma leitura sincera, porém, do texto, mostra que essa mulher não
‘cuidava’ apenas da casa. A Bíblia de forma geral demonstra a complementaridade dos sexos, jamais a
concorrência entre eles.
17 Podemos achar uma visão pessimista da mulher na literatura sapiencial. O Pregador declarara: “entre
mil homens achei um como esperava, mas entre tantas mulheres não achei nem sequer uma” (Ec 7,28). Se
Provérbios, mesmo tecendo elogios a boa esposa, critica a mulher “rixosa”, também o vemos tecer críticas
em relação ao homem: “Ao mesmo tempo, Provérbios critica severamente a esposa implicante e briguenta
(19.13; 21.9,19), e os maridos insensíveis, preguiçosos e rabugentos (14.29; 26.21)” (KING JAMES, p. 145).
18 “A expressão 'adúltera' não se aplica somente à perversão sexual, mas a todo tipo de distorção da
verdade, falsificação, corrupção, deturpação e perversidade (Fp 2.15 e Pv 2.15)” (KING JAMES, p. 4, nota a
Prov. 8,8).
JÚLIO CÉSAR TAVARES DIAS
INTERAÇÕES – CULTURA E COMUNIDADE, BELO HORIZONTE, BRASIL, V.9 N.15, P. 168-180, JAN./JUN.2014
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das águas19 aparece novamente, agora no convite da mulher-loucura ao sexo fácil.
Essa figuração da sabedoria deve-se muito a uma influência egípcia: a
deusa Maat, que era concebida como uma mulher jovem cujos cabelos longos
descem sobre os ombros e tendo na cabeça uma pena de avestruz, que é seu
símbolo, amarrada por uma fita: após falecida, a pessoa comparecia diante de
Osíris, o rei dos mortos, para ser julgada, o coração do morto era pesado em
uma balança, sendo que no outro prato havia uma pena de avestruz, "E assim a
justiça era determinada" (CHAMPLIN, 2013, p. 3, Vol. 4). Na verdade, "Alguma
dependência [em relação ao Egito] não deveria nos surpreender, dadas as
preocupações comuns da literatura de sabedoria em todas as culturas" (BEG, p. 725).
Maat era para os antigos egípcios a encarnação da justiça e da verdade,
representando a ética e a ordem universal. Há certa semelhança entre os
capítulos iniciais de Provérbios e a literatura sapiencial egípcia20, agora
“podemos detectar que essa objetificação da sabedoria como mulher oferece um
indício da forte influência cultural do Egito” (RB, 2006, p. 9). A influência
egípcia se justifica porque “Quando a monarquia foi introduzida em Israel, a
sabedoria do povo, toda ela centrada em torno da vida do clã, não estava apta
para ajudar o Rei no governo (...) Por isso os reis importaram a sabedoria da
corte do Faraó do Egito” (VVAA, p. 25,26). O maior elogio que se faz a
Salomão21, inclusive, é o de que sua sabedoria excede a dos sábios do Oriente e
do Egito (I Reis 5,10-11).
Depois o rei Ezequias, movido por um nacionalismo, romperia com a
sabedoria do Egito, e valorizaria a sabedoria popular: seus escribas se
encarregariam de colecionar os provérbios do povo. ‘Maat’ pode ser substantivo
próprio, referindo-se a deusa, mas também pode aparecer como substantivo
comum, sendo o conceito da ordem universal. Maat, semelhante à deusa grega
Têmis, representava a ordem cósmica primordial. Esse conceito aparece em Pv
3,19: “O Senhor com sabedoria fundou a terra”, e também no discurso da Sabedoria em Pv 822. Nesse discurso, “ela explica o que pode
oferecer a todos os
que a buscam com amor e constância; fala a si mesma dos seus relacionamentos
com Deus e com a criação” (nota da BEA, p. 667). Ela aparece como que
disponível em todo lugar (v. 3) e para todos (v. 5), embora isso, só pode ser
possuída por quem a ama (v. 21) e por quem a procura (v. 17).
A sabedoria aparece como princípio criativo, posto que já estivesse com
Deus quando este criava o mundo: “O Senhor me possuiu no princípio de seus
caminhos e antes de suas obras mais antigas” (v. 22). Isso fez alguns pensarem
essa descrição como tipo do Cristo, entretanto, “Embora Cristo estivesse com
Deus antes da criação e toda sabedoria esteja contida em Cristo (Cl 2,3), estes
versículos não indicam que o próprio Jesus Cristo esteja sendo considerado
como sabedoria” (nota da BM, p. 794). Também já se pensou que a sabedoria de
Pv 8 fosse uma referência ao Espírito Santo. Assim pensaram alguns teólogos no
século II d. C., no século III generalizou-se identificá-la com Cristo23. A tradição
cristã "desde são Justino, reconhece em Cristo a Sabedoria do AT. Por
acomodação, a liturgia aplicou Pr 8,22s à Virgem Maria, colaboradora do
Redentor como a Sabedoria o é do Criador" (nota da BJ à Pv 8,22).
No prólogo do evangelho de João (1,3), o logos divino também aparece
como princípio criativo: “Todas as coisas foram feitas por meio dele, e sem ele
nada do que foi feito se fez”. Estudiosos com frequência tentaram encontrar no
pensamento helenístico a fonte do pensamento de João sobre o Logos. Aliás , "a
tendência para hipostatizações era forte durante o período de dominação grega"
(CHAMPLIN, 2013, p. 484, Vol. 5), o que fez alguns datarem o livro de Provérbios
como pertencente ao período helenista.
A ideia do "Logos" remonta ao filósofo grego Heráclito (VI a. C.) para
quem o Logos é que faz com que o mundo se torne cosmos apesar de todas as
coisas estarem em contínuo devir. Fílon de Alexandria (20 a.C. - 42 a.C.), o
filósofo judeu, empreendeu o esforço de casar a religião judaica com a filosofia
helenística, assim, "utilizou o conceito do Logos para prover uma forma de
mediação entre o Deus transcendente e a criação" (LADD, 2003, p. 358). O Logos
de Fílon, às vezes, é hipostasiado e personificado, mas não é personalizado.

22
Esse capítulo, como também o seguinte, é para Shedd muito importante, posto que seria a segunda parte
do livro. Para ele, o livro pode ser considerado como “um método para verdadeira piedade: 1) A piedade é
ensinada à juventude (1.1-7.27); 2) Piedade torna-se possível pela verdadeira sabedoria (8.1-9.18); 3) A
piedade em contraste com a impiedade (10.1-31.31)” (SHEDD, p. 922).
23 Assim faz, por exemplo, Shedd. Sua nota a Provérbios 1,20, para exemplificar, diz “A sabedoria
personificada que aqui fala é Cristo (cf. Pv 8.22-31; Jo 14.6), que promete o seu Espírito (23)” (SHEDD, p.
913).
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Assim, apesar de haver semelhanças o Logos grego não se aproxima da verdade
do evangelho: a preexistência e a encarnação do Verbo, em outras palavras, a
divindade de Jesus (LADD, 2003, p. 359, 360). O que leva a que atualmente a
tendência seja "interpretar o termo à luz de seu contexto veterotestamentário"
(LADD, 2003, p. 357).
No AT a palavra de Deus é portadora da salvação e da nova vida (Salmo
107,20; Ex 37) e aparece tendo uma existência semi-hipostática, de forma que
age para cumprir os propósitos divinos (Is 55,10-11). Pelo "disse Deus" foram
criados o mundo e o que nele há (Gn 1,3). A palavra de Deus está na Lei (Salmo
119) e na boca dos profetas (Jr 1,4; 2,1). Assim a palavra de Deus no AT pode
muito bem ser comparada ao Logos joanino. Na Sabedoria de Salomão (9,1-2)
sabedoria e palavra de Deus são postos lado a lado, e no Eclesiástico (24,3) a
sabedoria procede da boca do Santíssimo.
Mas, a sabedoria não é apresentada como ser divino em nenhum texto da
literatura sapiencial. A sabedoria em Pv 8 reconhece ter tido um início (v. 22-
24), ela nasceu de Deus. Contra-argumenta-se que não podemos identificar
Cristo ou o Espírito Santo com a sabedoria, pois, sendo pessoas da Trindade
Santíssima, são eternos como Deus Pai. Paulo, no entanto, afirma ser Cristo “a
sabedoria de Deus” (1 Co 1,23), e a imagem de Cristo como “sol nascente do
oriente” no Cântico de Zacarias (Lc 2) é também uma imagem comumente
usada para se referir à sabedoria.
A sabedoria compara seus benefícios com os do ouro e da riqueza (v. 17 e
18), numa clara confrontação ao materialismo e à avareza. Nos versos de 22 a 31
podemos ler como que a “infância” da sabedoria, pois “qual menina formosa,
brinca diante do criador para inspirá-lo a criar o mundo” (SILVA, 2008, p. 75)24.
Mas nos versos seguintes a sabedoria já é uma mulher madura, é representada
como uma mãe de imensa prole: “Agora, pois, filhos25, ouvi-me, porque bemaventurados serão os que guardarem os meus caminhos” (v.
32). Assim,
Provérbios reconhece o valor da mulher reconhecendo seu papel de mãe como
uma transmissora de sabedoria: “Filho meu, guarda o mandamento de teu pai e
não deixes a lei de tua mãe” (Pv 6,20, grifo nosso). Se "o recurso literário da
personificação [...] é comum na literatura de sabedoria" (nota da BM, p. 793),
lembremos que era rara essa referência ao papel da mãe na literatura sapiencial
(nota da BM, p. 783). Em Pv 9 a sabedoria, como também a loucura, é representada como uma
anfitriã. “Encontramos resumidos aqui os ensinamentos dos oito primeiros
capítulos” (nota da Bíblia Anotada Expandida, p. 614). A sabedoria e a loucura,
cada qual da sua casa26 lança o seu convite. A sabedoria preparou um imenso
banquete27 (representação de suas virtudes) e destina-o aos insensatos e
simples28 (v. 4), pois são esses que mais necessitam dela. O verso primeiro desse
capítulo, bem como o contraste que se faz entre a sabedoria e a loucura, faz com
que lembremos Pv 14,1: “Toda a mulher sábia edifica a sua casa, mas a tola
derriba-a com as suas mãos”.
Enquanto a sabedoria envia suas criadas para convidar as pessoas, a
mulher-loucura simplesmente assenta-se a frente de sua casa limitando-se a
convidar os transeuntes que por ali passam. A sabedoria envia suas criadas a
clamarem às encruzilhadas, veredas, junto às portas, na entrada da cidade, à
beira do caminho (Pv 8,2-4). Essa descrição pode simbolizar que “O convite da
Sabedoria vem ao nosso encontro em qualquer situação de nossa vida diária”
(SHEDD, p. 922). Semelhantemente é uma nota da King James (p. 157): “Uma
das mais evidentes demonstrações da graça de Deus está no fato de que ele
mesmo providencia – de todas as formas – para que sua mensagem de salvação
(evangelização) chegue a todos os povos, culturas e indivíduos em todo o mundo”.
Da mesma forma que a sabedoria, edificou a sua casa na altura da cidade,
“A insensatez falsifica os atos da sabedoria a fim de parecer sábia” (nota da
BEG, p. 738). Atender o convite de uma dessas mulheres traz as suas
26 Em
Pv 8 a sabedoria apareceu como arquiteto do universo, então a casa que ela aqui edifica pode referirse ao mundo. O número sete nos dá a
ideia de perfeição: “No Oriente, sete é o número completo e tem,
geralmente, o sentido de “muitos”” (SHEDD, p. 920). Para Shedd (p. 924), “Talvez as sete colunas são os
sete conceitos que formam a sabedoria (...). São a instrução, o Conselho, o Ensino (para espalhar a
Sabedoria); o Entendimento, a Inteligência e o Conhecimento (para receber a Sabedoria); a Prudência
(para aplicar a Sabedoria)”. Já uma nota da KING JAMES (p. 158) lembra que “As grandes edificações
pagãs, como o magnífico templo de Afrodite e o palácio do rei assírio Senaqueribe, costumavam ser
sustentados por sete imponentes colunas. Mas a sabedoria que vem do Senhor revela suas sete colunas nos
sete dias da criação (8.27)”.
27 “O convite divino sempre se expressou nos termos de um grande, delicioso e alegre banquete entre
amigos de verdade (Is 55.1,2). Somente em Cristo, entretanto, O Evangelho (a Salvação), esse banquete
eterno tem seu custo total e substância plenamente compreendidos (Jo 6.51-58)” (nota da KING JAMES, p.
158).
28 Esse convite repete o de Pv 1,20-22. “O termo original hebraico peti 'simples' comunica a ideia de uma
pessoa “ingênua, inexperiente, que é facilmente enganada”, ou seja, 'incauta' ”. “Néscio” ou “insensato” –
em hebraico, kesil – tem o sentido de alguém vagaroso na compreensão das coisas e da vida, mas inclui
também a ideia de ser “ímpio, pagão ou ateu” (Sl 49.13; Ec 7.25). (KING JAMES, p. 157, nota a Pv 8,5).
JÚLIO CÉSAR TAVARES DIAS
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consequências. Atender o convite da sabedoria gera longevidade (v. 11),
enquanto atender ao convite da loucura gera a morte (sheol29, v. 18).
4 CONSIDERAÇÕES FINAIS
A sabedoria é tema principal em Provérbios como em toda literatura
sapiencial. Ela está disponível a todos, enquanto verdade demonstrada pela
personificação da sabedoria presente nesse livro, que lança seu clamor para que
os homens a aprendam. A sabedoria apresentada como uma mulher tem suas
raízes numa tradição egípcia. O mais importante é saber que a sabedoria
pertence a Deus e é seu dom a quem o teme: “O temor do Senhor é o princípio
da sabedoria”. O fato de Deus outorgar a sabedoria ao gênero humano é sinal de
sua grande bondade.
REFERÊNCIA…
Interações: Cultura e Comunidade
interacoes.pucminas@gmail.com
Pontifícia Universidade Católica de Minas Gerais - Brasil
TAVARES DIAS, JÚLIO CÉSAR
“A SABEDORIA EDIFICA SUA CASA” – SABEDORIA NO LIVRO DE PROVÉRBIOS
Interações: Cultura e Comunidade, vol. 9, núm. 15, enero-junio, 2014, pp. 168-180
Pontifícia Universidade Católica de Minas Gerais
Uberlândia Minas Gerais, Brasil
Disponível em: http://www.redalyc.org/articulo.oa?id=313031807010
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Sistema de Informação Científica
Rede de Revistas Científicas da América Latina, Caribe , Espanha e Portugal
Projeto acadêmico sem fins lucrativos desenvolvido no âmbito da iniciativa Acesso Aberto
ARTIGOS
INTERAÇÕES – CULTURA E COMUNIDADE, BELO HORIZONTE, BRASIL, V.9 N.15, P.168-180, JAN./JUN.2014
“A SABEDORIA EDIFICA SUA CASA” –
SABEDORIA NO LIVRO DE PROVÉRBIOS1
“WISDOM HATH BUILDED HER HOUSE” –
WISDOM IN BOOK OF PROVERBS
JÚLIO CÉSAR TAVARES DIAS ∗

INTERAÇÕES – CULTURA E COMUNIDADE, BELO HORIZONTE, BRASIL, V.9 N.15, P.168-180, JAN./JUN.2014
ISSN 1983-247

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