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Meditazioni
uesto primo volume dell’e­
dizione critica delle Medi­
tazioni al clero di san Giu­
seppe Cafasso riporta una
porzione considerevole degli Esercizi
spirituali che il santo predicò ai
sacerdoti negli ultimi anni della sua
esistenza terrena.
Nel secondo volume appariranno le
Istruzioni, che costituivano il com­
pletamento delle prediche del Cafas­
so, tenute sempre durante gli Eser­
cizi spirituali.
Queste Meditazioni sono un prezioso
saggio di omiletica rivolta a un udi­
torio esigente, il clero piemontese
di metà Ottocento, e rivelano l’im­
portanza del Cafasso nella storia re­
ligiosa, e non solo, del XIX secolo.
Lucio C a sto è direttore dell’istituto Su­
periore di Scienze Religiose di Torino,
presso il quale insegna Storia della Chie­
sa, e docente di Teologia spirituale pres­
so la Facoltà Teologica dell’Italia Set­
tentrionale, Sezione Parallela di Torino.

SBN 88-7402- 26-7

788374 21260
E d iz io n e N a z io n a l e d e l l e O p e r e d i Sa n G iu s e p p e C a fa sso

Voi. 1 Esercizi spirituali al clero -- Meditazioni


Voi. 2 Esercizi spirituali, al clero - Istruzioni
Voi. 3 Missioni al popolo " Meditazioni
Voi. 4 Missioni al popolo ^ Istruzioni; Predicazione varia
Voi. 5 Epistolario - Testamento e ultime volontà per disporsi alla morte
Voi. 6 Scritti di morale

Commissione scientifica

Marco Carassi
Lucio Casto
Bartolo Gariglio
Giuseppe Ghiberti
Massimo Marcocchi
Francesco Peradotto
Alberto Piola
Renzo Savarino
Francesco Traniello
Giuseppe Tuninetti
Giuseppe Cafasso

Esercizi spirituali al clero


Meditazioni

a cura d i
Lucio Casto

EFFATA7 i l i EDITRICE
© Effatà Editrice 2003
Via Tre Denti, 1
10060 Cantalupa (To)

Tel. 0121.353.452 - Fax 0121.353.839


E-mail: info@effata.it
www.effata.it

ISBN 88-7402-126-7

In coperdna: ritratto di san Giuseppe Cafasso del 1860, anno della sua morte (da
una litografia della Ditta Doyen, eseguita per incarico di san Giovanni Bosco e
contenuta nel testo dell’Abate Luigi Nicolis di Robilant, San Giuseppe Cafasso,
stampato a Torino nel 19602 per conto delle Edizioni Santuario della Conso­
lata).
Grafica: Guido Pegone, Fabrizio Meloni
Stampa: Silgrafica —Pianezza (Torino)

Opera realizzata con il contributo del Ministero per i Beni e le Attività Culturali

Ristampa Anno
0 1234 5 03 04 05 06 07
Edizione Nazionale delle opere di
San Giuseppe Cafasso

Voi. 1
Esercizi spirituali al clero - Meditazioni, a cura di Lucio Casto
Voi. 2
Esercizi spirituali al clero ^ Istruzioni, a cura di Lucio Casto
Voi. 3
Missioni al popolo ■■Meditazioni, a cura di Pier Angelo Gramaglia
Voi. 4
Missioni al popolo ^ Istruzioni; Predicazione varia, a cura di Renzo
Savarino
Voi. 5 Epistolario - Testamento e ultime volontà per disporsi alla morte, a
cura di Giuseppe Tuninetti
Voi. 6 Scritti di morale, a cura di Mario Rossino
SEVERINO Card. POLETTG
ARCIVESCOVO Dt TORINO

L’abbondante fioritura di santità sacerdotale che caratterizza la Chiesa tori­


nese particolarmente negli ultimi due secoli ha giustamente portato l’at­
tenzione sulle singole figure la cui luce è stata straordinariamente benefica
e feconda, per cui si sono moltiplicate le opere biografiche alle quali si
sono aggiunte alcune ricerche su aspetti della loro spiritualità. Non vi è
stato però altrettanto interesse per la documentazione di prima mano: la
pubblicazione sistematica, redatta con criteri rigorosamente scientifici, dei
loro scritti ha purtroppo tardato ad emergere nonostante che l’accesso alle
fonti sia un criterio fondamentale di correttezza storica.
Sono quindi lieto che l’attenzione degli storici e dei ricercatori sì sia ora
fermata, dopo la pubblicazione degli scritti di diversi altri Santi torinesi,
anche sull’intero corpus dei manoscritti di San Giuseppe Cafasso, di cui fin
dal 1892 - con successive ristampe —erano già state offerte alcune parti
ma non sempre rispondenti alle esigenze di un fondamentale e costante
rispetto del testo originale, specie quando questo non era stato ritenuto
eccessivamente felice dal punto di vista letterario.
L’Edizione Nazionale delle Opere di San Giuseppe Cafasso che viene
ora messa a disposizione degli studiosi si prefigge lo scopo di offrire la serie
completa e critica dei manoscritti del Santo, per la massima parte conser'
vati nell’Archivio del Convitto Ecclesiastico - ora annesso al Santuario
della Consolata in Torino - dove Egli esercitò il suo insegnamento a favore
dei sacerdoti. L’opera di inventariazione e di trascrizione non è stata lieve.
Sono al corrente delle difficoltà affrontate e proprio per questo mi rallegro
del risultato ottenuto in un tempo tutto sommato breve se rapportato alla
mole del lavoro svolto.
Certamente ha giovato, soprattutto nella fase di avvio, l’aver potuto
usufruire del sostegno del Ministero per i Beni e le Attività culturali
che vivamente ringrazio per i contributi preziosi ed indispensabili che ha
offerto, consapevole che la portata di quest’opera editoriale dovrà ancora

7
Esercizi Spirituali al Clero - Meditazioni

trovare altri apporti munifici per poter completare il programma nella sua
integralità.
Desidero qui evidenziare qualche tratto del giudizio espresso sul nostro
Santo dai Romani Pontefici a cui fu riservata la gioia di procedere alla
beatificazione ed alla successiva sua canonizzazione. Il papa Pio XI lo
definì: «Perspicuas, accuratus, facilis, perlucidus in docendo [..] solidae sana-
eque theologiaeprìncipiis enutritus, Sancii Francisci Salesii suavitate excultus,
Sancii Alfonsi de Ligorio discretione munitus, Sancii Ignatii de Loyola animo-
rum studio succensus» (Acta Apostolicae Sedis 17 [1925], pp. 232-233). E
Pio XII aggiunse: «Difficile dictu est quot sacerdotes in sacris scitissime eru-
dierit scientiis et ad sacrum ministerium sapientissime formaverit...» (Acta
Apostolicae Sedis 40 [1948], p. 219).
Incontrando poi i numerosi pellegrini convenuti a Roma per la Cano­
nizzazione, il medesimo Pontefice affermava: «Niuno forse più di lui ha
scolpito nel clero piemontese dei secoli 19° e 20° la sua impronta. [...]
All’influsso del suo spirito illuminato dall’alto, alla guida della sua mano
sicura quanti ministri del Santuario debbono la loro fermezza nel “sentire
cum Ecclesia”, la santità della loro vita sacerdotale, la indefettibile fedeltà
ai molteplici obblighi della loro vocazione! [...] Senza dubbio i tempi cam­
biano, e anche la cura delle anime deve adattarsi alle sempre mutevoli
circostanze. Così i doveri sociali, che pesano oggi sulle spalle del sacer­
dote, sono incomparabilmente più gravi e difficili che al tempo del novello
Santo. Ma, pur attraverso tutte le umane vicissitudini, il solido fonda­
mento, lo spirito, l’anima della vita e deU’attivitá sacerdotale rimangono
invariabili. Come il faro sta immobile sulla roccia, così la boa, che l’onda
culla e che, con questa elevandosi ed abbassandosi, sembra obbedire al
suo capriccio, non è una guida sicura se non è saldamente ormeggiata al
fondo tranquillo e stabile. Tale è l’insegnamento costante che il nostro
Santo ha dato con le sue lezioni, le sue missioni e i suoi Esercizi e special-
mente con gli esempi della sua vita» (Acta Apostolicae Sedis 39 [ 1947], pp.
398-399).
Il variare dei tempi e la sostituzione della permanenza nel Convitto
Ecclesiastico con altre proposte di formazione permanente hanno di fatto
diminuito il contatto del giovane clero torinese con la figura di San Giu­
seppe Cafasso che rischia così di essere meno conosciuta. Proprio dalla
pubblicazione delle sue Opere manoscritte, io mi attendo una rinnovata
attenzione alla sua dottrina ed alla sua santità che tanto ha inciso nella
Chiesa non solo torinese, per più di un secolo. Mi piace anche sottolineare,
accanto al suo impegno primario di formatore del clero, il lavoro pastorale

8
Lettera del Card. Severino Paletto

a largo raggio che rese il Cafasso un punto di riferimento per molte per­
sone: i’attuazione in prima persona dei principi che trasmetteva ai giovani
convittori gliene consentiva una verifica sul campo e quindi a tutto van­
taggio di un insegnamento sempre più. concreto e valido.
Affido quindi al caro Santo l’opera di quella rinnovata prima evange­
lizzazione a cui ho chiamato la Chiesa torinese in questo inizio di millen­
nio: la sua radicata appartenenza ad una Torino che viveva il travaglio di
trasformazioni epocali in un clima tutt’altro che facile per la vita eccle-
siale, e proprio per questo non così dissimile dalla situazione odierna, ora
riscoperta anche attraverso i suoi scritti resi accessibili nella loro integra­
lità, possa trovare nuova rispondenza e nuovi slanci di generosa evangeliz­
zazione.
Torino, 23 giugno 2003
Festa di San Giuseppe Cafasso

* Severino Card. Poletto

4.

9
Commissione scientifica

prof. Lucio Casto, direttore dell'istituto Superiore di Scienze Religiose e


docente di Storia della Chiesa presso il medesimo Istituto; docente di Teo­
logia spirituale presso la Sezione parallela di Torino della Facoltà Teologica
dell’Italia Settentrionale; presidènte;
dott. Marco Carassi, sovrintendente archivistico per il Piemonte e la Valle
d’Aosta;
prof. Bartolo Gariglio, docente di Storia contemporanea presso la Facoltà
di Scienze Politiche dell’Università di Torino;
prof. Giuseppe Ghiberti, docente di Filologia ed esegesi neotestamentaria
alla Facoltà di Lettere e di Filosofìa dell’Università Cattolica del S. Cuore
di Milano e presso la Sezione parallela di Torino della Facoltà Teologica
dell’Italia Settentrionale;
prof. Massimo Marcocchi, docente di Storia della Chiesa alla Facoltà di
Lettere e di Filosofia delTUniversità Cattolica del S. Cuore di Milano;
mons. Francesco Peradotto, rettore del Santuario della Consolata in
Torino;
prof. Alberto Piota, direttore della Biblioteca della Facoltà Teologica e
docente di Teologia Dogmatica presso la Sezione parallela di Torino della
Facoltà Teologica dell’Italia Settentrionale;
prof. Renzo Savarino, docente di Storia della Chiesa presso la Sezione
parallela di Torino della Facoltà Teologica dell’Italia Settentrionale;
prof. Francesco Traniello, docente di Storia contemporanea presso la
Facoltà di Scienze Politiche dell’Università di Torino;
prof. Giuseppe Tuninetti, archivista della Curia Metropolitana di Torino
e docente di Storia della Chiesa presso la Sezione parallela di Torino della
Facoltà Teologica dell’Italia Settentrionale.

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Presentazione generale

Giuseppe Cafasso moriva a 49 anni, nel 1860, senza essere mai uscito dal
suo ristretto ambiente di vita: l’area del comune di Castelnuovo d’Asti e
quella della metropoli torinese. L’educazione, le condizioni di salute, le
richieste della sua organizzazione diocesana non gli diedero occasione di
realizzare programmi sensazionali. Eppure la sua presenza nella Torino di
metà ’800 lasciò segni profondi per l’attività di educatore, ispiratore di
programmi di promozione sociale, agente equilibratore in una situazione
intricata e carica di tensioni.
Senza peraltro coltivare progetti di pubblicazioni, lasciò molti mano­
scritti, che nascevano dalla sua attività di maestro di teologia morale, di
predicatore di esercizi, di corrispondente con personaggi di estrazione pre­
valentemente clericale. Questa attività non fu molto notata e anche nei
decenni successivi alla sua morte non venne fatta oggetto di molta atten­
zione. Ciononostante essa è da considerare oggi fonte preziosa di informa­
zioni, non solo del suo cammino spirituale e di componenti poco note
della sua personalità, ma anche della situazione culturale dell’ambiente
ecclesiastico del suo tempo, di una tipica sensibilità di reazione alle pro­
blematiche dell’epoca, delle fonti di ispirazione a cui attingevano gli studi
della teologia morale e gli orientamenti dell’educazione e della spiritualità
del clero del tempo.
Alcuni aspetti del suo ritratto agiografìco, come quello del consolatore
dei condannati alla pena capitale, non trovano riscontro nelle sue pagine;
ma non pochi particolari delle vicende, ecclesiastiche e non, del tempo di
Carlo Alberto e Vittorio Emanuele II di Savoia potranno essere illuminati
da questi scritti.
La convinzione della preziosità del corpus vario risalente a Giuseppe
Cafasso ha suggerito di raccogliere in modo sistematico i manoscritti che

11
Esercizi Spirituali al Clero ~ Meditazioni

sono giunti fino a noi e che sono oggi in larghissima parte conservati
nell’Archivio del Santuario della Consolata di Torino: Esercizi spirituali
al clero (meditazioni e istruzioni), Missioni al popolo (meditazioni e istru­
zioni), Predicazione varia, Scritti di morale, Epistolario e testamento. Lo
scopo è quello di proporli all’attenzione degli studiosi di quel periodo: sto­
rici, teologi moralisti e pastoralisti, agiografi.
Numerosi sono stati i promotori del non piccolo lavoro; fra di loro
si contano gli Arcivescovi di Torino, Card. Giovanni Saldarini e Card.
Severino Poletto, la Direzione del Santuario della Consolata, la Sezione
Torinese della Facoltà Teologica dell’Italia Settentrionale. Hanno mostrato
interesse vivo e offerto cordialissima collaborazione la Soprintendenza
Archivistica per il Piemonte e la Valle d’Aosta e alcuni studiosi dell’Uni­
versità di Torino e dell’Università Cattolica di Milano. Il progetto ha otte­
nuto il riconoscimento e il prezioso appoggio del Ministero per i Beni e le
Attività Culturali e con decreto del 16 gennaio 2001 il ministro on. Gio­
vanna Melandri ha istituito XEdizione nazionale delle opere di San Giuseppe
Cafasso.
A tutti la Commissione scientifica esprime la propria cordiale ricono­
scenza, che si estende al gruppo numeroso di quanti in vario modo hanno
fornito il contributo del loro lavoro.

La Commissione scientifica

12
San Giuseppe Cafasso
Nota storico-biografica
(Casteinuovo d’Asti 15-1-1811 - Torino 23-6-1860)

La nascita a Casteinuovo dAsti, la formazione sacerdotale a Chicri, il


ministero pastorale a Torino: in tre fasi successive, in località collocate su
di un percorso di una trentina di chilometri, si è sostanzialmente svolta la
non lunga esistenza di don Giuseppe Cafasso, in un periodo storico scon­
volto, in Europa e in Piemonte, da gravi rivolgimenti politico-militari, con
risvolti ecclesiastico'religiosi significativi.

Le radici: PAstigiano e Casteinuovo d’Asti

Giuseppe Cafasso nacque il 15 gennaio 1811, a Casteinuovo d'Asti (dal


1930 Casteinuovo Don Bosco), da Giovanni e da Orsola Beltramo, terzo
di quattro figli, di cui due maschi: i più anziani erano Francesca e Pietro,
la più giovane era Marianna, la futura mamma del beato Giuseppe Alla-
mano.
Terra del Regno di Sardegna, dopo l’annessione napoleonica del Pie­
monte nel 1802 Casteinuovo apparteneva amministrativamente al diparti­
mento del Tanaro, di cui era capoluogo Asti, nella 27a Divisione militare.
Ecclesiasticamente, da sempre, era parrocchia della diocesi di Asti.
La vita del Cafasso sbocciò durante gli sconvolgimenti politico-militari
dell’Europa prodotti dal despota corso Napoleone Bonaparte, si svolse in
gran parte durante la Restaurazione, sotto i regni di Carlo Felice e di Carlo
Alberto, e accompagnò nell'ultimo decennio il Risorgimento italiano -
sotto il regno di Vittorio Emanuele II - che ebbe in Torino il suo centro
propulsore politico-militare-ideologico, con le sue speranze, le sue ambi­
guità e convulsioni, con i suoi gravi contrasti con la Chiesa di Torino e
di Roma, fino alla vigilia della proclamazione del Regno d’Italia nel 1861:

13
Esercizi Spirituali al Clero - Meditazioni

egli fu dunque suddito del re di Sardegna e non cittadino del Regno d’Ita­
lia. Al mondo della Restaurazione - e della cristianità - egli appartenne
anche come mentalità e come prassi pastorale.
Alla famiglia Cafasso, contadina, non bastavano i propri fondi rustici,
per campare; pertanto si trovava nella necessità di assumere lavori su fondi
altrui1. Sulla base del censimento del 7 gennaio 1804 (16 nevoso anno
XII) Castelnuovo, situato sulle colline del Monferrato, a circa trenta km
da Asti e da Torino, contava 2500 persone2, per lo più dedite aH’agricol-
tura. In quei decenni sulle colline si coltivavano gelsi e vite, granoturco e
frumento; negli anni seguenti la Restaurazione si registrò, con conseguenti
riflessi negativi per la gente, una flessione dei prezzi del vino. Il passaggio
continuo di eserciti —francesi, austro-russi e napoleonici - aveva ridotto
«le campagne alla “fame fisiologica”, (che) videro orde fameliche di cen­
ciosi questuanti vagare pericolosamente e affluire nei capoluoghi, mentre
la piaga del brigantaggio rendeva sempre più insicure le strade e le dimore
isolate»3. Quanto però nel caso specifico Castelnuovo abbia sofferto le
vicende politico-militari, è difficile dirlo: non risulta, ad esempio, sia stata
toccata dal diffuso fenomeno dei preti giacobini, aderenti o simpatizzanti
per la rivoluzione.
La diocesi astigiana peraltro, oltre ad essere sconvolta come tutte le
altre diocesi dalla dirompente politica ecclesiastica di Napoleone (come
la soppressione generale degli ordini religiosi nel 1802 e l’imposizione di
un Catechismo), fu lacerata soprattutto negli anni 1809-1814 (ossia
dopo la morte di monsignor Arborio Gattinara) ancora dai contrasti dot­
trinali pastorali prodotti dall’intensa attività di giansenisti quali il cano­
nico e vicario generale Benedetto Veiluva, e istituzionali-pastorali suscitati
dalla nomina a vescovo da parte di Napoleone del fratello di un suo mini­
stro, ossia del canonico di Carcassonne, Francesco Andrea Dejean, la cui
nomina non venne confermata da Pio VII4. Dopo la caduta di Napoleone,
che nel 1803 aveva soppresso nove diocesi piemontesi-valdostane, aggre­
gando tra l’altro Alba ad Asti, la ristrutturazione delle diocesi sancita dalla
bolla Beati Petri del 17 luglio 1817. di Pio VII, che ristabiliva tutte le anti­
che diocesi e creava quella di Cuneo, penalizzò la diocesi astigiana, che

1 L. N i c o l i s d i R o b i l a n t , San Giuseppe Cafasso, confondatore del Convitto Ecclesiastico


di Torino, 2 a ediz. riveduta e aggiornata da Jose Cottino, Torino 1960, p. 5.
2 G. C r o s a , Asti nel Settecento, Cavallermaggiore 1983, p. 50.
3 G . V a c c a r i n o , I giacobini piemontesi (1794-1814), Roma 1989, p. 4.
4 G. V is c o n t i , La diocesi di Asti tra ’8 00 e ’9 00, Asti 1995, pp. 42-44.

14
San Giuseppe Cafasso. Nota storico-biografica

venne privata non soltanto dèlie parrocchie annesse nel 1803 ma anche di
antiche sue comunità, tra le quali Castelnuovo, che passò definitivamente
a Torino. Fu, questo, un provvedimento gravido di notevoli conseguenze
pastorali-rei¡giose per il Piemonte e non solo: infatti il giovane Giuseppe
Gafasso si rivolse alla sua nuova diocesi di Torino, prima per la sua forma­
zione sacerdotale, a Chieri, poi, per il suo perfezionamento pastorale, a
Torino. Se si pensa poi che a seguirlo sulla stessa strada saranno altri due
grandi preti castelnovesi, Giovanni Bosco (1815-1888) e Giuseppe Alla-
mano (1851-1926), suo nipote, vien fatto di pensare che il 1817 è dav­
vero una data albo signando, lapillo. Se infine si aggiunge che la bolla del
1817 fece ritornare la cittadina di Bra dalla diocesi di Asti a quella di
Torino, orientando definitivamente don Giuseppe Benedetto Cottolengo
(1776-1842) alla capitale subalpina, si evince facilmente quanto abbia
inciso sulla vita della Chiesa torinese, e oltre, la bolla piana.
Sulla pratica religiosa dei castelnovesi al tempo della giovinezza del
Cafasso disponiano di alcune informazioni, non irrilevanti. Nella rela­
zione redatta nel 1825 in preparazione alla visita pastorale dell’arcivescovo
Colombano Chiaveroti il parroco don Giuseppe Sismondo scriveva tra
l’altro che nei giorni festivi, specialmente del periodo invernale e della
Quaresima, la popolazione si accalcava letteralmente nella chiesa parroc-
chi ale5.
D’altra parte, la pratica religiosa, nonostante la bufera rivoluzionaria e
napoleonica, diversamente da quanto accadde nella Francia postrivoluzio-
naria, nella diocesi di Torino - non soltanto nelle campagne ma nella stessa
città di Torino —e nel Piemonte in genere, continuò a essere intensa.
Non a caso probabilmente, Castelnuovo fu negli anni 1829-1880, nella
diocesi di Torino, tra le località più feconde di vocazioni al sacerdozio^,
anzi fa il più fecondo centro piemontese di santità sacerdotale.

La formazione al sacerdozio nel seminario di Chieri


(1830-1833)

Se la prima formazione al sacerdozio del C. va letta alla luce dell’episco­


pato del camaldolese Colombano Chiaveroti (1818-1831), il contesto di

3 Archivio Arcivescovile di Torino, 8.2.12: Relazioni parrocchiali, ff. 436ss.


6 A. N ico la , Seminario e seminaristi nella Torino dell’Ottocento. Assetto economico ed
estrazione sociale del clero, Casale Monferrato 2001, p. 184.

15
Esercizi Spirituali al Clero - Meditazioni

tutto il suo ministero pastorale fu quello dell1episcopato del discusso arci­


vescovo, il genovese Luigi Fransoni (1831-1862). Fu, questi, uomo di cri­
stallina coerenza, che pagò di persona con carcere ed esilio a Lione dal
1850 al 1862, ma ebbe il grave limite, come uomo di governo, di non
capire i tempi nuovi e di essere incapace di distinguere l’irrinunciabile
da ciò che era caduco, provocando gravi danni alla Chiesa torinese e alla
Chiesa nel suo insieme; in tal modo infatti, inconsapevolmente, fece il
gioco degli estremisti settari, ben orchestrati dalla «Gazzetta del popolo» (e
sostenuti dalla massoneria, presente in parlamento e al governo; forse lo
stesso Cavour era massone e gran maestro), che erano non soltanto anti-
clericali, ma anticattolici e anticristiani, e miravano a colpire a morte la
Chiesa7.
Compiuti gli studi secondari e frequentato il biennio di filosofìa nel
Collegio Civico di Chieri, nel 1830 Giuseppe fu accolto nel seminario
filosofico-teologico di Chieri, aperto nel 1829 dall’arcivescovo Colombano
Chiaveròti, camaldolese, come alternativa a quello di Torino, i cui chie­
rici frequentavano la facoltà teologica dell’università, ritenuta dall’arcive­
scovo ambiente inadatto alla formazione al sacerdozio, anche a causa dei
fermenti politici suscitati dai moti del 1821 e delle contestazioni che ave­
vano coinvolto la cattedra di teologia morale del professore sardo don Gio­
vanni Maria Dettori, di orientamento probabiliorista e tendenzialmente
rigorista. Inoltre, con l’istituzione di un seminario lontano dalia capitale,
l’arcivescovo intendeva sottrarre il più possibile la formazione del clero al
controllo governativo, come avveniva nell’università. Il modello di sacer­
dote voluto dal Chiaverò ti era quello del «ministro di Dio che è essenzial­
mente e prima di tutto curatore d’anime, sulla linea propugnata dal conci­
lio di Trento»8. Il terzo seminario arcivescovile, quello di Bra, riaperto nel
1821, in quegli anni offriva soltanto.il biennio filosofico.
Ammesso alla tonsura e ai primi quattro ordini minori il 18 settembre
1830, ricevette il 23 marzo 1833, nella chiesa deU’Immacolata Concezione
deirArcivescovado di Torino, dalle mani dell’arcivescovo Luigi Fransoni
il diaconato, il 21 settembre 1833* nella stessa chiesa, il presbiterato, dal

7 G. T u n in e t t i - G . L. D ’A n t i n o , Il cardimi Domenico Della Rovere egli arcivescovi di


Torino, dal 1515 a l2000. Stemmi, alberi genealogici e profili biografici, Cantalupa (Torino)
2000, p. 179.
8 A . G ir a i ; d o , Clero, seminario e società. Aspetti della Restaurazione religiosa a Torino,
Roma 1992, p. 279

16
San Giuseppe Cafasso. Nota storico-biografica

vescovo di Bobbio, Giovanni Giuseppe Cavalieri, cappuccino, originario


di Carmagnola9. Fu quello il periodo di maggior abbondanza di ordina­
zioni presbiterali per la diocesi torinese; infatti nel decennio 1830-1840 si
registrò il più alto numero di nuovi presbiteri di tutto il secolo: 663. Nel
decennio precedente erano stati 372, nel successivo saranno 581, per calare
progressivamente, fino al minimo di 196 negli anni 1870'188010.

Cafasso nel Convitto di S. Francesco ¿’Assisi in Torino


(1834-1860)

Allievo e docente di Teologia morale pratica


A questo punto, si verificò la svolta fondamentale della sua vita di prete:
l’ingresso - il 28 gennaio 1834 - nel Convitto Ecclesiastico di S. Francesco
in Torino, per il perfezionamento pastorale. Vi restò per il resto della vita,
assumendovi sempre maggiori responsabilità: dal 1836 ripetitore (ossia
vice) del rettore, abate Luigi Guala, che nel 1844, per ragioni di salute,
gli affidò tutto l’insegnamento; dal 6 dicembre 1848 rettore della chiesa
di S. Francesco d’Assisi e del Convitto (cui seguì la nomina di rettore del
Santuario di Sant’Ignazio presso Lanzo) fino al 23 giugno 1860, giorno
della morte.
Al Convitto di S. Francesco, sotto la direzione del teologo Guala (che
lo aveva fondato su ispirazione di Pio Bruno Lanteri, poi fondatore degli
Oblati di Maria Vergine), era affidata una delle Conferenze di Teologia
Morale (ossia corsi triennali di teologia morale pratica), ricostituite, per il
clero cittadino, in numero di quattro, nel 1814, dal sovrano sabaudo. Pro­
gettate da Vittorio Amedeo II e istituite nel 1738 da Carlo Emanuele III,
erano diventate pienamente operative probabilmente soltanto nel 1768.
Gli arcivescovi intervenivano unicamente per promuovervi e regolamen­
tare la partecipazione del clero11. Tuttavia presso la chiesa di S. Francesco

9 Archivio Arcivescovile di Torino; Registri Ordinatìonum 1830-1833.


10 I, T u b a l d o , I l clero piemontese: sua estrazione sociale, sua formazione culturale e sua
attività pastorale. Alcuni apporti alla sua individuazione, in F. N. A t t e n d in o (a c u ra di),
Chiesa e società nella I I metà delXIXsecolo in Piemonte, Casale Monferrato 1982, p. 195.
11 M. R o s s t n o , Alle origini del Convitto Ecclesiastico della Consolata. Le conferenze di
teologia morale, in A a .V v ., Cultura cattolica ed esperienze pastorali a Torino, (Quaderni d el
Centro Studi C. Trabucco, diretti da F. Traniello, 21), Racconigi (Cuneo) 1995, pp. 8ss.

17
Esercizi Spirituali al Clero Meditazioni

i giovani sacerdoti - in particolare quelli provenienti dalla provincia - tro­


vavano non soltanto una scuola di teologia morale, ma. anche un Convitto
(riconosciuto dal ré Carlo Felice il 25 ottobre 1822 e approvato dall’ar­
civescovo Chiaverò ti il 4 giugno 1823 con la nomina del rettore), dove
conducevano vita comunitaria. Altro aspetto distintivo della Conferenza-
Convitto di S. Francesco era il contesto culturale-spirituale, quello delle
«Amicizie» (Cristiana, Sacerdotale e Cattolica), considerate da Gabriele De
Rosa il «primo incerto vagheggiamento di una forma nuova di apostolato
laicale» in Italia12: di carattere legittimistico e impregnato di spiritualità
ignaziana, mirante a un progetto di sacerdote devoto al papa e formato
nella Teologia morale e nella pastorale alfonsiane.
L’importanza storica del Cafasso nella pastorale, anche oltre i confini
di Torino e del Piemonte (si pensi a don Bosco e ai suoi Salesiani), va
soprattutto attribuita al fatto che egli fu formatore, direttamente e indiret­
tamente, di generazioni di preti-pastori. Il suo compito istituzionale - for­
mare buoni confessori e validi predicatori - lo svolgeva sia dalla cattedra,
sia nella pratica intensa del confessionale e del pulpito. Con la sua vita,
senza ostentazione, ma con semplicità, si proponeva di fatto come modello
di vita sacerdotale.

Predicatore di Esercizi spirituali e di Missioni popolari


Il Convitto era entrato nell’orbita dei Gesuiti e degli Oblati di Maria Ver­
gine anche con la predicazione, sia di esercizi spirituali - specialità igna­
ziana - a preti e a laici, sia di missioni popolari. Ai giovani sacerdoti, suoi
allievi, C. diceva che per riuscire un buon predicatore bisognava avere
innanzi tutto retta intenzione, santità di vita e preghiera, accompagnate
evidentemente da una soda preparazione dottrinale e tecnica. Il meglio di
se stesso e della sua ricchezza spirituale e saggezza pastorale lo offriva anche
al clero in cura d’anime negli esercizi spirituali, che predicava, secondo il
classico schema ignaziano (che si andava diffondendo) - sia pure adattan­
dolo - in varie case di esercizi del Piemonte (i santuari della Madonna dei
Fiori di Bra, di Graglia, d’Andorno, di Cussanio ecc. e varie località di
diocesi piemontesi), ma in particolare presso il Santuario di Sant:Ignazio di
Lanzo Torinese, nei mesi estivi, prima come collaboratore del Guala e poi
come direttore del Convitto e del santuario. Al piano superiore, si conserva
la «sua» stanza, prospiciente il sagrato.

12 G. D e R o sa , Il Movimento Cattolico in Italia, Bari 1970, p. 23.

18
San Giuseppe Cafasso. Nota storico-biografica

Presso questo santuario - fatto edificare-dai Gesuiti nei primi decenni


del. Settecento - gli abati Luigi Guala e Pio Bruno Lanteri avevano predi­
cato nel settembre del 1807 il primo corso di esercizi spirituali al clero:
prassi che è durata, perfezionandosi e intensificandosi, quasi ininterrotta­
mente fino ad oggi. Era stato l’arcivescovo Giacinto Della Torre a suggerire
il santuario come luogo idoneo, perché, tra l’altro, in seguito all’incamera-
mento di tutte le case per esercizi spirituali, era rimasta l’unica casa dipen­
dente dalla mensa arcivescovile. I destinatari del suggerimento non erano
casuali, in quanto - esponenti delle ((Amicizie» - erano persone imbevute
di spiritualità ignaziana e legati a ex gesuiti, i classici depositari del carisma
degli esercizi spirituali. Dopo i lavori di adattamento condotti dal Guala,
anche il Cafasso profuse ingenti risorse finanziarie per la carrozzabile e per
il fabbricato, sia del santuario sia della casa per esercizi13; Durante gli eser­
cizi, era massima, da parte del Cafasso, la cura della predicazione e del
contatto personale con i sacerdoti-
Nel primo decennio di sacerdozio il Cafasso si dedicò anche alla pre­
dicazione delle missioni popolari, che registrarono nei Paesi cattolici euro­
pei il massimo di sviluppo proprio nella prima metà dell’Ottocento14.
Per farsi meglio capire, in tale circostanza predicava in piemontese, come
documenta tra l’altro il testo delle prediche redatto in italiano e ricco di
piemontesismi15.

Confessore e direttore spirituale


Se il Cafasso insegnava il primato della predicazione, fu il sacramento
della confessione ad assorbire il massimo delle sue energie, sia nell’insegna­
mento, sia soprattutto nella pratica. Dedicava ogni mattina almeno tre ore
consecutive al confessionale, ma era sempre disponibile in ogni momento,
tanto era convinto dell’importanza capitale del sacramento per il bene dei
fedeli. A lui accorrevano preti, come don Bosco, e laici d’ogni ceto sociale:
nobili come la marchesa Giulia di Barolo e il marchese E. Ferrerò della
Marmora, parlamentari come Clemente Solaro della Margarita, gente fer­
vorosa e peccatori incalliti. Tale zelo pastorale cercava di inculcare negli

13 G. T u n in e t t i , Il santuario di Sant’Ignazio presso Lanzo. Religiosità, vita ecclesiale e


devozione (1622-1991), Pinerolo 1992, pp. 81ss.
14A. Favale, Missioni popolari, in M. S o d i ■- A. M. T r ia c c a (a cura di), Dizionario di
omiletica, Leumann (Torino) - Gorle (Bergamo) 1998, pp. 965ss.
15 L. N i c o l i s d i R o b I la n t , San Giuseppe Cafasso, cit., pp. 736ss.

19
Esercizi Spirituali al Clero - Meditazioni

allievi tramite le lezioni di teologia morale, che non erano un’arida paléstra
di casistica, ma una scuola di formazione di coscienze e di vite pastorali,
in cui sapientemente armonizzava le esigenze dei principi morali con la
comprensione dei penitenti, evitando gli opposti scogli del rigorismo e del
lassismo, che allora si esprimevano nella polemica tra probabiliorismo -
più attento alla legge e insegnato nell’Università di Torino e nelle varie
Conferenze di Morale cittadine - e probabilismo, più sensibile alla libertà
e adottato dal- Guala (e dai Gesuiti) sulla linea del beato Alfonso Maria
de’ Liguori. Erano sottesi non solo due diversi approcci alla morale, ma
anche differenti linee pastorali, che concernevano tra l’altro tutta la prassi
sacramentaria.
Linea mediana tra probabilismo e probabiliorismo era ad esempio
anche quella dell’abate Antonio Rosmini, esposta —in lieve polemica con
Alfonso de1 Liguori - nel Trattato della Coscienza, morale del 1840, poi
sostenuta, dopo averla assimilata già nei decenni precedenti, dall’arcive-
scovo di Torino, Lorenzo Gastaldi, negli anni Settanta16.
Il Cafasso ci ha lasciato il suo insegnamento nelle annotazioni d’ispira­
zione alfonsiana del testo ufficiale di teologia morale di Antonio Alasia, di
tendenza probabiliorista, approvato dal sinodo diocesano torinese deli.’ar­
ci vescovo Gaetano Costa del 1788.
Il Gioberti nel Gesuita moderno17 accusò il Convitto di essere scuola di
lassismo; Ì biografi del Cafasso e gli studiosi del Convitto, bollando come
rigorismo tutto ciò che non era probabilismo, presentarono il Cafasso
come il seguace di un probabilismo spinto e maestro di don Giovanni

1S G. T u n i n e t t i , Lorenzo Gastaldi 1815-1883. Volume I: Teologo, pubblicista, rosmi-


niano, vescovo di Saluzzo: 1815-1871, Casale Monferrato 1983, pp. 43ss
17 V. G io b e r t i , Il Gesuita moderno, Tomo quarto, Napoli 1848, pp. 279-281. Tra l’al­
tro si legge: «Il capo della congregazione [il teologo Guala] è uomo di costume irrepren­
sibile, di pietà sincera e di buona intenzione; ma egli è cosi spasimato delle cose vostre,
che dicendo Ignazio e Cristo, gli pare di far grande onore al secondo di questi due nomi.
[...]. Io avrei taciuto volentieri del convitto di san Francesco a contemplazione di alcuni
uomini rispettabili che ci sono [allusione a don Cafasso?], se la gravità del male permet­
tesse tali riguardi; imperocché il danno che questa congrega ha fatto alla religione non
solo in Torino ma in tutto il Piemonte, è difficile a calcolare; e io sentii più volte affer­
marlo da vecchi paraci savi e sperimentati; i quali sono i migliori giudici in queste mate­
rie. Tanto è vero che lo zelo più sincero (coinè senza dubbio quello di chi regge tale
instituto) può nuocere assaissimo invece di giovare, quando non è accompagnato dalla
sapienza».

20
San Giuseppe Cafasso. Nota storico-biografica

Battista Bertagna, poi direttore del Convitto a fine Ottocento (nonché


vescovo ausiliare di Torino), abile a destreggiarsi in un’arida casistica.
La pubblicazione degli scritti, soprattutto di teologia morale, del
Cafasso dirà finalmente chi aveva ragione: se Gioberti o i biografi del
Cafasso; o addirittura rivelerà una terza interpretazione, mediana tra le
due, come sembra intuibile.
Don Cafasso era ricercato consigliere, a cominciare dall’arcivescovo
Fransoni. Non a caso r«Armonia»18 di Torino, ricordando la sua morte,
nel numero del 26 giugno 1860 lo definirà «vìr consiliorutm. A lui si rivol­
gevano fondatori e fondatrici, primo fra tutti don Bosco. Molto influsso
esercitò su quella grande e santa donna che fu la marchesa Giulia di Barolo,
benefattrice e fondatrice. Anche il vulcanico don Giovanni Cocchi fu da
lui illuminato; don Domenico Sartoris fu guidato nella fondazione delle
Povere Figlie di Santa Chiara. Incoraggiamento e sostegno ottennero il
futuro abate Francesco Faà di Bruno, creatore dell’Opera di Santa Zita e
poi fondatore delle Suore Minime del Suffragio; don Gaspare Saccarelli,
primo parroco di San Donato e fondatore dell’istituto della Sacra Fami­
glia (le Verdoline); don Pietro Merla, realizzatore del Ritiro di San Pietro19
poi massacrato da balordi perché sottraeva donne alla strada e allo sfrutta­
mento.

Cappellano dei carcerati e dei condannati a morte


Torino era una città in profonda trasformazione, demografica e sociale,
dovuta all’intensa immigrazione dalle campagne, causata dal bisogno di
lavoro e dalla necessità di sopravvivenza, con conseguenti gravi problemi
sociali, che colpivano soprattutto gli strati più poveri della popolazione e
le persone più deboli, come i giovani, i malati, i carcerati e i condannati a
morte. Il Cafasso, pur non avvertendo probabilmente la portata dei cam­
biamenti sociali, non si sentì tuttavia estraneo e cercò di provvedervi nel­
l’ottica prevalente delia pastorale e della carità cristiana. Nel mondo dei
carcerati e dei condannati a morte s’impegnò, in prima persona, con un
ministero che lo rese popolare come «il prete della forca»: così lo ricorda la
città di Torino con un monumento eretto nel I960 proprio al «rondò della
forca», dove avvenivano le esecuzioni capitali. Accompagnò al patibolo

18 «L’Armonia della Religione e della civiltà», 26 giugno 1860, n. 48, p. 590.


19 L. N i c o l i s d i R o b il a n t , San Giuseppe Cafasso, cit., pp. 641-647.

21
Esercizi Spirituali al Clero ^ Meditazioni

(impiccagione) sessantotto condannati, che affettuosamente chiamava i


miei «santi impiccati», portandoli tutti al pentimento. Il più restìo a pen­
tirsi e rimasto più impresso nella fantasia popolare fu il bandito Francesco
Delpero, di Canale d’Alba, vera tigre per l’efferatezza dei suoi delitti, giu­
stiziato con la sua banda in Bra il 31 luglio 1858. Il condannato più illustre
che il Cafasso assistette in carcere e davanti al plotone d'esecuzione fu, il 22
maggio 1849, il generale Gerolamo Ramorino, giudicato colpevole della
disfatta di Novara. L’esecuzione capitale era preceduta da un preciso «rito»,
che per noi ha quasi il sapore del macabro: con al collo il laccio e le mani
legate (ai parricidi si poneva un velo nero sul capo), il condannato saliva
sul carro (il Cafasso gli era seduto al fianco), che percorreva, tra due ali
di folla, le vie della città verso il luogo della forca preceduto dai confra­
telli della Arciconfraternita della Misericordia - che salmodiavano il salmo
Miserere - fiancheggiato dai carnefici e seguito dai soldati, mentre la cam­
pana municipale mandava i suoi lugubri rintocchi. Giunto il momento
fatale, il Sindaco della Misericordia bendava gli occhi al condannato, don
Cafasso ripeteva l’assoluzione e dava da baciare il Crocifisso. Non di rado,
avvenuta l'esecuzione, la folla lanciava sassi contro il carnefice in segno di
disprezzo.

Suggeritore e promotore di opere pastorali: oratori festivi e Opera degli


spazzacamini
Al consiglio del Cafasso si devono due opere di notevole rilievo sociale,
fondate per alleviare i problemi sollevati dall’immigrazione giovanile: gli
oratori festivi di don Bosco e l’Opera degli spazzacamini.
Il primo sacerdote torinese a tentare di dare una risposta concreta di
pastorale giovanile ai problemi sollevati dalla immigrazione giovanile in
Torino negli anni Trenta e Quaranta era stato il viceparroco della SS.
Annunziata, don Giovanni Cocchi, prete di Druent, che nel 1840 nella
zona lungo il Po, detta il Moschino, nel quartiere di Vanchiglia, aveva
avviato il primo oratorio cittadino intitolato all’Angelo Custode. Ma fu
al Convitto di San Francesco che prese le mosse l’opera di don Bosco, al
quale l’arcivescovo Fransoni il 31 marzo 1852, dall’esilio di Lione, avrebbe
affidato TOpera degli Oratori. La culla degli oratori donboschìani furono
infatti i Catechismi che facevano parte del programma di formazione
pastorale dei sacerdoti convittori e ai quali era connessa anche l’assistenza
ai giovani bisognosi. I consigli del Cafasso al giovane don Bosco fecero il
resto, come la fondazione della Società Salesiana nel 1858.

22
San Giuseppe Cafasso. Nota storico-biografica

Tra i ragazzi immigrati stagionali in Torino c’erano gli spazzacamini che


giungevano dalla Valle d’Aosta e da quella dell’Orco (Ceresole). Fu attorno
al 1840 che don Cafasso cominciò a raccogliere, nei giorni festivi, per dar
loro catechismo e cibo, i ragazzi spazzacamini, specialmente valdostani,
che avevano tre luoghi di raccolta non distanti da S. Francesco: le piazze
San Giovanni, Susina (poi Savoia) e San Carlo. Poi li affidò a don Pietro
Ponte, coadiuvato da don Giacinto Carpano e da don Giuseppe Trivero.
Quando nel 1848 il Convitto fu in gran parte occupato dall’esercito per
i feriti di guerra, furono accolti nel seminario metropolitano, dove erano
seguiti anche dai fratelli Ermanno e Enrico Reffo, e poi da una Conferenza
di San Vincenzo istituita per gli studenti della Savoia. Successivamente i
loro punti di riferimento, sempre sotto la guida di don Ponte, furono la
chiesa di San Tommaso e poi la chiesa di Sant’Anna in via Massena. Passata
nel 1885 alTUnione del Coraggio Cattolico, l’Opera degli spazzacamini
continuò ancora, ospitata nell’arcivescovado, nei primi decenni del Nove­
cento20. Tuttavia, sia le origini - attribuite anche alla marchesa Giulia di
Barolo e ad altri - sia lo sviluppo dell’Opera degli spazzacamini, restano
ancora nel vago ed esigerebbero uno studio sistematico.

Don Cafasso e il Risorgimento


Gli anni della direzione del Convitto (1848-1860) coincisero con gli anni
del Risorgimento, anni burrascosi e duri per la Chiesa, emblematizzati a
Torino dal cosiddetto «caso Fransoni». Le biografie sono avare di informa­
zioni sui rapporti del Cafasso con la «politica». Tuttavia, la documenta­
zione archivistica offre sufficienti informazioni sul suo atteggiamento di
fondo, che risulta molto più riservato verso la politica e i politici di quello
del predecessore21. Probabilmente fu tale riservatezza che salvò il Convitto,
che in quegli anni rischiò di essere travolto con i Gesuiti (cacciati dal
Regno di Sardegna con la legge del 25 agosto 1848) e i loro amici, con­
siderati reazionari: proprio in quell’anno il Gioberti nel suo forsennato
attacco ai Gesuiti aveva bollato il Convitto come un covo di gesuitanti,
anche se in realtà non era così. Infatti, se i convittori non parteciparono

20 Ibidem, pp. 445ss.


21 Si deve a Mario Rossino il chiarimento sii questo aspetto, ottenuto con una attenta
indagine archivistica condotta nella sua tesi di laurea: Le orìgini del Convitto Ecclesiastico
di San Francesco d ’Assisi con alcuni cenni biografici sul teol. Luigi Guata. Contributo ad una
ricostruzione storica, Tesi di laurea discussa nella Facoltà di Scienze politiche dell’Univer­
sità di Torino, a.a. 1991-92, relatore il prof. Franco Bolgiani, pp. 971-976.

23
Esercizi Spirituali al Clero - Meditazioni

(diversamente dai chierici del seminario di Torino) alle manifestazioni e


,ai cortei per lo Statuto, essi «erano per oltre una metà giobertiani sfega­
tati»22. Peraltro l’opinione pubblica (quella che contava) ostile e le divisioni
politiche interne possedevano un potenziale dirompente. Si aggiunga che
nell’anno scolastico 1848-1849 il Convitto venne adibito in gran parte a
ospedale militare, pur continuando lo svolgimento delle lezioni di teolo-
già morale, e non rifiutando di contribuire alla sottoscrizione per un pre­
stito nazionale. Per sottrarre il più possibile ai riflettori il Convitto, don
Cafasso rinunciò alla Conferenza pubblica, limitandosi a quella privata;
d’altra parte, non essendo - diversamente dal Guala - dottóre collegiato
della Facoltà teologica, non possedeva i requisiti per presiedere la Confe­
renza pubblica. «In questa situazione, se il Convitto potè sopravvivere e
riprendersi, il merito va esclusivamente alla prudenza e alla sapienza del
Cafasso, che per questo obiettivo si servi di ogni mezzo»23.
Non mancarono gravi noie negli anni successivi. A detta del Chiuso, il
Cafasso fu coinvolto nel 1850 nella dolorosa vicenda di Pietro Derossi di
Santarosa, che come esponente del governo aveva votato le leggi Siccardi e
poco dopo si trovò in punto di morte. Infatti, mentre la commissione dei
teologi Fantolini, Cafasso, Girò e Durando (secondo il Colomiatti i teo­
logi erano Fantolini, Girò, Ravina e Tempo) studiava la formula di ritrat­
tazione, l’ex ministro morì senza i sacramenti richiesti. L’indignazione pro­
vocata travolse l’arcivescovo, che in realtà aveva proposto una formula di
ritrattazione più benigna di quella della commissione''1. Fu ancora il caso
Fransoni a provocare negli ultimi giorni di vita del Cafasso una perquisi­
zione della polizia nello stesso Convitto, compiuta il 6 giugno 1860 nel­
l’intento di trovare corrispondenza con l’arcivescovo in esilio: è chiaro che
i dubbi cadevano sul rettore. Non fu trovato nulla di compromettente, ma
la cosa, ossia l’affronto subito, stando ai biografi, sarebbe riuscita fatale al
Cafasso, già in precarie condizioni di salute25.

Morte. Fama dì santità, canonizzazione e devozione


Ammalatosi il 12 giugno 1860, don Cafasso morì, all’età di 49 anni,
cinque mesi e otto giorni, nella sua camera del Convitto Ecclesiastico alle

22 Ibidem, p. 971.
23 Ibidem, p. 973.
24 M . F. M ellano , Il caso Fransoni e la politica ecclesiastica piemontese (1848-1850),
Roma 1964, pp. 139ss.
15 L. N i c o l i s d i R o b il a n t , San Giuseppe Cafasso, cit., pp. 824s.

24
San Giuseppe Cafasso. Nota storico-biografica

ore 10 e un quarto del mattino del 23 giugno26, assistito dal superiore gene­
rale della Piccola Casa della Divina Provvidenza, don Luigi Anglesio, fatto
chiamare dallo stesso don Cafasso. Tra i primi ad accorrere fu don Bosco,
in lacrime, accompagnato da don Michele Rua. «Fu un affluire continuo
ed affollatissimo di gente di ogni ceto e condizione, per contemplare per
l’ultima volta le venerate sembianze di don Cafasso, e far toccare alla sua
salma oggetti di devozione: corone, medaglie e crocifissi»27.
La «Civiltà Cattolica» dei Gesuiti di Roma e l’«Armonia» di Torino,
quotidiano dell’intransigentismo cattolico, diretto da don Giacomo Mar­
gotti, ne tesserono gli elogi. La rivista dei Gesuiti ne scrisse brevemente
nella rubrica Cronaca contemporanea dedicata alla vita della Chiesa: dopo
la perquisizione compiuta dalla polizia neU5Oratorio di Valdòcco «contem­
poraneamente si fa una perquisizione a D. Cafasso, il quale poco dopo ne
muore. D. Cafasso era il vero apostolo di Torino, l’educatore del giovine
Clero, il consigliere dei sacerdoti e delle più ragguardevoli persone, l’An­
giolo delle prigioni, il confortatore dei condannati al patibolo».
La domenica 24 giugno si prese al cadavere la maschera in gesso. Il
lunedì 25 giugno, alle ore 7, il teologo Felice Golzio celebrò la messa prue-
sente cadavere con grande concorso di popolo. Fatta la levata del cadavere
da parte del teologo Giovanni Battista Bruno, parroco dei SS. Martiri, il
corteo percorrendo via dei Mercanti e via Doragrossa raggiunse la chiesa
parrocchiale, tra migliaia di persone stipate lungo il tragitto. Venne inu­
mato nel cimitero generale della città nel sito ereditato dal teologo Guala e
lasciato per via testamentaria, dal Cafasso, a don Anglesio.
Tra i primi a testimoniare espressamente della santità del Cafasso fu
don Bosco in due elogi funebri, poi pubblicati nelle «Letture cattoliche»,
pronunciati, in occasione della morte, a Valdocco e nella chiesa di S. Fran­
cesco d’Assisi. Sollecitato da molti, il canonico Giuseppe Allamano, nipote
del Cafasso e rettore del Santuario della Consolata e del Convitto Eccle­
siastico, s’interessò per avviare il processo di beatificazione, la cui introdu­
zione fu firmata il 23 maggio 1896 dall’arcivescovo di Torino Davide Ric­
cardi, preceduta dalla pubblicazione della prima biografia ad opera di don
Giacomo Colombero nel 1895; in tale occasione, precisamente F8 ottobre
1896, la salma venne trasferita dal cimitero nella cripta del Santuario della
Consolata.

26 Ibidem; v. A tti di Morte del 1860 della parrocchia dei SS. Martìri, n. 40, nell’Archi­
vio Arcivescovile di Torino.
27 L. N i c o l i s d i R o b il a n t , San Giuseppe Cafasso, cit,, p. 840.

25
Esercizi Spirituali al Clero " Meditazioni

Le tappe successive furono queste: il 27 febbraio 1921 Benedetto XV


ne dichiarò l’eroicità delle virtù; riconosciuti i due miracoli richiesti, Pio
XI, il 3 maggio dell’Anno Santo del 1925, lo proclamò beato e lo paragonò
al Curato d’Ars, chiamandolo «la perla del clero italiano»; e la fama si dif­
fondeva a livello nazionale anche grazie alla biografia del Cardinal Carlo
Salotti che lo presentava con le citate parole di papa Ratti; le spoglie del
beato furono collocate, nel 1924, in un’urna di bronzo, dono personale di
Pio XI, nel primo altare a destra dell’ingresso del Santuario della Conso­
lata, ove si trovano ancora oggi. Infine Pio XII, il 22 giugno 1947, lo pro­
clamò santo, chiamandolo «modello di vita sacerdotale, padre dei poveri,
consolatore degli infermi, sollievo dei carcerati, salute dei condannati al
patibolo». Lo stesso papa Pacelli il 9 aprile 1948 lo dichiarò patrono delle
carceri italiane, e nell’enciclica Menti Nostrae del 23 settembre 1950 sul
modo di promuovere la santità della vita sacerdotale, lo propose come
modello in particolare ai sacerdoti impegnati nelle confessioni e nella dire­
zione spirituale.
Seguì un periodo ricco d’interesse verso il Cafasso —anche fecondo dì
scritti - che culminò nella celebrazione del primo centenario della morte
nel I960, a Torino, con numerose iniziative, tra cui un convegno nazio­
nale dei chierici. Il Comune di Torino, da parte sua, gli dedicò un monu­
mento al cosiddetto «rondò della forca» e le reliquie furono portate nelle
principali carceri italiane. Con le discussioni postconciliari sull’identità del
prete e sulla sua storicizzazione, l’interesse al Cafasso conobbe una para­
bola discendente. Nella celebrazione del giubileo dei carcerati nell’Anno
Santo del 2000 una sua reliquia fu portata nel carcere di Vercelli.

26
Fonti e bibliografia

Fonti inedite ed edite

Archivio storico dei Santuario della Consolata. Il Fondo San Giuseppe


Cafasso è costituito dai seguenti faldoni: Esercizi spirituali al cleio. Istru­
zioni-. 43-44; Meditazioni: 45-48. Esercizi spirituali al popolo. Meditazioni'.
48-49. Terzaparte della dottrina cristiana'. 49-51. Collectio ex Sacra Scriptura
Patribtis Doctoribus et aliis Sanctis: 51. Esercizi spirituali prediche varie: 51.
Corrispondenza: 51-52. Morale: 52-57. Biografie: 60-64. Scritti diversi sullft
vita di San Giuseppe Cafasso: 65. Testimonianze su San Giuseppe Cafasso:
65. Processi di beatificazione e canonizzazione. 65-73. Varie (Carte relative
al Convitto, autografi, testamento...): 73-74,
G. C a f a s s o , Meditazioni per Esercìzi Spirituali al Clero, pubblicati per
cura del can. Giuseppe Aliamano, Torino 1892; I d ., Istruzioni per Esercizi
Spirituali al Clero, pubblicate per cura del can. Giuseppe Aliamano, Torino
1893: non si tratta di edizione critica e neppure completa; alcune medi­
tazioni sono state unite, vocaboli ed espressioni sono stati modificati. In
occasione della beatificazione del 1925, i due volumi vennero ripubblicati
tali e quali dai Missionari della Consolata, come 3° e 4° volume delle pro­
gettate Opere Complete del Beato Giuseppe Cafasso; il 2° volume era nuovo
e costituito dalle Sacre Missioni alpopolo, Torino 1925; il 5°, dedicato alla
Teologia Morale e curato da P. Racca, non fu pubblicato. I due volumi del
1892-1893 furono ripubblicati in occasione del centenario della morte,
con un’ulteriore correzione del linguaggio: S. G i u s e p p e C a f a s s o , Esercìzi
'Spirituali al clero, Edizioni Paoline, Alba 1960.
Biblioteca del Seminario Arcivescovile: Compendium theologiae moralis
auctore D. Iosepho Cafasso Collationum Moralìum Praefecto, manoscritto
redatto da don A. Bues, 2 tomi, 1864, pp. 359 e 375.

27
Archìvio Istituto Missioni Consolata di Torino-Roma: Teologia Moralis.
Accurate recognita et ad codicem Juris Canonici accomodata cura et studio
Sac. Petri Racca\ manoscritto di 963 pp., redatto per la pubblicazione su
appunti e scritti del C. posseduti dall’Allamano e mai pubblicato.
Biblioteca del «Centro Studi Don Bosco» dell’Università Pontificia
Salesiana di Roma: si tratta di 1543 pagine autografe del C., facenti parte
di due serie di materiali. Prima serie-. 10 volumi legati in pergamena e
numerati sul dorso, contenenti gli otto volumi della Theologia moralis di
D. A. Alasia (ed. Botta, Torino 1830-1831), smembrati e interpolati dal
C. con pagine bianche su molte delle quali si leggono le sue osservazioni
autografe; in tempi successivi sono state numerate con un timbro le sole
pagine manoscritte. Seconda serie: 30 fascicoli cuciti con filo di canapa a
modo di quaderno; le pagine scritte sono numerate meccanicamente da
p. 849 a p. 1531, continuando la paginazione dei voli, sopra elencati: tra
l’altro si trovano Casi di morale pel concorso di parrocchie -dall’anno 1845
(quaderno 23) e Temi di predicazione dall’anno 1851 (quaderno 30).
Archivio Arcivescovile di Torino 16.30: Processo di Canonizzazione; 13
volumi di manoscritti, di cui quattro del Processus Ordinarìus, 1895-1899
(2476 pp.), e quattro del Processus apostolicus, 1907-1911 (903 pp.), più
tre fascicoli manoscritti.
Sulla causa sono stati pubblicati tra l'altro: Positìo super Introductione
Causae, Romae 1906; Summarium super dubio, Romae 1906; Positìo super
fama in genere, Romae 1909; Positio super virtutibus, Romae 1918; Positìo
super miraculis, Romae 1935.

Bibliografia sul Cafasso e sull’ambiente


p iemontese-astigian o-torinese

Si tratta di volumi scritti sul Cafasso a partire dalla sua morte, citati
in ordine cronologico, per rendere meglio il mutare dell’interesse per il
Cafasso stesso, e a prescindere dal loro valore intrinseco. Sono stati omessi
articoli di giornali (e bollettini) con l’eccezione del primo contributo che
costituisce il primo intervento post mortem. Sono indicate inoltre alcune
altre pubblicazioni o studi utili per la comprensione dell’ambiente (Pie­
monte, in particolare Astigiano e Torinese) e delle principali attività pasto­
rali del Cafasso, del quale a volte vi si parla altre no.

28
Fonti e bibliografia

Come si può notare, i primi quattro scritti appartengono al 1860, in


occasione della morte, poi c’è un singolare vuoto di circa un trentennio,
ossia fino alla pubblicazione del III volume del Chiuso ngl 1888. La svolta
avviene con la pubblicazione della prima biografia nel 1895, quella del
Colombero, in occasione della introduzione della causa di beatificazione.
Tuttavia è tra il 1911 e il 1964 che si assiste ad un gran numero di pub­
blicazioni, in gran parte agiografiche. Poi, celebrato il primo centenario
della morte, l’interesse si attenuò fin quasi a scomparire in termini di bio­
grafie o simili. In compenso, in questi ultimi decenni (a partire dalle «Ami­
cizie» del Bona del 1962) sono stati prodotti studi di valore scientifico sugli
ambienti e sulle attività del Cafasso. La suddivisione dei paragrafi corri­
sponde ai periodi cronologici.

1860
Morte dì D. Cafassi (sic!), in «L’Armonia della Religione e della Civiltà»,
martedì 26 giugno 1860, n. 148, p. 590; Cronaca contemporanea, in «La
Civiltà Cattolica», luglio 1860, 4a serie, voi. VII, p. 244; G. Bosco,
Rimembranza storico-funebre dei giovani delTOratorio di San Francesco di
Saks verso al Sacerdote Caffasso Giuseppe>loro insigne benefattore, pel Sac.
Bosco Giovanni, G. B. Paravia e C, Torino 1860; Id., Biografia del Sac. Giu­
seppe Cafasso, ¿sposta in due ragionamenti funebri dal Sac. Bosco Giovanni,
Torino 1860.

Dal 1887 al 1895


T. C h i u s o , La Chiesa in Piemonte dal 1797ai giorni nostri, voli. 2 °, 3 ° e 4 ° ,
Giulio Speirani e Figli, Torino 1887, 1888 e 1892; G. C o l o m b e r o , Vita
del Servo di Dio D. Giuseppe Cafasso con cenni storici del Convitto Ecclesia­
stico di Torino, Fratelli Canonica, Torino 1895.

Dal 1911 al 1948


E. B r a c c o , Il venerabile D. Giuseppe Cafasso, Fedetto-Mittone, Torino
1911; L. N i c o l i s D i R o b i l a n t , Vita del venerabile Giuseppe Cafasso con­
fondatore del Convitto Ecclesiastico di Torino, 2 voli., Scuola Tipografica
Salesiana, Torino 1912; A . M. A n z i n i , L’angelo delle prigioni. Vita del
venerabile don Giuseppe Cafasso, Edizioni Don Bosco, S. Benigno Cana-
vese (TO) 1912; Id,, Una gemma del sacerdozio cattolico. Vita popolare del
ven. Giuseppe Cafasso, Edizioni Don Bosco, S. Benigno Canavese (TO)
1912; D. F r a n c h e t t i , Alcune Memorie intorno a Monsignor Gio. Battista

29
Esercizi Spirituali al Clero - Meditazioni

Bertagna arcivescovo titolare di Claudiopoli..., Tipografìa Pontifìcia Pietro


Marietti, Torino 1916; L. Zanzi, Lo spinto interiore delB. Giuseppe Cafasso
proposto ai sacerdoti e ai militanti nellAzione Cattolica, V. Fontana, Bassano
del Grappa 1919; Id., La politica delprete. Spirito del ven. Giuseppe Cafasso
gran maestro del clero moderno, 2a ed., Tipografìa Aretina, Arezzo, s.d.; S.
A., Il venerabile Giuseppe Cafasso. Nuova vita compilata sui processi dì beati­
ficazione, Società Editrice Internazionale, Torino 1920; A. M. A n z in i , Vita
del Beato Giuseppe Cafasso, S. E. I., Torino 1925; Il beato Giuseppe Cafasso,
Istituto Missioni Consolata, Torino 1925; Breve vita popolare del beato
Giuseppe Cafasso, Istituto Missioni Consolata, Torino 1925; C. S alotti,
La perla del clero italiano. Il beato Giuseppe Cafasso, Marietti, Torino 1925;
T. P iatti, Un precursore dellAzione Cattolica. Il Servo di Dio Pio Brunone
Lanteri, apostolo di Torino, fondatore degli Oblati di Maria Vergine, introdu­
zione di p. E. Rosa, Marietti, Torino 1926; A. V a u d a g n o t t i , Breve vita
del beato Giuseppe Cafasso, Tipografìa Palatina di G. Bonis, Torino 1928;
A. B a r t o l o m a s i , Discorso per l’inaugurazione delle lapidi in onore ai beati
Giuseppe Cafasso e Giovanni Bosco, Tipografia G. Bonis, Torino 1930; L.
C a r n i n o , Il beato Giuseppe Cafasso. Breve vita popolare, La Palatina, Torino
1933; A. Y a u d a g n o t t i , Brevi cenni sulla vita, virtù e miracoli del Beato
Giuseppe Cafasso, La Palatina Tipografia Bonis, Torino 1936; C. S alotti,
La perla del clero italiano. Il beato Giuseppe Cafasso, La Palatina Tipografia
Bonis, Torino 1936; S. T e s t i , Il Beato Giuseppe Cafasso, Pia Società San
Paolo, Alba 1938; M. B a r g o n i , Il beato Giuseppe Cafasso, Tipografìa
Migliotti e Azzario, Torino 1938; Il Convitto Ecclesiastico di Torino, La
Palatina Tipografìa G. Bonis, Torino 1940; A. G r a z i o l i , La pratica dei
confessori nello spirito del Beato Cafasso, Libreria Dottrina Cristiana, Colle
Don Bosco (Asti) 1944; I. F e l i c i , Don Cafasso santo, Editrice Salesiana,
Pisa 1947; J. C o t t i n o , .S’. Giuseppe Cafasso, il piccolo prete torinese, S.
A. S ., Roma 1947; G. F a v in i, San Giuseppe Cafasso. Triduo e panegirico,
Opera Diocesana Stampa, Torino 1947; Homo Dei. Per la vita e il ministero
sacerdotale, L.I.C.E., Torino 1947; C. S a l o t t i , La perla del clero italiano.
Il santo Giuseppe Cafasso, 3a ed. riveduta, Tipografìa La Palatina, Torino
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Dal 1958 al 1961


F. A c c o r n e r o , La dottrina spirituale di S. Giuseppe Cafasso, Libreria Dot­
trina Cristiana, Torino 1958; Un pensiero al giorno, dalle opere di san Giu­
seppe Cafasso. Spunti dì meditazione, Santuario della Consolata, Torino

30
Fonti e bibliografia

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«Missioni Consolata», I960; S. A., San Giuseppe Cafasso maestro e modello
del Clero, in «Pietà Sacerdotale», V (I960), nn. 3-4. marzo-aprile, qua­
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ammalati, «La fiamma del S. Cuore», Chieri I960; G. B itelli, Il prete
della forca, G. B. Paravia, Torino I960; A. M . C avagna, S. Giuseppe
Cafasso, modello del clero, patrono delTUnione apostolica del clero, Unione
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in «La Civiltà Cattolica», Anno 111 (I960), II, pp. 113-123; G. B osco,
San Giuseppe Cafasso, Memorie pubblicate nel 1860 da San Giovanni Bosco,
riedizione curata da Eugenio Valentini, S.E.I., Torino I960; L. N icolis d i
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Torino, 21 ed. riveduta e aggiornata da Jose C ottine, Torino 1960; A a . V v .,
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Dal 1962 al 2001


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caso Fratisoni e la politica ecclesiastica piemontese (1848-1850), Pontificia
Università Gregoriana, Roma 1964; P. S tella, Il Giansenismo in Italia.
Collezione di documenti. I/I-III Piemonte, PAS-VERLAG, Ziirich 1966,
1970, 1974; Id., Don Bosco nella storia della religiosità cattolica, 2 voli,
PAS-VERLAG, Ziiricli 1968 e 1969; L. Mugnai, S. Giuseppe Cafasso prete
torinese, Edizioni Cantagalli, Siena 1972; P. S tella, Il prete piemontese
dell’800 tra la rivoluzione francese e la rivoluzione industriale, Atti del Con­
vegno tenuto presso la Fondazione Giovanni Agnelli di Torino nel maggio
1972, Torino 1972 (litografato); P. C alliari (a cura di), Carteggio del
Venerabile Padre Pio Bruno Lanieri (1759-1830), fondatore della Congre­
gazione degli Oblati di Maria Vergine, 5 voli., Editrice Lanteriana, Torino
1975-1976; Aa.Vv., Arte, pietà e morte nella Confraternita della Misericor­
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1978; G. M artin, Les ramoneurs de la Vallee de Rhèmes, Musumeci, Quart
1982, 19953; Id., Les ramoneurs de la Vallee dAoste, Comité des Traditions
Valdotaines, Aoste 1982; I. T u b a l d o , Il clero piemontese: sua estrazione
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sua individuazione, in F. N. A p p e n d i n o (a cura di), Chiesa e società nella
II metà del XIX secolo in Piemonte, Edizioni Pietro Marietti, Casale Mon­
ferrato 1982, pp. 175-232; I. T u b a l d o , Giuseppe Allamano. Il suo tempo.

31
Esercizi Spirituali al Clero - Meditazioni

La sua vita. La sua opera, 4 voli, Edizioni Missioni Consolata, Torino


1982-1986, ad Lndìces; G . T u n i n e t t i , Lorenzo Gastaldi 1815-1883, 2
voli., Piemme (Studia Taurinensia), Casale Monferrato 1983 e 1988, ad
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Sacra Teologia discussa presso la Facoltà Teologica dell’Italia Settentrionale
Milano, a.a. 1983-84; A. P a v io l o , Gli spazzacamini nella Valle dell’Orco,
San Giorgio Canavese (TO) 1987; G . N a l b o n e , Carcere e società in Pie­
monte (1770-1857), Fondazione Camillo Cavour, Santena ( T O ) 1988;
U . L e v r a , L’altro volto di Torino risorgimentale (1814-1848), Istituto per
la Storia del Risorgimento Italiano, Torino 1988; G. T u n i n e t t i , Il san­
tuario di Santlgnazio presso Lanzo. Religiosità, vita ecclesiale e devozione
(1622-1991), Alzani, Pinerolo (Torino) 1992; A.Giraudo, Clero, semina­
rio e società. Aspetti della Restaurazione religiosa a Torino, LAS, Roma 1992;
M. R o s s i n o , Le origini del Convitto Ecclesiastico di San Francesco d ’Assisi
con alcuni cenni biografici sul teol. Luigi Guala. Contributo ad una rico­
struzione storica, Tesi di laurea discussa nella Facoltà di Scienze politiche
deU’Università di Torino, a.a. 1991-92, relatore prof. Franco Bolgiani;
G. C r o s a , Asti nel Sette-Ottocento, Gribaudo Editore, Cavallermaggiore
1993; G. V i s c o n t i , La diocesi di Asti tra ’800 e 900, Edizioni La Gazzetta
d’Asti, Asti 1995; L . Casto, Gli Esercizi spirituali al clero di San Giuseppe
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dinale Giovanni Saldarmi arcivescovo di Torino in occasione del LXX com­
pleanno, «Archivio Teologico Torinese», Anno 1 (1995), pp. 482-500; M.
R o s s i n o , Il Convitto Ecclesiastico di S. Francesco d ’Assisi. La sua fondazione,
ibidem, pp. 452-481; I d ., Alle origini del Convitto Ecclesiastico della Con­
solata. Le conferenze di teologia morale, in Aa.Vv., Cultura cattolica ed espe­
rienze pastorali a Torino, (Quaderni del Centro Studi C. Trabucco, diretti
da F. Traniello, 21), Racconigi (Cuneo) 1995, pp. 7-33; E S tella, Il clero
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religiosa. L’età, contemporanea, Laterza, Roma-Bari 1997, pp. 87-113; G .
T u n i n e t t i , Predicabili nell’Otto-Novecento e Predicazione nell’Otto-Nove-
cento, in M. S o d i - A. M. T r ia c c a (a cura di), Dizionario di omiletica,
Editrice Elle D i Ci ^ Editrice Velar, Leumann (Torino) ^ Gorle (Ber­
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Rovere, costruttore della cattedrale, e gli arcivescovi di Torino, dal 1515 al
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talupa (Torino) 2000, pp. 159-180; G. T u n i n e t t i , Organizzazione eccle­

32
Fonti e bibliografia

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Risorgimento (1798-1864). Parte prima: 1798-1814, a cura di U. Levra,
Einaudi, Torino 2000, pp. 231-249; P. S t e l l a , Cultura e Associazioni cat­
toliche tra la Restaurazione e il 1864, in ibidem: Parte seconda (1814-1864),
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Voci di enciclopedie e dizionari


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Bibliotheca Sanctorum, VI, Roma 1965, coll. 1317-1321; A. G a m b a r o ,
Giuseppe Cafasso, santo, in Grande Dizionario Enciclopedico, IX, UTET,
Torino 1969, pp. 206-207; G . T u n i n e t t i , Giuseppe Cafasso, santo, in
Dizionario Biografico degli Italiani, voi. 57, Roma 2001, pp. 134-136.
Giuseppe Tuninetti

33
Introduzione
alle M editazioni a l clero

La biografia del Cafasso ci testimonia che l’attività pastorale che maggior­


mente caratterizzò il suo ministero fu la formazione del clero. In effetti,
furono cosi numerosi i preti che si formarono alla sua scuola per oltre un
ventennio, che risulterebbe oggi impossibile ricostruire una storia del clero
torinese (ma si potrebbe anche dire piemontese) senza verificare a fondo il
modello di prete che quella scuola proponeva.
Accanto al lavoro ordinario di formazione che il Gafasso svolgeva al
Convitto Ecclesiastico di Torino, c'era un’altra attività più ridotta nel
tempo, ma non meno efficace: la predicazione di Esercizi spirituali ai sacer­
doti. Un tale lavoro offriva una possibilità che la scuola di teologia morale
al Convitto non aveva, quella cioè di potersi periodicamente rivolgere ad
un largo uditorio di preti per una sintetica formazione sacerdotale. Ed è
proprio grazie agli Esercizi spirituali che la linea di teologia morale e di
spiritualità sacerdotale, che al Convitto vedeva celebrata la sua versione
dottrinale e pedagogica, potè lasciare un’impronta duratura nel clero non
solo torinese e impostare una ben determinata immagine di prete.
Anche nel ministero degli Esercizi spirituali il Cafasso fu più continua­
tore che iniziatore. Come, però, già stava avvenendo nell’insegnamento
della teologia morale al Convitto, che il santo intraprese a partire dal 1836
prima come «ripetitore» del Guala e successivamente, dal 1844, come inse­
gnante principale, anche nella predicazione degli Esercizi ben presto il
continuatore seppe rivelare una sua autonomia e una sua originalità, pur
restando in una linea sostanzialmente tradizionale.
La guida dei corsi di Esercizi fu assunta dal Cafasso agli inizi degli anni
’40 per incarico del Guala. La data sicura più antica che abbiamo a questo
proposito, posta al termine di uno degli originali delle Meditazioni al clero,
è l’8 luglio 1842; si tratta di una meditazione sulla morte, prevista per il

35
Esercizi Spirituali al Clero - Meditazioni

terzo giorno degli Esercizi28. Tale data riguarda sicuramente il giorno in cui
la meditazione fu redatta, non quello in cui fu pronunciata per la prima
volta. Infatti la meditazione successiva porta la data: 16 luglio 184229.
Probabilmente le prime esperienze di predicatore vero e proprio, oltre
alle normali omelie festive, il Cafasso le fece nel corso di Missioni al
popolo30.
Come predicatore di Esercizi spirituali al clero il santo svolse il suo
ministero soprattutto al Santuario di S. Ignazio, nelle valli di Lanzo; ma il
suo principale biografo parla anche di altre Case per Esercìzi, nelle quali il
Cafasso fu spesso chiamato a predicare al clero: i santuari della Madonna
dei Fiori in Bra, di Graglia, di S. Giovanni d’Andorno, di Cussanio, e
ancora nelle diocesi di Alessandria, di Mondo vi, di Pinerolo, di Susa, di
Vercelli, di Vigevano e di Alba31.
La predicazione di Esercizi spirituali al clero era ormai una tradizione al
Santuario di S. Ignazio, quando il Cafasso intraprese questo ministero. Già
da tempo l’abate Guala teneva ogni anno in quella casa uno o anche due
corsi di Esercizi molto frequentati da sacerdoti, facendosi spesso aiutare da
quelli che erano all’epoca i predicatori di grido32. E fu appunto il Guala
ad offrire a don Cafasso l’opportunità di iniziare a predicare gli Esercizi
spirituali ai preti al Santuario di S. Ignazio agli inizi degli anni ’40. Da
allora Ì1 Cafasso predicò quasi tutti gli anni, fino alla morte, almeno un
corso di Esercizi, limitandosi negli ultimi anni a tenere solo le Istruzioni e
lasciando ad altri predicatori le Meditazioni. Il successo che riscuotevano le
sue prediche è comunemente attestato da molte testimonianze: il più delle
volte a S. Ignazio non c’era posto per tutti coloro che chiedevano di fare
gli Esercizi spirituali con lui33.

28 Archivio del Santuario della Consolata di Torino, faldone 47, fascicolo 180.
29 Archivio del Santuario della Consolata di Torino, fald. 47, fase. 182.
30 È di questo parere lo studio attendibile di F. A c c o r n e r o , La dottrina spirituale di S,
Giuseppe Cafasso, Torino 1958, pp. 169 e 180, Anche P. A. G ra m a g lia , nella sm Introdu­
zione al voi. 3 della presente Edizione Nazionale delle Opere di San Giuseppe Cafasso, p.
7, conferma tale notizia.
31 L. N ic o l i s D i R o b il a n t , San Giuseppe Cafasso, Torino 1960 (2a ediz.), p, 732.
32 Ibidem, p, 714. Scorrendo i nomi, si può rilevare che ad esser chiamati come colla­
boratori del Guala erano soprattutto i Gesuiti.
33 Si veda la lettera dell’agosto 1853 a don Giorgio Gallo: «Gii aspiranti sono in
numero più di 100, onde mi riesce impossibile farle luogo», citata da G. C o l o m b e r o , Vita
del Servo di Dio don Giuseppe Cafasso, con cenni storici sul Convitto Ecclesiastico dì Torino,
Torino 1895, p. 420.

36
Introduzione alle M editazioni a l clero

Struttura delle M editazion i a l clero

Come facevano i predicatori a metà Ottocento, anche il Cafasso nel gui­


dare gli Esercizi spirituali al clero si atteneva allo schema di otto giorni
interi. E pensabile che gli esercitandi arrivassero sul luogo entro la sera
precedente l’inizio e ripartissero’il giorno successivo alla conclusione.
Dagli originali del Cafasso si riesce a capire che egli predicava media­
mente tre Meditazioni al giorno e due Istruzioni. E possibile però che non
in tutti gli otto giorni questo schema venisse sempre rispettato.
Ci sono state conservate presso l’Archivio del Santuario della Conso'
lata in Torino in tutto 43 Meditazioni al clero. Il numero, però, potrebbe
scendere almeno di una unità, perché, come si vedrà, almeno una Medi-
ta/.ione34 sembra essere parte di un’altra. Appare evidente che, dovendo
essere 24 le Meditazioni di un intero corso di Esercizi, noi possediamo
attualmente quasi una ventina di testi in più. In effetti, non pochi temi,
soprattutto relativi ai primi due giorni, hanno più di una versione: segno
che il Cafasso, in una quasi continua ricerca del contenuto e della forma
più appropriata airuditorio, non si stancò di riscrivere certe tematiche.
Non ci si può qui sottrarre a una domanda, se cioè noi possediamo oggi
tutti gli originali delle Meditazioni al clero. La risposta sembra dover esser
negativa. Prima di tutto, noi non possediamo le Meditazioni di un intero
corso di Esercizi, redatto in una data determinata, con l’aggiunta di altre
Meditazioni scritte successivamente. Noi abbiamo invece 43 Meditazioni
che con le loro tematiche coprono l’intero corso di otto giorni, ma che
sono state redatte in periodi diversi, a volte anche abbastanza distanti tra
loro.
Qui avanzo un’ipotesi che mi sembra plausibile. Se si trattasse della
perdita accidentale di originali, dovute all’incuria di qualcuno o a qualche
causa esterna, sarebbe abbastanza strano che comunque noi rimanessimo
in possesso di testi sufficienti a coprire l’intero sviluppo degli Esercizi spi­
rituali di otto giorni. Non solo, ma ancor più strano risulterebbe il fatto
che le Meditazioni superstiti in modo omogeneo presentino tutti i temi di
quello che era un corso di Esercizi al clero a metà Ottocento. Per questi
motivi ritengo che la perdita di testi originali non fu quasi mai accidentale,
ma fu probabilmente operata dal santo stesso, il quale avrebbe distrutto

34 È la Meditazione 47/157. Così verranno citate in seguito le Meditazioni. Si tratta


della numerazione ultima, frutto del riordino dell'Archivio della Consolata di Torino
avvenuto nel 2001. 11 primo numero indica il faldone, il secondo il fascicolo.

37
Esercizi Spirituali al Clero ~ Meditazioni

parte del materiale da lui scritto, in quanto superato da altri testi da lui
redatti successivamente.
Alla luce di quanto ho detto, risulta non facile rispondere ad un’altra
domanda: se cioè il pensiero del Cafasso abbia subito una qualche evolu-
zione nel corso degli anni. Mi sentirei di rispondere in modo sostanziai-
mente negativo, almeno per quanto riguarda la sua immagine di prete cosi
come risulta dalle Meditazioni al clero. Sebbene noi non possediamo piti,
a quanto pare, tutti gli originali, non sembra ci sia un’apprezzabile evolu­
zione del pensiero se si confrontano le Meditazioni più antiche con quelle
probabilmente più recenti. La sua concezione del ministero sacerdotale
nell’arco dell’ultimo ventennio della sua vita, che corrisponde agli anni
in cui furono redatte le Meditazioni al clero, sembra esser stata sostanzial­
mente inalterata: forse negli originali più antichi sembra trapelare di più
un certo gusto ed una maggiore insistenza nell’individuare il negativo nella
vita del clero. .

Ma veniamo allo schema delle Meditazioni secondo la ricostruzione del


testo curata in questa edizione.
Per il primo giorno degli Esercizi noi possediamo otto schemi. Dopo
una «Introduzione a spirituali esercizi per gli Eclesiastici»35, restano sette
Meditazioni, tutte incentrate sul tema del fine dell’uomo e sull’importanza
della salvezza36. La Meditazione 47/166 è l’unica che porta una data: 23
ottobre 1842; ma le due successive, cioè la 47/168 e la 47/170 sembrano
appartenere allo stesso periodo. Queste tre Meditazioni sembrano dunque
essere il primo nucleo di testi preparati per il primo giorno. In realtà la
seconda di questo nucleo originario, cioè la 47/168, ha veramente pochi
riferimenti alla vita ecclesiastica: tutta l’architettura del discorso rivela che
si tratta piuttosto di una meditazione generale sul fine delle creature, con
un paio di applicazioni abbastanza giustapposte alla vita sacerdotale.
Le altre quattro Meditazioni di questo primo giorno sembrano esser rie-
laborazioni più sviluppate degli argomenti delle prime tre. Questo appare
abbastanza chiaro se per esempio si confronta la 47/170 con la 45/90: esse
hanno titoli minimamente divergenti, ma il tema appare maggiormente
elaborato nella seconda.

35 45/75.
36 Sono, nell'ordine seguito nella presente edizione, a partire da quella che sembra
esser delle sette la più antica, la 47/166, la 47/168, la 47/170, la 45/79, la 45/82, la 45/86
e la 45/90.

38
Introduzione alle M editazioni a l clero

Il secondo giorno degli Esercizi era dedicato al tema del peccato. Ci


sono stati conservati sette originali37, di cui i tre più antichi sembrano
essere quelli datati: il primo porta la data 8 agosto 1842; il secondo, 22
agosto 1842; il terzo, 31 agosto 1842. Anche qui si deve ripetere ciò che
è già stato rilevato per le Meditazioni del primo giorno: il confronto tema­
tico tra le prime tre e le altre mostra che queste ultime rappresentano uno
stadio più evoluto degli stessi temi. In genere, gli originali delle prime
tre, oltre ad avere uno schema ed uno sviluppo più semplice, presentano
anche un testo meno tormentato. Il contenuto di queste prime sembra
esser anche più severo, soprattutto in base ai testi degli Autori citati. In
particolare, la 47/174 contiene una lunga sezione (circa metà della Medita­
zione) consistente in un commento al testo di sant5Ambrogio sulla caduta
della vergine Susanna38. Solo un predicatore alle prime armi poteva citare
così prolissamente un tale testo, che solo in linea generale può risultare
attinente all’argomento: è fin troppo evidente che il peccato delFEcclesia-
stico che si vuole stigmatizzare è il peccato di incontinenza. Nella Medita­
zione 46/102 e 46/107 il Cafasso si dimostra più maturo e il lungo testo
sulla vergine Susanna non compare più, anche se si capisce ancora che uno
dei peccati contro cui il santo vuol puntare il dito è la mancanza di castità:
ma qui è solo uno dei peccati del clero, e tutto il discorso presenta un
respiro più ampio.
Relativamente al terzo giorno abbiamo tre sole Meditazioni, tutte sul
tema della morte33. Tutte portano la data rispettiva: 8 luglio 1842 la prima,
16 luglio 1842 la seconda, 26 luglio 1842 la terza. Da queste date si
deduce che lo schema primitivo prevedeva appunto tre Meditazioni per
questo giorno: una Meditazione sulla morte in generale, un’altra sulla
morte del sacerdote peccatore, infine una terza sulla morte del sacerdote
fedele. Queste tre Meditazioni originariamente dovevano essere nell’ordine
la 7a, l’8a e la 9a degli Esercizi.
Questo schema originario subì nel tempo delle modifiche. La Medi­
tazione sulla morte (47/180) appare allo stato attuale con molte pagine
interamente barrate; ciò che resta di un testo già non lungo difficilmente

37 Sono la Meditazione 47/172, la 47/174, la 47/176, la 45/93, la 45/97, la 46/102


e ia 46/107.
38 S, A m b r o g io , De Lapsu Virginis consecratae, PL 16, c. 383-400. Anche la 45/93
riprende il testo di sant’Ambrogio. È una Meditazione antica, che ha subito molti cam­
biamenti in seguito.
3S Sono la Meditazione 47/180, la 47/182 e la 47/185.

39
Esercizi Spirituali ni Clero ^ Meditazioni

poteva esser sufficiente per una Meditazione a sé stante. Il testo non bar­
rato è possibile, allora, che nell’intenzione matura del Cafasso servisse da
introduzione alle altre due sulla morte. Ma un accenno in chiusura sembra
ricollegarlo a 45/82, dal titolo: «Altra meditazione sul fine»: una conferma
di ciò può esser il fatto che nel frontespizio il Cafasso barrò tutta l'intesta­
zione, compresa l’indicazione «giorno terzo».
Restano le altre due. Forse nello stesso rimaneggiamento di cui ho par­
lato, il Cafasso lasciò per esse l’indicazione «giorno terzo»; però quella che
era la «Meditazione seconda» divenne «prima» e quella che era la «Medi­
tazione terza» divenne «seconda». In questo modo, però, il terzo giorno
risultava con due sole Meditazioni. Come il Cafasso ovviasse al venir meno
di uno schema per questo giorno è difficile stabilirlo. Non si può escludere
che egli, in una*fase matura, prevedesse effettivamente due sole Medita­
zioni per questo giorno, oppure che anticipasse un tema preso dai giorni
successivi.
Anche per il quarto giorno ci sono rimasti tre schemi originali40, i primi
due con la data, rispettivamente 23 gennaio 1843 e 16 giugno 1843.
In realtà, nello schema originario del Cafasso solo la prima delle tre
era assegnata al quarto giorno, mentre per le due successive si può ancora
vedere la dizione originaria: «giorno quinto». Ma un successivo rimaneg­
giamento ha fatto sì che nel frontespizio della Meditazione 47/193 tutta
l’intestazione venisse barrata, mentre in quello della Meditazione 47/196
«sopra l’inferno dell’anima» la dicitura «giorno quinto» diventasse «giorno
quarto» e venisse barrata la precisazione originaria «decimaquarta degli
Esercizi».
In base ai vari rimaneggiamenti il quarto giorno aveva per tema il giu­
dizio di Dio e l’inferno.
Può esser significativo il confronto della Meditazione sul giudizio
(47/189) con l’analoga Meditazione preparata per le Missioni al popolo41.
Mentre in quest’ultima il discorso è più immaginifico nell"attardarsi sulla
descrizione della valle di Giosafat e sulla scena del giudizio finale, cosa
comprensibile dal momento che il predicatore si rivolgeva ad un uditorio
fatto per lo più di gente del popolo, nella Meditazione al clero il testo
non solo abbonda di citazioni bibliche e patristiche, ma il tono generale
è improntato ad una particolare severità: si parla infatti del giudizio finale

40 li 47/189, il 47/193 e il 47/196.


41 Si vedano, nel voi. 3 della presente edizione già citata, le pp. 181-199.

40
Introduzione alle M editazioni a l clero

di un sacerdote riprovato, che perciò viene spogliato della dignità sacer­


dotale, mentre vengono pubblicamente rivelate le sue trasgressioni42. Può
esser questo un indizio che il giovane don Cafasso era meno benignista di
quanto una certa agiografia abbia voluto far Credere?
Il quinto giorno appare il più travagliato, quello cioè in cui c’era mag­
gior fluttuazione di temi.
Abbiamo sei Meditazioni che portano ancora, o portavano in origine
la dicitura «giorno quinto». Come è già stato detto, però, due di queste
devono esser assegnate al quarto giorno (la 47/193 e la 47/196) per una
decisione successiva del Cafasso stesso; altre due (la 46/111 e la 46/115)
dovrebbero esser assegnate al giorno in cui il predicatore iniziava a parlare
deliavita del Redentore, verosimilmente il sesto. Ne restano due (la 48/200
e la 48/205) che solo in un secondo tempo furono assegnate dal Cafasso
al quinto giorno con una correzione nelfintestazione. La prima di queste
è una meditazione «sopra l’eternità», datata 26 novembre 184343, che in
realtà è all’inizio una meditazione sul sacerdote all’inferno, per poi diven­
tare nella seconda parte una vera e propria meditazione sull’eternità. L’altra
è una riflessione «sopra la misericordia di Dio», datata 4 dicembre 1843,
che originariamente era in gran parte una meditazione sulla parabola del
figlio prodigo: tale sezione fu poi barrata dal Cafasso.
Il sesto giorno era tradizionalmente riservato alla meditazione della vita
di Cristo, fino alla Passione esclusa. E il giorno o, meglio, l’argomento per
il quale abbiamo il maggior numero di originali, ben dieci44.
Dei primi due ho già parlato a proposito del quinto giorno. In effetti
la Meditazione 46/111 è una riflessione introduttiva sulla vita del Reden­
tore e porta l’indicazione: «quinto giorno» E possibile che questa parte
degli Esercizi, che corrisponde in qualche modo alla terza settimana dello
schema ignaziano, iniziasse già nel pomeriggio di quel giorno.
L’altra Meditazione a cui ho già accennato, la 46/115, è uno schema
riassuntivo «sopra la vita del Redentore in generale», forse da usare nel caso
in cui il temi del sesto giorno dovessero esser concentrati in una sola medi­
tazione a causa del protrarsi dei temi precedenti.

42 Cfr. p. (2380)4 dcU'originale.


43 Questa data fu poi barrata insieme ad altri testi: si veda in nota la p. (2438) 10.
44 Sono la Meditazione 46/111, la 46/115, la 46/119, la 46/123, la 46/127, la 48/218,
la 48/210, la 46/128, la 48/214 e la 46/133.

41
Esercizi Spirituali al Clero Meditazioni

Abbiamo quindi tre Meditazioni sulla nascita di Gesù (la 46/119, la


46/123, la 46/127). Esiste un problema a proposito della terza di queste.
Essa ha un intestazione originale in un foglio a sé stante, ma poi il testo
incomincia dalla pagina 7. La spiegazione di questo fatto sembra essere la
seguente: la Meditazione 46/123 termina in modo mutilo con le parole
«l’altra lezione che ci dà il divin Redentore eto>; queste stesse parole si
trovano all’inizio della 46/127. Sembra dunque che nelle intenzioni del
Cafasso i due testi, che dovevano essere in origine due Meditazioni indi-
pendenti, dovessero in seguito essere uniti. Se le cose stanno così, le prime
sei pagine mancanti della 46/127 potrebbero essere state eliminate dal
Cafasso stesso. Dopo le tre Meditazioni sulla nascita di Gesù esiste, sempre
per il sesto giorno, una meditazione sulla fuga in Egitto (la 48/218): una
Meditazione breve, perché parte del testo fu successivamente barrato dal
Cafasso. In realtà si tratta di una riflessione sull’abbandono alla volontà di
Dio, che doveva forse essere utilizzata, dopo la barratura di una parte del
testo, insieme alla Meditazione sulla nascita di Gesù.
Seguono due Meditazioni sulla vita privata di Gesù a Nazaret (la
48/210 e la 46/128). La prima di queste porta come data 20 gennaio 1844:
è da ritenersi cronologicamente precedente.
Infine esistono ancora due Meditazioni sulla vita pubblica di Gesù (la
48/214 e la 46/133). La prima di queste porta una data: 5 febbraio 1844.
Ancora una volta ritengo che essa sia cronologicamente precedente; anche
la grafia è più larga e sembra meno evoluta.
Il settimo giorno era dedicato al tema della Passione del Signore. Noi
possediamo tre Meditazioni45, di cui solo la prima porta espressamente
detto: «giorno settimo»; essa è anche Tunica che porta una data: 20 feb­
braio 1844. In origine doveva essere la «decima nona degli Esercizi spiri­
tuali», annotazione successivamente barrata. L’argomento è: «sopra Gesù
nell’orto, e ne’ tribunali».
Le altre due, senza data né indicazione del giorno in cui dovevano
esser pronunziate, sono intitolate, una «Sopra la passione di Gesù», l’altra
«Morte di Gesù».
Il testo della meditazione datata è abbastanza travagliato, con numerose
parti barrate e sostituite, soprattutto all’inizio, a differenza delle altre due.
Propendo per la precedenza cronologica della Meditazione datata.

45 La Meditazione 481222, la 46/138 e la 46/142.

42
Introduzione alle M editazioni a l clero

L’ultimo giorno degli Esercizi, l’ottavo, era dedicato a temi gioiosi, atti
ad infervorare l’uditorio e a favorire la formulazione di propositi generosi.
Abbiamo sei Meditazioni: una sul paradiso46, tre sull’amor di Dio47, una
sulle occupazioni giornaliere43 e una come conclusione degli Esercizi49.
La Meditazione sui paradiso doveva essere la prima di questa giornata:
nel testo infatti, dopo aver detto che l’uditorio sta vivendo l’ultima gior­
nata di ritiro, il Cafasso aggiunge che si è appena finito di meditare la Pas­
sione del Signore.
Doveva quindi esserci la meditazione sull’amor di Dio. Noi posse­
diamo due schemi antichi, il 48/226 e il 48/229, datati rispettivamente 12
dicembre 1843 e 31 dicembre 1843. Il primo di essi porta come titolo:
«Sopra l’amor di Dio» ed era originariamente la 2 I a Meditazione: que­
st’ultima annotazione fu successivamente barrata dal Cafasso; ma questa
Meditazione in realtà era prevista per il «giorno settimo»: una annotazione,
questa, non barrata e quindi non smentita.
Il secondo schema, che ha per titolo «Sopra gli effetti dell’amor di Dio»,
originariamente era la 22a Meditazione (annotazione in seguito barrata) ed
era prevista come prima Meditazione per il giorno ottavo: una successiva
correzione la trasformò in «Meditazione seconda», sempre per il giorno
ottavo.
Esiste ancora una Meditazione sull’amor di Dio, la 47/152, senza data,
prevista per l’ultimo giorno come «Meditazione seconda». A questa biso­
gna aggiungere due fogli originali, il primo dei quali porta questa intesta­
zione: «Meditazione ultima. Sopra l’amor di Dio»50. Si tratta di un testo
mutilo sia per quanto dovrebbe precedere, sia per ciò che dovrebbe seguire,
sebbene il Cafasso ponga il numero I come numerazione della pagina.
Probabilmente doveva essere un testo da inserire ad un certo punto alfin-
terno della Meditazione precedente.
Sempre ancora per l’ottavo giorno esiste una Meditazione «sopra le
occupazioni giornaliere», con data 8 aprile 1844 (è la 48/233), che in ori­
gine doveva esser la terza della giornata e la 24a degli Esercizi. Questo
tema, che potrebbe esser stato in qualche corso di Esercizi lo schema con­
clusivo, è insolito perché non è nella tradizione degli Esercizi ignaziani.

46 La Meditazione 47/147
47 La 48/226, la 48/229 e la 47/152, a cui vanno aggiunti due fogli numerati come
47/157.
48 La 48/233-
49 La 47/158.
50 È lo schema 47/157.

43
Esercizi Spirituali al Clero - Meditazioni

Infine ci è stata conservata una Meditazione conclusiva (la 47/158). È


uno degli originali più travagliati del Cafasso: sono frequentissime le sosti­
tuzioni di parole e di interi brani, segno che il testo fu più volte rimaneg­
giato dall’Autore, alla ricerca di una stesura che fosse la più adatta al l’udi­
torio e allo scopo.
Come si vede, i rimaneggiamenti furono molti da parte del Cafasso.
Solo in parte ci è possibile risalire agli schemi redatti nei primi anni ’40:
come ho già detto, un’ipotesi plausibile è che il santo stesso abbia distrutto
un certo numero di quegli schemi. Ci è invece più facile farci un idea di
come dovevano essere gli Esercizi spirituali al clero negli anni della matu­
rità del Cafasso, sebbene anche qui abbiamo spesso più di uno schema
sullo stesso argomento. Sono però gli schemi superstiti, in parte modificati
nel corso degli anni, ma mai sconfessati dall’Autore. Sembra logico pensare
che il Cafasso si riservasse di adottare in ciascun corso di Esercizi quella
traccia che gli sembrava più adatta, inserita in un ordine consequenziale
che poteva avere talvolta delle varianti.
Per comodità del lettore, si riporta lo schema delle Meditazioni così
come è stato ricostruito nel presente volume, accompagnato dalle indica­
zioni della posizione archivistica degli originali:

Primo giorno degli esercizi


(45/75) Introduzione a Spirituali Esercizi per gli Eclesiastici
(47/166) Meditazione prima. Sopra il fine dell’uomo
(47/168) Meditazione Seconda. Fine delle Creature
(47 /170) Meditazione terza. Sopra l’importanza della salute
(45/79) Meditazione prima. Sopra il fine dell’uomo
(45/82) Altra meditazióne. Sopra il fine dell’uomo
(45186) Meditazione. Sopra il fine dell’uomo
(45/90) Meditazione sopra l’importanza del fine

Secondo giorno
(47/172) Meditazione Prima. Sopra la malizia del peccato
(47/174) Meditazione Seconda. Sopra i danni del peccato
(47/176) Meditazione Terza. Sopra i castighi del peccato
(45/93) Meditazione Prima. Sopra il peccato d’un sacerdote
(45/97) Meditazione Seconda. Sopra l’Eclesiastico in peccato
(46/102) Meditazione seconda. Sopra la gravezza del peccato

44
Introduzione alle M editazioni a l clero

(46/107) Meditazione seconda. Sopra gli effetti e danni del peccato

Terzo giorno
(47/180) Meditazione prima. Sulla morte
(47/182) Meditazione prima. Sulla morte del peccatore
(47/185) Meditazione seconda. Sulla morte de Giusti

Quarto giorno
(47/189) Meditazione terza. Sopra il giudizio universale
(47 /193) Meditazione prima. Sopra l’inferno de’ sensi
(47/196) Meditazione prima. Sopra l'inferno dell’anima

Quinto giorno
(48/200) Meditazione seconda. Sopra l'eternità
(48/205) Meditazione prima. Sopra la misericordia di Dio
(46/ 111) Considerazione preliminare All’imitazione del divin Redentore
(46/115) Meditazione prima. Sopra la vita del Redentore in generale.

Sesto giorno
(46/119) . Meditazione prima. Sopra la nascita di Gesù e fuga in Egitto
(46/123) Meditazione prima. Sopra la nascita di Gesù
(46/127) Sopra la nascita del Divin Redentore
(48/218) Meditazione prima. Sopra la Fuga di Gesù in Egitto
(48/210) Meditazione seconda. Sopra la vita privata di Gesù
(46/128) Meditazione Seconda. Sopra la Vita privata del divin Redentore
(48/214) Meditazione. Sopra la vita pubblica di Gesù Cristo
(46/133) Vita pubblica di Gesù

Settimo giorno
(48/222) Meditazione prima. Sopra Gesù nell’orto, e ne’ tribunali
(46/138) Sopra la passione di Gesù
(46/142) Morte di Gesù

Ottavo giorno
(47/147) Meditazione Sopra il Paradiso
(48/226) Meditazione seconda. Sopra l’amor di Dio
(48/229) Meditazione seconda. Sopra gli effetti dell5amor di Dio
(47/152) Meditazione seconda. Sopra l’amor di Dio

45
Esercizi Spirituali al Clero - Meditazioni

(48/233) Meditazione terza. Sopra le occupazioni giornaliere


(47/158) Memoria degli esercizi.

Fonti omiletiche del Cafasso nelle M editazioni a l clero

Solo una ricerca esauriente, condotta sugli Autori che costituivano la


Biblioteca del Convitto Ecclesiastico al tempo del Cafasso, potrà dare
piena luce sulle fonti omiletiche del santo e stabilire esattamente da quali
testi egli dipenda maggiormente51.
Un Autore al quale sicuramente il Cafasso si ispirò è sant’Alfonso Maria
de1 Liguori (1696-1787). La sua canonizzazione nel 1839 diede ulteriore
impulso alla scelta di ispirarsi alla sua dottrina ascetica e morale da parte di
coloro che in quegli anni dirigevano il Convitto Ecclesiastico di Torino, il
Guala prima, e quindi il Cafasso.
In effetti, benché il Guala facesse professione di liguorismo e di proba­
bilismo in campo morale, la sua scuola in concreto non doveva discostarsi
troppo dal probabiliorismo seguito dagli insegnanti di teologia morale del-
TUniversità di Torino e del Seminario52. Tuttavia la scuola del Guala era
in molti ambienti accusata di lassismo, il suo dichiarato probabilismo era
visto da molti ecclesiastici come sospetto. Non solo, ma da parte di alcuni
si accusava il Convitto di non esser altro che una propaggine della Com­
pagnia di Gesù e il Guala stesso un gesuita segreto53.
Di fatto al Convitto le opere di sant’Alfonso godevano di grande stima
e tutta l’impostazione sia pedagogica, sia dottrinale in quell’ambiente ten­
deva ad ispirarsi alla linea benignista propugnata appunto dal Liguori.
Che il Cafasso stesso nutrisse una speciale venerazióne per sant’Alfonso
è documentato, tra l’altro, dal fatto che spesso al termine delle Meditazioni
c’è la scritta: «Laus Deo, B.V.M. et S. Alphonso». Non è però facile tro­
vare nel corpo delle Meditazioni citazioni esplicite tratte dalle opere del
Liguori: e questa è una conferma che il Cafasso, pur conoscendo la vasta
produzione di scritti ascetici e morali di sant’Alfonso, se ne servì non in

51 Per una rassegna degli Autori letti e consigliati dal Cafasso ai frequentatori del Con­
vitto, rimando all’elenco riportato da P. A. G r a m a g lia nella sua Introduzione al voi. 3, già
citato, alle pp. 1 3 -1 9 .
52 G. L a r d o n e , S. Giuseppe Cafasso moralista nel suo ambiente storico, in A a.W v
Morale e pastorale alla luce di S. Giuseppe Cafasso, Torino 1961, p. 21,
53L. N ic o l is D i R o b il a n t , San Giuseppe Cafasso, cit., pp. XXXIII-XXXV.

46
Introduzione alle M editazioni a l clero

modo pedissequo, ma sempre attraverso una profonda rielaborazione per­


sonale. Infatti gli originali deile Meditazioni sono quasi sempre pagine
molto travagliate, con ampie eliminazioni di brani e inserimenti di altri.
Se però c’è un’opera del Liguori a cui il Cafasso è abbastanza debitore,
questa è la Selva di materie predicabili ed istruttive per. dare gli Esercizi a'
preti:>4: si tratta di un vero e proprio sussidio, composto per venire incon­
tro ai predicatori di Esercizi spirituali, nel quale sant’Alfonso offre una
miniera di citazioni bibliche, patristiche e di autori cristiani, raccolte per
argomenti, con brevi annotazioni che legano una citazione e l’altra, onde
mostrare un possibile sviluppo del discorso; non sono, quindi, prediche
vere e proprie, ma schemi di meditazioni, offerti ai predicatori. Le Medita­
zioni al clero mostrano che il Cafasso si avvalse non poco di quell’antologia
di testi. Infatti non poche citazioni bibliche e patristiche sono desunte dal
testo del Liguori. Non pare invece che il Cafasso si sia realmente servito
di un’altra opera di sant’Alfonso, i Sermoni compendiati per tutte le domeni­
che dell’anno, riedita a Torino nel 1831 in due volumi: infatti le citazioni
patristiche che appaiono sia nei Sermoni del Liguori, sia nelle Meditazioni
del Cafasso non sono quasi mai riferite in modo identico.
Il Cafasso stesso nel corso degli anni si era composto una piccola anto­
logia ad uso personale di brevi citazioni bibliche e patristiche da utilizzare
soprattutto nella sua predicazione35.
Un’altra fonte a cui il santo torinese si ispirò, non poteva non essere
sant’Ignazio di Loyola con i suoi Esercizi s p ir itu a liMa le Meditazioni del
Cafasso non sono una riproposizione del testo ignaziano, cosa che del resto
da molto tempo non faceva più nessuno. Il Cafasso riprende liberamente
alcune tematiche relative alla prima e alla terza settimana dello schema
ignaziano, ma trascura completamente il tema dell’elezione (seconda setti­
mana) e anche la contemplazione dei misteri gloriosi della vita di Cristo
(quarta settimana).

^ Il Cafasso potè utilizzare l’edizione pubblicata a Bassano nel 1833, mentre la l a edi­
zione è del 1760. Nel presente volume viene utilizzata l’edizione fatta a Torino nel 1858
presso l’editore Marietti. Da qui in poi si potrà trovare citata per brevità come Selva.
55 Si trovano nell’Archivio del Santuario della Consolata in Torino, faldone 51, fasci­
coli 363-368. Non si tratta di molte pagine. Il fascicolo forse più significativo è il 366, nel
quale le brevi frasi citate sono suddivise per argomenti. Essi sono: morte, paradiso, pec­
cato, fine dell’uomo, importanza della salute, inferno, amor di Dio, giudizio, imitazione
di Cristo, misericordia, sacerdoti, e una raccolta dal testo dlim ita z io n e di Cristo.
Rimando all’edizione critica del testo ignaziano: Gli Scritti di Ignazio di Loyola, a
cura di M. Gioia, UTET, Torino 1988, pp. 91-184.

47
Esercizi Spirituali al Clero - Meditazioni

Dire che il contenuto delle Meditazioni al clero di san Giuseppe Cafasso


raramente risulti per noi accattivante, è fuori luogo: i gusti omiletici cam­
biano e anche i bisogni spirituali dell’uditorio. Le testimonianze però
sono concordi nel dire che gli Esercizi predicati dal Cafasso ai preti erano
sempre molto seguiti.
Pur essendo mutato il nostro gusto e, forse, anche le nostre esigenze,
da un punto di vista formale ritengo che le Meditazioni più riuscite siano
alcune di quelle relative al secondo, terzo e quarto giorno: cioè Medita­
zioni sul peccato del sacerdote, sulla morte del sacerdote mediocre e sul
giudizio. Qualche volta il Cafasso riesce a dipingere dei quadri di un certo
effetto, non privi di ironia; spesso, però, c’è una certa insistenza che a
prima vista può sembrare pedanteria, ma che in realtà doveva essere il risul­
tato di un preciso disegno pedagogico-pastorale.
Anche le Meditazioni sulla vita di Cristo e sulla sua Passione presen­
tano aspetti interessanti. Qui però cercheremmo invano un’esegesi dei testi
biblici: i misteri deliavita di Cristo sono contemplati con una finalità emi­
nentemente morale; l’obiettivo è praticamente solo l’imitazione delle virtù
del Redentore. Sono assenti considerazioni squisitamente teologiche, per
lasciare spazio invece ad una rilettura della vita di Cristo in chiave morale,
applicata alla vita del sacerdote: un approccio decisamente riduttivo, che si
ravvisa anche nell’utilizzo delle fonti scritturistiche.
Nelle Meditazioni al clero cè una generale insistenza sui quadri nega­
tivi. E vero che a volte il tono si alza a considerazioni più ottimistiche,
ma l’impressione globale è quella di una predicazione che voleva prima
di tutto stigmatizzare comportamenti riprovevoli di ecclesiastici. Qui il
discorso potrebbe sfociare nella domanda su quale benignismo il Cafasso
abbia fatto proprio. Fu un fedele interprete del liguorismo? C’è una evolu­
zione nel pensiero del Cafasso? Ossia, passò forse da un certo iniziale rigo­
rismo, progressivamente poi attenuatosi, per diventare un vero e proprio
benignismo? E rischioso rispondere a queste complesse domande in base
soltanto ai suoi Esercizi spirituali al clero, anche perché sembra che non
possediamo più tutti gli schemi da lui composti a quello scopo. Bisognerà
anche, e soprattutto, esaminare le sue lezioni di teologia morale. Tuttavia,
leggendo queste pagine, è difficile sfuggire all'impressione che nel nostro
santo una qualche istintiva tendenza al pessimismo ci fosse; ma si deve dire
anche che si ravvisa in questi Esercizi uno sforzo sincero di condurre l’udi­
torio su posizioni di speranza, nella certezza della reale, e neppur troppo
ardua, possibilità di salvarsi. Viene da chiedersi allora se quel tono generale
un po’ incline a sottolineare il negativo non sia soprattutto un artificio

48
Introduzione alle M editazioni a l clero

strategico per ottenere l'effetto desiderato, cioè la conversione ad uno stile


di vita più conforme all’ideale sacerdotale.
In ogni caso il supposto, tendenziale pessimismo del Cafasso verrà ad
assumere tutt’altro volto, qualora la sua predicazione venga confrontata
con quella di alcuni celebrati autori di testi di Esercizi spirituali del Sette­
cento: al paragone il santo torinese non solo apparirà un moderato, ma
addirittura un ottimista. Sicuramente, quando già nell’Ottocento e poi
ancora nel primo Novecento il Cafasso fu letto e interpretato nella linea
benignista di sant’Alfonso, si aveva presente quale fosse la predicazione
rigorista e perfino giansenisteggiante di certi autori del Settecento e del
primo Ottocento. Valga un esempio fra tutti: la predicazione di Liborio
Siniscalchi, gesuita vissuto nel XVIII secolo, il cui nome appare tra quelli
degli autori presenti nella Biblioteca del Convitto Ecclesiastico di Torino.
È altamente probabile che il santo abbia letto del Siniscalchi almeno il suo
Quaresimale, pubblicato per la prima volta a Venezia nel 1744 e ancora
riedito nel 1836. Ma quale distanza, praticamente incolmabile, c’è tra il
roboante e barocco gesuita del Settecento e il Cafasso! Nel Siniscalchi c’è
spesso il gusto del macabro ed un pessimismo, insolito in un gesuita, sulle
reali possibilità di salvezza eterna, che a lungo sembra farlo aderire alle tesi
più negative, che solo alFultimo si stemperano in qualche affermazione in
più di speranza57.

57 Prendo a modello la Predica XIV sull’inferno, tratta dal citato Quaresimale del Sini­
scalchi, Venezia 1836, pp. 71-75. Per dare ai suoi ascoltatori un’idea delle orribile pene
delFinierno, il gesuita ritiene di poter rievocare con una calcolata meticolosità i supplizi a
cui fu sottoposto l’infelice assassino di Enrico IV re di Francia. Non parendogli sufficiente
l’orrore destato neU’uditorioi eccolo descrivere dettagliatamente lo scempio a cui Proto­
gene avrebbe sottoposto il suo schiavo Olindo per avere un’immagine adeguata delle pene
di Prometeo incatenato. A questo punto, rivolgendosi alla divina Giustizia, il Siniscalchi
continua: «Veggo la vostra onnipotenza tutta impiegata in fabbricare tormenti» (p. 72);
e dopo aver descritto l’infernale e tenebrosa spelonca, afferma: «Vi regna poi un fuoco
sterminato acceso dal fiato stesso di Dio, che sedendo al mantice di quel vasto incendio, vi
soffia dentro col fiato della sua onnipotenza». Più avanti, rivolgendosi ancora alla divina
Giustizia, il Siniscalchi aggiunge: «Divina giustizia, che dite? Si è ormai ristorato l’onor
vostro vilipeso da’ peccatori? Vi basta egli questo?... no, che non basta»: bisogna infatti
che i dannati, oltre le pene comuni a tutti, siano tormentati con pene appropriate alla
diversità dei peccati; non solo, ma oltre al supplizio dei sensi esterni, ci devono esser
anche tormenti per torturare «le interne potenze dell’anima» (p. 73). La seconda parte
della meditazione è dedicata al tema del numero dei dannati: è qui che si elencano le tesi
teologiche più pessimistiche, per concludere il discorso con una invocazione alle piaghe
di Cristo e al suo sangue, da cui si spera una grazia efficace in ordine alla salvezza.

49
Esercizi Spirituali al Clero - Meditazioni

Vale la pena rilevare ancora un’ultima annotazione rispetto alle fonti


omiletiche del Cafasso, soprattutto nei confronti di sant1Alfonso e di san-
t’Ignazio di Loyola. Nel santo torinese ci sono assenze tematiche signifi­
cative: non esiste una Meditazione sull’Eucaristia, né una vera e propria
riflessione sui misteri gloriosi della vita di Cristo. C’è qui il segno ulte­
riore della relativa libertà con cui il Cafasso tratta le sue fonti. Per quanto
riguarda l’assenza di una Meditazione apposita sull’Eucaristia, la spiega­
zione può forse venire dal fatto che il santo torinese ritenne che, con un
clero spesso tentato di ridurre le opere di ministero alla sola celebrazione
della Messa e alla recita del Breviario, non era il caso di insistere ulterior­
mente sul tema dell’Eucaristia.

La lingua usata dal Cafasso nelle M editazioni a l clero

Mentre le prediche delle Missioni al popolo dovevano esser pronunciate


in dialetto piemontese58, gli Esercizi spirituali al clero erano predicati in
italiano. Per cui soltanto questi ultimi, insieme a molti altri testi pensati
e scritti nella lingua nazionale, possono darci un’idea esatta della lingua
italiana usata dal Cafasso.
Se dunque nelle Missioni alpopolo abbondano i piemontesismi, per cui
avremmo lì un interessante saggio di una lingua, l’italiano, messa a servi­
zio di un dialetto per finalità pastorali, non altrettanto si può dire per le
Meditazioni al clero. Negli originali di queste ultime la lingua nazionale
appare discretamente posseduta dal loro redattore, sebbene egli non avesse
minimamente l’intenzione di fare un’opera letteraria. Sarebbe un imper­
donabile errore, infatti, dimenticare che noi leggiamo degli originali che
erano, e dovevano rimanere, appunti personali: giudicarli come si giudica
un libro dato alle stampe, sarebbe non solo ingeneroso nei confronti del-
l’Autore, ma soprattutto ingiusto.
È alla luce di questo che si possono spiegare certi cosiddetti «errori lin­
guistici» del Cafasso59. Bisogna però tener presente che in un’area territo­

58 Cosi scrive il principale biografo del santo, L. N i c o l i s D i R o b il a n t , San Giuseppe


Cafasso, cit., allap. 743: «Destinate a venir esposte in piemontese (le prediclie deile Mis­
sioni al popolo) furono pensate in dialetto e redatte con stile, costruzione e vocaboli dia­
lettali italianizzati, quando la lingua nazionale non forniva il termine esattamente corri­
spondente a quello, di cui intendeva far uso sul pulpito».
59 Le più vistose divergenze rispetto all’italiano letterario che si riscontrano in questi
originali del Cafasso riguardano l’uso degli accenti e degli apostrofi. A volte la forma ver-

50
Introduzione alle M editazioni a l clero

riale come il Piemonte della prima metà del ¡’Ottocento, così periferica al
resto d’Italia e così poco sensibile al dibattito sul purismo linguistico che
ormai da qualche tempo si stava sviluppando tra letterati in altre parti della
Penisola, errori grammaticali come quelli segnalati sono ampiamente per­
donabili. Il Cafasso del resto, oltre a non voler fare opera letteraria, appar­
teneva ad una società, quella torinese, che fu a lungo incerta tra l’uso del­
l’italiano, che si imponeva sempre più, e quello del piemontese, che per un
secolo avrebbe ancora ben contrastato, soprattutto negli strati sociali più
popolari, l’avanzata della lingua nazionale. Può esser significativo ricordare
che ancora oltre la metà dell’Ottocento un sovrano come Vittorio Ema­
nuele II, diventato ormai re d’Italia, sapeva esprimersi molto male in ita­
liano e si sentiva completamente a suo agio solo usando il dialetto.
A quanto detto si deve aggiungere ancora un elemento che complica
ulteriormente il quadro: praticamente fino all’unificazione italiana il Pie­
monte rimase molto sensibile anche nei confronti della lingua francese.
Soprattutto le classi sociali colte, la stessa corte e buona parte dell’aristocra­
zia non di rado preferivano la lingua d’Oltralpe sia per chiari legami cultu­
rali e dinastici con la Francia, sia a volte per una forma di vero e proprio
esibizionismo. Deboli tracce di francesismi si trovano anche negli scritti
del Cafasso, ad esempio nell’evitare l’uso della doppia negazione60.
Qualche problema viene ancora dal modo del Cafasso di utilizzare la
punteggiatura. Nelle Meditazioni al clero essa abbonda; a farla da padroni
sono soprattutto la virgola e il punto e virgola; ma anche i due punti e
il punto fermo sono ben rappresentati; raro è invece l’uso del punto escla­
mativo e di quello interrogativo. Non è facile individuare esattamente i cri­
teri in base ai quali il Cafasso optò per un segno o per l’altro. Sembra che i
due punti a volte sostituiscano il punto interrogativo, ma non è una regola
fissa. L’impressione che si ricava è che la punteggiatura dovesse servire
soprattutto per la declamazione del testo: una finalità retorica, dunque.
Di fatto, i testi che noi possediamo sono nati per esser predicati oral­
mente. E innegabile, a questo scopo, lo sforzo quasi inesausto del Cafasso
per trovare la forma più incisiva e Tespressione più azzeccata per riuscire

baie fit è accentata; il pronome personale sé quasi mai ha l’accento; così pure la forma
verbale dà (3a pere. sing. indie, pres.). Per quanto riguarda l’avversativa negativa né, a
volte è accentata, a volte no, pur nella stessa frase. Quanto all’apostrofo, spesso manca,
soprattutto dopo l’articolo indeterminato una seguito da una parola che inizia con vocale
(ad es. un eternità; un altra idea).
60 Dalla Meditazione 48/200: «...io darei per consiglio di mai far cosa...», «...e può mai
esser gran cosa...».

51
Esercizi Spirituali al Clero - Meditazioni

suadente all’uditorio. Avremmo dunque una lingua pensata e costruita per


esser detta: una lingua che è la trasposizione di un parlato, nel quale Fan-
damento oratorio è tutto al servizio della finalità pastorale.

Criteri editoriali seguiti nel presente volume

Tutti gli originali delle Meditazioni al clero di san Giuseppe Cafasso si tro­
vano nell’Archivio del Santuario della Consolata in Torino61. In base all’ul­
timo riordino di tutto il materiale relativo al Cafasso, custodito nel citato
Archivio, le Meditazioni al clero occupano quattro faldoni, dal 45 al 48.
Ogni faldone contiene non solo gli originali, ma anche le trascrizioni dei
medesimi, che probabilmente furono fatte eseguire dal nipote del santo,
il canonico Giuseppe Allamano, sul finire dell’Ottocento. In genere, fatta
eccezione per pochi casi, ogni originale ha più di una trascrizione, ma nes­
suna di esse è purtroppo affidabile: non di rado il testo non è compreso
correttamente, le citazioni latine contengono errori che l’originale non
ha, la punteggiatura è sottoposta a molti adattamenti che talvolta fanno
mutare il senso del testo o lo rendono incomprensibile, mancano molte
parti che nell’originale sono barrate. Queste trascrizioni, perciò, non fanno
testo e non meritano di esser citate nella presente edizione. Vengono citati
invece, in una nota a parte siglata da un asterisco, posta al fondo della
prima pagina di ogni Meditazione, il numero del faldone e quello del fasci­
colo contenente roriginale in questione.
Nella presente edizione non ci si è potuti awalere neppure delle edi­
zioni precedenti delle Meditazioni al clero, perché non appaiono affida-
bili®: si tratta di edizioni incomplete, con ampi adattamenti del tutto
arbitrari, con un lessico molto modificato allo scopo di renderlo più leggi­
bile. Il risultato di queste operaiioni è che gli originali sono di gran lunga
migliori sotto ogni punto di vista.
Il principale criterio seguito per il presente volume è stato quello di
lasciare il testo così com’è, anche se qualche volta può apparire di meno
facile lettura.

61 Ricerche fatte presso altri Archivi hanno dato dei risultati per altri scritti del
Cafasso, ma non per quanto riguarda il contenuto de) presente volume.
62 Esse sono; D. G iu s e p p e C a pa sso , Meditazioni per Esercizi Spirituali al Clero, Torino
1892; D. G i u s e p p e C a p a s s o , Istruzioni per Esercizi Spirituali al Clero, Torino 1893; Sa n
G iu s e p p e C a passo , Esercizi Spirituali al Clero, Paoline, Alba I960.

52
Introduzione alle M editazioni a l clero

Alcuni minimi adattamenti, però, sono stati fatti. Essi riguardano in


primo luogo il vocabolo Dio, che il Cafasso scrive regolarmente con l’ini­
ziale minuscola: qui si è preferito usare l’iniziale maiuscola.
Qualche segno di punteggiatura in più è stato messo: si tratta del punto
fermo, essenziale per la comprensione del testo, nei casi non frequenti in
cui il Cafasso non mette nulla, in genere quando il periodo termina con il
finire della riga.
In pochi casi si è dovuto integrare il testo perché era evidente che l’Au­
tore aveva dimenticato una o più parole: lo si è fatto ponendo queste inte­
grazioni fra parentesi quadre. Di fatto, tutto ciò che è compreso tra paren­
tesi quadre non appartiene all1originale, ma è del curatore del presente
volume.
Si è preferito lasciare invariato tutto il resto, compresi gli accenti di
troppo e gli apostrofi mancanti. Riguardo alle iniziali maiuscole, si è
seguito l’uso attuale nei casi in cui non è chiaro se il Cafasso usi la maiu­
scola o la minuscola.
Le citazioni latine sono quasi sempre sottolineate: quest’uso del Cafasso
è stato rispettato. Talvolta per le citazioni scritturistiche il santo mette
anche la sigla di riferimento, quasi mai in modo completo: tutto ciò che
è dell’originale è stato lasciato nel testo così com’è, mentre in nota viene
citato il riferimento completo.
Per quanto riguarda le numerose parti barrate delForiginale, è stato
seguito questo criterio: in nota sono stati messi i brani barrati quando
essi sono di una certa ampiezza, mentre le cancellature minori sono state
lasciate nel testo con la barratura orizzontale sulla parola o sulla frase. Nel
caso dei brani barrati messi in nota, si è cercato anche di avvertire il lettore
per renderlo il più possibile edotto delle modifiche e dei cambi di pagina
che presenta l’originale.
Infine, nel margine si è conservata la doppia numerazione dei fogli ori­
ginali. Il numero tra parentesi indica la numerazione messa tardivamente
sugli originali, forse a fine Ottocento quando si preparavano le prime edi­
zioni a stampa, mentre il numero fuori parentesi è il solo messo dal Cafasso
stesso, il quale però numerava esclusivamente il recto della pagina, pur uti­
lizzando spesso anche il verso per le numerose integrazioni del testo. Va
notato che queste integrazioni sono poste molte volte nella pagina a fronte,
quella a sinistra di chi legge, cioè nel verso della pagina precedente.
Un’ultima parola va detta a proposito delle citazioni patristiche presenti
nel testo. Tranne forse pochi casi, è fin troppo chiaro che non si tratta di

53
Esercìzi Spirituali al Clero ■- Meditazioni

citazioni di prima mano: il Cafasso non risulta esser stato un lettore dei
Padri della Chiesa. Egli mette in genere l’autore della citazione, e nicnt'al-
tro. Trovare l’esatto riferimento di queste citazioni non è stato cosa facile,
nemmeno con i moderni strumenti informatici. In un certo numero di
casi non è stato possibile rinvenire l’esatto riferimento all’opera e alla sua
collocazione. Questa difficoltà la si deve probabilmente al fatto che non
sempre le citazioni patristiche sono esposte correttamente, e anche al fatto
che talvolta Fattribuzione ad un determinato autore può essere errata: tutte
cose che succedono quando si cita di seconda mano.
Come già detto, una fonte significativa delle citazioni patristiche è
l’opera di sant’Alfonso Selva di materie predicabili ed istruttive per dare gli
Esercizi a preti, mentre molto meno sicura come fonte è l’altra opera del
Liguori Sermoni compendiati per tutte le domeniche dell’anno. Quando la
citazione proviene da queste due fonti, ciò viene segnalato in nota o tra
parentesi quadre.
Debbo ringraziare, prima di concludere queste pagine introduttive, Far-
chivista e paleografo Gian Mario Pasquino, per il contributo notevole
offertomi soprattutto per decifrare espressioni cancellate che sembravano
del tutto illeggibili.
Nel consegnare questo volume allo studioso e al comune lettore nutro
la speranza che questo lavoro possa apportare una migliore conoscenza del-
l’Ottocento torinese, un secolo in una terra ricca di rivolgimenti epocali e
di santità.
Lucio Casto
Introduzione a Spirituali Esercizi ( 1843 )

per gli Eclesiastici

Introduzione1 (1845) 1

Chi avrà veduto la nostra partenza, ia nostra venuta su questo monte, avrà
detto tra se, avrà

anche dimandato ad altri, (1844)


e dove vanno tanti preti, ed a che fare tanti Sacerdoti? Non so se tutti
avranno pensato, avranno parlato nello stesso modo, e quello che è più
se avranno colpito nel vero; comunque però sia, il vero scopo lo dirò
io. Cotesti Sacerdoti che voi vedete ad avviarsi in tanto numero su quel
monte, sapete a che fare? lasciano le loro case, li suoi paesi, le sue occupa­
zioni, ed impieghi, rinunziano a divertimenti, a comodi, che potrebbero

* (fald. 4 5 1fase. 75; nell’originale 1843-1858).


1 A questo punto in un primo tempo il Cafasso scrisse il seguente testo, poi cancellato: Io
sono venuto tra voi, V.1^ fratelli miei non tanto a farla da predicatore, ma piuttosto ad
offrirmi come compagno per godere assieme con voi del frutto, e della quiete di questo
ritiro. È vero che nella maggior parte io non conosco voi, e voi non conoscete me; è vero
che il mio, ed il vostro campo, in cui Iddio ci ha messi a lavorare sono lontani tra loro, ma
tutto ciò non importa, e non deve ostare alla buona unione di questi giorni, perché siamo
servi, e ministri dello stesso padrone, e Signore, tant’io come voi siamo destinati a trattare
li stessi interessi, quali sono la gloria di Dio, è la salute delle anime; e che ha da fare
la lontananza, e la poca conoscenza personale tra noi, mentre io, voi, e qualunque altro
Sacerdote del mondo siamo posti per fare un corpo solo compatto nella Chiesa militante
per far guerra al guerreggiare il peccato, e radunar anime pel Cielo. Se cosi è adunque,
fratelli miei, permettete che vi ripeta, e vi preghi ad associarmi con voi, perché anch’io
pensi, rifletta, esamini i miei
Questo brano è stato sostituito dal Cafasso da un altro che si trova nella pagina a fronte e
che viene trascritto nel testo dopo la parola Introduzione.

55
Esercizi Spirituali al Clero - Meditazioni

godere, ed invece si sequestrano da tutti, e si portano lassù con dispendio


ed incomodo per pensare a se, per provvedere alle anime loro, per pre­
pararsi alla morte, aH’eternità. Ottima risoluzione fratelli miei, e volen­
tieri mi associo a voi come compagno per pensare per riflettere anch’io [a
miei]2

( 1845 ) 1 conti; le mie partite, lo stato, l’affare dell’anima mia; perche guai a quel
Sacerdote che non pensa, guai all’Eclesiastico che di tanto in tanto non
bada a se, alla sua giornata; datemi pur un Sacerdote dotto, di belle qualità,
anche di buona volontà, ma io spero poco quando sappia che non usa di
raccogliersi, e di pensare, e se non farà gran male, certamente sarà neppur
un Eclesiástico da far gran bene, perché è impossibile riuscire e mantenersi
un buon operaio del Signore senza la pratica di pensare, e pensare soventi,
e pensare seriamente a se stesso; questo però sarebbe il meno, il peggio sta
che il Sacerdote che non arriva per tale mancanza a formarsi un buon lavo­
rante nella vigna del Signore, non solo diviene un servo inutile, ma finisce
con essere un intoppo, un imbroglio di più, ed a rendersi una pietra d’in­
ciampo con tutte quelle conseguenze, e con tutti quei mali, che ognuno di
noi già può sapere, e che spero vedremo nel corso di questi giorni.
Varii sono i modi, i tempi in cui un sacerdote può compiere a cotesto
indispensabile dovere di pensare a se stesso, ma il più utile, il più impor­
tante, il più efficace è certamente quello di qualche giorno d’esercizi, e
di spirituale ritiro nell’anno. O Beata Solitudine, quante anime, e quanti
Sacerdoti la benedicono già a quest’ora in Cielo, e la benediranno per
sempre3,

(1844) Il tempo, come sapete, è breve di questa fermata, è brevissimo4. Otto


giorni e niente più, otto giorni che già hanno cominciato, s’incalzano, sva­
niranno come un fumo, un lampo, e passati ritorneranno mai più. L’af­
fare che noi dobbiamo trattare in questi giorni è massimo; si tratta d’un
Sacerdote, e tanto basta; si tratta di formare in noi medesimi di formare
un vero e degno santo Ministro del Signore, un vero, e degno rappresen­
tante della divinità sulla terra; la grandezza di cotesta impresa deve bastare,
come diceva, per se sola a darci un idea dell’importanza di questi giorni:

2 Quifinisce il brano scritto nella pagina a fronte e riprende il testo della pagina 1.
3 II Cafasso a questo punto pone una nota, intendendo inserire qui il testo che egli scrìve
all’inizio delfoglio a fronte. Le righe successivefuori nota sono la trascrizione di questo testo.
4 Due parole cancellate: Introd. Med. Io.

56
Introduzione a Spirituali Esercizi p er gli Eclesìastici

che se volete di più, che noi in questo tempo abbiam da imparare a vivere,
disporci a morire, e provvedere alla futura nostra eternità, e tutto questo in
otto giorni: epperciò non è il caso di perdere il tempo in parole, in pream­
boli, in complimenti: io entro tant’osto nel fine, per cui noi ci siamo qui
radunati; ed a mio e vostro eccitamento considereremo5:

1. la grazia grande, ed il favore speciale che ha fatto a ciascuno di noi (1845) i


il Signore col darci il comodo di questi esercizi: 2, la dolcezza e la conso­
lazione, che troveremo facendoli nel farli: 3. la maniera, con cui abbiamo
a diportarci e per approfittarci di questa grazia, e per trovarvi quel gusto,
quel contento, che ci sta riservato in questi giorni6.

Il Signore assista me, assista voi, perché il tutto riesca alla maggior sua (1846)
gloria, ed aiuto e conforto della desolata, e militante sua Chiesa, come al
maggior profitto, e vantaggio della mia, ed anima vostra. Cominciamo.
Per conoscere la grazia grande, che Dio ci fa con questi esercizi non
abbiamo bisogno d’altro che dar un occhiata al fine, allo scopo a cui essi
sono diretti; e a che dunque tendono questi esercizii e cotesti giorni; eh!.,
fratelli miei, ella è presto capita; eglino sono fatti per stender la mano,
e rialzare chi per disgrazia fosse caduto; essi sono per dar un po’ di pace
e di quiete, a chi {’avesse perduta; essi sono per ristorare, alleggerire chi
fosse stanco, ed annoiato di questo mondo. Essi sono per riscaldare, per
animare chi fosse freddo rattiepidito e sull’orlo di una caduta. Essi sono
per dir tutto in una parola per far d’un peccatore un Santo, per formare
d’un uomo debole, e fiacco un gigante, un eroe a battere la via della virtù,
a sprezzare questo mondo, a prepararsi una tra le migliori corone in para­
diso; e per venir specialmente a noi Eclesiastici gli esercizi sono fatti per
formare d’un Sacerdote qualunque anche mediocre, anche peccatore un
Apostolo da evangelizar il mondo, e salvar7 chi sa quante anime ed intiere
popolazioni, un Eclesiástico, che ripieno dello Spirito del Signore non

5 Termina qui il testo inserito dal Cafasso. Il brano prosegue con la seguente fiase barrata:
Io non avrò altra materia in [parola illeggibili di questa per trattenermi presentemente
con voi, e decidere che sappiate fin da questa \parola illeggibile] queste tre cose.
6 Queste prime parole del nuovo foglio originale sostituiscono queste due righe cancellate:
quelle veracità che portano con loro. II tempo di questi giorni è troppo prezioso per spen­
derlo in complimenti, e parole, epperciò senz’altro io comincio.
A questo punto nell’originale è posta una nota che rimanda alla pagina afronte in alto:
qui il Cafasso scrive tre righe, che intende inserire all’inizio del nuovo periodo.
7 Tre parole cancellate: anche un paese.

57
Esercìzi Spirituali al Clero ~ Meditazioni

cerchi nel suo impiego, nel suo stato altro che la gloria del suo Dio, e
la salute delle anime, un Eclesiástico in somma che anche con mediocre
talento, anche già attempato pure saprà trovar modo di corrispondere
al (’alta sua Vocazione, e rendere cosi pieni quei giorni che Iddio nella sua
provvidenza gli vorrà ancor accordare sulla terra. Oh! quanti Sacerdoti, che
purtroppo saran perduti, sarebbero salvi a quest’ora se una sol volta anche
in loro vita avessero avuta la grazia d’un po di ritiro. Quanti rimorsi di
meno al letto di morte se un Sacerdote avesse pensato a procurarsi un po1
di solitudine in vita; e quello che più importa ancora8, quanti Eclesiastici
vi sono nel mondo, che per la loro abilità e talenti colla lor sanità e robu­
stezza, con tutti quei doni, che Iddio loro ha dato potrebbero fare gran
bene, salvar tante anime, e rendere meno infelice questo mondo, se venis­
sero a provare, a sentire nella solitudine le voci del Signore, eppure ci tocca
vederli andar perduti dietro il fango, e le follie di questo mondo. Io era
prete, credeva pure di saper il fatto mio, immaginava chi sa cosa della mia
persona, mi pareva quasi di toccar l’apice, perché la mia condotta mi sem­
brava ancor lodevole, or m’accorgo che era più apparenza che realtà, or
vedo che tanto c’era più di corteccia, e non che di midolla, or conosco i
vuoti, i guasti se non esterni, almen del mio cuore, del mio spirito, bene­
detto il Signore, guai a me se mi fossi toccato morire prima di questi
giorni: è questo soventi Io sfogo doloroso si ma ben dolce assieme, e conso­
lante deirEclesiastico, che si ritira a pensare; molto più se il sacerdote por­
tasse pecche maggiori da rimediare. Un Sacerdote che per rispetto umano
aveva ceduto all’invito di fare gl’Esercizi imbrogliato, confuso,

(1848) 3 spaventato dalfenormità, in cui si trovava si sentiva mancar l’animo a


slanciarsi tra le braccia della Misericordia del Signore, ma coraggio Caro
mio, gli disse chi9 potè scuoprire il suo affanno, e non sa che sia c’è Iddio
che abbi ha disposto che ella verìi'sse a questo luogo10, certo che al demonio
non conveniva: e se Iddio ha disposto la cosa in modo fatto in maniera
ch’ella quasi senza saper il come ed il modo venisse a cotesti esercizi, vuol
temere che Iddio l’abbi chiamata quà per ridersi di lui, per burlarsi, per
scherzare sulle sue miserie, per dirle che è finita, faccia quello che sa e quel
che vuole, uopo è andrà perduto. Buon per lui che seppe approfittarsi di
quel tempo, e sono come certo che benedice a quest’ora, e benedirà sempre

a Una parola cancellata illeggìbile.


9Alcune parole cancellate illeggibili,
10 Mezza riga cancellata: e chi vuol sia altri mai, perché certo.

58
Introduzione a Spirituali Esercizi p er gli Eclesiastici

la grazia di que’ giorni. Eccovi adunque fratelli miei, qual sia il favore, e
la grazia ben grande che Iddio fa a ciascun di noi in questo tempo; qui
ognuno troverà un rimedio, un sollievo, un conforto al proprio bisogno, e
mentre nel mondo vi sono tanti infelici che cercano invano un lenitivo a’
propri mali, e non lo trovano, noi qui l’abbiamo e grande e certo, e facile,
il perdono se siamo peccatori, la gioia se siamo tristi, il fervore se freddi,
forza e coraggio se deboli, e tutto ciò il Signore lo fa, e ce lo dona solo, che
ci contentiamo, e lo vogliamo accettare, e senza nostro sforzo, e fatica: dtte
riflessi lo che fa spiccare vieppiù il bello, il grande di questa grazia, di cui vi
parlo. Noi siamo qui un certo numero: ditemi chi fu il primo a pensare, a
progettare questi esercizi; il Signore o noi: siam noi che l’abbiamo richiesta
a lui, o fu egli il primo che ce la esebì? Fu egli che11 dispose le cose in modo
che potesse aver luogo cotesto ritiro; fu egli che ne fece cader il pensiero nel
nostro capo, anzi dirò di più: forse qualcuno di noi12 pensava di mandar
ad altra volta cotesti esercizi; ma Iddio non volle, aveva una grazia grande,
in mano da fare ad un Sacerdote, e quanti la meritavano più di noi, quanti
la desideravano, eppure no: Iddio la riservò a me, la riservò a voi; e tanto
fece che a chi non la voleva, quasi la fece stringere per forza, e fu un dire,
oh... caro Ministro, parliamoci chiaro, lascia andare tanti pretesti; voglia
o non voglia hai da stare con me alcuni giorni, e sono certo che là giunto
c’intenderemo; dunque ci siamo, fratelli miei, ed il Signore che non opera
invano, compirà certamente i suoi disegni, e manderà a termine la bella
grazia cominciata quasi senza che noi c’accorgiamo, e come vi diceva senza
nostro sforzo, e fatica, anzi sollevati nel tempo istesso da una pace e e soa-
vità da una dolcezza ben grande.
Forse a qualcuno può parere un po’ strano, ed esagerato il dire che l’at­
tendere agli Esercizi sia un godere, sia una vita dolce, consolante, e soave.
Eh! Signori miei io voglio accordare che alla nostra natura, alla delicatezza
ed ai comodi nostri possa essere un poco duro, e pesante l’adattarsi quà per
otto giorni a star chiuso e ritirato, e quello che è più senza volontà; fissato
il riposo, fissato il cibo, fissate le ore tutte delle nostre azioni; noi che nella
maggior parte

a b b i a m la n o s tr a g io r n a t a a n o s t r a d is p o s iz io n e , e lib e r tà , v o g lio a m m e t - (1850) 4


te r e c h e p e s i u n t a n t i n o ; m a sia p u r c o m e si v u o le , n o n è q u e s to d a p o r r e a
Esercizi Spirituali al Clero " Meditazioni

confronto, e non merita paragone con ciò che D io sa fare ;


solo a chi lo cerca, ma a chi s arrende di venir a trattare con lui in questo
tempo. Io potrei arrecarvi tante ragioni a questo riguardo, ma amo meglio
esibirvi la prova, ed aspettare da voi una risposta: provate, vi dirò adunque,
gustate in questi giorni che cosa sia il Signore, e poi mi sapreste dire se sia
una dolce cosa il servirlo, e lo stare con lui: N on habet amaritudinem con­
versarlo eius, nec taedium convictus illius13. E lo Spirito Santo che parla,
e si metta pur qualunque uomo alla prova se possa arrivare a smentirla. Il
m ondo è pieno di gente che è stanca di rumori, e trambusti; annoiata per­
fino di tutti Ì suoi piaceri, ma non mi troverete un solo che unito, e stretto
al Signore ne senta peso, e gravame; vai più, ed è millevolte più dolce il
ritiro, la solitudine in compagnia, ed in seno al Signore che non tutte le
delizie di questa mondo terra; lo so che la gente del m ondo non lo crede,
e guarda cotesti giorni con orrore, e spavento, epperciò li teme e fugge;
ma che volete che il mondo $ intenda d’esercizi, di ritiro, e di solitudine
mentre è sempre tutto sossopra, in confusione, strepito e rumore; è impos­
sibile che lo possa conoscere; no che il mondo non è degno di sapere quello
che passi tra un anima e D io in questi luoghi, le finezze, le carezze, che D io
tien riservate, i gemiti, i sospiri, i slanci, i voli d’un anima che tratta, che
parla col suo Signore hanno niente che fare col fango di questo mondo.
Fratelli miei cari, noi siamo obbligati anche contro nostra voglia a star
tutto l’anno in mezzo al mondo, a sentire, a vedere i guai, le miserie d’ogni
genere; più d’un a volta ci sentiamo annojati, stanchi da quasi esserci di
peso la vita14;

(1849) lo stesso divin Redentore, lo sappiano, lo faceva, e si ritirava; invitava


gli Apostoli a far lo stesso: venite etc.

(1850) 4 È vero che quando il possiamo guarderemo di prendere un po’ di fiato,


e di requie nella nostra camera, ai piedi del Crocefisso, alla presenza di
Gesù sacramento, ma sono queste piccole goccie di conforto, e refrigerio
in mezzo ad un continuo flusso, e riflusso di noje ed amarezze; Il tempo
proprio di ristorarci egli è questo degli esercizi: qui avremo campo a dire al
nostro buon padre tutti i nostri crucci, aprir intieramente il nostro cuore,
fargli conoscere il nostro stato, i nostri timori, i nostri pericoli; N oi pos-

13 Sap 8,16.
14 Nell’autografo il Cafasso qui inserisce una nota, intendendo inserire a questo punto le
due righe che egli scrive att'ìnizio del suo foglio precedente.

60
Introduzione a Spirituali Esercizi per gli Eclesiastici

siamo fare come fa un figlio, una figlia che trovandosi lontano da padre, da
Madre, ed immersa in mille affanni e pene, inviluppata in m oki imbrogli,
e travagli va via mandando qualche parola, e qualche notizia al padre sia
per averne consiglio, e norma, come per riportarne sollievo, e conforto;
ma vai poco: vede che tutto questo non basta, epperò gli va ripetendo,
che sarà necessario di fissar poi un tempo per vedersi e parlarsi a lungo,
onde poter dire ogni cosa ed intendersi più da vicino: ditemi se questo
figlio dopo d’aver aspettato a lungo ed inviluppato come si trova in mille
affari, e bisognoso all’estremo di consigli, e di coraggio, potesse venire a
capo di questo suo progetto e potesse trovarsi col suo padre, e li a tutto
suo comodo dire ad una ad una tutte le sue pene, contare tutti i suoi guai,
persuaso che quel buon padre saprebbe trovare un rimedio a tutti i suoi
mali, io dimando a voi se quel

figlio troverebbe grave, noioso, e pesante quel tempo, oppure se non ( 1851 ) 5

sarebbe per lui un mezzo paradiso di gioia, pace e conforto. Eccovi fratelli
miei il caso nostro; noi nel mondo, ne’ nostri ministeri, nel nostro impiego
qualunque esso sia, siamo attorniati più o meno da crucci, da affanni,
inquietudini, e timori. Andiam dicendo nell’anno: Signore ricordatevi di
me, io ho il tal cruccio, mi trovo nella tale angustia, epperciò ho bisogno di
voi. Ma noi stessi c’accorgiamo che questo non basta, noi medesimi cono­
sciamo che ci va un tempo più lungo, più comodo per dire tutte le cose
nostre, per sentire il sentimento, la volontà del padrone, che ci ha man­
dati a lavorare: lungo Fanno un po’ le occupazioni, Ì disturbi che più o
meno ci assediano, il frastuono in mezzo a cui viviamo, e soventi anche la
poca voglia tutto fa che è ben poca la relazione, le confidenze, che passano
tra noi e il nostro buon padre, ecco finalmente presentatosi un tempo in
cui ognuno si vede un campo aperto avanti di se per dire, per confidare
a questo buon D io ogni suo male, tutti i suoi timori ed angustie, sicuro,
che è quello che importa, di sentirne un rimedio, ed un conforto; e sarà
adunque grave e pesante cotesto tempo, triste e melanconico il trattenersi
per questi giorni in sfogo, e confidenze con questo Dio; provate, ripeterò,
e lo saprete.
E come volete che un eclesiástico non senta il dolce di cotesto ritiro,
quando pensi che questi giorni sono numerati, sono calcolati in paradiso,
anzi ogni momento, ogni m enoma azione vien portata a registro per essere
un di pagata, e premiata. Come volete non si senta ristorato, incoraggiato,
animato quando rifletta che questi giorni lo possono tramutare in tutt’al­
tro, salvar l’anima sua, e colla sua salvar tante altre; e come non gioire,

61
Esercizi Spirituali al Clero ■- Meditazioni

e non poter godere quando sa che pochi giorni passati in questo modo
saranno sempre la memoria più consolante di sua vita, il conforto più
dolce al letto di morte, l’arma e la difesa più bella e sicura al tribunal del
Signore. Ah! fratelli miei, che più tardiamo, siamo sul luogo, entriamo in
campo, e proviamo che non avremo più bisogno che altri ci venga a dire,
a ragionare, a persuadere; questo buon D ìo ci cori Furiderà talmente che
resteremo stupiti, sorpresi di noi medesimi.
Ci resta ora a vedere come dobbiamo noi diportarci in questi giorni,
perché D io possa compiere in noi quello, che già ha cominciato e noi pos­
siamo trovarne quel gusto, e quella consolazione che vi diceva15; io trovo
necessario prima d’ogni cosa essere noi ben persuasi, e sinceramente com ­
presi che cotesti esercizi sieno proprio una grazia singolare per noi: datemi
un eclesiástico che sia praticamente convinto di cotesta verità che questi
esercizi sono una grazia specialissima per lui, una grazia che Iddio non fa a
tutti, una grazia una grazia da cui può dipendere la sua salute, o la maggior
sua gloria in Cielo, una grazia in cui Iddio può aver legato grandi conse­
guenze tanto per lui, come per altri; una grazia che lo dovrà rendere un
Sacerdote santo, virtuoso, ed edificante, una grazia che sarà una caparra
di quell1ultima qual’è di durarla sino al fine, di morir santamente; datemi
dico un Sacerdote che praticamente creda coteste verità; ebbene per costui
non occorre più altro perché passi santamente cotesti giorni, poiché è
impossibile che voglia perdere, e scialaquare un tempo

(1852) 6 quando lo conosca di quel valore; al contrario se manca cotesta sincera


convinzione varrà ben poco tutto il rimanente, perché si metterà mai dav­
vero, e sarà solo un farli a metà. M a qualcuno può dire, come fare ad avere
questa intima convinzione, quando uno non l’avesse, e nemmeno potesse
averla, giacché mi pare di aver ancor sempre tenuta una vita da buon sacer­
dote, ho buona volontà, lavoro; ¡sicché per me gli esercizi li credo una cosa
buona si, ma per me grazie a D io non poi di tanta importanza. Fratelli
miei io rispondo brevemente: quelli tra voi che sono siete venuti volonta­
riamente, anzi spontaneamente come suppongo16 e questo è già un forte
argomento per poter dire che l’avete hanno cotesta convinzione, e che cre­
dete gli Esercizi di tutta importanza, poiché altrimenti non vi sareste mossi
da casa, esposti a disastri, ed incomodi, quando poi vi fosse qualcuno che

15Mezza riga cancellata illeggibile, sostituita da alcune parole.


Alcune parole cancellate: di tutti, hanno già dentro di loro.

62
Introduzione a Spiritiuilì Esercizi p e r gli Eclesiastici

fosse venuto si, m a17 eccitato, stimolato e quasi costretto, di modo che
gli esercizi fossero soltanto volontari secundum quid, se costui non fosse
convinto della grazia speciale, che D io le fa con questi giorni, gli direi:
senti caro, tutto il mondo, almeno tutti i buoni Eclesiastici che sono vis­
suti, che vivono hanno sempre conosciuto nel ritiro, e negli Esercizi una
grande virtù, ed una grande importanza; a te par diversamente; che segnale
è questo: uno che dica di non vedere, o stenti a vedere in piena luce, è
segno un oggetto quando tutti gli altri vedono, è segno che ha perduto la
vista, ed ha bisogno di lume: Eccovi fratelli miei il caso nostro, chi non
conosce cotesta importanza, e cotesta grazia negli esercizi, è segno che non
vede, epperciò fin da questa sera in camera a’ piedi del Crocefisso chia­
miamo con quel cieco del Vangelo: D om ine ut videam18: Signore che io
veda le vostre mire, Signore che io conosca la grazia di questo tempo,
e quand’anche non cavassimo altro frutto da questi esercizi che partire
di qua con altra idea del ritiro, e della solitudine, sarà già un frutto ben
grande di questi giorni, ed una grazia ben degna per un eclesiástico.
L’altra cosa, che ci tocca fare per ben riuscire in cotesti esercizi è di
metterci di buon animo, e non lasciarci abbattere dalle difficoltà o reali, o
imaginarie che si possono sollevare. Purtroppo che gli Esercizi sono guar­
dati nel mondo, ed anche da qualche Eclesiástico con occhio un po’ bieco,
almen cupo e. triste, perché paiono un peso insopportabile. Soventi anche
alle persone di buona volontà ritirate negli Esercizi si presentano paure,
timori, affanni, inquietudini; pene pe’ peccati passati, pene per qualche
scelta da farsi in avvenire, pene sulla Confessione, come prendersela^ come
fare, come cavarsene. Alcune volte s’aggiungono incomodi di salute, non
si sta bene, si teme di soffrirne, andiam dicendo. Fratelli miei io comincio
a dire di non aver male, di non tener per cattivo augurio tutte queste diffi­
coltà; è impossibile dar mano ad una opera del Signore senza che il demo­
nio non si mischi per attraversarla, anzi io dico che se vi sentite cosi assa­
liti, e stretti o da questo, o da quell’altro motivo ben lungi di disanimarvi,
state allegramente, egli è buon segno, prova che il demonio teme i vostri
esercizi, ed io spero molto da chi cominciando gli esercizi si trova cosi ber­
sagliato

17Alcuneparole cancellate: ma per fini umani. A l loro posto il Cafasso sovrascrive un altro
testo pure cancellato: volontariamente sino ad un certo punto, .
18M e 10,51.

63
Esercizi Spirituali al Clero - Meditazioni

(1853)7 ed in questa lotta. Comunque poi sia qualunque difficoltà si presenti,


qualunque paura affanno, non temiamo ho detto, lo ripeto, e lo dirò
sempre in questi giorni troveremo un rimedio ad ogni male, che possa
riguardare lo stato, ed il bene dell’ani ma. nostra. O che coteste pene spa­
riranno da se, o che questo D io vi penserà. Egli per noi: Egli ha tante
maniere nella sua bontà, che certo vi prowederà, se non altro ci manderà
un Angelo suo nella persona d’un suo Ministro ci parlerà, ci dirà i suoi
secreti, la sua volontà, ci dirà parole di conforto, di luce, di coraggio, ci
dirà insomma parole da paradiso da mandarci tranquilli, quieti e contenti
alle nostre case. Va o fratei mio, D io t’ha perdonato: dati pace, o caro,
il Signore ha niente con te; coraggio, amico mio, non aver paura, e non
affannarti D io è contento del tuo posto, e di tuoi lavori; quiete o Sacer­
dote, via quelFincertezza, non cercar altro, che tal è la volontà del Signore:
basta, o Eclesiástico quella Confessione, quell’accusa, non andar più oltre
che già tutto è finito: mai più si parli, si sotterri ogni cosa, si faccia davvero,
si preghi, si lavori, si viva da bravo, e più non si tema, che la morte, la
gloria, la mercede di buoni operai sarà per noi: ah! che parole benedette,
ah che balsamo di pace per un cuore angustiato, irresoluto, e martoriato.
La terza cosa, che raccomando è di prendere fin d’oggi una risoluzione
franca, e generosa di voler assolutamente secondare in tutto la volontà del
Signore, e dir di nò in niente, che Iddio possa desiderare da noi, e questa
è la massima grandemente raccomandata da S. Ignazio ne’ suoi esercizi,
d’intraprenderli cioè magno ac liberali animo19. N oi non sappiamo qual
sia il fine, e quali le mire che il Signore abbia inteso nel chiamarci a questi
esercizi, ma certo che un fine l’ebbe, e grande, ed alto, come grande ed
alta è la nostra vocazione; se noi ci limitiamo a secondare il Signore solo
sino ad un certo punto, e restringiamo le nostre mire a questo, o quello,
ci esponiamo al pericolo dì rompere i suoi disegni, e cosi perdere in tutto
od in parte il frutto di questi giorni. Dunque Signore chiamate quello che
volete da me, sono pronto a tutto, ed ho niente a negarvi, mi piaccia,
o non mi piaccia, costi poco o molto, questo non c’ha da entrare, sono
venuto quà per conoscere i vostri desideri, la vostra volontà, e la voglio
fare: loquere Dom ine, quia audit servus tuus20. D om ine quod bonum est

19 Esercizi Spirituali, Annotazione 5, in Gli Scritti di Ignazio di Loyola, a cura di M.


Gioia, UTET, Torino 1988.
201 Sam 3, 9- 10.

64
Introduzione a Spirituali Esercizi per gli Eclésiastici

in oculis tuis facias21: fate tutto quello, che volete, che io c’entri nemmeno,
perché non vi debbo entrare; a me tocca fare, ubbidire, a Voi disporre.
Cotesta franca, e generosa risoluzione ci frutterà non poco; e primiera­
mente con essa avremo il merito di tante cose senza farle; noi sappiamo che
il Signore calcola, e premia la buona volontà come l’opera; un Sacerdote
adunque che ritirato negli esercizi si disponga, e si risolva a tutto, ha un
merito eguale come se facesse il tutto; e qui guardate che campo spazioso,
e consolante potrebbe tra se e se percorrere un Eclesiástico, e senza m uo­
versi di camera farsi meriti d’ogni specie: Signore per voi sono disposto, a
tutto: oh che bella parola, e basta questo solo atto, questo solo termine per
essere a parte d’ogni ramo22 di opere e di meriti; Signore se mi volete in
quel paese, in queU’impiego, in quel posto, io ci sono; se no e per tutt’altra
parte, per altre occupazioni, decidete pur voi.

Signore al confessionale, sul pulpito, allo studio, in casa, fuori casa (1855) 8
sempre come volete voi e andate discorrendo. Ecco la maniera di guada­
gnar, di meritare senza fatica. L’altro vantaggio di cotesta generosa risolu­
zione sarà la certezza che Iddio allargherà anche più il cuore e le mani con
noi; eh! quale compiacenza dovrà provare il Signore allorché vede un suo
Ministro prostrato a suoi piedi, tra le sue braccia, e dirgli: Ecce ego mitte
me: Signor mio'caro sono a5 vostri cenni, a’ vostri comandi, in qualunque
ora, per qualunque cosa; per ogni dove: mitte. mitte me23. Finalmente se
Iddio volesse in questi giorni qualche sacrificio da noi nella nostra maniera
di vivere, di lavorare, ed un sacrificio che ci fosse anche un po’ sensibile,
lo che se non tutti, almeno qualcuno se lo deve aspettare, con questi senti­
menti generosi ci sarà più facile il farlo, e ce Io allegerirà talmente da non
sentirne quasi nemmeno il peso, e sarà questo anche un vantaggio della
nostra generosa volontà24.

N on sto a dirvi, che cotesti esercizi possono essere gli ultimi, e che (1854)
forte motivo allora sarebbe questo per mettervisi con impegno. Io voglio

21 1 Sam 3,18.
22 Quest’u ltima parola è così in tutte le trascrizioni, anche se tale interpretazione non con­
vìnce totalmente.

24 II Cafasso a questo punto pone una nota col numero 1 ° intendendo inserire qui il testo
che egli scrive nella pagina a fronte. Le righe successivefuori nota sono la- trascrizione di questo
testo.

65
Esercizi Spirituali al Clero - Meditazioni

augurarvi a tutti quanti una vita lunga, purché possiate far del bene, e
menar con voi molte anime al Cielo, ma ciò nondim eno ritenete cotesti
pochi riflessi; può tenersi come certo che cotesti esercizi per qualcuno sono
gli ultimi; questo qualcuno posso essere io, potesse esser voi, ognuno ne
deduca la conseguenza, che è chiara.

(1855) 8 Finalmente l’ultima cosa che ci resta a fare in questi esercizi è l’osser­
vanza esatta di quanto concerne l’ordine, ed il buon andamento di questi
giorni. Q ui timet Dom inum nihil negliger25, e questa sentenza deve valere
molto più per questo tempo, di modo che chi veramente vuol compir un
opera di D io in cotesti giorni deve far caso di tutto, e negligentar niente
affatto; tanto più che gli esercizi sono come una machina divina compo­
sta, ed ordinata tra se di tante minutezze, orazion vocale, orazion men­
tale, esami, canti, letture, andare•e~vemre? in chiesa, in camera, ricreazioni,
riposo, silenzio, una cosa intrecciata coll’altra: se ognuna si fa a suo luogo,
puntualmente, rigorosamente, la cosa va stupendamente, par un niente,
eppur è il tutto: fate che si guasti, e non se ne osservi una sola, e voi vedete
subito una confusione, uno va, l’altro viene, chi arriva presto, chi tardi chi
sta quieto, chi parla, non sapete più che cosa sia, e che cosa si faccia; e se
questo sta per ogni e qualunque regola, ella è principalmente quasi impor­
tante pel silenzio. Fratelli miei io oso dire che l’esito, ed il frutto di questi
esercizi sarà secondo il silenzio, che si terrà in questi giorni; se regnerà tra
noi una vera solitudine, e si osserverà a rigore questo punto, io spero tutto;
se a metà, sarà scarso il frutto; che se continuasse la divagazione, e non
vi fosse ritegno a parlare, io dubito che battiam l’aria, e faremo un bel
niente26.

(1854) Un secolare interrogato se sapesse che cosa fossero li Spirituali esercizi,


rispose che sì, e che cosa sono; è ritenete che li aveva mai fatti; s’interrogò
la seconda volta, stette un po sopra pensiero e poi disse: non si parla più
in quel tempo e bisogna star quieto: nient’altro, rispose no, e questo basta
perché replicò stando quieto, si pensa, e si prega. Eccovi fratelli miei una
definizione tutta nuova, se volete, degli esercizi, ma che va a toccarne la
midolla.

25 Qo 7,19.
26 II Cafasso a questo punto pone la nota 2°, intendendo inserire qui il testo che egli scrive
nelfoglio a fronte.

66
Introduzione a Spirituali Esercizi p er gli Eclesiastici

Tacciamo per carità, o fratelli cari se vogliamo che parli il Signore; certe (1855) 8
voci si sentono solo nella calma perfetta, poiché le confidenze più strette,
e secrete non si fanno che in luoghi appartati, e quieti. Figuratevi che,un
amico incontri un altro, e gli dica, senti; io tengo poi una confidenza a
farti, ben secreta eh: procura poi di lasciarti vedere in qualche sito remoto,
senza fretta, e con tranquillità, che io possa dirti il tutto, e farmi intendere.
Se costui invece gli dicesse, che tante condizioni, e cautele, se hai qualche
cosa a dirmi, dillo qua: eh... caro le contrade, le piazze, le case rumorose,
e piene di cicaleggio non sono luoghi adattati, e potrebbe pur aspettare,
ma la confidenza non viene, e quand’anche gliela volesse fare, c’è pericolo
di non intenderla bene. Così fece Iddio con noi; col pensiero degli esercizi
Egli ci volle dire che aveva delle confidenze a farci; forse noi avressimo
preferito che ci parlasse anche a casa, ma Iddio no, se non vieni fuori, io
non parlo; siamo usciti, e ci troviamo; che se il Signore anche qua chiusi ci
scorge divagati, loquaci

poco più., poco meno come fuori, eh!... c’è pericolo che dica, è inutile (1857) 9
che parli giacché non m’intende, ed anche fatti gli esercizi ritorniamo a
casa come siamo venuti. O gnuno di noi adunque faccia ogni giorno un
patto colla sua lingua, fuori delle ore stabilite, non parli, e nessuna parola
affatto: sulle prime ci parrà un po’ duro, ma dopo poco tempo lo trove­
remo ancor più comodo: facciamolo anche per spirito di mortificazione,
che D io ci pagherà ogni parola, che riteniamo per lui; ed ogni volta ci verrà
la tentazione, voltiamoci col pensiero a Dio, e diciamogli: Signore questa
parola è per Voi, mettetela a registro, scrivetela in Cielo.
U n Eclesiástico che faceva gli esercizi in un certo luogo, e li faceva alla
moda con far poco conto del silenzio, e ciarlava: chi dirigeva si stimò in
dovere di dirlo avvisarlo alle buone, sapete la risposta che n’ebbe: guardò
bruscamente chi gli usava quella carità, e poi gli disse: senta, io ho una
casa e ben comoda e sappia non ci va gran cosa per andarmene, sappia io
ho tanto di reddito, poco m’imporra; se Lei mi dice ancor qualche cosa,
me ne vo. Ah! D io buono, fanno pietà cotesti Eclesiastici. U n secolare al
contrario, giovane, vivace, accostumato a vivere in mezzo allo strepito delle
armi, faceva parimenti gli Esercizi in altra occasione, ed era così esatto in
tutto, e principalmente nel silenzio che qualcuno crede bene nel decorso
di essi fargliene elogio. Che elogio rispose il giovane Capitano, io penso
che debba farsi così, e sia niente più del m io dovere, perché ogni cosa o
non farla, e lasciarla, oppur farla come si deve. N on abbiam rossore noi
Eclesiastici di prendere questa lezione dalla bocca d un secolare militare

67
Esercizi Spirituali al Clero - Meditazioni

che il buono sì prende da chicchessia: siam venuti a fare gli esercizi, e farli
bene, ed in silenzio, oppur che potevamo star a casa, e lasciarli; altrimenti
andremo a casa, e crederemo d’aver fatti gli esercizi, e non sarà vero, li
abbiamo guastati, ed avremo fatto una cosa, che non avrà alcun nome, ed
in questa materia principalmente è meglio prescindere affatto dagli eser­
cizi, che farli a metà, perché non facendoli conosciamo d’esserne privi,
epperò possiamo almen dubitare del nostro bisogno, e disporci a farli
bene una volta; che al contrario credendo d’averli fatti, quando non è
vero, perché solo all’apparenza, ce ne stiamo tranquilli nel nostro inganno.
Eccovi adunque fratelli miei quel tanto che voleva dirvi in questa sera per
animarvi vicendevolmente a questa santa impresa. Eh! quanto bene può
aspettarsi Iddio, e la Chiesa da una cinquantina di sacerdoti ritirati in eser­
cizi, quanti peccati di meno già si possono sperare nel m ondo, e quante
anime di più fatte salve in paradiso27.

( 1856) In ultimo non dimentichiamo la nostra cara Madre Maria, ognuno la


preghi, e le dica con confidenza da figlio o-Maria o cara Madre de Sacer­
doti venite voi a sedere in mezzo di noi; Voi che già vi trovaste nell5adu­
nanza de5 primi Sacerdoti là nel cenacolo, degnatevi a loro v’uniste, con
loro pregaste, ed assieme a loro stavate ad aspettando il compimento delle
divine promesse, deh o Madre guardate dal Cielo cotesto bel numero di
Ministri, e Sacerdoti, scendete, vi preghiamo in mezzo di noi, fate in questi
giorni una cosa sola con noi. Sì o fratelli venerandi è questo l’ultimo
riflesso che vi lascio per passare bene cotesti giorni, figuriamoci d’aver una
persona, una compagna di più d i e faccia:gli in Esercizi con n oi, e questa sia
Maria. Imaginarsi di averla a sedere in mezzo di noi, di mirarla, di fissarla,
e quasi di parlare con Lei; noi possiamo essere certi che Maria non rifiuta
il nostro invito: che certo si troverà tra noi; fu madre del primo e Capo di
tutti i sacerdoti, visse e morì ttà sacerdoti,

10 a Lei fummo affidati, a Lei preme di troppo il bene, e l’onor nostro,


come lo stesso onore del suo Figlio, sicché non solo verrà, ma verrà per
ajutarci, verrà per animarci, verrà per dirci, coraggio o figlio, non temere
sono quà per te. Questo pensiero fratelli miei, d’aver compagna, e presente
la nostra madre Maria ci sia d’impegno a regolarci in modo anche esterna­

27 Qui il Cafasso pone una nota col numero 1 intendendo inserire qui il testo che egli
inserisce ¿tU’inizìo delfoglio a fronte.

68
Introduzione a Spirituali Esercizi per gli Eclesiastici

mente che niente possa offendere l’occhio di questa madre, e ci tenga il


cuore aperto a grandi speranze, di m odo che ciascuno di noi in ogni angu­
stia, in ogni affanno corra da lei e le dica con confidenza da figlio: Madre,
tocca a Voi, Madre ho bisogno di Voi. Con sentimenti sì generosi, e con
una confidenza sì grande non potrà a meno che essere più che abbondante
il frutto del nostro ritiro. Fuge, terminerò col celebre avviso che dava già S.
Arsenio a chi voleva far profitto nello Spirito, fuge. tace, quiesce28: fuggi,
ritirati, e taci; fuggi lo strepito del m ondo, e questo noi già l’abbiamo fatto,
datti al ritiro, e noi vi siamo, taci adunque, se noi faremo ancor questo,
come spero, il nostro profitto, e la nostra salute sarà sicura: fuge. tace, quie­
sce: haec sunt principia saluris.

28 Vita e Detti dei Padri del Deserto, a cura di di L. Mortali, I, Città Nuova, Roma
1986, p. 97.

69
Giorno primo
Meditazione prima. Sopra il fine dell’uomo
Prima degli Esercizi

S. Ignazio comincia il gran libro de1 santi Esercizi con ricordare alla per- (2197)
sona che vi si applica una verità non alta, non ascosa, non nuova e scono­
sciuta, ma conosci uLa comune, ed intesa da tutti, e nata coll’uomo stesso,
qual è quella del suo fine. Terribili e funeste sono le conseguenze qualora
questa verità, che è quanto dire questo fine o si dimentichi, o non si curi
non solo dall'uomo cristiano ma anche dall’uom o Eclesiástico; e che spe­
rereste voi di buono da una persona che vive senza sapere, o senza pensare
a quel fine che fu prefisso al viver suo? Che riuscita si potrebbe sperare da
un giovane che mandato alle lettere applicato ad un arte mai o quasi mai si
facesse a pensare: ma... che cosa debbo fare; qual è il fine per cui m i trovo
in questo luogo; che cosa s’aspetta da me? e così dite di qualunque altro,
che viva senza proporsi un fine, od anche scielto non vi pensi? S. Ignazio
10 chiama e lo reputa di tanta importanza sì fatta verità che la tiene come
la chiave, anzi la base ed il fondamento di ogni Spirituale cdifì/.io. Quanti
infatti a sì fatta alla considerazione di questa gran massima aprirono gli
occhi, e fu per essi il principio della loro conversione; ciò è noto a chi
legge, e lo proviamo noi frequentemente nell’esercizio del nostro M ini­
stero: quante volte dopo d’aver sentito una vita di peccati non ci sarà riu­
scito di toccare un cuore, di commoverlo alle volte fino alle lagrime solo
con ricordarle che non era quello il fine de’ suoi giorni: sentí, figlio, il
Signore ha avuto altre mire nel darti la vita: speranze perdute, tu hai deluso
11 Signore, aspettava altre cose da te. Altri poi di questa massima si servi­
rono come di arma potente per mantenersi saldi e fermi nella loro voca­
zione, ed io mi contenterò di citar S. Bernardo.

* (fald. 4 7 /fase. 166; nell’originale 2196-2215)

71
Esercizi Spirituali al Clero - Meditazioni

Or io dico se un S. Bernardo, se un Religioso sequestrato dal mondo al


dire han bisogno di rinnovare frequentemente alla loro memoria la verità
del loro fine, e non ne avrà bisogno un sacerdote che vive tutto Tanno in
mezzo ai trambusti del secolo, tra tanti scandali che lo seducono, e tra tanti
nemici che cercano la sua rovina. Ah! sarà ben difficile che regga quel sacer­
dote che di tanto in tanto non rimonta a questo principio, e non pensa al

Io temo, e temo molto di quel Sacerdote, che di tanto in tanto non


entri in se stesso, e si dimandi: ma che fo io a questo m ondo, ove vado, che
strada io tengo, qual è il mio fine, qual sarà il mio termine: ah! credetemi,
fratelli, di qui hanno origine tutti i disordini tanto de3 secolari, quanto
anche degli Eclesiastici; guai a quella persona, guai a quel Sacerdote, che
non si mette qualche volta a pensare. Dovendosi adunque etc,

(2198) 1 Volendo il dottor S. Bernardo mantenersi in quei primiero fervore, con


cui aveva lasciato sì generosamente il m ondo, ed abbracciato il chiostro
usava di ricordare soventi a se stesso il fine per cui era entrato in Religione:
Bernarde, ad quid venisti?1 se il senso, e la natura ripugnavano all’auste­
rità delle penitenze, alla rigidezza de’ digiuni, che venivano praticati, ma
dimmi o Bernardo, ripeteva tosto a se stesso, sei forse venuto in Religione
a godere cercare dei comodi, a godere le delicatezze della carne: Bernarde
ad quid venisti? se la povertà, l’obbedienza, quel continuo ritiramento, e
silenzio gli pesavano alle volte più del solito, lo sgomentavano, e come va,
o Bernardo, ti credi forse d’esser venuto in questo luogo per dominare, per
essere in piena libertà, ed agire di tuo capriccio, vagare quà e là, e sollaz­
zarti, come più ti piace, deh pensa che ben diverso, anzi contrario deve
essere il fine per cui sei venuto: Bernarde. ad quid venisti. Fortunata quel­
l’anima grande, che tenendo ben fisso in mente il vero fine, per cui aveva
abbracciata la Religione, principiò, e continuò a corrispondervi con tutto
tanto impegno da arrivare a queireminente grado di Santità, che noi tutti
sappiamo.
Lo stesso avviso inculcava ai Religiosi quel venerabile Servo di D io
Tommaso a Chempis nel suo bel libro: D e imitatione Christi: cogita fre-
quenter. ci dice, cogita frequenter ad quid venisti? et cur saeculum reliqui-
sti?2 abbi sovente in mente, o figlio m io, il fine per cui lasciasti il m ondo e
venisti in religione.

1 G u g l i e l m o d i S. T h i e r r y , Vita, I, I, 4 (PL 1 8 5 ).
2 De imitatione Christi, I, XXV, 1.

72
Giorno prim o ~ M editazione prima. Sopra il fin e dell’uomo ~ Prima degli Esercizi

Questa massima, questo ricordo può fare non solo pe’ Religiosi, ma per
noi tutti, e per chiunque vi sii al m ondo per impegnarci a corrispondere
appunto al nostro fine, a quel fine cioè, che a tutti è stato, prefisso nell’en-
trar in questo mondo; anzi più fa per noi che viviamo nel mondo, questa
m assima che pei Religiosi ancora, perché attorniati da mille oggetti, che
ci distraggono, impegnati in chisa quante faccende siamo più in pericolo
di dimenticarlo, e passare i nostri giorni lontani da quelle mire, che Iddio
tiene fisse sopra di noi; ed infatti ella è di tanto peso una sifatta Massima
che S. Ignazio la pone sul bel principio, ed apre con essa il suo gran libro
degli spirituali esercizi, la chiama massima fondamentale, perché la tiene
come il fondamento di tutto l’edifizio spirituale, e come tale la propone
a considerare prima d’ogni altra a tutta persona, che si ritiri, e si faccia a
pensar un po’ seriamente all’anima sua; da questa massima ben considerata
si può dire che principiarono tutti quei che fiorirono in virtù grande, e
santità; su questa massima pensarono, e ripensarono e mesi ed anni per­
sone le più dotte, ed eminenti, come si legge d’un Cardinal Bellarmino che
confessa d’aver meditato per ventidue anni continui nient’altro che il suo
fine, tanta era l’importanza, che vi dava, ed il frutto che ne poteva ricavare.
Dovendo adunque per comando che mi fù fatto parlare a Voi, Sacerdoti
Signori miei, in questi giorni, io tengo dietro

a sì bell’esempio, e do principio col ricordare a me, ed a voi il fine, che (2200) 2


seco noi portammo entrando in questo mondo: e per meditarlo con qual­
che ordine, e con maggior nostro vantaggio, io mi servo delle parole stesse
di S. Ignazio, che sono poco dissimili da quelle che abbiamo imparato dal
catechismo: Creatus est hom o a Deo, ut dom inum deum suum laudet, ac
revereatur; eique serviens tandem salvus fiat3: mi trovo in questo mondo,
ma se vi sono lo debbo a D io, primo punto: sono a questo mondo, ma
debbo persuadermi che vi sono unicamente per D io, secondo punto: final­
mente quand’anche io mi trovi presentemente in questo mondo, non è
questo il mio luogo, il mio centro, il m io cuore è fatto, e tende al suo Dio,
ed eccoci il terzo punto4.

Fratelli miei ognuno di noi in questi giorni deve fare, quel che faceva (2201)
Maria là ai fianchi del suo caro Gesù nel presepio:

3 S. I g n a z i o , Esercizi Spirituali, cit., n. 23.


4 Con una nota il Cafasso rimanda alla pagina seguente.

73
Esercizi Spirituali al Clero " Meditazioni

La S. Scrittura ci dice, che raccoglieva, e conservava nel suo cuore


quanto passava, e si diceva: Maria conseryabat omnia verba haec, confe-
rens in corde suo. Lue. 2 5.
Così dobbiamo far noi: vi si parlerà da questo Altare con libertà evange­
lica, ma molto più che alle orecchie Iddio ci parlerà al cuore: raccogliamo
ogni piccola cosa, riponiamola, e conserviamola nel nostro cuore, meditia­
mola, pesiamola, e vedremo che in tutto vi troveremo un secreto, giacché il
Signore non parlava invano: e per impegnare appunto questo buon D io a
parlarci, a parlarci molto, a parlarci chiaro, offriamoci pronti ad ascoltarlo,
e diciamogli soventi, il mio cuore è pronto, parlate pur o Signore, che
sono qua per ascoltarvi: paratum cor meum, loquere domine audiam quid
loquatur in me Dominus Deus (P.S.) 84. Se un grande di questo m ondo ci
mandasse a chiamare, con che attenzione ci presentèressimo per ascoltarlo,
un gran Signore ma non di questo mondo ci mandò a chiamare ed a venir
su questo monte che ci voleva parlare.
Maria quella cara Madre de Sacerdoti, S. Ignazio che ci da alloggio in
questi giorni per così dire in casa sua sieno i primi ad essere invocati da noi
per essere pronti e docili a questa gran chiamata ed a queste voci divine. Ah
se partissimo tutti quanti da questo monte con quell'impegno, che aveva
preso quel Santo di far tutto alla maggior gloria di D io, quanto gran bene
si potrebbe aspettare Iddio da noi. D el resto A tal fine entriamo in questi
esercizi con quella disposizione, che il Santo raccomanda, qual’è di por­
tarvi un animo ed una confidenza grande: Magno ac liberali animo6, noi
non sappiamo le mire che abbia avuto D io nel chiamarci a questi esercizi,
ma certo che saranno degne di lui, in conseguenza non potranno a meno
che essere grandi ed alte. Alacri adunque et magno animo diamo mano
all1opera, rutto lo vuole; la natura della nostra vocazione, che è fatta per
cose grandi, l’eccellenza, e l’altezza di ciò per saremo per trattare, la gran­
dezza di quelle mire, e di que’ disegni che certo Iddio avrà formato sovra
di noi, e più grandi ed estesi saranno i nostri desideri, più abbondante e
copioso sarà il frutto di questo ritiro, e delle nostre considerazioni che sono
per cominciare7,

5 ¿c2,19.
6 Es. Spirituali, cit., Annot. 5.
7 II testo prosegue con un brano cancellato che si riporta qui: Voi o Signore, che già sve­
gliaste il vostro diletto Samuele per fargli intendere le vostre voci, e la vostra volontà, ecco
quà tanti Samueli alloggiati nel vostro Santuario, che colle stesse voci vi pregano a par­
lare, a far conoscere la vostra volontà che già sono pronti ad udirvi, ad ascoltarvi, loquere

74
Giorno primo " Meditazione prima. Sopra tifin e dell’uomo * Prima degli Esercizi

Se io sono a questo mondo lo debbo a Dio. Portiamoci col nostro pen- (220°)2
siero diversi anni addietro, e che era di noi quaranta, cinquantanni fa?
Vi era questo m ondo, vi erano paesi, vi erano città, sì, ma noi non c era­
vamo. Tutto era popolato, e le case, le botteghe, le campagne erano piene
di gente, ma noi non c’eravamo.
Tra tanti, che v erano al m ondo ognuno aveva il suo mestiere, la sua car­
riera, chi lavorava alla campagna, chi sudava in u h officina, e chi attendeva
alle lettere; eppure ne io, ne voi eravamo al mondo: si facevano contratti,
si promulgavano leggi, s’instruivano i popoli, s’insegnava dalle cattedre,
e tutto senza di noi, e senza di noi vi erano soggetti abili ad ogni cosa,
per ogni posto; a dir breve tutte le faccende di questa terra camminavano
bene, facevano il suo corso senza di me, e senza di voi; vuol dire dunque
che questo m ondo non aveva bisogno di me, che io più, io meno a questo
mondo vuol dir niente, e che siccome ha fatto senza di me per tanti secoli,
così avrebbe potuto fare un altrettanto, e di più ancora finché volete senza
alcun bisogno che io o qualcuno di voi venisse al mondo; così è Signori
miei, e non può essere altrimenti. Alle volte l’amor proprio ci lusinga a
credere che noi siamo qualche cosa a questo

m ondo, ci pare d’aver talento, prudenza, esperienza, maneggio negli (2202) 3


affari, e quasi .ci diamo a credere che quel paese, quel luogo, quell’impiego
tutto poggi sulle nostre spalle, e quasi abbia a mancare col mancar di noi:
oh! stolti, e superbi che siamo. Possibile che quel mondo che per il corso di
tanti secoli ha fatto senza di noi, sia divenuto tutto in colpo bisognoso di
qualcuna delle nostre persone, quand’anche cela volessimo dare ad inten­
dere, non andrà gran tempo che questo m ondo istesso ce lo caverà di capo,
di qui a poco ci congederà da lui, ci manderà sotto terra, e frattanto quel
paese, quel luogo, quella carica continuerà a sussistere, le cose andranno

domine quia audit servus tuus [1 Sam 3,9]. Parlate pure, o Signore; fatemi pur conoscere i
vostri fini, le mire, le disposizioni che voi avete sovra di me, che in questi giorni ho niente
a negarvi, non metto riserva, non metto condizioni a quanto mi farete conoscere di vostra
volontà.
O Maria, o cara Madre di noi specialmente sacerdoti, voi che dettaste al vostro Servo
Ignazio si importanti verità, deh! assisteteci voi in questi giorni, accompagnate, vi diremo,
l’opera vostra con una copia di tante celesti benedizioni sicché abbiano a produrre ne’
nostri cuori che^nc un frutto che sia degno d ’un Ministro del vostro Gesù. O Angeli del
Cielo, o Santi e Sante tutti del bel paradiso, voi assisteteci, voi pregate, voi intercedete per
noi. Omnes Sancti. et Sanctae Dei.

75
Esercìzi Spirituali al Clero - Meditazioni

egualmente, e forse fioriranno di più a confusione della nostra superbia,


un altro cuoprirà meglio di noi il nostro luogo, sicché essendo mancati noi
non ci sarà di-meno che un imbroglio di meno a questo m ondo da dover-
sene piuttosto godere, che a deplorarne la perdita. Ma andiamo avanti, che
comparirà vieppiù il nostro niente.
Pochi anni sono non solo si faceva senza di noi, ma tra tante migliaia
di persone, che si saranno contate in allora al mondo, neppur uno, sì
nemmen uno parlava di noi: si parlava, e si discorreva d'interesse, di aqui-
sti, di storia, dì divertimenti, di bel tempo, e di mille altre cose, ma non
si diceva nemmen una parola su di noi: di più ancora; non solo si taceva
affatto di noi, ma nemmen si trovava uno che pensasse a noi, come mai
avessimo avuto a venir al mondo, sicché non solo eravamo cacciati dai
privi delFesistenza, e cacciati così dal numero degli abitatori di questa
terra, ma esiliati talmente dalle bocche, e dalla mente di tutti, che mai e
poi mai per andar di secoli anche infiniti si sarebbe per un m omento pen­
sato a noi, se quel Dio, che creò l’universo quanto è grande, tra un novero
infinito di creature possibili che avrebbe potuto creare, non avesse gettato
uno sguardo sovra di me, e sovra di voi, e con un atto di sua volontà non
ci avesse cavato da quel sì profondo nulla in cui tante altre creature a pre­
ferenza di noi staranno eternamente sepolte8.

8 Segue un testo cancellato: Spuntò quei giorno che ci diè vita, sono già più anni che
godiamo della nostra esistenza, a chi dovranno andare i primi nostri ringraziamenti se
non a quei Dio, che a costo d’un nuovo sforzo di.sua onnipotenza volle che anche io, che
anche voi avessimo a trovarci tra il numero de’ viventi; io non so, diceva ai suoi figli quella
Santa, e generosa madre, di cui si parla nel secondo libro de’ Maccabei: io non so come
voi siate comparsi nel mio seno; nescio qualiter in utero meo apparuistis: io non vi ho già
donato lo spirito e l’anima, nemmen sono io che abbia cosi aggiustate le membra: neque
enim ego spiritum et ammattì donavfvobis. et singulorum membra non ego ipsa compegi
[2 Mac 7,22] Così parlò quella madre, e cosi ci debbono parlare i parenti nostri per dirci
che divina è la nostra origine, e da nessun altro che da Dio discendono i nostri giorni.
Ella è questa una verità incontrastabile e d’importante a sapersi, che la prima infra tutte,
fu posta sulle nostre labbra; non sapevamo ancor ben sciogliere la lingua, che già la

(2204) 4 nostra madre, o chi per essa ci sforzava già a balbettare nel miglior modo a noi possi­
bile, che Iddio ci aveva creati. Ma non crediamola perciò una sifata verità propria solo di
ragazzi, mentre è degna della mente più grande, che v’abbia al mondo; e vi par poca cosa,
Signori mìei, poterci chiamare, ed essere veramente figli d’un Dio, opera e fattura deile
sue mani; vi par poco, miserabili quai siamo, pure poter da questa valle di lacrime volar
col nostro pensiero fino sulle porte di quella Regia Celeste, e là quai figli di casa, epperciò
quai principi di Corte avanzando tra quelle tante schiere di Angeli presentarsi al trono di

76
Giorno prim o " Meditazione prima. Sopra tifin e dell uomo " Prima degli Esercizi

D io m’ha creato... gran parola è ella questa che dovrebbe destare in un (22°3)
cristiano, e molto più in un sacerdote sentimenti i più nobili, e santi, sen­
timenti di fede, di grandezza, di confidenza, di gratitudine, e riconoscenza.
Sentimenti di. fede: Dio m’ha creato. N on è questa una congettura, un
m io pio sentimento, un detto di qualche personaggio Sapiente, ella è verità
innegabile che Iddio m’ha creato; verità dhe4o-protesto di credere a qua­
lunque costo, e che porto scolpita in cuore ed in mente e che protesto di
credere in ogni m omento ed in qualunque caso della mia vita: Credo in
Deum Creatorem meum, lo penso, lo dico, lo credo, e lo crederò sempre
che Iddio fu il m io Creatore: Credo in D eum Creatorem meum; e se una
tal confessione onora, e riesce dolce al cuor d’un padre terreno, non sarà
cara al quel nostro buon padre Celeste. Sentimenti di nobiltà e grandezza.
La fede mi dice che D io mi ha creato: dunque io sono un parto divino, io
vengo di lassù, chi vuol saper della mia origine vadi in Cielo là troverà chi
fù il primo autore, la fù decretata la mia nascita, gli aggiunti, le circostanze,
che l’accompagnarono, io sono come una pianta., che nacque in Cielo per
essere trapiantata per un po di tempo in terra. D item i fratelli miei se cote­
sti riflessi non sieno capaci di destare e ben con ragione sentimenti ben alti
e grandi, e d’infrenare nello stesso tempo le nostre passioni. Una persona
di alto rango arrosisce, e si vergogna ad abbassarsi a certe viltà, e mostrarsi
un plebeo nei suoi costumi, nella maniera del viver suo, vuol vivere una
vita da pari suo epperciò declina da tutto ciò che non si confa all’onor,
al decoro dell’alta sua condizione: questo solo pensier che la nascita sua

quel Dio, al cui cenno stanno Cieli, e terra, poterlo salutare, ed abbracciare qual tenero
padre. Io sono chi sono, cosi dirai ai figli d’Israele se ^interrogheranno chi sia io, cosi
comandò Iddio a Mosè, ma a voi, Signori miei, ed a chiunque volesse interrogarmi chi
sia quel Dio, che sta nei Cieli, io posso dare mia risposta piti consolante, che quella di
Mosè; e dirò che quel Dio è il vostro padre, come lo è pure di me: o padre nostro che siete
ne Cieli, cosi c’insegnò a pregare il Redentore, ed in più luoghi dell’Evangelio troviamo
che ricordava alle turbe il padre, che avevano ne’ Cieli. Oh! se questo pensiero stesse fisso
nella nostra mente, oh! se questa verità fosse da noi lasciatemi dir così, forte praticamente
creduta, quanta maggior confidenza si scorgerebbe nelle varie vicende di questa misera
terra, e quante agitazioni e quanti timori di meno; e di che può temere, di che paventare
un cuore pieno di figliai confidenza verso d’un padre si tenero, sì affezionato a noi, d’un
padre che non ha a questo mondo un oggetto più degno delle sue cure, come lo dimostra
l’istesso atto della nostra creazione.
A l posto di questo brano il Cafasso ne scrive un altro, posto nella pagina seguente a fronte:
lo si trascrìvefuori nota,.
Esercizi Spirituali al Clero - Meditazioni

ne perderebbe, è capace, quando abbi senno, a renderlo forte e fermarlo


davanti tutti gli inviti, e le lusinghe di lo vorrebbe avvilito. La conseguenza
è chiara, e naturale per noi, epperò non mi fermo a spiegarla; noi veniamo
dal Cielo e verso il Cielo camminiamo, viviamo dunque una vita da pari
nostri; una vita di terra, di fango, di vanità, d’inezie, di stoltezze non si
confà da a chi vien da tant’alto, e tende a sì alto destino. Sentimenti diceva
di confidenza; e questa è la parte più consolante epperciò anche più utile di
questo punto della nostra Meditazione: D io m’ha creato, D io è mio padre:
vuol dire dunque che tra me, e D io vi ha un legame, un unione, un vin­
colo, una parentela per dir cosi, che ci stringe e ci fa quasi una cosa sola: e
perché no? fratelli miei, e qual’unione più

(2205) stretta, quale unione vincolo più forte che quello, che passa tra padre
e figlio; ella è tale che di due persone si può dire ne fa una sola, le cose
del padre sono pur cose dei figlio, quello che è del padre si conta pure del
figlio stesso; chi tocca il padre è come toccasse il figlio, e chi tocca il figlio
tocca pure nel tempo stesso il padre; che consolanti, e teneri riflessi sono
questi quando la cosa si applichi tra noi e Dio. D io mi ha creato, D io è
mio padre, io sono suo figlio: dunque io sono dì sua casa, io sono uno
di famiglia, le cose sue posso dirle tutte mie, mia la gloria che Egli gode,
m io il paradiso ove Egli sta, l’onore che egli riceve, mie del pari le offese
che gli si fanno; pel contrario tutte le cose mie sono pur sue, sue le mie
consolazioni, sue le mie angustie, i miei crucci, i miei affanni a lui si fanno
le persecuzioni, che si fanno a me; le ingiurie, i torti che io ricevo ed oh!
fratelli miei, che conforto egli è mai questo? si deus prò nobis quis contra
nos?9 Se noi siamo figli di si gran padre, se Egli in noi guarda una cosa
sua, di che avremo a paventare, chi sarà capace di farci paura? ma che dire,
qualcuno può riflettere quando questo padre da mano a flagelli, ci batte, ci
percuote, ci manda o permette traversie, disgrazie, perdite, guai nella roba,
nella sanità, nella famiglia; lasciate, fratelli miei, che batta, e che si sfoghi
la collera, e l’amore, ricordatevi che è sempre padre, dice Agostino, saeviat
quantum vult pater est10: non è ùn nemico, un scellerato, un traditore,
un tiranno, un carnefice quello che se la prende con noi, ma è un padre,
epperciò ripeto saeviat quantum vult, pater est; sentimenti infine, vi diceva

s Rm 8,31.
10 S. A g o s t i n o , Enarrai, in Psalmos, PL 37, c. 1332.

78
Giorno prim o ^ Meditazione prima. Sopra il fin e dell’uomo - Prima degli Esercizi

ci deve risvegliare la verità di cui parliamo, di ringraziamento, di gratitu­


dine e di riconoscenza11.
Una persona che arrivi a qualche posto, ad avere, a possedere qualche
cosa per opera altrui, e per servirmi d’un paragone più adatto, una persona,
che perduta la sanità giunga a riacquistarla per mezzo di qualche valente
perito, non sa dimenticarlo, si fa un dovere, e le riesce di consolazione il
dirlo.

Ma... se io ancor vivo, se sono quel di prima, se mi trovo a quel tal (2207)
luogo lo debbo totalmente al tale; oh che giorno è stato quello per me, io
potrò mai in vita mia ringraziarlo abbastanza, posso dire che quel lì m’ha
creato un altra volta. Così si pensa, e si parla tra gli uomini, e così si deve
pensare, e parlare, con quanto maggior ragione dovrebbe star fisso in noi
questo pensiero, e cotesti sentimenti di gratitudine e di riconoscenza; se io
sono al mondo, se oggi parlo, vedo, e mi muovo, se da tanti anni io mi
trovo in quel luogo, in quel paese, a quella carica, lo debbo a Dio. è desso
che fra tante ed infinite altre creature possibili ha preferito me; è desso che
con un miracolo di sua onnipotenza mi ha cavato dal nulla, mai e poi mai
si sarebbe parlato di me, pensato a me mai e poi mai io avrei veduto la luce
di questo mondo, ne per passar di secoli, ne per tutta quanta un eternità io
sarei comparso se D io dall’alto non mi chiamava, se la sua voce non veniva
a cercarmi dal nulla: ipse dixit et facta sunt io sono frutto, di sua parola,
ci voleva proprio un suo comando per darmi vita: ipse mandavit. et creata
sunt12 anzi dissi poco: non solo Iddio parlò, non solo Iddio comandò per la
mia creazione, ma per tratto inesplicabile di sua infinita degnazione volle
privilegiare la mia creazione, la volle contradistinguere in tra le altre, volle
crearmi sì ma non bastò , ma ha voluto crearmi per dir così solennemente.
Ved. pg. 4 V i fermaste etc.

N on vi fermaste mai o signori a riflettere come Iddio venne alla crea- (2204) 4
zione dell’uomo? D opo d’aver creato e Cielo, e Terra e le altre creature
tutte niente più che con un fiat, che è quanto dire con un semplice atto

11Segue questo testo cancellato: Aveva Iddio ordinato al popolo d’Israele di aver in per­
petua memoria e solennizzar ogni anno nelle future generazioni quel giorno, in cui l’aveva
cavati dalla schiavitù dell’Egitto, e li aveva collocati in possesso della terra promessa. Ah!
Fratelli noi saressimo troppo ingrati se aspettassimo un tal comando per tributar a Dio un
omaggio di lode in ringraziamento della nostra creazione.
12 S a i32,9.

79
Esercizi Spirituali al Clero ~ Meditazioni

della sua volontà, giunto alla creazione dell’uomo pare che l’importanza
dell’opera chiedesse anche riflesso in Dio: venute prima quasi a consiglio
tra di loro le persone della SS.“11Trinità, se ne fece il progetto ed il decreto:
faciamus hominem; se ne stabili la natura: faciamus hominem ad imagi-
nem, et similitudinem nostram se ne fissarono le funzioni, qual era tra
le altre di presiedere, e dominare a pesci del mare, ai volatili dell’aria, ed
a tutte le bestie della terra: praesit piscibus maris et volatilibus coeli, et
bestiis universaeque terrae; quindi si venne al grande atto: et creavit Deus
hominem ad imaginem suam13: non è vero che sifatti passi, con cui la
Scrittura Santa ci pone sott’occhio la creazione dell’uomo pajono fatti a
bella posta per avvertirci, dell’importanza, dell’eccellenza di ciò, che rac­
conta; così si dice di Adamo, e così si può dire d’ogni uomo che viene
al mondo: dunque un giorno io, sì io occupai la Triade SS.11'1. Posso dire
che in Cielo si tenne quasi un consiglio sovra di me: si progettò, si fece il
decreto della mia nascita. Faciamus; non solo facciamo una creatura qua­
lunque, ma una creatura

(2206) 5 ragionevole ad imagine, e similitudine nostra: faciamus hominem etc.


venne quindi, l’ora, ed il momento in cui in me diede Iddio il compimento
al suo decreto: et creavit Deus hominem14.

!3 Gn 1,26-27-
14 Segue questo testo cancellato: O giorno fortunato, giorno tra tutti benedetto, in cui o
Signore gettaste i vostri occhi sopra di me, e voleste dar vita con un vostro onnipotente
soffio a questo pugno di polvere, qual sono io; ma più felice ancora, più fortunato sia
questo giorno, questo momento in cui posso conoscere, ammirare, ed esaltare le vostre
misericordie sovra di me, e mentre vi credo, e vi confesso creator di tutto, vi credo, e mi
confesso ancor io una creatura vostra, un opera delle vostre mani, fate almeno che come
tale io corrisponda alle mire, ed ai disegni di quel buon padre, che in Voi ho tutto il diritto
di riconoscere; ed eccoci, o Signori, al secondo, ed al più importante punto della nostra
meditazione. Se io mi trovo in questo mondo, lo debbo a Dio certamente, ed or che vi
sono, debbo sapere che vi sono unicamente per Dio. Creatus est homo a Deo, ut domi­
nimi Deum suum laudet. ac revereatur [S. I g n a z i o , op. cit.]. Io non parlo a tanti che sono
nel mondo, e che fanno della loro vita una continua catena di temporali faccende sepolti
in un pugno di fango per dir cosi pare che sien nati per marcire su questa terra.
O voi, che de’ vostri giorni non fate che una continua catena di temporali faccende,
Voi che vivete così attaccati, e direi quasi sepolti in un pugno di fango, Voi che. correte
perduti a quanto vi presenta a godere questo mondo, io temo che abbiate cancellato
dal vostro capo l’idea del vostro fine, così si potrebbe fare parlare a tanti che vivono nel
mondo, e che a giudicar dalla loro condotta pajono d’essere su questa terra per tutt’altro
che per servire Iddio; volesse almeno Iddio che nel numero di questi stolti non avesse a

80
Giorno primo " M editazione prima. Sopra il fin e dell’uomo " Prima degli Esercizi

Eccolo eseguito; eccomi al m ondo, eccomi tra viventi. Quello che dico (2207)
di me, ditelo voi di voi stessi; non fermiamoci fratelli miei, in soli atti
di ammirazione, di ringraziamento, andiamo tosto alle conseguenze. Dio
non opera a caso, non opera invano, e se opera deve operare da pari suo: se
con un miracolo di sua onnipotenza mi creò, e se con un portento di suo
amore mi preferì a tanti altri, certo che lo fece per un fine degno di Lui,
epperciò non men grande, e proporzionato; ed infatti egli e tanto alto, e
tanto nobile che maggiore non si potrebbe immaginare: Iddio mi creò, ed
a che fine? Per occuparmi nel suo servizio in terra, e per farmi compagno
di sua gloria in Cielo. Fine altissimo egli è questo, come già vi diceva, fine
non solo principale, primario, ma solo ed unico dell’uomo, solo ed unico
per me. Fine altissimo. Nel m ondo etc. pag. 10.

N el mondo vi sono dei padroni, grandi e ricchi nel secolo, Re e Monar- (2214)
chi ne Regni: questi differenti padroni tutti sono serviti, e chi li serve se
ne vanta, se ne gloria, e si stima felice. Eppure che ha da fare la qualità di
servo, anche del primo Monarca del m ondo, colla qualità che a noi com­
pete di servi di D io , qualità gloriosa oltre ogni credere, qualità eminente
che ci innalza sopra noi stessi, e sopra quanto ci circonda e vi è nel mondo.
U n chiaro esempio ci lasciò su questa materia Giona profeta. Entra cote­
sto profeta in un vascello per andare a Tarso in Cilicia. N on essendo cono­
sciuto, il pilota Io interroga: chi siete voi? che professione è la vostra?
D ’onde venite? Ove andate? Q uod est opus tuum! Ouae terra tua? et quo
vadis? vel ex quo populo es tu? Ion. 1. Io sono servo di D io, risponde
Giona: la mia professione è di onorarlo e di servirlo: D eum Coeli ego
tim eo15. Lasciamo stare la sua condotta in quel punto: ammirabili parole
esclama un Santo padre: quattro domande si fanno a Giona, ed a queste
quattro domande Giona non da che una risposta, e con questa sola crede
di soddisfare a tutto, io sono servo di D io, io temo il Signore: come se
detto avesse: tutta la mia professione, tutte le mie qualità tutti i miei titoli
consistono in questo sol punto deum tim eo. Quanto bene converrebbero
sì nobili sentimenti ad un Eclesiástico che per ¿speciale vocazione è desti-

trovarsi qualcuno di noi Eclesiastici; se si trovi o no, e se siano pochi o molti lo potrete
sapere voi al pari di me; io passo piuttosto a confusion di costoro cd a nostra instruzione a
ravvivare, ed a piantare ne’ nostri cuori, e nella nostra mente questa gran verità del nostro
fine.
Il Cafasso sostituisce questo brano con un altro che si trascrive nel testo.
15 Gio 1,8-9.

81
Esercizi Spirituali al Clero ~ Meditazioni

nato a sì glorioso, ed onorevole servizio. Servo di D io : questo dunque è


il m io nome, questo il mio cognome, i miei titoli, le mie speranze; nel
m ondo di questo solo io mi pregio. Altri assumeranno de’ nomi superbi,
de1 titoli grandiosi; alcuni tra gli uomini saranno chiamati grandi, ricchi,
dotti, potenti; ad altri si darà il nome di eroi, di Conquistatori, di Vin­
citori, ma io non ne sento invidia, per me tutti miei titoli si riducono a
questo solo dì servo di D io. Che se altri avranno mire, e si formeranno
progetti di elevazione, di grandezza, di ambizione e di fortuna, tutta la mia
gloria sarà di servir D io, tutta la mia ambizione sarà di ben servirlo. Tale
è la grandezza d’animo a cui il servizio di D io ci innalza, e la nobiltà de’
sentimenti che ci deve inspirare.
Secondariamente questo fine è il solo per me, totale, ed unico: fermia­
moci su questa parte che è la più importante. Ved. Pag. 5 Io sono al mondo
etc.

(2206) 5 Io sono al m ondo per D io, vi sono unicamente per D io, vi sono total­
mente per D io, che tanto vale dir uomo, quanto un servo, una persona,
che serve a D io, perché l’uomo essenzialmente, e di sua natura stessa deve
servire ai suo D io, al suo Creatore: Deum time. et mandata ejus observa
hoc est omnis hom o16; ergo, soggiunge e commenta un dotto Interprete
(Menocchio) absque hoc nihil est omnis hom o, et qui hoc non est, nihil
est perché chi non fa questo, fa niente: qui hoc non agit nihil agit. quo-
niam in vanum recipit animam suam. cum propter hoc solum creatus sit.
Si fatica, si stenta tanto nel mondo, eppur tutto è niente se non si fatica al
fine, per cui siamo stati creati. Q ui hoc non agit. nihil agit; è niente tutto
10 studio, e la scienza del mondo, sono niente tutti i raggiri, le faccende, e
gli affari di questa terra, se non si serve Dio: qui hoc non agit. nihil agit...
cum propter hoc solum creatus sit. Questo è il fine del Re sul trono, questo
11 fine del Capitano, che conduce le armate, questo il fine del contadino
ne’ suoi campi, dell’artigiano nella sua bottega, tutti in sostanza nessuno
eccettuato, e vecchi e giovani, e ricchi e poveri, secolari ed eclesiastici, tutti
siamo al mondo unicamente

{2208) 6 per questo fine per servir Iddio, e tutti lavoriamo al vento, se non
abbiamo in mira questo nostro gran fine; eh quante fatiche inutili, Signori
miei, quanti anni scialaquati, e perduti. Regnò Saulle sul trono d’Israele

,fi Qp 12,13.

82
Giorno prim o - Meditazione prima. Sopra il fin e dell’uomo ~ Prima degli Esercizi

quarant anni come ci disse l’Appostolo Paolo al Capo 13 degli Atti degli
Appostoli, eppure nel Capo 13 del libro primo de Re si legge che regnò
due soli anni; duobus autem annis regnavit super Israel17, e come va una
sì aperta contraddizione? no, rispondono gli interpreti, non credere alcuna
contraddizione; regnò è vero 40 anni, ma si dice che regnò soli due anni,
perché Iddio gli contò soli due anni di regno, che sono quelli, in cui lo
servì; il resto lo computa per un niente, tutte le battaglie, le vittorie, gli
stenti, le fatiche sopportate, niente, niente avanti Iddio, perché con quelle
non lo servì. O fratelli miei, che terribile verità è mai questa, anche noi
contiamo già tanti anni, tanti giorni di vita, chi sa di tanti quanti ne cal­
colerà il Signore, ma... la coscienza ci potrà dire qualche cosa, e D io non
voglia che anche già maturi d’età, e carichi d’anni siam fanciulli, e bambini
avanti Dio, giacché Iddio non la calcola la nostra età dal numero degli
anni, ma dalla qualità delle opere, ed è abbastanza vecchio, e muore vera­
mente vecchio chi ha saputo viver bene, giusta quel gran detto, che satis
diu vixit, qui bene vixit: che al contrario sarà sempre fanciullo, e fanciullo
ancor morrà anche carico d’anni chi avrà speso i suoi anni a tutt’altro che
a servir Dio: hoc est omnis homo; absque hoc nihil est homo: qui hoc non
est nihil est, qui hoc (non) agit nihil agit, in vanum recipit animam suam,
cum propter hoc solum creatus sit. Ma... tanti studi e fatiche per arrivar ad
un posto, tanti raggiri per riuscire un affare, tanti giórni e notti inquiete
per spuntarne un altro, eppur varrà un bel niente un sì fatto vivere se tutto
non è diretto, non tende a servire, ad onorar Dio. O h quanti giorni, oh
quanti anni debbo pur togliere dalla mia vita perché giorni, ed anni vuoti,
in poco, od in nulla passati a servir D io 18?

E qui fratelli miei, facciamo un altro riflesso; noi sappiamo come il (2207)
Signore disgustato, irritato dalle molte offese degli uomini,

per impeto e per eccesso di dolore parlando all’umana, arrivò ad escla- (2209)
mare che era pentito d’averlo creato: poenitet me fecisse hom inem 19, oh
grande, terribile, e compassionevole espressione sulla bocca d’un Dio:
eppure chi sa quante volte si rinnoverà alla giornata cotesto lamento sulle
labbra dello stesso Iddio sulla vita di tanti, e D io non voglia di certuni
tra noi Eclesiastici: poenitet me fecisse, sono proprio pentito d’aver creato

171 Re 13,1 (secondo il testo ebraico e la Volgata).


18 Qui il Cafasso rimanda ad un testo scritto nella pagina, a fronte.
13 Gn 6,7.

83
Esercizi Spirituali al Clero - Meditazioni

quel tale; avrei potuto crear tanti altri, gli ho data la preferenza, ma mi
duole, mi rincresce d’averlo fatto: poenitet me fecisse: ah! fratelli, che ce ne
dice il cuore, e la coscienza a questo punto: dalla condotta tenuta fin qui
ci pare che Dio sarà contento, si rallegrerà, si compiacerà d’averci creati,
oppur la creazione nostra le sarà un argomento, ed un motivo di rincre­
scimento, e dolore, ognuno senta ia risposta, che le da il cuore; e non
dovrebbe essere cotesto riflesso una ragione di più per impegnarci a ser­
virlo, a contentarlo: non si tratta già di contentare e risparmiare un dispia­
cere ad un amico solo, un parente, un grande di questo mondo, ma si
tratta di rendere per così dire contento e soddisfatto di noi un Dio. Una
persona un po’ onorata del mondo lo prende facilmente cotesto impegno,
e sa mantenerlo, cioè di regolarsi in modo che gli ha fatto un favore, chi
s’è interessato per lui, non abbia a pentirsi, e si dice, si ripete, si protesta
francamente: bada con chi ha da fare, e sia certa che non avrà a provar
dispiaceri, da pentirsi, e ad essere malcontento di me: e se si va con questi
riguardi, e con cotesti impegni cogli uomini, perché con maggior diritto
non avranno ad usarsi con Dio: tanto più che non v’è uomo, non vè
padrone al mondo così tollerante, così paziente, così discreto con noi.
Guardiamo un po’ la condotta che tiene un padrone, e che terremo anche
noi co dipendenti, co’ servi: i padroni migliori, al più avvisano i servi
delle lor mancanze, li sgridano, li minacciano perdonano se volete le prime
volte, ma poi non soffrono, e se ne disfanno: i più poi ia perdonano
nemmen la prima, guai a sgarrarla, guai se non sono pronti, ed alle volte
basta che non prevengano per essere tenuti da poco, e licenziati.

(2208) 6 Oh! quante azioni non compariranno registrate sul libro della vita da
me fatte sì, ma non fatte con questo fine, non fatte con tutte quelle circo­
stanze che pur si richiedono per servire, ed onorare Dio. Deh! mio Dio,
in compensa di tanto tempo pèrduto, e scialaquato accettate quei pochi
giorni, quei pochi anni che ancor mi rimarranno di vita: suscipe domine
residuum annorum mcorum e fate o Signori che d’or avanti nient’altro
io cerchi che di darvi quello che voi con tanto diritto aspettate da me,
ed è che vi ami, vi onori, vi lodi, vi serva qual mio unico padrone, ma
che, Signori miei? e come mai potremo dispensarci dal servir Iddio? non
è questa la condizione, sotto cui ci ricevè la Chiesa tra i suoi figli? non è
questa la promessa, che avremo rinnovata chi sa le volte ai pied i del luo­
gotenente di G.C. nel Tribunale di penitenza, non è questa la scielta, che
solennemente abbiam fatta ai piedi del Sacro Altare allorché fumino arruo­
lati nel Santuario? sono ancora registrate

84
Giorno primo M editazione prima. Sopra il fin e dell uomo - Prima degli Esercizi

e lo saranno a perpetua nostra gloria; o confusione quelle solenne (2210)7


rinunzie, con cui abbiamo promesso di detestare, di fuggire, di abbonii-
nare tutto ciò che si sarebbe opposto all’amore, al servizio del nostro Dio;
ahrenuntias Satanae? et omnibus operibus ejus? et omnibus pompis eius?20
così ci intimò quei buon Sacerdote prima di lavarci colle acque battesi­
mali; e poi non è ai piedi di questo sacro Altare, che solennemente abbiam
scielto tutto, ed unicamente per noi il Signore con quella parole, che un dì
saranno la nostra sicurezza, o la nostra condanna: Dom inus pars haeredita-
ris meae21; non è il sacerdote, di cui dice il Signore, che lo separò dagli altri,
perché attendesse a lui solo, per farselo tutto suo: separavi vos a coeteris ut
essetis mei Levit 2022; non è il sacerdote che l’Appostolo Paolo scrivendo a

un uomo tutto consacrato a Dio: hom o D ei; e come adunque poter far a
meno, poterci esimere dalFamare, e servire Iddio con tanti vincoli, che ci
stringono a lui, con tante ragioni, che ci obligano a servirlo; non sarebbe il
fare diversamente, non sarebbe tradire le mire, che ebbe Iddio nel crearci?
N on sarebbe defraudare le speranze di Chiesa Santa, che nel Battesimo ci
arruolò tra i suoi figli, e quindi ci consacrò Unti e Ministri del Signore?
Oh! quanti testimoni alzerebbero un dì la voce contro un sì nero tradi­
mento, quante bocche parleranno a nostra confusione, e condanna; e se
vogliamo che tacciano, uopo è amare, servir il Signore; così vuole la bontà
di quel D io, che ci creò, così pretende la Chiesa fidata sulle nostre pro­
messe, e proteste, e così esiggono il vantaggio, l’onore, la gloria nostra; Ser­
viamo adunque, Signori miei, e serviam di cuore un sì buon Dio; qui sta
tutto il nostro bene, e qui direi sta fondato perfino il nostro essere: creatus
est homo ad hunc finem , e per nient’altro, non per divertirci, non per fa
roba, non per vivere a capriccio, ma ad hunc finem, ut dominum deum
suum laudet. ac revereatur: siccome il sole, e le stelle sono fatte per illumi­
nare, e risplendere, così io sono fatto per servir Dio; siccome la terra fu
fatta per germogliare, e produrre, così io sono fatto per servir D io, e vi
sono fatto talmente per questo fine, che non si trova ne ragione, né tempo
che mi possa dispensare sicché se sono al m ondo, lo debbo a Dio; ma
quello che importa debbo persuadermi che vi sono unicamente per D io,
per amarlo, e servirlo. Ma non basta ancora.

20 D al rito del battesimo.


21 Sai 15,5-
22 L v 20,26.

85
Esercizi Spirituali al Clero ■- Meditazioni

Perché un padrone sia contento, non basta che il servo lavori di tanto
in tanto, oppur anche sempre, ma è necessario che lavori continuamente,
lavori in ciò, che le piace, ed a modo suo, lavori non per metà, ma quanto
può, per quanto con tutte le sue forze, con tutto se stesso: Ecco, Signori
miei, il vero servizio, che disimpegna, ed onora il servo, e contenta il
padrone; questo è appunto quello che dobbiam dare al

(2212)6 Signore, servirlo continuamente in tutti i giorni, e direi in tutti i


m om enti di nostra vita, servirlo con tutti noi stessi, e servirlo a m odo suo.
Oh! quanta materia di esami, e di riforme ci daranno questi riflessi. Si può
dire che a questo solo si riduce lo scopo, ed il frutto dei Santi Esercizi.
Io sono al m ondo per servir Dio: ma fino a quando, ed in che tempo...
sempre ed in ogni momento; sia lunga, sia breve la vita mia, non si trova
in tutti i miei giorni un ora, un m omento solo, in cui io venga dispensato:
sia di giorno, sia di notte, sia in casa, che fuori, sìa in tempo di Sanità,
o di malattia, di prosperità, o di tribolazioni, sempre mi corre lo stesso
sacro dovere di servirlo; e come va, che alle volte si vede una varietà nel
nostro vivere, un giorno tutto fervore, tutto zelo, di lì a poco non siamo
più quelli, un giorno siamo tutti del Signore, un altro giorno d passerà
quasi senza più pensarvi, in un azione vi poniamo tutta l’attenzione, la
diligenza, Faltra non è più tale: badiamo, Signori miei, che il servizio, a
cui siamo arruolati non ammette vacanze, non soffre vicende; Iddio non ci
cangia, il nostro obligo non si varia; è sempre lo stesso in ogni tempo, in
ogni luogo, in ogni cosa23.

(2211) E che vale servir in una cosa il Signore, e lasciarlo in un altra, adempiere
con esattezza ad un obligo, e poi trascurarne, e mozzarne un altro: ricor­
diamoci che chi usa negligenza ne suoi doveri, li trascura, e li va negligen-
tando, il Signore già lo conta per un operario d’iniquità: declinantes in
obligationes adducet Dom inus cum operantibus iniquitatem24.

(2212) 6 D i più dobbiamo servire il Signore non solo continuamente, ma ancora


con tutti noi stessi. Siamo di D io, siamo tutti di D io, di D io è la nostra
mente, di D io è il nostro cuore, di Dio sono tutti i sentimenti del nostro
corpo, e se tutto in noi è di D io, e quanto siamo, e quanto abbiamo, vi sarà

23 Con una nota il Cafasso intende aggiungere qualche riga scritta nella pagina, a fronte.
24 Sai 124,5.

86
Giorno prim o - Meditazione prima. Sopra il fin e dell’uomo ~ Prima degli Esercizi

difficoltà a credere che con tutto lo dobbiamo servire: un pensiero della


mia mente che non sia riferibile a D io, un affetto del m io cuore che non
sia per D io, è un furto che gli fo mentre do ad altri quello che è dovuto a
Dio solo, e da quel m omento non servo più il m io Dio: basta un occhiata,
una parola sola per farmi reo d’infedeltà ad un sì gran padrone: o mio
Dio quanti furti di questa sorta, quante infedeltà si conteranno nella mia
vita di affetti, di pensieri, di parole, per non parlar di tant e-aitre che cer­
tamente non vi gradirono. Deh! Signore cancellate dal vostro libro, man­
date in eterna dimenticanza tanti testimoni della mia ingratitudine, stam­
patele invece nella mia mente per detestarle finché abbia vita, e mi siano
nello stesso tempo d’impegno a servirvi con più fedeltà, a servirvi conti­
nuamente in ogni giorno di mia vita, a servirvi con tutto me stesso, ed a
servirvi di più a m odo vostro. E questo un punto, Signori miei, a cui vorrei
che vi badassimo ben bene; non basta servir il Signore, ma va servito a
modo suo; merita rimprovero, e castigo non solo il servo ozioso, ma ancora
quel servo, che lavorando non vuol adattarsi alla volontà del suo padrone;
di qui ebbe principio la rovina, e la riprovazione dell’infelice Saulle che
non ostante chiamato da D io a sedere sul trono, pure la terminò

si male; e qual fù il primo passo, voler placar il Signore co’ sacrifizi, (2213) 9
azione santa per se stessa, ma che Iddio non la voleva da lui. Ma veniamo
un po a noi; siamo al mondo per servire il Signore, siamo entrati nel San­
tuario per servirlo più da vicino, diciamo un po tra noi; i nostri giorni sono
proprio pieni di azioni, che piacciano a Dio; sul finir della giornata; al ter­
mine delle nostre occupazioni possiamo rivolgerci al Signore, e dirgli fran­
camente: ecco, o Signore, compito quello che chiamavate da me, ecco una
giornata spesa come spero, secondo la vostra volontà; vorrei pure che tutti
noi la potessimo discorrere così; ma io temo che più d’una volta saressimo
costretti a tacere, o cangiar linguaggio per non mentire collo stesso Iddio.
Ma... e tanto tempo scialaquato in ozio, in divertimenti al di là del neces­
sario, mentre si potrebbe, e si dovrebbe attendere a noi, ed a tante anime
abbandonate, tanti studi secchi, ed inutili che portano a trascurare i neces-
sari, od almeno i più utili, si potrà dire che con tale condotta si serva
il Signore a m odo suo. Andiamo più avanti; noi recitiamo il Breviario,
offriamo il Santo Sacrificio, predichiamo, confessiamo, cose tutte Santis­
sime, e della maggior gloria di D io, ma ditemi, le facciamo noi queste
cose con quel fine, con queíl’impegno, con quella gravità, con quel fervore,
che esiggono sì tremendi misteri: eppure deve esser la nostra condotta, se
vogliamo poter dire di servir il Signore a m odo Suo. Ci si proporrà un

87
Esercìzi Spirituali al Clero ^ Meditazioni

impiego, un occupazione, e diverse, nel nostro stato potremo occuparci in


diversi ministeri disparati l’uno dall5altro, come avrà a regolarsi chi vera­
mente vuol servire il Signore a modo suo, non cercare il proprio comodo, o
l’interesse, ma cercare la volontà (di) Dio, dove Iddio ci voglia, qual occu­
pazione preferisca in noi, e per conoscerlo esaminare dove si possa atten­
dere più a noi stessi, dove vi sia maggior bene delle anime, e la maggior
gloria di Dio, questa senza dubbio è la sua volontà, e non può voler altri­
menti; del resto andandoci di nostro capriccio, e per ragioni puramente
temporali d’ordinario il Signore non benedice le nostre fatiche, e si farà del
male, invece di bene, e quel poco bene che si farà, v’è pericolo che Dio lo
rifiuti, e ci dica quello che già disse agli ebrei.
Osservate che non erano già opere cattive quelle che rifiutava il Signore,
erano digiuni, mortificazioni, eppur il Signore non sapeva che cosa farne,
perché partivano unicamente dal loro capo, ed erano di suo capriccio: oh
che brutto lavorare è mai quello, quando si fatica senza speranza di mer­
cede. Sia questo, Signori miei, il primo frutto, la prima risoluzione a farsi
nei nostri esercizi di voler risolutamente servir il Signore, ma servirlo a
modo suo, e nel scegliere le nostre occupazioni, i nostri studi, gli impieghi
aver di mira nient’altro che il gusto, e la volontà di Dio.

(2215) IO Oh, noi felici, e fortunati se così partiremo da questi esercizi; in questo
caso non mi resta più a dire se non se animati già come siamo di servir
il Signore, proccurare ancora di servirlo allegramente: servite domino in
Iactinia75, servirlo volentieri, e con allegrezza, non tante malinconie, paure,
spaventi, ma animo tranquillo, e confidenza grande: hilarem datorem dili-
git Deus26, quel poco servizio che gli possiamo prestare, prestiamolo di
buon animo, pronti, e franchi senza pretendere, che quasi ci sforzino, ci
trascinino a farlo; e servirà a tenerci allegri, e farci pronti tener l’occhio
fisso ;

(2214) a queste due cose alla grandezza che in se contiene questo servizio di
Dio ed alla paga che in premio sta preparata. L’altra cosa, che abbiamo
tener a mente per impegnarci in questo glorioso servizio, sia il premio pre­
parato. Un Ministro etc.

25 Sai 99,2.
26 2 Cor 9,7.

88
Giorno prim o r Meditazione prima. Sopra il fin e delVuomo " Prima degli Esercizi

Un Ministro dopo aver servito lunghi anni il suo sovrano, venuto a (2215 )

morte, dimandò in premio dal Re stesso, che si recò a visitarlo, almeno un


ora di vita in compensa di tanti anni passati al suo servizio; non potendo
il Re favorirlo, ruppe l’infelice in mille lamenti, rimproverandosi d’aver
perduto il suo tempo a servir un padrone che Io poteva nemmen pagare
con una sì scarsa mercede: oh quanti al letto di morte sono obligati a far
questa confessione, e prorompere in sì dolorosi lamenti; si serve al mondo,
e che duro servizio per riportarne niente più che crucci, ed affanni, e
tante volte una morte immatura, ed anticipata; deh! Signori miei, se non
vogliamo un dì averci a rimproverare noi stessi, serviamo un padrone che
ci sia più fido, e liberale, che è questo Dio; se gli saremo fedeli in questi
pochi giorni del nostro vivere, non si contenterà dì darci un ora, od anni
di vita più lunga, ma ci darà in premio un interminabile eternità con farci
giungere al nostro ultimo fine, che è quello di salvarci: creatus est homo
ad hunc finem ut D om inum Deum suum laudet. ac revcreatur, eique ser-
viens tandem salvus fiat27. Deh! animiamoci con questa bella speranza in
cuore: juste et pie vivamus in hoc saeculo expectantes beatam spem28; sarà,
se volete un po grande la fatica, ci dice Agostino, ma guardiamo per alle-
gerirla ciò che è promesso, e la speranza del premio sia il sollievo della
fatica: grandis labor, sed respice quod promissum est, spes praemii sola­
ti um est laboris; e poi sia comunque questo è il nostro fine e giusta l’av­
viso di Tommaso a Chempis teniamolo sempre avanti gli occhi memento
semper finis29,costi quanto vuole, ad ogni uopo va conseguito: lo ripeto, e
conchiude: creatus est homo etc.
finis, die 23 8*™1842.
Laus D eo, et B. V. M.

L'originale contiene anche un altro esordio successivamente cancellato.

Altro Esordio (2199)

Lamentava fin da’ suoi di il buon profeta Geremia i gran disordini, che regnavar;o al
mondo, le innumerevoli offese, che giornalmente si facevano a Dio, e nella piena del
suo dolore facendosi a ricercarne la cagione, tutta la ritrovava, e la riponeva nella incon-

27 S . I g n a z i o , Esercizi Spirituali, cit., n. 23.


28 Tt 2,12-13.
29 De imitatione Christi, I, XXV, 11.
Esercizi Spirituali al Clero ^ Meditazioni

siderazione, e dissipamento in cui se ne vivevajno quasi tutti, e nella dimenticanza delle


cose eterne: desolatione desolata est omnis terra: quia nullus est qui recogitet corde30.
Cosi esclamava sospirando l’afflitto profeta dopo d’avet descritto nella più commovente
maniera i disordini, ed i castighi che stavano pendenti alla sua disgraziata nazione.
O h... se un altro Geremia alzasse il capo a giorni nostri, e si facesse ad osservare il
costume de’ nostri giorni, e diciamolo pure a confusion nostra, anche di qualcunotra di
noi Sacerdoti, io temo che non minore sarebbe il suo dolore, ed a stento si tratterebbe da
quei giusti rimproveri, che non cessava di far ai suoi nazionali il citato profeta. Il vizio,
che al dire del detto profetta empiva ogni angolo, e contaminava ogni sorta di persone,
perfino il profeta ed il Sacerdote: propheta et Sacerdos polluti sunt Cap. 2331, anche oggi
par che non conosca piti limiti, ed ogni giorno pare che s’aumenti il numero de’ suoi
seguaci, sicché parlando di certe classi di persone possiamo quasi dire, come già diceva
sempre lo stesso profeta: circuite vias... et aspicite, et considerate, et quaerite an invenia-
tis virum facientem judicium32, et quacrentem fidorr seu id, quod rectum et justum est,
come spiegano gli interpreti (Menocchio). Ma e perché tanto mal costume? e d’onde
l’origine di sì fatti disordini? non perdiatn tempo, fratelli miei a cercarne altra da quella
che adduce il profeta: si offende Dio, si vive male, e di giorno in giorno si va di mal in
peggio, perché non si riflette, non si pensa alle cose eterne, a quelle cose, che ci avranno da
toccare per ultime: buon per noi, Signori miei, che il Signore con una delle sue occhiate
amorose ci chiamò dal mezzo al mondo, ci sequestrò in questo luogo onde ricordare, e
ravvivare nella nostra mente quelle tante, e si importanti verità, a cui purtroppo si pensa
cosi poco nel mondo, e che anche noi avremo dimenticato chi sa per quanto tempo nel
corso dei nostri anni. Buon per noi, ripeto, che abbiamo il comodo di questi pochi giorni
per pensare un po’ seriamente all’anima nostra, e rimediare insieme a que’ disordini, in
cui potrà forse averci trascinato la nostra irriflessione, la dimenticanza delle verità eterne.
O giorni, lasciate che esclami, o giorni accettevole e cari, o giorni mille volte benedetti.
Ecce nunc tempus acceptabile, ecce nunc dies salutis33: deh! sia questo un tempo, Signori
miei, che abbi a contare nel novero dei nostri anni, sia questa un epoca, la cui memoria
ci abbia a consolare in vita ed in morte, e dovendo io parlarvi in questi giorni per vero
comando che mi fu fatto, io darò principio col proporci" a meditare per impegnarci tutti
quanti a far profitto di questi santi Esercizi, io darò principio col proporvi a meditare il
fine per cui

(2201) ci fti accordato il tempo, che è quanto dire il fine, per cui fummo creati; ella è questa
una massima di tanto peso, e di tanta conseguenza, che S. Ignazio la chiama nel suo gran
libro degli Esercizi come la base, ed il fondamento di tutto l’edifizio spirituale: da questa
verità, da questa massima si può dire die principiarono tutti quei che fiorirono in Santità,
e virtù grande, e del Cardinal Pallavicini si legge che labbia meditata per venti e più anni
continui; non sarà adunque di troppo che noi conserviamo questa mattina ad un oggetto
sì importante, ed a pensare un po’ seriamente al fine, per cui non gli altri, ma io e Voi
siamo venuti al mondo; e per meditarlo con qualche ordine etc.

30 Ger 12,11.
3! Ger 23,11.
32 Ger 5,1.
33 2 Cor 6,2.

90
Giorno primo (2216 )

Meditazione Seconda. Fine delle Creature


Seconda degli Esercizi

Siamo in questo m ondo, ma vi siamo unicamente per servir Iddio, servirlo (2217) 1
sempre ed in ogni cosa, servirlo a m odo suo. C on questo patto si può dire
sono entrato nel m ondo, e sotto questa condizione il Signore mi lascia la
vita, sicché a ben ragionare non sono io il padrone di me stesso, non
sono io Farbitro delle mie azioni, ma è Iddio il m io gran padrone, come
di tutto questo m ondo, così ancora di m e stesso: tu solus Dom inus. lo
" 'U
diciamo giornalmente al Sacro Altare; a lui adunque, ed a lui solo tocca il
disporre di me, come di cosa propria, e sua; sua per creazione, sua per la
continua conservazione, sua per propria mia scielta, e volontà talmente che
un momento solo che voglia occupare a mio capriccio, un azione sola che
m’allontani dal suo Servizio è un momento, è un azione che mi usurpo, e
che rubo a D io, che ne è il solo padrone; di m odo che sia pur lunga la mia
vita, quand’anche arrivasse a toccar dei secoli, non troverei in tanti anni
un momento da poterlo dir mio, di questo ne posso disporre come voglio,
sta a me comunque lo voglia occupare; no questo mai cria nessuno ne io
ne alcuno al m ondo lo potrà dire senza deviar e far contro a quell’unico
fine per cui fummo creati, e continuiamo nel mondo; ma quello che è più
senza far torto, ed ingiuria a quelFassoluta, ed inalterabile padronanza che
ha Iddio sovra di noi. Le servitù degli che si presta tra gli uomini ammet­
tono soventi eccezioni e di tempo, e di servizi, ma non così la servitù, che
noi dobbiamo a D io, siamo di D io,

ì ; e non solo per metà, ma intieramente, unicamente, e sempre


di Dio: in gioventù, in vecchiaja, di giorno dì notte, in chiesa, in casa,

{ 4 7 ! fase. 168; nell’originale 2216-2242)

91
Esercizi Spirituali al Clero ^ Meditazioni

ne’ lavori, ne’ divertimenti, nelle avversità o fortuna, sempre di Dio; così
ancora Ttelle non basta ancora e così senza alcuna differenza sempre ed in
ogni cosa lo dobbiamo

(2219 ) egualmente servire1.

(2218) Tutte le cose, dice la S. Scrittura hanno il suo tempo, ma al servizio


che noi dobbiamo al Signore non si può fissar tempo, perché lui solo com ­
prende tutti i tempi, perfino chi sta morendo non viene ancor dispensato,
perché anche morendo siamo ancora suoi: sive vivimus, sive morimur.
dom ini sumus2; dunque sia che si viva, sia che sì muoja uopo è servirgli.

(2219) 2 Posto questo gran fondamento come lo chiama S. Ignazio, per confer­
mare e rassodare vieppiù la persona in sì importante principio, passa il
Santo ad un altra verità non meno importante, e sì strettamente congiunta
alla prima, che quasi si può dire una sola, ed è dal fine dell’uomo al fine,
e scopo delle altre creature Creatus est hom o ad hunc finem ut D om i­
nimi D eum suum laudet. ac revereatur. eique serviens tandem salvus fiat.
Reliqua vero, ecco l’altra parte che prendiamo a considerare, reliqua supra
terram sita creata sunt hominis ipsius causa, ut eum ad finem creationis
suae prosequendum iuvent3 con altro che siegue: fermiamoci su queste
parole4.

(2218) Ridurremo a tre i punti della nostra Meditazione 1 qual sìa il fine per
cui D io abbia posto tante creature 2 i varii modi, coi quali coteste creature
concorrano al loro fine; 3 finalmente i mezzi, che ci possono agevolare, ed

buon uso di queste creature.

(2219) 2 N on tralasciamo poi con qualche interna aspirazione di continuare a


pregare il Signore, che ci parli in questa giornata proprio da padre, e di

1 Con una nota l ’originale rimanda alla pagina a fronte.


1 Rm 1 4 ,8 .
3 S. I g n a z io , Esercizi Spirituali, c it., n . 23.
4 Le seguenti righe sono barrate: e v e d ia m o p r im o il fin e d i q u e ste c re a tu re , s e c o n d a ­
ria m e n te v e d re m o le n a tu ra li, e p ra tic h e c o n se g u e n z e c h e d a u n ta l fin e b e n m e d ita to
n e c e ssa ria m e n te n e v e n g o n o .
Tale testo è sostituito da un altro, posto nella pagina a fronte.

92
Giorno prim o ~ M editazione Seconda - Fine delle Creature

dirci, ma chiari i suoi desideri sovra di noi: noturn fac D o mine finem
meum... ut sciam quid desit mihi: doce me facere voluntatem tuam5.
Altro Carteiano [?] sotto nom e etc6. .

5 Sai 38,5; 142,9.


6 II testo prosegue con il seguente brano barrato: Sotto nome di creature, di cui park qui
S. Ignazio, s’intende non solo tuttodò che di materiale, e visibile può cadere sotto i nostri
sensi in Cielo ed in terra; ma di più si vogliono comprendere tutte quante le vicende, che
occorrono alla giornata, e che sono indispensabili in questa umana vita, sian prospere,
siano avverse:

Audite verbum quod loctttus est Dominus... si erit malum in civitate quod non fecerit (2218)
Dorninus. Amos III [1.6]. Bona et mala, vita et mors, paupertas etc honestas a Deo sunt.
Ecl. 11,14

che però non porti il carattere del mondo: ebbene tutto quanto senza nessuna eccezione :
reliqua super terram sita: tutto in un modo o in un altro proviene da Dio,

viene, ed accade disposto, ordinato voluto da Dio: quidquid hic agitur, noveritis acci- (22,18)
dere de voi untate Dei, de providentia, de ordine, de nutu ipsius. S. Agostino Mese di
Maria. Sicché ogni essere, ogni vicenda, ogni tempo viene da lui.

Non occorre che ci tratteniamo su questo riflesso, piuttosto chiediamo a noi stessi; e (2219)
perché, e perché mai sarà

tanto apparato di cose, per chi tanta varietà, tanta moltitudine di creature; il Signore (2220) 3
per se non ne abbisognava perché abbastanza beato, gli Angeli come spiriti non hanno che
fare con queste cose materiali, a che dunque? per l’uomo, per il uomo solo: creata sunt
hominis ipsius causa: constituit eum super opera marruum-suararrt e siccome tra tanti
altri uomini vi sono ancor io, cosi per me ancora, si, per me è arrivato il Signore a far
tante e si belle cose; per me ha detto alla luce che si faccia, e fti fatta; per me ha detto alle
aque di ritirarsi e si ritirarono; per me ha detto alla terra di germogliare e dessa germoglia,
per me ha detto alle bestie di servirmi e loro mi servono: omnia subiecisti sub pedibus
ejius; le bestie del campo, gli uccelli dell’aria, i pesci del mare: omnia subjecisti... oves et
boves universas... Volucres coeli, et pisces maris. o Signore, non è poi il uomo un pugno
di polvere che voi vogliate allargare di tanto la vostra mano: quid est homo quod memor
ejus? non contento d’averlo dotato di facoltà poco meno che Angelice: minuisti eum
panilo minus ab Angelis; lo vogliate ancor fare padrone di tanti e sì mirabili opere create
dalle vostre mani: constituisti eum super opera manum tuarum. Psalm 8. O quanto è mai
buono il Signore, dovressimo ancor noi ripetere con Israele, quam bonus quam bonus
Deus [Sai 72,1]. e non sarà dunque egli degno, e più che giusto che la nostra lingua si
sciolga in continue Sodi, e ringraziamenti verso un Dio si buono: vere dignum et iustum
est nos ribi semper, et ubique gratias agere. [Inizio dei Prefazi della Liturgia secondo il rito
romano] e qual padre anche più tenero, ed affezionato avrebbe saputo, o potuto preparare

93
Esercizi Spirituali al Clero - Meditazioni

(2221) 4 Q ui non solo troviamo quanto è necessario per il nostro sostentamento,


ma quante creature unicamente fatte dal Signore per nostro diporto, per
nostro sollievo, e piacere; e dove mai un piacere più dolce, più puro, e più
lecito assieme che considerare le meraviglie della natura, la vanità e bellezza
di tanti fiori, piante ed animali, sentire il canto di tanti uccelletti, che non
sembrano fatti per altro che per ricreare l’uomo, e lodare la bontà di quel
Dio che li creò; e dire con noi: qua.m bonus D eus.
Ma se tanta quantità di Creature ci mostra per una parte la gran bontà
di D io verso di noi, dall’altra ci deve dar un motivo di cercare il perché,
il fine cioè, per cui abbia voluto allargare così la mano con noi; che Iddio
abbia voluto così a caso e per niente fare uno sforzo pomposo di sua
potenza, non si può dire; e che si direbbe di un Monarca, il quale facesse
grandi apparati di guerra, togliesse dal lavoro e dalle loro case tanta gio­
ventù, spopolasse, per così dire le città, ed i paesi, consumasse tanto denaro
e tutto questo al caso senza saperne che fare, per un niente, per puro suo
capriccio, non sarebbe degno di disprezzo, di biasimo, e di burla! ebbene
tanto più si potrebbe dire di D io, quanto maggior è l'apparecchio da lui
fatto per l’uomo; quale adunque sarà questo fine? sarà forse perché queste
cose avessero a formare la nostra felicità, e che ad altro non servissero che
a soddisfare i nostri sensi? come dicevano quei stolti ed insensati nominati
nella sapienza: venite fruamur bonis... quoniam haec est pars nostra7. Biso­
gna darsi ad intendere d’essere come una bestia per discorrerla così: oh che
cose materiali non possono contentare un anima che è tutto spirito: cose
transitorie, e passeggiere, come sono tutte le cose di questo m ondo, non
possono appagare un anima, che

(2222) 4 è immortale: Signori miei non vi vogliono gran prove per questa verità,
e quando mai in vita nostra ci siamo trovati pienamente contenti; e
quando mai il nostro cuore fù totalmente appagato delle cose di questo
mondo; questo m omento certamente nessuno di noi l’ha provato, e mai lo
proveremo finché staremo su questa terra, ripugna adunque un tal fine alla
natura, all’inclinazione del nostro cuore: ma ripugna di più alla Sapienza
d’un Dio; ed a che servirebbe averci dotati di ragione, averci dato un
anima immortale, per cui tanto superiamo le irragionevoli creature, se
dopo d’averci arrichiti di tanti doni la nostra felicità fosse simile a quella

per un suo figlio una casa, ed un alloggio più comodo, più provveduto, più bello di quello
che sia questa terra, che forma la nostra casa per quei giorni di nostra vita.
7 Sap 2,9.

94
Giorno prim o ~ M editazione Seconda * Fine delle Creature

delle bestie; dunque un altro sarà il fine, e fine tale che convenga alla natura
nostra, e che convenga all’onnipotenza, e sapienza di un D io, e questo
non può esser altro che quello che ci viene a dire S. Ignazio: reliqua super
icrram sita a D eo creata sunt hominis ipsius causa, ut iincm ipsum iuvent
ad finem suum consequendum e siccome il nostro fine è doppio, uno pros­
simo che è di servir Iddio su questa terra, l’altro remoto ed ultimo che è
di arrivar a Salvarci, cosi il tutto fù creato da D io per ambi i fini, e perché
ci ajutassero a servir D io, e perché ci ajutassero a salvarci. Gran verità,
Signori miei, la quale se fosse praticamente creduta, si potrebbe dire che
sarebbe cacciato per sempre dal m ondo il peccato, poiché tutti i peccati
senza eccezione vengono da ciò, che si prende, e si considera per fine ciò
che ci dovrebbe servire come mezzo:
Qui osserviamo di passaggio etc foglietto8.

Qui osserviamo quanto sia ingrato e vile quel cristiano, stolto, ed infe- (2223)
lice, che dimenticando il fine per cui il Signore creò tante creature, a loro
si attacca, dì loro si abusa, e di mezzi che dovrebbero essere di Salute ne
diventano tanti scogli di perdizione, ingrato e vile perché mentre fa servire
i doni alla dimenticanza del Creatore: perché il Signore ti ha fornito di
qualche mezzo, di qualche comodo, ti ha fornit o dato una certa destrezza
e maneggio negli affari, una certa capacità nella tua carriera, perché hai
sanità, riuscita nei negozi, nelle raccolte, tu non alzi più il pensiero ed il
cuore a quella mano che te li ha dati, pensi m eno al Signore ed a servir-
tene al fine che D io ebbe: stolto ed insensato: Il Signore col dono di tante
queste creature volle indurci a sperare, a conseguire cose molto maggiori,
ed invece chi vi attacca, è un dire che si contenta e non vuole di più. E non
sarebbe da stolto chi ricevesse da un grande di questo mondo un qualche
regalo perché con questo avesse occasione di conoscer la bontà e la gran­
dezza di quel cuore con cui ha a fare, epperciò sapere sperare dimandare

8 II testo prosegue con il seguente brano barrato: Procuriamo adunque prima di tutto di
stamparci, e persuaderci ben bene di questa gran verità: tutte quante le cose create sono
state fatte per me, ma io non sono fatto per loro: ista propter hominem non homo propter
ista. io non sono fatto per servir loro, ma loro per servir me, io sono loro superiore, sono
loro padrone; tale è ia padronanza che mi

ha dato Iddio, almeno sapessimo mantenerci superiori col cuore, giacché lo siamo (2226) 6
per natura, e non farà vergogna vedere tanta gente che vivono servi, e schiavi delle cose
del mondo, che ogni più piccola cosa si può dire li vince, li guadagna, e loro comanda:
farebbe d’uopo ripetere ad ogni instante quella gran sentenza di S. Leone.
A questo punto il Cafasso allega un foglio, con il quale la meditazione prosegue.

95
Esercizi Spirituali al Clero - Meditazioni

e conseguire m olto di più; costui invece restringesse le mire, ed il cuore e


contento di quel poco dimenticasse il rimanente. E una disgrazia quando
anime grandi vanno in contatto di anime cuori deboli, e limitati. Tale è
quel cristiano in ordine a Dio, mentre il Signore l’ha favorito cosi larga­
mente e non per altro se non perché sappia

(2224) ed impari a sperare a conseguire molto di più, egli invece di questi doni
ne fa un fine, un centro per riposarsi il cuore. M a infelice sopra ogni altra
cosa, e qui, fratelli miei, comincio a dirvi una cosa che mi toccherà ripe­
tervi soventi, perché mai abbastanza capita: le Creature di questo mondo o
che ci svegliano una spina, o che ci lasciano un vuoto nel cuore, ed oh che
voce eloquente si contiene, e si alza in quel vuoto! si va a quella partita, a
quel divertimento, a quelle feste, a quel tal luogo di sollazzo, e si ritorna col
cuor vuoto; ed fe quello si cerca con altro passatempo di riempirlo, eppur
non si empie, si fa vieppiù sentire ed è quella creatura che alza la voce, per
dirci? che noi non siamo fatti per lei, che più alti, più nobili sono i nostri
destini, che noi siamo destinati a cose più grandi. Si giunge a quel posto,
si arriva ai nostri fini, si fa quell’acquisto, si ha sanità, riescono gli affari,
ciò nonostante il cuor non è sazio, ed in tutto anche nelle cose più cercate,
più stimate del m ondo si trova un non so ché di noja, di malcontento, e
da tutti si sente quel linguaggio: deh ricordati che tu non sei al m ondo per
rroi me. S. Agostino fa parlare di questo mondo ogni cosa creata all'uomo:
noi siamo fattura delle stesse mani, quel D io che creò te, creò anche me:
qui fecit te feci et m e: con questo divario però: che fece m e per te, fece te
per lui: me propter te. te propter se: e chi fa altrimenti, si attacca eccessi­
vamente alle cose di questa terra, e se ne abusa, fa prima di tutto un torto
a D io contravvenendo alle sue mire, fa un torto alla creatura facendola
servire ad un fine, a cui non è destinata, ma '

{2225) un torto finalmente a se mostrandosi un ingrato, un vile, uno sciocco


facendo preparandosi di più la propria rovina3. N on si potrebbe qui con
ragione ripetere quella grande massima di S. Leone etc. pag. 6

9 II brano seguente è barrato: Io ripeto adunque e cesserei mai di ripetere: noi non siamo
fatti per le cose di questo mondo, per grandi e consolanti ci possano parere, noi siamo
sempre più grandi, noi siamo nati per cose più alte, elle ci devono star sotto, e se noi
sappiamo mantenere la nostra padronanza, elle ci devono la propria servitù; tale è il fine
imposto, il comando fatto dal Creatore, che ci servano: a che: al fine che abbiamo già
accennato, di servire il Signore nostro Dio in terra, e proccurarcene il possesso nelfaltra
vita. In quante maniere etc.

96
Giorno prim o - M editazione Seconda - Fine delle Creature

agnosce christiane' ma noi diremo solamente, agnosce o homo digni­ (2226 ) 6

tà rem tuam11J ricordati che sei fatto per esser servito dalle cose di questo
mondo, e non per servir loro; ma se questo fa vergogna in tutti, non la farà
doppia in noi Eclesiastici, a noi sì, che oltre d’essere destinati ad egual fine
come tutti gli altri abbiamo già dato un solenne addio a questo mondo, e
con quella sovragrande scegliendo a nostra porzione ed eredità il Signore
abbiamo chiuso così il cuore a tutte quante le terrene cose, non sarà, dico
e doppia vergogna per noi, e doppia ingiuria per il Signore vedere un pari
nostro andar talmente attaccato alle cose di quesra terra quasi che questo
dovesse essere tutto il nostro paradiso. Oh! giudicatelo voi signori miei
se nel mondo, e se tra sacerdoti si viva proprio persuasi praticamente di
questa gran massima. Io non son fatto per il mondo ma il mondo per
me, io non son fatto per la roba, per gli onori, per godermela, sono fatto
per niente di tutto quello che c’è in questo mondo, ma io sono fatto per
niente, tutto al contrario, ma tutto è fatto per me: ista propter hominem,
non homo propter ista. Tutto fatto per me, e fatto per ajutarmi nel mio
fine, che è Dio servirlo in questa vita, goderlo nell’altra.
: altro Cartelano [?]. In tre modi etc11.

10 S. L e o n e , Discorsi sul Natale, XXI, 3 (PL 54).


11 I I testo prosegue con il seguente brano barrato: In tre modi principalmente le cose
create ci possono aiutare nel nostro fine: primo col condurci come per mano alla

cognizione di Dio, e de’ suoi attributi; secondo col servirci in debito modo di loro (2227) 7
a misura del bisogno, vantaggio, od anche onesto divertimento: finalmente coll’astenerci
anche da ciò che può essere nocivo al nostro fine, ma anche da quello, che può essere
lecito praticando cosi l’astinenza, e la mortificazione.
E prima dì tutto dove prendere un libro, od una lingua che parli più eloquentemente
di Dio che questo vasto campo di cose create; interroga i giumenti, dice Giobbe, e nel loro
linguaggio ti diranno che v’è un Dio che li creò: interroga iumenta, et docebunt te. fin
gli uccelli dell’aria te lo sapranno dire: volatilia Coeli et indicabunt tibi [Gb 12,7]: tutte
le cose create anche più basse, anche più piccole tutte hanno una lingua, ed una voce da
decantare qualche suo attributo: chi non ammira la grandezza, la potenza, e la sapienza
di un Dio nella quantità, e bellezza delle cose create. Coeli enarrant gloriam Dei, et opera
manum ejus annuntiat firmamentum [Sai 8,1] e che pensiamo a noi, che abbiano costato
a Dio tanti e si bei corpi in Cielo, tante e sì varie specie di cose in terra: nient’altro che una
parola, anzi meno un semplice atto di sua volontà: ipse dixit et facta sunt. ipse mandavit
et creata snnt [Sai 32,9]. Che sapienza non mostra, non dirò già il governo così informe
m e costante del mondo, non dirò la costruzione d ’un uomo, ma la formazione d’un solo
insetto. Ma se gli attributi di Dio risplendono, e gareggiamo si può dire fra loro nelle cose
create, chi in questa, chi in quella, in tutte poi senza eccezione parla, e si manifesta la sua
bontà verso di noi; eh! bisogna proprio essere senza cuore per negargli quest’omaggio, e

97
Esercizi Spirituali ai Clero ^ Meditazioni

(2232) Per esser pronti e facili a qualche volontaria, e virtuosa privazione, per
sopportare facilmente le creat con rassegnazione le creature moleste, e tanti
amari accidenti, di cui è piena la vita uopo è

la nostra riconoscenza;-.dii di noi avrebbe pensato di dimandare a Dio tante cosesquan­


d’anche tutto fosse stato in nostra mano, e se l’amore, giusta la regola di S. Gregorio, va
misurato dalle opere, quante prove, e testimonianze del suo amore del nostro Dio non
abbiamo noi ci pose Iddio sottocchio

(2228) 8 nel numero incalcolabile di tante cose create, ma ricordiamoci che mentre ci provano
la bontà, e l’amor del nostro Dio ci chiamano si può dire colla stessa voce la nostra corri­
spondenza; è noto il pio sentimento e la dolce contesa di quel buon Religioso: camminava
egli per la campagna, e gli pareva che fino le erbe, ed i fiori al srro s inchinassero al suo
passaggio per dirgli che eran fatture del suo Dio, e che amasse un si buon Signore: le invi­
tava con santa semplicità a tacere, e pure pareva più. loro alzavan la voce; ma come render
mute quelle lingue, e serrar quelle bocche che la natura stessa, il suo creatore le aveva fatte
così eloquenti; non altrimenti la pensava qucU’infiammato cuore di S. Agostino: Coelum.
et terra, et omnia quae in eis sunt. ecce undique mi hi dicunt ut ameni te [citato da S.
A l f o n s o M. D e ’ L i q u o r i , Sermoni compendiati per tutte le domeniche dell'anno, Marietti,
Torino 1831, p. 329] : solo adunque i nostri cuori saran freddi, e insensibili, e sordi a tante
voci, solo noi, mentre tutto il resto fa la parola del suo Signore, noi soli stenteremo a far
quello che fanno le stesse creature irragionevoli, ebbene da mezzi quai ci sono di salute,
diverranno monumenti eterni e parlanti della nostra ingratitudine e sconoscenza; tanto
più se non contenti di ascoltare tanti loro inviti, ed impulsi, di loro stessi ci abuseremo
contro il Creatore, e contro il loro,, e nostro fine: ed eccoci con questo a quella grande,
anzi massima Conseguenza che dalla verità finora considerata ne deduce S. Ignazio: unde
sequitur utendum illis vel abstinendum eaténus esse, quatemus ad prosecutionem finis
vel conferunt. vel obsunt [Es. Spirituali, n. 23]. Massima, diceva, ella è questa di massima
importanza, ma pure naturalissima e necessaria. Se Iddio è quegli il padrone, e tiene in
sua mano tutte quante le cose create, se egli me l’ha date, me le da, e me le conserva
unicamente a ciò che mi ajutino a servirlo, e salvarmi, uopo è adunque per non contradire
aH’ordine da Dio stabilito che io me ne serva in modo da poter ottenere

(2229) 9 il fine, che Dio intende, Le cose create non si può dire che in se sieno cattive, che anzi
si legge nella Sacra Scrittura: vidit que Deus cuncta quae fecerat et erant valde bona Gen.
cap. 1,31 ma ciò che in se è buono, non è sempre tale relativamente, e ciò è che ad uno è
mezzo di salute, ad un altro può divenire inciampo di perdizione: dice S. Gregorio: quod
uni prodest ad vitam, alteri obest perditionem. Andiamo per esempi: chi può negare che
sieno mezzi e mezzi possenti di Salute: un buon talento, una sanità robusta la roba, le
dignità stesse, che cosa migliore tra le cose create, e quanti meriti e che bel paradiso può
guadagnarsi uno con questi mezzi di Salute, eppure quanti in queste cose invece della
loro salute operarono la Soro perdizione, ed ecco lo scoglio, da cui ci vuol guardare S,
Ignazio: ognuno deve misurare le sue forze, deve considerare le sue [cancellatura illeggi­
bile■] propensioni; deve esaminare tutte le circostanze, e poi appigl se non vuol sbagliarla
appigliarsi, o guardarsi da ciò che secondo lo Spirito di Dio, e non secondo la prudenza

98
Giorno p rim o M editazione Seconda - Fine delle Creature

far un passo, che può parere a prima vista inutile, e troppo difficile, ed <2233) 12
è di proccurare di renderci indifferenti a tutte le cose create, il passo è di

della carne, e del mondo si conosce più conducente al nostro fine. La massima è presto
detta, e non può essere contrastata, ma l’applicazione non sarà cosi facile. Serviamoci
d’un esempio: l’artigiano tiene nella sua officina tanti instrumenti, ed arnesi, chi fatto
d’una maniera, chi d’un altra, chi ha una forma, un altro diversa chi più chi men bello,
e via: a quali si appiglia l’artigiano per compir bene il suo lavoro, forse ai più belli, ai
più lucidi, ai più preziosi? forse sì forse nò, perché non bada già alla bellezza ed al valore
dell’istrumento, ma bensì alla na a ciò che vuol fare, onde prende o lascia quello che lo
può condurre a buon termine del suo lavoro; e scegliesse alla rinfusa si mette al pericolo
di travagliar al vento, perdere il tempo, e la fatica per far niente più che un opera informe,
così, Signori

miei, lasciatemi dir così capita nella grande officina di questo mondo; noi tutti (2230) 10
abbiamo tra le mani un lavoro a fare a compire, che è la salute dell’anima nostra, il
Signore si può dire che l’ha compiuto questo mondo di instrumenti, e di mezzi per lavo­
rarvi d’attorno, ma per non sbagliarla badiamo alla scielta, ed al modo con cui li maneg­
giamo, e perciò veniamo un po’ al pratico per quello che appartiene allo stato nostro;
uno avrà avuto dal Signore una certa capacità, una buona sanità da poter intraprendere
opere da potersi promettere una buona riuscita nella carriera delle lettere; qual genere di
studio adunque intraprendere; se noi consultiamo il mondo, i parenti, l’amor proprio, ci
diranno quello che risplende di più nel pubblico, quello che promette maggior guadagno,
o più pronto, quello che stuzzica di più la curiosità del nostro intelletto; ma badiamo che
il Signore non mi ha dato questa facoltà perché me ne serva a mio arbitrio, perché cerchi
con essa una fortuna, o contenti la casa, ma me l’ha data unicamente perché mi serva di
mezzo al mio fine, adunque quel genere di studio è meno splendente, ma più utile si confò,
col mio stato, quell’altro promette minori risorse, ma mi lascia più campo di lavorare nel
mio ministero, quello studio mi sarà utile sì, ma intanto mi leva il tempo ad un altro che
mi è necessario: e poi senza aver tanto talento, quei poco, che abbiamo, ce ne serviamo
proprio per quel fine per cui l’abbiamo avuto il Signore ce l’ha dato. Oh! fortunato il
mondo, fortunata la chiesa se tutti i sacerdoti trafficassero per questo fine quel tanto di
talento, che hanno per poco che ne avessero, se poi si traffichi giudicatelo voi, eppure o
negare la verità che abbiamo posta e considerata, oppure confessare che i più dei sacerdoti
si abusano di questa loro facoltà: andiamo innanzi: si presentano nel nostro Ministero
diverse occupazioni, diversi impieghi, in diversi luoghi, con persone diverse: qual lasciare,
e qual scegliere? Oh! Signori miei, siamo nello stesso punto: chi la vuol fare da prudente
e da saggio,

colui, che veramente considera queste cose come mezzi che Iddio gli da pel suo fine (2231) 11
non fìssa i suoi sguardi dove vi è maggior lucro, maggior comodo, maggior inclinazione,
ma bensì in ciò solo che più fa pel suo stato, e pel suo fine, dove l’anima è più sicura, dove
vi sono meno pericoli, dove vi sarà maggior campo per far del bene, dove si potrà coltivar
più se stesso; ecco la mira, ecco i riflessi che si devono fare in questa occasione se vera­
mente si mirano le cose create per quello che sono; utendum vel abstinendum eatenus est

99
Esercizi Spirituali al Clero " Meditazioni

ed ecco le parole del Santo: qua propter debemus absque dif-


ferentia non habere circa res creatas om nes12. e nomina specialmente quat­
tro cose, circa le quali vuole che ci sforziamo ad avere questa indifferenza:
e sono essere indifferenti dall’aver buona sanità, oppure patire incomodi di
salute, indifferenti dall3essere comodi oppure nelle strettezze; indifferenti
dall’essere stimati nel mondo oppure sconosciuti, e disprezzati; indifferenti
finalmente a morir presto oppur vivere lungamente, ecco le sue parole:
dopo d’aver detto l’antecedente, conchiude: ita ut quod in nobis est non
quaeramus sanitatem magis quam aegritudinem' neque divitias paupertati,
honorem contemptui. longam vitam brevi praeferamus13 e nomina queste
quattro cose solamente non già che voglia escludere le altre, ma perché a
questi quattro capi facilmente si possono ridurre tutte altre; del resto rac­
comanda indifferenza a tutto: circa res creatas om nes. Ma questo passo,
come diceva, può parere inutile, e quasi direi irragionevole, e perché volere
questa indifferenza? si vorrà fare un sasso di una creatura ragionevole, e che

quatenus ad prosecutionem finis vel confermi t. vel obsunt: uno avrà sortito dalla natura
un temperamento vivace, una complessione robusta da resistere a fatiche, che eccellente
mezzo per lavorare nella vigna del Signore si sa che questi temperamenti lasciati in lor
balia, in ozio a quanti pericoli espongono la persona dunque utendum . ed intendum in
modo da contenerli nel dovere, come faceva S. Gerolamo; uno sarà stato favorito dai
Signore di beni di fortuna, allevato tra comodi, oh! come è focile che il cuor si attacchi
alla roba e che divenga la sua porzione, ed eredità in vece di quella che ha scelto nel
Signore: dunque abstinendum assuefarsi a qualche volontario sacrifizio e mortificazione
per allontanare questo pericolo, e servirsi invece della roba per quel fine, che il Signore gli
ha dato.
Ma non basta ancora servirsi così delle cose create, ma bisogna di più conformare a
questa norma i nostri desideri; si dice, ed è proprio così, che i desideri sono i carnefici
dell’uomo; sono questi, che se non sono tenuti in briglia fanno del nostro cuore uno
spinajo senza lasciargli un momento, di requie, e che volete per conoscere la loro fame, un
mondo intero non è capace di farli tacere, e contentarli; oh che tanti desideri, tante viste,
tanti impegni e brighe per riuscirvi, non è questa la maniera di trovar pace: limitiamo i
nostri desideri, e come? Desideriamo

(2233) 15 solo ciò, e desideriamolo sólo sino a quel punto ed in quel tanto che il Signore può
conoscere vantaggioso pel nostro fine; vedressimo in allora che troveremo giorni un po’
più di caima, e giorni più tranquilli.
Ma per fare un retto uso delle cose create, e molto più per moderare i nostri desideri,
le nostre voglie.
Terminata questa lunga sezione barrata, con una nota il Cafasso rimanda alla pagina a
fronte.
12 S. I g n a z io , Esercizi spirituali, cit., n. 23.
13 Ibidem, n. 16 6.

100
Giorno prim o " M editazione Seconda Fine delle Creature

disordine vi è a desiderare questi bene terreni: osserviamo, Signori miei per


poco i motivi che ci possono consigliare e persuaderci questa indifferenza:
prima di tutto per una-persona che-siaindifferente per queste cose create vi
è m olto minor pericolo che oh! quanti dispiaceri, e disgusti ci può rispar­
miare questa indifferenza, si sa pur troppo che la nostra vita non è che un

tessuto, ed una vicenda continua di piaceri e di dispiaceri, ognuno (2235) 13


sa per propria esperienza a quanti infortunii, e perdite vada soggetto in
questo misero m ondo, nei beni di fortuna, negli impieghi, nella ripu­
tazione, nella Sanità, nella vita stessa. O h come pesano queste vicende,
queste perdite sul cuore d’una persona attaccata alle cose di questo mondo:
non relinquitur sine dolore quod curri amore possidetur: lo stesso diceva S.
Agostino: cum ea diliguntur. quae possumus contra voluntatem amittere
necesse est ut pro iis miserrime laboremus Med. pag. 5 4 114. Alle volte è tale
e tanto il dolore che dopo d’aver amareggiata la vita conduce ancor innanzi
tempo alla tomba; al contrario datemi una persona distaccata ed indiffe­
rente per le cose del mondo li sentirà è vero questi colpi, perché sono
comuni a tutti, ma non li sentirà certamente con quel peso, e dolore, e non
serviranno ad altro che a farle cader dal cuore vieppiù, questo mondo, ed a
mettere tutte le sue speranze in chi non si muta che è D io 15.

e perché i Santi tante anime sante, di cui leggiamo la vita, si può dire (2234)
che erano sempre con un medesimo sembiante, con una certa serenità, ed
allegrezza, che questo m ondo non sembrava per loro una valle di miserie,
e di pianto; forse ché mancavano a que’ Santi i suoi travagli, non avveni­
vano loro tanti, e si diversi casi: si certamente, e più scabrosi ancora che a
noi perché que’ che sono più Santi sogliono essere da D io maggiormente
provati; ma la cagione stava qui appunto, perché indifferenti a tutto sta­
vano intieramente rassegnati alla volontà di D io, comunque avesse di loro
disposto in questo misero mondo.

D i più oltre che questa indifferenza risparmia alla persona molti sacri- (2235) 13
fici, e disgusti, o per lo meno glieli rende meno dolorosi, la tiene lontana
ancora da tanti e tanti pericoli di prevaricare; tutti i peccati nascono dal
troppo attacco alle cose create dall’abuso che si fa di esse, perché vi si

14 S. A g o s t i n o , Enarr. in Ps., PL 36, c. 107.


15 Una nota rimanda alla pagina a fronte.

101
Esercizi Spirituali al Clero - Meditazioni

annida il cuore dentro, perché in pratica si vuole guardare come fine, ciò
che dovrebbe servire solo come mezzo; di qui appunto scaturisce l’origine
di tanti disordini, ma disordini che giammai, o solo raramente si vedranno
in una persona che sia giunta a questo segno di distacco di guardar con
occhio d’indifferenza tuttociò che v’ha e che capita in questa valle di mise­
rie, ma il motivo maggiore, che ci deve impegnare per questa indifferenza
si è il gran capitale di melili che ci può fruttare quc numero di grazie che
ci può attirare in questa vita, ed il gran capitale di meriti, che ci frutta
nell’altra; qui bisognerebbe aver campo e per esserne convinti basti solo
questo cioè osservare non esservi grado maggior di virtù, e di perfezione
che questo, cioè fatti indiffirenti a tutto e per tutto metterci come si

(2236) 14 dice di slancio, e ad occhi chiusi nelle mani del Signore, e lasciare che
lui disponga di noi, delle cose nostre, come delle cose tutte del mondo
come meglio richiede la gloria sua, e maggiormente piace alla volontà sua,
volere né più né meno di quello che vuole lui, volerlo non per altro che
perché lo vuole lui, volerlo come, e quando, e dove lo vuole lui; e ciò
senza eccezioni nella roba, nella stima, negli impieghi, nella sanita, nella
vita senza che noi propendiamo ad una cosa più che aH’altra, sempre egual­
mente contenti comunque Iddio voglia disporre, od abbia già disposto di
noi16.
Ma si dice quanto è difficile, questo passo sarà un privilegio solo di
qualche anima straordinaria, non bisogna pretendere che tutti vi possano
arrivare. Adaggio, Signori miei non facciamo la cosa più ardua di quello
che sia; e prima di tutto bisogna osservare che sotto nome d’indifferenza
non s’intende già indifferenza di senso, e nella parte, come si dice infe­
riore, questo sì che sarà un privilegio di qualche anima rara, ed infatti
datemi una persona indifferente quanto volete per la qualità del cibo, o
buono, o cattivo, ma se si dà un cibo ben condito sicuramente che sentirà
un gusto migliore, ma quando si dice d’essere indifferenti, s’intende nella
parte superiore, nella ragione, nella volontà; e vuol dire di rassegnarci intie­
ramente, e totalmente nella volontà del Signore, come già diceva di sopra,
senza clic vuol dire di spogliarci della nostra volontà; .e proccurare che la
nostra e quella di Dio formino una volontà sola, e sarà tanto difficile a
chi considera quasi gli innumerabili motivi che ci devono impegnare per
questa totale conformità, e rassegnazione, e poi la prevedeva anche S. Igna-

16 N el margine della pagina il Cafasso ha lasciato scritto: Mese di Maria.

102
Giorno prim o - M editazione Seconda ^ Fine delle Creature

zio questa difficoltà che si presenta anche a noi, epperò nel suo libro degli
Esercizi, non dice già di essere in un slancio come si suol dire indifferenti,
ma almeno

p r o c c u r a r e e v o le v a d ir e s fo rz a rs i, t e n ta r e p e r o g n i v e rs o d i r e n d e r c i (2238) 15
p o c o p e r v o lta i n d i f f e r e n t i 17.

Facesse e st facere nos indifferentes, e mentre dice di farci, e non esserlo (2237)
da chiaro a conoscere, che ci vuole in noi una violenza per potervi giun-
gere

Cominciar a moderare i nostri desideri, desiderare invece di aver questa (2238) 14


indifferenza, e coi casi che occorrono alla giornata farci forza per giungervi,
c quando si faccia proprio da vero, quand’anche dovesse costar un mira­
colo al Signor ci renderà tali, e giunti ci maraviglieremo, ci stupiremo di
noi stessi come mai ci sia costato tanto sì gran fatica per arrivarvi, tanta
sarà la facilità di praticarla.
: Ma vogliamo sapere il vero motivo, per cui ci sembra tanto difficile
questo passo, perché siamo m olto lontani da quello spirito, che è tutto
proprio delle nostra legge,-e si può dire che ne forma la midolla perché
non siamo convinti, e praticamente persuasi di quello che ella ci dice sulla
vanità delle cose create: consultiamo per poco le Sacre Scritture a che tante
difficoltà ad essere indifferenti per la vita e per la morte quando pensas­
simo come pensa lei che il giorno della morte va preferito a quello della
nostra nascita, tanti sono i mali di cui erano ripieni i nostri giorni melius
est... dies mortis, die nativitatis Ecl. 7 IS: e che tante difficoltà ad essere
indifferenti per le prosperità, od avversità quando la scrittura ci dice che
la casa dove si piange ci deve attrarre di più che quella dove si sta alle­
gramente: melius est ire ad domun luctus, quam ad domum convivi19:
e perché, perché in questa casa vivens cogitai quid futuram sit20. Ma
veniamo più da vicino, e prendiamo quel Sermone detto già dal Redentore
là sul monte alle turbe, sermone che tiene in se compendiato tutto lo Spi­
rito della nostra legge, e che forma il più forte baluardo ai pregiudizi del
mondo, prendiamo solo quello che può fare per noi: beati i poveri tanto

17 Una nota rimanda alla, pagina a fronte.


18 Qo 7,2.
19 Qo 7,3-
20 Qo 7,3.

103
Esercizi Spirituali al Clero -■ Meditazioni

di spirito, come in effetto: Beati pauperes. beati quei che ora piangono, e
sono travagliati: Beati, qui nunc flent. Beati coloro che sono perseguitati
colle parole, o co’ fatti nel loro bene che fanno, e queste persecuzioni man-
cano mai. Beati qui persecutionem patiuntur propter iustizjam: beati in
quel tempo stesso che più sarete vessati e si dirà ogni male di voi: Beati
cium... persecuti vos fuerint. et dixcrint omne malum adversum vos prop­
ter me21.

(2239) 1522 cioè per fare gli interessi miei, per zelare il m ìo onore, la mia gloria:
ora io dico adesso se noi fossimo proprio persuasi di questa verità, se la
pensassimo come la pensa il Vangelo, vi pare che vi andrebbe gran fatica
per giungere a questa indifferenza; se io fossi persuaso che agli occhi [di]
D io è beato non chi è ricco ma il povero, o almeno chi se ne vive distaccato
dalle ricchezze, beato non chi sta allegro, ed in feste, ma chi è travagliato
e piange; beato non chi è onorato, e stimato dal mondo ma chi sta scono­
sciuto, anzi disprezzato, e perseguitato, dovrei non solo essere indifferente,
ma desiderare piuttosto d1esser tale; ma S. Ignazio non va tanto avanti, e si
contenta di ridurci ad essere tali; eppure solo indifferenti, e se non lo
siamo e se troviamo tanta difficoltà per esserlo, segno chiaro è questo che
ancor m olto siamo lontani da quello Spirito le cose dì questo mondo ten­
gono ancor le sue radici nel nostro cuore, e che m olto ancor siamo lontani
da quello Spirito, che forma la midolla dei Vangelo; eppure se non l’ab­
biamo noi questo Spirito chi l’avrà? Lasciamo stare tanta gente che sono
nel m ondo, che a stento osservano i precetti, ben lontani d’aver lo Spirito
del Vangelo, ma noi che abbiamo già date le spalle del m ondo, noi che
scielti tra mezzo del popolo la facciamo da capitani, e da condottieri agli
altri, noi che tutto dì ci tocca inculcare, e far sentire gH altri la vanità;
il niente delle cose terrene, la penseremo come la pensa il comune del
m ondo e contradiceremo cogli fatti e coi nostri desideri a quello che ci
tocca dire giornalmente e dai pulpiti, e dai Tribunali di penitenza, che
tutto questo m ondo è niente, che bisogna vivere distaccati da tutto, star
rassegnati a tutto ciò che il comunque che il Signore voglia disporre di
noi, non sapere noi se sien più. le prosperità che ci convengano oppur le
avversità, se ci sia più utile il vivere o morire però doverci mettere nelle
sue mani ed essere disposti a far sempre ed in tutto la sua volontà: sono

21 M t 5,3-10.
22 Erroneamente il Cafasso segna anche questa come pagina 15.

104
Giorno prim o ^ M editazione Seconda - Fine delle Creature

questi i discorsi, che dobbiamo tenere, queste le massime che dobbiamo


battere continuamente, e lo sapremo solo adoperare per gli altri, e poi farne
eccezione per noi: oh! Signori miei,

la materia è troppo importante, uopo è impegnarci benché costi un po’ (2241) 16


di forza e lo prevedeva anche S. Ignazio che vi voleva violenza, epperciò
non disse propriamente essere indifferenti, ma bensì proccurare, sforzarci
per renderci tali.
Coraggio adunque signori miei, ripeto per giungere a questo punto di
guardar con occhio di indifferenza quanto ha questo mondo: se si tratta di
peccato va fuggito, va impedito ad ogni costo, se si vede la gloria di Dio va
proccurata con ogni impegno, indifferenza no: ma del resto indifferenti a
tutto23.

Tutto quello che Dio ha fatto, o dispone continuamente d’attorno (2240)


a me, o di me stesso, tutto l’ha fatto, o lo dispone perché mi serva al
mio fine; ogni cosa indistintamente, sia prospera sia avversa, sia amara
sia dolce, tutto dico mi può servire egualmente a conseguirlo, comunque
se ne risenta la mia delicatezza, comunque la pensi il mondo, comunque
compaja ai miei occhi, sono certo che tutto può servirmi al fine sieno
disgrazie sieno favori sieno persecuzioni, sieno benedizioni, sia povertà,
sian comodi, sia vanità, sieno malattie, tutto mi può giovare egualmente
di qui partiva quel bel sentimento di S. Francesco di Sales, dove il Santo
diceva, che lui desiderava ben poche cose a questo mondo, e che quel poco
stesso Io desiderava molto poco così quell’altra massima che inculcava:
desiderare niente e rifiutar niente a questo mondo, lo chè si può inten­
dere di tutto ciò che accade dattorno a noi, persuasi che tutto avviene per
volontà di Dio, persuasi che tutto ci può servire egualmente per il nostro
fine non essere solleciti di avere più quello che quello, non essere crucciati
perché le cose sieno accadute, od accadono in un modo più che in un altro,
ma con egual occhio, con egual cuore ricevere ogni cosa, che accada e si
presenti a noi; sia dunque questo il primo proponimento della giornata di
renderci, o almeno sforzarci per essere indifferenti a tutto, indifferenti etc.

per gli applausi, o disprezzi del mondo, indifferenti per le sue pei suoi (2241) 16
comodi, e ricchezze, indifferenti da vivere, a morire; dirò di più: indiffe-

23 Con una nota, il Cafasso rimanda alla pagina a fronte.

105
Esercizi Spirituali al Clero " Meditazioni

renti perfino al genere di morte, al tempo, al come, al quando al luogo in


cui Dio piacerà a Dio indifferenti inso mina ~a; tutto insomma cui sia caro
egualmente, non una cosa più che l’altra, non più questo che quello, ma
quel solo, e quel tanto, ed in quel modo che a Dio piacerà. Oh il paradiso
in terra, oh il colmo della virtù felice tra noi chi arriverà a gustarlo lo saprà
trovare, felice chi sarà per aquistarlo. Così~sta. Io saprà godere, per costui vi
sarà paradiso in vita, paradiso in morte, ma paradiso più bello all’eternità.
Così sia.
Laus Deo, B.V. et S. Alphonso.

106
Giorno primo (2242)

Meditazione Terza
Sopra l’importanza della salute
Terza degli Esercizi

Siamo al mondo per servir Dio, vi siamo per servirlo sì, ma vi siamo ancora (2244) 1
per andarlo un giorno a godere in patria, che e il Cielo: il nostro cuore non
è fatto per essere felice in questo mondo, ma per meritare d’esserlo un dì in
paradiso. Ma che gioverebbe essere destinati ad un sì alto fine, se poi non
arrivassimo a conseguirlo: quanti, che come noi erano creati parimenti per
il Cielo, eppure al Cielo non vi sono giunti, né vi giungeranno mai più.
Che gioverebbe dico se l’altezza del nostro fine non avesse a servire che a
cavarci un giorno lacrime più amare d’averlo perduto. Bel Paradiso ti vedrò
mai piti, diceva morendo un eresiarca: Boudrant, pensiero del Cielo. Che
sarebbe dico se qualcuno di noi giunto al termine de’ suoi dì dovesse dal
letto di morte mandare questa voce, e questo gemito di dolore. Io voglio
sperare che non sia per capitare ad alcuno di noi sì fatale rovina, ma uopo
è a buon conto pensarvi, e provvedervi; il Signore senza di noi ci creò,
dice S. Agostino ci destinò a sì sublime fine, ma non crediamoci che voglia
fare un altrettanto nel farcelo conseguire, e senza di noi certamente non ci
salverà: qui crcavit te~sine te, non salvabit te siile te. Tocca adunque a noi
il metterci all’opera, e proccurare con tutto l’impegno d’arrivarvi ad ogni
costo. Egli è questo il più grande affare del mondo, il negozio de’ negozi,
come lo chiama S. Agostino: Negotium negotiorum salus aeterna. Egli è
questo l’affare di tutti sopra la terra tanto di me quanto di voi, tanto de’
secolari, come de’ Sacerdoti. Noi predichiamo tutto l’anno sopra questo
grande affare dell’anima, tutte le nostre fatiche, tutti i nostri sudori sono
diretti a questo scopo di salvar le anime, almeno lo dovrebbero essere, ma
in questa sera dimentichiamo per un momento tutte le altre, e figuriamoci
che non vi sia altra anima a salvare che la nostra, ed ognuno dica a se

' (fald. 4 7 ì fase. 170; nell’originale 2242-2261)

107
Esercizi Spirituali al Clero - Meditazioni

stesso: io che tutto giorno ricordo agli altri l’affare della loro salute, sì io,
anche io ho lo stesso negozio a trattare, ho un anima a salvare e quei Guai
che minacciò agli altri se non si salvano, un istesso Guai, anzi più terri­
bile ancora sovrasta a me, si a me parlo, che medito, se non arriverò a sal­
varmi.
Verità ella è questa fratelli miei tanto chiara e comune altrettanto
importante e necessaria a ricordarsi, ed io voglio chiudere questa prima
giornata del nostro ritiro con farne un particolare soggetto della nostra
Meditazione, io penso cioè trattenermi seco voi a considerare alcuni spe­
ciali motivi che ci devono determinare a pensare, ed a trattar con impegno
il grande affare dell’anima nostra; Ed io ridurrò i miei riflessi a questi tre
punti: cioè 1. che l’affare della nostra eterna salute è il massimo di tutti. 2
che è un affare tutto nostro e tutto proprio: 3 che è un affare senza rime­
dio1.
Figuriamoci che il nostro Angelo Custode dica a ciascheduno di noi
quello che i due Angeli dissero già al buon Loth in Sodoma: orsù è tempo
di salvar l’anima tua: salva animam tuam2: ma bada che è vicino lo stermi­
nio di questa città, non è più che di m omenti la sua vita; se vuoi scapparla,
se ti vuoi salvare uopo è far presto, e non perder tempo: festina, et salvare;
così figuriamoci che ci dica al cuore in questo punto un altro Angelo man­
dato dal Signore: orsù, Sacerdote fratei mio, se vuoi salvarti è tempo; è già
decretato e fisso lo sterminio di questo mondo, non può più durarla gran
pezza, se non altro non possono essere più tanto lunghi i tuoi giorni, se

1 L’originale procede con il seguente testo cancellato: A fine adunque d ’impegnarci tutti
quanti, ci fermeremo in questa sera a considerare la grande importanza, per quindi vedere
qual diligenza, e qual massimo impegno ognuno vi debba mettere: ebbene diciamolo
subito, egli è della massima importanza sia che lo riguardiamo nel suo oggetto, sia nelle
sue circostanze, come nella: finalmente nella sua riuscita. Massimo nel suo oggetto, deli­
catissimo nelle sue circostanze, importantissimo nella sua riuscita.
E di massima importanza, epperciò degno della massima cura primieramente nel suo
oggetto, perché in questo affare non si tratta di meno che salvar un anima, che deve esser
tutto in questo mondo. Secondo è di massima importanza e degno di tutte le attenzioni
nelle sue circostanze, perché dobbiamo trattare questo grande affare tra mille pericoli, in
breve tempo, senza poterlo affidare ad altri in vece nostra; finalmente non è meno impor­
tante se lo guardiamo nella sua riuscita, poiché se mai andasse a male, la perdita sarebbe
irreparabile. Eccovi, Signori miei, i tre punti che chiamano in questa sera la nostra più
grande attenzione.
2 Gn 19,17.

108
Giorno prim o - M editazione . Terza " Sopra, l'importanza della salute

vuoi fuggire la tua rovina, da mano all’opera, che non hai più tempo ad
aspettare:

festina et salvare3. (224fi)2

3 Ibidem. I l testo procede con due pagine cancellate:

O h fosse un po vero, Signori miei, che in questa sera c’infiammassimo di un grande (2246) 2
zelo, non già solo a salvare le anime altrui, im prima d'ogni altra a salvare l’anima nostra
propria, quell’anima che prima di ogni altra ha il diritto di essere da noi salvata, deh!
voi o Signore, voi che da quella croce meglio che ogni altro predicate il pregio, e l’impor­
tanza delle anime nostre, voi fateci in quest’oggi capire, e scolpiteci ben in cuore quella
gran sentenza già registrata ne vostri divini libri, che non v e fortuna che tenga a questo
mondo, non v’è bene che conti quando non vi sia assieme la cura delFanima propria, lo
studio della propria salute: non est, non est bonum ubi non est animae scientia. Proverb.
19, [2],
Se noi, Signori miei, salendo in pulpito ci facessimo a parlar al popolo di un affare
temporale, e gli mettessimo innanzi la speranza di un gran guadagno; di più gli mostras­
simo i mezzi per ben riuscirlo, oh! che attenzione sono certo che riscuoteressimo dalla
nostra udienza, che affluenza di gente correrebbe a sentirci, e che attività, quanti maneggi,
e traffici non si vedrebbero in un po’ di tempo. Ma e come va dunque che tutto l’anno si
predica, si tuona, si può dire, sul grande affare dell’anima propria, centinaia di bocche si
stancano giornalmente ad inculcare, a raccomandare un si importante affare, e nelle città,
e ne’ paesi, e dai pulpiti, e ne tribunali di penitenza, fino nelle case, in conversazioni, per
le strade si batte coll’occasione su questo punto, che v’è un anima da salvare, esser questo
il primo de’ negozi, anzi l’unico al mondo: eppure si usa pena a sentire, e quello che è
più anche tra chi sente pochi sono quei che si svegliano e si mettano proprio davvero a
pensarvi, e studiar per riuscirlo, ed invece di essere il primo da molti appena si ha per l’ul­
timo; si pensa, e si provvede a tutto a questo mondo, ai lavori, ai negozi, ai divertimenti,
vi è tempo per tutto per lavorare, per riposare, per divertirsi, si trova il tempo a far tanti
peccati, solo all’anima non si pensa, e solo per questo grande affare non si trova il tempo:
come va, signori miei, un sì fatto disordine, quale la causa di tanto male? Oh!... a me par
facile l’indovinarla; non si pensa all’anima, si trascurarsi dimentica, perché praticamente
non se ne fa la stima, che si merita, non se ne conosce il suo valore, il suo pregio, l’affare
della propria salute va alla peggio perché in pratica o non si conosce, o non si pensa alla
sua grande importanza: oh! errore, ed inganno fatale che manda in rovina tante anime
infelici. Oh! conoscessimo almeno noi una volta il pregio di quell’anima, che il Signore ci
ha data; e per ben conoscerlo io credo che non abbiamo miglior scuola, e miglior Maestro
che ce

lo insegni che questo Crocefisso. Il Dio che pende da questa, croce è quel Dio stesso (2248) 3
che l’ha creata, è quel Dio che l’ha redenta, deh! se stentiamo a credere a chi l’ha fatta,
dice Eusebio Emisseno, crediamo almeno a ciò che costò la sua redenzione: si non vis
credere Factori. interroga Redemptorem [in Sermoni, cit., p. 257, dove però è attribuito
a S. Eucherio]. A questo mondo si suole misurare il valore e la preziosità di un oggetto

109
Esercizi Spirituali al Clero *• Meditazioni

(2245) Entriamo in questa Meditazione con metterci in mente quella gran sen­
tenza che noi stessi avremo detto tante volte agli altri, cioè che non v è
fortuna al m ondo che tenga, non v’è bene che conti quando non vi sia

dal costo, e dalla spesa che importa; ebbene io domando solo che cosa abbia costato la
compra, lasciatemi dir cosi, ed il riscatto di un anima: non bastò tutto Foro del mondo;
non avrebbero bastate le fatiche, e gli stenti di tutti gli uomini, nemmeno sarebbe stato
sufficiente il sangue, e la vita loro: dico di più; nemmeno un Angelo, anzi nemmeno tutti
gli Angeli insieme avrebbero potuto redimerla, ma se si volle redenta, toccò a un Dìo ad
usare di sua onnipotenza, a sborsarne il costo, e a darne per prezzo il sangue, e la vita;
guarda o anima, esclama già S. Agostino, e mira su questa croce fin dove giunga il tuo
valore: anima erige te. tanti vales [S. A g o s t i n o , Endrr. in Ps., PL 3 7 , c. 1 3 2 0 ] ; è un Dio,
quegli, che te un dì per te agonizzò; e spirò su questa croce, il figliuol deU’eterno padre, la
gioia, la delizia dei paradiso, la consolazione di tutte le anime sante, ebbene tu vali quanto
vale un oggetto si caro al Cielo, ed alla terra: anima erige te. tanti vales: tu vali quanto vale
quel capo stracciato dalle spine, tu vali quanto valgono quelle carni lacerate da flagelli, si
tanti vales. Vuoi di più; tu vali quanto vale quel sangue che sgorgò da quelle piaghe, tu
vali quanto vale quel cuore divino: tanti vales. tu vali in somma quanto può valere e terra
e Cielo assieme, dirò tutto in poco, tu vali quanto vale un Dio. Oh valore... oh pregio
grande d’un anima, chi mai tra gli uomini, e chi mai degli Angeli stessi potrà arrivar a
comprenderlo; ma lo comprende bene il demonio che per guadagnarne una sola non la
perdona a continue fatiche: circuit quaerens quem devoret [1 P t 5,8], e se questo non
basta, gitterebbe un mondo intiero, anzi mille mondi se li avesse per poterla guadagnare:
omnia dabo tibi si cadens adoraveris me \M t 4,9], e ben con ragione lo farebbe, perché
non v’è oro, non vi sono ricchezze a questo mondo che possano meritare il paragone di
un anima, mentre tutti i tesori della terra non sarebbero che poca polvere al suo cospetto:
omne aurum in comparatione illius arena est exigua.
Oh! la capissero un po’ questa verità quei tanti de5 nostri giorni, che trattandosi di
anima, e di salvarsi, loro pare niente più che un giuoco, e sembra proprio che scherzino,
come diceva già Tertulliano ai suoi tempi, sull’affare deU’eterna salute: ludunt de officio
salutis [T e r t u l l ia n o , Apologetica, PL 1, c. 438]; eh!... che a costoro ben sta che lo Spi­
rito Santo per bocca dell’Eclesiastico li preghi, e loro raccomandi d’aver pietà, e compas­
sione deH’anima propria: miserere. mi.serere animae tue [Sir 30,24]. Che si perda a questo
mondo

(2250) 4 un impiego, un eredità, una lite, non si può più aver pace, non v’è ragione che valga a
quietare, si sospira, si geme, si piange, si da quasi in delirio; al contrario si perde l’anima
col peccato, e pende lì per un filo a rovinar eternamente, eppure quasi non si bada, anzi
vi si passano sopra i giorni allegramente come niente vi fosse a temere, e sempre vi fosse
tempo di rimediare; eh! Signori miei, vi sarà tempo sì, ma tempo per piangere, e piangere
con ben amare lacrime, ma non vi sarà più tempo per porvi rimedio, e quanti fin da
questo punto piangeranno alflnferno inutilmente per non aver pianto in tempo utile; ma
lasciamo stare tanti di questi ciechi, ed insensati che vi sono nel mondo, e veniamo a
noi, giacché questi pochi giorni hanno da essere tutti per noi. Dunque io ho un anima
da salvare, è questo il primo, il più grande, anzi l’unico affare si può dire che il Signore
m’abbia dato a trattare in questo mondo: unum mi hi est negotium. praeter hoc nihil
Giorno prim o " M editazione Terza - Sopra l ’importanza della salute

assieme la cura dell’anima propria, lo studio della propria salute: non est,
non est bonum ubi non est animae scientia. Proverb. 19[,2].

curo, diceva il santo Vescovo Eucherio. Cosi è, e cosi deve essere di tutti noi, Signori miei,
l’affare che ha da occupare tutti i nostri giorni, anzi tutti i nostri momenti ha da essere
questo dell’anima nostra, e sarà di troppo quando vorressimo pensare a quello che fece e
fa un Dio per salvar quest’anima stessa, e quello che fece, e fa l’inferno per dannarla; deh!
fratelli miei, conchiuda per me questo punto l’Appostolo Paolo, vi prego, e vi scongiuro
nel Signore a non dimenticare, ma a trattar con tutto l’impegno questo grande affare
dell’anima vostra: fratres rogamus. et obsecramus in Domino ut negotium vestrum agatis
[7 Ti 4,1.11]. E sarebbe la più grande delle pazzie, l’errore degli errori, come dice tra S.
Eucherio, il trascurare, o trattar solo freddamente un tanto affare: supra omnem errorem
negotium salutis aeternae dissimulare [Epistulaparemtica, PL, c. 718].
E dovrà crescere in noi maggiormente un tale impegno per poco che vogliamo riflet-
tere al modo, con cui dobbiamo trattare un si grande affare: ho un anima da salvare, ma
mi tocca di salvarla tra mille nemici, che la cercano di perdere; ho un anima da salvare, ma
debbo sapere che mi sono fissi a questo oggetto gli anni, i mesi, i giorni, fino i momenti,
sicché spirati non vi sarà più tempo; almeno potessi in si breve tempo chiamar altri in
ajuto, e lasciar che altri lavorino con me, o per me, ma nò; questo è un affar tutto mio,
sono io che ho quest’anima, ed a me solo tocca il salvarla; epperciò tutto mi sarà il van­
taggio se la salvo, come tutto mio il danno se mai venissi a perderla.
Primieramente devono impegnarci per l’anima nostra i tanti pericoli, che vi sono di
perderla, e come_.noi non vi vuole né fatica, né tempo per conoscere una tale verità; il
mondo in cui viviamo, i tanti scandali che siamo costretti vedere contro nostra voglia, i!
peso di questa carne, sotto cui gemiamo giornalmente non ce ne lasciano dubitare, talché
bisogna sempre stare colle armi alla mano, ed essere in continua battaglia; militia est vita
hominis super terram [Gb 7,1]; e se ciò vale per tutti, tanto più per noi Sacerdoti, che
siamo come i Capitani di questa spirituale milizia; il demonio ci prende di mira, e ci tiene,
come

dice S. Gerolamo, per il suo cibo più scielto, i carichi grandi, e direi enormi che (2252) 5
pesano sul nostro stato, i pericoli molto più frequenti, a cui ci espone l’istesso nostro
Ministero, oh! Dio chi non temerà di noi, chi non gemerà sotto un sì gran carico. Fu
già detto de’ Sacerdoti antichi, e fu confermato ai nuovi di piangere, di sospirare per il
J i; popolo, per il perdono de’ suoi peccati: plorabunt Sacerdotes Ministri Domini etc [cfr. Gl
2,17]. Ma io dico cominciamo a far la causa nostra, cominciamo a piangere, a gemere per
noi, sui nostri pericoli, e chi dicesse altrimenti, gli direi che o non ne conosce gli obblighi,
le difficoltà, o non ne fa caso, e comunque sia non vi sarebbe che troppo da temere di
questo tale. Io non voglio già dire con questo di perdersi d’animo, di darla vinta e cederla
al nemico, ohimè non è questa la conseguenza, ma bensì di aprir gli occhi, non andar così
alla cieca, star vigilanti sopra di noi, e non perder né occasione, né tempo per trafficar il
gran negozio, che abbiamo prima di tutti noi Sacerdoti di salvar anime, ma soprattutto
l’anima propria; tanto più che non durerà gran tempo questa battaglia, già volge al fine,
e purtroppo presto si vedrà l’esito di sì importante affare.
Queste pagine cancellate sono sostituite da altre che si riportano di seguito nel testo.

.111
Esercizi Spirituali al Clero - Meditazioni

Che nel mondo si trascuri l’affare dell’anima, si pensi, si provveda, e


vi sia tempo per ogni temporale interesse, e non si pensi all’anima; che
si pianga fino alla disperazione una perdita temporale di una lite, di un
guadagno, di un impiego, e si miri con indifferenza, e tranquillità mor­
tale la perdita dell’anima, egli è un mal grande certamente, e cagione della
rovina di molte anime, ma è un male che par che meriti apparentemente
una qualche compassione: l’ignoranza in cui vivono i più, la quantità degli
affari che li opprimono, il rumore e lo strepito del mondo, in mezzo a cui
vivono, i legami che quasi necessariamente devono contrarre con questa
terra possono come diceva dar luogo ad una qualche compassione; ma mai
lo stesso potrà dirsi quando la cosa capiti in un Sacerdote: perditio tua ex te
ciò in special modo va detto del Sacerdote, che si danna; non perdiamoci
fratelli miei, altrimenti la nostra perdita non solo non troverà un motivo di
scusa, ma nemmeno una causa di apparente compassione ne appresso da
Dio, né dagli uomini, ne dalla nostra stessa coscienza, come lo vedremo a
suo tempo.
Ciò supposto per maggior importanza di ciò che sono per dire, io entro
ne’ motivi, che ci devono toccar da vicino a salvare l’anima nostra, ed il
primo io lo trovo in quella risoluzione stessa, che abbiamo preso in questi
giorni. Qual è fratelli miei, il motivo che ci cavò dalle nostre case, che ci
fece troncare le nostre occupazioni, che ci assoggettò a spese, ad incomodi,
che ci racchiuse in questo santo luogo come in un deserto: se qualcuno
ci interrogasse non esiteressimo a rispondere che fu l’affare dell’anima.
Ottima risposta ella è questa degna d’una bocca sacerdotale, e che parte
da un cuore che ha, e che vive di fede; ma non fermiamoci qua; se noi
ci addentriamo in questo pensiero non vi troveremo nascosta una ragione
fortissima a persuaderci della grande anzi massima importanza di questo
massimo affare; se il pensiero dell’anima mia ebbe forza sopra tutti gli altri
miei affari di interesse, di comodi, di sangue, di rispetti umani, e mi fece
sormontare, e mi rese superiore ad ogni altra difficoltà, che certamente il
demonio non avrà cessato di farci nascere, segno è questo che l’affare della
mia salute, dell’anima mia ha un che sopra gli altri tutti, che mi attorniano.
Ci sieno la mia lontananza dalla patria, il mio sequestramento su questo
mondo, Tincomodo di questi giorni come tante lingue me lo dicono, e me
lo devono persuadere, e

(2247) d’or in avanti anche fino alla morte ci sieno impressi questi giorni se
non per altro per tenerci presente l’importanza dell’anima nostra, che essi
ci dicono per la nostra propria scielta, e ci servano a persuadere che quando

112
Giorno prim o ^ M editazione Terza ^ Sopra l ’im portanza della salute

io penso, o dico ho un anima a salvare, sono al mondo per salvarmi, penso


e dico ciò che di più grande, di più importante, di massimo vi sia per me
sulla terra.
Un altro speciale motivo che ci deve impegnare nell’affare deir anima
sta riposto nella differenza che vi passa tra la salute nostra alla salute degli
altri; quando si dice che tanto il Sacerdote quanto il secolare ha un anima a
salvare, pare che sia lo stesso, e la cosa debba correre egualmente per tutti,
eppur non è così, e vi ha una differenza grande. Se il Sacerdote si salva la
sua salute è di maggior importanza, perché con essa avrà una gloria, un
paradiso più bello, più magnifico, se mai si danna la sua rovina più tre­
menda, l'inferno più terribile; chi ha una causa tra le mani, che tiene un
affare pendente va pensando al profitto, al vantaggio che ne avrebbe se lo
riesce, bilancia e misura il danno, che le può toccare se andasse a male, ed
a proporzione che spera, e che teme aumenta, o rallenta il proprio impe­
gno, le fatiche, gli incomodi, le spese. Faccia altrettanto il Sacerdote, pensi
per quello che spetta all’affare dell’anima propria, pensi al grado di quella
gloria che lo aspetta salvandosi, pensi al profondo, ed all’abisso di quella
pena, che lo sovrasta dannandosi, e poi decida e poi misuri qual dovrebbe
essere l’impegno per una felice riuscita; e chi mai tra gli uomini avrà a
sperare di più in Cielo, che un Eclesiástico: quel seggio di distinzione
che occupiamo nella Chiesa militante, stiam certi che io occuperemo pari-
menti nella Chiesa trionfante: nò che un paradiso comune, lasciatemi spie­
gar così, non è fatto per un Eclesiástico, per un anima scielta e grande,
generosa destinata ad alte imprese qual è quella d’un Sacerdote: i titoli, i
privilegi di cui Dio stesso lo favorì, la natura della sua vocazione, la gran­
dezza e quantità de’ meriti che si procaccia, le grandi e magnifiche pro­
messe che stanno registrate nelle sacre carte tutto le presagisce, le assicura
un posto, un seggio, una gloria sovragrande da sorpassar ogni altra: hic
erit magnus in Regno Coelorum4 così sta scritto del vero Sacerdote, sarà
grande tra grandi in Cielo, che vale a dire la sua grandezza eccederà tutte le
altre. Io non parlo qui della sua dannazione, vi dirò solo questo pensiero:
volete sapere l’abisso ed il profondo della sua rovina misuratela a rigore
dell’altezza di sua caduta. Nessuno può cadere di più alto così nessuno ptrò
cadendo può sommergersi, può abissarsi più a fondo; impara adunque o
Sacerdote fratei mio da questi due punti di speranza; e di timore la grande
importanza della tua salute: se tu ti limiti a zelarla al pari anche di un buon
secolare, che zela la propria, segno è questo che tu non conosci abbastanza
la preziosità, la conseguenza, il valore
Esercizi Spirituali al Clero ~ Meditazioni

(2249) dell’anima tua, l’importanza di salvarla. Noi abbiamo a sperar di più,


noi abbiamo a temer di più che un secolare, dunque più di lui dobbiamo
impegnarci a salvarci. Vero è che più d’una volta i secolari ci confondono,
e siamo costretti a desiderare che certi Sacerdoti zelassero la propria salute
al pari di un buon secolare, ma ciò non toglie la verità, che andiam con­
siderando, la colpa e la confusione è del Sacerdote che non conosce, o
conoscendola non apprezza questo grande affare, e Dio non voglia che un
dì mentre il semplice cristiano godrà in Cielo il frutto della sua salute, il
Sacerdote non l’abbia a piangere all’inferno irreparabilmente perduta.
Un terzo motivo per impegnarci in questo massimo negozio sì è che
trattandosi della salute di un Sacerdote non si tratta solamente della sal­
vezza di un anima sola, ma di molte e molte. Sìa che si salvi un Sacerdote,
sia che si danni non si dannerà, né si salverà a solo: solo non entra in
paradiso, e solo d’ordinario non cade all’inferno: io sono Sacerdote, e nel
mio stato, nella mia qualità ho un anima a salvare come tutti gli altri con
questo divario però che se io la salvo, colla mia si salveranno molte altre,
se io la perdo chi sa quante altre andranno a perdersi colla mia. Ogni qual
volta vien ordinato un Sacerdote, di lui può pronunziarsi in qualche modo
quello che già profetizó il vecchio Simeone del divin Redentore: positus est
hic in ruinam et resurrectionem muhorum3: ecco un nuo quel Sacro pre­
lato che stende le mani può alzar la voce per dire ecco un nuovo Sacerdote,
ed ecco nella chiesa un nuovo segno di contradizione, ecco una nuova
pietra di salute, o d’inciampo per molti; o che questo Sacerdote corrispon­
derà all’alto fine della sua Vocazione, e terrà una condotta conforme alla
dignità del suo stato, ed allora una quantità di anime, « t i troveranno in lui
un impegno, uno stimolo, un mezzo, un occasione di salute, oppure che
tradirà il suo Ministero, e devierà da’ suoi doveri, e stiam pur certi che
con lui si perderanno molte anime. Grande e terribile verità ella è questa
fratelli miei, che fa gemere più d’un Sacerdote; finché si tratta dell’anima
propria, toccherà noi a pensarvi, il bene od il male che ne avremo sarà
tutto nostro che ne abbiamo la colpa, ma quando trascurando l’affare della
nostra salute, mettiamo in pericolo le anime altrui, ah fratelli che amaro
riflesso egli è questo! e perché sacrificar tante vittime al demonio, e perché
rubar tante anime a Dio, e perché procurarci tanti compagni nella nostra
eterna rovina? si aggiunga a questo, che se noi trascuriamo solamente la
nostra propria salute, potremo prima di morire venire a migliori senti­
menti, e rimediarvi, ma il male che abbiamo fatto alle anime altrui col

5Le 2, 33.

114
Giorno prim o - M editazione Terza ~ Sopra l ’im portanza della salute

trascurare la propria come faremo a porvi rimedio; e se qualcuna fosse già


all'inferno, se diversi non li vedremo più, se altri si trovano già perduti

dietro il vizio e non vi è più mezzo a richiamarli. Ah fratelli miei io lo (2251)


dico schiettamente che non vedo nella nostra qualità un motivo più forte
per impegnarci che questo: io ho un anima a salvare, e dalla salute di que­
st’anima va a dipendere la salute di molte altre: io debbo adunque salvarla
perché non altri non abbiano a perdersi per cagione mia, perché altri non
abbiamo a prendere in me occasione di dannarsi; e quel Sacerdote che
non calcolasse sì fatto riflesso egli è in pericolo di aver un dì a sostenere
amari rimproveri, e crudeli rimorsi. Mettiamoci adunque in un santo e
forte impegno, e se poco cr eale facciamolo per l’anima propria, per quella
gloria speciale, per quel paradiso più bello che la attende, ma facciamolo
ancora per poter così salvare molti altri, e procurarci così più compagni, e
più testimoni della nostra gloria.
Se vogliamo ancor altri motivi che mai saranno troppi in un affare di
tanta importanza, io direi ancora che ci deve spingere a particolar vigilanza
ed impegno 1° la brevità del tempo che ci è concesso, 2 le guerre che deb­
biarli sostenere, per ben riuscirlo, 3 finalmente il poco ajuto che noi Sacer­
doti possiamo prometterci dagli altri in questo affare. Sono al mondo etc.

Sono al mondo per salvarmi, ma debbo pensare che non ho tempo a (2252) 2
perdere, quel D io, che mi affidò un sì gran negozio, mi fissò insieme il
tempo per a doverlo trattare. Chi sa, Signori miei, quanto tempo rimarrà
ancor a ciascuno di noi per provvedere, e salvare l’anima sua; chi sa se
avremo ancor molti anni, oppur pochi,-oppure che per qualcuno -non vi
siano più che mesi, eh!... niuno di noi lo sa, Numerum dierum meorum
quis est, ut sciam quid desit m ihi. Psalm. 38.5.
Solo sappiamo tutti quanti, che per m olti -batte l’ultima ora giornal­
mente finisce questo tempo per una quantità di persone; sappiamo ancora
che per tutti va scorrendo ogni giorni, e per m olti finisce termina nel fior
degli anni, nel meglio dei lor progetti, e mentre si speravano ancor lunghi
•¿imi lunga vita6.

II testo contìnua con le seguenti righe cancellate: Questo si lo sappiamo, nessuno lo può
ignorare, e la storia de’ tempi passati, come la continua esperienza non ce ne lascia dubi­
tare; ora io dico: siamo anche noi nello stesso pericolo, e la sorte degli alteri può essere la
nostra, tanto più che è fisso il numero de’ nostri giorni, e toccato appena il termine, non
vi sarà più scampo, non vi sarà più speranza di dilazione, o di mora.

115
Esercizi Spirituali al Clero - Meditazioni

Una persona che abbia pendente un grande affare, se sa che abbia a


decidersi di giorno in giorno non si può più dar pace, vive in una conti'
nua ansietà, risparmia né a fatiche, né a spese, supplica, prega, raccomanda
onde averne un esito felice; noi siamo nel caso: abbiamo pendente il più
grande affare del mondo, che è quello dell’anima nostra, ogni giorno, ogni
m om ento si può decidere, ogni momento può uscire quella gran sentenza,
che fisserà la nostra eterna sorte, e noi avremo cuore di perdere quei prc-
ziosi momenti, che la bontà del Signore ci vorrà ancor concedere; andar
avanti coi conti aggiustati chi sa come; ma e dove è la prudenza, dovè il
consiglio, sì potrebbe dimandar a tanti, ubi est prudentia, ubi est consi-
lium ma io direi di più, dove è la fede, possibile che si creda ad un anima
immortale, e si viva così7?
N on dorme già il nostro nemico che sapendo d’aver numerato il tempo,
si scatena in furore onde averne la vittoria: venit diabolus habens ìram
magnam sciens quod modicum tempus habet8; questa verità fa per ogni
epoca del viver nostro, giacché la nostra vita in qualunque punto si con-
sideri è sempre breve, e tende rapidamente al suo fine. Almeno questo
nemico ci venisse ad assalirci in massa, ma no capitani quai siamo di questa
spirituale milizia ci prende di mira dice S. Gerolamo, ci fa una guerra par­
ticolare, e più accanita. Com e fa il demonio, così il mondo, la perdonerà
questo maligno ad un secolare, ma non aspettiamoci che la perdoni ad
un Sacerdote, dal punto che abbiamo indossato questa divisa siam dive-
nuti suoi nemici, ci intimò la guerra, e ci fa d’uopo sostenerne lo sconto
(scontro) fino al termine del viver nostro. N on voglio dire con ciò di sgo­
mentarci, e darla vinta, no, ma bensì star avvertiti del nostro pericolo,
e fare come fa un buon soldato che allorché cresce l’impeto del nemico,
aumenta, raddoppia la forza ed il coraggio; tanto più che in questa batta­
glia e nella trattativa di questo grande affare non possiamo affidar la nostra
causa ad altri, e nessuno può fare le nostre veci, non v’è personaggio al
mondo che in questo possa fare per intiero le mie parti; anzi etc9.

7 L’originale rimanda, qui ad alcune righe scritte nella pagina a fiorite.


BAp 12,12.
5 L’originale continua con alcune righe cancellate: Si potrebbe ancor scusare la negli­
genza di costoro quando non curandosi loro, potessero lasciar altri a pensarvi in vece sua,
come si può fare negli affari di questo mondo; ma nò è questo un affare, a così spiegarmi
non ammetto proccure, non v’è personaggio al mondo che in questo possa far la vece
mia.

116
Giorno prim o * M editazione Terza - Sopra l ’im portanza della salute

Anzi quand’anche si mettesse tutto il m ondo a mio favore, non arri- 12254) 6
verebbe senza di me a salvar l’anima mia. Posso lasciar chi m i accudisca
i fondi, posso trovar chi maneggi i miei negozi, posso affidare ad altri
l’aquisto d’un fondo, il conseguimento d una carica, la cura, la difesa del
mio onore, fino della mia vita, ma non trovo già chi possa salvare per me
l’anima mia; è questo un interesse che va trattato tra me, e D io, e se io non
vi penso, nessuno vi pensa per me. Questo è vero per tutti, ma in particolar
maniera si avvera di noi Sacerdoti; se v’è persona al m ondo che nell’affare
della sua salute sia totalmente abbandonata a se stessa siamo noi Sacerdoti,
poiché, quand’anche sia vero che tocca a ciascuno a salvarsi l’anima pro­
pria, tuttavia trattandosi d’un laico, e d’una persona di mondo, se costui
non si da cura dell’anima propria, e viva spensierata, vi sono sempre per­
sone che per dovere, o per carità cercano di ridurlo sul buon sentiero, il
padre, la madre, se sono giovani, un parente un buon amico, se non altro
un buon pastore, che sta attento alle sue pecorelle un giorno o l’altro non
lo perderà di vista, ma per noi Sacerdoti, noi, Signori miei, chi ha coraggio
di avvisarci se non facciamo bene, se noi dimentichiamo l’anima nostra chi
s’accosterà per ricordarci che abbiamo un anima da salvare, eh!... è Sacer­
dote, deve sapere il suo dovere, tocca a lui a pensarvi, lo sa dire agli altri,
e via... si ciarlerà dietro di noi, ma frattanto ognuno si stringe alle spalle,
nessuno si mischia, non si trova chi ci voglia usarci questa carità, e dirci
schiettamente, si ricordi don tale che ha un anima da me, saprà che vi
è anche l’inferno per i Sacerdoti, eh!... nessuno certamente si arrischia a
tanto: alle volte perfino il Confessore non si tiene obligato di dirci quello
che in simili circostanze direbbe ad un laico sul riflesso, eh?... è Sacerdote,
deve sapere il suo dovere, eh?... dal saperlo al farlo vi è un gran passo10;

Oh! qualcuno può dire: io ho molte persone che pregano per me, eh! (2253)
io mi consolo, ma osservo che le preghiere degli altri non ci dispensano
d’ordinario dalla nostra cooperazione, e non devono diminuire la nostra
vigilanza; e poi io chiamerei si prega molto per noi Sacerdoti, io penso di
no, perché il m ondo è composto di buoni e di cattivi; i cattivi pregano
nemmeno per loro, onde non pensano a pregar per gli altri; i buoni poi
hanno un idea tanto favorevole di noi Sacerdoti che quasi credono noi non
averne bisogno, epperciò facilmente si dispensano, opinione certamente

10 II testo continua con alcune righe scritte nella pagina a fronte.

117
Esercizi Spirituali al Clero - Meditazioni

che ci fa onore, ma che soventi ci confonde e quasi sempre ci fa perdere.


Sicché fratelli miei etc.

(2254) 6 Sicché, Signori miei, lo ripeto, e non finirei di ripeterlo, se non pen-
siamo noi, ma noi a salvarci l’anima, nessuno propriamente vi pensa; ed
è perciò che troviamo così frequente raccomandata ai Sacerdoti di non
dimenticar se stessi, e d’aver cura dell’anima propria; già si sa nel vecchio
Testamento quanto era raccomandato a que’ Sacerdoti di proccurare di
essere santi; nel nuovo Testamento poi l’Appostolo S. Paolo volendo infor­
mare il suo diletto Timoteo per l’Appostolico Ministero innanzi tutto, ed
avanti tutte le cure, che le raccomandava

(2255) 7 e de’ giovani, e de’ vecchi, e delle figlie, e delle vedove, innanzi tutte gli
mette per la prima la cura dell'anima sua: attende tibi11. Il Venerabile servo
di Dio Tommaso a Chempis nel suo aureo libro De imitatione Chris ti, si
può dire che quasi in ogni pagina non fa che battere questa importante
verità, e comincia dal dire, qualunque sia la tua occupazione proccura che
vi sia sempre il tempo necessario per attendere a te stesso: quaere aptum
tempus vacandi tibiJ2; ma non si contenta, e ritornando sullo stesso punto,
vigila super te ipsum, si fa a dirci, te ipsum cxcita. te ipsum admonc, et
quidquid de aliis sii, non negligas te ipsum13: anzi ricordati che il primo
zelo ha da essere verso te stesso: habe primo zelum super te ipsum, e
perché si replicati avvisi, perché tanta raccomandazione? perché? Sentia­
molo; perché sappi continua il servo di Dio, perché è meglio viver nasco­
sto, e attendere a noi stessi, che negligentarci e far anche miracoli: melius
est latere, et sui curam agere, quam se neglecto signa facete14; ed io stimo
da più un vile rusticano, che serva al suo Dio, che un alto, e superbo filo­
sofo, che consideri il corso delle stelle, ed intanto trascuri se stesso: melior
est humilis rusticus' qui deo sérvit. quam superbus philosophus, qui se
neglecto cursum codi consideret15.
S. Bernardo poi fa maraviglia la libertà, e la franchezza ed il calore con
cui parla su questo punto ad Eugenio papa: era pur il Supremo Gerarca
della Chiesa, il Vicario di Cristo, eppur si stimò bene di compor un libro
quasi non per altro che per ricordargli una sì fatta verità. Il primo pensiero

11 1 Tini 4,16.
12 De imitatione Christi, I, XX, 1.
13 De imitatione Christi, I, XXV, 11.
14 De imitatione Christi, 1, XX, 6.
15 De imitatione Christi, I, II, 1.

118
Giorno prim o ** M editazione Terza ^ Sopra l ’importanza della salute

sia sempre rivolto a te stesso: a te considerado inchoet...16 perché che ti


gioverebbe se salvassi l’universo intiero perdendo te stesso. Se ti tengono
per sapiente, non lo sei ancora, se non sarai sapiente per te stesso: si sapiens
sis, des tibi ad sapientiam. si tibi sapiens non fueris se vuoi sapere quanto
ti manchi per esserlo, te lo dirò, ed a pensier mio ti manca tutto: quantum
vero deest ut quidem ego senserim. totum epperciò proccurati di tenerti
un luogo a parte, in cui come in porto ti possi di tanto in tanto ricoverare
dalla gran corrente degli affari, che ti opprimono: eligatur tibi aliquan-
tulum remotus locus. in quem veluti in portum quasi ex multa tempestate
r.nrarum te recipias17. Tu sei un uomo di tutti, gli continua a dire, ma proc-
cura di esserlo ancor per te stesso, perché ti gioverebbe esserlo per gli altri,
e non per te: si es homo omnium, esto etiam tui: alioquin quid tibi pro-
derit. si universos lucreris. te ipsum perdas?18. Signori miei, si belle lezioni
meritano di troppo la nostra attenzione; noi non siamo circondati, è vero,
dalle cure

e dagli affari d’un pontefice, ma non ci mancano anche le nostre occu- (2257) s
pazioni, anche noi nel nostro stato siamo uomini di tutti, ma deh! approf-
fittiamo di un sì bel’avviso, proccuriamo d’esserlo prima per noi, facciamo
in modo che in tutti i giorni vi sia qualche cosa per noi, e ciò sia detto non
solo per chi consumasse il suo tempo in bagatelle, ed in faccende tempo­
rali, ma anche per chi lavorasse da mattino a sera per le anime; io penso
che S. Bernardo abbia scritto, e dato quelli avvisi non già perché temesse
che perdesse inutilmente, ma bensì sul timore che le sue occupazioni per
il bene della Chiesa gli togliessero il tempo per il bene dell’anima sua, e lo
da a conoscere mentre gli dice: che ti gioverebbe salvar tutti gli altri, e
non salvar te stesso; sicché non può essere scusa sufficiente per dispensarci
dal pensare a noi stessi le continue nostre occupazioni per le anime, e poi
sarà mai vero zelo quello che ci porta a dimenticar noi medesimi, perché
il vero zelo, la vera carità, per esser tale deve essere ordinata, e quest’or­
dine vuole che il primo luogo l’abbia l’anima nostra, e che sorta di zelo,
di carità sarebbe mai quello che mentre manda gli altri avanti per la strada
del Cielo, ci ferma noi sul passo anzi ci facesse ancor ritornar addietro: si

16 S. B e r n a r d o , De Conridemtione, II, III, 6 , in Opere, I, Milano 1984. Le due cita­


zioni seguenti provengono dallo stesso paragrafo, ma sono riportate in modo erroneo dal
Cafasso. Esse suonano cosi nel testo di san Bernardo: «Si sapiens sis, deest tibi ad sapien­
tiam... quantum vero deest? ut quidem ego senserim, totum».
17 Ibidem.
18 De Consideratione, I, V, 6.

119
Esercizi Spirituali al Clero ~ Meditazioni

studia, si predica, si confessa, s’intraprendono mille facende or per questo,


or per quello, mai un momento, e tutto anche con buon fine, se volete, ma
frattanto come stanno i conti del cuore, che profitto si fa. Eh?... come sue-
cede in pratica alle volte quando si hanno tante occupazioni, si assumono
tante brighe: le pratiche di pietà, ed anche quelle che sono quasi indispen­
sabili in un Sacerdote, come sarebbero la Meditazione, un po’ d’esame di
coscienza, andiam dicendo, o che si om ettono, o si abbreviano, o si fanno
alla meglio: quindi non vi è più quella purità d’intenzione, che v’era prima,
v’entra già qualche cosa di umano in vista, non si prega, non si celebra
più con quel fervore, con quella gravità di prima, si comincia far il prete
per mestiere, non vi è più quella purità di coscienza, si comincia a passar
sopra alle cose piccole. Ohimè: habe primo zelum super te jpsum: vien qui
troppo acconcio ravviso: via si sistemi diversamente la vita, si trinciano
le occupazioni, ma si pensi allo stato dell’anima propria: vigila super te
ipsum, te ipsum excita. te ipsum admone, et quidquid de aliis sit. non
negligas te ipsum perché è questo un affare tutto tuo, un affare di t anto
rilievo che se mai la sbagli, non sei più in tempo, irreparabile ne è la rovina.

19 L’originale contìnua con un lungo testo cancellato: H o un’anima da salvare, mi tocca


di salvarla tra mille pericoli, non ho che pochi giorni per questo affare, sono già tanti
quei die ho perduti, sono quasi al fine colle mani vuote, eppure guai a me se la perdo,
ho perduto tutto in questo mondo, e quel che è peggio senza speranza di rimediarvi mai
più; ho un’anima sola, da_salvate e questa perduta non ne ho più un altra da salvare; ho
un anima, che perduta una volta è perduta per sempre; ad un negoziante che fallisca un
negozio vi è la speranza dì riuscirne un altro; -ad un povero contadino, che fa la raccolta si
consola col pensiero di un altra più abbondante; ma se perdiamo l’anima, Signori miei, è
finita, ella è sola, e con lei muore ogni speranza; in una famiglia, che vi sia un unico figlio,
oh quanta cura se ne ha, si può dire che è la gioja di tutti, si ha tutta l’attenzione possibile,
non si risparmiano né cure, né spese p d suo bene, e guai che venga ad ammaliarsi, guai
che minacci, tutta la casa è sossopra, non v’è più cosa die consoli, né roba, né comodi,
ma tutti in continuo lamento, e sospiro: ma perché? ed è tanto raro che si muoja anche
giovane; ma padre, si sa dire in tali occasioni, non si ha altro figlio, è solo, è l’unico soste­
gno, è la sola speranza, se manca si può dire che con lui manca tutto: bene, Signori miei,
ma perché non si ragiona in tal modo dell’anima: oh!... se si potesse far giungere questa
parola alle orecchie di tanti che sono nel mondo, oh ciechi, e spensierati, si potrebbe dir
loro, e non pensate che avete un anima da salvare, guai se la perdete, ella è sola per voi
tutto è perduto, perfino ogni speranza, perché perduta una volta è perduta per sempre:
ubi ceciderit, ibi erit. Periisse semel aeternum est, non vi saranno più né tempo, né prie-
ghi, né lacrime da potervi rimediare: periisse semel aeternum est. Io non vi trattengo di
più a richiamarvi alla mente una verità si conosciuta, solo io vi chiamo con me ad un
riflesso: portiamoci col nostro pensiero a quel di che chiuderà la nostra vita, figuriamoci

120
Giorno p rim o ^ M editazione Terza ^ Sopra l'importanza della salute

Lasciate fratelli miei che io chiuda questo importante argomento con (2258)

un riflesso che darà seria materia di meditazione per tutti, portiamoci col
nostro pensiero là a quell’ultimo giorno di nostra vita, là a quel punto in
cui daremo un addio a tutto questo mondo, e saremo per partire per la
nostra eternità: che ci gioverà in allora l’aver passati tanti anni di sacerdo­
zio, l’aver condotta una vita anche comoda in una occupazione di nostro
genio, in un luogo di nostra scielta, se la gloria di Dio, se l’anima nostra ne
avesse perduto? che ci gioverebbe aver contentato i parenti, aver secondato
le loro mire terrene, aver radunato anche roba, se poi dovessero finire i
nostri giorni con pene e rimorsi? che ci servirebbe esser giunti a quell’im­
piego, aver atteso a studi più dilettevoli che utili, aver avuto fama di eru­
diti, aver eccitato anche un nome della nostra persona se poi infine ed a
quell’ora fosse in pericolo la nostra salute? che gioverebbe dico? Fatto del­
l’altra Meditazione - secolari: moriva una persona etc. Ma qualcuno forse
può dire: oh! se si fermo avessero a fare sempre tante considerazioni, si
farebbe più niente a questo mondo, e si passerebbe sempre la vita a medi­
tare: si potrebbero a ciò dare tante risposte ma io dico solo, o farli in vita
sì fatti riflessi, cotesta meditazione, o che ci toccherà farla in morte, e cre­
dete voi che sien pochi non solo tra secolari, ma anche de’ Sacerdoti che
finiscono in questi tristi pensieri i loro giorni; noi che siamo testimoni e
depositari degli ultimi sentimenti con cui muojono le persone ed anche
Eclesiastiché più d’una volta l’avremo veduto, e toccato con mano: non
useranno sempre le stesse parole, che ho usato io adesso, ma l’occhio con
cui ci guardano in quel punto, i sospiri, e gemiti che mandano dal cuore,
quelle sortite paurose ed affannose che ci fanno parlano abbastanza chiaro,
e ci fanno conoscere lo stato doloroso del loro interno: sicché io ripeto o
farla adesso questa meditazione, o che ci toccherà farla al letto di morte, o
per sempre e senza frutto alfEternità: quante persone la staranno facendo
a quest’ora, sul fine dei loro giorni,

di trovarci sul letto di nostra morte, e là sul punto di partircene da questo mondo diciamo
un po’ a noi stessi: che ci gioverà in allora Tesser vissuti tanti anni, essere stati i più fortu­
nati del mondo, i più felici, esser giunti a quel tal impiego, l’aver spuntato quel impegno,
se verremo a perder l’anima; che ci gioveranno i comodi, gli onori, i divertimenti se un
di con essi perderemo ancor l’anima; Quid prodest homini. si mundum universum lucre-
tur, anima vero sua detrimentum patiatur [Mt 16,26] O h quante persone per non averla
meditata in vita, l’hanno dovuta meditare e piangere sul letto di morte.
Questo brano è sostituito da un altro scritto nella pagina a fronte, che viene riportato nel
testo.

121
Esercizi Spirituali al Clero - Meditazioni

(2259) e sa quanti altri a quest’ora la piangeranno la faranno aH’Inferno,


con quelle dolorose parole rapportate nel divin libro della Sapienza: Quid
profuit nobis superbia, quid contulit divitiarum jactantia, transierunt
tamquam umbra omnia illa2Q. Castigo ben degno egli è questo, che chi
non vuol saperne di questa verità nel tempo, vi pensi poi, e lo debba meri­
tare poi all’eternità; o dire adesso: che mi giova, oppur che un dì dovrò
anche io dire assieme a tanti infelici: che mi giovò. Ma se lo sbaglio in altro
genere, sarebbe poca cosa, Signori miei, in questo sarebbe troppo grande,
e dove uno sbaglio più grande al mondo che perder l’anima, e perderla per
sempre21;
(Altro fatto etc. Vi erano due figli...)

(2261) io Moriva S. Alfonso de’ Liguori quando si presentò al letto di morte un


suo nipote che colle ginocchia a terra, e colle lagrime agli cocchi lo pregava
di qualche ricordo per sua memoria di un sì gran Zio: Nipote mio, rispose
il santo già quasi moribondo, la memoria che ti lascio è questa, che ti salvi
l’anima e non fc gran tempo che si-fesse. Si legge negli annali della propa­
gazione delle fede (1842. fase. 83) d’un padre, che trovandosi tra ferri e
vicino alla morte per la confessione della propria fede, fù visitato da due
suoi figliuoli. E in quest’ultima e sì cara occasione non potè credè poter
loro raccomandare altra cosa più importante, che questo rilevantissimo
affare: figli miei, stringendoseli al seno disse loro, il vostro padre sta ormai
per morire; udite l’estrema mia raccomandazione, e ripetetela in nome mio
a tutti Ì vostri fratelli: ricordatevi che avete un anima sola...
Quante volte l’avrem annunziata noi dal pulpito questa verità, quante
volte, ed a quante persone l’avremo noi detto nel tribunale di penitenza, a
certe anime principalmente più trascurate, ed indolenti... ma pensi che ha
un anima, che le gioverà infine se verrà poi a perdersi; oh! quante volte avrà
un dì a pentirsi, ed a piangere un tanto male. Ma lasciamo, non è questo il
tempo di pensar ad altri uopo è pensar a noi, figuriamoci in questo punto

20 Sap 5,8.
21 E testo prosegue con il seguete brano barrato: e voglia pur Iddio clic nessuno di noi
l’abbia a provare un di; ma per non averlo a provare, uopo che si pensi davvero: mettia­
moci bene in mente questa gran verità, che non abbiamo altro affare al mondo che quello
di salvarci, abbiamo da salvare un anima, e va salvata ad ogni costo: pereat mundi liicnim.
si perda pur la roba, la sanità, la vita stessa, ma per pietà non si perda l’anima. Maestà,
disse una volta S, Nilo all’imperatore Ottone, si ricordi che ha un anima, ella è più pre­
ziosa che tutto il suo Impero, le dimando questa grazia che proccuri di salvarla.
Giorno prim o - M editazione Terza ^ Sopra l ’importanza della salute

che non vi sia altra anima da salvare che la nostra, e ci si dica a ciascun di
noi quello che abbiamo detto agli altri non è un santo, non è un' Confessor
della fede che parla, è Iddio stesso che da quel Tabernacolo, da questa croce
ci fa sentire le dolci, e secrete sue voci22:

è quel Dio che più d’ogni altro desidera che si salvi il suo Ministro. (2260)

Una grazia ti domando, o figlio mio, una memoria io ti lascio: ricor- (2261) io
dati che hai un anima a salvare, ricordati che hai un’anima sola e pensa
che va salvata ad ogni costo. Stampiamoci in mente, ed in cuore, Signori
miei, si gran verità, sì importante lezione, che più grande non se ne trova
al mondo, portiamola sempre con noi per ricordarla soventi a noi stessi, e
per poterla dire con calore, e con frutto a tutte quelle anime che il Signore
manderà ai nostri piedi23.

Non v’è sentenza, non v’è massima né più utile, né più grande, né più (2260)
degna di risuonare sulle nostre labbra che questa: v’è un anima e pensi, e
si ricordi che va salvata, salvata al più presto, salvata ad ogni costo: egli è
questo si perda la roba, si perda la Sanità, si perda la vita stessa, ma non si
perda l’anima: o ricco o povero, o onorato o disprezzato, da morir presto,
o morir tardi niente importa, ma si salvi Tanima. E perché? perché egli
è questo il primo, il massimo, anzi l’unico affare del mondo arrivar a sal­
varsi. Festina adunque, o Sacerdote, festina et salvare: salva, salva animam
tuam.
Laus Deo et B.V.M.

22 Qui l'originale rimanda brevemente alla pagina a fronte.


23 Ancora l ’originale rimanda alla pagina a fronte; il testo sostituisce il seguente: salvatevi
l’anima, si ricordi che ha un anima da salvare diciamo pur frequentemente, proccuri di
salvarsi l’anima, è questo il primo, il più grande, anzi l’unico affare del mondo arrivar a
salvarsi: salva, salva animam tuam. Festina et salvare.

123
Primo Giorno degli Esercizi (1859)

Meditazione Prima
Sopra il fine dell’uomo

Meditazione l a Sopra il fine dell’uomo ( 1861 ) 1

Grande Iddio io mi presento dinnanzi a Voi, e prostrato avanti la vostra


divina Maestà io vi confesso, e vi adoro per mio Dio, mio Creatore, mio
padre. Permettetemi, o Signore che in questi giorni io mi trattenga, e parli
con Voi, sì lasciatemi godere della vostra divina conversazione: ah! mio
Dio, parlate, ma parlate chiaro al cuore d’un vostro servo, d’un vostro
Ministro, che cerca, e che brama di sapere, di eseguire la vostra santa ed
adorabile volontà: Loquere Domine, vi dirò col buon Samuele, quia audit
servus tuus1. O Maria a voi mi rivolgo, Voi prego o cara Madre di sacerdoti
a farmi sentire le vostre voci assieme a quelle del vostro caro Gesù. Angelo
Custode, santo titolare di questa Chiesa, Angeli e Santi tutti del Cielo etc.

Esordio

Io mi presento [consolo di essere tra]2 a Voi, Sacerdoti fratelli miei non già
per farla da predicatore, molto meno che oratore eloquente, ma piuttosto
io vengo ad offrirmi per essere, e per farvi da compagno per a godere con
voi del ritiro di questi giorni3:

* (fald. 45 ¡fase. 79; nell’originale 1859-1893)


1 1 Sam 3,9-10.
2 Nell’originale le parole che noi poniamo tra parentesi sono scritte sopra la riga, ma nes­
suno dei due testi è stato cancellato dal Cafasso.
3 A questo punto il Cafasso inserisce una nota intendendo introdurre qui il testo che egli
scrive nella pagina a fronte.
Esercizi Spirituali al Clero - Meditazioni

(1860) se riesce assai dolce, e consolante anche nel mondo agli amici e cono­
scenti del mondo il trovarsi assieme uniti, conversare, e sollevarsi tra loro:
quanto più lo deve esser dolce e consolante per noi il trovarci qui radunati
in questo luogo come in una sola famiglia noi, amici e compagni di voca­
zione, e di ministero, noi fratelli e compagni noi partecipi di comuni con­
solazioni, ed4 angustie; noi Ministri e V.gerenti del Medesimo Dio, desti­
nati allo stesso scopo, mandati nella stessa vigna, a trattar la stessa causa, a
curar li stessi mali, a medicar le stesse piaghe; noi qua fuori dello strepito
del mondo, lontani dalle brighe del secolo e sulla vetta di questo monte
quasi altrettanti Mosè a conversar col Signore: noi qua venuti per far un
solo de’ nostri cuori, confidarci le nostre pene, aprirci le nostre paure, e
timori, aiutarci, confortarci l’un l’altro: oh che giorni, oh che vita sarà la
nostra di questi di di lume, di pace, di sollievo, e di conforto. Se i Sacerdoti
e Leviti ritornati da schiavitù, trovatisi di nuovo riuniti nel tempio a cantar
le lodi del Signore, ad esercitar il proprio loro ministero, non poterono
trattenersi dall’esclamare ciò che noi ripetiamo nell’ufficio e ne1Salmi: ecce
quam bonum et quam iucundum habitare fratres in unum3: e perché non
potremo ripetere anche noi in quest’oggi ripetere a somiglianza loro: o
quanto ci sarà utile, e quanto ci sarà consolante il vivere assieme di questi
dì. Epperciò io non voglio farla tra voi da predicatore, ma piuttosto da
amico, da compagno per godere assieme a voi dell’utile, e della dolcezza di
questo tempo cosi necessario per noi Eclesiastici; ed infatti se v’è persona
che

(1861) l se v’è persona che abbisogni di sequestrarsi qualche volta dal rumore, e
dallo strepito del mondo Egli è certamente un Eclesiástico. E impossibile
concepire, immaginarsi un Sacerdote di virtù, di zelo, di spirito, in una
parola un sacerdote di nome, e dì fatti senza l’ajuto del ritiro, della quiete,
della solitudine, e quello che tutto comprende, ed importa senza l’uso della
meditazkmcre. Io non mi fermo a ragionarvi su questa verità, perché già vi
fu detta, e d’altra parte è tanto patente che credo noi tutti ne saremo per­
suasi6. Io entro bentosto perciò in quel gran campo di pensieri, di riflessi,
di Meditazioni che ci aspettano in questi giorni, e darò principio con

4 Alcune parole cancellate: disgusti, di lodi e persecuzioni.


5 W 132,1.
6 Frase cancellata: penetrati adunque di questa grande necessità per tutti indistinta­
mente.

126
Giorno prim o degli Esercizi - M editazione Prima * Sopra il fin e dell’uomo

quella Massima, che noi tutti sappiamo, ma che nessuno di voi potrà mai
abbastanza studiare, qual’è il fine deH’uomo. massima che forma la base, il
fondamento, la radice di tutto quel bene che spero faremo in questi giorni,
e per tutta la nostra vita avvenire. Il dottore S. Bernardo abitando il suo
eremo usava di ricordare soventi a se stesso il fine per cui era entrato in
Religione, e nel chiostro: Bernarde ad quid venisti7. Se la noja, l’abbat­
timento, la dissipazione tentavano di entrare in quell’anima grande, era
questa l’arma che il Santo teneva per sua difesa, la memoria, la ricordanza
di quel giorno, e di quel fine, che l’aveva portato colà. Lo stesso ripete,
inculca il divoto Autore dell'imitazione di Cristo: Cogita frequenter ad
quid venisti8: se un Monaco lontano da tanti pericoli, e provvisto di tanti
ajuti abbisogna di rammentar soventi il suo proprio fine, che sarà, e che
dovrà dirsi di un Eclesiástico che vive esposto nel mondo ad ogni sorta di9
dissipazione, attorniato e stretto da tante lusinghe e pericoli? e a dirvela
francamente, fratelli miei fin da questo primo giorno io temo assai di quel
Sacerdote, che non entri qualche volta in se stesso, e si dimandi... ma che
fo io a questo mondo, qual’è la mia vita, qual’è il mio fine, e quale sarà
il mio termine Credetemi, fratelli miei, Ma è verità confermata da giorna­
liera esperienza che tutti i disordini

tanto di secolari, come, di Sacerdoti provengono appunto dal non rac- (1864) 2
cogliersi e da questa mancanza di riflessione: guai a quella persona, guai
all’Eclesiástico che non pensa10.

Due cose io imprendo a considerare con voi in questa prima Medita- (1862)
zione: 1 qual sia cioè il nostro fine sulla terra, e che cosa esso importi
richiegga e voglia da noi; 2. i principali quali motivi principalmente che
ci debbano impegnare a corrispondere, a compiere questo fine. Lo spec­
chio, e la considerazione di questa gran massima ci metterà alla portata
in posizione di far un giudizio della nostra vita passata, e dei bisogni, che
corre ciascun di noi in questi giorni; i sentimenti che sveglierà nelle nostre

7 G u g l ie l m o d i S . T h ie r r y , Vita, I, I, 4 (PL 8 5 ) .
8 De imitatione ChristU I, XXV, 1.
9 Una parola cancellata illeggibile. In questo testo ci sono varie cancellature con tratti di
penna pesanti, che rendono spesso indecifrabile la scrittura barrata.
10 Qui il Cafasso pone una nota, intendendo inserire uno dei testi, scritto nella pagina a

127
Esercizi Spirituali ai Clero - Meditazioni

menti, e ne’ nostri cuori saranno già una misura, ed una caparra dell’esito
di questo ritiro. Fratelli etc.11.
Cotesto tratto si ometterà quando chi fa la Meditazione avesse fatto
Tlntroduzione.

(1864) 2 Fratelli miei Dio ci ha chiamati a questo luogo per parlarci al cuore, e
stiamo certi che ci parlerà12:

(1863) Iddio fece con noi quello che ha fatto già con Mosè quando volendo­
gli associare alcuni compagni pel reggimento del popolo, gli ordinò che li
radunasse davanti al Tabernacolo, e che egli sarebbe sceso m tra mezzo a
foro, per parlar loro, e per far loro sentire e conoscere la propria volontà, e
comunicar loro il proprio Spirito. Congrega mihi viros de senibus israel...
duces eos ad ostium tabernaculi faciesque ibi stare tecum... ut descendam
et loquar. Num. 11.16. Un altrettanto come dissi, fece il Signore con noi;
Egli ci ha chiamati ci ha posti a reggere il popolo Suo sotto la dipendenza
de’ nostri superiori, e per bocca loro ci ha radunati in questo luogo e
quasi loro impone di radunar in questo luogo: congrega mihi viros. abbino
pazienza di fermarsi alcuni giorni. Faciesque ibi stare tecum. e sai il perché?
perché io, si io medesimo voglio pormi tra loro, parlare, conversare con
loro perché sappiano, e conoscano la mia volontà: descendam. et loquar.
Sì, fratelli, il Signore parlerà etc.

(1864) 2 e ci parlerà forte, ci parlerà soventi, e quasi continuamente ci parlerà


nelle prediche e fuori, in Chiesa, in camera, di giorno, di notte; insomma

11 Qui finisce il testo afronte, che sostituisce questo testo cancellato: Io prendo la nostra
meditazione sotto due rapporti; il primo sarà: qual sia il nostro fine relativamente a questo
mondo; secondo: quale il fine, e l’oggetto di questo mondo istesso relativamente a noi.
Due grandi verità, che ci daranno materia di serii riflessi, e di grandi conseguenze.
Dopo il testo cancellato il Cafasso pone una nota, rimandando a ciò che scrive in una riga
scrìtta nella pagina afronte.
12 A questo punto con una nota il Cafasso intende inserire il testo scritto su un foglietto
incollato alla pagina afronte. Precedentemente però aveva scritto un altro testo, poi cancellato,
nella pagina afronte, che riportiamo qui in nota: Dio ha fatto con noi in questa circostanza
quel medesimo che già fece un di con Mosè, quando gli comandò di radunare i Sacerdoti
nel Tempio perché voleva discendere Egli stesso, parlar loro, fermarsi, trattenersi in loro
compagnia. Il nostro buon Dio fece un altrettanto con noi, e quasi come un comando
inspirò al Superiore nostro di chiamarci, e di invitarci in questo sacro luogo, e perché? ed a
che fine? Eccolo, perché Iddio vuol scendere tra mezzo a noi, vuol fermarsi, familiarizzare,
parlare con noi, e stiamo certi che lo farà, ci parlerà forte etc.

128
Giorno prim o degli Esercizi ~ M editazione P rim a - So/»«* il fin e dell’uomo

tutto ciò che ci circonda avrà una lingua per dirci una parola a nome del
Signore, stiamo certi, ripeto che Dio si tratterrà, e converserà con noi;
tocca a noi fratelli miei cari a non lasciar cadere in vano coteste divine
parole, a sentirle, a gustarle, a farne frutto; e per impegnarci ricordiamoci
che13 sono parole di vita, di pace e di quiete, e che una sola consola di
più che non tutte le cose di questo mondo: pensiamo che cotesto parlare
d’ordinario non si sente in mezzo al mondo, e chi lo vuole provare deve
approffittarsi di questi giorni, e di questa solitudine, pensiamo in fine che
coteste parole possono essere per noi le ultime di nostra vita. Coraggio
adunque, Signori miei, imprendiamo questi santi Esercizi magno ac libe­
rali animo come dice S. Ignazio, e sia questo giorno destinato ad allargare
il cuore a grandi speranze, a grandi desideri. Noi non sappiamo le mire
che abbia avuto Iddio nel chiamarci a questi santi Esercizi, ma certo che
saranno degne di lui, è proporzionate all’altezza della nostra vocazione;
così noi non dobbiamo porre limite alcuno, nessuna riserva, nessuna ecce­
zione a tutto ciò che Dio sarà per volere da noi14;

Signore fatemi conoscere la vostra volontà, perciò ripetiamo soventi: (1862)


doce me Domine voluntatem tuam - notum fac finem meum15

ed a misura che sarà più aperto, largo il nostro cuore, più estese le nostre (1864) 2
mire, più grande la nostra confidenza, più copioso parimenti, e più dure­
vole sarà il bene, il frutto del nostro ritiro, delle nostre considerazioni.
Cominciamo16.

13 Una riga cancellata: consola, e solleva di più. una parola, una voce al cuore di questo
Dio, che non.
14 Ponendo un asterisco il Cafasso vuole introdurre due righe che scrive nella pagina a
fronte.
15 Sai 142,9; 38,4.
16 L’originale riporta qui un lungo testo interamente cancellato. Lo si trascrive di seguito:
Se io sono a questo mondo, è un favore, un vantaggio tutto mio, né il Signore né questo
mondo avevano bisogno di me. Se io vi sono, e mi trovo su questa terra, lo debbo a nessun
altro fuorché a Dio. Vi era già un tempo questo mondo, v erano paesi, v erano città, sì ma
io non c’era. Ogni cosa camminava, vera gente capace per tutto, chi per lavorare, chi per
insegnare, chi per maneggiare gli affari anche più difficili, eppure tutti si faceva senza di
me, nessuno ne scapitava, e non vera perciò un vuoto al mondo: vuol dire adunque che
io più io meno a questo mondo non solo vuol dir poco, ma un bel niente; se ha fatto tanti
secoli senza di me, certo che poteva fare parimenti per qualche anno, che può durare la

129
Esercizi Spirituali al Clero ~ Meditazioni

(1866) 3 Non restiamocr però quà-fratelli miei, entriamo a dentro a quella mente
divina, dove abbiamo avuto la nostra origine per vedere, per esaminare il
gran perché della nostra Creazione: Creatus est homo a Deo, ut Dominum

mia vita. Sì fratelli miei; noi crediamo nei luogo, in cui siamo, con quei po’ di talento, di
capacità, di roba, che abbiamo di fare un onore, ed un vantaggio a questo mondo a vivere,
e che colla nostra morte abbia a restare in quel paese, in quel luogo un vuoto dietro di
noi, e che questo mondo abbia a lamentare la nostra perdita, no, togliamoci queste idee
dal capo: se facciamo un po di bene, se ci pare d’averne qualche merito, è un onore che
Dio ci ha voluto fare, se il mondo lo riconosce, è una gratitudine, che ci vuol usare, ma
non diamoci perciò ad intendere di essere di qualche importanza, e necessità: quanti altri
soggetti sono capaci di far meglio di noi; aspettiamo da qui a qualche anno nessuno più
di noi comparirà sulla scena di questo mondo, ne io ne voi,

(1866) 3 eppur senza di me, e senza di voi andrà io stesso, e nessuno s’accorgerà che vi sia per ia
nostra morte una persona di meno sulla terra. Se vi sono al mondo, lo debbo a Dio solo,
perché fuori di lui non c’era chi pensasse a me. Fra quanta gente viveva quaggiù nemmen
uno dava un pensiero a me. Si facevan calcoli, progetti chi sa di quante sorta, e di quante
cose: ognuno aveva le sue mire, i suoi fini, i propri desideri, io solo ero lontano dalle mire
di tutti, e nessuno pensava, e mai si sarebbe pensato a me, se Dio tra quel numero infinito
di possibili creature non avesse concepito il disegno sopra di me; mentre il mondo da
tanti secoli mi obliava, e per tutti i secoli futuri m’avrebbe sempre obliato, Dio nella sua
misericordia, e nella sua onnipotenza fece si che io che non esisteva, e mai avrei esistito
cominciassi ad avere una vita decretata fin dalla sua eternità per averla poi nel tempo al
punto da lui destinato.

A questo punto nel testo cancellato vi è la nota numero 2 che rimanda ad alcune righe
scritte nella pagina a fronte e che si riporta di seguito: Altra La principale conseguenza dì
questa gran verità ella è che noi essendo una fattura di Dìo, una cosa tutta sua, Egli è solo
ne è padrone, e a lui tocca disporre di noi; ne siamo liberi di fare a modo nostro, non
ci tocca fare e la nostra volontà epperò qui o fratelli resta di somma importanza che noi
entriamo etc.

(1863) 3 Che grande, e che dolce verità poter assegnare pei primi nostri natali il Cielo, per
padre il Dio dei Ciclo stesso: poter dire d’aver avuto la nostra culla in Dio stesso. Credo,
diciamolo con gioia, con trasporto tanto più quando ci tocca dirlo all’AItare, credo in
Deum... Creatorem. Sì lo credo, e me ne vanto, mi consolo, mi rallegro nel dirlo, nel
ripeterlo: credo in Deum Creatorem meum.

Con una nota il Cafasso rimanda qui a tre righe scritte nella pagina a fronte. Noi le
trascriviamo di seguito. E lo credo

(1865) talmente che sia che questo Dio mi consoli, sia mi provi, sia mi esalti, sia mi umilii,
sia che viva sia che muoia, crederò sempre che quel Dio m’è padre, e se la sua mano mi
batte, il suo cuore mi ama: saeviat quantum vult. pater est S. Agost. [Enarr. in Ps., PL.37,
c. 1332], Il testo riprende alla pagina 3.

130
Giorno prim o degli Esercizi •- M editazione P rim a - Sopra il fin e dell’uomo

Deum suum laudet. ac revereatur, eique serviat tandem saivus fiat17. In


queste poche parole sono rovesciati tutti quanti i progetti, i calcoli degli
uomini. Ognuno a questo mondo ha i suoi fini, li medita, li rumina, vi
lavora d’attorno, si sviscera, si consuma per conseguirli, così il laico, così
anche Feclesiastico, il ricco, il povero, il vecchio, il giovane, tutti insomma
vivono in cotesto martirio, e sotto questo torchio de’ proprii desideri, de’
proprii fini18: e quel che è peggio è ben tutt’altro il fine per cui si vive quag­
giù, se nel mondo si lodi Dio, si serva, si onori, voi lo sapete al pari di me.
La maniera di vivere, di parlare, di pensare degli uomini fanno conoscere
abbastanza quanto ne sieno lontani. Paté Oh! almen voi che noi FEdema­
tico in mezzo a tanta depravazione, e tra tanto abuso chesi fa del tempo,
e della vita19, tendesse fermo al suo destino, e fosse come ùn fanale ttdtìa
stia? da far lume co’ suoi costumi a tanti ciechi, che vivono senza sapere il
perché: guai se questo lume ancor si estingue, guai se anche il Sacerdote
dimentico della propria destinazione si mette ad ingrossar la turba di tanti
infelici20.

Ma lasciamo stare cotesti dolorosi riflessi, che non è né il tempo, né (1865)


il luogo di ponderare, e stiamo al nostro principio: il Sacerdote come un
altro uomo qualunque è nato per servire il Signore: creatus est homo... ut
Deum suum laudet. Per vocazione è stato chiamato in special modo ad
arruolarsi a questo esercizio divino: omnis pontifex ex hominibus assump-
tus constimi tur in iis quae sunt ad Deum21. E nella sacra ordinazione per
un atto solenne della propria volontà si è consecrato totalmente a questo
culto: Dominus pars haereditatis meae22. sicché sulla certezza, sulla chia­
rezza del nostro fine, della nostra destinazione sulla terra non può cader
alcun dubbio, e solo ci resta di ben comprendere che cosa voglia dire, che

17 S. I g n a z io d i L o y o l a , Esercizi Spirituali, cit., n. 23.


18Tre righe cancellate: vediamo un po’ se tutte co teste mire, tutti questi fini sparsi nelle
teste degli uomini vadin d’accordo con quella mira divina, con quel gran fine, che Dio
sì è proposto nelle nostre persone. Dio ci ha creati per conoscerlo: creatus est homo, ut
Dorninum Deum laudet.
15 Due righe cancellate non totalmente leggibili: [...] volesse Dio che noi sacerdoti faces­
simo conoscere altro ben essere il nostro finea da quello che il mondo sì vadi [...]; fosse
pur vero che ogni Eclesiástico fosse come un fanale colla sua condotta.
20 Con una. nota il Cafasso rimanda ad un lungo testo scritto nella pagina afronte, che noi
riportiamo di seguito.
21 Eb 5,1.
11 Sai 15,5.

131
Esercizi Spirituali al Clero " Meditazioni

cosa importi in noi cotesto fine. La cosa è chiara, e non ci può andar né
tempo, né fatica per ben capirla. Servir uno, vuol dire, essere a’ suoi cenni,
ai suoi comandi, alla sua disposizione: e ciò non per un momento, per
un ora, un giorno soltanto, ma sempre23, ed in ogni momento, perché
sempre dipende, ed ogni momento può essere comandato e deve ubbidire;
e quando la cosa, il servizio non andasse a genio, non piacesse e fosse inco­
modo, e molto fastidioso? piaccia o non piaccia, voglia, o non voglia, costi
poco, costi molto chi vuol esser servo, deve ubbidire senza eccezione, senza
distinzione, di modo che chi serve non è più una persona di stia padro­
nanza, ma piuttosto una persona caduta, rimessa, venduta al suo padrone,
da aver quasi nemmen più gusto, o volontà24 propria, perché il suo gusto,
la sua volontà deve esser quella del suo padrone; e chi non è tale, o non è
servo, od è servo per metà, o quei che è peggio un servo cattivo: badiamo
bene, o fratelli, a questo primo punto di tanta importanza; è presto detto
che un Eclesiástico è nato, è chiamato, fu destinato a servire il Signore; ci
vuol poco a pronunziare, a dire io sono per servire Iddio, è questo il mio
fine25, ma la vita, la condotta è tale quale conviene, ed esigge la qualità
di servo: tutti gli Eclesiastici sono destinati in special modo a servir Dio,
ma io domando a voi: lo servono tutti realmente, o almeno sono molti,
che in pratica possono considerarsi come tali [?]. Fermiamoci un po’ ad
esaminarlo.
Un servo per essere tale deve stare continuamente a comandi del suo
padrone, e mai rifiutarsi in niente, ed in alcun tempo: dunque reclesiastico
che non lavora sta ozioso, o lavora per metà, quando ne ha voglia, quando
le piace, quando lo sanno prendere26

23 Alcune parole cancellate; di giorno, dì notte, presto, tardi, non ha [...].


24 Una parola cancellata illeggibile.
23 Qualche parola cancellata illeggibile.
26 Qui finisce il testo afronte. In realtà il testo continua ancora due pagine dopo, sempre
a fronte, perché la pagina 4 a fronte era già occupata da altre aggiunte. La ripresa del testo ,
alla pagina 3 presenta quasi una pagina cancellata che noi qui trascriviamo: c h e d ire , e c h e
a sp e tta rsi d a u n

(1866) 3 sacerdote ch’è tale solamente di nome, e di mestiere sr mcttesse anche egli si dia a
vivere a tentone, alla giornata; non è luogo, ne mio scopo di tener dietro a questo infelice,
u n to pitrcfae siamo qua per pensare a noi perciò mi rivolgo a quel tanto, che può tornare
di più al nostro conto.
F ra te lli m ie i n o i sia m o c reati, n o i sia m o d e s tin a ti a servire, a d o n o ra re il S ignore:
d e stin a ti a q u e sto fin e fin o ab e te rn o e p r im a d e lla n o s tr a c reazio n e.

132
Giorno prim o degli Esercizi - M editazione Prima ^ Sopra il fin e dell’uomo

quando non lo incomoda, sarà mai un sacerdote che serva veramente il (18©)
Signore, ma piuttosto un servo pigro, un servo di nome e di livrea, e niente

In questi giorni il cuore ci dirà se finora, se nei nostri anni dietro abbiamo corrisposto, (1868) 4
o no. In questi stessi giorni abbiamo da risolvere quello che vorremo fare per quel tempo,
che ci rimarrà ancor di vita, dunque è bene che questo fine si consideri, si mediti.

Qui il Cafasso mette una nota, intendendo inserire il testo di quattro righe scritto nella
pagina afronte. Noi lo trascriviamo di seguito: Primieramente un riflesso consolante per noi
egli è

questo che il compiere a questo nostro dovere sì grande dipende da noi, sol che il (1867)
vogliamo la cosa è fatta; se io desidero di venir dotto, di arrivare ad un impiego, di aver
sanità, di vivere lungamente, quand’anche avessi tutta la buona volontà del mondo, tante
volte non vi riesco, e vanno fallite le mie speranze, è un tempo sprecato; ma se voglio
veramente servir il Signore, se voglio riuscire un virtuoso sacerdote, un zelante eclesiá­
stico, onorare il mio Dio nel suo divin servizio, niente e nessuno me lo può impedire: ciò
posto egli etc. ñeque mors, ñeque vita, ñeque creatura alia poterit nos separare a charitate
Christi [Rm 8,38-39].

Egli è certo, chiaro, manifesto tanto più per noi Eclesiastici, che non ci è possibile (1868)4
darcela ad intendere diversamente, egli è questo il solo, ed unico fine, il motivo totale,
e sostanziale della nostra esistenza. È certo perché ci assicura la fede, ce lo dice il cuore;
la noia, che noi proviamo delle cose di questo mondo, la tendenza del nostro cuore ad
un oggetto che lo contenti, la soddisfazione, che proviamo allorché serviamo il Signore,
tutto ci conferma che là sta il nostro centro, e che siam fatti per colassù. Non dirò solo del
Battesimo, perché noi Eclesiastici abbiamo un altro vincolo di più che ci deve stare ancor
pixt a cuore, e voglio dire quella solenne abiura, queUaddio assoluto che abbiamo dato ai
piedi del sacro Altare a tutto ciò che non sarebbe stato di onore, e di gloria al nostro Iddio:
lo sappiamo tutti quanti che da quel punto siamo stati svelti, e come strappati dal terreno
di questo mondo per essere trapiantati in altra terra, da quel momento siamo diventati
uomini, e gente del Signore, e per spiegarmi in poco siamo stati venduti agli interessi,
all’onore, alla gloria del Signore. Dica adunque quello che vuole il mondo, pensi come gli
pare, e piace, creda, o non creda egli è certo che l’uomo, molto più il Sacerdote è fatto
per servire il Signore; non solo è certo, ma è questo il fine unico, per cui sono al mondo;
questo è quel gran perché che ha fatto decretare la mia creazione; non solo l’ha fatta
decretare, ma nato che fui forma l’unico, e sostanziale motivo, che mantiene e conserva
tutt’ora la mia esistenza, di modo che se non avesse avuto luogo questo fine io mai sarei
venuto al mondo, e se ora potesse cessare dovrei cessare parimenti di vivere, e realmente
avanti il Signore cessa di contare la mia vita quando io cessi dì compiere questo gran
fine. Deum time, et matF Grande e terribile verità ella è questa fratelli miei, che non può
a meno che far raccapricciare quando si pensi quanto sien pochi nel mondo quelli che
veramente vivano della vera vita, cioè del loro fine. Eppure ella è una verità, a cui non si
può rispondere: Deum time et mandata ejus observa: hoc est omnis homo [Qo 12,13]:
pensiamo coteste importanti parole: hoc est omnis hom o: qui sta tutto l’uomo: entra qui
a ragionare un saggio, e pio insegnante.

133
Esercìzi Spirituali al Clero ■* Meditazioni

più; un servo fatto a suo comodo, capriccioso, e che ubbidirà solo quando
le piaccia, e le convenga27; ed infatti dite a certi Eclesiastici a dar mano
ad una qualche opera, a fare un catechismo, ad assistere ad una funzione,
a visitar un infermo, a sentire confessioni, vedrete quanti pretesti metton
fuori, e quanta fatica ci vuole ad indurli e poi lo dicono francamente che
non le piace, non ne hanno voglia, li pesa, li incomoda. Oh fratelli miei,
chi non vuol incomodarsi non si metta a servire, chi vuol contentare se
stesso, e vivere a suo talento, e capriccio, non si dia ai comandi altrui.
Entrate in casa di certi Sacerdoti, esaminateli da mattino a sera, in casa,
e fuori casa, e ditemi quel che facciano, fuori della Messa e Breviario, se
studiano, se pregano, se insegnano, o se lavorano in qualche cosa del Mini­
stero; eh! chi sa quanti giorni noi troveremo in cui non si vede traccia del
loro servizio, oziosi da mattino a sera, oppur occupati in tutt’altro che in
opere del Signore; e questo è servir Dio, qualificarsi per suo servo, chia­
mato, destinato specialmente a Lui28: eh cari miei ricordiamoci, che la qua­
lità, e la missione nostra non è già una qualità, e missione di puro nome,
per cui basti che porti solo l’apparenza sola [tre parole cancellate illeggìbili]
di servire e di faticare, senza che lo sia in realtà; ci comporta richiede
stenti, sudori, fatiche, per cui ci vogliono operarii forti, e robusti di cuore,
e di virtù, e Iddio non terrà altra misura nell’assestarne i conti che quella
del proprio lavoro: unusquisque mercedem suam accipiet secundum pro-
prium laborem29.
Il vero servo deve stare continuamente ai comandi del suo padrone, non
basta, ma di più quello che gli viene ingiunto, e comandato, deve essere
da lui seguito in un modo, che pienamente lo contenti, e soddisfi, e per
esser tale bisogna che il suo servizio sia pronto, ed esatto, lo faccia di buon
garbo, e volenteroso, e che infin si veda, si conosca che il fine, e la ragione
che lo muove a ciò fare, sia proprio quello di contentare, e di appagare
i desideri del suo padrone. Ecco ciò che esigge, ciò che importa, ciò che
vuole il npstro fine quaggiù, il servizio a cui noi Eclesiastici principalmente
siamo tenuti, non basta servir cioè Iddio con esattezza, e fedeltà, servirlo
volentieri, e di buona grazia, e quello che più importa, nel servirlo aver solo
in mira la sua volontà, i suoi desideri, quali sono l’onor e la gloria sua.
La puntualità, l’esattezza, la fedeltà nel servire quanto è assai lodevole, e
quanto è stimata anche tra gli uomini? come mai un padrone si compiace,

27 Seguono alcune righe travagliate da varie cancellature solo in parte leggibili.


28 Due righe cancellate illeggibili.
20 1 Cor 3 ,8 .

134
Giorno prim o degli Esercizi - M editazione Prim a ~ Sopra ilfin e dell’uomo

e tien prezioso un servo, quando vegga che i suoi desideri sono comandi, e
questi eseguiti sul punto senza ritardo, senza dimezzarli, senza cercar scuse,
e pretesti, e tutto ciò di buon cuore, volentieri, e senza il benché minimo
lamento, anzi con gusto, con piacere, con soddisfazione anche quando
sia un lavoro duro, vile, incomodo, faticoso: niente importa: tanto vuole,
tanto piace al padrone, e questo vai tutto per lui. Eh! fosse pur vero che
ogni Eclesiástico fosse un servo di questa natura pel suo Signore!

Eh! sì o cari, diciamolo pure a nostra consolazione, e conforto, non (1871)


mancano tra noi questi veri servi del Signore, la cui vita non è altro che
un impegno, uno studio, una cura, un ansia continua di servir Iddio,
tutto il rimanente vadi come vuole poco loro importa, purché si serva
Dio se hanno un desiderio a questo mondo, egli è quello di poterlo servir
maggiormente, se provano un cruccio, un dispiacere, e quasi un martirio
un crepacuore allora il sentono quando appunto ne soffre questo servizio
divino. Ah! scuotiamoci anche noi una volta o fratelli, all’esempio, ed allo
specchio di questi nostri bravi compagni30 e facciam vedere colle azioni,
colle opere, colle nostre maniere che se serviam il Signore, non lo facciamo
per apparenza, a metà, e quasi forzati, ma volentieri, di cuore e con tutti
noi stessi; e non fa invero compassione a vedere il modo, con cui certi Ecle­
siástico [sic] si' prestano a servire il Signore [?] Lenti, annoiati, infastiditi,
e cercar tutti i pretesti per esimersi, o lasciar al più presto che sia possibile
quasi che servir il Signore, sia un castigo a subirsi, ed abbiasi a tenere come
un peso, una croce, un martirio insopportabile e-fatica la prova: invitate
uno di questi Eclesiastici, e dite lóro che v è gente che aspetta in chiesa
al Confessionale, che hanno fretta, che sono venuti a chiamare per un
infermo, per ministrar un Sacramento, fate loro come diceva, uno di questi
inviti, e vedrete in che modo servono il Signore: un vero servo del Signore,
un buon operario a queste chiamate par un fulmine, non conosce il tempo
di trovarsi sul luogo, e se qualche affare lo trattiene, si vede che péna, che
soffre, e che il suo cuore ha già precorso e non sa più trovarsi lontano; che
invece il Sacerdote di cui vi parlo sente, e torna a sentire, e non è già che
non voglia andare, andrà, ma che tanta fretta, c’è tempo, s’aspetta un po,
e chi non si sente d’aspettare è padrone, non si dispera certo per questo: e
perché questo modo di prestarci a servir Iddio, tanta lentezza, tanta indif­
ferenza con iscandalo di secolari che vedono, che sentono, fatte almen

30Mezza riga ca.ncella.ta: perché non mancano anche tra noi chi.

135
Esercizi Spirituali al Clero - Meditazioni

per qualche causa ragionevole, meno male, ma che: per dormir ancor un
tantino, per finire-la partita giuocar ancor un poco, per ridere, scherzare
con secolari, per sollevarsi in gofferie, in buffonerie, che pel minor male,
non hanno utile alcuno31 [?] Fatto d’un secolare, che non volle più confes­
sarsi perché il Confessore stava scherzando e facevaio aspettare. Finalmente
vanno, mettiamoci un po’ ad accompagnarli, guai se danno ancor in qual­
che intoppo per istrada, la minima cosa li trattiene, e frattanto chi aspetta,
aspetti; ma fate che arrivino sul luogo, ah allora la fretta li assale tutto in
un colpo

(1873) ed è allora che il popolo è obbligato ad essere spettatore dello scandalo


nostro nel Santuario medesimo, a veder cioè Sacerdoti indossar le vesti-
menta sacre, a celebrare la Messa, a distribuire la santa Eucharistia, ad
amministrare Sacramenti in una maniera così sgarbata che per fin l’arti­
giano si vergognerebbe di maneggiar in quel modo gli instrumenti dell’arte
sua. Oh! quanto a proposito si potrebbe in quel punto rivolti a questi tali
dir loro col V. p. Avila: abbi pazienza, o caro, tratta un pò meglio quel Dio,
perché è figlio d’una buona madre: oppur con S. Ignazio: dimmi chi ti
manda, a far quell'ufficio, e per chi lo fai: naturalmente dovrà rispondere:
eh! non vedi, non mi conosci, son sacerdote, fo le veci di Dio, ed è Egli
stesso che me lo comanda: come? è il Signor che t’incarica, è il Signore che
ti manda a nome suo, e fai quell’azione per Lui, e tu hai tanto coraggio di
farla in quel modo [?] Ditemi, o fratelli, oserebbe un servo servir in questa
maniera il suo padrone, e sotto Ì suoi occhi far così sgarbatamente, e di
mala voglia i suoi comandi? chi sarebbe quel padrone che terrebbe in sua
casa un servo di questa fatta? eppur quante volte il Signore è servito in
questo modo fosse almeno da secolari, ma da noi Eclesiastici.
Finalmente per servir degnamente questo nostro padrone, e renderlo
contento ed appagato del nostro servizio uopo è di farlo colla mira a Lui,
e servirlo per affetto, col fine, colla intenzione di rendere a Lui solo quel­
l’onore, e quella gloria, che gli è dovuta. Anche tra gli uomini si calcola il
cuore e l’affetto, con cui si presta un servizio, ma quand’anche vi manchi,
l’uomo d’ordinario si contenta dell’utile, e del comodo, qualunque sia il
fine, con cui si presti. Ma appresso Dio non è così; Egli non ha bisogno
dell’opera nostra, e se l’accetta, la gradisce, la premia, lo fa con questa con­
dizione che l’opera sia fatta per Lui, altrimenti non la conosce, la rigetta, la

31 L’autografo qui rimanda ad una nota dì una riga scritta in fondo pagina.

136
Giorno prim o degli Esercizi " M editazione Prim a - Sopra il fin e dell’uomo

ripudia, fosse anche la miglior opera del mondo. È qui, o cari, per aprirvi
il mio cuore è e dove io temo purtroppo il maggior male, il maggior vuoto
tra noi Eclesiatici: gli oziosi totalmente affatto da mattino a sera sono
pochi, da’ più si lavora, s i... anche si fatica, ma cotesti lavori, e coteste fati­
che sono poi tutte per Dio [?]: quattro sono e perché ognuno possa capire
il proprio bisogno, io noterò i capi principali per cui possono andar a
vuoto i nostri giorni, ed i nostri sudori, che sono quattro principalmente[:
1.] agire, operare per interesse, lucro, e guadagno, 2. lavorare per fumo, e
vanità, 3. per puro costume ed usanza, 4° finalmente per genio, ed inclina'
zione. Io vi raccomando, o fratelli questo gran punto della nostra Medita'
zione32, ed in questi giorni andiam frugando per tutti i ripostigli del nostro
cuore per vedere se mai nella nostra vita passata, se nelle nostre mire prc-
senti, vi regni, e sia proprio in pieno possesso il Signore di quello che fac-
ciamo, oppure se v’entri, se v’abbia luogo, qualche di fine terreno e qualche
miseria umana di fine terreno, poiché persuadiamoci ben bene che tutto
ciò che non è per Dio, Dio non lo tiene per suo,

non sa che farne, e non lo vuole33. (1875)


A tal fine rammentiamo soventi a noi stessi il bel tratto detf- che noi leg'
giamo dell’Angelico Dottore: stava il Santo genuflesso avanti il suo Signore
etc. Noi siamo ben lontani dalle fatiche, e dai meriti di quel Santo Dottore,
ma anche nel nostro poco imaginiamoci, e non sarà solo imaginazione, ma
realtà, figuriamoci dico che il Signore dica anche a ciascun di noi: senti o
caro, tu hai fatto la tal cosa, tu stai per fare quell’altra34, hai avuto il tal
cruccio, il tal dispiacere per me, non è giusto, e non è volontà mia che
tu la passi senza paga, e mercede: dimmi che vuoi, che mai ti possa far
piacere, un po’ di roba, di sanità, un po più di vita, un po d’onore, qualche
applauso, qualche elogio, un po’ di gloria coraggio, dì pure, che voglio sii
pagato. Eh! mio Dio, giacché mi parlate un linguaggio di quella natura, e
vi mostrate così generoso, così voglioso di ricompensarmi, permettete che

32 Una riga cancellata: qual è di servir Dio con recto fine, retta e pura intenzione.
Prendiamo questo fanale in mano.
33 Segue un testo cancellato che qui riportiamo: A tal fine servir Dio, e per servirlo si
ricerca quanto abbiam detto, servir Dio e guardarsi ben dall’offenderlo, ecco le due cose,
dice la S. Scrittura, che constituiscono, che formano la sostanza, il tutto neU’uomo su
questa terra: hoc est omnis hom o: se adunque ciò solo forma il tutto dell’uomo, ne viene
per legittima conseguenza che senza di questo tutto l’uomo, e quanto può avere, può
pensare, può operare sarà non solo poco, ma un bel niente: hoc est omnis homo ego etc.
34 Qui il Cafasso inserisce una riga, a cui rimanda, che egli scrive infondo alla pagina.

137
Esercizi Spirituali al Clero ~ Meditazioni

io vadi più alto, e vi domandi una mercede, che sia degna di chi me la
propone: che roba etc.
Ah! fortunato il sacerdote etc. che vive, che lavora a questo fine, e per
questa causa. Deus de cordibus, quam de manibus facta metitur35: vai più
una parola, un passo anche solo fatto per gloria di Dio, che l’opera più stre­
pitosa del mondo fatta per gloria e vanità e chi sa quante opere, e quanti
sacerdoti, che avranno romoreggiato sulla terra per scienza, per abilità, per
predicazione fatiche, ed anche per le opere più sante del ministero, eppure
un giorno36 il tutto, od in gran parte cancellato sarà scomparso, e perché? si
operò pel mondo, e col mondo tutto fu curnsumara finì. Coraggio adunque
Impariamo o cari fratelli, a servire, a lavorar pel Signore da veri servi, da
veri buoni operairii: saran brevi i giorni che ci rimangono, saranno molti
i crucci che ci attendono, ma niente importa, il tutto sia all’esaltazione,
all’onor, alla maggior gloria di quel Dio, che siam posti a servire. Non
mancheranno etc.

(1876)4 Non mancheranno certo al demonio molti pretesti per rallentarci in


questo servizio, i molti ostacoli che si trovano nel mondo, il poco frutto
che se ne ricava, le difficoltà d’ogni genere che s’incontrano, le nostre stesse
miserie, la noia, la tristezza, la malinconia tutto può mettere a pericolo il
nostro fervore37.

(1881) 11 Eppur egli è necessario, indispensabile per non essere di meno di qua­
lunque altra creatura anche irragionevole, anzi per non perdere ciò, che
è d’intrinseco, e sostanziale in noi medesimi, e divenire come una specie
d’esseri senza nome, informi, e mostruosi. Ogni cosa creata ha, ed è ordi­
nata al suo proprio fine, e quando non serva, non corrisponda, e si renda
inetta allo scopo, ed oggetto, per cui fu creata a cui è diretta, non si
tiene più in alcun conto, e non solo perde tutto il naturale suo pregio e
valore, ma si ha di più in abbominio come una cosa informe, snaturata,
e mostruosa: e non sarebbe un oggetto ben mostruoso il sole, che fatto
per illuminare la terra, invece la coprisse di tenebre; e non sarebbe gran­
demente mostruosa la terra, se invece di dar cibo, e pane, qual’ò il suo

35 Questa citazione ritorna almeno sei volte nelle Meditazioni al clero, ma allo stato
attuale non e possibile stabilirne la paternità. Pare però che debba essere attribuita a san Fran­
cesco di Sales.
% Tre parole cancellate illeggibili.
37 II Cafasso rimanda al testo scritto alla pagina I I e seguente.

138
Giorno prim o degli Esercizi * M editazione Prima - Sopra il fin e dell’uomo

fine, ci desse al contrario veleno; e non sarebbero mostruosi i nostri sensi


quando più non ci servissero al fine, per cui ci furono dati; cosi certamente
si direbbe e realmente si giudica nell’ordine fisico, altrettanto e con mag­
gior ragione dobbiamo dire nell’ordine morale. Noi l’abbiam veduto, sia
come uomini, sia come cristiani, e molto più. come sacerdoti siamo stati
creati; siamo destinati a questo solo fine di servir Iddio, Egli è fuor di
dubio; da quel punto, ed in quell’istante medesimo che noi deviamo, che
noi manchiamo di corrispondervi, non solo perdiamo tutto il meglio, il
pregio del nostro essere, ma ne resta perfin alterata sostanzialmente la
nostra natura da divenirne come altrettanti

oggetti di abominio orrore, e comune abborrimento perché degeneri (1882)


dalla nostra natura, informi, e non più corrispondenti al nostro fine,
epperciò mostruosi in più maniere, mostri in natura come uomini, mostri
in fede come cristiani, mostri nella Chiesa e nell3sacerdozio ecl™Ministero
come sacerdoti38, di modo che noi facciamo la figura in questo mondo,
come la fa quelFinstrumento nell’officina del suo padrone, il quale non
servendo più allo scopo, cui era destinato, e resosi inutile, il padrone lo
getta via, e se lo soffre in tramezzo agli altri nel suo negozio, ma vi calcola
più per niente, e nemmen lo conta novera tra essi: cosi siamo noi sulla
terra, se ci scostiam dal nostro fine, diveniamo tanti instrumenti inutili,
tanti arnesi d’imbroglio in questa grande officina della terra, e niente più;
è vero che il padrone ci soffre ancora presentemente, e ci lascia assieme agli
altri, ma non vi calcola, e non conta più su di noi, sicché siamo uomini,
e non uomini, cristiani e non cristiani, sacerdoti e non sacerdoti: material­
mente siam tutto, e quanto sono gli altri, ina in sostanza siamo un bel
niente avanti Dio. Deum time, etc39

[le due righe seguenti, sebbene cancellate, sono qui riscritte per permettere al (1868) 4
lettore di collegarsi al testo successivo] et mandata eius observa: hoc est omnis
homo40: pensiamo coteste importanti parole: hoc est omnis homo: qui sta
tutto: si hoc est omnis homo: ergo absque hoc nihil est omnis homo: ergo
qui hoc non agit, nihil agit: ergo qui hoc non est nihil est41.

38 Alcune parole cancellate.


35 Qui il Cafasso rimanda alla sua pagina 4.
40 Qo 12,13.
41A questo punto, con la nota 2 ° il Cafasso rimanda al testo nella pagina a fronte.

139
Esercizi Spirituali al Clero - Meditazioni

(1867) Dunque se io fossi anche il primo scienziato del mondo, il più famoso
predicatore, ma se nel mio stato non servo il Signore, non opero per lui
sono un bel niente: absque hoc nihil est omnis homo. Io che in quel posto,
in quel paese pare che sia una gran cosa, in realtà sono un niente se nel mio
posto non servo Dio.
Al contrario quand’anche io fossi un povero sacerdote, di poco talento,
di poca sanità, di poca fortuna, se servo il Signore: sono tutto, sono tutto
quello che può essere un uomo, un sacerdote a questo mondo: hoc est
omnis homo; sia pur poco quel tanto che posso fare in quell’impiego, sia
pur dura, ostinata la gente con cui ho a fare, siano pur molte le contradi­
zioni, gli impegni, gli ostacoli che attraversano i miei desideri, e le mie
mire, pure se nel mio stato cerco di piacere al Signore, son tutto: sia pur
un Sacerdote, negletto, disprezzato, perseguitato, ma se nelle sue afflizioni
sa essere paziente, costante, e servir in quel modo il suo Dio, egli è tutto
quello che può essere un sacerdote.

(1868) 4 Eccovir fratelli miei È questa la bilancia, che Dio ci pone in mano in
questi giorni per pesare, per valutare gli anni nostri passati. Ciascuno di
noi un po più, un po meno conta già un certo numero d’anni, passati parte
negli studii, parte nel Ministero, e parte forse in qualche altra occupazione.
Chi sa se tutto questo numero sia parimenti registrato nel libro della vita,
e se conti e valga avanti il Signore come conta, e vale presso gli uomini.
Lo possiamo decidere da noi per poco che vi pensiamo. Già non parliamo
di quell’età, che abbiamo passata senza uso di ragione, molto meno poi
di quel tempo, o breve, o lungo, in cui abbiamo offeso il Signore, poiché
è certo che non ci potrà giovare, ed è più da piangere che da ricordare.
Potremo almeno calcolare sul rimanente della nostra vita passata; io voglio
sperare di sì, ma chi sa forse quanti vuoti, quante deduzioni dovran farsi
sui nostri giorni, e sulle nostre occupazioni: quegli studi fatti

(1870) 5 puramente per fini umani, per genio, per simpatia, col fine di un guada­
gno, di una risorsa vanno dedotti; siccome non erano diretti all’onore, alla
gloria di Dio, Dio non li conta: qui hoc non agit, nihil agit. Quelle opere
di Ministero cercate, esercitate unicamente per interesse, per vanagloria,
per mestiere, valgono un bel niente, perché fatte senza la mira di servire
il Signore, e si hoc non est nihil est sia pure un opera strepitosa, grande,
anche miracolosa: dica pure quello che vuole il mondo, la lodi, la encomii,
la premii, niente importa: avanti Dio: nihil est. Andiamo alle stesse opere
di pietà, preghiera, Breviario, Messa, fatte senza attenzione, di mala voglia,

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Giorno prim o degli Esercizi - M editazione Prim a - Sopra il fin e dell’uomo

sgarbatamente, e quasi per forza, togliamole, togliamole, non furono tali


da onorare il Signore, epperò si ripeta pure che non hanno valore alcuno,
ci manca tutto, e mancandovi tutto, chi la fa, fa un bel niente: qui hoc non
agit. nihil agit: ah! quanti vuoti un giorno si andranno a vedere non dirò
solo nella vita de’ secolari, ma eziandio degli Eclesiastici e Dio non voglia
anche di coloro, che avevano nome, e fama di zelanti, anche di quelli,
che dividevano la loro giornata tra le opere del Ministero: chi sa a quanti
toccherà morir giovani, anzi fanciulli avanti il Signore non ostante che si
muoja con un certo numero d’anni, e di ministero: giacché fratelli miei,
mettiamoci bene in capo che la nostra vecchiaja non si forma già dagli anni
materiali, ma bensì dalla natura, e qualità delle opere nostre. Chi non
ha lavorato pel Signore, abbia pur fatto quello che vuole, conti quanti anni
vuole, ma meriti sempre colle mani vuote, e fanciullo; al contrario morrà
abbastanza maturo, abbastanza vecchio colui che ne pochi giorni del suo
vivere, del suo Sacerdozio abbi cercato di servire, di onorare Iddio. Satis
diu vixit. qui bene vixit. Saulle regnò sul Trono d’Israele quarant’anni
come ci disse l’Apostolo Paolo al Capo 13 degli Atti degli Apostoli42,
eppure nel Capo 13 del libro primo de’ Re si legge che regnò due soli
anni duobus autem annis regnavit super Israel43. E come va, dimanda un
Interprete, cotesta differenza, anzi cotesta contradizione [?] nò risponde,
non credere già qualche sbaglio in queste asserzioni, regnò, e non regnò
40 anni: se noi osserviamo il tempo, lo spazio materiale del suo regno, fu
veramente tale; ma se badiamo al fine per cui doveva regnare, e per cui
Dio l’aveva chiamato al Trono, fh solo di due perché in quei due soli servì
al Signore, e corrispose al suo debito fine: il rimanente fù un bel niente,
Dio non lo guardò, e fu lo stesso come se non avesse regnato: chi sa quanti
stenti, e fatiche, e quante vittorie ha riportato, eppure il tutto non solo
fu poco, ma un niente, talmente ché Dio vuol nemmeno che si nomini,
giacché sta scritto, che tutto l’uomo sta nel servire il Signore: Deum time,
hoc est omnis homo: chi non lo fa, e non Io serve, è come se non vi fosse, e
non facesse cosa alcuna: qui hoc non agit, nihil agit: qui hoc non est nihil
est. Ah! povere fatiche gettate al vento, che amaro punto, che doloroso
pensiero deve essere per un uomo qualunque, e tanto più per un Ecle-
siastico vedersi d’avanti un buon numero d’anni passati, il meglio di sua

A1A t 13,21.
431 Sam 13,1.

141
Esercizi Spirituali al Clero - Meditazioni

vita già quasi consunto, toccare tosto il termine de’ suoi giorni, aprir in
allora gli occhi ed accorgersi d’aver là mani vuote, rianda colla memoria
gli anni scorsi, le fatiche sostenute, i crucci, i fastidi sofferti, le calunnie le
dicerie con tutte le altre miserie di questa vita, ma non ci vede gran cosa
da potersi

(1872)6 fidare: opere profane, secolaresche, fini umani, e temporali, opere d i


pietà fatte mediocramente, più per usanza, per professione, e perché non
se ne poteva far a meno di quello che sia per spirito di pietà, di zelo, e di
servizio del Signóre44.

(1871) Altra conseguenza di questa verità ben meditata, è che noi attaccan­
doci, e servendo alla terra, noi facciamo un gran torto a Dio, mentre lo
posponiamo alla terra, e facciamo un gran danno a noi medesimi, mentre,
lasciando tutto il rimanente, questo divin servizio era quello che poteva
solo contentare il nostro cuore, noi attaccandolo alla terra lo cacciamo in
mezzo ai guai, ed alle spine: vanità, o fratelli, stoltezza, e pazzia ella è ogni
cosa di terra; e s’è vanità per tutti, lo è molto più per un Sacerdote, che
per ragioni è fatto per Dio e divenuto non solo estraneo, ma nemico alla
terra.

(1872) 6 Deh! fratelli la vita nostra se ne va, ogni giorno, anzi ogni momento
corriamo al fine, apriamo gli occhi prima che ci tocchi arrivar al termine;
è vero che forse ci rimarrà poco da vivere, ma almeno offriamo al Signore
questo pezzo di vita: suscipe Domine residuum annorum meorum. Buon
per noi che abbiamo da fare con un padrone tanto buono che è pronto
ad accettare anche il rifiuto degli altri: il Signore non ha sdegnato di accet­
tare que’ lavoranti che si mostrarono pronti a lavorare nella ultima ora,
seco farà non rifiuterà un Eclesiástico che pentito d’aver perduto, d’aver
scialacquato tanto tempo, e tanti anni nelle miserie di questo mondo, ora
viene ad offrirsi, a pregare di volerlo annoverare tra tanti buoni lavoranti45.
E vero che non siamo degni di tanto onore, è vero che non meritiamo di
essere tra il numero di tanti buoni ministri, è vero che saranno vicine le
ultime ore della mia nostra giornata, sì ma spero che la vostra la bontà, la
misericordia sua supplirà a’ miei nostri demeriti, se dal canto mio nostro

44 Qui il Cafasso inserisce un testo scritto nella pagina a fronte.


45 Tre parole cancellate: nella vostra vigna.

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Giorno prim o degli Esercizi - M editazione Prim a ^ Sopra il fin e dell’uomo

faremo in modo che la buona volontà supplisca a quel tempo, che ci


manca. Sono vostri adunque que’ pochi giorni, che ancor mi restano,
comandate, disponete, fate di me come volete. Eccovi fratelli mici qual
deve essere la prima nostra risoluzione di questo nostro ritiro, servire il
Signore, servirlo46 in modo che sia degno d’un si gran padrone e servirlo
colla mira di compiacerlo ed onorare Lui solo47.

Due righe cancellate: ora servirlo senza riserve; siccome è certo il fine di ogni
momento di questa vita, ed è un onore che ci fa ad accettarlo, servirlo costantemente,
servirlo allegramente.
47 II Cafasso a. questo punto rimanda alla sua pagina 10. La pagina però continua con
un lungo testo cancellato che arriva fino a metà di pagina 8 che noi trascriviamo in nota.
Il testo è il seguente: In primo luogo servirlo senza riserve. Un servo che pei suoi servigi
voglia entrare a patti col suo padrone, voglia solo prestarsi per questo, o per quello, fino
ad un punto, e non più; certo non è poi una persona che contenti pienamente una casa;
quel limite, quella riserva, quelle condizioni mettono parimenti un limite, una riserva
al cuore all’affetto di ambidue; fa che tra l’uno e l’altro vi potrà mai essere una piena, e
totale confidenza, una sincera e reciproca apertura di affetti, e di volontà. Anzi il buon
servo ributta coteste riserve quand’anche la graziosità, e la gentilezza d’un padrone gliele
volesse usare, e prima di comandare, di richiedere volesse, e cercasse di sapere se il servo sia
disposto, e contento, Signore, perché coteste riserve, coteste interrogazioni? non sa che io
non ho volontà in casa sua, sono pronto e sempre, ed in tutto a suoi cenni, non conosco
differenza servizi da servizi; il primo mio dovere, e nello stesso tempo la consolazione più
dolce per me è quella di servire, di contentare il mio padrone, io non guardo già la cosa,
che devo fare, ma miro per chi la fo: questo è il tutto per me; l’opera più bassa è la più
grande per me quando la voglia il mio padrone, la più grande al contrario è ben nulla per
me quando non sappia la volontà del mio Signore. Questi o fratelli Tali sono i sentimenti
che dovrebbero animare un Eclesiástico nelle mani e nella vigna del suo Signore; Dio mio,
giacché sono vostro servo, vostro ministro fatemi la grazia, e l’onore di disporre di me
senza di me; voi lo sapete che io non ci sono entrato nella mia vocazione, e cosi non devo
trovarmi nella scielta, e nell’assegnazione del luogo, e del mio lavoro; non guardate il mio
comodo, il mio utile, quello che più mi piace: questo non ci deve entrare, mio Dio, il
vostro cuore, la vostra gloria, i vostri interessi, ecco la sola cosa che voglio, ecco quel tutto
che cerco nel vostro

servizio. Ah! quanto bene fa un Sacerdote quando entri nel campo del Signore con (1874) 7
queste viste e con sì belle disposizioni: si può dire che diviene onnipotente, come onni­
potente è quella mano, che lo maneggia. Fossero pur molti i ministri, gli Eclesiastici di
questa fatta! e quante volte anche sacerdoti di zelo, di lavoro, e di buona volontà pure
stentano ad arrivare a questo punto; si studia, si lavora, si fatica ma è difficile che nella
scielta di questo o di quello non c’entri un po’ del nostro, e voglio dire, di genio, di
comodo, di vantaggio, e andiam dicendo: eppure ripeto noi non dobbiamo entrarvi,
siamo chiamati per lavorare, e non per determinare, a noi tocca ubbidire, e non disporre,
e per poco che noi ci vogliamo entrare, primieramente ci arroghiamo un diritto, che non

143
Esercizi Spirituali al Clero " Meditazioni

( 1879) Che se vogliamo altri motivi, altri titoli per impegnarci sempre più in
a questo nostro gran fine di servire il Signore, non

abbiamo, in secondo luogo Dio ci rifiuterà la paga perché potrà sempre dirci che non era
quello il lavoro, che voleva da noi. Ma come conoscere questa volontà di Dio, qualcuno
può dimandare, in tutte le singole cose della nostra vita; io dico un mezzo solo che vai per
tutti, ed è cercarla sinceramente: cercarla, sinceramente in fondo al nostro cuore, cercarla
sinceramente tra noi e Dio nelle nostre preghiere, cercarla sinceramente presso chi la può
sapere. L’ostacolo più comune a ritrovarla, credetemi, è appunto la mancanza di questa
sincerità: si cerca, e pare che si faccia davvero, ci sembra di cercarla di aver in mira Fonore,
la gloria di Dio: sarà vero, se parliamo della massima parte, ma se vi scrutiniamo ben a
dentro, vi troviamo qualche cosa del nostro, e mi spiego: vorressimo che la volontà di
Dio fosse tale quale noi la desideriamo, avressimo piacere che si potesse combinare l’uno
e l’altro assieme, e quando non ci riesca tentiamo, e cerchiamo ogni via per ridurla alla
nostra: e questo fa che non si vede chiaro, si tentenna un po di qua, un po di là, e tante
volte si finisce col farsi una scielta che non sarà poi la più conforme ai desiderii, alle mire,
che Dio aveva sopra di noi; non sarà una scielta cattiva, nò, ma nemmeno la migliore, e
questo basta perché non si facci tutto quel bene, che Dio voleva operare per mezzo nostro,
né si provi tutta quella quiete, tutta quella consolazione che pur era preparata per noi.
Servir adunque il Signore a modo suo, e senza riserve; servirlo costantemente. Il ser­
vizio a cui noi siamo arruolati non ammette né vicende, né vacanze. Siamo lavoranti:
la nostra giornata cominciò dal punto di nostra ragione, e per noi Sacerdoti cominciò
in particolare maniera dall’istante della nostra ordinazione e non deve tramontare che
quando finiremo di vivere. Che vale, fratelli miei, metterci davvero un giorno, due, in
certe epoche dell’anno, e poi lasciare ogni cosa, cambiare come non fossimo più suoi,
come se cessassimo d’essere sacerdoti [?] che vale mostrarvi sì zelanti in una cosa, impe­
gnarsi in un altra, e poi trascurare, e far mediocremente le altre [?] Il servo fedele è quello
che da mattino a sera, e sia pur lunga la giornata si trova sul luogo del suo lavoro, in ogni
momento è ai cenni del suo padrone, in ogni cosa voi lo trovate lo stesso, pronto, esatto, e
vigilante: e chi non è tale, chi misura il tempo, e le cose, chi va trascinando, e cambiando
nel semzio del Signore, Dio lo conta come un servo malvagio, e come un operante d’ini­
quità. Declinantes in obbligationes adducet Dominus cum operantibus iniquitatem [Sai
124,5]. Fate la prova a dimandare che sacerdote sia quel tale, se lavori, se faccia molte
opere: alle volte si risponde, secondo le circostanze, secondo i tempi: e come sarebbe? oh!
se vuole, se si mette di buona volontà, se gli da nel genio, se lo sanno prendere ha paura
di nessuno. Che elogi umilianti sono cotesti per un Eclesiástico: lavora secondo le circo­
stanze: ci siamo forse fatti sacerdoti per vocazione di circostanze [?] la nostra vocazione è
assoluta, è costante, e noi non possiamo disporre a nostro arbitrio d’un

( 1876) 8 momento di nostra vita senza far torto a quel padrone che ci chiamò al suo servizio.
Si ricordi adunque l’Eclesiastico che vuol essere tranquillo del suo servizio, e sicuro della
sua giornata di non metter riserva ad alcuna sorta di lavoro, ma di rimettersi pienamente
a quanto e come vorrà il suo Signore, procuri di tener sott’occhio la sua qualità di Sacer­
dote, e che come tale è legato in ogni cosa, in ogni momento di sua vita. Un Eclesiástico,
che fu richiesto per qualche temporale faccenda, si scusava che non aveva un momento

144
Giorno p rim o degli Esercizi ^ M editazione Prim a * Sopra il fin e dell’uomo

abbiamo a far altro che entrare più a dentro, a considerar ben bene la
natura, e gli aggiunti di questo divin servizio, e nói vi vedremo come la
giustizia, l’equità della cosa voglia che noi lo serviamo l’onore e la gloria
che a noi ne ridonda, la facilità, la dolcezza, la pace che noi vi -proveremo
l’accompagna, il premio finalmente che noi ne riporteremo per averlo ser­
vito: oh che campo, o cari, di pensieri, di affetti, di consolazioni per far di
questo primo giorno una giornata di paradiso: che argomenti, che stimoli
per infervorare, per infiammare questo nostro cuore a darsi per intiero a
servir il Signore.
Io non vi parlo della giustizia di questo divin servizio, poiché qualcosa
più giusta, più equa, più ragionevole, che una creatura, e molto più un
Eclesiástico, serva al suo Dio, al suo Signore, al suo Creatore, al suo Bene­
fattore. Io mi fermo nemmeno sulla facilità, sulla dolcezza, sulla pace che si
prova in questo divino servizio; dirò solo che il Signore è un padrone tale,
che non vuole che il suo servo stia alle sole ragioni, ai patti, alle promesse,
ma vuole desidera che provi, che gusti, e poi decida: gustate et videte48:
chiamatelo, se volete, a tanti buoni Eclesiastici, che servono Dio, dite loro,
se trovino peso, cruccio, fastidio, e grande fatica a servire il Signore, e vi
risponderanno che nò, o se Io sentono un qualche poco, è tanto il com­
penso, che si fa quasi desiderare: vi diranno che non san che fare di tutte le
dolcezze di questo mondo, e non cambierebbero la lor sorte colle migliori,
e più fortunate persone sulla terra: avete sentito, io non ho altro ad aggiun­
gere ai loro detti, ed alla loro esperienza; provate, ripeterò, e poi voi stessi

libero, e che non sapesse che fare. Possibile, insisteva Faltro, che non abbia proprio un
momento [?] nò Signor mio, rispose francamente, cominci egli però vi sarebbe un mezzo
se è capace di usarlo, ed è di trovarmi un momento, che non sia sacerdote, ed allora io
troverò un momento da disporre, e da perdere in quel modo. Cotesta risposta sembrerà
un po’ indigesta a tanti sacerdoti nel mondo, che, come essi dicono, non sanno che fare
nel mondo, eppur ella è cosi; e chi la pensa diversamente non conosce se stesso, non
conosce la sua vocazione, non conosce i suoi doveri. Fatto questo non ci resta che servir
Dìo di buona voglia, con bella grazia, allegramente. D ’ordinario contenta, o disgusta di
più un padrone la maniera, con cui un servo disimpegna il suo servizio che il servizio
stesso; e se questo ha luogo tra gli uomini, che non sarà del Signore quando sappiamo che
misura il nostro servizio più dal cuore che dalle cose [?] Deus magis de cordibus quam de
manibus facta metitur [cfr. nota 35]: hilarem datorem diligit Deus [2 Cor. 9,7], non dice
già un datore, un operatore di gran cose, ma hilarem pronto, esatto, e di cuore.
Con un rimando alla pagina. 10 riprende il testo non cancellato che sì trova però nella
pagina a fronte.
48 Sai 33,8.

145
Esercizi Spirituali al Clero ~ Meditazioni

l’avrete a decidere49, e sappiate che in questo mondo dura sunt omnia:


Deus solus requies: guai al povero sacerdote che cerca altrove fuori di
questo Dio la sua quiete, la sua pace.
Finalmente l’onore, la stessa nostra gloria vuol che serviamo il Signore,
come il premio che ci aspetta. Nel mondo etc. pag. 8.

(1876) 8 Nel mondo vi sono de padroni, grandi e ricchi nel secolo, Re e Monar­
chi: tutti questi differenti padroni sono serviti, e chi li serve se ne vanta,
se ne gloria, e si stima felice. Eppure che ha da fare questa qualità di servo
anche del primo monarca del mondo colla qualità che a noi Eclesiastici
compete particolarmente di ministri e servi del Signore, qualità gloriosa
oltre ogni credere, qualità tanto alta, ed eminente che ci innalza sovra
quanto vi è sulla terra50 [?] Quanti nobili, e generosi sentimenti dovrebbe

49 Una riga cancellata: ma intanto ricordiamoci di quel gran detto, che spero ripetervi
altra volta, cioè.
50 Seguono alcune righe cancellate che trascriviamo in nota: Entrato il profeta Giona
sulla nave che doveva condurlo a Tarso, il Capitano io interrogò, dice la S. Scrittura, chi
fosse, quale la sua professione, il suo paese, la sua qualità. Il profeta si limitò a rispondere
con dire che era un servo di Dio, e che temeva il Signore: Deum Coeli timeo Gio 1,9
ammirabili parole, esclama un santo Padre, si fanno al profeta tante e diverse dimande,
ed egli crede d’aver soddisfatto a tutto con una sola risposta, sono servo di Dio, temo il
Signore: come se avesse voluto dire: tutta la mia professione, tutte le mie qualità, tutti i
miei titoli consistono in questo solo: servo Iddio.

(1875) Con una nota il Cafasso rimanda alla p. 8 a fronte dove ce un lungo testo, in seguito
cancellato, che noi trascrìviamo: Ma cotesta nostra obbligazione di servir Iddio poggia su
tali, e tanti motivi che per poco li vogliam ponderare ci sarà come impossibile a non sen­
tirci forzati a superare ogni ostacolo per corrispondere al gran fine della nostra creazione,
e della nostra sacerdotale vocazione. Primieramente è tale l’importanza, e la natura di
questo nostro fine, e di questo nostro dovere che assolutamente, necessariamente va fatto,
va compito per non morire manzi tempo, anzi per non esser già morti ancor vivendo, e mi
spiego: questo nostro fine di servir Dio forma il nostro-fine la ragione totale e sostanziale
della nostra esistenza, e come io fà nel suo principio, così

(1877) continua ad esserlo nella nostra vita, sicché tolto questo fine non saressimo venuti
ai mondo, e venendo a cessare da parte nostra, cessiam parimenti di vivere avanti Dio,
viviamo, eppur siam morti, viviamo avanti il mondo, eppur la nostra vita non c’è più
avanti Dio, cosi che l’Eclesiastico che cerca di scuotere da cotesto servizio, e devia dal
proprio fine, tenta con questo di distruggere se stesso, perché cerca di far crollare il fon­
damento, il punto che forma la base, il cardine della sua esistenza. Sono vivo io che parlo
in questo momento, mi sono ritirato su questo monte, io che fo già i miei calcoli finiti

146
Giorno prim o degli Esercizi - M editazione Prim a ^ Sopra tifin e dell’uomo

parimenti risvegliare in un Sacerdote il pensiero della propria qualità di


ministro, e servo del Signore: io ho poco talento, poca capacità, non posso
far gran cosa, mi consolo però che anche nel mio poco servo il Signore:
sono di bassi natali, non appartengo a gran casa, non ho roba, non ho
impieghi, non ho titoli, niente importa, ho la miglior qualità del mondo,
sono un Eclesiástico, che serve il Signore; di questo solo mi pregio, mi

questi giorni; è vivo quel sacerdote, che fa tanto strepito di se in quel luogo, in quel
paese, si prende tanti cruci per se, e ne da ancor gli altri, vive o no, ed è già morto; pur
ridicola questa dimanda, se la facciam al mondo, cercar se sia morta una persona che vive,
ma lasciamo che il mondo rida di ciò, che non intende; e se noi vogliamo saperlo, guar­
diamo lo spirito, le opere sue: se i suoi fini, i suoi progetti, le sue occupazioni sieno dirette
all’onore, alla gloria di Dio, e quando sien tali, teniam pure per certo, che c’è, che esiste,
che vive, non già perché lo novera il mondo, ma perché lo novera Iddio, e Iddio appunto
lo calcola, lo riconosce, e lo tiene tu tt’ora per un opera sua, un servo, un ministro, perché
compia al proprio fine, al proprio uffizio. Del resto quando viva per tutt’altro, pensi,
studi, fatichi, si logori anche pel mondo, per la terra, è inutile sperarlo, darcela ad incen­
dere Iddio non ci calcola più, e tiene già avanti Lui come cessata, come estinta la nostra
vita, mentre noi ne estinguiamo, e ne facciamo cessare la ragione totale, sostanziale; e
non ci faccia meraviglia perché anche tra gli uomini non-si fa diversamente: interrogate
un Sovrano, se riconosca un Ambasciatore, che non corrisponde ai suoi mandati, e li tra­
scura. Dimandate'ad un padrone, se abbia ancor per servo colui che non vuol più ubbi­
dirlo; certo che no, e chiunque li avrebbe per gente morta nella lor qualità, e che ha ces­
sato di vivere per quel fine; lo stesso dicasi nel caso nostro, colla massima differenza però
che essendo quei fini accidentali nelle cose umane, la persona non ne scapita di molto,
e quasi può dirsi sempre la stessa per ciò che riguarda [a sostanza del viver suo; che al
contrario pel nostro punto poggiando la ragione formale, sostanziale, ed inseparabile dei
nostro vivere su quel gran fine, mancandoci, non resta più che illusoria, ed apparente la
nostra vita, come apparente é tutto ciò che manca della vera suà sostanza. Deum time etc.
pítgT^é
Per chi ha fede, e per chi ha un po di senno dovrebbe bastare questo riflesso per
destarlo, scuoterlo, e far che intenda una volta, ciò che nel mondo non si vuol capire, ed
intendere; per noi Eclesiastici, che siamo qui radunati pe’ nostri esercizi, questa massima
sola può darci materia di ben serii riflessi in questo nostro ritiro: orsù ciascuno di noi,

deve dire a se stesso, che vai andare avanti in questo mondo, passar i giorni, i mesi, (1879)
gli anni, crederci di vivere, e far forse gran cose, quando poi in realtà non fosse che una
vita di nome, di apparenza, di fumo, e niente più che materiale: cosa che ho fatto sin’ora,
che fò, che voglio fare in questi giorni, e per l’avvenire se il Signore vorrà ancor darmene;
or che siamo qui lontani dallo strepito, e da’ tumulti del mondo, liberi dalle brighe, e da
disturbi del nostro impegno, del nostro stato, or che siamo qua venuti a bella posta con
sacrifizi, con incomodi, è tempo di parlarci chiaro, prendere alle strette il nostro cuore, e
vedere a che punto siamo.

147
Esercizi Spirituali al Clero * Meditazioni

vanto, cxH~questo solermi vanto e questo solo mi basta. Assuma chi vuole
altri titoli, di dotto, di grande, di eroe, io sarò abbastanza ricco, abbastanza
grande quando sia un sacerdote, che servi Iddio.

(1878) 9 Altri formeranno progetti di onori, di acquisti, di ambizione, di for­


tuna, a me basta per tutto, che io serva al Signore, e lo possa servire sino
agli ultimi de’ miei giorni. Tal’è la grandezza d’animo, la nobiltà de’ senti­
menti, la quiete, la consolazione del cuore che genera, che la nostra qualità
di ministri, di servi del Signore quando sia da noi conosciuta, e stimata per
quello che è, e per quello che vale5’.
L’altra cosa che può giovare per eccitare un Eclesiástico a servire alle­
gramente il Signore è la vita, la speranza di quello, che ci aspetta, e ci sta
preparato. Noi sappiamo i lamenti, i gemiti di quel Ministro, che dopo
d’aver servito lungamente il suo sovrano, e non potendo avere in com­
penso nemmen un ora di più di vita, si rimproverava di non aver servito

51 Segue un testo cancellato che trascriviamo in nota: Che se il Signore nell’esercizio del
nostro ministero ci permette travagli, ci addossa qualche opera che ci incomoda, ci pesa,
ci noja sia pel tempo, sia pel luogo invece di lasciarci abbattere, farla a malincuore, e come
per forza dovressimo rallegrarci, e ringraziarne il Signore. Un padrone che tenga un lavoro
difficile, incomodo, nojoso a farsi, si volge al servo più fido, più docile, più sicuro. Un
Capitano che abbi un posto d’importanza da assalire, da guardare s’appiglia al soldato più
fedele; e questo tratto d ’un Superiore, d’un padrone ben lontano di umiliare, di abbattere
un servo, un soldato, che anzi lo onora, lo anima, lo esalta. Tale è l’onore che ci fa a noi il
Signore quando si serve di noi. Vi sarà un penitente rozzo, ignorante, grossolano, che vuol
molta pazienza, e Dio lo manda a noi; ve ne sarà un altro ostinato, duro, dove ci vorranno
per vincerlo tempo, destrezza, preghiera, ebbene Dio dispone che veniam richiesti noi
a preferenza d’un altro: vi sarà un moribondo a ore incomode di notte, in siti lontani,
strade quasi impraticabili, andiatn dicendo: in sì fatte occasioni invece di provarne rin­
crescimento, e peso, e prestarsi per metà, e di cattivo umore, dovressimo anzi tra noi e
noi gioire, rallegrarci, e ringraziare grandemente il Signore: mio Dio vi sono tanti buoni
sacerdoti che potrebbero fare molto meglio di me: che hanno zelo sicuro, buona volontà,
e io farebbero tanto di cuore, e voi mio Dio siete tanto buono da volgervi a me, da affidare
alle mie mani quello, che avete di più caro al mondo, un anima da voi redenta: mentre
tanti marciscono nell’ozio a far niente,.io lavoro per Dio, mentre tanti altri sono in moto
per chi sa quali faccende, io parimenti mi trovo in moto con loro, con questa differenza
però che io mi muovo per Dio, ed eglino per gli uomini, loro per la terra, ed io pel Cielo.
Non basta ancora in quel tempo istesso che altri sacerdoti pregano Dio col profeta: ecce
ego mitte me [Is 6,8] sono pronto ovunque ai vostri cenni, Dio invece chiama me, che
forse non vi penso, e quasi mi pregasse mi dice che gli sta a cuore quel tale, vuol salvare
quell’altro, epperciò a me lo manda, lo raccomanda: Signore mi confondete, e che mai
sono avanti di voi per onorarmi cotanto [?] ah! quanto zelo, quanto cuore, quanta gioia
dovrebbero svegliare cotesti riflessi in un buon Eclesiástico.

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Giorno p rim o degli Esercizi ~ M editazione P rim a Sopra il fin e delluomo

un altro padrone, che in quel punto certo l'avrebbe compensato: e quanti


sono costretti in que’ giorni a fare cotesta dolorosa confessione: hanno ser­
vito, e che duri padroni, hanno faticato, hanno sofferto, sono stanchi da
non poterne più, eppure si vede, si tocca con mano ogni dì come sieno
pagati in quel punto: rimorsi, affanni, inquietudini, e Dio non voglia,
qualche cosa di peggio: consoliamoci, fratelli miei, che il padrone, che noi
abbiamo scielto a servire, ci lascierà niente a desiderare, anzi supererà di
molto le nostre speranze, e

le nostre aspettazioni allorquando volgeranno alfine i nostri giorni. (1880) LO


Il nostro fine ultimo è quello che ce ne assicura: noi non siamo per
questo mondo, ma pel Cielo: Creatus est homo ad hunc finem ut Domi-
num Deum suum laudet, ac revereatur. eique serviat tandem salvus fiat52.
Dunque finiamola, questo mondo o cari, non è per noi; per natura, siamo

per nostra scielta medesima siamo per Dio, e per il Cielo sicché il caso di
fare calcoli, e progetti di terra, di attaccarvi il cuore, di riposarvi sopra nò
questo mondo ripeto non è per me53. Sono nato etc.

52 S, I g n a z io d i L o y o l a , Esercìzi spirituali, eie., n. 23.


53 La pagina, contìnua con un lungo testo cancellato le cui prime due righe sono illeggibili.
Trascriviamo il testo: Abbiamo veduto finora il fine nostro, ed eccovi con questo il fine
di questo mondo reiativamente a noi, di aiutarci noi a conseguire il nostro ultimo fine:
Reliqua super terra .sita creata sunt hominis ipsius causa ut eum adiuvent ad suum finem
persequendum [S. I g n a z i o , Eserc. sp., cit., n. 23]. Per questo mondo s’intende primiera­
mente tutto ciò, che di materiale, è visibile può cadere sotto i nostri sensi: s’intendono
tutte quelle qualità accidentali, che in modo speciale toccano noi stessi, come sarebbero
la nostra condizione, nascita, fortuna, sanità, impiego, talento e cose simili; s’intendono
finalmente tutte quante le vicende che nella giornata incorrono, e sono indispensabili,
sieno prospere, sieno avverse, giacché tutto quanto capita, ed esiste nel mondo, che non
porti il carattere di colpa, tutto indistintamente viene da Dio: Bona et mala, vita, et mors.
paupertas et honestas a Deo sunt. dice lo Sp. Sant. nell’Eclesiastico: 11.14. Ebbene tutto
questo Dio l’ha creato, lo vuole, lo permette per questo solo fine di darci un mezzo per
arrivare all’ultima nostra meta, all’ultimo nostro fine. Gran verità, fratelli miei, da cui ne
vengono necessariamente grandi conseguenze. La prima, e principale è questa che tutte
le cose di questo mondo essendoci date come un mezzo di salute, ed ogni cosa indistin­
tamente sia dolce, sia amara, sia comoda, sia nò potendoci servire egualmente, per quel
fine, anzi Dio avendo disposto in quel modo sono certo con questo che quel mezzo è
il più conducente per me, ne viene naturalmente che ognuno di noi dovrebbe essere
indifferente tanto ad una cosa, come all’altra, sìa sano, sia malato, viva poco, viva molto,
abbondi di talento, di roba, oppur ne scarseggi, si parli bene si parli male, abbia o non

149
Esercizi Spirituali al Clero - Meditazioni

(1881) il Sono nato in terra, ma non sono nato per finire sulla terra, sono invece
creato, sono destinato a finire terminare in Cielo: che se fratelli mìei, ci
costa qualche cosa ad attraversare la strada di questo misero mondo, fac­
ciamoci animo cuore, come dice Agostino ci sia di sollievo, e conforto la
vista del premio, la speranza di ciò, che ci aspetta: grandis labor. sed resplce
quod promissum est: spes praemii solatium sit laboris: :
quello è il nostro fine, là bisogna andarci, e costi quanto vuole,
costo va conseguito: lo ripeto e conchiudo: vi conviene conseguirlo: Crea-
tus est homo ad hunc finem ut Dominum Deum suum laudet. ac reverea-
tur, eique serviens tandem salvus fiat. Cosi sia54.

abbia stima nel mondo, per me è lo stesso; guardando ogni cosa come mezzo, e tutto
potendomi servir ugualmente, tanto mi deve essere questo come quello, indifferente ad
ogni cosa, ad ogni accidente, ad ogni caso qualunque possa essere: qui si vuol dire che
è difficile cotesta indifferenza: io rispondo: sia o non lo sia difficile, io dimando ella è una
conseguenza naturale, legittima, o no? Di più osserviamo che non si parla già d’indiffe­
renza di senso, che sarebbe quasi impossibile, ma s’intende indifFerenza nella parte supe­
riore di volontà; voglio ammettere che anche questa contenga qualche difficoltà, ma non
perdiamoci d’animo, fratelli miei, vi sono arrivati, e vi arrivano tanti altri sacerdoti, i quali
se Dio facesse loro l’offerta di scegliere più in caso prospero ed avverso, rifiuterebbero,
e nò direbbero, tutto quello che volete voi o Signore, né più né meno di quello che sia
meglio per la vostra gloria e per la vostra salute, e perché non lo potremo dire anche noi?
tentiamo almeno di arrivarvi, ed awicinarvisi quanto possiamo: felici noi se vi giunge­
remo, quanti pericoli, e quanti dispiaceri di meno con questa santa indifferenza; giacché
appunto i disordini il male tanto de’ cristiani, come degli Eclesiastici proviene appunto
dall’attacco

(1881) 11 di terra, e quello stesso attacco è quello appunto che fa sentire più vive, più dolorose
le vicende di questo mondo. Come poi le cose tutte che ci circondano possano essere per
noi un mezzo di salute, è facile comprenderlo, e lo possiamo capire in poche parole: o elle
sono prospere, di comodo, di vantaggio, di onore, ringraziamone il Signore, impariamo
da questo poco a sperare di più. nell’altra vita, facciamone un buon uso, e procuriamo col­
l’esercizio della mortificazione di andar via togliendo da noi, ed offrire al Signore ciò che
Egli stesso ci ha dato. Oppur elle ci sono avverse, di cruccio, di pena, di umiliazione, di
travaglio, oh! allora possiamo essere più facilmente in guadagno, rassegnarci alla volontà
del Signore, adorare, e lodare la santa sua volontà: e per farlo facilmente, farlo anche alle­
gramente, ricordiamoci sempre, e finisco, ricordiamoci, come raccomanda il divoto servo
dell’imitazione di Cristo, del nostro fine: memento semper finis [I, XXV, 11] io non sono
pel mondo, il mondo non è per me.
5,4 II manoscritto contiene ancora alcune pagine, con tre diversi esordì.

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Giorno prim o degli Esercìzi ~ M editazione Prim a ~ Sopra il fin e deWuomo

Esordio alla prima Meditazione (1883)

Nel dar principio a questo santo ritiro, e nel volgere uno sguardo a Voi,
fratelli miei cari, molti sono i pensieri che si presentano alla mia mente,
e che più. o meno nasceranno in ciascun di Voi. Noi ci troviamo qui radu­
nati in un certo numero, e per poco che vi pensi, non posso a meno che
dimandar a me stesso e come va in un sito così deserto, incomodo, lon­
tano e trovarmi tutto in un colpo, e quasi all’improvviso un tanto numero
di gente? e chi sono cotesti personaggi, d’onde mai sono venuti, perché
tempo si fermeranno, ed a che fare si sono recati costà? Quattro dimande,
che basterebbero per se sole a darci materia più che abondante per tratte­
nerci ben utilmente in questo ritiro. Chi sono cotesti uomini? sono sacer­
doti, sono Ministri del Signore; sono que’ candellieri che Iddio ha posto
qua e là nel mondo per diradarne le.tenebre; sono que’ duci, che Dio ha
destinato a capitanare le elette schiere del Cielo; sono que’ messi che Iddio
ha spedito sulla terra per combattere il peccato, e dilatare la gloria sua;
sono personaggi in una parola prescelti fra tutti, chiamati con particolar
vocazione, allevati con cure tutte speciali, forniti di qualità, e poteri affatto
diversi dagli altri; forse chi li vede, gli pare gente comune e uomini come
tutti gli altri, eppure no; sono uomini sì, ma uomini privilegiati, partico­
lari, e tutto proprii, come tutto proprio è il loro stato. E d’onde vengono
questi uomini? Vengono dal seno di un mondo, in cui tutto è trambusto,
confusione, e discordia. Vengono tramezzo a maligni che non lasciano
loro-inepace da una terra che a stento li soffre, e sovente li copre di53 beffe,
e sarcasmi. Vengono dalle loro case, e paesi, dove sogliono dividere le loro
assieme a molti buoni le loro preghiere, ed il loro dolore; e per che tempo si
fermeranno costì? per poco; eh! un soldato che abbi il suo posto assegnato
in campo di battaglia, non può starsene assente; un capitano, che tenga le
sue schiere in faccia al nemico è impossibile vi stia lontano. Dunque questi
uomini, che vi son giunti, fra non molto spariranno di bel nuovo. Ed a
che fare ci sono venuti? eccoci al punto più interessante per noi: forse per
divertirsi, per passare un po’ di bel tempo? eh! siamo ben lontani miei cari,
questi uomini di cui vi parlo, hanno ben tutt’altro da pensare che a queste
minuzie, e miserie; forse per riposarsi solo e starsene in quiete? Nemmeno.
A che cosa adunque? il fine, il perché

55 Una parola cancellata illeggibile.

151
Esercizi Spirituali al Clero - Meditazioni

(1884) è degno del personaggio, che è venuto. Egli è posto nel mondo per fare
presso Dio la causa de popoli, ma venne a quésto luogo per far la causa
sua propria, per trattare dell’anima propria sua. Il tempo come vedete di
questa fermata, è brevissimo, l’affare a compirsi egli è massimo: otto giorni
di tempo, miei cari, per rivedere gli anni nostri passati: otto giorni per
preparare il rendiconto dei nostri lavori: otto giorni per mettersi di par­
tire ogni momento da questo mondo per l’eternità: otto giorni per ren­
derci veri atleti del Signore, fermi, costanti, ed immobili ne’ più duri
cimenti; otto giorni, per formare delle nostre persone la grazia più grande
pe’ popoli, il tesoro più prezioso della terra, qual’è un vero Ministro del
Signore: otto giorni e niente più, otto giorni, che già hanno cominciato,
e nel momento stesso che ve lo dico, s’incalzano, e se ne corrono al fine:
otto giorni che andiamo perdendo in ogni istante, e che passati ritorne­
ranno mai più. O fratelli, sia questo il pensiero che-ci abbia~ad~impegnaTe
in questi giorni che ciascun di noi abbia a tenersi sott’occhio come uno
specchio per impegnarsi in questi giorni. Il tempo passa, il mio affare è
sommo, gettato che egli sia non ritornerà più: cogita frequenter ad quid
venisti515, mi vien ben acconcio qui il ripetere il beH’awiso dell’i m itazione
di -Cristo di quel vlc servo di Dio. Pensa soventi o Sacerdote, in questi
giorni, qual sia il fine, per cui ti sei ritirato in questo luogo. In varie
maniere Iddio avrà chiamato ciascuno di noi a cotesto ritiro, ed in varie
maniere parimenti Iddio ci parlerà; variis et miris modis vocat nos Deus:
con uno~userà la-voce del ad uno indirizzerà e farà sentire una parola di
timore, dello spavento, dell’affanno, con ad un altro tacerà il linguaggio
della pace, della consolazione, e speranza. Chi la sentirà una scossa al cuore
per questa voce in una massima, chi nella recita del nel Breviario, chi nelle
proprie preghiere, chi in chiesa, chi in camera, e direi anche nello stesso
sollievo. Comunque venga, e qualunque sia questa voce ricordiamoci che
ella è di quel Dio che ci ha chiamati; voce che non sappiamo se si ripeterà
altra volta, voce che d’ordinario non si sente che nel ritiro, e quiete; voce
di vita, o di morte poiché se vi sono motivi di temere per un anima, il
egli è quando
persona arriva al punto da trascurare e non badare più ;
a queste voci. Guai al servo, che non s’arrende alla voce del suo
padrone; guai al figlio che non fa più caso delle parole del padre suo: Verba

56 De imitatione Christi, I, XXV, 1.

152
Giorno p rim o degli Esercizi - M editazione Prim a - Sopra il fin e dell’u omo

Dei non auditis quia ex Deo non estis3": perché quell’Eclesiastico è cosi
annoiato dalla parola di Dio, e sentendola non la cura? perché l’ha rotta
con Dio, s’è allontanato da Lui, e non s intendono più. Lo so che questo
non fa per voi che col fatto mostrate il contrario, mentre siete accorsi per
sentirla,

ringraziamone il Signore, e si abbia per non detto, e frattanto entriamo (1885)


senz'altro in quel gran campo di verità, e di disinganni che ci attendono in
questi giorni58.

Era costume come voi sapete V.dl fratelli miei, del nostro divin Reden- (1886)
tore d’interrompere soventi le sue apostoliche fatiche e ritirarsi in solita -
dine non tanto pel materiale riposo ma molto più per ivi attendere alla
preghiera, e contemplazione. Non contento di farlo egli solo, invitava i
primi suoi sacerdoti ed apostoli come leggiamo presso S. Marco Cap. 6°
che essendo ritornati essi un di da tma certe loro fatiche, dopo d’avergli
narrato quanto essi avevano insegnato, ed operato, questo buon padre fece
loro Finvito d’andar seco lui in solitario luogo a prendere un po’ di lena:
venite seorsum in desertum locum, et requiescite pusillum. Ed essi Fascol­
tarono avviandosi seco lui per quel deserto: ... abierunt in desertum locum

57 Gv 9,47.
58A questo punto il testo contiene l ’annotazione 1 °pag. 2, Così scrivendo il Cafasso inten­
deva rimandare alla pagina 2 in alto ¿love ce analogo segno. Segue un testo successivamente
cancellato dal Cafasso che noi qui trascriviamo: Tutto il male nelTuomo proviene perché
dimentica il proprio fine, quel fine cioè che Iddio irrevocabilmente ha segnato a ciascun
di noi nella nostra vocazione, epperciò non v e a stu p ire che fallisca la strada; mostratemi
l’arte, diceva un servo di Dio, di far pensare seriamente, di far riflettere gli uomini, ed io
avrò i Sacerdoti, ed io ve li darò tutti santi; ma finché il Sacerdote non si metta davvero
a tener l'occhio ben fisso alla propria meta, non v’è a sperare che ritorni in meglio, o sarà
fuor di via, o anche trovata la vera, la lascierà nuovamente e come volete che giunga ad
uno scopo, quando questo scopo vi manca, o almen non vi si bada, o si cambia ogni
giorno. Io vi chiamo adunque o fratelli una giornata per darla, per consecrarla intiera­
mente a questa gran verità, per ponderare cioè la natura, l’importanza, e le conseguenze di
questo gran fine. In questa massima possono dirsi compendiati tutti i nostri esercizi, e dal
modo con cui ci faremo a meditarla, dal frutto che ne ritrarremo potremo giudicare fin
d’ora dell’esito, e del frutto del nostro ritiro. Il Signore assista e me, e Voi in questi giorni
sicché il tutto abbia a riuscire alla maggior sua gloria, a consolazione e sollievo della deso­
lata sua Chiesa, ed al maggior profitto, e vantaggio delle anime nostre. Cominciamo.
Il Cafasso, aUa pagina appena trascritta in nota, ha incollato un foglietto di altro colore
contenente un testo che potrebbe essere una variante dell’Esordio testé trascritto. Non lo trascri­
viamo in nota, ma di seguito nel testo non essendo stato cancellato.

153
Esercizi Spirituali ai Clero ^ Meditazioni

seorsum’°- Fratelli miei, già voi lo capite. Cotesto buon Dio ha fatto un
altrettanto con me, e con voi col comodo, e colla grazia di cotesto ritiro, di
questi Spirituali Esercizi sulla cima di cotesto monte. Grazia etc.

(1887) Esordio della Meditazione sul fine


quando si sia fatta j’Introduzione

Uno de’ mezzi, anzi il primo tra tutti per riuscirla in un affare Egli è quello
di richiamarlo soventi alla mente, considerarlo attentamente, conoscerne
l’importanza e pensarne tutte le conseguenze. Tale era la pratica del dottor
S- Bernardo, che ritirato in Religione, benché sequestrato dal mondo, tut­
tavia per non venir meno alla sua vocazione, anzi per impegnarsi vieppiù
a corrispondervi, usava di ricordare soventi a se stesso il fine, per cui s’era
ritirato in Religione venuto con quelle parole che noi sappiamo: Bernarde,
ad qui venisti? La stessa massima inculca l’autore del bel libro dell'lmita-
zione di Cristo: pensa soventi, o figlio, al fine, al motivo, per cui tu sei
venuto: cogita frequenter ad quid venisti. Datemi un padre, un padrone,
od una persona qualunque, che abbia a compiere commettere un qualche
affare d’importanza se viene il caso che l’abbi a~commettere al figlio, al
servo, od altro dipendente od amico, la prima cautela, che usa per sua tran­
quillità, e sicurezza, è appunto cotesta raccomandazione: ricordati bene,
pensavi sempre, guai se lo dimentichi. Tale appunto la regola che tiene
S. Ignazio ne’ suoi esercizi; vuole che per primo la persona che si ritira,
richiami il suo fine, lo consideri, lo mediti, lo pesi attentamente, e tale e
tanta è l’importanza, che dà a cotesta meditazione che la chiama la chiave,
la base, il fondamento di tutto Tedifizio spirituale, di tutto il frutto che sarà
per ricavare la persona dagli esercizi, e ben con ragione, poiché a misura
che noi conosceremo la natura, e l’importanza di questo nostro fine ne
viene per conseguenza che noi vi metteremo maggiore o minore impegno
per riuscirlo: da qui ognun vede il bisogno, la necessità in cui ci troviamo
di entrarvi ben a dentro, conoscerla a fondo, e sortirne pienamente per­
suasi, poiché altro è saperlo solo, da ciò che abbiamo fatto imparata fin da
ragazzo, altro il capirlo, ed intenderlo, lo che non è di molti, non già che
sia difficile, e superi le nostre forze, ma perché non vi si pensa, e non si
considera. Doppio è il nostro fine, etc.

59M e 6,32.

154
Giorno p rim o degli Esercizi ■- M editazione Prim a - Sopra il fin e dell’u omo

Doppio il nostro fine, l’uno presente da compiersi quaggiù sulla terra, (1888)

qual è quello di servir Dio, Taltro che ci attende lassù in futuro nell’eter­
nità, che è arrivare a goderlo. Non so qual più meriti la nostra considera­
zione, tanto è grande l’importanza d’entrambi cotesti due nostri destini.
Noi sceglieremo questa mattina il primo, e per poterlo svolgere, e pene­
trare quanto più ci sarà possibile, conoscerne la necessità, la grandezza colle
pratiche sue conseguenze, noi lo considereremo sotto questi tre punti60.

Iddio mi ha creato per se, e questo fine è talmente necessario, inerente, (1889)
intrinseco, e sostanziale al mio essere che d’esso solo e non altro forma la
ragione totale della mia esistenza sulla terra.
Iddio mi ha creato per servirlo, ed è questo Dio medesimo il fine più
grande, più nobile etc. che Iddio potesse destinarmi sulla terra.
Iddio m’ha creato, m’ha destinato ad onorarlo, a servirlo, e fra quante ve
ne potrebbero essere il Signore non poteva segnarmi un occupazione più
facile, più dolce per me.
L’importanza adunque, la grandezza, la soavità del nostro fine quaggiù
ecco il soggetto di co testa nostra meditazione.

Fine dell’uom o61 (1890)

Richiamiamo al pensiero quel pulito momento solenne e strepitoso, in cui


Iddio venne alla creazione del mondo, e principalmente del primo uomo,
che forma nell’ordine sopranaturale il tipo, e l’immagine di quella di cia­
scuno di noi. Iddio aveva creato il mondo-e come terminato l’opera sua
dando una occhiata per lo spazio cotesto immenso spazio dell’universo, se
ne compiacque dell’opera sua e trovò che ogni cosa andava bene62: et vidit
Deus quod esset bonum63. Ma che? vi era vi vedeva un vuoto poiché vi
mancava ciò che64 doveva formare l’oggetto più caro al suo cuore più caro,

60 II testo del Cafasso continua su un foglietto di altro colore incollato alla pagina.
61 Le prime righe di questa nuova introduzione sono state cancellate, si riportano di
seguito: Faciamus hominem fu questa quella grande parola, che ci riferiscono le Sacre
Carte, e che risuonò sulle labbra di Dìo medesimo in occasione che si creò il primo uomo.
Egli è ben consolante per noi il pensare al punto ed alla creazione.
61 Le parole che seguono in latino sono state aggiunte dal Cafasso in nota.
63 Gn 1,25-
64 Una riga cancellata illeggìbile.

155
Esercizi Spirituali al Clero - Meditazioni

e per dirlo presto vi mancava l’uomo. E qui osserviamo il modo, che tenne
in quella creazione. Aveva già creato il rimanente senza interruzione, ed a
nostro modo di intendere quasi senza riflettervi tanto, che quando pensò
arrivò all'uomo, ristette alquanto, e come se avesse bisogno di pensarvi
prima ben bene e maturarla prima-di farla cotesta grand’opera, cominciò
avanzarne il progetto prima di venirne all’esecuzione; faciamus hominem:
pare che le persone della Trinità SS™ fossero tra loro a consilio per deli­
berarvi d’attorno alla grand’opera che erano per decretarsi faciamus homi­
nem etc.: sì si faccia, si crei quest’uomo: et creavit Deus hominem65

(1891) s’era già ripetuta chi sa quante volte in Cielo cotesta voce, s’erano già
ripiena moltiplicati gli uomini, s’era già ripiena la terra, ma né io né voi
comparivano ancora. Il mondo già ecchegiava per industria, per arti, per
scienza, per armi, ma tutto si faceva senza di me, tutto si compiva senza
di voi. Correvano intanto gli anni, ed i secoli, si succedevano gli uomini
gli uni agli altri, e qui andiamo pure col nostro pensiero di generazione in
generazione fintantoché capitò quel secolo, arrivò quell’anno, spuntò quel
giorno, suonò quell’ora in cui in Cielo si ripetè di nuovo questa voce già
tanto antica: faciamus hominem, sì creiamolo non si ritardi più a lungo,
faciamus hominem sì va creato sull’istante: et creavit Deus hominem. E
chi è quest’uomo che di cui or ora si fa decreto in Cielo: chi è costui, che
come nuova creatura sulla terra? quest’uomo, e questa creatura sono io,
siete ciascun di voi. Esamini ognuno gli aggiunti della questa nuova sua
creazione, e comparsa sulla terra. Il mondo faceva senza di me, non aveva
bisogno alcuno della mia persona e se io non fossi nato non eravi certo un
vuoto al mondo, siccome non c’era prima che nascessi, ne vi sarà da qui a
qualche giorno che io me ne vadi andrò sotto terra. E ciò tenia-

(1892) molo ben a mente per tenerci bassi ed umili e non darci un importanza
che né abbiamo, né meritiamo: quand’anche ad alcuno ove si trova, paja dì
fare qualche cosa, e forse vi passi pel capo che se non si trovasse egli in quel
sito, chi sa le cose come andrebbero, io~ripeto sempre ricordiamoci sempre
che il mondo non ha bisogno di noi, chi sa quanti altri farebbero, e da qui
a qualche tempo faranno meglio di noi. Il mondo non aveva bisogno di
me, e pensava per nulla a me; fu solo Iddio che vi pensò. Chi sa quante
altre creature, e uomini possibili si presenteranno alla mente del Signore

65 Gn 1,26.27.

156
Giorno prim o degli Esercizi ~ M editazione Prima - Sopra il fin e dell’uomo

nel punto della mia creatura, ebbene rigettò ogni altra, e .scielse me. Mi
scielse senza che io avessi merito alcuno: mi scielse colla prescienza che
tanti l’avrebbero corrisposto meglio di me; mi scielse prevedendo le tante
offese che io stesso l’avrei fatto: mi scielse forse mentre vedeva che avrei
rubato al suo cuore tante creature, e sarei stato la rovina di tante altre
anime66: Iddio superò ogni ostacolo, otturò le orecchie a tutti i reclami
che sorgevano a mio carico, voleva crearmi, e realmente mi creò, e sono
comparso sulla terra. Quanti pensieri ed affetti non dovrebbe in noi sve­
gliare cotesta verità! affetti primieramente di fede in questo Dio, che Egli
veramente è quello che mi creò! Credo, sì, credo in Deum Redemptorem
meum. Affetti di nobiltà, e grandezza

per avere un padre sì grande, che niente e nessuno lo eguagli, e nemmen (1893)
s’avvicini. Affetti di gratitudine, e riconoscenza per la preferenza a noi data.
Affetti di speranza, e confidenza in un padre sì potente sì buono: affetti di
zelo, e d’impegno pei la causa suoi beni ed interessi, giacché la comunanza
che corre tra un padre, ed un figlio vuole che lo glorii, e le ignominie il
bene ed il male di uno sue sieno considerate come glorie ed ignominie del^
l’altro nostre67: o padre mio che siete ne’ Cieli, sia conosciuto ed onorato
da tutti il vostro nome: Pater noster qui es in Coelis, sanctificetur nomen
tuum68 e dal canto mio farò ogni sforzo per darvi come figlio, quest’onor e
questa gloria: si dilati il regno della vostra grazia, adveniat regnum tuum,
e quando questa ci ripudii e s’aumentino le vostre offese, deh! per pietà
venga, e venga presto il Regno della vostra Giustizia: adveniat Regnum
tuum. Oh quanta materia ci presenterebbe per trattenerci utilmente tra
noi, se la conseguenza prima, e diretta di questa gran verità non ci chia­
masse a tenerle dietro. Essendo noi una fattura etc.

66 Una parola cancellata illeggibile.


67 Qui il Cafasso intende inserire nove righe che aggiunge in una nota e che noi trascri­
viamo di seguito.

157
Altra Meditazione (1894)

Sopra il fine dell5uomo

Grande Iddio, io credo, ed adoro la vostra reale, e divina presenza: prò- (1895) 1
strato avanti a voi io vi prego ad illuminare la mia mente sicché possa
meditare con frutto le vostre sante verità: domine ut videam1 vi dirò col
cieco del Vangelo, si fate o Signore che io appra gli occhi in questi giorni, e
comprenda il mio fine sulla terra conosca la volontà, e le vostre mire sopra
di me: notum fac domine finem meum: doce me facere voluntatem tuam2.
si o mio Dio parlate al cuore di questo vostro servo e Ministro mentre
sono fermo, e risoluto di fare ad ogni costo la vostra santa Volontà: loquere
domine, quia audit servus tuus3. O Maria, cara madre de’ Sacerdoti, voi
che foste già compagna agli Apostoli, ed a primi compagni del vostro
Gesù, deh assistete, accompagnate anche noi in cotesti giorni. Angelo
nostro Custode etc.
Per cominciare bene cotesti Esercizi ognun di noi dovrebbe farsi quella
dimanda, che già faceva a se medesimo il dottor S. Bernardo: Bernarde,
ad quid venisti4? Sacerdote mio caro, e perché hai lasciato la casa, e le tue
occupazioni? a che fine ti sei recato in cotesto luogo? per qual motivo tu ti
trovi qua ritirato. Può dirsi che basterebbe questa dimanda per assicurarci
il frutto di cotesto ritiro, quando dessa e si ripeta soventi, e si mediti seria­
mente. Il fine degli esercizi, come sapete, e vi fu detto fin da jeri sera è
la riforma della persona quando ne abbisogni, oppur la sua maggior per­
fezione se già si trovi in istato di virtù. Per raggiungere questo scopo, e
perché gli esercizi producano il loro frutto, sono necessarie due cose: riflet-

* (fald. 45 /fase. 82; nell’originale 1894-1907)


l M c 10,51.
2 Sai 38,4; 142,9.
3 1 Sam 3,9-10.
4 G u g l i e l m o d i S t. T h i e r r y , Vita, 1,1,4 (PL. 185).

159
Esercizi Spirituali al Clero " Meditazioni

tere per primo; 2 dar retta, star attenti, e prestarsi alle voci del Signore.
Mostratemi l’arte, insegnatemi il modo di far pensare un uomo, diceva già
un grande personaggio, ed io ve io do cangiato: sicché fratelli miei cari chi
tra noi in questi giorni vuol far profitto, trafficare questo tempo pel bene
dell’anima sua, partire di qua colla coscienza quieta, tranquilla, con un
carico di meriti pel paradiso, ecco quello che deve fare: starsene raccolto,
pensare, riflettere, meditare, e sarà in questo silenzio, in questo raccogli­
mento che noi sentiremo la voce di Dio, che è la seconda cosa che ci tocca
fare, e che dobbiamo aver presente in questo tempo. Non crediate che sia il
caso, che ci abbia quà condotti, e raccolti, o che possa attribuirsi il nostro
intervento a questa, o quell’altra causa, no è Iddio, e lo ripeto è il Signore
che a preferenza di tanti altri ha voluto usare con noi questo tratto di spe­
cial bontà, e misericordia, e se egli ci ha chiamati

(1897)2 possiamo esser certi che egli ci parlerà, tanto più- che l’ha detto espres­
samente egli stesso, che quando arriva cavar un anima di casa e gli riesce
di condurla, fermarla in solitudine, non è che per parlare, conversare alla
famigliare con essa; onde ravvivare di nuovo, risvegliare in lei la sua memo­
ria: Mei obliviscebatur, dicit dominus... propter hoc ducam eam in solitu-
dinem. et loquar ad cor eius. Os. 9.135. Sicché il Signore vuol ravvivare
anche in noi in questi giorni il pensiero, la memoria di se, vuol che diven­
gano d’or in avanti più frequenti, più vive le nostre relazioni, s’accenda,
s’aumenti, si dilati la nostra fede, la confidenza, l’amore verso di Lui,
epperò ci parlerà da padre, da amico, e quasi da compagno, e chi sa quante
cose, quante voci, quante confidenze, quanti inviti, quanti progetti terrà
in serbo per dire a me, per dire a voi: sta solo a noi a non lasciar cader a
terra coteste parole, a non mandare a vuoto si belle mire di questo buon
Dio, ed a non rompere il filo, la tela di tante misericordie; e per impegnarci
pensiamo che desse possono esser le sole, le ultime, che Iddio riserva per
me; ricordiamoci che elle sono grazie speciali che il Signore concede né a
tutti, né ovunque, né sempre; pensiamo in fine che da esse può dipendere
tutto il nostro avvenire, e che questi giorni possono essere di vita, o di
morte secondo la loro riuscita, poiché guai a quel figlio, che non dà più
retta alle voci, agli avvisi del padre suo; guai a quel servo, che non teme più
il comando, le minaccie del suo padrone: Verba Dei non auditis. quia ex
Deo non estis6. Ecco il perché nel mondo vi sono tanti cuori ostinati, tante

5 La citazione e errata. Quella corretta h Os 2,15-16.


6 Gv 8,47.

160
Altra M editazione ^ Sopra il fin e dell’uomo

orecchie sorde alle voci amorose di questo Dio, perché l’hanno rotta, e non
sono più de’ suoi. Lo so, e mi consola il pensarlo che cotesto rimprovero
non fa per voi che spontanei, volenterosi vi. siete recati con tanto vostro
incomodo in questo sito per ascoltare, per assaporare, per godere, e profit­
tare di queste voci divine, e per secondare questa vostra buona volontà vi
proporrò a meditare per la prima la massima, che vien detta, ed è la base, il
fondamento di tutto quello che saremo per fare, per dire in cotesti giorni,
e voglio dire la Considerazione del nostro fine su questa terra, io la Noi
la consideriamo sotto questi tre punti: Io sono al mondo, e ci son venuto
da Dio. 2. se io sto sulla terra è solamente per Dio. 3 ma non sono per
rimanervi gran tempo, io cammino, e sono diretto nuovamente al mio Dio

sono per Dio, me ne vo al mio Dio7. Ecco tre verità che prego il Signore ad
imprimere ben bene ne’ nostri cuori, sicché il tutto abbi a ridondare alla
maggior sua gloria, ed al più gran bene delle anime nostre.

Se col mio pensiero mi fo addietro d una quantità di anni e mi facessi a (1898) 3


dimandare, a ricercare nel mondo di me e di voi, perderei il tempo, e non
scuoprirei vestigia, indizio di sorta di alcun di noi. Troverei città, paesi, vil­
laggi come al presente, abitanti d’ogni sorta, vecchi, giovani, ricchi, poveri,
dotti, rozzi, andiam dicendo; troverei quel paese, quella casa che abito,
quella famiglia, da cui discendo, ma di me nessun ne sa, ne parla, ne viene
tampoco in mente. Ogni cosa camminava può dirsi come al giorno d’oggi,
gli affari d’ogni genere, il commercio, le scienze, gli impieghi, e quante vi
sono occupazioni nel mondo tutti si sostenevano, si disimpegnavano senza
di me, io c’entrava in niente, io son niente, la cosa più vile del mondo, un
granello d’arena, un atomo dell’aria in allora era più di me. Eppur oggi vi
sono, esisto, ho corpo, ho una mente, ho sensi, e chi, e come, e quando
cominciò cotesta mia vita, ed esistenza. Chi fu capace di darmi un intel­
ligenza per capire, un cuore per amare, un corpo di terra sì, ma fornito
di sì meravigliosi sentimenti. Il niente può far niente, il mondo oltre
che non avrebbe potuto pensava nemmen a me, i parenti non sanno che
dire, epperciò non ci resta che solo Iddio. Sì è questo Dio che mi creò:
Manus tuae Domine fecerunt me: Ps 1188. Oh fratelli miei, fermiamoci un

7 Qui l'originale inserisce una nota che rimanda al testo della pagina a fronte: Iddio fu
il mio principio, questo Dio forma al presente tutto il mio fine, e questo Dio medesimo
sarà pur anche Fultimo mio termine.
8 Sai 118,73.

161
Esercizi Spirituali al Clero - Meditazioni

momento a considerare quell’instante incomprensibile della mia, e della


vostra creazione: come mai un Dio potè arrivare a tanto di bontà di fissar
il suo sguardo, e mettervi il suo amore in me in mezzo a tante, ed infinite
creature possibili, che certamente si presentavano a preferenza di me, Iddio
le ha rigettate, sono rimaste, e rimarranno sempre nel niente, ed ha posto
la mano sopra di me: tu formasti me Domine, et posuisti super me manum
tirami Iddio m’ha creato e non fu per qualche utile del mondo, poiché io
era necessario per niente, e mille altri avrebbero fatto meglio di me. Iddio
non aveva certo alcun bisogno di me né per sé, né per la sua gloria, di
modo che se venne nel punto di crearmi fu puramente, unicamente un
tratto, un movimento del suo cuore, del suo amore. In charitate perpetua
dilexi te10.
Non solo non aveva merito di sorta di esser creato né presso Dio, né
verso il mondo, ma quanti demeriti prevedeva in me

(1899)4 cotesto Dio medesimo. Egli vedeva che sarei stato un ingrato l’avrei
offeso, tradito, scialaquato il tempo, i doni suoi; forse cagione anche ad
altri d’offenderlo. Che forte ragione non sarebbe stata cotesta di lasciarmi
nell’oblio, e nel niente con sostituirvi una creatura più discreta ricono­
scente, più fedele di me. Gli uomini è vero alle volte fanno benefizi, e sono
mal corrisposti, ma d’ordinario quando li fanno s’attendono tutt’altro, e
sarebbero ben pochi che li farebbero, quando potessero prevedere cotesta
ingratitudine; che Iddio nò, vedeva, prevedeva il tutto, e con tuttociò mi
ha creato, e come? Posto che Iddio voleva crearmi, era padrone, e poteva
collocarmi fra il novero di quelle creature, che più le piaceva, anche le più
basse ed ignobili. Egli invece ha voluto mettermi nel rango delle creature
le più nobili di questo mondo visibile, ha voluto che l’anima mia portasse
l’impronta, l’imagine di se medesimo, e divenisse in parte quasi un altro
Dio. Che diressimo quando alla nostra creazione volessimo ancor aggiun-
gere tutto ciò che per lo stato, la condizione, la sanità ha favorito la nostra
nascita? Quanta materia per noi di umiltà, di stupore, di riconoscenza
quando considerassimo per me, per voi, per noi tutti Eclesiastici la nostra
vocazione al sacerdozio, che può dirsi fa una cosa sola colla nostra crea­
zione: come mai capire, arrivare a comprendere che Iddio abbia voluto
occuparsi di me, ed a quel punto io che era niente, non necessaria per

9 Sai 138,4.
10 Ger 31,3.

162
A ltra M editazione -■Sopra il fin e dell’uomo

ti11 eppure di questo


mio niente se ne occupò ab eterno, io vi fui sempre fisso nella sua mente,
questo niente lo lavorò tanto e poi tanto da farne un soggetto di delizia per
lui, di invidia a tutto l’universo. Io non voglio trattenermi' di più in simili
sentimenti tuttoché sì giusti, e salutari per non mancare a ciò che di più
necessario ancora mi resta a dire sovra cotesta verità.
Io vengo da Dio perché egli mi ha creato, io sono di Dio perché un
essere, un’opera, un prodotto tutto suo. Io sono di Dio più di quello che
10 sia il servo del suo padrone, lo scolaro del suo

maestro, d’un figlio dello stesso suo padre. Io sono di Dio più di quello (1900) 5
che possa essere un dipinto del suo artefice, un albero di chi l’ha piantato.
Ve ne sieno pure de’ diritti negli uomini sovra un altro uomo, ad altra cre­
atura qualunque, ma non eguagliamo per certo quelli che ha Iddio sopra di
me. Io sono come un frutto del suo proprio fondo, e di tutta sua proprietà.
Quid habes quod non accepisti12; che sarebbe di me e che diverrei se Iddio
volesse ritirare, e prendersi quello che è suo in me, se volesse tormi l’intel­
ligenza, come ne è il vero padrone, ecco che verrei subito come un animale
stupido; se mi prendesse il movimento e i sensi, io sarei come un pezzo di
legno, se volesse poi ritirare per intiero la mia sostanza, eccomi di nuovo a
quel niente di prima, ignoto, sconosciuto al mondo tutto. Iddio è padrone
di me e qual sorta di dominio, di padronanza è questa che ha Iddio sopra
di me? Consideriamolo in poche parole.
Un dominio, una padronanza essenziale, e necessaria a cui né io posso
in alcun modo sottrarmi, e nemmeno, a così spiegarmi, Iddio medesimo
vi potrebbe rinunziare. Non era necessario che io venissi al mondo, ma dal
momento che Iddio ha voluto il mio essere, è necessario che io sia una cosa
sua, ed appartenga a lui, e cesserebbe d’esser Dio, se io potessi sottrarmi
dal suo dominio, e non essere più da lui dipendente. Padronanza la più
alta, e suprema da non conoscerne altra sopra di sé. Io sono di Dio avanti
tutto, e sopra tutto, lo che vuol dire io sono di Dio solo, e tutti i diritti
che hanno gli uomini sopra di me non possono esser altri che quelli che
11 Signor medesimo li ha donati; i loro diritti per ciò sono sempre subor­
dinati a quelli di Dio; ogni autorità umana sopra di me è subordinata a
quella prima e suprema essenziale che ne mantiene Iddio spetta a Dio sulla
mia persona.

11 La cancellatura continua ancora con alcune parole di difficile comprensione,


121 Cor 4,'7.

163
Esercizi Spirituali al Clero ~ Meditazioni

Dominio, padronanza assoluta da comprendere ogni cosa mia senza


eccezione, fortuna, sanità, onori, vita, morte andiam dicendo, di tutto ne
può disporre e con tutto diritto a suo modo senza che io c’entri per niente
da esserne contento, o no, e quando io volessi disporre di me, e delle cose
mie contro sua voglia d’una minima cosa è un torto, un’ingiuria, un atten­
tato che farei all’assoluto

(1901) 6 suo dominio, che egli ha sovra di me, anzi un lamento solo, una disap­
provazione che io facessi di ciò che egli dispone di me, sarebbe ingiusto,
riprovevole, e sarebbe lo stesso dice l’Apostolo Rom. 9, come se il vaso
volesse dire a chi l’ha formato, e perché m’hai fabbricato cosi. Numquid
dicit figmentum ci, qui se finxit? Quid me fecisti sic13.
Dominio universale egli è quello, che ha Iddio in me da estendersi, ed
abbracciare tutte le vicende della mia vita, tutte le condizioni, nelle quali
sarò per trovarmi, tutte le facoltà della mia mente, tutti i sensi del mio
corpo, infine tutte le ore, i momenti della mia esistenza, sicché sin che
vivrò in tutto, e per tutto a tutto rigore io sarò di Dio solo.
Dominio eterno è quello che ha Iddio sopra di me, dominio immortale
come sono io. Ha cominciato nel tempo, ma durerà per tutta l’eternità: la
morte che tronca agli uomini tutti i loro diritti potrà un bel niente contro
questo diritto, questo dominio che ha Iddio sopra di me, e sia che viva, sia
che muoia io sono, e sarò sempre di Colui che mi ha creato.
Dominio in fine irresistibile, che niente potrà frustrarlo, e mandarlo
a vuoto. Uno può soventi nel mondo sottrarsi al poter degli uomini, ma
non così di quello del Signore: da volere o non volere a cotesto dominio
bisogna che io, che voi c’assoggettiamo: o vivere sotto l’impero, sotto il
dominio del suo amore, o subiremo quello di sua giustizia; o che noi rico­
nosceremo, e glorificheremo cotesta sua padronanza suprema colla debita
obbedienza, e soggezione, oppur vi renderemo gloria con un inevitabile
castigo della nostra ostinazione e superbia.
Io vengo da Dio, io sono di Dio, io sono per Dio, cioè a dire, se il
Signore è stato il solo mio Autore, e principio, così egli solo sarà il mio
termine, l’ultimo mio fine. Ecco il punto più importante, più utile, più
consolante per noi. Iddio come infinitamente sapiente non potè a meno
che crearmi per un fine14, e questo fine non poteva essere altro che per sé
e per la sua gloria,

13 Rm 9,20.
14 Due righe cancellate: e come infinitamente perfetto non poteva che crearmi che per
sua gloria, cioè a dire.

164
Altra M editazione - Sopra il fin e dell’uomo

e p e r m e , c o m e c re a tu ra in te llig e n te p e r c o n o sc e rlo , p e r servirlo e d (1902)7


a m a rlo : C re a tu s e st h o m o a d h u n c fin e m u t D o m in u m D e u m la u d e t, ac
rev ereatu r, so n o le p a ro le d i S. Ig n a z io , ch e m e rita n o la p iù g ra n d e , la p iù
seria n o s tra c o n sid e ra z io n e . Io n o n s o n o al m o n d o , io n o n vivo n é p e r m e,
n e p e r la casa, i p a re n ti, il paese; io n o n esisto p e r fa r p ro g ressi in q u e sta
e d in q u e lla scien za, a rriv a r a q u e ll1im p ie g o , s p u n ta rla in q u e ll1affare; io
vi so n o u n ic a m e n te , e sc lu siv a m e n te p e r D io , p e r l’o n o r, p e r la g lo ria sua,
sicch é d o v e E g li n e g u a d a g n a , lo v o g lio n o i su o i in te ressi, il s u o o n o re , io vi
s o n o , p e rc h é esisto p e r q u e s to so lo , m a q u a n d o n o n a b b i c h e fare c o n D io ,
vi c o n d u c a p e r n ie n te alla su a g lo ria; m o lto p iù v i fosse p e ric o lo n e scapi-
tasse, sia p u r u n affare d i m io u tile , fin c h é v o le te , lo esalti, lo m a g n ific h i il
m o n d o , m a io n o n h o c h e fare, p e r m e d eve essere c o m e u n n ie n te , p e rc h é
n o n s o n o s ta to c re a to , n e Id d io m i c o n se rv a la v ita p e r u n ta le o g g e tto . Oh
ch e g ra n v e rità ella è q u e sta , fra te lli m ie i, e v e rità ta n to fe rm a , ta n to c h iara
c h e resta im p o ssib ile d u b ita rn e .
C h e io sia c re a to p e r D io m e lo d ic e p r im ie r a m e n te la fede. U n iv e rsa
p r o p te r s e m e tip s u m c re a tu s e s t D o m in u s . Prov. 16 15. C h e se o g n i cosa,
m o lto p iù l’u o m o c h e è la p r im a tr a le c re a tu re v isibili; e p o i la ra g io n e , le
stesse c re a tu re , il n o s tro c u o re , la p r o p r ia e sp e rie n z a d i c ia sc u n d i n o i tu tto
ci d ice c h e c h e s ia m o fa tti, sia m c re a ti p e r D io ; e p e l p rim o n o n vi p u ò
essere a ltro che..D io c h e fo r m a r p o ssa l’o g g e tto d ’u n a m e n te , e d ’u n c u o re ,
q u a l è il n o s tro s p in ti d a u n b is o g n o irresistib ile, e q u a si in fin ito d i c o n o ­
scere e d i a m a re . L e C re a tu re colle lo ro im p e rfe z io n i, co lla lo ro in c o sta n z a ,
e frag ilità, c o l lo ro n ie n te , an zi co l lo ro p eso h a n n o tu tte u n a p a ro la p e r
d irc i c h e n o n p o s s o n o essere il n o s tro fine; alle C re a tu re s’u n isc e il n o s tro
c u o re sta n c o , sp o ssa to , v u o to , b ra m o so e d in ce rca d ’u n o g g e t t o c o n te n to
p ie n o , illim ita to , e te rn o , lo c h e n o n p o tr à essere c h e D io . L’e sp erien za in
fin e è q u e lla c h e lo fa to c c a r c o n m a n o o g n i dì; la p a ce, la ca lm a, la c o n ­
te n te z z a c h e p ro v a il n o s tro c u o re a llo rc h é a sc o lta Id d io , e lo serve, c o m e il
rim o rs o , l’a n g o scia, l’in q u ie tu d in e c h e p ro v a a llo rc h é

vi si a llo n ta n a , s o n o u n a p ro v a p iù c h e e v id e n te , ch e il n o s tro fine, il (1903)8


n o s tro d e s tin o , la n o s tr a o c c u p a z io n e su lla te r r a n o n p u ò , n o n deve esser
a ltra c h e lu i, u n D io d a c o n o sc e re , u n D io d a a m a re , u n D io d a servire,
eccovi fra te lli m ie i lo s tre tto n o s tro d o v e re su lla te rra , la v e ra n o s tra gloria,
e t u t t a la n o s tra felicità.

15Pr 16,4.

165
Esercizi Spirituali al Clero ■-Meditazioni

Io debbo, comprendiamo bene, cari miei, cotesta parola, cotesta verità


necessaria; qui non si tratta di suggerimento, di consiglio, o di un pro­
getto solo qualunque, ma si tratta di necessità; non è necessario che io
abbia sanità, talento, fortuna, od una posizione onorevole nel mondo; non
è necessario che io viva lungo tempo, anzi nemmeno che io mi trovi al
mondo; ma supposto che ci sia come realmente vi sono, è necessario, e
rn è indispensabile che io serva Dio, di modo che cessando di servirlo può
dirsi che cesso d’esser quello che sono, quasi mi distruggo ed attento alla
mia propria esistenza, o se non altro talmente la deformo da renderla un
oggetto di orrore, ed un mostro e niente più. Un uomo che cessi dal ser­
vire Iddio nel mondo è lo stesso come se il sole cessasse di risplendere, gli
occhi di vedere, o di muoversi il nostro corpo. Mancando al proprio fine
può dirsi che la Creatura si distrugge da se medesima, cessa in certo modo
di esistere, perché non è più quello che dovrebbe essere, come il sole non
sarebbe più sole quando più non illuminasse, gli occhi non sarebbero più
occhi quando più non servissero a vedere, il corpo non più corpo, ma un
tronco quando più non si muovesse; lo stesso pur dite dell’uomo, quando
venga a mancare a quel solo, a quell’unico, a quel necessario fine per cui
fu creato, ed applicando la cosa a noi in particolare, tutti sappiamo che il
Sacerdote vien detto, e deve essere realmente un uomo di Dio: homo Dei,
un uomo cioè, un personaggio venduto, consacrato, e dato intieramente
agli interessi di Dio, un uomo che dal mattino a sera, ed in tutte le maniere
lavora per l’onore, per la gloria [di] Dio, e ciò forma tutta la sua occupa­
zione; ma se il Sacerdote cessa di servir Dio, ed invece degli interessi di Lui
s’adopera, e passa la sua giornata a divertirsi, a sprecare il tempo, a far roba,
e contratti,

( 1904 ) 9 in una parola s’occupi più di cose secolaresche, che di Dio non è vero
che con questa condotta, con questo deviamento dal proprio fine distrugge
può dirsi se stesso, e la sua qualità, e da Sacerdote, da uomo di Dio si
trasforma in un uomo profano, in un uomo di terra, di fango, che può
dirsi un mostro e niente più: Deum rime, et mandata eius observa: hoc est
omnis homo16.

(1905) io II servire Iddio oltre d’essere lo stretto nostro dovere, forma in pari
tempo tutta, e la vera nostra gloria. Un uomo al servizio di Dio, a suoi

16Qp 12, 13.

166
A ltra M editazione ^ Sopra tifin e dell’uomo

cenni, a suoi comandi, pronto in ogni istante a fare la sua volontà, trattar
Ì suoi interessi, andar in cerca, e procurare di estendere, dilatare il Suo
onore, la sua gloria, e chi può comprendere l’altezza, la sublimità di cotesto
ufficio, qual creatura in terra, in Cielo fra Santi, fra Angeli può vantare,
può gloriarsi di una prerogativa, di una gloria più grande. Noi lo veggiamo
tra gli uomini come sia ambito, e di quanto onore e decoro ridondi alla
persona, alla famiglia, alia parentela Tessere ammesso a servire, a corteg­
giare i grandi; che dovessimo dire quando si volesse far 1’applicazione nel
caso nostro. Sanctificetur nomen tuum, quando io innalzi una preghiera
di questa fatta al Cielo, quando ne concepisca solo il desiderio, e molto
più quando mi adoperi per glorificare sempre questo nome, io do mano,
io compio l’opera più grande, che far si possa sulla terra. Consolante
verità ella è questa fratelli, che fra tutti dovrebbe confortare, animare noi
Sacerdoti. Non occorre essere un cima d’uomo, aver un gran talento, far
rumore, e cose strepitose nel mondo per farsi de’ meriti pel Cielo, essere
un vero sacerdote, ed un uomo non comune sulla terragno; ma datemi
un Eclesiástico sia pur scarso d’ingegno, poco conosciuto, senza titoli, ed
anche ristretto di mezzi, e di fortuna, ma fate che questo Sacerdote cor­
risponda al suo fine, abbi cotesta purità d’intenzioni, e nelle sue poche
occupazioni basse se volete, comuni ma proprie del suo stato abbi in mira
l’onore, la gloria'di Dio, e passi la sua giornata in cotesta santa occupa­
zione, non cercate più altro, egli è tra gli uomini il solo, il primo che
meriti questo nome, egli è il vero e degno Sacerdote, e vi sieno pur per­
sonaggi sulla terra, che danno mano, e stieno compiendo le azioni più
grandi, e gigantesche che dar si possano, ma non sorpassano certamente,
anzi quando non servino Iddio, sono ben lontani dall’eguagliarlo, egli è
un servo di Dio, e tanto basta, e vi sia chi mi trovi un titolo, una qualità,
un’occupazione che la sorpassi.
Il servir Iddio sarà in fine tutta la nostra felicità. Io non parlo di quel
gaudio beato, e sempiterno, che ci aspetta lassù,

su cui spero ci fermeremo un’altra volta, ma piuttosto io voglio alludere (1907)


a quella specie di paradiso, a quel contento, a quella beatitudine che non
può a meno che di godere anche in terra un cuore, un uomo che compia,
che corrisponda al proprio fine. Ella è tanta che la Chiesa non teme di

vivere. Regna costui più di quello che sia vivere semplicemente, come ce
lo fa dire, e ripetere la Chiesa nelle sue orazioni: Deus auctor pacis... quem

167
Esercizi Spirituali al Clero - Meditazioni

nosse, vivere, ac servire regnare est17, come abbiamo detto le tante volte
nel corso di quest’anno, e quando ne volessimo una prova, non avressimo
a far altro che contemplare due persone, delle quali l’una abbi passato la
sua giornata in ciò che ha più di brillante, ed incantevole il mondo, l’altra
invece ad onorare, a servire Iddio nell’umile, ed anche nel misero suo stato:
interrogatele, ed anche senza attendere la loro risposta, fissatele, esamina­
tele, addochiatele ne suoi movimenti, nel suo sguardo, nel suo sembiante,
voi scuoprirete facilmente dove sia la vera calma, la vera pace, la vera feli­
cità, la sola che si possa godere sulla terra. Guai a quel cuore, guai a colui,
che crede trovare giorni migliori fuori di questo Dio. Fratelli miei, è tempo
che conchiuda, e conchiudendo vi dirò: che se ci sta a cuore d’aver un po’
di pace in questa misera terra, che se vogliamo trovare un po’ di respiro, un
qualche conforto in mezzo al turbine, che ci avvolge noi principalmente
Eclesiastici non si trova altra via che darci senza riserva, consecrará intie­
ramente al servizio di questo Dio, a cercare cioè l’onor, la gloria sua; e per
riuscirvi, e mantenerci costanti richiamiamo soventi la grande verità che
abbiamo meditato questa mattina, e che dovrebbe tanto più da un Ecle­
siástico meditarsi sino all’ultimo respiro di nostra vita: io sono di Dio, io
sono tutto di Dio, io sono sempre di Dio: ogni momento di mia vita, tutte
indistintamente le mie azioni, ogni movimento del mio cuore, il menomo
pensiero della mia mente, tutto, ma tutto senza eccezione deve essere per
lui. Ogni altra azione per grande possa essere, è un niente, è un tempo
perduto, sono giorni scialacquati per me. Felice l’Eclesiastico che arriva

( 1906 ) a comprendere cotesta fondamentale, indispensabile, e necessaria verità.


Compiuto così il proprio destino sulla terra non le rimarrà che sospirare,
ed indirizzare tutti i suoi voti a quella meta, che l’aspetta lassù nel Cielo, e
che formerà l’ultima e futura sua destinazione per tutta l’eternità. Creatus
est homo etc.

17 Orazione tratta dalla Liturgia secondo il Rito Romano, che attualmente è prevista per
le Messe «ad diversa»: in tempo di guerra e di disordini.

168
I

Meditazione (1908)

Sopra il fine dell’uomo

Orazione. (1910)

Grande Iddio prostrato davanti a Voi io vi adoro per mio Supremo Signore,
vi credo, vi confesso per mio Creatore, mio padrone, mio Padre1, Credo,
mi consola il ripeterlo, credo in Deum Creatorem meum, e mi glorio pre=
sento benché il pitt benché indegno di essere uno de un vostro servo ed
un vostro figlio. Deh! o Signore soffritemi in questi giorni d’attorno a Voi,
lasciate che io goda della vostra dolcezza delle vostre parole divine conver-

volontà ed approfitti della vostra divina conversazione: Loquere Domine,


quia audit servus tiius2. Parlate o Signore, si parlate al cuore d’un vostro
Ministro, che brama conoscere, ed eseguire la vostra santa ed adorabile
volontà: o Maria, cara madre di noi Sacerdoti, voi che foste già compagna
ed infervoraste colle vostre-parole de’ primi Apostoli, e Sacerdoti, e li infer­
voraste col vostro esempio, e questi giorni fate un altrettanto per noi, e
fateci sentire le vostre voci materne assieme a quelle del vostro Caro Gesù.
Angelo nostro Custode etc3.

* (fedd, 45 ! fase. 86; neU’originale 1908-1929)


I Con una nota l ’originale rimanda ad una riga scritta nella pagina a fronte.
I I Sam 3,10.
3 Nella pagina a fronte il Cafasso scrive un’altra orazione introduttiva. Dice così: Ah Dio
mio permettetemi che in questi giorni io mi trattenga con voi, io ascolti ed gttsti intenda
le vostri voci. SI fatemi conoscere in questo tempo quali sieno mire, quali i disegni che
voi avete sopra di me,- fate sopratutto, o mio Signore, che io conosca, e ponderi ben bene
qual sia il mio fine su questa terra. Il Cafasso poi aggiunge ancora un’altra variante di
orazione, in parte cancellata: Grande Iddio prostrato avanti di voi, io credo nella vostra
divina presenza assistenza, credo e vi confesso che voi solo siete Fautore e principio d ’ogni

trrioj
Esercizi Spirituali al Clero - Meditazioni

Nel dar principio a cotesto sacro ritiro lasciate permettete non possiamo

zare d’accordo tutti assieme un tributo, ed un omaggio di lode, e di ringra­


ziamento al nostro buon Dio per la grazia, che oggi ci accorda di comin­
ciare cotesti giorni de’ Santi Esercizi: grazia, fratelli miei, distintissima,
grazia di particolare bontà, e preferenza predilezione, grazia di molte, e chi
sa quali conseguenze. Grazia distintissima, e lo vedremo nel corso di questi
giorni a misura che andremo scuoprendo mano mano la grand’opera de’
Santi Esercizi, opera a dirvela in breve della maggior gloria di Dio, perché
epperciò la più formidabile all’inferno. Grazia di special bontà e preferenza
predilezione. Eh!... quanti Sacerdoti sarebbero migliori sulla terra, quanti
godrebbero di più in paradiso, e chi sa forse più d’uno non sarebbe all’In­
ferno se avessero avuto il comodo, e la grazia come abbiamo noi di ritirarsi
un po’ di tempo per pensare airanìma propria. Grazia in fine di molte, e
chi sa quali conseguenze4.
Io oserei dire che da questi Esercizi può dipendere il tutto pe’ nostri
giorni avvenire: la quiete oppure-Tirrfeiicttà della nostra vita, una morte la
tranquillità della nostra morte c -sema-orrore-ne accompagnata da affanni
eterni, finalmente la nostra ultima sorte per secoli eterni: dirò di più chi
sa che alla grazia di questi esercizi Iddio non abbia congiunto tante altre
grazie, e la salute di tante altre anime, da far parte un di in quella celeste
famiglia. Non crediate già che possa attribuirsi al caso di trovarci noi qui
radunati per dar mano all’opera, di cui vi parlo: se la grazia è grande, come
vi diceva,

(1912) 2 non men grande deve essere il fine, per cui Iddio l’ha operata, né minori
i disegni che ha concepito sovra di noi; ed a me pare che il Signore abbi
fatto con noi in cotesta circostanza ne più né meno di quello che ebbe
già a fare un dì con Mosè, quando volendogli associare alcuni compagni
pel reggimento del popolo, gli ordinò di scegliere un certo numero tra i
seniori d’Israello, li radunasse quindi davanti al Tabernacolo, li invitasse
a fermarvisi alquanto, che Egli sarebbe sceso tra loro mezzo per dir loro

adoro per mio solo e supremo Signore.


4 Nella pagina a fronte il Cafasso scrive un testo, non cancellato, che poteva essere una
alternativa alle righe appena trascritte: Iddio ci ha chiamati su questo monte a cotesti eser­
cizi, ed in cotesta chiamata io veggo evidente, e chiara per noi tutti una grazia specialis­
sima, una grazia di particolar bontà, e predilezione, etc.

170
M editazione - Sopra ilfin e dell’uomo

la propria volontà, e palesar loro i proprii disegni: Congrega mi hi viros


de senibus Israel... duces eos ad ostium Tabernaculi... faciesque ibi stare
tecum... descendam. et loquar. Num 11. 16. Un altrettanto, come già
dissi, fece il Signore con noi; Egli ci ha posti, e ci porrà ancora a reggere il
popolo suo sotto la dipendenza de’ nostri superiori, ma perché non veniam
meno ad un tanto carico ci vuol Egli stesso istruire, e come segnar la strada,
che avrem da battere, epperciò per vie tutte speciali, e differenti quasi senza
accorgersi ci ha condotto a questo luogo, ci prega ad aver pazienza, e fer­
marci alquanto, perché Egli stesso vuol venire, e stare con noi: Congrega
mihi viros... duces ad ostium Tabernaculi... descendam. et loquar. Se Iddio
guarda con occhio di compiacenza, e promise di associarsi Egli stesso a due
soli, che avessero pregato il suo eterno Padre, volete credere che tardi, o
che si faccia aspettare a venir tra mezzo ad uno stuolo di suoi figli, e di
suoi ministri qua radunati per imparare da lui a ben compire quella grande
Missione, che loro venne affidata. Figuriamoci di trovarci noi in cotesta
chiesa come già i primi Sacerdoti ed Apostoli d’attorno al divin Redentore,
e ripeta a noi quel tanto che già diceva per istruzione, per norma, e corag­
gio a que’ primi Campioni dell’evangelico Ministero. Non guardate già
alla meschinità di chi vi parla; voi lo sapete che Iddio nelle opere di sua
gloria va in cerca appunto di ciò che v’ha di più abietto sulla terra, perché
appunto ne sia escluso ogni umano prestigio. Abbi a comparire e trionfare
la sola stra parola; io voglio farla tra voi più da compagno, che di predica­
tore, poiché se tengo l’incarico di parlarvi, mi corre anzi tutto un dovere
qual’è di far profitto al pari e più di voi di-questo parlare, onde senza

che andrem considerando*5.


La Massima, che forma come la base, ed il fondamento di tutti i nostri
Esercizi, e del nostro spirituale profitto, voi lo sapete, ella è quella del
nostro fine, e questa appunto io intendo che formi lo studio, la considera-

5 L’originale continua con un testo cancellato: Io prendo per la prima la massima del
nostro fine, come la base, ed il fondamento di quanto, come spero, saremo per edificare
in cotesti giorni, e ci faremo a ponderare questi tre punti: il bisogno che infra tutti ha il
Sacerdote di pensare al proprio fine. 2. la necessità assoluta, ed indispensabile per ciascun
di noi di corrispondervi. 3. et scanzo di sbaglio

in materia di tanta importanza qua! sia tra Sacerdoti Colui, di cui possa propriamente (1914) 3
dirsi che compie sulla terra il proprio fine. Sono questi ì pensieri che imprendo.
6 II Cafasso rimanda ad un testo scritto nella pagina, a fronte.

171
Esercizi Spirituali al Clero - Meditazioni

zione, e l’occupazione di cotesta giornata. Doppio è il nostro fine, l’uno


presente da compiersi quaggiù, qual’è di servir Dio; l’altro futuro che ci
attende lassù, qual’è d’arrivare a goderlo. L’uno e l’altro non so qual più
merita tutta la nostra più seria considerazione. Noi sceglieremo il primo in
quest’oggi per vederne7 la necessità assoluta, che seco porta, come la sua
sublimità, e dolcezza con questi tre pensieri: 1° Io sono al mondo per servir
Dio, e cotesto fine è talmente inerente ed essenziale al mio essere, che senza
di esso né il Signore m’avrebbe dato la vita, ne me la conserverebbe sulla
terra, di modo che se vivo egli è unicamente, sostanzialmente per compiere
questo fine. 2° Io sono al mondo per servir Dio, e questo Dio creandomi
non poteva prefiggermi un fine, un scopo più alto, più grande, più nobile,
più glorioso per me.
Io sono al mondo per servir Dio, e cotesto buon Dio nel crearmi
non poteva assegnarmi sulla terra un fine, un occupazione più dolce, più
comoda, e più facile per me. Ecco i tre assunti, che io imprendo

(1914) 3 in quest’oggi a considerare con voi, e che assieme a quanto sarò per dire
in questi giorni io affido all’infinita misericordia di Dio, alle tenerezze della
nostra cara Madre Maria perché il tutto ridondi alla maggior sua gloria, a
sostegno, e conforto della desolata sua chiesa, ed al più grande vantaggio
della mia, e vostra eterna salute. Cominciamo8.

(1913) Che l’uomo, che l’Eclesiastico abbi bisogno, anzi necessità di pensare, e
di pensare soventi, e di pensare seriamente al proprio fine è una cosa tanto
evidente, che non occorre cercarne le prove. Basti il dire che sarà quasi
impossibile etc pag. 59.

7A questo punto esiste anche un altro breve testo alternativo in parte cancellato: le gravi, e
pratiche conseguenze, che da questa gran verità ne provengono; lo che farò con propon g a

8 Con una nota il Cafasso rimanda a tre righe scritte nella pagina a fronte,
5 Segue un lungo testo cancellato. Questo testo, che noi riproduciamo, pone in realtà dei
problemi. Si tratta, infatti, con ogni probabilità di brani aggiunti ed eliminati dal Cafasso in
epoche successive: ne sono testimonianza i rimandi che qua e là ancora affiorano. Bisognerebbe
poter ricostruire il testo nel suo divenire e nelle sue varie mutazioni lungo gli anni, ma questo
è ormai praticamente impossibile. A questo si aggiunge un problema che segnaliamo: nel testo
cancellato esistono alcuni rimandi a testi che dovevano esser sostitutivi; infatti non sono siati
cancellati. Tuttavia è sembrato più giusto porre questi brani egualmente in nota, perché si

172
M editazione ^ Sopra il fin e dell’uomo

Pochi sono i veri Sacerdoti, perché pochi pensano seriamente, e di fre­ (1918)6

quente a se stessi, ed al proprio fine. E impossibile che un uomo in una


carriera qualunque vi si applichi seriamente, ed applicandovisi vi faccia

innesterebbero male con le altre pagine non cancellate, solo avvertendo quando si tratta di testi
non cancellati: Il fine dell’uomo, come tutti sappiamo, è doppio, l’uno cioè prossimo, e
presente sulla terra, qual’è di servire Iddio, l’altro futuro, ed ultimo nell’altra vita, che
è di arrivare a goderlo. Creatus est homo a Deo. ut Dominum Deum suum laudet. ac
revereatur. eique serviens tandem salvus fiat [S. I g n a z i o d i L o y o l a , Esercizi Spirituali,
cit., n. 23]- Cotesto fine è per tutti senza eccezione di sorta, e qualunque degli uomini si
trova in dovere, e coll’obbligo di pensarvi; noi però Eclesiastici che in forza della nostra
Vocazione siamo stati chiamati a servire più da vicino, ed in particolar maniera il Signore,
cosi ci corre un dovere, ed un bisogno speciale di tener ben d’occhio a cotesto meritorio
gran fine, poiché facendo altrimenti non possiamo a meno che meritarci due taccié ben
disonoranti, e dannose per noi, cioè d’ingrati verso Dio mostrando col fatto di non
curarci e far poca stima d’una grazia de’ suoi disegni, tuttoché si pietosi, e sì grandi qtral
è quella d’averci destinati ad un fine sì alto, l’altra di duri, e quasi crudeli con noi mede­
simi, perché non pensandoci ci priviamo d’un gran conforto, anzi [’unico sulla terra, e
ci mettiamo come nella certezza e necessità di perderci, perché sarà impossibile arrivar a
conseguire il nostro fine, se noi non vi pensiamo.
Se noi io sono al mondo, è Iddio che mi creò. Ponderiamo a nostro vantaggio cote-
sta verità. Erano già secoli, e secoli da che esisteva cotesto mondo, e questa terra era già
coperta di gente, ma in mezzo a tanto numero di abitanti non eravamo ne io, ne voi.
Il mondo eccheggiava già per industria, per arti, per scienze, per armi, ma tutto andava
avanti, e si compieva senza di me, nemmen uno che al mondo pensasse a me; solo, e Io
ripeto, solo il Signore in mezzo all’oblio universale, ed assoluto, in cui io giaceva sepolto,
solo il Signore tra un novero infinito di creature possibili che stavano davanti alla sua
gran mente divina fissò il suo pensiero sovra di me. Allorché Iddio creò sul bel principio
tutto questo universo, dice la S. Scrittura, che dandovi un occhiata d’attorno alla nostra
maniera d’intendere, trovò che ogni cosa era buona: et vidit Deus quod esset bonum [Gn
1,10], ma vi vedeva un vuoto, qual’era l’uomo, ed allora appunto lo creò: et creavit Deus

si creò il primo, si creò il secondo, si moltiplicarono a dismisura gli uomini, quasi (1915) 4
da non potersi più misurare, eppur agli il Signore non era ancor pago, agli occhi suoi vi
mancava ancora uno, e come già del primo uomo, ripetè altra volta: faciamus hominem,
sì si faccia Ì’uomo: et creavit Deus hominem: ed eccovi al mondo un uomo, una creatura
di più, e quest’uomo, e questa nuova creatura sono io, siete ciascun di voi. Giova ancora
;l | . 1
li ditto.
Il mondo non aveva alcun bisogno di noi; ha fatto tanto tempo senza di me, e senza
di voi, e fra non molto se ne spaccierà di noi senza che alla nostra morte vi resti un vuoto
sulla terra; anche che in quel sito, in quel paese, in quell’impiego, in quella parrocchia
paja a qualcuno di fare un po’ di bene; anche chi [alcuneparole illeggìbili] conto di quel­
l'affare, non so un altro come se la sarebbe cavata-badi bene si guardi a. non illudersi costui
e non creda perciò d’essere qualche cosa e di qualche utile sulla terra; se è vero che vi

173
Esercizi Spirituali al Clero - Meditazioni

profitto, e riesca, quando non faccia un gran caso del suo scopo, e come
punto, e fine termine di tutte le sue mire, e fatiche non se lo tenga sempre

sia qualche cosa di buono nelle nostre azioni, in quel nostro impiego, o carriera egli è
tutto, e solo di quel Dio, che vuol servirsi d’un misero instrumento; del resto noi non
siamo che altrettanti esseri inutili da inceppare piuttosto il bene, che ad operarlo: m ilk
altri farebbero meglio di noi sicché morendo non vi sarà che un imbroglio, un intoppo
di meno sulla terra. Nò lo ripeto ne il mondo, ne la Chiesa, né Iddio aveva bisogno di
me: eppure questo Dio giunse a tanto di bontà, e di degnazione quasi ancor gli mancasse
qualche cosa, volle ancor crear me: verano già tante migliaia d’uomini, e che importava
mai la mia persona? eppure nò, non mi basta ancora, pat che dicesse Iddio voglio ancora
che vi sia quest’uomo: quanti si presentavano dinnanzi alla sua mente creature possibili,
rigettò tutte le altre, e scielse me; mi scielse senza che io avessi merito alcuno; mi scicise
prevedendo le tante offese, che io stesso gli avrei fatte; mi scielse sapendo che forse co’
miei scandali avrei allontanato chi sa quante altre creature dai suo servizio. Iddio superò
ogni ostacolo, e può dirsi che chiuse le orecchie a tutti i riclami, che sorgevano contro di
me, voleva crearmi ad ogni costo.
Con una nota, a questo punto il Cafasso rimanda alla pag. 7 afronte (1919). Si tratta di
un testo non cancellato: Creandomi poteva fissarmi un fine qualunque, che per me sarebbe
sempre stato di troppo, ma nò mi elevò tant’altro, che non si trova fra tutta la Corte
Celeste e tra que’ tanti Spiriti beati una creatura, che abbia un fine più nobile del mio.
Una persona che arrivi al servizio d’un altra alto locata in società, se ne fa un vanto, ed
una gloria, cerca di farlo conoscere, ed appalesarlo in quante più maniere le sono possibili
nel garbo, ne’ tratti, colle sue parole, col portamento, e principalmente nelle sue divise,
non cambierebbe la qualità sua con altra più lucrosa ma più misera, e meschina, tanto è
il pregio che anche tra gli uomini si annette alla qualità del personaggio, a cui si serve e se
così è d’un servizio di terra che dovressimo dire dell’uomo, ma molto più d’un Sacerdote
chiamato espressamente qtral a farla da servo e da guardia d’onore decorato di “sue-divise
irèrservrrer corteggiare del Re de’ Re. Sanctificetur etc, pag. 5.
A questo punto, prima, del testo a pag. 5 a cui ha appena rimandato il Cafasso, esiste un
altro testo, pure cancellato e scritto precedentemente, che si riporta qui: e né solamente m i
creò, e creandomi poteva prefìggermi un fine men nobile, e men grande; ma nò m’aggua-
gliò nei fine alle creature più alte del Cielo, anzi mi serve quasi eguale a se stesso, mentre
mi destinò al suo gaudio medesimo; non gli bastò ancora; mi scielse tra gli altri come sua
guardia d’onore, mi destinò a servirlo più da vicino, e corteggiarlo sulla terra per quindi
occupare in Cielo un luogo pari a quello che già ebbi in terra. Dopo tuttociò io dimando
a voi: se non sia da ingrato, e come una slealtà il dimenticar questo fine, ed aver bisogno
che qualcuno ci dica: ma,. Sacerdote mio caro, che fai, e che pensi? rifletti un po’ chi tu
sei, sovvienti del proprio fine, bada a quelle mire che Iddio ha avuto sopra di te. Un padre
che destini un figlio ad un alto, ed onorevole impiego^ e lo veda applicato tutt’altro senza
quasi m ai vi pensi, o ne parli, non può a meno che soffrirne un cruccio, e trarne sinistro
augurio; così e non altrimenti

(1916) 5 pare che debba pensarne il Signore del Sacerdote che vadi passando i suoi giorni senza
rammentarsi il fine, per cui li ha avuti. Il male però sarà tutto nostro, perché con una

174
M editazione ^ Sopra il fin e dell’iwmo

presente: questo è il mio fine, io vivo per questo, io sono perciò solo, ogni
altra cosa per me è un niente, tempo perduto, giorni sialaquati, solo che mi

tale dimenticanza ci priviamo del più grande conforto, che abbi l’uomo sulla terra, e
ci mettiamo come nella necessità di non compierlo. Ditemi se non sia un conforto, ed
un sostegno ben grande per l’Eclesiastico quando pensi che ne in terra, né in Cielo può
darsi ufficio, occupazione più grande, più nobile che la sua, qual’è servire, ed onorare il
Signore.
Sanctificetur nomen tuum quando io pronuncio questa parola dolce, ed affettuosa
preghiera, quando co’ fatti mi vi adopero per santificare questo nome, io compio all’azione
più grande che possa non solo farsi, ma sol immaginarsi nel mondo; e non sarà una con­
solazione pel Sacerdote il pensare, il riflettere, e gustare che questo appunto è il suo fine
e destino. Io non ho gran talento, molta capacità, dovrà dire più d’una volta a se stesso
il Sacerdote, ma poco che importa? nel mio poco, e scarso ingegno posso fare l’opera più
grande, qual’è servire il Signore. Sono di bassi natali, non appartengo a gran casa, non
ho roba, non ho impieghi, non ho titoli, poco conta, direi io a costui, tu hai la miglior
qualità del mondo, se nel tuo stato, nelle tue azioni basse, giornaliere, e comuni, tu servi
il Signore; e qual dignità, qual ufficio più grande, più nobile far in terra quello che un di
faremo tutti quanti in paradiso, far in terra quello che ora stanno facendo gli Angeli, e
Santi del Cielo, quello che tien occupata la stessa nostra gran madre Maria in paradiso;
eh! lasciamo pur ad altri le viste, e le mire di onori, di acquisti di fortuna, e di valore, a noi
Eclesiastici basti il pensiero, il desiderio, il progetto di servire, e servire sempre con più
ardore il nostro buon Dio, giacché pensiero né più dolce, ne più grande può concepirsi
tra noi. "
. Con una nota il testo rimanda a quanto scrìtto allapag. 7 a fronte (1919). Si tratta di un
brano non cancellato: Che se un Sacerdote arrivasse al punto di trascurar questo fine, non
potrebbe a meno che fare un torto massimo a Dio, ed a se medesimo. O che non conosce
il proprio fine, ed allora che dire d’un uomo, che vive senza sapere, pensare, o compren­
dere il perché ei viva, come un viandante che cammina per una strada senza badare ne
al sito, ove tenda, né sapere l’importanza di arrivarvi; che dire d ’un Sacerdote, che abbi
indossato coteste divise senza esserne penetrato del loro valore, della loro grandezza, e
deila loro virtù? oppur che lo conosce, ed allora maggiormente colpevole perché ingrato,
infedele, indegno: sprezza, e mostra col fatto di non far più caso del fango delia terra che
di quell’onore, di quella gloria di cui Iddio Io voleva coronare neli’ammetterlo così vicino
al Suo Servizio. Che dire Come un figlio che avviato per cura, e predilezione del padre
per alta, e luminosa carriera quando se ne mostrasse indolente, e freddo, come avviene
in simili casi invece d ’aLiendersi sarebbe cotesto procedere e di cruccio al padre, e di ben
triste augurio pel figiio, cosi e non altrimenti parmi possa dirsi con tutta ragione del
Sacerdote, che dimentico dell’altezza e della nobiltà del proprio fine si desse sulla terra a
tutt’altro scopo, a tu tt’altra meta che non è quella per cui Iddio lo ha chiamato. O Sacer­
dote, come m i vien bello il ripetere

il gran detto di Leone Magno: agnosce, Sacerdos dignitatem tuam [S, L e o n e M a g n o , (1921)
Serm. XXI, 3 (PL. 54). In realtà S. Leone ha christiane, in luogo di sacerdos]. pensa fratei
mio l’uomo che tu sei, fa di conoscere l’altezza de’ tuoi destini, l’onor, e la gloria di quel

175
Esercizi Spirituali al Clero * Meditazioni

applichi, solo che riesca in questo ramo, tutto è fatto per me; ed è appunto
in questo caso che v è da sperare, così dall’artigiano, dal letterato, da un

servizio, a cui sei chiamato: tu sei per Dio, non sei già fatto pel lotto, per le follie, e le
inezie di questo mondo; il tuo vivere, i tuoi anni, il tuo ingegno, le tue facoltà, li tuoi
talenti, non sono già tuoi, né pur la casa, pel mondo, per far roba, per pompa, pel bel
tempo: Dio te li ha dati, te li conserva, ma li vuole, li pretende per se, pe’ suoi interessi,
per l’onor, e la gloria sua; e che onore, che gloria maggiore per noi, che miseri quai siamo
ciò nondimeno poter servire da instrumenti da procurar un bene al nostro gran Dìo.
Chi nel mondo non avrebbe per una ventura ben grande poter proccurare un servizio,
un favore ad un gran Monarca, non solo per la mercede, che avrebbe a sperare, ma per
l’onore, pel piacere, pel vanto d’aver in certa maniera obbligato un personaggio sì grande.
Ecco il caso nostro, ecco la fortuna, la gloria dell’uomo, e molto più del Sacerdote, che
serve Dio. Il divin Redentore sulla terra, Dio medesimo nelle sue operazioni non potè,
non può aver un fine più grande, più nobile del mio. Che vogliamo di più.
Iddio mi ha creato, e nella creazione non poteva assegnarmi un fine, un occupazione
più dolce, più comoda per me. Ecco l’ultimo pensiero

Con una nota il Cafasso rinvia alla pag. 9 a fronte (1923) facile: basti il dire che costa
niente più che il volerlo; se in questo mondo in tutti gli affari si potesse riuscire quando
solo la persona il volesse, non vi sarebbero più difficoltà di sorta, o se vi sono, non se
ne farebbe calcolo alcuno; ma questo è solo pròprio del servizio divino, chi vuole può,
epperò costa niente più che il volerlo. Dolce e soave. Quanto costi etc.

(1921) Quanto costi servir al mondo non occorre che io vel dica. Gli stessi suoi seguaci sono
costretti a confessarlo tuttodì, e quand’anche ce lo volessero nascondere la loro persona, il
loro esterno non ce ne lascia il menomo dubio. Io non parlo già di chi tenta, soffre, e geme
tuttodì nel mondo, e pel mondo medesimo. Prendete pure una persona tra quelli che se
ia godono: contemplatela dopo una giornata spesa in tutto ciò che il mondo sa presentare
di più incantevole, e geniale: spossata, stanca, nojata, alle volte così piena di irritazione, e
fastidio da poter nemmeno più soffrire ne se medesima, né gli altri: felici noi, che Iddio
ci ha strappati dal novero di cotesti infelici per collocarci all’ombra e servizio suo: eh
che cambio, fratelli, che scielta, che occupazione. Le delizie, le gioie, le consolazioni, che
accompagnano cotesto divino servizio è inutile che io imprenda il dirvele: ne io potrei
esprimerle, ne voi arrivereste a capirle: venga un vero servo di Dio, un vero amante del
Signore, e costui ne intenderà senza che io parli: da amantem diceva già Agostino, et intel-
liget quod dico [Trattati su Giovanni 26,5, in CCL 36, 262], Dimandatelo a tanti Sacer­
doti nostri compagni, e fratelli, allegri, contenti che non cambierebbero i loro giorni, colle
persone più agiate del mondo, poiché se il servizio, e ministero nostro ha i suoi stenti, e
fatiche, ne è tanto il compenso, che non li lasciava quasi sentire. S. Francesco etc.

(1923) Ma per arrivare a gustar si fatte dolcezze, e non sentir il peso di cotesto servizio fa
d’uopo non vale spendersi per metà, fa d’uopo mettersi a tutt’uomo in cotesta impresa.
Tre sono le condizioni, che indispensabilmente si ricercano nel Sacerdote, perché riesca
un vero servo del Signore, cioè che ei sia disposto a servir questo Dio senza eccezioni,
che lo serva a modo suo, lo che vuol dire in una maniera che lo contenti, e lo appaghi.
Finalmente etc. pag. 10.

176
M editazione ^ Sopra ilfin e dell’uomo

applicato qualunque, e così parimenti dall’Eclesiastico: io sono sulla terra


non per altro che per servir Iddio, questo è il solo mio scopo quaggiù;
in special maniera vi sono destinato ancor più che gli altri: tutto il rima-
nente è un bel niente per me: Dio, la gloria, gli interessi suoi, la salute
dell’anime sue, ecco l’affare che deve occupare, che deve assorbire tutti
indistintamente i giorni, anzi i momenti del viver mio. Datemi un Sacer­
dote che la pensi praticamente in questo modo, e state certi che nel viver
suo non devierà dal suo dovere, e lascierà niente a desiderare nella sua con­
dotta. Purtroppo che questo Sacerdote vero, compito in pratica si trova
raramente: per lo più non si trovano che Sacerdoti divisi, e per metà, metà
per Dio, e per la chiesa, se volete, ma un altra parte, chi la destina alla casa,
chi pe’ suoi beni, chi per i parenti, chi pel guadagno, chi pel traffico, chi
pel divertimento, chi pel giocare, chi per la pigrizia, e andiam dicendo, e
perché coteste divisioni, e tante metà, tante porzioni gettate qua e là d’un
Sacerdote, quando rigorosamente dovrebbe essere tutto del Signore, eh!
non stupitevi, cari miei, la vita è divisa in più, ed in parti, perché sono
divisi, sono molti, sono diversi anche i fini, per cui si vive quaggiù anche
dall’Eclesiástico: io sappiamo speculativamente che un solo è il nostro fine,
ma in pratica ci diamo a credere che si possa anche vivere per qualche fine,

A questo punto, sebbene l ’ultima avvertenza del Cafasso rimandi alla suapag. 10, e neces­
sario riprendere il testo cancellato là dove era stato interrotto dalle annotazioni dell’Autore che
rimandavano ad altre pagine. Bisogna cioè ritornare alla pag. (1916) 5.

Se poi vogliamo far un passo, ed andare più oltre fino a toccare il nostro ultimo fine, (1916) 5
là è dove sorpassa ogni limite, e diviene come inesplicabile il nostro gaudio, e solo sarà
capito da chi lo prova. I mali, le miserie, i pericoli di questa vita, specialmente per noi
Sacerdoti sono noti ad ognuno, e non occorre che mi trattenga per ridire ciò che già
sapete; al peso, al dolore di questa vita non si può opporre altro certo bilancio, non si
trova ad applicare altro rimedio che il pensiero, il desiderio, l’aspettazione di quell’ultima
giornata, che ci strapperà di mezzo a tanti guai, e da tante colpe, e ci metterà in possesso
di quel gaudio che solo può contentare il nostro cuore: satiabor cum apparuerit gloria tua
[Sai 16,15].
Il male però maggiore d’ogni altro è che il Sacerdote non vi bada, non vi pensa, e con
ciò oltre di farsi un gran torto, si cagiona un gran danno, e Dio non voglia l’estrema sua
rovina, ed è che dimenticando il proprio fine sarà quasi impossibile che lo compia; e di
qui tutti i disordini che siamo costretti tuttodì a gemere, a deplorare di noi Sacerdoti:
desolatione desolata est omnis terra, quia nullus est qui recogitet corde [Ger 12,11]; se
così è tra secolari pur troppo, con egual verità lo è di noi Sacerdoti.
Le ultime due righe non sono più comprese dalla linea di cancellatura, ma restaproblema­
tico scoprire se e dove vadano inserite.

177
Esercizi Spirituali al Clero " Meditazioni

per qualche altra ragione di più: eppure una sola è la nostra destinazione
sulla terra, una sola ripeto10,

(1917) sicché tolta e mancante può dirsi che cessa, e manca nelristante mede­
simo tutta la ragione del mio essere, la vera e formale mia vita.

(1918)6 Ognuno a questo mondo ha i suoi fini, e le proprie mire; li medita,


li rumina, vi lavora d’attorno, si sviscera, si consuma per conseguirli; così
il laico, così l’Eclesiastico, il ricco, il povero, il giovane, il vecchio, tutti
insomma se ne vivono sotto cotesto martirio, e questo torchio de1proprii
fini, e proprii desideri: ebbene tutta questa serie, tutta cotesta schiera, e
falange di viste, di mire, e progetti, che tiene come in combustione tutto
quanto I uman genere, deve tacere, e come scomparire davanti a quel

(1920)7 gran fine, che Iddio ha come scolpito nell’essere, e nella natura del­
l’uomo, per cui solo è venuto al mondo, per cui solo si vive, e per cui solo
Egli deve operare. Creatus est homo... ad hunc filiera, ut Dominum Deum
suum laudet. ac revereatur. eique serviens salvus fiat. Con queste poche
parole sono rovesciati, e ridotti come al niente tutti quanti i progetti, ed i
calcoli degli uomini.
Cotesto fine egli è talmente necessario a compiersi, ed indispensabile,
che l’uomo, il Sacerdote che vi si allontana, diviene come un essere una
creatura senza nome, mostruosa, ed informe, perché manca di ciò che con-
stituisce la formale sua sostanza, ed esistenza. Ogni cosa creata ha, ed è
ordinata al suo proprio fine, e quando più non serva, non corrisponda, e
si renda inetta allo scopo, ed oggetto, per cui fu destinata, non si tiene più
in alcun conto, e non solo perde tutto il naturale suo pregio, ma si ha di
più in abominio come una cosa mostruosa, ed informe. E non sarebbe un
oggetto mostruoso, e deforme il sole, che fatto per illuminare la terra, la
coprisse invece di tenebre? non sarebbe dì abominio, ed orrore la terra, se
invece di dar cibo e pane, qual’è il suo fine, ci desse al contrario veleno?
non sarebbero mostruosi i nostri sensi l'occhio per esempio, e l’udito
quando più non ci servissero al fine, per cui ci furono dati. Così certa-

w Segue un testo cancellato: e tutto il rimanente è un bel niente, quando questa sola
si trascuri, e si trasandi: ed eccoci al punto più importante della nostra meditazione, la
necessità cioè assoluta, ed indispensabile, ed essenzialissima di attendere, di compiere al
nostro fine sulla terra. Questo testo è sostituito da alcune righe scritte nella pagina a fronte. .

178
M editazione ~ Sopra il fin e delluomo

m e n te si d ire b b e , e re a lm e n te si g iu d ic a n e ll’o rd in e fisico, a ltre tta n to e


c o n m a g g io r ra g io n e d o b b ia m o d ire n e ll'o rd in e m o ra le . N o i lo sa p p ia m o
ch e sia c o m e u o m in i, ta n to c o m e c ris tia n i, e m o lto p iù c o m e S ac erd o ti
sia m o c reati, sia m o d e s tin a ti a q u e s to so lo fin e d i servire, d i o n o ra r Id d io , e
q u e sto è fu o r d i d u b io ; d a q u e l p u n t o a d u n q u e , e d in q u e ll’in s ta n te m e d e -
sim o c h e n o i d e v ia m o , e c h e m a n c h ia m o d i c o rris p o n d e rv i, cessiam o d i
essere q u e llo c h e sia m o , n o n solo p e rd ia m o ciò c h e in n o i v’è d i m e g lio , e
d i p iù p reg iev o le, m a n e re sta p e rfin o a lte ra ta la n o s tr a n a tu ra , e so stan za, e
d iv e n ia m o c o m e t a n ti esseri se n z a n o m e , e fu o ri d i u so , e c o m e a ltre tta n ti
o g g e tti d i o rro re e d i c o m u n e a b b o m in io , p e rc h é d e g e n e ri, e m a n c a n ti
alla n o s tr a in trin s e c a , e so sta n z ia le d e s tin a z io n e , e p p e rc iò esseri in fo rm i, e
m o s tru o s i in p iù m a n ie re , m o s tr i in n a tu r a c o m e u o m in i, m o s tri in fed e
c o m e c ristia n i, e m o s tr i n e l S acerd o zio , e n e lla chiesa, c o m e E clesiastici, di
m o d o 11

d i m o d o c h e l ’u o m o , il S a c e rd o te n o n è già so la m e n te u n essere ch e (1923)


p a rla , o p e ra , ra g io n a , m a bensì, u n a c re a tu ra c h e t u tto q u e s to o rd in a a D io ,
c o n t u t t o q u e s to lo serve, lo o n o ra , e p p e rc iò a d e fin irlo in p o c h e p aro le,
E gli è u n essere c h e serve D io , e d a l m o m e n to ch e cessa d i serv ire q u e sto
D io , p u ò d irsi c h e cessa d ’esser u o m o , d ’esser S a c e rd o te , c o m e l’o cch io ,
l’o re c c h io e q u a lu n q u e a ltro n o s tro sen so cessa d ’esser ta le d a l p u n to ch e
p iù n o n v e d o , e a n d ia m d ic e n d o ;

d i m o d o c h e n o i fa c c ia m o in q u e s to m o n d o la fig u ra ch e fa u n in s tru - (1920) 7


m e n to in u tile n e ll’o ffic in a d e l su o p a d ro n e , il q u a le n o n se rv e n d o p iù allo
sc o p o , c u i era fa tto , il p a d r o n e lo g e tta v ia d a se, o se lo soffre a n c o ra tra
m ezzi agli a ltri d e l su o n e g o z io , lo calco la p e r n ie n te , o sa n e m m e n c h ia ­
m a rlo co l p ro p r io n o m e , o se g lielo d a fa c a p ire ch e p iù n o n lo m e rita , n e
lo è! C o sì è d ell u o m o , così sia m o n o i su lla te rra , se ci sc o stia m o d a l n o s tro
fine, d iv e n ia m o ta n ti in s tr u m e n ti in u tili, ta n ti a rn e si d ’im b ro g lio in q u esta
g ra n d e o ffic in a d e lla te rra , e d e lla ch iesa, e n ie n te p iù : o c h e il p a d ro n e ci
stra p p e rà v ia c o lla m o r te , o se ci lascia a n c o r p e r p o c o ci h a n e m m e n

tra il n o v e ro d i c h i lo serve, u o m in i e S a c e rd o ti in u tili, d i p u r o n o m e , (1922) 8


e d a p p a re n z a , m a n o n g ià in realtà, e so stan za: h o m o D e i, v o i Io sapete, si
defin isce, e d ev e essere T E clesiastico: u n u o m o , c h e p e n sa , c h e p a rla , che

11 II Cafasso inserisce qui un testo scritto a pag. 9 a fiorite.

179
Esercizi Spirituali al Clero - Meditazioni

opera per Dio: un uomo, la cui vita, deve essere tutta quanta applicata agli
interessi, all’onore, alla gloria di Dio; che se il Sacerdote declina, e non
corrisponde a questo suo fine, e da uomo di Dio e di Chiesa si trasforma
in un personaggio, in un uomo dì mondo, di divertimento, di traffico, di
speculazioni, di giuoco, di buffonerie, di ozio, eccolo perciò solo viziato
nella sua sostanza, e midollo, eccolo divenuto quell’essere senza nome di
cui parlavamo, quelFistrumento guasto ed inutile, che il padrone più non
riguarda, un'uomo, un Sacerdote che vive si, che esiste materialmente, ma
che in effetto più non ha avanti Dio ne spirito, ne vita: Deum time. et
mandata ejus observa: hoc est omnis homo]2: poche ma importantissime
parole. Temi Iddio, e servilo a dovere, perché, sappilo che qui sta tutto
l’uomo: hoc est omnis homo. Dunque, sottentra qui un dotto, e virtuoso
interprete, se qui sta tutto l’uomo, senza di ciò tutto l’uomo è niente: si
hoc est omnis homo: ergo absque hoc nihil est homo: ergo qui hoc non
agit. nihil agit: ergo qui hoc non est, nihil est. Dunque quand’anche io
fossi il primo scienziato del mondo, il più famoso predicatore, ma se nel
mio stato non servo il Signore, non opero per luì, non cerco la sua gloria,
sono un bel niente: absque hoc nihil est omnis homo. Io che in quel posto,
in quel paese pare che sia una gran cosa, sono stimato, sono tenuto per
virtuoso, per pio, fossi anche creduto un Santo, in realtà sono un niente,
se nel mio posto, e colle mie fatiche non servo Iddio. E perché? Tabbiam
sentito: qui hoc non agit, nihil agit: qui hoc non est, nihil est. Al contra­
rio quand’anche io fossi un povero Sacerdote, di poco talento, di poca
fortuna, se servo Iddio, sono tutto, sono tutto quello, che può essere
un uomo, un Sacerdote a questo mondo: hoc est omnis homo: qui hoc
est, totum est: qui hoc agit, totum agit: sarà poco quello, che posso fare
in quell’impiego, in quel sito, tante sono le contradizioni, e gli impegni
che s’attraversano alle mie mire, niente importa: con quel poco avanti il
mondo, sono tutto avanti Dio, perché fo’ la sua volontà, e lo servo. Hoc
est omnis homo. Ecco la bilancia, che il Signore pone in questi giorni
nelle nostre mani perché ognuno pesi se stesso, e possa vedere, valutare i
suoi giorni, e gli anni passati. Ciascuno di noi conta già un certo numero
d’anni, chi più, chi meno, passati parte negli studii, parte nell’esercizio del
Ministero, e parte forse in qualche altra occupazione. Chi sa io dimando se
tutto questo tempo, e tutto questo numero d’anni sia parimenti registrato
nel libro della vita, conti, e valga presso Dio, come conta, e vale appresso

12Qo 12, 13.

180
M editazione ^ Sopra il fin e dell’uomo

agli uomini: per po’ che entriamo in noi stessi, lo possiamo sapere da noi.
Lasciamo stare quel l’età che non avevamo ancor la sorte di poter conoscere
Iddio. Seppelliamo parimenti13

in cui purtroppo abbiam offeso il Signore, perché è più da piangere, (1924) 9


che da ricordare, potremo almeno calcolare sul rimanente? Dio volesse!
ma chi sa tra mezzo, quanti vuoti, e quante deduzioni a farsi, e con ciò
altrettante perdite, e irreparabili: que' studi fatti puramente per fini umani,
per genio, per simpatia, col fine d'un guadagno, d’una risorsa temporale,
vanno dedotti; siccome non erano diretti all’onore, alla gloria di Dio, Iddio
non li calcola, e sono un bel niente, perché qui hoc non agit. nihil agit:
quelle opere di Ministero cercate, esercitate unicamente per vanità, per
interesse, e quasi per mestiere, valgono a nulla, perché non fatte per Dio,
e ciò che non è per Dio è una mera nullità: qui hoc non est, nihil est. Sia
pure un opera strepitosa finché si vuole, il mondo la lodi, l’encomii, l’esalti
finché le pare, e piace, ma se non è ordinata a quel fine, è come se non
vi fosse. Le stesse nostre opere di pietà preghiera, Breviario, Messa, ammi­
nistrazione di Sacramenti, fatte senza attenzione, di mala voglia, sgarbata­
mente, e quasi per forza, togliamole pure, non furono tali da piacere al
Signore, epperciò chi le ha fatte, ha perduto il tempo, ed ha fatto un bel
niente. Eh! quanti vuoti un giorno si andranno a vedere non solo ne’ seco-
lari, ma purtroppo negli Eclesiastici, e forse anche di coloro, che avevan
fama, e nome di zelanti, di buoni operai, e che passavano la loro giornata
nell3esercizio del Ministero. Chi sa quanti tra noi morranno giovani, e
colle mani vuote quand’anche vecchi, e maturi d’età, e dopo molte fatiche;
poiché fratelli miei l’età nostra avanti Iddio non si forma già col numero
materiale di anni, ma piuttosto dalla natura, e dal valore delle nostre opere.
L’Eclesiastico che non ha servito Dio, e lavorato per lui, quand’anche
avesse un sufficiente numero di anni, morrà sempre giovane, e come fan­
ciullo; come al contrario morrà sempre adulto, e maturo chi ne pochi
giorni del suo vivere avrà cercato di servire Iddio: satis diu vixit qui bene
vixit. Ah! povere fatiche gettate al vento, quando l’Eclesiastico lavora per
le follie di questo mondo! che amaro punto, che doloroso pensiero deve
essere per un Sacerdote vedersi d’avanti un buon numero d’anni trascorsi,
il meglio di sua vita già quasi consunto, toccar quasi il termine de’ suoi
dì, ed accorgersi allora che Egli è sprovvisto, ed aver le mani vuote. Deh!

13 Sembra che manchi qualcosa tra la fine dì questa pagina e l ’inizio della successiva.

181
Esercizi Spirituali al Clero - Meditazioni

fratelli miei, la vita nostra se ne va ogni giorno, anzi ogni momento corre al
suo termine, apriamo gli occhi prima che ci capiti di toccar il fine. E vero
che forse ci rimarrà poco da vivere, presto suonerà l’ultima ora della nostra
giornata, volgerà offriamo almeno a Dio questo pezzo che ancor ci rimane:
suscipe Domine residuum annorum meorum. Buon per noi, che abbiamo
da fare con un padrone che non isdegna anche di accettare il rimasuglio de’
nostri anni, ed il rifiuto di questo mondo. Iddio non ha sdegnato d’accet­
tare que’ lavoranti che si presentarono al lavoro nell’ultima ora, e così son
certo che non rifiuterà le braccia d’un Eclesiástico, che confuso, e pentito

(1926) io d’aver perduto, e scialaquato tanti anni nelle miserie di questo mondo,
ora viene ad offrirsi benché tardi per lavorare nella vigna del suo Signore.
È vero che non siamo degni di tanto, è vero che non meritiamo di essere
annoverati ed ascritti tra il novero di tanti buoni ministri, ed operarii, è
vero che saranno vicine le ultime ore, poco o niente il lavoro che saremo
per fare, sì, ma la bontà, la misericordia del nostro buòn Padre, e padrone
supplirà a tutti i nostri demeriti, ed a tutti i nostri vuoti, se dal canto nostro
faremo quel tanto che il tempo, l’età, e le circostanze ci potranno permet­
tere. Eh! sono vostri, adunque, o Signore quei pochi giorni, che ancor mi
rimangono a consumare sulla terra, io li depongo a’ vostri piedi, e fin da
questo punto ve ne fo un dono intero, assoluto, ed irrevocabile: coman­
date, suggerite, disponete, fate pure di me come volete purché io vi serva,
e v’onori fino all’estremo del viver mio. Tale o fratelli sia la nostra prima,
e fondamentale risoluzione di questo nostro ritiro, servir Iddio, e servirlo
in modo da divenir sulla terra veri uomini non già di puro nome, ed appa-
renza, ma in realtà veri uomini, veri Sacerdoti, veri Servi del Signore14.

(1919) Tanto più se vi è gloria, e vera gloria per l’uomo, per rEclesiastico in
terra, ella è appunto questa di esser cioè destinati ad un sì alto scopo, qual’è
quello di servir Iddio; sì Iddio creandomi non poteva prefiggermi una
meta, una mira più grande qual’è quella di poterlo servire. Io prescindo dal
farvi notare come questo fine tuttoché sì alto sia stato totalmente gratuito.
Gratuita la creazione, gratuito il fine, per cui volle crearci Iddio. Il mondo
etc pag. 11.

14 Qui il Cafasso rimanda ad un testo scritto alla pag. 7 a fronte.

182
M editazione - Sopra il fin e dell’uomo

(1926) 10

. Finalmente nel proprio servizio che-presta

non aver altro in mira che l’onore, e la gloria del suo Signore.
Ecco i tre caratteri che d’un uomo comune, meschino, ed il più negletto
fra tutti, se volete, devono formare un vero Sacerdote, un vero Ministro,
un vero servo di Dio: un solo che vi manchi, è inutile darcela ad inten­
dere, noi manchiamo al nostro fine, siamo fuori del numero de’ veri servi
del Signore. Servir primieramente Iddio costantemente senza eccezioni di
tempo, di luogo, di fatiche. Dunque un Eclesiástico che lavora a salti,
quando ha voglia, non sa che fare, non lo incomoda, quando lo sanno
prendere, v e qualche cosa a lucrare, quando gli lasciano la scielta, gli
danno il primo luogo, nessun lo contraria, andiam dicendo, sarà un servo
si, ma un servo capricioso, fatto a suo modo, e di sua testa, e che invece
di dipendere dal padrone, par quasi invece che pretenda che il padrone
dipenda da lui, epperciò a dirlo in breve, non sarà che un servo cattivo16. Il
grande S. Vincenzo de’ Paoli soleva dire jbtrqu nelle sue famose conferenze
che un buon Eclesiástico deve essere nelle mani del Signore come un ani­
male da soma alla discrezione di suo padrone, va, viene, e porta una cosa
qualunque senza far distinzione alcuna.
2.do Servir Iddio in una maniera degna di Lui e che a Dio possa piacere.
Dunque quel servir Dio sgarbato, frettoloso incomposto, senza decoro, e
gravità; quel celebrare così in fretta, con occhi, ed aria, e maniere divagate
e"senza; quel prestarsi ad amministrar Sacramenti di cattiva grazia,

di malumore, e quasi per forza, e necessità; quella recita materiale di (1927) 11


preghiere, di Breviario senza alcuna sorta d’unzione, e di spirito, eh! fratelli
miei credetelo pure, non è questa la maniera di servir degnamente Iddio,
nemmen un padrone del mondo si contenterebbe, e soffrirebbe questi
modi, e cotesto tratto in una persona dipendente. Finalmente perché possa
dirsi che un Eclesiástico serve veramente ai suo Dio è necessario che oltre

15 Seguono, nel testo, alcune righe cancellate: Servire vuol dire, e suona Io stesso che
essere a cenni, a comandi, alia disposizione di qualcheduno, e che vuol servir degna­
mente, e meritarsi il titolo, e la qualità di un buon servo, sono necessarie indispensabil­
mente tre cose; servire costantemente, e senza eccezioni il suo padrone; servirlo in una
maniera che gli piaccia, e lo soddisfi.
16 Con una. nota il Cafasso intende inserire quattro righe della pagina a fi-onte.

183
Esercizi Spirituali al Clero - Meditazioni

all’essere fermo, e costante nel Suo servizio, oltre di prestarlo degnamente,


e lavorare con esatezza, con puntualità, con modi decorosi, e gravi, in ciò
che fa non cerchi già il suo comodo, il suo interesse, e vantaggio, ma bensì
il bene, l’onore, e la gloria del suo padrone, che è Iddio; ed è qui, o cari,
dove sta il vuoto maggiore di noi Sacerdoti: sono pochi gli Eclesiastici
totalmente oziosi, i più lavorano; ma che vale? quando ne’ nostri lavori,
nell’esercizio del nostro Ministero si cerca l’interesse, il guadagno, la stima,
e l’onor del mondo; quando si lavora con fini bassi, ed umani, per vanità,
per abitudine, per genio, ed inclinazione. Un padrone del mondo che
abbisogna solo del comodo, e dell’utile, quando gli riesca di averlo dal suo
dipendente, d’ordinario non va più avanti, ed è contento, senza cercare
con che fine il faccia; ma Iddio no, Egli non ha bisogno alcuno delle opere
nostre. Che se le accetta, gradisce, e premia, è con questo pattò, e condi­
zione che sieno fatte per Lui, altrimenti non sa che farne. Deus non com­
putai sensum. sed affectum. De cordibus. non de manibu's facta metitur17.
Sicché il Sacerdote che in questi giorni vuol rimediare al passato, e desidera
formarsi un vero servo di Dio, si metta ben di cuore questa gran massima,
di lavorare sì, ma di lavorare, e faticar per Dio: via la vista dell’interesse,
della vanità, dell1amor proprio, e della stima del mondo, ma Dio, e Dio
solo, il bene delle anime, l’onore, e la gloria sua. E perche ognuno di noi
s’impegni Ah! felice FEclesiastico, che avrà servito in questo modo il suo
Signore. Coraggio, o fratelli l’ora è tarda, i bisogni sono molti incalzano, il
tempo se ne fugge, non tardiamo più oltre, mettiamoci una volta da vero a
servir questo Dio; i nostri pensieri, le nostre mire, i nostri progetti, i nostri
discorsi, le nostre opere, in una parola quanto noi siamo, tutto sia per Dio,
all’onore, alla gloria sua18.

(1928) e per riuscirvi, e divenire tali teniamo sempre a mente a quel grande
avviso che ci da il bel libro dell’Imitazione di Cristo e che già praticava con
se il dottor S. Bernardo: fili cogita frequenter ad quid venisti etc. Memento
semper finis19, conchiuderò colla gran Massima raccomandata nel bel libro
dell’imitazione di Cristo: ricordati soventi, o Sacerdote, del fine, a cui Dio
ti ha destinato: cogita frequenter ad quid venisti! Ognuno di noi giornal­
mente a’ piedi del Crocefisso, o davanti a questo Sacramento ripeta, e dica

17 Cfr. nota 35, p. 138.


18 Con una nota il Cafasso intende inserire un testo scritto nella pagina successiva.
19 De imitatione Cbristi, I, XXV, 1.11.

184
M editazione - Sopra ilfin e dell’uomo

a se stesso: io sono un Sacerdote, io sono un uomo di Dio, un uomo


di chiesa, io vivo unicamente per cercare, per trattare gli suoi interessi,
l’onore, la gloria sua: fuori di questo fine, e di questo scopo il mondo per
me è come se non vi fosse, io non conto altra occupazione sulla terra.
Ecco il pensiero, che prendo per me, e lascio a ciascun di voi a meditare
in questo giorno principalmente e finché ci muoveremo sulla terra, ricor­
darsi cioè del nostro gran fine: Ricordati o Ministro del Signore, ricordati
o uomo di Dio, ricordati chi sei, ricordati del fine a cui sei chiamato.
Memento, memento semper finis: ricordati che tu sei per Dio, tu sei fatto
per l’onore, per la gloria sua. Cogita etc20.

Sicché pensandovi, e compiendo il nostro fine quaggiù in terra ci riesca (1928)


di arrivare a quell’ultimo ed eterno che ci attende lassù in Cielo21.

Sia dunque questa la risoluzione da prendersi fin da questo primo (1929)


giorno, e da rinnovarsi soventi in cotesto ritiro, cioè di divenire, d’or
in avanti tutti noi veri servi del Signore, servi che pendono tutt’ora da
comandi, anzi da cenni, e dall’occhio del suo padrone, servi che non per
apparenza, od in un modo qualunque prestano il proprio servizio, ma per­
suasi della sua dignità ed importanza, studiano di prestarlo il meglio, che
sia a loro possibile; servi infine che non cercano il proprio gusto, ma allora
solo sono contenti quando sanno essere appagato il loro padrone. Questi
e non altri è quel solo tra Sacerdoti che ha compreso, e che compie sulla
terra il proprio fine22. Questi è tra gli uomini il più grande, perché fa ciò
che di più grande sulla terra. Questi tra tutti sarà il Sacerdote più contento
e felice, felice per ciò che fa felice per ciò che gode nel tempo, felice per
ciò che spera neireternità; felici pur noi se meditando in questi giorni cote-
ste gran verità ci renderemo degni di dividere in un colle fatiche le gioie
di questi veri servi del Signore, e riportare assieme ancor noi la meritata
corona nella beata eternità ed arrivar assieme a queirultimo fine, che tutti
c’aspetta lassù nel bel paradiso.

20 Con una nota il Cafasso intende inserire due righe scritte nella pagina successiva.
21A questo punto il Cafasso aggiunge un foglio staccato con una nuova conclusione.
22 Segue un testo cancellato: E per riuscirvi ognun di noi se lo tenga sempre davanti,
lo studi, lo mediti, ricordati o Sacerdote, rammentati o uomo del Signore chi tu sei, qual
sia il tuo fine, il perché tu sii venuto al mondo, tu sii entrato in questo stato. Cogita
frequenter ad quid venisti: memento, memento semper finis.

185
Meditazione (1930)

Sopra l’importanza del fine

Importanza della Salute1 (1932) 1

Iddio nel crearmi non poteva assegnarmi sulla terra un fine più dolce, più
grande, più nobile qual’era quello di deputarmi in special modo quaggiù
fra tante creature a lodarlo, a servirlo, ad onorarlo: questo Dio medesimo
nel riservarmi ad una vita futura, ed eterna, esaurì può dirsi verso di me i
tesori di sua bontà, e misericordia con destinarmi ad una meta sì alta, che
Pè quella d’arrivare un dì a vivere
lo in paradiso2.

Consolantissimo pensiero egli è questo, ma che nello stesso tempo deve (1931)
incutermi un tal quale salutare spavento. Ed infatti: che dolore, che ango-
scie un dì sarebbero le mie,

ah! che angoscie, che dolore, che termine fatale sarebbe il mio, se io (1932) 1
colla mia negligenza, colla mia trascuratezza rompessi un sì bel disegno
della divina bontà, e non arrivassi a conseguirlo, ed a salvarmi. Quanti
sacerdoti che al pari di me erano destinati pel Cielo, erano attesi da lassù,
eppure là non vi sono giunti, e quello che più angoscia, vi giungeranno mai
più. Bel paradiso, ti vedrò mai più diceva morente un infelice; purtroppo
io temo, soggiungeva un altro, che il paradiso non sia per me. Che sarebbe

* (fald.. 4 5 /fase. 90; nell’originale 1930-1956)


1 Originariamente leprime pagine di questa meditazione erano diverse, ma furono cancel­
late dal Cafasso e sostituite con circa tre altre pagine che si trascrìvono qui. In nota più avanti
si riporta il testo cancellato.
2 Con una nota il Cafasso intende qui inserire tre righe che scrive nella pagina afronte.

187
Esercizi Spirituali al Clero - Meditazioni

adunque fratelli miei se il pensiero, la vista, l’altezza di questo fine non


avesse a servire un giorno che a cavarci lacrime più amare. Che gioverebbe
sarebbe se un solo tra noi disteso sul suo letto di morte mirando il Cielo
in quei terribili momenti, dovesse ripetere fra se stesso, temo che quella
patria non sia per me. Io non sono quà per funestare, e generare incertezze,
e timori, ma solo per destare in noi il più pronto, il più vivo impegno
per assicurare la nostra vocazione, e la nostra sorte. Io sono salvo, io sono
perduto: sarà una di queste due infallantemente la mia nostra meditazione
eterna: la scielta, la decisione, la soluzione di questo gran dubio dipende
da ciascun di noi, dalla nostra sollecitudine cioè, e dalla nostra corrispon­
denza, sicché ognun può vedere facilmente l’importanza somma, ed indi­
spensabile di ben penetrare questo punto, conoscere, e ponderare da vicino
cotesto può dirsi inesplicabile affare gran negozio dell’anima nostra, della
nostra salute, del nostro fine. Io mi metterò a considerarlo con voi sotto
due aspetti: 1° per ciò che egli è in se stesso,
principale, secondo
2° delle sue principali circostanze.

Dirò primieramente adunque che trattare cotesto affare gran negozio


(1934)2 adunque è tutto mio, tutto e proprio di me a differenza di quanti altri

può affidarsi ad alcun altro, di modo ché se io non vi penso, e mi vi ado­


pero, nessuno vi pensa, e vi provvede per me. Cotesto affare mi si affida
per una volta sola; sbagliato, perduto, mente altro mi giova né si ripara
mai più. Ciò pertanto debbo sapere che Per trattare, per riuscire tm cote-
sto affare sì-grande ciascun di noi ha un tempo limitato, e questo ancora
incerto, veloce, e che passato non ritorna mai più. Eccovi, o fratelli miei, di
che si tratta, ed in quale condizione ci troviamo quando si dice che ciascun
di noi ha un anima da salvare. Coraggio Sacerdote, se vuoi salvarti, egli è
il tempo, e non tardare, figuriamoci che in quest’oggi dica a noi il nostro
buon Angelo, e questo Dio medesimo, quello che già fecero sentire gli
Angeli al Patriarca Loth: egredere, festina, et salvare3. Fuori di queU’inerzia,
di quella pigrizia, di quella vita insomma vuota, mondana, e secolaresca.
Su via da quei siti, da quelle case, da quelle partite, lo sai che non sono da
prete, e sarà difficile il salvarsi. Orsù si finisca una volta con quell’abito, e

3 Gn 19,22.

188
Meditazione - Sopra l ’importanza delfine

con quelle ricadute, poiché un ritardo anche menomo può esser l’ultimo,
e fatale. Egredere adunque, festina, et salvare. Sono questi i sentimenti con
cui dobbiamo entrare desidero miriamo in cotesta meditazione. Figurarci
soventi che io lo dica a voi e voi lo diciate a me Figuriamoci di dircelo
a vicenda: Sacerdote, salvati l’anima. Noi tutto l’anno lo predichiamo al
popolo, continuamente può dirsi che al Confessionale non facciamo che
ripetere: fratei mio, che ti gioverà tutto questo, pensa che tutto passa,
tutto se ne va, la morte viene, salvati l’anima. In questi giorni, e partico-
larmente in questa sera lasciamo gli altri, ed imaginiamoci che il mondo
tutto rivolto a noi raccolti in questo luogo, dica, ci ripeta: su, o Sacerdote,
posto che hai lasciato il mondo, ti sei segregato da tutti, e stai compiendo
un’opera sovrana così grande, mettiti da vero, e non partire di qua senza
aver messo in sicuro l’anima tua: salva, salva animam tuam '

e felici n o i se q u e s ta sera sarà p r o p r io q u e lla ch e u n d ì c o m e sp ero b e n e - (1933)


d ire m o p e r se m p re in p a ra d iso .

Cominciamo. (1934) 2
Lo so che nel mondo non fa bisogno di raccomandar ad un infermo,
che procuri di guarire, no, non occorre quando un tale abbia pendente una
lite, od un negozio di rilievo, eccitarlo, spronarlo a non perderlo di vista, e
procurare di vincerla, e riuscirla.

Egli è tanto naturale, e così comunemente praticato da tutti che si stima (1935) 3°
affatto inutile una si fatta raccomandazione, e quando si facesse non si ha
che per una gentilezza, e complimento di pura usanza. Ah! volesse Iddio
che un altrettanto potesse dirsi del primo, del solo affare, che veramente ci
tocchi, qual è quello dell’anima nostra. Eh! fosse pur vero che almeno tra
noi, almeno il Sacerdote fosse tale da non aver bisogno che alcuno glielo
venisse a ricordare: tocca a me, o miei cari, tocca a voi a salvarci, nessun
altro può supplire alla mancanza nostra. Egli è questo un negozio tutto
mio, tutto proprio, sicché trascurato egli è perduto, nessuno vi pensa, né
può pensarvi per me. In ogni altra faccenda, si tratti della sanità della roba,
d’un impiego, della mia libertà, perfin della vita, quando io non voglia, o
non possa fare da me, un altro può provvedere per me, solo l’anima, la mia
salute, il mio fine non ammette mezzani, non accetta supplenti, cotesta

4 Gn 19,17. Con una nota il Cafasso rimanda a tre righe scritte nella pagina a fronte.

189
Esercizi Spirituali al Clero Meditazioni

gran causa va trattata tra me e Dio, e niente mi può scusare, né infermità,


né mancanza di forze, di capacità, né la quantità degli affari, né ignoranza,
né impotenza di sorta mi può dispensare. Chi vuole può, tutti sono in
dovere di farlo, chi non lo fa, chi lo trascura, egli è perduto. E se questo
vale per tutti senza eccezione, in special modo milita per noi Eclesiastici,
poiché se v’è persona al mondo5

5 E foglio del Cafasso qui si interrompe e il discorso riprende alla pagina (1944) 4, Tutta­
via tra la pagina (1935) 3 e la pagina (1944) 4 il santo inserì circa 9 pagine successivamente
cancellate, che presentano un diverso esordio della meditazione. Si trascrìvono qui:

(1936) Primo giorno degli esercizi


Meditazione Seconda
Sopra l’importanza della Salute

(1938) 1 primo giorno. Meditazione Seconda. Sopra l’importanza della Salute.


Io non sono per-il mondo, il mondo Orazione.
Eterno Iddio, prostrato avanti a Voi, credo ed adoro qui presente la vostra divina
Maestà. Io vi prego, o mio Dio, a darmi forza e luce per cercare, per-meditare Signore,
ad illuminare la mia mente, e riscaldare il mio cuore sicché possa meditare con frutto le
vostre sante verità.

Con un segno di nota il Cafasso rimanda ad alcune righe nella pagina a fronte:

(1937) Domine, ut videam, vi dirò col cieco del Vangelo [Le 18,41]; deh! mio Dio fate etc

(1938) l che io mi persuada ponderi, ed arrivi ad intendere in questa sera la massima impor­
tanza del mio fine, la necessità di salvarmi: fate che io intenda che cosa voglia dire un
Eclesiástico salvo in paradiso. Madre mia Maria, Angelo custode Voi che corrispondeste
si bene al vostro fine sulla terra, deh ottenete in questa sera cotesta grazia per me. Angelo
nostro Custode etc.
Esordio
Io sono al mondo, ma solo, unicamente per servir Iddio e servendolo, andarlo in fine
a rag [giungere in Paradiso], Io non sono pel mondo; il mondo non è per me: è come se
non vi fosse. Io vi sono: fu questo il termine della nostra meditazione di questa mattina,
e spero che cotesto pensiero sarà parimenti stata la nostra occupazione di questa prima
giornata. Benché formato di terra, pure non sono fatto per la terra, ma sono destinato
pel Cielo: grande e nobile pensiero, che, come già vi diceva, deve formare tutta la nostra
speranza, e darci il massimo coraggio per attraversare i pericoli di questo mondo: però
che gioverebbe, fratelli miei, essere destinati ad un fine si alto, se poi non arrivassimo a
conseguirlo: quanti Sacerdoti che come noi erano creati parimenti pel Cielo, eppur al
Cielo non vi sono giunti, né vi giungeranno mai più! che gioverebbe dico se la grandezza
del nostro fine non avesse a servire che a cavarci un giorno lacrime più amare.

190
Meditazióne Sopra l ’importanza delfine

se c’è persona al mondo che neH’affare della sua salute sia totalmente (1944)4
abbandonata a se stessa siamo noi sacerdoti. Trattandosi d’un laico, d’un
secolare, d’una persona di mondo, sè costui non si dà cura dell’anima prò-

Un segno di nota nell’autografo rimanda alla pagina a fronte:

Bel paradiso, ti vedrò mai più, diceva morendo un peccatore infelice. E che sarebbe, (1937)
dico, se alcuno di noi dovesse da! letto di morte mandare questa voce, e cotesto gemito di
dolore: il paradiso non è più per me! bel paradiso, io temo, forse ci vedremo mai più.

Io voglio sperare di no, ma uopo è a buon conto pensarci, e provvedervi. Il Signore (1.938) 1
senza di noi ci creò, e ci ha destinati ad un fine si alto, ma senza di noi certamente non ci
salverà: il paradiso è aperto per chi lo vuole, la strada è segnata per tutti, ma chi lo desidera
è necessario che si muova, cammini e si sforzi a toccarlo; e per far tutto questo giova
moltissimo, anzi è quasi indispensabile essere ben persuaso della massima importanza di
cotesto affare, cioè adire che cosa importi, che cosa voglia dire salvarsi, quale la differenza,
quale la sorte dell’ d i c h i'arriva-al suo filie Eclesiástico che si salva e del Sacerdote che
la sbaglia e si perde.:

rià. Molti già l’han cercato raggiunto, e lo godono felici in


Cielo cotesto affare-gran fine, altri lo piangono perduto e senza rimedio all’inferno, altri
gemono, e temono di perderlo in punto di morte; noi non. abbiamo ancor toccati questi
punti estremi, decisivi della nostra sorte, ma siamo in via e chi più presto, chi più tardi
saremo a toccarlo vi arriveremo: Dio ha voluto chiamarci intanto a questo luogo, perché
ognuno pensi alle proprie speranze, ed ai proprii timori di questo grande affare. Io sono
salvo, io sono perduto, sarà una di queste due la nostra meditazione eterna, uno di questi
due pensieri avrà da occuparci eternamente, e me, e voi, or ci tocca fermarci sopra un
pensiero del tempo, e sarà questo: chi sa se mi salverò: ci salveremo noi Eclesiastici fratelli
miei, rioi che ci siamo qui radunati? Una rivista dei nostri anni passati, le risoluzioni che
formeremo in questi santi giorni potranno dare a ciascuno di noi una risposta da tranquil­
larci su questo massimo affare punto. Io credo che ognuno di noi ritornando nel mondo,
ed alle proprie case potrà portarsi con se in cuore cotesta dolce e consolante speranza di
arrivare un di ;
r a salute.

Con una nota il Cafasso rimanda alla pagina a fronte:

Ma per maggiormente assicurarci io credo bene che ci tratteniamo in questa sera in (1937)
questo grande argomento, qual è la salute d’un Eclesiástico giacehé-uno destinato per

m ente i m otivi certi e sica ri che abbiamo da parte di Dio di aspirarvi culi certezza e
Esercizi Spirituali al Clero ~ Meditazioni

pria, vi sono sempre persone nella famiglia, nella parentela, nel vicinato,
nel paese che cercano di ridurlo sul buon sentiero, il padre, la madre, un
parente, Un vicino, un buon amico, se non altro un buon pastore, che sta

di questo grande affare. Ed a tal fine io propongo alla vostra considerazione cotesti tre
punti: I o La riuscita etc. Figuriamoci che in quest’oggi il Signore dica a ciascun di noi qui
radunati quello che gli Angeli dissero già al Buon Loth: coraggio, o Loth se vuoi salvarti, è
tempo, e non tardare: egredere. festina et salvare [Gn 19,22]: olà, o mio Ministro, corag­
gio, o caro mio Sacerdote, se veramente pensi, e sei deciso di salvarti, qui non è più tempo
né di burlare, né di differire; questo mondo se ne va, i giorni passano, il fine s avvicina, chi
vuol salvarsi, si salvi ma presto: egredere et festina: orsù, Eclesiástico mio caro, egredere.
fuori di quella inerzia, di quella pigrizia, di quella vita mondana e vuota: egredere via da
quel luogo, da quelle persone, da quelle partite se vuoi salvarti: egredere fuori si finisca
una vaha da con quell’abito, con quelle ricadute da quella imimézzj cosi fatale. Egredere
et festina. Via su, finiamola una volta, se veramente è vero che vogliamo salvarci, si rompa
quella catena, si faccia un ultimo sforzo, e si tronchi d’un colpo ogni difficoltà, ed indu­
gio... che nel mondo, o fratelli etc. pag. 2.

L’originale rimanda a questo punto ad un testo, sempre cancellato, etpronte della pagina 3:

(1941) Se v è un punto ,in cui pare che a prima vista non faccia bisogno di raccomandare ad
un cristiano, e molto più ad un Sacerdote, è quello che proccuri di salvarsi l’anima; pare
che lo debba toccare tanto da vicino, che non occorra raccomandarlo; e quando mai
si sente nel mondo che si raccomandi ad un ammalato, che proccuri di guarire, ad un
tale che abbia un negozio, ed una lite che cerchi di riuscirla, e di vincere; che bisogno
dico di ripetere ad un figlio, che non perda l’eredità di suo padre; sta troppo [a] cuore a
tutti costoro di aquistare la sanità, di riuscire quel negozio, di possedere quell’eredità, che
sarebbe quasi un tempo perduto a parlarne. E non dovrebbe essere così, e molto più con
ragione parlando dell’anima, eppur la cosa succede a rovescio. Nel mondo etc.

(1940) 2 Che nel mondo si trascuri l’affare dell’amma, si pensi, si provveda, e vi sia tempo per
ogni temporale interesse faccenda, e che frattanto non si pensi all’anima; che si pianga
fino alla disperazione una disgrazia temporale, la perdita di una persona, di un guadagno,
e poi si guardi con indifferenza e tranquillità mortale la perdita, e la disgrazia di un’anima,
v’è nessuno che meglio di noi la conosca: persone, che abitualmente vivono in peccato
senza il menomo pensiero di risorgere: altri che si presentano in apparenza di penitenti
ma che pare una penitenza fatta per carità, senza pentimento, e senza una vera cognizione
del mal fatto. Mal grande egli è questo non si può negare, ma l’ignoranza, in cui vivono i
più, la quantità degli affari che li opprimono, il rumore, e lo strepito del mondo in mezzo
a cui vivono, i legami che quasi necessariamente devono contrarre con questa terra, tutto
questo pare che meriti una certa compassione. Ma che un Eclesiástico poi tratti medio­
cremente e freddamente cotesto affare, che si metta anche egli tra la turba di tanti ciechi
ed insensati, io non so che si debba dire. Noi siamo al mondo per fare cogli uomini
quello stesso ufficio che fece quà l’Angelo mandato dal Signore a Loth: egredere. festina,
et salvare: coraggio, o caro, se vuoi salvarti è tempo, non tardare, che questo paese andrà

192
Meditazione ~ Sopra l'importanza delfine

attento alle sue pecorelle non lo perde di vista, ed or in un modo, or in


un altro, or da questo, or da quello può trovare, e spesso trova un mezzo
di salute, ma per noi sacerdoti chi vi è che si presti? Il superiore che cosa

in rovina: così dobbiamo far noi, e vi siamo per questo, cogli uomini: sentite, o cari, il
mondo se ne va, la morte viene, chi vuol salvarsi, non dorma, non tardi, egli è tempo;
festina, et .salvare: Questo, non si può negare, è l’uffizio nostro da mattino a sera colle
parole, coll’esempio e quando non possiamo né in un modo, né in un altro, dobbiamo far
valere le nostre preghiere, e lasciare che Dio le faccia per noi. Che dire adunque quando
quegli che è destinato a sottrarre gli altri dalla comune rovina si metta egli stesso nel peri"
colo precipizio? € hc penserà? che è messo a risvegliare gli altri, a sollecitarli, onde riuscit t
s r grande affare a spingerli alla propria salute s’addormenti egli stesso medesimo c se ne

e si fermi e burli, e scherzi sull’orlo della perdizione.

A questo punto un segno rimanda ad alcune righe scritte nella pagina afronte:

Non si saprebbe come spiegare, quando non sapessimo che anche i disordini tra noi (1939)
provengono perché l’Eclesiastico non pensa. Ah! Sacerdoti fratelli miei, svegliamoci su
questo massimo affare, che troppo pericolosa, e fatale sarebbe ella è la nostra sonnolenza
nostra in si importante materia, c~per n ostra consolazione ritcnum cm fiaLelli che Lutto
d’atromo a noi ci vuol salvi poiché se noi non vi pensiamo, nessun altro può, né si mette
a fare per noi. Se v’è persona pag. 4.
E ci servano a svegliarci i tre riflessi che io ho accennato, e pensiamo primieramente
[lo vuole pel primo questo capo, e principe de Sacerdoti, lo vuole il sentimento, ed il bene
de’ fedeli, lo vuole il decoro del nostro ministero e carattere, lo vuole finalmente oltre il
generale, e comune, l'interesse nostro speciale.] per nostro impegno, e conforto che ella è
intenzione, e volontà del Signore che noi Sacerdoti andiam salvi.
Una prova speciale che Dio vuol salvi noi che siamo qui radunati, è la grazia patente
che ci fa di questi esercizi. Che Iddio voglia sinceramente la salute di tutti quanti gli
uomini lo sappiamo, perché l’abbiamo imparato ne’ nostri studi; ma che lo voglia in spe­
cial modo di noi Eclesiastici non può venirci alcun dubio. Possibile che ci avrebbe chia­
mati a suoi Ministri, possibile che [ci] avrebbe affidato se stesso, e tutte le cose sue nelle
nostre mani quando non fosse stato vera volontà sua d’averci poi seco Lui in paradiso:
questo però è poco, poiché anche fondate, non sarebbero che congetture.
La ragione più forte si trova nelle E che vogliono dire quelle speciali promesse fatte
agli Apostoli, ed a noi Sacerdoti: Volo Pater ut ubi sum ego, illic sit et Minister meus:
Vado parare vobis locum: in mundo pressuram habebitis: confidite... tristitia vestra verte-
tur in gaudium [Gv 14,2; 16,33; 16,20]: con tante altre di questa sorta: ora io domando:
o negarle queste promesse, o dire che il divin Redentore abbia voluto darcela ad intendere,
e gabbarci, oppur credervi pienamente: e non è da stolto, e da pazzo, che un Eclesiástico
si perda, e si consumi a farsi un nido, un tugurio di fango in terra, mentre i! capo lo vuol
alloggiare a tutti i costi in palazzo, in Corte sopra i Cieli. Che si direbbe d’un povero
suddito se il sovrano Volo, ripetiamolo a nostra consolazione, sì lo voglio con me il mio
Ministro, e vado fin d ’ora a prepararne il luogo. Dunque la salute nostra è conforme al

193
Esercizi Spirituali al Clero " Meditazioni

può sapere di noi, il meno e chi sa a che tempo, e poi non sa ancora come
prendersela; quei di casa non osano fiatare, se non ci adulano ancora: gli
altri, i vicini, i conoscenti, i paesani, parrocchiani, parleranno, mormo-

sentimento dei buoni, e la vuoie il comune bene di tutù. Chiamate ad un buon fedele se
un Sacerdote si salverà, intendo parlare di un buon Eclesiástico, e vi sentite a rispondere
senza esitazione: e chi ne dubita? loro Sacerdoti, sono già sicuri, hanno il paradiso come
in pugno, di noi secolari chi sa che cosa sarà, non è vero che dicon cosi; ma voi direte,
questa è un opinione, che hanno, ma che non dà a noi maggior sicurezza; è un opinione lo
concedo, ma che è fondata, e parte da veri e sodi motivi; è un opinione che ci deve con­
solare, animare, impegnare a non smentirla noi co’ nostri fatti; e per verità che sarebbe se
un di quel buon fedele, che ci teneva già sulle porte del Cielo, ci avesse a vedere confinati
fra la turba de’ reprobi, ed in mezzo alle anime più ribalde che vi fossero sulla terra; e qui
toccherò parimenti l’altro motivo, che vuole ed ha diritto di pretendere la salute nostra,
qual è il decoro del nostro Carattere. Se un pagano, che si perde non profana e deturpa
che la bellezza dell’anima, imagine di Dio; se il cristiano, una bellezza di più del Santo
Battesimo; ma se si danna un Eclesiástico, si deturpa, si sconcia, si mette in ludibrio il
Carattere più augusto, che dopo Dio vi sia in Cielo ed in terra; non è qui mia intenzione
di trattenervi sù ciò, che avrà a soffrire all’inferno un nostro pari pel suo impronto Sacer­
dotale, ma solo di accennarlo perché uno de principali motivi a scuoterlo, ad impegnarlo
a salute, poiché quando non gli cale per sé, la perdoni almeno, e risparmi quest’onta
all’onor Sacerdotale. Vuole la nostra salute il bene degli altri. Ricordatevi, fratelli miei:
pag. 3

A questo punto, nel testo afronte della pag. 2, restano due righe che il Cafasso intendeva
aggiungere in un punto che allo stato attuale risulta difficile individuare. Le trascrìviamo
qui:
E non può essere altra la volontà del Signore quando si pensi a ciò che importa, a ciò
che vuol dire la salute del Sacerdote. Quando si dice etc.

(1940) 2 Quando si dice che tanto i Sacerdoti, quanto i secolari hanno un anima da salvare, e
che v’è per tutti un paradiso, per tutti un inferno, par che sia lo stesso, eppur non è così.
L’Eclesiástico è un uomo spedale, distinto per vocazione, e carattere, scielto e messo fuori
del comune degli altri uomini, dunque non può essere comune cogli altri tanto il suo
premio, come il suo castigo, giacché la qualità singolare che Io distingue nei tempo, e lo
rende come un uomo particolare a questo mondo, sarà eterna, e lo dovrà distinguere per
tutta l’eternità; e con ciò voglio dire che l’Eclesiastico sia che si salvi, sia che si danni,
avrà da godere, avrà da patire molto di più degli altri: un premio, un luogo, una corona
distinta, e speciale in Cielo, ma parimenti una pena, un castigo più fatale, più terribile
all’inferno. Un tale che tenga pendente, ed abbia tra le mani un affare, una causa, va pen-'
sando alle conseguenze, bilancia, e misura il danno, come il vantaggio che ne può venire,
ed a misura che spera, e teme di più aumenta, e rallenta il proprio impegno, le spese, le
fatiche, gli incomodi. Faccia un altrettanto l’Eclesiastico, e soventi pensi quello che ha a
sperare salvandosi, quello che deve temere perdendosi, e poi giudichi, decida se convenga,
o no, se convenga molto, o poco a mettersi davvero d’attorno all’anima propria. Sarebbe
necessario se si potesse, entrare, contemplare per un momento un buon Sacerdote in parà-

194
Meditazione ~ Sopra l ’importanza delfine

reranno dietro di noi, ma in nostra presenza tacciono, e Dio non voglia


che facciano ancora elogi. Si troverà soventi un personaggio, che in bella
maniera sì, ma chiaro e tondo ci dica, sig. Abate quella vita, quel giuoco,

diso per avere un idea di quella gloria, che ci aspetta: sarebbe conveniente poter sentire per
un istante i gemiti, i pianti di un Eclesiástico all’inferno per poter capire la sua perdita,
e che

voglia dire un Sacerdote perduto: comunque però sia la fede^non deve stare sotto a (1942) 3
quello che ci direbbero i sensi, e stiamo certi che nessuno tra gli uomini siccome non
ha da temere, cosi in Cielo ha da sperare di più che un Eclesiástico: quel seggio di distin­
zione che occupiamo nella Chiesa militante, l’occuperemo parimenti nella Chiesa trion­
fante: siamo posti a combattere come capitani, e non come soldati, e come tali parimenti
dovremo essere premiati. No: un luogo, una corona comune non è fatta per un Eclesiá­
stico, per un’anima scielta e grande, destinata ad alte imprese qual è quella d’un Sacerdote:
i titoli, i privilegi, di cui Dio stesso ci favori, la natura della nostra vocazione, la grandezza,
e varietà de’ meriti che ci possiamo fare nell’esercizio del nostro ministero, le grandi, e
magnifiche promesse, che ripetutamente a noi Sacerdoti fece il divin Redentore tutto ci
presagisce, ci assicura un seggio, una gloria sovragrande da sorpassar ogni altra; e questo
posto è per me, solo che io voglia; ma che trono più grande possiamo mai aspettarci
quando il Signore ci promise di farci sedere accanto a Lui e dividere con noi la stessa sua
autorità di chiamare a rassegna, a giudizio l’universo intiero. Sedebitis et vos super sedes
judicantium. judicantes duodecim tribus Israel \Lc 22,30]. Che dire, che pensare di più
alto, di più sublime, di più grande. Io non parlo qui della dannazione d ’un Eclesiástico,
che non è luogo, ma vi dirò solo questo pensiero: volete sapere l’abisso, ed il profondo
della rovina di un Sacerdote, misuratela dall’altezza di sua caduta. Nessuno può cadere di
più alto, così nessuno cadendo può sommergersi più a fondo: Nemo altius ruitur, nemo
profundius mergitur.

Con una nota il Cafasso intende inserire un testo che si trova nella pagina afronte:

Se voglio il Cielo è per me, primo riflesso, ma se non vi penso, e lo trascuro, io più che (1941)
un altro vi pericolo e nessun altro vi provvede per me. per me etc. pag. 4 Pericolo per i
molti grandi oblighi del nostro stato: pericolo per la guerra speciale che a noi Sacerdoti ci
fa il demonio ed il mondo: pericolo in fine per parte nostra cioè per quella certa durezza
ed insensibilità, a cui purtroppo noi andiam soggetti nelle cose spirituali dell'anima. Peri­
colo pe’ grandi oblighi; io non voglio già dire che il Sacerdote, che fa da vero, abbia da
sgomentarsi e sia più difficile che ad altri il salvarsi, no: se grandi sono le nostre obbliga­
zioni, grandi a proporzione sono le grazie e gli ajuti che Iddio ci prepara; ma intendo solo
di dire rilevare il gran rischio a cui s’espone l’Eclesiastico, che tra mezzo a tanti carichi vadi
così a tentone, e cominci a fallire: guai al Sacerdote che appunto perché non pensa a se
stesso cammina di difetto in difetto, di peccato in peccato, di sacrilegio in sacrilegio. Chi
può calcolare il pericolo, e prevederne il fine: ditemi: credereste voi in egual pericolo due
viandanti, che non curanti amhidue dove mettessero il piede, ma l’uno camminasse in un
piano nel basso, l’altro invece sopra d’una grande altezza, e di più con molti intoppi, ed
ostacoli. Direste eguale il pericolo, eguale la caduta: mai più. Applicate la cosa a noi, che

195
Esercìzi Spirituali al Cler,o ■-Meditazioni

quella perdita di tempo non va; vi sarà chi avrà il coraggio di dirci, mi
perdoni, ma senta, quella persona, quella casa, quelle facezie non vanno,
fanno parlare di lei, e dei preti; dimando a voi, fratelli miei, se possa spe-

milita a tutto rigore. Con una nota il Cafasso intendeva inserire qui una riga da lui aggiunta
infondo alla pagina. Essa dice: differenza tra l’Eclesiastico ed il secolare nel conseguimento
del fine. Pericolo per la quella speciale, che ci si fa. Quando un soldato, e molto più un
Capitano in un campo di battaglia è preso di mira dal nemico, ed è osservato, e cerco per
ogni dove, guai se non sta all’erta, non si guarda, può dirsi che è perduto; così è di noi,
o Cari, in questo gran campo di battaglia, che è questo il mondo; noi formiamo, al dire
del massimo dottore S. Gerolamo la preda più gradita del demonio, epperciò non ci lascia
in pace, e sempre ci adocchia, e ci agguata a preferenza d’ogni altro, sia perché ci ha per
capitali suoi nemici, ma molto più perché da noi dipende la riuscita, il guadagno di molti
altri; sia che cammini bene, (Scrivendo pag. 7, il Cafasso intende avvertire che il testo conti­
nua alla pagina 7 a fronte)

(1949) sia male, va mai solo, ed è come certo che con lui s’associano molti altri: positus est
hic in ruinam. et resurrectionem multorum [Le 2,34]. Ciò che sarebbe avvenuto per altrui
malizia del primo Sacerdote il divin Redentore, s’awera tuttodì purtroppo nella condotta
deH’Eclesiastico, sicché può dirsi che vinto il Sacerdote, il demonio ha il vinto tutto, e
fatto sua preda cotesto capitano, il rimanente vi cade, e si disperde da sé da se-medesimo,
sicché contro di lui tiene rivolti tutti i suoi sforzi, e indirizza tutte le sue assalti insidie.
Con lui collegato il mondo non ce la perdona, e par che non abbi una giornata più. bella
che quando le viene di far traviare un Sacerdote, ridere, e scherzare sulla sua caduta; e
presi così di mira, e per tutti i lati da nemici così vicini, e potenti, crederemo di non correr
pericolo, e pericolo ben grande, a vivere indolenti così trascurati per ciò che riguarda la
nostra salvezza. Pericolo in fine sull’affare dell’anima, e penseremo poterla scampare, e
salvarci senza darcene un serio pensiero. Pericolo in fine per parte nostra per quella certa
insensibilità, e durezza, che noi Sacerdoti più o meno siamo in pericolo di contrarre nelle
cose dell’anima; sia questo un effetto proveniente dall’abitudine di trattare simili mate­
rie, sia un castigo, die Iddio ci permette per colpa delle nostre negligenze, ma il fatto è
vero, è reale, e di qui ne vengono due funeste conseguenze: la prima che certi mezzi di
salute, e più frequenti, e comuni, come sarebbero le ispirazioni, certi impulsi al cuore,
certi rimorsi, un qualche castigo, un buon esempio, un avviso, che sono poi i mezzi ordi­
nari di cui si serve Iddio, per lo più coteste cose, attesa la nostra insensibilità, o passano
inosservate, o non si ascoltano; epperciò, se non si peggiora, si vive, si continua a vivere,
e si vive sino alla fine sempre li stessi, e co’ medesimi difetti, e Dio non voglia, anche con
le stesse medesime colpe, pericolo adunque di finirla quali noi ci troviamo. Di più. l’altra
conseguenza, che ne viene da quella nostra insensibilità contratta, è che non penetrando
più a dentro nello spirito del nostro stato, e non facendoci più seriamente a pensare a’
nostri doveri, ci diamo a quella certa vita materiale, e superficiale, così comune purtroppo
in noi Sacerdoti, per cui pare di fare abbastanza a schivar ciò che può dare più nell’occhio
a noi, ed al nostro prossimo, senza aver poi il corredo di molte altre virtù, che sono pure
indispensabili, quando l’Eclesiastico voglia camminar sicuro per l’anima sua, ci mettiamo

196
Meditazione " Sopra l ’importanza delfine

rarsi che qualcuno ci voglia usare il servizio di dirci, mi scusi, ma se vi


pensa un po’ quella Messa, quegli occhi sempre spalancati, e girovaghi per
le contrade, nella Chiesa, e perfino in tempo delle funzioni, quella maniera

a vivere come vivono gli altri, e ci pare di fare abbastanza, quando io fo quello che fa un
altro mio pari. È vero che noi siamo soliti etc. pag. 4.

I l testo contìnua a metà di pagina 4 a fronte:

Noi siamo soliti a predicare, a ripetere quasi tutto l’anno che il cristiano non deve (1943)
prendere la norma del suo vivere dall’esempio altrui, da quel che vede a farsi, a praticarsi
dagli altri, ma bensì da’ precetti, e dagli esempi di questo divin Redentore; che i difetti,
i mancamenti degli altri non possono essere una scusa per li nostri; che chi vuol mettersi
tra i più, e camminare co’ molti, si mette al pericolo con loro. Ottim i insegnamenti per
verità, e mai abbastanza inculcati, e ripetuti, epperciò appunto io vorrei che in questa sera
ne facessimo un po’ l’applicazione a noi, ed al ceto nostro. N on vi saranno Sacerdoti,
e forse più d ’uno, che soventi si scusano, e cercano di tranquillarsi sull’esempio altrui.
Con un richiamo rimanda ad una riga aggiunta in fondo alla pagina: Avvisato un prete
rispose: che ne’ suoi paesi tutti facevano così. Facciamone la prova. Sorgerà alle volte
all’Eclesiástico una qualche pena, una qualche inquietudine, una certa spina, e rimorso su
certi punti di sua vita, e della sua condotta. Quell’ozio, quella vita dissipata, e vuota, que’
negozi secolareschi, quella noia, quella nausea per l’orazione, pel ritiro, per tutto ciò che
sa di Spirito; quella frequenza di. persone, quel modo di diportarsi in società, di parlare,
di ridere, dì scherzare; verrà, come diceva, alle volte una paura, un sospetto, ehi sa poi se
questo vadi, questa vita sia da prete, se non vi sia che dire? Ora io domando due cose: che
cosa dovrebbe fare un Sacerdote a questo punto? e che cosa in pratica ordinariamente si
faccia. La prima pare che sia chiara per sé. Un Eclesiástico, a cui stia veramente a cuore sal­
varsi, in queste paure deve mettersi ai piedi di questo Signore, pregarlo a fargli conoscere
il proprio stato, e la sua volontà, quindi se non può da per sé rapportarsi al Consiglio d ’un
bravo compagno, d’un Confessore; e qual sarebbe il consiglio a darsi, è presto indovinato:
senta, cato mio, lasciamo ciò che può essere di stretto rigore in materia d’obbligazioni,
appigliamoci a quello che in pratica può renderci più

tranquillo, e sicuro: faccia un taglio, lasci que’ divertimenti, quelle faccende tempo- (1945)
rali, si dia ad una vita più ritirata, studiosa, laboriosa: vedrà che troverà giorni più quieti, e
finirà più contento; altrimenti sentirà sempre un vuoto, e non è fuori pericolo d’aversene
a pentire. Così si dovrebbe fare, ma invece come si fa? Eccolo in poche parole: vengono
queste paure, si cerca di mandarle via, non farne conto, sprezzarle, ma che? alle volte
la misericordia del Signore le fa sentire ancor più, sicché bisogna cercare, trovare, una
ragione da darci a noi medesimi, e questa appunto si trova nell’esempio, e nella condotta
degli altri. Cotesto Sacerdote si da uno sguardo d’attorno, pensa a questo, a quello che
conosce, esamina la loro vita, si prendono anche destramente informazioni, che cosa fa
quel tale, quel tal altro, come si regola in casa, fuori casa, visite, pranzi, partite, a che ora
e per che tempo va in confessionale, come se k prende in materia di predicazione: dopo
tutto ciò forma il suo raziocinio, e conclusione: oh! mi pare che fa, e si regola come fo
io, non v’è gran differenza, si vede che la pensa, come la penso io: bisogna proprio che
sia così, poiché altrimenti non si può vivere nel mondo: dunque, ecco la conclusione, se

197
Esercizi Spirituali a l Clero ~ Meditazioni

di vestire, di parlare, in sostanza di condursi, vedrà che non è da buon


prete.

quelli sono tranquilli, e credono abbastanza a regolarsi in quella maniera, posso regolarmi
anch’io in quel modo: non sarà poi vero che abbiano a perdersi tutti, se si salveranno
loro, m i salverò anch’io: ma io ripeto, e se quelli non si salvano, come andrà per voi? Io
non mi fermo, o fratelli, a combattere questa regola di vita insussistente, pericolosa, e
fatale per tutti, ma molto più per noi Eclesiastici. invece io dico che il Sacerdote che
lo vuol esser davvero, e che vuole francamente salvarsi, deve chiudere gli occhi ad ogni
altro, considerarsi come se fosse egli il solo Sacerdote al mondo, vivere in modo come se
egli solo dovesse avere le virtù tutte del vero Sacerdote, ed in questo tenor di vita esser
fermo, e costante: facciano quel che vogliono gli altri, si divertano, si riposino, passino
pure come credono i loro giorni, io non cangio, io non mi muto, io non vario perché
voglio assolutamente salvarmi,
e tal è il solo che tra Sacerdoti si salvi. L’affare dell’anima etc. pag. 9. ]
T t jp c r r c o r r a v c t m o
i. L’altra cosa che mi fa temere della
salute di noi Eclesiastici è come diceva, una certa insensibilità, e durezza di cuore, per cui
le cose anche più sante, le massime più terribili difficilmente ci scuotono, di rado ci fan
colpo, ed ottengono su noi un qualche frutto: sia questo un effetto della nostra abitudine
di trattare simili materie, sia un castigo della nostra negligenza, e poca corrispondenza alle
grazie del Signore, il fatto pur troppo è vero, e reale. Non parlo di Sacerdoti abitualmente
buoni, virtuosi, e che si vanno di giorno in giorno perfezionando, poiché non è il caso di
dubitare della loro salute; nemmen voglio parlare di Sacerdoti abitualmente peccatori, e
che vanno di precipizio in precipizio e che purtroppo lasciano ben poco a sperare della
loro salute, io intendo que’ tali Eclesiastici, che formano la maggior parte, e che stanno
tra due estremi, cioè non compajono decisamente, assolutamente né buoni, né cattivi, se
pure può darsi,

(1947) ma tengono come una via di mezzo, un po’ di chiesa, un po’ di mondo, cosi nel
parlare, nel trattare, nelle azioni della loro giornata: ebbene dico che Sacerdoti tali diffi­
cilmente, e più ancor de’ secolari, s’arrendono alle impressioni della grazia chiamate del
Signore, a quell’ voce eccitamento, a quell’impulso con cui Iddio vorrebbe farli migliori,

noi sappiamo quali sicno. Le inspirazioni, rimorsi, castighi, le esortazioni, prediche, i


buoni esempi, che sono il mezzo ordinario con cui Dio suol parlare al cuore; per lo più in
noi Eclesiastici non fanno gran senso, e con qualche pretesto cerchiamo sempre di quie­
tarci, e scusare cotesta nostra vita appunto perché non compare totalmente profana, seco­
laresca, e cattiva: le voci interne si sprezzano, a’ castighi non si bada, le prediche s’inter­
pretano alla nostra moda maniera, gli esempi de’ buoni, sono casi che non fanno regola,
ed ecco con ciò resa illusoria, inutile la via ordinaria della divina misericordia; si vive, e si
muore in questo stato; e che ne sarà in fine? Un motivo ben forte di dubitare della nostra
eterna salute. Prima d’andar avanti, permettete o fratelli che io faccia per voi un riflesso.
Finalmente l’ultimo riflesso, che ci fa temere delia salute nostra, è quella mancanza di
ajuto, di eccitamento esterno, in cui ci troviamo noi Eclesiastici. Se v’è persona etc. pag.
4.

198
Meditazione " Sopra l ’importanza delpine

Volesse pur Dio che ce lo venissero a dir chiaro davanti, invece che per (1946) 5
io più si empiono le case, i paesi di ciarle, di dicerie sul nostro conto, e
perché nessun ci dice niente noi siamo così sciocchi da credere che tutti
siano ben impressi di noi; lo so che la colpa sarà anche nostra perché nes-

A tutto questo aggiungete un altro riflesso ancor più grave, qual è che dalla anima (1942) 3
condotta, dalla salute del Sacerdote, è collegat a ram ina, c la salute -chi ha di quanti
dipende quasi necessariamente la perdita e la salvazione di molti. Sia che l’Eclesiastico
si salvi, sia che si danni, né si salva, né si danna solo: solo non entra in paradiso, e solo
d’ordinario non cade all'inferno; così che ogni Eclesiástico deve pensare, deve dire tra
sé: io sono Sacerdote, e come tale ho un’anima da salvare come un altro qualunque, con
questa differenza che se mi salvo, colla mia spero salvare molti altri, ma se la sbaglio, e
mi perdo, purtroppo farò piombare altri nella mia rovina. Positus est hic in ruinam et
resurrectionem m ultorum . così fu dato del primo de’ Sacerdoti Christo Gesù dal vecchio
Simeone, e così a proporzione si può, e si deve ripetere di ogni suo successore, di ogni
Sacerdote. Quel Sacro prelato, che stese le mani sul nostro capo, poteva dire fino d’allora
di ciascuno di noi: ecco un nuovo Sacerdote, ed eccovi in questo Eclesiástico un nuovo
segno di contradizione, una nuova pietra o di salute o d’inciampo per molti: o che cotesto
Sacerdote corrisponderà all’alto fine della sua vocazione, e terrà una strada conforme alla
propria dignità, e carattere, ed in questo caso possiamo esser sicuri d ’aver in lui uno sti­
molo, un mezzo, un occasione di salute: oppure che devierà da’ suoi doveri, ohimè quanti
andranno a perdersi in questo scoglio. Grande e terribile verità, ella è questa che fa gemere
più d’un Eclesiástico, che abbi declinato dal suo stato, e che deve mettere in apprensione,
e timore qualunque altro buon Sacerdote; finché si tratta dell’anima propria, toccherà
a noi a pensarvi, il bene od il male che ne avremo sarà tutto nostro, che ne abbiamo
la colpa, ma quando trascurando la propria salute, mettiamo in pericolo ..quella degli
altri, ah, fratelli, che amaro riflesso, cavare anime dal Cielo per precipitarle all’inferno. Si
aggiunga ancora, che se noi trascuriamo noi stessi, potremo ancora prima di morire venire
a migliori sentimenti, e rimediarvi; quando il male, che abbiamo fatto alle anime altrui
col trascurare la propria, come faremo a porvi rimedio; se qualcuna fosse già all'

Inferno, se non li vedessimo più, se altri fossero già perduti dietro il vizio, e non fosse (1944) 4
più possibile ridiiamarli.
Ciascuno adunque di noi ritenga sempre presentì al suo pensiero queste dtte gran

siastico, Dio solo non mi alloggia, o una corona di Beati in Cielo, od una compagnia di
dannati all’inferno, ecco la sorte futura che mi attende. Chi sa quanti buoni Eclesiastici
a quest’ora saranno in Cielo a festeggiare colle anime da lor salvate quel giorno eterno,
coraggio, fratelli miei, per arrivare presto anche noi, non basta, ma per arrivarci con gran
numero di anime a godere di quella festa, che cominciata finirà mai più

199
Esercizi Spirituali al Clero - Meditazioni

suno parla, e ci avvisa, perché sanno che la prendiamo a male, ci adon-


tiamo, e ci stimiamo offesi, perciò tacciono: ma comunque sia io dico
sempre che noi sacerdoti più che ogni altro siamo lasciati soli per l’anima,
giacché tutti si ritirano, e sono da compatire, perché hanno una certa
ragione oltre la già detta: oh! è sacerdote, dicono, lo sa bene, avvisa, pre­
dica bene agli altri, che bisogno di dire, vi pensi egli, che lo sa più degli
altri. Alle volte perfino il Confessore non si tiene obbligato di dirci quel
tanto che direbbe ad un secolare in simili occasioni; anche egli cerca di

Con una nota, il Cafasso intende inseiire cjui un testo che scrive nella pagina a fronte:

(1943) Vi giungeranno poi gli Eclesiastici, vi giungeremo noi, vi giungeranno molti tra noi
Sacerdoti; io lo voglio sperare non solo per le ragioni già addotte, ma perché l’Eclesiastico
che si metta davvero, e voglia sinceramente, e francamente salvarsi, risoluto e deciso a
qualunque sacrifìcio, come spero saremo noi, io sono certo che si salverà. Ed è questo
un pensiero etc. Pine dell’uomo pag. 4. Però io non voglio ommettere, giacché ne ho
l’occasione, di toccare alcuni peccati parola illeggibile i principali motivi, che pensandovi
tra me e me mi fanno dubitare, e mi fanno temere anche della salute di noi: csapete
quali sono? ed eccoli in poco: 1° l’usanza, la pratica piuttosto purtroppo di molti tra noi
Eclesiastici di misurare, di regolare la nostra condotta, il nostro tenor di vita piuttosto dal
comune vivere degli altri che dagli oblighi intrinseci, ed indispensabili del nostro stato. 2°
la disgrazia, che abbiamo noi Sacerdoti maneggiando appunto cose sante di contrarre, se
non stiamo bene all’erta, una certa insensibilità, indifferenza, e quasi durezza di cuore in
tutto ciò che ha rapporto al bene, alla salute dell’anima, per cui si trascurano, o riescono
inefficaci tante grazie, ed impulsi. 3° finalmente la mancanza di certi ajuti e mezzi esterni
in noi Sacerdoti, e che di cui invece hanno abbondano i secolari molto più di noi.

che Tutto questo grande affare tutto poggia totalmente su noi, è affidato esclusivamente
a noi soli; sì, se v’è affare proprio di tutti e di ciascuno di noi egli è questo, sicché se io fo
qualche cosa, se consacro qualche fatica, se soffro, se tollero, se paziento, se m’impegno
in qualche maniera a questo oggetto, è per me e non per altri; da vivere a morire, da
viver poco a vivere molto, il mondo mi biasimi, mi perseguiti, mi uccida se vuole, ma
quello che ho fatto per l’anima nessuno me lo toglie, questa è quella cosa che veramente è
mia, né vivo né morto la posso perdere; ma al contrario se io non vi penso, non vi lavoro
d’attorno, non fatico, nessuno vi pensa, nessuno vi fatica per me: posso lasciare chi faccia
per me in tutto altro affare, di fondi, di acquisti, di maneggi, di negozi: posso trovare chi
prende a cuore ed a cura il. mio onore, la mia sanità, la difesa della mia vita, ma non già
chi s’incarichi di salvarmi: è questo un interesse tanto proprio, e delicato che va trattato
tra me e Dio, e quand’anche si mettesse tutto il mondo a mio favore, non arriverebbe
senza di me senza: a salvarmi; non basterebbe tutta la penitenza delle anime buone, non
sarebbero sufficienti tutte le preghiere degli uomini, nemmeno varrebbero tutti i meriti
de’ santi; perché? perché tocca a me. Questo è vero per tutti, ma in particolar maniera si
avvera di noi Sacerdoti.

200
Meditazione ^ Sopra l ’importanza delfine

ragionarsi, con pensare, con dire: è sacerdote, è confessore egli stesso, il suo
dovere lo sa, non occorre batter tanto, sa che io deve fare, lo farà: eh!...
fratelli miei dal saperlo al farlo vi è un gran passo, ed anche un sacerdote,
un Confessore penitente, ha bisogno di aiuto, di stimolo, di sprone, di
lume per farlo. Oh! almeno io ho un po’ d’ajuto per l’anima, qualcuno
può pensare tra sé, vi sono molte persone che pregano per me: le preghiere
sono belle e buone, ma non arrivano a salvarci senza di noi, come ho già
detto, non dispensano dalla nostra cooperazione, e non devono diminuire
la nostra vigilanza: ma si pregherà poi molto per noi Sacerdoti; io temo di
no, perché i più pregano né per loro, né per altri, e molto meno per noi;
i buoni poi, su cui potressimo calcolare qualche cosa, ci nuociono senza
volerlo, hanno un’idea tanto favorevole di noi Sacerdoti che quasi credono
di perder tempo a pregare per noi; perciò facilmente ci dispensano, cosi-
che per conchiudere cotesto pensiero, ripeto di nuovo, e ripeterei sempre,
se non vi pensiamo noi, proprio noi a salvare Fanima nostra, nessuno
vi pensa; e quali dovranno essere le conseguenze di questa gran verità?
Eccole:
primieramente uopo è parlarci chiaro mentre siamo qua tra noi e dirci
schiettamente le nostre verità, perché fuori di qua, fuori di questi luoghi
non abbiamo la fortuna di sentircele dire, ed un Sacerdote che passi la sua
vita senza ritirarsi qualche volta in questi luoghi, d’ordinario tocca il fine,
e scende nella tomba senza aver sentito una lingua che gli abbia parlato
chiaro di lui, gli abbia detto francamente i suoi doveri del suo stato, le sue
obbligazioni; giacché dobbiamo saperlo tutti quanti che non siamo quà
per farci di complimenti, per veder un po’ come si sa condurre una pre­
dica: siamo quà per veder le cose con quel lume, e con quell’occhio che
le vedremo al punto di nostra morte, siamo quà per esaminare la nostra
vita, e fare tra noi e noi que’ conti che un dì faremo con questo Dio al
Suo Tribunale: felici noi che abbiamo la sorte di poterne godere, e quanti
Sacerdoti che hanno deplorato, e deplorano di aver sentito troppo tardi
appunto in questi luoghi, ed in questi tempi il vero quadro della loro vita,
e delle loro obbligazioni6.

6 II testo continua con una mezza pagina circa cancellata: Altra conseguenza della verità
sovraccennata sia questa di proccurare d ’aver qualche buon amico, qualche confidente,
oltre il Confessore, pregarlo che ci voglia usar la carità di darci mano, di aiutarci nel trat­
tare sì grande affare, ci consigli, ci dirigga, ci avvisi, e se vede qualche cosa in noi che non
regga, che possa dare a temere, e sia per farci scapitare, ce lo dica chiaro, e netto, non
va, mio caro, bisogna lasciar questo, bisogna far quello: quella leggerezza, quella dissipa-

201
Esercizi Spirituali al Clero ^ Meditazioni

(1947) Se Iddio in questi giorni ci parlerà al cuore, e ci parlerà certamente, se ci


farà conoscere il vuoto de nostri giorni, la bellezza de’ nostri fini nel nostro
ministerio, e forse anche l’enormità di qualche nostra colpa; se il Signore
chiamerà da noi un sacrifizio, un taglio, una risoluzione anche grande, deh!
o cari guardiamoci bene di sprezzare questa voce, e lasciar andare a vuoto
cotesto tratto della divina Misericordia, perché facendo altrimenti, non
potremo scampare una di queste tre sorti: o che Iddio non ci parlerà più,
e quali ci troviamo ci toccherà andare a render conto della nostro rifiuto,
e chi sa che sorte ci toccherà: o che Dio parlandoci ancora, siccome già resi
induriti, ed ostinati per altri rifiuti, purtroppo sprezzeremo anche gli altri
inviti, oppur che finalmente supposto il meglio che Iddio sia ancor per par­
larci, e noi per secondarlo, non potremo fare a meno di rimproverarci ben
amaramente di aver tardato si a lungo a corrispondervi, e qualunque sia
per essere il caso nostro, non potrà a meno che essere per noi ben amaro,
e doloroso: quanti sacerdoti che aprendo una volta gli occhi e vedendo il
male od il vuoto de’ loro giorni, non sanno darsi pace, pentiti, gemebondi
passano il resto della loro vita in amaro cordoglio, appunto perché hanno
differito si lungamente a provvedere alla loro salute. Sero te amavi7, era già
il lamento del penitente Agostino, ma poteva ancor addurre una qualche

zione, quell’ozio, quella vita vuota non è da Sacerdote: ci vuol un po’ più di ritiratezza,
di studio, di orazione, di gravità. A h ! quanti sacerdoti sarebbero migliori, e farebbero più
del bene, se avessero chi parlasse loro un linguaggio caritatevole sì ma franco, e libero, ed
avessero]

(1948) 6 la virtù, la sofferenza di sentirselo a ripetere. Che se vogliamo trovarlo cotesto vero
amico è necessario primieramente mostrarci disposti a sentirlo, anzi far conoscere che lo
desideriamo di cuore, e siamo persuasi che è una carità, che ci fanno: e quanti infatti
sarebbero capaci di parlare, e disposti a farlo, ma a che volete che parlino, quando si sa già
che l’avviso è preso in mala parte, disgusta, irrita, e si finisce con far niente, seppur non
si fa peggio. Eppure, sacerdoti fratelli miei, persuadiamoci ben bene che è della somma
importanza che ciascun di noi possa calcolare, riposare su qualcuno che gli parli franca­
mente la verità, perché credetemi nessuno, o ben pochi ce la dicono, chi per un motivo,
e chi per un altro, o si ritira e tace, oppur parla a metà, quando non si vadi più in là
anche all’adulazione. E di qui ne viene che si passa la vita tentennando tra i doveri, e le
trasgressioni, sacerdoti e secolari nello stesso tempo, contenti e non contenti di noi, finché
si arriva al fine, ed allora si aprono gli occhi, si vedono i vuoti, le mancanze, e quindi
timori, inquietudini, in una parola una morte che non contenta soddisfa.
U Cafasso a questo punto con una rnta rimanda alla pagina a fiorite che noi trascriviamo
nel testo.
7 S. A g o s t i n o , Confessioni, X, XXVII, 3 8 .

202
Meditazione - Sopra l ’importanza delfine

scusa, quia sero te cognovi: ma che noi non potremo nemmen darcela per
ad intendere, perché noi Dio lo conosciamo, e si farà conoscere ancor più
in questi giorni.

Altra ed ultima conseguenza di quanto abbiamo considerato è di stare (1948) 6


ben attenti su di noi, vegliare non solo sulle nostre opere, ma sulle nostre
mire, su’ nostri affetti, sul nostro avanzamento, su nostri pericoli, in
sostanza vegliare ben bene su tutto ciò che può avere qualche relazione a
questo grande affare, e vegliare non solo di tanto in tanto, ma continua-
mente, ed aver per la prima questa nostra occupazione: zelar sì la salute
degli altri, ma per la prima zelare la propria; ed è perciò che troviamo
così frequentemente raccomandato a Sacerdoti di pensare a se stessi. Già
si sa nel Vecchio Testamento quanto fosse inculcato a que’ sacerdoti di
proccurare d’essere santi: l5Apostolo S. Paolo volendo formare il suo diletto
Timoteo per l’Apostolico Ministero innanzi tutto e prima d’ogni altro gli
inculca la cura, la vigilanza sopra se stesso: attende tibi8. Fratelli miei, rite­
niamo bene coteste importanti parole, che sono dette anche per noi9. In
capo a tutte le obbligazioni sta questa prima di pensare, attendere a noi:
attendere, e pensare come passiamo la nostra giornata, se si studia, se si
prega, se si lavora, e che cosa si fa: attendere e pensare il come facciamo le
cose nostre se .per Dio, per la gloria sua, oppure per fini bassi, ed umani,
se la maniera con cui facciamo le cose nostre, ordinarie, la maniera per
esempio di dir la Messa, di predicare, di sentir le confessioni, piaccia total­
mente a Dio, e lasci invece a desiderare qualche cosa di più. Attendere e
pensare come si parla da noi, come si pensa, come si vive, se da secolare,
da mondano, oppur da uomo di Dio di chiesa, o di Dio, come veramente
dobbiamo essere: in sostanza: attende tibi. è dovere di tutti, di ciascuno
de’ sacerdoti, dovere di prima e di assoluta necessità, da cui nessuno ci può
dispensare. II Venerabile servo di Dio Autore del bel libro dell’imitazione
di Cristo si può dire che quasi in ogni pagina non fa che battere cotesta
importante verità, e comincia dal dire: qualunque sia la tua occupazione,
non parla già agli oziosi, procura che vi sia sempre il tempo necessario per
attendere a te stesso: Ouaere aptum tempus vacandi tibi: e sia quel che
si vuole degli altri guardati bene dal negligentare te stesso: quidquid de

8 1 Tim 4,16.
9 A questo punto troviamo le seguenti tre righe cancellate: Soventi noi forse ci mettiamo
a riandare i nostri doveri, le nostre obligazioni di stato, di professione, di impiego, cr..*
buona, ma pensiamo che inanzi a tutto questo ve ne sta un altra qual.

203
Esercizi Spirituali al Clero " Meditazioni

aliis sit non negligas te ipsum: e sentiamo la ragione di quell'anima divota,


perché, sappi, è meglio viver nascosti ed attendere a noi stessi, che far stre­
pito, e miracoli e negligentarci: melius est latere, e sui curam agere. quam
se neglecto signa facere10. E credimi, conti-

(1950) 7 nua sempre a dire, è molto più da stimarsi un povero rusticano, che
attenda a se servendo a Dio, che un alto filosofo, che trascuri se stesso:
melior est humilis rusticus. qui Deo servit, quam superbus philosophus,
qui se neglecto cursum coeli consideret11.
In S. Bernardo poi fa meraviglia la libertà, la franchezza, con cui parla
su questo punto ad Eugenio papa: era pure il Supremo Gerarca della
Chiesa, il Vicario di Cristo, eppure stimò bene di comporre un libro quasi
non per altro che per ricordargli sì fatta verità. Il primo pensiero, comincia
dal dirgli, sia sempre rivolto a te stesso: a te consideratio inchoet. Che se ti
tengono per sapiente, sappi che sarai mai tale finché prima non sii sapiente
per te stesso: si sapiens sis, deest tibi ad sapientiam, si tibi sapiens non
fueris12. Fermiamoci un po’ su questi due pensieri del Santo per vedere,
per esaminare come la passino in noi. A te, o Eclesiástico, consideratio
inchoet... sapiens non es si tibi sapiens non fueris: si può dire di noi che
il primo, il principale pensiero sia rivolto su di noi, sul nostro bene, sul
nostro andamento interno, e vantaggio spirituale: qual è il primo pensiero
del mattino, il principale nella giornata, quale, e quanto il tempo impie­
gato per una rivista su di noi, sui nostri conti: oh! Dio buono, quante
inezie, quante minchionerie, quante vanità occupano le teste anche degli
eclesiastici, e non già di rado, ad intervalli, così per passatempo, ma dite
pure continuamente: non parlo solo del gran tempo che si passa oziosa­
mente, e che resta divorato intieramente da tante bagatelle, ma alle volte
anche facendo, anche trattando opere di Ministero, perché in tanti sacer­
doti quasi si possono considerare due personaggi, in un tempo solo, l’uno
che agisce come una macchina e che si occupa materialmente in ciò che
è di dovere più di professione secondo cotesti che di ministero interno,
altro che si ferma, e si porta a tutt’altro: la fretta, la maniera sgarbata dì
farle, la noia, la divagazione che si mostra in tutte le parti lo fanno cono­
scere abbastanza: se cercate poi il tempo, e quale, e quanto ne consumino

10De imitatione Christi, I, XX, 1.6.


11 De imitatione Christi, I, II, 1.
12 S. B e r n a r d o , De Consideratione, II, III, 6.

204
Meditazione " Sopra l ’importanza delfine

giornalmente o di tanto in tanto non dico solo certuni, ma anche molti


Eclesiastici per rivedere lo stato loro interno, saressimo ancor molto più
imbrogliati a rispondere: se si cercasse il tempo che spendono ogni dì a
sentire, a raccontare novelle, a far visite, partite, a trattar di vendite, di
compre, di prezzi, di maneggi, o simili faccende, chiunque lo sa, quasi dal
primo all’ultimo del paese saprebbero descrivere l’orario di cotesti sacer­
doti, e saprebbero dire: or dorme, or giuoca: adesso è alla campagna, a
quest’ora si trova alla bottega, a quell’altra in quella casa, quindi il passa
in quell’altra, quindi quà, quindi là: ma è il tempo di pensare a se, e l’ora
di raccogliersi un tantino, di pregare, di fare un po da mediatore tra Dio e
gli uomini, qual deve essere ogni Eclesiástico: oh! si può abondantemente
credere che lo facciano, ma del resto non si sa, non sempre, e nemmeno
si può supporre: oh! non potrà bastare la Messa, il Breviario: nò, che non
basta tanto più come la dicono cotesti Eclesiastici.
Deest tibi ad sapientiam, si tibi sapiens non fucris, altra sentenza del
Santo. Saranno molti i veri sapienti, e di questa fatta tra i sacerdoti. Quanti
tra rroi Eclesiastici che passano per dotti, sanno dar leggi, e consigli giusti
e pesati, sono capaci di sbrogliarsi con facilità, e destrezza anche di affari
complicati, oh! fosse un po vero, che quel tanto di capacità, che il Signore
ci ha data sapessimo usarla anche per noi! Oh! quanto sarebbe felice il
mondo e la Chiesa se lo spirito, la vita, e la condotta d’ogni Eclesiástico
fosse conforme a que’ detti, a quelle regole, a quella scienza che sa ed usa
cogli altri: eppure se non facciamo in questo modo, se non siamo tali, il
mondo ci chiami, e ci tenga come vuole, anche per dottori, e cime d’uo­
mini, saremo mai tali, quando a tutta questa scienza ci manchi l’altra più
importante di saperla usare per noi: l’ha detto un dottor S. Bernardo ad un
papa, con molto più di ragione si può dire di noi, e prima del Santo l’aveva
già detto in più

maniere lo Spirito Santo. Dunque, proseguiva S. Bernardo, sia tua cura (1951) 8
di sceglierti un luogo a parte, in cui come in porto tranquillo ti possa di
tanto in tanto ricoverare dal gran torrente degli affari, che ti opprimono:
eligatur tibi aliquantulum remotus lo cus, in quem veluti in portum quasi
ex multa tempestate curarum te recipiens. Ben lontano d’andarsi a cercare
un Eclesiástico delle occupazioni non sue, secolaresche, profane, estranee
al suo Ministero, ed alla sua Vocazione, che anzi deve guardarsi dalle stesse
opere sue di zelo, e proprie dello stato in questo senso, che non gli rubino
quel tanto di tempo, che è indispensabile perché ognuno pensi per se. Oh!
se tutti gli Eclesiastici prendessero cotesto consiglio del Santo, e proccu-

205
Esercizi Spirituali al Clero - Meditazioni

rassero nel loro stato, nel loro impiego d’aver questo tempo questo luogo
anche materiale, se si potesse, se non altro ai piedi d’un Crocefisso, di
modo che guardandolo ci potessimo dire: ecco là il mio Tribunale, il luogo
di mio ritiro, di riposo, di riflessioni: là chiamo a rivista la mia giornata, là
esamino, provo i miei fini, i miei affetti, le mie tendenze, là vengo a ripo­
sarmi delle mie fatiche, a prender forza, e coraggio per faticare ancor più;
là depongo i miei timori, e le mie speranze, là godo le consolazioni del mio
Dio, là verso con Lui i miei affanni, i miei crucci, le mie tribolazioni. Beati
noi se ci siamo già prima d’ora procurati uno di questi porti tranquilli,
o almeno se ci risolviamo di procurarcelo, per ripararci dentro e salvarci dal
turbine delle cose di questo mondo, per tenere netti, ed aggiustati i nostri
conti per una partenza anche improvvisa per l’eternità: il consiglio fu dato
ad un pontefice, ma ogni Eclesiástico ne ha bisogno; e non parlo solo di
quei sacerdoti, che consumano il tempo in leggerezze, o faccende tempo­
rali, poiché questi tali hanno bisogno di qualche cosa di più, ma anche per
un Sacerdote santo, e che da mattino a sera lavorasse pel bene delle anime;
S. Bernardo non ha già scritto a quél gran pontefice perché temesse che
passasse la giornata in ozio, che anzi dai termini che usa fa conoscere che lo
credeva continuamente occupato, e temeva appunto delle sue occupazioni;
sicché non può essere una ragione sufficiente per dispensarci dal pensare a
noi il pensiero: oh... io lavoro già, e sono sempre occupato del mio Mini­
stero: che bisogno di tanto ritiro, di badare, di riflettere così soventi sopra
di me, quando so che la mia vita è quella d’un Sacerdote. Fratelli miei
dimentichiamoci mai che la nostra vita consiste più nello Spirito, che nelle
opere: le opere valgono secondo lo spirito, togliete, diminuite in un Ecle­
siástico lo spirito interno e proprio del suo stato, e voi togliete e diminuite
nello stesso tempo a proporzione il valore delle opere: che se vogliamo che
regni in noi cotesto Spirito, non s’intiepidisca, anzi s’aumenti, s’infiammi
è necessaria, è indispensabile uria continua, e costante vigilanza sopra di
noi, è di tutta necessità un luogo, un tempo di ritiro, di studio, di esame
sulla nostra giornata: altrimenti come capita, e che ne viene? si studia, si
predica, si confessa, s’intraprendono mille faccende or per questo, or per
quello, mai alle volte un momento da mattino a sera, e tutto anche con
buon fine, se volete, ma frattanto come va l’interno, che profitto si fa, e
come stanno i conti del cuore? Ecco quello che succede quando si hanno
tante occupazioni: le pratiche di pietà, o si omettono, o si abbreviano, o si
fanno alla meglio, cosi la Meditazione, lettura, esame di coscienza, visita al
SSmo., poco per volta v’entra qualche cosa di umano, si ferma, si raduna un

206
Meditazione " Sopra l ’importanza delfine

po’ di polvere sul cuore, non v’è più quella purità d’intenzione di prima,
non si prega, non si celebra più colla solita gravità

e divozione: spuntano sulla coscienza certe;negligenze, certi difetti, e (1953)9


diciamo pure certe colpe che prima, non si vedevano, si comincia a passar
sopra le cose piccole, in sostanza si comincia a fare il prete un po’ all’in-
grosso, e per mestiere. Ecco i primi inconvenienti a temersi necessaria­
mente quando il sacerdote perda un po’ di vigilanza sopra se stesso, e Dio
non voglia che si vadi più in là, sicché io ripeto di nuovo: attenti sopra di
nói, attenti su questo grande affare dell’anima, che è tutto proprio, guai se
lo dimentichiamo, nessuno farà per noi; e non ci paja di far troppo, fratelli
miei poiché come ben sapete, è un affare cotesto, che se si sbaglia tutto è
perduto, se va male non si rimedia più13!
Perdidimus omnia, esclamava un infelice morendole quanti giornal­
mente in morte se non lo dicono, lo temono, lo temono secolari, lo
temono Eclesiastici: eppur è cosi, guai se la sbagliamo, in un colpo, in un
solo affare, tutto è perduto: siccome per un solo affare viviamo, qual’è ser­
vire Iddio, così per un solo affare moriremo, qual è salvarsi di andar salvi:
lasciati a parte questi due affari, trascurati, falliti, tutto è esposto, tutto è
rovinato, tutto è perduto, vita e morte, Dio ed anima, tempo ed eternità,
perdidimus omnia: negli sbagli, e nelle perdite di questo mondo, qualun­
que esse siano, o si possono rimediare, o si spera, e si trova qualche com­
penso: datemi un anima perduta, un Eclesiástico in perdizione, e poi cerca­
temi, se potete, un compenso nei due mondi, e quando si potesse sperare,
cotesto compenso non potrebbe esser altro che la memoria del passato, le
reminiscenze de’ beni, de’ comodi, de’ contenti goduti; e se cotesta memo­
ria sia un compenso, un conforto per un peccatore qualunque, oppur piut­
tosto una spina, un tormento di più, lo vedremo nel decorso di questi
giorni, sicché non ci resta che esclamare col divin Redentore: e che mai
può giovare tutto questo mondo quando l’anima ne venga a soffrire: ah!

13 Alcune righe cancellate: Un disgraziato, che moriva vittima de suoi delitti, ma che
tocco dalla divina Misericordia moriva rassegnato, e pentito de’ suoi peccati si confortava
ne’ suoi estremi con questo consolante pensiero che se in vita aveva sbagliato ogni cosa,
sperava d’indovinar l’ultima che valeva per tutte, qual’era salvarsi l’anima. Beato chi potrà
morire con questo conforto, e con questo testimonio in cuore.

Felice chi indovinerà e la riuscirà nell’ultima giornata di sua vita, ben disgraziato chi (1952)
la sbaglierà!

207
Esercizi Spirituali al Clero - Meditazioni

che gran parola ella è questa, fratelli miei, uscita Quid prodest1'1: ella è
uscita dalla bocca del primo Sacerdote, ed ogni altro Sacerdote la deve stu­
diare, la deve meditare, la deve usare. In questa parola sta racchiusa tutta
la scienza, e la vera sapienza del mondo, chi la sa, è abbastanza dotto, chi
non la sa, sa un bel niente, perché non sa salvarsi. Quid prodest13:

(1952) Questa parola la meditano per loro confusione ed a loro dispetto tut­
todì i cattivi:, dopo che si sono dati al mondo, al fine stanchi, irrequieti,
malcontenti van esclamando: quid prodest, e adesso che cosa ne ho? Un
imperatore romano Settimio Severo esclamava morendo: io fui tutto, ed a
questo punto nulla mi giova.

(1953) 9 Ecco spiegata in una parola tutta la vanità, l’apparenza di questo


mondo: quid prodest? ecco il termine, che empie di lamenti, di gemiti, di
sospiri due mondi la terra e l’inferno: di qui 1’Eclesiástico ha sono partiti
tutti gli Eclesiastici, che hanno fatto del bene, su questa Massima si sono
formati tanti buoni operari del Signore, e di qui dobbiamo partire anche
noi e formarci anche noi alla scuola di questo termine, e di questa gran
parola, quando ci stia a cuore di lavorare con frutto, e fare un po’ di bene
nella Vigna del Signore; di qui l’Eclesiastico deve partire per staccarsi e
disprezzar questo mondo, da qui imparare e conoscere l’importanza delle
anime, e da qui prender forza, pazienza e carità per salvarle. Quid prodest
homini. E qui per capirlo fin d’ora a nostro prò, e vantaggio portiamoci col
nostro pensiero là a queirultimo giorno di nostra vita, là a quel punto, in
cui daremo un addio a tutto questo mondo, e saremo per partire verso la
nostra eternità: che ci gioverebbe in allora l’aver passato tanti qualche anno
di Sacerdozio, aver condotta una vita a nostro comodo, a nostro genio,
se la gloria di Dio, se l’anima nostra ne avessero perduto: che conforto ci
potrebbe

(1955) io dare la memoria d’aver contentato i parenti, aver secondato le loro


mire, aver radunato un po’ di roba, se poi il bene delle nostre anime ne
avesse a scapitare? Che ci servirebbe in allora esser giunti a quelFimpiego,
aver coltivato certi studi, aver eccitato anche un po’ di nome della nostra
persona, se poi in fine ed in quell’ora fosse in pericolo l’anima nostra.

14M e 8,36.
15 Con un segno di nota il Cafasso intende inserire qui alcune righe scritte nella pagina a
Meditazione ^ Sopra l’importanza delfine

E ciò io dico non solo quando dovessimo andare dannati, ma anche nel
caso che ci potessimo salvare: e mi spiego. Che giovamento, che utile di
quanto ho detto, quando per questo dovessimo penar di più in purgatorio:
a che prò quando in paradiso dovessimo esser privati di un grado di gloria
per sempre, a che tutto il passato quando non ci dovesse costar altro che
morire con paura, affanni e timori. Ah! quanti disordini di meno anche
tra noi Eclesiastici, e quanto zelo di più tra noi Sacerdoti, se si pesasse,
se si meditasse questa sola parola: quid prodest. Oh! se si avessero a fare
tante considerazioni, e riflessi, si farebbe più niente a questo mondo; e si
dovrebbe passar la vita a meditare: eh!... non vi sembri strano, quando vi
dicessi che la vita del Sacerdote deve essere un continuo studio, uh assidua
meditazione della legge del Signore, e lo diciamo tante volte ogni giorno
nel Breviario: lex tua meditatio mea est16: dilexi Domine legem tuam. quia
tota die meditatio mea est17. È verità o bugia? Oh!... sì fatte meditazioni o
farle in vita, o che ci toccherà poi farle in morte. E credete voi che sieno
pochi non solo tra secolari ma de’ Sacerdoti che finiscano i loro giorni
in sì tristi pensieri; noi che siamo testimoni, ed i depositari degli ultimi
sentimenti, con cui muoiono le persone, ed anche Eclesiastiche, più d’una
volta l’avremo veduto, e toccato con mano: non useranno le parole che noi
abbiamo recato, ma l’occhio, con cui ci guardano in quel punto, i sospiri,
i gemiti che mandano dal cuore, quelle certe sortite affannose, inquiete
parlano abbastanza chiaro, e fanno conoscere lo stato doloroso del loro
interno. Cosicché non ci resta che scegliere, o farla in vita cotesta medita­
zione del gran vuoto, del gran nulla di questo mondo, quid prodest anche
tutto l’universo assieme, o che la faremo agli ultimi de’ nostri giorni, e
chi sa forse per sempre, e senza frutto all’eternità. Quante persone la sta­
ranno facendo a quest’ora sull'ultimo dei loro giorni, e quanti altri la
faranno all’inferno con quelle dolorose parole rapportate dalla Sapienza:
quid profuit nobis superbia, quid contulit divitiarum iactantia18: infelici,
non hanno meditato in vita, e che giova: quid prodest, ebbene dovranno
meditare in eterno che mi giovò, quid profuit19.

16 118,174.
17 Sai 118,97.
18 Sap 5,8.
19 Con un segno il Cafasso rimanda ad un testo di cinque pagine scrìtto alcuni fogli più
avanti.

209
Esercìzi Spirituali al Clero - Meditazioni

(1957) 7 Moriva S. Alfonso de’ Liguori quando gli si presentò al Ietto un giovane
suo nipote20 pregandolo tutto commosso a lasciarli per ricordo un ultima
sua parola. Figlio mio rispose il Santo, io ti raccomando di salvarti l’anima.
Non saprei che dire di meglio anch’io in questi giorni, e particolarmente
in questa sera, che ripetere a me e a voi: fratelli miei, salviamoci l’anima, e
non comunque alla meglio, quando ci tornerà comodo, ed avremo meno
occupazioni, o meno crucci: nò, presto, subito, senza ritardo perché ed
eccoci alla seconda all’ultima parte della nostra Meditazione, perché non
istà già nell’arbitrio nostro il maneggiare, il trattare quando e come vor­
remo cotesto affare, ma egli è certo che v’è un tempo limitato per tutti;
di più ancora incerto, veloce, e che passato non ritorna di più. Qui non si
tratta, o miei cari,

(1958) 8 di parole, di sottigliezze, di artifizi oratori, ma sono verità .nude e


schiette, alla portata di chiunque, ma che purtroppo sono dimenticate, o
non curate nel mondo. Ognuno di noi si trova quaggiù sulla terra per trat­
tar la propria causa ed arrivare a salvarsi. Per questo oggetto fu assegnato
a ciascun di noi un tempo, spirato il quale, toccato quel punto, io sono
salvo, io sono perduto: constituisti terminos qui praeteriri non poterunt21:
non c’è proroga, non v’è replica, non vi sarà scusa alcuna, non vi sarà
perdono, lo ripeto: toccato quel punto, per me è finita, egli è deciso, io
sono salvo, io sono perduto. Noi vediamo in pratica per ragioni anche
del nostro ministero, quanti mezzi si adoperano per allungare un tantino
questo tempo: non parlo delle cure, e de’ rimedii, e dispendiosi, ed al
sommo alle volte dolorosi, ma voglio piuttosto accennare tutta quella sva­
riata serie di mezzi, ed industrie, che la voglia di vivere e la paura di morire
sa suggerire in quel punto per ottenere se è possibile dal Cielo una dila­
zione di questo tempo: quanti voti, e proteste, e sospiri, e lacrime, pre­
ghiere di famiglie, di comunità intiere, e novene, tridui, limosine, sacrifizi
di Messe, e se qualche cosa d’altro sa suggerire la speranza di vivere, ma ella
è finita, è fissato il tempo, e sia pur poco non s’oltrepasserà d’un istante.

20 Trascriviamo qui un breve testo cancellato che si trova alla pagina 10 a fronte, perché si
tratto del medesimo riferimento a sant’Alfonso. Tuttavia non è stato possibile definire in modo
più adeguato l’esatta ubicazione di queste poche righe: Detto di S. Alfonso al nipote. Fratelli
miei, lasciate che un amico, ed un compagno, che divide le vostre speranze ed i vostri
timori, ve lo dica: salvatevi l’anima: voi sapete come il mondo ci tratta, e che la nostra
sorte non è sulla terra, deh! procuriamo d’assicurarcene una migliore in Cielo.
21 Gb 14,5.

210
Meditazione " Sopra l ’importanza delfine

Verrà adunque un giorno in cui forse d’attorno al mio letto, nella mia
camera, in casa mia, si piange, si pensa, si prega, si spera, si teme, in
sostanza ogni cosa in moto per allungarmi di poco il mio tempo, quando
in un istante io métterò fine ad ogni cosa, io muoio, io sono morto, il
tempo è finito, io sono salvo, io sono perduto. Negli affari del móndo,
tanto più quando sono di molto rilievo, e che irremisibilmente vha un
tempo fisso a trattarli, spirato il quale non v’ha più luogo a speranza, può
ri irsi che la persona interessata più che agonizza più di quello che viva, ogni
ora che batte quasi che gli riesce come un colpo di morte, tanta è l’ansia,
il timore, Faffanno, la sollecitudine, che le cagiona il pensiero che il tempo
che passa è il tutto per lei. O fratelli miei, se noi volessimo fare a questo
punto un po’ d’applicazione, che serii riflessi; io mi trovo provvisoriamente
sulla terra, il Signore m’ha assegnato un tempo a salvarmi; non dirò solo
ogni giorno, ma ogni momento, ogni respiro questo mio tempo si spezza,
si frange, s impiciolisce, s’abbrevia,

si consuma, e quasi che senza che m’avvenga un giorno scomparirà (1959)9


affatto, il tempo è finito per me. E quando? Ecco un altro pensiero non
men serio del primo, quando sarà per me quell’ultimo istante, che strap­
patomi di mano il grande affare, che mi veniva affidato, pronunzierà del­
l’esito suo, e semenziera se io sono salvo, o se io sono perduto. Egli è
incerto: quello che manchi ancora a me, ciò che manchi ancora a ciascuno
di voi nessuno lo sa. Numerum dierum meorum quis est, ut sciam quid
desit mihi. ps. 3822. Può scorrere qualche anno, e forse si tratterà se non di
mesi o di giorni, e poi tutto è finito per me, il grande, il solo, l’unico mio
affare sarà terminato, io sarò salvo, io sarò perduto: e finché non arrivi quel
punto io debbo aspettarlo ogni momento, in ogni azione, e nella maniera
qualsiasi, perché incerto il tempo, il sito, il come cotesto gran affare termi­
nerà per me. Ma frattanto in mezzo a queste terribili incertezze sarebbe
non solo un imprudenza somma, ma una vera follia il trascurare un nego­
zio sì fatto, poiché da un momento, da un azione qualsiasi, da un grado di
più di diligenza, od uno di meno negli di negligenza può dipendere l’esito
di cotesto affare. Impariamo dagli stessi uomini del mondo a star cauti,
attenti e vigilanti per ciò che riguarda il nostro fine. Nessuno certamente
lascierebbe dormire, o se ne starebbe neghittoso d’attorno ad un affare di

11 S ai 38 , 5.

211
Esercizi Spirituali al Clero - Meditazioni

molta importanza, quando sapesse che a sua insaputa, e senza previo avviso
può essere chiamato e trattato, e da quel momento senza più altra speranza
di prenderne la riuscita. E chi lo facesse, tutti gli griderebbero contro con
tacciarlo d'imprudente, mancante di buon senno, e presuntuoso, e ben gli
starebbe quando la venisse a sbagliare. Se così si pensa, e si ragiona trattan­
dosi delle folle del mondo, ditelo voi che cosa pensare, che cosa debba dirsi
di colui, che ad un rischio di questa fatta espone quanto può avere che le
importi a questo mondo e per l’eternità. E di qui, o miei cari fratelli miei,
tutte quelle morti, che succedono giornalmente, da serrare il cuore, e far
piangere di dolore senza aver campo ad aggiustare in modo le nostre partite
da prometterci un buon successo in quel gran passaggio, o che manca il
tempo, o che stringe talmente, o come cosi confuso

(I960) 10 da far temere purtroppo che si muoia come s’è vissuto. Ma supponiamo
che possiamo ancor essere diversi gli anni del nostro vivere, potrà dirsi per
ciò lungo il tempo che ci rimane, e che questo tempo non sia per essere
veloce, e fugace. Fratelli miei, io non chiamo altri a farci da maestro in
cotesta parte che la vita nostra trascorsa. Gli anni nostri passati trenta, qua­
ranta, o cinquantanni e forse più ci diranno quello, che è il tempo. Quasi
un lampo, e niente più, gli anni, i giorni, i momenti come un torrente di
onde s’incalzano; si vive, si corre, e quasi si vola senza posa, e senza requie
alcuna, lavorando, ridendo, scherzando, nella veglia, nel sonno, sempre si
va: ogni altra azione è quasi impossibile che sempre si continui, qualche
rilascio ci va: solamente il corso del tempo, la fuga, la velocità della nostra
vita resta impossibile arretrarla: o che s’estingue, oppure che ella vuol cor-
rere, quando si fermi, ella è al fine, il tempo è spirato, la vita non c’è più.
Eppur guai a me, se questa vita già incerta, e cosi fugace va a terminare
prima che io abbi posto in salvo, ed in sicuro il mio fine. Il tempo è pas­
sato, e non ritorna più. Eccoci alfultimo riflesso. Le stagioni, come tante
vicende del mondo passano, ma si attendono, e si ripetono altre volte; i
giorni invece di mia vita passano per ritornare mai più: ogni sera io posso,
anzi dovrei ragionarla così tra me stesso. Questo giorno che Iddio dava a
me per salvarmi, egli è passato, posso sperarne altri, e forse anche molti, e
migliori, ma questo che oggi ho trascorso, per me è passato irremediabil-
mente, e ritornerà mai più, sicché se mai in tutto od in parte egli è perduto,
se per la mia negligenza, e trascuraggine mi giovasse ben poco, oppur un
bel niente al mio fine, egli è questo un male, egli è un vuoto che non si
rimedia più; posso pentirmene, dimandarne perdono, venirne perdonato,
impegnarmi a passarne altri migliori, tutto vero; ma sta sempre fermo che

212
Meditazione - Sopra l’importanza delfine

quello che è perduto, è perduto, e non si ripara più; in vita e sia dessa pur
lunga, in morte, e per tutta l’eternità dovrà dovrò sapere, dovrò ricordar­
mene che in terra io ho fatto una gran perdita, e voglio dire un giorno del
vivere m io, un giorno in cui avrei potuto farmi tanti gradi di merito di
più in paradiso, un giorno che trafficato per D io varrebbe di più che tutto
insieme l’universo, un giorno che dato ad altri, avrebbe

bastato ad assicurare loro una sorte eterna in Cielo, questo giorno si (1961)
10 Fho perduto, e quello che è più, ne gemiti, ne sospiri, ne preghiere, né
lacrime, ne penitenza qualunque può far si che esso ritorni si ripeta, epper-
ciò ritornerà mai più. Ah! fratelli miei, se con questa bilancia si pesasse
11 tempo che passa, quanti rimorsi di m eno in morte, e quante anime di
più arriverebbero al proprio fine. Transeunt dies sa.lut.is, et nemo cogitat
sibi perire diem nunquam rediturum. Si consumano i giorni come mai ci
avessero a mancare, si passa il tempo come stesse in mano nostra, invece
di trafficarlo fino alfultim o pezzetto per quel solo affare, per cui ci è dato,
lo spendiamo in vanità, in follie, e nelle inezie del m ondo, finché arrivi
quel di, che ce lo sentiamoremo a strappare di mano, e a dirci, e ripeterci:
tempus non erit amplius23. Olà è finita; il tempo è passato: comincia l’eter­
nità. Fatto di Guglielmo24.

Un certo Guglielmo che visse totalmente immerso negli affari del (1955) io
mondo, per cui aveva perfin dimenticato Fanima propria, dovette in
morte venire a questa dolorosa confessione, che consecrato alle pompe,
ai comodi, agli impicci d’una Corte moriva, e partiva dal mondo prima
che avesse pensato seriamente al fine per cui era venuto: chi sa che anche
quanti certi Eclesiastici se non dicono, lo dovranno pensare tra sé, toccar
forse l’ultimo giorno, e doversene partire prima che abbino pensato seria­
mente al fine, per cui erano al mondo, per cui erano stati chiamati al
Sacerdozio25. Il punto, fratelli miei, sarebbe troppo doloroso, lo sbaglio

23 Ap 10,6.
24 Qui termina la lunga inserzione. Con le ultime parole il Cafasso rimanda al suo testo
dì p. 10.
25 Con una nota il Cafasso rimanda ad un lungo testo scritto nella pagina a fronte, che
però fii in seguito da lui completamente cancellato. Per questo lo riportiamo in nota:

Di qui ne viene quella massima conseguenza che S. Ignazio vuole che ne deduca il (1954)
Sacerdote, che fa gli esercizi cioè che essendo un solo l’affare, il fine per cui si serve, e per

213
Esercizi Spirituali a l Clero - Meditazioni

troppo grande, per non pensar davvero a ripararlo, perciò io termino colle
parole, e coll’avviso del grande Apostolo: Fratres rogamus et obsecramus in
D om ino ut negotium vestrum agatis Tessal. IV26. Riguardo agli altri affari
di m ondo, per ciò che spetta alle faccende di terra fate come volete, rie-

cui morremo, e tutto potendo egualmente servirci, e condurre a questo fine, l’Eclesiastico
debba essere totalmente indifferente a tutte le conscg cose sensibili di questo mondo, e ne
nomina alcune in particolare, indifferente a viver poco, a viver molto, indifferente per la
sanità, od incomodi di salute; indifferente all’onore o disistima del mondo; indifferente in
fine alle comodità o temporali strettezze. Grande, gigantesca e quasi impossibile porre a
prima vista cotesta indifferenza, e poco vi mancherebbe quando noi la vorressimo portare
al senso. Ma qui si parla d’indifferenza di affetto, e di volontà, e sotto questo rapporto
io dico che ella è necessaria, di sommo vantaggio, di un grande merito, e la più sicura
garanzia deU’ultimo nostro fine. Necessaria: o che il Sacerdote è persuaso d’esser al mondo
soltanto per servir Dio e salvarsi, e allora siccome ogni cosa ogni vicenda sia piacevole, che
disgustosa ci può egualmente ajutare per cotesto scopo, ne viene per necessità che deve
essere indifferente. Di sommo vantaggio, poiché ci risparmia molti crucci, e può dirsi che
ci allontana da ogni pericolo: tutti i nostri disordini o grandi o piccoli provengono o dal
troppo attacco, o da un eccessivo abbonimento alle cose sensibili. Cotesta indifferenza
ci pone come in equilibrio da non lasciarci soverchiare di un grande merito ed indurre
ad offendere Dio per avere le une od isfuggire le altre. D ’un grande merito perché questa
indifferenza non può acquistarsi e mantenersi senza continui sacrifizi, lo che vuol dire
altrettanti gradi di gloria in paradiso: mezzo sicuro in fine per arrivare a salute. E ciò è
chiaro, giacché oltre la ragione già detta, che dessa ci allontana, o almeno ci rende supe­
riori ad ogni pericolo, la serie e la concatenazione di coteste cose sensibili ci mena da per
sé all’acquisto deila nostra salute. Tutti i mezzi come v’ho detto, sono egualmente valevoli
pel nostro ultimo fine la sanità, e la malattia, l’onore od il disonore, purché se ne faccia
buon uso: ora chi sa dirmi se per me sìa più sicura questa o quella cosa? nessuno ne io, ne
voi, ne un altro qualunque del mondo lo può sapere. Solamente Iddio: epperciò se io mi
rendo indifferente, e lascio che operi Dio, e disponga secondo la sua provvidenza come
infinitamente sapiente sono certo che disporrà di tutte le mie vicende in quella maniera
che sarà migliore e più sicura per me, e siccome

(1956) siccome nelle sue disposizioni è onnipossente, nessuno lo può impedire ed attraver­
sare, è certo che verrà al suo intento, e cosi io sarò salvo; che se al contrario col mio attacco
io rompo e guasto quest’ordine di provvidenza, e mi proccuro, o cerco di procurarmi una
cosa più che un altra, come andrò a finire? Eccovi o miei cari in poche parole l’impor­
tanza, e la necessità di cotesta indifferenza; io ve l’ho detta in pochi termini, ma vorrebbe
esser considerata per più giorni, anzi dorrebbe essere la meditazione di tutta la vita. Ma
riteniamo sempre che saranno inutili tutti i nostri sforzi, finché non arriveremo ad essere
ben compresi, ben penetrati del nostro fine: sono al mondo unicamente per salvarmi:
sbagliato cotesto affare, fallita cotesta meta, tutto è perduto per me. Il punto o fratelli, è
troppo importante etc.
261 2Ì 4,1.11.

214
Meditazione ^ Sopra l ’importanza del fine

scano, non riescano vadino bene, vadino male poco importa, ma per pietà

mai che non la sbagli,


non si perda un Sacerdote: si viva poco, si viva molto, poco monta, ma si
tocchi la meta, si arrivi al fine, TEciesiastico si salvi. Ah!... un Eclesiástico
salvo...

che dolce parola, che pensiero consolante: un Sacerdote, un Ministro (1956) 11


del Signore, un Appostolo di più in paradiso27:

dote che sarà per coronare le sue vita fatiche con un sì bel termine di vita?
Ah ci consoli il dirlo, sarò io, sarete ciascuiro-di voi se veramente in questi
giorni metteremo senno, e seriamente proporremo di volerci salvare: ed oh
che sorte felice sarà la nostra, se in questi esercizi noi prenderemo una si
fatta risoluzione! un giorno, sì un giorno tempo si piangerà in questa valle
di miserie lacrime, si soffrirà chi sa quanti guai, e miserie, chi sa quanti altri
Sacerdoti un di oppressi, calunniati, perseguitati nel m ondo passeranno
giorni di tristezza, e di dolori, io non più; io invece sarò salvo, sarò felice,
sarò beato in.paradiso.

27 Le dieci righe seguenti sono alquanto tormentate, con frequenti correzioni e rimandi. Il
testo così come e ricostruito dì seguito sembra essere il più plausìbile.

215
Giorno Secondo (2262)

Meditazione Prima
Sopra la malizia del peccato
Quarta degli Esercizi

Tale, e si grande si è l’affare della nostra eterna salute, che non v e tempo (2264) 1
troppo lungo, non v’è fatica che si possa dire eccessiva per ben riuscirlo; e
che sono pochi anni di nostra vita quand’anche s’impiegassero tutti senza
tregua, senza riposo, se con sì poco arriveremo a por in salvo l’anima
nostra. Oh!... felice adunque chi in questo breve tempo saprà ben trafficare
questo grande affare; non v’ha certo richezza al m ondo che possa comprare
sì gran fortuna, tanta è l’importanza, tanto il valore di un sì fatto negozio:
ma per ciò stesso non vi sarebbero lacrime abbastanza per piangerlo, per
lamentarlo, quando rovinasse, e andasse a male. Oh! disgraziata quell’ora
fatale, quello scoglio, che ci cagionasse tanta rovina1.
E non vi vuole, o Signore, né gran tempo, né fatica per poterlo cono-
non sono
le richezze, i comodi, oppur le miserie, gli incomodi di salute, le tenta­
zioni, la qualità d’un temperamento duro, e ritroso che ci possa impedire
l’acquisto della nostra eterna salute. Osserviamo infatti che v’ha in Cielo m

i: là vi è un Lazaro mendico, un Paolo

* (fald. 4 7 ! fase. 172; nell’originale 2262-2279)


1 Segue questo testo barrato; Potessimo almeno far in modo che nessuno avesse ad
inciamparvi dentro: ma per poterlo schivare, uopo è conoscerlo, uopo è sapere dove stia
posato, e nascosto un laccio per noi sì funesto, uopo è, a dir chiaro, sapere, e conoscere
ben da vicino, che cosa mai in questo mondo ci possa rubar di mano quella gloria che
ci aspetta, e mandarci invece in eterna perdizione; e per abb orrido, e cacciarlo lontano
da noi io consacro ad un tale oggetto questa giornata, chiamata appunto negli Esercizi
giorno di dolore, di compunzione perché destinata a piangere, a detestare assieme a voi
etc. Io consacro questa giornata assieme a voi per cercare, abbonire e cacciare lontano da
noi quel mostro, che solo può far la nostra eterna rovina.

217
Esercizi Spirituali al Clero ■-Meditazioni

bersagliato dalle più moleste tentazioni, un Elia, un Pietro, un Gerolamo


con un temperamento pronto, e direi quasi indomabile2

(2263} là v è un Giacobbe, di cui non so chi abbia avuta una vita più trava­
gliata e crucciata; un Giobbe, di cui tutti sanno le prove, e per venire a
tempi più vicini una Liduina, che colla miseria ebbe a soffrire per tanto
tempo ogni malanno di corpo.

(2264) 1 Segno chiaro adunque che non sono questi gli ostacoli che abbiamo a
temere, anzi di queste cose istesse, se ne sapremo valercene ci possiamo
formare una scala per ascender ancor più alto in quella gloria; ma il sapete
meglio di me, o Signori, l’unica cosa, che possa essere la nostra temporale,
ed eterna rovina si è il peccato: sì quel peccato che già rovinò tanti Angeli
in Cielo, quel peccato che potè convertir un paradiso terrestre in questa
vai di miserie, sì questo peccato è quel solo che può attirare la nostra per-
dizione. Oh! peccato maledetto!... oh! peccato esecrando; quante anime a
quest’ora lo piangeranno all’inferno, ma lacrime troppo tarde, pianto inu­
tile, ed infruttuoso. Vorrei che in questo giorno cadesse dai nostri occhi, od
almen sortisse dalla nostra bocca qualcuno di que’ sospiri, che anche noi
a quest’ora dovressimo dare daH’Inferno: un cuor un po’ umano, un po’
sensibile allorché s’accorge d’aver offesa una persona, tanto più se le fosse
cara, e benefica, non può a meno di rimproverarsi il suo sbaglio, di sospi­
rarvi sopra, e di dolersene, e di far conoscere in qualche modo il dispiacere,
che ne prova: solo le nostre lingue saranno mute, soli i nostri cuori saranno
insensibili pensando d’aver

(2266) 2 offeso tanto, e sì villanamente un D io, che meritava tutt’altro da noi:


sono questi Ì due riflessi che io propongo a considerare in quest’oggi, cioè
tutta persona che pecca, e tanto più un Sacerdote, fa a D io un ingiuria la
più grande, un torto il più manifesto: 2. gli usa un ingratitudine la più
enorme. Questa giornata è chiamata negli esercizi giornata di dolore, di
compunzioni perché destinata a piangere, a detestare le nostre colpe, la
nostra insensataggine d’aver offeso un sì buon Dio: entriamo adunque in
questa meditazione, con quei sentimenti di confusione, di pentimento,
con cui il dolente Agostino esclamava: qua fronte attolam ad te oculos
tam bonum patrem, ego tam malus filius. E ripetiamo qualche volta in

2 Una nota rimanda alla pagina a fronte.

218
Giorno Secondo ■- M editazione Prim a " Sopra la m alìzia del peccato

questa giornata quella bella giaculatoria dello stesso Santo: da misericor-


di am. Dom ine, poenitenti. qui tamdiu pepercisti peccatori: D eh Signore,
volgete uno sguardo di misericordia a questo cuor penitente mentre si a
lungo lo sopportaste peccatore: da misericordiam etc.
Che cosa sia è il peccato3?

Comincia a definirlo nel primario suo effetto, e diciamo pure nella for­ (2265)

male sua sostanza: est recessus. est aversio a D eo : è un allontanamento,


è una divisione, è una separazione che si fa tra D io e l’uomo: basterebbe
ciò solo per far vedere l’eccesso che egli è, l’abisso de mali che contiene:
un figlio che la rompa, e si separi dal padre, ahimè che giorno, una bassa
persona del popolo, che la rompa con un gran signore, un suddito che se
la prenda col suo sovrano, lo lasci, gli si ribelli, si giurino guerra, inimici­
zia, ahimè che funeste conseguenze; che partito sconsigliato; dite adesso
dell’uomo che lascia, la rompe con Dio, si erge tra loro due un muro di
divisione, sono sciolti, sono separati, sono aversi, fa proprio ribrezzo andar
più avanti. Ma prendiamo la definizione più comune: che cosa è il peccato?
è un detto, etc.

tutti lo sappiamo una parola, un azione nostra, un desiderio, che si (2266) 2


oppone alla legge eterna di Dio: vuol dire adunque che chi pecca infrange e
fa contro agli eterni ed immutabili decreti di Dio: vuol dire adunque che il
peccatore peccando disubidisce non ad un uom o, ma a D io, si ribella a lui,
e scuote il giogo della sua legge: questo poco mi pare dovrebbe bastare per
darci un idea di quel mostro, che egli è il peccato, di quello che faccia un
peccatore, l’eccesso di temerità, di m aliziala cui giunga, l’ingiuria grandis­
sima, che le fa, un uomo, un vii verme di questa terra alzar bandiera contro
Dio: e come mai, grida attonito S. Bernardo, un pugno di vii polvere
osa irritare una Maestà si terribile, qual’ è un Dio: tam terribilem maiesta-
tem audet vilis pulvìsculus irritare/j? E se tutto questo m ondo scompare,
e diventa come un niente, al dire di Isaia, posto al confronto d’un Dio:
omnes gentes quasi non sint. sic sunt coram eo5, dite adesso d’un uomo
solo, se faccia d’uopo parlarne quando si voglia mettere in confronto d’un
Dio. U n Dio? U n D io che comanda al mare, ed il mare l’ascolta, si pre-

3 II Cafasso-rimanda qui alla pagina a fronte,


4 S. B e r n a r d o citato d a S. A l f o n s o M a r ia de’ L iq u o r i , Sermoni, cit„ p. 77.
5 ¿4 0 ,1 7 .

219
Esercizi Spirituali al Clero " Meditazioni

senta alle tempeste, loro si chcttano: un D io, che tien pronti gli elementi
tutti a far i suoi ordini: ignis. grando. nix glacies. spiritus procellarum...
faciunt verbum eius6. Un D io, che con un occhiata fa traballare la terra:
qui respicit terram. et facit eam tremere7: che tocca un tantino i monti, e
fumigano non m eno che ardenti fornaci: qui tangit montis, et fiimigant8.
Ebbene questo D io istesso comanda all’uomo, e l’uomo superbo, temera­
rio si ricusa, rifiuta d’ascoltarlo: Oh Cieli! che vista, che spettacolo: Iddio
vuole una cosà, l’uomo ne vuole un altra: Iddìo gli impone un precetto,
e l’uom o non vuol conoscerlo, Iddio proibisce un azione, e l’uomo vuol
farla, D io e l’uom o, l’uomo e Dio quasi in guerra, a contendere. O h mise­
rabile! oh vii verme di questa terra: e come? un po’ di terra osar di prender­
sela con un D io, voler far fronte, voler resistere, voler giuocar di capo con
Dio. N oi sappiamo la temeraria risposta data da Faraone a Mosè: nescio
D om inim i, et

(2268) 3 populum non dimittam9. N oi siamo soliti predicare agli altri, che una
simil risposta da un peccatore a D io, ogni qualvolta egli pecca, e così dirò
d’un Sacerdote, quando arrivi a questo eccesso. Voi sapete meglio di me,
la risposta che si suol dare a questa verità, che dovrebbe far inorridire non
un sacerdote solo, od un cristiano dabbene, ma un uomo qualunque anche
perverso, quando abbia ancor un po’ di fede: ma quando si pecca non si
pensa a tanto, e nessuno certamente oserebbe dire simili parole, fa orrore
solo il pensarvi. Signori miei, lasciamo star gli altri, che non sono qua a
sentire, e veniamo a noi: richiamiamo alla mente quegli anni, disgraziati,
que’giorni infelici, quell’ora fatale in cui abbiamo offeso Iddio: quante
volte in allora avremo sentito qualche buon Ministro, che con tutto il suo
zelo tuonava contro quel peccato, che avevamo indosso, ci esortava, cer­
cava di ridurci quasi per forza ad ascoltar una volta le voci di Dio, e quel
Confessore chi sà le volte c’avrà avvisato, c’avrà detto di lasciar quell’abito;
e non erano questi preti personaggi altrettanti Mosè che ci comandavano
d’arrenderci a Dio: se non altro que’ tanti rimorsi che avevamo al cuore,
quelle tante pene erano ben tante voci, con cui Iddio ci parlava al cuore,
c’intimava d’ubbidirlo, e ci diceva, come già a Faraone: dimitte populum

6 Sai 148,8.
7 Sai 103,32.
8 Sai 103,32.
9 Es 5,2.

220
Giorno Secondo - M editazione Prim a - Sopra la m alizia del peccato

lascia, figlio mio, una volta quella via, lascia quel luogo, quel costume,
quella vita: dimitte. dimitte populum . Che risposta abbiam dato, signori
miei, che ascolto a queste voci, a questi comandi; Oh!... non avremo detto,
nò: nescio Dom inum come Faraone, ma ciò nullameno avremo usato le
altre sue parole: populum non dimittam: oh! Signore, per ora non mi sento
ancor le forze, non so come fare a sbrigarmi, ad emendarmi, v’ascolterò
un’altra volta10.

Cras, Cras, D om ine, avremo detto nel nostro cuore con Agostino11, ma (2267)
per ora populum etc.

populum. populum non dimittam. Se non altro lasciavamo che gri- (2268)3
dasse la coscienza, alzasse pur la voce il Ministro di D io, e noi frattanto
abbiamo continuato forse e mesi, ed anni a portar il peccato nel cuore, e
non cessare d’offenderlo: ditemi adesso che gran differenza vi può essere
tra la condotta, che tenne Faraone e la nostra, non era, e non sarà un
dirgli o colle voci, o colle opere: eh!... che tanti comandi, che tanti pre­
cetti, voglio far a m odo mio, non voglio in questo conoscere alcun Dio:
nescio Dom inum . et peccatum non dimittam. così, o Signore, abbiam
detto, cosi abbiamo parlato ogni qualvolta abbiamo peccato in vita nostra:
O gran D io che sfacciataggine è mai stata la mia, e qual affronto alla vostra
Maestà; come mai ha saputo la bontà vostra sopportare una lingua si arro­
gante, un cuore si presuntuoso? Deh! si cancelli, questo giorno, vi dirò con
Giobbe, dal computo degli anni12;

non computetur in diebus anni, nec numeretur in mensibus. lob. Cap. (2267)
3 ,[ 6 ] ,

e vorrei che mai fosse comparso al m ondo un giorno sì sciagurato: (2268)3


pereat dies, in cui ti offesi o mio Dio, dies ille vertatur in tenebras... occu-
pet cum caligo, et involvatur amaritudine13: ma che vale lagnarmi del
tempo, se io, io solo ne sono la cagione; deh! adunque o Signore mentre
vi prego a dimenticare quel giorno, vi prego a ricordarmi di questo mio

10 Qui il Cafasso rimanda alla pagina a fronte.


11 S, A g o s t in o , Confessioni, V ili, XII, 1.
12 Con una nota il Cafasso rimanda ad una riga nella pagina a fronte.
13 Gb 3,5.

221
Esercizi Spirituali al Clero ^ Meditazioni

cuore, ed a far che pianga con altrettanto di dolore quanta fìi la mia teme­
rità, la mia audacia neU’offendervi.

(2270) 4 Ma non basta; s’aumenta vieppiù, l’ingiuria, che si fa a D io peccando,


diviene più grande e manifesto il torto, quando si voglia pensare al motivo,
ed al m odo per cui s’offende14:

(2269) si offende, per un niente, si offende sotto i suoi occhi, si offende nell’atto
che ci prega, e ci ricorda a non offenderlo, si offende perfino con quel dono
che egli stesso ci ha dato. Si possono dare circostanze più aggravanti, per
l’uomo, più sensibili, più ingiuriose a D io,

(2270) 4 si lamentava già il Signore del suo popolo, per bocca di Ezechiele
profeta, che lo offendeva, lo abbandonava propter pugillum hordei. et
fragmen panis15: e non avrà ragione di ripeterlo continuamente questo
lamento il nostro buon D io anche ai nostri di: si fanno tanti peccati,
si offende giornalmente in tante maniere il Signore, e per qual motivo?
propter pugillum hordei... propter fragmen panis: per un pugno di terra,
per un capriccio, per un po’ di fumo, per una cosa momentanea, e di
niun momento. E chi anche tra gli uomini non si stimerebbe gravemente
disprezato, e non avrebbe tutto il motivo di lamentarsi, quando vedesse
che una persona lo cura sì poco, che per un niente lo offende, qualunque
cosa, per poco, e vile che sia pur basta perché sia capace di fargli voltar
le spalle. Questo si fu anche il motivo, per cui tra gli altri molti, fu tanto
grave il peccato di Giuda, vendere il suo Signore per trenta monete; se gli
avessero posto innanzi una gran quantità d’oro, benché sempre reo; pure
sarebbe stato più da compatire, ma venderlo per sì poco, per trenta denari!
O Signori miei, diciamolo un po’ qua tra noi; ci vorrà tanto ai nostri dì
per vendere il Signore, la sua grazia, la sua amicizia? Si offende il Signore
per un misero rispetto umano, per non disgustar una persona, per non
sentirsi una parola, vedersi una burla. Si offende il Signore per un palmo
di terreno, per spuntar un impegno, aver un po’ di gloria; si offende il
Signore per soddisfar l’occhio d’un occhiata, per non licenziar un pensiero
dal nostro capo, un misero affetto dal nostro cuore; e via, o Signore, è
meglio che taccia, perché se vado avanti, sono costretto a dire che quasi
ogni cosa a questo m ondo vale ai nostri dì più che Voi; voi eravate, e
lo dovreste pur esser tuttora il D io d’ogni cosa, eppure per molti ogni

14 L’originale qui rimanda a quattro righe scrìtte nella pagina a fronte.


15 Ez 13,19.

222
Giorno Secondo ^ M editazione Prim a ^ Sopra la m alizia del peccato

cosa è Dio fuorché voi, perché tutto trova accesso a quel cuore fuorché
la vostra grazia, la vostra amicizia. Certamente che fu ingiurioso, ed oltre­
modo ignominioso il confronto, che ebbe un dì a soffrire il nostro divin
Redentore con Barabba, e quasi fosse ancor poco essere stimato meno
che Barabba, essere posposto ad uno scellerato di quella fatta: eppure un
tale affronto lo deve soffrire ad ogni peccato, che si commetta: chi pecca
paragona Dio con Barabba, lo paragona al demonio, che è peggiore che
Barabba, lo paragona al vile oggetto del suo peccato: e non solo lo para­
gona ma lo stima meno, lo pospone, e come i giudei d’una volta alza la sua
voce per chiamar la morte a Gesù; e da chi? da chi ha da sostenere Iddio
una tale ingiuria, un tale affronto, da un infedele, da un cristiano, da un
Angelo? Da un sacerdote che nella sua qualità è più che ogni Angelo; ed è
per questo che dissi che chi pecca fa a Dio un ingiuria la più grande, tanto
più un Sacerdote; se grande è certamente in ogni uomo una tale ingiuria
che si reca a Dio peccando, divien massima in un Ministro

in un Sacerdote, sia per la sua qualità che tiene in terra, sia per le spa- (2271) 5
ventose conseguenze del suo peccato. A che cosa è destinato il Sacerdote?
Scielto come egli è, e segregato dal resto del popolo viene consecrato, dedi­
cato totalmente a Dio di modo ché diventa una persona più del Cielo, che
della terra; egli è posto a far le veci di Dio in terra, a cercar la sua gloria,
a dilatar il regno della sua grazia, a far guerra al peccato, esser di guida
alle anime, condurle al seno del Creatore, e salvarle. Or fate che un tale,
destinato a tali, e tanti uffizi arrivi a peccare; già l’abbiam detto, che chi
pecca disubidisce a Dio, si rivolta, si ribella a lui, e non vuol più sapere né
di legge, né di soggezione, né di dipendenza. Come? si ribella adunque a
Dio, gli volta le spalle, non ha più riguardo alla sua legge, ai suoi ordini!
Chi?... Chi?,., colui che sempre ed in tutto non deve cercare che la gloria
di Dio; colui... che è posto a far gli interessi in terra del suo Signore; colui
che deve contenere gli altri in dovere; colui che elevato sul candeliere non
ha da essere men puro, né risplender meno che un sole ne’ suoi costumi;
colui... che ha è il secondo Salvatore delle anime, perché si può dire che
tiene nelle mani la loro salute. Costui adunque sarà si perfido, sì scelle­
rato, sì empio da abbandonar la causa del suo Dio, e l’interesse delle sue
anime, voltargli col suo peccato le spalle, dichiarargli guerra, arruolarsi ai
suoi nemici, ed ingrossar il numero di chi lo vorrebbe distrutto, di più
farsi così un laccio di perdizione a tutte quelle anime, che doveva salvare;
oh! scelleraggine senza pari; oh! enormità senza confini. Povero Signore,
lasciate che così mi spieghi, oh in che cattive mani avete affidato il tesoro

223
Esercizi Spirituali al Clero " Meditazioni

delle vostre grazie, l’acquisto delle vostre anime; oh che lancia crudele mi
pare vadi a trapassarvi il cuore allorquando un sacerdote, un vostro M ini­
stro in terra vi volta così empiamente le spalle, e vi offende. G sacerdoti
fratelli miei, piangiamo pure, sospiriamo, ma non hanno i nostri occhi
lacrime sì dolorose, non ha il nostro cuore sufficienti sospiri per lamentare,
per deplorare l’enormità d’un peccato in un nostro pari.
D i più il Sacerdote tiene per ufficio, ed ha per ¿specialissimo impiego
di placare colle sue orazioni, e co’ sacrifici l’ira di D io sdegnato contro
il suo popolo, e di essere mezzano di pace tra l’uomo e Dio: Mediatores
D ei et hom inum 16 come ci chiama l’Appostolo Paolo; pensate un po’ che
affronto, che ingiuria, che iniquità farebbe un Ministro, che mandato dal
suo Sovrano con tutti i pieni poteri a trattar di pace, tradisse la confidenza,
e le speranze del suo principe, ed invece gli machinasse la guerra, e s’arruo­
lasse ai suoi nemici, s’unisse ai ribaldi, ai rivoltosi; tale è la gran scellerag-
gine che fa un sacerdote, mentre destinato a negoziare la pace tra il Cielo,
e la terra, e ridurre alla debita sogezione i disubbidienti, i rei, si rivolta col
suo peccato a D io, gli intima la guerra, s’arruola ai suoi nemici per difen­
dere così il regno di Satanasso. O sacerdote fratei mio, se qui l’avessi, vorrei
dirgli,

(2273) 6 lascia di peccare, o lascia d'essere sacerdote. E come osare chiamarti


Ministro d’un D io, delle sue grazie, della sua gloria, e poi tramargli coi fatti
la guerra, e cercar di distruggere col peccato il suo regno, e dove prendere
una monstruosità tale, tanta iniquità. Io sono di questo sentimento, che
se il sacerdote pensasse qualche volta alla grandezza, airenormità dei suo
peccato, sarebbe quasi impossibile che venisse ad occhi aperti a commet­
terlo. Ma anche tra sacerdoti tutto il male proviene, perché nullus est qui
recogitet corde17,
Va ancor più avanti la cosa se vogliamo ancor badare alle conseguenze
del peccato in un sacerdote, quando venga a trappellare al pubblico, e che
è tanto difficile che stia nascosto in noi il peccato: qui, Signori miei, io ho
né tempo, né parole per calcolarvi le funeste, e spaventose conseguenze che
d’ordinario ha in noi il peccato: dirò solo non ad una ad una, ma a piene, a
piene conduce le anime all’inferno il sacerdote, che pecca; e non stupitevi
perché il peccato, quando sii da noi commesso acquista tanto di forza, che
arriva perfino a togliere dal cuore de’ fedeli, quello che è più difficile, ed
ultimo a perdersi che è la fede; ed infatti si vedono alle volte persone le

,s 1 Tim 2,5.
17 Ger 12,11.

224
Giorno Secondo - M editazione Prima ^ Sopra la m alizia del peccato

più ferme nella fede, e che reggerebbero a tutt’altra prova, di tentazioni,


di discorsi irreligiosi, di altri scandali, ma al peccato del sacerdote si vede
la lor fede vacillare, mettono fuori dei dubbi, dei chi sa, che mai si sono
sentiti da quella bocca; oh peccato del sacerdote! oh povero sacerdote che
pecca! Di più il peccato del sacerdote cuopre d’ignominia non solo la per­
sona, che lo commette, ma cuopre ancora d’obbrobrio, e fa pagar il fio,
per dir così, da tutta quella Religione di cui ne è il Ministro, dallo stesso
primo, e gran sacerdote Gesù, di cui fa le veci, e la rappresentanza in terra:
heu! fratres, lo diceva piangendo Agostino, heu patitur in nobis Christus.
pati tur in nobis cariiolica Religio: patitur in no bis Christus obbrobrium.
dice Salviano, patitur lex christiana detrimentum18.

Datemi un sacerdote che manchi, e fate che si venga a sapere, o solo a (2272)
sospettarsi del suo peccato, e poi mettetelo all’esercizio del suo Ministero,
si rideranno i maligni delle sue Messe, si burleranno delle sue prediche, si
faranno uno scherzo, una burla delle sue benedizioni, delle sue esortazioni,
dei sacramenti che amministra, ogni cosa insomma più sacrosanta trattata da
quelle mani non diviene più che un soggetto di risate, di sarcasmi, di vitu­
pero: ed ecco proprio per il peccato del sacerdote divenuto Christo e la sua
Religione una materia di vituperi, d’ignominia, di maledizioni. Patitur etc.

La chiesa, entra a dire S, Bernardo, fu già addolorata nella strage, che (2273) 6
gli fu fatta de’ suoi figli, più ancora lo fu negli assalti degli eretici, ma
al sommo della desolazione l’hanno portata, e la portano i costumi, la
condotta de’ suoi domestici: amara Ecclesia in nece mar tvrum, amarior
in conflictu haereticorum, amarissima in moribus domesticorum19. E chi
sono questi domestici, questi di casa che coi suoi disordini danno tanto
di dolore, di opprobrio alla povera madre di Chiesa, se non in particolar
maniera i sacerdoti. Nullum puto fratres, terminerà S. Gregorio Magno, ab
aliis maius praciudiciunu quam a sacerdotibus tolerat Deus... quando ipsi
peccamus. qui compescere peccata debuimus20. Or dire adesso voi che peso

1S Qui il testo rinvia a nove righe scritte nella pagina a fronte. La citazione patristica si
trova non identica in alcuni passi del De vera religione di sant’Agostino (PL 34), ma anche
in modo più fedele in S a lv ia n o , De gubernatione Dei, XVII, 87, PL 53, c. 82.
19 S. B e r n a r d o , citato da S. A l f o n s o M a r ia d e ’ L i g u o r i in Selva di materie predica­
bili ed istruttive per dare gli Esercizii ai preti, p. 44, L’opera di S. Bernardo è Sermones in
Cantica Cant., PL 183, c. 959, 15.
20 S. G h e g o r io M a g n o , Hom. XVII in Evangelia (PL 76), citato in Selva, cit., pp. 62
e 99.

225
Esercizi Spirituali al Clero " Meditazioni

debba aver agli occhi di Dio il peccato del d’un sacerdote, un peccato...
che fa tanta strage di anime... un peccato che cuopre d’opprobrio lo stesso
Dio... un peccato che fa crollare perfino le fondamenta della sua Religione,
che è la fede. 7

(2274) 7 Ah! che aveva ragione il massimo Dottore S. Gerolamo di invitare i


fedeli, gli uomini tutti a lamentare, a piangere allorquando pecca un sacer­
dote: timeamuS' timeamus ad lapsum sacerdotum. grandis dignitas. sed
grandis ruina si peccent21.
Almeno per un povero sacerdote si potesse addurre quella scusa, che già
adduceva il divin Redentore sulla croce per ottener il perdono ai suoi per­
secutori: Pater, ignosce illis, quia nesciunt quid faciant22; almeno io dico si
potesse pregar in questo modo per muovere Iddio a pietà verso di noi allor­
ché pecchiamo, e si potesse dire, Signore, perdonate a tanti poveri sacer­
doti perché non sanno che cosa si facciano: ma si potrà pregare in questo
modo? e non sarebbe piuttosto una tale ignoranza il massimo de1delitti in
un sacerdote? E poi come supporlo ignorante; sa ben dipingere agli altri il
male, l’enormità del peccato, è ben lui che tuona dal pulpito, e dal confes­
sionale, contro questo mostro, è ben lui che insegna agli altri la vera strada
della salute, che ne scuopre i pericoli, che mostra i mezzi, e tiene in mano
gli ajuti per superarli; dunque sarà ignorante, si potrà dire a Dio che lo
perdoni perché non sa che cosa si faccia? Ah! che piuttosto la sua scienza è
quella appunto che mette il marchio della massima malizia nel suo peccato:
scienti, et non facienti peccatum est grande dice S. Ambrogio23. Ubi magna
est cognitio. maius est peccatum: Io conferma S. Bonaventura; questo è un
motivo, per cui fu tanto grave il peccato degli Angeli, perché commesso
con tutta la cognizione del gran male che facevano: ebbene chi pecca tra
il Clero è come FAngelo, che peccò in Cielo, dice S. Bernardo: peccans in
Clero, peccar in Coelo24. Peccato egli è questo di pura malizia, perché non
v è né ignoranza, né debolezza che possa scemarlo: non ignoranza, perché
la legge tutta quanta di Dio gli sta, o almeno gli deve stare sulle labbra:
non debolezza sa tutti i mezzi per rendersi forte, e se non lo vuole, la
colpa è sua25: nulla re deus magis offenditur. afferma S. Giò Crisostomo,

21 S. G ir o l a m o , Lib. 18. in cap. 44. Ezec., in Selva, c it., p. 30.


22 Le 23,34.
23 S. A m b r o g i o , in Selva, cit., p. 26.
24 S. B e r n a r d o , i n Selva, c it., p. 2 7 .
25 Segue questo testo cancellato: ed il peccato di pura malizia, dice FAngelico est contra
Spiritimi Sanctum. e già sappiamo da S. Matteo al capo 12. che il peccato contro io Spi-

226
Giorno Secondo - M editazione Prima ^ Sopra la m alizia del peccato

quam quando peccatores sacerdotii dignitate praefulgeant26: da niuno si


tiene tanto offeso il Signore, quanto da coloro che nella dignità di sacerdoti

dono, e come volete, Signori, Come fare adunque, sacerdoti fratelli miei,
a placar il Signore, a riparargli un’ gran ingiuria, un offesa sì grande, quan­
d’anche non avessimo che un peccato solo fatto con queste divise sacer­
dotali indosso: quanti anni dovressimo piangere un momento per noi sì
disgraziato: e come potrà infatti darsi pace il nostro cuore su d’un tanto

male, che nemmeno sa darsi pace un D io, e non fa che prorompere in (2276) 8
continui, e ripetuti lamenti della nostra ingratitudine, della nostra enorme
sconoscenza, come sono brevemente per dirvi. Se ogni offesa, se ogni
ingiuria punge, ed è sensibile, nqn ha però paragone con quella, che parte
da una persona da noi beneficata; il peccato, dice l’Angelico, tanto cresce
di peso, quanto maggiore è l’ingratitudine di chi lo commette,
ed è naturale anche in noi, dice S. Basilio, il sentir più vivamente l’af­
fronto quando esso ci venga fatto da un amico, da un famigliare, da un
intimo nostro. Premessi questi due principii, ognun di noi facilmente
può comprendere a qual segno di ingratitudine arrivi il nostro peccato, e
quanto giusti siano i lamenti, i rimproveri che appunto, o principalmente
almeno fa de’ sacerdoti. Io non voglio qui entrare nel gran mare de’ bene­
fizi che un sacerdote come un altro cristiano qualunque ha ricevuto sia
nell’ordine di natura, sia di grazia; io prescindo d’accennarvi tutta questa
serie di favori, di grazie, perché non potrei andarvi al fine, solo io v’invito
a questo riflesso: date un occhiata a quanta gente esiste al m ondo, cercate
pure in ogni angolo, passate per ogni ceto di persone, e poi ditemi se v’ab­
bia al mondo chi sia stato più favorito, più beneficato che il sacerdote. Chi
tra gli uomini, dirò di più, chi tra gli Angeli in Cielo può vantare le qualità,
i doni, le prerogative di un sacerdote; egli colla sua vocazione è posto tan-
t’alto da dover rappresentare la divinità in terra: F.go dixi: dii estis. Psalm.
81. [6]. Egli diviene l’intimo, il famigliare, il Confidente di D io, come dice
S. Cirillo: dei intimi familiares: egli è fatto il dispensatore di tutti i regii
tesori, come s’esprime S. Prospero: dispensatores regiae dom us; ma di un
Re, che non conosce ne superiore, ne eguale: e poi che andar numerando e
scorrendo le qualità, i privilegi del Sacerdote, e non basta il nome, esclama

rito Santo non remittetur neque in hoc saeculo. neque in futuro. Espressione terribile, la.
quale, se per una parte fa vedere, non dico già l’impossibilità assoluta d’ottener il perdono
d’un tale peccato, nò, ma la difficoltà maggiore solamente, da un altra ci mostra e ci fa
toccar con mano l’abisso della malizia, che Iddio ravvisa in uno de’ nostri peccati.
26 S. G io v a n n i C r is o s t o m o , Hom. 4 l. inM ath, in Selva, cit., p. 27.

227
Esercizi Spirituali al Clero - Meditazioni

S. Efrem, non basterà il dir solo Sacerdote per dire la grazia più. grande,
l’onore, il grado più esimio, eli e v’abbia in terra: enumera honores, digni-
tates, om nium apex est sacerdos. Eppure non contento ancora il Signore
d’aver innalzato si alto il sacerdote, quasi per vuotare i tesori della sua
bontà, e starei quasi per dire della sua potenza, promettegli ancora tma
la Custodia la più gelosa che da non lasciargli perire un capello senza il
suo assenso: Capillus de capite vestro non peribit27 da stimarsi lui stesso
offeso nella parte più viva, e delicata da chi avesse solamente tocco un
sacerdote: Q ui tetigerit vos. tangit pupillam oculi m ei: Zach. 228, Quid
debui, lasciamo che conchiuda il Signore, quid potui facere vinae meae. et
non feci29: si parla qui in particolar modo del Sacerdote; lo dica pur chiun­
que se poteva andar al di là il Signore per esaltare, per onorare, ingrandire il
suo Ministro: la meraviglia però nostra non sia già questa, che il Signore sia
arrivato a tanto, egli è Dio, ed ha operato da quel grande è, ma lo stupore,
la maraviglia nostra sia piuttosto nel vedere l’ingratitudine, la sconoscenza,
la sfacciataggine che questo intimo, questo familiare, questo Ministro d’un
D io, usa verso un Benefattore di tanto merito. Sentite le doglianze,

(2277) 9 che per bocca di Geremia profeta già faceva il Signore: dilectus méus in
domo mea fecit scelera multa30: il mio Sacerdote, il m io Ministro, il mio
diletto, l’intimo, e famigliar m io in quello sì alto stato, in cui l’ho messo
quasi in mia propria casa, mi ha voltato le spalle, mi ha fatto mille scelle­
ratezze: fecit, fecit scelera multa. Deh! ascoltate voi, o Cieli, apri le orec­
chie tu o terra, audite Coeli, et auribus percipe terra. Perché? a che fine?
per sentire sì enorme delito, così esecranda ingratitudine; filios enutrivi, et
exaltavi: ipsi autem spreverunt m e. Isai. 1.2. E chi sono questi figli cotanto
esaltati, e favoriti, eppur così ingrati che Cielo, e terra li abbia da abomi­
nare, sono appunto i Sacerdoti, che sollevati a tanta altezza, e nutriti gior­
nalmente colle medesime carni del Signore, hanno il coraggio di villana­
mente offenderlo, e disprezzarlo: si inimicus meus maledixisset mihi. susti-
nuissem utique31. Se un m io nemico, un pagano, un cristiano ancora, un
mondano, un ignorante mi offendesse non sentirei tanto amara l’ingiuria,
ma un Sacerdote, un confidente, un famigliare, a tal segno da potersi dire
quasi una cosa stessa con me mi strappazzi, mi offenda, mi disonori32:

11 ¿¿-21,18.
2SZc 2,8.
29 Is 5,4.
30Ger 11,15.
31 Sai 54,12.
32 Una nota rimanda ad un testo scritto nella pagina a fronte.

228
Giorno Secondo - M editazione Prim a ^ Sopra la m alizia del peccato

heu Domine Deus, piange sopra un tanto male S. Gregorio Magno, (2276)

heu Domine Deus, quia ipsi sunt in persecutione primi, qui videntur in
Eclesia tua regere principatum: purtroppo, o Signore, che sono i primi a
farti guerra, chi per sua qualità fa come da principe nella Chiesa, che sono
appunto i Sacerdoti.

Chi sa, o Signori miei, che mentre io ricordo i lamenti che già faceva un (2279) 9
di Iddio per bocca de’ suoi profeti, non li rinnovi lui stesso da quella croce,
da quel tabernacolo a più di noi in quest’oggi, chi sa, io dico, che rivolto
a noi questo divin Redentore nelFamarezza del suo dolore non ci ripeta al
cuore le istesse doglianze, anche tu diletto mio, anche tu mio Sacerdote,
anche tu, che ti condussi per una via di tante grazie, che ti elevai con tanti
doni, che anche tu, che si può dire vivi in casa mia, tu che dici anche
di zelare l’onor mio, la mia gloria, anche tu lascia che tei dica, lasciami
questo sfogo, anche tu: fecisti scelera multa in domo mea: quanti peccati,
quante colpe già conti ne’ tuoi anni di sacerdozio, ebbene sappilo pure,
sono stati pel mio cuore altrettante saette di morte. Oh Signore Oh!... ma
basta Signore, è tempo che alzi la voce il mio cuore, la mia lingua, pec­
cavi Domine, sentite la mia confessione, o mio Dio, peccavi, e lo dirò
sempre, e dappertutto, ho peccato, ho fatto un gran peccato; ma lo dovrò
dire disperato come Giuda, mentre è si grande il mio delitto, peccavi tra-
dens sanguinem justum33. oppur io potrò ancor dire con isperanza, come
un Davidde, ed ottenere il perdono, come l’ottenne quel vostro gran peni­
tente Oh! potessi ancor io in questi giorni sentirmi dire da un uomo del
Signore: Dominus transtulit peccatum tuum34. Che consolazione sarebbe
la mia, che impegno a non più offendervi. Condotto S. Policarpo dalla sua
Chiesa

di Smirne a Roma, e fatto entrare neiranfìteatro, il tiranno gli propose (2279) 10


di maledir Gesù Cristo. A queste parole il buon Santo alzati gli occhi al
Cielo, e sospirando gli die questa risposta: sono ottantasei anni che io servo
Gesù Cristo, Egli mi ha mai fatto alcun male, che anzi ho ricevuto tanti,
e tanti favori; e come mai potrò ora maledirlo? maledir il mio Signore,
il mio Creatore, il mio Redentore: questa è la risposta che dovrebbe dare
ogni sacerdote allorché viene posto in pericolo di peccare, e tradire la sua
coscienza: alzate le mani al Cielo, se non altro alzati gli occhi, il cuore a
Dio, dovressimo esclamare: sono tanti anni che sono nato alla fede, sono

33 M t 27,4.
34 2 Sani 12,13.

229
Esercizi Spirituali al Clero ^ Meditazioni

tanti anni che sono stato consecrato sacerdote, sono tanti anni che servo in
questo stato a Gesù Christo, mi ha distinto di tanti favori, di tanti doni,
possibile che io abbia adesso corraggio a lasciarlo, ad offenderlo, a male­
dirlo col m io peccato35.

(2278) Questa risposta la diede S. Policarpo alla vista de’ tormenti, e della
morte: questa risposta la sanno dare tanti ne pericoli tanti poveri laici
molto meno favoriti di noi, e non sapremo darla noi sacerdoti, cederemo
noi Ministri del Signore; una Susanna sceglie e si dispose a morire piutto­
sto che peccare: un Giuseppe s’assoggettò ad una calunnia la più infame,
ed alla prigione anzi che offender D io, un Paolo sfidava ogni cosa di questo
mondo a farlo mancare, e noi sacerdoti e Ministri, che facciamo, come la
pensiamo? Ah! caro mio D io togliete quest’onta nel vostro Santuario e date
ad ogni sacerdote, date a me, date a tutti noi una fermezza tale che niente
più vi sia al mondo capace di farci cadere in peccato: ah!... questa si che
sarebbe la nostra gloria, la gloria del nostro Iddio, la gloria della nostra
religione. Talmente a dir un sacerdote sia fosse Io stesso che dire una per­
sona che non ha altro nemico a questo mondo, altro male che il peccato,
una persona che ha mosso la guerra al peccato, e guerra tale da non dar
speranza di pace. Guardate là un sacerdote: quella è una persona che non
sa regnare col peccato, guai al peccato quando un tale lo scuota lo venga a
scoprire, o lo sappia; e lo sappia il Cielo, lo sappia la terra, lo sappia perfino
l’inferno: che sacerdote e peccato sono due termini incompatibili, sono
due voci inconciliabili. Questo sì lo ripeto sarebbe il vero nostro onore, e
la vera gloria del nostro stato. Siamo stati noi tali, lo siamo, o almeno lo
saremo per l'avvenire. Ognuno vi pensi.

(2279) io S. Policarpo sostenne la sua risposta a fronte del fuoco, e delle bestie,
che gli minacciava il tiranno, e muori piuttosto che offendere il suo
Signore, e per noi? U n po di roba, un piacer momentaneo, un po’ di fumo,
d’onore, tutto basta per farci traviare dal nostro dovere. Ah! ingrati che
siamo, e sconoscenti, anzi mostri d’ingratitudine, e d’empietà; tanti poveri
laici, che molto meno favoriti di noi, ma che pur servono fedelmente nel
loro stato il Signore, e non commetterebbero un peccato per tutto l’oro del
m ondo, cominciano ad essere fin d’oggi la nostra confusione, e saranno un
dì la nostra condanna.
D ie 8 Augusti 1842
Laus Deo, et B. V. M.

35 II testo rimanda alla pagina a fronte.

230
(2280)
Giorno Secondo
Meditazione Seconda
Sopra i danni del peccato
Quinta degli Esercizi

Non sarebbe così comune, e tanto frequente il peccato, se si conoscesse (2281 ) 1

a fondo la sua malizia, Feccesso, che egli è di temerità, di perfìdia, d’in­


gratitudine, e di sconoscenza la più mostruosa. Quid egisti, così rivolto
al peccatore esclamava S. Bernardo, e che cosa mai hai fatto, o peccator,
peccando dove mai sei giunto? non hai ancora badato all’abisso, in cui sei
caduto, l’enormità, che hai commesso: quid egisti? hai offeso, hai disgu­
stato, hai ingiuriato, hai disonorato, hai cercato di soppiantare, di distrug­
gere con una ribellione la più perfida, e mostruosa, non un uomo qua­
lunque, un Re, un Angelo, ma il Dio dei Re, e degli Angeli, il Dio del­
l’universo, il tuo Dio. Un giorno che S. Teresa si stava preparando ad una
Confessione generale di sua vita, e che ai piedi d’un Crocefisso si stava
eccitando a dolore, fu talmente compresa dall’orrore de’ suoi peccati, che si
mise come disperata a gridare: quid feci? quid feci?, e ne fu tanto penetrata
che svenne, e diede in deliquio; già si sa che i peccati di questa Santa non
giunsero ad essere mortali, eppure li piangeva, li lamentava cotanto, che
dovremo fra noi, che il cuore ci dirà in questo momento di averne com­
messi chi sà quanti? Quid feci? ognun di noi deve dire a se stesso tanto
più in questo giorno: e che cosa ho mai fatto peccando: diciamolo ripeto,
altrimenti il Signore ce lo dirà lui un giorno a nostra confusione, e con­
danna: Quid egisti? Quid amisisti? continua il Santo dottore S. Bernardo1,
non credere, o fratei mio, che il peccato si fermi in Dio solo, egli è questo

* (fald. 4 71 fase. 174; nell’originale 2280-2294)


1 S. B e r n a r d o , in Selva, eie., p. 3 5 .

231
Esercizi Spirituali al Clero " Meditazioni

mostro, una spada a due ragli, che mentre offende così amaramente Iddio,
fa ancor la rovina, e la disgrazia più fatale di chi lo commette. Oh!... le
gran perdite, che fa un anima peccando, oh! i gran castighi, che si attira sul
capo. Io non so se sia più da deplorarsi il peccato per i beni, di cui ci priva,
oppure per i mali, che ci cagiona, quello che di certo so dirvi si è, che da
qualunque lato lo consideriate non vi sono né occhi, né lingue sufficienti
per piangere, per deplorare la strage, che fa d’un anima il peccato, ed i
riflessi che andrem faciendo serviranno di prova, a quanto io vi dico.
Per farci adunque un idea in qualche modo compita de’ gran danni,
che arreca il peccato, cominciamo in quest’oggi tratteniamoci a conside-
rare la terribile caduta, che fa una persona peccando, l’altezza, la bellezza,
da cui cade unitamente alla perdita dei più gran beni, che seco porta una
tale caduta. Oh! quante anime all’inferno piangono a quest’ora le perdite
che hanno fatte col peccato: quante altre persone a questo mondo gemono
sovra quei beni che il peccato loro ha tolti: uniamoci anche noi in que­
st’oggi assieme a questa gran turba di gente per mescolare le nostre lagrime,
e gemere al pari di loro su tali gran perdite che avrem fatto un dì. Oh!
volesse Iddio che piangendo le perdite, che abbiam fatto nel tempo col
peccato, potessimo scansare di piangere le perdite più terribili

(2282)2 che già provano tante anime alPeternità. Seguite Voi o Signore, ad
accompagnarci colla vostra grazia, sicché questo abbia ad essere quel giorno
fortunato, in cui bandito il peccato dal nostro cuore, mai più abbia ad
entrarvi, mai più abbia ad aver luogo in un solo di noi.
Per comprendere in breve qual sia la caduta, quali le perdite di chi
pecca, non abbiam a far altro, che paragonare tra di loro lo stato d’un
anima in grazia con quella che sia miseramente caduta in peccato. Che
cosa adunque è un anima in grazia. Ella è l’oggetto il più prezioso, il più
caro, il più gradito agli occhi di Dio, e di tutto il paradiso; non vi è ne rie-
chezza, ne grandezza al mondo che la pareggi. Iddio si compiace, si delizia
nel rimirarla, e non sa come toglierle gli occhi di sopra: oculi Domini super
metuentes eum2. Di più tanta è la cura, che se ne prende, che si protesta
per bocca del Reai Salmista di correre direi così in suo ajuto in ogni caso,
che venga ad urtare in qualche cosa di avverso, e di ripararle colla sua stessa
mano ogni offesa: cum ceciderit, non collidetur, quia Dominus supponit
manum suam3. E non ci faccia meraviglia Signori miei tanta cura in Dio

2 Sai 32,18.
3 Sai 36,24.

232
Giorno Secondo - M editazione Seconda ~ Sopra i danni del peccato

in prò d’un anima giusta, ci Faccia piuttosto stupore quello che in altro
luogo dice per bocca di S. Giovanni, ed è che tanto si compiace d’un anima
giusta, tanto si delizia del suo cuore, che .lo vuol preferire lasciatemi dir
così alla Reggia del paradiso, alla compagnia di que’ tanti celesti cittadini:
sentiamo le Sue istesse parole, uscite dalla sua bocca, e rapportate dal detto
Evangelista al capo 14. si quis diligit me, ... et Pater meus diliger eum. et
veniemus ad eum4, che degnazione, che calamita d’un cuore da attirare un
D io dal Cielo in terra; non basta; veniemus ad eum . E poi partire dopo
una breve visita; nò; sarebbe già molto; ma nò; mansionem apud eum
faciemus5: di questo cuore, di questa anima che ci ama ne faremo nostra
casa, nostra dimora, nostra continua abitazione. Oh! bella prerogativa d’un
anima, o tempio veramente vivo dello Spirito Santo, casa deificata o cuore
benedetto non più bersaglio, e ricettacolo di vili, e tiranne passioni, ma
deificato, divinizzato, fatto Reggia della divina Maestà d’un Dio. Pensate
voi adesso con che festa, e direi con che invidia stia guardando quest’anima
il Paradiso tutto, con che stupore dovrà rimirare questo cuore già fatto
la sede, ed il trono di quel D io, che nemmeno i Cieli stessi sono capaci
di contenere: fin l’inferno m’immagino che attonito la dovrà guardare, e
arrabbiato, e disperato, pure sarà costretto di temerla, di rispettarla.
D i più; un anima in grazia è la figlia prediletta di Dio, e come tale già
fatta, già instituita erede dell’eredità stessa del Signore, e se potessimo arri­
vare tant’alto coi nostri occhi, una ricca corona, un gran trono già le ved re­
si mo preparata in quella gloria, dove tutti già ansiosi aspettano il momento
che sii chiamata da questa vai di lacrime per riceverla, abbracciarla, ed
averla eternamente compagna.

Ed oh che bella condizione d’un anima che volta da questa misera terra (2284) 3
a quel bel Regno là ci può mostrare il suo luogo, la sorte, che l’aspetta.
Vivrà, è vero, alle volte quest’anima tra le miserie, ed ì cruci, sarà il bersa­
glio di mille lingue nemiche, ma frattanto qual pace, qual tranquillità non
sarà la sua anche in mezzo a tutto il rumore, e lo sconquasso di questo mar
in burrasca; oh! chi può dire, chi saprà esprimere la dolcezza, le conten­
tezze che accompagnano i giorni dell’uom giusto: pax, multa diligcntibus
legem tuam6. Pace che non può dare tutto questo m ondo assieme, pace
che vai più d’ogni piacere, d’ogni sodisfazione di questa terra; e come potrà

4 Gv 14,23.
5 Gv 14,23.
6 Sai 118,165.

233
Esercizi Spirituali al Clero - Meditazioni

essere altrimenti quando pensi che ha Dio con se, e per se in ogni cosa,
quando pensi che pochi giorni più la tengono lontana dalla visione di
quel Dio, che ama, da quel Regno, che sospira, da quelle tante anime che
Taspettano. Eccovi, Signori miei, in poco descritto lo stato d’un anima
giusta, l’idea che ve ne dovete formare, la preziosità, il valore che seco porta
un tal cuore, una tal anima. Che se volete ancor di più, osservate ancora:
era disposto Iddio a ritrattare i suoi ordini, a sospendere i suoi castighi, a
perdonare a migliaia di peccatori, e peccatrici le più infami; e per che cosa?
solo per riguardo di poche anime giuste, e chi sà forse l’avrebbe fatto anche
per una sola, se si fosse trovata fuor della famiglia di Loth. Il fatto anche
voi lo sapete: ma povera città che si trovava sprovvista affatto. E povera
ogni città, dirò io, povero paese, povera famiglia, che non abbia in sé.qual­
che giusto, egli è questo il tesoro unico che trovi Iddio in questa valle di
lacrime, non le grandezze, non le pompe, che anzi in più luoghi tutte le
abbomina, ma solo un anima fornita della Sua grazia, il cuor d’un giusto.
O cuor adunque mille volte benedetto, degno di tutti gli eneomii e degno
più di viver in Cielo che in terra, più di stare tra Angeli e Santi, che tra
uomini e peccatori.
Ma un tesoro di tal natura è impossibile che non abbi nemico, che non
conti chi Io invidia; il demonio, che ne conosce il valore gli gira d’attorno
e giorno e notte, e con lui congiurati il mondo, e la carne tendono lacci
per ogni parte, e guai se per una strada, o per l’altra arriva il peccato a
toccar quel cuore, a macchiare quell’anima. Ohimè che cangiamento! che
decadenza] che scena! Non avrei bisogno di recarvi per prova che quegli
Angeli disgraziati, che peccarono in Cielo: erano pur le più belle creature,
che fossero sortite dalla mano d’un Dio, erano pur forniti dei più eccellenti
doni, entrò in loro peccato, e li deformò, e stravolse talmente che da Angeli
li rese in un colpo demonii, da portenti, quali erano di bellezza li convertì
in un subito in mostri i più orrendi, e deformi, ed ogni qualvolta il peccato
mortale entra in un anima, la rende, lasciatemi dir così per l’orridezza un
demonio7,

(2283) come disse il Redentore ai suoi discepoli parlando di Giuda: ex vobis


unus diabolus est. Joan. Cap. 68.

1 Con una nota il Cafasso inserisce una riga dalla pagina a fronte.
sGv6,7 1 .

234
Giorno Secondo " M editazione Seconda - Sopra i da n n i del peccato

Anzi direi peggio ancora che il demonio, poiché se un peccato solo di (2284) 3
pensiero ha deformato talmente tante migliaja d’Angeli, che cosa sarà poi
d’un anima, che n’abbia commesso

tanti in numero, e si gravi in malizia. Fatta adunque così deforme que- (2286) 4
st’anima infelice, si ritira Iddio, la abbomina, la detesta, non vuole più
riconoscerla per sua; le giura di più un odio, un inimicizia mortale: odio
sunt Deo impius. et impietas ejus9, la cancella dal suo libro, e con ciò la
disereda del paradiso, la consegna quasi a discrezione de’ suoi nemici, che
ne fanno festa, ne cantano vittoria, la chiamano ad alte voci, la vogliono,
la pretendono, è sua: e l’anima? l’anima sta pendente per un filo sull’orlo
dell’inferno, e guai se Iddio viene a troncare quel filo di vita, non farà
che a piombare in quel baratro, ed è perduta per sempre. Riflettiamo per
un momento, o Signori, a questo lacrimevole passaggio: prima così bella
quest’anima agli occhi di Dio, che ne formava la sua gioja, la sua delizia,
e adesso così brutta, così deforme da rendersi abbominevole, già figlia,
sposa di Dio, amica di tutto il paradiso, ed erede di quel bel Regno, ed ora
nemica sua giurata, inseguita dall’ira, dalla collera d’un Dio, e privata di
quella sovragrande eredità.
Sentiamo qui a parlar il dottor S. Ambrogio lrr ncl suo libro De Lapsu
Virgin is1'"

per formarci un idea della catastrofe de’ mali, e dell’abisso, in cui mena (2285)
una tale caduta.

Una Vergine per nome Susanna dopo d’aver superati molti ostacoli (2286) 4
per parte de’ suoi parenti era riuscita di consecrarsi intieramente a Dio; il
Santo Vescovo le diede il sacro velo nel solenne giorno di pasqua, la enco­
miò, la confermò in tale occasione con un forte, e commovente discorso, le
continuò, come dice lo stesso Santo Dottore lui stesso, la sua assistenza, i
suoi consigli nella dolce speranza d’aver a cavare un nuovo fiore, un nuovo
giglio per il mistico giardino di Chiesa Santa; restò di ghiaccio il Santo,
allorché dopo pochi anni accusata questa istessa vergine d’essere caduta, fu
dedotta al suo tribunale, e convinta del suo delitto. La cosa viene riportata
nel suo libro intitolato De Lapsu Virginis consecratae. e fa totalmente per

9 Sap 14,9.
10 Qui il Cafasso con una nota inserisce una riga dalla pagina a fronte.

235
Esercizi Spirituali al Clero - Meditazioni

un Sacerdote qualunque, che venga a mancare, tanto più. in certo genere di


peccati, perché consecrato e di corpo e di anima, più che qualunque ver­
gine, a Dio. Un cuore più addolorato, più oppresso, più trafitto non si può
esprimere; espressioni più veementi non si possono desiderare. Comincia
il Santo dall’invitare i fedeli, gli uomini tutti a prender parte al suo dolore,
e ad ascoltar le sue parole: audite me qui prope estis. et qui longe, et qui
timetis Dominum; Vos... appello qui caritatem Christi retinetis... advertite
verba oris mei, et quae ex iusto dolore proceclunt.. j ridicale11: annunziato
quindi con orrore il gran delitto, e dato sfogo lamentandosi, e piangendo
alla piena del dolore che l’opprimeva, fatta la sua faccia come di fuoco, e
divenuta la sua voce come un tuono, si rivolge alla vergine caduta: ad te
ergo nunc mihi sermo sit12. si, tu che sei la causa di sì grandi mali, e di
tanto mio dolore, tu che colla gloria del tuo candore verginale, hai anche
perduto assieme perfìn il nome; nò che non è più lecito che si chiami
Susanna

(2288) 5 colei, che non è più casta, e dirti ancor un giglio quando non lo sei più.
Nefas est Susannam vocari non castam: non licet lilium nominari. quod
non es. Parole sono queste che già l’avran fatta imbrividire, ma che pure
non erano che i primi sfoghi di quel cuore addolorato. E donde ho da
cominciare a parlarti, si fè a dire il Santo, qual cosa ho da dirti la prima,
e quale riservare per ultima: unde incipiam. quid primum. quid ultimum
dicam? ho da ricordarti primieramente i beni, che perdesti, oppur da pian­
gere dapprima i mali, in cui sei piombaia; Bona commemorem. quae per-
didisti? an mala defleam. quae invenisti? Eri pur una Vergine nel paradiso
di Dio, e tenuta come un fiore di Santa Chiesa: eras Virgo in paradiso Dei,
utique inter flores Eclesiae: eri la sposa diletta di Cristo Gesù: eras sponsa
Christi: eri il tempio del Dio vivente eras templum Dei; eri il soggiorno, la
casa d’abitazione del Santo Spiritò: eras habitaculum Spiritus Sancti. Ma
che vale a me il ricordarti quello, che eri un giorno, se ora non lo sei più:
cum dico toties eras, necesse est toties ingemiscas quia non es. quod fuisti.
Incedebas in Eclesia tanquam columba. ... splendebas ut argentum.
fulgebas ut aurum,... eras tanquam stella radians in manu Domini... e
cosa è mai questo cangiamento repentino? e d’onde mai questa subitanea
mutazione? De Dei Virgine, sentiamo queste tremende parole, de Dei Vir-

11 S. a m b r o g i o , De
Lapsu Virginis consecratae, 1, 1-2, PL 16, c. 383.
12 Ibidem,2, 6, c. 384-385. 1 passi successivi sono tutti presi da questa breve opera (PL
16, c. 383-400).

236
Giorno Secondo ^ M editazione Seconda ^ Sopra i danni del peccato

gine facta es corruptio Satanae, de sponsa Christi scortum exsecrabile, de


tempio dei fanum immunditiae, de habitaculo Spiritus Sancti tugurium
diaboli. Signori miei, se quel buon Prelato che diede anche a noi il sacro
velo, e mi spiego, se quel Vescovo di Santa Chiesa, che colla imposizione
delle sue mani e colla sacra unzione ci elevò al disopra del popolo, ci con­
sacrò, e dedicò intieramente a Dio potesse con un suo sguardo penetrare
nel fondo de’ nostri cuori, e neirintimo della coscienza nostra, ohimè qual
dolore non sarebbe il suo, e chi sa a quanti fra noi non sarebbe costretto ad
esclamare, e d’onde mai, fratei mio e Sacerdote di Gesù Cristo, d’onde un
sì gran cangiamento, e sì presta mutazione in te’3?

Memor esto unde excideris, ti dirò coll’Angelo dell’Apocalisse come a (2287)


quel Vescovo di Efeso.

Ti ricordi di quei primi giorni, di quei primi anni del tuo Sacerdozio (2288) 5
era pure l’anima tua la prediletta sposa di Gesù, era il tuo cuore la cara
dimora del Signore Iddio: eras sponsa Christi, eras templum Dei. Eri per
la tua condotta un fiore di Chiesa Santa, eri come una stella raggiante n d
bel nella mano del Signore: eras stella radians in manu Domini. Ouae ista
subitanea conversio? Ouae ista repentina mutatio. De tempio Dei fanum
immunditiae, de habitaculo Spiritus Sancti tugurium diaboli. Tu, o Sacer­
dote, che folgoreggiavi come oro pel tuo carattere, e pel candore de’ tuoi
costumi, e adesso ti veggo vile più che il fango delle stesse piazze: qui ful-
gebas ut aurum... nunc vilior factus es luto platearum, tu che già eri quella
stella così raggiante, adesso come caduta dall’alto de5 Cieli, si è perduta
tutta la tua luce

e sei divenuto un carbone: qui fueras stella radians... veluti de alto ruens (2289) 6
coelp' lumen tuum extinctum est, et conversus es in carbonem. Ohimè!
proseguiva lacrimando il Santo, mi credeva in te di aver edificato oro,
argentone pietre preziose, e adesso m’accorgo d’aver lavorato niente più
che legno, fieno, e stoppa atta alle sole fiamme. Heu me. quia ubi puta-
bam aedificare aurum. argentum. lapides praetiosas, inventus sum lignum,
foenum. stipulam laborasse. Invano ti ho messo sott’occhio i tanti pregi
della bella purità, appunto per impegnarti nel tuo proposito, ed a maggior
osservanza: ma ho seminato lungo la strada, tra le spine, e su terreno pie-

13 Con una nota il Cafasso inserisce una riga dalla pagina a fronte.
Esercizi Spirituali al Clero * Meditazioni

troso, dove le mie parole sono state rapite, suffocate, o rese sterili, e secche
dalle da fiamme profane. Seminavi in spinis, seminavi secus viam. semi­
navi in petrosa. Lamenti sono questi da intenerire un cuore di pietra, e
che mostrano fino a quel segno giugnesse il dolore del Santo dottore. Oh!
a quanti Sacerdoti potrebbe rivolgere simili lamenti Chiesa Santa e con
molto più di ragione, perché non ha paragone quello s’aspetta con tutto
diritto la Chiesa da un Sacerdote con quello che da quella vergine s’aspet­
tava S. Ambrogio: heu me, mi pare che tutto dì debba ripetere, heu me.
quia ubi putabam aedificare aurum. ... inventa sum foenum, et stipulam
laborasse. Ma mi credeva in quel Sacerdote d’aver un nuovo Giuseppe per
la sua purità, un novello Samuele occupato e dedicato intieramente alla
casa di Dio, un altro Geremia che avrebbe pregato molto per il suo popolo,
e zelato la sua salute: putabam aedificare aurum, ma adesso vedo, e m’ac­
corgo foenum. et stipulam laborasse. un Sacerdote invece accidioso, dissi­
pato, mondano, e chi sa forse d’obbrobrio ancora a tutto il ceto Sacerdo­
tale per la sua condotta, ah! invano gli ho lavorato tanto d’attorno, frustra
hvmnum Virginitatis exposui... seminavi secus viam: invano tanta coltura,
invano tante istruzioni, invano tante indagini: seminavi in spinis, seminavi
in petrosa.
O Signori miei, un occhiata a questo punto sopra di noi, ci siamo man­
tenuti in quel primo fervore, a cui ci portarono tante cure usate verso
di noi? non abbiam avvilito coi nostri peccati il decoro, lo splendore di
quello stato, in cui siamo stati posti? non ci siamo degradati da noi stessi?
abbiamo corrisposto alle speranze che la Chiesa nostra madre aveva su
di noi concepite. Oh! fosse pur vero, che di tutti noi si potesse dir un
altrettanto, e che ognun di noi potesse sentire senza nessuna sorte di pena
simili lamenti; io non so dirvelo, ma il cuore ce lo dirà ad ognuno; del
resto se mai la coscienza ci fa sentire qualche voce, deh! mettiamo senno,
e badiamo all’abisso, in cui siamo' caduti, ed alle gran perdite, che per cose
di un momento abbiamo fatto: vae tibi misera, continua sempre lo stesso
dottore, et iterum vae. quae tanta bona propter parvi temporis luxuriam
perdidisti; ma non ti ricordasti in quel punto di quel solenne giorno, in cui
ti sei presentata al Sacro Altare per essere velata: non es memorata diei S.
Dominicae

(2290) 7 in quo divino Altari te obtulisti velandam? non ti ricordasti, di quelle


nozze, che hai contratto col Re celeste davanti a tanta adunanza di popolo,
tra tanti cerei, che risplendevano in mano de neofiti, tra la schiera di tante
anime consacrate a Dio: ah! che mi sento superare dalle lacrime, mi sento

238
Giorno.Secondo ■- M editazione Seconda " Sopra i danni del peccato

il cuore divorato da rimorsi quando io vi penso; vincor lacrvmis, compun-


gor stimulis, cum haec recordor. Lasciamo che pianga il Santo dottore su
quella vergine disgraziata, e veniamo a noi: un altrettanto si può dire a
tutta ragione a qualunque tra noi che dimentico de suoi grandi doveri,
tenga una condotta non da pari suo, ed offenda Dio: ma dimmi Sacerdote
fratei mio, non pensasti in quel punto, che hai offeso Iddio, non ti venne
in mente quel giorno, quell’ora memoranda, in cui ai piedi di quel prelato,
steso colle ginocchia sui gradini di quell’Altare dato un addio al mondo
scegliesti a tua sola eredità porzione, ed eredità il Signore Dio tuo: non
sei tu, non è la tua lingua, non sono le tue labbra, che hanno detto,
hanno pronunziato Dominus pars haereditatis meae. Non es memoratus
diei sanctae, dirò anche io, in quell’ora che col tuo peccato ripudiasti una
sì grande eredità; non sei tu che nelle mani di quel sacro prelato consa­
crasti il tuo corpo al Signore, e facesti le tue nozze col Cielo: ricordati di
quanto popolo era accorso in quel dì: reminiscere... quantus convenerit
populus ad sponsi tui, et Domini nuptias, e non dovevi adunque impe­
gnarti a mantener quella fede, che hai promesso in vista di tanti testimoni:
ti conveniva piuttosto, dirò sempre collo stesso Dottore, dar la vita ed il
sangue che arrivare a perdere, e macchiare la tua castità. Facilius té oportuit
sanguinem cum spiri tu fondere, quam perdere castitatem... e non ti veniva
in mente, ripiglia sempre S. Ambrogio, non ti veniva in mente in queiratto
vergognoso il tuo abito da Vergine, quella sedia, su cui siedevi separata dal
resto delle pari tue, non ti ricordavi di quei baci di pace, che le matrone
divote a gara ti chiedevano, così si costumava in quei tempi; ah! che pur
troppo hai dimenticato in un punto ogni cosa: oblita es propositum...
oblita es Eclesiam, oblita gloriarci Virginitatis. oblita honorem dignitatis,
edam oblita promissionem regni, oblita judicium terribile, amplexa es cor-
ruptionem... Ditemi, Signori miei se parole più adatte si possono trovare
per noi; non è vero che da quei peccati ci dovevano ritenere questo abito
istesso, che portiamo, quel luogo separato, che occupiamo nella Chiesa,
quei baci che a gara ci si domandano da divoti fedeli, ma abbiamo dimen­
ticato tutto, abbiamo dimenticato e abito, e stato, e Chiesa, e onore, e
promesse, e minacce, anche noi amplexi sumus corruptionem. Io non la
finirei se volessi tener dietro a questo Santo dottore in quel suo aureo libro,
mi contenterò di rapportar ancora questo suo sentimento: sarebbe meglio,
dice sempre alla stessa vergine, che fossi morta, poiché

ì tuoi parenti dopo d’averti pianto alcun po’ avrebbero avuto piuttosto (2292) 8
motivo d’esultare grandemente sul riflesso d’aver premesso in Cielo una
Esercizi Spirituali al Clero - Meditazioni

vergine immacolata, un ostia viva, e gradita al Signore: che invece adesso


ti hanno da piangere morta e non morta; morta purtroppo all’onore, al
candore del tuo stato, ma viva ancora al disonore, alla macchia del tuo pec­
cato: at nunc te plangunt mortuam, et non mortuam; lugent vivam et non
vivam: mortuam utique gloria virginitatis, vivam dedecore turpitudinis.
Sarebbe meglio certamente per ognuno che morisse prima che peccasse,
ma tanto più per un Sacerdote. Se fossi morto, fratei mio, allor quando
il tuo cuore era tutto di Dio, prima che arrivassi ad offenderlo, già tutti
i conoscenti avrebbero pianto un po’ sulla tua tomba, ma non avrebbero
tardato a darsi pace e ad esultare pensando d’aver mandata innanzi loro
al Cielo un ministro fedele, un anima a Dio gradita, ma come trattenersi
dal piangere, e come piangerti or che non so se t’abbia da dire o vivo,
o morto, perché sei l’uno e l’altro: morto alla grazia, all’amicizia del tuo
Dio, e chi sa forse ancora alla stima, all’onore di questo mondo, ma vivo
sempre alla brutta macchia della colpa, alPodio, allo sdegno d’un Dio, al
disonore, all’infamia che d’ordinario cagiona: oh vita infelice, e rincresce-
vole! oh morte ancor più deplorabile; e non vi sarà mezzo a risuscitar da
questa morte, e di godere un genere di vita meno grave, e più dolce? Il
rimedio è un solo, ed unico, ed è quello che la divina voce per mezzo di
Ezechiele profeta fa sentire ai miseri peccatori: solum et unicum tentan-
dum est remedium illud. quod divina vox per Ezechielcm ifìiseris porri-
git: convertimini ad me... nolo mortem peccatoris. sed ut convertatur. et
vivat, haec... dieta poenitentiam sapiunt... vocant ad poenitentiam pecca-
tores14. Eccovi l’unico rimedio la misericordia di Dio congiunta alla peni­
tenza nostra. Così consolava quella Vergine caduta il Santo dottore dopo
d’averle così fortemente rimproverato il suo delitto. Grandi plagae alta et
prolixa opus est medicina: grande scelus grandem habet necessariam sati-
sfactionem, diceva: epperciò le prescriveva tante e molte e rigide pratiche
di penitenza, ma più di tutto le inculcava di piangere giorno e notte il
suo delitto, e di non lasciar passar giorno senza percorrere cum lacrimisi
et gemitu il Salmo 50 di penitenza. Gli ripeteva di abominare, maledire
quel giorno infausto della sua caduta, e d’invitare le creature tutte a seco
piangerla, e deplorarla. Eccoci, Signori miei la strada aperta anche per noi:
abbiamo offeso Dio, è più che giusta, che necessaria una soddisfazione;
chi è andato all'illecito, dice S. Gregorio, compensi la colpa con togliersi
anche parte di quello, che è lecito; ma quello che abbiamo sopratutto da

14.Es 33,11-

240
Giorno Secondo - M editazione Seconda ^ Sopra i danni del peccato

fare, perché indispensabile, e di assoluta necessità si è di detestare, di abo­


minare, di piangere il mal fatto: il peccato, fratelli miei, o per amore o per
forza va pianto: o piangerlo presentemente con

gran vantaggio, e consolazione: o piangerlo con mille spine, e rimorsi (2293) 9


al letto di morte; oppur piangerlo disperati airinferno. Ce lo fa sentire
chiaro il Signore, che senza far piangere almeno il cuore, non ne è con­
tento, e non ci perdona: convertimini' ma: in fietu, et in planctu disrum-
pite corda vestra15. In questo modo fu giustificato un Davide, si perdonò
a Ninive peccatrice, trovò misericordia un Pietro, una Maddalena e quanti
altri ebbero la disgrazia di cadere colla bella sorte d’ottenerne il perdono:
gemiamo adunque, e finché avremo vita non cessiamo di lamentare ne’
nostri cuori quei giorni malaugurati, quelle ore disgraziate, in cui siamo
arrivati a commettere un tanto male; e per tenerci impegnati in questo
dolore, ed in questi gemiti teniamo presente l’importante avviso* che
appunto per questo fine dava S. Ambroggio alla vergine penitente: cioè
avrai sempre avanti gli occhi l’altezza di quello stato, di quella gloria, da cui
sei caduta, e la qualità, e preziosità di quel libro, da cui sei stata cancellata.
Tibi ante oculos ponas de quanta gloria rueris, et de quo libro vitae nomen
tuum deletum sit16. Se questo faceva per quella Vergine, molto più deve
fare per noi che peccando siamo caduti di tanta gloria, e con ciò siamo
stati cancellati da quel libro, che solo ci può dare diritto ad una vita eterna.
E questo ancora uno de’ pessimi danni, che oltre ai mentovati, fa il pec­
cato a chi lo commette, di cancellare cioè dal libro della vita tutti quanti
i meriti, che si poteva aver fatto, ed insieme fargli perdere ogni diritto
che per mezzo loro poteva aver alla gloria: un povero contadino, che tutto
l’anno sudi, e stenti nei campi allora ché un improvisa tempesta gli manda
a male la raccolta, geme, e sospira, non sa come darsi pace: povere fatiche,
poveri sudori andati tutti al vento! Tale è la tempesta meno strepitosa, ma
non meno terribile, che capita in ogni cuore, che pecca: conti pure quanti
meriti vuole, abbia pur lavorato un Sacerdote in tanti anni di Sacerdozio,
numeri finché vuole anime salvate, se mai viene a mancare in quello stato
tutto è perduto: justitiae eius non recordabuntur17; e se si avanza alle porte
di quella gloria sarà rigettato, e scacciato come un temerario, un audace

15 G /2,12.
16 S . A m b r o g i o , De Lapsu Virginh consecratae, 8, 3 4 ,
17 Ez 1 8 ,2 4 .

241
Esercizi Spirituali al Clero ~ Meditazioni

perché senza diritto di entrarvi. Uno che adesso abbia fallito un contratto,
perduta una lite, sia stato soppiantato in un impiego, dismesso da una
eredità non sa più darsi pace, riposa né giorno né notte, non v’è ragione
che basti per quietarlo; al contrario si peccale col peccato si perde ogni
diritto alla gloria, che è la più grande eredità del mondo: eppur si ride,
si gode, non si cessa per questo di vivere allegramente: ah, insensati che
siamo! verrà un giorno, che conosceremo il valore, la preziosità di un tanto
diritto, e Dio voglia che non f abbiamo a piangere irreparabilmente per­
duto; anche Esaù quando per poco cibo vendè al suo fratello Giacobbe il
diritto

(2294) 10 alla primogenitura, ne fece poco caso, mangiò, e bevé allegramente, e


se ne partì tranquillo: accepto lentis cdulio, comedit. et bibit- et abiit par-
vipendens quod primogenita vendidisset18. Ma quando sentì dal padre che
non era più in tempo a conseguire la benedizione che bramava, irrugiit cla­
more magno13, allora conobbe la gran perdita, che aveva fatto, e ne sentiva
tutta l’amarezza, ed il dolore: ma fu un pianto inutile, furono ruggiti dati
al vento, non era più in tempo a ripararla. Oh quante anime a quest’ora
mandano dall’inferno voci, ed urli da disperati per quella gran gloria, che
hanno perduto, eppur tutto inutile, ed a nient’altro loro serve che a mag­
gior rabbia, e disperazione; una voce sola, un gemito che avessero dato in
vita di quella sorta, avrebbe bastato a dar loro in mano di nuovo quanto
avevano perduto: ma miseri non seppero farlo, epperciò è fatta per loro,
non v’è più tempo. Signori miei la conseguenza ognuno può dedurla,
perché è troppo chiara: ogniqualvolta la coscienza ci dice d’aver peccato
mortalmente, sappiamo che altrettante volte abbiamo perduto il diritto
alla gloria, siamo stati disereda cancellati dal numero degli eredi di questo
Celeste Regno; chisa se questo diritto l’avrem già riacquistato, chi sa se il
nostro nome sia già stato di nuovo ascritto nel libro della vita; io lo voglio
sperare e di me, e di Voi, ma frattanto non temiamo in questi giorni di
metter gemiti su gemiti, perché si tratta di piangere una caduta, un male,
che per piangere si pianga, sarà mai pianto abbastanza né nel tempo, né
nell’eternità.
die 22 Augusti 1842.
Laus Deo et B. V M.

18 Gn 2 5 ,3 4 .
19 Gn 2 7 ,3 4 .

242
Giorno Secondo (11%)

Meditazione Terza
Sopra i castighi del peccato
Sesta degli Esercizi

Quid egisti? Quid amisisti? Quid meruisti? È questo l’ultimo riflesso, che (2297) 1
fa sul peccatore il dottor S. Bernardo. Non basta al peccato il tor via dalla
persona, che pecca que’ tanti, e si preziosi beni, di cui abbiamo parlato, ma
dopo d’averla deformata, degradata, avvilita, e resa un oggetto d’ abbomi-
nazione al Cielo, alla terra, la getta, la sprofonda in un pelago di guai, di
miserie, di mali, che non vi è lingua capace di numerarli. Oh!... se certe
anime, che stimano sì poco il peccato, se certuni che dormono così tran-
quilli nello stésso peccato, dessero davvero un occhiata alle funeste conse­
guenze, che sempre ha prodotto la colpa, io credo che un tal pensiero non
tarderebbe ad aprire quegli occhi, che il peccato ha chiusi, e per renderlo
a noi salutare, prendiamolo in questa sera a soggetto della nostra medita­
zione. Io non farò che mettervi sott’occhio i principali castighi, che Iddio
mai sempre fulminò, e non cessa di fulminare tutto giorno contro il pec­
cato, onde dall’amarezza de’ frutti possiamo giudicare della malignità della
pianta, che li produce. Parleranno ad instruzione nostra gli Angeli del
Cielo, e i demoni dell’inferno; parleranno i primi personaggi che compar­
vero al mondo; che parleranno quanti altri sciagurati che provarono nel
corso dei secoli passati, o che provano tutt’ora il peso della mano vendica­
trice di Dio, si~ttittt sicché dovremo confessare tutti ad una voce che ben
diversa cosa deve essere il peccato da quello che compaia agli occhi di molti
anche tra cristiani. Ed è forse raro, Signori miei, il sentire ai giorni nostri

* (fald. 4 7 / fase. 176; nell’originale 2295-2310)

243
Esercizi Spirituali al Clero " Meditazioni

a battezzare per bagatelle, per debolezze più da compatirsi che da sgridarsi


peccati i più enormi, peccati, contro cui le sacre pagine scagliano tanti Vae.
O Signore, parlate Voi al cuore di questi miserabili, tuonate alle loro orec­
chie, ma tuonate forte, sicché v’intendano, ed aprano finalmente gli occhi
su quell’abisso, su quel precipizio, in cui stanno per cadere. Noi intanto,
fratelli miei, già persuasi come siamo del gran male, che è il peccato, sia
per la malizia che in se contiene, sia per i beni, di cui ci priva, per maggior­
mente abborrire, e detestare un si fatto mostro, passiamo ancora a consi­
derarne le spaventevoli conseguenze gli inevitabili, i castighi tremendi, che
d’ordinario raduna sulla testa del misero peccatore. Faccia Iddio, che medi­
tando, e paventando in questo mondo si fatti colpi della divina Giustizia,
abbiamo la sorte di schivare i castighi eterni, ed interminabili che stanno
riservati neH’eternità.
Voi tutti sapete, Signori miei, la ribellione, la guerra, che un dì si suscitò
da Lucifero in Cielo: factum est proelium magnum in Coelo1. Conscen-
dam, et similis ero Altissimo2 osò pensare, osò proferire quel Superbo, e
non contento di ribellarsi a Dio lui solo, arruolò al suo partito una quan­
tità immensa di quegli Spiriti Angelici; purtroppo che il mal fare ha

(2298) 2 sempre trovato compagni, fino in Cielo ha avuto seguaci. La ribellione


adunque è decisa, il peccato è fatto, alle prove, Signori, che ne pensi Iddio:
è il primo peccato che compaja al mondo, non si ha ancora esempio, non
si sa che giudizio ne formi Iddio, sono gli Angeli, che lo commettono, cre­
ature le più belle, che siano mai sortite dalle sue mani, oh!... che loro
avrà riguardo, userà misericordia. Andiamo a vedere; non avevano ancor
nemmeno dato mano al loro progetto, che Iddio penetrando, e già lcggen-
doh? leggendo ne’ loro cuori, ne aveva già giudicata la causa, e decretata
la pena: e la pena fu? Via dalla gloria, via dal paradiso, e via per entrarvi
mai più, poiché la scrittura Santa dopo d’averci annunziata l’insurrezione
degli Angeli ribelli, conchiude con dire: che non la poterono spuntare, e
che non si trovò più il loro luogo in paradiso: non valuerunt, neque locus
inventus est eorum amplius in Coelo3. E dove furono cacciati? et projec-
tus est draco ille magnus. qui vócatur diabolus... et Angeli eius cum ilio
missi sunt4. Iddio aprì la bocca all’abisso infernale, e dentro lì seppellì tutti

1 Ap 1 2 ,7 .
2Is 14,14.
3 Ap 1 2 ,8 .
4Ap 12,9.

244
Giorno Secondo ^ M editazione Terza ^ Sopra i castighi del peccato

quanti coi loro capo per uscirne mai più. Ecco la prima traccia della divina
giustizia sul peccato, e sul peccatore, uopo è ben capirla. Chi sono i puniti?
Angeli, principi del Cielo, i Cortiggiani del Re dei Re; Creature le più
nobili, le più eccellenti in maestà, e bellezza, le più privilegiate. Possibile
che tanta nobiltà, tanta altezza non abbia potuto trattenere la mano vendi­
catrice di Dio, non abbia almen potuto ottenere qualche riguardo; niente
affatto. Ma castigati puniti col più orrendo castigo, che è l’inferno; e forse
qualcuno solamente, soltanto i più colpevoli, gli autori; alle volte la molti­
tudine di colpevoli lega la mano a chi li deve punire, arriva a sotterare il
delitto, e fa d’uopo che sia già questo ben grande per arrivare a decimarne
i delinquenti. Ma che decimazione che misure in questo caso; sian quanti
vogliono, il delitto agli occhi di Dio è tale che neppure uno va risparmiato,
e che delitto fu poi? per che cosa si condannarono tante migliaia d’An-
geli? Per un peccato solo, per il primo, che hanno commesso, per un pec­
cato di puro pensiero, per un peccato d’un instante: eppur bastò questa
colpa per spopolare il paradiso di sì belle creature, e convertite in altrettanti
mostri farne tanti carboni destinati ad ardere eternamente nell’inferno.
Dica adunque adesso chi avrà il coraggio che il peccato sia una burla, uno
scherzo, una bagatella da ridervi sopra.
Ma se fosse un uomo, che avesse fulminato questo castigo, potressimo
sospettare che ciò sia stato una prevenzione, una relazione esagerata, un
atto di primo sangue; ma in Dio chi mai Io può dire? chi avrà il coraggio
di sospettarlo? un Dio che è la stessa Giustizia, che è assolutamente impos­
sibile che punisca al di là del demerito, che anzi, essendo la stessa Miseri­
cordia, dice l’Angelico dottore, che castiga sempre al di sotto del merito;
un Dio che è Fistessa sapienza, e che nessuna sorta d’innavertenza, o di
precipitazione può arrivare

a turbarla; un Dio che è la stessa Santità, ed in cui non può aver luogo (2299) 3
né passione, né pregiudizio. Se dunque un Dio sì giusto, sì buono, sì santo,
sì sapiente, diede un colpo sì tremendo su quegli Spiriti sciagurati, chi
oserà, ripeto, negare, che grande, enorme che massima, che enorme abbia
ad essere agli occhi di Dio la malizia, la gravezza anche d’un sol peccato;
si renderà ancor più patente questa verità, se consideremo il punto in cui
furono puniti gli Angeli. Quand’è che furono puniti? In un tempo, in cui
non c’era ancor stato esempio, non s’era ancor fatta alcuna minaccia; non
avevano ancor veduto il mondo intero andar naufrago nelle aque per il
peccato, non sapevano di Sodoma abbruciata, ed incenerita per la colpa;
ma niente di questo li scusò; furono puniti, e puniti nel momento istesso

245
E sercizi S p iritu a li a l Clero - M e d ita zio n i

del peccato senza accordar loro un momento di tempo per ravvedersi;


oh quanti perdoni avrebbero chiesto, se un po di tempo fosse stato loro
accordato, quanti ringraziamenti, quante lodi avrebbero dato a Dio tante
migliaia di creature per tutta quanta l’eternità, se Dio avesse loro perdo­
nato; eppure no; niente valse a trattenere il braccio della divina Giustizia; è
questo un riflesso che deve far tremare, ed insieme cuoprire di confusione
ogni anima che vive. Peccarono gli Angeli; è vero, ma peccarono una volta
sola, di pensiero puramente, e senza precedente esempio, o minaccia come
vi diceva, che loro facesse aprire gli occhi, eppure furono castigati così tre­
mendamente sul momento istesso del loro delitto, e noi con tanti esempi
sotto gli occhi dell’ira di Dio, con tante minaccie alle orecchiè peccammo
chi sa in quante maniere: peccammo la prima, la seconda, la terza volta, e
Iddio ci perdonò; peccammo la quarta, la decima e chi. sa quante volte, e
Iddio ci perdonò egualmente: continuammo a peccare e Iddio ci continuò
a perdonare. Ma Signore, che cosa ho da dire, e d’onde tante deferenze e
perché tanta pazienza, tanta bontà; forse che il vostro cuore sia cangiato,
forse che il peccato non suoni più. così male alle vostre orecchie non paja
più così deforme ai vostri occhi. Ma nò, alza qui la voce il dottor S. Ber­
nardo, che anzi ricordati che il Dio di que’ tempi è anche il Dio de’ giorni
nostri; l’odio che ha giurato al peccato non si è scemato di un punto, e
sappi che quel Dio, che non la perdonò agli Angeli, nemmeno la perdo­
nerà a te, che sei putredine, e vermi; si superbientibus Angelis non peper-
cit Deus, quanto magis tibi putredo et vermis. Tanto più a noi Sacerdoti,
Signori miei, perché non vi è peccato che più s\avvicini a quello degli
Angeli, quanto il peccato nostro sia per la maggior ingratitudine, che in se
contiene, sia per la maggior cognizione con cui lo commettiamo, come ho
già detto altra volta; Iddio negli Angeli punì il peccato sul momento, ed
anche in noi non pare che possa soffrirlo lungo tempo; non voglio già dire
che abbia a spalancare

(2301) 4 subito l’inferno ogni qualvolta un Sacerdote arriva a peccare, lo farà


qualche volta non però sempre per sua misericordia, ma a Dio non man­
cano mezzi a mostrarsi sdegnato, ed a fare sentire la sua collera: due sono
specialmente i temporali castighi, che io trovo minacciati nelle Sacre carte
ai peccati de’ Sacerdoti, e sentiamolo per bocca di Malachia profeta; Nunc
ad vos o Sacerdotes, così il Signore, si nolueritis ponere super cor, idest
diligente^ et attente cogitare, come spiegano gli interpreti, a che cosa? ut

246
Giorno Secondo ~ M editazione Terza. * Sopra i castighi del peccato

detis gloriarti nomini mco, mittam in vos egestatem5. Signori miei, se da


più anni questo castigo si veda ne’ Sacerdoti, lo saprete voi più di me; e poi
chi può ignorare la maniera con cui si parla sulla roba del Clero, i modi
sfrontati, ed artificiosi con cui si cerca d’impoverirlo, si può dire che la roba
nostra conta tanti nemici, tanti invidiosi quasi quasi quanti sono i viventi:
mittam in vos egestatem: è minaccia antica, ed infallibile; non incolpiamo
la malizia de’ tempi, la rapacità di tanti lupi affamati; chi sa che negli alti
ed imperscrutabili Giudizi di Dio la primaria cagione non ne siano i pec­
cati nostri; chi sa che non siano le nostre colpe, che ne abbiano dato la
spinta, ed abbiano svegliato una sì rabbiosa fame. Ma non basta: Vos. con­
tinua il Signore ai Sacerdoti, vos recessistis de via, et scandalizastis pluri-
mos in lege6... epperciò io vi ho umiliati, io vi ho avviliti, vi ho fatto un
oggetto di burla, di disprezzo davanti i popoli: propter quod et ego dedi
vos contemptibiles, et humiles omnibus populis7.

Io, dice Dio, tengo solo conto dell’onore, e della gloria di colui, che (2 3 0 0 )
tiene conto della mia. Ouicumque glorificaverit me. glorificabo eum:
qui autem contemnunt me, erunt ignobiles8. Terribile minaccia, ma pur
troppo avverata ai nostri tempi.

Che è divenuto il Sacerdozio agli occhi di tanti se non un oggetto di Ì23!)i) 4


scherzo, di sarcasmi, di fanatismo; si stima quasi più il buffone di casa, che
il Sacerdote. Ci lamentiamo Siamo soliti lamentarci che il nostro grado,
il nostro stato è avvilito; in quel luogo, in quel paese non ci si usa più il
rispetto, che si deve, la nostra qualità non è più stimata, non si fa più conto
delle nostre parole, si conta per niente il nostro posto, anzi sfacciatamente
si sparla di noi, si mormora, si prendono impegni dal più vile del popolo
senza alcuna sorta di riguardo, come fossimo uno di loro, pare che non
conoscano più deferenza: recessistis de via... propter quod dedi vos con-
temptibiles... omnibus populis; la nostra condotta, Signori miei, non devia
in niente da quella retta strada, che deve battere, il nostro vivere, il nostro
parlare, il nostro conversare non ha dato scandalo ad alcuno: se così è
lamentiamoci che abbiamo ragione, è un vero torto, è una vera ingiuria,
che ci fanno, ed il Signore saprà un dì fare bene le nostre difese, vendicare

5 M al 2,1-2.
6 M al 2,8.
7 M al 2,9. L’originale qui rimanda a due righe della pagina a fronte.
8 1 Sam 2,30.

247

V
Esercizi Spirituali al Clero " Meditazioni

lui stesso il nostro onore, la nostra dignità; del resto invece d’incolpar
Iddio, dark tutta addosso agli altri, diamola invece a noi, perché noi, sì
noi ne siam la cagione, noi siamo il vitupero del nostro stato coi nostri
peccati9;

(2300) il flagello di noi stessi, non solo, ma ancora il flagello degli altri, poiché
siccome se i Sacerdoti sono buoni, per loro riguardo benedice, e prospera
Iddio il resto del popolo, come si legge nel 2° libro de’ Macabei, dove si
dice che tutta la Santa città viveva in somma tranquillità, e pace propter
Oniae pontificis pietatem10. Così se i Sacerdoti mancano Iddio si tiene tal­
mente offeso, che non si contenta di castigarli soli, ma non la perdona ne’
a persone, né a luoghi i più sacrosanti. Così dice S. Bonaventura parlando
dello sterminio di Gerusalemme, ove sostiene che la massima' parte in una
tale distruzione l’ebbero i peccati de5Sacerdoti; maxima causa destructio-
nis fuit peccatum sacerdotum. Lo stesso dice S. Prospero, che talmente
s’adira l’Altissimo per i peccati de’ Sacerdoti, che non solo non la perdona
alle città, ed ai popoli, ma né anche alla sua medesima casa, ed alle cose
sue permettendo che siano profanate le chiese, rubati i vasi sacri, calpe­
stati e derisi i sacri Riti, i Sacramenti: sic enim Deus irascitur peccantibus
Sacerdotibus. ut etiam sacratis locis suis. vasisque non parcat. (Réel. Ritir.
de Ruggiero p. 106). O Signore, chi sa che tanti mali, che opprimono al
giorno d’oggi i popoli, non sieno pei peccati miei, pei peccati di altri miei
pari Sacerdoti. Chi sa che tanti innocenti non portino la pena per me,
e piangano per colpa mia! Chi sa che castighi più tremendi ancora non
stiano per piombare per colpa di noi Sacerdoti. Povero paese, dirò sempre,
povera famiglia, a cui il Signore abbia dato il più terribile de’ castighi, cioè
un Sacerdote non buono: chi sa quanta collera di Dio radunerà colle sue
colpe sulla testa di tanti poveri infelici. Ma almeno tanti temporali castighi
ci servissero

(2303) 5 a scansar gli eterni; ma sarà Iddio contento di questo solo per un pec­
cato del Sacerdote; gli userà poi misericordia; gli accorderà il perdono: sen­
tite la spaventosa sentenza di Ugone Cardinale: dice questo, dotto Autore,
che tra la pena de’ peccati, che commettono i secolari, e quella de’ peccati

5 Qui il Cafasso inserisce un lungo testo scritto nella pagina a fronte.


w 2 Mac 3,1.

248
Giorno Secondo - M editazione Terza ~ Sopra i castighi del peccato

che commettono i Sacerdoti, vi è la stessa differenza, che tra il peccato di


Adamo, il quale fù perdonato, ed il peccato degli Angeli, che non merita
perdono: Adam peccavit in terra, et veniam consequutus est: Lucifer in
Coelo, et diabolus factus est: sic differunt peccata laicorum, et Clericorum:
dunque non vi sarà speranza di perdono per un Sacerdote peccatore? Io
non dico questo, anzi dico francamente che vi sarà perdono, se vi sarà
pentimento; ma vi sarà poi questo pentimento? si pentirà poi veramente,
e sinceramente un Sacerdote? E perché no? io lo voglio sperare; ma udite
quello, che dice il Dottor massimo S. Gerolamo: n u l l a certe in mundo tam
crudelis bestia, badate che non è mio il termine, quam malus sacerdos.
nam corrigi se non patitur11; e S. Giovanni Crisostomo: Laici delinquentes
facile emendantur: clerici, si mali fuerint, inemendabiles sunt.

S. Alfonso. Selva degli esercizi p. 43. (2302)


So che S. Gerolamo, e S. Gio Crisostomo fanno spavento su questo
punto: Laici etc. Ma ciò non ostante fratelli miei non perdiamoci d’animo:
la voce di questo Dio che ci chiamò dalle nostre case su questo monte ci
dice e ci assicura che ci vuol perdonare, sol che alziamo un sospiro, un
gemito di dolore; e sarà possibile che in questi giorni, ed in questo luogo
isolati dal mondo occupati di cose sante, colla meditazione di tante mas­
sime questo cuore non dia un segno, una voce di dolore. Ah Signore, voi
siete testimonio del mio interno, Voi mi siete presente in quella camera
ai vostri piedi, Voi dunque sapete il linguaggio di questo mio cuore, Voi
sentite i gemiti d’avervi offeso; ah quante volte vi ho già detto, e quante
altre volte spero ancor di dirvi che mi rincresce, mi ferisce, e mi cruccia la
memoria di avervi offeso. Ogni respiro che darà metterà questo cuore, ogni
occhiata sguardo che i miei occhi getteranno sulla vostra croce intendo
che sia una voce che vi chiami perdono. Fratelli miei, sia questa la vita, il
linguaggio del nostro cuore in questi giorni. Abbiamo peccato, ed il pec­
cato va pianto: o piangerlo presentemente, o che lo piangeremo al letto di
morte, o che lo dovremo piangere airinferno, ma badiamo alla differenza
di queste lacrime, e di questo pianto. Il pianto di questi giorni ci consola
e solleva, il pianto della morte sarà di amarezza, di dolore e di affanno, il
pianto dell5altro mondo sarà inutile e da disperato: ognuno scelga il pianto
che vuole, ed io passo ad un altro peccato e ad altri castighi.

11 S. G ir o l a m o , Epistola ad Damas, c ita to d a S. A l f o n s o M a r ia d e ’ L i g u o r i , Selva di


materie predicabili ed istruttive per dare gli esercizi ai preti, cit., p. 3 0 .

249
Esercizi Spirituali al Clero ■- Meditazioni

(2303) 5 Prescindo da altre simili sentenze di altri padri, date voi a queste due la
spiegazione, che vi piace, ed io passo ad altro peccato, e ad altro castigo.
Il secondo peccato, che si vidde al mondo fu quello di Adamo, e non
meno terribile fu il castigo, che per la seconda volta scaricò la divina Giu­
stizia. Aveva Iddio collocati Adamo, ed Èva là nel paradiso terrestre, che
vale a dire, come si esprime la Scrittura Santa, in un luogo di piacere, e
di delizie, in paradiso voluptatis12. ed una sola leg(g)e positiva aveva loro
dato, qual’era di non stendere la mano alla pianta detta della sciènza del
bene, e del male, e mangiar de’ suoi frutti: de ligno scientiae boni et mali
ne comedas13: disubbidirono gli infelici sulla speranza di divenire altri dei:
eritis sicut dii scientes bonum, et malum14. Figuriamoci, Signori miei,
col nostro pensiero di trovarci là presenti in quel momento fatale, in cui
rovinò Adamo con tutto il genere umano. Appena consumato il delitto
si fé’ tosto sentire la voce di Dio nel paradiso, ed all’udir questa voce
pieni, e quasi secchi di paura si vanno a nascondere: cum audissent vocem
Domini... abscondit se Adam, et uxor eius13. Adamo, alza la voce Iddio,
dove sei? Adam ubi es? sforzato da un tale comando, si scuopre Adamo,
e tutto palpitante si presenta al Signore: io m’immagino che avrà tremato
da capo a pie’, colla faccia tutta stravolta e contrafatta per lo spavento, il
cuore le si batteva si forte che quasi quasi stentava a profferir parola. In tal
attegiamento Iddio per aumentargli la sua confusione, e vergogna si fa a
deriderlo con dirgli: Ecco che Adamo adesso è divenuto quasi uno di noi:
ecce Adam quasi unus ex nobis factus est sciens bonum. et malum16. Ma
lasciate quindi le burle, e le beffe Oh! povero Adamo: il bel dio che sei
divenuto.

(2304) 6 Ma dovè quella pace di prima, quella tranquillità, quella contentezza,


quell’allegria che spirava sulla tua faccia; oh! i bei giorni, che eran quelli:
che bel vivere! Ma è entrato il peccato, e già ogni cosa è disordine, è impos­
sibile ancor aver contento, e pace: guardate, fratelli miei, come è menzo­
gnero il demonio, la prima cosa che promette, che ci mette in vista per ade­
scarci, si è la pace, il contentamento, la contentezza, pare che se facciamo

12 Gn 2,15-
13 Gn 2,17.
14 Gn 3,5.
15 Gn 3,8.
16 Gn 3,22.

250
Giorno Secondo - M editazione Terza ^ Sopra i castighi del peccato

la tal cosa, se arriviamo alla tal altra, toccheremo il colmo della felicità,
saremo i più felici, i più contenti del mondo; prova e poi vedrai: la prima
cosa a perdersi sarà appunto la tranquillità, la pace, come appunto capitò
a que’ miseri: ma non bastò, che anzi questo non fu che il preludio di
quella catastrofe di mali, che s’aprì col loro peccato: lasciate adunque da
parte Iddio le burle, le derisioni, e maledetto il serpente, e minacciata Èva
di grandi mali, e dolori, si volge infine ad Adamo: e tu, o Adamo, si fe a
dirgli, tu che hai ascoltato la voce della tua compagna più che la mia, tu,
che hai mangiato del frutto vietato, sappi adunque che d’or in avanti sarà
tutta quanta la terra maledetta in ogni tua azione: maledicta terra in opere
tuo... spinas et tribulos germinabit ti hi17, il pane che ti ha da nutrire deve
esser bagnato del sudore di tua fronte, finché? donec revertaris in terram.,
de qua sumptus es: quia pulvis es, et in pulverem reverteris18. Quindi lo
scacciò di quel luogo per entrarvi mai più: eh! quanti sospiri, signori miei,
quante lacrime avran messo que’ due disgraziati a lasciare quel paradiso di
piaceri, quante volte avran maledetto quel momento fatale, in cui disub­
bidirono a Dio: ma niente valse a conservare ancor loro un luogo anche
piccolo in quella terra di delizie, furono sul momento cacciati, e posto un
cherubino alla porta per proibirne a tutti e per sempre l’entrata: sudò e
faticò il povero Adamo per novecento anni, pianse, e sospirò mai sempre
tra suoi stenti sopra la gran perdita, che aveva fatto, furono i suoi giorni
accompagnati dalle più grandi amarezze, quali furono per le prime la bar-
bara uccisione d’un figlio diletto, e la divina maledizione colla dispera­
zione d’un altro vagabondo fuggitivo per il mondo, finalmente chiuse i
suoi amari giorni colla cenere, colla tomba che Iddio gli aveva minacciati:
pareva già lunga, già grande una tal penitenza, eppure novecento anni di
stenti, di gemiti, e di lacrime non bastarono per pena d’un sol peccato:
sono vicini i sei mille anni da che si piange, eppur non basta; si conti­
nuerà a piangere fino alla fine de’ secoli, non basterà ancora; vi sarà ancor
da piangere per tutta quanta l’eternità; o peccato maledetto! esecrando
mostro! se entra in una ragionevole creatura da Angelo la converte in
demonio, se si lascia penetrare in qualche sito

d i u n p a ra d is o n e fa u n ric e tta c o lo d i p ia n to , d i g u a i, d i m iserie: (2305)7


d o v re m o d u n q u e , d ire c h e sia u n a b a g a tella, u n a d e b o le z z a p re sto p e rd o -
Esercizi Spirituali al Clero * Meditazioni

nata un peccato, che empie di mali l’universo, che condannò alla morte
tante migliaia di vittime, che avrebbe seppellito nelITnferno il mondo
intero, se la misericordia d’un Dio non vi avesse posto riparo. Sarebbe
da farsi con costoro, come si dice che abbi fatto un Sovrano, che per
allontanare da un suo figlio un progetto di guerra, per cui era impegnato,
fece stendere un gran quadro, che potesse contenere tutti'gli orrori d’una
guerra, un mare di sangue, un macello di vittime, saccheggi, incendi, e
via con tutto quello che vi siegue, e poi lo fece porre sottocchio al figlio
con questo motto: fructus belli. Così io dico, si dovrebbe fare con chi osa
scherzare, e ridere sul peccato quasi niente più che un giuoco, sarebbe il
caso di stendere un quadro di tutte le calamità, e miserie, che da sessanta
secoli in circa, fanno piangere la povera generazione di Adamo, che orrori,
che scene saremo costretti a vedervi! Ed a chi ite cercasse l’origine, l’in­
fausta cagione, la pestifera radice di tanti mali, rispondiamo francamente,
tutto è conseguenza, tutto è frutto del peccato: ma io non mi metto in
questo impegno, solo io y invito a venir meco in certi luoghi, dove par
che questo mostro abbia fissato in special modo il suo teatro: entriamo
in un Cimitero; oh Dio! quante ossa ammucchiate, quante tombe, quanti
cadaveri, quante persone un giorno sane, giovani, robuste, ed ora non più
che cenere, e polvere; e chi mai fece tanta strage? chi troncò tante vite? Il
peccato, mettiamovi pur sopra: fructus peccati! Andiamo in una prigione;
chi racchiuse tra que’ ferri, come altrettante bestie, que’ poveri disgraziati;
il peccato fructus peccati. Portiamoci in un Ospedale, chi inchiodò in
quei letti tanta gente? chi le aperse tante piaghe? il peccato: fructus pec­
cati. Andiamo di famiglia in famiglia, e dappertuto troviamo guai, miserie,
crucci, e guerre; chi empiè le case di tanti malanni? chi introdusse tante
discordie: il peccato; fructus peccati. Tanto è vero che dove entra il pec­
cato, vi entra insieme ogni sorta di miserie; miseros facit populos pecca­
timi19, è registrato nelle sacre carte, e non può fallire; ed è questa la vera
cagione, per cui tante volte arrivano le disgrazie nelle famiglie, i negozi van
male, tutto va al rovescio, le malattie una nell’altra, morti inaspettate, ed
immature, crucci d’ogni sorta, e perché? Si dirà dà la colpa or a questo, or
a quello, s’incolpa la nostra buona fede, la nostra inavvertenza, alle volte
si arriva a mormorare fino contro Dio, di troppo duro, di parziale, ah via
si finisca un si empio parlare. E perché andar cercar tant’altro, e tant’oltre,
quando la funesta cagione si può dire che è di famiglia; vi è il peccato

19Pr 14,34.

252
Giorno Secondo -■M editazione Terza ~ Sopra i castighi del peccato

in casa, quell3odio, quelle risse continue, quella roba, que’ cattivi discorsi,
quella pratica, quell’abito,

que’ libri pestiferi: ecco la vera causa, ecco il Vulcano, da cui sgorgano (2306) 8
tanti mali; finché in famiglia vi sarà questo mostro, finché non vi sarà in
casa il timor di Dio, non crediamoci che abbiano andar meglio le cose,
chè anzi vi è a temere che vadino di male in peggio, poiché sta scritto
che: justitia elevat gente in, miseros facit populos peccatum20. Ma non si
vedono, qualcuno può dire, famiglie irreligiose, persone date ad ogni vizio,
pure trionfare ogni giorno più, toccar quasi il colmo della fortuna, e passar
i suoi giorni allegri, ed in mezzo ad ogni sorta di contentezze, e prosperità.
Non ci faccia specie, Signori miei, un tale spettacolo, poiché non è nuovo;
Davidde ci lasciò scritto d’aver veduto ai suoi giorni l’émpio onorato, ed
elevato tant’alto da pareggiare co’ cedri del Libano: vidi impium superexal-
tatum, et elevatum sicut cedros Libani21. Ma attenti a quello che soggiu-
gne; io l’oltrepassai appena, e mi rivoltai per mirarlo, e più non lo viddi,
e già era sparito: et tramivi, et ecce non erat22: cercai in allora almen
il luogo, ove posava, ma invano, poiché si potè nemmen più trovarne
vestigio alcuno: quaesivi euin, et non est inventus locus ejus23. Tremende
parole, che mentre dovrebbero empiere di spavento ogni empio, tutto pec­
catore prosperato, servono a disingannare tanti insensati, che dall’appa­
rente, e transitoria fortuna di questi tali, si dànno a credere poi che il pec­
cato non sia tutto quel male, che si dice, mentre anche col peccato indosso
si può andar avanti, e far fortuna; ma quello che vidde il buon Davidde,
e ci volle lasciar scritto a nostro disinganno, ed instruzione, lo possiamo
veder ancor noi; chi può negare questi colpi della divina giustizia anche ai
nostri di; persone, famiglie intiere che oggi anche nel peccato trionfano,
lampeggiano per la gloria, ma sono fulmini che scoppiano per andarsi a
perdere e nascondere dopo un breve lampo in un pozzo, sotto terra: un
colpo avverso di fortuna aU’improviso li getta a terra, ed alle volte morti
immature li manda sotterra di modo ché di lì a poco si sa nemmen più
il nome, che portassero, ed il luogo che tenessero: transivi, et ecce non
erat; quaesivi eum, et non est inventus locus eius: e poi quand’anche avesse
a durare un po’ di tempo la loro gloria, sovvengavi, dice S. Ambrogio

20 Pr 14,34.
21 Sai 36,35.
22 Sai 36,36.
23 Sai 36,36.

253
Esercizi Spirituali al Clero - Meditazioni

delle vittime destinate al macello, si lasciano in riposo, sono nutrite a cibo


scielto fino alla nausea; ma che vale? nessuno invidia la loro sorte, anzi
in mezzo a tutti questi buoni trattamenti sono degne della maggior com-
passione, e perché? perché il macello le aspetta: questo è il misero stato
di peccatori prosperati, camminano per una strada, se volete coronata di
rose, segnata di fiori, ma che vale? se una tale strada va a por fine, va a
terminar al macello: ducunt in bonis dies suos. et in peccato ad inferna
descendunt24; e non può essere altrimenti, perché egli è scritto che la rac­
colta sarà secondo la semenza gettata: Quae seminaverit homo, haec et
metet25.
Alle volte si raccoglie nel punto istesso,

(2308) 9 che si semina, ma per lo più. la riccolta non si fa subito, anzi accade
che la zi/ania cresce tant’alta, e rigogliosa, che pare voglia sopprimere il
buon grano: ma non temete, non tarderà a spuntare quel giorno desti­
nato a strapparla, e farne altrettanti fasci per gettare nelle fiamme. Ma non
diamoci a credere che la giustizia di Dio voglia tacere sino allora, se non
altro si farà sentire con divorare, e tormentare il cuore del peccatore; ah!
se potessimo entrarvi dentro, quante spine, quante torture, quanti rimorsi
troveressimo sotto queH’ailegria apparente, sotto quelle rise bugiarde: essi
sono tanti che fecero credere a taluni non esservi altro castigo per il peccato
che si fatti rimorsi, perché a giudizio loro già sufficienti; error grande, dice
Agostino, ma che spiega un gran vero, cioè a dire mostra fino a qual punto
debba giungere l’infelicità di si fatte persone: e poi che dubitarne ancora
quando l’ha protestato il Signoresche non vi sarà pace per gli empii: non
est, non est pax impiis26.

(2309) Sì, continua a dire il Signore, le vie de’ peccatori non sono segnate che
di dolori, di tempeste, d’ infortunii, e ben lungi dall’aver pace, che non ne
sapranno nemmen il nome e dove ella stia. Contritio et infelicitas in viis
eorum. et viam pacis non cognoverunt27.

24 Gb 21,13.
35 Gal 6,8.
16 Is 48,22. Con un segno il Cafasso intende inserire qui alcune righe scritte nel verso della
pagina: fatto insolito, perché in genere l'autore scrive i brani aggiuntivi nella pagina a fronte,
ma il senso del discorso sembra esìgere di fare così.
27 Sai 13,3.

254
Giorno Secondo ~ M editazione Terza ~ Sopra i castighi del peccato

Tutti i divertimenti sono amari, non si trova più quiete ne’ giorno, né (2308)
notte, fino il cibo divien insipido sulle labbra del peccatore, ogni movere di
foglia, per cosi dire, par un assassino che insidi! alla vita, ogni parola, anzi il
solo pensiero di morte, d’inferno diviene un fulmine, e quante confessioni
di questa sorta il pentimento ha strappato, e strappa ogni di dalla bocca di
tanti infelici, che dopo d’aver sfiorato in vita loro ogni piacere, stesi poi sul
letto di morte lo dicono, lo confessano di non aver mai avuto un giorno,
anzi un’ora sola di vera pace, e quiete; e se questo è per tutti, lq è molto più
per noi Sacerdoti, se mai abbiamo la disgrazia di mancare; primo perché
il peccato nostro è più grande, più malizioso, più enorme, onde alza più
alto la voce. Secondo perché il secolare guarda di schivare in tale stato tutto
ciò che può rammentargli il suo delitto. Che al contrario il Sacerdote deve
sempre avere alle mani, e sott’occhio una cosa o l’altra che gli ricorda il
suo fallo quand’anche se ne volesse dimenticare, l’Altare, il Confessionale,
il pulpito, le sue stesse vestimenta, persino il Breviario, che è obbligato a
dar mano più volte al giorno par che mettano voce, e tutto sembra fatto a
posta per rimproverargli il suo peccato28;

solamente il Breviario par a me che debba essere per un Sacerdote in (2307)


peccato uno spinajo il più terribile; e per capirlo fermiamoci un po’ tra
noi a considerare,..a pesare, se ci sarà possibile, la serie de’ contrasti, de’
crepacuori, e degli affanni e spaventi che la recita sola del divino ufficio
deve svegliare nella mente, e nel cuore d’un Sacerdote peccatore. E primie­
ramente non sarà contrasto continuo per lui, epperciò un rimorso, ed un
rimprovero per lui ben amaro, quel dover protestare così frequentemente
colle labbra al Signore l’odio che ha alla colpa, la protesta di non voler
declinare dalla sua legge, mentre sa, e lo sa ben di certo, che porta con
lui la reità, e non sa determinarsi risolutamente di lasciarla: iniquitatem
odio habui. et abominatus sum. luravi. et statui custodire iudicia iustitiae
tuac, ab omni via mala prohibui pedes meos29. Ah! mentitore che sei, mi
pare che gridi una voce dentro a quel cuore, hai coraggio di mentire così
sfacciatamente col Signore, tu odii la colpa, tu hai fermo in cuore di non
commetterla; tu fuggi ogni via cattiva ? mentitore ripeto, non è vero, e lo sa
Iddio; ma lo sai anche tu, il contrasto, la ripugnanza, il ribrezzo che provi
al pronunziarlo, al dirlo, sono un argomento, anzi prova evidente della tua

28 A questo punto del testo un segno avverte che qui va inserito il lungo testo della pagina
a fronte e di metà dì quella successiva.
25 S a li 18,163 - Sal 118,106 - Sal 118,101.

255
Esercìzi Spirituali al Clero - Meditazioni

bugia, e la potrà dire, e ripetere tante volte il Sacerdote senza sentirsi al


cuore un rimorso il più crudele.
Ma non bastano sì fatti contrasti anche fieri e tormentosi, dovrà di più
il Sacerdote peccatore sostenere, trangoggiare infiniti crepacuori; quante
volte ne" Salmi s’incontra a suo dispetto in quelle carezze, in quelle dolci
promesse, che lo Spirito Santo fa sentire alle orecchie, ed al cuore delle
anime giuste. Beatus vir, qui timet Dominum30 con quello, che segue di
quel salmo capace di allargare, e consolare qualunque anima buona. lusti
haereditabunt terram. et inhabitabunt in saeculum saeculi 363!. Ouam
magna multitudo dulcedinis tuae timentibus te. 3032 Pax multa diligenti-
bus legem tuam33. Ma che vale? questa pace non è per lui, si fatte dolcezze
non sa che siano: che crepacuore dover dir pace, ripeter pace, riandare ad
uno ad uno i beni, le consolazioni, le gioje deU’uom giusto per non altro
se non per provarne più amara la privazione: pace sulle labbra, angustia ed
affanni nel cuore, promesse beatitudini di terra, e pel Cielo, ed invece per
lui timori e spavento orribile d’ ogni genere. E qui fratelli miei, è dove io
trovo per il Sacerdote peccatore una sorgente d’ affanni,

(2309) di terrore il più spaventoso: egli è ne’ Salmi delle ore canoniche che
trova quelle terribili sentenze da far agghiacciare ogni peccatore: vultus
Domini super facientes mala, ut perdat de terra memoriam eorum. Psalm.
3834. Injusti punientur. et semen impiorum peribit - 36 - reliquiae impio-
rum interibunt. 3635. Si possono dare minaccie più forti, più vibrate, più
spaventose, quando il Signore si protesta di non volerla nemmen perdo­
nare ad una menoma particella d’un peccatore: reliquiae impiorum inte­
ribunt. Ma il più terribile, non l’abbiamo ancor detto: Virum injustum
mala capiunt in interitu - 13936. Mors peccatoruin pessima - 3337. Ecco il
termine, il tragico fine del peccatore: mala capient in interitu - mors pec-
catorum pessima. Ditemi, adesso, se un Sacerdote col peccato sulFaninia,
tanto più se fosse già recidivo, ed invecchiato, se possa, dissi, pronunziare,

30 Sai 111,1.
31 Sai 36,29. Il Cafasso nello scrivere sbaglia il dittongo: hereditatmnt è la lezione giusta.
32 Sai 30,19.
33 Sai 118,165.
■^ Sai 33,17.
35 Sai 36,28.
36 Sai 139,12.
37 Sai 33,21. .

256
Giorno Secondo " M editazione Terza " Sopra i castighi del peccato

ripetere si terribili minaccie, senza sentirsi ad abbrividire: sono troppo


chiare, non occorre cercare interpreti per intenderle; non può saltarle, le
deve dire, le deve per così dire tra denti masticare per inghiottirne tutto
Tamaro, ed a me pare che mentre le pronuncia, è impossibile che taccia il
cuore, e come già un Natan la coscienza gridi tu es ille vir38: a te, sì per te
sono scritte, sono imminenti si fatti mali.

Oh povero cuore! oh infelice Sacerdote! oh stato deplorabile! Dio voglia (2308)


che nessuno di noi l’abbia provato, o quel che è peggio, l’abbia ancora a
provare. Deh! se mai avessi a parlare con uno di questi disgraziati vorrei
farmi a dire: se non ti cale l’offesa che fai a Dio peccando, se non ti muove
l’avvilimento, la bassezza in cui sprofondi colla tua colpa, deh! almeno ti
tocchi l’abisso de’ mali, che ti attiri sul capo, la rovina che ti prepari co5
tuoi peccati: e che dovrò ancor dirti se un tal riflesso stenta a farti decidere?
e che più miserabile di te, dice Agostino, che non sai aver conpassione di
te stesso: Quid miserius misero non miserante seipsum39. Signori miei, io
finisco di parlare sul peccato qundJanche, e finisco col dirvi che non vorrei
che il peccato dopo aver fatto

la nostra rovina temporale, avesse poi ancora ad essere la nostra rovina (2310) io
eterna; e non lo sarà sicuro se in questi santi giorni procureremo di cac­
ciarlo, anzi di stirparlo fin dalle radici dal nostro cuore, di concepire verso
questo mostro un odio, un abominio tale che non abbia più speranza di
potervi entrare. Ma non basta in noi Sacerdoti tener pulito il nostro cuore
dal peccato, dobbiamo per ragione del nostro stato, del nostro ministero
inseguirlo negli altri, siamo posti sulla terra per questo, siamo per dilatare
il regno della gloria di Dio, e sterminar quello del peccato, impegniamoci
adunque in questa santa guerra, ed a cacciarlo non solo da noi, ma dal
paese, dal luogo in cui siamo, dalla nostra casa, da tutte quelle anime che
Iddio manderà ai nostri piedi; ci vorrà fatica, ci vorrà tempo, ci vorrà
pazienza; niente importa, purché si distrugga il peccato. S. Ignazio soleva
dire che avrebbe lavorato volentieri in tutto il tempo della sua vita per
impedire un peccato solo, perché sapeva quanto danno arrechi ad un
anima un sol peccato, e quanta gloria tolga a Dio; ad esempio di questo
gran Santo usiamo anche noi quanto abbiam di forza per impedirlo: dal

38 2 Sam 12,7.
39 S. A g o s t in o , Confess., PL 32, c. 670.

257
E sercizi S p iritu a li a l Clero -- M e d ita zio n i

pulpito, dal Confessionale, in pubblico, in privato gridiamo, minacciamo


contro il peccato: e quando ncm ci sia chiusa ogni strada per impedirlo,
oppure sieno inutili i nostri sforzi, allora è tempo di prostrarsi ai piedi di
questo primo, e gran Sacerdote, gemere, sospirare su quel male, che non
possiamo impedire, supplicarlo a darci ajuto, a stenderci la mano, e a darci
vinto quel nemico, che si osa burlar delle nostre fatiche; oh noi felici se
tal sarà in avvenire il nostro impegno: distruggendo così il peccato, e coo­
perando a dilatare così il regno della grazia, e della gloria di Dio, avremo
poi tutto il diritto a quella corona di gloria, che questo Dio istesso tiene
riservata per coloro, che avranno zelato l’onor, la gloria sua: Quicumque
glorificaverit me, glorifìcabo eum. 1 Reg. II40.
Cerchiamo la gloria di Dio nel tempo, e questa gloria istessa sarà la
nostra nella grande per tutta quanta l’eternità.
Die 31 Augusti 1842.
Laus Deo, et B. V. M.
Giorno Secondo (1962)

Meditazione Prima
Sopra il peccato di un sacerdote

Meditazione prima. Sopra il peccato Mortale. (1964) 1

Orazione

Mio Dio mi presento a Voi, umiliato, e confuso. Io so, lo confesso vi ho


offeso Signore, la coscienza me lo dice, un giorno ho peccato contro di voi.
Io spero che la vostra misericordia che mi Ah! Signore che mi sopportaste
sì lungamente peccatore, continuerà a soffrile deh soffritemi ora che vengo
a voi penitente a vostri piedi Sono qua a vostri piedi, ah mio Dio, a chia=

almen conoscere in questo giorno che è, che cosa sia il peccato d’un mio
pari, d’un Sacerdote. Fate che io intenda una volta che cosa voglia dire
un Eclesiástico peccatore. Vergine Madre e Rifugio de’ Sacerdoti peccatori
Voi che mai aveste ombra di peccato ricordatevi, e pregate per me. Angelo
nostro Custode, Angeli e Santi tutti del Cielo, e Voi specialmente che foste
anche un di peccatori intercedete per noi.

Esordio1

Io sono fatto pel Cielo, là sta la mia meta, ed il mio ultimo fine. Però se (1963)

* (fald. 45 /fase. 93; nell’originale 1962-1980)


1 11 testo incomincia con un rimando alla pagina a fronte in parte barrato.

259
E sercizi S p iritu a li a l Clero - M e d ita z io n i

(1964) l Un Sacerdote può esser salvo se vuole, ma può andar perduto, quando
se ne viva indolente, e trascurato. Noi siamtnal mondo, ma ntrrr ci siamo

quasi infinito di gente e di Sacerdoti già ci precedette nel cammino, già


fece la sua comparsa su questa terra, e se ne partì. Una gran parte, come
spero, arrivò al suo fine, e si salvò; un’altra parte purtroppo l’ha sbagliata,
si perde, e vi arriverà mai più. Qual ne fù la causa, quale il motivo? Ecco il
punto interessante per noi. Un tale che entri in un affare, o per una strada,
in cui sappia che altri avanti di lui parte già rovinarono, parte riuscirono, fa
quanto può onde arrivare a conoscere l’origine di sì differenti effetti. Cote-
sta appunto e non altra è la nostra posizione sulla terra: siamo in viaggio,
e per istrada, ma sappiamo che migliaia di gente, ed una quantità grande
anche di Eclesiastici la batterono avanti di noi; gli uni finirono bene, altri
rovinarono: pendente questo viaggio ci fu affidato un affare, un negozio
grande a trattare, e quanti vissero prima di noi lo trattarono egualmente;
chi n’ebbe buona riuscita, e chi nò: che cosa sarà di noi, Eclesiastici fratelli

stiamo aspettando l’esito finale, la prudenza vuole di cercare, di esaminare


ben bene, quai sieno i scogli, gli intoppi, le cause, per cui possiamo rovi­
nare, come hanno già rovinato tanti altri. Non crediamo che sieno tante né
tali, quali il mondo crede. Chi manca, e rovina, d’ordinario si fa a pensare,
almeno si sforza esser caduto quasi costretto, chi dalle miserie, chi per la
tentazione, chi pel temperamento, chi per le dicerie, per le persecuzioni del
mondo: ma ntm Nò fratelli miei, non sono questi i scogli, i pericoli, che
dobbiamo temere, le cause della nostra eterna rovina, e ne sia la prova tutta
quella gente, che già vi regna lassù; là vi è un Lazaro mendico, un Paolo
bersagliato dalle più moleste tentazioni, un Elia, un Pietro, un Gerolamo
con temperamento di fuoco: là vi è un Giacobbe di cui non so chi abbia
avuta una vita, più travagliata, e laboriosa, e con questi se ne trovano chi sa
quanti altri, che vissero ne’ stessi cimenti. Vuol dire adunque che un Ecle­
siástico anche povero, e nelle strettezze, un Eclesiástico soggetto a lorde
tentazioni, un Eclesiástico vivace, e pronto, un Eclesiástico umiliato, per­
seguitato potrà salvarsi? e chi ne dubita di noi: Una sola come il sapete,
può esser la causa della nostra rovina, ed è il peccato: quel solo, quel-

260
Giorno Secondo M editazione P rim a ~ Sopra il peccato d ì un sacerdote

l’u n ic o , q u e l v e ro m a le d e l m o n d o : u n u m b o n u m D e u s, u n u m m a lu m
p e c c a tu m 2,

q u e i m a le che n e s s u n u o m o d e l m o n d o p u ò a rriv a r a c o m p re n d e re , q u e l U963)


m a le c h e n e s su n a lin g u a p o tr à m a i e sp rim e re , q u e l m a le c h e n e ssu n b e n e
d a lla te rra m o n d o p u ò g iu n g e re a c o m p e n s a re .

A h! p e c c a to m a le d e tto 3, (1964) 1

io lo rip e te re i c e n to v o lte , a h m a le d e tto p e c c a to , e c h i sa q u a n ti p re c i- (1963)

pltt' .
f-,'

Q u a n te -p erso n e q u a n ti E clesiastici h a già m a n d a to in ro v in a : d e sti- (1964) 1


n ia m o q u e s ta se c o n d a g io rn a ta d e l n o s tro ritiro p e r m e d ita rlo , p e r p ia n ­
g erlo , p e r d e te sta rlo . U n n u m e r o sen za n u m e r o m e d ita , e p ia n g e il p e c ca to .
N o n p a rlo d i q u e lla tu r b a d i p e r d u ti c h e p ia n g o n o n e ll’a lt ro m o n d o e te r­
n ità . I n q u e s to m o n d o n o n c’è casa ove n o n si m e d iti, e si g e m a sul p e c c a to
c o n q u e s ta

d iffe re n z a c h e c h i Io p ia n g e p e r p e n tim e n to , c h i lo p ia n g e p e r d isp e ra - (1966) 2


z io n e n e ’ ca stig h i. Io vi c h ia m o a d u n q u e fra te lli m ie i a m e d ita re c o n m e in
q u e s to g io rn o la p iù te rrib ile , la p iù fatale d e lle c a d u te , q u a l’è q u e lla di u n
E clesiástico in p e c c a to : a tre p u n t i, io r id u r r ò la p re se n te m e d ita z io n e , c io è

il p e c c a to d el S a c e rd o te è g ra n d e , è s o m m o , il m a ssim o d e ’ m a li p r im ie - (1965)
à o è 1. p e r l ’in g ra titu d in e , e p e rfid ia c h e co n -

2 Con una nota l'originale rimanda alla pagina a fronte.


3 II testo rimanda alla, pagina a fronte.
4 II testo barrato continua: Debbo però ricordarmi che egli è questo un affare tutto mio,
e che nessun altro vi pensa per me. Che mi fu affidato per una volta sola, e che perciò
andato a male non si ripara più in fine. Infine poi mi fu limitato, determinato il tempo per
ben riuscirlo, e che passato non ritorna più: fu questo il soggetto, il termine dell'ultima
nostra meditazione.
5 Con una nota l ’originale rimanda alla pagina a fronte.

261
Esercizi Spirituali al Clero ^ Meditazioni

tiene verso ii Signore Dro6, ma felice 2. per lo spoglio sfregio fatale clic fa
d d arreca al misero Sacerdote, come l’abisso de’ mali, Ìn cui lo sprofonda.

(1966)2 Questo giorno è chiamato negli esercizi giorno di dolore, e di compun­


zione perché destinato a destino piangere, e riparare le nostre colpe, perciò
entriamovi con sentimenti di pentimento, e di confusione: diciamo col
penitente Agostino: qua fronte attollam ad te oculos tam bonum patrem
ego tam malus filius: ma volgete o Signore uno sguardo di misericordia
ad un cuore che avete sopportato sì a lungo peccatore. Da misericordiam
Domine poenitenti qui tamdiu pepercisti peccatori7.

(1965) Ah! voglia Iddio benedire le mie parole, ed ispirare in quest’oggi a tutti
noi un orror tale alla colpa sicché possa dirsi una volta finita tra noi, ed

ciamo una grande parola, una parola che rallegri tutto il paradiso, una
parola che faccia sbalordire tutto l’inferno, una parola... e sia questa: pec­
cati mai piti­
che cosa è il peccato; se io facessi questa dimanda ad un Angelo, ad
un beato del Cielo, se fosse possibile resterebbe sbalordito e morrebbe di
dolore al rimbombo di questa parola peccato. Se la facessi ad un dannato,
mi risponderebbe con urli e grida da disperato. Se la indirizzassi ad un
anima buona nel mondo, tremerebbe per la paura e spavento; se mi rivol­
gessi a certi Eclesiastici che vi sono nel mondo, che sarebbe di costoro,
e quale sensazione e risposta potrei attendermi, Dio non voglia che mi
risponda con riso, e con burla, se non altro sono certo che non lascierebe
conoscere tanta apprensione, ed affanno. Ma veniamo a noi Sacerdoti che
facciamo gli Esercizi, che ne pensiamo del peccato9?

(1966) 2 ComincianTO Che cosa è il pedcato? Considerandolo nel primario suo


effetto, anzi nella formale sua sostanza, il peccato è un allontanamento,

6 Seguono alcune righe barrate di cui si riesce a capire solo qualche parola qua e là.
7 Con una nota il Cafasso rimanda alla pagina a fronte.
8 Segue una riga cancellata quasi totalmente incomprensìbile.
9 Forse a questo punto va inserito il seguente testo barrato, di cui risulta difficile stabilire
un’altra collocazione: Che un Sacerdote viva bene, nessuno fa meraviglia, perche' è suo
dovere ed è per questo: fate che cada, che pecchi ma non cosi quando pecchi; tutti fanneri
meravigliati ed hanno di che dire perché il disordine è tale che ognuno lo conosce: guar­
date il sole: egli illumina da mattino a sera, e con che tempo, con che ordine, e con che

262
Giorno Secondo - M editazione Prim a ■- Sopra il peccato d i un sacerdote

una divisione, una separazione tra Dio e l’uomo. Peccatum est recessus.
est aversio a Deo. Basterebbe ciò solo per far vedere l’eccesso, che egli è,
l’abisso de’ mali che Esso contiene. Un figliò, che la rompa, e si separi del
padre, ohimè che giorno! una bassa persona del popolo, che la rompa con
un gran Signore, un suddito che se la prenda col suo Sovrano, lo lasci,
gli si ribelli, si giurino guerra a vicenda, inimicizia, ahi che funeste conse­
guenze, che partite disperate. Dite adesso d’un uomo, d’un cristiano, d’un
Sacerdote che lascia, la rompe con Dio, si erge tra loro due un muro di
divisione, sono separati, sono sciolti, sono avversi10:

non parlate più a questo Sacerdote del suo Dio che lo spaventa: non (1965)
ricordate al Signore cotesto Sacerdote, che più non lo conosce, l’hanno
rotta, si fuggono, come due nemici:

fa proprio ribrezzo andar più in là. Ma prendiamo la definizione più (1966) 2


comune: che cosa è il peccato? Una parola, un azione nostra, un desiderio
che si oppone alla legge eterna di Dio. Vuol dire adunque che chi pecca
infrange, e fa contro gli eterni ed immutabili decreti di Dio; vuol dire
che l’uomo peccando disubbidisce non già ad un grande, un potente del
mondo, ma a Dio, a lui si ribella, e cerca di scuotere il suo giogo. Io non
voglio fermarmi a farvi rilevare l’eccesso della malizia, temerità, e perfidia,
che contiene un tal passo del peccatore; noterò solo di passaggio col Dottor
S. Bernardo: e come mai un pugno di polvere vile osa irritare una Maestà si
terribile, qual’è un Dio: tam terribilem Maiestatem audet pulviculus irri­
tare11. Che se tutto questo mondo scompare, e diventa come un niente, al
dire d’Isaia, posto al confronto d’un Dio omnes gentes quasi non sint. sic
sunt coram eo12. che sarà d’un uomo solo quando si metta in confronto

forza, non è una meraviglia? eppur nessun si stupisce perché è dover suo ed è fatto per
illuminare; fate che questo sole anche una sol volta, e per un momento s’eclissi, ohimè che
fracasso voci, che confusione, che disordine generale: eccovi fratelli un idea di quello che
siamo noi tra gii uomini: siamo come tanti soli, vos estis lux mundi, lo disse il Reden tore,
finché illuminiamo, sia pur una gran cosa, quasi nessun vi bada, ma se facciam tanto
d’eclissarci un tantino per il peccato, vedrete ia confusione, le dicerie, ed il rumore del
mondo, € hi può più di tuui eu., pag.6. Perfino la Religione, il Medesimo Signore si può
dire che ne va di mezzo: heu fratres etc. Pag. 5.
10 Forse vanno inserite qui due righe scritte nella pagina a fronte, per le quali è difficile
trovare una collocazione più adeguata. Così noifacciamo.
11 Citazione da S. A l f o n s o M. d e ’ L i g u o r i , Sermoni, cit., p. 7 7 .
11 Is 40,17.

263
Esercizi Spirituali al Clero " Meditazioni

con Dio: Un Dio? un Dio che comanda al mare, ed il mare l’ascolta, si


presenta alle tempeste, ed esse s’acchetano: un Dio che tiene pronti gli ele­
menti tutti a fare i suoi ordini: ignis, grando. nix, alacies, spiritus procel-
larum... faciunt verbum eius13. Un Dio, che con un’occhiata fa traballare
la terra: qui respicit terram et facit eam tremere14: che tocca un tantino i
monti, e danno in fumo come ardenti fornaci: qui tangit montes, et fumi-
gant15; ebbene questo Dio istesso comanda all’uomo, e l’uomo temerario,
arrogante si rifiuta, ricusa d’ubbidirlo: oh! Cieli! che vista, che spettacolo!
Iddio vuole una cosa, l’uomo ne vuole un’altra; Iddio impone un precetto,
e l’uomo non vuol conoscerlo. Iddio proibisce un azione, l’uomo vuol
farla, in sostanza Dio e l’uomo, l’uomo e Dio come in guerra, a conten-
dere, a disputare. Ah! miserabile vii verme di terra e come? un po’ di fango
un sacco di miserie, un niente voler resistere, voler far fronte, pretendere,
ostinarsi a giocare di capo con Dio?
Il punto però più grave, più sensibile, più doloroso nel peccato di un
Eclesiástico ella è l’ingratitudine. Ah! quanto è acerba, profonda, e stra­
ziante una ingiuria, puntura, una puntura

(1968) 3 quando parte da persona amica, beneficata intima e carezzata: chi è il


Sacerdote? guardate fra tanti personaggi vi sono al mondo Egli è il più alto,
il più grande, il solo il primo privilegiato. Enumera honores, dignitatcs,
omnium apex est sacerdos. I titoli, i poteri, gli uffizi tutto ci fa conoscere
nell’Eclesiastico non un uomo, ma un Dio. Imaginiamo che questo Dio
terreno rovini e cada in peccato. Ah! un Eclesiástico peccatore! non più
l’uomo contro Dio, Dio contro l’uomo, ma Sacerdote contro Sacerdote,
il Ministro contro il suo Signore, il Rappresentante contro il suo padrone
Sovrano: oh che caduta, che momento, che danni, che dolore. S. Teresa
in occasione che si stava preparando per una Confessione generale, ai
piedi del Crocefisso, nel fissare quel cuore e quella faccia divina, che aveva
offeso, sebben si creda non sia stato mortalmente tuttavia fu presa da tanto
rammarico e pentimento che si diede a gridare: Quid feci. Quid feci e
svenne per un po’ di tempo: or che dovrà dire, che dovrà pensare un Sacer­
dote quando si fermi un tantino ai piedi di questo Dio a meditare il suo
peccato: ah! Eclesiástico fratei mio permettimi che io esamini qui tra noi
un peccato di un nostro pari: tu hai offeso il Signore, purtroppo in quel-

13 Sai 148,8.
14 Sai 103,32.
15 Sai 103,32.

264
Giorno Secondo - M editazione Prim a ~ Sopra il peccato d i un sacerdote

l’anno, in quel luogo, in quell’ora, la coscienza lo dice, ho peccato: Quid


fecisti? hai pensato dove sei giunto col tuo peccato? tu hai offeso quel Dio,
che avevi preso a servire, tu hai offeso quelle braccia quel Signor che ti
strinsero al petto nella sacra ordinazione, tu hai offeso quegli occhi che ti
cercavano quel padre che ti cercò tra la plebe per alzarti tant’alto, ma sopra
tutto tu hai offeso quel cuore che ti amò cotanto, quel cuore che ti porta
con sè e ti guarda come la pupilla dell’occhio suo, si tu l’hai offeso grave­
mente, l’hal offeso ad occhi aperti, l’hai offeso più volte: ah! caro, perdona,
ma Dio non meritava, non aspettava questi torti da te16.

Dilectus meus in domo mea fecit scelera multa17: fermiamoci un (1967)


momento alla voce di un padre oh! il bel tratto di un cuor buono, pietoso,
ed amante; invece di castigare, come potrebbe, minacciare, gridare, questo
Dio si contenta di far sentire il suo dolore, di far conoscere la spina, che
lo punge: un mio carorun mio diletto e voleva dire, io sono offeso, sono
addolorato, e se vi par troppo il mio dolore, ve ne dirò la ragione: egli è
un amico, un mio diletto che mi ha offeso, è un mio Sacerdote, un mio
rappresentante, un mio Ministro: e sapete come? e sapete dove? nella stessa
mia casa al mio altare, ne’ tribunali di penitenza, colle mie divise in dosso,
col mio carattere in fronte, ciò non fu bastante a fermarlo, mi strapazzò,
mi offese, e non solo una volta d’azzardo, e quasi per forza, ma ad occhi
aperti ripetutamente e senza riguardo alcuno: dilectus meus in domo mea
fecit scelera multa18.

E che dire, che rispondere, fratelli miei, a questi lamenti, a questi gemiti (1968) 3
d’un Dio, d’un padre, d’un amante ferito, commosso, ed offeso19.

Un figlio sia pur spensierato, ed ingrato, ma se un padre, una madre (1967)


offeso, ingiuriato, gli si presenta per dirgli: figlio mi conosci, io sono tuo

16 Con una nota l ’originale rimanda alla pagina afronte.


17 Ger 11,15.
13 II testo continua con le seguenti righe barrate: E che dire oltre etc. Si inimicus meus
maiedixisset mihi sustinuissem utique [Sai 54,13], ma che un figlio, un confidente, un
famigliare, e quasi un altro me stesso si volti contro, m'offenda: filios enutrivi, et esaltavi,
e a chi mai più di noi possono adattarsi cotesti rimproveri, nutriti in tante maniere e per
tanto tempo, studi grazie, Sacramenti, ed esaltati fino ad esser come tante deità in terra:
filios enutrivi et exaltavi. ipsi autem spreverunt me [/ì 1,2]. E che dire etc,
19 Con una nota l'originale rimanda alla pagina a fronte.

265
Esercizi Spirituali al Clero - Meditazioni

padre, e perché o figlio m’offendi, mi tratti in quel modo, e te la prendi


con me: non mi conosci',-hai dimmi o caro che cosa avresti a lagnarti di
me, e che cosa vorresti da~me potrei ancor fare per te! non può a meno che
intenerirsi anche un cuor ostinato? e noi che diremo alla voce, al dolore del
migliore di tutti i padri: ah Dio mio: ho peccato, lo dico di cuore, lo dirò
sempre, lo dirò dappertutto, ho peccato, ho fatto un gran peccato: peccavi
Domine: peccavi20 lo disse un Davidde, e fu perdonato, peccavi lo disse
un Appostolo e si perde21. Che sarà, o Signore, di me? che sarà di cotesto
ingrato, e sconoscente, che un dì vi offese: eh! potessi ancor io in questi
giorni sentirmi dire da un uomo del Signore: dominus transtulit peccatum
tuum22. Oh che termine eh che dolce parola, che consolazione, che impe­
gno, per me a non offendervi più.

(1968)3 Ma chi sarà stato tra noi così ingrato, così sconoscente, così vile da arri­
var a quel canto? meritarsi quei rimproveri? chi sarà? Il profeta Natan allor­
ché per parte del Signore si presentò a Davidde, come voi sapete, per rim­
proverargli il suo peccato, si fece strada co*la parabola di quel ricco ingrato,
e sconoscente che favorito dal Signore di molte pecore e bestiame, capi­
tandogli un bisogno per risparmiare le proprie s’avventò sopra un povero
uomo per torgli una sol pecorella quella sola che formava tutta la sua
sostanza, ed aveva tutto il suo amore. Il Re ad un racconto così doloroso,
e commovente si sentì ardere di sdegno contro quel crudele, e stava decre­
tando la sentenza, quando il profeta, ferma Maestà, le disse, tu sei quel
tale, tu sei quell’ingrato, tu sei quel crudele tu es ille Vir23: Dio t’ha cavato
dal pascolo e dal fango, Dio t’ha liberato dalle mani di Saule, t’ha unto Re
d’Israele, ti ha fatto padrone della casa del tuo Signore, e se tutto questo è
poco, è pronto a dartene ancor più: si parva sunt ista. adiiciam tibi multo
maiora: e perché adunque l’hai offeso, con disprezzare la sua parola; Quare
ergo contempsisti verbum Domini, ut faceres malem in conspectu meo. 2
Reg. 1224. Figuriamoci che si presentasse anche noi un personaggio grave,
e dignitoso e che con voce accento parte commosso ed affettuoso adirato
si facesse a dirci: lo crederesti, o caro? Senti: caso fatale25.

m 2 Sani 12,13. .
21 Evidente l'allusione a Giuda Iscariota (cfr. M tT ] ,•4).
22 2 Sani 12,13.
. 13 2 Sani 12,7-8.
24 2 Sam 12,9,
35 II testo continua con le seguenti righe cancellate: un Cale che era un niente, povero,
ramingo: menava una vita infelice, perseguitato ancora or da questo or da quello: vi fu

266
Giorno Secondo * M editazione Prima ^ Sopra i l peccato d i un sacerdote

Un sovrano per un tratto di bontà, ed grandezza amore di cui non v’ha 'I''t'7)
esempio, mandò a ricercare un certo tra la plebe, negletto e qua.si scono­
sciuto: per incredibile grandezza d’animo lo volle con se a palazzo, lo arri­
chì lo esaltò, lo ricolmò di tutti gli onori, e poteri da confidare nelle sue
mani tutte le cose sue non men eccettuato se stesso con ordini, e minacce
al suo popolo: guai chi lo toccava, guai a chi l’avesse sprezzato, e guai anché
a solo chi non l’avesse ubbidito. Cotesto ingrato etc.

Cotesto ingrato, cotesto sconoscente invece di sapergliene bene, si voltò (1968) 3


contro il suo benefattore e dimentico d’ogni cosa lo offese, lo ingiuriò, lo
oltraggiò ne fece ogni strapazzo. Chi di noi fratelli miei, io dimando ad un
racconto patetico di questo fatto non si sentirebbe se non altro un affetto
di compassione verso quell’uomo tradito, ma molto più un senso accesso
di bile, di irritazione, di aversione verso un mostro d’ingratitudine, di viltà,
e di perfidia.

Ebbene imaginiamoci che mentre ci stessimo adirando con quel tale, e (1970) 4
pensassimo per niente a noi, fermati, ci dicesse, perdona, non prendertela
con altri poiché sei tu: tu es ille vir sei proprio tu o Eclesiástico, quell’in-
grato :

t u c h e h a i q u e ll’im p ie g o , t u sei in q u e l lu o g o , t u p o r ti q u e i tito li, t u (1969)


ch e g o d i p u r e ta n ta stim a , t u c h e passi p e r d o tto , p e r e sp e rto , e d a n c h e p e r
v irtu o s o , sì, t u sei queU ’in g ra to :

ed ascolta bene quello che ti dice il Signore: io t’ho cavato dal fango, (1970) 4
lo sai, e ti ho elevato tant’alto, t’ho fornito di mezzi, di comodi, di onori,
ognun lo vede, e se tutto questo è poco, dimanda, fa sentire quello che
desideri adiiciam tibi multo majora, e perché adunque rivoltarti contro di
me, ed oltraggiarmi: quare contempsisti verbum domini, ut facies malem
in cospectu meo? Ouare dì la ragione, parla, almen sappia il perché? ah!
mio Dio, giacché il volete io parlo, ma non parlo già per difendermi, ma

chi lo prese ili grazia, e favore, lo sollevò lo arridi!, lo fece grande nel mondo e perché
nessuno osasse offenderlo e toccarlo, si valse della sua autorità, anzi si prese egli stesso a
guardarlo. Ma lo crederesti?
Questo testo è sostituito da un altro scrìtto nella pagina a fronte.
26 Potrebbe essere questo il luogo in cui inserire due righe scritte nella pagina a fronte.

267
Esercizi Spirituali al Clero - Meditazioni

parlo, o piuttosto piangerò per dirvi, per ripetervi che ho peccato. Lo so,
e mi sta inchiodato come una spina in cuore quel giorno disgraziato, in
cui vi ho offeso, in cui ho cominciato ad offendervi: ah!... potessi mio
Dio cancellare col mio dolore quei giorni infelici di mia vita, ah! quanto
sarei contento se potessi disfar quel giorno fatale di vostra offesa, e di mia
rovina: pereat dies, dirò con più ragione che Giobbe, si perisca quel giorno
infausto, la luce si s’asconda la luce, né abbi a contarsi nel novero degli
anni: pereat dies... dies ille vertatur in tenebrisi non computetur in diebus
anni, nec numeretur in mensibus27. Ma nò o Signore, ho peccato, ed è
giusto che lo sappia, me ne ricordi, lo lamenti, e lo pianga, e finché avrò
vita, finché avrò voce dirò sempre che ho peccato, ho fatto un gran pec­
cato. Condotto S. Policarpo etc. Pag. sec.28

(1972) Condotto S. Policarpo dalla sua Chiesa di Smirne a Roma, e fatto


entrare nelFAnfiteatro, il Tiranno gli propose di maledire il suo Redentore
Gesù Cristo. Inorridì il Santo a tale proposta, ed alzati gli occhi al Cielo

27 Gb 3,3.6.
28 L’originale continua con il seguente testo cancellato: Cresce ancor più la nostra ingra­
titudine, la nostra sconoscenza per le circostanze, che accompagnano il nostro peccato:
figuriamoci una persona che dopo d’aver beneficato un tale in tante, e tante maniere,
venisse ancor al punto di concepirne tanto credito, e confidenza, che gli affidasse tutti
i suoi interessi, anche i più secreti, i più delicati, i più importanti anzi si assoggettasse
egli stesso a lui come per dipendere a’ suoi cenni, a suoi comandi. Che direste, se costui
abusandosi de’ favori, e della confidenza del suo Benefattore, rovesciasse tutti i disegni,
volgesse a suo danno, e disdoro ciò che doveva essergli di utile, e vantaggio; di più che
per effettuare un sì nero tratto di perfidia, si servisse del nome, ed autorità dello stesso
suo benefattore, ed i favori stessi ne facesse tanti mezzi, e strumenti per offenderlo, per
tradirlo: ecco il caso nostro, fratelli miei, è doloroso, è umiliante il dirlo, ma la è così.
Iddio non solo ci beneficò, e ci favorì in maniera straordinaria, e quasi incredibile, ma
dopo d’averci così cumulati di grazie, doni, e favori affidò a noi, alle nostre mani quanto
aveva di più caro, e di più grande, di più importante. Creò un’anima, la riscattò coi suo
sangue, e poi la diede mila quanta la redense e l’affidò alle nostre mani; per salvarla.
Fondò una chiesa sua diletta, e ne affidò la costruzione e la consegnò all’Eclesiastico, a
noi commise il suo onore, la sua gloria, a noi le chiavi della stessa sua Regia, che più? si
pose egli stesso in nostra balia, e noi che facciamo? ah!... Dio mio che rovescio di cose...
noi invece peccando ci approfittiamo della nostra posizione per tradire le sue speranze,
per sconvolgere i suoi interessi: siamo posti per guidar le anime, per correggerle, e noi col
nostro peccato le diamo occasione di ruma; ci tocca per dovere di stato cercare, proccurare
la gloria del nostro Signore, e noi invece la oscuriamo; siamo in debito di combattere, di
diminuire il peccato, e noi l’aizziamo, l’aumentiamo; posti a radunar gente pel Cielo, e
noi piuttosto coi nostri peccati li allontaniamo: e tutto ciò si fa dal Sacerdote tante volte, e

268
Giorno Secondo ^ M editazione Prim a -■Sopra il peccato d i un sacerdote

sospirando rispose: sono ottantasei anni che servo al mio Dio, Egli mi ha
fatto alcun male, anzi mi ha sempre compartito grazie e favori, e possibile
che io abbia il coraggio di maledirlo: tale è il sentimento che dovrebbe
svegliarsi, tale la risposta, che dovrebbe dare ogni Eclesiástico in un peri­
colo di peccare: è tanto tempo che sono al mondo, da tanti anni che sono
Sacerdote, Dio m’ha sempre fatto doni, e favori, di più ho promesso, ho
giurato di servirlo, e come adesso avrò coraggio a lasciarlo, ad offenderlo,
a maledirlo col mio peccato! Cotesta risposta la diede il Santo al cospetto
de’ tormenti, e della morte: cotesta risposta la sanno dare tanti poveri laici
ne pericoli molto meno favoriti di noi, e noi Sacerdoti, noi Ministri del
Signore staremo indietro, avremo paura e non sapremo sbrogliarci d’un
pericolo, d’una tentazione. Una Susanna scelse, si dispose a morire piutto­
sto che peccare: un Giuseppe s’assoggetò ad una calunnia la più infame,
alla prigionia piuttosto che offender Iddio, un Paolo sfidava ogni creatura

per lo più co’ quei mezzi stessi, che Dio gli diede per tutto altro fine: si serve del comodo,
che gli da il Ministero, dell’ascendente del suo Carattere, de’ lumi, della coltura che ha
avuto per offendere Iddio, per rovesciare que’ disegni che lo stesso Signore aveva formato
di lui, e della sua Vocazione: ah! che ingiuria, che ingratitudine, e

che perfidia ogni qualvolta un Eclesiástico sta per offendere Dio, mi pare che questo (1972) 5
Signore debba andargli all’incontro, e gettandosigli al colio debba fargli quel lamento,
che già fece all’Apostolo traditore: amice ad quid venisti [M t 26,50], Ah Sacerdote mio
caro dimmi, a che pensi, che vuoi, che mediti di fare: ad quid venisti: dì, e parla, sono
pur tuo Signore, amico tuo, dimmi adunque: a che fine in quella casa, in quel luogo, con
quella persona: perché quell’ozio, quella vita, quell’abito, perché la Messa in quel modo,
in quello stato: amice ad quid venisti almen sappi che è un amico che ti parla, ti dimanda,
un amico che ti che ri ama, e non vorrebbe separarsi, un amico che ti scusa, perciò t’av­
visa a pensar quel che fai: senti adunque, e rispondi: amice ad quid venisti cosi ci dice
il Signore da quella croce, cosi ci parla da quel Tabernacolo, e così ci parla con queste
divise stesse, che indossiamo; e ce lo dice non già solo una volta ma sempre, e tanto più
in quel punto istesso che lo offendiamo; altra circostanza che rende ancor piìr grave la
nostra ingt'aüm dine: che un amico offenda un altro si può dare; ma che un amico abbi
tanto coraggio in quel punto istesso che l’altro benché oltraggiato pure si umilia, e prega,
e cerca di quietarlo pronta a ricevere il colpo, l’ingiuria purché lo guadagni, non lo perda,
è quello che non si sa né spiegare, né intendere: eppure è il caso nostro, e più per noi che
per gli altri, poiché sia pur vero si possa intendere per tutti, ma è vero altressì che usci
una volta sola dalla bocca di questo divin Redentore, e fu diretto ad un Appostolo, ad un
Sacerdote peccatore. Ah! Sacerdoti fratelli miei quanta forza avrebbero cotesti riflessi sul
nostro cuore, e quanto freno per non peccare quando si meditassero da noi; ma il male
sta che anche tra noi, anche tra gli Eclesiastici pochi sono quei che pensino seriamente, e
di qui pur troppo anche i nostri disordini.

269
Esercizi Spirituali al Clero * Meditazioni

di questo mondo a cimentarsi con lui per. farlo peccare, e noi fratelli miei
come la pensiamo? ah! caro mio Dio tegliate quest'onta nel vostro Santua­
rio, e date a me, date ad ogni Sacerdote una fermezza tale che non abbia
a venir meno a qualunque cimento; questa sì o fratelli sarebbe la nostra
gloria, la gloria del nostro Dio, la gloria della nostra Religione29,

(1971) di modo ché al vederci chiunque potesse dire: guardate là un Sacerdote.


Lo conoscete? quegli è un Eclesiástico che a questo mondo teme, paventa
nient’altro il peccato; le capiti pure qualunque disgrazia, sa darsi pace, ed
è sempre lo stesso, ma guai che si parli di colpa, gli si presenti qualche
pericolo, è irremovibile, non conosce più né quiete né pace. In un crocchio
di secolari si parlava di certi preti, e si dimandava di che colore essi fossero.
Un certo non so se per difesa o per ischerzo, si fece a dire, da quanto sento
sono di quei preti che l’hanno sempre, e solo col peccato; che si viva bene,
che non si faccian peccati, e poi sì che loro importa e statuto, od altro30;
come voi vedete, questo fù il più bel elogio che potesse farsi d’un prete,
e volesse Iddio che si potesse dite di tutti. L’altro detto Guai a peccati, e
peccatori se tutti i preti fossero tali.

(1972) 5 Facciam di tutto per arrivarvi in questi giorni, E se non ci basta il pen­
siero della nostra ingratitudine, della nostra sconoscenza, ci smuova un
altro motivo31.

(1971) Non men forte, ma forse più sensibile ancora, qual’è il pensiero di
quella catastrofe orrenda che pur troppo accadde allorché l’Eclesiastico
precipita nella colpa e voglio dire la perdita che egli fa peccando de’ beni
più grandi, come de’ mali gravissimi in cui rovina. Per conoscere e valutare
la gravità di cotesta caduta sarebbe necessario etc. Pag. seg. N. 6 32.

(1974) 6 sarebbe necessario comprendere lo stato di grazia di un Sacerdote eh!


che tenero caro oggetto, che nome consolante e caro un Eclesiástico puro,
un Ecclesiastico santo un Eclesiástico in grazia del suo Signore33,

29 L’originale rimanda alla pagina a fronte.


30 Qui c’è una allusione alle discussioni politiche di quel perìodo.
31 II testo rimanda alla pagina afronte.
32 Una nota avverte che il lesto continua alla pagina successiva.
33 Questo testo sembra completato da alcune righe barrate scritte nella pagina afronte, il
cui ordine è stato ricostruito: Vedeste mai un tenero padre vicino ad un figlio suo diletto,

270
Giorno Secondo ~ M editazione Prim a - Sopra il peccato d i un sacerdote

che formi tutta la sua delizia, e tutto ii suo tesoro: oh con che occhio lo guarda, con che
dolcezza gli parla, con che finezze lo tratta: se voi ben lo osservate sono due in un cuore,
in un anima sola: indivisibili, concordi, uniformi di modo che non fanno che un cuor,
un anima sola: sono due felici perché ambedue tra loro contenti: applicate la cosa ad un
buon Sacerdote. Oculi domini super timentes eum [Sai 32,18] Iddio lo fissa, lo guarda, Io
contempla, lo solleva l’aiuta, l’accompagna, lo difende: cum ceciderit iustus non collide-
tur. quia supponit Dominus manutn suam [Sai 36,24]. Così in casa, fuori casa, vegliando,
dormendo, comunque, e sempre; sicché chi più felice, più contento, più sicuro di questo
buon Sacerdote.
Che delizia, che invidia pel paradiso vedere un Sacerdote che vestito delle due divise alza
gli occhi al Cielo, e fatto quasi padrone di quella Reggia chiama con una parola a venir in

Iddio Io guarda, lo mira, lo solleva, l’aiuta, l’accompagna lo difende in casa, fuori casa, con
Itti vegliando, dormendo, ovunque, e sempre, di m odo d ir ai veder uniti, compagni indivi' .
sibili, di modo che al veder un Eclesiástico che ne suoi costumi corrisponda all’altezza di
sua vocazione non so se possiate chiamarlo con più ragione un uomo divinizato, oppur un
Dio di nuovo umanato. iernerrrscnetc. Mi fa spavento etc.
Contemplatelo solo all’Altare questo buon Sacerdote col suo Sacramentato Signore
tra le mani. Ah che intimità, che unione che confidenza, che delizia che paradiso. Dio
buono: chi può capire chi può spiegare

questi momenti, questi i voli, i slanci, i trasporti, gli affetti di un buon Sacerdote. Ma (1975)
basti, non andiam più avanti, fate che entri il peccato.

iddio si compiace di quella lingua che lo chiama dal Cielo, gode di quelle mani che lo (1974) 6
trattano all’altare, si delizia di quel cuore che lo riceve ed alloggia: oh! che dolce sentire:
un Dio che è contento, e si compiace del suo Ministro, un Ministro che vuole, e cerca
di compiacere il suo Dio; sono due, ma si forma quasi un solo, perché un solo il cuore,
una sola la volontà: hanno gli stessi fini, le stesse mire, li stessi progetti: uno dal Cielo,
l’altro dalla terra lavorano d’accordo allo stesso scopo e per una causa comune. Si amano,
si sospirano a vicenda, finché venga quel dì che li unisca in Cielo, Giorno che ihpadn r ha

Il testo sembra continuare con un lungo brano barrato scrìtto nella.pagìna 1971: Io non
ho termini, o fratelli, mi mancano le parole per spiegarvi, e darvi un idea del disordine,
del danno, e delle funeste conseguenze che cagiona nel popolo il nostro peccato; Dio solo
è capace di misurare e trovar il termine di questa colpa: epperò fratelli miei quando nel
nostro Ministero ci si presentasse un nostro compagno peccatore, e deponesse a’ nostri
piedi il proprio peso, non ributtiamolo nò, anzi con quanto abbiamo di cuore, e di carità,
stringiamolo al nostro petto, e facendo quasi un solo tra due, preghiamo, e piangiamo per
la comune salvezza, perché non si perda un nostro confratello, ma non crediamo perciò
Esercizi Spirituali al Clero - Meditazioni

di poterla noi soli perciò ; te comprendere e con tutti i nostri lumi


di scienza anche eminente, .C A IO , tn iT - i C I c S iH 5 iI C C r ^ p c C C a r o T c i c U i C T I t

[parole incomprensibili], mi dica chi può il


iti che mi dica di lui, c con che nome

Sì che Dio, e Dio solo il ripeto la può conoscere, la Lomprendc. Egli solo misurarne i
tristi effetti, c le più funeste conseguenze: ed invero andiam alt’esperienza: fate che pecchi,
e si faccia reo di peccato un Sacerdote: ohimè? che sbalordimento nel mondo, che bisbi­
glio, che susurro, che dicerie, che tumulti. I buoni si cuoprono la faccia, arrossano per
vergogna, e sbalorditi non sanno che dire, piangono, e tacciono; i maligni al contrario
ne fan fes La, c trionfo quasi che avessero riportato una gran vittoria non cessano di fare
festa e trionfo, e perché? perché un Eclesiástico è caduto, il Sacerdote ha peccato. Che un
Eclesiástico etc. Pag. 2. n, 2

A questo punto seguono due pagine, di cui una a fronte, ampiamente barrate e parzial­
mente sostituite. Non siamo certi di riuscire a ricostruire perfettamente la successione dei testi
scritti e poi barrati, quindi parzialmente sostituiti. Ci sembra logico riprendere dall’inizio
della pagina 6 dell’originale, testo anch’esso barrato:

Il nostro peccato è un mostro tale che cuopre d’infamia, e d’ignominia non solo l’in­
felice che lo commette, ma perfino Christo stesso e la stessa sua Religione. Heu frates,
esclamava fin da suoi tempi Agostino, heu pati tur in nobis Christus. patitur in nobis
Catholica Religio. Lo stesso ripeteva Salviano. patitur in nobis Christus obbrobrium.
patitur lex Christiana detrimentum [S a l v ia n o , Degubematione Dei, XVII, 87, PL 53, c.
82]. Datemi infatti un Sacerdote che pecchi tanto pii) in certe materie più umilianti, fate
che si venga a sapere o solo a formar sospetto del suo peccato, e poi mettetelo all’esercizio
del Ministero; i buoni piangono, e si ritirano; i maligni ridono e burlano. Le sue Messe,
le sue prediche, le benedizioni, le esortazioni, i Sacramenti stessi che amministra, ogni
cosa insomma più sacrosanta trattata da quelle inani diviene, e si trasforma in un soggetto
di risa, di sarcasmi, e di vituperio: ed ecco proprio pel peccato del Sacerdote divenuto
Christo, e la sua Religione motivo oggetto d’ignominia e di maledizione: patitur in nobis
Christus opprobrium. patitur Catholica Religio.

Con una nota il testo barrato continua alla pagina afronte.

(1973) Ed è questo un danno tanto più fatale, in quanto è ben difficile vi si trovi rimedio
senza un concorso straordinario del Signore, tanta è la forza dell’esempio, e dello scan­
dalo del Sacerdote: mettete prediche, esortazioni ragionamenti, vi sien pure altri Sacerdoti,
buoni, edificanti, anche santi; sanno sempre dirvi per lo meno se non dicon peggio: se è
caduto il Sacerdote, che stupire che cada anch’io: dite e ridite hanno sempre una scusa,
ed un appoggio, e chi lavora nel Ministero, lo saprà, e andrà convinto di quanto dico:
perciò con ragione temeva, e piangeva, e seco lui invitava quanti altri poteva a lamentare,
a piangere la caduta, il peccato d’un Sacerdote, timeamus ad lapsum sacerdotum: grandis
dignitas, sed grandis ruina si peccent. Il discorso sembra continuare alla pagina 1975:

( 1975) Figuratevi un amico il più stretto il più intimo, il più confidente, che si possa avere al
mondo: un figlio tutto cuore per un tenero suo padre, e ne riceva le prove più affettuose,

272
Giorno Secondo - Meditazione Prima ~ Sopra il peccato di un sacerdote

Fate che pecchi, e che pecchi mortalmente un Eclesiástico, ohimè che (1974) 6

Io non so meglio descrivere lo stato orribile di cotesto infelice Sacerdote (1973)


che usando le parole che il grande Ambrogio già indirizzava ad un anima,
ad una Vergine peccatrice. Io mi rivolgo etc.

Lascio che parli in mia vece un gran Dottore della Chiesa S. Ambrogio (1974) 6
in caso che si avvicina al nostro. Una vergine

che si chiamava Susanna (1973)

dopo aver superata molti ostacoli per parte de’ suoi parenti era riuscita (1974) 6
di consacrarsi intieramente a Dio. Il Santo Vescovo le diede il sacro velo nel
solenne giorno di pasqua, la encomiò e la confermò in tale occasione con
un forte, e commovente discorso. Restò fuori di se il santo dottore quando
venne a sapere la perdita e la caduta di questa Vergine. La cosa viene rap­
portata nel suo libro De’ Lapsu Virginia, e fa totalmente per un Sacerdote
qualunque che venga a mancare tanto più in certe specie di peccati, perché
consacrato e di corpo, e di anima più che qualunque vergine a Dio. Un
cuore più addollorato, più oppresso, più trafitto non si può imaginare, né

e cordiali. Immaginatevi un Ministro che sia per cosi dire il tutto presso il suo Re. Imma­
gini ben deboli sono queste dì quello che sia un buon Sacerdote assieme, e innanzi al suo
Dio. Iddio se lo tiene stretto al cuore come l’oggetto più caro al suo amore da chiamarlo
perfino la sua delizia lo starvi in compagnia sua: protesta di guardarlo di custodirla con
tanta cura come la pupilla dell’occhio suo, nemmen un Cappello vuol che gli cada senza
il suo assenso, guai chi l’offende, lo tocca, lo tiene niente meno come se lo offendesse, lo
toccasse Egli stesso: oh! che stato, che vita felice da far invidia quasi al paradiso medesimo,
se mai Capita si trovi in angustie in pene, in bisogni vuole che a lui s’appelli: non solo li
dice d ’esser provato ad aiutarlo, ma pretende che vadi da lui, l’offende se mai ricorresse
ad altri e perciò le prometti l’assicura e perfin gli giuri che mai sarà negarli il suo aiuto,
qualunque sia il suo bisogno e la sua necessità; ed oh con che confidenza, con che slancio
un Sacerdote buono, in grazia si porta, e tratta con questo Dio: a piè di questa Croce,
davanti al Sacramento, aU’altare principalmente tu per tu prega, piange, geme, parla, certa
con questo buon Dio e si conforta si consola, si solleva, e con d ò alle volte in mezzo a’
cruci e travagli i più sensibili e pesanti, Egli è il uomo più felice, più contento di questo
mondo: Non è raro, o cari che tali sieno i sentimenti, la condotta, di questo buon Dio
coll’anima buona, e molto più d’un Sacerdote, tale la felicità dell’uomo giusto. Fate che a
quest’uomo di Dio, a questo uomo da paradiso s avvicini la colpa ed ei cada in peccato.
Ohimè etc,
34 Con una nota l'originale rimanda, alla pagina a fronte dove esiste il testo sostitutivo.

273
Esercizi Spirituali al Clero - Meditazioni

si possono trovare espressioni più forti, più dolorose. Dopo molti una serie
di gemiti e di lagnanze, finalmente si rivolge alla Vergine caduta, e con te
voglio parlare, le disse: ad te sermo sit. si con te che sei la causa del mio
dolore, l’origine di tanti mali; sì a te io parlo, che colla gloria del tuo can-
dore hai perduto perfino il nome; nò che non è più lecito nominar Susanna
Colei che non è più casta, e perché denominar un giglio che più non l’è:
nefas est Susannam vocari non castam: non licet lilium nominari. quod
non es35.

(1976) 7 Che motivo di umiliazione, di orrore, di angoscia, anche per un Eclesiá­


stico quando pensi a quel nome che lo innalza fino ai Cielo, e poi lo con­
fronti col peccato che lo sprofonda e l’imbratta nel fango; si tolga perfin il
nome giacché invano si appella chi più non l’è: nò, non licet lilium nomi­
nari. quod amplius non es.
E donde mai ho da cominciare parlando di te, continuava il Santo;
unde incipiam: ho da ricordarti in prima i beni, che perdesti, oppur da
piangere dapprima i mali, in cui cadesti: Bona commemorem. quae per-
didisti? an mala defleam quae rinvenisti? tu eri una Vergine nel paradiso
del Signore, tu eri un fiore dì Santa Chiesa, tu eri la sposa di Cristo; tu
eri il tempio del Dio vivente, tu il soggiorno e l’abitazione dello Spirito
Santo: eras virgo in paradiso dei eras sponsa Christi. eras eius templum
Dei, eras habitaculunt Spiritus Sancti: ma che vale ricordarti quello che eri
un giorno, se adesso non lo sei più: ah! che dolci, e che amare memorie!
io gemo, io sospiro, io piango ogni volta che mi tocca dir quello che eri,
perché penso che adesso non lo sei più: quam toties dico eras... toties ingc-
imisco quia non es quod fuisti. Ah! fratelli miei cari, che materia di medi­
tazione, che fonte anche per noi di consolanti, e di angosciosi pensieri.
Tu, sì tu, o Eclesiástico, eri un dì un giglio di paradiso, un fiore di Santa
Chiesa, tu eri una perla del Signore, la gioia del suo cuore, l’abitazione
del Santo suo Spirito: eras Virgo in Paradiso Dei eras templum Dei...
eras habitaculum Spiritus Sancti: ma che giova ripetere, che vale ricordare
anche per te quello che eri un giorno, se adesso non lo sei più. Ma come?
e non sei tu che un giorno innocente, semplice e contento candido e puro
camminavi come colomba nella Chiesa del Signore; non sei tu, che un
dì pel candor de’ tuoi costumi, pel decoro della tua dignità folgoreggiarvi

35 S. A m b r o g i o , De Lapsu Virginis consecratae, 6, 2, PL 16, c. 383-400.

274
Giorno Secondo " M editazione Prim a - Sopra il peccato d i un sacerdote

come oro, e parevi una stella raggiante nel Cielo del Signore: Incedebas
in Eclesia tamquam columba... fulgebas ut aurum... eras stella radians in
manu Domini: e come va si repentino cangiamento, e d’onde mai cotesta
subitanea mutazione: quae ista subitanea co nversio? Quae repentina muta-
tio? Ah! fratelli miei, ognun pensi per se, ciascuno ricordi quello che era
un giorno: in quei primi anni di chiericato, e di Sacerdozio, in quei giorni
di vita ritirata e divota, in quel tempo, che lavoravamo di cuore e con zelò
pel Signore allora quando facevamo una vita da veri Eclesiastici lontani dal
tumulto e dalle grinfie del mondo, fuori degli affari secolareschi, e mon­
dani; che modestia a quell’epoca, che ilarità, che giorni, che candore non
è vero: ebbene io dimando: dove mai andarono si bei tempi, come va che
sparirono que’ giorni troppo felici, e donde e qual la cagione di tanto diva­
rio?
Ah! che orrore, entra qui di nuovo il santo, e che cosa è mai quel che
veggo in te? sentiamo le tremende sue parole: tu sei divenuta, e vuoi che
tei dica? de Dei Virgine facta es corruptio Satanae, de Sponsa Christi scoi-
tum cxccrabile, de tempio Dei fanum immunditiae, de habitaculo Spiritus
Sancti tugurium diaboli. Possibile che il cuore di un Eclesiástico destinato,
preparato con tanta cultura per alloggiare il suo Signore, abbia da trasfor­
marsi in una fogna d’immondezza? Sarà vero che quel petto che doveva
essere come una reggia di Dio in terra sia per divenire un ricettacolo del
demonio, ah!... Sacerdote mio caro quae est ista, ripeterò, repentina muta-
tio? tu che eri come una gemma preziosa ora vilior factus es luto platea-
rum: tu che raggiavi come una stella, come va che lumen tuum extinctum
est, et conversus es in carbónem. Ecco fratelli miei, dove va a finire, in che
profondo s’immerge l’Ecfesiastico, che

devia nel suo stato, e pecca; ah! quanti anche fra noi di queste stelle un (1977) 8
dì raggianti sì, ma ora estinte e senza lume: buon per noi se ci fermassimo
a questo punto, ma nel pendio la persona non si arresta che al fondo: un
Eclesiástico che più non luce per la colpa, e pel peccato, si fa carbone,
e carbone che tinge, che macchia, meno male, ma carbone che fumiga,
che ammorba, lumen tuum extinctum est, et conversus es in Carbonem.
Finché il Sacerdote vive da Sacerdote, sta ritirato, prega, studia attende al
suo Ministero, e vive d’uno spirito proprio del suo stato, sia pur di poco
talento cotesto Sacerdote, qualunque sia il suo impiego, il suo luogo, la sua
condizione, è una stella che luce, che risplende, ritirato risplende lontano
lo stesso, ai buoni, ai cattivi luce per tutti, e luce che incanta che rimpro­
vera, che avvisa, che predica, che minaccia, che incalza, che alletta; luce

275
Esercìzi Spirituali al Clero - Meditazioni

che nessuno può impedire, nessuno la può. oscurare, nascondere, cè solo il


peccato che la estingue in un colpo: fate che cotesto Eclesiástico si metta
nel mondo, viva alla secolaresca, si mischi negli affari di terra, si dia ai
divertimenti, alle partite, eccolo cambiato: più vile alle volte, che il loto
stesso delle piazze: factus es vilior luto platearum, e perduta la sua luce
naturale, e divina, non gli resta più che un misto di fumo di terra e di fumo
da farne un carbone.
Povero il Santo dottore: aveva adoperata tanta fatica, e tanta pazienza
per la cultura di quella pianta, e ne aveva concepito le più grandi speranze,
quando in un colpo si trovò intieramente deluso. Se ne lamentava il Santo
colle più amare doglianze: heu me!... quia ubi putabam aedificare aurum,
lapides praetiosos, purtroppo inventus sum lignum et stipulam laborasse.
Invano ti ho messo sottocchio i tanti pregi della bella, purità, per niente
mi sforzai a renderti forte, e costante agli assalti del nemico: ho perduto il
tempo, or m’accorgo che faticai inutilmente: seminavi in spinis, seminavi
secus viam, seminavi in petrosa. Fratelli miei cari, chi sa quanti altri ad
esempio del Santo Dottore alzerebbero li stessi gemiti, e le stesse lagnanze
se potessero leggere nel nostro cuore, si potessero riandare i nostri anni
passati, chi sa quanti dico, che hanno avuto parte nella nostra carriera,
ne1 nostri studi, nella nostra educazione, parenti, superiori, amici, benefat­
tori, sarebbero costretti ad esclamare: ehu! me... ubi putabam aurum aedi­
ficare... inventus sum stipulam laborasse: ma io mi credeva in quel giovane,
in quel Sacerdote di allevare un nuovo Giuseppe per la purità, m’immagi­
nava di formate un novello Samuele occupato intieramente della casa del
Signore, sperava d’aver un altro Geremia, che pregasse per la salute del
suo popolo: putabam aedificare aurum invece ne sortì tutf altro, lavorai
al vento, e non mi trovai che stoppa: inventus sum stipulam laborasse un
Sacerdote accidioso, indolente, dissipato, mondano da essere più di danno,
e-disonore di onta, che di utile, e di decoro alla Chiesa del Signore: invano
tanto tempo, invano tante fatiche, invano tanti studi, diligenze ricerche,
invano tanti avvisi, consigli tutto andò a male, tutto restò inutile: seminavi
secum vi am, seminavi in spinis. Ognuno di noi entri in se stesso, e pensi se
nella sua vita, nella condotta che ha tenuto fin ora non abbia dato motivo
di tali lagnanze, e di si dolorosi rimproveri. Sulla nostra Vocazione, e dal
punto della nostra ordinazione si son fatti gran calcoli, e si sono concepite
grandi speranze: le concepì Iddio, le concepì la Chiesa, se l’aspettava il
mondo: pensiamo in questi giorni a che furono ridotte tutte queste aspet­
tazioni, in cui si viveva sul nostro conto. Quasi tutti abbiamo già passato la
maggior parte de’ nostri anni, per qualcuno può essere che non sia più lon-

276
G iam o Secondo - M editazione Prim a - Sopra il peccato d ì un sacerdote

tano il termine, sicché ciascuno un po più un po meno può render conto


a se stesso di cotesto esame così importante3*5.

Finalmente il tratto che segue del Santo dottore è quello che ci tocca (1978) 9
ancor più da vicino, e che io pongo per termini della nostra Meditazione.
Io vorrei sapere, proseguiva l’addolorato padre, se in quel momento che
cadesti non ti sia venuto in mente quel giorno solenne, in cui ti presentasti
aH’altare: non es memorata diei S. dominicae, quo divino Altari te obtulisti
velandam. Possibile che non ti sieno venute in mente quelle nozze, che
hai contratto col tuo Sposo Celeste avanti tanta adunanza di popolo, tra
la schiera di tante anime consecrare, e fra mezzo a tanti ceri, che risplende­
vano nella casa del Signore. Ah!... che mi sento superare dalle lacrime, mi
sento a lacerare il cuore da rimorsi quando vi penso: vincor lacrvmis. com-
pungor stimulis cum haec recordor. Vorrei piangere, eppure mi è forza par­
lare; dimmi non veniva in mente in quclPatto del tuo peccato quell’abito
da Vergine, che indossavi, quella sedia di distinzione che occupavi fra le
altre: dimmi: non ti sei ricordata di quei baci di pace che per divozione
riverenza ti chiedevano le materne divote, di quegli ossequi che a gara ti si
usavano: ah!.., che purtroppo hai dimenticato in un colpo ogni cosa, e sei
caduta: oblita es propositum... oblita es Eclesiam. oblita honorem dignita-
tis: dimenticasti perfino il Regno, che ti fu promesso, il giudizio terribile,
che ti sovrasta; oblita etiam promissionem regni, oblita iudicium terribile,
ed hai peccato: amplexa es corruptionem. Io non so se possano trovarsi
concetti più forti, ed insieme più adatti per noi, per un Eclesiástico, che
abbi peccato; e che dire, che rispondere quando ci venisse a dire: ah?
Sacerdote, tu hai peccato: e non ti sovviene in quel punto di quel giorno
solenne, in cui ti presentasti all’Altare per celebrare le tue nozze con questo
Signore: quanti compagni, ricordatene un momento, quante feste, quante
cerimonie, quanta ilarità in te, in quanti v’erano presenti: non ti venne in
mente quel seggio di distinzione preparato per te nella Chiesa, quel nome
quel titolo, con cui sei chiamato, sei venerato dal popolo: non es memora-

36 II testo continua con le seguenti righe cancellate: Che se qualcuno di noi sarà costretto
purtroppo a veder ne suoi anni passati quei motivi di dolore, e di angoscia, che affligge­
vano il Santo dottore si rammenti per maggior sua confusione, e pentimento la causa di
tanti mali, il motivo di tale caduta. Vae tihi. et iterum vae. e per che cosa? quia tanta
bona propter parvi temporis luxuriam perdidisti. Ah Eclesiástico che umiliazione, che
confusione per te quando pensi: tanto danno alla Religione, alla Chiesa, tanto disonore
al ceto Sacerdotale, tanto disdoro per te, e pei tuoi ministeri, tante perdite insomma, e
perché? per qual cosa? per un peccato, per un niente, propter parvi temporis luxuriam.

277
Esercizi Spirituali al Clero * Meditazioni

tus diei sanctae - quantus convenerit populus ad tul et domini nuptias.


Non è vero, dillo pur tu, non è vero che quell’abito stesso, che porti ti
doveva frenare, quelle divise che indossi, quelle riverenze che ricevi, quei
riguardi che godi, tutto doveva tenerti a freno: ma purtroppo anche noi
abbiamo dimenticato ogni cosa, abbiamo lasciato a parte, abito, e stato,
onore, e Chiesa, promesse e minacce, perciò anche noi siamo caduti,
anche noi amplexi sumus corruptionem, oblitus es proposìtum... oblitus es
Ecclesiam. oblitus honorem dignitatis, oblitus promissionem Regni, obli-
tus iudicium terribile: amplexi sumus corruptionem. Fratelli miei desti­
niamo questo giorno a meditar tra noi e noi nelle nostre camere, ai piedi
di questo Crocefisso i passi accennati del nostro peccato: l’ingratitudine
somma, di cui si cuopre un Sacerdote peccando, il profondo dell’umilia­
zione, in cui lo piomba il peso del suo peccato. Già sarebbe meglio, come
già diceva il Santo a quella infelice, che il Signore ci avesse presi prima di
peccare: può essere che qualche parente avrebbe pianto un po’ su noi, la
Chiesa che sperava qualche cosa ne1 nostri anni

(1980) lo forse avrebbe dato lamento sulla nostra perdita. Ma buon per noi
che saressimo morti innocenti; avressimo cosi lasciato intatta la gloria, il
decoro del nostro stato, vi sarebbe stato un giglio di più nella Chiesa, un
Sacerdote santo, intemerato; ed a che serve qualche anno di vita di più,
ed anche molti se dopo mi convenga morire coll'amara memoria di aver
peccato37

(1979) e lascio un onta di più al mondo, qual è un Sacerdote peccatore.

(1980) io Ora però il male è fatto; la prefata consolazione non è più per noi, pre­
ghiamola per quelli, che ci verranno dietro, a noi tocca piangere e gemere
deplorare il mal fatto. Ho peccato; è questo il pensiero che fa gemere tante
anime nel mondo: ho peccato, è questa la paura, e l’affanno di tanti, che
muoiono giornalmente. Ho peccato sarà questa l’eterna, ed amara memo­
ria del dannato alflnferno: noi siamo venuti qui ciascuno per conoscere,
per confessare, per piangere lo stesso sentimento: anch’io un giorno ho
peccato: e che fare, che risolvere a si dolorosa memoria? terminiamo pure
col nostro Santo dottore: grande scelus grandem necessariam habet sati-
sfactionem: abbandonarsi alla tristezza, alla malinconia, ed a che vale? dif-

37 L’originale rimanda ad una riga scritta nella pagina, a fronte.

278
Giorno Secondo ■- M editazione Prim a - Sopra il peccato di un sacerdote

fidar del perdono, fratelli nò: v è una voce che consola: nolo mortem pec-
catoris... haec dieta poenitentiam sapiunt... ad poenitentiam vocant pecca­
to res38: ah! che parola consolante per un cuor che geme, che sospira,
che lamenta d’aver peccato: Convertimini... nolo mortem peccatoris: a
questa voce, a cotesto invito si scossero già tanti Sacerdoti peccatori, pian­
sero il loro peccato; trovarono perdono, e si sono salvati, scuotiamoci
anche noi, fratelli miei, mentre abbiam tempo: noi Sacerdoti più che ogni
altro abbiamo tanti stimoli al pentimento nel nostro stato: ogni giorno ci
cadono sott’occhio nel Breviario molte massime di confidenza, e terrore:
frequentemente ci vengono ai piedi peccatori pentiti, che gemono, che
piangono stanchi del loro peccato: soventi sentiamo sul letto della morte
le pene, le angustie de’ peccatori: e che aspettare adunque, che tardare?
abbiam peccato, e questo peccato va pianto: non c’è mezzo: o piangerlo
presentemente con lacrime di pace e di consolazione in questi giorni, o
piangerlo poi co’ dolori della morte, nelle nostre ultime ore, oppur che ci
toccherà piangerlo disperati aH’Inferno: pentiamoci: x he~Bio ci preservi.
Non v’è mezzo, ripeto, e perché non ci capiti, Iddio dia a me, dia a voi
un orror tale alla colpa, che fin d’oggi, e soventi nel giorno e nella nostra
vita avvenire abbi a risuonare come una voce sola sulle nostre labbra, una
grande parola, una parola che rallegri tutto il paradiso, una parola che
faccia sbalordire tutto l’inferno, una parola in somma e sia questa: mai più
peccati, peccati, mai più.

38 Ez 33,11 .I n realtà la citazione viene dalla Liturgia, che ha ripreso il riferimento ad


Ezechiele.

27 9
Giorno Secondo (1981)
Meditazione Seconda
Sopra l’Eclesiastico in peccato

Orazione (1983)1

Mio Dio, io vi credo qui presente, ed adoro la vostra divina Maestà. Ho


peccato o Signore, e lo ripeterò sempre che ho fatto un gran peccato. Io
bacio mi umilio in questa sera quella mano, che mi percuote, e mi rassegno
a io accetto tutti que’ castighi che la vostra giustizia sarà per condannarmi,
ho peccato, ed è giusto che senta la pena del mio peccato. Fatemi la grazia,
o Signore, che io impari a temere la vostra collera, ma che tema ancor più
la cagione qual’è i ["peccato la Colpa. Cara mia Madre Maria, Voi che ¿
piedi della croce vedeste i castighi del peccato pregate per me, pregate per
un povero vostro figlio: Angelo mio Custode etc.

Esordio.

Il peccato di un Eclesiástico fù il soggetto dell'ultima nostra Meditazione


fu l'occupazione della nostra giornata. Noi vedemmo in quelFatto la
somma, e mostruosa ingratitudine, di cui si fa reo un nostro pari1,

la perdita immensa che egli faccia, come l’abisso di que mali, di quel- (^82)
l’ignominia etc. e l’abisso di quell’ignominia ed umiliazione ed awili-

* (fald. 45 ¡fase. 97; nell’originale 1981-2001)


1 Qui il Cafasso intende inserire due righe cancellate scritte nella pagina afronte: Questa
mattina abbiamo considerato il peccato di un Eclesiástico, questa sera mediteremo un
Eclesiástico in peccato. Questo testo viene sostituito da altre righe, nuovamente cancellate, dì
travagliatissima lettura. Restano però due righe non cancellate che riportiamo nel testo.

281
Esercizi Spirituali al Clero - Meditazioni

mento, in cui si sprofonda: questo però non può ancor essere il fine, il
termine... [alcuneparole di difficile lettura\ ora io dimando: che cosa sarà di
cotesto infelice Sacerdote? che cosa sarà in vita, che cosa sarà in morte, che
cosa sarà all’altro mondo2?

(1982) È impossibile che io possa d’un colpo solo rispondere a tre dimande,
quando una per una è capace di far inorridire, e tremare. Prendiamo in
questa sera a considerarlo ancor vivente tra noi; e sia questa la materia
della presente nostra Considerazione, la chiusa -di-questo secondo giorno,
il meditare cioè, pensare, conoscere chiaramente qual sia lo stato, la posi­
zione, la vita infelice di un Eclesiástico in peccato3 o per dirlo spiegarmi
in termini più chiari, che cosa abbia ad aspettarsi, che cosa abbia a temere
in questa vita un Sacerdote peccatore, e lo dirò in qualche parola ed ecco
il soggetto della presente nostra Meditazione. 10 lo sdegno e la collera del
Signore ne’ temporali castighi, 2 ° una vita travagliata, lacerata da mille
rimorsi, ed angustie, 3° finalmente il timore la minaccia pur troppo spa­
ventosa di finire in peccato terminare e terminar presto con una morte pari
alla vita la sua infelice carriera in questo mondo.

(1983) 1 Nel mondo si commettono tanti peccati: si dorme tranquillamente


nella colpa, perché non si pensa, non si bada alle conseguenze, e quello
che è peggio si sente ben soventi a qualificare per bagatelle, per debolezze
comuni, ordinarie certi peccati anche enormi, peccati, contro cui le sacre
pagine scagliano tanti vae. Ah! mio Dio, parlate voi al cuore di tanti mise-
rabili, tuonate voi alle loro orecchie, ma tuonate forte sicché si destino, vi
ascoltino, ed aprano una volta gli occhi su quel precipizio, in cui stanno
per cadere. E non vi sarà anche tra gli Eclesiastici chi parli, o almeno la
pensi in questo modo: cadrà in certi eccessi, in certi disordini, ne sente il
rimorso; invece di cercarne subito il perdono con un vero pentimento, si
sforza per darsela ad intendere: eh!... sarà male purtroppo non lo voglio
negare; ma alla fin fine sono un uomo come un altro, e non v’è a stupire
gran cosa se porto, e se cado nelle stesse miserie. Ah!... mio caro, io gli
direi, ah!... Caro Sacerdote, fratei mio, tu t’inganni di molto: se tu sei un
uomo come un altro non dovevi entrare in questo stato, perché sappi che
coteste divise non sono fatte per un uomo qualunque: non omnes capiunt

2 Qui di nuovo il Cafasso inserisce due righe scrìtte nella pagina a fronte.
3 Vengono ancora inserite alcune righe scritte nella pagina affante.

282
Giorno Secondo -- M editazione Seconda - Sopra l\'Eclesiástico in peccato

verbum istud4: e se tu non lo intendevi, non dovevi farti avanti, nessuno


t’ha chiamato, molto meno nessuno ti ha forzato: un Sacerdote deve avere
qualche cosa di più che gli altri: avrà le stesse miserie, e se volete anche
maggiori, ma deve avere più petto, più coraggio, più virtù per sostenersi,
per combatterle, e chi non si sente stia indietro; chi non è capace di condur
se stesso non si metta a farla da capitano agli altri; il soldato fiacco, e pau­
roso che stenta a combattere nelle ultime file non vada a porsi di primo­
petto al nemico. Noi frateBi mici ringraziamo il Signore perché ci abbia
dato e comodo, e lumi per conoscere, per detestare questo gran male, anzi
l’unico del mondo qual’è il peccato: preghiamolo in questa sera che ci apra
sempre più gli occhi tanto sulla colpa, quanto sulla persona d’mi Eclesiá­
stico in peccato: e faccia Iddio che temendo, e paventando la sorte infelice
di un Eclesiástico peccatore in vita, ci

riesca di scampare quella più terribile che l’attende in morte, ed all’eter­ (1984) 2
nità5.

4 M t 19,11.
5 Segue un lungo testo di quattro pagine, interamente cancellato, che noi riportiamo in
nota:

Dio l’Iia mai perdonata al peccato: Dio per lo più tace, soffre, pazienta, aspetta, ma (1984) 2
alla fin fine si fa sentire, epperciò molto meno non la perdonerà al pecca to.dell’Eclesia-
\
stico. Le Sacre Scritture parlano chiaro, e l’esperienza lo fa toccar con mano. Io non parlo
di castighi eterni, che qui non saiebbe al1tempo intendo di scorrere, accennare quelle
miserie, quei guai, quelle disgrazie d ’ogni genere, che o tardi o tosto suole attirare il pec­
cato sulla testa de’ peccatori, sulle case, sulle famiglie, sulla società, sul mondo; e per far­
cene una giusta idea prendiamo la norma dal primo peccato, che si commise, e dal primo
castigo, che si fulminò dalla divina Giustizia.
Noi tutti sappiamo, la ribellione, la guerra che un dì suscitò Lucifero in Cielo:
factum est proelium magnum in Coelo: conscendam et similis ero Altissimo [Ap 12,7; Is
14,13-14], osò pensare, ed ebbe tanto ardire di pretenderlo quel superbo; e non contento
di ribellarsi a Dio egli solo, cercò di avere al suo partito quanti più potè di quegli Spiriti
Angelici: ed ecco la gran forza del mal esempio: non genera trova la strada non solo tra
secolari, rozzi, ignoranti, ma agisce pur troppo, ed è capace di grandi rovine anche tra
persone dotte, virtuose, sacre, giacché ha potuto far strage perfin di Angeli: e non cre­
diamo che il mal esempio stia solo per le contrade, sulle piazze, entra nelle case, entra
nelle Chiese, entra nel Santuario, e non v’è a stupire poiché entrò perfino in Cielo. La
ribellione adunque è decisa, il peccato è fatto, alle prove, fratelli miei, che ne pensi Iddio:
figuriamoci di non aver ancor idea del peccato, è questo il primo che si commette, e
che compare a1 mondo, non si ha ancor esempio, non si sa che giudizio se ne formi,

283
Esercizi Spirituali al Clero ■-Meditazioni

(1987) Iddio l’ha mai perdonata, e non può perdonarla al peccato: pazienta,
dissimula, aspetta, ma finalmente si sveglia, e di tanto in tanto non può
a meno che lasciare travedere qualche lampo della sua divina giustizia. Io
non parlo di castighi eterni, che saranno il soggetto di altre future, e più

sono gli Angeli che lo commettono: ecco in poche parole lo stato della cosa: aperto il
Tribunale, instituito il giudizio, pronunciata la sentenza, esagitata ia pena. Via di là, fuori
dalla Gloria, lontani dal paradiso, giù nell’abisso per uscirvi mai più. La Sacra Scrittura
dopo d’averci annunziata l’insurrezione degli Angeli ribelli, conchiude con dire: che non
la poterono spuntare, che non si trovò più luogo per loro in paradiso, che vennero gii.tati
cacciati in quel pozzo dell’abisso: non valuerunt, neqùe locus inventus est eorum amplius
in Coelo... projectus est draco ille magnus. qui vocatur diabolus... et Angeli eius cum ilio
missi sunt [Ap 12,7-9]. Questa è ia prima traccia della divina giustizia, il primo esempio
sul peccato, e pel peccatore. Uopo è ben capirla. Tre cose io considero: chi sieno i parenti,
in quali circostanze, con che pena? e primieramente se vi fosse caso di dover usar qualche
riguardo trattandosi di castigar il peccato, sarebbe stato certamente quello degli Angeli,
sia pel numero, sia per la loro qualità; un numero spaventole, smisurato, e quasi infinito,
e noi sappiamo le sentenze de’ SS. Padri, e de’ Dottori su tale oggetto, eppur nemmen
uno risparmiato: creature fra quante erano già create, o stavano per crearsi le più grandi,
le più nobili, niente impedì che si eseguisse in sull’istante la pena nemmen un grado di
meno: si perde l’opera più bella della creazione, ma si doveva castigare l’opera più mal­
vagia, qual’era il peccato. Ili quali circostanze? sull’istante medesimo, che si commetteva
il peccato, senza previe minaccie, e senza esempio di castigo, per la prima volta che pec­
cavano: non si può negare che sieno circostanze tutte di momenti, e per cui par che un
colpevole possa meritare qualche riguardo, qualche compassione: eppure nò: il delitto è
tale da non lasciare luogo ad alcuna riserva: peccarono, e tanto basta, la sentenza è data,
non ammette appello, v è più né uomo, né angelo che la possa cambiare. E che pena
adunque pel primo peccato, per un pecato di un momento, per un peccato di pensiero?
eh?... nessun uomo di questo mondo se lo sarebbe potuto immaginare, perché nessun
uomo avrebbe potuto conoscere

(1986) 3 la malizia, la gravità del peccato. La pena fù la perdita di una gloria, che non si
potrebbe spiegare tra noi, la condanna a tormenti da finirla mai più; ed a compimento di
questo tremendo castigo, e per capire ben bene cotesta prima lezione osserviamo chi sia
stato il giudice di cotesta fatale sentenza: non fù già un uomo anche sapiente, buono, e
santo: fu un Dìo incapace per natura, e per essenza di prevenzione, di impeto, di vendetta,
di inganno, un Dio che essendo la stessa Giustizia è impossibile che castighi al di là del
demerito, anzi come la stessa Misericordia castiga sempre, al dir dell’Angelico, al di sotto
della colpa; un Dio che non vuole, ma desidera, e cerca la salvezza de’ peccatori; e che
forza, che violenza non dovrà aver fatto a se stesso questo buon Dio per fulminar questo
colpo, eppur il peccato glielo strappò di mano, la reità, l’enormità fu tale che la sua giu­
stizia lo volle: fratelli miei cari io vedo in questa tremenda verità molte conseguenze per
noi: primieramente non possiamo a meno che umiliarci, e confonderci paragonando i
nostri falli, le nostre cedute con quella degli Angeli; noi mancammo in tante maniere,
noi mancammo dopo tante promesse, noi mancammo dopo tante minacce, castighi, éd
esempi, e mancammo più volte, sicché peccati sopra peccati, e per giorni, e per mesi, e
Giorno Secondo - M editazione Seconda ^ Sopra l ’Eelesiastico in peccato

serie considerazioni; io voglio attenermi solo in questa sera a quella falange


sterminata di guai, di miserie d’ogni genere, e di temporali castighi, che

Dio non voglia anche per anni, inutili le promesse, inutili gli avvisi, inutili le minacce, i
castighi.

Con una nota il Cafasso intende inserire qui un testo di 13 righe scritte nella pagina a
fronte:

E se sia vero esaminiamolo qui tra noi; e riandiamo per un momento, benché ci costi (1985)
gli anni nostri passati. Ditemi, fratelli miei, che spavento quando ciascun di noi dovesse
mettere assieme i proprii peccati, chi sa forse a che numero saressimo costretti ad ascen­
dere c a fissarne-il ■immero: ognun lo fissi da se, e poi con questa gran lista alla mano,
guardi l’inferno e dica: ognuna di queste colpe, la prima meritava per se sola, un Inferno,
cosiché per castigare la seconda degnamente Iddio avrebbe dovuto crearne un secondo
all’istante, e così successivamente crearne tanti quanti furono i miei peccati; ma quello
che ancor più ci aggrava ah se all’Angeio dopo il primo peccato gli fosse stato minacciato
l’inferno al secondo, certo che non vi sarebbe caduto; a noi invece, e non è vero, o cari
quanti avvisi, e minacce per rimorsi, per letture, per prediche, per buoni esempi, e di tanti
altri che ci capitavano come fulmini senza saper noi né il perché, né come.

Io lascio pensare a voi se tute queste circostanze messe assieme, e considerate al lume, (1986) 3
ed allo specchio del peccato, e del castigo degli Angeli non ci rendano molto più rei,
molto più colpevoli di loro. Sentimenti di umiltà, di confusione per ciascuno di noi sia
questo il primo frutto di questa nostra considerazione, il primo passo die ci spinga al
pentimento, ed a gettarci nelle braccia di quella Misericordia, che ci ha sostenuto fin ora,
ecco [’altra conseguenza ben consolante per noi; se Iddio non ci ha puniti al primo pec-
cato, se ebbe tanta pazienza di soffrirci per tanto tempo, e dopo tante offese, cadute, e
ricadute Egli è evidente che ci vuol perdonare. Ah! fratelli miei non mandiamo a vuoto
sì belle speranze della nostra salute, e del nostro perdono, deh: sia mai vero che abbia ad
essere inutile per noi tanta misericordia del Signore. Se agli Angeli fosse stato accordato
un po’ di tempo, se Dio li avesse minacciati di castigarli, quando non si fossero pentiti, io
penso che nemmen uno si sarebbe rifiutato, nemmen uno avrebbe differito un momento
a conoscere, a detestare il proprio fello, ed eh! a quest’ora quante anime di più in paradiso,
quante lodi, quanti ringraziamenti a quella divina misericordia del Signore che li aveva
salvati, ma purtroppo questo tempo non l’ebbero, e l’avranno mai più: noi che l’abbiamo
saremo sì ciechi, sì pazzi, sì ostinati da non volerlo, da rifiutarlo, da non saperne che fare.
Possibile che un castigo si tremendo non ci spaventi; possibile che tanti maestri assieme
non sieno capaci di farci imparare una lezione di tanta importanza per noi: io non lo
voglio credere ma a buon conto ognun pensi al pericolo, che corre, a quel tanto, che si
espone, quando non metta senno a cotesto lampo, a cotesto tuono della divina giustizia.

Con una nota il Cafasso inserisce qui un testo di 1 6 righe scritto nella pagina a fronte

Una persona fù colpita dalla giustizia di Dio nell’atto del peccato, e morì repentina- (1985)
mente, il compagno lo vidde, e possiamo imaginarci il suo spavento, e disse tra se: questo
colpo poteva capitar a me: ma non andò più avanti, si fermò tutto in questo detto, e

285
Esercizi Spirituali al Clero - Meditazioni

più. presto o più tardi, in questo od in quel modo la colpa suol attirare sui
popoli, ma principalmente sull’infelice peccatore. Se v è una verità che sia
più che evidente nelle sacre Carte, Ella è questa. Leggetele da capo a fondo,

continuò la sua vita di peccato. Iddìo permise che per la seconda volta fosse testimonio
oculare di simile morte, ed allora mise senno, aprì gli occhi, e ragionò seco stesso: io
avrei già dovuto imparare la prima volta, e fui già ben imprudente a non farlo: oggi però
sarebbe non sol da temerario, da pazzo, l’aspettare, cimentarmi di più, perché la terza deve
essere per toccherebbe a me. Così risolse, e così fece a costo di grandi sacrifizi, e la durò
sino al fine fermo, e costante in mezzo a tanti e tali travagli ad una serie de’ più fieri assalti
quasi ad agonie di m o n e, ma la vinse. Dio già lo chiamò ad altra vita a godere il frutto
della sua risoluzione, e delle sue battaglie. Noi fratelli miei, noi specialmente Sacerdoti
abbiam già sentito, abbiam già ne sappiam già mille di questi colpi cominciando da quello
degli Angeli, e scorrendo la storia di secoli, e quanti forse per ragione del nostro ministero,
od in altro modo sapremo anche a’ di nostri: facciam senno, Signori miei, qui non si
burla.
Ed ecco l’ultima conseguenza per noi di timore, e di spavento per questo peccato. Se
Dio non la perdonò agli Angeli, a creature sì grandi, sì nobili, vorremmo credere che la
perdonerà poi a noi fango, e polvere? si superbientibus Angelis non pepercit Deus, quanto
magis tibi putredo. et vermis. Se Dio si adirò talmente contro gli Angeli per un peccato
solo, pel primo, senza ostinazione, senza mancargli di parola,

(1988) 4 che sarà di noi, e di noi specialmente Eclesiastici, perché se c’è peccato in terra che
s’assomigli, che s’avvicini al peccato degli Angeli in Cielo è il nostro, di modo che diceva
il dottor S. Bernardo che l’Eclesiastico che pecca tra il Clero è come l’Angelo che peccò
in Cielo: peccans in Clero peccat in Coelo [citazione tratta da Selva, cit., p. 27]; e ciò
per due ragioni principalmente, perché noi Sacerdoti benché vili per natura, e formati
di terra, per uffizio, per dignità, per Carattere siamo altrettanti Angeli, e più che Angeli;
secondariamente, ed è la ragione più forte, perché l’Angelo peccò con piena cognizione
del male, che faceva, fu questa la circostanza più grave del suo peccato, e la ragione più
forte di sua condanna; così è del Sacerdote, die conosce pienamente la gravezza del male,
conosce l’obbligo, conosce i mezzi, conosce i motivi di schivarlo, e ciò nonostante lo fa:
peccans in Clero, peccat in Coelo. E che'cosa avrà a temere un Eclesiástico in peccato?
Air! fratelli miei cari, è questa una dimanda, a cui lascierei che ciascuno pensi, e
risponda da sé; i motivi di temere, e di temer grandemente sono tanto forti, e tanto
patenti che ognuno li conosce, e nessuno può a meno che intenderli. II guasto, il male che
ha fatto il peccato in Cielo l’abbiam veduto, il guasto che ha fatto, e fa continuamente in
terra, il mondo ne è pieno. La perdita di quel paradiso di piaceri, la morte violenta e bar­
bara d’uno di loro primogeniti, secoli e secoli di stenti, di fatiche, e di lacrime, finalmente
la discesa nella tomba furono i primi effetti del peccato ne’ nostri infelici progenitori, ed
il funesto annunzio di tutti i guai avvenire. Scorriamo per le età passate, cerchiamo in
ogni angolo del mondo, sempre ed ovunque noi troveremo le traccie della divina giustizia,
sempre ed ovunque si fanno sentire i tristi effetti, le conseguenze funeste della colpa. Fruc-
tus Belli stava scritto appiè d’una tela che conteneva dipinti tutti gli orrori d’un campo
di battaglia: fructus peccati sarebbe il motto ad appendersi alla tela de’ secoli, alla storia

286
Giorno Secondo ^ M editazione Seconda ^ Sopra l 'Eclesiástico in peccato

cominciando da primi libri, il Levitico principalmente, il Deuteronomio,


scorrete quindi i Salmi, ed Ì Profeti, e voi troverete un pieno accordo in
tutti, una voce sola, lo stesso linguàggio cioè al nostro proposito, un tes-
suto cioè di grazie, e benedizioni temporali per chi si manterrebbe fedele
al suo Dio, pace, sanità, abondanza di raccolti, prosperità perfino negli
armenti, ma al contrario una serie tremenda di guai, di minaccie, di casti­
ghi sulla terra per ogni persona che avrebbe osato allontanarsi da precetti
e da’ comandamenti del suo Dio. Come dicevo potrei citarvi un infinità
di questi passi, a me però fa specie, e non può a meno che esser di terrore
per un peccatore qualunque il tratto che noi troviamo nel citato Deute­
ronomio al capo 28. dopo d’aver il Signore promesso loro ogni verità di
benedizioni, se l'avessero ascoltato, ed obedito, viene finalmente al punto,
che noi trattiamo, che cosa cioè avrebbe dovuto aspettarsi qualora gli fosse
stato infedele. Ecco le sue parole: quod si audire nolueris vocem Domini
Dei tui. ut custodias, et facias... mandata ejus... venient super te omnes
maledictiones. Maiedictus in civitate... maledictus in agro... maledictum
harvum tuum maledictae reliquiae tuae... maledictus egrediens... maledic-
tus ingrédiens6... così continua per ogni passo il peccatore. Che se non

del mondo, alla serie de guai che lo devastarono, e la devasteranno sino alla sua consuma­
zione. Frutto di peccato sono le miserie, di cui sono piene le case, le famiglie, le discordie,
i rancori, le rabbie, le gelosie: frutto di peccato sono tutti que malanni, di corpo, e di
spirito, a cui ognuno di noi va soggetto: frutto di peccato sono que colpi un po’ più
strepitosi della divina Giustizia, che soventi si vedono, si lamentano, si piangono: morti
immature, repentine, dolorose: disdette, grandini, inondazioni, e andiam dicendo: Non
crediate però che scorrendo per questo quadro in genere di cause e di effetti, cioè di pec­
cati, e castighi, io voglia confondere l’Eclesiastico ed il secolare, e fare una causa sola e
comune di tutti i peccatori: nò, è vero che ognuno ha a temere a ragione de’ suoi demeriti,
e de’ suoi peccati, ma è vero altresì fra tutti i peccatori nessuno a proporzione si trova
in condizione più deplorabile che l’Eclesiastico peccatore: sì a nessuno tocca soffrire di
più, nessuno ha da temer tanto in questa vita quanto un Eclesiástico in peccato. Ah: che
misera sorte, che giorni infelici, che vivere disgraziato deve essere quello d’un Sacerdote
peccatore, pag 7. Tre cose etc.
Io ho già premesso che non voglio parlare di quelle pene eterne, che stanno riservate
all’altro mondo; io non parlo ancora di que’ castighi che necessariamente deve paventare
anche in questa vita, e che da un giorno all’altro lo possono sorprendere. Io mi restringo a
quel castigo, o per meglio dire a quel supplizio che porta serrato, e chiuso nel cuore, e che
continuamente senza tregua, senza riposo lo rode, lo squarcia, lo divora.
Qui finisce la lunga sezione cancellata ¿lai Cafasso. A i termine egli pone una nota che
rimanda alla pag. 4 a fronte [1987] con la quale riprende il testo.
6 D t 28,15-19.

287
'Esercizi Spirituali al Clero - Meditazioni

basteranno cotesti temporali flagelli a farvi conoscere le vostre colpe, ed a


ritirarvi dalla mala via, in cui vi siete messi, ebbene il Signore aggraverà
la sua mano: augebit Dominus plagas tuas et plagas seminis tui. plagas
magna.s, et perseverantes infirmitates pessimas. et perpetuasi Sicché, o cari
miei, se v è personaggio al mondo che abbi a temere sulla terra, e temere, e
paventare in tutto egli è il peccatore: temer per se, per la casa pe’ suoi, nella
roba, ne; maneggi nc suoi affari, nella sanità, in casa, fuori casa, comunque
insomma, ,

(1989) e dappertutto v’è una minaccia, una maledizione, un castigo, che lo


attende, e già gli pende sul capo. Credo che a nessuno verrà in mente che
coteste minaccie, e castighi erano limitati solo, e diretti agli Ebrei, poiché
bisognerebbe dire o che i peccati de’ vecchi fossero maggiori de’ nostri,
oppur che Iddio avesse cangiato di sentimento nel giudicare del peccato, lo
che è impossibile solo ad immaginarsi nel nostro caso, e quando Iddio su
qualche peccatore in particolare non facesse cosi tosto sentire la sua mano,
ben lontano di presagirne in bene, non sarebbe che un indizio più funesto
ancora, d’una collera cioè a dismisura più grande a proporzione che venne
sulla terra allungata. Né è impossibile possa andar bene dove c’entra la
colpa, purtroppo non avrà a temersi che male, dove arriverà a penetrare
questo mostro. Entrò in Cielo, e voi sapete il guasto, e la strage, la rovina
che apportò a tante e si belle Creature, che mai fossero uscite dalla mano
del Signore. Entrò nel paradiso terrestre, e via subito che un peccatore
non è più fatto per goderne; si propagò sulla terra, e noi sappiamo dalle
storie i malanni, i guai, le calamità terribili, con cui ebbe a travagliare la
misera umanità: continua, e si propaga ancor più a nostri giorni, e noi
vediamo, e noi tocchiamo con mano ogni giorno i frutti, gli effetti di cote-
sta colpa: propter peccatum veniunt adversa: miseros facit populos pecca-
tum8: miseri i popoli, misere le famiglie, ma misero infra tutti l’infelice
peccatore, di modo che può dirsi, che tutto questo mondo, ogni cosa,
ogni famiglia, ogni persona ha una lingua, una voce per dirci, per ripeterci
quella terribile minaccia, che già scagliava Isaia profeta contro il peccatore,
la terra, la persona peccatrice: vae impio: vae terrae. vae genti peccatrici9.
La scuola, fratelli miei, è antica, la lezione è sonante, eppure non si vuol
capire, epperciò il Signore da mano a ciò che minacciava già agli ebrei:
augebit Dominus plagas super plagas. Fra tutti però chi ha più a temere

7 .£*28,59.
8 Pr 14,34.
9 Is 1,4; 3,11.

288
Giorno Secondo ■- M editazione Seconda ^ Sopra l ’Eclesiastico in peccato

sulla terra dalla Collera e dallo sdegno di Dio, egli è I’Eclesiastico pecca­
tore10.

Tre cose noi rileviamo dalla Sacra Scrittura pel nostro punto: primiera­ (1993)7
mente che ai peccati nostri come più gravi Dio fulmina castighi più grandi;
secondo, siccome il nostro peccato d’ordinario conduce seco quelli del
popolo così Dio pe1 peccati nostri castiga popolo e sacerdote; finalmente
per l’Eclesiastico peccatore Dio ha minacciato certi temporali castighi, che
tardi o tosto si faranno sentire. È un riflesso fatto da molti autori che nel­
l’antica legge ogni qualvolta Dio faceva qualche legge a Sacerdoti di fare
qualche cosa, o di astenersene, finiva sempre con minaccia di morte, od
altra ben grave a’ trasgressori... ne moriamini... ne moriantur... ne morien-
tur così nell’Esodo, nel Levitico, nei Numeri; acciò si vegga, dicono essi, il
peso che il Signore da alle colpe de’ Sacerdoti, lo sdegno che ne ha. I flagelli
poi con cui ha fatto conoscere la sua collera su’ sacerdoti antichi, parlano
ancor più che le parole. La morte caduta subitanea di Ozia levita11,

la morte repentina de’ novelli sacerdoti Nadab e Abiud Lev 10 [10,1-3]. (1992)

i castighi della casa di Eli, che furono tali: ut quicumque audierit. (1993) 7
timeat ambae aures eius. 1 Reg12. la pena data a Mosè ed Aronne, non
ostante fossero suoi cari, E non ci deve parer strano cotesto rigore sulle
nostre colpe, poiché essendo noi molto più rei che qualunque altro nel
peccato, è giusto che ne siamo anche temporalmente più severamente
puniti. Ciò però che ci deve arrecare non poco fastidio, e non poco dolore
è l’altro punto, che già abbiamo accennato, cioè che pel peccato nostro il
popolo intiero ne abbia a portare la pena13.

Noi, fratelli miei, possiamo essere pe’ popoli la grazia più grande, ed (1992)
eletta, che loro possa concedere Iddio, quando ciascun di noi sia proprio
un vero Sacerdote, ed infatti il Signore l’aveva promesso al suo popolo,
quando si fosse regolato bene, e l’avesse meritato, e si fosse convertito:
Convertimini... et dabo vobis pastores iuxta cor meum. Ier. cap. 314. che

,0 Con una annotazione il Capasse rimanda allapag. 7.


II Con una nota il Cafasso inserisce una riga scritta nella pagina a fronte.
I I I Sam 3 ,11.
13 Con una nota il Cafasso rimanda ad un testo dì 15 righe scritte nella pagina a fronte.
14 Ger 3,14-15.

289
Esercizi Spirituali al Clero. - Meditazioni

al contrario saremo il flagello, il castigo più terribile, quando deviassimo


dal nostro dovere e Iddio medesimo per bocca del suo profeta l’aveva già
minacciato al popolo antico; quia non perché non hai ascoltato la mia
voce: io farò che i tuoi Sacerdoti sian vuoti, leggieri, e pasciuti di vento:
quia non audisti vocem meam... omnes pastores tuos pascer ventus. Ier.
cap. 2215. Sacerdoti mondani, dissipati, secolareschi, dominati dal fumo, e
dal vento della superbia, dall’ambizione, epperciò ti lasceran correre per la
stessa via; ma io saprò far giustizia degli uni, e degli altri, epperciò guai a
quella casa, guai a quella famiglia, guai a quel paese che a cui tocca il più
grande de’ castighi perché tocchi cotesto flagello di aver tra se un cattivo
Sacerdote. L’Eclesiastico quando sia buono, virtuoso, esemplare chiama
sopra di se, come sopra del popolo, fra cui vive le benedizioni, le grazie del
Signore, e fra altri casi, che abbiamo nella sacra Scrittura basti quello che si
nota nel 2° libro de’ Maccab. dove si dice che tutta la santa città viveva in
somma pace e tranquillità propter Oniae pontificis pietatenr".

(1992) Ma chi sa quali e quanti castighi il Signore sarà per fulminare e permet­
tere in quella terra infelice, in cui il Sacerdote pecchi, e purtroppo col suo
peccato più o meno s’aggiungano i peccati altrui,

(1993) 7 ma guai ai -popoli, come diceva, guai alle famiglie quando il Sacerdote
la sbagli, e la manchi. Pel peccato di diversi Leviti in occasione della ribel­
lione di Core, Datan, ed Abiron, Iddio si sdegnò di maniera che con un
fuoco improvviso ne castigò più di quattordici mille. Pel peccato de’ due
fratelli sacerdoti Ofni e Finees Dio permise fosse rotto, e disfatto un eser­
cito, e che il popolo fosse trattato da schiavo, finché fe’ sorgere Samuele.
Per le colpe de’ Sacerdoti, come dicono i profeti Geremia, ed Ezechiele
Gerusalemme fu data nelle mani de’ Caldei, saccheggiata, e distrutta.
Qualcuno può dire che sono castighi antichi, ma io dico che antichi, o
recenti ma è certo, e non si può negare che furon frutto de’ peccati de’
Sacerdoti, ed i peccati nostri non cangiarono, anzi se allora erano già gravi,
lo divennero ancor più per l’eccellenza del Sacerdozio nostro. Noi sap­
piamo in quei casi, ed a que tempi i castighi, che attirarono sul popolo
le colpe dei Sacerdoti, quali e quanti ne attirino al tempo nostro Ì peccati
di noi Eclesiastici, noi possiamo sapere cosi di certo, ma è certo altresì che

^ Ger 22,22.
16 2 Mac 3,1. Con un altro rimando il Cafasso inserisce tre righe della pagina a fronte.

290
Giorno Secondo - M editazione Seconda ^ Sopra l\'Eclesiástico in peccato

noi vi abbiamo la mano, noi ne siamo in qualche modo la cagione. Che se


possiamo dubitare de’ castighi altrui, siamo tanto più certi di quegli altri
speciali, che Dio già da tanto tempo ci ha minacciati.
Tre sono i temporali flagelli, che a chiare parole Dio ha scritto nelle
sacre scritture per nostra norma, ed a nostro salutare spavento, ed avesse
pur voluto Iddio che mai l’avessimo dimenticato: povertà temporale,
povertà spirituale, lo scherno, e la burla del popolo: Ad vos, o Sacerdotes,
cosi pel profeta Malachia, si nolueritis audire... ut detis gloriam nomini
meo - che ne sarà? sentiamo: ait Dominus: mittam in vos eges tate tri,
povertà temporale; maledicam benedictionibus vestris...17 projiciam ster-
cum solemnitatum vestrarum18—povertà spirituale; propter quod dedi vos
contemptibiles in omnibus populis. ecco lo scherno del popolo: e tutto ciò
per qual cosa? sicut non servastis vias meas19.

Fratelli miei cari, Dio non poteva un dì parlare più chiaro colle parole, (1995) 8
né parlar presentemente più forte, e più chiaro co’ fatti. Io prescindo dalla
povertà temporale, come dall’ignominia nostra avanti i popoli, che sono
i castighi minori; ad un buon Eclesiástico quello che più lo deve accorare
è la povertà spirituale, e voglio dire la sterilità, la povertà del nostro Mini­
stero, l’inutilità delle nostre fatiche, e de’ nostri sudori; noi siamo soliti
ad incolparneJa malizia altrui, a cercar altre cause, sarà anche vero, ma
perché Iddio permette cotesto trionfo del vizio, cotesto insulto alla virtù,
non mettiamoci fuori, perché in qualche modo per qualche parte ognuno
di noi forse, od anche senza forse ci entra: nolueritis audire... ut detis
gloriam nomini meo... non servastis vias meas... maledicam benedictio­
nibus vestris... projiciam stercum solemnitatum vestrarum. Siamo deviati
dalla nostra strada, cercammo piuttosto la nostra gloria, i nostri comodi,
i nostri interessi, che l’onore, la gloria di Dio, ebbene il Signore ci umilia,
ci castiga, e fa che quella parola, quel potere che un dì domava gli stessi
elementi, ora sia vuota, fiacca, e senza forza, anzi alle volte ancor burlata, e
derisa. Ah Sacerdoti fratelli miei, facciamo senno, apriamo gli occhi, anche
lo stolto al dir dello Spirito Santo mette giudizio al rigor del castigo: impa­
riamo da cotesti temporali flagelli a guardarci da altri, e più terribili, e più
funesti. Facciamolo per l’onor di quel Dio, che siamo destinati a servire,

17 M al 2,2.
w M a l2,5.
^ M a l2,9.

291
E sercizi S p iritu a li a l Clero - M e d ita z io n i

facciamolo pel bene di quell’anima, che ci tocca salvale, facciamolo pel


decoro della nostra Religione, e per la gloria del nostro Carattere, e del
nostro Ministero. Egli è già lo scherno, e la burla de’ maligni, deh per pietà
ritiriamo la nostra mano, e non aiutiamo noi stessi à metterlo tra il fango
colle nostre colpe20.

(1994) Né lasciamoci lusingare da quel pensiero, che vi sieno Sacerdoti non


tanto buoni, eppur sono fortunati, felici, e contenti: se v’è uno spettacolo
triste agli occhi di chi crede, è quello di veder un uomo, un Sacerdote,
che prospera in peccato, che ride, e scherza nella colpa, simile ad un mori­
bondo che ride, e dice non aver più male alcuno, ma egli è agli estremi:
tu ridi, dice S. Gio. Crisostomo, tu ridi nella colpa, ma io piango per te,
perché non piangi; e poi non credete che questi tali sien felici, sien con­
tenti, come voi lo immaginate, ed eccoci al 2,do punto.
2d° punto: ed eccoci al secondo riflesso, di ciò che abbia ad aspettarsi un
Sacerdote peccatore, una vita cioè la più travagliata, ed affannosa che.
Tribulatio et angustia in omnem animam hominis operantis malum.
Rom 2. 9.
Il Signore parlando per bocca di Geremia, e lamentando le colpe, i
disordini di que’ tempi, particolarmente de Sacerdoti, minacciava loro
amarezze, afflizioni tali e-tante da doversi paragonare all’assenzio e fiele,
e non già per ad intervalli o per poca durata, o per pochi giorni. Ma lo
sapessero bene, questo e non altro era ma cosi dappresso e continuamente21

20 II testo seguente e cancellato: lo trascriviamo qui in nota: Ne lasciamoci lusingare da


quel pensiero, che può avetrfcraa anche nascere in qualcheduno di noi: oh! tanti altri
Sacerdoti, che io conosco non se la prendono poi tanto a cuore, e tanto calda, si sa, e si
vede tu tt’assieme come pensano, come vivono, è certo che il primo loro pensiero non è
poi quello dell’onore, e della gloria di DTo, eppure sono allegri, contenti, vivono comodi,
onorati, e pare che non vi sieno altri più felici. Ciascuno di noi conosce l’innesistenza
di questo ragionare, e la conseguenza, che se ne vorrebbe dedurre: pure non sarà inutile
qualche nostro riflesso. Quanti a questo mondo, che pajono felici, e non lo sono, e non
v’è chi lo sappia meglio di noi Sacerdoti; vi è roba, vi sono onori, vi sono titoli, vi sarà
sanità con tutto quello assieme che ancor volete, ma vi manca il più, che è la pace, la con­
tentezza, la felicità del cuore: sono piene le case, le famiglie di queste persone, e perché?
v’è un ladro, che la ruba, egli è il peccato. E tra queste persone mettete pure l’Eclesiastico
che vuol far l’allegro, e parer contento senza vivere del suo spirito, senza le opere del suo

rimando alla pagina a fronte il Cafasso sostituisce il testo cancellato e aggiunge altre 20 righe.
Noi riportiamo il tutto nel testo.
21 Alcune parole cancellate illeggibili.

292
Giorno Secondo ^ M editazione Seconda - Sopra l ’Eclesiastico in peccato

che questo, e non altro sarebbe stato il loro pane quotidiano e bevanda:
propterea... cibabo eos absintio. et potabo eos felle. Ier. 23. 15. disgusti,
amarezze, crucci, dispiaceri d’ogni genere, come spiegano gli Interpreti,
ma sopratutto disgusti e dispiaceri per parte del mondo {alcune parole di
difficile lettura\ per parte di quelle persone medesime, di parenti, contradi-
tori nemici, perfin dagli amici: amarezze e crucci nell’impiego, nelle occu­
pazioni, per la roba, per la sanità, nella fama, sempre, ovunque, per ogni
parte perché sta scritto che: cibabo eos absintio. et potabo eos felle. Il fiele
però più amaro, l’assenzio più disgustoso, che Iddio tiene riservato all’Ecle-
siastico peccatore egli è-ceitamente sarà in lui medesimo, e voglio dire
quelFlnferno, che porta chiuso, e serrato in cuore della propria coscienza,
e che continuamente lo rode, lo strazia, lo divora22.

Non est pax impiis3 . L’ha detto il Signore, ed è parola che non può (1988) 4
mancare; e realmente sono tali e tanti i rimorsi, le spine, gli affanni che da
il peccato al cuore del peccatore, che certi gentili stessi giunsero a credere
che cotesto supplizio, cotesto tormento

dovesse essere sufficiente a punire il peccato; error grande egli è questo, (1990) 5
#• dice Agostino, ma errore che prova una grande verità, che fa cioè conoscere
sefr,:-
ìMf-<
sino a qual punto giunga l’infelicità di un peccatore, e quai sieno le pene
che gli conviene soffrire; tutto questo mondo è misto di amarezza per un
peccatore; datemi qualunque divertimento, qualunque delizia, qualunque
soddisfazione, ogni cosa ha un pungolo, ha una spina per la persona di un
peccatore che è in peccato, non parlo già del pensiero della morte, dell’In-
ferno, dell’eternità, che lo agghiacciano; non voglio dir solo di que’ colpi
tremendi della divina giustizia, che lo sbalordiscono, e lo mettono quasi
fuori di se, ma anche le stesse cose innocenti, dilettevoli per lui sono tristi,
sono amare: si sfoga per aver pace, e pace non c’è; par che goda, e non è
vero; ride ma soffre, mostra d’esser contento, eppur non l’è oh! che fallace
apparenza, che triste e dolorosa realtà; e quante confessioni di questa sorta
il pentimento ha strappato, e strappa continuamente ogni di dalla bocca
di tanti infelici, che stanchi di gemere, di soffrire sotto il peso del peccato
vengono a cercare un po’ di riposo, e di quiete all’ombra di questa croce, e
nelle braccia di questo Dio24.

22 Qui il Cafasso rimanda alla sua pagina 4, infondo.


23 Is 48,22.
24 II Cafasso rimanda ad una riga scritta nella pagina a fronte.

293
Esercizi Spirituali al Clero - Meditazioni

(1989) Confessione: che aveva mai avuto una bella giornata etc.

(1990) 5 Se questo però è vero per tutti, come lo è senza dubbio, lo è molto
più fuor d’ogni misura per noi Eclesiastici, se mai abbiamo la disgrazia di
mancare. Primo perché il peccato nostro essendo più grave, più malizioso,
più enorme, alza più alta la voce, e manda grida più forti, sia perché il
secolare guarda di schivare tutto ciò, che gli può ricordare il suo peccato,
e qualche volta vi arriva; il Sacerdote al contrario deve avere sempre alle
mani, e sott’occhio ciò che glielo ricorda, e quand’anche lo volesse dimen­
ticare FAItare, il Confessionale, il pulpito le sue stesse divise, e vestimenta
par che ogni cosa abbia una lingua, e tutto sembra fatto a bella posta per
rimproverargli il suo peccato.
Il Breviario solo pare a me che debba essere per un Sacerdote in peccato
uno spinaio il più terribile. E per capirlo fermiamoci un po tra noi a con­
siderare, a pensare, se ci sarà possibile la serie de’ contrasti, de crepacuori,
degli affanni, e de5 spaventi, che deve sentirsi, deve provare un Sacerdote
peccatore sulla Recita del Divin Uffizio. Primieramente Ed in verità non
dovrà esser per lui una contradizione continua, ed un rimorso, e rimpro­
vero ben amaro quel dover protestare così continuamente, giurare perfino
che ha in odio la colpa, che non vuol declinare dalla sua legge, che è fermo
di osservare i suoi comandi, mentre sa, e lo sa di certo, che questa colpa
istessa la porta con lui, e non sa determinarsi a lasciarla, e che lasciata l’ha
ripigliata di nuovo. Iniquitatem odio habui et abomininatus sum. Iuravi
et statui costodire judicia justitiae tuae. ab omni via mala prohibui pedes
meos25. Ah!.., caro, che solenne menzogna, e sappi che tu non menti
cogli uomini, ma menti con Dio: ah! mentitore, mi pare che una voce
debba gridare daH’interno, nò, non è vero: falso che tu odii il peccato,
falso che sii deciso di starne lontano; e che rispondere, e che fare? potesse
almeno tacere, ma nò che gli conviene parlare, è in dovere di dirlo, con
che ribrezzo, con che ripugnanza, con che contrasto, lo potrà dire quel­
l’infelice, che l’ha provato. Non basta ancora per un disgraziato Sacerdote,
superati que’ primi rimorsi, altre strette più dolorose, altri incontri più
angosciosi lo attendono: molte volte ne’ salmi deve dire, deve ripetere, deve
rammentare anche a suo dispetto quelle gioie, quelle carezze, quelle dolci
promesse, che lo Spirito Santo fa sentire alle orecchie ed al cuore delle
anime giuste: Beatus vir. qui timet Dominunr con quello, che siegue

25 Sai 118,101.
26 Sai 111,1.

294
Giorno Secondo ^ M editazione Seconda * Sopra l ’Eclesiastico in peccato

di quel Salmo capace d’intenerire, di consolare qualunque cuore: Ouam


magna multitudo dulcedinis tuae —timentibus te i7

pax multa diligentibus legem tuam28. Ma che vale se coteste beatitudini, (1991 ) 6
coteste dolcezze, cotesta pace non è per me: povero Sacerdote, Fannunzia,
l’augura, la prega, la porta agli altri, ed egli non l’ha, l’annunzia, e la prega
ogni mattino alFAltare: pax Domini sit semper vobiscum, ma egli geme e
vive tra pene, e rimorsi; la porta nelle case: pax huic domui e vuol che tutti
ne godano: et omnibus habitantibus in ea29. egli solo ne è escluso: eppur
qui non finisce ancora tutto il doloroso, e tutto l’amaro del Sacerdote pec­
catore, anzi ci resta ancora il più terribile; ed è appunto ne’ salmi delle ore
canoniche che troviamo registrate quelle terribili sentenze da far spavento
a qualunque peccatore: Vultus Domìni super facientes mala, ut perdat de
terra memoriam eorum 3830. Ini usti punientur. et semen impiorum peri-
bit 3631 —reliquiae impiorum interibunt 3632. Si possono dare più forti,
più vibrate, più spaventose quando il Signore si protesta di non volerla
nemmen perdonare ad una menoma particella d’un peccatore: reliquiae
impiorum interibunt, ma andiam al termine, giacché il peccatore più che
ogni altro corre al fine: Virum injustum mala capient in interitu 13933
—Mors peccatorum pessima34. Ditemi, se un Sacerdote col peccato sul­
l’anima, tanto più se fosse recidivo, invecchiato, se possa pronunziare, ripe­
tere e come masticare tra denti si terribili minacce senza sentirsene un
orrore, uno spavento, un raccapriccio sommo; non può ometterle, le deve
dire, sentirne tutto Tamaro, ed a me pare che mentre le pronuncia sia quasi
impossibile che taccia il cuore, e come già un Natan la coscienza deve
gridare: Tu es ille vir35; tu sei proprio quel tale, sono per te coteste minac-
cie, sono per te cotesti giorni di spavento e terrore. Ah! povero essere: ah!

Redentore nel separarsi da’ suoi Appostoli lasciò loro in dono, in regalo

27 S/j/30,20.
28 Sai 118,165.
29 Dal Rituale Romano.
30 Sai 33,17.
31 Sai 36,28.
32 Sai 36,38.
33 Sai 139,12.
34 S a i33,22.
35 2 Sam 1 2 ,7 .

295
Esercizi Spirituali ai Clero - Meditazioni

questo gran tesoro più prezioso della pace; pacem meam do vobis. pacem
relinquo vobis36. e la lasciò specialmente anche a noi suoi successori, e
ministri, e quanti buoni Eclesiastici nuotano in questo mare di dolcezze.
Egli invece agonizza più di quello che viva, e ben lungi dall’aver pace, sa
quasi nemmeno che cosa essa sia: contritio et infelicitas in viis eorum. et
viam pacis non cognoverunt37.
Se prendiamo poi il Ministero di cotesto Sacerdote non può a meno
che essergli un nuovo fonte di dolore, ed amarezza: io lascio a parte tutto
il rimanente, e mi appiglio solo al Sacramento di penitenza: giornalmente,
e almeno ben soventi si vede a piedi anime traviate che stanche di soffrire
vengono a mettersi tra le sue braccia per dimandar perdono, per cercar
ajuto, per avere un po’ di conforto. Che colpi per Itti costui, che rimpro­
veri, che eccitamenti, che contrasti sentire dalla loro lingua, che hanno
fatto male, che sono pentiti, vogliono cangiare: sentire li loro affanni, le
loro paure, i loro rimorsi; voler cangiare ad ogni costo, non poterla durare,
esser pronti ad ogni cosa. Io non so come se la cavi, e che cosa debba sof­
frire un Eclesiástico in tali occasioni quando pensi che egli medesimo si
trova in tale stato, egli stesso stanco in peccato, egli stesso stanco, cruciato,
e divorato da rimorsi; ah! che acute saette devono essere al cuore di cote­
sto Sacerdote ogni parola, ogni gemito, ogni sospiro di tali penitenti; ah!
che scuola devono essere per noi coteste dolorose confessioni. Fratelli miei
cari, se non ci cale l’offesa del Signore, ci tocchi almeno la miseria del
nostro stato, perché non c’è persona più da compiangersi a questo mondo
di quella che non sa aver compassione di se stessa: Quid miserius misero
non miserante seipsum38, e tanto più misero ed infelice TEclesiastico tra
y, due parole

in quanto esso solo senza alcuna sorta di sollievo deve soffrire il proprio
male39.

(1995) 8 Se uno ha un cruccio, un travaglio che lo tormenti, e che ne possa par-


lare, sia al caso di trovare uno sfogo in qualcuno che lo animi, lo compa-

3(5 Gv 14,17.
37 Sai 13,3.
3S S. A g o s t i n o , C onfessPL 32, c. 670.
35 II Cafasso rimanda qui alla sua pagina 8 al fondo.

296
Giorno Secondo " M editazione Seconda * Sopra, l\‘Eclesiástico in peccato

tisca, gli faccia coràggio, è già questo solo un conforto, un rimedio; ma


quando uno ha una spina, che lo trafigge e lo divora, e non può dirlo,
non osa parlarne, e nessuno lo vuol sentire, lo intende, ah!... allora sì che
non si soffre, ma si agonizza. Così è del peccatore, e principalmente del-
rEciesiastico: ha un inferno in cuore, altro che una spina, ha un fuoco, che
internamente lo brucia, e gli fa soffrire agonie di morte, eppure non può
parlare, deve tacere, anzi bisogna che si sforzi per non lasciarlo conoscere,
e faccia vedere tutt’altro: soffre al di dentro per il dolore, soffre al di fuori
per la violenza: vorrebbe piangere, e deve ridere, e se ha qualche momento

in sua balia non può più. contenersi, geme, sospira, piange, sa nemmen (1997) 9
più quello che si voglia, quel che si faccia40.

Un Eclesiástico, che andava a celebrare la Santa Messa in stato di pec- (1996)


cato mortale, fu talmente sorpreso da affanni, rimorsi nel partir di Sacre­
stia, nell’andar all’Akare, che sapeva nemmen più quello che si facesse e
non era più capace di dire quello che avesse letto, quello che avesse fatto
alFAltare; e lui felice che si approfittò di questo tratto di misericordia del
Signore per mettersi sul buon sentiero, e batterlo costantemente come
fece.
Un altro Sacerdote che era caduto in peccati fu preso da tale e tanto
affanno, che andava qua e là come fuori di se, finché gettatosi ai piedi d’un
Confessore, io ho quasi perduto la testa, proruppe, mi levi per carità da
questo stato; oh le belle felicità! Ecco le contentezze d'un Eclesiástico pec­
catore; ma non sono tutti così, qualcuno può dire, sono casi rari. Io vorrei
che parlassero per me tutti gli uomini, che hanno un po’ d’esperienza, e
saprebbero dirlo se sono casi rari, anche dato che esternamente non sien
tali, ma nelFinterno sono pressoché tutti eguali, epperciò non sono che
contentezze apparenti,

ecco la contentezza di un Eclesiástico peccatore contentezza apparente, (1997) 9


e niente più; supposta anche vera sarà da fame caso? chi può assicurarmi
che cosa sarà di un peccatore da un momento all’altro? Uno che abbia un
nemico potente, e forte, e che sappia vuol vendicarsi, e non lascierà certa­
mente passar l’ingiuria, è mai tranquillo, e vive sempre in timore, paura, e

40 Qui il Cafasso rimanda ad alcune righe scrìtte nella pagina a fronte.

297
Esercizi Spirituali al Clero - Meditazioni

dice tra se: chi sa cosa sarà di me da un giorno all’altro: ecco il caso nostro;
il Sacerdote in peccato ha un nemico terribile, un nemico potente, che un
nemico che presto o tardi vorrà una soddisfazione, e la vorrà da pari suo, e
potrà ciò non ostante vivere senza paura, contento e tranquillo41.

(1994) La sua vita sarà di terrore, e spavento da mattino a sera e talmente


ripiena di neri fantasmi e spauracchi da saper quasi nemmen lui se viva
ancora, e se possa vivere lungamente, come già minacciò Iddio il pecca­
tore con quelle terribili parole: dabit tibi Dominus cor pavidum... et erit
vita tua quasi pendens ante te. Timebis nocte et dieisl, et non credes vitae
tuae. Deut. cap. 2842. Ma supponiamo anche che possa scuotersi da si fatto
timore, e vivere un po’ contento, come finirà etc.43.

(1997) 9 Guardiamo il termine, consideriamo il fine: Respice finem; è una gran


massima, è regola di prudenza in ogni cosa portar sempre l’occhio all’ul­
timo punto: e qual sia il fine, il termine, a cui va incontro un Sacerdote di
questa fatta, non è più il caso di farvelo meditare, perché sarà oggetto di
altra meditazione, ma certo che nessuno di noi lo vorrebbe, anzi sono certo
che tutti lo temiamo. A che vale adunque una felicità apparente di pochi
giorni, e sempre incerta, se poi si va a finire in un ultima rovina44?

(1996) Terzo punto:


ed infatti, o fratelli vi sarà da sperar molto sull’emendazione, e sulla
salute d’un Sacerdote peccatore; e sarà il nostro terzo riflesso45.

(2000) La prima cosa a temere, è che abbi a terminar presto la sua mortale
carriera. Stimulum mortis peccatum46. Anni impiorum breviabuntur47. Le
minaccie sono chiare, ed il fiato di Dio non è come quello degli uomini,
che si perde al vento. Una persofia che la misericordia di Dio voleva gua­
dagnare ebbe a vedere co’ suoi occhi per ben due volte il peccato a troncar
la vita sul punto che si commetteva e Dio volesse che capitassero di rado si

41 Una nota rimanda ad un testo scritto a fronte della pag. 8, in fondo.


42 D t 28,66.
43 II testo riprende a pag. 9 con alcune parole cancellate illeggibili.
44 II Cafasso inserisce qui un testo che incomincia a metà della pagina 9 a fronte.
45 II Cafasso rimanda ad un testo scritto nell’ultima pagina a fronte [2000],
46 / Cor 15,56.
47 Pr 10,27.

298
Giorno Secondo - M editazione Seconda ~ Sopra TEclesiastico in peccato

fatti colpi della divina giustizia. Che se il Signore alle volte sospende la sua
collera, ed allunga i giorni d’un Sacerdote peccatore, sarà una delle due, o
per speciale misericordia, che non lo vuol perduto, e va temporeggiando
per poterlo salvare, oppure per ricompensare cosi sulla terra qualche sorta
di bene, che potrà aver operato nel corso della sua vita. Fatto della persona,
che moribonda disse: Egli m’ha detto la verità, che Iddio l’avrebbe finita. Il
morir presto però sarebbe ben poco, il più terribile sarà il pericolo di morir
male.

Però a scanzo di ogni equivoco, e di tutte quelle insidie che ci può (1996)
tendere il demonio premettiamo che dove c’è vero pentimento, vè pur
misericordia, v’è perdono, e v è paradiso, così pel secolare, e così per l’Ecle-
siastico, nessuno escluso, nessun eccettuato, qualunque siano le colpe, le
enormità da lui commesse: la parola, la promessa del Signore è generale,
e non è ristretta a persone, a peccati, epperciò non è lecito all’uomo fis­
sarla, e limitarla; di modo che se il demonio in questi giorni venisse ad
assalirci con pensieri di scorragiamento, di diffidenza della divina Miseri­
cordia, badiamo bene a non fare questo torto di più al Signore con diffidar
di Lui, perché sarà mai vero che Iddio rigetti da se un essere che ritorni
pentito: Dio obbliga il peccatore come un altro qualunque all’atto di Spe­
ranza avanti in, vita, fino all’articolo ed in morte. E ciò sotto pena di pec­
cato mortale. L’oggetto della speranza pel primo certo che perche ha pec­
cato, deve essere il perdono della colpa: questa speranza per parte di Dio è
certa, e non può mancare: come può stare adunque che Iddio ricusi il per­
dono quando la persona si presenti pentita? ripeto adunque, e lo ripeterò
sempre: ogni volta che nel peccatore vi sarà vero pentimento, è certo, che vi
sarà perdono, e misericordia per lui. Ma si pentirà facilmente, e si pentirà
davvero TEclesiastico che si trovasse in peccato. Io mi sforzo a sperare, ed a
supporlo quanto più posso, ma non voglio nascondervi che temo anch’io
di questo pentimento nel Sacerdote. Io lascio a parte i detti, e le sentenze
di tanti Santi

padri, che incutono spavento. Laici delinquentes facile emendantur, (1999) io


clerici si mali fuerint. inemendabiles sunt48. S. Gio Cris. Ugone da S. Vit­
tore: Adam peccavit in terra, et veniam consecutus est: Lucifer in Coelo,
et diabolus factus est: sic differunt peccata laicorum. et clericorum. Non

48 S. G io v a n n i C r i s o s t o m o , Hom. X L V ì n M a t i h in Selva, c it., p . 30.


Esercizi Spirituali al Clero ■-Meditazioni

parlo di S. Gerolamo, il quale dice chiaramente che se il Sacerdote fa tanto


di divenir cattivo, è inutile ogni sforzo, perché non si lascia più risolvere né
piegare49.

(2000) Lo stesso S. Alfonso tra recenti, che per altro passa per un Santo quasi
troppo mite, e benigno, parlando a quelli che saranno per dare gli Esercizi
a Sacerdoti dice loro di tener l’occhio ben fisso a Dio, che n’avranno la
spessa paga da lui, ma che sperino poco frutto dalle loro fatiche.

(1999) io Ma io lascio come diceva cotesti detti, e m’appiglio piuttosto a ciò che
vediamo co’ nostri occhi, e sappiamo colla nostra esperienza. Che vi sieno
de’ disordini tra noi, non possiam negarcelo, ed è inutile qui tra noi soli a
nasconderlo. Non parlo solo di Sacerdoti scandalosi, ma Eclesiastici mon­
dani, leggieri, dissipati, freddi, pigri, oziosi, dati più al divertimento, alle
partite, alle cose secolaresche più che al ritiro, all’orazione, allo studio, ed
alle opere di ministero. Ditemi si vedrà soventi un Sacerdote di questa fatta
far un passaggio repentino, e totale da una vita mondana, ed inutile ad un
altro genere di vita veramente sacerdotale, e da buon operaio del Signore.
Si vede soventi tra sacerdoti chi venga, e dia un taglio assoluto, e deciso,
a che cosa? alle partite, a passatempi, all’ozio, agli affari secolareschi, alle
buffonerie e si metta a coltivare la cella, il tavolino, la chiesa, il Ministero, e
possa dirsi di lui che: mutatus est in virum alterum50. Eh? fratelli, io vorrei
bene, ma voi lo sapete, e lo vedete al pari di me51.

(2001) [Dio] non voglia che accada quello, che successe a Geremia, che ccr-
cando di ridurre il popolo a pentimento, e così salvarlo da’ imminenti
castighi, che gli pendevano sul capo: i primi a fargli contro ed che a gri­
dare che i suoi detti non erano che spauracchi, e che era degno di morte
a spaventar il pòpolo furono i Sacerdoti, e toccò a’ secolari, ed al popolo
medesimo a difendere Geremia: et dixerunt principes, et omnis populus ad
sacerdotes:... non est viro huic judicium Domini mortis, quia in nomine

49 Qui con una nota si intende inserire un breve testo scritto nell’ultima pagina a fronte
(2000).
50 1 Sam 10,6.
51 Una nota rimanda ad un testo scritto nell’ultima pagina (2001). La prima parola
nell’originale non è più leggibile perché il foglio è mutilo. Le trascrizioni permettono però di
ricostruire il testo.

300
Giorno Secondo -■M editazione Seconda - Sopra l ’Eclesiastico in peccato

Dei nostri locutus est. Ier. cap. 2652, Guardate l’effetto che fanno le predi­
che a’ preti Dio non voglia che capiti anche a nostri giorni.

Anche alle volte tra chi ha fatto gli Esercizi non si vede che una larva, (1999) io
un apparenza per un po’ di tempo, una confusione di' fatti, ed azioni,
l’una contraddittoria all’altra una vita, una condotta tentennante, per cui
si scorge che quel che se fatto è posticcio, e non durerà gran tempo, e ben
presto saremo quei di prima. Che cosa adunque sperare, anzi dirò meglio
temere di tali Eclesiastici; quello appunto che accennava, che pur troppo
sieno per terminare miseramente i loro giorni; e che cosa infatti volete che
potrà dare speranza, che cosa volete possa fermare cotesti Eclesiastici, scuo­
terli, spingerli a prendere una generosa risoluzione: cangiarli, e metterli al
sicuro della sua salute, se così difficilmente si trova nel mondo una lingua
che parli chiaro ad un povero Sacerdote, se quelle voci istesse, e que’ lampi,
che vengono dall’alto d’ordinario come già vedemmo jeri, diventano per
noi come armi inutili, e spuntate, che ci percuotono sì, ma non ci feri­
scono, epperciò si vive, si dorme nell’ozio, nella pigrizia, nella dissipazione,
nel peccato, così oggi, così domani

ed intanto passano i giorni, i mesi, e gli anni finché si giunge al punto (2000)
di spalancar gli occhi sull’orlo deireternità. Così pur troppo capita a tanti
nel mondo, ed anche tra Eclesiastici che allora solo s’accorgono, o pensano
d’aver camminato sul falso quando si trovano sul fine del loro viaggio. Fra­
telli miei vogliamo scanzare la collera del Signore sulla terra, se ci sta a caro
trovare un po di quiete erdi riposo nel tur ne’ turbini di questo mondo,
e prepararci a chiudere in pace Ì nostri giorni, ecco l’unica strada: guerra,
odio al peccato: e non cerchiamo altro mezzo, che non v’è: e per giungervi
mettiamo a profitto etc. pag. 9

facciamo [due parole illeggibili] fratelli miei questi santi giorni; e chi (1997) 9
vuol far davvero non si limiti solo a pensare, a riflettere, a sospirare, orsù ci
vuol la scure alla radice: si pianga, si detesti, si cacci il peccato: ogni altra
cosa senza di questa è inutile; proccuriamo di sterparlo fin dalle radici nel
nostro cuore, e di concepire verso questo mostro un odio, un abominio
tale che abbia mai più di speranza di potervi entrare. Sacerdote e peccato
devono essere due nemici implacabili, due termini incompatibili: il Sacer-

52 Ger 26 , 16.

301
Esercizi Spirituali al Clero * Meditazioni

dote deve essere una persona che non sa vivere, non sa regnare col peccato:
guai al peccato se un Sacerdote lo vede, lo scuopre; se non lo vince, se
non lo distrugge almeno lo combatterà sino al fine: morrà il Sacerdote,
perché deve morire ma morendo il peccato avrà un nemico di meno, ma
finché vive, finché questo~nemieo respira respira un Sacerdote conti pure
un rivale, che gli ha giurato la guerra, e guerra tale da non lasciare spe­
ranza di pace: o che il Sacerdote la vincerà, o che morrà combattendo,
non si speri altro che ma un Eclesiástico non la deve cedere. Eccovi fratelli
il nostro impegno, la nostra impresa, il nostro dovere guereggiar il pec­
cato53,

(1996) guereggiarlo, combatterlo con ogni sorta di armi: guerreggiarlo col


buon esempio, colla nostra parola, colle preghiere

(1997) 9 e cacciarlo: cacciarlo prima da noi, e poi per quanto possiamo dal paese,
dal luogo in cui siamo, dalle nostre case, da tutte quelle anime, che Iddio
manderà a nostri piedi: ci vorrà fatica, ci vorrà tempo, ci vorrà pazienza,
niente importa purché si distrugga il peccato. S. Ignazio Ah! benedette
fatiche, che saranno spese per impedire il peccato, ah: se tutti i Sacerdoti
lavorassero per questo fine, e con questo scopo, quanti peccati di meno al
mondo. Si spende tanto tempo, si usano mille studi dagli Eclesiastid per le
inezie di questo mondo, e frattanto si lascia che il peccato dorma, e trionfi,
e quante volte questo mostro se non trova luogo nel nostro cuore, si mette
a dormire in casa nostra, sì proprio in nostra casa, ed ognuno a ciò vi pensi.
S. Ignazio soleva dire che avrebbe lavorato volentieri in tutto il tempo della
sua vita per impedire un solo peccato, perché sapeva il santo quanto danno
sia all’anima una colpa, e quanta gloria rubi al Signore54.

(1998) S. Filippo a chi si stupiva potesse usar tanta pazienza con giovani per
tenerli lontani da pericoli, rispondeva che si sarebbe lasciato perfino spac­
car le legna in dosso per non lasciarli cader in peccato. Leviamo l’offesa
di D io, il resto poco importa, diceva quel degno figlio di S. Filippo, il B.
Sebastiano Valfrè, ci darei, continuava a dire, quanto ho in questo mondo,
la vita stessa per impedir un solo peccato.

53 Con una nota viene qui inserita una riga scritta nella pagina a fronte.
54 Una nota rimanda ad alcune righe scritte alla pag. 10 a fronte.

302
Giorno Secondo ■- M editazione Seconda ^ Sopra l ’Eclesiastico in peccato

Ah! cari miei, quanti peccati di m eno nel mondo, se noi Sacerdoti fos­
simo tutti animati da tali sentimenti di orrore, e di odio contro il peccato
ah scuotiamoci etc.

a tale esempio scuotiamoci anche noi, fratelli miei, e con quanto (1997)9
abbiamo di forza scagliamoci contro il peccato: dal pulpito, dal Confes­
sionale, in pubblico, in privato gridiamo, minacciamo contro il peccato
questo mostro55.

E quando non ottenessimo altro che impedire un peccato al giorno, (1998)


osservate che Capitale di merito al finir d’ogni anno, e principalmente
sul terminare della nostra vita. Ma si potrà poi ottenere ogni dì d’impe­
dire un peccato, qualcuno può dire, per me non saprei come fare, e temo
forse d’impedirlo nemmeno in una settimana, in un mese. Adagio fratelli
miei, non diamo così per poco la giornata d’un Sacerdote, già io lascio in
disparte il Sacerdote cattivo, oppure anche solo languido, indolente, pigro,
e mondano, e parlo di un Sacerdote di spirito, di quel Sacerdote, che come
diceva jeri, vuol veramente salvarsi. Io penso che ne impedisca non già un
solo peccato un Sacerdote sì fatto al giorno, ma più, e chi sa quanti. Colla
predicazione, col Confessionale, co’ consigli, co’ discorsi famigliari, nella
Messa, Recita del Breviario, ed altre sue preghiere56. Principalmente colle
vostre preghiere: Signore mi fa orrore a pensare al numero de’ peccati, che
si commetteranno in questo giorno, io vorrei poterli impedire tutti quanti,
che lo farei a qualunque costo e della mia vita, e del m io sangue: ma giac­
ché non mi è dato io v’offro la mia miserabile giornata in compenso di
tante colpe; quanto io sarò per fare, e soffrire intendo che il tutto sia per
questo fine e fatemi la grazia che fra tanti almeno si commetta un peccato
di meno sicché abbi la consolazione sul fine della mia giornata, d’aver

53 Seguono alcune righe cancellate che trascrìviamo qui: Quando ci sia chiusa ogni strada
per impedirlo, e sieno inutili i nostri sforzi, allora è tempo di prostrarci a piedi di questo
primo, e gran Sacerdote, gemere, sospirare, su quel male, che non c’è dato di impedire
superare, supplicarlo a darci m ano ajuto, a stenderci la mano, ed a darci vinto quel
nemico, che si burla delle nostre fatiche,

e de’ nostri assalti.


56 Sebbene a questo punto nell’originale non ci sia alcun segno di nota, riteniamo che pos­
sano essere inserite qui dieci righe, messe in nota alla, stessa pagina (1998), che ben si accor­
dano con il contesto. Diversamente non saremmo in grado di precisare meglio ove dovrebbero
essere collocate.

303
Esercizi S p iritu a li a l Clero - M e d ita zio n i

risparmiato una vostra offesa. E stati certi che Iddio non ci rifiuterà cotesti
sforzi, cotesto zelo del suo Ministro.

(2000) Benedirà le nostre fatiche, e compagni di sue battaglie in terra, ci aspet­


terà ctrtr-fcui in Cielo a godere con Lui il frutto delle nostre riportate vitto­
rie, e de nostri ottenuti trionfi.

(1998) Capita una giornata in cui il Sacerdote tema di non aver ancor rag­
giunto il Suo intento, ebbene per non perdere se la intenda chiaro col
Signore: faccia un’opera buona a questo fine, per esempio una mortifica­
zione, una limosina, o quel che crede, e poi si porti a fare una visita alla
Chiesa, e prendere una perdonanza, altrimenti anche da casa, e diciamo
francamente al Signore, che l’accetti in compenso, e faccia Egli nella sua
misericordia, che si commetta un peccato di meno in quel giorno, e stiamo
certi che Iddio non rifiuterà quest’offerta, e questo cambio, che gli offre il
Suo Ministro. N oi felici

(1999) 10 N oi felici se impiegheremo in questa santa impresa rnostri quei pochi


giorni di vita che il Signore ci vorrà dare. Fatto di quel sacerdote; non mi
sento etc.57. II Signore state certi benedirà i nostri sforzi, le nostre fatiche
sulla terra per coronarli poi un dì ed a secoli eterni nel bel paradiso.

57 II testo continua con le seguenti righe cancellate: In tal modo sodi di Colui, che già
sconfisse, e vinse il peccato, avremo diritto, e gli saremo certo compagni nella corona, ne’
trionfi e nella gloria delle vittorie. Cosi sia.

304
Meditazione Seconda (2002 )

Sopra la gravezza del peccato

Grande Iddio prostrato davanti a voi, io credo, ed adoro la vostra reale e (2003) 1
divina presenza. Lo so, o Signore, e lo confesso umiliato, e confuso, io vho
offeso ed ho peccato contro di voi. Ah! mio Dio, deh apritemi chiara­
mente gli occhi della mia mente, si che arrivi una volta a comprendere
una colpa d’un mio pari, il peccato d’un Sacerdote, sì fatemi la grazia in
quest’oggi o Signore che senta tutto l’orrore, che provi tutto lo spavento
che mi deve cagionare un Eclesiástico peccatore. Vergine Madre, Voi che
già salvaste tanti peccatori, intercedete, e pregate per me; Angelo nostro
Custode, Angeli e Santi tutti del Cielo intercedete per noi. Sancta Maria
etc.
Noi abbiamo considerato nella giornata di jeri la necessità, e la gran­
dezza, e la soavità del nostro fine sulla terra, quindi ci siamo recati al fine
nostro ultimo e fraterno che forse fra poco ci attende lassù in Cielo, per
vedervi, per ponderare, la massima importanza d’arrivarvi, e per questo
tocca a ciascun di noi a pensarvi, poiché nessuno vi pensa, s’impegna,
vi provvede per me: e guai se la sbaglio, guai se va a finire il corso della
mia vita senza avervi pensato; e da ciò niente mi scusa, niente può dispen­
sarmi, come niente può impedirmi, niente mi può attraversare dal riu­
scirvi, quando io veramente il voglia. No, o fratelli, né il poco talento, né
la mancanza di sanità, né le strettezze di fortuna, né le occupazioni nostre,
come nemmeno le tentazioni, le persecuzioni del mondo ci possono rapire
il nostro ultimo fine, se noi noi vogliamo. Diamo una scorsa colla nostra
fede pel paradiso, e noi vi troveremo là uomini, Sacerdoti che colle più
orribili tentazioni, vessati, perseguitati, e messi fino a morte dal mondo,

* (fald. 4 6 /fase. 102; nelloriginale 2002-2015)

305
Esercizi S p iritu a li a l Clero - M e d ita zio n i

Sacerdoti che sono vissuti, e morti quasi senza che nessuno se ne sia
accorto, eppure si sono salvati. Una cosa sola, diciamolo pure senza indu­
gio, può fermare la nostra ultima, fatale, ed eterna rovina, qual è il peccato:
quel solo, quell’unico, quel vero male del mondo: gli altri mali danno è
vero di che soffrire, ma questo d’un colpo ammazza, ed uccide; gli altri
ammettono qualche conforto, e lenitivo, questo no; negli altri si può gua­
dagnare, e si merita, questo invece distrugge, e disperde già quanto si trova,
e non lascia più entrare merito alcuno; negli altri mali in fine si trova un
rimedio nei tempo, e se non altro colla morte finiscono, questo invece
vieppiù s’aumenta, incrudelisce, ed alla morte appunto s’incontra la più
terribile, la più fatale rovina. Ah peccato maledetto, non finirei di ripeterlo,
ah quanti Sacerdoti sono andati in perdizione per questo mostro nefando.

(2005)2 Fratelli miei, il peccato è sempre peccato, cessò per niente le sue stragi e
rovine, che anzi le va dilatando, ed estendendo ogni di più. Quello che suc­
cede a tanti altri Eclesiastici, può succedere a me, può succedere a voi, se
non ce ne guardiamo, tant’è che lo Spirito Santo ci avvisa a starne lontano
niente meno che da un serpente che al menomo tocco ci potrebbe dare la
morte: quasi a facie Colubri fuge peccata1. Ma per potersene guardare da
vero e schermirsene è necessario conoscerlo, ed essere ben persuasi del gran
male, che egli sia, e i danni immensi, ed incalcolabili che cagioni in chi
lo commette. Già non c’è niente al mondo che possa concepire che cosa
sia un peccato, è inutile che una lingua, un uomo si metta a parlarne, a
descriverlo. Noi ci forzeremo in quest’oggi a farcene un’idea con conside­
rare tre cose: 1° chi sia costui, quest’uomo che pecca: 2° Contro chi se Ìa
prenda peccando. 3° finalmente quante, e quali terribili circostanze aggra­
vino cotesto peccato. Il Signore che ci ha usato tanta misericordia a sof­
frirci finora peccatori, nel chiamarci a cotesti esercizi, nel darci campo di
meditare il peccato, ci assista, ci ajuti a ben conoscerlo per piangerlo, per
detestarlo in avvenire. Cominciamo.
Se v’è un punto in cui il mondo fatalmente la sbagli, se v’è un errore
tra gli uomini funesto, e lacrimevole, egli è quello che sta nel giudicare il
peccato. Fate la prova ad interrogare tanti di quei ciechi, che vivono nel
mondo, che pensino, e che giudichino della colpa; se non vi negano asso­
lutamente il male, lo hanno per uno scherzo, una burla, al più una debo­
lezza, una fragilità da doversi quasi passar sopra e compatire. Il modo con

1 Sir 21,2.

306
M editazione Seconda -- Sopra la gravezza del peccato

cui ne parlano, ed anzi se ne ridono, la facilità con cui lo commettono,


la sonnolenza con cui se ne stanno nel peccato, lo fanno purtroppo abba­
stanza conoscere. Che giudizio io dimando se ne farà da noi, e da tanti
Eclesiastici, che sono nel mondo2?

Se v è persona, che a questo mondo sia in dovere, ed in uno stato da (2004)


conoscere per quanto è possibile il peccato, siamo noi Eclesiastici. L'Ecle-
siastico che non deve conoscere altro nemico sulla terra che la colpa, la
cui vita sino all’ultimo respiro, non ha ad essere che una continua batta-
glia contro il peccato, conoscerà i suoi pensieri, le sue mire, li suoi talenti,
li suoi sforzi hanno da essere tutti rivolti senza eccezione a distruggere,
a sterminare questo mostro dalla terra, e quando non sia possibile a umi­
liarlo, restringerlo, diminuirlo. Conoscerà adunque questo uomo, avrà una
cognizione vera, e compita di questo mostro, contro cui dovrà lottare fos­
sero pure lunghi i giorni di sua vita.

Io non ho coraggio di dirvelo, se mi consola la delicatezza, l’orrore, (2005) 2


la somma avversione degli uni aH’ombra, ai solo nome del peccato, mi
accuora, mi spaventa la condizione di tanti altri: ah! un Eclesiástico pec­
catore, chi può comprendere, chi può concepire, chi può misurare l’as­
surdo, l’abbominevole, tutto lo spaventevole di questa parola. Fermiamoci
a meditarla, forziamoci come già vi diceva a penetrarla per quanto da noi
si possa.
Che cosa è il peccato: Egli è una divisione, una separazione, una rot­
tura, un attentato, una rivolta, un ingiuria, un oltraggio, un disprezzo. Si il
peccato è tutto questo, il peccato è più che questo. Immaginatevi pure fra
gli uomini miserie, vicende di questa fatta,

supponete una rivolta, un attentato, un ingiuria colle circostanze più (2006) 3


aggravanti di figlio, di suddito, di amico, ordito colla più fina malizia, ten­
tata nel modo più indegno e sleale, ma sarà un niente in paragone di quello
che è, e che in se contiene il peccato, e andiamolo a vedere.
Chi è costui, quest’uomo che pecca? Un Essere che appena si ravvisa
sulla terra, una creatura che pochi anni addietro non compariva, e nessun
parlava, e sapeva di lui, un uomo che date tempo a qualche giorno voi
vedrete a scomparire dalla faccia della terra senza che quasi nessuno s’av-

2 Con u n a nota i l Cafasso rim a n d a a dodici righe scritte nella p a g in a a fronte.


■E sercizi S p iritu a li a l Clero * M e d ita zio n i

vegga, una creatura in sostanza che attesa la sua viltà e bassezza, il suo
niente la rapidità della sua del suo vivere, non accorga deHa~sua morte e
mancanza la sua scomparsa quasi inosservata, pare quasi piti un’idea che
realtà: ecco chi è quest’uomo che arriva a tanto d’offender Dio. Ma v’ha di
più.
Chi è costui, quest’uomo che pecca? un uomo, che Iddio avrebbe
potuto lasciar sepolto nel niente, un uomo che creato Iddio lo preservò da
tanti pericoli, lo contradistinse di tante grazie, e favori, che nessuno di noi
sarebbe capace di enumerare, un uomo che se Iddio non si fosse degnato di
alzarlo dalla polvere, collocarlo in alto, e darlo a conoscere sarebbe vissuto
e morto nell’oscurità, ed oblio di tutti; si questo ingrato, questo indegno,
questo sleale che lo offende è appunto il Sacerdote che pecca. Vedi pag.
seg.
Chi è costui che pecca, dimanderò ancora una volta? Egli è un perso­
naggio che ha cercato d’arruolarsi fa parte tra i soldati, tra i servi più fidi di
questo Dio; un personaggio che già perdonato le tante volte, e promesso
chi sa quante altre di non più cadere, eppur fa lo stesso: un personaggio
che dice e ripete le cento volte al giorno che non può soffrirsi d’innanzi
il peccato, epperò un mentitore continuo, e giornaliero; un personaggio
che entra, esce, conversa a piacimento in casa del suo Signore, maneggia,
dispensa, e tratta gli affari le cose sue più fide più delicati come fosse il più
fido, il primo amico di casa, mentre quando ne è un maligno, un triste,
un rivale, che attenta niente meno alla gloria, e perfino all’esistenza del suo
Dio. Ah Sacerdote fratei mio, tu lo sai, è di te che io parlo: tu es ille vir3.
Tu sei quel disgraziato, è inutile cercare scuse, e pretesti; io vorrei che in
questi giorni tra te e te pensassi a quello che hai fatto. Io che sono cosi
esigente rigoroso cogli altri, guai che qualcuno non m’obedisca, mi manchi
di fedeltà, o di parola: come fu trattato Iddio da me? So che cerco di pro­
curarmi, d’aver presso

(2007 ) 4 gli uomini la riputazione, il concetto d’un uomo retto, incapace di far
male a qualcuno, che anzi d’un cuore buono, e sensibile, eppure io so come
sto, e come mi sono diportato con Dio. Io in fine, io Sacerdote, ahi che
pensiero, che confronto doloroso per me mancare a promesse, a voti, a
parole cosi sacre, e cosi solenni; Iddio affidatosi di me, si consegnò nelle
mie mani, ed io lo trattai cosi malamente: diede nella mia disposizione la

32 Sani 12,7.

308
M e d i ta z io n e S e c o n d a S o p r a la g r a v e z z a d e l p e c c a to

chiave dei suoi tesori, i suoi sacramenti, ed io li dispersi, e li ho proffan-


nati. Mi raccomandò le anime sue come il prezzo del suo sangue, ed io
l’ho tradito, le perdei per mia colpa. Oh pensieri terribili, che hanno fatto
tremare più d’un Eclesiástico al punto di morte, e ne tengono tanti altri in
continue, angoscie e rimorsi. Fratelli miei cari, apriamo anche noi gli occhi,
e ricordiamoci che con Dio non si burla: pur troppo abbiamo peccato,
ebbene questo peccato va giudicato, condannato, e punito: questo tribu­
nale va eretto, e nessuno lo sfugge, o alzarlo da noi medesimi, e imparzial­
mente, oppur che Iddio si riserva di farlo da se, e chi è questo Dio? quel
medesimo, contro cui se la prende chi pecca, ed eccoci airaltro pensiero.
Contro chi s’innalza, e chi offende, ed oltraggia, il Sacerdote che pecca.
Iddio, e chi può pronunziare questo nome senza sentire, senza provarne un
necessario, un salutare timore e spavento: un Dio avanti cui omnes gentes
quasi non sint sic sunt coram eo4, un Dio dinnanzi al quale le nazioni e
gli imperi più grandi, anzi l’universo tutto non sono come una goccia d’ac­
qua, che scorre, e più non si vede: Ecce gentes quasi stilla situlae. et quasi
momentum staterai: reputatae sunt. Isai 40. 15-17. Un Dio, che dice al
mare: fermati, e non andar oltre di qua: usque huc venies, et hic confrin-
ges. Iob 38. 11: un Dio, che respicit terram, et facit eam tremere5: e chi
mai potrebbe immaginare, quando pur troppo non lo provassero i fatti,
che un uomo, un Sacerdote, un essere così da poco come abbiamo veduto,
potesse arrivare tant’oltre, da disubbidire, da resistere a Dio. Ne in cielo, ne
in terra, nemmen aU’inferno si trova chi possa, chi osi contradire alla voce,
al comando di questo Dio, le creature tutte anche più indomite omnia
faciunt verbum eius6. Solo tra gli uomini, e quello che è peggio tra Sacer­
doti aveva da trovarsi chi avrebbe avuto il coraggio di dire, di pronunziare
un nò al Signore, nò, non la cederò, ma farò a modo mio: Iddio gli vieta
un azione, e costui vuol farla, Iddio gliene impone un’altra, e costui non
vuol saperne: orsù conosci, rispetti

la mia legge, sono io che comando, dice Iddio, ed io non obbedisco, (2008) 5
risponde l’uomo; e chi è che parla, che opera, in questo modo? ricordate-
vene è un Sacerdote, quel Sacerdote, che ogni mattina chiama questo Dio
medesimo dal Cielo, ed avutolo tra le mani, col peccato indosso, o col desi­
derio di commetterlo par quasi che gli dica: sappi, che oggi io voglio fare

4 A 40,17.
5 Sai 103,32.
6 Sai 148,8.

309
Esercizi S p iritu a li a l Clero - M e d ita z io n i

a modo mio, è inutile mi vieti quella azione, non mi sento d’astenermene,


inutile impormene quell’altra, che non lo faro: ah! lascialo in Cielo, direi a
cotesto infelice, e perché chiamarlo col tuo fiato medesimo in terra perché
vegga diciam così più da vicino il tuo peccato, e ne senta più vivamente
l’onta, e l’oltraggio.
Con chi se la prende il Sacerdote che pecca? Con quel Dio che appena
spirato si vedrà dinnanzi, si troverà nelle sue mani, e dovrà giudicare il suo
medesimo peccato. Ci vuole una sfacciataggine, una temerità non comune
ad affrontare, ad assalire a faccia scoperta un personaggio che io sappia
essere destinato a condannare, a vendicare la stessa mia aggressione. Con
quel Dio in fine che nell’atto stesso del mio peccato può troncare il filo
della mia vita, e sul momento chiamarmi a renderne conto, e quanti già
non ebbero sì tristo fine. Un tale proferì appena l’invito al peccato, che
cadè morto ¿ piedi della persona, che invitava; un altro nell’atto del pec­
cato ebbe solo campo a proferire, io muojo. Un terzo più terribile ancora
senza segnale alcuno si trovò cadavere all’improwiso la persona complice
della colpa; e chi a questi colpi tremendi non temerà Iddio, ed a chi
quando abbia un po’ di senno ci basterà ancora il coraggio d’offenderlo.
Fratelli miei, noi non sappiamo qual sia per essere quel momento, quel­
l’istante terribile che saremo chiamati alla resa de’ nostri conti, perché
questa scienza è riservata al solo Dio: non est vestrum nosse tempora, vel
momenta, quae pater posuit in sua potestate, Act 1. 7. ma Dio ci preservi
di presentarci nell’atto, col desiderio di offender Dio; ah! che orrore colti
come in flagrante trovarci là davanti a Lui col disegno del peccato, che
vuol dire della rivolta, della ribellione in cuore. Si muore quasi di spavento
allorché la Giustizia umana arriva a cogliere un delinquente nell'atto del
delitto, che sarà, Dio mio, che avverrà di quel disgraziato che venisse fer­
mato da voi alla sua giustizia nell’atto di offendervi. Noi ripeteremo molte
volte nell’anno coteste verità agli altri, ma altro è il dirlo agli altri, altro il
meditarle, e sul serio per noi, e credereste voi che un Eclesiástico si lascie-
rebbe così facilmente allucinare, e cadrebbe in certi spropositi per poco che
pensasse

(2009) 6 al pericolo, a cui s’espone.


Quante, e quali circostanze aggravano ancor questa colpa. Ecco l’ul­
timo riflesso che ci resta a fare. Noi ci ridurremo ad esaminare questi tre,
il modo, il luogo, il tempo mezzo con cui si offende Dio. E qui più che
altrove potremo scorgere il male, la reità, la mostruosità della nostra colpa;
e per primo il modo.

310
M e d i ta z io n e S e c o n d a " S o p ra la g r a v e z z a d e l p e c c a to

Voglio dire ad occhi aperti, con tutta scienza, sprezzando i suoi avvisi,
li suoi castighi, le sue minaccie, le sue promesse, niente ci rattiene, per
un niente lo offendiamo. Nessuno di noi potrà negare la gravità di questi
aggiunti, e se dessi purtroppo concorrono in ogni peccato, in un modo
particolare, e tutto proprio può dirsi che hanno luogo nel Sacerdote, che
pecca. Vorrei poter parlare con un disgraziato tra noi, che fosse giunto
al l'eccesso d’offender Dio, e gli direi: tu hai peccato, purtroppo è vero,
dimmi rammentati di quel giorno, di quel momento sventurato; dimmi o
caro non è vero che tu in quel punto conoscevi tutto il male, che commet­
tevi: una voce ti diceva: ah Sacerdote che cosa fai, lo sai pure che offendi
Dio, ma bada, ma ascolta, ma fermati: pensa al pericolo che ti esponi,
ricordati de’ castighi già fulminati contro il peccato, ravviva la fede a quella
mercede promessa a chi sortirà vincitore, coraggio, orsù, uno sforzo, un
sacrificio, la vittoria è tua: erano queste o cari le voci, con cui lavorava
d’attorno a noi cotesto buon Dio neifatto che lo volevamo offendere:
quella paura, quell’affanno che provavamo, quel contrasto, quella irresolu­
zione di commettere o no quel peccato, quegli eccitamenti, quelli impulsi
a desistere tutto ci parlava per lui, tutto perorava la causa sua. Ma che ne
avvenne? dopo questo contrasto, in seguito di questa lotta come di padre,
e di figlio: impazienti quasi di essere più a lungo trattenuti da queste voci,
da questi inviti d’amore, e fatti ancor quasi più violenti per questa forza,
che ci toccava usare, olà pare che abbiam detto al Signore, lasciatemi stare,
allontanatevi da me, recede a me7, che ìo voglio peccare; chi può compren­
dere la malizia, la gravità, la mostruosità di questi aggiunti. Supponete un
padre che offeso, oltraggiato da un figlio ingrato, gli si facesse incontro, o
figlio, gli dicesse, tu mi conosci, e perché trattarmi in tal modo, e non sai
chi io sono, quello che feci, e sono per fare per te. Deh pensa, e lascia quel
tuo mal fare, e non vedi che sarai il più infelice tra tutti, e vorrai farti da
te

medesimo la tua rovina; deh ascoltami o figlio, e credi una volta a quel- (2010) 7
l’amore, con cui ti voglio render felice, e fortunato. Ad un tratto di cotesta
natura sarebbe quasi impossibile che un figlio persistesse nel suo reo dise­
gno, ma supponete che niente lo trattenga, e mentre il padre colle maniere
più dolci, colle promesse le più lusinghiere cercasse di placarlo, cotesto
sleale gli vibrasse un colpo da attentare a giorni del padre suo. Chi non

7 Es 10,28.

311
■Esercizi S p iritu a li a l Clero ^ M e d ita z io n i

vede nel concorso di tutte queste circostanze una verità, una perfidia ittau-
dita da potersi né comprendere, né spiegare. Tale è il caso nostro, o fratelli
miei, ogni qualvolta noi peccammo, noi attentammo a giorni dei padre
nostro, poiché sappiamo che, peccatum quantum in se est deum perimit
e cotesto tentativo noi l’abbiamo fatto in quell’atto medesimo che questo
buon Dio stendendo quasi verso di noi le mani ci pregava, ci scongiu­
rava, e cercava in ogni miglior maniera di farci desistere, e tanto più col­
pevoli in quanto che lo facemmo per un niente, lo che serve sempre ad
aggravare la nostra reità; se noi avessimo peccato per evitare la morte, o
grandi tormenti, non saremo innocenti no, ma molto meno colpevoli, e
la colpa nostra sarebbe in certo modo degna di compassione, ma perché
peccammo, fa ribrezzo, fa onta il dirlo, e non si sa capire come si possa
giungere al punto da offendere, e posporre Iddio ad una burla, ad una
facezia, ad un po’ di fumo, di terra, ad un capriccio. In che luogo ed occa­
sione abbiamo offeso Iddio? sotto i suoi occhi, ed in casa sua propria. Lo
sguardo d’una persona autorevole d’ordinario è tale da infrenare anche un
insolente che lo voglia offendere, e quante volte accade che un malevolo
anche spinto dalla più forte passione, pure giunto alla presenza della per­
sona, che voleva assalire, non osa andar avanti, e s’arresta; dite adesso la
forza, che dovrebbe avere su di noi per fermarci il pensiero, il riflesso: Iddio
mio vede, Iddio mi sta mirando, non ho ancor concepito quasi il disegno
d’offenderlo, che già Iddio lo legge, l’accompagna in ogni sua parte, mi
tien d’occhio in ogni mio passo. Susanna prescelse di darsi in mano a que’
due ribaldi, piuttosto che peccare alla presenza del suo Dio, poiché diceva:
melius est incidere in manus vestras quam peccare in conspectu Domini
mei. Dan 13. 23. e quante altre persone sanno tenere fermo in mezzo ai
più grandi cimenti non per altra ragione, Iddio ci vede, e questa cosa l’of­
fende. Oh! fosse un po’ vero che un altrettanto si fosse avverato di noi, e
non avessimo ora da piangere d’aver contaminato quella presenza divina,

(2012) 8 quegli occhi purissimi con una ingiuria, un insulto, un oltraggio, un


disprezzo di quella fatta. Un Confessore non potendo indurre una persona
a lasciare il peccato, sì limitò a dirle che almeno prima di peccare desse uno
sguardo ad un Crocefisso che teneva in quella camera, nemmen questo io
mi sento di prometterle, perché non so se mi sentirò il coraggio: se ha il
coraggio d’offenderlo, soggiunse il Confessore, deve anche averlo per guar­
darlo: tutto bene, rispose il penitente, ma pure mi spaventa il solo pen­
sarvi , e lo dirò adunque, che se verrò al punto di poter dare questo sguardo,
certamente non mancherò.

312
M e d i ta z io n e S e c o n d a - S o p ra la g r a v e z z a d e l p e c c a to

Sotto i suoi occhi, ed in casa sua propria. Non può negarsi che Toffen-
dere un personaggio nella stessa sua abitazione sia un delitto qualificato
secondo tutte le leggi, e meriti una punizione più grave: eppure se io ho
offeso Iddio quando fu, e che sito ho scielto con quelle mie irreverenze,
con quei pensieri, con quelle occhiate, e Dio non voglia con qualche cosa
di più! In che occasione mentre vestiva le divise del mio ministero, rap­
presentava la persona del mio Dio, maneggiava i suoi sacramenti, il suo
sangue, all’Altare, in Confessionale8, lo che vuol dire

Ah! non ti ricordavi o caro in quel punto ti dirò colle parole d’un gran (2011)
dottore, del nome che [temevi] avevi, dei titoli, del posto, della dignità
che occupavi: non es memoratus: non è vero che il sito in cui ti trovavi,
le divise che portavi, l'abito medesimo che ti distingueva ti doveva fre­
nare? non es memoratus; ah! pur troppo che hai dimenticato ogni cosa,
e onore, e dignità, e Chiesa, e stato, e promesse e minaccie, e sei caduto:
oblitus es dignitatem, oblitus promissionem Regni, oblitus judicium terri­
bile' amplexus es corruptionem9.

Mentre in apparenza tu fingevi di fare gli interessi del tuo Dio, procu- (2012) 8
rare il suo onore, la sua gloria, fu allora che per riuscirvi più francamente
cogliesti il punto per avventarti a questo Dio per offenderlo. Se v è un
delitto che porti seco la in fronte un marchio d’infamia, e tragga seco la
riprovazione universale egli è quando il delinquente per commetterlo a
man salva e per riuscire nel suo reo disegno finge amicizia, e mostra inte­
ressamento per quel medesimo che sta per trafiggere, e tale può dirsi pro­
priamente il Sacerdote che pecca nelTatto del suo ministero, anzi si serve
del Ministero medesimo per peccare ancor più francamente.
Ma veniamo all’ultimo riflesso, che aggrava la colpa, ed è vedere con
quali mezzi il Sacerdote offenda il Signore. Se v’è un’ingiuria che si senta
nel mondo, ella è quando essa parte da una persona favorita e beneficata;
ma insopportabile può dirsi che Ella si rende quando la persona per com­
pierla, per consumarla, si serve del Benefizio medesimo, e del favore che ha
ricevuto, o riceve se ne fa uno strumento per offendere, per oltraggiare il
suo Benefattore. Che diressimo noi d’un tale che ricevuta per puro dono

8 Con una nota il Cafasso intende inserire alcune righe scritte nella pagina a fronte.
9 II Cafasso qui adatta al caso alcune espressioni tratte dal De lapsu virginis consecratae
di S. Ambrogio (PL 16, c. 384-400) già citato (Medìt. 47/174).

313
E sercizi S p iritu a li a l Clero - M e d ita z io n i

una larga somma di danaro, questa la impiegasse a procurarsi veleno, od


un arma micidiale per attentare la vita del suo generoso sovvenitore; quello
che sarebbe impossibile, od almeno parrebbe

(2014) 9 succedere ben di raro tra gli uomini, l’ho fatto io, può essere che l’abbia
fatto qualcuno di voi. Un dono del Signore, e dono particolare sono per
le prime le facoltà dell’animo mio, i sensi del mio corpo, la sanità, i mezzi
di sussistenza, lo stato, la condizione mia, e quanti ne sono privi, o meno
favoriti di me; eppur diciamolo pure qui tra noi ed a nostra confusione
qual è quel dono, di cui io non mi sia servito per offender Dio, se sono
caduto in tanti eccessi, se ho fatto certi spropositi non è forse la sanità,
la roba, la mia destrezza, i sensi miei che mi aprivano la strada, e più
d’una volta cotesti favori, e doni ricevuti da Dio furono il mezzo, la mate­
ria medesima della sua offesa; se Iddio fosse stato con me più ristretto di
mano10, quanti peccati di meno avrei fallo io non avrei portato tant’oltre il
numero delle mie colpe ed ingratitudini; e come volete che non sia punto
al vivo il cuore d’un Dio nel vedersi convertito diciam così in pugnale
ed appuntato a lui quella grazia, quel favore, che negò a tanti altri, e per
cui noi dovressimo averle la più grande riconoscenza; anzi siccome cotesti
favori non solo Iddio ce li ha dati, ma egli medesimo ce li conserva, e
basterebbe che Egli desistesse dal conservarceli, perché noi ne fossimo privi
sul momento, cosi può dirsi che noi lo costringiamo a conoscere, a darci
mano nell’ordire, nel consumare il peccato, che è quanto dire l’attentato
contro di lui, lo che già lamentava per bocca d’Isaia profeta: Veruntamen
servire me fecisti in peccatis tuis. praebuisti mihi laborem in iniquitatibus
tuis 43,24, qual ingratitudine, qual perfidia, quale mostruosità diportarmi
in modo da voler che Iddio m’ajuti ad agire contro di lui, a distruggere il
suo onore, la sua gloria.
Ma finiamola fratelli miei che egli è tempo, e concludiamo. Il peccato è
un gran male, il solo, il primo, il massimo de’ mali, che vi sieno quaggiù.
Noi ci siamo forzati a farcene un idea da quello che abbiamo meditato
finora, ma sappiate che è un niente in paragone di quello che scuopri-
remo colla candela della morte, e molto più al lume deU’eternità: è un
male grande per tutti, ma sorpassa ogni credere quando sia del Sacerdote;
deh! non aspettiamo a meditarlo, a conoscerlo, a piangerlo sull’orlo della
tomba, poiché c’esponessimo ad un grande pericolo, e quello che è certo a

lu Con una nota i l Cafasso rim an da a d u n a riga scritta nella p a g in a a fronte.

314
M e d i ta z io n e S e c o n d a ~ S o p ra la g r a v e z z a d e l p e c c a to

grandi angustie. Quanti Sacerdoti muoiono, e vanno all’altro mondo collo


spavento e tremando, ripetendo: chi sa cosa sarà di me. Fui Sacerdote, fui
peccatore, e muojo chi sa quali de’ due la vincerà? Ah! che terribile, che
angoscioso pensiero: moriva un Eclesiástico che aveva avuto la disgrazia
d’offender Dio, e morendo ripeteva:

pei peccati da secolare ne spero perdono, e misericordia, ma pei peccati (2015) 10


da prete non so darmene pace. Un altro, che si mostrava in quelle ultime
ore quanto mai agitato, inquieto, eccitato a sperare, a confidare nella mise­
ricordia del Signore rispose, se fossi secolare sì, ma sono Sacerdote, e non
poté dir altro perché interrotto dalle lacrime, e dal pianto. Io non voglio
già dire con questo che non vi sia più misericordia in quel punto per
un Eclesiástico peccatore, nò quando ne sia veramente pentito, regga alla
disperazione e confidi ma solo di mettervi sottocchio l’angoscia, le amba­
sce, le torture che dà il peccato in punto di morte, e come ci torni a conto,
e convenga meditarlo, e piangerlo fin d’ora per risparmiarci lacrime più
amare in quel gran giorno, che terminerà sulla terra la nostra mortale car­
riera. Così sia.

315
( 2016 )
Meditazione Seconda
Sopra gli effetti, e danni nel peccato

Grande Iddio io vi credo qui presente, ed adoro la vostra divina Maestà. Io (2017) 1
ho peccato, o Signore, e lo confesserò umiliato, e confuso finché avrò vita,
io ho fatto un gran peccato contro di voi. Deh! mio Dio fate almeno che
in questi giorni io arrivi a conoscere, io giunga a comprendere che cosa egli
sia, il gran torto per voi, o mio Dio, e le grandi conseguenze, che seco porta
per un Sacerdote peccatore. O cara nostra Madre Maria, voi che vedeste
nel vostro figlio i Castighi, gli effetti della Colpa, deh! assisteteci perché
ognun di noi ne abbia a concepire un tale orrore, che mai più l’abbia a
commettere. Angelo nostro Custode, Angeli, Santi etc.
Il peccato, còme abbiamo meditato, è il solo, il vero, il più gran male
del mondo, epperciò non meno gravi, e terribili dovranno essere gli effetti,
i danni, le funeste conseguenze, che sarà per produrre. Ed infatti entrò
in Cielo, e lo disertò di tante migliaja d’Angeli, che li confinò nell’abisso;
penetrò nel paradiso terrestre e ne cacciò tantosto i nostri infelici progeni­
tori per lasciarli su questa misera terra. Entra nelle città, nei paesi, nelle
famiglie e le riempie d’ogni sorta di guai, di malanni, malattie, discordie,
rancori, malinconie, tristezze e morti. Propter peccata veniut adversa -
miseros facit populos peccatimi1, e Giobbe paragona la colpa al fuoco, che
non si ferma sinché abbi messo a terra la casa, e consumatavi ogni cosa:
ignis usque ad perditionem devorans2. Cotesto peccato s’avvicinò solo per
apparenza al divin Redentore, e lo deformò talmente da non aver più
figura, e sembiante d’uomo. Che sarà adunque d’un infelice, d’un disgra­
ziato Sacerdote, che pecchi, che abbia peccato più volte, e peccato in più

* (fald. 4 6 /fase. 107; nell’originale 2016-2028)


1 Pr 14,34.
2 Gb 31,12.

317
Esercizi S p iritu a li a l Clero ^ M e d ita z io n i

maniere, e chi sa da quanto tempo rimanga nella colpa. Oh! Dio mio, che
pensiero orribile egli è questo mai: un Sacerdote in peccato. Che sarà di
quell’anima infelice, di quel cuore, di que’ giorni, di quella vita, che le
resterà sulla terra, come, e dove andrà a finire cotesto misero Eclesiástico.
Ecco o fratelli miei, il soggetto della presente nostra Meditazione. Io non
parlerò di ciò che attende in morte, ed all’eternità un Sacerdote peccatore,
poiché sarà materia di altre più serie Meditazioni, ma solo di osservare, e
considerare con voi la sorte, la condizione, lo stato deplorabilissimo d’un
Eclesiástico peccatore sulla terra, o per dirlo in altri termini che cosa abbia
a temere,

(2018) 2 a paventare, ed aspettarsi in questo mondo un Sacerdote peccatore, e


sarà niente meno che I a una vita la più angosciosa travagliata da mille
affanni, e rimorsi, 2° Il pericolo, la minaccia di finir presto i suoi giorni,
e quello che è peggio, di terminare con una morte pari alla vita la sua infe­
lice, mortale carriera.. Figuratevi d’aver sottocchio un uomo in peccato,
triste, malinconico, irato, infastidito, annojato di tutto, perfino di vivere;
noi faremo su quest’individuo la nostra Meditazione, e faccia Iddio che
conoscendo e paventando la sua infelicità sulla terra ci riesca di scansare
quella più terribile, che lo attenderà in morte, ed aireternità.
Iddio è la vita dell’anima, come l’anima è la vita del corpo: partita
l’anima, il corpo muore, così partito, e separato Iddio dall’anima pel pec­
cato, l’anima parimenti può dirsi estinta, e morta; anima, quae peccaverit.
ipsa morietur. Ezech. 18, 20. e se ancor sopravive, non è che per essere
riservata ad una vita più angosciosa, più dolorosa della morte medesima,
epperciò se da un canto l’Eclesiastico peccatore partecipa a tutti gli infor-
tunii di un Cadavere prova nello stesso tempo le miserie, le agonie d’una
vita la più travagliata.
Un corpo fatto cadavere perde tutti i suoi pregi, fossero pur molti, e
grandi, diviene impotente alla minima azione, perde l’uso di tutti i suoi
sensi, più non vede, non intende, non sente, e manda di più un fetore da
molestare e nuocere chi a lui s’avvicina. Tali pur sono i terribili spirituali
effetti, che cagiona il peccato in un anima. Primieramente le fa perdere,
e la spoglia di quanti pregi, e meriti poteva avere senza eccezione alcuna.
Si averterit se justus... et fecerit iniquitatem... omnes iustitiae eius. quas
fecerat non recordabuntur. Ezech. 18. 24. ed oh! che spoglio, che perdita
ella è questa, in un istante la vita più lunga, più bella, più santa scompare
da non sapersene più: Impotente, incapace per ogni minima cosa, faccia
quello che vuole un anima in peccato colle orazioni più lunghe, colle peni-

318
M e d i ta z io n e S e c o n d a - S o p r a g l i e ffe tti, e d a n n i n e l p e c c a to

tenze più rigide non è capace del minimo merito pel paradiso, perché ella
è Cadavere e non da più segnale di vita davanti al suo Dio. Di più un
anima morta pel peccato perde anch’essa l’uso de’ suoi sensi, e facoltà; dite,
ridite, predicate, prendetela come voi volete, pare proprio che più non
veda, non senta, non intenda, ahi che effetto terribile, che triste augurio,
ma di questo ne diremo a suo luogo. In fine quest’anima manda parimenti
più o meno all’intomo un fetore che molesta, che ammorba, e voglio dire
co’ suoi discorsi, co’ suoi sguardi, con tutta la sua persona

facilmente lascia conoscere, e comunica a chi l’osserva, e l’avvicina il (202°) 3


male di cui ne è infetto. Buon però per lei se questo stato di morte lo ripa­
rasse dal dolore, dal tormento d’una vita più amara ancora della morte, ed
eccoci al nostro punto, qual è che l’Eclesiastico peccatore abbia ad incon­
trare, ad aspettarsi nel vivere suo giorni i più terribili, ed angosciosi.
Io non vi parlo di tutte quelle calamità, di tutti quei castighi che più
presto o più tardi si faranno certo sentire sul capo del peccatore, poiché sta
scritto che: Mors, sanguis contemtio... oppressiones, fames, et contritio, et
flagella... super iniquos creata sunt. Ezech. 40. 9.10. Io entro più a dentro
d’ anima in peccato, e voglio che consideriamo quell’inferno che le sta
chiuso in cuore, cioè a dire il rimorso della sua coscienza, le torture, le
ambasce, i timori, i spaventi, gli affanni, che avrà a soffrire un Sacerdote
in peccato. Tribulatio. et angustia in omnem animam hominis operantis
malum. Rom. 2. 9- I giorni della vostra vita, diceva già Iddio per bocca di
Geremia a sacerdoti antichi, vi diverranno così angosciosi, ed amari che
potrete paragonarli al fiele, ed assenso. Non est pax impiis3, è inutile cercar
pace, e quiete in un anima, che pecchi che anzi i suoi pensieri, il suo cuore,
il suo spirito sarà come un mare infuriato, ed in tempesta: Impii quasi
mare fervens. Is 57. 20. Il peccatore teme d’ogni cosa, e trema ovunque,
anche ciò che lo dovrebbe consolare lo attrista, lo spaventa perché gli pare
vedervi sotto, e nascosto il suo castigo4. Circumspectans undique gladium,
come già diceva Giobbe. Iob. 15.22.
Guai se voi gli parlate di morti, di timori, di avversità imminenti, di
accidenti avvenuti, queste cose lo mettono come fuori di se, e voi ve riac-
corgete al sembiante, alla violenza che soffre, e pare proprio che vi preghi,
e vi dica di cangiarle discorso. Non è ancor svegliato al mattino che già le

3 Is 57,21.
4 Con la nota 1 il Cafasso intende inserire la citazione che scrive nella pagina a fronte.

319
E sercizi S p iritu a li a l Clero " M e d ita zio n i

si presenta il peccato, cerca di allontanarcelo lungo il giorno, ma no che


sempre l’ha davanti per martoriarlo, traffigerlo: arguet te malitia tua, et
aversio tua increpabit te. ler. 2. 19. L’awicinarsi della sera, l’oscurità della
notte lo mette talvolta in orrore tale, e spavento da non sentirsi il coraggio
di dar un passo, o starsene da solo, pare che in ogni angolo vi miri chi
l’attende, e lo perseguita: persin nel sonno non può trovar quella calma,
che desidera: sia un effetto necessario e naturale della agitazione del giorno,
sia un mezzo con cui Iddio lo voglia punire, o guadagnare, il fatto sta che
sogni, fantasmi, apprensioni alle volte più nere, più spaventevoli lo trava­
gliano, e lo rendono più atterrirò, e contraffatto che mai, e di lui può dirsi
come già ripeteva di se

(2021) 4 ma in altro senso il Santo Giobbe: terrebis me per somnia. et per visio­
nes horrore concuties. Iob. 7. 14. e quante Confessioni di questa fatta noi
sentiamo ogni di da peccatori. Ah! padre se sapesse che vita è la mia, che
giorni io trascino da un certo tempo, non ne posso più; fatto della per­
sona moribonda, che confessava non aver mai avuto una giornata etc. Un
altra persona, dopo il peccato fu talmente sorpresa dallo spavento, e dal
rimorso, che non volendosi emendare, né sentendosi più di reggere a tanto
peso, ed a tante ambasce, s’appigliò al disperato partito di torsi la vita,
e Dio non voglia che pur troppo il caso non si ripeta soventi. Ah! che
vita adunque, ah! che morte ella è quella d’un uomo peccatore; e come
avranno il coraggio i mondani di trovar pesante, e nojoso il servir questo
Dio, quando essi non sanno nemmeno che cosa voglia dire pace, e quiete,
vivere allegro, e contento: contritio et infelicitas in viis eorum: et viam
pacis non cognoverunt5.
Se questo è vero per ogni peccatore indistintamente, Io è in particolar
maniera per un Sacerdote che pecchi, sia perché il peccato nostro è più
grave, e grida più forte, sia perché il secolare ingolfato negli affari del
mondo ci viene di dimenticare alle volte per qualche tratto il suo peccato,
quando sarà impossibile al Sacerdote, poiché ogni cosa ce lo ricorda. Chi
può spiegare le torture, le angoscie, gli affanni, lo spavento, che dovrà
provare, soffrire un Eclesiástico in peccato nelFesercizio del suo Ministero
all'Altare, in pulpito, in Confessionale, al Ietto di moribondi, nella recita
sola delle ore Canoniche. Ditemi che spavento col peccato indosso fissare
i proprii occhi all’Altare in quelle specie consecrate: un Sacerdote fù tal-

5 Is 59,8.

320
M e d i ta z io n e S e c o n d a " S o p ra g l i e ffe tti, e d a n n i n e l p e c c a to

mente sorpreso dal rimorso, da terrore insieme e spavento che non sapeva
più che si facesse, se ne abbi terminato o no la Messa, e buon per lui
che s approffittò di questo tratto della Misericordia di Dio, rimediò senza
ritardo alle partite di sua coscienza, e si mantenne fedele alle sue promesse.
In pulpito, che contradizione dover dire ad altri quello che ei non fa, sfor­
zarsi a dipingere agli altri il gran male, che è il peccato, le conseguenze,
i castighi, quando Egli l’ha nel cuore, e non sa come lasciarlo, io non so
come gli possan reggere le forze, e la parola. In Confessionale dover sentire
ben soventi da peccatori la loro infelicità, che sono stanchi, non ne pos­
sono più, la vogliono finire, che si gettano nelle sue braccia, le usi carità,
che preghi Iddio per loro, piuttosto la morte ma peccati mai più: che dirà,
che penserà, che cosa non avrà a soffrire a queste parole, a questi gemiti

uij Eclesiástico, che si trovi nel medesimo stato, può dirsi che ogni (2022)5
gemito, ogni sospiro, è un rimprovero, una minaccia, un colpo, un ful­
mine per lui. Nella recita dell'ufficio quanti passi da serrargli il cuore, e
farlo "quasi morire di crepacuore, nel dire nel ripetere la felicità, la conten­
tezza, i bei giorni di chi serve il Signore: Beati omnes qui timent Domi-
Jium. qui ambulant in viis eius: Beatus vir qui timet Dominum; gustate et
videte quoniam suavis est Dominus6 e mille altri, ma una voce nel cuore
gli ripete: queste dolcezze non sono per te; e que’ tratti che troverà così
spesso nello stesso uffizio, in cui Iddio minaccia tutta la sua collera, tutto
il suo sdegno contro il peccatore da volerne perdere, e sterminare perfino
la memoria. Vultus Domini super facientes mala ut perdat de terra memo-
riam eorum: Mors peccatorum pessima7. Ella è per te cotesta morte, cote­
sto fine spaventoso, e tremendo. Che diremo dell’assistenza che dovrà dare
a moribondi, dell’aspetto de’ cadaveri, e delle tombe, delle esequie, che vi
dovrà celebrare per un Sacerdote peccatore. Ah! Dio mio, che spettacolo
orrendo, che momenti funesti, che orribile condizione. Un sacerdote in
peccato mortale, epperciò col demonio ai fianchi, ed in cuore, accendere
quell’ultima candela, ed indossare le sue divise a nome di Dio intimare
a quell’anima che parta, e che si presenti a render conto di se, come io
dico potrà reggersi in più, e profferir parole. Un Sacerdote in peccato fissar
lo sguardo sopra un cadavere, che morto pare che gli dica: tu sarai quel
che sono io. Ah! Sacerdote mio caro, se potessi abbracciarlo, e stringerlo al

6 Sai 127,1; Sà/111,1; S a i33,9.


7 Sai 33,17.21,

321
E sercìzi S p iritu a li a l Clero * M e d ita zio n i

cuore, vorrei dirgli, deh! pensa una volta quanto ti torni caro l’aver lasciato
il tuo Dio, l’averlo offeso:, scito et vide quia mal uni, et amarum est reli-
quisse te Dominum Deum tuum. Ier. 2. 19. deh! esci una volta da quello
stato, e chi più misero di te, se non hai compassione di te medesimo: Quid
miserius misero non miserante seipsum8.
Cresce ancor più cotesta triste condizione del Sacerdote peccatore,
quando si pensi che di questo suo cruccio, di coteste sue angoscie non può
parlarne con alcuno. Quando uno ha una spina al cuore, un dispiacere, un
pensiero che lo occupa, e lo tormenta, e che lo possa comunicare, dirlo ad
altri, è già questa una specie di sollievo, e di conforto; ma nel caso nostro
no: Cotesto infelice Eclesiástico ben altro che una spina, ha un inferno in
cuore che lo brucia, ha un angoscia, che lo ammazza, e quante volte pos­
siamo pensare gli verrà quasi sulla faccia, si sentirà quasi forzato

(2023) 6 a palesarlo, eppure nò, deve farsi.violenza più che può, perché nessuno
s’accorga, e se mai qualcuno ne prende sospetto, e si fa a dirgli, ma Signore,
lei ha qualche cosa, non sta bene, ha avuto qualche dispiacere, deve negare,
protestare che ha niente, che anzi allegro, contento più che mai, ma frat­
tanto se vien lasciato solo, se può ritirarsi un momento da in sospiri, in
gemiti, in pianto e tant’altro alle volte da saper nemmen più quello che si
faccia. Un Sacerdote .etc.
Ma non sarà di tutti così; esternamente, e per quel che compare può
essere che non si vadi sempre a quel punto, ma neH’interno io non fo dif­
ferenza alcuna, il peccato è sempre peccato, il Sacerdote sempre Sacerdote,
epperciò la sorte non può cangiare. Eppure vi sono di quelli che anche
senza una condotta lodevole tuttavia non si danno pena alcuna, e se ne
vivono contenti, ed allegri. Non è vero, o cari, io non lo credo, che si sfor­
zino per comparir tali, sì ma ripeto, in realtà non lo sono, e mi rimetterei
alla loro medesima confessione,"quando volessero essere veritieri. Ma dato
anche lo fosse, ah! che terribile castigo, che punizione tremenda, che sini­
stro, e spaventoso presagio: se v’è uno spettacolo triste agli occhi di chi
crede è quello di vedere un uomo, e molto più un Sacerdote a ridere, a
scherzare nel peccato; simile ad un moribondo che vi dice non aver più
male alcuno, star bene, ridere, burlare, ohimè che è questo: il suo male è al
colmo, ed ei si trova agli estremi, e vedrete che tra poco morrà. Tu ridi, dice
S. Gio. Crisostomo, tu scherzi nella colpa, ma il tuo riso, l’allegrezza tua fa
piangere me, piango perché tu non piangi, ah! infelice io temo gli estremi

8 S. A g o s t i n o , Confess., PL 32, c. 670.

322
M e d i ta z io n e S e c o n d a ^ S o p ra g l i effettù e d a n n i n e l p e c c a to

per te. Se tu senti, se tu provi, sottentra Agostino, le angustie, i rimorsi,


la desolazione del tuo stato, sei ben misero, ed infelice, ma molto più tu
lo saresti se non t'accorgi: o te miserum si haec sentis: miseriorem si non
sentís.
Ma diamo pure che se la passi bene, se la goda come più le piace, viva
pure come crede, che sarà alla fine; ella è regola di prudenza in ogni affare
di portare l’occhio avanti, e guardar il fine, il termine, ove si cammina, ed
ecco ciò che ha ad aspettarsi un Eclesiástico in peccato, il pericolo di morir
presto, e quello che è più grave di terminar malamente i suoi giorni sulla
terra'.
Noi sappiamo per fede che il peccato è lo sprone della morte: stimulum
mortis peccatum: Anni impiorum brcviabuntur, sicché ogni volta che un
uomo arriva a peccare, si fa da se medesimo a chiamarla, a sollecitarla che
presto arrivi, ed ogni peccato che commette può dirsi che è una violenza
che le usa, perché giunga al più presto

e non tardi; lo tema pur dunque il peccatore perché Iddio non park (2024)7
invano, ed anche naturalmente parlando una vita cosi angosciosas e piena
di spavento, ed affanno non può promettere una lunga durata. Una per­
sona non sapeva indursi a rompere una catena di peccati. Il Confessore
dopo d’aver tentato inutilmente tanti altri mezzi, crede bene di dirle d’av­
visarla di questo pericolo: senta, le disse etc.
E se Iddio pazienta alle volte, ed allunga i giorni di peccatori non sarà
che per un tratto speciale di misericordia d’aspettarli più lungamente a
pentimento, oppure per premiarli temporalmente di qualche bene, che
potranno aver operato; del resto ripeto chi pecca, e molto più chi continua
a peccare, si tenga vicina la morte, perché io temo che non sia lontana;
è vero che molte possono essere
anche i buoni possono morir gio-
vani, e più d’una volta dobbiamo lamentare coteste morti, ma non è poi
tanto frequente il caso, ih cui possa applicarsi il detto della S. Scrittura, che
raptus sit ne malitia mutaret intellectus ejus10. e nemmen quell’altro, che
Brevi vivens tempore expleverit tempora multa11. Si sa pur troppo come
moki certuni siino vissuti; oh! aver da morire così giovane, mai più mi
credeva di morir così presto, mi pare che non toccherebbe ancor a me, chi

9 1 Cor 15,56; Pr 10,27.


10 Sap 4,11.
11 Sap 4,13.

323
Esercizi Spirituali, a l Clero - M e d ita zio n i

si sarebbe immaginato alla mia età. Via là, tutte inutili coteste voci, cotesti
lamenti, non s’incolpi ne questo, ne quello purtroppo sarà il peccato, che
l’ha condotto si presto: stimulum mortis peccatum12.
Poco male il morire anche presto, ma come morrà il Sacerdote pecca­
tore. Non è. mia intenzione di parlarvi della sua morte, ma solo di consi'
derare il gran pericolo, a cui s’espone di morir male. Voi sapete le tante
minaccie, che vi sono nelle sacre carte a questo proposito, quello che
sarà per succèdere di lui sul finire della vita, quello che sarà in morte lo
vedremo. Ora io mi fermo a dimandare: si pentirà un Eclesiástico pecca­
tore, si emenderà in sua vita onde potersi preparare, e sperare una buona
morte. Certamente se lo volesse, avrebbe tutto il comodo, il tempo, gli
ajuti, i lumi per aggiustare da dovere i suoi conti,'e così mettersi al-sicuro
per ogni evento. Ma lo farà? Fra gli effetti terribili del peccato, se bene
ve ne ricordate, noi ne abbiamo uno tra tutti il più tremendo, qual è di
rendere il peccatore insensibile, da parere quasi che più non vegga, né
intenda; e quante volte tocca a noi nel nostro Ministero di vedere, e toccare
può dirsi colle nostre mani cotesti spettacoli d’orrore, cotesti monumenti
viventi della più terribile giustizia di Dio: dite, ridite, mettete loro sott’oc-
chio la morte, l’eternità, l’inferno, i rimorsi che provano, l’affanno, lo spa­
vento, che sempre li

(2025) 8 accompagna, le disgrazie di famiglia, le discordie, i scandali, il disonore,


lo scapito della roba, della sanità, che ne può venire, pajono insensibili a
tutto; si daranno torto, dicono che abbiam ragione, che è vero, pur troppo,
s’aspettano forse ancor di più, ma frattanto continuano, e fanno lo stesso, e
dove volete trovare una cecità maggiore, una insensibilità più deplorabile,
ditelo se non sia questo una condizione, uno stato, o per dir meglio un
castigo de’ più terribili, e tremendi. E se ciò succede ne’ secolari, può suc­
cedere ancor più facilmente in noi Sacerdoti, sia perché essendo più rei,
ce lo meritiamo maggiormente, sia perché essendo abituati a trattar cote­
ste materie, e ripetere agli altri coteste massime, è facilissimo a contrarre
una tal qual abitudine per cui col tempo coteste verità non ci facciano più
senso. Ma dunque io continuo a dimandare che cosa sarà d’un Eclesiástico,
in peccato, si emenderà, e si cangierà in altro Sacerdote. È questo il punto
da vedere.
Purtroppo, che i SS. Padri danno poco a sperare per l’emendazione, per
la conversione d’un prete, e S. Gerolamo, S. Gio. Crisostomo con altri

121 Cor 15,56.

324
M editazione Seconda - Sopra g li effetti, e danni nel peccato

quasi colle stesse parole ci dicono che se un Sacerdote fa tanto di cadere,


di rovinare, tanto più in certi peccati, e per qualche tempo può quasi dirsi
disperata la causa, purtroppo ben difficile che sieno per emendarsi. Anche
S. Alfonso tra recenti, benché sia un Santo che molti vogliono quasi troppo
mite, e benigno, pure dice chiaramente parlando appunto degli esercizi a
preti, vi sia ben poco a sperare da cotesti Sacerdoti. Ma possibile, qualcuno
può dire, che sia cosi, dunque dovranno andar perduti cotesti Eclesiastici;
no o Cari, che debbano, ma se lo vogliono, e non c’è mezzo di fermarli,
pel cattivo sentiero, che battono, e fate voi la prova, se vi riesce di ridurli a
migliori sentimenti: correggeteli, oh si che badano alle vostre correzioni ed
avvisi, se il Superiore sospetta qualche cosa, negano francamente, e fanno
lo stesso le disgrazie, i dispiaceri, le traversie d’ogni genere dovrebbero far
loro aprire gli occhi, oppure no: l’età, gli incomodi di salute, la vicinanza
della morte, niente li muove, considerateli, sono sempre li medesimi: dis­
sipati, oziosi, secolareschi, occupati più di mondo, di roba, di aquisti, di
traffichi, di partite, che del proprio ministero, preti di nome, di abito, di
carattere* di qualche opera meno gravosa, e poco di più; del resto pensano,
parlano, vivono come da secolari, negozianti e. gente di bel tempo che
almeno non sa cosa farne, e cerca come sprecarlo nel mondo ma e quando
s’emenderanno, e diverranno altri Sacerdoti, poiché questa vita non .può
dare molta speranza di buon fine; e chi lo sa?

ed io temo mai13? Fatto del sacerdote... non mi sento etc. Anche negli (2027) 9
esercizi credete voi che succedano soventi quelle mutazioni vere, compite,
consolanti, per cui possa dirsi veramente che quell’Eclesiastico è cangiato,
e mutatus sit in virum alterum; lo fosse pure, che sarebbe questa una
grande consolazione non solo per chi vi si adopera ma per la Chiesa, e per
i fedeli tutti, che non potrebbero a meno che ringraziarne il. Signore; ma
purtroppo anche in questi tempi vi sarà se volete qualche sorta di emenda­
zione, un po’ di riforma, di ritegno, un po più di riserva, di gravità, ma
si vede, e chiunque conosce che è una cosa posticcia, a metà e non durerà
gran tempo, e saremo di nuovo quei di prima, cosi oggi, così domani, pas­
sano i giorni, i mesi, gli anni, la vita se ne va, la morte s’avvicina, finché si
giunge, e si tocca il letto di morte ed allora, quando non manchi il tempo,
si spalancano gli occhi, ed al lume di quella candela si conosce il male, si
scuoprono i vuoti, i mille affanni, mille rimorsi, e si muore come si può.

13 Con una nota i l Cafasso in ten de q u i inserire una, riga scrìtta nella p a g in a a fron te.

325
Esercizi S p iritu a li a l Clero r- M e d ita zio n i

Eccovi fratelli miei, la sorte deplorabile, che purtroppo avrà a toccare ad un


Sacerdote peccatore sulla terra. Iddio ci preservi che un solo di noi d’averla
a provare. Non facciamo, come hanno fatto i Sacerdoti ai tempi di Gere­
mia: questo buon profeta alzava la voce per dire, per avvisare che cessassero
d’offender Dio, s’emendassero poiché altrimenti Iddio sdegnato li avrebbe
riservato a giorni più amari, e terribili castighi. Cotesti infelici Sacerdoti
invece di farne prò, e cercare anch’éssi di ridurre il popolo a migliori senti­
menti, si misero a gridare, che erano spauracchi cotesti, esagerazioni, paure
inopportune, e che non era il caso d’àscoltarlo; ma quei miseri la pagarono
ben cara, e dovettero provare a loro danno se Iddio parli invàno. Fratelli
miei cari, facciam senno, che con Dio non si burla, e ricordi dica quello
che vuole il mondo, pensino come vogliono certi Sacerdoti, non diamo
loro retta per carità, ma noi ricordiamoci bene, che se vogliamo avere un
po’ di pace sulla terra, se ci sta a cuore terminare i nostri giorni contenti,
quieti, tranquilli, via il peccato da noi, finiamola una volta colla colpa,
altrimenti cotesto mostro, credetelo, sarà il nostro tormento in vita, e la
nostra disperazione in morte; ah! quanti Sacerdoti sarebbero vissuti più
tranquilli, e morti più contenti se si fossero dati davvero una volta a Dio,
ed avessero lasciato il peccato. Impari da me, soleva ripetere ad un gióvane
Sacerdote ne suoi giorni estremi un altro maturo, che aveva passato la sua
vita più in affari di mondo che a fare il prete, impari a mie spese, a cono­
scere il frutto che

(2028) 10 se rte raccolga, e voleva alludere alle pene, alle inquietudini, alle ango-
scie, al rimorso che ne sentiva. L’avviso fu dato a quel solo, ma ognuno
se lo prenda per se, e pensi che la morte non tarda, e toccato-quél punto

felici noi se col dolore, co’ gemiti, ,co’ sospiri di questi giorni, sapremo ren­
derci meno amaro, anzi dolce e desiderabile quel punto, che forma, e sarà
pur troppo lo spaventò dell’Eclesiastico peccatore, che Iddio ce ne preservi.
Così sia.
Felici ripeto se rivolto a Dio in quel punto, potremo esclamare: Signore
purtroppo v’ho offeso, ho peccato. Ma voi sapete il dolore, i gemiti di
questo mio cuore: finché avrò vita non cesserò di lamentare il mal fatto,
e l’ultimo mio respiro sarà pur desso Testremo gemito di dolore che chia-
mera per me pietà. Ah Signore perdonate, e date calma ad un cuore che
sente, che geme d’avervi offeso, sicché libero da questa carne io possa
volare nelle vostre braccia a lodare, a ringraziare, a magnificare in eterno in
quella gran famiglia di Santi la vostra infinita misericordia. Così sia.

326
Giorno Terzo
Meditazione Prima sulla morte
Settima degli Esercizi1

Punto primo (2314)

Dispone domui tuae, morieris enim tu. et non vives2. Così disse il profeta
Isaia a quel Re, che stava in letto infermo per nome Ezechia: olà, Maestà,

* (fald, 4 7 ¡fase. 180; nell’originale 2311-2327)


1L’intero titolo è barrato nell'originale.
La meditazione inizia con un lungo testo cancellato che trascriviamo qui.

Esordio da portarsi per la prima Meditazione. (2312) 1


Egli è un gran male il peccato, il sommo, anzi l’unico, e vero male, che v’abbia a
questo mondo al dire di Agostino: unum malum. peccatum [citaz. tratta daSermoni, cit„
p. 77, dove però è scritto «infinitum malum.. ;»]. Un sommo male per riguardo a Dio perché
offènde uh sommo bene, un sommo male per riguardo a nói, perché oltre al privarci di
tanti beni per le tante e grandi sciagure che ci attira e riversa sul nostro capo un oceano di
mali c fra tutti i mali, fra tu tte le rovine tem porali però, che ci- ha cagionato, e fra queste
certamente la più terribile, là più fatale, la più spaventosa è la morte. Egli è il peccato,
che aprì la porta a questa sterminatrice dell’universo; egli è dopo il peccato che piombò
sulla nostra testa la fatale sentenza di morte: pulvis es, et in pulverem reverteris \Gn 3,19]

la morte però è stato il castigo più terribile del peccato, questo castigo istesso medesimo
è diventato nello stesso tempo il freno più forte, l’arma più potente contro, il nemico
più terribile dello stesso peccato. Niente, dice Agostino, infrena più gli uomini, e li tien
lontani dal peccato, quanto il pensiero della morte: nihil ita revocat homines a peccato
quemadmodum... mortis cogitatio [De Genesiadversus Manichaeos, 1. II, PL 34, c. 219,3];
e senza gran penai seguita dire S. Gerolamo, si sbroglia da tutti i lacci chi pensa ha da
morire: facile contemnit omnia, qui se cogitat moriturum . Ed infatti che forza non dà in
certi cimenti, cotesto pensiero? ma... con tutto questo dovrò poi morire: ma... èfìnitaper
me, un giorno morrò, un giorno me ne dovrò partire. Con ragione lo Spirito Santo dà
quest’arma in mano a chi non vuol più ricadere in peccato, la memoria, cioè, il pensiero
de’ novissimi: memorare1novissima tua, et in aeternum non peccabis [Sir 7,40] ; pensa,
chiunque tu sii, alle tue ultime cose, pensa che un giorno sloggierai da questo mondo, e

327
E sercizi S p iritu a li a l Clero - M e d ita zio n i

che vale qui lusingare, uopo è parlar chiaro, pensi a casi suoi, aggiusti i
suoi conti, disponga alle sue facende, ella è finita, non sarà più lunga la sua
vita, ma presto dovrà morire. Cosi senza esser profeta lo dirò a me, lo dirò
a Voi, Signori miei, se abbiamo, qualche cosa ad aggiustare, a disporre, se i
nostri conti hanno bisogno d’una rivista, se qualche cosarella ci sarebbe di
pena nel gran tragitto da questo mondo all’eternità, pensiamovi, non tar­
diamo ad aggiustar le faccende nostre, e perché? Perché ha parlato l’Eterno,
ed ha pronunziato l’immutabile nostro destino, qual è di morire: morieris
tu, et non vives: tu, o sacerdote, sì tu, che fai le veci di Dio in terra, e tieni
in tua mano i tesori della sua misericordia, sì tu, che sei posto a preparare, e
disporre le anime a questo gran passo, ebbene anche tu un giorno lo dovrai
fare, anche tu sei compreso, anche tu morrai: morieris enim tu, et non
vives3;

(2313) Si, tu, o Eclesiástico, che sei tenuto come un oracolo in quel paese, in
quella città, tu che passi per un uom dabbene, dotto, esperto, e prudente,

poi sta fermo non inanellerai: in aeternum non peccabis. Ciò posto, Signori miei, dopo
d’aver cosi- fatto considerato in noi il gran male del peccato, per armarci appunto, e
munirci contro un mostro sì deforme, sì terribile, sì universale, io v’invito questa mattina
a venir con me ad un letto di morte, e là a considerare non la morte degli altri, ma la
morte nostra, a considerare meditare quell’ultima giornata, dirò di più quell’ultima ora

dispone domui tuae etc; [/s 38,1]. Due riflessi semplici, e comuni io vi propongo: cioè
che dobbiamo morire, inoltre: che d-ovremo morir presto: la nostra morte è certa è sicura,
la nostra morte non è lontana ma vicina. La nostra morte è certa; dunque resta più che
necessario il pensarvi, il prepararsi la nostra morte è vicina; dunque uopo è non perder
tempo a farlo. Ecco i punti, ecco le conseguenze.
Richiamiamo alla nostra mente quella gran cerimonia, con cui Chiesa Santa

(2314) nel dar principio alla Santa quaresima usa di ricordar ai suoi figli il pensiero della
morte, e con quella mistica polvere, che asperge tanto il capo del ricco come del povero,
del vecchio, come del giovane, pronunzia senza alcun riguardo su tutti la sentenza di
morte: memento homo, quia pulvis es. et in pulverem reverteris. Così figuriamoci,
Signori miei, che in questo momento mandi la Chiesa uno di questi suoi ministri, e che
avvicinandosi a ciascun di noì, e toccandoci il capo con questa polvere ci dica quasi pian­
gendo, e. lamentando la comune nostra sorte, fratei mio, ricordati che sei polvere, e che
in polvere presto ritornerai. E Voi, o Signore, mentre io mi farò a svolgere questa vostra
sentenza, che un di uscì dalla vostra bocca, Voi fateci capire tutto l ’orrore, e tutte le con­
seguenze di questa gran verità, sicché possiamo tutti quanti ricavarne quel frutto, che sta
registrato, e promesso a chi ben medita la morte. Vergine S. S.™etc.
2/s 38,1.
3 Con una nota il Cafasso intende inserire qui alcune righe dalla pagina afronte.

328
Giorno Terzo ~ M editazione Prim a sulla morte ^ Settima degli Esercizi

sarà vero, ma che importa tutto andrà al fine, perché morrai. Sì, tu che
hai tanti progetti in capo, e conti di vivere chi sa ancor per tanti anni, tu
che rumini di far quell’acquisto, di arrivar a quell’impiego, di spuntarla in
quell’affare, sì tu morrai.
Un giorno si dimanderà di me etc. un bel dì si sentirà, il tocco d’una
campana etc. ogni giorno dagli uni agli altri si va chiamando, e che c’è di
nuovo, un giorno si risponderà, noi sapete, questa notte, jeri sera, è morto
il tal prete4.

Noi annunziamo la morte dai pulpiti, la ricordiamo ancor più soventi (2316) 3
ne tribunali di penitenza, prepariamo moribondi, assistiamo agonizzanti,
celebriamo esequie, preghiamo in più maniere, ed in più tempi per i morti;
e non sono queste tante voci, con cui che ci dicono, e ci ripetono che
quella strada la dobbiamo fare anche noi, che dobbiamo morire anche
noi. Hodie mihi. cras tibi5: così ci dice quella persona, che oggi parte, e
domani ci toccherà seguire. Oh se potessi scolpirmi ben in mente questo
gran pensiero. Ma... conto già tanti anni a questo mondo, sono tanti mesi,
sono tanti giorni, ebbene non andrà gran tempo che verrà quello, che sarà
1-ultimo per me, e chiuderà la mia vita. Verrà un tempo che oggi vi sarò,
dimani non vi sarò più; oggi si dice: nel tal luogo vi è il tal prcte, un giorno
non si potrà più dir così; ma licenziato, e congedato da questo mondo, al
più al più si potrà dir da taluno: una volta vi era il tal prete, ma àdessò
è morto, non v è più. Verrà un giorno, in cui al mattino vi sarò, ma alla
sera non vi sarò più; verrà una sera, che sarà Pultima, il mattino non sarà

4 L’originale continua con le seguenti righe cancellate:

E quand’anche lo volessimo dimenticare questo, pensiero, lo stesso.nostro ministero è (2314)


quello che ce lo ricorda continuamente, pare che tutto congiuri, conspiri a ricordarcelo: di
morte ci parlano le vicende de tempi, delle stagioni, e delle creature anche inanimate; di
morte ci parlano le tante perdite che abbiamo fatto, e facciamo pur troppo giornalmente
di conoscenti, amici, parenti, e dove quella casa, quella persona, che non abbi a contare, e
piangere i suoi morti? Di morte ci parlano i cimiteri, le tombe, le ossa che vi riposano; di
morte ci parlano le campane, che annunziano, e lamentano giornalmente la partenza or
di questa, or di quella persona; di morte finalmente parlano specialmente a noi, i nostri
istessi ministeri; ,

un giorno si faranno nel mondo tanti calcoli, e progetti, si starà in aspettativa chi sa (2315)
di quanti eventi, ma per me tutto sarà finito, io morrò.
5 Sir 38,22.

329
Esercizi S p iritu a li a l Clero - M e d ita zio n i

più per me; verrà una volta che mi metterò a letto, e con questo sarà finita
per me, non mi leverò più. Adesso le campane suonano per gli altri, uri
giorno suoneranno per me, e diranno nel lor linguaggio che son morto,
sono partito per l’eternità; giornalmente vediam gente, che accompagna
cadaveri alla sepoltura, un giorno qualche persona, almen lo spero, mi
userà la carità d’accompagnar anche me alla tomba: ecco il mio fine, ecco
le vicende, che mi aspettano. Questo quadro che ho fattd a me, ognuno
lo faccia a sé. Anche Voi, signori miei, dovete morire, anche per voi verrà
quel giorno, che sarà l’ultimo, ed oggi vi sarete, dimani non vi sarete più;
anche a voi stanno preparate queste scene, e possono èssere più lontane se
volete, perché più giovani, del resto infallibilmente vi avranno da capitare.
Dobbiamo adunque morire pag. 1, Morte del peccai.6.

6 Segue un lungo testo cancellato che si trascrive: ,

(2316) 3 Ma non è tanto la morte, Signori miei, che vorrei vi pensassimo, quanto alle conse­
guenze, ed agli effetti, che ci cagiona; giacché pur tròppo è vero quello, che lainéntava già
S. Giò Crisòstomo, cioè che ognuno vede la morte, mancomale non si può far a meno,
ma pochi si fanno a considerarne le conseguenze, epperciò si può dire che non la-inten­
dono: mortem omnes vident. pauci intelligunt. Debbo morire!.... wiol dire adunque che
io e tutto questo mondo ci daremo un. addio a vicenda un giorno, un addio assòluto,
un addio perpetuo, sicché partito che sarò non avrò più che fare né con niente, né con
nessuno di questo mondo

(2317) 4 e potrò, e dovrò dire, mondo non sei più per me. Debbo morire... Verrà dunque un
dì che cacciato di mia casa, qual oggetto di orrore, qua] rifiuto della società, della natura
istessa, e confinato in una tomba, verrò terra, verrò polvere. Debbo morire!... Ohimè! che
pensiero funesto! quei bei giorni di salute, che adesso il ■Signore mi dà, quel tempo così
prezioso, che un minuto si può dire che yale, quanto vale un Dio, ebbene un giorno mi si
strapperà dalie mani per darlo ad un;a!tro^ nemmeno un momento mi si vorrà accordare,
ma via all’eternità, dove tempo non vi sarà più. Sono queste, o Signori, le gran conse­
guenze della morte, e che poco s’intehdonó, di separarci da tutto, di ridurci in polvere, di
toglierci il tempo, e dare per noi principio all’eternità.
Noi tutti abbiamo qualche cossrélja a questo mondo, abbiamo persone a noi care
parenti, amici, conoscenti, ebbene un giorno tutto ci sarà strappato dalle mani, tutti ci
lascieranno: sono tanti anni, che sto in quella casa, in q u e lla c à m e r a , eppure un giorno
noli sarà più mia, la lascierò; è tanto tempo che ho quell’impiego, lavoro in quel luogo,
ciò non vale, un dì lo lascierò vacante per un altro; sarà costata tante brighe quella carica,
quanti sudori, quante fatiche per un po’ di roba, almen servissero a goderla un momento
di più; servirán; se volete di spina più acuta per doverla lasciare, ma niente varranno a
ritenerne un filo, a ritardarne anche d’un sol minuto lo spòglio: ci toccherà lasciar tutto,
fin le vestimenta che cosa più nostra, e più propria non si può avere, ci toccherà lasciarlo

330
Giorno Terzo - M editazione Prim a sulla morte - Settima degli Esercizi

E come fare per prepararsi alla morte? Che cosa vuol dire disporsi alla (2323) 8
morte; non vuol dir altro, se non se pormi, e continuare in quello stato, in

immantinente, ed in un colpo, ci toccherà lasciarlo per sempre, e con uno. straccio quasi
datoci per carità, ci congederanno da casa nostra, e ci manderanno sotto terra. O stolto,
che tanti conti, mentre di questa notte dovrai partire, cosi rimproverava il Redentore quel
Ricco del Vangelo, che coi granai pieni, e zeppi si consolava sulla speranza di molti anni
mentre la morte col colpo già in aria calcolava le ore sulla sua vita. Oh!... Dio voglia che
questo rimprovero non avesse a meritarselo più d’uno anche tra noi Sacerdoti; e sarà forse
raro il caso, in cui si vedan persone, e diciarp pure Eclesiastici colti dalla morte nel meglio
dei lor.progetti, nel più bello delle loro speranze; o dopo d ’aver a gran stenti trovato un
posto o fattasi una qualche fortuna, e quando credevansi d’essere, giunti a quel tanto,
che sospiravano, e di toccare il punto della, lor tranquillità, e contentezza, hanno toccato
nell’¡stesso tempo il punto, ed il termine della loro vita; se questo capiti, o no, lo potrete
voi decidere al pari di me. O Signori miei, se vogliamo mettere qualche cosa assieme,
mettiamolo pure, ma raduniamo di quei tesori che ■,

nessun ladro di questo mondo, ci potrà togliere, e nemmen la morte, e voglio dire (2318) 5
lasciam questa terra, e lavoriamo per il Cielo, sicché i tesori nostri, le nostre ricchezze sian
tutte là su quelle porte ad aspettarci. O felice tra noi chi la penserà così; non avrà in questo
caso gran ruberia a farci la morte, e lasciatemi dir così,' non invidierà per questo la nostra
sorte, e si farà meno fretta a venirvi, perché sa che non ha preda a fare, e sarà un colpo,
che per questo verso gitta in vano.
Ma non sta qui la strage, che di noi fa la morte, il suo pien dominio lo esercita su
questo corpo, e nella tomba aspetta ad usare senza limiti la sua forza col ridurci in niente
più che polvere.
Per comprendere la forza, e l’orror di questo secondo effetto, venite con' me, e portia-
moci là dove, sia spirata or ora una persona. Guardatela là distesa su quel letto, i capelli
mezzo innalzati, e quasi ritti, gli occhi infangati,.la faccia smonta, la bocca aperta, le
labbra nere, e tutta fredda; più non si muove, ne vede, ne. parla, ne sente: di persona
non ha più che l’apparenza, del resto è come un pezzo di legno, una pietra. Ma andiamo
avanti: fate che si sotterrile ritorniamo di lì a poco a considerare quel cadavere. Oh!
Dio!... che orrore, se uno mai potesse reggere a fissarlo: le carni, che a bei pezzi gli cadono,
i vermi, che lo divorano per ogni parte, le ossa, che si distaccano, un fetore che appesta,
e che ammorba: oh!... copriamo.per pietà un tale spettacolo d’orrore, e ritorniamo fra
qualche tempo a rivederlo; ed. ecco tutto è sparito, quattro ossa spolpate, e secche, se il
tempo, non. le ha ancor consumate, altrimenti un po di polvere, e di cenere da contenersi
tutta in un pugno, e che messa al vento si disperde, e si dissipa senza che nessun s’accorga;
ecco che cosa è poi una persona, e se volete la più ricca, la.più bella, di questo mondo, ecco
il fine, che le toccherà di fare. O vanità, o apparenza di questo mondo fallace, e questo
. è il fine, che hanno da fare le grandezze di questo mondo, e questa è la moneta, con cui
paghi i tuoi seguaci. O h mondo falsario, ed ingannatore: così la discorreva S. Francesco
Borgia, allor quando ancor duca, e Grande di Spagna accompagnando il cadavere della
Regina Isabèlla alla tomba, morta nel fior degli anni, si fè a contemplarla là vicino al
luogo della sepoltura: nello scuoprirla al veder quella faccia così sfigurata, al mirare quel

331
E sercizi S p iritu a li a l Clero - M e d ita zio n i

cui avrei piacere, e desidererei di morire; se giungesse a questo momento


la nostra morte, saressimo pronti, e snelli a partire, e tranquilli nella nostra

volto così deforme, e come? si fé à dire tutto attonito, e questi sono quegli òcchi,'che con
un occhiata contentavano una persona, e questa è quella faccia, che incantava la vista, e
questa è quella bocca, da cui pendevano le vicende d’un Regno, e questa è Isabella? O h
fumo! oh grandezza! oh vanità di questo mondo: e da quel punto determinò di lasciar al
più prestò il mondo, ed appigliarsi ad un padrone

(2319) 6 che lo potesse pagar meglio. Proficiscamur ad sepulchra {citaz. tratta da. Sermoni, cit.,
p. 73] alza qui la voce S. Giò Cris. Olà andiamo sull’orlo d’un sepolcro, e là da quei vermi,
da quella cenere, da quelle ossa impariamo a Valutare questo mondo, ed a giudicar di
tutte le sue grandezze. Cogitanti vilescunt omnia così teneva scritto una persona sopra
un teschio di morte, che aveva sempre sott’occhio; oh!... per necessità ci deve cader dal
cuore questo mondo, se noi l’andiamo qualche volta a considerare tra ia cenere, e le ossa
dentro una tomba; tanto più che questa scuola mentre m’insegna, e mi disinganna di tutta
l’apparenza, e vanità di questo mondo con dirmi, e farmi toccar con mano che tutto è
polvere, e cenere, mi mostra, e mi dice in pari tempo, che non è diversa la condizion mia,
e che un giorno sarò io altrettanto di quello, che fin d’oggi sono già tante persone, e la
scuola che gli altri fanno oggi a me, la farò io un giórno agli altri, io, sì propriamente
io, un dì sotto terra, e dalla tomba con quéste quattrossa, e poca cenere insieme alzerò
la voce per dire che tutto è follia a questo mondo, tutto vanità. Questo riflesso, e questo
pensiero se abbi forza ditelo voi, e servirà ancora pet impegnarci a trafficare, e trar partito
da quei pochi dì, che presentemente abbiamo prima che venga questa ladra del tempo, ce
lo strappi di mano per non darcelo mai più; ed ecco l’ultimo effetto della morte, di finire
cioè il tempo, e dar principio per noi all’eternità.
Adesso, Signori miei, abbiamo tanto bel comodo di far dei bene, possiamo a tutto
nostro beneplacito sfogar nell’orazione il nostro cuore col Signore, confidargli le nostre
miserie, i nostri bisogni, pregar per tante povere persone che soffrono, che gemono in
questa vai di miserie; adesso noi Sacerdoti abbiamo tanti mezzi^ e tante vie da guadagnar
anime al Signore, opera sì meritoria, e sì grande da generar perfino invidia alle anime
sante in paradiso, mentre sappiamo che diverse amavan meglio ritardare il loro ingresso in
quella gloria, e frattanto poter ancor per qualche tempo lavorare a ben di qualche anima;
eppure nò; questo tempo e questo comodo il Signore l’ha loro già tolto, ed invece lo da
a noi per lavorarci una ricca, e bella corona di meriti in Cielo; ma ricordiamoci che si
bei giorni, si preziose giornate andran per noi a finire, verrà un dì che questo tempo ci
sarà tolto, e tolto talmente che non avremo più campo a far una breve orazione, a dir una
sola giaculatoria, a dar un occhiata, un bacio ad un Crocefisso; nò; tutte le lacrime dì chi
circonderà il nostro letto di morte, e se mettessimo anche tutte

(2321) 7 le preghiere de’ Santi in Cielo non saranno più capaci d’ottenercene un minuto. A
quest’ora migliaia di bocca chiamano un quarto d’ora di tempo dall’inferno, e non l’ot­
tengono, cosi un dì quand’anche migijaia d’anime le più fervide chiamassero un pò di
tempo ancor per me, questo tempo non vi sarà più. Tempus non erit ampli'us [Ap 10,6].
O Signori miei, adesso si scialaqua tanto di questo tempo senza pensarvi. Ma... lo pian-

332
Giorno Terzo " M editazione Prim a sulla morte ** Settim a degli Esercizi

partenza; se così è, come lo dovrebbe pur essere per noi Sacerdoti, ringra­
ziamone il Signore, e facciamoci animo

a continuare in questo stato, finché il nostro buon padrone, che ci mise (2324) 9
a lavorare nella sua vigna ci chiami al riposo, alla paga. Del resto se qual-

geva fin dai suoi dì S. Bernardo: transeunt dies salutis et nemo cogitar .sibi perire diem
nummquam redditurum [citaz. tratta da Sermóni, cit., p. 273, dove però si dice che è di S.
Bernardino da Siena, Sermo ad Scholar.]. Ohjmè che se ne passano, se ne volano ¡ giorni
di salute, quei giorni si cari, sì preziosi, e nessun pensa, che quel giorno, che passa sia bene,
sia mal impiegato, mai più ritornerà; e che spina, che rimorso allor quando ce lo vedremo
a togliere pensando d’averne trascurato si gran parte: ve l’ho già detto, ma lasciate ve lo
ripeta, questo è il lamento ordinario, che si fa al letto di morte; ma... sono tanti anni, che
sono al mondo, ho avuto sì bel comodo del bene, e ne ho fatto sì poco, oh! se guarisco, oh!
se vengo in sanità... ma è inutile, quel che è fatto è fatto, il tempo non v’è piti.

Fatto di Gugliemo. (2320)

Deh! Signori miei, io so che vi sta a cuore l’anima vostra, so che aspirate ad un bel (2321) 7
posto, ad una bella corona in Cielo, ebbene io vi dico, quello che volete farei fatelo presto,
sono troppo cari, son troppo preziosi i vostri giorni, non perdetene un momento, tanto
più che presto li dovrete perder tutti, e per sempre poiché non solo la vostra morte è certa,
ma è di più vicina. Ecco l’ultimo riflesso,
Morremo, ella è decisa, non v’è scampo, ma chi sa se morremmo in casa nostra, nel
nostro letto, vicino ai nostri parenti, oppure lungo una strada, in campagna, lontani da
tutta la nostra gente; io non lo so. Chi sa se morremo dopo una malattia, oppure colpiti
da un accidente, chi sa se avremo fino agli ultimi la nostra cognizione, chi sa se avremo
tempo a ricevere tutti i Sacramenti, Oh!... sono tutte cose, che io non so dirvi, Iddio solo
le sa; quello però che so, e che debbo dirvi si è che morrem presto, che la nostra morte
è vicina: memor esto, quia mors non tardat [Sir 14,12]; ricordati, tien in mente, ci dice
10 Spirito Santo, che la morte non tarda a venire; non dice già, sappi perché è una cosa,
che già si deve sapere, ma solo abbi in mente: quia mors non tardat. Tempus breve est,
ripeteva FApposto lo ai Corinti, quia utuntur hoc mundo tanquam non utantur: praete-
rit enim figura huius mundi [1 Cor 7,31]. E questa durata di tempo la dice tanto breve
l'Appostolo, che chi possiede vuol sii considerato, e messo al pari come chi ha niente; chi
piange come chi non piange: Qui emunt tanquam non possidentes. et qui flent tanquam
non flentes il Cor 7.30'ì. tanta è la velocità.

con cui se ne volano i giorni, che tanto chi gode come chi soffre potrà appena gustare (2323) 8
11 dolce, o l’amarezza de’ suoi giorni. Il profeta Giobbe paragonava la nostra vita ad un
fiore, che sul bel mattino spunta fresco, ed odoroso, ma ad un po’ di vento contrario, ad
un po’ di sole troppo ardente, s’abbassa, muore, e vien polvere: homo quasi flos egreditur.
et conteritur\Gb 14,2]; ed infatti si lamentava egli stesso che i suoi giorni passavano come
un ombra più veloci ancora d’un corriere: dies mei velut umbra transeunt, velociores cur­
sóre [Gb 9,25].

333
Esercizi S p iritu a li a l Clero - M e d ita zio n i

che pena, qualche rimorso ci sentissimo in cuore, egli è questo if tempo di


rimediarvi, d’aggiustar le partite passate della coscienza nostra, e formarci
un piano di vita che convenga ad un sacerdote, un tenor di vita, che abbi
a meritarsi l’approvazione di quel Dio, che ci ha posto a rappresentarlo, ed
a far le sue veci in terra. Di più, siccome abbiam veduto, che la morte ci
ha da separare da quanto abbiamo, e possiamo avere a questo mondo, sarà
necessario per ben disporci, prepararci insieme a questo taglio, a questo
spoglio, a questa separazione, e la maniera è unica, qual è di far facciamo
che sii volontario ciò, che un giorno ha da essere forzato, e necessario,
come dice S. Giò. Cris. Fiat voluntarium, quod futurum est necessariuiil.

Ma non abbiamo bisogno di tante autorità per convincerci, quando la storia di tutti
i tempi, e l'esperienza d’ogni giorno ci avvisa che la vita è breve, che si muore, quando
non vi si pensa. Oh!... io son giovane, sono robusto, non sarà poi tanto vicina per me !a
morte. O figlio mio, cosa mai vai dicendo, deh! Guarda di non ingannarti, dice S. Gre­
gorio Nazianzeno: dices: iuvenis snm: noli decipi: e pensa che quella bara istessa, che oggi
pòrta un vecchio decrepito, non più tardi di domani porterà aila tomba un giovane tra
più fastosi; idem feretrum hodie senem cras eiegantem àdolescentem effert. Ed ai giorni
nostri se ci mettiamo a far un calcolo saranno forse più i vecchi, od i giovani, che se
ne vanno all’altro mondo: Oh!... aver da morire così giovane oh!... aver da morire cosi
presto ho sentito io colle mie orecchie diversi giovani a prorompere in questi lamenti sul
letto della loro morte; lamenti dolorosi, ma inutili, non v’è né sanità, né gioventù, né
robustezza che tenga, e quanti di nostra conoscenza, nostri compagni ai primi anni, in
seguito nel corso de nostri stùdii, eran pur giovani, saranno anchestati robusti, eppure
son morti, non vi sono più,

(2322) Ma chi di noi avrà la morte più vicina, chi di noi sarà il primo a morire: è questa
un interrogazione che da da pensare a ciascuno. E sarebbe bene si potesse sapere, perché
questo tale perdesse più tempo, e si preparasse quanto prima. Chi sarà adunque? il più
vecchio di noi, od il più giovane, il più' robusto, od il più infermiccio? Oh! Non si sa
epperò non possiamo dire ad alcuno, orsù pensavi bene, non tardar di più, che tu sarai
il primo: però riteniamo queste tre cose: uno di noi ha da essere certamente il primo,
ognuno di noi può essere questo primo, e questo primo non può tardar gran fatto a
morire; siamo qui in numero di e vi sarebbe a stupire che prima del fine di quest’anno,
e prima di altri Esercizi in un altro anno, qualcuno se ne vada: sicché qual sarà la conse­
guenza; è chiara e naturale: che tutti senza eccezione non deve tardare a prepararvisi.
Ma può essere, dirà taluno, che io venga vecchio: io ve l’auguro bene, ma lusingarsi su
questo può essere io non oso approvarla; e poi quand’anche vi potessimo arrivare, sarà per
questo lunga la nostra vita, anche in questo caso voleranno sì presto i nostri giorni, i nostri
anni, che giunti al fine ci parrà piuttosto d’aver sognato, che d’esser vissuti; sicché ad ogni
conto bisogna conchiudere che non può essere lontana la nòstra morte, ed in conseguenza
non dobbiam tardare a prepararvisi, e disporci per riceverla.

334
Giorno Terzo - M editazione P rim a sulla morte " Settima degli Esercizi

Facciamo un offerta a Dio per grazia, e. per merito di ciò, che una volta
poi gli dovremo rendere per dovere. Offeramus Deo prò munere, quod
tenemur reddere prò debito. Così il S. Dottore. Già si sa, che non si lascia
senza dolore, ciò, che con piacere, e diletto si ritiene; non relinquitur sine
dolore quod cum delectatione retinetur7 dice S. Agostino e prendete il
mio consiglio, seguita a parlare questo Gran Santo, procurate di licenziare
da voi le cose di questo mondo prima che vi tocchi sentire a licenziarvi
da loro: discite dimettere antequam dimlttamini Perché dei due è sempre
meglio dar noi Faddio, ed il congedo, che averselo poi a sentire, e doverlo
a nostro dispetto ricevere, e che congedo amaro sarà quello se la morte ci
troverà stretti ed allaciati da mille vincoli di beni, di onori, di parenti, di
amici, di progetti, di speranze; e come fare, a rompere tutte quéste catene
in un colpo senza sentirne il dolore. Deh!... Signori miei, se ci sta a cuore
una morte men amara, imitiamo l’esempio del grande Appostolo, il quale
con una morte anticipata, continua, e giornaliera, si preparava al duro
passo, e protestava di sé, che moriva ogni giorno: quotidie mòrior8: in
due maniere principalmente poteva dire, che moriva ogni giorno: primo
perché ogni giorno perdeva qualche cosa del suo essere, delle sue forze, e
passava una parte della sua vita, a cui moriva, ed in questo senso moriamo
anche noi ogni giorno, e muojon tutti per necessità; in altra maniera però
più nobile moriva ancor ogni giorno, èd era che ogni giórno distaccava
vieppiù il suo cuore da questa terra, e perciò si può dire che moriva giornal­
mente alle cose di questo mondo: quotidie morior. Oh!... volesse Dio che
si potesse anche dire di noi che muoj amp ogni giorno in questa maniera;
noi felici, se queste morti anticipate, e giornaliere precederanno

quell ultima morte, quella mólte assoluta, che metterà poi fine al corso (2326) io
della nostra vita; se non ci sentiamo di morir tutto in un colpo, se ci pare di
non aver animo a dar un addio generale fin d’oggi a tutto :questo mondo,
almeno proccuriamo d’andar morendo ogni giorno, ed ogni giorno andar
congedando qualche cosa da noi, e dal nostro cuore9:

accostumiamoci a guardare ogni cosa coll’occhiò della morte: sto in (2325)


camera a quel tavolino di studio, la guarderò coll’occhio della morte, e

7 S. A g o s t in o , De sermone Domini in monte, PL 3 4 , c. 123 9 .


' i C o r 15,3!.
9 Con una nota il Cafasso intende inserire qui un testo della pagina a fronte.

335
E sercizi S p iritu a li a l Clero - M e d ita zio n i

dirò: camera mia un giorno ti lasci ero; un altro verrà ad abitarti in vece
mia. Vado su quel pulpito, in quel Confessionale, ma mi vi porto coll’oc­
chio della morte, e dirò tra me stesso, un giorno non ci verrò più, un
altro verrà a surrogarmi. Prenderò per necessità qualche divertimento qual­
che sollievo, ma lo prenderò coll’occhio della morte, e dirò: un giorno
non avrò più bisogno di coteste miserie perché morrò. Beati noi etc. Altra
Medit. sul fine10.

10 II testò contìnua e si conclude con una pagina' interamente barrata: Beati mortui.
qui in Domino moriuntur [Ap 14,13]; beati que’ morti, che morranno nel Signore; e
come dice S. Ambrogio, e da quando, chi è già morto, può ancor morire un’altra volta;
spiega l’arcano l’istesso Santo Dottore con dire, beati sono coloro, a cui tocca di morire
nella carne, quando collo spirito sono già morti al mondo: illi sunt beati, et in Domino
moriuntur. qui prius moriuntur mondo. postea carne [e un aggiustamento da Expositici
Ev. sec. Lucam, PL 15> c. 1544]. Beati, ancor noi adunque, se la morte nostra verrà allora
quando sarem già morti a tutto questo mondo, ai parenti, agli amici e conóscenti tutti,
alla roba nostra, fino alle speranze nostre,. Beati, vi ripeto, se allor quando il Signore ci
chiamerà, gli avrem già fatto un sacrifìcio di questa sorta; vorrei che questo sacrificio, e
questa morte anticipata s’estendesse perfino al nostro impiego, alle nostre occupazioni;:
al bene, che ci par di fare colle nostre fatiche; è tanto tempo che saremo in quel luogo,
dove lavoriamo, e pare che il Signore benedica1le nostre fatiche, attendiamo al Confes­
sionale, predichiamo, andiam via instruendo ragazzi, ignoranti di qualunque sorta, e via
tante altre opere del nostro Ministero: spero che sarà Iddio che ci ha posti là a fare la
sua volontà; lavoriamo adunque, e lavoriamo con animo senza perder tempo, ma sempre
disposti, e pronti a lasciar anche quest’opere di tanta sua gloria ad ogni suo cenno, alfa
prima sua chiamata. O beato quel servo, che venendo il Signore lo troverà cosi operando:
Beatus servus. quem cum venerit Dominus invctierit inveniet sic facientem [Mt 24,46].
E per animarci ad un sacrificio si generoso lasciate che vi ricordi il pensiero, che già vi
ho nominato: ricordatevi, che la nostra morte non tarderà a venire: memor esto quia
mors non tardat; è incerto, ed ignoto quel giorno che verrà, ma appunto per questo ogni
giorno, ogni ora ci sia sospetta: quia incertus. ac ignotus ultimus dies. suspectus sit omnis
dies. è quel solo la fa da saggio, dice S, Agostino, che temendo d’esser sorpreso daH’ultimo
suo giorno, cosa fa? conta ogni giorno, e lo passa come appunto fosse l’ultimo della sua
vita. Consultit sibi... qui ne ab ultimo praeoccupetur die, extremum computai omnem
diem \Sermones de Sanctis, PL 38, c. 1411], Sian pur dunque ancor lunghi i vostri anni,
o Signori miei, che io lo voglio sperare, Solo proccurate di passarli in questo modo, e poi
non temete: con questo metodo

(2327) vi manterrete disposti, e pronti a morir ogni giorno, anzi ogni giorno andrete
morendo, e facendo cosi precedere aH’ultima vostra morte, tante morti anticipate e volun-
tarie, sarà santa la vostra vita, e non potrà che essere felice, e prezioso il termine de’ vostri
giorni, come io vi desidero di cuore. Così sia.
Die 8 Iulii 1842
Laus Deo, et B. M. V.

336
(2328)
Giorno Terzo
Meditazione Seconda Prima
Sulla morte del peccatore
Ottava degli Esercizi

Terzo Giorno (2329)

Eterno Iddio io mi metto alla vostra divina presenza, e vi riconosco e con­


fesso per mio supremo padrone e solo Signore. Io adoro quella sentenza
di morte, che avete fulminato sul mio capo: itr Faccetto me nirconfesso
meritevole e l’accetto dalla vostra mano in penitenza de’ miei peccati ed in
attestato del soddisfazione ed omaggio alla offesa vostra Maestà: fate o mio
Dio che a questo specchio di morte io mi disinganni appieno in questa sera
quest’oggi della vanità e dell’apparenza di questo mondo, late che questo
pensiero-di morte mi tenga e mi disponga una volta a tenermi fermo, e
costante nei doveri di un buon Sacerdote.

Esordio

Dispone domui tuae1. Pag. 2. {parola ilkj

Dobbiamo adunque morire, Signori miei, ma... chi sa come se la passe­ (2331) PI
remo in quest’ultima giornata di nostra vita: Chi sa... se stesi sul letto della
nostra morte saremo tranquilli, contenti, allegri, oppur agitati, inquieti,
col cuore trafitto da spine, e rimorsi. Chi sa... se partiremo da questo

*{fald. 4 7 /fase. 182; nell’originale 2328-2348). [Questa meditazione ha probabilmente


Usuo modello nel Sermone X L F V di S. A l f o n s o M . d e ’ L ig u o r i , Sermoni compendiati per
tutte le domeniche dell1anno, Torino 1831, pp. 184 ss.]
‘ ¿ 3 8 ,1 .

337
Esercizi Spirituali al Clero - Meditazioni

mondo col cuore pieno di speranza d’andar a ricevere la paga, che un buon
operajo evangelico può con tutto motivo ripromettersi dal padrone della
Vigna, oppure col timore, e spavento d’esserne riprovato, e condannato
come lavoratore indolente, e pigro. Chi sa... io dico qual sarà la nostra
morte, se dolce, tranquilla, e preziosa, oppure infelice,, cattiva e pessima.
Di queste due morti parlano le Sacre Scritture, ed una la riservano alle
anime giuste, l’altra, che è là pessima, la minacciano ài peccatori; mors pec­
cato rum pessima2: oh! se avessi quà a sentirmi in quest’oggi certa gente pur
troppo non rara nel mondo, che in mezzo a mille iniquità, e disordini se ne
vive ridendo, e passando allegramente i suoi giorni, oh!... se sapeste, vorrei
dir loro, che triste fine v’aspetta. Oh!... se pensaste, che spine, che rimorsi
saranno i nostri un dì! e sapete quando? quando che carichi di male, ed
abbandonati da tutti vi troverete sul letto di vostra morte vicini a lasciar
questo mondo, e partirvene per Per.ernità! Ma lascio chi non mi sente, e
vengo a noi3;

(2330) E come muojono i Sacerdoti? vi risponderò che muojono come vivono.


Tra Sacerdoti, e Sacerdoti vi è una gran differenza nella vita, così e non
altrimenti vi sarà una gran differenza nella morte. Oh! se una morte cat­
tiva, anzi pessima sta riservata etc.

(2331) 1 e se una morte pessima sta riservata ad un peccatore qualunque, io non


so con che nome chiamare la morte, che purtroppo avrà a fare un cattivo
Sacerdote non buono4.
Figuriamoci di trovarci in una camera casa, dove vi sia questo Sacerdote
moribondo. Tutto è sossopra, in disòrdine; i parenti, gli amici, i vicini tutti
in moto, e costernati. Andiamo più addentro, ed entriamo proprio nella

2 Sai 33,21. ; ; :
3 L’originale prosegue con le seguenti righe, cancellate: E tra Sacerdoti, Signori -miei, non
vi saranno peccatori? oppure vi sarà qualche riguardo, qualche eccezione per lo stato
nostro: oh!... ben tu tt’altro, fratelli miei, e se una morte pessima sta riservata...
Questo testo è sostituito da un altro posto nella pagina a fronte.
4 II testo continua con le seguenti righe cancellate: mi pare sia questa una morte più da
lamentare, e da piangere che da discorrerne, e he prescinderei volontieri se.la speranza, che
parlandone saremo per animarci per una condotta tale, che ci meriti tutt’altrà morte, non
mi animasse a parlarne. Vi farò dunque un quadro di questa morte, e vedremo le pene, le
angustie, le spine, con cui d’ordinario termina i suoi di un Sacerdote si fatto.
Giorno Terzo - M editazione Seconda Prima * Sulla morte del peccatore

camera di costui, guardatelo là disteso sul letto5 di morte vicino a dar l’ad­
dio a tutto-questo mondo;, ahimè, etc.

Tutto è terrore, e mestizia, fin l’aria, fino la luce spira orrore, e spa­ (2230)

vento; non si sente una parola, non si vede un passo, solo si geme, solo
si sospira fermi ed immobili. Ohimè che luogo, ohimè che ora fra poco
in cotesta camera avrà a succedere una gran scena, avverrà una gran par­
tenza, si ergerà un gran Tribunale,: si pronunzierà una finale e spaventosa
sentenza: ecco la scuola etc.

: ecco la scuola, che si apre per tutti; qui più che in ogni altro luogo si (2333)2
conoscerà la vanità di questo mondo, la follia di chi ha poste iir questa
terra miserabile le sue contentezze del Sacerdote che pose le sue speranze
in questa terra, giacché al dire di S.:Agostino ogni letto di chi muore, dice
Agostino, diventa una cattedra, che insegna: lectuius morientis cathedra
docentis6; e negli esercizi vien chiamato appunto questo giorno,: giorno di
disinganno. Oh!, volesse Iddio che a questo specchio, ed a questa scuola ci
disingannassimo ancor noi. Andiamo adunque avanti.
Prima di tutto non credetevi che parlandovi della morte d’un Sacerdote
peccatore, io intenda parlarvi d’un Sacerdote apostata, d’un Sacerdote,
che abbia condotto abitualmente una vita scandalosa, ed in mezzo a mille
disordini; eh!... per più ragioni, che io non sto ad accennarvi, io non me la
prendo con Sacerdoti tali, che sarebbe molto, meglio mai avessero veduto
la luce di questo mondo piuttosto ché contaminare di tanta infamia lo
stato nostro, e dar tanto scandalo alle anime; io intendo bensì parlarvi d’un
Sacerdote7 :

5 II testo continua con le seguenti righe cancellate: con un ària tutta stravolta, e contra­
fatta, e con i sudori di morte sulla sua faccia vicino a spirare: un buon Ministro, che lo
conforta, poche persone, che lo piangono ¿ ’attorno al letto; tutto è malinconico in quella
camera, tutto fa spavento; non uno che si muova, non uno, che parli, e non si rompe
il silenzio se non con sospiri, e lamenti. Ohimè! che luogo! ohimè! che ora! Ohimè che
momento... ecco la scena, che vi presento a contemplare.
Questo testo è sostituito da un altro scritto nella pagina a fronte.
6 C i t a z i o n e n o n e s a tt a d i S. A g o s t i n o , In Iohann. ev. Tractat., PL 35, c. 1950.
1 II testo continua con le seguenti righe cancellate: che, se non io possiamo dire così cat­
tivo, nemmeno si può dire veramente buono, un Sacerdote che non curi lé cose piccole,
e di tanto in tanto siamo li a cose gravi; un Sacerdote tiepido, pigro, ozioso, indolente, {a
questo punto il Cafasso con una nota intende aggiungere due righe scritte nella pagina a fronte)
occupato in tu tt’altro, che in opere di suo Ministero, divertimenti, partite, traffichi, e

339
Esercizi Spirituali al Clero - Meditazioni

(2232) un prete ozioso, secolaresco, mondano etc... un prete che lavori sì ma


per fini umani, e come per mestiere, un prete che in materia di coscienza
non è fra’ delicati, poco o nessun conto de’ peccati veniali e purtroppo
qualche volta, e forse soventi siamo a mortali. Un prete freddo, pigro, raro
a Sacramenti, e che poco si cura delle pratiche di pietà tanto per sé come
per.gli altri.

(2333)2 Figuratevi adunque di vederlo sano, robusto, a passar allégro i suoi


giorni\

(2332) mentre altri Sacerdoti attendono allo studio, al lavoro, chi a questo, chi
a quel Ministero, egli invece contento di quel po’ di Breviario, Messa, e
qualche altra cosarella, del resto qua e là, divagato, oppur ozioso tutto
il giorno in casa, ovvero occupato in cose di terra al par di qualunque
secolare. Fate la prova a. dirgli che studi, oh, sì che ha voglia di studiare,
forse stentava a farlo quando aveva ancora da prender gli esami; Dite che
faccia qualche cosa, ajuti, vi risponde che non gli tocca: ditegli che quella
vita, quelle compagnie non gli fanno troppo onore, che non vesta a quella
foggia, vi ripete che non Vuol scrupoli; ditegli che almen pratichi qualche
opera di pietà, posto che fa niente vadi almeno a fare una visita alla Ghiesa,
è capace di dire che non ha mai fatto il brigante l’impostore: invitatelo
a fare gli esercizi, vi risponderà che non ha bisogno di coteste bigotterie:
dunque lasciatelo fare, viva come vuole, verrà il tempo suo.

(2333) 2 Passano i mesi, passano gli anni, finché arriva qùell’anno, quel mese,
che è l’ultimo per lui, e che deve chiudere la sua vita. Io non voglio sup-
pore, che muoja di morte improvisa, ne che sia sorpreso da un male sì

cure tutte temporali, oppure etc.. di que1Sacerdoti che si contentano,, e credono di poter
essere mediocri nel loro stato, che sono Sacerdoti per così dire all’ingrosso, occupati di
quei Sacerdoti, che non sono certo di coscienza delicati, poco o nessun conto di peccati
veniali, ma quello che è di peggio di tanto in tanto siam 11 a mortali.
Oppure, se volete, un Sacerdote anche che lavori, ma con poca fede, senza Fervore,
e con mire non troppo buone, di vanità, d’interesse più che di gloria di Dio, e di Cui si
potrebbe dire, che fa il prete per usanza, e per mestiere come qualunque altro fahro nella
sua officina. Eccovi il Sacerdote, di cui intendo parlarvi, e di cui voglio che consideriamo
le ultime giornate, che avrà a vivere su questa terra. ■
A l posto di questo testo il Cafasso ne inserisce un altro scritto nella pagina a fronte.
8 Con una nota il Cafasso intende inserire qui alarne righe scritte nella, pagina a fronte.

340
Giorno Terzo " M editazione Seconda Prima - Sulla morte del peccatore

forte, che gli tolga quasi da principio la cognizione. Diamo pure, che la
malattia sia tale da lasciargli tutto il comodo a ben prepararsi, per ben
disporsi a questo gran passo. Come si disporrà? Quale sarà la sua morte? La
vedremo; e per ridurre la cosà a qualche ordine, ci fermeremo su questi tre
punti, cioè Tannunzio della morte, il modo, con cui si prepara a morire,
finalmente le sue agonie, e la sua partenza da questo mondo.
Ecco il nostro Sacerdòte in letto, assalito da quella malattia, 'che deve
esser l’ultima, e terminerà i suoi dì. Già sul principio si calcola poco, tanto
il Medico, come quei di

Casa, molto più l’ammalato, questo è niente, da qui a pochi dì sarà quel (2334) 3
prima. Così si calcola, e si progetta in terra, ma in Cielo diversamente si
decreta, e già mi pare di sentire una voce dal Cielo, che gridi come già
contro quell’albero infruttuoso del Vangelo: succide, succide eam9. Il male
infatti in vece di calmarsi s’aumenta, e vien al punto, che la malattia è
ben grave, pericolosa, e si sospetta mortale; il medico ha già di che ben
pensare, quei di casa bisbigliano; ma frattanto col povero ammalato aria
allegra, parole, che incorragiscano, si fa di tutto per non lasciar trapeliate
il pericolo, ma... e non sarebbe tempo di pensar ai Sacramenti, e quando
si vuol aspettare? altro che tempo, ed è obligo preciso tanto dell’infermo
di riceverli, come del Medico, ed in mancanza sua di qualunque di casa
rawertirne l’infermo. Oh è prete, si dice, sa lui il suo dovere, toccherebbe
a lui il sortirne, e con questo si prolunga, l’ammalato perde e di forze, e
di testa, la morte s’avvicina, ed i conti da aggiustare, ma orsù l’infermo
non ne sorte, non vi pensa, perché non conosce il proprio pericolo, uopo
che qualcuno gliene parli; e chi? uno si rifiuta, l’altro non osa, questo teme
lo prenda a male, quell’altro pare non convenga c’è qualche freddura, vi
è qualche interesse insieme, e così sempre si prolunga. Eh!,,, via, via la
più spiccia sarà chiamare il proprio Confessore, e sotto il pretesto duna
visita entrarne in discorso, dargliene un tocco, eh! se si avesse a fare con
un povero villano, sì che si prendono tante misure, si dice schietta la cosa,
orsù, mio caro, bisogna confessarsi, non si sa come andrà a finire la malat­
tia, pare non s’incammini bene, è un po’ meglio aggiustar i conti, così si
parla con questa gente, e così si dovrebbe parlare con tutti; eppure a noi
preti specialmente si vuol aver più carità per non spaventarci, si hanno
certi riguardi. Carità crudele, lasciatemi dir così, riguardi diabolici, che

9Le 13,7.

341
Esercizi Spirituali al Clèro - Meditazioni

tante volte lasciano che un anima tocchi le porte dell’eternità senza ché se
ne accorga: ma facciamo prèsto, non tardiamo a far avvisato il Confessore
di questo prete infermo. Chi è? chi è? si saprà poi chi è? eh!... alle volte si
sa chi è il confessore; del padre; della madre, dei fratello, della sorella, e si sa
perché si vedono ad andarvi, e ne parlano in casa., ma chi è il confessore del
prete, che è in casa. Oh! davvero che nessuno lo sa: ma possibile che. non
vi vada, lo non dico tanto, andrà ogni due tre mesi, e forse più soventi; ma
come ya che non si sa? perché vi va tamquam fur. di secreto, di nottesi, va
a trovar in camera, e pare si abbia paura che perfino l'aria lo sappia; eh!...
si usa tanto secreto andar alle partite, al giuoco,

(2335) 4 ai Caffè, alla Conversazione; e perché poi tanta secretezza per andarsi a
confessare; e ci farà del torto se ci vedranno ad accostarci ad un tal sacra­
mento? non è anzi un buon esempio, e non sarà un gran stimolo per chi
osserva, il vedere un Sacerdote che prima siedeva come giudice in quel
Tribunale, ora cangiata qualità, e dimenticata ogni sua giurisdizione, qual
altro comunque del popolo presentarsi come reo a questo stesso Tribunale,
umiliarsi, e dipendere dalla mano di colui che avrà egli stesso altre volte
giudicato, o se nò avrebbe almeno tutto Tautorità di giudicare;.ditelo voi
che gran forza dovrà avere quest’atto nel popolo mentre non possono pen­
sare che lo facciamo per vanità, ed interesse, come per lo più sospettano in
altre azioni, che anzi, come vedono loro stessi, ci confonde, ci umilia avanti
tutti, e ci accomuna a loro; io ho veduto co’ miei occhi, in occasione, che
in publico si confessava qualche Sacerdote, la gente come attonita, e stupe­
fatta star rimirando, ed avvisarsi gli uni cogli altri quasi duna gran meravi­
glia. La conseguenza di ciò ognuno se la può dedurre, ed io passo a chiamar
il Confessore del nostro Sacerdote infermo.
Si chiamerà un Sacerdote, e v’andrà, Dio voglia che non sia quel desso,
con cui ha avuto contese, contrasti, che non sia quegli, con cui v’è sempre
stata un po’ d’antipatia, di freddura, di gelosia, ed in questo caso che con­
fidenza potrà avere per aggiustare i suoi conti, ed aggiustarli per l'ultima
volta, cioè a dire, per poter partir tranquillo per l’eternità. Ma sia come
si voglia andrà questo buon Ministro, e dimenticata ogni cosa cercherà le
maniere più acconcie per introdursi, e far l’ufficio d’ Isaia con fargli giun­
gere all’orrechio in un modo, o in un altro quella gran parola: dispone
domui tuae10. Senta, Signore, le cose non pajono troppo bene incaminate,

10 ¿ 3 8 ,1 .

342
Giorno Terzo " Prim a ^ Sulla morte del peccatore

pare che la prudenza voglia si pensi un po’ ai Sacramenti, e si disponga


delle sue faccende, in caso che il Signore lo chiami non abbi ad aver
rimorsi, e pene, che impressione gli farà questa notizia; io non voglio sup­
porre che volti la faccia ai muro, e si metta a piangere dirottamente, come
ha fatto Ezechia a questo annunzio, potrebbe anche succedere; ma non
andiamo tanto avanti, quello che è certo si è che non se l’aspettava questa
nuova, e lo metterà in gran pensieri; vuol dire dunque che vi sii bisogno,
pensa Lei che non mi cavi più di questa malattia; per altro il medico mi
fa coraggio, e cose consimili, come finirà poi il discorso, eh! la ringrazio
della sua visita, all’occasione ruapprofitterò della Sua carità, e se occorre lo
manderò a chiamare; cosi d’ordinario resta congedato per le prime volte il
Confessore11.

Tre cose io vedo che d’ordinario rendono sospetta la Confessione d’un (2336)
Sacerdote mondano sul letto di morte. La mancanza di confidenza, la spe­
ranza di guarigione, e confesarsi altra volta, l’abito di confesarsi cosi in
fretta, superficialmente, e senza vere disposizioni, e che perciò la sua con­
fessione se non è un sacrilegio, sia una vera nullità.

E frattanto l’infermo s’aggrava sempre più. Ma diamo sempre il meglio, (2337) 5


e facciamo che s’arrenda alle prime: ebbene, farò come dice, penserò un
po’ a’ casi miei, ora ho la testa aggravata, l’aspetto al tal tempo. Parte il
Confessore per dargli campo a pensare, stiamo un po noi 11vicini per veder
cosa pensa su quel coperto annunzio di morte. Già non sa persuadersi che
la cosa sii tanto grave,,non si da a credere che abbi a morire; tuttavia quelle
parole le suonano all’orrechio,'e gli fanno nascere un certo timore, e spa­
vento, è chi sa... comincia dire tra se, chi sa che la cosa non sii pericolosa,
che forse non osino a dirmela, mi sento così aggravato; ma... sì che sarei
burlato se dovessi morir adesso, or che sono in carriera, or che ho quel che
desidero, or che le mie viste sono per compiersi, ma... ancor questo mi
dovrebbe capitare, avessi a lasciar a metà que’ traffichi, in mano d’altri quel
posto, quella roba; ma... chi l’avrebbe mai detto pochi giorni sono, stava
sì bene, e adesso? adesso chi sa come finirà per me. Ecco, Signori miei,
come un semplice tocco di morte pesa sul capo di chi ha gettato le radici

1 ! Nel verso della pagina compaiono alcune righe che però non sembrano inseribili in
nessun punto della pagina successiva, come di solito sarebbe consuetudine per il Cafasso. Pro­
babilmente si tratta di un appunto che l'autore ha inserito qui come promemoria e che viene
trascritto nel testo all’inizio della pagina successiva.

343
Esercizi Spirituali al Clero - Meditazioni

in questo mondo; e se questo già tanto lo inquieta, e lo affanna, cosa sarà


quando una mano potente Io abbi à viva forza a sradicare da questa terrà
in un colpo?
Ma mentre in questo stato i pensieri s’affasteleranno gli uni agli altri
in suo capo, cercherà di quietarsi con ritornar al primo pensiero, che è la
speranza, oh! questa, spero, la conterò ancora; chiama quei di casa, vuol
sapere quello che disse il medico, e mancomale si fa sempre coraggio, eh!.,,
si levi queste idee dal capo, si rimprovera ancora per far vedere che si parla
franco, bisogna farsi animo, vuol sapere di più di quei che se ne intendono,
cosi si parla d’ordinario; e perché dunque quel d N 12 dice tra se, se non lo
dice ancor ad altri, perché tanta premura, alle volte sgrida ancora chi l’ha
fatto chiamare. Ecco la maniera, con cui si prepara per confessarsi.
Verrà poi il Confessore, e non voglio dire, che lo rimandi; che confes­
sione farà? Alle volte si è aspettato tanto, che non può più reggere; faccia
Lei per me non ne posso più, queste sono le prime parole che si sentì un
Confessore chiamato per un Sacerdote di questa fatta, ed in questi casi
come fare non tanto per l’accusa, quanto pel dolore: chi sa quante confes­
sioni nulle avrà fatto in vita, per non dire sacrileghe, appunto per man­
canza di dolore non ostante avesse tanto comodo, e tanti mezzi per ecci­
tarselo, e l'avrà adesso che stenta proferir parola, e concepir un pensiero;
se il Confessore dice niente par freddo come un ghiaccio, se gli fa qualche
riflesso la testa non regge e par farlo morire avanti tempo. Oh! Belle

(2338) 6 Confessioni! oh! la bella maniera d’aggiustar i conti con Dio, e chi sa da
quanto tempo, ed in quante maniere imbrogliati. Eppure da una Confes­
sione tale ha da dipendere la salute di quest’anima.
Ma ritorniamo addietro, e supponiamo che il male non sia a quel
punto, ed abbia tutto il suo senno, e sii pienamente liberò di mente. Già
resta poi a vedere, se tutte queste supposizioni avranno poi luogo soventi in
pratica, e da questo solo si può già conoscere a quante incertezze, e pericoli
vada soggetta la sua salute. Si confesserà? e come? dirà tre, o quattro cose
delle comuni, impazienze, distrazioni, negligenze, e via. Ed altro? oh!...
adesso di sostanza par non mi ricordi d’altro, però mi riservo, è mia inten­
zione di far una cosa più compita, è già molto tempo che l’ideava, avrà
poi la carità altra volta, in convalescenza, appena guarito, comincieremo da
capo, eh!... si comincierà, e andrà a finire al Tribunal di Dio. Il Confessore
che vede le cose come vanno, con prudenza va via internandosi, va bene
questo, ma frattanto cominciamo un po’ far adesso, quello che possiamo:

12 Sigla che sta probabilmente per don NN.

344
Giorno Terzo - M editazione Seconda Prima - Sulla morte del peccatore

dica un po’: in materia di purità come stiamo, oh si qualche coserella, qual­


che parola, qualche occhiata, diversi pensieri: dica un po’; li ha acconsen­
titi, ma non so però ne dubito, e quante volte? oh! a quest’ora non saprei:
Dio mio che accusa par questa, credo sarà più dolorosa per il Confessore,
che per il penitente. E della vita passata come sta, ne è tranquillo, si è
sempre confessato di tutto, le pare che fosse pentito. Oh! si ancora, però
son ricaduto, e là siam uomini, tanto basta, il Signore saprà perdonare;
però le dico che in miglior occasione ho intenzione di dar una rivista gene­
rale, già adesso mi resta impossibile; fosse almen pentito, questo è il sostan­
ziale, ma non si sentono da questa gente que gemiti, que’ sospiri che fanno
proprio vedere, e toccar con mano un cuor compunto, e pentito, non si
sentono quelle promesse sincere, quelle proteste replicate che una lingua
diventata tutto cuore si sforza di fare per attestare al suo Confessore in terra
ed al Suo Dio in Cielo l’amarezza del Suo dolore: o padre, che cosa ho mai
fatto: oh! che buon Dio, se mi vorrà ancora perdonare. Oh! potessi un po’
morire di dolore de’ miei peccati! oh anni, oh giorni, in cui ho offeso il
mio Dio, oh! non si sentono d’ordinario tali espressioni, si sentiranno, e1si
sentono più volte da un peccatore d’un altra sorta per grande ve lo vogliate
immaginare, ma difficilmente si sentiranno dalla bocca d’un Sacerdote,
perché accostumato già a tali riflessi, niente gli è nuovo, niente lo com­
muove, e siccome per usanza

più che per riflesso, e per fede ha quasi sempre agito, cosi e non altri- (2340) 7
menti agirà anche in questo caso: ma è pentito, dirà il Confessore, ma
guardi un po che gran male è stato questo nel suo stato, che scandalo!
proccuriamo un po’ di far le cose dabbene, fosse un po’ questa l’ultima
confessione della Sua vita. Sì, sì risponde l’infermo non dubiti. Oh! Signori
miei, è vero il cuore non si vede, ma a dirvela schietta sono quei sì che
lasciano dubitare, sono promesse, sono proteste, ma che temo stian tutti
sulle labbra, si vede che non è penetrato, ma languido, tiepido suona
perché si tocca, del resto non sa dare un sospiro di dolore, una marca fon­
data di vero pentimento, e ne volete una prova delle Sue disposizioni, fate
che guarisca, e sarà quel di prima, se alle volte, non verrà peggio. Ecco la
Confessione, che si fa proprio da questa gente, e m’appello a chi ha espe­
rienza in questo riguardo. Giudicate voi adesso del valore di questa con­
fessione, che speranza di salute può dare una confessione fatta così super­
ficialmente, e colla speranza d’aver tempo altra volta di confessarsi meglio;
e come avrà da fare il Confessore in questi casi. Eh!... cosa mai, dice e torna
dire, il cuore non si vede, la cosa preme, s’appoggia alle sue parole, alza

345
Esercizi Spirituali al Clero - Meditazioni

la mano, e l’assolve; Dio voglia che una tale assoluzione sia confermata in
cielo’3. :

(2339) Esempio di tre sacrilegi sul letto di morte d’un Sacerdote per mancanza
di confidenza, e per la speranza di:guarire.
Esempio d’uri altro, che nessun mai sentì a pronunziare il nome del
Signore.

(2340) 7 Confessato che sarà, si verrà agli altri Sacraménti; e qui per tagliar corto,
peccatori i più. grandi, più invecchiati allor quando si tratta di ricevere
questo Sacramento, e d’esser viaticati mostrano la più grande apprensione
per la gran fede in questo Sacramento, saranno già confessati, si vogliono
di nuovo confessare, hanno sempre paura d’aver ancor qualche cosa, chia­
mano, e tornano a chiamare, vuol dire, padre ché il Signore in abbi per­
donato, vuol dire, che il Signore verrà volontieri nel cuore, ma... che non
lo riceva per mia condanna; tutte cose buone, che dimostrano la buona
disposizione della persona, la fede, il rispetto che le ha: ma non aspettatevi
già questo dal Sacerdote, di cui vi parlo, accostumato sempre a celebrare,
a còmmùnicarsi, gli fa niente di senso, accetta subito di comunicarsi, e si
comunica franco, ma fréddo, e tiepido con poco e niente di preparazione,
come faceva, quando era sano. Si verrà quindi all’olio Santo con qualche
fatica però, perché pare che questo Sacramento debba essere la sua con­
danna di morte, al fin s’adatta, per quello però che spetta al frutto, sarà
secondo il solito, accostumato a darlo ad altri in fretta, senza riflessione,
cosi lo riceverà, perché si usa ricevere. Munito così di questi tre Sacra-
menti, passerà ancor qualche giorno, ed eccolo

(2341) 8 aL punto, in cui è spedita per lui, la sua salute è disperata; il medico
lo dice, quei di casa lo sanno, tutto il paese ne parla, ed alle volte il solo
infermo lo ignora, ed alle volte si va a vedere, si fa coraggio, è giovane, è
robusto, ha un buon medico, è ben assistito, oh! questa, vedrà, la conterà
ancora: appena usciti dalla stanza, cosasi dice: oh! poverino è alla fine, non
può più andar alla lunga, sono più pochi i suoi giorni. Oh! mondo tradi­
tore, vuol tradire, vuol ingannare una povera creatura nelle stesse agonie.
Oh! Bella: si ha da dir questo all’inferno, si dice, sarebbe una solenne
imprudenza; anche che ciò sia, sarà meno male un imprudenza, che un

13 Con una nota, l ’originale manda a poche righe scritte nella pagina a fronte.

346
Giorno Terzo-~ Prim a ^ Sulla morte del peccatore

inganno:'almeno si parli in modo che il povero moribondo, che già Così


si può chiamare, possa sospettare dello stato suo. Sia però che qualcuno
glielo dica schietto, sia che lo capisca da se veniamo al momento, in cui
s’accorga, e sappia che è alla fine dei suoi giorni, che deve morire. .
Da qui, o Signori, comincia il più. amaro pel Sacerdote, di cui parliamo.
Prima di tutto bisognerà disporre di quel tanto, che avrà, e che imbrogli,
che crucci, se vi è roba uno ne desidera, l’altro ne pretende, quello ne
vuole: sarà il povero prete attorniato da una quantità di parenti, tutti-in
queste occasioni vi vengono, tutti si vogliono trovare, fratelli, nipoti, pro­
nipoti andiarn dicendo: uno fa la guardia all’altro, ed ognuno fa i suoi
conti; tutti a gara gli si vogliono avvicinare al letto, tutti vogliono sapere di
sue nuove, tutti fanno i graziosi, e sanno il perché? quindi gelosie tra loro,
contese, freddure, mentre il prete ancor vive; oh miseria! povero prete che
ha si è preparato l’esca da se stesso per attirarsi tanti ingordi animali che gli
succhiano il sangue, e gli rubano, quel che è piti, i più preziosi momenti
che ancor abbia a questo mondo per prepararsi al gran passo14.

Ecco la descrizione d’una di queste morti fatta da un testimonio ocu- (2342)


lare, [alcune parole illeggibili\ in una lettera diretta ad un amico:
ho veduto il fine che fanno i preti, che hanno un po’ di roba in punto di
morte: i parenti' prendono d’assalto la casa del povero moribondo: fanno,
esso ancor vivo, l’inventario di tutto, mangiano, bevono e perfino s’ubbria-
cano: quando il prete ha dato l’ultimo fiato, essi sono nella maggior festa,
precisamente come quando in una famiglia si è ucciso un Maiale. E una
cosa d’orrore! se ne vanno all'altro mondo senza uno che li compianga:
abbia presente questa morte, che le ho descritta alla lettera, e non avrei
creduto se non avessi veduto.

Si presenterà finalmente dopo mille brighe il Notajo, e la prima (2341) 8


domanda, che gli fa, dica dunque prima di tutto come vuole sia fatta la sua
sepoltura. Oh!... che dimanda, Signori miei, io ho veduto di quelli, che ad
una tale interrogazione sono divenuti mutoli, ed appena poter approvare
con un cenno di capo quello che suggerivano il Notajo, od i circostanti.
Ma... altre volte ha pensato a proccurarsi uno stato, a disporsi una bella

14 Nell’originale esiste, inserito tra le presente pagina e quella seguente, un foglietto del
Cafasso con un appunto il cui contenuto doveva presumibilmente esser inserito nel testo della
pagina (2341) 8. Noi lo inseriamo qui, senza peraltro avere la certezza che questo sia il punto
esatto.

347
Esercizi Spirituali al Clero ~ Meditazioni

abitazione, adesso pensi a prepararsi, a disporsi una tomba. Ma... come


cangiano le circostanze. Andiamo avanti: a favore di chi vuol disporre, a
chi vuol lasciare il fatto suo, eccolo dunque óbligato lui stesso a tagliare,
a trinciare il suo patrimonio: lascio, lascio, un pezzo a questo, un altro a
quello: parte di qua, parte di là. La gran tela, che ha ordito, e tessuto con
tanti raggiri, e sudori, la disfa filo per filo, per dir così, per darla in mano
altrui senza potersi nemmeno riservare un filo per se: ecco dove va a finire
la mia roba, ecco a chi frutteranno le mie fatiche: ah! povero Sacerdote

(2344) 9 - quanto avrebbe fatto meglio acquistarsi tesori in Cielo, in véce d’averli
radunati in terra. Oh! se di tanto tempo, che ho perduto dietro le cose di
questo mondo, una metà sola l’avesse impiegata a proccurarsi una corona
di meriti in Cielo.
Questo sarà ancor il meno: spogliato cosi quasi per forza di quanto
aveva, e fatto un sacrifizio sforzato di tutto questo mondo* che si vede
fuggir di vista, sarà indispensabile che getti un occhiata su quel gran avve­
nire, che gli si apre d’avanti, verso la gran eternità. Noi tutti sappiamo i
grandi, ed indispensabili obiighi d’un Sacerdote, il primo di far santo se
stesso, d'esser sale al mondor e luce ai popoli quindi di santificare gli altri
ed è obligo indistintamente per tutti d’attendere alla salute delle anime;
guai a quel Sacerdote, che toccherà il termine dei suoi giorni senza aver
corrisposto a si gran fine; guai a quel servo, che chiamato alla resa de7
conti non ha traffico da mostrare de’ suoi talenti: che spine, che rimorsi,
che angoscie al letto di morte; svaniranno allora le tante scuse che or si
sogliono addurre, non posso, non son obbligato, non son buono. Ebbene
a. quel punto t’aspetto o Sacerdote ozioso e pigro, a rivederci in quei
momenti. Ma... dirà nelle sue angoscie, era pur Sacerdote, conto pur tanti
anni del mio Sacerdozio eppure ho sì poco che mi consoli. Ma... tanto
tempo perduto; questa, signori miei, credo sarà la spina più crudele per un
Sacerdote; adesso si perde tanto tempo in partite, passatempi, e diciamo
ancora in sonni lunghi, e prolungati al di là del necessario, e frattanto vi
sono da far catechismi, e non si trovano soggetti, e frattanto moribondi,
che se ne vanno all’altro mondo senza chi li assista, e frattanto infermi
che gemono in un letto, senza una visita, che li consoli; non è vero: basta
aver un po’ d’esperienza, e girar un po per le case per saperlo, e sentirne i
lamenti15.

15L'originale qui rimanda, alla pagina afronte.

348
Giorno Terzo * M editazione Seconda Prim a - Sulla morte del peccatore

Esempio d’un altro che non voleva ricevere l’Eucaristia, perché aveva (2343)
operato quasi niente etc.

Fosse almeno questa sola la spina d’un povero Sacerdote moribondo: e (2344) 9
tanta tiepidezza e negligenza ne ministeri, quei fini tutto umani nel suo
operare, parevan zelo, ma lo sa pur lui che non lo erano16. :

Esempio del Sacerdote, che dopo d’àver faticato tanto tempo, diceva (2343)
morendo di sperar ben poco dalle sue fatiche, perché fatte per fini umani.

Cosa diremo, se in allora s’aggiungessero a stringere e divorare il cuore (2344) 9


del povero Sacerdote la memoria di certi peccati così discuoranti ed umi­
lianti al nostro grado, ed al nostro carattere; cosa poi ancora se vi fossero
stati questi peccati potessero contar de’ complici, e così avessero dato scan­
dalo anche ad un anima sola: ah!... un Sacerdote, che doveva salvar le
anime, dar lui stesso la spinta a dannarle, e quella mano, che è stata conse­
crara per condur le anime al Cielo, farla strumento d’inferno per condurle
al precipizio. Oh! peccato, oh! colpa, oh! memoria funesta, e crudele; pare
che senta già gridare quel cuore, a cui ha rubato i più cari suoi oggetti,
quali sono le anime, le pare che sia inevitabile la sua condanna17.

Berengario etc. (2343)

Ma dirà taluno, si sarà confessato chi sa quante volte di queste cose in (2344) 9
vita; lo sarà se volete; ma confessione e peccati, peccati e confessione: ma
si è ben confessato in questa ultima

malattia: sì ma vedeste la sua confessione fredda, superficiale colla spe­ (234(5) 10


ra ir/,a di farne altra migliore: ma almeno adesso che si vede che è al fine
dovrebbe fare, quello che non ha fatto, ed una confessione dolorosa, e se
non può far altro un atto di vera contrizione, potrebbe bastare. Sì ma lo
farà dopo tante ricadute, con certi abiti invecchiati indosso, farà adesso in
tanta urgenza quello che non ha mai saputo fare quando ne aveva tutto il
comodo. E poi il demonio starà quieto, se con tutti in quel punto avrà una
rabbia grande, vorrà star quieto con un Sacerdote che forse è suo da tanti

16 Una nota rimanda alla pagina a fronte.


17 Qui si rimanda ancora alla pagina a fronte.

349
Esercizi Spirituali al Clero - Meditazioni

anni, vorrà star neghittoso con un Sacerdote, che è, al dir di S. Gerolamo,


il cibo suo diletto; la diffidenza, la disperazione è la tentazione più fatale in
questa gente, ed alle volte con tutti i sforzi appena riesce a far entrare un
filo di speranza in questi cuori, se poi resista fino al fine del cimento, lo sa
Iddio, sicché un momento par che speri, da li a poco dispera, ed io temo,
o Signori, che questo nostro Sacerdote muoj a, parti da questo mondo, e ci
lasci gran dubbio di sua salute. Ma che sii già per morire, sì;
Aggravato più che mai dal male, e stretto, e divorato da tante angustie
eccolo giunto all’ultimo fine de’ suoi dì, eccolo in agonia. Figuriamoci di
vederlo là disteso, e già quasi immobile su quel letto18.

(2345) ‘ i capelli scarmigliati, la faccia smunta ed affiliata, quegli gli occhi infan­
gati, e fissi ed tmtnobilt, il respiro stentato affannoso, c tardo quel un
sudore freddo che spunta sulla guancia scorre per sulla faccia, il corpo
qttasi inchiodato il polso saltante che fugge, ah! tutto indica una partenza,
una morte vicina. ■

(2346) io In questi momenti, benché questo stesso Sacerdote si facesse si poca


cura d’accorrere in ajuto di chi in agonia stava lottando coH’inferno, spe­
riamo ciò nondimeno che avrà la sorte d’aver ai fianchi chi lo starà confor­
tando in quel gran cimento: s’avvicina il buon prete, lo benedice, quindi
a nome di quel Dio, che l’ha mandato, e l’ha posto a far le sue veci in
terra, gli intima la partenza da questa terra: proficiscere anima christiana de
hoc mundo19: parti, o anima cristiana, parti Sacerdote fratei mio da questo
mondo, olà è finita per te, è suonata l’ultima ora, via di qua, parti, e vat­
tene al tuo Dio: proficiscere parti adunque, e parti per tornarvi mai più.
Oh che parola, che fulmine per un cuore che aveva messo, per così dire, le
radici in questo mondo, sentirsi ad intimarsene la partenza da non potere
ritardarne l’andata neppur d’un momento: parti, parti, seguiterà a dire,
il buon ministro, parti a nome del Padre, che ti creò, parti a nome del
Figlio che ti redense, parti a nome dello Spirito Santo, che ti santificò;

13 II testo prosegtie con il seguente brano cancellato: i capelli tutti scarmigliati, e quasi
ritti, gli occhi infondati, coi sudori di morte, che già gli scorrono per la faccia, la bocca
aperta, le labbra già nere, spasima a mille stenti manda il respiro, spasima, e soffre dolori
di morte; attenti, Signori miei, a questa gran scena, che è la più bella scuola del mondo.
A l posto di queste righe il Cafasso intendeva inserirne altre che scrive nella pagina a
fronte.
19 D al Rituale Romano: preghiere per gli. agonizzanti.

350
Giorno Terzo,- M editazione Seconda Prim a ■- Sulla morte del peccatore

non contento ancora, quasi che Dio lo voglia ad ogni costo farlo partire,
parti ancora seguiterà a dire, a nome degli Angeli, Arcangeli, Troni, Sera­
fini; parti a nome di tutti i Santi, Confessori, Martiri; parti senza ritardo
adunque; ma, Signori miei, mentre intimiamo a quest’anima di partire,
ricordiamoci che un dì questa istessa partenza

s’intimerà a noi, e un dì a me, ed a voi si dirà: parti o Sacerdote, da (2347) il


qiiesto mondo, che questa terra non ha più che fare con te. Intanto il buon
Ministro, mentre da un canto gli intima la sua partenza, dall’altro20

gli presenterà l’imàgine di Maria, la cara Madre de’ Sacerdoti, la conso- (2343)
latrice de’ moribondi; Dio non voglia che fosse di que’ preti, che quasi se
ne ridono della divozione alla Madonna, o se non altro non ne fanno gran
caso conto, ed in questo caso che confidenza potrebbe eccitare la vista di
colesta Madre.

Gli presenta il gran conforto de’ moribondi questo Crocifisso Gesù, (2347) il
ma nel ricevere questo gran modello, ed esemplare de1Sacerdoti pare che
quella bocca, e quel cuore gli rinfacci d’averlo imitato sì poco; (alcune
parole cancellate illeggibili) gli dirà il Sacerdote di stampar l’ultimo bacio
su quelle piaghe, su quel sangue, e di riporre in lui tutte le sue speranze: ma
sovvengavi, Signori miei, che è quel sangue istesso che ha profanato con
tanti sacrilegi, che ha maneggiato con tanta negligenza ne Sacramenti, che
ha lasciato andar a male, e senza frutto con tanta perdita di tempo: un
tale diceva che l’allontanàsse, perché gli faceva paura. Gli metterà sulla
lingua quasi per sigillarle le labbra i bei nomi di Gesù, e di Maria, Nomi
sì dolci, sì venerandi, ma che purtroppo così di rado si sentivano da quella
bocca. Finalmente vedendo il buon Ministro che a momenti va a partirsi
quell’anima, ed a decidersi di sua sorte, si volta a quel gran Giudice,
che l’aspetta, e Signore, si fa a dirgli con tutta l’ampiezza del Suo cuore,
Signore vi raccomando quest?anima, e vi prego a non permettere che vadi
a male un opera delle vostre mani, un anima che vi costa tanto cara; e
per ottenergli misericordia, gli ricorda, che benché abbi mancato, tuttavia
ha sempre avuto zelo del suo onore, della sua gloria; licet enim peccave-
rit... zelum tamem Dei in se habuit21. Taci, potrebbe ad una tale preghiera

20 Con una nota e il numero della pagina il Cafasso intende inserire un testo.
21 Dal Rituale romano.

351
Esercizi Spirituali al Clero - Meditazioni

rispondere Iddio, a me darmi intendere di zelo: che zelo, se invece di sal­


varmi le anime, me le ,ha dannate co’ suoi scandali. Che zelo, se passava
le giornate oziose da mattino a Sera. Che zelo, se nelle opere istesse di
mia gloria, non altro cercava che l’interesse, la vanità, il proprio comodo.
Povero Ministro, si crede d’addur ai Signore un motivo, che lo induca a
misericordia, ed invece gli ricorda un motivo di maggior sua condanna22:

(2343) Miserere gemituum, miserere lacrjmarum ejus: guardate, Signore, che


spettacolo d’orrore, che angoscie, che stato, che torture di un anima,
abbiatene pietà: Dio non voglia che sia un preludio di ciò che lo attende
all’eternità.

(2347) 11 si volta perciò l’instancabile, ed il caritatevole assistente a tutto il para­


diso, e scongiura Maria, e prega i Santi e Sante tutte, si raccomanda a tutte
quelle schiere d’Angeli ad ottener misericordia, a venir all’incontro, ad assi­
stere, e difendere un anima che parte, e va a decidersi di sua gran sorte,
della sua eternità: subvenite Sancti dei occurrite Angeli Domini23; e mentre
ed ecco, che mentre il Sacerdote assistente alza le sue voci, ed i suoi sospiri
al Cielo, il nostro moribondo colle mani già distese, e morte sul letto,
cogli occhi già chiusi, ed oscurati, colle labbra già fredde, colla lingua già
mutola, con un aperta di bocca da l’ultimo respiro, e \

(2343) ed ahi che momento: si scontra con Dio, con uno sguardo lo esamina,
lo convince, lo sentenzia: ella è finita: il tempo è passato, l’eternità comin­
cia, la sua sorte è fissata e si varierà mai più.

(2347) il È morto, è morto, il prete lo benedice coll’aqua santa, ed in compagnia


di quei pochi, che saranno stati testimoni! della sua morte, gli prega un
buon riposo, e poi se ne parte, ma il cuore gli palpita pensando che vi è
un Sacerdote di meno a questo mondo, ma ohimè! forse un dannato di
più aU’Inferno: si darà il segno della sua morte, ed a questo segnale tutti
van chiamando, chi è morto, chi è morto: è morto il tal prete: ed a questa
nuova cosa si dirà nel paese, e sentite: a chi ha lasciato la roba, quel lì

22 Qui il Cafasso rimanda alla nota 5 di pagina 9, a fronte.


23 Dal Rituale Romano.
24 Qui il Cafasso rimanda alla nota 4 della sua pagina 9 a fronte.

352
Giorno Terzo. - M editazione Seconda Prim a " Sulla morte del peccatore

riaveva, sapeva far rendere il suo mestiere, ed a cavargli un soldo non eran
tutti buoni; oh! per un prete tale vi è poco male, tanto per quello che
facesse, chiunque lo può fare, perché

faceva quasi niente: oh! questa volta i fratelli, i nipoti saranno contenti, (2348)
è tanto tempo che sospiravano, e soffrivano con questa speranza: ecco le
ciarle, che comunemente si fanno alla morte di tali Sacerdoti, e Dio voglia
che non si dica altro di peggio: i buoni poi, che hanno paura di parlar
male, taceranno se volete cogli altri, ma tra loro diranno: ma poverino
sarebbe meglio avesse fatto un po’ più il prete, e con questo vogliono dire
tante cose, ma... che Iddio gli abbia un po usato misericordia: ma mentre
così si parla, i parenti, gli eredi penseranno tosto a sbrogliarsi il cadavere
di casa, prescindo qui da tutte le dicerie, che si faranno per il testamento,
e presto, presto la sepoltura: e qui secondo la sua condizione con minor
spesa si potrà, se gli .eredi non sono molto contenti, oppur anche con
pompa se volete, eccolo a camminar sulle spalle di poche persone alla
tomba, eccolo sotto terra, e con questo è finito; per alcuni giorni se ne par-
lerà ancora, e poi chi è morto, è morto, appena ancor qualcuno lo ricorda,
fintantoché si perderà talmente la sua memoria coll’andar al pu degli anni,
che sarà come mai fosse stato al mondo, e nessuno più ne sa.
Ma adesso io chiamo dove è quel prete, che sembrava un agente, e che
sempre ai fianchi di que poveri villani di campagna non faceva altro che
seccarli, e farli bestemmiare da mattino a sera: dove è? dovè quel prete, che
aveva mai niente a fare, o vagabondo per le contrade, o ozioso su quelle
sedie, o collo schioppo alla campagna? dov’è quel d25 tale che si trovava
a tutti i mercati, che faceva i tai negozi, dov’è che non si vede più né in
questo né in quel luogo: forse abbi cangiato tenor di vita, ed il suo tempo
or lo passi in Chiesa, allo studio, od altri ministeri: oh nò! forse abbi can­
giato domicilio? sì questo, Signori miei, ha traslocato, ha cangiato questo
mondo coll’eternità, è morto, non v è più! ma dove è; continuo io a chia­
mare, dov’è quell’anima, sarà in Cielo, oppur all’Inferno? sarà salvo quel
Sacerdote, oppure sarà dannato? io non lo so; che sii in paradiso, io non
posso assicurarvelo, perché mi ha lasciato non pochi dubii di sua salute;
che sia adunque all'inferno? ohjmè! che pensiero un Sacerdote all’inferno!
per me vorrei sperarlo fuori di quelle fiamme, ma pur lo temo dannato, per
altro lo lasciò a decidere dà quel Dio, che a se solo si è riservato di giudicar
della nostra sorte26;

25 Presumibilmente abbreviazione per «don».


26 L’originale intende inserire qui la nota 1 di pagina 10 afronte.

353
Bser&zkSp.Mtuali al Clero ~ Meditazioni

(2345) ViH't morto il Sacerdote, di cui ho preso a parlarvi,


èi^iudigato," e sepolto, eppcrciò il mio tema, la nostra meditazione è ter-
minata ma sul finire vi raccomando di studiare in questa giornata cotesto
letto di morte: figuriamoci di aver sottocchio in questo oggi cotesto cada­
vere* e ¡dbguardario soventi, ed ogni sguardo che vi daremo.sarà una:scuola,
ed una lezione per noi. Ricordiamoci che egli è un Sacerdote,
r i c i i i v d y . s c n , c piSStivi cLiic^,rAiiiciiLc i suoi giorni, ora cnc n
pémifrào&quèllo che direbbe a noi, se potesse ancor parlarci, pensiamo
quello-che. egli farebbe se fosse al nostro luògo, ed avesse il comodo di fare
cotesti esercizi. Noi forse avremo paura di questa morte, ma io rispondo
che non è la morte di costui che dobbiam temere, ma piuttosto la sua
vita;:ibondana, dissipata, secolaresca, e leggiera, che fu appunto la causa
di> questa morte, che se non ci sentiamo ancora di arrivare giunger a
tanto? ebbene serviamoci di questa morte per arrivarvi, ed è sentimento di
Si; Agostinoj temiamo l’ultimo de’ nostri giorni, temiamo quelle estreme
afonie/temiamo quella morte spaventosa, orribile e pessima riservata
ak;Sacerdoti peccatori: peccatum time: si peccatum non times, mortem
lime ol ;
jr.r.i'- ìhrfr, die 16 lulii 1842.
Laus Deo et B.V. M.
A gostino, Sermones de Scriptum, PL 38, c. 397. . .. ■
y \ -V,o,n<^qk'^continua con un testo cancellato che ad un certo, punto prosegue nella pagina
10 a fronte. (2345), con il quale si conclude la meditazione: ,ed ayoi rivolto, Signori miei,
vi.dirò col'cuore, che mi piange, che sarebbe, sequalcuno tra noi avesse da terminare
in s f fàtta'giiisa i suoi giorni? che sarebbe, se per una volta sola, che ci tócca di morire,
àvésSmiò ifmòrire con tante angustie, con tante spine ai cuore. Deh! fratelli, corichiuderò
coi M'niiini'mo di S. Agostino, se non temiamo ancor a quest’ora il peccato, temiamo
Siimene.) lg morte, temiamo quell’ultima giornata della nostra vita: mortem time, si pecca­
tum nonitimes: quand’anche avessimo a salvarci, dovressimo pagare a troppo caro costo
con si dolorose agonie la nostta tiepidezza, la nostra oziosità, ie negligenze nostre: e che
gran follia, continua dire S. Agostino, aver paura di morir male, e poi non aver paura di
c&htmiiar'uiia mala vita: mori male times. et male vivere non times [De disciplina chri-
ìtiatiap ld l, 12, PL 40, c. 676]. Oh! che tanta insensataggine, conchiude S. Gerolamo,
y$$ 5puirs 4&C non è degno d’esser nominato cristiano, chi vuol vivere in quello stato, in
cui pou varrebbe morire: non est dignus dici christianus qui in eo statu vult vivere, in quo
nollet m ori. Con maggior ragione io dico, che non è nemmeno

(2345) iSC.'.degriòidel nome di Sacerdote, chi un momento anche solò si trattiene in uno stato, in
cui ¿rapti iyQiebbe morire: adunque conchiudiamo, Sacerdote mio caro lascia The ti ripeta
questo ricordo, tu non vuoi morir male, tu hai paura d’una morte cattiva, ebbene temi,
odia, e fuggi il peccato che è vera origine d’un sì funesto fine che è quel soler che ci con­
duce a sì funesto fine sì funesto: ma se mai non arrivi a temer il peccato, deh temi almeno
paventa l’ultimo de’ tuoi dì, temi quelle tue estreme agonie, temi la tua lina morte si
spaventosa e pessima: sì peccatum non times. mortem time.
Giorno Terzo (2349)
j» . • : rr< o 1 O l ì ì . t v o!
Meditazione ierza Seconda 1 !)>; ilo*!.
Sulla morte de Giusti - ?
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Quarto giorno. (235°)

Grande Iddio prostrato avanti a Voi vi confesso io credo, e vr adoro redb


mente la vostra divina e reale presenza. Io vi prego o Signore a farjnqi'i' cono­
scere ben-bene in questa sera, a farmi gustare quanto sia dolce'IT moriré
con voi. Ah mio Dio fatemi la grazia che le dolcezzè il pensierósi'qubsta
morte sia quello, che mi determini ecciti, mi spinga a vivere !if ni odo da
meritarmi un tal sì bel morire.
Vergine Malia a Voi o cara Madre, specialmente mi raccomando, e spero
che il vostro cuore di madre mi assisterà, non mi negherà la vostra prote­
zione la vostra grazia cotesto^favore a voi mi raccomando eira min madre
mia Maria, si voi fatemi capire qual sia la morte di chi in vita àiibia servito
il vostro caro Gesù. ....
S. Giuseppe voi che spiraste così dolcemente tra le braccia di Gesù, e
Maria1.

. . Ì:j:?sì ■[■/■]
. j.;.;,:ììì;;.ì:i:l v > o

■ ■■ : ‘j k b n / 5ri ir;

*(fitld. 4 7 / fase, 185; nell’originale 2349-2372)


I L’inizio della meditazione appare cancellato; sì tratta del seguente testo: Via ih'quésta
sera, Signori miei, via le pene, le angustie, via quegli affanni, quelle inquietudini, in cui
ci lasciò quel Sacerdote, che l’ultima volta vedemmo parure per l’altro mondo cosi angu­
stiato, e cosi incerto di sua salute. Io lo lascio nella sua sorte, qualunque possa essere, e
frattanto v’invito a considerare con me in questa sera un altro spettacolo maxaltpeitànto
consolante, e giocondo, quanto potè essere per noi tristo, e spaventoso, quello; chpgià
abbiam considerato: e già mi capirete, fratelli miei, io v’invito ad essere spettfttoiji:al letta
di morte d ’un Sacerdote, d’un buon .^ì;
II precedente testo è sostituito da alcune righe scrìtte nella pagina a fronte, ,sb •.oib;!;j : ■c;
Esercizi S p iritu a li a l Clero - M e d ita zio n i

(2351) Esordio

Io vi chiamo fratelli miei di bel nuovo in questa sera ad un letto di morte,


non più ad essere spettatori, e testimoni di affanni, di angustie, ma invece
a contemplare, a gustare la dolce partenza di un Sacerdote, la morte di un
buon opcrarjo

(2342) 1 evangelico, che dopo di aver faticato lunghi anni nella mistica vigna
del suo padrone, alla fine consumato di più dalle fatiche, che dagli anni,
e colle mani piene di raccolti magnipoli sii chiamato da’ stenti, e da trava­
gli al riposo, alla paga. Oh che santa morte, che bel termine di vita, che
dolce transito sarà-mai questo di un servo fedele.

Non è più vero che la morte in questo


caso abbia da numerarsi tira mali, ma diciamolo invece-qucl che anzi sarà
un giorno, il più fausto, ed il più giocondo tra tutti: ecce dies jubilationis,
et laetitiae prae omnibus diebus vitae meaé. In questi accenti appunto pro­
rompeva il gran dottor della Chiesa S. Gerolamo nel dì di sua morte: eh!...
a chi teme Dio non potrà succedere che bene ne suoi estremi, l’ha pro­
messo Finfallibile verità: timenti Dominum bene erit in extremis, et in die
defuncti oni.s suae benedicetur. Ecl. 1.12. Per un anima, che ama Dio, non
sarà la morte che un dolce sonno per risvegliarsi al possésso d’una gran
eredità; cum dederit dilectis suis somnun ecce haereditas Domini psal 126.
E qualunque sia la morte, di cui abbi a morire il Giusto, non potrà essergli
che di pace, e sollievo: iustus quacumque morte praeoccupatus fuerit. in
refrigerio erit Sapientia 42.
Per farci adunque un idea di si bella morte, e per animarci tutti quanti
per meritarci un si buon termine de’ nostri dì, tratteniamoci in questa sera,
ai fianchi di questo buon Sacerdote, che colpito dairultima sua malattia,
e disteso sul suo letto di morte sta aspettando l’ora della sua chiamata3.
Non credete già che questo Sacerdote sia un taumaturgo, che abbi fatto

2 Sap 4,7.
3 Seguono alcune righe cancellate: quai saranno i suoi ultimi dì, quai saranno in allora i
suoi pensieri, quali le sue consolazioni, noi stessi le vedremo, ma per poterle megliocono-
scere e già quasi assaggiarle, accompagnateci voi o Signore a questo letto, e voi diteci, Voi
spiegateci quel bel giorno di gaudio, e di consolazione, che già fin d ’ora tenete preparato
per quello, che tra noi v’avrà servito da fedele Ministro. .

356
Giorno Terzo ~ M editazione T irza Seconda ~ Sulla morte de Giusti

miracoli; oppure di uno, che porti al letto di morte là e candida, e bella


la stola della Battesimale innocenza, ovvero d’un Ministro, che qual’altro
Appostolo, o qual’altro Saverio abbia portato con stenti e fatiche l’Evange-
lio

sino agli ultimi confini del mondo: parla da se la cosa, che la morte di (2854) 2
queste anime predilette non potrà essere che bella, che preziosa, che Santa;
e poi se a queste anime sole fosse riservata una tal sorte, che varrebbe a
noi il contemplarla, mentre ci vediamo così lontani da questi portenti di
Zelo, e di carità; io parlo invece d’un Sacerdote, che senza far cose strepi­
tose avanti il mondo, sènza far parlar di sé abbi proccurato nel suo stato
di santificare se stésso, e per quanto poteva ancora gli altri, d’un Sacerdote,
che nelle sue piccole, e giornaliere occupazioni, cercasse più l’onore, e la
gloria di Dio, che il proprio commodo: d’un Sacerdote anche se volete che
per un tratto di tempo avrà deviato dal suo gran fine, ma che alfin conobbe
i suoi falli, e si diede a fare quello che non aveva fatto4:

d’un Sacerdote, che senza far. cose grandi abbi condotto una vita riti- (2351)
rata, divota, occupata lontana da ciò che poteva sapere di profano, e di
mondo.

Ecco i personaggi, che io intendo di considerare con voi in questa sera (2354)2
negli ultimi dì, nelle ultime ore di sua vita mortale. Noi considereremo tre
cose etc.5.

Noi considereremo tre cose: l’annunzio della morte ad un buon opera- (2351)
rio del Signore; la preparazione ultima con cui si dispone a morire, final­
mente l’addio che darà a questo mondo, e la sua partenza per l’eternità.

Ammaliato adunque un tal Sacerdote, e venendo a minacciare un qual- (2354) 2


che pericolo, gli si darà anche a Lui l’annunzio di morte, se però egli' già
Itti non lo conosce, o almen ne sospetta6.

/l Con una nota il Cafasso rimanda alla pagina precedente, a fronte,


5 Con questo ìncipit il Cafasso rimanda ancora alla pagina precedente, a fronte.
6 II testo continua con il seguente-brano cancellato: A questo annunzio, a questa notizia
voglio nemmen supporre che si rallegri, dia in feste,, in gjoia, come leggiamo di tanti, anzi
voglio accordare che le senta in sul le prime un tal qual ribrezzo e.per poco se ne risenta la
natura; questo non può far:torto alla sua virtù perché questa di legge ordinaria non toglie

357
E sercizi S p iritu a li a l Clero M e d ita z io n i

Diamo pur dunque che a questa nuova soffra un po’ di umano, ma non
andrà molto a svanire questa sua naturai ripugnanza, sia perché e persona
già avvezza a meditare di tanto in tanto questo passo, che l3aspettava, onde
non può riuscirgli inaspettato, e nuovo, sia perché già prima d’ora avrà
fatto in cuor suo un volontario sacrificio, di quanto può torgli dalle mani
la morte, e così esser pronto ad ogni cenno del suo Dio a partirsene da
questo mondo7.

già le naturali, miserie e ritrosie del sangue e della carne, ma serve solo a temperarne la
forza, e l’asprezza, ed a disporre la persona ad accettare con rassegnazione ed anche alla
volte con piacere quello, che la natura rifugge.
Seguono nel testo alcune righe, quelle che noi abbiamo trascritto subito dopo la presente
nota, perché cìpare che quello sia il lòtv postò, sebbène a rigor di logica qualche-dubbio per­
mane, - .
7 A questo punto una nota, avverte che bisogna inserire un lungo.brano cancellato: Deve
morire anche il buon Sacerdote, ella è.sorte di tutti, ma con ciò la guerra è finita, i pericoli
sono passati, la paga è vicina. Il Ven. p. Segneri aveva concertato con un p. Compagno
che l’avviso della morte gli si desse in questo modo; padre si rallegri, è giùntiTorà in cui
non offenderà pi il il Signore; cosi io direi a questo buon Ministro del Signore, Sacerdote
fratel mio rallegrati è giunto quel tempo, che non offenderai più Dio. Benché-etc. Caro
fratello, il padrone ti chiama, la tua giornata volge al fine, quel Signore che ti mandò a
lavorare ti cerca colla paga alla mano: oh! che bel morire dopo aver lavorato per il Signore:
oh! quanto riesce dolce la voce del padrone alle orecchie di quel sèrvo, che stanco delle
fatiche star-téuiiinàndo n ella-Vigna. si trova al fine della sua giornata. E finita in primo
Irrogo la -guerra per lui. Benché etc. E che grati bene etc. pag. 4.
Sembra giusto inserire a questo punto un ulteriore lungo testo barrato:

(2354) 2 E non sarà per lui un motivo piuttosto di piacere, che di dolore quando pensi che
morendo lascia dietro di sé niente più che una valle di lacrime, di miserie, di pianto:
ditemi, Signori miei, che vivere è mai il1nostro su questa terra: contatemi, se potete, le
traversie, i dolori, i disgusti, gli incomodi che giornalmente accompagnano i giorni nostri:
non è vero che in certe, giornate di nostra vita, siamo così infastiditi di noi stessi abbiamo
il cuore sì vuoto, che per poco rinunzieremmo di vivere?
Una nota sembra voler inserire a questo punto le due righe che seguiranno, scritte nella
pagina a fronte, anche se in realtà non si adattano completamente al contesto.

(2353) Eh! via... muojo è vero, ma saranno alla fine cosi tante croci, tante tribolazioni; sono
tanti anni che ho quei crucio, e tanto tempo che ho quell’incomodo, porto quel peso, oh!
il Signore mi prende, e cosi tronca tutto.

(2354) 2 Quanti cruci poi tutti proprii, e particolari del nostro stato: lavorerà un buon Sacer­
dote, e cercherà nel suo stato di corrispondere al gran fine della sua vocazione, ebbene
pare che tutto l’inferno gli si scateni contro: persecuzioni, invidie da una parte, malignità,

358
Giorno Terzo ^ M editazione Terza Seconda - Sulla morte de Giusti

Come riceverà cotesto annunzio? gli uni lo sentono con gioja, e con­ (2353)
tento; altri rimangono tranquilli, ed immobili senza turbarsi per niente.
Certuni poi ne provano una certa ripugnanza, ed affanno: parlo sempre

critiche da. un altra: farà un opera tutta di zelo, e con ogni possibile circospezione, eppure
gli si dice che è un imprudente, indiscreto, ignorante: ma come fare? se si tace, grida

la propria coscienza, se si fa. grida il mondo; che se non. potrà intaccar l’opera, andrà (2356) 3
aU’intenzione, dirà che non è tutto zelo quello, che lo muove, ma vanità, ambizione,
interesse, e proprio comodo; buon per noi, che non tocca agli uomini il giudicarci; ma
frattanto chi non prenderebbe a noja il vivere in mezzo ad un mondo cosi pieno di guai,
e tra lingue così mordaci, e malediche.
Una nota rimanda qui alla pagina a fronte. . ■•

E non sarebbe una stoltezza, dice Gregorio il grande, camminar per una via sì fati­ (2355)
cosa, qual è questo mondo, sentirsene così stanco, eppure aver dolore, e dispiacere di
terminar si fatta strada: perpendite. frates. quale sit-in via lassari. et viam nolle finire, e
non sarebbe un tormento più.lungo, dice S. Agostino, il vivere più lungamente: Quid est
diu vivere, nisi diu torqueri?. [Serm. XVII De verbo Dom., in Sermoni, cit., p, :127].

Io non posso darmi a credere che un buon Sacerdote, che per propria esperienza ha (2356) 3
dovuto conoscere questo mondo, abbi a provare un minimo dispiacere a lasciarlo tanto
più quando si faccia a riflettere che mentre sono finite per lui le miserie, i guai, sono finiti
in pari tempo i pericoli di rovinare, e perdersi eternamente. Benché questo pensiero agli
occhi di qualcuno possa parer leggiero, e di poca forza perché un anima abbia a partir
volontieri da questa terra, pur io. lo giudico della massima importanza: e non sarà un
crucio, non sarà un dolor grande per. un anima, che anche di cuore, alla sua salute, il
vedersi così circondata, e stretta da tanti lacci, che mondo, demonio, e carne quai nemici
in lega, e congiurati gli tendono, e tramano direi ogni momento.

Figuratevi che si trovi in mare in mezzo ad- una spaventosa burrasca una persona, (2355)
spinta, e balzata da’ venti qua e coperta dalle onde, ed in ogni momento in pericolo
d’affondare, e perdersi; ohimè! che palpiti, che paure, si può dire che muore tante volte,
quanti sono i pericoli, che passa. Che consolazione sarebbe mai per una tal persona, se
mentre così combatte colla morte, si vedesse all’improviso portata a terra, e sicura in
porto? oh! che respiro sarebbe il suo, che-momento, che festa! figura ella è questa di chi
vive in questo mondo: qui siamo come in mezzo ad un mare in burrasca, ogni momento
minacciamo di morire, cioè di mancare, e perderci, e non c’è scampo, non vi è tregua; la
morte sola è il porto sicuro, che ci può cavare di tariti pericoli, ci può mettere in salvo.

. Mi trovava io ài fianchi d ’una persona inferma, e mi diceva di morir tanto volentieri (2356) 3
non per altro perché così era fuori di pericolo d’offender Dio, e dannarsi; volendo io pro­
vare la forza di quest’espressione, mi ricordo che le soggiunsi: va tutto bene questo, perché
spera d'andarsené in paradiso, ma se invece dovesse un po’ penar lungamente in purgato­
rio: niente importa, seguitò a dirmi coll’istessa franchezza, anche in questo caso morirei

359
E sercizi S p iritu a li a l Clero M e d ita z io n i

di anime giuste, e di buoni Sacerdoti, giacché cotesto affanno, e ripu­


gnanza non fa torto alla virtù della persona; alle volte sarà puro effetto della
natura, e temperamento, più soventi poi, una permissione, ed una prova,

volentieri egualmente, perché amo meglio penar in purgatorio, che viver qui anche tra
delizie ma in continuo pericolo d'offender Iddio. Bella risposta, Signori miei, che mostra
la virtù, e candidezza di quell’anima, e badate che non era già un Religioso, un Eclesiá­
stico, era che prova il mio argomento: or io dico se parlava così, al letto dì morte una
persona secolare, occupata da mille facende di mondo, e vi sarà a stupire che pensi; e
parli cosi in quel punto un Sacerdote; un Sacerdote che più di tutti conosce i pericoli, un
Sacerdote,, che se può contar un nemico a questo mondo, lo può contar solo nel peccato;
un Sacerdote, che fatto una cosa sola con Dio non deve zelare altro a. questo mondo, che
l’onore, la gloria del suo Creatore; e qui lasciate che tocchi un altro riflesso, che giova non
poco perché un Sacerdote anzi che provar dolore, debba piuttosto sospirare che ii Signore
lo cavi da questa terra d’esilio: noi Sacerdoti siam posti in questo mondo per far guerra
al peccato, per formar un argine al torrente de’ vizi, per attraversarvi, e trattenere quelle
anime, che corrono, al precipizio: ma diciamolo .un po qua tra noi: che frutto riportano
le nostte fatiche per dò :più: Dio buono! lavoriamo, stentiamo, adoperiamo, per dir così, e
mani e piedi, sui pulpiti, ne Confessionali, per le cáse, eppur l’inferno si ride delle nostre
fatiche,

(2358) 4 i peccati diluviano, la strada della perdizione corre piena, ,e zeppa, e non ci resta altro
che gemere ai piedi d’un Crocefisso ed a piangere sulla perdita dì tante anime; e fin a
quando, o Signore, rrii larderete.in mezzo a..tanto fango, e fin a quando i miei occhi
avranno a vedere tanti scandali, tanta offesa vostra, tanta rovina di anime a Voi sì care.
Deh! liberatemi, Signore, dì mezzo a tante iniquità, oppure porgete voi un rimedio ad un
tanto1male: così a me sembra dovrebbe parlare, e sentire'ogni Sacerdote che compreso dal
gran fine della sua vocazione zeli un po’ l’onore, e la gloria del suo Dio, ed il bene delle
anime; or-

(2357) e lo diceva già S. Bonaventura: e come mai potranno cessare dal piangere i nostri
occhi, vedendo che giornalmente si fa cotanta ingiuria al nostro buon Dio? Mirurh, quo-
modo possìnt a pjoratu cessare videntes... tantam injuriam deo fieri. Che se Mardocheo,
continuava lo stesso Santo, piangeva tanto sulla morte, che pendeva sul capo de’ suoi
Giudici, e perché non s’avrà a lamentare, tale, e tanta strage di anime.. Si Mardocheus
tantum dolebat de temporali Iudeorum nece, quomodo non dolendum de tali;-et-tanta
animarmi! strage. ■

(2358) E così deve parlare, e sentire il nostro cuore; e se. cosi non sente, temiamo'pure che
non sii poi tutto zelo, quello che ci par d’avere; poiché il vero zelo, dice Agostino, geme,
e piange dove non può porre rimedio, o riparo: e come .infatti direste voi affezionato un
figlio, che nell’atto istesso che vede il padre ingiustamente assalito, e percosso, non desse
un sospiro di dolore, quando non potesse stender la mano per ripararlo; direste adunque
zelante un Sacerdote, divorato da zelo, qual deve essere, della gloria di Dio, che in questi
tempi di. disordine, in cui siamo, non sapesse, non dirò già, spargere una lacrima, ma

360
Giorno Terzo " M editazione Tèrza S e c o n d a S u l l a morte-de Giusti

che il Signore vuol farci per gli altri suoi fini ma sempre pel maggior bene
di questo suo Ministro: diamo pur dunque che in sulle prime soffra un
po’ di umano, senta una-ripugnanza provi anch’egli un po’ di orrore, e
di ribrezzo, non crediate però che ci voglia gran tempo, e fatica a rasse­
gnarsi: quanteTohe si ricorda d’aver egli stesso esortato, preparato gli altri
chi sa quante volte a far il sacrificio della vita, e ricchi e poveri, giovani
e vecchi, padri, madri di famiglia, che morendo pareva lasciar il cuore a
questo mondo, eppur seppe dire, seppe fare che giunsero a farne anche
volontieri il sacrificio anche volenteroso della propria vita. Soventi è certo
che avrà meditato la morte, e di tanto in tanto si andava preparando a quel
passo: in Confessionale, sul pulpito doveva per dovere, e per zelo ricordare
questo ultimo passaggio, inculcarne l’incertezza, l’importanza, la necessità
un giorno di partire, e forse partire ben presto; ora io lascio pensare a Voi
se un Sacerdote che viva di queste massime, un Eclesiástico che non per
usanza solo, e superficialmente vadi parlando,

ma che con spirito interno, per zelo, per persuasione, per fede parli (2355)
soventi di morte, mediti, e predichi la morte, prepari a morire, ne conforti
i timidi, cerchi di ridurre a rassegnazione i ritrosi, un Eclesiástico che più
volte per ragion del Suo Ministero ha dovuto sforzarsi per persuadere agli
altri ;come l^morte sia per un fedele, e per un cattolico un oggetto più di
speranza che di timore, un punto più di consolazioni, che di angustie, io

almeno cavar un sospiro dal cuore sii tante offese, che giornalmente si fanno alla gloria, ed
alla maestà del nostro Dio; eh!... che non è di questa tempra il Sacerdote, di cui io intendo
di ragionare, e chi sa quante volte nel suo cuore, ed innanzi al suo Dio avrà sospirato, ed
anche pianto su que’ disòrdini, che vedeva non poter rimediarvi; è tanto tempo, che va
appressò e lavora d’attorno a quell’anima, per ridurla sul buon sentiere, ma invano; chi sa
quante volte ha tentato di torre da quella casa la discordia, l’odio, lo scandalo, ma inutil­
mente; sono già anni che grida, che tuona quel buon Sacerdote contro quell’abuso, quel
vizio, ma tutta fatica gettata al vento, se lo vede trionfare sotto i suoi occhi, e a dispetto
di tutta la sua industria per sradicarlo: che spine dolorose, e pungenti per un cuore, che
arda di zelo! ma via il Signore contento di sue fatiche quasi ché avesse ottenuto tutto il suo
intento, gli vuol chiudere gli occhi, e per risparmiargli ulterior dolore lo cava di mezzo,
e se lo chiama a se colla morte; lamenterà se volete questo buon Sacerdote al suo letto
di morte la perdita di questa anime, che lascierà dietro di se sull’orlo del precipizio, del
resto si consola colla speranza di poter ottenere ai fianchi del suo Dio, quello che non ha
potuto fare in terra, lo .rassicura, lo tranquillizza il pensiero d ’aver fatto, quanto poteva
per guadagnarle, ed eccoci con questo ad un altro riflesso, che più di tutti consolerà un
Sacerdote al suo ietto di morte, e voglio dire la ricordanza di quel gran bene, che avrà
operato.

361
E sercizi S p iritu a li a l Clero ■- M e d ita z io n i

dimando a voi se un Sacerdote tale debba provare grandi difficoltà, anzi


direi sentirne qualcuna nell1accostarsi al suo fine. A ciò aggiungete le mise­
rie, i dolori, i dispiaceri che si soffrono in questa vita, e che tutto serve
a staccarci da questo mondo. Notate di più la pena che necessariamente
sente un buon Sacerdote, giacché parlo di questi, nel dover vivere tutt’ora
in mezzo a peccati, e sempre colla paura d’aver offeso o di offendere il
Signore. S. Nicolao con altri Santi personaggi, come leggiamo nel Brevia­
rio morirono dì dolore per le tante offese, che si facevano al Signore; noi
non saremo degni di tanto, ma quanti buoni Sacerdoti anche a’-'giorni
nostri sènza far rumore, e quasi senza esser conosciuti piangono nel loro
cuore, e vanno dicendo: Signore rimediate tanti scandali, riparate voi a
tante offese, se nò prendetemi che amo meglio morire. Sì lo ripeto a nostra
consolazione ed esempio non mancano Sacerdoti di questa tanta virtù e di
questo spirito. La paura di aver offeso il Signore noi sappiamo quanto pesi
ad un anima buona, basta questo timore per amareggiare qualunque còsa
più dolce di questo mondo, guai se viene a cadere in peccato, da quasi in
disperazione, e non:sa cessare dal dire, dal

(2357) ripetere, Signore era meglio fossi morto, e perché non m’avete preso
prima che cadessi? pazienza la morte, comunque fosse andato per me, ma
non avessi peccato. Ora tutte queste pene, tutti questi pericoli, vanno a
finire, vanno a cessare colla morte. P. Segneri etc. Nè dica che coteste
ragioni sono belle e buone, ma sono alte, sottili, speculative, e che non
arriveranno in allora a togliere l’amarezza della morte; noi non abbiamo
bisogno che la tolga per morire da buoni Sacerdoti, ci basta che queste
od altre simili motivi ragioni facciano sì che noi ci disponiamo ad accet­
tar la morte con calma e rassegnazione; alle volte si trovano persone tra li
stessi laici che sanno addurre da se stesse co testa ragione sul letto di morte:
muojo, e muojo volentieri, diceva una persona, perché così sarò fuori peri­
colo d’offender Dio, anche che andassi in purgatorio, nient’importa, amo
meglio soffrire nel fuoco che vivere nel pericolo di peccare. Un altro ripe­
teva, Signore perdonatemi che v’ho offeso tanto, io muojo e mi consolo
che in questo modo muojo volentieri perché così avrò finito di offen­
dervi! Se laici, se persone rozze sanno dare in questi sentimenti, sarà tanto
raro che li abbia poi un buon Sacerdote, sì un Sacerdote che più di ogni
altro deve conoscere i pericoli della vita presente, le speranze della futura,
e l’importanza somma di ben guardarsi, e di ben riuscirvi. Là ragione
però prima, e principale che servirà a .determinare questo buon Sacerdote,
determinarlo presto, e facilmente a determinarlo anche volentieri,: sarà

362
Giorno Terzo ■- M editazione Terza Seconda ^ Sulla morte eie Giusti

nella volontà del Signore. Noi possiamo sapere quanta forza abbi in un
cimento, e di quanto coraggio riesca il pensiero, il riflesso che Iddio così
vuole, così dispone: una notizia più triste, e prove più dolorose non potè-
van giungere improvvisamente, ad un Giobbe, ad un al Sommo Sacer­
dote Eli, ambidue non seppero trovar altro rimedio che elevare gli occhi
al Cielo, e rimettersi intieramente nelle mani di quella provvidenza, che
così disponeva: dominus est, quod bonum est in oculis suis, faciat8, e lo
vediamo tutto giorno in persone di fede, nelle disgrazie più grandi, quando
non si trova sulla terra più altro rimedio e conforto, restarvi ancor il prin­
cipale nel riflesso, che Dio ha così voluto9.

Il Signore così dispone, e basta un pensiero, un riflesso anche solo di &^63)


questa natura per sentirci a raddolcire nel cuore una piaga, un dispiacere,
una paura anche grande, che ci tormenti. Ora un Eclesiástico già avezzo a
riconoscere, ad adorare questa divina volontà in ogni cosa, un Eclesiástico
che nelle prove più dure e chi sa quante volte in occasione di cruci, dispia­
ceri, calunnie, sapeva rivolgersi si prontamente, e rassegnarsi alla volontà
del Signoresche così voleva, credete che abbia bisogno di suggerimento, di
stimolo, e di sprone per farlo in quel punto, che sa in particolar maniera
tutto disposto, voluto, ordinato dal suo Signore. Un Sacerdote ben zelante,
e che nel fiore di suoi anni si andava avvicinando al termine de’ suoi
giorni, soleva rispondere i chi T andava vedere, e piangeva: perché pian­
gerei perché questo attristarvi? si piangeva a ragione perché si faceva una
gran perdita, perché soggiungeva or all’uno or all’altro, quel prendersela,
siamo nelle mani del Signore, se è volontà sua che viva, non temiamo, che
Dio comanda ancor al mio male; se poi mi vuol prendere, ne io ne voi
vorremo diversamente, e quand’anche lasciasse a noi la scielta, risponde-
ressimo, Signore tocca a voi a decidere, e fate quel che volete. Ah! che bei
sentimenti da render anche dolce la morte. Altre volte lo stesso Sacerdote
rispondeva ripeteva: se Dio mi chiama dovrei ancor ringraziarlo, perché vi
sono tanti Sacerdoti che sono anni ed anni che lavorano, pieni e carichi
di meriti, il Signore invece pare che voglia dar la preferenza a me, che ho
ancor lavorato tanto di meno, sì poco e mentre tanti altri sospirano invano
la corona, e chiamano riposo, Dio l’offre a me che lo merito sì poco. Cote-
ste espressioni di quel buon Sacerdote mi danno occasione di parlarvi d’un
altro pensiero che più presto, o più tardi verrà a consolare un Eclesiástico

81 S a n i 3, 18.
0 Con una annotazione il Cafasso rimanda alla sua pagina 7 afronte.

363
Esercizi S p iritu a li a l Clero - M e d ita zio n i

ne’ suoi ultimi giorni, e che servirà non poco a far facilmente e volentieri il
sacrificio della propria vita, e voglio dire la ricordanza etc. pag. 4

(2358) 4 la ricordanza di quel bene che avrà operato Dio buono! che gran bene
non può mai fare un Sacerdote da mattino a sera, aJJ'Akare, in un Confes­
sionale, su d’un pulpito, nelle visite sole d’infermi, di miserabili, di

(2360)5 abbandonati, che meriti in una giornata anche sola spesa in questi
ministeri quando si operi con vero zelo, e retto fine? che sarà adunque di
mesi, di anni, di più anni consumati in una si bella catena d’opere? Oh!
potessimo anche noi, Signori miei, quando saremo al letto di nostra morte
contar molti di questi giorni; che dolce vista, che incanto sarà il nostro,
come lo sarà per ogni buon Sacerdote, che dal termine de’ suoi dì si faccia
a rimirare la tela de’ suoi giorni passati, quelle Messe che procurava di dire
con gravità, e fervore, quella pazienza, carità usata ne’ Confessionali, quella
mansuetudine praticata nella nel suo trattare, ma soprattutto quei peccati
impediti, quelle anime salvate, oh dolce memoria! che consolanti fatiche!
questo sarà il più gran conforto d’un Sacerdote che muore, poter dire di
aver zelato la salute delle anime10.

(2372) Che direste d’un Suddito, che avesse salvato la vita al Suo Sovrano,
e che un bel giorno venisse chiamato per portarsi a Corte, lo vedreste
forse pauroso, e pieno di spavento per timore che il Suo Re lo volesse
sgridare, o punire; tutt’altro che anzi, allegro, festoso non attenderebbe
che il momento d’andarvi sicuro d’esser ben ricevuto, e premiato. Ecco il
caso nostro: il peccato è un attentato di vita al Signore, questo buon Sacer­
dote può dirsi che ha salvato da quest'attentato il Signore quanti sono i
peccati che ha impedito. Or questo Dio col coirawiso nunzio della morte
lo avvisa, e quasi lo manda a chiamare, che lo vuol a se, vederlo, e parlargli:
e volete che abbia paura, paventi, e tremi. Impossibile, fratelli miei, biso­
gnerebbe che il peccato non fosse peccato, Dio non fosse Dio, per poterne
dubitare.

(2360) 5 Se il Signore ha promesso tutta la sua assistenza a colui, che avrebbe


guardato con occhio di compassione, e sollevato il poverello: Beatus qui

10 Una annotazione dell’originale probabilmente rimanda qui all ultimo foglio del mano­
scritto.

364
Giorno Terzo - M editazione Sfèrza Seconda Sulla morte de Giusti

intelligit super egenum, et pauperem. in die mala liberabit eum dominus11.


che sarà per far inverso quel Sacerdote, che avrà speso la sua vita non già
solo a satollar poveri affamati, ma a strappar dalla bocca d’inferno, e salvare
le anime1'1'.

Dominus opem ferat illi super iectum doloris ejus13. E qui prima d’an- (2359)
dar avanti lasciate che io adducca un avviso di S. Gerolamo, ed è che in
punto di morte non sarà il grado nostro, la dignità, il Carattere che ci
avrà da consolare, da salvare, ma bensì le opere che avremo fatto in questo
stato: non dignità^, sed opus dignitatis salvate consuevit. Non sarà il nome,
l’abito, e le divise sacerdotali che ci avranno a meritare un buon termine,
ma l’impegno, il fervore, il zelo con cui avremo esercitato il nostro mini­
stero. Chi sa, se noi quando per l’età, o per gli incomodi di salute ci accor­
geremo essere al fine la nostra giornata, chi sa se quando qualcuno si avvici­
nerà a noi per dirci che siamo al termine potremo prometterci sì fatta con­
solazione; io la voglio sperare per me e per voi tutti, ma frattanto teniamo
ben a mente quella gran Missione di cui siamo incaricati: sicut misit me
pater, et ego mitto vòs14; tanto a-me come a Voi ci furono dati dei talenti, e
ci fu comandato di trafficarli: negotiamini dum venio1 Guai a quel Sacer­
dote che si troverà a quel punto con questi talenti oziosi in mano, e sepolti.
Lasciamo però a parte cotesti rimorsi di un infelice Sacerdote, e seguitiamo
il Giusto negli ultimi giorni di sua carriera16.

^ Vero è, Signori miei, che la memoria del bene, che avrà fatto condurrà (2360 ) 5
seco un altro pensiero forse doloroso, cioè del male, che si ricorderà pur­
troppo aver operato, giacché io non intendo, come ho già detto, di parlar
d’un innocente, e d’una virtù straordinaria. Ma... quelle Messe strapazzate,
que’ scandali dati, quegli anni oziosi, e vuoti, que’ fini terreni nel mini'

11 S a i40,1.
12 II Cafasso inserisce a questo puntò un testo scritto nella pagina a fronte.
l! .W )0 ,3 .
14 Gv 20,21.
15 i c 19,13. - ■
1(5A l posto di questo testo ne esiste un altro cancellato: Parti pure contento, e tranquillo,
possiamo dire a ciascun di questi operai evangelici sul termine de’ suoi dì, muori pure
in pace, che ógni passo dato appresso a quell’anima ti è già registrato in Cièlo, ed ogni
parola, che profferisti, ogni gemito, che desti per salvar quell’altra alza per te la voce al
trono della divina misericordia. O h noi felici, se in quel punto il cuore ci dirà d’aver
salvato qualche anima, quanto meno amara, anzi quanto più dolce sarà la nostra morte.

365
EseM&i'SpiwWctfo al Clero - Meditazioni

stcrp: ah! clic pensieri funesti al punto di morte sì; ma io penso che un
paolo sospirava tanto la morte, eppurera stato uno scandaloso, un bestem­
miatore, che una quantità di anime, che morirono in somma pace, pure
erano state gran peccatrici, vuol dire adunque che in quel punto vi ha
un rimedio a queste spine, e non può esser altro che il perdono, che uno
(-f; j ricòjrdfljxs-sa come certo d’averne ottenuto17.

(2359) b Quei .giorni di ritiro, que’ sospiri, e quei gemiti dati sulle nostre colpe,
quel Quid feci che abbiamo fatto risuonare ai piedi del Crocefisso, quel
peccavichecon tanto dolore abbiamo pronunciato ai piedi del Confessore:
ahìpensterii.consolanti in quegli estremi, in quelle agonie di morte: gli. verrà
itila mente quelle dolci parole che il profeta del Signore gli disse, gli ripetè,
e■cercò .di .siarnparie in cuore: dominus transtulit peceatum tuum18: sta
certo, iigliuol mio il Signore ti ha perdonato: ah! momento prezioso; ah
dolce e consolante memoria. Questa Chiesa stessa, la camera, il Crocefisso
che abbiamo alle mani testimoni! dèi gemiti del nostro cuore verranno
quel; punto ¡alla nostra mente per dirci, per assicurarci che siamo stati per­
donati, e per ajutarci a chiudere i nostri occhi colla pace, e colla confidenza
di un gittstn buon Sacerdote.
ji [.Man ata, però qui ancora il tutto della morte di un giusto; andiamo a
vedere come si disponga a morire; e come muoja un nostro compagno, che
abbia corrisposto al gran fine della sua Vocazione. Avvisato adunque dèi
suo termine su questa terra, temperato e quasi spento coi riflessi accennati
<;(rió?;«) ¡1. dolor della morte confortato dal testimonio della propria coscienza, e
pieno di confidenza in quél Signore, che ha servito si preparerà al gran
pajssoj ^ a dard’ultimo addio a questo mondo.

(2362) 6 . ;iv^ccosturnato già ai sacramenti, assuefatto ad aggiustar soventi, e con


tutta sincerità i suoi conti deirariima, sua, non lo spaventerà la vista del

17 II testo continua con le seguenti.. righe cancellate: Si ricorda di quegli esercizi, in cui
ha aggiustato le partite di sua coscienza, ed ha principiato quel tenor di vita: si ricorda
di quelle tante confessioni, in cui non faceva altro che detestare i suoi trascorsi passati, si
ricorda di que’ tanti gemiti, e sospiri che giornalmènté gli cavava dal cuore il solo pensiero
de'LSHP<Ì.;fallÌ,, e questa memoria pare che sia una yOce che lo vada rinfrancando, e glieli
^oeelli;;,quasri;¡dalla Sua mente: del resto se gli rimane ancor qualche pena, se.gli sorge
qualche dtìhbio, ecco che chiama il suo Confessore, e qui entriamo in altra classe di C o n -
s<?lazipngipsr ¡un anima di questa so rta ,.n o n io spaventa già la vista.
- :5 Qpestf; righe sono sostituite con una nota del Cafasso da altre che inseriamo nel testo. ■
.,^ ^ ■ 12,13.
Giorno Terzo ^ Meditazione Terza Seconda ^ Sulla moYte<$ezGimii

suo Confessore, anzi servirà ad animarlo, e pensando che forse.-sarà'd-kflB


tima confessione di sua vita, gli aprirà intieramente il suo cudrèiirirrnob
verà l’accusa di tutte le sue colpe, e chiedendone tanto di cuoro ptiddno,
ne chiama da questo Dio in terra la generale assoluzione; il buon Mini­
stro intenerito, e compunto al par del penitente per si belle dispbsiziiòni, ì>
attende con impazienza il momento di confermarlo in grazia, éd eccolo già;
con la mano alzata pronunziar per l’ultima volta su quell’anima 'benedetta
la sentenza d’assoluzione; [parola incomprensibile barratei] che ini pai.-:;ncl

dita d’un [parola incomprensìbile barrata] : sicché, gli dirà il Confésiorg^viia


tutte le paure, via i timori tutto è aggiustato, tutto è perdonato,!:?.ni mvim

Prima che andiamo agli altri Sacramenti fate che si spargainslspaeseda (2361)
notizia della malattia e del pericolo di questo prete, oh! quantiokrhenti si
sentono, quante voci si alzano al Cielo perché il Signore lo lasci ancora
in terra, allora più che in ogni altro tempo si conosce il granahenepche (¡¿U)
faceva, epperciò tutti temono una perdita comune, chi teme di perdere in
lui la sua guida, chi il proprio consigliere, chi un consolatorè, d chi un
sovvenitore; tutto il paese, tutta la popolazione poi quell’Angelo';di ¡puct%-
quel profeta del Signore che colla sua condotta ne edificava i costumi;
suoi gemiti, e colle sue preghiere attirava le benedizioni del Cieìbpe}.quà®te
volte in simili occasioni certe anime più pie, e maggiormente; ¿penetrate
del molto bene che continuerebbe ad operare quell’anima offoón&flpdorfo
vita stessa perché il Signore la allunghi a questo suo Ministro, e pare quasi
che gareggiano tra loro il Cielo, e la terra; il Cielo lo vuole, l&atsisnd'e, lo ti (sii.
pretende che è suo, la terra lo possiede lo ritiene, eper dir-ccm cd'ti■stentò
si arrende a lasciarlo partire perché lo gode, lo possiede. Questa èilaLvefà
testimonianza, ed il miglior panegirico che questo mondo pdssài farei ali
noi, e sarebbe bene che qualche volta venissimo alle prove, e ci domandasi
simo a noi stessi, se dalla condotta, che teniamo, da ciò che noi ideiamo*jl
mondo possa bramare dì averci a lungo, o se al contrario non'atesselmoltì
.bh olbn^A'i

: . ■ ■ i jio n o D o ì (.'.òr:.--;)
19 II testo continua con alcune righe cancellate: ma possibile! tanti sacrilegi
tanti scandali, tante negligenze, tanta freddezza, e via... se non vogliamo far torto alla
misericordia di Dio, se non vogliamo diffidare di sue promesse, lo ripeto, tutto è sciolto,
tutto è perdonato. Che bello stato, che dolce pensiero per un anima. .j -¡n;fv 0L
A l posto di queste righe il Cafasso con una nota inserisce un altro testo preso, 'dallti'pitgina
Esercìzi Spirituali al Clero - Meditazioni

a perdere, anzi potesse sospirare di esserne presto sgravato. Il cuore ci potrà


dire qualche cosa.
Dal primo sacramento etc.

(2362) 6 Dal da questo primo Sacramento, s’andrà al secondo, qual è di munirlo


del Santo Viatico: quel Dio, che trattò sì devotamente all1altare, quel Dio,
che onorò con tante visite nelle sue Chiese, quel Dio, che sempre formò
l’oggetto de’ suoi pensieri, e delle sue opere, intenerito direi così, vinto dai
desideri, e dai sospiri di quell’anima, non soffrendo, di star più a lungo
diviso dal suo Ministro, se ne parte da’ suoi tempi20 impaziente di presto
arrivar in quel cuore per non lasciarlo mai più fino all’ultimo suo respiro.
Figuriamoci di trovarci in quella camera ove arrivi il Sacerdote con Gesù
Sacramentato. Le prime parole di quel Ministro nell’entrar in quella casa,
è un saluto, è un’annunzio di pace: pax huic domui21.

(2361) Quante volte questo Sacerdote portò la pace lui stesso nelle famiglie,
la sua presenza, la sua venuta in una casa era un annunzio di pace; quanti

catori, quanti sconsolati hanno trovato la pace in questo Sacerdote* egli è


giusto adunque che questa pace venga a finire ed accompagnare gli ultimi
suoi giorni: pax huic domui pace e pace grande, e pace permanente a
questa casa benedetta, ed a chi vi riposa; entra il Signore in quella porta, e
chi saprà dire etc.

(2362) 6 ma chi mi saprà dire a questo punto gli affetti, le commozioni di questi
due cuori che s’incontrano, di Gesù verso il Suo fedel Ministro, e di questo
Ministro verso il suo amato Gesù! Se all’entrar di Maria in casa di Elisa-
betta saltellò per gioja Giovanni nel seno della madre per la presenza di
Gesù, così a me pare debba ad un Sacerdote balzare per impeto di alle-
grezza il cuore all’arrivo, alla presenza reale del suo Gesù: Ecce Agnus
Dei, dirà il Ministro rivolto a questo buon Sacerdote, ecco o fratei mio,
l’Agnello del Signore22,

(2361) lo conosci: Egli è il tuo Dio; quel Dio che servisti sì di cuore, quel Dio
di cui hai zelato l’onore, e la gloria; quel Dio, a cui hai risparmiato tante

20 Forse il Cafrasso intendeva scrivere «templi».


21 Qui il testo con una nota rimanda alla pagina a fronte.
22 Con una nota il Cafasso inserisce qui un testo dalla, pagina a fronte.

368
Giorno Terzo " M editazione Jèrza Seconda - Sulla morte de Giusti

offese, e peccati; sì Egli è proprio quel desso; deh! prendilo, o caro, strin­
gilo, abbraccialo al cuore, Egli è tuo: accipe fraterie non temer, o fratello,
ttt con questa guida, con questo conipagno, con questo amico, tu andrai
sicuro e salvo alle porte dell’eternità:

Accipe. irai.rer, viaticum Corpus Domini nostri lesu Christi, qui te (2362) 6
custodiat ab hoste maligno, et perducat in vitam aeternam23. Ed oh! che
torrente di grazia entrerà in quel cuore all’entrare del suo Signore, in quai
affetti proromperà mai quel cuore, già fatta, una fiamma di amore, di
carità. Figuratevi di vederlo là questo Sacerdote tutto unito col

suo Dio; ed alle volle con una aria insieme sì amabile, sì dolce che non (2364) 7
so se lo direste ancor abitatore di questa terra, oppure già cittadino del
Cielo, certamente sé non è sì glorioso, egli è ugualmente ricco, e. felice
nel suo Dio: separato già direi da tutto questo mondo passa quei felici
momenti col suo Dio, e con un linguaggio tutto segreto, poiché non è
degno questo mondo di sentirlo, gli va spiegando il suo cuore: Signore, mi
pare di sentirlo dire, sono appagate adesso le mie brame, sono soddisfatti
i miei desideri, prendetemi pure quando volete, da questo mondo: nuric
dimittis servum tuum domine24. Sono un povero Ministro, e se qualche
cosa ho fatto, la gloria sia tutta della vostra possanza, che ha voluto con
uno strumento sì misero, qual io sono dilatar il regno della vostra grazia;
io sono nelle vostre mani, ed ai vostri cenni; che se mi volete ancor per
qualche poco a lavorar nel faticoso campo di questo móndo: non recuso
laborem25. Che se vi degniate di chiamarmi, non esito a rispondervi: ecce
adsum. domine, decidete come più richiede la gloria Vostra, si faccia, e si
adempia pure sovra di me ogni vostra volontà. Che bei sentimenti, Signori
miei, che sante disposizioni, da far presagire fin da questo punto una morte
la più dolce, la più felice.

23 D al Rituale Romano. Il testo continua con il seguente brano cancellato: Che è un dirgli:
deh prendi, o fratello, e stringiti al cuore chi t’ha da fare da guida, è compagno nel gran
passo, che sarai per fare, e questa guida, codesto Compagno non è già un potente di
questo mondo, non un Angelo, ma il tuo Dio stesso: lui sarà quello, che ti terrà lontana
ogni insidia del tuo nemico, lui quegli, che ti porterà come in mano in porto della tua
eterna salute.
24 Le 2,29.
25 Vita di S. Martino vescovo, in Sulpicio Severo, Lettera 3 (SC 133).

369
Esercìzi Spirituali al Clero - Meditazioni

Si verrà quindi ad amministrargli l’ultimo Sacramento, che è l’estrema


unzione, che servirà a purificar vieppiù quell’anima, ed a maggiormente
disporla al gran passaggio, a cui s avvicina a gran passi. Io non voglio
negare che in questo frattempo nascano anche in un anima giusta certe
paure, certi timori, certe inquietudini. Ah! che il demonio è troppo arrab-
. biato tanto più contro un Sacerdote, che farà sicuro gli ultimi suoi sforzi,
e se non può far altro metterà in cuore al povero moribondo eccessivo
timore, pensieri di diffidenza, e fin di disperazione, ed alle volte succede,
che anime che hanno avuto coraggio a resistere alle più forti tentazioni,
pure in questi casi quasi minacciare di cedere: ma... padre, vuol dire che
mi salvi, può assicurarmi che sii perdonato, Dio voglia che non m’abbia a
dannare, chi sà come andrà per me; tanto e vero che ne’ gran spaventi, in
certe grandi inquietudini ogni un ombra vale un Gigante. Ma non temete
per questo, Signori miei, sono burrasche, sóno tempeste queste, che pas­
sano ben presto, ma che lasciano dietro il più bel sereno: Iddio permette
tali turbazioni a queste anime, per tenerle umili, ed alle volte perché scon­
tino ancora in questo mondo qualche loro difetto, come disse un S. padre,
che: justi quandoque dure moriendo, in hoc mundo purgantur: e poi non
v’è da stupire che muoja sul campo di battaglia chi è avezzo a combattere;
la vita di questa persona non è stata altra che continua guerra fatta al pec­
cato, al demonio, e così Iddio vuole che essendo vissuto da prode, muoja
da prode, e combattendo, e che l’ultimo suo respiro sia una nuova palma,
che riporti, ed una nuova gemma alla corona, che Faspetta. Del resto se da
un canto Iddio gli permette

(2366) 8 questi assalti, dall’altro allargherà la mano con una piena di grazie, che
lo renderanno vincitore: e se Finferno freme, e raddoppia i suoi sforzi
a danno di quest’anima, il paradiso tutto s’impegnerà a difenderla: quel
buon Angelo Custode, che da tanti anni gli sta ai fianchi, i Santi, di cui era
divoto saranno i primi ad accorrere in suo ajuto; e quelle anime da lui sal­
vate, quelle anime che in questo Sacerdote riconosceranno il secondo suo
Salvatore, quante voci non manderanno al cospetto di Dio, quante pre­
ghiere per ottenergli una compiuta vittoria, ed un felice termine de’ suoi
dì. Che dirò poi di Maria, quella cara madre specialmente di noi Sacerdoti,
qual premura non sarà la sua ih quel punto a prò di questo suo tenero
figlio26.

26 Con una nota l ’originale rimanda alla pagina a,fronte.

370
Giorno Terzo ~ M editazione Terza Seconda Sulla m orie de Giusti

In novissimis invenies requiem in ea, gì dice lo Spirito Santo nell’Ecle- (2365)


siastico 627. Moriva un zelante Sacerdote, e nelle ultime agonie stava guar­
dando fisso un imagine di Maria. Un sacerdote che moriva guardando e
vedendo in un imagine di Maria. Altra persona che rispose la Madonna
volerla con se.

Si sostiene dà molti, che Maria sia per assistere visibilmente alle agonie (2366) s
de’ suoi divoti, e se così fosse, come io la credo che conforto non sarebbe
per un povero moribondo. Oh!... fosse un po vero, o cara madre, che nelle
mie agonie, in que’ momenti per me così terribili vi vedessi con questi miei
occhi a comparire; oh che speranza mi darebbe un occhiata di que’ vostri
occhi, una parola anche sola che sortisse da quelle labbra... sia però come si
vuole è fuor d’ogni dubbio, che grande, grandissima è l’assistenza di Maria
in punto di morte, e lo vediamo tutto giorno al letto de’ moribondi, che
basta il presentar un imagine di questa buona madre, basta ricordarne solo
il nome per sollevare, incoraggire i più abbattuti, e diffidenti; che sarà
poi in verso d’un Sacerdote, che tanto era impegnato a propagar la sua
divozione, d’un Sacerdote che la teneva qual madre, e che ad altri non
sapeva confidar i suoi bisogni che nel cuor pietoso, e materno di questa
gran Regina; tanta, io tengo per certo, sarà la sua contentezza, e gioja, che
morendo sarà costretto a dire come già esclamava in tal punto un buon
servo di Maria, non putabam tam dulce esse mori. Tanto più se nella piena
di queste contentezze alzerà ancor gli occhi per dar uno sguardo a quella
gloria, che l’aspetta: figuratevi un soldato, che vincitore ritorni.dal campo
di battaglia, e colla palma in mano sia per entrare nella Capitale, e pre-
sentarsi al suo Re. Rappresentatevi un giornaliero che stanco delle lunghe
fatiche del giorno, sul far della sera tutto allegro, e contento stiì sul punto
di riceverne la paga; tal è la condizione del nostro buon Sacerdote nell’ora
di sua morte: qual soldato, e Capitano che ha combattuto, e vinto in più
cimenti, e pericoli della sua vita: qual giornaliero, che ha portato, e soste­
nuto tutto il peso del giorno, attende il momento della corona, e della
paga; ed oh! con che franchezza, e speranza la guarda, con che desiderio la
mira! con che impazienza,, n’attende l’ora ed il momento d’andarvi. Deh...
mi mandi presto in paradiso, o padre, mi sono sentito dire assistendo in

27 S ir 6,29.

371
Esercìzi Spirituali ài Clero - Meditazioni

■instava una persona in si fatto punto, oh potessi un


po andar presto...28.

(2365) Signore, diceva un Sacerdote, io sono come una nave nel mare di questo
mondo, e non attendo che un cenno per slanciarmi nel porto delle vostre
braccia. Lasciatemi andar in paradiso, rispondeva il v. servo di Dio Monsi­
gnor Ancina, a chi le diceva di non aver tanta fretta d’andar al riposo. Un
buon Sacerdote ben divoto di Maria teneva sempre fra le mani l’imagine di
Maria: la mirava, la baciava, rideva può dirsi, e conversava assieme. Invi­
tato più volte a deporla sul letto tanto più nelle ore estreme, non si potè
indurre, perché diceva un figlio senza la madre non può non con questa
madre ho proccurato di vivere, e con questa madre voglio morire, e vi morì
realmente con lei.

(2366) 8 Eh!... già gli pare di trasportarsi col pensiero su quelle porte, già le
pare d’entrar tra quelle anime, eja. Domine, moriar, ut te videam-. e via,
Signore, fate che muoja, perché presto possa vedervi: moriar moriar, ut te
videam: il Signore si compiace di questi slanci, di questi voli del cuore, e
per questa parte

(2368) 9 lo vorrebbe veder sospirare a lungo,: ma vinto dall’altra parte da tante


brame, da si cocenti desideri non sa resistere, abbrevia i giorni, e le ore
di questo cervo assetato, lo scioglie dai lacci di questa carne, e libero gli
lascia il voto corso alla fonte, che anela. Ecco che muore, andiamo ad essere
testimoni d’una morte la più dolce. Figuratevi di trovarvi in quella annera,
e vedete là que’ pochi che attorniano quel letto, e che non so se piangano,
o se invidiino quella sorte, oh! fosse un po’ testimonio il mondo tutto d’un

disteso su quel letto il nostro Sacerdote con una faccia da moribondo sì,
con tutti i sintomi di vicina morte, ma in mezzo a suoi dolori non cessa
d’aver un’aria rassegnata, e tranquilla. Un buoh Ministro che in compa­
gnia di chi sa quante anime celesti accorse in quell’ora consacra a Dio gli
ultimi suoi momenti: or alza gli occhi al Cielo, e par che se ne parta, e voli
in quel punto alla gloria, or li gira d’intorno, e voi dirvi che vi lascia, e
muore: tiene tra le mani un Crocefisso, quel Crocefisso che sempre ebbe

28 Una nota rimanda alla pagina a fronte.

372
Giorno Terzo " M editazione Tèrza Seconda > Sulla morte de Giusti

in modello nei suoi giorni, quel Crocefisso che porta tanti bacci stampati
dalle sue labbra: or lo guarda, or lo bacia, or si conforta in quelle piaghe,

di questo mondo soventi fa sentire i bei nomi di Gesù e Maria sono le

finché l’amore quasi più che il dolore vien a por fine a quella vita: comin=
ciano a morire l’estremità del stto corpo e mani e piedi sono le prime a
morire: ma... quei piedi che non risparmiavano fatica per guadagnar un
anima già son freddi, immobili, e muojono; quelle mani che cosi frequen­
temente soccorevano i poverelli2?,

quelle mani, che s’alzarono tante volte sul capo de’ peccatori (2367)

cadono distese sul letto, e se [ne] vanno; quindi gli si (2368) 9

ti quella bocca lingua, che


parlava con tanta unzione, che seppe attirare tanti peccatori, via si chiu­
dono, si fa mutola, e [parola illeggibile]. Quegli occhi che -

m orto30:

quegli occhi che sparsero chi sa quante lagrime sù proprii ed altrui (2367)
peccati, via si chiudono, e muojano, finalmente quel cuore, che ardeva
cotanto d’amore, e di zelo, si rallenta, si ferma, più non batte, si scioglie, e
muore. Qual innocente bambino, che dolcemente s’aqquieta nelle braccia
di sua madre, tranquillo chiude gli occhi a questo mondo, e s’addormenta
anch’egli nel bacio, e nella pace del suo Signore.
Quel Sacerdote che colla sua ritiratezza, gravità e modestia formava
l’esempio, e l’edificazione della famiglia, del Vicinato, e d’un intiera popo­
lazione, è morto, e non è più. Quell’Eclesiastico che ne’ catechismi, all’Al-
tare, sul pulpito, e ne’ stessi famigliari discorsi parlava con tanta unzione, e
carità, da compungere, e toccarne i cuori, il Signore se l’è preso or è man­
cato, e non v’ha più. Si pur troppo sì quellrdtro sacerdote che attendeva
così assiduamente quel buon servo dì Dio che era così assiduo a1ministeri,
al Confessionale, alle funzioni di Chiesa, celebrava con tanta compostezza,

29 II testo riceve una riga dalla pagina a fronte.


30 Con una nota il testo rimanda, alla pagina a fronte.
Esercizi Spirituali al Clero ^ Meditazioni

e divozione, si vedeva così frequentemente a pregare in casa, nelle Chiese,


adorare s’è ammaliato, è morto e non v’è più.

(2368) 9 Chi piange da un canto, e chi da un altro; mai più un Sacerdote simile,
mai più un Sacerdote si zelante, sì caritatevole: la nuova corre per il paese,
vola perfino ne’ paesi vicini, è morto il tal Sacerdote: tutti ne fanno degli
elogi, tutti lo encomiano: oh che anima bella era mai quei sacerdote quel-
l’Eclesiasrico31,

(2367) oh che bel paradiso si sarà trovato quel Sacerdote, oh come sarà con­
tento a quest’ora, oh un po’ io a suo luogo, oh se tutti ì Sacerdoti fossero
di quella fatta; oh che grazia se il Signore ce l’avesse ancor lasciato un po’
di tempo; insomma etc.

(2368) 9 che cuor generoso, e disinteressato, che Angielo in carne! oh quante


bocche lo deplorano, quanti cuori lo sospirano! il povero, l’afflitto, le
anime buone, fino i peccatori si vedono piangere sulla commune loro per­
dita; ed: oh! che perdita è mai quella che fa un paese, una Chiesa nella
persona d u n Sacerdote tale, che muore: Egli era quegli che metteva la
pace nelle famiglie, Egli che consolava gli afflitti, Egli che soccorreva ai
bisogni de’ poveri; egli che riconduceva i traviati al dovere, egli che ani­
mava i deboli, egli che pregava per il suo popolo, egli che colle sue pre­
ghiere ne teneva sospesi i castighi: oh!... che era degno un Sacerdote tale di
più lunghi anni, ma non era degno il mondo doverlo più lungamente, il
Signore se lo ha preso, i gemiti, i sospiri, i pianti di quanti l’hanno cono­
sciuto lo accompagnano alla tomba, lo coprono di loro benedizioni, e se
lo stampano in mente per averne e loro, ed i loro nipoti un eterna ricono­
scenza: in memoria aeterna crit iuscus3“,

(2370) io e mentre cosi si benedice in terra la sua memoria, l’anima sua già regna,
e gode in Cielo; si lamenta in terra la perdita di questo buon Sacerdote, ed
intanto si festeggia in Cielo l’arrivo d’un cittadino novello33.

31 Con una. nota l ’originale rimanda alla pagina a fronte.


32 Sai 111,6.
33 Con una nota si rimanda alla pagina a fronte.
Giorno Terzo - M editazione Tèrza Seconda ^ Sulla morte de Giusti

Sì in Cielo con Gesù, in Cielo con Maria, in Cielo tra tante le anime da (2369)
lui salvate, in Cielo tra mezzo a tanti buoni Sacerdoti a godere, a comin­
ciare quella festa, che finirà mai più34.

Oh! che io morirei volentieri, o Signore, se sapessi che avesse ad esser (2370) io
tale la mia morte: deh! muoja, o Signore, muoja di questa morte de’ giusti
l’anima mia: moriatur anima mea morte iustorum35. E chi, o Signori, tra
noi non si sente in questo punto a nascere in cuore una voce, che pare ci
dica: oh potessi un po’ morire anche tu di questa morte: quand’anche non
vi fosse altro a sperare né in questo, né all’altro mondo che un termine si
tranquillò de’ nostri dì, una morte sì dolce, a me pare, Signori miei, non
sarebbe di troppo ogni nostro sforzo, tutto il nostro impegno, e chi desi­
dera di cuore di riuscirvi, ecco il gran mezzo certo, e sicuro36.

Primieramente meritarsela con una buona vita: non potest male mori. (2369)

male può darsi per una grazia speciale che muoja bene, ma chi vive bene
è impossibile che muoja male: non potest. lo ripeto male mori, qui bene
vixcrit. 2° Proccurare di morire volontariamente coi distacco dal mondo,
prima che giunga il punto di dover morire realmente, e lasciarlo per neces­
sità: fiat voluntariam etc.pàg. 9. Medit. Mòrte in gen.38.

34 II testo continua con le seguenti righe barrate: Eccolo già sulle ale degli Angeli entrare
in;gloria, eccolo già vestito di stola immortale. O h anima beata, oh anima felice! oh! in
che bei modo finisti i tuoi di! moristi sì, ma non per altro che per dar principio ad una
vita, che finirà mai più.
ì5.N um 23,10. ■
3fi Una nota rimanda alla pagina a fronte.
A gosvino , De disciplina cbristiana,¥LAO, c. 676.
. testo continua con il seguente brano barrato: di arrivarvi, qual’è una buona vita: non
potest male mori, qui bene vixerit. dice Agostino: ma chi desidera di saper l’arte di ben
vivere, soggiunge altro Santo, impari prima l’arte di ben morire: quisquis discere cupit
artem bene vivendi. discat prius moriendi: e come s’imparerà questa grand’arte di morire
bene? come ogni altra qualunque, coll’esercizio, coH’esperienza. Già è massima di tutta
prudenza che si abbia a pensare, e provare molto tempo prima ciò che si ha da fare una
sol volta: deiiberandum est diu.: quod statuendum est semel. Aris tot Seneca. Ed infatti
ad ogni publica comparsa di rilievo, di qualunque sorta essa sia, si premettono le prove,
e non una sol volta, ma tante quanto basti a promettersene una buona riuscita, e non
vi sarebbe a stupire che riesca male, chi avesse sdegnato di porvi ben mente prima, ed

375
Esercizi Spirituali al Clero - Meditazioni

(237i)n In ultimo siccome speriamo di morire con un crocefisso tra le mani,


e di poter sigillare le nostre labbra con un ultimo bacio su quelle piaghe,

imparare; cosi, io dico, non stupiamoci che muoja male, chi ha mai imparato a morir
bene, chi non sa che cosa sia morte, chi si è mai provato a m orire;.

Vedi pag. 8 Morte in generale

chi vuoi esercitarsi in questa si importante prova, io gli mostrerò il modo tal quale
l’ho trovato scritto da un pio direttor di spirito ad un anima che diriggeva: sceglierai, gli
dice, un giorno in ogni mese per l’esercizio della morte: comincia fin dal giorno avanti
a pensare che non hai più che un giorno di vita: spuntato quel giorno, od anche la sera
avanti farai la tua confessione, ma pensa di farla non ai piedi del Confessore, ma stesa sul
tuo letto di morte, e proccura di farla con quella sincerità, esatezza, e dolore, qual deve
essere l’ultima confessione di tua vita: quindi preparati a ricevere il Santo Viatico, e qui
sveglierai tutti quei sentimenti, ed affetti, che sono proprii di tali circostanze: passerai
a ricevere in ispiritp Folio Santo accompagnando col cuore una per una quelle unzioni
che crederai ti faccia il Sacerdote, e che potrai farti da te stessa. Munita cosi già dei Sacra­
menti, ed avviandoti a gran passi all’ultimo della tua vita, ti fermerai un p o a meditare
tra te e te i pensieri che vengono ad un moribondo in questo stato, che giudica di questo
mondo, che pensa della sua vita, che cosa desidererebbe aver fatto, epperciò quai siano in
adesso, che ti figuri moribonda, i tuoi pensieri, quai i tuoi ■

(2371) 11 desideri; ed eccoti con questo alle tue agonie. Quivi ti figurerai un ministro ai fian­
chi, che ti stia confortando, poche persone che ti assistano al letto, un Crocefisso tra le
mani. Con queste immaginazioni prendi a leggerti la tua raccomandazione dell’anima,
ma pensa che non lo fai per altri, ma per te, per l’anima tua, e sul punto di finirla, bacia,
o almeno fingiti di baciare per l’ultima volta il Crocefisso, ed invocando Gesù e Maria dar
l’ultimo respiro: va ancor avanti, e pensa di presentarti al Tribunal [di] Dio, e che mentre
tremante starai aspettando la decisione della tua eterna sorte, Maria presa a compassione
di te, e del tuo pericolo si prostri ai piedi del suo Gesù, e chieda una grazia ben straordi­
naria, che ti si accordi cioè ancora un mese di tempo per meglio assicurarti la tua Salute;
che a queste preghiere si conceda la grazia. Iddio ti rimandi a questo mondo ma non più
che per un mese: figurati di aprir gli occhi di nuovo al mondo quasi già venendo dall’altro,
e passando quel mese t ienilo tieni per un favor straordinario que’ pochi giorni, e pensa
che saranno gli ultimi, e perentorii di tua vita. Adesso, ditemi, Signori miei, se una per­
sona, che sia accostumata per molti mesi, ed anni a far un esercizio tale ma non per uso,
e superficialmente, ma con riflesso, e fede, eccovi a vi sia pericolo che muoja male, se
sia possibile che non tenga una vita conforme ai suoi doveri: Eccovi adunque il modo
d ’imparar a far bene, quel passo, che mai abbastanza è imparato, perché mai si può provare
se già si sappia abbastanza: con questo ci sarà facile a prendere un tenore di vita, che sia
da vero Sacerdote, e che ci dia a sperare un buon fine de’ nostri di; e per non sbagliarla
in questo nuovo piano di vita prendiamoci per nostro modello questo primo, e grande
Sacerdote Christo Gesù: ai piedi di questo Crocefisso, agli esempi che ci lasciò questo
Redentore impareremo qual sia il gran fine della nostra vocazione, e qual debba essere la
vita, di chi l’ha abbraciata.

376
Giorno Terzo ~ M editazione T irza Seconda - Sulla morte de Giusti

proccuriamo qualche volta in vita, e stretti, se possiamo, a questa croce,


di raccomandargli le nostre agonie, quell’ultima e si fatale nostra ora. O
Signore, verrà un giorno, che sarò al fine della mia vita, me ne partirò di
questo mondo: deh! in quel momento così terribile, quando tutto questo
mondo sparirà da’ miei occhi, e solo pochi d’attorno al mio Ietto piange­
ranno la mia morte, non ritiratevi da me, o mio Gesù; quando le mie mani
potranno più stringervi Crocefisso, quando le mie labbra pronunzieranno
per l’ultima volta il vostro nome, c deh! In quel punto abbiatemi pietà ed
allora poi; quando, o Signore, quando quest’ l’anima mia: ed sull’estremità
di queste labbra sarà per uscire da questo mondo, deh per pietà in quel
punto non lasciatemi in abbandono: cum defecerit virtus mea. ne dere-
linquas me39: apritemi in allora le vostre braccia, sicché sciolto da questo
corpo me ne possa volare al vostro seno ad amarvi, a godervi, a ringraziarvi
in eterno di tante, ed infinite vostre misericordie40.

Beati noi, ripeto noi se saremo già morti quando ci toccherà di morire, (2372)
beati ripeto se draddestreremo in questo modo ci addestreremo, ci esercite-
remo a ben fare quel passo, che ben riuscito una volta, saremo salvi, saremo
sicuri, saremo felici per un eternità in~€ielo sempre.
Die 26 lulii 1842
Laus Deo et B. V. M.

35 Sal70,9.
40 II manoscritto contiene ancora un foglio con alcune righe in parte cancellate che, a
quanto pare, dovevano essere inserite all’interno dell’ultimo brano barrato collocato in nota.
Non essendoci un rimando preciso nell’originale, vengono collocate qui: Facciamolo adunque
fratelli miei, e nell’ultimo giorno di nostra vita ne coglieremo il frutto. Questa mattina vi
diceva di morire ogni giorno ad esempio deU’Apostolo, oggi vi ripeto di morire almeno
in particolar maniera ogni mese.

377
Quarto Giorno
Meditazione Terza
Sopra il Giudizio Universale
Duodecima degli Esercizi

Non basta all’offesa divina Giustizia il chieder conto anche severo e rigo- (2375) l
roso al peccatore nel Giudizio particolare, ma siccome publicamente è
stato offeso I on or suo, publicamente si è oltraggiata la sua Maestà, la
sua gloria, cosi né vorrà parimenti dal peccatore una publica riparazione:
eppercio radunerà egli un giorno tutte le generazioni del mondo nella gran
valle di Giosafat, e da tutti vorrà publica ragione de’ loro misfatti: congre-
gabo omnes gentes, et deducam eas in vallem Iosaphat: et disceptabo cum
eis ibi. loel 31. Oh! che giornata dovrà esser quella, che giorno spaventoso
e terribile: Dies dòmini lo chiama Sofonia profeta, perché giorno in. fra
tutti destinato a vendicar da tanti oltraggi l’onor di Dio vilipeso, e concul­
cato: dies tribulaiioniS' et angustiai-' continua a chiamarlo il citato profeta,
dies calamitatis, et miseriae. dies tenebrarum, et caliginis. dies nebulae. et
turbinis2: giorno tale insomma, conchiude il profeta Gioele, che mai fu.
veduto il simile nè mai certo vi sarà: similis ei non fuit a principio, et post
eum non erit3. A questo gran giorno, ed in questa gran valle già tutti siamo
citati a comparire, e vecchi e giovani, e ricchi e poveri, e Re, e sudditi,
e secolari ed eclesiastici: congregabo onmes nessuno eccettuato: dunque
anche io, sì io stesso, dunque anche noi ci avremo a trovare? E di fede, non
sè ne può dubitare. Ma chi sa in che forma, chi sa con che cuore ci reche­
remo in quella gran valle? chi sa da qual parte saremo collocati; chi sa qual
comparsa sarà la nostra. Oh!... io voglio ben sperare che il nostro luogo in
quel giorno sarà alla destra tra tanti pii, e zelanti Sacerdoti che risplendenti

* (fald. 4 7 ! fuse. 189; nell’originale 2373-2387)


1 Gl 4,2.
2 S o f\, 15.
3 Gl 2,2.

379
Esercizi Spirituali al Clero - Meditazioni

quasi altrettante stelle faranno in quella giornata la più maestosa com­


parsa; sì mi giova pur crederlo; ma siccome finché stiamo in questo mondo
siamo in continuo pericolo, sempre abbiamo a temere, uopo è armarci, e
premunirci ben bene, a questo fine io vinvito in questa sera, a venir col
vostro pensiero là in quella gran valle per contemplare quell’ultima scena.
Dimentichiamo tutti gli altri, e fissiamo i nostri occhi, èd il nostro pen­
siero sopra di un Sacerdote riprovato4

(2374) e ritenete che Sacerdote riprovato sarà il Sacerdote peccatore, sarà il


Sacerdote mondano che fii privo dello, sarà il Sacerdote pigro ed ozioso.

(2375) Un Sacerdote riprovato? Ohimè che parola, che male, che giorno? a due
cose io richiamo la vostra attenzione, Signori miei, alla gran confusione
che proverà un Sacerdote in quel giorno; 2 alla sua disperazione. Confu­
sione per essere al vedersi scoperto a tutto il mondo, e spogliato della sua
dignità; disperazione poi per vedersi sentirsi maledetto e condannato; oh
faccia pur Iddio che nessuno di noi abbia a provare un giorno quanto
saremo per meditare in questa sera.

(2377) 2 .Venit hora. in qua otnnes. qui in monumentis sunt. audient vocem Filii
Dei5. Dobbiamo morire, è vero, da qui a poco tempo andremo a finire
in una tomba, e là le nostre ossa riposeranno tranquille finché le venga
a risvegliare la voce del Figliuol di Dio: ma verrà quest’ora, suonerà final­
mente questa voce: surgite mortui: venite ad iudicium; finalmente dopo
tanti secoli, dopo tanti anni, tanti giorni verrà l’ultimo dì. Figuriamoci
che spunti adesso quest’ultimo giorno, che suoni in questo momento quel-
l’Angelica tromba, che già sta preparata per richiamare da morte a vita
tutto il genere umano: spalancata, e franta a quel suono quella tromba
che chiuderà le nostre ossa, alzeremo di nuovo il capo per dar ancor l’ul­
tima occhiata a questo mondo. Ma dov e il mondo? dove il nostro paese,
la nostra casa, le nostre campagne? Oh!... che si conosce adesso che tutto
era una figura, tutto è passato, tutto è finito. Non si prestava orecchio a
questa verità, quando si diceva che questo mondo passava come una figura:
praeterit figura huius mundi6; oh!... nò; non si vuol intendere; ma si capirà
poi quando si dirà che praeterit, che già è passato, è finito. Ma via, l’or-

4 Con una nota il Cafasso intende inserire dite righe dalla pagina a fronte.
5 Gv 5,28.
0 7 ,3 1 .

380
Quarto Giorno - M editazione Terza " Sopra il G iudizio Universale

dine preme, la voce incalza: venite ad iudicium : eia alla valle del gran sin­
dacato; andiamo adunque, Signori miei, ma solo per esserne spettatori a
prò nostro; radunate direi quasi in un batter d ’occhio tutte quante le gene­
razioni, scenderanno gli Angeli dal Cielo per separare quella gran massa di
gente. Et descendent Angeli, et separabunt malos de medio justorum7; elà
ha finita la zizania di vivere, d’insuperbire, e direi quasi suffocare il buon
grano; buoni e cattivi neU’istesso paese, buoni e cattivi nella istessa corri'
munita, nell’istessa famiglia, buoni e cattivi a riposare nella stessa tomba;
ma è finito; è giunta quell’ora di radunar il buon grano nel Celeste granajo,
è tempo che si ripari questo scandalo, è tempo che chiuda la bocca il vizio
arrogante, e che salga, che trionfi la virtù oppressa e perseguitata. Eccoli già
all’opera que’ Celesti inviati, già mettono alla destra, già m ettono alla sini­
stra: uno si prende, l’altro si lascia: unus assumetur, alter relinquetur8. Che
gridi, che voci, che crepacuore, Signori miei, in questa sì dolorosa sepa­
razione: doversi separare dagli oggetti più cari, figlia da madre, padre da
figlio, parente da parente, amico da amico, Sacerdote da Sacerdote, ohjmè
che dura separazione per vedersi mai più9!

Compagni da ragazzo, compagni di patria, compagni di scuoia, compa- (2376)


gni di abitazione, compagni eziandio di Ministero, compagni fino all1ul­
timo respiro e D io non voglia compagni d’esercizi: eppur uopo è rompere
a questo punto ogni amicizia, ogni relazione per averla mai più: unus assu-
metur, alter relinquetur.

Fermiamoci un po’ a contemplare questi due gran ammassi di gente (2377)2


situato l’uno a desta, l'altro a sinistra; oh che gioia, che allegrezza dovranno
spirare dal volto quelle anime buòne nel vedersi giunte al giorno del loro
più grande trionfo, sul m omento di spiccar il volo a quell’eterna Regione
de’ Beati; o quanti Sacerdoti spero che vedremo in quel giorno tra la
schiera di quelle anime buone, quanti zelanti e pii operai faranno in quel

la più bella comparsa: qui in iustitia erudiunt multos. quasi stellàe in (2379) 3
perpetuas aeternitates. Dan 1210; ma chi sa, Signori miei, chi sa quanti

7 Afr 13,49,
8 Le 17,34. . -
9 Con una nota il Cafasso intende inserire qui alcune righe dalla pagina a fronte.
10 Dn 12,3.

381
Esercìzi Spirituali al Clero - Meditazioni

altri Sacerdoti io temo che vedremo in quel giorno purtroppo riprovati,


e confusi là tra le anime reprobe, Sacerdoti intrusi perché entrati nel San­
tuario senza vocazione, Sacerdoti scandalosi, mondani, di bel tempo, ed
oziosi. Oh che giorno per questi disgraziati, qual inferno dovranno provare
e sostenere in quel dì, fa, spavento solamente il pensarvi11; ,

(2378 ) Dominum formidabunt... et super ipsos in Coelis tonabit: Psalm 8312.

(2379) 3 Dimentichiamo per un momento tutti gli altri che stanno là in quella
gran valle, e fissiamo tutti i nostri sguardi, tutti i nostri pensieri sopra un
Sacerdote riprovato; ci possiamo immaginare già da noi medesimi qual
sarà la sua rabbia, la sua disperazione, la sua confusione nel vedersi così fin
dal primo momento già avvilito, ;ributato dagli Angeli, e confinato tra i
più scellerati; oh!... che triste annunzio, che funesto augurio d’uno spaven­
toso avvenire; oh! sì... non potrà essere diversamente, Signori miei; dopo
d’aver veduto coi suoi proprii occhi comparso adunque a venir con gran
maestà e pompa il divin Giudice, quel Giudice, che dopo il più rigoroso
esame, dopo i più acerbi rimproveri dovrà sentenziare sulla sua sorte, si
darà cominciamento al gran Giudizio; e dove? e da chi? dovrà comin­
ciare: Iudìcium incipiat a domo Dei così sta scritto in S. Pietro: 1.4 p.B.
Si cominci dalla gente di Chiesa, da Sacerdoti. O Signori miei, la prima
parola che sortirò da quei gran Giudice sdegnato, dovrà piombare14 sopra
d’un Sacerdote, il suo primo furore, la prima sua collera dovrà essere soste­
nuta da noi; noi infra tutti siamo stati i più beneficiati, così per i primi
saremo citati al rendimento de’ conti: iudicjum incipiat a domo Dei. Pert=
sate adesso Ohimè! che conto severo, quai acerbi rimproveri, che terribili
minacce avrà certamente a sentirsi un Sacerdote riprovato; ma io lascio
tutto questo e mi fermo solo a considerare l’estrema confusione che pro­
verà in quel dì un peccatore, ma un peccatore Sacerdote: Iddio ci ha voluto
togliere su questo riguardo ogni dubbio, e ci ha lasciato presso il profeta
Nahum la più chiara, e la più terribile minaccia: tu adesso cerchi le tene­
bre, e guardi il più rigoroso segreto sopra le tue nefandità, ma sappi che
verrà quel giorno in cui io le svelerò sulla tua faccia, e le farò palesi alle

11 Con una nota il Cafasso rimanda alla citazione che scrìve nella pagina a fronte.
12 Qui il Cafasso dà una citazione sbagliata. Il riferimento esatto è: 1 Sam 2 ,1 0 .
13 In realtà la citazione esatta h 1 P i 4,17.
14 In realtà la lezione dell’oripnale è: piombato.

382
Quarto Giorno - M editazione Terza - Sopra il G iudizio Universale

genti, ed ai Regni tutti del mondo: revelabo pudenda tua in facie tua, et
ostendam gentibus nuditatem tuam, et regnis ignominiam tuam '. Non
basta: ma sentite terribile parole: ti getterò in faccia le tue abominazioni,
projiciam super te abominai iones ti cuoprirò di contumelie, e rimproveri:
contumeliis-te-affidarci. e ti porrò in esempio della mia severità

e giustizia: et ponam te in exemplum16. Non fanno spavento, Signori (2380) 4


miei, Che se questa spaventosa minaccia deve atterire ogni peccatore, senza
paragone deve fare tremare molto di più un Eclesiástico: è già una grande
confusione per ogni Sacerdote, dice S. Giò Crisostomo, quando si trovi tra
laici chi lo uguaglia in virtù, molto più se lo superi; ma che vere magna
confusio sacerdotum, quando laici fideliores et iustjores inveniuntur: ma
chi potrà misurare la sua confusione in quel giorno quando invece di virtù
compariranno i vizi, e vizi tali io temo che forse stenteranno a trovarsi tra
laici, tante Messe sacrileghe, que’ tanti affetti di carne, quelle compiacenze
secrete, quelle occulte corrispondenze, que’ tanti peccati insomma che nes­
suno li sa; ah scellerato, li so ben io, alzerà la voce Iddio: revelabo pudenda
tua... ostendam gentibus... et regnis... et proijciam super te abominatio­
nes: fermiamoci un po’, Signori miei, a considerare questo passo. Ma... un
Sacerdote che adesso è tenuto, e rispettato quasi come un Angelo, anche
la gente meno pia non osa stendere la sua lingua sui nostri panni, tanto è
il rispetto, che si professa; un Sacerdote, che agli occhi de’ semplici, e de’
buoni vai quasi lo stesso che dir un santo già del paradiso, e lo dovrebbe
pur essere, un Sacerdote adunque che adesso è tenuto come tale, comparirà
poi in allora, e cosa? un sacrilego, un fornicario, un disonesto? Ma come?
non pare che dovranno dire attoniti tutte quante le genti, e come? colui è
un Sacerdote?... quel Sacerdote che sapeva tuonar si forte contro il vizio,
quel Sacerdote che stava seduto nei tribunali di penitenza per assolvere da’
peccati, e lui sì carico di colpe, e lui sì vizioso quando pure sapeva fere
comparire tutt’altro: ah perfido, seguiterà a dire il divin Giudice, le sap­
piano pur tutti le tue immondezze, le tue nefandità, e tempo che si cono­
sca la faccia di quel cuore, la malizia che ha saputo si ben cuoprire. Osten­
dam gentibus. et regnis ignominiam tuam; solo adesso che si sospetti

15 Naum 3,5.
16 N aum ò,6.

383
Esercizi Spirituali al Clero — Meditazioni

sulla nostra condotta, basta questo solo a renderci un oggetto di compas­


sione ai buoni, di scherno ai malvagi, una macchia sola che si venga a scup-
prire avvilisce alle volte talmente un miserabile Eclesiástico, lo abbatte, lo
cuopre di tanta confusione e vergogna, che quasi gli viene insopportabile la
vita, e si dice comunemente: amerei meglio morire piuttosto che venisse a
sapersi qualche cosa. O Signori miei, come saremo ancor lontani in questo
caso da quel tanto che dovrà provare un Sacerdote in quel giorno.

(2382) 5 Basti il dire che maggior tormento apporterà al misero Sacerdote questa
confusione, e vergogna, che il fuoco istesso dell’inferno, è sentenza di S.
Basilio: plus torquentur pudore in extremo iudicio. quam cum fuerint
igni (a)eterno traditi. Ma avanti chi dovrà poi provare il Sacerdote tanto
avvilimento e rossore? Ecco un altro motivo ancora della maggior sua
confusione. Avanti chi? dinanzi a quante creature ragionevoli vi saranno
in Cielo, ed in terra; pensate, fa i res, quae illa confusio ih conventu
omnium Angelorum. hominumque erubescere, dice S. Gregorio, Avanti
chi? dinanzi a quelle anime buone, che lui stesso avrà dirette, ed ajutate
a salvare? E avanti chi? dinanzi a quei maligni che già a questo mondo
avevano intaccata la sua fama, dinanzi a coloro stessi con cui aveva voleva
sostenere la sua riputazione, esostenere di essere innocente, si vedrà in quel
giorno, se erano calunnie, oppure appena il principio della verità; avanti
chi? dinanzi ai famigliari, agli .amici, ai nostri dipendenti, e tutti, attoniti, e
stupefatti diranno come già della perfida Giesabella: Haeccine est illa Ieza-
bel17? E come? quello li è il nostro parroco diranno i.parrochiani; quel
lì è il nostro confessore, diranno tanti penitenti, quello li è il nostro
padrone diranno i servi, come? chi mai l’avrebbe creduto tale! chi mai
l’avrebbe pensato reo di tante colpe; oh!... pensate fratres. Signori miei io
non so ripetere miglior sentenza, pensate quae illa confusio in conventu
omnium Angelorum. hominumque erubescere: che vergogna, che rossore
da morirne, se fosse possibile, sarà mai quello d’un Sacerdote disgraziato.
Iddio lo tenga per pietà lontano da tutti noi, Iddio ci liberi da questa veste
che adesso forma il nostro ornamento, che il nostro stato, che adesso tanto
ci innalza, abbia un dì ad esser la maggior nostra confusione, e di sommo
nostro avvilimento18.

17 2 Re 9,37.
18 Con una nota il Cafasso intende inserire qui alcune righe dalla pagina a fronte.

384
Quarto Giorno " M editazione Terza ^ Sopra, il Giudizio Universale

Già fin d’adesso questo nostro sacro abito grida, fin d’ora alza la voce (2381)

il nostro stato, ma sono voci queste, dice S. Gerolamo, che chiamano, e


vogliono santità: clamat vestis clericalis, claffiat status professi animi sanc-
titatem19; un giorno però chiameranno vendetta, e giustizia se non avremo
sostenuto la nostra dignità

(2382) 5
e con costumi che siano degni d’un uomo più del Cielo, che della terra,
come siamo noi, con una purità tale di vita che non disdica a chi serve
al Dio d’ogni santità, altrimenti e queste istesse nostre divise, che adesso
ci distinguono, e ci sollevano tant’alto, ci. otterranno la più grande nostra
confusione come indegni di più ritenerle, ci saranno tolte, x- strappate per
maggiore nostro scorno, e ludibrio ci saranno tolte, e strappate. Questo
è il passo che métterà il colmo alla confusione d’un cattivo Sacerdote
nella valle di Giosafat, il vedersi cioè publicamente dismesso, e degradato
da quello stato, da quella dignità, che così poco ha rispettato. In die
Iudicii. dice S. Giò Crisostomo, Sacerdos peccator spoliabitur Sacerdoti!
dignitate20: e si fonda chiaramente questa verità in quella minaccia, che il
Signore fa per Ezechiele: denudabunt te vestimentis tuis, tollent vasa glo-
riaetuae. et dimittent te nudum. ignominia plenum21. Verrà un giorno in
cui sarai spogliato di tutti i tuoi vestimenti

sacerdotali, ti saranno tolte tutte le divise di onore, e sarai lasciato nudo,


e coperto di ignominia e di rossore. Oh che formidabile scena, che orribile
degradazione sarà quella mai. Fa già spavento il rito, che tiene la Chiesa
allorché per qualche enorme delitto viene al punto di degradar un Sacer­
dote.
Fa ergere in piazza publica piazza un palco; quivi alla: presenza di nume­
roso popolo viene presentato al Giudice Eclesiástico, ed a tutti i suoi Mini­
stri, il Sacerdote delinquente, vestito co’ paramenti sacerdotali come se
avesse a celebrare; si publica ad alta voce il delitto, gli si legge la sua sen­
tenza; si dichiara decaduto da ogni dignità; quindi se gli strappa di mano
il calice, se gli radono le dita, che riceverono la sacra unzione, e con tre­
mende parole si tolgono uno ad uno tutti i sacerdotali paramenti, fino a

15 S. G er o la m o , Ep. 58 (CSEL 54).


20 S. G io v a n n i C r i s o s t o m o , Hom. XL in Matt., in Selva, cìt., p. 32,
21 Ez 16,39.

385
Esercizi Spirituali ai Clero ? Meditazioni.

torgli la veste di Sacerdote, e perché gli abbia a riuscire più doloroso un


tale spogliamento, sappi, gli dice il sacro prelato, veste sacerdotali, charita-
tem signante te merito expoliamus. quia ipsam. et omnem innocentiam
exuisti; dichiarato in tal forma del foro laicale, si rilascia per esser preda di
chi spetta, e vittima del suo delitto. Or io dico, o Signori miei, se una tale
degradazione fatta ad un uomo alla presenza di un paese, di una città, in
castigo e punizione ma anche in emendazione d’un disgraziato, pure riesce
così dolorosa; e riempie di tale spavento; che sarà, che sarà, io chiamo, di
quella finale, ed ultima, fatta non più da un uomo che castiga ed insieme
compatisce, ma da un Dio che sarà tutto collera, e furore in quel punto;
fatta non solo alla presenza di poche mille centinaia di persone, ma alla
presenza d’un mondo intero; fatta non più per salutar umiliazione, e con­
fusione del delinquente, ma invece unicamente per pura punizione, e
castigo, unicamente per dar un publico esempio della divina vendetta, e
per riparare in qualche modo alla dignità sacerdotale da tali Sacerdoti vili-
pesa> e disonorata: denudabunt te. lo sappiano pur dunque questi tali,
vestimentis tuis... et dimittent te ignominia plenum22.
Sì, Iddio di proprio pugno gli strapperà dalle mani sacrileghe quel calice
di propiziazione, che gli aveva affidato; gli toglierà d’indosso quella stola
di benedizione, di cui i ’aveva coperto, e toltogli ad uno ad uno ogni segno
spogliato così della sua dignità sarà confinato tra i pagani, e gli infedeli:
sacerdos peccator spoliabitur Sacerdoti! dignitate. et erit inter infideles.

(2384) 7 Almeno gli si togliesse ogni segno sicché mai più si avesse a conoscere
che sii stato Sacerdote; ma nò; per marchio di sua perpetua infamia, e
come suggello di eterna sua condanna gli sarà lasciato il-carattere di sacer
queU’indelebile, e sacrosanto carattere, che ricevè nella sacra sua unzione
ordinazione, cosiché per tutta l'eternità futura sempre si dirà, sempre si
saprà che fu Sacerdote. v
Mi pare che il fin qui detto debba bastare per provare il sommo grado
a cui sarà per giungere la confusione in quel giorno d’un cattivo Sacer­
dote, eppure per colmo, e sovra misura s’aggiungerà ancora il plauso, ed
il grido universale che sorgerà in quella valle alla sua degradazione, ed alla
sua riprovazione: faranno plauso a questo terribile, ma meritato castigo,

22 II testo continua con le seguenti righe cancellate: Ad una tale degradazione faranno
plauso tutte le anime buone, e principalmente i buoni Sacerdoti, che così vedran difesaj e
salvata la dignità dei loro stato: faranno il maggior trionfo gli spiriti infernali per aumen­
tare l’umiliazione, e la vergogna del loro più giurato nemico qual’è il Sacerdote.

386
Quarto Giorno ~ M editazione Terza ^ Sopra il G iudizio Universale

le anime buone, e principalmente i buoni, e santi Sacerdoti; mentre cosi


vedranno difesa, salvata, e purgata la comune loro dignità; plaudiranno a
tanto rigore gli infedeli e pagani stessi come ben dovuto a tanta ingratitu­
dine, e malvagità del Sacerdote; plaudiamo poi, e faranno fèsta più che gli
altri tutti i spiriti infernali, mentre vedranno cosi depressi, umiliati gran
parte de’ suoi speciali nemici, quali siamo noi Sacerdoti. E lo sgraziato
Sacerdote che farà, che dirà così scornato, confuso e coperto di tanta
ignominia; oh!,.. Signori miei, la cosa naturale in simili casi, si darà in
braccio: alla più grande disperazione: montes cadite super nos: così ci dice
il Vangelo li fa parlare il Vangelo, operite nos23: ma no; fermi ed immobili
dovranno sostenere in mezzo a quella gran valle lo sguardo di tutto il
mondo; dovranno sentirsi da Cristo Giudice i più amari, i più dolorosi
rimproveri per la loro perfidia, ed infedeltà; fino al punto che scoppierà

infedeli, ed ingrati, e così voi maneggiaste il mio sangue, così voi trattaste
i miei interessi, la causa delle mie anime, così voi profanaste le mie divise,
oh! perfidi... discedite... ohjmè: sta per scoppiare quel fulmine spavente­
vole della finale sentenza, sta per vuotarsi su quelle teste riprovate il gran
vaso della collera di Dio, e con parole più di fuoco, che di fiato, come dice
Isaia cap. 66, si scaglierà il colpo fatale sull’eterna loro sorte.
Il tenore di-quella terribile, e spaventosa sentenza Fabbiamo in S.
Matteo. Dopo che avrà Cristo Giudice invitato alla gloria le anime elette,
con quelle dolci, e consolanti parole: venite Benedirti Patris niei ctc2i; sul
punto di sciogliere il volo a quella santa ed eterna città de’ Beati, chiuderà
quell’ultima, e spaventevole giornata del mondo, e darà fine all’universale
giudizio con sentenza di eterna riprovazione.

Discedite maledicti in ignem aeternum, qui paratus est diabolo, et (2385) 8


angelis ejus25. Partitevi maledetti al fuoco eterno: oh parole da inorridire,
oh voci spaventose, oh sentenza lagrimevole e dolorosa! Ponderiamo quà
tra noi le terribili conseguenze, le amare circostanze che seco porta sì
tremenda condanna: discede, si intima adunque di partire? ma a chi? al
pagano, al Giudeo, all’eretico, al cattolico malvagio, via tutti partitevi:
discedite' ma insieme a tutti questi vedo anche partirsi il Sacerdote, perché
anche al Sacerdote si dice discede: ma... colui che era il più intimo, il più

23 Le 2 3 ,3 0 ,
24 M t 2 5 ,3 4 .
25 A /i 2 5 ,4 1 .

387
Esercizi Spirituali al Clero - Meditazioni

famigliare, l'amico più caro di Cristo, colui che era vestito de’ suoi più alti
poteri, messo a parte de’ suoi intimi secreti; ora gli si intima di partire,
viene discacciato, sbandito, ributtato con un perpetuo esilio: discede: e chi
glielo dice? Iddio; quel Dio istesso, che alla sua voce quasi ad un comando
discese le tante volte dal Cielo sugli Altari, or quasi pentito d’aver ubbidito
a quella lingua sacrilega, e come arrossito d’aver avuto a ministro un uomo
si laido, impaziente di ancor vederselo avanti gli comanda, gli Ìntima di
partire: discede: partirà senz’altro questo disgraziato, ma chi è che lascia
nella sua partenza, da chi se ne parte? parte da tutti i suoi più cari, parte da
tutte le anime buone, parte da tutto il paradiso, parte dal suo Dio: discede:
da quel Dio che solo può contentare il suo cuore, da quel Dio .che in
eterno avrà a sospirare, e desiderare, da quel Dio, che sa in eterno farà
il Paradiso de’ Beati, sì appunto questo Dio è costretto a lasciare, deve
partire via ma senza speranza di mai più vedere la sua faccia: discede: oh
parola, oh partenza amara e dolorosa! oh quanti urli, quante grida daranno
a questo comando quelle anime disperate! mai tutto inutile, la sentenza è
data, sicché si parta: discgdite.
Ma non basta ancora: perché la: partenza abbia ad essere più amara,
perché si sappia che lontani da Dio mai più avran pace, mai più avran
requie, si parta, ma si parta accompagnati dalla sua maledizione: discedité
maledicti: maledì il profeta Elia per due volte quella turma di soldati, che
si presentarono per arrestarlo, e per ben due volte un fuoco improviso li
divorò; maledì il profeta Eliseo que’ ragazzi che lo burlavano, ed in sul
momento comparvero due orsi feroci che li divorarono, e ne fecero fine.
Ora io dico se la maledizione d’un uomo ha avuto tanto di forza da atti­
rarvi in sul momento sì terribili castighi, che sarà di quell’ultima, spaven­
tosa maledizione scagliata non più da un uomo ma da un Dio in quel
giorno, ed in quel momento della più grande sua collera: discedi te male­
dicti; un fulmine non avrà paragone coll’impeto con cui piomberà su que’
disgraziati questa divina maledizione; ma se peserà forte su tutti, molto più
avrà da pesare

(2387) 9 sul capo d’un Sacerdote; ahi misero, e disgraziato dovrà dire disperato;
io, sì io maledetto? io che sono stato colmato di tante divine benedizioni
nel grado sacerdotale, io che era pur rivestito della facoltà di benedire gli
altri, io che alzai tante volte la mano per benedire creature, io adunque
adesso sarò maledetto, io dovrò essere una vittima della più tremenda
maledizione, oh! sì discede discede maledicte: egli è adunque un Sacerdote
che parte, e parte da quello che si può avere di più caro che è il suo Dio,

388
Quarto Giorno - M editazione Terza Sopra il G iudizio Universale

parte per mai più rivederlo, parte di più carico di una delle più spaventose
maledizioni, ma partendo dove va? in ignem aeternum: parte ma parte
per piombar in mezzo ad uh fuoco, che Io avrà a divorar in sempiterno; e
perché questo fuoco non l’abbia solo a tormentarlo nel corpo, ma a trapas­
sargli anche lo spirito, prima di lasciarlo partire vuol stampargli in mente il
divin Giudice perché se ne abbia a ricordar in eterno, che quel fuoco non
era creato per lui: discedite a me maledicti in ignem aeternum. qui paratus
est diabolo, et angelis eius.
Io metto fine, o Signori, a queste parole, e lascio che ognuno di voi
vi pensi sopra; solo io chiamo, che sarebbe mai .se un solo tra noi avesse
un dì a provare quanto finora ab biam detto: oh! che disgrazia fatale se
questa meditazione avesse ancor ad aumentare un dì nella valle di Giosa-
fat là rabbia, la confusione, la condanna d’un infelice Sacerdote. Oh!...
sia mai vero, Dio mio che una vostra creatura riscattata col vostro sangue
abbia da terminare così miseramente; no, Signor mio, sia mai vero che un
vostro Sacerdote, un vostro ministro, benché indegno qual io sono, abbia
da essere da voi discacciato, e maledetto dalla vostra bocca. Ho peccato, è
vero Dio mio, peccavi domine, ma sovvengavi che questo è ancor tempo
di giustizia, ma tempo di remissione, e di perdono; io vi veggo ancor pen­
dente in questo Tribunale di misericordia della croce, colle braccia distese
per abbracciarmi; io vengo adunque con speranza a questo tribunale di
grazia, ed abbracciato ai vostri piedi vi cerco, vi domando, vi prego della
vostra benedizione; non dimittam te nisi benedixeris mihi2fi; io non vi
lascio, o Signore, in questa sera senza che mi diate un pegno, una caparra
della estrema vostra benedizione sicché possa sperare in quel dì, allonta­
nate che avrete le anime maledette, di sentirmi ancora io a chiamare tra i
vostri eletti, fra i benedetti del vostro Padre27:

Fratelli miei io metto fine con questo riflesso: è certo che cotesto giorno (2386)
è fissato ed è irrevocabile; è certo egualmente che tutti ci dovremo tro­
vare; che sarà de’ Sacerdoti in quel giorno, che sarà di me, che sarà di voi!
[parola illeggibili per pensam non-solo-in-questi giorni, ma pel rima­
nente di nostra vita Tanti Sacerdoti da anni, e da secoli stanno aspettando
questo giorno dalla tomba; non andrà gran tempo che anche noi andremo
ad aspettarlo tra quelle ossa, ed in quella polvere, ma badiamo bene che

26 Gn 32,26.
27 Con una nota il Cafasso intende inserire qui ciò che scrive nella pagina a fronte.

389
Esercizi Spirituali al Clero - Meditazioni

quali entreremo in quel sepolcro quella tomba, tali usciremo; se noi entre­
remo Sacerdoti buoni, esemplari,'zelanti, operosi, ferventi; non temiamo
il riposo della tomba, anzi amiamolo, desideriamolo poiché di là un
dì saremo chiamati alla gloria, ad un trionfo eterno; che se vi discende­
remo Sacerdoti pigri indolenti, mondani, scandalosi, ohimè paventiamo^
temiamo, che un giorno il più funesto, sull'orlo di quella tomba ci attende
ed in quella polvere, e quando sarà ognun vi pensi; sentiamo Sofonia pro­
feta: iuxta est dies Domini, iuxta est, et velox nimis28.

(2387) 9 sono vostra creatura, sono vostro figlio, sono vostro Ministro, deh! non
mandatemi in perdizione: confutatis maledictis... voca... voca me cum
Benedictis29.
Die 23 lanuàrii 1843
Laus Deo et B.V.M et S. Alphonso

28 Sofl, 14.
29 Dalla sequenza latina Dies Ime.

390
Giorno Quinto ( 2388 )

Meditazione Prima
Sopra l’inferno de’ sensi
Decimaterza degli Esercizi1

Oh che pensiero (2390) 1


tina;... un Sacerdote dannato... un mio pari,
un
eclesiástico che avrà predicato chi sa quante volte all'inferno, eppttr ora si
trova egli àd.esso stesso a provarlo, è dannato. Gi deve far tremare, io ripeto,
questo pensiero, questa vista: cppur con tutto ciò uopo è che andiamo col
nostro pensiero a trovarlo, a rimirarlo, a contemplarlo tra quelle fiamme,
già è finita per lui, non vi potremo più arrecare il menomo scampo, ma
andiamovi per vantaggio nostro, andiamo per imparare a quella scuola
dove vada poi à finire chi contento dell’onore, é de’ comodi del nostro
stato non si cura gran fatto de’ grandi obblighi, che seco porta2.

Io non intenda di parlarvi di quel luogo terribile, delle pene, de’ tor­
(2389)
menti che vi sofrono; un Sacerdote che lo predica tante volte ne deve essere
abbastanza penetrato; non noi ci fermeremo a considerare chi vi sia là
dentro, e chi lo abiti. Immaginiamoci etc. Esordio dell’altra Medit.

* (ftld. 4 7 / fase. 193; nell'origimle 2388-2402)


1 Questo tìtolo fu successivamente barrato; tuttavia non ne esiste un altro.
Uoriginak incomincia con le seguenti righe cancellate: Abbiamo lasciato, Signori miei,
jeri sera là in mezzo alla gran valle di Giosafat quell’infelice Sacerdote, publicamente sver­
gognato, maledetto, condannato da Dio sul punto di piombare in quelle fiamme infer­
nali per non uscirvi mai più! Figuriamoci che in quest’oggi si dia esecuzione alla fatale
sentenza, si apra la terra, si spalanchi l’inferno, e tutte come in. un fascio vi piombino
dentro tra mille urli, e schiamazzi quelle anime riprovate; io vi invito a venire con me col
vostro pensiero per tener dietro fino sulle porte dell’inferno all’anima di questo Sacerdote
dannato.
2 II Cafasso rimanda ad un testo scritto nella pagina a fronte.

391
Esercizi Spirituali al Clero - Meditazioni

(2390) 1 Andiamovi, qualche volta all’inferno mentre siamo vivi, diceva S. Ago­
stino, e cosi avremo speranza di non andarvi dopo morte: descendamus
in infernum viventes. ne descendamus morientes. S. Ignazio soleva dire
che chi va di tanto in tanto a scaldarsi alle fiamme delFInferno si mette
fuori pericolo d’andarle a provare dopo morte. S. Giò Crisostomo per non
dimenticarlo dimenticare llnfemo se l’aveva fatto dipingere nella propria
camera, onde anche senza volerlo fosse obbligato a rimirarlo3, che cosa
patisca, e come patisca un dannato in quell’orrido carcere. Eccovi i tre
punti della nostra meditazione: un dannato all’inferno soffre ogni sorta di
pene. 2 le soffre in un grado il più grande, ed intenso; 3. finalmente le
soffre senza nessuna sorta di requie, e di sollievo. Imaginiamoci di vedere
proprio co’ nostri occhi un dannato tra quelle fiamme a spasimare, a sma­
niare, a disperarsi, e di sentire le sua urla, le strida di dolore, di dispera­
zione: ogni sua smania, ogni sua voce ci sia una lezione, un ricordo, un
avviso per noi. Felici noi se apprenderemo, e

(2392) 2 sapremo approfìtarci delle importanti lezioni, che ci danno tante anime
dall'inferno.
Yarii sono i nomi, ma tutti terribili, e spaventosi, con cui nelle Sacre
Scritture ci vien indicato l’inferno: il servo pigro ed inutile si dice in S.
Matteo che fu gettato nelle tenebre esteriori: ejlecite eum in tenebras exte-

(239,1) vien indicato col nome di stagno ardente di fuoco: stagnum ardcnsr’: ed
in altro luogo vien detto un gran pozzo, che

3 II Cafasso rimanda ad alcune righe della pagina a fronte, che trascrìviamo qui perché
cancellate: e diceva che nessuno di coloro che meditano incessantemente all’inferno, vi
cadrà, come nessuno di coloro che studiano di perderne la memoria, lo sfuggirà; nemo
eoruni' qui gehennam oh oculos hahent, in gehennam incidet; nemo gehennam contem-
nentium. gehennam effugiet. Approfitiamoci dell’avviso dì questo Santo dottore, e per
non averlo a dimenticare in avvenire, portiamoci questa mattina a contemplare ben da
vicino che cosa patisca étc.
L’originale continua sul retto della pàgina con tre righe cancellate:Ve\ià e fortunati questi
uomini santi che temendo, .e pensando aH’infemo di lontano, ebbero la bella sorte di
esserneliberati; a tal fine andiamoci anche noi, e mettiamoci1in quelle porte per contem­
plare.
■ ‘ Mi 22.13.
5 L’originale rimanda qui alla pagina a fronte.
6Ap 21,8.

392
Giorno Quarto ^ M editazione Prima ^ Sopra l ’inferno de’sensi

aperto per poco mandò un gran fumo a guisa d’una gran fornace: et (2392)2
aperuit (Angelus) puteam abjissi: et ascendit fumus putei, sicut fumus for-
nacis magnae7: il ricco sepolto nelfinferno lo nominava un luogo di tor­
menti: allorché pregava Àbramo di far avvisati i suoi fratelli perché non vi
piombassero in qui luogo di tormenti: ne et ipsi veniant in hunc. locum
tormentorum8. . . .

Il Vangelo Io chiama un camino, un rogo di fuoco: camlnus ignis. Mat. (2391)


13 [13,42].

In più luoghi poi del Santo Vangelo vien chiamato l’inferno col nome (2392)
dì prigione, e prigione di fuoco9;

Giobbe Io nomina una terra di miserie e di tenebre, dove nessuna sorta (2391)
di ordine si trova, ma un sempiterno orrore; terram miseriae, et tenebra-
rum. ubi timbra nullus ordo. sed sempiternus horror inhabitat10.

Egli è adunque in questo luogo, in questo pozzo, in questo luogo di {2392)2


tormenti, in questa caverna e prigione in cui sarà gettato, e confinato un
Sacerdote dannato: eh! colui che abitava sì bella casa, colui che mai trovava
camera abbastanza comoda, adesso dovrà stare sotterra; abitare sì infami,
sì spaventosi luoghi; eh! Signori miei, non è questo come già voi conoscete
il male deH’Inferno; non è la qualità del luogo, dell’abitazione ciò che spa­
venti, ma bensì ciò che Io riempie. Che vi sarà adunque all’inferno? fac­
ciamo parlare chi l’ha creato, e chi già lo prova.
Il divin Redentore condannando all’inferno il servo inutile, e quell’in­
vitato, che osò presentarsi al Convitto senza la veste nuziale, disse loro che
già li aspettava in quel luogo un pianto con stridere di denti: ibi erit fletus,
et strider dentium11; è già molto quando una persona geme, sospira, e
lascia cader qualche lacrimai sono segnali-questi di gran dolore, ma quando
scoppia in dirotto pianto, e non ammettendo più sollievo smania, e stride
ne’ denti segno è del più gran eccessivo dolore, e della massima dispera-

7 Ap 9,2.
8 Le 16,28. A questo punto con una nota il Cafasso intende inserire una riga scritta nella
pagina a fronte.
9 Nuovamente l ’originale con una nota rimanda alla pagina a fronte.
10 Gb 10,22.
11 M t 22,13.

393
Esercizi Spirituali al Clero - Meditazioni

zione: ebbene tale sarà la vita del dannato, mentre sta registrato in più
luoghi, e da questo solo possiamo argomentare la quantità, ed anche la gra­
vézza de mali, e de’ dolori che avrà a provare: ignis et sulphur. et spiritus
procellarum pars calicis eòrum Psal. 10 [10,7]. Basterebbe questo solo cer­
tamente a far già un inferno il più terribile, eppure si dice che questo sarà
solamente parte del loro tormento: pars calicis eorum; sentiamo il ricco
Epulone che da quel baratro alza la voce, e grida che brucia, che arde, che
spasima: crucior in hac fiamma12.

(2393) 3 Ne’ Salmi: 58 [58,15] si dice che i dannati patiranno una fame da cane:
fame patientur ut canes. e nelFApocalisse che beveranno al Calice dell'ira
di Dio: 14 [14,10] et bibent de vino irae dei; dunque là vi sono dal sin
qui detto e tenebre, e pianto e stridor di denti; la vi è fame, vi è sete, vi
è fuoco, vi è zolfo; ma che vale, Signori miei, scorrere ad uno ad uno i
dolori deH’Inferno quando là piovono a nembi: pluet super peccatores13, e
si dice appunto che pluet perché innumèrabili saranno i mali che a torrenti
si verseranno su quelle teste maledette, così dice un dotto Autore Lhoner14.
Che vale star accennando e questo e quel dolore, quando la collera di
Dio li radunerà tutti come in uli fascio per gettarli entro quella fornace:
congrégabo super eos mala. Effundatn super eos... omnem iram furoris
mei15. Che vale dico enumerare, quando è affar finito che là vi saranno
tutti, irruet super eum omnis dolor. Iob. 20 (20j22). Omnis. dunque lavi
saranno tutti i mali che da diciotto secoli in qua si sono conosciuti. Omnis.
dunque là vi saranno tutti i mali non ancor conosciuti e che si verranno
a conoscere coll’andare degli anni. Omnis. Vuol dire che vi saranno ancor
tutti que’ mali che un uomo può arrivare ad immaginarsi. Omnis. Non
basta ancora, ma vi saranno di più quanti ne saprebbe trovare una mente
angelica; di più quanti ne saprà far soffrire quel Dio istesso, che pronun­
ziò per bocca de’ suoi profeti sì terribile sentenza: irruet super eum omnis
dolor: effùndarn etc,. e siccome né occhio mai vidde, né orecchio sentì,
né mai mente d’uomo potrà arrivare ad immaginarsi quel che i beni,
che stanno preparati agli eletti in Cielo, così parimenti potrà mai mente
d’uomo figurarsi la quantità di que’ mali che pur troppo stanno preparati
alflnferno. Così ragionava il grande Crisostomo: nec oculus vi die, nec

' ' Le 16.24.


13 S iti IO./. . , . . ■
14 T. L h o n e e , Instructissima bibliotheca manualis concionatoria..., I-IV, Venezia 1718.
15 D t 32,23; SofÒ,8.

394
Giorno Quarto - M editazione Prim a Sopra l ’inferno de’ sensi

auris audivit, nec in cor hominis ascenderunt. quae preparasti deus offen-
dentibus te. O che prigione insopportabile dovrà esser quella, conchiude
il citato dottore, quam intollerabilis res gehenna. Belledo pag. 122. Oh
che regione dura, e pesante sarà quella, che terra di afflizione, di miserie,
esclama S. Bernardo: o regio dura, et gravis... terra afflictionis, terra mise-
riarum...16 eh! Signori miei, come potrà essere altrimenti; se un dolore solo
acuto, e violento è capace di far dare in delirio, in disperazione, in frenesia
un.uomo più fermo, paziente, e coraggioso, che cosa sarà di que disgraziati
là in quel mare di dolori, sepolti in quello stagno ardente di fuoco, e di
zolfo, come

FApocalisse; o inferno spaventevole ma pur troppo dimenticato dagli (~394) 4


uomini, o peccato maledétto che rovina tante anime in quelle fiamme! là
è la vera scuola, ove s’impara che cosa sia un peccato, e quanto costi l’aver
offeso Iddio, Possibile?... che in luogo tale, in si orrido posto abbia da finire
un Sacerdote... ma aterrisce il solo pensiero.
Non basterà ancora al dannato soffrire tutti i mali, ma li soffrirà ancora
in un grado il più grande, ed intenso talmente ché nessuno di noi in questo
mondo può arrivare a farsi una giusta idea della loro acerbità; sono spaven­
tose le sentenze, che su questo punto ci lasciano i più gran dottori della
Chiesa; il menomo dolore dell’inferno, dice S. Tommaso sorpassa nella sua
acerbità tutti i tormenti, e carneficine di questo mondo. In Suppl. quest.
100. Art 1. Qualunque cosa possa soffrire una persona a questo mondo,
soggiunge S. Agostino, per grave, e tormentosa essa sia, se la paragoniamo
a quel fuoco eterno, non solo ci parrà poco, ma sarà come un niente; quae
quisque gravia pati tur, in comparatione aeterni ignis non tantum parva,
sed nulla sunt17. Poni pure e ferro, e fuoco, e bestie, e quanto altro sai di
acerbo, e doloroso, conchiude S. Giò Crisostomo, ma sappi che tutto ciò
appena potrà reggere come ombra a quei tormenti: pone ferrumu ignem, ac
bestias, et si quid his difficilius; attamen non umbra sunt ad illa tormenta.
Bel 12018.
O quanto:orrendo adunque, quanto spaventoso ha da essere l’inferno;
se in questa valle di lacrime vi fosse un luogo in cui si potessero radunare
tutti i mali più acuti, e terribili del mondo, e caricarli sovra una persona

16 S. B e r n a r d o , Sermones de diversis, PL 1 8 3 , c. 6 6 4 ,
17 S. A g o s t i n o , Serm. de Scriptum, PL 3 8 , c. 150.
18 S. G io v a n n i C r i s o s t o m o i n Sermoni, eie., p. 124.

395
Esercizi Spirituali a ld e ro •- Meditazióni

sola, chi mai la potrebbe durare? e guai se potesse reggere ohi che urli,
che disperazione, che smanie, che rabbia Oh che giorni, oh che notti arra-
biate! un istante solo basterebbe a rendere frenetica la: persona più fòrte
del mondo; che sarà adunque deirinferno quando tutto questo appena
può arrivare a toccare la menoma pena di quel baratro, quando tutto ciò
non sarebbe che un ombra. O inferno, inferno, oh peccatori miei cari, oh
Sacerdoti compagni miei... che sarà di noi, che sarà di chiunque andrà a
finire in sì orrido luogo; deh Signor mio, trapassatemi (ina volta le mie
carni col vostro salutare timore: confige timore tuo carnes meas e fate
che se non ho ancora imparato finora ad amarvi, cominci almeno adesso a
temervi: discam timere te, si non didici amare te. S. Agostino. Si Signori
miei, temiamo, e temiamo molto l’inferno, perché chi lo teme, dice S.
Bernardo Serm. de cler si guarda, e chi si guarda non vi cadrà: qui pavet,
cavet, come

(23%) 5 al contrario chi poco si cura difficilmente lo sfuggirà; qui pavet, cavet,
qui negligit, incidit20. ■
Benché però le pene deH’Inferno sieno grandi al di là d’ogni credere
indistintamente per tutti i dannati, saranno ciò non dimeno più o meno
grandi, più o meno intense per ciascheduno a proporzione de’ proprii pec­
cati, a misura cioè della loro malizia, specie quantità, e malizia: quantum
glorificavit se, cosi sta scritto nell’Apocalisse 13, tantum date illi tormen-
tum. et luctum21. Potentes potenter tormenta patientur Sap. 722. Per qùae
peccat quis. per haec et torquetur Sap. 1123. Vuol dire adunque che chi
piomberà aH’Infemo con più peccati, patirà più che gli altri; chi avrà pec­
cato con maggior cognizióne e maggior malizia dovrà soffrire maggior­
mente; chi avrà mancato in più sublime grado, sarà maggiore il suo dolore;
oh non vha dubbio: potentes potenter tormenta patientur: quantum glo­
rificavit se etc. Che se questo riflèsso deve atterrire ogni cristiano quanto
più deve spaventare noi Sacerdoti; e dove una persona più facile, e più in
pericolo di caricarsi d’innumerevoli peccati che un Sacerdote che cominci
a traviare dalla vera strada, peccati all’Altare, peccati nel tribunale di peni­
tenza, peccati in ogni amministrazione di Sacramenti per tacere di tutti

19 Sai 118,120.
S. B e r n a r d o , De conversione, IV, PL 82, c. 837.
21 Ap 18,7.
22 Sap 6,7.
23 Sap 11,16.

396
Giorno Quarto ^ M editazione'Prim a - Sopra l ’inferno de’ sensi

gli altri. È dove un .peccato piti enorme che il nostro: enorme in malizia
perché fatto con piena maggiori lumi e cognizione, e volontà detestabile
per l’ingratitudine che in se contiene perché fatto da una persona più favo­
rita, ed elevata del mondo: fatale finalmente nelle sue conseguenze presso­
ché irreparabili perché commesso da chi è posto a'far da guida, e condot­
tiero altrui. Oh!... se merita un Inferno il peccato d’ogni pagano, se merita
un doppio inferno il peccato d’un cristiano, qual’Inferno, o per dir meglio,
quanti inferni basteranno:a punire il peccato d’un Sacerdote; tant’è; il Van­
gelo parla della condannale dannazione di molti, del servo inutile, del
ricco Epulone, ma solo di Giuda il divin Redentore proferì quella spaven­
tosa sentenza: meliusilli erat si natus non fuisset24. e benché si possa appli­
care ad ogni dannato, è sempre vero che in particolare maniera fu applicata
dalla bocca infallibile di Dio stesso ad un Appostolo, e ad un Sacerdote
dannato25.

E poi sta scritto troppo chiaro nel Vangelo di S. Luca. Ille servus qui (2395)
cognovit voluntatem Domini sui, e chi Favrà conosciuto meglio a questo
mondo che un Sacerdote, et non fecit secundum voluntatem cius. vapula-
bit multis. id est pluribus. et gravioribus punietur suppliciis come spiega il
Cartusiano. Ecl ritir. pag. 34826.
Ciò posto,.^figuriamoci d’essere sulle porte dell’inferno, ed ognuno
faccia a se stesso27.

Oh! Signori miei, non aspettiamo ad aprire gli occhi quando saremo (2396)6
nella fossa; i gemiti, i sospiri, le lacrime, che in adesso ci possono rispar­
miare l’inferno, non serviranno in allora che a rendercelo più spaventoso, e
crudele. Seguiamo piuttosto quel prudènte consiglio che a questo propo­
sito ci dà S. Giò Crisostomo, cioè di piangere utilmente e con frutto ciò,

24 M t 26,24.
25 Con una nota il Cafitsso inserisce alcune righe dalla pagina a fronte.
26 Le 12,47.
27 L’originale continua con alcune righe cancellate: La pensava già cosi S. Gerolamo
cjttandO' disse: grandis dignitas Sacerdotum. sed grandis mina si peccent: [S. G e r o l a m o ,
Uh. 18 in cap. 44. Ezech.} mai or scientia maioris poenae fit materia. S. Giò Crisost: dal­
l'alto la caduta sarà più grave: ab altiori fit casus gravior. S. Bernardo, e chi da un luogo
più alto piomberà nell’Inferno, conchiude Pietro Blesense, v’andrà più in profondo: altius
mergitur qui de alto cadit. .

397
Esercizi Spirituali al Clero * Meditazioni

che non pianto adesso ci toccherà un giorno di piangere invano: lugeamus


nunc ad salutem, ne tunc frusta lugeamus: tanto più, dice qui Agostino,
che questa è la mira che ha il nostro buon Dio nel farci sentire tante sue
minacele, cioè di spaventarci salutarmente adesso per non averei un giorno
da condannare. Undique Deus terret. quia non vult invenire quo damnet.
Ci minaccia come già abbiamo veduto tutto il suo sdegno anche in questo
mondo, ci minaccia un fine miserabile de’ nostri giorni, ci minaccia il più
terribili degli Inferni; ma perché? quia non vult invenire quo damnet28;
felici noi oh! amorose industrie d’un padre, che non ci vuole dannati, oh
santo, o salutare spavento, che ci può mettere in salvo da tante, e si grandi
pene, da pene che non lasciano più luogo ad un momento di requie, da
pene che non ammettono più il menomo sollievo, ecco come soffre un
dannato all’Inferno.
Ogni male a questo mondo ha le sue ferie, diciamo così, non si conosce
male così acuto, e violento che non conti in certi intervalli e lunghi, e brevi
non mitighi la sua forza, i suoi dolori, solamente all’inferno è riservato
questo genere di mali; là il dannato oltre-il soffrire e tanti, e sì spaventosi
tormenti, come abbiamo considerato,, li soffre così continuamente, così
incessantemente che per andar di tempo, e di secoli non potrà trovare un
solo instante di posa, un ora, una giornata, un mese ohimè! passato in un
continuo acuto dolore mette a fine qualunque vita non sarebbe che un
ora, una giornata, un mese di urli, di grida, di disperazione, argomentiamo
adesso qual sarà il patire del dannato che dovrà passare in quello stagno
di fuoco, in quel mare di tormenti, secoli eterni senza che ne il tempo e
l’assuefazione al patire possa mitigar la forza de’ suoi dolori, senza poter
contare un momento solo da respirare di tanti mali già sofferti, e:prender
lena, e coraggio a soffrir per l’avvenire; è già tanto tempo che soffre, e trova
mai un momento ,da poter contare, da poter pensare a quello che già ha
sofferto, perché quello che soffrì, lo soffre sempre, lo soffre, come lo sof­
frirà continuamente. Oh Inferno, oh nome, oh luogo spaventoso: quis ex
nobis, quis habitare poterit?

(2398) 7 Ma vi è di più ancora. Una cosa che ognuno si può ripromettere in


qualunque siasi circostanza, e tribolazione per grande che sia, si è di trovar
sempre qualcuno che lo conforti nelle sue amarezze, e dolori, o almeno lo
compatisca, piccolo sollievo, e conforto, è vero, ma si sa che nelle grandi

28 S. A g o s t i n o , Serm. de Scrìpturis, PL 38, c. 136.

398
Giorno Quarto * M editazione Prima ~ Sopra l ’inferno de sensi

necessità ogni poco è molto. Questo sollievo l’ebbe lo stesso uomo de’
dolori Christo Gesù. Benché abbandonato da’ suoi discepoli, burlato da
Erode, vilipeso, e flagellato in ogni modo da quegli empi, e confisso final­
mente in croce, però non andò privo di ogni conforto. Un angelo lo venne
confortare dal Cielo, molte donne lo seguitavano piangendo, un ladro ai
suoi fianchi si pente, e lo riconosce, Un centurione si batte il petto per
pentimento, e lo confessa figliuol di Dio: e così scorriamo per ogni awer-
sita, e malore, fìngiamo pure l’uomo il più scellerato, il più derelitto, e
nel massimo infortunio, ma dappertuto troveremo che vi giunge se non
altro la compassione; fino un publico malfattore che termina i suoi giorni
su d’un palco va accompagnato dai sospiri e dai gemiti d’una moltitudine
che non sa mirarlo, senza intenerirsi, e dargli i più chiari segni di tenerezza
dolore, e compassione; solamente dall’inferno è sbandito ogni senso di
umanità, e compassione: là vi sono e gemiti, e sospiri, dice Agostino, ma
non v’è chi ne senta compassione: In Inferno sunt gemitus, et suspiria, et
non est qui misereatur: ibi est dolor, et planctus. et clamor, et non est qui
consoletur. Ari. Ap. p. 47. Deplorava già il buon Geremia, e la sentiva nel
più profondo del suo cuore questa infelice condizione, in cui si trovava
la disgraziata Gerusalemme, mentre per colmo di tutti i suoi mali non si
trovava chi prendesse a cuore, e desse una parola di conforto tra tutti i suoi
cari: non est qui consoletur eam ex omnibus charis eius. Tol, 1.229. Ma più

che ha da fare Gerusalemme, e la


sua gente,: coll’Inferno ed i suoi dannati, sulla cui bocca mette Osca pro=
feta (13.34. Osea) a cui si dice che sta nascosta ogni sorta di consolazione:
consolatio abscondita est30: nò, non vi è luogo a sperare il menomo sollievo
né da Dio, né da Santi, molto meno da proprii compagni; non da Dio, che
piuttosto esulterà nel vedere così soddisfatta la sua giustizia: ego in interitu
vestro ridebo. et subsannabo vos31: non da’ Santi, che anzi se ne staranno
intrepidi, ed insensibili ai loro tormenti: stabunt iusti in magna constantia
adversus eos, qui se aneustiaverunt32: di più gioiranno vedendo così casti­
gata la colpa, ed umiliata la superbia de’ peccatori: laetabitur justus cum
viderit vindictam Psalm 17.10. Molto meno da’ compagni sian parenti,

29 Lam 1,2 .
30 Os 13,14..
31 Pr 1,26.
32 Sap 5,1.

399
Esercizi Spirituali al Clero - Meditazioni

sian amici, potrà sperare conforto, e sollievo, giacché al dire dell’Angelico


dottore: ibi miserorum societas mìseriam non minuet. sed augebit (S. Th.
3. p. q. 89. art. 4). Sicché resta chiusa ogni strada, resta tolta ogni spe­
ranza, è finita, non può giungere fin là una parola, un ochiata anche sola
di compassione: dh~Signori miei che orrido luogo, che spaventoso abisso,
che orrenda .

(2400) 8 prigione è mai quella; ma che sarebbe mai, Signori miei, se qualcuno
di noi vi dovesse piombare. O Signore possibile che quelle mani, che vi
maneggiarono tante volte all’Altare, e vi dispensarono ai fedeli abbiano da
andar a brucciare sulle fiamme. Possibile che quegli occhi che vi mirarono
così da vicino sacramentato, quella lingua, che vi chiamava giornalmente
dal Cielo abbiano da finire all'inferno: eh! Signori miei, fa spavento la sen­
tenza di S. Giò Crisostomo su questo proposito: ecco le sue parole: non
temere dico, sed ut affectus sum, et sentio33: comincia a dire il Santo che
non parla con precipitazione, e a caso, ma che la dice proprio come la
sente: non temere dico sed ut affectus sum. et sentiO' e qual è questa cosa,
di cui si mostra tanto persuaso: non arbitror inter Sacerdotes multos esse,
qui salvi fiant' sed multo plures qui pereant34; io voglio ben supporre che
i Sacerdoti di quel tempo fossero un po diversi da que’ de’ nostri giorni,
ma sia come si vuole, se la terribile sentenza del Santo dottore non potrà
applicarsi in tutto il suo rigore, ci farà almeno conoscere il gran pericolo,
in cui ci troviamo anche noi Sacerdoti dì dannarci, poiché la natura del
Sacerdozio non è cangiata, e i pesi, e gii obblighi grandi che portava in
allora continuano a pesare sulle nostre spalle, ed anche ai nostri dì si può
ripetere il lamento, che già faceva del Clero il dottor S, Bernardo, cioè che
certatur de dignitate. et non curatur de sanctitate: si studia, si briga per
questo abito, ma che purtroppo si pensa poco alla Santità che richiede.
Vogliamo schivar l’inferno mettiamo in pratica l’avviso, che ci diede il
Santo prelato nella nostra Ordinazione: studete sancte, et religiose vivere.
Formiamoci un piano di vita, che non disdica al nostro stato: ricordia­
moci che colla nostra vocazione siamo stati cavati dal comune del popolo,
ed innalzati al di sopra d’ogni dignità, come parlano d’accordo i Santi
padri: proccuriamo adunque che giusta il nostro grado, primeggi ancora la

33 S. G io v a n n i C r i s o s t o m o , Hom. 3 in cap. 1. ActApost.


34 II Cafasso scrive nella pagina a fiorite la citazione seguente: Hom. 3 in cap. 1. act
Apost.

400
Giorno Quarto ~ M editazione Prim a ~ Sopra l ’inferno de’sensi

nostra condottale con costumi irreprensibili, e santi facciamo conoscere


chi siamo e quando il mondo demonio, o chi per esso ci presenta qualche
gusto, che ci può mettere in pericolo d’andare all'inferno, facciamo come
fece il santo Re Davide allorché quei tre forti gli presentarono quell’aqua,
che colla spada alla mano si erano recati a tingere ne’ campi de’ Filistei,
n’aveva pure tutto il bisogno il Santo re, l’allettava quanto possiamo dire
la veduta di quell’aqua limpida, e fresca, eppure pensando al rischio, a cui
si erano esposti quei bravi per averla, come disse, avrò il coraggio di bere
il sangue di questi uomini, di bere un aqua che costò il pericolo delle loro
vite: num sanguinen hominum istorum... et animarum periculum bibam:
1 Reg. 2335. no: noluit bibere, sed libavit eam domino36: così dobbiamo
fare noi allorquando ci troveremo in qualche cimento: come avrò coraggio
di far questa o quell’altra cosa,

che so mette a rischio l’anima mia, mi mette in pericolo di dannazione (2402)9


eterna. Un’altra cosa che ci può ajutare grandemente per non andar all’in­
ferno si è impegnarci perché non vadino gli altri. S. Maria Maddalena de’
pazzi era solita dire che volentieri si sarebbe andata a stendere sulle porte
dell’inferno perché più nessuno più vi potesse entrare, tanto era il zelo che
la divorava delle salute delle anime, e tanto il dolore che ne provava della
loro perdizione, e noi Sacerdoti, noi Ministri del Signore, noi che abbiamo
indossato quest’abito se non per altro che per andar in cerca, e salvar le
anime stenteremo a dar un passo per trattenere almeno qualche anima dal
piombare in quelle fiamme37

di più riteniamo a mente quella Meditazione etc. pag. ult. Medit. Sus- '2'iljl)
seguente.

E che sarà se alla turba innumerevole di tante anime, che vanno al (2402) 9
precipizio nessuno di noi si frammezza tra loro per trattenerle, dovrà l’in­
ferno, come già deplorava Isaia, dilatar il suo seno ed aprir senza confini
la sua bocca per poterle ingojare: dilata vi t Infernus animam suam, et ape-
ruit os suum absque ullo termino cap. 5.14. Oh che danno, che perdite,
che rovine! deh! Signori miei, svegliamoci, lavoriamo senza risparmio per

35 2 Sam 23,17.
35 2 Sam 23,16.
37 Con una nota si intende qui inserire una riga dalla pagina a fronte.
Esercizi Spirituali al Clero " Meditazioni

impedire, o almeno diminuire tanta strage, e tanta preda all’inferno, se


non altro ai piedi' di questo Dio, all’Altare, in tutte le nostre orazioni pero-
riamo la causa di tante anime, preghiamo, supplichiamo, gemiamo il gran
Dio delle Misericordie per la loro salute; qui non vi è di troppo, non è
consiglio, è preciso, e stretto nostro dovere; ma quello che ci deve ani'
mare ancor più si è, come già vi diceva, che serrando le porte deH’Inferno
agli altri, il Dio delle Misericordie le chiuderà poi anche per noi. Felice
quel Sacerdote che colle sue preghiere, colle sue fatiche arriverà a salvar un
anima dall’inferno, mi par di sentire a risuonare sulla bocca di quest’anima
quelle parole che già risuonarono un di sulla bocca degli Israeliti a: favor
di Gionata: Ergo ne Tonathas morietur, qui fecit salutem hanc magnani in
Israel38 e come o Signore avrà a perdersi chi mi ha salvato? come avrà da
andar dannato chi operò col Signore questo gran prodigio di valore, e di
zelo di salvar un anima? Ergo ne morietur Jonathas etc. 1 Reg. 14 hoc nefas
est; così gridavaiiQ-g coli ragione i salvatHsraeltri e siccome quel popolo
scampò dalla morte il suo Gionata. liberavit ergo populus Tonatham, ut
non moreretur39, così sarà salvo dalle fiamme, e dell’inferno quel Sacerdote
che avrà atteso a salvar gli altri, perché siccome non. sta che si danni nefas
est. Così è necessario che si salvi; oh bella necessità! oh consolante conse­
guenza! che il Signore la conceda a me, la conceda (a) voi, la conceda a tutti
quanti i suoi Ministri, Così sia.
Die 16 Junii 1843.
Laus Deo, B.YM. et S. Alphonso.

381 Sani 14,45.


3il 1 Sam 14,45-

402
(2403)
Giorno Quinto Quarto
Meditazione Seconda Prima
Sopra l’inferno dell’anima

Imaginiamoci di aver sott’occhio una grande voraggine di fuoco, ed (2405) I


insieme una quantità innumerevole di anime, di persone che piangono,
che sospirano, che si disperano che spasima in quelle fiamme; e d’onde
saranno venute~tùtte coteste anime tanto numero di gente? chi saranno
mai tanti disgraziati? Ve ne saranno n’è d’ogni nazione, di tutti i paesi: ve
ne sarà sono pur troppo tra gli adulti d’ogni età, d’ogni condizione, d’ogni
stato: là vi è un Caino, che attendeva ài lavori della campagna; vi è un
Saulle che reggeva da Sovrano, vi è un ricco interessato, crapulone, la vi è
un servo pigro ed ozioso, là vi è un Giuda, un Apostolo, un Sacerdote. Fer­
miamoci, Signóri miei, su quest’ultimo, è supponiamo per un momento
che non vi sia altro dannato all’inferno per concentrare tutti i nostri riflessi
sul capo di questo infelice Sacerdote: entriamo nel suo cuore per vedere
che mediti, che dica pensi, che soffra. Oh che angosce atroci che amare
ricordanze, che funesti pensieri. E vero che nel parlare sulla verità della
Religione è mai lecito mettere qualche cosa del nostro, e bisogna guardarci
dall’esagerare, dall’ingrandire: ma questo riguardo non fa bisógno, no, non

* (fald. 4 7 ! fase. 196; nell'originale 2403-2418)


1 11 testo della meditazione incomincia con le. seguenti righe cancellate: Siamo già venuti
col nostro pensiero dall’inferno; abbiamo veduto la spaventosa, e tremenda sorte che sta
riservata a’ peccatori: un mare di fuoco, e di dolori, un penar senza tregua, e senza posa,
un penar senza alcuna sorta dì sollievo, e di requie, un patire sì acerbamente, un piangere
sì disperato senza poter ottenere una parola, e nemmeno un sospiro di compassione; Oh
inferno... oh terribile inferno! Io v’invito per la seconda volta a ritornarvi, ma non più per
considerare [’inferno, ma per osservare che vi sia là dentro: considerazione sarà questa più
dolorosa certamente, ma spero ci sarà ancora più utile.

403
Esercizi Spirituali al Clero - Meditazioni

è al caso nel proporci a meditare un Sacerdote all'inferno"'; e prima di


entrarvi a meditarlo cominciamo a premettere cotesta verità: benché pag.
5 de’ sensi.
Ognuno figurandosi d’essere sulle porte deH’Inferno faccia a se stesso
questa dimanda: Chi è quel dannato?, di chi, è quell’anima, che sta là in
quelle fiamme? è l’anima di un Sacerdote; quegli che un giorno vestiva le
mie divise, adesso non v’è più, è aU’inferno: quegli che un dì celebrava
all’Altare, siedeva in quei Tribunali di penitenza, come io, quegli che un
tempo saliva su que’ pulpiti, ora sono finite per lui queste funzioni, e si
trova aU’Inferno, quegli che forse ho avuto compagno nelle scuole, ne
Seminari, negli stessi miei divertimenti, è tanto tempo che è morto, ed è

(2407) 2 airinferno... quegli che in quella casa, in quelle Comunità, ¡n quelle


Città, in quel paese era così rinomato, onorato, un altro adesso è sot­
tentrato in sua vece, ed egli è all’inferno.,. Possibile che quella stella che
doveva brillare nel bel Cielo della chiesa militante in terra, e trionfante in
Cielo, sia caduta in quel profondo pozzo di zolfo, e di fumo già nominato
nell’Apocalisse; sì purtroppo cecidit de Coelo stella magna3.

(2406) De alto corruens Coelo lumen tuum extinctum est, conversus es in car-
bonem. S. Ambrog. Ad Vir. Lap. Cap. 24.

(2407)2 Possibile che colui che teneva in sue mani le chiavi dell’abisso, vi sia
stato ora egli stesso incarcerato, e condannato... possibile che chi la faceva
come da Dio in terra, ne faceva teneva le veci, ne dispensava le grazie,
or fatto suo nemico, spogliato d’ogni autorità, diseredato, cacciato fino al
di sotto de’ demoni all’inferno; ed è questo, Signori miei, lo stato essen­
ziale della riprovazione, il costitutivo formale deU’Inferno, tanto più per
un Sacerdote: chi era l’amico, il confidente, il domestico di Dio, chi era
alla portata di contemplare, di palpare ogni mattina le sue carni, chi era il

2 II testo continua con le seguenti righe barrate: e che ne sia la verità andiamolo a vedere;
riflessi i più semplici, e naturali ce ne convinceranno il miserabile fine che toccò a questo
Sacerdote ci dirà quello non men terribile, che toccherà anche a noi un giorno se pigri,
oziosi o forse scandalosi, goderemo solo dei comodi del nòstro stato senza curarne i pesi
e la santità.
3Ap 8,10. Con una nota qui il Cafasso intende inserire unaltra citazione, che scriviamo
nel testo.
4 S. A m b r o g i o , De lapsu virginis consecratae^ PL 16, c. 383.

404
Giorno Q uinto Quarto ~ P rim a - Sopra l ’inferno dell’a nim a

depositario de’ suoi più preziosi tesori vedersi nell'inferno, separato dal suo
Dio, decaduto da ogni diritto di ancor possederlo, impossibilitato a ritor­
nare nella sua amicizia, epperciò fuor d’ogni speranza di ancor raggiun­
gerlo una volta. E sarà appunto in quel tempo, all’inferno e sulla testa spe­
cialmente de Sacerdoti che avranno forza quelle terribili parole già poste
da Dio sulla bocca di Osea profeta: Vos non populus meus. ego non ero
vestcr3; ah! Sacerdote miserabile, fatto vero figlio di perdizione: ecco un
Sacerdote ma senza Dio, ecco un Sacerdote ma senza altare, ecco un Sacer­
dote ma non più sacrificio che lo salvi6,

un Sacerdote che non ha più il nome ed il marchio ad eterna sua infa- (2406)
mia, e tormento.

Si dice, ed è vero che a conoscere il cruccio per la perdita di Dio biso- (2407) 2
gnerebbe conoscere l’infinita grandezza di Dio, che si perde: sì; ma a par-
lare di quello per un Sacerdote egli è da aggiungersi, che bisognerebbe
anche comprendere che cosa sia questo Dio Sacerdote, questo Dio fatto

sacerdozio ne fece Ministro cotesto Sacerdote perduto7;1sì, bisognerebbe


conoscere tutto questo per conoscere l’altezza di questo carattere per misu­
rare il cruccio, ,il tormento, la dannazione di un Sacerdote ripudiato da
questo Dio pontefice suo. O Dio mio, che disperazione, che riflessi. Un
giorno quando vestivaie divise del mio Ministero, quando celebrava all’Al-
tare, quando amministrava i Sacramenti era io solo, sì, io solo faceva tre­
mare tutto l’inferno, aveva tra le mani quel Sangue

che smorzava queste fiamme, teneva io stesso le chiavi di quest’inferno, (2409) 3


e la mia presenza, una mia parola, un segno solo bastava per allontanare
ed atterrire tutti Ì demoni, oh!... adesso perduta ogni mia dignità, perduto
ogni privilegio, perduto ogni potere, perduto di più ogni diritto per ria­
verli, sono io stesso all’inferno, sono dannato. La potrà solo conoscere
l’amarezza ed il dolore di questi riflessi quello sgraziato che le avrà da pro­
vare; eppure non sarà ancor questo il limite del suo Inferno: crescerà di più

5 Os 1,9.
6 Con una nota qui il testo rimanda alia pagina a fronte,
7 II testo continua con queste righe cancellate: ed al quale fu dato versar questo Calice,
innalzare quest’ostia, dispensare la virtù di questo sacerdozio in remissione de1peccati:

405
Esercizi Spirituali al Clero ~ Meditazioni

quando pensi al motivo, ed alle circostanze della sua dannazione, e voglio


dire quando pensi che sì è dannato per un niente, e si è dannato in un
tempo, in un luogo, in uno stato, in cui aveva tutti i comodi di salvarsi.
Ah! quante lacrime avranno da cavare da quei occhi cotesti pensieri, quanti
lamenti, quanti sospiri dal suo cuoreV

(2408) Noi sappiamo quanto, sia terribile, e fatale alle volte un pensiero di
malinconia e tristezza; essa sola è capace di far soffrire ogni male a una
persona senza ché abbia male alcuno: le fa perdere l’appetito la quiete, il
sonno, niente più l’alletta, la divaga, ogni divertimento, e delizia le è di
fastidio e di peso, la rode, la divora, la consuma, e soventi la porta anche
alla tomba; se un dispiacere, una disgrazia, una contrarietà è capace di
tanto anche in questo mondo, imaginatevi qual forza, qual torchio, non
dovrà essere sul capo di un dannato i riflessi che poco fa io v accennava, io
sano dannato, e mi sono dannato per un niente. Le cose di questo mondo

(2409) 3 Le cose di questo mondo sono così che lontane ne accendono i desideri,
e sembrano un gran chè; vicine poi e godute non sono più quelle, e quasi
che annoiano; passate poi sembra piuttosto essere stato tutto quello un
sogno, una favola, che realtà. Tale è la natura di tutte le cose di questo
mondo; e tutti noi forse avremo già toccato con mano una tal verità. Or
dico se lé cose di questo mondo sono già così ai nostri occhi mentre ancor
viviamo in mezzo alle lusinghe del secolo, e siamo tuttora allucinati dai
nostri sensi, che saranno poi agli occhi d’un anima già sciolta dai lacci di
questo corpo, d’un anima già entrata in quel mondo, ed in quell’eternità
ove solo si conoscerà a fondo il niente e la vanità di tutte le cose terrene.
Le parranno sì piccole, sì vili, sì basse che stenterà quasi a credere come
abbia potuto lasciarsi vincere, e trascinare: Eppure dovrà conoscere, dovrà
confessare che per sì poco si è dannato; sì, quel Sacerdote che tante volte
sul pulpito, nel tribunale di penitenza ha predicato la vanità del mondo,
quel Sacerdote stesso che si sforzava per far capire che tutto questo mondo,
tutto quanto ha di bello è un fumo, è un sogno, è un niente ebbene aUTn-
ferno dovrà confessare che per questo fumo, per questo niente si è dan­
nato; oh! se quando predicava queste verità agli altri, le avesse predicato
di cuore, avesse applicato a se stesso quello che diceva agli altri, si sarebbe
risparmiata quell’eterna e dolorosa meditazione che dovrà farall’Infemo

8 Con una nota il Cafasso inserisce qui un testo scritto nella pagina a fronte.

406
Giorno Quinto Quarto - M editazione Seconda Prim a - Sopra l ’inferno dell’a nim a

ha già principiato all'inferno per finirla mai più. Oh! con che dolore dovrà
piangere allorquando si farà a pensare tra se stesso, ma... io sono dannato;
e per che cosa poi io mi sono dannato: gustans gustavi paullulum melis, et
ecce morior... 1. Reg. XV.199. per cose di un momento io mi perdei, per
quattro giorni di vita che mi sparirono come un soffio io mi dannai; che
mi giovano adesso quei giorni,

quei piaceri, que1 sollazzi, que’ capricci se adesso io sono dannato; (2411)4
almeno potessi dire d’aver passato una vita che mi contentò, mi rese felice,
ma lo so io quali fossero i miei giorni, lo so io quello che provai, le ango-
scie, le inquietudini, le paure, i rimorsi, le spine: ambuÌavimUs vias diffici-
les... transierunt òmnia illa tanquam umbra... Quid nóbis profùit... quid
contulit nobis... talia dixerunt in inferno hi, qui peccaverunt10; qui è la
divina Sapienza che parla. Sap. 5. E se questo lo dovrà dire ogni dannato,
lo dirà con più di ragione il Sacerdote, poiché se questo mondo è amaro
per tutti, è amarissimo per noi, e se ha una spina preparata per tutti, ne
ha cento per trafiggere il nostro cuore. Come adunque potersi dare pace,
come poter trovar un motivò, una ragione almeno apparente da scemare in
qualche modo il dolore della sua dannazione. Oh!... ben altro che scemarlo
diventerà anzi vieppiù maggiore a misura che penserà; ed un altro pensiero
non meno crudele per lui, e doloroso sarà questo, cioè che non era già per
lui l’inferno, ma che il suo luogo stava preparato in paradiso. E qui gli
verrà in mente quella dolce promessa già fatta dal Redentore a noi tutti in
persona de5suoi Appostoli: Vado parare vobis locum11. Gli pare di vederlo
questo luogo, e mentre per maggiore suo dolore ne andrà considerando
la bellezza da quelle fiamme, una voce segreta al cuore gli dirà: non è più
per te. Si ricorderà di quella bella orazione, che fece all’eterno Padre Cristo
Gesù innanzi alla sua passione: padre mio, io vi prego, anzi io voglio, che
assieme a me vi sia il mio Ministro: volo. Pater, ut ubi s u i t i ego illic et
minister meus sit12. Pater, volo ut ubi sum ego, et illi: sint mecum. Ioan.
XVII13. La Chiesa appunto per animarci, per consolarci ce lo mette soventi
sottocchio, ce lo fa dire più volte nell'ufficio: ma poco valse, anzi niente

9 1 Sam 14,43
10 Sap 5,7-8.
11 Gv 14,2.
12 Gv 12,26.
13 Gv 17,24.

407
Esercìzi Spirituali al Clero - Meditazioni

per questo misero Sacerdote, non avendone assaporato la dolcezza in vita,


per la perdita fatta ne dovrà provare e sentire tutta l’amarezza all’inferno.
Dunque dovrà dire a se stesso: io non era già nato per dannarmi, io
non era fatto per questo luogo, ma io era falto bensì pel paradiso, io era
destinato a risplendere come una stella in quel bel Cielo, e quanti miei pari
infatti sono là, dovrei essere tra loro, dovrei essere un di loro, potrei essere
i come loro, ed invece non lo sono, invece sono all’inferno sono dannato.
plus Coelo rorquentur, quam gehenna: fatto di Semei. Se piangevan gli
ebrei e sospiravano là sulle sponde in Babilonia alla memoria della loro
Gerusalemme perduta: Super ilumina Babvlonis sedimus er flevimus cum
recordaremur Sion. Psalm. 136’4 ahi che lamenti, che sospiri darà un
Sacerdote all’inferno quando pensi a quella gran Gerusalemme che perde,
e che perdé per sua colpa.

(2412) 5 Se uno all’inferno potesse dire, o potesse almeno darsi ad intendere


questa cosa, cioè:, sono qui, sono dannato, ma vi sono per necessità, vi
sono perché non poteva far a meno, comunque avessi fatto tanto vi sarei
venuto, questo pensiero, questo ragionamento mi pare che potrebbe dare
un qualche sollievo, potrebbe mitigare il suo dolore: ma potrà, Signori
miei, ragionarla cosi un dannato all’infèrno; e non era questo Sacerdote
stesso che in quei tribunali di penitenza, su quei pulpiti faceva sentire che
il paradiso era fatto per tutti, che il Signore voleva tutti salvi, che vi era
niente d’impossìbile ad eseguirsi. Come adunque adesso cangiare di senti­
menti, e darsi ad intendere quello che non fu; e poi quand’anche tentasse
di darsela ad intendere, non gli riuscirà certamente, poiché il Signore gli
intuonerà continuamente alle orecchie quelle parole che erano già si dolo­
rose al ricco Epulone: recordare fili15, come fili; io figlio! io figlio... sì io
era proprio figlio di casa, erede del Regno, contava già come uno di fami­
glia, ma ora ho perduto ogni diritto, ne .sono cacciato, non lo sono più:
recordare fili. Oh! almeno non mi si usi questo termine, mi si cancelli la
memoria, che non vi pensi più; Oh! sì, non occorrono demoni per far pal­
pitare colaggiù un Sacerdote, a farlo vivere nella angoscia, nel tormento
più intenso, ma basterà questo solo Recordare: e di che cosa si rammen­
terà; ma... tanti anni di studio, tante fatiche per acquistar quella scienza,
e poi dannato? ah! che angosciosa memoria, che doloroso Recordare! Coi

14 Sai 136,1.
15 Le 16,25.

408
Giorno Q u in to Quarto * Prima ~ Sopra l ’inferno dell’a nim a

Sacramenti, anzi con Gesù stesso nelle mie mani, con tanti stimoli al bene,
con tanti buoni esempi de miei pari, eppur dannato! Ah mi ricordo di
quei rimorsi all’Altare, sui pulpiti, ne’ Confessionali, al ietto de’ moribondi
pareva proprio che a tutti i conti mi volessero tener lontano da questo
luogo, eppure vi sono caduto ah! se avessi secondato quel tanto che mi
diceva il cuore in quel di, ah! se avessi mantenuto quello che ho promesso
in quell’altra occasione, non sarei qua. Oh! che confrontare angoscioso,
dice S. Ambrogio è mai questo del che è tuttora, per condizione di dannato
airinferno da quello che potrebbe essere beato nella gloria. Egli sarà tanto
più amaro questo riflesso mentre vedrà tanti suoi pari, tanta altra gente a
lei inferiore in Cielo, lui airinferno. Piangeva, come tutti sappiamo incon­
solabilmente il figliuol prodigo al pensare che

in casa di suo padre tanti mercenari, vale a dire tanta gente straniera (2413)6
abbondava di pane, ed egli figlio di casa se ne moriva di fame là abbando­
nato in mezzo ad una campagna: quanti mercenarfi in domo patris mei
abündant pani bus, et ego hic fame pereo6. Bella immagine dei lamenti di
un Sacerdote alflnferno. Veder là in quella gloria, veder in paradiso, sì in
quel paradiso, che si poteva chiamar casa sua veder tanti publicani e pec­
catori abbondar d’ogni sorta di delizie, e lui figlio, e lui di famiglia si può
dire cacciato e.privo morirne lontano di desiderio: publicani. et meretri­
ces praecedent vos in Regnum Dei. Matth. XXI [Afr 21,31]. filli autem
regni ejecientur in tenebrai exteriores: M; 8 \Mt 8,12]. La tanta povera
gente rozza, ed ignorante, e lui ed Egli Sacerdote airinferno. Là tenera gio­
ventù, c lui ed Egli con tanti anni di vita, e di sacerdozio all’inferno; là
gente d’ogni tribù, d’ogni condizione, d’ogni età, d’ogni stato, trhtt ed Egli
Sacerdote con più lumi, con più comodi che tutti, lontano dal paradiso,
e dannato all’inferno: oh!... se lo poterono tanti, dovrà dire disperato, si
isti, et istae si salvarono, perché non l’avrei potuto ancor io. si isti, et istae
cur non ego. Lo poté quei tale, lo potè quel tal altro mio amico, mio cono­
scente, mio suddito, colle stesse miserie etc. chi sa perché non avrei potuto
ancor io si isti, et istae cur non ego: la seppi pure spuntare in altri affari,
ma in questo che era il solo, la sbagliai. Oh! che recordare amarissimo, che
cruccio, che Inferno! Quel paradiso, che per gli altri è un luogo di delizie,
per lui diviene più doloroso che l’inferno stesso, e quante anime sono in
quella gloria pare che tutte le ricordino che anche lui doveva andarvi, pare

16Le 15, 17.

409
Esercìzi Spirituali al Clero •- Meditazioni

che gli mostrino a dito quel luogo ancor vuoto, che l’aspettava, e se l’ha
perduto, l’ha perduto per propria colpa: perditio tua ex te: e questa perdita
fatale già fatta per propria colpa continua a divenirle vieppiù angosciosa, in
quanto che con poco la poteva scampare.
Fa pietà, e compassione il fatto che si legge dei quaranta martiri di Seba­
ste. Stavano là in quelle aque gelate, si può dire che tenevano già l’anima
sulle labbra, dopo tanti tormenti erano prossimi alla corona, quando ad
uno sgraziato vien meno il coraggio, rinega quel D ioiche aveva sì a
lungo, ed a tanto costo confessato: ma appena ebbe tocche le aque quel­
l’infelice, che diede l’ultimo respiro, e spirò, e già si dannò. Andiamo un
po appresso, Signori miei, a quest anima aU’Inferno. Oh che gemiti oh, che
sospiri, oh che voci saranno le sue al pensare

(2414)7 al paradiso, ai suoi compagni, al ricordarsi di quel luogo, di quel


momento fatale: ma... era pur vicino alla gloria, aveva già sofferto tanto,
non mi mancavano che momenti ad essere coronato, e per un momento io
mi perdei; oh! compagni miei, almeno potessi dimenticarvi oh! paradiso ti
potessi cancellare dalla mia memoria, dovevi pur essere la mia corona, ma
giacché non seppi conquistarti sarai il mio dolore, e la mia spina eterna.
Ecco il linguaggio che deve parlare un po più un po meno ogni dannato
all’inferno, e tanto più un Sacerdote. Chi più sulla strada del paradiso, chi
più vicino ad arrivarvi che un Sacerdote; dopo tanti anni passati in eserci­
zio di virtù, ed obedienza, dopo tanti altri meriti fatti nel Ministero era
pur anch’egli vicino alla gloria, la sua corona stava già preparata, quando
un dì, quando un momento come quel miserabile soldato, sgraziatamente
laperdè; nonfùfedele sino al fine, la mancò in poco e così perdé il tutto; e
che vi voleva poi per arrivare a salvarmi continuerà a dire il Sacerdote dan­
nato ma non vorrei pensarvi, non vorrei dirlo, eppur uopo è che lo mediti,
uopo è che lo dica: una Messa un po più divota, un po più di modestia
negli occhi, un po più di freno alla gola, alla lingua, il sacrificio d’una pas­
sione momentanea mi avrebbe salvato, mi avrebbe risparmiato l’inferno,
invece io sono dannato, una vita più occupata avrebbe bastato a darmi in
mano un paradiso. Ah! quell’ozio maledetto quanti Sacerdoti lo piange­
ranno, lo malediranno all’Inferno: che mi avrebbe poi costato un po più
di studio un po più di fatica, un po più di ritiratezza; non avrei così incon­
trato que’ pericoli, non sarei caduto, non sarei dannato, sarei in paradiso.
Oh giorni, oh memorie crudeli da formar da se stesse un inferno il più
angoscioso, il più disperato; Egli è questo quel verme sì doloroso e terri­
bile, che il divin Redentore ricordò fino a tre volte nel medesimo discorso

410
Giorno Q uinto Quarto Prim a > Sopra l ’inferno dell'anima

per voler fare intendere che questa sarà una delle maggiori pene del dan­
nato: tertio Christus hanc sententiam repetet. ut terribiles hosce vermes
inculcet, così dice Cornelio a Lapide. Mes. di Ma. Marc. 9-
Ma che otterrà poi un Sacerdote all’inferno con tanti sospiri, con tanti

lamenti che usciranno da quel cuore, da quella bocca; che le varranno? (2416) 8
varranno ad aumentare la sua disperazione, varranno ad attizzare i demonii
a vieppiù insultarlo, deriderlo, e burlarlo; oh!... Signori miei, guai a noi se
verremo a piombare in quel baratro sotto il potere di que’ nostri capitali
nemici. Non vi è cibo più scielto per il demonio, dice S. Gerolamo, che
noi Sacerdoti, in conseguenza all’inferno non vi sarà un dannato più ber­
sagliato da questi mostri, più insultato, e deriso che un Sacerdote: insulterà
al suo carattere, si burlerà di tutti i suoi ministeri; è passato il tempo che
la sua potenza lo faceva tremare con un segno, con una parola lo faceva
fuggire, ora perduto ogni suo potere qual altro Sansone in mano de’ suoi
arrabbiati nemici, non sarà che un oggetto di scherno, di burla, se così mi
è lecito dire a tutto l’inferno. G mio Dio17. Possibile che un vostro mini­
stro abbia un dì ad essere vilipeso così da que’ mostri, deh Signore, quan­
d’anche non fosse per altro risparmiatemi per pietà l’inferno, non permet­
tete che un dì abbia questo mio nemico a vantarsi d’avermi vinto, abbia
a gloriarsi d’aver fatto perdere un vostro Ministro: nequando dicat inimi-
cus meus: praevalui adversus eum18. Nò, Signore, nò non soffrite che l’in­
ferno abbia ad avere questa gloria, non permettete che abbia a riportare
questo vanto: fatelo non già per i meriti nostri, ma fatelo per fon or del
vostro Sacrificio, fatelo per la guerra, che vi fanno questi spiriti ribelli; e
noi, Signori miei, dichiariamogli una guerra così aperta e forte che abbia a
disperare questo mostro di vincerci e di far pace con noi; S, Teresa diceva
che il demonio teme solo qttellc le anime forti, franche, e generose, e se
non siamo noi di questi tali, che siamo i capitali di questa spirituale mili­
zia, chi l’avrà da essere? Coraggio adunque, compagni miei cari, ed animo
grande. Nei combattimenti di questo mondo è incerta sempre la vittoria,
ma noi nella nostra guerra siamo sicuri di vincere se la faremo da forti; e
per esser tali teniamo sempre fissa nella mente la gran lezione, che ci da
un nostro compagno dall’inferno. Lo Spirito Santo dice ne’ Proverbi Prov.

17 Con una nota il Cafasso rimanda alla pagina a fronte, dove si annota il seguente
rimando: pag. 8. linea 2. Medit. Inferno de sensi,
13 Sai 12,5.

411
Esercizi Spirituali al Clero Meditazioni

IXI che anche lo stolto fa senno e mette giudizio alla vista del malvagio
castigato: pestilente flagellato stultus sapientior erit19: mettiamo anche noi
giudizio in questi giorni, ;

(2418) 9 se in qualche cosa abbiamo operato da stolto per il passato; se l’inferno


è terribile per ogni dannato, più terribile come abbiamo veduto per un
Sacerdote, lo sarà più ancor per noi in particolare, se venissimo ,a cadervi.
E infatti se mai qualcuno di noi piombasse in quelle fiamme, che inferno
non sarebbe il suo, quando da quel luogo si facesse a pensare a questi
giorni, a questa stessa meditazione che abbiamo fatto. Ma... l’ho pur medi­
tato, mi ricordo ancora di quei riflessi di que’ sentimenti, di quelle voci,
sapeva pure che l’inferno stava preparato per un pari mio, eppure vi sono
caduto, mi sono dannato; io spero che nessuno di noi avrà da provare que-

(2417) Ma non ostante permettetemi che qui sul fine io faccia una dimanda:
vè n’andranno i Sacerdoti all’inferno, molti o pochi. Io non ho coraggio
di addurvi le sentenze di santi padri su questo proposito, come voi sapete,,
voglio anzi ammettere che si possa dare una certa spiegazione ed un certo
senso più mite ma lasciando tutto questo a parte ogni cosa io dico tre cose:
1° purtroppo è certo che anche qualcuno tra Sacerdoti andrà a perdersi:
2 ognuno di noi può correre questo pericolo se non ci guardiamo; ma
per nostra consolazione, ecco la terza cosa: chiunque di noi se vuole, non
andrà all’inferno. E come fare; eccone i principali mezzi. Vogliamo-etc.
Primieramente temerlo. S. Bernardo, Gerolamo, Timeo Gehennam,
Francesco Borgia.
Vogliamo etc. pag. 8. Med. de’ sensi.
Soffrir qualche cosa etc. Un giovine. Impegnarci a non lasciar andare gli
altri airinferno.
Finalmente facciam sovente quella meditazione

(2418)9 che il Sacerdote dannato farà eternamente e senza frutto all’inferno.


Medita egli e con che attenzione. La vanità ed il niente delle cose di questo
mondo, per cui si è dannato; medita i gran mezzi di salute che ha trascu-

19 Pr 19,25.
20 Con una nota l ’originale rimanda alla pagina a fronte.

412
Giorno Q uinto Q uarto - M editazione Seconda Prim a ■- Sopra l ’inferno dell’a nimtt

rato: medita e pensa che con poco si avrebbe potuto salvare. Ecco le tre
cose che da quelle fiamme ci insegna a meditare anche a noi la vanità del
mondo, e la sua falsità ed apparenza, la facilità di salvarsi sia per i tanti
mezzi che abbiamo, sia per il poco che ci costa.
Felici noi se sapremo apprendere quest’oggi sì importante lezione;
questa meditazione che al dannato non frutterà che lacrime, che rabbia e
disperazione21, a noi invece sarà di conforto e sollievo, e quello che è più di
eccitamento e stimolo a lasciar il peccato, e con ciò di caparra a non andar
all’Inferno, ma di gttad meritarci invece una santa morte ed una felice eter­
nità22.

Qui l ’originale contiene il seguente testo cancellato', ma a noi invece :

beata coH’impegnarci nel divino Servizio, ci darà fino in questo mondo una grande pace e
contentezza per darci poi un eterno gaudio nell’altra, come vi desidero a tutti così sia.
22 Nell’originale (pagina a fronte 2417) esistono ancora alcune righe cancellate relative ad
una annotazione che sembra dovesse essere inserita alla pagina 8 (2416) dell’originale; ma
allo stato attuale del testo risulta difficile capire dove esattamente andasse inserita. In realtà si
tratta di righe sostanzialmente ripetute nel testo più avanti, e che noi abbiamo già avuto modo
di trascrivere nel testo. Per completezza inseriamo qui le righe in questione, barrate: Pag. 8.
Medit. Inferno de’ sensi. Vogliamo etc.
Altro mezzo: temerlo, pag. 1. 4. Inferno de’ sensi. S. Agostino, S. Giò Crisost. S. Ber­
nardo. S. Girolamo. S. Francesco Borgia. Seguita la buona vita etc.
Altro mezzo: Se il Signore ci da da soffrire qualche cosa, prendiamolo in isconto ed in
penitenza pensando che non è ancora l’inferno. U n giovine etc.

413
Giorno Quarto Quinto (2419)

Meditazione Terza Seconda


Sopra l’eternità
Decima quinta

Eterno Iddio1, io temo l’inferno, o Signore io pavento que secoli eterni (2420)
riservati all’eclesiastico peccatore. Deh! mio Dio, trafiggetemi in questa
sera le mie \parola incomprensibile] ed il mio cuore col vostro santo timore
che spaventato dal rigore de vostri castighi io detesti, e lasci la colpa che
sola può rendermi eternamente infelice. Vergine Maria, cara nostra Madre,
deh assistetemi, e non permettete che si perda un vostro figlio, un Ministro
del vostro Gesù. Angelo mio Custode etc.

Il Sacerdote all’Inferno medita che etc... (2421) 1“


Io mi sono dannato per un niente, mi sono dannato perché ho voluto,
aveva, tanti comodi, aveva, tanti mezzi con poco poteva salvarmi, cicriron
ostante eppur niente mi ha giovato sprezzai ogni cosa, ed invece io mi sono
perduto; sono questi i lamenti, come abbiamo veduto, sono queste le voci
che manda dal più profondo dell1Inferno il Sacerdote dannato; è questo
il verme che lo tormenta, lo divora e lo rode, ed ah! che tormenti che
punture che agonie-drrnorte-le-saranno mai queste, che amare ricordanze!
eppur non saranno queste le sole; angosce amare, come già vi diceva,
quando un altro pensiero più funesto ancora verrà ad assalirlo, ed è che la
sua rovina sarà senza rimedio, sono dannato, e sono dannato per sempre.

. *. (fald. 48 /fase. 200; nell’originale 2419-2440)


1 Seguono alcune espressioni, tutte barrate, che rispecchiano stesure successive, a più riprese
cancellate, sostituite, e di nuovo cancellate. Sono le seguenti espressioni: io mi prostrato
davanti a voi in questa sera preghiera io adoro alla vostra divina presenza; col cuore
ripieno di timore e spavento a voi confesso il mio timore.

415
Esercizi Spirituali al Clero - Meditazioni

Egli è questo il pensiero ciò che porrà il colmo alia disperazione del dan­
nato, vedersi cioè chiusa ogni strada, e fuor d’ogni speranza di uscirne mai
più; io v’invito, Signori miei, per la terza seconda, ed ultima volta ad avvi­
cinarvi a quelle fiamme, a quell’orrido luogo per essere testimoni della più
grande, ed ultima disperazione del dannato desolazione dell’Eclesiastico
perduto. Tre cose rileveremo in questa meditazione: 1. l’eternità della pena
in un dannato; 2. la pena che dà al dannato questa eternità; 3. Finalmente
l’impegno e la cura che tutti noi dobbiamo farci, che a tutti ci deve dare di
questa stessa eternità il pensiero la mia e la vostra eternità le conseguenze
che noi dobbiamo dedurre da questa eternità. Entriamo a meditare con
questo gran pensiero riflesso in mente, che non vi è affare al mondo più
grande, e che meriti paragone con quello che noi imprendiamo a conside­
rare in questa sera. Si supponga pure un congresso de’ primi personaggi,
e delle teste più dotte del mondo: vi si trattino i più importanti affari di
guerre, di conquiste di Regni, ed Imperi, ma sarà sempre un niente, poiché
passeranno e cadranno tutti i regni ed imperi, passerà tutto il mondo,
mentre sempre salda e ferma starà sempre ferma per tutti i secoli l’immu­
tabile Eternità.
Abbiamo già conosciuto che quell’anima, che quel dannato che brucia,
là all’inferno, è un nostro compagno, è un Sacerdote che un giorno vestiva
come io, ed esercitava lo stesso mio Ministero; è deplorabile la caduta, non
vi sono lacrime bastanti per poterla compiangere, merita tutti i lamenti
del mondo; tanto è grande e fatale sì fatta rovina: grandis dignitas Sacer-
dotum, sed grandis ruina se vengono a perire. S. Gero[lamo]2. Ma si potrà
almen trovare un riparo? l’andar de’ secoli potrà dare

(2423 ) 2 una qualche speranza di poterla riparare; ecco, Signori miei, la cosa più
terribile, il punto più spaventoso delle rimembranze; si è perduto un Sacer­
dote, gran male ripeto, perché si perdè una persona si può dire deificata
in terra; ma vi è di peggio: la sua perdizione, la sua rovina è irreparabile, è
perduto per sempre; discede a me maledicte in ignem aeternum3: ecco la
sentenza che lo fulminò all’inferno: sentenza irrevocabile, sentenza tanto
immutabile quanto è immutabile quel Dio che la pronunziò; e poi sono
troppo chiari i testi delle divine Scritture su questo riguardo: cruciabuntur
die ac nocte in saecula saeculorum: dabo ignem in carnes eorum ut com-
burantur in sempiternum: Vermis eorum non morietur. et ignis eorum

3 S. G e r o l a m o , Comm. in Ezech., XVIII, in Selva, cit., p. 29.


3Aff 25,41.

416
Giorno Q uarto Quinto - M editazione ^fbrza Seconda - Sopra l'eternità

non cxtinguetur4: sicché è tolta ogni speranza; è caduto il Sacerdote all’in­


ferno, ma vi uscirà mai più; un giorno vi era l’inferno, vi erano già tanti
purtroppo a provarlo, ma egli non vi era ancora, ma adesso che vi è vi starà
per sempre: se brucia, brucierà per sempre, se piange, piangerà per sempre,
se -srarrabia se si dispera, la sua rabbia il suo pianto, la sua disperazione
sarà eterna. O Signori miei, guardiamo un po di farci addentro col nostro
pensiero in questa gran eternità5.

Si sarà sepolto il cadavere, aperto il testamento venduta, divisa la roba (2422)


sua, ed egli all’inferno; si saranno suscitate delle liti, si saranno finite, il
suo avere già sperperato, e consumato ed egli all’Inferno. Passerà un giorno
Ì giorni, passerà una- settimana le settimane, e un mese i mesi, saranno
già anni [cancellatura illeggibile] che è morto quel Sacerdote, ed egli àll’In-
ferno: passeranno altri anni, e si saranno già fatti chi sa quanti anniversari,
e chi sa quanti dopo lui hanno già occupato il suo impiego, ed egli all’In­
ferno; sarà già distrutta la sua casa, estinta la sua famiglia, perduta la sua
memoria, ed egli aU’Infemo: verrà perfino al fine il suo paese, la città, il
luogo, in cui stava, e quanti che una volta esistevano, ora sparirono, ed egli
sèmpre all’inferno: verrà finalmente alla fine il mondo e ■■

troverà almeno in queirultimo sconvolgimento di cose, quel gran can­ (2423) 2


giamento porterà forse qualche mutazione alla sua sórte, al suo destino;
oh! ben lontano; che anzi una seconda sentenza e più solenne, e più forte
ancora verrà a confermare f eterna sua perdizione: dopo d’aver sostenuto
tutto il peso della più terribile giornata del mondo, si vedrà rinchiuso di

4 Ap 20,10; Gài 16,17; Is 66,24.


5 Segue questo testo barrato: passerà queU’anno, sarà già passato quel secolo in cui è
morto questo Sacerdote, ed il Sacerdote sarà all'inferno: si sarà già perduta nel mondo la
sua memoria, sarà estinta la sua. famiglia, ed il sacerdote sarà sempre all’inferno, passeran
secoli e verrà al fine il suo paese, verrà a fine il mondo, ed il Sacerdote aU’Inferno: a questo
punto una nota intende inserire alcune righe dalla pagina a fronte.

In cui è recato [?] il Sacerdote, si saranno già fatti chissà quanti anniversari ed egli (2422)
all'inferno; sarà già distrutta la sua casa estinta la sua famiglia, perduta la sua memoria ed
egli ;ìll’inferno. 1

Si sarà già perduta nel mondo la sua memoria, sarà estinta la sua famiglia, ed il Sacer^ (2423) 2
dote sarà sempre aU’Inferno, passeran secoli e verrà al fine il suo paese, verrà a fine il
mondo, ed il Sacerdote all’inferno

417
Esercizi Spirituali al Clero " Meditazioni

nuovo in quel carcere per uscirvi mai più; non lasciamolo ancora, segui­
tiamo per quanto possiamo ad accompagnarlo per questa interminabile
eternità. Passeranno anni, passeranno secoli, e più secoli, ed il Sacerdote
sempre aJTInferno,' è già un tempo incalcolabile, da che è finito il mondo,
eppur là niente si muta, ,

(2423) 3 sempre si brucia, sempre si piange, ed è sempre quell’inferno di prima.


Siamo già in un punto che sarà impossibile contar e gli anni, ed i secoli;
si sarà già quasi perduta la memoria del fine del mondo, tanto è il tempo
trascorso; oh quanti dolori, quante lacrime, quanti sospiri e lamenti In un
corso sì lungo; eppur vale a niente, non compare speranza, è chiusa ogni
via, e non pare che il primo giorno; andiamo più avanti colla nostra mente,
e sforziamoci con calcoli i più strepitosi di toccare un fine: quello che è
passato è passato; mettiamolo per un niente, e figuriamo che si prmeipii
oggi l’inferno: diamo pur campo che passino ed anni e secoli5;
si faccia il calcolo più grande e strepitoso che si possa fare da uomo il
più perito; un fine certamente lo dovrà avere, ebbene là dove finirà, sarà
quello il. principio dell’eternità; sempre e mai, ecco dove va a finire l’eter-
nità; sempre patire per mai finirla, sempre all’inferno per uscirvi mai più.
Saranno secoli incalcolabili da ché i Beati in Cielo godranno feste mai più
vedute, ed il dannato sempre tra il fuoco e nelle fiamme; parrà già quasi
un eternità da che il gran pontefice eterno leverà nel suo regno in co’ suoi
Apostoli e ministri quel nuovo calice di letizia ed esultazione promesso nel
suo Vangelo, e questo misero Sacerdote diseredato, ed escluso da questa
quel celeste banchetto, sempre morsicato e divorato dal verme, sempre tra
dolori, sempre tra tormenti, non farà che piangere e disperarsi senza mai
veder ombra di speranza di finirla un dì7;

(2424) passano anni e si brucia, passano secoli e si brucia, passano altri anni, ed
altri secoli e sempre si continua a bruciare; è già tanto tempo che si soffre,
eppur è niente, si soffre tanto continuamente, eppure vai a niente, niente il

6 Seguono queste righe cancellate: Ma... e quando fossero passati tanti secoli quante
furono le goccie d’aqua del diluvio, vi sarà fine? no ancora; e quando cornassero a passare
tanti altri quanti i grani di terra al mondo, vi sarà speranza? nò ancora; vogliamo, Signori
miei, dir tutto in poco.
7 Con una nota viene qui inserito un testo dalla pagina a fronte.

418
Quinto - M editazione ik r z a Seconda -. Sopra l ’e ternità

passato, niente il presente, niente nemmeno tutto quello clie verrà, perché
si soffre per soffrire per sempre.

O eternità spaventosa, o tremenda verità; e chi mai vi sarà al mondo (2425) 3


o aeternitas qui te cogitai, nec poenitet aut fidem, aut cor non. habet,
così parla Agostino; e chi mai al mondo cadrebbe, in peccatole molto
più chi mai la potrebbe durare nel peccato se si pensasse a questa gran
eternità: momentaneum quod delectat, aeternum quod cruciai8. QhL.
quanta forza darebbe in certi pericoli se si coltivasse questo pensiero: è
un momento il peccato, è un momento quel pensiero, quell’occhiata,
quella parola, quel capriccio, ma badiamo che sarà interminabile la pena:
momentaneum quod delectat, aeternum quod cruciar. L’avremo inculcata

chi sa quante volte agli altri questa verità, or meditiamola per noi, e (2426) 4
pensiamoci mentre siamo in tempo; se ci darà un po’ di spavento non sarà
che per risparmiarci un pianto inutile, ed una disperazione eterna all’In-
ferno, per formarci una qualche idea della gran pena, che darà al dannato
il pensiero di questa eternità, imaginiamo una persona, non dirò già carica
di tutti i mali, ma assalita solo da un male violento, ed acuto; noi tutti
sappiamo come alle volte bastano poche ore di un male di questa fatta per
far quasi dare nelle furie un povero disgraziato: ebbene supponete che in
quell’istante, che più il male lo divora, gli si dicesse, e fosse il vero, che
s’accheti perché la cosà è finita, sia pur lunga la sua vita, abbia pur da
vivere lunghi anni, ma non avrà più un momento di requie, e di posa, lo
dovrebbe sostenere in quella violenza sino alla tomba; altro che acchetarsi,
Signori miei, e lascio pensare a voi se non sarebbe da preferirsi una morte
anche crudele piuttosto che un vivere sì disperato: soffrir tanto, e quello
che è più saper che soffrirà per sempre; eppur è sì debole questa immagine
che non merita paragone col dannato: qui si tratta di un mal solo, là di
tutti, qui non è questione che di pochi anni, là invece per secoli intermi­
nabili; qui non mancherebbero sollievi esterni di conforto, di coraggio,
almeno di compassione; là al contrario privi affatto del menomo sollievo;
ne vogliamo un’altra idea; portiamoci in un carcere dove si trova un infe­
lice condannato a perpetua pena, oh! come questa condanna gli pesa sul
capo, e lo rode; e quante parole, e quante ragioni soventi vi vogliono per
trattenerli dall’ultima rovina che è quella di darsi in braccio alla dispera­
zione: sente i compagni che sospirano la libertà, e già si consolano con
questo pensiero: chi conta i giorni, chi conta i mesi, chi gli anni di stra
pena che ancor le restano, e poi sono libero va dicendo ciascuno, e poi

s S. A g o s t in o , De patientia, IV, 3, PL 40.

419
E sercizi S p iritu a li a l Clero - M e d ita z ió n i

uscirò: egli invece pensa, e dice tra se: per me è inutile, per me è finita,
10 si io mai piti sortirò; passino-pure passeranno i mesi, passeranno gli
anni, giunga pure verrò anche all’età più vecchia, ma è decisa, per me è
spedita, mai più sortirò; conta quasi per niente quello che soffre, la fame,
11 freddo, le catene, e tanti altri guai, che vi sono; quello che conta, quello
che rumina, quello che lo rode si è il pensiero che mai più sortirà.

(2428) 5 Applichiamo la cosa al dannato con quest’osservazione ancora che un


condannato a questo mondo difficilmente perde ogni speranza, e così si
sforza di trovar un sollievo in una qualche lusinga; ma il dannato sa, e sa di
certo, non può lusingarsi, lo sa continuamente senza poterlo mai dimenti­
care che non uscirà mai più; o Signori miei chi potrà spiegare questo gran
pensiero nella testa di un dannato: soffro, e so che soffrirò per sempre:
siccome un gran corpo rotondo, che posi su di un piano, tutto va a pesare
su d’un punto, così tutta questa gran mole di questa dell’eternità pesa tutta
quanta, e pesa ogni momento sulla testa del dannato talmente chè si può
dire che non solo soffre, e soffrirà per sempre ma ogni momento soffre
nel suo pensiero un eternità intiera, perché ogni momento pensa e sa che
soffrirà per sempre9

(2427) di m odo-che. L’eternità ben considerata si potrebbe chiamare nient’al-


tro che un instante, ed un momento, poiché, nell’eternità.v’è né passato, né
avvenire, perché per poter dire che una cosa passi, l’altra venga, bisogne­
rebbe che vi fosse cangiamento alcuno, principio, e fine, e là mai niente
varia, mai niente cangia, mai niente cessa, mai niente comincia, sempre
li stessi tormenti, sempre lo stesso grado, sempre la stessa intensità la
stessa durata, una cosa sola, medesima, continua, un momento intermina­
bile nella sua durata, invariabile nel suo rigore, indivisibile nel suo peso;
un tutto momento eterno, oppur uri eterno che è tutto ne’ suoi singoli
punti, sicché il povero dannato soffrirà un eternità di momenti, ed ogni
momento un intiera eternità.

(2428) 5 Oh!... quante volte disperato chiamerà la morte, ma quella morte che
un dì era il suo spavento, ed ora sarebbe il suo sollievo, fuggirà da lui: desi-
derabunt mori, et mors fugiet ab eis. Apoc. IX10. ma non fuggirà talmente

9 Con una nota si intende inserire qui un testo dalla pagina a fronte.
10Ap 9,6.

420
Giorno Quarto Quinto - M editazione Sferza Seconda - Sopra l ’eternità

dice S. Agostino che non abbiano a sentire le sue agonie> che anzi saranno
cosi dolorose, e crudeli che il loro vivere sarà più morte che vita, che anzi
come morranno si può dire continuamente per non finir mai di morire:
numquam viventes, nunquam mortui, sed sine fine morientes. Montarg.
p. 266.n; oh che vita, oh che morte sarà quella, e non già d’un giorno, di
un anno, di un secolo, ma eterna interminabile.
Ma non basta ancora quello che abbiamo detto dell’eternità. Siccome
l’inferno il dannato soffre più alla vista dèi beni, che ha perduto, che per
il dolore de mali che lo tormentano, cosi non solo soffre, e soffre grande­
mente al pensiero che mai più avranno fine i suoi mali, ma il suo dolore
salirà al sommo quando pensi che quei gran beni che ha perduti, mai più
li avrà.
Allorché TAppostolo Paolo stava per abbandonare le genti di Mileto
una gran folla di popolo lo accompagnò fino alla nave, e sul punto di licen­
ziarsi dice il Sacro Testo, che si levò da tutti un gran pianto: magnus autem
fletus factus esiti om nium , a gara lo volevano baciare: et procumbentes
super collum Pauli, osculabantur eum : oh con che occhio avran guardato
quella nave a partire, con quante lacrime, con quanti sospiri l’avranno
seguitata, e perché? ecco la ragione che da il Sacro Testo: dolentes maxime
in verbo

quod dixerat. quoniam amplius faciem ejus non essent visuri12. (2430) 6

Anche tra noi quando due persone si lasciano con quel pensiero che si (2429)
vedranno mai più è raro quel cuore che possa reggere, non dia in pianto,
e quanto tempo e fatica ci vuole per sedar si fatto dolore. Ditem i che sarà
del dannato X

la perdita di D io congiunta al pensiero, anzi alla certezza che mai più lo (2430) 6
vedrà13;

11 S. A g o s t i n o , De civitate Dei, XIII, 11, 59, PL 41.


12A t 20,37. Il testo continua con le seguenti righe barrate: che se la perdita di Paolo, ed
il pensiero che non l’avrebbero più veduto parve sì grave a que’ Cristiani di Milèto, che
ne piangevano inconsolabili, che sarà al dannato : ■
Questo testo è sostituito con un altro nella pagina a fronte, a cui rimanda una'nota.
13 Qui il testo presenta le seguenti righe barrate:. Egli è già deciso, dirà sempre loro ài
cuore al Signore quella tremenda minaccia già registrata nelle Sacre Carte, egli è deciso
che io non sarò più il vostro Dio, e voi non sarete più del popolo mio; io acconsento di

421
Esercìzi S p iritu a li a l Clero ~ M e d ita zio n i

(2429) Oh paradiso mai più sarai per me: penserà al suo Dio; penserà a Maria,
penserà a compagni, parenti conoscenti, amici, e parenti. Ma che vale pen­
sarvi; se una voce gli dice, gli ripete; mai più: mentre vi pensa, li ricorda,
li desidera, una voce gli dice: li vedrai mai più:

(2430) 6 Oh! Inferno, oh! Lacrime, oh eternità! O adesso un ora, un momento di


quella vita, che consumai sì malamente! oh! noi infelici passò la stagione,
fini il tempo opportuno, e noi non pensammo a salvarci, transit messis.
finita est aestas, et nos salvati non sumus Ier. 5 14. Oh! si daretur ora: ecco,
Signori miei, la domanda che fanno d’accordo i dannati daU’Inferno: non
chiamano anni, o mesi, si riducono ad un ora, e si contenterebbero ancor
di meno, eppur questo poco mai più l’avranno; è finita, è disperata, non
v’è piii rimedio per loro1’'.

(2429) O fratelli, che spaventoso riflesso egli è questo. L’Eclesiástico sulla terra
predica tuttodì al popolo sul pulpito, a l 1

il tempo vola, e chi vuol salvarsi non


di salute se ne vanno, la voce di altro Eclesiástico mio pari-e giorntr e notte
grida più ~di me da~quel profondo all’altro m ondo che il tempo è passato,
finita la stagione, e guai per chi noirs’è salvato chi $ è perduto. N oi fratelli
stiamo tra queste due voci che gridano l’una nel tempo, l’altra neU’eternità,

non vedervi mai più, ma voi nemmeno mai più vedrete la faccia mia: non videbitis faciem
meam. Ma~. un dannato che da quelle fiamme alzi gli occhi, e sarà forzato a farlo, al vedet
il paradiso, al pensar al suo Dio, al ,ricordarsi di tanti giusti, che saranno in Cielo, ahi
che strazio quando pensi che mai più vi arriverà, mai più verrò a vedere il mio Dios mai
più avrò la sorte di contemplare Maria, mai più potrò veder la faccia di tanti conoscenti,
di tanti parenti, di tanti compagni miei, passeranno anni e secoli ed io sarò aiTlnferno,
passeranno altri ed io sempre lontano, passeranno secoli infiniti ma per me sarà lo stesso,
mai più una parola, mai più un sorriso, mai più un occhiata sola che mi consoli.
Tale testo barrato è sostituito da un altro posto nella pagina a fronte,
14 Ger 8,20.
15 Qui l’originale riporta il seguente brano cancellato: Lasciamoli pur là a piangere e
dimandarsi, non stiamo ad intenerirci e mostrar compassione, che per loro è finita, ed è
disperata: chiudiamo pure quelle porte, e pensiamo a noi, pensiamo a chi non è ancor
caduto, ma sta in pericolo di cadere. Quell’eternità che piange il dannato, e pesa tanto sul
suo capo, sta anche preparata a noi; .
. Con una nota si rimanda alla pagina a fronte dove e collocato il testo sostitutivo.

422
Giorno Quarto Quinto - M editazione Terza Seconda - Sopra l ’eternità

l’una di salute, l’altra di disperazione; Funa m i dice, m’incalza, e quasi mi


sforza a salvarmi, l’altra .m'avvisa, m i minaccia: guai se non mi salvo. E
perché ognuno abbi il comodo ed il mezzo di pensarvi, e pensarvi soventi,
pensarvi seriamente, ciascuno ritenga per sé cotesti pensieri. N oi stiamo tra
questo ci troviamo nel corso del tempo, che corre velocemente al fine, c tra

piamo se Fora, in cui il tempo per ciascun di noi andrà a versarsi in quel­
l’abisso sia lontano, o vicino, ma sappiam solo che questo tempo ha mai
né posa, né requie, ma come un torrente furioso corre incessantemente per
arrivarvi al fine, sappiamo che un instante solo basterà per far cotesto pas­
saggio, sappiamo che non precederà avviso alcuno, e che ogni momento
senza quasi che noi c’accorgiamo, possiamo essere slanciati di là16,

e quando sentirete la notizia di mia morte, dite pur subito: per quel (2433)
Sacerdote è finita, la sua sorte è fissata, e mai più si cangierà.

Che faremo frattanto noi, o fratelli, in cotesta aspettazione; che faremo: (2429)
chi vuol farla da saggio, una è la via di metterci al sicuro di questo gran
colpo, ed è di andar noi volontariamente a trovar cotesta eternità, ad abi­
tarla col nostro pensiero, prima che il tempo ci porti.

Guai, dice Agostino, a chi entra in questa porrà il piede in quella grande (2430) 6
eternità senza averla prima conosciuta: vae iis qui incognitam ingrediun-
tur aeternitatem17. E perché ognuno se ne ricordi, ciascuno abbia sempre
presente cotesti tre pensieri nella nostra mente: io sono uomo di eternità,
io sono padrone della mia eternità, ed ogni- m om cnto sto per entrare in
questa grande vivo e sto sulle porte dell’eternità. Prima adunque io sono
uomo di eternità.

S. Agostino chiama i christiani principianti, ossia candidati per l’eter­ (2432) 7


nità: Tvrones aeternitatis christiani. aeternitatis candidati18. Tertulliano

16 Una annotazione del Cafasso a questo punto rimanda alla suapag 8 à fronte, nota 3.
17 II brano continua, con le seguenti parole cancellate: e come fame quel conto che merita,
e cóme impegnarci a proccurarcela felice se mai vi pensiamo, e per tenerla fìssa e viva
[parola illeggibile] e perché abbia d’or in avanti a star fissa nella nostra mente, ecco i riflessi
che io propongo a tutti, e che ciascuno di noi a me pel primo, a voi ed a ciascuno di voi
dovrà ruminare tra sé. i
la S. A g o s t i n o , De civitate Dei, VII, 1, PL 41.

423
E sercizi S p iritu a li a l Clero - M e d ita zio n i

appellava il cristiano un uomo fatto non per questo, ma per il secolo


futuro: christianus est homo non huius, sed futuri saeculi: è vero adunque
che un giorno io non vi era, è vero che ho cominciato ad essere, ma adesso
che vi sono non finirò più; questo mio corpo istesso, che pur è polvere, ciò
nonostante dovrà esser messo a parte della mia eternità per essermi eterno
compagno nel premio, o nella pena. Tutto quello che mi attornia, e che
cade sotto i miei sensi, tutto finirà, o almeno cangierà nella sua forma da
non potersi più conoscere, ma Iddio, ma io saremo sempre li stessi, ed i
miei anni non finiranno come non finiranno quelli d i D io 19.

(2431) N on vi ha pensiero si grande, sì fecondo e che a noi possa riuscire sì


salutare come il pensiero della nostra propria eternità. Questo pensiero ci
nobilita ne’ nostri sentimenti ci soddisfa nelle nostre brame, ci consola in
tutte le nostre pene, e sopratutto ci nobilita e ci fa grandi ne1 sentimenti.

€ i- nobilita. Egli è certo che la miseria dell’uomo bene spesso proviene


dal non conoscere se stesso, o dal conoscersi male. Se noi dimandiamo a
qualcuno: chi siete voi? l’uno dirà: io sono nobile e qualificato nei mondo:
l’altro: io sono Magistrato assiso nel Tribunale; un altro io sono Re elevato
al Trono. Cose grandi sono queste ma niente di più? sappiate adunque che
in voi vi è qualche cosa immensamente più grande: voi siete immortale
ed eterno: questo tra Ì vostri nomi è il più bello, tra i vostri titoli il più
pregiato. Voi siete immortale, e sotto questo punto di vista l’anima vostra
vai più che tutti i beni del mondo, la vostra dignità è maggiore di quella di
tutti i Re della terra. Con questi sublimi e nobili sentimenti l’uom o comin-

19 Con una nota il Cafasso sostituisce un testo cancellato che trascriviamo qui con un altro
scritto nella pagina a fronte: Se io adunque sono eterno, e sono per non finire più, e d ’ai-
tronde le cose di questo mondo tutte camminano, verso il suo fine, ne viene per necessità
che questo mondo non può formar la mia stanza, non può essere il mio soggiorno, mi
sarà tutto al più come una tenda provvisoria, un luogo di passaggio, una casa imprestata,
che mi si dà alla sera perché la lasci all’indomani; eh! sì perché io sono un uomo eterno,
destinato per l’eternità, e la mia casa non può esser altra che quella che abbia le sue fon­
damenta in questa gran eternità; epperciò l’Appostolo S. Pietro ci-'prega, ci scongiura a
vivere, a pensare, ad agire come forestieri, ed a non permettere che il nostro cuore formi
de’ progetti, e concepisca dei desideri per questo mondo, mentre non siamo per star quà:
obsecro vos tanquam advenas. et peregrinos abstitnere vos a carnalibus desideriis: 1 Petr.
2 [2,11] e come viandanti soffriamo, e sopportiamo con pazienza disastri, gli incomodi di
questo viaggio, e se oggi siamo male allogiati, non andrà molto che troveremo un allogio
migliore; e quando sarà? Ecco il secondo riflesso.

424
Giorno -Quarto Quinto * M editazione ^¡brza Seconda ^ Sopra l ’eternità

eia a conoscere, e rispettare, se stesso; immortale come egli è, prende le mire


là al Cielo ove sa di aver a vivere eternamente, e si vergogna di attaccarsi
alla terra, simile ad un gran Monarca che recasi a rossore Tessere sorpreso
in certe occupazioni vili e basse, perciò indegne della propria dignità. Sic­
come un gran Re, un grande la pensa da grande, e non fa che progetti
grandiosi, così un uom o immortale non deve compire che disegni ed idee
degne di se.

Io sono eterno, questo m ondo non Tè dunque io ed il m ondo non siam


pari, anzi tra me ed il mondo non v’è proporzione come non vi è tra il
tempo e l’eternità. I piaceri di questo m ondo finiscono, gli onori passano,
le cose tutte che mi attorniano vanno al fine, io al contrario vivo per viver
per sempre, finirò giammai, non vi sarà più fine per me; dunque io debbo
avere altre mire, altri desideri, altro scopo che quelli di questo mondo, e
volermi attaccare, limitare, restringere il mio cuore a questa terra è volermi
dar un fine da me stesso, è attentare di rendermi mortale quando non
lo sono, sono eterno, o che voglia, o che non voglia dovrò vivere eterna­
mente; epperciò TAppostolo S. Pietro etc.

N on stiamo a far conto di anni, ed anni, ogni giorno, anzi ogni (2432) 7
momento io sto sulle porte di questa gran eternità; così diceva un Santo
Vescovo: om ni m omento ad ostium aeternitatis sto: ogni giorno, diceva
il S. Giobbe, sto aspettando Torà della mia chiamata, e del m io eterno
destino: cunctis diebus, quibus nunc milito, expecto donec veniat immil­
lano mea xr. Giob. 14 .

Risposta d’un Sacerdote etc. Expecto donec veniat etc. N . 1. pag.ll. (2431)

sanno che fare21.

20 Gb 14,14. A questo punto una nota rimanda alla pagina a fronte.


21 II testo continua con il seguente brano cancellato: Quanti compagni nostri sono già
entrati in questa gran eternità, e quanti entrano giornalmente, non andrà gran tempo che
suonerà anche per noi Fora della nostra chiamata, e suonerà senza altro avviso, suonerà
senza più ammetter ritardo; da quel tribunale

in cui io mi metto a giudicare io posso partire per l’eternità, a quell’Altare, a cui sacri-, (2434) 8
fico posso esser chiamato, da quella camera, da quel letto, da quel tavolino di studio forse
mi toccherà di dare l’ultimo addio a tutto questo mondo: addio dovrò dire in quel punto,
addio amici, addio roba, addio impiego, addio scienza, addio riputazione, addio casa, io

425
Esercizi Spirituali al Clero " Meditazioni

(2439) Oh! che gran pensiero egli è questo. Io m i alzo al mattino, mi metto al
lavoro, allo stùdio, alla preghiera, al ministero. Passo la mia giornata or in
questa, or in quell’altra facenda, sono costretto a prender vitto, riposo, e
sollievo, ma tutto questo io lo fo sempre sull’orlo dell’eternità, e in ogni
m omento che io sto per dar mano ad un azione qualunque della mia gior­
nata, può suonare, può battere quell’ora misteriosa, quell’ora formidabile,
quell’ora unica della mia vita, che troncherà in un atomo per m e il tempo
per cangiarlo nell5eternità. Ah! se potessi far giungere questa parola, e far
che risuonasse quest’ora estrema alle orecchie di non pòchi Sacerdoti, che
vi sono nel mondo, indolenti, oziosi, mondani, dati più alle cose di terra,
che di chiesa, e di gloria di Dio. Oh caro, le direi da amico, e da compagno
più che da predicatore, tu sei Sacerdote, lo sai, e ne conosci tu ttà l’altezza,
ed il fine, e perché non lavori, non t’adoperi in qualche m odo per te, per
gli altri; già mi rispondi, che non tocca a te, non hai impiego, ed obbligo
alcuno, non ti senti, non vi sei accostumato, non ti piace, e ti pesa, oh!

me ne vado parto c dove Lo vado, voi non potete venire, io parto per la mia eternità; è
quando sentirete la notizia di mia morte, dite pur subito: per quel sacerdote è finita, la
sua sorte è fissata e mai più si cangerà. Da questo punto resterà rotta tra noi, e sarà come
mai ci fossimo conosciuti, per voi non sono mai stato al mondo, e nemmeno lo sarò per
tutta quanta Feternità: e questo addio come diceva, devo tenermi pronto a darlo ogni
momento, ed in ogni luogo, in casa, in Chiesa, in Confessionale, ali’altare, vegliando,
dormendo, pregando, e lavorando, in ogni momento insomma, perché, in ogni momento
sto sulle porte deireternità..
A questo punto una nota rimanda alla pagina a fronte, dove esiste un testo non barrato.
Probabilmente però esso è da considerare come se lo fosse:

(2433) Dirò perfino se qualcuno vuol peccare, pecchi, ma pensi che pecca, che manca sul­
l’orlo, sulle porte deireternità: sonopochi giórni, che si conduc moriva vittima del suo
misfatto un giovane disgraziato, e mentre si conduceva al patibolo, sul carro di morte
alzava quanto poteva la voce per dire: fratelli, che mi vedete, sappiate che io sono sul­
l'orlo dell’eternità, a momenti io entro in questa grande eternità. Fortunato me se l’avessi
mai dimenticata. La lezione quando sia utile si può prendere da qualunque, fratelli miei,
anche noi siamo già condannati a morire, e vivendo si può dire che camminiamo come
sopra un carro di morte, ed ogni momento possiamo esser chiamati a far questo gran
passo, a vedere, a conoscere, a provare questa grande interminabile eternità.

(2434) 8 E quale eternità? Quella che io voglio,, perché io sono padrone di scegliere la mia
eternità.
A questo punto, stando all’indicazione del Cafasso, già citata nel testo, che rimanda, alla
stm pagina 11, si deve inserire un lungo tèsto che incomincia alla pagina I l a fronte (2439).

426
Giorno Quarto Q uinto * M editazione Sferza Seconda ~ Sopra l ’eternità

fratei mio, mi fa compassione quella tua giornata, che trascini con tanta
noja, e fastidio, e giacché non hai alle mani occupazione di sorta, io ti
dirò un pensiero da occuparti almeno la mente, ed è che ti ricordi che in
ogni momento tu stai aspettando un ora fatale, che suoni per te, quell’ora
voglio dire che di slancio ti porterà aU’eternità, e questo ogni momento,
da mattino a sera, da sera al mattino: cunctis diebus, neppur uno eccet­
tuato, expectas do nec veniat Immutatio tua. Tu non ti sentì, almeno non
sai determinarti a por fine una volta a quella vita di mezzo, di mondo, e di
Chiesa, a troncare finalmente que3 affari secolaresti, di partite, di giuochi,
di passatempi, ripeti che tu non ti senti di vivere ritirato alieno da quelle
relazioni, e famigliarità, ebbene verrà

l’eternità a far le veci tue, e d’un colpo troncherà ogni cosa, e quello (2440)22
che non sai far tu, lo farà co testa sterminatrice del tempo; tu pare che non
sii ancora deciso di finirla una volta colla colpa, fa orrore al pensare, al
rimirare un Sacerdote che aU’esterno veste le divise, le insegne di questo
Signore, ed all’interno nasconde, e fa lega col peccato, il capitale suo
nemico, fa spavento ripeto il riflettere a si nefanda enormità, ma se vuoi
ancor peccare, rammentati almeno che in quell’istante medesimo tu stai
sull’ultimo gradino del tempo, e già tocchi l’eternità, prima di consumar
la colpa può essere che dal tempo già sii passato all’eternità; così avvenne
a più d’uno, e non altrimenti può accadere di te. Tant’è o cari, sia dal pul­
pito, come dal confessionàlej sia in casa,- come fuori, tanto nello studio,
come nel ministero, tanto dormendo, com e vegliando noi possiamo esser
chiamati può chiudersi il tempo, e principiar per me l’eternità.

Ed a questo proposito io darei per consiglio di mai far cosa, o recarsi in


qualche sito, in cui non vorrei che mi cogliesse l’eternità.
Un Eclesiástico frequentava uria certa casa, ed un certo divertimento,
il quale se non era decisamente cattivo, nemmen poteva dirsi totalmente
conveniente ad un Sacerdote. Vi fu chi lo rese avvisato, ma rispose come
siam soliti a rispondere noi preti: che male c’è. E continuò ad andarvi. Ma
l’eternità vénnea compire ciò: che egli non volle fare nel tempo: sullo stesso
divertimento, benché fosse robusto e sano, svenne battè per lui l’ultima
ora, e partì per l’eternità; io non voglio già dire che siasi perduto, ma voi
converrete con me che non era il momento migliore d’andarvi. E poi se noi

22Anche se nel testo non appare scritto, questa è là pagina 11 ed è l ’ultima.

427
Esercizi Spirituali al Clero ~ Meditazioni

ci facciamo a riandare i nostri giorni passati, e molto più le storie de’ giorni
trascorsi, noi troveremo una prova di fatto, di quanto andiam meditando,
che ogni momento siamo sull’orlo dell’eternità. E quale ci toccherà; pag.
8' - ' .

(2434) 8 Io non sono stato padrone della mia creazione, non sono padrone delle
m ie vicende in questa vita, non sono padrone della mia sanità, non sono
padrone della mia morte, ma poco importa; ho la maggior padronanza del
m ondo, che è quella della mia eternità, Iddio mi ha fatto padrone di sce­
gliere il posto che più mi piace, e la mia scelta formerà la mia eternità, è
questo un affare che ha posto nelle mie mani, e vuole che io stesso lo tratti
e da me dipenda la riuscita24.

(2433) Guardate che bontà, che bel tratto del Signore verso di noi, non solo
mi ha creato per il Gielo, ma di più mi ha fatto padrone di scegliere
quel luogo, che più m’avrebbe piaciuto. Che direste d’un Sovrano, che
facesse sentire ad un suddito, che ha piacere d’averlo con se, d’alloggiarlo
in palazzo, non basta, ma che lo fa padrone di scegliersi l’appartamento che
vuole, anche il primo, il più magnifico, e superbo. Che degnazione! che
finezza! Eccovi, fratelli miei, la condotta del Signore con noi; non solo ci
fa sentire che ci vuol vicini a palazzo con lui, ma vuole, e pretende che noi
scegliamo il luogo ad arbitrio nostro: dunque se io voglio il primo posto è
per me, se la desidero la più bella corona può esser mia.. Oh! fratelli, che
verità consolante! E chi non si sentirebbe impegnato per un’offerta cosi
generosa in D io, così nobile, e così vantaggiosa per noi?

(2434) 8 Ma dunque è necessario che io sappia la natura di questo affare, se ho a


trattarlo fa d’uopo che misuri, e che ne ponderi le conseguenze, se debbo
impegnarmi; qui non si tratta già di roba, d’impieghi, d’aquisti, di fondi,
di case, si tratta di preparare il mio soggiorno non già per anni, e secoli,
ma il mio soggiorno eterno; si tratta di scegliere tra un luogo di delizie ed
un altro di tormenti, ma ambidue eterni; si tratta di una seielta che fatta,
sarà immutabile, si tratta insomma di eternità; negotium, prò quo conten-
dimus aeternitaris est. Ma è questa eternità, Signori miei, che vorrei che in

23 II testo a questo punto si ricollega con la pagina, (2434) 8, con le ultime parole di un
brano cancellato.
24 Con una nota.il testo rimanda alla pagina a fronte.

428
Giorno Quarto Quinto - M editazione Terza Seconda " Sopra l ’eternità

questi giorni ci stampassimo bene in mente, prima per noi, poi per poter
a tempo e luogo farla capire a tanti infelici che vi corrono incontro senza
darle un pensiero; egli è questo un affare di tale, e . tanta importanza sì
grande che nessun altra cosa gli può star al confronto, e di tale, e tanta
importanza che si farà mai

di troppo per poterlo assicurare: nulla nimia securitas ubi periclitatur (2436)9
aeternitas. Tutte le altre cose sono transitorie, e può mai esser gran cosa ciò
che è di breve durata: nihil magnum re quod parum tempore, anzi sono
così piccole che S. Agostino le chiama un niente, quod aeternum non est,
nihil est; sono un niente, e roba, e onori, e piaceri, e quanto mai altro ha
il mondo: nihil. nihil esu solamente quello che è eterno si può dire che è
tutto: quod aeternum est totum est: e non sarebbe una follia imperdona­
bile esporsi a pericolo per cose così piccole, e da niente una eternità? N oi
tutti sappiamo la generosa risposta data da Tommaso Moro alla propria
moglie in quel punto che lo incitava ad arrendersi ai desideri del Ré: Vis
ut viginti annos cum aeternitate com m utem ? Gli costava pure la rovina
della sua famiglia, la perdita della vita, un supplizio da infame; ma niente
valse ad abbattere quelFanima forte, sacrificò l’amor dei figli, della moglie,
della sua carica, del suo sangue, e l’eternità fù quella che riportò la corona.
Felice lui, e felici tutti quelli che sapranno imitare il suo esempio; ed a chi
toccherà per il primo ad imitarlo se non a noi Sacerdoti a noi, che tocca
impegnar disingannare gli altri, ed impegnarli in sì importante affare;
epperò cominciamo noi a farci nostra una simile risposta per saperla dare
a noi stessi, ed a tuttociò che ci vorrà strappar di mano tra questa beata
eternità: vis ut viginti annos cum aeternitate com m utem : possibile che sia
così stolto da cambiar in un pugno di terra, in un po di fumo, in un piacere
d’un momento una eternità. Possibile che vi sia così poco senno tra gii
uomini, e quello che è di più in un Sacerdote25.

Una persona infangata da lunga pezza ne’ vizi in un giorno che la Mise- (2435)
ricordia del Signore lo voleva guadagnare, essendo costretta a tenere il letto

25 II testo continua con il seguente brano cancellato: O Signore lasciate che in questo
momento, e dietro questi riflessi io vi faccia conoscere i miei desideri, e vi avanzi ima
domanda; io non vi domando beni di terra, io non vi domando lunghi anni su questa
terra; nò; ma posto che voi mi avete fatto eterno, io vi domando una felice eternità, io
vi dimando di passare ai vostri fianchi, ed in compagnia vostra quei secoli eterni, che mi
avete destinato; o quanto sarei felice, mio Dio se la mia eternità la dovessi passare per

429
■Esercizi Spirituali al Clero - .Meditazioni

per qualche incomodo di salute, ne’ potendo secondo il solito trovarsi cogli
amici* ove tra partite, giuochi e risate passava tutto il suo tempo, quel
giorno che gli. pareva interminabile, gli suscitò cotesto pensiero in mente:
si dice che all’altro m ondo vi sia un Inferno, un eternità, può essere che
non sia vero, ma può anche essere che lo sia, discorreva tra se; e se lo fosse,
e se questa eternità veramente esistesse, che sarà di me; se qualche ora d’in­
comodi, qualche, giorno di privazione mi pare già un tormento insoppor­
tabile, che sarà se mai avrà luogo quell’eternità che si minaccia. Cotesto
riflesso lo concentrò, lo feri talmente, che depose ogni dubio, risolse dav­
vero, mandò a chiamare un Confessore, aggiustò il passato, cominciò una
vita totalmente nuova, e tenne fermo a costo de’ sacrifizi più grandi, e
de’ più fieri assalti, ed a chi tra compagni la burlava del suo repentino
cangiamento, con tranquillità, e franchezza rispondeva: a chi crede, ed a
chi ragiona non può parere strana la mia condotta, ed io che ringrazio il
Signore d’aver presentemente e l’uno e l’altro, non posso far diversamente,
e non erano sole parole, lo dimostrava coi fatti senza che né abiti, né occa­
sioni, né legami di sorta abbiano potuto farlo deviare. Se un secolare, una
persona di m ondo sapeva argomentare in quel modo, che dovrebbe dire, e
che dovrebbe fare un Eclesiástico: credetelo, frateür miei il mondo manca
più di ragione, che di fede; crede, ma è pazzo, perché non riflette, e non
ragiona, ed a torme sono cotesti stolti del mondo, da non poterne nem ­
meno calcolare il numero: stultorum infinitus est numerus26, e che sarebbe
se l’Eclesiastico, che è posto sulla terra a richiamar questi pazzi, a cavare,
a guarire coteste pazzie, divenisse anch’egli un pazzo, anzi più pazzo degli
altri, perché più reo. Ah! fratelli cari, il mondo non ha bisogno di chi

eternamente amarvi, e per eternamente ringraziarvi; che se merito castighi, castigatemi in


questo mondo, qui sfogate su di me la vostra collera,, ma che possa vedere, e godere la
vostra faccia in quella bella eternità: hic are, hic seca, hic non parcas. dummodo in aeter-
num parcas. E noi, Signori miei, finché giunga quel giorno felice ricordiamoci sempre che
siamo fatti per i’eternità, teniamoci pronti a partire ogni momento per questa eternità,
ma soprattutto pensiamo,

(2438) 10 e lavoriamo senza posa, e senza requie per meritarci una santa, ed una beata eternità.
Die 26 9bris 1843.
Laus Deo, B.V.M. et S. Alph.
A l posto di questo brano la. stessa nota rimanda ad un altro scritto nella, pagina a fronte,
che inseriamo nel testo.
26 Qo 1,15.

430
Giorno Quarto Q uinto - M editazione Terza Seconda ^ Sopra l ’eternità

aneli, e cerchi il temporale, la roba, il plauso, il bel tempo, è già coperto di


gente, che se la cavano di mano l’un l’altro; il bisogno estremo che sente
è di gente, è di personaggi che lo sveglino, lo stacchino da ciò che passa,
e lo invoglino dell3eterno: tocca a noi fratelli miei a fare vedere che siamo
uomini, che studiamo l’eterno, che travagliamo non pel tempo, ma per
l’eternità; sta a noi far conoscere che come uomini riservati a secoli eterni
non ci perdiamo nelle inezie di questo mondo questa misera vita. Ah! felice
il m ondo se ogni Eclesiástico fosse un fanale che segnasse agli altri il cam­
mino verso all’eternità presentasse in sé uno specchio di eternitàs se dalla
nostra maniera di pensare, di agire ognuno potesse leggere in noi che è
eterno27.

Come va che quell1Eclesiástico è alieno dalle conversazioni, dalle com- (2438) io


pagnic, dalle partite come sta che perché quel Sacerdote si cura si pòco
delle novità, delle notizie e delle vicende della giornata. E perché quella
vita sempre cosi ritirata, difficile che voi lo troviate fuori casa, e fuori
chiesa, occupato d’altro che del suo Ministero: e pare che non sia un uomo
di questo mondo: avete proprio indovinato; non è un uomo di questo
mondo, è un uomo d’eternità, uñ uomo cioè che sa d’essere eterno, epper-
ciò pensa, e lavora per la sua eternità.

O gni arte, ogni professione ha i suoi maestri, e chi la insegna non ha (2435)
rossore, anzi senza nemmen volerlo

Io fa conoscere da suoi fatti, da’ suoi discorsi. La Massima tra le profes- (2437)
sioni ed arti ed arte di tutti, è quella di provvedere all’eternità. I Maestri di
questa grand’arte, ed affare siamo noi Eclesiastici, e tocca a noi co’ nostri
discorsi, e molto più colla nostra condotta a far conoscere che siam gente,
che sappiamo, che studiamo, e travagliamo per che insegniamo l’eternità.
Ma per riuscire in questa gran scuola è necessario che questa eternità sia
ben nostra, ed in fondo al nostro cuore, è necessario che 1’eclesiástico
sappia, conosca, ne sia persuaso, ed abbi sempre presente che cosa sia
questa eternità, che cosa importi, che cosa voglia: è necessario che col pen­
siero, e colla fede ventri sovente a dentro, la studii, la mediti, ed eterno per
natura, e per fede, si faccia anche eterno per pratica: proccuri d’esser eterno
ne’ suoi fini, ne’ suoi progetti, eterno nelle tendenze, e ne’ suoi affetti,

27 Con una nota il Cafasso rimanda alla pagina seguente.

431
Esercizi Spirituali al Clero " Meditazioni

eterno principalmente nelle opere sue: il mondo ci loda, ci onora, ci esalta,


noi non facciam caso, perché cerchiamo l’eterno, il mondo ci perseguita,
ci minaccia, ci opprime* noi poco importa, perché temiamo solo l’eterno:
il mondo si perde dietro il bel tempo, va in cerca di comodi, di roba, di
piaceri, li curi chi vuole, non sappiamo che farne, noi aspettiamo l’eterno:
le vicende, e le sorti di questa vita vorranno che io abbia un impiego,
accetti una carica, possegga qualche cosa, parli anche di terra, ma cederò
alla necessità di queste miserie, mi sforzerò anche a trattare queste pazzie,
ma io però terrò le mie mire, e le mie speranze rivolte all’eterno. Beato
quel Sacerdote che in terra, e nel tempo sa già vivere di eternità. Beati noi
se quando ci troveremo faccia a faccia con questa grande eternità, già ci
conosceremo, e la potremo salutare come compagna, ed amica. Ah! cara
eternità, ;
tu che formi l’oggetto delle mie speranze, tu il
conforto de’ miei travagli, io ti saluto, t’abbraccio. Che viva adunque, che
muoja sarà sempre questo il mio pensiero, sarà questa la mia consolazione
d’essere uomo di eternità. Fratelli miei, io termino finisco con lasciare a
me, ed a voi a meditar tm cotesto oggetto che medit terminerà non più.
Chi sa quanti Eclesiastici a quest’ora mediteranno l’eternità, chi in Cielo,
e chi all’inferno: gli uni la godono, altri la piangono, e sì gli uni che gli
altri la godranno, e la piangeranno eternamente: noi ne siamo sulle porte,
e siamo ancor padroni di scegliere tra l’una o l’altra: ognuno adunque vi
pensi rifletta, la studii, e poi non tardi, e scielga; ma pensi che sono secoli
eterni, pensi che fallita la scielta, finirà né si ripete, né si ripara mai più:
semel periisse, aeternum est.

432
Giorno Sesto Q uinto (2441)

Meditazióne 'Prima
Sopra la Misericordia di Dio
Decimasesta degli Esercizi

Sesto giorno1 (2442)

Misericordioso Iddio, mi prostro io credo alla vostra divina presenza e prò-

imprendo a considerare il più grande, ed il più dolce de’ vostri attributi,


qual è la vostra Misericordia divina Bontà:

ho fatte mio Dio voi m’avete creata perché possa tt


infinitamente ringraziarvi, e quello che più il : ora ne
possa approfittare.
Vergine Maria madre rli-ynme di bontà e di misericordia ;

: voi assistetemi perché possa


capire le finezze e le tenerezze del vostro caro Gesù.
Ah mio Dio fatemi conoscere quest’oggi quali e quante sieno state le
misericordie, che voi sin ora avete usate con me, fatemi capire quanto
buono, e quanto tenero sia quel cuore che purtroppo ho offeso, ma che in
questi giorni ho risolto fermamente di offendere mai più. Vergine Maria
cara madre di bontà, e di misericordia voi assistetemi, voi pregate per me
sicché arrivi a comprendere le finezze, le tenerezze del vostro caro Gesù.

* (fald. 48 ! fase. 20$; nell’originale 2441-2460)


1 11 testo della preghiera che segue è quanto mai.pieno dì cancellature, correzioni e di sosti­
tuzioni di parole e di frasi; diventa abbastanza difficile ripercorrere esattamente il succedersi
delle espressioni cancellate e sostituite. Noi diamo la ricostruzione del testo che ci sembra più
ragionevole.

433
Esercìzi Spirituali al Clero ^ Meditazioni

(2444) 1 Un mio compagno, un mio simile grida dall’inferno che è dannato, e


dannato per sempre; piange, e maledice quel peccato, per cui si è dannato,
piange, e maledice quel giorno, in cui l’ha commesso, piange, e maledice
tutto ciò che l’ha indotto a commettere: pianti inutili, come già abbiamo
veduto, maledizioni disperate, e vane; ma mentre così mi parla un mio
pari dall’inferno, un altra voce non meno dolorosa mi parla al cuore, e mi
dice che anche io un giorno ho peccato; che anche io sono giunto a tanto
eccesso, che anche io ho meritato l’inferno, che anche io dovrei essere tra
quelle fiamme2. Eh! sì una sorte così funesta sarebbe già toccata a me, e
sarebbe anche forse già toccata a voi, se quel Dio istesso che sul capo de’
dannati fa trionfare la sua giustizia, non avesse verso di noi allargato la sua
misericordia, da quel punto che fui peccatore, in quel momento che peccai
non era più per me il Cielo, questa terra non voleva più soffrirmi soltanto
all’inferno si allogiavano i pari miei; che se per me vi fù riguardo, che se
per me fù sospesa la divina giustizia, che se perirne questa terra continuò a
soffrirmi sopportarmi, ella è tutta quella divina misericordia, che mi salvò.
Diciamolo pur soventi in questo giorno, e diciamolo d’accordo quelle belle
colle parole di Geremia: misericordia Domini quia non sumus consumpti3
grazie, e grazie infinite a quel gran padre di misericordia se oggi ancor vivo,
se non sono ancor all’inferno, se posso ancora salvarmi4.

2 E brano prosegue con il seguente testo cancellato: Sarà dunque vero, mio Dio, che un
giorno mi debba separare da voi, che un giorno vi debba perdere per mai più riacqui­
starvi? O h che Inferno doloroso sarebbe questo per me, per un vostro Ministro qualunque
perdere quel Gesù, quel Dio che mi elevò in tanta altezza, mi doveva essere si caro, e
perduto per vederlo mai più; eppure.
3 Lam 3,22.
4 II brano prosegue con il seguente testo cancellato: Questa misericordia appunto io scelgo
quest’oggi per soggetto della nostra meditazione. Fin ora abbiamo considerato un Dio
Creatore, un Dio Legislatore, un Dio Giudice, un Dio punitore, questa.mattina invece
considereremo un Dio padre, ma un padre cosi raro, e singolare, che non solo non ha pali
né in Cielo, né in terra, ma nemmeno sarà possibile idearcene altro migliore, più buono
tenero, più paziente, più affezionato, e quello che è più verso chi meno il meriterebbe che
è il peccatore; ed eccovi le tre qualità che formano il carattere di questo buon padre, un
padre cioè che vuole perdonare, non solo vuole

(2446) 2 si esibisce, e ci invita, e ci cerca per darci il perdono; ma non basta ancora; ma un
padre che non solo vuole, desidera, e ci invita per perdonarci, ma di più si compiace,
giubila, è gode neU’accordarci il perdono; e mentre questi riflessi ci daranno un idea di
quanto sia ricco un Dio in misericordia ci saranno insieme di un potente motivo per
eccitare in noi quei sentimenti che siano degni d’un si buon padre.
Queste righe sono sostituite da un testo scritto nella pagina a.fronte.

434
Giorno Sesto Quinto ~ M editazione Prima * Sopra la Misericordia d i Dio

Scegliamo questa mattina un sì dolce, e consolante argomento a sog­ (2443)


getto della nostra meditazione; Io non cerco altri argomenti altra traccia
che quella che ci lasciò il nostro stesso divin Redentore nel Vangelo nella
parabola del figliuol prodigo: tutti la sappiamo onde non mi trattengo ad
esporla, solo consideriamone i tratti principali con gli qualche opportuno
riflesso, e saranno questi due tre. 1° quali sieno state le cause della prevari-
cazione trdella perdita del figliuol prodigo e quali le conseguenze; 2° quai
sieno stati i motivi, che l’abbiano condotto al pentimento, ed cond ed alla
casa paterna:

Entriamo in questa meditazione con un cuor grande, ed aperto, e ripe­ (2446) 2


tiamo in questa giornata con S. Agostino: spero Domine, sed fac ut sperem
securius5, è già grande o Signore la mia speranza in voi, ma la vorrei più
grande ancora, e più ferma; giacché fratelli miei, se si tratta di amare ma,
non così della speranza; là si gode, si possiede, ma non si spera più. :
Giacché Signori miei :

da noi in certo modo il maggiore, o minore esercizio-di questo suo attri-

t; per non essere poi avari di un benefizio, che non ci


appartiene.

5 S. G i u s e p p e C a f a s s o , Florilegio di testi latini per mo omiletica personale, manoscritto


inedito, fascicolo 12 s.v. «Amor di pio».
6 II testo prosegue con alcune pagine barrate: Io non spendo tempo per dirvi che il
Signore ci voglia perdonare; è abbastanza chiara questa sua volontà nelle Sacre Carte:
nolo mortem impii, sed ut convertatur ét vivat [Ez 33,11] patienter agit... nolens aliquos
perire. 2. Pet. 3 [3,9] ep o i parla abbastanza quello che ha fatto, e fa per salvare i peccatori
per toccar direi con mano questa verità; piuttosto vorrei che facessimo qualche riflesso su
questo proposito: Iddio vuol perdonare, e questa sua volontà è talmente assoluta, illimi­
tata che vuol perdonare senza eccezione di persone, senza eccezione di peccati, e senza
eccezione di tempo; basterebbe certamente questo solo per far conoscere la misericordia
di un Dio; non ostante sia si grande la misericordia;malizia di un peccato, è sì forte l’odio
che gli porta, pure è pronto a perdonar a tutti, perdonar tutto, e perdonar ad ogni ora;
Esercizi Spirituali al Clero - Meditazioni

(2445) Dal m odo con cui quel buon padre ricevè il suo figlio quantunque così
indegno ed ingrato noi non possiamo dubitare che questo figlio avesse

perdonar a tutti: patienter agit. ci dice il citato Apostolo S. Pietro, propter vos nolens ali-
quos perire, sed omnes, non solamente questi, o tanti, ma omnes ad poenitentiam reverti,
e l’Autore inspirato, cosi prega: Tu, o Signore, hai compassione di tutti, perché sei onni-
potente: misereris omnium, quia omnia

(2448) 3 potes. [Sap 11,23]: ma sentiamolo dalla sua bocca istessa; io, dice il Signore per S.
Gioanni, io mai caccerò da me chiunque sinceramente faccia ritorno a me: eum, qui venit
ad me. non eiiciam foras. Ioan. 6.36, e se fosse, o Signore, un peccatore da lunghi anni:
non ejiciam foras. e se avesse già mancato tante volte di parola; non importa: non ejiciam
foras. e se fosse un Sacerdote che avesse contaminato il suo stato che ne sarebbe? non eii­
ciam foras: venite ad me omnes [M t 11,28], nessuno escluso, nessuno eccettuato; e venite
comunque sieno i vostri peccati; Siccome il Signore non guarda a persone, cosi nemmeno
guarda a’ peccati: si fuerint peccata vestra ut coccimim, quasi nix dealbabuntur: et si fue-
rint rubra quasi vermiculus, velut lana alba erunt Isai. cap, 5. [Is 1,18].
e poi che dubitare dice S. Giovanni Crisostomo, quando le stesse promesse di Un Dio
rendono la nostra speranza invincibile; ritorna a me, o peccatore, dice Dio pel profeta,
che io sono pronto a riceverti: revertere ad me, dicit Dominus, et ego suscipiam te. Ier.
3. [Ger 3,14]. Anzi non solo promise il Signore, ma anzi volle giurare appunto di più per
rendere irrnor più ferma la nostra speranza. N. 1

(2447) N. 1 confermare:col giuramento la suà promessa.

(2448) 3 Amen. Amen dico vobis.....quodcumque petieritis patrem in nomine meo hoc faciam
[Gv 14,13]: e qual cosa potremo noi domandare più confacente alla nostra salute, e più
a seconda del suo cuore, che il perdono de’ nostri peccati; e non solo di questo, o di

qualunque sia quello di cui chiediamo perdono: amen, amen dico vobis... hoc faciam. Q
noi fortunati, esclama Tertulliano, che possiamo vantare a nostro favore la parola giurata
di un Dio: o nos beatos. quorum causa Deus jurat: [Depoenitentia, IV, PL.l, c. 1234] eh!
saressimo ben miseri se ancor stentassimo a credere ad un Dio che parla, che promette,
che giura: o miserrimos. si nec Deo juranti credimus. Un solo conchiude Agostino vi ha
al mondo che possa diffidare' ed è colui che si sente di essere più cattivo di quello che
sia buono il Signore: Ilie diffidat, qui tantum peccare potest. quantum Deus bonus est:
e dove sarà questo uomo al mondo? Ma sarà poi sempre pronto il Signore a perdonare;
oh! lasciamo stare tutti i detti dei Santi padri, tutte le ragioni che si potrebbero cavare da
quello che abbiam detto; e se vi fosse un tempo, in cui il peccatore non potesse più trovar
misericordia, come potrebbero state quelle sentenze così assolute: qui- venit ad mie, non
ejiciam foras: reverterè ad me et ego suscipiam te [Gv 6,37; Ger 3,12]; ma lasciamo stare
come dico tutti questi motivi, preridiamo sempre per prova direttamente dalla bocca le
parole istesse di Dio:

(2450) 4 per bocca del suo profeta Ezechiele: impiétas impii non nocehit eì in quacumque die
conversus fuerit ab impietate sua: 33 [Ez 33,12], iti quacumque die sia alla prima, sia

436
Giorno Sesto Q uinto - M editazione Prim a " Sopra la Misericordia di Dio

un ragionevole motivo di essere malcontento della condotta di suo padre


verso di lui, che anzi si può chiaramente dedurre che certamente gli usava

alla terza, sia anche all’undecima ora. Ma se fosse già compito il numero de’ ,peccati, se
fosse già finito il numero delle grazie per lui destinate. Signori miei quando sia esaurito,
quando sia compito questo numero si compie anche il numero de’ giorni, ed in quel
punto il Signóre ci toglie dal móndo, dice S. Agostino, e cosi colia vita si perde anche
la speranza; ma. finché vi è vita vi è speranza, anzi vi è obligo preciso, ed assoluto di
conservar questa speranza, e questa speranza per parte di' Dio è sempre certa, cèrta fino
alPultimo respiro come era.certa al primo instante dell’uso di ragione; Ma... se in.pena
de peccati passati il Signore avesse deciso di abbandonar il peccatore, e lasciarlo in sua
balia? risponde S. Ambrogio con quella bella sentenza, che leggiamo anche nel Breviario:
novit Déus mutare sententiam, si tu noveris emendare delictum [Expositio in Lucani, II,
PL 15, 1. 470]. S. Girol. si pianga, si detesti il peccato, si cambii vita che il perdono sarà
sempre pronto, il Signore-è.sempre disposto ad usare misericordia, ed è tale in Dio questa
sua volontà, e desiderio di perdonare che il Signore si tiene più offeso del disperare,, che
uno fa del perdono, che pel peccato stesso, di cui si dispera; lo dice S. Girolamo parlando
del peccato di Giuda, e si protesta di dirlo ad onore, e lode della gran bontà di Dio: pro
clemèntia Dei hoc dico: magis ludas offendit Dèum. quia suspendit se. quam quod illiim
tradidit. Fu pur grande' il suo delitto, pare non potesse averne un maggiore, eppure si
trovò nel mancar di speranza al perdono. Dopo ciò, Signori miei la conseguenza è chiara,
è viene da se. Se un di purtroppo abbiamo offeso il Signore, non diamogli disgusti sopra
disgusti con esitar del perdono: abbiamo vilipeso la Sua Santità, la Sua giustizia, onoriamo
almeno la Sua misericordia con una grande confidenza; e mentre tutto il mondo decanta
l’infinita sua bontà, il nostro cuore sarà il solo che esiterà a dargli quest’omaggio, e questa
lode? che il Signore sii giusto questo lo dicono anche i dannati dall’inferno, ma che sia
buono tocca a noi; diciamolo dunque, e con noi lo dicano quante creature vi sono al
mondo, che il Signore è buono, e la sua misericordia durerà in eterno: dicat nunc. Israel....
dicat nunc domus Aaron....dicant nunc qui timent Dominum... quoniam bonus Deus.
quoniam in saeculum misericordia ejus [Sai 117,1-4]; buono talmente da voler essere
sempre pronto a perdonare ogni

di peccati ad ogni qualità di peccatore; buono di più ancora perché non solo ci vuole (2452) 5
così perdonare, ma egli stesso ci offre il perdono, ci invita, ci prega e quasi ci fa violenza
ad accettarlo; questo punto è ancor più evidente del primo.
La parabola del buon pastore, che va in cerca della pecora smarrita, l’altra di quella
donna, che mise sossopra la càsa per rinvenire la perla perduta sono prove troppo chiare,
e nessun uomo del mondo avrebbe avuto coraggio certamente di inventarle, è proporle,
se la misericordia stessa.di Dio, non avesse voluta spiegarsi cosi chiaramente da se stessa:
ma lasciamo stare le parabole, e veniamo ai fatti; che non fece il Signore nella sua mortale
carriera per convertire i peccatori, quali prove, e quali tratti di misericordia non usò verso
una Samaritana, un Zacheo, gli stessi farisei, e perfino verso Giuda; ne vogliamo prove
più fresche ancora, e continue, quante non ne abbiamo in quel tribunale di penitenza, là
dove si aprono, e si rompono i secreti del cuore.
Queste pagine barrate sono sostituite da un testo scritto nelle pagine a fronte.

437
Esercizi Spirituali al Clero " Meditazioni

tutti i riguardi, ed ogni marea di affezione: eppure come va che pensò di


partirsene, e si determinò a lasciare un sì bel luogo, ed un così convenevole
trattamento; noi dal Vangelo ne possiamo conoscere le cagioni, e mettiamo
per la prima la sua gioventù: era il più giovane adulescentior ex illis7: ah!
quest’età come è pericolosa: le passioni sono più gagliarde, la vista, il pen­
siero della morte che le può infrenare si riguarda come una cosa ancor
molto lontana: s’aggiunga il pregiudizio comune che pare a quell'età si
debba concedere qualche cosa di più che alle altre: di più a quell’età non
si ha esperienza, non si pensa, non si riflette, poco o niente si lascia, o si
abbraccia una cosa come viene, e come si presenta senza quasi badarvi:
ecco Tepoca, ecco lo scoglio, l’età ili cui rovinò il figlio prodigo, ecco lo
scoglio, che lo mandò a perdersi: oh! Signori miei se noi pensiamo un po
seriamente, chi sa cheil cuore non ci dica che questa fu anche l’epoca fune­
sta per noi: se abbiamo offeso il Signore, se siamo giunti a certi eccessi, se
ora portiamo degli abiti, che stentiamo a rompere, quando fù, e d’onde
cominciarono? ah! è pur troppo vero che quegli anni che più piacereb­
bero al Signore, d’ordinario divengono quelli, in cui più si offende, fosse
almeno vero che maturi, e cambiati di età, fossimo anche maturi di giudi­
zio, e matttr cangiati di costumi il cuore ce lo dirà.
Quanto avrà pianto la sua gioventù etc.
L’altra cagione della prevaricazióne del pròdigo fù l’amor proprio, la
troppa stima di se medesimo, il credersi dì saper meglio il suo conto,
maneggiare meglio i proprii suol interessi che il proprio padre; e .infatti
quando chiese la porzione, che gli toccava, certamente non era col pen­
siero, e colla intenzione di dissiparla, il che sarebbe stato da pazzo, ma
certo che la sua vista sarà stata di trarne partito, e che egli si sentiva almeno
corrie il padre ricavarne i suoi interessi, ed il debito vantaggio: aggiun­
giamo a questa cagione le altre, quali furono la speranza di una vita più
felice, più comoda, l’amore della propria libertà; quel pensiero che non
dovrebbe più dipendere, che nessuno l’avrebbe molestato, tenuto in sog­
gezione, ai suoi occhi tutto questo era una gran cosa, e gli facevano sperare
un mezzo paradiso in questo mondo; e infatti dopo che ha avuto quello
che desiderava dal padre, poteva bene rimanersene nel paese, poteva fer­
marsi vicino; ma no, si partì, e per paura che il padre gli potesse dare qual­
che ombrasse ne andò ben lontano: profeetùs est in reglonem longinquarti

1 Le 15,11. Nelle pagine seguenti il Cafassso continua a citare passi di questa parabola.

438
Giorno Sesto Quinto - M editazione Prim a > Sopra la Misericordia d i Dio

andremo a vedere come andarono a finire le sue speranze, ma frattanto


veniamo un po a noi: queste stesse cagioni non saranno state,

o non saranno per essere funeste a qualcuno tra noi: quell1amor prò- (2447)
prio, che ci fa sprezzar i consigli altrui, e ci fa creder di saperne tanto come
un altro, anzi ci inganna tanto alle volte da darci ad intendere che nessuno
vede le cose meglio di noi: quel prurito di vivere in libertà, non essere più
guardato, poter fare a modo nostro, pare una gran cosa, ci promette una
vita-kr più felice chi sa che non sia stato il principio, e l’origine de* nostri
traviamenti: fortunato il prodigo se lontano dal padre, avesse avuto qual­
che guida, se vi fosse stato che l’avesse corretto, avvisato, certo almeno non
sarebbe caduto in tanti disordini; la propria esperienza forse ci potrà fare
da maestra in questa parte, se nò impariamolo dal prodigo a di fidare di
noi, e de’ nostri sentimenti, a far caso de’ consigli altrui, ad amare la sog­
gezione, la dipendenza, che è un gran mezzo per non sbagliarla, per non
cadere.
Che cosa guadagnò il prodigo lontano dalla casa paterna, con tutti i
suoi lumi, e sapere, dove andarono a finire le sue speranze, dove trovò
quella felicità, che si prometteva. Ecco quello che ci conta il Vangelo: dis­
sipò ogni suo avere, cadde e rovinò ne’ vizi più brutali, gli si fece sentire
grandemente-la fame, non aveva di che levarsela, e stentava: dissipavit
omnem substantiam vivendo luxuriose: facta est fames valida coepit egere.
Signori miei, se c’è un tratto che mostri con evidenza i danni del peccato,
lo stato infelice del peccatore, la gran disgrazia che sia per una persona
molto più per un Eclesiástico lasciare, abbandonare il Signore, egli è questo
che fa e che deve aspettarsi da un Sacerdote lontano da Dio per il peccato
mortale. Esaminiamolo parte per parte: prima di tutto il prodigo lontano
dalla casa paterna dissipò tutto il suo avere: quel Capitale che avrà costatò
tanti sudori a metterlo assieme, quel Capitale, che ben trafficato l’avrebbe
fatto Signore, quel Capitale che posseduto da altri si sarebbe considerato
come una gran fortuna, egli invece in poco tempo lo dissipò, lo perdè
intieramente non solo non ne ricavò profitto, ma lo perde intieramente:
ecco la prima conseguenza per aver lasciato il suo buon padre. Ma fratelli
miei, una perdita assai maggiore noi siamo costretti a deplorare in un
sacerdote che lasci Dio, tanto più se continui, e marcisca nel vizio: vorrei
averlo presente per dimandargli un po’ conto di quel gran patrimonio
che aveva un dì. Prescindo da tutti i meriti che può aver perduto, lo che
abbiamo già considerato. Dimmi, vorrei dirgli, dove sono que? principi di

439
Esercìzi Spirituali al Clero ~ Meditazioni

virtù, di umiltà, di soggezione, di purità che un dì davano in te così ferme


speranze di buona

(2443) riuscita, dove quei desideri, quei progetti di gloria di Dio, di salute delle
anime, fatti in quell’ordinazione, in quegli Esercizi, dove quella coltura
avuta per tanti anni e con fatiche di tanti, dove quell’indole docile e buona,
dove quel cuore puro, e tenero dove quel pudóre, che ti compariva; dimmi
ancora dove quegli anni in cui avresti potuto guadagnar tante anime, e fare
tanto bene: dove è andato a finire tanto Capitale: ohimè! tutto è svanito, si
è dissipato quasi intieramente; e come? eh! purtroppo anche di te nel modo
che Capitò al prodigo: vivendo luxuriose con tenere una condotta indegna
del tuo carattere, con cadere in vizi anche più infami, e disonoranti, giac­
ché pur troppo è vero che chi cade dal più alto va a finire in luogo più
profondo: profundius mergitur, qui altlus cadit ruitur ma lasciamo stare la
serie di questi precipizi, e seguitiamo il prodigo ne’ suoi progressi.
Ma ritornando al prodigo non si fermò solo irt a questo punto la sven­
tura del prodigo di quelFinfelice: dissipato che ebbe il suo avere, dice il
Vangelo che in quei paesi si fece sentire una fame assai gagliarda: facta
est fames valida ed il prodigo abbandonato, lontano dalla casa paterna, e
sprovvisto d’ogni cosa, cominciò, allora per la prima volta a sentire, a sof­
frire, a sostenere le strettezze, e le angustie della povertà, e del bisogno, e
ad essere lacerato dalla fame: coepit egere in sì disperate circostanze, non
sapendo più a chi rivolgersi, e come quietare la fame si diede per servo alla
discrezione di uno di quei luoghi: adhaesit uni civium questo lo destinò
alla pastura de porci: ut pascerei porcos ma che? questo duro padrone
mentre le teneva addossato questo mestiere sì vile, ed umiliante, non lo
provvedeva del neccessario onde levarsi la fame, sicché era costretto a
cibarsi del cibo stesso de’ porci, delle ghiande: buon per lui se ne avesse
avuto a sufficienza, ma doveva sospirarle invano: cupiebat implere ventrem
suum de siliquis,... et nemo illi dabat: ecco l’estremo della miserisi ecco
fin dove condusse quell’infelice figliuolo, la sconsigliata determinazione di
allontanarsi dal padre: quel passo, che secondo lui lo doveva render felice
fu il principio, ed il primo anello di quella catena che doveva trascinarlo
alFultima rovina. Tale è la serie de’ precipizi che corre chi s’allontana di
Dio, tale è l’estremo in cui va a cadere un saeerd peccatore, e molto più
un Sacerdote peccatore. Facciamone un quadro che sarà per una parte ben
doloroso, ma spero sarà di qualche vantaggio: datemi adunque un eclesiá­
stico, un nostro pari che arrivi ad allontanarsi da Dio col peccato mortale:

440
Giorno Sesto Quinto - M editazione Prim a - Sopra la Misericordia di D io

non solo cada, ma caduto che egli è dimori nel peccato, o se rialza, per
qualche tempo vi ricada peggio di

prima: dissipato, come già abbiamo veduto, nello stato di colpa tutto (2451)
quel patrimonio di virtù, di buoni abiti, di santi desideri con tutto quel
di più che si è accennato, che capiterà a questo misero, sacerdote; eh!...
dopo lo scialaquo d’ordinàrio, anzi direi per necessità ne viene la penuria,
la fame; ah! che fame si sveglia nel cuore d’un peccatore: abbandonato a se
quel cuore, e dato in preda ai suoi desideri, latra continuamente ed insa­
ziabile, cerca di sfamarsi: facta est fames valida, et coepit egere vera ima-
gine d’un sacerdote peccatore: privo qual egli è di tutte le spirituali conso­
lazioni, lontano da tutti i conforti, che la fede, il proprio Ministero le può
dare, abbandonato perfino da buoni, per calmar la propria fame si da ad
un partito da disperato: non trovando più di che quietare il cuore ne ai
piedi del Crocefisso, ne aU’Altare, né in letture pie e sante, e nemmeno
nei Sacramenti, adhaeret uni civium si slancia nel mondo, ed appresso
questo padrone duro, e crudele cerca un rimedio, un riparo alla fame,
che lo divora; ed eccolo qui a pascolare i porci, eccolo tra le mani un
cibo, un esca da animale nello sfogo delle passioni; ahi! doloroso cangia­
mento: quelle mani che un di raccoglievano manna or non raccolgono che
ghiande: quelle labbra, che tante volte toccarono le sacrosante carni di un
Dio, quel ventre che fu le tante volte nutrito di questo cibo angelico>or
non tocca, or non riceve che un nutrimento da animale, e che differenza,
ancor vi sarà tra il sacerdote, l’uomo di mondo, e perfino la bestia, se tutte
mangiano egualmente dello stesso cibo, e tutte si nutrono allo stesso pasto:
eppur il mondo non ha altro cibo da dare: almeno il povero sacerdote
ne avesse non dico già a sazietà, perché questo cibo non può saziare, ma
almeno quanto ne desidera, ma no: e qui è dove in special modo nel sacer­
dote peccatore si verifica la triste condizione del figliuol prodigo, non solo
andar privo di vero pane, ma stentare perfino di ghiande come avrebbe
desiderato la sua fame: e mi spiego: un uomo di mondo che s’abbandoni
ai suoi capricci trova ogni strada aperta, può rivoltolarsi come le piace, ha
mille occasioni, e mille modi di scapriciarsi, sicché almeno di ghiande non
scarseggia; ma non cosi un uomo di Chiesa, un Sacerdote: la Vigilanza
de’ Superiori, gli sguardi della famiglia, del Vicinato, e del paese, la singo­
larità di quest’abito che non può essere inosservato, tutto forma un osta­
colo, tutto lo trattiene da quelle feste di mondo, divertimenti, visite, con­
versazioni geniali, e così dite del resto, sicché d’ordinario se non di rado, e
con difficoltà arriva ai suoi desideri, e quel poco bisogna proprio che se lo

441
Esercizi Spirituali al Clero ^ Meditazioni

disputi, e lo rubi con chi ne è ancor più ingordo, onde di lui si può dire
propriamente che: cupiebat implere ventrem. suum de siliquis... etnemo
illi dabat. ahi! misero Sacerdote, guarda fin d’ove tha condotto quel primo
passo, e voglio dire quel primo peccato

(2453) con cui lasciasti il tuo Dio, e dove è quella felicità, quella contentezia
che ti aspettavi; eh! via lasciamo di considerare la serie di questi passi dolo­
rosi per dare un occhiata a ciò che di tenero, e di consolante presenta
questa divina parabola.
Siamo al punto in cui quel figlio ingrato si riconobbe, quel cuore sì
duro si intenerì, si ruppe, e si commosse: ammaestrato dalla propria espe­
rienza, e fatto più sapiente dalle proprie cadute, e miserie, finalmente aprì
gli occhi, si pentì, si decise di far ritorno al proprio padre, e veramente Vi
ritornò.
Meditiamo passo per passo questa: mutazione, questa conversione,
questo ritorno, che ci darà materia di santa gioia, e di salutare ammaestra­
mento. Prima di tutto: dove fu che si conobbe, rientrò in se, cangiò di
sentimento, e si convertì; nella solitudine, e nel silenzio di una campagna.
Finché stette tra gli amici,: in mezzo alle feste, ed ai tumulti del mondo,
non vi pensò: era già miserabile, abbandonato da tutti, sprovvisto d’ogni
cosa, poteva bene fin d’allora pensare, e fare come pensò, e fece poi dopo:
eppure nò; era ancora in mezzo al mondo, il suo cuore, le sue orecchie
era ancor pieno, ed assordato dagli strepiti di questo mondo, perciò non
diè ascolto a quelle voci segrete, ed interne che lo chiamavano ;a se, ed
al padre, e che certamente avrà avute. Oh! quanto giova faccia adunque
tacere d’attorno a sé il mondo chi vuol sentire la voce del Signore: appartia­
moci col cuore dal mondo, e se possiamo anche colla persona almeno per
poco tempo, allora sentiremo una voce, un linguaggio al cuore che forse
avremo mai sentito; e questo lo pòtremo sapere tutti per esperienza, se noi
abbiamo preso buone e forti risoluzioni, se abbiamo formati certi progetti
di Gloria di Dio, se abbiamo sentito ed inteso un linguaggio tutto celeste,
se l’anima nostra ha provato certe consolazioni interiori, quando e dove fù?
certamente sarà stato: in qualche ora, in qualche dì di maggior silenzio, di
maggior solitudine. In quei dì che fummo maggiormente soli, in quei dì
che;ci separammo totalmente dai mondo con qualche spirituale ritiro, ah!
quanto è utile che un sacerdote anche buono, si scelga di tanto in tanto
queste volontarie solitudini per intendere quello che il Signore può ancora
desiderare da lei, molto più se il sacerdote non fosse poi tale. Ma ritor­
niamo al prodigo.

442
Giorno Sesto 'Quinto ^ M editazione Prim a ^ Sopra la Misericordia d ì Dio

Quali furono i motivi che lo spinsero ad una sì coraggiosa, e santa riso­


luzione? tre sono i principali secondo il Vangelo: 1. La memoria della feli­
cità passata, e di quei comodi che in abbondanza godeva in casa di suo
padre: Mercenarii in domo patris mei, abundant panibus: 2 la considera­
zione delle sue miserie presenti; ego hic fame pereo 3 finalmente il riflesso

che aveva da fare con un buon padre, da cui facilmente sarebbe stato (2455)
perdonato; ibo ad patrem. Figuriamoci di vederlo coi nostri occhi quel
povero figlio là solitario, e taciturno, in mezzo ad una campagna, male in
arnese consunto dai vizi, e dalla fame a fare questa meditazione... ma un
dì io stava pur bene, ancor al momento tanti servi in casa di mio padre
abbondano di ogni cosa, ed io... io figlio, vado qui consumando d’inedia,
e di fame: ah giomi tempi passati! ah giorni presenti! che avrà ad essere di
me? già non sono più degno di perdono, ma chi sa se mi presentassi anrcrr
una volta alle porte di mia casa, se il mio padre vorrà ancor saperne di me;
chi sa se gettandomi ai suoi piedi, se chiamandogli tante volte perdono,
me lo vorrà accordare; eh!... era buono, mi ricordo non mi posso scordare
di quel bel cuore, mi furono troppo fitti iircuore quei tratti quelle finezze
che mi usò; tutto mi da speranza di perdono: voglio adunque andare eh!
sarà meglio che vadi, mi pare bene che io tenti, se non le sarò figlio, mi
contenterò di esserle servo, solo che veda ancor una volta quella casa che
mi allevò, solo che goda un giórno di pace in casa di mio padre, morrò
contento: surgam et ibo ad patrem. Ecco la meditazione che vinse quel
figlio disgraziato: felice lui che in tanta lontananza dalla casa paterna, in
mezzo all’enormità dei suoi delitti, tra la disperazione della sua miseria
non dimenticò le belle qualità di suo padre, ftr queste gli tennero la
strada aperta alla Speranza, e questa lo salvò dalla rovina, che pareva inevi­
tabile. Ah! fratelli miei,

fquanta forza hanno questi riflessi sopra un cuore che teme,


oppure che sa purtroppo chiaramente di essere lontano sopra dal suo Dio:
io non sto qui più a parlare dell'infelice stato d’un peccatore, solo io dirò:
dove sono quei bei giorni d’una volta, dove quella tranquillità, quell’ilarità,
quella pace: ma vi ha di più: quanti sacerdoti compagni miei godono tut­
tora nel retto esercizio del loro ministero, nel ritiro, e nelle secrete loro
occupazioni giorni di paradiso, mentre io trascino giorni di tristezza, di
malinconie, e di gemiti: non basta ancora: mercenarii in domo patris mei
abundant panibus: quante persone e povere ed idiote godono nel basso
loro stato quella pace che io ho perduto: tanti artigiani, tanti poveri, rozzi,

443
Esercizi Spirituali al Clero " Meditazioni

contenti del loro stato, rassegnati nelle loro vicende, buoni e fedeli al loro
Dio passano tranquillamente i loro giorni >e se ne muojono ancor più con­
tenti. Ed io? ed io: figlio di casa, Ministro di un Dio, suo familiare, suo
domestico me ne starò lontano, camperò morrò di angustie, morrò di fame
sospirando un po’ di fame, senza poterlo avere; ego hic fame pereo; ah!
anch’io diciamo tutti,

(2457) su rg a m , e t ib o ; ah! a n c h ’io d i n u o v o a p a rte d i q u e lla p a ce , all’o m b ra d i


m ia casa, ai fia n c h i e tra m ezzo a p a re n ti: su rg a m . e t ib o : m a a chi? su rg a m ,
e t ib o a d p a tr e m : u n p a d re , c h e m i p ia n se q u a n d o lo lasciai, a q u e l p a d re
c h e m i a s p e tta , m i in v ita , m i cerca p e r p e rd o n a rm i8.

(2462) 10 Qui osserviamo: che sarebbe stato di questo figlio, se allorché gli venne
cotesto: buon sentimento, si fè sentire cotesta voce di destarsi, di finirla, e
ritornarsene al padre, non l’avesse subito ascoltata, avesse cominciato a dif­
ferire, e mandata ad altro tempo la sua risoluzione; chi sa che cosa sarebbe
succeduto di lui, e come l’avrebbe finita, chi sa se altra volta cotesti riflessi
avrebbero avuto sopra di lui la stessa forza, ed egli avrebbe provato lo stesso
coraggio. Oh! come è importante nelle cose del Signore, e nell’affare del­
l’anima sapersi approfittare di certi momenti, di certe voci, di certi impulsi
repentini, forti, gagliardi, chi sa se passato quel punto, o che scompaia,
ne si ripeta, o non si ascolti mai più; felice il prodigo, che T ha afferato
quel punto tosto si mosse, e partì; né si legge che per istrada indeciso,
irresoluto siasi fermato, e quasi in pericolo di retrocedere: eppure quanti
assalti, quante battaglie avrà dovuto sostenere per tenersi forte, e costante:
di rispetto umano, e confusione, possiam imaginarci che forte tentazione
per un giovane di condizione, così gonfio di se, e superbo: oh la bella figura
che farai davanti al paese, a’ conoscenti, agli amici: chi sa quante risa, e
mottegi sulla tua persona, sui tuo stato, scarno, vestito di cenci, pezzente,
tu che facevi la prima figura, ed eri così ben accolto e riverito, ma via:
questo va fatto; sia quel che si vuole, pazienza me lo merito, ma che mi
salvi non voglio perire. E se il padre ti cacciasse, non volesse conoscerti, o
quel che è peggio, ti facesse ancor punire, e castigare: ah! è impossibile, e
poi è padre: faccia quello, che vuole di me; andiamo: ecco la fermezza ed
il coraggio di chi vuoi far bene: sarà impossibile anche per noi, se in questi

8 Con una nota il Cafasso inserisce qui la sua pagina 10.

444
Giorno Sesto Quinto - M editazione P rim a ^ Sopra la Misericordia di Dìo

Esercizi concepiremo qualche buon disegno, qualche forte risoluzione, che


il demonio non si faccia ad assalire9

con mille fantasma, ed ostacoli. Ma coraggio, o cari, guai a chi mosso (2461)
il piede, o dato mano all’opera, ritorna in dietro, e si ritira nella via del-
l’anima; chi sa quali conseguenze, chi sa a qual termine infelice potrebbe
condurre una tale inconstanza, una si fatta irresoluzione: surgam, et ibo
ad patrem: niente ci trattenga, niente ci fermi, niente nemmen ci rallenti,
pronti, e decisi sino al fine10.

Io non sto qui a dirvi come il Signore, ci voglia perdonare tutti quanti (2457)
lo sappiamo talmente che credo inutile il trattenermi: che non solo il
Signore ci voglia perdonare, ma che ci inviti a ritornare, ci aspetti, e vada
in cerca de’ peccatori, le parabole che si degnò di lasciarci nel Vangelo, del
buon pastore, della donna che smarrì la sua perla ce lo fanno toccar con
mano. Che se ne vogliamo altre prove, e che si possono dire giornaliere, le
abbiamo in quel Tribunale di penitenza, la dove si aprono, è si rompono i
secreti del cuore11.

Che meraviglia non e il vedere in certi casi il gran lavorio della divina (2452) 5
Misericordia onde guadagnar un anima? Quanto è mai dolce sentire dalla
loro bocca le vie, i mezzi con cui Dio le ha chiamate: avvisi, rimòrsi, casti­
ghi, buoni esempi, inspirazioni, prediche, letture: oh! padre sono costrette
ad esclamare ai nostri piedi; è tempo che ceda, sono tanti anni, che resi­
sto, sono stanco di far il sordo, or vedo finalmente che il Signore non
mi vuol perduto, non mi vuole all’Inferno, oh se sapesse quante grazie in
questo tempo, quante voci al cuore, quanti inviti, quante dolci violenze
che sarebbe impossibile a numerarle. Belle Confessioni son queste, degne
di essere scoperte a tutto il mondo, e verrà quel giorno che si faranno palesi
a giustificazione, e gloria della divina Misericordia^ ed a confusione di chi
non volle approfittarne; per noi Signori miei per restare convinti di questa
verità, non abbiamo bisogno che di rientrar in noi stessi, e richiamar alla
memoria gli anni nostri passati; quel cuore, che ci dirà che un giorno pur­
troppo abbiamo peccato, ci dirà assieme il numero, e la grandezza delle

9 II testorimanda alla pagina a fiorite.


10 L’originale avverte di
ritornare alla pagina 2457 (ottava a fronte).
11 L’originale rimanda alla pagina (2452) 5.

445
Esercìzi Spirituali al Clero ~ Meditazioni

divine misericordie: quei giorni così tristi, quel peso continuo del peccato,
quel rimprovero interno, quella vergogna che quasi compariva nella nostra
faccia, quei sospiri che ci traeva, quegli inviti che di tanto in tanto ci pareva
di sentirci al cuore, quegli eccitamenti a finirla una volta, quel pensiero che
il Signore ci

(2454) 6 avrebbe perdonato, quella speranza di calmar il nostro cuore di ritor­


nar a giorni più tranquilli; quella voce, che ci diceva che il Signore ci
avrebbe perdonati non era tutto questo, Signori miei, una catena di grazie,
un intreccio di divine misericordie per cavarci dal peccato, per trattenerci
dall’andar più oltre nella via dell’iniquità12:

12 Inizia a questo punto un lungo testo interamente barrato: il cuore ci dirà ancora se ne
abbiamo approfittato. Felici noi, sé abbiamo corrisposto a si bei tratti della divina bontà,
saranno quei giorni per noi di eterna benedizione, e sarà questa memoria quella sola checi
potrà tener in pace sia in yita¿ sia in morte; un giorno iò ho peccato, basta questo pensiero
per dare di che piangere ad un sacerdote per una vita anche la più lunga, quando vi voglia
seriamente pensare, ed a questo pensiero cosi doloroso non si può trovar altro rimedio che
questo, io peccai è vero, e peccai molto, ma mi ricordo che un giorno mi pentii, un giorno
il Signore mi guardò con occhio di misericordia, un giorno mi arrendei al suo invito,
un giorno conobbi il mio fallo, ritornai nelle sue braccia, tornai in grazia di quel Dio,
che abbandonai. Oh! giorno felice, giorno di eterna ricordanza e benedizione, oh! quanto
questo giorno consolerà, in quegli, estremi-dì della nostra vita, si comincierà conoscere
allora la grandezza, la preziosità di quella misericordia che il Signore ci avrà usata; che
se questo giorno non si contasse ancora nella nostra vita, oppure il cuore ci dicesse non
esservi stato quel pentimento che pur doveva esservi, eccovi Signori miei il tempo più
opportuno per prepararci questa consolazione' che'ci sarà poi tanto più dolce quanto che
ci verrà a tranquillarci nel tempo del maggior bisogno, che sarà quello della nostra morte.
Ma questa consolazione non sarà tutta nostra, o per meglio dire non sarà solamente per
noi, ma sarà comune tra noi ed il nostro Dio; poiché Iddio non solo vuol perdonare, non
solo ci cerca per offrirci il perdono, ma di più ancora ne prova tutto il gaudio, e contento
allorché ce lo da. E questo benché per una parte ci dovrebbe quasi paret impossibile,
mentre il Signore non ha alcun bisogno di noi, pure è niente più che una conseguenza
di quello che abbiamo, detto fin’ora; se nel Signore è tanta la volontà di perdonarci, se
cerca, ed usa tanti mezzi, ed industrie per averci con se, .non è a. stupire che faccia gran
festa a nostro modo d ’intendere allorché vengono compiti i suoi desideri. Non cerchiamo
altra prcrva Ritorna il prodigo figlio alla casa paterna, ed in vederlo il buon padre ancor
di lontano

(2456) 7 dimentica in un punto tutti i torti passati; il cuore gli si gonfia per tenerezza, gli
cadono le lacrime per la piena del piacere, e dimenticando l’età sua avanzata gli corre
incontro per abbracciarlo, l’abbraccia, gli cade sul suo collo, e stretto ben bene al suo
cuore non può saziarsi di baciarlo: cum autem longe esset. vidit illuni pater ipsius. et
misericordia motus est, etaccurrens cecidit super collum ejtis. et osculatus est eum. Lue.

446
Giorno Sesto Q uinto ^ M editazione Prima ^ Sopra la Misericordia d i D io

15. Non basta ancora; ma mettendo sossopra tutti ì servi, e la casa, lo fa vestire, al più
presto delle vesti più belle, e fa bandire un generale invito per festeggiare assieme a tutti
i parenti ed amici il ritorno di questo figlio. Il racconto è del Vangelo; ora io chiamo:
cbi è questo figlio che ritorna al padre dopo d’averlo lasciato; è il peccatore che ritorna al
suo Dici? chi è questo buon padre che accoglie si bene un figlio cosi indegno; è il padre
delle misericordie che amoroso aspetta, accoglie, e .perdona al peccator pentita; a che
tanta gioia, a che tante feste in quel padre? per darci un idea di quella gioja mojto più
grande che fa con Dio tutta la Corte Celeste al ritorno del peccatore: dico vobis. quod
ita gaudiurn erit in Coelo super uno peccatore poenitentiam agente [ L e 15,7]. E chi l’ha
detto? un Santo, un Angelo, un profeta? più che tutti ancora, lo disse, lo ripete più d’una
volta il divin Redentore, che vuol dire quel Dio, à cui tocca di perdonare, quel Dio stesso
stesso, che vuole, ed ordina cosi gran feste; dopo.questi riflessi così parlanti da per se c
capacral~credcn rrio di inspirar confidanza a qualunque cuore, io solo fo’ osservare, che si
fa tanta festa per un peccator qualunque, che si dovrà fare poi, e che si farà allorché ritorna
al suo Dio, il suo Ministro, quel personaggio destinato a rappresentarlo in terra; se un
villano ribelle al suo Re viene ad umiliarsi, e chiedere perdono ai piedi del suo Sovrano,
ne avrà già piacere il Monarca, ma se invece d’un povero suddito si presentasse per egual
fine uno, de1primi del Regno, e chi la faceva da Capitano, quanto maggiore non sarebbe la
sua gjoia ifgiubilo, e la gioja. Ecco Signori miei, il caso nostro: una quantità di peccatori
si presenta ogni di ai piedi di questo buon Dio per chieder perdono, ma finché non vede
il suo Ministro, finché non può abbracciare il loro Capitano, che siamo noi, il suo cuore
non è contento; vi manca colui che desidera, ed ama più di tutti; vi manca ancor quello
che solo può fargli più danno che tutti'gli altri assieme. Signori miei, le ragioni non pos­
sono essere più stringenti, gli assalti non possono essere più forti; facciamo che quest’oggi
sia quel giorno abbja da dare tanto giubilo al Cielo

ed a noi eterna consolazione. Spero che questo bel giorno sarà già stato prima d’ora (2458) 8
per noi, ma oggi rinnoviamone la memoria, e figurandoci di essere ancora quei peccatori
di un dì, imitiamo il figliùol prodigò nel ritorno alla sua casa, e per imitarlo da vicirio,
spiamo un po? quai siano i motivi,, che lo determinarono, e quai sentimenti abbia portato
alla casa paterna; tre sono secondo il Vangelo le principali cagioni che diedero la mossa al
figlio prodigo per rientrare in se, e ritornare al padre: 1 la memoria della felicità passata,
cioè di que’ comodi che godeva in abbondanza in casa di suo padre: mercenarii in domo
patris mei abundant panibus: 2. la considerazione delle sue miserie presenti: ego hic fame
pereo. 3. finalmente il pensiero che aveva da fare con un si buon padre. Ibo ad patrem.
Serviamoci anche noi, Signori miei di questi motivi per ritornare nelle braccia di quel
padre, che un dì avremo lasciato, almeno per ritornarvi con sentimenti degni d’un si buon
padre.
C o n u n r im a n d o a lla p a g in a a fr o n te , i l te s to c o s ì c o n tin u a :

Oh! quanto peso non hanno su d’unà persona questi gran pensieri quando vi si fermi (2457)
un po’ sopracquei bei giorni che un di ho passato passava col mio Dio: quella vita dolce e
tranquilla, che differenza da un epoca all’altra della mia vita! Oh! quante persone e povere
ed idiote, godranno quella pace che io ho perduto: mercenarii in domo patris mei abun­
dant panibus: tariti contadini, tanti artigiani, tanti poveri rozzi contenti del loro stato,
rassegnati nelle loro vicende, buoni e fedeli al loro Dio passano tranquillamente i suoi
giorni, se né muojono ancor più contenti; ed io? ed io? figlio di casa, ministro di questo

447
Esercizi Spirituali al Clero * Meditazioni

(2457) Deli! adunque fratelli miei13 senza più tardare facciam ritorno a'quel
Dio che ci aspetta, e ci sospira; che se la coscienza ci assicura di essere già
in pace col nostro Dio, facciamo almeno servire questo giorno a piangere,
a detestare maggiormente quel peccato, che un dì ci allontanò dal Signore:

Che sensazione impressione avrà fatto al prodigo, a’ suoi servi, e molto


più al suo cuore quél primo sguardo, allorché rimirò di nuovo per la prima
volta quella casa paterna, l’eleganza di quelle porte, Tadobbo di quelle fine­
stre, giacché era una casa signorile, que’ viali quelle terrazze, e tutti quegli
oggetti d’incanto, di diporto che la circondavano: che tumulto di affetti,
di pensieri, di idee doveva naturalmente cagionare questa vista: erano miei,
non lo furon più, ora già mi parmi di trovarmi colà. E chi lo potrebbe dire?
e chi lo potrebbe spiegare? Vero ritratto e e sospiri, e gemiti, c lacrime, e
confusione, e gioia, tutto mi pare che quasi in un colpo dovesse assalire
qual cuore, impadronirsene, e quasi soffocarlo in una piena di commo­
zione, ed affetti. Véro pag. seg.

(2459) Vero ritratto d’un anima, d’un sacerdote che oppresso stanco, e.quasi
oppresso dallo stato di colpa, commosso, pentito si fa per la prima volta
a guardar la sua casa paterna, e mi spiego, ,si fa a mirar nuovamente con
fede quel luogo, quel sito, quegli oggetti, che un dì erano la sua gioia, ed il
suo contento, poi li perde, ora pare che di nuovo lo sieno, la croce, l’Altare,
il Confessionale, le sue divise medesime, tutto pare che lo richiami, lo rav­
vivi; piange, geme, sospira, si compunge, si rallegra; ah! che giorno bene­
detto! che momenti indescrivibili, che gioie imparregiabili per un figlio,
per un Eclesiástico che ritorni, e che le provi! ¡che se vogliamo proprio
gustarle, proccuriamo di vestirci di que’ sentimenti, etc. pag. 8: con cui il
figliuol prodigo ritornò alla casa paterna. I motivi che abbiamo accennato,
ebbero tanta forza etc. pag. 8.

(2458) 8 ebbero tanta forza sul cuor del prodigo, che non solo lo destarono da
quell’abisso di iniquità, in cui era caduto, non solo lo risolsero di ritor­
nare alla casa paterna, ma gli fecero concepire un orror tale al. suo male,

D io , su o in tim o , su o d o m e s tic o , m e n e sta rò lo n ta n o , c re p e rò d i a n g u stie , m o rr ò d i fa m e


s o s p ira n d o u n p o ’ d i p a c e se n z a p o te r la avere: ego h ic fa m e p e re o .
13 I I te s to ch e in c o m in c ia co n q u e s te p a r o le n o n è c a n c e lla to , m a la n o ta ch e v i r im a n d a e

i n v e c e a l l ’i n t e r n o d i m i te s to b a r r a to . F a c c ia m o la s c e lta d i n o n in s e r ir lo tr a i te s ti c a n c e lla ti.

448
Giorno Sesto Q uinto ~ M editazione Prim a " Sopra la Misericordia dì Dio

un dolore sì vivo, e sì grande che sarà sempre il modello d’ogni anima


penitente; quell’attegiamento, con cui chiamava perdonò, inginocchiato a
terra a testa scoperta, e bassa, quelle lacrime, che certamente gli cadevano
dagli occhi, quel rossore ¡stesso, che gli cuopriva la faccia, quell’umile sen­
timento di esser indegno di chiamarsi per figlio sono tutte prove evidenti,
che danno abbastanza a conoscere il suo gran pentimento: ma più di tutto
si palesa in quelle due parole: pater peccavi: oh! quante cose voleva dire
con questo poco: pater peccavi: padre, sono io che vi diedi un giorno tanti
disgusti: padre sono io che vi cavai tanti sospiri, ci costai tante lacrime:
pater peccavi: sono proprio io quel scellerato, quell’ingrato, quelFindegno
di starvi avanti: ma... ho mancato, lo conósco, lo confesso, e quello che
più mi ferisce si è d’aver mancato contro un sì buon padre: pater peccavi
coram te; a me quelle lacrime, a me que’ sospiri, che deste per me; a me
quel dolore, che vi diedi un giorno; sono io il colpevole, soiio io che ho
peccato: pater peccavi, lo sappiano pure tutti, lo sappia fino il Cielo, che
sono stato uno spensierato, un gran peccatore: pater peccavi in Coelum, et
coram te14. Oh! un po’ a nói un dolore di questa fatta di quel peccato, che
un giorno ci separò da questo Dio, di quel peccato

che un giorno tempo venne a contaminare la nostra innocenza, di quel (2460)


peccato, che costò a noi tanti sospiri, e rimorsi, e cagionò tanto disgusto al
Signore15;

u n g io rn o io p eccai, b a sta q u e s to p e n sie ro p e r d a re d i c h e p ia n g e re a d (2459)


u n ; sa c e rd o te p e r u n a v ita a n c h e la p iù lu n g a , e d a q u e sto p e n sie ro così
d o lo ro s o n o n si p u ò tro v a r a ltro rim e d io , c h e q u e sto : io peccai è v ero , e
p eccai p iù v o lte , e p e c c a i m o lto , m a rn i ric o rd o ch e in g io rn o mi p e n tii, ttrt

il mio fallo, me ne confessai, ritornai nelle sue braccia, tornai in grazia


del mio Dio, e mi perdonò, oh! giorno felice! giorno di eterna ricordanza
e benedizione; oh! quanto consolerà questo giorno, in quegli estremi di
mia vita, allora quando conoscerò la grandezza di quella misericordia che
il Signore ci ha usata.

Tanto più che per noi vi saranno motivi di pentirci molto più forti che (2460)
non aveva il prodigo, che cosa mai si dovrebbe dire se il prodigo non con-

,ALc 15,21.
15 Con una nota, il Cafasso rimanda alla pagina a fronte.

449
Esercìzi Spirituali al Clero - Meditazioni

tento di far quello che ha fatto, avesse ancora cercato di pervertire 11 suo
fratello ed indurlo ad abbandonar con lui quel buon padre; non sarebbe
stato questo un doppio peccato per parte sua, ed un doppio dolore per quel
povero: padre16;

(2459) Quanti gemiti e quanti sospiri saranno in isconto dei peccati nostri,
daranno giorni più belli, e più contenti, e ci risparmieranno etc. ci servi­
ranno di freno a non cader più in avvenire17.

(2459) Chi si sarebbe, frenato dal dirgli1ah ingrato, e crudele, d-ttn-tìglio e non
ti basta amareggiar un padre in quel modo, e vorrai ancor strappargli un
altro figlio da’ fianchi, e dalle braccia!

(2460) 9 però- questo delitto non si può, rinfacciare, anzi vi è , tutto il motivo di
credere che non l’abbia fatto, mentre il fratello si mantenne fedele; Ma
quello che non arrivò a fare quel figlio anche perfido, chi s.a che non l’abbia
fatto qualcuno di noi; se quel tale, o quel tal altro hanno, offeso il Signore,
se hanno presi quegli impegni, que’ partiti sconsigliati, se quella persona è
caduta in quel peccato, chi ne è la ragione, chi ne fu l’autore18;

(2459) ah! fratelli miei. io conchiudo: abbiamo peccato.: ebbene detestiamo


etc.

(246G) 9 il cuore ce lo dirà; oh! che gran peccato è stato questo, che colpa enorme
in uno di noi, che incalcolabile disgusto per il Signore. Che cosa sarebbe
poi se una sola di queste anime, fosse già perduta per causa nostra, e fos­
simo fuori di speranza di poterla ricondurre a quel Dio, a cui Tàbbiamo
rubata? S. Margherita da Cortona era solita dopo la sua conversione di
andar di tanto in tanto a quel luògo dove era stato sepolto il suo amante;
là inginocchiata a terra prendeva nelle sue mani quella testa scarnata^ la
mirava, piangeva, sospirava, e poi voltata al Cielo esclamava: o mio Dio,

. 16 U n a n o ta r im a n d a a lla p a g in a a fio r ite : i l te s to ch e seg u e, p e rò , n o n c o m b a c ia e s a tta ­

m e n te c o n le r ig h e c h e p r e c e d o n o ,

17 A l p o s t o d e lle r ig h e a p p e n a tr a s c r ìtte s o n o p i ù p e r t i n e n t i a ltr e , s e m p r e p o s te n e lla p a g in a

9 a fr o n te , le q u a li p e rò r im a n d e r e b b e r o a d u n a n o ta 3 ch e n o n r is c o n tr ia m o n e l co rp o d e l

te s to .

13 U n a n o ta r im a n d a a lla p a g in a a fr o n te .

450
Giorno Sesto Quinto ~ M editazione Prim a ^ Sopra la Misericordia di D io

ecco un anima che vi è stata rubata da me, ecco un anima all’inferno per
me: oh! quante volte questa bocca avrà già gridato vendetta contro di me;
oh!... da che tempo questa lingua chiamerà giustizia da quelle fiamme;
e chi mai dei due voi vorrete ascoltare; vi arrenderete a quella voce, che
vi chiama giustizia, oppur alla mia che vi chiama misericordia; ah!... mio
Dio, è pur giusta quella voce, non la posso negare, ma pure voi avete pro­
messo di perdonare ad ogni peccatore, che si fosse pentito: oh!... che voglio
chiamare tante volte, voglio dar tanti sospiri, voglio mettere tante lacrime
finché mi abbiate perdonato. Eccovi, Signori miei la strada, che ci insegnò
questa gran penitente: abbiamo peccato? ebbene detestiamo e piangiamo
il mal fatto, che troveremo perdono: ma molto più sospiriamo, ed alziamo
i nostri gemiti per quei peccati che si saranno commessi per causa nostra.
: I gemiti, e sospiri di questi giorni [parola illeggibile]

ri e ci risparmieranno gemiti, e sospiri più dolorosi


al punto della nostra morte, e per tutta Teternità.
Die 4 decembris 1843
Laus Deo, B.V. et S. Alph.

451
Giorno Quinto (2029)

Considerazione preliminare
All’imitazione del divin Redentore

Orazione. (2030)

Grande Iddio io mi prostro a vostri piedi per ringraziarvi di tante, e si


grandi misericordie, che voi avete usato in questi giorni verso di me. Oh!
quanto sono contento, o Signore di trovarvi tra le vostre braccia, ed essere
nuovamente nel bel numero de’ vostri figli: ah! venga pure la morte, ma
che lasci mai più un sì buon padre. Fate perciò o mio Dio che io entri
bene in me stesso in questa sera, mi conosca appieno, ed arrivi a compren­
dere quale sia la gratitudine e l’obbligazione mia che mi corre verso di Voi,
quale l’obbligazione di pienamente contentarvi. Madre mia Maria, Angelo
nostro Custode, Santi, e Sante tutte etc.

Esordio.

Le Massime fin ora considerate, la necessità, ed importanza del nostro fine,


la gravezza, e l’enormità di un peccato in noi Eclesiastici, le ultime, e diffe­
renti giornate, che attendono in morte un Sacerdote, quella sorte immuta­
bile, ed eterna, che s avvicina; coteste verità io spero che ci avranno mosso
tutti quanti a cercare un rimedio, e riparo nella grande Misericordia di
questo buon Dio, che tanto soffre, e pazienta perché l’Eclesiastico non si
perda. Poco però, anzi un bel niente ci servirebbe il nostro scuotimento,
e timore quando non arrivassimo a formare un tenore, un piano di vita,
che contenti pienamente i voleri di questo buon padre, e ci possa assicurare

* (fald.46 ! fase. I l i ; nell’originale 2029-2039)

453
E sercizi S p iritu a li a l Clero ^ M e d ita zio n i

e garantire tutti quella fatale rovina, che in cui pur troppo sta-]
r apo dell1 andrà a finire l’Eclesiastico peccatore. Certo che il figliuol pro­
digo ricevuto si cordialmente da quel tenero padre, allorché si vidde trat­
tato con tante finezze, e riguardi, tra la confusione, e la giòia chi sa quante
volte l’avrà pregato di dirgli, di manifestargli liberamente quel tanto, che
desiderava da Lui, anzi senza interpellarlo neppur avrà cercato da se mede­
simo di entrar a dentro al cuore del suo buon padre, studiarne, indovi­
narne i desideri, le voglie, onde pienamente contentarlo. Questo è quel
tanto che ora ci tocca far a noi, or che abbiamo conosciuto i torti, che
abbiamo fatto a questo Dio, or che ne abbiamo provato purtroppo le fune­
ste conseguenze, or che confusi, e pentiti siamo stati di nuovo accolti, e
ricevuti, quai figli nella casa nostra domestica di questo buon padre. Le
mire, i voleri, i desideri di questo Dio sovra di noi ci sono noti abbastanza.
La vita, che Egli ha consumata sulla terra, i suoi esempi, le sue gesta, le
opere sue, che noi andremo meditando d’or in avanti, sono quelle, che
segneranno la strada al Sacerdote che vuol compiere al suo gran fine, rime­
diare a’ falli, ed

(2031) 2 a vuoti della sua vita passata, e contentare pienamente la volontà di


questo buon Padre. Prima però di metterci a questa scuola, e dar mano a
formarci su questo divin Esemplare è necessario entrar in noi stessi, e met­
tere alla prova le nostre risolu/ioni per vedere se, e sino a qual punto noi
siamo decisi di seguitarlo, e divideremo la nostra considerazione in questi
tre punti: 1. la necessità che ha ciascun di noi di decidersi, e prendere una
risoluzione in questi esercizi; 2. come, e quale debba essere questa nostra
risoluzione; 3. i vantaggi, e compenso che certamente l’Eclesiastico può
ripromettersi quando veramente la prenda come deve. Faccia Iddio che le
mie parole servano di eccitamento, e di stimolo a por fine una volta ad
una vita di mezzo tra Dio ed il mondo, ed a decidersi per un genere di
vita veramente sacerdotale che è la sola che ci possa condurre a Salute, e
ripararci dall’ultima nostra rovina. Cominciamo.
Sarebbe primieramente una gran follia la nostra se ora che abbiamo pas­
sato questi pochi giorni in cotesto ritiro, conosciamo i vuoti, ed i bisogni
delfanima nostra, avressimo tutto il comodo di rimediarvi, e più o meno
ce ne sentiamo tutti quanti, sono certo, un desiderio, terminassimo poi
con farne niente: ut quid perditio haec1? a che questa perdita di tempo,

lM t 26,8.

454
G io r n o Q u in to •- C o n s id e r a z io n e p r e l im i n a r e ~ A l l ’im i t a z i o n e d e l d i v i n R e d e n to re

incomodi di viaggio, privazioni di molte sorta, spese, disturbi, ed anche


un certo strepito nel mondò, in casa, nel vicinato, presso i Compagni che
venivano a fare gli esercizi, se tutto doveva poi finire come prima? a che
tante illustrazioni alla mente, tanti eccitamenti, ed impulsi al cuore? a che
tante preghiere, e forse proteste, e gemiti, e sospiri, se ritornati alle nostre
case fossimo quei di prima, leggieri, mondani, dissipati, le stesse partite,
sempre la stessa divagazione, occupati più in faccende di terra, e follie di
mondo che d’interessi per Dio. Sarebbe questo per tacere di altri incon­
venienti un illudere i disegni di Dio, e le speranze de buoni, far ridere i
maligni, ed esporre a gran pericolo le anime nostre. Iddio di certo, come
già vi diceva fin da principio, non ci ha chiamato a caso a questi esercizi;
è desso, credetelo o carioche in diversi modi, in varie maniere ha disposto
cotesto ritiro per noi: se la grazia fu grande, come è indubitabile, non pos­
sono essere minori i fini, per cui l’ha operato, e chi sa quale corredo di
virtù, che grado di meriti, quante anime salve restano legate nella mente di
Dio a questi nostri esercizi? or tutto questo è perduto, ogni cosa sparirà al
vento quando da noi non si corrisponda a’ suoi disegni. Le anime buone
aspettano anche loro qualche cosa da noi dopo questi esercizi. Più 0 meno
abbiamo tutti i nostri difetti, ed allorché avran saputo che venivamo a rac-
chiuderci in questo ritiro, si saranno certamente rallegrate nel Signore, ed
avranno detto in cuore, e forse anche tra loro: il nostro prete va'a fare gli
Esercizi, eh! che buon pensiero, sia lodato Iddio, è buono, ma speriamo
che verrà a casa ancora migliore, :

avrà maggior pazienza, pregherà di più, starà più ritirato, non si occu­ (2032) 3
perà più tanto de’ negozi, delle faccende di terrà, e di mondo. Che se aves­
simo poi qualche pecca maggiore ah allora sì che si raddopierebbero i desi­
deri, e le speranze de’ buoni, oh fosse un po vero, andran ripetendo, che
venisse a casa un altro prete, più divoto, modesto, ed attento a suoi doveri,
sarebbe tempo, eh che grazia per quel luogo, per quella gente, per quel
paese; oh fosse un po’ vero che lasciasse quella casa, quella persona, que’
compagni, que’ giuochi: oh volesse Dio che cangiasse vita, e costumi quel
povero prete, deponesse quelle foggie di capigliatura, di abiti, di ciarlare,
di ridere, di trattare per niente convenienti ad un Sacerdote, ah quanti
scandali, quante dicerie, quanti guai di meno: preghiamo, speriamo, può
èssere, Iddio è grande, è buono, lo farà tutt’altro. Ecco, o fratèlli, le pre­
ghiere, i gemiti, i sospiri, i désideri de’ buoni che ci conoscono, e sono nel
mondo: mentre noi stiamo compiendo quest’opera del Signore, le anime
buone pregano, sperano, si consolano rieU’aspettazione d’un migliore avve­
nire sopra di noi.

455
E sercizi S p iritu a li a l Clero M e d ita zio n i

I maligni al contrario temono, e rideranno di noi quando s’accorge­


ranno che Ì nostri Esercizi sono stati un fuoco di paglia, una vernice, una
coperta, e quasi come un lampo, e niente più. Già, avranno detto tra loro,
è inutile che quel lì vadi agli Esercizi, vedrete che sarà sempre quel di
prima. Che se giunti a casa scorgeranno una qualche mutazione in noi>
non danno ancora la causa vinta, e andran ripetendo, non la dura, è impos­
sibile, non può continuare, sarà un affare di pochi giorni, un po’ d’impo-
stura, un po’ di polvere negli occhi, vedrete che non lo sbaglio. Tocca a noi
o cari a sventar tutti questi giudizi, eprorrostici; sta a noi ad otturare tutte
queste bocche, a confondere cotesti maligni, e far sì che abbiano a tacere,
ed arrossire de’ loro pronostici. Il mondo teme di troppo la virtù dèi prete,
anzi è l’unica cosa, che paventi in noi, poiché sa che il Sacerdote virtuoso;
puro, ed illibato di costumi ha niente, che lo sgomenti sulla terra, e la virtù
anche sopra fatta, vilipesa, e manomessa sortirà sempre vincitrice a5fianchi,
e sotto gli occhi de’ suoi nemici, onde v’è niente a stupire che feccia di
tutto perché l’Eclesiastico non si porti in questi luoghi, e che recatosi a suo
dispetto ne sorta esca senza frutto di sorta, o presto lo dissipi, e lo perda. E
noi vorremo darla vinta a’ nostri nemici con dar loro materia di rìdere di
noi, del nostro ritiro, e di cotesta santa pratica degli Esercizi.
Finalmente se noi non veniamo presentemente a quella riforma, di cui
ciascun di noi può abbisognare, con una vera, e decisiva risoluzione, noi
siamo in gran pericolo di andarcene all’altro mondo quali ci troviamo;
poiché o non avremo più tempo a fare altri Esercizi, come può capitare a
chiunque di noi, ed è come certo che capiterà

(2033) 4 a qualcuno, ed in questo caso se noi non ci facciamo migliori in questi


Esercizi con tanto comodo, e sì grandi eccitamenti, vogliamo sperare di
divenirlo fuori di qua, in mezzo al mondo, e tra tanti ostacoli; sarebbe
un illuderci a sperarlo, e cosi possiamo tenerci pur trQppo come certi
di morire, come ci troviamo; quand’anche poi avessimo il tempo, ed il
comodo di ripetere altra volta cotesto ritiro, accostumati già ad entrarvi ed
uscirne sempre li medesimi, accadrà pur troppo Io stesso anche altra volta.
Dunque a finirla una volta, cavarci d’ogni pericolo, e far che gli Esercizi
non sieno che una materialità, od una cosa di puro nome, è di tutta neces­
sità il risolvere, e prendere una decisiva determinazione; e quale? pronta,
ferma, illimitata. Ecco ciò che si richiede in noi se vogliamo riprometterci
un qualche frutto da questi Esercizi, e formarci veri Sacerdoti nel modello
di questo divin Redentore, che imprenderemo a considerare.
Pronta per primo deve essere la nostra risoluzione. Fin dal primo giorno
che arriveremo alle nostre case deve spuntare un qualche frutto de’ nostri

456
G io rn o Q u in to - C o n s id e r a z io n e p r e lim in a r e ~ A l l' i m i t a z i o n e d e l d i v i n R e d en to re

Esercizi, e guai se passa un giorno, passan due, passan tre senza che comin­
ciamo a dar mano a ciò che abbiam risolto, con tutti i nostri piani in
testa, non ostante tutti i nostri calcoli, e progetti, finiremo con far niente;
avremo designato nella nostra mente di renderci veri, e compiti Sacerdoti
sull’imitazione di questo nostro divin Redentore, ma sé noi tardiamo
anche per poco a cominciare, purtroppo saremo sempre qué1 di prima. E
perché non abbi ad andar perduto il frutto di questo ritiro, che per diversi
tra noi sarà l’ultimo, determiniamo fin d’adesso un giorno, otto o quindici
giorni al più dopo, l’arrivo alle nostre case per rivedere che cosa in quel
po’ di tempo abbiano prodotto le nostre risoluzioni di questi giorni, ma
non facciamolo così per apparenza, e quasi di passaggio: scegliamo un .ora
di maggior quiete, e se si può in Chiesa, e davanti al Crocefisso, e come
se fossimo per andar a render conto a Dio de’ nostri proponimenti esami­
niamo e confrontiamo que pochi giorni con ciò che abbiamo deciso di
fare in questo tempo; se noi troviamo d’esservi stati fedeli, e d’aver messo
in pratica i nostri propositi, ringraziamone il Signore, e continuiamo che
il paradiso è per noi, la palma, la vittoria è nostra. Che se in qualche
cosa vi abbiamo mancato, coraggio, o cari, riempiamo il vuoto* la causa
è troppo grande; facciamo quello che non abbiamo ancor fatto, poiché Ì
sforzi saranno mai di troppo quando si tratta di divenire, di formarci veri

lirvita Se poi trovassimo un bel niente, ed il frutto di questi Esercizi fosse


rimasto tutto quà sulla porta di questo Santuario, sempre li stessi, la stessa
divagazione, la stessa indolenza,, leggerezza, un misto in noi di Chiesa e
di mondo, una vita tentennante tra i doveri e le trasgressioni, un giorno
divoti, studiosi, ritirati, l’altro in partite, giuochi, e passatempi; a costoro
che cosa avrei a dire

eh! fratelli miei, quando per un infelice Eclesiástico riesce inutile, e di (2035) 5
nessun effetto una serie di Meditazioni, di riflessi [oni], di eccitamenti, e di
lumi, quali sono i Santi Esercizi. Quando un Sacerdote è giunto a tanto
che niente più lo colpisce, né l’enormità del suo peccato, né la vicinanza
d’una morte spaventosa sciagurata e terribile, né l’orrore d’una eternità
spaventosa2,

né gli inviti, le carezze, le misericordie di questo buon Dio (2034 )

2 Con una nota i l Cafasso rim an da a d u n a riga nella p a g in a a fronte.

457
E sercizi S p iritu a li a l Clero M e d ita z io n i

(2035) 1 . non ci resta più che temere per,costui,, epperciò da piangere, e da pre­
gare che Dio lo salvi, del resto è perduto.' Gotesto esame di cui vi parlo, sul
frutto del nostro ritiro, lo farà il mondo prima ancora di noi3:

(2034) . Giudizio del mondo preventivo etc. fatto della Se; etc. .

(2035) 5 Qualunque, sia il Sacerdote, che è venuto a fare gli Esercizi, si ricordi
che giunto a casa, più o. meno avrà gli occhi addosso fin dal primo
momento, quei di casa per primo, i vicini, conoscenti e quelli principal­
mente che hanno già fatto a suo modo i commenti sulla nostra risoluzione;
guardiamo un po’, penseranno, e forse diranno anche tra loro: guardiamo
adesso come è, come fa, come andrà a regolarsi, se andrà ancora in quella
casa, se continuerà ancor a mischiarsi in quelle faccende, se vestirà ancor
in quella forma, se dirà una Messa un po’ più da cristiano, se andrà alle
funzioni di chiesa, se deporrà quella freddura con quel tale, se tra loro
Sacerdoti se la passeranno in maggior armonia, e con più carità. Qual sarà
l’esito di questo esame, che il mondo aspetta per fare di noi? qual sarà dico,
la sentenza finale, che. pronunzierà sul nostro conto: una delle due: oh
che buon pensiero fu quello di recarsi agli Esercizi; non par più quello di
prima: si vede che il fondo era buono, ci voleva soltanto che s’allontanasse
un tantino, e qualcuno gli parlasse schietto, e pensasse un po’ a se: ora
l’ha fatto, e sembra tutto un altro, ringraziamone Iddio, e preghiamo solo
che duri. Che se non potranno parlare in questo modo, useranno un altro
linguaggio, oh! l’abbiam sempre detto che gli Esercizi erano una coperta,
gli facevano né caldo, né freddo: osservatelo: pare che sia venuto da una
partita, od un viàggio di diporto, chi direbbe sia andato a far gli Esercizi,
ci vuol altro a correggere quel lì; se non vi rimedia Dio, può tenersi la cosa
come disperata. Ecco a un dipresso i giudizi che andrà il mondo ad emet­
tere sopra ciascun di noi; ma quale sarà sopra di me, quale sopra di voi.
Ognun vi pensi, perché la cosa dipende da noi.
Pronta deve essere la nostra risoluzione per imitare questo nostro divin
[Reden]tore, e così riempire i vuotile riformare a mali della nostra vita
passata. Ferma, e ciò-per due-capi perché sia tale, dobbiamo far queste
due cose: 1° risolverci, e disporci a superare da forti tutti gli ostacoli, che
si frapporranno, e cercheranno di distoglierci da’ nostri proponimenti, le
antiche nostre abitudini, il peso, il gravame che porta sulle prime a contra-

3 II Cafasso inserisce un'altra riga p o sta n e lla p a g in a afro n te.

458
G io r n o Q u in to ^ C o n s id e r a z io n e p r e l im i n a r e - A l l ’im i t a z i o n e d e l d i v ì n R e d e n to re

riare il nostro genio, e la nostra delicatezza, l’esempio, o per meglio dire lo


scandalo di molti altri compagni Sacerdoti, che pretendono poter vestire la
divisa del Signore colle costumanze, e

collo spirito del secolo. Finalmente le dicerie, i mottegi, Ì sarcasmi del (2037) 6
mondo; con cui si cercheran di deviarci dal nostro volere, e guardate come
è maligno e contraddente a se stesso cotesto mondo. Se il Sacerdote vive
fa male, e non vive secondo lo Spirito del suo stato, lo critica, lo censura,
10 disapprova; ed a ragione; ma se cerca di riformarsi, dovrebbe lodarlo,
approvar la sua riforma: eppure nò; invece lo mette in canzone, lo burla,
e ne fa un soggetto di risa, e di scherno: forti, o fratelli miei cari, fermi e
decisi quando si tratta di formarci, e divenire veri Eclesiastici: il mondo
strepita a cotesta impresa, appunto perché sa quel che vale, e quello che
abbia a temere da un Sacerdote sì fatto4.

Altra, condizione non meno importante, che deve portare con se la (2036)
nostra risoluzione di questi giorni, è come vi diceva, che sia illimitata. Illi­
mitata ne’ mezzi che possono condurre a quella riforma, di cui ciascun di
noi può abbisognare; illimitata nel suo oggetto, ossia per tutto ciò, che
Iddio può desiderare, e gradire da noi. S. Ignazio distingue tre sorta d’uo­
mini, e di persone, che si sono ritirate a fare gli Esercizi. Le une dicono,
promettono di far questo e quello, ma fanno mai niente. Non crediate che
11 Sacerdote si cambi, sia già un altro uomo, e riformato, soltanto col pen­
sarlo, col dirlo,: col protestarlo anche sinceramente: un buon Eclesiástico
non è già opera solo d’un momento, effetto d’un buon temperamento riti­
rato, divoto, ed alieno per natura dalla dissipazione del mondo; nemmen
Iddio lo vuol formare solo da se, ma è necessaria la nostra co operazione,
l’uso cioè, la pratica de mezzi, che possono servire a compir questa gran-
d’opera, quali sono per citarne i principali, la preghiera, il ritiro, lo studio,

4 Con una nota il Cafasso intende inserire 18 righe scritte nella pagina a fronte. Il testo
poi continua con alcune righe cancellate che noi qui'trascriviamo: L’altra cosa che abbiate a
fare perché sia ferma la nostra risoluzione è di venir alla pratica, e fissare il modo, ossia
i mezzi per riuscirvi. S. Ignazio distingue tre sorta di persone, che negli Esercizi dicono
ed anche sinceramente di volerne far frutto, e riformarsi con questa differenza però che
le une lo dicono, e lo vorranno, ma danno -mai senza dar mano all’opera, vogliono esser
buoni coll’idea, colla fantasia, quasi che per esser tali bastasse il volerlo senza far niente.
Errore, miei carii anzi stoltezza, e follia il darcela ad intendere a questo modo. Costóro

459
Esercizi S p iritu a li à i Clero - M e d ita z io n i

lar fuga le pratiche di pietà, e la fuga da mondani sollievi passatempi, e


mondane occupazioni: di modo che chi volesse cambiare, ma senza dar
mano a mezzo alcuno, sarebbe causa perduta, ed una pazzia lo sperare di
riuscire un buon Sacerdote, e vengono paragonati costoro al pigro, etc

(2037) 6 al pigro, che sempre vuol alzarsi, di letto ma frattanto mai sbalza di
lètto; sono come quel soldato dipinto in carta, che pieno di ardore .guer­
riero in faccia tiene già il colpo in aria, è ad ogni momento par che sia
per trinciare il nemico, ma intanto è sempre fermo, ed immobile. Taleìè la
figura di chi in cotesto ritiro concepisce, e fa ottimi piani, e disegni di voler
essere un buon pretese non si cura di dar cominciamento ad eseguirli'’. :

(2036) Saran santi, saran buoni cotesti se volete nell’idea, nella fantasia, nel-.
Timaginazione, ma in realtà nelle loro azioni, nella sua giornata, e maniera
di vivere saran sempre quei Sacerdoti di prima.
Il numero però maggiore, ed in conseguenza il danno più. comune­
mente a temersi è di coloro, che etc.

(2037) 6 la seconda classe è dì coloro che tentano di prendere una via di mezzo,
e cercano quasi di venire ad una specie di transazione con Dio: far niente
sanno benissimo che non può riuscire, far tutto quello che a rigore si vor­
rebbe, loro pesa di troppo, e pare che loro venga meno il coraggio, onde
vorrebbero praticare in parte, ed almeno il più essenziale in ciò che sarebbe
nel caso, per esempio invece di troncar affatto un divertimento, una fre­
quenza, un occupazione, una freddura, un certo genere di vita vuoto,
secolaresco, e leggiero, diminuirlo solò, modificarlo, e quasi rappezzarlo,
quando andrebbe rifatto pienamente6.

5 Con una nota il Cafasso rimanda ad alcune righe scritte nella pagina afronte.
6 Segue nell’originale questo testo cancellato: costoro, subito, e senza limici, e riserve si
mettono all1opera loro. Per i primi già voi lo vedete, che è una mera stoltezza, e follia lo
sperare che basti, e possa arrivarsi ad .esser buoni preti senza: I terzi poi sono quelli che
conoscendo il proprio vuoto, e bisogno, e essendo fermi e decisi di cambiar ad ogni usare
i mezzi. I secondi s’espongono ad un gran pericolo, o di far niente, o di non durarla. Per i
terzi solo sta la sicurezza, la felicità, e. la gioia del buon servo di Dio,

(2037) 7 Ora tocca a noi a vedere a quali tra tutti costoro noi possiamo appartenere. A que­
st’ora ciascun di noi ha potuto conoscere, e conoscerà ancor maggiormente in quel po’ di
tempo, che ci resta, quel tanto di cui abbisogna: un buon prete non è opera del caso, ne
Iddio vuol farlo solo da se senza la nostra cooperazione: per formare un buon Eclesiástico,

460
G io r n o Q u in to ^ C o n s id e ra z io n e p r e lim in a r e " A l l ’im i t a z i o n e d e l d i v i n R e d e n to re

Questo stato di mezzo7,

questa transazione con Dio, questa nostra condotta limitata, (2038)

che forma, come diceva, la più comune tra noi Sacerdoti8, (2039)

è la più pericolosa perché ci salva (2038)

da ciò che potrebbe dar nell’occhio al mondo, e presenta in apparenza (2039) 7


una tal qual sicurezza, che basti, senza andar più avanti, ed assoggettarci
a sacrifizi più gravi;

transazione e primieramente lo che fa che molti la seguono, e quel che è


peggio senza rimorsi, e paure: eppure appunto perché è comoda, ci con­
viene aprire gli occhi, ed esaminare quali, e quanti inconvenienti essa porti:
e primieramente9.

fornirlo del proprio Spirito, e corredarlo delle qualità necessarie non bastano pochi giorni,
nemmen è sufficiente un buon Carattere, un indole dolce, e pieghevole, ed aliena per
natura da ciò che è rumoroso nel mondo, benché tutto questo possa coadiuvare moltis­
simo: come nemmen da se sola basta la buona volontà senza l’uso de’ mezzi, quali sono
per nominare i principali, la preghiera, il ritiro, Io studio, le pratiche di pietà, la fuga
da mondani, sollievi, e maneggi secolareschi, lo che vuol dire che per formare un buon
Sacerdote d vuol costantemente un metodo di vita, ossia una giornata spesa con ordine,
discrezione,, e prudenza nelle opere,, e co' riguardi suddetti. Ora se noi vogliamo vivere
a modo nostro, e non appigliarci a cocesti mezzi, è inutile il dire di più, faremo un bel
niente. Che se una vita cosi ordinata, e disposta ci pesa di troppo, epperciò cerchiamo di
dividere, e fare, se fosse possibile, per metà
7 II Cafasso inserisce una riga dalla pagina a fronte.
8 II Cafasso inserisce un’altra riga dalla pagina a fronte.
9 L’originale si interrompe a questo punto.

461
Meditazione Prima ( 2040 )

Sopra la vita del Redentore in generale

Caro mio Redentore, prostrato dinnanzi alla vostra divina presenza, io vi (2041) 10
prego caldamente de vostri lumi, e della vostra grazia per ben apprendere
le vostre sante Verità. Deh! o Signore, voi che vi degnaste di chiamarmi
a vostro Ministro, fate sì che io intenda il vero spirito del mio stato, io
impari quelle grandi lezioni, che voi vivendo in terra lasciaste per me. Cara
Madre Maria, voi che foste in gran parte presente, e compagna della vita,
ed azioni del vostro caro Gesù, deh assistetemi perché arrivi a compren­
dere, e molto più a seguitare i luminosi esempi, che in special modo ha
lasciato a noi Sacerdoti sulla terra. Angelo nostro Custode etc.
Noi entriamo colla presente Meditazione in quella parte degli Esercizi,
che vien detta comunemente la Via illuminativa, quella parte cioè desti­
nata a considerare le azioni, gli esempi del nostro divin Redentore, che è
quel solo che possa, che basti veramente ad illuminare l’uomo nel bujo, e
fra le tenebre di questo mondo. Purgato finora il nostro cuore colla con­
siderazione delle Massime eterne, con forti, e generose risoluzioni, con
verace, e sincero pentimento delle nostre colpe, distrutto così in noi come
un Sacerdote vecchio, ci tocca a riedificarne un nuovo: altre opere, altre
mire, altri affetti, altre tendenze, altri desideri, o se non altro almeno
questo medesimo personaggio già fatto secondo il cuore di Dio, a renderlo
più perfetto, e compito. L’opera ella è grande, necessaria, il disegno, il
modello è Un solo che sta nella vita, e negli esempi del nostro divin Reden­
tore. Inspice, et fac secundum exemplar1. Figuriamoci che l’eterno Padre
rivolto a ciascun di noi ci dica: ecco, Sacerdote mio caro, se tu veramente

* (fald. 4 6 /fase. 115; nèll’origìnale 2040-2051).


1Es 25,40.

463
E sercizi S p iritu a li a l Clero - M e d ita z io n i

vuoi divenire vero mio Ministro, se hai a cuore di aver lo spirito del tuo
stato, disimpegnare a dovete le tue obbligazioni, e vivere da pari tuo, ecco
chi devi seguire, chi devi imitare: Inspice. et fac: qui non c’è pericolo di
sbaglio, quando la copia sia conforme; fuori di qua, vi saranno Sacerdòti di
nome, di apparenza, materiali, ma mai veri Eclesiastici interni, di spirito, e
di realtà. Di qui ognun vede l'importanza somma di ben meditare cotesta
vita del Divin Redentore che sorta perché ognun di noi possa conoscere
che sorta di Eclesiástico sia, che cosa gli manchi, e che gli abbisogni per
riuscire un vero, e santo Sacerdote.

(2042) 2 Ci resta impossibile per mancanza di tempo a scorrere per ogni tratto
di cotesta vita divina, noi la divideremo in tre parti, cioè I o nella condotta
che vivendo in terra tenne il divin Redentore coir eterno suo Padre: 2. Nel
metodo di vita privata, che addotto, e scielse per se medesimo: 3. Il modo
con cui trattò il prossimo, e si diportò cól mondo.
La condotta, che tenne coll’eterno suo Padre sarà il soggetto della pre­
sente nostra Meditazione, e basti il dire che lo perde mai di vista, lo che
fece I o che passava i suoi giorni in una continua unione, e relazione col
Padre suo. 2. ebbe mai nienf altro in mira in tutte le sue azioni che l’onore,
e la gloria sua. 3 finalmente in ogni evento, bisogno, e pericolo riposava,
e s’abbandonava pienamente alla sua volontà, e provvidenza. Ecco le. tre
grandi Lezioni da impararsi questa mattina da noi. L’importanza della
materia, la dignità del Maestro, il più grande nostro interesse tutto ci deve
impegnare a considerarle seriamente per ricavarne il maggior nostro van­
taggio, e profitto. Cominciamo.
Che il divin Redentore durante il corso della sua vita sulla terra non
perdesse di vista il Padre suo, e si tenesse con lui continuamente stretto,
ed unito, ella è una cosa tanto chiara, ed evidente che sarebbe impossibile
il dubitarne. E vero che poche sono le cose, che noi troviamo nel Vangelo
pendente il suo vivere privato; è vero altresi, che molte sono le ragioni, per
cui la possiamo dedurre, ed argomentare cotesta sua relazione col Padre
in tal tempo, ma non occorre fermarci, ed andiamo di volo a quanto Egli
fece, e predicò durante gli ultimi tre anni della sua vita. Noi sappiamo che
nell’esordire la sua predicazione là nel Giordano il divin Padre fece publi­
camente l’elogio di questo suo Figlio divino, dicendo che sempre, e fin
allora nera stato contento, ed aveva riposta, e provata in Lui tutta la sua
compiacenza, lo che prova che questo Figlio anche nel suo vivere privato
aveva sempre avuto le sue mire rivolte a questo suo buon Padre: quello
però che ci accerta, e ci mette fuor d’ogni dubio, è la frequenza, il modo

464
M e d i ta z io n e P r im a ~ S o p ra la v i t a d e l R e d e n to r e in g e n e ra le

con cui ne parlava: leggiamo i suoi sermoni, e voi sapete come soventi,
ed in ogni occasione, che le si presentasse parlasse del Padre suo, de’ suoi
attributi, del suo affetto, ed attaccamento verso di lui: come ripetutamente
protestava che egli ed il Padre suo fossero inseparabili, e come una cosa
sola: ego et Pater untim sumus2:

Pater in me est et ego in Patre3: e mille altri luoghi principalmente nel (2043) 3
Vangelo di. S. Giò in cui ci da a conoscere come fossero tra loro indivisi­
bili. Ed infatti noi vediamo nello stesso Vangelo cóme anche lavorando il
nostro divin Redentore, non sapeva staccarsi da Lui, ed or con sguardi,
or con gemiti, con sospiri, or con aspirazioni si portava a Lui, e pareva
che non potesse vivere senza di lui, epperciò quando poteva avere qualche
ritaglio di tempo, ed alle volte separandosi anche per forza dalle turbe, e
dal popolo godeva di trattenersi le ore, e perfino le notti intiere a parlare, a
conversare, a familiarizzare con lui;, e di qui ne veniva quello sprezzo d’ogni
cosa mondana, di tutte le follie della terra, quell’amore al ritiro, al nascon­
dimento; di qui nasceva quel zelo, quell’unzione, con cui parlava, e guada­
gnava i cuori; di qui quella gioia, quell’allegrezza esterna, quel sembiante
ilare, e giocondo con cui s’attirava, i popoli a seguirlo; di qui quella purità,
quell’illibatezza di costumi che nessuno nemmeno tra i suoi più accaniti
nemici le ha potuto negare: di qui infine que’ modi dolci, caritatevoli,
pazienti nell’esercizio del suo Ministero, per cui cedevano i cuori, i pecca­
tori anche più ostinati. Ah! un Sacerdote che arrivi ad acquistare, a con­
servare cotesta unione, cotesta relazione col suo Dio, che viva, che respiri,
che lavori, che s’occupi con Lui; ah! un Eclesiástico che possa dire io ed
il mio Signore facciamo una cosa sola, io sono in Lui, Iddio è in me, nel
mio cuore, sulle mie labbra, ne miei lavori, nelle mie imprese, quello che
io fo, è Iddio che lo fa in me di modo che potesse dirsi: chi vede me è lo
stesso come se vedesse Dio, come già diceva di se stesso il divin Redentore:
Pater in me manens jpse facit opera. Qui videt me, videt et Patrem meum.
Ioann. 14. 9. 10. Oh! quanto bene io spererei da un Sacerdote si fatto:
che grazia, che tesoro per un paese, una popolazione, e che speranza, che
porto di salute per tante anime. Ah! fossero pur molti gli Eclesiastici che
vivessero di questo spirito, anzi starei per dire di questa vita divina, stretti,
uniti, indivisibili, inseparabili dal suo Dio.

2 Gv 10,30.
3 Gv 10,38.

465
E sercizi S p iritu a li a i Clero ■- M e d ita z io n i

E come fare per giungere, per mantenersi in cotesta unione? eh fratelli


miei, la cosa non è tanto difficile ma ci vuole una risoluzione ferma, decisa,
piena, compita, una cosà a metà sarebbe un bel niente, finché il cuore
è pieno di terra, fintantoché la nostra mente è ingombra da’ pensieri di
mondo, è inutile sperare cotesta unione con Dio, l’affetto, che ilei caso noi
avressimo alle cose della terra, ci terrebbe

(2044) 4 come sepolti in cotesto fango, e sarebbe impossibile che il nostro cuore
cosi impicciato nonché sciolto, e libero portarsi a Dio, trattenersi, e vivere
con Lui. Il Sacerdote adunque che ad esempio del divin Redentore vuol
vivere: una vita unita, stretta, congiunta col suo Dio si ricordi che Egli non
è più un uomo di questo mondo, epperciò sprezzi e non faccia caso di tutte
le sue follie; si tenga lontano più che può dallo strepito, dal rumore del
mondo, licenzi per quanto le è possibile, ed allontani da se tutte quelle
faccende, ed occupazioni, che lo possono tener attaccato allá terra, e poi
procuri di trattenersi più che può col suo Dio, epperciò aver nella giornata
i suoi tempi di preghiera da parlare, famigliarizzare, con Lui, Meditazione,
léttiira, esami, visite al Sacramento, che sono mezzi eccellenti per mante-
nersi in unione con Dio, quindi, non basta àncora, prender l’usanza anche
noi nel corso del giorno, mentre studiamo, lavoriamo portarci soventi col
pensiero a Lui con un sospiro, un gemito, uno sguardo, una parola, e ciò
lo possiamo ih casa, in chiesa, per istrada, mentre si studia, si confessa, si
predica, e quanto vale alle volte sia per nostro conforto, come pel bene
delle anime, un atto, uno slancio, uno sguardo di fede in simili occasioni,
ed a questo fine ajutarci anche con qualche pratica esterna, per esempio
portare con noi qualche cosa di divoto, tenersi in camera, sui tavolo, un
imagine, un crocefisso, tutto ci ajuta á ricordarci frequentemente di Dio, a
vivere a Lui uniti, e congiunti, e condurre così una vita conforme a quella
del nostro divin Redentore.
La seconda cosà che praticò cotesto nostro gran Maestro col suo divin
Padre fù quella di aver in tutto sempre, e solo in mira l’onore, e la gloria
sua: può dirsi che questa fù una conseguenza necessaria della prima, poiché
vivendo cosi unito col Padre, e facendo una cosa con lui, ne veniva neces­
sariamente che non poteva a meno che curarne gli interessi suoi. Egli l’ha
protestato le tante volte, che non cercava altro che la gloria sua, ed i fatti
suoi comprovarono mai sempre le sue proteste, e non occorre nemmeno
fermarvisi perché tutti Io sappiamo; solo noi noteremo che cotesta mira di
glorificare il Padre suo le venne mai meno, la smentì mai ariche nelle azioni
minime, ordinarie, e di poca o nessun importanza appresso il mondo,

466
M e d i ta z io n e P r im a - S o p r a la v it a d e l R e d e n to r e in g e n e ra le

come sarebbero i lavori materiali dell1arte., e mestiere, che esercitava, che


gli uomini per certo calcolavano per niente, anche in ciò che pareva un po’
di allegro e festevole ma onesto, e che vi prendeva parte, come sarebbero le
nozze di Cana, e vari

altri inviti, che ebbe, certo che non v’intervenne che per gloria di suo (2045) 5
Padre. Cotesta sua mira la preferì a tutto, ed a qualunque cosa potesse aver
più cara al mondo. Se vi fu un occasione, in cui avrebbe ,deviato quanto
le fosse stato possibile* certamente sarebbe stata quella di non disgustare,
e, cagionare sì gravi fastidi alla sua tenera Madre, ed al caro suo Custode
S. Giuseppe allorché a loro insaputa si fermò per tanto tempo nel Tempio.
Possiamo immaginarci se non pensava alla sua povera Madre, e se non
conosceva tutto il suo dolore, ed angustia, e come questo l’avrà dovuto
trafiggere, eppure no, tutto, e tutti devono star al di sotto quando si e
amici, e parenti, e quel.povero vecchio suo Custode, la stessa sua Madre,
perfin se medesimo, quando si tratta della gloria del Padre suo, e lo disse
Egli stesso alla sua Genitrice, che le ne muovéva lagnanza. Questo tratto
prova ad evidènza quello che ha sofferto Maria, ma mostra in pari tempo
quanta importanza desse Gesù agli interessi, e voglio dire aironore del suo
Padre.
Proccurò sempre cotesta gloria a qualunque costo senza lasciarsi atter­
rire, spaventare da’ patimenti, da contrasti* da persecuzioni, da minaccie, e
perfino dalla morte medesima; è inutile che qui io mi metta a ridire quello
che ei sostenne, soffri, e dovette sopportare a questo fine. Tutta quanta
la sua vita, prima ancor di nascere sino al punto, che spirò sulla croce fù
un tessuto continuo di patimenti, di pene, di travagli, di dolori, e d’ogni
sorta d’obbrobri, ed oltraggi sostenuti sempre alla gloria.di suo Padre colla
maggior fermezza, e coraggio finché ne morì vittima, e la sua morte fù, e
sarà sempre l’argomento più forte, la prova più grande e solenne delle sue
intenzioni, del suo zelo per l’onor, per la gloria sua.. Eccoci, fratelli miei,
una tra le più grandi, le più importanti lezioni per noi Eclesiastici. Via
ogni fine temporale, ogni mira umana dal Sacerdote, dal suo Ministero,
nel suo Operariato Evangelico: via la vanità, l’interesse, l’amor proprio, il
contento, il desiderio nostro della famiglia, della parentella, via il genio
nostro, il gusto, l’inclinazione; non sono questi, nò i motivi che hanno da
determinare, da muovere, da regolare il prete nella sua vita, ne’ suoi pro­
getti, nelle sue imprese, nella scielta, nell’esecuzione delle sue operazioni:
ma solo, sempre, e puramente l’onore e la gloria del suo Dio. Il Sacerdote
è fatto per Dio, la sua vita, epperciò le singole sue azioni gli sono state

467
E sercizi S p iritu a li a l Clero * M e d ita z io n i

e chi le ne tocca, le ne prende per


darle alle creature, alle cose di mondo, è un furto che le fa, un torto, ed un
oltraggio che le arreca.

(2046) 6 Cotesta purità d'intenzione di piacer a Dio, e di cercare la sua gloria il


Sacerdote ad esempio del divin Redentore deve procurare d’averla in tutto,
anche le cose più minute, e indifferenti, come sarebbe il vitto, il passeggio,
il divertimento, il sonno andiam dicendo giusta l’avviso che dava già a tutti
{’Appostolo S. Paolo: sive manducatis, sive bibetis, aut aliud quodcumque
agitis. omnia in Dei gloriam facite4. Di più il vero Sacerdote, che vuol
essere ùna copia conforme a questo divin Redentore, la deve preferire,
anteporre ad ogni altra cosa, sicché trattandosi di prendere un impiego,
appigliarsi ad un occupazione, lasciar uno studio, intraprendeirne un altro,
andar in questo, o quel paese, darsi a questo piuttosto, che a quel Mini­
stero invece di cercare quello che è più comodo, ci piace di più, contenta
di più i parenti, da maggior lucro, è più onorifico, ci mette più alla por­
tata d’esser più conosciuti, aver un impiego, invece dico di tutto questo,
lasciamo a parte coteste viste umane, e guardiamo dove l’onor, la glòria
di Dìo ne guadagni maggiormente, cioè dove si possa fare maggior bene,
dove l’Eclesiastico pòssa attendere di più allo studio, alla pietà, e coltivare
se stesso: guardi ove si trovi meno esposto a’ pericoli, alle partite, alla dis­
sipazione. Osservi ové possa aver maggior eccitamento, maggior comodo
pel ritiro, per la pietà, in sostanza per poter condurre una vita da buon
Eclesiástico; e se noi non sappiamo ove stii il meglio, prima di scegliere,
preghiamo, dimandiamo consigliò ma nòn già a certi amici, a’ parenti,
conoscenti, che saranno buoni, se volete, ma in materia di spirito, e di
gloria di Dio certo che non sonò maestri, e non sono in istato di poterne
giudicare; che se noi ci regoleremo in questo modo, allora veramente potrà
dirsi che cerchiamo, che vogliamo in tutto, e solo la Gloria di Dio. Ma,
si può soggiungere, lo so che andrebbe bene a far cosi, ma mi tocche­
rebbe disgustare i parenti, rinunciare al mio vantaggio, ed interesse tem­
porale, assoggettarmi ad un peso più grave, ad una vita più legata, più
penosa, allontanarmi di troppo dalla famiglia, contrariare le mie abitudini,
ed inclinazioni. SI, lo ammetto o Cari, che più d’una volta se vogliamo aver

4 1 Còr 10,31.

468
M e d i ta z io n e P r i m a " S o p r a la v it a d e l R e d e n to r e in g e n e ra le

quella mira ci toccherà urtare, resistere, contradire noi medesimi, gli altri,
e soffrire anche qualche scapito negli interessi temporali, ma è appunto
in questi casi che deve farsi conoscere il vero Sacerdote, ed imitare il suo
Maestro, il divin Redentore, poiché aver in mira la gloria di Dio,

quando costa niente, anzi si trova insieme il nostro utile, si contenta (2047) 7
ancor i parenti, la nostra vanità, il nostro amor proprio lo so che non può
essere una gran cosa; ma l’esempio che ci diede il divin Redentore andò
più oltre, ed è di cercarla, di proccurarla a qualunque costo di incomodi,
di patimenti, di. strappazzi, di persecuzioni, di sanità, ed anche con peri­
colo della vita. Adesso io non entro a spiegare se sempre, e sino a qual
punto il Sacerdote vi sia tenuto, ma io dico solo che quello tra noi vuol
esser simile a questo divin Redentore non deve fare differenza alcuna, ne
lasciarsi smuovere, e spaventare da chichesia, ma ovunque lo chiami, lo
voglia, vi veda la gloria, l’onor del suo Dio, là deve arrivarvi a qualunque
costo, ed a traverso di qualsiasi pericolo, che potesse incontrare, o temere.
Innumerevoli sono i vantaggi che il buon Sacerdote n’avrebbe in questi
casi; e per primo il merito grande che con poco si potrebbe fare appresso
Dio, poiché Iddio non lo misura a ragion dell’opera di quello, che essa
compare, o ne pensino gli uomini, ma bensì a tenore del cuore, e delle
intenzioni con cui si compie, poiché è scritto certo che Deus de cordibus.
non de manibus facta metitur: non computat sensum, sed affectum. come
dice S. Gregorio, di modo che può meritare di più un Eclesiástico con un
piccolo sacrificio fatto per piacere a Dio,: che un altro che dia mano, e stia
compiendo un opera più strepitosa del mondo.
Inoltre è indubitabile che Essa ajuterà di molto a far si che Iddio bene­
dica largamente i nostri lavori, ed il nostro ministero, sicché riesca al mag­
gior frutto delle anime, poiché in allora l’opera è più sua, che nostra; lavo­
reremo non come uomini, ma piuttosto come dei, poiché sarà Iddio che
opererà in noi medesimi, come diceva già di se il divin Redentore: qui
operatur in me Pater5. Farà portenti il Sacerdote nel ministero delle anime
quando sia guidato da questa sola mira della gloria di Dio; non è già il
raziocinio, l’eloquenza, l’autorità, il grado, che d’ordinario vinca, e guada­
gni un cuore, ma bensì quella carità, quel zelo, quell’unzione, o per meglio
dire quello Spirito del Signore, che solo può avere chi lavora per Dio.

5 G v 5,17.

469
Esercizi S p iritu a li a l Clero " M e d ita z io n i

Di più PEclesiástico che travaglia pel suo Signore fatica sì, ma non
sente, non prova il peso, il gravame di sua fatica: sarà stanco, e spossato di
forze alle volte da non poterne più, ma in mezzo e sotto il peso di tanti
travagli è l’uòmo più contento del mondo, e vorrebbe poter faticare di più,
e non aspetta che un po’ di lena, di forza per ripigliare il suo lavoro. Ah che
dolce pensiero, che conforto,

(2048) 8 che sollievo per un Sacerdote poter dire a se stesso, io lavoro per Dio. Ve
ne sieno pur occupazioni al mondo, vi sia pure chi lavori per un grande, e
Signori, e Sovrani ancor se volete, ma non hanno che fare coteste fatiche,
coteste occupazioni colle mie, ripeto io non conosco altro padrone, altro
servizio, io fatico solo per Dio,
In ultimo cotesta mira di piacer a Dio in tutte le cose nostre sarà per
noi un grande stimolo, un forte, eccitamento per farle bene, lo che sarà
un vantaggio non piccolo; datemi un Sacerdote che lungo la giornata vadi
via rinnovando tra se [e] se cotesto fine, cotesta purità d’intenzione, voglio
che questa cosa sia per Dio, intendo che tutto sia per lui, pel suo onore,
per la sua gloria, che impegno non userà per esempio nel Breviario, nella
Messa, neU’amministrazione de’ Sacramenti; che cautela nella custodia de’
suoi sentimenti, nel trattare, nel conversar col mondo quando non può
farne a meno; che studio per: praticare di tanto in .tanto qualche sacrifizio,
qualche piccola: mortificazione, onde il Signore ne sia sempre più con­
tento.
Finalmente l’ultimo esempio, che ci diede il divin Redentore nella con­
dotta, che tenne col Padre suo fù quello di abbandonarsi sempre intiera­
mente in ogni evento alla sua paterna bontà, e provvidenza. L’abbandóno
primieramente in occasione della sua nascita, mentre tutto il mondo Io
rifiutava, nessuno lo voleva, tutti cercavano di tenersene in fuori, e Maria e
Giuseppe poveri, sconosciuti, non potevano essergli di ajuto, ad ora tarda,
stagione incomoda sul punto di venir al mondo, possiam imaginare che
terribili circostanze, che strette, per un cuore, che mancasse di Confidenza,
Egli si rimette pienamente alla volontà del Padre suo certo che vi provve­
desse. Nasce, ed ecco Erode che lo vuol morto, e che pericolo per povera
gente in cotesti frangenti, s’abbandona al Padre, ed ei lo salva, e lo manda
in Egitto, è là altra prova di sua fede, poiché paesi incogniti, gente barbara,
parenti inesperti, mancanza di mezzi, e così via via; ma il Padre vi penserà:
ritorna, e terminata la sua vita privata dà principio alla sua predicazione,
e lì quanti odii, persecuzioni, insidie, calunnie, pericoli, minaccie, chi non
si sarebbe arrestato, atterrito, e si sarebbe ritirato dall’opera quando non

470
M e d i ta z io n e P r im a - S o p ra la v i t a d e l R e d e n to r e in g e n e ra le

avesse avuto una confidenza più che grande in un braccio supremo che
l’avrebbe assistito, e difeso, ed eccolo infatti quieto, tranquillo, fermo con­
tinuare l’opera sua

come godesse la calma più perfetta del mondo. Come è mirabile cotesta (2049) 9
fidanza, e cotesta fermezza nel divin Redentore, e come ella è degna d’esser
imitata dal Sacerdote: sev’è una virtù che abbi a risplendere, e che debba
concorrere a formare un vero Appostolo ella è questa, un abbandono cioè
totale, cieco; pieno e compito alla volontà, alla provvidenza di Dio, e rian­
date la vita di qualunque Santo, d’ognì Eclesiástico che si sia dato a lavo­
rare per Dio, voi troverete in tutti, ed in modo particolare cotesta confi­
denza, cotesto abbandono in Dio. Egli è necessario, non può essere più
ragionevole, e ci sarà di grandi vantaggi. Necessario, e ditemi che cosa
farà, come oserà un Sacerdote tanto più in questi tempi a dar manò a qual­
che cosa, ed a qualche opera del Signore, non fosse altro che tentare di
torre uno scandalo, introdurre una buona pratica, opporsi a qualche abuso
quando non sia armato in cuore di questa confidenza nella possanza del
suo Signore; e quante vicende, quanti assalti, quante strette per la roba,
pe’ parenti, per l’impiego, pel suo onore, la sua fama, la sua sanità, sono
senza numero può dirsi i modi, con cui un prete può essere assalito, e come
sostenersi, e come cavarsela in tutti questi incontri quando in lui non pre­
valga cotesto sentimento: io ho buone intenzioni, lo fo per Dio, Iddio vi
penserà, si compia pure, e capiti come meglio vorrà la sua gloria, giacché
non voglio, ne cerco altro su questa terra; sia pure che io ne soffra, stia al
disotto, mi tocchi sopportare e dispiaceri, e disgusti, e danni, ed incomodi,
poco importa purché il Signore ne guadagni. Ecco 1’Eclesiástico, che sa
imitare il divin Redentore nel suo abbandono, e confidenza nel Padre.
Necessario non solo, ma quanto più possa dirsi ragionevole. Ed infatti
chi avrebbe difficoltà, e potrebbe tacciarsi d’imprudente quando rimettesse
gli affari suoi più importarti nelle mani d’uno, che sa che li conosce a
fondo, li tratterà con tutta destrezza, e periziai che nessuno potrà attraver­
sarlo, impedirlo nella loro riuscita, e sono certo nello stesso tempo, che
li accetta volentieri, e li tratterà sicuramente da buon amico. Mi pare che
sarebbe l’uomo più fortunato del mondo chi potesse trovare, e calcolare
sopra un personaggio di questa fatta pel maneggio de’ suoi affari. Ma tra
gli uomini non c’è, non si trova una persona tale, fregiata di tutte queste
qualità, v’è Dio solo che in se le racchiude. Egli conosce minutamente,
perfettamente tutti i nostri bisogni, e pericoli;

471
Esercizi S p iritu a li a l Clero ^ M e d ita zio n i

(2051) 10 nessuno certo lo supera, l’eguaglia, e nemmen s avvicina in sapienza


da maneggiarli a dovere, nessuno si può opporre vi. fosse anche tutto il
mondo, e l’inferno. Egli è disposto, anzi desidera, e quasi ce ne fa un
comando di rimettere, d’affidare a lui i nostri crucci, e le nostre vicende:
iacta super Dominum curam tuam6: iactà. slanciati senza tema alcuna, non
aver paura, tanto più a noi Eclesiastici che ci ha fatto tante promesse, ed
è arrivato a dirci cose che mai e poi mai ci saressimo potuto immaginare^
cioè chi avesse toccato noi sarebbe stato lo stesso che se avessero offeso lui
medesimo, nemmen un cappello del nostro capo avrebbe potuto esser leso
senza che Egli l’avesse permesso; io non so che cosa potressimo pretendere
di più, e non sarebbe un torto manifesto a non fidarcene, ed à ricusare
d’abbandonarci intieramente nelle sue mani.
Niente infine più utile, più vantaggioso per noi: sia perché cotesto
nostro abbandono, e confidenza impegna, e mette diciam così il Signore in
un tal qual dovere d’occuparsi di me, e delle mie faccende, de’ miei biso­
gni, perché Dio non mancherà alla sua parola, anzi vedendosi così onorato
dalla mia stima, e confidenza, che metto in lui, farà di più di quello che io
abbisogno, e che io possa imaginarmi; vantaggioso, ed utile inoltre perché
ci risparmierà tanti crucci, e fastidi, e compito, fatto ciò che la prudenza
mi suggerisce, io me ne vivo quieto e tranquillo abbandonato nelle mani
del mio Dio, come il ragazzo tra le braccia delia Madre sua fermo che il
Signore farà per me, e qual vita più bella, più dolce, più desiderabile in
questa pel Sacerdote a questo mondo. Conchiudiamo adunque colla bella,
e franca risoluzione, che ci mette sulle labbra il bel libro deil’Imitazione:
Signore io sono nelle vostre mani, disposto, preparato per ogni, e qualun­
que siasi evento che voi crediate pel bene dell’anima mia, e pel meglio di
vostra gloria: In manu tua Domine ego sum: paratus ad omnia7, oppure
col grande S. Ignazio che ha sperimentato le tante volte la fòrza, di cotesto
abbandono in Dio: Signore, io so che voi mi siete padre, mi amate, mi
volete bene, e che perciò tratterete ogni cosa pel maggior mio bene van­
taggio, dunque fate pure tutto quel che volete8: ecco l’uomo contento,
tranquillo, fermo, incrollabile in mezzo alle tempeste più burrascose, alle
vicende più tristi di questo mondo: fac .mecum sicut vis nàm scio quod
amator sis. Cosi sia.

6 Sai 54,23.
7 De imitatione Christi, III, 5 0 , 6.
8 II Cafasso inserisce due righe scritte nella pagina a fronte.

472
Giorno Sesto
Meditazione Prima
Sopra la Nascita di Gesù, e fug

Preghiera (2053) 1

Card mio Redentóre, genuflesso ai vostri piedi io vi confesso per mio Dio,
mio Signore, mio Maestro. Voi, o Signore, che vi degnaste di chiamarmi
all’alto onore di ad occupare ihvostro luogo, a Fare le vostre veci, in terra,
ah! fate'mio'Dio che io non contamini né mandi a male un opera vostra,
perciò vi pregò in quest’oggi a farmi capire che io intenda ed impari quelle
grandi lezioni che vivendo in terra lasciaste per me, e qual sia lo spirito di
quello stato, a cui vi siete degnato di chiamarmi voleste chiamarmi. Ver­
gine Maria, Vói che foste presente, e compagna della vita, ed azioni dèi
vostro caro Gesù, Voi ajutatemi ad imparare, molto più ad imitare i lumi­
nosi esempi, che Egli mi ha segnato. Angelo Custode etc.

Esordio.

Entriamo con questo giorno in quella parte degli Esercizi, che è detta
comunemente la vita illuminativa, quella parte cioè destinata a considerare
gli esempi luminosi del nostro divin Redentore, che è quel solo, che ci
possa veramente illuminare fra il bujo, e le tenebre di questo mondo. Pur­
gato finora il nostro cuore colla considerazione delle Massime eterne, con
forti, e sincere generose risoluzioni, con verace, e sincero pentimento delle
nostre colpe, distrutto così in noi una cosa vecchia un Sacerdote vecchio,
ci tocca a riedificarne un nuovo: altre opere, altri affetti, altre mire, altre

* (fald. 4 6 ! fase. 119; nell’originale 2052-2067)

473
E sercizi S p iritu a li a l Clero ~ M e d ita z io n i

tendenze, altri desideri; e se in noi non fa bisogno di tanto, procurare


almeno di rendere in noi più perfètto, più compito, più intenso ciò, cbe già
è conforme al nostro stato. L’opera è grande, è necessaria, ed il disegno, il
modello è un solo, che è il divin Redentore. HIc est Lilius meus dilectus...
ipsum audite1. 1

uomo, ma sarà mai quella- parok che ha da guidare alla verità, alla vita.
Ecco il programma: Qui non est mecum contra me est2. Ecco HCosi parla
questo grande Maestro: chiunque non è con me, ossìa come spiegano gli
Interpreti, chiunque non pensa, non la sente con me, chiunque non con­
viene colle opere mie, sappia che io non lo conosco, anzi lo tengo come un
mio rivale: qui non est mecum contra me est. Se v’è persona al mondo che
debba tremare a questa grande sentenza, se v’è chi se la debba inchiodare
in mente per sempre meditarla siamo noi sacerdoti. Fratelli miei cari pren­
diamoci pure questo Crocefisso in mano, e poi fissandolo diciamo pttre
a noi stessi: se io non fo una cosa sola con questo Signore, se i miei pen-
sieri, li miei affetti, le opere mie non sono tali quali erano quelle di questo
divin Redentore, debbo disingannarmi, avrò il nome, il titolo, il Carattere
di Sacerdote, ma in realtà non lo sono; e queste non sono esaggeraziom,
ella è la realtà: tl

opere i [parola illeggìbile] i Sacerdote


sì, ma disgiunto, separato dal principio che lo deve animare; Sacerdote, ma
copia corrota, deforme, degenere dal tipo, e dal suo modello. Di qui ognun
vede la grande necessità di considerare ben bene questa importante mate­
ria. Per mancanza di tempo noi non possiamo trattenerci a lungo a questa
scuola divina, ci toccherà arrestarci a certi punti principali per meditare poi
il rimanente tra noi e noi per l’avvenire de’ nostri giorni3.

1-Air 17,5.
2 M t 12,30, .
3 II testo originale contìnua con alcune righe cancellate; lo trascriviamo qui di seguito; Noi
comincieremo in. questa mattina dalla capanna di Betlemme ad imparare tre due grandi
lezioni, che saranno coinè tre due pietre di fondamento per formare, per riedificare un
nuovo Sacerdote: lo spirito cioè di povertà e di distacco dai beni dalla roba di questo
mondo,

(2054) 2 2° lo spirito di bassezza ed umiltà, o come vogliam dire spirito di sprezzo ed avversione
a tutto ciò che sa di onorevole al mondo.

474
Giorno Sesto - Meditazione Prima - Sopra la Nascita di Gesù, efuga in Egitto

Già sarebbe inutile cercare di conformare la nostra condotta esterna, (2054) 2


i nostri costumi, i nostri detti, i nostri fatti la nostra maniera di vivere
insomma a questo divin Redentore, se prima non procurassimo di rendere
a lui conformi il nostro cuore, ed il nostro spirito, poiché tutto il rima­
nente, quando venisse questo a mancare, non sarebbe che un esteriorità,
ed apparenza. Lo Spirito del nostro divin Redentore è vero che si mostra,
e lo possiamo conoscere in tutto il periodo della sua vita, ma la scuola
prima, più toccante, più eloquente è quella che ci fa colla sua nàscita nella

vando la nostra fede facciamoci a E sia questo il tema della nostra pre­
sente meditazione, considerare cioè: 1° quali sieno le massime, quale lo
spirito che Gesù insegna al Sacerdote colle circostanze del suo nascimento:
2° i motivi che ha l’Eclesiastico, e la necessità assoluta in cui si trova di
ben apprenderlo; 3 finalmente il modo di praticarlo. Questa giornata negli
esercizi vien detta giornata di divozione, per l’affetto, e riverenza speciale
con cui dobbiamo metterci alla scuola di questo divino maestro. Figuria­
moci di trovarci presenti noi tutti a quel divin Bambinello, e che guar­
dando me, guardando voi ci dica: Impara da me, o mio caro ministro, io
sono venuto al mondo per tutti, ma specialmente per te, impara da me, e

degno di corne-tener il mio luogo, e far le veci mie. La materia come vedete
è troppo importante per non perdere tempo, e metterci con impegno per
farne il maggior profitto, che per noi sia possibile. Cominciamo.
Siccome il mondo visibile, e materiale ha i suoi elementi, de’ quali è
composto tutto ciò, che contiene, cosi e non altrimenti egli è del mondo
morale. Gli elementi, di cui questo è composto, ce l’ha detti S. Giovanni,
quali sono i piaceri, le ricchezze, egli onori degli uomini. L’attacco a queste
tre cose, è ciò che forma lo Spirito del mondo, e coloro che con eccesso
li amano, e vi si attaccano, sono quelli, che chiamansi il mondo. Cotesto
mondo è il nemico più grande, che abbi il nostro divin Redentore. Il Van­
gelo è pieno di maledizioni, che Egli fulminò contro di lui, e di minacce
terribili, colle quali l’ho prese di mira: Vae mundo. S. Mat 18 [18,7]. Egli

virtù, su cui deve formarsrun EclesmLico.


Negli Esercizi cotesta giornata vien detta giorno di divozione per l’affetto e riverenza
appunto, che noi dobbiamo nutrire verso sì gran Maestro, e per l’impegno che dobbiamo
usare per praticare i suoi divini ammaestramenti. Figuriamoci

475
Esercizi Spirituali al Clero * Meditazioni

dichiarò chiaramente che è impossibile che il mondo possa ricevere il suo


spirito. Protestò d’esser venuto su questa terra per giudicarci

(2055) 3 per condannare cotesto mondo corrotto, e per questo Egli disse di non
pregar il mondo, mentre aveva pregato perfino pe’ suoi Carnefici: ora
epperciò allo spirito di questo mondo da lui apertamente, e per tante volte
riprovato, Egli nel primo suo nascimento, ed al primo suo comparire sulla
terra, Egli volle sostituire un nuovo mondo, un nuovo spirito cioè total-

qual fu l’amore a patimenti, alla povertà, ed alle umiliazioni


x Vediamolo brevemente. Oltre alle miserie e patimenti,
a cui va soggetta una creatura nascendo, ed a cui volle anche sottoporsi
il nostro divin Redentore per ciò che riguardava questo misero corpo,
Egli soffrì in tutti gli aggiunti, del nascer suo, talmente che non so; se un
altro bambino qualunque, possa esordire la sua vita in patimenti maggiori;
Soffrì per parte della stagione che era rigida, e fredda; soffrì per parte dd=
del tempo mentre scielse l’ora più orrida della notte, che
i. soffrì per parte del luogo che era
aperto, e senza ripari. Soffrì per parte del letto, su cui giaceva, mentre non
era che era poca paglia. Non parlo poi della mancanza di quelle tante, e
piccole cose, che occorrono in simili circostanze, e che più o meno anche
i più poveri vanno provvisti. Questa scuola di patimenti che cominciò dal
primo momento nella capanna di Betlemme la continuò sino al fine del
viver suo, e volle soffrire in ogni cosa, che possa soffrire l’uomo sulla terra
niente escluso: soffrì per la povertà nella mancanza delle cose più necessa­
rie, soffrì nel corpo pe’ tanti dolori, soffrì nell’animo per le pene e dolori
interni, che afflissero il suo Spirito, soffrì finalmente nella parte più nobile
e delicata, qual è la stima, l’onore per le tante calunnie, umiliazioni, ed
opprobrii di cui fù come ricoperto; e tutto ciò non fu già per forza, e neces-
sità quasi che non avesse potuto far altrimenti, ma pienamente libero, e
volontario, ed a lui sarebbe stato lo stesso il prendere un altra via, e cammi­
nare per tutt’altra strada. Soffrì adunque di sua piena volontà; Non basta:
soffrì senza il minimo lamento, anzi di buona voglia s’assoggettò a dolori,
e tormenti i più crudeli, ed a chi voleva opporsi al pensiero, che egli aveva
di soffrire, lo disapprovò dicendogli quasi con isdegno: e perché dunque
volete impedirmi di bere il Calice datomi da mio Padre. Ma che volete?
non bastò ancora tutto questo, ma l’amor suo di patire lo portò tant’oltre,
che arrivò a cercare, ed a desiderare con ardore Ì patimenti più grandi:
Baptismo debeo baptizarh et ecce quomodo coarctor. donec perficiatur! S.

476
Giorno Sesto - Meditazione Prima ^ Sopra la Nascita di Gesù,

Lue. 124. A tutto questo volle ancor aggiungere a conforto di chi soffre che
Egli terrà per beati, e felici coloro che soffrono, e che un promette che un
giorno verranno di certo consolati. Io non so se il divin Redentore

avrebbe potuto co’ fatti, e colle parole darci esempi più luminosi, e (2056)4
lezioni più chiare per staccarci da’ piaceri, e godimenti del mondo, ed
indurci a soffrire seco Lui quel tanto che Iddio avrebbe permesso a nostro
prò. ■
Ne meno splendido, e luminoso è l’esempio che ci diede il divin Reden­
tore nella sua nascita principalmente pel distacco da’ beni del mondo, e

Redentore oltre d’essere stata volontaria, come già abbiam detto, fù asso­
luta, costante sino ai fine. Io non mi trattengo a parlarvi più a lungo di
cotesto esempio, che ci lasciò il divin Redentore, poiché tanto.potente da
non bisognare di commenti di sorta: dirò solo che fu tale, e tanto il conto
che fece di cotesta povertà e distacco, che lo pose per la prima tra le bea­
titudini: Beati pauperes spiritu. quoniam ipsi possidebunt terram5. Io mi
porterò adunque di slancio sull’ultimo esempio, che credo forse fra tutti il
più necessario ed importante, qual fù di sprezzare a tutta possa il fumo e la
vanità di tutta la gloria mondana.
Le Sacre Carte compendiano in due parole tutto lo spirito, e l’intiero
sprezzo degli onori del mondo con dire, che il divin Redentore ebbe ad
annientarsi sulla terra: semetipsum exinani vii:6: io non so se un uomo possa
farsi più piccolo, più basso, più vile che quando cerca di sottrarsi da tutti,
e da tutto, quando desidera, cerca, e studia ogni modo di nascondersi, e
scomparire quasi più da non esistere sulla terra. Tale è la condotta tenuta
costantemente dal divin Redentore, e cominciata in un modo speciale, ed
eminente fino dal suo nascimento7.

4 L e 12,50.
5M t 5,3.
6 FU 2,7.
7 II testo che segue, cancellato, lo riportiamo qui: Cercò d ’annichilarsi primieramente
nella sua Incarnazione con velare, e nascondere sotto la misera natura umana la sua divi­
nità, e come un Sovrano che lasci lo splendore, e la gloria di sua Corte, per andarsene
secretamente a vivere ignoto e sconosciuto con nient’altro indosso che miseri cienci, così
può dirsi che abbi fatto il divin Redentore. ¡
Tentò d’annichilarsi nel prendere cotesta coperta della natura umana. Poteva scegliere
un corpo che in qualche cosa si distinguesse in maniera particolare dagli altri, almeno

477
Esercìzi Spirituali al Clero ^ Meditazioni

(2058) 5 : Semetipsum exinanivit8.

(2057 ) Non parlo della sua divinità che h a cercato d’annichilarla con cuoprirla
di questa misera carne, e vestirla delle sue miserie; ma venendo alla sua
umanità

(2058) 5 primieramente permise, e dispose che venendo in terra, e nascendo


al mondo nessuno lo volesse ricevere; venutovi ciò non di meno quasi a
dispetto del mondo si tenne nascosto quanto poté, e sconosciuto, e volle
che nessuno ne facesse conto, anzi divenisse tra gli uomini stessi un oggetto
d’ignominia, di scherno, e di ludibrio. Poche parole su cotesto artifizio
divino totalmente nuovo ai mondo anzi agli-occhi de2-mondani inespli­
cabile. Non so se possa darsi un affronto maggiore ad una persona, che
quando arriva ad essere scacciata, e disconosciuta da suoi medesimi con­
cittadini, e che nemmen uno voglia indursi a darle un ricovero qualunque,
anche per breve ora. Eppur non fu possibile che l’ottenesse il divin Reden­
tore; né preghiere, né suppliche, né instanze, né lacrime, come è probabile
e naturale che spuntassero sugli occhi principalmente della buona madre.
Era notte, tutti si ricoveravano, essi soli in mezzo alla strada, avrebbero
mosso a compassione non so qual cuore, eppur non fu possibile, ripeto,
aver il minimo sito: tanto ero lo sprezzo, e la disistima in cui era tenuta
quella santa famiglia. Non erat eis locus: in propria venit. et sui eum non
receperunr9. Il divin Redentore avrebbe potuto con molti mezzi atterrire

venirvi in età adulta, e non abbassarsi a molte miserie umilianti in quell’età; ma nò, un
corpo bello si, ma niente di sorprendente, bambino come un altro, ma che però più
d’ogni altro doveva sentire il peso di queste umiliazioni, di cotesta sua annichillazione pel
pieno uso di sua cognizione, e sapienza.
S’annichillò anche presa la natura umana, e vestita la forma di bambino, poteva con
un tratto, con una parola, con un segno dare un saggio di sua potenza, e di sua sapienza,
ogniqualvolta avesse voluto. Nò occultò si fattamente le sue perfezioni divine, che sino a
dodici anni non diede mai

(2058) 5 indizio alcuno di speciali qualità, e tanto allora, come dopo noi fece mai se non
quando assolutamente il voleva la gloria di suo Padre.
8 II Cafitsso intende inserire a questo punto alcune righe scritte nella pagina a fronte. Il
testo continua con akune righe barrate: La [parola illegjribile\ di far scomparire la sua divi­
nità davanti agli uomini non le bastava ancora, ma volle far lo stesso riguardo alia sua
umanità.
5 Le 2,7; Cv 1,11.
Giorno Sesto - Meditazione Prima " Sopra la Nascita di Gesù,

quegli abitanti, e far loro conoscere chi era colui che sprezzavano, e si rifiu­
tavano di ricevere, eppure nò. Sopportò quietamente queir affronto, ed
ingiuria come preludio di quel modo ingrato, e sleale con cui in seguito
il mondo l’avrebbe trattato. Nacque là in mezzo ad una campagna nel
buio d’una: notte lungi dagli occhi di tutti, e di qui comincia la tela e la
serie di que’ mezzi, e di tutti que’ modi ancor ignoti al mondo da tenersi
prima celato e nascosto, poscia di rendersi talmente basso, vile, e misero da
divenire non solo un uomo qualunque come un altro, ma tra tutti il più
meschino ed abietto da giungere a! punto ad aversi come un soggetto di
disonore, di scherno, ed ignominia. Lo studio di Gesù per tenersi celato fu
così evidente, e continuo che resta impossibile il dubitarne. Io non parlo
di tutto ciò che operò nel corso di sua vita, e passione; ma restringendomi
al suo nascimento, osserviamo che tre furono le circostanze, che avrebbero
potuto rendere notoria, e gloriosa la sua comparsa al mondo, la discesa
cioè degli Angeli, l’apparizione della stella e la venuta de’ Magi. Or bene
il divin Redentore che aveva già cominciato, e continuava nel suo disegno
d’annientarsi nel concetto

degli uomini dispose che ogni cosa svanisse davanti al mondo, e ridon- (2060) 6
dasse quasi ancora a suo scorno, e ludibrio, Compajono è vero gli Angeli,
ma sulle montagne, ed a pochi, e grossolani pastori, di modo che oltre che
nessuno in città vi prestò fede, e si mosse, chi sa ancora da maligni non sia
stato attribuito ad arte ed astuzia, e ne abbiano fatto oggetto di risa. Com­
pare la stella, ma in lontani paesi, da pochi soli intesa, e nel meglio scom­
pare, e non si vede più: l’abbiamo veduta andavano dicendo i Re Magi, ma
dovè, e come non si vede più. Nuova comedia, avran detto chisa quanti,
nuovo artifizio come quello degli Angeli. I tre Re partono con intelligenza
di portare ulteriori notizie, e non si vedon più. Erode è vero trasse argo­
mento di timore, ma più d’uno non avrà detto, e ripetuto: impostori, ce
la volevano dare ad intendere, non hanno più osato lasciarsi vedere; ed
ecco sparito dinanzi al mondo, anzi ancora fatto soggetto di maggior con­
fusione pel divin Redentore ciò che avrebbe dovuto farlo esaltare10.

10 Nell'originale seguono alcune righe cancellate che trascrìviamo qui:- Siccome però col-
l'andar del tempo, non ostante tutte le sue industrie.per tenersi sèmpre lontanala stima
degli uomini, aveva acquistato un po’ di nome atteso quello che aveva dovuto operare per
la gloria del Padre suo, sicché per annientare, per dissipare d’attorno a sé cotesto fumo
d’onori, e di gloria di mondo s’appigliò a ciò, che tra gli uomini vi sia di più valevole
per distruggere cotesta idea, cotesta aura popolare, quali sono le imputazioni, calunnie,

479
Esercizi Spirituali al Clero - Meditazioni

Ora sta a noi a far profitto di questa grande scuola, e ricopiare cotesto
spirito che nella sua capanna c’insegna il Bambino Gesù.. E qui non si
tratta, o cari, solo di consigli, e pii suggerimenti. Egli è obligo per tutti
indistintamente d’ogni cristiano Timitare questo divin Redentore, il con-
formarvisi alle sue massime, ed al suo Spirito; ma in particolar maniera lo
è per noi Eclesiastici, sia perché mancando di questo spirito potremo mai
essere riconosciuti per vere sue copie, epperciò saremo rigettati11: Qui Spi-
ritum Ghristi non haheu hic non est eius. Rom. 9 [8,9], sia perché senza
questo Spirito sarà come

(206 1)7 impossibile regolare la nostra condotta in modo che non venga tinta
dalla pece del mondo, epperciò figuriamoci a questo punto che l’Eterno
divin Padre rivolto a ciascun di noi, ci dica: lo vedi quel Bambino, hai
conosciuto lo conosci? Il suo cuore, il surnspiritof Sappi adunque che se tu
non arrivi a ricopiarlo in te medesimo, a farti simile a lui nel soffrite, nel
distacco da’ beni e dagli onori del mondo negli affetti, nelle mire e nelle sue
tendenze, in sostanza nel suo Spirito, si tu sarai mai un vero mio ministro,
un vero Sacerdote, perché non avrai i contrassegni, i caratteri, il marchio
del primo, e del capo di tutti i Sacerdoti. lànt'è, fratelli miei, per essere
una copia vera, e conforme di questo divin Sacerdote, non basta averne il
carattere, esercitarne le funzioni, ed essere fornito de’ suoi poteri: no non
basta: uopo è indispensabilmente possederne lo spirito, aver i stessi senti­
menti, i stessi pensieri, lo stesso scopo. E potrebbe infatti chiamarsi un
vero, e degno Ministro del suo Sovrano colui che contento d’occuparne
il seggio, vestirne le divise, portarne il titolo, e disimpegnarne anche le
incombenze, ma che frattanto fosse discorde ne’ suoi voleri, nelle sue mire,
e nelle sue tendenze ne’ suoi progetti. Tu quis es, se un Sacerdote qualun­
que fosse interrogato, e qualcuno volesse sapere qual fosse il nostro stato, la
nostra occupazione, il nostro scopo, ciascun di noi dovrebbe far parlare il

accuse, moteggi, sarcasmi ludibrii d’ogni genere, ed in fine la condanna, ,e la cosa arrivò
tant’oltre che come voi sapete, ]o stesso divin Redentore arrivò ebbe a dire per bocca
de’ suoi profeti che sarebbe divenuto cosi spregievole da non potersi quasi nemmen più
numerare tra uomini, ma piuttosto da assimigliarsi ad un verme, che si striscia per terra, a
tanto era giunto di viltà e bassezza. Ego sum vermis et non homo: opprohrium hóminum
et abiectio plebis [Sai22,7]. Dopo tutto ciò non so che cosa potressimo desiderare di più
chiaro, di più patente nel nostro divin Redentore cominciando dai suo nascimento sino al
suo morire per vedere in lui un abbominio, un aversione somma ad ogni Onore di gloria
mondana.
11 Con una. nota il Cdfasso rimanda ad una riga scritta nella pagina afronte.

480
Giorno Sesto - Meditazione Prima Sopra la Nascita di Gesù,

suo cuore, il suo spirito, la sua condotta: chi sono io? a chi appartengo? che
fo? che voglia e che cerchi sulla terra? esamini da’ fatti, e dalle opere mie il
mio cuore, le mie mire, ed i miei progetti; io sono una copia, di Colui che
venne al mondo senza essere del mondo, di Colui che vivendo nel mondo
mostrò in se medesimo un contraposto a questo mondo, un contraposto
di pensieri, di tendenze, di opere, sicché io come suo seguace, anzi come
luogotenente, e ministro continuo nella sua missione, epperciò non penso
come pensa il mondo, non desidero quello che desidera il mondo, non
opero come opera il mondo. Ah! felice il mondo, la terra se ogni Sacerdote
potesse tener un linguaggio di questa fatta! Felici noi se in questi esercizi ed
alla scuola del divin Redentore e della capanna di Betlemme divenissimo
scuolari di questa sorta. Sarà bene, anzi dico resta indispensabile che in
questo tempo ciascun di noi entri in se medesimo per vedere, per cono­
scere se veramente egli abbia questo spirito del Redentore. E come fare?
Il mezzo è facilissimo e comune a tutti: quando uno. vuoi assicurarsi se
un imagine, una copia sia veramente conforme al suo modello ed originale,
non occorre altro che avvicinarli; alcuni scontri, alcuni sguardi sull’uno, e
sopra dell’altro bastano, e chiunque sa dire: questa è una copia conforme,
e questa no: così dobbiamo far noi: avvicinarci al nostro divin Redentore,
confrontarci con lui, confrontare

11 nostro cuore, i nostri pensieri, le tendenze nostre, e pochi sguardi, (2063)8


e riscontri basteranno a dirci che sorta di copie, e di imagini sia ciascun
di noi rimpetto a questo divin Redentore. Ma per non andare al di là di
ciò, che ci siamo prefìsso, stiamo alla sola capanna di Betlemme. In essa
ci mostra il divin Redentore il disprezzo più compito, e trionfante del
mondo, di tutte le sue massime, della sua gloria, de suoi pensieri e con­
tenti coll’amore al patire, alla povertà, ed alla più profonda umiliazione,
e bassezza. Come adunque io la penso, la discorro, e mi regolo in cotesta
materia. Per non sbagliarla però in un giudizio di tanta importanza qual
è questo, vediamo se io pratico pratichiamo i mezzi per procurarci questo
Spirito, e ne esercitiamo gli atti, poiché altrimenti sarebbe un illuderci, e
darcela ad intendere.
Uno, e come il principale tra mezzi per ricopiare in noi lo Spirito di
questo divin Redentore è di meditarlo soventi, tener l’occhio fisso sugli
esempi, che Egli ci ha dati per non aversene a scostare12,

12 Con una nota il Cafasso rimanda ad una riga scritta nella pagina a fronte.

481
Esercizi Spirituali al Clero Meditazioni

(2062) in una parola tener sempre 1’originale sotto gli occhi.

(2063) 8 Che direste voi d’uno, che volendo ritrarre una copia da un certo origi­
nale, non si facesse a considerarlo ben bene, lo tenesse lontano da se, non
lo fissasse soventi; e gettasse giù il suo pennello come meglio crede, con­
tento di qualche occhiata di passaggio ed alla confusa; sarebbe un miracolo
se k riuscisse la copia. Dite pure lo stesso nel caso nostro: come volete
che certi Sacerdoti sieno una copia conforme a questo divin Redentore,
abbiano quello spirito di abnegazione, e di distacco dal mondo, se passano
e giorni, e giorni, e forse mesi ed anni senza mettersi davero alla scuola di
questo divin Redentore, e cercare d’impararne le lezioni e le massime13.

(2062) S. Francesco Saverio ógni mese scorreva sempre il compendio della vita
ed esèmpi del divin Redentore rapportato nel libro degli Esercizi di S.
Ignazio; Ecco la maniera di ritrarne vere copie,

(2063) 8 Ci dovrebbe bastare questo segnale per formare di ciascun di noi un


certo giudizio della nostra somiglianza, o no a questo divin Redentore. Ma
per esserne più certi vediamo cosi alla sfuggita alcuni tra gli atri principali,
a cui ci deve portare cotesto Spirito. Il mondo goffamente crede che lo
stato nostro sia uno stato di piaceri, di comodità, di agi, ed anche soventi
di richezze, e che perciò il prete possa condurvi una vita comoda, tran­
quilla, e felice secondo le idee del mondo, che non trova altra felicità che
cotesti miseri beili temporali. Eppur voi lo saprete al pari di me, che se v è
una condizione, una qualità di persone, uno stato insomma che richiegga
uno Spirito di sofferenza, e continui sacrifizi se non tanto interni e mate­
riali, interni però e forse più gravosi è lo stato del Sacerdote quando voglia
corrispondere a dovere alle sue obbligazioni, ed ecco come deve spiccare
in noi ad esempio del divin Redentore cotesto spirito di pazienza, e soffe­
renza: rassegnarci primieramente, ed accettare dalla sua mano tutte quelle
pene, sia di corpo, che di anima che voglia permettere di noi, mai lasciarci
rallentare nel nostro ministero dalla paura d’incontrare patimenti, e

(2065) 9 tribolazioni, finalmente assuefarci noi a praticare volontariamente qual­


che atto di annegazione alla giornata con rinnegare qualche nostra voglia
in cose piccole, come nel guardare, nel parlare, oppur privarci di qualche

13Con una nota il Cafasso rimanda a tre righe scritte nella pagina afronte.

482
Giorno Sesto ^ Meditazione Prima " Sopra la Nascita di Gesù, e fuga in Egitto

diporto, e sollievo, lo che servirà moltissimo a ricopiare lo Spirito del divin


Redentore, e disporci a soffrire con coraggio tutte quelle croci, e mortifi­
cazioni che più o meno sono indispensabili nella nostra vita.
Riguardo alla povertà, di cui ci da un esempio così luminoso nella
capanna di Betlemme, lasciando stare da parte la povertà di consiglio,
che sta nel rinunziare a tutto, e spogliarci affatto de beni del mondo, e
venendo alla povertà di Spirito, obbligatoria per. tutti, ma principalmente
per noi Eclesiastid, essa vuole che ne moderiamo il desiderio, le maneg­
giamo con indifferenza, se ne faccia buon uso, e si. viva pronto e disposto a
lasciarle, o soffrirne quelle vicende senza tanto dolore, come meglio a Dio
piacerà! Cotesto Spirito si spiega in poche parole, e non richiede atti eroici
materiali, ma non crediate che sia così facile a praticarsi, ne così spesso
si trovi tra noi Eclesiastici. Non voglio già dire che il Sacerdote per amor
della roba si lasci trascinare ad eccessi, ed abusi enormi, ma una tal qual
tenacità, un qualche eccesso, qualche sorta di attacco neL maneggio, nello
spendere, nello speculare si vede anche in Sacerdoti di buona volontà: per
esempio quel parlare quasi sempre di roba, di.raccòlti, di speculazioni, di
traffichi, di contratti; sicché si fa il prete, ma può dirsi che si passa la mag­
gior parte del tempo sperando, temendo, calcolando sempre sulla roba su
quello che potrà essere, e quello che no14.

Certamente che non v’è a sperare pur troppo un gran distacco in un (2064)
Sacerdote di questa fatta!

Potrà dirsi che sia un prete staccato da5 beni della terra, e sia povero di (20fi5)
Spirito colui, che quando si tratta di affari temporali, e v’è qualche cosa a
guadagnare, non v’è alcuno che le faccia ombra, sa calcolare, prevedere, e
prendere tutte le misure, usare tutti i mezzi convenienti; niente lo trattiene
quando si tratta di conchiudere qualche affare temporale, quando speri di
fare qualche risorsa, guarda né a tempo, ne a luogo, ne a distanze, ne ad
incomodi, e vi si spende non per metà o di mal umore, ma vi si da a tut-
t’uomo, e allegramente, di modo ché chiunque lo osservi, facilmente può
vedere che è nato fatto per quelle faccende. E che male c’è, qualcuno può
dire in tutto questo. Benissimo, io l’accordo, quando si faccia colla dovuta
moderazione, e debite cautele: ma come va io dimando, che quando si
tratta di affari spirituali, di gloria di Dio, di salute delle anime, o di pro-

14 Con una nota il Cafasso rimanda ad una riga scritta nella pagina a fronte.

483
Esercizi Spirituali al Clero ■- Meditazioni

prio spirituale profitto, il mio Sacerdote non è più quello di prima; non
dico già che lo trasandi, o si rifiuti, ma non più quel brio, quella pron­
tezza, quell’esperienza e periziar e perciò non vi sarà forse a temere che quel
Sacerdote, e quel cuore sia più caldo, e più intelligente della terra, che del
Cielo.

(2066) 10 E come va, io dimando, che se non. riesce un qualche affare dell’anima,
come di torre uno scandalo, convertire un peccatore, muore qualcuno
impenitente, o colto improvisamente nel male, avrà quel Sacerdote un
certo dispiacere, sì, ma alla fin fine si da facilmente pace, e dopo una parola
di lamento, v’è niente che osti a ridere, e scherzare come prima: ma sé al
contrario fallisce un affare temporale, una speculazione, un contratto, un
acquisto, un guadagno, non si finisce più, quanto tempo, e quante ragioni
ci vogliono per potersi a stento tranquillare, e passati già anche lunghi anni
non se ne sa parlare se non con dolore, e rincrescimento: oh quanto è
raro, ripeterò nuovamente questo spirito di distacco, e di povertà anche nel
Sacerdote. Beatus vir.-dice con ragione lo Spirito Santo, beatus vir qui post
aurum non abiit; soltanto che è ben difficile il trovar quest’uomo: Quis est
hic et laudabimus eum. Ed è tanto raro quest’uomo che merita i più grandi
elogi, e può dirsi, quasi un uomo maraviglioso: quis est hic et laudabimus
eum: fecit enim mirabilia in vita sua15. Ma qualcuno può dire: io non ho
mezzi, ho bisogno di vivere etc. se mi trovassi un po’ più al largo, e non
fossi tanto in strettezze, mi pare che farei più di bene etc.
Finalmente per ciò che riguarda l’ultima lezione, e più importante di
tutte che ci dà il divin Redentore nella capanna di Betlemme, sta nello
spirito d’umiltà, il quale ci porta a non far caso, ed a sprezzare tutto ciò che
sa di glorioso, ed onorevole al mondo. Gli atti, che in pratica deve abbrac­
ciare cotesto Spirito sono tre: 1° Essere persuasi, e riteniamo il termine,
non dirlo solo colle labra, ma essere proprio convinti che noi a questo
mondo siamo un niente, meritiamo niente, di modo che comttnque si
tratti se il mondo trort ci lascia in abbandono, non fa caso, e stima di noi,
ci nega, e non ci degna delle sue lodi, e de’ suoi applausi, non fa altró
che renderci giustizia poiché quello che è niente, è niente, e non può
meritare lode, o riguardo alcuno, e senza questa umiltà d’intelletto, come
viene chiamata, è inutile andare avanti, e cercar altri atti, poiché sarebbe
una contradizione, ed un ipocrisia confessar d’esser niente, e poi vantar

11Sir 31,8-9.

484
Giorno Sesto ^ Meditazione Prima - Sopra la Nàscita di Gesù,

tanti meriti, e far tante lagnanze quando non venissero riconosciuti. L’al­
tro effetto per questo spirito d’umiltà vuole che senza un assoluto bisogno
di bene, e di gloria di Dio si schivi sempre, e s’occulti tutto ciò, che può
ridondare a qualche nostro onore, e concetto, e questo passo pare naturale
dal primo, poiché se saremo veramente persuasi d’esser niente, e meritar
niente, ne viene che dobbiamo evitar ciò che non ci viene, e che gli uomini
ingannati dall’apparenza ci vogliono dare senza meritarlo. L’ultimo effetto
consiste nell’abbracciare con rassegnazione, e se volete di più, con amore,
e con piacere le umiliazioni, anzi andarvi ancor noi all’incontro a cercare,
salva sempre la gloria di Dio, tutto quello, che ci può abbassare ed umiliare
avanti il mondo, come fece appunto il nostro divin Redentore.

Può forse parere di qualche difficoltà, e sorpresa cotesto punto; rite- (2067)
niamo però che quando sì dice amare, e godere delle umiliazioni, non
s’intende già secondo il senso, poiché questo non è necessario, ma piutto­
sto secondo la volontà, la quale non può a meno che volere, ed amare, e
godere di ciò che è vero, cioè d’esser sprezzato e tenuto per niente quando
sa che la cosa è così, e non può meritare altrimenti. Felice l’Eclesiastico
che alla scuola di Betlemme, e colla frequente considerazione di quelle
grandi lezioni che ci da il celeste Bambino, si riempirà di questo suo spi­
rito: come non potrà a meno che riuscire una copia conforme a questo
originale divino16, epperdò un Sacerdote da far gran bene nelle anime, e
coronare finalmente Coronerà così con una morte santa e gloriosa le sue
apostoliche fatiche sostenute in terra, per dar principio in Cielo a quella
festa, che terminerà mai più.

16 Seguono nell’originale tre righe cancellate che riportiamo qui: non potrà a meno die
riuscire un santo Sacerdote da far gran bene in terra, e degno un dì d’esser chiamato a
parte di que’ beni eterni che ci attendono lassù in Cielo. Cosi sia.

485
Giorno Sesto (2498)

Meditazione Prima
Sopra la Nascita di Gesù 1

Figuriamoci di esser presenti noi tutti in quella stalla al bambino Gesù, (2501) 2
e che rivolto a noi ci dica: impara dà me o m io ministro, come pensare,
come parlare, e come regolarti in questo mondo; io sono venuto per tutti,

Imaginiamoci d’aver presenti Giuseppe e Maria ci sono presenti, che guar-

* (fald. 46 ¡fase. 123; nell’originale 2498-2513)


1 L'originale comincia con questo esordio poi cancellato:

Abbiamo fin ora considerato i motivi che ci potevano determinare ad aggiustare ciò (2499) 1
che in noi aveva bisogno di rifórma. Certo che le verità finora considerate, la sublimità
e l’importanza del nostro fine, la malizia e la gravità del peccato in un nostro pari, il pen­
siero e la vista di quei novissimi che attendono arrchc come ogni altro anche noi sacerdoti
non potè a meno a creder mio che destar in questi giorni ed in questo luogo il nostro
cuore a pianger il mal fatto, se non altro a lamentare il vuoto de’ nostri giorni, il tempo
ed i talenti perduti, la gloria di Dio trascurata. Ah giorni benedetti sono stati questi
perché spero chr^saranno quelli che avranno dato pace al nostro cuore, ci solleveranno nel
corso de nostri giorni, e ci possano potranno promettere perdono e sicurezza ne! punto
di nostra: morte. Ora adunque che la pace è fatta col nostro Dio, ora che siamo rientrati
in casa sua, riconosciuti di nuovo per suoi figli e ministri, or che il nostro cuore è caldo,
e disposto diciamo cosi ad ogni cosa per Dio, uopo è che passiamo alla seconda parte de’
Spirituali esercizi qual è di formarci un piano di vita degna del nostro stato, degna di quel
Dio, a cui serviamo, corrispondente alla gran alíe speranze ed alle mire che ebbe Iddio
sovra di noi nel chiamarci a questo luogo, e nel sequestrarci dal mondo. Il nostro modello
è un sólo, ne si può trovar un altro si potrebbe imaginare ne più degno, ne più perfetto,
ed è il primo e grande Sacerdote Christo Gesù capo e principe di tutti i pastori, modello
ed esemplare di tutti i sacerdoti. Uopo è imitarlo, non ci è dato altro maestro, altra guida,
altro condottiere fuori di questo: se ogni cristiano deve presentare in se stesso un abozzo
di questo celeste maestro, e tener dietro alle sue pedate, noi suoi ministri e successori nella
celeste sua missione dobbiamo portarne in noi una copia più che si può perfetta, epperò
non basta Leiier dietro alle sue portarci a non scostarci dalla strada che ci ha insegnata; lo

487
Esercizi S p iritu a li a l Clero ^ M e d ita zio n i

dandoci ci dicano di imparare da quel figlio, preghiamoli che ci faccian


sentire ed intendere il secreto linguaggio, che questo nostro maestro bam­
bino ci farà certamente sentire al cuore. In questa nostra, per di così cele­
ste, conversazione, prima di entrare metterci a considerare gli esempi del
nostro divin Redentore facciamo due riflessioni, che daranno molto peso,
e ci metteranno impegno per imitarli, e sono: che tutto quello che fece, che
soffrì, che scielse in vita sua tutto fu di elezione, a lui era tutt’uno cammi-
nar per un altra via totalmente diversa. Epperò ogni cosa del viver suo fù di
sua volontà, da lui voluto e spontaneamente abbracciato: altra riflessione
di maggior peso ancora è questa: siccome il divin Redentore era venuto
al mondo per la gloria di suo padre, e per la salute delle anime vuol dire
adunque che il tenore di vita da lui tenuto doveva essere il più acconcio,
il più efficace per ottenere questo fine. E chi oserebbe pensare che Iddio
come infinitamente sapiente tra molti mezzi abbia voluto scegliere il meno
adatto per l’oggetto che si proponeva; dica adunque il mondo quel che
vuole, la sbaglia a partito chi pensa di riuscire nell’operariato evangelico
senza vestirsi dello Spirito del Redentore, senza usare i suoi mezzi, senza
adoprare le sue armi: ciò posto veniamo al nostro punto.
Il primo esempio che ci diede si è adunque quello di povertà,

(2502) 3 p o v e rtà v o lo n ta ria c o m e g ià a b b ia m d e tto , p o v e rtà a sso lu ta e d e stre m a ,


e n o n so se m a i sia n a to al m o n d o u n fa n c iu llo p iù p o v e ro ; p e ro c h é in q u e i

che deve fare qualunque cristiano, ma è necessario ed indispensabile per noi accostarglisi
più da vicino, vestirci de’ suoi sentimenti, entrar nelle sue mire, adottar i suoi mezzi,
munirci

(2501) 2 delle sue armi onde riuscire nel grande affare che ci lasciò a continuare in sua vece su
questa terra qual è quello di procurarcela gloria di suo padre, e la salute delle anime; ed
ecco quello che faremo d’or in avanti cominciando fin d’oggi dalia sua nascita; giacché fin
da quella stalla apri, ed eresse al.mondo tosto una scuola fin allora ancor sconosciuta di
celeste dottrina; predicò fin da quel punto coi fatti, e colFcscmpio ciò che un dì avrebbe
fatto sentire colle sue parole.

(2500) Fra tante una sola cosa io propongo a considerare in:Gesù che nasce, ed è il luminoso
e grande esempio che ci lasciò, e ci diede di povertà, e di distacco da beni di questo
mondo.
Giorno Sesto ~ M editazione Prim a " Sopra la Nascita di Gesù

casi la carità, l’umanità non manca di provvedere. Era povero S. Giuseppe,


la sua casa era una bottega da iegniauolo, ma era ancor troppo ricca per
nascervi Gesù! La madre povera al pari dello sposo, ma tuttavia nella pro­
pria casa avrebbe potuto procurare qualche comodo al Bambino Gesù, ma
per lui era di troppo e non voleva goderne, epperciò partono entrambi
e vanno in Gerusalemme e andando di luogo in luogo finalmente giun­
gono a Betlemme. Ivi cercano alloggio non già in palazzi, in case adorne e
comode, ma da poveri dimandano un luogo, un ricovero qualunque sia ma
non lo trovano; gran mistero è questo: in tutta Gerusalemme Betlemme
non v è un sito sì povero sì abietto, sì vile, sì abbandonato che faccia per
Gesù, tutto è troppo per lui. Bisogna dunque uscire di città, allontanarsi
dall’abitato, errare per le campagne, addentrarsi in selve, ed ivi cercare un
sito dove nessun uomo del m ondo per miserabile che fosse si indurrebbe
ad abitarvi: ivi nasce senza riparo datfreddo dalla stagione, senza comodo
di riposo, e senza un miracolo avrebbe dovuto morire strditc bestie non gli

miei, se possa darsi al m ondo frequentemente una povertà più assoluta ed


estrema; povertà di più penosissima ed origine di molti dolori, e questo è
naturale; quando la povertà è a quel segno non può a m eno che cagionar
mille angustie, dolori, privazioni, stenti etc. e lo sentiamo giornalmente
dalla bocca di tanti miserabili, benché ancora molto lontani dalla miseria e
povertà del Redentore, come tocca loro stentare, talmente che preferireb­
bero alle volte ia stessa morte ad un vivere così penoso. Povertà infine dure­
vole, e perseverante. La povertà del Signore non fu povertà di un giorno,
o di un anno, ma di tutta la vita; le altre virtù del Redentore si può dire
che avevano i sttoi tratti, e le epoche loro, di modo ché ora spiccava più
l’una che l’altra: ma la povertà come virtù diciatti così più propria e predi­
letta T accompagnò per sempre e per ogni dove: nacque povero, si allevò
nella povertà, sempre povero cominciò e terminò la sua predicazione, e
finalmente

più povero ancora di quello che visse terminò la sua carriera in questo (2504) 4
mondo; e dove trovare fratelli miei un esempio più luminoso, più compito
ed inculcato con in un modo più eloquente, più efficace, e più durevole
che questo: eppure il divin Redentore quasi temendo di non essere inteso
non volle finire la sua carriera senza inculcar colla voce ciò che fin dal
primo suo nascere aveva predicato coll’esempio: in quel celebre sermone in
cui il divin Redentore si può dire che diede il colpo mortale alle follie ed
all’apparenza di questo m ondo, in quel sermone in cui tutta svelò la sua

489
Esercizi S p iritu a li a l Clero " M e d ita zio n i

celeste dottrina, non dimenticò anzi pose per la prima quella povertà che
con cui fece la sua prima entrata al m ondo, e cercò di allettarne alla sequela
con chiamarne beati i seguaci: Beati pauperes spiritu2; non chiamò beati
i facoltosi, i potenti, i sapienti, gli onorati, ma invece i poveri di spirito3;
finché dopo un esempio, ed una lezione di questa fatta, in seguito ad un
premio e ad un guiderdone sì soprabante portiamoci di nuovo col nostro
pensiero a quella stalla, donde siamo partiti, e là figuriamoci che il divin
padre rivolto a noi ci dica, come già disse lo stesso Gesù ai suoi Apostoli,
ascolta o miti figlio, e guarda se tu non ti farai povero almeno di cuore
come questo bambino tu non entrerai arriverai in Cielo; di più sarai mai
tm se tu non avrai in cuore ed in affetto il distacco, e la povertà di questo
bambino sarai mai un vero m io ministro, giacché non avrai i contrassegni,
i caratteri, il marchio del primo, e capo de’ sacerdoti.. Tant’è fratelli miei
per essere una copia vera e conforme del primo sacerdote non basta por=
tarne l’abito averne il carattere, esercitarne le funzioni: uopo è indispensa­
bilmente averne lo spiritò, gli stessi sentimenti, i stessi pensieri, lo stesso
scopo; e si potrebbe dire un vero e degno ministro del suo sovrano colui
che contento di occuparne la qualità, vestirne le divise, disimpegnarne
anche li carichi, ma che frattanto non avesse lo spirito,

(2506) 5 i sentimenti, le tendenze del suo Re: tu quis es? se qualcuno c’interro­
gasse, e volesse sapere a chi apparteniamo, qual’è la nostra occupazione,
quai sono i nostri affari: chi sono io? a chi appartenga, qual sia il mio
scopo?

(2505) Ma voi m i direte: io fò quello che deve fare un sacerdote.

(2506) 5 Esaminate il mio cuore, le mie tendenze, i miei sentimenti, le mie mire,
e poi saprete chi sono; Io sonò seguace e ministro di colui che venne al

2ikfr5,2.
3 Segue questo testo cancellato: E qui osservate che quando si promette una beatitudine
ad una persona, non vuol dire già un piacer solo, una-dilettazione che. contenti a tempo
od a metà come fanno i beni di questo mondo, ma s’intende una vera e <
felicità, contentezza dell’animo,
beata e che [...] lo siesso Redentore e godimento deU’animo; e siccome l’animo, il cuore
a cui si promette è durevole ed immortale, cosi parimenti immortale deve essere questa
contentezza, poiché il pensiero che un giorno le sarebbe per mancare, toglierebbe la beati­
tudine stessa, che si gode. L’imparegiabile Tommaso dice lo stesso con altre parole: dimitte
omnia et invenies omnia. Lascia col cuore ogni cosa, e troverai tutto ciò che potrai bra­
mare.

490
Giorno Sesto - M editazione Prima * Sopra la Nascita di Gesù

m ondo senza essere dì questo m ondo, di colui che mostrò in se un con­


trapposto a qtrcsto mon do di opere, di sentimenti, di desideri a questo
mondo; sicché io come suo luogotenente, rappresentante, e successore
nella continuo la sua missione e il suo scopò, non solo non opero come
opera il m ondo, ma non penso come pensa il mondo, non ho le mire e
le tendenze che ha il mondo etc. Il m ondo cerca i comodi, gli onori, la
roba ed io non so che farne; il m ondo tien beati chi le ha, ed io penso il
contrario e tengo felici chi non le cerca, e non si attacca; il mondo guarda
con invidiai potenti, gli elevati, i facoltosi, ed io li guardo con indifferenza
e piuttosto con compassione; ecco dunque chi son io, il mio carattere, gli
affetti, i sentimenti che tessono la mia vita; tal è il linguaggio fratelli miei
che noi tutti dovressimo poter tenere cogli altri, e coi nostri con noi stessi,
e converrebbe pure qualche volta interrogarci, e chi sei tu? qual è tua occu­
pazione, quai sono le tue mire. Ciò posto possiamo noi dire a noi stessi
d’esser tali, e cominciando da questo primo esempio, che ci dà il Salva­
tore, da questo primo carattere della Sacerdotale vocazione, possiamo dire
che Tinterno de’ nostri affetti, dei nostri sentimenti, dei nostri desideri sia
un contrapposto ai pensieri, ai sentimenti, ai desideri del mondò, che il
nostro cuore la nostra mente sia persuasa del niente e della vanità di questo
m ondo, dei suoi pregiudizi, e dello inganno in cui vive la maggior parte
degli uomini, che il nostro cuore sia proprio staccato da beni di questo
mondo: e sia proprio fornito di quella beata povertà, che il divin Reden­
tore venne ad insegnarci e coll’esempio, e colle parole; se già la possediamo
beati noi giusta il detto del Redentore, se mai ne siamo ancor lontani uopo
è sforzarci, poiché fa d’uopo arrivarvi: lo vuole la natura del carattere del
nostro sacerdozio, lo vuole il bene di quelle anime che dobbiamo salvare,
e lo vuole lo stesso nostro bene temporale, ed eterno. Lo vuole la natura
ed il carattere del nostro sacerdozio; noi sappiamo che il sacerdote è una
persona segregata, divisa dal mondo, e che col m ondo non ha più che fare
se non tanto quanto lo vuole la salute di quelle

. anime, che dobbiamo salvare; segregato qual è egli adunque quasi in un (2507) 6
altro Cielo egli deve vivere diciam cosi di un altra aria diversa da quella che
vive il mondo, deve nutrirsi di altro Spirito, di altri pensieri, di un altro
cibo; e che varrebbe questa esterna separazione, e segregazione dal mondo,
dai suoi imbarazzi, dalle sue follie, se poi fossero li stessi e li progetti, i
sentimenti, i pensieri, i fini. A tal fine i sacerdoti antichi non contavano
la loro parte, la loro porzione nella divisione della terra promessa, perché
nullatenenti in questo mondo dovevano possedere solo Iddio: all’entrar

491
Esercizi S p iritu a li a l Clero " M e d ita z io n i

della nostra sacerdotale carriera ci fù. dato, per nostra porzione il Signore,
e noi Fabbiamo accettata: dominus pars haereditatis meae étc.4.tu es qui
restitues haereditatem meam5: fuori di questo D io, del suo possesso della
celeste ed eterna sua eredità noi non dobbiamo conoscere altro bene a
sospirare e godere. Debbo stare nel mondo perché questo è ii campo che il
Signore m i ha destinato a lavorare, debbo ricevere da lui il cibo che mi ha
a sostenere perché così vuole la nostra condizione; del resto questo mondo
per me è come se non vi fosse, nemmen un filo io voglio, e spero da lui, le
mie speranze, la mia aspettazione è tutta in D io, io vengo da lui, io vivo per
lui e da lui solo aspetto la mia retribuzione: ecco la povertà di Spirito che
vuole la natura del nostro carattere, del nostro Ministero. La vuole questa
povertà il bene di quelle anime, per cui deve lavorare un Sacerdote, primo
perché il Signore concorrerà di più ai sudori ed alle fatiche di un cuore cosi
staccato da questa terra, sia perché un cuore così vuoto di questo mondo
avrà più zelo, più calore, più forza, e farà più profitto nel suo ministero; e
come infatti potrà un Sacerdote intuonare e ripetere con frutto quella gran
sentenza Beati pauperes spiritu6; se egli l’ha mai gustata, ne sa che cosa sia,
come riuscirà a; persuaderne la gente, ed a staccarli da questo m óndo, ed
innamorarli del Cielo, se il suo cuore sta sepolto, e marcisce in terra, se egli
stesso al pari d’ogni altro e forse più mette i sui studii, la sua sollecitudine
e la sua felicità ne’ beni, nelle fortune di questo

(2508) 7 mondo. Lo vuole in fine il nostro bene temporale, ed eterno, quanti


cruci meno avrà un cuore distaccato dalla terra; il desiderio della roba si
può dire che sommerge l’uomo in un mare di cure, di affanni e di inquie­
tudini, e quanti sacerdoti in un ministero di pace, qual è il nostro, non
sanno che cosa sia pace, quanti perché dominati dal desiderio della roba
sono sempre irrequieti, e passano la lor vita tra calcoli, timori, e speranze;
eh quante anime si salverebbero se si usassero tanti studi per loro: poveri
sacerdoti che si logorano, stentano, e s’affaticano per far tele di ragno: ma
non basta al desiderio della roba amareggiare la vita, vuole tiranneggiare
fino all’ultimo quel cuore, che ha posseduto, e D io sa con quanti sacrifizi, e
qual dolore debba morire chi ha il cuore attaccato a’ beni di questo mondo,

4 Sai 1 5 ,5 . '
5 II testo continua con le seguenti righe barrate: Ecco ciò che deve riempire il nostro
cuore, ciò che deve formare Foggetto di tutte le nostre speranze, non sono le follie di
questo mondo, tesori e beni di terra.
6M t 5,2.

492
Giorno Sesto - M editazione Prim a ~ Sopra la. Nascita di Gesù

e lo sappiamo ancor noi d ie mentre ci tocca usar tante industrie, e tanti


sforzi per indurre sì fatte persone al sacrifizio della lor vita.
Per maggiormente impegnarci a questa beata povertà di cuore io non
mi trattengo a mettervi sottocchio il contraccambio, ed il guiderdone
che avremo in :Cielo: Beati pauperes spiritu, quoniam ipsi possidebunt
terram: qui reliquerit etc. agros propter nom en meum centuplum accipiet,
et vitam aeternam possidebit7. Q ui non è parola d’uomo, non sono pie
credenze, non sono solamente fondate congetture: ella è la stessa parola di
D io impegnata: una terra di nuova e sovragrande bellezza, un regno che
non avrà più fine è riservato: non v’è altra strada per arrivarvi, non v’è altro
prezzo per poterla comprare che la povertà ed il distacco del cuore: io sono
pronto a venderti un Regno, disse D io ad Agostino, e sai qual prezzo io
voglia, la povertà del tuo cuore: paupertate regnum, Signore ne fa l’offerta
anche a noi, e mentre nella sua persona ci da l’esempio di quella povertà
che brama e desidera da noi, ce ne promette;, ce ne assicura l’aquisto, cd
il possesso di un regno ma non già in una terra qual è questa di guai, e
di miserie, non più limitato ad un tempo, che corre e vola, ma fabbricato
in un Cielo, e terra nuova e che durerà per quanto sarà lunga un eternità:
sicché fratelli miei conchiudiamo, questa povertà di spirito sia il primo
esempio, che prendiamo ad imitare in Gesù che nasce: sia questo il primo
lineamento di quella copia conforme, che in questi giorni e ne’ nostri anni
avvenire, se il Signore

ci darà vita, dovremo formare e portare con noi al primo e capo de (2510)8
sacerdoti Christo Gesù8.
E beato quel sacerdote, che avrà per base nel suo stato questo spirito di
distacco, e di povertà: Beatus vir, qui post aurum non abiit9, ma chi sarà
costui tra sacerdoti: egli è d’uopo conoscerlo, perché degno di encomii,
e di lode: quis est hic? et laudabimus eum: non solo è degno di lode un
tal uom o, ma si può di più paragonare ad un operatore di maraviglie, e
prodigii: fecit mirabilia in vita sua10: e chi avrebbe osato portare tant’oltre
gli elogi, ed il valor di questa povertà di cuore, se lo Spirito Santo per bocca

. 7 M t 1 9 ,2 9 .
- 3 II testo continua con le seguenti righe cancellate: la vuole questa povertà il merito, e la
dignità del Maestro.che ce la insegna, lo spirito e lo scopo del nostro stato, il nostro stesso
vantaggio.
9 Sir 31,8.
10 Sir 3 1 ,9 .

493
E sercizi S p iritu a li a l Clero ~ M e d ita zio n i

del suo profeta non ne avesse tessuto egli stesso cosi alto encomio: Beati
adunque io ripeterò, beati pauperes spiritu, beatus vir qui post aurum non
abiit... fecit enim mirabilia in vita sua.
O h per me, qualcuno può dire, non ho gran roba epperciò spero di non
esservi attacàto di troppo. Fratelli miei, sapete che l’affetto non dipende.
M a qual sarà adunque questa povertà a noi così necessaria ed indispen­
sabile e dal Signore così encomiata, e rimunerata, ed eccone gli atti, o gli
effetti che vogliam dire11:

(2509) prima di tutto: divitiae si affluant nolite cor apponere. Psal 61, [11].
Mantener il cuore staccato dalla roba, se il Signore ce ne ha dato: e
vogliamo sapere se in noi vi sia questo attacco: osserviamo prima di tutto
Fuso che ne facciamo, se per amor alla roba sia tale, quest’uso quale ne
farebbe chi sapesse d’aver questa roba nelle mani per proprio sostenta­
mento sì, del resto unicamente per operare con essa la propria e l’altrui
salute; questo riflesso ci darà di che pensare: di più badiamo ai pensieri,
all’occupazione che ci danno i beni di questo mondo, se ci occupi di più il
pensier della roba che quello della gloria (di) D io, della salute delle anime,
dell’adempimento de’ nostri doveri, dell’aquisto delle virtù necessarie per
il nostro stato: inoltre ci può servire di regola il modo, con cui d appli­
chiamo agli affari temporali, e per cagione di esempio: potrà dirsi che
abbia un cuore staccato e sia povero di Spirito quel Sacerdote, che quando
si tratta di affari temporali, di aquisti, di traffici, di cultura di beni, di spe­
culazioni v’è nessuno che li faccia ombra, sa calcolare, provvedere, pren­
dere tutte le misure, usare i mezzi convenienti; niente poi lo trattiene
quando si tratti di conchiudere qualche affare temporale, quando speri
qualche risorsa, guarda ne a. tempo, ne a luogo, nè ad incomodi, e vi si
spende non per metà, o di mal umore, ma vi si da diciam così a tutto
uomo e allegramente di modo tele che chiunque vi conosce che vi gode,
e pare sia questa l’ultima sua felicità; e che male c’è qualcuno può dire, in
tutto questo: benissimo, io l’accordo quando si faccia il tutto colla dovuta
moderazione; ma come va io dimando, che quando si tratti di affari spi­
rituali di gloria di Dio, di vantaggio alle anime, di proprio profitto, il
nostro sacerdote non è più quello; quando anche non si rifiuti, si vede che
non ha più quella prontezza quel brio, quel zelo, non è più così esperto,
industrioso, ne così impegnato, e non sarà tutto ciò questo Un indizio che
il cuore sia caldo più della terra, che del Cielo. E poi un altro specchio

11 Q u i i l Cafasso rim an da alla p a g in a a fronte.

494
Giorno Sesto ~ M editazione Prim a ~ Sopra la Nascita d i Gesù

potremo ancor trovare per conoscerci. Com e va’ che se non riesce un affare
dell’anima, fallisce la conversione d’un peccato, non riesce di togliere uno
scandalo, si proverà un certo dispiacere, s'i, se pur si prova, ma alla fin
fine la persona si da facilmente pace, sé fosse riuscito bene, non è riuscito,
pazienza. Ma se al contrario fallisce :

un affar temporale,, fallisce una speculazione, va a male un contratto, (2511)


non si arriva più in tempo a quell’acquisto, non si finisce di far lagnanze,
incolpare se stesso o qualche altro, si dà in melanconie, non vi sono più
ragioni che quietano, e tutto questo capiterebbe quando il cuore,fosse stac­
cato sinceramente da questa terra. Dunque io ripeto: divitiae si affluant
nolite cor apponere: non è questo un affare così piccolo e così facile: alle
volte ci vuole tutta la virtù di utra persone anche pie, ed arriva a coprirsi si
fatto attacco anche in sacerdoti di buon cuore, e di buona volontà. Se poi
il Signore etc. :

Se il. Signore ci lascia nelle, strettezze vivere rassegnati e contenti nello (2510) 8
stato in cui Iddio ci ha posti, soffrirne con pazienza gli incomodi, non
rimirare con occhio d’invidia chi è più comodo di noi, e non cercare ansio­
samente di avantaggiar il nostro stato con discapito dei nostri doveri, del
bene delle anime12;

ma come abbiani da fare, qualcuno potrà dire, abbiamo da vivere, sono (25H)
privo di mezzi, per. necessità bisogna che cerchi, che studi come andar
avanti, e come provvedervi, altro è fratelli miei, cercar il proprio sostenta-
mento, altro è farsi un occasione della roba e de’ beni del m ondo, non dia-
mocela ad intendere, poiché come ho già detto, questa tentazione è sottile,
e facilmente si cuopre. E poi perché non fidarci un po’ più del Signore:
e vorremo temere che quel Dio, che provvede persino agli insetti voglia
abbandonare il suo ministro, che dimentico per così dire di se stesso non
cerca che la sua gloria; e non fù questo D io che tocco di dolore rimproverò
gli appostoli della loro poca fede, e li sfidò a dire se mai le fosse mancato
qualche cosa. Ma si dice alle volte etc.

epperciò Ma, si dice alle volte, se io avessi più mezzi, se fossi più (2510)8
comodo, se non fossi tanto in istrettezze mi pare che farei più bene. Oh!

12 II Cafàsso rim a n d a alla p a g in a seguente a fron te.

495
E sercizi S p iritu a li a l Clero " M e d ita zio n i

fratelli miei, se noi avessimo avuto a giudicare del divin Redentore, certa­
mente avressimo opinato diversamente da quello che fece, ed avressimo
detto che se non fosse comparso così povero, se fosse vissuto un po più alla
grande, se avesse avuto di che distribuire ai poveri, avrebbe incontrato più
facilmente nel mondo, avrebbe avuto maggior seguito di gente, maggior
credito da tutti, questo avrebbe potuto servire disporre maggiormente i
cuori per sentire, per adottare le sue dottrine, non so chi di noi avrebbe
pensato, e detto diversamente; eppur Favressimo sbagliata a gran partito, e
così può essere che l’amor del proprio comodo cinganni anche riguardo a
noi; ma anche supposto che fosse vero,

(2512)9 che facessimo maggior bene in uno stato più comodo, non occorre
inquietarci, perché se il Signore non ce Fha dato è segno che quel bene non
10 vuole da noi, si contenta della nostra buona volontà e frattanto vuole
essere glorificato nella nostra povertà ed umiliazione; nemmeno può essere
volontà di Dio che ce lo proccuriamo con inquietudine e troppa sollecitu­
dine, perché non può volere il Signore ciò che ci allontana dal rassegnarci
pienamente ai suoi voleri e ci mette un impedimento al perfetto adempi­
mento dei nostri doveri qual è certamente la troppa sollecitudine de1beni
temporali. E poi non potrebbe capitare che ciò che noi bramiamo per mag­
gior bene fosse poi al contrario una tentazione, un inciampo: e non si sono
veduti e non si vedono Sacerdoti, che bassi nelle strettezze vivono oscuri
senza idée di mondo, e di onori, attendono ai doveri dello stato, vi è niente
che li avvilisca, abbracciano e fanno ciò che si presenta senza distinzione,
ogni cosa pare sopra i loro meriti. Fatti poi più comodi, provvisti di qual­
che entrata cangiar di spirito, e di pensieri, concepire idee di impieghi e
di onori, vantar pretese, stare al decorò, àll’etichetta, darsi a certi diverti­
menti, non abbassarsi più a certi uffizi del ministero, credersi avviliti a far
certe cose, e andiam dicendo. Ecco dove andò a finire il maggior bene.
Ma io non farei così, eh fratelli siam tutti di carne, siamo impastati di
terra, e v è nessuno che sia più in pericolo di cadere che chi non diffida, ne
teme di se. Orsù adunque chi vuol essere povero di Spirito, recapitoliamo:
faccia un basso uso della roba mantenga il cuore distaccato dalla roba, che
11 Signore le ha dato e si regoli in modo, come dice FAppostolo, come se
avesse niente e possedesse niente su questa terra, si serva della roba come se
non se ne servisse, non mostrarsi inquieto sollecito per conservarla, molto
più per aumentarla, soffrirne senza tanto dolore le perdite, le vicende a cui
vanno soggetti i beni di questo mondo, e far servire questi beni alla gloria
di Dio poi tenerci pronti a lasciarla affatto, quando e lasciarla senza dolore,

496
Giorno Sesto ~ M editazione Prim a - Sopra la Nascita d i Gesù

e lasciarla con un pronto sacrifìcio quando il Signore ci chiami a se. Se poi


Iddio ci vuole miseri e tra strettezze, abbiamo sentito, rassegnati nel nostro
stato attendere a far del bene nello stato di povertà con quei mezzi che il
Signore ci ha dato. L’altra lezione che ci dà il divin Redentore etc13.

13 II manoscritto termina con il seguente testo cancellato:

Il sacerdote che si sforzerà ad esser tale avrà m a dunque per se quella beatitudine da (2513) 10
Dio promessa ai poveri di spirito; di più avrà in se il contrassegno, il distintivo, il marchio
del primo sacerdote sicché quando apparirà nella sua maestà e pienezza questo principe e
capo di tutti i sacerdoti e pastori avrà seco lui la meritata immarcescibile corona di gloria.
Cum apparuerit princeps pastorum, percipietis immarcescibilem gloriae coronarci. 1 Petri
5,4. Tra gli originali del Cafasso esìste però un’altra meditazione con lo stesso titolo della pre­
sente, mutila, che comincia esattamente con le parole con cui termina questa. Si tratta della
Meditazione seguente (la 461127)- Pare evidente che i testi debbano essere conpunti.

497
Meditazione (2068)

Sopra la Nascita del Divin Redentore

L’altra lezione che ci dà il Divin Redentore nella sua nascita, e comparsa (2069) 7
sulla terra fu lo spirito d’umiltà, d’un grande sprezzo cioè di tutto ciò che
può sapere di gloria, e di stima del mondo. Fratelli miei, se v è un punto,
ed una lezione importante per noi ella è questa. E inutile cercar d’innal­
zar una fabbrica, e proccurar che ella riesca bella, grande, e magnifica, se
prima non vi sia bada, e non vi si pensa al fondamento. Così sarebbe nel
caso nostro. Noi, come dicemmo, abbiamo distrutto più o meno in noi
in cotesti esercizi un personaggio, un Sacerdote vecchio, e ci siamo messi
a sostituirne, a riedificarne uri altro, che porti come in se scolpita l’im­
pronta di questo divin Redentore, come nostro capo e modello, ed oh!
Che uomo del Signore, che santo Sacerdote, che zelante operario noi riu­
sciremo quando la copia sia fedele; ma sarebbe sprecata, anzi ridicola, per
non dir pazza l’opera nostra, quando prima d’ogni altra cosa non pensas­
simo al fondamento di questo sì grande spirituale edifizio, qual’è la santa
umiltà: preghiamo pure, studiamo, lavoriamo, ma varrà un bel niente se
non siamo umili; fossimo anche casti, se è possibile caritatevoli, pazienti,
zelanti; ma senza umiltà tutto questo è come una casa alta, appariscente,
risplendènte, adorna, ma che non è fondata, epperciò senza valore e'sicu-
rezza presto sarà per rovinare. Io non entro in tm questo gran tema per
dirvi le molte cose, che si presentano, quanto mai utili ed importanti; il
mio scopo soltanto è questo di considerare con voi quanta e quale sia stata
l’umiltà del divin Redentore, perché ognuno di noi ne veda il proprio biso­
gno, e provveda alla propria mancanza.
L’umiltà del divin Redentore è spiegata in queste due paróle: semetip-
sum exinanavit1. Fu così alieno da tutto quello che sa di glorioso, di ono-

* (fald. 4 6 / fase. 127; nell'originale 2068-2074)


1F i l l J .

499
E sercizi S p iritu a li a l Clero ^ M e d ita zio n i

rifico al mondo che per evadersi studiò ia maniera quasi di annichillarsi


sulla terra, s’abbassò, s’avvilì talmente, che fu quasi un distruggersi da non
comparire più nel mondo, come se più non esistesse; e per farcene un
idea, ed imparare co testa gran scuola che volle fare a noi principalmente
Eclesiastici questo divin Maestro, esaminiamo il modo che tenne. S’anni­
chilò prima di tutto nella sua incarnazione con velare, e nascondere sotto
la misera natura umana la sua divinità. E per comprendere per quanto
possiamo questa sua esinanizione figuratevi un gran Monarca, a cui nulla
manchi per farlo felice: potenza, ricchezza e nobiltà quanto voi potete
immaginare: temuto, amato, riverito da Sudditi e popoli: ebbene ffig)
immaginatevi; questo gran monarca un giorno secretamente depone la
porpora, abbandona i suoi domini,

( 2070 ) 8 si veste irt di miseri panni, ed in un paese lontano, e sconosciuto dassi


ad un basso, e vile mestiere, ed in questo stato continua a vivere fino alla
morte. Chi non direbbe Chi non ammirerebbe in cotesto la condotta UHà
così degna annichillazione di quest’uomo e chi non direbbe che costui
cerca di annientarsi e per quanto sta da se di scomparire sulla terra. Ebbene
ravviviamo la fede, e noi lo vedremo senza alcun paragone molto più emi­
nente nel divin Redentore. Epperciò andiamo avanti perché non è che il
primo passo.
S’annichilò nel prendere cotesta coperta della natura umana. Poteva
scegliere un corpo che in qualche cosa si distinguesse in maniera partico-
lare dagli altri, almeno venire in età adulta, perché così si sarebbe rispar­
miata molta parte di umiliazione: ma no, un corpo bello sì ma niente da
sorprendere quindi bambino soggetto a tutte quelle miserie umilianti per
tutti, ma molto più per lui che godeva pieno uso della sua sapienza epper­
ciò doveva sentire quanto noi possiamo immaginare il peso di questa sua
annichilazione, S’annichillò, anche presa la natura umana, vestita la forma
di bambino, poteva con un tratto, una parola dar saggio di sua potenza, di
sua sapienza, lo che potenza-fere ogni qual volta avesse voluto. No, occultò
sifattamente le sue perfezioni divine che sino a dodici anni non diede mai
segno alcuno di qualità speciali, ed anche dopo noi fece se non quando
assolutamente il voleva la gloria di suo padre.
Annichillò la sua divinità, cercò d’annichilare parimenti la Sua uma­
nità. Primieramente permise, e dispose che nessuno la volesse ricevere
venutavi ciò non dimeno quasi a dispetto del mondo, si tenne nascosto
quanto potè, e ^conosciuto, e volle che nessuno ne facesse conto, anzi
divenisse tra gli uomini un oggetto dì ignomìnia, di scherno, e di ludibrio.

500
Meditazione - Sopra la Nascita del Divin Redentore

Poche parole, e qualche riflesso in questo artifizio divino. Non so se possa


darsi un affronto maggiore ad una persona che quando arriva ad essere
scacciata, e disconosciuta da suoi medesimi concittadini, e che si trovi
nemmen più uno che voglia darle un ricovero qualunque per una notte
anche sola. Niente non fu possibile ottenerlo; ne preghiere, ne suppliche,
ne istanze, ne lacrime come è probabile che spuntassero sugli occhi della
buona Madre: era notte, tutti erano ricoverati, loro soli in mezzo alla
strada, e nessuno li voflr s'indusse a ritirarli, tanto era lo sprezzo, e la disi­
stima: non erat eis locus: in propria venit, et sui eum non receperunt2.
Il divin Redentore non solo avrebbe potuto con una scossa di testa atter­
rire quegli abitanti, e far loro conoscere chi era Colui che ricusavano
di ricevere, eppure no. Sopportò quietamente queU’affronto, ed ingiuria
come preludio di quel modo ingrato, e sleale con cui in seguito il mondo
Tavrebbe trattato. Nacque là in mezzo ad una campagna ad insaputa di
tutti, e di qui comincia la tela e la serie di tutti que’ mezzi, di tutti que’
modi ancor ignoti al mondo di tenersi prima celato e nascosto, poscia tal­
mente misero, basso, e vile

da divenire non solo un uomo qualunque come un altro, ma tra tutti (2071) 9
il più misero e meschino fino a divenirne un oggetto di disonore, e di
scherno. Lo studio in Gesù per tenersi celato fù così evidente, e continuo,
che è impossibile a dubitarne. Io non parlo di ciò che vedremo nel corso
de’ suoi giorni, e mi restringo alla sua nascita. Tre furono le circostanze, che
avrebbero potuto rendere notoria, e luminosa la sua comparsa al mondo,
la discesa cioè degli Angeli, FApparizione della stella, e la venuta dei Magi.
Or questo divin Redentore che aveva già cominciato, e voleva proseguire
il Suo disegno di annientarsi nel concetto degli uomini dispose che ogni
cosa svanisse davanti al mondo, e quasi ridondasse ancora a suo scorno, e
confusione. Compajono è vero gli Angeli, ma sulle montagne, ed a pochi
pastori di modo chè oltre che nessuno in città vi prestò fede, e si mosse,
chi sa ancora da maligni non sia stato attribuito ad arte, ed astuzia, e riab­
biati fatto soggetto di risa. Compare la stella, ma in lontani paesi, e come
capita quasi da nessuno, e nel meglio scompare, e non si vede più; nuova
comedia, avranno detto chi sa quanti, nuovo artifizio, come quella degli
Angeli. I tre che partono con intelligenza di portare ulteriori notizie, non si
vedono più. Impostori avranno ripetuto, ce la volevano dare ad intendere,

2 G v 1,11.

501
Esercizi S p iritu a li a l Clero. * M e d ita zio n i

non hanno più osato lasciarsi vedere, ed ecco sparito dinnanzi al mondo,
anzi ancor di maggior scorno pel divin Redentore ciò che avrebbe dovuto
illustrarlo. Siccome però nell’andar del tempo, non ostante le industrie del
divin Redentore per tenersi sempre lontano dalla stima degli uomini aveva
acquistato un po’ di scemo (?) tanto più per tutto quello che aveva dovuto
operare per la gloria del padre, per annientare, per dissipare dattorno a
se cotesto fumo d’onori, e di gloria del mondo s’appigliò a ciò che tra
gli uomini vi sia di più valevole per distruggere cotesta idea, cotesta aura
popolare, quali sono le imputazioni, calunnie, accuse, motteggi, sarcasmi,
ludibrii d’ogni genere, ed in fine le condanne, e la cosa arrivò tant’oltre,
che come voi sapete, lo stesso divin Redentore arrivò per bocca de’ suoi
profeti, che non era-più utr uomo sarebbe divenuto tanto sfigurato da
non doversi da reputarsi tra uomini, ma piuttosto da assomigliarsi ad un
verme, che si striscia per terra, a tanto era giunto di viltà* e bassezza: ego
sum vermis, et non homo3, in sostanza, il ludibrio, l’obbrobrio anche degli
uomini più vili: opprobrium hominum, et abiectio plebis4. :
Cari fratelli miei, l’idea, il tipo, il modello di quella umiltà, queli’an-
nientamento, che il divin Redentore portò dal cielo in terra, che per primo
operò in se stesso per lasciarlo poi in retaggio a noi suoi successori, perché
ognun di noi lo estragga, lo rilevi, lo ricopii in se stesso. E qui non c’è
mezzo, o cari

(2072) io è di necessità assoluta il ricopiarlo, perché altrimenti ben lontano d’es­


sere noi una copia fedele di questo divin Maestro, ne saremmo nemmeno
un abozzo, perché la sbagliamo: fin dal primo punto, che ferii dal fonda­
mento medesimo: no chi non ha cotesto spirito d’umiltà, chi non cerca
per quanto da se d’annichillarsi nel concetto degli uomini, si disinganni,
non s’illuda, ha niente che fare, non ha somiglianza alcuna con questo
divino modello. Secondo. Noi sacerdoti abbiamo bisogno di molte grazie,
e grandi per compiere a dovere gli obblighi della nostra vocazione, e cote-
ste grazie pioveranno mai nel cuore di un sacerdote che sia mancante di
questo Spirito, perché sta scritto che Deus Superbis resistit, humilibus dat
gratiam5. Terzo poi Iddio è geloso della sua gloria, e nell’operarla si degna è
vero di servirsi della mano dell’uomo, ma vuole che si conosca che è opera

3S a i 21,6.
4 S a i 2 1 ,6 .

5 I P t 5,5.

502
Meditazione - Sopra la Nascita del Dìvin Redentore

sua, e non si attribuisca ad altri che a Lui la gloria. Di ciò abbiamo molte
prove, e molti esempi nelle Sacre carte. Epperciò il Signore l'affiderà mai
a quel Sacerdote, che credendosi d’essere qualche cosa, se non in tutto,
almeno in parte la fa dipendere da se, dalla sua scienza, dalla sua abilità,
dalle sue maniere andate dicendo. No’ fratelli miei, Sacerdoti tali non sono
fatti per le opere del Signore. Dal punto che noi ci crediamo capaci a qual­
che cosa, diveniamo inetti a tutto avanti a Dio, ed allora solo cominceremo
ad essere instrumenti degni di qualche valore quando ogni idea di noi sia
totalmente scomparsa davanti a nostri occhi, e ci sia penetrata sino all1in­
timo del nostro cuore la nostra indegnità. Ciò posto come procurarci,1voi
mi direte, cotesto spirito d’umiltà, e come operare in noi medesimi eote-
sta annichilla/.ione cotanto necessaria ed indispensabile. Nient’altro che
copiare il disegno, che ci ha lasciato cotèsto divin Redentore, seguitare i
suoi esempi, e le sue pedate.
Lo che si riduce a due punti: 1° annientarci dentro di noi, nella nostra
mente con esser persuasi, e ben penetrati che siamo un niente. 2° studiar
il modo d’annichilarsi presso gli altri. Finché noi non avremo aquistato
cotesto annientamento dentro noi medesimi, lo che vuol dire finché noi
crederemo d’essere qualche cosa in questa nostra testa, è inutile cercarlo al
di fuori presso il mondo, sia perché sarà una coperta, ed una simulazione
cercar d’evitar la stima altrui, mentre noi crediamo di meritarlo, sia perché
con questa idea di noi o non adopreremo i mezzi necessari per riuscirvi,
o non saremo costanti ad adoperarli, epperciò finiremo con far niente, ed
anche con mille proteste di umiltà, d’esser buoni a niente, meritar niente,
e~eose-simili, alle volte possiamo essere superbi belli e buoni, e non ci vuol
molto a scuoprirci per tali, un tratto soventi, una parola meno graziosa
basta subito

a farci conoscere per quei che siamo. Umiltà adunque d’intelletto prima (2073) 11
di tutto, vuotiamo questa nostra testa di noi medesimi; proccuriamo di
essere persuasi ma sinceramente che siamo un niente noi a questo mondo,
o se siamo qualche cosa, è peggio che niente fino a essere stupiti come il
Signore ci lasci vivere, il mondo ci soffra, perché tutti sarebbero capaci a far
quello, che facciamo noi, mille lo farebbero meglio di modo tale ben longi
d’essere io di qualche entità, di qualche utile sulla terra sono piuttosto di
peso, e di gravame, un oggetto intoppo, un oggetto di più, e di imbroglio
nel mondo: proccuriamo, dico, di far proprio nostri cotesti sentimenti, di
esserne vivamente penetrati, di radere per così dire ogni idea di noi nella
nostra testa, ed allora vedrete che ci sarà facile, e troveremo l’umiltà di

503
E sercizi S p iritu a li a l Clero ^ M e d ita zio n i

volontà che sta nel trovare e praticare il modo di annichillarci, e farci tenere
per niente dagli altri; e quali saranno adunque cotesti mezzi: io li riduco
a due: 1° senza un assoluto bisogno di bene, e di gloria di Dio schivar
sempre, ed occultar ciò, che può ridondare a qualche nostra gloria. 2°.
Abbracciare con rassegnazione, e se volete di più, con amore, e con pia­
cere, anzi andar: incontro; ancora noi all’incontro di e cercar tutto ciò che
salva sempre la gloria di Dio, in qualsiasi modo ci può umiliare davanti al
mondo. Che. è appunto quello che fece il nostro divin Redentore. Il primo
passo mi pare niente difficile, e straordinario, poiché essendo persuasi d’es­
sere, e meritare un bel niente, è più che naturale che la persona declini,
e schivi per quanto sta da se di fare, e dire qualche cosa, che la possa far
tenere in qualche concetto, quando Ella sa che non lo merita; sarebbe piut­
tosto unincoerenza, e contraddizione l’operare diversamente; e quando
non si facesse, basterebbe questo solo a provare che non c’è in noi quel­
l’umiltà d’intelletto, di cui vi parlava, èpperciò inutile l’andar più avanti.
Può forse parere di qualche difficoltà, e sorpresa il secondo mezzo di accet­
tare noi volentieri le umiliazioni, e molto più desiderarle, e cercarle, salva
sempre come ho detto la gloria di Dio, e dentro i termini della prudenza.
Però riteniamo che quando io dico amare' e godere delle umiliazioni non
intendo già secondo il senso, che questo non è necessario, e se vi arriviamo
sarà ancor meglio, ma non si richiede, e si può esser veramente umile,
quand’anche si provi tutta la ritrosia del mondo a sopportare tutte le umi­
liazioni, purché tale ripugnanza non arrivi a farci indietreggiare, e ritirare
il passo da ciò che l’umiltà vorrebbe. La cosa va presa, e intesa secondo
il desiderio e la volontà; e sotto questo rappòrto mi pare che non debba
essere di tanta difficoltà, poiché quando la persona possiede l’umiltà di
intelletto, e sia nello stesso tempo persuasa della necessità, dell’importanza,
e de’ vantaggi di cotesta umiltà, sembra naturale che allorquando le capita
alle mani un’occasione, una circostanza, un mezzo favorevole ed acconcio
a formarla sempre più in se stessa, ad accrescerla, ne debba esser contenta,
allegrarsi, e gioirne, e quando ne sia priva desiderarlo, e andarne in cerca
come colui che preso dall’amor dell’oro ed agognando d’averne, si rallegra
quando le viene tra le mani se pur non va a cercarlo quand’anche

(2074) ne senta pesi, e gravame. Così deve essere di noi, quando ci sia entrata
ben addentro la necessità, e l’importanza di cotesta virtù, epperciò la
brama, la voglia, il desiderio di acquistarla. Felice adunque il Sacerdote, di
cui potrà dirsi quello che già era scritto del primo de’ Sacerdoti il divin

504
Meditazione - Sopra la Nascita del Divìn Redentore

Redentore, che semetipsum exinanivit6. Guardate là un Eclesiástico che a


giudicarlo all’apparenza, e secondo il mondo avrà niente di ramarchevole,
non compare, e quasi non si conosce: eppure è il uomo più grande della
terra, perché ha un tesoro con se da sorpassare tutti i calcoli ogni valore che
egli potrebbe attribuire il mondo medesimo. Egli è umile, egli è persuaso
che è un niente, vive proprio persuaso che egli è un niente sulla terra, ed è
talmente penetrato della sua nullità al mondo, che cerca, desidera, gode
che tutti lo conoscono, lo sappiano, e lo tengano per tale: questo o cari è il
solo e vero uomo grande sulla terra, perché vero umile; non è la scienza, la
dottrina, l’impiego, i titoli, la nascita, il parentado, la carica, la roba, la
stima e l’applauso degli uomini che ci faccia grandi, no: ma l'umiltà, quella
virtù che annientandoci l’uomo sulla terra lo ci innalzerà tant’alto da toc­
care perfino il Cielo, lo che è può fare la sola umiltà. Questi il vero sacer-

porzione l’onore, e la gloria di questo Dio: Questi tra tutti il vero Eclesiá­
stico che porti in se scolpito la vera immagine di questo divin Redentore,
che perciò è come seguace, e partecipe delle sue umiliazioni, del suo
annientamento in terra avrà diritto, e parte al suo a quell’esaltamento esal­
tazione ed alla sua a quella gloria eterna che sta preparata in cielo. Perché (i
veri umili di cuore) sa chi si esalta verrà un dì che sarà umiliato; chi si
umilia invece non può mancare d’essere un dì esaltato: qui se exaltat humi-
liabitur: qui se humiliat exaltabitur7.

6 f u i ;7 .
7 Le 14,11.

505
(2514)
Giorno Sesto
Meditazione Prima
Sopra la Fuga di G. Cr. 1

Giunto il Sacerdote ad annientare se stesso dentro la sua mente, e per (^525)


quanto sta da sé anche davanti al mondo, allora si getti, e si slanci nelle

* (fald. 48 / fase, 218; nell’originale 2514^2531)


1 La meditazione inizia con un lungo brano cancellato: Il Sacerdote, deve: esser povero
almen di cuore: come seguace, come ministro, .e rappresentante, di quel Gesù, che non
aveva ove nascendo, non trovò una culla, e vivendo non aveva ove posare il suo capo, come
successore degli Apostoli e di quelli Eroi che tenevan Foro come fango, e disprezzavano
ogni cosa purché giungessero a possedere il Signore; omnia arbitror ut stercora ut Chri-
stum lucrifaciam [FU3,8]. Deve anche lui vivere col cuore, e colTaffetto superiore a questi
beni terreni, e far conoscere, come già diceva S. Ambrogio, che le mire, i sentimenti e Io
scopo del Sacerdote evangelico non è già quello di far danaro ma di.salvar anime: officium
sacerdotum officium quaestus est non pacuniarum [sic!] sed animarum [S. A m b r o g i o ,
Expositio Isaiaeprophetae, CGL 14] e ciò il popolo facilmente lo verrà a conoscere, quando
il Cuore ne sia proprio staccato, le parole, i fatti, tutta la sua condotta parlerà per lui, ed
è questo U n linguaggio che si fa intendere, e non può fallire. Ma La povertà però n o n
basta: questa virtù chiama un altra compagna, ed è l’umiltà. E che gioverebbe aver il cuore
staccato da beni, se poi fosse gonfio, e pieno di se amante degli onori, delle comparse,
delle grandezze, in sostanza restasse acciecato dal fumo di questo mondo, non servirebbe
ad altro che a rendere meno sensibile, e più.detestabile la nostra superbia; quel Gesù che
nascendo, ci insegnò così luminosamente la povertà ed il distacco da beni, ci diede in pari
tempo il più grande esempio della più profonda umiltà e direi quasi annientamento. Di
più era pur bambino Gesù, se ne stava nelle fasce, non era conosciuto, eppur si trovò già
chi lo odiava, e cercava di sterminarlo. Eh! fratelli, l’odio che si suscitò contro il Redentore
non finì con lui, continuò e continuerà ne suoi ministri, e ne’ suoi successori, non voglio
dire d’esser cercati a morte ne nostri tempi, ma non mancano altri generi di persecuzioni,
che vogliono e coraggio e virtù; come fare in tali casi, come fece il Redentore, rassegnarsi.
Io v’invito perciò di nuovo, fratelli miei, a q n d presepio del nostro divin Redentore per
essere noi stessi testimoni del disprezzo più grande che mai possa farsi delle grandezze,

507
E sercizi S p iritu a li a l Clero M e d ita z io n i

degli onori, e del fasto di questo mondo nella condotta tenuta nascendo dal d. Reden­
tore.

(2517) Quindi lo seguiteremo nella sua fuga in Egitto ,per imparare anche da lui in tale occa­
sione quei sentimenti di rassegnazione, di conformità alla volontà di Dio, e di totale
abbandono nella divina sua provvidenza che devono essere tutti proprii di un Ministro
del Signore nelle tante vicende di questo misero mondo.

(2516) Ecco due altri tratti da aggiungere e da dare a quella copia che abbiamo cominciato
questa mattina su questo divin Modello.

(2517) Ouicumque, invaginiamoci che ci si dica, quicumque humiliaverit se sicut parvulus


iste, hic magnus vocabitur [Mt 18,4]: quello tra sacerdoti che si umilierà, si abasserà, si
nasconderà come questo fanciullo, costui e non altri si potrà chiamare a buon diritto e
sarà tra i sacerdoti e ministri del Signore il solo grande, grande in terra per l’animo nobile
coraggioso e magnanimo, con cui si solleva al di sopra deile vanità di questo mondo
e ne sprezza gli onori, ed il fasto, più grande ancora sarà il Ciclo lassù in patria attesa
quella gloria sovragrande con cui sarà coronato in patria Cielo, in premio della sua umiltà
in terra. Umiltà adunque, fratelli miei, e abbandono di tutti noi stessi rtel in mano alla
Sperna divina provvidenza: ecco le due lezioni di questa sera. Lezioni sublimissime per la
dignità, di quel maestro che ce li insegna, per l’alta e celeste sapienza, che in se racchiu­
dono, ma lezioni in pari tempo utilissime, e diciam pur necessarie ed indispensabili ad
ogni fedele, ma molto più ad un Sacerdote.
Io non sto qui a parlare della necessità dell’umiltà: basti il dire che non haw i virtù
in un Sacerdote, come in qualunque altra persona quando non vi sia umiltà, e tanto sarà
virtuoso quanto sarà umile: se vuoi esser santo, rispose S. Giuseppe da Copertino a chi
gli dimandava la maniera di santificarsi, se vuoi esser santo procura d ’esser umile, se sarai
più umile sarai ancor più santo, se puoi vorresti essere il più santo di tutti, ebbene eccoti
il mezzo unico e sicuro, impegnati a divenir il più umile tra tutti; Lo stesso ripete S. Ago­
stino: si quaeris quid sit primum in Religione, et disciplina Christi respondeó: primum
est humilitas: quid secundum? humilitas: quid tertium humilitas. Siccome soggiunge S.
Bernardo: la superbia è principio

(2519) di ogni peccato, così l’umiltà è il principio e la radice di tutte le virtù: sicut enim
initium omnis peccati superbia est, ita radix omnis virtutis humilitas est. E finalmente S.
Giò Crisostomo parlando deH’umiltà: ipsaestr dice, mater et nutrix, columna et anchora,
fulcimentum et vinculum harum omnium (virtutum) est. Bellecius Deli’umiltà. Siccome
E di qui compare anche la ragione per cui il Redentore l’abbia voluta come la povertà
compagna indivisibile a sé, e l’abbia esercitata nel modo il più profondo, eroico, ed asso­
luto. Fermiamoci un momento a considerarla.

(2518) L’altra lezione, che ci diede il divin Redentore nella sua nascita fu quella dello sprezzo
delle grandezze, e degli onori dì questo mondo.

(2519) La bassezza di Gesù fu tale e tanta che fino il mondo si vergognò di conoscerlo, e si
rifiutò a ricoverarlo: non erat eis locus in diversorio [Le 2,7]: ebbero pur campo e pazienza
di cercare, e pregare di un luogo qualunque onde ricoverarsi, ma ogni luogo, per infimo

508
Giorno Sesto ~ Meditazione Prima ~ Sopra la Fuga dì G. Cr.

che fosse, il mondo lo giudicava di troppo per quella sorta di gente, e doveva darsi ad altri
la preferenza: non erat eis locus; in propria venit et sui eum non receperunt [Gv 1,11];
come gente da non curarsene, e quasi nemmen degna di un occhiata, di un sentimento
di compassione nessuno se ne curò. li Redentore peròdal canto suo non solo non cercò
di riformare questo basso e vile concettò che il m ondo■aveva formato di lui, e/de’, suoi
parenti, chè anzi usò ogni mezzo per confermarlo, ed aumentarlo vieppiù fin dai primi
momenti della sua nascita; E che sarebbe costato al divin Redentore annunziar al mondo
con qualche segno strepitoso il suo ingresso nel mondo, far parlare di se, rendere attonita
la gente, e far si che le genti tutte concepissero un idea grande di lui;-non solo non fece,
ma dispose, che di più che quegli stessi segnali, che dovevano farlo conoscere non lo
rendessero grande, e non tornassero a sua gloria temporale; scendono gli Angeli a darne
avviso, ma invece di mandarli in Gerusalemme, ed in popolose città, ove avrebbero avuti
più testimoni, e dove la loro comparsa, le loro voci avrebbero destato gran rumore, e
meraviglia, li manda per campagne quasi deserte a pochi e vili pastori. E da qui ne venne
che pochi Io seppero, e chi lo seppe non ne fè caso e quasi si sarebbe vergognato di dar
retta, e lasciarsi muovere , .

da gente cosi credula, e rozza: fa comparire una stella, ma in lontani paesi, per cui (2520)
pochi si sarebbero mossi, e nemmen .tutti l’intendono. Vengono i Re magi, e giunti in
Gerusalemme, ove avrebbero potuto.colla lor presenza, e colle lor parole eccitare un grido,
il Signore loro toglie la stélla, restano ondeggianti, e dubbiosi, e ben lontano di poter
loro essi eccitare gli abitanti alla cognizione, alf’adorazione di lui, si trovano ..in bisogno
di appoggiarsi a loro, e di stare alle loro informazioni; vanno i Re, e dopo d ’averlo rico-
nosciuto, ed adorato qual Redentore, pensano al ritorno per Gerusalemme, e così potreb­
bero dietro la propria scienza eccitare, destare que’ cittadini a tributargli i suoi omaggi,
ma il Signore li avvisa, e li comanda di prendere altra via, e così quel Signore che naque
occulto, sconosciuto, continua a star sepolto nella sua oscurità, e comparire un povero,
un vile tale da' non meritare di avere un piede in Città. E non vi pare, fratelli mei, in
tutto questo un artifizio della divina provvidenza, un lavoro di quella mano superna per
chiudersi la porta ad ogni gloria, ad ogni onore di mondo: il mondo disprezzo Gesù per
la sua viltà,- e bassezza, in cui compariva; e Gesù disprezzo questo disprezzo del mondo
e con far vedere che non solo poco, ma niente e niente affatto le caleva, le importava
l’onore di questo mondo. Gran mistero egli è questo, fratelli miei, che un Dio di tanta
gloria, e maestà abbia voluto passare in uno stato di tanta abbiezione, ed avvilimento. Ma
gran lezione nello stesso tempo, per uri Sacerdote; e qui più che in ogni altra circostanza
figuriamoci che il Signore ci dica, impara da me, o mio ministro, non già a far miracoli,
a farti seguito di gente, ad empiere il mondo di te, a farti ricordare, lodare, no; ma invece
a segretarti,. a ritirarti, a fuggire, a nasconderti a costo anche.di farti disprezzare,' ed a farti
tenere come un vile,: un idiota, un uomo da poco da non doversene far conto, e calcolarlo
quasi tra viventi: disce a me. quia mitis sum et humilis corde [M t 11,29]: non est disci-
pulus super magistrum, nec servus super dominum eius {M t 10,24]; l’ho fatto io il primo,
l’ho fatto anche Dio e non l’ho fatto a capriccio, ma l’ho fatto per te, l’ho fatto per la
gloria di mio padre: chi avrebbe creduto che con si fatta

condotta, in uno stato di tanta bassezza ed umiliazione avrebbe dato tanta gloria al (2521)
Celeste suo padre, eppure mentre il mondo rifiutava, e non voleva conoscere quel bam­
bino, gli Angeli in tuonavano la gloria, la compiacenza, il piacere che ne provava dal Cielo

509
Esercizi Spirituali al Clero " Meditazioni

il padre: Gloria in excelsis Deo [Le 2,14]. Vi erajrio pure palazzi superbi, sedevano pure
adunanze di persone dotte, e onorate, ma il padre vi volgeva l'occhio, o provava maggior
compiacimento,: e quasi gliene ridondava maggior gloria da quel tugurio, e da quella
stalla, da quel bambino vile in apparenza e di niun conto, di quello che ne traesse da tutte
le grandezze del mondo, e da tutti i personaggi che facevano rumore.a quei tempi; giacché
sta scritto: quod altum est hominihus. abominado est ante Deum . Lue. 16, [16,15]
Eccovi, fratelli miei, la maniera sicura di piacere a Dio, di dar gloria a lui, cercar di
annientarci avanti il mondo, fuggire, e nasconderci; quando allora solo formerò l’oggetto
delle divine compiacenze, Iddio trarrà gloria da ntw me quando veramente sarò umile, e di
me si potrà dire in certo modo come già del primo Sacerdote che abbia cercato d’anriichif
larmi. Qualunque sieno sopra di me i disegni di Dio, debbo esser persuaso, che egli non
farà mai nulla di grande in me, che non abbia per base, per principio, e per fondamento
il niente di mia umiltà. Da che. verrò, e penserò di essere qualche cosa, nulla sarò avanti
Dio, e dal momento che acconsentirò, e cercherò di esser nulla diverrò grande, capace di
tutto avanti Ettu lui. Vediamo perciò che Egli ha sempre fatto scelta delle anime più umili
o per portarle à gradi straordinari di santità, o per impiegarle nelle opere sue maggiori.
La più umile fra le Vergini fù da esso innalzata persino alla Maternità divina, Col mezzo
di poveri pescatori convertì la terra, e vi piantò la sua Chiesa; non ha eletti a cotesto
fine, dice S. Paolo 1 Cor. 1, ne i savi, ne le potenze, ne i nobili del secolo, perché sono
comunemente orgogliosi e pieni di se stessi; ma ha preso quanto .vi era-di più debole per
confondere i forti. Ha preso quanto, vi era di men nobile, e di più disprezzevole, le cose
stesse che non sono, per rovesciare quelle che sono: e per qual ragione ha egli così operato?
Affinché uomo alcuno non abbia di che gloriarsi avanti a Dio.

(2522) Due sono le ragioni per cui Dio non suole servirsi, de’ superbi; la prima come già
abbiam detto perché si conosca la forza del suo braccio ed a lui solo si attribuisca la gloria:
l’altra si è perché Iddio è tanto geloso della sua gloria, che non vuole che il suo ministro
gliela tocchi, e gliene rubi anche la menoma parte; onde non la affida ad un cuore che
vede gonfio, e pieno di se, e che sé non pretende tutta per se ia gloria, la vorrebbe almen
dividere con lui arrestandosi compiacerci di a certi, elogi che lusingano, a certi ritorni
sopra se stesso, e a certe compiacenze, che il cuore affatto non riprova. Tant’è, fratèlli miei,
io lo ripeto, se vogliamo che in noi vi sia virtù vera, e soda: se vogliamo esser somiglianti
a chi per noi semetipsum exinanivit [FU 2,7], se bramiamo nel .nostro stato dar gloria a
Dio, se c’è caro essere un degno instrumento del Signore nel ministero delle anime, siamo
umili, e non cessiamo mai di avanzarci sforzarci a farci sempre più umili; ma umiltà vera,
e sincera, epperciò umiltà d’intelletto che consiste in una bassa e vile cognizione di noi,
e per dir tutto in pobo nella cognizione del nostro niente: umiltà di volontà che sta nel
desiderare, nel proccurare che questo nostro nulla sia conosciuto, epperciò non rigettare,
ma abbracciare, compiacersi di quelle cose che senza la-nostra volontà, e molto più per
nostra: scielta ci possono umiliare avanti gli uomini; così pensa, così fa,, brama il vero
umile, chi stima, chi ama, la vera umiltà: felice quel Sacerdote che in cuore si sente tale,
o almeno si sforza per arrivarvi. A lui sono riservate dice Thomaso a Chempis le consola­
zioni più dolci e l’amor più tenero del Signore, per lui sono destinate le grazie più grandi,
a lui affiderà il Signore i suoi secreti più intimi, e qual figlio prediletto lo inviterà a se, e
se lo terrà caro al seno.
Humilem Deus diligit. et consolatur humili largitur gratiam magnam. humili sua
secreta revelat, et ad se dulciter trahit et invitat [De imitatione Christi, II, II, 2]. Sì fatti

510
Giorno Sesto ^ Meditazione Prima ^ Sopra la Fuga di G. Cr.

braccia del suo Signore con un perfetto, e totale abbandono., e lasci che
Iddio pensi per lui: ecco la terza lezione2

finalmente ben importante che ci da il nostro Salvatore ancor fanciullo, (2524)


ed è quella di un totale e perfetto abbandonamento nelle mani della divina
provvidenza da lui praticato nella fuga in Egitto. Prima di tutto censide-
riamo la condotta che tenne Dio col suo Figlio Incarnato modello di quella
che suole tenere colle anime predilette. Appena nato si permette già che si
cerchi a morte: non compare, non parla ancorai eppure ha già i suoi nemici
solo perché anche fanciullino vive già una vita che piace a Dio: si ricordi
che chiunque lo voglia imitare, incorrerà la stessa sorte: sic omnes, qui
pie volunt vivere in Christo Iesu. persecutionem patientur: 2. [ ¡mot 3 '. Il
padre lo preserva, ma perché? non per altro che per riservarlo a maggiori
pericoli, a maggiori persecuzioni. Il padre lo scampa? ma come? forse in
una maniera gloriosa, con un portento che faccia attonito il mondo, con

favori ci devono allettare all’umiltà, ma più di tutto ci tocchi, ci spinga, è quasi ci sforzi
l’esempio del nostro capo, del nostro Capitano Christo Gesù. Christo si umiliò tanto deve
bastare al Sacerdote, al ministro di questo Dio si umile per dire; niente adunque di'più
giusto, di più ragionevole, di più necessario, di più glorioso

per me che sono suo Ministro, se non voglio saperne più di lui, se non voglio declinar (2524)
da- miei doveri e se non voglio dar a conoscere di aver a vile ciò che il mio Redentor si
recò a gloria. Sarebbe questa al dir di S. Bernardo, una superbia da non sofrirsi in ogni
uomo, ma molto più in ..un Sacerdote, che voglia gonfiarsi ed insuperbirsi: un verme si
vile quando si umiliò tanta maestà: intoleranda superbia est, ut ubi exinanivit se maiestas.
vermiculus infletur, atque intumescat [In nativitate Dom., Sermo I, PL 183, c. 115].
Sia dunque questo il primo l’altro frutto, di-questanccm-sid dopo lo spirito di povertà,
da ricavarsi la da quella scuola di cristiane ed apostoliche virtù, e voglio diré la capanna
di Betlemme, di apprezzar cioè, di amare, di cercare i’aquisto di una vera, e sincera
umiltà nella cognizione l’d t roresempia della propria viltà, nel disprezzo di noi stessi, e
nel disprezzo di tutto ciò che tende ad onore, e grandezze di questo mondo: di modo
che di ciascun di noi possa in qualche modo dirsi quello che già sta scritto del primo
Sacerdote, che semetipsum exinanivit; ecco là un Sacerdote che ama, che brama, che cerca
di annichilarsi, vale a dire di esser tenuto come un niente a questo mondo, e che di tutto
questo riiondo e dellc-suc-grandezze non conosce altra gloria* altro onore, altra grandezza
che quella di servire e glorificare il suo Dio.
2 Dopo il lungo testo iniziale barrato, la meditazione inizia propriamente con le righe
appena trascritte nel testo che si trovano in una pagina a fronte. Ifogli di questo manoscritto
non riportano mai la numerazione originaria del Cafasso, ma solo quella successivamente
aggiunta.
" 2 Tim ò.M.

511
Esercìzi Spirituali al Clero - Meditazioni

un grande miracolo di modo che l’attentato alla sua vita abbia a cangiarsi
in altrettanta sua gloria; no: lo fece alle volte Iddio per certe anime, lo pra­
ticò con Faraone

(2525) a favore del popolo ebreo, ma non lo volle fare per lo stesso suo Figlio:
lo scampò, ma'per una via ignominiosa, difficile, periculosa e molesta qual
è stata la fuga; serva d’esempio a quei tali, che quando he’ loro bisogni non
vedono patentemente la mano di Dio quasi ad operare un miracolo, danno
subito in lagnanze, e pare che Dio manchi ad un suo dovere; si impari a
riconoscere la mano della provvidenza anche quando opera per vie nasco­
ste e secrete, ed in modi penosi ed-anche noi e diversi dalle nostre mire.
Non ostante che il mezzo scielto dal padre per salvare il Figlio fosse in
apparenza, ed in realtà tale quale l’ho detto... ciò nondimeno come vi si
prestarono que’ santissimi personaggi: era pur improvvisa quella partenza,
duro lasciar la patria, inopportuno il tempo, l’età deh fanciullo, incom-
modo il viaggio, sconosciute le terre, le persone, cui dovevano incontrare,
pochi o nessuni i mezzi, incerti del quando del ritorno, e simili: eppure
come ubbidirono: eccone le tre qualità: prontamente, ciecamente, lieta­
mente: prontamente e sul momento senza aspettar il mattino, senza pren­
dere informazioni, senza premettere preparativi, giacché ci dice E v an ­
gelista che: consurgens nocte secessit in Aegiptum. Math. II. 14. Cieca­
mente: benché un tal ordine fosse in apparenza contrario ai lumi della
retta ragione: un Dio fuggire,, e fuggir l’ira di un uomo, che debolezza è
questa, e non mancano altri mezzi per liberarsene, e non vi sanno altri
luoghi più comodij più conosciuti di quello d'Egitto, ma almeno sapere
quando ritorneremo, quanto sarà la nostra dimora: niente, nessuno di-si
fatti riflessi, che pur parevano ragionevoli; si chiude l’orecchio, si chiude
l’occhio a tutto, obbediscono obbedisce Gesù colla madre, e Giuseppe, se
ne partono. Obbediscono lietamente scacciando ogni tristezza, ogni tedio:
non hanno bisogno di cercar ragioni per persuadersi, non vanno cercando
sollievo dagli amici, conforto ed aiuto da conoscenti, da parenti; ma con
grande e lieto animo abbandonandosi totalmente ai destini, ai voleri della
divina provvidenza, si mettono per via; e che sarà di noi come, e dove
andremo a finire, arriveremo al nostro destino, potremo superare tanti
pericoli, ed anche la giunti potremo abitare tra mezzo a quella gente, come
fare a vivere, chi sà quanti stenti

(2526) e privazioni, chi sà quante ingiurie, e disprezzi ci aspetteranno: niente


di tutto ciò li trattiene, li rallenta, li rattiepidisce, li affanna, li occupa; vi

512
Giorno Sesto ~ Meditazione Prima - Sopra la Fuga di G. Cr.

è una risposta a tutto, ad ogni pericolo, ad ogni difficoltà,: ed è Iddio lo


comanda, io vuole, sicché Iddio ci salverà, ci guiderà, vi penserà per noi.
Grande esempio egli è questo di vero e pieno abbandono in mano alla
divina provvidenza, ed importante lezione per noi principalmente sacer­
doti. Anche noi nel nostro stato siamo soggetti a tante vicende, di beni
di fortuna, di sanità, d’impieghi etc. noi più che gli altri siamo soggetti a
persecuzioni, dicerie, calunnie, critiche etc. Iddio chiama in qualche occa­
sione certi sacrifizi da noi, che costano, fanno temere dell’esito, chi sa che
cosa si otterrà, chi sa se ne verrà una riuscita come si farà andar avanti,
vi sono tali imbrogliatami ostacoli etc. Alle volte uno si trova in certe

veder niente di chiaro, e fanno dubitar di tutto: le stesse opere di ministero


altre volte riescono, altre volte nò, l’incertezza di questo esito alle volte
occupano, fanno perdere di animo, scorragiscono. Come fare adunque in
tali ed altri simili casi. Abbiamo la strada segnata; in ogni e qualunque
evento, timore, bisogno, senza perderci in tanti timori, in tante conget­
ture, senza cercare conforto da questo o da quello, senza darsi a lagnanze,
senza cercare ragioni e motivi a poterci tranquillare, ad esempio di quelle
SSme persone alzare prontamente il pensiero rocchio a Dio, e pensare che è
Iddio che comanda, che vuole quella cosa da noi, che è Dio che manda o
permette quella.disgrazia, quel colpo in famiglia, nella sanità, ne1beni, nel­
l’impiego; che è Iddio che permette quelli ostacoli, quell’impegno, quella
persecuzione; dunque ciecamente, allegrament e pensare e dire Dio penserà
per me, lui disporrà,, lui regolerà ogni cosa, sarà tutto quello che Dio vorrà:
iacta super Dominum curam suam. et ipse te enutriet, ci dice il Salmista4.
Osserviamo il termine iacta. non dice solamente di porci, di affidarci, ma
di gettarci quasi di slancio [parola illeggibile] e di peso entro le mani della
divina provvidenza, come cadrebbe dall’alto un corpo

entro l’acqua: omnem sollicitudinem vestram proiicientes in eum. ci (2528)


dice l’Apostolo S. Pietro, quoniam ipsi cura est de vobis. 1 Petr. 5,7. Osser­
viamo quanta confidenza vuole da noi questo Appostolo, che in tante
maniere provò lui stesso la bontà del Signore, e lui stesso ebbe ad essere
rimproverato di poca fede: omnem. in ogni evento, di ogni cosa, sia spi­
rituale sia temporale, sia di anima sia di corpo, sia poco, sia molto, sia
facile l’affare sia difficile, fosse anche ai nostri occhi impossibile, sian pochi

4 Sai 54,23.

513
Esercizi Spirituali al Clero ~ Meditazioni

siati molti i nostri bisogni, omnem senza eccezione di tempo,, di persona,


di luogo, di cosa, omnem sollicitudinem vestram projicientes in eum -
etiamsi occideris me in te sperabo ripeteva Giobbe5, fu pur già dura la
prova a cui il Signore lo vuole assogettare, eppure quasi fosse uno scherzo,
ben lontano di scemarsi la sua confidenza, perché tutti sapessero che la sua
fede non era scemata per niente, e quasi per dire al Signore che non era
capace con quelle tribolazioni farlo vacillare, ripeteva: fa come vuotrrome
fate pure come volete, o Signore, ma io non cangierò mai idea deila vostra
bontà, e provvidenza, quand’anche vi vedessi nel Patto eli fulminarmi la
morte, la mia speranza in voi non verrebbe meno: etiamsi occideris me
in te sperabo. Ecco la confidenza che deve animare, incorraggire e tener
fermo in ogni occasione un Sacerdote di Diofi.

(2527) Da consultarsi l’anima devota.

(2528) Scio cui credidi7 so e conosco chi è quel Dio, a cui finora ho creduto, e
credo: so quali siano quelle mani, e qual sia quel cuòre a cui ho affidato, ed
affido le cose mie, e ciò mi basta: vi è niente di più ragionevole, niente di
più glorioso a Dio, e niente di maggior vantaggio per noi di questo pieno e
totale abbandono alla divina di tutti noi stessi* di tutte le cose nostre nelle
mani della divina provvidenza.
Niente Non vi è cosa più ragionevole di abbandonarsi alla condotta di
colui, che conosce tutti i nostri bisogni, può in ogni modo provvedervi,
e ne ha tutta la volontà. Scit Pater vester coelestis, quia his indigetis8, lo
diceva già il Salvatore per indurci a confidare intieramente nella provvi­
denza di suo padre: nulla vi è, che non sia nella cognizione di Dio: i suoi
sguardi si estendono tanto alla cose grandi, come alle piccole senza che
la quantità, la varietà degli avvenimenti gli cagioni la minima confusione:
tanto prevede il futuro, come Sa il passato come quello che adesso succede
a ciascun degli uomini nell’universo. Ora, se egli è vero, che

(2529) Dio conosce tutto, prevede tutto, dispone, se come~il \parola illeggibile]
di tutto vogliamo poi credere che dimentichi il suo Ministro, che la sua

5 Gb 13,15.
6 Una nota rimanda alla pagina a fronte.
72 Tim 1,12.
BMt 6,32.

514
Giorno Sesto " Meditazione Prima ~ Sopra la Fuga di G. Cr.

provvidenza sia scarsa, e negligente intorno agli affari nostri, alle nostre
vicende, al nostro bene temporale, e spirituale, nemmeno un capello cadrà
dalla testa del suo Ministro senza la sua cognizione e senza il suo ordine.
Secondo sa. i miei bisogni, ma egli è padre, anzi il migliore tra i padri,, e
come tale nutre verso di noi un cuore d’infinita bontà, e tenerezza. E chi
avrebbe difficoltà ad abbandonarsi alla condotta di un padre, qual sappia
che l’ama teneramente. Di più Egli è un padre tale, alla cui volontà niente
può resistere. Le creature più indomite e insensibili sono ubbedienti alla
stia voce e soggette ai suoi ordini; a lui tanto è servirsi di una creatura come
di un altra senza che niente le possa resistere; ogni cosa per contraria che
appaja, e che sia nelle sua mani conduce al fine che vuole, in lui il volere ed
il fare è una medesima cosa. Questo è un gran motivo di consolazione, e
di confidenza per un anima allor che dice a se stessa: qualunque sia il mio
stato, le mie vicende, i miei timori, la mia sorte è nelle mani di Un Dio, che
sa tutte le più minute circostanze, di un Dio che sono certa che mi ama
con un amore il più tenero ed il più sincero, e che però sono certissima che
disporrà il tutto per il maggior mio bene, di un Dio che ne suoi finì, nella
sua volontà, nelle sue disposizioni non trova ostacoli, impedimenti, ma
tutto cede e si presta. E dove, o fratelli, trovare un appoggio, una mano più
sicura da metterci le nostre sorti. Ditemi se vi sia una cosa più ragionevole,
più sicura, e più fondata di questo abbandono, di cui vi parlo. Non solo
è ragionevole, ma glorioso sommamente a Dio: la gloria non è altro che
una stima accompagnata da amore e da lode, E qualcosa dimostra meglio
la stima, che abbiamo della bontà, della sapienza, e della possanza di Dio,
quanto l’abbandonarci alla cieca alla sua condotta? Qual cosa dimostra
meglio l’amore, che abbiamo per lui, quanto la confidenza, che abbiamo
nella sua bontà. Dunque è vero, che nulla è più glorioso a Dio, quanto la
disposizione di un anima, che si scorda totalmente di se medesima, bastan­
dole solamente il credere, che Dio pensi a lei, e che si riposa intieramente
sopra di lui in tutte le cose, che non solamente non pensa punto ai suoi
interessi, ma crede non averne altri se non quelli di Dio, ed a cui tutto è
indifferente, purché la volontà di Dio

si adempia. Oh! quanto vantaggioso sarebbe pur anche per noi un tale (2531)
abbandonamento alla divina provvidenza: e qual maggior vantaggio di
quello di non aver né pensiero, ne fastidio, ne inquietudine? di vivere con
una pace inalterabile, di dormire per così dire nel seno della provvidenza
con quella medesima tranquillità, con cui riposa un bambino in seno 3-5 ua
tra le braccia della madre? qual più gran vantaggio di quello di esser certo

515
Esercizi Spirituali al Clero Meditazioni

che dovunque si vada, qualunque cosa si faccialo si soffra, si fa sempre la


volontà di Dio? Tale appunto è la sicurezza, che da ad un anima questo
perfetto abbandonamelito; c kr rende sempre contenta stato il più felice,
ed il più vicino allo stato de’ Beati in Cielo ma stato in pari tempo poco
conosciuto, e desiderato. Oh quanto pochi, anche tra sacerdoti, arrivano
a gustare di si fatta tranquillità e sicurezza: non hawi un idea abbastanza
grande e radicata della potenza, della bontà del Signore9.

(2530) Chiamiamola in questa sera al Signore, e diciamogli con Agostino: Io


ho già riposto in voi tutte le mie speranze, tutta la mia fidanza, ma vedo
che è ancor poco, epperciò vorrei che fosse e più ferma e più grande: spero.
Domine, sed fac ut sperem securius10.

(2531) Facciamo Risolviamo noi in quest’oggi ciò, che l’anima del divoto a
Chempis ripeteva al suo Signore: padre mio amatorio sono nelle vostre
mani; voi sapete tutte le cose mie, e niente si fa in terra.che non sia di
vostra permissione; voi sapete ciò che più conduce al mio profitto, tratta­
temi come volete, in manu tua ego sum parata ad omnia. Dominus e.s,
quod bonum est in oculis luis facias11. Lo stesso ripeteva S. Ignazio: Io so,
o Signore che voi mi amate, sicché fate pur come volete: fac mecum sicut
vis; narri scio quod amator sis12. Eccovi la bella lezione per noi, Tarma, e lo
scudo in tutte le nostre vicende: sia sano sia malato, sia ricco, sia povero, sia
che goda, sia che soffra, sia stimato, sia disprezzato, qualunque insomma
sia il mio stato, il mio cruccio, a me basta solò il: sapere che Colui che così
dispone ha buon cuore verso di me, e mi ama: mi ama quando mi batte,
mi ama quando mi cruccia, e mi prova, mi ama nella povertà, mi ama nelle
avversità, mi ama in mezzo alle persecuzioni, alle dicerie, alle calunnie, al
disprezzo, alle umiliazioni; se dunque è così, se mi siete sempre amante,
sarà sempre dolce larostra fate pur di me quel che volete che sarà sempre
dolce la vostra mano: fac mecum sicut vis: nam scio quod amator sis13.

9 Una nota rimanda alla pagina a fronte. • ■■


10 S. G i u s e p p e C a f a s s o , Florilegio di testi latini per uso omiletica personale, manoscritto
inedito, fascicolo 12 s.v. «Amordi Dio».
11 De imìtatione Chrbti, III, 50.
12 S. G iu seppe C apasso , Florilegio di testi latini per uso omiletica personale, manoscritto
inedito, fascicolo 12 s.v. «Amor di Dio».
13 II testo con una nota, contìnua e si conclude alla pagina a fronte.

516
Giorno Sesto ~ Meditazione Prima " Sopra la Fuga di G. Cr.

Chi tra noi ha tali sentimenti egli è fatto per grandi cose, egli è degno (2530)
di arrivare un dì del nome e del caratteres che lo distingue, ed avrà in terra
anticipato quel paradiso, che più bello, infinitamente più grande, e più
glorioso lo dovràrcuronarc per una beata eternità pel corso de’ secoli eterni
così sia già lo attende all’altro mondo nella futura eternità.

517
Giorno Sesto (2463)

Meditazione Seconda
Sopra la vita privata di Gesù
1 f
masettima degli Esercizi Spiri
^ ^• * t t * • « p •

Preghiera1 (2464)

Amato mio Redentore io mi presento dinnanzi a voi vi prego, e vi supplico


a continuarmi la vostra grazia, ed i vostri lumi per ben conoscere lo Spinto
i doveri del mio stato. Voi o Signore, che allevaste alla vostra scuola i primi
Sacerdoti, formate anche me secondo le vostre mire, e secondo il vostro

* (fa ld . 4 8 / fa s e . 2 1 0 ; n e l l ’o r ig in a le 2 4 6 3 - 2 4 8 1 )
1 I I te sto d e l C a fa sso i n i z i a c o n u n a p a g i n a c a n c e lla ta , c o n là q u a l e s i r ia lla c c ia a lla m e d i ­
Dopo che fu ritornato il fìgliuol prodigo
t a z i o n e s u l f i g l i o p r o d ig o . L a tr a s c r iv ia m o q u i:
alla casa paterna non sappiati!© più del figli dal Vangelo qual sia stata posteriormente la
sua condotta; però se abbiamo da argomentare da quel pentimento, che mostrò de’ suoi
passati trascorsi, da quelle tante carezze che, gli usò il padre, e che certamente gli avrà
continuato ad usare, mi pare che non possa aversi motivo a dubitare della stia fedeltà, che
anzi sarà stato suo impegno di tenere una condotta non solo irreprensibile, ma più che
avrà potuto confacente ai stroi desideri, alle voglie, ed al gusto del suo buon padre. Eccovi,
Signori miei, il dovere che corre oggi adesso a"nói'tutti; siamo rientrati nella casa paterna,
questo buon Padre ci ha riabbraciati, colla sua misericordia si può.dire che sotterrò'tutte le
nostre colpe passate, uopo è adunque adesso sicché siamo divenuti di nuovo figli di casa,
suoi amici, e domestici, uopo è adunque di formarci un piano di vita che sia degno d’ un
figlio di un sì gran padre, una vita che non solo più non lo disgusti, ma che per quanto
lo possono permettere le nostre forze contenti appieno li suoi desideri, e le sue mire sovra
di noi, una vita per dir tutto che non solo convenga ad un buon cristiano qualunque, ma
che sia da vero, e santo Eclesiástico; e per non sbagliarla non abbiamo a far altro che con­
formar la nostra vita agli ésempi, che ci lasciò in terra questo buon Redentore: Inspice. et
fac secundum exemplar quod tibi in monte moiistratum est [£t 25,40]. Figuriamoci che
cosi ci dica in questo momento il nostro padre Celeste: ecco la strada, che devi battere,
ecco il modello, che devi imitare, se vuoi vivere da pari tuo: inspice. et fac: il Venerabile a
Chempis inculca e raccomanda la stessa cosa: sia nostro studio, egli dice, ma non comune,
ed ordinario, ma sommo.

519
Esercizi S p iritu a li a l Clero " M e d ita z io n i

cuore; fate che io impari sempre più in questa sera da voi qual sia la vita,
quale lo spirito che convenga ad un Sacerdote Eclesiástico.
Vergine mia Maria, Angelo custode etc.

Esprdio2

Dalla Capanna, o per dir meglio dalla scuola di Betlemme ci tocca partire,
fratelli miei, e portarci ad un altro sito, e voglio dire ad una altra -seríala ove
il nostro gran Maestro, il divin Redentore ci attende per darci altri esempi,
e per insegnarci altre virtù. La nuova scuola, a cui ci chiama è la casa di
Nazaret. L’Autore dell1Imitazione di Cristo inculca, e raccomanda moltis­
simo di meditare con sommo nostro studio sopra la vita del Redentore

(2465) 1 summum studium nostrum sit in vita Iesu Christi medi tari3. Trove­
remo in una tal vita insegnate, praticate tutte le virtù quelle perfezioni,
tutte quelle doti che fanno un buon cristiano, ed un santo Sacerdote Ecle­
siástico4.

(2464) Inspice etc. Ecco lo specchio, ecco il modello, ecco l’originale, qui non
c’è pericolo di sbaglio quando la copia sia conforme. Nel Sacerdote etc.

(2465) Nel Sacerdote si possono per così dire distinguere due personaggi, uno
privato come un altro qualunque, ed un altro publico destinato pel bene,
e comune vantaggio: ambidue questi stati hanno virtù ben diverse tutte
proprie, e speciali, ma egualmente indispensabili, e necessarie.

(2467) 2 Christo Gesù ci lascia niente.a desiderare, e fattosi egli pel primo nostro
modello ci vuole precedere per così dire in ogni passo, ed in ogni stato5.

2 II testo inizia con le seguenti righe barrate: Quel Gesù che nacque povero, che nacqtre
amile nella povertà, e tra I’abbiezione là nella capanna di Betlemme. Quel Gesù Signore
che fuggendo in Egitto ci diede quel luminoso esempio di fidarsi totalmente in Dio e
fidarsi prontamente, ciecamente, allegramente di piene e totale abbandono alle mani di
Dio in tutte le vicende di nostra vita, oggi ritorna per darci altri esempi, per insegnarci nel
suo vivere altre virtù, di pieno e totale abbandono alle mani [di] Dio in tutte le vicende
di nostra vita.
; 3 De imitatione Christi, I, I, 1.
4 Una nota rimanda alla pagina a fronte.
5 Una nota rimanda alla pagina a fronte.

520
G io r n o S esto - M e d i ta z io n e S e c o n d a ■ S o p r a la v it a p r i v a t a d i Gesù

Nella casa di Nazaret ci mostra la vita domestica, e privata, che deve (2466)
tenere un Sacerdote. Nei tre anni del suo Appostolato i caratteri, le qua­
lità che devono accompagnare l’evangelica stra nostra Missione: amore al
ritiro, ed alla solitudine, amore al lavoro, ed occupazione, amore alle prati­
che di pietà, e di devozione. Sono le virtù di casa, che ci insegna6. Andiamo
adunque a vedere, ad imparare da questo divino modello, come si formi il
vero Sacerdote nella propria casa, e qual regola gli convenga nella sua vita
privata. La materia etc7. ' : :

La materia, Signori miei, è troppo importante per non tardare a coirsi- (2467) 2
derarla doverla considerare con attenzione, con impegno, e con desiderio
grande di approntarne.
Il primo mezzo adunque con cui il primo Sacerdote Christo Gesù
si formò, e si preparò pel suo grande Apostolato fù la solitudine, ed il
ritiro. Ritornata all’aviso dell’Angelo dall’Egitto la Sacra Famigliai venne
a fermarsi in Nazaret; fù in questa piccola città, nel seno di una povera
famiglia, sotto gli occhi di due semplici persóne, nell’oscurità di un vile
mestiere, che si allevò il più gran personaggio del Mondo, il divin Reden­
tore. Mentre i figli de’ Grandi si allevavano in mezzo al tumulto, ed alle
pompe, mentre si addestravano a grandi imprese, e si avviavano per nobili,
e luminose carriere, al contrario il più grande di tutti abitava un povero
tugurio sconosciuto ed ignoto, chrttttti occupato in ciò, che il mondo tiene

, 6 II testo continua con k seguenti righe barrate: Spirito di dolcezza, Spirito di orazione,

nostro publico Ministero. La materia etc.


Mi rincresce che ci manchi il tempo a svolgere, e considerare le urie, e le altre; onde
noi ci limiteremo in questa sera alle sòie prime, come le principali, e la base ed il fonda­
mento, perciò d elle; altre tanto più che sia perché la maniera, ed il come regolarci nell’eser­
cizio dell’Eclesiastico Ministero più o meno l’abbiamo sentito nel corso di questi giorni.
7 Prima del testo che continua alla pagina (2467) 2 esistono alcune righe barrate che tra­
scriviamo: Non abbiamo tempo a meditare i meravigliosi esempi che ci lasciò di umiltà, di
pazienza, di carità, di abbandono alla divina Provvidenza che ci diede nell’incarnazione, e
nella misteriosa sua nascita con tutte quelle circostanze che l’accompagnarono, io v’invito
a venire col vostro pensiero là sulla porta di quella benedetta casa di Nazaret per èssere
spettatori, per essere ammiratori di quella virtù vita che Gesù ci predica col suo esempio:
tre sono le principali cose in lui io osservo principalmente: 1 amore al ritiro, e alla solitu­
dine: 2 amore al lavoro: 3 amore e stima di lutto ciò che ci-può condurre alle pratiche di
pietà, ed alla e di divozione: ecco ecco le virtù che devono formare un vero Sacerdote, e
da cui senza pericolo di sbaglio si può congetturare, si può misurare il frutto, e la riuscita
che sarà per J

521
E sercizi S p iritu a li a l Clero - M e d ita zio n i

di .più basso, e di più vile; chissà quanti, in allora come in tutti i tempi
si gareggiavano tra loro Fonore, e la palma nelle armi, nelle scienze, ne*
traffici, negli affari; ebbene Colui che con una parola avrebbe fatto tacere
tutti gli al i sapienti del mondo, Colui che poteva da sé solo più che tutti
gli eserciti di un Gran Re taceva in un angolo della terra: vi erano anche
in allora grandi Città, si tenevano adunanze, si davano publici spettacoli,
si facevano feste, il mondo echeggiava per ogni parte, e questo divin per­
sonaggio senza entrarvi in niente, senza goderne nemmen per poco od in
parte lontano da tumulti, da luoghi di dissipazione, di allegria,

(2469) 3 viveva come se egli non fosse per il mondo, ne il mondo per lui:
venit Nazaret, et erat subditus illis8. In compagnia, e sotto la dipendenza
di Maria e Giuseppe passava i suoi giorni senza cercar di comparire,
senza cercar di farsi conoscere almeno nel luogo dove abitava: aveva ptrr
tanti mezzi per farsi un seguito, se non altro per farsi almeno osservare,
un discorso suo, un’azione un po’ straordinaria senza dire un miracolo,
avrebbe bastato a fare parlare di se; eppure nò; si tiene per così dire sepolto
talmente che tra lui e l’ultimo de’ figli di quel luogo e lui non si faceva
differenza. Se si vedeva, se si aveva a trattare con lui, a parlargli non era
che un figlio d’un povero fabro; e d’una madre che non compariva di più,
nessun conto, nessuna importanza. A Signori miei, che gran mistero egli
è questo: un Dio, e quel Dio stesso che un di avrà prostrate ai suoi piedi
per giudicarle tutte quante le umane generazioni, ora fatto sì piccolo sì da
poco, sì ignoto da attirare nemmeno gli occhi di un solo; ma per quanto
tempo? finché fu fanciullo pare meno ammirabile, e prodigiosa questa con­
dotta, ma giunge all’adolescenza, si fa grandicello e non si muove, è sempre
quel desso, sconosciuto; viene si può dire uomo fatto, passa i venti, tocca
tosto i trent’anni, sempre lo stesso, non che è che un povero figlio che par
sostenere le miserie, e gli anni de’1suoi poveri genitori. Non si conosce,
non se ne parla, meno ancor che quando era nelle fasce, poiché in allora la
stella comparsa, la venuta de’ Magi aveva eccitato rumore, almeno qualche
ciarla, quando cogli anni tutto era dimenticato: ai nostri occhi, non si può
negare che pare una stravaganza, il proprio onore, la gloria del suo padre, il
vantaggio della famiglia, il sollievo delle proprie miserie, l’interesse stesso
della celeste sua Missione pare che richiedesse tutt’altro. E che gran bene

8 Le 2,51. ■■■

522
G io r n o Sesto ^ M e d i ta z io n e S e c o n d a - S o p ra là v it a p r i v a t a d ì G esù

secondo noi, che grido non sarebbe stato il suo se in età ancor fresca avesse
fatto que5 miracoli, che aspettò a fare sul fine de’ suoi giorni, se da gio­
vanetto avesse sciolto la sua lingua alla celeste sua sapienza; la stessa età
avrebbe giovato si può dire di una prova miracolosa alla sua venuta. Così la
penseressimo noi che vediamo le cose solamente al di fuori, ma cosi non la
pensò Iddio: colui che era venuto per combattere il mondo, i suoi pfegiu'
dizi, le false sue massime, fece prima veder coi fatti che nulla le caleva di
tutte le sue follie, onori, richezze, comodi, divertimenti, e mentre tutto il
mondo andava perduto presso a queste menzogne, egli nella casa di Naza­
ret ristretto ad una piccola bottega le andava preparando la guerra9. E con
questa sua condotta tutta ammirabile, e divina prima di tutto contentò
appieno i desideri del suo celeste

padre sicché in occasione del suo Battesimo si meritò quella pubblica (2470)4
testimonianza: hic est Filius meus dilectus in quo mihi hene complacui10
non disse complaceo che potesse aver rapporto a quello che stava facendo,
ma complacui che doveva necessariamente abbracciare quello che aveva
fatto in allora: vi erano pur personaggi al mondo a’ que’ tempi e chi sa
quante grandi azioni si stavano facendo, quanti studi, e fatiche per ben
riuscirvi; eppure lo contentò più il ritiro, la solitudine di questo suo Figlio,
che tutte le altre imprese più grandi. E poi allorché cominciò il suo Apo­
stolato, ed impresa a predicare, comparve come un uomo nuovo, come un
uomo venuto allora allora dal Cielo senza che nessuno lo potesse intaccare
della menoma cosa. Eccovi, Signori miei, la prima, e la più importante
delle Lezioni per un Sacerdote, che voglia vivere secondo lo spirito del suo
stato, per un Sacerdote che voglia far frutto nel suo Ministero: noi non
siamo più del mondo, ed il mondo non è più per noi: il Signore ci ha
separati perché fossimi tutti suoi: separavi vos ut essetis mei. Lev. 20” .

5 Qui il Cafasso inserisce la seguente annotazione posta nella pagina a fronte: Vedi consi­
derazione in grande pag. 3.
10 M t 17,5. ' :
11Lv 20,26. Segue un testo barrato: La comparsa di un Sacerdote rappresentante di Dio
dovrebbe essere si rara, diceva un padre antico, come era rara altre volte la comparsa degli
Angeli del Signore Ministri della sua volontà. D i piti bisognerebbe che i popoli ammiras­
sero questa singolarità, come un nuovo spettacolo, e che l’errore che regnava un dì fra gli
Ebrei, divenisse in noi una verità, cioè che non potessero più vivere dopo d’aver veduto
l’Ajigelo del Signore; di modo che un peccatore percosso, diciamo così dalla modestia,
dalla gravità, dalla santità di un Sacerdote, si desse a credere di non poter più vivere al

523
E sercizi S p iritu a li a l Clero ^ M e d ita z io n i

Tutto in noi, si può dire, che ci chiama lontani dal mondo, e da suoi
tumulti: la santità del nostro stato, lo spirito di pietà, e di orazione, che
richiede, la scienza che vi vuole, la natura de nostri Ministeri, tutto ci vuole
staccati dal commercio del mondo; e come poter essere puri, e santi, come
mantenerci uniti in ispirito col Signore, come aver tempo, e testa a procu­
rarci la scienza necessaria, come poter adempire debitamente a tanti nostri
doveri di Carità, di zelo, e di religione framischiandoci col mondo

(2472) 5 e come uno di loro volersi trovare ai loro passatempi, nelle loro partite,
nelle loro conversazioni. Io fo questo riflesso: un vero Sacerdote è tenuto
per ragion del suo stato ad impedire tutto il male, che può, e quando non
possa, se ha zelo, se ha lo spirito del suo stato, vi deve sospirare sopra, lo
deve piangere avanti il suo Signore; adesso io chiamerei che sospiri possa
dare, e che lacrime possa spargere un Sacerdote sovra quei peccati, che traf­
ficando così nel mondo deve vedere, e sentire ogni momento, e non sarà
poco che si mostri solo indifferente, e può un Sacerdote stare indifferente
nel suo cuore alla vista di un peccato? Ma mettiamo pur anche che lavori,
vogliamo credere che faccia frutto: possibile che si voglia andar a prendere
la legge da quelle labbra che hanno veduto a parlare, a ridere, a scherzare
come loro, e forse peggio di loro: possibile che si diano a credere che in
quel cuore che non sa parlare che di terra, e di facezie sia disceso, e riposi
lo spirito del Signore, che quel Sacerdote così mondano, imperfetto, attac­
cato alle cose di terra sia poi quelFAngelo destinato, e mandato dal Signore
a far da guida al buon Tobia. Oh! Signori miei, non diamoci ad intendere
che questi riflessi siano cavati come si dice sotto il torchio, li sanno fare
i libertini, li sa fare perfino il volgo, e si vede coll’esperienza che quando
si vuol far davero si ricorre non già al Sacerdote che si ha sempre sotto
gli occhi, ma a chi sta nascosto, e ritirato, e mostra col fatto di vivere più
al Cielo, che alla terra, e se vogliamo far del bene attachiamoci a questo
mezzo che se non è l’unico, egli è certo il principale12,

(2471) Tutti gli uomini Apostolici ad esempio del primo Sacerdote sono usciti
dal ritiro, e dalla solitudine, o per lo meno hanno stando nel mondo hanno

mondo, alle sue passioni, e che bisogna morire a tutto dopo d’esser stato testimonio di
un si santo esemplarissimo testimònio; morte moriemur quia vidimus Dominum [Gdc
13,22]. Questi due sentimenti spiegano a meraviglia la: necessità, ed il vantaggio della
ritiratezza in un Sacerdote"
12 Con una nota il testo rimanda alla pagina a fronte.

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G io r n o Sesto ^ M e d i ta z io n e S e c o n d a ~ S o p r a la v it a p r i v a t a d i G esù

dato principiò, ed hanno poste per così dire le fondamenta della loro vita
apostolica col fuggire dal mondo, schivare i suoi tumulti, il suo fasto, la
sua dissipazione. Così S. Francesco Saverio, S. Francesco Regis, S. Fran­
cesco di Sales, S. Vincenzo de’ Paoli, S, Alfonso e poi quanti altri si pos­
sano contare. Un Sacerdote che stava per prendere una occupazione in un
paese, esitava ad andarvi per le molte discordie e vizi, che regnavano, esi­
tava ancor più perché i Sacerdoti di quel luogo non erano molto edificanti,
chiese ad un secolare di quel paese, se andandovi vera speranza di far del
bene: diede una risposta che fu più che da secolare, e fu questa: farà del
bene a proporzione che starà ritirato: bella risposta, che in se racchiude
grandi lezioni per un Eclesiástico.

Fuggiamo dal mondo, dal suo tumulto, e perfino dalla sua vista: (2472) 5
amiamo il ritiro, la nostra cella, saranno infiniti per così dire ¡ vantaggi che
vi troveremo, che io qui non ho tempo a nominare13. ^

Accennerò solo di Volo, che se vogliamo avere uri po’ di pace, sia interna (2471)
che esterna, amiamo il ritiro, e la solitudine. Il mondo è come un mare in
tempesta, la solitudine è come un porto ed un asilo, dove si può godere un
po’ di tranquillità e di pace; fino il mondo lo conosce e lo dice, che nessuno
[è] più contento'di noi fuori di tutti gli imbarazzi e di tutti i tumulti, riti­
rati nelle nostre case.

Ma per poter principiare questo piano di vita ritirata, e nascosta, e per (2472) 5
poterla durare14

procuriamo di vivere di quello spirito interno, così necessario alTEcle- (2471)


siastico, e che forma il fondamento della vita nascosta, spirito che non
opera a caso, o per fini umani, ma per gloria di Dio: spirito che non cerca
di far molto ma di far bene: spirito che non giudica le cose dalle apparenze
ma solo dalla sostanza, e che perciò tutto è vanità senza sostanza ciò che
non è gloria del suo Signore, spirito in fine che per norma, per guida e per
premio non guarda ad altro che Dio. Vestiamoci e viviamo di questo spi­
rito, e vedremo come il mondo ci sparirà dagli occhi, ci faranno compas­
sione le sue feste, i; suoi tumulti, e troveremo dolce e consolante il ritiro.

13 Una nota rimanda alla pagina di fronte.


14 Con una nota viene inserito un testo dalla pagina a fronte.

525
Esercizi S p iritu a li a l Clero ~ M e d ita z io n i

(2472) 5 Di più deponiamo prima di tutto dal nostro capo, quella voglia direi
naturale, e spontanea di comparire, di farci conoscere, di far sapere che
siamo anche noi al mondo: stampiamoci in cuore quella gran Massima del
Venerabile a Chempis: ama nesciri.et prò nihilo reputari15 per quanto sta
da noi amiamo di essere sconosciuti al mondo, che il mondo non faccia
conto di noi; e quando il Signore si voglia servire della nostra persona per
qualche cosa di suo servizio, di sua gloria, troverà il modo di cavarci, ed
allora la nostra comparsa sarà tanto più gloriosa, e tanto più sicura, quanto
più fu da noi fuggita; che se per nostra umiliazione il Signore ci lascierà per
qualche tempo in oblio

(2474) 6 gradirà il nostro umile nascondimento, come se facessimo le opere più


grandi, e si compiacerà di noi come si compiaque del Suo divino Figlio
nella sua vita ritirata, e nascosta di Nazaret; Ma perché il nostro ritiro, la
nostra solitudine possa essere di gradimento agli occhi di Dio uopo è che
sia conforme a quella di Gesù, cioè a dire che sia un ritiro, una solitudine
occupata. Ed ecco la seconda Lezione che da ad ogni Sacerdote il divin
Redentore, vita ritirata, e vita occupata.
La fuga dall’ozio non è meno necessaria, meno importante al Sacerdote
che la fuga dal mondo. Il, Sacerdote ozioso non ha che dare un passo per
divenir vizioso, se pur l’ozio stesso non è già vizio115;

(2473) èmassima antica, che se vi è un demonio per tentare chi lavora, ve ne


sono cento d1attorno all’ozioso: operantem monacum daemone uno pul­
sali: otiosum vero innumeris spiritibus devastari Cassiano: perciò S. Gero­
lamo raccomandava a Rustico di far sempre qualche cosa: facito semper
al ¡quid, ut te semper diabolus occupatum inveniat17.

(2474) 6 Non è qui mia intenzione di descrivere i danni dell’ozio, che non sono
pochi certamente, ma di far considerare uno de più forti motivi che ci
deve allettare al lavoro, e ad una occupazione nostra privata, qual è l’esem­
pio di Gesù. Che Gesù attendesse ad un giornaliero lavoro non ne pos­
siamo dubitare; poiché passava per Un fabro,e figlio di un fabro: nonne hic

15 De imitatione Christi, I, II, 3.


ie Una nota rimanda ad una pagina a fronte.
17 S. G e r o l a m o , Ep. IVadRusticum, in Selva, cit., p. 111.

526
G io r n o Sesto -■M e d i ta z io n e S e c o n d a ~ S o p r a la v it a p r i v a t a d i G esù

est faber, et fabri filius18; vuoi dire dunque che bisognava che lavorasse non
solo per cerimonia di tanto in tanto, ma che passasse proprio per uno che
esercitava come gli altri il suo mestiere da mattina a sera. Pensiamo un po
un momento su questa occupazione di Gesù: lavorava, ma in che lavoro, e
come? un lavoro continuo, un lavoro faticoso, un lavoro basso, e vile, un
lavoro non a capriccio, o per genio, ma un lavoro a seconda, e giusta la
volontà di Maria e Giuseppe, poiché sappiamo che in tutto: erat subditus
illis’9. Ed ecco in questo lineato qual debba essere il lavoro di un prete, cioè
un lavoro ed un occupazione continua, ordinata, ed adattata al suo stato,
senza guardare né a fatica, né a genio, né a voglia.
Prima di tutto deve lavorare continuamente; l’uomo è nato al lavoro,
tutti lavorano, molto più deve lavorare il Sacerdote per motivi tutti pro-
prii, e speciali20. ■

Fate la prova a dimandar a certi Eclésiastici, come avete passato la gior­ (2473)
nata, che cosa ha fatto quest’oggi: vi risponderà: niente so nemmen io.

È troppo breve la vita di un Sacerdote, e sono troppi i doveri, che gli (2474) 6
incombono per perderne anche solo qualche cosa. Datemi un ora che non
sia Vescovo, ed allora io troverò un’ora che non sappia che farne, così
rispose un pio, Vescovo ad un tale, che si mostrava stupito come avesse
sempre a fare fosse sempre occupato. Così dovrebbe rispondere, e così la
dovrebbe pensare anche un Sacerdote, e quel Sacerdote che non sa che fare,
non sa come passar il tempo, segno è che non conosce lo stato suo, i doveri,
ed i pesi, che gli incombono.

. Là sola scienza della Morale, la preparazione pel pulpito bastano da se (2475) 7


sole ad occupare tutto il tempo che può avere libero un Sacerdote dalle
opere del suo Ministero, e chi se ne sbriga facilmente, e chi crede che basti
uno studio fatto una volta per sempre, chi si contenta di certe riviste fatte
in fretta, e superficiali col capo occupato chi sà da quante faccende, la sba­
glia a gran partito, e non sa che cosa si faccia, non conosce né l’importanza,
né la delicatezza di quello che tratta; io dico francamente che lo studio
del Confessionale, e del pulpito, una scienza sufficiente pei casi, che occor-

18 M t 13,55.
19 Le 2,51.
20 Una annotazione rimanda alla pagina a fronte.

527
E sercizi S p iritu a li a l Clero r -M e d ita zio n i

rono, la maniera di saper prendere un anima, regolarla, coltivarla; il modo


di .predicare utile, adattato, sapersi allettare l’udienza, e dirle tutto quello
che si deve dire senza offenderla, senza amiojaria, spianarle la via per far
quello che le si dice, saperla animare con motivi forti, piacevoli, e brevi e
tante altre cose, ed industrie che sono quelle, che giovano a render utile il
nostro ministero; io dico che tutto questo non è un affare di un momento,
non si impara in un giorno: vi vuole studio, considerazione, esperienza,
preghiera, e non d’un giorno o d’una volta, ma giornaliera e continua; e
infatti guardiamo gli uomini sommi nel nostro stato, se avevano tempo da
perdere anche prima si dessero totalmente al Ministero. Certo che nò; gli
uomini sommi non nascono, ma si fanno, e non si fanno con vagar qua
e là, o marcire in un ozio, ed in una pigrizia domestica, ma con assidua
fatica allo studio, al meditare, al pregare. Ma questa vita mi pesa non mi
va a genio, mi annoja; Signori miei guardiamo il divin Redentore se quel
lavoro poteva essere di suo genio, una mente divina lavorare grossamente
un pezzo di legno: questo riflesso questo esempio mi pare dovrebbe ribat­
tere tutte le difficoltà.
Ma non basta ancora occuparsi, ma il più sta occuparsi con ordine, ed
occuparsi in cose adattate ed utili: Vivere così alla giornata, come viene,
menar una vita incerta, e senz’ordine, far sempre quello che si presenta,
o salta in testa, non è una vita che stia bene ad un uomo di mondo e
secolare, molto meno ad un Sacerdote; un Eclesiástico tale si potrà sempre
dire ozioso, e spesso sarà costretto a star in ozio con suo dispiacere, e
tedio perché non saprà che fare. Oggi si studia, domani non più, oggi
molto, domani poco, oggi una cosa dimani un altra, alla fine che cosa ne
risulta: una scienza dimezzata, una scienza superficiale, e confusa, che alle
volte sarebbe meglio essere ignorante, perchè l'ignorante che conosce la sua
incapacità, si astiene, si consulta, pensa; che

(2477) 8 chi si crede dotto, e non lè cammina franco, sentenzia, e decide Dio
sa come. Occupazione adunque ordinata, se vogliamo occuparci con van-
taggio, e profitto, e ordinata nel tempo, ordinata nelle materie;, sia per la
scielta, sia per la continuazione, ed in ciò sarebbe bene che prendessimo
parere, assoggettassimo il nostro giudizio a chi ne saprà più dì noi sempre
ad esempio del divin Redentore, sicuramente che sapeva fare quel mestiere,
eppure nel suo lavorare dipendeva: erat subdi tus21.

21 L e 2,51.

528
G io r n o S esto - M e d i ta z io n e S e c o n d a ^ S o p r a la v it a p r i v a t a d i G esìt

Finalmente per poter dire che non siamo oziosi, e che ci occupiamo,
uopo è occuparci in cose adattate, ed utili: ridiculum est, dice S. Bernardo,
pretendere di fuggir l’ozio con applicarsi a cose oziose, ed inutili: prò
vitando otio otiosa sectari ridiculum est. Che hanno che fare col Sacerdote,
col nostro stato certi studi, certe letture, che non si potrebbe indicar altro
effetto che quello di lasciare la testa vuota, ed il cuor secco per non dir
di più. Prima il necessario, poi l’utile, e non mai ma mai ciò che non ha
fare con noi. Sappiamo quello che capitò al dottor Massimo S. Gerolamo
quando attendeva più alle letture profane, che alle sacre; non stava già
ozioso nò, che anzi vi passava le notti sopra li suoi studi, eppure il Signore
non era contento.
Vogliamo poi divenire, e vivere da veri Eclesiastici, ed esseri degni di
questo nom e ecco la terza cosa, che ci tocca aggiungere; alla ritiratezza, ad
una occupazione continua, ordinata, ed utile, amor ancora alla pietà, alla
divozione.
Si cerca se sia più necessaria in un Sacerdote la scienza, o la santità;
comunque sia, il certo si è che la mancanza di una di queste due cose è un
gran male, ed un male sì grande per togliere a così dire la metà ad un Sacer­
dote e non farne che un abbozzo, ed un mostro. Mentre il divin Redentore,
ci diede l’esempio e la spinta al lavoro, che è il mezzo di aquistarsi la debita
scienza, ci insinua nello stesso tempo un amore, un impegno non meno
forte per ciò che spetta alla pietà, alla divozione22;

Io penso, e non si potrà dire diversamente, che quella benedetta casa di (2476)
Nazaret era come un tempio, ed un paradiso in terra, in cui quelle anime
pure e santissime continuamente lodavano ed adoravano la suprema divina
Maestà; chi sa quante volte lungo il giorno Maria e Giuseppe in compa­
gnia del d. Redentore si facevano d’accordo a tributar lodi ed omaggi al
Celeste e divin Padre; ma non abbiamo bisogno di congettare, e supposi­
zioni, poiché parla abbastanza chiaro il Vangelo su questo riguardo.

Ogni anno si recava il divin Redentore alla pasqua al Tempio in Geru- (2477) 8
salemme per ivi celebrare la pasqua, ma con che volontà, e fervore! Osser­
viamolo: gli conveniva fare un viaggio lungo di trenta molte leghe come
dicono, a piedi, e chi sa per che strade, con che intemperie, eppure e niènte
lo tratteneva. Secondo: era già passata la festa, aveva già adempiuta la ceri-

12 U na nota inserisce q u i i l testo a fron te.

529
Esercizi S p iritu a li a l Clero " M e d ita zio n i

rnonia, ma pure vi e lui continuò a starvi e vi stette non solo per qualche
ora, ma per tre giorni, ed è probabile che vi sarebbe ancor stato se non
fossero andati a cercarlo. Terzo, vi stava così assiduamente, così volentieri,
e con tanto attacamento che pare che in quel tempo si sia mai ritirato dal
tempio, oppur sempre vi sia stato vicino senza nemmeno pensare al proprio
cibo.

(2478) 9 Quarto finalmente allorché la Madre lo ritrovò, e faceva le sue lagnanze,


le diede una risposta così ferma, ed in apparenza anche dura che fece abba­
stanza conoscere l’importanza che metteva, ed il cuore con cui s’applicava
in ciò che riguardava il culto e l’onore del suo celeste padre. Ottime lezioni
sono queste per un Sacerdote, per una persona di Chiesa, quale siamo noi:
primo far stima, e stima grande di tutti gli esercizi di Religione, di tutte
le pratiche di pietà, di tutto ciò che ci può com4 giovare al nostro avanza-
mento spirituale, e condurre al culto, all’onor di Dio; e qui per citarne
alcuna, far stima della Meditazione, della lettura spirituale, della visita al
S.S.m°, dell’esame di coscienza, cose tutte che si possono dire indispensabili
per un Sacerdote che voglia mantenersi in fervore, e far profitto nella pietà;
ma non basta ma far conto e stima delle pratiche esterne e pubbliche, come
sarebbe l’uso de’ sacramentali, l’assistere alle funzioni di Chiesa, ascoltare
la parola di Dio, la recita comune del Rosario, e andiamo dicendo: e pare
che stia bene quello che succede alle volte: si dirà in quella famiglia il: Rosa­
rio, ma sul cominciarlo il prete si assenta, o per dirlo bisogna aspettare che
il prete si sia assentato, o sia a riposo: non si osa principiarlo alla sua pre­
senza. Si suonerà il segno di portar il Viatico, il contadino, l’artista, benché
stanchi corrono, la vecchia, che stenta a muoversi, pure si sforza mentre il
Sacerdote che ha niente a fare sta ridendo sulla piazza, o per le contrade:
sarà il tempo delie funzioni, ed il popolo a folla si raduna alla Chiesa, ed il
Sacerdote esce allora a passeggio, o va alla partita; e questo va? e questo sarà
buon esempio? e questo sarà aver amore, ed affezione alle pratiche di
pietà, e di Religione. Intendo anch’io che alle volte vi possono essere de’
motivi, irta ed io non parlo di questi casi; ma qualcuno può dire: la vera
pietà non consiste in queste cose, si può essere buon cristiano, buon Sacer­
dote senza tanta esteriorità; adaggio; Signori miei, la corteggia corteccia
dell'albero non è di sostanza, ma togliete la corteccia, e si vedrà; queste
pratiche esterne tengono viva la pietà interna, servono a far vedere, a far
conoscere la nostra religione del cuore, e~qxiand’j rrdre il popolo non ha da

530
G io rn o Sesto - M e d i ta z io n e S e c o n d a ^ S o p ra la v it a p r iv a ta , d i 'Gesù

saper quello che pensi il cuore, e poi si vede che chi non cura queste cose
esterne, molto meno coltiva e cura ciò che appartiene al cuore.
Far stima adunque delle pratiche ed esercizi di Religione, e non lasciarle

sa quanto avrà costato al divin Redentore il recarsi al tempio, il fermarsi


ma pur vinceva tutto.

Ma non sta ancora tutto qui: far il più. si è il modo di farle, e dalla (2480) 10
maniera si può dire che ne dipende tutto il frutto, e vantaggio: farle non
per apparenza, a metà, per convenienza, per non dar nell’occhio, con indi-
ferenza, con una freddeza volontaria, quasi per forza, se necessitati, senza
internarsi, Signori miei quando si faccian così non si dura, e poi se si
durasse che profitto vi sarebbe sperare23.

Chi la dura, e chi sarà per cavarne vantaggio, e vantaggio grande? colui (2479)
che ci si mette con tutto l’impegno, e con tutto se stesso: colui che vi si
applica persuaso del proprio dovere, [parola barrata incomprensibile\ pene-
trato dell’importanza di ciè che fa.

è l’esempio, che ci lasciò il divin Redentore, il tempo (2480) 10


che vi stette al Tempio come già si diceva, il modo in cui vi stava,, da ren­
dere attòniti perfino que’ Dottori, tutto concorre oltre a quello che ho già
detto, a farci conoscere
ciò che diciamo.
Finalmente in ciò che riguarda la gloria di Dio, l’esercizio del nostro
Ministero, il nostro genere di vita da Sacerdote, la nostra vocazione la
scielta della nostra carriera, e generalmente tutto ciò che può aver relazione
agli interessi di Dio, od al nostro avanzamento spirituale, mai lasciarci
dominare, mai lasciarci regolare da parenti, e congiunti: ecco l’ultima e
la principale delle lezioni che ci lasciò Gesù nella sua andata al Tempio:
poteva ben parlar prima a Maria, e Giuseppe della sua intenzione, commu­
nicare loro il suo disegno, che certamente non si sarebbero opposti: eppure
no: e che ha da entrar la madre anche Santa, e S.S,ma in ciò che riguarda
gli interessi del suo padre: non leggiamo mai nel Vangelo che in tutto il
corso della sua vita, in tante sue imprese ne abbia parlato qualche volta
prima colla sua madre; di più: tanto era fermo, e persuaso che così avesse

15 Con u n a nota si rim an da alla p a g in a a fron te.

531
Esercizi Spirituali al Clero ■- Meditazioni

a fare, che allor quando la madre si lagnò, le diede una risposta, che pare
un rimprovero bello e buono: nesciebatis quia in iis, quae Pacris mei sunt
oportet me esse-: ben lontano di chiedere una qualche sorta di scusa, di
calmarla, di tranquillarla: e come? le dice, non sapete ancora, e non dove­
vate saperlo: nesciebatis che in tutto ciò che riguarda mio padre, non solo
in questo, o adesso, ma sempre ed in tutto oportet fa d’uopo, è necessario
mi è indispensabile, che io mi trovi, vi stia, mi fermi, mi occupi total­
mente: nesciebatis quia in iis quae Patris mei sunt oportet me esse. Còsi la
dovrebbe pensare, cosi la dovrebbe ragionare ogni Sacerdote: io sono prete,
e non sono prete, né per il padre, né per la madre, né per li fratelli, né per i
nipoti, io sono prete per Iddio: homo Dei, io sono un uomo destinato non
per altro che per Iddio, sicché in ciò che concerne i suoi interessi, in ciò
che vuole la sua gloria, in ciò che guarda il mio stato, io non conosco

(2481) alcun parente: o contenti o non contenti è duopo che studi, che viva
in quel modo, che lasci quell’occupazione, che prenda la tal altra: si parli,
si lamentino, facciano tutto quel rumore, che vogliono: lo dovevano già
sapere prima di farmi prete, molto più lo devono sapere adesso: in iis quae
Patris mei sunt oportet me esse. Felice quel Sacerdote che sa per tempo
farsi questo piano: si allontanerà da se mille disturbi, si risparmierà molti
crucci, pieno di questo spirito, e formato su questa gran massima non
potrà a meno che riuscire un santo Sacerdote25, felice adunque il Sacer­
dote che con queste grandi Lezioni, che oggi ci dà il divin Redentore, col­
l’amore cioè al ritiro, con assidua occupazione, e con lo spirito di pietà, è
Religione si renderà conforme a questo divin modello; non potrà a meno
che riuscire etc26.
Laus DeOj B.V. M et S. Alphonso.
Die 20 lanuari 1844

: 24 Le 2,49.
25 II testo continua con le seguenti righe barrate: che divenire un Apostolo da far meravi­
glie, un di nella Vigna del Signore: oh fortunato poi quel popolo, fortunate quelle anime,
a cui il Signore vorrà dare che si renderanno degne di aver un ministro di questa fatta!
26 Nell’originale resta una riga, che è un appunto del Cafasso difficile da collocare al posto
giusto. Si tratta delle seguenti parole: dopo d’esser stato per trentanni il nostro divin Reden-
Giorno Sesto
Meditazione Seconda
Sopra la vita privata del divin Redentore

Caro mio Redentore io mi presento dinnanzi a voi e vi prego a conti­ (2076) 1

nuarmi la vostra grazia, ed i vostri lumi per conoscere sempre più lo Spirito
e i doveri del mio stato. Ah! Signore voi che formaste alla vostra scuola,
e co’ vostri esempi i primi Sacerdoti, formate anche me m cotesti giorni
secondo le vostre mire, e secondo il vostro cuore; fate che io ben apprenda
in quest’oggi qual sia quel genere di vita che conviene ad un vero Sacer­
dote. Cara nostra Madre Maria, voi che certo ajutaste i primi Apostoli per
ottener loro il vero spirito del loro stato, deh pregate, ed ottenete una simil
grazia per me. Angelo nostro Custode, etc.
NeirEclesiastico si possono distinguere due sorta di personaggi, l’uno
privato come un altro qualùnque, ed un secondo esposto, c pubblico desti-
nato pel bene, e comune vantaggio. L’Eclesiastico prima di attendere agli
altri, deve pensare a se, cioè deve procurare di scegliere, e formarsi un
metodo, un tenore di vita che sia conforme al suo stato di virtù, e di per­
fezione, e nello stesso tempo lo prepari, Io disponga, e lo fornisca di quelle
doti che sono necessarie per ben esercitare quel Ministèro, a cui è chia­
mato. Il libro, in cui sta descritta cotesta Vita, e che ciascun di noi ha da
ricopiare in se medesimo e un solo, come già vi diceva, il nostro divin
Redentore. Dopo d’aver adunque In lui, ne’ suoi esempi, nel viver suoi noi
troveremo insegnate, praticate tutte quelle doti, che hanno da formare un
vero Appostolo, ed un Santo Sacerdote. Summum studium nostrum sit.
ci dice il libro dell’imitazione, in vita Tesu Christi meditari1. Dopo d’aver
adunque considerato la condotta, che Egli ha tenuto col Padre suo pas-

* (fald. 4 6 / fase. 128; nell’originale 2075-2091)


1De imitatione Christi, I, I, 1.

533
Esercizi Spirituali al Clero * Meditazioni

siamo ad esaminare qual piano, qual metodo di vita privata abbia scielto,
ed adottato per se medesimo; e qui riteniamo due riflessi che daranno
molta forza alla Meditazione, che saremo per fare; il primo che il tutto
fu volontario, ed a lui sarebbe stato lo stesso scegliere uno stato di vita
diverso, quando l'avesse voluto. 2 che essendo venuto il divin Redentore
sulla terra per la gloria di Suo Padre, e per la salute delle anime, vuol dire
che il genere scielto di vita doveva essere il più acconcio, il più conducente
al fine, che s’era proposto, poiché infinitamente sapiente come Egli era,
non poteva scegliere tra mezzi il mezzo utile, ed adatto; ciò posto, che
credo, come diceva, molto importante, qual fu la vita che si propose, ed ha
praticato sulla terra il divin Redentore:

(2078) 2 1 una vita povera ed umile. 2 una vita nascosta, ed occupata, 3 una vita
pia e divota. Noi andrem dicendo, meditando alcune cose intorno a questi
tre punti, e figuriamoci che il divin Redentore rivolto a me, ed a voi ci
dica: Sacerdote mio caro, apri gli occhi, non dar retta al mondo, alle sue
ciarle, alle sue massime, a suoi esempi, impara da me come abbi da vivere,
da regolarti nel sito, nell’impiego, nell’occupazione ove ti trovi. Il Signore
ci assista perché ognuno ne possa ricavare quel vantaggio, e proffitto, che
Egli aspetta da noi. Cominciamo.
Non parrà una gran cosa a prima vista il dire che il divin Redentore
scielse, e condusse una vita povera, una vita umile, ma se noi consideriamo
il grado, ed il modo con cui volle praticare coteste due virtù, è impossi­
bile non restarne sorpresi. La sua povertà fu continua dalla nascita sino
alla morte e sempre col massimo rigore, mentre non troviamo un epoca,
un tratto del viver suo in cui del proprio abbi potuto godere in qualche
modo; ed assoluta talmente dal mancare delle cose prime, necessarie, indi­
spensabili. Può essere che un uomo in qualche circostanza si trovi in eguale
povertà, e necessità; ma che abbi ad essere travagliato continuamente a
quel punto, è quasi impossibile, L’Umiltà poi la portò al punto che nessun
l’avrebbe potuto immaginare, non solo cercò sempre di fuggire gli onori, la
stima degli uomini, ma pose ogni studio per annientarsi nella mente, e agli
occhi del mondo, e per divenire se fosse stato possibile meno che uomo:
semetipsum exinanivit factus opprobrium hominum. et abiectio plebis2:
è inutile aggiungere parole a questo poco, o per meglio esprimermi, a
quanto, al tutto che si possa dire in tale proposito.

2 F ili,7-, S a l i i , 7.

534
Giorno Sesto r Meditazione Seconda ^ Sopra la vita privata del divin Redentore

Il Sacerdote che vuol rendersi somigliante a questo divin Redentore


deve primieramente farsi povero, ed umile di Spirito, e di cuore con
dismettere dentro di se ogni quella gran stima e concetto de comodi, degli
agi, degli onori, che il mondo cerca ed esalta cotanto vi nutre, e reputarle
per un niente, come fece, e dimostrò il divin Redentore3.

Per conseguenza in primo luogo che se Iddio ci collocò in istretta con- (2077)
dizione, e ci lascia come in abbandono e sconosciuti al mondo ben lungi
di farne lagnanze, provarne malinconie, Invidiare la sorte altrui, che anzi
riconoscere in si fatta disposizione un tratto di quella bontà, e provvidenza
divina, che ci vuole cosi più conformi in terra al suo Figlio divino.

fn secondo tempo se il Signore dispone senza che noi cerchiamo che (2078) 2
il Sacerdote si trovi con qualche comodo, con un po? di roba, od anche
circondato da qualche sorta di onorificenza per ragione dell’impiego, della
capacità od altro, allora guardarsi ben bene che il cuore vi si affezioni,
servirsene solo, in quel modo, e sino a quel punto che la gloria di Dio
lo vuole, e niente più pensando che se Iddio ha voluto largheggiare un
po’ con noi, lo fece certamente perché ce ne servissimo in bene, e che un
giorno ne. dovremo rendere maggior conto. Terzo finalmente mantenerci
pronti a lasciare ogni cosa, quando Iddio lo voglia e soffrirne tutte quelle
vicende, che sono come indispensabili nella vita, e che il Signore permette
per ricordarci che non devono essere

il nostro fine, ma mezzi per arrivarvi, e niente più. Proccuri adunque (2079)
l’Eclesiastico di mettere in pratica coteste regole, e non per apparenza, od
a metà ma convinto, penetrato delle necessità, dell’importanza di questo
Spirito, ed allora potrà dirsi anche di lui che nello stato, e nella condizione,
in cui Iddio l’ha posto, conduce una vita povera, una vita umile.
L’altra qualità del vivere del nostro divin Redentore fù quella di starsene
nascosto, ed occupato. Ritornata aH’awiso dell’Angelo quella santa Fami­
glia dall’Egitto, andò a stanziarsi in Nazaret, e fù in quella piccola Città, in
una misera casa, sotto gli occhi di due semplici persone, nell’oscurità d’un
vile mestiere, che si allevò il più gran personaggio del mondo; non solo si
allevò, ma passò tutta la fanciullezza, la sua adolescenza, la sua gioventù

- 3 Con una nota il Cafasso rimanda ad alcune righe scritte nella pagina a fronte.

535
Esercizi Spirituali al Clero " Meditazioni

fino a trentanni, e durante tutto questo tempo noi non leggiamo che
siasi mosso d’un passo fuori di quella gitta annuale, che faceva solitario ed
in compagnia de1 suoi parenti a Gerusalemme per farvi la pasqua, come
vedremo sul finire; nemmen pare, anzi si può tenere per certo da quanto
fece poi conoscere in seguito, che non frequentasse la compagnia, o la casa
di qualcuno, ma ritirato, attento al suo mestiere se ne stava in compagnia,
e sotto l’ubbidienza di Maria, e Giuseppe: chiunque lo vedeva, trattava, o
parlava con lui non faceva differenza alcuna da un altro giovane,;un bravo
figlio sì, ma poverello e che perciò gli toccava lavorare per mantenere se,
ed i suoi miseri genitori. In quell’età giovanile star cosi ritiratil e rinchiusi,
vivere così dipendenti, tenersi lontano da ogni sorta di feste, e di tumulti
pare una morte anticipata, un’indiscrezione il pretenderlo, anche solo il
suggerirlo: eppur lo fece il divin Redentore, e lo fece volentieri, e senza
il minimo lamento. Che cosa, se non altro avrebbe costato a lui operare
qualche cosa di strepitoso in quel tempo tener sólo un qualche discorso un
po eloquente per conciliarsi un po’ di stima, e riputazione, eppur no, tace
e se rie vive talmente appartato da tutto, e da tutti che pare che il mondo
non fosse per Lui, ne Lui pel mondo. Oh la massima età

(2080) 3 delle lezioni da imparare da questo divin Modello e di cui è necessario,


ed indispensabile che si persuada, si convinca intimamente un Sacerdote.
Dio ed il mondo non stanno assieme, lo spirito dell’uno è incompatibile
collo spirito dell’altro, e nemmen può venirsi a mezzi termini, ad accordi,
e voglio dire essere metà dell’uno, e metà dell3altro. Il mondo ci s’acquie­
terebbe a coteste transazioni, ma Iddio nò, le rigetta, le ripudia, e non
vuol sentire condizione alcuna. L’Eclesiastico che veramente vuole esser
tale deve venire necessariamente a questo taglio, a questo divorzio, e sepa­
razione dal mondo: separazione di cuore, e di affetto col distacco, e collo
sprezzo delle sue follie: separazione di corpo, e della persona, per quanto
sarà possibile colia fuga, col ritiro, e colla solitudine. Non è mia intenzione
di entrare di proposito in questo tema e si vasto, e si importante, ma solo
di notare all’esempio del divin Redentore come l’Eclesiastico debba farne
caso, ed impegnarvisi sommamente quando voglia esser fornito di quelle
doti, e virtù che sono indispensabili in un pari suo, e voglia far del bene
ne’ popoli. L’unione con Dio, la purità di coscienza, l’esemplarità della
vita, che sono così proprie del Sacerdote, e le sole, che dieno l’ascendente
su’ popoli, è inutile sperarle, cercarle fuori del ritiro, e della solitudine.
Osserviamo nel divin Redentore, che dice di lui il Vangelo di tutto quel
tempo che visse secreto, e nascosto presso che a tutto il mondo: proficiebat

536
Giorno Sesto - Meditazione Seconda - Sopra la vita privata del divin Redentore

sapientia,.. et gratia apud Deum et homines4, cresceva in amore, in grazia


presso Dio, e presso gli uomini. Lo che vuol dire che quel tenore di vita
cosi lontano dalle mire, e dallo Spirito del mondo servì a far comparire,
e splendere maggiormente la sua virtù davanti all’eterno suo Padre, ed a
conciliargli nello stesso tempo maggior rispetto, e riverenza dal popolo, e
di qui ne venne quell’ammirazione, e meraviglia che eccitava nelle: turbe
la sua presenza, ed il suo parlare, sicché attonite andavan chiamandosi
l’un l’altro, come di una novità mai veduta, e sentita: chi è costui? di qui
quell’innocenza e candore di vita, e di costumi, che nessuno mai lo potè
appuntare del minimo neo; di qui quell'attrattiva quasi celeste che spirava
dal suo sembiante, ed in tutta la sua persona da allettarsi anche i più osti­
nati, e gli stessi suoi nemici. Di qui quell’unione continua che anche in
mezzo alle più assidue occupazioni sapeva mantenere col Suo Padre, ora
con gemiti or con aspirazioni e sguardi, or con sospiri, gemiti, e lacrime.
Ecco i frutti, i vantaggi della solitudine, ecco TEclesiastico ritirato, e soli­
tario: volete veder più da vicino, e toccar con mano la gran differenza che
passa tra Sacerdote e Sacerdote, e voglio dire tra un Sacerdote che fugga

il mondo, ed un altro che lo frequenti; metteteli pure in pari grado di (2082)4


scienza, di età, di temperamento, ma osservateli ambidue nelle loro azioni,
nel celebrare la.-S. Messa, nel recitare il Breviario, nel predicare, nell’am-
ministrare i Sacramenti, nell’assistenza agli ammaliati, perfin nel guardare,
nel parlare, nel divertirsi, nel ridere. Io sono certo che vi troverete una gran
differenza, nel modo, nella gravità, nella compostezza della persona, nella
modestia degli occhi. La solitudine da un impronta quasi celeste alla per-
som al Sacerdote, sicché uscendo di casa par quasi che spunti una persona
nuova sulla terra: il suo sguardo, le sue parole, tutto il suo fare va condito
da un certo Spirito, ed accompagnato da una certa unzione, che è frutto di
quella pace, di quella quiete, e tranquillita, che gode solo il Sacerdote riti­
rato. Datemi un altro che frequenti pel mondo, e voi purtroppo vi vedrete
a vece di sì belle doti un aria leggiera, dissipata, un uomo irrequieto, e
intranquillo, un cuore insomma che è fuori del suo centro, e quand’anche
si sforzasse per comparire diverso, non vi arriva5.

4 Le 2,52.
5 II Cafasso intende inserire qui due righe scrìtte nello, pagina a fronte.

537
Esercizi Spirituali al Clero ■- Meditazioni

(2081) Molto più poi si rileva la loro differenza, se guardiamo la purità di


coscienza: diceva benissimo S. Ambrogio etc.

(2082) 4 sicché diceva benissimo S. Ambroggio che il Sacerdote, che coltiva


la cella, è come il fiume, che sta tranquillo nel suo letto, e mantiene le
sue aque limpide, e pure; al contrario chi va girando, e frequentando pel
mondo, è come il fiume che straripa, e corre furioso per le campagne. Ghe
ne avviene? quell’acqua che nel suo sito primiero, e naturale era chiara,
bella, e limpida, si fa lorda, e fangosa, e mena con se ogni sorta di lor­
dure. Guardate i due Eclesiastici che v’ho citato, l’uno che passi la sua vita
per quanto può nel silenzio della camera sua, l’altro a vece accostumato
a passar se non tutta, una buona parte della sua giornata fuori casa, e nel
mondo, partite, novelle, buffonerie e ciarle: paragonate questi due Sacer­
doti tra loro, esaminateli chi de’ due abbia più loto, e più fango: Necesse
est de mundano pulvere etiam religiosa corda sordescere6. Se un ancor pio,
e divoto benché ritirato non può a meno che restare un po' insozzato di
polvere di questo mondo, pensate voi quanta polvere, o per dir meglio, di
quanto fango andrà a ricoprirsi un cuore, un Sacerdote, che non sa star a
casa, e cammina esposto ad ogni vento. Le strade del mondo sono fangose,
e molto; chi le frequenta, e spesso.le cammina, e vi passeggia, è impossibile
che non si lordi, e non si copra di fango. Osservate nella pulitezza corpo­
rale. Chi sta ritirato, ed esce di rado, e quando le tocca uscire, cammina
colle debite cautele, più facilmente si tien pulito nelle proprie vesti,

(2083) 5 e se contrae una qualche macchia, non può essere che leggiera, subito
la scuopre, e facilmente se ne purga. Al contrario chi vaga per le strade per
ogni sorta di vie, e di stagioni non può andar molto che si mostri lordo,
ed imbrattato, e continuando non farà che metter fango sopra fango, ed il
peggio alle volte s’accorge nemméno, tanto è distratto da ciò che vede, e
sente che non bada alle sue lordure: si crederà forse di fare la miglior figura
del mondo, come1era una volta, ma chi lo incontra, e lo vede sa lo stato
in cui si trova. Applicate pur la cosa letteralmente in senso morale al Sacer­
dote, che trovi grave lo star ritirato, ed esca perciò soventi pel mondo.
Se dallo spirito interno, dalla purità di coscienza noi andiamo al frutto
del nostro Ministero, ed al bene delle anime, la cosa non è meno grave.
Difficile che il popolo voglia prendere la legge da quelle labbra, che vede, e
sente scherzare, parlare, e ridere tuttodì come un di loro, e Dio non voglia
anche peggio. Difficile che i fedeli si dieno a crédere che in quel Sacerdote

6 L’e s p re s s io n e è di S, Leo n e M agno, Sermo IV de Quadragesima, in Selva, c it., p . 40.

538
Giorno Sesto ^ Meditazione Seconda - Sopra la vita privata del divìn Redentore

così mondano, leggiero, dissipato, e così attaccato alle cose di terra vi riposi
poi lo Spirito del Signore ed Egli sia queU’Angelo che Iddio manda sulla
terra a far da guida al buon Tobia. E si vede coll1esperienza che se hanno un
consiglio a prendere, se vogliono un dì far da vero, se si trovano alle strette
di una malattia mortale d’ordinario non fan capo da que’ Sacerdoti, che
sempre avevano tra piedi, od avanti agli occhi, ma s’appigliano piuttosto
all’Eclesiastico ritirato e nascosto. Conoscono essi medesimi che il mondo
non è fatto pel Sacerdote, ed è impossibile che un Eclesiástico lo frequenti,
e sia veramente buono.’ Che al contrario la vista, la comparsa sola d’un
Sacerdote che coltivi la cella e fùgga il mondo, è già una predica per se sola;
chi lo vede, £ avvicina, lo sente a parlare, gli pare di vedere un uomo diverso
dagli altri, e prènde quella parola quasi come un termine venuto allora dal
Cielo, e se non sempre si arrende, non può a meno che sentirla, perché
pronunziata da un fiato puro, e mondo, e non contaminato dal mondo.
Lei farà del bene in questo paese, disse un Secolare ad un Eclesiástico,
che stava per prendere un’occupazione, a misura che starà ritirato, e più o
meno potrà dirsi un altrettanto di ciascun di noi. La conseguenza adunque
a dedursi sia questa di procurare quanto possiamo di essere, di divenire
Eclesiastici ritirati: amor alla cella, fuga dal mondo, e per riuscirvi procu­
riamo prima di tutto come già vi diceva, di separarsi dal mondo coll’af­
fetto, e col distacco del cuore; quando

le nostre mire, le nostre tendenze sieno rivolte ad altro, a cose molto (20.84)6
maggiori di questa misera terra, ci sarà facile, anzi consolante ancora lo
starvi lontano colla presenza, e colla persona. Mettiamoci, anzi scolpia­
moci in cuore l’aurea Massima del V.a Chempis: Figliuolo, e io dirò Sacer­
dote, non abbi a male, piuttosto tienlo come un pregio Tessere scono­
sciuto, e dimenticato dal mondo: ama nescili, et pro nihilo reputari7.
Impegniamoci, ripeto ad essere uno di que’ sacerdoti, che al dire del dot­
tore S. Bonaventura, amano per quanto sta da loro di star piuttosto ritirati,
e nascosti in casa, che uscir in pubblico: Quantum in se est magis diligit
domi latere quam e domo exire. Uscir mai di casa senza un ragionevole
motivo di sanità, e di decisa convenienza, o per ben delle a n i m e , e quando
una qualche ragione ci strappa come per forza di casa munirci sempre delle
debite cautele, quali sono principalmente di retta intenzione, e di custodia
de’ nostri sentimenti. In una parola diportarci in modo nel mondo che di
noi potesse dirsi quello che già diceva la Sacra Scrittura del buon Giuseppe

1 De imitatíone Christi, I, II, 3.

539
Esercizi Spirituali al Clero - Meditazioni

in casa di Putifarre: era talmente attento, il buon giovane, ed occupato de1


suoi doveri, che quasi non conosceva né persone ne affari fuori di ciò che
atteneva a lui: nec quidpiam aliud noverat nisi panem quo vescebatur8. Oh
il bel elogio che sarebbe desiderabile potesse applicarsi a qualunque Ecle­
siástico: non mettetevi a parlare con quel Sacerdote di notizie, di partite,
di raggiri, di negozi, di politica, non trattenetelo a ciarlar di persone, di
conoscenze, di famiglie, di conversazioni, è un uomo che ne sa niente in
queste materie: nec quidpiam aliud etc; la camera, la chiesa, il Breviario,
i libri, gli ammaliati, l’esercizio insomma del Ministero ecco tutto quello
che sa; fuori di questo ramo è un uomo nuovo, e come se non sapesse.
In forza di quel tenore di vita così segregato, e nascosto, attesa quella sepa-
razione, ed isolamento dal mondo, in cui viveva il buon Giuseppe Iddio
versò sopra di lui tanta piena di sue grazie, e benedizioni che gli stessi
pagani stupiti, ed attoniti andavan ripetendo: dove mài un uomo simile?
come trovare chi sia più ripieno di Dio, e del Suo Spirito che cotesto
uomo: Num invenire poterimus talem virum. qui Spiritu Dei plenus sit.
Gen. cap. 399. Ecco adunque in questo uomo antico lo specchio, il ritratto
modello deU’Eclesiastico.ritirato. Ecco chiariti, segnati al vivo pel Sacer­
dote i frutti, ed i vantaggi del ritiro, e della cella: unione di Spirito col
Signore, purità di coscienza, come

(2085) 6 lo dimostrò nel cimento, in cui ebbe a trovarsi, e finalmente il rispetto,


la riverenza, e l’ammirazione de popoli. Sia dunque questo uno de’ mezzi,
ed il principale da formar in questi giorni onde adoperare in avvenire per
riuscire veri Eclesiastici non solo di nome, di abito, di carattere, ma quello
che importa di affetto, di onore, e di Spirito. Così praticò il capo, ed il
Maestro di tutti i Sacerdoti, il divin Redentore; così praticò perfin tra
sacerdoti antichi il buon Samuele, del quale appunto perché alieno dal
rumore del mondo, e consecrato unicamente al culto, ed al servizio del
tempio, la Scrittura dice, che proficiebat, crescebat. et placebat tam Deo,
quatn hominibus10: così usarono tutti gli uomini Apostolici; o uscirono dal
ritiro o per lo meno stando nel mondo hanno sempre cercato di fuggirlo
per quanto fu loro possibile. Gosr Tale è la via che dobbiamo battere anche
noi se ci sta a cuore di fare un po’ di bene ne’ brevi giorni di nostra vita, e
meritare di essere nel bel novero de’ veri e buoni Sacerdoti.

8 Gn 39,6.
9 In realtà il riferimento corretto è: Gn 41,38.
101 Sam 2,26.

540
Giorno Sesto ^ Meditazione Seconda " Sopra la vita privata del divin Redentore

L’altra lezione non meno importante che ci diede il divin Redentore


nella sua vita privata è quella di trar proffitto dal tempo, ed occuparci.
Coteste due qualità nel Sacerdote può dirsi che sono inseparabili, perché
Tuna serve di mezzo all’altra. Un Eclesiástico sarà mai un uomo di ritiro
se non è occupato: supponete pur un Sacerdote di buona volontà, faccia Ì
più fermi propositi, si usi forza, e violenza, lasci perciò compagni, e com­
pagnie, e se ne stia ritirato in casa, ma se non si mette, non si da ad una
seria occupazione non la dura, e presto Sarà di nuovo quel di prima, cioè
a scorrere pel mondo. L’occupazione sarà come una catena che ci lega alla
camera, e nella camera solo troveremo quella quiete, quella tranquillità,
quella calma così necessaria per formare un buon Sacerdote. Gome vedete
adunque occupazione e ritiro sono due cose, che non si devono disgiun-
gere, e quasi fanno una sola. Io non entro a dirvi la necessità del lavoro, i
pericoli dell’ozio in un Sacerdote; vi farò solo notare che un Sacerdote in
ozio nel mondo è come una nave senza timone in mare, e ciò basti a. darci
un idea de’ precipizi, e tristi conseguenze, che pur troppo da a temere un
Eclesiástico di questa fatta. Era già massima antica, e ripetuta fra Monaci
del primo tempo che se ve un demonio per tentar chi lavora, ve ne sono
cento ..d’attorno all’ozioso; epperciò il grande, il massimo S. Gerolamo
usava ripetere, e raccomandare soventi a suoi allievi di far sempre qualche
cosa: Tacite semper aliquid, ut diabolus

te semper occupatum inveniat11. L’uomo, come ognuno sa nasce per (2086) 7


faticare: ogni persona un po’ onesta, e con un po’ di sale in capo si fa un
dovere di assumersi un occupazione, solo l’Eclesiastico porterà quest’onere,
e quest’onta di vivere senza occupazione. Eppur fate un po’ la prova a
dimandar alla sera a certi Eclesiastioi che cosa hanno fatto nella giornata.
La Messa, ed il Breviario, ed è già una gran cosa; lo so quando fossero ben
fatte; ma io dico che quando il Sacerdote celebra bene la Messa, e recita
bene il Breviario, non si cotenta di questo solo, sa aggiungervi altre cose;
che se ha fatto nient’altro, io dubito forte che nemmen questo possa riem­
pire la sua giornata. Ma sentiamo la risposta da loro medesimi: che cosa
ha fatto, Sig. d. Tale, in quest’oggi, come ha passato la giornata: pur­
troppo sentiamo soventi rispondere: niente, so nemmen io, sono perfino
annojato, sono andato quà, sono andato là, ho finito con far niente. Eh! la
bella giornata da prete che è questa? che ne dite fratelli miei... di sacerdoti

11 S. G erolam o , Ep. IVadRusticum, in Selva, cit., p. 111.

541
E sercizi S p iritu a li a l Clero " M e d ita zio n i

tali? qualunque misero contadino anche già logoro dalle fatiche, avanzato
negli anni, nutrito molte volte malamente, pure si sforza e lavora, ed alla
sera sa dirvi, e mostrarvi quel tanto di sue. fatiche: l’Eclesiastico invece,
il primo personaggio sulla terra, in piene forze, in buon età, con tutto il
comodo passa la sua giornata a far niente, ed ha nemmen rossore di confes­
sarlo egli stesso! Quel Sacerdote che è stato ordinato a solo titolo di biso­
gno, o di vero vantaggio alla Chiesa, lo dice egli stesso che ha fatto niente.
Si quel l’Eclesiastico, che dovrebbe dir agli altri come il tempo è prezioso,
corre, e se ne va, e come d’ogni minuzzolo se ne debba render conto a Dio,
Egli lo gitta a mani piene con passare giornate intiere, e Dio non voglia
anche più, nell’ozio, e nella pigrizia. Venga il Sacerdote alla scuola del divin
Redentore, entri nella casa che abitava nel suo vivere privato, e vedrà qual
sia tenor di vita che ad esempio del maestro convenga al discepolo, qual è
in special modo, il Sacerdote.
Che il divin Redentore lavorasse, e non per burla solo, o per apparenza,
o per puro divertimento, si vede chiaro nel Vangelo: Venit Nazaret, et erat
subditus illis12. e ciò sino verso i trentanni. Ma in che cosa dipendeva?
se avesse fatto niente, se fosse vissuto come certi Sacerdoti vivono sotto
questo rapporto, sarebbe stata una obbedienza facile, e ridicola, poiché ci
mancava perfino la materia di ubbidire: in che cosa adunque? non può
essere altrimenti che nell’esercizio della professione di Giuseppe, qual era
quella di falegname, come sapete. Lasciamo pure stare le induzioni,

(2087) 8 e veniamo, a ciò, che esplicitamente leggiamo: allorché il divin Reden­


tore cominciò la Sua predicazione, il popolo, le turbe attonite, e come
fuori di se per lo stupore a tanta sapienza, e dottrina, andava ripetendo tra
loro: com’è mai possibile che costui ne sappia sino a quel punto, ed abbi
potuto acquistare tanta scienza, quando tutti sappiamo che è mai stato più
che un fabro, e fin da piccolo avezzato a questo mestiere mentre era già
fabro il suo padre medesimo: nonne hic est faber. et fabri filius13? e per
acquistarsi un tal nome, e per esser tenuto universalmente per tale biso­
gnava che lavorasse da vero, continuamente, in privato, ed in publico. Che
mistero, fratelli miei, un uomo e Dio e quel Dio medesimo, che con un
fiat ha creato tutto l’universo, vederlo là disteso applicato ad un pezzo di
legno, ed occuparsene con tanta assiduità, ed impegno come se fosse stata

12Le 2,51.
13 M t 13,55.

542
G io rn o Sesto - M e d i ta z io n e S e c o n d a -■ S o p ra l a v it a p r i v a t a d e l d i v i n R e d e n to re

la prima opera del mondo, e si che lo era mentre con trn quell’azione si
vile a1nostri occhi Egli compiva la volontà del suo eterno Padre, e lo sod-
disfé talmente che lo volle dichiarare là sul Giordano, allorché disse d’es­
ser stato sempre mai contento di questo suo Figlio: hic est Filius meus,
in quo mihi bene complacui14. Ecco i caratteri che devono accompagnare
le nostre occupazioni, quando vogliamo proprio essere veri Sacerdoti, ed
imitare questo nostro modello divino: occupazione assidua, e costante,
occupazione adattata, e conveniente, finalmente occupazione subordinata,
e dipendente da chi per giudizio, per scienza, per esperienza può saperne
piò di noi, e diriggerci nella nostra scielta.
Per primo occupazione continua. L'applicarsi a salti, a intervalli un
giorno molto, un altro poco, quindi niente, d’ordinario non frutta, e si ter­
mina con lasciarla intieramente. Noi siamo sempre Sacerdoti egualmente
in qualunque momento di nostra vita, epperò sempre colli stessi oneri, i
giorni corrono veloci, le obbligazioni nostre sono molte, i bisogni crescono
ogni dì, che aspettiamo per occuparci, e renderci utili? Il Sacerdote che non
conosce il bisogno, e la necessità di occuparsi, epperciò crede di poterne
prescindere, e non usarvi tanto rigore, non conosce se stesso, gli obiighi
suoi, il suo stato: date un occhiata a tutti i buoni Eclesiastici che vi circon­
dano, osservate se nella loro giornata hanno tempo da perdere, non parlo
d’un po’ di sollievo, che più o meno è indispensabile alla nostra miseria,
che non è perdita di tempo, ed io vi dico francamente di no: datemi un
giorno, o solo un ora, che non sia Sacerdote, ed allora rn arrenderò a spre­
car quel tempo, che voi mi dite, così rispose un Eclesiástico a chi lo ecci­
tava adarsi

ad uno spasso, che credeva eccessivo15. (2089) 9

Un altro eccitato con molte istanze a fare una visita ad amici, e scegliere (2088)
un ora a suo piacimento, in cui non avesse che fare: l’imbroglio è questo,
Signori miei, che quest’ora pel prete non c’è.

Eh! se tutti i Sacerdoti usassero del tempo in questo modo, che felicità (2089) 9
per la Chiesa, e quanto bene per le anime. Ma l’occuparmi in tal modo
mi pesa, mi costa, e poi a dirgliela, non son accostumato. Eh! cari miei,

14 M t 17,5- .
15 Con una nota il Cafasso intende inserire tre righe scritte nella-pagina a fronte.

543
E sercìzi S p iritu a li a l Clero - M e d ita zio n i

non so come un Sacerdote osi avanzare cotali pretesti quando voglia con­
templare anche per poco un Dio che si abbassa ad un lavoro tutt’altro che
leggiero, nobile, e geniale. Non vi sono accostumato? povero Sacerdote
che ha messo il piede in uno stato senza conoscerlo, ed il peggio forse
dopo tanti anni di Sacerdozio lo conosce nemmen adesso, perché dovrebbe
sapere che egli è uno stato di sacrifizi, e di fatica.
Occupazione adattata, e conveniente: via adunque le frivolezze, il pro­
fano, l’inutile ne’ nostri studi, letture, applicazioni, a che perdere in coteste
inezie di mondo un tempo già consecrato, e come venduto ad oggetti così
molto più importanti16.

. ( 2088 ) È una cosa ridicola, dice S. Bernardo, pretendere d’essere uomini occu-
pati, alieni dall’ozio, e frattanto sprecar li tempo in cose inutili, e di niun
profitto: ridiculum est prò otio vitando, otiosa sectari. ;

(2089) 9 Scrittura, Theologia, padri, storia della Chiesa, Liturgia, ascetica, ecco i
campi aperti- alla buona volontà, ed a qualunque impegno dell’Eclesiastico:
queste sono le scienze, le cognizion i che hanno da formare fonti a cui
deve attingere il Sacerdote, e che hanno da formare un vero Apostolo
capace di dar ragione di sua fede, confondere i presuntuosi, illuminare i
ciechi distinguere tra. lepra, e lepra, curarla e guidare le anime pel retto, e
sicuro sentiero della salute; e per riuscirvi oltre uno studio assiduo, e .conti­
nuo, che già v’additava, procurare che la nostra occupazione sia finalmente
subordinata, e dipendente, che è l’ultimo carattere, che v’accennava^ cioè
a dire non aver paura di rapportarci in questa materia anche a’ consigli
altrui17.

(2088) Sentir un po’ da chi può aver criterio, virtù, ed esperienza più di noi,
quale studio, quale applicazione attese le nostre facoltà, inclinazioni e
simili possa promettere un vantaggio maggiore per noi, e per le anime, e
guadagnarne di più il Signore, l’onore, la gloria sua.

(2089)9 Quand’anche a noi paja di saperne, e poter da noi veder il meglio, ed


essere anche in grado di diriggere:altri, tuttavia far sempre caso della dipen-
cotesto tratto sarà sempre un

16 Con una nota l ’autore rimanda a tre righe poste nella pagina a fronte,
17 Con una nota il Cafasso intende inserire quattro righe poste nella pagina a fronte.

544
G io r n o Sesto ^ M e d i ta z io n e S e c o n d a ■- S o p r a la v it a p r i v a t a d e l d i v i n R e d e n to r e

atto di virtù che Iddio non può a meno che benedire ed avrà sempre un
conforto per noi; qualunque sia per essere l’esito delle nostre occupazioni,
non potrà mancarci il testimonio di nostra coscienza di non aver agito di
proprio capo; ed in questo modo diverremo molto simili a cotesta copia
d’ogni vero Eclesiástico, Sacerdoti cioè ritirati,, e da vero occupati; lo che
finirà con dare un uomo, un Sacerdote, che sarà la luce del mondò, l’edi­
ficazione de’ popoli, il decoro della chiesa, ed un porto di salute per ta!nte
anime.
L’ultima lezione che ci da il divin Redentore nella Sua vita privata è
l’amore, e la stima alle opere dì pietà, e di religione. Ogni anno in compa­
gnia della Madre sua, e Giuseppe, si recava a Gerusalemme per la solennità
della pasqua. Osserviamo brevemente gli aggiunti di questa gita religiosa;
e per primo gli incomodi

che attesa la lontananza, la qualità delle strade, la giovinezza dell’età, (2090)11


la scarsezza di mezzi necessariamente doveva cagionargli. Eppure superava
ogni difficoltà. Vi andava, e non già solo per apparenza, a malincuore,
e solo per non dare nell’occhio, ma persuaso dell’importanza di ciò, che
faceva, come lo ha dimostrato il modo che ha tenuto in tale occasione, di
starvi così a lungo, dimenticando perfino la madre, i parenti, e forse perfin
il mangiare. V’andò, e vi stette con quali fini, e per che motivo, non già
per curiosità, per voglia di vedere, ed esser veduto, per diporto, per com­
parire od altri fini umani, niente di tutto questo: unicamente per com­
piere la volontà, per procurare la gloria dell’eterno suo Padre, e lo disse alla
madre per quietarla sulle lagnanze, che le muoveva: in iis. quae Patris mei
sunt oportet me esse18. Eh le belle lezioni che si presentano al Sacerdote in
questo sol tratto. Amare per prima, far caso, ed aver tutta la stima alle pra­
tiche di pietà, di Religione, che la chiesa approva, e raccomanda alla divo­
zione de’ fedeli, sien publiche che private, come l’uso de’ Sacramentali,
l’assistenza alle funzioni di chiesa, intervento alla parola di Dio, la recita
del Rosario andiam dicendo: e pare che stia bene quello che si vede, o si
sente tante volte nel mondo: i fedeli, anche meno devoti in nella chiesa,
e molti anche nella propria camera fan uso di aqua santa, al mattino, alla
sera, ed il prete: oh! si che ha bisogno d’aqua santa, Dio non voglia che
metta ancor in burla chi se ne serve; si reciterà19 il Rosario in tante famiglie,

13ir 2,49.
19 In nota, a questo punto, il Cafasso scrive, forse per rammentarsi un argomento: Rim­
provero per la Via Crucis etc.

545
Esercizi S p iritu a li a l Clero - M e d ita zio n i

ma in quella del prete non se né parla; forse si dirà in casa sua, ma bisógna
aspettare che egli sia fuori, o andato alétto. Si annunzierà la parola di Dio,
ed il popolo benché stanco, e quand’anche alle volte ne capisca poco, pure
sta là pendente dalle labbra del predicatore, ed il prete sarà in un angblo à
dormire, o ciarlare. Sarà tempo di funzioni tanto più in giorno di festa, si
vedrà il prete a far parte col popolo, che sarebbe ben edificante e la miglior
predica del mondo; eh nò, oppur ben di rado. Ma io ho niente da fare
in quelle funzioni, si risponde: nò, è meglio esser schietti tra noi, si dica
piuttosto che v’è niente da guadagnare. Eppur questo Spirito di Religione
è indispensabile nel Sacerdote, ed è come inseparabile dalla nostra voca­
zione, perché come giudicare prudentemente che uno sia chiamato a servir
a Dio, alla chiesa, a’ suoi Altari, quando per attirarlo fa d’uopo intimargli
un comando, incutergli timore, oppur fargli sperare qualche guadagno?
L’uomo di Dio, qual deve esser l’Eclesiastico, sa tenere conto d’ogni cosa,
per minima che sia, la qual serva al culto del suo Signore, la disimpegna
come se fosse il primo affare del mondo, niente lo trattiene per incomoda
e pesante cha ella sia, e perché? perché là vi riconosce l’onore, la gloria, la
volontà del suo Dio: in iis quae Patris mei sunt oportet me esse20.

(2091) Ritirati adunque, occupati, divoti, ecco il tutto può dirsi per formarci,
e riuscire biioni e santi Sacerdoti: fortunato quel popolo etc.

{2090)11 Così va ripetendo dentro il suo cuore il vero Sacerdote. l!

(2091) Così nell’esercizio del Suo Ministero, neH’amministrazione de’ Sacra­


menti, nell’assistenza agli ammalati, nell’intervento alla chiesa; così nella
pratiche provate, Meditazione, letture, esame, visita al Sacramento, recita
del Rosario, andiam dicendo: e perché tanto affatticarsi, tanti assiduità al
Confessionale, tanti incomodi per gli ammaliati, perché tanto rigore, esa-
tezza, in certe pratiche private, minute, non obligatorie, e nemmen tanto
comuni presso i medesimi Sacerdoti, ce lo dice francamente: perché è un
opera del Signore, perché Iddio è contento, Dio lo desidera, Dio ne gua­
dagna, e ciò basta per me: vadano pur i comodi, i divertimenti, gli alletta­
tori del mondo: dicano quel che vogliono i parenti, i maligni, ed anche
i medesimi compagni; costi quel che vuole, sarcasmi, mottegi, privazioni

20 Con una nota il Cafasso rim an da a d u e righe scrìtte a l term in e della p a g in a successiva.

546
G io r n o Sesto ^ M e d i ta z io n e S e c o n d a ^ S o p ra l a v it a p r i v a t a d e l d i v i n R e d e n to re

d’ogni genere, io so che debbo farlo, so che debbo trovarmi: in iis quae
Patris mei sunt oportet me esse. Vi sia o no del guadagno temporale, la
lodi il mondo quell’azione, o la vituperi, non è questo che io cerco, non
è questa la mia mira di contentar me, o soddisfar il mondo, ma unica­
mente di compiacer il mio Dio. Tale fu il fatto, tale il linguaggio del nostro
Redentore là nel tempio di Gerosolima, tali parimenti devono essere i sen­
timenti, e le disposizioni di ciaschedun di noi, e di qualunque Eclesiástico
che vòglia essere conforme a questo grande, e divino modello21. Fortunati
quei popoli, che si renderanno degni d’aver un Eclesiástico allevato, for­
mato alla scuola del divin Redentore. Fortunato quel popolo, fortunate
quelle anime, che si renderanno degne d’aver un ministro del Signore di
questa fatta, e questa fortuna pressoché immensa de’ popoli sta in nostra
mano, dipende da noi, dipende dalla nostra applicazione, dalla nostra riu­
scita22. La mano adunque all’opera alacri a riuscir d’or in avanti veri, e santi
Sacerdoti, umili, ritirati nascosti, e poveri di cuore, occupati, e divoti: deh!
fratelli miei facciamolo per Dio, facciamolo per le anime, facciamolo per
noi medesimi, giacché ripieni di questo Spirito, formati su queste grandi
Lezioni, che il Signore ci ha dato ncm- potremo a meno che riuscire, riu­
sciremo veri e Santi Sacerdoti da far del bene nella vigna del Signore, da
vivere, e morire santamente, e meritarci un dì una felice, e beata eternità:
quella corona che finirà mai più. E con giorni cosi pieni, con un cuore così
ben formato non potrà a meno che esser santa la nostra vita, preziosa la
nostra morte, felice e beata la nostra eternità. Cosi sia23.

21 Con una nota il Cafasso intende inserire due righe scrìtte infondo pagina.
22 Un ultima nota intende inserire a questo punto due righe scritte infondo pagina.
23 Qui una nota rimanda ad altre due righe scritte infondo pagina.

547
Giorno Sesto (2482)

Meditazione Terza
Sopra la vita pubblica di G. C.

Dopo d’averi o lasciato adunque ¡passato trent’anni il nostro divin Reden­ (2483) pag. 1a
tore nella solitudine, nella dimenticanza, e nell’oblio, finalmente venne
quel dì che doveva comparire, è farsi conoscere nel mondò, venne quel
giorno, in cui doveva dar principio alla sua celeste Missione; non più in
una bottega, non più a lavorare legna, non più in compagnia di Maria e
Giuseppe godere di quella pace, che sola può dare il ritiro, e la fuga del
mondo, nò; ma per città e paesi ad evangelizzare, a chiamare i peccatori, a
trattar con ogni sorta di persone, in mezzo a milie pericoli, ed ostacoli tra
stenti e fatiche: vita ben diversa ella è questa, vita che richiede sode virtù,

%(fctld. 4 8 /fase. 214; nell’originale 2482-2.497)


1 II testo incomincia con il seguente brano barrato: Ritorniamo in questa sera còl nostro
pensiero là in Nàzaret a quella benedetta famiglia dove abbiamo lasciato questa mattina il
nostro divin Redentore. Sono trent’anni da che vive là ignoto, sconosciuto, dimenticato
da tutto il mondo: tanta sapienza, tanta virtù star sepolta per tanto tempo e noi, pare
una stravaganza!... Se ad un Sacerdote di una certa abilità, e scienza toccasse di stare fino
a questa età ignoto, e sconosciuto, senza che nessuno lo conosca, ne parli, Io chiami per
qualche carriera, pare che perda tempo, pare che abbi studiato inutilmente, e Dio non
voglia che nascano malinconie, scorraggiamenti, si venga a lamenti, che è inutile l’abili­
tarsi, non si conóscono le persone, non si fa stima, non si fa conto di chi Io merita. Còsi
purtroppo succede nel mondo, così capita alle volte tra noi Eclesiastici. L’esempio di Gesù
mi pare dovrebbe sciogliere ogni difficoltà; il Signore Io sa che siamo al mondo, sa quale
sia la nostra abilità, quando si voglia servire di noi, quando ci voglia adoperare per suoi
instrumenti, saprà aprirci la strada, saprà cavarci, e frattanto aspettiamo con piena rasse­
gnazione ai divini voleri ciò che il Signore avrà disposto di noi per quel luogo, per quel
tempo, e per quella via che il Signore vorrà, ed allora la nostra comparsa nel mondo ci sarà
più gloriosa, ed insieme più sicura, perché allora proprio si avvera che è il Signore divin
padre che ci manda come mandò il divin suo Figlio.

549
Esercizi Spirituali al Clero -■Meditazioni

perché vita che espone a mille pericoli2. Ognun di noi chi più chi meno
deve trovarsi, dovremo trovarci in mezzo al mondo, saremo costretti a trat­
tare con ogni sorta di persone, ci toccherà trattare maneggiare diverse

(2484) 2 sorta di ministeri, se bramiamo cavar frutto dalle nostre fatiche, se


vogliamo poter salvare molte anime, ecco le tre cose che ci sono indispen­
sabili: 1. tmo spirito comunto di orazione, e di unione con Dio: 2. taro
spirito di dolcezza, e mansuetudine; 3 finalmente uno spirito di un vero e
pieno totale e sincero disinteresse: queste sono le tre speciali virtù, che fece
spiccare il nostro divin Redentore nel suo apost . ministero, in conseguenza
i tre grandi esempi che lasciò ad ogni Sacerdote, che voglia compiere con
fruttole con edificazione la sua apostolica carriera: andiamolo a conside­
rare; e cominciamo a dire: Se il Signore pregò, non pregò già per bisogno,
che ne potesse avere per se, o per far frutto colle sue fatiche, ma se. pregò
pregò certamente perda sola necessità di dar questo grande esempio a suoi
Apostoli, ed a tutti quelli che loro sarebbero succeduti nel Ministero: dopo
questa premessa, passiamo ad esaminare se abbia pregato:
Benché i trentanni che passò in Nazaret si possano chiamare trentanni
di preghiera, e di preparazione per li suoi tre anni di predicazione, ciò non
dimeno allorché fìi vicino ad uscirne, e stava per cominciare la sua carriera,
vuole durarla per quaranta giorni in un deserto a pregare: cominciato poi
il suo ministero soventi si dice che si appartava, si ritirava sul monte a
pregare molto più quando era vicino a fare qualche grande azione: cosi la
notte precedente alla chiamata de’ suoi Apostoli: exiit in montem orare,
et erat pernoctans in oratione Dei. Lue. 6.11. Cosi vicino alla sua trasfigu­
razione: ascendit in montem ut oraret. Lue. 9.28. Avanti chè risuscitasse
Lazaro, elevatis oculis: Pater gratias ago, tibi. loan. XI.41. Nella famosa
moltiplicazione dei pani: cum gratias egisset distribuii discumbentibus.
Ioan. 6.11. Allorquando si presentò una turba di Gentili che lo volevano
conoscere, pregò: Pater, clarifica nomen tuum. loan. XII.28. Pregò quando
giunsero gli Appostoli, e gli raccontavano i loro successi: Confiteor tibi
Pater Domine Coeli etc. Lue. X.21. Pregò quando guari quel servo nomi­
nato in S. Marco 7 Mare. VII suspiciens in Coelum ingemuit3: pregò

2 II testo continua con le seguenti righe cancellate: Quel Redentore, quel Gesù che ci
lasciò si rari esempi per divenire veri e Saliti Sacerdoti, ci segnò pure la strada per eserci­
tare.e con sicurezza, e con frutto il nostro Ministero: o più presto o più tardi verrà anche
per ciascun di noi quel tempo in cui in un modo od in un altro.
3M c 7 , 34.

550
Giorno Sesto ■- M editazione Terza r Sopra la vita pubblica d i G. C.

prima di cominciare quel famoso sermone del Monte: elevatis oculis dice-
bat Lue. VI. [6,20] Dopo d’aver speso le giornate intiere ad instruire, ed
operare ogni sorta di guarigione, si ritirava a pregare: secedebat in deser-
tum. et orabat Lue. 54 dimissa turba ascendit in montem solus orare.
Math. 145. Sicché dal fin qui detto compare chiaramente con qual assi­
duità il divin Redentore attendesse all’orazione: pregava prima di dar mano
alle sue imprese, . . .

alle sue fatiche, pregava nell’atto stesso che faticava, pregava come .per (2486) 3
riposarsi dopo d’aver travagliato. Eccovi Signori itniei qual deve essere in un
uomo Apostolico la grande preparazione per cominciare bene i suoi lavori,
la sua forza, e la sua consolazione negli stessi travagli, il suo riposo dalle
fatiche, tutto sta riposto nell’orazione: pregare prima di mettersi a lavorare,
pregare mentre si lavora, pregare dopo d’aver, lavorato: cosi fece il primo
de’ Sacerdoti Christo Gesù, così fecero gli Appostoli, così tutti gli uomini
Apostolici, e così deve fare ogni Sacerdote, che voglia lavorare con zelo, e
con frutto nella vigna del Signore.
Raccomandar prima di tutto a Dio i nostri progetti, le nostre mire, le
opere a cui siamo per dar mano: dimandar la sua assistenza, e la sua bene­
dizióne; pregarlo di suggerirci que modi, quelle parole che più tocchino i
cuori. Lavora al ventò S’inganna a partito quel .Sacerdote, dice S. Lorenzo
Giustiniani, che si crede, che presume di far frutto, di salvar anime senza
l’ajuto dell’orazione

fallitur profecto quisquis opus hoc grande absque orationis praesidio (2485)
prout decet consumare se posse putii6. Datemi un uomo d’orazione, ed
io ve lo do buono a tutto. Noi non riusciamo nelle nostre azioni, perché
prima non ce l’intendiamo col Signore. S. Vincenzo de Paoli.
Gli Appostoli, diceva S. Francesco di Sales, univano sempre le preghiera
alla predicazione della parola divina, né vinceva i suoi nemici il popolo
che combatteva sotto il comando di Giosuè, se Mosè,suo condottiero non
alzava in alto le mani nella preghiera; s’inganna chiunque pensa di conver-

5Afr 14,23.
iu s t i n i a n i , Liber de Institutione et regimine praelatorum, XI, in D ivi
6 S. L o r e n z o G
Laurentii lustiniani opera omnia, Lugduni, Chevaiier, 1628, p. 581.

551
Esercìzi Spirituali al Clero -■Meditazioni

tire i peccatori con altri mezzi fuorché con quelli, de’ quali si servirono
Gesù, ed i suoi discepoli.

(2486) 3 Non basta ancora pregar avanti: nel nostro stesso ministero siamo
esposti a tanti pericoli, certe occupazioni sono un continuo esercizio di
pazienza, ci vuole a noi stessi una continua violenza: di più in certi generi
di lavoro, benché uno si sia preparato, tuttavia capitano in un momento
dei casi, che richieggono maggior forza, maggior lume; in un Confessio­
nale quanti bisogni imprevisti, disperati, urgenti: or un consiglio, or una
decisione, ora una risposta: un anima va tranquillata, l’altra diretta, un’al­
tra commossa; e come riuscirvi) e dove prendere la forza, il lume, se non
abbiamo alla mano la via dell’orazione, di un subito ricorso a Dio, da cui
solo dobbiamo aspettarci le grazie, e gli aiuti necessari; facciamoci dunque
una legge di slanciare, di elevare soventi il nostro cuore a Dio ne’ pericoli,
che ci sorprendono, negli imbarazzi, nelle ansietà, in cui ci imbattiamo,
ma particolarmente allorquando abbiamo a piedi delle anime, che non
possiamo ridurre a bene; oh! quanto vale in quel punto un sospiro, un
lamento, una parola accesa, infuocato: ma Signore, se voi diceste ad una
montagna di andar nel mare, andrebbe al vostro comando: guardate qui
un cuore che è fermo al pari d’una rocca, eppure una vostra parola basta
a sloggiarlo. Se poi infine non ci riuscirà di averlo, quell’orazione che
usammo per rendere fruttuoso il nostro sforzo, servirà a consolarci quando
sia andato vano: allora ci toccherà di piangere, come piangeva la sulle porte
di Gerusalemme il divin Redentore: oh se conoscessi infelice la grazia che
il. Signore ti vuol fare; oh se sapessi il valore, e

(2487) 4 l’importanza di questo momento oh che quanto avrai a pentirti di


questi lamenti, questi sospiri mentre calmeranno per un verso il nostro
dolore, saranno da un altra parte orazioni più efficaci per quell’anima infe­
lice. Finalmente dopo aver pregato e prima, e nell’atto del faticare, la pre­
ghiera ha ancora da essere il sollievo, ed il riposo peli’ l’uomo apostolico;
lo era per il divin Redentore, come abbiamo veduto,, lo era per gli Apo­
stoli, mentre dividevano il loro tempo tra le fatiche del Ministero, e la pre­
ghiera: nos Ministerio verbi, et orationi instantes erimus7; lo fu per tutti gli
uomini veramente apostolici: S. Francesco di Sales, S. Francesco Saverio,
uno nel Chiablè, l’altro nelle Indie dopo d’aver passato tutto il giorno in

1A t 6,4.

552
Giorno Sesto " M editazione Sfèrza ^ Sopra la vita pubblica di G. C.

continue fatiche, e travagli, si approfittavano del di una gran parte della


notte per versare il loro cuore con Dio, sollevarsi, e riposarsi in Lui, e tanta
era la piena della consolazione, e sollièvo, che ne ritraevano, che erano
costretti ad esclamare: satis. domine, satis. Ecco adunque la strada segnata
per noi, e per tutti i sacerdoti. Chi è imperfetto, chi non ha il cuore pieno
di Dio, chi non agisce con spirito veramente interno allorché ha lavorato
per rifocillarsi, per respirare, si va gettare nel mondo tra il tumulto, le con­
versazioni, ed i divertimenti sotto pretesto di rinfrancar un po lo spirito,
e le forze, ma l’uomo apostolico va a trovar Dio, va a riposarsi in Dio; se
Iddio ha benedetto le sue fatiche, gli va a rendere il suo Omàggio, gli porta,
va a deporre ai suoi piedi i trofei, le corone riportate col suo braccio, e col
suo aiuto, e per ripigliare nuove forze per riportarne sempre delle nuove, e
delle maggiori; se poi non ha riuscito nelle sue imprese, si porta per trovar
più coraggio onde ricominciare, e non lasciarsi abbattere; e cosi mentre
ringrazia il Signore del passato, lo impegna ad allargar sempre più la mano
a nuove grazie, a nuovi favori; e dove e qual sarà infatti quella grazia che
non sia capace di ottenere un Sacerdote di questa fatta di un zelo tale, e
di un orazione cosi continua; che frutto non sarà per dare il Ministero
di questo buon Sacerdote; si dice che le sue parole, le sue fatiche, fanno
per cosi dire miracoli senza quasi saperne il perché; oh non sono le parole
che facciano questi portenti, sono quc sospiri, quelle voci segrete che
manda dal cuore al suo Dio, sono quelle orazioni con cui si è disposto; si
è quel legame, quell’unione con cui agisce di concerto col suo Dio. Tant’è,
Signori miei, chi vuol lavorare con frutto bisogna che principi!

con questo fondamento, bisogna che si munisca di quest’arma, e chi (2488)5


credesse di poterne far senza, e la tenesse per poco, stiamo certi che non
farà gran cosa, anzi un Sacerdote tale, dice il p. M. Avila, non era fatto
pel sacerdozio, e chi andasse dicendo di non poter pregare, di non prender
gusto all’orazione, epperciò la trascurasse, gli potressimo rispondere: male,
male, perché non eri fatto per questo stato.
L’altro esempio che ci lasciò il divin Redentore pel Ministero si è la
dolcezza, e la mansuetudine; dolcezza con tutti, co’ suoi Apostoli, co’ pec­
catori, cogli ostinati, colli stessi suoi nemici e persecutori; Sappiamo tutti
come fossero grossolani i primi suoi discepoli, e quando loro parlava il
divin Redentore, soventi intendevano una cosa per l’altra; di più erano
quanto mai imperfetti, superbi, contendevano tra di loro, ambivano i
primi posti, si vantavano dei loro poteri, erano gelosi, invidiosi che altri
potessero fare altrettanto. Eppure con che modi dolcHix orreggeva pazienza

553
Esercizi Spirituali al Clero. ~ Meditazioni

li instruiva, e come cercava con similitudini di far loro capire quel che
diceva, ed una volta che dopo d’averlo sentito parlar a lungo, lo volevano
abbandonare perché non l’intendevano, invece di sgridarli, minacciarli,
non fece loro che un dolce lamento: etiam vos vultis abire8? e poi senza mai
dir loro che fossero superbi, orgogliosi, che forse li avrebbe feriti sul vivo,
cerca di guarirli, di emendarli, ora con ricordar lóro la caduta dell’Angelo
ribelle, ora con dire che il suo Regno non era di questo mondo, ora colla
similitudine del ragazzo. Coi peccatori poi la sua dolcezza, le sue maniere,
la sua affabilità era senza limiti; basti il dire che era chiamato il pubblicano,
e Famico de’; publicani, e peccatori, epperciò peccator lui stesso: peccator
est, et cum peccatoribus manducai9. Se vogliamo qualche fatto la maniera
con cui accolse, soffrì, e perdonò alla Maddalena, la pazienza che' usò colla
Samaritana, la preferenza mostrata con Zacheo, il modo con cui difese
Fadultera, e le accordò il perdono; la maniera: quello sguardo di compas­
sione con cui guadagnò S. Pietro sono tutte prove evidenti della grande sua
dolcezza e bontà. Cogli ostinati basti nominar Giuda; la fece pur grossa
quel perfido, fu pure ostinato, mentre tenne fermo, e non cedé al rimpro­
vero, che anticipatamente gli fece Gesù nell’ultima cena, ma non ostante
tanta scelleratezza, tanta ostinazione, nell’atto stesso che la compiva non
ricusa di darsi abbracciato tra quelle braccia infami, di lasciarsi stampare
un bacio di tradimento, di guardarlo, di chiamarlo come amico: amice. ad
quid venisti10? . •< ;

(2490)6 quasi per forzarlo a dire, a confessar il suo peccato per perdonar­
glielo11:

(2489) ed ai suoi Appostoli, che volevano pregasse il fuoco dal Cielo per ster­
minare coloro.

(2490) 6 Contro i suoi nemici poi non poteva spiccar di più la sua bontà, la sua
sofferenza, e la sua dolcezza; cercato più volte, ed in più maniere a morte,
declinava da loro, e poi ricotìipariva senza fare il menomo rimprovero:
calunniato o non rispondeva, oppure diceva quel solo che poteva esiggere

, BGv6, 67.
3M i 9,11; Gv 9,24.
10 M t 26,50.
11 Una nota rimanda alla pagina a fronte.

554
Giorno Sesto - M editazione -Tèrza ■r- Sopra la vita pubblica d i G. C.

la gloria del suo padre, e non ostante tante insidie, tanti dispregi, tanti
attentati tuttavia andava di luogo in luogo: transibat benefaciendo omnes12
senza guardare né ad amici, né a nemici, né a chi gli era affezionato, e
chi nò: omnes senza alcuna distinzione, o riserva: ecco, Signori miei, quai
devono essere i sentimenti del Sacerdote della nuova legge, quale la stia
condotta: non conoscere alcun nemico al mondo; trattare, parlare, agire
con tutti egualmente, con carità, con pazienza con dolcezza, e mansuetu­
dine13:

ma io ho chi vuol male, colui so come pensa, e parla di me, cerca ogni (2489)
maniera di farmela vedere, è non è del mio partito. Che partito, fratelli
miei? che cosa c’ha da entrare tutto questo nella carità, e nello spirito del
nostro Ministero. Lasciamo stare tutte queste gofferie; finché si tratta della
gente del mondo, di secolari, che si perdono, e se la prendono per quelle
follie, meno male, ma che un Sacerdote vi si mischii, consumi il suo tempo
e perda la sua pace, e tranquillità, bisogna ben dire che non conosciamo
noi stessi, la nostra vocazione, il nostro stato. Il partito nostro è quello di
tutti gli uomini del mondo, cioè di salvarsi, e proccurare che si salvino
gli altri, si risparmino peccati, ed offese al Signore quanto più possiamo.
Cotesto sia ha da essere il nostro scopo, la nostra mira, la nostra occupa­
zione, e non altra.

Oh se sapessimo: quanto sia necessaria in noi questa virtù, e quanto (2490)6


importi; deduciamolo da questo: non si contentò il Signore di darci si
luminosi esempi, sono pur tanti e patenti, ma pure non ne fù pago: ci
ricordò d’imparare da lui ad esser mite, e mansueto; ma nemmeno questo
bastò: nell’atto che mandò i suoi Appostoli; e noi nella loro persona, ci
fece avvertiti che non ci mandava come leoni a farci temere, a spaventare,
a dominare, ma come tante pecorelle ed agnellini da attirarci colla nostra
dolcezza, e mansuetudine il cuore di tutti; oh quanto vale per farci strada
ne’ cuori un far dolce, pietoso, e mansueto: l’esperienza di tutti i tempi, di
tutti gli uomini, che si distinsero nel nostro Ministero ne fanno abbastanza
fede: i peccatori più ostinati, le difficoltà più insormontabili furono con­
vertiti, furono superate con questo mezzo: chi tra noi avrà letto le fatiche
di S. Francesco Saverio nelle Indie avrà veduto i portenti di conversione

'M i 10,38.
13 U na nota rim a n d a alla p a g in a afro n te.

555
Esercizi Spirituali al Clero ■- Meditazioni

che ha operato per questa via. S. Francesco di Sales, quel gran modello di
vero zelo sacerdotale, qual dolcezza era la sua, e che gran bene non fece14?

(248?) Un giorno che questo Santo partiva da un luogo in mezzo ad una gran
folla di popolo, oggi, disse una distinta persona, oggi parte un gran ladro
dalla nostra città; interrogata di chi fosse, Monsignor di. Ginevra, rispose,
che ha rubato il cuore di tutti.

(2496) L’odore, diciamo così, della sua dolcezza, e tenerezza attirava i pecca­
tori, dalle parti più lontane, come confessavano dì loro propria bocca: la
sua dolcezza attirò, e convertì più eretici che non avrebbe fatto certamente
tutta l’eloquenza del mondo. Ed infatti un dì che disputava con un il Santo
con un eretico, un Calvinista ivi

(2491) 7 vedendo la calma, la tranquillità e la dolcezza del Santo mentre l’eretico


dava in; smanie, non potè ritenersi dal dire publicamente che la partita
non era eguale, poiché il Vescovo provava colla sua condotta la bontà della
sua Religione, mentre all’opposto il Ministro pregiudicava alla propria nel
tempo stesso che la voleva difendere. Ecco adunque il vero mezzo, l’arma
più potente per ammollire i cuori e vincere gli stessi intelletti: dolcezza
e mansuetudine: se sta a cuore anche a noi far del bene nelle anime, se
bramiamo che il nostro ministero sia fruttuoso, non allontaniamoci da
questa strada, proccuriamo di essere tranquilli, e. dolci nel nostro parlare,
nel nostro agire: dolcezza con tutti, dolcezza dappertutto; dolcezza nel par-
hrre con ogni sorta di persone, coi ricchi, e coi poveri, coi buoni e co’ cat­
tivi, coi pieghevoli e cogli ostinati, cogli ignoranti, co’ rozzi, cogli indo­
cili: dolcezza dapèrtutto nel parlare, nel trattare; perfino direi nel guardare:
dolcezza in privato, in publico, sul pulpito,: ma sopratutto nel Tribunale di
penitenza, in quel Tribunale detto per eccellenza il Tribunale di carità, e
di misericordia: oh quanto vale la dolcezza in queste occasioni sia per cal­
mare un anima, un cuore tremante, sia per compungerlo, per commoverlo
quando non lo sia ancora: dite pur mio figlio, diceva S. Francesco di Sales
a certuni che par che ristassero, che temessero ad aprirgli il cuore, dite mio
figlio, e non fate diferenza dal vostro al mio cuore: io sono tutto vostro,
quando voi aveste commesso tutti i peccati del mondo.

14 Una nota rimanda alla pagina afronte.

556
Giorno Sesto - M editazione T irza ^ Sopra la vita pubblica di G. C.

Mi ricordo che un dì fui chiamato a confessare una persona verso il fine


de5 suoi dì. Dopo ché Faveva sentita, e mi tratteneva ancor nella camera,
sentiva questa persona a sospirare, e guardandola viddi che piangeva, e si
asciugava le lacrime: dissimulai sulle prime, ma sentendo che continuava
a gemere, a sospirare, credei il caso di saperne la cagione, e mi posi così
destramente ad ascoltare quello che diceva: ma sono sue parole precise,
ma se quel giorno avessi capitato meglio, non ne avrei fatte tante: oh che
giorno disgraziato è stato quello per me, ma.,, ma... ma... così continuava
a lamentarsi tra se. A questi lamenti io mi avvicino di nuovo, e le doman­
dai che cosa volesse: ma, mi rispose, mi viene in mente un caso, che .non
posso pensarvi senza piangere: instigata da me, me lo raccontò: tanti anni
fa, sul principio che mi lasciai trascinare ad offender Dio, non poteva più
vivere col peccato indosso, e voleva convertirmi, ma non sapeva come fare
ad accostarmi

ad un Confessore, tanto era il ribrezzo, la paura ed il rossore che pro- (2492) 8


vava: pure non voleva continuare nel peccato, e mi determinai risoluta-
mente di andarmi a confessare fra un mese, e non più tardi di una certa
festa solenne, che doveva capitare, e che mi nominò: giunse quel giorno,
quel mattino, ma un giorno più tristo, e più sciagurato per me non vi fù
mai, come sentirà: era già scorso mezzo il mattino, ed io non. sapeva deci­
dermi ad andarmi a confessare, ma pensando alla risoluzione presa, pen­
sando che se lasciava passar quel giorno sarebbe stato più difficile per me,
finalmente mi determinai: andai in Chiesa, e mi avvicinai ad un Confes­
sionale; può pensare con che cuore, e con che spavento dopo tanto com­
battimento: per mala sorte capitai in un Confessore che non era fatto pei
peccatori di mia sfera: appena sentito il tempo da che non era confessata,
perché era un po’ lungo, mi disse subito bruscamente che non aveva tanto
tempo da perdere d’attorno a me, che andassi pure da altri, e senza più mi
chiuse lo sportello: io restai senza parola, e si può dire senza respiro, mi
ritirai a piangere in un angolo: mi veniva il pensiero di andare da un altro,
ma l’angoscia, la paura mi serravano il cuore, e mi determinai di farne più
niente per quel giorno: venni a casa, e passai alcuni giorni sempre triste,
melanconica, e quasi sempre piangendo di modo che anche quei di casa
non sapendo che fosse tutti erano stupiti, finché non potendo più reggere
a questa vita mi determinai come per disperazione a lasciar la briglia al
peccato, e cominciai d’allora quella vita che Dio sa; oh tutf altro confessore
seguitava a ripetere, non avrei fatto quello che ho fatto, e poi diede in un
pianto che faceva compassione. Oh, signori miei, un caso ci apra gli occhi

557
Esercizi S p iritu a li d i Clero * M e d ita zio n i

per mille: spero che nessuno di noi avrà a rimproverarsi, o sarà per cadere
in disordini di questa sorta, ma almeno ci serva a farci apprezzare la dol­
cezza in questo santo Tribunale, ed a ricordarci alle volte i nostri modi,
una parola più. che un altra, un solo tratto di dolcezza, o di durezza basta
a guadagnare o perdere un anima: io non dico questo, mi diceva ancora
quella persona di cui parlava, per mia discolpa, nò perché la colpa fu tutta
mia mentre poteva andar da un altro, ma lo dico perché se conosce qual­
che confessore non tralasci di inculcarlo a loro, perché non abbia più da
capitare ad un altra sfortunata quello che è capitato a me. Ma si potrà
mai parlar duro?... nò direi nel Tribunal di penitenza, mai un fare, un dire
brusco, e duro: si può parlar franco, fermo e schietto, questo sì capiterà
sovente, ma anche quando ci capita di parlar in questo modo, proccuriamo
di far vedere che non parliamo per impeto, per mestiere,

(2494) 9 per abito, o per impazienza, ma che siamo portati a tanto dalla carità,
dal loro bene, dallo stato dalla compassione, che ci fa il loro stato, e poi
anche in questi casi il mòdo, il tuonò può sempre esser dolce. Osserviamo
il divin Redentore andò in collera se possiamo dir così, ma la sua collera
non lo rese méno amabile, perché appena tolto che ebbe lo scandalo, fu
circondato egualmente dalle turbe come prima per sentirlo a predicare,
così appunto si legge nell’Evangelio; così inveiva parimenti contro i Farisei,
perché così voleva il bene dèi pòpolo, e la contumacia e perfidia di quegli
ipocriti, ma nello stesso tempo faceva conoscere che non èra per odio,
per aversiòne alle loro persone, mentre raccomandava a tutti Fobbetlien/.a,
il rispetto alle lóro dottrine verso di loro, e magnificava la loro carica e

invettive, segno evidente che parlava in modo da offendere nessuno: Gi sta


di regola.
Finalmente il terzo esempio che ci lasciò il divin Redentore nella sua
pubblica vita fu di un gran disinteresse: Tunica sua mira fù sempre quella
di cercare sempre fare la volontà del suo Padre, di cercare unicamente il
suo onore e la sUa gloria. DeiFet [?] ella-è-questa una lezione, che sarà
mai abbastanza inculcata a noi Sacerdoti non quaero voluntateiri meam,
sed voluntatem ejus qui misit me S. Ioan. 515. Descendi de Coelo. non ut
faciam voluntatem meam. sed voluntatem ejus, qui misit me Ioan. 616. Ego

15 Gv 5,30.
16 Gv 6,38.

558
Giorno Sesto - M editazione Tèrza Sopra la vita pubblica di,G.. C.

non quaero gloriarti meam Ioan 817. Queste sono le sue proteste che stanno
registrate in S. Giovanni; i fatti poi, la sua condotta testificarono abba­
stanza le sue mire; fu tanto lontano dai comodi temporali che non aveva
nemmeno ove posar il capo, ed i suoi discepoli erano perfino costretti a
raccogliere delle spighe ne5 giorni di festa per necessità. Dall’onore poi, e
dalla gloria mondana ne fu sempre sì alieno che la sua vita si può dire, non
essere stata che uno studio contìnuo di nascondersi, ed umiliarsi18..

Lo vogliono far Re, ed egli fugge, lo conducono trionfante in Cerasa- (2493)


lemme, e lui piange, uno lo chiamò con un nome onorevole: Magister
■bone.19-, lui lo ributta, io riprende: dicendo che Dio solo è buono: fa dei
miracoli proibisce che ne parlino, si trasfigura sul monte ed impone un
silenzio ai suoi Appostoli,

sicché arrivò al punto di sfidar il pubblico, ed il popolo se qualcun (2494)9


lo poteva incolpare di. cercare la propria gloria: ego non quaero gloriam
meam: est qui quaerat, et judicet20: bel parlare egli è questo, franca propo-
sta che dovrebbe poter fare ogni Sacerdote: io non cerco la mia gloria, la
mia stima, il mio interesse in quel luogo, in quell’impiego, in quel Con­
fessionale, su quel pulpito: nò, non sono questi i miei desideri, le mie
mire; ognuno pure esamini, e lo giudichi se non è così; lo stesso ripeteva
ai Corinti l’Appostolo Paolo: non quaero quae vestra sunt sed vos. 2. Cor.
1221, argentum et aurum. aut vestem nullius concupivi sicut ipsi scitis: Act
2522 parlava di; questo come d’una cosa che tutti conoscevano: sicut ipsi
scitis. Questa fu sempre la massima ed il disinteresse degli uomini grandi:
serva per tutti S. Francesco di Sales:

tutti; possiamo sapere il suo l'aborrimento, l’aversione che aveva alle {2497)10
grandezze del móndo, ai comodi, alla roba; la sua vita è piena di detti, di
fatti che lo fanno toccar con mano: un solo ne dirò, che si trova in una
lettera scritta alla Chantal in occasione che si diceva volerlo il Papa innal­
zare al Cardinalato: da due parti ricevo avviso, che mi vogliono sollevare

17 Gv 8,50.
18 Una nota rimanda alla pagina a fiorite.
19 M e 10,17.
20 Gv 8,50.
21 2 Cor 12,14.
" /ir 20,33.

559
Esercizi Spirituali al Clero ■- Meditazioni

più alto negli occhi del mondo: la mia risposta è davanti a Dio, mia figlia,
10 non batterei una palpebra per tutto questo mondo, e lo disprezzo di
tutto cuore: se iion è la più grande gloria di Dio, non s’innoverà in me
cosa alcuna... Oh! Se tutti noi, se tutti i sacerdoti fossero ripieni e guidati
da questo spirito di distaccamento e di disinteresse, oh! quanti disordini
di meno, quanto bene di più si farebbe nel nostro Ministero! Il popolo
non sta molto a leggere le nostre intenzioni, a conoscere le nostre mire, e
se fa tanto di sospettare che cerchiamo più il nostro che il loro bene, più
11 nostro interesse, i nostri comodi, la nostra stima che il bene delle loro
anime, oh!... l’abbiam finita; gridiamo pure, predichiamo, ma le nostre
parole perché credute interessate saranno come una spada senza punta, che
non vanno più a ferire; sicché se vogliamo far del bene non abbiamo paura
di far conoscere e più coi fatti che colle parole che non abbiamo, altra mira,
non esser altro il nostro scopo che l’onore, la gloria di Dio, la salvezza
delle anime: un po’ più un po’ meno, o paga vi sia onorario, non vi sia,
sia piccolo sia grande, còsti o non costi, sia onorevole o no quéll’impiego,
quell’esercizio, questo non ha da esser la regola, lo stimolo di un Sacerdote:
ma non si offenda Dio, si cessi dal peccato, si salvino le anime: ii qui hanno
da partire tutte le mosse del Sacerdote. Epperciò Così fece, così praticò il
primo, e Capo di tutti i sacerdoti Christo Gesù, così praticarono gli Appo-
stoli, ed in seguito tutti i suoi seguaci; e così dobbiamo fare anche noi se
alla fine dei nostri giorni vorremo èssere conosciuti per veri operari della
Vigna del Signore, e pagati come tali. Altrimenti ci sentiremo rispondere:
nescio vos: mercedem vestram recepistis23: e che dolore sarà il nòstro in
allora aver lavorato tutta la vita, e poi trovarci senza merito, e senza paga?
Tota nocte laborantes nihil coepimus24 se le fatiche inutili d’una sola notte
faceva così sospirare, e lamentare gli Appostoli, che sarà al Sacerdote per
fatiche di mesi, ed anni al letto di sua morte25. Confessione dolorosa ella è
questa, e che purtroppo sarà più frequente di quel che ei crediamo in noi

23 M t 25,12; M t 6,2.
24 l e 5,5.
25 Una nota rimanda alla pagina a fronte, dove c’è il seguente testo barrato: Fatto di San
Tommaso d’Aquino Ah! Felice quel paese, quelle anime a cui if Signore darà un ministro
di questa fatta, formato con a sì belle virtù. Felice ancor più l’Eclesiastico che con una
serie di giorni cosi pieni, così santi, e preziosi si andrà avvicinando alla preparando una
corona, al riposo, alla paga. Così sia che mai più finirà.

560
Giorno Sesto - M editazione Terza " Sopra la vita pubblica d i G. C.

Eclesiastici t26

Niente contro Dio, l’abbiamo fissato ieri sera; oggi aggiungiamo un (2495)
altra parte: tutto per Dio; così soleva dire quel gran Santo Francesco di
Sales, e così deve dire, così deve ripetere ogni Eclesiástico che in questi
pochi giorni di vita mortale voglia guadagnarsi quel premio, prepararsi urta
quella corona, che mai più finirà che Dio tiene riservata al Sacerdote, che
avrà cercato il suo l’onore, la stta gloria del suo Dio: perché sta scritto, e
non può mancare: Quicumque glorificaverit me, glorificabo euni77. Così
sia23.

S. Tommaso d’Aquino nel ricevere il Viatico. Signore, io v’adoro qui (2496)


presente in questo Sacramento adorabile, e v’intendo ricevere per mio Via­
tico. Molte cose ho io scritto, e disputato della persona vostra, e di tutti
i misteri, e Sacramenti della redenzione; Voi mi siete testimonio che solo
per onor vostro e per bene della Chiesa, non per soddisfazione mia, ho
io scritto, ed insegnato, come vostro Sacerdote, e servo fedele. Accettate
ve ne prego, per vostra gloria questo povero mio servizio, che io rassegno
qui a vostri piedi... e communicatosi con una tenerezza di calda, ed umile
divozione, a poco, a poco, con viso chiaro, e sereno, ed anima tranquilla
e quieta, con atti ed occhi di vero innocente bambino, che in sen della
madre addormentasi, rendé a Dio l’anima sua purissima etc.
Die 5 februarii 1844,
Laus Deo, B.V.M. et S. Alphonso

26 Una nota rimanda alla pagina a fronte.


27 1 Sani 2 ,3 0 .
28II manoscritto contiene ancora una parte di foglio con alcune righeprive di un rimando.
Vengono trascritte nel testo.

561
2092 )
Vita pubblica di Gesù (

Preghiera (2093) pag 1

Amabile mio Salvatore prostrato avanti di Voi io vi prego ad assistermi


colla vostra grazia, a diriggermi co’ vostri lumi, sicché possa sempre più
conoscere lo Spirito della grande mia Vocazione. Ah! Redentore mio, voi
che vivendo sulla terra sapeste sì bene attirare le adirne, e guadagnacene
i cuori, mostrate anche a me in questa sera quest’oggi que’ modi, e quelle
finezze che furono così proprie di Voi, e sono cotanto necessarie pel nostro
stato. O Cara Madre Maria, Voi che udiste le tante volte le dolci parole del
vostro Gesù, e ne ammiraste le maravigliose gesta, fate che a’ suoi luminosi
esempi io mi formi, e mi renda un degno Ministro da poter piacere al
vostro caro Gesù. Angelo nostro etc.
Formato il Sacerdote nella propria casa, e rivestito del vero Spirito del
suo stato col ritiro, con un’assidua occupazione, e coil’esercizio delle prati­
che di pietà, e di Religione; reso superiore, e forte alle lusinghe della terra
coi distacco dal mondo, e collo sprezzo delle sue follie, verrà quel tempo,
spunterà quel giorno, in cui come Soldato ben provato, ed agguerrito verrà
sarà spedito in mezzo al mondo come in campo di sue battaglie. Vita ben
diversa ella è questa che richiede sode, e vere virtù, perché espone a molti,
ed assai grandi pericoli. Noi mettiamoci aU’ombra, e sotto la scorta di
questo divin Redentore, che appunto a nostra istruzione, e coraggio ha
guereggiato per noi, prima di noi, e con noi continuerà a battagliare sino
alla consumazione de’ secoli sino a che sia compito il numero de’ suoi
trionfi, e la serie delle sue vittorie. Giunto adunque in circa all’età di
trentanni lasciò il suo privato ritiro, e si fece pel mondo: non più in Naza-

4 6 ¡fase. 133; nell’originale 2092-2107)

563
E sercizi S p iritu a li a l Clero - M e d ita zio n i

ret a goder di quella pace, e quiete, che sola può dare la solitudine, non
più in umile capanna, e vile bottega a lavorare un rozzo legno, ma in
mezzo a paesi,-città, e cestelle a goder della compagnia, e carezze d’una
tenera madre, ma fuori di casa, lungi dalla parentela, e famiglia attraverso
di monti e valli, tra stenti e fatiche, in mezzo a paesi, città e Castelle a pre­
dicare, ér chiamar gente a salute, ad invitar peccatori instruiré, evangelizare,
in sostanza a chiamar gente a salute. Se qualcuno di noi per un tratto di
tempo fosse lasciato a parte, e nascosto nella propria casa, come capitò al
divin Redentore, senza che nessuno pensasse a lui, lo ricercasse, o propo­
nesse a qualche occupazione, ed impiego, si da in abbattimenti, e malin­
conie; alle volte si vien perfino a lagnanze di torti, d’ingiustizie, che non si
conosce, non si fa caso del merito delle persone, è inutile studiare, instru-
irsi, l’aver acquistata una certa scienza, e andiam dicendo: ah! fratelli miei,
badiamo

(2095) 2 prima di tutto a questo nostro Redentore di trentatre anni, tre solo ne
consacrò al Suo Ministero, il rimanente fù tutto privato, nascosto, ah! mai
più, o Cari, in mezzo al mondo quella calma, quella quiète della vita pri­
vata, e felici noi finché Iddio verrà lasciarcela godere. Di più: guai al Sacer­
dote che va a trovarsi ne’ cimenti, e tra i cruci del mondo, è che il cuore
lo rimprovera d’esservi condotto più per genio, per pròpria voglia, che per
volontà di quésto Dio; guai all’Eclesiástico, che esce in publico senza il
coredo delle virtù occorrenti, e senza essere fornito di quelle doti che sono
indispensabili in un vero Ministro del Signore1.

(2094) Il demonio, il mondo non aspetta che Sacerdoti e Soldàti di questa


sorta per farne preda a loro trionfo, e scorno di noi, e della nostra Rcli-
gione;

(2095) 2 e quali saranno queste virtù, e queste doti2?

(2094) per rendere cosa sicuro per noi, e utile per gli altri il nostro Ministefo.
Io toccherò etc.

(2095) 2 Io toccherò le principali che c’insegna in particolar modo il divin


Redentore: cioè, Spirito di orazione, spirito di dolcezza, e carità, spirito

1 Con una nota il Cafasso rimanda, a due righe scritte nella pagina afronte.
2 II Cafasso rimanda nuovamente a due righe scritte nella pagina afronte.

564
V i ta p u b b l i c a d i G esù

di vero, e pieno disinteresse; lo che vuol dire, che l’uomo Apostolico deve
essere un Uomo di preghiera, tutto Carità, e che in tutte le sue azioni
non abbia altro in mira che l’onore, e la gloria [di] Dio, e la salute delle
anime. Ecco il vero Apostolo, ecco il degno Operaio del Signore da fare
un immenso bene sulla terra, e da aumentare di molte anime, quella già
numerosa famiglia del bel paradiso. Cominciamo.
Che il Signore pregasse pendente il Suo Ministero Evangelico, e pre­
gasse a lungo, e pregasse frequentemente, e pregasse in molte maniere, non
possiam dubitarne, perché troppo chiaro il Vangelo/Lasciò quel ritiro, e
quell’orazione di quaranta giorni, che fece precedere alla sua predicazione,
e venendo direttamente al tempo delle sue fatiche, molte volte s’appartava
dal popolo, e dalle turbe per attendere e le ore, e le notti intiere all’ora­
zione: erat pernoctans in oratione Dei: relieta turba secessit solus orare3. La
frequenza poi, e la molteplicità delle sue preghiere si vede in queU’unione
principalmente, che manteneva con Dio nello stesso suo faticare, di modo
ché, soventi alzava i suoi occhi al Cielo, elevatis oculis4, come dice il Van­
gelo, soventi gemeva, sospirava, ed arrivava perfino a piangere: ingemuit...
respiciens flevit super illam5: l’unzione, con cui parlava, la forza delle sue
parole, le tenere espressioni di cui si serviva, l’impegno, la frequenza, e
l’importanza con cui, ne’ suoi sermoni s’intratteneva delle cose del Padre
suo, tutto mostra ad evidenza, come quel cuore vivesse più del Cielo, che
della terra, e come lavorando tra gli uomini sapesse mantenersi staccato da
tutto, ed in continua unione col Suo Padre Celeste: ecco il vero tipo del­
l’uomo Apostolico, che peregrinando, faticando sulla terra, sa vivere nello
stesso tempo, e conversare in Cielo. Iddio certo non aveva bisogno ne per
se, ne per far bene negli altri di adoperare questo mezzo, e di usarlo

in un modo così visibile, e patente. E perché adunque? lo dice per me il (2097) 3


dottor S. Ambrogio: Species tibi datur,... forma praescribitur. quam debeas
aemulari. Quid te... facere oportet, quando prò te Christus in oratione
pernoctat. Quid te facere convenit, cum vis aliquod pietatis officium ade-
riri. quando Christus missurus Apostolos prius oravit6. Uomo di preghiera
adunque deve essere il Sacerdote, quando voglia modellarsi a questo divin

3 Le 6 ,1 2 ;M t 1 4 ,2 3 .
4 Gv 1 1 ,4 1 .
5 M c 7 M \ L c 1 9 ,4 1 .
6 S. A m b ro g io , Expositio in Lucam, V, P L 1 5 ,1 . 4 6 7 .

565
E sercizi S p iritu a li a l Clero " M e d ita zio n i

Redentore: uomo di preghiera, quando desideri far del bene, e riuscire nel-
Toperariato evangelico: fallitur profecto. ci avvisa S. Lorenzo Giustiniani,
quisquis opus hoc grande absque orationis praesidio prout decet consu-
mere se posse putat", e voi sapete la terribile sentenza del V. Padre Avila,
che ei non credeva fatto assolutamente pel Sacerdozio chi non aveva questo
spirito d’orazione8.

(20%) Il grande S. Vincenzo de’ Paoli chiamava l’orazione il gran libro del
Sacerdote.

(2097) 3 E come fare adunque per averlo * per conseguirlo, e per divenire vera-
mente questi uomini Apostolici, uomini di orazione, e di preghiera; non
occorre cercare altri Maestri; tanti altri buoni opérarii, che si resero emi­
nenti in questa scienza, e che ci possono servire di un gran esempio ecci­
tamento, furono tutti allievi di questa scuola, tutti copiarono da questo
divino Maestro. Ad esempio di questo divin Redentore abbia l’uomo Apo­
stolico, il Sacerdote, i suoi tèmpi fissi per la preghiera, un po? di medi­
tazione, di lettura, qualche visita, un po’ d’adorazione al Sacramento, la
Recita del Rosario, la revista della giornata, e andate dicendo: ma io non
ho tempo, la salute, la testa non mi regge, mi vi sono mai accostumato, mi
riesce troppo riojoso, e pesante, i più non la fanno: comunque sia io non
so che dirvi; o rinunziare a questa scuola, cavarvi da voi, ed essere non più
discepoli di questo Dio, copie di questo modello, ma seguaci del mondo, e
della sua dissipazione, oppure costi o non costi fare che vi sien nella nostra
giornata cotesti tempi; e non aveva da fare il Redentore, eppur. che faceva:
lasciava tutti, abbandonava ogni cosa, e si ritirava a solo per raccogliersi, e
pregare, e con ciò species tibi datur... forma praescribitur del come devi far
tu. Quand’anche avessimo tutte le occupazioni del mondo, e fossero opere
le più sante, questo tempo, ripeto che ci va, altrimenti saremo uomini
materiali perché senza anima, e senza spirito, Apostoli di nome, bronzi
sonanti e niente più. Inoltre in aggiunta a questi tempi più o meno deter­
minati della preghiera, ad imitazione sempre di questo grande Maestro,
dobbiamo procurare nel corso della nostra giornata, prima di mettersi a
dar mano a qualche opera, nell’esercizio medesimo del nostro Ministero

7 S. L oren zo G iu s t in ia n i , Liber de Institutione et regimine pmelatorum,'Xl, in Divi


Laurentii Iustiniani opera omnia, L u g d u n i, C hevalier, 1 6 2 8 , p. 5 8 1 .
8 Qui il Cafasso inserisce una riga scritta nella pagina a fronte.

566
V i ta p u b b l i c a d i G esù

e fin dopo d’aver faticato di tener rivolto il nostro cuore a questo Dio
appunto col mezzo, e colla pratica decorazione. Già voi m’insegnate

che non è necessario per questo star tutta.la giornata in ginocchio, ne (2099)4
recitare continuamente preghiere vocali, lo che faceva1nemmeno il divin
Redentore, e sarebbe impossibile, ma ci vuole che il nostro cuore si porti
soventi a Dio, tenga una via aperta, e mantenga una continua relazione
con Lui, sicché capitando un bisogno, trovandosi in un cimento, abbiso­
gnando d’un qualche lume sia un momento portarsi a lui, parlargli, farci
intendere senza che ci voglia ne fatica, ne tempo, come appunto faceva il
divin; Redentore che all’improwiso, all’impensata di tutti nel parlare, nel
predicare, e nello stesso conversare or alzava il capo al Cielo, or ne dava
uno sguardo, or gemeva, or sospirava; internamente poi, e tra se e se chi
sa quante volte con impeti di cuore, con voli, e slanci di fede si portava al
Padre, con lui conversava* e trattava alla dimestica, e famigliare; questo si
che è proprio pregare, e chi lo fa può dirsi a tutto rigore che egli è un uomo
da questo. Ditemi quand’è che nel comun parlare una persona acquista
una denominazione speciale, e viene qualificata come Uomo d’affari, per
esemp, di speculazioni, di negozi, di scienze, ed anche di bel tempo; forse
solamente quando voi lo vedete scorgete applicato di tanto in tanto in quel
ramo, e per quella parte; nò di certo, poiché un tal genere di vita più o
meno, e con una certa proporzione può dirsi comune a tutti; ma bensì
quando voi la vedete mirate continuamente intenta a quell’oggetto, o che
vi si applica, e quando non può, ne parla, vi pensa: tutte le sue mire, i
suoi desideri, i suoi progetti sono sempre rivolti a quel punto: di più voi ci
vedete trovate in quel personaggio un brio, una prontezza, ed una destrezza
in quella parte che chiunque lo direbbe nato fatto per quello. Ecco in
questo piccolo quadro un Sacerdote, ed un uomo di preghiera: se ha qual­
che ritaglio di tempo lo gode, lo consacra a si fatto oggetto; se nò saprà
trovar il modo di conciliar l’uno coll ii i to: con aspirazioni, con sguardi,
cogli slanci del suo cuore sa supplire, e mantener viva la. sua relazione con
Dio, e non occorre che altri glielo dica, lo ecciti, e gli insegni; sa farlo da
se, e ;con facilità, cori prontezza, con destrezza, lavorando, camminando,
anche conversando, e ridendo, e nel farlo vi trova un contento, una gioia,
una soddisfazione, urrcontento che chiunque lo vedesse, lo potesse cono­
scere, direbbe: lasciatelo pregare, che è un uomo fatto per questo; e di qui
ne verrà certamente nel Sacerdote quella rettitudine d’intenzioni, di cui
parleremo in fine, quella franchezza nel bene, che teme ne ostacoli, ne
moteggi, quella maniera di farlo che edifica, ed incanta; quella candidezza,

567
E sercìzi S p iritu a li a l Clero - M e d ita zio n i

quella ilarità di sembiante e di tratto che attira, ed alletta; quella unzione


in fine nelle sue parole, nel predicare, nel Confessare, per cui chi lo sente

(2100) 5 quand’anche non vi ammiri .alle volte ne forza di ragioni, ne eleganza


di stile, pure ne prova un certo effetto, e sensazione, per cui il Cuore ne
è tocco, e commosso. E qui o cari, giacché mi vien acconcio, lasciate, che
io vel dica, se il Sacerdote abbisogna di questo Spirito di preghiera, Egli è
certamente in questi due rami, della predicazione, cioè, e dell’amministra­
zione della penitenza. Ah! due parole dette da questo luogo che gran colpo
alle volte son capaci di fare quando sieno infiammate da questo Spirito si
arriva a rompere, a penetrare, a ferire certi cuori, che avranno già spuntato
chi sa quante armi, e resi inutili tanti altri assalti: dite, ridite, è inutile a
certuni, ne rimorsi, ne avvisi, ne minaccie, ne castighi più niente lo tocca:
ebbene la parola d’un Sacerdote, anche semplice, umile, e quasi di niun
conto: lo ferisce, lo commuove, lo ferma; e stupito quasi di se, pare che
vadi dimandando: che cosa è mai questo, che si opera in me [?] sente,
ma non conosce, prova, ma non sa spiegarlo: si, o cari, finché si tratta
solo di trattenere, sollevare, convincere, persuadere, vi sono altri riti, altri
modi, altre lingue migliori delle nostre, ma quando si tratta di entrare ne’
cuori, farsi strada, toccarli, e commoverli, questo è proprio solo di noi,
questo appartiene esclusivamente a quella gran parola, che maneggiamo;
ma perché questa parola riporti il suo effetto, e trionfo, è necessario saperla
maneggiare, cioè adoperare quei mezzi che soli la possono rendere pun­
gente, penetrante da ferire i cuòri i più duri: e questo mezzo, che direi il
solo egli è la preghiera; ah un Sacerdote, un Apostolo che preghi, che gran
bene non opererà in cotesto Ministero Evangelico, non già parole e suoni
di voce, ma fulmini, e saette di fuoco mi pare di veder a partire da quella
lingua: avete veduto, avete sentito, che cosa c’è di nuovo: guai a noi, oh! si
che m’immaginava, bisogna ben pensarvi; e chi è che parla cosi: forse colui
che prima, ed altre volte metteva in burla quello che diceva il predicatore;
effetto della preghiera.
Neiramministrazione poi della penitenza è dove ha da lampeggiar più
che in altra occasione cotesta grand’arma del Sacerdote: ma se ho da con­
fessare, non posso pregare, potrà dire qualcuno, ed io vi dirò, che bisogna
fare l’uno, e l’altro. E primieramente mai cimentarsi col demonio, mai
tentare di cavargli le anime dalle mani, come si fa in cotesto Sacramento,
senza primaTajuto dell’orazione: quell’entrare ed uscire di Confessionale
come se si entrasse, od uscisse di una camera, non è buon segno; io temo
che non si conosca che campo di battaglia stia racchiuso in quel palmo

568
V ita p u b b l i c a d i G esù

di sito, che sta la entro: quanti cimenti, e quanti bisogni per noi, e per i
penitenti si presentano improvvisi, incalzanti

da dar né tempo, ne tregua. Dunque entriamo mai in Confessionale (2101) 6


senza aver fatto prima i nostri conti, e presi i debiti concerti con questo
Dio, non fosse che un Ave Maria, un Angele Dei, un Gloria, egli è poco,
ma se non altro sia sempre questo il segnale delle nostre battaglie, il primo
colpo, che vibriamo contro l’inferno: e sarà come un dire: Signore, io ci
vado, ma voglio andare con Voi, e per Voi, a nome e per conto vostro;
sicché i pericoli, i cimenti, le battaglie, la causa insomma è più vostra, che
mia: dunque pensatevi, che qui ci va di mezzo non già la persona mia,
ma l’onor, la gloria vostra, la salute delle vostre anime. Oh quanto giova
questo linguaggio di fede, questo slancio di confidenza sia per attirare la
nostra attenzione, e vigilanza, sia per meritarci le benedizioni del Signore;
e gioverà ancora a penitenti questa poca preghiera, poiché penseranno, e
diranno tra se: eh! se il Confessore ha bisogno di pregare, e raccomandarsi
a Dio, che sarà di noi; bisogna proprio che qui non si burli, non sia un
luogo solo di ciarle, e parole, ma si faccia da vero, e si vede in pratica
che basta questo momento di preghiera fatta là alla presenza di penitenti,
per cambiare all’esterno il loro contegno, e comporsi tutti a preghiera, e
raccoglimento. .Nel sentir poi le Confessioni guardiamo di tener aperta la
nostra relazione, la nostra comunicazione con Dio, e per riuscirvi pren­
diamo occasione da tutto ciò che ci accade: ci capita un anima, candida,
innocente, ah Signore conservatela in mezzo a tante lusinghe del secolo; ci
verrà un cuor peccatore si, ma pentito, compunto; oh Dio: quanto grande
è la vostra misericordia: se ne verrà un altro duro, fermo nella colpa, che
non vuol saperne; ah! allora sì una voce, che giunga presto al Cielo, come
vien acconcia, un occhiata al crocefisso, un gemito, un sospiro di dolore
per quelFinfelice, e chi sa che non sia proprio il colpo che lo atterri: e
come volete che un Soldato che sotto gli occhi del stto Capitano si azzuffi
col suo nemico, e lì sul punto di guadagnarlo, e riportarne la vittoria, gli
dimandi il braccio, e che glielo voglia negare. Voi lo sapete che in questi
casi non è già una predica lunga, un ragionamento anche profondo che sia
per trionfare, ma per lo più un pensiero, un riflesso, una parola toccante,
e commovente, e questa per averla all’occasione, e presto, non basta né la
scienza, né l’arte, ma bisogna dimandarla, e questo va fatto sull’istante di
modo che il pensarvi, ed il farlo sia come una cosa sola.
Finalmente pregare dopo d’aver amministrato cotesto Sacramento. E
mi pare che questo lo voglia la stessa gratitudine; e perché partirci, e lasciar

569
E sercizi S p iritu a li a l Clero ~ M e d ita zio n i

senza dir niente chi ci ha ajutato sino a quel punto. Diciamogli almeno se
abbiam vinto, o se abbiam perduto, quai sieno ancora le nostre speranze,
ed i nostri timori. Cotesto rendiconto deve essere una consolazione, ed un
conforto per noi, un motivo che Iddio ci perdoni i nostri torti, ed una
Caparra di maggiori ajuti per susseguenti battaglie. Spirito di preghièra
adunque, spirito di dolcezza, ecco

(2102)7 la seconda Lezione che ci da il divin Redentore pel Ministero Evange­


lico. .
La preghiera con Dio, la dolcezza cogli uomini, ecco il corredo del­
l’uomo Apostolico: colla prima si fa ci facciamo forti con Dio, colla
seconda si avvicina gli ci rendiamo cari agli uomini. Colla preghiera arriva
arriveremo a1 tesori del Cielo, colla dolcezza rapisce rapiremo i cuori sulla
terra epperciò con queste due virtù può dirsi in certo modo che il Sacer­
dote si rende quasi padrone di Dio, e degli uomini poiché mentre- può

d’ottenere parimenti il tutto dagli uomini. Da ciò ognun vede la necessità,


e l’importanza di questa seconda virtù non meno della prima in un uomo
di Chiesa, talmente che il divin Redentore se ne rese un modello il più
perfetto da dirci Egli Medesimo: Imparate da me, o Sacerdoti, ad esser
mansueti, ad esser dolci: discite a me. quia mitis sum?: fu dolce sempre,
ovunque, e con tutti senza riserva: co’ famigliari in casa, e fuori cogli estra­
nei, co5piccoli, cogli adulti, co’ ricchi, co’ poveri, cogli amici, e nemici, co’
giusti, co’ peccatori, e questi sia pentiti, che ostinati; dolce non già solo in
certi giorni, o periodi di tempo, ma abitualmente e sempre lo stesso; dolce
in tutto: nel tratto, nella sua maniera di parlare, per fin nello sguardo, di
modo che chiunque lo avesse a trattare, o sol lo vedesse, ne restava rapito,
ed ammirato, tanto era calma, e placida tutta la sua persona presenza. Ecco
la dolcezza da imitarsi dal Sacerdote, e che forse può dare materia di molte
riforme nella nostra condotta. Dolci primieramente co1famigliari di casa.
Questi dovrebbero essere i primi ad essere edificati dalla nostra dolcezza,
e per lo più sono quelli, che ne godono meno: cogli estranei proccure-
remo ordinariamente di trattar alle buone, alle dolci, non solo la reli­
gione, ma un certo riguardo, e la stessa civiltà vuole che noi li trattiamo
in quel modo, ma con quei di casa sembra che ci possiam dispensare,
pronti, impazienti, e quasi incontentabili, soventi e quasi ad ogni incòn-

‘ M i 11, 2 9 .

570
V ita p u b b l i c a d i Gesù.

tro un tratto, un termine che punge, sempre con un certo sussiego, con
una cert’aria che pare loro vogliam dire: guardate bene chi sono, lasciatemi
stare: e lo dicono poi tra loro: ma non sappiam che dirci; il nostro prete
cogli altri è par tutto bontà miele, tutto cuore, e infatti non si fanno che
elogi de’ suoi bei modi, del suo trattare: con noi, non sappiamo che cosa
abbia: non sa parlare, senza pungere, senza gridare. Come trattava in casa il
divin Redentore: non parlo già di Maria, e Giuseppe, con cui era una cosa
sola, ma dico: co’ discepoli, ed Apostoli: erano pur rozzi, ignoranti, gros­
solani, non intendevano, oppur prendevano una cosa per l’altra; volevano
perfin abbandonarlo, perché

non lo capivano: disse, forse loro: andate finché volete?, nò, che. anzi li (2104) 8
tratenne alle buone, e cercava sempre co’ modi più intelligibili, con simili­
tudini, parabole adattarsi alla loro incapacità. Avevano i suoi difetti belli c
buohi non solo materiali, perché erano allevati grossolanamente, ma dico
i morali: pronti, vendicativi, puntigliosi, gelosi tra loro: uno voleva esser il
primo, l’altro anche: perché in un paese non li avevano ricevuto bene, vole­
va« clic il Signore mandasse subito il fuoco dal Cielo. Ed il Redentore.che
cosa faceva: li scacciava forse, od almeno li sgridava ben forte: ncTuno, né
l’altro, ma dolcemente l’avvisava, e quasi per paura che se la prendessero,
fe’ conto di non parlar di loro, dicendo che avendo aveva veduto Lucifero
per la. superbia a cader dal Cielo. Disse nemmen loro, che erano superbi.
Dolci co’ famigliari, dolci cogli estranei, ma tutti, e qui stai! punto. Del
Redentore si legge che transibat benefaciendo omnes10, vuol dire, che non
faceva distinzione alcuna, fossero buoni o cattivi, gli volessero bene, o lo
odiassero: Egli trattava, parlava, beneficava tutti egualmente. Questa è una
gran lezione per l’Eclesiastico. Dal principio al fine del paese il. Sacerdote
non deve usare differenza alcuna, con tutti il medesimo tratto, lo stesso
sguardo, lì stessi riguardile se si può li stessi favori. Ma può dirsi, quel tale
parla male di me; eh! parli finché vuole, solo che io non le dia causa: so
che me trama qualcuna, peggio per lui; è quello che monta il paese contro
di me, una ragione di più di prenderlo alle buone, e voi guardate d’aver
il Signore per Voi, e poi state certi che sarete più forte di lui; finge, ma io
io conosco, e so come valutarlo, questo non scusa di prenderlo alle buone;
ma si abusa, e forse ne farà peggio; eh io direi di non dare poi tanto peso à
questa ragione, e andar adaggio in pratica ad accoglierla, perché per lo più

10 A t 10,38.

571
E sercizi S p iritu a li a l Clero - M e d ita z io n i

non è vero: ma quando lo fosse il bene di lui, o del paese volesse esigesse
qualche eccezione, allora la stessa Carità vorrebbe quella misura11.

(2103) Come vediamo nello stesso divin Redentore, che alle volte inveì e gridò
ben forte contro gli scribi, e farisei, appunto perché il popolo li conoscesse
e non si lasciasse ingannare da loro: o come quando cacciò que’ trafficanti
dal Tempio: ma anche in questi casi convien farlo con padronanza, con
tranquillità, con calma, e si veda che è il bene, la carità che ci porta, e non
la passione.

(2104) 8 Dolce adunque ripeto con tutti, e se volete abondare, usare particola­
rità, usatele con chi se la merita meno, co’ miseri, con chi si porta male con
noi; è questa la miglior vendetta del mondo; meritiamo meriteremo noi,
vinciamo vinceremo gli altri.
Dolci con tutti, ed ovunque, ma principalmente co’ peccatori, e nel tri­
bunale di penitenza. Voi sapete che se il divin Redentore usò qualche par­
zialità, e preferenza, fu sempre verso i peccatori, colla Samaritana, con Zac­
cheo, colla Maddalena, con Giuda, con Pietro, e andate dicendo, talmente
che i suoi nemici lo chiamavano per sopranome il peccatore, e l’amico de1
peccatori: peccator est, et cum peccatoribus manducar12. Non occorre che
il dica, che non intendo che l’Eclesiastico sia l’amico de’ loro disordinile
si trovi a’ loro convegni, e profane compagnie, ma l’amico piuttosto delle
loro persone, dirò meglio delle loro anime per convertirle, e guadagnarle:
può dirsi che in cotesta

(2105) 9 parte non può darsi eccesso, sia che si tratti di guadagnarli, di allettarli,
di corregerli nelle varie occasioni della vita, ma molto più. quando Iddio
dispone che vengano a nostri piedi nel tribunale di penitenza. Questo è un
sito, è un luogo, lo sapete, detto per eccellenza di misericordia, e di carità;
proccuriamo che non sia un nome, ma una vera realtà; via quanto vi può
essere di disgustoso, di spiacevole ne’ modi, ne’ detti, pcrfin nello sguardo:
chi vuol trovare un uomo dotto, prudente, esperto, lo può avere in mille
luoghi; ma chi vuol trattare con un uomo pieno di dolcezza, e di carità,
venga al Confessionale, e vedrà quale sia la missione, quali i modi di quel-
f’uomo quel personaggio che là entro è posto a farla da Dio in terra. È vero

11 Con una nota il Cafasso rimanda ad un testo scritto a fronte.


u M t 3 , \ \ e Gv 9 ,2 4 .

572
n
V ita p u b b l i c a d i G esù

che per far un buon Confessore si ricercano molte doti, che non è qui il
caso, di enumerarle, ma credetemi che in pratica la più importante, quella
che ha influire in tutte le confessioni, in tutti i penitenti senza eccezione,
quella., da cui può dirsi che dipende quasi tutto il bene del nostro lavoro,
è appunto la virtù di cui parliamo: Carità nelFaccoglierli, carità e dolcezza
nel sentirli, nell’interrogarli, nell’eccitarli, carità e dolcezza ancor più nel
rilasciarli. Chi può sapere le conseguenze, il bene, od il male che ne può
provenire da un detto, da un modo, da Un termine più che da un altro. Voi
per l’esperienza del vostro Ministero l’avreste veduto chi sa quante vòlte.
Ah! se avessi capitato meglio, andava ripetendo una persona vicina a morte i

etc. Racconto. Ci pensi quella persona, ci pensino, io dico, ambidue: uno


pel male, che ha fatto, l’altro per l’occasione, che ne ha dato.
Ma io ho crucci in certi giorni, non mi sento bene, sono di cattivo
umore, e sarà difficile che io abbia tutta quella dolcezza che sarebbe pur
bene. Eh! cari, e vogliamo adunque che le anime, anzi questo Dio l ab-
biano da pagare per noi, e pe’ nostri crucci? e che ne può quell’anima, che
ne ha da sapere: eppure in è impossibile in certe giornate, quand’anche mi
mettessi, e facessi ogni sforzo, non so se vi riuscirei. Ma... sarà poi vero;
e ditemi: se in quel giorno medesimo vi capitasse a trattare un affare tem­
porale, in cui vi fosse a fare un gran guadagno, ed una grande risorsa,
ma ci volessero, bei modi, e molta dolcezza, e carità per riuscirlo, sarebbe
forse ancora così. Purtroppo che a noi Sacerdoti toccherà più d’una volta
in Confessionale veder anime sull’orlo dell’inferno senza poterle ritrarre,
proccuriamo almeno di aver noi il conforto, e la consolazione d’averle trat­
tate con dolcezza, e carità, e dar loro tra le mani ancor questo filo di spe­
ranza, e di salute nella ricordanza d'un personaggio, che li ha trattati con
bontà, e non abbiamo paura anche di dirlo: sentalo caro» ini crucia, non
posso a meno di dirglielo, mi perdoni, mi serra il cuore nel vederlo a par­
tire in quello stato, chi sa cosa sarà di Lei: è vero che io non mi la merito
cotesta consolazione, ma se prima di morire il Signore mi desse cotesta
consolazione di poterle giovare, e mettere in sicuro, sarebbe questo certa­
mente il più bel giorno per me: non dispero ancora o Caro

e voglio pregare per Lei: ella si ricordi almeno che c’è un misero uomo ( 2106 ) 10

al mondo, che prega, che sospira, che spera per te i l’anima sua. Eh questi
detti amimati (sic), e dolci nello stesso tempo, e chi sa che non ce lo
diano vinto anche sull’istante, e sieno un dì per ricondurlo pentito, e com­
mosso.

573
E sercizi S p iritu a li a l Clero ^ M e d ita zio n i

L’ultimo Carattere dell’uomo Apostolico è che in tutte le sue azioni non


abbia altro in mira che lo scopo, ed il fine della sua Missione quali sono
l’onor, e la gloria di Dio, e la salute delle anime. Finché noi solo lavoriamo
solo materialmente, o per fini umani, e terreni non ci distinguiamo dal
resto degli uòmini, e siamo còme un altro lavorante qualunque, che fatichi
nella sua carriera con questa differenza^ se pur differenza si potrà chiamare,
che uno lavora in sito, uno in un altro, chi in questo, chi in quello ognuno
lavora nel proprio ramo, ed è perciò che molti o per ignoranza, o per irreli­
gione hanno il nòstro stato quasi come un.mestiere, e ci considerano quasi
come gente di professione; quand’è adunque che l’Eclesiastico si innalza e
si solleva al di sopra delle fatiche, e de’ sudori altrui, e diviene un operaio
diverso, quando appunto colle sue mire, colle sue intenzioni sa portarsi
lassù in Cielo: tutti lavoriamo, è vero," -e lo che per lo più non fanno gli
altri. Mettete un Sacerdote in confronto d'un altro lavorante, è vero che
materialmente sarà come una stessa cosa; ma se noi entriamo a dentro in
questo lavoro, o per dir meglio, scrutiniamo in questi due lavoranti perso­
naggi, questi due operarii, che in apparenza pajono li stessi, noi vi;vedremo
una distanza massima: uno lavora per la terra, l’altro pel Cielo; uno per
gli uomini, l’altro per Dio; uno per radunar un po’ di fango, l'altro per
far gente pel paradiso; uno pel secolo presente, l’altro pel futuro; uno per
necessità, l’altro per zelo, uno forzato, l'altro per amore amore; uno per
grazia, l’altro per castigo; uno insomma da Angelo, da serafino, l’altro da
uomo, da servo, e quasi da schiavo: guardate in che distanza vanno a finire
coloro, che in sulle prime vi parevano cosi vicini, quasi da dirli li mede­
simi; e tutto questo proviene, tutto lo opera la rettitudine del fine, sicché
l’Eclesiastico che non vuol essere confuso col rimanente degli uomini nel­
l’esercizio del proprio Ministero, tenga gli occhi ben fissi a quello scopo,
che Iddio le ha prefisso, e proccuri di stamparsi ben bene in cuore il grande
esempio che da a tutti noi cotesto grande Maestro: Ego non quaero glo-
riam meam: descendi e Coelo non ut faciam voluntatem meam, sedvolun-
tatem ejus, qui misit me Fatris13. Dall’interesse, e dalla roba ne era così
staccato, che non è necessario che il dica; era tanto sprovvisto che i suoi
Apostoli benché poveri, pure pareva loro di troppo, e temevano d’aver a
soffrire di fame. Dal fasto, e dagli onori del mondo, ne era così alieno
che acclamato, e cercato per farlo Re, fuggì, e si nascose. Cotesto; .disinte­
resse, cotesta purità d’intenzioni fù sempre ad esempio di questo luminoso

13 G v 5,30.

574
V ita p u b b l i c a d i G esù

modello il distintivo di tutti gli uomini Apostolici; tutti ad una voce, e


nome come un uom solo hanno sempre sprezzato le follie del mondo, ed
hanno sempre mostrato che in tutti i loro fatti, non avevano

che d’impedire il peccato, salvare le anime, dilatare cosi l’onore, e la (2107)11


gloria del loro Dio: così un S. Ignazio, S. Francesco Saverio, S. Francesco
di Sàles il quale soleva dire che non avrebbe battuto mosso una palpebra
per tutto questo mondo. Cotesta rettitudine istessa, ù fratelli, è indispen­
sabile, ed essenzialissima in noi tutti: 1° perché da essa sola e non da altro
dipende il nostro merito: Deus de cordibus. non de manibus facta rneti-
tur; quand’anche fossimo i Sacerdoti più laboriosi del mondo, e restassimo
perfino vittima delle nostre fatiche con perdervi la vita, Iddio vi calcola un
bel niente, e andressimo al Tribunale di Dio colle mani vuote; ed eh! che
angoscia per un Sacerdote, quando in quel, punto dovesse ripetere come
già gli Appostoli, tota nocte laborantes nihil cepimus14. Da cotesta purità
d’intenzioni dipenderà oltre in nostro merito anche il frutto delle nostre
fatiche, poiché Iddio certamente non benedirà un azione, che vegga che
non sia fatta per lui. Cotesto fine puro, e retto servirà ancora a far bene
le opere nostre, poiché quel pensiero che Iddio mi manda, io opero per
lui, e sotto i suoi occhi è impossibile non sia un gran eccitamento a far
bene quello che.si fa. Farà finalmente che lavorando non senta il Sacerdote
nemmen il peso delle sue fatiche, poiché il faticare per Dio egli è più un
godere, che patire. Via adunque, o cari, dalle nostre viste ogni mira di
mondo, di vanità, di applausi, di interessi, e di roba, ma Dio, e Dio solo,
e nient’altro, e niente più, e per attirarci nell’esercizio di cotesta purità
d’intenzioni, e rendercela più che possiamo a noi famigliare, richiamano
soventi alla nostra mente il bel tratto dell’Angelico Dottore: si trovava il
Santo ai piedi del suo Dio in orazione, quando si fe’ sentire una voce, che
le diceva: bene scripsisti de me, Thomas: quam mercedem accipies; rispose
il Santo; non aliam Domine nisi teipsum: ecco come la pensavano, e per
chi lavoravano i Santi. Noi siamo ben lontani da’ meriti, e dalle fatiche
di quella grand’anima, ma a nostro eccitamento, e coraggio, figuriamoci
che Iddio dica anche a noi, e celo dirà realmente: senti, o caro, io sono
contento di te. Ti sei alzato di buon mattino, hai lavorato in quel Confcs-
sionale, ti sei preparato per quella predica, hai sofferto quell’ingiuria, hai
lasciato quella partita, ti sei occupato nello studio, mi hai fatto una visita,

14 L e 5,5.

575
Esercizi S p iritu a li a l Clero - M e d ita zio n i

tei ripeto: oggi sono contento di te: orsù d ie vuoi, che cosa desideri per
tua mercede: eh! Signore, io merito poco, anzi niente, ma giacché m i fate
un offerta così generosa, io vado alto: di tutto questo mondo io non so
che farne: date pure a chi volete coteste follie: io invece m’appiglio a Voi,
e dimanderò Voi solo: N on aliam D om ine nisi teipsum: la mercede più
grande, e più gradita per me, ella è questa di amarvi, e servirvi sempre più
in terra, ed un giorno bearmi di Voi in paradiso. Oh felice FEclesiastico,
che colla rettitudine de’ suoi fini sa collocarsi fra la schiera di quegli uomini
grandi, di cui dice la Scrittura, che dies pieni invenientur in eis15, di quegli
uom ini a cui fu detto: Ego ero merces tua magna nim is16. di quegli uomini
in fine, che avranno in Cielo la pariglia, anzi il centuplo di quella gloria
che avranno cercato per loro D io in terra: quicunque glorificavit me, glo-
rificabo eum17. Egli è scritto, promesso, non può mancare. Cosi sia.

15 Sai 72,10.
!6 Gn 15,1.
171 Sam 2,30.

576
(2532)
Giorno Settimo
Meditazione Prima
Sopra Gesù nelPorto, e ne5 tribunali

Preghiera (2533)

mio Signore, io mi presento prostro in quest’oggi a


vói a vostri piedi con sentimenti di confusione, e di dolore per qtreHrrdTC
itene-pa¡.¡sic per- irte;- patiste-pci ivrhi
Voi soffriste un giorno per me, voi
toleraste i più atroci dolori e tormenti. Ah Gesù mio, fate deh! Percotestn
viaggio-doloroso crii spero -accorr rpagrnrm deh fate che alla considerazione
della vostra passione io conosca sempre più la cans r rix^TOstri-cralr>ri,- in e
furono li miei peccati che cosa sia il m io peccato, e fate altresì che a vostra
imitazione io mi vesta, e mi armi di qttersentim en ti di quella virtù, e for-
tezza, che devono sostenere un Eclesiástico nelle vicende di questo mondo.
Vergine Santa, ed addollorata, che tanto soffriste in que’ amari giorni ricor­
datevi di me, Angelo Custode etc.

Abbiamo imparato l’ultima volta dal nostro d. Redentore (2534) pag, 1 a

lezioni1, le virtù domestiche di un buon Sacerdote; di più abbiamo appreso

* (fald. 48 / fase. 222; nelForigìnale 2532-2553)


1 II brano continua con il seguente testo barrato: tre gran mezzi per far frutto nelle anime,
per ben esercitare il nostro Ministero nelle anime, quali sono di tenerci uniti con Dio
neH^Tiostre fatiche, usar mai sempre dolcezza e mansuetudine, lavorar finalmente con

Chi vuol far frutto nelle anime, non si allontani da questa via, e si persuada ben bene
che lo Spirito del nostro stato ha da essere ben diverso dallo Spirito del mondo, dissipato,
esterno e superficiale, superbo, impetuoso, dominatore, ed interessato: nò i
E sercizi S p iritu a li a l Clero * M e d ita z io n i

lo spirito che deve accompagnare il nostro Apostolico Ministero, spirito di


orazione etc. ossia la maniera con cui abbia a concludersi, e formarsi nella
propria casa il Sacerdote, l’amore cioè al ritiro, ed alla solitudine: amore al
lavoro ed occupazione, amore e stima alle pratiche di pietà e di Religione.
Dalla casa di Nazaret ove abbiamo imparato dal nostro divin Redentore
Maestro le virtù domestiche d’un sacerdote2 noi passiamo questa mattina
ad un altra scuola più dolorosa al certo: pel nostro divin Redentore, ma
non meno utile per noi, qual fù il periodo di sua passione. Felice adunque
1’eclesiástico, che tenendo ben a conto quelle grandi lezioni si formerà con
quello spirito, e che si renderà così conforme a questo modello divino: sarà
egli etc.
N oi dovressimo passare ad un altra scuola molto più dolorosa al certo
pel nostro divin Redentore, ma non meno utile per noi, qual fù il peri­
odo di sua passione. N oi ivi vedressimo come l’eclesiastico ad esempio del
nostro divin Redentore, abbia a diportarsi in tutte quelle prove, e battaglie
interne, che Iddio più o meno permette a noi tutti, pene, tristezze, malin­
conie, abbattimenti, angoscie, è desolazioni di spirito. Dalla condotta, che
egli tenne nel corso di sua passione, e pei diversi Tribunali, a cui venne
trascinato ci verrebbe fatto di vedere il peso, il conto che il sacerdote debba
fare di tutti i giudizi

(2535) del m ondo, delle sue burle, motteggi, e sarcasmi. Lezioni importantis­
sime per noi, lo so, che pur troppo la paura del mondo, di quel che dirà,
di quel che farà, ci fa soventi una gran montagna nel nostro capo. Eppur
è inutile, ci manca il tempo, epperciò io vi chiamo al suo letto di morte.
Inclinato capite etc.

(2534) Beato quel Sacerdote che comincierà per tempo a formarsi su questa
gran massima, a riempirsi di questo spirito: sarà un giorno nella Vigna
del Signore come una pianta, che piantata posta vicino alle aque darà
buon frutto e copioso alla sua stagione: erit tamquam lignum quod pian­
tatura est secus decursus aquarum. quod fructum suum dabit in tempore

si regolasse altrimenti in quel modo non sa che sì faccia, non conosce la qualità della sua
missione, non ne sa lo spirito, come rimproverava già uh di il Redentore a’ suoi Appostoli:
Nescitis cujus spiritus estis? \Tx 9.551.
2 / / Cafasso qui inserisce la seguente annotazione; in caso d’un giorno di meno di spiri­
tuali esercizi

578
G io rn o S e ttim o ^ M e d i ta z io n e P r i m a S o p r a G esù n ell'orto, e n e ’ tr ib u n a li

suo3. Con tutto ciò non crediamo, Signori miei, che un sacerdote si fatto
abbia ad andar esente dalle comuni miserie, e dalle insidie del nemico, sarà
impossibile far del bene senza che l’inferno faccia strepito; anzi a misura
che un sacerdote s’impegnerà per corrispondere all’altezza ed al fine della
sua Missione, farà maggiori sforzi il dem onio per impedirlo, e le armi di
cui si serve che adopera non sono.ne sconosciute, ne da .noi lontane; si.

sovente si serve di noi stessi, le malinconie, le noje, gli abbatimenti di spi-


rito, li scorragiamenti, apprensioni, paure: ecco un arma potente e comune
in mano del demonio, con cui si fa ad assalire anche un Sacerdote di buona
volontà.

J7.II divin Redentore dopo d’averci insegnato


coi suoi esempi la via per riuscire un buon Ministro Evangelico, dopo

in mano per così dire~il filo per cavarci il mezzo e l’arma per vincere, per
superare tutte queste sì fatte insidie, ed ostacoli del nostro nemico4:

Chi è mai costui che è annojato e pieno di tedio malinconia? Egli è (2536)2
Gesù, il Figlio dell’eterno padre, la delizia, la consolazione, la gioja de’

3 II testo barrato continua-, le sue foglie non marciranno e ciò che sarà per fare, finirà
in buon successo: folium eius non defluet, et omnia quaecumque,faciet prosperabuntur
[Sai 1,3]
4 II testo prosegue con il seguente brano barrato: Nell orto de Getsemani ci insegnerà la
manieradi

regolarci nelle nostre pene, ne’ nostri combattimenti interiori; nella sua condotta poi (2536) 2
ne diversi Tribunali, per cui venne trascinato vedremo il come portarci relativamente ai
giudizi, ed alle dicerie del mondo.
A questo punto una nota sembra rimandare ad alcune righe della pagina a fronte, che
hanno la stessa numerazione, sebbene l’argomento non sia lo stesso:

Giorno di fortezza deve esser questo, come vien chiamato ne’ Santi Esercizi, perché (2535)
destinato a renderci fermi, e forti davanti a due formidabili nemici, quali siamo noi stessi,
ed il mondo, in mezzo a cui viviamo. Per caso ci fermeremo a riflettere nel nostro primo
punto: quali in sostanza furono le pene di Gesù, il modo etc.
Figuriamoci di essere in compagnia di quei discepoli che ebbero la bella sorte di
accompagnare, ed essere testimoni al cominciamento della sua. passione. Giunti al giar­
dino degli olivi il Vangelo dice, che Gesù coepit contristar!, et moestus esse Mat, 26.
[26,37] Coepit pavere et taedere Marc. [14,33] Fermiamoci su queste parole: è triste,
annojato, trema e paventa; Chi è triste?

579
E sercizi S p iritu a li a l Clero " M e d ita zio n i

Beati, la pace, la tranquillità, per la felicità per essenza, eppure è triste,


è mesto: Egli è Gesù, quel Gesù che aveva sempre un aria, una faccia,
un fare cosi amabile da attirarsi e gli occhi, ed il cuore de popoli; quel
Gesù, che consolò, ravvivò tanti infelici, e poveri afflitti, óra egli stesso
è oppresso dalla noja, dalla malinconia; e che noja, che malinconia? si
lamenta, quando si è mai sentito un lamento in vita sua; e con che termini
si lamenta? in una maniera la più viva non ostante che abbia sempre amato
di soffrire: tristis est anima mea usque ad mortem5; sono triste, sono mesto
da morirne; non può quietarsi, né fissarsi in mente: prega, si ragiona, ma
le sue preghiere, li suoi riflessi non arrivano a consolarlo, a calmarlo: va e
ritorna dai suoi discepoli, ma dopo un istante li lascia, non può trovar pace
in alcun luogo, e più si avanza più sente le pene, più sente gli interni com-
battimenti fino al punto di farlo sudar sangue, e sangue sì abbondante da
caderne per terra: et factus est sudor sangui irò ejus, sicut guttae sanguinis
decurrentis in terra m6.

(2535) Tre cose ci faremo a riflettere, 1. Quali furono le pene di Gesù. 2. Il


m odo con cui si diportò in queste pene: 3 il vantaggio che ne ebbe. Persua­
diamoci fratelli miei dell’importanza della cosa; egli è questo ella è questa
un genere di prova di cui quasi nessuno ne va esente, perciò conviene
saperci premunire e tenerci preparati sia per noi, sia per diriggere quelle
anime che ai nostri piedi, ed al nostro Tribunale vengono a chiamar con­
forto. Diciam o a questo buon Redentore che ci lasci entrare con lui in quel
giardino sito, ci consideri come suoi fidi ed intimi Ministri, e ci dica, e
palesi anche a noi come già palesò a quei primi discepoli il suo interno, il
suo cuore agitato e combattuto.
Figuriamoci col nostro pensiero di trovarci là in quel distretto a ora
tarda in un profondo silenzio col Redentore sotto gli occhi: osservatelo.
Or s’inginocchia, or si alza, or guarda, il Ciclo ora si volta ai suoi discepoli,
o r a-4oro e loro si avvicina, or si scosta di nuovo, e si allontana pallido,
languente, gemebondo, tremante; tutto parla, tutto ci dice che soffre, che
languisce, che pena: e quai furono le sue pene: si possono ridurre la prima

5M t 26,38.
6 Le 22,44. Una nota rimanda alla pagina a fronte con la seguente riga: Tre, come v’ho
detto, furono le pene étc. pag. 180.
A questo punto pare debba essere inserito, a motivo del senso logico del discorso, un brano
che troviamo sempre nella pagina a fronte. Si trascrìve nel testo. '

580
G io r n o S e ttim o " M e d i ta z io n e P r i m a ** S o p ra G esù n e ll’orto, e n e tr ib u n a li

fu una glande la pena più. grande fu mia ad una profonda malinconia,


una profonda tristezza delfanim a congiunta a noia e timore. Coepit con­
tristati, et moestus est. Math. 267. Coepit pavere, et taedere8. Egli è triste,
egli è malinconico, e mesto, e chi è mai che è triste? Chi è costui etc9.

Se vogliamo cercare le cagioni di tanto suo dolore, e malinconia ci sarà (2536) 2


facile il trovarle: la quantità dei peccati, di cui si vedeva carico, e malleva-
dorè presso l ’eterno suo padre, la vista chiara, e distinta di tuttociò che gli
doveva accadere nella sua passione, la mala corrispondenza che prevedeva
dagli uom ini10;

sapeva che ciò non avrebbe fermato gli uom ini dalla colpa, ed avrebbero (2535)
aggiunto peccati a peccati, offese ad offese;

l’inutilità per tanti de’ suoi travagli, e dolori; una quantità grande di (2536) 2
anime bruciava già a quel tempo nelllnferno, e per queste era inutile; un
altra moltitudine quasi infinita de’ cristiani medesimi con tante grazie, con
tanti ajuti si sarebbero ancor andati a perdere: patir tanto, patir per un
oggetto più doloroso che tutti i tormenti del m ondo come erano per lui
le offese fatte al suo eterno padre, patir colla vista di altre maggiori offese,
patir colla previsione: .

di patir inutilmente per molti, anzi per maggior sua condanna, erano (2537)3
altrettanti motivi più forti uno dell’altro della mortale sua angoscia, e
dolore: par possibile che il divin Redentore dopo una vita spesa tutta per la
maggior gloria deireterno suo padre dovesse poi provare un tempo di tanta
malinconia, e tristezza? Ma... anche le anime buone, e sante, anche chi
tutto si adopera pel bene dovrà passare per tali vie, dovrà essere soggetto
a queste prove? Tale è appunto la condotta ordinaria della divina provvi­
denza di tessere i giorni anche de’ suoi più cari in questo modo, ora pro­
speri ora avversi un cuore, un anima che oggi è allegra, e pare imperturba­
bile, dimani non è più quella tale, non più quella tranquillità, quella gené-

7 M t 26,37. ' ■
8 Me 14,33.
9 Abbiamo cercato di seguire, per quanto possibile, la successione delle note del Cafasso.
Tuttavia il collimare dei brani non è del tutto soddisfacente, perché le finali dei brani sem­
brano indicare come possibile un’altra ricostruzione.
10 Con una nota ùengono inserite due righe dalla pagina a fronte.

581
Esercizi S p iritu a li a l Clero ^ M e d ita z io n i

rosità, anzi pare che voglia cedere alla forzale sotto il peso degli affanni;
così, capitò al primo degli eletti, e de’ predestinati Christo Gesù: così al
più grande degli Appostoli che si protestava di aver in noja la stessa vita;
tanto era oppresso dalle pene, e delle angosce: basterebbe leggere le vite
di S. Teresa, di S. Maria Maddalena de’ Pazzi, di S. Francesco di Sales per
vedere a che dure prove il Signore le abbia riservate. Dunque non vi è a stu­
pire che così capiti anche a noi, che così accada anche ad un Sacerdote di
buona volontà. Le nostre pene non arriveranno ad affligerd, a tormentarci,
come afflissero, e tormentarono il divin Redentore, perché non saranno
sì grandi, con tutto ciò non lascieranno di esserci gravose, e pesanti, ed
insieme funeste nelle loro conseguenze, se non sapremo premunirci, e

malinconie, quei abbat imenti Molte e differenti possono essere le pene


cagioni di coteste pene, con cui il demonio potrà venire ad assalirci.
Io prescindo qui dal parlare degli scrupoli, di quell’eccessiva ed inop-
portuna paura di peccato direi quasi in ogni cosa, per cui pare che l’inferno
ci stia sempre aperto sotto i piedi per ingojarci, e non vi possa più essere
misericordia; è vero che questo è un male, un travaglio delTimaginazione e
della fantasia, ma perciò non è meno reale, e si può dire che fa languire, fa
morire tutt’ora vivendo; ma io le lascio a parte, queste pene poiché questo
non è il mio scopo, e verrò ad altre, che faranno più per noi. Alle volte
nascono queste pene dal passato pei peccati che uno avrà avuto la disgrazia
di commettere; sii spera bensì nella misericordia di Dio, ma uno non se ne
può togliere la pena l’angustia: chi sa se il Signore mi avrà perdonato. Ma...
tanti peccati, colpe di quella sorta in un pari mio fanno temere...

(2539) 4 chi sa come andrà poi per me al fine; è vero che adesso lavoro, vorrei
sapere che fare per piacere al Signore, ma chi sa se tutto questo mi potrà
salvare11. . . . . .

11 II testo prosegue con il seguente bram barrato: Altre volte uno si sente cosi svogliato,
cosi freddo, cosi secco, che non si trova più gusto alcuno, e tutto pare insopportabile; si
lavora, si andrà al Confessionale, si andranno visitate infermi, si faranno altre opere di
pietà, di carità, ma pare che siamo quasi trascinati, pare che si vadi, si parli quasi per forza,
senza né animo né,gusto: un altro avrà zelo della gloria di Dio, farà di tutto per impedire il
peccato, per salvare le anime: ma che vale, tutto.lo sgomenta, lo abbatte; pieno di.tristezza
i suoi disegni sono contradetti, le sue fatiche inutili, le sue industrie pare che valgono a
niente, i peccati s’aumentano, e che vale che lavori; sarebbe, ben meglio morire che vivere

582
G io rn o S e ttim o - Meditazione Prima ^ S o p r a ' G esù n e l l orto-, e :m "'tribu nali,

Alle volte nascono queste pene coteste angustie da quelli oggetti stessi (2538)
che dovrebbero essere il nostro sollievo stesso, e recarci pace. a
Hawene sulle proprie confessioni per tema che noti sietìo state fatte
con tutte le disposizioni; nascono dalle comunioni, dalla celebrazione del
santo Sacrificio ,a cagione del poco gusto che vi si prova, e dello scarso
frutto che sé ne cava le preghiere sono anche frequentemente oggetto di
afflizione per le molte molestie, e distrazioni che vi si sofrono; si hanno
aflizioni a cagione delle forti e continue tentazioni: il timore poi della
morte, de’ Giudizi di Dio, di una eternità sgraziata è per certe anime una
sorgente inesausta di pene tanto più terrìbili quanto gli oggetti ne sono più
essenziali. Vi sono poi altre pene segrete, le quali non si possono svelare
a nessuno, non si trova ne modo né mezzo di farle intendere, certi vuoti,
certi intervalli di tempo, certi lagni del cuore. Dio solo né può essere il
testimonio, ed il depositario. S’aggiunga a tutto questo per noi Sacerdoti
specialmente rinutilità ed il poco frutto delle nostre fatiche, e dei nostri
sudori; noi sappiamo di certi santi, di S. Nicola, di S. Gaetano che sono
morti, o bramavano di morire per non poter impedire le tante offese che si
facevano al Signore; i nostri disegni sono contradetti; le fatiche inutili, le
nostre industrie pare che valgano a niente, i peccati si .aumentano: queste
sono pene da Apostolo, e proprie di noi Ministri del Signore; pene cosi
pungenti e dolorose che alle volte fanno venir a tedio la vita. Una pena ne
chiama un altra, ed è poi l’incertezza che Dio sià contento di noi, e delle

tezza se Dio sia contento di noi; chi sa se abbia scielto lo stato, in cui Dio
mi voleva, chi sa se le mie occupazioni saranno secondo la Sua volontà,
chi sa se mi voglia in questo luogo, per questa carriera, che non lavori poi
ancora al vento.

Oltre a tutte le (2539)4


accennate occorre ancora ben soventi, e che possiamo dire altra sorta di
pene che riguardano l’avvenire. Chi sa che cosa diverrò io? chi sa che par-
rito prenderò, se verrò buono a qualche cosa: i Superiori sono prevenuti
contro di.me, io ho poco talento, non ho risorse, non ho speranze; ho poca
sanità, sarà ben poco quello che potrò fare, i miei giorni saranno vuoti,

così: perivit animae suae ut moreretur, -come si legge di Giona profeta; melius est -mihi
mori quam vivere. 4.8. I l testo continua con un brano nella pagina, a fronte, a cui rimanda
una nota.

583
E sercizi S p iritu a li a l Clero " M e d ita z io n i

mi toccherà morire senza aver fatto niente, senza aver che cosa portare con
me; e così andiamo dicendo di tante altre pene, che non sto a nominare;
molti di noi forse già sapranno per esperienza quanto abbattanole quanto
scorragiscano queste pene coteste inquietudini; uno si trova alle volte col
cuore così svogliato, così vuoto che vi pare più niente capace a sollevarci,
ed uno preferirebbe la morte stessa alla vita, come si legge di Giona pro­
feta: petivit etc: Uopo è adunque armarci contro questa sorta di battaglie,
resta necessario saper come sortirne1';

(2538) primieramente ci ajuterà moltissimo a vincere in coteste battaglie: il rite­


nere una grande verità, che in pratica si stenta un pò1a capire, ma che però
è innegabile, ed è che lo stato di desolazione di un anima, ben lontano
di essere un argomento di diffidenza e di timore, che anzi è l'omaggio, il
uno stato di sacrificio più accetto a Dio, più gradito, più prezioso e più
meritorio per noi perché in se contiene un esercizio eroico di virtù, ed il
grado più perfetto d’ani or di Dio di carità.

(2540) e vi pare poca cosa quando un anima è costretta a vivere tra oscure
tenebre, tra penose aridità, in mezzo a desolazioni continue.. Tentazioni,
fantasie alle volte orribili. Internamente non prova che Affanni, amarezze
e paure d’ogni sorta. E ciò non ostante sotto una tempesta così terribile,
tra un martirio così desolante non volerla rompere con Dio, che anzi pro­
testare di volersi attenere sempre più strettamente a lui, rassegnarsi al suo

12 II testo continua con il seguente brano cancellato: E non abbiamo Buon per noi che
abbiamo lin buòn Maestro, che ci indicherà la strada, e ci darà la mano: che fece il divin
Redentore quando si senti assalito, oppresso da quella tristezza, e malinconia; lasciò il
resto dei suoi discepoli all’entrar dell’ortó, ne prese seco tre de’ più confidenti, con essi'"'"
s’innoltrò più a dentro, e cominciò con essi a dar un po’ di sfogo alla sua tristezza con quel
compassionevole lamento: tristis est anima mea: non è già male, Signori miei, nemmen
osta ad una perfetta rassegnazione l’aver in tali occasioni una qualche

(2541) 5 anima, una qualche persona a cui confidar le nostre pene, i nostri timori; ma oggi
sono triste, sonò malinconico, mi trovo senza ciiore, abbattuto, ho la tal pena, ho la tal
altra; ditemi un po’ una parola, pregatè per me; no non sono da riprovarsi tali lamenti,
tali sfoghi lo fece il divin Redentore; non è questo un cercar la nostra consolazione dagli
uomini, ma cercar Dio dagli stessi uomini. Però osserviamo: questa è stata una cosa di un
momento nel divin Redentore; appena si può dire fatto il lamento, lascia perfino quei tre
suoi fidi, e solo si va a gettare ai piedi di suo padre, che solo il può sollevare.
Una nota rimanda alia pagina a fronte.

584
G io r n o S e ttim o M e d i ta z io n e P r im a * S o p r a G esù n e l l ’orto, e n e ’ t r ib u n a li

divin beneplacito, esser disposta a soffrire e più e peggio ancora, quando


tale sia pure la sua volontà; e dove una virtù maggiore, maggior annega-
zione di se stesso, un distacco più compito dalle creature, ed una carità più
intensa, e più pura verso Iddio? Via adunque quella prevenzione che un
anima desolata abbia a temere, ed inquietarsi quasi non piaccia Iddio non
sia contento di lei, e quasi la rigetti. Che anzi un anima in questo stato
si specchi in questo divin esemplare, che ci ha voluto per nostro coraggio
precedere in ogni passo, e tenga dietro alle sue pedate; e primieramente
devii per niente dal suo tenor di vita, faccia il solito come se provasse
le maggiori delizie e consolazioni, come il divin Redentore che non ha
cercato di ritirarsi dall’orto, e rifuggire la sua passione. 2~ attenda con
pazienza e rassegnazione il m omento della calma, e della quiete, che o più
presto o più tardi non potrà a meno che arrivare. Coteste battaglie ven­
gono paragonate da tutti i direttori di Spirito a quelle tempeste di terra,
o di mare che non possono durare, e che a misura che infuriano lasciano
poi anche a proporzione il più bel sereno; e frattanto.dar di mano a quel­
l’arma, a quel gran mezzo, a cui s’è appigliato il divin Redentore, qual è la
preghiera. Padre etc.

padre, si fa a dire, se è possibile allontanate da me questo calice: con (2541)5


tutto ciò si faccia sempre la vostra volontà e non la mia. Che bel senti­
mento, degno del figlio di D io, come da imitarsi da chi vuol essere nel
numero dei figli del Signore, e che di più bello, e che mai più di divino
aver tanto di rassegnazione a sof quanto si prova di ripugnanza a soffrire;
se Gesù Christo avesse provato meno di ripugnanza a sottomettersi, noi
avressimo detto di non poterlo imitare, ma appunto volle patire in modo
che tutti potessero seguirlo, ed imitare i suoi esempi: Christus passus est
prò nobis, vobis relinquens exemplum ut sequamini vestigia eius ci dice
l’Appostolo S. Pietro. 1.413. Epperciò ecco con questo come, e con chi
abbiamo da sfogar il nostro dolore, cercare di mitigare le nostre pene: gli
uomini sono buoni, ma non sempre; il divin padre poteva consolare il suo
figlio per mezzo degli Appóstoli, con cui si lamentava, ma non volle perché
voleva esser pregato lui stesso; capiterà anche a noi d’aver il cuore oppresso
da non veder più ombra di consolazione; chi altre volte ci ajutava, ci con-
fortava, ora le sue parole non pajono più quelle: tutto per noi è tenebre,
tutto è tristezza; che far adunque? Oh! Signori miei, Iddio ci chiama, ci

131 P t 2,21.

585
E sercizi S p iritu a li a l Clero * M e d ita z io n i

vuole da lui stesso questa volta, vuol trattare tu per tu per noi, ci vuol
vedere a gemere, a sospirare ài suoi piedi; fa come fa un padre, una madre
che volendo vicino a sé il figlio ricusa, ogni supplica, rigetta ogni mezzano
che voglia interporsi, fa sempre il sordo, perché vuol il figlio, lo vuol
vedere; vuol sentire la sua voce, vuol sentire dalla sua bocca i suoi bisogni;
non è il caso di perdersi d’animo, nò, ma col cuore pieno di speranza
uguale al dolor che ci opprime, avanti un al crocefisso, avanti a Gesù Sacra­
mentato, padre, sciamare, padre liberatemi se voi lo giudicate conveniente;
se non mi foste padre vi direi assolutamente di liberarmi, ma perché so che
nii siete padre, perché so che mi amate, perché so che volete il mio meglio,
io mi rimetto nelle vostre mani: oh! la bella preghiera, oh! la forza che per
vincere un padre, per mitigare un cuore. Questa è la strada per sortire dalle
nostre pene: pregare, ma pregare con quel rispetto,

(2543) 6 con quell’umiltà con cui pregava il divin Redentore la inginocchiato,


disteso per terra: pregare ripetutamente, ma pregare con quel fervore, con
quella fede, con quella fiducia che mostrò il Redentore: Pater mL^ono le
prime parole che ha detto, sapeva che pregava un padre, e tanto le bastava:
cosi è di noi: è un padre quello a cui ricorriamo, è un padre quello che
così ci afflige, faccia pur quello che vuole, è sempre padre: saeviat quantum
vult, pater est. S. Agostino14. . . ,
Che n’ebbe poi il divin Redentore dal suo ricorso al padre? ebbe tutto,
anzi ebbe più di quello che dimandava; l’eterno suo padre gli mandò un
Angelo a confortarlo: apparuit ei Angelus confortans eum15: a liberarlo
dalla morte? Nò a scemargli i tormenti? nò; dovrà soffrire, e morire; ma
sofrirà, e morirà da pari suo, cioè a dire con coraggio, con animo tran­
quillo, e grande senza che più la malinconia l’acerbità de’ suoi dolori, e
l’ignominia de’ suoi ludibrii l’abbia potuto smuovere, od inquietare, fù
miracolo maggiore del padre, fù grazia più grande pel figlio l’avergli data
virtù tale da soffrire, e morire da eroe, che se l’avesse liberato dalla stessa
morte; non pose più indugio, niente più lo potè trattenere allorché ricevè
lo stesso questo divino conforto: ne il tempo della notte, che mette natu­
ralmente orrore, ne la sonnolenza de’ suoi Apostoli, ne lo strepito de’
soldati, che si andavano avvicinando: surgite. eamus16: e dove? invece di
nascondersi, almeno aspettar di essere assalito, nò va loro incontro; e con

14 S. A g o s t i n o , Enarrai, in PsaL, PL 37, c. 1332.


15 Le 22,43.
16M t 26,46.

586
G io r n o Settim o, ^ M e d i ta z io n e P r i m a - S o p ra G esù n e l l ’o rto, e n e ’ tr ib u n a li

tutta la tranquillità d’una persona che abbia niente a temere, dice loro:
quem quaeritis'7. Gran miracolo fu questo io ripeto della preghiera ope­
rato non per bisogno del divin Redentore ma per unica nostra instruzione,
ed esempio. Fortunato tra noi chi se ne saprà valere in questi nei tempi
di prova, di abbatimento, e di angustia: anche un Angelo stiam certi sarà
mandato tosto o tardi anche a noi; e mi spiego: una voce secreta al cuore,
una luce improvvisa, un riflesso nuovo, oppure che prima non ci pareva
tale un cangiamento repentino verrà a dar qualche calma alle nostre agita­
zioni, ed alle volte un Angelo visibile in persona di qualche confidente,
amico, o direttore verrà a fare con noi il caritatevole ufficio di confortatore;
ed allora o che svaniranno le nostre pene, o che ma non è~questo ci sen­
tiremo una nuova forza da superarle, e da poter dire anche a noi stessi,
al nostro cuore oppresso, al nostro spirito abbattuto: surgite. eamus: orsù
che facciamo? andiamo avanti. Tal è la volontà del mio Dio: io mi rimetto
nelle sue mani, sarà di me quello che vorrà; unito di volontà al mìo Dio,
appoggiato alla sua forza temo più né pericoli, né morte; per me tutto è
eguale, purché si adempia la divina sua volontà. ■•■■■■

l a i s o n o i s e n t im e n t i, ta le la fo r z a , ta li le r is o lu z io n i d i u n a n im a c h e (2 5 4 5 )7
nelle sue pene si slancia totalmente, ed a cuor aperto in Dio. Proccuriamo

L’altra pena interna, che ebbe provare il. divin Redentore (2542)

l’altro scoglio per un Sacerdote, si è l’apprensione, la paura de’ giudizi, (2 5 4 5 )7


e delle dicerie del mondo19.

Chi ha gran paura del mondo, diceva S. Ignazio, farà mai gran cosa per (2544)
Dio, poiché è impossibile far gran cosa per Dio, che il mondo non faccia
strepito grande.
Per far profitto alla scuola di questo divin Redentore bisogna divenire
come quel Giovane, di cui si parla nelle Vite de’ padri. Fatto d’un soldato
al letto di morte, ,e suoi detti al Compagno.

17 G v 18,4.
IB U na nota rim a n d a alla p a g in a precedente.
19 U na nota rim a n d a alla p a g in a a fron te.

587
Esercizi S p iritu a li a l Clero ^ M e d ita z io n i

(2545) Quanti Sacerdoti farebbero di più, o farebbero diversamente se non


fosse per questo riguardo del mondo: se non fossi conosciuto, se si potesse
far in secreto, se fossi in tutt’altro luogo, se non si trovassero tante lingue
satiriche* farei, andrebbe bene, sarebbe il caso di far così, lo conosco, lo
vedo anche io, ma pure non so come fare, non so determinarmi cfav-sa che
penseranno, chi sa quante cose si dirà, chi penserà in un modo, chi ■in un
altro, gli uni la prenderanno a bene, altri si burleranno, rideranno di me:
diranno che è ipocrisia, che ho le mie mire, che non è tutto virtù, che sono
divozioni indiscrete, che voglio far il singolare; andiam dicendo di mille
altre dicerie, e chi vuol enumerarle tutte? io comincio a chiamare e che
cosa è poi questo mondo, che ci mette in tanta paura, che relazione vi ha
aneor da essere tra noi, ed il mondo? Vorrei che ritenessimo queste tre cose:
prima che noi formiamo una parte totalmente separata dal mondo: vos
de hoc mundo non estis; ego elegi vos de mundo20: siamo dunque stati
separati, strappati, sicché non possiamo più fare una cosa sola, altra cosa
è il mondo, ed altro siamo noi. 2. che il mondo è il nostro persecutore, e
nemico: mementote sermonis mei. quem ego dixi vobis. così disse ai suoi
Appostoli il divin Redentore alla vigilia della sua passione, mementote non
est servus major Domino suo: si me persecuti sunt, et vos persequentur21.
3 finalmente che le persecuzioni, le dicerie del mondo sono per noi una
prova, un segnale, una testimonianza che non siamo suoi, che a lui più non
apparteniamo22

(2544) Si de mundo fuissetis, mundus quod suum erat diligeret: quia vero de
mundo non estis, propterea odit vos mundus. Ioan 13.19:

(2545) 7 q u i a d e m u n d o n o n e s t i s , . . . p r o p t e r e a o d i t v o s m u n d o s 23

(2544) Ma non temete, che io ho già vinto, io ho già atterrato questo formida­
bile nemico: confidite. ego vici mundum24.

20 Gv 1 5 ,1 9 .
21 Gv 1 5 ,2 0 . ^ '
22 Una nota rimanda alla pagina a fronte.
23 Gv 15 ,1 9 . La citazione continua con il testo barrato: p a te r sa n c te , serva eos, p a rla
d e ’su o i d isc ep o li, serva eos q u o s d e d isri m ih i,., m u n d o s eos o d io h a b u it q u ia n o n s u n t de
m u n d o , s ic u t e t ego n o n s u m d e m u n d o . Qui una nota rimanda alla pagina a fronte con
una frase da inserire nel testo. ,
14 Gv 1 6 ,3 3 .

588
G io r n o S e ttim o M e d i ta z io n e P r i m a " S o p r a G esù n elP orto, e n e ’ tr i b u n a ti

Adesso io chiamo: se un Sacerdote che sia ben persuaso di queste verità (2545) 7
abbia da prendersi pena qualche pena per le dicerie del mondo, oppure se
non abbia piuttosto da desiderare, da gloriarsi di questo gran vanto che il
mondo gli fa colle sue ciarle, colle sue dicerie che non è più suo, che è un
uomo separato, che è un Ministro, ed un Ministro

degno del suo Signore, mentre lo onora delle stesse sue divise25. (2547) 8

Nunc incipio Christi esse discipulus. Chempis26. (2546)

Ma perché non avessimo a sbagliarla nella guerra che dobbiamo fare (2547) 8
a questo nostro nemico, il divin Redentore ce ne ha indicata la manièra
co’ suoi esempi; un modo tutto nuovo è quello che ci ha lasciato, e tutto
diverso da quello che il'mondo stesso ci potrebbe suggerire. Andiamo
dunque a vedere che giudizio abbia fatto il mondo del Salvatore, e che péso
abbia dato il Salvatore a questo giudizio al mondo27,

a l g iu d iz i o c h e fe c e d i lu i, a lle s u e c ia r le , a’ s u o i m o t t e g g i , s a r c a s m i, e d (2546)
a1 s u o i d is p r e z z i.

Tre sono i Tribunali che hanno pronunziato sovra il divin Redentore. (2547) 8
Il Tribunal Religioso, che era il Sinedrio, il Tribunale civile e politico nella
persona di Pilato, e finalmente la Corte, in cui regnava Erode; tre luoghi i
più distinti, i più dignitosi, che vi sieno nella società, in cùi vi doveva essere
il fiore degli uomini, le teste più dotte, più saggie, più rette, e più impar­
ziali; pare che il divin Redentore avrebbe dovuto aspettarsi in questi luoghi
tutta la giustizia, e la sua difesa; eppur la cosa andò ben diversamente; io
dico in poche parole l’affare, perché tutti lo sappiamo: àlla notizia della
cattura di Gesù, si radunano que capi a gran seduta, ognuno avrà dato
l’aria di prender a cuore la cosa, di esaminarla ben bene, ciascuno avrà
spiegato il suo sentimento come si avesse a prendere, a trattare l’affare; frat­
tanto arriva Gesù, si viene airinterrogatorio sulla sua dottrina, sopra i suoi
discepoli, sulla sua persona: si cercano testimoni, si sentono, si rifiutano Ì
primi per far vedere che non si vuol precipitare, si vuoi render giustizia;

25 Una nata rimanda alla pagina a fronte.


26 L’espressione è di S. I g n a z i o d i A n t i o c h i a , Lettera ai Romani, 5.
27 Una nota rimanda alla pagina a fronte.

589
Esercìzi S p iritu a li a l Clero ^ M e d ita z io n i

finalmente si viene a sentenza: e che sentenza? Blasphaemavit. quid vobis


videtur? respondentes dixerunt: reus est mortis28: ecco la sentenza a pieni
voti: un bestemmiatore, ed un bestemmiatore tale da non essere più degno
di vivere: e chi? il figlio di Dio, il Santo de Santi, la stessa Santità.
Si conduce da Pilato: Pilato vuol mostrarsi disappassionato, rifiuta le
instanze, lo interroga lui stesso, sospende il suo giudizio, e lo manda ad
Erode. Quel Re curioso di veder un uomo così rinomato, di poterlo inter­
rogare a suo bel agio, di scuoprir de’ misteri, resta burlato, e non potendo
aver risposta, pronunzia, e che? che è un pazzo: detto dà lui, detto da tutti;
non basta: bisogna farlo conoscere per tale: sprevit illum Herodes cum
exercitu suo: et illusit indutum veste alba. Lue. 2329. Ecco il secondo Giu­
dizio: pronunciata per pazzia la stessa sapienza: ego Sapientia. Ma questo
non lo ripara dal fulmine del mondo.
Finalmente Pilato pose il colmo all’iniquità, all’ingiustizia con giu­
dicarlo degno di dar un publico esempio, e condannarlo alla morte: si
potranno dare Signori miei, giudizi più falsi, più

<2549) 9 , stravaganti che questi;, vi sarà ancor da stupire che il mondo s’inganni
anche sovra di noi, veda nero dove è bianco, interpreti a male le nostre
intenzioni, giudichi indiscrezione quello che è zelo, pazia quello che è
virtù? Vediamo dal idivin Redentore il peso che dobbiamo dare a simili
giudizi. ,
Che difesa oppose il divin Redentore a sì nere calunnie, ed a così false
imputazioni? che fece? che disse? niente; non nemmeno una parola:, rrem:
nemmeno un segno tratto di disapprovazione, non un segnale del, più pic­
colo risentimento, niente; si grida, si proclama che è un bestemmiatore, e
degno di morte, ma come non si dicesse di lui, sente sì, ma non si muove,
non si turba, non e tace; si dice che è un pazzo, e per. come tale si mette
in burla, in canzone, ma il divin Redentore è sempre lo stesso va e viene
dove lo conducono, s’indossa quelle, vesti che vogliono, sieno pur di ludi­
brio, niente importa, facciano e dicano quello che:più loro piace, non si
può strappar una parola da quella bocca. Si sente finalmente come un
infame, come un sollevatore, un seduttore condannato a morte, riva nem­
meno questo lo potè smuovere, ne si oppose, ne si difese, e tacque30,

28 M t 26,66.
29 Le 23,11.
30 Una nota rimanda alla pagina a fronte.

590
G io rn o S e ttim o " M e d ita z io n e P r im a " S o p r a G esù n e l l ’orto, e n e ’ tr i b u n a li

■ Sprezzo e silenzio: ecco il vero Sacerdote, la più giusta, e sonora ven- (2548)
detta, il vero trionfo del mondo, la vera prova che si conosce il mondo,
qual è valutarlo per niente.

Condotta ammirabile fu questa, e fin allora ancora sconosciuta al (2549)9


mondo, condotta che apre per noi Ministri del Santuario una scuola d'ini'
portanti lezioni: e prima di tutto da quello che capitò al divin Redentore
cominciare ad. imparare, a conoscere la falsità, e la leggierezza di questo
mondo; nessuno certamente vi fu mai che avesse una stimai una riputa­
zione più grande* più universale che il divin Redentore; prima per la .sua
sapienza che rendeva stupefatti, e mutoli li stessi dottori della legge, per
la sua innocenza che era tale da potere sfidare chiunque, ed i suoi nemici
a rimproverarlo del menomo peccato, e poi per la sua conosciuta pene-
trazione da lèggere perfino, ne5 cuori, ma principalmente per la sua gran
potenza, talmente faceva dire alle turbe nell’impeto della lor meraviglia:
e chi è costui, a cui i venti e perfino il mare gli presta ubbidienza? e poi la
stima che godeva si conosce assai chiaro dall’entrata solenne che fece
pochi dì prima in Gerusalemme; pareva impossibile che potesse perdere
questo concetto, questa riputazione dopo tante opere e meraviglie; eppur
la perde, e la perde in poche ore si può dire, la perde in una maniera la ;più
seducente, la perde intieramente: condannato d’accordo da tutti i Tribu­
nali, condannato a voce di popolo, condannato da’ suoi stessi discepoli, da
uno tradito, da un altro rinegato, da tutti abbandonato, fra tutta Gerusa­
lemme non si trova più uno che prenda le sue parti; e chi non avrà creduto
dopo tutto ciò che fòsse: proprio un impostore, un furbo, un scellerato? lo
dice la stessa Scrittura Santa:

et cum sceleratis reputatus est Isai. 5331. O Signori .miei, che cosa è (2551) io
mai questo mondò? come è mai bizarro, e volubile nelle sue idee, ne’ suoi
capricci? oh quanto s’ingannano, e come la sbagliano chi va appresso, chi
cerca, chi calcola sulla larva della stima degli uomini; è come un vento che
oggi soffia da una parte dimani sarà da un altra, si può dire che vi è niente
di più falso, ed incostante; l’esperienza del divin Redentore che è poi quella
di tutti, i tempi, e di tutti i luoghi ce lo fa toccar con mano, ma le lezioni
che ci da il Salvatore in questa materia sono principalmente queste due:
primo di non lasciarsi apprendere, di non mettersi in paura del mondo di

31 Is 53,12.

591
E sercizi S p iritu a li a l Clero > M e d ita z io n i

quello che penserà o dirà di noi; non ostante che Gesù conoscesse tutta
la prevenzione e la malizia de’ suoi Giudici, con tutto ciò che prevedesse
tutto quello che si sarebbe pensato e detto di lei non diede mai a cono­
scere il menomo senso di paura, e di agitazione: secondariamente si dica,
si pensi, si ciarli come si vuole di noi non farne caso, .dissimulare, e tacere;
questa è la vera maniera di mostrarci padroni di nói stessi, e grandi, e
superiori al mondo, questa è una prova che conosciamo il mondo, e lo
sappiamo spendere per quello che vale. Questo mondo è un pazzo, diceva
S. Filippo, e prima di lui si trova scritto nelle Sacre Carte: prudentia
huius mundi stultitia est apud Dcu.ni32: dunque va calcolato, va trattato
da pazzo; ed il far diversamente, inquietarsi, affannarsi per li suoi rumori,
pèr le sue ciarle è fargli un onore, che è dargli una stima che non si merita;
saressimo più pazzi noi che il mondo istesso: dica il mondo quello che
vuole, non sono altro che parole ripeteva S. Filippo, e parole di un pazzo
riteniamo ancor questo33.

(2550) E che sono, diceva S. Francesco di Sales, tutte le maldicenze, le dice­


rie, le ciarle degli uomini un po’ di strepito nel.]'ari a; e voi avete l’orecchio
cosi delicato da temere cotesto piccolo strepito suono che passa in un
momento? Il mondo con tutto il suo strepito, con tutte le sue lodi e con
tutti i sui motteggi, dice S. Gregorio Nazianzeno, non ci rènde ne migliori,
ne peggiori: Nec laudatores, nec vituperatores nos immutabunt; nec enim
meliores. nec peiores efficiunt.

(2551) io Ma alle volte si può dire: se taccio, se dissimulo, il mio onore ne sta di
mezzo mi crederanno colpevole nel vedermi che mi do per vinto; la gloria
di Dio, il bene delle anime ne soffriranno; io comincio a dire quando fosse
vero chiamare qual sia il vero onore del prete, se si abbia a calcolare come
lo calcola il mondo, oppure secondò il Vangelo, che è di perdonare, passar
sopra ai disgusti, ai dispiaceri che cì possono esser fatti; tanto più poi se
guardiamo lo spirito del nostro stato, che deve esser tutto dolcezza e carità;
mi crederanno colpevole, adàggio Signori miei la gente si suol dire che
conosce il suo mondò, le persone un po’ spassionate, e dabbene, che sono
quelle che dobbiamo calcolare, non crede così facilmente alle ciarle; e poi

331 C or 3,19-
33 U na nota rim an da alla p a g in a a fronte.

592
G io r n o S e ttim o ~ M e d i ta z io n e P r im a ~ S o p r a G esù n e l l ’orto, e n e ’ tr ib u n a li

persuadiamoci che d’ordinario il silenzio, la tranquillità, la moderazione in


questi simili casi, è la miglior difesa del mondo, perché la gente ragiona, e
dice: questo non si può fare senza un grande sforzo, è senza virtù, dunque
di una persona che abbia tanto di virtù per far questo sacrificio non è pro­
babile, non è da credere quello che si dice. L’onor di Dio, il bene delle
anime ne soffre: sia pur vero; ma chi ne avrà da render conto, noi, oppure
chi ne è la causa? se noi avessimo

avuto da dar consiglio, o il nostro giudizio sulla condotta tenuta dal Sai- (2552) li
vatore avressimo detto che l’onor suo, la gloria del suo padre, il bene delle
anime avrebbe voluto che si difendesse, che non avesse lasciato formare un
idea così sinistra, così sfavorevole di se; ma i giudizi di Dio sono ben diversi
dai nostri; tardò a prendere la sua difesa, ma riuscì poi tanto più gloriosa,
e luminosa, e lo sarà ancor più nel giorno dell'universale Giudizio; così in
simili incontri lasciamo che faccia anche Dio per noi. Un ambasciatore che
venga offeso nella sua qualità pensa nemmeno a difendersi da se, rimette
la causa nella mani del suo Sovrano, perché sa che sta a cuore più a lui il
suo onore, e che in un modo o in un altro avrà una riparazione da pari suo;
è noi che siamo Ministri, ambasciatori, Legati di Dio in terra penseremo
che il Signore ci voglia abbandonare alla discrezione de’ sttoi nostri nemici
senza curarsi né di noi, né dell’onore delle sue divise; no, Signori miei,
questo non è; ricordiamoci che chi sé la prende con noi se la prende con
Dio: qui vos spernit me spernit34: la causa è più di Dio che nostra, sicché
il nostro dovere, il rispetto, l’interesse nostro tutto vuole che a lui la rimet­
tiamo: Signore voi leggete nel mio cuore sapete la mia innocenza, cono­
scete le mie intenzioni, io rimetto il tutto come causa vostra nelle vostre
mani: quella persecuzione, quelle ciarle, quella calunnia, quegli ostacoli:
disponete voi per il meglio della vostra gloria; che se volete che il vostro
onore oggi la vinca, ne sarà tutta vostra la gloria; che se mi volete umiliato,
avvilito, superato, che se vi piace che io compaja per tale, che io muoja
con quella macchia, io lascio a voi la piena mia difesa. Così fecero i Santi
ad esempio del Redentore, e così fece tra gii altri S. Francesco di Sales,
che calunniato caricato della più infame calunnia non volle mai decidersi a
prendere le sue difese: durò la sua calunnia per tre anni, ne scapitava mol­
tissimo la sua fama, ovunque si sparlava di lui, gli si facevano mille instanze

34 i c 10,16.

593
E sercizi S p iritu a li a l Clero t M e d ita zio n i

d i s c o p r ir e la fa ls ità ; lo fa c e s s e p e r o n o r d i D i o , p e l b e n e d e 1 s u o i p o p o li.
C o n t u t t o c iò n o n v o lle m a i a r r e n d e r s i, e r ip e t e v a s e m p r e : i o s o n o i n n o ­
c e n te , il S ig n o r e s a la m ia in n o c e n z a , io r a s s e g n ò la c o s a n e lle s u e m a n i,
q u a n d o la s u a g lo r ia lo v o g l ia s a p r à p r e n d e r e le m i e d if e s e , E n o n s’i n g a n n ò
p o ic h é I d d io la p r e s e in u n m o d o c o s i s o le n n e , c h e s e r v ì d i e s e m p io , e fu
p e r il S a n t o d i m a s s im a g lo r ia ; n o n s o lo r ia c q u is t ò la f a m a p e r d u t a , m a si
v e n n e c o n q u e s t o a c o n o s c e r e q t t a l l ’ e r o i c a s u a v i r t ù , e m i r a b i l e s a n t i t à 35.

(2553) E q u a n t e v o lt e q u e s to , m o n d o m e d e s im o C o n fu s o e v in t o d a lla v ir t ù d e l
S a c e r d o te v ie n c o s tr e tto a c o n fe s s a r e la s u a c o lp a , e r e n d e r e o m a g g io a q u e l
c a r a tte r e , c h e in g iu s ta m e n te e g li’a v e v a s p r e z z a to , E s e m p io d e l m o r ib o n d o
c h e p r e s e p e r m a n o la v e s te d e l p r e te e tc . e n o n p e n s a v a c h e e s s a e r a q u e lla
c h e d o v e v a s e r v ir e d i s o s te g n o n e l p u n t o p iù te r r ib ile .
S a r e b b e s t a t o il S a c e r d o t e il s o l o , i l v e r o , e l ’ u l t i m o a m i c o a c o t e s t o l e t t o
d i m o rte .

(2552) 11 C o s ì I d d io c o m p e n s a c h i a lu i c o n f id a , c h i r im e tte a lu i le p r o p r ie
r a g io n i.
C o n c h iu d ia m o a d u n q u e c o lla m a s s im a d i S . F ilip p o , c h e è d i d is p r e z ­
z a r e il m o n d o , e d is p r e z z a r e d i e ss e r e d a lu i d is p r e iz a ti: s p e r n e r e m u n d u m .
s p e r n e r e s e s p e r n i fa c c ia , d ic a * p e n s i q u e llo c h e v u o le il m o n d o d i n o i:
s p e r n e r e s e s p e r n i : p e r s u a s i e f e r m i c h e il n o s t r o v e r o o n o r e , l a n o s t r a v e r a
s t i m a n o n . è q u e l l a [ c h e ] s t a s u lla , b o c c a d e g l i u o m i n i , m a q u e l l a c h e c i f a
c a r i e; s a n t i . a v a n t i , ■

(2553) . D i o , e. c h e q u e s t o D i o s t e s s o v i g i l e r à a l l a n o s t r a d i f e s a , s e n o n a l t r o i n
q u e l g r a n g io r n o d e ll’u n iv e r s a le G i u d i z i o a llo r c h é v in d i c h e r à l ’o n o r v i l i ­
p e s o d e l s u o fig lio s te s s o , c o m e c a u s a c o m u n e v in d ic h e r à a n c o r q u e llo d e ’
s u o i M in is tr i, d e l n o s tr o s ta ta c a r a tte r e , e d e lle n o s tr e p e r s o n e . E q u e l c h e
è p iù il S a c e r d o te c h e p e r c o le s te s o ffe r te p e r s e c u z io n i v e s s a z io n i e m o le s tie
p o r t a n d o c o n s e p o r t a v a in f r o n t e il c o n t r a s s e g n o , il d i s t i n t i v o , il m a r c h io
d i q u e s to p r im o e c a p o d e ’ S a c e r d o ti e p a s to r i, q u a n d o a p p u n to e g li a p p a ­
r ir à n e lla s u a g lo r i a e m a e s t à c o t e s t o p r i n c i p e e c a p o d i t u t t i i -s a c e r d o ti
a v r à s e c o lu i la m e r ita ta im m a r c e s ib ile c o r o n a : C u m a p p a r u e r it p r in c e p s
p a s t o r u m , r ic o r d a te v e n e , o fr a te lli, è u n a p p o s to lo c h e c e lo d ic e e d a b b ia te

35 U na nota rim an da alla p a g in a seguente.

594
Giorno Settimo ~ Meditazione Prima " Sopra Gesù nell’orto, e ne’ tribunali

pazienza, soffrite, sperate, che verrà presto, cum apparuerit... percipietis


immarcescibilem gloriae coronam. S. Pietro, l 36.
Die 20 febbruarii 1844
Laus Deo, B.V.M. et S. Alphonso.

36 1 P t 5,4. Alla fine del testo restano tre righe contrassegnate dalla nota numero 1, di
difficile collocazione; si trascrivono qui: Presentemente diceva, già S. Francesco di Sales ai
suoi tempi, pare che una conversazione non sia gradita se non si parla con disprezzo de’
Sacerdoti, e non si mette in campo qualche loro difetto. Ricordatevi di.

595
Meditazione Terza (2108 )

Sopra la Passione di Gesù

Paziente mio Signore, io qui vi credo qui presente, e mi prostro a’ vostri (2109) Io
piedi per meditare quanto voi avete avuto a soffrire per me, e per impa­
rare que’ grandi, que’ divini ammaestramenti, che così luminosamente mi
deste nel corso della vostra vita, ma principalmente nel periodo della vostra
passione. Fate o Signore che alla considerazione de’ vostri patimenti, e. for­
tezza io conósca, e detesti sempre più il peccato, e mi armi di quella virtù,
e fermezza, che hanno á sostenere un Eclesiástico su questa terra. Vergine
Santa, ed addottorata, voi che tanto certamente soffriste in que’ angosciósi
giorni pregate per me. Angelo nostro Custode etc.
L’Eclesiastico benché alieno, e staccato dal mondo, quantunque come
abbiam veduto, debba per ragione del suo stato fuggirlo, quanto può, ed
amare il nascondimento, il ritiro, la solitudine, tuttavia come uomo pub­
blico destinato al comun bene e vantaggio più d’una volta, anzi ben soventi
dovrà trattare, e trovarsi in contatto col prossimo, col mondo. Non può
negarsi che cotésta mìschia con ogni sorta di gente sia pel Sacerdote una
grande strétta, una gran prova, ed anche di grande pericolo quando Egli
non sia fornito di soda virtù, e non usi le debite riserve, e cautele; epperciò
io penso sia per essere utile per noi dopo d’aver considerato la condotta,
che tenne il divin Redentore col Padre, il modo di vivere che scielse per se
medesimo, esaminare in quest’oggi tra noi, e riandare la manieira, con cui
si sia diportato nel mondo. Già l’argomento, il campo è troppo vasto pér
poterlo esaurire, e ci deve essere ben rincrescevole non poter tener dietro
a tutti i passi, che Egli ha dato per noi; ma quello che non c’è possibile in
questi giorni, spero che lo compieremo alle case nostre. La condotta adun-

* (fald. 4 6 / fase. 138; nell’originale 2108-2122)

597
Esercizi Spirituali al Clero ■- Meditazioni

que tenuta dal nostro Redentore col mondo può ridursi a questi tre capi: 1.
Cercò di beneficarlo in tutte le maniere, che le furòtio possibili senza ecce­
zione di favori, di grazie, di persone. 2. lo trattò sempre co’ modi più dolci,
più caritatevoli, e più pazienti. 3 Calcolò per niènte, disprezzi, non fece
caso alcuno del modo indegno, con cui questo mondo ingrato, e sleale
pur troppo ebbe a corrisponderlo. Ed anche qua, fratelli miei, quante
lezioni, quanti esempi in questi .tre punti, per noi Eclesiastici, che mi
resta impossibile potervi esporre. Io lascio i suoi benefizi che sono senza
numero, ommetto benché a malincuore quella dolcezza, quella carità,
quella pazienza che seppe mostrare, usare, con tutti

(2 110)2 indistintamente peccatori, maligni, nemici, persecutori1;


Io m’appiglio adunque perciò all’ultimo capo, che v’ho accennato per
vedere;,- per considerare e considereremo queste due cose: I o. il modo, il
come si sia diportato questo mondo col divin Redentore: 2 il caso, che fece
il divin Redentore di questa condotta ingrata e sleale del mondo. Quando
l’Eclesiastico si faccia ad imitare questo divin Maestro in cotesto punto,
e sia ripieno del Suo Spirito, sarà facile che lo segua anche nel rimanente
della condotta, che Égli tenne con questo mondo col prossimo. Ogni
giorno per non dire ogni ora, ogni momento noi possiamo trovarci in urto,
in opposizione col mondo, epperciò resta di somma necessità ed impor-
tanza star attenti a questa scuola, che sarà per farci il divin Redentore, onde
sapersene all’uopo servirci, ed ajutarci. Cominciamo2.

1Segue un testo di. dieci righe cancellate, che trascrìviamo qui: dirò solo che ogni Eclesiá­
stico quando voglia essere una. copia conforme a questo divin Redentore, e. corrispondere
al fine cui è destinato, deve essere un uomo nato per dir così per far del bene, alie anime
per primo, a’ corpi, ad ogni sorta di. malanni, e quando non lo possa altrimenti colla com­
passione, colle parole', e colle preghiere; deve èssere un uomo che non conosce'nemici,
rivali, persecutori, maligni, e se ne ha come non mancheranno certamente, trattarli come
se non lo fossero; deve essere in fine un uomo che ne’ suoi tratti, nelle sue .parole, ,ne’
suoi modi non sa che cosa sia asprezza, malgarbo, durezza, i

2 Segue un lungo testo cancellato:

(2111) p. li ■ Addollorato mio Signore, io mi prostro in quest’oggi a’ vostri piedi per meditare
quanto voi soffriste per me, e per imparare que’ divini, que’ grandi ammaestramenti, che
lasciaste p e r me così luminosamente mi deste tra dolori delia vostra passione. Ah! mio
Dio, fate che alla vista de’ vostri patimenti, e fortezza io conosca sempre il peccato, e nello
stesso tempo mi armi di quella virtù, e fermezza che hanno a sostenere un Eclesiástico

598
Meditazione Tèrza ^ Sopra la Passione dì Gesù

Non occorre spendere gran tempo, né usare molte parole per conoscere
il mondo modo, con cui si diportò il mondo col divin Redentore in tutta
la sua vita, ma principalmente nel corso della sua passione, perché tutti
la sappiamo, e non poteva essere peggiore; basii il dire che gli si avventò
contro con tal. furia e disperazione, che può dirsi non gli lasciò intatto bene
alcuno, e se si fermò è perché non potè andar più oltre, e non trovò più
materia di fargli maggior danno, e vendetta. Lo privò della sua libertà,
gli fece perdere la sua riputazione, lo cuopri de’ più neri oltraggi, del suo
corpo voi lo sapete, ne fece una sola piaga, lo privò perfino in mezzo a

su questa terra. Vergine santa, ed addollorata, voi che tanto certamente soffriste in que’
amari giorni, ricordatevi di me. Angelo Custode, Angeli e Saliti tutti etc.
Abbiamo imparato l’ultirha volta dal nostro divin Redentore le virtù domestiche d’un
buon Sacerdote, ossia la maniera, con cui abbia a condursi,, e formarsi, nella propria casa il
Sacerdote: amore cioè al Ritiro, ed. alla solitudine, amore a!, lavoro ed occupazione, arnore
e stima alle pratiche di pietà, e di Religione. Ora dalla Casa di Nazaret ci tocca passare
ad un'altra scuola molto più dolorosa pel nostro divin Redentore, rtià non meno utile
ed importante per noi, qual fu il periodo di sua passione. Felice l’Edésiastico. che terrà a
conto sì grandi lezioni, e cercherà di rendersi più.che le sarà possibile conforme a questo
divin Modello, diverrà come una pianta che posta vicino alle aque darà- buon frutto, e
copioso alla sua stagione: Erit tanquam lignum. quod piantatura est secus decursus aqua-
rum. quod fructum suum dabit in tempore suo \Sal 1.31. ;
Con tutto ciò non diamoci a credete che un Sacerdote si fatto abbia ad andar esente
dalie comuni insidie del nostro nemicò; che anzi a misura che un Sacerdote's’impegnerà
per corrispondere all’altezza, ed al finé della sua Missione farà maggiori sforzi il demonio
per impedirlo; le armi che: adoprerà saranno né sconosciute, né lontane da-noi; ,si servirà
di noi medesimi, si servirà del mondo in mezzo, a cui viviamo. Le malinconie, le tristezze,
gli scoraggiamenti, le noie: ecco una grand’arma e comune, e potente

con cui soventi il demonio si fa ad assalire un Sacerdote di buona, volontà; la paura (2112) 2
poi, l’apprensione del mondo non è un ostacolo men possente e.forse più forte ancora per
far del bene, ad un povero .Sacerdote che voglia lavorare neila vigna del Signore. 11.divin
Redentore volle farci da maestro sia nell’uno che nell’altro dì questi punti, e cimenti.
Nelle sue pene dell’orto ci mostrò come debba diportarsi un Eclesiástico nelle interne
sue angustie, ed inquietudini; nel corso poi di sua passione come abbia egli a regolarsi,
e cavarsela con questo mondo. Siccome ci manca il tempo a trattenérci sopra àmbidue
i: capi, lascieremo il primo che credo meno importante attesoché in cotesti incontri pos­
siamo giovarci moltissimo, e resta più acconcio rimetterci all’opera, c carità del nostro
Confessore, od altri che ci voglia usare cotesta carità. Noi dunque ci appiglieremo al
secondo capo, e vedremo I o. Come si sia diportato il mondo col divin Redentore: 2 II
caso che fece il divin Redentore di questa condotta del mondo. Dal primo punto impare­
remo che cosa sia il mondo, dall’altro poi la vera, e sola maniera di combatterlo, vincerlo,
e superarlo. E senza più cominciamo.

599
Esercizi Spirituali al Clero ~ Meditazioni

tanti martori del conforto d’un amico, o parente che lo potesse avvicinare
per paura le desse il minimo sollievo. Scorriamo brevemente cotesto genere
di condotta la più ingiusta, la più ingrata, la più perfida, che mai si possa
imaginare, e che non parebbe possibile quando pur troppo non fosse acca-
duta. ■'

(2113)3 Lo fece prima di tutto catturare. Se cè un azione che abbassi, che


umili, e che senta la persona ella è certamente questa, di cui parliamo: si
sono trovati personaggi, che in circostanze tali hanno chiesto per grazia la
morte piuttosto che andar soggetti ad ignominia tale. Almeno fosse stato
usato qualche riguardo al divin Redentore, come si suole anche nel mondo
quando si tratti di persone in qualche modo distinte; ma nò; che anzi può
dirsi che si cercarono tutte le maniere per renderla più notoria, ed obbro­
briosa: si mandò gran gente e soldatesca con apparato di scorte, e di lumi,
si fece comparire in publico in quello stato, non contenti quasi temessero
la còsa non si manifestasse abbastanza lò fecero tradurre or quà, or là per la
città di pieno giorno, in mezzo a gran popolo, e tra la più vile plebaglia. Da
tuttocìò possiamo anche argomentare il modo violento, e barbaro, con cui
l’avranno legato, le funi, di cui l’avran caricato sia per tormentarlo, come
per assicurarsene sempre più.
Riguardo alle ingiurie ed oltraggi sia in detti, come in fatti gliene fecero
quante può dirsi se ne possono fare ad un uomo: parole le più virólente, e
mordaci, improperi, beffe, sarcasmi, motteggi, insulti in sostanza ed ingiu­
rie d’ogni genere. Pugni, calci, schiaffi, sputi e urti, percosse e quanto si
può fare tra ribaldi: delle sue carni non occorre che ne parliamo, perché
voi sapete che ne fecero un macello orrendo: sicché ebbe a dire il profeta
che a pianta pedis usque ad verticem capitis non est in eo sanitas3 una sola
piaga e tale da torgli perfino la figura d’uomo... vidimus eum. et non erat
aspectus etc4. Fra tanti dolori, ed ignominie certamente che la presenza, la
parola d’un conoscente, d’un amico le sarebbe stato di gran giovamento,
e conforto, ognuno di noi può averlo provato in certe angustie, e disgusti;
sarebbe pur piccola cosa eppur al divin Redentore non fu concesso: via la
Madre, per primo, povera Madre quante cose avrebbe detto avrebbe fatto
in difesa, se non altro ad allegerimento, e sostegno di quel figlio benedetto,

3h 1,6.
4 h 53,2.

600
Meditazione. Terza - Sopra la Passione di Gesù

ma via ripeto, e se le vien concesso per un istante non fh che per aumen­
tarne il crepacuore e dolore.

Via, olà i suoi discepoli, con denaro, con minaccie li corrupero, li {2114)4
intimorirono sicché tutti l’abbandonarono, e tra tanti, che certamente si
saranno trovati tanto più in quell’occasione in Gerusalemme, che avranno
ricevuto da lui chi sa quali, e quante grazie, e favori, eppur. neppur uno
che n’abbi pietà, ed alzi una paròla di difesa, oppure li dimostri almeno
un senso di compassione fuori di quelle poche donne che ¡’incontrarono
fuori di città sicché Egli stesso ebbe a dolersene amaramente. Amici mei et
proximi mei de longe steterunt... sustinui... qui consolaretur et non inveni.
psal 37-68\
Quello però che fa conoscere più da vicino, e più chiaramente che cosa
sia il mondo sono i giudizi, e le sentenze che si pronunziarono pronunziò

duta la sua. fama., e riputazione poiché finché noi parliamo delle ingiurie,
oltraggi, ed altri simili maltrattamenti fatti al divin Redentore, benché bar­
bari oltre modo, e crudeli, tuttavia potrebbe ancor aspettarsi effetto solo
di qualcuno più feroce tra i soldati, o di qualche ribaldo tra la feccia del
popolo, che mai non manca, senza che si possa attribuire alla>massa degli
altri; ma non cosi de’ giudizi e delle sentenze, che emanarono. Tre sono i
luoghi, che hanno pronunziato sopra il divin Redentore. Il Tribunal Reli­
gioso, detto il sinedrio, de’ Sacerdoti, e pontefici. Il Tribunale civile, e poli­
tico nella persona di Pilato, e finalmente la Corte, in cui regnava Erode.
Tre luoghi i più distinti, i più dignitosi che vi sieno nella società, ne’ quali
d’ordinario vi si trova, e siede il fiore degli uomini, le teste più dotte,
più saggie, più rette, più imparziali, sembra che almeno da questi avrebbe
dovuto essere riconosciuta la sua innocenza, la sua santità, e l’uomo che
era. Che ne pensarono adunque: andiamo a vedere. E siccome tutti la sap­
piamo basteranno poche parole. Alla notizia della cattura di Gesù si radu­
nano tosto tutti que Capi e Sacerdoti, poiché si trattava della causa di mas­
sima importanza secondo loro, e come infatti lo era sotto altro rapporto.
Arrivato lo interrogano, si cercano testimoni, che mancano mai per qua­
lunque ribalderia: se rie rifiuta

Sai 37,12 e 68,21.

601
Esercizi Spirituali al Clero Meditazioni

(2115)5 qualcuno per dar a conoscere che si va sul sicuro. L’esito qual fu di
questo primo sindacato dopo tanti esami, interrogazioni, lo sappiamo:
Blasphemavit. Reus est mortis6. Ecco la sentenza, a pieni voti, nessun
eccettuato tra tanti personaggi radunati a Consiglio: giudicato Bestemia-
tore il Figlio di Dio, che era il Santo per essenza.
Di qui si manda a Pilato: Costui le fa qualche dimanda, sente le accuse,
e poi sospende il suo giudizio, lo rimette ad Erode. Quivi ognun di noi
può facilmente immaginarsi la scena, che sarà stata per Gesù quella gitta,
quella comparsa, la sua ignominia, e confusione tra tanto popolo, ed in
mezzo alla licenza di quella Corte. Siccome interrogato più volte non volle
risponderei si pronunzia essere un pazzo, e nessuno più ne dubita, anzi
bisogna che tutti lo sappiano, epperciò si veste con quella divisa, ed in
mezzo alle beffe si da ordine si cacci via. Secondo Giudizio: pronunziato e
qualificato per pazzo il più sapiente fra: tutti, anzi la Sapienza medesima.
Finalmente Pilato pose il colmo, all’iniquità, ed all’ingiustizia con con­
dannarlo come malfattore alla morte. Ecco in poche parole delineata la
condotta che tenne il mondo, col nostro divin Redentore; e qui prima
d’andar avanti a vedere il caso, che il Signore riabbia fatto osserviamo
come il mondo sfar ingrato, crudele, ed per nostra instruzione, ed a nostra
norma alcuni punti, che credo ben degni di considerazione; e la prima cosa
sia questa Come il mondo sia ingrato, crudele, ed incostante. I Benefizi,
ed i favori, che avevano ricevuto dal divin Redentore erano senza numero,
poteva forse qualcuno ignorare sino ad un certo punto che Egli fosse Dio,
ma nessuno tutti certamente sapevano che Egli era quel desso, da cui ave­
vano avuto tante sorta di ajuti, e di grazie, pare che la gratitudine sola
avrebbe dovuto infrenarli se non altro a temperare il loro furore: ma nò
come fosse stato un uomo mai veduto, mai conosciuto non si usò né pietà,
né riguardo. La leggierezza poi, l’incostanza, la volubilità del mondo non
potè essere più manifesta.

(2116)6 Nessuno certamente vi fu mai che avesse una stima, una riputazione più
grande, più universale che il divin Redentore, sia per la sua sapienza, che
rendeva stupefatti, e mutoli li stessi dottori della legge, per la sua condotta,
ed innocenza, che era tale da poter sfidar chiunque de’ suoi nemici a farle il
minimo rimprovero, per la sua conosciuta penetrazione da leggere perfino
ne’ cuori, ma principalmente per la sua potenza sovrumana, talmente ché

s M t 26,65-66.

602
Meditazione Terza - Sopra la Passione di Gesù

le turbe attonite, e come fuori di se andavano esclamando: e chi è costui,


a cui venti, e perfiri: il mare obbedisce, e sacchetta. Ed in prova di tanta
sua stima, e concettò noi sappiamo l’ingresso trionfale, che fece in Geru­
salemme pochi giorni avanti,: Città in allora così popolata, e'numerosa;
Pareva impossibile che potesse perdere cotesto concetto, e cotesta.(riputa­
zione dòpo tante opere, e maraviglie: eppure la perde, e la perde in poche
ore si può dire, la perde in una maniera la più seducente, la perde intiera­
mente: Condannato d’accordo da tutti i Tribunali, condannato a voce di
popolo, condannato dagli stessi suoi discepoli, da uno tradito, da un altro
rinnegato, da tutti abbandonato, fra tutta Gerusalemme non si trova più
un solo personaggio, che apra la bocca per lui; e chi non avrà creduto dopo
tutto questo che Egli fosse proprio un furbo, un impostore, Un scellerato,
e lo dice la stessa Sacra Scrittura et cum sceleratis reputatus est. Isai. 537- O
fratelli miei che gran punto di disinganno deve esser questo pel Sacerdote
per non andar dietro, per non lasciarci adescare dalle lodi, e dagli applausi
del mondo: coteste lodi, cotesti elogi oltreché sono un bel niente poiché
non ci fanno migliori di quello che siamo, state certi che saranno di poca
durata, sono come il vènto che oggi spira per una parte, domani soffierà
in un altra; e non calcolate sui benefizi fatti, sopra i meriti vostri, sopra
la rettitudine de’ vostri sentimenti, sopraTincolpabilità de’ vostri costumi,
ricordatevi che il mondo è un ingiusto, un ingrato, uno sleale, che non ha
alcun senso di pietà, e di compassione, càngia presto, cangia per niente, e
senza,saperne quasi il perché voi vi vedrete fatto segno di odio, di maledi­
zione dinanzi a que’ medesimi che jeri quasi

a dir così, quasi vi si inginocchiavano davanti. A me non capiterà certo (2117) 7


così, può dire qualcuno, io sono conosciuto abbastanza, io so con chi ho
da fare, non sono gente così dappoco, e così leggieri da lasciarsi muovere
come canne. Eh questo poi nò: per gli altri non saprei, mà per me ne sono
certo, ed in ciò posso vivere sicuro. Ah! fratelli miei, oltre l’esperienza di
tanti secoli, che è una gran maestra, ci toglie d’inganno quand’anche voles­
simo lusingarci. Io dirò solo prendete la vita, e la storia di quanti buoni
operarii, di uomini Apostolici, che vissero al mondo, e trovatemene un
solo, che sia andato esente da dardi, e dalle lingue del mondo: erano pur
personaggi eminenti, la loro virtù era manifesta, e notoria, una gran parte
di essi sono perfino giunti alla venerazione sugli Altari, ma tuttociò non li

7Is 53, 12.

603
E sercizi S p iritu a li a l Clero ^ M e d ita z io n i

ha salvati dagli artigli del mondo, e maldicenze, e calunnie, imprecazioni,


e beffe, e minaccie, e sarcasmi, tutti indistintamente hanno dovuto provare
in se medesimi quanto sia maligno, quanto sia ingiusto, ingrato, volubile,
e sleale cotesto mondo, tra cui viviamo, e forse più d’uno tra noi ha già
avuto prova di quanto stiamo considerando: e poi ce l’ha detto chiaro il
nostro divin Redentore di star preparati che alla nostravolta non ci sarebbe
mancato: Mementone sermonis mei. ricordateveile bene, e non fare poi
le meraviglie, ,e che? non est discipulus super Magistrum: si me persecuti
sunt, et vos persequentur8 sicché è inutile cercar di farne meno sicché de’
due è meglio aspettarcela, e prepararci per saperlo affrontare, sostenere e
combattere come conviensi, lo che impareremo dalla condotta che con­
trappose il divin Redentore a quella del mondo.
Chi ha gran paura del mondo, farà mai gran bene, soleva dire S Ignazio,
poiché sarà impossibile fare qualche cosa per Dio senza che il mondo faccia
strepito grande. Sì è un grande scoglio, è un grande ostacolo soventi pel
Sacerdote l’apprensione, la paura de giudizi,, e delle dicerie del mondo.
Quanti Sacerdoti farebbero di più o farebbero

(2118) 8 diversamente se non fosse per questo riguardo del mondo. Ma..; se non
fossi in quel luogo, se fossi attorniato da altre persone, se le potessi far
in secreto, se non fossi addocchiato da tanti, saprei io che cosa farei lo so
che andrebbe bene, sarebbe una cosa ben fatta etc ma... chi sa che cosa
diranno, chi quanti eh? quanti giudizi, ognuno sono certo dirà la sua etc.
e lasciate che la dicano, perché per parlare non ci vuole né talento, né
scienza, né virtù, né altra rara prerogativa, ma basta aver l’uso della lingua.
Ogni Eclesiástico dovrebbe divenire come quel Giovane, di cui si narra
nelle storie de’ padri antichi. Costui erasi presentato al Superiore d’uno di
quei Monasteri etc.
Sarebbe desiderabile dico, che ad ogni Sacerdote venisse a cotesto punto
di mostrarsi indifferente, ed insensibile a quel modo qualunque, che il
mondo lo volesse trattare sia che per qualche tempo cercasse di blandirlo
colle sue lodi, ed applausi, come quando lo assale, secondo il suo solito con
persecuzioni, beffe, e sarcasmi; e per riuscirvi, ed arrivar a tanto, ponde­
riamo per un po’ che caso abbia fatto il divin Redentore della condotta,
che il mondo ha tenuto con lui nella sua passione tuttoché si indegna,
perfida ed ingrata, e come Egli si sia diportato. È detto in poco: fuori di

8 G v 15,20.

604
M editazione Terza " Sopra la Passione di Gesù

poche parole, che non potè risparmiare per l’onore, e la gloria di suo Padre,
del resto: silenzio: fu questa tutta la sua difesa co’ soldati, col popolo, co’
Giudici; fu questa la risposta alle calunnie, alle imprecazioni, alle beffe, a
sarcasmi, e molto più alle percosse, e maltrattamenti; come se non sentisse,
non soffrisse, anzi come se non si fosse trattato di Lui non si risentì, non
cercò di scolparsi, come insensibile, imperturbabile non diede il minimo
segno, e non fece il menomo motto. Egli è questo un modo di combat­
tere tutto nuovo, eppure il solo da vincere questo mondo. Questa è la con­
dotta che ha da copiare il vero Sacerdote da questo divin Modello in simili
incontri: strepiti finché vuole il mondo contro di noi, parli, dica, inventi,
falsifichi, minacci, tutto come

le pare, e piace, e noi quieti, freddi, insensibili, degnarlo né d’uno (2119) 9


sguardo né d’una parola, come non si parlasse, non si trattasse di noi.
Questo silenzio confonde il mondo, edifica i buoni, onorifica, ed esalta
noi medesimi. Se vè una vendetta lecita, e sonora a farsi de’ maligni è
questa, far loro conoscere cioè col fatto che niente c’importa del loro agire:
guardate, se è bella, e se non fa venir la bile, diceva un tale che còri altri
stava insultando un.prete, che appunto sapeva vendicarsi in questo modo,
guardate ride ancora mentre noi io trattiamo in questa maniera, e questo li
rodeva, li arrabbiava. Può dirsi che questa tranquillità, e silenzio rimanda,
e pianta nel loro petto quella spada medesima, che volevano infliggere a
noi, poiché il mondo nel vessarci incende il nostro maggior male, ed il
meno il nostro affanno, e coruccio, che se le riesce di vederci corruciati,
ha raggiunto il suo fine, ride, se ne gloria, e se (ne) vanta; se no vedendosi
deluso, e burlato si eorruccia invece egli e s’arrabbia in vece nostra, e ne
facesse almen profitto. Voi sapete che tra gli uomini vè niente che più
umili una persona, e la trafigga che vedersi sprezzata al punto da non
meritarsi uno sguardo, od una risposta, e si sente anche soventi a dire, a
ripetere, comunque sia, qualunque il mio torto, la mia importunità, ma
almeno la soddisfazione d’una parola me la meriti, ma quel niente non si
può inghiottire: così dite pure nel caso nostro del mondo.
Questo silenzio confonde adunque il mondo, edifica i buoni, e chi
volete che non comprenda cotesto atto di virtù del Sacerdote mentre tutti
sanno che cosa costi a tacere in simili circostanze: ella è una predica che
tutti la devono intèndere per necessità, e nessuno vi può rispondere, ed
abbattere, e quando si mettesse in pratica, può dirsi che basterebbe questo
solo a far cangiare la faccia di questa terra, poiché sappiamo che la maggior
parte de’ guai, che vi sono nelle famiglie, ne’ paesi, nella società per lo più
proviene dal non saper soffrire, ne tacere.

605
Esercizi S p iritu a li a l Clero ^ M e d ita zio n i

Esalta infine, e si converte in altrettanto onore di chi lo pratica cotesto


silenzio. Noi sappiamo che anche presso i pagani era avuto in maggior
conto colui che sapeva vincere se stesso, che espugnar anche le città più
forti: fortior est qui seipsum quam qui castra vicit.

(2 1 2 1 ) 1 0 Sicché dal sin qui detto sian queste le due risoluzioni a prendersi ad
esempio del nostro divin Redentore. 1°. Mai lasciarci apprendere, e domi­
nare da una paura eccessiva del mondo, salvo ciò che la prudenza può sug­
gerire, epperciò né tralasciare, né deviare dal nostro modo d’agire, p dal
far qualche bene per lui: lo sapeva bene il divin Redentore come l’avreb­
bero preso a male il suo operato, ma non variò per questo. L’altra lezione
è che il mondo strepiti finché vuole, non far caso di tutto il suo rumore,
dicerie, ciarle, burle, calunnie e quanto altro sa usare di maligno contro
un vero Sacerdote, e fuori di qualche caso ben raro eccezionale, star quieti,
e rispondere col silenzio, e ribattere ogni sorta di assalto: così ha .fatto il
nostro gran Maestro, e Modello il divin Redentore, così fecero quanti altri
buoni operari evangelici, che vennero in seguito, tra quali potrei citarvi il
solo S Francesco di Salcs eie. ■
Ma io non posso, può dire qualcuno, è inutile bisogna, che mi difenda.
Che non si possa è inutile- dirlo tra noi preti, poiché lo sappiamo tutti
che si può, vuol dire piuttosto, che costa. Eh! cari se non lo fa il Sacer­
dote, chi l’ha da fare, come oseremo raccomandarlo agli altri se non lo fac­
ciamo noi, e avremo paura che il Signore non tenga conto della violenza,
che ci facciamo, e che Iddio non voglia pagarcela abbondantemente. Ma...
sono calunnie, sono tutte falsità. Mancomale suppongo che siano calun­
nie, altrimenti guai, se il mondo parlasse con ragione, e poi non sapete la
pratica del mondo, che quando si ha torto si grida più forte, epperciò col
vostro rumore invece di scolparvi, che anzi ne aumentate il sospetto. Ma...
me ne dicono troppe, e voglio che la finiscano una volta. Sono troppe,
certo che non sorpasseranno quelle fatte, e dette al divin Redentore: volete
che la finiscano. Ah! cari miei, vi sbagliate di molto; per finirla bisogne­
rebbe che il mondo cessasse d’esser mondo, altrimenti è inutile, e colle
nostre difese non facciamo che attizzar il fuoco, e darle materia di far di
più, e peggio di quello che ha fatto. Mai più, diceva un Sacerdote che aveva
fatto incombenti per difendersi come diceva lui, mai più mettermi un altra
volta in questa briga, e ritenete che era innocente, ed appunto, perché ce
l’avevano fatto grossa non ha voluto perdonarla.

606
M editazione Terza ~ Sopra la Passione d i Gesù

Mi facciano quel che vogliono, mi tagliassero anche a brano le carni (2122)11


mi-metterò mai più in simili impegni, perché aveva toccato con mano che
cosa guadagni un Sacerdòte con quei mezzi di difesa,.. Ma... dice allóra
mi crederanno colpevole, non è vero, che anzi quella virtù che mostriamo
nel tacere servirà a far svanire quel sospetto, che fosse nato: eppure io so
che certuni credono. Lo sarà, ma pensate voi che lo credano di cuore, c
ne siano persuasi, nò; e poi quando fossero anche tali, noi non li disin­
ganniamo con tutte le nostre difese. Ma... il bene delle anime, la gloria di
Dio, il decoro del sacerdozio ne scapita: sarà, purtroppo lo concedo., ma
chi n’avrà da render conto a Dio, vi pensi chi tocca, e certamente Iddio
ne vorrà un conto ben severo; ma noi frattanto rimettiamo nelle mani
sue ogni cosa: facciamo come farebbe un Ambasciatore, che offeso, oltrag­
giato nella sua persona, o nelle sue funzioni, pensa nemmen a difendersi,
a vendicarsi da se, ma non fa che rimettere il tutto nelle mani di chi l’ha
mandato: noi facciamo sulla terra le veci di Dio, siamo Ministri, legati, ed
Ambasciatori suoi; se qualcuno, se il mondo ci assale, ci offende, Signore,
diciamo, voi vedete, voi lo sapete, la causa è più vostra che mia, io la metto
a’ vostri piedi, la ripongo nel vostro cuore, disponete come meglio richiede
non già l’interesse della mia persona, ma l’onore, e la gloria vostra. Nolite
tangere christos meos9: è già minaccia antica, e confermata dall’esperienza
di tanti secoli: qui vos spernit, me spernit: qui tangit vos, tanget pupillam
oculi mei10 che volete dicesse di più chiaro il Signore, e di più forte a
nostro prò: e quante volte questo mondo medesimo confuso, e vinto dalla
virtù del Sacerdote, che sa soffrire, e tacere, o lacerato dal rimorso d’averlo
oltraggiato è costretto a confessare la propria colpa, e rendere omaggi
a quel Carattere, che così ingiustamente ha vilipeso. Esempio del mori­
bondo etc.
Sicché conchiudiamo colla massima di S. Filippo, qual’è di sprezzare il
mondo, e disprezzare d’essere da lui disprezzato: Spernere mundum, sper-
nere se sperni. Persuasi che il nostro vero onore, la nostra vera stima non è
già quella che sta sulla lingua degli uomini, ma quella bensì che ci fa cari, e
santi avanti Dio, e che questo Dio medesimo vigilerà alla nostra difesa, se
non altro in quel gran giorno deU’universale giudizio allorché vendicherà

35^/ 104,15.
10 Le 10,16; Z ac 2,S.

607
Esercizi S p iritu a li a l Clero ^ M e d ita zio n i

(2120) l’onor vilipeso del suo Figlio medesimo, come causa sola, e comune
vendicherà ancor quello de’ suoi Ministri, del nostro Carattere, e delle
nostre persone, e quel che è più, il Sacerdote che per le sofferte villanie,
e molestie porterà in fronte il contrassegno, il distintivo, il marchio del
premio, Capo di tutti i Sacerdoti, e pastori, quando appunto Egli appa­
rirà nella sua gloria, e Maestà, avrà seco lui la meritata immarcescibile
corona: Ouum apparuerit princeps pastorum, ricordatevene o fratelli, e
fate: animo, soffrite e sperate che verrà presto quel dì, cum apparuerit...
percipietis immarcescibilem gloriae coronam11. Così sia.

11 1 P t 5,4.

608
Morte di Gesù (2123)

Meditazione decimaquarta

Preghiera (2124) p. 1"

M oribondo m io Signore, io m i prostro davanti alla vostra Croce, ed abbra-


ciato a vostri piedi io voglio istudiare in quest’oggi, io vogli . imparare
quella morte, che io stesso ho cagionato. Ah! mio D io quante lezioni io
veggo su quella Croce per me; fate che io le intenda, e mi determini una
volta a praticarle. Vergine dolorosissima, Voi che assistete a que’ angosciosi
momenti, assistete in quest’oggi ancor me, vostro figlio. Angelo nostro
Custode, etc.
Inclinato Capite tradidit Spiritum1: così terminò, cotesto fu il fine del
primo Sacerdote, Christo Gesù. Fin ora abbiamo studiata la vita di questo
gran capo, e modello di tutti gli Eclesiastici, ora ci tocca studiarne il fine,
e la morte. Questo uomo di Dio, qual’è il Sacerdote, questo uomo sin­
golare deve morire come ogni altro, ed in questi giorni abbiamo veduto
le differenti maniere, con cui se ne vanno, e m uojono i Sacerdoti nostri
compagni, e fratelli. Ciascun di noi al pari d’ogni altro si va avvicinando
al proprio fine, e forse più presto di quello che ci pensiamo terminerà la
nostra giornata. Sicché resta di somma importanza meditare ben da vicino
gli ultimi m omenti di questo divin Redentore, onde investirci, e quasi
incarnarci con quel suo ultimo Spirito, e terminare così con questo spec­
chio alla mano la nostra mortale carriera. Se vi è tempo, in cui parole
abbiano forza, e valore, egli è certamente quando si dicono dal letto di
morte; forse avremo veduto più volte noi stessi per ragione del nostro
Ministero la commozione, e lo scoppio, che eccita in quel punto un

* (fald. 4 6 ìfase. 142; nellorìginale 2123-2136)


1 Gv 19,30.

609
E sercizi S p iritu a li a l Clero ■- M e d ita z io n i

ricordo, una massima, una parola anche detta a metà. Un padre, una
Madre forse avrà parlato invano per tanti anni alle orecchie, ed al cuore
d’un figlio, d’una figlia, ma se parla dal letto di morte, per certo non
sarà cosi. Quel cuore, che pareva impenetrabile, si rompe, e da in gemiti,
e sospiri, e quegli occhi, che pareva non sapessero piangere, metteranno
lacrime ben amare. Si sarà negato a lungo un favore, il perdono d’una
offesa ma chiesto in quel punto, è impossibile si neghi. M olto più accade,
quando la persona, di cui si tratta, avesse verso di noi, o portasse con se
qualità si eminenti, e toccanti, che ce la rendesse oltre modo cara, e vene­
randa. Se cosi è, come altrimenti non può essere, io v’invito in quest’oggi
ad appressarvi col vostro pensiero ad un letto di morte per sentire le più
importanti lezioni, e per essere testimoni d’una agonia, e d’una morte la
più desolante, si ma insieme la più edificante del mondo. Il letto di morte
egli è cotesta Croce;

(2125) 2 chi parla, chi agonizza, chi muore, ricordatevi, Egli è il nostro Maestro,
il nostro capo il divin Redentore. Predicò per tre anni, e sulla croce può
dirsi che compendiò la sua scuola, e voglio dire la sua dottrina, ed il suo
Vangelo, e di là con un linguaggio muto, e quieto, ma forte, e sonante
assieme lo sta continuamente insegnando.
La sua morte fu tale, qual era stata la sua vita, la pratica, ed una scuola
di tutte le virtù. Già è impossibile d’un colpo, ed in una volta svolgere
questa morte, che fece tremare la terra, ed inorridire il Cielo: noi ci ferme­
remo perciò a que’ punti soltanto, che più saranno toccanti per noi; per
primo vedremo alcuni tra principali esempi che, Ei ci diè nel suo morire
e sulla Croce. Secondo. Noteremo quegli i suoi estremi sentimenti, che
come altrettante disposizioni, ed ultime sue volontà ci lasciò da quel letto
di morte. Figuratevi una famiglia d’attorno ad un padre che muore. Che
cordoglio, che angoscia, che pianto: Si guardano, si fissano, eppur è inutile
ella è finita, deve morire. Il Cielo s’oscura, si scuote la terra un quadro di

sttt Con
un ultimo addio si dividono sulla terra per riunirsi
un di in Cielo e separarsi mai più. Tali pur sieno i sentimenti nostri nel-
l’assistere a cotesta morte.
Due sono fra tutti i luminosi esempi, e le importanti lezioni che io vedo
in questa Morte: 1° una pazienza, una sofferenza la più ammirabile, ed
eroica. 2 una conformità, e rassegnazione alla volontà dell’eterno suo Padre
la più perfetta, e compita. La vita del Redentore, è vero, fu un esercizio
continuo di sofferenza, e mansuetudine; ma se vi fù un tempo in cui sia

610
M orte d i Gesù

stata maggiórmente a cimento cotesta virtù, e che in conseguenza abbi


spiccato più eminentemente, fìi certo sulla Croce, sia che noi ponderiamo
la natura degli oltraggi, e degli insulti, che gli vennero fatti, sia che ne
osserviamo gli aggiunti, e le circostanze, in cui furono commessi. Io non
mi fermo a rapportarvi la serie di tutte quelle bestemmie, ed enormità che
si dissero, e si fecero £ pie’ della Croce: osserviamo solo di passagio come
esse lo ferivano in ciò, che aveva di più geloso, qual’era la sua Missione, e
la sua divinità; coteste contumelie gli si gettavano in faccia colla più sver­
gognata baldanza, e vedendo che Egli taceva, insolentivano ancor più, lo
aizzavano, lo sfidavano. Ognun di noi può facilmente capire, quanto costi
sapersi frenare in questi incontri, tanto più quando la persona per sbrigar­
sene non ha bisogno, che il volerlo. Riteniamo ancora le circostanze del
luogo, e del tempo. Là dinnanzi ad una gran turba che stavano mirando
che cosa era capace di fare, e che credendolo inetto, incapace a difendersi,
avranno certamente aggiunto le loro risa, ed i loro sarcasmi; in che tempo?
era l’ultima volta, e dopo d’aver già sofferto sì a lungo, ed

in tanti modi, pare che una prova sul finire il bene almeno della sua (2126) 3
Missione, il vantaggio stesso di que scellerati lo volesse, eppurnò: osser­
viamo ancor di più, che tutti questi oltraggi gli venivano fatti in un tempo,
in un momento in cui per la veemenza de dolori, per la vicinanza della
morte, per la vista angosciosissima d’una Madre spasimante, gli doveva
rendere come insopportabile ogni m enomo insulto. Con tutto ciò sa fre­
narsi, soffrire, e tacere, nemmen un tratto, uno sguardo, un segnale d’im­
pazienza, di bile, di risentimento, che anzi li scusa, e prega: Pater ignosce
illis. quia nesciunt quid faciunt2. Eh! che scuola, oh che punto egli è
questo, per un Sacerdote, quando voglia rendersi una copia conforme
a cotesto originale. L'nbbiarn già detto che l’uomo Apostolico dietro gli
esempi medesimi di questo divin Redentore deve essere un uomo tutto
di dolcezza, di mansuetudine, di carità, ma non sarà inutile il ripeterlo in
questo luogo. Qui è dove spicca, e si rileva lo Spirito del nostro stato, qui
è dove sta la differenza tra l’uomo di mondo, e l’uomo di Chiesa: datemi
due Sacerdoti, ambidue si posseggono il medesimo Carattere, ma l’uno sia
allevato alla scuola di questo divin Redentore, l’altro ripieno invece dello
Spirito del mondo, fate che ambidue vengano offesi, contradetti, e puniti,
voi vedrete la gran differenza che vi passa tra un discepolo di questo Dio,

2 l e 23,34.

611
Esercìzi S p iritu a li a l Clero " M e d ita z io n i

ed il seguace del mondo: uno si risente, grida, schiamazza, riempie le orec­


chie, e le case di lagnanze e pretese; l’altro invece si ritira, ed a pie’ di
questa Croce tace, soffre, e prega: non si cessa dal vessarlo, si censura, si
critica, si calunnia, non credete già che n’esca in campo con declamazioni,
e difese, fisso cogli occhi in questo gran modello lo sentirete ripetere: Pater
ignosce iliis. quia nesciunt quid faciunt! Fosse anche percosso, maltrattato,
e fino cercato a morte, non saprà opporre altra difesa che quella del Suo
Maestro, la sofferenza, e la carità: Padre perdonate, non sanno che si fac­
ciano: lo so che questo genere di difesa è tutto nuovo pel m ondo, e forse
se ne ride, e lo motteggia, eppur ma appunto bestemmia, perché non sa:
eh! fratelli miei, gridare, farsi grande e forte nel mondo, resistere, urtare,
volerla mai cedere, è un mestiere che tutti sanno fare, ma YEclesiástico, che
è un uomo speciale, perché allevato alla scuola di questo D io, deve rego­
larsi ben diversamente. Io ammetto, e convengo con Voi che costa, e costa
m olto in certi incontri il sapersi frenare, e tacere, ma appunto perché costa,
e che il m ondo non lo fa, lo deve fare il Sacerdote: praticare la dolcezza,
la carità, esser mansueti, e padroni di noi in certi tempi; con certe persone
solo, che tutto va a genio, c’intendono, ci secondano, e tutto cammina
favorevolmente, lo so che non è difficile: ma mantenersi abitualmente

(2128)4 tali senza distinzione di tempi, e di persone, quando uno ha crucci,


incomodi, e che la vita diventa un peso, quando uno a da far con persone
maligne, sgarbate, ignoranti, grossolane, e che par proprio che il Signore
le lasci per prova, ed esercizio altrui, non è una virtù così facile, né così
frequente: eppure il Sacerdote vi deve arrivare: sempre, ed ovunque dob­
biamo essere allievi di questo Maestro, che ha saputo mantenersi paziente,
e mansueto fino alla morte: sempre, ed ovunque, ed in mezzo a tutti dob­
biamo considerarci, e regolarci come agnelli tra lupi; un agnellino non sa
far male ad alcuno, anche battuto, malconcio, e pesto non cerca di nuo­
cere, al più lascia sfuggir un lamento; e guai all’Eclesiastico che crede far
meglio diversamente, e cerca di transigere con fare or l’uno, or l’altro:
come agnelli tra lupi ci toccherà soffrire, aspettare, ma sarem certi di vin­
cere, la causa di D io non ne starà al disotto; che altrimenti non è più Iddio
che opera, ma noi, non più un suo scuoiare, un suo Ministro, ma come
un uom o qualunque, non sono più i mezzi, e le armi sue, ma nostre, ed
umane, e purtroppo sarem perduti3:

3 Con u n a nota i l Cafasso inten de inserire due righe della p a g in a a fi-onte.

612
M orte d i Gesù

si resiste, o cari, alla scienza, si resiste alla ragione, si resiste alla forza, (2127)
ma, credetelo, tosto o tardi si cede alla virtù.

Il primo esempio adunque da ricopiare in noi su questo letto di morte (2128) 4


sia la dolcezza, la mansuetudine, la carità; l’altro non meno importante,
e che risplende si bene nel nostro divin Redentore sulla Croce fu quello
d’una piena, e totale rassegnazione all’eterno suo Padre nelle circostanze
tutte della dolorosa sua morte; ed osservate: mori il Redentore nel fiore
degli anni, dopo tre anni solo che predicava, in un tempo in cui cominciava
a dilatarsi il suo N om e, e la sua dottrina, i suoi discepoli, e seguaci s’ingros­
savano, e s’aumentavano ogni dì; quanto bene avrebbe ancor potuto fare in
trenta, o quarant’anni, che poteva vivere ancor comodamente, e possiamo
imaginarci con che cuore, e con che zelo lo desiderava, eppure si dispone a
morire, e muore volentieri, si può dire alla metà della sua carriera, perché
tale era la volontà di suo Padre. N on mea. sed tua vnlnnras fiat4. Morì,
e morì d’una morte la più infame sopra d’un patibolo, in compagnia di
ladri, anzi in mezzo a loro come loro Capo, e più scellerato, di pieno
giorno, in una Capitale, in occasione d’un concorso straordinario di gente:
poteva il Redentore scegliere altro genere di morte, altra occasione, un
altro luogo: ma no; si faccia, o Padre, la vostra volontà, e non la mia. Morì,
e morì d’una morte la più dolorosa, violenta, di poche ore, in mezzo a
mille strazi, abbandonato da tutti, sprovvisto d’ogni conforto, sotto gli
occhi de’ suoi conoscenti, in vista a gemiti, ed a’ spasimi d’una Madre
la più affezionata. Si può dare, Signori miei, un sacrificio più duro, più
amaro, più doloroso di questo: eppure lo fa, lo fa prontamente, lo fa di
buona volontà; non si lamenta né de’ discepoli,

che l’hanno abbandonato, né de’ Giudei, che l’hanno fatto condannare, (2129) 5
né de’ Carnefici, che gli usarono tanta crudeltà, e barbarie, né dell’eterno
suo Padre che lo riservava ad una morte sì crudele, ed immatura, che anzi
nel suo spirare si rivolge a Lui, e qual Figlio ubbidiente, e soggetto gli pro­
testa d’aver compito, ed aver fatto la sua volontà: ecco il punto, a cui deve
giungere il Sacerdote, che è stato alla scuola di questo divin Maestro: egli
deve esser disposto a far qualunque sacrificio per questo D io, e quando
l’onor, e la gloria sua lo possa richiedere, esser pronto a sacrificare e roba,
e parenti, e amici, libertà, e comodi, ma non basta ancora: quando Iddio

4 Le 22,42.

613
Esercizi S p iritu a li a l Clero ^ M e d ita z io n i

il voglia deve essere rassegnato anche a morire non solo in quel tempo, ma
in quel m odo, in quel luogo, e con tutte quelle circostanze, che Egli vorrà,
sicché tanto in vita, come in morte ognuno di noi possa ripetere: non
mea sed tua voluntas fiat. Dunque prima di partire facciamo ancor questo
passo: prendiamo tra le mani cotesto Crocefisso, e Signore, diciamogli, ci
resta ancora un punto da intenderci tra noi due, ed è questo misero avanzo
di vita, che ancor mi rimane: voi ne siete il solo padrone, pensatevi voi, io
la depongo nelle vostre mani, e non vi penso più; penserò più né a vivere,
né vivere a morire: penserò solo a lavorare, come vuole il m io dovere, pen­
serò solo a contentarvi, e fare la vostra volontà, del resto io sono pronto ad
ogni Morte, in ogni tempo, in ogni modo: voglio essere una copia di voi in
vita, molto più lo voglio essere in morte: lo dirò adesso, l’andrò ripetendo
soventi ne’ miei giorni avvenire, e quando m’accorga che forse sarà vicino il
termine della mia carriera, allora più che mai mi stringerò a questa Cróce,
eh Signore dirò, voi lo sapete, voglio morire con Voi, voglio morire come
Voi, voglio morire assieme a Voi. Sì, o Cari tocchiamo questo punto, e non
partiamo senza aver fissa ben bene in cuore questa generosa risoluzione,
perché noi in allora avremo il merito di quante morti siamo disposti ad
incontrare per Dio, senza subirle realmente, e che meriti; secondariamente
quando spunterà poi finalmente quella giornata estrema, non ci rimarrà
più alcun sacrificio a fare, il tutto sarà appianato, ed eh! che bel morire.
Ma eppure io ho paura di morire, e questo pensiero mi spaventa, e non
so se potrò fissarmi, e risolvermi, pazienza, quando vi dovrò andare. Eh!
Cari, aver paura di morire dopo d’aver fatto gli Esercizi, non lo comprendo
molto questo timore dopo che un Sacerdote ha aggiustato le sue partite,
ha pianto le sue colpe, ha provato le Misericordie del Signore, ha gustato
in questi giorni quanto sia dolce il parlare, il conversare con Lui; se si ha

o fratelli, a partire, ad andare al Signore: un servo corre quando è chiamato


dal suo padrone, un figlio gode, quando il Padre l’ammette alla sua pre­
senza, e non temeremo

(2130) 6 di presentarsi al migliore de’ padroni, al più tenero de’ padri. Forse che
Ei sia un estraneo, ed un ignoto per noi? e non sapete che è quel D io mede­
simo, che ci indossò coteste divise, e ci chiamò a servirlo così da vicino.
Rammentiamoci che è quel D io stesso, che trattavamo così alla famigliare
ne’ Sacramenti, all’Al tare, nella Messa, quel D io insomma, cui sempre affi­
dammo altre volte i nostri crucci, le nostre paure, ed egli così prontamente
seppe ajutarci, e soccorrerci; e perché ora temere, titubare, ed averne spa-

614
M orte di Gesù

vento: ah! non temiamo di morire che il Signore è buono, diceva S Ambro­
gio, ah! io non temo, perché so con chi ho da fare, ripeteva in quel punto
un altro servo di D io
Ma io vorrei ancor vivere un po’, può dir un altro, per farmi un po’
di bene: mi trovo colle mani vuote, e si può dire che ho niente, morirei
con paura se avessi a terminar al presente i miei giorni. Eh! cari, cotesto
pensiero è lodevole, ed il Signore ve ne terrà conto per certo, ma ciò ci
deve ritirare per niente dalla risoluzione che ho detto. Il miglior bene, anzi
l’unico, che si possa far al m ondo Egli è quello che sta nella volontà di
Dio: chi la compie, fa tutto quello che si può fare da un anima sulla terra:
dunque se questo D io ci chiama a se in quel tempo, in quel modo, con
quelle circostanze è segno che tale è la sua volontà, è una prova che quella
è la miglior morte, il miglior m odo di morire per noi; che dunque esitare,
desiderare ancor di vivere anche per far del bene, Iddio vede cotesti desi­
deri e se non ci da campo di compirli vuol dire che quel bene ce lo
pagherà egualmente, ma non lo pretende da noi. Dunque a che inquie­
tarci; muojamo tranquilli rassegnati, volenterosi, come morì cotesto nostro
divin Redentore. Ma, si può osservare, anche il Redentore provò un po’
di difficoltà ad arrendersi, poiché oltre quello che gli capitò nell’orto, sulla
Croce, appunto sul letto di morte pare che si lagnasse dell’eterno Suo
Padre d’averlo abbandonato, e lo lasciasse in braccio ad una morte così
dura, e spietata: deus, deus meus. ut quid dereliquisti me5? è bene, o Cari,
che riandiamo questo passo, per nostra norma, ed istruzione: primiera­
mente la ripugnanza, il ribrezzo non toglie, e non osta ad una rassegna­
zione vera, e compita, ed il Signore l’ha lasciata conoscere appunto perché
i suoi esempi fossero più alla nostra portata, ed imitabili: un Sacerdote sarà
buono, anche santo, ma è vestito di terra, e di fango, e non v’è a stupire
che possa sentire in que’ frangenti un po di umano. D i più un anima anche
buona può andar soggetta in quel punto a molte prove, che Iddio più o
meno suol permettere pel maggior suo bene, perché si tenga umile, preghi,
confidi e forse anche perché sconti qualche suo difetto, che le rimane. Del
resto state certi che saranno cose passeggere.

Vi è una gran differenza in morte tra la prova del giusto, ed il rimorso (2132) 7
del peccatore: questo come una spina radicata nel cuore lo roderà conti­
nuamente, e se qualche volta pare che scemi, e si dilegui, non sarà che

5Sai 21,1; M t 27,-46.

615
E sercizi S p iritu a li a l Clero ■- M e d ita zio n i

per ridestarsi più vivo, e lacerarlo maggiormente. Che al contrario la prova


dell’uom o giusto è come una nebbia che spunta, e poi si dilegua, e lascia il
più bel sereno, che mai si possa desiderare. Cosi capitò al divin Redentore,
che fù come un baleno quel momento di apparente abbandono, che dopo
rivolto al Padre con tutta franchezza spirò.
Da questo tratto del Redentore sulla Croce io vorrei che ne deduces­
simo alcune conseguenze per nostro prò, e primo a tenerci preparati anche
noi a passare in. quel punto per tutte quelle pene, ed angustie che la giu­
stizia, e la misericordia di D io vorrà permettere a ciascun di noi o in puni­
zione delle nostre colpe, o pel maggior nostro bene. Secondo a non ¿spa­
ventarci, non prender a male se nel nostro Ministero in vita, e molto più
in morte ¿scorgeremo certe anime e buone, e sante a mostrar certe paure,
dare in certi iscorragiamenti, che alle volte male intesi possono rallentare il
nostro coraggio, non temiamo nò, sono gli ultimi strepiti d’un nemico che
è pressoché vinto, è l’ultima palma, che Iddio prepara a quest’anima eletta;
ma più di tutto impariamo, e ci sia di stimolo cotesto riflesso per correre
in ajuto, per assistere i moribondi; deh! non siamo avari, restii, o cari, con
quelle anime, che si trovano in quell’ultimo punto. N oi sappiamo, come
la chiesa qual tenera Madre sia sollecita, e raccomandi cotesta assistenza,
e ne assegni i mezzi; tutti gli uomini Apostolici, tutti i buoni operari del
Signore ne hanno sempre fatto gran caso e si prestavano, e non cessavano
d’insistere, che si soccorressero. Lo so che si può dire: io non ho tempo, ho
m olto da fare, sono distanti, sono dispersi soventi gli ammaliati; e se non si
può, pazienza, che volete vi dica; Iddio vi pagherà la buona volontà: ma se
si adduccessero solo que’ riflessi: io non ho coraggio, non si costuma, sono
già muniti di tutto, vi sono secolari, che fanno: oh! quante cose io avrei a
rispondere su queste scuse, e pretesti, ma le lascio per mancanza di tempo,
e poi è tanto patente la loro insussistenza, che credo occorre nemmeno che
vi risponda6;

(2131) fatto del sacerdote, che voleva finir il giuoco etc.;

(2132)7 onde mi limiterò per maggior eccitamento a ritenere cotesti riflessi:


pensate che se quella persona vi disturba, e chiama per l’ultima volta la
vostra carità, e ve la chiama non più colle parole, ma co’ gemiti del cuore,
e co’ sudori della morte: pensate che quell’anima si trova nell’ultima, e

6 II Cafasso rim a n d a a d una riga scritta nella p a g in a a fronte.

616
M orte d i Gesù

decisiva battaglia di sua vita, e che una vostra parola, una sola preghiera, la
vostra presenza solamente le può dar la vittoria in mano, e salvare: pensate
che queiranima non sarà tardiva a pagarvi il vostro incom odo, a momenti
sarà in Cielo a pregare per voi, a perorare la causa vostra; pensate in fine
che un giorno ci troveremo anche noi tutti in quel punto, e che in quello
stesso modo co’ gemiti, e sospiri

noi domanderemo lo stesso ajuto, e la stessa Carità, e state certi che non f2:33) 8
gemeremo invano; D io non permetterà che si perda in quel punto colui,
che ha avuto compassione de’ gemiti altrui. Siccome però resta impossi­
bile accorrere in ajuto a quanti in ogni giorno stanno lottando in quelle
ultime agonie, proccuriamo almeno a non dimenticarle nelle nostre pre­
ghiere. Dal calcolo approssimativo, che se ne fa, sono pressoché 80 mille
anime che m uojono ogni giorno in tutto l’orbe: ah! m io D io chi sa quante
andranno a male, proccuriamo almeno con qualche pratica, con qualche
speciale preghiera di strapparla qualcuna ogni dì, sicché o m io D io possa
aver il contento ogni giorno di mandar una lingua di più a cantar in eterno
le vostre Misericordie.
Veduti gli esempi che ci da il divin Redentore dalla Croce, portiamoci
a sentire le ultime disposizioni che lascia per noi; e qui ravviviamo i nostri
pensieri, e la nostra fede. Figuratevi un padre che trovandosi sugli estremi
di sua vita faccia chiamare a se un figlio, ed avutolo, tu vedi, o caro, si
faccia a dirgli, che io sono per morire, non andrà a lungo che io ti lascierò:
spero che non dimenticherai il tuo povero padre, ma prima di morire io
voglio affidarti ciò che mi sta a cuore, e ricordati sempre nel viver tuo che
quella fu l’ultima volontà di tuo del padre tuo; io non ti chiedo più altro,
o figlio, sarà questo o caro l’ultimo attestato, l’ultimo pegno, che tu potrai
dare ad un padre, che sta per morire. Io non so quale stretta sarebbe questa
per un figlio, quante lagrime, e quante promesse spunterebbero in quel
punto su quegli occhi, e su quelle labbra, e sarebbe impossibile che un
figlio anche malvaggio fosse per trascurarle. Se così è adunque io parlerò,
ed eccoci al caso nostro: tu vedi, o Sacerdote mio caro, che io sto per
morire; io t’ho chiamato a questo letto di morte d’attorno a questa Croce
per dirti, per affidarti ciò che prima di morire più mi arde in petto, ed è
per primo, che tu vogli ricevere per tua cotesta Madre: fili ecce Mater tua7:
quindi mi sento una brama, un desiderio, una sete la più ardente, che non

7 Gv 19,26.

617
Esercizi S p iritu a li a l Clero ^ M e d ita z io n i

m’è più dato di compiere, di saziare, ed è la salute di tante anime: sitio'1':


figlio io mi fido di te, non saprei a chi meglio rivolgermi, che a te mio
Ministro, sappi almeno, e sappilo sempre che questa fu l’ultima volontà
di tuo padre, e te lo raccomandai coll’ultimo mio fiato. O fratelli, io mi
tacerei volentieri a questo punto, perché ognuno di noi potesse meditare
tra se e se, ed a piedi della croce, queste grandi parole, queste grandi verità,
che io vi confesso ingenuamente di sapere né capire, né spiegare. Un Dio,
che in quegli estremi mi affida, e mi mette quasi tra le mie braccia la madre
sua, e mi dice: figlio, ricordati chi è, e chi te l’ha data, e sarà la madre tua;
deh! volerle bene, e fa di amarla ossequiarla, e compensarle il suo dolore:
tu devi sempre honorem habebis

(2134) 9 Matri tuae cunctis diebus vitae tuae9. Tu sai quello che ha fatto, e molto
più quello che farà per te: tutto ti serva ad averla, a trattarla da quella
Madre, qual’è: fili ecce Mater tua. L’altro mio desiderio tu lo sai, occorre
nemmen che te lo ricordi, io non venni per altro sulla terra che per salvare
le anime, mi consecrai fino a questo punto, ora mi tocca a morire, e non
mi resta che lasciar a te ciò, che a me non è più dato di conseguire; io non
ti dimando gran cosa, non voglio nemmeno tanti sforzi, ti pregherei solo
a non dimenticartene, ed in quel poco che spenderai la tua vita ad aver
in mira non già la roba, il fango, le follie della terra, ma piuttosto il mio
scopo, la sete, il desiderio mio. Eh! fratelli miei, se coteste parole, e questo
tratto non è capace di destarci una volta dalla nostra inerzia, e pigrizia, se
non è da tanto d’indurci finalmente a lasciar le vanità della terra, e lavorare
per le anime, io non saprei più che dire se non che forse noi occupiamo
un posto, che non era fatto per noi, poiché il vero Sacerdote che ha da
essere una copia conforme a questo modello non ha da aver altro in mira
che l’onor e la gloria di Dio, la salute delle anime, lavorarvi d’attorno sino
agli ultimi estremi della vita, nessun congedo nella nostra milizia, nessuna
vacanza, e se morendo ha da provar un dispiacere sul letto di morte, e deve
lasciare dietro di se un desiderio sulla terra, non è già quello della perdita
de’ parenti, della roba, dell’impiego della vita, ma unicamente, e solo non
aver più tempo ad impedir peccati ed a portar anime in paradiso.
Finalmente venne il punto, che spirò cotesto divin Redentore, e mori.
Assistiamo ancor per un momento a questa Morte, che non sarà inutile per

8 G v 19,28.
8 Tob 4,3.

618
M orte di Gesù

noi. Rivolto al Padre suo, placido e tranquillo si fé a dirgli: Padre io ho


finito, venni in terra per fare la volontà vostra, io l'ho compita: Consum-
matum est10: io muojo, me ne vo a voi, ed a voi affido l’anima mia: Patef
in manus tuas commendo Spiritum meum11, ed abbassato il capo: spirò.
Ecco la pace, la calma, la franchezza, la tranquillità dell’uomo giusto, che
muore, che non è fatta pel peccatore: ecco la morte dell’uomo di Dio, del
buon operario del Signore; ecco il linguaggio in morte del Sacerdote, che
in vita non ha avuto in mira che di compire i desideri del Padre suo, e
di corrispondere al gran fine delia sua Vocazione. Venga il Sacerdote mon-
dano, indolente, pigro, ozioso, secolaresco e mi dica se al suo letto di morte
potrà parlar in questo modo? Venga sì l’Eclesiastico, che lavora si, ma per
fini umani, di vanità, per lucro, ed interesse, e mi risponda se in punto di
morte si sentirà di ripetere davanti a questa Croce d’aver fatto la volontà
di questo Dio, d’aver cercato l’onor, e la gloria sua. E di noi, o fratelli, che
cosa sarà in quel punto? La potremo discorrere in questo modo, Signore,

siete voi, che mi chiamaste in questo stato, io indossai queste divise, (2135) IO
io accettai quell’incarico, io mi assunsi quel peso, perché voi così voleste.
Ora è terminato, ed ho compito la vostra volontà; voi lo sapete: le mie
intenzioni, il mio scopo, il mio fine fu sempre quello di soddisfare a
vostri desideri, di proccurare la vostra gloria, di adempiere in ogni cosa la
vostra santa volontà, ora, ripeto la mia giornata è finita, mi tocca morire;
e muojo nelle vostre mani per compire sino all’ultimo la vostra volontà:
Pater in manus tuas commendo Spiritum meum: Consummatum est: ma
che sarebbe: e che rimorso, ed angoscia, allorché ci daranno in mano cote­
sto Crocefisso ed eccitati a far il sacrificio della nostra vita, ed a ripetere
anche noi il Consummatum del Redentore, dovessimo dire: nò, che questa
parola non è fatta per me, ed invece di consolarci, ci strappasse angoscie le
più amare. Il punto, o cari, è troppo importante per non andar avanti così
all’azzardo: io darò un mezzo per assicurarcene, che credo il più valevole:
ogni giorno noi muojamo, ogni sera v’è un pezzo di nostra vita, che è pas­
sato, e non ritorna di più. Ciascun di noi si metta a’ piedi del Crocefisso, e
dica: Signore: ecco un giorno passato di mia vita, ecco un giorno trascorso
di lavoro, e di sacerdozio: a me pare in quest’oggi d’aver fatto la vostra
volontà; non solo ho lavorato, mi sono alzato io l’ho speso per voi, ho

10 Gv 19,30.
11 Le 23,46.

619
E sercizi S p iritu a li a l Clero " M e d ita z io n i

cercato nient’altro che voi, il vostro onore, e la vostra gloria, a voi solo
ne sia la lode, a me la confusione di perché voi solo la meritate; che se
mi darete altri giorni, sarà dover mio di trafficarli alla vostra gloria, del
resto ho terminata la mia giornata, io sono pronto a morire, epperciò nelle
vostre mani io affido l’anima mia. Felici noi se ogni sera potremo ripetere
questi sensi a’ piedi di questa Croce: coraggio, o cari, continuiamo, e non
lasciamo che il tempo nostro, ed i giorni d’un Sacerdote vadino a perdersi
nelle follie di questo mondo: coraggio, ripeto, che il fine sarà vicino, ed il
più bel morire sarà per noi. Che se alla sera il cuore ci farà il rimprovero
di non aver corrisposto a questo Dio, oh! allora sì, confessiamo la nostra
colpa, compunti, pentiti, come altrettanti servi che hanno perduto la loro
giornata: Signore, lo debbo dire, io v’ho tradito, io ho deluso le vostre
mire, io ho ingannato le vostre speranze. Eh! quanti Sacerdoti avranno il
contento a quest’ora di ripetere a vostri piedi, che v’hanno servito, che
hanno lavorato per voi, io invece, nò, io ho perduto la mia giornata il mio
tempo, l’ho scialaquato nelle stoltezze di questa terra. Signore non merito
perdono, ma se mi darete ancor un giorno di vita, vel prometto, egli sarà
per voi, l’ho deciso, sono fermo, sono risoluto, sarà una giornata da Sacer­
dote, una giornata di zelo, di studio, di occupazione, di preghiera, una
giornata insomma destinata alfonor, alla gloria vostra. E se i giorni susse­
guenti

fossimo sempre i medesimi, pigri, indolenti, secolareschi, mondani,


come andrà a finire per noi; fratelli miei è inutile illuderci; la copia che
non sarà trovata conforme a questo originale, non sarà riconosciuta, verrà
rigettata: nescio vos12: va che non ti conosco.
È morto il divin Redentore, ed ancor due parole: chi furono i più col­
pevoli nel fatto di questa morte, e chi se ne pentì di questa colpa: i più
rei furono i Sacerdoti, perché essi'pe’ primi cercarono la sua morte, essi
attizzarono i giudei, il popolo, e li stessi Magistrati, di modo che non può
esservi alcun dubio; chi si pentì; quasi tutti fuori di loro, fuori de’ Sacer­
doti: si pentì il Centurione, che riconobbe per uomo giusto il divin Reden­
tore: videns Centurio quod factum fuerat. glorificavit Deum dicens: vere
hic homo justus erat13: guardate se non è vero, che la virtù al fine la vince:

12 M t 2 5 ,1 2 .
™ L e 2Ò.A7.
M orte d i Gesù

si pentirono quanti erano là d’attorno, e che poco prima bestemmiavano:


omnis turba eorum, omnis, qui simul aderant... revertebantur percutien­
tes pectora sua14. Ma chi però stette fermo, e non si scosse fxi il cuore de1
Sacerdoti, mentre essi andarono ancor da Pilato a trattar da seduttore il
Redendore, che era già morto. Recordati sumus quia seductor ille dixit
etc.15. Verità terribile ella è questa, e che io pongo per fine alla nostra
Meditazione, che cioè d’ordinario chi ha più lumi alla mente, sia più duro
di cuore; che vi sieno delle colpe tra noi, che si commettano disordini
anche nel Clero, purtroppo che a nostra confusione non possiam dubi­
tarne; ebbene io dimando: si vedrà soventi nel Sacerdote quel dolore, que’
gemiti, que’ sospiri, quelle proteste, ed anche quelle lacrime che più volte
troviamo ne’ secolari? ben di rado, ma freddi, insensibili, anche svagati, e
voi il saprete più di me. E che dire adunque, e che fare di più per toccare,
per ammollire questo cuore: eh! un figlio che abbi assistito alla.morte d’un
padre, ne abbia ascoltato i gemiti, ricevuto gli ultimi sospiri, e chiusi per­
fino gli occhi, e che non si senta tocco, non cangi, non si riformi, e non
ritorni migliore, e a che volete che servano le mie parole. A voi, o fratelli
m i« invece, o cari, che certo la sentite, io lascio questa scuola aperta,
questa morte cioè a meditare ne vostri giorni avvenire. Su questa Croce
ognun di noi impari a vivere, impari si prepari a morire: copiando imi­
tando la vita ne copieremo meriteremo la morte; è vivendo da Apostoli veri
seguaci di questo Maestro divino morremo da Apostoli, e da Santi Sacer­
doti quieti, rassegnati, tranquilli16lasciando una terra d’esiglio, e di lacrime
per raggiungere un sito ed un seggio ed una di gloria lassù in Cielo che mai
più finirà. Così sia.

14 Le 23,48.
15 M t 27,63.
16 Seguono a questo punto alcune righe cancellate: col conforto in cuore d’aver compiuto
la nostra Missione e come buoni operarii d’esser chiamati a riceverne ognuno la avrà la
dovuta mercede. Così sia.
Poiché è certo che là tutto sarà numerato, tutto verrà pagato unusquisque propriam
tnercedem recipiet secundum suum laborem [/ Cor 3,8].

621
Giorno Ottavo (2137)

Meditazione Sopra il Paradiso

sopra ìl paradiso. (2139) pag. 1°

Glorioso mio Redentore1, io vi credo qui presente, e mi prostro avanti di


voi e credo alla vostra divina presenza. Io credo assieme a tutti per meditare
que’ consolanti misteri che voi avete operato per me. Io credo alla aspetto
la futura mia risurrezione, ed io aspiro a quella vita di paradiso che tenete
riservata al buon Sacerdote nella futura- eternità al fedele vostro Ministro.
Deh! o Signore, accendetene talmente i nostri cuori sicché in avvenire tutte
le nostre mire sterro abbiano ad essere dirette a quella gloria, che lassù ci
attende. Cara Madre Maria, voi che dopo il vostro Gesù formate la gioia,
e la delizia di quella famiglia di Santi, ricordatevi in special modo in que­
st’oggi di noi. Angelo nostro Custode, Santi e Sante tutte del paradiso etc.

" (fa ld , 4 7 1 fa s e . 1 4 7 ; n e l l ’o r i g i n a l e 2 1 3 7 - 2 1 5 5 )

1 I I C a fa s s o in te n d e in s e r ir e u n te s to s c r itto n e lla p a g in a a fr o n te , a l p o s to d e l q u a le ce ra

q u e s t ’a l t r o voi che dalle ignominie e da patimenti della Croce passaste


te s to p o i c a n c e lla to :

a godimenti, del Cielo, ed alla gloria del vostro Padre, voi che prima di partire da questo
mondo prometteste a primi Apostoli, e Sacerdoti, e nelle loro persone un luogo a { p a r o l a
i l l e g g i b i l e ) di noi nel vostro Regno, deh! O Signore in questo ultimo giorno di nostri

esercizi infiammate i nostri cuori di questa santa, e dolce speranza, accendetene talmente
i nostri desideri sicché tutte le nostre mire vivendo quaggiù in terra sieno rivolte lassù in
Cielo per quella gloria che ci attende per arrivare un di a godervi in quel Regno Beato.
U n a ltr o te s to s o s titu tiv o d e l p r e c e d e n te f u d a l C a fa s s o s u c c e s s iv a m e n te c a n c e lla to ; n o i lo

prostrato avanti di voi io credo quei consolanti, misteri, che voi avete
tr a s c r iv ia m o q u i:

operato per me, io credo a quelle dolci verità, che a mio conforto, e sostegno mi propo­
nete a credere su questa terra alla nostra fede. SI io credo la mia futura risurrezione, io
credo in quella vita eterna dì paradiso che tenete riservata a chi vi avrà servito in questa
misera vita nella futura eternità. Deh! o Signore infiammate in questo ultimo giorno.

623
Esercizi Spirituali al Clero ^ Meditazioni

Noi abbiam meditato da due giorni la nascila, la vita almeno in parte,


e la morte del nostro divin Redentore. In cotesto quadro Noi abbiamo
veduto le sorti, e le vicende dogai Eclesiástico il modo con cui deve for­
marsi il Sacerdote, lo spirito di cui deve vivere, lo scopo, e le mire a cui le
tocca tendere, i mezzi di cui abbia a servirsi,

c combattere per giungere a quell’alta meta, a cui egli è chiamato. Ora è


terminata la sua mortale carriera. E morto il Capo, il principe di tutti i
Sacerdoti, e non ci resta che seguitarlo col nostro pensiero, e colla nostra
fede al di là della tomba... di là risuscitò, si trattenne un qualche tempo
co’ suoi Appostoli, quindi lasciò questa misera terra, e partì pel Cielo.
Ecco qual fu l’ultimo periodo, il fine, il termine del nostro divin Reden­
tore. Quel Redentore, e quel Sacerdote medesimo che nacque, e visse così
povero, quel medesimo, che fu trattato così malamente dal mondo, quel
Sacerdote istesso che caricato di villanie, tradotto come un malfattore, fu
giudicato indegno perfin di vivere, e condannato a morire: tutto questo
niente gli nocque, a dispetto del mondo, e di tutta la sua rabbia entrò nella
sua gloria, e quel mondo, che lo trattò così male, un dì dovrà prostrarsi
avanti di lui per essere da lui medesimo giudicato. Rallegriamoci, fratelli
miei, tale sarà la sorte d’ogni buon Sacerdote, d’ogni operario evangelico
nella vigna del Signore. Il mondo pensi quello, che vuole di noi, ci tratti
pure, e faccia tutto quello

(2140) 2 che crede, il Cielo nessuno ce lo torrà. Morrà come ogni altro il buon
Sacerdote, il suo corpo si farà cenere nel sepolcro, ma da quelle ceneri un
giorno risorgerà glorioso, e trionfante e dopo il più solenne, e compiuto
trionfo in quella gran valle di Giosafat verrà chiamato per dar principio in
Cielo a quella gloria, e quella festa che finirà mai più. Al Cielo adunque,
o Cari miei, io v’invito, fratelli miei in quest’ultima giornata del nostro
ritiro, al Cielo che è niente meno che la casa, e la patria nostra, a quel
Cielo, dove già sta adunata, e ci attende tanta copia di Operarii Evangelici,
a quel Cielo insomma, che formerà un dì la mia, e la vostra corona, la mia
e la vostra eterna abitazione. Tre pensieri io darò di questa gran patria da
scolpirci in cuore, e portarci con noi alle nostre case. II paradiso è nostro,
e sicuro, il paradiso non è lontano, è vicino, il paradiso non è difficile, ma
egli è facile a conseguirsi. Cotesta giornata negli Esercizi vien detta giorno
di gaudio, e di allegrezza, e spero che servirà non poco a confermare in noi

624
Giórno Ottavo - Meditazione Sopra il Paradiso

que’ buoni propositi, che avevamc fatti in questi giorni, ed a mantenerci


fermi e costanti sino al termine di nostra vita. Cominciamo2.

2 Segue, nell’originale un lungo testo cancellato che noi trascriviamo in nota: Im a g in is m o


d ’aver s o tt’o c c h io u n p rin c ip e R eale E re d ita rio , c h e g iac cia a n c o r b a m b in o n e lla p ro p ria
culla. Q u e s to B a m b in o n o n h a l ’u so di ra g io n e , e p p e rc iò n o n c o n o sc e il su o g ra n d e
d e stin o , e la su a f u tu r a felicità. C h i p e rò lo sa, lo g u a rd a c o n u n a c e rta riv eren za, e
ris p e tto , lo d ice b e a to , e rig u a rd a il su o s ta to c o m e il p iù felice d e l m o n d o , p e rc h é egli dice
tra se, sarà u n g io rn o u n g ra n c h e c in to d i c o ro n a , riv e rito , o n o ra to , sa rà al c o lm o d ’o gni
u m a n a g ra n d ez za . C o sì e n o n a ltrim e n ti si p u ò d ire d ’o g n i a n im a , o g n i q u a lv o lta io m i fo
a m ira rla , e p e n so a q u e llo c h e E lla u n g io rn o sarà. Sia p u r m is e ro u n u o m o su lla terra ,
a b ie tto , d isp re zz ato , m a io vi v ed o u n R e in c u lla , e m i sp ieg o , io v eg g o in q u e s t’u o m o
u n a n im a , c h e a g io rn i, a m esi, al p i ù fra q u a lc h e a n n o , sarà al possesso d ’u n R e g n o m ai
p iù im m a g in a to , c in ta d i c o ro n a , c irc o n d a ta , fe steg g iata d a A n g e lic h e sch iere, reg n erà,
risp le n d e rà p i ù c h e q u a lu n q u e stella d e l n o s tro C ielo . E in u tile che io m i fe rm i a parlarv i
d e l p a ra d iso , p e rc h é v o i lo sa p e te , q u a n to sia difficile p e r n o n d ir im p o s sib ile a d isc o r­
re rn e q u a g g iù . Se gli u o m in i p iù d o tti, e d e lo q u e n ti n o n sa n n o c h e d ire, se gli A p o sto li
m e d e sim i, e d u n P a o lo , c h e n e v id d e ro u n b a rlu m e , n o n se p p e ro ch e rip etere , d iv e n n e ro
m u to li, e n o n p o te r o n n e m m e n o d irc i q u e l p o c o , c h e h a n n o v e d u to , a c h e v a rre b b e ro le
n o stre p a ro le , e d i n o s tri sforzi: n o n v o g lio p e rò a n d a r a v a n ti se n z a farvi n o ta re u n a cosa,
e d è c h e in p a ra d iso o g n u n sarà lo c a to s e c o n d o il su o g ra d o , e g iu sto i p ro p rii m e riti.

L a c h ie sa trio n fa n te in C ielo n o n è c h e u n a p a r t e, e d sa rà il c o m p im e n to d e lla m ili­ (2144) 3


ta n te in te rra , sicché q u e l C a ra tte re , q u e i tito li, e d e n o m in a z io n i, e q u e l Seggio d i d is tin ­
z io n e c h e o c c u p ia m o q u a g g iù , n o n ci v e rrà m e n o lassù in G lo ria . Se il S ig n o re ci alzò
ta n t’a lto d a farci c o m e a ltre tta n ti d e i in terra , ci fo rn ì d i p o te ri si g ra n d i, e ci tra ttò
c o n m a n ie re p iù d o lc i, e d a m ic h ev o li, a b o n d ò in si a m p ie , e g e n ero se p ro m e sse , a n d ia m
d ic e n d o , c h i p u ò im m a g in a re d o p o t u tt o ciò c h e cosa sia p e r fare d i n o i q u a n d o fin ito
q u e sto te rre n o p e lle g rin a g g io , e tra n fo rm a to s i q u e sto c a m p o di b a tta g lia in u n vasto
R e g n o d ’in a u d ita bellezza, q u e sto g ra n d u c e c h ia m a ti d ’a tto r n o a se p e r d ir cosi i su o i
c o m m illito n i n e lle n o stre p e rso n e , e p a ssa ti a rasse g n a n e ll’a c q u isto d elle à n im e i tro fe i
r ip o r ta ti p e l co rso d i ta n ti secoli, d a rà p rin c ip io a q u e lla trio n fa i festa, c h e fin irà m a i p iù .
Io m i fe rm e rò su l lim ita re p e r così d i r e d i q u e l R e g n o , e d i q u e lla g lo ria , p e rc h é n o n lice
p e r adesso n e a m e , n e a v o i l’a n d a r p iù a v an ti, d o e v i ra c c o m a n d o a c h ia m a r so v e n ti alla
v o stra m e n te n e lla v ita a vvenire, a m e d ita re , a g u sta re q u e l m o m e n to so le n n e , in d e sc riv i­
bile, in c u i u n b u o n E clesiástico p o rrà i< p ie d e i n p a ra d iso : U n figlio, c h e d o p o u n a lu n g a
assenza e n t ri in se n o alla p ro p ria fa m ig lia u n c itta d in o c h e arriv i in p a tria , u n M in is tro ,
c h e si p re s e n ti alla R eggia. U n figlio c h e colle su e fa tic h e , e s u d o ri h a a u m e n ta to il p a tr i­
m o n io d ella p ro p ria casa, e n e h a a cc resciu to lo s p le n d o re , e la g lo ria , u n c itta d in o che
lo n ta n o d a m o lti a n n i so sp ira v a d i c o n tin u o d i riv ed e re la p ro p ria te rra ; u n M in is tro che
h a tr a tta to d e g n a m e n te gli affari, e gli in te re ssi d e l su o S o v ra n o . U n figlio c h e la casa tu tta
im p a z ie n te a s p e tta p e r a b b ra c c ia rlo , u n c itta d in o c h e la p a tr ia in tie ra a tte n d e , e sospira,
u n M in is tr o c h e il s u o b u o n Re e sp re ssa m e n te h a c h ia m a to p e r c o n g ra tu la rsi seco lu i, e
rim u n e ra rlo d e g n a m en t e, e b b e n e , t u tt o q u e sto a n d rà a v erificarsi n e l S a c erd o te, ch e e n tra
in p a rad iso . A h! fra te lli m ie i, ch e in g resso sarà q u e llo , c h e in c o n tri, c h e accoglienza, che

625
Esercizi Spirituali al Clero -■Meditazioni

(2141) Premettiamo un avviso alla nostra Meditazione.


Siamo all’ultimo giorno degli Esercizi; e certo che possiam ringraziare
il Signore del modo, con cui passarono questi giorni in silenzio, e raccogli'
mento. Ma siamo alla giornata più pericolosa, sia perché essendo l’ultima
pare che sia permesso rallentare un tantino, sia perché trovandoci sul finire
questo tempo, veniet diabolus habens iram magnani-', c cercherà di ven­
dicarsi con rubarci una qualche cosa pezzo di-quest’ultima giornata. Noi
adunque, o fratelli stiamo attenti a non far differenza alcuna da questo
agli altri giorni4, sicché ci sia dato di terminarli contenti, e con vero rendi­
mento di grazie questo nostro ritiro con quel contento, e con quell’impe­
gno con cui li abbiamo cominciato5.

sa lu ti, c h e c a n ti, c h e feste in q u e l dì. A h! il p r im o sla n cio d e l S a c erd o te verso q u e sto b u o n


D io , la p r im a o c c h ia ta , ii p rim o am p le sso c o n M a ria : ah! il p rim o s c o n tro c o n ta n te a n im e
d a lu i salv ate, il p rim o v e d ere ta n ti a m ic i, p a re n ti, c o n o s c e n ti etc. E h! fratelli m ie i io n o n
m i se n to d ’a n d a r p i ù a v a n ti, e forse forse so n o a n d a to p i ù in là d i q u e llo c h e doveva:
ra m m e n tia m o so v e n ti, o C a ri, c o te sti p e n sieri, rav v iv iam o li colla n o s tr a fede, e così sp e ro
c h e vi fa re t e u n a q u a lc h e id ea e d a llo ra p o tre m o farci u n id e a b e n c h é lo n ta n a d i q u e llo che
a cc ad rà , di q u e llo c h e sa rà in so sta n z a in q u e l p u n to , c h e u n di n o i e n tre rà in p a ra d iso . E
p e r d e stare in n o i, e m a n te n e r viva co testa fede, te n ia m o b e n a m e n te i tre p e n sie ri, c h e
h o a c c e n n a to : il p a ra d iso è sic u ro , il p a ra d iso è fa cile v ic in o , il p a ra d iso è v ic in o facile a
c o n se g u irsi.
3Ap 12,12.
6 Seguono alcune righe cancellate: d i m o d o ch è o g n u n o d i n o i q u e sta sera p ro s tra to
a v a n ti il S a c ra m e n to p o ssa rip e te re fra n c a m e n te q u e lla p a ro la , c h e a b b ia m o d e tto jeri
tu tti: c o n s u m m a tu m est: S ig n o re, siete voi ch e m i avete c h ia m a to a q u e sti E sercizi, s o n o
v e n u to , o ra s o n o al fine, e d i n q u e sti g io rn i h o c o m p ito la v o stra s a n ta v o lo n tà , e sarà
q u e sta u n a c a p a rra d i p iù p e r p o te rla p o i rip e te re su l fin e d e lla n o s tra v ita.
5 Segue la terza pagina dell’originale che è interamente cancellata:

(2144) 3 La chiesa trionfante in Cielo non è che ' una parte, ed sarà il compimento della mili­
tante in terra, sicché quel Carattere, quei titoli, e denominazioni, e quel Seggio di distin­
zione che occupiamo quaggiù, non ci vetta meno lassù in Gloria. Se il Signore ci alzò
tant’alto da farci come altrettanti dei in terra, ci fornì di poteri sì grandi, e ci trattò
con maniere più dolci, ed amichevoli, abondò in sì ampie, e generose promesse, andiam
dicendo, chi può immaginare dopo tutto ciò che cosa sia per fare di noi quando finito
questo terreno pellegrinaggio, e tranformatosi questo campo di battaglia in un vasto
Regno d’inaudita bellezza, questo gran duce chiamati d’attorno a se per dir così i suoi
commiilitoni nelle nostre persone, e passati a rassegna nell’acquisto delle anime i trofei
riportati pel corso di tanti secoli, darà principio a quella trionfai festa, che finirà mai più.
Io mi fermerò sul limitare per così dire di quel Regno, e di quella gloria, perché non lice
per adesso ne a me, ne a voi l’andar più avanti, edo e vi raccomando a chiamar soventi alla
vostra mente nella vita avvenire, a meditare, a gustare quel momento solenne, indescrivi-

626
Giorno Ottavo - Meditazione Sopra il Paradiso

Forse parrà strano a qualcuno tra voi parlar del paradiso, e non entrarvi (2142)
dentro, e dire quanto sia bello, quanto sia grande, quanto magnifico e
andate dicendo di tutto quello che di certo non mancherà di trovarvisi
lassù. Ma voi mi accorderete che la colpa non è tutta mia. Io non c’entro
perché non mi sento di cavarmi, e ispiegarvelo, ma voi nemmeno sareste in
grado di potermi intendere, epperciò io amo meglio di dirvi che se volete
un idea del paradiso, di quello che là si avrà a godere prendetela da ciò che
già si gode quaggiù nel solo servizio del Signore: si tam dulce est fiere pro
te Domine, dice S. Bernardo, quanto magis gaudere de teg. Prendetela da
quanto voi vedete, e sapete di bello, di buono, di dolce a questo mondo, e
poi dite con Agostino si tanta dedit Deus in carcere quot dabit in patria. Vi
dirò ancora che se il paradiso sarà oltre ogni nostro credere beilo per tutti,
quanto più lo sarà pel Sacerdote sia pel suo grado, come pei suoi meriti,
e pe’ tanti cittadini da lui condotti, e voglio dire per le tante anime da
lui salvate; ah! il solo ingresso d’un Eclesiástico in paradiso, che feste, che
accoglienze, che saluti. Ma io non mi sento cari miei d’andar avanti, e
vi dirò piuttosto per nostro conforto, e consolazione che questo paradiso
come già v’accennava egli è sicuro, e per noi7.

bile, in cui u n b u o n E clesiástico p o rr à il p ie d e in p a ra d iso : U irfig lro , c h e d o p o u n a lu n g a


assenza e n tri in se n o alla p ro p ria fa m ig lia u n c itta d in o c h e a rriv i in p a tria , u n M in istro ,
c h e si p re s e n ti alla R eggia. U n figlio c h e colie su e fa tic h e , e s u d o ri h a a u m e n ta to il p a tr i­
m o n io d elia p ro p ria casa, e n e h a a cc re sc iu to lo s p le n d o re , e la g loria, u n c itta d in o ch e
lo n ta n o d a m o lti a n n i so sp irav a d i c o n tin u o d i riv e d e re la p ro p ria te rra ; u n M in is tro che
h a tr a tta to d e g n a m e n te gli affari, e gli in te ressi d el su o S o v ra n o . U n figlio c h e la casa t u tt a
im p a z ie n te aspetta, p e r a b b rac cia rlo , u n c itta d in o c h e la p a tria in tie ra a tte n d e , e sospira,
u n M in is tr o c h e il su o b u o n R e e sp re ssa m e n te h a c h ia m a to p e r c o n g ra tu la rsi seco lui, e
rim u n e ra rlo d e g n a m e n t e, e b b e n e , t u t t o q u e sto a n d r à a v erificarsi n e l S a c e rd o te , ch e e n tra
in p a rad iso . A h! frate lli m iei, che ingresso sarà q u e llo , c h e in c o n tr i, c h e accoglienza, che
sa lu ti, c h e c a n ti, c h e feste in q u e l d ì. Ah! il p rim o sla n cio d e l S a c erd o te verso q u e sto b u o n
D io , la p rim a o c c h ia ta , il p r im o am p le sso c o n M a ria : ah! il p rim o s c o n tro c o n ta n te a n im e
d a lu i salvate, il p rim o v e d e re ta n ti a m ici, p a re n ti, c o n o s c e n ti etc. E h! frat elli m iei io n o n
m i s e n to d ’a n d a r p iù a v a n ti, e forse forse so n o a n d a to p iù i n là d i q u e llo c h e doveva:
ra m m e n tia m o so v e n ti, o C a ri, c o te sti p e n sie ri, ra v v iv ia m o li c o lla n o s tra fede, c così sp ero
c h e vi faret e u n a q u a k h e-ktea e d a llo ra p o tr e m o fa rc i u n id e a b e n c h é lo n ta n a d i q u e llo che
a cc ad rà , d i q u e llo c h e sarà in so s ta n z a i n q u e l p u n to , ch e u n d i n o i e n tre rà in p a rad iso . E
p e r d e stare in n o i, e m a n te n e r v iv a c o te sta fed e, te n ia m o b e n a m e n te i tre p e n sieri, che
h o a c c e n n a to : il p a ra d iso è sic u ro , il p a ra d iso è facile v ic in o , il p a ra d iso è v ic in o facile a
co n seg u irsi.
Sermoni, c it., p. 188.
s S. B e r n a r d o c ita to in S. A l f o n s o M a r i a d e L i g u o r i ,
7 II Cafctsso a questo punto nella pagina a fronte scrisse un testo alternativo che doveva
essere detto all’inizio della meditazione dopo il «Cominciamo» di pagina 2.

627
Esercizi Spirituali al Clero ■- Meditazioni

(2145)4° Una cosa sola ci può strappar di mano il paradiso. Ne il mondo, ne il


demonio, ne le tentazioni ce lo possono torre, una cosa sola, ripeto, ed è il
peccato mortale. Questo peccato senza di noi non si fa, non si commette,
anzi si ricerca tutto noi, cioè a dire la nostra piena volontà, ed adesione.
Ognun di noi è libero di porla o no cotesta volontà, e chi non vuole, nes­
suno, e niente al mondo lo può forzare, e costringere, sicché tenendomi
io lontano dal peccato, come posso farlo francamente, quando voglia, il
paradiso è sicuro per me. Non occorre nemmen dire che per parte di Dio,
possiamo essere certi di tutto ciò, che abbisogna, poiché oltre a quanto
c’insegnano le scuole, che Iddio vuole la salute di tutti, e che non viene
meno ad alcuno, per noi poi in particolar modo è impossibile il dubitarne.
Le promesse fatte, ripetute nel modo più espresso, con termini più chiari
a’ primi Sacerdoti, e nelle loro persone a noi tutti ci devono torre ogni
timore. Vado parare vobis locum, volo Pater etc. dispono vobis Regnum
sicut disposuit mihi Pater8. E che mai possiamo desiderare di più chiaro,
e più preciso; e poi come supporre che Iddio oltre la grazia della fede,
ci volesse ancora contradistinguere con una vocazione speciale, qual è la
nostra, deputarci a farla in terra da suoi luogotenenti, quando non ci avesse
veramente voluto salvi con lui in paradiso. Lo so che un Sacerdote può
dannarsi anche dopo una vera vocazione, ma ci vorrà sempre un abuso
grave della nostra volontà, lo che sta in man nostra, e proverrà dalla nostra
colpa. Sta sempre adunque, che quando io veramente il voglia, il paradiso
è per me.
Ah! come consola cotesto pensiero, e come solleva un anima, quando
sia ben fitto, e radicato nel cuore d’un Sacerdote. In certi giorni in cui la
vita è un peso, in certe strette di cuore, in certe angustie di spirito, e di
ministero, ah! un occhiata, uno slancio di fede a quella patria, e quasi già
vedendola ripetere a noi stessi: quel sito, quella Reggia, quel Cielo è per
me. Non so se saranno brevi, od ancor lunghi i giorni, che mi rimangono
di vita; non so se le vicende, le consolazioni, i disgusti, che avrò ancor a
provare sulla terra; non so se avrò sanità in avvenire, oppur travagliato da
incomodi di salute; non so se la potrò riuscire ne’ miei progetti, nelle mie
mire anche buone, anche sante; ma niente importa tra tante incertezze, e
davanti ad un avvenire così oscuro, veggo chiaro in me un punto, ed è che
io sono fatto pel Cielo ed il Cielo è per me. Il mondo maligna contro di

8 Gv 14,2; 17,24; Le 22,29.


Giorno Ottavo - M editazione Sopra il Paradiso

noi, ci stringe, ci biasima, ci burla. Ma a dispetto di tutto l’odio, e di tutta


la rabbia, che lo divora contro di noi, non può variare il mio destino, e
quando io sia fedele, il paradiso sarà per me.

Io ho peccato pur troppo, e quante volte, e per quanti anni, ebbene(2147) 5°


tutte queste colpe, se io le piango, e me ne pento davero, mi verranno
perdonate, ed il Cielo, ripeto, sarà per me. Chi sa quanti Sacerdoti sono
già perduti in questo momento, e ohimè chi sa quanti altri andranno a
perdersi, eppure se voglio, il paradiso io sono sicuro, rinfernó non sarà per
me. Ah! fratelli miei cari, ravviviamo questo pensiero, e quando le noje
ci conturbano, le fatiche ci stancano, gli ostacoli ci abbattono, pensiamo
che il paradiso è per noi; e d’onde mai, o Cari, prendevan lena tanti buoni
operarii evangelici, che già ci precedettero, e fecero tanto bene nella Vigna
del Signore se non se dalla vista, e dal pensiero del paradiso: un S. Fran­
cesco d’Assisi che non trovava più spina alcuna in terra, quando si faceva
a contemplar il Cielo, un S. Francesco Saverio che là in mezzo a quelle
arene infuocate della Pescheria, e tra enormi stenti, e fatiche pure scriveva
che già le pareva di trovarsi in paradiso. Un S. Filippo che più non capiva
per allegrezza al solo pensar al Cielo, un S. Alfonso che gli sembrava un
martirio così doloroso il vivere in terra da esclamare da non poterne più9
- detto d’un condannato a morte etc. —: ah! è impossibile farsi un idea,
spiegar in qualche modo quel che possa sopra l’animo, e nel cuore d’un
Sacerdote di fede cotesto pensiero: io sono fatto pel Cielo, il Cielo è per
me: di tutto questo mondo io non so che farne, su questa terra niente mi
cale, solo il paradiso Egli è tutto per me, ne la roba, ne gli applausi, ne i
piaceri di questo mondo me lo possono togliere di mente, il paradiso io
voglio, il paradiso io desidero, il paradiso voglio arrivarvi, e presto ci sarò.
Il paradiso è sicuro, il paradiso è vicino per me.
Vicino ce lo dice il tempo che corre, vicino gli incomodi, che crescono,
vicino le perdite che facciamo ogni dì, vicino ce lo dicono que’ tanti, e
amici, e conoscenti, e parenti che ci attendono lassù. Da che siamo entrati
in cotesto ritiro abbiamo già percorso un bel tratto di strada verso il para­
diso, e ritornando alle nostre case ce Io troveremo molto più vicino, e
vivendo faremo un passo ogni momento verso questa nostra patria, lavo­
rando, pregando, dormendo, in ogni cosa insomma, ed ovunque noi ci
avviciniamo, ed ogni istante può essere quel punto fortunato da essere

9 Qui il Cafasso rimanda ad una riga della pagina a fronte.

629
Esercizi Spirituali al Clero ■*Meditazioni

chiamati alla gloria. Vicino ce lo danno gli incomodi, che più o meno in
noi van nascendo, ed aumentandosi ogni dì. Il peso degli anni, la floridezza
d’una volta che più non cè, mancanza di forze, debolezza di testa, per
cui ci vogliono riguardi, e misure nelle fatiche, nelle occupazioni, perfino
nel nutrimento medesimo, e tutto questo indica una pianta che declina,
s’illanguidisce,

(2148)6° s’abbassa, e presto toccherà il suo fine. Vicino ci fanno sperare il para­
diso i tanti compagni che andiamo perdendo ogni giorno. Ah! fratelli miei,
faccia un po’ ognun di noi la rassegna de’ compagni avuti ne’ primi anni,
alle scuole, né Seminarii, nel Ministero, e perfino ne medesimi Esercizi;
forse sono tanti, che non ci sarà più dato nemmen di numerarli già scom­
parvero dal mondo, e partirono pel proprio fine. Quanti Sacerdoti, che
attesero agli Esercizi, e diversi li dettarono in questo medesimo Santuario,
e parlarono, meditarono, e si consolavano colla speranza, e col pensiero del
paradiso; il loro giorno è venuto, e per molti ben presto; Dio già li ha cavati
da cotesta terra d’esiglio per collocarli in quella patria celeste, tuttodò o
cari ci dice, ci avvisa, che la sorte nostra sarà la stessa, e non potrà essere
gran fatto lontana la nostra chiamata. A ciò aggiungete i sospiri, i desideri,
i voti di quell’intiera famiglia del paradiso che ci attende, e sollecita l’arrivo
nostro: magnus illic charorum numerus nos expectat copiosa parentum
turba desiderar. Se la preghiera d’un anima buona mandata al Gielo da
questa valle di lacrime ha già tanto di forza presso Dio da strappar mira­
coli, e favori tuttoché straordinari, che non farà la voce, il desio, il voto
generale di quella celestiale famiglia di vederci, di abbracciarci, e presto
averci a compagni a loro e nostra gioia, e consolazione: ad horum conspec-
turn, et complexum venire quanta et illis. et nobis in commune laetitia
erit. E se ciò sarà per tutti, quanto più lo ha a sperare il Sacerdote da quelle
anime, che ha già mandate in paradiso. Oh! quante volte coteste anime
sante si ricorderanno di quel buon Sacerdote, che le ha salvate, e davanti a
quel buon Dio di cui si beano, faranno voti, e preghiere, perché Iddio lo
salvi, e presto lo ex, i dalle burrasche, e dalle tempeste di questo mondo.
Non parlo di quelle anime, che al letto di morte, e sul punto della loro
partenza ci han dato parola, ci hanno assicurati che in Cielo avrebbero
perorato la causa nostra, sicché o miei cari io lo ripeto e con più asseve­
ranza ancora, il paradiso non può essere lontano, tutto ce lo fa sperare
vicino e forse oltre quello, che noi ce Io aspettiamo, epperciò da questo
pensiero impariamo per nostro prò a tenerci svincolati, e pronti a partire al
momento, che saremo chiamati; impegniamoci ad accrescerci senza ritardo

630
Giorno Ottavo " Meditazione Sopra il Paradiso

la nostra gloria con qualche merito di più alia giornata, e finalmente


proccuriamo di accelerarlo anche noi cotesto paradiso co’ voti, e desideri
nostri. ■
Non sarebbe infatti una follia tener il nostro cuore allaciato in cose di
terra quando sappiamo, che fatti pel Cielo presto vi saremo

chiamati. Che diressimo d’uno, che certo del possesso d’un gran (2150) 7
palazzo, ed avvisato a tenersi in pronto, perché vicino ad essere chiamato,
dimenticato, o messo in non cale il suo grande destino si ridesse occupato
di miseri tuguri, ed a farsene la sua delizia. Agite nunc fratres, aggrediamur
iter vitae. revertamur ad patriam coelestem. in qua scripti sumus. et cives
decreti. Coraggio, fratelli miei, e proccuriamo di tener staccati da questa
terra i nostri cuori, sicché possiam battere costanti quel camino, che ci ha
da condurre alla vita, e giungere presto a quella Città, a cui siamo ascritti,
ed arruolati, e ne’ pochi giorni, che ci restano di viaggio, non perdiamo
tempo a mettere assieme un buon Capitale di meriti per quella gloria.
La misura vi entra senza ricompensa, ogni piccola cosa sarà pagata con
mercede eterna; non fosse che un aspirazione, un occhiata, un gemito, un
bacio al Crocefisso avrà il suo premio10 - detto delFammallata... grazie
tante etc. - Non perdete tempo, o Cari, lavorate, il paradiso pagherà,
andava ripetendo S. Filippo11: chi lavora è come chi sta ritirando monete
etc. Sì un po’ di paradiso pagherà l’assistenza al Confessionale, le fatiche
del pulpito e del nostro studio. Il paradiso pagherà que' sonni che avremo
perduto, e que’ stenti, quegli incomodi che avremo sofferto per le anime.
Il paradiso pagherà quelle privazioni che avremo fatto, que’ motti, quelle
ingiurie, che avremo saputo tollerare; insomma, consoliamoci pure, ogni
momento del viver nostro, quando sia ben impiegato, può contare un
merito, ed un grado di più di gloria in paradiso. Dove è quell’affare, quel
negozio al mondo di qualunque genere esso siasi, in cui possa dirsi che la
persona guadagni continuamente, ed ogni momento possa mettere a parte
qualche cosa. Eh i negozi di questo mondo non sono tanto felici, cotesto
guadagno continuo, sicuro, ed a nostra discrezione sta solo riservato pel
gran negozio del paradiso. Cagione ella è questa, per cui se molte anime
buone, e tanti operarii evangelici provano un rincrescimento a lasciar

10 II testo rimanda ad una riga della pagina, a fronte.


11 D i nuovo il testo rimanda ad una riga della pagina a fronte.

631
■Esercizi Spirituali al Clero ^ Meditazioni

questo mondo, Egli è questo, perché sarà finito per loro il tempo, e non
avranno più campo a proccurarsi merito alcuno; anzi può dirsi che cote­
sto pensiero genera perfino invidia ne’ stessi beati, poiché noi sappiamo
di S. Maria Maddallena de’ Pazzi, che comparsa ad una sua divota si ebbe
ad esprimere, che se in paradiso fosse ancor stato possibile un desiderio,
sarebbe stato quello di tornar in terra per recitare anche sola un ave Maria,
sicché ritornandovi potesse avere quel merito di più: e noi o fratelli miei
che abbiamo ancora la bella sorte d’aver giornate intiere, sapendo che
presto andranno a finire,

(2152) 8° le lascieremo correre senza cercare di trafficarle. Che consolazione sarà


la nostra in morte, e per tutta l’eternità quando penseremo che con pochi
minuzzoli di tempo, con piccole bagatelle ci saremo guadagnati tanta
gloria. O felici momenti, diremo anche noi, che con così poco ci resero
cosi beati in paradiso.
Finalmente l’ultima conseguenza a dedursi, e da doversi praticare da noi
in seguito alla sicurezza, e vicinanza del paradiso, ella è questa, di deside­
rarlo vivamente, e sospirare d’arrivarvi quanto prima. Voi saprete quello
che dice S. Teresa con diversi altri, che venga cioè trattenuta in purgatione,
e provata con una pena specialmente detta di languore-quando speciale
quell’anima che in terra abbi desiderato languidamente il paradiso. Era già
questo Tavviso che dava il dottore S. Gerolamo ad Eustochio, di portarsi
soventi col pensiero alla Città Santa di Dio, e sforzarsi d’essere fin d’ora
in terra quello che un giorno sarebbe stata colà: Ad paradisum mente tran-
sgredere: incipe nunc esse quod olim futura es. Tutti gli Ascetici racco­
mandano a’ direttori di Spirito di eccitare nei loro penitenti cotesto desi­
derio, cotesta brama del paradiso, perché a misura che noi li solleveremo
con questi slanci dalla terra, li vedremo camminare più veloci per la strada
del Cielo, e della virtù. La nostra vita, la nostra conversazione, la nostra
dimora, lo ripeteva già il grande Apostolo, e con lui può dirsi che lo ripe­
tono tutti i padri, e dottori deve essere più in Cielo, che quaggiù in cote­
sta misera terra; e non c’è a stupire perché lo stesso divin Redentore fra
i primi voti, che ci mise sulle labbra da mandare pregando al Padre suo
ili quello che venga, e venga presto quel si bel regno: adveniat Regnum
tuum12. Mi pare che dovrebbe essere perfin inutile una sifatta raccoman-

12M t 6,10.

632
Giorno Ottavo - M editazione Sopra il Paradiso

dazione, poiché dove è quel uomo al mondo, che sapendo di certo d’aver
a prendere una grande eredità; d’avergli a toccare una grande fortuna, la
dimentichi ed abbisogni che qualcuno le raccomandi di pensarvi, e di
desiderarla. Solo pel paradiso vi dovrà essere cotesta indifferenza? e non
sarebbe questa un gran torto che faressimo a noi medesimi, a Dio, ed a
tutte quelle anime che ci attendono lassù dimostrando col fatto di curar­
sene così poco. Ma lo so che fa piacere il paradiso, e vi penserei, e lo desi­
dererei volentieri, se sapessi d’andarvi Ma è tanto diffìcile potervi arrivare,
e chi sa se vi potrò giungere. Ecco, o miei cari, il punto, lo scoglio, in
cui si rompe tutta la forza, che pur sarebbe tanto grande, del paradiso:
ecco il perché in molti cadono le braccia, e se non viene meno la volontà
di far bene, si scema, s’illanguidisce e par che si faccia il bene quasi per
carità13 - fatto di chi non voleva confessarsi etc. Scoragiamento per chi
avesse da salire un monte - Fermiamoci ancor un po su questo riguardo
ultimo punto. Ho detto che il paradiso è sicuro,

il paradiso è vicino, ed è facile l’arrivarvi. Io non voglio negare che vi(2153) 9


sia qualche difficoltà, e non costi qualche cosa. Ma dov’è io dimando quel­
l’impresa al mondo, tanto più se di molta importanza, e di gran guadagno
che costi niente; ma si lasciano forse gli uomini spaventare da sì fatte diffi­
coltà? Ne siamo ben lontani, e si riderebbero di chi per questo solo se ne
facesse in fuori, e si ritirasse. Quando io dico adunque che il paradiso è
facile ad acquistarsi, intendo di dire che desse non sono ne tante né tali,
quali il mondo se le immagini; intendo di asserire che hanno molto più
a patire, a soffrire i mondani per dannarsi, che non le persone dabbene
per arrivare a salute. Ed a provare il mio detto io credo che non abbisogni
d’altro, e non si possa arrecare un argomento, ed una prova maggiore, e
più convincente che la confessione de’ mondani medesimi. Prendete uno
qualsiasi di questi tali, ed interrogatelo: di due giorni, che egli abbi pas­
sato nella sua vita, uno a far bene, a servir Dio, e salvarsi, l’altro a vivere
a modo suo: dimandategli qual sia stata la giornata più terribile, più dif­
ficile, più penosa per lui, quando non sia di mala fede, la risposta sarà
pronta, certa quale noi ce la possiamo immaginare. Le Confessioni, che
fanno questi meschini non già all’impensata, ed in mezzo a’ loro bagordi,
ma ne’ momenti più solenni, e più veritieri della lor vita lo danno a cono­
scere abbastanza: gemono, piangono, imprecano quel mondo medesimo

13 II testo rimanda ad una riga della pagina a fronte.

633
Esercizi Spirituali al Clero - Meditazioni

che li ha traditi, burlati, travagliati al punto da non poterne più. E quan­


d’anche non lo confessassero in vita, noi sappiamo dalle sacre Carte che
saranno costretti a ripetere cotesto lamento per un eternità intiera: ambu-
lavimus vias difficil.es, lassati sumus in via iniquitatis14. Io non so che cosa
ci voglia di più per convincerci di cotesta verità. Eppure, qualcheduno può
dire, che le Sacre Scritture ci dicono che la strada del Cielo è stretta, pochi
vi camminano, e ci vuol forza, e violenza per arrivarvi. Io ammetto tutto
questo, o cari, ma con ciò non recedo dalla mia proposizione che sia fàcile
il salvarsi nel senso, che ho detto. La Scrittura dice che la strada del Cielo
è stretta, sia pur vero, ma parlando delle strade del mondo, e che battono i
mondani, le dice altro che strette, ma piene di triboli, di spine, di disgusti,
e di dispiaceri e ciò in cento luoghi, talmente che arriva a dire che non
avranno ad aspettarsi nel loro cammino che infelicità, da non saper nem­
meno che cosa sia pace. Contritio et infelicitas in viis eorum. et viam pacis
non cognoverunt15 altro che non troppo comode per mancanza di spazio:
che pochi vi entrano, ciò che non è colpa della strada, ma colpa de’ vian­
danti, ed infatti la scrittura non dice, che non possano

(2155) io entrare, ma che non entrano, e non entrano perché non vogliono. La
violenza, e la forza poi, di cui si parla, va intesa a quei grado che l’abbiam
veduta di sopra, non fosse altro che la fatica che costa, e Furto, e contrasto
che cagiona a camminar contro l’onda, e la piena di tanti che corrono al
precipizio; sicché conchìudiamo che il paradiso non solo ce lo dobbiamo
ripromettere come certo, ed aspettarlo fra breve, ma ci sarà ancor piano e
facile il cammino per arrivarvi: facile per la pace, facile per gli ajuti, che
avremo, facile per quella lena e quel coraggio taumaturgo che da la certezza
d’un premio grande, e vicino: ed infatti che cosa ci vorrà da un Sacerdote
perché si salvi: niente più che quella vita di Ministero ordinata, divota,
ritirata, che vediamo a fare da tanti buoni preti: niente di straordinario, di
sorprendente, di eclatante agli occhi del mondo: ogni cosa a suo tempo la
levata, lo studio, gli infermi, il Confessionale, il riposo, ed anche un po’
di sollievo, ma tutto ripeto con ordine, e non già a capriccio, e secondo
la voglia, poiché non è già questa che debba regolare la giornata del Sacer­
dote. Una vita divota, condita cioè, accompagnata da quelle pratiche di
pietà che hanno da contrassegnare la nostra giornata da quella del secolare:

14 Sap 5,7.
15 Sai 13 ,3 .

634
Giorno Ottavo - Meditazione Sopra il Paradiso

ritirata, aliena cioè dalle brighe, dagli affari, ed anche più che si può dalla
compagnia, e frequenza del mondo. E sarà tanto difficile a battere questa
strada. Eh! miei cari, tutt’altro yoi lo sapete al pari di me anzi, ella è sola
che ci possa dare un po’ di pace a questo mondo sulla terra, e la sola via
d’andar esente per quanto è possibile dalle strette, e dalle torture di questo
mondo5'’. Non sunt condignae passiones hujus saeculi ad futuram gloriam
quae revelabitur in nobis17.
Costi finché vuole il paradiso sarà mai caro. S, Teresa.
Coraggio adunque fratelli miei, leviamo lo sguardo, e teniamo d’or in
avanti fissi i nostri occhi là dove si trovano i veri gaudii, le vere consola-
zioni del nostro cuore: ibi nostra fixa sint corda, ubi vera sunt gaudìaia.
Cotesto pensiero, e cotesta aspettazione sia quella che condisca le nostre
pene, allievi le nostre fatiche, e ci conforti ne’ nostri travagli: sono fatto
pel Cielo, sono destinato per la gloria, sono un uomo da paradiso: ecco
il mio destino, ecco la mia gioia, la consolazione, e la speranza mia. Non
tardat Dominus promissionem suam... iuste et pie vivamus in hoc saeculo
expectantes beatam spem]9: sì, o cari, Iddio non può fallire alle sue pro­
messe, viviamo da buoni preti aspettando che venga quel giorno felice, in
cui da questa terra di lagrime, e di dolori saremo chiamati a quell’eterno
soggiorno di gaudio, e di delizie sempiterne20. Io vi lascio adunque o fra­
telli con questa, santa, e dolce speranza, io ve la metto in cuore, e vorrei
potervela fermar in cuore da perderla mai più; amatela, gustatela. Hanc
spem, fratres amate, hanc spem tenete.

16 Con una nota il Cafasso rimanda ad alcune righe scrìtte nella pagina a fronte.
17 Rm 8 ,1 8 .
18 D a ll’o ra z io n e c h e n e lla L itu rg ia R o m a n a a ttu a lm e n te è p re s c rìtta p e r la X X I d o m e ­
n ic a d el T e m p o o rd in a rio .
19 2 Pt 3 ,9 ; Tt 2 ,1 3 .
20 Con una nota il Cafasso rimanda ad alcune righe scritte nella pagina a fronte.

635
Giorno Settimo
Meditazione Terza Seconda
Sopra Famor di Dio
Ventesima prima degli Esercizi 1

Vi è niente di più facile, e di più naturale al nostro cuore che amare tal- (2557)
mente che S. Agostino chiamava la vita l’amore la vita del nostro cuore:

* (faìd. 4 8 /fase. 226; neWoriginale 2554-2566)


1 II testo inizia con una pagina interamente barrata. La trascrìviamo qui: E m o r to il
d iv in R e d e n to re , è m o r to il p rim o , e d il c a p o d i t u t t i ì S a c e rd o ti C h ris to G esù ! D u n q u e
h a n n o fin ito gli A p o s to li d i g o d e re d e lla su a d o lce p re sen z a , h a n n o f in ito le tu r b e d ’ac-
c la m a rlo e c o rre rli d ie tro ; E g li è m o r to , e p iù n o n v i è. S o n o c h iu si q u e g li o c ch i, che ci
m ira v a n o c o n ta n ta b o n tà ; ella è m o r ta q u e lla lin g u a , ch e p re g a v a p e r n o i l’e te rn o p ad re:
so n o fre d d i q u e ’ p ie d i, c h e a n d a r o n o in tra c c ia d i t a n t i p e c c a to ri; n o n v i s o n o la c rim e è
vero al m o n d o a su fficienza, p e r p ia n g e re u n a sim il m o rte , e p p u r ella è fa tta , è m o r to e
tu tt o fin i; n o n p i ù u n o c c h ia ta d a q u e g li o c c h i, n o n p iù u n re sp iro s u q u e lle la b b ra , n o n
p iù u n a p a ro la d a q u e lla b o cca. S o n o tre a n n i c h e q u e lla b o c c a , e q u e lla lin g u a parlava,
e felice c h i la p o tè u d ire , o ra tac e, e lascia c h e p a rli i n su a v e ce la s u a sp o g lia m o rta le ; o h
q u a n te b o c c h e p a rla n o d a q u e lla c ro ce , S ig n o ri m ie i; t o t lin g u a e q u o t v u ln e ra . P a rlan o
q u e lle sp in e , p a rla n o q u e ’ c h io d i, p a rla n o q u e lle p ia g h e : p a rla n o al c o sp e tto d e l d iv in
p a d re , e d im a n d a n o m e rc è p e ’ p e c c a to ri; p a rla n o a i n o s tri c u o ri, e d im a n d a n o am o re:
t u tt o il su o se m b ia n te , ci d ic e C h ie s a S a n ta , spiega, e d im a n d a a m o re : o m n is fig u ra eius
a rn o re m sp ira t. C a p u t in c h in a tu m . b ra c h ia e sten sa. la tu s a p e rtu m e se p r im a ci d im a n ­
d a v a c o n u n a sol b o c c a il n o s tr o c u o re : fili, p ra e b e m ih i c o r t u u m \Prv 2 3 ,2 6 ], o ra ce
lo d im a n d a c o n c e n to ; e n o n d im a n d a g ià sa n g u e p e r sa n g u e , v ita p e r v ita , m a n ie n t’al­
tro c h e l ’o m a g g io , e l’a ffe tto d e l c u o re; e d o v e u n a d i m a n d a p i ù d isc re ta , e d in sie m e p iù
g iusta? Io la p r e n d o p e r s o g g e tto d e lla n o s tra m e d ita z io n e , e v o g lio c h e ci tra tte n ia m o in
q u e s t’o ggi a c o n sid e ra re a lc u n i d e ’ p rin c ip a li m o tiv i, c h e c i d e v o n o im p e g n a re i n q u e sto
esercizio d i a m o re , e li r id u r r ò a q u e sti d u e p u n ti: 1, p e rc h é lo m e rita Id d io : 2 p e rc h é
lo v u o le l’in te resse n o stro ! o q u a n to è m a i d o lce p a rla re d i a m o re , d ice v a S, A g o s tin o ,
m a q u a n to sarà p iù d o lc e a p ra tic a rlo : oh! c h a rita s d u lc e n o m a i , se d d u lc iu s fa c tu m [In
Lohannis Ep. Tract., P L 3 5 , c. 2 0 3 5 , 4 5 ]. O h !... ch e n o n v i è lin g u a c h e p o ssa d ire, n o n
v i s o n o p a ro le c h e p o ss a n o e sp rim e re c h e cosa sia a m a r Id d io : cosi ci fa leggere C h iesa
S a n ta n e l n o s tr o officio: n e c lin g u a v a le t d ice re, n e c litte r a e s p rim e re , q u i d sit Ie su m d ili­
gere [dall’in n o lesu dukis memoria]. V olesse p u r Id d io c h e in fia m m a ti i n q u e s t’o ggi dì
q u e s to celeste fu o c o , p rin c ip ia s s im o q u i in terra , e d in q u e sta v alle d i la c rim e q u e lla v ita
Esercizi Spirituali al Clero ^ Meditazioni

vita cordis amor est: egli deve amare, assolutamente qualche cosa, ed
appena travede in un oggetto una qualche qualità amabile che natural­
mente è portato ad amarla: apriamo però gli occhi, Signori miei, prima di
consecrar a qualcuno il nostro cuore, e ricordiamoci che tra mille cose, che
ce lo chiamano un solo se lo merita: oh quanti a quest’ora piangeranno per
aver appunto sbagliato nel fissare il loro amore: via dai nostri cuori questo
mondo miserabile, via quanto può promettere a chi lo segue, che non è
degno del nostro amore; se vogliamo amare senza avvilirci, se vogliamo
amare senza averci un giorno a pentire della nostra scielta, ecco l’unico
al mondo che se lo meriti, che è il nostro Dio; quel Dio istesso, di cui
ardono tanti serafini in Cielo, quel Dio, di cui avvampano tante anime
sante in terra, quel Dio che sarà il nostro sostegno nell’ultimo de’ nostri
dì, quel Dio infine che formerà la delizia, e la gioja de’ nostri cuori per
tutta quanta un’eternità; sì amiamolo, ma amiamolo molto, amiamolo
con quanto abbiamo di cuore; e dove trovare un oggetto più grande, più
degno, più meritevole di amore che un Dio. Io non sto qui ad accennare il
primo, e massimo comandamento di amare Iddio, perché direbbe S. Ago­
stino, e che bisogno di comando, di amarlo, e che minacce, e che castighi
se non si ama. E non è già il massimo de’ mali, e de’ castighi, e non è già
la più somma grande delle disgrazie a non amarci. Quid... sum ipse. ut
amari te jubeas a me. et nisi faciam. irascaris mihh et mineris ingentes divit
miserias. Parva ne est miseria, si non amem te. Lib. 1 Conf. cap. 52

(2556) E che bisogno dirò ancor io con maggior ragione, di andare, di parlare
di comandi, quando si tratti di Sacerdoti ministri, e depositari del suo
amore. E qual vantaggio, qual prò, qual felicità ad amare. Chi ama pag. 5

(2560) gode, merita, non fatica, l’amore è il fonte, la ragione del nostro merito.
Sappiamo3

2 Una nota rimanda alla pagina a fronte


3 Segue un lungo testo barrato che trascriviamo qui: P iu tto s to d ia m o u n a s c o rsa a d a lc u n i
d i q u e ’ m o tiv i, p e r c u i il S ig n o re m e rita ta n to di essere d a n o i a m a to ; si p o tre b b e d ir tu tt o
in u n a p a ro la c o n S. B e rn a rd o : C a u sa d ilig e n d i D e u m . D e u s est [De diligendo Deo, I, 1,
in Opere-, c it., p. 2 7 0 ]; ciò c h e d im o s tra c h e D io solo v a a m a to , è a p p u n to p e rc h é egli è
D io ; e c h i d ice u n D io d ice u n essere ta n to a m a b ile c h e n o n si p u ò a rriv a r a c o m p re n d e re
co ’ n o s tri p e n sie ri, n e ta n to m e n o sp ie g ar c o n p a ro le , e b a sti il d ire u n a a m a b ilità tale che
m ig lia ja d i c u o ri in C ie lo n o n p o tr a n n o arriv are a c o m p re n d e rn e , a g u sta rn e il te rm in e

638
Giorno Ottavo ~ M editazione Terza Seconda - Sopra l ’a m or di Dio

sappiamo quello che diceva l’Appostolo; quando io avessi il dono della (2561) 5
profezia, l’intelligenza de’ misteri, quando io avessi tanta fede da far mutar

p e r q u a n to p o ssa essere lu n g a u n e te rn ità . O m io D io , cosi si la m e n ta v a S. F ilip p o N e ri,


e p e rc h é tra d irm i in q u e sto m o d o : v o i farvi così a m a b ile , e p o i

u n c u o r solo p e r a m a rv i, e q u e sto a n c o r così p ic c o lo , a m a b ile p e rc h é b u o n o , e s a n to , (2558) 3


a m a b ile p e rc h é g ra n d e , a m a b ile p e rc h é a m a n te , a m a b ile p e rc h é b enefico: a n c h e tr a n o i
q u e ste q u a lità n o n o s ta n te v a d in o a c c o m p a g n a te d a m ille d ife tti, e d im p e rfe z io n i p u re
so n o q u e lle c h e so g lio n o affe z io n a rsi u n c u o re. D a te m i u n a p e rs o n a c h e sia e m in e n te in
v ir tù si p u ò d ire ch e n o n h a n e m ic i i n ciò ch e rig u a rd a la su a p e rso n a , m a t u tt i e b u o n i, e
c a ttiv i d iv e n g o n o i n u n te m p o su o i a m m ira to ri; c h e a n im a c a n d id a , si d ice , c h e b el cuore;
c h i le p o tre b b e v o le r m ale , se è u n S a n to : così p a rla a n c h e c h i o d ia la v ir tù coi fa tti; or
io d ic o se la v irtù , e la s a n tità di u n u o m o h a ta n t o d i fo rza p e r farsi a m a re, c h e sarà d i
q u e lla s a n tità sen za m a c c h ia , d i q u e lla b o n tà se n z a lim iti c h e risp lc n d e in D io ; ah!... che
aveva ra g io n e q u e l g ra n serafin o d i a m o re S. A g o s tin o d i la m e n ta rsi d ’aver ta r d a to ta n to
a c o n o sc ere , e d a m a re u n a sì g ra n b o n tà , b o n tà g ià ta n to a n tic a m a se m p re a ltre tta n to
[Confess. X ,
n u o v a : o b o n ita s ta m a n tiq u a e t se m p e r n ova: sero te am av i; sero te c o g n o v i
X X V II, 1 (P L 3 2 ): in realtà S. Agostino scrive p u lc r itu d o ai posto di b o n ita s]. A n c h e io,
o S ig n o re v o g lio u n irv i i m ie i la m e n ti; o b o n tà sì a m a b ile d e l m io D io , oh! m e infelice
avervi a m a to così tard i! ah! ta n ti b e i a n n i d i m ia v ita , ta n ti b e i g io rn i c o n s u m a ti così m ale,
spesi a d a m a re t u t t ’a ltro ch e voi; v o i così b u o n o , v o i così s a n to , v o i così d e g n o di essere
a m a to : vae! te m p o ri ilio, q u o te n o n a m a v i; vi d irò c o llo stesso^ A g o s tin o , v e n g a n m a i u n
te m p o p i ù g io rn i sì in felici, e m i m a n c h i p u re p r im a il te m p o , o S ig n o re p r im a che a b b ia
a m a n c a r m i la v o lo n tà di a m a rv i; ta n to p iù ch e n o n c q u e sto so lo il m o tiv o , c h e ci deve
sp in g e re a d a m a r Id d ìo , m a l ’a m o re c h e ei p rim a ci p o r tò , i ta n ti benefizi, c h e ci fece n o n
ci d e v o n o essere m o tiv i m e n o fo rti p e r a m a rlo : n o n si tr a tta q u i d i a m a re u n o stra n ie ro ,
u n o sc o n o sc iu to , u n o c h e n o n a b b ia m a i a v u to c h e fare c o n n o i si tr a tta d i a m a re chi
ta n to ci a m ò ; a m a a m a n te m te ; c h e se ci rin cre sc ev a , c o n tin u a a d ire S. A g o stin o , essere i
p rim i a d a m a re, a lm e n o n o n ci rin c re sc a o ra d i re n d e re a m o re p e r a m o re : si a m a re pige-
h a t. sa lte m re d a m a re n o n p ig e a t [De catechizandis rudibus, IV, 4 , P L 35 ],
Io n o n in te n d o q u i d i a c c e n n a re t u t t i i tr a tti d i a m o re , e q u e lla lu n g a c a te n a d i b e n e ­
fìzi, c h e il S ig n o re ci usò , e che s o n o c o m m u n i a t u t t i gli altri; io m i re strin g o so lo a d
a lc u n i sp e c ia li, che s o n o t u tt i p ro p r ii d i n o i sa c e rd o ti: q u e lf a lta v o c a z io n e c o n c u i ci
se p a rò d a l resto degli u o m in i, e ci fece q u a si c o m e a ltr e tta n te d iv in ità

i n te rra , q u e i n o m i d i a m ici, d i c o n fid e n ti, d i fa m ig lia ri, c o n c u i si d e g n ò d i n o m i- (2559) 4


n a rci, q u eg li a lti p o te r i d i c u i ci rivestì, d a fa r in v id ia n o n solo alla te rra , m a al C ielo
m e d e sim o , q u e lle ta n te p ro m e sse , c o n c u i ci in c o ra g g i, c h e ci a v reb b e p re p a ra to u n p o sto
n e lla stessa su a g lo ria, che sareb b e sta to c o n n o i fin o al fin e d e ’ secoli, q u e lle r ip e tu te
a ssic u raz io n i ch e ci a v re b b e a m a to c o n queH ’a m o r istesso, c o n c u i a m a v a lu i l’e te rn o su o
p a d re ; c h e a ltro m ai, si p o te v a d e sid era re d i p iù , e q u i p iù c h e in o g n i a ltro lu o g o si p u ò
d ire c o n S. A g o stin o : è p u r s a p ie n te il S ig n o re, è p u r p o te n te , m a c h e p o te v a far d i p iù al
S a c erd o te: d o p o d ’averlo elev ato t a n t ’a lto c o n fid a rg li q u e llo c h e v e r a d i p iù a lto , di p iù
sa c ro sa n to i n terra , e d i n C ielo . O r io d ico : se d o p o ta n te p ro v e d i a m o re , se d o p o u n

639
Esercizi Spirituali al Clero ~ Meditazioni

luogo ai monti, ma se mi manca Famore, la Carità: niliil sum4: abbi pure


quello che vuoi, ma se ti manca soltr questo solo, che è Famore, niente ti
gioverà: quidquis vis habe, hoc solum non habeas. nihil tibi prodest. S.
Agostino5. Al contrario se vi è Famore, vi è tutto: fa quel che vuoi, dice
Agostino, solo che ami io non cerco più. altro, non guardo a quello che
fai: dilige, et fa quod vis6: io non esamino più se facci molto o poco, se ti

c u m u lo sì g ra n d e d i fa v o ri ta n to p a rtic o la ri, il S a c erd o te a n c o r s te n ta a d a m a re il su o D io ,


c h i m a i l ’a v rà d a a m a re a q u e sto m o n d o : v i sarà fo rse d a stu p ire c h e la m a g g io r p a rte del
p o p o lo in g o lfa to n e g li affari, ig n o ra n te , e senza p a ra g o n e m e n o fa v o rito d i n o i n o n sa p p ia
a d a m a re Id d io , se il S a c e rd o te stesso, che n e d o v re b b e a rd ere p e l p rim o , c h e è p o s tò p e r
d ila ta re il re g n o d e ll’a m o re , n e viva la n g u id o , e fre d d o , è g ià g ra n m a le c h e u n so lo d e l
m o n d o n o n a m i il su o D io , m a c h e n o n l ’a m i il S a c e rd o te il m a le d iv e n ta in esp lic ab ile .
P ia n g e v a n o g ià gli E b re i a llo rq u a n d o r ito r n a n d o d a B a b ilo n ia , e sc a v an d o in q u e l m is te ­
rio so p o z z o in vece d e l lu o g o sacro, c o m e c red e v an o , v i tro v a ro n o a q u a crassa, m a ... o h
q u a n to sa re b b e p iù d a p ia n g e re il m ale, c h e d ic o io: se si p o tesse p e r cosi d ire scavare n e ’
c u o ri d i c e rti S a c erd o ti, a h im è in lu o g o di q u e l fu o c o sacro, ch e vi d o v re b b e ard ere, vi
tro v ere ssim o a m o r d i ro b a si, a m o r d i c o m o d i, a m o r d i g lo ria , e c h i sa fo rse q u a lc h e cosa
d i p eggio; e n o n sa rà d a la m e n ta re , e d a p ia n g e rsi c h e q u e l c u o re che d o v re b b e essere u n a
fo rn a c e d i a m o re d iv in o , q u e l c u o re che n o n d o v re b b e vivere, e resp irare c h e d ì a m o r di
D io , sia la c is te rn a d e lle a q u e p iù im p u re , e d im m o n d e . S ig n o ri m iei, la sc ia m o sta re gli
a ltri, e d o g n u n o e n tr i n e l su o c u o re p e r v e d e re c h e fu o c o vi re g n i, c h e a m o re v i d o m in i.
S. F ra n c esc o d i Sales e ra so lito d ire c h e se avesse c o n o s c iu to c h e u n a fib ra so la d el su o
c u o re , n o n avesse a m a to il su o D io , n o n 1’av rèb b e so ffe rta , m a se la sa re b b e s tra p p a ta ; tale
d o v re b b e essere la d isp o siz io n e d ’o g n i sa c e rd o te , p e rc h é il c u o re d ’o g n i S a c erd o te è fa tto
p e r te n e r vivo, e d acceso i n te rra q u e sto fu o c o d e l d iv in o a m o re , e d è m ille v o lte m eg lio
c h e gli v e n g a m e n o la v ita , c h e v e n irg li m e n o l ’a m o re , m u o ja p u r a m a n d o il S a c erd o te,
c h e n o n sarà d isg razia u n a ta l m o rte , m a n o n viva se n z a a m o re , c h e u n a ta l v ita sa reb b e
p e g g io re d e lla m o rte : p e n sia m o v i, S ig n o ri m ie i, c h e la cosa n o n p u ò essere p i ù d e g n a d i
p e n sa rv i; q u a n d o fosse u n a ltr o b b lig o , u n a ltro p r e c e tto , si p u ò

{25 66) 5 a d d tir q u a lc h e scusa, tro v a r q u a lc h e o sta co lo , m a a q u e llo d i a m a re c h e m a i si p o trà


risp o n d e re ; c o lu i ch e m i d ice c h e n o n p u ò d ig iu n a re , m i p o t r à fo rse d ire c h e n o n p u ò
a m a re: d ice v a A g o s tin o : p o te s t m ih i a liq u is d ice re, n o n p o s s u m ietu n a re : n u m q u id p o te s t
dicere: n o n p o ss u m a m a re [Sermo CCX, in P L 3 8 , c. 1 0 5 3 , 4 6 ]. C o si A g o st in o M a a lm e n o
se n o n ci m u o v e la giustizia, e la fa cilità d i q u e sto a m o re al n o s tro D io , ci m u o v a a lm e n o
l ’in te resse il v a n ta g g io n o stro : n ie n te è p i ù facile, n ie n te è p i ù g iu sto , m a n e llo stesso
te m p o n ie n te è p iù u tile p e r n o i, c h e l’a m a r Id d ìo : e p p e rc iò n o n so lo lo m e rita Id d io , m a
lo v u o le l ’in te resse n o stro . E p r im a d i t u t t o l ’a m o re si è q u e l so lo ch e d a il p re g io , e d il
v alo re alle n o s tre azio n i,
4 1 Cor 1 3 ,2 .
In Iohann. ep., V, P L 3 5 , c. 2 0 1 6 , 2 8 .
5 S. A g o s t i n o ,
6 C ita to d a Sermoni, c it., p. 2 0 2 .

640
G io r n o O tta v o ^ M e d i ta z io n e T e r za S e c o n d a " S o p ra l ’a m o r d i D i o

eserciti in opere grandi o basse, se ami avrai abbastanza, anzi avrai tutto:
dilige et fac quod vis7;

perché l’amore non solo è il fonte, e la radice di tutti Ì nostri meriti, ma (2560)
ne forma ancor la misura; se volete sapere quanto meriti un Eclesiástico,
e che corona si vadi guadagnando, non cerchiamo solamente quello che
faccia, ma piuttosto con che cuore, con che amore ci travagli, ci lavori.

Il Signore non guarda tanto alla cosa, quanto al cuore, con cui si fa; (2561) 5
non computat sensum, sed affectum: deus de cordibus. non de manibus
facta metitur; con questa bilancia un occhiata, una parola, un gemito, un
sospiro che parta da un cuore infuocato può valere avanti Dio quanto un
altra opera la più strepitosa avanti agli uomini; se così consideriamo un
po' un momento è quanti gran meriti si possa fare in un giorno solo un
Sacerdote quando abbia il cuore pieno di amore, nella celebrazione della
Messa, in quelle ore di Confessionale, in quelle visite di conforto, in quelle
ore di studio, e nella solita recita del Breviario: siccome una gran massa
d’oro sevenisse a dividersi in tanti pezzi, nessuno perderebbe del suo valore
per piccolo che fosse; così si può dire della vita di questo sacerdote; i
suoi giorni, i suoi anni sono questa gran massa d’oro pel Cielo, se noi la
vogliamo dividere, ogni momento che passa,

ogni parola che dice, anzi ogni sospiro che da sono una particella di (2562) 6
questa gran massa, che basta per se sola a formare una perla pel Cielo:
oh! quanto ci dovrebbe animare, Signori miei, questo pensiero, e quanto
impegno ci dovrebbe mettere per cacciar dal nostro cuore ogni amore, che
non sia per Dio, e così infiammarlo di questa Santa Carità.
Di più l’amore non solo da il merito alle nostre azioni, e fa grandi le
cose piccole, ma d’ordinario è quello ancora, da cui dipende il frutto delle
nostre fatiche verso de’ prossimi: è vero che il Signore può operare, ed
alle volte opera indipendentemente dalla nostra virtù, la sua parola, la sua
grazia non è legata ai nostri meriti, nò; ma d’ordinario nell’ordine con-
sueto della sua provvidenza s’adatta al personaggio, di cui si serve; ed in

7 II testo procede con le seguenti righe barrate; perché l’amore non solo è quello che da
il valore alle opere nostre, ma va più oltre ancora, ed è virtù sua di far grande ciò che è
piccolo: mi ricordo già d ’averlo detto, ma non sarà inutile il ripeterlo, che
A l posto di queste righe il Cafasso intende inserirne altre, poste nella pagina a fronte.

641
Esercizi S p iritu a li a l Clero " M e d ita zio n i

questo caso come farà frutto, come potrà riuscire ad eccitare amore negli
altri, se lui ne è privo: qui non ardet, non inccndit. diceva S. Gregorio8:
ed a che giova lo strepito delle nostre parole, seguita dire S. Agostino, se in
quel tempo il cuore è muto, e tace: quid prodest strepitus verborum. si
cor est mutum9 eh!... che il parlar d’amore a chi non ama è una lingua
barbara e sconosciuta: lingua amoris ei, qui non amat, barbara est, et pere­
grina. S. Bernardo10. E poi senza tante prove, ed autorità di padri si vede
giornalmente in pratica che vai più una parola per convertire un cuore,
che parta da un anima infiammata che una predica di un cuor freddo, e
gelato. Se vogliamo Signori miei, se ci sta a cuore di far frutto ne’ nostri
Ministeri, di guadagnar qualche anima, proccuriamo che il nostro cuore
sia cóme una fornace di amore, allora ci sarà facile con parole, con sospiri,
con preghiere infuocate infiammare anche gli altri; con fuoco alla mano si
può dar fiamma anche ad una selva più frondosa e verde, cosi se il nostro
cuore se la nostra lingua manderà fiamme di fuoco, e di amore vinceremo,
e daremo fuoco per dir così ai cuori più ostinati, e fermi.
Non basta ancora il -fin qui detto dei vantaggi grandi dell’amore, della
felicità di chi ama. Un altro utile non men grande si è che quello di rendere
leggiere, e dolci le istesse nostre fatiche ed insieme rendere dolce, e quieta
la nostra vita. Colui che ama, non travaglia, dice S. Agostino, qui amat
non laborat11. tanto è il piacere che prova l'amante nel servire, nel cercare
l’òggetto amato che il peso stesso

(2563) 7 gli si converte in delizia: omnia saeva. facilia. et prope nulla efficit amor.
S. Agostino12. Guardiamo che cosa fa l’amor della roba in un negoziante,
l’amor della preda in un cacciatore; pericoli, stenti, fatiche, spese, sudori
tutto è niente; perché non vi è cosa al mondo per dura, che sìa, fosse anche
di ferro per così dire che non si superi, non si vinca col fuoco delfamore:
nihil est tam durum, atque ferreum quod non amoris igne vincatur. S.
Agostino13; e non solo si supera, ma come dice il Venerabile a Chempis,
fa leggiero tutto ciò che è pesante, e rende dolce, e gradito ciò che sarebbe
amaro: magna res est amor... leve facit omne onerosum, et omne amarum

s Citato da Selva, cit., p. 23.


5 In Johann. Ev. Tract., IX, 13, PL 35.
10 Citato da Selva, d t., p. 102.
11 In Iohann. Ev. Tract., XLVIII, 1, PL 35.
12 Sermo DLXX, PL 38, c. 444.
13 Liber de mor. ecel., XXII, PL 32.

642
G io rn o O tta v o " M e d i ta z io n e T i r z a S e c o n d a -■ S o p r a l ’c tm o r d i D i o

dulce, ac sapidum efficit14: e se questo lo fa l’amor profano, l’amor di terra,


quanto più non lo farà l’amor divino; e che lo faccia ne abbiamo prove
incontrastabili; se vi è una cosa al mondo, che ripugni, è certamente la
morte, tanto più quando va accompagnata da lunghi, ed acerbi dolori; '
eppure quante anime vi andarono alFincontro non solo con coraggio, ma
con giubilo, e feste per amor del suo Dio; quanti uomini Apostolici poi
ci .danno per prova la lor propria esperienza in questa parte: in mezzo ai
pericoli più evidenti, tra fatiche enormi, in mezzo a persecuzioni, dicerie
ed ostacoli di mille sorta pure mantenersi intrepidi, e trovar tra tanti mali
un mare di dolcezza, che quasi li affogava: non plus domine satis domine
satis, cosi esclamava S. Francesco Saverio; ben lungi dal lasciarsi abbat­
tere, dal soccombervi alle fatiche, pare che ne traesse la vita, la sua gioja,
il suo paradiso; e poi senza cercar esempi in altri, forse avremo l’esempio
in noi stessi; ci sarà capitato di far alle volte qualche cosa di difficile, di
ripugnante, di arduo, ci saremo messi d’attorno con buona volontà senza
nessuna vista terrena, ma per puro zelo dell’onore, della gloria di Dio, per
puro amore al nostro Dio, oh! come ci sembrava facile con questi pensieri
in capo, pare proprio che uno avanti noi sormontasse per noi stessi le dif­
ficoltà; e perché? perché l’amor del nostro Dio, l’amore, il zelo della sua
gloria, era quello che ci portava; oh!... quando un cuore è caldo, quanto
mai è capace di fare; si può dire che non vi sono più ostacoli per lui al
mondo, vi è più niente di leggiero, o pesante, di gradito, o ributtante,
di facile o difficile quando si tratti delfonor di Dio: tutto ha uno stesso
t nome, tutto è lo stesso ai suoi occhi: e che cosa è mai per un Sacerdote
di questa fatta lo star in confessionale, predicare, visitar infermi, attendere
allo studio, ci vuol altro che questo a saziare, a stancare il suo amore;
povero sacerdote, alle volte dicono certe persone, che vita fa mai quel tale,

sempre al lavoro, sempre occupato mai un m omento di posa, or qua or (25®) 7


là, visitar questo, consolar quello: certo

che non sa che cosa sia bel tempo: oh! anime semplici, e superficiali; (2565) 8
ringraziamole della loro compassione, perché non ne abbiamo bisogno, e «
diciamolo che non sanno quello che si dicano, perché non vedono quel
fuoco, che arde in quel petto, e che è niente in paragone di quello che
vorrebbe fare; -si logora la sanità, si abbrevia la vita, se volete sarà vero,

14 De imitatione Christi, III, V, 3.

643
E sercizi S p iritu a li a l Clero -• M e d ita zio n i

ma non vedete che gli rincresce d’averne una sola per da spendere pel suo
Dio, ne vorrebbe aver cento da dargli, ed allora solo è contento quando la
spende per Iddio: tale è, Signori miei la disposizione di un sacerdote che
arda d’amore, tali sono i suoi giorni. La carità, l’amore che lo infiamma
non solo toglie il peso alle sue fatiche, ma in mezzo alle fatiche, ed a tutte
le croci di questa valle di lacrime gli da giorni i più belli, ed i più tranquilli
del mondo15.

Tutti a questo mondo cercano la pace, la tranquillità, eppur così pochi


giungono a ritrovarla, e perché? perché si sbaglia da principio la strada,
si cerca dove non v è; si cerca da chi non la può dare; si cerca la pace da
questo mondo, che è un mare in tempesta, e se non H ra la potrà dare? si
cerca la contentezza nelle cose di questa terra, ed esse non ci contentano, ci
lasciano vuoti più che prima perché non sono fatte per noi; almeno si con­
tentassero di lasciarci solamente un vuoto nel cuore, ma di più ci diven­
tano un peso, un tormento, una spina: omnia vanitas, et afflictio spiritus;
tutto è vanità, tutto è follia, tutto è afflizione: dura sunt omnia, deus solus
requies S. Agostino16: ecco Signori miei il solo riposo de’ nostri cuori, la
quiete delle nostre anime, la contentezza di tutti i nostri desideri, non è
la roba, non sono gli impieghi, i titoli, i comodi non sono li piaceri: dura
sunt omnia, deus solus requies. Guai a quel cuore, esclamava S. Agostino,
che non arde d’amore per voi, o mio Dio: vehi illis qui non ardent ex te
Domine. Non troverà che crucci, che guai, che spine da rendergli amara la
vita, e far temere una morte ancor peggiore17.

(2564) Fatto di persona moribonda, che confessava aver mai avuto un bel
giorno in vita.

15 Una nota rimanda alla pagina a fronte: il testo però fu successivamente barrato. Lo
trascriviamo qui: L’amore è naturale, è facile, è dolce al nostro cuore;, è naturale perché
fatto per amare, di modo che chiamava S. Agostino l’amore la vita del nostro cuore; vita
cordis amor est: è facile amar questo Dio, perché i motivi di amarlo sono tanti, e si chiari
che ci sforzano: il solo suo sembiante ci mostra, ci dimanda amore da ogni lato: omnis
figura eius amorem spirat. Caput inclinatum. brachia extensa. latus apertum: che cercar
altrove de’ motivi di amar questo Dio, quando in quel corpo ogni piaga è una lingua, che
chiama amore: tot linguae quot vulnera; è dolce l’amarlo. Tutti etc...
16 Citato da Sermoni, cit., p. 162.
17 Una nota intende inserire una riga dalla pagina a fronte.

644
G io rn o O tta v o ~ M e d i ta z io n e ^ R rza S e c o n d a ^ S o p ra V a m o r d i D i o

Se vogliamo adunque Signori miei trovar pace, provar quiete tra le tem­
peste di questa terra vita mortale ecco il solo, e l’unico mezzo: cacciar dal
nostro cuore tutto ciò che sa di mondo, vuotarlo d’ogni amore di terra per
darlo poi a Dio, ma darlo intieramente, darlo senza riserve, darlo irrevoca­
bilmente; e per esser tali stampiamoci in mente quella gran massima del
Venerabile a Chempis: tutto ciò che non è Dio, per me è un bel niente:
quidquid deus non est nihil est tutto ciò che non serve al suo onore, alla
sua gloria, per me non solo

è poco, ma niente affatto, e per niente si ha da tenersi. Quidquid deus (2566) 9


non est nihil est et prò nihilo computari debet; la stessa massima teneva S.
Francesco di Sales: tutto per Dio, niente contra Dio, tutto per Dio: affetti,
pensieri, desideri, sanità, roba, impieghi, tutto per Dio, e niente contra
Dio, ne poco ne molto, ne oggi, ne domani, mai niente contro Dio. Beato
quel Sacerdote che consecrerà in questo modo il suo cuore a Dio: Beato
lui ripeto se modellerà i suoi affetti, le sue mire le sue voglie su queste gran
massime, comincierà ad avere, a gustare un paradiso in terra, conoscerà
quanto sia dolce servire così, ed amare il Dio della pace, e d’ogni consola­
zione. Vanti pure il mondo le sue soddisfazioni, i suoi piaceri, le sue con­
tentezze non hanno che fare colle contenténtezze che da il Signore ai suoi
amanti; contentezze tali che il mondo è nemmeno degno di conoscere e
di sapere, solo chi ama le saprà: dammi un amante, diceva S. Agostino, e
questi intenderà quello che dico il mio linguaggio: da amante iris et intelli-
get quod dico13. Ma non bastano ad un amante del Signore le contentezze
di questa vita, per grandi che già sieno, maggiori le saranno riservate al
punto di morte, e nella futura eternità. Che consolazione non sarà per un
anima di Dio, per un buon sacerdote, allorquando trovandosi sul fine sul­
l’ultimo di sua vita, sul fine de’ suoi dì, e pensi che va a trovare, andrà ad
unirsi al suo Dio: quel Dio, che amò così di cuore, quel Dio che sospirò
tanto tempo, quel Dio, di cui zelò cotanto l’onore, e la gloria, quel Dio,
che formava la sua delizia, quel Dio insomma che era tutto suo, con cui
si può .dire che era una sola cosa, un cuor, un anima sola. Oh che dolce
pensiero sarà mai questo in quelle ore, oh che morte felice, che termine
consolante de’ suoi dì, oh che bel passaggio da questo mondo all’eternità
però se vogliamo che la

18 In Iohann. Ev. Traci., XXVI, 5, in CCL 36,262.

645
E sercizi S p irìtù a li a l Clero ^ M e d ita z io n i

nostra felicità sia tale proccuriamo che il nostro amore abbia queste tre due

gemere, e lamentare il passato, quel tempo, che non abbiamo amato; 2


ci porti a dar prova coi fatti in avvenire che noi amiamo. Primieramente
adunque proccuriamo che sia penitente il nostro amore. Un anima etc.
pag. 2.
Die 12 decembris 1843
Laus deo. B. V. M. et S. Alph.

646
(2567)
Giorno Ottavo
Meditazione Prima seconda
Sopra gli effetti dell’amor di Dio
Ventesima seconda degli Esercizi1

Non tralasciamo in questo ultimo giorno di riacenderci con vive giaccia- (2570) 2
torie; vi amo, Signore, ma vorrei un amore più ardente: amo, domine, sed

* (fald, 48 /fase, 229 / originale 2567-2585)


1 La meditazione inizia con il seguente testo barrato: Abbiamo veduto, Signori miei,
con quanto merito Iddio ci domandi il cuore; di più quante ragioni dal canto nostro ci
consigliano, ci eccitino, e quasi ci costringano ad amarlo: lo vuole il nostro Ministero, la
nostra qualità di sacerdoti, e depositari dell’amore di un Dio, lo vuole il vantaggio delle
anime, per cui lavoriamo, lo vuole la nostra pace, la nostra tranquillità in questo mondo,
io vuole ancor più quella dolce e santa morte, che speriamo di fare, Io vuole finalmente
quella bella sorte che ci sta riservata in Cielo. Oh! beata quella persona, esclama S. Ago­
stino, che avrà questa scienza, e saprà a-mare, benché non sappia altro al mondo si può dire
che sa tutto, perché sa quello che vale più che tutto: beatus. qui te Deum novit, etsi alia
nesciat: come al contrario si sappia pur ogni cosa, ma chi non sa amare, non sarà più che
una persona infelice: infelix homo, qui scit omnia, sed nescit te Deus. Voi felice, diceva
quel buon fratello al dottor S. Bonaventura, voi fortunato, che sapete ed avete imparato
tante cose; oh! fìgliuol mio, gli rispondè il Santo: quella vecchierella che sa amar Dio ne sa
tanto come frate. Bonaventura, Questa risposta che fece stupire e fece dare in ammirazione
quell’anima semplice, a noi può dare di che riflettere, e di che confonderci; a noi potrà
forse parere di saper qualche cosa a questo mondo, dopo tanti anni di studio ci pare quasi
un avvilirci ad accomunarci a certa gente rozza, e grossolana, ci fa compassione la loro
ignoranza, eppure ne sapranno tanto come noi se ameranno Iddio, e Dio voglia che non
ne sappiano di più; si vedono alle volte in questa gente dei cuori tutto amore, mentre
i nostri con tante cognizioni, e tra le letture saranno freddi, e gelati; e che vale tutta la
nostra scienza, se non ci manca la prima, e la principale che è quella di saper amare? E che
gran sapere sarà il nostro, se non sappiamo fare quello che sanno fare perfino le creature
irragionevoli, come è di servire nel loro modo, ed amare il loro Dio. Io ritorno pertanto,
Signori miei, sullo stesso argomento, perché vedo troppo importante, anzi indispensabile
che un sacerdote arda di questo divino amore. Ieri abbiamo considerato i motivi di amar

647
E sercizi S p iritu a li a l Clero - M e d ita z io n i

amem ardentius: o amarvi o morire con S. Francesco di Sales. Prendiamo


per special protetrice di questa ultima giornata la Vergine S.Sm%che è chia­
mata la madre del bell’amore, poiché ci ottenga, ci tempri un cuore che sia
degno in qualche modo di quel del suo Gesù, un cuore tutto fiamme, tutto
zelo, tutta carità, un cuore che in terra emuli la vita de serafini in Cielo,
un cuore per dir in poco che più non respiri, non viva che di amore, di
carità2.

(2569) Amor adunque penitente. Un anima, un cuore, che ami, naturalmente,


e quasi necessariamente deve piangere il tempo che non ha amato. La
cognizione più chiara, che si ha di Dio, il merito che si conosce avere di
essere da noi amato, l’amore, e la sincera tendenza del nostro cuore verso
di lui, rende più amara la memoria delle offese, e de’ torti che gli abbiamo
fatti; fa che riesca più dolorosa la ricordanza di quei giorni che non si è
amato3.

Dio, questa mattina vedremo il modo la pratica di amarlo, gli effetti cioè, che dovrà pro­
durre in noi si fatto amore ossia che vogliam dire

(2569) le qualità, i segni, i caratteri che devono accompagnare il vero amore

(2570) 2 gli atti, a cui deve portare quando vi sia veramente in noi questo santo fuoco. Cosi
mentre sentiremo nuovi motivi per vieppiù riscaldare il nostro cuore avremo in pari
tempo i veri segni onde distinguere, e conoscere se in noi vi sia il vero amore.
2 Con una nota il testo rimanda alla pagina a fronte. Questo testo inizia con una parte
che è barrata; la trascrìviamo qui; Io non intendo qui parlare della natura e delie qualità
indispensabili di quell’amore, di quella carità con cui ogni cristiano deve amare il suo
Signore. Lo scopo mio si è di accennare, e di fermarmi sopra alcuni effetti, e caratteri, che
questo amore dovrà produrre, ed avere più o meno in noi quando desso sia vero e sincero,
molto più se grande ed intenso e dominante, e tra i molti che si assegnano, come princi­
pali io dirò solo questi tre, e sono che l’amor nostro verso Dio sia un amor penitente,
un amor paziente, un amor unitivo, un amore cioè che ci faccia gemere e sospirare sovra
quelle offese fatte al Dio che amiamo, un amore che ci disponga e ci renda pronti a soffrire
qualche cosa per chi amiamo; un amore finalmente che ci congiunga, ci unisca, e quasi, ci
faccia un cuor solo con queli’oggetto che amiamo. Saranno come spero questi tre riflessi
un nuovo incitamento ad amare di più, ad amare più intensamente, più svisceratamente,
e nello stesso tempo ci daranno una norma onde conoscere e misurare in noi questo
divino amore. "
3 II testo prosegue con il seguente brano barrato: Per conoscere la forza, e gli effetti di un
vero amore, facciamoci ad esaminare da vicino due cuori, che si amano, le loro tendenze,

648
G io rn o O tta v o - M e d i ta z io n e P r im a se c o n d a - S o p r a g l i e ffe tti d e l l ’a m o r d i D i o

Datemi uno che dopo d’aver offeso più volte, ed in più maniere una (2572) 3
qualche persona, venga finalmente perdonato di tutto, entri nella sua ami­
cizia, e confidenza, e giungano ad essere talmente amici, intimi, e confi­
denti da essere, come si dice, non più che un solo: oh quante volte gli
verranno in mente quei torti fatti! E pur perdonato, nessuno più ne parla,
nessuno li rimprovera: eppure non sa dimenticarli, e di tanto in tanto
sospirando pare che non possa a meno che rimproverarsi, e dire... ma... che
cosa ho mai fatto, chi ScLcirc come la pensassi in que’ giorni, un cuore così,
bello, un anima cosi candida, una persona così amabile, non mi pare pos-

i loro affetti, le reciproche relazioni, e diciamo così la vicendevole loro vita. Prima di tutto
se mai questo cuore viene ad offendere s’accorge d’aver un di offeso l’oggetto amato, rrh
quanto grande è il dolore che ne prova che rammarico egli è questo dolorosa memoria
e che sensibile dispiacerci vorrebbe piuttosto essere stato l'offeso che l’offensore, e proc-
cura in quante maniere possibili di riparare, e far dimenticare il torto passato. Ma questo
è troppo poco; si guarda sopratutto dal disgustarlo, sia poco, sia molto; vi è niente di
piccolo per chi ama. Conta gli interessi dell’amico come suoi proprii; se può prestargli
qualche servizio non solo non si rifiuta, ma ne gode, i suoi desideri per lui sono comandi:
felice quel giorno che in qualche modo può attestargli il suo amore; finalmente sono così
uniti tra loro di cuore, di volontà, di desideri, di voglie, che non sanno pensare, non sanno
senza desiderare diversamente, sicché de’ due cuori non se ne può calcolare che un solo:
finalmente poi non sanno vedere il momento di separarsi, tanta è la confidenza, e la gioia
con cui si versano a vicenda quei cuori, tanto è intimo il loro linguaggio, e sia pur assente,
sia pur lontana la persona amata, ma la parte sua più nobile, di noi stessi qual sono i nostri
suoi affetti, movimenti e pensieri sono sempre per chi si ama; sarà per così dire un furto
momentaneo quello che le possono rubare gli altri oggetti, le altre occupazioni, tutto
sempre va a finire là ove si ama. Eccovi, Signori miei, il ritratto, e la vita di un cuore che
ama; e se un amor profano può già arrivare a tanto che dovremo dire dell’amore divino,
che sarà di un cuore infiammato di un amore, di un fuoco, che non conosce limiti; non
è qui mia intenzione di dipingervi un cuore di questa fatta, che io non mi sento, ma solo
di accennarvi le cose principali, a cui deve portare necessariamente questo divino amore,
e sono primo

riparare ai torti fatti con pentirsi d’averlo offeso, guardarci ben bene dal disgustarlo (2572) 3
ancora, prendere a cuore i suoi interessi, e stimarli come propri, non temere di soffrire
qualche cosa per lui, uniformarci pienamente alla sua volontà con farne per così dire una
sola colla nostra, finalmente amare e godere della sua dolce presenza, e conversazione.
Ecco i caratteri, i segni, gli effetti di un sincero amore, al nostro Dio, di una vera carità. T
Primieramente adunque pentirci di averlo offeso; io non voglio qui far nascere delle
inquietudini per paura di non esser stati perdonati, che non sia stato sufficiente il nostro
dolore; no non è questo il mio scopo; anzi suppongo, e metto che siamo certi, come lo
possiamo essere, di essere stati perdonati; con tutto ciò un cuore, che ami Dio non può
far a meno di sospirare sui peccati passati.

649
Esercìzi S piritu a li a l Clero ^ M e d ita z io n i

sibile d’aver fatto, quello che ho fatto. Lo stesso figliuol prodigo allorché
ritornato alla casa paterna se ne viveva dolcemente col padre, era pur stato
perdonato da non poterne dubitare in alcun modo4

(2571) al considerare le tante carezze che le usava, Famore che sempre le aveva
conservato non ostante tanti torti ricevuti, chi sa dico quante volte avrà
dato sospiri t lagrime su quei giorni malaugurati, e si sarà rimproverato la
propria ingratitudine e sconoscenza; ali ingrato che fui sarebbe ben stato
meglio per me che non avessi prima peccato sortito un padre così buono,
che averlo avuto e ferito si vivamente, poteva ben perder la vita che riser­
varla per ferire si bel cuore. Noi sappiamo i gemiti, i sospiri ed i rimpro­
veri che mandava Agostino su quel tempo che non aveva amato: vi fu chi
mori di dolore per il dispiacere, per il rincrescimento di non aver amato;
altri desideravano di morire piuttosto che vivere con questa spina di essere
vissuti senza amare, E quante anime buone viventi tuttora su questa terra
passano i loro giorni gemendo e sospirando sovra quell’età che non hanno
amato gemiti naturali, gemiti necessari per un cuore che ama. Gemiti indi­
spensabili molto più per noi Sacerdoti, quando il cuore ci dica di non aver
amato:

(2572) 3 al rimirar il nostro buon Dio, al riflettere, e pensare a que’ torti che un
giorno che gli abbiamo fatti, e come trattenerci dal trarre anche noi un
sospiro di dolore, e di amore come vogliamo dire:..; ma aver offeso un Dio
così buono, aver disgustato un oggetto cosi caro, un cuore così amabile!
ah giorni, o peccati, oh tempo malaugurato: oh potessi mio Dio cancellare
quei giorni dalla mìa vita! oh se potessero i sospiri, le lacrime far si che mai
vi avessi fatto quei torri, oh quanti ne vorrei dare da questo

(2574) 4 mio cuore; tali sono i sentimenti, gli affetti di un anima che, mentre
ama arde d’amore, si ricorda un di di non aver d’aver disgustato chi ama,
sospira di amare mentre sospira di non aver amato; e questi atti di penti-

4 II testo prosegue con le seguenti righe barrate: eppure chissà quante volte ai rimirar
quel buon padre, al pensar quello che gli aveva fatto, avrà sospirato su suoi peccati, avrà
detestato quei giorni malaugurati. Ecco adunque, Signori miei quello che dobbiamo far
noi, quello che deve fare ogni cuore, che ama.
A l posto di queste righe il Cafasso intende inserirne altre scritte nella pagina a fronte.

650
Giorno Ottavo ~ M editazione Prim a seconda. ~ Sopra gli effetti dell’a mor di Dio

mento così ripetuti, accompagnati da una carità così ardente, serviranno


a riaccendere vieppiù il suo amore, ed espiare così, e cancellare la pena
dovuta a5 suoi peccati, ed oli che con un felice purgatorio è questo dove
l’anima si purga, merita e gode in un tempo solo colle stesse fiamme di
canta,

Ma un cuore veramente amante e penitente non si contenta di piangere (2573)


quel tempo quei giorni che non amava, ma nello stesso tempo si guarda
scrupolosamente di non più dare dispiacere di sorta a quel Dio, che ama
e che sospira di non aver amato. E sarà questa una delle prime prove, che
noi amiamo. La persona, che teme etc.

La persona, che teme d’ordinario fa dipendere l’orrore, la fuga della (2574)4


colpa dalla qualità della pena; ma quella che ama non sa distinguere da
colpa a colpa, ed è sempre grande ciò che può raffredare, ciò che può
disgustare un oggetto amato: guardiamo in due amanti come poco basta
ad amareggiare i loro giorni, come ogni poca cosa tra loro si faccia grande:
non fa bisogno che la rompano tra di loro, ma una parolina un po’ disgu-
stosa, una faccia un po’ fredda, un lamento, un rimprovero, la mancanza
di un sorriso, di una preferenza, e andiam dicendo tutto è calcolato, tutto
è rimarcato, da ciò solo si temono mille conseguenze, si formano mille
sospetti. Se questo capitasse tra due cuori meno affezionati si contereb-
bero si può dire per un niente, ma tra due amanti, in chi fa professione di
amare si fa intollerabile. Or io dico se l’amor profano è così delicato, e da
tanto d’incremento ad ogni piccola cosa, avremo da dire che voglia cedere
a questo l’amor divino6.

D opo l’entrata del figliuol prodigo nella casa paterna non si legge più (2573)
cosa alcuna sopra la sua condotta, ma non è probabile che dopo tante
carezze avute, dopo tanto amore di un sì buon padre, abbia ancor avuto
coraggio di offenderlo ad occhi aperti, che anzi si sarà fatto uno studio par­
ticolare e massimo di contentarlo in ogni più piccola cosa, e sarebbe forse

5 II testo continua alla pagina a fronte, dove rimanda, una nota.


6 Una nota rimanda alla pagina a fronte.

651
E sercizi S p iritu a li a l Clero " M e d ita z io n i

stato eccessivo un si fatto impegno per un padre che meritava cotanto? Io


bramerei, fratelli miei etc7.

(2574)4 Io vorrei adunque Signoti miei che in quest’ultimo giorno venissimo


a formare questa santa risoluzione, di far mai niente ad occhi aperti che
possa offendere il nostro Dio, sia poco sia molto. Io non conosco queste
distinzioni, offende, disgusta il mio Dio e tanto mi basta: la grazia, l’ami­
cizia, l’amor del mio Dio per me è tutto, anzi è l’unica cosa per me al
mondo: così tutto ciò che può scemare, diminuire, raffredare questa mia
amicizia, per me è l’unico, ed il sommo de’ mali che possa capitarmi in
questa terra: questa è la vera maniera di amare, e di crescere sempre più in
amore; questo è il vero segno che noi amiamo: osserviamo un S. Luigi, un
S. Stanislao Costa, una Teresa di Gesù tremavano si può dire all’ombra, al
solo pensiero di peccato, e perché? perché l’amore che ardeva in quei cuori
non avrebbe potuto sopportare la menoma colpa,

(2576) 5 il minimo dispiacere al loro Dio8.

(2575) L’altra prova che Dio aspetta del nostro amore è quella che ciascun di
noi prenda a cuore gli affari, gli interessi suoi. Un amante suole dare la pre­
ferenza a tutto ciò che è della persona amata, perché pare che non conosca
altro bene maggiore al mondo, altra consolazione che quella di contentar
l’oggetto amato. Non vi è affare che si tratti con più impegno, e più volen­
tieri che quando egli spetti ad una persona che molto si ami; e quai saranno
gli affari, gli interessi del nostro Dio? Quelli stessi etc.

(2576) 5 quelli istessi, che è venuto a proccurare e proccurò lui stesso in tutto il
tempo della sua vita, il nostro divin Redentore, che furono di salvare i pec­
catori, e zelare l’onore, e la gloria del suo Padre. E che questo lo desideri il

7 La pagina. 2573 contiene ancora alcune righe, delle quali manca il rimando al punto
esatto in cui andrebbero inserite. Pur non essendo barrate, le trascriviamo qui: L’altra cosa
che deve fare l’eclesiastico è dar prova del suo amore: e quali saranno queste prove? Le
principali sono quattro: guardiamoci bene dall’offenderlo: zelare i suoi interessi, andar
d’accordo colla sua volontà, amare la sua presenza.
8 II testo prosegue con le seguenti righe barrate: giunti che saremo a questo punto non ci
andrà più fatica per fare un altro passo, qual è di prendere a cuore, e stimare come proprii,
anzi più che i proprii gli interessi del nostro Dio; e quai saranno questi interessi?
A l posto di queste righe il Cafasso ne scrive altre nella pagina a fronte.

652
Giorno Ottavo - M editazione Prim a seconda " Sopra gli effetti dell’a m or di Dio

Signore da chi lo ama, non se ne può più dubitare dopo che di sua bocca lo
disse chiaramente a S. Pietro; assicurato diligis me. Simon Petre; Domine
tu scis quia amo te: ebbene pasce oves. pasce agnos meos9: che fu un dirgli:
se vuoi o Pietro darmi un pegno ed una caparra, un segno del tuo amore,
se vuoi dar gusto a chi protesti di amare, ecco la strada, ecco il modo: tra­
vaglia alla salute delle mie pecorelle. La risposta fù diretta a Pietro, ma fìi
data a tutti noi, fù data ad ogni Sacerdote che voglia amare; non sono soli
affetti, soli sospiri che il Signore vuole da noi, ma vuole opere di amore,
opere di zelo, opere di carità: opere monstranda vera dilectio dice S. Gre-
gorio. Ed infatti potressimo noi dire che un figlio ami proprio un padre
quando curasse per niente i suoi interessi, non cercasse d’impedire i torti,
gli affronti, che gli si tentassero di fare; di più li guardasse con occhio
freddo, ed indifferente; oh!.,, che un amor tale nemmeno sa aver luogo
nelle bestie, perché o che non è amore quello che vi regna, ma se è amore
deve aver la sua forza, e non può rimaner ozioso: habet omnis amor vim
suam, nec potest vacare in anima amanti S. Agostino10.

Cogita filia tu de me, ego cogitabo continenter de te. Il Signore a S. (2575)


Catterina da Siena. Scaramelli dell’amor di Dio.

Si potrà dunque dire che ami quel Sacerdote che in mezzo a tanti pec­ (2576) 5
cati, di cui abonda il mondo, non sa dir una parola per impedirne un solo
se l’interesse, e l’amor della propria stima non lo muove? avrà amore, e zelo
quello tra noi, che vedendo tanta rovina di anime che giornalmente corre
verso il precipizio non sa dare un gemito, un sospiro di compassione? Che
dolore ci da, Signori miei, allorché ci tocca di vedere, o di sentire un offesa
del nostro Dio? Che amarezza proviamo quando non ci riesce d’indurre un
anima a detestare il peccato? Molto più quando vi capiti una morte impe­
nitente; quai sono in tali simili occasioni i nostri affètti, i nostri sentimenti,
i nostri voti? Che se il cuore fosse muto, insensibile, vedesse e sentisse in
egual

modo, e franchezza tanto ciò che offende come ciò che onora Iddio, vi (2578) 6
è a temere fortemente che il cuore sia gelato affatto, o almeno ben scarso
di amore; si sospira al veder maltrattata una bestia quando si ami, e non

9 Gv 21,15 ss.
10 Una nota rimanda alla pagina a fronte.

653
E sercizi S p iritu a li a l Clero -■ M e d ita zio n i

si spenderà un sospiro quando si veda ad offendere, a maltrattarsi Iddio:


destiamoci, Signori miei, se fosse tale il nostro cuore, riscaldiamolo un po’
di quel santo fuoco, che questo divin Redentore venne a portare, ed accen­
dere in terra, e per animarci figuriamoci che da questa croce, da questo
Tabernacolo ci dica in questo ultimo giorno; come già disse a S. Pietro,
Sacerdote mio, tu che ti credi di amarmi, tu che protesti di volermi amare
ancor più, tu che in questi giorni facesti mille voti pel mio onore, per la
mia gloria, ecco il mio gusto, ecco i miei desideri, che in prova del tuo
amore io ti lascio a compire: pasce oves, pasce agnos11: sono le anime, sono
_i peccatori che ti raccomando, e ti affido: le fatiche, che spenderai per
loro, i stenti, i sudori, le industrie, le preghiere che sosterrai, che farai per
loro salute mentre saranno prove le più convincenti del tuo zelo ed amore,
saranno per me il maggior de piaceri12.

(2577) Non basta che il nostro amore sia penitente, deve di più essere paziente,
pronto cioè a soffrire, a sopportare etc. Chi non sa sofrire, non sa amare,
dice l’assioma. L’amote esigge naturalmente dei sacrifici. Quanti sacrifici
non fa una madre per l’amore che porta ai figli. A quanti sacrifici non
si assogetta un infermo per amore alla sanità, un altro per acquistare un
po’ di roba. Quante cose sacrifica chi va perduto dietro l’amore di questo
mondo, e roba, e onore, e libertà e pace, sanità e vita, e ne farebbe altri
ancora se avesse altre cose a perdere, ad esporre a sacrificare, tanto è vero
che l’amore vuole de’ sacrifici, e senza sacrifici né si ama, né si può con­
servare, famore. Tale è parimenti la natura deH’amor divino, e non lusin­
ghiamoci: chi non soffre non ama, chi vuole soffrire poco, poco ama, chi
è pronto e disposto a soffrir molto stiamo certi che molto ama. Noi sap­
piamo degli Apostoli etc.

(2578) 6 Sappiamo degli Apostoli che ibànt gaudentes a conspectu Concilii quo-
niam digni habiti sunt prò nomine Iesu contumeliam pati13. Il pensiero

11 Gv 21,15.
12 II testo prosegue con le seguenti righe barrate: Io non so se riesca un motivo piti forte,
e più nobile assieme per eccitare i nostri cuori ad amare con opere di zelo, tocca solo
a noi a farle giovare con tenercelo ben fìsso in mente; che se ci toccherà soffrir qualche
cosa nella nostra opera di amore, di carità, nel nostro ministero, sarà questo un nuovo
atto, un nuovo segno, un nuovo effetto di amore, che è di sofrire, e soffrire volentieri per
l’oggetto amato. Chi non sa soffrire non sa amare, dice l’assioma: anzi chi soffre amando,
non soffre, ma gode.
A l posto di questo testo il Cafasso ne scrive un altro nella pagina a fronte,
13A t 5,41.

654
Giorno Ottavo - M editazione Prim a seconda - Sopra g li effetti dell’a m or di D io

pene:

E perché tanta voglia di patire, e d’onde tanta gioia ne’ patimenti? (2577)
Perché il loro cuore ardeva e bruciava di amore. Sappiamo altresì etc.

Sappiamo altresì il gran desiderio che avevano di patire quelle due (2578)6
serafine di amore, S. Teresa, e S. Maria Maddalena de Pazzi: o patire o
morire: non morire ma patire: pare che non vedessero e non sapessero,
altra cosa, che contentasse maggiormente l'amante loro sposo, che il sof­
frire per lui14.

Ma che cercare tra gli uomini le prove di sì fatta verità, quando lo stesso (2577)
divin Redentore volendo lasciar al mondo un argomento dell’amore che
portava al Padre suo, diede appunto per segnale questa sua volontà e pron­
tezza nel patire per lui in*vicinanza alla sua Passione: ut cognoscat mundus
quia diligo Patrem... surgite. eamus hinc. loan. 1415, Tutti a Questa è la
risposta, questa è la prova che potrebbe, e dovrebbe dare ogni Eclesiástico;
. perché il mondo sappia che io sacerdote, e Ministro del Signore amo il mio
Dio, e l’amo sinceramente, e l’amo grandemente, lo conosca e lo sappia
non dalle mie parole e dalle mie labbra, ma bensì si persuada e si accerti
da ciò che soffro, e ciò che di più sono pronto a soffrire per lui: ut cogno­
scat mundus etc. Io non pretendo etc. Tutti gli uomini grandi che si sono
distinti nel nostro stato, tutti hanno sofferto molto, cominciando dagli
Apostoli fino a noi, e tra gli altri un S. Ignazio, un S. Vincenzo de’ Paoli,
un S. Francesco di Sales: soffrirono molto, soffrirono volentieri, perché
molto, e molto amarono. Io non pretendo etc.

Io non pretendo, Signori miei, che tutti arriviamo a questo mondo allo (2578) 6
stesso punto, ma vorrei almeno che in quel poco che ci toccherà di soffrire
nel nostro stato, nella nostra posizione, se non altro nelle indispensabili
vicende di questa vita, ci sforzassimo sforziamoci a soffrire con prontezza
e con coraggio, a soffrir anche volontieri per amor del nostro Dio: ci capi­
teranno delle disgrazie, ci

14 Una nota rimanda alla parina a fronte.


15 Gv 14,31-

655
E sercizi S p iritu a li a l Clero - M e d ita zio n i

(2580) 7 assaliranno incomodi di salute, si sparlerà di noi, saranno interpretate


a male le nostre intenzioni, saranno contradetti i nostri disegni, andranno
rotte ie nostre mire, riusciranno inutili le nostre fatiche, saremo umiliati,
disprezzati, tenuti per niente, ebbene invece di lasciarci abbattere, sgomen­
tarci, perderci in querele, in lamenti inutili, pensiamo al nostro Dio, rice­
viamoli dalla sua mano, facciamone una generosa offerta al suo cuore,
Signore gradite questo poco che vi offre un cuore, che vi ama, per farvi pia­
cere, per darvi gusto, per contentarvi, per darvi un pegno del mio amore,
del mio attacamento, non ho che ripetere, vi passo sopra, io taccio, io
soffro, ve ne fo un pieno sacrificio; sacrificio se volete che costerà un po'
di violenza, ma sacrificio che consolerà più che tutte le nostre rimostranze,
e tutte le soddisfazioni che ci potrà dare questo mondo: Il Venerabile a
Chempis ci da ammirabili lezioni su questo riguardo, che io tralascio per
brevità e per passare all’ultimo effetto delfamore qual è quello di unirci,
di stringerci al nostro Dio.
\sic\ alla volontà del
:. Tra i
veri amici, tra due cuori che sinceramente si amino si può dire che non si
conosce differenza di pensare16:

(2579) idem velie, idem nolle ea firma amicitia est S. Gerol. - ad Demetr.

(2580) 7 La volontà dell’uno è la volontà dell’altro, e se mai capita che uno la


pensi diversamente basta il dirgli che così non la pensa, così non vuole
l’amico per deporre il proprio sentimento; si azzarda nemmeno ad avan­
zare, a significare la nostra propria volontà per paura che non sia quella
di chi si ama. L’amore si dice che fa simili tra loro gli amanti, simili nel sen­
tire, nel volere, simili ne5 gusti, nelle voglie, simili perfino nei capricci, di
modo che a ben considerare tale e tanta è la loro unione, armonia, e comu­
nicazione che di due pare che non ne risulti che un solo, un solo cuore,
una sola volontà, uno stesso gusto, e diciamo così quasi una stessa persona.
Oh!... benedetto mille volte quell’amore, che arrivasse a fare altrettanto di
noi con Dio! Felici noi, se giungessimo a versare così il nostro cuore dentro
quello di Dio, unire talmente i nostri desideri, la nostra volontà alla sua
da formare ed un cuore, ed una volontà sola: volere quello che vuole Dio,
volerlo in quel modo, in quel tempo, con quelle circostante che vuole lui,

16 U n a nota rim anda, alla p a g in a a fron te.

65 6
Giorno Ottavo " M editazione Prim a seconda ^ Sopra gli effetti dell’a mor d i Dio

e voler tutto ciò non per altro se non perché così vuole Iddio: Dio è il mio
tutto in questo mondo, e quello che lui vuole è pure il voler mio, la mia
io non ho volontà, non ho gusto, non ho desiderio, non ho mira, io ho
tutto in Dio, disponga come vuole, la sua volontà sarà sempre la mia. Se il
Signore vuole che io viva, io vivo, se vuole che io muoja, voglio morire.

E per dire tutto in breve, io voglio tutto e voglio niente: voglio tutto (2582)
quello che vuole il mio Dio, voglio niente fuor di quello che vuole itti Dio:
tutto mi piace se piace al mio Dio, niente mi dispiace re non quello che
dispiace a lui; oh!... il bel Paradiso che è cotesto in terra! Felice quell’anima
che arriva a procurarselo e sa goderlo17.

Ma non ci deve bastare ancora alFamante unire la propria volontà a (2581)


quella del stro nostro Dio; fatti quasi un solo con lui uopo è che uniamo
a lui siamo uniti in tutto: uniti ne1pensieri, giudicando di tutto come lui,
stimando ciò che Egli stima, disprezzando ciò che Egli disprezza; uniti ne’
sentimenti amando ciò che Egli ama, cercando ciò che Egli cerca, temendo
ciò che Egli teme; uniti nelle azioni, e negli interessi trattandoli come
propri, e per li stessi motivi, colla medesima intenzione... un amante pag.
5 18.

Finalmente l’ultimo effetto a cui porta l’amore si è di amare la presenza (2582)


della persona amata19

Uniti così col nostro Dio di cuore, di volontà, di pensieri, di sentimenti, (2577)
nelle azioni, e fatti tra noi comuni i propri interessi ne verrà per ultimo
naturalmente che noi ameremo, e gusteremo della sua dolce presenza. Non
vi è tempo etc. pag. 8.

Non vi è tempo né più dolce, né più breve di quello che si passa con (2582)
un vero amico, e sarebbe ancor un amor sconosciuto quello che dicesse di
amar una persona senza volerne, ed amarne la presenza; così dice Cassio-
doro: inaudita est dilectio. quae amicum diligit. et praesentiam eius non

17 Una nota rimanda alla pagina a fronte.


15 11 testo dip. 2475 'èrichiamato qui, sebbene per consequenzialità logica parrebbe meglio
lasciarlo al suo posto.
19 Sebbene nessuna nota lo indichi, qui va inserito un testo scritto alla pagina 2577, perché
si ricollega con le prime parole del periodo successivo.

657
Esercizi S p iritu a li a l Clero ~ M e d ita z io n i

amat20. Ma non basta al vero amante bramare, godere della presenza del­
l’oggetto amato, ma l’amore fa che sia sempre presente ciò che si ama; d’or­
dinario gii affetti, i sentimenti, i pensieri, sono rivolti a ciò che possiede
il nostro cuore: vuoi sapere, ci dice S. Fulgenzio, ciò che tu ami, ebbene
sta attento a ciò che pensi: vis nosse quid ames, attende quid cogites. Ed
eccovi con ciò segnati, Signori miei, i due ultimi caratteri dell’amor di Dio:
pensare soventi a lui, e poi cercare, amare, godere delia sua reale, e sacra­
mentale presenza: e per pensare soventi a Dio, proccuriamo di addestrare,
di accostumare il nostro cuore, e dirò anche le nostre labbra con qualche
a frequenti giaculatorie, a sospiri, a’ gemiti, agli slanci verso questo buon
Dio, raccomandiamoci al nostro Angelo Custode, a questo buon Angelo
che sta sempre davanti a Dio, preghiamolo che in mezzo al turbine delle
faccende di questo mondo ci desti lungo il giorno, ci rammenti il nostro
Dio, e ci ammetta a corteggiarlo qualche poco con lui; e poi ci sarà facile
ricordarci soventi del nostro Dio, se ameremo la sua reale presenza, se
sapremo godere, e gustare della sua dolce compagnia; egli è in questo
tempo che il nostro cuore si empie di Dio, si trasforma quasi in un altro
Dio, il cuore, la mente e per così dire fino le nostre vene ne restano così
soprapiene che pare non si sappia più né pensare, né parlare, né godere
che di Dio: sia che scriva, sia che parli, diceva il gran S. Bernardo, per me
niente mi gusta, quando non senta, quando non legga il dolce nome del
mio Gesù: si scribas. aut confcras, non sapit mihi nisi legero. aut sonuerit
ibi Iesus21. Così si pensa, così si parla quando il cuore sia pieno: la fontana
che sta ripiena d’aqua, la manda fuori da sé.

(2583) 9 Così sarà del nostro cuore, e non ci andrà gran fatica a riempirlo, come
diceva, se coltiveremo la sua compagnia, se ameremo la sua presenza, la sua
conversazione. Oh quanto è dolce il conversar col Signore: non habet ama­
ri tudinem conversatio illius. nec taedium convictus illius Sap. 822. Basti il
dire che questa è la stessa occupazione degli Angeli in Cielo, come spero
sarà la nostra per tutta l’eternità; Gustate, et videte quoniam suavis est
Dominus23; proviamo, e poi sapremo dire quanto sia affabile, soave e
dolce il Signore con chi tratta con lui: noi possiamo trattar con lui ogni

20 Complexiones, PL 70, c, 1.372.


21 S. B e r n a r d o , Serm. in Cantica Cantic,, PL 183, c, 846, 6.
21 Sap 8,16.
23 Sai 33,8.

658
Giorno Ottavo ~ M editazione P r im a se c o n d a " Sopra gli effetti dell’a m or di Dio

mattino allorquando l’abbiamo nelle nostre mani, noi possiamo conver­


sar assieme mentre Fabbiamo sacramentalmente dentro di noi; ma questi
tempi Signori miei sono troppo brevi per un cuore che ama, con un Dio
così amabile; io crederei cosa ottima che un anima amante, tanto più un
Sacerdote, si scegliesse un tempo ogni giorno per recarsi a visitare, a par­
lare, a conversare col suo Gesù Sacramentato. Oh!... quanto bene io gli

non darà questo buon Sacerdote al suo Dio! mentre tutto il


popolo sepolto per dir così chi nella fatica, e chi ne’ divertimenti lo lascia
solo Iddio nelle sue Chiese, ecco che il Sacerdote che qual altro Mosè si
apparta dal resto del popolo, entra nel Santuario del Signore per trattar a
solo a solo col Re de Re, per corteggiare questa divina Maestà, per far la
causa di tante anime, per aprirgli gli affetti, ed i sentimenti più secreti del
suo cuore; e dove un tempo meglio impiegato? dove un azione più nobile,
più eccellente, mentre in questo modo la fa più da Angelo del Cielo che da
abitatore di questa misera terra; gli uni tratteranno in quell’ora di negozi,
di aquisti, di impieghi, gli altri di divertimenti, di notizie,' di vicende. Chi
sarà con un amico, chi con un grande, £ chi anche all’udienza del Sovrano
a grattar se vogliamo della sorte d'un impero;

il Sacerdote invece in quel l’ora chi tratta con un personaggio più grande,
chi tratta e di cose senza paragone più rilevanti. Il mondo non lo sa, non vi
pensa, eppur è così; senza fasto, senza rumore e quasi all’insaputa di tutti si
entriamo in una Chiesa: ri par

ecco là un quell/anima un Sacerdote all’udienza, a


colloquio. E con chi? Non con un grande di questo mondo, non con un Re
della terra, non con un Santo, od Angelo del Cielo, ma con Iddio stesso:
parla, tratta, famigliarizza,

conversa con Dio: pajono due d’accordo a nostro modo d’intendere che (2585) 10
concertino la riuscita di un affare; e di che affare? Oh! tratta questo buon
Sacerdote del suo luogo, che brama in paradiso, tratta delia salvezza di un
anima, di cui teme, tratta di uno scandalo, che lo fa gemere, tratta di una
virtù che desidera, tratta delle sue fatiche, tratta dell’ultima sua ora, del
suo passaggio aireternità; oh! che momenti preziosi, che santi collòqui, che
importanti conferenze lasciatemi dir così; io lascio pensar a voi, Signori
miei, a calcolare le grazie, i favori che sarà per riportarne, la pace, la gioja
che lo accompagnerà; quanti lumi alla mente, quante inspirazioni, quante

659
Esercìzi S p iritu a li a l Clero - M e d ita z io n i

voci secrete al cuore, quanti ajuti, e favori, quanta copia di benedizioni alle
sue parole, alle sue industrie, alle sue fatiche. Ma vi è ancor un altro bene
non piccolo da queste visite, ed è la gran impressione che fa nel popolo: è
vero che noi andiamo a celebrare, interveniamo a tante altre funzioni, ma
queste cose dicono che sono del nostro mestiere, e non ne fanno gran caso;
e poi siccome d’ordinario si corrisponde qualche cosa, possono sospettare,
e molte volte sospettano, che si facciano per interesse, ma se ci vedono cosi
a frequentar la Chiesa fuori d’ora, asoli, in tempo che potessimo divertirci,
non potranno far a meno anche i maligni di pensare, e credere che noi
abbiamo fede, che sappiamo chi abita in quel luogo, che siamo persuasi
di quello che diciamo a loro: è questa una predica che ne vale cento altre,
poiché è certo che gli esempi valgono più che le parole: verba movent.
exempla trahunt. Io ho veduto in certi luoghi, che le chiese si può dire
erano deserte ne’ giorni di lavoro, dopo un po’ di tempo che qualche sacer­
dote praticava questa santa massima correva andare a gruppi la gente a
prendere la perdonanza, e non avrei creduto, se non avessi veduto: sicché
io non saprei raccomandare una pratica più santa, più eccellente, e più
esemplare nel popolo che questa santa usanza. Lo merita ramare l’onore,
la gloria del nostro Dio, lo vuole l’amore, che gli portiamo, lo richiede il
vantaggio nostro, ed il buon esempio del popolo24.

(2584} Amiamo dunque nel modo che abbiamo esposto, piangendo quel
tempo che non lo abbiamo amato, pronti a soffrire per il tempo che ci
rimarrà ad amare su questa terra, uniti di cuore, di volontà ed in tutto
al nostro Dio: amare, cercare, godere della sua presenza e conversazione.
Dolce ci sarà una sì bella fatta occupazione in vita, dolce parimenti nelle
stesse agonie della morte, ma più dolce poi senza paragone nel Regno del­
l’amore, nella beata eternità25.

24 Con una nota il Cafasso rimanda alla pagina a fronte.


25 La meditazione si conclude con alcune righe barrate, che trascrìviamo qui: Ed eccovi
Signori miei spiegata la maniera pratica, e vera di amare Iddio: lo ripeterò brevemente:
pentirci sovente d’aver averta offeso Iddio, guardarci ben bene dall’offenderlo in qualche
cosa, proccurare in tutto i suoi interessi, soffrire volontieri per lui, conformar la nostra
volontà alia sua, finalmente amare la sua presenza, la sua amabile compagnia. Felici noi
se lo ameremo così in vita nostra finiremo per andarlo amare un dì e più ardentemente, e
per sempre nella beata eternità.
Laus Deo, B.V.M. et S. Alph.
Die 31 d.bris 1843

660
(2156)
Giorno Ottavo
Meditazione Seconda
Sopra Famor di Dio

Preghiera (2158) 1

Mio.Dìo Amabilissimo mio Signore, io credo fermamente alla vostra

vivale e prostrato a vostri piedi vi prego o Signore ad aumentare la mia


fede, sicché possa in questa sera maggiormente conoscervi per maggior'
mente amarvi: ah! mio Dio io non vi dimando beni di questo mondo, ma
la grazia solo di amarvi, e di amarvi grandemente: si datemi o Signore il
vostro amore, ed io sarò abbastanza contento un Sacerdote il più contento
di questo mondo. Vergine Maria voi che siete la madre del bell’amore, sì
Voi ottenetemi un cuore, che sia tutto fuoco, tutto carità. Angeli e Santi
tutti del Cielo pregate, intercedete per me.

Esordio

Siamo nati per amare, viviamo per amare, morremo per amar ancor più.

fine quaggiù, tale sarà questa come speriamo la nostra destinazione futura,
ed eterna. Beata quella persona, dice Agostino, che avrà imparato, e saprà
cotesta scienza di amare: Beatus qui te Deum novit. Voi fortunato, diceva
quel buon laico al gran dottore S. Bonaventura, voi ben felice ché sapete,
ed avete imparato tante cose: ah!... figliuol mio, rispondeva il Santo, non

* (fald. 4 7 ! fase. 152; nell’originale 2156-2168)

661
Esercizi S p iritu a li a l Clero - M e d ita z io n i

ammirare, non aver invidia alla mia scienza, quella Vecchiarella che sa amar
Dio ne sa tanto come frate Bonaventura. Cotesta risposta che cagionò
ammirazione, e stupore a quell’anima semplice, può dare a noi di che
riflettere e di che confonderci. A noi forse potrà parere di sapere qualche
cosa a questo mondo; dopo tanti anni di studio ci sembra quasi un avvi­
lirci ad accomunarci, ed a trattare con certa gente rozza, e grossolana, ci
fa compassione la loro ignoranza; eppure ne sapranno tanto come noi se
ameranno Iddio, e Dio non voglia che ne sappiano ancor di più. Si vedono
Vi sono alle volte in questa gente de’ cuori tutti zelo, tutti amore, mentre
i nostri con tante cognizioni, e tra le lettere saranno freddi, e gelati. E che
vale tutta la nostra scienza, se ci manca la prima, e la principale che è quella
di saper amare? e che gran sapere sarà il nostro se non sappiamo far quello
che sanno fare perfino le creature irragionevoli, come è di servire nel loro
modo, ed amare Iddio? Beati noi se partiremo di quà con questa scienza,
e con un cuore infiammato di amore! Che bel nome e che tesoro per una
famiglia per una comunità e per un paese! un Sacerdote che ami, che viva,
che arda, che spiri Carità quanto bene, e quanto fuoco si potrà aspettare
da un petto sacerdotale quando sia acceso di carità.

10 scielgo adunque in questa sera un si importante argomento, che formò


11 motivo per cui noi ci siamo venuti a questo luogo sempre l’oggetto de5
nostri trattenimenti, qual fu di amare e di~amare sempre più ed il fine
che ci portò a questo ritiro. Noi osserveremo

ed è appunto nel Regno dell’amore che ci aspetta il nostro~capu Cristo


Gesù qual sia l’amore del Sacerdote che debba avere un Sacerdote verso il
suo Dio sulla terra, quale convenga Egli sia. 2 il vantaggio la bella sorte, la
felicità, il paradiso di questo Sacerdote, che ami. Oh quanto è mai dolce,
diceva Agostino parlare di amore, ma quanto più dolce sarà il praticarlo:
oh! charitas dulce nomen. sed dulcius factum2.

gere3. Ah! volesse pur Iddio che infiammati in quest’oggi di questo celeste

1II Cafasso nella pagina a fronte scrive il testo sostitutivo.


1 In Johann. Ep, Tract., V ili, PL 35, c. 2035, 45.
3 Dall'Inno Jesu dulcis memoria.

66 2
G io rn o O tta v o ~ M e d i ta z io n e S e c o n d a •- S o p r a l ’a m o r d i D i o

fuoco principiassimo qui in terra ed in questa valle di lacrime quella vita di


amore che spero sarà un dì la mia, e la vostra per sempre in Cielo. Comin­
ciamo.

Io non sto, o fratelli ad accennarvi, parlando dell’amore, il primo e mas- (2160) 2


simo dei comandamenti di amar Iddio, poiché dice Agostino, e che biso­
gno di precetti, di minacce, e di castighi quando se non si ami il Signore,
quando il solo non amarlo è già la più grande delle miserie, ed il massimo
de’ mali: Quid sum ipse ut amari jubeas a me - parva ne est miseria si
non amem te4? Che se questo è vero per un uomo qualunque, che abbi un
cuore in petto, quanto più lo dovrà essere per un Sacerdote depositario, e
ministro di questo amore divino. E come comandare ad un Sacerdote che
ami Iddio, minacciarlo di pene e castighi se non ama, quando è questo il
suo uffizio, la sua qualità, la sua occupazione di amare, e farlo amare5? £
già quasi un affronto ed ingiuria ad un figlio il dirgli, il ricordargli che
ami il suo padre; molto più quando si venisse a fargli qualche intimazione,
e minaccia quando ha rinunziato ad ogni altra cosa sulla terra per amare
Lui solo; quando dice, e ripete tuttodì di non poter soffrire vicina a se per­
sona qualunque che non ami il Signore: si quis non amat Dominum Iesum
Christum anathema sitfi. Nemmeno mi fermerò ad addurvi i motivi, per
cui dobbiamo amare, giacché sono tante, e sì chiare le ragioni di cotesto
amore che sarebbe inutile il numerarle7:

Egli è tanto amabile cotesto Dio, che S. Filippo non poteva tenersi dal (2159)
lamentarsi col Signore d’avergli dato un cuore cosi piccolo per amarlo.

L’aspetto [parola illeggibile] di questa Si guardi la croce, e poi, chi può, (2160) 2
norì ami; qui può dirsi che tot linguae quot vulnera; tutto parla, tutto
scuote, tutto ferisce di amore: fili prebe mihi cor tuum8, è questa, o cari
la voce, la dimanda, l’invito che ci fa sulla croce quel sembiante divino,
quelle braccia distese, e quel petto spalancato: fili io non ti domando rte
già sangue per sangue, ne vita per vita, rrersa-crifizi, ne stenti dimando solo,

4 S. A g o s t i n o , Confess., PL 32, c. 663.


5 II Cafasso rimanda ad un testo scritto nella pagina precedente a fronte.
6 1 Cor 16,22.
1 Qui U Cafasso aggiunge due righe scritte nella pagina a fronte.
a Pr 23,26.

663
Esercizi S p iritu a li a l Clero ^ M e d ita zio n i

e mi contento del cuore: ali! fortunato il Sacerdote che intenderà questa


voce9.

(2159) Felice l’Eclesiastico che s’arrenderà a cotesto invito, e vivendo sulla terra
arderà di questo fuoco del Gielo, e si nutrirà di questa Manna da paradiso.
Noi sappiamo le molte distinzioni, le specie, i gradi diversi di amore, che
assegnano i Teologi, ed ancor più gli ascetici; io prescindo dall’accennare
qual sia l’amore di stretta, ed assoluta obbligazione, poiché se mi limitassi
a questo solo crederei far torto al nostro carattere ed alia vostra pietà. Ah!
un Sacerdote, un uomo del Signore, l’amico, il famigliare, il confidente del
Signore deve andare più in là, e se non arriva a toccare i gradi più eminenti

9 Qui il Cafasso rimatìda alla pagina a fronte dove c’è il seguente testo barrato: sia per
meriti grandi che andrà a farsi quasi senza peso, e fatica, sia per la contentezza e consola­
zione che amando proverà.
Segue un lungo testo di tre pagine interamente cancellato. Lo trascriviamo qui;

(2160) 2 e sa amare il suo Signore sulla terra! Egli ama, epperciò Egli è fra tutti il più felice ria

condurrà una vita piena di godimento, merita e non fatica colma di mcritrcrnon sente il

ia ragion totale e la misura del nostro merito. Noi sappiamo il gran detto dell3Appostolo:
quand’anche avessi il dono de3 profeti, la fede e f intelligenza si grande da trasportarne i
monti, e carpirne i più segreti misteri, sarò sempre un niente, quando mi manchi l’amore,
nihil sum (1 Cor 13): Q uidquid vis habe. dice Agostino, hoc non habes. nihil prodest:
[In Iobann. Ep. Tract., V, PL 35, c. 2016, 28]; ma se al contrario tu mi dici d ’amare, tu
m’accerti che ami, io ne ho abbastanza, non cerco più altro, se preghi, se lavori, se studii,
se predichi, dilige, continua, sta fermo ad amare, e poi fa pure quel che vuoi: dilige, et
fac quod vis [Sermoni, cit., p. 202]. Ho detto che l’amore non solo è la base ed il fonda­
mento di tutti i nostri meriti, ma ne forma la misura. Chi più ama, più merita, chi ama
di meno, per ciò solo meriterà di meno. Volete adunque sapere quai sieno i giorni di un
Eclesiástico, e quanto egli meriti, non guardate solo a quello che Ei fa, se fatichi, se stenti,
se sudi, se riscuota elogi, ed applausi; dirò di più, guardate

(2162) 3 se tocchi e converta più anime, e più popolo, ma andiamo a dentro, entriamo nel
cuore, e vediamo con che fuoco, con che amore, e con che carità ei travagli; il Signore
non guarda all’esterno, e tanto alla cosa, quanto al cuore, con cui si fa: non computar
sensum. sed affectum: de cordibus. non de manibus facta metitur: con questa bilancia,
e con questa misura un occhiata, una parola, un gemito, un sospiro, che parta da un
cuore infuocato può valere avanti Dio più che qualunque altra opera più strepitosa del
mondo: i giorni, e la vita d’un Sacerdote, che ami, può paragonarsi come ad un gran
corpo composto, formato intieramente d ’oro, e non può negarsi che egli sia per essere

664
G io r n o O tta v o - M e d i ta z io n e S e c o n d a ~ S o p ra l ’a m o r d i D i o

d’un massimo valore: provate a spezzare questa gran massa di sì grande valore prezioso
metallo, dividetela in pezzi tanto piccoli, e minuti, quanto volete, ma ogni pezzetto per
minimo che sia perde niente del suo, ed è sempre della stessa natura, epperciò dello
stesso pregio, e valore bontà che il corpo intiero; ' così è, e così deve dirsi della vita, de’
singoli giorni, anzi de1singoli momenti, delle singole azioni di cotesti Sacerdoti; spezzate
pure, dividete cotesto spazio di vita, consideratela nelle sue azioni, e comuni, e brevi,
e quasi fulminanti, un affetto, un desiderio, uno slancio, un aspirazione, e molto più
uno sguardo, una parola, un azioncella, è piccola cosa sì, ma è oro, e come oro, vai più
che qualunque grosso volume di terra, e di fango. O h come deve consolare cotesto pen­
siero: forse più d’uno di noi non potrà far gran cosa nella sua posizione, se guardiam
solo l’esterno, poca sanità, pochi mezzi, pochi comodi, e forse anche poche doti per poter
far gran bene; ciò non c’attristi, o cari, e non ci abbatta: il cuore l’amore, la carità può
supplirvi: amiamo, cresciamo in amore, dilatiamo questo cuore in carità, i nostri giorni,
anzi i nostri momenti saran pieni, saran aurei al par di chi, forse più ancora di colui che
suda tuttodì, e fatica. Felice adunque TEclesiástico, che ama; tanto più che l’amore non
solo è quello che forma, e misura il merito delle opere nostre, ma di più regola, e da esso
d ’ordinario dipende il frutto né prossimi delle nostre fatiche.
Lo so che il Signore non ha bisogno della nostra virtù per operare la salute delle
anime, e che la sua grazia, e parola non è legata a’ meriti nostri, ma d’ordinario s’adatta,
e si piega alla forma, e natura di quell’instrumento, che usa. L’ufficio del Sacerdote è quel
medesimo di questo divin Redentore, dilatare cioè, accendere vieppiù sulla terra cotesto
fuoco divino: ignem veni mittere in terram. et quid volo nisi ut accendami' [Le 12,49];
or noi siamo messi a bella posta per soffiare, attizzare questo fuoco, perché si sparga,
s’estenda, si dilati, e s'infiammi se fosse possibile la faccia tutta della terra: ora io dimando
a voi o cari, che sorta

di frutto, che copia di fuoco sia capace di eccitare quel Cuore, e quella lingua che ne (2164) 4
sia priva, fredda, e gelata. Eh! che diceva pur bene S. Gregorio, che: qui non ardet, non
incendit [Selva, cit,, p, 23], ed a che giova ripete Agostino la forma, e lo strepito delle
parole, quando il cuore ne sia muto, e taccia: quid prodest strepitus verborum, si cor
est mutum [In Iohann. Ev. Traci., IX, 13, PL 35]: eh! che il linguaggio d’amore egli è
barbaro, e sconosciuto per chi non ama, dice Agostino S. Bernardo: lingua amoris ei qui
non amat. barbara est, et peregrina [Selva, cit., p. 102]; e l’esperienza lo prova tuttodì
praticamente che nell’Eclesiastico non È già la scienza, la qualità, il titolo, il grado, che gli
da l’ascendente su’ popoli, e !o fa padrone de’ cuori, ma l’amore, e la carità che lo anima,
e lo informa; vale più una parola d’un cuor infiammato che cento prediche anche del più
dotto tra Sacerdoti, quando manchi, e sia freddo in carità. Che se adunque, o fratelli ci
sta a cuore fare un po’ di bene in questi ne’ pochi giorni di nostra vita, risparmiar qualche
offesa al Signore, ed ajutare a mettere in salvo qualche anima, che è la maggior felicità
del Sacerdote, che possa godere a questo mondo, appigliamoci a questo gran mezzo deh
l’amore; ai piedi del Crocefisso, davanti a questo Tabernacolo d’amore facciam sì che il
nostro cuore si scuota, arda, ed infiammi di questo fuoco celeste, ed allora la nostra vita
sarà tale quale v’ho detto, vita di godimento, vita di meriti, e vita senza peso e fatica.
Egli è questo un altro effetto non men certo, e grande dell’amore, di rendere cioè
leggieri, e dolci le fatiche li stessi stenti e travagli: è noto il detto di Agostino che: qui
amat non laborat [In Iohann. Ev. Tract., XLVIII, 1, PL 35]; tanto è il piacere, che prova
l’amante nel servire, e compiacere l’oggetto amato, che il peso stesso, e la fatica gli si con-

665
ni

E sercizi S p iritu a li a l Clero - M e d ita zio n i

verte in gioia, e delizia: omnia saeva. faciiia ac prope nulla efficit amor [Sermo DLXX, PL
38, c. 444]. S. Agostino. Guardiamo che fa un negoziante per amor di roba, un cacciatore
per amore della preda: pericoli, stenti, fatiche, spese, sudori, egli è un niente per lui, è
l’uomo piti contento, più felice del mondo solo che possa arrivar al guadagno, alla preda
solo che gli riesca capitar nella preda. E sarà diverso, e non sarà invece molto più grande
la possanza, e la forza nel cuore di un Sacerdote, che ami, non già un pugno di fango, e .di
terra, ma viva, ed arda di celeste carità. Ah! v’è niente per duro, e per fermo che sia, ripete »
Agostino, che non arrivi a spezzare, ad ammollire cotesto fuoco del divino amore: nihil
tam durum, atque ferreum. quod non amoris igne vincatur [Lib. de morìb. eccl., XXII,
PL 32]. Ah! è un gran che cotesta parola di amore, aggiunge [’Autore dell’imitazione di
Cristo: magna res amor. E perché? leve facit omne onerosum... amarum dulce ac sapidum ■
efficit. Infatti se v’è cosa al mondo, che ripugni, è certamente la morte, tanto più quando
va accompagnata da lunghi ed acerbi dolori, eppur sappiamo di tanti, ma principalmente
de’ primi

(2166) 5 Sacerdoti, che ibant gaudentes a conspectu Concilii \At 5,41], ben lontano di sof­
frirne ribrezzo, o paura, che 'anzi lo stimavano una consolazione, una gloria; e quanti
uomini Apostolici che in mezzo ai più grandi travagli non solo non ne sentivano peso, e
fatica gravame, ma ne provavano tanto gusto, e piacere, che quasi temevano venir meno
per gioia, e contento ed eran costretti ad esclamare al Signore che temperasse per poco le
loro consolazioni: satis. Domine non plus Domine, satis. E senza cercar i passati, io m’ap­
pello a tutti i Sacerdoti di buona volontà, e dimando loro se il travagliar pel Signore riesca
loro una vita faticosa, e dura, o non piuttosto una vita di vera allegrezza, e consolazione.
Con una nota il Cafasso rimanda ad un testo nella pagina a fronte che riportiamo qui:
Ah! padre un po’ di riposo, e non s’affatichi cotanto, dicevano tanti personaggi al buon S.
Filippo vedendolo a passar quasi le giornate intiere in Confessionale; che fatica, rispon­
deva il santo, e non sapete che per me non è altro cotesto lavoro che un sollevamento, ed
una ricreazione. Vita del Santo.
Il mondo, che non vede che l’esterno al considerare alle volte la vita d’un buon Sacer­
dote, che vive ritirato, lontano da ogni sorta di sollievo mondano, assiduo da mattina a
sera, di giorno, di notte a chi lo chiama senza risparmio alcuno, e ciò in confronto della
vita molto più comoda, che fanno altri Eclesiastici, il mondoj dico gli -mostra, par che
le usi compassione, e va dicendo tra sé ripetendo: povero Sacerdote, che vita miserabile,
faticosa, legata gli tocca fare infelice egli fa; il Signore gli dia un po’ pazienza; se regge,
sarà proprio un martire; ■

: da che è Sacerdote non ha fatto


altro che faticare e può dirsi propriamente che non sa che sia godere, che cosa sia buon
tempo a questo mondo. Ah! buona gente, ringraziamoli della lor carità, e compassione, e
diciamogli francamente che non occorre bisogno alcuno del toro conforto. L’Eclesiastico,
che è ripieno di fuoco di carità non ha altra consolazione al mondo che quella di conten­
tare quel il suo Dio che ama, se vrha prova un rincrescimento sulla terra egli è questo di
non aver altri giorni, un altra vita da spendere, da consumare pel stia quel Dio, che ama;
vadi la sanità, vadi la roba, vadino i comodi, se ne vadino tutti i divertimenti del mondo,
vadi anche la vita, purché si serva, si onori si compiaccia quel il Signore che ama; e lo
credereste? in mezzo a tanti sacrifizi, che fa, e disposto qual è a quanti si presentassero
di fare, il mondo se ne dovesse far solo la metà, ne tremerebbe di affanno, e di paura,'

666
G io rn o O tta v o ~ M e d i ta z io n e S e c o n d a ~ S o p r a ¿’a m o r d ì D i o

di questo fuoco celeste carità, giungere almeno ad un amore più proprio di


se, e speciale10,

e voglio dire un amore cioè 1° che ci porti a dolerci continuamente di (2157)


non averlo amato, ed a soffrire in compenso qualche cosa per lui. 2° un
amore che ci unisca, ci leghi, ci congiunga talmente da fare una cosa sola
con lui. Ecco la qualità dell'amore, e che io desidererei fosse il mio ed il
nostro ne’ nostri giorni avvenire. Un amante etc. Un amor cioè penitente
pe tanti disgusti, che gli abbiamo cagionato. Un amor sofferente per darle
un compenso di tanti torti e disgusti che gli abbiamo dato. E finalmente
un amor unitivo che ci leghi a lui, e ci leghi talmente di cuore e di mente
a-4tti a questo buon Dio da saper fare una cosa sola, ,e separarci mai più. E
per primo un amor penitente. Un amante etc. pag. seg.

Un amante qualunque, se veramente egli ama, è impossibile che non (2159)


soffra, e non senta dentro di se un cruccio, un disgusto, un crepacuore ogni
qualvolta ricorda Ì torti, e le ingiurie che possa aver fatto un dì contro
la persona amata. La cosa è naturale, necessaria da non poter esser altri­
menti, poiché a misura che conosce neìl’oggetto, che ama quelle doti, e
qualità da meritarsi il suo amore, non può a meno che conoscere, e rim-

eppur Egli è il uomo più contento, più felice della terra inondo, e qui possiam parlare
chiaramente, perché abbiamo consentienti, e sono forzati a confessarlo que’ medesimi,
che vorrebbero non fosse vero, i seguaci cioè, e gli amanti di questo mondo.
Questo lungo testo è sostituito da un altro, scritto nella pagina a fronte.
10 Con una nota. il Cafasso rimandava ad un testo, poi cancellato, scrìtto nella pagina
precedente a fronte: un amor di sacrificio, e di penitenza. 2 un amor di unione, {parola
illeggibile) e congiungimento al nostro buon Dio.
Segue nell’originale un testo successivamente barrato che trascriviamo qui: che io dirò un
amor di afflizione, e penitente, ed un unitivo amor di desiderio, ed unione. Ecco Famor
del Sacerdote che io
Due cose importa nell’Eclesiastico l’amor penitente, che si diceva di afflizione, e peni­
tente: 1 rinnovare soventi dentro di noi, anzi cercare di aumentare sempre più dentro
di noi l’amarezza, il cruccio e l’angoscia il dispiacere un dì d’aver offeso
questo buon Dio. 2 accettare con rassegnazione quel tanto che Iddio vorrà permettere a
ciascun di noi di amaro e doloroso in questa vita a questo fine appunto di anzi soffrir
moi ùficarsi anche noi volontariamente in qualche cosa a questo fine, appunto di dare
una prova a Dio del nostro pentimento passato, e della sincera volontà presente di volerlo
amare.
Il precedente testo cancellato fu sostituito dal Cafasso con un altro che si trova nella pagina
precedente a fronte.

667
E sercizi S p iritu a li a l Clero ^ M e d ita zio n i

proverare a se stesso il male, che ha fatto nell’averlo disgustato. Cresce cote­


sta cognizione, cresce l3amore, e crescendo l’amore cresce in pari tempo il
suo dolore, e cordoglio. Richiamate alla vostra mente il figliuol prodigo
dopo il suo ritorno alla casa paterna; quante volte quel figlio riandando le
finezze del suo buon padre, i modi affettuosi, e paterni per trattenerlo, lé
feste, la gioia, il giubilo, con cui l’ha accolto, e quasi temesse che altra volta
lo volesse lasciare, lo studio, l'impegno di contentarlo ne’ suoi desideri, e
paragonando tutto questo a suoi mali portamenti passati, le disubidienze,
l’audacia, la sfrontatezza, direi quasi la crudeltà usata con lui, quante volte
tra se e se, avrà pianto, sospirato

(2161) ed esclamato: ah ingrato che fui: ah giorni infelici, e disgraziati, sarebbe


stato molto meglio non avessi conosciuto un sì buon padre, che averlo
in quel modo disgustato. Prendiamo la vita de’ Santi penitenti, comin­
ciando dal Re Salmista, e noi vedremo che i loro giorni, le loro notti non
erano che un tessuto di gemiti, e di sospiri per non aver amato. Noi Sacer­
doti principalmente abbiamo una scuola continua di questo amore di affli­
zione, e di penitenza nel tribunale di penitenza. Quante anime, e quanto
soventi può dirsi che quasi non vien persona senza che abbi a farci cono­
scere dia una voce, ed un gemito di dolore per i disgusti fatti, arrecati a
questo Dio: ah padre se sapesse il mio cruccio di un dì, il dolore, che mi
rode; ah! se potessi disfare quello che ho fatto, ah tempo infelice: ah! fosse
pur vero che mai avessi offeso il Signore, pur troppo me ne ricordo, e
mi ricorderò sempre che ho offeso Dio. Eccovi fratelli miei quella vita di
dolore, ossia quell’amore di afflizione che deve condire i nostri giorni sino
alla morte; tanto più adesso che abbiamo fatto questi esercizi e conosciamo
più chiaramente il nostro male, ed il merito di questo Dio, lamentare,
gemere, e sospirare d’averlo offeso. Cotesti gemiti, cotesti sospiri saranno
un conforto, ed un sollievo della nostra pena vita, un compenso per Iddio,
ed uno sconto di quella pena di cui ciascun di noi può esser debitore al
Signore per le proprie colpe. Ditemi infitti se non sia una consolazione, ed
un pensiero ben dolce per noi mentre abbiamo l’amarezza in cuore d’aver
disgustato questo Dio, mentre lo vediamo tuttodì ad offendere, mentre
tanti altri Eclesiastici come noi lo bestemmieranno per sempre all’inferno,
noi invece quaggiù abbiam il comodo, siamo in tempo a dirgli, ripetergli,
e protestargli che ci rincresce l’averlo offeso, riconosciamo, detestiamo il
nostro male, la nostra ingratitudine, saressimo pronti a ripararlo a qualun­
que costo, quando sappiamo che questa voce, questo pensiero, questo slan­
cio di fede, e di pentimento va fino in Cielo, piace, contenta, e soddisfa

668
G io rn o O tta v o ~ M e d i ta z io n e S e c o n d a ~ S o p ra l ’a m o r d i D i o

questo buon Dio, il paradiso intiero ne fa festa, e gode, e basterebbe che


risuonasse una volta solo all’inferno, perché quel luogo di tormenti se ne
sparisse, e divenisse un paradiso. Che bel soffrire egli è questo, o fratelli,
che bell’amare, sulla terra, mentre andiam sollevando questo povero cuore
dal crucio più grande, e più vivo che lo attristi, noi contentiamo Iddio,
rallegriamo il Cielo, e scontiamo in pari tempo i nostri debiti, sostituendo
altrettanti meriti. Sì ogni qualvolta Voi sapete che perdonata la colpa più
0 meno ordinariamente in noi ne rimane la pena a scontarsi in questo
mondo, o nelPaltro. E vero che le opere buone indistintamente sono tutte
soddisfattone, ma il modo più efficace, più sicuro, e più comodo di redi­
merla egli è questo appunto, l’amor cioè di pena, e d’afflizione, di aver
commesso tante colpe cui noi parliamo ogni volta che noi

mandiamo un gemito, un sospiro sulle nostre colpe, noi diamo al (2163)


Signore un compenso il più nobile, ed il più grande di qualunque corpo­
rale penitenza, e che unito al Sangue di questo Dio salderà pienamente i
nostri conti, di più cotesto amore di afflizione pena, e di dolore; amor di

soffrire qualche cosa appunto per dare una prova, ed attestato a Dio del-
r'amor che gli portiamo. Chi non sa soffrire, non sa amare, ed osservate
quanto si soffre per l’amore del mondo. Chi sa dirmi i cruci, i crepacuori,
1 fastidi, le privazioni, le annegazioni, le fatiche, gli incomodi, le spese,
che continuamente devono incontrare, e sostenere gli amanti del mondo:
eppur si soffre, e molto, e volentieri, e lungamente, e si soffrirebbe ancor
di più purché si giunga ad amare, ed essere amato. Pare, e lo è che l’amante
non abbi un mezzo più potente, e più sicuro di mostrare il suo amore, che
ne’ sacrifizi che fa. Tali, anzi immensamente più grandi, più ferme devono
essere le disposizioni del Sacerdote, che ama, e fa professione di amare il
proprio Dio. O patire o morire; non morire ma patire erano le voci delle
due serafine di Carità. Ibant gaudentes a conspectu concili! qnoniam digni
habiti sunt pro nomine Iesu contumeliam pati11. Era il linguaggio, era
l’amore dei primi Apostoli, e Sacerdoti. Ut cognoscat mundus quia diligo
Patrem, surgite eamus12. Qui non occorre più andar a scuola dagli amanti
del mondo, ne da’ Santi, e uomini Apostolici, ma è lo stesso nostro divin
Redentore, e Maestro, che ce lo dice: perché il mondo sia sicuro che io

11A t 5,41.
12 Gv 14,31.

669
E sercizi S p iritu a li a l Clero - M e d ita zio n i

amo il mio Padre, alzatevi e andiamo pure incontro, che sono pronto ad
ogni sacrificio. Dietro questi esempi, ed in seguito a questa grande lezione
se non ci sentiamo di gioire, di rallegrarci, almeno soffriamo con pazienza
quelle piccole vicende, che sono come indispensabili nella nostra vita,
incomodi, dispiaceri, cruci, molestie, tristezze, malinconie, censure, mvet=
rive, mottegi, e sarcasmi del mondo non saranno certo una gran cosa in
paragone di quello che hanno sofferto, e soffrono tanti amanti del Signore,
ma anche questo poco benché necessario quando si riceva, e si soffra a quel
fine, saranno tanti pegni d’amore che noi portiamo al nostro Dio, e tante
scintille che accenderanno di più il nostro cuore; molto più se a ciò che
necessariamente dobbiam soffrire, fossimo per aggiungervi qualche cosa di
nostra scielta: non dico già discipline, digiuni, od altri rigori di penitenza,
che ci vorrebbero anime più grandi delle nostre, ma piccole privazioni,
una parola, uno sguardo, una coserella, un sollievo di meno; potrei difen­
dermi, scusarmi, divertirmi, secondare quella voglia, andiam dicendo: nò,
sia questa una prova che voglio dar al mio Dio, che l’amo: ma non è
peccato, lo so, sarà una marca di più che voglio bene al mio Dio, lo fo,
m’astengo per lui.
Amor di pena e dolore, amor di punizione, e penitenza, amor final­
mente secondariamente

(2165) unitivo, drum bne e desiderio unione di cuori, e di volontà, unione di


presenza e quasi famigliare convivenza.
V’è niente etc. pag. 7
Lo che vuol dire porta di pensare, parlare soventi, e con gusto di itti
Dio, e delle cose sue; lo che vuoisi adottino pienamente i suoi voleri,
si cerchi, s’ami di godere della sua presenza e conversazione. V’è niente,
come sopra.

(2170) 7 V’è niente che avvicini di più due persone, le renda simili tra loro, le
unisca, le stringa, assieme talmente e quasi da farne le incarni l’una col--
Taltra, come l’amore. Tra due, che strettamente si amino, può dirsi che si
conosce differenza alcuna13: è noto l’assioma che: amor vei aut pares inve-
nit, vel facit: simili nel sentire, nel pensare, nel volere, ne’ gusti, perfino
ne’ capricci, talmente che si azzarda nemmeno alle volte lasciar travedere
il proprio pensiero, un idea, il proprio desiderio, la nostra voglia per tema

13 II Cafasso rim a n d a a d u n a riga della p a g in a a fronte.

670
G io rn o O tta v o ^ M e d i ta z io n e S e c o n d a ~ S o p r a l ’a m o r d i D i o

che vadi a ferire, e non sia quella della persona che-si amata; di modo
ito ti
tale che a ben considerare, è tale, e tanta la loro strettezza, unione, e rela­
zione che le diresti non solo, un sol cuore, una sola volontà, uno stesso
gusto, e diciamo quasi una stessa persona14 di modo che la vera amicizia
fu definita: un anima sola che abita due corpi: anima una in duobus cor­

si desidera, si desidera di trovarsi con lui Gli affetti, i desideri, gii stessi
famigliari trattenimenti c"colloqui sono quasi sempre non sanno allonta­
narsi da ciò che si ama, poiché non v’è pensiero, non v fe linguaggio non
v è compagnia, non v’è conversazione, che gradisca di più di quella d’un
sincero, e vero amico15.
Ecco adunque i caratteri, i contrassegni, le qualità che deve avere il
nostro amore verso Dio, quando veramente in noi vi regni, e vi domini,
portarsi sovente col nostro pensiero a questo buon amico, e tenercelo come
al cuore, parlarne, e sentirne parlar con gusto e soddisfazione, andar pie­
namente d’accordo co’ suoi voleri, ed in tutte le sue mire perché non abbia
ad esserci tra noi e lui disaccordo alcuno, e finalmente cercare, amare la sua
presenza, e conversazione. Se uno vuol sapere etc.
Se uno vuol sapere che cosa ami una persona, non v’è indiziò più certo
che investigare a che cosa ella pensi più soventi: vis nosse quid ames. dice
S. Fulgenzio, attende quid cogites, ed è naturale, e quasi necessario che la
mente si porti più soventi là dove riposa il nostro cuore. Col pensare va
d’accordo, e di pari passo il parlare, perché la parola non è che l’espressione
di quel sentimento, che abbiamo nella nostra mente: datemi una persona
amante di caccia, di traffici, di roba di aquisti, di letteratura ed andate
dicendo, chi sa dirmi le ed io ve la do continuamente occupata ne’ pen­
sieri, ne’ progetti, ne’ piani che anche senza pensarvi e volerlo passano per
; di questa fatta, perfin nel sonno, starei per dire, non si quieta: al

14 Con und nota il Cafasso inserisce due righe dalla pagina a fronte.
15 Segue un testo di otto righe cancellate dal Cafasso: Noi Sacerdoti per uffizio, per voca­
zione, pel ministero nostro siamo i famigliari, i domestici, gli amici, e tra questi i più
intimi del Signore, tanto più adesso che abbiamo fatto gli Esercizi, ed abbiam aggiustato
tutte quante le nostre partite, e pulito affatto il nostro cuore, ebbene ecco quali devono
[essere] i caratteri, ed i contrassegni del nostro amore verso il Signore, pensar soventi a
questo nostro amico, parlarne, e sentirne parlare con gusto e soddisfazione, andar piena­
mente d’accordo co’ suoi voleri perché non abbi ad esservi fra noi e lui differenza alcuna,
e finalmente cercare, amare la sua presenza e conversazione. Questo testo è stato sostituito
da un altro scritto nella pagina 7 a fronte [2169].

671
E sercizi S p iritu a li a l Clero - M e d ita zio n i

sentirla par a parlare, è un momento a conoscere l’affetto, e la sua passione:


la frequenza, il modo, il gusto, la scienza con cui ne park, e ne sente parlare
chiunque tutto lo dice, una persona (parola illeggibile) dr-quella -materia a
proporzione che in (parola illeggibile) e lo scuopre; ed è verità, perché il
fonte naturalmente manda fuori quell1acqua, di cui è ripieno, se fangosa,
fangosa, se limpida, limpida, amara, o dolce secondo dia si trova la pos­
siede, e ritiene.

(2 17 1) 8 Se volete adunque sapere, che cosa abbi in cuore, e che cosa ami quel
Sacerdote, e quel medesimo, che ha fatto gli Esercizi, osservatene i suoi
pensieri, le stte tendenze, i desideri, in sostanza il cuore, e cioè ne suoi
discorsi, e molto più. nel suo modo di parlare, di conversare: se parla voi lo
vedete sempre o quasi sempre intento, occupato di compre, di vendite, di
calcoli, di speculazioni, di coltura di campagna, di speranze, e di timori: se
ha sempre in bocca facezie, buffonerie, risate di niun senso, divertimenti,
allegrie, partite; gran segnale egli è questo; conchiudete pure che Iddio o
non v’è in quel cuore, o non v’ha gran parte, ed è regola, che non falla: e lo
sa perfin la persona perfino k più rozza del popolo che al solo linguaggio

naturale, e necessaria cotesta illazione. E come fare voi mi direte per procu­
rare in noi cotesto contrassegno, ed aver noi cotesto testimonio del nostro
amore verso Iddio. Eh!... fratelli qui lo studio, la scienza, l’arte non giova,
ci vuol proprio la realtà, la cosa, bisogna che questo cuore si vuoti del fango
di questa terra, e si riempia, s’infiammi di questo santo fuoco di carità,
allora verran scintille, e fiamme sulla nostra lingua, allora ci verran a noja
i discorsi delle vanità, e follie di questo mondo, allora ci sarà dolce, piace­
vole, giocondo parlar di Dio, e delle cose sue: sia che scriva, sia che parli,
sia che legga, diceva il gran S. Bernardo, niente mi diletta, niente mi gusta
se non sento, se non trovo, se non leggo il nome del mio Gesù: si scribas.
aut conferas, non sapit mihi nisi legero. aut sonuerit ibi Iesus16. E perché?
perché quel cuore ardeva, bruciava di carità, e senza di ciò sarà inutile,
varrà a niente ogni altro sforzo: saran termini vuoti, non saranno che
parole, sarà un cibo senza sostanza e senza gusto.

16 S. B e r n a r d o , Sermones in Cantica Cantic., P L 1 83, c. 8 4 6 , 6.

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G io r n o O tta v o - M e d i ta z io n e S e c o n d a - S o p ra l ’a m o r d ì D i o

L’altro carattere, e contrassegno del nostro amore verso Iddio sta nel
conformarsi pienamente a tutti i suoi voleri, e fare che non vi sia differenza
alcuna tra la nostra, e la sua volontà: l’abbiam già detto che l’amore rende
gli^amanti simili tra loro; e chi sono, interroga qui Gerolamo, i veri amici,
quand’è che tra due persone può dirsi che vi regni veramente una stretta
unione, legame, ed amore? Allora, risponde il Santo, quando pienamente
convengano tra loro ne’ stessi sentimenti, nelle stesse voglie, e nelle mede­
sime ripugnanze, allora si che uno ravvisa se stesso nell’altro, lì stessi affetti,
le stesse tendenze, le stesse mire, li stessi piani, e progetti, e così tja quella
piena somiglianza non può a meno che nascervi tra loro, e crescere sempre
più il loro attaccamento, ed affetto: idem velie, idem nolle ea firma amici-
tia est: S. Gerol. ad Demet. Così deve dirsi del Sacerdote che ama: stretto
ed attaccato di cuore al suo Dio non deve formare con lui che un sol pen­
siero, un sentimento, la sola medesima volontà con Dìo medesimo, epper-
ciò giudicar delle cose del mondo, come Dio ne giudica, stimar ciò, che
Egli stima, disprezzar ciò, che Egli disprezza, amar ciò che Egli ama, cer­
care, temere ciò,

che Egli dice di cercarvi, o temere17; / (2173) 9


A '

qual sia stato ,lo Spirito di questo divin Redentore, l’abbiam veduto, (2172)
quali i suoi voleri, i suoi desideri, e le sue mire sovra di noi, non possiamo
ignorarlo: vuol distacco dal mondo, vuol fatica, occupazione, zelo per le
anime, per l’onore, la gloria sua: si diligis me, pasce oves, pasce agnos
meos: ignem veni mittere in terram, et quid volo nisi ut accendatur: mitto
vos ut fructum afferatis18. Sicché è inutile dire, protestare di amarlo, se noi
non entriamo, se non c’affatichiamo con questa certa unione di volontà,
che è quanto dire, voler quello etc.

Ma principalmente poi nella volontà voler quello che vuole Dio, volerlo (2173) 9
in quel modo, in quel tempo, con quelle circostanze che Egli vuole, e tutto
ciò volerlo non per altro se non perché così vuole Iddio. Dio è il mio tutto
in questo mondo, epperciò il voler suo sarà sempre il voler mio; io non ho
volontà, non ho gusto, non ho desiderio, non ho mira alcuna, io ho tutto
in Dio: se vuole che viva, io vivo, se vuol che muoja, sono pronto a morire,

17 Con una nota il Cafasso inserisce un testo dalla pagina a fronte.


18 Gv 2 1 ,1 5 -1 6 ;
Le 1 2 ,4 9 .

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E sercizi S p iritu a li a l Clero " M e d ita zio n i

e per dir tutto in poco, io voglio tutto, e voglio niente: voglio tutto quello
che vuole il mio Dio, e voglio niente fuor di quello che Egli vuole; tutto mi
piace, quando piaccia a Dio, e niente mi dispiace se non quello che spiace a
Lui. Oh! la bella prova d’amore ella è questa, che bel vivere sarebbe cotesto
in terra, quando il Sacerdote lo voglia, e se lo proccuri.
Finalmente il vero amante non sa star lontano dalla persona, che ama,
e non v’è tempo né più breve, né più dolce di quello, che si passa a trattar,
a conversare con chi si ama, e sarebbe un amor tutto nuovo, ed ignoto
ancora, .quando si dicesse d’amar una persona senza volerne, ed amarne la
presenza; come dice Cassiodoro: inaudita dilectio. quae amicum diliger, et
praesentiam ejus non amat19. Eh! il Sacerdote fra tutti è quegli che ne ha
più i mezzi, ed il comodo di coltivare, di godere cotesta presenza del suo
Signore ed amico. Ogni mattina lo chiama Sull’Altare a chiamar il Signore
tra le sue mani: oh che tempo, o fratelli, che paradiso per un Eclesiástico,
che ami: tu per tu, occhi ad occhi, cuore a cuore col Signore: ma sono
brevi però questi momenti, sono fugaci, e veloci, e non siamo padroni di
noi in quel luogo. E uopo è licenziarci, darci l’addio, e separarci. È vero
che dopo la Messa abbiam dentro di noi il questo nostro Dio, e con lui
possiamo vuotare il nostro cuore, allungare per lo più col tempo la nostra
conversazione finché ci piace, ed il Sacerdote si ricordi di farne gran caso:
è vero altresì che soventi lungo il giorno ci toccano molte occasioni andar

il Signore, e goderne qualche momento: ma oltre tutto ciò io darei per


consiglio per chi ne avesse il comodo di scegliere un po’ di tempo nella
giornata, se non altro un quarticello d’ora per fare una visita al primo, al
solo tra i veri amici, a questo buon Gesù Sacramentato: ah! che pratica da
paradiso sarebbe cotesta, che conforto, che ajuto per un buon Sacerdote,
e che edificazione pel popolo! Mentre tutti s’affacendano, e stanno quasi
sepolti nelle cose di terra, chi ne traffici, chi sul lavoro, chi ne5 diverti'
menti, e piaceri del mondo, e Iddio tutto solo in queste cose d’amore sta
aspettando chi si ricordi, e si porti da lui, ecco il Sacerdote, che qual’altro
Mosè s’apparta dal popolo, entra nel santuario per trattar solo a solo col
Re de Re, per corteggiare questa divina Maestà; per far la~causa di tanto
amico e anche dirgli come e dove un tempo meglio impiegato, quaFaltra
azione più grande, più nobile, più eccellente, mentre in quel punto si fa
più da Angelo

19 C a s s io d o r o , Complexiones, P L 7 0 , c. 137 2 .

674
G io rn o O tta v o ■- M e d i ta z io n e S e c o n d a ~ S o p r a l ’a m o r d i D i o

e cittadino del Cielo, che da uomo, ed abitatore sulla terra20, Oh quante (2174) lo
grazie saranno già pronte in quel momento per noi, quanti lumi alla
mente, quante inspirazioni, e voci al cuore; e non temete o cari, che sia per
tediarvi cotesto sfogo del vostro cuore; le conversazioni del mondo anche
le più piacevoli, e geniali recano noia col tempo, ma nò che non ha ne
fastidio, ne noja il conversar col Signore, come ce ne assicura lo Spirito
Santo: non habet amaritudinem conversatio illius, nec taedium convictus
illius. Sap. 8 [8,16]. Provate, gustate, e vedrete.
Y’è ancora un altro gran bene, quando il Sacerdote faccia sua, ed adotti
cotesta pratica, ed è il buon esempio, e Fedificazione del popolo. È vero che
noi andiamo a celebrare, interveniamo a tante altre funzioni, ma dicono
che queste cose sono del nostro mestiere al loro modo d’intendere, e di
parlare, e non ne fanno gran caso. Di più siccome d’ordinario si corri­
sponde qualche sorta di retribuzione, ci danno a credere, e tante volte non
hanno

20 Segue un testo di ventiseì righe cancellate: Chi sa Quanti in quel punto medesimo
tratteranno chi sa di quali affari terreni, di roba, di traffici, di progetti, di acquisti; chi sa
quanti si staran in quell’ora a logorar la testa, e le forze chi ad un tavolo, e chi in un’of­
ficina: chi sa quanti altri sprecheranno inutilmente il tempo a ciarlare, ad appoggiarsi-a
questo o quello in ciarle, in vanità, e follie, il Sacerdote invece senza aver che fare ne con
alcuno, né con niente di tutte queste inezie, si parte, si muove per presentarsi al personag­
gio più grande del mondo, cd a trattare affari! più rilevanti della terra: il mondo non lo
sa, e non vi bada: ma noi lo scopriremo: entriamo in una chiesa, e vedete là un Sacerdote
che senza fasto, senza rumore, e quasi all’insaputa d’ognuno, parla, tratta, conversa, fami­
liarizza con Dio, non più un uomo con uomo, un amico con amico, un grande con un
grande, ma il Sacerdote con Dio, che vuol dire il personaggio più alto sulla terra, col più
grande de’ Cieli, e che cosa dire;-ch cosa ripetere in sì grandi m om enti vi passerà, tra
quei due in quei momenti si grandi? eh!.,, fratelli, co’ veri amici non si vanno cercando i
termini e le parole, non sono i complimenti che hanno da occupar il tempo, ma è il cuore
che deve uscir fuori, è il r trore che deve rompere, deve spandersi in-questi casi: ognuno
apra, e parli-de’ proprii cruci egli rompe, ed apre il suo cuore, e vi versa i propri cruci, le
proprie speranze, o timori: noi siamo soggetti a mille miserie, esposti nel mondo a tanti
pericoli, attorniati da tanti nemici: abbiam bisogno di forza, di petto, di virtù. Noi siamo
costretti a vedere giornalmente tante offese al Signore, tante anime che se ne vanno alla
perdizione, e ci crucia, e ci strazia il cuore, e ci addolora; noi temiamo di noi medesimi,
e ci spaventano le nostre colpe, la morte, l’inferno, l’eternità; noi siamo soggetti andiamo
incontro a certi giorni di tristezza, di noja, e di abbattimento da saperne nemmen noi che
vogliamo; il vivere ci pesa, morire ci spaventa, E che fare? ecco il tempo di discorrerne
col Signore, pregare, gemere, sospirare avanti di lui, e rotto ogni argine, svelato scoperto
ogni secreto, svelargli interamente il nostro cuore, ed il nostro stato. A l termine del testo
cancellato, il Cafasso rimanda ad una. annotazione in fondo pagina: esempio del V. Mons.
Strambi, e di S. Alfonso.

675
Esercizi S p iritu a li a l Clero - M e d ita z io n i

(2175) paura di dirlo, che se lo facciamo, abbiamo il nostro perché, -ma se ci


vedono frequentare la Chiesa fuori d’ora, soli, in tempo che potressimo
spendere in tutt’altro, e forse mentre tanti altri Sacerdoti si divertono chi
in un modo, e chi in un altro, non potranno far a meno anche i maligni
di pensare, e credere che noi abbiam fede, che sappiamo chi abita in quel
luogo, e che siamo persuasi di quello, che noi loro diciamo. E questa'una
predica, che ne vai cento in parole, poiché sappiamo il nostro proverbio
che: verba movcnt, exempla trahunt. Io so in certi paesi, in cui le chiese
erano tutto giorno come deserti nelle giornate di lavoro, dopo che qual­
che Sacerdote cominciò a praticarla egli il primo, e quindi anche a racco­
mandarla era una meraviglia il vedere il concorso del popolo, artisti, con­
tadini, vecchi, giovani, incamminarsi tutti verso sera alla chiesa a ringraziar
il Signore, chiamati non da altro che dalla spinta dal lume della lor fede,
e dall’esempio di quel buon Sacerdote; sicché io non saprei raccomandare
una pratica più santa, più eccellente e più esemplare pel popolo di questa
visita giornaliera ma per darvi mano, per [parola illeggibile] costanti,-e-per

Ma è tempo che tocchiamo la bella sorte, la felicità, del Sacerdote che


ama. Io prescindo dall’accennarvi i gran meriti che senza fatica si va procu­
rando l’Eclesiastico che viva di amore, di carità. Egli non fatica, perché: qui
amat non laborat. Magna vis amor: omnia saeva facilia. ac prope nulla effi-
cit amor22. La sua. vita, i suoi giorni, le azioni, anche minime sono un tes­
suto d’oro pel Cielo, perfino i pensieri, i slanci, i gemiti voli del suo cuore,
sono i gemiti, i sospiri sono altrettante perle pel paradiso. Dirò nemmeno
il gran bene che Egli anche di poca sanità, e talento può fare nelle anime,

21 II Cafasso intende qui inserire un testò che scrive infondo alla pagina. Questo testo ne
sostituisce un altro cancellato che trascriviamo qui;
Ma vogliamo riuscirvi a praticarla, e praticarla costantemente, e col nostro esempio
dilatarla nel popolo, uopo è amare, uopo è che questo cuore arda di fuoco, bruci di carità:
amiamo dunque, fratelli, ma e amiamo quel solo, che merita d’essere amato, amiamolo
grandemente, amiamolo con quanto abbiam di cuore sulla terra sospirando di arrivar
presto ad amarlo finché arrivi quel di andarlo ad amare con più fuoco, e con più vampe
nel Regno delFamore: amate, ripeto, o Cari, e troverete amando quella gioia, e quella
felicità che uomo non si nessun può esprimere né con letL ere, nc ccrn parole solo chi lo
prova, lo saprà comprendere, come canta la Chiesa: nec lingua valet dicere, nec littera
esprimere, expertus potest credere, quid sit Iesum diligere [Dall’Inno lesu dulcis memoria].
Cosi sia.
22 S. A g o s t i n o , In Iohann. Ev. Tract., XLVIII, 1, PL 35; Sermo DLXX, PL 38, c. 444.

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G io r n o O tta v o ^ M e d i ta z io n e S e c o n d a - S o p ra l ’a m o r d i D i o

perché sappiamo, che qui non ardet non incendit23. Vale più a toccare il
cuore la parola d’un Sacerdote che arda di amore, che cento prediche del
più dotto ed eloquente oratore del mondo. Io mi limito solo a scorrere
con voi quella piena di pace, di calma, di tranquillità e di gioia che non va
disgiunta sulla terra dalla persona, che ama. Se v’ha una sorgente, come già
v’ho toccato etc. pag. 5.

Se v’ha una sorgente, di cruci, di fastidi, di disgusti, e di crepacuori, (2166)5


egli è l’attacco, e l’amore alle cose di questa terra: quante persone dominate
da quest’amore agonizzano più di quel che vivano, e dopo d’aver provato
tutto ciò che il mondo sa presentare di più incantevole, si trovano cosi
vuote, stanche, infastidite e ripiene talmente di amarezza e dolore che sono
costrette al punto di confessare che tutto questo mondo è un apparenza,
una vanità, una follia, e che ben lungi di contentare il cuore non fa

che trafiggerlo, che martoriarlo. Osserviamo, o cari, che gran differenza (2168) 6
da amore ad amore: tutti amano sulla terra e-rron si~può fare a meno che
amare24 perché il nostro cuore non può vivere senza amare, come diceva
Agostino: vita cordis amor est. Tutti amano dico, con questo divario però
che gli uni non trovano riel loro amore che spine, che cruci, e Dio non
voglia la loro perdizione, e rovina, temporale, ed eterna; altri invece un
paradiso di piacere e di contento da sorpassare tutte quante le delizie della
terra. Ah! fratelli miei, persuadiamoci una volta che 1’Eclesiástico che vuol
pace, vuol rèquie, vuol contento, si ricordi che non ha altra via fuor quella
di vuotar il cuore di questo mondo per darlo, per consacrarlo a quel Dio,
che solo lo può rendere felice: dura sunt omnia. Deus solus requies: guai al
Sacerdote, che arde e che ama, ma non arde, e non ama il Signore: vae
illis qui non ardent ex te Domine, stia pur certo che non troverà che guai,
che spine, e dolori da rendergli di peso e di noja perfin la vita: dura sunt
omnia. Deus solus requies: quidquid Deus non est, nihil est, e beato il
Sacerdote che saprà staccar il suo cuore da tutto ciò che non è per Dio, e
convinto e persuaso di tutto il niente di questo mondo lo terrà il suo cuore
unicamente pel suo Signore. Che felicità, che gioia vivendo sarà la sua pen­
sando che l’oggetto del suo amore è quel solo che infra tutto meriti d’esser

23 S. G r e g o r io M a g n o , citato da Selva, cit., p.' 102;


24 Con una nota il Cafasso rimanda ad una riga della pagina a fropte.

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E sercizi S p iritu a li a l Clero " M e d ita zio n i

amato è quel solo che possa appagare un cuore in terra, quel medesimo
di cui ardono tante che si sta amando, e si amerà in eterno in paradiso.
Che gioia, dico, per un buon Sacerdote poter dire a. se stesso di far in terra
quella cosa medesima quel medesimo, che in Cielo fanno gli Angeli, e
Santi, e sta facendo Maria: in Cielo, in terra, né nel tempo né nell’eternità
non v’è men si può ne potrebbesi immaginare un occupazione più grande,
più dolce più di questa, di amare il Signore, e che sarà poi in morte per un

punto25

(2167) quando il pensiero, il desiderio, l’aspettazione sola della morte è già


capace da per se stessa a torre ogni pena dall’uomo, che ama, quasi a dargli
una nuova vita, come voi sapete di quell’anima, che fra le vampe del suo
amore andava cantando, e ripetendo: vieni pur morte gradita ma si celi il

si nascondesse nel venire perché non le tornasse a dar la vita; che sarà poi
quando arrivi, e spunti quel giorno, e quel momento

(2168) 6 in cui spogliandosi del peso di questo corpo andrà di slancio, e di volo
a vedere, ad abbracciare, ad unirsi a bearsi a deificarsi così in quel Dio che
ha amato: ah! che dolce pensiero, che transito consolante, che santa morte,
e che morte preziosa: eh! che il mondo non è degno di sentire, di gustare
dolcezze sì fatte: da amantem et intelliget quod dico26dice Agostino, nò un
palato di carne, e di fango non è fatto per un gusto così delicato: datemi
un cuore, una lingua che ami, e si saprà tenere, saprà intendere cotesto
linguaggio, cotesto gusto divino: da amantem. et intelliget quod dico27.

(2167) Si, amate, o fratelli, amate molto, amate con quanto cuor avete, amate
sino all’ultimo respiro de’ vostri giorni, sinché arrivi quel dì che andremo
ad amarlo nel bel Regno delfamore. Amatelo ripeto, ed amandolo io v’ac-
certo che troverete una felicità, una contentezza, una gioia, che nessun del
mondo ve la può esprimere, solo chi la prova, la potrà comprendere, come

25 Con una nota il Cafasso rimanda ad alcune righe della pagina a fronte.
26 S. A g o s t i n o , In lohann. Ev. Tract., XXVI, 5, CCL 36, 262.
27 II Cafasso rimanda, ad un testo della pagina a fronte.

67 8
G io rn o O tta v o ^ M e d i ta z io n e S e c o n d a " S o p ra l ’a m o r d i D i o

canta la Chiesa: Nec lingua valet dicere, nec limerà exprimere. expertus
potest credere, quid sit lesum diligere28.

Iesu dulcìs memoria.


28 D a ll’In n o
Il testo del Cafasso continua con alcune righe cancellate:

Ma quali sono i caratteri, i contrassegni, le prove, e gli affetti di quest’amore? è inu­ (2168 ) 6

tile che io qui dica che il primo, il principale, l’indispensabile sia quello delle opere; si
può nemmen immaginare come una persona ami un altra quando non compia a’ proprii
doveri verso dì lei, l’offenda e la disgusti; di più sarà ben poco quest’amore quando uno
si conten ti la persona di far soltanto il fermi al puro suo dovere, ed occorrendo di fare, di
soffrire qualche cosa, che possa contentare e gradire al suo Dio, benché non vi sia stretta-
mente obbligato, ricusi, e si rifiuti. Se non manca di amore

questo Sacerdote, certo che egli è un amor ben debole, poiché è naturale, che chi (2170)7
ama veramente, non si contenta di limita a non disgustare soltanto l’oggetto amato, ma
cerca, se può di gradire, di compiacere la persona che ama. Io però non mi fermo a cotesti
caratteri, ed effetti, ma vado ad alcuni più proprii, più vicini a chi ha per iscopo, e fa
professione di amare, come siamo noi Sacerdoti inverso al nostro Dio.

679
Meditazione ultima (2176)

Sopra l’amor di D io 1

Il primo carattere adunque del nostro amore verso Dio ha da essere la (2177) 1
generosità; e perché il nostro amore possa esser tale voi sapete che non
dobbiamo limitarci al puro dovere, a quel tanto cioè che siamo tenuti, ed
obbligati verso Dio, lo che ci renderebbe giusti e niente più., ma se vogliam
meritarci la qualità di generosi, è necessario varcar questo limite, e andare
al di là, e vandrà certamente 1’Eclesiástico quando ami il suo Dio. Il vero
amante non mercanteggia colla persona amata, non sta contando i passi
che fa per lei, anzi starei per dire, conta per niente quello che ha fatto
già pel passato, calcola per poco quello che sta facendo alla giornata, per
l’avvenire poi ben lontano di rifiutarsi a cosa alcuna, che anzi s industria,
cerca, e studia per arrivare a scuoprire alcun chè possa vieppiù soddisfare,
contentare la persona amata allora solo contento, quièto quando il proprio
cuore Faccerti d’aver mancato per niente a ciò che rifletteva il ben essere
dell’oggetto amato: eccovi fratelli miei dove arriva, che cosa fa, qual sia la
giornata del Sacerdote, che ama Dio. Non si parla più di offesa di Dio, e
nient’altro, e niente più: se pensa, se opera, se lavora, se studia, se soffre
tutto è per lui; il suo onore, la sua gloria, il suo gusto ecco la sola norma, la
meta, la cima di tutti i suoi sforzi, pensieri, occupazioni; niente di troppo,
niente di difficile, niente di amaro quando sia per Dio. Se Dio lo vuole,
Dio lo desidera, Dio ne guadagna, basta per me, non cerco altro, la morte
piuttosto che rifiutarmi ad una cosarella per Dio. Ecco il verso Sacerdote,
il vero amante, il vero generoso per Dio. Oh fossero pur molti, ed in questi

* (fald. 4 7 ì fase. 157)


1 Questo tèsto probabilmente doveva essere inserito nella Meditazione 47! 152. Tuttavìa il
Cafasso diede ad esso un titolo e una numerazione a sé stante.

681
E sercizi S p iritu a li a l Clero ^ M e d ita zio n i

tempi (i veri) gli Eclesiatici di questa fatta? Oh! volesse Dio che lo fossimo
almeno noi dopo questi esercizi.
Cotesta generosità oltre d’essere una proprietà naturale dell’arri ore,
tutto può dirvi che in noi la richiede Iddio per primo, e pare che Egli non
la meriti dopo quello che ha fatto, e fa tuttogiorno per noi specialmente
sacerdoti. Non sarebbe una specie d’ingratitudine andar misurati con chi
non ha adoperato misura, o limite alcuno con noi, non fosse altro che per
compensar in qualche modo Iddio di quanto l’abbiam offeso, ed oltrag­
giato pur troppo ne’ nostri giorni passati. Che avressimo detto noi2

2 A questo punto finisce la pagina dell’originale e della Meditazione.

682
Giorno Ottavo (2586)

Meditazione Terza
Sopra le occupazioni giornaliere
Ventesima quarta degli Esercizi Spirituali1

Siamo al fine dei nostri Esercizi: d'or in avanti non ci rimarrà che la memo­ (2587)
ria di questi giorni,' e di questo ritiro. Memoria che durerà per tutto il
nostro vivere, memoria che si farà ancor più viva sul finire dei nostri giorni,

* (fald. 48 / fase. 233; nell’originale 2586-2607)


1 La meditazione incomincia con il seguente testo barrato: Eccoci al termine dei nostri
Esercizi. Spero che al punto di nostra morte tra le altre consolazioni avremo ancor questa,
cioè d ’aver passato in questo luogo alcuni giorni tutti con Dio, in santi pensieri, in sante
e ferme risoluzioni. Oh!... se potessimo fin d ’ora arrivar a leggere in quel libro divino chi
sa quanti meriti vi troveremo registrati, opera tutta e frutto di questi santi Esercizi: pre­
scindendo dal merito e per l’incomodo nel recarsi a questo luogo, e per l’osservanza delle
regole, e per tanti altri piccoli sacrifizi, che sono indispensabili, e quegli interni gemiti
sulle nostre colpe, que’ fermi proponimenti di non volerlo più offendere, quei santi pro­
getti di gloria di Dio: sono stati nascosi agli occhi degli uomini, ma Iddio li vidde, Iddio
li registrò; quante volte il nostro cuore in questi giorni si sarà sfogato con Dio in atti
di riconoscenza, di amore, di ringraziamento, e chi sa quanti desideri avrà formato di
arrivar un di a vederlo, ad amarlo in quella dolce patria de’ Beati: Iddio sa tutto, e tutto ci
premierà: felice colui, a cui il cuore in questo punto lo può assicurare di sì bel capitale di
meriti: verrà questo pensiero a consolarlo più volte in vita, ma soprattutto le verrà dolce,
e caro ne’ giorni estremi di sua vita.
Ma se l’opera degli Esercizi ella e finita, ora appunto ne deve cominciare l’effetto, ed
il frutto: Iddio, la Chiesa, il popolo che tutti hanno uno speciale, e distinto diritto sovra
di noi lo aspettano, e lo aspettano in una vita propria, e degna di un Ministro di Dio e
della Chiesa, propria, e degna di uno che ha da fare da guida, e da condottiero del popolo,
come siamo noi: questa vita sarà già stata tale spero avanti ai santi esercizi, e se per qualche
tempo, se in certi punti avesse declinato a quest’ora l’abbiamo pianta, sicché non occorre
più di pensarvi, e tanto meno di parlarne; ora ci tocca di confermarci in questo genere di
vita e proccurare di batterla e con più facilità, e più fervore.
Per compimento adunque di questi santi Esercizi, ed insieme per ricordo da portare
con noi alle nostre case io vi verrò dicendo alcuna cosa sovra questa materia, vale a dire
qnal in che consista la santità, e perfezione della vita, che deve condurre un. buon Sacer-

683
Esercizi SpiritiMÌi al Clero ~ Meditazioni

dote: in secondo luogo noterò alcuni mezzi, alcuni riflessi che gli possono giovare a questo
fine; questo si può dire che forma tutto lo scopo degli esercizi, e quà vennero a finire tutte
le considerazioni, e tutte le instruzioni finora fatte, sicché non sarà quasi che riepilogare
le materie, e dir tutto con poche e diverse parole. Principiamo adunque.
Già noi dobbiamo esser santi: Santi ci vuole Iddio, santi ci desidera e tenta di formarci
la Chiesa, santi ci bramano le anime buone, e santi ci pretendono fino i cattivi, e con
ragione perché o esser santi, altrimenti il mondo non ha bisogno di noi, e nemmeno gli
conveniamo; ma sapete voi chi intenda io per santo, e chi lo sia?

(2590) 2 Io intendo per santo, e lo è realmente quel sacerdote che si occupa in ministeri, in
azioni proprie di suo stato, anche comuni, ed ordinarie; non solo si occupa, ma proccura,
e fa quanto può per farle bene: qual è la vita di un buon sacerdote, come passa i suoi
giorni? prega, celebra, studia, confessa, predica, instruisce, consola, consiglia, visita, si sol­
leva, ecco la tsla delle occupazioni di un buon sacerdote: niente di straordinario, niente di
rumoroso, tutto comune, ordinario, e triviale per dir così; ebbene tutto questo distribuito
con ordine, con prudenza, giusta le circostanze, ed i bisogni delAempo, del luogo e delle
persone, fatto bene basta a far la persona santa, cosi un secolare, un padre, una madre,
così anche un sacerdote. Ed eccone la ragione, che parla. Tutta la santità, la perfezione,
ed il profitto di una persona sta nel far perfettamente la volontà di Dio, cioè a dire in
queste due cose: primo nel fare ciò che Dio vuole da noi secondo nel farlo in quel modo
che egli vuole che sia fatto da nor più di questo mi pare che non vi sia. E che non si
possa né domandare, né desiderare, ora riguardo alla prima cosa, cioè che un sacerdote
occupandosi nelle cose dette faccia ciò che Dio vuole mi pare tanto, evidente e manifesto
che non occorre dubitarne. La natura della sua vocazione che Io chiama a tali ministeri,
la bontà di tali azioni che tendono tutte all’onore, alla gloria di Dio, ed alla salvezza del
prossimo, l’approvazione del Superiore che l’ha messo in quel tal impiego, il consiglio del
direttore che tiene il luogo di Dio sono tutti segni, anzi prove che ci accertano che con
quel genere di vita facciamo ciò che Dio vuole: la difficoltà maggiore sta nella seconda
cosa cioè di fare le nostre azioni del Ministero in quel modo che Dio vuole. E qual
sarà questo modo? è presto detto: Iddio desidera, e vuole che le facciamo bene, p erfetta­
mente le facciamo perfettamente. Dunque un sacerdote che faccia bene, che faccia per­
fettamente le sue cose ed azioni ordinarie, preghi, studii, confessi, predichi, ed altre cose
simili tutto bene, tutto perfettamente, egli è un sacerdote santo, perfetto, in sacerdote che
ogni di s’avanza nella virtù, e nella via del Cielo.
Dunque la perfezione nostra non sta nel'moltiplicare opere ed opere, in fare uffici alti,
ed eminenti, in far opere straordinarie“ nò: ma nelle opere comuni, giornaliere, ed ordi­
narie: pochi di noi sono chiamati ad azioni straordinarie, e poi anche chiamati queste cose
come straordinarie, e rare non possono formare dare il carattere e formare la tessitura della
nostra vita; e che gioverebbe finalmente far bene e perfettamente un opera in se eroica, se
passata quella si facessero poi mediocremente le altre: supponiamo uno che chianaato da
Dio lasci la patria, i parenti, la roba, gli impieghi, i comodi per ritirarsi in un chiostro, o
portarsi alle Missioni straniere; sacrifico grande, straordinario, eroico, è vero; non si può
negare; e lo

(2592) 3 [fa] allegramente, prontamente con tutta la virtù possibile, ma se dopo ciò nelle azioni
comuni della sua carriera non le facesse che mediocremente, si potrà dire, e sarà vera­
mente un sacerdote santo, e perfetto? nò certamente: l’opera grande, ed eroica che ha

684
Giorno Ottavo ~ M editazione Terza - Sopra le occupazioni giornaliere

memoria che porteremo con noi all’altro mondo. Ma ci sarà di consola­


zione? Io spero di si, e sarà certamente tale, se da questi esercizi comincie-
remo, o vieppiù ci confermeremo in un genere di vita, che corrisponda
all’altezza della nostra Vocazione, alle mire di quel Dio, che ci ha chiamati.
Noi in questi giorni avremo concepito chi sa quanti buoni desideri, fatti
tanti progetti, eccitati in noi tanti desideri, oh quante speranze si possono
concepire da questo interno lavoro del nostro cuore, quante anime di più
potranno andar salve qualora si mettesse costantemente in pratica ciò che
si è proposto da noi in questi giorni. Ma non basta fratelli miei, aver pro­
posto, ci vuol mano all’opera, quanti proponimenti noi vediamo andar
al vento nella pratica del nostro Ministero, e quanti anche tra Sacerdoti
partono dagli Esercizi colle migliori disposizioni, e poi finiscono con far
niente, ed anche questa volta da qualcuno si potrà finir con far niente se
non si comincia subito, e con franchezza, e non solo per metà ma intiera­
mente una vita propria, e degna d’un sacerdote. Io mi fermerò in questa
ultima volta a tracciarla assieme a voi per vedere in che consista, come,
e con quai mezzi si possa ben praticare. In questo argomento si può dire
compendiata tutta quanta la materia degli esercizi, in ciò pure sta tutto il
frutto di questi giorni, come pure ciò che Dio pretende, ed i buoni aspet­
tano da noi.
Per cominciar adunque io dimando che cosa è un sacerdote: a dirlo in
poche parole: egli è una persona tagliata, e svelta per cosi dire dal mondo,
dalla casa, perfino da se stessa, e venduta intieramente alla gloria di Dio,
ed alla salute delle anime, da ciò solo si potrebbero facilmente compren-

fatto suppone virtù, è principio e foriera di una virtù più grande, ma non la contiene,
questa nasce per così dire, cresce, sì perfeziona nelle azioni communi: sicché chi aspira ad
essere un sacerdote santo, e perfetto non. pensi a fare cose grandi, e straordinarie, ma o
grandi o piccole che esse siano pensi solo a farle bene, e con ciò solo sarà perfetto, e qui
notiamo di passaggio quanto ci possa costar poco Tessere perfetti; poiché con l’istessa cosa
che facciamo, senza giunta di altre opere possiamo essere tali.
Deve essere questa cosa di grande consolazione per tutti, ed animarci tutti grande-
mente; Se si ricercasse per esser perfetto certe cose e squisite, e straordinarie, certe eleva­
zioni molto alte potressimo aver qualche scusa, e dire che non ci basta l’animo di salire
tant’alto: se si ricercassero penitenze, rigori, digiuni, austerità non comuni, oh! forse non
ci sentiressimo le forze di far cose simili: ma non si ricercano sì fatte cose, né sta in esse,
come già dissi la nostra perfezione, sta solo in far bene, in far perfettamente quello che
facciamo: con le medesime opere senza spendere né più tempo, né usire maggiore fatica
possiamo essere santi, e perfetti. *
Questo testo è sostituito da un altro, scritto nelle pagine a fronte.

685
Esercizi Spirituali al Clero ^ Meditazioni

dere, ed enumerare tutte quelle occupazioni, che non convengono ai sacer­


dote, ma io le lascio per non andar in lungo, ed uscire del mio argomento;
noterò solamente che tutte quelle occupazioni, che ostano, che non con­
ducono, o sono inutili per questo fine non sono fatte per il prete, ed il
sacerdote che vuole operare proprio da sacerdote deve bilanciare soventi,
ed esaminare e dimandare a se stesso se le giornate che passa, le azioni, che
ha la mano conducano o no a questo fine. Nemmeno poi è necessario che
il sacerdote

(2589) faccia nel suo stato opere grandi e strepitose per essere un vero e santo
Ministro Evangelico: le opere grandi sono poche, e pochi sono chiamati
a farle, ed è alle volte una grande e funesta illusione voler tendere a cose
grandi e frattanto si trascurano le comuni, ed ordinarie. La vita adunque
del vero e buon sacerdote ha da essere tessuta di opere di gloria di Dio, e
di zelo di anime, e non di occupazioni profane, secolaresche, divertimenti,
e poltroneria; di modo che allo scader d’un giorno, d’un mese, d’un anno
si può dimandare ad un secolare che divertimenti si è preso, che fondo
fa guadagnato, quanti acquisti ha fatto, al sacerdote invece si dovrebbe
dimandare quante anime ha salvato, ha ajutato, qual’è la gloria, che ha
procurato, perché queste e non altre han da essere le occupazioni del sacer­
dote. Opere adunque di zelo, di gloria Dio, e della salute delle anime,
ma opere comuni, ordinarie; dico comuni non già che sien tali per loro
natura, giacché la minima cosa divien massima quando sia diretta a quel
fine, ma le chiamo comuni, per intendere quelle che giornalmente sono
alla mano, e quali sono? ne abbiamo tanti libri parlanti quanti sono i buoni
sacerdoti, che noi vediamo a lavorare nella vigna del Signore. Che fanno
cotesti Sacerdoti? scorrete la loro giornata: l'offerta del Sacrificio, preghiera
in diversi tempi, ed in diverse maniere, studio per se, o per altri, quindi
esercizio del Ministero, e qui per nominare le principali, sentir confessioni,
amministrazione de altri sacramenti, annunziar la parola di Dio, instru-
ire, catechizare, esortare; assistere ammalati, consolare anime afflitte, ed
oppresse, dar consigli a dubbiosi, aggiustare differenze, rappacificare i dis-
sidenti, e quello che non voglio tacére perché officio primo del sacerdote,
come lo fu di questo primo e Capo de’ sacerdoti Cristo Gesii, chiamare,
invitare, cercare, inseguire, e studiar di riavere le pecore smarrite, ah! che
impiego, e che dovere! a mttociò aggiungete pure quel po’ di sollievo, di
ristoro, di riposo che la miseria nostra, e le convenienze possono richie­
dere. Ecco ciò che forma l’occupazione del giorno de’ buoni sacerdoti;
niente di straordinario, e di strepitoso; un sacerdote può passare lungo

686
Giorno Ottavo ■- M editazione Terza ^ Sopra le occupazioni giornaliere

tempo ed anche tutta la sua vita in sì fatti ministeri senza che il mondo
quasi rilevi la sua esistenza, almeno senza che la gente ne faccia encomii e
maraviglie; e questo è un pensiero che deve consolare, mentre ogni sacer­
dote può arrivare a fare queste cose, anche con poca capacità, con poca
sanità, in qualunque luogo

e con qualunque sorta di gente si trova, non potrà quel tale salir su (2531)
d’un pulpito, insegnar da una cattedra, maneggiare grandi affari, diriger
una gran quantità d’anime, partir per le estere missioni, sciogliere tante
coscienze intricate, e andiam dicendo. Ma che importa nel luogo ove si
trova, preghi, studi, senta, consoli, e dirigga quel pugno di povera gente,
ella è questa un’occupazione da prete al pari di chi si trova alla testa di
numerosa parrocchia e di chi parte per le estere missioni:

Vi sono dei Santi assai grandi avanti Dio, che nulla hanno fatto di
grande in ordine a Dio: dei santi, la vita dei quali è stata oscura, e nasco­
sta, le cui azioni nulla hanno avuto di strepitoso e di mirabile, né di essi il
mondo ha parlato. Erano grandi per la lor santità, ma tutta la loro santità
era ristretta in cose piccole. Erano grandi per la loro umiltà, e la loro umiltà
li portava sempre ad eleggere gli ultimi impieghi, e le azioni più basse.
Con ciò pero non crediamo che basti per essere un vero sacerdote pas­
sare i nostri giorni in azioni tali, io direi che sarebbe il meno; il meglio
anzi il tutto sta nel farla bene, di modo che di un sacerdote si possa dire
a proporzione quello che dicevasi del figliuol di Dio. Marc. cap. 7 che ha
fatto bene tutte le cose; di qui ne viene che di due sacerdoti che tengono la
stessa condotta, che lavorino, che preghino egualmente; ebbene di questi
due uno può essere appena un mediocre sacerdote, l’altro con la stessa vita
e senza niente di più sarà un sacerdote santo, e perfetto, e da che deriva?
deriva da ciò che uno farà mediocremente le sue azioni, l’altro le farà san­
tamente, e perfettamente2.

1 La pagina procede con il seguente testo barrato: Da ciò veda ognuno quanto imporri
l’impegnarsi a far bene le cose comuni, e quanto ci debba esser consolante il sapere che la
nostra santità, e perfezione ci sia tanto alle mani, ed in una cosa così facile, e domestica.
. O ra adunque resta necessario sapere che cosa si ricerchi per far bene le nostre opere.
È presto, detto, e consiste in due cose: [a prima, e principale è che le facciamo puramente
per Dio: la seconda che facciamo in esse quanto possiamo, e quanto è dal canto nostro
per farle bene. Primo farle per Dio.
Questo testo è sostituito da un altro nella pagina a fronte.

687
Esercizi Spirituali al Clero - Meditazioni

(2591) Da ciò veda ognuno quanto importi sapere, ed impegnarsi a farle bene
mentre dalla maniera, con cui le facciamo, si può dire francamente che
dipende il carattere della nostra condotta avanti Dio, e la misura del nostro
merito. Che cosa adunque si ricerca per farle bene? Io le riduco a due: 1.
farle unicamente e puramente per Dio. 2 farle esternamente in un modo
che sia degno di quel Dio, per cui le facciamo. Primieramente fare le nostre
azioni tutte quante solo per Dio.

(2592) 3 La bellezza, il valore delle nostre opere il Signore non la misura dall’ap­
parenza, dall’esteriore, ma va al di dentro e la misura dal cuore: homo videt
et quae parent. dominus autem intuetur cor3: il fine si è il fondamento, e
la radice di tutte le nostre operazioni; la radice di un albero,

(2594) 4 il fondamento di una casa non si vede, eppur è quello che sostiene la
casa, e tiene l’albero in vita, ed a misura che è più vigorosa e sana la radice,
più fermo e profondo il fondamento, sarà più di pregio, e durata l’albero e
la casa; cosi è delle nostre azioni; se ne vogliamo conoscere la bellezza, ed il
valore, ma quella bellezza e valore che hanno presso Dio, non guardiamo a
ciò che pajono al di fuori, non esaminiamo ciò che ne pensino, e ne dicano
gli uomini, andiamo alle fondamenta, alla radice che è il cuore, il fine, l’in­
tenzione, ed essa ci dirà che cosa potrà valere: stiamo attenti, Signori miei,
su questo punto che non vi è materia più importante, né più delicata: con
questa sola intenzione possiamo fare gran guadagni, o soffrire gran perdite.
O che noi facciamo le cose nostre per Dio puramente, ed allora le azioni
nostre saranno tutte grandi, anzi massime, perché non si può dar può un
uomo fare un opera più grande che quando quello che fa, lo fa tutto, lo fa
puramente, lo fa unicamente per Dio: o che noi le facciamo per altri fini,
ed allora perdiamo l’opera ed il tempo, la paga è già ricevuta: ovvero che i
nostri fini sono mescolati, come in pratica vi è più pericolo, ed in questo
caso guadagneremo, o perderemo a proporzione: ma osserviamo che per-
'dite sono queste sempre notabili quand’anche non fosse che di un grado di
grazia in questo mondo, ed un grado di gloria in Cielo: un grado di grazia
che vale più che tutto l’oro della terra, un grado di gloria che avressimo
goduto per tutta l’eternità, e che in conseguenza si può chiamar perduto
per tutta quanta un eternità; e che costava il guadagnarlo? niente di fatica,
niente di tempo, solo con riformar la nostra intenzione; impegno adun-

4*

3 1 Sam 16,7-

688
Giorno Ottavo " M editazione Terza -• Sopra le occupazioni giornaliere

que, Signori miei, impegno in questa maniera di farci santi senza fatica:
agire solo per Dio, puramente per fargli piacere, unicamente per proccu-
rare il suo onore, la sua gloria4.

Ma badiamo che, come dice Tommaso a Chempis in multis caligat (2593)


oculus purae intentionis. Oh quanto è facile che si frammischi qualche
altro fine se non cattivo, temporale ed umano; e voglio dire, che si agisca
per genio, per capriccio, per inclinazione, per costume. Voglio far la tal
cosa, e perché? perché mi piace, mi va a genio, non so che cosa far d’altro:
sono abituato a far cosi, or io chiamo dov è lo spirito interno, e l’occhio a
Dio che ha da formar la midolla, la sostanza, e tutta la misura del nostro
merito dove è io chiamo; è soddisfatto il genio, la nostra inclinazione, ma
non Iddio. Vi sono altri motivi ancor piti comuni, come sarebbe: agire per
rispetto umano, per stima ed ostentazione, per interesse.
Ah! quanti vuoti si vedranno nel giorno del giudizio nelle vite e nelle
azioni de5sacerdoti: quante azioni per metà, o per intiero diffalcate per dir
così dal libro della vita perché fatte per altri motivi che per Dio: azioni,
che il mondo avrà ammirato, applaudito, eppure non si troveranno in
quel Registro. Verità terribile ella è questa fratelli miei, perdite irrepara­
bili, e non degne nemmeno di compassione, poiché ognuno facilmente ed
in ogni stato avrebbe potuto facilmente e senza fatica, o stento ripararle.
Iddio non ha dato a tutti li stessi talenti, ma ha posto in mano a tutti il
mezzo agevole a meritar egualmente, e grandemente in ogni cosa o piccola,
o grande che ella fosse. Noi tutti sappiamo.

Noi tutti sappiamo la dimanda fatta da Gesù Crocefisso al dottor Ange- (2594) 4
lico S. Tommaso: bene scriptisti de meThoma: quam ergo mercedem acci-
pies? cui ille respondit: non aliam domine, nisi te ipsum: ecco quello che
ha fatto Santo Dottore: non fu lo studio, la scienza: anche altri furono
dotti senza esser santi: ma fu la fatica, lo studio fatto non per interesse, per
vanità, per genio, ma fatto puramente per Dio: non altra paga io ebbi in
mira o Signore, né altra paga io chiamo, io desidero che Voi stesso: non
aliam.

4 Qui il Cafasso inserisce un testo dalla pagina a fronte; questo testo sostituisce le seguenti
righe barrate-, non con viste d’interesse, non per mire di vanità, di ambizione, non per
puro nostro genio e capriccio, ma per Dio, per la sua gloria, non a metà non per lui
principalmente, ma tutto per lui, e per lui solo:

689
Esercizi S p irita li al Clero ^ Meditazioni

(2596) 5 Domine, nisi te ipsum. Cosi figuriamoci che qualche volta dica anche
a noi il Signore internamente al cuore: che paga aspiri, che mercede bra­
meresti per quell’opera che hai fatta, o per quell1opera che stai per fare:
o Signore la paga è già intesa, è già pattegiata, non occorre più parlarne:
io mi sono fatto sacerdote per voi, io lavoro nella vostra vigna, a conto
vostro, e per Voi, per vostra gloria, sicché la paga la voglio da Voi, e voglio
Voi stesso per mia mercede: non aliam domine nisi te ipsum: io non mi
contento di altro: non mi state nominare né roba, né credito, né onori, né
stima, né sanità, né lunga vita: io non so che farne, dateli a chi li brama,
io non voglio altro che voi: non aliam Domine, nisi te ipsum. Così discor'
riamo col Signore frequentemente principalmente allora che l’abbiamo tra
le mani all’Altare, con noi nel cuore, o quando siamo per dar. mano a qual'
che opera un po' più apparente, e che l’amor proprio, è più facile che ce ne
rubi; in questo modo ci assicureremo di fare le nostre cose puramente per
Dio, e-perciò e con ciò farle perfettamente, e santamente.
La seconda cosa per far le nostre opere bene, e perfettamente si è di
proccurare dal canto nostro di farle5 in modo degno di Dio, e che a lui
possano piacere, ed io lo ridurrei a questo, cioè farle con prontezza, con

precisione, con attenzione,- corrgravità ed esattezza con esatezza e con per­


severanza6.

(2595) Con prontezza, senza aver bisogno d’uno sprone, che ci stimoli a tutto,
ed andarvi a quell’azione quasi trascinati, con esatezza far conto di tutto e
d’ogni circostanza che possa accompagnare, e migliorare la nostra azione,
giacché ogni piccola può piacere o dispiacere al Signore, e non assuefarsi a
far le cose a metà, comunque; un po più un po meno: questo non è grave*
la tal cosa non è prescritta, la tal altra può andar egualmente, fa lo stesso,
non è poi di sostanza, e andiam dicendo: oh! quante sono dannose queste
massime di non pochi per il modo di far bene: si dice che non tolgono
la sostanza, ma la svestono, la nudano, e le tolgono il meglio, ed il più
bello: datemi due sacerdoti che facciano la stessa cosa, che celebrino per es.
all’altare, che sentano confessioni, che recitino il Breviario, che assistano

5 II testo ha le seguenti righe cancellate: quanto meglio possiamo. Non basta che l’inten­
zione sia buona, che ci protestiamo di falle per Dio, ma resta necessario farle in modo che
possiamo piacere a Dio, e sieno degne di Lui, e vuol dire.
6 II testo rimanda alla pagina a fronte.

690
Giorno Ottavo - M editazione Terza ^ Sopra le occupazioni giornaliere

infermi: ambidue mettono la sostanza, ma guardate la maniera d’uno, e


la maniera dell’altro, quella modestia d’occhi, quella gravità della persona,
e delle parole, quel concentramento, e quel fervore di spirito che si legge
sulla sua faccia, ed in tutti i suoi movimenti, oh! quanto di bello aggiunge
alla virtù, quanto di edificante al popolo, quanto di merito appresso Dìo.
Finalmente farle con perseveranza costante a dispetto di tutte le ripu­
gnanze, e ritrosie interne, a fronte di tutti gli ostacoli, che il demonio, o chi
per esso ci può opporre: non solo continuare, ma proseguire collo stesso
impegno, puntualità, ed esatezza di prima, giacché questo è il vero fervore,
che si ricerca nel nostro operare. Se si tratta etc.

Se si tratta di un opera grande è facile applicarvisi in questo modo, ma (2596) 5


è altrettanto più difficile nelle cose minute, e piccole: eppure bisogna far
cosi: chi agisce per Dio non fa diferenza, non sa distinguere da azioni, ad
azioni, e quel Dio che merita tutto in un opera grande lo merita egual­
mente in un altra più piccola: dunque lo stesso impegno, la stessa esatezza,
gravità, ed attenzione per parte nostra per esemp. in una predica, come in
un Catechismo a ragazzi, tanto quando prego in publico all’Altare come
da me in privato, tanto in una pratica di pietà come in un altra, tanto nello
studio come in un’altra opera qualunque del mio Ministero: age quod agis
in ogni cosa, sempre e dovunque: adesso ognuno dica se un sacerdote che
si regoli in questo modo non si farà santo, non diverrà perfetto? Piuttosto

tere a quello che fa7.

È tale e tanta la virtù che vi trovava S. Bernardo in questa pratica (2595)


costante delle piccole cose e giornaliere, che la paragonava ad una specie
di martirio, anzi in un certo modo più eroica del martirio stesso per la
sua durata, e per la grande attenzione, e grandi sacrifizi che la persona
deve usare, e deve fare. Uopo è dunque fratelli miei animarci tutti quanti
a questa santa pratica adattata a tutti, e per qualunque luogo, pratica che
renderà pieni i giorni di nostra vita, e ci farà santi sacerdoti senza che nem­
meno il mondo lo sappia, e se ne avvegga, e sarà tanto più gloriosa un
giorno la nostra corona quanto riuscirà sarà stata secreta e nascosta agli
occhi di questo mondo: uopo è animarci, ed armarci d’alcuni mezzi per

1 Una nota intende inserire qui un testo dalla pagina a fronte.

691
Esercizi Spirituali al Clero - Meditazioni

riuscirvi. Se ne assegnano diversi, ed io accennerò questi soli, che io credo i


piò forti, e potenti; e saranno questi tre riflessi, che io esporrò brevemente:
pensare che operiamo per Dio, che operiamo sotto gli occhi di Dio, anzi
rappresentiamo in quella nostra azione lo stesso Dio. Il primo mezzo etc.

(2596) 5 si assegnano diversi mezzi a questo fine, uno più forte e potente dell’al­
tro, ed io ne assegnerò nominerò alcuni:
Il primo mezzo adunque per fare le nostre cose bene sia questo, pensare
cioè che quella cosa la facciamo per Dio: una volta S. Ignazio dimandò ad
un fratello che era alquanto negligente nel suo ufficio, gli dimandò per chi
facesse quella tal cosa, che aveva alle mani: il fratello rispose che la faceva
per amor di Dio. come, allora soggiunse il Santo, tu fai questo per Dio? e
10 fai

(2598) 6 in questo modo? se lo facessi per gli uomini non sarebbe gran manca­
mento il farlo con questa negligenza, ma facendolo per un Signore tanto
grande e tanto buono non si può tollerare. Chi sa quanti di noi ci meri­
teremo un simile rimprovero, noi andiamo a celebrare, a confessare, allo
studio, noi visitiamo infermi, sentiamo sconsolati, preghiamo, e recitiamo
11 nostro ufficio: facciamo tutto per Dio, almeno suppongo che questa sia
la nostra intenzione, come lo deve essere; ma osserviamo un po’ se il modo
con cui lo facciamo sia degno di Dio, possa piacere ai suoi occhi; se un
gran Signore, se il Re ci desse commissione di fare qualche cosa per lui, e
ci volesse tener l’occhio sempre indosso per vedere come la facciamo, per
conoscere se la facciamo volontieri, e con tutto l’impegno, chi non si sen­
tirebbe stimolato di farla bene; ora questo è il caso nostro. E Iddio che ci
ha adossato la tal azione, è Iddio che mi ha deputato per la tal cosa, e non
solo me l’ha adossata, mi ha deputato, ma mi accompagna col suo sguardo,
mi vuol leggere nel cuore in quel momento stesso che la fo per vedere, per
conoscere, come mi presto per lui, se a metà, se di cuore, o per apparenza,
e con qual impegno; così in Confessionale, cosi all’Altare, sul pulpito, allo
studio, al letto di quel moribondo: lavoriamo adunque, Signori miei, ma
lavoriamo in modo degno di quel gran Dio, per cui operiamo, facciamo
conoscere dal nostro modo di operare che lavoriamo per un gran Signore,
per un gran padrone, e come ci stia a cuore il pieno suo gradimento: un
lavorante fa sempre gran conto di ciò che può contentare il suo padrone
ancorché fosse una piccola cosa; tanto più quando lo sta adocchiando; così
è di noi molto più ancora: non teniamo mai per poca cosa ciò che può
piacere, o dispiacere agli occhi del nostro Iddio. Un altro pensiero che ajuta

692
Giorno Ottavo ~ M editazione Terza ^ Sopra le occupazioni giornaliere

grandemente a far bene le cose nostre, e che si avvicina al già detto sia
questo8.

Nel nostro Ministero rappresentiamo la persona del nostro Sign. Gesù (2597)
Christo; operiamo per lui, fa ed in vece sua, di modo che dobbiamo proc-
curare dal canto nostro etc.

di far le nostre quelle azioni in quel m odo che le farebbe (2598) 6


lo stesso nostro Signore Gesù Cristo: può parere a primo principio questa
cosa una pura, e sottile imaginazione, eppure io penso che questo dovrebbe
un vero e reale nostro impegno giornaliero: noi siamo suoi vicegerenti, lo
sappiamo, siamo suoi rappresentanti, di modo ehé al veder un sacerdote si
può dire: ecco un altro salvatore, un altro Redentor del mondo, ecco un
altro Gesù Cristo, perché destinato, mandato a far quello, che fece Gesù; e
sarà di troppo, sarà tanto straordinario che un Sacerdote rivestito di questa
qualità proccuri di eseguire li suoi ministeri come li ha eseguiti, e come li
eseguirebbe anche oggi chi l’ha ammesso a farne le veci: un gran Signore
che fosse lasciato dal suo Sovrano a far da suo rappresentante per qualche
tempo, od in qualche luogo non solo si fa un dovere, ma un piacere di
vestir la sua persona, sostenerne il decoro, e la gravità, imitarne i costumi,
le maniere talmente che si possa dire che quasi fanno una persona sola. E
se vi è differenza di nome, e di persona, non vi sia differenza né di azioni,
né di

sentimenti e cosi dovrebbere essere di noi: se tra noi e Cristo vi è dif- (2599) 7
ferenza e grande ed infinita nel nome, e nella persona, proccuriamo che
non ve ne sia nel fare, e nel modo di fare. Ah se questo pensiero venisse
soventi in mente, ed applicato nelle nostre azioni,, quanto giovamento vi
sarebbe a sperare, ed infatti un Sacerdote chela ragioni, e la mediti cosi: io
sono in Confessionale, se vi fosse qui Gesù Cristo a mio luogo, come acco­
glierebbe, come tratterebbe queste anime? io vado a celebrare, do mano al
Breviario, mi metto a studiare, sono chiamato ad un infermo, mi trovo al
letto tì’un moribondo, ho da fare con un povero sconsolato, ma se a mio
luogo si trovasse Gesù Cristo, se fosse chiamato per lui per queste cose, se
lui in vece mia facesse le mie stesse azioni le farebbe in quel modo che le
fo io, oppur vi aggiungerebbe, o riformerebbe qualche cosa, più impegno,

8 Una nota intende inserire le due righe della pagina a fronte.

693
Esercìzi Spirituali al Clero ** Meditazioni

più fervore, più prontezza, più gravità, più esatezza: eh!... Signori miei che
torchio sarebbe questo per conoscere, e spremere se vi è qualche cosa di
imperfetto nelle nostre azioni, quanta materia di esame, o di riforma gior­
nalmente, ma nello stesso tempo che stimolo, e che speranza di frutto, ed
avanzamento9.

5 II testo procede con il seguente lungo brano barrato: Il terzo riflesso sia far ogni nostra
azione, ogni nostra operazione come se quella avesse ad esser l’ultima di nostra vita, S.
Bernardo dava appunto questa massima a chi desiderava portarsi bene nelle opere sue: in
omni opere suo dicat sibi ipsi. si modo moriturus esses. faceres istud? ognuno, diceva il
Santo, interroghi se stesso in ciascuna sua operazione, e dica a se: se or ora avessi a morire
farei questo? lo farei in questo modo? Oh! che non vi sarebbe pericolo di tiepidezza, di
negligenza nelle nostre azioni se ci accompagnasse questo pensiero; e chi di noi esiterebbe
a far un opera buona, chi la farebbe a metà, ed a malincuore quando sapesse che quella
avesse a terminar i suoi di. Raccontasi di un buon Sacerdote, che era accostumato a con­
fessarsi ben sovente, che venuto a morte gli si disse chiaro che stava molto male, e che si
confessasse per morire: benedetto Iddio, allora esclamò tutto allegro l’infermo, sono tanti
anni che mi sono confessato quasi ogni giorno, ed ogni giorno mi confessava come per
morire, come se subito avessi a morire: felici noi se al letto di nostra morte potremo anche
noi ripetere lo stesso, e se il cuore ci potrà assicurare che ogni nostra confessione fu fatta
con questo pensiero, con questa bilancia; ma per poterlo dir in morte resta necessario
praticarlo in vita, e praticarlo non solo nelle nostre confessioni ma nel rimanente delle
nostre azioni cosi all’Altare, cosi in Confessionale, cosi negli altri ministeri; oh che Messe
divote, che preghiere ferventi, che confessioni fatte, e sentite con zelo, modestia, carità,
e pazienza. Diciamolo un po qua: se quando vado all’Altare io pensassi: questa è l’ultima
volta che il Signore mi

(2601) 8 permette di avvicinarmi a lui, è Fultima volta che vuol venire nelle mie mani, e nel
mio cuore, è l’ultima volta che vuol essere offerto da me, nemmeno in Cielo, ove spero
di giungere, avrò una simile sorte per tutta quanta un eternità, questa è l’ultima assolu­
tamente, questa è l’ultima, per sempre. Se quando io vado in Confessionale dicessi a me
stesso: ecco l’ultimo suo Sangue che il Signore mi da a dispensare, or ora va a finire la mia
missione, il mio ministero: questo è l’ultimo mattino che Iddio mi accorda per esercitarlo:
questa è l’ultima persona che posso guadagnar al mio Dio, questo è l’ultimo peccato che
posso impedire, questa è l’ultima volta che parlo, parole di pace, di perdono, di conforto,
di consolazione, quello che è fatto è fatto dopo questo è finito per me.
Se allorquando uno si trova in qualche pericolo si ajutasse con questo pensiero: ecco
l’ultima prova che Iddio vuol fare di me, l’ultima occasione di mostrar al mio Dio l’amore
che gli porto: questo è l’ultimo trionfo che posso riportar sul demonio, l’ultima palma,
e vittoria che posso ottenere, l’ultima perla per la corona che mi aspetta. Ditemi Signori
miei se questi o simili riflessi non sieno capaci essi soli di portar una persona a gran perfe­
zione senza penitenze eroiche, senza azioni straordinarie solo colle opere giornaliere fatte
perfettamente.

694
Giorno Ottavo ■- M editazione Terza - Sopra le occupazioni giornaliere

Ecco i brevi ma forti riflessi che io ho pensato di ricordarvi per impe­ (2600)
gnarci tutti quanti a farci santi e perfetti nel nostro stato, e colle azioni
nostre giornaliere ed ordinarie. Dopo ciò io vengo a dir due parole sull’og­
getto più caro che si trovi in una casa in una famiglia, che è la madre. Un
figlio, un padre non sa partirsi di casa senza dire una parola, e fare una
qualche raccomandazione per la propria madre. Ella è questa riesce

Ella riesce sempre dolce e cara a chi la riceve fa, ed a chi la sente. (2601) 8
r
Così il buon Tobia allorché si credè vicino a morire chiamato a se il (2603) 9
figlio tra le altre cose, anzi fncic prime per la prima gli ricordò la madre:
honorem habebis matri tuae e non solo per un po’ di tempo, finché sarai
giovane: ma sempre: omnibus diebus vitae tuae: Tob. 4 10. In questo modo
mi fo anch’io un dovere, ma dolce, prima di separarci tra noi di ricordare
alla nostra mente, di raccomandare al nostro cuore la nostra cara madre
Maria. Io non mi trattengo più a parlare di questa grati madre, ma racco­
mando solo che ognuno si scriva nel cuore questa massima da farne uso
in tutto il tempo della sua vita: honorem habebis matri tuae. ricordati che
avrai sempre ad amare, a rispettare, ad onorare la madre tua: finché avrò
un cuore in petto vi sarà amore per lei, finché la mia lingua, le mie labbra
potranno parlare, parleranno sempre di lei.

Si dirà: «sono ipotesi, supposizioni, come poterle calcolare tanto come se fosse la
realtà; sono ipotesi, supposizioni!»; ma ogni volta si può far reale, in conseguenza il peri­
colo solo deve bastare in un affare dì tanto rilievo: sono ipotesi! ma è certo che una volta
andrò all’Altare, andrò a seder in Confessionale, dirò il mio Breviario, e sarà l’ultima volta
per me, non sarà dunque tanto imaginario, che ogni qual volta io mi metto a far queste
azioni io pensi, io consideri che può esser quella l’ultima volta. Ed eccovi accennato in
poco il gran secreto per farsi una ricca corona di meriti con poca fatica e solo con opere
comuni: farle cioè perfettamente: per farle in questo modo si ricercano due cose: farle
puramente per Dio, e proccurare di farle quanto meglio possiamo dal canto nostro; e per
questo prendere in ajuto questi tre riflessi: pensare che lavoriamo per Dio, riflettere come
si porterebbe lo stesso nostro Gesù Cristo, se fosse a nostro luogo; finalmente temere che
ogni cosa che facciamo può esser l’ultima di nostra vita, questo è il ricordo che prendo
primieramente per me, e che lascio a voi tutti, persuasi che tutti un giorno avremo ad
essere contenti se proccureremo di farne uso. Un altra cosa io voglio aggiungere ed è: un
padre che abbia a separarsi dalla sua famiglia non sa dipartirsi se prima non abbia colle
ultime sue parole inculcato ai figli l’amore, i rispetto alla propria madre quando ella ancor
sopraviva: ella è questa una raccomandazione che riesce sempre
Questo testo è sostituito da un altro, preso dalla pagina a fronte.
10 Tb 4,3.

695
E sercizi S p iritu a li a l Clero " M e d ita zio n i

(2602) questo il proponimento, da deporsi in rendimento di grazie ai piedi di


Maria.

(2603) 9 come madre mettiamola a parte di tutte le consolazioni come altresì


de1crucci del nostro cuore, del nostro ministero, come madrcaffidiamo a
lei i nostri bisogni così fa un figlio legato teneramente alla madre; non ha
consolazione, non riceve fortuna, non prova dispiacere che non corra tosto
a deporlo, a versarlo nel cuore della propria madre: il piacere non è buono
se non lo prova la madre, il dispiacere pare svanito quando la madre lo sa.
ecco la relazione, l’unione, la confidenza nostra con Maria: non mancano
nel nostro ministero consolazioni e grandi, e frequenti: una persona dopo
una vita di peccato ora va per una strada che par più da Angelo che da
uomo di peccatori che si ravvedono, di anime pure ed innocenti; quante
volte il cuor di un buon operaio è obligato a esclamare: o quanto siete
buono, Signore quanto siete mirabile, e grande nelle vostre misericordie:
e perché non metteremo a parte in questi casi della nostra contentezza la
madre di casa, la madre di famiglia, la madre nostra:

(2602) un occhiata, una parola, un sospiro verso di lei, che saremo presto
intesi.

(2603) 9 Oh! Maria che buon punto è stato quello per me, o Maria che momento
felice: voi lo vedeste, voi lo sapete: un anima tale che si convertì, un pecca­
tore che ruppe le sue catene, un anima che si salvò: un peccator di meno al
mondo, un’offesa, un disgusto di meno al vostro figlio: ah! benedetto ne sia
Iddio, lodata anche voi che ne siete la madre: ma... non è ancor contento, o
Maria, il mio cuore, oh... se sapeste o madre, qtiett1che un’anima è perduta
che va a perdersi, quel tale è perduto, io dispero di ridurla se voi non mi

ricordatevi che vi è figlio, rammentatevi che siete madre: oli quanti prodigi
di conversione noi non v’è caso più disperato per un figlio che quando
perfino la madre ne depone il pensiero, e la difesa io so che il nostro cuore
non lo permette, dunque io so che le vostre preghiere non hanno ripulsa,
dunque io già vedo che un giorno me lo darete vinto, pentito ai piedi di
un Ministro. Oh se sapessimo in certe occasioni slanciarci con questa con­
fidenza in Maria, parlarle con questa apertura di cuore, quante anime gua­
dagnate, quanti miracoli prodigi di conversione potressimo aspettarci: ma
per venire a questa confidenza, a questa unione a questa dimestichezza con
lei piantiamoci ben in fondo al cuore questo gran ricordo: di volerla cioè

696
G io rn o Ottavo ^ M e d i ta z io n e T erza " Sopra le o c c u p a z io n i g io r n a lie r e

amare, onorare come madre non solo, ma proccurare che sia come tale
onorata amata da tutti: honorem habebis matri tuae omnibus diebus vitae
tuae: fino all’ultima ora di nostra vita, fino airultimo respiro, fino a quel
punto

in cui questa buona madre si presenti al nostro letto di morte per ri.ce- (2605) io
vere gli ultimi nostro sospiri, per dirci che è contenta di noi, e per darci la
mano in quel gran passo dal mondo all’eternità.
Io ho finito Signori miei, e nel finire io penso: chi sa adesso ci troviamo
qui uniti tanti assieme, chi sa se potremo sperare di trovarci ancor un altra
volta tutti quanti radunati. Di una gran parte io spero benissimo, ma di
tutti io temo come certo di no. Sarà dunque stata questa la prima volta,
e dovrà ancor esser l’ultima, nemmeno questo io spero che non lo sarà:
se è stata la prima non sarà l’ultima: un altro luogo di seconda ed eterna
riunione ci aspetta, che è il paradiso: là spero che un di avremo a trovarci
tutti radunati per separarci mai più: preghiamo a vicenda come facevano
quei Santi Martiri dell’Armenia, che nemmeno un solo di noi abbia da
perdere quella Corona, preghiamo e preghiamo di cuore che nemmen uno
abbia da piangere un giorno e piangere per sempre di essere escluso da
quella eterna società di tanti santi Sacerdoti. In questa consolante speranza
che un dì avremo a rivederci tutti quanti in paradiso, un altro pensiero
io voglio aggiungere, ed è: chi sa qual sarà tra noi che in paradiso potrà
dire d’aver salvato più anime, chi sa qual sarà di noi che in quella gloria
sarà circondato da una corona maggiore di anime da lui salvate: chi sarà
noi non lo sappiamo, ma il desiderio di salvarne molte, l’impegno di poter
esser questo tale lo possiamo prender aver tutti, lo può prender ciascuno di
noi: ognuno adunque pensi, si risolva, e decida: orsù il mio fine è questo,
la mia vita è fissata: anime io voglio io non cerco che anime: sia che preghi,
sia che studi, sia che lavori io voglio salvar anime, io non voglio altro che
anime: per salvar anime sono pronto ad ogni cosa, ad ogni ora, ad ogni
sacrificio: vada la stima, vada la roba, vada la sanità, vada anche la vita se
fa d’uopo purché si salvi un anima: anime e non altro; anime e non più;
finché avrò forze le voglio usare per le anime, finché avrò lingua la voglio
adoperare per le anime; che se mi mancheranno le forze, e le parole, mi vi
metterò col cuore; e co’ prieghi, co’ gemiti, co’ sospiri ne vorrò salvare: e
piuttosto o Signore di star un giorno, od un ora sola in questo mondo in
cui non possa più in alcun modo ajutare un anima, prendetemi, chiama-

697
E sercizi S p iritu a li a l Clero ■- M e d ita z io n i

temi da questa terra, che amo meglio non vivere, che una vita priva di sì
santa, e dolce occupazione11.
Oh quante anime saranno un dì salve in paradiso, se noi ci metteremo
con un sì ferma risoluzione, con un impegno sì santo12!

(2606) Oh quante anime di più saranno salve se in numero di settanta quai


siamo partiremo da questo monte, e ci slancieremo nel mondo: quando
non si ottenesse altro che un anima di più da ciascuno sarebbero settanta
bocche, e settanta lingue di più ad otten a lodare in eterno le divine mise-
ricordie: anime adunque fratelli miei, anime e non altro, procuriamo dei
cittadini più che possiamo per quella città eterna che avrà mai più fine.
Finalmente per sigillo etc.

(2604) per sigillo poi, e sicurtà di tutti i nostri proponimenti, e per ultimo
e massimo ricordo io vi lascio fratello miei, questa Croce, e questo Sign.
Crocefisso: ecco il Capo, il Modello, ed il libro di tutti i sacerdoti. Chi non
la pensa come pensava questo divin Signore, chi non cerca quello che cer­
cava questo nostro divin Redentore, chi non opera come Egli operava; non
è suo, non appartiene a lui, non lo conosce, anzi lo tiene per suo nemico,
e rivale: Qui non est mecum. contra me est13 lo disse egli stesso, e come
commenta S. Dionigi: Qui non est mecum. idest qui non consentii, non
concordar, non cooperar mecum. contra me est. Dunque chi vuol essercad
Chi non conviene negli affetti, nelle idee, nelle mire di questo Dio, e chi
non coopera con lui nelle opere, non è suo, ed è contra di luì. ah! fratelli
miei se nel giorno del gran Giudizio ci sta a cuore di essere riconosciuti da
Christo Gesù per veri suoi ministri, e come tali essere chiamati a parte della
sua gloria, e del suo trionfo studiamoci di renderci conformi a questo divin
Esemplare: ognuno di noi legga soventi e studii in questo libro: qui impari

n Una nota rimanda al seguente testo barrato, posto nella pagina a fronte: Tale sia il
proponimento che noi in ringraziamento noi mettiamo qui in questa sera ai piedi del
Crocefisso, nelle mani di Maria, e di quel Santo che cotanto zelò la maggior gloria di Dio.
Si degni il Signore perché abbi-a di confermarlo, di consolidarlo colla sua benedizione
sicché abbi a dispetto di tutto l’inferno abbi a durare sino al termine de’ nostri giorni, ed.,
abbi a mettere in paradiso un numero grande di anime, che assieme a noi loderanno e
canteranno in eterno le miseri infinite sue misericordie.
Alposto di questo testo il Cafasso ne scrive un altro, che incomincia nella pagina successiva
afronte.
12 Una nota rimanda alla pagina seguente afronte.
13 Le 11,23.

698
G io rn o O tta v o -• M e d i ta z io n e T e r za - S o p r a le o c c u p a z io n i g io r n a lie r e

lo spirito del Suo stato, a dìsprezzare le Follie, le vanità, e le apparenze di


questo mondo: qui ciascun si tempri e fortifichi a non temere le dicerie,
le persecuzioni, le beffe, i sarcasmi e gli ostacoli del mondo: qui si cono­
sca il prezzo delle anime, l'importanza, i mezzi di arrivar a salvarle. Qui
insomma ciascuno si formi una mente, un cuore, un petto degno di chi
ha da continuare il Ministero di questo primo ed eterno Sacerdote: ah!
felici noi se vivremo con questo libro tra le mani. Moriva S. Filippo Benizi,
e negli ultimi voltatosi al fratei laico, che l’assisteva, gli dimandò che gli
desse il suo libro: il fratello non lo trovava, perché non ve nera alcuno in
quella camera; allora il santo gli indicò il Crocefisso, ed avutolo tra le mani,
questo, soggiunse è il libro che ti chiamava, giacché questo fu il libro che
ho sempre studiato

nella mia vita: felici noi, ripeto, se allor quando lo fisseremo, e lo strin- [26 u6)
geremo per l’ultima nostra volta sul letto di nostra morte, il cuore ci
risponderà d’averlo studiato, d’averlo imitato14.
Per chiusa ultima poi de’ nostri Esercizi ecco le due cose, che in poche
parole io prendo per me e lascio a voi: un socio per lavorare d'accordo,
insieme, e lavorare guadagnare di più: un libro da studiare continuamente,
e che ci mostri che cosa siamo noi, quale il nostro Spirito, ed i nostri
doveri: il socio è Maria. Che vale far preamboli: io m’appiglio subito a
questa Madre etc.
Il libro che lascio è il Crocifisso.

14II testo continua con il seguente brano barrato: Formaci su questo divin modello, come
compagni di battaglia, di stenti, e di fatiche, saremo poi certamente messi a parte-delia
certo che avremo parte con lui alla sua eterna corona: cum apparuerit princeps pastomm,
parcipietis immarcescibilem gloriae coronam. IPetri, [5,4] li Signore la dia a me, la dia
a voi tutti, ed in pegno, e caparra di quella finale, e solenne chiamata si degni oggi di
compartirci da questa croce la sua celeste benedizione. Misericordia, pax, et Benedictio
Dei omnipotentis etc.
Continua ancora il testo barrato, ma alla pagina precedente (2605) 10: Beneditelo voi o
Signore da quella croce e la vostra benedizione ci sia un segno del vostro gradimento, ci
sia foriera di quelle altre benedizioni con cui vorrete accompagnare le nostre fatiche, e ci
sia finalmente caparra di quell’ultima e più grande benedizione con cui spero che un dì
ci chiamerete dall’esiglio alla patria, dalla battaglia alla corona, dalla fatica al riposo, alla
paga. Cosi sia.
Laus deo B. V. M. et S. Alphonso.
Die 8 Aprilis 1844

699
E sercizi S p iritu a li a l Clero - M e d ita z io n i

Fratelli miei cari, io ho parlato in questi giorni, e come aveva promesso


prima di parlare per voi, parlava per me; perciò parlava chiaro, e senza
compimenti perché questo cuore, questo capo finisse d’intenderla, e non
partisse di quà senza saper ben bene che cosa sia, che cosa voglia dire, che
cosa importi, che cosa valga un sacerdote nel mondo, un sacerdote buono,
od un sacerdote mediocre. Non valutate le parole, dalla persona, e dalla
lingua che le ha profferite, valutate le verità, qualunque sia il mezzo, e
l’instrumento, di cui Iddio si sia servito, che questo non c’ha da entrare.
Le persone variano, vecchie, giovani, dotte, meno dotte, eloquenti o nò,
questo vuol dir niente, ma la verità no, ella è sempre la stessa: la verità che
noi abbiamo meditato in questi giorni sarà sempre dessa: verranno altri
anni, altri predicatori, altri esercitanti ma sarà sempre la stessa verità per
tutti. Dio almeno la voglia benedire

(2607) come spero, perché abbia ad operare la mia, e la vostra salute. Già
quanti noi siamo quà radunati, è inutile sperarlo non ci troveremo più tutti
assieme un altra volta in questo mondo. Consoliamoci che spero avremo a
trovarci in luogo migliore, che sarà in quella gran Valle del nostro trionfo,
e nel bel paradiso: non sappiamo chi sarà il primo ad andarci, ma qual-
cuno tra noi è come certo che sarà ben vicino. Il primo attenderà gli altri,
finché tutti assieme daremo principio a quella festa che finirà mai più. Vi
andremo, fratelli miei, sì, il Signore ce ne vuol dare un pegno, una caparra
in quella benedizione che noi prenderemo da quella croce, e che sono certo
Dio ci confermerà dal paradiso. Bendici io pax et misericordia dei omnipo-
tentis, patris etc.

700
Conclusione (2178)

De’ S. Esercizi per gli Eclesiastici


Memoria degli Esercizi

Conclusione (2179)

Se volete, o fratelli, un imagine della nostra vita, ed aver un’idea della rapi­
dità con cui passa, la ed un saggio della consolazione, o l’amarezza che cia­
scuno di noi dovrà necessariamente purché voglia quando voglia sarà per
provare in sul suo finire, prendiamola da cotesti Esercizi: prima di comin­
ciarli, o forse anche dopo averli cominciati ci parevano una gran cosa, e
se questo tempo non lo calcolavamo eterno, certo che occupava un gran
luogo nella nostra testa, eppure eccoci come in un salto, in un volo, e
come d’un passo giunti al fine: guardate addietro, e che ve ne pare di questi
giorni? Un soffio di vento, e niente più. Tale sarà, quando dal letto di
morte guarderemo addietro la nostra vita. Siamo al termine e terminan­
doli, da volere o non vokvrtrsiamo costretti a non possiamo a meno che
provarne un senso di gioia e consolazione, oppure di amarezzare-dolore: di
gioia quando il cuore ci dice pel testimonio di questo cuore d’averli traf­
ficati; di amarezza--se fossero passati senza prò e se noi saremo fedeli alle
nostre promesse come spero, prepariamoci a finire
modi in simile maniera anche la nostra
d’allora, perché è troppo importante il"saperlo mortale carriera, ed a pro­
vare lo stesso senso di gioia e consolazione, voglio dire in queirultima deci­
siva e perentoria giornata di nostra vita. Egli è facile il saperlo Cotesta
ultima giornata Cotesto ultimo dì dei nostri esercizi va di giorno in giorno
come per mezzo di tanti anelli a concatenarsi e farne uno solo con quell’ul­
timo di nostra vita del nostro esigilo, e qual è per noi la presente giornata,

* (fald. 4 7 / fase. 158; nell’originale 2178-2195)

701
Esercizi S p iritu a li a l Clero - M e d ita zio n i

tale sarà parimenti l’estrema della nostra terrena

Che n’è sia di questo giorno, che-ne dite, e -die ve ne pare o fratelli?
Siate sicuri che dirò io per voi ognuno di noi lo può noi tutti il sappiamo,
bisogna proprio provare, bisogna gustare per sapere conoscere le dolcezza
del Signore; che gioia, che paradiso non è per ciascun di noi in questo
giorno poterci oggi rivolgere al nostro Padre Celeste, e dire colla fran-
chezza dell’Appostolo Paolo: Signore, Bonum certamen certavi, cursum
consummavi... in reliquo reposita est mihi corona iustjtiae1, e molto più
col Redentore: opus consummavi, quod dedisti mihi. Pater2. Signore, voi
mi chiamaste a questo luogo, a traverso d’ogni difficoltà vi sono venuto,
ho superato tutte le noje, ho vinto, ne ho consumato il corso, non mi resta
che ad offrirvelo aspettandone la sospirata mercede. Non basta: noi uniti a
questo primo Sacerdote possiamo in questo giorno alzar un grido la voce
come già... [dueparole illeggibilt\ Egli sulla croce, e dire con una confidenza
da figlio: Pater... Consummatum est3: padre, ho finito, ho terminato, ho
compito i disegni vostri, io metto il tutto nelle vostre mani: le promesse,
le risoluzioni, i progetti fatti in questi giorni, tutto consegno nelle vostre
mani assieme alPanima mia. In manus tuas commendo spiritum meum4:
venga il mondo, e mi dica se con tutti i suoi passatempi, con tutte le sue
delizie abbia giornate di questa natura da dare a suoi seguaci; mi dica
risponda se può possa sperare momenti così dolci, e cosi preziosi e così
dolci: abbiamo, fratelli, qui non sta ancora il tutto Ma quello che ci deve
consolare ancor più sia il riflesso, che il linguaggio, che noi teniamo in
questo giorno, sarà quello stesso che noi terremo sul finire della nostra vita,
poiché se gli esercizi sono finiti terminati, ci rimarrà la memoria, e basterà
questa sola per rinnovarci la nostra consolazione; ed io scielgo appunto
cotesta materia per darci l’addio tra noi, la rimembranza cioè di questi
giorni che abbiamo passato assieme in questo luogo, in questo porto di
salute, di pace e di quiete. Gli esercizi furono brevi, e sono finiti; ma la
memoria sarà eterna vivrà con noi, e come tale ci accompagnerà per ogni
vicenda della nostra vita, verrà a giacere con noi

1 2 Tim 4,7.
2 Gv 17,4.
3 Gv 19,30.
4 Le 23,46.

702
C o n c lu sio n e D e S. E sercizi S p iritu a li p e r g l i E clesiastici " M e m o r ia d e g li E sercizi

sul letto di nostra morte, e scenderà con noi nella tomba, o per meglio (2181)2
dire la porteremo con noi all’altro mondo5.

Non occorre che io qui vi rammenti, o Cari miei, che cosa ci abbia (2 1 8 0 )

costato quest’uomo in questi ne’ passati giorni questo nuovo personaggio,


che vi raccomando per conoscerne l’importanza. Quello che passò tra noi
e Dio in questo tempo k r~sa Iddio lo sa ciascun di noi: paure, affanni,
rimorsi, gemiti, sospiri, risoluzione, progetti, promesse, andiam dicendo
ogmm; ripeto, ciascun di noi lo sa; c ciò per parte nostra; per parte di Dio,
o fratelli miei, chi lo sa dire, Fintreccio, il lavorio della divina Misericordia
dentro di noi, e prima di questi esercizi per indurci a venire, e pendente
cotesto tempo perché ne avressimo a riportare buon frutto; a noi parrà un
caso Tesservi venuti, e forse lo attribuiremo a questa, o quell’altra circo­
stanza senza andar più in là; a noi parrà singolare che questa o quell’altra
cosa ci abbia fatto un senso, un certo effetto, abbia dato occasione a certe
nostre risoluzioni, e promesse, ci parrà quasi strano d’aver provato in noi
tutt’assieme un non so che d’insolito, e non sapremo che dire? Ah! fratelli
miei, se potessimo squarciare quel velo, che cuopre presentemente i disegni
di Dio sovra di noi, noi vedressimo quali e quanti furono que’ tratti, quelle
industrie, quelle finezze di amore, e di misericordia, con cui ha operato in
noi in questi..giorni cotesto buon Dio. E volete, fratelli Signori miei, che
un sì bel lavoro, che a noi costa quello che costa, lo sappiamo, un opera che
vale si può dire quanto vale Iddio, perché vi ha speso d’attorno il suo fiato
medesimo, la sua carità, la sua sapienza, la sua potenza, la sua misericordia,
volete che tutto questo cotesto portento fra poco tempo abbi a dileguarsi,
in noi e perdersi tutto quanto pel mondo: tutto questo l’universo non
costò a Dio che un cenno, ma l’opera nostra costò di più lo che non può
dirsi di quello che ha fatto in noi, perché trovò intoppi, incagli, resistenze

5 II testo che segue è barrato: Due cose adunque io dirò, l’importanza cioè i vantaggi
chtrnoi-dobbiamo aspettarci dalla rimembranza di ricordarci e mantenere la memoria di
questi giorni; 2 i mezzi di assicurarci assicurarcene cotesto vantaggio e senza più. Cornili^
dam o senza più e renderci utile co testa memoria; e senza più cominciamo. Due sono
gli-utili i principali vantaggi che io veggo nella ricordanza, che avremo in avvenire de’
nostri esercizi; 1. un contento ed una consolazione perenne per ciò che abbiamo fatto in
questi giorni; 2. Un sollievo ed un conforto in tu tti i nostri cruci futuri; 3. finalmente
uno sprone, uno stimolo, ed un eccitamento continuo a mantener salda la nostra parola,
e tenerci fermi, e costanti ne’ nostri proponimenti.
Questo testo è sostituito da un altro della pagina a fronte

703
E sercizi S p iritu a li a l Clero " M e d ita zio n i

per parte nostra, ma fù si buono che li vinse, batté e ribattè tante volte
finché arrivò ad atterarle; e perciò quante voci, quanti impulsi, quanti ecci­
tamenti: una sola forza avrebbe bastato a far santi tanti altri che ora sono
alFlnferno, ma per noi ce ne vollero e molte, e varie e più volte ancora.
Ora che per la misericordia di Dio la cosa è fatta, l’effetto è riuscito, questo
nuovo Sacerdota secondo il cuore e le mire del Signore, in noi è formato,
vorremo che cada di nuovo, lascieremo che scompaia questo uomo di Dio,
che oltre il proprio valore6

(2182 ) porta con se conseguenze pressoché infinite, ed incalcolabili, ed è

vorrei che ci fermassimo ben in cuore come per chiusa di questo nostro
ritiro, poiché quando il Sacerdote sia ben persuaso di cotesta verità, che
cosa sia, che cosa voglia dire, che cosa valga, che cosa importi un buon
Ecclesiastico sulla terra è naturale che vi porrà tutto lo studio per pmccu-
rarlo giungervi è mantenervisi in quello stato. Io lascio ciò che già abbiam
toccato di quel che sia Fopera, Fedifizio, la creazione diciam cosi d’un
buon Sacerdote7; veniamo a ciò a quello che Egli sia sulla terra, e per noi,
e pel mondo, in mezzo a cui vive. Non è mia intenzione d’allungarmi, e
trattenervi in ciò, che già vi fù detto in questi giorni di questo grand’uomo,
qual’è FEcclesiastico, vi noterò solo di passaggio che se la religione nostra
ha bisogno d’un appoggio e d’un puntello, lo calcola in noi eclesiastici
quando ne siamo buoni,-che se le anime buone hanno da sperare un aiuto,
un eccitamento, una mano per tenersi ferme, e costanti, la aspettano da
noi. E finalmente se il mondo per le perverse sue massime, e costumi ha
qualche cosa a temere, e paventare, lo è da quest’uomo quando sia prò-
prio tale. La Religione nostra è divina, e certamente non deve né la sua esi­
stenza, né la sua durata ad alcun uomo del mondo; ma se v’è qualche cosa
che serva a rassodarla avanti agli uomini, a dilatarla, a conciliarle stima,

6 II testo presenta qui il seguente brano barrato: Eh! fratelli miei, quand’anche andasse a
male il materiale di questo Universo, sarebbe un bel niente in paragone, in confronto di
quella perdita che farebbe ciascun di noi colla distinzione di questo uomo del Signore che
abbiam edificato ndle nostre persone. E che ha da fare tutto il creato visibile agli occhi
di Dio in comparazione d’un buon Sacerdota, d’un vero, e degno Ministro del Signore,
d ’un Apostolo di più sulla terra.
7 Le seguenti righe sono barrate: agli occhi di Dio, ciò che gli costi, come già abbiamo
detto l’oggetto che fra tutti deve esser per lui di delizia, di compiacenza, di gloria, mentre
per formarvelo può dirsi che quasi ha esaurito i tesori della sua bontà e sapienza.

704
C o n c lu sio n e D e ’ S. E sercizi S p iritu a li p e r g l i E clesiastici ~ M e m o r ia d eg li E sercizi

e rispetto, è certamente la vita, il costume, l’integrità del Sacerdote. Il sol­


dato quando è condotto alla battaglia da buon capitano, esperto, e valo­
roso, come va franco al cimento, e piiò dirsi che forma egli il solo la miglior
malleveria di tutti i suoi soldati, la più sicura caparra della vittoria: cosi
è del Sacerdote in mezzo a popoli, ed a’ fedeli che deve condurre attra­
verso le schiere nemiche verso il paradiso. Finalmente il buon Eclesiástico è il
solo uomo, che tema il mondo, e paventino che spaventi i maligni; nò, non
è l’acume del nostro ingegno, il nostro grado, l’autorità nostra, il numero
che essi paventano, ma la nostra virtù; è questa che lo confonde, lo fa
ammutolire, lo irrita, arrabia perché sa che non può addentarla, ed anche
sovente di .soprafarla manomessa, e contrafatta finirà sempre con sortirne
vittoriosa a maggior sua rabbia e dispetto. Basti questo poco per tener
ferma viva e presente a noi l’importanza d’un buon Sacerdote nel mondo.

giomi. Per noi poi io oso dire che da esso,


continuazione di quest’uomo di Dio in noi medesimi dipenderà

tutto il nostro avvenire. Non parlo del temporale, che è il meno per un (2184)
Sacerdote di buona volontà, e questo il Signore lo darà come un di più, per
aggiunta, nemmen voglio alludere a quello piena di benedizioni con cui
Iddio accompagnerà le sue apostoliche evangeliche fatiche, io mi restringo
a porvi sottocchio quella pace che condirà i nostri giorni la nostra vita,
e quella quiete, quella calma, quella tranquillità apostolica con cui spero
chiuderemo i nostri giorni se continueremo ad aver in noi, a mantenerci
fermi e costanti in quelle sante risoluzioni, che noi abbiamo concepito
in questi giorni. Ah! che dolce rimembranza sarà la nostra d’or in avanti
ogni qual volta richiameremo alla nostra mente questo tempo di pace, e di
quiete che abbiamo passato assieme in cotesta casa del Signore; il riandare
quel tanto, che abbiamo fatto, abbiam promesso, abbiam provato in questi
dì. Noi possiam saper etc, pag. 2.

Noi tutti possiamo sapere per esperienza quanto sia dolce il riandare (2181)2

col nostro pensiero certi periodi di nostra vita, in cui ci siamo trovati pie­
namente contenti di noi medesimi, ci sia toccato una gran sorte o ci sia
riuscito un affare di grande rilievo. Certo che un Eclesiástico ne può contar
più che ogni altro di questi punti: quel momento felice in cui ci siamo
decisi di voltar le spalle a questo mondo, e darci tutto al Signore, oh che
giorno benedetto fu quello per noi, ci vuol niente meno che un eternità

705
E sercizi S p iritiia lí a l Clero ^ M e d ita zio n i

per poterne ringraziare degnamente il Signore. Quel tempo che passammo


all’ombra del Santuario per formarci al Ministero, quel punto soprattutto,
in cui per la sacra Ordinazione fummo come svelti da questa terra, e tra­
piantati in altro Cielo, ogni occasione, in cui gli ci venne fatto di guada­
gnar un’anima, e strapparla dalle mani del demonio, non si può negare
che tutto questo per un Eclesiástico sien memorie di santa gioia, e conso­
lazione; ma è certo altresi che fra le prime deve esser collocata la ricordanza
del suo nostro ritiro; e come volete, o fratelli, che si dimentichi non consoli
un tempo, in cui l’Eclesiàstico dopo un occhiata alla sua vita passata, l’ha
deposta ai piedi di questo Dio, e con questo sangue ne ha saldata ogni
piaga, e ferita: come credere, che non venga dolce quel tempo, e que’ giorni
in cui paventando i giudizi, e le verità estreme, il prudente Sacerdote ne
ha anticipato qui in terra il giudizio, si è chiuso l’Inferno, e s’è assicurata
una sorte eterna in Cielo. E impossibile dimenticare questi giorni, e senza
cercarli, e volerli verranno da per se stessi alla mente, e venendo rinnovano
ogni volta tutta quella gioia e tutta quella consolazione, che già fu nostra
in questo tempo8

(2183) 3 senza che spunti quasi una lacrima, o si mandi un sospiro9.


Verrà tempo, in cui finirà il nostro pellegrinaggio e la nostra battaglia
sulla terra, ed in quel punto in cui il mondo non ha più consolazione
alcuna, e lascia nel più terribile abbandono chi l’ha seguito, noi troveremo
nella ricordanza di questi giorni la più grande, e la più soave delle conso­
lazioni, che si possano godere quaggiù. Qui o fratelli non sono parole, ma

8 II testo procede con il seguente brano barrato: Ditemi fratelli, io m’appello a voi, in
questo ultimo giorno, potreste voi farmi un quadro, od una pittura del vostro cuore, di
quello che passò tra voi e Dio in questi giorni, i gemiti, i sospiri e forse qualche lacrima,
i slanci, i voli dell’anima vostra? Sapreste spiegarmi quell’intreccio, quel misto e quell’ar­
cano di umano, e di divino, di ordinario, e di straordinario, che si operò in voi in questo
perìodo; è inutile che lo tentiate, ne voi sapreste spiegarvi, ne io intenderei; è meglio
gustarlo, che parlarne, sappiate solo che si rinnoverà per voi cotesto paradiso. Ogni volta
che colla vostra mente verrete a questo luogo, ed a questi giorni ne crediate che col tempo
abbia a dileguarsi; vada a scemare, e se per qualche tratto pare che si oscuri, e quasi scom­
paia, non sarà che per ridestarsi e più viva e più forte: saranno già più anni che forse si
saran fatti gli Esercizi, eppure non si può ricordare quell’epoca, e que’ giorni.
3 Continua il testo barrato:

(2183) 3 Eterna ho detto sarà la memoria di questi esercizi, eterna parimenti la consolazione e
la gioia.

706
C o n c lu sio n e D e S. E sercizi S p iritu a li p e r g l i E clesiastici - M e m o r ia d eg li E sercizi

fatti. Io potrei addurre, e citarvi tante persone Eclesiastiche, e secolari, che


venute a morte chi più presto, e chi più tardi dopo gli Esercizi, non cessa­
vano di ripetere in quell’estremo pericolo, ed anche eccitate a star quiete,
pure non sapevano tacere: oh che sono contento, oh che sono consolato
come ringrazio il Signore d’aver fatto gli Esercizi; non dicevano, non vole­
vano sentir altro; ed è certo che non potrà esser a meno per ciascun di
noi. La confessione fatta in questi giorni con que’ sentimenti, e con quel
dolore, que’ ripetuti sospiri, que’ sinceri proponimenti, quelle proteste,
que’ rimproveri, e que’ progetti, cominceremo solo a gustarli davvero, ed a
conoscerne il valore là in quel punto del disinganno d’ogni follia di questo
mondo. Morremo benedicendo questi giorni ed in grembo a quella pace
medesima che sf-aspettava cominciammo a gustare in questo luogo; mor­
remo sì, ma non per altro che per cangiar una pace di terra in una pace, ed
in una gioia di paradiso, e sarà appunto là che si-svelerà svelandosi davanti
ai nostri occhi l’arcano di quella divina misericordia, che Dio ci usò in
questi esercizi saremo costretti ad esclamare10: o felix poenitentia' dovremo
intuonare anche noi in allora, quae tantam mihi promeruit gloriami: ah!
giorni felici, che mi deste salvo in paradiso. Guardate o fratelli che prodi­
gio del tempo! Otto giorni, che passarono come un volo, dovranno allun­
garsi di tanto da divenire eterni con noi; partendo di qua lasciamo dietro
la scoria, ed il .gravame di questi Esercizi, che fu il ritiro, la solitudine, la
noia, il peso, il rigore della vita; ma tutto il dolce questo è passato, non
pensiamovi più, lasciamo tutto addietro, ma il dolce ce lo portiamo con
noi per gustarlo senza finirla mai più1’.

10 II testo prosegue con il seguente brano barrato: A noi forse parve un caso, che vi siamo
venuti, un addente che vi ci siamo applicati, che abbiam potuto reggere, che non ne
abbiam sofferto; forse sappiam nemmen noi il perché questo, o quello ci fece un gran
senso, si destarono in noi sentimenti tali di compunzione, di buona volontà e di zelo,
forse partiamo maravigliati di noi medesimi, ma toccata quella soglia si squarcierà ogni
nube, sparirà ogni mistero, e vedremo tutti i fili di quella bontà, che ci voleva salvare.
11 II testo procede con il seguente brano barrato: La rimembranza di questi esercizi ho
detto che saranno un contento continuo per noi, ma di più un arma, un sollievo, ed un
conforto per i nostri mali avvenire. Noi non sappiamo a quali venture Iddio ci riservi, e
quali le vicende, per cui Iddio vorrà che passi ciascun di noi: sappiam solo che noi Mini­
stri siamo come agnelli tra lupi, che nel mondo avremo delle strette, che il mondo ci odia,
ci perseguita: sappiamo che chi vuol far del bene è necessario si prepari alla battaglia; di
più che chi vuol vivere una vita retta e giusta è di necessità che porti la croce, e crocifìgga
se stesso, epperciò possiamo in gran parte

707
E sercizi S p iritu a li a l Clero * M e d ita zio n i

(2184) J^a perché abbia ad essere nostro in avvenire cotesto contento, e conso­
lazione proccuriamo di tenerci fermi nelle nostre risoluzioni, poiché se mai
qualcuno etc.

(2185) 4 e chi di noi se venisse mai a smentirli, non sentirebbe in se stesso un


forte rimprovero, ed una voce, che gli direbbe continuamente all’orecchio:
Ah! vile, ingrato, sconoscente e senza cuore, o senza fede, sono questi i
propositi fatti, sono tali i frutti de’ tuoi esercizi, sono queste le proteste,
e le promesse di questi quei giorni; Dove sono andati que’ sospiri, e que’
gemiti: e perché far tanto rumore, se poi dovevi e poi finir in quel di prima;
e in punto di morte, e neli’altro mondo, che rimorsi, che pene. Ma basti,
o fratelli averlo accennato; io non voglio rattristare una sì bella giornata
perché non fa per noi; sì per noi, che partiamo di quà decisi, fermi, la
morte, sì prima la morte, ed ogni altro malanno piuttosto che disdire,
quello che abbiamo detto, disfare, quello, che abbiam fatto: ella è questa
una catena, che cominciata quaggiù non andrà a finire che in Cielo, ed
è inutile che il mondo, l’inferno la tocchi, e tenti di frangerla, nessuno
di certo la romperà. E per mantenerci in sì fatta costanza terremo sempre

(2185)4 prevedere le prove, i cimenti nostri, ma vivan questi giorni; essi solo basteranno a
munirci contro assalti d’ogni sorta; noi abbiam già stabilito [parola illeggibili tra noi che
siam sulla terra non per altro che per arrivare lasstt in Cielo, noi qui abbiam conosciuto
che un solo è il male di questo mondo, ed è il peccato, e lo bandiamo ad ogni costo; noi
abbiam veduto esser follia, vanità, e fumo tutte le speranze di questa terra, e tutto andar­
sene a serrar nella tomba; noi abbiamo imparato da questo nostro modello a disprezzar
ogni cosa, ricchezze, onori, e piaceri, noi ci siamo fatti forti con lui a non temere ne
disprezzi, ne umiliazioni, ne minacce, né castighi, né morte, noi finalmente abbiam fisso
il nostro pensiero lassù, e là abbiam collocato la nostra corona, che nessun del mondo ci
potrà torre, e strappare di mano. Venga adunque chi vuole, e noi colla memoria sola di
questi giorni ci sentiam di tanto di non tèrhere alcuno: ci sorprende un pericolo, e noi
rispondiamo che è peccato, e con ciò sarà finita: ci beffeggia il mondo, ci calunnia ci rooi
perdere molesta; faccia pur quel che sa, ci uccida ma l’eclesiastico che fu in ritiro ha niente
a temere dal mondo: verrà qualche giorno di tristezza, di malinconia, di noja, sappiam
già quel che può essere, aspetteremo tranquilli il sereno: saremo stanchi delle fatiche, delle
battaglie, ci conforteremo al pensiero della mercede, e della paga. Eccoci adunque-veri
egli è come invincibile, come invulnerabile un Sacerdote che nel ritiro venne ad infocarsi
di carità, ed a formarsi su questo modello divinò. Ma qualcuno può dire, e se cediamo,
tutto sarà al rovescio, non sarà più il caso che gli esercizi passati ci possano essere di con­
solazione, e di conforto. Fratelli miei, quella memoria che, come abbiam visto, ci sarà di
contento e di ajuto ci sarà ancor di sprone, e di stimolo ben forte a star saldi, e fermi ne’
nostri proponimenti.
Una annotazione del Cafasso rimanda qui alla pagina a fronte seguente a fronte.

708
C o n c lu sio n e D e S. E sercizi S p iritu a li p e r g l i E clssiastici - M e m o r ia d e g li E sercizi

fresca la ricordanza di questi giorni, ricorderemo la parola data, ripetuta, e


quasi giurata al Confessore, a Maria, a Gesù, in camera, in chiesa, da soli,
cogli altri: guerra al peccato, peccati mai più: Sia questa come una parola
d’ordine, con cui ci lasciamo, e guai a chi verrà a toccarla, e verrà a farne
prova, e cimentarsi con noi. Vedrà cosa è capace dì fare un Sacerdota, che
nel ritiro ha pensato a se, al suo stato, ai suoi doveri. Ditemi, fratelli miei,
se con queste ricordanze in capo non saremo quasi per necessità costretti a
tener fermo, ed a soffrir chi sa cosa piuttosto che cedere al peccato. Ma il
Il più sarà ricordarsene, soggiungerà alcuno.

Oh! fratelli miei, noi sappiamo che le cose, che ci hanno fatto un (2186) 5
gran senso, e sono di grande conseguenza, non passano così facilmente di
mente; altronde i peccati senza avvertenza non si fanno; dovendo adun­
que avvertire per poter far un peccato, io dico che è quasi impossibile non
avvertire insieme che noi con quel peccato veniamo a rompere i nostri
patti con Dio. Con tutto ciò darà alcuni mezzi che gioveranno a mante­
nerne viva la memoria, e quello che è più a conservare lo spirito, e le riso­
luzioni di questi giorni. Perdonatemi se io premetto una cosa minuta e
materiale. Noi avremo nella nostra camera il Crocefisso, od almeno un
imagine devota: prendiamo un piccolo pezzo di carta, e scriviamo sopra
nient’altro che queste parole: Esercizi dell’anno... e poi mettiamo questa
cartina appesa ai piedi del Crocefisso, ma in modo che si possa vedere, fco

2. In questa pratica materiale io vi vedo diversi vantaggi;


anzi tutto ogni sguardo che noi vi gettiamo sopra deve essere una predica
per noi: quella carta, que5pochi caratteri mi pare che mettono la lingua per
dirci ogni volta: ricordati di quel che hai fatto, di quello che hai promesso;
pensa bene chi siamo noi: noi fummo testimoni di quel che hai detto, in
camera, in chiesa, ai piedi del Confessore, del Crocifisso, avanti il Signore,
ricordati bene, noi stiamo quà giorno, e notte per dirtelo, per rammentar­
telo: coraggio, o Ministro del Signore, avanti allegramente, che il tempo
è breve, la paga è vicina, la gloria è grande. Ecco adunque con poca cosa
messo nella nostra camera, ed ai nostri fianchi un ricordo, ed uno sveglia­
rino de’ nostri esercizi.
L’altro vantaggio io lo vedo in ciò che avendo sott’occhio il tempo de
nostri esercizi è più facile che ci disponiamo a farli di nuovo se vivremo
ancora un po’, e non lasciar passar gran tempo senza ripeterli; ed a questo
proposito, fratelli miei, io sono di sentimento che un Eclesiástico che
voglia proprio vivere dello spirito di suo stato e non contentarsi d’aver il

709
E sercìzi S p iritu a li a l Clero " M e d ita z io n i

nome, l’abito, e qualche opera da Sacerdote, debba di tanto in tanto seque'


strarsi dal mondo, entrare in se stesso, esaminarsi, discutersi, giudicarsi,
altrimenti è come certo che andrem scapitando se non avanti gli uomini
almen avanti Dio. Non voglio andar più a lungo in questa parte, poiché mi
porterebbe fuori del mio argomento, dirò solo che noi dobbiamo imparare
dagli stessi uomini del mondo: datemi una persona qualunque, che abbi
giornalmente a trattar negozi, ed affari, voi lo vedete soventi, e forse ogni
giorno a dare una occhiata alle sue partite, ma non si contenta, sceglie nel-
Tanno qualche giorno, e forse più giorni per una generale rivista; e non
cercate d’awicinarvi a lui in que’ giorni, è inutile, non vi da ascolto, ributta
tutti; il primo affare è di vedere come sta ed a che punto si trova; Oh!
fratelli miei, noi che abbiamo negozi, affari inmensi, giganteschi, più da
Angeli, che da uomini andrem innanzi appoggiati solo ad una buona fede,
e forse colpevole e temeraria: conservare lo spirito eclesiástico in mezzo a
tanta dissipazione, mantener libero il cuore in mezzo a tanti oggetti che lo
rubano, disimpegnare a dovere tante nostre obligazioni di Messa, di Bre­
viario, amministrazione di Sacramenti,

(2188) 6 zelar -la salute delle anime, in mezzo ad una folla sì grande, che vanno
perdute, e credere che basti dar un occhiata così di tanto in tanto alla rin­
fusa colla testa occupata chi sa di quante cose per essere tranquilli, e sicuri
dei fatti nostri: nò, fratelli, se non altro c esponiamo ad un gran pericolo, e
se il Signore ci lascia vivere ancora qualche anno, proccuriamo di tanto in
tanto lasciar per qualche pochi giorni il mondo, ritirati, chiusi, nella solitu­
dine, nel silenzio, tra noi e Dio aprire un sindacato sulle nostre azioni, sul
nostro cuore, su’ nostri affetti, sulle nostre mire, sulle nostre tendenze per
vedere che cosa regge, e che cosa no; ptrtagliare, riformare, aumentare ciò
che occorre, onde essere sempre pronti in qualunque istante a presentare i
nostri conti al nostro padrone che ci mandi12

. 12 Una nota rimanda alla pagina afronte nella quale e scritto un testo barrato sostituito da
un altro non barrato. Trascriviamo qui il brano cancellato: Fermata così nella nostra mente
la memoria di questi giorni, ed assicurati così i vantaggi di cotesta rimembranza, proccu-
rìamo in secondo luogo di vivere attaccati, devoti, affezionati alla nostra Madre Maria.
Par mutile, e quasi ingiurioso etc. pag. 6. della Madonna SS^ma ,

710
C o n c lu sio n e D e S , E sercizi S p iritu a li p e r g l i E clesiastici - M e m o r ia d e g li E sercizi

La seconda cosa che io vi raccomando è di mettere questo si caro Sacer- (2187)


dote sotto la protezione di Maria con viverne a lei attaccati, devoti ed affe­
zionati.

Finalmente quella cartina messa, e conservata ai piedi del Crocefisso (2188) 6


ci darà una consolazione, che forse non l’aspettavamo, ed è che quando
sul finire della nostra giornata, e sul letto della morte chiameremo questo
Crocefisso per stringerlo al petto, ci troveremo tra le mani i nostri esercizi,
l’attestato d’averli fatti, e con ciò la memoria di tutto quello che facemmo
in questi giorni; vedremo questa carta, la benediremo, la baderemo, e con
questa carta tra le mani, che non la daressimo per tutto il mondo, ci parti-
remo di qua, ci presenteremo all’eternità portando in mano i nostri patti
già fatti, e conchiusi in questi giorni, i peccati perdonati, il bene registrato,
il paradiso promesso,, e convenuto, sicché lasciatemi entrare, non ci resta
altro, perché è impossibile che qtti là si manca ai patti.
Il ricordo però de’ ricordi, il mezzo de’ mezzi per rendere durevole in
noi la memoria di questi esercizi, io lo ripongo intieramente nel Croce-
fisso: Ecce homo13, figuriamoci che in questo instante l’eterno padre dica a
me, ed a voi, ecco l’uomo, che ho mandato per tracciarti la via nel bujo, e
tra gl’inganni di questo mondo. Qui o fratelli stanno compendiati i nostri
esercizi, e non si trova né personaggio, né libro che possa dire, che possa
predicare quello che dice, e quello che predica questa croce. Questo è il
tipo, il modello, il capo, lo specchio ed il gran libro de’ sacerdoti. Guai
all’Eclesiastico, che a cui non basta la croce, guai a quel Sacerdote che non
trova abbastanza di che fermarsi, e di che saziarsi a piedi del Crocefisso14.
In certe famiglie di alto rango, e fatte per grandi imprese si usa mostrare
a ragazzi, a giovani, le copie, i tipi i ritratti de’ loro vecchi, e de’ loro
antenati; si vuole che li fissan ben bene, perché al vedere quella vivacità
di sguardo, quella testa alta, quei loro modi quel sembiante grave, e digni­
toso, quel petto robusto, e forte, ne bevano quasi cogli occhi il brio, lo
spirito, il sangue quasi si trasfonda, e passi ne’ nipoti, e ne’ giovani la forza
ed il sangue de’ vecchi. Fratelli miei, il caso è tutto nostro: ai piedi di questa
croce, alla vista del Crocefisso deve piantarsi il Sacerdote, e fissi cogli occhi,

13 Gv 19,5.
14 Una annotazione del Cafasso rimanda alla pagina seguente. L’originale tuttavia con­
tiene ancora un brano per il quale non si vede altra collocazione che questa.

711
Esercizi S p iritu a li a l Clero " M e d ita zio n i

e col cuore su questo capo e modello di Sacerdote-formarci trasfondere ne’


nostri petti lo spirito, e perfino il sangue del primo tra i sacerdoti15.

(2190)7 Ognuno di noi legga sovente, e studii in questo libro: qui impari lo
spirito del suo stato, qual’è disprezzare le follie, le vanità, e le apparenze di
questo mondo: qui ciascun si tempri, e fortifichi a non temere le dicerie,
le persecuzioni, le beffe, i sarcasmi, e gli ostacoli del mondo; qui conosca il
valore delle anime, l’importanza, i mezzi di arrivar a salvarle; qui insomma
ciascuno si formi una mente, un cuore, un petto degno di chi ha da soste­
nere in terra le veci di questo primo, ed eterno Sacerdote. Ah! felici noi se
vivremo con questo libro sotto gli occhi, e tra le mani. Moriva S. Filippo
Benizi, ed in quelli estremi voltosi al buon fratello laico che l’assisteva, gli
dimandò, che gli desse il suo libro: il buon fratello non lo trovava, perché
non c’era: allora il Santo gli indicò il Crocefisso, ed avutolo fra le mani,
questo, soggiunse, questo è il libro, che desiderava, l’ho sempre studiato in
vita, e voglio morire in questo studio16.

(2189) Risposta d’un predicatore che era provvisto di libri ed era il suo Croce­
fisso.

(2190) 7 Fortunati noi, se allorquando lo fisseremo, e lo stringeremo per l’ultima


volta sul letto di nostra morte, il cuore ci risponderà d’averlo studiato, e
d’averlo seguito nella nostra vita17.

15 Le righe seguenti sono barrate; le trascrìviamo qui: Chi non la pensa come pensava
questo divin Signore, chi non cerca quello che cercava questo divin Redentore, chi non
opera come Egli operava, non è suo, non appartiene a Lui, non lo conosce, non lo vuole
per suo ministro, anzi lo tiene per un suo nemico, e rivale; qui non est mecum, contra me
est [Mt 12,30], lo disse egli stesso; e come

(2197) commentano gli Interpreti: qui non est mecum. idest qui non consentit. non con-
cordat, non cooperai mecum. contra me est. Chi non conviene negli affetti, nelle idee,
nelle mire di questo Dio; chi non coopera con lui nelle opere, non è suo, ed è contro
di lui. O h fratelli se un di ed in quel gran giorno di universale Giudizio ci sta a cuore
d’essere riconosciuti da Christo Gesù per veri suoi ministri, e come tali essere chiamati a
parte della sua gloria e del suo trionfo, studiamoci di renderci conformi a questo divino
esemplare.
16 Una nota rimanda alla pagina a fronte.
17 Una nota rimanda alla pagina a fronte.

712
C o n c lu sio n e D e ’ S.. E sercizi S p ir itu a li p e r g li E c k sia stic i ^ M e m o r ia d e g li E sercizi

Felici noi se in vita avremo imparato da questo grande Maestro a sprez- (2189)
zar tutto il fango di questa terra, a cercar unicamente nelle nostre azioni la
gloria di Dio, la conversione, e la salute delle anime. E chi di noi etc. pag.

Altro pensiero ben forte, ed insieme ben tenero, e sensibile per mante- (2190) 7
nerci nella memoria, e nello spirito di questi giorni sia quello di Maria18.

A Lei, affidiamo le nostre persone, ed il nostro Ministero. Ella è conscia (2189)


de nostri pericoli e delle nostre risoluzioni, diciamole che venga etc.

Noi l’abbiamo avuta per compagna in questi Esercizi, era qui avanti di (2190) 7
noi, si trovava in mezzo di noi, univa le sue alle nostre voci, e preghiere
come già cogli Appostoli nel Cenacolo: ella che fu testimonio delle nostre
risoluzioni, ella che è conscia de’ nostri pericoli, diciamole che venga, che
scenda con noi, che non osiamo andar soli nel mondo: facciamo come
fa il ragazzo, che quando teme d’andar solo in qualche luogo, si presenta
alla madre, e senza quasi dir niente la prende per mano la tira dietro di se
sicuro tra quelle mani d’aver niente a temere. Così faccia ciascun di noi in
quest’oggi: con confidenza da figlio, si presenti, e le dica: madre, abbiate
pazienza, ma vi tocca venir con me: io so già i pericoli, che m’aspettano,
sò che cosa è il mondo, e so purtroppo la mia debolezza; è vero che sono
deciso piuttosto lasciar la vita, che cedere, ma frattanto voglio assicurarmi,
voglio mettermi nelle vostre mani; so quello che avete fatto con altri sacer-

certo che lo farete con me; e se qualche volta fossi restio alle vostre voci,
e renitente a lasciarmi maneggiare dalle vostre mani, fatemi da madre,
sgridatemi, castigatemi, anche a costo della vita, niente importa, ma non
lasciatemi perire.
Di più noi siamo destinati ad una grande impresa, qual è quella delle
anime, e siamo venuti qua per prendere nuovo forza, e calore. Gotesta
L’opera è stragrande, e più divina, che umana, epperciò io consiglierei a
dividerla tra due e cosi si come si suole praticare anche nelle opere di rilievo
anche umane; prendiamoci un socio una compagnia da dividere gli stenti,
i crucci e le fatiche le pene, i guadagni, e le perdite le speranze ed i timori;
così guadagna lucreremo

-di- più, e faticheremo di meno, e questo socio, questa (2192) 8


compagnia da fare la nostra società, sia Maria. Oh! che società spaventosa,

18 Una nota rimanda alla pagina a fronte.

713
Esercizi S p iritu a li a l Clero - M e d ita z io n i

c divina, che società terribile all3Inferno. Venga il demonio a battagliare,


e cimentarsi con noi per guadagnar qualche anima quando noi abbiamo
avremo in pronto il braccio di questa Madre, e vedrà che sorta di guadagno
sarà il suo19.

(2191) Un tale per difendersi dal pericolo di cedere alle tentazioni s’era appesa
al collo una piccola imagine di Maria, e quando veniva assalito la prendeva
in mano, e quasi che vedesse il demonio, rivolto verso di lui, gli diceva: la
conosci costei? ricordati che t’ha già schiacciato il capo una volta, sicché
lasciami stare, perché se tu t’avvicini n’avrai di nuovo il capo rotto.

(2192) 8

(2191) Quel venerabile servo di Dio Monsignor Strambi si era occupato pel
bene di un anima, onde ridurla sul buon sentiero, a pentimento, ed a
salute. Una persona l’interrogò a che punto eran le cose, e se v’era speranza
di ridurla, e venir nel suo intento: rispose di sì il Servo (di) Dio, perché,
seguitò a dire, si aveva già una mezza parola della Madonna. Ecco come
facevano i veri sacerdoti, ecco la società, che aveva fatto quel grand’uomo.

(2192) 8 Un Eclesiástico che nel suo Ministero s’appigli a questo mezzo, state
certi che farà miracoli nella conversione delle anime, od a meglio dire li
farà Maria per lui, ma siccome però abbiamo fatto società questi miracoli
saran a conto d’ambidue, ed anche il Sacerdota tuttoché c’entri solo per
apparenza, tuttavia ha diritto alla sua parte, e prenderà il fatto suo. Ma per
questo è necessario aver il cuore pieno di questa madre, ed una confidenza
direi illimitata. E per ciò non aver paura di servirci anche di certe pra­
tiche esterne e materiali; per esemp. abbiamo da far una predica, o più,
cosa, come vedete importantissima per guadagnar anime, ebbene darne
conto alla socia, portarla a Lei, deporla a suoi piedi, e dirle francamente,
guardate, o madre, se va bene, se c’è qualche cosa da cangiare, ditemelo,
suggeritemelo, perché spero che tra tutti due faremo una buona giornata.
Andiamo in Confessionale, e lì è proprio il luogo in cui si disputano le
anime col demonio, guardarsi bene dall’andar soli al traffico, al combat­
timento, sarebbe un ingiuria, ed una mancanza verso la Socia tentare di

19 U na n ota rim a n d a alla p a g in a a fron te.


211 U na n ota rim a n d a a lla p a g in a a fron te.

714
C o n c lu sio n e D e S. E sercizi S p iritu a li p e r g l i E clesiastici - M e m o r ia d e g li E sercizi

fare questo in secreto, e da noi, perciò dirle a cuor aperto: andiamo, o


Madre, sono certo che faremo una buona mattinata. Nel confessare ci
capitano penitenti d’ogni colore, anime infangate nel vizio, e quello che
è peggio indurite, ostinate nel male, prendetele come volete, dite, ridite,
sono sempre le stesse, allora è tempo d’aver questa socia, voltarsi a lei,
e dirle: vedete: che ostinazione, che durezza, che insolenza del demonio
verso di me, e di voi, che si ride de5nostri sforzi, coraggio, o madre, schiac­
ciate con un colpo il capo di questo perfido, e la finisca una volta, e cono-
sca il vostro braccio, olà, o madre, mettiam quest’anima in salvo, e guada-
gnata questa ne cercheremo un altra. Vi sarà qualche scandalo da togliere,
qualche correzione da fare, qualche ostinato da dargli l’assalto. Oh! certo
che fa caldo, e fan studiare questi passi: so io, come sbrigarmene, mi volto
alla socia, e le dico, Madre, c’è un buon colpo da fare, ma io non m’az­
zardo da solo, è inutile, tento nemmeno, tocca a voi, sicché facciamo ancor
questo, o madre, avanti, un anima di più in paradiso; oh che giorno, ohh
che guadagno, che belle feste un dì tutt’assieme in paradiso. Ecco i por­
tenti che fa l’ecclesiastico quando nel suo ministero dia la mano a Maria,
Proviamo, o fratelli, e lo ripeto, proviamo, e lo vedremo: saremo stupiti di
noi medesimi, e non avremo più bisogno di ragioni, che ce lo persuadano,
basterà la nostra sola esperienza. E chi di noi, fratelli, siamo qui un certo
numero, chi di noi salverà più anime, chi di noi in paradiso avrà una mag­
gior corona d’anime da noi salvate, ecco finalmente l’ultimo pensiero, con
cui finiremo. Chi sarà? Ne io, ne voi al momento possiamo saperlo, ma
il desiderio di salvarne molte, l’impegno di poter esser questo tale lo pos­
siamo aver tutti, lo può prendere

ciascuno di noi, poiché anche che qualcuno si trovi in un piccolo paese, (2194) 9
in una borgata, in mezzo a gente dura, ed ostinata, ciò nondimeno colle
sue preghiere, colla purità delle sue intenzioni, con gemiti, sospiri, morti­
ficazione può salvare più anime, di quello che ne salvi il più famoso pre­
dicatore del mondo, e quand’anche per l’ostinazione degli altri non ne
salvasse neppur una, ciò torrà niente alla sua corona, e Iddio lo premierà
egualmente come se veramente le avesse salvate. Anime adunque, fratelli,
anime, pel cielo21

21 U na nota rim a n d a alia p a g in a afro n te.

715
E sercizi S p iritu a li a l Clero -■ M e d ita zio n i

(2193) Datemi Dammi anime, o Signore andava ripetendo S. Francesco di


Sales, anime o Signore, se volete che io provi un po' di contento a questo
mondo. S Maria Maddalena de Pazzi diceva che amava meglio potersi
adoperare per salvare un anima che far un miracolo, od aver un estasi,
perché in questo caso, continuava la Santa, Iddio ajuta me, laddove prima
sono io che ajuto il Signore. Che nobile, che generoso, che pensiero divino
è mai questo, se noi Eclesiastici ce ne sapessimo valere,

(2194) 9 Lasciamo stare le follie, e le stoltezze di questo mondo; il nostro tempo


è destinato a popolare, a far gente pel Cielo, deh! non perdiamolo a radu­
nar fango in questa terra. Figuriamoci che in quest’oggi il Signore dica a
ciascun di noi quello che già disse il padrone della cena a suoi servitori:
la cena è preparata, i posti sono vuoti, andate, cercate, pregate, sia chi
vuole, ditegli che venga, e se fa difficoltà prendetelo per mano, fate anche
violenza, costringetelo a venire, perché la cena è preparata, e voglio veder
commensali; così dice Iddio a noi, Servi miei sacerdoti, o Eclesiastici Mini­
stri delle mie misericordie, coraggio che è tempo: il paradiso è aperto,
molti seggi sono vuoti, io li voglio occupati, andate, cercate, dite e pregate
che vengano; che se non vascoltano, e fanno difficoltà a venire, ebbene
piuttosto che ritornar soli, prendeteli, sforzateli a venire; sol che entrino, e
godano di questa gloria. Bel sentimento, egli è questo, che un Eclesiástico
dovrebbe sempre averlo stampato in mente: ite... ad exitus viarum, et quo-
scumque inveneritis, vocate Mat. 2222.

(2193) Exi cito in plateas et vicos civitatis... exi in vias et sepes, et compelle
intrare, ut impleatur domus mea. Lue. 1423.

(2194) 9 Sia che preghi un Eclesiástico, sia che studi, sia che lavori, questa deve
essere la sua mira, il suo oggetto: anime e non altro: vada la stima, vada
la roba, vada la sanità, vada anche la vita, niente importa, datemi solo un
anima, o Signore, il resto niente mi cale: vivo, muojo come volete voi, sono
già abbastanza contento: oh! Quante anime di più saranno salve in para­
diso, se ora in un certo numero di settanta quai siamo partiremo di qua, e
ci slanciererao nel mondo con questo ardore, e con questo fuoco: quando
non si ottenesse altro che un anima per ciascuno, sarebbero altrettante set-

22 M t 22,9. Qui una nota rimanda alla pagina a fronte,


72 Le 14,21.23.

716
Conclusione D e’ S. Esercizi Spirituali per gli Eclesiastici * Memoria degli Esercizi

tanta bocche, e settanta lingue di più in paradiso a lodare, a cantare in


eterno le divine Misericordie24.

Io ho finito, o cari cotesta grand’opera de’ nostri Esercizi. Ella è termi­ (2193)

nata; se noi vi corrispondiamo come spero chi sa quanto bene come una
catena ne proverrà da questo punto, che un Eclesiástico vuol nel mondo
vuol sempre dire uno de’ due, o la salute, o la dannazione chi sa di quante
anime25. Non badate ne alle parole, ne alla persona che v’ha parlato, ma
valutate la verità, qualunque sia l’instrumento, qualunque modo, con cui
vi ha parlato di cui Iddio si sia servito. Ricordatevi sempre, che cosa sia un
Sacerdote nel mondo; il gran bene che egli può operare; ma insieme il gran
male, il gran vuoto che ne può venire, quando non sia buono mediocre;
ricordatevi io non finirei di parlare, quando mi si affaci a questo pensiero,
tanta è l’importanza che io vi veggo, tanto il timore

Ma è tempo, ripeto che la finisca, e lascio che Iddio vi parli per me. Già, o
fratelli, è inutile sperarlo etc26.

Fratelli miei cari, io ho finito, e finisco parimenti d’aprirvi il mio cuore. (2194) 9
Io ho parlato in questi giorni, e come aveva premesso, prima di parlare
per voi intendeva di parlare per me, epperciò parlava chiaro, e senza com­
plimenti, come ognuno parta a usa fare con se stesso tanto più in cose di
tanta importanza, e davanti al signore. Io ho parlato chiaro, e forte, perché
questo cuore, e questo mio capo intendesse una volta, e non partisse di qua
senza aver apparato ben bene che cosa sia, che cosa voglia dire, che cosa
importi, che cosa valga un Sacerdote nel mondo, un Sacerdote buono od
un Sacerdote mediocre. Non valutate le parole, o fratelli della la persona,
e della la lingua, che le ha profferite, valutate le verità, qualunque sia il
mezzo, e l’istrumento di cui Iddio si sia servito, che questo non c’ha da
entrare. Le persone variano, vecchie, giovani, dotte, meno dotte, eloquenti
o no, vuol dire un bel niente; ma la verità è sempre la stessa. Le verità,

24 Una nota rimanda alla pagina, a fronte.


25 Qui il testo presenta le seguenti righe barrate: Ogni qual volta può dirsi che mi vieti
sott’occhio un Sacerdote, non posso a meno di riflettere, dire tra me stesso: ecco un per­
sonaggio da cui dipende o la salute o la rovina di chi sa quante anime.
2S Una nota rimanda alla pagina seguente. Tuttavia l ’originale ha ancora un brano che la
logica vuole sia inserito a questo punto.

717
Esercìzi S p iritu a li a l Clero - M e d ita zio n i

che noi abbiamo meditato in questi giorni, saran sempre le medesime. Ver-
ranno altri anni, altri predicatori, altri Esercitanti, ma la verità sarà sempre

(2195) io per tutti: Dio almeno la voglia benedire, perché abbia ad operare la mia,
e la vostra salute. Già, quanti noi siamo qui radunati, è inutile sperarlo non
ci troveremo più tutti assieme in questo mondo: consoliamoci che ci tro­
veremo in luogo migliore, che sarà in quella gran valle del nostro trionfo,
e nel bel paradiso. Non sappiamo chi sarà il primo ad andarvi, e qualcuno
tra noi certo le sarà vicino, il primo dico attenderà gli altri; preghiamo
d’accordo perché nemmen uno di noi abbi da mancare alla corona, sicché
tutti assieme possiamo in Cielo dar principio a quella festa, che finirà mai
più. Il Signore benedica Voi e me, e cotesta benedizione ci sia pegno e
caparra di queU’ultima con cui un dì27 saremo chiamati tutti quanti da
questa vai di lagrime, e di miserie a quel celestiale soggiorno, al bel Para­
diso, ed alla beata eternità Benedictio, pax, et misericordia Dei onnipoten-
t.is. Patos, et Filii. et Spiritus Sancti, descendat super vos et super me et
maneat semper.

27 Segue un testo barrato, più volte corretto e cambiato. Ecco le due versioni: Chiamerà
ciascun di noi dall’esilio, dalle fatiche, dalla battaglia, alla patria, alla paga, alla corona,
(l.a versione) Da quest’esilio alla patria, dalle nostre fatiche al riposo ed alla paga, dalla
battaglia alla corona. In una parola da questa vai di miserie, e di pianto, da questa terra al
bei paradiso, alla beata eternità. (2 versione).

718
Indice

Lettera del Card. Severino Poletto ........................................ ............. p. 7


Presentazione generale (La Commissione scientifica) ........................ » 11
San Giuseppe Cafasso
Nota storico-biografica (Giuseppe Tuninetti) .............. .................» 13
Fonti e bibliografia (Giuseppe Tuni netti) .... ...."............. ................... .»27
Introduzione alle Meditazioni al clero (Lucio Casto) ..........................» 35
Primo giorno
Introduzione a Spirituali Esercizi per gli Eclesiastici.......................... » 55
Meditazione prima. Sopra il fine dell1uomo .......................................» 71
Meditazione Seconda. Fine delle Creature .........................................» 91
Meditazione Terza. Sopra l’importanza della salute ......................... » 107
Meditazione Prima. Sopra il fine dell’uomo .....................................»125
Altra Meditazione. Sopra il fine dell’uomo ......................................» 159
Meditazione, Sopra il fine dell’uomo ............................................ . » 169
Meditazione. Sopra l’importanza del fine.......................... ..............» 187
Secondo giorno
Meditazione Prima. Sopra la malizia del peccato............................. » 217
Meditazione Seconda. Sopra i danni del peccato............................. » 231
Meditazione Terza. Sopra i castighi del peccato................................» 243
Meditazione Prima. Sopra il peccato di un sacerdote ...................... » 259
Meditazione Seconda. Sopra l’Eclesiastico in peccato...................... » 281
Meditazione Seconda. Sopra la gravezza del peccato ....................... » 305
Meditazione Seconda. Sopra gli effetti, e danni del peccato ............» 317
Terzo giorno
Meditazione Prima sulla morte .........................................................» 327
Meditazione Prima, Sulla morte del peccatore .................................» 337
Meditazione Seconda. Sulla morte de Giusti....................................» 355
Quarto giorno
Meditazione Terza. Sopra il Giudizio Universale...... .......................»379
Meditazione Prima. Sopra l’inferno de’ sensi ...................................» 391
Meditazione Prima. Sopra l’inferno dell’anima ............................... » 403
Quinto giorno
Meditazione Seconda. Sopra l’eternità ............................................. » 415
Meditazione Prima. Sopra la Misericordia di Dio ........................... » 433
Considerazione preliminare. All’imitazione del divin Redentore .... » 453
Meditazióne Prima. Sopra la vita del Redentore in generale ........... » 463
Sesto giorno
Meditazione Prima. Sopra la Nascita di Gesù, e fuga in Egitto ...... » 473
Meditazione Prima. Sopra la Nascita di Gesù ........ ........................ » 487
Meditazione. Sopra la Nascita del Divin Redentore .................... . » 499
Meditazione Prima. Sopra la Fuga di G. Cr. ....................................» 507
Meditazione Seconda. Sopra la vita privata di Gesù ........................ » 519
Meditazione Seconda. Sopra la vita privata del divin Redentore..... » 533
Meditazione. Sopra la vita pubblica di G. C..................................... » 549
Vita pubblica di G esù............................ ...........................................» 563
Settimo giorno
Meditazione Prima. Sopra Gesù nell’orto, e ne tribunali................» 577
Meditazione Terza. Sopra la Passione di Gesù ..................................» 597
Morte di Gesù. Meditazione decimaquarta......................................» 609
Ottavo giorno
Meditazione Sopra il Paradiso...........................................................» 623
Meditazione Seconda. Sopra l’amor di D io ........... ..........................» 637
Meditazione seconda. Sopra gli effetti dell’amor di Dio ..................» 647
Meditazione Seconda. Sopra l’amor di D io ......................................» 661
Meditazione ultima. Sopra l’amor di Dio ........................................» 681
Meditazione Terza. Sopra le occupazioni giornaliere .......................» 683
Conclusione De’ S. Esercizi per gli Eclesiastici.
Memoria degli esercizi ........... ..................................................... » 701

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