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lus ECCLESIAE

RIVISTA INTERNAZIONALE DI DIRITTO CANONICO

Vol. I - Num. 2 - Luglio-Dicembre 1989

CENTRO ACCADEMICO ROMANO DELLA SANTA CROCE


GIUFFRÈ EDITORE
SOMMARIO

DOTTRINA

J.T. Martìn de Agar, L'incapacità consensuale nei recenti discorsi del romano
Pontefice alla Rota Romana.................................................................................. 395
M.F. Pompedda, Il processo canonico di nullità di matrimonio: legalismo o leg­
ge di carità?............................................................................................................... 423
P. Ciprotti, La giustizia amministrativa nell'ordinamento giuridico vaticano . . . 449
J.L. Gutiérrez, Le prelature personali...................................................................... 467
J. Hervada, Il diritto naturale nell'ordinamento canonico...................................... 493
C. Larrainzar, La « Summa super quarto libro Decretalium » de Juan de An­
drés ............................................................................................................................. 509

GIURISPRUDENZA

Tribunale Apostolico della Rota Romana. Neapolitana. Nullità del matrimo­


nio. Sentenza definitiva. 22 luglio 1985. Pompedda, Ponente (con nota
dij. Carreras) ........................................................................................................ 557
Tribunale Apostolico della Rota Romana. Romana. Nullità del matrimonio.
Sentenza definitiva, 20 febbraio 1987, Pinto, Ponente (con nota di J.
Carreras).................................................................................................................... 569
Tribunale Apostolico della Rota Romana. Romana. lurium (crediti et damno-
rum). Questione incidentale sull’esecuzione di sentenza rotale. Decreto.
13 aprile 1988, Palestro, Ponente....................................................................... 581
Tribunale Apostolico della Rota Romana. Romana. lurium (crediti et damno-
rum). Sentenza definitiva. 15 giugno 1988. Palestro, Ponente (con nota
di J. Llobell)............................................................................................................. 587

NOTE E COMMENTI

E. Caparros, L’affaire des trésors del’Ange-Gardien ................................................... 617


IV SOMMARIO

L. Madero, A legislação complementar do código de direito canonico da Confe­


rência nacional dos bispos do Brasil.................................................................... 645
J. Sanchis, L'aborto procurato: aspetti canonistici.................................................... 663

RECENSIONI

AA. VV., Le nouveau code de droit canonique (Actes du V Congrès international


de droit canonique. Ottawa, 19-25 août 1984) (J. Llobell)............................. 681
AA.VV., Manual de Derecho Canónico, a cura dell’Istituto Martin de Azpil-
cueta (Università di Navarra) (C J. Errâzuriz)............................................... 685
AA.VV., Il processo matrimoniale canonico (R. Rodriguez-Ocana) .................... 689
AA.VV., Studi in onore di Guido Saraceni (D. Cito)............................................. 696
AA.VV., Episcopato, presbiterato, diaconato, teologia e diritto canonico (E.
Baura)........................................................................................................................ 699
J.I. Arrieta, El Sínodo de los Obispos (A. Bettetini)............................................. 701
R. Astorri, La Conferenza Episcopale Svizzera. Analisi storica e canonica (J.L.
Domingo)................................................................................................................. 703
S. Berlingò, Libertà d’istruzione e fattore religioso (J.T. Martin de Agar)......... 704
F. Bolognini, Lineamenti di diritto canonico (E. de Leon) .................................. 707
C. Burke, Authority and freedom in thè Church (J. Sanchis)................................ 708
S. Cotta, Il diritto nell’esistenza (C J. Errâzuriz).................................................... 710
A. de Fuenmayor-V. Gómez-Iglesias-J.L. Illanes, El itinerario jurídico del
Opus Dei. (Historia y defensa de un carisma) (C.J. Errâzuriz)....................... 713
J.M. Gonzalez del Valle, Derecho matrimoniai canònico. (Según el Código de
1983), 4a ed. riveduta (J. Llobell)...................................................................... 720
J.L. Gutiérrez, Estúdios sobre la organización jerárquica de la Iglesia (D. Cito) 724
D. Le Tourneau, Le droit canonique (J. Llobell).................................................... 726
M. Morgante, La Chiesa particolare nel Codice di Diritto Canonico: commento
giuridico-pastorale (D. Cito).................................................................................. 727
Pontificia Commissio Codici Iuris Canonici Authentice Interpretando,
Codex Iuris Canonici fontium annotatione et indice analytico-alphabetico
auctus (E. Baura).................................................................................................... 729

DOCUMENTI

Atti di Giovanni Paolo II.

M.p. Decessores Nostri, 18 giugno 1988, con cui si riordina la Pontificia com­
missione per l’America Latina............................................................................. 733
M.p. Iusti iudicis, 28 giugno 1988, con cui si istituiscono i patroni presso la
Curia Romana e della Santa Sede (con nota di J. Llobell)........................... 735
Allocuzione alla Rota Romana, 26 gennaio 1989........... ........................................ 740
SOMMARIO V

Atti della Santa Sede.


Congregazione per la dottrina della fede. Decreto di scomunica latae
sententiae in merito alla recezione e divulgazione di quanto detto fra pe­
nitente e confessore nell’atto della confessione sacramentale, 23 settem­
bre 1988........................................................................................................... 745
Congregazione per la dottrina della fede. Professio /idei e Iusiurandum fi-
delitatis, Io marzo 1989.................................................................................. 745
Congregazione per i Vescovi. Direttorio per la « visita ad liinina », 29 giu­
gno 1988 (con nota di E. Baura)..................................................................... 748
Tribunale della Rota Romana. Indirizzo di omaggio rivolto al Santo Padre
dal Decano, 26 gennaio 1989 ........................................................................ 758
Pontificio Consiglio per l’interpretazione dei testi legislativi. Risposta
del 23 maggio 1988 (pubblicata il 10 marzo 1989).................................... 760

Legislazione particolare.
Belgio. Decreti generali della Conferenza episcopale, del 26 marzo 1985 e
del 28 ottobre 1986, riguardanti la legislazione complementare al codice
di diritto canonico (con nota di J.-P. Schouppe) ........................................ 763
Brasile. Decreti generali della Conferenza episcopale, del 27 febbraio 1986 e
del 30 ottobre 1986, riguardanti la legislazione complementare al codice
di diritto canonico........................................................................................... 767
El Salvador. Statuti dell’Ordinariato militare, del 23 novembre 1984-30 lu­
glio 1986 .......................................................................................................... 779
Gran Bretagna. Statuti dell’Ordinariato militare, confermati dalla Congre­
gazione per i Vescovi il 24 ottobre 1987 ..................................................... 786

Sommario del vol. 1. Gennaio-dicembre 1989 .............................................. 79.3


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COLLABORATORI DI QUESTO FASCICOLO

Eduardo Baura, Aggiunto di Parte generale e di Diritto della Persona - Centro Ac­
cademico Romano della Santa Croce.
Ernest Caparros, Professore titolare nella facoltà di giurisprudenza - Università di
Ottawa.
Joan Carreras, Assistente di Diritto matrimoniale canonico - Centro Accademico
Romano della Santa Croce.
Pio Ciprotti, Ordinario di Diritto canonico - Pontificia Università del Laterano -
Presidente del Tribunale dello Stato della Città del Vaticano.
José Luis GuTIÉrrez, Ordinario di Diritto amministrativo canonico - Centro Acca­
demico Romano della Santa Croce.
Javier Hervada, Ordinario di Diritto canonico - Centro Accademico Romano della
Santa Croce.
Carlos Larrainzar, Ordinario di Diritto canonico e di Diritto ecclesiastico - Diret­
tore del dipartimento di diritto privato - Università di La Laguna.
JoaquÍn Llobell, Aggregato di Diritto processuale canonico - Centro Accademico
Romano della Santa Croce.
Luis Madero, Direttore dell’Istituto Superiore di Diritto canonico - Rio di Janeiro.

José Tomás Martìn de Agar, Ordinario di Diritto canonico - Centro Accademico


Romano della Santa Croce.
Mario Francesco Pompedda, Giudice della Rota Romana - Professore nel Centro
Accademico Romano della Santa Croce.
JosemarÌa Sanchis, Aggiunto di Diritto penale canonico - Centro Accademico Ro­
mano della Santa Croce.
Jean-Pierre Schouppe, Associato di Diritto canonico - Centro Accademico Romano
della Santa Croce.
Hanno collaborato anche: A. Bettetini, D. Cito, A. Esquivias, E. de Leon,
J.L. Domingo, C.J. Erràzuriz, P. Gefaell, P. Rodrìguez-Ocana.
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Dottrina
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JOSÉ TOMÁS MARTÍN DE AGAR

L’INCAPACITÀ CONSENSUALE NEI RECENTI DISCORSI


DEL ROMANO PONTEFICE ALLA ROTA ROMANA (*)

A. Introduzione. — B. Il can. 1095: un canone aperto. — C. I punti di partenza teo­


rici. 1. Coincidenza antropologica; 2. Purezza metodolocia. — D. I concetti tecnici.
1. Normalità; 2. Maturità psicologica; 3. Incapacità per disturbi psichici. — E. Il dia­
logo nella pratica processuale: 1. Il perito; 2. Il giudice; 3. Il difensore del vincolo. —
F. Conclusioni.

A. Introduzione.

La missione della Chiesa di illuminare con la verità della dottrina


le realtà temporali assume particolare rilievo in tema di matrimonio e
famiglia. La sua voce sembra gridare nel desrto della nostra società se­
colarizzata, dove anche le radici più profonde delle sue origini cristia­
ne sono state messe in discussione, se non esplicitamente rinnegate.
La si vorrebbe sostituire con modelli e schemi superficiali ed effimeri,
nei quali il mero fatto materiale pretende di dare ragione di sé. Le co­
se sono perché sono; i comportamenti sociali ammettono soltanto
un’analisi sociologica, semmai ispirata a criteri di benessere e di effi­
cienza.
Il matrimonio, appare evidente, ha pienamente subito l’impatto
di questo deterioramento (’), ma è altrettanto evidente l’impegno con­
tinuo della Chiesa per attenuarne le conseguenze, sia all’esterno sia —
soprattutto — all’interno, poiché a questo punto il sale dei cristiani ri­
schia di divenire insipido, la luce di oscurarsi, la carità di affievolirsi.
Perciò, proporre oggi al mondo una maniera giusta di intendere
la vita matrimoniale richiede innanzitutto la testimonianza viva e coe-

(*) Lezione inaugurale del corso tenuta nel Centro Accademico Romano della
Santa Croce il 26 ottobre 1988.
(') Cfr. Giovanni Paolo II, esort. ap. Familiaris consortio, 1.
396 JOSÉ TOMÁS MARTÍN DE AGAR

rente della società ecclesiale, per la quale l’unione coniugale è un sa­


cramento, una vocazione alla quale è chiamata la maggior parte dei
fedeli, il nucleo dal quale promana la vita cristiana, incremento e svi­
luppo della stessa Chiesa.
In questo impegno di coerenza, di cui il mondo ha bisogno, un
ruolo importante spetta al diritto canonico. Giovanni Paolo II nel suo
ampio magistero sul matrimonio e sulla famiglia ha dedicato particola­
re attenzione ad alcuni problemi di diritto matrimoniale. In particola­
re nei due ultimi discorsi alla Rota Romana (1987 e 1988) ha dato
specifico rilievo alle cause di nullità matrimoniale per incapacità con­
sensuale di uno dei coniugi.
L’insistenza è il riflesso delPimportanza che tali cause hanno as­
sunto negli ultimi decenni e della ripercussione che hanno nell’opinio­
ne pubblica ecclesiale.
Spesso, in occasione di qualche caso eclatante, nei mezzi di co­
municazione e tra persone di ogni ceto sociale ci si interroga sul signi­
ficato che nei tribunali ecclesiastici hanno espressioni quali immaturi­
tà, o incapacità alle relazioni interpersonali o ad assumersi gli impegni
matrimoniali, utilizzate nella motivazione di alcune sentenze di nulli­
tà. Con terminologia giuridica si potrebbe dire che l’incapacità con­
sensuale ha assunto notorietà di fatto e di diritto, per l’interesse che
suscita negli ambienti profani e canonici.
Questo mi ha indotto a scegliere i recenti discorsi del Papa alla
Rota come tema della lezione inaugurale di questo corso 1988-89 nel
Centro Accademico Romano della Santa Croce.
Tutto il magistero pontificio è fonte essenziale per la ricerca e
l’insegnamento delle scienze ecclesiastiche. La necessaria specializza­
zione impone tuttavia di procedere per settori. Come professore di
diritto canonico e come giudice di cause matrimoniali, le citate allocu­
zioni pontificie mi sembrano punto di riferimento necessario per l’e­
same dei problemi relativi all’incapacità consensuale nel matrimonio.
Da una prima lettura di questi testi appare chiaro che quanto ha
spinto il Santo Padre a trattare ripetutamente queste cause è stata la
preoccupazione per la facilità con la quale in alcuni luoghi viene di­
chiarata la nullità di molti matrimoni per l’incapacità di uno dei co­
niugi, e il desiderio che vi sia un maggiore rigore scientifico nel loro
studio e risoluzione (2).

(2) Maggiore rigore significa innanzitutto sforzo per accertare la verità in cia­
scun caso, poiché « il valore... che si vuol tutelare... è il matrimonio realmente esi-
INCAPACITA CONSENSUALE NEI DISCORSI ALLA ROTA 397

Il nucleo centrale dei discorsi che analizzeremo riguarda la valu­


tazione processuale delle perizie psicologiche e psichiatriche che in
questo genere di cause hanno una rilevanza tale da essere prove le­
galmente necessarie (can. 1680). Le indicazioni che il Papa fornisce
ai giudici e al difensore del vincolo fanno continuo riferimento a
questo punto centrale (3).
Tali osservazioni preliminari ci consentono di inquadrare l’ambi­
to in cui si muovono le allocuzioni pontificie, e che è caratterizzato
da:
a) una situazione più o meno diffusa di abuso pratico delle ca­
tegorie canoniche,
b) l’individuazione delle cause che spiegano questa situazione,
c) la proposta dei fondamenti per una corretta interpretazione
ed attuazione delle norme sostanziali e processuali che riguardano la
materia (4).
È importante tenere presente questa prospettiva per cogliere
tutta l’importanza degli interventi del Santo Padre. I suoi discorsi
hanno per il giurista il valore di una interpretazione magisteriale au­
tentica, che chiarisce la mens legislatori e, quindi, il significato delle

stente, non quello che ne ha solo la parvenza, essendo nullo in partenza » (1984, 8).
Cito i discorsi del Papa alla Rota con l’anno e il numero del paragrafo fra parentesi.
Vid. et. (1980, passim).
In questo senso dice Llobell che « l’attribuzione del contenuto giuridico dell’i­
stituzione matrimoniale ad una situazione che di coniugale possiede solo l’apparen­
za, suppone una grave ingiustizia » (La sentenza: decisione e motivazione, in II proces­
so matrimoniale canonico, Città del Vaticano, 1981, p. 308). Vid. et. J.J. GarcÌa
Failde, Princípios inspiradores del proceso de nulidad matrimoniai, in lus Canonicum,
21 (1987), p 151.
Cfr. Card. P. Felici, Relatio die 6.X.1980. Ex Actis Synodi Episcoporum, in
Communicationes, 12 (1980), p. 125-220; Z. Grocholewski, Processi di nullità ma­
trimoniale nella realtà odierna, in II processo matrimoniale canonico, cit., p. 11-23.
(3) Un interessante studio tecnico di questo mezzo di prova si trova in E. Be-
lenchón, La prueba pericial en los procesos de nulidad de matrimonio, Pamplona,
1982. Sulla valutazione delel perizie psichiatriche si vedano i diversi studi raccolti
nel n. 44 (1982) di lus Canonicum, p. 535-706.
(4) Osserva Grocholewski, commentando il discorso del 1987, che « l’impor­
tanza e la necessità di ripensamenti in materia si scorge anche dal fatto che per al­
cuni tribunali le cause di nullità di matrimonio per motivi psichici vengono conside­
rate fra le più difficili e tormentate, per altri invece appaiono come cause fra le più
semplici », Il giudice ecclesiastico di fronte alle perizie neuropsichiatricbe e psicologiche,
in Z. Grocholewskki-U. Trama, In tema di dichiarazione di nullità del matrimonio
canonico, Roma, s/d, p. 11.
398 JOSÉ TOMÁS MARTÍN DE AGAR

leggi a cui si riferisce (5). Una interpretazione che essendo magiste-


riale riguarda non tanto il senso dei testi, quanto i principi che li
ispirano, in base ai quali devono essere analizzate scientificamente
ed applicate le norme concrete.
Il Papa, come è ovvio, non intende affermare come autentica
una determinata opinione, né pretende risolvere in modo definitivo
i problemi della canonistica sulle singole anomalie mentali, ovvero il
loro riferimento a un caput nullitatis concreto, Pinquadramento si­
stematico, il loro carattere prevalentemente intellettivo o voliti­
vo (6), ecc. Definisce però l’ambito, alcuni principi e criteri entro i
quali si dovrà cercare la soluzione di questi problemi in dottrina e
giurisprudenza.
In tale prospettiva intendo svolgere le mie considerazioni.

B. Il can. 1095: un canone aperto.


Il legislatore ha affrontato il problema con una impostazione
metodologica di carattere negativo. La capacità è la normalità, ciò
che si presume; Vincapacità va definita a partire da questo presuppo­
sto: quali alterazioni o difetti dello sviluppo psicologico rendono in­
capaci di prestare un consenso matrimoniale naturalmente suffi­
ciente.
Il codice canonico riassume questi stati nel can. 1095 conside­
rando incapaci a contrarre:
« 1) coloro che mancano di sufficiente uso di ragione;
2) coloro che difettano gravemente di discernimento sui diritti
e doveri matrimoniali essenziali da dare e accettare reciprocamente;
3) coloro che per cause di natura psichica, non possono assu­
mere gli obblighi essenziali del matrimonio ».
Si tratta di una formulazione giuridica per la quale, come dice
Viladrich, « el legislador se ha distanciado, con toda intención, de
la terminologia y las clasificaciones de índole médica y psiquiátrica
y ha perfilado un concepto jurídico básico — la incapacidad consen­
sual — y très tipos jurídicos a través de los cuales esa incapacidad

(5) Cfr. (1984, 6) e can. 16, § 1 e 17.


(6) Su quest’ultimo problema cfr. E. Tejero, La discrétion de judicio para
consentir el matrimonio, in lus Canonicum (1982), p. 403-534. O. Fumagalli Ca-
rulli, Intelletto e volontà nel consenso matrimoniale in diritto canonico, Milano,
1974.
INCAPACITA CONSENSUALE NEI DISCORSI ALLA ROTA 399

se manifiesta en formas específicas o causas cie nulidad autóno­


mas » (7).
Questo è il punto centrale del problema. L’incapacità consensua­
le è una nozione giuridica, che si riferisce al matrimonio in fieri, al
suo contenuto essenziale, agli obblighi e ai diritti che si assumono al
momento del consenso, alle qualità personali necessarie per assumer­
li. Incapacità che perciò deve essere valutata con i criteri e il metodo
propri del diritto. Ma i motivi che causano l’incapacità giuridica so­
no di carattere psicologico, e la loro esistenza ed incidenza devono
essere individuate previamente, con il metodo e le categorie proprie
delle scienze che studiano la psiche.
In tale contesto si colloca il riferimento del Papa a

« canoni di rilevante importanza nel diritto matrimoniale,


che sono stati necessariamente formulati in modo generico e
che attendono una ulteriore determinazione... penso ad
esempio, alla determinazione del “defectus gravis discretio-
nis iudicii”, agli “officia matrimonialia essentialia”, alle
“obligationes matrimonii essentiales”, di cui al can. 1095 »
(1984, 7).

In questo senso il can. 1095 è un canone aperto, che richiede


un dialogo costante del giurista con le sicenze mediche. Si può anzi
affermare che la sua attuale formulazione è proprio frutto di questo
dialogo (8).
Il problema è nella corretta impostazione del dialogo. Da esso
dipende la validità e l’utilità dell’aiuto che le scienze psicologiche
possono dare alla realizzazione della giustizia nella Chiesa. Gli orien­
tamenti contenuti nei citati discorsi cercano di gettare le basi del
dialogo su livelli diversi, ma che sono in stretto rapporto tra di loro:
sui punti di partenza teorici, sui concetti tecnici utilizzati per il dia­
logo e sulle conseguenze pratiche di tipo processuale per l’adeguata
istruzione delle cause di nullità matrimoniale per incapacità consen­
suale. Esamineremo ora ognuno di questi aspetti.

(7) Commento al can. 1095 in Código de Derecho Canònico. Edición anotada,


Pamplona, 1987.
(8) Cfr. F. Bersini, Il nuovo Diritto canonico matrimoniale, 3a ed., Torino
1985, p. 92-93; P.A. Bonnet, L'incapacità relativa agli oneri matrimoniali, in L'inca-
pacitas (can. 1095), nelle « sententiae selectae coram Pinto », Città del Vaticano, 1988,
p. 32-33.
400 JOSÉ TOMÁS MARTÍN DE AGAR

C. I punti di partenza teorici.

I punti di partenza teorici del dialogo diritto matrimoniale-scien-


ze della psiche sono soprattutto due:
a) la necessaria coincidenza antropologica e
b) la purezza metodologica, ovvero il rispetto dell’autonomia di
ogni scienza.

1. Coincidenza antropologica.

« Il dialogo e una costruttiva comunicazione tra il giudi­


ce e lo psichiatra o psicologo sono più facili se per entrambi il
punto di partenza si pone entro l’orizzonte di una comune an­
tropologia, così che, pur nella diversità del metodo e degli in­
teressi e finalità, una visione resti aperta all’altra » (1987, 3).

Sia il diritto che la psicologia o la psichiatria fondano i loro prin­


cipi e le loro conclusioni su una determinata concezione dell’uomo e
del matrimonio. L’elaborazione di concetti strumentali e la loro appli­
cazione ai fatti analizzati, e i risultati di queste analisi, saranno molto
diversi secondo la diversa concezione della natura, qualità, dignità,
fini.
Giovanni Paolo II individua la causa principale dei rischi e degli
abusi, verificatisi in alcuni luoghi, a motivo delle troppo facili dichia­
razioni di nullità per incapacità, proprio nell’accettazione acritica da
parte dei tribunali di perizie fondate su una visione dell’uomo e del
matrimonio contraria alla visione cristiana.
In effetti, il Santo Padre mette in evidenza che

« la visione antropologica da cui muovono numerose correnti


nel campo delle scienze psicologiche del tempo moderno, è
decisamente, nel suo insieme, inconciliabile con gli elementi
essenziali dell’antropologia cristiana, perché chiusa ai valori e
significati che trascendono il dato immanente e che permetto-
'*no all’uomo di orientarsi verso l’amore di Dio e del prossimo
come sua ultima vocazione » (1987, 4).

Errori di questo tipo portano ad una visione pessimista dell’uomo


o, viceversa, ad un ottimismo eccessivo sulle possibilità di autorealiz­
zazione (9). In entrambi i casi l’aiuto della grazia e lo sforzo umano

(9) Cfr. A. Polaino-Lorente, Comentários de un psiquiatra al discurso del Papa


al Tribunal de la Rota Romana, lus Canonicum, 21 (1987), p. 601.
INCAPACITA CONSENSUALE NEI DISCORSI ALLA ROTA 401

per corrispondervi, il gioco grazia-lotta per vincere o superare le dif­


ficoltà, non hanno senso.
Il diritto canonico si ispira ad una concezione cristiana dell’uo­
mo, e cerca di formulare con sempre maggiore precisione le esigenze
di giustizia che ne derivano (10).
Questa antropologia cristiana

« arricchita con l’apporto delle scoperte fatte anche di recen­


te nel campo psicologico e psichiatrico, considera la persona
umana in tutte le sue dimensioni: la terrena e la trascenden­
te. Secondo tale visione integrale, l’uomo storicamente esi­
stente appare interiormente ferito dal peccato ed insieme
gratuitamente redento dal sacrificio di Cristo » (1988, 5).

Il contrasto tra una concezione dell’uomo limitata al naturale e


al terreno e quella che considera integralmente la sua apertura e vo­
cazione al soprannaturale, si riflette immediatamente nella concezio­
ne del matrimonio. Per la prima l’unione coniugale si riduce

« a semplice mezzo di gratificazione o di autorealizzazione o


di decompressione psicologica » (1987, 5),

in definitiva, ad una esperienza la cui validità dipende dai risultati.


Il cristianesimo invece considera il matrimonio una vocazione
umana e soprannaturale, un cammino attraverso il quale i coniugi
adempiono in un modo specifico la legge della carità, che richiede a
tutti sforzo e rinuncia costanti per vincere il proprio egoismo e per
donarsi.

(10) In questo senso afferma Guitarte « Derecho matrimoniai y filosofia cri­


stiana caminan muy de la mano, existe entre ellos como una acusada simbiosis... un
aislamiento o desconexión entre ambos, ya como opción sistemática, ya por ligereza
o superficialidad, convertirían a aquel en un edificio informe, carente de sus más
elementales arcos de bóveda, desprovisto de sus puntos referenciales »; Error de cua-
lidad y matrimonio en la vigente ley canònica, in lus Canonicum (1987), p. 201.
In effetti non mancano orientamenti che pretenderebbero un continuo adegua­
mento del diritto canonico — in particolare di quello matrimoniale — ai modelli vi­
genti nella società civile. Sono molto interessanti appunto le osservazioni critiche di
Caffarra sui diversi modi ed usi della « visione personalista del matrimonio » (Matri­
monio e visione dell'uomo, in Quaderni Studio Rotale, II, Roma, 1987, p. 29-40).
Vedi anche M.E. Casellati Alberti, Indissolubilità e unità nell’istituto naturale del
matrimonio canonico, Padova, 1984, p. 1-18; O. Fumagalli Carulli, Il matrimonio
canonico dopo il Concilio, Milano, 1978, p. 135-139; C. Gullo, Defectus usu ratio-
nis et discretionis iudicii (can. 1095, l°-2° CIC), in L’incapacitàs..., cit., p. 7.
402 JOSÉ TOMÁS MARTÍN DE AGAR

È evidente che quando il punto di vista antropologico del cano­


nista e dello psicologo sono tanto divergenti,
« il dialogo e la comunicazione possono diventare fonte di
confusione e di fraintendimento... il dialogo tra giudice e
perito costruito su un equivoco di partenza, può infatti facil­
mente portare a conclusioni false e dannose per il vero bene
delle persone e della Chiesa » (1987, 3).

Vocaboli quali normalità, maturità, difficoltà, insuccesso, ecc.,


così strettamente connessi con l’incapacità — se non addirittura in­
tercambiabili — possono essere travisati nello stabilire la validità o
la nullità nei casi concreti.

2. Purezza metodologica.
Quando si verifica questa divergenza iniziale su chi sia l’uomo e
cosa sia il matrimonio, è facile che vi sia un’ulteriore discordanza sui
presupposti teorici del dialogo tra canonista e psicologo: la mancanza
di rispetto del metodo, oggetto, limiti ed autonomia di ciascuna
scienza.
Ogni scienza considera la realtà secondo il proprio grado di
astrazione e dal punto di vista del suo oggetto, che determinano an­
che il metodo, le categorie concettuali, il modo di argomentare, i li­
miti. In questo senso ogni scienza raggiunge una verità parziale se­
condo la propria formalità. Alla scienza giuridica interessa ciò che è
giusto nelle relazioni sociali e la sua effettiva realizzazione. Alla psi­
cologia sperimentale interessa la conoscenza empirica dei processi ra­
zionali del conoscere, del volere e dell’agire umano, le alterazioni di
questi processi e le possibili cure. Ma né il diritto né la psicologia o
la medicina possono pretendere di dare una spiegazione totale e com­
pleta dell’uomo, che invece spetta alla filosofia. È anzi proprio da
questa che devono muovere per conoscere l’origine, la natura, la di­
gnità, i fini dell’essere umano (u).
Perciò, se manca il nesso con la metafisica dell’uomo (il suo es­
sere ed agire: antropologia ed etica), è facile pretendere di spiegare
totalmente l’uomo secondo i presupposti della sola scienza sperimen­
tale, il che equivale a condannarlo ad un determinismo umano, se
non meramente biologico. La chiusura in se stessa di una scienza la
porta all’assolutismo. In tal senso il Papa avverte

(u) Il diritto canonico deve inoltre basarsi sui dati della teologia.
INCAPACITÀ CONSENSUALE NEI DISCORSI ALLA ROTA 403

« che le scoperte e le acquisizioni nel campo puramente psi­


chico e psichiatrico non sono in grado di offrire una visione
veramente integrale della persona, risolvendo da sole le que­
stioni fondamentali concernenti il significato della vita e la
vocazione umana. Certe correnti della psicologia contempo­
ranea, tuttavia, oltrepassando la propria specifica competen­
za, si spingono in tale territorio e in esso si muovono sotto
la spinta di presupposti antropologici non conciliabili con
l’antropologia cristiana » (1987, 2).

Ma, se è vero che una scienza non può prescindere dalle altre
assolutizzando le verità parziali che scopre, è anche vero che i neces­
sari rapporti con le altre scienze si devono svolgere senza confusione,
rispettando la reciproca autonomia. Il che, in poche parole, significa
che ogni scienza può e deve servirsi dei risultati delle altre, assumen­
doli però come dati da studiare con il proprio metodo, non recepen­
doli direttamente come proprie conclusioni (12).
Limitiamoci al nostro tema ciò implica, tra l’altro, un adeguato
uso dei concetti tecnici con i quali si instaura il dialogo diritto-scien­
ze della psiche (B). A volte si tratta di nozioni che hanno una stessa
espressione semantica, e perciò hanno una certa coincidenza di signi­
ficato reale, ma che non possono essere completamente e immediata­
mente trasferite da una scienza all’altra. In proposito il Santo Padre
ha messo in evidenza

« che i concetti psicologici non sempre coincidono con quelli


canonici », ed è quindi estremamente importante che « le ca­
tegorie appartenenti alla scienza psichiatrica o psicologica
non siano trasferite in modo automatico al campo del diritto

(12) Il tema della purezza metodologica formale nella costruzione della scienza
canonica è stato ampiamente trattato da Hervada, vedi ad es. le recenti Conversacio-
nes propedêuticas sobre el Derecbo canónico, in lus Canonicum, 28 (1988), p. 43-46.
(u) « La interdipendenza dei dati psicologici e di quelli giuridici non deve in­
durre a confondere le esigenze della psicologia con quelle del diritto (...) se si consi­
derano attentamente proprio i rapporti tra scienze umane e diritto, soprattutto tra
probabilità che caratterizza i risultati della psicologia e certezza di cui abbisogna la
scienza giuridica, si deve necessariamente concludere per la necessità di poggiare il
sistema del diritto sopra concetti rigorosamente giuridici, anche se è bene precisare
che lo sforzo del giurista dovrà essere particolarmente indirizzato a recepire quanto
più possibile ampiamente le istanze del pre-giuridico, dando ad esse la forma del di­
ritto »; O. Fumagalli Carulli, Il matrimonio canonico..., cit., p. 142-143, vid. et.
p. 198-200.
404 JOSÉ TOMÁS MARTIN DE AGAR

canonico, senza i necessari adattamenti che tengano conto del­


la specifica competenza di ciascuna scienza » (1988, 6).
Il che ci introduce al secondo livello dei problemi che il Papa ha af­
frontato nei suoi discorsi, quello dei concetti tecnici.

D. I concetti tecnici.

Il Santo Padre ha, in particolare, fatto riferimento all’adattamento


necessario per i concetti di normalità e di maturità.
È evidente l’importanza di queste nozioni per stabilire la capacità
o l’incapacità di un soggetto, perché in una certa misura sono equivalen­
ti. Ma è proprio questa misura che va determinata per evitare il rischio
di riconoscere l’incapacità consensuale quale concetto giuridico, per
poi, in pratica, valutarla solo in base alle conclusioni di altre scienze.

1. Normalità.
Il Papa ha ampiamente spiegato come si deve intendere la normali­
tà richiesta per il matrimonio. Dopo aver fatto notare che è quasi impos­
sibile definirla in modo soddisfacente, il Romano Pontefice soprattutto
evidenzia il contrasto tra la normalità teorica delle scienze psicologiche
fondate su una antropologia immanentista, e la normalità considerata in
una visione integrale dell’uomo.
Nel primo caso la normalità equivale a perfezione, pienezza di pos­
sibilità, assenza di ogni limite; per cui si identifica

« normalità in relazione al matrimonio, con la capacità di rice­


vere e. di offrire la possibilità di una piena realizzazione nel rap­
porto col coniuge » (1988, 4).

Per cui le difficoltà, gli errori, i difetti o gli insuccessi, poiché im-
pedisocno tale piena realizzazione, sarebbero sempre interpretabili co­
me anormalità e quindi incapacità consensuale. La meta ideale non rag­
giunta sarebbe quindi indice di una anomalia esistente sin dall’inizio. In
questa visione
« la normalità diviene facilmente un mito e, sul piano pratico,
si finisce per negare alla maggioranza delle persone la possibili­
tà di prestare un valido consenso » (1988, 5) (14).

(H) Cfr. una coram Stankiewicz, 22 marzo 1984, 3-4, in Monitor Ecclesiasticus
(1986), p. 262-263.
INCAPACITA CONSENSUALE NEI DISCORSI ALLA ROTA 405

Una visione integrale dell’uomo, invece, tiene conto della sua con­
dizione di « ferito per il peccato ed insieme gratuitamente redento »,
che contraddistingue la storia di ogni persona. In questa prospettiva la
normalità è « la normale condizione umana in questo mondo » della
quale fanno parte le « normali » difficoltà e limitazioni — anche di tipo
psicologico — che accompagnano il cammino terreno di ciascuno, per
superare le quali il fedele ha anche l’aiuto della vita cristiana. Un con­
cetto di normalità che è allo stesso tempo lontano sia dal mito del benes­
sere che esclude ogni dolore, sia dall’assoluto determinismo degli impul­
si vitali.

2. Maturità psicologica.
Le stesse precisazioni sono necessarie per valutare la maturità dei
coniugi ad assumere gli obblighi e i pesi della vita matrimoniale.

Il Papa fa una distinzione molto netta: non si può confondere

« una maturità psichica che sarebbe il punto d’arrivo dello svi­


luppo umano, con la maturità canonica, che è invece il punto
minimo di partenza per la validità del matrimonio » (1987, 6).

Nelle cause di nullità per incapacità consensuale interessa accerta­


re se i coniugi, nel momento di contrarre, avevano raggiunto un grado
di sviluppo intellettuale, effettivo e volitivo sufficiente, per poter assu­
mere gli obblighi matrimoniali; non sarebbe invece logico porre il pro­
blema in termini di pienezza o perfezione, altrimenti qualsiasi difetto,
errore o anche colpa, che dovesse verificarsi nella vita matrimoniale,
dovrebbe essere interpretato come radicale immaturità per la stessa (15).

3. Incapacità per àAsturbi psichici.


Su queste basi occorre fondare l’elaborazione del concetto centrale
del nostro studio: l’incapacità giuridica matrimoniale, ossia la valutazio­
ne canonica dei disturbi psichici e il loro influsso sul consenso matrimo­
niale.
Il Santo Padre precisa che questa valutazione deve partire dai pre­
supposti antropologici che abbiamo esaminato
« avendo sempre presente la natura umana, la vocazione del­
l’uomo, e, in connessione con ciò, la giusta concezione del ma­
trimonio »,

O5) Cfr. C. Cullo, Defectus usus rationis..., cit., p. 18 e 19.


JOSÉ TOMÁS MARTÍN DE AGAR
406

ed indica alcuni criteri fondamentali che ora esamineremo.


Innanzitutto, dice Giovanni Paolo II recependo la migliore giuri­
sprudenza:
« deve rimanere chiaro il principio che solo l’incapacità, e non
già la difficoltà a prestare il consenso e a realizzare una vera co­
munità di vita e di amore, rende nullo il matrimonio » (1987,
7).
Infatti, in una concezione integrale dell’uomo le debolezze, gli
ostacoli, le resistenze proprie o esterne, fanno parte dell’esistenza co­
mune e, con l’aiuto della grazia divina, possono rapprsentare un mezzo
di progresso e di realizzazione della perfezione umana e soprannaturale.
L’alleanza matrimoniale tra uomo e donna, che stabilisce la comu­
nità di vita e di amore, comprende tutto questo, ossia:

« il dovere di un cosciente impegno da parte degli sposi a supe­


rare, anche a costo di sacrifici e rinuncie, gli ostacoli che si
frappongono alla realizzazione del matrimonio » (1987, 5).
Insomma mentre Vincapacità esclude il matrimonio, le difficoltà
fanno parte di esso (16).
Questa necessaria, decisiva distinzione e non equivalenza tra diffi­
coltà ed incapacità, può essere facilmente compresa sul piano delle
enunciazioni verbali, ma in molti casi sarà ardua e non priva di rischi la
sua concreta valutazione: ciò che su un piano teorico appare come una
differenza qualitativa, nell’applicazione giurisprudenziale diventa un
problema di grado, di intensità e di frontiera incerta tra due territori li­
mitrofi. Un problema che acquista toni drammatici se si considera che la
decisione, con cui si conclude il processo, condizionerà la vita e la co­
scienza degli sposi e di altre persone, ed interesserà l’ambiente sociale
della Chiesa in relazione al matrimonio.

(16) Quando si parte, invece, da una visione riduttiva dell’uomo e della vita co­
niugale

« ogni ostacolo che richieda sforzo, impegno o rinuncia e, ancor più, ogni
fallimento di fatto dell’unione coniugale diventa facilmente conferma del­
l’impossibilità dei presunti coniugi ad intendere rettamente e a realizzare il
loro matrimonio » (1987, 5).

Onde risulterebbe che il tanto criticato meccanicismo che, secondo alcuni, ca­
ratterizzava il diritto preconciliare, ricompare, colorato di personalismo, in assiomi e
dogmi tesi a creare presunzioni prò nullitate.
INCAPACITÀ CONSENSUALE NEI DISCORSI ALLA ROTA 407

Il Papa, consapevole della difficoltà insita in queste cause matri­


moniali, nelle quali il giurista arriva ad accertare le difficoltà psicolo­
giche in un coniuge attraverso perizie mediche, e deve valutarne l’in­
cidenza sul consenso dato, si propone di fissare alcuni criteri chiari
che devono guidare questa valutazione.
Andando avanti nella distinzione tra semplice difficoltà ed in­
capacità propriamente detta, stabilisce il principio in base al quale

« una vera incapacità è ipotizzabile solo in presenza di una


seria forma di anomalia che, comunque si voglia definire,
deve intaccare sostanzialmente le capacità di intendere e/o
di volere del contraente » (1987, 7).

Tra le molte conseguenze concrete che discendono dall’analisi


dettagliata di questo principio vi è la perpetuità e il carattere asso­
luto dell’incapacità. Ci soffermeremo brevemente tuttavia solo su
quelle principali, a cui ha fatto riferimento lo stesso Romano Pon­
tefice in altri passi dei suoi discorsi.

a) Anomalie gravi. — Si deve trattare di disturbi psichici che


in sé si possano definire seri. Il consenso matrimoniale è un atto
di volontà qualificato che presuppone nel soggetto il discernimento
e la maturità necessari per donarsi ed accettare sponsalmente l’al­
tro, ossia, per instaurare la comunità di vita e di amore che costi­
tuisce il matrimonio. Occorre però anche dire che la sponsalità è
un proprium della natura umana (17), che l’individuo acquista con il
normale sviluppo fisico e morale: la cui mancanza si può spiegare
soltanto come conseguenza di disturbi gravi, chiaramente constata­
bili (I8).* Il

(17) Giuridicamente si fonda su questo ragionamento la presunzione che dalla


pubertà l’individuo gode di capacità matrimoniale, può esercitare lo ius connubii e,
nel dubbio sulla sua capacità, non gli si deve impedire il matrimonio. Cfr. Summa
Theologica, Suppl. q58 a5 adì.
Cfr. L. Del Amo, La clave probatoria en los procesos matrimoniales, Pamplo-
na, 1978, p. 190 ss.
(18) Come dice Viladrich « no es posible que alguien carezca de la posibili-
dad de asumir y sea psiquicamente normal » (Commento al can. 1095, cit. in nota
7).
Il che non significa che se vi è anomalia grave vi è incapacità, perché come
avverte lo stesso autore « lo que hay que probar no es tanto la gravedad de la
anomalia psiquica, cuanto la imposibilidad de asumir » (ibid). La malattia grave è
condizione necessaria ma non sufficiente.
408 JOSÉ TOMÁS MARTÍN DE AGAR

Giovanni Paolo II ha sviluppato questo criterio aggiungendo

« che solo le forme più gravi di psicopatologia arrivano ad


intaccare la libertà sostanziale della persona » (1988, 6),

perciò, ha escluso dalle cause di incapacità

« blocchi di natura inconscia », « lievi o moderate psicopato­


logie » o « deficienze di ordine morale » a causa delle quali
« le persone sperimentano una riduzione, non però la priva­
zione della loro effettiva libertà di tendere al bene scelto »
(1987, 5) (19).
b) Diagnosi medica e diagnosi giuridica. — Il Romano Pontefice
parla di anomalia seria, comunque si voglia definire, che incida in
modo sostanziale nell’intelligenza e/o volontà del contraente.
Con questa precisazione viene sottolineata la necessità di di­
stinguere la diagnosi medica dalla qualificazione giuridica. I termini
utilizzati in medicina per descrivere la natura, l’eziologia, le fasi o
l’intensità di un quadro patologico servono — è chiaro — per defi­
nirlo da un punto di vista medico, e si riferiscono ai concetti fon­
damentali di salute, malattia, cura, che sono l’oggetto della medici­
na (20). Nella determinazione della capacità giuridica questi risultati
medici hanno il senso di dati, con un valore importante ma parzia­
le e relativo. La qualificazione giuridica deve inoltre confrontare la
diagnosi medica con le relative categorie giuridiche. Nel nostro ca­
so, ad esempio, con i concetti di diritti e doveri coniugali fonda­
mentali, per poter stabilire se un soggetto, al momento di contrar­

(19) Questi limiti sono senza dubbio una difficoltà per il compimento della vo­
cazione personale e matrimoniale dell’uomo, ma fanno parte della

« normale condizione umana in questo mondo » che « comprende anche


moderate forme di difficoltà psicologica, con la conseguente chiamata a
camminare secondo lo Spirito anche fra le tribolazioni e a costo di rinun­
cia e sacrifici » (1988, 5).

(20) Peraltro in medicina non vi c una unanime classificazione delle malat­


tie, né una terminologia univoca, tanto meno in psichiatria. Cfr. J.M. Poveda
Arino, Peritaje psiquiátrico en relación con las neurosis como causa de nulidad, en
lus Canonicum, 22 (1982), p. 596-597; R.L. Burke, Lack of discrétion of judge-
ment because of scbizopbrenia, Roma, 1986, p. 14-21 e 29-44; Lopez AlarcÓn-
Navarro Valls, Curso de Drecho matrimoniai canònico y concordado, Madrid, 1984,
p. 146-149.
INCAPACITA CONSENSUALE NEI DISCORSI ALLA ROTA 409

re, aveva la capacità di intenderli, volerli ed assumerli; perché l’in­


capacità matrimoniale è un concetto canonico, non medico (21).

c) Capacità matrimoniale e capacità di tendere liberamente al


bene.
Il criterio che stiamo analizzando, per ipotizzare una incapacità
consensuale, precisa che l’anomalia deve essere grave fino al punto
da « intaccare sostanzialmente le capacità di intendere e/o di volere
del contrente ».
Innanzitutto il Papa collega la gravità del disturbo con gli effet­
ti che determina sull’intelletto e sulla volontà; sottraendola a relati­
vismi terminologici e facendo intendere che, oltre all’esistenza di un
disturbo serio dal punto di vista medico, l’indagine giuridica deve
soprattutto verificare in che misura la malattia impedisce al paziente
di cogliere la realtà del matrimonio e di sceglierla (22). Ossia: com­
prendere il significato di verità e di bene del matrimonio e proporse­
lo come un fine. Solo se la sua capacità di discernimento o il suo vo­
lere fossero così ridotti da non permettergli di cogliere la realtà ma­
trimoniale e di farne un progetto di vita, lo si dovrà considerare in­
capace (25).
Il Santo Padre spiega poi — e questo mi è sembrato illuminante
al riguardo — il significato della frase « anomalia che riguardi so­
stanzialmente la capacità di intendere e/o di volere del contraente »,
mettendola in relazione con la capacità di tendere liberamente al be­
ne. Questo può aiutarci a comprenderne meglio il significato. In que­
sto senso, il Papa parla di

« persone che sperimentano una riduzione, non però la pri­


vazione della loro effettiva libertà di tendere al bene scel­
to » (1987, 5), di «lievi o moderate psicopatologie, che
non influiscono sostanzialmente sulla libertà della persona

(21) Come abbiamo detto, la causa della nullità sono i diversi tipi di incapacità
giuridica, non le malattie che di fatto possono esserne all’origine.
(22) Cfr. P.A. Bonnet, L’essenza del matrimonio canonico, Padova, 1976, p.
221-287.
(23) Per questa verifica sarà sempre utile, come indizio, verificare la capacità
del soggetto rispetto ad altre realtà naturali diverse dal matrimonio come ad esem­
pio l’amicizia, il lavoro, la famiglia di origine, gli affari, le virtù, la vita religiosa, le
relazioni sociali in genere.

27. lus ecclesiae - 1989.


410 JOSÉ TOMÁS MARTÎN DE AGAR

di tendere agli ideali trascendenti, responsabilmente scelti »


(1985, 5), od anche della « libertà di tendere ai valori au-
torealizzandosi in essi » (1988, 5) (24).

Su questa frase si possono fare molte considerazioni; io vorrei


esprimerne due: il costante riferimento al verbo tendere e l’oggetto
del tendere.
Tendre significa proporsi qualcosa come fine, proiettare la pro­
pria azione per conseguire alcuni obiettivi, ordinazione a qualcosa.
Non significa invece il suo effettivo raggiungimento.
Capacità di tendere, di proporsi di conseguire qualcosa, non
implica necessariamente la possibilità o capacità di conseguirla pie­
namente, ma di realizzare gli atti che vi conducono.
Il matrimonio è naturalmente ordinato al bene della prole e al
bene dei coniugi (25). E siccome non perde questa sua fondamentale
ordinazione alla prole né quando questa manca, né quando la si
evita con colpa né quando è impossibile per sterilità, se non la si
esclude positivamente dal consenso e se sono possibili gli atti uma­
ni propri della generazione; così — ritengo — non perde il fonda­
mentale ordinamento al bene dei coniugi quando questo bene, che
si è soliti individuare nella comunità di vita e di amore, non si
consegue o si prevede che mai si potrà realizzare pienamente per le
caratteristiche psicologiche dei coniugi. E sufficiente che siano ca­
paci di proporsi, di tendere, a questa comunità di vita e di amore,
come ad un ideale, come ad un bene, e di realizzare umanamente
gli atti essenziali che la compongono (26). Anche se poi non li rea-

(24) Afferma anche che questa libertà sostanziale è intaccata solo dalle « forme
più gravi di psicopatologia » (1988, 6). Sulla libertà come punto di incontro tra di­
ritto e psicologia vedi O. Fumagalli Cakulli, Il matrimonio..., cit., p. 151 ss.
(23) Sulla distinzione accidentale dei fini e la loro unità sostanziale nel consor­
tium omnis vitae, vedi J. Hervada, Los fines del matrimonio, Pamplona, I960, in
particolare p. 174-184.
(26) « No se debe olvidar que hay diveros grados de cumplimiento de estas
obligaciones y que el canon 1.095, 3 se refiere a las obligaciones esenciales. Por con-
siguiente hay un minimo y un máximo. Aquel se requerirà para la validez del matri­
monio pero no éste que se exigirá para obtener la perfección de esas relaciones (...)
en este bien de los cónyuges solamente se debe exigir para la validez del matrimonio
aquello que es esencial al contrato mismo matrimoniai, no lo que pertenece a la per­
fección del mismo »: F. Gil De Las Heras, La incapacidad para asumir las obligacio­
nes esenciales del matrimonio, in lus Canonicum, 27 (1987), p. 269 e 271. Vedi anche
M.F. Pompedda, Il canone 1095 del nuovo codice di diritto canonico, in lus Canoni-
INCAPACITÀ CONSENSUALE NEI DISCORSI ALLA ROTA 411

lizzano per qualsiasi motivo (molte volte il motivo è che richiedono


sforzo).
In secondo luogo desidero rilevare che il Papa parla di « valo­
ri », « beni scelti », « ideali trascendenti », dando a intendere che la
capacità di ordinare liberamente la propria vita al raggiungimento di
questi beni, implica la capacità di scegliere il matrimonio, che è uno
di essi.
Se il matrimonio è uno di questi valori, beni o ideali che l’uomo
può proporsi e attraverso i quali realizza la propria perfezione, ciò si­
gnifica che deve essere considerato come un bene da raggiungere con
le proprie azioni, non come un bene già dato, che sta lì e che è suffi­
ciente scegliere per averlo, ma come un ideale, un progetto di vita,
in definitiva come una vocazione.
In questo senso per sposarsi si richiede un grado di libertà mag­
giore di quello richiesto per raggiungere fini o beni puramente este­
riori, che non coinvolgono la vita personale nel suo divenire stori­
co (27). Tuttavia la considerazione del matrimonio come vocazione fa
anche riferimento al carattere religioso che ogni matrimonio ha (2it):
un impegno sacro nel quale Dio interviene, di cui si serve per attrar­
re a sè gli uomini e che per i cristiani è sacramento, « mezzo di gra­
zia e di santificazione » (1987, 6).
Parlando di matrimonio come vocazione, è giusto ricordare la co­
stante e vigorosa catechesi del Fondatore dell’Opus Dei, il Servo di
Dio Josemaría Escrivà, sul matrimonio cristiano, che è servita a tanti
fedeli, delle più diverse condizioni, per riscoprire che la loro vita fa­
miliare è il cammino reale e concreto indicato da Dio per la loro san­
tità. « Gli sposi — diceva in una fra le tante occasioni — sono chia­
mati a santificare il loro matrimonio e a santificare se stessi in questa
unione... La fede e la speranza si devono manifestare nella serenità
con cui si affrontano i problemi piccoli o grandi che sorgono in ogni
famiglia e nello slancio con cui si persevera nel compimento del pro­
prio dovere. In tal modo, ogni cosa sarà permeata di carità: una carità

cum, 21 (1987), p. 536-555; J. Hervada-P. Lombardia, El derecho del Pueblo de


Dios. Derecho matrimoniai, Pamplona, 1973, p. 48-50.
(27) Cfr. Summa Theologica, Suppl. q43 a2 ad2.
(28) L’introduzione e l’evoluzione del matrimonio civile, che considera soltan­
to gli aspetti contrattuali del matrimonio, ha contribuito senz’altro ad offuscare
questa naturale dimensione religiosa, attribuendo alla distinzione matrimonio religio­
so-matrimonio civile un significato essenziale che non ha: il suo significato autentico
può essere riferito soltanto al regime giuridico applicabile.
412 JOSÉ TOMÁS MARTIN DE AGAR

che porterà a condividere le gioie e le eventuali amarezze; a saper sorri­


dere dimentichi delle proprie preoccupazioni per prendersi cura degli
altri; ad ascoltare il proprio coniuge e i figli, a superare i piccoli attriti
che l’egoismo tende a ingigantire; a svolgere con amore sempre nuovo i
piccoli servizi di cui è intessuta la convivenza quotidiana » (29).
Tutto ciò potrebbe sembrare una digressione, ma dalle parole
del Papa emerge la preoccupazione per l’influsso di ideologie imma-
nentiste che riducono

« il significato del matrimonio a semplice mezzo di gratifica­


zione, di auto-realizzazione o di decompresione psicologi­
ca », per cui « ogni ostacolo che richieda sforzo, impegno o
rinuncia e, ancor più, ogni fallimento di fatto dell’unione co­
niugale diventa facilmente la conferma della impossibilità
dei presunti coniugi ad intendere rettamente e a realizzare il
loro matrimonio » (1987, 5); mentre per una visione cristia­
na del matrimonio « la realizzazione del significato dell’unio­
ne coniugale, mediante il dono reciproco degli sposi, diventa
possibile solo attraverso un continuo sforzo, che include ri­
nuncia e sacrificio » (1987, 6).

La capacità giuridica coniugale si deve perciò valutare anche in


relazione alla capacità di tendere ai valori spirituali; e in questa vi è
anche la lotta ascetica e il ricorso all’aiuto divino, con i quali si pos­
sono supplire o combattere debolezze e difetti che diversamente po­
trebbero compromettere l’armonia coniugale, anche se di per sé non
la rendono impossibile (-50).
Riassumendo: la libertà sostanziale di cui parla il Santo Padre,
necessaria per dare validamente il consenso, deve essere valutata giu­
ridicamente non soltanto in termini di salute o di malattia psicologi­
ca, ma considerando le altre « fonti di libertà » a cui l’uomo può —
deve! — ricorrere: la grazia divina, la virtù, l’impegno morale.
Perciò, quando il Papa esclude dalle cause di nullità del consen­
so « lievi patologie » o « deficienze di ordine morale », non compie

(29) Omelia, lì matrimonio, vocazione cristiana. Natale 1970, in È Gesù che


passa, 4A ed. italiana, Milano, 1982, p. 65-66.
(30) In questi termini Subirà afferma che « la incompatibilidad de caracteres,
los mismos defectos de temperamento, los complejos personales, o cualquier desorden de
la personalidad, que «ertamente impiden la piena y perfecta union de la vida conjugal,
no bastan para hacer inhabiles a los contrayentes »: La incapacidad para asumir los
deberes del matrimonio, in lus Canonicum, 27 (1987), p. 244.
INCAPACITA CONSENSUALE NEI DISCORSI ALLA ROTA 413

un’ulteriore specificazione della norma legale, ma la riporta alle sue


radici, alla sua ratio fondamentale (31)-

E. Il dialogo nella pratica processuale.


Quanto abbiamo detto sul dialogo diritto-psicologia ha impor­
tanti conseguenze nella risoluzione processuale delle cause matrimo­
niali, con riflessi specifici sulle diverse funzioni e competenze di co­
loro che intervengono nel processo, in particolare come periti, gudici
e difensori del vincolo

1. Il pento.
« Il compito del perito è soltanto quello di prestare gli
elementi riguardanti la sua specifica competenza, e cioè la
natura ed il grado delle realtà psichiche o psichiatriche, a
motivo delle quali è stata accusata la nullità del matrimo­
nio » (1987, 8).
Non gli spetta invece di dare « un giudizio circa la nullità del
matrimonio » (ivi), che è un’attività giuridica. Il parere del perito si
inquadra processualmente tra le prove, e non può essere trasferito
sul piano della decisione giudiziaria, che implica la qualificazione
giuridica dei fatti dimostrati e non rientra nella scienza e nelle com­
petenze del perito (32).
Inoltre, come abbiamo evidenziato, la corretta distinzione di
funzioni, che vi deve essere tra gli interlocutori del dialogo, non può
significare né il completo isolamento di ciascuno nella propria scien­
za, né una manipolazione della distinzione stessa, lasciando la dia­
gnosi medica solo formalmente nell’ambito della sua competenza, ma
di fatto elaborandola con l’intenzione di determinare in modo univo­
co la risoluzione giuridica (33).

(31) Cfr. F. Loza, Ministério de verdad y de caridad, in lus Canonicum, 21


(1987), p. 610.
(32) Cfr. ad es. una coram Pinto, 28 aprile 1977, 12. Pompedda inoltre affer­
ma che « resterà sempre nella sfera dell’indagine giuridica stabilire se quella realtà
comprovata sia adeguata o meno ad istaurare un rapporto formalmente giuridico, ad
assumere oneri ed obbligazioni », Annotazioni circa !’« incapacitas assumendi onera
coniugalia », in lus Canonicum, 22 (1982), p. 199.
(33) Il Papa ha elencato diverse ipotesi di questa possibile manipolazione; in
particolare, il fatto che molte volte
414 JOSÉ TOMÁS MARTIN DE AGAR

In definitiva la perizia psichiatrica o psicologica non è una dia­


gnosi medica qualsiasi, ma una perizia, ossia una diagnosi specifica
intesa a fornire al giudice la certezza e l’analisi tecnica di alcuni fat­
ti, che si presentano come segnale o indizio di incapacità consensua­
le (*).
Il perito, nell’autonomia del suo sapere deve mettere le proprie
conoscenze al servizio delle finalità del processo, indagando con
apertura e profondità sulla

« natura e il grado dei processi psichici che riguardano il


consenso matrimoniale e la capacità della persona ad assume­
re gli obblighi essenziali del matrimonio » (1987, 2),

esprimendo le sue conclusioni in modo che il giudice possa trarne


le conseguenze giuridiche, senza però pretendere di tracciarle lui stesso
né di predeterminarle. Poiché, come abbiamo visto, soltanto le forme
più gravi di anomalie determinano una vera incapacità, è fondamentale
che dalla perizia medica si possa dedurre con chiarezza la loro maggiore
o minore gravità, in relazione alla prestazione del consenso matrimo­
niale, nei suoi aspetti intellettivi, volitivi ed operativi (cfr. 1988, 6),
analizzando tutta la personalità del soggetto, senza limitarsi soltanto
agli episodi e agli aspetti caratteriologici anormali o conflittuali.

2. Il giudice.
La maggior parte delle indicazioni e gli orientamenti del Santo
Padre nei suoi discorsi si riferiscono all’attività del giudice nelle cau­
se per incapacità.

« le analisi psicologiche e psichiatriche, anziché considerare “la natura e il


grado dei processi psichici che riguardano il consenso matrimoniale e la
capacità della persona ad assumere gli obblighi essenziali del matrimonio »
(1987, 2), si limitino a descrivere i comportamenti dei contraenti nelle di­
verse età della loro vita, cogliendone le manifestazioni abnormi, che ven­
gono poi classificate secondo una etichetta diagnostica. Occorre dire con
franchezza che tale operazione in sé pregevole, è tuttavia insufficiente ad
offrire quella risposta di chiarificazione che il giudice ecclesiastico attende
dal perito. Egli deve perciò richiedere che questi compia un ulteriore sfor­
zo, spingendo la sua analisi alla valutazione delle cause e dei processi di­
namici sottostanti » (1988, 7).

P4) Cfr. can. 1574 e 1680; L. Del Amo, Valoración e 1680; L. Del Amo,
Valoración jurídica del peritaje psiquiátrico..., in lus Canonicum, 22 (1982), p. 651­
706.
INCAPACITÀ CONSENSUALE NEI DISCORSI ALLA ROTA 415

Il che è logico, perché ne dialogo diritto-scienze della psiche il


giudice è colui che deve cercare questo dialogo, e trarne le conse­
guenze; la collaborazione scientifica serve alla sua funzione di dire il
diritto {ius dicere) nel caso concreto.
Senza pretendere di essere esaurienti, poiché il Papa scende a
molti dettagli, segnaliamo tre aspetti concreti dell’attività del giudi­
ce, che si riferiscono:
a) alla sua conoscenza delle cause psicopatologiche di incapa­
cità;
b) all’interpretazione delle perizie psichiatriche;
c) al corretto esercizio della sua funzione giudiziaria.

a) Il Papa riconosce con realismo che i progressi delle scienze


psicologiche possono contribuire a risolvere le cause di incapacità,
anche quando la filosofia che sottende queste scienze non è corretta,
e quindi limiti questo contributo. Per cui afferma che
« è, in ogni caso, fuori dubbio che una approfondita cono­
scenza delle teorie elaborate e dei risultati raggiunti dalle
scienze menzionate offre la possibilità di valutare la risposta
umana alla vocazione al matrimonio in un modo più preciso
e differenziato di quanto lo permetterebbero la sola filosofia
e la sola teologia » (1987, 2);

ma siccome
« gli approfondimenti circa la complessità ed i condiziona­
menti della vita psichica non devono far perdere di vista ta­
le intera e completa concezione dell’uomo » (1987, 6),

aggiunge che
« è da incoraggiare ogni sforzo nella preparazione di giudici
che sappiano scoprire e discernere le premesse antropologi­
che implicate nelle perizie » (1987, 8) (35).

b) Riguardo la valutazione che deve compiere delle perizie psi­


cologiche, il giudice ha innanzitutto
« il dovere di non lasciarsi suggestionare da concetti antropo­
logici inaccettabili, finendo per essere coinvolto in fraintendi­
menti circa la verità dei fatti e dei significati » (1987, 2);

(35) Cfr. L. Del Amo, La clave probatoria..., cit., p. 191.


416 JOSÉ TOMÁS MARTIN DE AGAR

invece

« il Codice, ai cairn. 1578-1579, esige espressamente dal giu­


dice che valuti criticamente le perizie. E importante che in
questa valutazione egli non si lasci ingannare né da giudizi
superficiali né da espressioni apparentemente neutrali, ma
che in realtà contengono delle premesse antropologiche inac­
cettabili » (1987, 8).

Si tratta innanzitutto di cogliere il concetto di uomo e di matri­


monio da cui parte la relazione del perito, per rendersi conto quanto
possa essere utile per conoscere la verità, senza accettarne acritica­
mente le conclusioni. Così potrà in modo fondato « esprimere quali
argomenti lo hanno indotto ad ammettere o respingere le conclusioni
dei periti » (can. 1579 § 2).
Pertanto, nel compiere questa valutazione, il giudice non si la-
scerà imporre, attraverso le perizie psichiatriche, una visione univoca
dei fatti, volta a dimostrare l’incapacità di una delle parti, deve, in­
vece,

« prendere in considerazione tutte le ipotesi di spiegazione


del fallimento del matrimonio, di cui si chiede la dichiara­
zione di nullità, e non solo quella derivante dalla psicopato­
logia » (1988, 8).

In effetti, alcune dottrine psicologiche ed anche giuridiche ten­


dono a considerare il fallimento del matrimonio come la prova evi­
dente, o almeno un chiaro indizio, di una incapacità. Di fronte ad
una situazione di rottura si potrebbe soltanto risalire ai fatti che
l’hanno preceduta, con l’unico scopo di scoprire e mettere in eviden­
za gli aspetti che riflettono l’anormalità o l’immaturità di uno dei co­
niugi:

« se si fa solo un’analisi descrittiva dei diversi comportamen­


ti, senza cercarne la spiegazione dinamica e senza impegnarsi
in una valutazione globale degli elementi che completano la
personalità del soggetto, l’analisi peritale risulta già determi­
nata ad una sola conclusione: non è infatti difficile cogliere
nei contraenti aspetti infantili e conflittuali che, in una simi­
le impostazione diventano inevitabilmente la “prova” della
loro anormalità, mentre forse si tratta di persone sostanzial­
mente normali, ma con difficoltà che potevano essere supe­
INCAPACITÀ CONSENSUALE NEI DISCORSI ALLA ROTA 417

rate, se non vi fosse stato il rifiuto della lotta e del sacrifi­


cio » (1988, 8).

Il fallimento è indice che vi sono state difficoltà non superate,


ma non è di per sé indice di incapacità (36).

c) Sul corretto esercizio della funzione giudiziaria, il Romano


Pontefice evidenzia inoltre che questo compito è un ministero di ve­
rità e di carità che contribuisce a conservare

« la genuinità del concetto cristiano del matrimonio, anche


in mezzo a culture o a mode che tendono ad oscurarlo » e
ad evitare « lo scandalo di vedere in pratica distrutto il valo­
re del matrimonio cristiano dal moltiplicarsi esagerato e qua­
si automatico delle dichiarazioni di nullità » (1987, 9).

Il giudice deve indagare sui fatti e valutare le prove in modo


autonomo e con criterio giuridico, dato dalla norma canonica e dai
principi che la ispirano, trovando
« l’equilibrio tra l’inderogabile difesa dell’indissolubilità del
matrimonio e la doverosa attenzione alla complessa realtà
umana del caso concreto. Il giudice deve agire imparzialmen­
te, libero da ogni pregiudizio: sia dal voler strumentalizzare
la sentenza per la correzione degli abusi, sia dal prescindere
dalla legge divina od ecclesiastica e dalla verità, cercando so­
lo di venire incontro alle esigenze di una male intesa pasto­
rale » (1984, 8) (}7).

La seria ricerca della verità che deve guidarne l’azione, impone


al giudice, come responsabile del processo, il dovere di rispettare la
competenza, la missione e l’autonomia specifica di tutti coloro che vi
intervengono, senza invadenze né rinunce, tenendo conto che tutti,
e ciascuno secondo la sua funzione, devono contribuire ad accertare
la verità, base della giustizia.

(36) « Mentre il perito parla di matrimonio invalido sottintende in realtà il ma­


trimonio infelice, al giudice ecclesiastico, in ordine al pronunciamento della sentenza,
non può che interessare la reale invalidità e non l’inefficacia di esso, anche qualora
questa abbia pure le radici psicologiche oltre quelle morali. In fondo facilmente si
vengono a confodere i matrimoni non riusciti con i matrimoni nulli », Z. Grocho-
LEWSKi, Il giudice ecclesiastico..., cit., p. 18.
(37) Vedi anche (1986 passim)-, M. Terol, La nulìdad matrimonial canónica des­
de el punto de vista pastoral, in lus Canonicum (1987), p. 159-179.
418 JOSÉ TOMÁS MARTÍN DE AGAR

Nel dialogo con il perito (psichiatra o psicologo) deve chiedergli


che metta la sua scienza al servizio della verità, senza limitarsi ad
una diagnosi episodica e superficiale, ma che

« compia un ulteriore sforzo, spingendo la sua analisi alla va­


lutazione delle cause e dei processi dinamici sottostanti.. »
poiché « solo tale analisi totale del soggetto, delle sue capaci­
tà, e della sua libertà di tendere ai valori autorealizandosi in
essi, è utilizzabile per essere tradotta, da parte del giudice,
in categorie canoniche » (1988, 7) (38).

3. Il difensore del vincolo.

Nella ricerca della verità sulle cause che spiegano un fallimento


matrimoniale è indispensabile l’intervento attivo del difensore del
vincolo. Al suo compito specifico nelle cause di nullità per incapacità
il Papa dedica il discorso di quest’anno (1988) (39).
Il suo ruolo di parte pubblica nel processo matrimoniale è con­
nesso alla tutela giuridica istituzionale che la Chiesa riserva al matri­
monio come fattore principale del bene comune: a lui tocca princi­
palmente rendere processualmente effettivo il favor iuris di cui gode
il matrimonio, proponendo ed esponendo tutto ciò che ragionevol­
mente si possa addurre contro la nullità. Nullità che non può essere
dichiarata se non è provata con certezza (40).
Nelle attuali circostanze il suo intervento come parte processua­
le è ancor più necessario per garantire il carattere contenzioso del
processo, perché se, teoricamente, i coniugi sono parti contrapposte
nel processo, spesso avviene purtroppo che nessuno dei due abbia un
vero interesse a difendere la validità di un matrimonio fallito. Piut­
tosto tendono ad illudersi con la possibilità di « rifarsi » una vita fa­

08) D’altra parte

« non deve pretendere dal perito un giudizio circa la nullità del matrimo­
nio, e tanto meno deve sentirsi obbligato dal giudizio che in tal senso il
perito avesse eventualmente espresso. La valutazione circa la nullità del
matrimonio spetta unicamente al giudice » (1987, 8).

(39) Si veda anche il discorso di Pio XII alla Rota del 1944.
{w) La stessa certezza che sarebbe necessaria per vietare a qualcuno il matrimo­
nio. C£r. can. 1432 e 1060; L. Del Amo, La defensa del Vinculo, Madrid, 1954, p. 134.
INCAPACITA CONSENSUALE NEI DISCORSI ALLA ROTA 419

miliare ed affettiva con una nuova unione matrimoniale, e a questo


fine indirizzano il loro comportamento processuale (41)-
Nelle cause per incapacità il Papa auspica

« che l’intervento del difensore del vincolo sia davvero qua­


lificato a perspicace, così da contribuire efficacemente alla
chiarezza dei fatti e dei significati, divenendo anche nelle
cause concrete, una difesa della visione cristiana della natu­
ra umana e del matrimonio » (1988, 3).

In effetti, il suo compito consiste nel mettere in evidenza gli


aspetti di verità (di fatto o giuridica) a favore del vincolo (42).
Tenendo conto delle difficoltà e degli equivoci che possono
sorgere nel dialogo tra giudice e perito, il difensore del vincolo è
chiamato

« a fare costante riferimento ad una adeguata visione antro­


pologica della normalità per confrontare con essa il risultato
delle perizie. Egli dovrà cogliere e segnalare al giudice
eventuali errori, a tale proposito, nel passaggio dalle catego­
rie psicologiche e psichiatriche a quelle canoniche » (1988,
10).
Al riguardo, il romano Pontefice indica diversi compiti e dove­
ri concreti del difensore del vincolo nello svolgimento dei processi
per incapacità. Innanzitutto, nell’elaborazione delle perizie in modo

« che al perito si facciano le domande in modo chiaro e


pertinente, che si rispetti la sua competenza e non si pre­
tendano da lui risposte in materia canonica» (1988, 12).

Poi, nella valutazione delle stesse, perché

« Non vengano accettate come sufficienti a fondare una


diagnosi, perizie scientificamente non sicure, oppure limita­
te alla sola ricerca dei segni abnormi » (1988, 11).

Questo, sempre nell’ambito della specifica competenza del di­


fensore del vincolo, ma usando tutti i mezzi che il diritto processua­li)

li) Vedi sul tema F. Gil De Las Heras, La impugnación de la sentencia por
el defensor del Vinculo..., in lus Canonicum, 2 (1981), p. 277-307. J. Llobell, Lo
« jus postulandi » e i patroni, in II processo matrimoniale canonico, cit., p. 194-196.
C2) Cfr. J.J. GargÍa Failde, Princípios inspiradores..., cit., p. 152.
420 JOSÉ TOMÁS MARTIN DE AGAR

le mette a sua disposizione, tra i quali il Papa cita i diritti di repli­


ca e di appello.
Avendo un compito così articolato ed importante, il difensore
del vincolo non può limitarsi al semplice studio degli atti processuali
nella fase conclusiva della causa, per trarne alcune oservazioni (43),
ma deve intervenire durante il processo come parte interessata in
modo che siano acquisiti e tenuti presenti tutti i dati e le argomenta­
zioni giuridiche che si oppongono alla dichiarazione di nullità.
Di fronte ad una prassi che riduce l’attuazione del difensore del
vincolo « a qualche insignificante adempimento formale » (1988, 2),
il Romano Pontefice considera il suo ruolo di grande importanza ed
auspica che sia svolto

« con competenza, chiarezza ed impegno specialmente per­


ché ci troviamo di fronte ad una crescente mentalità poco ri­
spettosa della sacralità dei vincoli assunti » (1988, 14).

F. Conclusioni.

Ormai al termine di questa relazione possiamo trarre alcune


conclusioni dallo studio che abbiamo fatto sulle cause di incapacità,
seguendo le recenti indicazioni del Papa. Tra i vari punti esaminati
mi semba importante evidenziare i seguenti:
1) La valutazione canonica dell’incapacità consensuale deve par­
tire da una visione cristiana dell’uomo e del matrimonio, con il con­
seguente realismo nella valutazione delle sue potenzialità, degli osta­
coli che si oppongono alla sua vocazione e dei mezzi umani e sopran­
naturali che ha per superarli (44).

(45) Tuttavia, questo a volte avviene e il Papa cerca di correggere con fortezza
questa possibile passività:

« quando la sua partecipazione al processo si esaurisce nella presentazione


di osservazioni soltanto rituali, ci sarebbe fondato motivo per dedurne
una inammissibile ignoranza e/o una grave negligenza che peserebbe sulla
coscienza di lui, rendendolo responsabile, nei confronti della giustizia am­
ministrativa dei tribunali » (1988, 13).

(44) Nella valutazione dei fatti bisogna tenere presente che

« il fallimento dell’unione coniugale, non è mai in sé una prova per dimo­


strare tale incapacità dei contraenti, i quali possono aver trascurato, o usato
male, i mezzi sia naturali che soprannaturali a loro disposizione, oppure non
aver accettato i limiti inevitabili ed i pesi della vita coniugale » (1987, 7).
INCAPACITÀ CONSENSUALE NEI DISCORSI ALLA ROTA 421

2) In questa prospettiva si devono elaborare i concetti fonda­


mentali che entrano in gioco nelle cause per incapacità (normalità,
maturità, ecc.), tenendo presente che la capacità a contrarre non si
può valutare in relazione alla pienezza ideale nel possesso o nello svi­
luppo delle facoltà spirituali della persona, ma va riferita al consenso
naturalmente sufficiente; alla capacità di tendere ai valori, di assu­
mere il matrimonio come una voacazione umana e cristiana, che si
dovrà raggiungere con sforzo e con l’accettazione dei limiti propri e
dell’altro coniuge (45).
3) In questo contesto si comprende il criterio chiaramente
enunciato da Giovanni Paolo II, in base al quale

« solo le forme più gravi di psicopatologia arrivano ad intac­


care la libertà sostanziale della persona » (1988, 6),

mentre le altre malattie possono costituire un limite, un ostacolo,


una riduzione, ma non rendono incapace il soggetto.
Vorrei infine ricordare quanto dissi all’inizio: il Papa, non ha
voluto nei suoi discorsi dire cose nuove, né aprire orizzonti scono­
sciuti alla ricerca, né risolvere gli interrogativi che il progresso delle
scienze psicologiche pone al diritto. Ha voluto piuttosto ricordare le
basi su cui si deve fondare tutto il lavoro giuridico ecclesiale.
Nello sfondo delle sue indicazioni è sempre presente il contrasto
tra una visione dell’uomo chiusa alla trascendenza, quantomeno a li­
vello di prassi, e la concezione cristiana. Questa, pur essendo la più
esigente, allo stesso tempo esalta e tiene conto nella giusta misura
delle potenzialità dell’uomo, della sua capacità di lotta, dell’impegno
non in cose che non costano o finché non costano, ma in ciò che è
arduo, allo sforzo per amore. Al riguardo, si legge nel discorso del
1982:

« In verità, sarebbe demolirla (la natura umana), il rite­


nerla incapace d’un impegno vero, d’un consenso definitivo,
d’un patto di amore che esprime quello che essa è » (n. 8).
Affrontando l’argomento nel campo giuridico, il Romano Ponte­
fice viene anche a ribadire che il senso della giustizia deve essere an-

Pertanto si devono ricercare tutte le cause di una rottura coniugale.


(45) Infatti, secondo il can. 1057 § 2, ciò che principalmente si dona e si ac­
cetta mediante il consenso non sono diritti e doveri astratti, ma la persona nella sua
sponsalità.
422 JOSÉ TOMÁS MARTIN DE AGAR

corato alla verità, quindi per il canonista anche al sentire cum Ec­
clesia.
Forse per molti di voi queste cose sono ben note e vissute. A
tutti però può essere utile risentirle, soprattutto per riflettere sui
motivi e il fine che hanno spinto il Santo Padre a fare questi inter­
venti, e per impegnarci ad assecondarlo, con il nostro lavoro univer­
sitario, nel compito di promozione e difesa del matrimonio, che spet­
ta a tutta la Chiesa C16).

(•’6) per una interessante impostazione del lavoro che spetta al canonista in
questa materia P.J. Viladrich, Matrimonio e sistema matrimoniale della Chiesa, in
Quaderni Studio Rotale, I, Roma, 1987, p. 21-46.
MARIO F. POMPEDDA

IL PROCESSO CANONICO DI NULLITÀ DI MATRIMONIO:


LEGALISMO O LEGGE DI CARITÀ?

1. Il carattere pastorale del diritto canonico e gli aspetti giuridici della pastorale. —
2. La specificità dell’ordinamento della Chiesa: a) giustizia e carità; b) giustizia e ve­
rità; c) giustizia e diritto divino; d) giustizia e diaconia istituzionale. — 3. Principi
informatori del nuovo processo matrimoniale: a) l’obbligo di cercare la conciliazione
tra i coniugi; b) la semplificazione delle forme processuali. — 4. Libertà del giudice
nel momento probatorio: preeminenza della verità oggettiva sulla verità formale. —
5. Conflittualità tra foro interno e foro esterno?

1. Il carattere pastorale del diritto canonico e gli aspetti giuridici della


pastorale.

Il processo di nullità di matrimonio trova la sua collocazione si­


stematica nel libro VII del nuovo codice di diritto canonico, che
tratta appunto « dei processi », in genere e specifici, dell’ordinamen­
to ecclesiale; ma, a sua volta, lo stesso libro VII è parte integrante e
costitutiva dell’intero codice canonico.
Sembra quindi evidente che un discorso, quale è quello che ci
accingiamo a fare, non può essere disgiunto dal discorso generale cir­
ca la funzione nella Chiesa del diritto canonico, né staccato specifi­
catamente dal problema del rapporto — possibile, necessario, di fat­
to — intercorrente fra un tale diritto e la legge di carità, quale que­
sta è precetto primario ed essenziale stabilito da Cristo a fondamen­
to di tutto il suo messaggio evangelico.
Non possiamo quindi non porci la domanda preliminare: il dirit­
to canonico, perché? Non vi è forse contrasto tra i sommi principi
della carità, necessariamente soggettiva, e l’oggettività di una norma
di diritto? I precetti dell’amore e del perdono non bastano a regola­
mentare la vita di coloro che credono in Cristo? Il messaggio evange­
lico non si inaridisce se viene calato nelle forme, per loro natura rigi-
424 MARIO F. POMPEDDA

de, del diritto? È veramente conforme al mistero della Chiesa di Cri­


sto la presenza di un ordinamento che poggia, per antica tradizione,
sulla ragione naturale oltre che sui precetti divini? 0).
Dobbiamo allora — posta per il momento come dimostrata la
legittimità delFesistenza stessa nella Chiesa del diritto canonico —
guardare alle sorgenti di questo ordinamento ed affermare con Paolo
VI che esso dovrà giustificarsi dal riferimento al principio evangelico
dell’amore di Dio e dell’amore del prossimo « del quale tutta la legi­
slazione ecclesiastica dovrà essere permeata, anche se l’ordine della
comunità cristiana e la supremazia della persona umana, a cui tutto
il diritto canonico è rivolto, esigeranno l’espressione razionale e tec­
nica propria del linguaggio giuridico » (2).
Il riferimento supremo del diritto canonico alla carità e alle sue
esigenze implica la ragione stessa dell’esistenza della Chiesa, l’evan­
gelizzazione cioè e lo stabilimento del regno di Cristo, regno bensì
di giustizia, ma anche di amore e conseguentemente di pace. Di qui
l’ispirazione ideale della revisione del codice canonico, secondo i
principi dettati dal sinodo dei vescovi del 1967: tra essi in primo
luogo « figura quello della pastoralità: di favorire cioè nel diritto la
cura pastorale delle anime, avendo il diritto della Chiesa ragione di
sacramentum o di signum », la promozione cioè della vita soprannatu­
rale dei fedeli; lo stesso Sinodo fissava alcuni elementi di questa pa­
storalità: per esempio, nelle leggi avrebbe dovuto trasparire lo spirito
di carità, di umanità e di benignità che è proprio della Chiesa; non
si sarebbe dovuta perseguire soltanto la giustizia, ma dare molto spa­
zio alla equità, ecc. (3).
Né sembra, d’altro canto, che si possa sostenere l’assunto per
cui la pastorale dovrebbe essere libera da legami giuridici per essere
in grado di sviluppare la propria efficacia, quasi che la norma giuri-

0) Così si chiede O. Fumagalli Carulli, La codificazione canonica: vecchi e


nuovi interrogativi, in Legalità e giustizia, n. 2/83, p. 222.
(2) Discorso di Paolo VI al Tribunale della Rota del 28 gennaio 1972, A.A.S.,
64 (1972), p. 202. Cfr. F. Romita, La «caritas christiana», sorgente dell’ordinamento
giuridico della Chiesa dopo il Vaticano II, in Monitor Ecclesiasticus, 97 (1972) I, p.
201-219.
(3) Card. R. Castillo Lara, Criteri di lettura e comprensione del nuovo Codice,
in Utrumque lus, 9 (1983), p. 27. Cfr. Discorso di Paolo VI del 19 febbraio 1977 ai
partecipanti al Congresso Canonìstico Intemazionale presso la Pont. Univ. Gregoriana,
A.A.S., 69 (1977), p. 208 ss.; V. Bertolone, La salus animarum nell'ordinamento
giuridico della Chiesa, Roma, 1987.
LEGGE E CARITA NEL PROCESSO MATRIMONIALE 425

dica per sua stessa natura renda difficile l’azione pastorale e che que­
sta esiga uno spazio di autonomia non componibile con le limitazioni
imposte dalla legge canonica. Si può infatti agevolmente ribattere
che « la norma vincolante non è ostacolo, ma appoggio, alveo, difesa
contro il disordine e l’ingiustizia. E sebbene l’azione pastorale si
debba adeguare alle circostanze concrete, ciò deve essere fatto ordi­
natamente come chiedeva San Paolo nell’uso dei carismi (1 Cor. 14,
40). Nella pastorale la spontaneità e la creatività non vanno confuse
con l’improvvisazione e l’arbitrio. Il diritto canonico cristallizza una
preziosa esperienza di secoli che, convenientemente aggiornata, offre
parametri sicuri per orientare la pastorale. E non va dimenticato che
lo stesso diritto canonico prevede e provvede i necessari mezzi per
temperare la rigidità della norma, quando questa impedisse in qual­
che forma il bene spirituale » dei soggetti (4).
Se dunque diritto canonico non può esservi che non rifletta e
non si accordi con le supreme esigenze della carità, è in primo luogo
da ricercare la ragione della stessa esistenza, anzi della necessità che
esista un diritto nella Chiesa.
Questa di fatto « si presenta a chiunque la osservi senza pregiu­
dizi come fortemente radicata nel tempo e nello spazio, dotata di
una precisa e articolata organizzazione descrivibile in termini giuridi­
ci, politici e sociologici, attenta a utilizzare tutti i mezzi che le pos­
sono consentire una più incisiva presenza nella vita e nella storia de­
gli uomini. Tutto ciò può certamente essere giudicato come un tradi­
mento da chi la vorrebbe puramente « spirituale » e totalmente « ce­
leste », ma non è certamente questo il pensiero del Concilio Vatica­
no II che, ripetendo e confermando un insegnamento quanto mai
tradizionale, non solo rifiuta decisamente ogni immagine « spirituali­
stica » della Chiesa, ma respinge anche energicamente qualunque
tentativo di separarne e contrapporne l’aspetto « visibile » e quello
« spirituale », l’elemento « terrestre » e quello « celeste » (5)-
Né può dirsi che questa immagine della Chiesa appartenga uni­
camente al nostro tempo o che essa sia il frutto di una evoluzione
storica, mossa da motivazioni contingenti, se non anche da impulsi

(4) Card. R. Castillo Lara, Criteri... cit., p. 28.


(5) G. Feliciani, Le basi del diritto canonico. Bologna, 1984, p. 59. Cfr. Di­
scorso di Paolo VI del 24 novembre 1971, in Communicationes, 3 (1971), p. 134 ss.;
Valsecchi-Rossi, La norma morale, Bologna, 1971, p. 101 ss.; ma soprattutto le ap­
passionate e puntuali pagine in merito scritte da O. Giacchi, Il consenso nel matri­
monio canonico, Milano, 1973, p. 6 ss.

28. lus ccctcsiae - 1989.


426 MARIO F. POMPEDDA

attribuibili unicamente a fattori umani. La Chiesa infatti sin dall’i­


nizio si è considerata come un complesso di uomini di stabile con­
sistenza, esternamente individuabile attraverso pubblici riti e predi­
cazione, fornita di organi di governo, di santificazione e di istru­
zione. Quando si parla dell’organizzazione delle comunità cristiane
si fa riferimento o a delle volontà esplicite dello stesso Fondatore
ovvero a disposizioni di autorità competenti. La vita che i cristiani
debbono vivere per essere tali è regolata da norme ben precise che
esigono una indiscutibile accettazione. In altre parole: accanto alla
fede e alle verità che la Chiesa implica nel suo esistere concreto in
comunità, vi sono norme di comportamento ugualmente vincolanti,
norme cioè disciplinari, norme di diritto (6).
Quindi l’immagine della Chiesa fin dal suo esordio dimostra
chiaramente e immediatamente « la necessità della sua dimensione
giuridica », poiché « là dove vi è società vi è anche necessariamen­
te diritto, dal momento che nessuna società può vivere senza un
ordinamento giuridico ». Se ne deve concludere — e sul piano sto­
rico e sul piano della necessità ontologica derivante dall’essere so­
cietà visibile — che il diritto canonico « non solo non è in contra­
sto con l’essenza della Chiesa ma costituisce un fattore necessario e
insostituibile della sua esistenza »; e poiché teologicamente è incon­
cepibile che la Chiesa si sia data un’immagine aliena essenzialmen­
te dalla volontà di Cristo — e ciò per la sua indefettibilità stessa
—, possiamo con sicurezza affermare che tale diritto della Chiesa
« non solo non è in contrasto con il messaggio evangelico, ma deri­
va dalla volontà dello stesso Cristo che ha istituito la Chiesa come
società » (7).
Tutto ciò è ancora in piena sintonia con l’insegnamento del
Vaticano II che « parla di un popolo costituito in una comunione
di vita e di carità »; e « poiché ci troviamo di fronte ad una plura­
lità di persone che formano insieme una realtà unitaria, dobbiamo
sottolineare la necessaria relazionalità e la reciproca complementa­
rietà di tutti nel costituire il segno sacramentale di un popolo in
comunione »; quindi « una comunità strutturata secondo le esigenze
della sua natura e del suo fine che deve raggiungere », ed in questa

(6) Cfr. Card. A. Stickler, Teologia e diritto canonico nella storia, in Teologia
e diritto canonico. Città del Vaticano, 1987, p. 18.
(7) G. Feuciani, o.c., p. 60 ss. Cfr. A. Boni, he fonti di diritto nella struttura
del nuovo CIC, in Utrumque lus, 9 (1983), p. 40 ss.
LEGGE E CARITA NEL PROCESSO MATRIMONIALE 427

necessaria relazione dei battezzati tutti, secondo la collocazione di


ciascuno nel Corpo mistico di Cristo che è la Chiesa, « possiamo già
individuare il primo fondamento di una dimensione giuridica » di
essa (8).
In questa prospettiva la Costituzione Apostolica Sacme discipli-
nae leges, con cui Giovanni Paolo II promulgava il vigente codice di
diritto cnonico, « precisa che la nuova legge certamente non ha co­
me scopo di sostituire la fede, la grazia e i carismi, ma di assicurare
ordine, sia nella vita individuale e sociale, sia nell’attività stessa del­
la Chiesa »; e dopo aver ribadito la necessità di norme, essendo la
Chiesa organizzata come una compagine sociale e visibile, la citata
costituzione conclude che tali norme sono finalizzate a « regolare,
secondo una giustizia basata sulla carità, le relazioni tra i fedeli »,
così che infine « le iniziative comuni prese per una vita cristiana
sempre più perfetta vengano sostenute, rafforzate e promosse grazie
alle norme canoniche » (9).
Se il fin qui detto è servito a ricordare che la stessa esistenza
della Chiesa esige che vi sia un diritto di essa, non possiamo tutta­
via perdere di vista la sua natura e la ragione ultima di tale diritto.
Esso infatti non può essere considerato soltanto « uno strumen­
to utile ma contingente, preso a prestito da culture con le quali la
Chiesa ha convissuto, legato ad esse e come queste caduco. Esso è
viceversa strumento essenziale, perché essenziale nella Chiesa è l’uo­
mo e tutto ciò che serve a realizzarlo » (10). Ma parliamo dell’uomo
così come ce lo presenta il messaggio evangelico, l’uomo da redime­
re, l’uomo da liberare, l’uomo da amare. In tal modo la finalità del­
la Chiesa e conseguentemente, anzi necessariamente anche la finali­
tà e la ragione stessa di esistere in essa di un diritto specifico deve
trovare la propria connotazione, la sua indole caratteristica: specifi­
cità che tuttavia non può non essere incidente anche sul diritto pro­
fano o laico che dir si voglia, se è vero, come è vero, che il regno
di Dio deve essere fermento animatore, sale vivificante di ogni
aspetto dell’umana convivenza e di ogni rapporto fra gli uomini. Ma
questo è un altro discorso.

(8) A. Longhitano, Il diritto nella-realtà ecclesiale, in II diritto nel mistero della


Chiesa, Roma, 1986, p. 78. Cfr. A. Boni, o.c., p. 35 ss.
(9) O. Fumagalli Carulli, o.c., p. 224.
(lü) G. Lo Castro, Il soggetto e i suoi diritti nell'ordinamento canonico, Milano,
1985, p. 8.
428 MARIO F. POMPEDDA

2. La specificità dellordinamento della Chiesa:

a) Giustizia e carità.
Dobbiamo invece ricordare che « giustizia e carità, per essere
autentiche, devono associarsi ed integrarsi indissolubilmente; se è ve­
ro, come dice San Tommaso, che misericordia senza giustizia è ma­
dre della dissoluzione, è anche vero che giustizia senza misericordia
è crudeltà, per cui possiamo affermare... che la giustizia senza l’amo­
re è vuota, la compassione senza una retta norma è cieca » (n).
Del resto questa mirabile interconnessione non era sfuggita nep­
pure alla saggezza pagana, se Marco Tullio Cicerone poteva afferma­
re: « Studiis officiisque scientiae praeponenda esse officia justitiae,
quae pertinent ad hominum caritatem; qua nihil homini debet esse
antiquius » (12).
Ma evidentemente altra cosa sono l’ispirazione, la natura e il
contenuto della charitas cristiana, e quindi più profondo appare l’in­
segnamento delPAquinate ove ricorda l’intrecciarsi, in reciproca esi­
genza, di giustizia e carità, prima di tutto perché entrambe parallela­
mente tendono insieme a Dio e all’uomo: come nell’amore di Dio,
egli insegna, è incluso l’amore del prossimo, così ugualmente nel fat­
to che l’uomo serve Dio è incluso che a ciascuno egli renda ciò che
gli è dovuto (1J).

b) Giustizia e verità.
Ma vi è un altro principio, fondamentale ed illuminante per il
nostro stesso argomento, che dobbiamo ancora riportare da San
Tommaso: l’equiparazione cioè della giustizia con la sapienza divina e,
in ultima istanza, con la verità stessa; se ne deve concludere che, esi­
gendo la giustizia che si realizzi la carità, questa come quella mai po­
tranno essere disgiunte dalla verità. La giustizia di Dio, cioè, quella
che costituisce e radica nelle cose l’ordine congruente con la raziona­
lità della sua sapienza, che è poi la sua legge, ben a ragione ed op­
portunamente viene chiamata verità (14). Ma in tutte le opere di Dio
vi è misericordia e giustizia: misericordia in quanto presuppone la ri-

(n) R. Pizzorni, Giustizia e carità, Roma, 1980, p. 166.


(12) M.T. Cicero, De officìis, I, 43.
(13) Summa Theologiae, II-II, q. 58, art. 1, ad 6.
(H) Summa Theologiae, I, q. 21, art. 2.
LEGGE E CARITÀ NEL PROCESSO MATRIMONIALE 429

mozione di ogni difetto della natura razionale; Dio tuttavia nulla


può fare che non sia conveniente alla sua sapienza e bontà, e quin­
di in ogni opera di Dio è necessariamente presente la giustizia: ma
l’opera della divina giustizia presuppone sempre l’opera di miseri­
cordia (15).
Del resto siamo tutti convinti che la prima prova di amore
verso il nostro prossimo è proprio quella di usargli giustizia, di ri­
spettarne integralmente i diritti: la vera carità vuole cioè prima di
tutto la giustizia, base necessaria della vita sociale, dove deve re­
gnare l’ordine, ed ognuno deve poter disporre di sé ed appartener­
si; possiamo anzi dire che deve essere l’amore a spingere « alla co­
noscenza sempre più adeguata e profonda dei diritti e dei bisogni
del prossimo; altrimenti sarebbe una menzogna, una ipocrisia, una
maschera o mistificazione dell’ingiustizia » (16).
E se vogliamo ancora ispirarci all’insegnamento di San Tom­
maso, come poc’anzi ricordavamo, applicando questi principi ge­
nerali al nostro discorso possiamo ben dire che, non potendosi
avere amore di Dio senza amore per il prossimo, l’amore di Dio
spingerà il giudice a rendere giustizia alle parti volendo il loro
bene: e qui il bene del prossimo è innanzi tutto ciò che gli è dovu­
to secondo l’ordine stabilito dalla Legge eterna e precisata, per il
foro ecclesiastico, dalla legge canonica (17). Quindi l’amore verso le
coppie infelici o sfortunate — per riferirci ancora al nostro ar­
gomento — deve essere armonizzato con l’amore verso Cristo e la
sua legge; soltanto infatti amando Cristo e la sua legge, si può pre­
stare ai fedeli, sul piano esistenziale, un amore efficace e saluti­
fero (18).
Tutto ciò naturalmente presuppone che lo stesso ordinamento
canonico sia ispirato e contenuto nell’ambito della vera carità, del
genuino amore cristiano, se non si vuole cadere nel positivismo e
nel formalismo. Inoltre la chantas, come vita divina partecipata al­
l’uomo, costituisce anche il legame sociale dei cristiani in quella co-

(15) Summa Theologiae, I, q. 21, art. 4.


(16) R. Pizzorni, o.c., p. 167 ss.
(17) Cfr. Card. A. Jullien, Juges et Avocats des Tribunaux de l'Église, Roma,
1970, p. 50.
(18) Cfr. Z. Grocholewski, Aspetti teologici dell’attività giudiziaria della Chie­
sa, in Teologia e diritto canonico, Città del Vaticano, 1987, p. 207.
430 MARIO P. POMPEDDA

munita religiosa che è la Chiesa di Cristo; occorrerà allora afferma­


re e realizzare effettivamente un ordinamento della Chiesa che non
sia mutuato da nessun altro ordinamento sociale e civile, ma che
sia invece l’espressione di quella realtà divina che è la charitas, par­
tecipata al cristiano. Il che significa che l’esistenza della Chiesa,
come frutto dell’amore salvifico divino, pone un nuovo tipo di giu­
ridicità e una prospettiva di ordinamento della Chiesa assolutamen­
te originali e diversi da qualsiasi altra giuridicità e da qualsiasi al­
tro ordinamento (19).

c) Giustizia e diritto divino.


Del resto tale ordinamento della Chiesa ha una sua peculiarità
che sostanzialmente lo distingue da ogni altro ed essa è costituita
proprio dal suo contenuto.
In realtà l’attuale dottrina canonistica giustamente riconosce e
sottolinea con maggior chiarezza che nel concetto di diritto canoni­
co è compreso essenzialmente non soltanto il complesso di norme
prodotte dall’autorità ecclesiale, ma anche il cosiddetto jus positi-
vum divinum (20). Anzi, il diritto divino svolge una funzione limite
nei confronti del diritto umano in quanto questo secondo non può
né violare il primo né derogargli; tuttavia lo stesso diritto divino
non è soltanto limite ma è anche « la norma fondamentale e il nu­
cleo essenziale » di tutta la legislazione umana ecclesiale; lo stesso
potere dell’autorità ecclesiastica « non trova in sé la sua legittima­
zione, né, tanto meno, la deriva dal consenso dei membri della
Chiesa » ma trae il suo fondamento dalla volontà di Cristo (21).

d) Giustizia e diaconia istituzionale.


Vi è infine un ultimo aspetto, anch’esso sostanziale, su cui
dobbiamo insistere per intendere la legge canonica, e che attiene al
rapporto fra Xistituzione — la Chiesa e chi in essa detiene il pote­
re — e i soggetti del medesimo ordinamento: è un aspetto questo
che ci porterà al cuore del nostro argomento, a dire cioè qualcosa

09) Cfr. R. Pizzorni, O.C., p. 252 ss.


(20) Cfr. F. Coccopalmerio, Diritto ecclesiale e norma canonica, in Diritto,
persona e vita sociale (Scritti in memoria di Orio Giacchi), vol. I, Milano, 1984, p.
239.
(21) G. Feliciani, o.c., p. 66 ss.
LEGGE E CARITA NEL PROCESSO MATRIMONIALE 431

sul ministerium justitiae, quale è appunto e deve essere il processo


canonico in genere, ed in special modo quello di nullità di matri­
monio.
Il diritto cioè non può essere riduttivamente considerato quasi
fosse « un’esigenza dell’autorità della Chiesa o della sua organizza­
zione, né può essere inteso solamente come il prodotto della mani­
festazione di una volontà autoritativa necessaria per oganizzare la
dimensione sociale (ecclesiale) e per obbligare l’uomo (il fedele) al
perseguimento di scopi individuati o imposti dalla società e da chi
nella società detiene il potere » (2Z). Dobbiamo invece pensare ed
affermare che il diritto canonico « trascende nel suo fondamento la
norma positiva e la volontà particolare da cui questa deriva, essen­
do riconducibile ad un’esigenza intrinseca dell’uomo e della sua li­
bertà difettiva: di trattare ed essere trattato con giustizia nelle di­
verse dimensioni, compresa la religiosa, che compongono la condi­
zione umana, nel riconoscimento e nel rispetto di ciò che lo costi­
tuisce persona ed inscindibilmente gli appartiene » (23).
Torna qui opportuna la rilettura di una pagina di Jacques Ma­
ritain sulla Chiesa: « di per sé, autorità e libertà sono sorelle ge­
melle che non possono fare a meno l’una dell’altra, e l’autorità
negli uni è per la libertà negli altri... L’autorità della Chiesa ha
lo scopo di liberare ognuno nella Verità, di liberarlo dalla schiavi­
tù nei riguardi del peccato e del principe di questo mondo, e di in­
trodurlo nella libertà dei figli di Dio, guidati dallo Spirito » l24).
Dobbiamo quindi rallegrarci, osservava ancora Maritain, che il con­
cetto di autorità come servizio sia divenuto uno dei luoghi comu­
ni preferiti dall’intellighenzia contemporanea, ma insieme conclu­
deva: «È un concetto che ci è stato insegnato dal Vangelo... Au­
guriamoci soltanto che sia ben capito, e che un po’ di demagogia
non lo svilisca facendoci credere che per servire bene coloro che si
è incaricati di comandare, non si dovrebbe solo tener conto, per
quanto possibile, dei loro desiderata, ma farsi Ì semplici esecutori di
essi » (25).

(22) G. Lo Castro, o.c., p. 5 ss.


(23) Ib. cfr. anche J. Maritain, La Chiesa del Cristo, trad. ital., Brescia, 1977,
p. 73 ss.
(24) J. Maritain, o.c., p. 71 ss.
(25) Ib.
432 MARIO F. POMPEDDA

Concetti questi richiamati più volte da Paolo VI: « Per Gesù,


per il Concilio, per la Chiesa, l’autorità è servizio. Questa equazio­
ne: autorità eguale servizio è severa e perentoria... — non per nul­
la l’esercizio dell’autorità nella Chiesa si chiama ministero; e non
per nulla l’autorità della Chiesa ha carattere pastorale » (26). Come
prima dicevamo: la funzione di giudicare è un servizio, è il ministe-
rium justitiae.
Si capovolge così il concetto impositivo, per essere quindi l’au­
torità in funzione, in servizio del soggetto dell’ordinamento, anzi
da esso legittimata e postulata; ma nell’ordinamento canonico il
soggetto trascende la stessa nozione di persona, quale è offerta dalle
legislazioni statali, essendo esso invece il fedele, secondo la defini­
zione data dal canone 204: non se ne può né se ne deve prescinde­
re in alcuno degli aspetti, siano essi il sostantivo o il penale o il
processuale, che a lui attengono. Se tale nozione è formalmente
giuridica, sostanzialmente è invece concetto di carità articolandosi,
come indica il canone citato, e dipendendo dal battesimo attraverso
l’incorporazione in Cristo.
Del resto, la formale introduzione nel testo normativo della
nozione di christifidelis (termine molto più significativo e pregnante
dell’italiano « fedele ») « mostra che il Codice ha due anime: la
strettamente tecnica giuridica, la teologica (ecclesiologica); la prima
dipendente pur sempre dalle costruzioni secolari giuridiche; la se­
conda riflettente le « ragioni » peculiari dell’ordinamento canonico.
Queste due anime si sono affermate e sviluppate autonomamente,
benché parallelamente, alla ricerca di un raccordo soddisfacente e
rappresentano la nota peculiare del nuovo codice del 1983 » (27).

3. Principi informatori del nuovo processo matrimoniale.

Esula dall’ambito di questo nostro discorso l’accertamento o la di­


mostrazione che i principi informativi fin qui ricordati siano stati di fat­
to tradotti concretamente ed abbiano regolato la formulazione dei cano­
ni di tutto il vigente codice della legge della Chiesa: dobbiamo invece
restringere la nostra attenzione al processo di nullità di matrimonio.

(26) Discorso di Paolo VI del 25 agosto 1971, in Communicationes, 3 (1971), p.


125.
(27) G. Lo Castro, o.c., p. 55.
LEGGE E CARITA NEL PROCESSO MATRIMONIALE 433

Ma non per questo — anche facendo astrazione dalla peculiare


e specifica importanza dell’argomento — tale restrizione è da inten­
dere racchiusa e conclusa in se stessa, riflettendosi al contrario sul­
l’intero complesso delle norme ecclesiali. Infatti a nessuno sfugge
che, qualunque ordinamento giuridico si consideri, e quindi anche
quello della Chiesa, « il momento processuale vi ha un peculiare rilie­
vo: ne rappresenta quasi l’aspetto dinamico; ne può riuscire lo spec­
chio delle più rilevanti caratteristiche rispetto alle altre esperienze
giuridiche ed al suo stesso interno »; in altre parole, possiamo ben
dire che la procedura « manifesta ottimamente lo spirito del diritto
sostantivo » (28).
Di fatto la normativa processuale non può essere distaccata dal
corpo della legislazione canonica complessiva, né per quanto concer­
ne le finalità, né per quanto riguarda lo spirito propulsore, né infine
per lo stesso contenuto intrinseco. Già quel grande Pontefice del no­
stro tempo che fu Pio XII aveva solennemente ricordato al Tribuna­
le della Rota che « l’amministrazione della giustizia della Chiesa è
una funzione della cura delle anime, un’emanazione di quella potestà
e sollecitudine pastorale, la cui pienezza e universalità sta radicata e
inclusa nella consegna delle chiavi al primo Pietro » (29). Ed in modo
specifico il processo matrimoniale nel foro ecclesiastico è « una fun­
zione della vita giuridica della Chiesa », che pur non essendo tutta la
Chiesa ne rappresenta in qualche modo « soltanto il corpo, che deve
essere vivificato dallo spirito »; e poiché la Chiesa tutta nel suo cor­
po e nella sua anima « è costituita esclusivamente per la salvezza del­
le anime », ne consegue che a questa superiore unità e a questo supe­
riore scopo « sono destinate e si dirigono la vita giuridica e ogni giu­
ridica funzione nella Chiesa » (30).
Ma vi è di più. L’attività giuridica infatti e particolarmente la
giudiziaria nulla ha da temere da tale subordinazione al servizio delle
anime; anzi essa « ne è fecondata e promossa. La necessaria larghez-* 33 * * 36

(28) R. Bertolino, La tutela dei diritti nella Chiesa, Torino, 1983, p. 11 ss.
Cfr. M.F. Pompedda, Diritto processuale nel nuovo Codice di diritto canonico: revisio­
ne o innovazione?, Roma, 1983.
(29) Allocuzione al Tribunale della Rota di Pio XII del 3 ottobre 1941, A.A.S.,
33 (1941), p. 421. Sul significato di una genuina pastoralità nella trattazione delle
cause di nullità di matrimonio, cfr. P. Wesemann, Das erstinstanzliche Gericht und
seine pastorale Aufgabe, in Dilexit Iustitiam, Città del Vaticano, 1984, p. 91 ss.
(30) Allocuzione al Tribunale (Leila Rota di Pio XII del 2 ottobre 1944, A.A.S.,
36 (1944), p. 281.
434 MARIO F. POMPEDDA

za di vedute e di decisione ne è assicurata, poiché, mentre la unila­


terale operosità giuridica nasconde sempre in sé il pericolo di un
esagerato formalismo e attaccamento alla lettera, la cura delle ani­
me garantisce un contrappeso, mantenendo desta nella coscienza la
massima: Leges propter homines, et non homines propter leges. Per­
ciò... là ove la lettera della legge fosse di ostacolo al raggiungimen­
to della verità e della giustizia, deve sempre essere aperto il ricorso
al legislatore » (31). Queste ora dette sono ancora parole da Papa
Pio XII pronunziate in altra occasione: e l’argomento potrebbe svi­
lupparsi ulteriormente con riferimento a tutta l’opera interpretativa,
e giurisprudenziale specificatamente, che l’ordinamento canonico ha
consentito ed ancora consente, proprio in una visuale di sano uma­
nesimo pur sempre nel supremo rispetto della legge divino-natura-
le (32). Ma restiamo nel campo del nostro oggetto di studio.
A tal proposito ci sia consentito ricordare che proprio il Conci­
lio Vaticano II aveva espresso il voto che nelle norme da promulga­
re circa il processo matrimoniale risaltasse e si affermasse lo spirito
di carità e di mansuetudine di Cristo, che fu sempre perenne regola
d’oro della Chiesa e che deve compenetrare le leggi e i processi (33).
Quindi a buon diritto si può affermare che è lo stesso ordinamento
ecclesiale a reclamare l’applicazione dei principi teologici della cari­
tà e della mansuetudine nelle cause matrimoniali; inoltre, come ave­
va ancora inculcato il Sinodo dei Vescovi del 1967 (34), una coordi­
nazione tra foro esterno e foro interno dovrebbe condurre a far
sparire completamente o a ridurre al minimo qualsiasi conflitto fra i
due medesimi; ma insieme appartiene allo spirito del diritto canoni­
co di tendere e, per quanto possibile, semplificare la procedura e
giungere alla scoperta della verità in modo diretto e umano-persona­
le (35).

(31) Ih..
(32) Cfr. M.F. Pompedda, La giurisprudenza come fonte di diritto nell'ordina­
mento canonico matrimoniale, in Quaderni - Studio Rotale, I, Roma, 1987, p. 47­
72.
(33) Cfr. I. Gordon, De nimia processum matrimonialium duratione, Factum -
Causae - Remedia, in Periodica, 58 (1969), p. 563.
(34) Voto del Sinodo dei Vescovi del 1967, in Communicationes, 1 (1969), p.
79. Per rendersi conto delle mutate condizioni culturali nella Chiesa, in proposito,
si confronti quanto scriveva, per esempio, V. Bartoccetti, De causis matrimoniali-
bus, Romae, 1951, p. 10* ss.
(33) Cfr. R. Bertolino, o.c., p. 20 ss.
LEGGE E CARITA NEL PROCESSO MATRIMONIALE 435

Conseguentemente possiamo dire che i criteri fondamentali che


hanno guidato il legislatore nell’elaborazione del processo canonico,
principalmente fra gli altri, sono stati:
— la tutela più oggettiva della verità e della giustizia, attraverso
un maggior potere discrezionale del giudice;
— la celerità nell’amministrazione della giustizia;
— la semplicità della procedura;
— la flessibilità e sensibilità di fronte alle culture e agli usi loca­
li (36)-
Sono stati attuati concretamente questi principi e questi criteri
informatori nella revisione della legislazione canonica del processo
matrimoniale, quale si delinea nel codice del 1983?
È ciò che ci accingiamo ad esaminare.

a) Uobbligo di cercare le conciliazioni tra i coniugi.


Vi è innanzi tutto una norma, che sottende un principio fonda­
mentale di tutto l’ordinamento processuale canonico e sulla quale oc­
corre fermare la nostra attenzione.
Trattando infatti delle disposizioni disciplinari attinenti ai Tribu­
nali, il legislatore ecclesiastico opportunamente ha premesso: « Tutti i
fedeli, e anzitutto i vescovi, si adoperino con diligenza affinché, fatta
salva la giustizia, le liti in seno al popolo di Dio, nei limiti del possibi­
le, siano evitate e quanto prima siano pacificamente composte » (37); e
a tal fine il giudice dovrà « in limine litis » ma anche in ogni altro mo­
mento del processo concorrere a che le parti trovino un’equa soluzio­
ne alla controversia che le oppone, ovvero, ove si tratta di interesse
privato, vedere la possibilità di un giudizio transattivo o arbitrale (38).
Norma questa e principio che discendono e si accordano piena­
mente colle supreme esigenze della charitas christìana. Del resto, il do­
vere cristiano di evitare le liti è un insegnamento e un precetto non
nuovi, che tuttavia conviene sempre ricordare (39). Storicamente poi,
dal secolo VII al XII l’attività del processo ecclesiastico — come sap­
piamo — tendeva non tanto ad una sentenza giudiziaria, quanto piut­
tosto ad una riconciliazione fra le parti.

(36) Cfr. J. Ochoa, I processi canonici in generale, in Vltrumque lus, 9, Roma,


1983, p. 439 ss. Cfr. anche R. Bertolino, o.c., p. 23.
(37) Can. 1446 § 1; nello stesso senso anche il can. 1925 ss. CIC/1917; cfr. Le-
ga-Bartoccetti, Comm. in iudicia eccles., vol. Ili, Romae, 1941, p. 115 ss.
(38) Can. 1446 §§ 2-3.
(39) Mi., 18, 15-16.
436 MARIO F. POMPEDDA

Il canone testé ricordato e citato è giustamente considerato da


taluno come fondamentale di tutto il sistema processuale canonico,
così che questo settore è ritenuto « uno dei meglio riusciti della nuo­
va codificazione, ove si può toccare con mano che il diritto canonico
non rincorre astratte certezze, ma si colora dei concreti attributi, usa­
ti per contraddistinguerlo, già dal suo primo codificatore, Graziano:
la temperanti, la humanitas, la asperitatis remissio, la caritas. Qui dav­
vero, si ha la consapevolezza che nella Chiesa il processo, di qualun­
que tipo: penale, amministrativo, contenzioso, è la extrema ratio-, che
il diritto processuale è strumentale alla salus animarum-, che l’esterna
composizione delle liti poco conta se non segua il ripristino della ri­
conciliazione vera dei fedeli, in sé, tra sé e con la Chiesa » (40).
La norma è formulata in senso generale, nessuno essendo escluso
dei processi canonici, così che uno specifico tentativo di conciliazione
è previsto anche nelle cause di nullità matrimoniale: in esse al giudice
è richiesto di utilizzare ogni mezzo pastorale per indurre i coniugi, se
è possibile, a convalidare eventualmente il matrimonio e a ristabilire
la convivenza coniugale (41)-
Il canone, cui ora facciamo riferimento, non trovava riscontro —
si noti — nel codice abrogato del 1917 e risponde alla preoccupazione
pastorale della Chiesa di evitare, per quanto possibile come si diceva,
controversie legali in genere ed in particolare quelle relative al matri­
monio sacramento.
Naturalmente, trattandosi qui di materia riguardante il pubblico
interesse e quindi indisponibile per una transazione o per un arbitrato
fra le parti, gli unici mezzi che possono essere usati (42) sono la conva­
lida del matrimonio (4ì) e il ristabilimento della vita comune coniuga­
le. Del resto in questo senso era stato disposto un articolo (44) dell’I­
struzione Provida Mater Ecclesia, così che un matrimonio nullo, speci­
ficatamente per difetto di consenso, potesse eventualmente essere sa­
nato.
A nessuno sfugge tuttavia che, sul piano pratico, quando uno o
entrambi i coniugi si rivolgono al tribunale ecclesiastico per dare ini-

(40) R. Bertolino, o.c., p. 121, 122 s.


(«) Can. 1676.
(«) Cfr. can. 1691, 1715 § 1.
(4ì) Can. 1156 ss. Cfr. M.F. Pompedda, Consenso matrimoniale - Convalidazio­
ne semplice e sanzione in radice, in II matrimonio canonico in Italia, Brescia, 1984, p.
141 ss.
(44) Instrução diei 15 augusti 1936, art. 65.
LEGGE E CARITÀ NEL PROCESSO MATRIMONIALE 437

zio ad una causa di nullità, ordinariamente ogni possibilità di ricon­


ciliazione e di restaurazione della convivenza è ormai preclusa, per
sopravvenute ed irreparabili situazioni concrete; anzi la richiesta e
l’aspettativa di una dichiarazione di nullità corrispondono ad una
esigenza di sanzione di nuove unioni, di fatto o secondo la legge ci­
vile, nel frattempo costituitesi. Talora addirittura una riunione dei
coniugi sarebbe impensabile, dannosa ed impossibile giuridicamente,
mancandone i presuppoti psichici, fisici e morali. Di qui la necessità
di instaurare il processo canonico di nullità. Esso — e questo è l’og­
getto del nostro discorrere — si presenta in perfetta sintonia con i
principi ispiratori di tutto il diritto canonico e pienamente congruen­
te con le esigenze della charitas christiana, quanto meno per la non
prevalenza dell’aspetto formalistico, se non anche per la totale assen­
za di esso.

b) La semplificazione delle forme processuali.


Su due linee può riscontrarsi chiaramente la verità di questo
nostro assunto: una, sul piano strettamente processuale; la seconda,
su quello contenutistico e specificatamente in materia di prove e di
valutazione di esse.
Iniziamo dalla prima, sulla quale sarà sufficiente — poiché que­
sta non vuole essere una lezione di diritto processuale matrimoniale
—■ offrire brevissimi cenni, toccando tuttavia i punti che riteniamo
allo scopo più significativi.
Già la determinazione della competenza del tribunale ha, pro­
prio nel processo di dichiarazione di nullità matrimoniale, un criterio
di ampiezza non seguito per cause di altro genere, laddove si consen­
te di adire il tribunale del domicilio della stessa parte attrice od an­
che del luogo ove dovranno essere raccolte la maggior parte delle
prove (45). Negare che questa sia norma pienamente rispondente al­
l’utilità dei soggetti, pur entro le condizioni poste dal legislatore a
tutela dei diritti di tutti e della maestà della giustizia, sarebbe disco­
noscere la verità delle cose.
Ma non meno ispirata alle esigenze della carità e dei diritti dei
fedeli è l’altra norma che consente, attraverso l’istituto del gratuito
patrocinio o della riduzione delle spese processuali C6), a qualsiasi
persona anche priva di possibilità economiche, di introdurre e fare

C5) Can. 1673.


(46) Can. 1649 § 1.
438 MARIO F. POMPEDDA

una causa di nullità di matrimonio e di esercitare, quindi, un suo


pieno diritto.
Mi sia consentito tuttavia, a questo proposito, proporre qualche
rilievo proprio nella prospettiva dalla quale siamo partiti e nella quale
finora ci siamo mossi. È un problema gravissimo ancora oggi quello del
« costo » della giustizia ecclesiastica, in modo speciale per quanto con­
cerne la procedura di dichiarazione di nullità di matrimonio. A nessu­
no sfugge che idealmente, nell’ordine della carità cui facciamo costante
riferimento, l’ottima condizione sarebbe che nella Chiesa ottenere giu­
stizia fosse completamente grauito per i fedeli. Il legislatore canonico
in proposito ha insinuato la possibilità (47) di costituire presso ciascun
tribunale un corpo di avvocati, stipendiati dal tribunale stesso, i quali
soprattutto nelle cause matrimoniali esercitino il proprio ufficio di
procuratori o difensori per le parti che preferiscano sceglierli.
È altrettanto evidente che l’organismo giudiziario ha anche altre
esigenze ed altri costi: ma perché quella della giustizia, cioè dei tribu­
nali, almeno per quanto concerne le cause di nullità di matrimonio,
non dovrebbe essere una voce legittima e necessaria, e non secondaria
almeno ad altre, di quelle che figurano nei bilanci delle Chiese partico­
lari, diocesane, provinciali, regionali o nazionali che siano?
Ancora sul piano del rispetto della dignità e parità delle persone
tanto il canone (48) che, soppressa la figura della contumacia, si limita
a far dichiarare « assente » la parte che non si presenti in giudizio,
pur garantendole tutti i diritti spettanti alla medesima; quanto gli al­
tri canoni che secondo equità e giustizia esigono che, come le cause
debbono essere assegnate ai giudici per rotazione (49), così analoga­
mente anche il loro studio e cioè la trattazione avvenga seguendo
l’ordine cronologico di presentazione al tribunale di messa a ruolo
ossia di protocollo (50).

(47) Can. 1490. Vi è da chiedersi, scrivevo altrove, se questo non sia un com­
promesso tra chi rivendica in modo assoluto il diritto alla difesa esercitato attraver­
so persona di propria fiducia e chi invece preme perché, almeno nelle cause matri­
moniali, il patrono sia sempre dato d’ufficio: M.F. Pompedda, Diritto processuale...
cit., p. 19.
(48) Can. 1592. Cfr. M.F. Pompedda, L’assenza della parte nel giudizio di nulli­
tà di matrimonio, Roma, 1986; S. Villeggiante, Lo « jus defensionis denegatum » e il
diritto di difesa della parte dichiarata assente, in Monitor Ecclesiasticus, I-II, 1986, p.
202 ss.
(49) Can. 1425 § 3.
(50) Can. 1458.
LEGGE E CARITÀ NEL PROCESSO MATRIMONIALE 439

Né meno significative sembrano essere le norme attinenti alla ce­


lerità con cui si devono condurre i processi; poiché una giustizia resa
con ritardo spesso equivale a giustizia rifiutata, e trattandosi nei pro­
cessi canonici soprattutto di cause di notevole interesse e urgenza spi­
rituale, il vigente Codice, riducendo di metà i tempi suggeriti da quel­
lo del 1917, sollecita (51) giudici e tribunali a definire tutte le cause
quanto prima sia possibile, in primo grado entro un anno e in seconda
istanza non oltre i sei mesi, naturalmente senza che ne abbia scapito
la giustizia omettendo, per esempio, prove importanti e soprattutto
valutando superficialmente le cause stesse.
In modo specifico in quelle matrimoniali, qualora una prima sen­
tenza abbia dichiarato il matrimonio nullo, entro venti giorni deve es­
sa essere trasmessa con gli atti al tribunale di appello; e questo con
decreto dovrà senza indugio dichiarare se intende confermare la deci­
sione o se invece rinvia la causa al giudizio ordinario di secondo gra­
do (52).53
Si provvede ancora alla celerità dei processi di nullità di matri­
monio ove si dispone per il passaggio alla dispensa, qualora sorga dal­
l’istruttoria il dubbio sulla inconsumazione (”); come si consente,
contrariamente al principio generale valido per i processi in gene­
re (54), che in appello possa essere aggiunta una nuova causa petendi
ovvero un nuovo capo di nullità da giudicare come se lo si trattasse in
prima istanza (55).
Se il processo, in qualsiasi ordinamento, è per sua natura pubbli­
co, non per questo la norma canonica si pone in contrasto ove stabili­
sce che (56) venga osservato il segreto, da parte di tutti coloro che in­
tervengono nella causa, ogni qual volta la natura della causa stessa o
delle prove sia tale che la divulgazione di atti intacchi la buona fama
di altri o si dia ansa a dissidi, scandalo od altro simile inconveniente.
L’importanza di questa disposizione nelle cause matrimoniali è parti­
colarmente evidente, poiché in esse occorrono quasi sempre fatti e
circostanze intime e attingenti alla sfera delle cose più private.
Infine è da ricordare una norma, del tutto nuova, introdotta nel
processo di nullità di matrimonio: la sentenza cioè deve ammonire le

(5i) Can. 1453.


(32) Can. 1682.
(53) Can. 1681.
(54) Can. 1639.
(55) Can. 1683.
(56) Can. 1455 § 3.
440 MARIO F. POMPEDDA

parti sugli obblighi morali od anche civili cui eventualmente sono te­
nute, e che quindi non cessano dall’avere vigore in coscienza, anche
dopo la dichiarazione di nullità, sia reciprocamente di una parte ver­
so l’altra sia nei confronti della prole, per quanto concerne il mante­
nimento e l’educazione (57). Se tale disposizione può rappresentare
un raccordo — sul piano morale e di coscienza — tra l’ordinamento
canonico che rimette al magistrato laico quanto attiene agli effetti
puramente civili del matrimonio (58) e l’ordinamento dello Stato, essa
è allo stesso tempo espressione dell’indole peculiare del diritto della
Chiesa, attento alle esigenze della giustizia formale unitamente a
quelle della legge di coscienza e di carità.

4. Libertà del giudice nel momento probatorio: preminenza della veri­


tà oggettiva sulla verità jormale.

Ma dobbiamo ormai arrivare a quell’altro aspetto del processo


canonico di nullità che attiene al contenuto, ossia alla delicatissima
materia delle prove e della valutazione di esse. È qui soprattutto
che, a mio parere, si pone il gravissimo problema se, cioè, ci si trovi
dinanzi ad una costruzione giuridica ove prevalga il legalismo ovvero
se in essa spetti il primato ancora alla carità. Carità tuttavia intesa
nel senso come l’abbiamo fin qui descritta, come legge cioè di impe­
gno nella verità di ricerca della giustizia, di rispetto della persona
umana ed in particolare del « christifidelis », dell’effettuazione — in
questo campo ancora — di quel regno di amore istituito da Cristo.
Non possiamo infatti dimenticare, come finora abbiamo cercato
di ricordare e dimostrare, che « al pari di qualunque istituto della
Chiesa, anche l’intiero sistema processuale canonico è chiamato a sa­
pere armonizzare in se stesso, in puntuale equilibrio, istanze tecni­
che e prospettive metagiuridiche; esigenze formali e finalità metapro­
cessuali. Di fatti, pur appartenendo al settore più « formale » dell’or­
dinamento canonico e consistendo di aspetti prevalentemente tecni­
ci, non vi è dubbio che anche nel processo il formalismo giudiziale
risulti insopportabile » (59).
Il diritto della Chiesa — come ancora abbiamo avuto modo di
accennare — è al contempo umano e divino: questo fonda quello ed

(57) Can. 1689.


(58) Can. 1672.
(59) R. Bertolino, o.c., p. 13.
LEGGE E CARITA NEL PROCESSO MATRIMONIALE 441

è ad esso sovraordinato: quindi il diritto della Chiesa è per sua natu­


ra incompatibile con ogni concezione puramente formalistica e posi­
tivistica che attribuisca alle prescrizioni legali un valore assoluto ed
esclusivo. La sua certezza, quindi, non è di carattere formale ma so­
stanziale, in quanto non è assicurata dalla legalistica osservanza delle
singole disposizioni stabilite dall’autorità ecclesiastica, ma dalla coe­
renza dell’intero sistema giuridico, nella sua globalità e nelle sue spe­
cificazioni, ai principi fondamentali posti dal diritto divino.
Il giudice quindi non potrà mai sacrificare la verità e la giustizia
alle esigenze della certezza formale che richiede, sempre e comun­
que, l’osservanza della legge, ma dovrà, privilegiando lo « spirito »
sulla « lettera », valutare il caso sottoposto al suo esame alla luce dei
principi fondamentali dell’ordinamento e individuare, su tale base, la
norma più adeguata a garantire la realizzazione del fine perseguito
dal diritto della Chiesa (60).
Quindi possiamo dire che vi è un sano formalismo giuridico nel
processo canonico, se si ha di mira la certezza del diritto e questa at­
traverso la formazione di una morale certezza, veramente e retta­
mente oggettiva. Quando tuttavia il meccanismo legale diviene inuti­
le al raggiungimento della morale certezza sulla verità oggettiva, ma
soltanto in questa ipotesi, ci si deve allontanare da esso perché altri­
menti riuscirebbe alieno al diritto divino e quindi sterile per il Popo­
lo di Dio (61).
Queste che abbiamo testé sintetizzate sembrano essere invero le
linee e il filo conduttore su cui si muove il legislatore canonico nella
costruzione del sistema processuale in genere ed in specie di quello
di nullità di matrimonio: attività del giudice nel raccogliere le prove
e discrezionalità amplissima nella valutazione di esse pur sul fonda­
mento oggettivo ex actis et probatis (62).
Dove infatti un preteso legalismo del processo canonico di nulli­
tà di matrimonio trova la sua più chiara e convincente smentita, raf­
forzandosi l’assunto di uno spirito di umanità e per ciò stesso di cari­
tà in esso operante, è appunto la fase giudiziale istruttoria prima e va­
lutativa poi, altro criterio non essendo stato stabilito dal Legislatore
ecclesiastico se non quello di una tensione vivissima nella ricerca del-

(60) Cfr. G. Felictant, o.c., p. 67 ss.


(61) Cfr. P.A. Bonnet, De iudicis sententia ac de certitudine morali, in Periodi­
ca, 75 (1986), p. 92 ss.
(S Can. 1608 § 2.

29. lus ecclesia/- - 1989.


442 MARIO F. POMPEDDA

la verità, di un rispetto a tutto campo della dignità della persona, di


un giudizio slegato da schemi formalistici e lasciato al libero convin­
cimento del giudice. Dobbiamo pertanto preliminarmente ed in via
generale ricordare che per una giusta definizione delle cause di nulli­
tà di matrimonio « i canoni relativi non possono essere considerati
come delle ricette o come delle etichette da applicarsi formalistica­
mente senza discrezione. Il processo è cosa viva, aderente alla realtà,
e il suo intento è di scoprire, attraverso una equilibrata dialettica, la
verità delle cose »; per conseguenza la valutazione delle prove da
parte del giudice è di grande importanza: il che richiede nel giudice
« un equilibrio psicologico, una rettitudine e imparzialità a tutta pro­
va, ed una conoscenza del diritto e della giurisprudenza » adegua­
ta (63).
La ricerca della verità si attua colla norma generale per la qua­
le (64) il giudice, una volta introdotta legittimamente la causa (65), ha
piena iniziativa processuale, trattandosi nel processo matrimoniale di
causa che interessa il bene pubblico della Chiesa e la salvezza delle
anime; egli cioè potrà sempre procedere d’ufficio, sia sul piano stret­
tamente procedurale cioè di impulso del processo, sia sul piano più
propriamente istruttorio. Anzi — ed è questa una novità introdotta
dal vigente codice, che riveste un notevole significato e contiene un
profondo senso di giustizia sostanziale —, il giudice può supplire l’i­
nerzia delle parti nell’addurre prove o nell’opporre eccezioni, tutte le
volte che riterrà necessario al fine di evitare una sentenza in­
giusta (66).
In particolare, in questa ricerca della verità il giudice potrà sem­
pre interrogare le parti, anzi lo deve fare sia su richiesta della parte
stessa sia qualora l’interesse pubblico esiga che sia rimosso un dub­
bio qualsiasi circa un determinato fatto (67): ed anche questa è norma
specificatamente valida nelle cause matrimoniali.
Se per un principio generale (68) è data facoltà al giudice di am­
mettere prove di qualunque specie, lecite naturalmente, che appaiano
utili alla conoscenza della causa, si deve parimenti ricordare la norma

(63) Card. P. Felici, Discorso del 21 febbraio 1977, in Coramunicationes, 9


(1977), p. 180.
(M) Can. 1452 § 1.
(65) Can. 1501.
(66) Can. 1452 § 2.
H Can. 1530.
H Can. 1527 § 1.
LEGGE E CARITA NEL PROCESSO MATRIMONIALE 443

per la quale (69), trattandosi in specie dei processi matrimoniali,


non esistono termini perentori per l’istruzione anche dopo essere
stata dichiarata la conclusione in causa: e ciò non soltanto ove, su
richiesta delle parti, vi siano motivi gravi per riaprire l’istruttoria,
ma anche tutte le volte che verosimilmente si giungerebbe in caso
contrario ad una sentenza ingiusta.
Se verità e ricerca di essa è sinonimo di carità, come finora
abbiamo dimostrato, i cenni fatti debbono necessariamente già
escludere che il processo di nullità sia fondato e pervaso di forma­
lismo.
Ma vi è di più. È noto infatti che nella moderna procedura
giudiziaria anche ecclesiastica non deve essere posto in prima linea
il principio del formalismo giuridico, ma la massima del libero ap­
prezzamento delle prove: il giudice, senza pregiudizio delle prescri­
zioni processuali, deve decidere secondo la propria scienza e co­
scienza se le prove addotte e l’inchiesta ordinata sono o no suffi­
cienti, bastevoli cioè alla necessaria certezza morale circa la verità
e la realtà del caso da giudicare.
Non vi è dubbio che talora possono sorgere conflitti tra il
formalismo giuridico e il libero apprezzamento delle prove, ma essi
sono per lo più apparenti (70). Come infatti «una è la verità ob­
biettiva, così anche la certezza morale obbiettivamente determina­
ta non può essere che una sola. Non è dunque ammissibile che un
giudice dichiari di avere personalmente, in base agli atti giudiziari,
la morale certezza circa la verità del fatto da giudicare, e al tem­
po stesso deneghi, in quanto giudice, sotto l’aspetto del diritto
processuale, la medesima obbiettiva certezza. Tali contrasti do­
vrebbero piuttosto indurlo a un ulteriore e più accurato esame
della causa. Essi derivano non di rado dal fatto che alcuni lati
della questione, i quali acquistano il loro pieno rilievo e valore
soltanto considerati nell’insieme, non sono stati rettamente valuta­
ti, ovvero che le norme giuridico-formali sono state interpretate
inesattamente o applicate contro il senso e l’intenzione del legisla­
tore » (7I)-

(69) Can. 1600.


(70) Cfr. Card. P. Felici, Discorso... cit., p. 179.
(71) Allocuzione al Tribunale della Rota di Pio XII del Io ottobre 1942,
A.A.S., 34 (1942), p. 338. Cfr. T. Giussani, Discrezionalità del giudice nella valuta­
zione delle prove, Città del Vaticano, 1977.
444 MARIO F. POMPEDDA

5. Conflittualità tra foro interno e foro esterno?


Qui si innesta il delicatissimo problema, sollevato ai nostri
giorni con urgenza talora drammatica (72) in modo particolare per
i cattolici divorziati e risposati civilmente, circa una (esistente ?
possibile ?) conflittualità tra foro intemo e foro esterno: problema
che spesso parte da una ambiguità di fondo, circa cioè la non di­
mostrabilità della nullità di determinati matrimoni, e da una affer­
mazione indimostrata, che sembra ignorare la prassi e la giurispru­
denza effettive (ma anche la normativa canonica) in materia matri­
moniale.
L’ambiguità sta laddove non si riesce a comprendere se si fac­
cia riferimento ad una convinzione soggettiva (che può essere della
persona interessata oppure di altri, quali il confessore, il parroco o
il vescovo), ovvero se si includano le motivazioni oggettive di tale
convincimento. Se infatti la conflittualità poggia sul presupposto
che vi è convinzione soggettiva, senza motivazione oggettiva, cade
lo stesso concetto di certezza morale, mancando il fondamento di
questa. Si avrebbe così una semplice convinzione del soggetto che
in nessun caso può equivalere a certezza morale: quindi la solu­
zione in foro interno, in questa ipotesi, presupporrebbe un assurdo,
una opposizione allo stesso diritto naturale, a nessuno essendo le­
cito di contrarre nuove nozze senza che si abbia certezza della
nullità delle precedenti (ciò a parte la positiva norma canonica,
che presuppone un accertamento formale della nullità: can. 1085,
§ 2).
Ancor più problematica appare la conflittualità, ove si presen­
tano motivazioni oggettive che tuttavia, si ipotizza, non possono es­
sere addotte nel foro esterno.
Qui già a priori l’ambiguità appare nel fatto che, se esistono
motivazioni oggettive e tali da indurre in certezza morale, non si
vede come questa, valevole nel foro interno, non debba anche ri­
scontrarsi ed affermarsi nel foro esterno.
Mi sembra dunque che la soluzione di questo problema e il
superamento dell’asserita conflittualità possano ottenersi dalla preci­
sazione di tre questioni: concetto di certezza morale, valore delle
affermazioni delle parti cioè dei coniugi, e prova desunta da un so-

(72) Cfr. M.F. Pompedda, La questione dell'ammissione ai sacramenti dei divor­


ziati civilmente risposati, in L’Osservatore Romano del 13 settembre 1987, p. 8.
LEGGE E CARITÀ NEL PROCESSO MATRIMONIALE 445

10 teste. Questioni che, se precisate, dimostreranno ancora una volta


anche l’infondatezza di una visione legalistica e formalistica del pro­
cesso di nullità di matrimonio.
Siamo perfettamente d’accordo — e chi ne potrebbe dubitare
dopo l’alto insegnamento di Pio XII (73) e la positiva norma canoni­
ca (74)? — che il giudice ecclesiastico pronunzia sentenza secondo
convincimento della propria coscienza, cioè per certezza morale, ma
questo convincimento deve essere il risultato dell’esame del fonda­
mento oggettivo. La valutazione del dato oggettivo è nel pieno, au­
tonomo, sovrano potere del giudice e quindi insindacabile (poiché at­
tiene alla di lui coscienza); ma il dato oggettivo deve esserci, anzi de­
ve essere espresso nella motivazione della sentenza, altrimenti
avremmo l’arbitrarietà assoluta.
Vi è poi, in tale fondamento oggettivo della certezza, la valuta­
zione dei fatti e delle circostanze attinenti al singolo caso concreto e
dedotti da quanto avvenne prima e dopo il matrimonio. Spesso in
giurisprudenza si ripete che i fatti hanno maggior valore delle parole:
11 che, da una parte, è principio cui si ricorre per coprire lacune pro­
batorie soprattutto ove testi mancano o sono poco informati; ma,
dall’altra parte, la convalida dei fatti serve a dare riscontro oggettivo
alle parole dei coniugi e dei testi, conferendo a questi credibilità in­
trinseca. Di qui tutta l’opera del giudice (75) nel costruire le prove in­
dirette o di presunzione, fondate su fatti certi confluenti in una uni­
ca ed univoca direzione.
Indubbiamente le norme positive della procedura canonica, in
fatto di prove e di valutazione di esse, devono essere lette alla luce
soprattutto della giurisprudenza (76), ma nello stesso tempo non pos­
siamo negare che tali norme fissate nel nuovo codice riflettano un
indirizzo di grande rispetto per la persona ed insieme di profonda
umanità, quindi di genuina carità.
Già il fatto che le dichiarazioni delle parti siano collocate come
primo capitolo delle prove è molto significativo, poiché « essa sem­
bra voler togliere quel pizzico di sospetto col quale la precedente
normativa guardava alle deposizioni delle parti, cui veniva negato

(73) Cfr. Allocuzione... cit. (del Io ottobre 1942).


(74) Cfr. can. 1608 CIC/1983 e can. 1869 CIC/1917.
(75) Cfr. M.F. Pompedda, De usti praesumptionum contra matrimonii valorem,
in L’Année Canonique, t. XXII, 1978, p. 33-41.
(76) Cfr. can. 6 § 2.
446 MARIO F. POMPEDDA

ogni valore probatorio, con una sottesa sfiducia di fondo verso la


persona umana » (77).
In realtà, tanto la cosiddetta confessione giudiziale (78), quan­
to quella stragiudiziale (79), non sono prive di valore neppure nel­
le cause di interesse pubblico, quali quelle matrimoniali: dobbia­
mo tuttavia chiederci se la deposizione del coniuge sia per se
stessa sufficiente per indurre quella certezza morale di cui si di­
ceva.
La risposta, secondo la giurisprudenza rotale prevalente, è
senz’altro affermativa, soprattutto se insieme con detta deposizio­
ne concorrono altri indizi, circostanze o amminicoli in favore della
tesi sostenuta (80). E la normativa canonica del nuovo codice sem­
bra con ciò congruente: non soltanto perché non respinge a priori
che esse possano avere forza probante, come poc’anzi si diceva;
ma perché soprattutto, specificatamente nelle cause di nullità di
matrimonio lo stesso testo codiciale (81) suggerisce il modo di poter
conferire valore di piena prova alle deposizioni dei coniugi, qualo­
ra manchino altre prove, ricorrendo cioè alla credibilità delle stes­
se parti, nonché agli indizi o amminicoli.
Parimenti la libera valutazione del giudice può giungere a cer­
tezza morale anche sulla deposizione di un solo teste: il vecchio bro­
cardo unus testis, nullus testis, di chiaro significato formalistico e le­
galistico, può essere e di fatto è stato superato non tanto in virtù

(77) C. Zaggia, Iter processuale di una causa matrimoniale secondo il nuovo Co­
dice di Diritto Canonico, in II matrimonio nel nuovo Codice di Diritto Canonico, Pa­
dova, 1984, p. 217. Il principio, più che dal testo del codice, veniva dalla cit.
Istruzione Provida Mater Ecclesia, art. 116 e art. 117.
(78) Can. 1536. Cfr. I. Gordon, Novus processus nullitatis matnmonii, Romae,
1983, p. 23, nota c.
(79) Can. 1537.
(80) Cfr. Card. P, Felici, Discorso... cit., p. 180 ss., con la giurisprudenza ivi
citata a mò di esempio.
(81) Can. 1679. Opportunamente ha scritto I. Gordon, « valor et utilitas
huis “argumenti moralis” nititur in eo quod coalescit ex paucis omnino elementis
obiectivis, sed ita arcte inter se devinctis, ut requisitam certitudinem in animo iu-
dicis gignere valeat. Itaque matrimonia quae asseruntur obiective invalida, per hanc
saltem viam calia demostrari debent; quodsi talia non demonstrentur, merito cen-
sendum est agi de invaliditate potius subiectiva. Est igitur haec “probatio subsidia­
ria” medium a legislatore sapienter oblatum ut sic dictis « casibus fori interni »,
qui revera tales sunt, solutionem in foro iudiciali afferai »: Novus processus... cit.,
p. 33, nota r.
LEGGE E CARITÀ NEL PROCESSO MATRIMONIALE 447

della giurisprudenza anteriore al codice, ma ora anche per le nor­


me positive da questo introdotte (82).
Possiamo allora concludere che lo spirito del diritto canonico,
la tradizione giuridica della Chiesa e la normativa del vigente codi­
ce nulla hanno a che fare con il legalismo formalistico, in modo
specifico per quanto concerne il processo di nullità di matrimonio.
Dobbiamo piuttosto osservare che tutto ciò sarà inutile sapere
ed aver ricordato « se non vi saranno persone sagge ed esperte che
sappiano far vivere la legge con sapienza, giustizia e carità, cioè
con spirito pastorale » (83)-

(82) Can. 1573. Cfr. Card. P. Felici, Discorso... cit., p. 182 ss.; « Magna no­
vi tas est quod unius testis depositio plenam fidem facere possit, quando « rerum et
personarum adiuncta » id iudici suadeant »: I. Gordon, Novus processus... cit., p.
26, nota e. Cfr. anche il can. 1572.
(83) Card. P. Felici, Discorso... cit., p. 184. Cfr. Ch. Lefebvre, Du juge ecclé­
siastique, in Diritto, persona e vita sociale (Scritti in memoria di Orio Giacchi), voi.
II, Milano, 1984, p. 107.
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PIO CIPROTTI

LA GIUSTIZIA AMMINISTRATIVA NELL’ORDINAMENTO


GIURIDICO VATICANO

1. Premessa. — 2. Norme comuni. — 3. In particolare, la giustizia amministrativa


in tema di rapporto di lavoro. — 4. Norme speciali per alcune categorie di atti. —
5. Giurisprudenza recente.

1. Premessa.

Nella legislazione dello Stato della Città del Vaticano non è


prevista alcuna giurisdizione amministrativa sul tipo di quella esi­
stente, con varie modalità, in molti Stati; perciò le controversie de­
rivanti da atti amministrativi sono attribuite alla competenza, se­
condo i casi, dell’autorità giudiziaria ordinaria o del Sommo Ponte­
fice, salvo quanto vedremo in materia di lavoro.
Anzi è questo il campo in cui l’attività, ormai sessantennale,
degli organi giudiziari della Città del Vaticano, fuori della materia
penale, è stata più abbondante, soprattutto per cause intentate da
impiegati e pensionati.
Quando nel 1932 le controversie di natura patrimoniale o eco­
nomica di competenza del foro ecclesiastico vennero attribuite al
giudizio di una Commissione (M.P. Al fine, del 21 settembre
1932), i giudizi si svolsero anche relativamente ad atti amministra­
tivi, aventi contenuto patrimoniale od economico, emanati in ambi­
to ecclesiastico, quali, ad esempio, erano quelli relativi al rapporto
d’impiego o al trattamento di quiescenza del personale della Santa
Sede o della Fabbrica di San Pietro.
Questa situazione continuò anche quando, con l’Ordinamento
giudiziario del 1946 (M.P. Con la le^ge, del Io maggio) fu prevista
una particolare composizione del tribunale per quelle controversie
di competenza del foro ecclesiastico. Ma, costituita nel 1968 la
450 PIO CIPROTTI

sez. II del Supremo Tribunale della Segnatura Apostolica, con


competenza a giudicare, tra l’altro, le controversie derivanti da atti
dei dicasteri della Curia Romana, l’ambito di competenza degli or­
gani giudiziari dello Stato della Città del Vaticano si ridusse, es­
sendo state sottratte al Tribunale, e conseguentemente anche alla
Corte d’appello e alla Corte di cassazione, le materie attribuite alla
competenza della Segnatura 0). E ciò è rimasto, ovviamente, anche
dopo la riforma, attuata il Io gennaio 1988, che ha separato netta­
mente le competenze giudiziarie in materia ecclesiastica e in mate­
ria laicale (M.P. Quo civium iura, del 21 novembre 1987, e legge
pari data n. CXIX): questa riforma — con cui è stato istituito un
tribunale ecclesiastico di prima istanza per la porzione del territo­
rio della diocesi di Roma compresa entro i confini dello Stato della
Città del Vaticano, ed è stato promulgato un nuovo « Ordinamento
giudiziario » dello Stato stesso — nulla ha innovato in materia di
giustizia amministrativa, rispetto a quello che era il diritto prece­
dente.
Notevoli innovazioni si sono invece avute — come vedremo
più oltre — con l’istituzione dell’Ufficio del Lavoro della Sede
Apostolica, attuata con il M.P., Nel primo anniversario, del Io gen­
naio 1989, entrato in vigore, insieme con lo Statuto dell’Ufficio
stesso (approvato ad experimentum per un quinquennio), il Io mar­
zo 1989. Il M.P. e lo Statuto — come è detto espressamente nel
M.P. e nell’art. 2 dello Statuto — riguardano il « lavoro, in tutte
le sue forme ed applicazioni, prestato alle dipendenze della Curia
Romana, dello Stato della Città del Vaticano, della Radio Vaticana
e degli Organismi o Enti, esistenti e futuri, anche non aventi sede
nello Stato della Città del Vaticano, e gestiti amministrativamente
in modo diretto dalla Sede Apostolica »; il tema del presente arti­
colo riguardando la giustizia amministrativa nello Stato della Città
del Vaticano, parlerò di queste nuove disposizioni in relazione al

P) Il Tribunale ha avuto più volte occasione di affermare il suo difetto di giu­


risdizione per trattarsi di cause di competenza della Segnatura: sentenze del 20 mar­
zo 1974, del 17 ottobre 1977, del 18 luglio 1986. E in una sentenza del 22 aprile
1988, pronunciata dal giudice istruttore in sede penale, è affermato che « né sotto il
profilo civile o amministrativo né sotto il profilo penale l’autorità giudiziaria dello
Stato può indagare sull’uso che gli organi ecclesiastici fanno dei poteri ad essi attri­
buiti dal diritto canonico, neanche per dichiararli legittimi e del tutto conformi alla
legge canonica stessa, almeno fin quando l’attività di quegli organi si svolge nell’in­
terno dell’organizzazione ecclesiale ».
GIUSTIZIA AMMINISTRATIVA NELLO STATO VATICANO 451

solo rapporto di lavoro o impiego pubblico dello Stato steso; ma


non sarà difficile farne applicazione al rapporto di lavoro con la
Curia Romana e con gli altri enti sopra menzionati, e vedere quali
deroghe con esse siano state apportate alle disposizioni canoniche
anteriormente vigenti.

2. Nonne comuni.

La norma principale regolante questa materia è l’art. 15 della


legge fondamentale dello Stato della Città del Vaticano, 7 giugno
1929, n. I, che così stabilisce:

« Quando un atto amministrativo leda un diritto, è


ammessa l’azione avanti l’autorità giudiziaria, la quale tut­
tavia, anche se lo riconosce illegittimo, non può revocarlo
né modificarlo, ma giudica sugli effetti del medesimo, pro­
nunciando inoltre, se del caso, sull’obbligo del risarcimento
dei danni ».

Importante è pure l’art. 16 della stessa legge:

« In ogni caso chiunque ritenga leso un proprio diritto


od interesse da un atto amministrativo, può reclamare al
Sommo Pontefice, per tramite del Consigliere generale del­
lo Stato ».

Limitatamente poi alla materia del lavoro prestato alle dipen­


denze dello Stato della Città del Vaticano, sono da tener presenti
le norme del citato Statuto del Io gennaio 1989, che regolano il ri­
corso all’Ufficio del Lavoro della Sede Apostolica (art. 10, commi
2 e 3):

« Chiunque ritenga che un suo diritto o interesse in


materia di lavoro sia leso da un provvedimento amministra­
tivo, salvo che si tratti di un provvedimento del Santo Pa­
dre o da Lui specificamente approvato, può, entro dieci
giorni dalla notifica o comunicazione, ovvero, in sua man­
canza, dall’effettiva conoscenza del provvedimento o dalla
scadenza del termine di cui al comma successivo, proporre
ricorso per violazione di legge o di regolamento.
452 PIO CIPROTTI

Si considera provvedimento amministrativo anche il si­


lenzio-rigetto dell’Amministrazione, quando la stessa non
adotta alcuna decisione entro 90 giorni dal ricevimento
della domanda dell’interessato ».

Nei commi successivi sono stabilite le modalità del ricorso, da


presentarsi al Direttore generale dell’Ufficio del Lavoro; il ricorso
tende ad avviare il procedimento di conciliazione, che, secondo i
casi, è svolto dallo stesso Direttore generale o dal Consiglio del­
l’Ufficio del Lavoro.
Il comma 9 dello stesso art. 10 stabilisce che « se il tentativo
di conciliazione riesce, se ne redige verbale che costituisce titolo
esecutivo. In difetto, gli atti e i documenti depositati dalle parti,
unitamente al verbale, vengono trasmessi al Collegio di conciliazio­
ne e di arbitrato ».
Altre norme saranno ricordate a suo luogo.
Per riassumere il diritto vaticano circa la tutela del privato nei
confronti degli atti amministrativi, occorre distinguere secondo che
taluno pretenda che un atto amministrativo abbia leso un suo dirit­
to soggettivo o soltanto un suo interesse che non sia un diritto
soggettivo; e secondo che egli voglia o no la revoca (o la modifica)
dell’atto amministrativo.
Salvo qualche eccezione, di cui dirò poi, in via generale que­
sto è il sistema risultante dalle varie disposizioni attualmente in vi­
gore:
a) se uno sostiene che un atto amministrativo ha leso un suo
diritto soggttivo, ma non chede la revoca o la modifica dell’atto,
bensì soltanto il risarcimento del danno o altra pronuncia circa gli
effetti dell’atto, egli può chiedere all’autorità giudiziaria che giudi­
chi se l’atto è legittimo o illegittimo; che, qualora lo ritenga illegit­
timo, giudichi anche se esso abbia o no leso un diritto soggettivo
dell’attore; e che, una volta accertate entrambe queste condizio­
ni (2), pronunci sull’obbligo, per l’amministrazione, di risarcire il
danno e su eventuali altri effetti dell’illegittimità dell’atto (}) (art.

(2) È superfluo precisare che un atto può essere illegittimo senza essere lesivo
di alcun diritto soggettivo; viceversa, non può essere lesivo di un diritto soggettivo
senza essere per ciò stesso illegittimo.
(3) S’intende che deve trattarsi di effetti diversi dall’abrogazione dell’atto e
dalla sua inapplicabilità o ineseguibilità: altrimenti siamo nell’ipotesi b).
GIUSTIZIA AMMINISTRATIVA NELLO STATO VATICANO 453

15 della legge fondamentale dello Stato della Città del Vaticano 7


giugno 1929, n. I);
in queste stesse ipotesi l’interessato può, invece dell’azione giu­
diziaria, proporre ricorso al Sommo Pontefice (art. 16 della stessa
legge);
b) fuori dei casi previsti sub a), se uno ritenga che un atto am­
ministrativo ha leso non un suo diritto soggettivo, ma un interesse
di altra specie (e quindi anche se sostenga che un atto, pur non es­
sendo illegittimo, è per qualsiasi causa inopportuno), ovvero se, pur
sostenendo che un atto è illegittimo e lesivo di un suo diritto sog­
gettivo, non chiede soltanto il risarcimento del danno cagionatogli,
ma chiede la revoca o la modifica o l’annullamento dell’atto, non
può proporre azione giudiziaria, ma ha a disposizione soltanto il ri­
corso al Sommo Pontefice, di cui all’art. 16 cit., salvo quanto dirò
sub c) per il caso che l’atto amministrativo verta in materia di la­
voro;
c) qualora l’atto amministrativo riguardi il rapporto di lavoro,
prestato alle dipendenze dello Stato della Città del Vaticano o di
enti da esso dipendenti (4), anche se aventi sede fuori del territorio
vaticano, in ogni caso in cui non vi sia la competenza dell’autorità
giudiziaria secondo quanto si è detto sub a) l’interessato può pro­
porre ricorso all’Ufficio del Lavoro della Sede Apostolica, ma solo
se sostiene che l’atto abbia violato una norma di legge o di regola­
mento (anche se ritenga che sia stato leso non un suo diritto sogget­
tivo, ma soltanto un suo interesse) (art. 10, commi 2 e 11, dello
Statuto cit.).
In sintesi quindi si può dire che nello Stato della Città del Vati­
cano il giudizio sull’opportunità o meno di un atto amministrativo
non può essere dato in via giudiziaria; invece il giudizio sulla legitti­
mità o illegittimità di un atto amministrativo può essere dato anche
dall’autorità giudiziaria nei suoi vari gradi. Solo che l’autorità giudi­
ziaria, a differenza del Sommo Pontefice e degli organi della giusti­
zia del lavoro, ha in questa materia due limitazioni: a) non può mai
pronunciare la revoca o la modifica dell’atto amministrativo (5), e

(4) Lo stesso vale, se si tratti di lavoro prestato alle dipendenze della Curia Ro­
mana o di enti gestiti direttamente dalla Santa Sede. Ma di questo non mi occupo, es­
sendo fuori dell’ordinamento giuridico dello Stato della Città del Vaticano.
(5) La revoca o la modifica dell’atto amministrativo, legittimo o illegittimo, può
essere fatta, oltre che dal Sommo Pontefice, solo dall’autore o da un’autorità a lui su-
454 PIO CIPROTTI

deve dichiarare improponibile l’azione, se con essa si domanda una


tale revoca o modifica (si veda più oltre un esempio notevole); b)
deve dichiarare improponibile l’azione ovvero respingerla nel meri­
to, rispettivamente se l’attore pretende o se il giudice accerta che
l’atto ha leso un interesse che non sia un vero e proprio diritto
soggettivo (in questo caso, peraltro, se l’atto è illegittimo, il giudi­
ce può dichiarare l’illegittimità, anche se non può pronunciare con­
danna al risarcimento dei danni).
Per completare queste notizie, è da aggiungere che, oltre al ri­
corso al Sommo Pontefice previsto dall’art. 16 della legge fonda­
mentale, l’art. 3 della legge 7 giugno 1929 n. IV prevede — cosa
che del resto sarebbe ovvia anche nel silenzio della legge — la fa­
coltà di invocare in ogni tempo « in via di grazia » il potere di an­
nullamento, revoca o riforma dei provvedimenti amministrativi,
spettante al Sommo Pontefice senza limiti di tempo e senza restri­
zioni quanto ai motivi (potere enunciato nell’art. 2 della stessa leg­
ge). In contrapposto a questo ricorso « in via di grazia » lo stesso
art. 3 chiama « ricorso in via di giustizia » quello previsto dall’art.
16 della legge fondamentale.
È inoltre da ricordare un’altra disposizione — anch’essa ovvia,
data la natura dei poteri sovrani del Sommo Pontefice — per la
quale, non soltanto per la materia della giustizia amministrativa,
ma in via generale, comprendente comunque anche tale materia,
« in qualunque causa civile o penale ed in qualsiasi stadio della me­
desima il Sommo Pontefice può deferire l’istruttoria e la decisione
ad una commissione speciale, anche con facoltà di pronunciare se­
condo equità e con esclusione di qualsiasi ulteriore rimedio » (art.
17 della legge fondamentale; art. 49 § 2 cod. proc. civ.).
È poi superfluo notare che il Sommo Pontefice, sia in caso di
ricorso in via di giustizia sia in caso di ricorso in via di grazia,
può limitarsi a giudicare sulla legittimità o sull’opportunità o meno
del provvedimento impugnato, può annullarlo o modificarlo, e può
anche giudicare sugli effetti derivanti dall’illegittimità o inopportu­
nità del provvedimento stesso, e in particolare può decidere anche
circa il risarcimento degli eventuali danni. Perciò — a parte i casi,
in cui, come accennerò più oltre, non è ammessa l’azione giudizia­
ria, e quelli in cui il ricorso al Sommo Pontefice preclude l’azione

periore, salvo, come si vedrà era poco, che si tratti di provvedimento in materia di
pubblico rapporto di lavoro.
GIUSTIZIA AMMINISTRATIVA NELLO STATO VATICANO 455

giudiziaria — può accadere che il ricorso al Sommo Pontefice esau­


risca tutte le possibilità di giudizio, in quanto cioè decida su tutti i
punti che astrattamente potrebbero formare oggetto di giudizio da
parte del tribunale; e che quindi l’azione giudiziaria, anche se non
è ancora trascorso il termine per proporla, divenga inammissibile
per essere venuto meno ogni possibile oggetto di essa.
Circa l’effetto sospensivo o no di questi rimedi contro gli atti
amministrativi, è da rilevare che nessun dubbio può sorgere per il
ricorso al Sommo Pontefice, dato che l’effetto sospensivo è espres­
samente negato nell’art. 23, comma 2, della legge Io dicembre
1932 n. XXXII, e la norma è (inutilmente) ripetuta, per i ricorsi
contro i provvedimenti di esonero dal servizio o di licenziamento,
nell’art. 97, comma 5, del regolamento del Io luglio 1969 n. LII.
Per quanto riguarda l’azione giudiziaria, sebbene dall’art. 97, com­
ma 5, or ora citato si sia indotti a dedurre a contrario che fuori
dei casi ivi indicati si abbia l’effetto sospensivo, è invece assoluta­
mente certo che l’effetto sospensivo non si ha: un tale effetto sa­
rebbe contrario alla natura dell’azione, tanto più che questa non
può mai avere per effetto l’ordine di revoca o modifica dell’atto, e
quindi non avrebbe senso sospendere l’esecuzione, se l’autore del­
l’atto non vi provvede egli stesso. Per quanto infine riguarda le
controversie di lavoro, il ricorso all’Ufficio del Lavoro non ha ef­
fetto sospensivo, come si ricava dall’art. 11, comma 5, lett. g) del­
lo Statuto, che dà al Collegio di conciliazione e di arbitrato il po­
tere — da esercitarsi su istanza di parte, con ordinanza non impu­
gnabile — di « sospendere in tutto o in parte l’esecuzione del
provvedimento impugnato, ovvero assumere i provvedimenti neces­
sari ad assicurare gli effetti della decisione » « quando vi sia il peri­
colo di gravi ed irreparabili danni ».
L’azione giudiziaria diretta contro un atto amministrativo è
soggetta alla prescrizione quinquennale, prescrizione che decorre
anche contro i minori e gli incapaci (art. 4 della legge 7 giugno
1929 n. IV).
Il ricorso al Sommo Pontefice in via di giustizia, previsto dal-
l’art. 16 della legge fondamentale, è soggetto al termine di deca­
denza di 30 giorni, decorrente dalla pubblicazione o notifica del­
l’atto o dal giorno in cui l’interessato ne ha avuto notizia (art. 3
della legge 7 giugno 1929 n. IV, norma ripetuta, per i ricorsi con­
tro i provvedimenti di esonero dal servizio e di licenziamento, nel-
l’art. 97, comma 5, del Regolamento Io luglio 1969 n. LII).
456 PIO CIPROTTI

Queste norme vanno integrate, per la materia del lavoro, con


la disposizione dell’art. 10, n. 10, dello Statuto dell’Ufficio del La­
voro, che stabilisce la prescrizione estintiva quinquennale per ogni
diritto derivante dal rapporto di lavoro, con decorrenza dal giorno
in cui il diritto può esser fatto valere; e con altre (già retro men­
zionate o che saranno ricordate poi) che stabiliscono termini di de­
cadenza.

3. In particolare, la giustizia amministrativa in materia di rapporto


di lavoro.

Con il M.P. del Io gennaio 1989 — alcune disposizioni del


quale ho già riferito — si è in sostanza riformata anche la giu­
stizia amministrativa, nel campo dallo stesso Motu Proprio rego­
lato.
Ho accennato al ricorso all’Ufficio del Lavoro, ricorso propo­
nibile solo per violazione di legge o di regolamento, e tendente ad
avviare la procedura di conciliazione. Ho pure accennato che, se il
tentativo di conciliazione non riesce, gli atti vengono trasmessi al
Collegio di conciliazione e di arbitrato, che è un organo dello stes­
so Ufficio del Lavoro della Sede Apostolica, e costituisce un vero e
proprio organo di giustizia amministrativa.
La competenza dell’Ufficio del Lavoro, sia per quel che attie­
ne al tentativo di conciliazione sia per quanto concerne la decisio­
ne finale, si estende anche a quei provvedimenti, per i quali è
esclusa l’azione giudiziaria; e anzi, direi che relativamente a questi
atti essa è illimitata (sempre che l’impugnazione sia basata sulla
violazione di legge o di regolamento), mentre per gli altri provvedi­
menti la competenza dell’Ufficio del Lavoro si ha solo se non si
tratti di ricorso su cui potrebbe giudicare, sempre che venisse pro­
posta la relativa azione, l’autorità giudiziaria (art. 10, comma 11,
dello Statuto) (6), e cioè, come abbiamo visto, solo se il ricorrente
sostiene che l’atto ha leso non un suo diritto soggettivo, ma un in­
teresse di altra specie, ovvero se non chiede o non chiede soltanto

(6) L’esclusione, fatta pure dall’art. 10, comma 11, dello Statuto della compe­
tenza dell’Ufficio per i ricorsi di competenza della Commissione Disciplianre della
Curia Romana, riguarda il rapporto d’impiego con lo Stato della Città del Vaticano
solo per quel che attiene al trattamento di quiescenza in alcuni casi speciali.
GIUSTIZIA AMMINISTRATIVA NELLO STATO VATICANO 457

il risarcimento del danno, ma chiede la revoca o la riforma o l’an­


nullamento dell’atto.
Il Collegio di conciliazione e di arbitrato è investito della con­
troversia a seguito di una nuova istanza del ricorrente. Questa va
presentata al Direttore generale entro 20 giorni dalla comunicazio­
ne al ricorrente del verbale di non riuscita del tentativo di conci­
liazione o dalla scadenza di 180 giorni dalla presentazione del pri­
mo ricorso. Sebbene lo Statuto taccia in proposito, è da ritenere
che anche questo termine di 20 giorni sia perentorio.
La procedura del giudizio dinanzi a questo Collegio è stabilita
nel comma 5 dell’art. 11. Da notare, tra l’altro, che per alcuni
punti è dichiarato applicabile il codice di procedura civile dello
Stato della Città del Vaticano: tra questi punti c’è anche « la rap­
presentanza e difesa delle parti », con le quali parole forse, oltre
che gli artt. 29-47 cod. proc. civ., si è inteso richiamare anche gli
artt. 24-25 dell’Ordinamento giudiziario.
Il Collegio di conciliazione e di arbitrato può annullare, in
tutto o in parte, il provvedimento impugnato, e decide sui diritti
soggettivi dedotti in giudizio (art. 11, comma 5, lett. h). Da ciò
sembra doversi dedurre che il Collegio, una volta che abbia annul­
lato in tutto o in parte il provvedimento, non possa sostituirsi al­
l’Amministrazione, se non in quanto ciò sia necessario per ristabili­
re diritti soggettivi che il Collegio riconosca essere stati lesi (in
questo caso il Collegio giudicherà anche sull’eventuale richiesta di
risarcimento del danno).
E ancora da notare che la decisione del Collegio non è appel­
labile (art. 11, comma 5, lett. ï), mentre per la revocazione e per
la querela di nullità valgono le norme stabilite dal codice di proce­
dura civile per quei mezzi di impugnazione delle sentenze giudizia­
rie (ivi, lett. b).

4. Norme speciali per alcune categorie di atti.

Come ho già accennato, vi sono delle eccezioni alle norme ge­


nerali fin qui viste, eccezioni che sono tutte relative ad atti ammi­
nistrativi concernenti il pubblico impiego (dello Stato). Ne accenno
qui per completezza, pur trattandosi di norme che possono facil­
mente esser soggette a prossime modifiche, dato che i regolamenti
che citerò qui appresso sono in corso di revisione.

30. lus ecclcsiac - 1989.


458 PIO CIPROTTI

Cosi per i provvedimenti che infliggono sanzioni disciplinari


minori è esclusa la possibilità di azione giudiziaria (art. 95, commi
6 e 7, del Regolamento Io luglio 1969 n. LII); per i provvedimen­
ti di esonero dal servizio o di licenziamento l’azione giudiziaria è
inammissibile, se il provvedimento è stato impugnato mediante ri­
corso al Sommo Pontefice (art. 97, commi 3 e 4).
Inoltre, per tutti gli atti amministrativi attinenti al rapporto
d’impiego dello Stato, l’azione giudiziaria è soggetta, oltre che alla
già vista prescrizione, anche al termine di decadenza di trenta gior­
ni, decorrenti dalla pubblicazione o notifica del provvedimento o
dal giorno in cui l’interessato ne ha avuto notizia (art, 97 comma
5, e 131 del Regolamento citato) (7). Il Tribunale, nella sentenza del
15 ottobre 1988, ha avuto occasione di applicare questa norma, re­
spingendo anche l’eccezione di illegittimità, che era stata sollevata
(relativamente all’art. 131) per il fatto che la norma è contenuta in
un regolamento anziché in una legge: l’illegittimità è stata esclusa
soprattutto perché l’art. 9 della legge 7 giugno 1929 n. IV attribui­
sce al Governatore il compito di determinare con regolamento, tra
l’altro, « i diritti e gli obblighi dei funzionari, degli impiegati e dei
salariati, la nomina, la disciplina e revoca dei medesimi », e per gli
artt. 1 e 2 della legge 24 giugno 1969 n. LI (8) spettano alla Ponti­
ficia Commissizione per lo Stato della Città del Vaticano, autrice
del citato Regolamento, i poteri che le leggi precedenti attribuiva­
no al Governatore, per quanto concerne l’emanazione di regola­
menti; inoltre, anche perché la menzionata Commissione Pontificia
è insieme organo legislativo, oltre che esecutivo, in forza dell’art. 1
della citata legge del 1969 (si noti anche che l’art. 6 di quella leg-

(") Le due citate disposizioni del Regolamento del 1969 (art. 97, comma 4, e
131) ammettono l’azione giudiziaria solo « per violazione di legge ». Non si vede pe­
raltro quale portata abbia questa norma, dato die l’art. 15 della legge fondamentale
richiede, perché sia possibile l’azione giudiziaria, che l’atto amministrativo abbia le­
so un diritto soggettivo, il che comporta sempre una violazione di legge. Quelle due
norme, richiedendo che vi sia « violazione di legge » perché si possa proporre azione
giudiziaria contro atti amministrativi relativi al rapporto di pubblico impiego, nulla
aggiungono a quanto stabilito in via generale per l’azione giudiziaria contro atti am­
ministrativi.
(8) Non è più in vigore l’art. 11 della legge 7 giugno 1929 n. IV, tutta la ma­
teria dei provvedimenti relativi al personale essendo ora disciplinata dal Regolamen­
to del 1969 e successive modificazioni, oltre che dalle nuove norme emanate in oc­
casione della costituzione dell’ufficio del Lavoro della Sede Apostolica.
GIUSTIZIA AMMINISTRATIVA NELLO STATO VATICANO 459

ge indirettamente dà valore di legge al « Regolamento generale » da


emanarsi mediante decreto della Commissione) (9).
Quando non si tratta di atti amministrativi riguardanti diretta­
mente il rapporto d’impiego, bensì di atti con cui si liquida la pen­
sione o l’indennità di fine rapporto, ovvero si nega tale liquidazio­
ne, sia l’azione giudiziaria che il ricorso in via di giustizia al Som­
mo Pontefice sono soggetti al termine di decadenza di sessanta
giorni, decorrente dalla comunicazione della liquidazione o del
provvedimento negativo; inoltre non solo l’azione ma anche il ri­
corso è ammesso solo se taluno « si ritenga leso nei suoi diritti »
(art. 21 del Regolamento per le pensioni, approvato con M.P. del
23 die. 1963. Il termine è più lungo per il personale di rappresen­
tanza della Santa Sede all’estero, e una norma speciale è stabilita
circa il domicilio presunto, agli effetti della comunicazione, degli
interessati, che non siano domiciliati nella Città del Vaticano o in
Roma, e che non vi eleggano domicilio con apposita dichiarazione
(ivi) (">).

3. Giurisprudenza recente.

Il Tribunale ha avuto più volte occasione di precisare alcuni


punti della materia. .
Molto interessante è quanto si legge nella sentenza del 21 set­
tembre 1984, pronunciata in una causa in cui si era eccepita la ca­
renza di giurisdizione dell’autorità giudiziaria perché non sussisteva
alcuna lesione di diritti soggettivi. Il Tribunale ha giustamente af­
fermato che la sussistenza o meno di lesione di diritti soggettivi
(come la legittimità o illegittimità dell’atto amministrativo) è una
questione di merito, e non riguarda l’esistenza o meno della giuri­
sdizione dell’autorità giudiziaria; questa ha giurisdizione ogniqual­
volta l’attore sostiene che vi sia stata lesione di un suo diritto sog­
gettivo o che l’atto amministrativo è illegittimo: se poi si accerta

(9) La questione dell legittimità o meno deH’art. 131 del Regolamento era sta­
ta già accennata o'oiter nella sentenza del Tribunale del 18 novembre 1987, dove si
accenna a « un delicato problema di rapporto tra le disposizioni di un regolamento,
sia pure emanato da un organo avente poteri legislativi, e la norma dell’art. 4 della
legge 7 giugno 1929 n. IV ». Ma la questione non fu allora decisa, perché il Tribu­
nale ritenne di non aver giurisdizione circa l’azione proposta.
(10) Norme identiche figuravano già nell’art. 20 del Regolamento per le pen­
sioni approvato con M.P. del 31 dicembre 1937.
460 PIO CI PROTI!

in giudizio che l’atto è legittimo o che non ha leso alcun diritto


soggettivo, la domanda dell’attore sarà rigettata nel merito. La sen-
zenza è di particolare interesse anche perché tocca due punti non
trattati in altre sentenze: il caso di comportamento della pubblica
amministrazione, diverso da un atto amministrativo; e il caso in
cui da un atto amministrativo o da altro comportamento della pub­
blica amministrazione derivino per legge conseguenze diverse dal
dovere di risarcire il danno.
Ecco il testo delle argomentazioni della sentenza:

« Per vedere se il Tribunale abbia o no giurisdizione


in una causa, non si deve prima accertare se vi sia stata o
no una lesione di un diritto soggettivo cagionata da un at­
to amministrativo o da altro fatto, bensì se l’attore sosten­
ga o no che vi è stata una tale lesione; in altre parole si
deve far riferimento al petitum e alla causa petendi. Se in­
fatti la parte attrice pretende che sia stato leso un suo di­
ritto soggettivo e chiede il risarcimento del danno conse­
guente, il Tribunale — salvi i casi espressamente esclusi
dalla legge — ha giurisdizione per decidere la controversia,
ossia per accertare se vi sia stata o no la lesione asserita di
un diritto soggettivo, e, in caso affermativo, se sia o no
dovuto qualche risarcimento: l’accertamento dell’esistenza o
meno del diritto soggettivo, come della sua lesione e dei
danni, attiene al merito della causa e non all’esistenza o
mancanza di giurisdizione.
« Ciò vale sia quando la causa del preteso danno sia
da identificare in un atto che rientri nella categoria degli
atti amministrativi, sia quando manchi qualsiasi atto ammi­
nistrativo cui si possa fare riferimento come causa efficien­
te del preteso danno. Solo che, mentre nella seconda ipote­
si saranno da applicare le disposizioni generali sulla respon­
sabilità per danno derivante da illecito contrattuale o ex­
tracontrattuale, nella prima ipotesi sono da applicare anche
le disposizioni legislative speciali relative all’azione per
danni derivanti da atti amministrativi illegittimi (solo se
sono illegittimi, gli atti amministrativi possono dar luogo
ad azioni di danni), disposizioni che, tra l’altro, in taluni
casi speciali — tra i quali non rientrano quelli che formano
oggetto della presente causa — tolgono agli organi giudizia­
GIUSTIZIA AMMINISTRATIVA NELLO STATO VATICANO 461

ri il potere di giudicare. Ma, fuori di questi casi speciali,


l’autorità giudiziaria, nel giudicare sulla domanda di risarci­
mento del danno che si pretende cagionato da un atto am­
ministrativo, può e deve giudicare se vi è stato danno ri­
sarcibile, e cioè se l’atto amministrativo ha leso un diritto
soggettivo, e se ha cagionato un danno; l’illegittimi là del­
l’atto amministrativo, essendo un presupposto essenziale
della lesione del diritto soggettivo, deve anche essere accer­
tata (non certo per revocare o modificare l’atto, ma solo ai
fini del risarcimento del danno e degli altri eventuali effet­
ti conseguenti all’illegittimità) dall’autorità giudiziaria, che
ne ha quindi il potere, come risulta testualmente dall’art.
15 della legge 7 maggio 1929 n. I (“l’autorità giudiziaria...
anche se lo riconosce illegittimo”).
« Questi principii sono stati costantemente affermati
dagli organi giudiziari vaticani dal 1929 ad oggi in tutte le
cause in cui vi sia stata occasione di affermarli; né poteva
essere altrimenti, dato che essi non sono altro che l’esegesi
quasi letterale di chiare disposizioni di legge...
« Analoghe argomentazioni sarebbero valide nel caso
che l’attore domandi il risarcimento del danno, che egli
pretende cagionato non da un vero e proprio atto ammini­
strativo, ma da un comportamento della pubblica ammini­
strazione, che egli ritenga illegittimo.
« È poi superfluo aggiungere che può accadere che un
atto amministrativo o un altro comportamento della pubbli­
ca amministrazione porti per legge a conseguenze patrimo­
niali diverse dal dovere di risancire il danno, e che tali
conseguenze siano indipendenti dalle legittimità o illegitti­
mità dell’atto o in genere dal comportamento dell’ammini­
strazione ».
È stato talvolta sostenuto dalla difesa della pubblica ammini­
strazione che l’azione giudiziaria sia proponibile solo se e dopo che
in sede amministrativa o a seguito di ricorso al Sommo Pontefice,
sia stata accertata l’illegittimità dell’atto amministrativo, e che
quindi sia inammissibile un’azione giudiziaria diretta a far dichiara­
re dal giudice l’illegittimità di un atto amministrativo.
Una tale tesi è stata respinta implicitamente o espressamente
da tutte le sentenze emanate in questa materia.
462 PIO CIPROTTI

Tra le sentenze di questi ultimi anni cito la sentenza del Tri­


bunale del 21 settembre 1984, di cui riporterò un brano più oltre,
e quella della Corte d’appello del 3 marzo 1986.
Quest’ultima, configurando come incidentale la questione rela­
tiva all’illegittimità dell’atto amministrativo, e come principale la
questione relativa al risarcimento dei danni, ha detto che la que­
stione incidentale « non può però costituire... oggetto di separato
accertamento da demandare all’autorità amministrativa, vigendo —
in dottrina e in giurisprudenza — il principio che il giudice della
questione principale debba considerarsi giudice “per incidens” di
tutte le questioni pregiudiziali, anche di quelle relative alla legitti­
mità dell’atto amministrativo che il giudice stesso, nelle controver­
sie di sua competenza, è chiamato a conoscere; legittimità sulla
quale egli si pronuncia non “principaliter”, ma “incidenter tantum”
e limitatamente agli effetti dell’atto amministrativo o senza che la
sua pronuncia possa costituire modifica o revoca dell’atto stesso »;
e prosegue citando a conferma di tale principio l’art. 15 della legge
fondamentale.
Dato che l’art. 15 della legge fondamentale vieta, come si è
detto, all’autorità giudiziaria di revocare o modificare l’atto ammi­
nistrativo ("), il Tribunale con sentenza del 18 novembre 1987 di­
chiarò inammissibile un’azione di risarcimento di danni fondata
sull’affermazione che l’atto amministrativo fosse da dichiarare nullo
o da annullare o da dichiarare inapplicabile.
Ecco il brano della sentenza che affronta questo problema:
« In base ai suesposti principii — che altro non sono se non
la parafrasi di chiare disposizioni legislative — è evidente che il
Tribunale non ha giurisdizione per pronunciare l’annullamento o
l’inapplicabilità dell’atto contro cui è rivolta la domanda giudiziale
nella presente causa: sia infatti l’annullamento sia la dichiarazione
di inapplicabilità comportano che l’atto venga posto nel nulla (al­
meno ex nunc, ma di per sé ex tutte), per opera dell’autorità giudi­
ziaria, la quale si sostituirebbe in tal modo all’autorità amministra­
tiva in compiti propri di questa, se non addirittura in funzioni ri-

(") Da ciò deriva ovviamente anche l’inammissibilità della denuncia di nuova


opera e di danno temuto (cfr. per il diritto vaticano art. 698-699 cod. civ., art. 912­
915 cod. proc. civ.) nei confronti di un atto dell’autorità amministrativa, e simil­
mente per le azioni possessorie. Inammissibile sarebbe pure la domanda giudiziale di
sospensione dell’esecuzione di un atto amministrativo.
GIUSTIZIA AMMINISTRATIVA NELLO STATO VATICANO 463

servate al Sommo Pontefice (cfr. art. 2 della legge 7 giugno 1929


n. IV).
« Ma altrettanto è da dire per quanto riguarda la domanda di
dichiarazione di nullità dell’atto. Con essa infatti si chiede che il
Tribunale, sia pure con sentenza dichiarativa anziché costitutiva,
consideri inesistente un atto che la pubblica amministrazione ha in­
vece emanato e considera esistente e tuttora in vigore.
In altre parole, con la dichiarazione di nullità si verrebbe
ugualmente a rendere inesistente un atto amministrativo, anzi lo si
verrebbe a rendere inesistente nel modo più radicale ed ex tunc,
cosa che, per il preciso disposto dell’art. 15 della citata legge fon­
damentale, esula dalla competenza dell’autorità giudiziaria ».
A proposito di questa limitazione della giurisdizione dell’auto­
rità giudiziaria relativamente al petitum, il Tribunale ha avuto occa­
sione recentemente di esaminare un’interessante questione, attinen­
te direttamente al problema della res indicata.
Dopo che era stata dichiarata inammissibile per difetto di giu­
risdizione del Tribunale l’azione diretta a far dichiarare nullo o
inapplicabile o ad annullare un atto amministrativo e conseguente­
mente a condannare l’amministrazione al risarcimento del danno,
l’attore ha riproposto l’azione, chiedendo il risarcimento del danno
non per nullità ecc. dell’atto amministrativo, ma invocando la sua
illegittimità. Avendo l’amministrazione eccepito la cosa giudicata, il
Tribunale, con la già citata sentenza del 15 ottobre 1988, ha re­
spinto l’eccezione, dato che la precedente sentenza non aveva di­
chiarato inammissibile l’azione di danni, ma solo l’azione di nullità,
annullamento ecc. dell’atto, e neppure aveva esaminato l’ammissibi­
lità o meno dell’azione di danni, poiché essa era fondata sul previo
accoglimento di una domanda della quale il Tribunale non poteva
conoscere: è evidente infatti, come espressamente dispone l’art.
1351 cod. civ., che la cosa giudicata non può riguardare se non ciò
che ha formato oggetto della sentenza; né una domanda di risarci­
mento del danno, fondata sull’illegittimità di un atto amministrati­
vo, si può dire «fondata sulla medesima causa» (art. 1351 cit., e
art. 306 § 2, comma 1, cod. proc. civ.), su cui era stata fondata la
precedente domanda di risarcimento del danno, proposta a causa
dell’asserita nullità o annullabilità o inapplicabilità del medesimo
atto.
È pure sorto il dubbio se nelle cause in cui si discute della le­
gittimità o illegittimità di un atto amministrativo debba intervenire
464 PIO CIPROTTI

il promotore di giustizia, il quale — per il combinato disposto de­


gli artt. 11 e 19 cod. proc. civ. — deve intervenire nei giudizi ri­
guardanti le liti in cui si tratti di far valere diritti nell’interesse
pubblico o dei minori o delle persone equiparate ai minori. Il Tri­
bunale, con ordinanza del 23 aprile 1988 ha deciso, su conformi
conclusioni del promotore di giustizia, nel senso che il promotore
di giustizia non deve intervenire in queste cause.
L’ordinanza è notevole, oltre che per la decisione, anche per
quanto in essa è detto circa la natura di queste cause e degli inte­
ressi alla cui tutela esse tendono (12). « Si pone... il quesito se nel
giudizio promosso... contro il Governatorato per far dichiarare la
pretesa illegittimità di atti amministrativi nel quadro del proprio
rapporto di lavoro ed ottenere risarcimento di danni da tali atti...
derivati..., sussista la necessità di: a) far valere diritti nell’interesse
pubblico, o di b) far valere diritti della parte convenuta, che è per­
sona giuridica e quindi equiparata ai minori.
« Sul punto b) non può essere dubbia la risposta: l’Ammini­
strazione convenuta è pienamente capace di far valere i suoi diritti
per essere istituzionalmente rappresentata, ed è inoltre tutelata nel
giudizio nel modo più valido e giuridicamente efficace.
« Sul punto a) può generare qualche perplessità la formula
“può far valere diritti nell’interesse pubblico”, in quanto suscettibile
di varie interpretazioni.
« Va certamente scartata l’interpretazione più estensiva, per­
ché, essendo teoricamente possibile ravvisare in qualsiasi proces­
so civile un-qualche interesse pubblico anche indiretto o implici­
to, si verrebbe a dare al pubblico ministero un esorbitante diritto
di azione e gravarlo di un non meno esorbitante dovere di inter­
vento con ingiustificato appesantimento della procedura ed anzi
con vero pregiudizio dell’economia processuale. Tale ovvia conse­
guenza non pare conforme al fine della legge e alla mente del legi­
slatore...
« Parimenti non sembra in armonia col fine della legge e con
la mente del legislatore l’ipotesi che l’interesse pubblico sia identi­
ficabile col semplice fatto che parte in causa sia una pubblica am­
ministrazione, a meno che non ricorrano speciali circostanze..., per

(12) L’ordinanza in realtà riporta il testo del parere del Promotore di giustizia,
dichiarando di condividerlo con qualche lieve rettifica.
GIUSTIZIA AMMINISTRATIVA NELLO STATO VATICANO 465

es. in caso di carenza di legittima rappresentanza, di idoneo patro­


cinio, di garanzia del contraddittorio ecc., circostanze che nel pre­
sente caso non sussistono...
«Va anche rilevato che l’art. 11 § 1, n. 1 cod. proc. civ. non
parla di semplice “interesse pubblico”, bensì di “diritti” nell’inte­
resse pubblico, e quindi sembra indicare, come esigenza primaria,
la sussistenza di interessi protetti da precise disposizioni di legge
nonché riferibili ad un soggetto determinato, oltre che connessi
con una qualche utilità per la collettività o comunità sociale ».
Pagina bianca
JOSÉ LUIS GUTIÉRREZ

LE PRELATURE PERSONALI (*)

I. Documenti conciliari e postconciliati: 1. Premessa; 2. Decr. Presbyterorum Ordinis;


3. Decr. Ad gentes; 4. Decr. Cbristus Dominas; 5. M. p. Ecclesiae Sanctae; 6.
Cost. ap. Regimini Ecclesiae universae e Pastor Bonus. •—■ II. La codificazione ca­
nonica: 7. Gli schemi di canoni; 8. La plenaria del 1981; 9. La nozione di chiesa
particolare; 10. Le dimensioni particolari della Chiesa. — III. Commento dei ca­
noni sulle prelature personali: 11. Il can. 294; 12. Il can. 295; 13. Il can. 296 e
la cooperazione organica; 14. Il can. 297. — IV. L'erezione della prelatura perso­
nale dell’Opus Dei: 15. Il provvedimento pontificio; 16. L’unità organica della pre­
latura.

I. Le prelature personali nei documenti conciliari e post-conciliari.

1. Come tutte le strutture integranti Torganizzazione pastorale


della Chiesa, le prelature personali debbono essere intese alla luce
del fine e della missione della stessa Chiesa, vale a dire la salvezza
dell’anima. E proprio in questa luce che sovente è stata messa in ri­
lievo Timportanza e la necessità di venire incontro alle molteplici e
spesso nuove esigenze proposte dall’odierna società di massa; basti
pensare, ad esempio, aH’imponente fenomeno della mobilità sociale,
oppure alla progressiva scristianizzazione di ambienti tradizionalmen­
te cattolici: si tratta in definitiva, né più né meno, della sfida inin­
terrotta che l’evangelizzazione dell’uomo contemporaneo lancia alla
Chiesa stessa. Essa, pertanto, ha il diritto-dovere di disporre le pro­
prie strutture (nel senso di rinnovarle, ove necessario, arricchirle, o
crearne di nuove) in modo tale che, sempre nella fedeltà al diritto
divino e tenendo presenti le concrete circostanze di tempo e di luo-

(*) Relazione letta al XV incontro di studio dell’Associazione Canonistica


Italiana, Gruppo Italiano Docenti di diritto canonico, Passo Mendola, 4-8 luglio
1988.
468 JOSÉ LUIS GUTIÉRREZ

go, i mezzi salvifici siano messi abbondantemente a disposizione de­


gli uomini Cl­
in quest’ordine d’idee, la profonda riflessione pastorale realizza­
ta dal Concilio Vaticano II ha trovato sbocco in diverse disposizioni
e suggerimenti pratici, fra i quali va annoverata l’eventuale utilità di
costituire prelature personali (2). Dobbiamo precisare che la figura
della prelatura personale è prospettata dal concilio non creando ex
novo una figura da inserire nell’organizzazione ecclesiastica, ma am­
pliando il concetto di un’istituzione già tradizionale (la prelatura ap­
punto) per renderla rispondente anche alle nuove esigenze. Per tale
ragione i documenti conciliari non danno una definizione vera e pro­
pria della prelatura personale, ma si soffermano su alcuni dei suoi
elementi integranti, presupponendo gli altri e lasciando alle norme
esecutive postconciliari ogni ulteriore determinazione o formalizza­
zione del concetto.

2. Riferendoci concretamente al n. 10 del decr. Presbyteromm


Ordinis, dal quale muove la nostra esposizioe, notiamo come esso,
nel primo capoverso, si riferisca al « dono spirituale che i presbiteri
hanno ricevuto nell’ordinazione, il quale non li prepara ad una mis­
sione limitata e ristretta, bensì a una vastissima e universale missio­
ne di salvezza... dato che qualunque ministero sacerdotale partecipa
della stessa ampiezza universale della missione affidata da Cristo agli
Apostoli... ». 11 concilio può pertanto esortare i presbiteri affinché
« ricordino che a loro incombe la sollecitudine di tutte le Chie­
se » (}), in quanto sono costituiti nell’oro presbyteratus in qualità di
« cooperatori dell’orbo (o collegio) episcopale, per il retto assolvimen­
to della missione apostolica affidata da Cristo » (4). Non pare ozioso
ricordare questa dimensione universale del presbiterato e questa sua
primaria connessione con l’intero collegio episcopale, del quale l’or­
dine dei presbiteri è costituito cooperatore; solo alla luce di tale ne-

0) Cfr. Cone. Vat. II, cosi. dogm. Lumen gentìum, n. 37/1.


(2) Per un approfondito studio sulle richieste pervenute durante il periodo an­
tepreparatorio del concilio, che dettero luogo tra l’altro alla figura delle prelature
personali, cfr. J. MartÌnez-TorkÓn, La configuración jurídica de las Prelaturas perso-
nales en el Concilio Vaticano II, Pamplona, 1986, p. 87-157.
(3) Cone. Vat. II, decr. Presbyteromm Ordinis, n. 10/1.
(4) Cone. Vat. II, decr. Presbyteromm Ordinis, n. 2/2. Cfr. ibid., nn. 4/1,
12/1; cost. dogm. Lumen gentìum, n. 28/2; decr. Christus Dominas, nn. 15/1; 28/3;.
34/1.
LE PRELATURE PERSONALI 469

cessaria puntualizzazione può intendersi rettamente la qualifica di


cooperatore del vescovo attribuita al presbiterio nella nozione di dio­
cesi proposta nel decr. Christus Dominus (5).
Le precedenti riflessioni s’inseriscono in un contesto più ampio,
vale a dire in quello dei rapporti fra Chiesa (o Chiesa universale) e
chiese particolari: si finirebbe in una strada senza sbocco qualora si
pretendesse di spiegare la missione del presbiterato alla sola luce del­
la sua cooperazione con un vescovo diocesano, lasciando da parte il
suo collegamento con il collegio episcopale e con la totalità della mis­
sione affidata da Cristo alla Chiesa. Pertanto, il capoverso che stia­
mo commentando conclude esortando i presbiteri alla disponibilità
per esercitare il proprio ministero « in quelle regioni, missioni od
opere che soffrano scarsezza di clero ».
Il secondo capoverso del decr. Presbyterorum Ordinis, n. 10 si
sofferma su due conseguenze derivanti dal principio testé enunciato:
la prima, rappresentata dalla necessaria riforma delle norme allora vi­
genti sull’incardinazione ed escardinazione (6); la seconda, dall’esi­
genza che, « lì dove ciò sia reso necessario da motivi apostolici, si fa­
ciliti non solo una conveniente distribuzione dei presbiteri, ma anche
l’attuazione di peculiari iniziative pastorali in favore di diversi grup­
pi sociali in certe regioni o nazioni o addirittura in tutto il mondo ».
Dopo aver enunziato questo secondo criterio, il testo conciliare passa
ad enumerare alcuni mezzi concreti per metterlo in pratica, prospet­
tando l’eventuale utilità di erigere, tra l’altro, « peculiari diocesi o
prelature personali », vale a dire, di ampliare il concetto di diocesi e
di prelatura, che fino ad allora erano intese unicamente come circo­
scrizioni territoriali, nel senso di poter attribuire loro anche un ca­
rattere personale, fondato cioè non sul domicilio dei fedeli, ma su al­
tre circostanze attinenti la persona, come la professione (per es., nel
caso dei militari), oppure la lingua, o l’appartenenza ad un ceppo co­
mune, ecc. Il testo conciliare specifica poi alcuni concetti che si rife­
riscono più direttamente ai sacerdoti (il cui ministero e vita è ogget­
to del decreto Presyterorum Ordinis), e stabilisce che a tali peculiari* I,

(5) Cfr. Cone. Vat. II, decr. Christus Dominus, n. 11/1. Vedi anche CIC, can.
369.
(6) Tale riforma ebbe inizio con il m. p. Ecclesiae Sanctae, del 6 agosto 1966,
I, nn. 1-3 (AAS 58 (1966), p. 759-760), la cui normativa è poi passata nei cann. 265
e ss. del vigente CIC. Si vedano anche le note direttive della Congregazione per il
Clero De mutua Ecclesiamm particularìum cooperatione promovenda ac praesertim de
aptiore cleri distrihutione, del 25 marzo 1980: AAS 72 (1980), p. 343-364.
470 JOSÉ LUIS GUTIERREZ

diocesi o prelature personali « potranno essere ascritti o incardinati


dei presbiteri per il bene di tutta la Chiesa » (ivi.), aggiungendo in
seguito che le predette strutture, appunto perché non delimitate da
un criterio esclusivamente territoriale, dovranno essere erette « se­
condo norme da stabilirsi per ognuna di queste istituzioni, e rispet­
tando sempre i diritti degli ordinari del luogo ».
E da notare che i testo conciliare si limita a descrivere esclusi­
vamente i tratti di queste figure che hanno più diretta attinenza con
il contenuto del decr. Presbyterorum Ordinis, vale a dire l’esistenza di
presbiteri incardinati o ascritti nelle stesse, oppure gli altri aspetti
che sono giudicati bisognosi di ulteriori precisazioni: e cioè la norma­
tiva dalla quale devono essere rette quelle nuove figure e i loro rap­
porti con la gerarchia territoriale della Chiesa. Gli altri elementi non
sono neppure menzionati, perché si considerano evidenti di per sé:
niente si dice sull’esistenza di un vescovo nelle diocesi peculiari o di
un prelato nelle prelature personali, giacché la loro esistenza è ovvia.
E lo stesso vale per i fedeli laici (7).

3. Ai fedeli laici si riferisce invece il decr. Ad gentes, che pro­


spetta la possibilità di integrare in una prelatura personale quei grup­
pi socio-culturali esistenti in una regione determinata, i quali, a
causa di differenti abitudini di vita, tradizioni, ecc., non riescano fa­
cilmente ad adattarsi alla forma peculiare che la Chiesa ha ivi assun­
to (8).

4. Per impostare correttamente l’inserimento delle prelature


personali nella struttura pastorale della Chiesa, dobbiamo pure ac­
cennare all’ordine sistematico seguito nel decr. Christus Dominus per
esporre l’ufficio pastorale dei vescovi nella Chiesa. Esso si articola in
tre capitoli: il primo, De Episcopis quoad universam Ecclesiam, il se­
condo, De Episcopis quoad Ecclesias particulares seu dioeceses, il terzo,

(7) Per quanto concerne l’elaborazione del decr. Presbyterorum Ordinis, n. 10,
cfr. J.E. Fox, The personal Prelature of thè Second Vatican Council: an Historical Ca-
nonical Study. Appendix: A Documentary History of the Personal Prelature, 2 vol., Ro­
ma, 1987; J.L. Gutiérrez, De praelatura personali iuxta leges eius constitutivas et Co-
dicis Iuris Canonici normas, in Periodica 12 (1983), p. 73-87; G. Lo Castro, Le pre­
lature personali per lo svolgimento di specifiche funzioni pastorali, in II diritto Ecclesia­
stico 1/1983, p. 87-99; P. Lombardia-J. Hervada, Sobre prelaturas personales, in lus
Canonicum 27 (1987), p. 17-44; J. Martìnez-Torrón, o.c. (nota 2), p. 159-283.
(8) Cfr. Cone. Vat. Il, decr. Ad gentes, n. 20/7 e nota 4; n. 27/2 e nota 28.
I.K PRELATURE PERSONALI 471

infine, De Episcopis in commune plurìum Ecclesiarum bonum cooperan-


tibus. La sezione III di questo capitolo III ha per titolo: Episcopi mu-
nere interdioecesano fungentes, giacché le necessità pastorali esigono
sempre più che alcune funzioni pastorali (pastoralia munia) « concordi-
ter regantur ac promoveantur » (y): sotto questo profilo possono anno­
verarsi, fra gli altri, gli ordinariati per gli orientali, gli ordinariati mi­
litari o castrensi (10), nonché le altre peculiari diocesi e prelature per­
sonali ("). Per tutte le predette istituzioni vale la raccomandazione
espressa dal Concilio Vaticano II, che cioè « tra i prelati o i vescovi,
preposti a questi uffici, e i vescovi diocesani e le conferenze episcopa­
li regnino sempre la comunione fraterna e la concorde intesa degli
animi per la sollecitudine pastorale, le cui linee devono essere definite
anche dal diritto comune » (12), di modo che si proceda sempre « in
concordi cum Episcopis dioecesanis cooperatione » (13).

5. Le norme relative alle prelature personali furono sviluppate


nel motu pr. Ecclesiae Sanctae, del 6-VIII-1966, I, n. 4 (H); questo
previde fra l’altro che i fedeli laici appartenenti alle predette prelatu­
re potessero anche partecipare alla realizzazione dei compiti apostolici
propri delle stesse, stipulando a tale scopo un’opportuna convenzione.

6. Infine, la cost. ap. Regnnini Ecclesiae universae, del 15-


VIII-1967, n. 49 § 1 (,5)> attribuì alla Congregazione per i vescovi la

(9) Cone. Vat. Il, decr. Christus Dominas, n. 42/1.


(10) Cfr. Cone. Vat. II, decr. Christus Dominas, n. 43.
(") Cfr. Cone. Vat. II, decr. Presbyterorum Ordinis, n. 10/2. Si menzionano
qui anche le peculiares dioeceses in quanto che pure esse svolgono la loro azione entro
l’ambito spaziale di una o più diocesi territoriali.
Í12) Cone. Vat. II, decr. Christus Dominas, n. 42/2.
(u) Cone. Vat. II, decr. Christus Dominas, n. 43/1. Nel CIC, il contenuto dei
tre capitoli del decr. Christus Dominas è stato raggruppato in due sole sezioni: De su­
prema Ecclesiae auctoritate (cann. 330-367) e De Ecclesiis particularibus dequc earun-
dem coetibus (cann. 368-572). La riduzione degli Episcopi in commune plurìum Eccle­
siarum bonum cooperantes e munere interdioecesano fungentes a Ecclesiarum particula-
rium coetus comportò, fra l’altro, la scomparsa dal codice degli ordinariati castrensi
(eccettuata la menzione dei loro cappellani nel can. 569) nonché la deficiente colloca­
zione sistematica dei cann. 294-297, sulle prelature personali. Si veda in proposito
J.L. Gutiérrez, De ordinariati« militaris nova constitutione, in Periodica 76 (1987), p.
189-218, specialmente p. 192-199.
(14) AAS 57 (1966), p. 760-761. Per un commento, cfr. J.L. Gutif.rrf.z, De
praelatura..., cit. (nota 7), p. 87-97; G. Lo Castro, o.c. (nota 7), p. 99-110.
(15) Cfr. AAS 59 (1967), p. 901.
472 JOSÉ LUIS GUTIÉRREZ

competenza sulle prelature personali e sui loro prelati, nei luoghi non
soggetti alla Congregazione per le Chiese orientali o alla Congrega­
zione di propaganda fide.
La stessa disposizione è ora enunciata nella cost. ap. Pastor Bo­
nus, del 28-VI-1988, art. 80: « Ad hanc Congregationem (prò Epi­
scopi) pertinent ea omnia, quae ad Sanctam Sedem spectant circa
Praelaturas personales » (16).

II. Le prelature personali nei successivi schemi e nel testo promulgato


del CIC 83.

7. La commissione per la revisione del codice di diritto cano­


nico trattò per la prima volta delle prelature personali nella I sessio­
ne del gruppo di consultori « De sacra hierarchia » (l7), dal 24 al 28
ottobre 1966, in occasione dei canoni circa l’incardinazione dei chie­
rici (18). Dal verbale della predetta seduta apprendiamo che i Consul­
tori furono consci fin dal primo momento della differenza esistente
fra diocesi, prelature ed abbazie nullius, vicariati apostolici e prefet­
ture apostoliche, da una parte (i quali tutti, sia pure con diverse for­
mulazioni, erano ricompresi sotto il nome generico di chiese partico­
lari), e prelature personali dalPaltra (19). Tuttavia, per evitare inutili
ripetizioni, fu redatto il testo di un paragrafo che, senza intaccare
minimamente la predetta differenza, recitava così: « Ecclesiae parti-

(!6) AAS 80 (1988), p. 880.


(,7) Per uno studio dettagliato dei lavori di codificazione in proposito, cfr. P.
Rodrìguez, Chiese particolari e prelature personali, Milano, 1985, p. 37-72; W.H.
Stetson-J . I Iervada, Versomi Prelatures from Vatican II to thè New Code: an Herme-
neutical Study of Canons 294-297, in The Jurist 45 (1985), p. 379-418.
08) Cfr. Communicationes, 16 (1984), p. 158-190. Sul lavoro complessivo del
gruppo di Consultori « De sacra Hierarchia » (chiamato « De clericis » fino alla ses­
sione del 16-21 dicembre 1968), fu pubblicata un’informazione riassuntiva in Com­
municationes 3 (1971), p. 187-197; 4 (1972), p. 39-50; 5 (1973), p. 216-235; 7
(1975), p. 161-172 e 8 (1976), p. 23-31.
(19) Cfr. Communicationes 16 (1984), p. 159-160. La lettura di questo verbale
serve a verificare quanto sia labile il fondamento su cui poggiano le supposizioni
avanzate da G. Ghirlanda, il quale ipotizza un influsso di questo schema prepara­
torio sull’elaborazione della cost. ap. Regimìni Ecclesiae universae, del 15 Vili 1967,
per quanto concerne la dipendenza delle prelature personali dalla Congregazione per
i vescovi: vid. De differentia praelaturam personalem inter et ordinariatum militarem
sen castrensem, in Periodica 76 (1987), p. 226, nota 10 (per una traduzione italiana
dello stesso testo, cfr. Gregorianum 69, 1988, p. 303, nota 5).
LE PRELATURE PERSONALI 473

culari, in canonibus qui sequuntur, aequiparatur Praelatura persona­


le » (20).
La seconda sessione del gruppo di studio (3-8 aprile 1967) fu dedi­
cata allo studio di alcune questioni generali sulla nozione di chiesa par­
ticolare (21), non potendosi tuttavia giungere alla formulazione di pro­
poste concrete di canoni, per mancanza di tempo (22). Il testo dei relati­
vi canoni fu quindi proposto allo studio dei consultori nella sessione
successiva, vale a dire la terza, che ebbe luogo dal 4 al 7 dicembre
1967 (2ì). Da questa data fino allo schema del 1980, la commissione
pontificia per il CIC procedette secondo il sistema dell’equiparazione
in iure delle prelature personali alle altre entità appartenenti alla strut­
tura pastorale della Chiesa, stabilendo tuttavia le clausole opportune
per salvaguardare i diritti dei rispettivi vescovi diocesani, secondo il
prescritto del decr. Vresbyteromm Ordinis, n. 10 (24).
Lo schema « De Populo Dei », del 1977, regolava le prelature per­
sonali « ad peculiaria opera pastoralia vel missionalia perficienda prò
variis regionibus aut coetibus socialibus, qui speciali indigent adiuto­
rio », le quali « Ecclesiis particularibus in iure aequiparantur, nisi ex
rei natura aut iuris praescripto aliud appareat » (25). Allo stesso tempo,
lo schema prevedeva anche la possibilità di prelature nelle quali la
« portio populi Dei, Praelati curae commissa, indolem habeat persona-
lem, complectens nempe solos fideies speciali quadam ratione devinc-
tos », precisando immediatamente che « huiusmodi sunt Praelaturae
castrenses, quae Vicariatus castrenses quoque appellantur » (26).
Eseguita la revisione dell’anzidetto schema 1977 sulla base delle
osservazioni ricevute (27), fu elaborato lo Schema Codicis del* 18 * * * * * * * * *

(20) Ibid., p. 160. Per il testo del canone, al quale ci stiamo ora riferendo, cfr.
ibid., p. 187.
(21) Cfr. Communicationes 17 (1985), p. 74-94.
i22) Cfr. ibid., p. 90.
(23) Cfr. Communicationes 18 (1986), p. 54-69.
(24) Per la sessione IV dei consultori (4-7 marzo 1968), cfr. Communicationes
18 (1986), p. 112-114. Non sono stati ancora pubblicati i verbali di tutte le sessio­
ni, ragion per cui la ricostruzione dell'iter è necessariamente frammentaria. Quanto
al concetto di equiparazione in iure, cfr. J.L. GutiÉrrez, Estúdios sobre la organiza-
ción jerárquica de la Iglesia, Pamplona, 1987, p. 187-190.
(25) « Schema canonum Libri II, de Populo Dei », Typ. Vat. 1977, can. 217 § 2.
(26) Ibid., can. 219 § 2. Si veda anche il can. 221 § 2.
(27) Cfr. Communicationes 14 (1982), p. 62-63, per quanto concerne i canoni
relativi all’incardinazione, e Communicationes 12 (1980), p. 275-282 quanto a quelli
« De Ecclesiis particularibus ».

31. lus ecclesiae - 1989.


474 JOSÉ LUIS GUTIÉRREZ

1980 (2S), nel quale, per quanto concerne il nostro argomento, l’op­
zione tecnica scelta dalla commissione codificatrice può essere così
descritta:
a) la diocesi è il paradigma della chiesa particolare; ad essa sono
assimilate la prelatura territoriale, l’abbazia territoriale, il vicariato
apostolico, la prefettura apostolica e l’amministrazione apostolica
eretta con carattere stabile (*29);
b) la prelatura personale si distingue dalle precedenti figure; per
definire la normativa secondo la quale essa deve reggersi, si stabilisce
il principio generale della sua equiparazione in iure alle chiese parti­
colari, con le opportune clausole restrittive, vale a dire: « nisi ex rei
natura aut iuris praescripto aliud appareat, et iuxta statuta a Sede
Apostolica condita » (30).
L’opzione tecnica operata dalla commissione codificatrice può
quindi sintetizzarsi così: una prelatura personale non è una chiesa
particolare; ciò stabilito, non sembra necessario tuttavia elaborare un
complesso normativo proprio per le prelature personali, giacché ciò
comporterebbe molte inutili ripetizioni nel corpo legale; è sufficien­
te, quindi, prendere un punto di riferimento (le norme previste per
le chiese particolari) da applicarsi alle prelature personali secondo la
tecnica giuridica dell’equiparazione, determinando allo stesso tempo
i casi nei quali tali norme non sono applicabili, mediante il rinvio,
soprattutto, agli statuti emanati dalla Santa Sede per ogni prelatu-

(2S) Cfr. Schema Codicis Iuris Canonici, Libreria Editrice Vaticana 1980, cann.
335-341.
(29) Cfr. ibid., can. 335 § 1.
(30) Cfr. ibid., can. 335 § 2.
(31) La tecnica dell’equiparazione in iure non è altro se non una derivazione
del principio più generale dell’economia legislativa: invece di stabilire un corpo nor­
mativo per ogni istituzione, si prescrive in generale che la normativa prevista per
un’istituzione vale pure, entro certi limiti, per un’altra (che in questo senso viene
equiparata alla prima). Da notare pure che il concetto di equiparazione presuppone
quello di disuguaglianza fra le istituzioni. « Como bien saben los cultivadores de la
ciencia del Derecho, una de las maneras más eficaces del principio de ‘economia le­
gislativa’ es precisamente el recurso a la equiparación para regular figuras que pre-
sentan alguna analogia con otra más conocida en el orden jurídico. De ahi que cláu­
sulas como ‘nisi ex rei natura aut iuris praescripto aliud appareat’ presuponen la di­
ferencia jurídica sustancial de las figuras y son la expresión legal de los limites que
hacen legítima la equiparación, manifestando asi que la aplicación a la nueva figura
del régimen de la figura principal es sólo parcial, ya que dejan de aplicarse aquellas
normas que corresponden a los rasgos diferenciales » (P. Rodrìguez-A. De Fuenma-
LE PRELATURE PERSONALI 475

8. Lo schema del 1980 fu inviato a tutti i membri della com­


missione per il CIC e con le loro osservazioni fu approntata la relatio
per la plenaria celebrata nel mese di ottobre del 1981 (32).
Come appare dalla lettura sia delle osservazioni di alcuni membri
sia dalle relative risposte alle stesse dei consultori della commissione,
si trovarono di fronte due tesi contrapposte: quella di alcuni membri,
i quali sostenevano che il testo dello schema identificava le prelature
personali con le chiese particolari, creando così confusione dal punto
di vista teologico; e quella che era stata la scelta tecnica realizzata
dalla commissione per il codice: che, cioè, il concetto di equiparazio­
ne in iure serviva sia per sottolineare la differenza delle istituzioni
equiparate sia per stabilire, senza scapito della brevità, quali norme
del diritto universale fossero applicabili alle prelature personali.
A tutt’oggi non sono stati pubblicati gli atti della predetta plena­
ria (33): tuttavia, lo schema novissimum del Codex, del 25 marzo 1982,
presenta una novità rispetto al testo precedente: i canoni sulle prela­
ture personali, con una redazione assai simile a quella che verrà defi­
nitivamente promulgata appaiono collocati, come titolo a parte, alla
fine della sezione « De Ecclesiis paticularibus deque earundem coeti-
bus », scomparendo inoltre qualsiasi riferimento ai vicariati castren­
si (34). Tale soluzione comportava una duplice incongruenza: da una
parte, era stato soppresso il concetto di equiparazione agli effetti nor­
mativi, che stava alla base del collocamento sistematico delle prelatu­
re personali nella sezione dedicata alle chiese particolari, nonostante
si trattasse di istituzioni diverse; d’altra parte, le prelature personali
rimanevano nella sezione sulle chiese particolari, non tenendo così
conto del motivo dell’opposizione di alcuni membri della plenaria ri­
spetto allo schema del 1980.

yor, Sobre la naturaleza de las Prelaturas personales y su inserción dentro de la estructura

de la Iglesia, in lus Canonicum 47, 1984, p. 42).


(32) Relatio complectens synthesim animadversionum ab Em.mis atque Exc.mis
Patribus Commissionìs ad novissimum schema Codicis luris Canonici exhibitarum, cum
responsionibus a Secretaria et Consultoribus datis, preparata per la plenaria del mese di
ottobre 1981. Per quanto concerne l’argomento in studio, cfr. Communicationes 14
(1982), p. 201-204.
(33) Per alcuni dati, cfr. P.G. Marcuzzi, Le prelature personali nel nuovo codice
di diritto canonico, in AA.VV., Il nuovo codice di diritto canonico. Novità, motivazioni
e significato, Roma, 1983, p. 129-138 (anche in Apollinaris 56, 1983, p. 465-474).
(î4) Cfr. Codex luris Canonici. Schema novissimum, 25 marzo 1982, cann. 573-
576.
JOSÉ LUIS GUTIERREZ
476

Se si temeva che la tecnica giuridica dell’equiparazione nel dirit­


to potesse comportare pericoli di confusione in campo teologico, il
problema avrebbe potuto essere facilmente risolto tenendo presente
bordine sistematico del decr. Christus Dominus, sopra ricordato (35):
tuttavia non si cercò di ristrutturare la sezione « De Ecclesiis parti-
cularibus deque earundem coetibus »: per tale ragione nel testo pro­
mulgato non rimase più un luogo adeguato per le istituzioni pastorali
e gerarchiche della Chiesa non riconducibili alle chiese particolari o
ai loro raggruppamenti: le prelature personali furono pertanto collo­
cate nella parte I del Libro II, « De christifidelibus », immediata­
mente prima del titolo sulle associazioni di fedeli (36); allo stesso tem­
po, i vicariati castrensi non furono neppure menzionati.

9. Sembra che la riflessione sulla natura teologica e giuridica


delle prelature personali da parte delle diverse istanze consultive in­
tervenute nella fase finale della vigente codificazione sia stata messa
in rapporto con un’altra questione ben più ampia: la Chiesa di Gesù
Cristo, una ed unica, è anche il corpus Ecclesiarum. Ci sono, in effet­
ti, le chiese particolari, formate ad immagine della Chiesa universale,
in quibus et ex quibus una et unica Ecclesia catholica exsistit (37), men­
tre in ognuna di esse vere inest et operatur una sancta catholica et apo­
stolica Christi Ecclesia (38).
Muovendo da queste premesse, una parte della dottrina ha ritenu­
to di poter concludere che, nella struttura gerarchica della Chiesa non
esistono possibilità organizzatorie fuori delle chiese particolari (3S). Gli* (*)

(33) Cfr. supra, n. 4.


(*) Cfr. CIC, cann. 294-297.
(37) Cone. Vat. II, cost. dogm. Lumen gentium, n. 23/1. Cfr. nn. 23/2 e 26.
(38) Cone. Vat. II, decr. Christus Dominas, n. 11/1. Circa la mutua immanen­
za fra Chiesa universale e Chiese particolari, cfr. A. Longhitano, Le Chiese partico­
lari, in AA.VV., Il codice del Vaticano II. Chiesa particolare, Bologna, 1985, special­
mente p. 15-39 (si veda anche l’introduzione, p. 7-14); L. Martìnez Sistach, Natu-
raleza teológico-canónica de la Iglesia particular, in AA.VV., Estúdios canónicos en ho-
menaje al Profesor D. Lamberto de Echevema, Salamanca, 1988, p. 265-294; P. Ro-
drìguez, Chiese particolari e prelature personali, cit. (nota 17), p. 89-119; A. Rouco
Varela, Iglesia universal-Iglesia particular, in lus Canonicum 22 (1983), p. 221-239.
Si vedano anche gli atti del IX simposio internazionale di teologia ([Iglesia universal -
Iglesias particulares), organizzato dalla Facoltà di Teologia dell’Università di Navarra,
6-9 aprile 1988 (in corso di stampa).
(39) Basta accennare agli studi di W. Aymans (il cui lavoro più recente in pro­
posito è la voce Kirchenvetfassung II, Rómisch-katholische Kirche, in Evangelisches
LE PRELATURE PERSONALI 477

autori che sostengono tali opinioni concludono, quindi, che, non es­
sendo le prelature personali chiese particolari nel senso da loro at­
tribuito all’espressione, altro non possono essere se non entità ap­
partenenti al genus delle associazioni. Tuttavia, sembra necessario
affrontare il nocciolo della questione: è vero che l’organizzazione
ecclesiastica non ammette altri elementi fuori delle chiese partico­
lari?
La produzione scientifica in merito sembra essersi concentrata
sui rapporti fra le chiese particolari, le cosiddette istanze intermedie
e la potestà suprema (40), lasciando da parte, salvo alcune eccezioni,
una trattazione dettagliata e precisa sul concetto stesso di chiesa
particolare. Per essere esatti, sono frequenti le opere nelle quali,
sulla base del decr. Chrìstus Dominus, n. 11/1, la chiesa particolare
è tout court identificata con la diocesi, che è in seguito descritta
con riferimento ai suoi elementi integranti (41): raramente, però, e
quasi di passaggio, è considerato negli stessi scritti il fatto che esi­
stono anche altre dimensioni particolari della Chiesa, le quali non
rientrano nella categoria delle diocesi (42), giacché, pur avendo ele­
menti comuni con esse, mancano di alcuni elementi loro propri. La

Staatslexikon, vol. I, Berlin-Stuttgart, 1987, col. 1755-1771), seguito assai da vicino


da G. Ghirlanda nell’articolo citato sopra, nota 19. Per un approccio alla questio­
ne, cfr. J.L. Gutiérrez, De fine ut elemento distinctionis inter entia institutionalia et
associativa, comunicazione presentata al VI congresso internazionale di diritto cano­
nico, Monaco di Baviera, settembre 1987.
(40) L’attuale congiuntura sembra richiedere uno sforzo per mantenere il giu­
sto equilibrio, e cioè, per non lasciarsi trascinare da quella forza centrìfuga che si
manifesta oggi in alcuni settori della vita della Chiesa (cfr. Giovanni Paolo II, Di­
scorso ai cardinali e alla curia romana, 21-XII-1984, n. 5: AAS 77, 1985, p. 503­
514). Pure il Card. Joseph Ratzinger accenna con vigore allo stesso fenomeno, qua­
lificandolo come « romanticismo della Chiesa locale » (cfr. J. Ratzinger, Chiesa,
Ecumenismo e Politica, Ed. Paoline, 1987, p. 76 e 78).
(41) A questa identificazione può anche aver contribuito il titolo dato al cap.
II del decr. Chrìstus Dominus, la cui rubrica è appunto De Episcopis quoad Ecclesias
particulares seu dioeceses, dove la congiunzione seu potrebbe indurre a pensare che
si tratti di termini sinonimi.
(42) Il decr. Chrìstus Dominus si riferisce ai vescovi diocesani aliique in iure
ipsis aequiparati (n. 21) e alle dioeceses aliaeque territoriales circumscrìptiones quae in
iure dioecesibus aequiparantur (n. 40/2). Sulle dimensioni particolari della Chiesa ho
trattato in AA.VV., Manual de Derecho Canònico, Pamplona, 1988, cap. VI (Orga-
nización jerdrquica de la Iglesia), p. 291-371; pure nella comunicazione Le dimensio­
ni particolari della Chiesa, in corso di stampa negli atti del Simposio cit. nella nota
38.
478 JOSE LUIS GUTIERRE2

questione diventa, poi, più pressante, se si tiene conto che, secondo


alcuni autori, le chiese particolari appartengono al diritto divi­
no (4}). Per tale motivo, sembra necessario porsi alcune domande:
quali sono le chiese particolari in quibus et ex quibus una et unica
Ecclesia catholica exsistit? Quali sono, in concreto, le dimensioni
particolari assunte dalla Chiesa riconducibili alla nozione di chiesa
particolare? E quello di chiesa particolare un concetto totalizzante,
di modo che non possa concepirsi un’entità integrante l’organizza­
zione pastorale della Chiesa se essa non è riconducibile, allo stesso
tempo, alla nozione di chiesa particolare o è integrata nella mede­
sima?
Limitandoci ad alcuni accenni sulla questione, che richiedereb­
be molto più tempo di quello che abbiamo a nostra disposizione, ri­
corderemo ora che, riprendendo testualmente le parole del decr.
Chrìstus Dominus, n. 11/1, il can. 369 descrive la diocesi come
« populi Dei portio, quae Episcopo cum cooperatione presbyterii
pascenda concreditur, ita ut... Ecclesiam particularem consti­
tuât » (44). Ne sono elementi costitutivi, pertanto, il populus, il ve­
scovo e il presbiterio. Soffermandoci su uno solo dei predetti ele­
menti, notiamo come il vescovo (naturalmente consacrato) è vesco­
vo, appunto, della diocesi (vale a dire, non ha il titolo di un’altra
diocesi), ed ha su di essa una potestà ordinaria, propria e immedia­
ta (45).

10. Ora, considerando le entità che, nel diritto, sono assimi­


late alla diocesi, nisi aliud constet, a norma del can. 368, avvertia­
mo subito che solo da pochi anni i prelati territoriali ricevono ordi­
nariamente (ma non sempre) la consacrazione vescovile, e la ricevo­
no come vescovi della propria prelatura (46), tuttavia ad instar Epi­
scopi dioecesani (47). L’abate di un’abbazia territoriale, invece, non ri-

(43) Cfr. G. Philips, Utrum Ecclesiae particulares sint iuris divini an non, in
Periodica 58 (1969), p. 143-154.
(44) La nozione correlativa di eparchia è descritta in termini identici nell’at­
tuale progetto del CICO (in Nuntia 24-25, 1987), can. 175 § 1.
(45) Cfr. Cone. Vat. II, cost. dogm. Lumen gentium, n. 27/1; decr. Chrìstus
Dominus, n. 8/1; CIC, can. 381 § 1; progetto CICO (cit. nella nota precedente),
can. 176.
(46) Cfr. Congregazione per i vescovi, lettera prot. n. 335/67, del 17 ottobre
1977: Communicationes 9 (1977), p. 224.
(47) Cfr. CIC, can. 370.
LH PRELATURE PERSONALI 479

ceve ordinariamente la consacrazione vescovile C8). Il vicariato apo­


stolico e Pamministrazione apostolica sono affidati a un vescovo non
della rispettiva portio, ma titolare; essi poi svolgono la propria fun­
zione non con potestà ordinaria, propria e immediata, ma nomine
Summi Pontificis (49). La prefettura apostolica, infine, è affidata a un
presbitero, che la governa parimenti nomine Stimmi Pontificia (50). Le
istituzioni assimilate ad una diocesi possono dunque avere a capo sia
un vescovo ordinato con il titolo della rispettiva istituzione, che la
presiede ad instar Episcopi dioecesani, sia un vescovo titolare, sia an­
che un presbitero, alcuni dei quali esercitano la propria funzione no­
mine Summi Pontificis. Orbene: rientrano esse tutte nella descrizione
data della diocesi (« quae Episcopo cum cooperatane presbyterii pa-
scenda concreditur »), almeno nel senso che possano dirsi chiese parti­
colari anche da un punto di vista teologico? Oppure si tratta solo di
un’assimilazione ridotta agli effetti normativi?
Concentrando ora la nostra attenzione sull’elemento populì Dei
portio, ci soffermeremo su alcune strutture pastorali d’indole perso­
nale che presentano talune caratteristiche interessanti:
a) In primo luogo, l’ordinariato militare o castrense, la cui man­
cata previsione nel CIC è stata superata mediante la cost. ap. Spiri­
tuali militum curae, del 21 aprile 1986 (51), emanata avendo presente
il decr. Preshyterorum Ordinis, n. 10/2 (52). Per mezzo di questo

(48) Cfr. Paolo VI, motu pr. Catholìca Ecclesìa, 23 ottobre 1976: AAS 68
(1976), p. 694-696. Gli abati che ricevono l’episcopato sono vescovi titolari, e cioè
non sono ordinati vescovi della rispettiva abbazia intesa come Chiesa particolare.
(49) Cfr. CIC, can. 371 SS 1-2.
P) Cfr. CIC, can. 371 § 1.
(51) In AAS 78 (1986), p. 481-486. Cfr. J.I. Arrieta, Et Ordinariato castrense,
in lus Canonicum 26 (1986), p. 731-748; G. Dalla Torre, Aspetti della storicità del­
la costituzione ecclesiastica. Il caso degli ordinariati castrensi, in II diritto Ecclesiastico
(1986, 1), p. 261-274; J.L. Gutiérrez, De Ordinariati rnilìtaris nova constilutìone,
cit. nella nota 13; D. Le Tourneau, La juridiction cumulative de l'Ordìnariat aux Ar­
mées, en Revue de Droit Canonique 37 (1987), p. 171-214; M. Morüante, La Chiesa
particolare nel codice di diritto canonico. Ed. Paoline, 1987, p. 16-19; J.P. Schouppe,
Les Ordinariats aux Années dans la Constitution Apostolique « Spirituali militum cu­
rae », in Ephemerides Thcologicae Lovanìenses 64 (1988), p. 173-190; U. Tammler,
« Spirituali Militum Curae » - Entstehung, Inhalt, Bedeutung und Auswirkungen der
Apostolischen Konstitution vom 21. Aprii 1986 iiber die Militdrseelsorge, in Archiv fiir
katholisches Kirchenrecht 155 (1986), p. 49-71. Si veda anche la rivista Militum cura
spirituali, apparsa nel 1987, a cura della Congregazione per i vescovi.
(32) Riferendosi alle norme fino ad allora vigenti, il proemio della cost. ap.
Spirituali militum curae espone: « Nunc vero tempus advenisse dicendum est, ut nor-
480 JOSÉ LUIS GUTIÉRREZ

documento, F ordinariato è assimilato giuridicamente ad una dioce­


si (5ì), pur con alcune limitazioni stabilite dal diritto: per esempio,
l’erezione di un seminario dell’ordinariato richiede la previa approva­
zione della Santa Sede (*54); inoltre, l’ordinario militare, che di regola
riceverà l’ordinazione episcopale, « omnibus gaudet iuribus Episco-
porum dioecesanorum eorundemque obligationibus tenetur, nisi aliud
ex rei natura vel statutis particularibus constet » (55). Ciò nonostante,
egli non riceve l’ordinazione episcopale quale vescovo dell’ordina­
mento castrense, ma come titolare di una diocesi estinta. Tuttavia, la
nota più importante sembra essere la seguente: i fedeli di un ordina­
riato militare continuano ad essere fedeli anche della Chiesa partico­
lare alla cui populi Dei portio appartengono sulla base del proprio do­
micilio o del proprio rito. Per questo motivo, la potestà dell’ordina­
rio castrense è personale, ordinaria e propria, ma cumulativa con
quella del rispettivo vescovo diocesano (56): notiamo, quindi, come
possa esistere un chnstifidelium coetus (57) sottoposto sia alla giurisdi­
zione del rispettivo vescovo diocesano (territoriale) che a quella del­
l’ordinario castrense.
b) Esistono anche gli ordinariati per i fedeli di rito orientale, nei
territori dove non è ancora costituita la gerarchia della propria Chie­
sa rituale sui iuris (5S); un esempio paradigmatico è offerto dai fedeli
di rito orientale viventi in Francia (59): per il momento, ne è ordina­
rio l’arcivescovo di Parigi, il quale eserciterà la propria giurisdizione
cumulativamente con quella degli altri ordinari del luoghi (60); ciò

mae praedictae recognoscantur, quo maiore vi atque efficacitate polleant. Ad id du-


cit imprimis Concilium Vaticanum II, quod viam stravit aptioribus inceptis ad pecu­
liari opera pastoralia perficienda (cfr. Decr. Presbyterorum Ordinis, n. 10), necnon
Ecclesiae actionem in mundo nostri temporis perpendit » (ibid.).
(53) Cfr. ibid., art. I § 1.
(54) Cfr. ibid., art. VI § 3.
(55) Ibid., art. IIS1.
(56) Ibid., art. IV. Ricordiamo che il n. 43 del decr. Christus Dominas era po­
sto sotto il titolo « Episcopi munere interdioecesano fungentes ».
(57) Nella cost. ap. Spirituali militum curae non viene mai adoperata l’espres­
sione populi Dei portio per designare i fedeli appartenenti ad un ordinariato militare.
i58) Cfr. Annuario Pontificio, 1989, p. 957-960 e, per le note storiche, p.
1602.
(59) Cfr. Congregazione per le Chiese orientali, dichiarazione del 30 aprile
1986: AAS 78 (1986), p. 784-786.
(60) Cfr. ibid., art. I. Tuttavia, « la juridiction de l’Ordinaire des Orientaux et
celle des Ordinaires du lieu ne sont pas situées sur le même plan, ces derniers exer-
LE PRELATURE PERSONALI 481

nondimeno, l’ordinario per gli orientali non potrà prendere alcuna


decisione senza aver ottenuto il previo consenso degli ordinari del
luoghi interessati, consenso che è richiesto ad validìtatem (61). Inoltre,
conformemente a ciò, dopo aver sentito il parere dell’autorità supe­
riore delle Chiese rituali interessate, l’ordinario per gli orientali po­
trà autorizzare la costituzione di nuove comunità collegate con una
Chiesa orientale, nonché riconoscere i gruppi e le associazioni di fe­
deli latini che desiderino vivere secondo le tradizioni di una Chiesa
orientale, partecipare alla sua liturgia e vivere la sua spiritualità, così
come erigere parrocchie per gli orientali e nominare i loro parro­
ci (6Z). Si tratta, quindi, di un vescovo diocesano di rito latino, al
quale è affidata la cura dei fedeli orientali o dei fedeli latini che scel­
gono liberamente di partecipare alla vita di una Chiesa orientale,
nell’intero territorio di una nazione, nei termini descritti.
c) Solo un accenno alle strutture create come complemento
della cura pastorale ordinaria che certi esuli ricevono nelle attuali
diocesi di residenza: basterà citare il visitatore apostolico con giuri­
sdizione personale per i fedeli provenienti dalle diocesi polacche di
Gdansk e Warmia (63), oppure i vescovi a cui è stata affidata la cu­
ra pastorale dei fedeli provenienti da diverse nazioni dell’Est (64).
In tutti i casi citati è dato riscontrare una nota comune: si trat­
ta, in effetti, di strutture pastorali create non per sostituire quelle a
carattere territoriale, ma per provvedere, unitamente con esse, ad
una migliore cura pastorale di determinati fedeli, mediante la realiz­
zazione di peculiari opere pastorali.
Alla luce di questi dati, l’opinione secondo la quale nell’organiz­
zazione ecclesiastica possono esistere solo le chiese particolari (iden­
tificate con le diocesi ed ammettendo, talvolta a malincuore, le altre
istituzioni assimilate ad esse nel diritto) si rivela piuttosto frutto di

çant leur juridiction de façon plutôt subsidiaire par rapport à celle de l’Ordinaire
des Orientaux, conçue corne principale » (ibid.).
(61) Ibid., art. IL
(62) Ibid., art. III.
(63) Cfr. S.C. Concistoriale, decr. del 21 marzo 1964 e dell’11 marzo 1975
(OCHOA, III, 4481 e V, 7004).
(64) A titolo d’esempio, fra le provisiones Ecclesiarum del 1982, leggiamo: « die
18 Decembris. Titulari Ecclesiae Tubiensi R.D. Dominicum Hrusovsky, e clero Tyr-
naviensi, ad pastoralem curam Catholicorum Slovachorum in exteris regionibus de-
gentium deputatum. Titulari episcopali Ecclesiae Lutomislensi R.D. Jaroslav Skarva-
da, e clero Pragensi, ad pastoralem curam Catholicorum Cecorum in exteris ragioni-
bus degentium deputatum » (AAS 15, 1983, p. 334).
482 JOSÉ LUIS GUTIÉRREZ

uno studio condotto su libri e documenti, ma con scarsa aderenza al­


la vita concreta della Chiesa (che è un locus théologiens) e alle reali
necessità pastorali.
Va da sé che le considerazioni testé esposte valgono pure per le
prelature personali, concepite come entità inserite dalla potestà pri-
maziale del Romano Pontefice nell’organizzazione pastorale e gerar­
chica della Chiesa (65).
Ritengo altresì che la scienza teologica e canonistica debbano
ancora approfondire la propria ricerca sul concetto esatto di chiesa
particolare: l’unica via possibile per giungere ad un risultato proficuo
sembra quella di tener presente che, accanto alle chiese particolari
(intese in senso stretto e proprio), ci sono anche altre dimensioni par­
ticolari della Chiesa, tutte le quali sono elementi integranti dell’una
ed unica Chiesa di Cristo (66).

III. Commento dei singoli canoni sulle prelature personali

11. Innanzitutto, dobbiamo premettere che i cann. 294-297


costituiscono una legge-quadro o complesso normativo generale vali­
do per le prelature personali, le cui diposizioni concrete dovranno es­
sere determinate più esplicitamente negli statuti emanati dalla Santa
Sede per ogni prelatura.
Il can. 294 sancisce, in primo luogo, che una prelatura personale
può essere costituita al fine sia di promuovere un’adeguata distribu­
zione dei presbiteri sia ad peculiaria opera pastoralia vel missionalia
perficienda (67).
L’ambito delle predette attività pastorali è pure determinato
con ampiezza: per le diverse regioni o per i diversi raggruppamenti socia­
li (aut diversis coetihus socialihus).
Il canone precisa, poi, uno degli elementi integranti di tali pre­
lature: esse dovranno constare di presbiteri e diaconi del clero seco­
lare.

(65) Vid. A. De Fuenmayor, Potestà primaziale e prelature personali, in Roma­


na, n. 2 (1986), p. 143-150.
(66) per ]a questione, mi permetto di rinviare al mio studio Le dimensioni par­
ticolari della Chiesa, cit. nella nota 42.
(67) Il dccr. Presbyterorum Ordinis, n. 10/2 prevedeva solo le peculiaria opera
pastoralia, alle quali il motu pr. Ecclesiae Sanctae I, n. 4, aggiunse vel missionaria. Il
canone estende la possibilità anche alla distribuzione del clero.
LH PRELATURE PERSONALI 483

Le prelature personali sono erette dalla Santa Sede, udite le con­


ferenze episcopali interessate (68).

12. Il can. 295 prevede che ogni prelatura è retta dagli statuti
sanciti dalla Santa Sede: gli statuti diventano in tal modo la legge
pontificia mediante la quale el prescrizioni generali vanno applicate
alla prelatura di cui si tratti, con le precisazioni richieste dalla finali­
tà, composizione, ecc. della stessa, sempre entro Lambito della già
menzionata legge-quadro. La stessa normativa è stata stabilita per gli
ordinariati militari nella cost. ap. Spirituali militum curae (69).
La prelatura ha un prelato, che è il suo ordinario proprio, per la
cui nomina vale quanto prescritto dal can. 377 § 1. Egli ha, tra l’al­
tro, il diritto di erigere il proprio seminario (70), nazionale o interna­
zionale a seconda dell’ambito per il quale sia stata eretta la prelatu­
ra, nonché di incardinare gli alunni e di promuoverli agli ordini con
il titolo del servizio della prelatura (71), con il dovere di provvedere
sia alla formazione spirituale di coloro che ha promosso con il pre­
dotto titolo sia al loro decoroso sostentamento.

13. Il can. 296 regola la partecipazione dei laici al compito


apostolico della prelatura. Dobbiamo precisare che il canone si riferi­
sce non ai destinatari dell’attività pastorale della prelatura, i quali sa­
ranno ovviamente laici, ma a coloro che, mediante covenzione, pre­

(68) Tale parere delle conferenze episcopali o dei vescovi diocesani interessati
è previsto per l’erezione di entità appartenenti all’organizzazione pastorale della
Chiesa (cfr. cann. 4.31 § 3 e 433 § 1, quanto alle province e regioni ecclesiastiche),
non per gli istituti di vita consacrata, per le società di vita apostolica o, in generale,
per le associazioni.
(69) Nell’introduzione della cost. ap. Spirituali militum curae (cit. nella nota
51), leggiamo che si era resa necessaria la revisione della normativa generale fino ad
allora vigente quanto agli ordinariati militari. Si aggiunge tuttavia: « Iluiusmodi ve­
ro normac eaedem esse non possunt prò cunctis nationibus, cum numerus fidelium
catholicorum qui militiae addicuntur non idem ubique sit sive absolutc sive relative,
cumque adiuncta valde inter se différant prò singulis locis. Congruit igitur ut gene­
rales quaedam normae hic statuantur, quae omnibus Ordinariatibus militaribus —
hactenus Vicariatus castrenses dictis — applicentur, quaeque statutis a Sede Aposto­
lica prò unoquoque Ordinariati! conditis compleantur, intra ambitimi tamen hnius
legis generalis ».
(70) Per gli ordinariati militari, invece, la costituzione del seminario richiede
la previa approvazione della Santa Sede: cfr. cost. ap. Spirituali militum curae, cit.
(nota 51), art. VI § 3.
(71) Si vedano anche i cann. 265 e 266.
484 JOSÉ LUIS GUTIÉRREZ

stano la propria collaborazione nella realizzazione dell’apostolato del­


la stessa. Innanzitutto, bisogna chiarire un equivoco: alcuni autori
hanno sostenuto che la funzione dei laici in una prelatura personale
debba necessariamente ridursi ad aiutare i chierici nei compiti propri
di questi ultimi. Per giungere a questa conclusione, i predetti autori
si basano, in primo luogo, sull’opinione già esaminata in preceden­
za (72), secondo la quale dovrebbe essere negata ogni possibilità di or­
ganizzazione pastorale della Chiesa non riconducibile al concetto di
chiesa particolare; e, in secondo luogo, su un cambiamento redazio­
nale introdotto al testo dello schema novissimum del 1982: là dove si
parlava di incorporazione dei laici, l’espressione è stata sostituita con
cooperazione organica (73), cooperazione che è intesa dagli stessi nel
senso esclusivo già accennato di collaborazione dei laici nei compiti
clericali.
Tale interpretazione riduttiva si rivela insostenibile, per diverse
ragioni:
a) Sarebbe un vero sperpero legislativo che un intero canone si
limitasse a constatare che i laici possono essere di aiuto al clero.
Inoltre, attribuire alla parola cooperatio tale significato pare un
apriorismo non giustificato dal punto di vista di una corretta erme­
neutica (74): in effetti, sia nel linguaggio dei documenti del Concilio
Vaticano II sia in quello del CIC, il termine cooperazione assume va­
rie accezioni (75).

(72) Cfr. supra, nn. 9-10.


(73) Il can. 576 dello schema novissimum recitava così: « Conventionibus cum
praelatura initis laici operibus apostolici praelaturae personalis sese dedicare pos­
simi; modus vero huius incorporationis atque praecipua officia et iura ex illa prove-
nientia in statuti apte determinentur ». Invece, il testo del can. 296 del CIC è:
« Conventionibus cum praelatura initis, laici operibus apostolici praelaturae perso­
nalis sese dedicare possunt; modus vero huius organicae cooperationis atque praeci­
pua officia et iura cum illa coniuncta in statutis apte determinentur ».
(7<f) « Leges ecclesiasticae intellegendae sunt secundum propriam verborum si-
gnificationem in textu et contextu consideratam » (CIC, can. 17). Cfr. J.L.
Gutiérrez, Alcune questioni sull'interpretazione della legge, in Apollinaris 60 (1987),
p. 507-525.
(75) Tali accezioni vanno dall’aiuto o collaborazione che si presta a un altro,
in ciò che di quest’ultimo è proprio, fino alla piena partecipazione a un compito che
è di tutti coloro che lo realizzano. In quest’ultimo senso, la cost. dogm. Lumen gen-
tium, n. 30, si riferisce alla missione della Chiesa come a un « commune opus », nel
quale tutti i fedeli, ciascuno nel modo che gli è proprio, « unanimiter cooperentur ».
Cfr. anche CIC, can. 208, sulla eguaglianza radicale dei fedeli, in virtù della quale
tutti cooperano all’edificazione del Corpo di Cristo; questa cooperazione è stata giu-
LE PRELATURE PERSONALI 485

b) Nel can. 296, qui considerato, tale cooperazione è qualificata


come organica. La scelta dell’aggettivo da parte del Legislatore non
può essere considerata casuale (76): La Chiesa è una comunità sacer­
dotale organicamente strutturata (77), la cui missione compete a tutti i
suoi membri, che devono cooperare organicamente fra di loro, cia­
scuno secondo la funzione che gli compete (78). Questa cooperazione
fa perno sulla relazione mutua fra sacerdozio comune e sacerdozio
ministeriale, che differiscono essenzialmente e non solo per grado,
ma al tempo stesso sono ordinati l’uno all’altro, « ad invicem ordi­
nante » (79), sono reciprocamente necessari e complementari: si deve
tener sempre presente che tale reciproco ordinamento non è riducibi­
le a un aiuto esterno del sacerdozio comune al sacerdozio ministeria­
le, ma implica una cooperazione mutua fra due poli che non potreb­
bero sussistere l’uno senza l’altro, dal momento che « apostolatus lai-
corum et ministerium pastorale mutuo se complent » (80). La missione
della Chiesa non si realizza attraverso l’azione di uno dei due sacer­
dozi con l’appoggio esterno dell’altro, ma è frutto dell’azione con­

stamente messa in rapporto con la comunione da A. Vallini, Sul nuovo codice, Na­
poli, 1984, p. 53-67; si veda anche A. Montan, Obblighi e diritti di tutti i fedeli, in
Apollinaris 60 (1987), p. 557; A. De Fuenmayor, I laici nelle prelature personali, in
AA.VV., Studi in memoria di Mario Condorelli, vol. I, t. I, Ed. Giuffrè, 1988, p.
465-477; P. Rodrìguez, Chiese particolari..., cit. (nota 17), p. 80-82; W.H. Stet-
son-J. Hervada, o.c. (nota 17), p. 394-398.
C76) Difatti il Concilio Vaticano II impiega il concetto di organicità per desi­
gnare la struttura della Chiesa stessa, della comunione nell’ambito del collegio epi­
scopale, delle Chiese orientali cattoliche o di una diocesi: cfr. Cone. Vat. II, cost.
dogm. Lumen gentium, nn. 11/1, 22/2, 23/4; nota esplicativa previa, n. 2; decr.
Orientalium Ecclesiarum, nn. 2 e 6; decr. Christus Dominas, n. 23 inizio e 1).
(77) Cfr. Cone. Vat. II, cost. dogm. Lumen gentium, n. 11/1.
(78) « Est in Ecclesia diversitas ministerii, sed unitas missionis » (Conc. Vat.
II, decr. Apostolicam actuositatem, n. 2/2.
(79) Conc. Vat. II, cost. dogm. Lumen gentium, n. 10/2. Sulla questione, cfr.
J.L. Gutiérrez, Diakonie und Vollmacht - Vom Dienst der Hiérarchie, in AA.VV.,
Die Stunde des Laien. Laie und Priester zwanzig Jahre nach dem Konzil, St. Ottilien,
1987, p. 147-189; P. Rodrìguez, El concepto de estmctura fundamental de la Iglesia,
in AA.VV., Vevitati Catholicae. Festschrift fiir Leo Scheffczyk zum 65. Geburtstag,
Aschaffenburg, 1985, p. 237-246; Id., Sacerdócio ministerial y sacerdócio común en la
estmctura de la Iglesia, in Romana, n. 4 (1987), p. 162-176.
(80) Conc. Vat. II, decr. Apostolicam actuositatem, n. 6/1. Sulla partecipazione
organica di tutti i fedeli alla missione della Chiesa, si veda anche Giovanni Paolo
II, eort. ap. postsinodale Christifideles laici, 30 die. 1988, specialmente cap. II (nn.
18 ss.).
486 JOSÉ I.U1S GUT1ÉRREZ

giunta e ugualmente necessaria di entrambi, svolgendo ognuno di es­


si la funzione che gli è propria.
Possiamo quindi dire che, senza escludere una pluralità di signi­
ficati, la cooperazione organica, nel senso suo più pieno, sorge dalla
relazione mutua e necessaria fra sacerdozio ministeriale e sacerdozio
comune ed è radicata nell’essere stesso della Chiesa, la cui missione
non è né clericale né laicale, ma si realizza proprio nella complemen­
tarietà fra entrambi i sacerdozi.
Alla luce di tali chiarimenti, dobbiamo rilevare con Fuenmayor,
quanto alla partecipazione attiva dei laici al lavoro delle prelature
personali, attraverso le convenzioni alle quali si riferisce il can. 296,
che « se la prelatura è stata creata per realizzare una finalità di ordi­
ne esclusivamente pastorale, consistente cioè nell’esercizio del mini­
stero proprio del sacerdozio, la cooperazione organica dei laici avrà,
ordinariamente, un carattere esterno ed ausiliario di aiuto al clero
oppure servirà a preparare il terreno affinché quest’ultimo possa at­
tuare più agevolmente gli scopi istituzionali della prelatura » (81).
Tuttavia, con lo stesso autore, notiamo che v’è da considerare un’al­
tra possibilità: « che cioè una prelatura sia eretta per lo svolgimento
di un peculiare compito apostolico, il quale per sé esige d’essere ne­
cessariamente realizzato mediante una cooperazione organica fra
chierici e laici (notiamo: non dei laici con i chierici), o, come abbia­
mo scritto sopra, fra sacerdozio ministeriale e sacerdozio comune; in
tal caso la cooperazione organica si eleva a ratio che motiva l’erezio­
ne della prelatura... Quando la cooperazione organica è di per sé la
ratio apostolatus (decr. Vresbyterorum Ordinis, n. 10/2), in vista della
quale il Romano Pontefice erige una prelatura, la convenzione inseri­
sce il laico nel corpo stesso della prelatura, e cioè della sua dimensio­
ne attiva; in tal caso sembra adeguato l’uso dell’espressione incorpo­
razione » (82).
Diventa così palese il motivo per il quale il termine incorporatio
è stato sostituito con cooperatio organica: il primo avrebbe potuto es­
sere inteso nel senso che la partecipazione dei laici era possibile solo
per quelle prelature la cui ratio apostolatus avesse richiesto la collabo­
razione mutua e ugualmente necessaria fra sacerdoti e laici; invece,
con l’espressione cooperalo organica, senza escludere minimamente la
predetta forma di partecipazione, si dà anche adito ad altre forme di

(81) A. De Fuenmayor, I laici..., cit. (nota 75), p. 472-473.


(«2) Ibid., p. 471 e 473.
LE PRELATURE PERSONALI 487

collaborazione, sempre naturalmente entro l’ambito della mutua rela­


zione e complementarietà fra sacerdozio ministeriale e sacerdozio co­
mune.
Il can. 296 precisa altresì che tale dedicazione dei laici alle ope­
re apostoliche di una prelatura si rende effettiva mediante covenzio-
ne stipulata con la prelatura stessa. Si dà vita così ad un rapporto di
diritto pubblico, sia per la finalità pubblica della convenzione (vale a
dire, l’adempimento di un fine pubblico che coincide con quello stes­
so della prelatura), sia per la qualità di soggetto pubblico di una del­
le parti stipulanti la convenzione (la prelatura nel suo legittimo rap­
presentante), sia per il carattere pubblico dei poteri da tale parte
esercitati. Si ha così, da parte del fedele, un atto dell’autonomia pri­
vata assorbito nella dimesione pubblica attraverso i contenuti della
convenzione (8}).
Mediante tale convenzione, pertanto, i laici non costituiscono la
prelatura attraverso un contratto di associazione, ma assumono libe­
ramente dei diritti e dei doveri in relazione ad una giurisdizione ge­
rarchica preesistente, creata dalla Santa Sede (84).
Precisa infine il can. 296 un’altra funzione degli statuti della
prelatura, quella cioè di determinare con esattezza sia il modo secon­
do il quale si realizzerà la predetta cooperazione organica sia i princi­
pali doveri e diritti con essa connessi.

14. Il can. 297 stabilisce che gli stessi statuti dovranno defini­
re i rapporti della prelatura personale con i vescovi delle diocesi nelle
quali essa svolge il suo compito. La clausola salvis iuribus Ordinario-
rum locorum trova la sua formalizzazione giuridica in questo canone,
nel quale si prescrive con carattere generale:
a) che le norme relative dovranno essere definite negli statuti,
sanciti, come si è visto, dalla Santa Sede: spetta pertanto ad essa de­
terminare, nei singoli casi, il modo concreto secondo il quale l’azione
di una prelatura personale debba inserirsi nella pastorale della Chiesa
universale e in quella delle relative chiese locali;
b) che, per esercitare il suo lavoro in una diocesi, la prelatura
deve ottenere il consenso previo del rispettivo vescovo diocesano.

(83) Per uno studio approfondito della questione, cfr. G. Lo Castro, Le prela­
ture personali per lo svolgimento..., cit. (nota 7), p. 129-140, nonché, dello stesso au­
tore, Le prelature personali. Profili giuridici, Milano, 1988, p. 122 ss. e 239 ss.
(84) Cfr. A. De Fuenmayor-P. Rodrìguez, Sobre la naturaleza..., cit. (nota
31), p. 30.
JOSÉ LUIS GUTIÉRREZ

IV. L’erezione della prelatura personale dell’Opus Dei

15. Il provvedimento pontificio d’erezione della prelatura per­


sonale dell’Opus Dei e la relativa nomina del suo prelato ebbero luogo
il 28 novembre 1982 (85). La bolla di erezione della prelatura, e cioè la
cost. ap. Ut sit, pur recando la stessa data, fu resa pubblica alcuni mesi
dopo, vale a dire il 19 marzo 1983, mediante la sua esecuzione da parte
del nunzio apostolico in Italia nel corso di una solenne cerimonia cele­
brata nella basilica romana di Sant’Eugenio a Valle Giulia (86).

16. In rapporto, appunto, con quanto abbiamo sopra accennato


sul concetto di cooperazione organica (87), la cost. ap. Ut sit spiega che la
realtà sociale eretta in prelatura si presentava e si presenta « come una
compagine apostolica che, formata da sacerdoti e da laici, uomini e don­
ne, è allo stesso tempo organica e indivisa ». E opportuno soffermarsi
sul contenuto delle frasi che abbiamo appena trascritto, delle quali ab­
biamo sottolineato alcune espressioni: proprio quelle che descrivono la
prelatura dell’Opus Dei come una realtà organica e indivisa, composta
da sacerdoti e da laici (88). Effettivamente, dichiara la stessa costituzio­
ne, « dal momento in cui il Concilio Vaticano II ebbe introdotto nel­
l’ordinamento della Chiesa per mezzo del decreto Presbyterorum Ordi-
nis, n. 10 — che fu reso esecutivo mediante il motu proprio Ecclesiae
Sanctae, I, n. 4 — la figura delle prelature personali dirette alla realiz­
zazione di peculiari opere pastorali, apparve chiaro che tale figura era
perfettamente adeguata all’Opus Dei (visa est ea ipsa Operi Dei apprime
apiari) ». Giovanni Paolo II pertanto chiarisce nel proemio della cost.
ap. Ut sit, « Noi stessi ordinammo espressamente che venisse prosegui­

(85) Cfr. L'Osservatore Romano, 28 novembre 1982, sezione Nostre informazio­


ni. Nello stesso giornale fu pubblicato il testo della dichiarazione Praelaturae persona-
les, della Congregazione per i vescovi, 23 agosto 1982 (anche in AAS 75, 1983, p.
464-468), un corsivo del Card. S. Baggio, dal titolo Un bene per tutta la Chiesa e
l’articolo di mons. M. Costalunga, L’erezione dell’Opus Dei in prelatura personale.
(86) La Bolla fu poi pubblicata in AAS 75 (1983), del 2 maggio 1983, p. 423­
425. Per un commento, cfr. J.L. Gutiérrez, Unità organica e norma giuridica nella
costituzione apostolica «Ut sit», in Romana, n. 3 (1986), p. 342-351; J. Hervada,
Aspetti della struttura giuridica dell'Opus Dei, in II Diritto Ecclesiastico, fase. 3-4
(1986), p. 410-430.
(87) Cfr. supra, n. 14.
(88) Il n. 1 § 1 del Codex iuris particularis Operis Dei o statuti della prelatura
recita: « Opus Dei est Praelatura personale clericos et laicos simul complectens, ad
peculiarem operam pastoralem perficiendam sub regimine proprii Praelati ». Nello
stesso senso i nn. 4 §§ 1-2, 6, 7 § 1, 11 § 1, 87 § 1, ecc.
LE PRELATURE PERSONALI 489

to lo studio » (necessario per dare all’Opus Dei una configurazione giu­


ridica appropriata), e aggiunge immediatamente un dato che è conse­
guenza di quanto si è in precedenza esposto e, insieme, ha una portata
ermeneutica decisiva: « nell’anno 1979 demmo mandato alla sacra
Congregazione per i vescovi, ad quam res suapte pertìnebat natura, alla
quale per sua natura competeva l’assunto, affinché, dopo aver conside­
rato attentamente tutti gli elementi sia di diritto che di fatto, vagliasse
la richiesta formale che era stata presentata dall’Opus Dei ».
Sembra opportuno sottolineare che il mandato ricade sulla Congre­
gazione per i vescovi, per la natura della stessa materia, cioè, perché si
tratta del dicastero della curia romana che, per i territori di rito latino
non dipendenti dalla Propaganda Fide, è competente in ciò che si riferi­
sce non solo alle Chiese particolari, ma anche alle altre entità che fanno
parte della struttura gerarchica e pastorale della Chiesa; e che tale man­
dato prescriveva che si considerassero attentamente tutti i dati, sia di
diritto (la conformità della soluzione con la normativa vigente e in modo
speciale con i documenti del Concilio Vaticano II), sia di fatto (la possi­
bilità di applicare la forma giuridica proposta all’istituzione di cui si
trattava, in considerazione della sua costituzione e caratteristiche).
Nello studio condotto, la Congregazione per i vescovi « esaminò
accuratamente la questione che le era stata affidata, e lo fece prenden­
do in considerazione sia l’aspetto storico che quello giuridico e pastora­
le », cosicché — dichiara il documento pontificio — « essendo stato ri­
mosso qualsiasi genere di dubbio circa il fondamento, la possibilità ed
il modo concreto di accogliere la domanda, apparve evidente l’utilità
dell’auspicata trasformazione dell’Opus Dei in prelatura personale ».
In conformità con l’unità organica fra chierici e laici sopra descrit­
ta, l’art. Ili della parte dispositiva della cost. ap. sancisce che « la giu­
risdizione della prelatura personale (dell’Opus Dei) si estende ai chieri­
ci in essa incardinati nonché ai laici che si dedicano alle opere apostoli­
che della stessa prelatura, limitatamente per questi ultimi all’adempi­
mento dei peculiari obblighi che essi hanno assunto con vincolo giuri­
dico, mediante convenzione con la prelatura: gli uni e gli altri, chierici
e laici, dipendono dall’autorità del prelato nello svolgimento dell’opera
pastorale della stesa prelatura, a norma di quanto prescritto nell’artico­
lo precedente » (89).

(89) L’articolo precedente (art. II della cost. ap.) recita: « La prelatura (Opus
Dei) è retta dalle norme del diritto generale e di questa costituzione, oltre che dai
propri statuti, che sono denominati Codex iuris particularis Operìs Dei ». Nei predetti

32. lus ecclesiae - 1989.


490 JOSE LUIS GUTIÉRREZ

Nella costituzione apostolica si stabilisce altresì che l’ordinario


proprio della prelatura dell’Opus Dei è il suo prelato, la cui elezione, da
farsi in accordo con le disposizioni del diritto generale e particolare, de­
ve essere confermata dal Romano Pontefice (art. IV); sancisce lo stesso
documento che la prelatura dipende dalla Congregazione per i vescovi e
che, a seconda della varietà delle materie, tratterà le relative questioni
con gli altri dicasteri della curia romana (art. V); precisa inoltre che il
prelato, tramite la Congregazione per i vescovi, sottoporrà al Romano
Pontefice la consueta relazione quinquennale (art. VI) e procede infine
all’erezione della chiesa prelatizia (art. VII).

Nota bibliografica
Alle opere citate nelle note in calce possono anche aggiungersi:
J.L Arrieta, L’atto di erezione dell'Opus Dei in prelatura personale, in
Apollinaris 56 (1983), p. 89-114;
W. Aymans, Teilkirchen und PersonaIpràlaturen, in Archiv fiir katboli-
sches Kirchenrecht 156 (1987), p. 486-500;
M. Benz, Die Personalprdlatur. Entstehung und Entivicklung einer neuen
Rechtsfigur vom Ziveiten V’atikanischen Konzil bis zum Codex 1983, EOS
Verlag, Erzabtei St. Ottilien, 1988;
E. Caparros, Une structure juridictionnelle issue de la préoccupation pa­
storale de Vatican II: les prélatures personnelles, in Studia Canonica 17
(1983), p. 487-531;
A. De Fuenmayor, Primatial Power and Personal Prelatures, in The New
Code of Canon Law. Ottawa, August 19-23, 1984, Ottawa, 1986, p. 309­
318; '
ID., Le prelature personali e l’Opus Dei, in lus Ecclesiae 1 (1989), p. 157­
175;
A. De Fuenmayor - V. Gómez-Iglesias - J.L. Illanes, El itinerario ju­
rídico del Opus Dei. Historia y defensa de un carisma, Pamplona, 1989;
J. Fornes, El perfil jurídico de las Prelaturas personales, in Monitor Eccle-
siasticus 107 (1983), p. 436-472;
O. Fumagalli Carulli, Una novità introdotta dal Concilio Vaticano II,
in Prospettive nel mondo n. 147 (sett. 1988), p. 41-50;
J.L. Gutiérrez, La Costituzione Apostolica « Ut sit » e la figura giuridica
della prelatura personale, in Apollinaris 57 (1984), p. 335-340;

statuti si parla appunto di incorporazione dei laici alla prelatura (cfr. soprattutto tit.
1, cap. Ili, nn. 17 ss.) e di fedeli della stessa (cfr. tit. I, cap. II, nn. 6 ss.); si veda
anche la dichiarazione Prelaturae personales, cit. sopra (nota 85), passim.
LK PRELATURE PERSONALI 491

ID., Unità organica e Norma giuridica nella Costituzione Apostolica


« Ut sit», in Romana, n. 3 (1986), p. 342-331;
J. Hervada, Elementos de Derecho Constitucional Canònico, Pamplo-
ma 1987, specialmente p. 306-313;
J. Manzanares, De Praelaturae personalis origine, natura et relatione
cum iurisdictione ordinaria, in Periodica 69 (1980), pp. 387-421;
R. Navarro valls, Las Prelaturas personales en el Derecho Conciliar y
Codìcial, in Estúdios Eclesiásticos 39 (1984), p. 431-458;
ID., Das «Opus Dei» als Beispiel einer Personalpràlatur im neuen
Recht, in Théologie und Glauhe 75 (1985), p. 165-188;
M. O’Reilly, Personal Prelatures and Ecclésial Communion, in Studia
Canonica 18 (1984), p. 439-456;
J. Roggendorf, Die rechtliche Gestaltung der Personalpràlaturen im
neuen Codex, in Òsterreichìsches Archiv fiir Kirchenrecht 37 (1987/88),
P- 3-19;
J.P. Schouppe, Les Prélatures personnelles. Réglementation canonique
et contexte ecclésiologique, in Revue Théologique dì Louvain 17
(1986), fase. 3, p. 309-328;
L. Spinelli, Riflessi canonistici di una nuova struttura pastorale: le pre­
lature personali, in Raccolta di Scritti in onore di Pio Fedele, a cura di
G. Barberini, vol. I, Perugia, 1984, p. 591-612;
G. Dalla Torre, voce Prelato e prelatura, in Enciclopedia del Diritto,
vol. XXXIV, p. 973-981;
D. Le Tourneau, L’Opus Dei, col. « Que sais-je », Presses Universi­
taires de France, Paris 1984, 128 pp. (2a ed., Paris 1985);
ID., Les Prélatures personnelles vues par la doctrine, in Revue des
Sciences Religieuses 60 (1986), p. 235-260;
ID., Les prélatures personnelles dans la pastorale de Vatican II, in
L’Année Canonique 28 (1984), p. 197-219;
R. Tomassetti, L’Opus Dei e la nuova figura giuridica delle prelature
personali, in Aggiornamenti Sociali 35 (nov. 1984), p. 677-692.
Pagina bianca
JAVIER HERVADA

IL DIRITTO NATURALE
NELL’ORDINAMENTO CANONICO (*)

Il miglior modo per spiegare la posizione che occupa il diritto


naturale nell’ordinamento canonico è ricorrere a un parallelo: ricor­
dare la posizione che il diritto naturale occupava nel diritto romano
e nel diritto europeo posteriore alla Ricezione sino alla comparsa del
positivismo giuridico agli albori del secolo XIX. In questo senso, la
dottrina canonica comune rappresenta la continuazione della tradi­
zione classica. Non si tratta di un evento insolito, dato che non co­
nobbe né l’influsso — da molti punti di vista pernicioso per la teoria
del diritto naturale — del cosiddetto giusnaturalismo moderno, né i
profondi cambiamenti che introdusse la filosofia kantiana nella teo­
ria suddetta, né la rapida espansione del positivismo giuridico.
Costituì un fatto naturale essere rimasti liberi da queste corren­
ti di pensiero, perché ciascuna di esse rappresentava tesi contrarie al­
la dottrina cattolica; di fronte ad essa, erano pensiero eterodosso,
che non riuscì a esercitare influenza alcuna sui canonisti e neppure
sul legislatore canonico. Proprio per la loro eterodossia, all’epoca in
cui tali correnti nacquero e si svilupparono, si ruppe l’unione tra ca­
nonisti e giuristi, con l’immediata rottura dell’unità della scienza giu­
ridica. Sin dagli inizi della scienza giuridica, che doveva le sue origi­
ni alle personalità di Irnerio e Graziano, con la Ricezione, giuristi e
canonisti formarono l’unica scienza giuridica, quella dell’utrumque
ius; accanto all’unità dei presupposti ideologici, si riscontrava l’unità
del metodo, che si sviluppò parallelamente nelle due branche dell’u­
nica scienza giuridica: glossatori, commentatori e umanesimo giuridi­
co incontrarono seguaci in entrambi i diritti. Questa scienza giuridi-

(*) Conferenza tenuta a Roma l’il dicembre 1988 nel corso del 40° Conve­
gno Nazionale dell’Unione Giuristi Cattolici Italiani. Sono omesse le parole di cor­
tesia.
494 JAVIER HERVADA

ca unitaria, che con i giuristi romani forma la tradizione classica, co­


minciò a rompersi quando la scienza giuridica secolare fu invasa da
presupposti filosofici ed ideologici incompatibili con il pensiero cat­
tolico. A partire da quel momento, che coincide, oltretutto, con la
soppressione delle Facoltà dei Canoni e l’espulsione delle discipline
canoniche dalle Facoltà di Giurisprudenza, ad opera degli sconvolgi­
menti culturali e politici sofferti dall’Europa al termine del Settecen­
to e nella prima metà dell’Ottocento, a partire da quel momento, di­
cevo, la scienza canonica visse una storia propria, separata dalla
scienza giuridica secolare. In molti casi si tratta, senza dubbio, di
una storia di decadenza, ma al tempo stesso è la storia di una dupli­
ce fedeltà: la fedeltà al pensiero cattolico e la fedeltà alla tradizione
classica, non esente, qucst’ultima, da impurità, dovute a una scarsa
ma inevitabile influenza della vigorosa e spesso ammirevole scienza
giuridica secolare.
Separata la scienza canonica dalla scienza giuridica secolare, la
canonistica conobbe un’epoca di declino, dal punto di vista metodo­
logico, dalla quale riuscì a riprendersi in questo secolo grazie all’im­
pulso di un gruppo di canonisti italiani, professori delle Facoltà di
Giurisprudenza. Non è possibile fare a meno di ricordare Vincenzo
del Giudice, Orio Giacchi, Pietro Agostino d’Avack, e Pietro Gi-
smondi, tanto per nominare solo coloro che non sono più tra noi.
Anche in Spagna, senza dubbio per influenza di questi stessi canoni­
sti italiani, ha avuto luogo uno stimolante movimento rinnovatore
dovuto soprattutto alla Scuola di Pedro Lombardia.
Non è possibile, però, riguardo al diritto naturale, parlare di de­
cadenza della canonistica; è stata proprio la scienza canonica il veico­
lo della concezione classica, e sopra il diritto naturale i canonisti
hanno scritto una delle più brillanti pagine della scienza giuridica: il
diritto matrimoniale canonico, di cui è ben nota la superiorità di
fondamento, dottrina e tecnica giuridica rispetto al diritto matrimo­
niale civile.
La scienza canonica non ha conosciuto l’esperienza positivista.
L’utilizzazione del diritto naturale ha per di più costituito una co­
stante, senza diminuzioni né discussioni. Vero è che nel momento
più brillante del rinnovamento metodologico a cui facevo riferimento
poc’anzi, non mancarono discussioni sulla forma con cui il diritto na­
turale ottiene piena giuridicità nell’ordinamento canonico, ma già da
tempo questi attriti sono stati superati. In nessun momento l’esi­
stenza del diritto naturale e la sua operatività nell’ordinamento cano­
DIRITTO NATURALE NELL’ORDINAMENTO CANONICO 495

nico furono oggetto di dubbio o negazione. Ciò è stato certamente


frutto della fedeltà al pensiero cattolico, del quale forma parte resi­
stenza della legge naturale. Soffermiamoci brevemente su questo ar­
gomento.
L’esistenza della legge naturale non è, di per sé, una verità che
formi parte dei misteri del cristianesimo. Costituisce però una verità
naturale, conoscibile dalla ragione naturale. Dobbiamo ricordare che
l’idea del giusto naturale sorge con il pensiero filosofico greco. I sofi­
sti distinsero — anche se in modo poco accettabile — tra physis e
nomos, tra il giusto naturale e il giusto positivo, e Aristotele fece lo­
ro eco, in termini tali che fu chiamato, e a ragione, il padre del dirit­
to naturale. La legge naturale fu caposaldo anche della teoria morale
degli stoici — che coprono cinquecento anni di storia della filosofia
—, e degli autori su cui esercitarono influsso, come Cicerone. Ed è
ben noto che il diritto naturale svolse un ruolo di primaria importan­
za nel diritto romano, che deve al giusnaturalismo buona parte della
sua perfezione e armonia.
E però vero che la legge naturale forma parte dell’insieme di
idee del cattolicesimo, o, con parole più esatte, è inclusa nel deposito
della Rivelazione. In un famoso testo del Nuovo Testamento, Rom.
2, 14-16, appare la legge naturale intesa come legge divina, incisa da
Dio nel cuore dell’uomo, della quale dà testimonianza la coscienza.
Grazie al testo paolino, la teoria della legge naturale passò alla Patri­
stica e quindi al Magistero ecclesiastico, costituendo una componen­
te fondamentale del pensiero sociale cattolico.
Stando così le cose, è logico che la legislazione canonica accetti
pienamente il diritto naturale e che la canonistica, sin dalla sua na­
scita con Graziano, abbia fatto sua una teoria del diritto fondata sul­
le tesi giusnaturaliste. Non è possibile, però, dimenticare che il dirit­
to naturale non occupa nella Chiesa e nella società civile la stessa po­
sizione. Mentre nella seconda il diritto naturale è la base fondamen­
tale dell’ordinamento giuridico, sulla quale si fonda l’esistenza stessa
della società, del diritto positivo e del potere, nella Chiesa, invece, il
diritto naturale ha solo una rilevanza direi secondaria. Questa affer­
mazione merita di essere approfondita.
La teoria classica del diritto naturale non si limita ad affermare
l’esistenza di diritti naturali e di alcune norme o principi di legge na­
turale; si spinge molto più a fondo. Tutto l’ordinamento giuridico si
costruisce su un fondamento di diritto naturale, così che il diritto
naturale è base, clausola-limite e principio informatore dell’ordina­
496 JAVIER HERVADA

mento giuridico. In altre parole, la struttura giuridica della società


civile si basa su una struttura naturale. La socialità umana è un feno­
meno che obbedisce alla legge naturale. Gli uomini non sono per na­
tura soltanto socievoli, cioè capaci di organizzarsi in società, ma so­
no anche soci, formano società. Pertanto, la società è un fenomeno
naturale d’accordo con una legge naturale. In questo senso, il magi­
stero ecclesiastico ha rifiutato la tesi dell’origine umana della società;
in particolare ha rifiutato le affermazioni del giusnaturalismo razio­
nalista e del liberalismo del secolo scorso,, che ponevano nel patto o
accordo sociale l’origine della società.
In modo analogo, il potere politico e la sovranità sono situazioni
giuridiche di diritto naturale. Non nascono dal pactum subiectionis o
patto di soggezione, come pretende la tesi del contratto sociale; sorgono
invece dalla legge naturale. La sovranità e il potere hanno un’origine na­
turale, benché siano la risultante storica di una serie di fattori che credo
non sia necessario analizzare adesso. Di conseguenza, il diritto positivo
non affonda le sue radici nel potere umano, bensì è concrezione e deri­
vazione del diritto naturale, secondo la ben nota formula tomista.
Si può facilmente comprendere il ruolo fondamentale del diritto
naturale nei riguardi della società civile. Ma d’altronde, un siffatto
compito centrale non lo possiede nella Chiesa e quindi neppure nel­
l’ordinamento canonico. Ciò che la legge naturale è per la società ci­
vile, lo è la legge della grazia, la lex gratiae, per la Chiesa.
La Chiesa infatti incontra la sua origine non nella natura, ma
nella volontà fondazionale di Cristo. Anche se la società naturale
conferisce una certa attitudine per la società soprannaturale, la socie­
tà soprannaturale deve la sua origine alla grazia della filiazione divi­
na, che unisce i fedeli in una communio di beni e di fini. Pertanto,
la socialità ecclesiastica non trae origine dalla legge naturale. Allo
stesso modo, neppure la sacra potestà di cui sono investiti i Pastori
ecclesiastici deve la sua origine alla legge naturale. La deve invece al
diritto divino-positivo, cioè alla volontà fondazionale di Cristo. Per­
ciò la base dell’ordinamento canonico non è il diritto naturale, bensì
la dimensione giuridica inerente alla lex gratiae, il diritto divino-posi­
tivo. Quale ruolo affidare, dunque, al diritto naturale? Senz’altro è
anche base, clausola-limite e principio informatore del diritto positi­
vo canonico, ma solo in aspetti parziali.
Per poter esporre più precisamente il modo in cui il diritto na­
turale possegga rilevanza nell’ordinamento canonico è opportuno di­
stinguere tra i diritti naturali e la legge naturale.
DIRITTO NATURALE NELL’ORDINAMENTO CANONICO 497

Per natura, l’uomo è titolare di alcuni diritti, che ricevono ge­


neralmente il nome di diritti fondamentali. Tra questi possiamo in­
dividuare quelli che corrispondono alla persona considerata in se
stessa e quelli posseduti in relazione alla propria posizione e attivi­
tà nella società. Tra i primi si annoverano per esempio il diritto al­
la vita, all’integrità fisica, alla buona fama, ecc. Come esempi del
secondo gruppo, invece, possiamo segnalare il diritto a partecipare
alla vita politica o il diritto al lavoro, e via dicendo. Risulta ovvio
che questo secondo elenco di diritti non ha trascendenza nella
Chiesa, perché nessuno di essi appartiene alla sfera spirituale; sono
invece diritti relativi a realtà temporali proprie della società civile
e alieni alla Chiesa. Ma i diritti fondamentali della prima specie,
quelli che corrispondono alla persona considerata in se stessa, sono
ambivalenti e quindi si riflettono nelPordinamento canonico. Per
esempio, il canone 220 del Codice di Diritto Canonico riconosce ai
fedeli il diritto alla buona fama e all’intimità. Dal canto suo, il ca­
none 221 riconosce il diritto del fedele alla tutela giudiziale dei
suoi diritti. E il canone 748 prescrive che a nessuno è permesso
obbligare altri ad abbracciare la fede cattolica contro coscienza. Il
fatto che il Codice non menzioni gli altri diritti non significa che
non li riconosca. La Chiesa, per propria costituzione e per la sua
adesione alla verità rivelata, riconosce per principio tutto il diritto
naturale, così che l’assenza dell’esplicito riconoscimento di alcuni
diritti naturali da parte della legislazione positiva non presuppone
mancanza di riconoscimento e, pertanto, questo diritto possiede
operatività immediata.
La posizione della legge naturale nella Chiesa deve essere stu­
diata alla luce dei rapporti tra natura e grazia. La grazia agisce sulla
natura, arricchendola ma non alterandola. Per cui la lex gratìae perfe­
ziona la lex naturae, senza però sostituirsi ad essa. Ciò implica l’as­
sunzione, diciamo così, rispettosa, della legge naturale da parte della
legge della grazia. È l’insegnamento che dà la Lettera ai Romani:
nella Nuova Legge o Legge evangelica è interamente vigente la legge
naturale. Dal punto di vista morale, la legge naturale, riassunta nei
Dieci Comandamenti del Decalogo, rimane integralmente vigente per
il cristiano che, per compierla, conta sull’aiuto della grazia. Ma per
la proiezione giuridica e sociale dobbiamo fare una distinzione simile
a quella cui abbiamo fatto ricorso con i diritti. Principi e precetti
fondamentali sono gli stessi: dare a ciascuno ciò che è suo, dovere di
obbedienza alle leggi e a coloro che sono costituiti in autorità, ecc.
498 JAVIER HERVADA

Questi principi e precetti fondamentali, oltre ad essere vigenti nel­


l’ordinamento canonico, ne costituiscono soprattutto la base.
Invece, i precetti derivati in relazione alle diverse realtà sociali
hanno validità nella Chiesa nella misura in cui la dimensione natu­
rale dell’uomo rimane in Essa e non si tratta della nuova dimensio­
ne introdotta dalla grazia.
Il ruolo che dunque occupa il diritto naturale nella società civi­
le è rappresentato nella Chiesa dal diritto divino, in parte positivo e
in parte naturale. Perciò i canonisti, più che il diritto naturale, par­
lano genericamente di diritto divino.
A questo punto, mi sembra sia giunto il momento di esporre la
concezione canonistica di diritto naturale. Si potrà facilmente nota­
re che non si tratta di una teoria originale, bensì della concezione
classica della tradizione giuridica, che cominciò a Roma, fu accolta
dalla scienza giuridica medievale e giunse fino agli inizi del positivi­
smo verso la fine del secolo XVIII e gli inizi del XIX. Perciò espor­
re la concezione canonistica di diritto naturale non significherà por­
re qualcosa di originale e singolare; parleremo invece della comune
tradizione della scienza giuridica fino al positivismo giuridico. Non
è, quindi, un’esperienza giuridica diversa a quella della scienza giu­
ridica secolare, bensì la sopravvivenza, dopo quasi due secoli di po­
sitivismo, della migliore tradizione giuridica europea.
Per comprenderla, è necessario ricordare che la teoria del dirit­
to naturale fu trasmessa attraverso due diversi canali: la tradizione
filosofica e la tradizione giuridica. Fino alla Codificazione del secolo
XIX, la tradizione giuridica usò come veicolo di trasmissione il
commento ai primi passi del Digesto, facente parte del Corpus luris
Civilis, e Ì commenti alla prima distinzione del Decreto di Grazia­
no, componente del Corpus luris Canonici. Ma la tradizione giuridi­
ca si distinse per la scarsa sensibilità alle disquisizioni filosofiche
che poco influirono su questa tradizione. Soltanto l’elaborazione ari­
stotelico-tomista, riflesso della tradizione giuridica, esercitò influen­
za sui canonisti, isolatamente nel secolo XVII e, più percettibilmen­
te, a partire dal secolo XIX, con non trascurabile influenza anche
di Suárez. Dunque non analizzeremo, qui di seguito, i filosofi, ma
ci occuperemo di una costruzione di giuristi.
La prima e fondamentale affermazione della concezione classica
può essere così stabilita: il diritto naturale è vero diritto. Con que­
sta formula si afferma l’esistenza del diritto naturale, ma soprattut­
to si sostiene la sua natura specificamente giuridica. Questa affer­
DIRITTO NATURALE NELL’ORDINAMENTO CANONICO 499

mazione necessita di essere spiegata, per porre in chiaro il suo signi­


ficato.
Il diritto naturale, a partire dal positivismo, ha dovuto affronta­
re due tipi di negazioni. Da un lato, la negazione dell’esistenza stes­
sa di un ordine morale o giuridico naturale o di qualsiasi altro ele­
mento naturale che, in un modo o nell’altro, limiti o condizioni il di­
ritto positivo: è il positivismo spinto agli estremi. Dall’altro, la nega­
zione del diritto naturale come specie o tipo di diritto vigente, assie­
me all’affermazione dell’esistenza di fattori morali, ontologici, assio-
logici o gnoseologici, a cui è stato dato il nome, in un certo senso, di
diritto naturale: è il positivismo moderato, detto anche oggettivismo
giuridico. Ben si conosce la molteplicità delle teorie che l’oggettivi-
smo giuridico riunisce in sé. Vi si possono includere correnti kantia­
ne e neokantiane (che indicano il diritto naturale come forma a priori
del diritto, come idea o ideale formali del diritto); la dottrina della
natura delle cose; la giurisprudenza dei principi; la linea della estima­
tiva e dell’assiologia giuridiche; e le posizioni di molti altri autori
che in qualche modo postulano l’esistenza di fattori che condiziona­
no l’interpretazione del diritto positivo e quindi condizionano il di­
ritto positivo stesso. Tra questi motivi, alcuni fanno riferimento al
diritto naturale, altri no. Ma l’uso dell’espressione diritto naturale da
parte degli oggettivisti non deve trarre in inganno: siffatti condizio­
namenti non costituiscono il diritto naturale in senso classico, e da
parte mia ritengo che in simili casi non si debba parlare di diritto
naturale.
Per la scienza giuridica classica, il diritto naturale è una specie o
tipo di diritto vigente. Cioè è diritto e perciò è diritto vigente. Men­
zionando diritti naturali, si riferisce a veri diritti dell’uomo, che so­
no difendibili nel tribunale; se parla di legge naturale, si riferisce a
precetti divieti e permessi di origine naturale che formano parte del
diritto vigente nella società. Veri diritti e vere leggi, date dalla natu­
ra, la cui origine però è Dio Supremo Legislatore.
Diritto vigente, parte del diritto vigente: questa è l’idea fonda­
mentale della concezione che incontriamo in Aristotele, in un famo­
so passo delT« Etica a Nicomaco », lib. V, c. 7, 1134 b: « Nel diritto
politico — cioè nel diritto vigente in una società perfetta o polis —
una parte è naturale e l’altra legale. È naturale ciò che, dovunque,
possiede la stessa forza e non dipende dalle diverse opinioni degli
uomini; è legale tutto ciò che, in teoria, può essere indifferentemen­
te in un modo o nel suo contrario, ma che smette di essere indiffe-
500 JAVIER IIERVADA

rente nel momento in cui la legge lo risolve ». Il testo è particolarmen­


te chiaro: il diritto naturale è una parte del diritto vigente nella polis.
Per quanto riguarda il diritto romano, altrettanto chiaro è il se­
guente passo delle « Institutiones » di Gaio (1,1): « Tutti i popoli che
si governano con leggi e consuetudini, fanno ricorso in parte al loro
diritto particolare, in parte al diritto comune di tutti gli uomini; il di­
ritto che ogni popolo stabilì per se stesso è proprio della città e si
chiama diritto civile, cioè diritto proprio della città; invece, quello che
la ragione naturale stabilisce tra tutti gli uomini, è osservato da tutti i
popoli e si denomina diritto delle genti, come diritto a uso di tutti i
popoli. Così, dunque, il popolo romano fa uso in parte del suo diritto
e in parte di quello comune a tutti gli uomini ». Gaio non lascia adito
a dubbi: il diritto naturale — stabilito dalla ragione naturale per tutti
gli uomini —, da lui chiamato diritto delle genti, è un diritto che si
usa, un diritto vivo, che si applica nella vita e nel tribunale. Si osservi
anche che si parla di « in parte » — partim — del diritto totale vigen­
te. Il diritto naturale è parte del diritto vigente.
Né Aristotele né Gaio teorizzano nelle loro spiegazioni. Il filoso­
fo greco espose ciò che osservò nella realtà. Gaio, da parte sua, de­
scrisse la pratica giuridica romana. Si conosce bene il ruolo che svolse
il diritto naturale a Roma. Era il diritto che regolava i rapporti tra cit­
tadini romani e stranieri, ai quali non era applicabile lo ius civile. Ed
ebbe anche una importante funzione: umanizzare e adattare il primiti­
vo ius civile, rigido e formalista. In ogni caso, era un diritto vivo, par­
te del diritto vigente.
Il diritto naturale fu considerato ed è considerato tuttora nella
concezione classica una specie o tipo di diritto vigente. In alcune oc­
casioni fu stabilita una bipartizione tra diritto divino o naturale e di­
ritto umano; altre volte fu usata la tripartizione diritto naturale, dirit­
to delle genti e diritto civile. E ciò che si riscontra in S. Isidoro di Si­
viglia, che trasmise al Medioevo la cultura classica antica. Analoga­
mente succede con Graziano, proprio all’inizio del suo Decreto: « Il
genere umano poggia su due diritti, quello naturale e quello consuetu­
dinario » o diritto positivo.
Questa concezione classica, che fu accolta dai giuristi sino alla
generalizzazione del kantismo — che cambiò il diritto naturale con
forme a priori — e del positivismo, è la concezione che è rimasta e vi­
ve tra i canonisti di oggi. Il diritto naturale è vero diritto vigente.
Per essere esatti a dare una visione completa della canonistica,
non si può fare a meno di segnalare che l’unanimità, con cui la canoni­
DIRUTO NATURALE NELL’ORDINAMENTO CANONICO 501

stica ha accolto la concezione classica, soffrì nel nostro secolo una


certa rottura a causa di alcuni studiosi, precisamente vari tra coloro
cui abbiamo fatto riferimento come gli autori della parziale rinascita
metodologica della canonistica degli ultimi decenni. Seguendo Del
Giudice, i canonisti a cui alludo — ai quali si ispirò un autore belga
— non negarono né l’esistenza né la vigenza del diritto naturale, ma
sostennero che non possiede di per sé carattere propriamente giuridi­
co — cioè di vero diritto —, ma che lo possiede in virtù della cano­
nizado, cioè in virtù della sua ricezione formale da parte del diritto
positivo, dell’autorità ecclesiastica. Questa tesi, peraltro molto limi­
tata e circoscritta e che ha ricevuto il nome di « positivismo canoni­
co », non ebbe risonanza. O meglio, alcuni autori — soprattutto del­
la Scuola di Pedro Lombardia — si opposero ad essa, e oggi può
considerarsi scomparsa, senza continuatori. L’unanimità della conce­
zione classica è stata pienamente ristabilita.
Potremmo domandarci adesso se la convinzione della concezione
classica del diritto naturale relativamente alla natura giuridica del di­
ritto naturale — vero diritto — abbia qualche fondamento razionale.
SÌ tratta di una tradizione assunta acriticamente o esistono argomen­
ti razionali per accettare l’esistenza del diritto naturale?
La discussione sul diritto naturale si riconduce al problema dell’e­
sistenza di un nucleo naturale di giuridicità. O parimenti domandarsi
se il diritto naturale è anche una realtà naturale. Senza dubbio il dirit­
to positivo, che — non lo si dimentichi — costituisce in ogni caso la
maggior parte del fenomeno giuridico, è una realtà culturale, opera
dell’uomo. E un fatto indiscusso. Ma il fenomeno giuridico è total­
mente un’invenzione umana, un fatto culturale, o esiste un nocciolo
naturale di giuridicità, sul quale poggia il diritto positivo in quanto fe­
nomeno culturale? Siamo di fronte ad una domanda a cui il positivi­
smo ha dato una risposta indiretta, perché in realtà non è stata affron­
tata direttamente né ha ricevuto risposta diretta. La Scuola moderna
del Diritto Naturale, attraverso la teoria del patto sociale, intese la so­
cietà e il potere come fenomeni culturali, a partire da uno stato natura­
le asociale; ma il diritto non era concepito allo stesso modo, perché si
partiva dall’idea che nello stato naturale esistesse uno ius naturae.
Dunque il primigenio stato dell’umanità non era agiuridico. Sembra
che gli unici che, in un certo senso, parlarono di uno stato naturale
agiuridico furono alcuni classici latini — come Ovidio e Tacito — che
ipotizzarono un primo stadio dell’umanità nel quale l’uomo agiva vir­
tuosamente sua sponte, senza necessità di legge né coazione. Tuttavia,
502 JAVIER HERVADA

in questa prima ed aurea tappa, non venne meno la lex naturae che
gli uomini seguivano per virtù e con spontaneità.
Una agiuridicità naturale, tale che il diritto sia, sin dalla sua ra­
dice, un fatto culturale, è a mala pena ragionevolmente sostenibile,
perché è assiomatico che qualsiasi evento culturale possiede una base
naturale. Affinché Puomo produca, è assolutamente necessario che
disponga della corrispondente capacità naturale e che nella natura si
trovino i necessari presupposti. Se l’uomo non possedesse la capacità
di vedere, non esisterebbe tutto quell’insieme di eventi culturali in
rapporto con, e in dipendenza dalla, potenza visiva: la pittura, la
scultura, la televisione, il cinema, e tutto ciò che si poggia sulla capa­
cità umana della vista.
Per questo mi sembra di elementare buon senso affermare che,
se esiste il fenomeno giuridico, deve esistere un nucleo naturale di
giuridicità. Si noti che non è sufficiente qualsiasi potenza o capacità
per far sì che esista il fatto culturale. La potenza deve essere dello
stesso ordine del fatto e deve stare in rapporto con esso. Per poter
nuotare è necessaria la capacità natatoria. Per la scultura occorre la
vista e la manualità. O nella natura esiste la dimensione giuridica, o
questa risulta impossibile e inesistente. È ciò che si verifica con gli
animali. Noi uomini possiamo parlare di diritti degli animali e redi­
gere dichiarazioni, ma rispetto agli animali e alla loro condotta, que­
ste dichiarazioni sono vane, dato che i pretesi diritti non hanno in­
fluenza alcuna sul comportamento animale, alieno a questa categoria.
Senza giuridicità naturale nell’uomo, non esisterebbe il diritto positi­
vo. Perciò, secondo me, la migliore dimostrazione dell’esistenza del
diritto naturale è l’esistenza del diritto positivo.
Qual è il nucleo naturale di giuridicità? Penso che, da un lato,
tale nucleo naturale di giuridicità risieda nell’esistenza di una dimen­
sione giuridica della persona, in virtù della quale possiede la potenza
naturale per essere titolare di diritti. Ma ciò è possibile solo se l’uo­
mo è costitutivamente strutturato come dominatore del proprio esse­
re e del proprio ambito. Per cui, se è possessore del proprio essere, è
titolare di un diritto: il diritto al proprio essere. E ciò significa che è
naturalmente capace e per di più titolare di diritti.
D’altronde, il nucleo naturale di giuridicità presuppone la strut­
tura naturale della persona come essere regolato da leggi sociali, e
ciò implica l’esistenza di alcune leggi naturali.
In definitiva, credo che, come conseguenza di quanto abbiamo
detto, si possa stabilire ciò che possiamo chiamare la insanabile apo­
DIRITTO NATURALE NELL’ORDINAMENTO CANONICO 503

ria del positivismo: se non esiste diritto naturale non può esistere di­
ritto positivo; e se esiste diritto positivo, necessariamente esiste di­
ritto naturale.
Passiamo adesso a una seconda convinzione della concezione
classica, vale a dire della canonistica comune. Essendo vero diritto
vigente, il diritto naturale non forma un ordinamento giuridico sepa­
rato dal diritto positivo. L’idea che esistano due sistemi giuridici,
uno naturale e l’altro positivo, due ordini giuridici in sé completi,
entrambi protesi alla regolazione della realtà sociale, non è una idea
propria della concezione classica; è invece conseguenza della prospet­
tiva distorta introdotta dalla Scuola moderna del Diritto Naturale,
soprattutto nel suo indirizzo razionalista.
Ricordiamo che il giusnaturalismo razionalista considerava il di­
ritto naturale come l’insieme di leggi razionali che a suo dire reggeva
la società umana, in virtù della Natura. Così come l’Universo possie­
de leggi fisiche perpetue, universali e immutabili, indipendenti dal
divenire storico, la società possiederebbe allo stesso modo alcune leg­
gi di natura, fisse e immutabili fuori dal tempo e dalla storia. Queste
leggi naturali — leggi razionali — formerebbero un sistema completo
di norme regolatrici della realtà sociale, contrarie al diritto vigente a
quei tempi, quello dell’Ancién Régime, che sarebbe un diritto oscu­
rantista. Il diritto naturale che il razionalismo offriva rappresentava,
per gli autori di quel periodo, il nuovo diritto — quello dell’Illumini­
smo —, che avrebbe dovuto sostituire il vecchio diritto di origine
medievale. Perciò l’ideale razionalista del secolo XVIII si concretò
nel plasmare questo diritto razionale in alcuni corpi legali, dando co­
sì impulso al movimento codificatore. Diritto naturale e diritto posi­
tivo erano presentati come due ordini o sistemi giuridici. L’idea dei
due ordini, naturale e positivo, ha lasciato una traccia così forte che
addirittura alcuni neoscolastici — contro ogni ragionevolezza —
l’hanno fatta propria. Ma nessuno misconosce che il giusnaturalismo
dei due ordini o sistemi doveva condurre — come si verificò — alla
negazione del diritto naturale in quanto diritto vigente. Se il diritto
positivo è un sistema giuridico distinto dal diritto naturale, e gli è
proprio il sistema di garanzie giudiziali e di esecuzione coattiva, il
diritto naturale è un ordine normativo sprovvisto di queste due ulti­
me caratteristiche. Se ne rese conto Hobbes e lo pose in risalto Tho-
masio. La conseguenza — a cui giunsero in effetti i due autori citati
— consiste nel fatto che il diritto naturale possiede caratteristiche
peculiari diverse da quelle del diritto positivo, sino al punto che il
504 JAVIER 11ERVADA

primo non sarebbe effettivamente diritto. Il diritto naturale sarebbe


etica o morale, conclusione razionalista che hanno accettato non po­
chi neoscolastici e neotomisti, malgrado l’incoerenza con la Scolasti­
ca in generale e con S. Tommaso in particolare. Considerare il dirit­
to naturale come morale o etica sociale è una derivazione della Scuo­
la razionalista del Diritto Naturale e non della concezione classica.
Senza dubbio, però, esiste un’etica sociale naturale, ma che non è il
diritto naturale.
Secondo la concezione classica, il diritto vigente consiste in una
molteplicità di fattori, suddivisi in due grandi gruppi: una parte na­
turale e una parte positiva. La parola chiave è parte. Lo vedevamo
in Aristotele e Gaio, ed è nitidamente riscontrabile sia nella tradizio­
ne giuridica, sia nella tradizione filosofico-teologica fino al secolo
XVIII. Allo stesso modo si riscontra nei canonisti fino ai nostri
giorni.
Non c’è, dunque, altro che un solo sistema giuridico vigente,
dotato di garanzie giudiziali ed esecuzione coattiva. Quest’unico si­
stema è in parte naturale e in parte positivo. Ci possiamo domandare
se il diritto naturale goda di una garanzia giudiziale. La risposta è sì:
si tratta del sistema giudiziale imperante nella società. Analogamente
ci poniamo la domanda della coazione: il sistema coattivo della socie­
tà, così come il sistema giudiziale, è al servizio del diritto vigente,
sia naturale, sia positivo. Una difficile esperienza da fare, questa,
nell’ambito della società civile, perché il positivismo dominante ha
esiliato la nozione di diritto naturale dalle sentenze dei giudici e da­
gli interventi degli avvocati; ma il diritto naturale continua ad agire,
poiché non può essere espulso dalla vita giuridica, in cui interviene
attualmente nascosto dietro alcuni pseudonimi: principi informatori
dell’ordinamento, principi di giustizia, principi generali del diritto,
diritti umani, natura delle cose, ecc.
Invece è esperienza vissuta nell’ordinamento canonico; è l’espe­
rienza di qualsiasi canonista e giurista familiarizzatosi con la giuri­
sprudenza matrimoniale. Mi riferisco alla giurisprudenza sul matri­
monio, perché il sistema matrimoniale canonico è esemplare al ri­
guardo. La costruzione legislativa, giurisprudenziale e dottrinale del
matrimonio canonico è una meravigliosa articolazione di diritto natu­
rale e diritto positivo in un unico sistema giuridico. Costituisce la
migliore esperienza contemporanea della concezione classica.
Vorrei mostrare adesso due conseguenze, tra le tante, del fatto
che il diritto naturale e il diritto positivo formino un solo sistema
DIRITTO NATURALE NELL'ORDINAMENTO CANONICO 505

normativo. In primo luogo, risulta ozioso parlare di una soluzione di


diritto naturale e di una soluzione di diritto positivo rispetto ad un
unico problema. Si potrebbe dire, come di fatto succede, che, in un
determinato caso concreto, la soluzione di diritto naturale è una e
quella di diritto positivo è un’altra. Ciò, o è una conseguenza — o
meglio una infelice conseguenza — dell’aver seguito un metodo posi­
tivista per interpretare il diritto positivo, o è una cattiva interpreta­
zione. Se diritto naturale e diritto positivo sono parti — elementi o
fattori — del diritto vigente, in ogni caso concreto ci può essere una
sola soluzione, che è la soluzione di diritto, in cui si devono coniuga­
re armonicamente i fattori naturali e i fattori positivi.
Allo stesso modo, risulta equivoco distinguere tra diritto natura­
le e diritto positivo, dicendo che il primo è il diritto che deve essere,
mentre il secondo è il diritto che è. Non so se sarà stato intuito che
siffatta affermazione è tipica della Scuola razionalista del Diritto Na­
turale. Due ordini normativi distinti, dei quali uno, quello naturale o
quello razionale, sarebbe chiamato a sostituire l’altro. Uno è, l’altro
deve essere. Allo stesso tempo, è una forma sottile per negare la giuri­
dicità del diritto naturale: è ovvio che ciò che deve essere, proprio
per dover essere, per il momento non è; quindi se il diritto naturale
dovesse essere diritto vigente, significa che adesso non lo è. Non è
questa la concezione classica, e perciò affermazioni di tal genere so­
no estranee alla canonistica comune.
Non meno estraneo all’udito della canonistica comune suona so­
stenere che il diritto naturale è il diritto ideale e che il diritto positi­
vo è il diritto reale. Tale affermazione è sconosciuta alla tradizione
classica, secondo la quale il diritto naturale è diritto vigente e per­
tanto reale. A nessun sfugge il fatto che un ente ideale è un ente di
ragione, senza esistenza fuori dal pensiero. E ciò implica che qualifi­
care il diritto naturale come diritto ideale equivale a negare che esso
sia vero diritto. Una legge ideale non è una legge, un diritto ideale
non è un diritto, sono idee, come una casa ideale è una idea e non
una vera casa.
Per tutto ciò che abbiamo detto, non deve causare stupore che
una serie di affermazioni, che hanno occupato più o meno, un ruolo
preponderante nella scienza giuridica o nella filosofia giuridica, non
trovi riscontro tra i canonisti. Il diritto naturale come ordine etico
sociale, come idea di diritto o ideale di giustizia, come diritto che
dovrebbe essere o come insieme di principi fondamentali astratti o
generalissimi, non corrisponde all’esperienza dei canonisti e neppure33

33. lus ecclesiae - 1989.


506 JAVIER HERVADA

alla concezione classica. Non bisogna dimenticare che quest’ultima


risponde perfettamente all’esperienza della canonistica, abituata a
vedere il diritto naturale come vera legge e vero diritto, pienamente
e perfettamente articolato con il diritto positivo.
Anche se devo fare una digressione, mi si permetta di esporre
alcuni esempi tratti dal vigente Codice di Diritto Canonico.
Il canone 98, § 2 stabilisce che il minorenne è sottomesso alla
potestà dei genitori o tutori nell’esercizio dei suoi diritti, eccetto in
ciò che per legge divina — cioè per diritto naturale o divino positivo
— è esente da questa potestà. Una conseguenza, tra le altre, è che il
minorenne che è capace a contrarre matrimonio, può esercitare il suo
diritto naturale a sposarsi (cfr. c. 1071, § 1, 6°) a dispetto della
ignoranza od opposizione, benché ragionevole, dei suoi genitori o tu­
tori. Siamo di fronte a un vero diritto e ad una vera legge, che limi­
ta una potestà giuridica.
Da parte sua, il canone 199 ricorda che non sono soggetti a pre­
scrizione i diritti e le obbligazioni che sono di diritto naturale. Que­
sti iura et obligationes sono imprescrittibili proprio per essere di dirit­
to naturale, e cosi li riconosce il citato canone. Non si parla di vaghi
principi astratti e generali, né di ideali, né di norme morali, ma di
veri diritti e doveri giuridici.
Alle cause di nullità matrimoniali di diritto naturale o divino
positivo — impedimenti dirimenti e vizi di consenso — si riferisce il
canone 1075, § 1, a cui si rifanno i canoni 1163, § 2 e 1165, § 2. E
da parte sua il canone 1084 dichiara che l’impotenza è impedimento
di diritto naturale con la formula ipsa eius natura.
Sono solo alcuni esempi e penso che non sia necessario insistere
proponendone altri. Risulta evidente la connessione tra diritto natu­
rale e diritto positivo in un unico sistema giuridico garantito dai giu­
dici e, se è il caso, dai meccanismi dell’esecuzione forzosa.
Ma abbandoniamo la digressione per riprendere il filo del no­
stro discorso. Abbiamo visto due aspetti fondamentali della conce­
zione classica e pertanto della canonistica. Vediamo ora il terzo
aspetto cui desidero riferirmi: i rapporti tra diritto naturale e diritto
positivo rispetto all’interpretazione del diritto.
Senza ombra di dubbio, la funzione principale del giurista con­
siste nell’interpretazione del diritto. Suo compito o missione è dire il
diritto, stabilire qual è, in ogni caso concreto, la soluzione di diritto.
Proprio in rapporto con questa operazione essenziale del giurista, la
concezione classica dà una serie di regole — più implicite che esplici­
DIRITTO NATURALE NELL’ORDINAMENTO CANONICO 507

te — che i canonisti seguono, come si può facilmente osservare. In


breve sintesi, le regole sono queste:
Prima: il diritto naturale mantiene sempre la sua indole natura­
le, anche nel caso di trovarsi assunto dal diritto positivo. Norme e
diritti naturali positivizzati, devono essere interpretati come diritto
naturale e non come diritto positivo e quindi secondo la loro indole.
Applicando queste regole al diritto secolare, ci si rende conto che ta­
le sarebbe il caso dei diritti fondamentali dichiarati dalle costitu­
zioni.
Seconda: il diritto positivo deve essere intrepretato in modo
conforme al diritto naturale, in ragione della funzione propria di
quest’ultimo di essere base, clausola-limite e principio informatore
dell’ordinamento giuridico. Ma ciò non costituisce una particolare
difficoltà per il giurista, perlomeno nella maggior parte del diritto
positivo.
Terza: il diritto positivo non può prevalere sul diritto naturale.
In caso di conflitto, il diritto positivo deve essere ricondotto ai ter­
mini del diritto naturale. È questo il principio di prevalenza del di­
ritto naturale, una pietra di scandalo per i positivisti. Di fronte ad
esso, i positivisti di qualsiasi stampo normalmente si stracciano le ve­
sti, augurando ogni male alla scienza del diritto e all’ordinamento
giuridico. Secondo loro, i principi di certezza e di sicurezza risulte­
rebbero gravemente lesi, si introdurrebbe la più assoluta arbitrarietà
e verrebbero scosse le fondamenta stesse dello Stato e del Diritto.
Una reazione talmente esasperata e manchevole di prospettiva stori­
ca, è causata soprattutto da un misconoscimento del principio, ed è
più una scusa che una ragione. Immaginazioni e pregiudizi. Il princi­
pio fu applicato dai giuristi romani — ne possediamo esempi — e
non sembra che lo si possa includere tra le cause della caduta del­
l’impero romano. Fu applicato durante il Medioevo e durante l’Età
Moderna, e i suoi effetti negativi si distinsero per la loro assenza. È
stato applicato nel diritto canonico lungo tutta la sua storia e neppu­
re lì esiste il minor sintomo di cataclisma: l’ordinamento canonico ha
goduto e gode di eccellente salute, in gran parte grazie a questo prin­
cipio.
Non si pensi che il principio di prevalenza conduca necessaria­
mente verso atteggiamenti estremistici come la disobbedienza civile,
la resistenza passiva o attiva, o cose simili. E vero che tali atteggia­
menti possono essere l’unica soluzione giusta di fronte a determinate
prescrizioni della legge positiva, però si tratta di casi scarsamente
508 JAVIER HERVADA

frequenti. Sarà invece normale che il principio di prevalenza spinga


ad un compito interpretativo che riconduca il diritto positivo alla
coerenza con il diritto naturale. Penso che con due esempi tratti dal
Digesto si potrà porre sufficientemente in risalto questa affermazio­
ne. Uno di essi si riferisce a un usufrutto di quantità che i giuristi
intesero contrario alla ragione naturale. Quale fu la soluzione? Sem­
plicemente considerarlo come un quasiusufrutto e in questo senso in­
terpretarono il corrispondente senatoconsulto. Si legge infatti in D.
7, 5, 2: « Questo senatoconsulto non diede vita a un vero usufrutto
di quantità, dato che l’autorità del senato non può cambiare la ragio­
ne naturale, ma, introdotto il rimedio, cominciò ad essere ammesso
un quasiusufrutto ». Un altro caso si riferisce alla capitis deminutio.
Benché lo ius civile dichiarasse del tutto incapace il soggetto, i giuri­
sti dichiararono efficaci le prestazioni naturali: « E evidente — leg­
giamo in D. 4, 5, 8 — che gli obblighi che contengono una presta­
zione naturale non si estinguono per la capitis deminutio, perché il
diritto civile non può alterare diritti naturali; così l’azione della dote
sussiste anche dopo la capitis deminutio, perché si riferisce a ciò che
è buono e giusto ».
Ci si può rendere conto facilmente che la prevalenza non causa
nessun terremoto neH’ordinamento giuridico, né attacca i principi di
sicurezza e di certezza. E invece un principio di umanizzazione del
diritto, di realizzazione della giustizia e del riconoscimento dei dirit­
ti fondamentali della persona. Non si dimentichi che ciò che è con­
trario al diritto naturale è ingiusto, rappresenta una ingiustizia, e
missione propria del giurista non è tanto affermare ciò che è legale
ma affermare ciò che è giusto. Per questo, lo scandalo dei positivisti
di fronte a questo principio mi sembra uno scandalo farisaico.
Dicevo all’inizio che per esporre la funzione del diritto naturale
nell’ordinamento canonico e la teoria dei canonisti su di esso, non
c’è niente di meglio che ricorrere alla concezione classica, di cui la
legislazione e la scienza canonica sono espressione e continuazione.
Mi sembra di aver compiuto il proposito, sottolineando particolar­
mente gli aspetti più facilmente applicabili alla scienza giuridica se­
colare. Penso che ricordare la concezione classica, mantenuta viva
dalla canonistica, può essere utile per i giuristi impegnati a superare
il positivismo giuridico e alla ricerca di nuove vie per giungere a una
scienza del diritto più umana e più giusta.
CARLOS LARRAINZAR

LA « SUMMA SUPER QUARTO LIBRO DECRETALIUM »


DE JUAN DE ANDRÉS

I. Introducción. — II. La suma « de matrimonio » de Juan de Andrés: A) Autor y


fecha de redacción. B) Fijación del texto principal. C) Comparación de las notas crí­
ticas de los textos. — III. Valoración histórico-crítica de la suma: A) La sistemática.
B) Las fuentes citadas. C) Utilidad para la investigación. — IV. Edición del texto.
— V. Texto principal de la suma. — VI. Apêndices: A) Variante de lectura del tex­
to. B) Notas extraídas del texto principal. C) Sumario proprio del Texto-2.

I. Introducción.

Hace ya unos anos, al hacer un parcial balance sobre los enor­


mes progresos de la investigación histórica del derecho canónico
medieval durante los últimos lustros, Antonio Garcia destacaba tam-
bién la escasa divulgación de estos resultados, incluso entre los
mismos especialistas de la historia: hasta el punto de que « corremos
el riesgo de convertir nuestra especialidad en una ciência incomuni-
cada e incomunicable. Esta falta de seguimiento de la investigación
redente en nuestra especialidad es patente incluso en obras dedica­
das a la historia del derecho canónico medieval » (‘)- Pienso que la
realidad de este juicio certero encuentra alguna de sus causas en la
ausência de puentes entre esa investigación tan especializada y técni­
ca de las últimas décadas y el ordinario trabajo de investigación de
los canonistas sobre el derecho positivo.
Para aígunos los estúdios históricos, si han de ser rigurosos, apa-
recen como un trabajo proprio de « historiadores puros », ajeno ade-
más a las inquietudes del presente, o bien se considerali — en el
mejor de los casos — como una investigación altamente cualificada

í1) Antonio GarcÍa, La canonistica ibérica (1150-1250) en la investigación re­


dente, en Bulletin of Medieval Canon Latv 11 (1981) pp. 41-75.
510 CARLOS LARRAINZAR

y de calidad pero inaccesible para el trabajo ordinario en la exégesis


del derecho positivo, justamente por su complejidad instrumental y
el paciente consumo de tiempo que réclama.
Consciente de que ésa es una realidad de hecho en la investiga-
ción contemporànea del derecho canònico, siempre me pareció que
los términos de la cuestión no deberian ser tan radicales, si los juris­
tas poniamos algdn esfuerzo por recuperar el conocimiento de la pro­
pia tradición clásica europea, la ciência jurídica del utrumque ius.
El hecho del incuestionable progreso en las investigaciones
históricas sobre este campo, coordinado en gran medida por Stephan
Kuttner durante la segunda mitad de este siglo (2), no es una dificul-
tad para tal objetivo, al contrario me pareció siempre una oportuni-
dad « histórica » de relanzar en el campo de la ciência jurídica unas
lineas de trabajo científico que llevasen a engarzar el presente de las
instituciones y conceptos jurídicos de la vieja Europa con su pasado
clásico más o menos remoto; un hecho, pues, que debería alentar y
facilitar una renovación de los métodos de investigación e interpreta-
ción del derecho más allá del positivismo dogmático.
En este orden de cosas, desde mi incorporación a la Universi-
dad de La Laguna (Islas Canarias), he podido ir concretando tales
proyectos de investigación, a la búsqueda de esos puentes de comuni-
cación entre los historiadores y los juristas; su realidad más inmedia­
ta es la creación del Instituto de Derecho Europeo Clásico: I.D.E.C. A
través de esta entidad algunos profesores universitários, interesados
por la tradición jurídica comiin y clásica de la vieja Europa, pensa­
mos coordinar nuestros estúdios y en el futuro confiamos en abrir
una linea editorial específica.
El estúdio que presento con estas lineas es una primera concre-
ción de los variados trabajos que se han comenzado en el Departa­
mento de Derecho Privado de la Universidad de La Laguna y en el
I.D.E.C., hacia ese ambicioso objetivo de recuperar poco a poco, sin
pausa, el conocimiento de la vieja tradición jurídica europea comun y
clásica. En distintos frentes, la investigación se ha comenzado por
una recuperación editorial moderna de textos valiosos para

(2) Stephan Kuttner, The scientific investigation of rnediaeval canon law: thè
need and t-he opportunity en Variorum reprints: Gratian and thè Schools of Leno 1140­
1.234 (London 1983) que es el texto de la conferencia pronunciada en Toronto du­
rante el ano 1949; también su esludio más redente The revival of jurisprudence en
Renaissance and rencwal in thè tewlfth century (Cambridge Mass. 1982) pp. 299-323.
LA « SUMMA SUPER QUARTO... » DE JUAN DE ANDRES 511

el estudio del antiguo sistema de derecho, de sus métodos y fuentes


legales.
Como regia general, mientras sea posible, nos parece suficiente
acudir a los materiales impresos, habitualmente en obras incunables
o en ediciones del siglo XVI, dejando a los « historiadores puros » el
tema de la crítica exhaustiva respecto de su tradición manuscrita; en
todo caso la fijación del texto impreso tiene valor por si misma, en
su momento histórico editorial y obviamente en la doctrina de los
siglos posteriores.

II. La suma « de matrimonio » de Juan de Andrés.

Este trabajo consiste en la edición de la Summa de sponsalibus


et matrimonio de Juan de Andrés (1270-1348), también conocida
con el título de Summa super Quarto Libro Decretalìum. Evidente­
mente esta obra es de gran utilidad para iniciar un estudio comple­
to del Derecho matrimonial del período canónico clásico y determi­
nar los textos de mayor relieve para la investigación de sus diver­
sos temas.
La obra aparece editada en esta publicación:

Trac tatus universi iuris. IX De matrimonio et dote


(Venecia 1584)

Los títulos originales de esta publicación, que en realidad es una


colección de tratados jurídicos del Derecho europeo común y clásico,
son uno general para toda la serie de volúmenes (}) y otro particular
para cada uno de ellos; en este caso el título completo del tomo
noveno es:

Tractatus illustrium in utraque tum Pontifica tum Caesarei iuris


facultate Jurisconsultorum De matrimonio et dote ex multis in
hoc volumen congesti additis plurimo etiam nunquam edditis,
hac * nota designato, et multo quam antea emmendationes red-

(3) A saber: Tractatus universi iuris duce et auspice Gregorio XIII Pontífice maxi­
mo in unum congesti additis quamplurimis antea nunquam editis, hac * nota designatis,
XVIII matérias et XXV voluminìbus comprehendentes. Praeter summaria singulorum
tractatuum accessere locupletìssìmi indices ita distincte et ordinate compositi ut lector
matérias omnes tenere ante hoc sparsas artificiosa distributione sub uno quasi adspectu
positas contueri possit (Venecia 1584-1586).
512 CARLOS LARRAINZAR

diti. Summarìis singulorum tractatuum locupletissimis illustrati


indices accessere ita locupletes ut omnes matérias quae sparsim
leguntur facillime distinctae lectoribus appareant. Tomus IX
(Venecia 1584)
En realidad los editores nos ofrecen dos textos diversos o dos
versiones en lugares distintos del mismo volumen: una primera en
los folios 2r°-3v°, abriendo la edición de obras clásicas de ese tomo
noveno, y una segunda en los folios 138r°-140v°. No parece claro
que tuvieran conciencia de cometer una reiteración: mientras la pri­
mera se presenta como la popular suma de Juan de Andrés De spon-
salibus et matnmonïis, la segunda aparece como apêndice del Tracta-
tus solemnis de arbore consanguinitatis et affinitatis y bajo el ambiguo
título común de Apparatus Quarti Libri, precedida además de un
amplísimo sumario o resumen — en 107 números — equivalente casi
al contenido mismo de la obra.

A) Autor y fecha de redacción.


En principio la obra es atribuída tradicionalmente a Juan de
Andrés (1270-1348), canonista y legista considerado ya por sus con­
temporâneos « fons et tuba iuris », tal vez con cierta exageración (4).
Friedrich von Schulte considera con fundamento que la fecha de
composición ha de fijarse entre los anos 1309 y 1313, no antes ni
tampoco después.
Parece cierto que el trabajo de Juan de Andrés consistió en ree­
laborar una suma anterior más extensa, y con un cierto sentido prác-
tico o pedagógico; genéricamente deja entrever esto en el prólogo de
la stimma donde senala que la obra se compone para su propia utili-
dad y la de sus escolares y anade: « subtilia vel nova non dicens sed
brevius antiqua scripta commemorans » o según otras versiones
« breviter antiquitus scripta rememorans ».
Para Schulte es claro que la obra no tiene pretensiones de origi-
nalidad, pero anade: « stelli sich aber in Wirklichkeit nur ais eine

(4) Para una introducción breve sobre este autor cfr. S. Stelling-Michaud, Jean
D'André (D’Andrea ou D'Andreae) en Dictionnaire de Droit Canonique VI (Paris 1954)
pp. 89-92, pero es una sintesis ciel estúdio más completo de Friedrich von Schulte, Die
Geschichte der Quellen und Literatur des canonischen Rechts. IL Von Papst Gregor IX. bis
zum Condì von Trient (Stuttgart 1887) pp. 205-229; para valorar su actualidad vid. la
introducción que precede a la edición de Stephan Kuttner, « loannis Andreae in quin-
que Decretalium libros Novella Commentarla » with an introduction (Torino 1963).
LA « SUMMA SUPER QUARTO... » DE JUAN DE ANDRÉS 513

überarbeitung der Summa des Johannes de Anguissola heraus. Es ist


ganz unzweifelhaft, dass er diese kannte. Wenn er nun selbst noch
in den Additiones zum Spéculum deren keine Erwahnung thut, dage-
gen Tancred allein von alteren theoretischen Arbeiten erwahnt, er-
klàrt sich dies aus dem Streben den einmal gemachten Jugendfehler
zu verdecken » (p. 215).
En realidad Schulte recoge sin mayor reserva crítica la opinion
del legista Alberico de Rosate, quien en su diccionario jurídico
« utriusque iuris » (vid. edición de Venecia 1572) cita expresamente
esta suma asi:
a) Comentando la voz sponsalia dice:
« De hoc breviter et utiliter traditur per Io. An. in sum­
ma sua quam composuit super IV. libro. Decret, quae incipit:
Christi nomen invocans et in quadam etiam summa antiqua
quae dicitur composita fuisse per Jo. de Anguiselis ».

h) Y comentando la definición de matrimonium anade:


« Et in quadam summula Jo. An. quam fecit super matri­
monio, et quae originaliter fuit do. Joan. de Angusolis qui
eam composuit licet ipse Jo. An. eam sibi ascripserit ».

En favor de esta opinion està la misma cronologia. Si se acepta la


composición de la suma entre los anos 1309 y 1313, corno propone
Schulte con fundamento, es posible que Juan de Andrés hiciera su tra-
bajo durante los anos 1307-1309, fechas de su breve estancia en la Uni-
versidad de Padua donde se localiza a Juan de Anguissola (5), del cual
apenas se tienen mayores noticias biográficas.
Es evidente que sin un seguimiento de la tradición manuscrita no
es posible aclarar definitivamente la duda, pero el dato histórico cierto

(5) Parece claro que ensefió en Padua con anterioridad al ano 1280, en razón
de la cronologia cierta y comprobada de Alberto de Gandino (1280-1305), que fue
uno de sus discípulos; confiesa éste en su tratado De maleficiis: « hanc autem dist.
sic copiose notavit d. Jo. de Angus, de Cesena legum doctor in utroque iure Pad. in
scholis. Ego Al. didici ab eo », cfr. Andrea Gloria, Monumenti della Università di
Padova (1222-1318) (Venecia 1884) pp. 240 y 324.
Se ignora con qué fundamento algunos autores más antiguos retardan la fecha
de su muerte al ano 1310 y en la Universidad de Bolonia; vid. por ejemplo Nicolaus
Comnenus Papadopulus, Historia Gytnnasii Patavini (Venecia 1726) p. 195, que di­
ce: « Docuisse etiam traditur Bononiae post an. MCCC quamobrem circa an. X sae-
culi XIV, fato concesserit. Fertur multa scripsisse, quae temporum iniuria perie-
rint ».
514 CARLOS LARRAINZAK

es que la tradición jurídica posterior atribuirá la paternidad de la obra al


maestro de Bolonia; la referencia genérica del prologo a escritos anti-
guos encontrará siempre justificación en la misma estructura sistemàtica
de la suina, pues su distinción bàsica entre esponsales y matrimonio se
encuentra ya en las decretales y además Juan de Andrés expone y siste­
matiza la materia de matrimonio al hilo de los conocidísimos hexámetros
latinos que enuncian versificados los impedimentos matrimoniales.
Por otra parte tal vez no sea necesario pensar que Juan de
Andrés silencia intencionadamente, en sus Additiones a la obra de
Guillermo Durando, los « pecados de juventud » — en este caso, su
posible plagio al de Anguissola — pues el mismo Schulte reconoce
que en esa su ultima obra, escrita entre los anos 1346-1347 poco
antes de morir, Juan de Andrés paga inadvertidamente sus muchos
plágios de anos atrás. « Er hatte — dice — eine solche riesige Masse
von Excerpten, dass er leicht den Namen des benutzten Autors ab
und zu vergessen haben und nach Decenien vielleicht in gutem Glau-
ben dieselben fiir eigene Arbeiten halten mochte » (p. 222).
Se ha discutido también si esta obra en realidad era un todo con
su Lectura super, arbore consanguìnitatis et affinitatis, de la cual una
vendría a ser apêndice de la otra o viceversa. Hasta fechas relativa­
mente recientes ésta ha sido la opinion más generalizada; tenemos un
reflejo de su fundamento en la tradición histórica precisamente en la
presencia de esa segunda version o Texto-2, en el Tractatus universi
iurìs, unida a la obra sobre la consanguinidad y afinidad bajo el título
común y genérico de Apparatus Libri Quarti.
Sin embargo Schulte comparte la conclusion de Stintzing (6)
sobre la necesidad de revisar esa opinion tradicional; y efectivamente
el estudio detenido de una y otra obra es la prueba más definitiva de
su respectiva independencia: ambas son escritos diversos aunque, al
parecer, redactados en fechas contemporâneas.

B) Fijación del texto principal de la suma.

Una primera tarea, en este trabajo de edición, ha sido la determi-


nación de un texto principal a la vista de las variantes que ofrecen las

(6) Roderich Stintzing, Geschichte der populãren Literatur des rómisch-kanoni-


schen Recbís in Deuscbland am Ende des fiinfzehnten und im Anfang des sechszehnten
Jahrbunderts (Leipzig 1867) pp. 186-193. Para el tema dc la datación y autoria de la
obra, pp. 189-191 especialmente.
LA « SUMMA SUPER QUARTO... » DE: JUAN DE ANDRES 515

dos versiones del Tractatus universi iuris, sin duda extraídas de manus­
critos distintos.
Para ofrecer al lector todos los materiales impresos de manera que
pueda enjuiciar por si mismo nuestro trabajo, en esta edición se publica:
1) Un texto principal de la suina, que es bàsicamente la version
primera (T-l) o Texto-1 con ligeros anadidos del Texto-2 o segunda
version (T-2), que incorporo en letra negrìlla. Por la via de crear notas
críticas en él se excluyen las citas de fuentes que Juan de Andrés hace,
habitualmente mediante el uso de abreviaturas, y estas — una vez
identificadas — se incorporali luego a pie de pàgina usando la técnica
más moderna para la elaboraceli de estas referencias de fuentes.
2) A esta edición principal, que permite una ágil lectura del tex­
to y un estúdio reposado sobre sus fuentes, se incorporan luego très
apêndices complementarios:
a) Las variantes del texto principal que se registran en el T-2.
h) El texto original de las notas críticas formadas o extraídas
sobre el T-l junto con las variantes que el T-2 registra en este aspecto.
c) El texto del sumario que precede al T-2 seguii su propia nume-
radòn, pero anotando su relación paralela con el sumario que acompa-
na al T-l, y que en esta edición se ha incorporado en cursiva al texto
principal.
La comparación entre las versiones del T-l y T-2 muestra que
son muy escasas las ampliaciones que el primero recibe del segundo.
Como puede verse en esta edición, a través de la letra negrilla, sólo
en très ocasiones — en temas de parenuesco, afinidad y legitimación
de hijos — los complementos son mejoras del texto.
Además he aceptado del T-2 dos pequenas correcciones de lectu­
ra, que probablemente son erratas de imprenta en la composición del
T-l, sin excluir tampoco la posibilidad del error en el manuscrito ori­
ginal. En concreto: leo homicidium casuale (II § 10) en vez de « car­
nale » y, por el sentido de la frase, nonnullus (II § 19) en vez de
« nullus » aunque el T-2 escribe « multum ». Son, pues, correcciones
mínimas que evidencian la calidad del T-l y su validez como primera
referencia para la fijación del texto principal de la suma.
Más todavia al considerar que, a la inversa, las diferencias son
notorias. El T-2 parece extraído de una mala copia manuscrita en la
que, a primera vista, se intenta una redacción más breve y ágil
mediante los retoques de estilo y las supresiones de párrafos; de ahi
sus no pocas omisiones respecto del T-l y también los numerosos
errores de bulto en las citas de las fuentes.
516 CARLOS LAKKAINZAR

Por otra parte el estúdio de las abreviaturas tipográficas incor­


poradas al texto principal en ambos casos, y de las fuentes citadas (7)
que se analizan minuciosamente en las notas críticas, confirmai! la
impresión de que la version impresa del T-l está hecha sobre un
manuscrito más antiguo que la version del T-2, la cual parece extraí­
da de una copia posterior y además no excesivamente valiosa. La
comparación minuciosa de las notas críticas elaboradas sobre ambos
textos permite fijar esta conclusion con segura probabilidad.

C) Comparación de las notas críticas de los textos.

Hay coincidência sustancial sobre las fuentes legales y auctorita-


tes citadas, generalmente con variantes menores en el modo de abre­
viar la cita: parece más rigurosa esta práctica en el T-l, menos inten­
sa sin embargo en el T-2; así es frecuente encontrar en uno eo. o
bien e. ti. o c. sencillamente, mientras en el otro se transcribe ínte­
gro infra eodem o eodem titulo o bien cap., y de modo semejante en
la abreviación de los títulos de las decretales.
En datos numéricos resulta que sobre un total de 205 notas son
bàsicamente idênticas un 70%, mientras que el 30% restante de las
notas muestra variantes de ligeros matices. Sin embargo la identidad
literal únicamente se da en un grupo muy reducido de ese elevado
porcentaje: 18 notas, que son las 14 citas de remisiones internas a
través de la formula ut ibi o bien ut ibidem y otras cuatro más (las
notas 121, 146, 163, y 173) que coinciden a la letra; las restantes
notas en que se advierte identidad real del T-l y T-2 muestran,
todas ellas, ligeras diferencias en el modo de elaborar las abreviatu­
ras de las fuentes.
Las variantes explicitas que resultan del análisis comparativo
entre las notas críticas del T-l y del T-2 se resumen, pues, en estos
datos:
a) En el T-2 son frecuentes los errores sobre los números y
nombres de los fragmentos citados de las distintas colecciones lega­
les, y estos errores prácticamente no existen en el T-l. Asi:

(7) Cfr. Adriano Capelli, Lexikon abbreviaturarum. Dizionario di abbreviature


latine ed italiane usate nelle carte e codici specialmente nel medio-evo riprodotte con
oltre 14000 segni incisi (Milano, ristampa 1967) y su complemento más redente de
Auguste Pelzer, Abréviations latines médiévales. Suplément au Dizionario ài abbre­
viature latine ed italiane de Adriano Capelli (Louvain-Paris 1966).
LA « SUMMA SUPER QUARTO... » DE JUAN DE ANDRES 517

1) Existen errores de bulto en la numeración, para localizar o


identificar los fragmentos de las colecciones legales, en las notas: 2,
30, 45, 49, 91, 113, 120, 124, 131, 170 y 175. Principalmente son
errores en la cita del numero de la causa, cuestión, canon o título de
las colecciones canónicas.
2) Errores en la identificación o denominación propia de los
fragmentos que se citan aparecen en las notas: 7, 9, 15, 46, 54, 63,
65, 89, 94, 100, 101, 119, 135, 143, 170, 184, 188, 191, 192 y
199. Probablemente muchos son errores del copista del manuscrito
sobre cuyo texto se hace la edición del siglo XVI.
b) En el T-l unicamente se registran très pequenos errores con
ciertas peculiaridades:
1) De un lado se repite uno, por dos veces y sobre idèntico
fragmento: en las notas 22 y 39 se cita la C. XXXII del Decreto de
Graciano cuando en realidad es la C. XXVII, sin embargo las citas
son correctas en el T-2; justamente identico error, pero a la inversa,
aparece en la nota 45: se cita la C. XXVII cuando en realidad el
fragmento pertenece a la C. XXXII, pero en esta ocasión yerran tan­
to el T-l como el T-2. ^Se trata propiamente de un error?, £no pue-
de obedecer a que el autor del manuscrito hubiera compuesto su
obra sobre una version de la Concordia de estructura diversa?: nada
se podrá decir sin emprender un trabajo de investigación sobre los
manuscritos, pero quede ahi apuntada la cuestión.
2) En la nota 72 se cita la C. XII quando el fragmento pertene­
ce a la C. XXII y nuevamente aqui es correcta la referencia del T-2;
en este caso puede tratarse ciertamente de un error material en la
composición del texto impreso, sin excluir tampoco el posible error
del copista del manuscrito.
3) Finalmente en la nota 115 se cita X 4.19.2 cuando en reali­
dad el texto principal se refiere al canon o capítulo primero de dicho
título; nuevamente aqui es correcta la cita en el T-2.
Por otra parte el T-l recibe del T-2 un complemento de matices
o ampliación de sus referencias críticas ùnicamente en ocho ocasio­
nes y, como puede comprobarse, son ampliaciones de tono menor.
Así sucede en las notas: 48, 97, 98, 109, 132, 136, 170 y 189.
c) Sin embargo, a la inversa se detectan numerosas variantes de
cierto interés, es decir: numerosas notas en el T-2 en las que, si bien
coinciden bàsicamente con la version del T-l, son más reducidas las
referencias de fragmentos legales; además en el T-2, en otras ocasio­
nes, faltan absolutamente notas presentes en el T-l.
518 CARLOS LARRAINZAR

En el T-2 son más reducidas las citas de textos legales, en las


notas: 8, 13, 27, 38, 39, 40, 32, 56, 92, 137 y 149. Y en él faltan
absolutamente las notas del T-l: 29, 42, 58, 61, 65, 67, 74, 105,
114, 116 y 118. Al valorar el contenido de estas omisiones, respecto
del T-l, se advierten estas peculiaridades:
1) Unas pocas de esas ausências se deben a alteración, por abre-
viación, del texto principal; esto sucede en las notas: 29, 105 y 118.
Sólo en el caso de la nota 65 la cita se sustituye por una referencia a
la decretai X 4.17.10 que resulta equivocada.
2) Otras pocas también « desapareceu » por aparecer diluídas
en otras notas, o porque en realidad son remisiones internas en el
texto; tal sucede en las notas: 74, 114 y 116.
3) Las restantes omisiones muestran una coincidência llamativa,
pues todas ellas son citas del Decreto de Gradano o bien textos del
Derecho Romano, colecciones apenas usadas en la composición de
esta obra, como luego se comentará. Esto sucede en las notas: 42,
58, 61 y 67.
En resumen, de este rápido análisis comparativo sobre ambos
aparatos críticos, puede concluirse que el T-2 es edición sobre una
copia manuscrita de menor valor que la del T-l, al menos por los
numerosos errores e inexactitudes que en ella se detectan, ausentes
sin embargo en la redacción del T-l. A través de esta comparación,
pues, se confirma el aderto en la elección del T-l corno primera
referencia impresa para la fijación del texto de esta suma medieval.
Coincide asi esta elección con la misma preferencia que mue­
stran los editores al incluir el Texto-1 en los folios 2r° a 3v°, abrien-
do además el Tomo IX del Tractatus universi iuris dedicado al matri­
monio y la dote, mientras que el Texto-2 aparece en los folios 138r°
a Î40v°. Y además sólo al primero se adjudica el título más conocido
y tradicional de la obra: Summa de sponsalibus et matrimoniis o bien
Summa super Quarto Libro Dccretalium.III.

III. Valoración histórico-crítica de la suma.

A) La sistemática.

Desde el comienzo el autor pretende insertar la suma en el


orden sistemático de las decretales gregorianas y así entiende el Liber
III como materia de clericis mientras el Liber IV seria de laids por
considerar monográficamente el matrimonio. Efectivamente Juan de
LA « SUMMA SUPER QUARTO... » DE JUAN DE ANDRES 519

Andrés escribe: « supra satis Compilator tractavit de his quae perti­


nent ad clericos, in hac autem quarta parte huius voluminis tractat
de sacramento coniugii quod pertinet ad laicos ».
Los usos de la época imponen, corno metodologia del trabajo, la
exégesis desde los títulos y sus nombres. A partir de la rubrica de
sponsalibus et matrimoniis, pues, se distribuye la materia en dos gran­
des bloques de temas: los esponsales y el matrimonio; en realidad, al
adjudicar tal eficacia sistemática a la distinción, se està reconociendo
expresamente una neta diferencia entre esas figuras o negocios jurí­
dicos y la necesidad de un tratamiento autónomo para cada uno.
Cdertamente esta distinción ha permanecido, como pauta sistemática,
en todos los escritos sobre la materia hasta la codificación canónica
del siglo XX.
Sobre la materia de sponsalibus se enunciarán siete cuestiones, a
las que sucesivamente se da respuesta; se mantiene un cierto equili­
brio en la intensidad y extension de su tratamiento, pero lògicamen­
te las dos últimas — sexta y séptima — son objeto de un particular
desarrollo: en ellas radica el eje de la distinción entre compromiso
esponsalicio y negocio matrimonial. En la suma se formulan de esta
manera:

« Primo: quid sint sponsalia. Secundo: unde dicantur.


Tertio: qualiter contrahantur. Quarto: in qua aetate. Quin­
to: quid sit sponsalium effectus. Sexto: an sponsi per spon­
salia compellantur ad matrimonium contrahendum. Septimo:
in quibus casibus dissolvantur ».

A continuación se plantearân ocho nuevos interrogantes, muy


parecidos, sobre la materia de matrimoniis; con las palabras mismas
de la suma:

« Primo: quid sit matrimonium. Secundo: unde dicatur.


Tertio: ubi et quando et a quo et quibus verbis fuerit insti-
tutum. Quarto: quae fuit causa institutionis. Quinto: qua
aetate vel quomodo contrahatur. Sexto: quae et quot sunt
impedimenta matrimonii. Septimo: qui admittantur ad ipsa
impedimenta matrimonii probandum. Octavo: quae et quot
sunt eius bona ».

Sin embargo este esquema orienta muy poco sobre la importân­


cia de cada tema y su desarrollo en la suma. Las cinco cuestiones ini-
ciales forman una primera serie introductoria, a la que se adjudica
520 CARLOS LARRAINZAR

una extension semejante a la propia de las dos últimas — las cuestio-


nes séptima y octava — y entre ambas series no se alcanza ni la
mitad de extension propia de la cuestión sexta; el nùcleo de la suma
està, pues, en el desarrollo de esa cuestión sexta que pregunta: quae
et quot sunt impedimenta matrimonii.
La exposición sistemàtica de los impedimentos matrimoniales
resulta ciertamente original y pedagogica. La suma seguirà a la letra,
y por el mismo orden, los temas enunciados en los populares hexá-
metros tan repetidos en las Universidades y en la literatura jurídica
medievales:

Error, conditio, votum, cognatio, crimen,


cultus disparitas, vis, ordo, ligamen, honestas,
si sis affinis vel si coire nequibis:
haec focianda vêtant connuhia iuncta rétractant.
Cada uno de estos elementos será cabecera para un desarrollo
autónomo más o menos amplio, según proceda; resulta exhaustivo,
por ejemplo, el estúdio sobre la cognatio o impedimento de parentes­
co que, durante siglos, ha sido considerado como uno de los grandes
temas, siempre técnicamente complejo.
Tras la cuestión octava, la suma se cerrará con una referencia al
principio general de libertad para contraer matrimonio: « quilibet
contrahere potest qui non prohibetur », que en la codificación canò­
nica tiene su reflejo respectivamente en los cânones 1035 y 1058 de
los dos códigos latinos.
En resumen, a la vista de esta estructura sistemática, parece cla­
ro que los textos de los sumários venecianos no pertenecen a la obra
original. Son una sistematización en paralelo que se superpone a la
propia del texto, mediante las numeraciones marginales que acompa-
nan a las columnas del texto impreso; con toda probabilidad son
anadidos de los editores elaborados a partir de un estúdio escolar —
pedagógico o práctico — del texto editado o bien de los problemas
actuales o vivos en el mundo universitario de la época. Además los
editores subrayan la diferencia respecto del texto de la suma utili­
zando una tipografia distinta, la letra cursiva.

B) Las fuentes citadas.


En datos numéricos las citas de fuentes, relegadas a las notas
críticas en esta edición, se distribuyen de esta manera:
LA « SUMMA SUPER QUARTO... » DE JUAN DE ANDRÉS 521

a) 7 notas autónomas con textos del « ius civile » más otras dos
en conexión con el Decreto de Graciano; en concreto las notas: 3, 6,
40, 58, 73, 100, 101, y además las notas 2 y 39.
b) 16 notas autónomas con textos de la Concordia más otras 11
en conexión con los textos del « ius novum »; en concreto las notas:
1, 21, 30, 42, 45-47, 61, 72, 79, 85, 113-114, 121, 147, 173, y ade­
más las notas 7, 22, 52, 91, 117, 137, 146, 175-176, 187, 205.
c) 169 notas autónomas con fragmentos de decretales, en su
mayor parte de la colección de Gregorio IX pues sólo 9 notas se
refieren a textos del Liber Sextus de Bonifacio Vili; en concreto las
notas: 4, 5, 8-20, 23-29, 31-38, 41, 43-44, 48-51, 53-57, 59-60, 62­
71, 74-78, 80-84, 86-90, 92, 93-99, 102-112, 115-116, 118-120,
122-136, 138-145, 148-172, 174, 177-186, 188-204, y las referencias
al Sexto en las notas 13, 84, 92, 96-98, 105, 153-154.
Si ahora ponemos la atención en los textos citados por Juan de
Andrés, de entrada se puede destacar la escasa utilización de frag­
mentos del ius civile: apenas se incorporan unas definiciones sobre el
matrimonio y los esponsales (Digesto, Instituta), sobre la pubertad
(Instituta) y el error (Codex); además sólo en contados casos se
conectan con el ius antiquum del Decreto gracianeo: sucede asi con
las nociones de matrimonio y esponsales. La unica recepción sustan-
tiva y de cierta entidad jurídica está en el concepto de cognatio lega-
lis o parentesco legal, que se toma directamente de los textos del
Digesto sobre la adopción.
Es verdad que se hace un mayor uso del Decreto de Graciano,
pero cuantitativamente no mucho más; las citas corresponden a la
segunda parte del Decreto y se localizan entre las Causas 27 a 33,
salvo el fragmento C. XXII 2.6 in quibus que se utiliza para recibir
la noción romana de error.
Sin embargo los textos de la Concordia son utiles para una
amplia variedad de temas. Por ejemplo: para los impedimentos deri­
vados de crimen, orden sagrado, impotência, parentesco, error, o
bien para el estúdio de la « causa institutionis » del matrimonio, de
la situación del cónyuge caído en herejía y de la disparidad de cultos,
de la muerte presunta y las segundas núpcias o, finalmente, para
subrayar la necesidad del consentimiento de los púberes frente al de
los padres o bien el carácter público — no clandestino — de la cele-
bración matrimonial.
La relación entre Decreto y Decretales se establece sólo en algu-
nos temas. Por ejemplo: a propósito de las prohibiciones impedientes34

34. Ius ecclesiae - 1989.


522 CARLOS LARRAINZAR

y los impedimentos de parentesco espiritual, vínculo o ligamen,


orden, crimen, o bien sobre los modos de manifestación del consen-
timiento — como la inmisión del anillo o la « subarrhatio » •— y su
interpretación o su « ordinatio ad prolem » aunque sea lícito contraer
con meretriz como « opus pietatis ». En el caso del orden sagrado las
citas se ampliarán con fragmentos de la primera parte, en concreto
de la distinción 32; junto con la retórica referencia al fragmento De
Consecratione 2.69 revera, en la introducción de la suma, son las úni­
cas citas de textos que pueden encontrarse fuera de la segunda parte.
Sobre el uso de los fragmentos de decretales bay que hacer algu-
nas matizaciones al mismo autor; por ejemplo, tal vez resulta exage­
rada su afirmación final de que, a la vista del Liber IV, « neç erit in
ipso reperire casum directum in hac. summa non comprehensum »
salvo los fragmentos X 4.5.2-3, que no se refieren directamente a la
materia matrimoniai.
Salvo error por mi parte, son 19 los capítulos o fragmentos de
la colección de Gregorio IX que no se citan de ninguna manera:

X 4.1.10 ex literis X 4.7.5 cum haberet


X 4.1.13 veniens X 4.7.6 significasti
X 4.1.25 tuae X 4.7.8 si quis
X 4.2.10 attestationes X 4.11.8 ex literis
X 4.5.4 verum X 4.13.7 fratemitati
X 4.5.5 super eo X 4.14.7 tua Nos
X 4.6.1 de diacono X 4.17.4 causam quae
X 4.6.5 veniens X 4.17.9 quod nobis
X 4.6.6 rursus X 4.20.1 mulieres
X 4.6.7 insinuante

Ciertamente es un pequeno número de textos en relación a los


164 totales que deberían haber sido citados pero, si se considera que
las omisiones están desperdigadas a través de los distintos títulos, la
consideración final de Juan de Andrés parece sustancialmente cierta:
la suma hace un repaso exhaustivo al contenido del « ius novum » de
decretales, en cuestiones matrimoniales, sobre el estúdio del Liber IV
de la colección gregoriana.
De los capítulos que son expresamente citados conviene desta­
car ahora la profusion o reiteración con que se acude a algunos de
ellos; una muestra, pues, de su especial valor paradigmático en el
estúdio de la disciplina del ius novum. En otros casos, no muchos,
LA « SUMMA SUPER QUARTO... » DE JUAN DE ANDRÉS 523

se engarzan los textos con la vieja tradición del ius antiquum gra-
cianeo.
Se citan también algunos fragmentos del Liber III, sobre todo
de los títulos 32 de conversione coniugatorum y 33 de conversione infi-
delium, y hay también citas esporádicas del Liber II; unicamente el
fragmento X 3.32.14 ex parte y también X 2.9.4 capellanus se rela-
cionan con textos del Decreto de Gradano, y ese último fragmento
se conecta además con el capítulo X 1.21.3 debitum.
Las referencias al Liber Sextus son complementarias en ese estú­
dio global de la materia matrimoniai, y sobre aspectos muy concre­
tos: la pública honestidad que genera el compromiso esponsalicio, el
parentesco y el voto. Por fuerza de la misma cronologia podian no
haber sido demasiado amplias, sin embargo resultan exhaustivas: se
citan todos los textos del Libro IV con excepción del capítulo VI
4.3.3 quamvis; además se incorporan très referencias aisladas, una
por cada uno de los très primeros libros, de las cuales sólo una — el
fragmento VI 3.13.1 quod votimi — se conecta con textos de la anti­
gua tradición gracianea.
En definitiva parece claro que el núcleo básico de la disciplina
matrimoniai, de los conceptos y la doctrina jurídica sobre la materia,
se contiene en la colección de Gregorio IX; entre sus muchas aporta-
ciones no es la menor ofrecer una primera sistematización científica y
orgànica, más allá de la variada casuística de sus capítulos.

C) Utilidad para la investigación.

Todos estos datos son de inestimable valor para orientar los


estúdios e investigaciones sobre el derecho matrimonial de la época
clásica pues, por esta via, se pueden localizar y delimitar una masa
de textos especialmente significativos en el proceso de íormación de
la tradición canónica.
Para ejemplificar con las aportaciones de esta suma, a partir de
los datos ya mencionados, parece claro que:
a) Con la vieja disciplina del ius antiquum se conectan global­
mente los títulos X 4.7 de eo qui duxit in matrimonium quam polluit
per adulterium y X 4.16 de matrimonio contracto contra interdictum
Ecclesiae; y también los fragmentos:

X 3.32.14 ex parte X 4.1.20 inter opera


X 4.1.19 in praesentia X 4.1.26 tua Nos
524 CARLOS LARRAINZAR

X 4.2.14 tuae nobìs X 4.11.4 Martinus


X 4.5.7 si conclitiones X 4.21.2 dominas
X 4.6.2 ex literarum VI 3.15.1 quodvotum

b) Son fragmentos de más frecuente uso para la exposición de


la disciplina del ius novum de décrétâtes, por orden de títulos:

X 4.1.2 praeterea X 4.11.5 contracto


X 4.1.8 sponsam X 4.11.6 veniens
X 4.1.14 cum locum X 4.13.1 si quis
X 4.1.22 sicut X 4.13.2 veniens
X 4.1.23 cum apud X 4.13.6 discretionem
X 4.1.30 is qui fidem X 4.13.8 ex literis
X 4.1.31 si inter X 4.13.10 tuae fratemitatis
X 4.2.4 literas X 4.14.1 ex literis
X 4.2.5 accessit X 4.14.13 quod dilectio
X 4.2.7 de illis X 4.14.8 non debet
X 4.2.9 de illis X 4.15.7 literae
X 4.2.11 ex literis X 4.17.1 conquestus
X 4.3.2 quod nobis X 4.18.1 relatum
X 4.4.1 duobus X 4.19.1 si qua mulier
X 4.5.7 si conditiones X 4.19.7 quanto
X 4.6.2 ex literarum X 4.19.8 quademus
X 4.7.2 significavit X 4.20.3 de prudentia
X 4.11.3 super eo VI 4.1.1 ex sponsalibus
X 4.11.4 Martinus VI 4.1.2 si infantes
Un repaso siquiera general a esta masa de textos permite locali­
zar algunas lineas de investigación para estúdios parciales y también
confirma el acierto de otras ya iniciadas. Me permito destacar, por
ejemplo, dos temas sobre los que llamaba la atención hace unos anos:
a) La configuración contractual y consensual del matrimonio, a
la búsqueda de una sintesis de las diversas tradiciones jurídicas euro-
peas del siglo XII y la unificación de la disciplina, se encuentra en la
conexión de la palea gracianea C. XXVII 2.51 duobus modis y el
fragmento de la colección gregoriana X 4.4.1 duobus y en general en
el título X 4.4 de sponsa duorum que, en gran medida, reclama toda­
via estúdios más intensos que los realizados hasta la fecha (8); nunca

(8) Cfr. Carlos Lakrainzar, La distinción entre «fides pactionis » y «fides con­
sensus » en el « Corpus luris Canonici » en lus Canonicum 21 (1981) pp. 31-100.
LA « SUMMA SUPER QUARTO... » DE JUAN DE ANDRES 525

se lee ni se interpreta la decretai X 4.1.31 si inter al margen de esa


otra tradición más antigua.
b) La naturaleza jurídica del negocio esponsalicio o su confi-
guración como negocio diverso del matrimonial se ha disenado
a partir del fragmento gregoriano X 4.1.2 praeterea, al cual ape­
nas ha prestado mayor atención la doctrina canónica contemporâ­
nea (9).

IV. Edición del texto.

La suma está redactada en un latin de baja calidad que, en


muchos de sus giros, asume la estructura de la lengua romance.
Para su ágil lectura y a fin de interpretar el texto holgadamente, en
la anchura de sus sentidos, me pareció oportuno prescindir de la
puntuación gramatical impresa: irregular, arbitraria y a veces farra-
gosa; ofrezco un texto, pues, con divisiones de punto a punto,
cuantas veces ha sido posible, y también en párrafos de punto y
aparte cuando viene exigido por la agrupación temática de las
ideas. Fuera de estos matices de estilo y puntuación, sigo con
escrupuloso respeto las versiones del texto impreso en el Tractatus
universi iuris.
Sobre el valor atribuído en esta edición a determinados carac­
teres tipográficos, conviene destacar très referencias:
a) La letra negrilla en el texto principal senala fragmentos pro-
pios del T-2 que no existen en el T-l, y cuya incorporación al
mismo aclara complementariamente su sentido.
b) Los parêntesis que enmarcan fragmentos del texto principal
[...] advierten que existe variación de lectura en el T-2; ésta se
publica entonces en el apêndice senalado tomando como referencia
la numeración de las notas críticas: la inmediatamente posterior a
dicho fragmento, salvo donde aparece asterisco * [...], pues en este
segundo caso el número de la nota crítica precede en el texto al
fragmento de referencia.
c) Por último, cuando en las notas críticas precede el factor
stimando a un inciso entre parêntesis + [...], se indica que tal

(9) Cfr. Carlos Larrainzar, La disoiución de los espomales en el período clàsi-


co en Estúdios de Derecho Canònico y de Derecbo Eclesiástico en homenaje al Profe-
sor Maldonado (Madrid 1983) pp. 305-319.
526 CARLOS LARRAINZAR

ampliación en la cita de fuentes pertenece a las notas del T-2 pero


no aparece en el T-l.
Por otra parte tengo certeza de haber identificado correcta-
mente todas las abreviaturas jurídicas de las fuentes legales que se
citan salvo en la nota 114. Me parece oscura y equívoca la abrevia­
tura de poen. et re. c. 2. ^Se refiere a los fragmentos de la nota
113 o bien cuàl es el contexto de ese capítulo 2 final?. La lógica
de la cita llevaria al título X 5.38 de poenitentiis et remissionibus,
mientras que el texto principal parece aludir el título X 5.12 de
homicidìo casuali vel voluntário; sin embargo, por su inmediata
conexión con la nota anterior, pienso que puede referirse al conoci-
do tratado gracianeo De poenitentia de la Causa 33 del Decreto.
Finalmente un comentário, aunque breve, merece también el
modo de citar — con técnica moderna — los fragmentos de las
fuentes legales: junto a la cita numérica afiado, como novedad, la
denominación propia del fragmento; pienso que éste puede ser un
modo de familiarizarse con el uso de las fuentes tradicionales, más
práctico y eficaz que la abstracta referencia de sólo numeraciones,
y además muy en sintonia con el modo en que se ha procedido
durante siglos.

V. Texto principal de la suma.


SuMMA SUPER QUARTO LIBRO DECRETALIUM.
Juan de Andrés (Bolonia 1310, Venecia 1584).
Christi nomen invocans ad honorem Ipsius et reverendissimi
in Christo patris mei Domini Bononiensis Archidiaconi qui divi-
nam imitatus potentiam de me nihilo fecit aliquid 0) et ad utilita-
tem mei meorumque scholarium et etiam omnium in utroque iure
studentium: Ego Ioannes Andreae parvus Decretorum Doctor Sum-
mam brevissimam super Quarto Libro Decretalium compilavi, sub-
tilia vel nova non dicens sed [brevius antiqua scripta commemo-
rans], quae omnia ipsi [Domino] approbanda vel reprobanda in toto
vel in parte reservo.
Primo materiam continuans hoc modo: supra satis Compilator
tractavit de his quae pertinent ad clericos, in hac autem quarta par-

0) De Consecratione 2.69 revera.


LA « SUMMA SUPER QUARTO... » DE JUAN DE ANDRES 527

te huius voluminis tractat de sacramento coniugii quod pertinet ad


laicos; et ponit primo rubricam de sponsalibus et matrimoniis: prae-
mittit de sponsalibus quia soient matrimonia praevenire.

I. De sponsalibus.

De sponsalibus igitur primo videamus. Primo: quid sint sponsa-


lia. Secundo: unde dicantur. Tertio: qualiter contrahantur. Quarto:
in qua aetate. Quinto: quid sit sponsalium effectus. Sexto: an spon-
si per sponsalia compellantur ad matrimonium contrahendum. Septi-
mo: in quibus casibus dissolvantur.

§ 1. Sponsalia quid sint et unde dicantur et qualiter et in qua


aetate contrahantur.

Sponsalia autem proprie sunt de futuro et dicuntur futurarum


nuptiarum promissio (2); et dicuntur a spondeo, spondes: erat enim
mos veteribus stipulari et spondere sibi uxorem (3).
Contrahuntur autem sponsalia de futuro pluribus modis. Primo:
per verba ad hoc apta ut accipiam te in meam et caetera P). Secun­
do: cum minores exprimunt consensum de praesenti (5). Tertio: per
dationem arrarum pecuniae vel aliarum rerum (6). Quarto: per solam
subarrationem vel annuii immissionem (7). Quinto: per iuramen-
tum (8).
Contrahuntur autem sponsalia inter septemnes, inter minores
autem septemnio non sunt sponsalia (9) et ideo ex eis non oritur
impedimentum publicae honestatis (,0); et requiritur quod uterque
sit maior septemnio (n), nisi essent proximi aetati nubili et quod

(2) C. XXX 5.3 nostrates et Digesta 23.1 de sponsalibus.


(3) Digesta 23.2 de ritu nuptiarum.
t-1) ut X 4.1.31 si inter et X 4.4.1 duobus.
(5) X 4.2.14 tuae nobis et in VI 4.2.1 si infantes.
(6) Codex 5.1.3 arris sponsaliomm.
(') X 4.2.14 tuae nobis et C. XXVII 2.14 si quis uxorem desponsaverit et C.
XXVII 2.15 si quis desponsaverit.
(8) infra X 4.2.11 ex literis, et X 4.1.5 de illis et X 4.1.2 praeterea.
(9) ut X 4.2.4 literas et X 4.2.5 accessit.
(10) ut ibi: X 4.2.4 et X 4.2.5.
(u) X 4.2.13 ad dissoIvendum.
528 CARLOS LARRAINZAR

malitia suppleret aetatem, maxime si tentassent [commisceri] (12).*

§ 2. Sponsalium effectus quid sit.

Effectus autem sponsalium est quod inducunt publicae honesta-


tis iustitiam impedientem et dirimentem matrimonium (15) et ibi ple-
nius dicam. Effectus sponsalium secundum Hostiensem est ut is qui
sponsalia contrahit alteri nubere non possit sed matrimonium contra-
here et consummare per censuram ecclesiasticam compellatur nisi in
casibus videlicet ubi guerra timetur, uxoricidium vel grave scanda-
lum et similia; et hoc secundum Hostiensem.

§ 3. Sponsi an et quando compellantur ad matrimonium contra-


hendum.

Compelluntur sponsi ad matrimonium contrahendum si sint


maiores et iuraverint (14) nisi tamen deterius timeatur quia tune prae-
cise non compellerentur (I5). Et quod dixi compelluntur intellige re:
eodem statu manente; nam si quis contraheret cum alia per verba de
praesenti non compelleretur, ut statim dicam.
Si autem quis iuravit contrahere et vult religionem [intrare]
datur consilium ut contrahat et ante carnalem copulam intret religio­
nem (16).
Si autem ambo sunt minores pubertate, maiores tamen septem-
nio, ante pubertatem neuter [contrahere] potest. In eo autem casu
ubi alter est maior et alter minor: maior vel qui primo venit ad aeta­
tem adultam tenetur expectare minorem, et cum ipse ad aetatem
adultam pervenerit matrimonium approbare vel reprobare poterit (17)
nisi carnalis copula vel corporalis commixtio intervenisset (,R). Et
crederetur viro id dicenti nisi ipsa mulier per aspectum corporis pro-
baret contrarium (19). Si autem minore non expectato primo maior
contraxerit: tenet matrimonium, quod semper habet rumpere sponsa­
lia quae fuerunt de futuro ut statim dicam.

(12) ut infra X 4.1.3 iuvenis.


(15) infra X 4.1.8 sponsam et in VI 4.1.1 ex sponsalibus.
O4) infra X 4.2.11 ex literis.
(15) infra X 4.1.17 requisivi.
(16) infra X 4.1.16 commissura.
(17) infra X 4.2.7 de illis.
(18) ut ibi et X 4.2.8 a nobis.
(19) ut infra X 4.2.6 continebatur et super X 2.19.14 causara.
LA « SUMMA SUPER QUARTO... » DE JUAN DE ANDRES 529

§ 4. Sponsalia quibus modis dissolvantur.


Dissolvuntur autem sponsalia de futuro multis [modis].
Primo: per ingressum religionis, quod [obtinet] etiam sponsali-
bus de praesenti (20). Secundo: per susceptionem sacri ordinis (21),
quod locum non habet in sponsalibus de praesenti (22).
Tertio: cum mutuo se absólvunt (2Î). Quarto: cum alter recedit
ad longinquam regionem ante carnalem copulam (24). Quinto: cum
alter incurrit lepram vel aliam magnam infirmitatem corporis vel
deformilatem (25); deformitas tamen vel lepra superveniens non dis­
solvi! matrimonium vel sponsalia de praesenti, immo sanus tenetur
infirmo reddere debitum (26).
Sexto: si superveniat consanguinitas vel affinitas (27). Septimo:
si fama habeat impedimentum, puta affinitatem supervenisse (28), vel
ad dictum unius nisi sponsalia iurata fuissent (29). Octavo: cum alter
eorum fornicatur spiritualiter, idest cum alter transit ad haere-
sim (30). Nono: cum alter fornicatur carnaliter (31).
Decimo: cum contrahuntur secunda sponsalia de praesenti (52),
imponitur tamen poenitentiam frangenti fidem (}5); per secunda vero
sponsalia de futuro non rurnpuntur prima de futuro (34), quod intelli-
go [si non fuerit copula carnalis subsecuta] quia tune esset matrimo­
nium (35).

(20) X 3.32.7 ex publico.


(21) dictum ecce post C. XXVII 2.26 scripsit et C. XXVII 2.29 quod autem et
C. XXVII 2.35 cum initiatur.
i22) secundum Ioannem et Bernardum qui hoc notant in C. XXVII 2.27 de-
sponsatam et C. XXVII 2.46 desponsatas, et in X 3.32.14 ex parle. Dixi de hoc in
VI 3.15.1 quod votum.
(23) ut infra X 4.1.2 praeterea.
C24) infra X 4.1.5 de illis.
(25) infra X 4.8.3 literas et X 2.24.25 quemadmodum.
(26) infra X 4.8.1 pervertit et X 4.8.2 quoniam.
(27) infra X 4.13.2 veniens, in X 4.13.1 si quis et X 4.2.4 literas, et X 4.13.8
ex liIeris.
i28) X 4.14.2 super eo.
(29) infra X 4.1.2 praeterea.
(30) C. XXVIII 1.6 non sohm et C. XXVIII 1.8 iam mine.
(31) super X 2.24.25 quemadmodum.
(32) infra X 4.1.31 si inter et X 4.4.1 duobus.
(3Î) ut ibi: X 4.1.31 et X 4.4.1.
(34) infra X 4.1.22 sicut.
(33) infra X 4.1.30 is qui fidem.
530 CARLOS LARRAIN2AR

Undécimo: cum minor veniens ad aetatem adultam non vult ser­


vare quod fecit (56). Duodecimo: cum quis promisit contrahere intra
certum tempus nec stetit per eum quominus contrahere intra idem
tempus (57). Decimotertio: cum supervenerit cognatio spirituale vel
legalis, puta adoptio (38).
Haec omnia intellige de sponsalibus quae tenent de iure, quae
per hos modos [possunt] dissolvi. Sunt autem quidam casus in qui-
bus non tenent sponsalia ipso iure, vel matrimonium, de quibus infra
dicam.

II. De matrimonio.
Viso de prima parte rubricae scilicet de sponsalibus mine de
secunda parte videlicet de matrimonio videndum est. Videamus ergo
primo: quid sit matrimonium. Secundo: unde dicatur. Tertio: ubi et
quando et a quo et quibus verbis fuerit institutum. Quarto: quae
fuit causa institutionis. Quinto: qua aetate vel quomodo contrahatur.
Sexto: quae et quot sunt impedimenta matrimonii. Septimo: qui
admittantur [ad ipsa impedimenta matrimonii probandum]. Octavo:
quae et quot sunt eius bona.

§ 1. Matrimonii diffinitio et derivatio.


Matrimonium igitur sic deffinitur: « Matrimonium est maris et
foeminae coniunctio individuam vitae consuetudinem [conti-
nens] » (39) vel supple: « divini et fiumani iuris communicatio » (40).
Dicitur autem matrimonium quasi matris munium sive munimen,
idest officium; et dicitur a matre potius quam a pâtre quia plura
onera matrimonii subit mater nam [est gravida ante partum et in
partu dolorosa et post partum laboriosa] (41).
[Institutum] autem fuit a Deo in paradiso ante peccatum (42) et
per illa verba Adae ore prophetico dicta: « Hoc nunc os ex ossibus
meis et caro de carne mea et propter hoc relinquet homo patrem et

(36) X 4.2.7 de illis.


(37) infra X 4.1.22 sicut.
(38) secundum Hostiensem qui de hoc notât infra X 4.11.6 veniens in fine et
est argumentum in X 4.13.2 veniens, in X 4.13.1 si quis et infra X 4.13.8 ex literis.
(39) dictum sequitur ante C. XXVII 2.1 et Instituta 1.9.1 nuptiae autem.
(40) Digesta 23.2 de ritu nuptiarum et vide glossam verbi « individuam » in In­
stituta 1.9.1 nuptiae autem.
(41) X 3.33.2 ex litens.
(42) dictum bis ita post C. XXXII 2.2 sicut.
LA « SUMMA SUPER QUARTO... » DE JUAN DE ANDRÉS 531

matrem et adhaerebit uxoris suae et erunt duo in carne una » (4Î).


Alii dicunt (44) per ista verba: « Crescite et multiplicate ». Sed pri-
mum verius est quia ilia verba dicta fuerunt Noe et filiis eius iam
primo uxoratis (45). Causa institutionis matrimonii fuit ante peccatum
susceptio sobolis, post peccatum vitatio fornicationis (46).

§ 2. Matrimonium qualiter contrahatur et qua aetate.


Contrahitur matrimonium per consensum puberum coniugendo-
rum (47), non per consensum parentum licet honeste filii faciant
voluntatem patris sequendo (48); nec servi per consensum dominorum
suorum, unde contrahunt servi invitis dominis suis (49) nihilominus
impedunt eis debita obsequia (50). Et etiam videmus quod vir repetit
uxorem a pâtre proprio et compellitur ipse pater per censuram eccle-
siasticam restituere ipsam viro proprio (31). Et si [desitj ex parte alte­
ra consensus non est matrimonium (32).
Nec solemnitates sunt de substantia matrimonii (53). Verba
tamen sunt necessaria quo ad Ecclesiam (34) et hoc in his qui loqui
possunt, secus in his qui loqui non possunt (33); et si verba a contra-
hentibus prolata essent obscura recurritur ad communem intelligen-
tiam verborum ipsorum (36).

§ 3. Pubertas in utroque seu quando incipiat.


Puberes autem intelligo a potentia corporis, idest qui generare
possunt (37); quae pubertas communiter [obvenire] solet in masculo in
14 anno, in foemella in 12 (38). Si tamen sint puberes licet hac aetate

(43) super X 1.21.5 debitum et infra X 4.19.8 gaudemus.


(44) quod hoc tenet Bernardus Parmensis in X 4.15.7 literae.
(45) et de hoc per Ioannem nota dictum quod autem ante C. XXXII 2.1 pudor
est.
(46) ut dictum bis ita post C. XXXII 2.2 sicut.
(47) C. XXVII 2.2 sufficiat.
(48) X 4.2.1 tua Nos + [et in VI 4.2.1 si infantes].
(49) X 4.9.1 cum dignum.
(50) ut ibidem: X 4.9.1.
(51) infra X 4.1.11 non est.
(52) infra X 4.1.26 tua Nos et C. XXX 2.1 ubi non est.
(5}) infra X 4.1.1 de Francia.
(54)* infra X 4.1.26 tua Nos.
(35) infra X 4.1.23 cum apud.
(56) infra X 4.1.7 ex literis.
(57) X 4.2.3. puberes.
(58) Instituta 1.22 proemio pupilli § et ideo nostra sancta.
532 CARLOS LARRAINZAR

minores: tenet matrimonium si contrahunt (59); nec est honestum


publiée impúberes coniungi nisi pro bono pacis (60).

§ 4. Clandestinitas in matrimonio reprobata.


Contrahi autem debent matrimonia publiée non clandestine ut
non desit probatio (61). Nam qui dicit matrimonium fore contractum
hoc probare debet si alter negai; si uterque id confitetur, sufficit si
alia causa non impediat (62).
Debent primo etiam banna proponi in ecclesia ut qui sciant
impedimenta [intra] certum tempus opponant. Et licet postea appa-
reant impedimenta soboles ante divortium concepta est legitima (63);
et si post terminimi datum contracto iam matrimonio veniant accusa-
tores: non audiantur nisi iustam habeant ignorantiam (64).
Si autem clandestine contrahunt et postea appareat impedimen-
tum soboles [non est legitima] (65), nisi matrimonium ipsum clandesti­
ne contractum postea fuerit in facie Ecclesiae publicatum et approba-
tum quia tune filii nati leghimi sunt licet appareat postea impedimen-
tum (66); eodem modo est illegitima proies si ambo parentes scientes
impedimentum publice contrahant (67)> secus si alter ignoret (68).
Et sacerdos illicitas coniunctiones debet prohibere nec eis debet
interesse. Et ne impediatur coniunctio nullus debet se malitiose oppo-
nere (69). Contrahitur autem matrimonium per verba ad hoc apta [ut]
accipio te in meam et caetera (70); idem est si dicat: promitto [quod ab
bac hora te babeo pro legitima uxore et e converso] (71).

§ 5. Matrimonii impedientia quot et quae sint.


Impedimenta [matrimonii quae vêtant et dirimunt XII] his versi-
bus denotata:

(59) infra X 4.2.9 de illis.


(60) x 4.2.2 ubi non.
(61) C. XXX 5.2 nullus jidelis et C. XXX 5.3 nostrates.
(62) infra X 4.3.1 si quis et X 4.3.2 quod nobis.
(6S) infra X 4.17.2 perlatum et X 4.17.11 pervenit.
(64) infra X 4.18.6 cum in tua.
(65) X 4.3.3 cum inhibitio post versiculo § 5z quis vero.
(66) X 4.3.2 quod nobis.
(67) X 4.3.3 cum inhibitio post versiculo § Si quis vero et versiculo pari modo.
(6S) X 4.17.14 ex tenore.
(69) haec omnia habcs in X 4.3.3 cum inhibitio.
(70) infra X 4.1.31 si interet X 4.4.1 duohus.
(71) infra X 4.1.9 ex parte.
LA « SUMMA SUPER QUARTO... » DE JUAN DE ANDRÉS 533

Error, conditio, votum, cognatio, crimen,


cul tus disparitas, vis, ordo, ligamen, honestas,
si sis affinis vel si coire nequibis:
haec focianda vêtant connubia iuncta rétractant.

De singulis autem per ordinem videamus. Et primo de errore.

§ 6. Error: quid sit maxime in matrimonio et cuius effectus.


Etror. sciendum est autem quod error saltem personae ex sui
natura non ex constitutione Ecclesiae habet matrimonium dirimere.
Errare enim est aliud prò alio putare (72) et error est contrarius [con-
sensui] (73); cum ergo contrahatur matrimonium solo consensu — ut
dictum est supra (74) — et ubi est error ibi non est consensus, ergo
nec matrimonium. Sciendum est tamen quod quadruplex est error,
scilicet personae, conditionis, fortunae et qualitatis.
Personae: iste habet dirimere matrimonium ut si credam contra-
here cum Berta et contraham cum [Catherina], Conditionis: [etiam]
habet dirimere si sit deterioris conditionis ut si liber contrahit cum
serva quam credebat liberam nisi postquam id scivit verbo vel facto
consentit, et matrimonio [ob quamvis causam] separato licitum est
[utrique] contrahere (75); liberum autem dico qui ex libera maire
[natus est] (76), et defendi debent libertates per Ecclesiam (77): de
consuetudine tamen posset induci quod filius sequatur patrem (78).
Sed error fortunae et [qualitatis] non dirimunt ut si credam contra­
here cum virgine vel divite et contraham cum corrupta vel paupe-
re (7‘;).
Antiqui autem [omne] hoc quod dixi de errore conditionis
notant super sequens verbum conditio sed magis placet hos omnes
errores concludi sub hoc [nomine] error; illud autem exponitur ut sta­
tini sequitur.

(73) C. XXII 2.6 in quibus rebus.


(73) ut Digesta 2.1.15 si per errorem.
(74) et X 4.1.14 cum locum.
(75) hoc habes in X 4.9.2 proposuit et X 4.9.4 ad nostram.
(76) X 4.10.1 indecens. '
(77) ut ibi: X 4.10.1.
(78) X 4.9.3 licei.
(79) C. XXIX 2.4 si quis ingenuus et dictum C. XXIX 1 quod autem.
534 CARLOS LARRAINZAR

§ 7. Conditici: quando vitiet matrimonìum.


Conditio: si licita conditio apposita fuerit in matrimoniali con-
tractu nisi servetur non est matrimonium, nisi ab ea fuerit recessum
vel per purum consensum subsecutum de praesenti vel per carnalem
copulam (80); impossibilis autem vel illicita conditio — si non sit con­
tra naturam matrimonii apposita — prò non adiecta habetur (8I), si
autem est contra naturam matrimonii vitiat contraetemi (82).

§ 8. Votum: quando dirimat matrimonìum.


[Votimi]-, si votum est solemne impedii et dirimit matrimonium
post contraetemi, simplex autem impedit tantum contrahendum sed
non dirimit post contractum (83); dicitur autem solemne — et efficax
quoad matrimonium dirimendum — quod fit vel per susceptionem
sacri ordinis vel per professionem tacitane vel expressam factam ali­
celi de religionibus approbatis (8I)-

§ 9. Cognatio quotuplex sit. Cognatio spiritualis quibus casibus


impediat et dirimat matrimonium.
Cognatio autem est triplex scilicet spiritualis, carnalis et legalis.
Primo autem de spirituali tanquam de digniori videndum est (85).
Est autem cognatio spiritualis attinentia provenions ex sacra­
menti datione vel ad illud detentione. Est autem sciendum quod si
compater contrahit cum commatre dirimit et e converso matrimo­
nium (86); et hoc est verune cune conepaternitas praecedit matrimo­
nium (87), si autem est secuta scinter vel ignoranter matrimonium
non separetur (88): imponitur tamen poenitentia id dolose [agenti] (89).
Et scias quod si alter coniugum matrimonio consummato levât
puero de sacro fonte ambo sunt compatres parentibus infantis (90), si
autem filius alterius tantum levatur de sacro fonte non propter hoc

(80) X 4.5.3 de illis, et X 4.5.6 super eo et X 4.5.7 per tuas.


(81) X 4.5.1 quicunque et X 4.5.7 si conditiones.
(82) X 4.5.7 si conditiones.
(83) X 4.6.3 meminimus et X 4.6.4 consuluit.
(84) in VI 3.15.1 quod votum.
(85) C. XXX 3.1 ita diligere et G. XXX 3.2 pitacium.
(86) X 4.11.4 Martinus et X 4.11.6 veniens.
(82) ut ibi: X 4.11.4 et X 4.11.6.
(88) X 4.11.2 sivir.
(89) X 4.11.5 contracto in fine.
(9°) x 4.11.4 Martinus.
LA « SUMMA SUPER QUARTO... » DE JUAN DE ANDRES 535

alter — cuius non erat filius — fit compater levantis; idem si post
compaternitatem tecum contractam contraxi cum uxore vel prius
contractum [consummavi] matrimonium — quia uxor praedicta non
efficitur tibi commater — quia per unionem carnis sequentem non
transit ad unionem spiritus praecedentem (91).
Et quod dixi de compaternitate quod dirimit matrimonium
intelligo de illa qua contrahitur per baptismum vel confirmationem
[in fronte]. Compaternitas autem contracta [per cathecismum] impe­
dii sed non dirimit (92); per alia sacramenta non contrahitur compa­
ternitas impediens vel dirimens matrimonium. Et sicut compatres
contrahere non possunt sic nec filii duorum compatrum [si per eos
vel per eorum alterum deventum] est ad compaternitatem; et scien-
tes contrahi denuntiare debent Ecclesiae (93), et si contraxerint taies
dirimetur matrimonium (94). Si autem per neutrum eorum deventum
est ad compaternitatem tune non dirimetur, nisi consuetudo loci
esset in contrarium cui statur (95). Et sciendum est quod sicut com­
paternitas contrahitur inter levantem et levatum et eius parentes sic
inter baptizantem vel baptizatum et eius parentes (96).
Unde XX sunt casus in quibus cognatio spiritualis impedit et
dirimit. Scilicet. Inter baptizatum et levantem, inter baptizatum et
filios levantis, inter baptizatum et coniugem levantis prius tamen
cognitam, inter parentes baptizati et coniugem levantis prius cogni-
tam, inter levantem et parentes baptizati; item inter baptizatum et
baptizantem, inter baptizatum et filios baptizantis, inter baptizatum
et coniugem baptizantis prius cognitam, inter parentes baptizati et
coniugem baptizantis prius cognitam, inter baptizantem et parentes
baptizati. Inter confirmatum et [tenentem], inter confirmatum et
filium [tenentis], inter confirmatum et coniugem [tenentis] prius
cognitam, inter parentes confirmati et coniugem tenentis, inter
[tenentem] et parentes confirmati, inter confirmatum et confirman-
tem, inter confirmatum et filios confirmantis, inter confirmatum et

(91) C. XXX 3 et C. XXX 4.5 post uxoris obitum, et vide de hoc in summa in
C. XXX 4 et in praedicta decretali X 4.11.4 Martinus.
(92) X 4.11.5 contracto in fine et in VI 4.3.2 per catechismum et in VI 4.3.3
quamvis.
(93) infra X 4.11.7 tua Nos.
(94) x 4.11.1 utrum et X 4.11.3 super eo, et X 4.18.1 relatum.
(95) X 4.11.3 super eo.
(96) in VI 4.3.1 nedum.
536 CARLOS LARRAINZAR

coniugem confirmantis prius cognitam, inter parentes [confirmati] et


coniugem confirmantis prius cognitam, inter confirmatem et parentes
confirmati.
Et per parentes superius dictos patrem et matrem intelligas (97).
Et scias quod licei unus solus debeat levare de sacro fonte in bapti-
smo vel confirmatione si tamen plures levant contrahitur cognatio
spiritualis [quo ad] omnes (98).* *
Cognatio legalis est proximitas per adoptionem proveniens
quam très [probationes] habent: unam temporalem et duas perpe­
tuas. Temporalis est qua frater carnalis non contrahit cum sorore
adoptiva durante adoptione, ea vero finita — puta per emancipatio-
nem — bene contrahit ("). Alia est perpetua scilicet inter adoptan-
tem et adoptatum [etiam] soluta adoptione (10°); tertia etiam est per­
petua scilicet inter adoptantem et uxorem adoptati, et adoptatum et
uxorem adoptantis (101)-
Cognatio carnalis scilicet in quarto gradu consanguinitatis vel
affinitatis vel [anteriori] dirimit matrimonium (102), in quinto autem
gradu vel ulteriori licite contrahitur (103); sufficit autem quod unus
contrahentium excedat quartum gradum licet [alter] sit in quarto
[vel] citeriori (104); et hoc de iure communi. Si [autem] dispensaretur
— pone cum Anglicis quod possunt contrahere in quarto gradu —
[oportet] quod uterque distet quarto gradu; ratio potest esse quia
cum dispensado exhorbitat a iure communi est odiosa, immo restrin-
genda (105), maxime ubi consuetudo hoc approbat (106). Et hoc de iure
communi.
Et quod dixi dispensari intellige per Papam quia inferior non
posset (107); et si obtineatur dispensado [super] matrimonio inique
contracto expressa falsa causa non valet nisi postea per eundem tol-

(97) hoc probatur in X 4.11.4 Martinus et in VI 4.3.3 quamvis + [X 4.11.7


ex literis et in VI 4.3.1 nedunt\.
(98) in VI 4.3.3 quamvis + [in principio],
(") X 4.12.1 si qua.
(,ü0) Digesta 23.2.14 adoptivus et Digesta 23.2.55 qu'm etiam.
poi) Digesta 23.2.14 adoptivus.
(102) X 4.14.8 non debet.
poi) ut ibi: X 4.14.8.
(i°4) x 4.14.9 vir et 4.14.3 quod dilectio.
(105) in VI 1.11.1 is qui et facit ad hoc in VI de regulis iuris 15 et in VI
2.13.1 episcopum.
(106) x 4.14.3 quod dilectio.
(107) x 4.14.6 quia circa.
LA « SUMMA SUPER QUARTO... » LE JUAN DE ANDKES 537

leretur (108).109
Si *tamen
* infidèles secundum legem suam coniugantur in
gradu prohibito per Ecclesiam non separabuntur post baptismum (lfi9)
et filii eorum sunt legitimi (no).

§ 10. Crimina quae matrimonium impediant quae sint. Aàulte-


rium tribus casibus dirimit matrimonium.
Crhnen incestus impedir matrimonium sed non dirimit iam contrac-
tum (m); [idem] in machinatione in mortem coniugis non secuto effec-
tu (112).* [Idem] in criminibus aliis (n3), alias autem crimen nunquam diri­
mit (114). Homicidium autem casuale non impedii matrimonium (n5).
Crimen autem adulterii nunquam dirimit matrimonium nisi in
tribus casibus. Scilicet. [Quando] quis adultérât et dat [fidem] adulte-
rae vivente prima legitima uxore (116), alias non fuisset proprie adulte-
rium cum secunda si non tenuisset matrimonium cum prima. Secun­
do: cum de facto contraxerit cum adultera vivente prima. Tertio: cum
alter eorum cum effectu machinatus est in mortem defuncti. In his
tribus casibus dirimitur matrimonium (117).
Et intelligas hoc etiam si prima separata est ab eo quo ad thorum
tantum (1I8). In secundo casu tamen: quando contraxit de facto cum
adultera ignorante — tamen mortua prima legitima — compellitur
adhaerere secunda si ipsa vult, imposita sibi [prò] delicto poenitentia
competenti (m). Et in tertio casu posset dici quod sufficeret machina-
tio homicidii cum effectu etiam sine adulterio, licet fides data vel
matrimonium de facto non sufficiat [cum adultera] (120).

(10R) ut ibi: X 4.14.6.


(109) X 4.14.4 de infiàelibus et X 4.19.8 gaudemus + [in principio].
(no) X 4.17.15 gaudemus.
(U1) X 4.13.4 transmissae.
(112) X 4.19.1 si qua mulier.
(11}) quae nota in dictum hoc quamquam post C. XXXIII 2.11 hoc ipsum, vel
in canones post illud § de poenitentibus: C. XXXIII 2.12 de bis vero non usque ad
finem.
(114) De poenitentia et remissione 2 idest: C. XXXIII D. 2.
(115) X 4.19.1 si qua mulier.
(116) X 4.7.2 significavit.
(U7) per totum C. XXXI 1 et per totum titulum X 4.7 de eo qui duxit in matri­
monium quam polhût per adulterium.
(118) X 4.7.4 ex literarum.
(119) infra X 4.1.18 cum in apostolica et X 4.7.1 propositum et X 4.7.7 veniens.
(12°) quod videtur per decretalem X 3.33.1 laudabilcm in fine et X 4.19.1 si
qua mulier et facit ad hoc quod notât Bernardus in X 4.7.3 super hoc.

35. lus ecclesiae ■ 1989.


538 CARLOS LARRAINZAR

§ 11. Disparitasi nunquid et quando dirimat matrimonium.


Quitus disparitasi ut si christianus contrahat cum gentile, iudaea
vel pagana (12!). Et haec disparitas etiam superveniens matrimonium
ipsum habe.t dirimere: in casu scilicet quum alter ex infidelibus
coniugibus [convertitur] ad fidem altero nolente sibi cohabitare vel
non sine contumelia Creatoris vel ut [eum] pertrahat ad mortale
peccatum, tune poterit conversus cum alia contrahere, alias non; et
si — antequam propter praedictas causas contrahat — qui in infidi-
delitate remansit convertatur, compellit primo conversus [eam] reci-
pere (*122).123 *
Secus tamen si ex coniugibus fidelibus transit alter ad haeresim
quia matrimonium fidelium est verum et ratum, infidelium vero
verum sed non ratum quia in supradicto casu dissolvitur (,23); qui
ergo remansit in fide contrahere non potest, alias [saepe] simularet
haeresim alter coniugum ut matrimonium separetur. Inde est quod
[quadocumque] redit ille ad fidem recuperabit uxorem suam, nisi ab
eo esset per iudicium Ecclesiae separata quo ad thorum et illa vellet
religionem ingredi (12‘!).
Et scias quod si paganus — qui secundum legem suam contra­
hit cum pluribus uxoribus — cum ipsis uxoribus convertatur ad
fidem [solam primam habebit. Idem] si dato repudio primae contra-
xerit cum secunda quia [solam primam repudiatam habebit]; et si
repudiata illa contraxit cum alio non poterit sibi fornicationem obii-
cere, secus si [alias] fuerit fornicata (125).

§ 12. Vis illata mulieri utrum matrimonium impediat aut dirimat.


Vis [ex] sua natura habet matrimonium dirimere cum enim
matrimonium solo consensu — ut supra dixi — contrahatur: et ubi
est vis non est consensus (126),* ergo [nec] matrimonium; eadem ratio
est in furioso quia consentire non potest [cum] continuo furore
laborat et [immo nec] matrimonium contrahere potest O27). Hinc est
quod poena non intervenit in sponsalibus quia debent esse libe-

(121) C. XXVIII 1.15 cave et C. XXVIII 1.16 non oportet.


(122) x 4.19.7 quanto et X 4.19.8 gaudemus.
(123) ut ibi: X 4.19.7 et X 4.19.8.
C24) X 3.32.20 mulier et X 4.19.6 de illa et X 4.19.7 quanto in fine.
(125) X 4.19.8 gaudemus.
(126) infra X 4.1.14 cum locum.
(,27) infra X 4.1.24 dilectus.
LA « SUMMA SUPER QUARTO... » DE JUAN DE ANDRES 539

ra (128), inde est quod [secure] et libere et honeste debet morati de


cuius matrimonio quaeritur (129).*
Distingue tamen inter vim et vim (13°). Si enim talis fuit violentia
vel metus qui possit cadere in constantem virum — sive fuerit maior
sive minor ille cui infertur — non est matrimonium (1J1), edam si sua
culpa incidat in metum (132); et hoc verum est nisi postea [consentit]
tacite vel expresse (133) et ubi edam [consentit] semel tantum in carna-
lem copulam (134). Si autem talis vis fuerit vel metus qui non debuit
cadere in constantem virum [bene est] illud matrimonium (135).

§ 13. Ordines: qui et quando matrimonium impediant et dirimant.


Ordo sacer impedii et dirimit matrimonium (136), minor vero
non (137).
Ligamen scilicet cum alligatus est uxori contrahendo cum secunda
non tenet matrimonium. Et hoc est verum: si prima fuerunt sponsalia
de praesenti — etiam si interveniat in eis iuramentum sive non — [cor-
rumpuntur] sponsalia sequentia de praesenti etiam carnali copula sub-
secuta (138); nec valet in hoc contraria consuetudo (’39) sicut nec in
matrimonio in gradu prohibito contracto (14°). Et ei qui sic contrahit
cum alia desponsata per verba de praesenti gravis poenitentia imponi-
tur (141) sive fuerint sponsalia de futuro secuta [postmodum] carnali
copula, quia sic transeunt in matrimonium (142); secus si fuerit solus
conatus sine copula (143), ligamen autem sponsaliorum de futuro non
dirimit sequens matrimonium ut satis supra dixi.

(128) X 4.1.29 Gemma.


(129) ut in X 4.1.14 cum locum.
(Iî0) infra X 4.1.6 de muliere et X 3.42.3 maiores.
(131) X 4.2.9 de illis et X 4.2.11 ex literis, et infra X 4.1.15 veniens.
(132) ut ibi: X 4.2.9 et X 4.2.11 et X 4.1.15 + [ut hic valet in X 4.1.15 ve­
niens in texto et glossa].
(133) ut infra X 4.1.21 ad id quod et in praedicta decretali X 4.2.9 de illis.
(154) X 4.18.4 insuper.
(135) infra X 4.1.28 consultationi et probatur in X 4.7.2 significavit.
(136) X 4.6.2 ex literarum + [infra X 4.6.1 de diacono].
03') ut ibi: X 4.6.2, et D. XXXII 3 si qui vero et D. XXXII 14 seriatim.
038) X 4.4.3 licet.
039) X 4.4.5 tuas.
(M°) X 4.14.8 non debet.
(H1) X 4.4.2 eccepisti.
(142) infra X 4.1.30 is qui fidem.
(143) infra X 4.1.32 adolescens.
540 CARLOS LARRAINZAR

Istud autera ligamen statim mortuo reliquo coniugum sublatum est;


unde similiter si mulier statim mortuo viro alii nubat tune tenet matri-
monium nec incurrit legalem infamiam (144). Si tamen vir est absens non
[potest] mulier contrahere nisi primo certificata fuerit de morte ipsius
viri (145), et si contraxit reddat et non exigat debitum; si postea constaret
de vita prioris viri statim recedat a secundo rediens ad primum (146).
Secundas autem nuptias et ulteriores edam contrahere peccatimi
non est, nam Dominus [septimum edam matrimonium] non damna-
vit (147); tamen benedicendae non sunt quia — cum semel fuerit bene-
dictae — non debet benedictio iter ari (148), et qui benedixerit a bene­
ficio et officio suspensus est (i49).

§ 14. Honestas publica: quae sit et eius effectus circa matrimonia.


Honestas: publicae honestatis iustitia dirimit matrimonium (15°).
Ista autem honestas [vult quod] sponsam etiam de futuro aliquis de
consanguinitate sponsi non accipiat in uxorem et e contra (151); etiam
insurgit ilia honestas publica ex sponsalibus quae sunt nulla — puta
contractis inter consaguineos (152) — et hoc est veruni [dummodo]
sponsalia non sint nulla ratione defectus consensus, puta inter mino­
res septemnio, [et requiritur quod sint pura et caetera] (153).
Et dirimit [haec] honestas matrimonium sequens non autem
praecedens (154); hodie remota est ilia publica honestas quae habeba-
tur olim quod soboles suscepta ex secundis nuptiis non copularetur
[consanguineis] prioris viri (155).

§ 15. Ajfinitas: quid sit et quae matrimonium dirimat.


Si sit affinis: affinitas est quaedam personarum proximitas prove­
nons ex coitu. Et habet hodie prohibitionem in primo genere tan­

(H4) x 4.21.4 super illa et X 4.21.5 cum secundum.


(145) infra X 4.1.19 inpraesentia et X 4.21.2 dominus.
(146) ut ibi: X 4.1.19 et X 4.21.2, et C. XXXIV 2.1 cum per bellicam.
O4?) C XXXI 1.13 quod si.
(148) X 4.21.1 capellanum et X 4.21.3 vir autem.
(149) ut ibi in X 4.21.1 capellanum.
(15°) jnfra x 4.1.8 sponsam, X 4.2.4 literas et X 4.2.5 accessit et X 4.2.12 duo
pueri, et X 4.17.10 referente.
('5i) ut ibi: X 4.1.8, X 4.2.4-5, X 4.2.12 et X 4.17.10.
(152) infra X 4.1.4 ad audientiam.
(15î) infra VI 4.1.1 ex sponsalibus et in VI 4.2.1 si infantes.
p54) ut ibi: VI 4.1.1 et VI 4.2.1.
(155) infra X 4.14.8 non debet.
LA « SUMMA SUPER QUARTO... » DE JUAN DE ANDRÉS 541

tum, unde in secundo et tertio genere — olim non contrahebatur —


hodie licite contrahitur (156); extenditur autem haec dirimens prohibi-
tio primi generis usque ad quartum gradum et non ultra (157). Dispen­
sât tamen Papa (158) ut in primo gradu affinitatis — ut de novo con­
versi, qui secundum Legem Veterem cum relictis fratrum contraxe-
runt ut fratris sobolem suscitarent — non separarentur, ulterius
[autem sic] non contrabant.
Et est sciendum quod consanguinei viri non sunt affines con­
sanguinei uxoris nec e contra, sed solus maritus est affinis consan­
guinei uxoris et e contra, unde pater et mater et frater meus et alii
consanguinei mei bene contrahunt cum [consanguinea] uxoris
meae (159); debet ergo vir abstinere a consanguineis uxoris ut a pro-
priis (16°).
Et intelligas hoc de affinitate qua praecedit matrimonium, si
autem sequitur non rumpit matrimonium vel sponsalia de praesen-
ti (161). Induci enim debent taies coniuges ad continentiam [si pos-
sunt] et incestuosus coniugatus non exigat sed reddat (162) debitum;
contrahitur etiam affinitas per incestuosum coitum (163)-
Nec separatur matrimonium ad dictum unius qui dicit affinita-
tem praecessisse matrimonium (164) nec ad [confessionem] ipsorum
coniugum etiam cum rumore viciniae (165), in [iudicio] tamen animae
monet ut ab illa putativa uxore abstineat (166). Impeditur tamen per
hoc matrimonium contrahendum (167) monendo non prohibendo (168).
Spontalia tamen de futuro bene rumpit superveniens affinitas, ut
supra dixi.

(06) x 4.14.8 non debet.


(157) ut ibi: X 4.14.8.
(158) X 4.19.9 Deus qui.
(159) x 4.14.5 quod super bis.
(160) X 4.14.1 «f literis.
(ï61) X 4.13.1 si quis et X 4.13.6 discretionem, et X 4.13.10 tuae fratemitatis
et X 4.13.11 lordanae.
P62) X 4.13.4 transmissae et X 4.13.10 tuae fratemitatis.
(163) ut ibi: X 4.13.4 et X 4.13.10, et X 4.13.6 discretionem.
(164) X 4.13.3 de ilio.
(165) X 4.13.5 super eo.
(ï66) X 4.13.9 veniens.
(ï67) infra X 4.1.12 praeterea.
(168) in£ra x 4.1.27 cum in tua.
542 CARLOS LARRAINZAR

§ 16. Impotentia sexus nunquid rumpat matrimonium.


Vel si coìre nequibis: scire debes quod frigiditas perpetua vel
sectio in viro vel [coarctatio] in muliere praeveniens matrimonium
dirimit illud si probari potest (I69); possunt tamen taies ad invicem
remanere quamvis non ut vir et uxor [sed] ut frater et soror (17°).
Et si aliqua signa frigiditatis vera non appareant cohabitent
simul per trienum et tune, demum si cum septima manu propinquo-
rum iuraverint se simul opera data non potuisse coire, separari
debent et qui non erat frigidus licite contrahat. Sed si [is] qui dice-
batur frigidus cum alia contraxerit restaurabuntur priora connu-
bia (171)-
Idem in maleficiato quo ad cohabitationem et iuramenta (172),
sed in hoc differunt quia [eo modo] soluto matrimonio uterque con­
trahit, quia potest esse perpetuum maleficium cum una et non cum
alia (173). Et nota quod si [propter] arctationem mulieris separatur
matrimonium et postea absque gravi periculo apta reddatur viro,
cum appareat Ecclesiam esse deceptam, restaurabitur matrimo­
nium (174).

§ 17. Matrimonium impedientia sed non dirimentia quae sint.


In his XII casibus vel verius XVII secundum ea quae supra dixi
impeditur et dirimitur matrimonium. Sunt tamen quaedam quae
impediunt sed non dirimunt matrimonium sicut tempus feria-
rum (175). Imponitur tamen poenitentia illud frangenti (176).
Propter fornicationem [tamen] spiritualem [vel] carnalem bene
separatur matrimonium, quod verum est quo ad thorum: rémanent
tamen coniuges separati (177); propter aliud autem crimen nec vir
uxorem nec uxor virum dimittere potest (178). Et nota quod adulte-
rium notorium obstat petenti restitutionem et si uterque adulteratus

p69) x 4.15.1 accepisti, X 4.15.2 quod sedem et X 4.15.3 ex literis.


(17°) X 4.15.4 consultationì et X 4.15.5 laudabilem + [C. II 5.20 consuluisti].
(m) X 4.15.5 laudabilem.
(172) X 4.15.7 literae.
(17}) C. XXXIII 1A si per sortiarias.
(174) X 4.15.6 fratemitatis.
(175) de quo C. XXXIII 4.7 non oportet, et X 2.9.4 capellanum et per totum
titulum X 4.16 de matrimonio contracto contra interdictum Ecclesiae.
(176) ut ibi: C. XXXIII 4.7, et X 2.9.4 et per titulum X 4.16.
O77) X 4.19.2 quaesivit.
(i7») ut ibi: X 4.19.2.
LA. « SUMMA SUPER QUARTO... » DE JUAN DE ANDRES 543

[esse] fit recompensatio (’79), etiam si post separationem propter


adulterium alterius factum alter fornicetur (,xo).

§ 18. Testes: quales in matrimonio accusando requisiti.


Cum supradictis impedimentis matrimonium impediatur legitimi
debent esse accusatores et testes, unde repellitur qui propter turpem
quaestum matrimonium accusât (*181). Et in matrimoniali causa contra
contumacem proceditur — lite non contestata — ad receptionem
testium et ad diffinitivam sententiam (182). Absens autem per literas
matrimonium accusare non potest [nec] contra ipsum testificari (183);
[et] ad probandum consanguinitatem vel affinitatem admittuntur
parentes et consanguinei potius quam alii quia melius praesumuntur
scire suam genealogiam O8'1).
[Et] etiam non apparentibus accusatoribus [sed] fama deferente
ipsum impeclimentum potest episcopus inquirere et, si impedimenta
vera repererit, [debet] matrimonium separare (185); absque tamen
iudicio Ecclesiae coniux non potest dimittere coniugem etiam si
parentela sit notoria, et si dimiserit statim fiet restitutio (18fi).

§ 19. Matrimonia bona: quot et cuïus sint effectus.


Bona matrimoni! sunt tria scilicet fides, sacramentum et proies.
Fides: quia ibi nullum debet esse adulterium, ut supra dixi. Sacra­
mentum: quia nullum debet esse divortium. Proies: [quae] per coniu-
ges [vitari] non debet (187).188
Si peccetur in primum bonum et fiat divortium vel separatio
propter adulterium uxoris ipsa perdit dotem nisi ipsa fuerit reconci­
liata viro, sed propter adulterium viri perdit ipse donationem prop­
ter nuptias nisi reconciliatur ab uxori (18s). Si propter aliud impedi-
mentum, puta consanguinitatis vel affinitatis, si ignoranter contraxe-
rint: récupérât mulier dotem et caetera bona sua et vir donationem

(179) X 4.19.4 significasti.


(18°) X 4.19.5 ex literii.
(181) X 4.18.5 significante.
(182) infra X 4.18.1 relatnm et X 4.17.8 perlatum.
(183) x 4.18.2 a nobis.
(18<l) infra X 4.18.3 videtur nobis.
O85) X 4.19.3 porro.
(186) ut ibi: X 4.19.3.
(187) C. XXVII 2.10 omne itaque et X 4.5.7 si conditiones.
(188) x 4.20.4 plemmqite.
544 CARI .OS LARRAINZAR

snam propter nuptias (189); si scienter, perdit alter quicquid alteri


dedit et applicatur fisco nisi propter bonum pacis aliter statuatur scili-
cet quod uterque recuperet quod alteri dedit (19°). Et scias quod si
iudici committitur causa matrimoniàlis — quae est committenda
[solum] habentibus potestatem et scientiam (!91) — et sibi commissa
intelligitur causa dotis (19-).
Licet [nonnullus] favor debetur mulieribus in dotibus et donatio-
nibus propter nuptias, non tamen tantus quod propter hoc alii graven-
tur; unde cui data est res prossidenda [ad] tempus vel sub conditione
revocatoria — eam uxori concedendo in donationem propter nuptias
cum pacto de ipsa lucranda — [nil] plus iuris transfert in ipsam quam
ipse habebat, nisi is ad quem res pertinet consentirei (195)-
Et proprie uxor dat dotem viro, vir autem donationem propter
nuptias uxori (m). Et scias quod [quis] vergit ad inopiam male utendo
re sua debet [prò] dote quam potest cautionem praestare; secus si sit
pauper, [sed] non dissipet (195). Sciendum est etiam quod donatio facta
inter virum et uxorem [durante] matrimonio — ex [qua] alter locuple­
tar alter pauperior est factus — non tenet; tamen confirmatur morte
[donantis] et revocatur [prò moriente] donatario, et evanescit si alias
revocetur tacite vel expresse. Soluto matrimonio dos ad mulierem
donatio ad virum redit, nisi aliud de consuetudine vel pacto — quod
tamen aequale sit — inducatur (196).
De tertio autem bono scilicet prolis: scias quod in tantum est
favorabile ipsum matrimonium quod légitimât [filios praeceden-
tes] (,97); et hoc est verum si conceptionis ipsius tempore uterque fue-
rit solutus ita quod tunc poterat esse matrimonium (198), alias secus
est (199). Et tales filii legitimati proprie dicuntur, sicut et illegitimi
quos Papa légitimât quod potest quo ad spiritualia et temporalia prae-
sertim ubi utramque obtinet potestatem (20u).

(189) X 4.20.2 significavi et X 4.20.3 de prudentia + IX 4.20.1 mulieres].


(190) X 4.20.5 età.
(.9!) X 4.14.1 ex literis.
(192) X 4.20.3 de prudentia.
(193) X 4.20.6 nuper.
(194) ut ibi in fine: X 4.20.6.
(195) X. 4.20.7 pervestras.
(196) X 4.20.8 donatio.
(197) X 4.17.1 conquestus.
(198) X 4.17.6 tanta.
('") X 4.17.1 conquestus.

(200) X 4.17.13 per vénerabilem.


LA « SUMMA SUPER QUARTO... » DE JUAN DE ANDRES 545

Et scias quod licet aliqua putaretur concubina, si probetur uxor,


proies inde nata legitima est (2in) et — si agitur de hereditate et obii-
ciatur de illegitimatione — tractabitur de bac causa coram ecclesia­
stico iudice (202);203
[et] si parentes negant aliquem filium creditur [ver-
bis] eorum, nisi probetur contrarium (205)-

§ 20. Edictum de sponsalibus et matrimonio quale sit.


Ultimo sciendum est quod edictum de sponsalibus [vel matrimo­
nio] permissorium est vel prohibitorium certarum personarum: hinc
est quod quilibet contrahere potest qui non prohibetur (204); et con-
trahere cum meretrice quae vult [desistere] meretricari opus est pie-
tatis (205).
Haec breviter prò Summa Quarti Libri Decretalium dixisse suf-
ficiant; nec erit in ipso reperire casum [directum] in hac [summa]
non compraehensum, duobus exceptis qui ad matrimonium non
faciunt scilicet caput 2 et caput 3 in titulo de conditionibus appositis
in matrimonio vel in aliis contractibus quae faciunt enim ad secundam
partem rubricae et non ad propositum.

VI. Apêndices.

A) Variantes de lectura del texto.

(1) '"[breviter antiquitus scripta rememorans], *[patri] (12) [commiscere] (16) [in-
gredij (17) [contradicere] (20) [casibus], [attinet] (35) [si secundam non cogno-
vit] (38) *[habent] (39) [ad matrimonium impediendum], [retinens] (41) [ante
partum est onerosa, in partii dolorosa, in lactando laboriosa] (42) [constitu-
tum] (52) [deficit] (58) [convenire] (63) [infra] (65) [est illegitima] (70) [pu-
taj (71) [ut ab hac die in antea habebo te in legitima axore rnea et e contra], *[quae
dirimere possunt matrimonium sunt duodecim in] (73) [sensui] (75) [Mariotta],
[et iste], [hoc casu], [cum utroque] (76) [oritur] (79) [inaequalitatis], *[omnes],
*[verbo] (83) [Sequitur Voturn] (86) [id] (89) [facienti] (91) [confirmavi] (92)
[in fonte], [per alia sacramenta puta per cathecismum] (93) [si per eorum utrunque
vel alterum deventum] (97) [levantem], [levantisj, [levantis], [levantem], [levan-

(2°i) x 4.17.12 per tuas.


(205) X 4.17.5 'ator praesentium et X 4.17.7 causam quae.
(203) x 4.17.3 iransmissae.
(2M) infra x 4.1.23 cum apud.
(205) C. XXXII 1.14 non est et X 4.1.20 inter opera.
546 CARLOS LARRAINZAR

tis] (98) [inter] (99) [prohibitiones] (100) [scilicet etiam] (102) [citerio­
ri] (104) [alius], [de] (105) [tamen], [requiritur] (108) [in] (112) [item] (113)
[Item] (116) [Cum], [fideiussorem] (119) [de] (120) [sine adulterio] (122)
[quaeritur], [eam], [illam] (124) [saepius], [quaütercunque] (125) [ad primam so­
lam adhaerebunt. Item], [ad solam primam repudiatam adhaerebit], [alteri] (126)
[de] (127) [non], [dum], [ideo non] (129) [secrete] (133) [consenserit] (134)
[consensit] (136) [valet] (138) [rumpitur] (142) [postea] (145) [debet] (147)
[septem iuramenta] (151) [est ut] (153) [dumtamen], [et sic pura et certa] (154)
[huiusmodi] (155) [cognatis] (159) [tamen], [consanguineis] (162) [si pote-
st] (165) [professionem] (166) [foro] (169) [arctatio] (170) [tamen] (171) [il-
le] (173) [eodem modo] (174) [per] (177) [tam], [quam] (179) [fuerit] (183)
[vel] (184) [autem] (185) [sed], [et], [potest] (187) [quia], [vetari] (191) [solum-
modo] (193) [multus], [usquead], [nihil] (195) [aliquis], [de], [et] (196) [constan­
te], [quo], [donatoris], [praemoriente] (197) [filium praecedentem] (203) [sed],
[verbo] (204) [et matrimoniis] (205) [desinere], *[rectum], [summula]

B) Notas extraídas del texto principal.

(1) de consecr. di. 2. c. revera (2) 30. q. 5. nostrates. ff. e. ti. 1. 1 (3) ff. e. ti. 1.
2 (4) ut c. si inter, de spon. et spon. duo c. 1 (5) de despon. impu, c. fi. et eo.
tit. c. unico, lib. 6 (6) C. de spon. 1. arris (7) de desp. impu. c. ult. 27. q. 2. si
quis desponsaverit. 2 (8) j. eo. ex literis in 2. et c. de illis. et c. praeterea (9) ut
de despon. impub. literas. et c. seq. (10) ut ibi (11) de desp. impu. c. ad dissol-
vendum (12) ut ). eo. iuvenis (13) j. eo. sponsam. et eo. ti. c. unico, li. 6 (14) J.
e. ex literis. in 2 (15) J. eo. requisivit (16) J. eo. commissum (17) ). de despon.
imp. c. de illis (18) ut ibi, et eo. ti. a nobis (19) ut J. eo. continebatur. et s. de
prob. causam matrimonii (20) de conver. coniug. c. ex publico (21) 27. q. 2 c.
ecce (22) secundum Io. et Ber. qui hoc no. 32. q. 2. desponsata. et de conver. co-
niu. c. ex parte, in 2. dixi de hoc, de vo. et vo. re. c. 1. lib. 6 (23) ut j. eo. c.
2 (24) }. eo. de illis (25) j. de coniu. lepro. c. fi. et de iureiu. quemadmo-
dum (26) j. de coniug. lepro. c. 1. et 2 (27) J. de eo, qui cog. consang. uxo. suae.
c. veniens. in 1. et 2. et c. ex literis (28) de consag. et affinit. cap. 2 (29) ). e.
praeterea. cl. 2 (30) 28. q. 1. non solum. et c. iam nunc eadem eau. et q. (31) s.
de iureiu. quemadmodum (32) j. e. si inter, de spon. duo. c. 1 (33) ut ibi (34) j.
e. sicut (35) J. e. is qui. (36) de despon. impub. c. de illis (37) ]. e. sicut (38)
secundum Host. qui de hoc no. j. de cog. spi. c. veniens. in fi. et est ar. de eo, qui
cog. consang. uxo. suae. c. veniens. in 1. et J. e. ex literis (39) 32. q. 2. c. 1. et
Inst, de pat. pote, in ver. nuptiae aut. (40) ff. de ri. nup. 1. 2. vide glo. in ver. in-
dividuam. de pa. po. (41) de conver. infid. c. 2 (42) c. sicut. §. his ita. 32. q.
2 (43) s. de biga. c. debitum. et J. de divor. gaudemus (44) quod hoc tenet Ber.
de fri. et malefi. c. ult. (45) et de hoc per Io. no. 27. q. 1. in prin. (46) ut 32. q.
2. die. §. his ita (47) 27. q. 2. sufficiat (48) de desp. impu. c. 1 (49) de coniu.
serv. c. 1. (50) ut ibidem. (51) }. e. non est vobis(52) ]. e. tua. et 30. q. 2. c.
ubi non est (53) ]. e. ti. c. 1 (54) j. eo. tua (55) J. e. cum apud (56) j. e. exli­
teris. cl. primo (57) de desp. impub. c. puberes (58) Inst. qb. mo. tu. fi. vers, et
ideo nostra sancta. etc. (59) \. e. de illis. 2 (60) e. ti. c. 2 (61) c. nullus fidelis.
cum ca. seq. 30. q. 5 (62) j. de clandest. despon. c. 1. et 2 (63) j. qui filii sint le-
LA « SUMMA SUPER QUARTO... » DE JUAN DE ANDRES 547

gi. c. 2. c. perlatum. et c. pervenit (64) j. qui ma. accu. pos. c. ult. (65) c. cum
inhibitio. §. si quis vero, de clan, despon. (66) e. ti. quod nobis (67) die. §. si
quis vero. ver. pari mo. (68) e. ti. ex tenore (69) haec oïa hës de clan. desp. c.
ult. (70) ]. e. si inter, de spon. duo. c. 1 (71) j. eo. ex parte (72) 12. q. 2. in
quib. (73) ut ff. de iur. om. iu. 1. si per errorem (74) et de spon. cum lo-
cum (75) hoc habes de coniu. ser. c. 2. et ult. (76) de natis ex lib. ven. c.
1 (77) ut ibi (78) de coniu. ser. c. 3 (79) 29. q. 2. si quis ingenuus. et die ut
ibi (80) de cond. app. c. de illis. etc. super eo. et c. per tuas (81) e. ti. c. 1. et
ult. (82) eo. ti c. ult. (83) c. meminimus. et ca. seq. qui cie. vel vo. mã. cô.
pò. (84) de vo. et vo. redem. c. 1. lib. 6 (85) 30. q. 3. c. 1. et 2 (86) de cog.
spi. c. Martinus. et c. veniens (87) ut ibi (88) e. ti. si vir (89) e. ti. contracto,
in fi. (90) e. ti. Martinus (91) 30. q. 30. post uxoris obitum. et ibi in summa, vi­
de de hoc, et ï pdicta decretali, Martinus (92) e. ti. contracto, in fi. et eo. tit. c. 2
et 3. li. 6 (93) ]. e. tua (94) e. ti. c. 1. et c. super eo. qui mat. acc. pos. c.
1 (95) e. tit. c. super eo (96) e. ti. c. 1. lib. 6 (97) hoc probatur eo. ti. Marti­
nus, et c. ult. eo. ti. li. 6 (98) e. ti. c. ult. li. 6 (99) de cog. le. c. 1 (100) ff. de
ritu nup. 1. adoptivus. et 1. quinetiam (101) ff. de ritu nupt. adoptivus (102) de
consan. et affi, non dët. (103) ut ibi (104) e. ti. c. vir q. et c. quod dilec-
to (105) de fil. presby. c. 1. li. 6. et facit ad hoc eo. li. de reg. iu. c. odia, et de
pb. eo. lib. c. 1 (106) eo. tit. quod dilecto (107) eo. ti. quia circa (108) ut
ibi (109) eo. ti. de infidelib. et de divor. gaudemus (110) qui fil. sint legi. c.
ult. (Ili) de eo qui cog. consan. uxo. suae. transmissae (112) de divor. c.
1 (113) quae no. 33. q. 2. c. hoc quamquam, vel c. de poenitentib. (114) de
poen. et re. c. 2 (115) de divor. c. 2 (116) de eo qui duxit in matr. quà polluit
per adult. c. 2 (117) 31. q. 1. per totum. de eo qui dux. in ma. per totum (118)
eo. ti. ex tua (119) J. cum apud. et de eo qui dux. in matri. qua pòi. per adul. c.
1. et c. veniens (120) quod vr per decretalem, de conver. infi. c. 1. î fi. et de div.
c. 1. et facit ad hoc quod no. Ber. de eo, qui du. ï mat. qua pòi. c. super eo (121)
28. q. 1. cave, et c. seq. (122) de divor. quâto. et c. gaudemus (123) ut
ibi (124) de conver. coniug. c. fi. de divor. de illa. et c. seq. in fi. (125) e. tit.
gaudemus (126) j. c. cum Iocum (127) j. eo. dilectus (128) e. ti. c. Gem­
ma (129) ut in c. cü locum (130) j. e. de muliere, et de bap. maiores (131) de
desp. impu. de illis, in 2. et c. ex Iris. j. eo. veniens. in 2 (132) ut ibi (133) ut j.
e. ad id. et ï pdicta decretali, de illis. in 2 (134) qui ma. accu. pos. insuper (135)
j. eo. consultationi, et probat de eo qui dux. in ma. c. 2 (136) qui cleri, vel. vo. c.
2 (137) ut ibi, et 32. dis. c. si qui vero, et c. seriatim (138) de spò. duo. per to-
tü. (139) e. ti. c. ult. (140) de consan. et affi, no dët. (141) de spò. duo. c.
2 (142) J. c. is qui (143) j. e. c. fi. (144) de secun. nup. c. pe. et ult. (145) j.
c. I pntia. de sec. nup. c. 2 (146) ut ibi. et 34. q. 2. cum per bellicam (147) 31.
q. 1. quod si (148) de secò. nup. c. 1. et 3 (149) ut ibi ï c. 1 (150) J. e. spòsa,
de despo. imp. Iras. c. accessit, et c. duo pueri, qui fil. sint leg. c. referëte. (151)
ut ibi (152) ]. e. c. ad audientiam (153) J. e. c. uni. li. 6 (154) ut ibi (155) ].
de consan. et affin. c. non debet (156) de cons. et affi. c. non dët. (157) ut
ibi (158) de divor. c. ult. (159) de cons. et affi, quod super his (160) eo. tit. c.
1 (161) de eo qui cog. consang. uxo. c. 1. et c. discretionem. et c. tuae. et c.
ult. (162) eo. ti. transmissae. et c. tuae (163) ut ibi. et c. discretionem (164) e.
ti. de ilio (165) e. ti. super eo (166) eo. ti. veniens (167) J. eo. praeterea.
2 (168) ]. eo. cum in tua (169) de frig. et malefi. c. 1. 2. et 3 (170) e. ti. c.
548 CARLOS LARRAINZAR

consultationi. et c. seq. (171) e. ti. laudabilem (172) e. ti. c. ult. (173) 33. q. 1.
si per sortiarias (174) e. ti. c. frnitatis (175) de quo 33. q. 4. non oportet. et de
fer. c. pe. et de matrimonio contracto contra interdictum eccl. per totum (176) ut
ibi (177) de divor. c. 2 (178) ut ibi (179) eo. ti. significasti (180) eo. ti. ex
Iris (181) q. matr. accu. pos. significante (182) j. q. ma. acc. pos. c. 1. qui fi.
sint leg. perlatum (183) e. ti. c. 2 (184) j. e. ti. vr (185) d. divor. porro (186)
ut ibi (187) 27. q. 2 omne itaque. de condi. appo. c. si (188) de do. inter vir. et
ux. pleruq; (189) e. ti. c. 2. et 3 (190) e. ti. c. et si necesse (191) de consang.
et affi. c. 1 (192) e. ti. c. 3 (193) e. tit. c. nuper (194) ut ibi in fine (195) e.
ti. per vras (196) eo. ti. c. ult. (197) qui fil. sint leg. c. 1 (198) e. ti. tâ­
ta. (199) e. ti c. 1 (200) e. ti. per venerabilem (201) eo. ti. per tuas (202) eo.
tit. c. lator. et c. càm, quae. 2 (203) eo. tit. transmissae (204) j. e. cum
apud (205) 32. q. 1. non est. eo. ti. inter opera

A continuación transcribo las variantes, respecto del texto de las notas, que
aparecen en el T-2; son diferencias de texto en ligeros matices y de entidad muy di­
versa.

Io) Notas del T-2 diversas del T-T.


(48) de desponsa. impub. capi. 1. et eodem titulo, capit. 1. lib. 6 (97) hoc proba-
tur eo. tit. c. Martinus, et c. ulti, et eod. tit. c. 1. lib. 6 (98) eod. tit. cap. ulti, in
princi. lib. 6 (109) eodem titulo, de infidelibus, et de divor. gaudemus, in prin-
ci. (132) ut hic valet in c. veniens. 2. de sponsa. in tex. et glo. (136) infra qui
cle. vel vo. c. 1. et 2 (170) eodem titulo, cap. consultori, et c. laudabilem, 4. quae-
st. 5 (189) eo. tit. c. 1. 2. et 3

2°) Notas con errores de numeración:


(2) 40. q. 5. nostrates. ff. eo. 1. 1 (30) 27. q. 1. non solum, et cap. iam nunc (45)
et de hoc per Io. no. 27. quaest. 2. in princi. (49) de coniu. serv. capit. 2 (91)
30. q. 1. post obitum, et ibi in summa, de hoc, et in praedicta decretali Marti­
nus (113) quae no. 28. q. 2. §. quanquam. et §. 1. de poeni. et remis, cap.
2 (120) quod videtur per decret, de convers. infid. c. 2. de divor. c. 1. et facit ad
hoc, quod no. Ber. extra de eo qui dux. in matrimo. c. super eo (124) de conver.
coniuga, c. ult. de divor. de ilio, et c. 1. in fi. (131) de despon. impube, c. de illis.
2. et c. 2. ex literis. et ]. eo. veniens (170) véase más arriba apartado Io) (175) de
quo habes. 37. q. 3. non oportet. 2. et de fer. c. ulti, et per totum, et de matri.
contrae, con. inter, eccle. per totum

3°) Notas con errores de denominación:


(7) de despon. impub. cap. ulti. 27. quaest. 2. si quis desponsavit (9) ut de spon.
du. ca. literas, et c. se. accessit (15) infra eodem requisisti (46) 32. quaest. 2. §.
his itaque (54) infra eod. tuae (63) infra qui fil. sint legit. cap. 2. et cap. prola­
tum. et cap. pervenit (65) infra qui fil. sint legit. referente (89) eodem titulo,
contracto in foro (94) eod. titu. c. 1. et c. super eo. et qui fil. sint legi. cap.
1 (100) ff. de ritu nup. 1. adoptionem, et 1. quin etiam (101) ff. de ritu nup. 1.
adoptionem, primo resp. (119) infra eo. capi, cum haberet. et de eo qui dux. in
matrimo. quam poi. per adul. capi. 1. et capit. veniens (135) j. eo. consultore, et
LA « SUMMA SUPER QUARTO... » DE JUAN DE ANDRÉS 549

probatur hoc de eo qui dux. in matri. capitu. 2 (143) J. eo. c. adolescentes (170)
véase más arriba apartado Io) (184) eodem titulo, indecorum (188) de dona, inter
vir. et uxo. pletiq; (191) eo. ti. c. 3 (192) de cosan. et affi. c. 1. et c. discretio-
nem. et eo. tit. c. 3 (199) eo. tit. c. causam

No parece necesario transcribir aqui el texto de esas numerosas notas, sustancial-


mente coincidentes en el T-l y el T-2 pero con diferencias en el modo de abreviar las
citas, porque justamente es el T-2 la version que ofrece menor interés para el estudio
de las abreviaturas jurídicas; en este aspecto el T-2 muestra escaso rigor y también una
tendencia definida hacia la sustitución de las abreviaturas por la transcripción íntegra
del nombre propio de las auctoritates o textos legales que se citan.

C) Sumario propio del Texto-2.


Este summarium que precede en letra cursiva al texto del Apparatus Libri Quarti
consta de 107 números, que se anotan luego marginalmente en las columnas del texto
principal; para facilitar su ágil y ordenada lectura transcribo aqui esos breves resúme-
nes del contenido, segun su numeración, pero ordenados respectivamente — por su
materia — según los parágrafos del summarium que ofrece el T-1.

I. De SPONSALIBUS.

Parágrafo 1
1. Sponsalia proprie de futuro sunt et dicuntur futuraram nuptiarum promissio.
2. Sponsalia de futuro quomodo contrahantur ubi multis modis contrahuntur.
3. Sponsalia inter septemnes contrahuntur et non inter minores et oritur ex eis
publica honestas.

Parágrafo 2
4. Sponsaliorum effectus qui sint.

Paràgrafo 3
5. Sponsi quando ad matrimonium contrahendum compellantur. Qui iuravit con-
trahere matrimonium et vult religionem ingredi contrahere debet et ante carna-
lem copulam religionem ingredi.
6. Maiores septemnio si sponsalia contrahant ante puberiatem nemo contradicere
potest. Maior qui alteri minori contrahere promisit minorem expectare debet
ut ad adultam aetatem perveniat, ad quam cum pervenerit matrimonium appro-
bare poterit vel reprobare.

Paràgrafo 4
7. Viro dicenti se carnaliter mulierem cognovisse creditur nisi per aspectum cor-
poris ipsa mulier contrarium probet.
8. Sponsalia de futuro et etiam de praesenti per religionis ingressum resolvuntur.
9. Item per susceptionem sacri ordinis nisi sint de praesenti.
550 CARLOS LARRAINZAR

10. Sponsalia dissolvuntur cum vir et uxor mutuo se absolvuntur. Item quando al­
ter ad partes longinquiores ante carnalem copulam proficiscitur.
11. Sponsalia dissolvuntur cum alter coniugum lepram incurrit vel aliam magnam
corporis deformitatem. Matrimonium vel sponsalia de praesenti per lepram non
dissolvitur.
12. Sponsalia dissolvuntur si affinitas supervenerit.
13. Item si fama habet impedimentum, puta affinitatem supervenisse.
14. Sponsalia de futuro dissolvuntur cum alter carnaliter vel spiritualiter fornice-
tur. Sponsalia prima de futuro per secunda non dissolvuntur si secundam non
cognovit.
15. Sponsalia de futuro dissolvuntur cum minor qui ad adultam aetatem pervenit
quod fecit servare non vult. Item cum promisit intra certum tempus contrahere
nec per eum stetit quominus contraheret.
16. Sponsalia de futuro dissolvuntur superveniente cognatione spirituali vel legali.
17. Sponsalia vel matrimonium in quibus casibus ipso iure non teneant, remissive.

II. De matrimonio.

Parágrafo 1
18. Matrimonium quid sit.
19. Matrimonium unde dicatur.
20. Matrimonium ubi constitutum fuerit.
21. Matrimonii institutionis causa quae fuerit.

Paràgrafo 2
22. Matrimonium per consensum puberum coniugendorum non per parentum con-
sensum contrahitur.
23. Matrimonium per servos dominis invitis contrahitur. Vir uxorem a pâtre per
censuram ecclesiasticam repetit. Matrimonium non est si consensus ex aliqua
partium deficit.
24. Solemnitates non sunt de substantia. Verba in valente loqui in matrimonio quo
ad Ecclesiam necessaria sunt.
25. Verba contrahentium matrimonium si obscure prolata sunt ad communem ipso-
rum intelligentiam recurritur.

Paràgrafo 3
26. Puberes dicuntur qui generare possunt. Pubertas quando in masculo et quando
in faemina incipiat.

Paràgrafo 4
21. Matrimonium publice et non clandestine contrahi debet.
28. Matrimonium quando contrahendum est banna publice in Ecclesia poni debent
ut qui impedimenta sciunt opponat; si post impedimenta appareat, soboles su-
scepta legitima est.
LA « SUMMA SUPER QUARTO... » DE JUAN DE ANDRES 551

29. Matrimonia si clandestine contrahantur, si postea impedimentum appareat, so-


boles illegitima est.
30. Matrimonium etiam publice contrahentes, si ambo impedimentum sciant, pro­
ies illegitima est; secus si alter ignoret. Sacerdotes coniunctiones illicitas prohi­
bere debent.
31. Matrimonium contrahitur per verba ad hoc apta.

Parágrafo 5
Ninguna referencia específica.

Parágrafo 6
32. Matrimonium per errorem personae dirimitur. Errare quid sit. Error consensui
contrarius est. Error ubi est ibi consensus non est. Error quadruplex est.
33. Liber si cum serva contrahat an matrimonium teneat. Liber dicitur qui ex ma-
tre libera oritur.
34. Libertates per Ecclesiam defendi debent.
35. Matrimonium non dirimitur per errorem iortunae et inaequalitatis.

Parágrafo 7
36. Matrimonium non est si conditio licita in eo apposita non servetur.
37. Conditio impossibilis ve illicita, si est contra naturam matrimonii, pro non
adiecta habetur.

Parágrafo 8
38. Matrimonium per votum solemne et non simplex dirimitur. Votum quando so-
lemne dica tur quo ad dirimendum matrimonium.

Paràgrafo 9
39. Cognatio triplex est: spiritualis, carnalis et legalis.
40. Cognatio spiritualis quid sit. Matrimonium dirimitur si compater cum conma-
tre contrahat quando compaternitas matrimonium praecessit. Limita: ut infra
numero 43.
41. Quid si secuta fuerit.
42. Matrimonio consumato si alter coniugum puerum de sacro fonte levet parenti-
bus infantis ambo sunt compatres.
43. Compaternitate tecum contracta, si duco uxorem, tibi uxor commater non est.
44. Compaternitas per catechismum contracta matrimonium impedit sed non diri-
mit. Compaternitas per alia sacramenta praeter quam per baptismum non con­
trahitur, quae impediat vel dirimat matrimonium.
45. Compatres sicut non possunt contrahere nec filii duorum compatrum si per eo-
rum utrunque vel alterum ad compaternitatem deventum est.
46. Matrimonium non dirimitur quando per neutrum coniugum ad compaternita­
tem deventum est.
47. Compaternitas sicut contrahitur inter baptizatum et baptizantem sic etiam in­
ter eius parentes.
48. Cognatio spiritualis in XX casibus matrimonium impedit et dirimit.
552 CARLOS LARRAINZAR

49. Cognatio spiritualis inter omnes contrahitur si plures levant de sacro fonte vel
confirmatione licei unus solus debeat levare vel confirmare.
50. Cognatio legalis très habet prohibitiones: imam temporalem et duas perpetuas.
51. Cognatio carnalis in quarto gradu consanguinitatis vel affinitatis vel cite­
riori matrimonium dirimit.
52. Matrimonium contrahitur inter eum qui excedit quartum gradum cum co
vel ea quae est in quarto vel citeriori gradu.
53. Dispensario, si fiat ut matrimonium in quarto gradu contraili possit, requi-
ritur quod uterque quarto gradu distet. Papa solus dispensât ut in quartu
gradu matrimonium contrahatur.
54. Dispensario in matrimonio inique contracto, causa falsa expressa, non
valet.
55. Infidèles, si secundum legem suam in gradu per Ecclesiam prohibito con-
trahant, post baptismum non separantur.

Paràgrafo JO
56. Matrimonium impeditur sed non dirimitur ob crimen incestus.
57. Quid per machinationem in mortem coniugis effectu non secuto.
58. Matrimonium ob homicidium casuale non impeditur: et numero 59 et 60.
59. Idem.
60. Matrimonium per quae crimina dirimatur.

Parágrafo 11
61. Matrimonium ob cultus disparitatem dirimitur.
62. Matrimonium fidelium est verum et ratum sed infidelium est verum sed
non ratum.
63. Infidelis ad fidem rediens an suam uxorem recuperet.
64. Pagani si secundum legem suam cum pluribus uxoribus contrahant et cum
ipsis ad fidem convertantur primae soli adhaerebunt.

Paràgrafo 12
65. Matrimonium per vim contractum dirimitur: vide infra numero 67 et 68.
66. Consensus non est ubi est vis.
67. Matrimonium per furiosum contrahi non potest et quare.
68. Sponsalia sine poena sed libera debent esse.

Paràgrafo 13
69. Matrimonium impeditur et dirimitur per ordinem sacrum.
70. Matrimonium cum secunda contractum per habentem primam quando non
teneat: et numero sequenti.
71. Idem.
72. Vir si est absens uxor matrimonium contrahere non debet nisi primo de
eius morte certificata fuerit: vide infra numero 76.
73. Nuptias secundas contrahere peccatimi non est. Nuptias secundas contra-
hentes benedici non debent.
LA « SUMMA SUPER QUARTO... » DE JUAN DE ANDRÉS 553

Parágrafo 14
74. Matrimonium dirimitur ob publicae honestatis iustitiam.
75. Honestas publica ex sponsalibus nullis insurgit.

Parágrafo 15
76. Affinitas quid sit.
77. Prohibitio affinitatis primi gradus usque ad quartum gradum et non ultra ex-
tenditur.
78. Papa in primo affinitatis gradu dispensavit.
79. Consanguinei viri non sunt affines consanguineis uxoris nec e contra. Mari-
tus solus est affinis consanguineis uxoris et e contra.
80. Maritus a consanguineis uxoris sicut a propriis abstinere debet. Affinitas se-
quens matrimonium vel sponsalia ea non rumpit: et infra sub numero 81.
81. Affinitas per incestuosum coitum contrahitur. Matrimonium ad dictum unius,
qui dicat affinitatem praecessisse, non separatur.

Paràgrafo 16
82. Matrimonium dirimitur ob frigiditatem perpetuam vel sectionem in viro vel
arctationem in muliere matrimonium praevenientem.
83. Frigidus an ab uxorem separetur. Frigidus qui dicebatur, si cum alia contra-
hat, priora connubia restaurabuntur.
84. Maleficiatus an ab uxore separetur.
85. Matrimonium, si dirimatur ob mulieris arctationem, restauratur si postea apta
viro reddatur.

Parágrafo 17
86. Feriarum tempus impedit matrimonium sed non dirimit.
87. Matrimonium quo ad torum separatur ob fornicationem tam spiritualem
quam carnalem.
88. Adulterium notorium petenti restitutionem obstat.

Parágrafo 18
89. Accusatores quales esse debeant et testes quando matrimonium impeditur.
90. In causa matrimoniali contra contumacem lite non contestata proceditur ad
testium receptionem et diffinitivam sententiam.
91. Absens per literas matrimonium accusare non potest.
92. Consanguinitas per parentes et consanguineos probatur. Episcopus potest in-
quirere et si impedimenta matrimonii invenerit matrimonium separare potest.
93. Coniux coniugem absque iudicio Ecclesiae dimittere non potest etiam si pa­
rentela notoria sit.

Parágrafo 19
94. Matrimonii bona sunt: fides, proies et sacramentum. Et quid sit quando in
ipsis bonis peccatur: et infra numero 95 et 96.
95. Idem.
96. Idem.

36. lus ecclesiae - 1989.


554 CARLOS LARRAINZAR

97. Causa matrimonialis si iudici committatur dotis etiam causa commissa intelli-
gitur. Et quibus committenda sit.
98. Mulieribus licet multus favor debeatur in dotibus et donationibus propter
nuptias non tamen tantus quod ob hoc alii graventur.
99. Uxor proprie viro dotem dat, vir autem donationem propter nuptias.
100. Donatio inter virum et uxorem constante matrimonio facta non valet, dona-
toris tamen morte confirmatur et praemoriente donatario revocatur.
101. Dos ad mulierem, donatio ad virum, soluto matrimonio redit.
102. Filii an et quando per sequens matrimonium legitimentur.
103. Papa ubi utranque potestatem habet quo ad temporalia et spiritualia légi­
timât.
104. Uxor si probetur proles eius legitima est. Causa illegitimitatis coram iudíce
ecclesiastico tractanda est.
10.5. Parentes si neguent aliquem filium eorum verbo creditur nisi contrarium pro­
betur.

Parágrafo 20
106. Edictum de sponsalibus et matrimoniis est permissorium vel prohibitorium
certarum personarum.
107. Matrimonium cum meretrice contrahere pietatis opus est.
Giurisprudenza
TRIBUNAL APOSTOLICUM ROTAE ROMANAE - Neapolitana -
Nullitatis matrimoni - Sentenza definitiva - 22 luglio 1985 - Pompedda,
Ponente (*)

Matrimonio - Consenso - Error in qualitate redundans in errorem perso-


nae - Qualitas directe et principaliter intenta - Qualità individuanti
- Errore semplice nella qualità - Irrilevanza.

La qualità della persona che, come regola generale, deve essere consi­
derata come qualcosa di accidentale, può tuttavia acquistare un così grande
peso nell'ordine etico e sociale o un tale valore nell'ordine spirituale e reli­
gioso che, secondo una generale considerazione — per lo meno in certi luo­
ghi e tempi — arrivi a toccare e penetrare la stessa persona ed a determinar­
la nella sua identità individuale.
Tuttavia, a meno che la qualità sia voluta direttamente e principal­
mente, oppure che su di essa esista un errore doloso, sembra che il consenso

(*) Tra gli studi più recenti riguardanti Pevoluzione dottrinale e


giurisprudenziale su questa materia fino all’attuale configurazione del c.
1097, cfr. P.A. Bonnet, Creatività giurisprudenziale ed errore personale
sulle qualità individuali (un tentativo di più adeguata comprensione e tutela
del sentimento religioso matrimoniale nel diritto ecclesiale), in II Diritto Ec­
clesiastico, 1987/11, p. 90-109; M. Calvo, Errory dolo en el consentimien-
to matrimonial según el nuevo Código de Derecho Canònico, in Curso de
Derecho Matrimoniai y Procesai canònico, Salamanca, 1984, p. 138-157;
A. Di Felice, La recente giurisprudenza rotale circa T« error qualitatis re­
dundans in errorem personae », in Studia in honorem A. card. Sahbatani,
Città del Vaticano, 1984, p. 39-50; O. Fumagalli Carulli, Intelletto e
volontà nel consenso matrimoniale in diritto canonico, Milano, 1981, p.
238-251; Id., Persona e società nel matrimonio canonico con particolare ri­
ferimento all’« error facti », in II Diritto Ecclesiastico, 1981/11, p. 164­
174; V. Guitarte, Error de cualidady matrimonio en la vigente ley canòni­
ca, in lus Canonicum, 53 (1987), p. 199-221; A. Mostaza, Pervivencia
dell’« enor redundans » en el esguema del nuevo Código de derecho canòni­
co, in Curso de Derecho matrimoniale y procesai canònico, V, Salamanca,
1982, p. 139-174; Id., El error sobre la persona y sus cualidades en el can.
558 GIURISPRUDENZA

matrimoniale non soffra nessun vizio irritante derivato dal semplice errore
su questa stessa pur grave qualità.
Nonostante possa sembrare un’interpretazione che in certo modo forzi
il senso del c. 1097, la diretta e principale intentio sulla qualità, su cui ri­
cade l'errore dei nubenti, può essere intesa in modo generale ed implicito,
senza la necessità di una volontà positiva. Essendo /'intentio in realtà una
direzione della volontà, significa qualcosa di formalmente soggettivo, ma
non richiede un atto positivo ed esplicito.

{Omissis). — Facti species. — 1. Brevem post consuetudinem


sponsaliciam, die 9 novembris 1977 Franciscus et Dolores ambo cum
essent sex et triginta annorum, canonicum celebraverunt matrimo-
nium, Neapoli in paroeciali ecclesia. Proles ex conubio progenita non
est, immo paucos post menses coniugum convictus fractus fuit.
Separationis sane causa exstitit detectum mulieris gravissimum
mendacium de sua conditione familiari et sociali: quod est quidem fun-
damentum et motivum huius de matrimonii nullitate processus, juxta
judicialem viri assumptionem. Ipse namque, oblato libello diei 9 martii
1979 coram ecclesiastico regionali Tribunali Neapolitano, contendit
suum consensum irritum fuisse duplici ex capite, nempe ob errorem
circa mulierem vel saltem ob errorem qualitatis redundantem in perso-
nam, necnon ob conditionem ab eodem adpositam, saltem mente reten-
tam, circa sponsae qualitates revera non verificatas. Quod nempe mu-
lier ante nuptias asseruerat « di se stessa, della sua vita, dei suoi genito­
ri, della sua famiglia, del suo stato sociale, del suo patrimonio, della sua
attività lavorativa », celebrato matrimonio falsum omnimo apparuit, si
1097 del nuevo Código, in Estúdios canónicos en homenafe al Professor D.
Lamberto de Echevema, Salamanca, 1988, p. 307-322; U. Navarretf.,
Canon 1098 de errore doloso estne iurìs naturalis an iuris positivi Eccle-
siae?, in Periodica, 76 (1987), p. 171 ss.; F. Vera, El error sobre la perso­
na en el matrimonio según el nuevo CIC, in Revista espanola de Derecho
Canònico, 43 (1986), p. 359-409.
La sentenza si presenta in linea con un’ampia corrente giurispru­
denziale anteriore al Codice: cfr. c. Canals de 21 de giugno 1970, in
SRRD., voi. 62, p. 371, n. 2; c. Ewers, 10 febbraio 1973, in SRRD.,
voi. 65, p. 88, n. 3; c. Ferrato, 18 luglio 1972, in SRRD., voi. 64, p.
473, n. 3; c. Di Felice, 26 marzo 1977, in SRRD., voi. 69, pp. 150-151,
nn. 3-5; c. Di Felice, 14 gennaio 1978, in SRRD., voi. 70, p. 17, n. 6;
c. Pompedda, 28 luglio 1980, in SRRD., voi. 72, p. 550, n. 2; c. Agu-
stoni, 10 luglio 1984, in II Diritto Ecclesiastico, 1985/11, p. 452, n. 13.
TRIBUNALE DELLA ROTA ROMANA 559

actorem audiamus. Exinde deceptio, exinde separatio, exinde haec


nullitatis matrimonii causa.
2. Conventa contumace, perampla instructio peracta est atque,
die 28 julii 1980, prodiit primi gradus decisio quae declaravit constare
de matrimonii huius nullitate ob errorem qualitatis redundantem in er-
rorem personae. Dein ex vinculi Defensoris appelatione causa delata
fuit ad Vicariatus Urbis Tribunal eaque, decreto diei 17 septembris
1981, ad ordinarium secundi gradus examen remissa est. Insuper sup­
pletiva inquisitio peragi debuit, muliere conventa e contumacia rece­
dente, ac denique tandem die 22 junii 1983 sententia Tribunalis regio­
nale Latii edixit nullo ex adductis capitibus constare de matrimonii
nullitate, in casu.
Quam contra pars actrix ad Romanae Rotae hoc Tribunal appella­
vi, quidem quoad caput difformibus sententiis definitum, nempe erro­
rem qualitatis redundantem in errorem personae. Sub quo hodie causa
tertio in judicii gradu proponitur seu dirimenda lis exstat per respon-
sionem ad dubium, juxta suetam formulam concordatum: « An constet
de matrimonii nullitate, in casu ».

In jure. — 3. Error, qui est falsa cognitio alicuius obiecti vel fac­
ri, inspici potest utpote vitium voluntatis in negotiis juridicis (cfr. P.
Bonfante, Istituzioni di diritto romano, Torino, 1951, § 30, p. 90 s.),
isque esse potest vel essentialis aut substantialis vel non essentìalìs: iste
versatur circa obiecti qualitates quae haud subvertunt ipsius momen-
tum oeconomicum-sociale, aut circa nomen obiecti vel personae, aut
circa motiva actus.
Eiusmodi erroris distinctio videtur accipi vel in ordine canonico,
quippe qui respondet rationibus generalibus seu principiis fundamenta-
libus humanae sapientiae. Reapse jam can. 104 Codicis abrogati mani-

Di fatto, sebbene il ponente ammetta che nel nuovo Codice l’er­


rore sulla qualità vizi il consenso solamente quando directa et principali-
ter intendatur — posto che il legislatore esige una prevalenza della valu­
tazione soggettiva della qualità da parte del nubente (n. 11-13) —, so­
no numerosi i riferimenti al valore ed al peso oggettivo che la qualità
assume per la società in cui costui vive (nn. 10, 13); sono tutte ragioni
che gli permettono di proporre una nuova interpretazione del c. 1097
che, nonostante le apparenze, non forzerebbe il senso della norma.
Joan Carreras
560 GIURISPRUDENZA

festo loquitur de errore « circa id quod constituit substantiam actus »,


eumque distinguit a ceteris; item in novi Codicis canone 126.

4. Jamvero error essentialis, qui actum reddit ipso jure nullum,


tunc verificatur cum versatur vel circa negotium juridicum in sua tota-
litate, vel circa aliquod elementum constitutivum ipsius actus.
Prior hypothesis facilius agnoscitur. Error etenim eiusmodi spec-
tat ad ipsam identìatem negotii juridici et verificari potest, verbi gratia,
ut in re matrimoniali sistamus, quando contrahens alteruter vel uter-
que ducitur illa ignorantia, utpote erroris causa, quae minimam quoque
scientiam in nubentibus requisitam excludit (cfr. can. 1096 § 1).
Difficilius autem definitur altera hypothesis, quae nempe spectat
errores circa elemento, constitutiva ipsius actus. Ad rem (cfr. P. Bonfan-
te, o. et l.c.) distinguuntur: error circa naturam seu causam negotii juri­
dici, error circa personam, et error circa obiectum.
Error circa indolem et naturam negotii, pariterque error circa
obiectum (sive in corpore seu circa identitatem absolutam negotii, sive
in substantia seu circa proprietatem quae obiecti essentiam constituit)
eatenus videntur essentiales ideoque afficientes ipso jure valorem ac­
tus, quatenus facilius reducuntur ad falsam cognitionem circa obiecti
seu negotii identitatem.
Neque, ut adhuc de re matrimoniali dicamus, difficultas facere
potest can. 1099, qui sane statuii de errore circa proprietatem essentia-
lem matrimonii: distingui etenim debet essentialis proprietas ab ipsa es-
sentia, Ista, sub adspectu doctrinali et definiente, praebetur a Legisla­
tore canonico in can. 1055, sub adspectu vero scientiae minimae requi-
sitae, prouti modo dicebamus, in can. 1096 § 1.

5. Uti modo item adnotavimus, error circa dementa constitutiva


ipsius actus agnoscitur in errore circa personam, isque pariter essentialis
habetur cum versetur circa identitatem personae.
Verum can. 1097 § 1 definite edicit: « Error in persona invalidimi
reddit matrimonium ». Neque aliter in veteri Codice (cfr. can. 1083 § 1).
E contra non essentialis habetur error circa qualitates obiecti, qui
tamen ex lege agnosci potest uti actum irritans ubi exstent gravia moti­
va aequitatis ad auferenda actus ita positi consectaria.
Quod aliquomodo et in lege canonica factum est, uti videre fas est
in can. 1097 § 2 (pariter ac in can. 1083 § 2 veteris Codicis).

6. Verum quidem loquendi ratio hucusque adhibita videri potest


improbabili commixtio elementorum juris obligatorii idest rei contrac-
tualis cum notionibus propriis sacri connubii idest sacramenti mairi-
TRIBUNALE DELLA ROTA ROMANA 561

monii. Doctrina etenim aliquando exprobravit usum locutionum sive


contractus sive negotii juridici circa matrimonium, eo quod nec pri-
mum nec alterum apiari possunt notioni canonicae de matrimonio.
Ita minus placet verbum contractus quia iste generatim obiectum
patrimoniale habet; item alii adnotant in contractu extare interesse di-
versum prò singulis contrahentibus, dum in matrimonio coniuges ad
idem interesse tendunt, nempe ad efformandam societatem coniugalem.
Neque alterum verbum nempe negotìum jurìdicum omnibus proba-
tur, potissimum quia eiusmodi nodo fundamentum habet in liberiate
voluntatis singulae personae, nempe in praeeminentia rationis juridicae
subiectivae; quin immo hodie ipsa notio negotii juridici crisim partitur.
Quapropter multi malunt de matrimonio loqui tamquam de actu
jurídico: in quo certo certius adest libertas partium, sed istae posito ac­
tu nihil facere possunt neque debent ad amovendos effectus proprios
qui eidem connctuntur directe ab ipso ordine juridico (cfr. G. Caputo,
Diritto canonico moderno, t. II, Padova, 1984, p. 142 s.).
Attamen (cfr. M.F. Pompedda, Annotazioni sul diritto matrimo­
niale nel nuovo Codice canonico, in AA.VV., Il matrimonio nel nuovo
Codice di Diritto Canonico, Padova, 1984, p. 19 s.) indoles contractualis
in matrimonio agnoscitur a doctrina canonica, quatenus illus exstat ne-
gotium juridicum tantummodo ex partium voluntate ortum atque per-
fectum per ipsarum unice voluntatem.
Dicendum nempe est principia generaliora, quod attinet ad vitia
voluntatis in contractibus, accipienda esse etiam de matrimonio quate­
nus sive in isto sive in illis inspicitur actus humanus, constans intellec-
tu et voluntate, generativus effectus seu contractus seu negotii juridici
seu connubii: nemo etenim infitias ibit plenam inter voluntatem con-
tractualem et foedus matrimoniale analogiam.

7. Ex hucusque dictis quapropter tenendum videtur quoad matri­


monium valere summa juris principia quae scientia juridica inde ab in­
quisitone et doctrina Romanorum expolivit de influxu erroris in vo­
luntatem contractualem et in genere in negotia juridica perficienda.
Exinde a vero abesse non videmur si, inquirentes de finibus juris
naturalis circa errorem utpote vitium consensus matrimonialis, asserere
audemus tantummodo errorem essentialem seu substantialem inducere
— jure quidem naturali — nullitatem matrimonii hoc ex capite; ideo-
que inquirendum semper esse, hac de re, circa essentiale seu substantiale
negotii coniugalis seu, si mavis, matrimonialis foederis.
Quod confirmari videtur ex ipsa lege canonica, déclarante, modo
ac ratione absolutis, tunc actum (juridicum sane) irritari ex errore cum
562 GIURISPRUDENZA

iste « versetur circa id quod eius substantiam constituit » (can. 126;


cfr. can. 104 CIC/1917): id sane ex jure naturali descendit. Alias actus
juridicus positus ex errore valet, uti, verbi gratia, si ipse cadit super
qualitate obiecti in genere.

8. Attamen, quod attinet ad consensum matrimonialem, res ma-


gis attente atque profunde inquirendae exstant, etsi non posthabitis
neque abiectis hucusque in genere de quovis negotio vel actu juridico
enucleatis. Idque clarius fiet, si inter se conferantur normae positae in
veteri et in novo Codice juris canonici, de errore nempe irritante con­
sensum matrimonialem.

9. Nihil imprimis videretur peculiare afferre error « in persona »


seu « circa personam » secumducens matrimonium invalidum; persona
etenim cum importet, juxta communem omnium sensum et interpreta-
tionem, quid physicum definite seu individuum, patet quod « Ipotesi
del genere possono verificarsi in matrimoni contratti da ciechi, sordi,
muti o per mezzo di un procuratore, ancora nell’assai più raro caso del­
l’identità d’aspetto tra due persone » (P.A. Bonnet, Introduzione al
consenso matrimoniale canonico, Milano, 1985, p. 70).
Hypothesis nempe eiusmodi complectitur unum errorem de physica
identitate alterius nubentis: neque id difficultatem praebet in matrimo­
niali foedere, quod initur inter duas concretas personas quae « sese mu­
tuo tradunt et accipiunt ad constituendum matrimonium » (can. 1057 §
2).
Si autem id constituit praesuppositum matrimonialis contractus,
quaerere tamen quis posset num eiusmodi notio « personae », utpote
nempe merae realitatis physicae, respondeat nostri temporis hominum
conscientiae, quidem vel postquam humanae dignitatis figuram juraque
Concilium Vaticanum II sollemniter confirmavit. Quin insuper quae­
stio gravissima inter ceteras, sive in humana consuetudine sive in fide
praxique christiana, illa exstat, ad bonum coniugum et ad fines essen­
tiales connubii magis persona in sua realitate physica an vero praedita
quibsudam qualitatibus conferai.

10. Superius jam recoluimus attendendum semper esse ad essen-


tiam seu substantiam negotii, ut valeat error substantialis vel minus
haberi; error autem in substantia afferens seu complectens ipsum obiec-
tum (in matrimonio, ipsum contrahentem) aliquando specuat quandam
proprietatem seu qualitatem quae in hominum aestimatione acquirit
valorem essentialem: cuius igitur praesentia vel absentia immutare pror-
sus valet, quidem in sua substantia, ipsum obiectum.
TRIBUNALE DELLA ROTA ROMANA 563

Hanc viam aggressa jam erat jurisprudentia Nostri Tribunalis, in


interpretando et applicando legis canonicae praescripto de errore quali-
tatis redundante in errorem personae, juxta can. 1083 § 2, Io CIC/1917
(cfr. inter ceteras coram infrascrìpto Ponente decisiones diei 25 novem-
bris 1978, in una Taurinen., N.M.; diei 23 julii 1980, in una Goana et
Damanen., N.M.; diei 28 julii 1980, In una Romana, N.M.).
Qualitas personae, nempe, quae in genere aliquid accidentale ha-
beri debet, nonnumquam tamen tam grave pondus in ordine ethico et
sociali atque tam magnum valorem in ordine spirituali et religioso at­
tingere valet, juxta universalissimam, saltem in certis locis et tempore,
aestiamtionem ut tangat et penetret ipsam personam eamque in sua
identitate individue determinet.

11. Verum si attendamus ad novum Codicem (c£r. can. 1097),


procul dubio norma fulget maiore claritate: qualitas etenim tunc tan-
tummodo afficere potest consensum, cum ipsa directe et principaliter
intendatur; adest igitur praevalentia aestimationis (et consequenter vo-
luntatis) subiectivae super obiectivo valore qualitatis intentae (cfr. P.A.
Bonnet, o.c., p. 71 s.).
Neque pariter attamen praeterire possumus eiusmodi legis prae-
scriptum praeseferre « in pratica notevoli problemi e difficoltà soprat­
tutto perché riesce veramente arduo conoscere e stabilire ciò che il nu­
bente ha veramente e principalmente inteso nel contrarre, pur essendo
anche certo che egli quella qualità la volle nella comparte e da essa fu
spinto a celebrare tali nozze » (M.F. Pompedda, Annotazioni sul dirit­
to... p. 58).
Id sane insuper asserere debemus, nempe novum canonem non
constituere veluti interpretationem veteris legis, sed ex integro tan-
tummodo statuisse de errore qualitatis irritantis consensum matrimo-
nialem: quamvis, de facto, formula a Legislatore adhibita verbis ipsius
utatur quibus una ex interpretationibus canonis abrogati exprime-
batur.

12. Superest equidem quaestio de piena vel minus legis canoni­


cae adaequatione summis postulatis atque exigentiis civilitatis, sensus
aethici univers alis, dignitatis humanae necnon indolis sacrae immo
sacramenti quod est matrimonium.
Ex una parte etenim consulitur autonomiae voluntatis contra-
hentium, quippe quia intentio directa et princeps in determinatam
qualitatem efficere potest ut error de eadem inducat consensus ideo-
que matrimonii nullitatem (can. 1098 § 2); ex altera parte, error sub-
564 GIURISPRUDENZA

stantialis qualis habetur in errore « in persona » (can. 1097 § 1) pari-


ter constituere valet invalidum connubium, idque ipso jure seu ex le-
ge naturali. Insuper opportunius Legislator tutandum curavit contra-
hentem deceptum errore doloso, quidem intra ambitum definitum a
can. 1098 novi Codicis.
Attamen non undequaque provisum esse videtur hypothesibus
de errore aut dolo non causato aut non spectante qualkatem directe
et principaliter intentam, nempe errori in qualitate quae ex sua natu­
ra aut ex communi hominum nostrae civilitatis aestimatione gravissi-
mum quid constituit sive in generalibus bominum inter se relationi-
bus sive potissimum in illa peculiari relatione atque individua vitae
consuetudine quod est matrimonium. Id eo vel magis animadverten-
dum videtur, propterea quia de connubio, utpote indissolubili (can.
1056 et can. 1141), remedium legis vigere nequit nempe actio rescis­
soria prò ceteris actibus juridicis a Legislatore canonico expresse
praevisa (cfr. can. 126).

13. Id propterea factum esse censemus, quia, fortasse ex nimia


confusione accepta inter matrimonium et contractum vel negotium
juridicum quodcumque, substantiale obiectum ideoque substantialis
error ad identitatem et ideo ad intentionem subiecti refertur utpote
ad unam physicam realitatem nubentium: persona nempe significatio-
nem strictissimam accipit cuiusdam entis quod est animai rationale,
utique sexu distinctum, praecisione facta a qualibet qualitate morali,
intellectiva, sociali, religiosa, politica eiusdem.
Fieri potest jamvero quod quis contrahat cum persona, physice
determinata, quam tamen errore ornatam quibusdam qualitatibus
censuit; adsunt vero qualitates in homine, sive in mare sive in foemi-
na, quae ex sua natura fundamentum constituunt, atque ita ex com­
muni sensu aestimantur, cuiuslibet ordinatae relationis, in specie il-
lius consuetudinis peculiaris quae in matrimonio adesse debet. Ipse
Legislator, in canone nuper citato da errore doloso, agnovit adesse
qualitates « quae suapte natura consortium vitae coniugalis graviter
perturbare » possunt.
Attamen, nisi illa vel illae qualitates directe et principaliter in-
tendantur, aut nisi de iisdem error dolosus adfuerit, ex mero errore
circa easdem gravissimas qualitates consensus matrimonialis nullum
vitium irritans pati videtur.

14. Exinde graviter dubitandum est vêtus an novus canon ma­


gis respondeat ipsi matrimonii naturae; utrum scilicet summa princi­
TRIBUNALE DELLA ROTA ROMANA 565

pia rationis ac juris de influxu erroris in voluntatem contractualem


idest in hominis actum agentis negotium juridicum recte annon ac-
commodata fuerint connubio ineundo, quod peculiarissimum exstat
negotium, et illud secumferens jura officia atque consuetudinem per­
sonalissima, nulli alii negotio propria.
Fortasse novi Codicis compilatores haud satis animadverterunt
rem non tam esse de clara norma seu interpretativa danda circa erro-
rem qualitatis quod attinet ad consensum matrimonialem, quam po-
tius de ratione inter varias species qualitatum afficientium personam
contrahentium et ipsam foederis coniugalis substantiam; de foedere
loquimur haud in abstracto idest quatenus institutione, sed potius in
concreto nempe utpote conventione inter determinatas personas in­
tendentes in constituendum totius vitae inter se consortium.

15. Sane quidem — quamvis id violentiam in sensum canonis


interpretandum aliquomodo sapiat — illa directa et principalis in ten­
tici in qualitatem, circa quam nubentes errant, generali et implicita ra­
tione intelligi posset atque ideo non positiva voluntate. Ita quosdam
apud populos, uti fori usus nos docuit, haud intelligitur ex parte viri
puella nubilis idest matrimonio apta quae non sit virgo, aut quae ad
generandum non sit capax; item apud quasdam familias vel in quibu-
sdam coetibus nulla mulier in matrimonium traditur nisi cum viro
certis qualitatibus sive nobilitatis sive census sive socialibus praedito.
Numquid ibidem agnosci debet, si error exstet circa qualitates ea-
sdem, consensus nullus?
Res utique plerumque erit quaestio facti, sed potior atque doctri-
nalis quaestio erit de mera significatione subiectiva an potius de ra­
tione obiectiva agnoscenda illi intentioni directae et principali. Prio-
rem interpretationem nimis festinanter atque fortasse nimia levitate
accepisse v-identur quidam Auctores de novo Codice disserentes. In-
tentio sane, cum sit voluntatis directio, quid subiectivum formaliter
dicit, haud tamen requirit positivum et explicitum actum: quod con-
firmatur, ex argumento contrario, ex eo quod nisi adsit positivus ac-
tus exclusions (can. 1101 § 2) ad valide contrahendum matrimo­
nium, idest ad obligationes suscipiendas sufficit generalis intentio
contrahendi.

16. Quae hucusque sunt enucleata, eadem attentos facere de-


bent interpretes, sive doctrinales sive judiciales, eosque prudentes in
intelligenda norma novi Codicis circa errorem in consensu matrimo­
niali praestando.
566 GIURISPRUDENZA

Patet insuper ex iisdem dictis praesentem causam judicandam et


definiendam esse juxta can 1083 § 2, 1 ° Codicis abrogati idest anni
1917.

In facto. 17. Si seponere velimus asseverationes mulieris con-


ventae, jam gravissimae difficultates apparent in admittenda actoris
assumptione judiciali.
Quae ex se absurdum quid sapit. Defectus verisimilitudinis cer­
to certius obstat quominus admitatur factum tam extra ordinarie
contingentia. Actor, qui jam triginta et sex annos numerabat, qui
suo labore familiam ob patris obitum aluerat, qui inter negotia suam
agebat vitam, non potuit tam faciliter in errorem duci atque decipi a
muliere.

18. Esto quod ista de suis divitiis immensis locua sit: sed haud
splendide Neapoli vivebat, saepe saepius pecuniam ab actore ante
matrimonium petiit.
Cur numquam actor dubia fovit? Cur inquisitiones haud peregit
circa mulierem? Quomodo possumus admittere eundem ignorasse
etiam mulierem tunc tamquam puerorum institutricem suam navare
operam?

19. Quae defectus verisimilitudinis et cuiuscumque inquisitionis


difficultatem nobis ingerunt, ea explicantur per mulieris conventae
asseverationes.

20. Superest cito abrupta consuetudo coniugalis. Sed reapse vir


forte sperabat multa accipere a muliere; insuper cohabitatio cum so-
cru suos peperit effectus. Ita explicatur brevissima cohabitatio.

21. Sane quidem vel defectus cuiuscumque fundamenti capitis


de conditione qualitatis a viro uti adposita adserta, liquido ostendit
difficultatem capitis nunc solvendi nempe de errore circa qualitatem.

22. Ipse videLur nescire quid voluerit vel quid nunc velit citra
quod declarativ: « In poche parole io non voglio essere marito di una
donna che è tutta diversa da quella che mi si presentò prima del ma­
trimonio ».
Ceterum actor fatetur: « io fui indotto a sposare questa ragazza
anche in considerazione dei suoi vantati titoli professionali e della
posizione economica familiare... Naturalmente non era questo l’unico
motivo per cui sposai Dolores ». Igitur actor voluit praeprimis in
TRIBUNALE DELLA ROTA ROMANA 567

uxorem ducere conventam, circa quam tamen errore, haud tamen


dolo, inductus est in qualitatibus eiusdem existimandis.

23. Si etenim attente perlegatur integra actoris depositio, sta­


tini apparet virum obviam habuisse mulierem, erga eandem statim
propensione affectus et amoris ductum fuisse, consuetudinem nexuis-
se intuitu matrimonii celebrandi; insimul autem de conditione puel-
lae quaedam cognovisse quae ipsum incidenter at non praevalenti vo-
luntate impulerunt ad nuptias libentius ineundas. Quod confirmatur
sive ex nullis dubiis fotis ab actore sive a nulla inquisitione peracta
circa asserta mulieris. Vir credidit « a tutte le sue dichiarazioni » sed
non propter easdem ad matrimonium accessit; voluntas ipsius in per-
sonam dominae conventae ducta est primo et principaliter, etsi erro-
rem fovens de sponsae qualitatibus.
Id sane si thesis actoris admittatur. Prouti etenim superius dice-
bamus, sive ille sive eiusdem testes asserunt de sponsa tam incredibi-
lia audivisse, circa familiam, divitias, locum socialem, conditionem et
cetera, ut merito quivis suspicetur de causa ficte conficta: nisi veli-
mus mentis imbecillitatem tribuere eiusmodi personis absurda quaeli-
bet credentibus. Quod eo vel magis tenendum est, quia facilis exsti-
tisset inquisitio circa conditionem mulieris, quae Neapoli apud quan-
dam familiam, uti omnes norunt, suam navabat opeam. At: « Mai
l’attore o qualche suo congiunto — ait doct. C.C. — è venuto a
chiedere informazioni sul conto di Dolores prima del matrimonio ».
Quod suadet actorem unice et principaliter intendisse in personam
mulieris, haud vero in eiusdem qualitates.

24. Ceterum asseverationes actoris et eiusdem testium, ex se


haud verisimiles, funditus evertuntur ex depositione mulieris con­
ventae quae de factis et concretis circumstantiis diffusius locuta est.
Id autem essentiale videtur: nempe virum optime novisse ante matri­
monium quaenam fuerit sponsae conditio; ideoque nullus adfuit er­
ror ex parte ipsius.
Quibus omnibus in jure et in facto perpensis, Nos infrascripti
Patres Auditores de Turno, prò Tribunali sedentes et solum Deum
prae oculis habentes, Christi Nomine invocato, declaramus, promun-
tiamus et definitive sententiamus, ad dubium prositum respondentes:
« Negative, seu non constare de matrimonii nullitate, in casu, ex capi­
te erroris qualitatis ».
Actorem insuper jubemus expensas omnes judicii huius solvere.
Ita pronuntiamus atque committimus locorum Ordinariis et Tri-
bunalium administris, ad quos spectat, ut hanc Nostram definitivam
568 GIURISPRUDENZA

sententiam notificent omnibus, quibus de jure, ad omnes juris ef-


fectus.

Romae, in sede Apostolici Romane Rotae Tribunalis, die 22 ju-


lii 1985.

Marìus F. Pompedda, ponens


Antonius Stankiewìcz
Marìus Giannecchini
(Omissis).
TRIBUNAL APOSTOLICUM ROTAE ROMANAE - Romana - Nulli-
tatis matrimonii - 20 febbraio 1987 - Pinto, Ponente.

Matrimonio - Incapacita di assumere gli obblighi essenziali - Causae na-


turae psychicae - Schema giuridico - Equiparazione alla impotentia
coëundi - Incapacità assoluta e relativa - Perpetuità e antecedenza -
Necessità.
Matrimonio - Incapacità di assumere l’obbligo di osservare il bonum fi-
dei - Satinasi e ninfomania (descrizione) ■ Rilevanza.
Matrimonio - Consenso - Metus - Aversio - Necessità.

Non può assumere gli obbligai essenziali del matrimonio chi si tro­
vi nell’impossibilità morale di adempierli. Pertanto è incapace di con­
trarre matrimonio chi, per una causa di natura psichica, si trovi nellim­
possibilità morale o di osservare la fedeltà o di instaurare l'intima co­
mune tionem personarum atque operum in cui i coniugi trovano quella
complementarietà psicosessuale senza la quale il consorzio matrimoniale
di vita non può sussistere. Questa incapacità di donare l’oggetto formale
essenziale del consenso matrimoniale — analogamente ^//'impotentia
coëundi — può essere assoluta o relativa; deve essere inoltre antecedente
e perpetua (').
La dottrina dei sessuologhi — che recentemente si esprime in termini
più moderati — distingue principalmente l'autentica o vera ninfomania
da quella solamente apparente, e si afferma che la prima è molto poco
frequente. Pertanto i casi di ipersessualità della donna o dell’uomo che

(') In questa sentenza si pone di nuovo all’attenzione degli stu­


diosi e degli interpreti una questione di notevole interesse teoretico
e pratico. Il ponente sostiene l’applicabilità dello schema giuridico
dell’incapacitas coëundi all’incapacitas assumendi.
Nello stesso senso della sentenza si veda: c. Sabattani, 21 giu­
gno 1957, in SRRD., voi. 49, p. 500-513; c. Pinto, 18 marzo 1971,
in SRRD., voi. 63, p. 188-189, n. 3; c. Pinto, 15 luglio 1977, in
SRRD., voi. 69, p. 404-405, n. 6; c. Parisella, 23 febbraio 1978, in
SRRD., voi. 70, p. 72, n. 9; c. Pinto, 20 aprile 1979, in SRRD., voi.
71, p. 193, n. 7; c. Huot, 31 gennaio 1980, in SRRD., voi. 72, p.
72 ss.; c. Bruno 27 marzo 1981, in SRRD., voi. 73, p. 187, e, infi­
ne, c. Pinto, 6 febbraio 1987, in L'incapacitas (nelle « scntentiae selec-
tae coram Pinto ») a cura di C. Gullo e P.A. Bonnet, Città del Va­
ticano, 1988, p. 372-388.

SI. Ita ecclesia? - 1989.


570 GIURISPRUDENZA

rendano il nubente incapace di obbligarsi perpetuamente a osservare


la fedeltà, si presentano molto di rado, perché tale ipersessualità o
non è sfrenata o non è perpetua (2).
Affinché si dimostri che il matrimonio è stato contratto per violen­
za e timore, occorre che consti la grave avversione verso il matrimonio
da parte del nubente.

{Omissis). — Facti Species. — 1. Die 24 augusti a. 1969, in


ecclesia S. Ioseph opificis, oppidi S. I.R., Letterius, curruum opera-
tor, vigesimum secundum annum adeptus, uxorem duxit Archange-
lam, puerorum magistram. annum fere vigesimum octavum adeptam.
Ineunte anno 1968 occurrerant illi et, mutuo amore capti, con-
suetudinem instauraverunt usque ad carnale commercium perve-
nientes.
Coniugalis convictus felix non fuit sive quia maritus erga uxo­
rem infantilem nimis se praebebat, sive quia valde mulierosus erat
ipse.
Decem circiter exactis annis separatio definitiva locum habuit
cum maritus, relieta uxore, coniugatae mulieri adhaesit, quacum ad-
huc cohabitai. Ex matrimonio proles nulla orta est.

2. Duplici libello oblato (dierum 13 iulii et 3 novembris a.


1983), Archangela matrimonium nullitatis accusavit coram Tribunali
Regionali Latii, ubi dubium concordatum fuit sub formula: ‘An con-
stet de matrimonii nullitate, in casu: I) ex incapacitate viri conventi

In senso difforme: c. Pinna, 4 aprile 1963, in SRRD., voi. 33,


р. 256-271; c. Pompedda, 6 ottobre 1969, in SRRD., voi. 61, p.
915-924; c. Bruno, 30 marzo 1979, in SRRD., voi. 71, p. 118 ss.;
с. Raad, 13 novembre 1979, in Monitor Ecclesiasticus 105 (1980), p.
30 ss.; c. Ewers, 4 aprile 1981, in SRRD., voi. 73, p. 218 ss.; c.
Bruno, 17 giugno 1983, in SRRD., voi. 75, p. 358 ss.; c. Agustoni,
5 luglio 1983, in SRRD., voi. 75, p. 379 ss.; c. Giannecchini, 19
luglio 1983, in SRRD., voi. 75, p. 453 ss.
Il fatto che debba esigersi o meno la perpetuità dell’incapacitas
assumendi obligationes essentiales è una questione per nulla pacifica
in giurisprudenza. In senso conforme alla sentenza si veda: c. Lè-
febvre, 31 gennaio 1976, in II Diritto Ecclesiastico (1977/11), p. 263,
n. 6; c. Parisella, 23 febbraio 1978, in SRRD., voi. 70, p. 72 ss., n.
8, 9, 21; c. Huot, 31 gennaio 1980, in SRRD., voi. 72, p. 72 ss.,
TRIBUNALE DELLA ROTA ROMANA 571

assumendi onera matrimonialia, praesertim quoad bonum fidei, ob


gravem anomaliam psychicam; II) ex capite vis et metus actrici in­
cussi’.
Definitiva sententia diei 4 febr. 1985 fuit negativa, adversus
quam Actrix ad N.A.T. appellavit. ‘Hic, dubium concordatum fuit
sub formula: An constet de matrimonii nullitate, in casu: I) ex in­
capacitate viri conventi assumendi onera matrimonialia, praesertim
quoad bonum fidei, ob gravem anomaliam psychicam; II) ex capite
vis et metus actrici incussi (2/VIII/85)’.
In hac instantia Actrix nova documenta obtulit.
Dubio de quo supra responsum dantes Nos hodie causam defi­
nitive solvere debemus.

I. De incapacitate assumendi onera matrimonialia.

In iure. — 3. incapacitas assumendi onera matrimonialia, de


qua in can. 1095, 3° CIC/1983, est norma desumpta ex recenti iu-
risprudentia Rotali.
Usque ad annum 1941 unicum caput nullitatis matrimonii ex
causa psychica (praeter psychicam impotentiam coeundi) a Nostro
Apostolico Tribunali agnitum erat incapacitas praestandi consensum
momento celebrationis matrimonii.
At in causa Chicoutimien., coram Heard, ubi de schizophrenia
agebatur, quin constarci utrum tempore celebrationis coniugii conven­
ais compos sui fuisset necne, decisio affirmativa fuit, et in ea legitur:

n. 23; c. Egan, 10 novembre 1983, in SRRD., voi. 75, p. 603 ss.; c. Ja-
rawan, 19 giugno 1984, in II Diritto Ecclesiastico (1985/11), p. 36, n.
10. In senso contrario: c. Lèfebvre, 15 gennaio 1972, in SRRD., voi.
64, p. 18 ss., n. 8; c. Lèfebvre, 4 febbraio 1978, in Periodica 68
(1978), p. 671 ss., n. 8; c. Pompedda, 19 febbraio 1982, in SRRD.,
voi. 74, p. 85 ss., n. 8; c. Stankiewicz, 14 novembre 1985, in II Diritto
Ecclesiastico (1986/11), p. 329, n. 8-9.
Contrariamente a quanto affermato nella sentenza, la giurispru­
denza rotale è pressoché unanime nel negare la rilevanza dell’incapaci­
tà relativa cfr. c. Lèfebvre, 4 febbraio 1978, in Periodica 68 (1978), p.
671 ss.; c. Bruno, 22 febbraio 1980, in SRRD., voi. 72, p. 125 ss., c.
Di Felice, 12 novembre 1977, in Monitor Ecclesiasticus 104 (1979), p.
407; c. Di Felice, 25 ottobre 1978, in Monitor Ecclesiasticus 104
(1979), p. 163; c. Pompedda, 19 febbraio 1982, in SRRD., voi. 74, p.
572 GIURISPRUDENZA

« Admisso quod vir in se consensum validum praebere potuerit,


in contractu matrimonii consentiebat in rem cuius incapax erat (cfr.
Sent. Rot., a. 1941, LXXIII). Conventus incapax erat sese obligandi
in contractu traditionis sui corporis exclusive et perpetuo uni coniu­
gi. Post morbum tum nervis tum psyché ipse factus fuerat in suis in-
stinctibus bestia; prò eius impetu libidinis nulla lex frenum poterai
imponere... » (Decisiones, sententia diei 30 ianuarii a. 1954, voi. 46,
p. 85, n. 7).
Deinde caput hoc in dies saepius invenitur. Cfr. S. Romanae
Rotae Decisiones: coram Mattioli, d. 6 novembris a. 1956, voi. 48,
p. 873, n. 2; coram Sabattani, d. 21 iunii a. 1957, voi. 49, p. 503, n.
5; coram Lefebvre, d. 19 decembris a. 1959, voi. 51, p. 610, n. 2.
Novum caput ideo in his decisionibus admissum fuit, qui can.
1038 obstaret, quia agebatur de iure naturali iam a Suprema Auctorita-
te declarato relate ad incapacitatem tradendi ius in corpus (cf. can.
1068, § 1), et consequenter tradendi alia iura essentialia matrimonii,
quae obiectum formale essentiale matrimonialis consensus constituunt.
Pro omnibus his valet principium: Ad impossibilia nemo tenetur
tum iure romano (v. gr.: D. 50, 17, 185), tum canonico (Sexti De-
cretalium, lib. V, tit. 12, De regulis iuris, regula VI) receptum.
Praefatam normam receptam fuisse in novo Codice tamquam a
iure naturali provenientem atque diversam ab incapacitate praestandi
consensum colligitur ex discussione habita in Coetu Studiorum de
matrimonio diebus 12-13 maii a. 1970 (Cfr. Communicationes, a.
1975, p. 49-50).

85 ss. Per una rassegna della dottrina più recente sulla materia cfr.
F.R. Aznar, Las causas de nulidad matrimoniai por incapacidad psíquica
(can. 1095 § 3) segùn la jurisprudência rotai, in Revista espahola de Dere-
cho Canónico 44 (1987), p. 500 ss.; P.A. Bonnet, L’incapacità relativa
agli oneri matrimoniali, in L’incapacitas..., cit., p. 44 ss.; F. Gil De Las
Heras, La incapacidad para asumir las ohligaciones esenciales del matri­
monio (su tratamiento en los tribunales eclesiásticos espanoles), in lus Ca-
nonicum 53 (1987), p. 61-63. E. Olivares, Incapacitas assumendi obli-
gationes essentiales matrimonii debetne esse perpetua?, in Periodica 76
(1986), p. 153-169; M.F. Pompedda, Incapacity to assume thè essential
obligations of marnage, in AA.VV., Incapacity for marnage (Jurispruden­
ce and interprétation), Roma, 1987, p. 201 ss.; L. Ruano, La incapaci­
dad para asumir las obligaciones esenciales del matrimonio por causas psí­
quicas, como capítulo de nulidad, Barcellona, 1989, p. 64-70, 84-85.
TRIBUNALE DELLA ROTA ROMANA 573

Igitur nupturiens qui, ob causas naturae psychicae, obligationes


matrimonii essentiales, quales sunt quae bonum fidei vel bonum co-
niugum respiciunt, assumere non valet, incapax est matrimonii con-
trahendi.
Obligationes illas assumere non valet qui in morali impossibilitate
eas adimplendi versatur. Quamobrem incapax est matrimonii contra-
hendi qui, ex causa psychica, in morali impossibilitate invenitur, vel
ad servandam fidelitatem, vel ad instaurandam intimam personarum
atque operum coniunctionem qua illam psychosexualem complemen-
tarietatem coniuges inveniunt sine qua matrimoniale vitae consor­
tium subsistere nequit.
Incapacitas haec tradendi obiectum formale essentiale matrimo-
nialis consensus, eodem modo ac impotentia coëundi, potest esse ab­
soluta vel relativa; debet tamen esse antecedens et perpetua, saltem
quatenus constet revera exsistere.
Cfr. Rotalis decisio coram Heard, d. 5 iunii a. 1941, p. 494, n. 7.

4. Iuxta Rotalem iurisprudentiam caput incapacitatis se obligan-


di ad bonum fidei sewandum verificatur in casibus hyperaesthesiae se-
xualis nymphomaniae, prout a doctrina medica tunc exponebatur
(Krafft Ebing, 1931; Giese H., 1954; Ey H., 1950), talis nempe
sexualis stimuli cui resisti non posset, mulierem ad coitum promisque
absque delectu personarum trahentis, et quidem insatiabiliter. Cfr.
Rotalis decisio coram Sabattani, d. 27 iunii a. 1957, vol. 49, p. 502­
503, nn. 5-6.

(2) SulPevoluzione giurisprudenziale in questa materia — con


particolare riferimento alla ninfomania — si veda: S. Villeggiante,
Ninfomania e difetto di consenso, in II Diritto Ecclesiastico (1960/11),
p. 314-323; Id., Ninfomania e cause di nullità matrimoniale, in II Di­
ritto Ecclesiastico (1960/11), p. 161-184; U. Navarrete, «Incapacitas
assumendi onera » uti caput autonomum nullitatis matrimonii, in Pe­
riodica 61 (1972), p. 47-80; C. Lefebvre, La jurisprudence rotale et
l’incapacité d’assumer les obligations conjugales, in Revue de Droit Ca­
nonique 24 (1974), p. 376-386; J. Vernay, L’évolution de la jurispru­
dence rotale en matière d’homosexualité et de ninphomanie, in Revue
de Droit Canonique 26 (1976), p. 79-90; M. Wegan, L’incapacité
d’assumer les obligations du mariage dans la jurisprudence recente du
Tribunal de la Rote, in Revue de Droit Canonique 28 (1978), p. 134­
157; L. D’Andrea, L’incapacità ad assumere gli oneri essenziali del
574 GIURISPRUDENZA

Idem valebat prò viri hypersexualitate, quae satirìasis nuncupa-


tur. Cfr. Rotalis decisio coram Bruno, d. 15 decembris a. 1972,
voi. 64, p. 764 ss.
5. Recentior sexuologorum doctrina multo mitius loquitur. Di-
stinguentes imprimis authenticam seu veram nymphomaniam ab ea
quae talis non est, asserunt primam esse valde raram.
« La ninfomania ... nella sua vera forma è un fenomeno piutto­
sto raro. La gran maggioranza delle donne ... descritte come ‘ninfo­
mani’, in realtà non sono altro che individui dotati di grande tem­
peramento erotico che scelgono un comportamento sessuale molto
promiscuo ».
« È difficile trovare delle vere ninfomani al di fuori delle corsie
degli ospedali per malati di mente » (A. Ellis, Arte e scienza dell'a­
more, a. 1969, p. 218-219).
« L’equivalente maschile della ninfomania è chiamato satinasi e
consiste in un desiderio erotico intenso, incontrollabile e insaziabile.
Analogamente alla ninfomania, è generalmente il risultato di un di­
sturbo o di una grave malattia neuropsichica. E un fenomeno molto
raro e richiede l’intervento medico » (Ibidem).
Similiter J.L. Mc Cary: « L’incidenza dell’autentica satinasi è
più o meno la medesima della ninfomania: sono entrambe due for­
me assai rare, ciascuna delle quali si può curare con successo in se­
de psicoterapeutica » {La sessualità umana, 1970, p. 346).

6. Ab authenticis nimphomania et satinasi differt permixtio


quam ‘promiscuità’ vocant.
« In genere, in sessuologia si dice promiscuità il partecipare al
rapporto sessuale con numerose e diverse persone, e su una base più
o meno incurante, distratta ».
« Gli studi sulla personalità e i precedenti delle donne promi­
scue indicano che si tratta di soggetti i quali hanno progredito verso
la maturità fisica, emotiva, intellettuale e sociale in maniera disu­
guale e talora incompleta ».
« In larga misura nella loro promiscuità (detta, però, ‘dongio­
vannismo') gli uomini seguono lo stesso schema del comportamento
delle loro corrispondenti femminili. Dalla cartella clinica di quasi

matrimonio nella giurisprudenza rotale, in AA.VV., Studi sul matrimo­


nio canonico a cura di P. Fedele, Roma, 1982, p. 299-317.
Joan Caneras
TRIBUNALE DELLA ROTA ROMANA 575

tutti gli uomini studiati è emerso che ... Non v’erano indizi del fat­
to che in loro la pulsione sessuale in quanto tale fosse più intensa
che nell’uomo medio » (J.L. Mc Cary, o. c., p. 346-347).
Casus igitur hypersexualitatis mulieris vel viri qui nupturientem
reddat incapacem se obligandi ad fidelitatem perpetuo observandam
vix umquam pervenire potest, quia, vel non effrenata vel non per­
petua.

In facto. — 7. Antequam de causae merito agamus, solvere


debemus hanc quaestionem praeliminarem:
Utrum psychiatrìca peritici sìt exaranda et convento viro Curator
dandus sit.
Cum enim cl.mus Actricis Patronus qui, quoad peritiae exara-
tionem nondum factam, ad Ponentis iudicium se remisit (cf. instan­
tia diei 29.VII. 1985), deinde declarans peritorum interventu, suo iu-
dicio, opus non esse, institisset prò curatore convento viro dando
(cf. instantia diei 10.11.1986), infrascriptus Ponens decrevit: « De
exaranda vel minus peritia et constituendo curatore, videbitur in die
propositionis causae, dilata sententia, si casus sit » (Die 17.11.1986).
Attentis actis, in quibus de necessitate peritiae exarandae et cu-
ratoris prò convento constituendi nullum exurgit positivum dubium,
Rev.mi Patres quaestioni huic negativum responsum dederunt.

8. Ad fidelitatis vìoìationem quod attinet, Actrix quae in genere


affirmai: « di donne ne ha avute diverse », in causa separationis eo
pervenit ut dicat:
« Tra le infinite infedeltà del convenuto si segnalano, a titolo
esemplificativo, le seguenti. Dal 1974 al 1976 egli ebbe una stabile
relazione con tale Simona »; « in corso di tale relazione egli subì un
grave incidente stradale ... mentre trovavasi alla guida del motociclo
di sua proprietà, in compagnia della Simona. Il fatto avvenne nell’a­
gosto 1976 ».
« Nel 1978 si assentò ulteriormente per circa 10 gg. nel corso di
una relazione extraconiugale con tale Rossella, che lavorava alle sue
dipendenze ... L’attore iniziò quindi una relazione con tale Rosa,
con la quale ha concepito la figlia Maria. Egli abbandonò definitiva­
mente il tetto coniugale nell’ottobre 1978 ».
Nullibi autem alias adulterinas relationes in concreto allegavit.
Relata autem minime sufficiunt ad asserendam incapacitatem se
obligandi ad fidelitatem perpetuo observandam propter satiriasim
576 GIURISPRUDENZA

(cfr. supra, nn. 4-5). Immo, ne quidem in casu daretur sic dieta
« promiscuità » aut « dongiovannismo » (cfr. supra, n. 6).

9. Conventus omnino Actrici contradicit respondens:


« Io sono sempre stato fedele, anche se avevo amicizie, per cui
Angela recriminava ». « Posso solo dire che non sono il dongiovanni
che una lascia e cento ne piglia ». « E vero solo che ho una figlia ».

10. Actrìcìs testes eidem favent sic deponentes:


« La moglie si lamentava che aveva altre relazioni » (Sylvana).
« Un quattro-cinque anni fa Arcangela fu abbandonata dal mari­
to, che se ne andò con un’altra; lui ho sentito dire che ha cambiato
diverse donne » (Salvator).
Concordat Angelus, actricis frater.
Sunt ergo testes ex auditu.

11. Attentis quae antecedunt, bene intellegitur cur Actricis Pa-


tronus de Conventi incapacitate se obligandi ad servandam fidelita-
tem nihil dicat.
Ille matrimonii nullitatem propugnai sub alio respectu sic ar-
guens:
« Nobis videtur incapacitas conventi onera matrimonialia assu-
mendi ex compluribus causis pendere, quae tamen omnes ad gravem
immaturitatem psychologicam ex parte viri ducunt ». « Praeterea in
tabulis vir volubilis in amore praebetur ». « Letterius autem sicut
dissolutus, prodigus, incompositus describitur ... dicitur: ‘sempre agi­
tato, scontento, infantile, capriccioso, immaturo, irresponsabile,
sbandato’, etc. ». « Vel sine ratione, vel in casibus in quibus quivis
homo maturus verum profiteretur, mendacio utitur, ita ut mendax
consuetus dici possit ». « Putamus omnia facta, quae adesse debent
ut incapacitas onera matrimonialia assumendi secundum Rotalem iu-
risprudentiam declarari possit, in casu profecto probata esse ».
Ad comprobanda adducta facta Patronus verba Actricis suorum-
que testium alligavit. Immo, quoad immaturitatem, non solum Ac-
trix dixit: « Era sempre più bambino che marito per me »; « Erio
non è mai stato per un marito, ma un figlio scapestrato », sed ipse
Conventus fassus est: « quando, a 17 anni, mi morì mamma, trovai
quella protezione in Angela, che mi era venuta a mancare ». Amplius
adhuc, in epistula qua Actrici valedixit ut cum Rosa cohabitaret,
scripsit haec: « Il tuo bambino ha fatto quello che mi avevi ordinato
...Tu non sei cattiva, però i nostri caratteri non hanno mai avuto il
TRIBUNALE DELLA ROTA ROMANA 577

più piccolo punto d’incontro ... Scusami se ti ho fatto soffrire, ma


non era un mio desiderio diretto, ma bensì di ritorsione ». Animad-
vertendum tamen est vocabula « il tuo bambino » in contextu hoc
indicare Actricem, ludi magristram, Conventum tamquam puerum
tractare, nullatenus vero illuni erga ipsam talem se praebere, quod
confirmabitur iis quae postea Letterius de Angela dicit.
Adiunxit Patronus psychologicam abnormitatem Conventi esse
gravem, antecedentem et insanabilem.

12. At quominus Patroni argumentatio admittatur plura ob-


stant.
a) Proceditur iuxta methodum psychiatricam seu clinicam qua,
ex comprobata conditione psychopathologica nupturientis concludi-
tur ad eiusdem incapacitatem ad onera essentialia se obligandi, quae
psychopathologica conditio, in casu, ab Actrice eiusque testibus asse-
ritur, sed nullo documento clinico comprobatur. At legislator eccle-
siasticus diversa methodo utitur, mixta nempe seu psychologica si-
mul et psychiatrica, iuxta quam, comprobata nupturientis incapacita­
te se obligandi ad onera essentialia matrimonii, ex eiusdem conditio­
ne psychopathologica incapacitas explicatur. Cfr. G. Michiels, Prin­
cipia generalia de Personis in Ecclesia, 1955, p. 73.
b) Conventus, iuxta testes suos, est valde diversus: « Mio nipo­
te è un bravo ragazzo, lavoratore, ed era innamorato di Angela ...
non è vero che non gli piacesse fare nulla e mantiene sempre lo stes­
so lavoro di dipendente » (Maria, patrui conventi uxor).
« Mio figlio ha un buon carattere, è un bravo ragazzo. Non fu
mai ricoverato in clinica per malattie ... Era un tipo lavoratore, ave­
va sempre lo stesso posto, come meccanico, e fa l’autista e lavora an­
cora. Mio figlio non era il tipo di frequentare tante donne e non fu
fidanzato con altra prima di Angela » (Conventi pater).
c) Ad Conventi infidelitates quod attinet, ob oculos haberi de-
bent haec Actricis verba: « Per me un uomo che tradisce la moglie
non è più un marito ».
« Quando ebbi la certezza che Erio aveva altre donne, non l’ho
più considerato e sentito come marito, anche se ho continuato a star­
ci ». « Se figli non sono nati, è perché io nel mio cuore non li ho
mai voluti ... e perché non volevo rapporti e raramente lui mi ricer­
cava, perché litigavamo sempre ».
His in adiunctis, explicatur, quin iustificetur, cur maritus alias
quaereret mulieres.
578 GIURISPRUDENZA

d) Haud obstantibus quae de Conventi incapacitate assumendi


onera matrimonialia (quod in casu ad onus circa bonum coniugum
restringeretut) dicta sunt, stat factum quod coniugalis convictus (bis
a viro per brevissimum tempus interruptus) ad annos 9 et menses
duos protractus est. Et definitiva separatio tribuenda est viro, non
uxori, utroque causam dante.
Teste Luciana, quae cum illos iam coniugatos novit animadver-
tit « che tra loro vi erano delle difficoltà », « era evidente un’enorme
incompatibilità dei caratteri dei due ».
Utique uterque infelix erat, quin convictus intolerabilis esset.
Nec media pastoralia, nec matrimonialis consultado adhibita fue-
runt.
De incapacitate, igitur, viri Conventi assumendi matrimonialia
onera nullatenus constat.

IL De vi et metu actrìci incusso.

In iure et in facto. — 13. Cum matrimonium celebratum fue-


rit vigente CIC/1917, ad normam can. 1087, invalidum est matrimo­
nium initum ob vim et metum, dummodo metus sit: a) gravis (saltem
relative); b) ab extrinseco et iniuste incussus; c) indeclinabilis, quate-
nus nupturiens a metu se liberare nequit nisi celebratis nuptiis.
Ut constet matrimonium ob vim et metum initum fuisse de nup-
turientis gravi aversione ad nuptias constare debet. Validitati non
obstat metus ab intrinseco incussus, v. gr. ob timorem obtrectatio-
num a vulgo provenientium.

14. Actrix quidem asserii: « Erio aveva abusato della mia inge­
nuità, e mi aveva fatto andare contro i miei principi; per cui il mio
amore per lui si tramutò in avversione, perché mi aveva ingannato,
non era stato leale e quindi lo volevo lasciare ».
Opportunissime autem Rev. Defensor Vinculi deputatus ani-
madvertit: « Documenta, verbis eloquentiora, mendacii coarguunt
Archangelam »,
Revera Actrix, quae post amissam cum Letterio virginitatem ei-
dem nuntiaverat menstruationem (quam in epistulis illa « le mie ama­
tissime amiche » vocat) retardari, die 5 iunii 1968 Letterio scripsit:
« Tesoro mio carissimo, come prima notizia ti faccio sapere che le
mie amatissime amiche sono arrivate con la massima puntualità e re­
golarità ... Se sapessi quanti pianti, rancori e lacrime versai in chiesa
TRIBUNALE DELLA ROTA ROMANA 579

prima che esse arrivassero ... Si, amore, non è stata mica una bella
cosa, quello che ti ho permesso, anche se la colpa è da attribuirsi al­
l’amore. Il mio rimpianto, tesoro, non lo devi interpretare come di­
spiacere d’averlo fatto con te, in questo modo ti farei capire che non
ti amo ... Con questo non intendo farti capire che io sia una ragazza
fredda; sarò come tu mi vorrai. Adesso ti voglio amare nell’anima,
per armonizzarla con la mia, poi, quando ci saremo accorti che que­
st’armonia avrà raggiunto il vertice, ci sposeremo per iniziare lecita­
mente l’unione fisica, quale completamento dell’unione dei cuori ».
Huiusmodi amor confirmatur posterioribus epistulis utriusque partis.

15. De coactione dixit Actrix: « Perché mamma ha detto: ‘ti de­


vi sposare’, era irremovibile e guai se non l’avessi fatto, perché sarei
stata sulla bocca di tutti, non avrei più messo piede in paese, e mam­
ma, che in casa comandava lei, non mi avrebbe più fatto rientrare ».
Actricis mater quidem fassa est: « Sono stata io a costringere
mia figlia perché sposasse il Leuterio e questo a causa del disonore e
per non far parlare la gente in paese ».
Sed Actricis pater, qui erat severissimus, aliique testes hanc
coactionem omnino ignoraverunt.
Unde nec de vi et metu actici incusso constat.

17. Quibus omnibus tam in iure quam in facto perpensis, Nos,


Auditores de Turno, prò Tribunali sedentes et solum Deum prae
oculis habentes, definitive sententiamus, respondentes sic dubiis pro-
positis:

« Negative ad utmmque, seu non constare de matrimonii nullitate,


in casu, ullo ex capite ».

Ita pronuntiamus, et locorum Ordinariis atque Tribunalium Ad-


ministris committimus ut hanc Nostram definitivam sententiam noti-
ficent omnibus, quorum interest, ad omnes iuris effectus.
Romae, in sede Tribunalis Apostolici Romanae Rotae, die 20
februarii 1987.

Josephus M. Pinto, ponens


Sebastìanus Masala
Victorius Palestro
{Omissis).
Pagina bianca
TRIBUNAL APOSTOLICUM ROTAE ROMANAE - Romana - lu-
rium (crediti et âamnorum). Questione incidentale sull’esecuzione di senten­
za rotale (8 novembre 1983) - Decreto - 13 aprile 1988 - Coram Pale­
stro, Ponente (*).

Iurium - Esecuzione di sentenza rotale - Crediti e danni - Interessi com­


pensativi (« usurae compensativae ») - Capitalizzazione degli inte­
ressi: interesse composto e interesse semplice (« foenora composita
et foenora simplicia ») - Calcolo secondo equità e legge civile appli­
cabile - Indennizzo da calcolare sulla base del potere d’acquisto del
credito (« pondus crediti ») - Indennizzo per le molte dilazioni pro­
cessuali.

Questione incidentale sul modo di calcolare le « usurae compensa-


toriae »: a) con gli interessi accumulati o capitalizzati (« foenora compo­
sita »), secondo la parte attrice-, b) senza gli interessi degli interessi (« foe­
nora simplicia », « sine usuris usurarum »), secondo la parte convenuta.
Decisione a favore della parte attrice in base alle norme dell’equità e al­
le prescrizioni della legge civile del luogo in cui il contratto è stato stipu­
lato. Inoltre, nello stabilire la quantità da versare alla parte attrice si de­
ve rispettare il potere d’acquisto del credito nel momento in cui doveva
essere assolto. Indennizzo alla parte attrice per il prolungarsi della lite e
gli « incommoda » subiti.

(Omissis). — 6. Extra controversiam est nudum creditum labo-


ris prò versione missalis a d.na Elisabeth, vertente anno 1962, perac-
ta, fuisse libellarum gallicarum 5.000, quas semper actrix sibi vindi-
cavit, additis usuris compositis, usuris moratoriis et damnis in Gallia
singulis annis vigentibus necnon « l’érosion monétaire ».
Iuxta ratiocinationes ab eadem peractas anno 1972 cunctus cre-
ditus erat lib. gali. 57.667, dum ad diem 31 decembris 1987 compu-
tabatur in lib. gali. 337.037,62.
Sententia rotalis partim ab actrice postulata recipiens statuit ei-
dem recognoscendas esse usuras moratorias computandas a die qua
obligatio solvi debuisset, nempe a die 1 ianuarii 1963, usuras com-
pensativas computandas a die 1 februarii 1965 seu a die quo iudi-
cium incepit, damna intra ambitum tamen eiusdem crediti, nec non
aliquam pecuniae summam ob incommodum eidem inlatum instituen-

(*) Vedi sentenza c. Palestro del 15 giugno 1988 e nota, riportate di seguito.
582 GIURISPRUDENZA

di causam in Urbe, longe a sua commoratione, modo a Tribunali de­


terminando (Sent., c. Pompedda, 8 novembris 1983, n. 40).
Computationes vero sive crediti sive damnorum et foenorum re-
petendae sunt iuxta legem civilem gallicani (ib.).

7. Quoad usuras moratorias, intuitu « damni reficiendi in cré­


ditons patrimonio habiti ob moram in pecuniaria obligatione adim-
plenda » (ib. n. 7) debitas nulla exstat difficultas. Cl. mus Peritus
easdem computavit, incipiens a die 1 januarii 1963 usque ad diem
31 martii 1988 in lib. gali. 3.805,46, quas Abbas et Abbatia Bru-
gen. actrici solvere tenentur.
Quoad vero usuras compensativas computandas partes inter se
discrepant. Actrix postulat foenora composita, id est servata usura-
rum « capitalizzazione », pars conventa proponit, e contra, foenora
simplicia, id est sin usuris usurarum, innixa voto alicuius jurisperiti
qui tamen videtur ignoravisse tum sententiam rotalem exsequendam
tum acta causae.
Patres infrascripti tum ex principiis in ipsa rotali sententia tra­
diti, tum ex espressa ditione art. 1154 Codicis Civilis Gallici, cen-
sent recognoscendas esse actrici usuras compensativas compositas.
Usurae compensativae, enim, iuxta sententiam, « respondent
naturali foecunditati seu utilitati pecuniae, creditorem compensât
propter ablatam pecuniae fruitionem seu usum » (n. 7), quare cum
annis decurrentibus actrix haud perceperit quoad laboris creditum
annuas usuras has eidem quoque fructum reddere debent, sicut et
summam debitam prò credito laboris.
Ceterum jure naturae « aequum est neminem cum alterius detri­
mento et iniuria fieri locupleliorem » (Pomp. 1.206 D.R.J. 50, 17)
et « nemo debet luerari ex alieno damno » (Gaius 1.28, D. de dolo
malo, 4, 3), quare « hominis incommodo suum augere commodum.
magis contra naturam est quam mors, quam paupertas, quam dolor,
quam cetera quae possunt aut corpori accidere aut rebus externis »
(Ciaro, De officiis, 3).
Porro Abbas et Abbatia Brugen. lucrum sibi fecerunt tum de
credito laboris tum de usuris singulis annis perceptis quae iisdem
fructum dederunt quam maximum et in damnum actricis. Missalis
versio insuper reapse edita et quam optime vendita fuit. Abbas Ab-
batiae Brugen. recogitet dein quod « in judiciis ecclesiasticis iustitia
administranda est cum moderamine aequitatis; immo potior debet
esse ratio aequitatis, quam stricti juris. In omnibus quidem,
TRIBUNALE DELLA ROTA ROMANA 583

maxime in jure, aequitas spectanda est (D. 50, 17, 90). In summa
aequitatem quoque ante oculos habere debet judex (D. 13, 4, 4,
parg. Interdum) » (S.R.R. Decis., vol. XXVI, Dee. 6/4/1935, p.
200).

8. Art. 1154 Codicis Civilis Gallici expresse récitât: « Les in­


térêts échus des capitaux peuvent produire des intérêts, ou par
une demande judiciaire, ou par une convention spéciale, pourvu
que, soit dans la demande, soit dans la convention, il s’agisse
d’intérêts dus au moins pour une année entière ».
Iurisprudentia quoque adnotavit quod « La disposition de
l’art. 1154 est d’ordre public» (Civ. 21.6.1920, D.P. 1924, 1.102
etc. Bull. civ. I, n. 305) et applicatur etiam cum « les sommes
dues ne sont pas encore liquidées et que le décompté des intérêts
qui y seront relatifs n’a pas encore été fait » (Civ. Io, 21/1/1976,
D. 1976).
Etiam Vicarius Judicialis Parisiensis, cui primum mandatum
collatum fuit pro computanda summa actrici reddenda, ratiocina-
tionem summariam peregit prae oculis habens « les intérêts compo­
sés... l’inflation monétaire... les dommages-intérêts » quin videatur
Abbas Abbatiae Brugen. aliquid opposuisse.
Actrix denique in supputationibus factis, semper inde ab ini-
tio processus, applicavit criterium computationis foenorum compo-
sitorum.
« Agitur — uti recte adnotat Cl. mus Adv. H. Figliuoli —
de criterio iustitiae distributivae: non licet debitori utilitatem re­
portare suaque facere bona quae sua non sunt quaeque actrici de-
bentur propter laborem factum titulo mercedis ex pacto bilaterali
statutae.
Pars Conventa debuisset solvere mercedem laboris (summam
5.000,00 francorum gallicorum) ineunte anno 1963. D.na Elisa­
beth, mercede accepta, summam illam potuisset statim collocare et
fructus ab illa percipere eosque impendere. Ast potuisset quoque
fructus (foenora) “capitalizzare”, ut fructus a fructibus perciperet,
usque in hodiernam diem.
Hoc significai actricem potuisse percipere, e mercede sibi a
parte conventa debita, “tune” non soluta, foenora composita.
Huic iuri numquam actrix renuntiavit.
Quapropter videtur ipsam lus seware (quod sibi vindicat) ad
foenora composita percipienda ».
584 GIURISPRUDENZA

His omnibus consideratis, Patres infrascripti decernunt solven-


das esse actrici usuras compensativas, modo exposito computandas,
id est eidem competunt usuras usurarum, quas Peritus determinavit
usque ad diem 31 marti 1988 in lib. gali. 20.143,25.

9. Actrix iam a libello damnorum refectionem quoque postula-


vit sive ob moléstias in familia passas, ob non acceptam tempore
utili pecuniam debitam, sive eo quod eius nomen haud inscriptum
fuerit « dans la liste des membres de la Commission du Missel »
prò versione peracta, sive eo quod quam multam pecuniam impen-
derat in documentis parandis, consiliis accipiendis ad creditum la-
boris recuperandum.
Sed rotalis sententia eidem recognoscit tantummodo damna
« intra ambitum eiusdem crediti » seu ex lucro cessante et damno emer­
gente quoad pecuniae summam sibi debitam et numquam acceptam,
« atque ideo petitio partis actricis de reficiendis damnis quae ipsa
passa esset sive in sua familia sive in promovenda causa reici dé­
bet » (Sent. n. 40).
Sententia dein haud loquitur de damnis eo quod nome actricis
— uti interpretis — omissum fuerit in editione Missalis ac exinde
quaestio poni non potest. Patres, e contra, recipiendam esse cen-
sent actricis petitionem de damnis refundendis ob mutationem ex-
trinsecam libellae gallicae seu ob imminutionem valoris monetae,
quae tempore medio inter constitutionem crediti et solutionem de­
biti verificatur, cum haec immutatio reapse magni momenti fuerit ab
anno 1963 et grave nocumentum actrici intulerit ob non servatam
aequalitatem, quoad pondus crediti (i.e. « potere d’acquisto ») dum
verificabatur et pondus solutionis debiti tempore actuali.
Haec damna sunt intra ambitum crediti, uti sententia postulat,
et refundere valent patrimonium actricis ob moram in pecuniaria
obligatione adimplenda. Usurae moratoriae enim non possunt ex
seipsis valorem monetae restituere et totalem valorem patrimonii
vel refundere vel adacquare cum nummi gallici imminutio copiosa
fuerit decurrentibus annis, uti aperte deducitur ex ratiocinationibus
a Perito datis. Ne debitor valeat immodicum lucrum retinere, et
creditor magnum damnurn pati, jus naturale postulat, ad aequam aes-
timationem pecuniae solvendae, ut simul attendatur sive ad pondus
pecuniae tempore con trac tus (« potere d’acquisto »), iuxta indices a
Publicis Auctoritatibus paratos, ut intelligatur quantitas debiti, sive
ad tempus solutionis, ut aestimetur reale pondus pecuniae, per
TRIBUNALE DELLA ROTA ROMANA 585

quam debito tune satisfit, iuxta tabulas officiales de pecuniae « re-


valorizatione », ne summum jus in summam vertatur iniuriam, si
subvertetur aequalitas inter quantitatem debiti et quantitatem solu­
tions (Cfr. S.R.R. Dec., vol. XIX, p. 362 — Sent. Supremi Tribu­
nale Signaturae Apostolicae d. 30.7.1928).

10. Sententia adhuc statuii quod « ex aequitate... ob incommo-


dum instituendi causam longe a sua commoratione seu in Urbe Ro­
ma, solvenda erit d.nae Elisabeth illa pecuniae summa quae in exse-
quenda sententia a Tribunali apta agnoscatur » (n. 40) et hoc sub
specie « indemnitatis » prò rata solvenda a partibus conventis (ib.).
Patres infrascripti attento quod causa iam a viginti quinque an-
nis pendei et quam multa incommoda actrici attulit eius pertracta-
tio in Urbe, aequum aestimant eidem prò indemnitate tribuere lib.
gali. 1.000 prò unoquoque anno, initium sumendo ad anno 1963,
prò rata parte tamen Abbati ed Abbatiae tribuendas (nempe 500 lib.
gali.), quae indemnitas exinde computatur in lib. gali. 12.500.

11. Quibus omnibus tam in jure quam in facto attente perpen-


sis atque mature consideratis, infrascritpti Partres Auditores de
Turno, propositae quaestioni quantum nempe solvere debeant Ab-
bas et Abbatia Brugen. in executione sententiae rotalis diei 8 no-
vembris a. 1983 d.nae Elisabeth respondendum censuerunt uti re-
spondent:
« Praeter creditum laboris libell, gallic. 5.000, solvendas esse
ab Abbate et Abbatia Brugen. d.nae Elisabeth:
— usuras moratorias in libell, gallic. 3.805,46 computandas;
— usuras compensativas in libell, gallic. 20.143,25 compu­
tandas;
— damna, ob imminutionem valoris nummi gallici ab anno
1963 verificatam, in libell, gallic. 28.720 determinanda;
— indemnitatem, prò rata statutam, ob incommodum actricis
instituendi causam longe a sua commoratione, in Urbe Roma, in li­
bell. gallic. 12.500.
— Abbas et Abbatia Brugen. tenentur solvere actrici creditum
laboris, foenora, damna et indemnitates, de quibus in hodierno de­
creto, intra triginta dies, computandas a recepta notificatione decre­
ti, secus usurae sive compensativae sive moratoriae et damna auge-
ri debent, iuxta expositam mentem, prò tempore inutiliter tran-
sacto.

38. lus ecclesiae - 1989.


586 GIURISPRUDENZA

Decretum hoc praeterquamquod R.D. Promotori Iustitiae No­


stri Apostolici Tribunalis et Patronis partium notificetur parti actri-
ci per Curiam Parisien, et parti conventae per Curiam Brugen.

Datum Romae, in sede Apostolici Tribunalis Rotae Romanae,


die 13 aprilis a. 1988.

Victorius Palestro, ponens


loannes Corso
Thomas Doran
(Omissis).
TRIBUNAL APOSTOLICUM ROTAE ROMANAE - Romana - lu­
rium (crediti et damnorum) - Sentenza definitiva di secondo grado - 15 giu­
gno 1988 - Coram Palestro, Ponente (*).

lurium - Responsabilità delle congrega2Íoni religiose sui contratti dei


propri membri - Azione « de in rem verso ».
lurium - Autonomia del diritto e della disciplina della Chiesa.
lurium - Mandato - Obblighi del mandante.
lurium - Crediti e danni - Interessi moratori ed interessi compensativi
(« usurae moratoriae et usurae compensativae ») - Capitalizzazione
degli interessi (« foenora composita et foenora simplicia ») - Cal­
colo degli interessi - Indennizzo per le dilazioni processuali.

« Si contraxerit regularis cum licentia superiorum, respondere dé­


bet persona moralis, cuius Superior licentiam dedit » (can. 536 § 2,
CIC 1917; cfr. can. 639 § 2, CIC 1983). « Quìdquid autem industria
sua vel intuitu religionis acquirit, religioni acquirit» (can. 580 § 2,
CIC 1917; cfr. can. 668 § 3, CIC 1983). Le congregazioni religiose
sono responsabili dei danni occasionati dalle attività patrimoniali dei
propri membri quando il religioso, col consenso della congregazione,

(’') Aspetti del diritto alla difesa, il risarcimento dei danni e altre
questioni giurisdizionali in alcune recenti decisioni rotali.

1. Fattispecie.

La sentenza c. Palestro del 15 giugno 1988 chiude venticinque


anni di « incommoda processualìa » per la parte attrice, secondo le pa­
role dello stesso tribunale apostolico. Per capire meglio i diversi par­
ticolari di questa vicenda giudiziaria, dalla quale si possono trarre in­
teressanti spunti in materia giurisdizionale, si offre un riassunto del-
Vin facto di tre decisioni della Rota: la sentenza di prima istanza c.
Pompedda dell’8 novembre 1983 (RRD 75 (1983), p. 575-590), il
decreto (13 aprile 1988) e la sentenza (15 giugno 1988) entrambi c.
Palestro riportati in questo fascicolo.
588 GIURISPRUDENZA

intraprende attività commerciali che gli sono vietate senza il permesso


della Sede Apostolica, benché l’attività commerciale sia di esclusiva
responsabilità del religioso nel foro civile (ad es., perché la legge civile
limita ingiustamente la capacità di agire delle congregazioni religiose). Le
congregazioni religiose sono responsabili dei danni occasionati dalle attivi­
tà patrimoniali dei propri membri se si può riscontrare una condotta col­
posa da parte del superiore religioso per mancanza della dovuta diligenza
nell’esercizio della sua funzione. Chi ha subito il danno può esercitare
l’azione « de in rem verso » nei confronti della congregazione religiosa.
La sentenza rotale appellata, in quanto è affermazione di diritto
canonico, può essere usata come precedente presso i tribunali civili che
prendono in considerazione i precedenti giurisprudenziali. Può, quindi,
modificare norme dello Stato a danno delle comunità religiose. Tuttavia
questo pericolo (influsso sulle nome e sulla giurisprudenza civili in dan­
no degli interessi patrimoniali delle comunità religiose) non può intacca­
re minimamente la sottomissione di dette congregazioni all'autorità della
Sede Apostolica, né l’obbligo della Santa Sede di applicare le leggi della
Chiesa per proteggere i diritti dei propri sudditi.
Il mandante deve: a) assolvere gli obblighi che il mandatario ha
assunto in suo nome o quando il mandante li ha tacitamente accettati;
b) assolvere le spese fatte dal mandatario nell’eseguire il mandato, ben­
ché l’esito del contratto sia stato negativo senza colpa del mandatario; c)
risarcire i danni che il mandatario si sia procurato o abbia prodotto ad
altri nell'eseguire il mandato.

La parte attrice (Elisabeth) stipulò a Parigi con Roberto un con­


tratto per la traduzione dal francese all’inglese di un messale e di
altri due libri. Roberto agiva come mandatario della casa editrice F
(statunitense) per la traduzione dei due libri, e come gestore di affari
di un’abbazia belga per la traduzione del messale. Della casa editrice
F è presidente un religioso (P. Aloisius), ma in realtà delPattività
della stessa è responsabile la congregazione C. La parte attrice pen­
sava che tra la casa editrice F e l’abbazia vi fosse un rapporto di
solidarietà nel contratto poiché il messale, di proprietà dell’abbazia,
sarebbe stato pubblicato in inglese dalla casa editrice statunitense,
ed anche perché il biglietto da visita di Roberto e la carta intestata
da lui adoperata riportavano sia il nome della casa editrice che l’indi­
rizzo dell’abbazia, dove lui soggiornava e aveva un ufficio. Elisabeth
consegna nel tempo previsto (1962) le traduzioni ma non riceve alcun
TRIBUNALE DELLA ROTA ROMANA 589

Per quanto riguarda i criteri per il calcolo della quantità da versare


nell'esecuzione della sentenza cfr. decreto c. Palestro sopra riportato.

{Omissis). — Species facti. ■— 1. D.na Elisabeth, in causa ac-


trix, die 1 februarii a. 1965 Tribunal Ecclesiasticum Brugen. adivit
ut Abbas et Abbatia Brugen. nec non Superior Generalis et Con-
GREGATIO C. compellerentur ad solvendam mercedem, hucusque haud
receptam, una sum expensis, damnis et foenoribus, prò opera a se
praestita in versionibus exarandis ex gallico in anglicum sermonem
sive commentarii Missalis sive duorum librorum. Quae versiones ex-
pletae videntur exeunte anno 1962.
Tribunal aditum, speciosis adductis rationibus prò libello recu­
sando, actrici consilium dedit, contra praescriptum can. 120, § 1, ut
Tribunal civile adirei, eo quod « nos tribunaux ecclésiastiques ne
sont normalement pas utilisés pour de telles affaires », ac tandem ab
eadem postulavit cautionem lib. belg. 40.000 pro petitione accipien-
da, quas actrix solvere non poterat.
Die 26 aprilis a. 1965, d.na Elisabeth recursum exhibuit Sacrae
Congregationi prò Religiosis, quae, die 9 novembris a. 1965, respondit
se non posse quaestionem dirimere et eamdem invitavit ut Sacram Ro-
manam Rotam adirei insimulque ei facultatem concessit « et en déroga­
tion au canon 120, § 1, à porter la question devant la juridiction civile ».
Actrix, expresse declarans se velie « que les responsabilités soient
fixées par les autorités ecclésiastiques », die 18 maii a. 1966 supplicem

compenso economico da Roberto, malgrado questi avesse ricevuto


dall’abbazia e dalla casa editrice le relative quantità di denaro a tale
scopo. Elisabeth chiede pertanto il pagamento della somma dovuta
sia alla congregazione che all’abbazia, ma entrambe rispondono che
Roberto agiva per suo conto e non come loro mandatario o loro ge­
store.
Nel febbraio 1965, Elisabeth adisce al tribunale diocesano di
Bruges in Belgio, dove l’abbazia ha il domicilio, chiamando in giudi­
zio l’abbazia e la congregazione. Il tribunale respinge il libello con
motivi « speciosi » e consiglia Elisabeth di rivolgersi alla giurisdizione
civile. Elisabeth, che si era convertita da poco al cattolicesimo, desi­
dera ricevere giustizia nel foro ecclesiastico e ricorre alla Congrega­
zione per i religiosi, la quale prende due provvedimenti: dà licenza a
Elisabeth per adire un tribunale civile, carente di giurisdizione sulle-
590 GIURISPRUDENZA

porrexit libellum Nostro Apostolico Tribunali, competenti ex can.


1557, § 2, in ius rapere contendens Abbatem et Abbatiam Brugen.
necnon Superiorem Generalem et Congregationem C. ut in solidum
damnarentur ad mensuram statutam prò versionibus peractis solven-
dam una cum expensis, foenoribus et « érosion monétaire ». Damna
quoque repetit sive eo quod eius nomen, uti interpres, haud impressimi
fuisset in Missali, sive ob incommoda a familia passa ex non soluta
mercede tempore opportuno.

2. Partes conventae per suos Patronos quam plurimas praelimi-


nares excitaverunt quaestiones, quare tantum die 3 maii a. 1972 Pa­
tres libellum admittere potuerunt, recognita partium conventarum le-
gitimatione passiva, « attenta jurisprudentia S.R. Rotae de responsa-
bilitate personae moralis religiosae in damnis respondendis, si Supe­
rior religiosorum ob defectum debitae diligentiae in culpa fuerit et
de actione “de in rem verso” ei competente, qui damnum subierit ex
negligentia legitimi superioris in exercitio sui muneris ».
Pacificae compositionis conamine adhuc in cassum facto, du-
bium concordatum fuit die 18 julii 1973 iuxta formulam: « An Ab-
bas et Abbatia Brugensis, Superior Generalis et Congregatio C. te-
neatur in solidum solvere d.nae Elisabeth creditum laboris, damna et
foenora ob creditum non solutum; et quatenus affirmative: qua(nam)
mensura ad solutionem teneantur ».
Laboriosa causae instructione expleta, quae multas moras passa
fuit sive ob difficultates testes omnes, extra Urbem degentes, au-

parti convenute in virtù del privilegio del foro (can. 120 § 1), e indi­
ca la Rota Romana come organo competente per risolvere in via giu­
diziaria la lite se vuole adire la giurisdizione canonica (can. 1557 §
2, n. 2). Nel maggio 1966 Elisabeth presenta tramite un patrono il
libello di domanda presso la Rota, chiedendo in solidum all’abbazia e
alla congregazione C il risarcimento del credito, dei danni e degli
interessi. Le parti convenute eccepiscono prima della loro citazione
la mancanza di legittimazione passiva; soltanto nel maggio 1972 la
Rota accetta il libello della domanda. La concordanza del dubbio
avviene nel luglio 1973. Dopo un’istruttoria molto travagliata, nel
corso della quale cessano nel loro incarico il ponente ed un altro udi­
tore del turno, nel giugno 1982, dopo la « conclusio in causa », si
decide di rimandare la sentenza per cercare una volta di più una
transazione (can. 1925) tra la parte attrice ed ognuna delle due parti
TRIBUNALE DELLA ROTA ROMANA 591

diendi, sive ob necessitatem innumera documenta comparando Pa­


tres Auditores de Turno ad causae decisionem die 1 Iunii a. 1982 le­
gitime congregati edixerunt: « dilata decisione, piacere de concordia
inter partes », iuxta mentem in eodem Decreto datam.
Sed Rev.mus Ioannes Angelos Abbo, tunc a Secreteris Praefectu-
rae rerum oeconomicarum Sanctae Sedis et olim S. Romanae Rotae
Praelatus Auditor, cui munus concordiae conciliandae commissum fue-
rat, quamvis assiduas impenderet curas, die 15 aprilis a. 1983 commu­
nicare debuit « che i miei tentativi non hanno avuto esito positivo » ob
oppositas partium petitiones.
Et ita, defensionibus partium habitis una cum voto Promotoris
Justitiae ad casum deputati, die 8 novembris a. 1983 sententia primi
gradus prodiit, qua proposito dubio « Affirmative iuxta modum » re-
spondetur, « i.e. Abbatem et Abbatiam prò sua distincta parte et Su-
periorem Generalem et Congregationem C. prò sua distinta parte,
ideoque non in solidum sed unumquemque teneri ad solvendum domi-
nae Elisabeth creditum laboris, damna et foenora ob duo uniuscuiusque
partis conventae distincta eredita non soluta.
« Computationem vero sive crediti sive damnorum et foenorum fa -
ciendam esse iuxta legem civilem gallicani.
« Ex aequitate autem dominae Elisabeth prò rata solvendam esse a
partibus conventis eam pecuniae summam. quae in exsequenda senten­
tia definitiva Tribunal aptam aestimaverit prò indemnitate agendi
causam in Urbe Roma ».

convenute (a questo punto si era già accertato che non era provata la
loro responsabilità in solidum). Malgrado il tribunale avesse stabilito
l’ottobre 1982 come termine per questo tentativo conciliatore, sol­
tanto nell’aprile 1983 la persona incaricata informa dell’esito negati­
vo del suo intento. Nel novembre 1983 il tribunale emette la senten­
za che, pubblicata nel giugno 1985, condanna le due parti convenu­
te, le quali appellano presso il turno superiore.
Nel dicembre 1985 l’abbazia rinuncia all’appello e, nel marzo
1986, viene accettata la rinuncia e si dà il decreto esecutorio della
sentenza (c. Masala), affidandolo al tribunale diocesano di Parigi
(luogo dove si stipularono i due contratti). Il tribunale diocesano di
Parigi, dopo essere stato avvertito (dal ponente del turno rotale che
seguiva l’appello della congregazione C, mons. Palestra) dell’inadem­
pimento del suo obbligo, rispose (nel settembre 1987) che non riusci-
592 GIURISPRUDENZA

3. Sero, nempe die 24 junii a. 1985, Sententia publici juris fac­


ta fuit eo quod adhuc spes non defuisset pacificam inveniendi com-
positionem, speciatim ex partibus conventis cum sententia iisdem ad­
versa fuisset, sed adhuc frustra.
Appellatione a partibus conventis ad Turnum sequentem inter-
posita et citationibus iam intimatis prò dubio concordando, Abbas
Abbatiae declaravit diebus 2 novembris et 20 decembris a. 1985 se
recedere velie ab interposita appellatione, quare R.P.D. Ponens, De­
creto diei 21 martii a. 1986, renuntiationem, altera parte audita, ac-
ceptavit.
Sententia rotalis, ad Abbatem et Abbatiam Brugen. quod atti-
net, in rem judicatam exinde transiit ad norma can. 1641 (CIC
1983) necnon art. 156 Normarum S. Romanae Rotae Tribunalis.
Instante Cl.mo partis actricis Patrono, Turnus rotalis coram
Màsala, Pon., decreto diei 25 martii a. 1986 exsequendam mandavit
praefatam rotalem decisionem ad Abbatem et Abbatiam Brugen.
quod attinet, munus committens Rev.mo Officiali Tribunalis Eccle­
siastici Parisiensis in concreto determinandi, iuxta tenorem senten-
tiae et praescripta legis civilis Galliae quantum solvendum esset ac-
trici quoad ereditimi laboris, damna et foenora.
Cum autem Tribunal Parisien, per annum et ultra nihil perege-
rit ob difficultatem inveniendi Peritimi ad aptas peragendas ratioci-
nationes, novus in causa constitutus Turnus, Decreto diei 16 decem­
bris a. 1987 revocavit mandatum conlatum Rev.mo Officiali Pati­

va a trovare un perito in grado di stabilire la quantità da versare.


Nel dicembre 1987 si revoca il mandato esecutorio in favore del tri­
bunale di Parigi e si decide di eseguire la sentenza a Roma, secondo
le norme civili francesi. Finalmente, il 13 aprile 1988 si dà il decreto
esecutorio c. Palestro che viene immediatamente soddisfatto dall’ab­
bazia. Questo decreto specifica i criteri di calcolo degli interessi
indicati nella sentenza c. Pompedda, sui quali le parti non si accor­
davano.
Il superiore generale della congregazione C e la stessa congrega­
zione hanno proseguito con l’appello, e hanno chiesto l’intervento
come terzo della casa editrice F per chiarire ulteriormente il rappor­
to giuridico tra C e F, richiesta che non è stata accettata (a questo
punto si sapeva che la situazione tra loro era stata modificata dal
momento in cui ebbe inizio il contraddittorio). La sentenza c. Pale-
TRIBUNALE DELLA ROTA ROMANA 593

siensi et statuii Peritura constituendum esse in Urbe, iuxta instruc-


tionem a Ponente dandam.
Habitis tunc ab Exc.mo Legato Galliae apud Sedem Apostoli-
cam notitiis tum de usuris in Gallia vigentibus ab anno 1962 usque
ad annum 1987, tum dei nummi Gallici imminutione (‘svalutazione
monetaria’) in eodem tempore, perpensis ratiocinationibus a Perito
constituto, Dr. Benedicto Carlini, ex Instituto « per le Opere di Re­
ligione », exhibitis, Turnus Rotalis, decreto diei 13 aprilis a. 1988
determinavit iuxta tenorem sententiae summam debitam actrici,
quam Abbas Brugen. praesenti pecunia statim persolvit.

4. Superior Generalis et Congregado C., e contra, appellatio-


nem rite prosecuti sunt et post dubii concordationem, eorum Patroni
die 28 maii a. 1986 postulaverunt ut in judicium vocaretur, uti ter-
tius interventor, « Soc. F. (U.S.A.) », eo quod « partium conventa-
rum appellantium interest illam sibi adsciscere in litem quidem com-
munem... ad clariorem reddendam relatione — si quae adfuerit —
inter Congregationem C. et “Soc. F.” », sed Turnus rotalis, Decreto
diei 25 februarii 1987 statuii interventum necessarium in causa Soc.
F. non esse jubendum.
Brevi suppletiva instructione peracta ad instantiam Patronorum
partis conventae ac documentis noviter ab iisdem productis actis ad-
nexis, habitis Defensionibus Patronorum et voto prò rei ventate a
Promotore Justitiae Nostri Apostolici Tribunalis lato, Nobis causa

stro (15 giugno 1988) ha confermato la sentenza c. Pompedda appel­


lata e ha condannato la congregazione C al pagamento del credito
con gli interessi compensativi e con gli interessi moratori, che vanno
calcolati secondo le regole della capitalizzazione composta (interessi
degli interessi) e non della capitalizzazione semplice. A richiesta del
patrono della parte attrice (25 giugno 1988) e con il parere favorevo­
le del promotore di giustizia della Rota, è stata accettata una que­
stione incidentale « de exsecutìone sententiae ad normam can. 1652 »,
che si è risolta il 25 novembre 1988, momento in cui si è eseguita la
sentenza del 15 giugno 1988. Nel rispettivo decreto c. Palestro « de
concordia inter partes in exsecutìone sententiae rotalis » (26 novembre
1988), la parte attrice, attraverso il suo patrono, accetta la quantità
economica offertagli dalla parte convenuta e dichiara « se nihil aliud
petendum habere a parte conventa ac eo ipso obligatìonem suscipit se
594 GIURISPRUDENZA

jam prostat decidenda respondendo ad dubium die 20 decembris


1985 concordatimi:
« An sententia Rotalis in primo judicii gradu lata die 8 no­
vembri 1983 confirmanda vel infirmanda sit, in casu ».

In iure et in facto. — 1. Patribus infrascriptis visura est ante


omnia quaedam perspicere, quaeque vel anomala vel nimis mira appa­
rent si acta causae in suo complexu perpendentur et considerantur.
Societas F. tandem officium in se reciperat persolvendi obliga-
tiones susceptas a d.no Roberto erga D.nam Elisabeth {omissis), ta-
men aliquando expresse debitam mercedam prò versione libri XX
transmiserat, quin immo se paratam praebuerat solvendi « les deux
livres du R.P. G. » ab actrice versos postquam D.nus Robertus jam
in carcer detrusus fuerat, quare exinde Soc. F., decurrentibus annis,
nihil peregit ad obligationes susceptas satisfaciendas? Qua de re Su­
perior Generalis Congrégations C. vel Provinciali eiusdem Congre­
gatimi cui certe apta media non deerant, haud urgendam esse cen-
suit Soc. F. ad onera abhinc viginti quinque annos suscepta adim-
plenda, ne damna suae Congregationi obvenirent ob vocationem in
judicium a D.na Elisabeth peractam, speciatim post Turni decisio-
nem diei 1 junii 1982, qua concordia suadebatur vel saltem post de-
cisionem primi gradus?
2. Abbas Abbatiae Brungen., quem actrix una cum Congrega-
tione C. in judicium rapuerat ad pecuniam creditam recipiendam ex

nullam aliam actionem promoturam esse prò hoc eodem ohiecto adver-
sus partem conventam in qualibet iurisdictione ».

2. Diversi aspetti del diritto alla difesa. Autonomia del diritto e della
disciplina della Chiesa. Questioni sulla giurisdizione e sulla compe­
tenza.

Le decisioni rotali qui commentate manifestano che la pienezza


dell'ordinamento canonico, più volte affermata in sede normativa,
magisteriale e scientifica (ad es., vedi P. Lombardìa, Lezioni di dirit­
to canonico, Milano, 1985, p. 4-19, 73-75), ha una riprova in sede
giurisprudenziale, àmbito senza il quale le dichiarazioni giuridiche
fatte in altre sedi rischiano di rimanere inoperanti. L’importanza di
queste sentenze è notevole non soltanto per la rarità della materia
TRIBUNALE DELLA ROTA ROMANA 595

versione Missalis, sententia rotali habita, statini adquievit paratum-


que sese praebuit pecuniam debitam et detrimenta ab actrice pas­
sa sarciendi, dum Superior Generalis Congregationis C. appellatio-
nem, iure suo utens, interposuit causamque prosequendam curavit,
speciosa tamen adducta ratione, quam Patres vix credibilem repu­
tane
Enim Exc. mus, tunc Praeses Conferentiae Episcopalis Ameri-
cae Septentrionalis, a Congregatone C. de causa edoctus, die 8 julii
a. 1986 Nostro Apostolico Tribunali rescripsit contendens decisio-
nem Rotae Romanae jam latam « potrebbe essere dannosa in alcune
future azioni civili coinvolgenti comunità religiose se la decisione in
questione viene considerata dai tribunali americani come una affer­
mazione di diritto canonico che potrebbe essere usata come prece­
dente in cause future. In altre parole, i tribunali americani potrebbe­
ro stabilire che la responsabilità per la comunità religiosa esisterebbe
in tal caso sebbene non lo sia stato in passato secondo la legge civile
nel sistema americano », cui concordante R.P., Superior Generalis
Congregationi C. {Omissis).
Ast quidquid est de legibus vigentibus in America Septentriona-
li vel de opinabilibus decisionibus Tribunalium laicalium, superior
Generalis Congregationis C. ignorare non potest suam Congregatio-
nem Sanctae Sedi subiectam esse et ad leges, ad eadem, ad bonum
commune tuendum latas, servandas teneri. Unde allatum argumen-
tum omnino ineptum apparet. Etenim:

(non si riferiscono infatti alla nullità del matrimonio), ma fondamen­


talmente perché evidenziano in modo palese l’aspetto extraprocessuale
(garantistico) del diritto alla difesa, previo all’aspetto endoprocessuale
oggetto dell’ultimo discorso del Romano Pontefice alla Rota Romana
(cfr. su questa Rivista, p. 740; sui livelli endoprocessuale ed extrapro­
cessuale dell’attività giurisdizionale, vedi J. Llobell, Sentenza: deci­
sione e motivazione, in II processo matrimoniale canonico, Città del
Vaticano, 1988, p. 322-329). In effetti, dalla lettura delle sentenze si
evince l’esistenza della tutela giudiziaria dei diritti nella Chiesa, mal­
grado atteggiamenti contrari a tale tutela che si possono riscontrare
nelle ultime decadi e da diverse posizioni dottrinali (vedi ad es., E.
Corecco, L’amministrazione della giustizia nel sistema canonico e in
quello statuale, in Amministrazione della giustizia e rapporti umani.
(Atti del Congresso di Sassari, 14-16 novembre 1986), Rimini, 1988, p.
596 GIURISPRUDENZA

à) « Religiosus nequit, sine Sedis apostolicae Auctoritate, ad


dignitates, officia aut beneficia promoveri, quae cum statu religioso
componi non possunt » (can. 626 CIC 1917).
Omnes canonisti explanant relatam legem vetare religiosis « di­
gnitates, officia et beneficia stride saecularia » (cfr. Cappello, Summa
Juris Canonici, 1945, vol. II, p. 80, n. 63; Vermeersch-Creusen,
Epitome Juris Canonici, 1937, tom. I, pag. 580, n. 786, 1).
Porro P. Aloisius uti Praeses societatis F., minime officia pasto-
ralia exercebat, quia uti luculenter patet ex statutis eiusdem societa­
tis officium stricte saeculare detinebat cum decisiones « finali di na­
tura finanziaria » ipse capiebat, immo cum custodes fisci Americae
Septentrionalis statuerint « che possiamo (id est Soc. F.) continuare
come casa editrice non a scopo di lucro, ma che l’aspetto strettamente
commerciale della nostra azienda è soggetto a tassazione », constituta
fuit nova societas « F. Editori Ine. per trattare quella parte del nostro
lavoro che potrebbe essere considerata altamente competitiva e sogget­
ta a tassazione », cui praepositus fuit, uti Praeses, idem P. Aloisius
quique sese involvit, quin necesse esset, in quaestionibus oeconomi-
cis magni pretii. Ergo P. Aloisius munus stricte saeculare exercebat
et licentia S. Sedis indigebat ad innumera mala vitanda, quae hodie
lamentantur sive ab Exc.mo sive ab ipsa Congregatione C.
Insuper quaerendum esset utrum in actis Consilii Generalis vel
Provinciali adsit documentum seu « protocollum » sessionis in qua
actum est de electione P. Aloisius ad officium in societate F., de

133-140, dove espone in modo meno sfumato quanto scritto su La


sentenza nell’ordinamento canonico, in La sentenza in Europa. Meto­
do, tecnica e stile, Padova, 1988, p. 258-290. Per taluni rilievi criti­
ci, vedi G. Lo Castro, Il soggetto e i suoi diritti nell'ordinamento
canonico, Milano, 1985, p. 202-248; J. Hervada, Conversaciones
propedêuticas sobre el Derecbo Canónico, in lus Canonicum 28
(1988), p. 11-55).
Sotto il profilo extraprocessuale, non ci sembra che il torto più
grave della decisione del tribunale diocesano di Bruges consista nel
non aver eccepito, come doveva, la sua incompetenza assoluta per
giudicare l’abbazia e la congregazione (can. 1557 § 2, n. 2; 1892, n.
1), ma piuttosto nel consigliare all’attrice di rivolgersi ai tribunali
civili. E la gravità di questo consiglio non scaturisce soltanto dalla
violazione del privilegio del foro (can. 120 § 1), ma anche dal rifiuto
TRIBUNALE DELLA ROTA ROMANA 597

huius societate « fundatione » a P. Aloisius cum aliis personis facien-


da, deque limitibus huic religioso impositis, ne per illam activitatem
industrialem-commercialem amitteret suam figuram religiosi-sacerdo-
tis, vel detrimentum afferret ipsi Congregationi.
Ipse Superior Generalis Congregationis C., in judiciali vadimo­
nio coram Nostro Apostolico Tribunali, egit de inspiciendis « les
procès verbaux des conseils provinciaux », sed nemo usque adhuc ta-
lia documenta produxit.
b) Cum generatim officia civilia extra religionem sint saecularia
ac exinde licentiae S. Sedis subiecta, si Religiosus tantum de consen-
su sui Superioris (vel domus, vel provinciae etc.) aliquod officium in
aliquo peculiari opere assumpserit vel opus ex novo erexerit, sibi re­
servata bonorum administratione et gestione totius operis, praesu-
mendum est eumdem, etsi civiliter constituatur ac recognoscatur ad
vitandas iniustas leges civiles, quae operam Religiosorum coarctant,
saltem initio ab ipsa religiosa domo promanare vel aliquo modo su-
biectum esse, quare servari debent, in casu, normae de quibus in
can. 536, §§ 2 et 4, et consequenter can. 1557, § 2, n. 2 C.I.C.
1917.
Neque explicatur quomodo P. Aloisius uti religiosus, potuerit sua
pecunia, nempe privato sumptu, societatem civilem constituere et de­
bita tributa pendere insimulque dominus collocatae pecuniae singra-
phae esse, in societate publicis nominibus coalescente et emolumenta
dein percipere contra praescripta can. 580, § 2 et can. 594 § 2 nisi

di giudicare su controversie patrimoniali che appartengono, anche se


non esclusivamente, alla giurisdizione canonica, benché la legge
applicabile sia quella civile del luogo dove si è stipulato il contratto
(can. 1529 del CIC 1917, e can. 1290 del CIC 1983). A proposito
dell’intreccio tra giurisdizione ecclesiastica e giurisdizione civile, ci
sembra interessante mettere in risalto la rinuncia all’azione « in qua-
lìbet iurisdictione », fatta dalla parte attrice attraverso il suo patrono
(cfr. decreto c. Palestro del 26 novembre 1988, cit.; can. 1485).
Ma c’è un altro motivo per il quale queste sentenze sono impor­
tanti: esse sottolineano l’indipendenza dei giudici rotali, che hanno
dovuto faticare non poco per poter adempiere alla loro funzione,
superando non soltanto le difficoltà poste dalle parti convenute (in
particolare della congregazione C), ma anche dal presidente della
conferenza episcopale statunitense che, nel luglio del 1986, manife-
598 GIURISPRUDENZA

admittatur nomine suae Congregationis et in eiusdem beneficium


egisse, Superioribus probantibus et impensas sustinentibus.
Ceterum in ipso decreto admissionis libelli Patres iam edixerant
« de responsabilitate personae moralis religiosae in damnis respon-
dendis, si Superior Religiosorum ob defectum debitae diligentiae, in
culpa fuerit, et de actione “de in rem verso” ei competente, qui
damnum subierit ex negligentia leghimi superioris in exercitio sui
muneris » (ex Decr. diei 3 maii a. 1972), innixi iurisprudentia Rotae
Romanae, quam plurimis decisionibus firmata (cfr. S.R.R. Dee., voi.
6 (1914), p. 164, p. 167, nn. 22, 26; — voi. 29 (1937), pp. 456 ss.,
nn. 8 ss.; — voi. 30 (1938), pp. 551 ss., nn. 5 ss.; — voi. 31 (1939),
p. 360, n. 8; — voi. 6 (1914), p. 337, n. 5; p. 154, n. 2), quin Supe­
rior Congregationis C. omnia remedia juris expertus fuerit, tempore
utili, ad idem impugnandum.
Neque praetermitti debet gravis culpa R.P. Aloisius ex omissio­
ne debitate diligentiae (cf. can. 2199) vel ex imprudenza in confe-
renda fiducia D.no Roberto prò quo « era stato un garante », ut ve-
luti procurator in civitate Parisiensi suo nomine ageret, quamvis no-
visset oppositionem moderatorum Soc. F., et eumdem adhuc consi-
deravisset immaturum, potionibus alcoolicis deditum. Quae idem P.
Aloisius die 3 novembris 1959 uxori D.ni Roberto scripsit explica-
tione vel commentario non indigent:
« 1. Egli ha bisogno di qualcuno che prenda le decisioni per lui.
Egli ricerca sempre punti di vista particolari.

sto la sua opposizione alla sentenza appellata perché, in quanto affer­


mazione di diritto canonico, poteva essere usata come precedente
presso i tribunali civili degli USA che prendono in considerazione i
precedenti giurisprudenziali. Siccome la sentenza rotale modifica una
norma dello Stato a danno delle comunità religiose, si fa pressione
sui giudici affinché, in appello modifichino la sentenza c. Pompedda.
Il turno rotale (insieme al ponente italiano, mons. Palestra, vi era un
uditore brasiliano, mons. Corso, e un altro statunitense, mons.
Doran) ha indicato con chiarezza che questo « pericolo » (cambia­
mento delle norme e della giurisprudenza statuali in danno degli
interessi patrimoniali delle comunità religiose) non può intaccare
minimamente la sottomissione di dette congregazioni all’autorità del­
la Sede Apostolica, né l’obbligo della Santa Sede di applicare le leggi
della Chiesa per proteggere i diritti dei propri sudditi.
TRIBUNALE DELLA ROTA ROMANA 599

« 2. Bob non vive per adempiere ai suoi contratti ed è sempre a


domandare anticipi sui suoi pagamenti. Ciò è molto esasperante.
« 3. Egli pone sempre se stesso in posizioni così intricate, da
non riuscire a districarsene da solo eccetto che con la fuga; esempio:
l’obbligazione verso il C. Translation Service.
« 4. Bob parla troppo, sopravvaluta se stesso, cosa che gli pro­
cura dispiaceri quando il giuoco non vale la candela » etc.
c) Sententia Judieis denique, quam Divus Thomas vocat « quasi
quaedam particularis lex in aliquo particulari facto » (Summa, 2a,
2ae, q. 67, art. 1), tantum litigantes obligat resque afficit judicio ob-
noxias quare non licet eamdem uti principium generale considerare
vel ad alios casus vel ad alias factispecies extendere cum judex mora-
lem certitudinem attingat ex actis et probatis sibi a litigantibus pro­
positi, quare certitudo non est in omnibus sed in unaquaque mate­
ria secundum proprium modum (cfr. S. Thomas, Summa, 2a, 2ae,
art. 47, ad 2).
Iura et obligationes unius non significant jura et obligationes al-
terius, quia quaelibet persona moralis modo peculiari originem ducit
ac dein evolvitur vel decursu temporis immutatur, et Judex ecclesia-
sticus sub tali peculiari specie eamdem considerai et iudicat, sub mo-
deramine canonicae aequitatis suum judicum proferens.

3. Quamvis aliquando d.nus Roberto directe suam operam apud


Soc. F. impendere expertus sit, tamen anno 1962-1963 in Europa

Forse si potrebbe pensare che la Rota sia stata troppo genero­


sa nell’applicare le norme che prevedono il ricorso a mezzi non
prettamente giudiziari (transazione o arbitrato) per risolvere i con­
traddittori nel seno della comunità ecclesiale (can. 1925 del CIC
1917; can. 1446 e 1713 del CIC 1983). E ciò in primo luogo per­
ché nel giugno 1982, in seguito ad una « conclusio in causa » avve­
nuta diciassette anni dopo la presentazione del libello di domanda,
si decide di rimandare la sentenza per cercare una volta di più una
transazione (possibilità certamente prevista dal can. 1925 § 2); ma,
soprattutto, perché dalla redazione della sentenza, nel novembre
1983, alla sua pubblicazione nel giugno 1985, passano quasi due
anni, contro le indicazioni codiciali (cfr. can. 1876 del CIC 1917;
can. 1610 § 3, 1614 del CIC 1983), con la speranza che le parti
convenute, sotto la pressione di una sentenza di condanna, accet-
600 GIURISPRUDENZA

degebat, ubi, uti mandatarius Soc. F., immo vero P. Aloisius, li-
bros inveniebat, postea vertendes ac dein imprimendos cura Soc.
F.
Facta ab actrice enarrata, documenta ab eadem producta et a
nemine unquam impugnata, id absque dubio probant.
D.nus Roberto charta epistulari cum inscriptione Soc. F. ute-
batur et actrici rescribebat eidem committens munus vertendi duos
libros « destinés à la Société F. », nempe XX et YY, quorum auc-
tor erat « un religieux, le R.P. G. ».
Charta epistularis impressa fuerat a Typographo V., approdan­
te Societate F., uti expresse edicitur a teste Virgilio, qui refert de
visitatione peracta a. 1963 a typographo V. comitante d.no Rober­
to, apud sedem Societatis F.
Tali occasione, adstante et praeside P. Aloisius inter cenam
« donné en l’honneur de Roberto et de V. ». D.nus Roberto ascri-
bebatur « comme notre représentant européen » et d.nus V. « com­
me notre imprimeur européen ».
D.nus V. uti testis in judicium accitus facta enarrata a d.no
Virgilio confirmât.
Ex iis testimoniis clarissime probatur d.num Roberto fuisse
mandatarium Societatis F. prò Europa et legitime usum esse pro
suis litteris ad hune finem missis charta epistulari cum inscriptione
« Soc. F. » quam apud V. imprimere fecerat postquam P. Aloisius
et sui Consiliarii licentiam tradiderant chartam eiusmodi imprimen-

tassero una pacifica composizione (cfr. sentenza c. Palestro, « spe-


cies facti », n. 3).

3. La responsabilità della casa editrice F e dell’abbazia. La legittima­


zione passiva della congregazione C.

Il primo problema che si è dovuto risolvere in queste sentenze è


stato quello del rapporto giuridico tra la parte attrice (Elisabeth) e le
due parti convenute (congregazione C e abbazia). Tuttavia, per
quanto riguarda la congregazione, c’era addirittura una questione
precedente, cioè il rapporto tra Elisabeth e la casa editrice F. Sia la
casa editrice che l’abbazia negavano quel rapporto perché Roberto,
secondo loro, agiva per suo conto e non come loro rappresentante
(mandatario della casa editrice e gestore dell’abbazia).
TRIBUNALE DELLA ROTA ROMANA 601

di atque impressionem faciliorem reddiderant « lineamenta » novae


inscriptiones Soc. F. praebentes.
Consequenter d.nus Roberto constanter usus est charta inscripta
« Soc. F. » et contractum stipulavit cum aliis Editoribus, sese decla-
rans et subsignans « co-rédacteur de F. » et « représentant des édi­
teur (F.) ».
Edam testis D., operis socius cum d.no Roberto, perspectum
habebat d.num Roberto « Soc. F. » repraesentare, eius negotia cura­
re chartamque epistularem cum inscriptione « Soc. F. » adhibuisse
quin querelas recepisset prò usu improprio chartae.
R.D. Hugo, sacerdos dioeceseos Antverpien., qui auxilium d.no
Roberto praestabat eiusque nomine uti « associé » de Societate F.
«j’envoyais des rapports régulièrement» ad Societatem F., «je si­
gnais au nom de F. ou de F. Publisher » quin aliquam oppositionem
ex parte eiusdem Societatis F. novisset.
Si quae adfuerunt querimoniae ex parte Societatis F., id evenit
postquam d.nus Roberto prò suis commerciis privatis chartam epistula­
rem Societatis F. adhibuerit et nocumenta eidem Societati induxerit.
Pariterque R.P. Thierry M. confirmât d.num Roberto prò So­
cietate F. operam impendisse et chartam epistularem eiusdem Socie­
tatis adhibuisse, quin immo actrici directe rescripsit mense julio a.
1963: « indiquant que Mr Roberto était, jusqu à nouvel ordre, le re­
présentant de F.; il est peu vraisemblable — ait actrix — que le R.P.
Thierry lui ait attribué ce titre si la chose était inexacte ».

Le sentenze ricordano che il mandato si differenzia dalla « loca-


tìo-conductio operarum » in quanto è un contratto essenzialmente gra­
tuito, mentre la « locatio », sempre secondo la tradizione romanista
alla quale si richiama la giurisprudenza rotale (cfr. c. Pompedda, n. 6
e 9), è un contratto a titolo oneroso: « locatio-conductìo operarum est
contractus consensualis bilateralis, vi cuius altera pars alteri promittit
praestationem operae cum promissione recipiendi mercedem determina-
tam » (ibid.). Il lavoro oggetto del contratto può essere tanto intellet­
tuale quanto manuale. Per la validità del contratto non c’è bisogno
di alcun documento, essendo sufficiente la manifestazione esteriore
del mutuo consenso; il documento gioverà alla prova degli obblighi
assunti con il contratto {ibid.). Il mandante deve: a) assolvere gli
obblighi che il mandatario ha assunto in suo nome o quando il man­
dante li ha tacitamente accettati; b) assolvere le spese fatte dal man-

39. lus ecclesiae - 1989.


602 GIURISPRUDENZA

Ceterum idem P. Aloisius uti Praeses « Societatis F. », suo Ge­


nerali Religioso rescribens, admitit quod d.nus Roberto agebat
« comme agent pour obtenir des options sur des livres ».
Ergo d.nus Roberto, uti mandatarium, libros inveniebat, eorum
versionem curabat et de iis omnibus, uti mandans, respondere tene-
batur ipsi P. Aloisius, qui mandatum contulerat. P. Aloisius, enim,
ceteris administratoribus Societatis F. haud piene probantibus, « era
stato un garante per lui (Roberto) per anni » qui mandatum directe ab
eodem P. Aloisius acceperat inveniendi libros (quos ipse uti Modera­
tor Societatis F. seligebat et probabat), eo quod « pensava di avere un
uomo sul posto a Parigi, di cui potesse fidarsi per tenere queste relazio­
ni in piedi in modo che potesse essere di nostro vantaggio e così fu
che il sig. Roberto entrò in scena » (testis R.D. Vincentius).
Etiam d.nus Eugenius, e Consilio Administrativo Societatis F.,
censet d.num Roberto deputatum fuisse « a ricercare opzioni sui libri
che noi avremmo potuto desiderare di tradurre » directe, a P. Aloi­
sius.
Magni ponderis denique sunt quae R.D. Vincentius peregit ex
expresso mandato P. Aloisius « che è stato Presidente della F. Publi­
sher all’Università di ZZ chiedendomi se potevo chiudere le relazio­
ni tra la F. ed il sig. Roberto, al mio ritorno a casa ». R.D. Vincen­
tius iam ab anno 1949 fuerat « impiegato a tempo pieno » apud So-
cietatem F. et mercedem recipiebat, et anno 1975 adhuc sese prae-
fert uti « Direttore editoriale ».

datario neU’eseguire il mandato, benché l’esito del contratto sia stato


negativo senza colpa del mandatario; e c) risarcire i danni che il
mandatario si sia procurato o abbia prodotto ad altri nell’eseguire il
mandato (sentenze c. Pompedda, n. 9, e c. Palestro, n. 4).
La gestione di affari, invece, è un quasi-contratto analogo al
mandato ma nel quale manca per l’appunto l’accordo contrattuale,
dandosi soltanto una « praesumpta voluntas domini » (c. Pompedda,
n. 10); tuttavia il « dominas, id est ille prò quo res geritur, obstringi-
tur ad gestorem solvendum obligationibus susceptis » (ibid.). Dai fatti
si prova che, nel momento in cui Roberto stipulò il contratto di
traduzione con Elisabeth, tra Roberto e-la casa editrice F vi era
un contratto di mandato, e tra Roberto e l’abbazia un quasi con­
tratto di gestione di affari. In entrambi i casi vi era quindi un rap­
porto giuridico sostanziale tra la casa editrice, l’abbazia ed Elisa-
TRIBUNALE DELLA ROTA ROMANA 603

Munus commissum fuerat « di rompere i contatti del sig. Ro­


berto con alcune case editrici, dove questi aveva rappresentato la F.
prima ed essi non lo volevano più come loro rappresentante », et ad
hunc finem obviam habuit sive d.nam Elisabeth sive quinque vel
sex editores quibus communicavit quod d.nus Roberto « non aveva
più nessuna autorità di trattare con loro » iuxta « la lista » accep­
tant ab ipsa Societate F. « Informai tutti — ait — che il sig. Ro­
berto non aveva più relazioni con noi e me ne andai... feci un rap­
porto completo di quello che avevo fatto a Parigi in un consiglio
di Amministrazione o qualcosa del genere ».
Suam judicialem depositionem concludens testis adhuc confir­
mât: « L’unica cosa che è fissa nella mia mente è che volevamo
rompere le relazioni con il signor Roberto e questo era essenzial­
mente il mio compito cercare di mettermi in contatto con chiunque
egli (Roberto) potesse avere avuto relazioni di affari nei termini
della F. e dire che non volevamo che egli ci rappresentasse ancora,
che trattassero direttamente con ZZ per eventuali future cose, per
affari in sospeso, per qualsiasi cosa, ma che chiudevamo con lui co­
me rappresentante e se egli si presentava sostenendo che rappresen­
tava noi, non era vero ».
P. Aloisius nunc affirmât R.D. Vincentius haec omnia suo
marte perfedsse, sed eius declaratio vix credibilis apparet cum nul­
la ratio aderat ex parte R.D. Vincentius haes omnia valde molesta
et onerosa peragere nisi ex mandato accepto.

beth, il quale rapporto poteva giustificare la loro legittimazione


passiva.
Tuttavia non appare chiaramente come la casa editrice (una società
civile statunitense) possa essere parte di un processo presso un tribunale
canonico per una lite con una cittadina francese. La sentenza c. Pom-
pedda e, posteriormente, la c. Palestro hanno accertato l’identificazio­
ne (nel momento del contratto di Roberto con Elisabeth) tra la casa edi­
trice F e la congregazione C, principalmente tramite il presidente della
casa editrice (P. Aloisius) che è membro della congregazione: « societa-
tem (F) et ìstitutum (C) identificans » (c. Pompedda, n. 30); « societas F.,
..., re et facto, etsi non coram civili lege, ad Congregationem pertinet»
0ibid., n. 33; cfr. sentenza c. Palestro, « in iure et in facto », n. 1-7).
Per arrivare a questa identificazione, la Rota ha seguito i prece­
denti giurisprudenziali (c. Pompedda, n. 11), unanimi nell’interpreta-
604 GIURISPRUDENZA

Documenta aliata, facta ex actis comprobata, testium declaratio-


ne probant exinde d.num Roberto tunc egisse uti legitimum manda-
tarium Societatis F., rectius R.P. Aloisius cuius nomine et auctorita-
te libros inveniebat, versiones curabat ut dein imprimi potuissent a
Societate F., quae obligationes ab eodem contractas recognoscebat.

4. P. Aloisius adhuc contendit quod « Mr. Roberto ha agito co­


me agente F. sotto false pretese. F. pertanto, per nessun motivo si
sente responsabile dei debiti fatti da Mr. Roberto... in nessun mo­
mento egli chiese il permesso... da parte di F. per usare il suo nome
nella sua carta da lettera, pertanto egli si atteggiò illecitamente a
rappresentare la F. ».
Sed rationes quas P. Aloisius affert contradicuntur a probationi-
bus in actis quae iam retulimus.
Enim ostendimus d.nus Roberto legitime uti mandatarium So­
cietatis F. rectius P. Aloisius egisse ac exinde mandans tenetur
a) ad exsequendas obligationes quas ipsius nomine mandatarius
iniit vel saltem tacite ratas habuit;
b) ad solvendas expensas in exsequendo mandato factas, etiamsi
res, absque mandatarii culpa, malum habuerit exitum;
c) ad compensanda damna quae mandatarius, in exsecutione
mandati, in negotio gerendo passus est vel aliis intulerit.
Probationes in actis ostendunt mandatum fuisse expresse et per-
sonaliter coniatura a P. Aloisius, sed etiam si mandatum tacite conia­

re le norme codiciali sulla responsabilità patrimoniale degli istituti reli­


giosi per attività di questo tipo svolte dai loro membri. La sentenza c.
Pompedda per giungere alla responsabilità della congregazione poggia
prevalentemente sul concetto di azione « de in rem verso » {Digesto
XV, 1), « contra patrem vel dominum, in quantum utile habuit ex nego­
tio filli vel servi », la quale, secondo la giurisprudenza rotale, « teneri
quis potest canonico iure erga alium » (c. Quattrocolo, citata da c. Pom­
pedda, n. 11). La sentenza c. Palestro, invece (« in iure et in facto », n.
2), si riferisce al Codice del 1917 che, in materia, non è stato sostan­
zialmente modificato dal Codice 1983: « Si contraxerit regularis curri
licentia superiorum, respondere debet persona moralis, cuius Superior
licentiam dedit » (can. 536 § 2, CIC 1917; cfr. can. 639 § 2, CIC
1983); « Quidquid autem industria sua vel intuita religioni acquirit, reli­
gioni acquirit » (can. 580 § 2, CIC 1917; cfr. can. 668 § 3, CIC 1983).
TRIBUNALE DELLA ROTA ROMANA 605

tum fuisset eaedem exurgerentur obligationes cum facta concludentia


in casu confirmata, inducant acceptationem ex parte mandatarii (cf.
Messineo, Diritto Civ. e Comm., V, p. 40, Milano, 1972; Enciclope­
dia del Diritto, vol. XXV, p. 320).
Porro P. Aloisius, aliter ac nunc false asserii notum habebat d.
num Roberto versiones librorum ceteris personis tradidisse, uti eruitur
ex documenti ab eodem produciti, in judiciali vadimonio. « L’affidare
le traduzioni ad altri — scripsit d.nus Roberto mense julio 1963 — fu
discusso pienamente quando io ero a ZZ e nella successiva corrispon­
denza. Ogni cosa era stata approvata dalla F., come lei sa », quin im-
mo P. Aloisius, tempore opportuno, edoctus fuit de emolumentis sol-
vendis d.nae Elisabeth prò versionibus peractis.
Litteris diei 23 maii a. 1963 d.nus Roberto communicat transmi-
sisse versionem libri XX peractam ab actrice et postulat ut « dica a
Bill di inoltrare uno cheque per la somma di 300 dollari con cui io pa­
gherò Mrs Elisabeth, dopo aver dedotto gli anticipi già fatti a lei ».
Pariterque litteris diei 24 maii 1963 scripserat: « Ha lei autorizza­
to John ad inviare un pagamento per la somma di 300 dollari da dare a
Mrs. Elisabeth? ».
D.nus Roberto directe cum P. Aloisius quaestiones de versioni-
bus peragendis pertractabat sive quia ab eodem delegatus fuerat et
eumdem repraesentabat vel erga editores vel erga interpretes, sive
quia cum eodem familiaritate et amicitia coniunctus erat (cfr. Litteras
uxori d.ni Roberto a R.P. Aloisius datas).

Le congregazioni religiose, quindi, sono responsabili dei danni


occasionati con le attività patrimoniali dei propri membri quando il
religioso, col consenso della congregazione e a beneficio di essa,
intraprende delle attività commerciali che gli sono vietate senza il
permesso della Sede Apostolica, benché l’attività commerciale sia
della esclusiva responsabilità del religioso nel foro civile, ad es., per­
ché la legge civile limita ingiustamente la capacità di agire delle con­
gregazioni religiose (sentenza c. Palestro, « in iure et in facto », n. 2).
Inoltre, le congregazioni sono responsabili anche dei danni occasio­
nati con le attività patrimoniali dei propri membri se si può rinveni­
re una condotta colposa da parte del superiore religioso per difetto
della dovuta diligenza nell’esercizio della sua funzione. Chi ha subito
il danno può esercitare l’azione « de in rem verso » nei confronti della
congregazione religiosa (cfr. ibid.).
606 GIURISPRUDENZA

Edam Moderatores Societatis F. recognoscunt obligadones ini-


tas a D.no Roberto uti mandatario Societatis, uti et ceterum, nomi­
ne P. Aloisius, declaraverat edam R.D. Vincentius.
Die 28 maii 1963 D.nus Eugène, nomine « Editions F.-ZZ »,
scripsit d.no Roberto: «J’ai bonné l’ordre d’émettre une chèque
pour la tradution de XX, sur la base de 2 dollars la page, comme
convenu. C’est évidemment pour madame Elisabeth »; et quamvis
testis nunc haud omnia in memoriam revocet, epistulam de qua su­
pra denegare non potuit.
Habentur quoque litterae die 4 octobris 1963 ad actricem missae
a d.no W.H., Directore Generali Societatis F., quas praestat integre
referre: « Nous faisons quelques progrès dans la remise en état des
contrats de traduction avec Mr. Roberto. Nous avons été handicapés
par le fait que Mr. Roberto ne mettait pas de bonne volonté pour
nous libérer des obligations résultants des accords que nous avions signés
avec lui. Nous ne pouvons pas dire exactment quand ces détails se­
ront réglés mais nous vous écrirons dès que nous serons libérés.
« Nous avons un exemplaire de la traduction du livre XX, qui,
nous le comprénons, a été en réalité traduit par vous, et nous voudrions
d’abord régler cela. Nous n’en avons pas l’original. Nous compré­
nons aussi que vous possédez l’original de la traduction YY. Nous
voudrions que vous nous confirmiez ce point et nous vous demandons
de la consewer jusqu 'à ce que nous ayons obtenu les dégagements de
contrat nécessaires ».

La Rota Romana, secondo una giusta prassi di questo tribunale


apostolico, adopera in queste sentenze un’impostazione ampia sia del
concetto di azione processuale (« quonìam licei de iuris rigore non
datur actio absque obligatione, attamen de aequitate ista admittitur,
dummodo résultat locupletatio cum aliena iactura, in qua ratione unice
et principaliter ista aequitativa actio fundata est », c. Pompedda, n.
11); sia del concetto di legittimazione, passiva in questa occasione,
che non coincide pienamente con l’impostazione adoperata da altri
organismi della curia romana (vedi ad es. Pontificia commissionis
CIC AUTHENTiCE interpretando, Responsa ad proposita dubia, 20
giugno 1987, in lus Ecclesiae 1 (1989), p. 358-359; Supremum
signaturae APOSTOLiCAE tribunal, Sentenza coram Casti Ilo Lara, 21
novembre 1987, in lus Ecclesiae 1 (1989), p. 197-203. Cfr. inoltre
R.J. Castillo Lara, La difesa dei diritti nell’ordina?nento canonico, in
TRIBUNALE DELLA ROTA ROMANA 607

Ceterum edam d.nus Roberto, nomine Societatis F., actrici re-


scripserat die 8 junii 1963 solutionem totius crediti laboris prò certo
affirmans insimulque eamdem rogaverat ut suspenderet « toute ac­
tion auprès de la justice française ».
In actis adest, a nemine impugnata, directa admissio Societatis F.
in suscipienda obligatione solvendi versiones a d.na Elisabeth perac-
tas et a d.no Roberto, uti mandatario, postulatas litteris ad hunc fi­
nem actrici datis.
Habetur enim expressa admissio responsabilitatis ex parte Societa­
tis F.: «serait d’accord pour payer la traduction des deux livres du
R.P. G. », et nunc « la chantage » id est « il ricatto morale », uti actrix
referti « à la condition que je signe un contrat dans lequel je reconnaî­
trais savoir parfaitement que Mr. Roberto ne faisait partie ni des re­
sponsables ni des représentants de la Société F. », etc... Excerpta sive
litterae societatis F. sive « Agreement » seu documenti-pactionis « im-
positae » actrici ut percipere posset summam sibi debitam prò labore
traductionis duorum librorum completo, habentur in Summariolo.
Ergo Societas F. recognoverat pacta inita a d.no Roberto esse
ab ipsa societate servanda et solvenda; quod non intelligeretur nisi
d.nus Roberto egisset nomine et mandato ipsius Societatis.
Ad abundantiam meminisse juvabit epistulam quam die 15 julii
1963 R.P. Benedictus, qui erat oeconomus Abbatiae, scripserat actri­
ci, nempe quod « F. Publishers » « compte payer les collaborateurs
de M. Roberto ».

Il diritto alla difesa nell’ordinamento canonico. (Atti del XIX Congresso


canonistico, Gallipoli, settembre 1987), Città del Vaticano, 1988, p.
I-XVII).

4. Criteri per il calcolo delle quantità dovute. Suggerimenti per l’attua­


zione dell’art. 123 § 2 della Cosi. ap. « Pastor Bonus » (« de repara-
tione damnorum »).

La sentenza c. Pompedda afferma che gli obblighi pecuniari (per


quanto riguarda l’importo del credito non soddisfatto) seguono il cri­
terio nominale, cioè si deve pagare la quantità prevista nel contratto,
senza prendere in considerazione la perdita del potere di acquisto
della suddetta quantità: « In obligationibus pecuniaribus principium
valet nominalisticum adeo ut si te?npore intercedente inter exortum bine
608 GIURISPRUDENZA

Nescitur an clariore modo ipsa « F. » suam corresponsabilitatem


quoad operam versionis a d.na Elisabeth peractae manifestare potuis-
set. Sed gravius, nescitur quomodo P. Aloisius, religiosus Congrega-
tionis C., haec omnia negare ausus sit, contra veritatem quam ipse
certe noverai, nisi admittamus nunc, provectiore adepta aetate, a
memoria effluerit quamvis die 24 decembris 1964, cum adhuc uti
Praeses Societatis F. agebat, ac suo Superiori Generali referebat,
omnia bene perspecta habere debuisset.
E quibus omnibus patet d.nus Roberto uti mandatarium versio-
nem duorum librorum actrici commisisse, ideoque esse corresponsa-
bilem, quoad solutionem, Praesidem Societatis F. P. Aloisius, qui
mandatimi d.no Roberto commiserat et de quo sponsor erat.

5. Sed responsabilitas P. Aloisius uti Religiosis, in suam Con-


gregationem reincidit quia facta obiectiva e tabulis processualibus
emergentia arctam connexionem inter Societatem F. nuncupatam et
Congregationem C. probant.
Prima connexio eruitur ex praeminenti condicione P. Aloisius,
in costitutione, administratione ac gestione societatis « fondatore e
animatore » una cum alumnis Universitatis « ZZ dépendent elle aussi
de la Congrégation C ».
De se ipso P. Aloisius edicit: « Io ero Presidente di F. Publi-
shers Co. e consulente editoriale. Il Presidente prende le decisioni fi­
nali di natura finanziaria. Come consulente editoriale, io facevo una

debitum illinc creditum et solutam obligationem valor (vulgo “potere


di acquisto”) pecuniae mutatus fuerit, ea nominatim pecuniae sum-
ma sit solvenda et vicissim exigenda quae momento exortae obliga-
tionis numerata sit » (n. 7). Nel decreto c. Palestro, invece, si pren­
dono in considerazione — come chiesto dall’attrice (n. 1) — i danni
dovuti alla svalutazione monetaria (n. 5), « l'érosion monétaire » (n.
6) o « imminutio valons nummi gallici ab anno 1963 verificatam » (n.
11).
Per quanto riguarda gli interessi, le due decisioni concordano
nel distinguere tra gli interessi compensativi, per la mancata fruizione
dell’uso del denaro (« usurae compensativae »), e gli interessi moratoria
per la mora nel soddisfare il credito (« usurae moratoriae »). Questi
ultimi sorgono dal momento in cui si doveva soddisfare il credito.
Gli interessi compensativi nascono invece « dal giorno della doman-
TRIBUNALE DELLA ROTA ROMANA 609

scelta dei libri, giacché conosco il francese. Io dovevo approvare la


scelta dei libri ed allora lo staff editoriale se ne prendeva incarico ».
Loco citato pergit testis: « Il mio Provinciale sapeva del mio impe­
gno presso la F. Publishers ». « Il mio Superiore Generale sapeva del
mio impegno presso F. Publishers Co. ».
Sed P. Aloisius oblitus est commemorare quod ipse fuerat quo­
que Praeses societatis commercialis « Editori F. Ine. », quae ex insti­
tuto munus habebat pertractandi « vendita, promozione ed altre atti­
vità commerciali », quin proprie necesse fuisset, absque Sanctae Se-
dis licentia, religiosum constituere, uti Praesidem, ad societatem me­
re commercialem dirigendam. Unde veritati haud respondet P. Aloi­
sius in Societate F. fuisse uti consiliarium ecclesiasticum, uti Patroni
partis conventae contendunt et hic commemorantur quae adnotavi-
mus sub n. 2, huius sententiae.
Ipse declaravi permanere apud Societatem F. eo fine « di salva­
guardare gli interessi della Congregazione » (litt. d. 1 maii 1960) ac
voluisse inducere « un rapporto formale tra questo apostolato e la
Congregazione » ita dare et inambigue recognoscens jam adesse
strictam relationem cum Congregatione C. Ob leges civiles, tantum
modo informali haec connexio sese manifestare poterai (litt. d. 14
augusti 1951) cum re et facto Societas F. reapse ex ipsa Congrega­
tione penderet. Enim ipse prosequitur postulans a proprio Provincia­
li utrum Congregatio « è interessata a continuare ad identificarsi con
questo sforzo », litteris de quibus supra adnexum, dare edicitur mo­

da », secondo il criterio della giurisprudenza civile italiana recepito


dalla Rota (cfr. c. Grazioli, 24 febbraio 1937, in SRRD 29 (1937),
p. 138, n. 27). Questa terminologia (« dal giorno della domanda ») ci
sembra possa offrire meno dubbi che quella di « dies quo iudicium
incepit » adoperata dalle decisioni che commentiamo (cfr. c. Pomped-
da, n. 7; decreto c. Palestro, n. 6); in effetti sarebbe possibile indi­
care che il giudizio inizia con la citazione: « instantiae ìnitium fit cita-
tione » (can. 1517 del CIC 1983; cfr. can. 1732 del CIC 1917). Nel
presente caso, questo giorno avviene nel 1965 con la presentazione
del libello da parte dell’attrice presso il tribunale diocesano di Bru­
ges (decreto c. Palestro, n. 6). Entrambi gli interessi (moratori e
compensativi) vanno pagati dalle parti convenute.
Palestro precisa inoltre il modo di calcolare l’ammontare di detti
interessi, sul quale le parti erano in disaccordo. L’attrice ritiene che
610 GIURISPRUDENZA

deratores Societatis F. « si sono sentiti intimamente legati all’Uni­


versità ed ai Preti della Congregazione C... », ac denique « la nostra
associazione informale con la F. di Montréal, che è interamente di
proprietà e gestita dalla Congregazione, costituisce un altro legame
con la C. », quapropter necessitas exstat « di regolarizzare i nostri
rapporti e raggiungere un acordo più o meno permanente e recipro­
camente vantaggioso ». Nisi Societas F., saltem tempore de quo agi-
tur, reapse e Congregatone C. promanasset, non explicaretur cur a)
Provinciali Congregationis transmissae sint ratiocinationes annuae de
acceptis atque de expensis ( = bilancio) una cum notitiis de omnibus
rebus gestis; b) expresse postuletur ut Societas F. concoqueretur
« come un ente morale... sulla stessa base con cui la F. di Montréal
appartiene ed è gestita dalla Provincia del Canada » ita ut stabilìter
definiatur « il rapporto — qui iam exstat — della F. con la Congre­
gazione »; c) Congregato C. tradiderit Societati F. « attrezzature,
schedario clienti, credito » quae nocere poterant societatibus directe
gestis, nempe « WW Press » et « F. Canada »; d) aes alienum con-
tractum solvi debuerit a Societate F. Canada et a Provincia USA po­
stuletur « un sostanziale contributo finanziario sotto forma di un pre­
stito a lungo termine per il capitale attivo corrente ».
Unde facta obiectiva demonstrant p. Aloisius administrasse So-
cietatem F., summa auctoritate praeditum, edam in rebus oeconomi-
cis disponendis, re et facto veluti a propria Congregatione deputa-
tum in utilitatem et commodum ipsius Congregationis, intuitu dein

il calcolo debba essere fatto secondo le regole degli interessi a capita­


lizzazione composta, cioè con gli interessi degli interessi (« foenora
composita »); la parte convenuta ritiene che le regole da applicare sia­
no invece quelle degli interessi a capitalizzazione semplice (« foenora
simplicia »). Tra le due possibilità, il decreto sceglie i « foenora compo­
sita »; e motiva questa scelta in base alla equità canonica e alle norme
e giurisprudenza francesi, applicabili in questo caso {ibid., n. 7-8).
Infine, la parte attrice non soltanto viene logicamente assolta
dalle spese giudiziarie (can. 1910 § 1 del CIC 1917; can. 1649 § 1,
n. 1 del CIC 1983), ma dovrà essere anche indennizzata dalle parti
convenute (in questo caso in solidum) per il prolungarsi della lite e
per gli « incommoda » subiti (« Si actor vel reus temere litigaverit,
etiam ad damnorum refectionem damnari debet», can. 1910 § 2 del
CIC 1917; cfr. can. 1649 § 1, n. 4 del CIC 1983).
TRIBUNALE DELLA ROTA ROMANA 611

Societatem F. ducere in publicam et apertam proprietatem Congre­


gationis, uti et eius Generalis postulabat. Porro cum ipse egerit de
consensi! sive proprii Provincialis sive Generalis Congregationis, de­
duci debet quod Societas F. tunc reapse opus fuisset, quod promana-
bat ex ipsa Congregatane, quae exinde tenetur de obligationibus a
P. Aloisius contractis sive vi can. 536 C.I.C., sive vi mandati d.no
Roberto coniati ut suo nomine ageret.

6. Recte exinde R.P. Benedictus ex Abbatia, qui aliquando


etiam P. Aloisius obviam habuerat uti Praesidem Societatis F., sine
ambagibus identificat Societatem cum Patribus Congregationis C. et
P. E.M. religiosus eiusdem Congregationis, litteris die 29 novembris
1964 ad proprium Generalem missis prò solvenda quaestione, quae
opponebat D.nam Elisabeth, Societatem F. et Congregationem C.,
déclarât: « Je viens d’être mis au courant d’une très déplorable affai­
re, dans laquelle le credit de notre Communauté est en jeu... Il y a
deux ans, une dame Elisabeth, nouvelle convertie à la foi catholique,
a été amenée par le besoin à faire des traductions d’ouvrages pour la
maison F. des Etats-Unis, en relation avec le monastère de Bruges...
Or, un dénommé Roberto, qui représentait F. et signait cornine tel sur
les formules officielles de cette Maison, et qui, de plus, résidait au mo­
nastère, était visiblement un escroc et n’a jamais payé Madame Eli­
sabeth... Sans se défaire de son dossier, Mme Elisabeth a porté la
cause devant Mgr., evêque de Bruges... Cette première demarche vi­
se d’abord l’Abbé; mais il est facile de prévoir que ce dernier tentera
de renvoyer la pierre à F. et que le verdict du tribunal peut être en
ce sens. Le Père Aloisius n’en sera que plus accablé et les frais se se­
ront accrus entre temps. Ce dernier a eu beau céder à un laique l’ad­
ministration officielle de F., personne ne s’y laissera prendre; Mme

I criteri giuridici sul risarcimento dei danni e sul modo di calco­


lare le quantità dovute, affermati da queste decisioni e che (quelle c.
Palestro) aggiornano i precedenti principi in materia applicati dalla
giurisprudenza rotale, offrono utili suggerimenti alla Segnatura Apo­
stolica per l’attuazione della nuova ed importante competenza attri­
buitagli dalla cost. ap. Pastor Bonus: « cognoscere etiam potest, si
recurrens id postulet, de reparatione damnorum actu illegitimo illato-
mm » (art. 123 § 2).
Joaquin Llobell
612 GIURISPRUDENZA

Elisabeth et son époux les premiers, sont loin d’être édifiés par ce
camouflage devant des obligations des justice... J’ose vous demander,
très Révérend Père, d’user de votre influence pour obtenir que ceux
des nôtres honorent leurs engagement, même s’ils ont été partiellement
trompés et même s’ils ont doubles frais à payer... Veuillez être assu­
ré qu’en tout cela, j’ai d’abord en vue les intérêts de C. et de l’Eglise,
et me croire ».
« Praefata epistula — uti scribit Promotor Justitiae Nostri Apo­
stolici Tribunalis — non indiget commentario quoad assertam conne-
xionem inter societatem F. et Congregationem C. Unicus est sensus
praefatae epistulae: societas F. reapse, etsi non formaliter, habito re­
specta legislationis Americae Septentrionalis, pertinet ad Congregatio­
nem C., et ad istius Congregationis necnon ipsius Ecclesiae tuendam
dignitatem, minatam modo iniusto agendi aliquorum asseclarum eiu-
sdem Instituti, qui etiam ad “camouflage” recurrunt ut rerum verita-
tem mutent, P. E.M. recurrit ad Supremum Moderatorem Congrega­
tionis C. ad quam et ille pertinet. Non solum, sed praedictus Rev.
E.M., cuius epistula evidenter alicui piacere non debuit, die 30 decem-
bris 1964 denuo scribit: “Ma lettre indiquait clairement que je veux,
avant tout, sauver le crédit moral de la Congrégation et de l’Eglise” ».
Quae omnia Rev. P. E.M. non scripsisset si sibimet persuasum
non esset Congregationem teneri locum Soc. F., de qua bene edoctus
apparet etiam relate ad munus P. Aloisius in eadem societate.
Epistula P. E.M. conscripta fuit anno ante quo Sacra Congrega-
tio prò Religiosis licentiam actrici concederet vocandi in judicium
Congregationem C. prò obligationibus erga actricem contractis a So­
cietate F. satisfaciendis.
« Superiores Maiores Congregationis C. — uti scribit Cl.mus
actricis Patronus — et P. Aloisius operam dedisse ad eadendam
“connexionem” arctissimam inter Congregationem et societatem F.
Publishers, quae se perficiebat per P. Aloysius, qui in societate F.
omnes facultates administrationis et gubernii habebat, scientibus et
consentientibus Superioribus suae Congregationis.
« Ideo explicatur conamen, quod P. E.M. appellai « camoufla­
ge » excludendi P. Aloisius a societate F., ne per ipsius praesentiam
in vertice societatis magis clara esset “connexio” quam “ex tune” ne­
gare conati sunt ».

7. Novimus R.P. L., tune Superiorem Generalem Congregatio­


nis C., die 5 januarii 1965 respondisse R.P. E.M., uti refert R.P.
TRIBUNALE DELLA ROTA ROMANA 613

Claudius, nunc Superior Generalis Congregationis C., in judiciali va­


dimonio diei 26 maii 1987 apud Nostrum Apostolicum Tribunal,
quin tamen in causae actis imaginem luce impressam epistulae de
qua agitur inveniri potuerit. R.P. Generalis promiserat « de faire une
photocopie » sed usque adhuc nihil pervenit. Utcumque ipse Rev.
mus Pater argumenta illius epistulae in compendio exponit referens:
« J’ai vu une copie de la lettre du 5 janvier. Le Père L. remerciait le
Père E.M. de l’informer de ce cas. Il lui disait qu’il ne pouvait inter­
venir dans ce cas. Ce n’était pas de sa juridiction, la Société F. n’é­
tant pas directment sous la juridiction du Supérieur Général ».
Sed quae Rev.mus Pater Generalis tune rescripserat haud veri-
tati piene respondebant quia litteris die 1 maii 1950, cum adnexo
memoriali, a R.P. Aloisius, Suo Provinciali datis, postulatur ut defi-
niretur quam celeriter « il rapporto della F. con la Congregazione »
quia « la casa Canadese (F.) è ansiosa di una soluzione ed anche il
Rev.mo Padre Generale » (qui tune erat R.P. L.), quin immo edici-
tur quod «un accordo... è l’espresso desiderio del Rev.mo Superiore
Generale. Non sarebbe nell’interesse della Congregazione lasciare
che la F. degli S.U. prenda un corso completamente indipendente ».
Quae omnia subintelligunt tum arctam connexionem Societatis
F. cum Congregatione C., cui interest ne in posterum Societas F.
« prenda un corso completamente indipendente » tum plenam cogni-
tionem factorum et interventum Superioris Generalis in quaestioni-
bus pertinentibus Soc. F. et Provinciam Congregationis C.
Denique, relate ad principium a Rev.mo Patre Generali asser-
tum apte Cl.mus Patronus actricis commentatur: « Haec enim verba,
prouti iacent et ab actuali Superiore Generali prolata sunt, signifi­
cam « in negativo »: societatem F. Publishers haud esse sub directa
iurisdictione Superioris Generalis; sed « in positivo » significant il-
lam societatem esse sub iurisdictione alicuius domus vel provinciae
Congregationis C., cuius Superior localis vel provincialis, in eam ha-
bet plenam iurisdictionem ». Iure merito, attento iure quo utimur,
Cl.mus Patronus censet Superiorem Generalem, cum consilio vel
consensu (secundum Constitutiones) sui Consiln Generalis, imponere
potuisse Superiori immediato Communitatis religiosae ad quam perti-
nebat Rev. Aloisius et a qua societas F. directe dependebat, ut iusti-
tia et aequitas observarentur in servandis obligationis contractis a
R.P. Aloisius, quae Praeside Societatis F., prò solutione crediti labo-
ris, foenorum et damnorum actrici illatorum prò libris versis, potiu-
squam curam quaestionis, etiamsi tantum formaliter, abiceret.
614 GIURISPRUDENZA

Ceterum agebatur de summa tam exigua, quae absque strepitìi et


clamore iudiciali solvi potuisset ne impendia longe praestarent inter
obligationes satisfaciendas, praeter sumptus Sedi Apostolicae allatos.
Unde cum appellata sententia concludendum est: « Ex hucusque
collectis invicte duo probantur: nempe societate F. promanasse ex Con-
gregatione C. aut saltem istius sodales gerere atque administrare ean-
dem societatem; atque inter dominum Roberto et societatem F. inter-
cessisse relationem cuiusdam contractus laboris, pressius mandati. Intra
cuius fines respondere debet societas F., nempe Congregatio C. ».

8. Quibus omnibus mature perpensis atque consideratis, Defen-


sionibus Patronorum et voto R.D. Justitiae Promotoris N.A.T. prae
oculis habitis, Nos infrascripti Patres Auditores de Turno, prò Tri­
bunali sedentes et solum Deum prae oculis habentes, Christi Nomine
invocato, declaramus, decernimus ac definitive sententiamus, propo­
sito dubio respondentes: Affirmative ad primam partem, Negative
ad alteram, seu Sententiam Rotalem diei 8 novembris 1983 confir-
mandam esse, ideoque tenetur pars conventa ad solvendum creditum
laboris parti actrici, seu dominae Elisabeth, idque juxta mensuram et
additis usuris a lege civili gallica statutam, cum in regione illa relatio
juridica constituta sit causam dans huic processui canonico.
Foenora et damna autem intelligi debent intra ambitum eiu-
sdem crediti, atque ideo petitio partis actricis de reficiendis damnis
quae ipsa passa esset sive in sua famiglia sive in promovenda causa
reiici debet; insuper agnoscuntur usurae, juxta legem civilem compu-
tandae, sive compensativae sive moratoriae.
Ex aequitate denique, ob incommodum instituendi causam lon­
ge a sua commoratione seu in Urbe Roma, solvenda erit dominae
Elisabeth illa pecuniae summa quae in exsequenda sententia a Tribu­
nali apta agnoscetur.
Decretum exectuionis sententiae separatim edetur ad normam
cann. 1651-1652.
Pars conventa damnatur ad omnes judicii expensas solvendas.

Romae, in sede Apostolici Romanae Rotae Tribunalis, die 15 ju-


nii 1988.

Victorius Palestro, ponens


Ioannes Corso
Thomas Doran
0Omissis)
Note e commenti
Pagina bianca
L’AFFAIRE DES TRÉSORS DE L’ANGE-GARDIEN

Liminaire. — I. L’arrêt de la Cour d’appel (résumé; arrêt; opinion du Juge Malouf;


opinion du Juge L’Heureux-Dubé). — IL La civilizatio judiciaire du droit canoni­
que: 1. L’éclairage du droit canonique. — 2. L’acceptation judiciaire de la théorie
de la civilizatio en droit patrimonial. — Conclusion.

Liminaire.
Le 17 décembre 1987 la Cour suprême du Canada refusait l’auto­
risation de pourvoi aux Musées nationaux du Canada 0), l’une des par­
ties en cause dans l’action introduite par la Fabrique de la Paroisse de
PAnge-Gardien contre ces Musées, ainsi que celui du Québec — repré­
senté par le Procureur général du Québec — et des collectionneurs pri­
vés. Le litige portait sur la propriété d’objets destinés au culte et ven­
dus, par le curé d’alors sans autorisation.
Ce refus de la Cour suprême rend final et exécutoire l’arrêt unani­
me de la Cour d’appel du Québec du 28 mai 1987, confirmant la déci­
sion de la Cour supérieure du Québec du 18 février 1980 (2).
Malgré son importance pratique et doctrinale, l’arrêt de la Cour
d’appel n’a obtenu que la publication d’un résumé (3). Pourtant, cet ar­
rêt apporte un éclairage fort complet aux questions de droit patrimonial
en litige et aux relations entre le droit canonique et le droit étatique,
établissant de façon judiciaire une « civilizatio » (4) du droit canonique,

(') Cfr. Musées nationaux du Canada c. Fabrique de la paroisse de VAnge-Gar­


dien (Qué.), [1987] 2 R.C.S. IX. Au Canada, en matières civiles il faut obtenir la
permission de la Cour suprême pour pouvoir en appeler. Les parties en litige se pré­
sentent devant trois juges de cette Cour et exposent leurs raisons. Les juges accep­
tent ou refusent l’autorisation sur le banc, sans donner des motifs par écrit.
(2) Cfr. Fabrique de la paroisse de l'Ange-Gardien c. Procureur général de la Pro­
vince de Québec, Musées nationaux du Canada et autres, [1980] C.S. 175.
(3) Cfr. Prévost c. Fabrique de la paroisse de VAnge-Gardien, Jurisprudence Ex­
press, 87-657.
(4) Nous avons déjà employé ce mot pour évoquer le phénomène contraire à
celui prévu actuellement au con. 22 CIC 83, voir E. Caparros, Droit civil, « Com­
mon Law » et droit canonique au carrefour du Droit québécois: « La Civilizatio » du

40. lus ecclesiae - 1989.


618 ERNEST CAPARROS

qui en droit québécois existe aussi de façon législative, notamment avec


la Loi sur les fabriques (5). De là l’intérêt de reproduire cet arrêt.
Les tribunaux canadiens, constitués selon le modèle de la Com­
mon Laiv, fonctionnent d’une façon différente de celle des pays d’Eu­
rope continentale. En effet, l’arrêt, à proprement parler, est fort suc­
cinct et ne comporte, en rapport avec son argumentation, qu’un renvoi
aux opinions des juges qui sont intervenus. Dans la cause qui nous oc­
cupe, il y avait cinq appelants et pour chacun d’eux un arrêt identique
a été prononcé. Nous n’en reproduirons donc qu’un seul. Deux juges
ont produit des opinions. Pour les fins de notre exposé nous avons
choisi de reproduire in extenso l’opinion du juge Malouf. Quant à celle
du juge L’Heureux-Dubé nous retenons l’extrait de la partie fonda­
mentale concernant notre propos. Nous avons ajouté des notes infrapa-
ginales de notre cru, donnant les références aux pages précises des ren­
vois ou des citations du jugement de première instance, déjà publié,
pour en faciliter la consultation.
Comme le juge Malouf relate les faits entourant ce litige, il ne
nous semble pas nécessaire de les reprendre. Il sied, cependant, d’ap­
porter quelques commentaires, pour mettre davantage en évidence la
portée de cet arrêt. Nous le ferons, à la suite du texte de l’arrêt.

I. L ’arrêt de la Cour d’appel.

Cour d’appel:
Le vingt-huitième jour de mai de mil neuf cent quatre-vingt-sept
Coram: L’Heureux-Dubé, Malouf, Rothman, JJ. C.A.

droit canonique, dans La Norma en el Derecho canònico (III Congreso Internacional


de Derecho canónico, Pamplona, 1976), Tom. II, Pamplona, 1979, 735-756; aussi
sous le titre: La « civilizatio » du droit canonique: une problématique du droit québé­
cois, 18 (1977) Les Cahiers de droit 711-731. Le juge de première instance s’inspire
de la notion de civilizatio présentée dans ce texte pour appliquer le droit canonique
à la solution du litige.
(5) Loi sur les fabriques, L.R.Q., c. F-l. Cette loi avait été fondamentalement
modifiée en 1965 (S.Q. 1965, c. 76) mais il s’agit d’un domaine où la législation a
été fort active au moins depuis le dernier tiers du siècle dernier (pour une esquisse
bibliographique voir E. Caparros, loc. cit., note 4, à la note 5). Au Québec les fa­
briques des paroisses sont, depuis plus d’un siècle, les corporations civiles proprié­
taires des biens ecclésiastiques des paroisses (église, cimetière, presbytère, objets de
culte, etc.). La loi de l’État — la Loi sur les fabriques et ses textes antérieurs —
comportent des éléments d’organisation municipale, ainsi qu’un bon nombre de dis­
positions du CIC 17 qui avaient été presque textuellement intégrés dans cette loi.
l’affaire des trésors de l’ange-gardien 619

Roger Prévost, et
Jean Soucy, et
Le Procureur général de la province de Québec, et
Les Musées nationaux du Canada, et
Jean-Paul Lemieux,

Appelants (Défendeurs)
c.

La Fabrique de la paroisse de l’Ange-Gardien

Intimée (Demanderesse)

Résumé
Un résumé plus complet est publié dans Jurisprudence Express, 87­
657.
En octobre 1962, le curé de la paroisse a vendu certains objets
anciens à l’appelant qui les a par la suite revendus à des tiers. La fa­
brique intimée réclame les biens ainsi vendus, au motif qu’ils étaient
des choses sacrées et hors commerce.
L’absence d’autorisation préalable d’ester en justice requise par
l’article 26 de la Loi des fabriques n’affecte pas l’action intentée par
l’intimée. L’exigence de l’autorisation préalable de l’évêque du dio­
cèse lui donne un pouvoir de surveillance et de contrôle adéquats
pour protéger les meilleurs intérêts de la fabrique, de la paroisse et
des ses paroissiens. Cette disposition de la loi ne vise pas à protéger
les tiers.
La Cour entérine l’opinion du premier juge qui a conclu que le
droit canon doit s’appliquer au présent litige. Il a eu raison de décla­
rer que les biens revendiqués étaient des choses sacrées et que, tant
et aussi longtemps que leur destination n’avait pas été changée par
l’autorité compétente, ils étaient hors commerce et ne pouvaient être
vendus. Le curé n’ayant pas obtenu les autorisations requises, n’a­
vait pas, selon le droit civil et le droit canon, le mandat nécessaire
pour vendre les biens appartenant à la fabrique.

Arrêt
L’arrêt établi de façon identique pour chacun des appelants se lit
comme suit-.
620 ERNEST CAPAKROS

La Cour, statuant sur l’appel de l’appelant contre le jugement


rendu le 18 janvier 1980 par monsieur le juge Paul-Étienne Bernier
de la Cour supérieure du district de Québec (6).
Après examen du dossier, audition et délibéré;
Pour les motifs exprimés dans les opinions écrites de madame le
juge Claire L’Heureux-Dubé et de monsieur le juge Albert H. Ma­
louf déposées avec le présent jugement, et auxquels souscrit mon­
sieur le juge Melvin L. Rothman.
Rejette l’appel avec dépens.
signé: Claire L’Heureux-Dubé
Albert H. Malouf
Melvin L. Rothman, JJ. C.A.

Opinion du Juge Malouf

Les faits. — Les pièces produites au dossier démontrent que


l’intimée, La Fabrique de la paroisse de l’Ange-Gardien, est une des
plus vieilles paroisses du diocèse de Québec et même de tout le Ca­
nada. Elle fut érigée canoniquement en paroisse le 3 novembre 1678
(14 ans après sa fondation) en même temps que celle de Château-Ri-
cher et de Sainte-Anne-de-Beaupré. Seules lui sont antérieures les
paroisses de Notre-Dame-de-Québec et de l’Ancienne-Lorette érigées
en 1664 et 1673 respectivement.
En octobre 1962, l’abbé Joseph-Henri Gariépy fut nommé curé
de la paroisse intimée ayant comme but principal de rénover l’église
et le presbytère et en même temps organiser le tricentenaire de la
fondation de la paroisse en 1964.
La preuve révèle que l’abbé avait déjà rénové et restauré d’au­
tres paroisses et, à la demande des autorités supérieures, il a consen­
ti à se rendre à la paroisse intimée pour faire un travail semblable.
Le 15 novembre 1962, très peu de temps après être entré en
fonction, l’abbé Gariépy donnait une commande au nom de la fabri­
que à la Procure Ecclésiastique Inc. de Québec pour l’achat de nom­
breux objets devant servir au culte. Parmi les trois marguilliers de la
paroisse, un était au courant de cet achat. Le deuxième étant malade
ne pouvait pas se rendre au presbytère et le troisième, un cultiva­
teur, venait très rarement au presbytère pour s’occuper des affaires

(6) Voir supra, note 2.


l'affaire des trésors de l’ange-gardien 621

de la paroisse. Après avoir reçu les objets en question, l’abbé a dé­


cidé de garder les anciens objets en la possession de la fabrique.
Le curé, ayant déjà connu l’appelant Prévost comme statuaire,
a eu des rencontres avec ce dernier concernant les travaux de réno­
vation ainsi que la restauration de statues. Le curé a par la suite
décidé de vendre certains objets à l’appelant Prévost, et ce dernier
les a revendus à des tiers. Dans tous les cas, le chèque fut émis pa­
yable à l’ordre de la fabrique et déposé au compte de cette der­
nière.
Les biens achetés par l’appelante Musées nationaux du Canada
constituaient en deux calices et une statue de la madone. L’appe­
lant Prévost avait acheté les trois objets en question de l’abbé Ga-
riépy, les deux calices en novembre 1962 et la statue en 1963.
L’antiquaire Jean Octeau a acheté ces mêmes objets de Prévost, la
statue en 1965 et les deux calices en 1968. La troisième transaction
a eu lieu entre, d’une part, Octeau comme vendeur et, d’autre part,
l’appelante Musées nationaux du Canada comme acheteur, cette
dernière ayant acheté la statue en 1965 et les deux calices en 1968.
L’appelant le Procureur général de la province de Québec dé­
clare que le Musée du Québec a acquis six chandeliers, un crucifix
et deux statues. Les six chandeliers et le crucifix avaient été vendus
à Prévost par le curé de la paroisse intimée en 1963. Prévost a ven­
du les six chandeliers à l’appelant Lemieux en 1965 et ce dernier
les a vendus au Musée du Québec en 1970. Prévost a vendu le cru­
cifix à Mlle Bergeron en 1963 et cette dernière l’a revendu au Mu­
sée du Québec en 1970. C’est en novembre 1962 que les deux sta­
tues en question ont été achetées par l’antiquaire Leclerc et reven­
dues par ce dernier au Musée du Québec en 1968.
L’appelant Soucy est venu en la possession de deux autres sta­
tues en les achetant de l’antiquaire Leclerc en 1968 qui les avait
achetées de l’abbé de la dite paroisse en 1962.
L’appelant Lemieux a toujours en sa possession les cinq pièces
suivantes, soit un bénitier, un encensoir, deux burettes et une ma­
done en bois.
Les parties admettent que tous les effets ci-haut mentionnés
appartenaient à l’intimée.
Vu les conclusions auxquelles j’en viens, il n’est pas nécessaire
de parler des autres objets mentionnés dans les procédures à l’ex­
ception de la madone, pièce DP-49, dont il doit être disposé de la
façon ci-après mentionnée.
622 ERNEST CAPARROS

En 1976, l’intimée réclamait des appelants les biens ainsi ven­


dus par le curé pour le motif qu’ils étaient des choses sacrées et hors
commerce. L’action entreprise par l’intimée donnait lieu à deux ac­
tions en garantie. Tous ces recours furent l’objet d’une enquête com­
mune.

Le jugement. — Le premier juge en est venu à la conclusion que


tous les objets en litige étaient avant leur aliénation destinés au culte
et utilisés à cette fin et par conséquent étaient des choses sacrées. La
destination au culte des biens revendiqués n’a en aucun temps été
changée par l’autorité ecclésiastique compétente. Le premier juge en
conclut que ces choses, étant des choses sacrées au moment de la
vente, ne pouvaient être aliénées parce qu’elles étaient hors commer­
ce et imprescriptibles. Il a donc accueilli l’action principale ainsi que
les actions en garantie.
Le premier juge a rendu un jugement fort élaboré et bien moti­
vé. Il est évident qu’il a consacré beaucoup de temps et d’énergie
pour le faire.
Les procureurs des appelants et de l’intimée ont eu l’opportuni­
té de soulever devant nous tous les points qu’ils considèrent impor­
tants au présent litige.
Bien que je sois entièrement d’accord avec les éléments essen­
tiels du jugement rendu par le premier juge, il est quand même né­
cessaire de répondre aux arguments principaux soumis par les appe­
lants.

La demande d'amendement et la propriété de la Madone, pièce


DP-49. — Le 16 mai 1978, les procureurs représentant le Procureur
général de la province de Québec et les Musées nationaux du Cana­
da demandaient au premier juge la permission d’amender leur plaido­
yer pour ajouter des allégués portant sur les us et coutumes et parti­
culièrement sur le mandat des curés au niveau de l’administration
des biens d’une fabrique, de façon à répondre plus adéquatement à
la dernière déclaration amendée de l’intimée. Le premier juge déci­
dait d’entendre toute cette preuve sous réserve d’une décision à être
rendue lors du jugement au fond. Lors de la décision au fond, la de­
mande d’amender les plaidoyers fut refusée.
Je suis entièrement d’accord avec les raisons données par le pre­
mier juge en refusant ladite demande. J’ajoute que, même si le pre­
mier juge avait accepté cette demande, elle n’aurait rien changé vu
l’affaire des trésors de l’ange-gardien 623

les conclusions auxquelles j’en viens après avoir analysé toute la


preuve.
Durant sa plaidoirie devant cette Cour, le procureur représen­
tant l’appelant le Procureur général de la province de Québec a réfé­
ré à la statue que le premier juge dans le dispositif de son jugement
a décrite comme suit: « une Madone provenant du Calvaire, déte­
nue par le Procureur général de la province de Québec, via le Musée
du Québec ». Il soumet que c’est par erreur que le premier juge a
déclaré l’intimée seule et unique propriétaire de cette statue dont la
description s’est glissée par erreur dans le dossier. Le procureur de
l’intimée admet que l’intimée n’a pas demandé la revendication de
cette statue. Il est donc nécessaire pour cette Cour d’ordonner que
cette statue dont la photo pour fins d’identification a été produire
devant nous comme pièce DP-49 soit remise au Musée du Québec.

Les points en litige. — Les prétentions des appelants peuvent


être résumées comme suit:
1. L’action intentée devant la Cour supérieure serait entachée
de nullité absolue pour cause d’absence de l’autorisation requise par
l’article 26 de la Loi des fabriques, 1965 S.Q. ch. 76. D’après les ap­
pelants, le droit d’ester en justice en vertu de l’article 16 est assujet­
ti selon l’article 26 à l’autorisation de l’évêque du diocèse qui doit
être accordée spécifiquement et préalablement à l’institution de l’ac­
tion.
2. Le droit canon ne saurait trouver application dans le présent
litige.
3. Les biens en litige auraient été dans le commerce lorsqu’ils
furent aliénés.
4. Les biens aliénés auraient été dans le commerce au moment
de leur aliénation puisqu’ils n’étaient plus des choses sacrées, leur
destination ayant été changée par le curé de la paroisse.
5. Selon l’article 1486 du Code civil, tout ce qui est dans le
commerce peut faire l’objet d’une vente et, par exception, seules les
choses hors commerce en sont exclues. L’article 1059 du Code civil
est au même effet. Puisque l’intimée invoque que les biens en litige
constituent des choses sacrées, hors commerce et imprescriptibles, el­
le devait en faire cette preuve.
6. Les ventes faites par le curé seraient valides ayant été faites
avec l’assentiment de la fabrique et, par conséquent, les appelants
sont devenus légalement propriétaires des biens question.
624 ERNEST CAPARROS

7. Le curé aurait eu un mandat implicite de vendre les biens et


cette vente fut par la suite ratifiée par les autorités religieuses supé­
rieures.
Ce sont les principaux arguments des appelants. Cependant, ces
derniers ont aussi parlé de la prescription et de l’état des biens alié­
nés au moment de leur aliénation.
Je suis d’avis qu’il n’est pas nécessaire de trancher ces questions
à cause des conclusions auxquelles j’en viens. Je dis ceci parce que si
les biens revendiqués étaient au moment de leur aliénation choses sa­
crées, ils sont par le fait même hors commerce et imprescriptibles et
les points subsidiaires dont je viens de faire mention, y compris la
bonne foi des parties en cause, soulevés par les appelants, n’ont plus
aucune importance.

Le pouvoir d’ester en justice. — L’action dont la Cour supérieure


était saisie fut intentée en avril 1976 et par conséquent c’est la nou­
velle loi, la Loi des fabriques, 1965 S.Q. ch. 76, qui s’applique.
Les articles 18 et 26 se lisent en partie comme suit:

« 18. Toute fabrique a les pouvoirs, droits et privilèges des


corporations ecclésiastiques; elle peut spécialement pour ses
fins:
[...]
b) ester en justice »;

« 26. Toute fabrique doit être préalablement et spécialement


autorisée par l’évêque du diocèse de la paroisse ou de la des­
serte pour exercer, tant pour son patrimoine propre que pour
celui des fondations, les pouvoirs suivants:
[-]
g) les pouvoirs énoncés aux paragraphes b, f, g, h, j, 1, n, o,
p, r, s, et u de l’article 18 »;

Je dois ici ajouter que cette nouvelle loi a abrogé l’ancienne Loi
des paroisses et des fabriques, 1964 S.R.Q. ch. 303.
Les appelants prétendent que l’action intentée par l’intimée est
nulle d’une nullité absolue pour défaut d’autorisation préalable. Le
premier juge, en consacrant 27 pages de son jugement sur ce point (7),

(7) Id., aux p. 186-192 (le juge Malouf réfère certainement au texte dactylogra­
phié du jugement de première instance).
I. AFFAIRE DES TRESORS DE L ANGE-GARDIEN 625

a écarté l’argument présenté par les appelants et en est venu aux


conclusions suivantes:
1. Notre droit paroissial et fabricien a fort évolué avec le
temps, plus particulièrement par l’adoption de la loi précédente (la
Loi des paroisses et des fabriques), et sourtout par celle de la loi ac­
tuelle. Il cite les autorités pour appuyer son opinion à cet égard.
2. Les décisions rendues par nos tribunaux en vertu de l’an­
cienne loi ne peuvent s’appliquer à la présente cause parce que ces
décisions on déclaré nulle de nullité absolue l’absence d’autorisa­
tion, non pas tant pour cause d’absence d’autorisation proprement
dite mais plutôt par suite du fait que n’avaient pas été respectées
les exigences de la loi.
Or, tel n’est pas le cas de l’autorisation de l’évêque prévue à
l’article 26 de la Loi des fabriques, laquelle n’est nullement le fonde­
ment essentiel sur lequel repose l’existence du droit pour une fabri­
que de revendiquer ces biens. L’autorisation de l’évêque prévue à
l’article 26 de la nouvelle loi n’est pas et ne peut être une prescrip­
tion essentielle à l’existence du droit, mais une simple question de
formalité.
3. Dans le présent cas, il n’y a pas absence d’autorisation,
mais purement et simplement autorisation postérieure à l’institution
de son action par l’intimée. De plus, l’autorisation fut donnée avant
même qu’aucun des appelants n’ait produit sa défense.
4. L’article 2 du Code de procédure civile prévoit que les règles
de procédure sont destinées à faire apparaître le droit et à en assu­
rer la sanction. Le défaut d’observer de telles règles ne peut affec­
ter le sort d’une demande que s’il n’y a pas été remédié alors qu’il
était possible de le faire. De plus, selon l’article 56 du même code,
l’irrégularité résultant d’un défaut d’autorisation « n’a pas d’effet
que s’il n’y est pas remédié, ce qui peut être fait rétroactivement
en tout état de cause, même en appel ». Dans le présent cas, il n’y
avait pas absence d’autorisation mais purement et simplement auto­
risation postérieure à l’institution de l’action. Le premier juge consi­
dère qu’on avait remédié avec effet rétroactif au défaut en ques­
tion.
5. Finalement, quant à l’autorisation dont les appelants conte­
stent la validité, elle fut donnée par le vicaire général du diocèse
qui, selon les autorités citées par le premier juge, avait la même ju­
ridiction que l’évêque lui-même. De plus, son Eminence le Cardinal
Maurice Roy, évêque du diocèse de Québec, a dit lors de son té-
626 ERNEST CAPARROS

moignage que dès 1974 il était lui-même d’accord pour autoriser


l’intimée à exercer son droit de revendiquer les biens en question.
Je partage l’opinion du premier juge sur ce sujet. Il avait raison
d’écarter l’argument des appelants relatif à l’absence d’autorisation
pour les raisons énoncées dans son jugement.
Je suis d’avis que lorsque le législateur a décrété que le pouvoir
d’ester en justice doit être préalablement autorisé par l’évêque du
diocèse, il a simplement voulu donner à l’évêque une surveillance et
un contrôle adéquats pour protéger les meilleurs intérêts de la fabri­
que, de la paroisse et de ses paroissiens. Cette disposition de la loi
n’est pas là pour protéger les personnes qui posent des gestes ou
prennent des actions contre les meilleurs intérêts de la fabrique et
de ses membres.

La connaissance de la provenance des biens en litige. — Le pre­


mier juge, après avoir retracé les transactions qui ont eu lieu concer­
nant chacun des objets en litige depuis leur aliénation par le curé
Gariépy et après avoir identifié les objets en possession de chacun
des appelants, en est venu à la conclusion que tous les appelants
« qui ont été mêlés à ces transactions étaient alors au courant que
ces objets provenaient de l’Eglise de l’Ange-Gardien ».
Voici quelques extraits de son jugement.

Il importe de mentionner ici que monsieur Jean Octeau,


alors qu’il était tel que susdit fonctionnaire du gouverne­
ment du Québec, avait été avisé par monsieur Paul Gouin,
le sous-ministre Guy Frégault et même le ministre Georges-
Emile Lapalme, de qui il relevait, qu’il fallait faire quelque
chose au sujet de P Ange-Gardien par suite de la rumeur qui
circulait à l’effet que des objets du trésor de cette paroisse
seraient disparus. Car il faut dire qu’à cette période, comme
ce fut le cas longtemps aussi par la suite tel que nous le ver­
rons, la paroisse de l’Ange-Gardien ignorait ce qu’il était ad­
venu des objets en litige (8).
[...]

Pour ce qui est des Musées nationaux du Canada, il importe


de mentionner que, dans un échange de correspondance
(P-42) entre eux, remontant au tout début de l’année 1967,

(8) ld., p. 181.


l’affaire UES TRÉSORS DE L’ANGE-GARDIEN 627

son préposé à titre de conservateur de l’art canadien à la


Galerie nationale du Canada, monsieur Pierre Théberge,
écrivait au préposé du gouvernement du Québec à titre de
conservateur de Part ancien au Musée du Québec, monsieur
Jean Trudel, une lettre dont extrait suivant:
« D’après cette lettre (provenant de Jean Octeau), la statue
(celle de la Madone et l’enfant) aurait quitté l’église en 1963
et je crois bien qu’il s’avérait que son ‘départ’ n’ait pas été
légal, la Galerie nationale, outre qu’elle se trouverait dans
une situation quelque peu embarrassante, songerait sans
doute à en faire la restitution à son propriétaire légitime ».
(Parenthèses par le tribunal) Q

En parlant du témoignage de l’appelant Prévost, le juge dit:

Il était aussi au courant qu’il s’agissait là de biens apparte­


nant à la fabrique de cette paroisse. Ainsi, lorsqu’on lui de­
manda s’il avait obtenu l’autorisation de la fabrique il ré­
pondit qu’il n’avait pas à la passer par les marguilliers, que
ce n’était pas son problème à lui mais du curé (10).

En parlant des transactions qui ont eu lieu entre l’appelant Pré­


vost et l’abbé Gariépy, il dit:

Cela eut lieu tout de suite après la nomination de ce dernier


comme curé de la paroisse de l’Ange-Gardien. De plus, leurs
tractations ne s’effectuèrenL qu’entre eux deux seuls soit à
l’insu et hors la connaissance et encore moins le consente­
ment de la fabrique, sans formalité quelconque et sans l’au­
torisation de l’ordinaire du lieu soit l’évêque du diocèse (").

En parlant de l’influence de Prévost sur l’abbé Gariépy, il con­


tinue:

Reste qu’influencé par celui-ci, et en raison des dons que ce­


lui-ci lui fit pour les rénovations du presbytère et de l’église,
il appert de son témoignage qu’il laissa Roger Prévost, qui
pour lui n’était ni antiquaire, ni brocanteur, ni une personne
qui s’occupait des choses antiques, partir avec ces objets

(9) Ibidem.
(10) là., p. 182.
(H) Id., p. 182-183.
628 ERNEST CAPARROS

qu’il reconnut comme destinés au culte. Au surplus il affirma


n’avoir en aucun temps vendu à Roger Prévost quoi que ce
soit pour un prix convenu mais plutôt avoir laissé celui-ci
ainsi les emporter. Laissé Roger Prévost les emporter, pour­
quoi? On ne l’a pas su. Chose certaine est que le curé Joseph-
Henri Gariépy fut induit en erreur. Aussi, après un certain
temps, demanda-t-il à Roger Prévost de les rapporter mais ce­
lui-ci refusa.
Chose curieuse est que Roger Prévost, en parlant de l’encen­
soir de Ranvoyze, déclara: Et j’ai dit: Ca, ça va partir, c’est
la première chose qui va partir, si ça reste là.
Chose aussi curieuse est que celui-ci déclara aussi, en parlant
des calices et ciboires, que c’étaient des affaires de musée et
non de collectionneurs privés, qui ne valaient pas cher et
pour lesquelles il n’y avait pas de marché dans le temps.
Pourtant, tel qu’il appert du témoignage de Jean-Octeau, dès
1965 au moins Roger Prévost offrait à celui-ci de lui céder
toute l’argenterie pour une somme de 15.000 $ alors qu’il
avait acquis tous les objets, peu longtemps auparavant, pour
un montant tout au plus de 1.150 $ corne nous le verrons
peu après.
Pourquoi de plus en l’occurrence cet empressement à s’en
porter acquéreur tel qu’il appert, à l’encontre des prétentions
de ce codéfendeur, des témoignages absolument dignes de foi
du sacristain, monsieur Arthur Huot qui contredit Roger
Prévost sur de nombreux points, et du vicaire du temps.
Au surplus pourquoi monsieur le curé Joseph-Henri Gariépy,
quelque temps après la disparition de ces objets, fit-il réponse
à Pierre-Célestin Côté, marguillier, lequel s’en enquérait,
qu’ils étaient en lieu sûr.
[...]
Cependant il y en aurait eu un autre, au montant de 350 $,
antérieur au premier d’environ une semaine. Chèques dont
les dates confirment le témoignage du sacristain Arthur Huot
et du vicaire du temps quant aux visites pressantes et réité­
rées que fit au curé Joseph-Henri Gariépy Roger Prévost et
cela dès les tout premiers jours qui ont suivi l’entrée en fonc­
tion de ce dernier le 4 novembre 1962 (12).

(i2) Id., p. 183.


l’affaire des trésors de l’ange-gardien 629

Le juge réfère aux extraits suivants du témoignage de Prévost:

Aux calices et au ciboire. Et ensuite de ça, je sais que c’est


des affaires de musées; je savais que c’était des affaires de
musées et non pas de collectionneurs privés. Alors, à quoi ça
me servait d’acheter ces choses-là!
[...]
C’a été la quatre ou cinquième fois que j’ai offert à mon­
sieur le curé d’acheter les burettes, que je voyais traîner sur
la fenêtre, et je pense qu’il y avait d’autres choses, je me
rappelle qu’il y avait d’autres choses, je me rappelle pas
trop, je pense que c’est l’encensoir de Ranvoyzé, qui était
là, sur la tablette du chassis; et qui avait l’air tout brisé. Et
j’ai dit: « Ca, ça va partir, c’est la première chose qui va
partir, si ça reste là » (13).

Et le juge continue:

Il n’est donc pas surprenant que, dès le 15 novembre de cet­


te même année 1962, l’on dut se procurer certains objets né­
cessaires à la célébration du culte comme des burettes, un
plat ou lavabo, des ampoules pour les Saintes Huiles, un en­
censoir, une navette et un bénitier avec goupillon, tel qu’il
appert de la pièce P-46.
[-]
Mais alors, si c’étaient là « des affaires de musées et non pas
de collectionneurs privés », quel empressement à s’en porter
acquéreur et les emporter. Surtout qu’il n’y avait aucun dan­
ger qu’ils disparaissent puisque la plupart de ces objets
étaient placés dans une voûte dont seul le sacristain avait la
combinaison.
[...]
Roger Prévost déclara que ces objets traînaient dans la sacris­
tie de l’église. Pourtant la preuve révèle d’abord que ceux-ci
étaient conservés avec les autres objets précieux dans la voû­
te dont il a été déjà fait mention.
[...]
C’est donc ainsi que la fabrique de l’Ange-Gardien fût, à
son insu et sans son consentement, désaisie de ses biens les-

(<3) ld.t p. 184.


630 ERNEST CAPARROS

quels sc trouvent maintenant en possession des défen­


deurs O'1).
Ce sont les conclusions que le premier juge a tirées de cette par­
tie de la preuve. Il est donc évident qu’il a mis en doute la bonne
foi et la crédibilité à tout le moins de l’appelant Prévost. Le premier
juge ayant vu et entendu les témoins est dans une position privilé­
giée pour se prononcer sur leur crédibilité.
Il est de jurisprudence constante qu’un juge siégeant en appel
ne doit pas intervenir pour substituer son opinion à celle du premier
juge quant à son appréciation de la preuve et de la crédibilité des té­
moins, à moins qu’il ne lui soit démontré que le premier juge a com­
mis une erreur manifeste donnant lieu à réformation.
Je suis d’avis que les appelants n’ont pas établi d’erreur manifes­
te dans l’appréciation de cette preuve par le premier juge non plus
qu’une erreur de droit dans les conclusions qu’il en a tirées.

Le droit canon s’applique-t-il au présent litige? — Selon les appe­


lants, le droit canon ne saurait trouver application au présent litige.
Les appelants ont présenté devant nous les mêmes arguments
qu’ils avaient soumis au premier juge. Je suis entièrement d’accord
avec les raisons données par le premier juge qui conclut que le droit
canon doit s’appliquer au présent litige.

Quelles sont les choses sacrées et sont-elles hors commerce? —


Avant de répondre à cette question, il est nécessaire d’examiner les
définitions du terme « choses sacrées ».
Les articles 2217 et 2218 du Code civil parlent de choses sa­
crées. Il appert de ces deux articles qu’une chose peut être sacrée
par sa nature, par exemple les restes des morts, ou par sa destina­
tion, comme par exemple un cimetière. Cependant, le Code ne don­
ne pas une définition complète de ce terme et il nous faut par consé­
quent recourir au dictionnaire et à la doctrine pour en trouver la dé­
finition.
Le Vêtit Robert, édition 1972:
Sacré: qui appartient à un domaine séparé, interdit et invio­
lable (ou contraire de ce qui est profane) et fait l’objet d’un

i14) ld., p. 184-185.


i.'affaire des trésors de l’ange-gardien 631

sentiment de révérence religieuse. [...] Qui appartient au


culte et à la liturgie.
Petit Larousse illustré, 1984:
Sacré: qui a rapport avec le divin [...] au service du culte.
Culte: hommage qu’on rend à Dieu.
Quillet, Nouveau dictionnaire pratique, 1974:
Sacré: des choses qui concernent la religion, le culte rendu à
Dieu; exemple: les vases sacrés dans différentes religions
[...]. Se dit aussi des choses qui ont été dédiées à la divinité
par une cérémonie religieuse spéciale [...].
P.-B. Mignault, Traité de Droit Civil, Tome IX, Montréal,
Wilson & Lafleur, 1916, page 409: Notre article ne dit pas
quelles choses, en dehors des cimetières, sont des choses sa­
crées. On peut dire d’une manière générale que les édifices
employés au culte religieux, qu’ils aient été consacrés avec
les cérémonies du rituel ou non, sont des choses sacrées. Tel
est le caractère des églises et sacristies, des ornements et au­
tres objets employés pour les offices religieux. Le change­
ment de destination enlève à la chose sa qualité de chose sa­
crée, et la rend susceptible de prescription, mais ce change­
ment ne saurait être présumé et notamment ne résulterait
pas de l’empiètement souffert.

Le professeur Ernest Caparros, professeur titulaire à la Faculté


de droit de l’Université Laval, expert en droit civil et de droit ca­
non, lors de son témoignage, a dit que d’après les auteurs contempo­
rains ainsi que les codificateurs, les choses sacrées sont tous les biens
qui étaient destinés au culte.
Selon toutes ces définitions, nous pouvons conclure que les cho­
ses sacrées sont celles qui sont consacrées au culte ou plus précisé­
ment employées pour les fins religieuses.
Cependant les appelants prétendent que tous les objets vendus
par l’abbé Gariépy n’étaient pas des choses sacrées au moment de
leur aliénation et par conséquent n’étaient pas hors commerce.
Le premier juge, après avoir examiné la jurisprudence, la doctri­
ne, le droit et le témoignage de deux canonistes experts en la matiè­
re, a fait les affirmations suivantes:

Or les choses « sacrées » sont, par définition, celles qui sont


consacrées c’est-à-dire dédiées ou destinées au culte soit pré-
632 ERNEST CAPARROS

cisément celle qu’en ont donnée les commentateurs comme


nous l’avons vu auparavant (,5).
[-.]
C’est dire que les objets revendiqués étaient choses sacrées,
comme telles hors commerce et imprescriptibles, ce qu’elles
continuent d’être « tant que la destination n’en a pas été
changée autrement que par l’empiètement souffert » tel que
stipulé à l’article 2217 C.C. (I6).

Je partage l’avis du premier juge.


Comme j’ai déjà dit, les appelants ont soutenu en première in­
stance et devant nous que les biens aliénés étaient dans le commerce
lorsqu’ils furent aliénés par le curé.
Le premier juge a consacré une bonne partie de son jugement
pour répondre à cette question (,7). Après avoir analysé la doctrine et
la jurisprudence, il en est venu à la conclusion que les biens revendi­
qués étaient au moment de leur aliénation choses sacrées et hors
commerce. Je fais ici miennes les remarques du premier juge à ce
sujet.

L'aliénation des biens en litige. — Vu que j’ai déjà décidé pre­


mièrement que les biens en litige étaient destinés au culte et par
conséquent choses sacrées, deuxièmement que leur destination n’a­
vait pas été changée au moment de leur aliénation, et finalement que
selon le droit civil les choses sacrées, tant et aussi longtemps que
leur destination n’ait pas été changée, sont hors commerce et ne
peuvent être vendues, je suis d’avis qu’il n’est pas nécessaire de dé­
terminer qui avait l’autorité d’aliéner les biens en litige.
Cependant, dans leur mémoire et durant leur plaidoirie, les par­
ties ont parlé longuement des dispositions du droit civil et du droit
ecclésiastique afin de déterminer si le curé avait le droit d’aliéner ces
biens.
Vu l’importance de cette question pour les parties, j’ai l’inten­
tion d’en discuter.
Soit qu’on réfère au droit civil ou qu’on réfère au droit ecclésias­
tique, la réponse quant à moi reste la même. Le curé dans le présent
cas n’avait pas reçu l’autorisation de vendre ces biens même si

(!5) là., p. 198.


(!6) là., p. 201.
(17) là., p. 196-203.
l’affaire des trésors de l’ange-gardien 633

on considère qu’ils étaient au moment de leur aliénation déconsacrés


et dans le commerce.
Examinons d’abord le droit civil.
Selon l’ancienne loi (Loi des paroisses et des fabriques, 1964,
S.R.Q. ch. 303) et la nouvelle loi (Loi des fabriques, 1965, S.Q. ch.
76), la fabrique est une corporation formée d’un curé d’une paroisse
et des marguilliers. Le curé pas plus que les marguilliers ne peuvent
agir indépendamment les uns des autres. Les deux groupes exercent
leur office sous la juridiction de l’évêque qui administre le diocèse.
Le notaire Georges-Michel Giroux, docteur en droit, dans la Revue
du Notariat, Québec, vol. 55, octobre 1952, numéro 3, nous dit à la
page 96 que le curé n’est ni l’administrateur ni le représentant de la
fabrique. Il n’en est qu’un membre et ne peut donc agir pour la fa­
brique. Toujours selon le notaire Giroux, dans les matières impor­
tantes le curé ne peut s’en remettre à son jugement. C’est la corpo­
ration elle-même qui doit arrêter par résolution l’acte à poser avec
tous ses détails. Cette résolution doit autoriser un procureur, ordi­
nairement le curé, à communiquer cette décision et à signer l’acte
autorisé sans que celui-ci n’ait à exercer aucun jugement de discré­
tion. À la page 98 de ce même article, il ajoute:

L’Eglise qui doit durer longtemps veut que ses êtres infé­
rieurs conservent leur capital stable pour les générations fu­
tures et décrète qu’aucun acte pouvant mettre en péril de
tels biens ne puisse être posé sans la permission des chefs
ecclésiastiques.

Je suis d’avis que le curé ayant agi de son propre chef sans l’au­
torisation de la fabrique n’avait pas le mandat nécessaire pour ven­
dre les biens appartenant à la fabrique.
Passons maintenant au droit ecclésiastique.
Le professeur Ernest Caparros, lors de son témoignage a décrit
les étapes et les formalités qui doivent être suivies lors de l’aliéna­
tion d’un bien ecclésiastique appartenant à une fabrique. Il nous dit
que le droit canon exige, selon les canons 1530 et suivants, premiè­
rement une estimation écrite faite par des experts, deuxièmement
une juste cause, c’est-à-dire d’urgente nécessité, ou l’utilité de l’égli­
se ou un motif de piété, et troisièmement la permission du supérieur
légitime sans quoi l’aliénation est invalide. Cette dernière condition
est absolument nécessaire sans quoi l’acte devient nul et on ne doit
pas omettre les autres exigences que peut prescrire le supérieur.

41. lus ccclesiae - 1989.


634 ERNEST CAPARROS

Dans le cas présent, le curé a aliéné de son propre chef les biens
revendiqués. Il n’a pas suivi la procédure établie par le droit canon.
Je désire maintenant référer à la publication intitulée « Discipline
Diocésaine » publiée par l’autorité de son Éminence le Cardinal Ville­
neuve, archevêque de Québec, dans la troisième édition de la Discipli­
ne du Diocèse de Québec, refondue selon le Code de droit canonique,
Québec, l’Action Catholique, 1937.
À l’article 21, le mot « aliénation » est défini comme « acte qui
transfère à titre gratuit ou onéreux la propriété d’un bien ecclésiasti­
que ». L’article 23 prévoit:

On ne peut aliéner légitimement ni validement un bien de


l’Église qu’aux conditions suivantes:
1) estimation du bien à aliéner, faite par écrit et par des ex­
perts honnêtes;
2) juste cause, c’est-à-dire besoin urgent, évidente utilité de
l’Église, motif de piété;
3) avis des intéressés, par exemple des premiers créanciers
dans le cas d’un nouvel emprunt;
4) permission, préalablement obtenue, de l’autorité religieuse
compétente, laquelle est l’Ordinaire du diocèse ou le Saint-
Siège, selon le cas.

Selon l’article 154:

Les administrateurs n’étant pas propriétaires des biens, mais


de simples représentants de l’Église de qui ils tiennent le
droit d’administrer, ils ne peuvent agir indépendamment d’el­
le; ils exercent leur office sous la juridiction de l’Évêque, qui
a le droit de déterminer le mode d’administrer, d’exiger la
reddition des comptes, de visiter les établissments ecclésiasti­
ques, etc.
Finalement, la règle 156 prévoit que les administrateurs ne peu­
vent « pas échanger sans permission écrite de l’Ordinaire d’anciens
objets comme un vase sacré, une statue, un tableau, un meuble, une
horloge, etc., quelle que soit la valeur de ceux qu’on offre en retour ».
Les mandements des évêques produits au dossier rappellent les
conditions d’aliénation des biens ecclésiastiques.
Je répète que l’abbé Gariépy n’a pas respecté les conditions men­
tionnées dans ces règlements au moment de l’aliénation des biens en
question.
l’affaire des trésors df. l’ange-gardien 635

Comme argument subsidiaire, les appelants invoquent l’existen­


ce d’un mandat apparent de vendre les biens en litige. Il se peut que
l’appelant Prévost ait été sous l’impression que le curé avait l’autori­
té apparente de disposer de ces biens. Cependant même si c’était le
cas, je ne suis pas convaincu que les autorités ecclésiastiques lui
avaient donné des motifs raisonnables de croire que le curé avait un
tel mandat (article 1730 C.C.).

Les biens en litige étaient-ils des biens sacrés au moment de leur


aliénation? — Il est acquis au débat que les choses sacrées tant et
aussi longtemps qu’elles demeurent choses sacrées sont hors commer­
ce et, par conséquent, ne peuvent être aliénées.
Le premier juge, après en être venu à la conclusion que les
biens aliénés étaient choses sacrées et comme telles hors commerce
et imprescriptibles, pose la question suivante:
« La destination au culte des objets en litige a-t-elle été dûment
changée? Telle est la question dont il importe maintenant de dispo­
ser » (18).
Il répond à cette question en affirmant que la destination au
culte des biens sacrés, propriété de la fabrique, ne pouvait être chan­
gée qu’après avoir satisfait à certaines formalités et obtenu l’autori­
sation de l’évêque du diocèse.
Je partage l’avis du premier juge qui énonce les motifs qui l’a­
mènent à ainsi conclure.
Je désire cependant ajouter quelques mots à ce sujet.
Il va sans dire que si l’autorité compétente change la destina­
tion de la chose sacrée, cette chose pourra alors être vendue en ob­
servant les formalités de la loi.
La preuve révèle que les objets revendiqués étaient destinés au
culte et étaient par conséquent choses sacrées. Vu qu’aucune preuve
n’a été versée au dossier à l’effet que leur destination a été changée,
il faut conclure que ces biens sont demeurés choses sacrées.
Je suis donc d’avis que ce que je viens d’énoncer doit disposer
du litige parce que, tant et aussi longtemps que les biens en question
demeurent choses sacrées et leur destination inchangée, personne n’a
l’autorité de les vendre. Ces objets ne peuvent être vendus qu’après
que leur destination ait été changée.

(is) U., p. 201.


636 ERNEST CAPARROS

Conclusion. — Par tous ces motifs, je suis d’avis que les appels
devraient être rejetés avec dépens.

Albert H. Malouf, J.C.A.

Nous reproduisons l'extrait de la partie fondamentale des note de


madame le juge Claire L'Heureux-Dubé, nommée depuis juge puînée de
la Cour suprême du Canada.

Opinion du juge L’Heureux-Dubé

[Extrait]

[...]

Le crux du litige est de déterminer si, aux termes des articles


2217, 2218 du Code civil du Bas-Canada et 553.1 du Code de pro­
cédure civile (19), il y a lieu ou non de s’en remettre aux données du
droit canon plutôt qu’au droit civil pour déterminer quels objets
sont « choses sacrées », qui en détermine la destination (le Curé, la
Fabrique ou l’église?) le caractère sacré (l’évêque ou uniquement l’u­
sage qu’on en fait?).
Les musées et les collectionneurs prétendent qu’il n’y a pas lieu
de recourir au droit canon mais uniquement aux dispositions du co­
de civil et de procédure civile à cette fin. La Fabrique pour sa part
soutient que seuls les cultes sont aptes à décider quels objets sont
destinés au culte. Une fois cette détermination faite, poursuivent-ils,
seule l’autorité ecclésiastique, en l’occurence l’Evêché, peut les dé­
consacrer et en autoriser l’aliénation.
Les articles 2217, 2218 C.c.B.-C. et 553 al. 1 C.P.C.:

2217: Les choses sacrées, tant que la destination n’en a pas


été changée autrement que par l’empiétement souffert, ne
peuvent s’acquérir par prescription.
Les cimetières, considérés comme chose sacrée, ne peuvent
être changés de destination de manière à donner lieu à la

(19) Il semblerait qu’une erreur fort compréhensible se soit glissée dans cette
référence. En effet, la citation reproduite plus loin indique qu’il s’agit bien de l’ali­
néa 1 de l’article 553 C.P.C., et non de l’article 553.1 C.P.C. L’article 553 se lit:
« Sont insaisissables: 1. Les vases sacrés et autres objets destinés au culte; [...] ».
Nous le corrigerons dans le texte.
l’affaire des trésors de l’ange-gardien 637

prescription, qu’après l’exhumation des restes des morts,


choses sacrées de leur nature.
2218: La prescription acquisitive des immeubles corporels
non réputées chose sacrée, et la prescription libératoire qui
se rapporte au fonds des rentes et redevances, aux legs, aux
droits d’hypothèque, ont lieu contre l’Église de la même ma­
nière et d’après les mêmes règles que contre les particuliers.
La prescription acquisitive des meubles corporels non répu­
tés sacrés, et les autres prescriptions libératoires, y compris
celles des sommes en capital, ont lieu contre l’Église comme
entre particuliers.
[...] (20)

Un obstacle procédural, que les appelants estiment péremptoire,


est plaidé in limine litis. En l’absence d’autorisation préalable et spé­
cifique de l’évêque, conformément à la Loi sur les Fabriques, la Fa­
brique n’aurait pas le pouvoir d’ester en justice.
Le premier juge a rejeté cet argument et à l’instar de mon collè­
gue, M. le juge Malouf, je suis d’accord pour les motifs qu’il invo­
que, d’autant qu’ici il y a eu ratification subséquente expresse de l’é­
vêque et sûrement implicite avant la prise de procédures.

* * *

La thèse des appelants est certainement séduisante. Par la com­


paraison des articles 2217, 2218 C.c.B.-C. et 553 al. 1 C.P.C. ne
sont choses sacrées que les objets utilisés ou servant en fait au culte
selon la destination que lui confère le curé, chargé à l’exclusion de la
Fabrique, de la direction spirituelle d’une paroisse. Ceci exclurait
tous les objets ici en cause puisqu’au moment de leur vente par le
curé ils ne servaient ni n’étaient utilisés pour le culte et donc
avaient changé de destination.

* * *

Je crois que pour bien comprendre l’esprit dans lequel le législa­


teur a adopté les articles du Code civil ici en jeu et son intention, en

(20) À cause de la même erreur signalée à la note 19, l’arrêt reproduisait ici
l’article 553.1 C.P.C., que nous avons suprimé car il ne concerne pas ce litige.
638 ERNEST CAPARROS

ce faisant, il faut partir du fait que si, au Québec comme au Cana­


da, il y a séparation de l’église et de l’état, existe parallèlement la li­
berté de religion. Chaque citoyen est libre d’adhérer au culte de son
choix et de le pratiquer.
Dans cette optique, il est naturel que l’état ait voulu favoriser
l’exercise de leur religion par les citoyens et qu’à cette fin il se soit
assuré que les objets nécessaires à l’exercise de ce culte soient dispo­
nibles en tout temps à cette fin. On pourrait croire aussi que, même
sans le dire spécifiquement, dans la même logique, il a implicitement
laissé à chaque culte la liberté de déterminer ses besoins à cet égard
selon sa liturgie propre ou ses croyances.
D’où la thèse de la Fabrique qu’il est nécessaire pour les objets
ici en cause, de référer au droit canon de l’Église catholique. Cette
thèse n’est pas moins séduisante.

* * *

S’il est vrai, comme le soutiennent les appelants, que le Code


civil est complet par lui-même et ne requiert pas de recourir à d’au­
tres, notamment pour le compléter, cette affirmation est bien géné­
rale et requiert qu’on y apporte des nuances.
La jurisprudence, par exemple, complète et explicite nombre de
dispositions du Code civil. De même, les sources du droit civil, et la
doctrine. On a parfois recours aux us et coutumes, comme c’est le
cas en droit commercial, à la Common law en droit municipal et en
droit public, etc. Les emprunts sont fréquents et divers. Il n’y a rien
qui s’oppose, bien au contraire, à ce que le législateur ait entendu,
pour ce qui est des dispositions relatives au culte, qu’on s’en rappor­
te aux règles qui régissent ces cultes, fut-ce le droit canon pour la re­
ligion catholique-romaine, la Torah pour le judaïsme, le Coran pour
la foi musulmane, etc. Ce n’est pas là introduire ces codes religieux
dans le droit civil mais uniquement s’en rapporter à leurs prescrip­
tions dans leur domaine souverain: leur culte.
C’est ainsi que la doctrine et les experts entendus en l’instance
se sont prononcés.
L’argument de texte que nous proposent les appelants, tiré en
particulier des mots « servant au culte » à l’art. 553 al. 1 C.P.C. et
« destination » à l’art. 2217 C.c.B.-C. ne résiste pas à l’analyse puis­
que, même s’il fallait admettre que les choses sacrées doivent s’en­
tendre uniquement des objets effectivement utilisés, par opposition à
l’affaire des trésors de l’ange-gardien 639

ceux qu’on aurait remisés et qui ne serviraient pas à un moment


donné, il faudrait quand même se demander si la personne qui en a
ainsi décidé avait l’autorité pour ce faire. Ce n’est sûrement pas le
Code civil qui en traite.
Admettre que le curé est maître après Dieu et a cette autorité
présuppose qu’il la tient de l’autorité qui le nomme. Or justement,
cette autorité qui le nomme ne lui donne pas de ce fait ce pouvoir.
Au contraire, elle lui impose des restrictions.
Mon collègue, M. le juge Malouf, cite à cet égard les disposi­
tions spécifiques qui régissent les biens de l’église. Il rapporte ce
qu’en ont dit les experts en droit canon.
Tant le premier juge que mon collègue, M. le juge Malouf, ont
examiné cette question à fond. Je partage leur avis et, pour ce seul
motif, je disposerais de l’appel comme le suggère mon collègue, M.
le juge Malouf.

Claire L’Heureux-Dubé, J.C.A.

II. La civilizado judiciaire du droit, canonique.


En première instance les parties défenderesses avaient soulevé
une foule de questions (21). Elles allaient de la compétence de la
Cour supérieure pour entendre le litige dans le cas de Musées du Ca­
nada, pour des prétendues raisons de droit administratif cana­
dien (22), jusqu’à une longue preuve, finalement rejetée, des us et
coutumes contraires au droit en vigueur (25), et au mandat apparent
du curé qui lui aurait permis d’agir sans l’autorisation du Conseil de
fabrique et de l’évêque, comme l’exige la loi (2l1). Plusieurs de ces
questions apparaissaient nettement non pertinentes au litige (25).
En Cour d’appel, les appelants rétrécissent quelque peu leurs ar­
guments (26), même s’ils en retiennent encore quelques-uns déjà magis­

(2I) Le juge P.-E. Bernier en fait la longue énumération, voir supra, note 2,
p. 178-179.
F) Cfr. supra, note 2, p. 177-178.
P) Cfr. id., p. 192-196.
P) Cfr. id., p. 179, 201 et 203. Soulignons, cependant, que l’autorisation de
l’évêque n’était pas requise pour l’aliénation de biens mobiliers au moment où les
ventes se sont produites. Voir infra, note 30.
F) Cfr. notamment supra, note 2, p. 192-1.93.
(26) Voir supra, opinion du juge Malouf, au paragraphe intitulé « Les points en
litige ».
640 ERNEST CAPARROS

tralement écartés par le jugement de première instance. C’est le cas


du besoin de l’autorisation de l’évêque du diocèse pour que la fabri­
que puisse ester en justice. Cette exigence de l’article 26, paragraphe
g) de la Loi sur les fabriques, est une manifestation d’une civilizatio
législative découlant du canon 100 CIC 17. La preuve était assez
claire en première instance (27) et la Cour d’appel confirme sans diffi­
culté la décision du juge Bernier à l’effet que la fabrique avait reçu
une autorisation implicite de l’archevêque du diocèse dès avant le
début des procédures, explicitée par lettre du vicaire général peu de
temps après la prise de l’action.
Si on écarte les questions périphériques, nous arrivons à l’aspect
fondamental du litige, soit l’application des dispositions du Code ci­
vil du Bas-Canada (28) concernant les choses hors commerce, et plus
spécifiquement les choses sacrées, par les tribunaux québécois.
En droit québécois les choses sacrées sont considérées comme
étant hors du commerce. En conséquence, elles ne peuvent être l’ob­
jet ni d’une obligation (art. 1059 C.c.B.-C.), ni d’une vente (art.
1486 C.c.B.-C.), ni de la prescription (arts 2201 C.c.B.-C.). Le code
précise en effet: « Les choses sacrées, tant que la destination n’en a
pas été changée autrement que par l’empiètement souffert, ne peu­
vent s’acquérir par prescription » (art. 2217 C.c.B.-C.).
Le problème, dans l’abstrait, est fort simple, mais dans le con-
crêt, pour le résoudre, pour trancher ce litige concernant des objets
précis, le tribunal devrait pouvoir qualifier ces choses-là comme sa­
crées et s’assurer que leur destination n’avait pas été changée par
l’autorité compétente. Pour ce faire, c’est-à-dire pour appliquer le
droit civil québécois, les tribunaux avaient besoin de prendre con­
naissance du droit canonique. Cet éclairage leur permettrait alors de
procéder à la civilizatio judiciaire de ce droit afin de résoudre le liti­
ge selon le droit civil.

1. L ’éclairage du droit canonique.


La Loi des fabriques (29) en vigueur au moment de la vente des
objets en litige comportait déjà plusieurs éléments de civilizatio légis­
lative du droit canonique, notamment concernant le besoin de l’au­
torisation de l’évêque du diocèse pour que la fabrique puisse poser

(27) Cfr. supra, note 2, p. 191-192.


(28) Cfr. notamment, les articles 1059, I486, 2201, 2217 et 2218 C.c.B.-C.
(29) L.Q. 1965, c. 76.
i.’affaire des trésors de l’ange-gardien 641

des actes importants de nature patrimoniale. L’article 26 de cette loi


reprenait l’essentiel des dispositions des canons 1530, 1531, 1532 et
1527 du CIC 17. Toutefois, elle ne rangeait pas, à l’époque (30), la ven­
te des biens mobiliers parmi les actes exigeant une autorisation de l’é­
vêque. À la rigueur, les dispositions générais de la Loi des fabriques au­
raient pu permettre de conclure que ces ventes étaient nulles, puisque
la fabrique n’est pas une corporation unipersonnelle et que le curé ne
peut pas agir seul. Mais, dans le contexte du litige, les dispositions du
droit commun, notamment l’article 2217, semblaient plus fondamenta­
les et alors l’éclairage du droit canonique s’avérait nécessaire.
Certes, le juge québécois ne peut pas prendre connaissance d’offi­
ce du droit canonique. Il s’agit d’un droit étranger et comme dans les
autres phénomènes de renvoi, par exemple en droit international pri­
vé, on doit faire la preuve du droit étranger par témoins experts. Ainsi
une preuve du droit canonique fût présentée en première instance. La
Fabrique appela deux canonistes: le Chancelier du diocèse et l’auteur
de ces lignes. Ils furent soumis à un long contre-interrogatoire par les
procureurs des parties défenderesses qui, en revanche, ne présentèrent
aucun canoniste comme témoin pour contredire leur témoignage.
Le but d’une telle preuve est d’informer la cour sur le droit cano­
nique en vigueur, afin de lui permettre une application correcte des dis­
positions du droit civil. Une fois que la Cour avait en main les informa­
tions pertinentes concernant les corporations ecclésiastiques, la façon
dont des objets pouvaient être destinés au culte, sur l’autorité compé­
tente pour les désaffecter et sur les procédures requises pour vendre
ces objets, elle pouvait alors appliquer ces notions du droit canonique
au litige qui devait être résolu selon le droit civil.

2. L’acceptation judiciaire de la théorie de la civdizatio en droit pa­


trimonial.
D’une façon concrète et spécifique les tribunaux québécois, ont
reconnu que le recours au droit canonique est nécessaire, notamment
en droit patrimonial (51)- C’est dire l’importance de cet arrêt de la Cour
d’appel.

(30) Une modification introduite en 1973 (L.Q. 1973, c. 71, a. 5) ajoutait le


paragraphe i) à l’article 26: « aliéner des biens meubles présentant un intérêt histori­
que ou artistique ou acquis par la fabrique depuis plus de cinquante ans ».
(31) L’étude que nous avions faite auparavant [supra, note 4) se centrait sur le
droit matrimonial.
642 ERNEST CAPARROS

C’est là le propre de ce que nous avons appelé la civilizatio du


droit canonique. Contrairement au phénomène de la canonizado des
lois civiles prévues au canon 22 du Code de 1983, le droit québécois
ne comporte aucune disposition générale du même style. Nulle part,
en effet, les codes civils québécois (32) ne nous donnent une disposi­
tion, mutatis mutanâis (33), comme le canon 22: « Les lois civiles aux­
quelles renvoie le droit de l’Église doivent être observées en droit
canonique avec les mêmes effets, dans la mesure où elles ne sont pas
contraires au droit divin et sauf disposition autre du droit canoni­
que ». Toutefois, cela ne veut pas dire pour autant que le phénomè­
ne de la civilizado du droit canonique n’existe pas en droit québé­
cois. L’arrêt de la Cour d’appel que nous avons reproduit plus haut
en est une preuve.
Il faut, cependant, bien souligner qu’une telle façon de procéder
est légitime seulement quand le droit civil devient inapplicable sans
ce recours au droit canonique, comme c’est le cas dans le litige tran­
ché par la Cour d’appel et entériné par la Cour suprême du Canada.
Comme nous l’avons déjà souligné, en droit québécois la civili­
zado est parfois le produit d’une intervention législative (34). Dans
ces cas, c’est le législateur lui-même qui fait siennes des dispositions
du droit canonique dans sa propre loi. Il n’y a donc pas de renvoi au
droit canonique, mais une appropriation du droit canonique par le
législateur étatique. C’est la loi de l’état qui est appliquée, loi qui
contient des dispositions du droit canonique.
Mais il y a aussi en droit québécois une autre manifestation de
la civilizado par le renvoi implicite que des dispositions du Code ci­
vil font à des notions canoniques sans les définir ni réglementer.
C’est cette manifestation qui est illustrée par l’affaire de l’Ange-Gar­
dien. Dans ces circonstances la civilizado est faite de façon judiciai-

(32) Nous avons le curieux privilège d’avoir deux codes civils. L’ancien, le Co­
de civil du Bas-Canada, voué à la disparition. Et le nouveau: le Code civil du Québec,
qui finira un jour par remplacer l’ancien.
(33) Mutatis mutandis, si une telle disposition avait été insérée dans un Code
civil elle aurait pu se lire: Les dispositions du droit canonique auxquelles renvoient
implicitement ou explicitement le Code civil doivent être observées en droit civil
avec les mêmes effets, dans la mesure où elles ne sont pas contraires à l’ordre public
et aux lois prohibitives.
P'*) C’esL le cas pour la Loi sur les fabriques, supra, note 5. D’une façon plus
ou moins similaire la Loi sur les évêques catholiques romains, L.R.Q., c. E-17, envisa­
ge des aspects de civilizatio en rapport avec les corporations simples des évêques.
l’affaire des trésors de l’ange-gardien 643

re, c’est-à-dire que les tribunaux doivent recourir au droit canonique


afin de pouvoir donner sa pleine portée au droit civil. Bien sûr, les
juges ne peuvent pas référer d’office au droit canonique et si aucune
des parties au litige n’offre d’en faire la preuve, le tribunal ne pour­
ra pas bénéficier de l’éclairage de ce droit. Mais si la preuve est pré­
sentée, il peut alors, comme dans notre cas, aller chercher les dispo­
sitions du droit canonique nécessaires à la solution du litige et procé­
der ainsi à la civilizatio de ces dispositions, afin de donner sa pleine
portée au droit civil.

Conclusion.

L’arrêt de la Cour d’appel est important à plusieurs titres. Tout


d’abord, le refus de la Cour suprême d’autoriser le pourvoi indique
clairement que le plus haut tribunal du pays n’a rien trouvé qui jus­
tifiait son intervention. À ce point de vue l’autorité de l’arrêt est
plus grande que si l’autorisation de pourvoi devant la Cour suprême
n’avait pas été demandée.
L’arrêt est aussi important car il statue de façon claire que la ci­
vilizatio du droit canonique est requise afin de pouvoir appliquer
convenablement le droit civil québécois. L’argumentation présentée
aussi bien par le juge Bernier en première instance que par les juges
Malouf et L’Heureux-Dubé en appel le souligne avec force.
Enfin, on peut mettre en relief l’impact sociologique de l’arrêt
et même du procès en première instance en rapport avec la protec­
tion des biens ecclésiastiques. En effet, à une époque où bon nom­
bre d’antiquaires et collectionneurs tâchaient d’obtenir à vil prix des
objets de grande valeur et où certains curés, plutôt par ignorance, ne
respectaient les exigences ni du droit étatique ni du droit canonique,
la publicité qui a été donnée par les médias à cette affaire a eu l’ef­
fet salutaire d’arrêter ces ventes nulles.
Ernest Caparros
Pagina bianca
A LEGISLAÇÃO COMPLEMENTAR
DO CÓDIGO DE DIREITO CANÓNICO
DA CONFERÊNCIA NACIONAL DOS BISPOS DO BRASIL (*)

1. Os anos posteriores à promulgação do Código de 1983. — 2. Breve resumo histó­


rico do iter legislativo dos dois decretos. — 3. Normas relativas aos Sacramentos.
— 4. Normas relativas à Liturgia. — 5. Normas relativas à Organização Eclesiásti­
ca. — 6. Normas relativas à administração dos bens eclesiásticos e outros temas eco­
nómicos.

1. Os anos posteriores à promulgação do Código de 1983.

Durante os anos posteriores à promulgação do Codex luris Cano­


nici de 1983 tem se produzido uma série de Decretos emanados das
diversas Conferências Episcopais do mundo inteiro, que vem preen­
cher o espaço legislativo que o Legislador supremo tem deixado aber­
to, numa tentativa de descentralizar um pouco a legislação eclesial.
Para tanto, o C.I.C. atual tem encomendado às Conferências
Episcopais a elaboração de uma normativa que esteja mais de acordo
com as necessidades concretas de cada país ou região, facilitando as­
sim uma legislação mais realista e eficaz. De acordo com os cânones
455-456 as Conferências Episcopais gozam de verdadeiro poder legis­
lativo nas matérias em que o Código lhe confere tal poder e, em ou­
tras que lhes sejam delegadas pela Santa Sé, quer por motu proprio,
quer por pedido da própria Conferência.
Não havendo dúvidas acerca deste poder legislativo, coloca-se
porém o problema sobre a origem deste poder. Poder-se-ia pensar
que se trata de um poder que provém daquele poder legislativo que
cada um dos Bispos tem em virtude de seu ofício, mas esta interpre­
tação não deixa de ter uma certa dificuldade. Não se explica como
se pode impor a um Bispo, que tem uma opinião contrária à maioria
da Assembléia geral, uma determinada norma. Parece mais acertada

(*) Per il testo delle legislazione, vedi infra, p. 767.


646 LUIS MADERO

a explicação do fenômeno, feita por De Diego-Lora (') que mantém a


opinião de que esta normativa das Conferências Episcopais é feita
em virtude de uma reserva-delegação, operada pelo Legislador, de
determinadas matérias que inicialmente caberiam considerar no âm­
bito do poder dos Bispos, singularmente considerados, na frente de
sua Diocese, mas que estariam excluídas da sua competência direta,
mediante uma reserva feita pela Santa Sé, que, depois, mediante
uma delegação contida nos cânones concretos do Código, ou median­
te uma delegação específica, transferiria esta competência legislativa
às Conferências Episcopais. Certamente isto pode ser feito — em
linha de princípio — pela Santa Sé, já que outras autoridades legisla­
tivas inferiores não podem delegar este poder, a não ser que expres­
samente esteja previsto na lei (cfr. cân. 135 § 2).
A particularidade que oferece esta delegação do poder legislati­
vo radica em que sempre se requer a recognitio da Santa Sé antes de
que possa ser promulgado o Decreto geral por parte da Conferência
Episcopal, como manda o cân. 456.
De qualquer modo, é bom levar em consideração que o fato
de que tal aprovação seja precisa, pouco ou nada pode esclarecer
em relação ao problema em foco, pois o mesmo requisito se coloca
também para os Decretos e Leis que possam vir a ser ditados pelo
Concílio Plenário (cfr. cân. 446) ou particular, os quais ninguém
coloca em dúvida que tenham um poder legislativo próprio e não
delegado.
A natureza desta recognitio ou revisão por parte da Santa Sé
não está ainda suficientemente estudada, mas podemos dizer que se
trata de um expediente técnico chamado a garantir, na medida do
possível, que não existam contradições entre a legislação particular
de cada Conferência Episcopal ou Concílio Particular e a legislação
geral da Igreja; não nos parece que seja esta aprovação ou revisão
que vai determinar a força legislativa dos Decretos, já que estes
são ditados e promulgados pela própria Conferência Episcopal, ou
pelo Concílio Particular. E sempre serão normas de nível inferior à
legislação universal, e nunca porão normas de nível inferior à legis­
lação universal, e nunca poderão contradizer esta. Por outro lado,
como ainda não parece que se tenha desenvolvido na Igreja um
mecanismo jurídico para poder impugnar a lei particular — quando

0) C. De Diego-Lora, Competências normativas de las Conferencias Episcopa­


les: Primer Decreto General en Espana, in lus Canonicum, XXIV (1984), p. 553-557.
LEGISLAÇÃO COMPLEMENTAR DO CODIGO DO BRASIL 647

esta é ditada por autoridade inferior ao Romano Pontífice, e entra


em contradição com a legislação universal (cír. cân. 135 § 2) —
preferiu-se este sistema da recognitio prévia, cuja natureza ainda
está por pesquisar (2).
Do ponto de vista prático não tem muita transcendência esta te­
mática, já que cumpridos os pré-requisitos legais colocados pelo legisla­
dor supremo nos cc. 455-456, e promulgados convenientemente, os
Decretos constituirão leis de caráter particular, que terão força de lei
em todo o território da Conferência Episcopal. Depois que foi coloca­
da a dúvida sobre se deveriam ou não entender-se como compreendi­
dos no cân. 455 § 1 os decretos gerais executórios, e a resposta dada
pela Pontifícia Comissão de Interpretação Autêntica do Código, com
data de 05 de julho de 1985, pode ter-se introduzido um novo fator de
confusão neste sentido, como já advertiu a doutrina (3), mas que na
prática terá uma menor transcendência.
Feitas estas considerações preliminares podemos introduzir-nos
no estudo particularizado dos dois decretos de legislação complemen­
tar ao Código promulgado pela Conferência Nacional dos Bispos (re­
produzidos a seguir). Parece-nos conveniente fazer algumas conside­
rações de caráter histórico acerca do procedimento da criação destas
normas, para depois descer à análise dos mesmos.

2. Breve resumo histórico do iter legislativo dos dois Decretos.

A Conferência Nacional dos Bispos do Brasil (CNBB) acolheu


com grande entusiasmo a tarefa, que se lhe incumbia, de preparar
uma legislação particular adequada à realidade deste imenso país, que
adaptasse e complementasse devidamente a legislação universal. Me­
diante um acordo tomado na reunião do Conselho Permanente da
CNBB. que teve lugar nos dias 21 a 24 de junho de 1983 nomeou-se
uma Comissão integrada por alguns Bispos e vários peritos na área
canónica (4) que deveria « estudar e propor a redação da legislação

(2) C. De Diego-Lora, art. cit., p. 551-553.


(5) Veja-se entre outros V. Gomez Iglesias, Los Decretos Generales de las
Conferencias Episcopales, in lus Canonicum, XXVI (1986), p. 271-285; M. Bonnet,
Les decisions de la Commission d’Interprétation du Code, in Les Cahiers du droit Eclé-
sial, n° 4, 1985, p. 135-137. C. De Diego-Lora, art. cit., p. 548-549. L. Madero,
Comentários a esta resposta da Comissão de Interpretação Autêntica, in Direito e Pasto­
ral, n° 05, Rio de Janeiro, 1987, p. 42 ss.
(4) Aparece una carta do então Secretário Geral da CNBB, Dom Luciano
648 LUIS MADERO

complementar ao Código de Direito Canónico, em preparação à 22 a


Assembléia da CNBB ».
Iniciados os trabalhos da Comissão chegou uma carta circular
enviada pela Pontifícia Comissão para a Interpretação Autêntica do
C.I.C. a todas as Conferências Episcopais, na qual se relacionam sob
o título de « Competentia legislativa episcoporum conferentia-
rum » (5), todas as competências que o C.I.C. atribui às Conferências
Episcopais. Posteriormente foi enviada uma carta da Secretaria de
Estado aos Presidentes das Conferências Episcopais, com data de 8
de novembro del 1983 (6), na qual se lembra a necessidade de dar
prioridade ao trabalho de elaboração da legislação complementar pa­
ra que quanto antes possa ser promulgada. Se inclui uma listagem
com dois grupos de cânones do C.I.C. que expressamente contem­
plam matérias de competência das Conferências Episcopais. O pri­
meiro grupo de matérias com vinte e dois itens, se refere àquelas
matérias que podem ser reguladas pelas Conferências Episcopais; o
segundo visa diretamente às matérias que devem ser reguladas de
modo mais urgente. Como foi observado por De Diego-Lora « esta
distinção está marcada, mais do que por outras razões, pela urgência
de emitir a legislação particular (prontamente) nos temas de sua com­
petência, as Conferências Episcopais, distinguindo estas daquelas ou­
tras matérias que não requerem essa urgência » (7). De fato não pare­
ce obedecer a outros critérios de maior ou menor importância; unica­
mente se observa o estabelecido no Codex luris Canonici, em cada
um dos cânones em que faculta às Conferências Episcopais a legislar
sobre a matéria.
Com estes dados foi preparado um projeto pela Comissão no­
meada para tanto, que foi apresentado e ampiamente debatido no
plenário da 22 a Asembléia Geral da CNBB realizada de 25 de abril
a 04 de maio de 1984 em Itaici. Foram preparados pela Comissão
dois textos diferentes, « Legislação Complementar necessária ao Di-

Mendes de Almeida, dando notícia da constituição da Comissão e convocando-a pa­


ra uma primeira reunião no dia 22 de agosto de 1983, no Comunicado Mensal da
CNBB, de Agosto de 1983, n° 370, p. 816.
(Citaremos este órgão oficial da CNBB pelas siglas de CM).
(5) Cfr. CM., 31 de maio de 1984, p. 474.
(6) Cfr. ibid., onde se dá também um resumo do conteúdo desta carta que
apareceu publicada na íntegra na Revista « Communicationes », XV (1983), p. 135­
139. .
(7) C. De Diego-Lora, art. cit., p. 558.
LEGISLAÇÃO COMPLEMENTAR DO CODIGO DO BRASIL 649

reito Canónico » (8) c « Legislação Complementar Facultativa », se­


guindo de perto o roteiro dos cânones contido na aludida carta da
Secretaria de Estado.
As emendas apresentadas pelos diversos Bispos e também pelos
próprios peritos foram muitas e, logicamente, nem sempre concor­
des. Umas traduziam as opiniões dos diversos grupos de estudos e
outras tinham um cunho estritamente pessoal (9).
A votação foi feita levando em conta a minuta preparada pela
Comissão e as emendas apresentadas nas duas sessões anteriores. O
texto que ficou aprovado no plenário foi transmitido à Santa Sé para
a sua revisão. Este não aparece nas atas dado que ainda precisava da
recognitio, que se esperava fosse feita rapidamente (10). De fato não
foi assim, pois os diversos dicastérios da Curia Romana fizeram uma
certa quantidade de observações ao projeto enviado. Foram relativas
a dez itens concretos (“), sendo estudadas estas observações pela Co­
missão técnica e votadas na 23 a Assembléia geral da CNBB. Algu­
mas delas foram acolhidas como emendas ao projeto; houve outras
que o Plenário decidiu que era preferível manter a redação original,
por diversas razões alegadas pela Comissão técnica (l2).
Os resultados desta votação foram enviados de novo à Curia
Romana para serem submetidos a novo estudo por parte das Sagra­
das Congregações competentes. Parte das normas foram aprovadas
pela Santa Sé e promulgadas mediante o Decreto 2/86 de 27 de fe­
vereiro de 1986. O resto das normas complementares foi objeto de
novas observações por parte das Congregações romanas (1J). Estas

(8) Cfr. CM., 31 de maio de 1984, p. 406.


(9) Aparece uma ampla redação destas emendas no CM., anteriormente citado,
p. 407-411 e 415-419.
(10) Cfr. CAL, 31 de maio de 1984, p. 462.
(u) CM., 30 de abril de 1985, p. 383-389, onde se reproduzem muitas das
observações feitas pelas Congregações Romanas ao projeto inicialmente enviado, que
foram depois ampiamente debatidas. Estas visavam mais diretamente às normas re­
lativas aos cânones 1246 § 1 e § 2; 522; 284; 236; 961 § 2; 276 § 2, 3o; 1067;
1127 § 2 e 1129; 496; 766; 1251 e 1253. A Comissão preparou um documento de
trabalho em que se coloca o texto inicialmcnte aprovado pela CNBB, as observações
sugeridas pelos Dicastérios da Cúria Romana, e os novos textos que colocavam em
votação (cfr. ibid., p. 359-369).
(12) Cfr. ibid., p. 359-369. Aqui contém-se os resultados da votações feitas na
23a Assembléia Geral da CNBB.
O3) O texto destas observações encontra-se no CM. 31 de maio de 1986, p.
640-641; cfr. também CM. 30 de abril de 1986, p. 468 onde se deixa constar que
as observações ainda não tinham chegado por escrito.

42. lus ecclesiae - 1989.


650 LUIS MADERO

observações chegaram com um certo atraso, de maneira que não pu­


deram ser estudadas pela 24 a Assembléia Geral, pois foi decidido
aguardar a chegada por escrito de tais observações, o que se deu po­
steriormente. Por este motivo, o próprio Presidente da CNBB en­
viou uma carta P'1) ao prefeito da Congregação dos Bispos explicando
que, dadas as circunstâncias e, especialmente, o tempo que ainda fal­
tava para a celebração da próxima Assembléia Geral, estudou-se o
tema numa reunião mensal da Presidência e a Comissão Episcopal de
Pastoral decidiu enviar uma resposta às observações feitas, sugerindo
uma nova série de alterações nos textos, devidamente fundamen­
tadas.
Posteriormente chegou um Decreto da Sagrada Congregação dos
Bispos (Prot. n. 447/84) que mandava o texto aprovado pelo Roma­
no Pontífice e que foi promulgado pelo Presidente da CNBB me­
diante Decreto n° 04/86 de 30 de outubro de 1986. Como pode ob­
servar-se no proèmio do Decreto se afirma que foi dispensado de
aprovação por parte da Assembléia Geral, podendo proceder a sua
promulgação diretamente. Certamente que esta dispensa papal foi
dada em atenção às especiais circunstâncias de um certo atraso na
elaboração final das normas, pois, se se tivesse aguardado para sua
aprovação pelo Plenário teria demorado um bom tempo ainda.
Lembrados os passos que foram dados durante a elaboração dos
dois Decretos da CNBB — que mostram claramente que a recognitio
da Santa Sé não se limitou a um simples trâmite — podemos passar
a estudar com certa cautela e atenção as normas concretas. Podemos
agrupar estas normas seguindo um certo critério sistemático — um
tanto elástico — que não nos prenda excessivamente ao seguido pe­
los dois Decretos.

3. Normas relativas aos Sacramentos.

Caberia enquadrar neste primeiro item uma série de normas que


fazem referência aos Sacramentos e aos ministérios laicais, contidas
nos números 1-3; 12-16; 26-27; do Decreto 2/86, e as normas núme­
ros 17-18 do segundo Decreto 04/86.

(14) CM., 31 de maio de 1986, p. 683-685, reproduz-se neste comunicado


mensal a íntegra desta carta, que contém uma série de observações e propostas con­
cretas em relação às normas ainda pendentes da recognitio.
LEGISLAÇÃO COMPLEMENTAR DO CODIGO DO BRASIL 651

A primeira delas relativa aos ministérios de acólito e leitor, esta­


belece as condições que devem reunir os candidatos a estes ministé­
rios laicais. Convém salientar que se usa o termo de Ordinário com­
petente para designar aquele que tem jurisdição sobre a comunidade
eclesial, dentro da qual o possível ministro vai prestar seus serviços.
Não restringe a norma ao Ordinário local o poder de admitir a tais
ministérios. Em segundo lugar convém salientar também que se usa
um termo de ampla abrangência: comunidade eclesial, porque não se
quis restringir com exclusividade a determinados tipos de comunida­
des eclesiais, como poderia ser a comunidade paroquial. Em terceiro
lugar cabe fazer notar que não se especifica bem claramente o prepa­
ro doutrinal e prático que devem ter estes candidatos, ficando logica­
mente a critério do Ordinário que os admite para tais ministérios;
mas é evidente que devem conhecer bem a doutrina católica e as
funções que vão desempenhar.
Esta norma foi aprovada tal como se encontrava no projeto en­
viado para a recognitio da Santa Sé sem nenhuma observação.
A norma número 2 do Decreto de 02/86 dita as normas que de­
vem seguir-se para os aspirantes ao diaconado permanente. Estas fo­
ram também aprovadas com o mesmo conteúdo substancial com que
sairam aprovadas pela 22a Assembléia Geral da CNBB, mas tiveram
certas observações feitas pela Santa Sé, que não afetam ao fundo da
matéria, e que foram aceitas pela seguinte Assembléia Geral, na sua
maior parte (15). A primeira destas observações tende a precisar a for­
mação que devem receber os aspirantes ao diaconado permanente,
acrescentando-se que deverá ser segundo as normas da Santa Sé e da
CNBB; este inciso não constava no original e foi pienamente aceito.
Foi rejeitada a observação proposta pela Santa Sé que dava uma for­
mulação mais ampla ao item 7 do atual: « Participem com a maior fre­
quência possível da celebração eucarística ». O texto final, mais rigo­
roso, foi mantido pela 23 a Assembléia Geral « Participem enquanto
possível, cotidianamente, da celebração eucarística de forma que se
torne o centro e ápice de toda a sua vida »: assim não se faz outra
coisa do que lembrar o convite ou a exortação contida no cân. 276 §
2, 2o, tendo um caráter mais concreto para os diáconos permanentes.
Coloca-se como obrigação, anualmente, os candidatos passarem
juntos um período de estudo mais intensivo, troca de experiências e
aprofundamento dos seus ministérios. Parece uma norma um tanto

(15) Cfr. CM., 30 de abril de 1985, p. 236-237.


652 LUIS MADERO

elástica, deixando-se a critério do Bispo ou Ordinário próprio a de­


terminação do tempo que devem ter para tal atividade. Este período
de formação mais intensiva parece estar chamado a facilitar o mútuo
conhecimento dos candidatos, já que, na maior parte dos casos, não
puderam fazer um seminário.
Para atender à formação dos candidatos tem-se criado no Brasil
uma série de escolas diaconais em várias Dioceses (16). Também foi
criada, já faz tempo, a Comissão Nacional de Diáconos, que preten­
de coordenar toda a ação dos diáconos, e que representa os diáconos
junto à CNBB (17). Esta comissão tem organizado vários encontros
nacionais de diáconos permanentes.
A norma número 12, que pretende desenvolver o cânone 854, per­
mite a administração do batismo por imersão, deixando a critério do Bi­
spo Diocesano comprovar se se dão ou não as condições requeridas para
poder administrar o batismo deste modo. Seria lógico que se ditassem
normas mais concretas, dada a formulação do cânone 854, que deixa à
competência das Conferências Episcopais a elaboração de tais normas.
Na norma número 13 se determina que na inscrição do registro
que deve ser feita no livro de batismo da paróquia, quando se tratar
de filhos adotivos, deverá constar não só o nome do adotante, mas
também o dos pais naturais, sempre que assim conste no registro ci­
vil. Tem interesse esta norma, especialmente, visando a uma deter­
minação exata de possíveis impedimentos de consanguinidade, facili­
tando futuras provas. A norma nada acrescenta ao estabelecido no
cânone 877 § 2, determinando unicamente que seja feita a inscrição
quando no registro civil assim conste. Na lei brasileira está permitida
a adoção sem necessidade de que conste o nome dos pais naturais do
adotado; quando se fizer assim a adoção, e não constando também
no livro de batismo, poderá criar-se um problema com relação à exa­
ta determinação da consanguinidade.
A norma número 14 que estabelece os critérios para poder per­
mitir a absolvição sacramental coletiva, foi uma das que tiveram, na
fase de elaboração, uma série de observações de certa importância,
feitas pela Santa Sé, que fez notar a necessidade de uma revisão
completa do projeto, pois neste não constavam claramente expressos
os critérios que devem seguir os Bispos para permitir tais absolvições
coletivas. Estas observações foram pienamente aceitas pela própria

(16) Cfr. CM., 30 de abril de 1986, p. 474.


(17) Pode ver-se o seu estatuto em CAI. 30 de abril de 1985, p. 373-374.
LEGISLAÇÃO COMPLEMENTAR DO CODIGO DO BRASIL 653

comissão e se elaborou uma normativa mais concreta, que é a apro­


vada atualmente (18).
Se colocou o critério básico de que o tempo em que ficariam
privados os fiéis, se não se der a absolvição coletiva, seja de um
mês. A comissão preparatória apresentou um estudo acerca dos pra­
zos mais usuais incluídos nos lugares paralelos do C.I.C. para che­
gar a esta determinação do tempo requerido (19). Acrescenta-se tam­
bém como hipótese justificativa — mesmo que não seja por tanto
tempo que ficariam privados dos Sacramentos — quando for penoso
demais ficar nessa situação. Este último critério não se encontrava
diretamente contemplado no Codex e permite uma maior amplitude
na determinação da possibilidade de receber esta forma de absol­
vição.
A norma aproveita para lembrar os outros critérios contidos já
no Codex, e explicita também um pouco mais o cân. 963 em relação
à reiteração da absolvição coletiva sem prévia confissão individual,
quando diz que « ministros e penitentes poderão, contudo, sem cul­
pa própria encontrar-se em circunstâncias que legitimam o recurso,
mesmo repetido, a esse meio extraordinário de reconciliação. Não se
pode, portanto, ignorando tais situações, impedir simplesmente ou
restringir seu emprego pastoral (n° 4) ».
A norma n° 15 relativa à sede confessional não teve observa­
ções por parte da Santa Sé, e foi aprovada tal como estava no
projeto. Estabelece-se que a sede confessional (local apropriado para
ouvir confissões) seja normalmente o confessionário tradicional, ad­
mitindo-se também outro recinto conveniente, expressamente prepa­
rado para essa finalidade.
Além disso, determina-se que « haja também um local apropria­
do, discreto, claramente indicado e de fácil acesso, de modo que os
fiéis se sintam convidados à prática do sacramento da penitência ».
Esta segunda parte da norma deixa uma certa perplexidade, já
que o cânone § 964 § 2 unicamente autoriza às Conferências Epi­
scopais a ditar normas acerca da sede própria para ouvir confissões
(confessionário), e não propriamente a determinar o local próprio
que já vem determinado pelo parágrafo 1 deste mesmo cânone e
que é a Igreja ou o oratório (cfr. cc. 1214 e 1223). Portanto, penso
que deve entender-se que tanto um como outro devem encontrar-se

(“) Cfr. CAÍ., 30 de abril de 1985, p. 363-365.


(19) Cfr. CM., 30 de abril de 1985, p. 363-364.
654 LUIS MADERO

dentro da Igreja ou oratório, para que não entre em contradição


com o preceituado no aludido parágrafo Io do cânone 964.
A normativa acerca do sacramento do matrimónio refere-se aos
vários temas que o Codex remete à competência das Conferências
Episcopais. A norma 16 contém determinações concretas de como
deve ser feito o processo de habilitação matrimonial, documentos
que devem ser aportados pelas partes, etc.
Foram feitas algumas observações de pouca importância, que fo­
ram aceitas pela Comissão e pela Assembléia, especialmente com re­
lação à certidão de batismo que deverá ser apresentada e que deve
ser completa e recente (20).
Cabe salientar que nesta norma deixam-se vários temas à apre­
ciação e legislação particular do Bispo diocesano. Em primeiro lugar
a possibilidade de requerer mais documentos dos previstos na pró­
pria norma, quando sejam necessários ou convenientes pelas circuns­
tâncias das pessoas. Esta possibilidade de exigir outros documentos
parece que está levando, em alguns casos, a certos problemas de or­
dem prática, pois, baseando-se nela alguns Bispos continuam a exigir
o denominado instrumento canónico, quando um dos nubentes resi­
de em outra Diocese diferente daquela em que se instruiu o processo
matrimonial. A legislação da CNBB, como se conclui do n° 04 desta
norma que comentamos, não requer que a tramitação do expediente
nestes casos seja feita passando através da Cúria Diocesana.
Segundo a opinião do consultor jurídico da CNBB, não é mais
necessário o denominado instrumento canónico, sendo suficiente que
a documentação seja transmitida diretamente pelo pároco do lugar
do domicílio do nubente ao do lugar onde vai ser celebrado o matri­
mónio. Este autor se baseia no argumento de que tendo derrogado o
Código atual a Instrução da Sagrada Congregação para os Sacramen­
tos de 1941 (cfr. AAS., 33 (1941), p. 299, 317-318) não existe mais
esta exigência no Brasil, pois nada se tem regularizado a respeito pe­
la CNBB (21). Além disso, explica este autor as causas que motivaram
a não inclusão deste requisito nas normas atuais, e que são as mes­
mas que na prática levaram a não aplicar a disposição da referida In­
strução quando este se encontrava vigente. Do ponto de vista téc-

(20) Cfr. ibid., p. 365-366.


(21) CAÍ., 31 de maio de 1987, p. 771-773 e Pe. G. Fernandez De Queiro-
ga, Exigência Jurídica do Instrumento Canònico, in Direito e Pastoral, n° 6, Rio de Ja­
neiro 1987, p. 144-147.
LEGISLAÇÃO COMPLEMENTAR DO CODIGO DO BRASIL 655

nico não falta razão a este autor, já que, com a entrada em vigor do
Codex atual, por força dos cânones 6 § 1, l°e34§3, fica derroga­
da essa Instrução (22). Mesmo assim caberia objetar que, dada a situa­
ção atual, poder-se-ia entender como mais necessário fazer a tramita­
ção do expediente mediante a Cúria, como tem sido estabelecido por
outras Conferências Episcopais, já que isso evita em maior medida
possível fraudes que não raramente se apresentam, especificamente,
onde mais patente são as condições descritas pelo referido autor (23).
Também deixa à determinação do Bispo Diocesano o modo e
prazo em que devem ser feitos os proclamas (n° 3 da norma que co­
mentamos). Parece que a CNBB não quis unificar este tema para to­
do o país, por razão das várias circunstâncias que nele se dão, dei­
xando à normativa diocesana este tema, assim como as normas acer­
ca da preparação doutrinal e espiritual dos nubentes (n° 6 da nor­
ma). Cada Bispo na sua diocese deverá ditar normas mais adequadas.
No que se refere aos matrimónios mistos, a norma 17 do Decre­
to 4/86 estabelece como deve ser preparado o processo de habilitação
nestes casos. Será o pároco quem fará os trâmites do processo de ha­
bilitação matrimonial, quem pedirá e receberá as declarações dos nu­
bentes em ordem aos compromissos que assumem respectivamente.
Levar-se-á em consideração que embora seja o pároco quem tem este
dever, a licença para contrair o matrimónio deverá ser pedida por
este ao Ordinário do lugar, de acordo com o cân. 1125.
No que diz respeito à dispensa da forma canónica nos matrimó­
nios mistos, o n° 18 das normas (Decreto 4/86) estabelece no item 3
quais são as graves dificuldades que podem ser motivos suficientes
para a dispensa. Lembra-se que a dispensa deve ser concedida em ca­
da caso e não de modo genérico. Inicialmente, o texto aprovado pela
22 a Assembléia Geral, podia induzir a equívocos neste sentido; daí a
observação feita por parte da Santa Sé, lembrando que devia constar
no texto que a dispensa só pode ser concedida em casos singu­
lares (2,f).
Com relação ao tema da idade mínima para contrair licitamente
matrimónio se estabelece a de 18 anos para o varão e 16 para a mu-

(22) Pe. G. Fernandez De Queiroga, art. cit., p. 145.


(23) Pode ver-se o estabelecido pela Conferência Episcopal Espanhola e pela
Conferência Episcopal Portuguesa, por ex., que mantêm a exigência do Instrumento
Canónico.
(2<t) Cfr. CAL, 30 de abril de 1985, p. 366.
656 LUIS MADERO

er. Parece uma medida de prudência bastante aconselhável, já que,


não é raro que se produzam matrimónios ente pessoas que ainda não
têm a suficiente maturidade, mesmo que tenham a idade para poder
contrair validamente, e que apresentam sérios problemas, levando a
duvidar da sua capacidade para prestar válido consentimento matri­
monial. A jurisprudência matrimonial mais recente testemunha clara­
mente este fato.

4. Normas relativas à Liturgia.

Estabelecemos este item na intenção de esclarecer um pouco a


temática, já que na verdade também poderíamos incluir aqui os sa­
cramentos como ações liturgicas principais; como as normas que te­
mos visto são mais de caráter disciplinar, preferimos separar estes
dois itens, deixando para este último as questões mais diretamente
relacionadas com os aspectos litúrgicos.
Houve algumas destas normas que foram aprovadas diretamente
pela Santa Sé, como aconteceu com a que fixa o material de constru­
ção dos altares fixos (n° 28 do Decreto 2/86); houve outras que pre­
cisaram de uma certa « negociação », já que, chegaram observações
feitas pessoalmente pelo Romano Pontífice, como aconteceu com a
relativa aos dias de preceito do calendário liturgico (25), mas mesmo
assim foi mantido o teor literal da norma enviada inicialmente à
Santa Sé, pois respondia pienamente à legislação particular da CNBB
anteriormente elaborada.
Os dias de penitência ficaram estabelecidos na norma n° 30 do
Decreto 4/86, permitindo-se também a possibilidade de substituir a
abstinência por « outras formas de penitência, caridade ou piedade,
particularmente pela participação nesses dias na Sagrada Liturgia ».
No Decreto 2/86 se contém também algumas indicações ou
mandados a determinados organismos para que elaborem uma série
de normas acerca de questões de liturgia, das quais nos ocuparemos
um pouco mais por extenso no final deste breve comentário.

5. Normas relativas à Organização Eclesiástica.

Em primeiro lugar cabe destacar, nesta matéria referente à Or­


ganização Eclesiástica, a delimitação de competências que se leva a

(25) Cfr. CM., 30 de abril de 1985, p. 385.


LEGISLAÇÃO COMPLEMENTAR DO CODIGO DO BRASIL 657

cabo na norma 23 do Decreto 2/86. Trata-se de uma delimitação de


competências dos diversos organismos institucionais da CNBB. Co­
mo diz a norma « estas tarefas ou atividades que os diversos cânones
determinam sejam realizadas pela Conferência Episcopal, são confia­
das à execução dos seguintes órgãos institucionais da CNBB ». A
maior parte dos atos mencionados nestas normas são atos administra­
tivos singulares que normalmente revestirão a forma de Decretos sin­
gulares baixados pelos respectivos Órgãos. Trata-se de atos de uma
certa transcendência, como acontece com os relativos à aprovação de
seminário nacional (cân. 237 § 2), aprovação de associações de âmbi­
to nacional (cân. 312 § 1, 2o), e uma outra série de atos relativos a
estas associações que são de vital importância para a vida das mes­
mas (cfr. cc. 313-315; 316 § 2, 317 § 1, 318; 319 § 1; 320 § 2). To­
das estas decisões são de competência da Presidência junto com a
Comissão Episcopal de Pastoral. Parece oportuno que seja assim, tra­
tando-se de atos administrativos singulares seria pouco funcional
atribuir estas competências ao Plenário da Conferência Episcopal.
Uma certa ressalva poder-se-ia apresentar com relação à norma
que determina a competência da Presidência e da Comissão Episco­
pal de Pastoral, ouvida a Comissão Episcopal de Doutrina para
« estabelecer normas para a participação dos clérigos e membros de
institutos religiosos em programas radiofónicos e televisivos, sobre
assuntos referentes à doutrina católica e aos costumes ». Se estas
normas, como pensamos, têm um alcance geral para todo o território
da Conferência Episcopal, devem ser conceituadas como um decreto
geral executóno, contemplado nos cânones 31-33, e em linha de
princípio, não caberia que organismos institucionais da Conferência
Episcopal possam ditar essas normas, especialmente depois da inter­
pretação autêntica do cânone 455 § 1, feita pela Pontifícia Comissão
para a Interpretação Autêntica do Codex luris Canonici, com data de
05 de julho de 1985, que submete ao requisito da aprovação pela
maioria de três quartas partes dos Bispos presentes na Assembléia
Geral, mesmo que se trate de Decretos gerais executórios.
Pensamos que neste caso deve entender-se que a competência
aqui estabelecida se refere mais à elaboração de tais normas, como
projeto, que deverá ser submetido à aprovação do Plenário para que
tais normas não corram o risco de serem nulas.
Poder-se-ia pensar que estas normas de delimitação de compe­
tências de organismos-instituições da CNBB seriam colocadas direta­
mente nos Estatutos da mesma, que na época estavam sendo revisa­
658 LUIS MADERO

das, para sua adequação ao novo Código, mas de fato parece que
existia um desejo de não deixar de fazer uma referência explícita nes­
te decreto àqueles cânones que se remetem à competência da Confe­
rência Episcopal nestas matérias.
Além destas normas de caráter organizacional se contém nos
Decretos que comentamos outras normas que afetam mais direta­
mente à organização eclesiástica. A primeira delas determina quais
são os órgãos competentes para a elaboração das listas de candidatos
possíveis ao Episcopado (n° 5).
As normas relativas ao funcionamento dos Conselhos Presbiterais
(n° 7 do Dec. 4/86) e a que se refere à nomeação de párocos ad tempus
(n° 24 do Dec. 4/86) foram objetos de uma certa discussão entre a
CNBB e os respectivos dicastérios da Cúria Romana, que vale a pena
destacar, para descobrir quais os critérios que foram seguidos.
A observação enviada pela Congregação para o Clero pede que
no item sete da norma n° 07 se incluissem as palavras se possível, de
maneira a tornar mais discrecional a reunião do Conselho Presbite-
ral, deixando uma maior margem para a avaliação pessoal do Bi­
spo (26). A impressão que se tem é que não se desejava impor como
obrigatória a convocação desta reunião periódica do Conselho, coisa
que podia, em certa medida, ser deduzida da norma que foi aprova­
da pelo Plenário e enviada a Roma.
O próprio Romano Pontífice fez uma série de observações rela­
tivas ao tema da nomeação de pároco ad tempus. De fato, a norma
enviada inicialmente a Roma determinava que « o Bispo pode no­
mear pároco por tempo determinado. O prazo desta nomeação não
seja inferior a três anos ». O Papa dava uma série de razões para in­
dicar que o normal deve ser a nomeação de pároco por tempo indefi­
nido, gozando da necessária estabilidade no ofício, sendo que a no­
meação de pároco ad tempus deve constituir a exceção, e que em
qualquer caso não seja este tempo inferior a seis anos. Como se afir­
ma na Carta da Congregação: « O Papa tem insistido benevolamente
sobre a figura do pároco, como pai de seus fiéis que acolhe na vida
cristã e conduz e acompanha progressivamente aos vários sacramen-

(26) Cfr. C.M., 30 de abril de 1985, p. 367 - A comissão fez uma contra-obser­
vação « a observação é óbvia, mas o texto aprovado não ativa a discrecionalidade de
julgamento do Bispo; pois « ad impossibilia nemo tenetur ». Por outro lado, uma
reunião ao menos trimestral, pareceu a quase todo o Episcopado Brasileiro um crité­
rio válido de periodicidade mínima para as reuniões do « senatus episcopi ». De fato
não foi atendida esta sugestão, e ficou prevalecendo o critério mais amplo.
LEGISLAÇÃO COMPLEMENTAR DO CODIGO DO BRASIL 659

tos, pelo qual a estabilidade pertence em certo modo à essência me­


sma do ofício de pároco ».
« Além do que, especialmente para as paróquias urbanas, deve
levar-se em conta o empenho requerido frequentemente a muitos pá­
rocos de renovar, quando não de construir, toda a estrutura necessá­
ria para a vida paroquial, para o que parece preciso que o pároco,
apenas nomeado, tenha pela frente um espaço de tempo garantido,
para poder programar um plano de amplo fôlego » (27). Certamente
são palavras bem esclarecedoras da mente do legislador que deixam
transluzir uma ampla experiência e visão realista da pastoral paro­
quial. Salientam especialmente que a norma geral estabelecida pelo
Código é a da estabilidade no ofício de pároco. Unicamente, de mo­
do excepcional, caberia a possibilidade de nomeação por um tempo
determinado, e sempre num prazo não inferior a seis anos e prorro­
gável.
Parece bastante razoável que seja assim, de maneira que não se
prejudique a aplicação dos planos pastorais. Penso que não deve ser
esquecido que, de fato, mesmo existindo essa estabilidade no ofício
de pároco, o Codex possibilita, quanto a juízo do Bispo diocesano
seja necessário, proceder à transferência do pároco para outra paró­
quia ou ofício « quando o bem das almas ou a necessidade ou utilida­
de da Igreja o exijam » (cân. 1748), seguindo o procedimento admi­
nistrativo contido nos cânones 1748-1752. Torna-se desnecessário
colocar um prazo tão reduzido para a provisão deste ofício, e a mo­
bilidade necessária fica suficientemente garantida por esta via.
Ainda nesta área da organização eclesiástica, e mais concreta­
mente na organização dos Tribunais Eclesiásticos, estabelece-se a
permissão genérica de que os leigos com os requisitos estabelecidos
pelo cân. 1421 § 3, possam ser nomeados Juízes para formar os colé­
gios de Juízes (norma n° 31 do Dec. 2/86). Com relação à permissão
de constituir um juiz único (cfr. cân. 1425 § 4) estabelece-se na nor­
ma n° 24, 3o, que é de competência da Presidência da CNBB. Igual­
mente se atribui a este órgão da CNBB a constituição de Tribunal
Interdiocesano de segunda instância a que se refere o cân. 1439 §§
1, 2, 3.
Finalmente, a norma n° 25 estabelece quais são os livros neces­
sários para o arquivo paroquial. Acerca destas normas não houve
nenhuma discussão.

(27) CM., 30 de abril de 1985, p. 385-386.


660 LUIS MADERO

6. Normas relativas à administração dos bens Eclesiásticos e outros te­


rnas económicos.

A norma n° 06 do Decreto 2/86 estabelece o sistema de previ­


dência e aposentadoria dos Bispos Diocesanos, atribuindo à Diocese
a obrigação de fazer a contribuição para que possam ter uma aposen­
tadoria suficiente. Considere-se que no Brasil, a previdência social
do Estado passou a ser obrigatória para os clérigos, ministros sagra­
dos de confissão religiosa e os membros de institutos de vida consa­
grada, congregações religiosas e ordens religiosas, pela lei 6696 de 8
de outubro de 1979 (28).
Subsidiariamente responsabiliza-se as Dioceses nas quais prestou
seus serviços o Bispo, quando for deficiente o sistema previdenciário,
ou for preciso completá-lo. Trata-se de uma norma muito clara que
obriga as Dioceses a ter um fundo previsto para estas possíveis despe­
sas. No caso de que se tornem impossívelis estes encargos por parte das
Dioceses, podem solicitar estas que a CNBB assuma no todo ou em
parte essa quantidade. Trata-se de uma norma bastante realista, dadas
as circunstâncias concretas da algumas Dioceses do Brasil.
A decisão nos casos concretos fica atribuída à Presidência, que
deverá tomar as providências necessárias e cabíveis para evitar o de­
samparo dos Bispos resignatários ou eméritos. Já foram tomadas uma
série de medidas necessárias para atender este dever da CNBB, ten­
do sido criado o « Fundo Fraterno Episcopal », mediante decreto de
30 de abril de 1986 (29), que abrange também outras possíveis neces­
sidades dos Bispos que possam encontrar-se em circunstâncias difí­
ceis do ponto de vista económico.
Na norma n° 08 do Dec. 2/86 estabelece-se o sistema previden­
ciário dos párocos, que deverão receber da « paróquia uma remunera­
ção que lhes garanta a honesta sustentação e a contribuição previ-
denciária numa escala progressiva de acordo com os anos de servi­
ço ». Como já advertimos, no Brasil é obrigatório que os sacerdotes
tenham previdência como autonômos. Subsidiariamente estabelece-se
a responsabilidade por parte da Diocese, que na hipótese de não ter
sido feito o previsto anteriormente, deverá assumir as despesas de
aposentadoria dos párocos.

(2S) Vide sobre este tema E. Delamea, A Organização Administrativa dos Bens
Temporais, São Paulo, 1986, p. 66.
(29) CM., 30 abril de 1986, p. 581-582.
LEGISLAÇÃO COMPLEMENTAR DO CODIGO DO BRASIL 661

Chamamos a atenção aqui sobre a importância que pode ter este


ônus económico da Diocese, que deverá pôr todos os meios para evi­
tar que possam produzir-se situações de injustiça. Para tanto deverá
também ter um fundo disponível para cobrir estas possíveis despesas.
Importa muito que a própria Diocese coloque todo o empenho para
que se cumpra, por parte das paróquias, o estabelecido nesta norma
para evitar situações mais difíceis de resolver. Compete ao Bispo,
ouvido seu Conselho Presbiteral, ditar as normas pertinentes acerca
da retribuição que a paróquia deve dar ao pároco e a necessária pre­
vidência. Deverá ser estudado em cada diocese com muito cuidado
este tema, já que o Bispo não poderá subtrair-se a esta legislação par­
ticular que lhe obriga a ditar normas bem concretas sobre o mesmo,
e a exigir com rigor que sejam cumpridas, pois a responsabilidade
económica recai sobre a Diocese em última instância.
Com relação à normativa prevista pelo cânone 1262, acerca das
formas concretas com que os fiéis devam concorrer para atender as
necessidades da Igreja, determina-se na norma n° 19 que « cabe à
Província Eclesiástica dar normas pelas quais se determine a obriga­
ção dos fiéis conforme o cânone 222 § 1 ». Normalmente vem-se fa­
zendo mediante a cobrança de taxas e espórtulas, que são determina­
das pela Província Eclesiástica (cân. 1264). Mas além disso, a CNBB
expressa nesta norma seu desejo de que se estudem outros sistemas
diferentes que fomentem mais a participação espontânea dos fiéis,
que venham a substituir aquele.
Talvez, contemplando o cân. 1262, poder-se-ia esperar que a
CNBB tivesse dado uma normativa um pouco mais ampla e concre­
ta. De fato tem-se optado por esta via, talvez por estar ainda pouco
amadurecido o sistema do dízimo, que vai aos poucos implantando-se
em algumas paróquias como iniciativa dos próprios párocos. Este sis­
tema tem a vantagem de poder suprimir as espórtulas e taxas, e fo­
mentar mais a participação voluntária dos fiéis e a sua responsabili­
dade pessoal.
Outras normas referentes a temas de administração de bens são
as contidas nos números 20-22 do Decreto 2/86. Na primeira delas
estabelece-se quais devem ser considerados atos de administração ex­
traordinária do património da Diocese por parte do Bispo Diocesa­
no. A segunda delas fixa a faixa económica (quantias mínimas e má­
ximas) sobre a qual o Bispo Diocesano tem competência para poder
autorizar alienações de bens ou outros negócios jurídicos acerca de
bens eclesiásticos que tenham uma repercussão económica semelhan-
662 LUIS MADERO

te (cfr. cân. 1295), pertencentes às pessoas jurídicas submetidas ao


seu poder. Esta quantia influencia também na determinação dos de­
nominados atos de administração extraordinária, como é óbvio, e de­
termina a faixa económica em que o Bispo Diocesano pode proceder
à alienação de bens da própria Diocese, com as garantias requeridas
no Código de Direito Canónico.
A norma n° 27 parece-nos que fica um pouco aquém do que era
de se esperar, pois na realidade o que estabelece o cân. 1297 é que
se dite uma normativa mais de acordo com a realidade do país sobre
a locação de bens eclesiásticos. Nada se diz com relação a este tema,
onde seriam cabíveis uma série de medidas de cautela que devem ser
tomadas de acordo com a legislação civil vigente. Seria de desejar
que mais para a frente fosse ditada uma normativa mais concreta,
pois de fato têm acontecido situações um tanto prejudiciais para o
património eclesiástico, colocando-se aluguéis muito defasados ou des­
tinando-se a usos menos condizentes com a moral, o que não deixa de
gerar problemas, que poderiam ser evitados com uma normativa mais
adequada. Igualmente deveria ditar-se normas que visem determinar
cuidadosamente a obrigação de fazer os investimentos necessários pa­
ra a conservação dos imóveis alugados. Do contrário, pode assistir-se
também a uma deteriorização do património por esta via.
O único critério que se dá nesta norma é o de que seja o Bispo
diocesano quem tenha competência para poder autorizar os aluguéis,
quando necessária for esta licença, de acordo com as normas de di­
reito diocesano já que é o Bispo quem deve determinar quais são os
atos de administração extraordinária (cfr. cân. 1281 § 2) ou de direi­
to estatutário.
Finalmente os números 32-36 contêm uma série de determina­
ções relativas a posteriores normativas que deveriam ser aprovadas
posteriormente. Não podem considerar-se propriamente delegações
do poder legislativo feitas pelo Plenário aos diversos Organismos In­
stitucionais da CNBB, coisa que como já antecipamos não poderia
ser feito, já que, tratando-se da elaboração de próprias leis, deverão
ser estas submetidas a votação no Plenário da CNBB, seguindo o
mecanismo estabelecido para os Decretos legislativos. O que se faz é
comissionar diversos organismos para que apresentem no prazo dc
um ano uma série de projetos que posteriormente seriam votados no
Plenário.

Luís Madero
L’ABORTO PROCURATO: ASPETTI CANONISTICI

I. Introduzione. — IL II delitto di aborto: a) Antecedenti ed impostazione; b) Portata


della recente interpretazione autentica; c) Alcuni profili canonistici sulla fattispecie
dell’aborto. — III. La pena di scomunica per aborto: a) Autori e complici nel delitto
di aborto; b) Remissione della scomunica.

I. Introduzione.

La diffusione della mentalità antinatalista e l’oscuramento del


valore della vita umana, in modo speciale quella non ancora nata,
hanno provocato l’estendersi della pratica dell’aborto, ormai ricono­
sciuto in molti paesi tra i diritti civili.
Negli ultimi anni lo sviluppo delle scienze mediche e biologiche,
non sempre però usate per la promozione della persona umana, ha
consentito sia la scoperta di mezzi abortivi semplici e sicuri, sia il
progresso delle tecniche di intervento sui processi della generazione
umana con applicazioni che conducono alla soppressione di embrioni
umani nelle fasi iniziali della loro vita.
Oltre all’attenta ed approfondita riflessione degli specialisti, al­
la luce dei principi antropologici, etici e morali, sui nuovi problemi
sorti dagli interventi della tecnica sulla procreazione umana, non è
mancata in questo tempo la voce del magistero della Chiesa che at­
traverso i suoi documenti dottrinali ha ribadito a più riprese la ne­
cessità di difendere, rispettare e promuovere la vita di ogni essere
umano, in qualsiasi condizione si trovi, fin dal momento del conce­
pimento, condannando di conseguenza ogni tipo di attentato al di­
ritto fondamentale alla vita e, più concretamente, l’aborto procurato
in quanto suppone l’eliminazione di un essere umano innocente e
indifeso (‘).

(') Il Concilio Vaticano II, nella cosi, pastorale Gaudium et spes, n° 51, quali­
fica l’aborto e l’infanticidio come nefanda criniina. Paolo VI nella lettera enciclica
Rumarne vitae, n° 14, dichiara che « è assolutamente da escludere, come via lecita
per la regolazione delle nascite, l’interruzione diretta del processo generativo già ini-
664 JOSEMARÍA SANCHIS

In questo contesto si inserisce e va intesa la norma stabilita nel


can. 1398 del vigente codice di diritto canonico mediante la quale si
tipifica il delitto di aborto e si commina la pena di scomunica latae
sententiae contro « qui abortum procurât, effectu secuto ». Tale misu­
ra pastorale, riscontrabile nella più antica tradizione disciplinare del­
la Chiesa, sottolineando la gravità di quest’azione delittuosa, mira a
tutelare, nel modo che è proprio e peculiare del diritto penale cano­
nico, il valore della vita umana del neoconcepito.
Tuttavia una trattazione, da un punto di vista canonistico, del­
l’aborto procurato, deve anche tenere conto dell’evoluzione che il
concetto stesso di aborto, sia in campo morale che in quello canoni­
co, ha subito in questi tempi come conseguenza dei fattori sopra bre­
vemente accennati.

IL II delitto di aborto.

a) Antecedenti ed impostazione.
Com’è noto la nozione canonica di aborto procurato non coince­
deva del tutto né con quella morale né con quella adoperata in ambi­
to medico.
Dal punto di vista medico l’aborto provocato è definito come
l’interruzione della gravidanza prima che il feto sia vitale, che pos­
sieda cioè le condizioni di sviluppo necessarie per poter vivere fuori
dal seno materno (teoricamente prima della ventottesima settimana).
Si badi che tale nozione ruota attorno al fatto della « gravidanza »,
che designa il fenomeno fisiologico femminile. L’interruzione della
gravidanza può avvenire sia provocando l’espulsione del feto dal ven­
tre materno sia con la sua uccisione nell’utero. Si denomina invece

ziato, e soprattutto l’aborto direttamente voluto e procurato, anche se per ragioni


terapeutiche ». Giovanni Paolo II nell’esortazione apostolica Familiaris consortio, n°
30, insegna che « la Chiesa è chiamata a manifestare nuovamente a tutti, con un più
chiaro e fermo convincimento la sua volontà di promuovere con ogni mezzo e di di­
fendere contro ogni insidia la vita umana, in qualsiasi condizione e stadio di svilup­
po si trovi ». Si vedano anche i documenti della Congregazione per la Dottrina della
Fede Declaratio Quaestio de abortu procurato, 19 novembre 1974 (AAS 66 (1974),
pp. 730-747), e l’istruzione Donum vìtae sul rispetto della vita umana nascente e la
dignità della procreazione, 22 febbraio 1987 (AAS 80 (1988), pp. 70-102). Altri te­
sti del magistero possono trovarsi in G. Caprile, Non uccidere. Il Magistero della
Chiesa sull’aborto, La Civiltà Cattolica, Roma, 1973; ID, Il Papa e il diritto alla vita,
La Parola, Roma, 1981.
l’aborto procurato: aspetti canonistici 665

parto prematuro quando il feto viene espulso, vivo o morto, nel pe­
riodo vitale.
Nella prospettiva morale, d’altro canto, l’aspetto prevalente ri­
guardante l’aborto non è quello dell’interruzione della gravidanza
bensì la soppressione di un essere umano (2).
La dottrina morale classica distingueva tra feticidio (per embrio­
tomia, craniotomia (3), ecc.) e aborto. Il primo è l’uccisione del feto
nel seno materno. Per aborto si intendeva invece l’espulsione dal se­
no materno del feto vivo ma non vitale, del feto cioè immaturo,
causandone di conseguenza la morte (4).
Per quanto riguarda la nozione canonica di aborto, il codice del
1917 non conteneva alcuna definizione. Tuttavia le fonti del can.
2350 § 1 si rifacevano alla cosi. Effraenatam di Sisto V, del 29 otto­
bre 1588, nella quale si condannava come veri omicidi tutti coloro
che in qualsiasi modo « abortus, seu foetus immaturi (...) eiectionem
procuraverint (...) ita ut re ipsa abortus inde secutus fuerit » (5). Con
questo rilevante precedente, tenendo conto del concetto tuttora ela­
borato dalla dottrina morale e la norma del can. 19 secondo la quale
« le leggi che stabiliscono una pena (...) sono sottoposte a interpreta­
zione stretta », la maggior parte dei commentatori del codice piano­
benedettino ritenevano che l’azione costitutiva del delitto di aborto
consistesse esclusivamente nell’espulsione di un feto umano immatu­
ro dal seno materno (6).
Tale nozione però non poteva essere considerata unanime in
dottrina dato che autorevoli canonisti se ne discostavano. Per il
Wernz l’elemento fondamentale del delitto di aborto, la sua malizia,
consisteva nell’uccisione del feto; pertanto « qui occidit foetum in

(2) Cfr. J. Connery, Abortion: thè development of thè Roman Catholic perspec­
tive, Chicago, 1977.
(3) L’embriotomia è l’intervento chirurgico con il quale il feto viene tagliato a
pezzi nell’utero materno, nel caso in cui non possa essere estratto in maniera norma­
le. L’operazione, ove concerni unicamente la testa del feto, prende il nome di cra­
niotomia.
(4) Cfr. per tutti D. Prümmer, Manuale Theologiae Moralis, tomus II, Barci-
none-Friburgi Brisg.-Romae, 1958, pp. 125-128.
(5) Codicis Iuris Canonici Fontes, vol. I, Romae, 1926, p. 309.
(6) C. Augustine, A Commentar} on thè new Code of Canon Law, vol. VIII,
St. Louis, Mo., 1922, pp. 398-399; F.M. Cappello, Summa Iuris Canonici, vol. Ili,
Romae, 1940, pp. 540-541; A. Vermeersch-J. Creusen, Epitome Iuris Canonici, to­
mo IH, Bruxellis, 1946, p. 345; T. Garcia Barberena, Comentários al Código de
Derecho Canònico, vol. IV, Madrid, 1964, pp. 510-511.

43. lus ecclesiae - 1989.


666 JOSEMARÍA SANCHIS

utero matris ut ilium extrahat, nihil differì ab eo qui foetum occidit


per extractionem, quam necessario sequi debeat mors » (7); di conse­
guenza riteneva che « procuratio abortus (...) constituit delictum do­
losi homicidii, si foetus humanus vere animatus ante tempus a natura
parturiendum praestitutum dolose interficitur sive per occisionem in
utero matris, quam sequitur eiectio foetus, sive per ipsam violentam
eiectionem foetus immaturi cum morte coniuctam » (8). Anche M.
Conte a Coronata si manifestava contrario alla tradizionale nozione
canonica di aborto considerando che gli elementi essenziali di tale
delitto si riscontrassero pure nella craniotomia e nell’embriotomia.
Proponeva quindi una definizione di aborto simile a quella dei pe­
nalisti civili, cioè « violentam interruptionem processus physiologici
maturationis foetus » (9). Non poteva quindi affermarsi che la nozio­
ne di aborto, in quanto fattispecie delittuosa nell’ordinamento della
Chiesa, fosse unanime tra i canonisti.
Ciò nonostante, anche se durante i lavori di revisione del dirit­
to penale canonico alcuni degli organi consultati avessero chiesto
una definizione legale di aborto, « consultores non vident rationem
huius definitionis, cum doctrina catholica sit clara hac in re » (10).
Sta di fatto che dopo la promulgazione del codice vigente rie­
mersero le divergenze dottrinali sul concetto di aborto: alcuni autori
sostenevano il concetto tradizionale (n); altri invece mantenevano
una configurazione più ampia (12).
A questo punto bisogna rilevare che la più recente riflessione
sviluppatasi in campo morale sull’aborto ha messo in luce che il pro­
gresso delle tecniche ed i moderni mezzi impiegati con fine abortivo
hanno reso inutile, anzi inopportuna, la precedente distinzione tra

(7) F.X.Wernz-P. Vidal, lus poenale Ecclesiasticum, Romae, 1937, p. 517.


(8) Ibidem, p. 514.
(9) M. Conte a coronata, Compendium luris Canonici, vol. Il, Taurini,
1938, p. 483; ID, Institutiones luris Canonici, vol. IV, Taurini-Romae, 1955, p.
493. Della stessa opinione anche A. Blat, De delictis et poenis, Romae, 1924, p.
250.
(10) Communicationes 9 (1977), p. 317.
(u) Cfr. F. Aznar, sub can. 1398, Código de Derecbo Canònico. Pro/esores de
Salamanca, Madrid, 1983, p. 682; F. Nigro, Commento al Codice di Diritto Canoni­
co. Pontificia Università Urbaniana, Roma, 1985, p. 821; T.J. Green, The Code of
Canon Law: a Text and Commentary, London, 1985, p. 930.
(12) Cfr. J. Arias, sub can. 1398, Código de Derecbo canònico, ed. a cura del­
l’Istituto Martin de Azpilcueta, Pamplona, 1987, p. 835; V. De Paolis, De Sanc-
tionibus in Ecclesiae. Adnotationes, Romae, 1986, pp. 119-120.
l’aborto procurato: aspetti canonistici
667

feticidio ed aborto; e molti autori sono del parere di doverla supera­


re n.

b) Portata della recente interpretazione autentica.


La necessità di una chiarificazione del concetto di aborto si fa­
ceva ancora più pressante nell’ambito canonico: la gravità della pena
con cui è punito e il modo automatico in cui si incorre in essa non
consentono né l’indeterminatezza né l’incertezza, altrimenti si ren­
derebbe assolutamente inefficace la norma penale; senza dimentica­
re, inoltre, il disposto del can. 14 secondo il quale le leggi « nel
dubbio di diritto non urgono ». Non é mancato perciò chi giudicas­
se conveniente un intervento dell’autorità ecclesiastica competente
affinché questa desse una definizione dottrinale autentica in propo­
sito (14).
Sottoposto il dubbio alla Pontificia Commissione per l’Interpre­
tazione Autentica del Codice di Diritto Canonico essa ha risposto
affermando che per aborto debba intendersi non soltanto l’espulsio­
ne del feto immaturo, ma anche « eiusdem fetus occisione quocum-
que modo et quocumque tempore a momento conceptionis procure-
tur » (15).
L’interpretazione determina più precisamente il significato o
contenuto giuridico del termine « aborto » utilizzato dal can. 1398,
cioè nell’ambito del diritto penale della Chiesa; e lo fa non tanto
per dichiarare l’illiceità morale degli interventi lesivi del feto umano
quanto per descrivere la fattispecie che costituisce il delitto di abor­
to, punito dalla vigente legislazione canonica con la pena di scomu­
nica latae sententiae.
Nella risposta della Commissione, per aborto si intende l’ucci­
sione del feto, in qualunque modo venga procurata (anche mediante
l’espulsione del feto immaturo dal seno materno), e in qualunque
tempo questa avvenga dal momento del concepimento.
Occorre innanzitutto precisare il senso delle parole usate. Il
termine feto indica il frutto della generazione umana, nell’arco di

(1}) Si veda, ad esempio, D. Tettamanzi, L'attuale problematica morale-giurì­


dica sull'aborto, in La Scuola Cattolica, 100 (1972), p. 170; P. Sardi, L'aborto ien e
oggi, Brescia, 1975, pp. 322-323, e la estesa bibliografia da essi citata.
(14) Cfr. A Borras, Uexcommunication dans le nouveau code de droit canoni­
que (essai de définition), Paris, 1987, p. 67.
(15) L'Osservatore Romano, 25 novembre 1988, p. 5; anche in Communicatìo-
nes 20 (1988), p. 77.
JOSKMARÍA SANCÌ IIS
668

tempo clic va dal concepimento fino alla nascita (,6). Uccidere significa
causare la morte, e questa può essere cercata in qualunque modo; nel ca­
so dell’aborto un modo specifico sarà provocando l’espulsione del feto
immaturo dal seno materno. Va sottolineato tuttavia che perché vi sia
l’aborto non si richiede che l’uccisione sia di un feto immaturo. Questo
è confermato dall’impiego dell’espressione quocumque tempore dalla fe­
condazione, senza alcuna limitazione, e dal fatto che l’aggettivo imma­
turo è aggiunto solo in riferimento all’espulsione del feto in quanto che
esso, essendo appunto immaturo, non può sussistere se non nel ventre
materno. Comunque, il parto prematuro è lecito se fatto nell’intento di
salvare la vita del feto e della madre (17).
Problema diverso è quello di stabilire se la fattispecie del delitto di
aborto esiga che l’uccisione del feto venga procurata nel seno materno
oppure possa anche avverarsi fuori di esso, come a prima vista porta a
concludere il senso letterale della risposta data dalla Commissione, la
quale testualmente dispone che per aborto deve intendersi anche « l’uc­
cisione del feto medesimo in qualunque modo e in qualunque tempo dal
momento del concepimento venga procurata », vale a dire, l’uccisione
di un feto umano. Si pensi, ad esempio, agli embrioni umani ottenuti in
vitro che sono distrutti prima di essere trasferiti nel corpo della donna;
si tratta senz’altro in questi casi dell’uccisione di un feto, e tanto la dot­
trina morale quanto la più recente dichiarazione del magistero in propo­
sito dichiarano immorali e gravemente illeciti tali interventi; non sono
però qualificati quali interventi abortivi (l8), né costitutivi, a nostro av­
viso, del delitto di aborto, tra l’altro perché al momento dell’elaborazio­
ne del canone sembra che non si fosse considerata, né era allora conce­
pibile, una nozione di aborto non riferita alla gravidanza (19).

(16) A. Serra, La realtà biologica del neoconcepito, in La Civiltà Cattolica, 126


(1975), III, p. 10: « Nella specie umana (...) il concepimento avviene nel momento in
cui due cellule gametiche: l’ovulo, di origine materna, e lo spermatozoo, di origine pa­
terna, si fondono attraverso il processo della fertilizzazione, dando origine al cosid­
detto ‘zigote’ ».
(17) Resp. S. Officii ad episc. Sinaloensem, 4 Maii 1988, (AS5 30 (1897/98),
pp. 703-704): « Ad. 1. Partus aceelerationem per se illicitam non esse, dummodo per-
ficiatur iustis de causis et eo tempore ac modis, quibus ex ordinariis contingentibus
inatris et fetus vitae consulatur »; (Dz 3336).
(18) Donimi vitae, Parte I, n ° 5: « Cosi come condanna l’aborto procurato, la
Chiesa proibisce anche di attentare alla vita di questi esseri umani ».
(,9) Potrebbe perciò essere necessaria, a difesa del bene della vita umana na­
scente e delia dignità della procreazione, una norma canonica specifica riguardante
l’uso illecito delle tecniche biomedichc sui processi della procreazione umana.
L ABORTO PROCURATO: ASPETTI CANONISTICI 669

Essendo la nozione canonica di aborto una nozione legale, non


c’è dubbio che una disposizione di legge potrebbe ampliarla o re­
stringerla. Dubbioso appare invece che questo possa essere fatto per
mezzo di un’interpretazione autentica, anche se questa « eadem vim
habet ac lex ipsa » (can. 16 § 2), soprattutto se si tiene conto che le
norme penali debbono essere interpretate restrittivamente (can. 18).
Inoltre non va dimenticato il contesto, cioè che l’interpretazione au­
tentica che commentiamo non intende tipificare una nuova fattispe­
cie criminosa bensì chiarire gli aspetti dubbiosi di un delitto già re­
golato nel codice, appunto quello denominato « aborto », il cui con­
tenuto, come abbiamo visto, non era affatto certo. E vero che siffat­
ta risposta, accogliendo l’interpretazione più ampia, estende la nozio­
ne di aborto ad altre fattispecie non contemplate nella nozione tradi­
zionale, ritenuta comune tra i canonisti, ma da ciò non può conclu­
dersi che questa sia un’interpretazione legale estensiva giacché l’in­
terpretazione stretta precedente era comunque semplicemente dottri­
nale.

c) Alcuni profili canonistici sulla fattispecie dell’aborto.


Com’è ovvio non sono ricompresi nella fattispecie delittuosa di
aborto tanto l’aborto spontaneo o casuale come quello involontario.
Tuttavia l’aborto volontario può essere provocato direttamente o in­
direttamente. Mentre l’aborto diretto, inteso cioè sia come fine sia
come mezzo al fine (20), è sempre intrinsecamente illecito dal punto
di vista etico-morale e come tale ha rilevanza giuridico-penale, l’indi­
retto invece, che si verifica come effetto collaterale, permesso o tol­
lerato ma indesiderato, è lecito ed ammissibile purché compia le con­
dizioni o requisiti (quelli delle c.d. azioni di doppio effetto) che lo
rendono di fatto veramente indiretto: che l’azione non sia in se stes­
sa illecita o cattiva; che l’effetto cattivo non sia il mezzo impiegato
per ottenere quello buono; l’esistenza di una causa proporzionata­
mente grave (21). Così, va ritenuto come aborto diretto l’aborto euge­
netico, provocato per evitare la nascita di un bambino che certamen­
te o probabilmente sarà anormale o rimarrà in qualche modo minora-

(20) Cfr. Pio XII, Discorso all'unione Medico-biologica «San Luca », 12.XI.1944,
in Discorsi e Radiomessaggi, Città del Vaticano, 1961, vol. VI, p. 191-192.
(21) Cfr. P. Sardi, op. cit., pp. 323-331; L. Ciccone, «Non uccidere». Que­
stioni di morale della vita fisica, Milano 1984, pp. 229-246; P. Palazzini, Vita e virtù
cristiane, Roma, 1987, pp. 222-225.
670 JOSEMARÍA SANCHIS

to (22). Per quanto riguarda il denominato aborto terapeutico, inten­


zionalmente inteso a salvaguardare la vita e/o la salute della madre,
si deve affermare che in linea di massima si tratta di un aborto di­
retto (23), e questo sarà in pratica il caso più frequente, senza esclu­
dere però la possibilità dell’aborto indiretto. Comunque, le diverse
fattispecie riscontrabili dovranno essere moralmente e, soprattutto
per quanto a noi interessa, giuridicamente valutate caso per
caso (24).

(22) Cfr. Pio XI, Casti connubii, 31 Dee. 1930, AAS 22 (1930), pp. 564-565
(Dz 3719 e 3721); Istruz. Donum vitae, Parte II: « Fra gli embrioni impiantati ta­
lora alcuni sono sacrificati per diverse ragioni eugenetiche, economiche o psico­
logiche. Tale distruzione volontaria di esseri umani (...) è contraria alla dot­
trina già ricordata a proposito dell’aborto procurato ». Sul rapporto tra fe­
condazione in vitro e 1 'embryo-transfer (FIVET) ed aborto si veda A. RodrÌguez-
R. Lopez, La fecondazione « in vitro ». Aspetti medici e morali, Roma, 1986, pp.
82-90.
(23) Cfr. Resp. S. Officii ad archiep. Lugdunensi, 31 Maii 1884, ASS, 17
(1884/85), p. 556; Resp. S. Officii ad archiep. cameracensem, 14 (19) Aug. 1889,
De craniotonia, ASS 22 (1889/90), p. 748 (Dz 3258); Resp. S. Off. ad archiep.
Camerac. (Cambrai), 24 lui. 1895, De craniotonia et abortu, A55 28 (1895/96), p.
383-384 (Dz 3298); Pio XI, Casti connubii, cit., pp. 562-563 (Dz 3720). L’escis­
sione di una tuba contenente un feto ectopico costituisce aborto diretto: Cfr.
Resp. S. Officii ad episc. Sinaloensem 4 Maii 1898, « Ad 3. Necessitate cogente,
licitam esse laparotomiam ad extrahendos e sinu matris ectopicos conceptus,
dummodo et fetus et matris vitae, quantum fieri potest, serio et opportune provi-
deatur » , ASS 30 (1897/98), p. 704 (Dz 3338); Resp. S. Off. ad Fac. theol, Univ.
Marianopol., 5 Mart. 1902, De modis extrahendi fetum, «Qu.: Utrum aliquando
liceat e sinu matris extrahere fetus ectopicos adhuc immaturos, nondum exacto
sexto mense post conceptionem? Resp.: Negative, iuxta Decr. 4 Maii 1898, vi
cuius fetus et matris vitae, quantum fieri potest, serio et opportune providen-
dum est; quoad vero tempus, iuxta idem Decretum, Orator meminerit, nulla m par-
tus accelerationem licitam esse, nisi perficiatur tempore ac modis, quibus ex or­
dinarie contingentibus matris ac fetus vitae consulatur », ASS 35 (1902/3), p. 162
(Dz 3358). L’isterectonia per carcinoma in donna gestante, invece, è considerata
aborto indiretto. Sul dibattito scientifico suscitato tra i moralisti in occasione di
questi problemi e gli orientamenti del magistero si veda J. Connery, op. cit., pp.
284-303.
(24) Declaratio De abortu procurato, n° 14: « Non possiamo misconoscere
queste gravissime difficoltà: può essere ad esempio una grave questione di salute,
talvolta di vita o di morte, per la madre; può essere l’aggravio che rappresenta un
figlio in più, soprattutto se ci sono buone ragioni per temere che egli sarà anorma­
le o rimarrà minorato; può essere il rilievo che, in diversi ambienti, hanno o assu­
mono le questioni di onore e di disonore, di declassamento sociale, ecc,; si deve
senz’altro affermare che mai alcuna di queste ragioni può conferire oggettivamente
il diritto di disporre della vita altrui anche se in fase iniziale. (...). La vita, infatti,
l’aborto procurato: aspetti canonistici 671

La norma canonica stabilisce concretamente che solo è punito


« qui abortum procurât », e ciò significa, secondo l’opinione più co­
mune in dottrina, causarlo « directe et studiose et ex industria » (25),
cioè direttamente e deliberatamente, mediante azione fisica o mora­
le. Quindi unicamente l’aborto diretto rientra nella fattispecie delit­
tuosa e, inoltre, questo deve essere stato compiuto dolosamente, vale
a dire, con la volontà deliberata di provocare la morte del feto (26).
Bisogna a questo punto mettere in rilievo che la Commissione,
nel testo della sua risposta, ha voluto espressamente dichiarare che
l’uccisione del feto si considera abortiva quocumque modo questa
venga compiuta. Infatti, i progressi tecnici rendono sempre più facile
l’aborto, in modo speciale quello precoce cioè nel periodo iniziale
della vita umana in stato embrionale, ed offrono una maggiore effi­
cacia e sicurezza (27). Oltre alle diverse tecniche d’intervento chirur­
gico con fine abortivo (l’aspirazione, il raschiamento, le iniezioni in-
tra-ammiotiche, procedimenti meccanici, ecc.), sono mezzi chiara­
mente abortivi i dispositivi intrauterini che rendono impossibile l’an-
nidamento dell’ovulo fecondato sulla parete uterina. Anche alcuni
prodotti farmacologici, spesso denominati contraccetivi, hanno in
realtà effetto abortivo in quanto impediscono non la fecondazione
ma l’annidamento della blastocisti. A questo tipo di farmaco appar­
tengono le pillole chiamate intercettori postcoitali o pillole del giorno
dopo. Di più recente scoperta è la cosiddetta pillola del mese dopo
(RU 486) che ha come finalità di provocare, una volta accertata, l’in­
terruzione precoce delle gravidanza (28).
Il can. 1398 richiede perché vi sia il delitto di aborto Veffectu
secuto. Ne consegue che per incorrere nella pena stabilita non basta
né il tentativo né la frustrazione del delitto (cfr. can. 1328): è neces­
saria la consumazione, e questa coincide con il momento in cui l’ef-

è un bene troppo fondamentale perché possa essere posta a confronto con certi in­
convenienti, benché gravissimi ».
(25) Cfr. F.X. Wernz-P. Vidal, op. cit., p. 516; F.M. Cappello, op. cit., p.
540; A. Vermeersch-J. Creusen, op. cit., p. 344.
(26) V. De Paolis, op. cit., pp. 119-120: «Deliberata voluntas procurandi
eiectionem foetus vivi sed non vitalis vel mortem ipsius foetus in sinu materno ».
(27) Cfr. I. Carrasco De Paula, Vent'anni ài cultura contraccettiva, in « Hu-
manae vitae »: venti anni dopo, Atti del II Congresso Internazionale di Teologia Mo­
rale (Roma 1988), Milano, 1989, pp. 688-699.
(28) Cfr. Couzinet ed altri, Termination of early pregnancy by thè progestorone
antagonist RU 486 (mifepristone), in New England Journal of Medicine, 315 (1986),
pp. 1565-1570.
672 JOSEMARÍA SANCHIS

fetto (P aborto) si produce (si tratta quindi di un delitto materiale o


di evento). Occorre perciò la certezza non solo sul fatto stesso dell’a­
borto ma anche che questo sia stato causato dall’azione o condotta
tendente a provocarlo. Se ci fosse qualche dubbio al riguardo non ci
sarebbe il delitto (29). Nel caso dell’utilizzazione della « pillola del
mese dopo » la certezza sull’aborto è assoluta.

III. La pena di scomunica per aborto.

La pena canonica stabilita dal codice contro chi procura l’aborto


è la scomunica (30), e in essa si incorre, dato che per lo più il delitto
rimane occulto, latae sententiae: in modo automatico per il fatto stes­
so e dal momento d’aver commesso il delitto (31). Nei primi schemi
la pena prevista per l’aborto era l’interdetto, ma la Relatio del 1981

(29) Ad esempio, l’uso del dispositivo intrauterino o della pillola del giorno
dopo, benché abbiano effetto abortivo, non comportano necessariamente l’aborto,
perché questo dipenderà dall’effettiva fecondazione previa; siccome in questi stadi
dello sviluppo dell’embrione non è possibile sapere, senza un’apposita esplorazione
di accertamento, se la fecondazione è avvenuta o meno, i possibili aborti provocati
dall’utilizzazione di questi mezzi, proprio per la loro incertezza, non cadono sotto la
pena stabilita. Per lo stesso motivo scrive M. Conte a coronata, Institutiones luris
Canonici, vol. IV, p. 490: « Attamen admittit doctrina non considerari ut abortum
actum quo per lavacra aut aliis mediis semen masculinum ex vagina expellitur intra
viginti quatuor horas a conceptione seu melius a copula, licet haec expulsio fiat in-
tentione procurandi abortum ».
(30) Il codice precedente alla scomunica aggiungeva la pena speciale di degra­
dazione per i chierici, perciò nei primi progetti del nuovo canone si prevedeva an­
che la sospensione se si trattava di un chierico (Schema documenti quo disciplina
sanctionum seu poenarum in Ecclesia Latina denuo ordinatur, Typis Polyglotis Vatica­
ni, 1973, can 71: « Qui abortum procurât, in latae sententiae interdictum incurrit,
et, si sit clericus, etiam in suspensionem »; dello stesso tenore il Codex luris Canoni­
ci, schema del 1980, can. 1350); poi questa disposizione è stata soppressa. Rimane
tuttavia, d’altro canto, l’irregolarità a ricevere gli ordini sacri di chi « ha procurato
l’aborto, ottenuto l’effetto, e tutti coloro che vi hanno cooperato positivamente »
(can. 1041, 4°), oppure a esercitare gli ordini ricevuti (can. 1044 § 1, 3°).
(}1) Opera consultorum in parandis canonum schematis, III. Coetus studiorum de
Iure poenali, adunatio diei 22 aprilis 1977, in Communicationes 9 (1977), p. 317:
« Suggestum est ut contra procurantes abortum statuatur poena ferendae sententiae.
Consultores autem censent opportunam esse poenam latae sententiae alioquim omni
efficacia privaretur, cum multi casus aborti sint occulti ». Come si vede, la stessa ra­
gione più volte ripetuta come giustificativa delle pene latae sententiae (Cfr. Commu­
nicationes 8 (1976), pp. 170-171; e P. Ciprotti, La riforma del diritto penale della
Chiesa, in AA.W., Raccolta di scritti in onore di Pio Fedele, vol. 1, Perugia, 1984,
p. 74, nota 2).
L ABORTO PROCURATO: ASPETTI CANONISTICI 673

accettò la proposta di alcuni Padri secondo la quale « conservanda


est poena excommunicationis quamvis in nova legislatione interdi-
ctum fere idem sit ac excommunicatio, nam mutatio vocabuli hodier-
nis temporibus quibus crimen abortum in toto mundo semper maio­
res dimensiones assumit, minime opportuna videretur » (32).

a) Autori e complici nel delitto di aborto.


Secondo la normativa generale del codice circa la punibilità dei delit­
ti (33), incorrono nelle pene latae sententiae l’autore principale o i
coautori « qui communi delinquendi consilio in delictum concur-
runt » (can. 1329 § 1) (34), e i complici necessari cioè tali che « senza
la loro opera il delitto non sarebbe stato commesso » (can. 1329 §
2), tenendo conto che tale complicità o cooperazione può essere fisi­
ca (nell’esecuzione o consumazione materiale del delitto) o morale.
Quest’ultima si ha nei casi di mandato (incarico di compiere l’atto
delittuoso) (35), e d’istigazione (indurre altri al delitto, essendone un
caso tipico il consiglio persuasivo o esortativo). Di conseguenza tutti
costoro realizzano la fattispecie di procurare Vaborto e incorrono nel­
la pena di scomunica.
Il codice del 1917 non escludeva tra gli scomunicati la madre
(« matre non excepta » diceva esplicitamente), e da quanto sopra
esposto si deduce che, in linea di massima, lo sono anche il medico e
i suoi collaboratori nell’intervento abortivo, e le persone che induco­
no la donna ad abortire (36).

(32) Relatio complectens syntesim animadversiomm ab Em. mis atque Exc. mis
patribus commissioni ad novissimum schema CIC exhibitamm, cum responsionibns a se­
cretaria et consultoribus datis. Anìmaàversìones ad can. 1350, in Communicationes 16
(1984), pp. 50-51.
(33) Sulla dottrina e la normativa riguardante il codice precedente si veda G.
Michiels, De delictis et poenis, vol. 1, Parisiis-Tornaci-Romae-Neo Eboraci, 1961,
pp. 326-363; sul regime vigente A. Marzoa, Los delitos y las penas canónicas,
AA.VV., Manual de Derecbo Canónico, Pamplona, 1988, Cap. XI, pp. 704-706.
(34) Si chiamano coautori le persone che con la stessa intenzione delittuosa
concorrono simultaneamente e fisicamente ad un delitto (cfr. can. 2209 § 1 del CIC
17).
(35) Se il mandante è un’autorità pubblica, il mandato si denomina ordine di
delinquere. In senso ampio si considera il mandante autore principale.
(36) Cfr. J.A. Coriden, The canonical penalty for abortion as applicable to admi-
nistrators of clinics and hospitais, in The Jurist, 66 (1986), pp. 652-658. Ha ragione
quest’autore quando conclude: « The canonical tradition of sanctions for abortion
goes back many centuries. Even its more modern precode enactments occured in
thè late sixteenth and nineteenth centuries. They envisioned abordons as indivi-
674 JOSEMARÍA SANCHIS

Nella valutazione del caso concreto bisognerà inoltre tener pre­


sente gli elementi o requisiti soggettivi riguardanti l’imputabilità del
delitto, in quanto essi sono condizioni di punibilità che determi­
nano l’esistenza o meno della sanzione penale o addirittura del de­
litto stesso.
È stato già rilevato in precedenza come l’aborto sia un delitto
doloso; di conseguenza non è punito chi lo commise per omissione
della dovuta diligenza (cfr. can. 1321 § 2). Non incorrerebbe nella
scomunica, ad esempio, il medico che durante un intervento chirur­
gico a una donna incinta causasse, per grave imprudenza, la morte
o l’espulsione del feto.
Incidenza rilevante possono avere le circostanze esimenti (can.
1323), ed anche le circostanze attenuanti elencate nel can. 1324 §
1, dato che queste agiscono come esimenti nei casi in cui la pena
stabilita sia latae sententiae. Una considerazione complessiva di tut­
te queste circostanze porta a concludere, ad esempio, che non in­
corrono nella scomunica per aborto: Io) i minori di anni 18 (can.
1324 § 1, 4°); 2°) chi senza colpa ignorava che al delitto d’aborto
fosse annessa una pena canonica (can. 1324 § 1, 9°); 3°) chi agì
costretto da timore grave, anche se solo relativamente tale, o per
necessità o per grave incomodo, o per un errore colpevole credette
esservi alcuna di queste circostanze (can. 1232, 4° e can. 1324 § 1,
4° e 8°).

dual, isolated events involving very few persoli. They were certainly not aimed at
routinized, institutionalized abortion procedures which take place in complex faci-
lities with many levels of participating personnel. Serious moral responsability exi-
sts at all these levels (e.g., support staff, counsellors, medical assistants, managers,
executives, trustées, donors, licensing agents, lawmakers, etc.), but none of them
fall under thè canonical sanction of canon 1398 » (p. 658). Sono tuttavia suggesti­
ve le seguenti riflessioni di L. Ciccone, op. cit., p. 178: « Ora il fenomeno recente
della liberalizzazione dell’aborto, ha fatto comparire forme del tutto nuove di coo­
perazione all’aborto davvero inesistenti e impensabili in passato. Si tratta di parec­
chie categorie di persone la cui opera è stata, ed è, determinante nell’effettuarsi
non di un singolo aborto, ma di un numero imprecisabile, comunque molto eleva­
to, di aborti. (...) sarebbe davvero ingiusto e irrazionale che la scomunica colpisca
un semplice infermiere, che anche una solo volta abbia cooperato a un aborto, ad
esempio porgendo gli strumenti in sala operatoria a un medico che effettua un
aborto, mentre non colpisce chi, non a un medico, ma a tutti quelli che compiran­
no aborti nella nazione, o nella regione, o nel comune, o nell’ospedale, porge gli
« strumenti » indispensabili per compiere un numero indefinito di aborti, assicura
loro un adeguato compenso e garantisce loro l’impunità ».
L ABORTO PROCURATO: ASPETTI CANONISTICI 675

b) La remissione della scomunica.


A motivo delle caratteristiche giuridiche e pastorali della pena
di scomunica per aborto, per il fatto cioè di essere una pena medici­
nale — il cui scopo diretto e principale è ottenere l’emendamento
del reo —, e posto che in essa si incorre in modo automatico, occor­
re ora fare alcune brevi considerazioni sulla sua remissione in foro in­
terno sacramentali.
Il codice dedica il titolo VI della parte I del libro sulle sanzioni
nella Chiesa alla regolamentazione della cessazione delle pene canoni­
che. Uno dei modi di cessazione ivi contemplato è la remissione: at­
to positivo dell’autorità competente mediante il quale si libera il de­
linquente dal vincolo penale contratto. Se si tratta di censure tale at­
to riceve il nome di assoluzione, di natura diversa dall’assoluzione sa­
cramentale.
Non essendo riservata, nel caso, alla sede apostolica, possono
assolvere la scomunica, se non è stata ancora dichiarata: Io) l’ordina­
rio, anche in foro extemo, ai propri sudditi e a coloro che si trovano
nel suo territorio o vi hanno commesso il delitto (cfr. can. 1355 §
2); 2°) qualunque vescovo nell’atto della confessione sacramentale
(ibidem); 3°) il canonico penitenziere o, dove manca il capitolo, il
sacerdote dal vescovo costituito a compiere il medesimo incarico. Ta­
le facoltà ordinaria non delegabile riguarda, in diocesi, anche gli
estranei, e i diocesani anche fuori del territorio della diocesi (cfr.
can. 508 § 1); 4°) i cappellani negli ospedali, nelle carceri e nei viag­
gi in mare, solo in tali luoghi (sembra tuttavia che tale facoltà si
estenda anche al foro esterno) (cfr. can. 566 § 2).
Inoltre, in base al principio generale stabilito nel can. 1354 § 1,
l’ordinario può delegare ad altri la potestà di rimettere le pene (37).
Lo stesso canone, al § 2, prevede la possibilità della delega a iure
della facoltà quando dice che « la legge o il precetto che costituisco­
no una pena possono inoltre dare anche ad altri potestà di rimettere
la pena ». Due sono i casi speciali contemplati nel codice vigente: il
pericolo di morte e il caso urgente. Secondo el can. 976, « ogni sa-

(37) Ad esempio, Rivista Diocesana di Roma, V. 25, 1984, p. 637: «Il Santo
Padre, limitatamente al territorio della diocesi di Roma, concede a tutti i sacerdoti
che, per ragione del loro ufficio a Roma o per concessione del Vicariato godono del­
la facoltà di ricevere le confessioni dei fedeli, la facoltà di rimettere nel foro interno
sacramentale la scomunica latae sententiae prevista al canone 1398 per l’aborto pro­
curato, con l’obbligo di imporre una congrua penitenza ».
676 JOSEMARIA SANCHIS

cerdote, anche se privo della facoltà di ricevere le confessioni, assol­


ve validamente e lecitamente tutti i penitenti che si trovano in peri­
colo di morte, da qualsiasi censura e peccato, anche qualora sia pre­
sente un sacerdote approvato ».
Il chiamato caso urgente, richiede per la sua rilevanza pratica
una più ampia trattazione. Infatti, il codice stabilisce che nel caso in
cui al penitente sia gravoso rimanere in stato di peccato per il tempo
necessario a che il Superiore competente provveda, « il confessore
può rimettere in foro interno sacramentale la censura latae sententìae
di scomunica o d’interdetto, non dichiarata » (can. 1357 § 1), dato
che sono queste le uniche censure che vietano di ricevere i sacramen­
ti, tra i quali l’assoluzione dei peccati (cfr. can. 1331 § 1, 2° e can.
1332) (™). Il principio, fondamentale nel diritto della Chiesa, della
salus anìmarum, ha indotto a prevedere questa possibilità introducen­
do la norma indicata, tra l’altro già presente nel codice precedente
(cfr. can. 2254 § 1 del CIC 17).
Per la corretta comprensione di essa occorre ricordare che la fi­
nalità specifica delle censure è, appunto, ottenere l’emendamento del
reo, inteso nel senso di recedere dalla contumacia. Molto preciso è a
questo riguardo il can. 1347 § 1, che va applicato in tutti i casi di
remissione di censure, ove si legge: « Si deve ritenere che abbia rece­
duto dalla contumacia il reo che si sia veramente pentito del delitto
e che abbia inoltre dato congrua riparazione ai danni e allo scandalo
o almeno abbia seriamente promesso di farlo ». Essendo la scomuni­
ca, nel caso che commentiamo, latae sententìae non dichiarata, il pen­
timento si manifesterà principalmente e soprattutto nel foro interno,
attraverso il sacramento della penitenza; ed una volta che il reo ab­
bia receduto dalla contumacia non gli si può negare l’assoluzione
(cfr. can. 1358 § 1), anzi riceverla costituisce un diritto del peniten-

(38) È ovvio che rimanere in stato di peccato, anche se per un periodo di tem­
po molto limitato, dovrebbe essere sempre gravoso alla coscienza rettamente forma­
ta di qualsiasi fedele, e perciò il pentimento e il desiderio di ricevere l’assoluzione
dei peccati ed ottenere la riconciliazione — riacquistare, per opera della grazia divi­
na che si riceve in questo sacramento, lo stato di grazia — sarebbe in tutti auspica­
bile. E questo il motivo, fondato su salde ragioni teologiche e pastorali (cfr. esorta­
zione apostolica post-sinodale Reconciliatio et paenientia, 2.XII. 1984, AAS 77
(1985), pp. 185-275, passim), per il quale il sacerdote può fomentare il pentimento
— fa parte importante del suo ministero — e quindi promuovere le condizioni ri­
chieste per poter impartire l’assoluzione della scomunica e dei peccati (evidentemen­
te sono necessari il pentimento c la confessione di tutti i peccati gravi, non solo di
quello per l’aborto: cfr. cann. 959 e 988 § 1).
L ABORTO PROCURATO: ASPETTI CANONISTICI 677

te (39). Tuttavia, trattandosi di una facoltà speciale, il § 2 dello stes­


so can. 1357 aggiunge che « il confessore nel concedere la remissione
imponga al penitente l’onere di ricorrere entro un mese sotto pena
di ricadere nella censura al Superiore competente o a un sacerdote
provvisto della facoltà, e di attenersi alle sue decisioni; intanto im­
ponga una congrua penitenza e la riparazione, nella misura in cui ci
sia urgenza, dello scandalo e del danno ». Il penitente, quindi, deve
accettare l’obbligo di ricorrere e di attenersi alle decisioni del Supe­
riore, sebbene il ricorso possa essere fatto anche tramite il confesso­
re, senza fare menzione del nome del penitente. Alcuni autori riten­
gono che nel caso in cui il ricorso diventasse moralmente impossibi­
le, passato il mese verrebbe meno l’obbligo di ricorrervi (40).

JOSEMARÌA SaNCHIS

(39) Cfr. A. Stenson, Penalties in thè new Code. The role of thè confessor, in
The Jurist, 63 (1983), p. 418.
(40) Cfr. V. De Paolis, Coordinatio inter forum intemum et extemum in novo
iure poenali canonico, in Periodica, 72 (1983), pp. 430-432.
Pagina bianca
Rassegna di bibliografia
Recensioni
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AA.VV., Le nouveau code de droit Chiesa latina e dalla redazione di
canonique. (Actes du Ve. Congrès in­ quello delle Chiese di rito orien­
ternational de droit canonique. Otta­ tale.
wa, 19-25 août 1984), éditeur: Fa­ Le periodiche assemblee (e gli
culté de droit canonique, Universi­ Atti corrispondenti) della Consocia-
té Saint-Paul - The new code of ca­ tio intemationalis studio iuris cano­
non law. (Proceedings of the 5th. In­ nici promovendo riflettono bene
ternational Congress of Canon Law. questa situazione. Il primo congres­
Ottawa, August 19-25, 1984), publi­ so convocato dalla Consociatio ebbe
sher: Faculty of Canon Law, Saint come tema Persona e ordinamento
Paul University - Ottawa 1986, 2 nella Chiesa (Milano, 1973); questo
vol., p. 1166. fu in realtà il secondo dei « Con­
gressi internazionali di diritto ca­
Abitualmente i congressi cercano nonico » giacché il primo fu quello
di analizzare, da prospettive e posi­ che dette origine alla Consociatio
zioni dottrinali differenti, un de­ (Roma, 1970) ed ebbe un argomen­
terminato aspetto nell5 ambito dei to ancora più generico: La Chiesa
vari settori scientifici cui i congres­ dopo il Concilio. Pamplona fu sede
sisti dedicano la loro attenzione nel nel 1976 del terzo congresso {La
lavoro di ricerca, di insegnamento norma nel diritto canonico), mentre
o di applicazione pratica. Nella ca­ Friburgo in Svizzera ospitò il quar­
nonistica questa tipica specializza­ to (I diritti fondamentali del cristia­
zione presente nella maggioranza no nella Chiesa e nella società).
dei convegni scientifici, non è sta­ Dopo la promulgazione ed entra­
ta, negli ultimi decenni, possibile ta in vigore del nuovo codice, nel
né conveniente. Il profondo rinno­ 1983, parve doveroso che il succes­
vamento dell’ecclesiologia realizza­ sivo congresso della Consociatio si
to dal Concilio Vaticano II ha fatto dedicasse a porre in evidenza i cri­
sì che l’interesse dei canonisti si di­ teri ermeneutici con cui si fosse do­
rigesse in larga misura verso quegli vuta studiare, applicare ed inter­
aspetti più fondamentali sui quali pretare la nuova legge; le sue prin­
poggia l’intera struttura del diritto cipali innovazioni rispetto alla nor­
della Chiesa, e perfino verso la co­ mativa precedente; alcuni aspetti
statazione dell’esistenza della stes­ su ciò che il denominato « ultimo
sa dimensione giuridica del popolo documento conciliare » esige o per­
di Dio. Tutto ciò veniva inoltre ri­ mette rispetto ad ulteriori sviluppi
chiesto dal lavoro di revisione del legislativi (sia a livello universale
codice di diritto canonico della che particolare); ecc. Nell’agosto

44. lus ecclesiae - 1989.


682 RASSEGNA DI BIBLIOGRAFIA

del 1984, sotto il patrocinio dell’U­ zione del congresso (prof. Francis
niversità di San Paolo ad Ouawa, G. Morrisey) e la pubblicazione
ebbe luogo il V Congresso interna­ degli Atti (prof. Jean Thorn, in
zionale di diritto canonico, dal tito­ stretta collaborazione con un équi­
lo Le nouveau code de droit canoni­ pe diretta dal prof. Michel Thé-
que - The new code of canon lato, di riault). In secondo luogo, questa
cui ora presentiamo gli atti. presentazione degli Atti del con­
Questa pubblicazione rispecchia gresso di Ottawa ci evoca il ricor­
con chiarezza alcune delle peculia­ do del professor Pedro Lombardia,
rità che caratterizzano il metodo rieletto presidente della Consocia­
scientifico e docente delle Univer­ no ad Ottawa e spentosi nel 1986
sità nordamericane: pragmatismo e a 55 anni di età. Nei suoi brevi
concretezza, nei confronti di impo­ discorsi di apertura e di chiusura
stazioni più astratte e teoretiche ti­ del congresso (p. 51-57) si manife­
piche di ampi settori del vecchio stano con chiarezza i tratti che, a
continente; particolare sensibilità mio giudizio, caratterizzarono il
di fronte alla diversità di situazioni suo lavoro universitario ed eccle­
culturali ed etniche che coesistono siale: amore e obbedienza intelli­
in una medesima società (questa gente alla legge della Chiesa; rigo­
sensibilità è particolarmente viva re scientifico; stima sincera (e non
nel Canada bilingue), rispetto ad solo rispetto) verso posizioni intel­
una maggiore omogeneità di pro­ lettuali differenti dalle sue; deside­
blematiche in ciascuna delle confe­ rio di far risaltare la dignità e la
renze episcopali europee. I criteri libertà di ciascun membro del Po­
utilizzati per armonizzare Ì diversi polo di Dio e di promuovere il più
articoli, gli utili abstracts, ma so­ ampio pluralismo nei vasti settori
prattutto l’impostazione della mag­ della scienza canonistica nei quali
gioranza dei contributi dei canoni­ la lex divina ed il magistero eccle­
sti americani sono il riflesso di siastico non esigono una filiale e
quanto abbiamo esposto. feconda unità.
Questi Atti sono il risultato dello Di fronte alla impossibilità di
sforzo di molte persone, in primo commentare le 59 relazioni e comu­
luogo degli autori delle 59 relazioni nicazioni, precedute dal messaggio
e comunicazioni presentate. Tutta­ di Giovanni Paolo II ai partecipan­
via ci pare doveroso risaltare il con­ ti (p. 33-39), e per evitare di privi­
tributo di alcune persone che, al di legiarne alcune con inevitabili
là dei loro apporti scientifici nel omissioni che sarebbero ingiuste,
Congresso, hanno reso possibile il mi limito a trascriverne un indice,
suo svolgimento e la presente pub­ seguendo l’ordine alfabetico degli
blicazione. In primo luogo i decani autori: Arrieta Ochoa, Juan Igna­
della Facoltà di diritto canonico cio - Provincia y région eclesiástica,
dell’Università di San Paolo, cui va 607-625. Arza Arteaga, Antonio
il merito della brillante organizza­ - Bautizados en la Iglesia católica
RECENSIONI 683

no obligados a la forma canònica Interritual Matters in the Revised


del matrimonio; problemas que Code of Canon Lato, 821-823. Peli-
presenta, 897-930. Aymans, Win- ciani, Giorgio - Le conferenze epi­
l'ried - Die Leitung der Teilkirche, scopali nel Codice di diritto canoni­
595-605. Beyer, Jean B. - La vie co del 1983, 497-503. Felliiauer,
religieuse et l’Église universelle, David Eugene - Psvchological Inca-
563-576. Bonnet, Piero Antonio - pacity for Marriage in the Revised
Omosessualità e matrimonio, 931­ Code of Canon Law, 1019-1040.
957. Botta, Raffaele - Bonum Fernandez Arruti, José Angel -
commune Ecclesiae ed esercizio dei La costumbre en la nueva codifica-
diritti fondamentali del fedele nel ción canònica, 159-183. Fornés de
nuovo Codice di diritto canonico, la Rosa, Juan - El acto jurídico
819. Calvo Otero, Juan - La fun- (sugerencias para una teoria gene­
ción pública en el nuevo Código: rai), 185-212. Fuenmayor Cham-
planteamiento sistemático, 155­ PÍN, Amadeo de - Primatial Power
157. Camarero Suárez, Maria and Personal Prelatures, 309-318.
Concepción - La relevancia del do­ Garcìa GÀrate, Alfredo - En tor­
lo indirecto en el nuevo derecho no a la autonomia del dolo matri­
matrimonial, 1081-1089. Capar- moniai, 1073-1079. Gauthier, Al­
ros, Ernest - Les fidèles dans l’É­ bert - La part du droit romain dans
glise locale, 787-817. Casiraghi, le Code de droit canonique de 1983,
Annaluisa - Il diritto della famiglia 131-140. Cerosa, Libero - Il signi­
nel nuovo Codice di diritto canoni­ ficato della nuova norma codiciale
co, 853-880. Ciaurriz Labiano, sulla scomunica per la giustificazio­
Maria José - Las disposiciones ge­ ne teologica del diritto penale ca­
nerales de la administración ecle­ nonico, 385-399. Gismondi, Pietro
siástica, 213-230. Condorelli, - Elogio in onore di Pietro Agosti­
Mario - I fedeli del nuovo Codex no D’Avack, 59-65. Gonzalez del
iuris canonici, 319-344. Coppola, Valle Cienfuegos, José Maria -
Raffaele - La posizione e la tutela The Method of the Codex iuris ca­
del minore dopo il nuovo Codice di nonici, 141-154. Goti Ordenana,
diritto canonico, 345-353. Corec- Juan - Anotaciones a las exclusio-
co, Eugenio - Theological Justifica­ nes de algun elemento esencial del
tions of thè Codification of thè La­ matrimonio, 1003-1017. Gou-
tin Canon Law, 69-96. De Luca, dreault, Henri - Allocution/
Luigi - The New Law on Marriage, Speech, 45-49. Grocholewski,
827-851. De Diego-Lora, Carmelo Zenon - I tribunali apostolici, 457­
- Medidas pastorales previas en las 479. Iban Perez, Iván C. - Organi-
causas de separación conyugal, zación diocesana y reforma del Co­
881-895. Eguren Amororrtu, dex iuris canonici: un ejemplo, la
Juan Antonio - La Iglesia misionera diócesis Asidonense-Jerezana (Jerez
en el Código de derecho canónico de de la Frontera), 635-670. Jusdado
1983, 275-308. Paris, John D. - Ruiz-Capillas, Miguel Àngel - De
684 RASSEGNA DI BIBLIOGRAFIA

la irrelevância histórica del dolo a 755-786. Provost, James H. - Par­


su reconocimiento legislativo: dos ticular Councils, 537-562. Puza,
causas que lo explican, 1063-1072. Richard - Kirche und Gemeinde im
Kenyon, Roger Alan - The Ecclé­ neuen Codex iuris canonici, 671­
sial Rights Forum, 335-373. Kru- 679. Range, Joan A. - Women,
kowski, Józef - Responsibility for Law-making and the New Code of
Damage Resulting from Illégal Ad­ Canon Law, 105-114. Reina Ber­
ministrative Acts in thè Code of naldez, Victor - Error y dolo en el
Canon Lato of 1983, 231-242. Le­ consentimiento matrimoniai canò­
sage, Germain - Les religieux et nico, 1047-1062. Rincón Perez,
l’Église locale, 681-704. Lombar­ Tomás - Plenitud de fe católica y
dia DÍaz, Pedro - Discurso de aper­ comunicacion en la Eucaristia,
tura, 51-53; Discurso de clausura, 423-440. Robinson, Geoffrey Ja­
55-57. Maida, Adam J. - The Code mes - Papal Représentatives in the
of Canon Lato of 1983 and the Pro- Context of Collegiality, 481-485.
perty of the Local Church, 743­ Schulz, Winfried - Le Code de
753. Mantuano, Ginesio - Elemen- droit canonique et la réforme des
tum amorìs e nuovo modello di ma­ organes administratifs centraux,
trimonio canonico, 989-1001. 443-456. Sobanski, Remigiusz -
Martinez-Torrón, Javier - La va- L’ecclésiologie du nouveau Code de
loracion del consentimiento en la droit canonique, 243-270. Spinelli,
forma extraordinaria del matrimo­ Giuseppe - Organismi di partecipa­
nio canònico, 959-987. Morrisey, zione nella struttura della Chiesa
Francis G. - Applying the 1983 Co­ locale, 627-634. Stickler, Alfons
de of Canon Law: The Task of Ca- Maria - Der Codex iuris canonici
nonists in the Years ahead, 1143­ von 1983 im Lichte der Kodifika-
1160. Õrsy, Ladislas - Ecumenism tionsgeschichte des Kirchenrechts,
and Marriage, 1041-1046. Otaduy 97-104. Taché, Alexandre - The
GuerÌN, Javier - El derecho canò­ Code of Canon Law of 1983 and
nico postconciliar corno ius vetus (c. Ecumenical Relations, 401-421.
6, § 1), 115-129. Page, Roch - No­ TiiÉriault, Michel - Introduction
te sur la terminologie employée par [en français], 25-28; Introduction
le Code de droit canonique de 1983 [in English], 29-32. Tiiorn, Jean -
pour parler de l’Eglise, 271-274. Préface, 17-20; Preface, 21-24.
Petroncelli HÜbler, Flavia - Re­ Verbrugghe, Albert E. - The Fi­
lazioni tra conferenze episcopali e gure of the Episcopal Vicar for Re-
dimensione internazionale; note in ligious in the New Code of Canon
margine al c. 459 del Codex iuris Law, 705-742. Villa Robledo,
canonici, 505-536. Pieronek, Ta­ Maria José - Regulación de las con­
deusz W. - La riforma della senten­ diciones en materia matrimonial en
za, 1121-1140. Presas Barrosa, el Código de d,erecho canónico de
Concepción - El patrimonio artisti­ 1983, 1113-1120. Weigand, Ru­
co eclesiástico y el nucvo Código, dolf - Die bedingte Eheschliessung,
RECENSIONI 685

1091-1112. ZuROWSKi, Marian pubblicata, denominata, forse con


Aleksander - Autorité et liberté eccessiva modestia, « annotata »); e
dans l’Église, 375-383. adesso un manuale di diritto cano­
Joaquín Llobell nico elaborato sulla base del nuovo
codice, per contribuire al progresso
nella conoscenza della nuova legi­
slazione della Chiesa (allo stato at­
AA.VV., Manual de Derecho Canó­ tuale del suo processo di applicazio­
nico, a cura dell’Istituto Martin de ne), e servire ad un suo sempre più
Azpilcuelta (Università di Navar- proficuo insegnamento.
ra), EUNSA, Pamplona, 1988, p. Come indica il prof. Eduardo
803. Molano, attuale direttore del sud­
detto Istituto, nella presentazione
Si può affermare che, dalla pro­ del volume, il prof. Pedro Lombar­
mulgazione del nuovo codice di di­ dia, che ricopriva quella carica nel
ritto canonico per la Chiesa latina 1984, ha avuto una funzione essen­
nel 1983, è ancora passato poco ziale nel dare principio e impulso a
tempo ai fini di un suo approfondi­ quello che allora era un progetto e
to studio. E non soltanto (ed è la che ora è opera completa. E così
ragione principale) perché il proces­ iniziato un lavoro cui ha partecipa­
so di applicazione della rinnovata to un buon numero di professori
legislazione non ha raggiunto un della Facoltà di Diritto Canonico
sufficiente livello di maturità, ma dell’Università di Navarra (com­
anche perché la sola conoscenza presa la sua Sezione Romana, nata
astratta di un corpo legale di tale proprio in questi anni), e che ha da­
ampiezza di contenuti e di tale por­ to luogo ad un manuale d’indole
tata innovativa richiede un lento e istituzionale (nel senso classico del­
perseverante sforzo intellettuale. le institutiones), con il quale si offre
Il ritmo di questo sforzo è in una visione sistematica e complessi­
buona misura segnato dal susse­ va del diritto canonico vigente.
guirsi delle fasi proprie del lavoro Il libro si divide in tredici capi­
scientifico-giuridico: quella esegeti­ toli, di cui il primo e il secondo
ca, di puntuale ermeneutica di ogni rappresentano altrettante introdu­
parte della legge, e quella sistemati­ zioni al resto del volume: nel cap.
ca, di elaborazione di un insieme di I, il prof. Joaquín Calvo-Alvarez
concetti e di principi adeguati alla (che ha anche coordinato l’edizio­
struttura dell’intero ordinamento. ne) tratta con chiarezza e concisio­
Questo ritmo è stato rispettato dal­ ne, e tenendo conto degli sviluppi
le iniziative dell’Istituto Martin de dottrinali degli ultimi decenni, le
Azpilcuelta, dell’Università di Na- questioni fondamentali sul rappor­
varra, rivolte a far conoscere il re­ to tra Chiesa e diritto; mentre nel
cente codex: prima una sua edizio­ cap. II il prof. Eloy Tejero fornisce
ne commentata (la prima ad essere una sintesi panoramica della forma­
686 RASSEGNA DI BIBLIOGRAFIA

zione storica del diritto canonico, corrispondenti alle diverse condi­


in cui si costata l’intrecciarsi degli zioni soggettive dei fedeli nella
interessi scientifici dell’autore, che Chiesa, e la regolamentazione ca­
muovendo dalla storia penetra an­ nonica delle associazioni dei fedeli
che nell’ambito della fondazione (dal prof. Rincón sono redatti i pa­
del diritto ecclesiale. ragrafi sui ministri sacri e sulla vita
Nei dieci capitoli seguenti vi è consacrata). La trattazione della
un’esposizione sistematica del di­ persona fisica e della situazione
ritto canonico attuale, incentrata, giuridico-soggettiva dei ministri sa­
com’è ovvio, sui contenuti del nuo­ cri ci sembrano particolarmente
vo diritto codiciale, pur senza adot­ convincenti. La sintesi della nor­
tare l’ordine delle divisioni interne mativa sulla vita consacrata e sulle
del codice. Tale scelta ci pare parti­ associazioni comuni dei fedeli, pur
colarmente felice, poiché non si nella sua efficacia didattica, appare
può confondere la sistematica legi­ invece alquanto breve, essendo al­
slativa con quella scientifica, e fer­ tresì dubbia la scelta della sua in­
marsi alla prima comporta non di serzione in questo capitolo, giacché
rado un impoverimento sotto il in queste materie prevalgono gli
profilo scientifico. aspetti istituzionali su quelli riguar­
Il cap. Ili, sul Popolo di Dio, danti la posizione soggettiva dei
scritto dal prof. Juan Ignacio Arrie- membri.
ta, non corrisponde — come il tito­ Il seguente cap. (V, « Norme e
lo lascerebbe supporre — ai conte­ atti giuridici ») è stato anch’esso
nuti dell’omonimo libro II del codi­ scritto in collaborazione. La dottri­
ce: esso descrive invece le linee na canonica sulla norma (specie sul­
principali della struttura giuridica la legge e la consuetudine) e gli atti
della Chiesa, sia sul piano dell’u­ di autonomia privata sono trattati
guaglianza dei fedeli, sia su quello dal prof. Javier Otaduy, in uno sti­
della loro diversità funzionale, so­ le preciso ed elegante. Il prof.
prattutto in virtù dell’esistenza del­ Eduardo Labandeira ha redatto la
la sacra potestas. Nel corso di queste parte dedicata alla potestà e agli at­
pagine si evidenzia in modo parti­ ti amministrativi, offrendo un rias­
colare la fecondità di una prospetti­ sunto del suo lungo e approfondito
va formale specificamente canoni­ lavoro nell’ambito del diritto am­
stica, la quale tuttavia sa tener con­ ministrativo canonico, concretatosi
to delle basi ecclesiologiche del di recente nella pubblicazione di un
diritto della Chiesa. trattato specifico su questo ramo
I proff. Javier Ferrer e Tomás della scienza canonistica.
Rincón, nel cap. IV « I soggetti Sull’organizzazione gerarchica
deU’ordinamento canonico » espon­ della Chiesa (cap. VI) scrive il prof.
gono le questioni d’indole generale José Luis Gutiérrez, mettendo in
sulle persone fisiche e giuridiche continuo ed illuminante rapporto il
nella Chiesa, gli statuti giuridici codice con i documenti del Conci­
RECENSIONI 687

lio Vaticano II. È assai opportuno (l’uso nel ciclo filosofico-teologico


il breve paragrafo finale sull’orga­ istituzionale nei seminari e nelle fa­
nizzazione della Chiesa di rito coltà di teologia) può spiegare la
orientale, che consente un utile pa­ lunghezza del capitolo, essa ci risul­
ragone con la Chiesa latina, e da ta un po’ sproporzionata nel conte­
cui si può trarre una maggiore con­ sto dell’opera.
sapevolezza della storicità di tanti In linea con la sua autonomia
aspetti dell’organizzazione ecclesia­ scientifica, il diritto matrimoniale
stica. In future edizioni del Manua­ costituisce un capitolo a parte (IX),
le, dopo l’ormai imminente pro­ opera del prof. Juan Fornés. In cen­
mulgazione del nuovo CICO, si po­ to pagine si dà una visione suffi­
trebbe includere in ogni capitolo cientemente dettagliata, assai ap­
un sintetico raffronto con la nor­ profondita e aggiornata della disci­
mativa canonica orientale. plina. Si tratta in definitiva di un
La trattazione del munus docendi breve manuale di diritto matrimo­
(cap. VII), affidata al prof. José niale, tra i più validi editi dopo il
Antonio Fuentes, si sofferma sulle nuovo codice.
principali materie del libro III del Del diritto relativo ai beni tem­
codice, e le sviluppa servendosi an­ porali si occupa il prof. José Tomás
che della normativa extracodiciale Martin de Agar (cap. X); la sua sin­
(ad es. sull’ecumenismo o sul dirit­ tesi della disciplina vigente riunisce
to missionario). Si mette così in ri­ le proprietà classiche della buona
salto la necessità di integrare le di­ manualistica giuridica: ordine, chia­
sposizioni del codice del 1983 me­ rezza, precisione e senso dell’essen­
diante altre fonti normative com­ ziale.
plementari, interpretative o appli­ Il cap. XI, scritto dal prof. Angel
cative (universali e particolari). Marzoa, verte sul diritto penale ca­
Il cap. Vili, sulla disciplina ca­ nonico. Senza tralasciare i rilevanti
nonica del culto divino, scritto dal problemi di fondo che in questo
prof. Tomás Ri neon, è il più lungo campo hanno interessato la dottrina
e, a nostro giudizio, il più riuscito. durante la riforma del codice (ad
Tratta l’intera normativa del libro es., sul senso della coattività nel di­
IV del codice, tranne il matrimo­ ritto canonico, o sulla natura della
nio, cui è riservato un capitolo au­ scomunica), l’autore ha saputo con­
tonomo. Notiamo particolarmente centrarsi sulla disciplina positiva in
in queste pagine una caratteristica vigore, di cui presenta un’efficace
del Manuale che lo avvalora sul sintesi sistematica. Avremmo ap­
piano scientifico e didattico: il suo prezzato però un maggiore sviluppo
essere frutto di un lungo e specifico del diritto penale speciale, poiché è
lavoro d’insegnamento e di ricerca proprio la trattazione dei singoli de­
universitaria nei diversi settori del­ litti e pene a mettere in rapporto
la scienza canonistica. Tuttavia, l’ordinamento penale con il resto
anche se lo scopo primario del testo del diritto canonico.
688 RASSEGNA DI BIBLIOGRAFIA

« La tutela dei diritti nella Chie­ Sotto un profilo più generale, ci


sa » è il titolo del cap. XII, riguar­ sembra che il libro, entro le insor­
dante il diritto processuale canoni­ montabili limitazioni imposte da
co, curato dal prof. Carmelo de un volume scritto in collaborazio­
Diego-Lora e, per quanto concerne ne, abbia raggiunto un buon livello
la giustizia amministrativa, dal di coordinamento contenutistico e
prof. Eduardo Labandeira. Lo formale, tranne qualche squilibrio
scritto del prof, de Diego-Lora è un nello spazio occupato dalle diverse
chiaro esempio di visione d’insieme trattazioni.
di una disciplina che solo chi ne è Rivolto anzitutto agli studenti
maestro, nel senso più alto del ter­ del ciclo ecclesiastico istituzionale,
mine, è in grado di dare. Ma a no­ non c’è dubbio che, quasi in ogni
stro parere la trattazione risulta un suo capitolo, il presente manuale
tanto esigua se si paragona, ad es., integrerà proficuamente la biblio­
con quella sul diritto matrimoniale. grafia canonica postcodiciale, costi­
Il prof. Labandeira completa, con tuendo altresì un utile sussidio nel­
10 studio della giustizia amministra­ le facoltà di giurisprudenza e di di­
tiva, la sua trattazione del diritto ritto canonico.
amministrativo sostanziale di cui al D’altra parte, l’opera rappresen­
cap. V. ta un’ulteriore tappa nelle pubbli­
Il testo si chiude con un capitolo cazioni canonistiche sorte come
(XIII), opera postuma del compian­ frutto del lavoro della facoltà di di­
to prof. Pedro Lombardia, circa i ritto canonico dell’Università di
rapporti tra Chiesa e comunità po­ Navarra. Un frutto che riflette be­
litica. Iniziato da lui, quando era ne le caratteristiche di fondo che
ormai in fin di vita, è stato portato sempre hanno animato quel lavoro:
a termine dal prof. Javier Otaduy, tra queste, lo spirito di servizio alla
aiutato anche dal prof. Josemaria Chiesa, la consapevolezza dell’im­
Sanchis, sulla base di scritti prepa­ portanza del lavoro canonistico, il
rati dallo stesso maestro in altre oc­ giusto senso dell’interdisciplinarie-
casioni. Facendo nostre le parole di tà, l’armonia tra fedeltà alla Chiesa
E. Molano, troviamo in queste pa­ e al suo magistero e la libertà di ri­
gine « una testimonianza di opero­ cerca.
sità vissuta sino agli ultimi momen­ Ci auguriamo infine che il libro
ti della sua esistenza qui sulla terra, possa conoscere successive edizio­
11 che adesso costituisce uno dei ni, e che, come succede con i buoni
suoi legati più preziosi, come uni­ manuali (e questo senz’altro lo è già
versitario e come uomo » (p. 24). dal suo inizio, peraltro così poco
Ogni capitolo si conclude con improvvisato), migliori con il tem­
una utile rassegna bibliografica, in po, grazie all’esperienza didattica e
cui sarebbe stata però auspicabile scientifica dei suoi autori, e anche
una maggiore uniformità di criteri grazie ad un più diffuso apprezza­
nell’estensione. mento dell’importanza delia dimen­
RECENSIONI 689

sione giuridica della Chiesa per il moniali. Le risposte che personal­


raggiungimento della sua finalità di mente daranno i giudici e le parti,
salvezza. siano o no pubbliche, alle domande
Carlos J. Enázunz M. poste dall’autore, eviteranno che
siano violati due principi fonda­
mentali: il diritto della famiglia alla
sua protezione e il ius connubii. E
AA.VV., Il processo matrimoniale paradossale che uno strumento
canonico, Libreria Editrice Vatica­ quale il processo, sorto per dare
na, Città del Vaticano, 1988, p. compimento alle esigenze della giu­
489. stizia, sia talora utilizzato per un
opposto fine. Per tutti i motivi so­
L’Arcisodalizio della Curia Ro­ pra esposti, ritengo che la confe­
mana ha curato la pubblicazione di renza di mons. Grocholewski do­
vari volumi che riportano le confe­ vrebbe essere frequente oggetto di
renze tenute da eminenti canonisti riflessione da parte degli operatori
nel Palazzo della Cancelleria, sede dei tribunali ecclesiastici.
dei Tribunali apostolici, su diversi Il lavoro successivo è opera di
argomenti. Il processo matrimoniale mons. Léfebvre, e riguarda L’evo­
canonico, undicesimo volume della luzione del processo matrimoniale
serie, comprende ventidue confe­ canonico (p. 25-38). Con brevità e
renze su diversi aspetti delle cause semplicità l’autore percorre le di­
matrimoniali, oltre ad uno scritto verse tappe della storia del proces­
in memoria del professore e avvo­ so matrimoniale, alcune delle quali,
cato concistoriale Giovanni Torre, come logico, coincidono con quelle
opera di Sebastiano Villeggiante. del processo ordinario (cosa del re­
Il primo studio, Processi di nulli­ sto ovvia in quanto, nella tradizio­
tà matrimoniale nella realtà odierna nale classificazione dei processi ca­
(p. 11-23), è di mons. Grocholew- nonici, quello matrimoniale è un
ski. Con la chiarezza che gli è pro­ procedimento speciale). Come af­
pria, l’autore espone, basandosi su ferma mons. Léfebvre, da questa
precisi dati, lo scandaloso aumento evoluzione storica rimane dimo­
delle cause di nullità in talune chie­ strata la sollecitudine della Chiesa
se particolari e il diverso modo con per il bene dei fedeli. E risulta an­
cui le medesime cause matrimoniali che evidente che, se il processo ma­
sono trattate da differenti tribuna­ trimoniale ha subito profondi mu­
li. Le osservazioni che mons. Gro- tamenti nel corso della storia, at­
cholewski fa muovendo dall’analisi tualmente, invece, le riforme legi­
dei precedenti dati, costituiscono slative apportate hanno il quasi
una sorta di « esame di coscienza » esclusivo fine di precisare meglio
per gli uffici impegnati nell’eserci­ talune precedenti norme. Tale af­
zio della funzione giudiziaria e a fermazione dell’autore penso vada
cui spetta risolvere i processi matri­ un poco ridimensionata. E vero
690 RASSEGNA DI BIBLIOGRAFIA

quanto da lui sostenuto, ma lo è al­ che mi sono parse di maggior inte­


trettanto il fatto che non si siano resse senza voler con questo smi­
ancora introdotti nell’ordinamento nuire l’importanza delle altre. Per
tutti i cambiamenti auspicati, per­ il prof. Ochoa la definizione di
lomeno da un ampio settore dottri­ competenza non può darsi muoven­
nale, affinché il processo matrimo­ do dal concetto di misura o parte
niale possa servire efficacemente a della giurisdizione, ma deve piutto­
difendere la famiglia. Questa difesa sto significare tutta la giurisdizione
sarebbe forse più efficace se, ad applicata al caso concreto, sicché
esempio, l’istituto della legittima­ giunge ad affermare, con Lega ed
zione avesse una portata più ampia. altri autori, che per competenza si
Mons. Pinto tratta il tema relati­ intende la giurisdizione in concre­
vo a La giurisdizione (p. 39-66). to. E quindi, corollario di quanto
L’a. sostiene e difende nel suo stu­ detto, è che non esista una giurisdi­
dio talune tesi: e così, secondo zione in astratto, ma solo in con­
quanto da lui affermato, il giudice creto. Per differenziare la compe­
laico gode di giurisdizione in virtù tenza assoluta da quella relativa af­
di una delega a iure; la capacità giu­ ferma che il criterio immediato cui
ridica si identifica con la legittima­ far riferimento è quello della inde­
zione ad causam, e quella proces­ rogabilità o derogabilità delle nor­
suale con la legittimazione ad pro­ me sulla competenza. Chiede infine
cessus, riafferma nuovamente la che al più presto possa essere data
propria posizione sul giudizio di fat­ ai tribunali ecclesiastici una nuova
to già riportata in una sua sentenza e aggiornata Provida Mater, una
(del 30 maggio 1986) e criticata da sorta di vademecum o manuale de­
Versaldi, e così via. Grazie anche gli « operatori di giustizia nel loro
al ricco apparato delle note, il lavo­ pastorale impegno ». Lo studio
ro di mons. Pinto è indubbiamente tratta in modo completo anche tut­
meritorio, data la complessità e am­ ti i titoli di competenza nelle cause
piezza del tema che gli spettava e matrimoniali, offrendo proposte di
l’abilità con cui è riuscito a trat­ risoluzione ad alcuni complessi pro­
tarlo. blemi posti dalla loro concreta ap­
Non certo meno conosciuto degli plicazione.
altri relatori è il prof. Ochoa, re­ La relazione su I doveri del giudi­
centemente scomparso, il cui inter­ ce è stata affidata a mons. Stankie-
vento su I titoli di competenza (p. wicz (p. 113-133). Non è necessa­
67-112) nel processo di nullità ma­ rio sottolineare l’importanza del­
trimoniale risalta per l’erudizione l’argomento qui trattato, che non
ivi esposta, l’ampiezza e la profon­ riguarda il mero facere giudiziario,
dità della trattazione. Data l’im­ ma si riferisce a tutta la gamma di
possibilità di riportare tutte le sin­ possibili azioni offerta al giudice
gole questioni su cui l’a. riferisce, dalle norme processuali. Mons.
mi soffermerò unicamente su quelle Stankiewicz divide la sua esposizio­
RECENSIONI 691

ne nelle seguenti parti: il dovere di La successiva collaborazione è


rendere la giustizia ecclesiale; la del prof. Daneels; il suo articolo (p.
tutela del principio della comunio­ 143-152) si intitola II diritto di im­
ne ecclesiale; il dovere di seguire la pugnare il matrimonio. L’analisi del­
legge e l’equità canonica; il dovere l’attuale normativa, condotta aven­
di essere imparziali. Si lamenta do come costante punto di riferi­
l’autore che il dovere fondamenta­ mento il precedente regime proces­
le del giudice di rendere giustizia suale, porta tra l’altro a concludere
sia espresso dal Codice (c. 1457) in che una delle maggiori novità è il
modo negativo, e senza che sia sta­ diritto che ognuno dei due coniugi
to tenuto nel debito conto il magi­ ha di impugnare il matrimonio; il
stero pontificio sul dovere della maggior ambito di operatività del
sollecitudine pastorale dell’attività ius impugnandi da parte del promo­
giudiziaria. Dato il carattere della tore di giustizia; la scomparsa del­
relazione, La. non ha voluto trarre l’istituto della denuncia; la possibi­
tutte le conseguenze giuridiche che lità di impugnare il matrimonio po­
derivano dalPobbligo di tutelare la st mortem di uno dei coniugi qualo­
comunione ecclesiale, specialmente ra la questione sia pregiudiziale alla
per quanto si riferisce all’impor­ risoluzione di un’altra controver­
tanza del tentativo di conciliazione sia, sia in foro canonico che in
preprocessuale. Infatti a mio pare­ quello civile; e, infine, la normativa
re la legislazione canonica in mate­ relativa alla continuazione della
ria è incoerente, in quanto la nor­ causa nel caso di morte di uno dei
ma del c. 1676 non si articola ap­ coniugi.
pieno con il trattamento, invero La costituzione del curatore pro­
assai scarno, riservato dal Codice cessuale è il tema trattato da mons.
all’atto di conciliazione. Ricciardi (p. 153-184). L’a. divide
Mons. Usai presenta quindi al­ la sua esposizione in tre parti. La
cune sue annotazioni in tema de II prima, di carattere generale, sulla
promotore di giustizia e il difensore capacità processuale e gli altri re­
del vìncolo (p. 135-141), ove so­ quisiti della parte processuale, è
stiene che, alla luce dell’attuale le­ ben impostata, e chiarisce taluni
gislazione canonica, non si possa aspetti relativi alle differenze tra
parlare di vere e proprie novità ri­ capacità processuale, legittimazione
guardo alla funzione di tali uffici, ecc., per quanto l’autore non dia
ma semplicemente di una certa re­ giuridica risoluzione ai problemi
visione del Codice del 1917. Per fondamentali posti da tali istituti,
giungere a detta conclusione l’au­ in special modo dalla legittimazio­
tore traccia, per stimma capita, un ne. La seconda parte tratta della
ritratto delle due figure, e com­ necessità del curatore nel processo
menta brevemente le novità appor­ canonico, mentre la terza della sua
tate al riguardo dal Codice del costituzione nel procedimento ma­
1983. trimoniale. Entrambe le parti stu­
692 RASSEGNA DI BIBLIOGRAFIA

diano con attenzione la figura del Mons. Tramma espone una rela­
curatore, gli effetti giuridici della zione sui periti, intitolata Annota­
sua costituzione, da chi è designa­ zioni sgarse in tema di periti (p. 203­
to, i suoi diritti e obblighi ecc. Seb­ 209). E questo un tema assai trat­
bene mons. Ricciardi nella conclu­ tato, in ogni momento storico, dai
sione affermi che le questioni che maggiori canonisti: mons. Tramma
possono sorgere attorno alla figura tuttavia non fa riferimento ai sud­
del curatore sono molte, possiamo detti studi, ma preferisce riportare
tuttavia affermare, una volta letto alcune indicazioni sull’istituto della
il suo studio, che esse siano state perizia sorte dalla sua esperienza
da lui già in gran parte risolte. forense, unitamente alla citazione
Il prof. Llobell ha contribuito al­ di taluni casi reali. Le Annotazioni,
l’opera con uno studio su Lo « ius pur nella loro sinteticità, risultano
postulandi » e i patroni (p. 185­ di grande interesse.
202). L’autore analizza dapprima L’argomento relativo a La fase
taluni principi normativi fonda­ introduttona del processo e la non
mentali relativi agli avvocati e ai comparsa della parte convenuta (p.
procuratori; ma particolarmente in­ 211-221) è trattato da un avvocato
teressanti ci paiono le idee da lui rotale, L. Mattioli. Due questioni
espresse sui problemi posti dagli da lui affrontate mi sono parse par­
istituti qui trattati. Esse sono il ri­ ticolarmente significative. La pri­
flesso di una assennata riflessione ma riguarda alcune perspicaci con­
dottrinale sulla concezione istituzio­ clusioni in tema di interesse ad agi­
nale del processo canonico — alla re e a resistere, relativamente al
luce degli insegnamenti di Pio XII soggetto capace di introdurre una
alla Rota Romana —, e sulle conse­ causa di nullità matrimoniale. La
guenze di detta concezione nelle seconda è sintetizzata dall’a. nel se­
norme sulla funzione e ruolo degli guente modo: « Attesa però la na­
avvocati e procuratori nel processo. tura del processo matrimoniale, la
Prendendo le mosse da questi realtà dei fatti per avventura emer­
aspetti, l’a. dimostra cosa implichi sa non può rimanere senza conse­
l’unità del fine delle cause di nulli­ guenze solo perché la sua acquisi­
tà matrimoniale; l’unità di azione e zione è affetta da un vizio di proce­
di cooperazione da parte di coloro dura » (p. 217). Ritengo che detta
che intervengono in una causa di affermazione vada chiarita, in
nullità matrimoniale, nel pieno ri­ quanto può essere causa di non po­
spetto della natura del proprio ruo­ che ingiustizie: ci troveremmo in­
lo processuale (ovvero, rispettando fatti dinanzi ad azioni che, pur fon­
il principio del contraddittorio); e, date sulla verità dei fatti, si autole-
infine, la natura giuridica dei dirit­ gittimino per non osservare le nor­
ti e obblighi inerenti ai patroni re­ me processuali, dettate invece pro­
lativamente a quanto sopra enun­ prio a garanzia della conformità
ciato. con la giustizia non solo della sen-
RECENSIONI 693

lenza, ma anche degli atti ad essa possibili classificazioni, mezzi di


previ. impugnazione, ecc. sono argomenti
Il sempre difficile ma importante in cui viene sviluppata la tematica
argomento de Le prove è stato il te­ degli incidenti. L’a. non si limita,
ma affrontato da mons. Corso (p. però, a questo campo del processo,
223-246). Mons. Corso premette ma da ciò trae spunto per alcune
che, dato il carattere della sua rela­ affermazioni su istituti cardine del
zione, cercherà soprattutto di esa­ diritto processuale, come ad esem­
minare le principali novità dell’at­ pio l’azione. Tali riferimenti, insie­
tuale codificazione, cui d’altra par­ me ad altri relativi al processo di
te si attengono i commenti finora nullità matrimoniale — che a suo
pubblicati. Ad ogni modo, la de­ modo di vedere non è un processo di
scrizione di mons. Corso delle no­ parte — lo portano a rifiutare qual­
vità che, sull’istituto della prova, siasi mimetismo, in ambito proces­
apporta il vigente Codice, lo spin­ suale, tra il campo civile e quello
gono ad indicare che non si possa canonico, posto che, secondo l’au­
parlare di un vero e proprio muta­ tore, il principio di certezza del di­
mento di fondo in questo ambito, ritto è differente in ciascuno dei
nonostante siano non poche le par­ due ordinamenti.
ticolarità che segnala l’a. nel suo ar­ L’avvocato rotale C. Gullo si oc­
ticolo. Le più rilevanti sono conte­ cupa successivamente de La pubbli­
nute nei canoni preliminari dedica­ cazione degli atti e la discussione del­
ti alla prova (1526-1529), merita la causa (can. 1598-1606; can. 1682
tuttavia speciale attenzione il c. § 2) (p. 289-302). Per Gullo esiste
1559, in cui viene ampliata la pos­ una stretta relazione fra l’istituto
sibilità che gli avvocati e procura­ canonico regolato nel c. 1598 — la
tori possano assistere, entro certi pubblicazione degli atti del proces­
limiti, all’esame dei testi. so — e il diritto alla difesa, di mo­
Il prof. Villeggiante, oltre all’in­ do che, mancando il decreto di
carico di prologare il volume con il pubblicazione, la sentenza sarebbe
ricordo del prof. G. Torre, si occu­ viziata da nullità insanabile. Con­
pa (p. 247-288) di un tema non me­ cordemente a ciò conduce una rigo­
no intricato del precedente, cioè rosa analisi dell’ultimo inciso del c.
quello relativo al Le questioni inci­ 1598 § 1, in cui si stabilisce un’ec­
dentali. Non si può dire che l’auto­ cezione al principio generale della
re svolga uno studio esaustivo delle pubblicazione. Questa particolarità
questioni incidentali, che esulereb­ non potrà abbracciare la totalità
be del resto dallo scopo delle confe­ degli atti del processo, andrà basata
renze che compongono il volume su gravissimi pericoli (concreti e
recensito, tuttavia Villeggiante af­ reali), di essa occorrerà farne un
fronta la questione degli incidenti uso prudente e dovrà essere di un
con un’ampiezza realmente notevo­ atto importante. Sulla discussione
le. Concetto, elementi costitutivi, della causa, l’a. fa alcune considera­
694 RASSEGNA DI BIBLIOGRAFIA

zioni, esprimendo il suo parere con impugnazione (querela di nullità,


particolare riguardo al presupposto restitutio, ecc.), fissando la sua at­
di fatto previsto nel c. 1682 e in re­ tenzione sulle differenze che inter­
lazione al diritto dell’attore di co­ corrono tra il Codice del 1917 e
noscere gli allegati del difensore del quello attualmente vigente.
vincolo, salvando così il principio Nonostante il prof. Della Rocca
di uguaglianza processuale. faccia riferimento alla querela di
La sentenza: decisione e motiva­ nullità, mons. Serrano studia que­
zione (p. 303-329) è il tema dell’in­ sto istituto canonico con maggior
tervento del prof. Llobell. L’a. estensione {La querela di nullità
adotta una sistematica rivelatrice contro la sentenza, p. 347-364), me­
in se stessa delle due fasi della sen­ diante il commento dei cc. 1619­
tenza: la prima riguardante la for­ 1627 che attualmente lo regolano.
mazione della decisione, in cui gio­ Dopo aver evidenziato sommaria­
ca un ruolo particolarmente rile­ mente le novità dell’odierna nor­
vante ciò che Llobell denomina il mativa rispetto al Codice pio-bene­
favor veritatis, nella sua relazione dettino, dedica la sua attenzione al
con la quaestio facti, e la fedeltà, c. 1619, il primo di questo capito­
nella sua relazione con la quaestio lo, che tuttavia non si riferisce in
ìuris; la seconda che attiene invece senso stretto alla sentenza, bensì
alla motivazione coram partibus del­ agli atti processuali anteriori ad es­
la decisione giudiziale, in cui so­ sa. Successivamente affronta diret­
stiene nuovamente, con precise ar­ tamente la tematica della querela
gomentazioni, che alcune delle af­ secondo il seguente schema: norme
fermazioni sulla tendenza negativa generali sulla querela di nullità
del diritto canonico a motivare le (parti, pubblico ministero, giudice);
sentenze manchino di fondamento. procedimento attraverso cui si inte­
Infine, attraverso la motivazione, grano gli estremi della sua proposi­
opera una sintesi delle funzioni en- zione, i differenti tipi di nullità (in­
doprocessuali ed extraprocessuali. sanabile o sanabile), i termini della
Il prof. Della Rocca si occupa de sua proposizione e, infine, la possi­
I mezzi di impugnazione (p. 331­ bile appellabilità della sentenza
346). La sua relazione risalta per i conclusiva della querela di nullità.
rilievi critici (« Nel corso del mio Tra le diverse opinioni espresse da
dire ho, bine et inde, sollevato delle mons. Serrano, mi pare opportuno
critiche », p. 346) con cui tratta, considerarne una di notevole im­
concretamente, del tema della dop­ portanza. Commentando, infatti, il
pia sentenza conforme in relazione § 2 del c. 1626, l’a. ritiene che la
all’appello dei processi dichiarativi facoltà concessa al giudice di revo­
di nullità matrimoniale. Appare più care o correggere ex officio la sen­
moderato — sebbene nemmeno qui tenza nulla da lui emessa, abbracci
manchino elementi di disaccordo i casi di nullità sia sanabile che in­
— trattando dei restanti mezzi di sanabile. Mentre la dottrina è con­
696 RASSEGNA DI BIBLIOGRAFIA

incarichi che rispettivamente rico­ con la collaborazione del prof. Bon­


prono gli autori. Così, ad esempio, net. Il volume è corredato da un in­
mons. Buttinelli sottolinea il ruolo dice analitico che risulta di grande
dei tribunali ecclesiastici in relazio­ utilità per chi volesse consultare
ne all’istruttoria delle cause di di­ qualche determinato istituto proces­
spensa super rato \ mons. Orlandi, in­ suale. Per ciò che concerne la siste­
vece, si sofferma soprattutto sulla matica non appare del tutto chiaro il
fase decisionale della dispensa, de­ perché venga anteposto il tema della
dicando particolare attenzione ai perizia (U. Tramma) a quello della
cosiddetti « casi difficili », già argo­ fase introduttiva del processo (L.
mento di una sua nota monografia, e Mattioli), invertendo l’ordine che
che nella presente relazione arric­ fino a quel momento mantenevano i
chisce di nuovi dati. vari interventi. Per una maggior
L’ultimo lavoro raccolto nel volu­ chiarezza sarebbe stato anche auspi­
me riguardante II processo di separa­ cabile che venissero divisi in due
zione (p. 475-481) si presenta con la parti distinte i diversi aspetti del
seguente precisazione: « poiché non processo di nullità matrimoniale
è stato presentato entro i termini di dalle quattro ultime conferenze che
saggio, piuttosto che lasciare com­ riguardano cause di altro tipo.
pletamente scoperto il tema, la reda­ Il volume offrirà senza dubbio un
zione ha ritenuto opportuno, per grande aiuto agli studiosi del proces­
completezza di informazione, pre­ so, e ci auguriamo anche una sua
sentare delle brevi riflessioni sul buona accoglienza presso gli studen­
processo di separazione » (p. 475). ti di licenza in Diritto Canonico,
In queste riflessioni di Carlo Gullo poiché in esso troveranno una com­
si sottolinea che il tema avrebbe me­ pleta e sistematica esposizione del
ritato una trattazione più ampia, so­ diritto processuale matrimoniale
prattutto per quanto si riferisce ai fatta da riconosciuti esperti della
problemi teoretici, in particolare al materia. .
tema della giurisdizione. In effetti Rafael R odriguez-Ocaha
oggigiorno si può parlare, salvo rare
eccezioni, quasi di una scomparsa di
questo tipo di processo nei tribunali
ecclesiastici dovuta, a mio parere, AA.VV., Studi in onore di Guido
ad una eccessiva leggerezza nell’ap­ Saraceni, a cura dell’Istituto di di­
plicazione del c. 1695 che, disgra­ ritto ecclesiastico e canonico del­
ziatamente, porta ad una effettiva l’Università di Napoli, Jovene, Na­
inibizione ecclesiastica nelle cause poli, 1988 p. XVI + 571.
di separazione.
Per completare la recensione su II Il volume raccoglie ventisei studi
processo matrimoniale canonico va di noti canonisti italiani, in omag­
aggiunto che il coordinamento del gio alla lunga e feconda dedizione
lavoro è stato svolto dall’avv. Gullo, accademica del prof. Guido Sarace-
RECENSIONI 695

corde nel primo caso, vi è disaccor­ Mario Petroncelli. L’a. divide il


do nell’ipotesi di nullità insanabile. suo lavoro in cinque parti: introdu­
Le ragioni addotte dall’a. non ci zione, ambito di applicazione di
paiono del tutto persuasive se si questo processo, soggetti, procedi­
considera la tassatività dei casi pre­ mento e, infine, un’ultima parte
scritti dal c. 1620, da cui si deduce dedicata allo studio della natura
la inoperatività, in essi, della facol­ giuridica del processo documentale.
tà concessa al giudice dal c. 1626 § Ed è proprio su questo punto che
2. La. offre una variazione rispetto al­
La nuova « causae propostilo » è le sue anteriori opinioni sulla natu­
la tematica analizzata in un nuovo ra di questo istituto. In effetti è
intervento dell’avvocato C. Gullo noto come in diverse sue opere —
alle p. 365-388. L’a. esamina, dopo alcune di carattere monografico —
un sintetico ma completo riferi­ sulla figura del processo documen­
mento storico, i diversi aspetti che tale, Bonnet abbia ritenuto questo
sorgono dalla considerazione del c. processo di natura meramente am­
1644. Si possono sottolineare i se­ ministrativa. In questo lavoro, al
guenti: natura giuridica della nova contrario, l’a. aggiunge una nuova
causae propostilo; problemi di legit­ riflessione alla sua posizione, soste­
timazione; procedimento; per con­ nendo la natura-giudiziale del pro­
cludere con l’istituto dell’appello cesso documentale limitatamente al
applicato alla nova causae. Come suo carattere « formale », mentre
si vede non sono poche le proble­ conserva la sua natura amministra­
matiche affrontate dall’a., e tra tiva « essenziale ».
queste ve ne sono alcune di non Si trovano poi due lavori sulla
trascurabile rilevanza per la retta dispensa del matrimonio rato e non
applicazione della giustizia. A mo’ consumato. Il primo è di mons.
di esempio si possono citare sia la Buttinelli, officiale del Tribunale
discussa vigenza del principio au- regionale del Lazio, ed ha per titolo
diatur et altera pars nell’ammissione L’attuale procedura nelle cause di di­
o rigetto della nova causae proposi- spensa «super matrimonio rato et
tio, sia l’estrapolazione della fun­ non consumato » (p. 429-445); il se­
zione di vigilanza sull’amministra­ condo è di mons. Orlandi, officiale
zione della giustizia che compete della Congregazione del Culto divi­
alla Segnatura Apostolica come no e della disciplina dei Sacramen­
fonte di possibili « nuove cause » al ti, ed ha per argomento le Recenti
margine del c. 1644. innovazioni nella procedura « super
Il prof. Bonnet tratta poi de 11 matrimonio rato et non consumato »
processo documentale (cann. 1686­ (p. 447-474). Nonostante vi siano
1688 CIC). Il suo intervento ripor­ indubbie concomitanze e ripetizio­
tato nel volume che stiamo recen­ ni sui medesimi aspetti, i due lavori
sendo (p. 389-427), si può trovare offrono una visione differente della
anche negli studi in memoria di tematica, conseguenza dei diversi
RECENSIONI 697

ni a Roma, Padova e, soprattutto, un fondamento battesimale, « la di­


Napoli. versità ministeriale tuttavia, pur
Il nucleo principale della prima senza costituire la frattura di uno
parte del libro, preceduta da un status personale, non può, nella
profilo della figura e dell’opera continuità del diritto di associazio­
scientifica del prof. Saraceni a cura ne, che appartiene ad ogni fedele in
dei proff. Baccari e Mauro, ruota Cristo, non valorizzare delle di­
attorno a temi relativi al carattere scontinuità » (p. 73), che compor­
gerarchico e collegiale della Chiesa. tino una normativa particolare in
Il prof. Baccari, in primo luogo, a conformità con la specifica condi­
proposito del nuovo Codice di di­ zione dei chierici e con la comunio­
ritto canonico, fa il punto della si­ ne gerarchica, esaminando successi­
tuazione dottrinale sull’attività ex­ vamente la questione delle associa­
traconciliare del Collegio. Il prof. zioni sindacali e politiche ad essi
Berlingò, in un contributo dal tito­ vietate.
lo L'insegnamento «facoltativo» Il prof. Caron affronta il tema
della religione: la « scelta » concor­ de L'idea della collegialità episcopale
dataria e le « scelte » della Conferen­ nel Decreto di Graziano e nella dot­
za episcopale italiana auspica l’evo­ trina dei decretisti, trattando delle
luzione del sistema « facoltativo » principali questioni relative alla te­
di insegnamento della religione a matica contenuta nel capitolo III
quello di materia « opzionale », di della Lumen gentium sulla base dei
modo che « più in avanti, l’insegna­ testi del Decreto e dei decretisti. Il
mento della religione, non più vin­ prof. Coppola, fa un’analisi del Pri­
colato dal discrimine confessionale, mato pontificio in una prospettiva
sia inserito a pieno titolo tra gli di evoluzione ecumenica, mentre il
adempimenti dell’obbligo scolasti­ prof. Dalla Torre offre un interes­
co » (p. 31). Il prof. Bertolino illu­ sante contributo sulla nuova strut­
stra la questione relativa al princi­ tura degli ordinariati castrensi crea­
pio di corresponsabilità insita nella ta con la cost. ap. Spirituali mìlìtum
concezione della Chiesa come comu­ curae.
nione, e le conseguenze giuridiche In un breve saggio, il prof. De
che da ciò si dovrebbero derivare Bernardis presenta un rigoroso stu­
nell’ordinamento canonico. Il prof. dio dei « collegi » presenti nella
Bolognini mostra la compatibilità struttura di governo della Chiesa,
fra i tradizionali principi di gerar­ confrontando la situazione presen­
chia e autorità nella Chiesa, e le te — dopo il Concilio —■ con quella
nuove istituzioni a base collegiale del Codice pio-benedettino, e criti­
auspicate dall’ultimo Concilio ecu­ cando « il sempre più frequente
menico. Il prof. Bonnet, nel suo trapasso dal regime della ratifica
saggio intitolato 11 chierico e il dirit­ delle deliberazioni a quello della
to-dovere dì associarsi liberamente pura e semplice attività consulti­
nella Chiesa, sottolinea che, sebbe­ va » (p. 149). Allo stesso tempo of­
ne il diritto di associazione abbia fre una convincente classificazione

45. lus ecclesiae - 1989.


698 RASSEGNA DI BIBLIOGRAFIA

degli organi collettivi, sulla base di La prima parte dei lavori viene
criteri giuridici: elezione dei com­ conclusa dal prof. Zanchini di Ca-
ponenti, designazione del presiden­ stiglionchio, con un lavoro intitola­
te, determinazione dei suoi poteri, to La costituzione della Chiesa fra
capacità di autoconvocazione, de­ regressione e sviluppo, ricco di preci­
terminazione dell’ordine del giorno se osservazioni sull’attuale momen­
ecc. to della scienza canonistica e del
Il lavoro del prof. Pio Fedele, in­ diritto della Chiesa, benché non
titolato Il primato del Vicario di Cri­ sempre paiono condivisibili le con­
sto evidenzia la qualità scientifica e clusioni o il contesto delle sue im­
l’erudizione dell’autore. Il prof. postazioni. In campo metodologi­
Ferrari tratta de L’organizzazione co, denuncia gli sterili e vuoti pa-
istituzionale della Chiesa italiana du­ storalismi e teologismi che hanno
rante il pontificato di Pio XII, ana­ invaso l’ambito canonistico, sotto­
lizzando il contenuto dei sinodi lineando come tali correnti finisca­
diocesani e dei concili particolari no per essere debitrici del normati­
svoltisi in Italia in quel periodo. Il vismo giuridico che pretenderebbe­
prof. Gherro, a proposito dell’Ac­ ro superare (p. 314); a partire dal
cordo di modificazione del Concor­ contenuto dei discorsi inaugurali
dato lateranense affronta sia il pro­ del Concilio Vaticano II — pro­
blema della libertas Ecclesiae anche nunciati da Giovanni XXIII e da
in funzione del singolo christifidelis, Paolo VI — e dai « quattro scopi »
sia quello dei nuovi modelli di rela­ del Concilio in essi tracciati, viene
zione e cooperazione tra la Chiesa affrontata la tematica dei principi
e lo Stato che sorgono dall’esisten­ integrativi della costituzione mate­
za delle Conferenze episcopali. La riale della Chiesa, sostenendo la vi­
prof.sa Petroncelli presenta le genza giuridico-canonica delle indi­
strutture di cooperazione dei diffe­ cazioni conciliari senza necessità
renti episcopati africani che costi­ dell’intervento mediatorio della
tuiscono el Conferenze episcopali legge formale.
internazionali create nel continen­ La seconda parte del libro, dal ti­
te, con il contributo documentale tolo di Contributi vari, raccoglie
dei loro rispettivi statuti. Il prof. con qualche eccezioni studi di dirit­
Spinelli, nel suo lavoro dal titolo to ecclesiastico e di diritto matri­
Annotazione sul potere del collegio moniale, limitandoci in questa sede
episcopale in unione al Pontefice, all’indicazione deio loro titolo: il
studia il tema della cooperazione prof. Adami, Brevi note sullo « sta­
del collegio nella funzione prima- tus » giuridico dell’insegnante di reli­
ziale. Il prof. Varnier si occupa del­ gione; il prof. Barbieri, Alcune
la recente evoluzione della figura questioni in merito all’inconsumazio­
del sinodo diocesano, facendo par­ ne del matrimonio; il prof. Laric­
ticolare riferimento a quello attual­ cia, La posizione della Repubblica
mente in preparazione nella diocesi italiana nei confronti della Chiesa
romana. cattolica; il prof. Lo Castro, Ri­
RECENSIONI 699

flessioni sui profili canonistici degli st’ultimo ventennio, non sempre


enti ecclesiastici; il prof. Mauro, Il unanime persino nei suoi aspetti
diritto ecclesiastico negli orientamen­ più fondamentali. Dal momento,
ti della didattica; il prof. Muselli, però, della promulgazione del codi­
Democrazia elvetica e valorizzazione ce di diritto canonico, espressa­
delle autonomie ecclesiali: uno stu­ mente voluto dal Romano Pontefi­
dio sulla legislazione cantonale; il ce come traduzione in linguaggio
prof. Notaro, Dote monastica tra canonistico dell’eccesiologia del
vecchio e nuovo regime; il prof. Pa­ Vaticano II, esso deve assumersi
scali, Il presidio costituzionale come quale dato autoritativo e chiarifica­
categoria necessaria al processo di le­ tore nella riflessione teologica, sia
galizzazione del potere (alle radici del pure tenendo conto dei limiti deri­
fenomeno); il prof. Tedeschi, Seco­ vanti dalla sua natura normativa
larizzazione e libertà religiosa; il non strettamente magisteriale. Lo
prof. Uccella, Sentenze canoniche scopo del libro recensito è proprio
di nullità matrimoniale e ordine pub­ quello di offrire ai cultori della teo­
blico italiano: prime riflessioni. logia il contenuto del nuovo codice
Si tratta per lo più di lavori bre­ circa il ministero ordinato, attra­
vi, ma ricchi di suggerimenti che verso principalmente l’esame dello
rendono quindi particolarmente statuto giuridico personale del ve­
utile e stimolante la lettura del li­ scovo, presbitero e diacono.
bro da parte di chi si dedica al di­ Pur restando principalmente un
ritto canonico, offrendo idee che contributo canonistico, l’opera ini­
sono al contempo puntuale sintesi zia con uno studio teologico indi­
dell’opinione degli autori e base rizzato ad inquadrare il discorso
per ulteriori sviluppi e approfondi­ giuridico nella situazione teologica
menti. odierna. Brambilla, docente presso
Davide Cito la Facoltà teologica dellVtalia Set­
tentrionale, si occupa quindi di
proporre una soluzione al problema
del rapporto tra visione teologica e
figura storica del ministro ordina­
AA.VV., Episcopato, presbiterato, to. L’autore si sofferma sulla fon­
diaconato. Teologia e diritto canoni­ dazione ecclesiologica del ministero
co (a cura di E. Cappellini), Edizio­ ordinato — senza misconoscerne il
ni Paoline, Milano, 1988, p. 389. profilo teologico — attingendo alla
dottrina conciliare secondo la quale
L’approfondimento sul mistero il ministero ordinato va inteso fra
della Chiesa realizzato dal Concilio l’altro come servizio alla comunità
Vaticano II tocca diversi argomenti ed avverte il rischio — verificatosi
teologici, fra i quali spicca il tema in questi ultimi anni — di capovol­
del ministero ordinato, come sta a gere la corretta relazione « ministe­
dimostrarlo l’abbondante bibliogra­ ro-comunità », nel senso di capire il
fia sulla materia pubblicatasi in que­ ministero come conseguenza —
700 RASSEGNA DI BIBLIOGRAFIA

non più ecclesiologica ma, piutto­ non può che studiare lo « stato di
sto, sociologica — della comunità. christifedelis » prima di passare alla
Il secondo capitolo del libro è trattazione dei particolari stati. A
dedicato all’esposizione sistematica mio avviso, ogni volta che il codice
della normativa codiciale riguar­ ha voluto espressamente essere la
dante la posizione giuridica delle traduzione in linguaggio canonisti­
persone nella Chiesa. Il prof. De co dell’ecclesiologia del Concilio,
Paolis, dimostrandosi un grande se si vuole ritenere ancora questa
conoscitore del codice, articola terminologia, la si dovrà svuotare
quest’argomento in quattro sezioni del significato che cozza con il
intitolate « lo stato di christifede- principio d’uguaglianza di tutti i
lis », « lo stato clericale », « lo stato battezzati, come del resto sembra
laicale » e « lo stato di vita consa­ che si faccia nell’introdurre la nuo­
crata », appoggiandosi non solo sui va categoria di « stato » del fedele.
corrispondenti canoni, ma anche Il compito di affrontare diretta­
sui testi conciliari pertinenti, spe­ mente il tema dello statuto giuridi­
cie nel parlare della vita consacrata. co dei ministri ordinati è stato affi­
L’autore si sofferma soprattutto su­ dato al prof. Urso. Nel terzo capi­
gli aspetti che presentano maggiori tolo dell’opera, Urso raccoglie esau­
novità, cercando di coglierne i trat­ rientemente la normativa codiciale
ti essenziali. Ciò si nota anzitutto riguardanti i diritti ed i doveri dei
nella descrizione dello stato laicale chierici, in continuo raffronto con
e nella spiegazione degli istituti se­ il codice piano-benedettino nonché
colari che vengono giustamente in­ con frequenti riferimenti ai docu­
quadrati nella vita consacrata an­ menti conciliari ed al processo d’e­
che se differenziati dagli istituti re­ laborazione del nuovo codice. Egli
ligiosi. conclude il suo lavoro con un elen­
Quantunque lo scopo di questo co dei diritti e doveri dei ministri
secondo capitolo sia sempre quello ordinati, avvertendo però che nel­
di presentare il contenuto del codi­ l’attuale codice non si trovano solo
ce, è palese che un’analisi sistema­ obblighi e diritti ma anche capacità
tica di questa materia non è priva ed esortazioni morali (ponendosi
di difficoltà. L’autore infatti si giustamente il problema della loro
sforza per armonizzare la dottrina portata giuridica).
del Vaticano II circa l’uguaglianza Il quarto capitolo, a cura di
di tutti i fedeli, la chiamata univer­ mons. Fagiolo, tratta dell’episcopa­
sale alla santità, il ruolo dei laici, il to. Lungo le prime pagine, il Segre­
rafforzamento della vita religiosa, tario della Congregazione per i Re­
ecc., con il tenore letterale del co­ ligiosi e gli Istituti secolari mostra
dice. E proprio nelle parole del co­ le conseguenze giuridiche derivanti
dice laddove egli trova sostegno al­ dalla sacramentalità e collegialità
la conservazione del termine « sta­ dell’episcopato, facendo leva sul
to ». Tuttavia, dovendo spiegare i concetto di communio. Dopo aver
canoni riguardanti tutti i fedeli, differenziato l’essenza della comu­
RECENSIONI 701

nione dei vescovi con le varie for­ la considerazione dicotomica del


me del suo esercizio, l’autore passa diaconato, cioè visto come ordine
a descrivere il ministero del vesco­ « permanente » o come situazione
vo previsto dal codice, analizzando previa al presbiterato.
i tria munera nella ricerca di indivi­ Sebbene sia vero che molti degli
duare ciò che è specifico solo dei argomenti trattati in quest’opera
vescovi. siano suscettibili di ulteriori appro­
Capellini si occupa di descrivere fondimenti, si può concludere che
la ministerialità sacerdotale, sem­ il libro — avallato dall’autorità
pre così come viene delineata dal scientifica degli autori — ha rag­
nuovo codice. Egli inizia con il giunto il fine che si era proposto
mettere in rilievo il legame esisten­ e cioè quello di offrire, alla ricer­
te tra il sacramento dell’ordine e la ca del ministero ordinato, il contri­
liturgia e, in seguito, analizza i pro­ buto della legislazione ecclesia­
fili giuridici della ministerialità sa­ stica.
cerdotale: l’incardinazione — e Eduardo Baura
quindi le nuove impostazioni e re­
gole di questo istituto —, la missio­
ne e gli uffici del presbitero, i can­
didati al presbiterato, i requisiti di
idoneità, ecc. È bene segnalare co­ Juan Ignacio Arrieta, El Sínodo de
los Obispos, Pamplona, EUNSA,
me, da questo studio, l’autore trae
la conclusione che « il codice, ac­ 1987, p. 256.
colto con serenità, secondo la sua
specifica funzione e con i suoi limi­ Una delle vicende giuridico-isti-
ti, offre al presbitero una regola di tuzionali che maggiormente ha in­
vita sacerdotale e un itinerario si­ teressato la dottrina canonistica ne­
curo per la missione pastorale ». gli ultimi anni è, indubbiamente,
Il libro che stiamo recensendo si quella relativa al Sinodo dei vesco­
conclude con un lavoro di Mogave- vi, creato da Paolo VI nel 1965 tra­
ro sul diaconato, che prende lo mite il m.p. Apostolica sollicitudo,
spunto dal magistero dell’episcopa­ poco prima della conclusione del
to italiano in materia nonché dei Concilio e quale seguito e risultato
testi conciliari e codiciali. Oltre ad di un lungo dibattito nell’aula del
elencare le caratteristiche princi­ Vaticano II, causato, per così dire,
pali dello statuto giuridico del dia­ da una richiesta fatta nel 1964 dal­
cono e del suo ministero. Mogave- lo stesso Paolo VI di poter far affi­
ro intende evidenziare la specificità damento su un nuovo organismo
del diacono e la peculiarità del suo consultivo formato da vescovi per
agire che, in seguito alle direttrici assisterlo nella sua funzione prima-
del Concilio, hanno innovato il ziale.
quadro del ministero ordinato nella L’accresciuta attenzione, non so­
Chiesa latina. A questo scopo, ma­ lo degli specialisti ma della stessa
nifesta la convenienza di superare pubblica opinione, nei confronti di
702 RASSEGNA DI BIBLIOGRAFIA

quest’istituto ha portato non pochi intendendo cioè il Sinodo quale


studiosi ad affrontare una elabora­ istituzionalizzazione ed esercizio
zione dottrinale della materia. Tra della collegialità e dell’annesso po­
queste opere trova posto quella del tere supremo (cap. IV).
prof. Arrieta, titolare di Organiz­ Ma da un esame scientificamente
zazione ecclesiastica presso il Cen­ condotto dei documenti conciliari,
tro Accademico Romano della San­ che porti cioè a valutare quali uni­
ta Croce. camente rilevanti gli atti che poi,
L’impianto del volume è solido, di fatto, abbiano influito nella con­
sistematico, prettamente giuridico, creta normazione giuridica dell’isti­
come sottolinea J. Hervada nel suo tuto, e ponendo a latere quelli, pur
bel prologo. datisi in ambito conciliare, di diffe­
L’analisi dell’istituto, dopo un rente opinione, ma che nessun
primo capitolo nel quale l’autore cambiamento hanno apportato al­
passa in breve disamina le principa­ l’ordine giuridico; dei discorsi di
li problematiche un tema, muove Paolo VI; del di lui ricordato m.p.
dai suoi antecedenti. O meglio, da­ istitutivo del Sinodo e della succes­
to che, come ricorda Arrieta, di ve­ siva legislazione — in primis, il
ri antecedenti istituzionali nel caso nuovo Codice: can. 342-348; da
non si può parlare, si prendono le detto esame si evince dunque chia­
mosse dagli schemata redatti nella ramente che il Sinodo è un organo
fase ante-preparatoria del Concilio, ausiliare del Romano Pontefice,
ove ci sia dato per la prima volta che partecipa non tanto diretta­
rinvenire alcune tracce, alcune pro­ mente al suo governo, quanto alle
poste anche tra di loro assai diver­ responsabilità del governo e alle
genti formalmente e sostanzialmen­ funzioni proprie dell’ufficio prima-
te, relative a un organismo, a un ziale. Tale partecipazione non si
ente per essere precisi data l’inde­ basa su di uno specifico potere giu­
terminatezza dei voti: quello che, ridico o su ambiti di competenza,
poi, sarà il Sinodo dei vescovi. in quanto il Sinodo ne è privo. Es­
Il capitolo III entra formalmente sa deriva dai concreti atti del Pon­
in medias res, con l’esame dei dibat­ tefice mediante cui questi chiede
titi tenutisi nell’aula conciliare e l’aiuto consultivo — non vincolan­
dei relativi documenti redatti. te — dei vescovi riuniti in Sinodo.
Merito dell’autore è aver indivi­ Può l’istituto, è vero, godere an­
duato la chiave ermeneutica dell’i­ che di un potere di carattere deli­
stituto nel n. 5 dello Schema de Epi­ berativo: nel caso, secondo l’auto­
scopi*, ovvero nella libertà insita re, ci troveremmo di fronte ad un
nello stesso munus petrinum di cui atto di potestà delegata dal Papa, e
gode il Romano Pontefice di creare non propria (cap. V).
il nuovo organismo, lì dove parte Il libro è concluso da un capito­
della dottrina ha individuato tale lo, il sesto, sulla struttura interna
criterio interpretativo nel n. 22 del Sinodo e sulle sue modalità di
della cost. dogm. Lumen Gentium, funzionamento.
704 RASSEGNA DI BIBLIOGRAFIA

festa, lungo il periodo esaminato, Allo stesso tempo, sul piano del­
nelle decisioni della Conferenza in la società cattolica svizzera, la Con­
vista di una progressiva uniformità ferenza va affermando la sua posi­
disciplinare e di un’applicazione zione di guida unitaria e punto di
della legislazione universale, pru­ riferimento. L’a. conclude che, su­
denzialmente condotta secondo le perando gli schemi dell’alleanza
concrete circostanze della società Chiesa-Stato, la Conferenza episco­
svizzera. Le successive approvazio­ pale svizzera ha saputo potenziare
ni e incoraggiamenti dati dalla San­ su base nazionale la presenza catto­
ta Sede, insieme alle informazioni e lica nella società, grazie all’atten­
comunicazioni del coetus episcopo- zione rivolta all’opinione pubblica
rum ad essa inviate, presuppongono mediante la stampa, la capillarità
un reciproco scambio che sottoli­ dell’associazionismo e l’insegna­
nea una chiara unità ed una giusta mento, mantenendo però sempre
autonomia (valutata nel quadro le­ una singolare indipendenza dal par­
gislativo allora vigente). tito consrevatore.
Determinate circostanze agevo­ Il volume recensito costituisce
larono un rapido consolidamento un documentato studio storico del­
dell’istituzione: la politica antireli­ le riunioni dei vescovi svizzeri fin
giosa che causerà la rottura delle dal loro inizio che, collocato nel
relazioni con la Santa Sede e la quadro delle recenti indagini stori­
soppressione della nunziatura (av­ che su altre Conferenze episcopali,
venuta nel 1873 e ristabilita solo contribuisce a chiarire, dalla loro
nel 1920), l’inopportunità politica genesi, la peculiare natura di questi
della costituzione di una provincia coetus episcoporum.
ecclesiastica che avrebbe propiziato José Luis Domingo
l’utilizzazione di strumenti meno
flessibili come i concili privinciali,
la recente nascita della Confedera­
zione (Costituzione del 1848) unita
al carattere anticattolico dell’unità Salvatore Berlingò, Libertà d’istru­
politica che occorreva modificare, zione e fattore religioso, Giuffrè,
il ridotto numero di vescovi e la Milano, 1987, p. 523.
semplicità di procedimento che
consentivano il massimo rispetto Si tratta di una raccolta di saggi,
delle singole posizioni e la recipro­ apparsi in diversi luoghi, che hanno
ca concordia. Tutto questo favorirà in comune non solo un’unità tema­
il potenziamento della Conferenza tica, ma anche, come si esprime
episcopale da parte della Santa Se­ l’autore nella presentazione, « una
de, che vedrà in essa lo strumento trama concettuale unitaria, che re­
adeguato di connessione con le dio­ clama una evidenziazione anche
cesi svizzere, così come la soluzio­ esteriore, e quindi la loro sistema­
ne pastorale più idonea per le ne­ zione nella successione seriale dei
cessità della società liberale. capitoli di un’opera unica » (p. 1).
703
RECENSIONI

Come detto, il libro è organico, scienza che ha di se stessa, il suo


attento al dato teologico, ecclesio­ procedimento e attività, l’influsso
logico essenzialmente, e al contem­ positivo delle personalità più rag­
po profondamente giuridico. E chi guardevoli), così come la realtà so­
scrive ne consiglia certo la lettura. cioculturale e politica della Svizze­
La prosa è piana pur nella rigorosa ra considerata dall’angolo visuale
tecnicità. Forse, non avrebbe co­ vescovi, delle loro preoccupazioni e
munque guastato una maggior vi­ prese di posizione, e la politica di
vezza di linguaggio, soprattutto in intervento della Santa Sede.
talune parti, più documentali, che In tal modo cerca di evidenziare
altrimenti riescono un po’ ostiche come la concomitanza di fattori so­
anche a un attento lettore. ciopolitici con elementi teologico-
Andrea Bettetini religiosi — perdurante lungo tutta
l’esistenza storica della Conferenza
— termini con la prevalenza di
questi ultimi, determinando così
una propria sostantività teologica.
Romeo Astorri, La Conferenza
Se in un primo momento potrebbe
Episcopale Svizzera. Analisi storica e
apparire come una creazione di me­
canonica, Edizioni Universitarie
ra opportunità politica per far fron­
Friburgo Svizzera, Friburgo, 1988,
te unitariamente alla politica reli­
p. 298.
giosa delle autorità civili e al con­
flitto ideologico con il liberalesimo,
Si tratta di un elaborato studio in realtà vi è un profondo fonda­
della genesi e successivo sviluppo mento teologico manifestato nell’e­
della Conferenza episcopale svizze­ splosione del fenomeno sinodale in
ra. Attraverso le fonti documentali tutta la Chiesa, che si richiama ad
e, soprattutto, i verbali delle riu­ una nuova ecclesiologia della Chie­
nioni annuali, esaminati in ordine sa locale e della collegialità. Il con-
cronologico, Astorri mostra il pro­ ventus episcoporum è visto come
gressivo consolidamento di questa uno strumento di unione con Roma
istituzione, sia sul piano canonico, e di introduzione di una disciplina
sia su quello della società cattolica più uniforme nelle Chiese locali.
elvetica, dai suoi primi passi (1863) Particolarmente in Svizzera, do­
fino al 1951, anno in cui, per moti­ po alcune prime approssimazioni,
vi di unità tematica, si conclude la la Conferenza episcopale appare fin
sua analisi. dall’inizio basata sull’adesione una­
Rispettando lo scopo del lavoro, nime di tutti i vescovi, come stru­
e senza lasciarsi fuorviare da super­ mento di unione e collaborazione
ficiali interpretazioni del contesto tra loro, al servizio della Chiesa e
sociopolitico e dell’attività che per il bene della patria elvetica;
svolge questa nuova istituzione, l’a. questo carattere nazionale non si
presenta la vita interna della Con­ presenta, però, dialetticamente op­
ferenza nei diversi periodi (la co­ posto alla Santa Sede. Ciò si mani-
RECENSIONI 705

A questa serie di scritti è aggiun­ Due excursus completano il capi­


ta un’ampia appendice documenta­ tolo. Nel primo l’a. esamina il ca­
le (p. 143-520) contenente diversi rattere facoltativo dell’insegna­
progetti di legge presentati nel Par­ mento della religione, muovendo
lamento italiano, norme scolastiche dalla considerazione che si tratta
di ambito regionale, convenzioni di un’offerta culturale aperta a tut­
per la sovvenzione di scuole mater­ ti, orientata a favorire l’opzione
ne private da parte di alcune ammi­ religiosa degli alunni mediante una
nistrazioni municipali, contratti maggiore e più ricca gamma di co­
collettivi e la Lode spagnola (Ley noscenze. Per Berlingò la facoltati-
Orgànica del Derecho e la Educa- vità enunciata nell’Accordo con la
ción del 3.VII. 1985), inclusa in Chiesa del 1984, è una soluzione
quanto « è il frutto legislativo più di compromesso in quanto ripropo­
rilevante della “questione scolasti­ ne il sistema anteriore, riducendo­
ca” sviluppatasi in Europa nel cor­ ne soltanto l’ambito di applicazio­
so di questi anni (1983-1987) » (p. ne ed il suo contenuto confessio­
143). nale.
Il primo capitolo è dedicato alla Nel secondo excursus al cap. I,
relazione tra laicità e libertà di in­ prende in considerazione le pro­
segnamento. Tra le idee principali spettive che l’art. 10, 1 del mede­
presenti nell’esposizione della pro­ simo Accordo apre agli istituti con­
blematica sull’insegnamento priva­ fessionali di insegnamento superio­
to, viene messa in risalto la centra­ re, in ordine alla loro integrazione
lità dell’alunno, come soggetto nel sistema scolastico statale. Seb­
principale di diritti e libertà in rela­ bene all’interno di questo genere
zione all’insegnamento. Il suo inte­ di istituzioni si possano distinguere
resse si pone come fondamento del­ diverse specie, a seconda del fine
la libertà all’interno delle scuole che direttamente perseguano' (for­
pubbliche, di quelle private e nello mazione culturale civile od eccle­
stesso tempo dell’obbligo dei pub­ siastica), tutte presentano aspetti
blici poteri di rendere effettive interessanti per il loro riconosci­
queste libertà. mento e integrazione nell’ordina­
Dal punto di vista dell’offerta mento statale, che si dovranno te­
istituzionale, il prof. Berlingò parte nere presenti nell’attuazione delle
della necessaria coesistenza di una previsioni concordatarie.
scuola pubblica laica (intesa nel Il capitolo II è dedicato al tema
senso di non confessionale) e neu­ dell’identità e libertà della scuola
trale, con le differenti scuole priva­ cattolica in Italia. In primo luogo
te di tendenza religiosa od ideolo­ Berlingò stabilisce la distinzione
gica. codiciale tra scuole cattoliche in
In questo contesto trova la sua senso ampio, che si prefiggono di
ragion d’essere l’intervento econo­ offrire una formazione culturale di
mico dello Stato per garantire una carattere civile, e quelle diretta­
vera libertà di scelta. mente istituite per la formazione
706 RASSEGNA DI BIBLIOGRAFIA

nelle discipline sacre, orientate a che lo Stato si impegna a prestare,


conferire gradi e titoli ecclesiastici. non sarebbe né sufficiente né com­
Le necessarie relazioni con la ge­ pleto se non contasse sulla scuola
rarchia sono differenti a seconda non statale. L’auspicabile riforma
dei casi. E parallelamente sono an­ del sistema educativo, dovrà dare
che differenti le relazioni tra questi spazio a questa realtà.
due tipi di scuole e l’organizzazio­ Nel terzo capitolo si parte dall’a­
ne statale di insegnamento. nalisi dei diversi disegni di legge
Successivamente sottolinea che presentati in Parlamento per giun­
la libertà delle scuole cattoliche, di gere a fissare uno statuto dei centri
qualsiasi tipo, si inserisce non solo docenti non statali. In questa pro­
in un contesto di libertas Ecclesiae, spettiva il prof. Berlingò esamina i
ma in quello più ampio di libertà di diversi modi di concepire l’autono­
insegnamento, confessionale o no. mia della scuola, e fondamental­
Da qui prende le mosse per in­ mente quello che la fa sorgere a
quadrare il problema della salva­ partire dal raggiungimento o com­
guardia dell’identità delle scuole pimento di un insieme di requisiti
cattoliche. A suo avviso non può minimi, fissati dallo Stato, pertan­
essere risolto dalla tesi (affermata to secondo il « modello » di scuola
da alcuni) di considerare ugualmen­ statale, che si basa soprattutto sui
te pubbliche le scuole statali e quel­ risultati, cioè sull’efficienza reale
le libere. Ciò implicherebbe, nel­ di una scuola.
l’attuale concezione dello Stato, Senza pretendere un sistema sco­
precisamente la perdita di identità lastico mosso unicamente da leggi
delle ultime, per l’esigenza di omo­ di mercato (competenza, efficien­
logazione con il paradigma statale. za, risparmio...) che sono insuffi­
L’a. difende un sistema scolastico cienti per valutare esattamente le
integrato da due settori differenti, esigenze dei pubblici servizi, Ber­
privato e pubblico, tendenti en­ lingò pensa che in tutti i modi si
trambi a prestare un servizio speci­ dovrebbe « precisare entro quali li­
fico di evidente interesse sociale. miti l’espandersi o il sussistere del­
Precisamente nella specificità del la gestione pubblica diretta può
servizio, trova la sua miglior difesa tuttora considerarsi essenziale per
l’identità, e la possibilità di ricono­ il perseguimento degli obiettivi co­
scimento in un servizio integrato di stituzionali » (p. 116).
educazione. Servizio che deve an­ Traendo le conclusioni dell’anali­
che tenere presente l’autonomia si dei differenti progetti presentati
scolastica degli enti locali. alle Camere legislative, l’a. traccia
excursus al secondo capito­ le linee entro le quali sembra vi sia
lo, l’a. risponde alle argomentazio­ una sostanziale coincidenza: alla
ni contro gli aiuti statali alla scuola centralità del servizio pubblico sco­
libera che sono state sostenute in lastico (soprattutto a livello di inse­
ambio politico; basandosi proprio gnamento obbligatorio e gratuito)
sul fatto che il servizio scolastico, deve aggiungersi « l’idea che gli
RECENSIONI 707

obiettivi di una formazione inte­ co... ». Da parte nostra possiamo


grale non possono essere conseguiti affermare che il suo lavoro si pre­
tutti e solo nella scuola (di Stato) » senta chiaro e ben sviluppato dal
(p. 121). punto di vista pedagogico, perché
Riguardo al tema del finanzia­ consente, dopo un’agevole lettura
mento della libertà, perché possa es­ di avere una conoscenza sufficien­
sere effettivo, Berlingò suggerisce temente completa del contenuto
la creazione di un Fondo pubblico del nuovo Codice di diritto cano­
alimentato dalle voci di bilancio a nico.
favore dell’insegnamento non stata­ Il libro si divide in due parti fon­
le, sia da donazioni deducibili dalle damentali: una « Preliminare » ed
imposte, sia, infine, da una parte una « Generale ». La prima, che
del gettito IRPEF da destinarsi ad occupa circa un terzo del volume, è
enti con finalità di interesse sociale; costituita da quattro capitoli che si
come già è stato proposto in qualcu­ riferiscono, rispettivamente, al me­
no dei progetti presentati. todo dello studio del diritto canoni­
co, al mistero della Chiesa, alla si­
José T. Martin de Agar
tuazione attuale del diritto canoni­
co ed al diritto della storia della
Chiesa.
Il primo capitolo affronta il pro­
Franco Bolognini, Lineamenti di blema del metodo nello studio del
Diritto canonico, Giappichelli, To­ diritto canonico, avvalendosi delle
rino, 1988, p. 371. opinioni di eminenti canonisti ita­
liani come Del Giudice, D’Avack,
« In attesa di una nuova dogma­ Giacchi. L’a. riesce ad instaurare
tica non è giusto rinunciare o so­ una sorta di dialogo originale e
prassedere alla formazione dei gio­ molto stimolante tra questi autori
vani, per i quali l’informazione — nel quale sporadicamente parte­
contenutistica rimane essenziale ri­ cipano anche altri canonisti come
spetto alla conoscenza delle elucu­ Fedele e Gismondi —, dal quale si
brazioni dei dottori ». Queste pa­ coglie, tra l’altro, la necessità di ap­
role contenute nell’introduzione (p. plicare il metodo giuridico al dirit­
1) si possono considerare la chiave to canonico, pur tenendo sempre
di lettura del volume. presenti le sue proprie e specifiche
L’a., ordinario di Diritto canoni­ caratteristiche.
co presso rUniversità di Macerata, Nel secondo capitolo viene svi­
si propone con questi « Lineamen­ luppato con chiarezza, precisione e
ti » di soddisfare la necessità, ripe­ con un frequente richiamo ai testi
tutamente manifestata dai suoi stu­ conciliari, il tema della Chiesa co­
denti della Facoltà di Giurispru­ me mistero, riflettendo l’unità che
denza, « ...di disporre di uno stru­ esiste nell’unica Chiesa fra l’ele­
mento chiaro ed essenziale per lo mento misterico-soprannaturale, e
studio del nuovo diritto canoni­ l’elemento visibile.
708 RASSEGNA DI BIBLIOGRAFIA

Il capitolo terzo è dedicato all’e­ C. Burke, Authorìty and Freedom


sposizione di una breve teoria ge­ in thè Cburch, Four Courts Press,
nerale del diritto canonico, affron­ Dublin, 1988; Ignatius Press, San
tando, fra le altre, le tematiche del Francisco, 1988 (trad. spagnola:
suo concetto, caratteri, giuridicità, Autorìdad y Libertad en la Iglesia,
relazioni intercorrenti tra diritto Rialp, Madrid, 1988; trad. italiana:
divino e diritto umano nell’ordina­ Autorità e libertà nella Chiesa, Ares,
mento canonico, per concludere Milano, 1989).
con un paragrafo dedicato alla di­
stinzione tra diritto e morale, cer­ Importato dalla prevalente cultu­
tamente chiarificatore. ra secolarizzata, è andato svilup­
Il capitolo quarto conclude que­ pandosi in seno alla Chiesa un at­
sta parte preliminare presentando teggiamento di rifiuto della legge e
uno studio del processo di forma­ dell’autorità, considerate strumenti
zione del diritto canonico: è tratta­ di oppresione e nemiche della li­
to il tema delle fonti e della loro bertà.
conoscenza, e viene inclusa, inol­ Il prof. Burke, giudice della Rota
tre, una sintetica ma completa Romana e con una vasta esperienza
esposizione intitolata « il diritto anche nella formazione di futuri sa­
nella storia della Chiesa ». cerdoti — dedica infatti il volume
La seconda parte possiede la me­ ai suoi vecchi alunni del seminario
desima struttura del Codice quanto di Nairobi —, affronta ed espone
alla distribuzione dei libri, seguen­ con chiarezza l’interessante temati­
do anche lo stesso ordine nella de­ ca relazionata con l’impostazione
scrizione dei diversi istituti: La. si generale sopra enunciata.
limita a fare brevi commenti espli­ Con costanti riferimenti alla dot­
cativi del contenuto dei canoni che trina del Concilio Vaticano lì,
si riferiscono a ciascuna istituzione, compie una profonda riflessione
aggiungendo pochi riferimenti dot­ sulle radici giuridiche e soprattutto
trinali: si osserva un grande impe­ ecclesiologiche delle relazioni tra
gno per tenere fede al proposito l’autorità ecclesiastica e la libertà
manifesto nell’introduzione: la pre­ personale del cristiano, offrendo di
valenza dell’informazione del con­ esse una visione positiva, mettendo
tenuto del Codice sulle differenti in rilievo l’armonia esistente tra
posizioni della canonistica attuale. legge, libertà, dignità, responsabili­
Questa assenza di riferimenti dot­ tà personale, coscienza, ecc., e in­
trinali è colmata al termine del li­ dividuando le relazioni dinamiche e
bro, con un’abbondante bibliogra­ costruttive tra autorità e libertà co­
fia, che raccoglie praticamente ciò me la chiave per il rinnovamento
che di rilevante si è scritto dopo il della Chiesa e del mondo.
Codice del 1983. Partendo da alcuni concetti giu­
ridici — legge, diritti, obblighi —,
Enrique de Leon passa gradatamente alla considera­
zione di alcuni temi personalisti —
RECENSIONI 709

centrati sulla libertà e la coscienza segnamenti e nell’agire della sua


— per giungere infine a delle pro­ Chiesa.
spettive pienamente ecclesiologi­ Queste idee si ricollegano ai temi
che, dove si considera la Chiesa fondamentali della libertà e dei di­
non come mera istituzione giuridi­ ritti della coscienza personale,
ca, ma come il mezzo attraverso aspetti che sono trattati con sereni­
cui Cristo vive e si rende presente tà e profondità. Viene dedicata
fra gli uomini di tutti i tempi e in particolare attenzione al problema
tutti i luoghi, comunicando il suo del dissenso, cioè al problema se un
potere e la sua verità salvifica. cattolico abbia il diritto di dissenti­
La legge, necessaria ad ogni so­ re in punti base della dottrina o
cietà, anche alla Chiesa in quanto della disciplina della Chiesa conti­
Popolo di Dio, è vista come lo nuando, tuttavia, a chiamarsi cat­
strumento mediante il quale si de­ tolico. Reclamare un tale « diritto »
finiscono e proteggono adeguata­ al dissenso significherebbe, spiega
mente i diritti della persona (nella l’a., rifiutarsi di riconoscere e ac­
Chiesa fondamentalmente il diritto cettare l’autorità di Cristo presente
ad un incontro personale con la nella Chiesa, e respingere, per que­
grazia, la verità e la volontà di Cri­ sto, la comunione con Lui. Esiste,
sto), determinando anche gli obbli­ al contrario, il diritto ad una comu­
ghi correlativi ed i limiti o restri­ nione intensa con Cristo nella e at­
zioni richiesti dal dovuto rispetto traverso la Chiesa.
per i diritti altrui. Una legge la cui Un altro dei concetti trattati,
forza e autorità provengono dalla fondamentali per la comprensione
giustizia; per questo l’autorità ret­ dell’autorità cristiana e della sua
tamente esercitata nell’applicazio­ armonizzazione con l’obbedienza,
ne di leggi giuste non solo non si è quello di servizio, sottolineando
oppone alla libertà personale ma al il contrasto con la concezione del­
contrario la incoraggia e le rende l’autorità come semplice potere o
un prezioso servizio. In questo dominio. Il principale servizio che
contesto il nuovo Codice di diritto devono prestare coloro che sono
canonico costituisce un elemento stati chiamati a svolgere il ministe­
importante per il rinnovamento, su ro pastorale, in qualità di guide e
ciò si fonda la necessità che sia co­ maestri, sarà quello di conoscere e
nosciuto, rispettato e soprattutto comunicare ai fedeli la mente e la
applicato. legge di Cristo, così come sono in­
La questione più rilevante che segnati dal Magistero. Per i pasto­
l’a. si pone nei primi capitoli del li­ ri, la sfida che tale impostazione
bro, è quella di determinare in che offre è duplice: comprendere che
modo e fino a che punto dobbiamo l’autorità deve esercitarsi con spiri­
vedere Cristo presente nelle leggi e to di servizio; e che nell’esercitarla
nella disciplina della Chiesa, così stanno servendo, cioè che la loro
come lo vediamo presente in modo missione-servizio esige precisamen­
vivificante nei sacramenti, negli in­ te che esercitino l’autorità che pos­
710 RASSEGNA DI BIBLIOGRAFIA

siedono nell’interesse della verità, riferimento per la mia successiva si­


della giustizia e del bene comune. stemazione teoretica del problema
Dopo una speciale considerazio­ del diritto, di cui le pagine che se­
ne sul ruolo proprio che compete ai guono presentano le linee essenzia­
laici nella chiesa e nel mondo, l’a. li » (p. Vili). Trattasi dunque di
sviluppa nei successivi capitoli la un’opera di sintesi d’indole siste­
prospettiva evangelizzatrice che si matica, la quale tuttavia resta aper­
apre alla Chiesa — a tutti i fedeli, ta ad ulteriori sviluppi, come è nor­
compiendo ciascuno la sua specifica male in un autore il cui pensiero vi­
e complementare missione — in ve e si sviluppa nel dialogo univer­
quanto portatrice della gioia e della sitario.
verità che libera, e conclude sotto­ Riferire dettagliatamente il con­
lineando l’amore preferenziale per tenuto del presente lavoro equivar­
l’unità — non uniformità — che rebbe a presentare globalmente la
deve caratterizzare i cattolici. dottrina di Cotta sul diritto, il che
ci pare troppo ambizioso in questa
Josemaria Sanchis
sede. Del resto questa dottrina è
ormai ben nota, sia in Italia sia al­
l’estero, e per chi non la conosces­
se, a poco gioverebbe fare una sin­
Sergio Cotta, II diritto nell’esisten­ tesi della sintesi, essendo quest’o­
za. Lìnee di ontofenomenologia giuri­ pera, appunto, un’ottima autopre­
dica, Milano, Giuffrè, 1985, p. Vili sentazione della visione che l’a. ha
+ 232 (trad. spagnola: El Derecho del mondo giuridico. Ci limiteremo
en la existência humana, Pamplona, perciò a descrivere sommariamente
Edic. Univ. de Navarra, 1987). la sistematica del libro, e ad evi­
denziare alcune impressioni ricava­
Nella premessa l’autore ricollega te dalla sua lettura.
questo libro alla sua attività di ri­ Il cap. I, Profilo metodologico
cerca e insegnamento nell’Universi­ dello studio del diritto (p. 1-16), co­
tà di Roma « La Sapienza », ed alla stituisce una sorta di introduzione
sua produzione filosofica degli ulti­ epistemologica, in cui si tenta di in­
mi anni (in particolare alle sue Pro­ dividuare la specificità dell’indagi­
spettive di filosofia del diritto, e ai ne filosofica sul diritto, distinguen­
volumi Itinerari esistenziali del dirit­ dola da quella scientifica, e mo­
to, Perché la violenza? Una interpre­ strandone a sua volta la continuità
tazione filosofica e Giustificazione e e complementarità. Cotta definisce
obbligatorietà delle norme). « Negli il suo approccio filosofico come una
anni precedenti — aggiunge Cotta « onto-fenomenologia prospettivi-
— la mia ricerca si era rivolta in stica del diritto » (p. 15): prenden­
modo prevalente a studi di storia do le mosse da una descrizione fe­
della filosofia giuridica che, pur nomenologica del diritto, ricerca il
nella loro particolarità, hanno co­ suo fondamento nella struttura on­
stituito degli stimoli e dei punti di tologica dell’uomo, considerando
RECENSIONI 711

pertanto il diritto nella prospettiva zione dell’autenticità del diritto


dell’esistenza umana. Le coordina­ « quale esigenza esistenziale e rela­
te storico-filosofiche di questo mo­ zionale dell’uomo » (p. 43).
do di filosofare sono così definite Nel seguente cap. (Ili, Il fonda­
dall’autore: « E dunque un orienta­ mento ontologico dell’esperienza pra­
mento che si colloca nell’ambito tica, p. 43-66) l’analisi ha origine
della “Filosofia dell’Essere”, tenen­ invece dall’individuo empirico, di
do peraltro conto della lezione fe­ cui ne viene mostrata l’incompiu­
nomenologica di Husserl e di Hei­ tezza, la particolarità e la contin­
degger, ma rimanendo fedele, nel genza, portando quindi a riflettere
fondo, al modo di filosofare di sul suo « con-esserci », soprattutto
Agostino: il raggiungimento dell’es­ quello specificamente umano, e sul­
sere a partire dalla riflessione sul­ la sua fondamentale ambivalenza
l’esperienza esistenziale » (p. 16). (minaccia o aiuto). Il fenomeno
L’itinerario gnoselogico prefigu­ giuridico è finalizzato al soddisfaci­
rato in questo modo trova poi con­ mento dell’esigenza esistenziale di
creta attuazione nel resto del libro, « liberare il con-esserci della sua
e anzitutto nella sua sezione prima contraddittoria possibilità negati­
« Genesi ontoesistenziale del dirit­ va » (p. 47). L’indagine si eleva poi
to » (p. 17-66). Mediante un’atten­ al livello ontologico, ove l’uomo è
ta analisi dell’esperienza umana, si visto come finito che partecipa del­
evidenzia l’autenticità esistenziale l’infinito, e la sua struttura ontolo­
del diritto, privando così di ogni gica come una sintesi della dualità
valore le concezioni eteronome del di finito-infinito. Ciò determina
diritto che sfociano nell’antigiuridi- che l’essere dell’uomo sia costituti­
smo. I due capitoli di questa sezio­ vamente quello di un ente-in-rela-
ne espongono due vie attraverso cui zione, essendo l’accoglienza il suo
si può raggiungere tale risultato. 11 modo proprio di essere. « Pertanto,
cap. II, Dall’agire immediato al dirit­ l’esistenza trova la sua verità in co­
to (p. 19-41), muove dalla conside­ desto statuto ontologico relaziona­
razione dell’individuo astrattamen­ le, che la definisce come coesisten­
te preso nella sua aseità, prescin­ za » (p. 62), la quale costituisce un
dendo dalle sue relazioni, e si svi­ dover-essere di conformarsi alla
luppa come un’analisi del suo agire, struttura del proprio essere, restan­
del processo di autocoscienza che do sempre possibile la trasgressione
l’azione suscita, e delle implicazioni della relazione, comportante la
esistenziali che ne derivano: « rico­ chiusura dell’io e il conflitto.
noscimento dell’altro in una parità La sezione seconda, intitolata
sempre più profonda con l’io, rico­ Yenomenologia delle forme coesisten­
noscimento d’una verità e regola ziali (p. 67-116) riporta una delle
comuni, origine socionoma della re­ parti più conosciute della filosofia
gola comune, ossia del diritto » (p. di Cotta: l’analisi fenomenologica
43). L’apparente chiusura dell’indi­ delle quattro forme principali in
viduo si dissolve così nella costata­ cui si esprime e si organizza la eoe-
712 RASSEGNA DI BIBLIOGRAFIA

sistenza: Le forme integrativo-e- me a giustizia » (p. 177). Con lo


sclusive (amicizia e politica, ogget­ studio dei complessi rapporti inter­
to del cap. IV, p. 69-90) e quelle correnti fra tempo e diritto (cap.
integrativo-inclusive (diritto e cari­ IX, p. 181-200), e fra morale e di­
tà. tratte nel cap. V, p. 91-115). La ritto (cap. X, p. 201-226), in cui si
presenza di quest’analisi nel conte­ sostiene decisamente la moralità
sto di una filosofia giuridica è giu­ del diritto e delle altre forme della
stificata dalla necessità di confron­ coesistenza, reputandole altrettan­
tare i rispettivi elementi strutturali te specifiche morali, con una diver­
allo scopo di cogliere la specificità sità non contenutistica ma di ordi­
del diritto, e anche le sue coinci­ ne fenomenologico-strutturale, ed
denze, differenze e rapporti con le aventi però una gerarchia che con­
altre forme della coesistenza. Il me­ sente di risolvere oggettivamente
todo del raffronto, tra l’altro, met­ gli eventuali conflitti tra i rispettivi
te in risalto, in modo particolar­ dover-essere, si completa questa se­
mente efficace, la diversità struttu­ rie di approfondimenti monografici
rale fra la politica e il diritto, e fra su alcuni dei principali problemi fi-
questi e la carità. losofico-giuridici, con i quali si con­
La terza ed ultima sezione, Di­ clude il libro.
mensioni del diritto (p. 118-226), si Vorremmo rilevare l’estrema
articola in una serie di capitoli che unità ed armonia che presenta il
trattano altrettanti aspetti della pensiero di Cotta sul diritto. Lo
struttura del diritto. Ad uno studio prova il fatto che non solo è possi­
della giustizia, dei suoi tipi ed ele­ bile farne, senza sminuirne il valo­
menti strutturali e del suo rapporto re, una sintesi, ma anche che que-
trascendentale con la regola giuridi­ st’ultima è di aiuto ad una sua mi­
ca (cap. VI, p. 119-147), segue un glior comprensione. L’unità si ri­
riassunto della posizione dell’auto­ flette pure nell’ordine interno del
re sulla questione della giustifica­ libro, i cui diversi capitoli implica­
zione delle norme, e sulla concezio­ no e sviluppano i risultati raggiunti
ne del diritto naturale (di cui pro­ in quelli precedenti.
pone una nuova impostazione che, La spiegazione ultima di quest’u­
senza intaccarne il nucleo essenzia­ nità va cercata, a nostro parere,
le, tenta di superare l’opposizione nell’adesione alla realtà del diritto,
con il diritto positivo, evidenzian­ sia nella sua fondazione ontologica
do come pure il primo sia vero di­ nella persona umana, sia nella sua
ritto vigente) (cap. VII, p. 149­ specificità (incidentalmente notia­
164). In seguito è esaminata la fun­ mo che sotto questo secondo profi­
zione strutturale specifica del dirit­ lo la dottrina dell’autore può risul­
to (cap. Vili, p. 165-179), definen­ tare particolarmente illuminante
dola, contro ogni riduzionismo for­ per una adeguata visione del diritto
male o politico, come quella di della Chiesa e per una corretta di­
« realizzare la coesistenza nella le­ stinzione tra giustizia e carità in-
galità, ossia nella regolarità confor­ traecclesiale). Dalla fedeltà al reale
RECENSIONI 713

deriva poi una grande libertà di lin­ la nuova figura canonica delle Pre­
guaggio e una flessibilità negli ap­ lature personali, prevista dal Decr.
procci metodologici che consente Presbyterorum Ordinis, n. 10. Da al­
di accostarsi alle questioni sotto lora si son moltiplicate le pubblica­
molteplici prospettive tra loro com­ zioni scientifiche che studiano l’i­
plementari. Ne risulta tra l’altro stituto delle Prelature personali nei
anche un’ampia capacità di integra­ suoi contorni generali e nel con­
re nella propria ricerca i risultati tempo disaminano il suo uso speci­
validi provenienti dalle più svariate fico nel caso dell’istituzione fonda­
correnti filosofiche. ta da Mons. Josemaría Escrivà nel
D’altra parte, per chi non sia 1928. Tuttavia, per una adeguata
abituato a percorrere gli itinerari comprensione della trasformazione
fenomenologico-strutturali proposti avvenuta occorre approfondire l’al­
da Cotta, è particolarmente confor­ tro versante della questione, e cioè
tante trovare in una nuova ottica, e la realtà stessa dell’Opus Dei ed in
con T approfondimento inerente ad particolar modo la storia delle sue
ogni ricerca filosofica rigorosamen­ successive configurazioni canoni­
te condotta, i capisaldi della visio­ che. Proprio qui s’inserisce la pre­
ne classica e cristiana del diritto, sente opera.
alla quale non è certo estraneo un La metodologia scelta è quella
legittimo pluralismo metodologico. propria della storia del diritto, ca­
ratterizzata, tra l’altro, dall’adesio­
Carlos J. Errázuriz M. ne ai fatti, come si rilevano attra­
verso le fonti. Ma per penetrare nel
vero senso di questa lunga ricerca
di una soluzione canonica piena­
A. Fuenmayor, V. Gomez-Igle- mente adeguata al carisma fonda-
sias, J.L. Illanes, El itinerario jurí­ zionale dell’Opus Dei, non si può
dico del Opus Dei. Historia y defen- fare a meno di uno sforzo teologico
sa de un carisma, Pamplona, Edic. tendente a captare le sue radici spi­
Universidad de Navarra, 1989, p. rituali ed ecclesiologiche. Appare
663. così molto oculata l’idea del con­
corso interdisciplinare di due cano­
Dal momento in cui si apprese la nisti — il Prof, de Fuenmayor, già
notizia dell’erezione dell’Opus Dei Decano della Facoltà di Diritto Ca­
in Prelatura personale si è registra­ nonico dell’Università di Navarra,
to un notevole interesse, sia nell’o­ e che attraverso la sua lunga vita
pinione pubblica sia nell’ambito accademica ha saputo intrecciare il
della canonistica, verso questa nuo­ lavoro civilistico ed ecclesiasticisti-
va attuazione del Concilio Vatica­ co con quello specificamente cano­
no II, decisa da Giovanni Paolo II nistico, ed il Prof. Gómez-Iglesias,
nei confronti di una realtà ecclesia­ docente di Diritto Amministrativo
le tanto nota nel mondo intero. Si Canonico nel Centro Accademico
è applicata così per la prima volta Romano della Santa Croce, di cui è

46. lus ccclcsiac - 1989.


714 RASSEGNA DI HIULIOGRAFIA

Vicedirettore generale — e di un particolarmente pressante la neces­


teologo — il Prof. Illanes, attuale sità di scrutare in profondità il suo
Decano della Facoltà di Teologia carisma, in spirito di fede e di acco­
deirUniversità di Navarra —. I tre glienza dei doni di Dio al suo Popo­
autori si fanno responsabili di tutta lo. Su questa base si può innestare
l’opera, in modo che lungo i diversi una ricerca propriamente teologica,
capitoli è agevole riscontrare la pre­ la quale, pur non assumendo in que­
senza dei loro approcci confluenti. st’opera il protagonismo, ne sostie­
L’interdisciplinarietà risulta spe­ ne costantemente l’adeguata com­
cialmente necessaria per lo studio prensione dei testi giuridici.
del cammino giuridico dell’Opus Il libro è diviso in parti e capitoli
Dei, poiché questo iter« sembra tor­ che si susseguono cronologicamen­
tuoso agli occhi degli uomini » (sono te. La prima parte — « La tappa
parole dello steso Fondatore in una iniziale » (p. 21-80) — studia il ca­
sua Lettera rivolta ai membri dell’i­ risma fondazionale nel suo sorgere,
stituzione in data 25 maggio del così com’è documentato nelle fonti
1962, e cit. a p. 14). « Ma — conti­ di quel tempo, soprattutto nelle te­
nuava allora Mons. Escrivà —, col stimonianze scritte di Mons. Escri­
passar del tempo, si vedrà che si và. In questa parte si offre una vi­
tratta di un costante progredire, sione sintetica, ma sufficientemen­
dinnanzi a Dio (...). Con una prov­ te precisa e profonda sotto il profi­
videnza ordinaria, a poco a poco, si lo teologico, di quell’intreccio di
fa il cammino, fino a pervenire a iniziativa divina e corrispondenza
quello che sarà definitivo: per con­ umana che cominciò a dispiegarsi
servare lo spirito, per rafforzare l’ef­ dal 2 ottobre del 1928 e che costi­
ficacia apostolica » [ibidem). D’altro tuisce l’obbligato punto di riferi­
canto, lo sviluppo delle forme cano­ mento per meglio comprendere la
niche che ha ricevuto l’Opera fon­ ricerca della forma giuridica ad es­
data nel 1928 potrebbe essere og­ so confacente. Per descrivere tale
getto di una lettura superficiale che punto di riferimento ci pare felice
registrasse un’apparente incertezza l’enumerazione dei « tratti defini­
o evoluzione nella sua medesima tori » dell’Opus Dei, avanzata alla
realtà. Se s’intende però la norma fine del primo capitolo (p. 25-47), e
canonica come qualcosa che segue e che riassumiamo in seguito.
promuove la vitalità autentica dello Sotto il profilo spirituale, si trat­
Spirito nella sua Chiesa, si capisce la ta di un cammino di santificazione
possibile inadeguatezza della norma nel mondo e del mondo, nel quale
rispetto alla realtà che cerca di rego­ si valorizza in modo particolare il
lare, e si è in grado di rendere ragio­ lavoro professionale. All’Opus Dei
ne di un processo di progressivo si appartiene in virtù di una vera
adeguamento della norma alla vita, vocazione divina, che impegna a
qual è appunto quello sperimentato cercare la propria santità e insepa­
dall’Opus Dei. Perciò, per com­ rabilmente quella degli altri — apo­
prendere la sua storia giuridica si fa stolato —, dando luogo ad un’esi­
RECENSIONI 715

stenza cristiana in cui tutti questi tro lo stato di perfezione o consa­


aspetti si fondono in ciò che il Fon­ crazione religiosa (cfr. p. 64-70).
datore denominava « unità di Ne seguiva anche l’inesistenza nel
vita ». diritto canonico di allora di una
Sotto un profilo più direttamen­ configurazine adeguata. Cionono­
te pastorale, l’istituzione, nella sua stante, il Fondatore sapeva fin da­
unitarietà, si rivolge sia agli uomini gli inizi che col tempo la si sarebbe
che alle donne, sia alle persone celi­ dovuta trovare, o meglio elaborare,
bi che a quelle sposate, sia ai sacer­ poiché il suo radicato senso eccle­
doti secolari che ai laici. Sacerdoti siale e giuridico glielo indicavano
e laici, uniti nella loro comune vo­ come qualcosa di imprescindibile.
cazione all’Opera, vi realizzano la Su tale sfondo comincia il lento e
cooperazione che caratterizza il certo non facile processo di ricerca
rapporto tra sacerdozio ministeriale della veste canonica appropriata,
e sacerdozio comune nella Chiesa. che viene ripercorso in modo atten­
L’Opera fondata da Mons. Escrivà to e dettagliato nelle altre tre parti
si propone, quale principale attività del volume: « Le approvazioni dio­
propria, la formazione profonda ed cesane » (p. 81-140) — che sono
integrale dei suoi membri e di tutte due, entrambe avvenute nella dio­
le persone cui s’indirizza il suo la­ cesi di Madrid: la semplice approva­
voro apostolico, in modo tale che zione come Pia Unione nel 1941, e
egli la descriva spesso come « una l’erezione del 1943, previo nihil ob-
grande catechesi », che vuol mette­ stat della Sede Apostolica, di una
re molti cristiani in condizione di parte dell’Opera (i sacerdoti e i
attuare liberamente e responsabil­ membri che si preparavano al sacer­
mente le proprie scelte nell’ambito dozio) in Società di vita comune
temporale, animate sempre da un senza voti: la Società Sacerdotale
solido senso cristiano, ma senza della Santa Croce — ; « Le approva­
che l’Opera le faccia in alcun modo zioni pontificie (1947 e 1950) » (p.
sue. L’universalità spaziale e tem­ 141-296) — ambedue come Istituto
porale, e la conseguente organizza­ Secolare: il Decretum laudis nel
zione unitaria ed interdiocesana, 1947, e l’approvazione definitiva
completano questo sguardo prelimi­ nel 1950 —; e « Verso una soluzio­
nare. ne giuridica definitiva » (p. 297­
Tali tratti definitori evidenziano 504), che sarà quella della Prelatura
subito la peculiarità e novità del­ personale, eretta dal Romano Pon­
l’Opus Dei, che non poteva non in­ tefice nel 1982-83. Nello stesso
contrare certe difficoltà per una tempo è possibile seguire documen­
sua adeguata comprensione, sia in talmente lo stesso itinerario me­
coloro che tendevano ad assimilarlo diante la corposa « Appendice do­
alle associazioni d’ispirazione cri­ cumentale » (p. 509-663, in caratte­
stiana operanti nel temporale (cfr. ri assai più piccoli), che riproduce
p. 59-64), sia in coloro che lo con­ 73 documenti, la maggior parte ine­
cepivano quale nuovo sviluppo en­ diti. Si tratta di documenti ufficiali
716 RASSEGNA DI BIBLIOGRAFIA

di approvazione, lettere e rapporti meno inadeguata alla realtà della no­


di studio, scritti del Fondatore sul­ stra vita » (cit. a p. 590; sottolinea­
la questione, testi del diritto parti­ to nell’originale).
colare (includendo l’intero Codex Fra le varie questioni in cui que­
iuris particularis Operis Dei che reg­ st’inadeguatezza è stata particolar­
ge la Prelatura) ed altri. mente rilevante, vanno ricordate
Diversi fattori hanno influenzato due: quella sull’indole secolare del­
l’assunzione delle successive forme l’istituzione — composta da fedeli
canoniche: lo sviluppo dell’Opera e laici che non cambiano stato né ri­
la strutturazione del suo governo; cevono alcuna consacrazione diver­
la necessità di contare su di un ri­ sa da quella battesimale, e da sacer­
conoscimento dell’autenticità del doti secolari procedenti da quei lai­
suo spirito da parte dell’autorità ci —; e quella sul suo carattere uni­
ecclesiastica; il bisogno di contra­ tario, abbracciante in un solo corpo
stare autoritativamente le opposi­ organico sia uomini che donne, sia
zioni che ha incontrato come di so­ sacerdoti che laici.
lito succede con le nuove imprese Se l’approvazione come Pia
apostoliche; la progressiva presa di Unione non ha comportato proble­
coscienza ecclesiale circa tanti mi in relazione all’indole secolare
aspetti della vocazione e missione (pur presentandone, e rilevantissi­
dei fedeli, specialmente dei laici mi, da altri punti di vista: non ri­
che, proprio anticipati dall’Opus fletteva infatti la pienezza vocazio­
Dei, sono stati al centro degli inse­ nale né risolveva il problema di
gnamenti dell’ultimo Concilio. Lo avere sacerdoti propri né infine
stesso Mons. Escrivà, con la sua forniva una base giuridica per l’a­
consueta efficacia, nel 1970, du­ deguato governo ed estensione in-
rante il Congresso Generale Spe­ terdiocesana), le seguenti soluzioni
ciale dell’Opus Dei, convocato do­ provvisorie hanno indotto seri pro­
po il Vaticano II per esaminare il blemi sotto questo profilo. Neces­
suo problema istituzionale, spiega­ saria ai fini di poter ascrivere sacer­
va così le diverse tappe di questa doti all’istituzione, la soluzione
evoluzione giuridica: « Figli miei, il della Società di vita comune senza
Signore ci ha aiutato sempre ad an­ voti nel 1943, benché rappresen­
dare, nelle diverse circostanze della tasse una figura distinta dalle Reli­
vita della Chiesa e dell’Opera, per gioni, s’inseriva in un posto ad esse
quel concreto cammino giuridico ben vicino. E la figura dell’Istituto
che in ogni momento storico — nel Secolare, com’è noto, è sorta all’in­
1941, nel 1943, nel 1947 — riuni­ segna di un compromesso di fondo,
va tre caratteristiche fondamentali: affinché potesse raccogliere nel suo
essere un cammino possibile, ri­ seno istituzioni ben diverse, le une
spondere alle necessità di crescita molto vicine agli Istituti Religiosi,
dell’Opera ed essere —• tra le varie le altre nettamente distinte. Otte­
possibilità giuridiche — la soluzio­ nendo un riconoscimento della se­
ne più adeguata, vale a dire, quella colarità come condizione di vita e
RECENSIONI 717

di apostolato dei membri dell’Ope­ non consentiva l’incardinazione dei


ra, ed altri vantaggi in tema di uni­ sacerdoti, l’erezione della Società
tà, di governo e di estensione uni­ di vita comune riguardò, come ab­
versale, l’approvazione come Istitu­ biamo detto, soltanto una parte
to Secolare comportò tuttavia il dell’Opera — i sacerdoti ed altri
grave inconveniente di dover accet­ membri che si preparavano a rice­
tare certi elementi estranei al suo vere gli ordini sacri —, assumendo
carisma, e prima di tutti l’esistenza ivi l’Opus Dei in quanto tale un
di vincoli sacri — voti, anche se posto secondario, come Associazio­
privati — riguardanti i tre consigli ne cui si dedicava la Società Sacer­
evangelici, da cui quel compromes­ dotale della Santa Croce. Nei testi
so concretizzatosi nella Cost. ap. giuridici riguardanti l’Istituto Se­
Provida Mater Ecclesia non potè colare si risolverà sempre meglio la
prescindere. Inoltre, l’evoluzione questione, attraverso diversi ricorsi
posteriore della figura degli Istituti tecnici che faranno apparire la So­
Secolari, dipendenti dalla medesi­ cietà Sacerdotale come una parte
ma Congregazione per i Religiosi, dell’Opus Dei, mettendo in risalto
contribuì ad acuire il problema, do­ la loro unità. Ciò si riflette pure
vendo costantemente Mons. Escri­ nella denominazione dell’Istituto
vã chiarire che i membri dell’Opera nelle Costituzioni del 1950: « Insti-
non erano religiosi né ad essi pote­ tutum, cui titulus Societas Sacerdo­
vano essere equiparati (per evitare tali Sanctae Crucis et Opus Dei,
fraintesi, di solito faceva immedia­ breviatum autem nomine Opus
tamente presente il suo amore e la Dei » (p. 553), in modo che que­
sua venerazione verso i religiosi). A st’ultimo nome si applica all’intero
questa luce si comprende che Istituto. La situazione, sotto que­
Mons. Escrivà affermasse, già nel sto profilo, rimase comunque non
1952, in una Lettera ai membri del­ del tutto risolta. Da un lato, per as­
l’Opus Dei, che « se di diritto l’O­ sicurare l’adeguato regime dell’O­
pera è un Istituto Secolare, di fatto pera si dovette stabilire, in senso
non lo è » (cit. a p. 321, nt. 60; sot­ giuridico, che l’Opus Dei era un
tolineato nell’originale), e che dagli Istituto prevalenter clericale, il che
ultimi anni cinquanta cominciasse a ovviamente non voleva mettere in
cercare nuove vie, nell’alveo delle dubbio la sua composizione mag­
strutture organizzative gerarchiche giormente laicale: erano aggiusta­
secolari (cfr. il cap. Vili, p. 299­ menti dovuti, entro una figura che
361). ancora non faceva emergere con
Un’altro filo conduttore di que­ chiarezza la realtà stessa dell’Ope­
sto processo attiene all’individua­ ra. E anche sotto un altro profilo la
zione di una figura giuridica che soluzione dell’Istituto Secolare si
corrispondesse pienamente all’uni­ mostrava insufficiente per tutelare
tà istituzionale dell’Opera. Mentre l’unità dell’Opus Dei. In effetti,
la Pia Unione risultava anche qui l’appartenenza di uomini e donne
assolutamente insufficiente, poiché alla medesima istituzione appariva
718 RASSEGNA DI BIBLIOGRAFIA

come una privilegiata concessione, no impegnativo — di piena incor­


discostata dalla normativa generale porazione alla Prelatura, con tutte
(cfr. Istr. Cum Sanctissimus, n. 9 le conseguenze giurisdizionali e spi­
§1: cfr. p. 317 s.). Del resto agli rituali che ne derivano.
inizi degli anni cinquanta non man­ Il presente lavoro offre una chia­
cò un tentativo, procedente da per­ ra ed esauriente risposta alla do­
sone estranee all’Opera, di separa­ manda sul perché della trasforma­
re gli uomini dalle donne, estro­ zione dell’Opus Dei in Prelatura
mettendo il Fondatore (su questi personale. Quali sarebbero i van­
fatti, cfr. p. 303 s.). taggi dì questa nuova e definitiva
L’erezione dell’Opus Dei in Pre­ soluzione giuridica? Pensiamo che
latura personale ha risolto limpida­ si possano riassumere in uno solo: il
mente tutte queste grave questioni, vantaggio della verità, della piena
raccogliendo e promuovendo le sue corrispondenza cioè tra configura­
caratteristiche fondaziongli. Oltre zione canonica e realtà configurata,
alla secolarità ed alla unità, si sono che è condizione sine qua non per
risolti o chiariti ulteriormente mol­ un servizio ecclesiale duraturo e
ti altri aspetti. Un significativo fruttifero. Una realtà unitaria,
esempio riguarda la situazione dei composta da semplici fedeli orga­
sacerdoti incardinati nelle diocesi nizzati in una struttura ecclesiale
che si uniscono all’Opera con voca­ ove si realizza un’apostolato specia­
zione divina, i quali, nella sistema­ lizzato e nella quale vi è un Ordina­
zione definitiva, non appartengono rio proprio ed un clero incardinato:
alla Prelatura, né sono quindi sot­ ecco una realtà che trova posto in
tomessi alla potestà di giurisdizione maniera naturale nell’ambito di
del Prelato, superando così qualun­ quelle unità giurisdizionali d’indole
que possibilità di conflitto di obbe­ personale e specializzata, dipen­
dienza con il loro Ordinario dioce­ denti dalla Congregazione dei Ve­
sano. Essi invece fanno parte della scovi, che dal Concilio Vaticano II
contemporaneamente eretta Socie­ hanno ottenuto un posto nel diritto
tà Sacerdotale della Santa Croce, della Chiesa sotto il nome di Prela­
intrinsecamente legata alla Prelatu­ ture personali (cfr. lo studio-rap­
ra, nella quale vivono lo stesso spi­ porto riportato nell’Appendice do­
rito dell’Opus Dei applicato al loro cumentale, n. 63, p. 601-610).
lavoro, ossia al proprio ministero L’avvenuta trasformazione non ub­
sacerdotale. Un altro punto risolto, bidisce invece ad un desiderio di
e sempre in linea con il desiderio contare su di uno status canonico
del Fondatore, è quello del tipo di speciale o privilegiato — anzi, nella
vincolo dei fedeli con la Prelatura. mens del Fondatore si trattava per
Eliminando qualsiasi riferimento a l’appunto di superare il ricorso a
voti od altri sacra ligamina, il vinco­ privilegi, mediante una soluzione
lo si attua mediante una convenzio­ di diritto comune, che potesse esse­
ne che dà luogo ad un rapporto — re applicata ad altre realtà ecclesiali
non per la sua natura secolare me­ (cfr. testi suoi cit. a p. 350 s.) —.
RECENSIONI 719

Neanche c’è una volontà di modifi­ tendo sembrare qualche volta al­
care i rapporti con gli Ordinari loca­ quanto ripetitivi, aiutano a farsi
li, che restano immutati, come vole­ uni’idea globale ed esauriente della
va lo stesso Mons. Escrivà (cfr. le questione. Un’altro grande pregio
sue parole a p. 565). D’altra parte, si dell’opera consiste, a nostro parere,
evidenzia che dagli anni trenta egli nell’aver lasciato parlare le fonti
prospettava una soluzione giuridica storiche, e soprattutto lo stesso
situata nell’ambito delle giurisdizio­ Fondatore, che appare non solo
ni secolari a carattere personale (cfr. quale protagonista di questo itine­
le fonti cit. a p. 335) e che, più con­ rario, ma anche quale suo autorevo­
cretamente, ravvisò subito nella lissimo testimone ed interprete.
nuova figura delle Prelature perso­ Da canonisti ci pare particolar­
nali, contemplate dal Decr. Presby- mente illuminante l’atteggiamento
terorum Ordinis, n. 10, una via ade­ assunto da Mons. Escrivà nei con­
guata per l’Opera (cfr. p. 371 s.), an­ fronti del diritto della Chiesa a
che se non procedette ad inoltrare proposito della sistemazione giuri­
immediatamente una richiesta in ta­ dica dell’Opus Dei. Egli, ottimo
le senso, poiché si rendeva conto giurista, ha saputo cogliere tutta la
che occorreva prima un paziente e vera rilevanza della dimensione
profondo lavoro di studio, avviatosi giuridica della Chiesa e, nello stes­
in effetti in vita sua — soprattutto so tempo, ne ha percepito la fun­
col menzionato Congresso Generale zionalità rispetto alla vita della
Speciale (cui si dedica l’intero cap. Chiesa. La presente storia testimo­
IX: p. 363-418) —. Al suo insepara­ nia molti valori che a volte potreb­
bile collaboratore, Mons. Alvaro del bero essere ritenuti contraddittori,
Portillo, attuale Prelato dell’Opus e che invece qui sono perfettamen­
Dei, sarebbe spettato il compito di te compaginati: l’obbedienza, fidu­
portare a termine il tanto desiderato cia e lealtà verso la Chiesa e i suoi
progetto di trasformazione giuri­ Pastori; la instancabile difesa di un
dica. carisma di cui non si è padrone
Il lungo processo, di cui abbiamo bensì amministratore; la prudenza
tentato di offrire una visione essen­ ed il senso realistico per trovare la
ziale, è raccontato in questo libro soluzione che era in ogni momento
in un modo che risulta molto parti­ possibile, e contemporaneamente
colareggiato — in quanto si soffer­ non rinunciare ad andare oltre nel­
ma ad ogni passo storico ed anche l’avvenire, mettendo in pratica la
affronta molti aspetti del diritto massima di « concedere senza cede­
particolare dell’Opus Dei nelle sue re con animo di ricuperare » (cit.,
varie formulazioni lungo l’iter — ad es., a p. 96). A questo scopo
e, nel contempo, di ampio respiro Mons. Escrivà ha utilizzato diversi
— in quanto riflette bene l’indole mezzi giuridici, tra cui spiccano
unitaria del processo, mediante fre­ quello di inserire nei successivi do­
quenti riepiloghi, rimandi e succes­ cumenti giuridici una molto chiara
sivi approfondimenti che, pur po­ ed adeguata descrizione del diritto
720 RASSEGNA DI BIBLIOGRAFIA

peculiare dell’Opus Dei, che è ap­ gún el Código de 1983), 4a ed. rive­
parso quindi come filo di continui­ duta, EUNSA, Pamplona, 1988, p.
tà lungo l’itinerario (cfr. p. 94-98), 195.
e quello di difendere un’interpreta­
zione giusta delle rispettive figure
canoniche che non rendesse ancor Dal titolo di questo libro, scritto
più inadeguata la loro applicazione dall’ordinario di Diritto canonico
all’Opera (quest’aspetto si è verifi­ dell’Università di Oviedo, si po­
cato soprattutto in relazione agli trebbe essere indotti a pensare che
Istituti Secolari: cfr. p. 314 ss.). Gonzàlez del Valle si limiti ad
Ma anche e soprattutto ha fatto af­ esporre il sistema matrimoniale re­
fidamento sui mezzi soprannatura­ golato dal nuovo Codice di diritto
li: la preghiera e l’offerta del dolo­ canonico; e che quindi l’interesse
re, anche quello provato proprio a del volume si fondi proprio sulla
causa di questo iter giuridico che da descrizione del nuovo dato norma­
lui era vissuto come gravissimo tivo. Tuttavia l’intuizione suggeri­
problema di coscienza, essendo ta dal titolo non viene confermata
tanto consapevole dei rischi che si dalla lettura del libro, in quanto
sarebbero potuti derivare dal pro­ l’a. si prefigge un obiettivo ben di­
trarsi di una configurazione giuridi­ verso da quello di una mera esposi­
ca inadeguata. Perciò, pensiamo zione del regime matrimoniale vi­
che i fatti raccontati in queste pagi­ gente; costruisce infatti un sistema
ne possano costituire anche una so­ originale per analizzare ed esporre
lida prova della sua santità di vita. la dimensione giuridica del matri­
Insomma, questo volume rappre­ monio canonico. Questa innovazio­
senta indubbiamente un’opera di ne metodologica nello studio di una
necessaria consultazione per chi sia istituzione, quale il matrimonio,
interessato alla storia giuridica del­ che è stata oggetto di una così ab­
l’Opus Dei, ma, più in generale, ri­ bondante letteratura scientifica,
sulta pure di grande interesse per spiega le perplessità manifestate da
chi voglia conoscere più da vicino e alcuni autori e le ulteriori precisa­
in modo documentato il carisma, la zioni di Gonzàlez del Valle (nella
vita, e lo sviluppo di quest’istitu­ terza e quarta edizione del suo sag­
zione ecclesiale, che ha finalmente gio), per poter rispondere alle os­
potuto trovare la sua sistemazione servazioni mossegli dalla dottrina e
canonica definitiva per meglio ser­ per giustificare in modo più con­
vire la Chiesa. vincente i motivi che lo hanno
Carlos J. Errázuriz M. spinto verso nuovi criteri ermeneu­
tici ed espositivi. Di fatto il libro si
apre con una « Nota dell’editore »,
una « Presentazione » ed una « In­
troduzione » (p. 11-22) nelle quali
José Maria Gonzalez Del Valle, si allude a questi rilievi; e ciascun
Derecbo matrimoniai canònico. (Se- capitolo ha come proemio una ne-
RECENSIONI 721

cessaria « delimitazione concettua­ tore prende in considerazione que­


le ». Queste precisazioni sono più sti aspetti della concreta delibera­
estese rispetto allo spazio riservato zione che precede il consenso (cap.
alla capacità di deliberazione (cap. 2).
1) e al rappresentante della gerar­ A partire dalla natura del con­
chia per assistere al matrimonio tratto legale del matrimonio, l’a.
(cap. 8). Nelle due ultime edizioni, descrive i suoi elementi oggettivi
inoltre, si fa cenno anche alle inter­ previsti dalla norma (tratti essen­
pretazioni dottrinali e giurispru­ ziali e obblighi matrimoniali che
denziali sulla nuova regolamenta­ sempre possiedono un carattere po­
zione del matrimonio canonico. sitivo) e gli elementi soggettivi che
Dieci degli undici capitoli del li­ pure vengono tipificati dal legisla­
bro hanno come punto focale il tore (in questo caso in modo nega­
consenso dei coniugi: intorno a tivo attraverso gli impedimenti). Si
questo tema si vanno esponendo considera poi l’adeguatezza e la
poi i diversi aspetti giuridici del conformità minime tra queste pre­
matrimonio (il cap. 11 descrive visioni legali (che a questo livello di
brevemente — p. 189-195 — alcu­ validità sono indisponibili) ed il
ni tratti essenziali dei processi ma­ concreto consenso di un uomo e
trimoniali). L’a. fa un’esposizione una donna affinché questo patto
di carattere prevalentemente feno­ generi l’istituzione coniugale. Da
menologico dei diversi elementi del un lato si afferma l’assoluta neces­
consenso senza soffermarsi su con­ sità dell’adeguatezza tra il consenso
siderazioni previe di carattere ge­ e gli elementi oggettivi (positivi)
nerale. In effetti non sono oggetto del contratto previsti dal legislato­
di una specifica trattazione le di­ re; dall’altro si sostiene un’autono­
mensioni etiche, strutturali, teleo­ mia della volontà nella prestazione
logiche, teologiche, ecc. del matri­ del consenso qualora uno od en­
monio (sebbene si percepisca con trambi i contraenti si trovino legal­
chiarezza lungo tutto lo studio, la mente impediti. L’a. basa quest'ul­
piena adesione dell’a. ai dati strut­ tima affermazione sulla possibilità
turali di natura dogmatica). di convalida del matrimonio (forse
Lo studio inizia con la descrizio­ generalizzando un’eccezione che
ne della capacità di deliberazione non sempre è possibile). La libera
come primo presupposto del con­ volontà di entrambi i coniugi può
senso matrimoniale (cap. 1). Si in­ raggiungere anche un valore tipifi­
clude in questa parte la considera­ cante degli elementi essenziali del
zione del n. 2 del c. 1095 e dell’im­ concreto contratto matrimoniale,
pedimento di età. Si afferma l’irri- in modo complementare alla norma
levanza giuridica dei motivi e fina­ legale e ad casum. In questo modo
lità dell’atto deliberativo; esistono gli elementi soggettivi possono rife­
tuttavia due importanti eccezioni al rirsi ad aspetti positivi dell’altro
riguardo costituite dal timore e dal contraente (e non solo ad elementi
dolo, e in entrambi i casi il legisla­ negativi, come nel caso in cui que-
722 RASSEGNA DI BIBLIOGRAFIA

sti elementi soggettivi siano deter­ che non viene presa in considera­
minati dal legislatore). Questa si­ zione dalla disciplina canonica
tuazione si verifica quando una (cap. 7). L’a. inverte la classica af­
persona si dona nel matrimonio fermazione secondo la quale il ma­
nella misura in cui sia dotata di una trimonio viene costituito dal con­
determinata qualità e l’altra perso­ senso (interno) legittimamente ma­
na Faccetti precisamente in quanto nifestato (esteriorizzazione dello
possiede detta qualità che, quindi, stesso); il matrimonio nasce innan­
rientra nell’oggetto delle due vo­ zitutto, dice Gonzàlez del Valle,
lontà, cioè del contratto. Tuttavia con la dichiarazione di volontà (che
la qualità che non sia oggetto di deve coincidere con il consenso in­
contratto (perché non possiede la terno). Questa esigenza di adegua­
nota di bilateralità), quando sia sine zione è peculiare dell’ordinamento
qua non fa sì che la persona sprov­ canonico nei confronti di una con­
vista di questa qualità non sia og­ figurazione più attenta della di­
getto del consento dell’altra parte, mensione formale ed esterna, pro­
distinguendosi pertanto tra oggetto pria degli ordinamenti statuali. Se,
del contratto e oggetto del consen­ come fa l’a., si incentra lo studio
so (cap. 3). della forma dichiarativa della vo­
In seguito Gonzalez del Valle si lontà matrimoniale sui modi legitti­
occupa degli atti di volontà con­ mi di ricevere queste dichiarazioni
traddittori con il consenso matri­ dei coniugi, è logico dedicare un
moniale ed analizza le diverse pos­ capitolo (l’ottavo) all’esposizione
sibilità di simulazione parziale delle persone competenti a effet­
(cap. 4); la simulazione totale si tuare questa ricezione. Gli impedi­
considera studiando la celebrazione menti matrimoniali (dopo la loro
del matrimonio come oggetto del breve considerazione fatta nel cap.
consenso (cap. 5). Dopo questi pre­ 3 come requisiti meramente negati­
supposti logici della dichiarazione vi degli elementi soggettivi del con­
di volontà matrimoniale, si soffer­ tratto legale) sono presi in esame
ma sull’atto dichiarativo (cap. 6). dalla prospettiva della « comprova­
In questo momento della descrizio­ zione della legittimità del progetto
ne fenomenologica del matrimonio di matrimonio », che deve realiz­
l’a. considera il ratto; ma non lo fa zarsi nel momento della preparazio­
dalla prospettiva formale degli im­ ne matrimoniale. In questo modo si
pedimenti, bensì come mancanza mette in evidenza molto opportu­
di libertà nel preciso momento di namente la dimensione giuridica di
celebrare il matrimonio, situazione un’attività (la preparazione eccle­
che l’a. considera applicabile tanto siale al matrimonio) che frequente­
alla donna quanto all’uomo (p. mente viene considerata solo da
112). un’ottica pastorale, senza riferi­
Il successivo momento descritto mento alcuno alle sue connotazioni
è la forma di ricezione del consen­ giuridiche. In questo stesso capito­
so, e non la sua forma di emissione lo (il nono), si include lo studio di
RECENSIONI 723

diverse proibizioni {verità) che de­ ga accompagnato dalle spiegazioni


vono essere tenute presenti da par­ di un docente che condivida in li­
te del responsabile di questa prepa­ nea di massima le posizioni sostan­
razione. Il capitolo successivo ha ziali e metodologiche dell’a.; anche
come oggetto la dispensa « da tutte per poter sviluppare in quelle spie­
le leggi matrimoniali nel suo com­ gazioni alcuni aspetti trattati con
plesso » e non solo dagli impedi­ eccessiva rapidità (ad esempio buo­
menti o vetita. Il libro si chiude con na parte degli impedimenti: p. 163­
una sommaria descrizione, cui si è 166), forse perché, rispetto a questi
già fatto cenno, dei processi matri­ argomenti sinteticamente esposti,
moniali (cap. 11). l’a. non si propone, come avviene
Questa sintetica esposizione del invece per la maggior parte delle
contenuto dello studio di Gonzàlez tematiche affrontate, di « dialogare
del Valle, ci permette di trarre al­ con coloro che pubblicano lavori
cune conclusioni più significative: scientifici di diritto canonico » (p.
a) l’originalità della metodologia 17); e questa ricerca di un dialogo
adottata dall’a.; b) la difficoltà di scientifico costituisce, a mio avvi­
esporre in appena duecento pagine so, un connotato essenziale di que­
la totalità della normativa matrimo­ sto lavoro, al di là della sua impo­
niale canonica sostanziale in modo stazione formale di tipo manuali­
organico e pedagogico, specialmen­ stico.
te quando l’a. si vede obbligato a Gonzalez del Valle dimostra una
dover giustificare i criteri che lo particolare sensibilità per la genesi
hanno indotto a modificare la siste­ storica delle istituzioni e per la giu­
matica e il punto di vista giuridico risprudenza rotale in materia; i fre­
tradizionali di non pochi elementi quenti riferimenti a questi aspetti
integranti del diritto matrimoniale si completano con altri in cui trova
canonico; c) l’interesse del suo stu­ spazio la quasi totalità della dottri­
dio per facilitare una riflessione su na postcodiciale, con notevole at­
concetti che avrebbero potuto con­ tenzione dedicata alle aree germa­
siderarsi sufficientemente caratte­ niche ed anglosassoni. La vasta cul­
rizzati nelle consuete esposizioni tura canonistica dell’a. traspare
dei trattatisti dell’istituzione matri­ dalle pagine del libro ed offre nei
moniale nel suo complesso, in momenti opportuni nozioni ele­
quanto la lettura di quest’opera sol­ mentari di aspetti del diritto della
lecita costantemente il lettore ad Chiesa utili (quando non necessari)
un proficuo esercizio della capacità per l’adeguata comprensione della
critica di fronte alle proprie posi­ regolamentazione codiciale del ma­
zioni scientifiche e di fronte alle trimonio, aspetti che frequente­
frequenti nuove proposte brillante­ mente vengono trascurati in altre
mente formulate dall’a.; e d) per la opere simili. In questo senso si pos­
sua utilizzazione come manuale sono segnalare la considerazione
universitario ci pare particoralmen- della struttura rituale della Chiesa
te necessario che il suo studio ven­ cattolica (cap. 6 e 8), o la descrizio­
724 RASSEGNA DI BIBLIOGRAFIA

ne della complessa normativa sulla giuridica che, pur contenuta nel­


dissoluzione del matrimonio (cap. l’atto fondazionale di Cristo, si va
9). L’a. annuncia la prossima pub­ concretizzando nel corso della sto­
blicazione di un nuovo saggio su ria in modi differenti, sebbene in
« il sistema matrimoniale canoni­ piena aderenza e continuità con
co » in cui studierà i caratteri più quella volontà costitutiva. Del re­
generali del matrimonio (fini, strut­ sto gli anni trascorsi dal Concilio
tura, ecc.)- Con questo nuovo libro Vaticano II alla promulgazione del
l’originale e suggestiva elaborazio­ Codice di diritto canonico sono
ne dottrinale del matrimonio cano­ stati tra i più ricchi e densi nel di­
nico realizala da Gonzàlez del Val­ battito canonistico, lasciando aper­
le nel suo Derecho canónico matri­ te ed insolute molte questioni su
monial verrà ulteriormente svilup­ cui il nuovo corpo legislativo della
pata tanto nella sua dimensione er­ Chiesa latina non ha nemmeno vo­
meneutica quanto negli aspetti più luto, e forse potuto, dire una parola
sostanziali. definitiva, ma semmai incoraggiare
Joaquin Llobell ad un più attento approfondi­
mento.
Ed in questa ipotesi ci pare si
collochi con pieno merito il volume
di mons. Gutiérrez, che ripropone
José Luis Gutierrez, Estúdios so­
tredici saggi della sua produzione
bre la organización jerárquica de la
scientifica apparsi in un arco di tre
Iglesia, EUNSA, Pamplona, 1987,
lustri compresi tra il 1970 ed il
p. 319. 1984, e ora raccolti sotto il titolo di
Estúdios sobre la organización jerár­
Ripresentare a distanza di anni e quica de la Iglesia che ne può essere
senza alcun ritocco dei contributi considerato il filo conduttore tema­
già noti agli studiosi, è un’opera­ tico. Si tratta infatti di contributi
zione non priva di rischi giacché, che, muovendo dal dato dogmatico
oltre al pericolo di frammentarietà, relativo alla struttura gerarchica
ci si espone ad offrire un materiale della Chiesa, analizzano, alla luce
che può apparire superato, legato a dell’ultimo magistero conciliare e
circostanze passate che pure, in nell’ambito delle discussioni de iure
tempi nemmeno tanto lontani, han­ condendo sulla revisione della codi­
no coinvolto notevoli sforzi della ficazione piano-benedettina, pro­
scienza canonistica. Può risultare blematiche sia di carattere più ge­
invece di estremo interesse qualora nerale che concrete istituzioni ri­
i temi trattati o le modalità di trat­ guardanti l’organizzazione ecclesia­
tazione evidenzino aspetti che pos­ stica. Va precisato, comunque, che
siedono tuttora viva attualità oppu­ quattro dei tredici studi, e più pre­
re permettano di cogliere un mo­ cisamente i capitoli VII, IX, XI,
mento della riflessione sul mistero XII, sono stati elaborati in data po­
della Chiesa e sulla sua dimensione steriore alla promulgazione del Co­
RECENSIONI 725

dice, rappresentando quindi rifles­ ta. La funzione di governo, sebbe­


sioni de iure condito, benché, ovvia­ ne divinamente fondata, non esau­
mente, quello relativo alla curia ro­ risce la missione salvifica della
mana preceda la recentissima cost. Chiesa, ma si armonizza perfetta­
ap. Pastor Bonus, mente con la partecipazione a pie­
Il volume può essere suddiviso, no titolo di tutti i christifideles a ta­
grosso modo, in due parti che si in­ le missione. AI munus regale di Cri­
tegrano tra loro con sufficiente ar­ sto partecipato da tutti i battezzati
monia. La prima (capitoli I-VI), ri­ con modalità differenti, sulla base
guarda tematiche di carattere più del duplice principio di uguaglianza
generale, mentre la seconda (capi­ radicale e diversità funzionale, è
toli VII-XIII), si occupa di specifi­ dedicato il cap. IV. L’attività pa­
che istituzioni canoniche. I due pri­ storale è invece il tema del cap. V
mi capitoli, infatti, sono dedicati al che, dopo averne dato una nozione
principio di sussidiarietà ed alla sua tecnica precisa, contro possibili
applicazione nell’ordinamento giu­ ambiguità che la svuoterebbero di
ridico della Chiesa; l’indagine, at­ contenuto e di portata, si sofferma
tenta e documentata, viene condot­ a considerarla sia dal versante del
ta partendo dal magistero di Pio ministero ordinato che nei confron­
XI, e prosegue con quello dei Papi ti dei diritti dei fedeli. Della Lex
successivi fino al Concilio Vaticano Ecclesiae Fundamentalis si occupa il
II. Su tali basi dottrinali si fonda la cap. VI che non si limita, però, a
riflessione dell’a., seguendo come fare il punto della situazione relati­
filo conduttore il fatto che nella va al dibattito esistente in materia
Chiesa, in quanto società, possa e (l’articolo è del 1971), ma ne de­
debba applicarsi il principio di sus­ scrive la natura, il contenuto e la
sidiarietà (p. 42), fatto sempre sal­ tecnica di elaborazione. Indipen­
vo il rispetto della sua struttura ge­ dentemente dalla sua promulgazio­
rarchica. Le conclusioni cui pervie­ ne, rimandata che sia oppure del
ne nel cap. I sono poi ulteriormen­ tutto accantonata, resta il fatto, ri­
te precisate, dall’angolo visuale del­ levante, del tentativo di approntare
la tutela dei diritti dei fedeli, nel uno strumento giuridico adeguato
cap. IL « Sociedad y jerarquia en la per la proclamazione e tutela dei
Iglesia » è il titolo del successivo diritti dei battezzati.
cap. II in cui, muovendo dall’ana­ Con il capitolo VII si entra nella
logia esistente tra il mistero del seconda parte del volume, dedicata
Verbo incarnato e quello della a concreti organismi ed uffici del­
Chiesa, proposta dalla cost. Lumen l’organizzazione ecclesiastica. Nu­
Gentium, si analizza la realtà com­ merose sono le questioni sollevate
plessa del corpo mistico di Cristo, in ogni singolo capitolo che i limiti
che è al tempo stesso divina ed di una recensione non ne permet­
umana, contro i pericoli di opposte tono se non un sommario elenco.
concezioni paragonabili alle eresie Gli argomenti trattati riguardano
cristologiche nestoriana e monofisi- infatti la curia romana (cap. VII);
726 RASSEGNA DI BIBLIOGRAFIA

il vescovo (capp. VIII-X), conside­ dice di diritto canonico giustifica­


rando la sua figura e missione, la no, quindi, la decisione degli editori
potestà legislativa che gli compete di approntare una nuova redazione
e i suoi rapporti con la conferenza di questo titolo, compito che è stato
episcopale; le prelature personali affidato al prof. Le Tourneau.
(capp. XI e XII). Dalla lettura del libro ci sembra
Il libro si conclude con una lun­ di poter individuare alcuni degli
ga nota di commento al primo vo­ scopi che La. ha cercato di raggiun­
lume del notissimo manuale El de- gere e che hanno condizionato la
recho del Pueblo de Dios redatto struttura e la scelta contenutistica
agli inizi degli anni ’70 da Javier del suo lavoro. Nel cap. 1 La. spiega
Hervada e Pedro Lombardia. Un in modo chiaro e brillante la natura,
debito di riconoscenza verso il la funzione e la stessa possibilità
prof. Lombardia e la preparazione dell’esistenza di un ordinamento
di una seconda edizione a cura del giuridico, il canonico, ad un pubbli­
prof. Hervada, hanno suggerito co non esperto di diritto né dei ca­
opportunamente alba, di inserire il ratteri costitutivi della Chiesa cat­
saggio in questa raccolta di studi. tolica; tuttavia La. ha tentato allo
In conclusione ci pare che dalla stesso tempo di considerare quelle
lettura del volume vengano offerti dottrine che, all’interno della Chie­
molti spunti a chi, come La., è im­ sa, riducono, o alle volte negano, la
pegnato nel lavoro di ricerca e di dimensione giuridica del popolo di
insegnamento in questa congiuntu­ Dio. Muovendo da queste riflessio­
ra così particolare della storia del ni La. indica le basi ed i concetti
diritto della Chiesa. teologici, di natura prevalentemen­
Davide Cito te ecclesiologica, indispensabili per
poter capire gli istituti canonici dai
quali scaturiscono i rapporti di giu­
stizia nella Chiesa, vale a dire i con­
cetti di fedele (cap. 3) e di gerarchia
Dominique Le Tourneau, Le droit ecclesiastica {cap. 4), secondo la si­
canonique, in Que sais-je?, n. 779, stematica utilizzata dalla Lumen
Presses Universitaires de France, Gentium e dal Codice. L’analisi del­
Paris, 1988, p. 127. la secolarità quale elemento tipifi­
cante del fedele laico, muove da
La collana Oue sais-je? ha la fina­ un’impostazione simile a quella del-
lità di offrire un’essenziale ed ag­ l’es. ap. Christifideles laici. Nella sua
giornata informazione sull’argo­ esposizione La. non omette di pre­
mento trattato nei singoli volumet­ sentare la natura soprannaturale
ti. Il numero 779 della collana, inti­ della Chiesa a chi ad essa si avvicini
tolato Le droit canonique, fu redatto attraverso il suo diritto.
nel 1958 da Jean des Graviers. La Le Tourneau analizza, poi, la na­
celebrazione del Concilio Vaticano tura, le proprietà e gli elementi co­
II e la promulgazione del nuovo Co­ stitutivi del matrimonio canonico
RECENSIONI 727

[cap. 3). In considerazione del va­ Marcello Morgante, La Chiesa par­


sto pubblico destinatario di que­ ticolare nel Codice di Diritto Cano­
st’opera divulgativa, l’a. si soffer­ nico: commento giundico-pastorale,
ma sul carattere naturale delle pro­ Paoline, s.l., 987, p. 347.
prietà e degli elementi dell’istituto
matrimoniale, nonché sul carattere
sacramentale del matrimonio fra Autore di altri due recenti saggi
battezzati. riguardanti i sacramenti e la par­
A proposito delle sanzioni cano­ rocchia e comparsi nella medesima
collana di commenti giuridico-pa-
niche {cap. 6), ma anche lungo tutta
storali al Codice di diritto canoni­
l’esposizione, l’a. prende in esame
alcuni dei problemi ecclesiali, con co, mons. Morgante, vescovo di
riflessi giuriidici, particolarmente Ascoli Piceno, si propone in questo
sentiti (soprattutto in Francia) nel lavoro di offrire ad un vasto pub­
clopoconcilio. blico un’esposizione completa della
normativa sulla Chiesa particolare.
Non sarà stato agevole per l’a.
Rispecchiando la sistematica codi-
operare la scelta degli argomenti da
trattare che, insieme ad una molto ciale, il libro è diviso in tre parti
corrispondenti ad altrettanti titoli
riuscita descrizione della storia del
del libro II del Codice: « Le Chiese
diritto canonico {cap. 2), costituisco­
particolari e l’autorità in esse costi­
no il contenuto del libro. Tuttavia,
dato il carattere divulgativo della tuita », « I raggruppamenti di
Chiese particolari », « Struttura in­
collana in cui si inserisce questo sag­
terna delle Chiese particolari ». Se­
gio, forse appare un po’ eccessivo lo
gue infine un’ampia appendice sul­
spazio dedicato ad alcuni argomenti
l’Istituto per il sostentamento del
troppo specializzati che, se sono ri­
dimensionati (inoltre si potrebbe clero, con una accurata descrizione
sopprimere i riferimenti alla REU di questa struttura, adottata in Ita­
perché già viene citata la cost. ap. lia con gli Accordi del 1984 per
realizzare l’autofinanziamento del­
Pastor Bonus), consentirebbero in
la Chiesa in seguito all’abbandono
una prossima edizione di fare qual­
del sistema beneficiale.
che riferimento, seppur fugace, ad
altre materie (libri 1, 4 e 7 del Codi­ Nella prima parte, dopo aver de­
ce) che ci paiono necessari per offri­ lineato i differenti tipi di giurisdi­
re una panoramica più completa del zioni autonome nella Chiesa (p. 11­
19): diocesi, prelature ed abbazie
diritto della Chiesa, in linea con le
finalità della collana. L’a. ha ovviato territoriali, prelature personali, vi­
cariati e prefetture apostoliche,
in parte a questa mancanza con la
trascrizione dell’indice del Codice amministrazioni apostoliche, ordi­
nariati militari, e affrontato le que­
{Annesso) e con un’indicazione bi­
bliografica relativa alla produzione stioni relative alla loro delimitazio­
canonistica francese postcodiciale. ne, erezione e suddivisione interna
(p. 20-27), si sofferma sui titolari
Joaquin Llobell degli uffici capitali di tali strutture
728 RASSEGNA DI BIBLIOGRAFIA

giurisdizionali, cioè i vescovi e gli ferisce il tema esaminato, tuttavia


altri ordinari ad essi equiparati, per la trattazione non si limita ad un
quanto è possibile, dal diritto. Par­ commento esegetico del dato nor­
ticolare attenzione viene riservata mativo ma, ed è un pregio che ci
ai vescovi diocesani (p. 46-120) ed pare importante sottolineare, fre­
ai vescovi coadiutori ed ausiliari (p. quenti sono sia i richiami ai testi
121-131), non solo relativamente conciliari che ad altre fonti dell’au­
alle norme contenute nel Codice, torità suprema della Chiesa. Ciò
ma offrendo una panoramica giuri­ consente di evidenziare come i ca­
dica completa sull’ufficio e la mis­ noni attingano profondamente al
sione da essi svolta nella Chiesa magistero, soprattutto ecclesiologi­
particolare loro affidata. co, del Concilio Vaticano II, e inol­
Nella seconda parte, che riguar­ tre permette di cogliere la dimen­
da i raggruppamenti di Chiese par­ sione di servizio che possiede la
ticolari, dopo aver trattato in gene­ struttura giuridica del popolo di
rale delle regioni e province eccle­ Dio.
siastiche, metropoliti, concili parti­ Il taglio prevalentemente pratico
colari e conferenze episcopali, si del volume prescinde dai dibattiti
occupa specificamente della confe­ dottrinali tuttora vivaci nella cano­
renza episcopale italiana e delle nistica, privilegiando un’esposizio­
conferenze episcopali regionali in ne lineare delle problematiche con­
Italia, a partire dalla loro origine fi­ crete che si presentano nella vita
no all’attuale configurazione (p. della Chiesa particolare. Speciale
178-196), che prevede 16 regioni attenzione viene poi riservata al­
ecclesiastiche in cui sono state rag­ l’applicazione della normativa del
gruppate le 228 diocesi esistenti sul Codice alla situazione specifica del­
territorio nazionale. la Chiesa italiana con gli opportuni
Gli undici capitoli che compon­ riferimenti alla disciplina particola­
gono la terza parte, dedicati alla re e concordataria. Il commento,
struttura interna delle Chiese parti­ sobrio e preciso, fa affiorare la per­
colari, esaminano i vari uffici ed sonalità delTa. che, oltre ad aver
organismi che cooperano con il ve­ seguito fin dai tempi del Concilio
scovo alla sua missione pastorale la genesi nella normativa canonica,
(p. 199-292): sinodo diocesano, cu­ possiede un’esperienza trentennale
ria diocesana, vicari generali ed di ministero episcopale. In definiti­
episcopali, cancellerie ed altri no­ va il volume, tenuto conto della
tai, archivi, consiglio per gli affari complessità della materia, si pre­
economici, economo, consiglio pre­ senta utile e di agevole lettura, an­
sbiterale, collegio dei consultori, che per la riuscita impostazione
capitolo dei canonici, consiglio pa­ grafica; non è riservato ad una ri­
storale. stretta cerchia di « addetti ai lavo­
Al fine di agevolare il riscontro ri », ma può suscitare l’interesse,
con il testo legale, ogni capitolo re­ com’è l’augurio dell’a., « sia dei sa­
ca l’indicazione dei canoni cui si ri­ cerdoti in cura d’anime che dei lai­
RECENSIONI 729

ci, desiderosi di sempre più consa­ to che la necessità di colmare tale


pevolmente e responsabilmente in­ lacuna diventava ancora più pres­
serirsi nella missione e nella vita sante. Ed è proprio per collegare
della loro Chiesa particolare ». l’attuale Codice con le Fontes del
card. Gasparri che è stata elaborata
Davide Cito
l’opera che costituisce l’oggetto di
questi brevi cenni.
Il 26 gennaio 1989, infatti, appa­
riva sull’Osservatore Romano un
Pontificia Commisse) Codici Iu-
articolo, firmato da G. Corbellini,
ris Canonici Authentice Inter­
in cui si dava notizia della presen­
pretando, Codex Iuris Canonici.
tazione fattasi al Romano Pontefi­
Fontium annotatione et indice analy- ce dell’edizione Codex Iuris Canoni­
tico-alphabetico auctus, editrice Va­ ci, curata dall’allora Pontificia
ticana, Roma, 1989, pp. XX- Commissione per l’interpretazione
XIII-669. autentica del Codice di diritto ca­
nonico. L’udienza concessa dal Pa­
Chiunque finora si fosse accosta­ pa ebbe luogo il giorno precedente,
to al Codice di diritto canonico con trentesimo anniversario, cioè, del­
l’animo di conoscere la tradizione l’annuncio dato da Giovanni
canonica racchiusa in tante delle XXIII di voler celebrare un Conci­
sue disposizioni, sia allo scopo di lio ecumenico ed aggiornare il Co­
intraprendere una ricerca storica dice del 1917, e sesto anniversario
che di interpretare correttamente i della promulgazione dell’attuale
precetti codiciali a norma del can. Codice.
6 § 2, poteva rintracciare i corri­ La nuova edizione, oltre al testo
spondenti canoni, del Codice piano­ del Codice, contiene un appendice
benedettino e, attraverso l’appara­ con la cost. ap. Pastor Bonus e un
to delle Fontes elaborato dal card. esauriente indice alfabetico-analiti-
Gasparri, risalire sino alle origini co; ciò, però, che la contraddistin­
delle norme canoniche. Tuttavia gli gue è l’indicazione delle fonti dei
restava ancora da colmare un perio­ singoli canoni, a partire dal Codice
do storico non privo d’importanza del 1917 in poi. Comunque, per
al riguardo, che è, appunto, quello poter dare una valutazione perti­
trascorso tra i due codici, nel quale nente della portata di quest’appara­
si era svolto il Concilio Vaticano II to delle Fontes, occorre rifarsi alla
e si era avuta una notevole produ­ presentazione, curata dal card. Ca-
zione di norme miranti a sviluppare stillo Lara, con cui si apre l’opera.
giuridicamente i risultati dell’assise Il Presidente della Commissione
ecumenica. Inoltre, dal momento segnala, in effetti, come la realizza­
che il Codice si presentava come zione dell’edizione abbia coinvolto
uno sforzo per tradurre in linguag­ un notevole numero di canonisti,
gio canonistico la dottrina del Con­ fra i quali si annoverano non solo
cilio, ben ci si poteva rendere con­ responsabili dei dicasteri della Cu-

47. lus ecc/csìae - 1989.


730 RASSEGNA DI BIBLIOGRAFIA

ria Romana, ma anche docenti ed sposto nei canoni in vigore. La ri­


altri studiosi, il che rende un’idea sposta a questi interrogativi si può
della vastità del lavoro e della sua trovare nella presentazione del
importanza. Tuttavia, ciò che inte­ card. Castillo Lara: «In “Fontibus”
ressa soprattutto rilevare è il carat­ seligendìs lata discemendi ratio adhi-
tere esclusivamente privato dell’o­ bita est, non tantum eos, ex quibus
pera, pur essendo stata curata dalla directe oritur canonis textus, indican­
Pontificia Commissione per l’inter­ do, sed etiam eos, qui remotam ac in-
pretazione autentica. Tale valore directam tantum relationem, etiam
privato spiega, infatti, alcune que­ con trarietatis habent ».
stioni che ci si potrebbe porre nel- Pertanto, spetta ancora al giuri­
l’esaminare l’elenco delle fonti. sta il compito di valutare, nel suo
Potrebbe meravigliare, per esem­ lavoro di interpretazione o di stu­
pio, il fatto che si trovino, fra le dio, le fonti da cui provengono i ca­
fonti, sentenze della Rota Romana noni dell’attuale Codice, ma egli
oppure che i documenti del Vatica­ può ormai contare su uno strumen­
no II vengano risaltati tipografica­ to prezioso che lo aiuterà nel cam­
mente; e maggiore è ancora la per­ mino, spesso necessario, della tra­
plessità allorquando si scoprono dizione canonica.
fonti che contraddicono quanto di­ Eduardo Baura
Documenti
Pagina bianca
ATTI DI GIOVANNI PAOLO II

Litterae apostolicae motu proprio datae, quibus Pontificia Commissio


prò Americae Latina novo ordine disponitur, « Decessores Nostri », 18
giugno 1988 (AAS 80 (1988), p. 1255-1257).

Decessores Nostri, perinde ac Nosmet ipsi, cotidiana omnium


Ecclesiarum p elmoti sollicitudine, maximam curarum Nostrorum par­
tem reposuimus necnon firmas omnino spes in Ecclesiae Catholicae
condicionibus apud Americae Latinae Nationes. Cuius profecto studii
ac diligentiae documentimi est ipsa illa Pontificia Commissio quam
Pontifex Maximus Pius XII constituit die vicesimo primo mensis Apri-
lis anno millesimo nongentésimo quinquagesimo octavo ut suo prò mu-
nere quaestiones praecipuas coniunctim investigarei de catholica vita
fideique tutela ac religionis in America Latina propagatione, eodemque
tempore maiorem incitaret operam adiutricem inter varia Curiae Roma-
nae officia, quorum intererat eaedem ut solverentur difficultates, et in­
strumenté pastorali ratione aptioribus Consilium Episcopale Latino-A-
mericanum (CELAM) valide adiuvaret.
Huic deinde accessit Consilium Generale Pontificiae Commissionis
prò America Latina a Summo Pontifice Paulo VI institutum die tricesi-
mo mensis Novembris anno millesimo nongentésimo sexagesimo tertio,
nominatim ilio cum proposito ut argumenta et causas maioris cuiusdam
momenti perpenderet ad Continentem Americae Latinae spectantia de-
que iis opportuna proferret consilia.
Fructus autem salutaresque effectus, quos ambo haec arcte inter
se iuncta Istituta iam adtulerunt, ac pondus ipsum operis, quod hisce
absolverunt superioribus annis adeo sane laudabiliter, iamiam vehemen-
ter suadent tum ut ulterius etiam corroborentur tum solidiorem sibi re-
cipiant mobilioremque compagem, novis quoque Romanae Curiae insti­
tués congruentem.
Quapropter Nos, Motu Proprio, certa scientia atque matura deli­
beratone Nostra, in unum iam coniuncta declaramus quae hactenus
vocabantur « Pontificia Commissio prò America Latina » atque « Con­
silium Generale Pontificiae Commissionis prò America Latina ». Insti­
tutum autem, sic conditum, nomen « Pontificiae Commissionis prò
America Latina » perget servare. Eadem praeterea haec Commissio
Congrégation! prò Episcopis arcte connectitur normisque regitur se-
quentibus.
734 DOCUMENTI

I. Princeps habet velut suum propositum Pontificia Commissio prò


America Latina ut uniformi ratione quaestiones expendat tum doctrinae
tum operae etiam pastoralis ad vitam attinentes progressionemque Eccle-
siae in America Latina necnon ut officiis Romanae Curiae adsistat et sub-
veniat, quorum magis videlicet refert propriam ob auctoritatem ac munus
dirimere peculiares hasce difficultates. Suum per Praesidem dein, statis
temporibus, Commissio certiorem facit Summum Pontificem singulis de
causis, Eique res suadet et proponit, quae videntur suscipiendae aut ad re-
gimen pertinere, quascumque côngruas ipsa censuerit vel opportunas.

IL Commissio suum explet munus coniunctionis inter Apostolicam


Sedem diversaque instituta sive plurium nationum sive singularum prò
America Latina. Nominatim vero consortionem crebram frequentai:
a) cum Consilio Episcopali Latino-Americano eiusque Secretariatu
Generali, dum interea necessitudinem continuam sustinet cum illis dili-
genterque omnia sectatur quae ad eorum opera et incepta pertinent; ipsius
praesertim interest, consilio capto cum idoneis Curiae Romanae officiis,
perscrutari decreta ac proposita quae CELAM suis ediderit in sessionibus;
b) cum episcopalibus Institutis cuiusque nationis aliisque institutio-
nibus Americae Latinae adiuvandae;
c) cum Confoederatione Latino-Americana Religiosorum (CLAR),
collatis consiliis cum Congregatione, cui nomen erit prò Institutis vitae con-
secratae et Societatibus vitae apostolicae, potissimum quod ad consociatio-
nem spectat et religiosorum communicationem ipsius pastoralis industriae
Ecclesiae in America Latina, idcirco etiam quod tangit illius Confoedera-
tionis necessitudinem cum Episcopis dioecesanis, cum episcopalibus Con-
ferentns ipsoque CELAM;
d) cum Institutionibus Catholicis Internationalibus ceterisque sodali-
tatibus et motibus qui in America Latina operantur, sententiis pariter
Consilii prò Laicis rite auditis.

III. Pontificiae huius Commissions Praeses est Praefectus Congre-


gationis prò Episcopis, qui ab Episcopo Vices Praesidis gerente adiuvatur.
lis astant, tamquam Consiliarii, nonnulli Episcopi sive ex Americae Lati­
nae Episcopis, a Romano Pontifice delecti.

IV. Eius membra, a Summo Pontifice nominati, sunt:


Secretarii Dicasteriorum Curiae quorum praesertim interest; duo
Episcopi, qui partes agant Consilii Generalis Episcopalis Americae Lati­
nae; très Praesules dioecesani de America Latina.

V. Commissio suos habet administros.

VI. Commissio prò America Latina tertio quoque mense plerumque


congregabitur ut universas inspiciat tam ordinarias quam extraordinarias
quaestiones pertinentes ad munus officiumque Commissioni proprium
(cf. art. I et II).
ATTI DI GIOVANNI PAOLO II 735

VII. Ut autem universales ponderentur causae maioris cuiusdam mo­


menti Pontificia Commissio prò America Latina convocai, semel saltem in
anno, sessionem generalem, ad quam, praeter membra ipsa eiusdem Com-
missionis, invitantur:
— Praeses Consilii Episcopalis Latino-americani;
— Praesicles ac Secretarti Institutorum Episcopalium apud singulas
civitates sive nationes, ad Ecclesiam in America Latina iuvandam, tum
aliarum quoque institutionum secundum Sanctae Sedis iudicium;
— Praesides Unionis Superiorum Generalium, Unionis Internationa-
lis Superiorum Generalium et Confoederationis Latino-Americanae Reli-
giosorum.

Vili. In statu tis Nostra comprobandis auctoritate subtilius definien-


tur et fusius explanabuntur normae, quibus gubernetur ac temperetur
haec Pontificia Commissio.
Quaecumque demum a Nobis hisce ipsis Motu Proprio editis Litteris
statuuntur, cuncta firma rataque esse iubemus, contrariis quibuslibet ne-
quaquam obsistentibus.

Datum Romae, apud Sanctum Petrum, die XVIII mensis Iunii, anno
MCMLXXXVIII, Pontificatus Nostri decimo.
Ioannes Paulus PP. II

Litterae apostolicae motu proprio datae, quibus ex integro ordinatur mate­


ria respiciens muneris Patronorum et Advocatorum exercitium apud Roma-
nae Curiae Dicasteria necnon ipsius Sanctae Sedis causarum patrocinium,
« Iusti iudicis », 28 giugno 1988 (A AS 80 (1988), p. 1258-1261) (*).

(*) Nota al m.p. « Iusti iudicis »

Il m.p. Iusti iudicis sviluppa il cap. Vili della cost. ap. Pastor bonus
(art. 183-185) sugli advocati, capitolo che costituisce una novità rispetto
alla precedente legge sulla Curia Romana (la cost. ap. Regimini Ecclesiae
universae, 15 agosto 1967, non contemplava, infatti, gli avvocati). Le nor­
me del 1988 (nella stessa data, 28 giugno) creano due nuovi coetus di pa­
troni: quelli dell 'Album generale advocatorum apud Romanam Curiam (co­
st. ap., art. 183 e 184; m.p., art. 1-6) e i Sanctae Sedis advocati (cost. ap.,
art. 183 e 185; m.p., art. 1 e 7-10), distinguendoli dagli avvocati della Ro­
ta Romana e da quelli per le cause dei santi, senza però voler escludere gli
avvocati rotali e quelli per le cause dei santi dal genus degli avvocati pres­
so la Curia Romana previsto dal capitolo Vili della cost. ap., né dalle con­
seguenze giuridiche che derivano dalla connessione con la Sede Apostolica
736 DOCUMENTI

Iusti iudicis Domini Christi Iesu (2 Tim. 4, 8) verba et exempla per-


sequens, Ecclesia, inde a suis exordiis, iustitiae administrandae peculiari
cum sollicitudine prosecuta est quaestiones, sive quod ad ipsius regionem
spectat, sive ad ea quae saecularium structurarum nexus illigant, in quibus
ipsammet eiusque fideles vitam degere oportet suumque salutis mandatum
exercere. Hinc factum est ut in provincia ipsius ecclesialis Communitatis,
propria iuridica ordinatione pollentis, inde a priscis temporibus caveretur
ut physicae ac iuridicae personae defenderentur in ecclesiasticis processi-
bus, ad bona propria spiritualia vel cum spiritualibus coniuncta t’i^anda,
quae ad ipsas iure divino humanoque pertinebant. Ceterum Ecclesia ipsa,
in sua compage, necessitate quadam adducta est ut flagitaret iurium suo-
rum comprobationem atque observationem, etiam per institutam actio-
nem iuclicialem.
Studiosa alumna eius, qui « egenus factus est cum esset dives » (2
Cor. 8, 9), pauperum humiliumque affecta est necessitate iura legitime de-
fendendi etiam in iudicio. Cuius muneris explendi onus, quod quandam
ecclesialem rationem prae se fert, in se susceperunt causarum Patroni seu
Advocati.
Apud Sanctam Sedem idem officium duo expleverunt instituta pecu­
liari laude digna.
Ipse S. Gregorius Magnus constituit septem Ecclesiae defensores, a
quibus probabiliter Consistoriales Advocati originem repetunt.
Anno autem MCXXX, Innocentius II Procuratoribus Sacrorum Pa-
latiorum Apostolicorum munus commisit causas defendendi coram SS.mo
atque tutandi pauperes nulla impensa.

(sulle anziclette conseguenze cfr. J. Llobell, Avvocati e procuratori nel


processo matrimoniale, in Apollinaris 61 (1988), p. 779-806). La cost. ap. e
il m.p. indicano piuttosto tutti gli avvocati che hanno un particolare rap­
porto istituzionale con la Santa Sede, fino ad essere oggetto di un intero
capitolo della nuova cost. ap. (« Praeter Advocatos Rotales et prò causis
Sanctorum ... instituitur apud Romanam Curiam Album generale Advo-
catorum... »: m.p., art. 1; cfr. cost. ap., art. 183). Il termine praeter, infat­
ti, ha un valore aggiuntivo, non esclusivo. Di conseguenza, il capitolo
Vili della cost. ap. e il m.p. prevedono quattro tipi di avvocati: 1) avvo­
cati rotali; 2) avvocati per le cause dei santi; 3) avvocati dell’albo generale
(presso la Segnatura Apostolica in via giudiziaria e amministrativa, e pres­
so i dicasteri di natura amministrativa per i ricorsi gerarchici); e 4) avvo­
cati della Santa Sede. I tre primi tipi sono genericamente denominati Ad­
vocati apud Romanam Curiamo il quarto tipo Sanctae Sedis Advocati (cfr.
cost. ap., art. 183 e 185; rubriche degli articoli del m.p.).
Gli avvocati presso i tribunali dello Stato della Città del Vaticano co­
stituiscono un genus distinto da quello degli avvocati presso la Curia Ro­
mana. Il nuovo Ordinamento giudiziario dello Stato della Città del Vatica­
no, del 21 novembre 1987 (vedi questa Rivista 1 (1989), p. 387-391) de­
ATTI DI GIOVANNI PAOLO II 737

Benedictus XII, Apostolica Constitutione Decens et Necessarìum, die


XXVI mensis Octobris anno MCCCXL data, in duo collegia disiuncta
constituit Advocatos Consistoriales atque Procuratores Sacrorum Palatio-
rum Apostolicorum.
Rerum decursu duo ista collegia sic praeclare quidem munus suum
grave multaeque prudentiae expleverunt, ut probationes Summorum Pon-
tificum meruerint atque privilegia.
Nunc vero, dum Constitutionis Apostolicae de Romana Curia reco-
gnitio peragitur, veluti ad illam accommodationem perficiendam, cuius
Concilium Vaticanum II principia posuit finesque constituit et Codex Iu-
ris Canonici exsecutionem consectatus est, quod ad rem iuridicam attinet,
commodum visum est ex toto rem retractare, ratione habita progressio-
num pervestigationumque, quae etiam in iustitia administranda factae
sunt, cum Ecclesia, Fundatori suo obsequens, defensionis opus exercebat
humanorumque iurium curabat provectum.

Advocati apud Romanam Curiam.


Art. 1. Praeter Advocatos Rotales et prò causis Sanctorum, qui pro-
prium munus exercere pergunt sicut antea secundum praescripta iuris ge­
nerali et legis uniuscuiusque Dicasterii propriae, instituitur apud Roma­
nam Curiam Album generale Advocatorum, qui, rogatu eorum quorum in­
terest, patrocinium causarum apud Supremum Signaturae Apostolicae
Tribunal suscipiant, necnon in hierarchicis recursibus apud Dicasteria Ro-
manae Curiae operam suam praestent.
Art. 2. Cardinali Secretarius Status, audita Commissione ad hoc sta-
biliter constituta, curat ut in Albo generali ascribantur nomina Advocato-

dica gli art. 24-26 agli avvocati. La funzione degli avvocati concistoriali
dinanzi alla Corte di Cassazione dello stato della Città del Vaticano (c£r.
Ordinamento giudiziario, art. 24 § 3) corrisponde adesso al nuovo corpus
degli avvocati della Santa Sede (cfr. m.p. Iusti iudicis, art. 10 § 1).
Il rapporto della Curia con i due nuovi tipi di avvocati è diverso. I
Sanctae Sedis advocati, infatti, hanno il patrocinio delle cause della Santa
Sede, formano parte di un corpus, e sono nominati dal Segretario di Stato.
I componenti dell’albo generale, invece, aiutano le parti nella tutela dei
loro diritti presso la Curia e sono iscritti al suddetto albo. I membri del
corpus di Avvocati della Santa Sede succedunt (m.p. Iusti iudicis, art. 10 §
1) al collegio degli Avvocati Concistoriali e al collegio dei Procuratori dei
Sacri Palazzi Apostolici, i quali erano annoverati tra i membri della Curia
Romana (cfr. Annuarìo Pontificio 1988, pp. 1155 e 1157).
Il termine.
Tra gli altri, ci sembra interessante accennare ad alcuni argomenti sui
quali si potrà rivolgere l’attenzione degli studiosi del m.p.:
738 DOCUMENTI

rum, qui qualitatibus praediti sunt, de quibus agitur in subsequenti ar­


ticulo.
Art. 3. Ut quis in Albo generali ascribi possit oportet:
1. praecellenti vitae christianae integritate ornetur una cum actuosa
sedulitate in ecclesiali Communitate secundum propriam uniuscuisque vo-
cationem;
2. congrua institutione theologica praeditus sit, et doctrina iuridica
polleat aptis academicis titulis comprobata coniuncta cum idoneo profes-
sionis suae usu.
Art. 4. Advocati, quorum nomen in Albo ascribitur, officio tenentur
servandi, praeter iuris universalis praescripta hac de re lata, ethicas nor­
mas proprii muneris (deontologiam quam vocant).
Art. 5. § 1. Si quis ethicas normas proprii muneris graviter violave-
rit, res deferatur ad Supremum Tribunal Signaturae Apostolicae, quod ex
officio procédât ad normam iuris sanctionibus erogandis, secundum viola-
tionum ipsarum gravitatem, haud exclusa ex Albo amotione.
§ 2. Si contra aliquem Advocatum processus poenalis canonicus vel
civilis inchoatus fuerit, ipse pendente processu ad cautelam ab exercendo
munere suspendatur.
Art. 6. § 1. Ex Albo praeterea expungantur:
1) qui notorie a fide catholica defecerint;
2) qui in concubinatu vivunt aut matrimonio civili tantum iuncti
sunt vel aliter manifesto in gravi peccato persévérant;
3) qui nomen dederint consociationibus cuiusque generis, quae
contra Ecclesiam machinantur;

a) le disposizioni disciplinari (cfr. cost. ap. art. 184; m.p. art. 4-6)
sono applicabili soltanto agli avvocati dell’albo generale della Curia Ro­
mana, in virtù dei criteri generali d’interpretazione (cfr. can. 18) ma
hanno un valore indicativo per la stesura delle future norme dei tribuna­
li apostolici, nonché dei regolamenti dei tribunali diocesani e interdioce-
sani (cfr. can. 1402 e 1602 § 3; cost. ap. Pastor bonus, art. 130);
b) in contrasto con la normativa codiciale che prevede la generica
possibilità per la parte di « agere et respondere per se ipsa » (cfr. can.
1481 § 1), è richiesta presso i dicasteri romani la presenza del patrono
per l’azione di tutela dei diritti in via giudiziaria e amministrativa (cost.
ap., art. 183; m.p., Esposizione dei motivi, §§ 1 e 2, e art. 1), come già
accadeva prima (cfr. Normae spéciales in Supremo Tribunali Signaturae
Apostolicae ad experimentum servandae, 25 marzo 1968, art. 99 § 1);
c) il termine « patrono », come quello di « difensore », comprende
sia gli avvocati che i procuratori (cfr. can. 1481 § 1 e 3, in rapporto con
i can. 1490 e 1519 § 1). Perciò ci sembra che il titoletto del m.p. appar­
so sugli AAS (« ... muneris Patronorum et Advocatorum exercitium... ») sa­
ATTI DI GIOVANNI PAOLO II 739

4) qui assentiuntur vel suam praestant operam consociationibus vel


motibus, suadentibus cogitandi et agendi rationes fidei et catholicae doc-
trinae de moribus contrarias, vel defendunt proposita et consilia de civili
ordinatione, quae adversantur praeceptis legis naturalis et christianae;
5) qui aperte resistunt praeceptionibus doctrinalibus et pastoralibus
legitimarum auctoritatum ecclesialium.
§ 2. His in casibus res deferenda est ad Supremum Tribunal Signa­
ture Apostolicae quod ex officio procédât ad expunctionem ex Albo ad
normam iuris applicandam.

Sanctae Sedis Advocati.


Art. 7. Ex Advocatis praesertim in Albo ascriptis Corpus Sanctae Se­
dis Advocatorum constituitur, qui patrocinium causarum, nomine Sanctae
Sedis vel Curiae Romanae Dicasteriorum, apud ecclesiastica vel civilia tri-
bunalia suscipere valent.
Art. 8. A Cardinali Secretario Status, audita Commissione de qua in
art. 2, Advocati Sanctae Sedis ad quinquennium nominantur: graves ta-
men ob causas, a munere removeri possunt. Expleto septuagésimo quinto
aetatis anno a munere cessant.
Art. 9. Sanctae Sedis Advocati officio tenentur exemplarem vitam ad
Dei et Ecclesiae praecepta ducendi ac sibi commissa munera summa cum
offidi conscientia adimplendi. Oportet eos insuper secretum servare in
causis et negotiis, quae sub eodem secreto tractanda sunt.

rebbe stato più preciso se non avesse fatto riferimento agli « advocato­
rum », o se avesse indicato « Procuratorum » invece di « Patronorum ».
Conformemente con la normativa codiciale, si unificano le due mansioni
del patrocinio forense in un unico « Album generale Advocatorum qui (...)
“patrocinium causarum” (...) operam suam praestent » (m.p., art. 1; cfr. co­
si. ap., art. 183); e, coerentemente con tale unificazione, queste norme
per i due nuovi genus degli avvocati (meglio patroni), non prevedono nes­
suna specificità circa i requisiti necessari per ricoprire la funzione di avvo­
cato o la funzione di procuratore. Forse sarà necessario stabilire per chi
sia investito dell’ufficio di procuratore presso la Curia Romana l’obbligo
di avere la sua stabile dimora in Roma (cfr. Normae S. Romanae Rotae Tri-
bunaliSj 16 gennaio 1982, art. 61);
d) si amplia la possibilità che un maggior numero di professionisti ot­
tenga la facoltà di patrocinare presso la Curia Romana. Finora questa fa­
coltà era riservata agli avvocati concistoriali e ai procuratori dei sacri pa­
lazzi apostolici nonché, pur con talune limitazioni, agli avvocati rotali
(cfr. Normae spéciales in Supremo Tribunali Signaturae Apostolicae ad expe­
rimentam servandae, 25 marzo 1968, art. 6).
joaquin Llobell
740 DOCUMENTI

Art. 10. § 1. In muneribus exercendis apud Tribunalia Romanae Cu-


riae et Status Civitatis Vaticanae, Advocati Sanctae Sedis succedunt
membris Collegii Advocatorum Consistorialium et Collegi! Procuratorum
Sacrorum Palatiorum Apostolicorum, quae proinde ab iis aliisque muneri­
bus cessant. Abrogantur ideo titulus, iura atque privilegia hucusque ho-
rum collegiorum sodalibus tributa.
§ 2. Qui actu sunt Advocati Consistoriales atque Procuratores Sa­
crorum Palatiorum Apostolicorum, titulum, iura et privilegia personalia,
normis peculiaribus ad eos spectantibus disposita, integra servant.
Quaecumque demum a Nobis hisce ipsis Motu Proprio editis Litteris
statuuntur, cuncta firma rataque esse iubemus, contrariis quibuslibet ne-
quaquam obsistentibus.

Datum Romae, apud Sanctum Petrum, die XXVIII mensis Iunii, an­
no MCMLXXXVIII, Pontificatus Nostri decimo.
Ioannes Paulus PP. Il

Allocuzione alla Rota Romana, 26 gennaio 1989 (L’Ossetvatore Romano,


27 gennaio 1989, p. 4).

1. Ringrazio PEcc.mo Decano per le parole di saluto ed esprimo i


miei sentimenti di stima e di riconoscenza a quanti prestano la loro opera
nel Tribunale Apostolico della Rota Romana: i Prelati Uditori, i Promoto­
ri di Giustizia, i Difensori del Vincolo, gli altri Officiali, gli Avvocati co­
me pure i Docenti dello Studio Legale.
Avendo presente che i discorsi pontifici della Rota Romana, come è
noto, si rivolgono di fatto a tutti gli operatori della giustizia nei tribunali
ecclesiastici, intendo nell’odierno incontro annuale sottolineare l’impor­
tanza del diritto alla difesa nel giudizio canonico, specialmente nelle cause
per la dichiarazione di nullità del matrimonio. Anche se non è possibile
trattare in questa sede tutta la problematica al riguardo, voglio comunque
insistere su alcuni punti di una certa rilevanza.
2. Il nuovo Codice di Diritto Canonico attribuisce grande importan­
za al diritto di difesa. Riguardo infatti agli obblighi e diritti di tutti i fede­
li, recita il canone 221, par. 1: « Christifidelibus competit ut iura quibus
in Ecclesia gaudent, legitime vindicent atque défendant in foro competenti
ecclesiastico ad norman iuris », ed il par. 2 prosegue: « Christifidelibus
ius quoque est ut, si ad iudicium ab auctoritate competenti vocenmr, iudi-
centur servatis iuris praescriptis, cum aequitate applicandis ». Il canone
1620 del medesimo Codice sancisce esplicitamente la nullità insanabile
della sentenza, se all’una o all’altra parte, si negò il diritto alla difesa, men­
tre si può ricavare dal canone 1598, par. 1, il seguente principio che deve
ATTI DI GIOVANNI PAOLO II 741

guidare tutta l’attività giudiziaria della Chiesa: « ius defensionis semper


integrum maneat ».
3. E doveroso subito annotare che la mancanza di una tale esplicita
normativa nel Codice Pio-Benedettino certamente non significa che il di­
ritto alla difesa sia stato disatteso nella Chiesa sotto il regime del Codice
precedente. Questo dava infatti le opportune e necessarie disposizioni per
garantire tale diritto nel giudizio canonico. Ed anche se il canone 1892
del suddetto Codice non menzionava lo « ius defensionis denegatum » tra
i casi di nullità insanabile della sentenza, si deve costatare che cionono­
stante sia la dottrina sia la giurisprudenza rotale propugnavano la nullità
insanabile della sentenza, qualora si fosse negato all’una o all’altra parte il
diritto alla difesa.
Non si può concepire un giudizio equo senza il contraddittorio, cioè
senza la concreta possibilità concessa a ciascuna parte nella causa di essere
ascoltata e di poter conoscere e contraddire le richieste, le prove e le de­
duzioni addotte dalla parte avversa o « ex officio ».
4. Il Diritto alla difesa di ciascuna parte nel giudizio, cioè non sol­
tanto della parte convenuta ma anche della parte attrice, deve ovviamente
essere esercitato secondo le giuste disposizioni della legge positiva il cui
compito è, non di togliere l’esercizio del diritto alla difesa, ma di regolarlo
in modo che non possa degenerare in abuso od ostruzionismo, e di garan­
tire nello stesso tempo la concreta possibilità di esercitarlo. La fedele os­
servanza della normativa positiva al riguardo costituisce, perciò, un grave
obbligo per gli operatori della giustizia nella Chiesa.
5. Evidentemente per la validità del processo non è richiesta la dife­
sa di fatto, purché rimanga sempre la sua concreta possibilità. Quindi le
parti possono rinunziare all’esercizio del diritto di difesa nel giudizio con­
tenzioso; nel giudizio penale, invece, non può mai mancare la difesa di
fatto, anzi la difesa tecnica, perché in un tal giudizio l’accusato deve sem­
pre avere un avvocato (cf. cann. 1481, par. 2, e 1723).
Occorre subito aggiungere qualche precisazione riguardo alle cause
matrimoniali. Anche se una delle parti avesse rinunziato all’esercizio della
difesa, rimane per il giudice in queste cause il grave dovere di fare seri
tentativi per ottenere la deposizione giudiziale di tale parte ed anche dei
testimoni che essa potrebbe addurre. Il giudice deve ben valutare ogni
singolo caso. Talvolta la parte convenuta non vuole presentarsi in giudizio
non adducendo alcun motivo idoneo, proprio perché non capisce come
mai la Chiesa potrebbe dichiarare la nullità del sacro vincolo del suo ma­
trimonio dopo tanti anni di convivenza. La vera sensibilità pastorale ed il
rispetto per la coscienza della parte impongono in tale caso al giudice il
dovere di offrirle tutte le opportune informazioni riguardanti le cause di
nullità matrimoniale e di cercare con pazienza la sua piena cooperazione
nel processo, anche per evitare un giudizio parziale in una materia tanto
grave.
742 DOCUMENTI

Ritengo poi opportuno ricordare a tutti gli operatori della giustizia,


che, secondo la sana giurisprudenza della Rota Romana, si devono notifi­
care nelle cause di nullità matrimoniali alla parte, che abbia rinunziato al­
l’esercizio del diritto alla difesa, la formula del dubbio, ogni eventuale
nuova domanda della parte avversa, nonché la sentenza definitiva.

6. Il diritto alla difesa esige di per sé la possibilità concreta di cono­


scere le prove addotte sia dalla parte avversa sia « ex officio ». Il canone
1598, par. 1, dispone perciò che, acquisite le prove, il giudice deve per­
mettere alle parti e ai loro avvocati, sotto pena di nullità, di prendere vi­
sione degli atti loro ancora sconosciuti presso la cancelleria del tribunale.
Si tratta di un diritto sia delle parti sia dei loro eventuali avvocati. Il me­
desimo canone prevede pure una possibile eccezione: nelle cause che ri­
guardano il bene pubblico il giudice può disporre, per evitare pericoli gra­
vissimi, che qualche atto non sia fatto conoscere a nessuno, garantendo
tuttavia sempre ed integralmente il diritto alla difesa.
Riguardo alla menzionata possibile eccezione è doveroso osservare
che sarebbe uno stravolgimento della norma, nonché un grave errore d’in­
terpretazione, se si facesse della eccezione la norma generale. Bisogna per­
ciò attenersi fedelmente ai limiti indicati nel canone.

7. Non può destare meraviglia parlare anche, in rapporto al diritto


di difesa, della necessità della pubblicazione della sentenza. Infatti, come
potrebbe una delle parti difendersi in grado d’appello contro la sentenza
del tribunale inferiore, se venisse privata del diritto di conoscere la moti­
vazione sia in in iure che in facto? Il Codice esige quindi che alla parte di­
spositiva della sentenza siano premesse le ragioni sulle quali essa si regge
(cf. can. 1612, par. 3), e ciò non soltanto per rendere più facile l’obbe­
dienza ad essa, qualora sia diventata esecutiva, ma anche per garantire il
diritto alla difesa in un’eventuale ulteriore istanza. Il canone 1614 dispo­
ne conseguentemente che la sentenza non ha alcuna efficacia prima della
sua pubblicazione, anche se la parte dispositiva, permettendolo il giudice,
fu resa nota alle parti. Non si capisce perciò come essa potrebbe venir
confermata in grado d’appello senza la dovuta pubblicazione (cf. can.
1615). ............................
Per garantire ancora di più il diritto alla difesa, è fatto obbligo al
tribunale di indicare alle parti i modi secondo i quali la sentenza può es­
sere impugnata (cf. can. 1614). Sembra opportuno ricordare che il tribu­
nale di prima istanza, nell’adempimento di questo compito, deve anche
indicare la possibilità di adire la Rota Romana già per la seconda istan­
za. E doveroso inoltre, in questo contesto, tener presente che il termine
per l’interposizione d’appello decorre soltanto dalla notizia della pubbli­
cazione della sentenza (cf. can. 1630, par. 1), mentre il canone 1634,
par. 2, dispone: « Quod si pars exemplar impugnatae sententiae intra
utile tempus a tribunali a quo obtinere nequeat, interim termini non de-
currunt, et impedimentum significandum est iridici appellationis, qui iu-
ATTI DI GIOVANNI PAOLO II 743

dicem a quo praecepto obstringat officio suo quam primum satisfa-


ciendi ».

8. Talvolta si asserisce che l’obbligo di osservare la normativa ca­


nonica al riguardo, specialmente circa la pubblicazione degli atti e della
sentenza, potrebbe ostacolare la ricerca della verità a causa del rifiuto
dei testimoni a cooperare al processo in tali circostanze.
Innanzitutto deve essere ben chiaro che la « pubblicità » del pro­
cesso canonico verso le parti non intacca la sua natura riservata verso
tutti gli altri. Occorre inoltre notare che la legge canonica esime dal do­
vere di rispondere in giudizio tutti coloro che sono tenuti al segreto
d’ufficio, per quanto riguarda gli affari soggetti a questo segreto, ed an­
che coloro che dalla propria testimonianza temano per sé o per il coniu­
ge o per i consanguinei o gli affini più vicini infamia, pericolosi maltrat­
tamenti o altri gravi mali (cf. can. 1548, par. 2) e che, anche riguardo
alla produzione di documenti in giudizio, esiste una norma simile (cf.
can. 1546). Non può sfuggire, poi, che nelle sentenze è sufficiente l’e­
sposizione delle ragioni in diritto ed in fatto, sulla quale essa si regge,
senza dover riferire ogni singola testimonianza.
Fatte queste premesse, non posso non rilevare che il pieno rispetto
per il diritto alla difesa ha una sua particolare importanza nelle cause
per la dichiarazione di nullità del matrimonio, sia perché esse riguarda­
no così profondamente ed intimamente la persona delle parti in causa,
sia perché trattano dell’esistenza o meno del sacro vincolo matrimoniale.
Tali cause esigono, perciò, una ricerca della verità particolarmente dili­
gente.
E evidente che si dovrà spiegare ai testimoni il senso genuino della
normativa al riguardo, ed è anche necessario ribadire che un fedele, le­
gittimamente convocato dal giudice competente è tenuto ad obbedirgli e
a dire la verità, a meno che non sia esente a norma del diritto (cf. can.
1548, par. 1).
D’altronde una persona deve avere il coraggio di prendere la pro­
pria responsabilità per ciò che dice, e non può aver paura, se ha davve­
ro detto la verità.
9. Ho detto che la « pubblicità » del giudizio canonico verso le
parti in causa, non intacca la sua natura riservata verso tutti gli altri. I
giudici infatti e gli aiutanti del tribunale sono tenuti a mantenere il se­
greto d’ufficio, nel giudizio penale sempre, e nel contenzioso se dalla ri­
velazione di qualche atto processuale possa derivare pregiudizio alle par­
ti; anzi ogni qual volta la causa o le prove siano di tal natura che dalla
divulgazione degli atti o delle prove sia messa in pericolo la fama altrui,
o si dia occasione di dissidi, o sorga scandalo o altri simili inconvenien­
ti, il giudice può vincolare con il giuramento di mantenere il segreto i
testi, i periti, le parti e i loro avvocati o procuratori (cf. can. 1455,
parr. 1 e 3). Esiste anche il divieto ai notai e al cancelliere di rilasciare
744 DOCUMENTI

copia degli atti giudiziari e dei documenti acquisiti al processo senza il


mandato del giudice (cf. can. 1475, par. 2). Inoltre, il giudice può esse­
re punito dalla competente autorità ecclesiastica per la violazione della
legge del segreto (cfr. can. 1457, par. 1).
I fedeli, infatti, si rivolgono ordinariamente al tribunale ecclesiasti­
co per risolvere il loro problema di coscienza. In tale ordine dicono
spesso certe cose che altrimenti non direbbero. Anche i testimoni ren­
dono spesso la loro testimonianza sotto la condizione, almeno tacita,
che essa serva soltanto per il processo ecclesiastico. Il tribunale — per
cui è essenziale la ricerca della verità oggettiva — non può tradire la lo­
ro fiducia, rivelando ad estranei ciò che deve rimanere riservato.
10. Dieci anni fa, nel mio primo discorso a codesto tribunale, ebbi
a dire: « ...il compito della Chiesa, e il merito storico di essa, di procla­
mare e difendere in ogni luogo e in ogni tempo i diritti fondamentali
dell’uomo, non la esime, anzi la obbliga ad essere davanti al mondo spé­
culum iustitiae » (Alloc. del 17 febbraio 1979, AAS 71 [1979] 423).
Invito tutti gli operatori della giustizia di tutelare in questa pro­
spettiva il diritto alla difesa. Mentre vi ringrazio sentitamente per la
grande sensibilità del vostro tribunale a tale diritto, vi imparto di cuore
la mia Apostolica Benedizione.
ATTI DELLA SANTA SEDE

Congregazione per la dottrina della fede. Decretum quo, ad Poeni-


tentiae sacramentum tuendum, excommunìcatio latae sententiae illi qui-
cumque ea quae a confessano et a poenitente dicuntur vel per instru­
menta technica captai vel per communicationis socialis instrumenta
evulgat, infertur, 23 settembre 1988 (AAS 80 (1988), p. 1367).

Congregatio prò Doctrina Fidei, ad sanctitatem sacramenti Poeni-


tentiae tuendam et ad eiusdem ministrorum ac christifidelium iuta mu-
nienda quae ad sacramentale sigillum attinent et ad alia secreta cum
Confessione connexa, vigore specialis facultatis sibi a Suprema Ecclesiae
auctoritate tributae (can. 30), decrevit:
Firmo praescripto can. 1388, quicumque quovis technico instru­
mento ea quae in Sacramentali Confessione, vera vel ficta, a se vel ab
alio peracta, a confessano vel a poenitente dicuntur, captat, aut commu­
nicationis socialis instrumentis evulgat, in excommunicationem latae
sententiae incurrit.
Decretum hoc vigere incipit a die promulgationis.
Josephus Card. Ratzinger, Praefectus
Albertus Bovone, Archiep. tit. Caesarien, in Numidia, a Secretis

Congregazione per la dottrina della fede. Professio fidei et iusiu-


randum fidelitatis in suscipiendo officio nomine Ecclesiae exercendo, Io
marzo 1989 (AAS 89 (1989), p. 104-106).

Nota di presentazione

I fedeli chiamati ad esercitare un ufficio in nome della Chiesa sono


tenuti ad emettere la « Professione di fede », secondo la formula appro­
vata dalla Sede Apostolica (cf. can. 833). Inoltre, l’obbligo di uno spe­
ciale « Giuramento di fedeltà » concernente i particolari doveri inerenti
all’ufficio da assumere, in precedenza prescritto solo per i Vescovi, è
stato esteso alle categorie nominate al can. 833, nn. 5-8. Si è reso ne­
cessario, pertanto, provvedere a predisporre i testi atti allo scopo, ag­
giornandoli con stile e contenuto più conformi alPinsegnamento del
Concilio Vaticano II e dei documenti successivi.

48. lus ecclesiae - 1989.


746 DOCUMENTI

Come formula della « Professio f.idei » viene riproposta integralmen­


te la prima parte del precedente testo in vigore dal 1967 e contenente il
Simbolo niceno-costantinopolitano 0). La seconda parte è stata modifi­
cata, suddividendola in tre commi ai fini di meglio distinguere il tipo di
verità e il relativo assenso richiesto.
La formula dello « lusiurandum fidelitatìs in suscipiendo officio nomi­
ne Ecclesiae exercendo », intesa come complementare alla « Professio fi-
dei », è stabilita per le categorie di fedeli elencate al can. 833, nn. 5-8.
È di nuova composizione; in essa sono previste alcune varianti ai commi
4 e 5 per il suo uso da parte dei Superiori maggiori degli Istituti di vita
consacrata e delle Società di vita apostolica (cf. can. 833, n. 8).
I testi delle nuove formule di « Professio fidei » e di « lusiurandum
fidelitatis » entreranno in vigore dal Io marzo 1989.

I. Professio fidei

{Formula deinceps adhibenda in casìbus in quibus iure praescrìbitur Profes­


sio Fidei).
Ego N. firma fide credo et profiteor omnia et singula quae conti-
nentur in Symbolo fidei, videlicet:
Credo in unum Deum Patrem omnipotentem, factorem coeli et ter-
rae, visibilium omnium et invisibilium et in unum Dominum Iesum
Christum, Filium Dei unigenitüm, et ex Patre natum ante omnia saecu-
la, Deum de Deo, lumen de lumine, Deum verum de Deo vero, genitum
non factum, consubstantialem Patri per quem omnia facta sunt, qui
propter nos homines et propter nostrani salutem descendit de coelis, et
incarnatus est de Spiritu Sancto, ex Maria Virgine, et homo factus est;
crucifixus etiam prò nobis sub Pontio Pilato, passus et sepultus est; et
resurrexit tertia die secundum Scripturas, et ascendit in coelum, sedei
ad dexteram Patris, et iterum venturus est cum gloria iudicare vivos et
mortuos, cuius regni non erit finis; et in Spiritimi Sanctum Dominum et
vivificantem, qui ex Patre Filioque procedit; qui cum Patre et Filio si­
mili adoratur et conglorificatur qui locutus est per Prophetas; et unam
sanctam catholicam et apostolicam Ecclesiam. Confiteor unum baptisma
in remissionem peccatorum, et exspecto resurrectionem mortuorum, et
vitam venturi saeculi. Amen.
Firma fide quoque credo ea omnia quae in verbo Dei scripto vel
tradito continentur et ab Ecclesia sive sollemni indicio sive ordinario et
universali Magistério tamquam divinitus revelata credenda proponuntur.
Firmiter etiam amplector ac retineo omnia et singula quae circa
doctrinam de fide vel moribus ab eadem definitive proponuntur.

(i) Cfr. AAS 59 (1967), p. 1058.


ATTI DELLA SANTA SEDE 747

Insuper religioso voluntatis et intellectus obséquio doctrinis adhae-


reo quas sive Romanus Pontifex sive Collegium episcoporum enuntiant
curri Magisterium authenticum exercent etsi non definitivo actu easdem
proclamare intendant.

IL IuSIURANDUM FIDELITATIS IN SUSCIPIENDO OFFICIO


NOMINE ECCLESIAE EXERCENDO

[Formula adhibenda a chnstifidelibus de quibus in can. 833, nn. 5-8).

Ego N. in suscipiendo officio ... promitto me cum catholica Eccle­


sia communionem semper servaturum, sive verbis a me prolatis, sive
mea agendi ratione.
Magna cum diligentia et fidelitate onera explebo quibus teneor er­
ga Ecclesiam, tum universam, tum particularem, in qua ad meum servi-
tium, secundum iuris praescripta, exercendum vocatus sum.
In munere meo adimplendo, quod Ecclesiae nomine mihi commis-
sum est, fidei depositum integrum servabo, fideliter tradam et illustra-
bo; quascumque igitur doctrinas iisdem contrarias devitabo.
Disciplinam cunctae Ecclesiae communem sequar et fovebo obser-
vantiamque cunctarum legum ecclesiasticarum, earum imprimis quae in
Codice Iuris Canonici continentur, servabo.
Christiana oboedientia prosequar quae sacri Pastores, tamquam au-
thentici fidei doctores et magistri déclarant aut tamquam Ecclesiae rec-
tores statuunt, atque Episcopis diocesanis fideliter auxilium dabo, ut
actio apostolica, nomine et mandato Ecclesiae exercenda, in eiusdem
Ecclesiae communione peragatur.
Sic me Deus adiuvet et sancta Dei Evangelia, quae manibus meis
tango.

(Variationes paragrapbi quartae et quintac formulae iurisiurandi, adhiben-


dae a chnstifidelibus de quibus in can. 833, n. 8).

Disciplinam cunctae Ecclesiae communem fovebo observantiamque


cunctarum legum ecclesiasticarum urgebo, earum imprimis quae in Co­
dice Iuris Canonici continentur.
Christiana oboedientia prosequar quae sacri Pastores, tamquam au-
thentici fidei doctores et magistri déclarant, aut tamquam Ecclesiae
rectores statuunt, atque cum Episcopis dioecesanis libenter operam da­
bo, ut actio apostolica, nomine et mandato Ecclesiae exercenda, salvis
indole et fine mei Instituti, in eiusdem Ecclesiae communione pera­
gatur.
748 DOCUMENTI

Congregazione per i Vescovi. Direttorio per la visita « ad limina », 29


giugno 1988 (Città del Vaticano, 1988) (*).

Premesse
La visita « ad limina Apostolorum » da parte di tutti i Vescovi che
presiedono nella carità e nel servizio alle Chiese particolari in ogni parte
del mondo, in comunione con la Sede Apostolica, ha un preciso signifi­
cato e cioè: il rafforzamento della loro responsabilità di successori degli
Apostoli e della comunione gerarchica con il Successore di Pietro e il ri­
ferimento, nella visita a Roma, alle tombe dei SS. Pietro e Paolo, pasto­
ri e colonne della Chiesa Romana.
Essa rappresenta un momento centrale dell’esercizio del ministero
pastorale del Santo Padre: in tale visita, infatti, il Pastore Supremo rice­
ve i Pastori delle Chiese particolari e tratta con essi questioni concer­
nenti la loro missione ecclesiale.
L’analisi dell’origine e dello sviluppo storico-giuridico della visita e
la riflessione sul suo significato teologico-spirituale-pastorale permettono
di approfondire il senso e di illuminare i fondamenti, le ragioni e le fi­
nalità di una istituzione così veneranda per la sua antichità e così carica
di valore ecclesiale.
Per questo si annettono tre note, una teologica, una spirituale-pa-
storale ed una terza storico-giuridica.
Qui ci limiteremo a segnalare alcuni punti per una migliore com­
prensione del Direttorio.

(*) Nota al direttorio per la visita ad limina.

L’obbligo dei vescovi di presentare la relazione quinquennale e


compiere la visita ad limina, di cui ai canoni 399 e 400 del Codex, è sta­
to di recente confermato dalla cosi. ap. Pastor Bonus (art. 28-32), nel
cui primo Adnexum, riguardante il significato pastorale della visita ad li-
mina Apostolorum, annuncia la pubblicazione di un Direttorio elaborato
dalla Congregazione per i vescovi « per l’opportuna preparazione, remo­
ta e prossima » della visita.
Tale Direttorio, recante una data successiva a quella della Pastor
Bonus, regola infatti la preparazione e lo svolgimento della visita ad li-
mina degli Ordinari di rito latino. Insieme ad esso sono state pubblicate
tre note, aventi valore unicamente privato: una teologica, a cura del
card. Ratzinger, un’altra spirituale-pastorale, del card. Moreira Neves,
ed una terza storico-giuridica di mons. Càrcel Orti.
In quest’ultimo studio, mons. Càrcel Orti rileva come già nel seco­
lo IV si trovino testimonianze che parlano dell’esistenza della visita ad
ATTI DELLA SANTA SEDE 749

I. La visita « ad limina » non può essere intesa come un semplice


atto giuridico-amministrativo, consistente nell’assolvimento di un obbli­
go rituale, protocollare e giuridico.
Nella legislazione canonica stessa che la prescrive (C.I.C., can. 400)
sono chiaramente indicati i due scopi essenziali di tale visita:
a) venerare i sepolcri dei SS. Apostoli Pietro e Paolo;
b) incontrarsi con il Successore di Pietro, il Vescovo di Roma.
IL La venerazione ed il pellegrinaggio ai « trofei » degli Apostoli
Pietro e Paolo sono praticati fin dalla remota antichità cristiana, e con­
servano il loro profondo significato spirituale e di comunione ecclesiale;
per questo sono stati istituzionalizzati proprio per i Vescovi.
Esprimono, infatti, l’unità della Chiesa, fondata dal Signore sugli
Apostoli ed edificata sul beato Pietro loro capo, con Gesù Cristo stesso
come pietra maestra angolare e il suo « evangelo » di salvezza per tutti
gli uomini.
III. L’incontro con il Successore di Pietro, primo custode del de­
posito di verità trasmesso dagli Apostoli, tende a rinsaldare l’unità nella
stessa fede, speranza e carità, e a far conoscere ed apprezzare l’immenso
patrimonio di valori spirituali e morali che tutta la Chiesa, in comunio­
ne col Vescovo di Roma, ha diffuso in tutto il mondo. Le modalità e la
frequenza dell’incontro col Papa possono variare e sono variate nei seco­
li; ma il significato essenziale rimane sempre lo stesso.
IV. In un mondo che tende ad una più effettiva unificazione e in
una Chiesa che sa di essere « segno e strumento dell’intima unione con
Dio e dell’unità del genere umano » {LG 1), appare indispensabile pro-

limina e come lungo il Medioevo si rintraccino numerosi dati che ne ma­


nifestano la pratica. Costituisce un passo importante nella storia di que­
st’istituto la cost. ap. di Sisto V, Romanus Pontifex, del 20 dicembre
1585, contenente una normativa precisa sulla visita ad limina. Le poste­
riori innovazioni — operate soprattutto dai papi del secolo XVIII e da
S. Pio X — non fanno che testimoniare l’esistenza della visita quale
realtà vissuta.
Oltre ai riscontri storici sopra menzionati, la traccia di una prima
visita si trova nella lettera di S. Paolo ai Galati in cui lo stesso Apostolo
delle Genti narra i suoi viaggi a Gerusalemme videre Petrum.
Sotto il profilo giuridico, è bene ricordare come il codice del 1917
includeva nell’insieme degli obblighi dei vescovi quello di compiere la
visita ad limina, dando precedenza però all’onere di presentare la rela­
zione quinquennale. Nell’attuale normativa codiciale, invece, sembra
piuttosto che la suddetta relazione sia ordinata alla visita ad limina, del­
la quale si dice che ha il duplice scopo di venerare le tombe degli Apo­
stoli e incontrare il Romano Pontefice. A questi due momenti della visi-
750 DOCUMENTI

muovere e favorire una continua comunicazione tra le Chiese particolari


e la Sede Apostolica con un interscambio di informazioni e una condivi­
sione di sollecitudine pastorale circa problemi, esperienze, sofferenze,
orientamenti e progetti di lavoro e di vita.
Il movimento di questa comunicazione ecclesiale è duplice. Da una
parte c’è la convergenza verso il centro e fondamento visibile dell’unità
che, nell’impegno e nella responsabilità personale di ogni Vescovo e con
lo spirito della collegialità (affectus collegiali), si esprime in gruppi e
conferenze che sono vincoli di unità e strumenti di servizio. Dall’altra
c’è il munus « concesso singolarmente a Pietro » (LG 20) a servizio della
comunione ecclesiale e dell’espansione missionaria, affinché nulla sia la­
sciato di intentato per promuovere e custodire l’unità della fede e la di­
sciplina comune alla Chiesa intera, e si ravvivi la coscienza che appartie­
ne al corpo dei Pastori la cura d’annunziare ovunque il Vangelo.

V. E evidente che il Vescovo di Roma, per adempiere questo suo


munus, ha bisogno di informazioni autentiche e autorevoli sulle situazioni
concrete delle varie Chiese, sui loro problemi, sulle iniziative che vi si
prendono, sulle difficoltà che vi si incontrano e sui risultati che vi si rag­
giungono. E questo può avvenire, oggi più che in altri tempi, con le comu­
nicazioni epistolari, con i mezzi di informazione pubblica, con le relazioni
dei Rappresentanti della Sede Apostolica nei vari Paesi, e anche mediante
i contatti che il Santo Padre può prendere con le realtà locali nei suoi
viaggi apostolici: ma resta insostituibile il rapporto diretto che i singoli
Vescovi o le Conferenze che li associano nei vari Paesi possono avere pe­
riodicamente col Sommo Pontefice a Roma, durante la loro visita-pellegri­
naggio, dopo un’adeguata preparazione remota e prossima dell’incontro.

ta, l’art. 31 della Pastor Bonus ne aggiunge un altro: i colloqui presso i


Dicasteri della Curia Romana.
Nonostante il carattere giuridico di quest’istituzione, la visita ad li-
mina — come afferma il card. Ratzinger nella nota teologica e ricorda il
Direttorio nelle sue premesse — « non è una procedura di ordine pura­
mente amministrativo », bensì essa è « una ecclesiologia praticata ». Le
visite ad limina Apostolorum manifestano, infatti, in modo molto visibile
alcuni degli aspetti del mistero della Chiesa che sono stati approfonditi
nell’ultima assise conciliare. Segnaliamo quindi i profili ecclesiologici più
significativi della visita ad limina, prendendo lo spunto dai documenti
citati.
Innanzitutto, si può cogliere con evidenza che l’obbligo dei vescovi
diocesani di recarsi a Roma, da una parte esprime la responsabilità che
essi hanno quali pastori di una portio Populi Dei e membri del Collegio
episcopale e, dall’altra, rappresenta un momento centrale del ministero
del Romano Pontefice, pastore della Chiesa universale e Capo del Colle­
gio dei Vescovi. Si può concludere dunque che l’istituzione di cui ci oc-
ATTI DELLA SANTA SEDE 751

La visita di Paolo a Pietro e la sua permanenza di quindici giorni


presso di lui (cf. Gal 1, 18) fu un incontro di reciproco aiuto nel rispet­
tivo ministero. In modo analogo la visita dei Vescovi, vicari e legati di
Cristo nelle Chiese particolari loro affidate, al Successore di Pietro,
« vicario di Cristo e capo visibile di tutta la Chiesa » (LG 18), porta un
arricchimento di esperienze anche al ministero petrino e al suo servizio
di illuminare i gravi problemi della Chiesa e del mondo, percepiti nelle
loro differenziate connotazioni a seconda dei luoghi, dei tempi e delle
culture.

VI. Di questa preparazione fa parte la relazione quinquennale pre­


scritta dal Codice (can. 399) con riferimento alla visita « ad limina »
(can. 400).
Tale relazione è un mezzo per facilitare il rapporto di comunione
tra le Chiese particolari e il Romano Pontefice. Deve essere inviata tem­
pestivamente affinché il Santo Padre abbia un proficuo contatto perso­
nale e pastorale con ogni Vescovo, e affinché i Dicasteri competenti, de­
bitamente informati, possano avere un dialogo costruttivo con i pastori
diocesani.

VII. Di qui la necessità, sentita dal Santo Padre, dai Vescovi e dai
Dicasteri della Curia Romana, di regolare lo svolgimento della visita
« ad limina » degli Ordinari di rito latino, e prima ancora la sua prepa­
razione da parte sia dei Vescovi sia dei Dicasteri, con una normativa
adeguata espressa dal presente Direttorio.
Per i Vescovi di rito orientale si attende la promulgazione del Co­
dice di Diritto Canonico Orientale.

cupiamo gode delle caratteristiche più prettamente collegiali. Certamen­


te, come avverte il card. Moreira Neves, « non si può, rigorosamente
parlando, definire la visita ad limina come un atto di collegialità (...). Si
può dire, tuttavia, che la visitatio è un atto ispirato — derivato, se si
vuole — dal principio di collegialità e specialmente dallo spirito di colle­
gialità, grazie al quale i Membri del Collegio esprimono sempre il loro
innato riferimento al Capo dello stesso ».
Da un altro punto di vista, si può affermare — con parole del Pre­
fetto della Congregazione per la Dottrina della Fede raccolte dalla Pa­
stor Bonus — che la visita ad limina è realizzazione visibile della « peri-
choresi » di Chiesa universale e Chiesa particolare; essa è, infatti,
espressione particolare della communio ecclesiarum, poiché non si incon­
trano due persone isolate, ma ciascuno con la sua responsabilità, rappre­
sentando a suo modo il « noi » della Chiesa.
Ai tre momenti della visita ad limina, di cui abbiamo già parlato,
stabiliti dal diritto, VAdnexum della cost. ap. Pastor Bonus attribuisce al­
tre tre significati: a) la preghiera presso i sepolcri degli Apostoli assume
752 DOCUMENTI

DIRETTORIO

1. Preparazione remota

I momenti principali di questa preparazione remota sono: la prepa­


razione spirituale, l’elaborazione e l’invio della relazione quinquennale, i
contatti con il locale Kappresentante Pontificio.

1.1 Un tempo di riflessione e di preghiera.


La migliore preparazione è spirituale. La visita « ad limina » è un
atto che ciascun Vescovo compie per il bene della propria diocesi e di
tutta la Chiesa, per favorire l’unità, la carità, la solidarietà nella fede e
nell’apostolato. Ogni Ordinario cercherà quindi di cogliere nella propria
esperienza gli elementi salienti della situazione, farne oggetto di attenta
disamina e sintetizzare le conclusioni che ritiene di trarne al cospetto di
Dio per il bene della Chiesa.
In questo momento sentirà senza dubbio il bisogno di coinvolgere
nella riflessione e nella preghiera l’intera comunità diocesana, in partico­
lare i monasteri di clausura od altri centri di orazione e di penitenza,
per l’atto eminentemente ecclesiale che si accinge a compiere.

1.2 La relazione quinquennale.


1.2.1 In previsione della visita « ad limina » l’Ordinario vorrà por­
re ogni cura nella stesura della relazione quinquennale sullo stato della
circoscrizione ecclesiastica che gli è affidata: relazione prescritta dal Co-

un significato « sacrale ». Il pellegrinaggio ai « trofei » degli Apostili te­


stimonia, in effetti, la ricerca dell’unità nella fede, speranza e carità, h)
Nell’incontro del vescovo col Papa si può scorgere il significato « perso­
nale ». « Con l’atto di incontrare ufficialmente il Romano Pontefice —
scrive il card. Moreira Neves —, ciascun Vescovo implicitamente pro­
fessa il suo rapporto più profondo — rapporto appunto di comunione
gerarchica affettiva ed effettiva — con Colui che, detenendo nella
Chiesa il primato corrispondente al Capo visibile, è anche principio vi­
sibile di unità fra i vescovi ». Non meraviglia quindi che, dopo l’appro­
fondimento ecclesiologico operatosi nel Vaticano II, l’attuale normativa
(can. 400) stabilisca l’obbligo del vescovo di compiere la visita personal­
mente in modo più pressante di quanto lo fosse nel vigore del codice
piano-benedettino, c) Il significato « curiale » o « comunitario » si evi­
denza nei colloqui presso i Dicasteri della Curia Romana, i cui respon­
sabili costituiscono una comunità di lavoro in stretto legame con il mi­
nistero petrino del Romano Pontefice (cf. art. 33-35 della cost. ap. Pa­
stor Bonus).
ATTI DELLA SANTA SEDE 753

dice per tutti gli Ordinari in sede per almeno due anni interi del quin­
quennio stabilito 0).
1.2.2 Per comodità di lavoro e per una certa uniformità redaziona­
le, utile ad ogni successivo esame e dialogo, l’Ordinario potrà avvalersi
dell’apposito schema preparato dalla Congregazione per i Vescovi (2).
1.2.3 Pregi della relazione saranno la conciliazione della brevità
con la chiarezza, la precisione, la concretezza, l’obiettività nella descri­
zione reale della Chiesa particolare cui l’Ordinario è preposto, dei suoi
problemi e dei rapporti con le altre comunità religiose non cattoliche e
non cristiane e con la società civile e le pubbliche autorità.
1.2.4 Nella stesura della relazione l’Ordinario potrà chiedere la col­
laborazione di persone competenti e di sua fiducia, salva sempre la riserva­
tezza che deve circondare tali documenti come tutta la corrispondenza con
la Sede Apostolica circa i problemi fondamentali della Chiesa.
1.2.5 La relazione ordinariamente dovrà essere inviata alla Congre­
gazione per i Vescovi circa sei mesi (e in ogni caso non meno di tre) pri­
ma della visita « ad limina », perché possa essere studiata e riassunta in
una esposizione sintetica da presentare al Santo Padre, per consentirgli
di prendere conoscenza dello stato e dei problemi di ciascuna Chiesa,
prima della visita 0).
1.2.6 Sarebbe opportuno che l’Ordinario inviasse tre copie della
relazione, oppure estratti completi secondo la specifica competenza dei
vari Dicasteri, per eventuali problemi o casi da trattare con essi.
1.3 Collaborazione del Rappresentante Pontificio.
1.3.1 In ogni Paese sarà cura del Rappresentante Pontificio di ri­
cordare ai singoli Vescovi, con alcuni mesi di anticipo sull’inizio dell’an­
no, il tempo stabilito per la visita.

Come è ovvio, affinché la visita ad limina, avente la ricchezza di signi­


ficato ecclesiologico e tradizione secolare messa in rilievo in queste righe,
sia anche uno strumento efficace di governo e vi si svolga un dialogo co­
struttivo, occorre l’esistenza di una normativa mirante a garantire la corret­
ta stesura della relazione quinquennale, a coordinare il lavoro previo che
dovranno svolgere gli organismi curiali interessati e prevedere altri partico­
lari; tutto ciò costituisce, appunto, l’oggetto del presente Direttorio.
Eduardo Paura

(0 Cfr. C.I.C., can. 399, § 2. Per i quinquenni cfr. Decreto De visitatone SS.
Liminum deque relationibus diocesani, 29 giugno 1975, n. 2: AAST LXVII (1975),
P. 675-676.
(2) Formula Relationis Quinquennalis, Typis Polyglottis Vaticanis, 1982.
(3) Cf. Decreto De visitatone SS. Liminum deque relationibus dioecesanis, n. 5:
AAS LXVII (1975), p. 676.
754 DOCUMENTI

1.3.2 Nello stesso tempo inviterà il Presidente della Conferenza


episcopale a stabilire, d’intesa con i Vescovi, uno o più periodi dell’an­
no nei quali i Vescovi, singolarmente o, se le circostanze lo suggerisco­
no, a gruppi, intendono recarsi a Roma per la visita, fermo restando che
detto calendario dovrà essere sottoposto all’approvazione del Sommo
Pontefice (4).
1.3.3 II Rappresentante Pontificio solleciterà pure l’invio della Re­
lazione quinquennale da parte degli Ordinari che vi sono tenuti.

2. Preparazione prossima

La preparazione prossima riguarda gli accordi previi con l’ufficio


competente della Congregazione per i Vescovi per stabilire le date e i
particolari della visita.

2.1 Accordi previi con la Congregazione per i Vescovi.


2.1.1 La data della visita « ad limina » da parte dei Vescovi di ogni
singolo Paese o regione ecclesiastica verrà concordata tra la Segreteria
della Conferenza episcopale e la Prefettura della Casa Pontificia, la qua­
le ne darà comunicazione allo speciale Ufficio di Coordinamento delle
visite, esistente in seno alla Congregazione per i Vescovi.
2.1.2 Normalmente verrà fissata una data comune per tutti i Ve­
scovi di una medesima Provincia Ecclesiastica o Regione Pastorale, sic­
ché tutti i Vescovi che vi appartengono possano trovarsi a Roma nello
stesso periodo di tempo, tenendo sempre presente che il carattere della
visita è eminentemente personale.
2.1.3 La Segreteria della Conferenza fornirà allo stesso Ufficio di
Coordinamento la descrizione del gruppo che sta per compiere la visita:
numero e identità dei componenti, situazione socio-pastorale dalla quale
provengono, problemi che riguardano le loro zone, soluzioni che pro­
pongono, ecc. A tale scopo sarà opportuno ottenere da ciascun gruppo
un documento comune da trasmettere tempestivamente all’Ufficio di
Coordinamento, contenente le informazioni, le proposte e le eventuali
richieste da far presenti alla Sede Apostolica.
2.1.4 La stessa Segreteria della Conferenza episcopale concorderà
col detto Ufficio di Coordinamento gli incontri che i Vescovi, singolar­
mente o in gruppo, avranno con i Dicasteri romani per scopi e su argo­
menti da specificare, in modo che se ne possa preparare la trattazione. I
singoli Vescovi sono comunque liberi di chiedere direttamente gli incon­
tri e di esporne gli scopi.
2.1.5 Per tutte le trattative riguardanti la visita, la Conferenza epi­
scopale (nazionale o regionale) vorrà designare un Responsabile residen­

ci Cf. Decreto De visitatone SS. Liminum deque relationibus dioecesanis, n. 4:


AAS LXVII (1975), p. 676.
ATTI DELLA SANTA SEDE 755

te in Roma, incaricato di seguire localmente la preparazione e lo svolgi­


mento della visita e di mantenere perciò i contatti tra i Vescovi e l'Uffi­
cio di Coordinamento. Della eventuale designazione sarà data comunica­
zione al medesimo Ufficio di Coordinamento.

2.2 Compiti dell’Ufficio di Coordinamento.


2.2.1 A servizio dei Vescovi l’Ufficio di Coordinamento tratta con
la Segreteria della Conferenza o con il Responsabile tutte le questioni
riguardanti la preparazione e lo svolgimento della visita « ad limina » ed
in particolare il calendario della visita, il programma e l’orario delle ce­
lebrazioni e degli incontri romani e i rapporti con i vari Dicasteri.
2.2.2 Allo scopo di favorire il lavoro dei singoli Dicasteri interessa­
ti all’incontro con i Vescovi durante la visita « ad limina », l’Ufficio di
Coordinamento:
— comunica a ciascun Dicastero le date previste delle visite del se­
mestre;
— li informa tempestivamente circa i dati ricavati dai contatti con
le Segreterie delle Conferenze o con i Responsabili designati;
— trasmette ai Dicasteri, secondo la competenza, stralci delle rela­
zioni quinquennali sui punti che li interessano;
— tratta con i Dicasteri per trasmettere le richieste e fissare le da­
te di incontro da parte dei vari Vescovi, o per sapere se i Dicasteri stes­
si desiderino incontrare, singolarmente o in gruppo, i Vescovi in visita;
— in tal caso informa la Segreteria della Conferenza o il Responsa­
bile designato o, qualora sia il caso, direttamente il Vescovo interessato;
mentre fornisce ai Dicasteri ogni informazione possibile sulle situazioni,
sulle persone e sui gruppi.
2.2.3 Ferma restando la competenza della Prefettura della Casa
Pontificia nello stabilire e nel comunicare le date degli incontri dei Ve­
scovi o di loro gruppi con il Santo Padre, l’Ufficio di Coordinamento:
— trasmette annualmente alla Prefettura l’elenco completo dei Ve­
scovi tenuti alla visita « ad limina », comunicando altresì le date orienta­
tive da essi preferite, di cui sia a conoscenza;
— riceve dalla Prefettura, con congruo anticipo, il calendario di
massima fissato per le Udienze ai singoli Vescovi o a loro gruppi, e ne
trasmette notizia ai Dicasteri della Curia Romana.
2.2.4 Per i Vescovi che fanno capo alle Congregazioni per le Chie­
se Orientali e per l’Evangelizzazione dei Popoli l’Ufficio di Coordina­
mento dà la sua collaborazione agli uffici delle visite « ad limina » di ta­
li Dicasteri.

3. Svolgimento della visita « ad limina »

I momenti fondamentali della visita « ad limina » sono:


— il pellegrinaggio e l’omaggio alle tombe dei Principi degli Apo-
756 DOCUMENTI

— rincontro con il Santo Padre;


— i contatti con i Dicasteri della Curia Romana.
Ad essi si può aggiungere qualche contatto con la realtà pastorale
della Chiesa Romana.

3.1 II momento liturgico.


3.1.1 II pellegrinaggio alle tombe dei Principi degli Apostoli, un
momento essenziale della visita, si concreterà in una celebrazione liturgi­
ca che cementi la comunione ecclesiale ed edifichi coloro che vi parteci­
pano, siano Vescovi o fedeli, od altri che per qualsiasi ragione vi assista­
no, come spesso avviene in Roma.
3.1.2 A tale scopo PUfficio di Coordinamento, d’intesa con la Se­
greteria della Conferenza episcopale o col Responsabile designato, terrà i
contatti con le Patriarcali Basiliche di San Pietro e di San Paolo per fis­
sare i tempi e i luoghi per le celebrazioni della Santa Messa ed eventual­
mente della Liturgia delle Ore o della Parola, e preordinare tutto quanto
riguarda l’ambiente e le persone perché l’atto liturgico si svolga in modo
decoroso, degno e significativo in relazione alle finalità della visita.
3.1.3 II rituale proposto per tale celebrazione è annesso al presente
Direttorio.
3.1.4 Qualora i Vescovi, singolarmente o in gruppo, vogliano effet­
tuare qualche celebrazione anche nelle Basiliche Patriarcali di Santa Ma­
ria Maggiore e di San Giovanni in Luterano, l’Ufficio di Coordinamento
potrà occuparsi per fissare gli orari e perche sia predisposto l’occorrente.
3.1.3 Sarebbe bene che a tali celebrazioni, come a qualche incontro
romano, partecipassero dei pellegrini provenienti dalle diocesi o regioni
dei Vescovi, o altri connazionali residenti a Roma o in Italia, per unirsi
ai loro Pastori nella testimonianza di fede e di comunione ecclesiale in­
torno alle tombe dei Principi degli Apostoli e alla Cattedra di Pietro.

3.2 L’incontro con il Santo Padre.


3.2.1 Ogni Vescovo incontrerà il Successore di Pietro per un collo­
quio personale, nel giorno e nell’ora fissati dalla Prefettura della Casa
Pontificia per l’Udienza.
3.2.2 Qualora sia possibile una celebrazione comunitaria o un in­
contro collettivo con il Santo Padre, il luogo ed il tempo esatto saranno
comunicati agli interessati o al Responsabile designato.
3.2.3 L’abito da indossare durante gli incontri col Santo Padre.è la
veste filettata con fascia paonazza.

3.3 I contatti con i Dicasteri.


3.3.1 La visita dei Vescovi ai Dicasteri della Curia Romana riveste
un particolare significato ed assume una grande importanza in forza del­
ATTI DELLA SANTA SEDE 757

l’intimo collegamento esistente tra il Papa e gli organismi curiali, che


sono gli strumenti ordinari del « ministero petrino ».
E quindi auspicabile che i singoli Vescovi, o loro gruppi o commis­
sioni, durante la visita « ad limina » si rechino presso i vari Dicasteri per
esporre problemi e quesiti, chiedere informazioni, fornire delucidazioni,
rispondere ad eventuali richieste. E comunque opportuno che i Presidenti
delle singole commissioni facciano visita ai corrispondenti Dicasteri. Tut­
to ciò in spirito di comunione nella verità e nella carità.
3.3.2 Perché i contatti siano fruttuosi è necessario che i Dicasteri
siano preventivamente informati sulle relazioni quinquennali, per la parte
di loro competenza, che l’Ufficio di Coordinamento metterà tempestiva­
mente a loro disposizione, come pure sulle questioni particolari che i Ve­
scovi vogliano trattare personalmente.
3.3.3 In ogni caso è opportuno fissare il giorno e l’ora e le modalità
delle visite mediante l’Ufficio di Coordinamento, che procurerà di prov­
vedere nel miglior modo possibile alle richieste dei Vescovi.
3.3.4 Presso il medesimo Ufficio i Vescovi potranno avere le deluci­
dazioni che loro occorressero circa le competenze dei Dicasteri e su tutto
quanto concerne gli uffici e le persone a cui rivolgersi, la prassi da segui­
re, i recapiti a cui indirizzarsi per ogni occorrenza riguardante la visita.
3.3.5 In caso di visita collegiale, uno dei Vescovi partecipanti pre­
senterà il gruppo, dando un quadro sintetico della situazione pastorale
nella regione rappresentata e tratterà le questioni di competenza di quel
Dicastero. Se tra i partecipanti vi è il Vescovo presidente della Conferen­
za episcopale o di una commissione eventualmente riunita e in visita al
Dicastero, sembra opportuno che sia lui a presentare il gruppo e a rife­
rire.
3.3.6 Le delucidazioni e risposte dei Dirigenti dei Dicasteri, pur
non avendo valore ufficiale finché non siano scritte e protocollate nel mo­
do consueto della Curia Romana, possono però servire come informazio­
ne, consiglio, orientamento e guida nel comportamento generale e nella
soluzione dei particolari problemi nei quali sia opportuno applicare le
norme pratiche convalidate dall’esperienza e dalla tradizione canonica.

3.4 Possibilità di contatti con la realtà ecclesiale e pastorale romana.


3.4.1 In funzione della comunione tra le Chiese particolari e la
Chiesa Romana i Vescovi che lo desiderino possono avere uno o più in­
contri con qualche parrocchia romana o con qualche altra comunità parti­
colarmente significativa, o con dei centri di azione religiosa, culturale, as­
sistenziale, ecc., per una reciproca conoscenza e uno scambio di esperien­
ze pastorali intorno a questioni di interesse comune e a situazioni ana­
loghe.
3.4.2 Dato il caso, sarà opportuno tener conto della propria chiesa
nazionale, esistente in città, delle eventuali parrocchie personali e della
chiesa cardinalizia, soprattutto se fossero centri di attività pastorali.
758 DOCUMENTI

3.4.3 Se da tali incontri nascesse qualche forma di collaborazione sul


piano pastorale e caritativo, sarebbe un frutto concreto della comunione
ecclesiale rinsaldata dalla visita « ad limina ».
3.4.4 Anche per l’attuazione di tali incontri ed in particolare per i
necessari contatti con i competenti Centri Pastorali del Vicariato di Ro­
ma. per la scelta dei luoghi e delle persone, per la fissazione dei giorni
adatti, ci si potrà servire dell’Ufficio di Coordinamento.
Roma, dalla Congregazione per i Vescovi, 29 giugno 1988, nella so­
lennità dei SS. Apostoli Pietro e Paolo.
Bernardin Card. Gantin, Prefetto
Giovanni Battista Re, Segretario

Tribunale della Rota Romana. Indirizzo di omaggio rivolto al Santo


Padre dal Decano, 26 gennaio 1989 (L’Osservatore Romano, 27 gennaio
1989, p. 4).

Beatissimo Padre!
Nel dare inizio al trascorso anno giudiziario di questo Tribunale, che
è Vostro perché Apostolico, aprimmo il nostro animo di Giudici di fronte
alla Santità Vostra accennando ad alcuni dei problemi che ci assillano nel
lavoro quotidiano, ed in special modo a quelli che attengono alla delicatis­
sima materia di giudicare l’Uomo, soprattutto nell’ambito dei processi
matrimoniali. Sull’argomento crediamo di dover ancora oggi ritornare,
con filiale apertura e sempre con la totale fiducia di ricevere da Codesta
suprema cattedra di verità e di giustizia lume conforto direttive.
Ci rendiamo conto pienamente che alla crisi della famiglia in questi
tempi acutamente grave, così come alle difficoltà di molti matrimoni non
è unico né primario rimedio la causa di nullità matrimoniale; anzi, che
questa dovrebbe costituire l’estremo tentativo per riportare ordine nelle
coscienze e ricostituzione della comunione ecclesiale. Vi sono tuttavia non
poche né lievi considerazioni che la pratica forense ci induce a fare, sem­
pre con la vivissima aspirazione di noi, Sacerdoti ancor prima che Giudi­
ci, a collaborare alla crescita del Corpo Mistico di Cristo quale è la Chie­
sa, ed in ultima istanza al bene vero delle anime.
E prima di tutto mancheremmo di sincerità ma anche di onestà intel­
lettuale, nuocendo infine alla genuina carità che deve animarci in tutto, se
tacessimo una constatazione che continuamente siamo portati a fare, che
cioè il naufragio di molti matrimoni, l’irreparabilità della rottura della vi­
ta coniugale, la mancata costituzione di un vero ed autentico consorzio
connubiale sono ascrivibili in non piccola parte ad una inadeguata, spesso
addirittura trascurata preparazione degli sposi.
Con ciò non intendiamo dire che ogni fallimento matrimoniale com­
porti anche la presenza di una causa che radicalmente abbia inficiato la
760 DOCUMENTI

quasi totale ignoranza del significato e della essenza sacramentale del ma­
trimonio.
Se è vero che una mera ignoranza non può essere confusa con una vo­
lontà simulatoria o con un positivo intendimento delle nozze in quanto
aliene dal sacramento, e quindi se non è legittimo fondare esclusivamente
su di essa la nullità del vincolo, è altrettanto vero che una simile situazio­
ne non può essere accettata passivamente. Occorre reagirvi, da una parte,
con una più intensa azione pastorale volta a promuovere nei nubenti una
adeguata informazione e conseguentemente una responsabile coscienza
del significato cristiano del connubio fra battezzati. Occorre, dall’altra
contrastare sul piano giudiziario la facilità con cui qualche Tribunale ec­
clesiastico opera illogicamente, ancor prima che illegittimamente, un’argo­
mentazione che conduce a riconoscere l’inesistenza del patto coniugale sol
perché gli sposi ebbero una concezione erronea, od addirittura ignorarono
essere il matrimonio un vero sacramento istituito da Cristo Nostro Si­
gnore.
Su entrambi questi aspetti che ho brevemente delineato non ha man­
cato il Tribunale della Rota, e non da oggi, di fermare la propria attenzio­
ne, trattando in non poche sentenze i problemi canonistici ivi implicati ed
invitando, se del caso, tutti gli operatori del diritto della Chiesa ad una
maggiore ponderatezza nell’affrontare le cause di nullità in cui fossero in
gioco tali profili della dogmatica matrimoniale. Il che, prima ancora che
manifestazione di sensibilità per la problematica giuridica o dottrinale, ha
voluto essere espressione di quella sollecitudine per la Chiesa e per le ani­
me, che riteniamo dover essere alla base e ispiratrice di tutta l’attività di
questo Tribunale Apostolico.
Da Voi, Beatissimo Padre, ancora una volta attendiamo parole di al­
tissimo insegnamento, insieme con la Benedizione che invochiamo sulle
nostre persone e sul nostro lavoro.

Pontificio Consiglio per l’interpretazione dei testi legislativi. Ri­


sposta del 23 maggio 1988 {L’Osservatore Romano, 10 marzo 1989, p. 5).

Patres Pontificiae Commissionis Codici Iuris Canonici Authentice


Interpretando proposito in plenario coetu diei 19 ianuarii 1988 dubio,
quod sequitur, respondendum esse censuerunt ut infra:
D. Utrum Episcopus auxiliaris munere Praesidis (aut Pro-Praesidis) in
Episcoporum conferentiis fungi possit.
Utrum id possit in conventibus Episcoporum regionis ecclesiasticae,
de quibus in can. 434.
R. Negative ad utrumque.
ATTI DELLA SANTA SEDE 759

validità del vincolo, ben lungi come siamo dal pensare che l’infelicità sia
sinonimo di nullità del matrimonio. Certo è tuttavia che diffusissima ap­
pare la mancanza di una coscienza responsabile ed illuminata, non soltan­
to circa il valore il significato le implicanze del matrimonio cristiano, ma
altresì dello stesso istituto naturale del connubio.
Non sta a noi, umili ma impegnati operatori del diritto nella ammini­
strazione della giustizia ecclesiastica, indicare quali rimedi efficaci ed ur­
genti in fatto di preparazione al matrimonio, debbano essere posti in atto
con serietà di intenti e di mezzi, per ovviare a tale triste realtà. Ci sia con­
sentito tuttavia, anche per offrire un contributo costruttivo in tale impe­
gno pastorale, accennare a due aspetti fra loro speculari in cui l’inadegua­
tezza della preparazione al matrimonio si manifesta più vistosamente, al­
meno per quanto consta alla nostra esperienza giudiziaria.
Vi è, innanzi tutto, una sempre più diffusa mentalità divorzistica,
per la quale perde significato il patto coniugale nella definitiva mutua do­
nazione di amore fra i coniugi.
Che il fenomeno trovi la sua spiegazione storica-sociale-culturale nel­
la introduzione della legge che consente sempre più facilmente il divorzio
negli ordinamenti statali, od anche in una visione relativistica edonistica e
di provvisorietà della realtà in genere e dei rapporti umani in specie, non
è qui il luogo di ribadire o di approfondire. Resta il fatto che tale imposta­
zione di vita mina alla radice il concetto stesso del connubio, sul piano del
diritto naturale ancor prima che su quello dell’etica cristiana e della conse­
guente legislazione canonica. Ammettere quindi al matrimonio da cele­
brarsi dinanzi alla Chiesa in cotali condizioni persone che respingono la
perpetuità del vincolo da contrarre, significa rendersi corresponsabili del­
la nullità di esso e cosa ancor più grave, del sacrilegio che i nubenti, in
quanto battezzati, commettono.
D’altro canto, ben ricordiamo il principio per cui una erronea conce­
zione non necessariamente genera di per sé un matrimonio nullo: ma pur
con tale precisazione, sancita dal resto della norma canonica positivamen­
te nel vigente come nel precedente Codice, vi è da chiedersi quanto au­
tenticamente cristiano sia un connubio ispirato ad una simile mentalità
implicante un chiaro errore dottrinale.
Tuttavia non possiamo non rilevare l’insidiosa tendenza giurispru­
denziale di taluni Tribunali ecclesiastici i quali, in materia, sembrano non
fare più distinzione tra errore puramente intellettivo e volontà positiva di
esclusione dell’indissolubilità del vincolo, spesso deducendo, con acritica
e assoluta argomentazione, dalla semplice mentalità una vera nullità del
consenso.
L’altro aspetto, del tutto analogo al primo, attiene alla sacramentalità
del matrimonio.
Vi è in merito la realtà di una grave lacuna — e mi riferisco unica­
mente a coloro che si apprestano a celebrare nozze cristiane — per quanto
riguarda la conoscenza e quindi la coscienza di ciò che il matrimonio rap­
presenta per e fra i battezzati, verificandosi troppo spesso perfino una
ATTI DELLA SANTA SEDE 761

Summus Pontifex Ioannes Paulus II in Audientia die 23 maii 1988


infrascripto imperlila, de supradicta decisione certior factus, eam publi-
cari iussit.
Rosalius I. Card. Castillo Lara, Praeses
lulianus Herranz Casado, a Secretis

49. lus ecclesiae - 1989.


Pagina bianca
LEGISLAZIONE PARTICOLARE

Belgio

Conférence Épiscopale de Belgique. Normes complémentaires au Co­


de du Droit Canonique (Décrets du 26 mars 1985 e du 28 octobre
1986) (*).

Décret du 26 mars 1985 (Pastoralia, Bulletin Officiel de l’Archidiocèse de


Malines-Bmxelles, juin-juillet 1985, p. 94).

Le nouveau Code de droit canonique prévoit plusieurs matières


dans lesquelles les Conférences épiscopales ont à édicter des normes
complémentaires à appliquer dans leur territorire.
La Conférence épiscopale de Belgique, réunie à Malines, le 26 mars
1985, a arrêté, en accord avec le Saint-Siège (décret de la S. Congré­
gation pour les Évêques, 9 février 1985, n. 48-85) les normes suivantes:
1. Le diaconat permanent. Les réunions de formulation au diaconat
permanent auront lieu au moins chaque mois et cela durant trois ans.
Les candidats seront initiés aux différentes disciplines ecclésiastiques,
selon un programme approuvé par l’évêque diocésain (can. 236, 2°).

(*) Les deux décrets que les Évêques de Belgique ont édictés con­
formément au can. 455, ont été publiés notamment dans Pastoralia, Bul­
letin Officiel de VArchidiocèse de Malines-Bruxelles, juin-juillet 1985/6 p.
94 et janvier 1987/1 p. 2. Toutes les normes qu’il incombe à chaque con­
férence des Évêques de prendre en vertu de la Lettre Certaines conférences
de la Secrérairerie d’État du 8.XI. 1984 (cfr. Communicationes 15 (1983)
p. 135-136) n’ont pas encore vu le jour. Cependant, certaines dispositions
ont été prises en dehors de ces deux décrets d’application du Code. C’est
le cas, par exemple, du sacrement de la réconciliation, qui a fait l’objet
d’une mise au point relative au canon 961: « Vu les normes actuelles du
Code concernant l’absolution collective, les Évêques de Belgique estiment
que l’argument de « grave nécessité » ne peut être invoqué dans notre
pays » (cfr. Pastoralia. o.c., décembre 1985/10 p. 147).
En matière d’adoption, la Loi du 27 avril 1987 (cfr. Moniteur, be­
lge, 27.V. 1987) a modifié fondamentalement les art. 345-370 du Code
764 DOCUMENTI

Dès leur ordination, les diacres permanents sont tenus à la récita­


tion quotidienne de laudes et vêpres, selon la liturgie des Heures (can.
276, § 2, 3°).
2. Le Conseil presbytéral. Pour la composition du Conseil presbyté-
ral, les status diocésains tiendront compte de ce que:
a) Les membres élus doivent être légèrement majoritaires;
b) Parmi les membres de droit, avec voi active, doivent en tout cas
figurer les vicaires généraux, le président du séminaire ainsi qu’un
représentant du chapitre cathédral;
c) L’évêque diocésain peut ajouter besoin d’autres membres de fa­
çon, notamment, à assurer un meilleur équilibre, par exemple entre les
régions, les fonctions, le clergé diocésain et régulier (can. 496, 497).
3. Le collège des consulteurs. Les fonctions attribuées au collège des
consulteurs lui sont strictement réservées; elles ne peuvent être transfé­
rées au chapitre cathédral (can. 502, 3).
4. L'administration du baptême. Le baptême peut être administré
aussi bien par immersion que par infusion (can. 854).

5. L'inscription d'un baptême conféré à un enfant adoptif. Dans l’acte


de baptême d’un enfant recueilli en adoption, il doit être fait mention
des noms et prénoms des parents adoptants, ainsi que de ceux de ses
parents naturels ou de l’un d’eux selon le cas, pour autant qu’ils aient
reconnu l’enfant. Si la procédure en adoption est postérieure au bap­
tême de l’enfant, on veillera, dès que celle-ci est terminée, à inscrire en
marge de l’acte de baptême les noms et prénoms des adoptants et les
changements éventuels de nom et de prénom de l’enfant lui-même (can.
877, § 3).

civil, de manière à permettre un assouplissement des conditions et des


modalités de l’adoption. La question de l’inscription d’un baptême con­
féré à un enfant adoptif, dont il est question dans le premier décret (n.
5), revêtait donc un intérêt particulier.
Enfin, en ce qui concerne la célébration de mariage, notons que la
dispense de la forme canonique continue à être régie par les instructions
qui étaient en vigueur avant la promulgation du Code, à savoir les docu­
ments X et XI. Le premier concerne le mariage « mixte » proprement dit;
le second a trait au mariage entre catholique et non baptisé. Dans les deux
cas la condition à laquelle est soumise la dispense de la forme canonique
est mise en relief: « si de graves difficultés s’opposent à son observation ».
Le curé de la partie catholique doit envoyer un rapport à l’Ordinaire du
lieu en même temps que la demande de dispense. Il sera ensuite renvoyé
au curé, qui le conservera dans les archives paroissiales.
J. P. Schouppe
LEGISLAZIONE PARTICOLARE 765

6. L’âge de la confirmation. L’âge normal pour le sacrement de la


confirmation est de 12 à 14 ans. L’évêque diocésain peut, en certains
cas, accorder des dérogations à cette règle (can. 981).
7. La préparation au mariage. La rencontre pastorale entre fiancés
et prêtre se fera suivant le formulaire en usage dans la province ecclésia­
stique. La publication des bans sera désormais remplacée par une invita­
tion à la prière à l’intention des futurs époux, nommément désignés. El­
le prendra place, par exemple, dans la prière des fidèles. Les curés peu­
vent, dans un cas particulier, s’ils le jugent opportun, procéder d’une
autre manière (can. 1067).
8. La dispense de la forme canonique à l’occasion de mariage mixte.
Pour obtenir la dispense de la forme canonique, on procédera selon les
instructions reprises dans les formulaires X et XI (can. 1127, § 2).
9. La matière pour l’autel. Les autels fixes seront soit en pierre soit
en d’autres matériaux dignes et solides (can. 1236).
10. Les quêtes. Les collectes prévues par la Conférence épiscopale
et publiées dans chaque diocèse sont obligatoires dans les églises et les
oratoires (can. 1262).
11. La désignation de juges laïcs. L’office de juge peut être confié à
un laïc (can. 1421, § 2).
D’autres interventions de la Conférence épiscopale sont encore pré­
vues en d’autres matières. Les décisions qui seront prises feront l’objet
d’une publication ultérieure.
Les présentes normes entreront en vigueur dès leur publication
dans le bulletin diocésain.

Décret du 28 octobre 1986 (Pastoralia, Bulletin Officiel de VArchidiocèse


de Malines-Bruxelles, janvier 1987, p. 2).

1. « Les clercs porteront un habit ecclésiastique convenable, selon


les règles établies par la Conférence des évêques et les coutumes légiti­
mes des lieux » (can. 284).
— Norme pour la province ecclésiastique: Outre l’habit imposé pour
la célébration liturgique, les ecclésiastiques porteront la soutane ou le
costume de couleur foncée, avec le col romain ou la croix.
2. En ce qui concerne les déclarations et les promesses à réclamer
des parties lors d’un mariage « mixte »: « Il revient à la Conférence des
évêques tant de fixer la manière selon laquelle doivent être faites ces
déclarations et promesses qui sont toujours requises, que de définir la
766 DOCUMENTI

façon de les établir au for externe, et la manière dont la partie non ca­
tholique en sera avertie » (can. 1126).
— Norme pour la province ecclésiastique'. Comme suite à la publica­
tion du Motu proprio « Matrimonia mixta » (1970), repris dans le Code
actuel, les évêques de Belgique ont publié trois notes pastorales (1970,
1971, 1972) dans lesquelles ils déclarent: « Dorénavant, au lieu de la
déclaration écrite requise jusqu’à présent de la partie catholique au sujet
du baptême et de l’éducation des enfants, le prêtre rendra compte au su
des fiancés, dans la requête qu’il adressera à l’évêque pour l’octroi de la
dispense d’empêchement, de l’entretien qu’il a eu avec eux et de l’enga­
gement pris... Si le conjoint non catholique ne peut prendre part à l’ent­
retien préparatoire au mariage, il(elle) sera informé(e) de l’engagement
pris par la partie catholique, à savoir la fidélité à sa foi et aux obli­
gations qui en découlent pour le foyer » (note de 1970, n. 7).
y 3. Le canon 1246 énumère les jours de fêtes obligatoires pour 1’
Eglise universelle.
— Norme pour la province ecclésiastique-. En vertu du canon 5, qui
traite des coutumes centenaires, subsistent uniquement dans notre pays
le quatre fêtes de précepte suivantes: Noël, l’Ascension, l’Assomption et
la Toussaint.
4. La Conférence des évêques peut préciser davantage les modali­
tés d’observance du jeûne et de l’abstinence, ainsi que les autres formes
de pénitence, surtout les œuvres de charité et les exercices de piété qui
peuvent tenir lieu en tout ou en partie de l’abstinence et du jeûne »
(can. 1253).
— Norme pour la province ecclésiastique-. A la suite de la Consti­
tution apostolique Paenitemini (1966), les évêques de Belgique ont pu­
blié une décision, le 11 janvier 1967: elle reste en vigueur. En consé­
quence de cette décision, le jeune est obligatoire le mercredi des Cen­
dres et le Vendredi saint. L’abstinence de la viande n’est plus obligatoi­
re. « Le vendredi restera cependant un jour de pénitence obligatoire,
c’est-à-dire que tous les fidèles, à partir de l’âge de 14 ans, s’imposeront
une œuvre de pénitence, à leur choix ».
5. Le canon 1292, § 1 et 2, détermine l’autorité compétente pour
autoriser l’aliénation des biens ecclésiastiques. Chaque Conférence
épiscopale doit déterminer la somme minimale et la somme maximale
pour sa région. Si la somme minimale est dépassée, s’il s’agit de person­
nes qui sont juridiquement dépendantes de l’évêque diocésain, ce der­
nier est compétent; pour d’autres personnes juridiques, l’autorité
compétente est celle prévue par leurs propres statuts. Si la somme ma­
ximale est dépassée, l’autorisation du Saint-Siège est de plus requise
pour la validité de l’aliénation.
LEGISLAZIONE PARTICOLARE 767

— Norme pour la province ecclésiastique: La somme minimale pré­


vue est fixée à dix millions de francs belges et la somme maximale à
cent millions à l’index actuel.
6. « Pour parler de la doctrine chétienne à la radio ou à la télévi­
sion, les dispositions établies par la Conférence des évêques seront ob­
servées » (can. 772, § 2). « Il appartient à la Conférence des évêques
d’établir des règles sur les conditions requises pour qu’il soit permis aux
clercs et aux membres de instituts religieux de prendre part à des émis­
sions radiophoniques ou télévisées où l’on trait de questions touchant à
la doctrine catholique ou aux mœurs » (can. 831, § 2).
— Nome pour la province ecclésiastique:
a) Il est demandé à ceux qui, de quelque façon que ce soit, traitent
de questions religieuses ou morales à la radio ou à la télévision de s’ac­
quitter consciencieusement de cette tâche. Lorsque des questions con­
troversées sont abordées, il faut spécifier en toute honnêteté si l’on par­
le en son nom propre ou si l’on exprime le point de vue officiel de
l’Église.
b) Pour traiter à la radio ou à la télévision de questions controver­
sées ou pour intervenir de façon habituelle dans des questions religieu­
ses ou morales, les clerc ont besoin de l’autorisation ou du mandat de
leur Ordinaire propre; les membres d’instituts religieux ont besoin de
l’autorisation ou du mandat de l’Ordinaire du lieu de leur rsidence, et
du supérieur compétent selon leurs Constitutions.
Les normes établies ci-dessus entrent en vigueur dès leur publica­
tion dans les communications diocésaines.
Malines, le 28 octobre 1986.
Les évêques de Belgique

Brasile

Conferencia nacional dos bispos do Brasil (CNBB). Promul­


gação complementar ao Código de direito canónico. Decretos 2/86 e 4/
86 (*).

Decreto n. 2/86. (Comunicado Mensal da CNBB, Janeiro-Fevereiro,


1986, n. 397, p. 51-59).

De acordo com o documento aprovado pelo Santo Padre, a 13 de


dezembro de 1985, e enviado à CNBB pela Sagrada Congregação para os

(*) Vedi commento su questa Rivista, p. 645.


768 DOCUMENTI

Bispos, o Presidente da CNBB promulgou o seguinte decreto, contendo a


parte já aprovada da Legislação Complementar ao Código de Direito Ca­
nónico.
Atendendo ao que determina o novo Código de Direito Canónico e às
recomendações do Santo Padre, através da Secretaria de Estado de Sua
Santidade, a CNBB, em sua 22a Assembléia Geral, realizada de 25 de ab­
ril a 04 de maio de 1984, votou a Legislação Complementar ao Código de
Direito Canónico. Enviando o texto autêntico à revisão autorizada da
Santa Sé, diversos Dicastérios fizeram observações e propostas e cor­
reções, que foram devidamente estudadas, apreciadas e votadas na 23a
Assembléia Geral da CNBB, de 10 a 19 de abril de 1985. O texto autên­
tico das votações foi encaminhado à Santa Sé. No dia 13 de dezembro de
1985, em audiência concedida ao Cardeal Prefeito da Congregação dos Bi­
spos, o Santo Padre aprovou e confirmou as seguintes normas legislativas:

(1) Quanto ao Cân. 230 § 1: Ministérios de leitor e acólito


Podem ser admitidos estavelmente aos ministérios de leitor e acóli­
to, de acordo com o Cân. 230 § 1, os maiores de idade, do sexo mascu­
lino que, a critério do Ordinário competente:
1. Demonstrem maturidade humana e vida cristã exemplar.
2. Tenham firme vontade de servir a Deus e participem, há algum
tempo, de atividades pastorais, numa comunidade eclesial, na qual sejam
bem aceitos.
3. Estejam preparados, doutrinal e praticamente, para exercerem
conscientemente o seu ministério.
4. Façam seu pedido ao Ordinário próprio, livremente e por es­
crito, e, se casado, com o consentimento da esposa.

(2) Quanto ao Cân. 236: Normas para o diaconado permanente:


1. Os aspirantes ao diaconado permanente devem receber formação
doutrinária, moral, espiritual e pastoral — segundo as normas da Santa
Sé e da CNBB — que os capacite a exercerem convenientemente o mi­
nistério da Palavra, da Liturgia e da Caridade.
2. Tenham exercido, pelo espaço mínimo de três anos, encargos
pastorais, que permitam o acompanhamento do competente superior, e
os ministérios de leitor e acólito, pelo menos por seis meses.
3. Conste no currículo de seus estudos: Sagrada Escritura, Teolo­
gia Dogmática e Moral, História da Igreja, Liturgia, Pastoral, Direito
Canónico e outras disciplinas especiais e auxiliares.
4. Os candidatos de uma diocese ou de várias dioceses passem jun­
tos, anualmente, um período para estudo mais intensivo, troca de expe­
riência e aprofundamento do seu ministério.
5. Sejam formados para um profundo amor a Cristo e sua Igreja,
filial comunhão com seus Pastores e fraterna união com o Presbitério, a
serviço dos irmãos.
LEGISLAZIONE PARTICOLARE 769

6. Os candidatos ao diaconado que pretendem assumir o estado


celibatário, como peculiar dom de Deus, sejam adequadamente prepara­
dos. Podem ser admitidos ao diaconado somente depois dos trinta anos
completos.
7. Participem, enquanto possível, cotidianamente, da celebração
eucarística, de forma que ela se torne centro e ápice de toda a sua
vida.

(3) Quanto ao Cân. 276 § 2.3


Recomenda-se vivamente aos diáconos permanentes a Liturgia das
Horas, pela qual a Igreja se une à oração de Cristo. Rezem cada dia ao
menos a Oração da Manhã, ou a da Tarde, conforme o texto oficial.

(3) Quanto ao Cân. 311 § 2


A indicação de candidatos ao episcopado será feita, ao menos de
três em três anos, pelas Comissões Episcopais Regionais, ou pela reu­
nião dos Bispos da Província Eclesiástica.

(6) Quanto ao Cân. 402 § 2


1. Durante o exercício de seu múnus pastoral, o Bispo receberá da
Diocese uma remuneração que lhe garanta não só uma honesta susten­
tação, mas também a contribuição para o Instituto de Previdência, de
acordo com uma escala progressiva, capaz de assegurar-lhe uma apo­
sentadoria suficiente.
2. Se, por circunstâncias especiais, a aposentadoria do Bispo
emérito faltar, ou se demonstrar insuficiente, as Dioceses às quais ser­
viu, completá-la-ão, no que for necessário.
3. Se o ônus decorrente do parágrafo anterior for excessivo para
os recursos das Dioceses em questão, estas poderão solicitar que a
CNBB assuma, no todo ou em parte, essa carga financeira.
4. Ponderadas as circunstâncias, a CNBB decidirá por decreto da
Presidência.

(8) Quanto ao Cân. 338 § 3

1. Durante o exercício do seu ministério pastoral, o pároco re­


ceberá da Paróquia uma remuneração que lhe garanta uma honesta su­
stentação e a contribuição previdenciária, numa escala progressiva, de
acordo com os anos de serviço, determinada pelo Bispo diocesano, ou­
vido o Conselho Presbiteral, de modo que se lhe assegure uma apo­
sentadoria suficiente.
2. Se, por circunstâncias especiais, a aposentadoria de um pároco
emérito faltar ou se demonstrar insuficiente, a Diocese a completará,
no que for necessário.
770 DOCUMENTI

(10) Quanto ao Cân. 112 § 2


1. Os sacerdotes e diáconos podem apresentar a doutrina cristã,
através do rádio ou da televisão, a não ser que esta faculdade lhes tenha
sido restringida expressamente pelo Ordinário próprio, ou pelo Ordiná­
rio do lugar onde se encontra a emissora. Norma análoga vale para os
leigos, quando se apresentarem falando em nome da Igreja.
2. Os Ordinários, mencionados no item anterior, vigiarão para que
a apresentação da doutrina cristã pelo rádio e pela televisão não cause
divisão indevida ou escândalo, não só na própria circunscrição, mas
também, nas outras.

(11) Quanto ao Cân. 831 § 2


Além do que foi disposto, quanto ao Cân. 722 § 2, os clérigos e
membros de institutos de vida consagrada ou de sociedades de vida apo­
stólica podem participar de programas radiofónicos ou televisivos, sobre
assuntos referentes à doutrina católica e aos costumes, a não ser que
uma proibição expressa tenha sido baixada pelo superior maior próprio
ou pelo Ordinário do lugar, onde se encontra a emissora. Fora do caso
de urgente necessidade, a participação em tais programas deverá ser co­
municada previamente às mencionadas autoridades.

(12) Quanto ao Cân. 834


Entre nós continua a praxe de batizar por infusão; no entanto, per­
mite-se o batismo por imersão, onde houver condições adequadas a
critério do Bispo Diocesano.

(13) Quanto ao Cân. 811 § 3


Na inscrição dos filhos adotivos, constará não só o nome do
adotante, mas também o dos pais naturais, sempre que assim conste do
registro civil.

(14) Quanto ao Cân. 961 § 2


O Bispo diocesano poderá permitir a absolvição sacramental coleti­
va sem prévia confissão individual, levando em conta, além das con­
dições requeridas pelos Cân. 960-963, as seguintes recomendações e
critérios:
1. A absolvição coletiva, como meio extraordinário, não pode sup­
lantar pura e simplemente, a confissão individual e íntegra com absolvi­
ção, único meio ordinário de reconciliação sacramental.
2. Para facilitar aos fiéis o acesso à confissão individual, estabe­
leçam-se horários favoráveis, fixos e freqúentes.
3. Fora das condições que a justificam, não se pode dar a absolvi­
ção coletiva.
LEGISLAZIONE PARTICOLARE 771

4. Ministros e penitentes poderão, contudo, sem culpa própria, en­


contrar-se em circunstâncias que legitimam o recurso, mesmo repetido, a
esse meio extraordinário de reconciliação. Não se pode, portanto,
ignorando tais situações, impedir simplesmente ou restringir seu empre­
go pastoral.
5. A absolvição sacramental coletiva seja precedida de adequada
catequese e preparação comunitária, não omitindo a advertência de que
os fiéis, para receberem validamente a absolvição, devem estar dispostos
e com propósito de, no tempo devido, confessar-se individualmente dos
pecados graves que não puderam confessar.
6. Para dar licitamente a absolvição coletiva, fora do perigo de
morte, não basta que, em vista do número de penitentes, os confessores
sejam insuficientes para atendê-los na forma devida, em espaço de
tempo razoável. Requer-se, além disso, que sem a absolvição coletiva,
esses fiéis, sem culpa própria, permaneceriam, por cerca de um mês, pri­
vados do perdão sacramental ou da comunhão; ou lhes seria muito peno­
so ficar sem esses sacramentos.

(15) Quanto ao Cân. 964 § 2


1. O local apropriado para ouvir confissões seja, normalmente, o
confessionário tradicional, ou outro recinto conveniente, expressamente
preparado para essa finalidade.
2. Haja também local apropriado, discreto, claramente indicado e
de fácil acesso, de modo que os fiéis se sintam convidados à prática do
sacramento da penitência.

(16) Quanto ao Cân. 1067


Para a celebração do matrimónio deve ser instruído na Paróquia o
processo de habilitação matrimonial, como segue:
1. O pároco, ou quem responde legitimamente pela paróquia ou co­
munidade, tenha obrigatoriamente um colóquio pessoal com cada um
dos nubentes separadamente, para comprovar se gozam de plena liberda­
de e se estão livres de qualquer impedimento ou proibição canónica, no-
tadamente quanto aos cânones 1071, 1083-1094, 1124.
2. Apresentem-se os seguintes documentos:
— Formulário devidamente preenchido, contendo dados pessoais e
declaração assinada pelos nubentes, que não estão detidos por qualquer
impedimento ou proibição e que aceitam o sacramento do matrimónio,
tal como a Igreja Católica o entende, incluindo a unidade e indissolu­
bilidade;
— Certidão autêntica de batismo, expedida expressamente para ca­
samento e com data não anterior a seis meses da apresentação da mes­
ma, incluindo eventuais anotações marginais do livro de batizados;
— atestado de óbito do cônjuge anterior, quando se trata de nu­
bente viúvo;
772 DOCUMENTI

— comprovante de habilitação para o casamento civil;


— outros documentos eventualmente necessários, ou requeridos
pelo Bispo diocesano.
3. Quanto a proclamas: faça-se a publicação do futuro matrimonio,
no modo e prazo determinados pelo Bispo diocesano.
4. Se um dos nubentes residir em outra Paróquia ou Diocese, dife­
rente daquela em que for instruído o processo de habilitação matrimo­
nial, serão recolhidas informações e se farão os proclamas também na
Paróquia daquele nubentes.
5. Se for constatada a existência de algum impedimento ou proi­
bição canónica, o pároco deve comunicá-la aos nubentes, e, conforme o
caso, encaminhar o pedido de dispensa ou de licença.
6. Cuide-se da preparação doutrinal e espiritual dos nubentes, con­
forme as determinações concretas de cada Diocese.

(19) Quanto ao Cân. 1262


Cabe à Província Eclesiástica dar normas pelas quais se determine
a obrigação de os fiéis socorrerem às necessidades da Igreja, conforme o
Cân. 222 § 2. Busquem-se, contudo, outros sistemas que — fomentando
a participação responsável dos fiéis — tornem superada, para a ma­
nutenção da Igreja, a cobrança de taxas e espórtulas.

(20) Quanto ao Cân. 1277


Consideram-se como de administração extraordinária, no sentido
do Cân. 1277, os seguintes atos:
1. A alienação de bens que, por legítima destinação, constituem o
património estável da pessoa jurídica em questão.
2. Outras alienações de bens móveis ou imóveis e quaisquer outros
negócios em que a situação patrimonial ficar pior e cujo valor económico
exceder a quantia mínima fixada de acordo com o Cân. 1292 § 1.
3. Reformas que superam a quantia mínima fixada de acordo com
o mesmo cânon.
4. O arrendamento de bens por prazo superior a um ano, ou com a
cláusula da renovação automática, sempre que a renda anual exceder a
quantia mínima fixada de acordo com o mesmo cânon.

(21) Quanto ao Cân. 1292 § 1


A quantia máxima referida no cân. 1292 é a de três mil vezes o sa­
lário mínimo vigente em Brasília DF., e a quantia mínima é a de cem
vezes o mesmo salário.

(22) Quanto ao Cân. 1297 e 1298


A autoridade competente para a locação dos bens eclesiásticos é o
Bispo diocesano, ouvido o Conselho para assuntos económicos.
LEGISLAZIONE PARTICOLARE 773

(23) As tarefas impostas á Conferência Episcopal, pelos cânones abaixo,


são confiadas à execução dos seguintes órgãos e instituições da
CNBB, a saber.
1) À Presidência com a Comissão Episcopal de Pastoral, os atos
decorrentes dos cânones:
Quanto ao Cân. 237 § 2
Pedido de aprovação de seminário interdiocesano nacional;
Quanto ao Cân. 312 § 1, 2o
Aprovação de associações nacionais;
Quanto ao Cân. 313 a 313
Ereção de associação pública nacional ou confederação nacional de
associações públicas nacionais;
Quanto ao Cân. 316 § 2
Recurso à autoridade eclesiástica por demissão de associação púb­
lica nacional;
Quanto ao Cân. 317 § 1
Confirmar moderador, capelão ou assistente eclesiástico de associa­
ção pública nacional;
Quanto ao Cân. 318
Designar ou remover comissário de associação pública nacional;
Quanto ao Cân. 319 § 1
Superior direção da administração de bens de associação pública
nacional;
Quanto ao Cân. 320 § 2
Supressão de associações erigidas pela Conferência;
Quanto ao Cân. 830 § 1
Elaboração de lista de censores para livros.
2) À Presidência e Comissão Episcopal de Pastoral, ouvida a Co­
missão Episcopal de Doutrina, os atos decorrentes dos cânones:
Quanto ao Cân. 823 § 1 e 2
Dar aprovação para publicação de livros da Sagrada Escritura e
suas versões;
Quanto ao Cân. 831 § 2
Estabelecer normas para participação dos clérigos e membros de in­
stitutos religiosos em programas radiofónicos e televisivos, sobre assun-
tos referentes à doutrina católica e aos costumes.
3) Só a Presidência, o que deve ser resolvido conforme os cânones:
Quanto ao Cân. 1423 § 4
Permissão de único juiz para Tribunal;
774 DOCUMENTI

Quanto ao Cân. 1439 § 1, 2, 3


Constituição de tribunal de segunda instância.
4) Ao Presidente: dar recomendação ao requerimento de cada Bis­
po diocesano, para obter a licença da Sagrada Congregação dos Sacra­
mentos e Culto Divino.

(25) Quanto ao Can. 333 § 1


São livros paroquiais necessários: o de batismo, matrimónio, tombo
e os livros contáveis, exigidos pela legislação civil e canónica.

(26) Quanto ao Cân. 891


Como norma geral, a confirmação não seja conferida antes dos
doze anos de idade. Contudo mais do que com o número de anos, o Pas­
tor deve preocupar-se com a maturidade do crismando na fé e com a in­
serção na comunidade. Por isso, a juízo do Ordinário local, a idade in­
dicada poderá ser diminuída ou aumentada, de acordo com as circun­
stâncias do crismando, permanecendo a obrigação de confirmar os fiéis
ainda não confirmados que se encontrem em perigo de morte, seja qual
for a sua idade.

(27) Quanto ao Cân. 1083 § 2


Sem licença do Bispo diocesano, fora do caso de urgente e estrita
necessidade, os párocos ou seus delegados não assistam aos matrimónios
de homens menores de dezoito anos ou de mulheres menores de dezes-
seis anos completos.

(28) Quanto ao Cân. 1236 § 1


Na confecção da mesa do altar fixo, além da pedra natural, po­
derão também ser empregadas madeiras de lei, granitina, marmorite,
metal e outras matérias de reconhecida durabilidade:

(29) Quanto ao Cân. 1246 § 1 e 2


São festas de preceito os dias de: Natal do Senhor Jesus Cristo, do
Ssmo. Corpo e Sangue de Cristo, de Santa Maria, Mãe de Deus, e de
sua Imaculada Conceição.
As celebrações da Epifania, da Ascenção, da Assunção de Nossa
Senhora, dos Santos Apóstolos Pedro e Paulo e a de Todos os Santos,
ficam transferidas para o domingo, de acordo com as normas litúrgicas.
A festa de preceito de São José é abolida, permanecendo sua cele­
bração litùrgica.

(31) Quanto ao Cân. 1421 § 1


É permitido que leigos sejam constituídos juízes.
LEGISLAZIONE PARTICOLARE 775

(32) Quanto ao Càn. 788 § 3


No prazo de um ano, os setores de Catequese e Liturgia da CNBB
elaborarão e apresentarão à Assembléia Geral um projeto de organização e
pastoral da iniciação cristã de adultos, adaptando às peculiaridades do nos­
so meio o que se prescreve no « Rito da Iniciação Cristã de Adultos ».

(33) Quanto ao Cân. 804 § 1


No prazo de um ano, os setores de Catequese e Educação elabo­
rarão e apresentarão à Assembléia Geral da CNBB um projeto de nor­
mas e diretrizes, em nível nacional, sobre educação religiosa nas escolas,
quer públicas, quer particulares.

(34) Quanto ao Cân. 733 § 2


O Setor de Ecumenismo preparará um projeto de normas práticas,
aproveitando os estudos já feitos, e o apresentará à Presidência e CEP,
que deliberarão sobre o encaminhamento ulterior.

(35) Quanto ao Cân. 831


O setor de Liturgia providenciará as oportunas adaptaçoês do « Ri­
to da Iniciação Cristã de Adultos », levando em conta o que foi estabe­
lecido em relação ao Cân. 788 § 3.

(36) Quanto ao Cân. 1120


O setor de Liturgia da CNBB estudará a conveniência e, se for o
caso, elaborará o projeto de um ritual do matrimonio próprio para o
Brasil, conforme os costumes do nosso povo. Na próxima Assembléia
Geral da CNBB deverá ser apresentado um informe sobre este assunto.
Dada a importância da matéria e a necessidade de se passar à ime­
diata aplicação em todo o território nacional da legislação em apreço.
Decreto:
1. Ficam promulgadas as normas legislativas complementares ao
Código de Direito Canónico, acima elencadas, conforme texto votado
pelas referidas Assembléias Gerais da CNBB, confirmado por Sua Santi­
dade o Papa João Paulo II e comunicado por Decreto da Congregação
dos Bispos, Port. n° 447/85 de 13 de dezembro de 1985.
2. Entram em vigor as ditas normas legislativas a 7 de abril de
1986, Anunciação do Senhor, « contrariis quibuslibet minime obstan-
tibus ».
3. As demais normas legislativas complementares, ainda em exame
pela Santa Sé, serão promulgadas oportunamente em decreto posterior.
Brasilia, DF, 27 de fevereiro de 1986
Ivo Lorscheiter, Presidente da CNBB
Luciano Mendes de Almeida, Secretário Geral da CNBB
776 DOCUMENTI

Decreto n. 4/86. (Comunicado Mensal da CNBB, 31 de Outubro 1986,


n. 405, p. 1395-1397).

De acordo com o Decreto da Sagrada Congregação para os Bispos


(Prot. 441/84), o Presidente da CNBB promulgou o seguinte decreto refe­
rente à Legislação Complementar ao Código de Direito Canónico, tendo em
vista as observações da Santa Sé.
Dando continuidade ao nosso Decreto 2/86 de 27 de fevereiro de
1986, que promulgou a Legislação Complementar ao Código de Direito
Canónico, Promulgo, por esta comunicação escrita, as restantes nor­
mas, que estavam pendentes das Congregações para a Doutrina da Fé e
para o Clero, e que foram benignamente confirmadas, em 23 de agosto
de 1986, pelo Santo Padre João Paulo II o Qual se dignou também dis­
pensar a aprovação, por parte da Assembléia Geral da CNBB, das nor­
mas em questão.
As referidas normas, transcritas em anexo, passam a vigorar um
mês após a data deste Decreto, de acordo como o cân. 8 § 2.
Brasília-DF., 30 de outubro de 1986
Ivo Lorscheiter, Presidente da CNBB
Luciano Mendes de Almeida, Secretário Geral da CNBB

Legislação complementar ao código de direito canónico. Textos legisla­


tivos da CNBB sobre os quais a santa sé fez observações. Redação final
aprovada.

(7) Quanto ao Cân. 496

A CNBB estabelece as seguintes normas sobre os Conselhos Presbi-


terais:
1. Cada Conselho Presbiteral tenha seu estatuto, preparado com a
participação do presbitério e aprovado pelo Bispo diocesano, de acordo
com as normas de direito, bem como a praxe legítima de cada Igreja
particular.
2. O estatuto estabeleça o número de membros do Conselho
Presbiteral, a proporção de membros eleitos, nomeados e natos, isto é,
por razão de ofício, os critérios para a representatividade do presbitério
no Conselho.
3. As normas estatutárias para a escolha dos membros do Conselho
Presbiteral, quanto à designação dos membros eleitos, inspirem — se na
legislação canónica sobre eleições, contidas nos cân. 119, 164-178, 497­
499; designem também os membros por razão de ofício.
4. Os membros do Conselho Presbiteral sejam designados para não
menos de um biénio, exceto os membros em razão de ofício, que serão
tais, enquanto ocuparem o cargo.
LEGISLAZIONE PARTICOLARE 777

5. Cada Conselho Presbiteral tenha um representante junto à Co­


missão Regional do Clero, de acordo com o estatuto da CNBB.
6. Haja um secretário no Conselho Presbiteral, escolhido dentre
seus membros na forma do estatuto, para lavrar as atas e demais tarefas
que lhe forem atribuídas.
7. Se possível, o Conselho Presbiteral seja convocado ao menos
trimestralmente, para tratar dos assuntos que interessam ao governo da
diocese e ao bem pastoral do povo de Deus, conforme o Cân. 495 § 1,
principalmente aqueles sobre os quais o Bispo diocesano deva consultá-
lo por força do direito; a pauta, estabelecida pelo Bispo, abra espaço
também às legítimas indicações dos conselheiros.
8. Nas Dioceses em que, por causa do número exíguo de presbí­
teros ou pela extensão territorial, se torne difícil constituir conveniente­
mente o Conselho Presbiteral, como o preceitua o Cân. 495 § 1, consti­
tua-se um Conselho de ao menos três presbíteros, análogo ao Conselho
previsto nos cân. 495 § 2 e 502 § 4.
9. Na designação dos membros e no funcionamento de tal Conse-
ho, apliquem-se o quanto possível, as normas referentes ao Conselho
Presbiteral e ao Colégio dos Consultores, « congrua congruis referendo ».

(24) Quanto ao Cân. 522


1. O pároco goza de verdadeira estabilidade; por isso, seja nomea­
do por tempo indefinido.
2. Havendo razão justa, pode o Bispo diocesano nomear párocos
por período determinado, não inferior a seis anos, sempre renovável.

(9) Quanto ao Cân. 766


1. Entre as formas de pregação, destaca-se a homilia, parte inte­
grante da própria ação liturgica e reservada ao sacerdote ou diácono. O
leigo, portanto, não poderá fazé-la.
2. Valorize-se o ministério dos diáconos na pregação da Palavra de
Deus.
3. O Bispo Diocesano, onde houver necessidade ou utilidade pas­
toral, pode permitir, por tempo determinado, que leigos idóneos pre­
guem nas igrejas e oratórios.
4. Atenda-se à formação e acompanhamento dos leigos comissiona­
dos para a pregação, de modo a garantir-se a fidelidade à doutrina e sua
integridade.
5. Em casos particulares e observadas as prescrições diocesanas, o
pároco e o reitor de igreja podem confiar a pregação a leigos de compro­
vada idoneidade.

(30) Quanto ao Cân. 1251 e Cân. 1253


1. Toda sexta-feira do ano é dia de penitência, a não ser que coin­
cida com solenidade do calendário liturgico. Os fiéis nesse dia se abste-
778 DOCUMENTI

nham de carne ou outro alimento, ou pratiquem alguma forma de peni­


tência, principalmente obra de caridade ou exercício de piedade.
2. A quarta-feira de cinzas e a sexta-feira santa, memória da Pai­
xão e Morte de Cristo, são dias de jejum e abstinência. A abstinência
pode ser substituída pelos próprios fiéis por outra prática de penitência,
caridade ou piedade, particularmente pela participação nesses dias na
Sagrada Liturgia.

(4) Quanto ao Cân. 284


1. Usem os clérigos um traje eclesiástico digno e simples, de prefe­
rência o « clergyman » ou « batina ».

(17) Quanto ao Cân. 1126 e 1129

Ao preparar o processo de habilitação de matrimónios mistos, o pá­


roco pedirá e receberá as declarações e compromissos, preferivelmente
por escrito e assinados pelo nubente católico.
A diocese adotará um formulário especial, em que conste expressa­
mente a disposição do nubente católico de afastar o perigo de vir a per­
der a fé, bem como a promessa de fazer o possível para que a prole seja
batizada e educada na Igreja Católica.
Tais declarações e compromissos constarão pela anexação ao pro­
cesso matrimonial do formulário especial, assinado pelo nubente, ou,
quando feitos oralmente, pelo atestado escrito do pároco no mesmo pro­
cesso. Ao preparar o processo de habilitação matrimonial, o pároco cien­
tificará, oralmente, a parte acatólica dos compromissos da parte católica
e disso fará anotação no próprio processo.

(18) Referente à norma quanto ao Cân. 1127 § 2


Para se obter uma atuação concorde quanto à forma canónica dos
matrimónios mistos, observe-se o seguinte:
1. A Celebração dos matrimónios mistos se faça na forma canóni­
ca, segundo as prescrições do cân. 1108.
2. Se surgirem graves dificuldades para sua observância, pode o
Ordinário do lugar da parte católica, em cada caso, dispensar da forma
canónica, consultado o Ordinário do lugar onde se celebrará o ma­
trimónio.
3. Consideram-se dificuldades graves:
a) sério conflito de consciência em algum dos nubentes;
b) perigo próximo de grave dano material ou moral;
c) oposição irredutível da parte não católica, ou de seus familiares,
ou de seu ambiente mais próximo.
4. Atenda-se também, na concessão da dispensa, à repercussão que
possa ter junto à família e comunidade da parte católica.
LEGISLAZIONE PARTICOLARE 779

5. Em substituição da forma canonica dispensada, exigir-se-á dos


nubentes -— para a validade do matrimonio —■ alguma forma pública de
celebração.
6. Quanto à anotação dos matrimónios celebrados com dispensa da
forma canónica, observe-se o procedimento prescrito no Cân. 1121 § 3.

El Salvador

Ordinariato Militar de El Salvador. Reglamento del Ordinaria­


to Militar de EI Salvador. (Conferencia Episcopal de EI Salvador
(C.E.D.E.S.), Normas eclesiásticas y civiles, concemientes a la Iglesia ca­
tólica de El Salvador, San Salvador, EI Salvador, C.A., enero, 1988, p.
55-65).

Reglamento del ordinariato militar en El Salvador aprobado por


la Conferencia Episcopal de El Salvador (acta n. 165, numeral 4,
DE FECHA 23 DE NOVIEMBRE DE 1984, QUE DICE: APROBACION DEL REGLA­
MENTO CASTRENSE) Y PUBLICADO EN EL DIARIO OFICIAL, TOMO N. 292,
San Salvador, miercoles 30 de julio de 1986, n. 141

Capitulo I. Naturaleza y objeto

Art. 1. La jurisdicción del Ordinariato Militar, de su Vicario Gene­


ral y de los Capellanes, es: a) personal: se extiende a los miembros de la
Fuerza Armada en servicio activo, a sus esposas e hijos, cuando vivan
en su compalna, a los alumnos de las Academias y de las Escuelas Mi­
litares, lo mismo que al personal administrativo, empleados y servicio
doméstico; b) ordinaria: es decir, que es autonoma, tanto en el fuero in­
terno, corno en el externo; c) propia: es decir, que le es exclusiva pero
al mismo tiempo se aúna a la jurisdicción del Obispo Diocesano.
Art. 2. Puesto que la jurisdicción del Ordinariato Militar se ejerce
dentro del territorio de las diferentes Diócesis, es cumulativa con la de
los Ordinários Diocesanos. Sin embargo, en los cuarteles, aeropuertos,
arsenales militares, residências de las Jefaturas Militares, Academias y
Escuelas Militares, Hospitales, Tribunales, Cárceles, Campamentos y
demás lugares destinados a las tropas, usarán de ella primaria y prin­
cipalmente el Ordinario Militar y los Capellanes Militares; y subsidiaria-
mente, aunque siempre por derecho propio, los Ordinários Diocesanos y
los Párrocos locales, cuando aquellos falten o estén ausentes, mediante
los oportunos acuerdos, por regia general, con la curia del Ordinariato
Militar, quien informará a las Autoridades Militares correspondientes.
780 DOCUMENTI

Art. 3. El presente Regiamente) tiene por objeto establecer la orga-


nización del servicio religioso de la Fuerza Armada y dar las normas a
seguir para su funcionamiento, a fin de cumplir con la misión funda­
mental que, como servicio administrativo, le fija la Ley Orgànica de la
Defensa Nacional.

Capitulo II. Organización

Art. 4. El Cuerpo Eclesiástico del Ordinariato Militar, lo consti-


tuyen:
a) El senor Ordinario Militar y su (o sus) Vicario(s) General(es).
b) Los Sacerdotes incardinados o nombrados en forma estable en
los diferentes Cuerpos de la Fuerza Armada.
c) Los Sacerdotes que en forma voluntaria y provisionalmente ejer-
zan su ministério en el Ordinariato Militar.
Art. 3. La Curia del Ordinariato estará formada por los siguientes
miembros: 1) Ordinario Militar; 2) Vicario(s) General(es); 3) Secretario
General.
Art. 6. El nombramiento eclesiástico del Ordinario Militar será
expedido por la Santa Sede, previo cambio de información con el
Gobierno de El Salvador.
En caso de muerte, incapacidad o separación del Ordinário militar,
le subrogará en sus funciones el Vicario General Militar y, si hay vários,
el más antiguo por nombramiento, hasta que la Santa Sede designe el
nuevo Ordinario, previa notificación a las autoridades correspondientes.
Art. 7. Habrá un Capellán para cada Brigada, Destacamento o Ba-
tallón, dentro de la Organización de la Fuerza Armada.
Los Cuerpos de Seguridad Publica debido a su dispersion podrán
contar con los Capellanes que fueren necesarios.
Los Capellanes de todo el país formarán el presbiterio del Ordina­
riato Militar. El Ordinario nombrará a seis Capellanes para que integren
el Consejo Presbiteral.

Capitulo III. Funciones

Art. 8. Del Ordinario Militar. Como Ordinario Eclesiástico del


Clero Militar, asumirà directamente la iniciativa, propuesta y despacho
de todos los asuntos inhérentes a la organización del Ordinariato Militar
ante las autoridades del Ministério de Defensa y de Seguridad Pública y
del Estado Mayor Conjunto de la Fuerza Armada.
Su función específica será velar por la asistencia religiosa de la
Fuerza Armada, conforme a las normas que estén vigentes en los dife­
rentes cuerpos y tendrá además las siguientes funciones y deberes:
LEGISLAZIONE PARTICOLARE 781

1) Proveer al nombramiento eclesiástico de los Capellanes, o a falta


del Ordinario Militar, lo hard el Vicario General Militar.
2) Proponer al Ministério de Defensa y de Seguridad Pública el in-
greso a la Fuerza Armada y el destino de los Capellanes, o a falta del
Ordinario Militar lo hard el Vicario General Militar.
3) Inspeccionar personalmente, o por delegación, la situación del
servicio religioso en las Capellanías.
4) Se ocupará de que, en común acuerdo con el Ministério de De­
fensa y de Seguridad Pública, este asigne a los Capellanes un sueldo
congruo relativo a su servicio y grado.
5) Mantendrá informado al Jefe del Estado Mayor Conjunto de la
Fuerza Armada, de los programas, trabajos y servidos religiosos que
prestan los Capellanes en los diferentes Cuerpos o Instituciones Mi­
litares.
6) Ser asesor del Estado Mayor Conjunto de la Fuerza Armada en
matérias religiosas.
7) Proponer al Estado Mayor Conjunto de la Fuerza Armada las
disposiciones, instrucciones, directivas y ordenes, relacionadas con el
servicio religioso para ser incluídas en los pdrrafos correspondientes a
los Planes y Ordenes de Operaciones o Administrativas que elabore este
Organismo.
8) Informar al Estado Mayor Conjunto de la Fuerza Armada, de
todas las anomalias que notare en cuanto al íuncionamiento del servicio.
9) Mantendrá estrecha coordinación con el Departemento de Per­
sonal del Estado Mayor Conjunto de la Fuerza Armada y asesorar a este
Departamento en la elaboración de directivas, programas, e instrucción,
tendientes a mantener la moral y el espiriti! religioso dentro de la Fuer­
za Armada.
10) Hacer todas las proposiciones que estime conveniente, para el
mejor íuncionamiento del servicio.
11) Tomar bajo su cargo la responsabilidad de los servidos religio­
sos en caso de defunción de un alto Jefe de la Fuerza Armada.
12) Cumplir cualquier otra comisión o trabajo que le encomiende el
Ministério de Defensa y de Seguridad Pública o el Estado Mayor Con­
junto de la Fuerza Armada que estuviere relacionado con este servicio.
Art. 9. Del Vicario General Militar. Será un auxiliar y eficaz colabo­
rador del Ordinario Militar, por lo tanto, actuará y seguirá las ins­
trucciones que reciba dentro de su cargo. Podrá presentar y disponer
con la autoridad que le sea delegada por cl Ordinario Militar y a falta
de éste tendrá las funciones establecidas en el Art. 8.
Art. 10. Del Secretano General. Será el coordinador generai bajo la
obediencia del Ordinario Militar y tramitará los asuntos y correspon­
dências propias de su cargo. En consecuencia, debcrà mantener la in-
formación y comunicación necesaria con todos los Capellanes en asuntos
relacionados con el servicio.
782 DOCUMENTI

Art. 11. De Ins Capellanes: Son los sacerdotes que con sus respecti-
vos nombramientos eclesiástico y militar darán el servido religioso y la
asistencia espiritual, en las diferentes Unidades de la Fuerza Armada,
taies corno:
1) Dar asistencia a los familiares y personal doméstico de los
miembros de la Fuerza Armada y a todos los que de alguna manera
estén vinculados a la Institución donde prestan sus servidos;
2) Elaborará un plan de asistencia y servicio religioso, que será
presentado al Jefe de la Unidad y al Ordinario Militar para su apro-
bación; en el plan de trabajo tomará muy en cuenta los aspectos religio­
sos, sociales, culturales y de formación humana, especialmente en Guan­
to al conocimiento de los Derechos Humanos y al respeto de ellos;
3) Será el encargado de celebrar personalmente, y en el recinto del
Cuerpo, todos los servidos religiosos;
4) Será el asesor directo del Comandante del Cuerpo, en cuanto al
servido religioso se refiere; y el encargado de impartir pláticas, de ca­
rácter religioso y moral al personal, de acuerdo a los planes de Ins-
trucción;
5) No estará obligado a realizar comisiones que sean incompatibles
con su ministério sacerdotal y deberá mantenerse ajeno a toda actividad
que no sea la de su ministério;
6) Llevará diligentemente los libros en los que registrarán bau-
tismos, confirmación, matrimónios y entierros del personal militar y sus
familiares.

Art. 12. La conducta o comportamiento militar del Ordinario Mi­


litar, del Vicario General Militar y de los Capellanes, estará regida pot­
este Reglamento, por la Ordenanza y Leyes Militares y Leyes Eclesiás­
ticas.

Art. 13. El Ordinario Militar y el Vicario General Militar causaràn


alta dentro de la Fuerza Armada con el grado asimilado de Coronel y
Tte. Coronel, respectivamente.

Art. 14. El Capellán incardinado y nombrado, causará alta dentro


de la Fuerza Armada, con el grado asimilado de Capitàn. Prestarà su
servicio a tiempo completo y recibirá las prestaciones correspondientes
según su nombramiento.
El Capellán a tiempo parcial no tendrà grado asimilado y prestarà
su servicio según las directrices correspondientes y recibirá las prestacio­
nes propias de su nombramiento.

Art. 13. El traje talar lo usarán en las ceremonias religiosas y cuan-


do las circunstancias lo exijan. Para el desempeno en la vida adminis­
trativa y operativa usará el uniforme correspondante a la actividad.
LEGISLAZIONE PARTICOLARE 783

Art. 16. EI Capellán para tomar posesión de su cargo, se presentarà


con el nombramiento respectivo, al Jefe o Director de la Unidad a la
cual ha sido destinado, quien a su vez, lo presentarà ante todo el per­
sonal.
Art. 17. El Ordinario Militar, el Vicario General Militar y los Ca-
pellanes, gozaràn de respeto, protección y consideración que amerita su
dignidad eclesiástica y su grado militar.
Art. 18. Las Capellanías deberàn contar con un locai apropiado pa­
ra el Capellán, a fin de que pueda realizar mejor sus servicios dentro de
la Institución donde está destacado.
Art. 19. La mutua colaboración y apoyo entre la autoridad militar
y eclesiástica, será la norma en sus relaciones, a fin de lograr un conjun­
to disciplinado que garantice el prestigio de los Jefes y Oficiales ante
sus subordinados.
Art. 20. No se ausentará de su cargo sin el consentimimento del Je­
fe o Director y del Ordinario Militar, y procurará buscar a otro Ca­
pellán para que lo sustituya durante su ausência y el servicio quede
debidamente atendido.
Art. 21 Los Capellanes deberán recibir cursos de ambientación mi­
litar y estudiar el funcionamiento y jerarquización de la organización
militar.
Art. 22 Dado el carácter del ministério de los Capellanes, en el ca­
so que deban ser sancionados como consecuencia de un expediente mi­
litar, la sentencia será certificada al Ordinario Militar para que éste últi­
mo le dé cumplimiento en el lugar y forma que estime más conveniente,
si se tratare de una falta.
Si la sanción fuere por delito militar, se cumplirá en la forma esti­
pulada por las leyes militares.
Art. 23. El Ordinario Militar podrá suspender o destituir de su
oficio por causas canónicas « a norma del Código de Derecho Canóni­
co » a los Capellanes, comunicando la suspension o remoción al Ministé­
rio de Defensa y Seguridad Pública, el cual, sin otro trâmite, procederá,
en el primer caso, a declararlo en situación de disponibilidad, y, en el
segundo caso, a darle de baja en el Cuerpo.

Capitulo V. Derechos y benefícios (*)

Art. 24. El Ordinario Militar, el Vicario General Militar y los Ca­


pellanes gozarán de las prestaciones destinadas a los militares de su ran­
go, siguiendo las normas de las leyes militares.

(*) Nell’originale manca il cap. IV.


784 DOCUMENTI

Art. 25. En caso de que un Capellàn interponga su retira o baja,


deberá hacerlo en tiempo de paz, presentando su renuncia ai Ordinario
Militar, quien, a su vez, la presentará al Ministério de Defensa y Se-
guridad Pública para que resuelva.

Art. 26. La edad para el retiro del Ordinario Militar, del Vicario
General Militar y de los Capellanes, es la establecida en el Código de
Derecho Canònico, para los Pàrrocos.

Capitulo VI. Disposiciones generales

Art. 21. Se colaborará al máximo con los Capellanes:


1) Para su desplazamiento en las zonas de operaciones, facilitán-
doles en esta forma el cumplimiento de su servido religioso;
2) Para celebrar sus oficios ministeriales hasta en las primeras lí-
neas, cuando el caso así lo requiem;
3) Para que la tropa le guarde en todo momento y lugar el respeto
y obediência debida, se le dará un trato preferencial.

Art. 28. No deberá abandonar la Unidad a la que esté asignado,


aún en los momentos más difíciles para que les preste su ayuda moral y
espiritual en todo momento.

Art. 29. Bajo ninguna circunstancia podrá desempenarse como Ca-


pellán aquel Sacerdote que no estuviere autorizado legalmente por el
Ordinario Militar y registrado como tal en el Departamento de Personal
del Estado Mayor Conjunto de Ia Fuerza Armada.

Art. 30. El Ordinario Militar en casos de necesidad podrá pro-


poner al Ministério de Defensa y Seguridad Pública el nombramimento
de Capellanes Auxiliares, los cuales causaràn alta y gozarân de los bene­
fícios y prestaciones correspondientes.

Art. 31. Los religiosos no sacerdotes, así como los Seminaristas,


Postulantes y Novicios, que sean Ilamados al servicio militar, en la me­
dida que el Ordinario Militar estimare necesario, serán destinados a
ayudar a los Capellanes en su ministério espiritual, o a otros servicios
compatibles con su carácter eclesiástico.

Art. 32. Cuando con motivo de un servicio religioso para la Fuerza


Armada, un sacerdote no incorporado al clero castrense sufriere cual-
quier dano, el Ministério de Defensa y Seguridad Publica le indemni­
zará conforme al dano recibido; en caso de muerte dicha indemnización
será entregada a sus herederos legales.

Art. 33. Las quejas o reclamos del clero castrense se tramitarán ob­
servando el conducto regular senalado en la Ordenanza.
786 DOCUMENTI

Gran Bretagna

Military Ordinariate of Grf.at Britain. Statutes of thè


Bishopric of thè Forces of Great Britain.

Tiie Military Ordinariate of Great Britain

(The Bishopric of thè Forces of Great Britain)

Statutes

Established by thè Apostolic Consitution Spirituali militum


CURAE, thè canonical and officiai name of thè Ordinariate is tiie military
ordinariate of Grf.at Britain; in suitable national usage thè Ordinariate
is known as thè bishopric of thè forces of Great Britain.

II
The Military Ordinariate is placecl under thè patronage of Mary,
thè Mother of God, and St Michael, thè Archangel.

Ili
The Military Ordinary enjoys thè rights and is bound by thè obli­
gations proper to a diocesan bishop. He belongs to thè Episcopal Con­
férence of England and Wales with a deliberative vote; he is associated
with thè Episcopal Conférence of Scotland with a consultative vote.

IV
The Military Ordinariate is governed by thè norms of:
1) The Apostolic Constitution Spirituali militum curae of Aprii
21, 1986;
2) These particular statutes sanctioned by thè Holy See;
3) The universal laws of thè Church even though not specified in
thè preceding documents.

V
The following persons are subject to thè jurisdiction of thè Military
Ordinary:

Military Personnel and Their Dependents


1) Personnel: Catholic mcmbers of thè UK Regular Armed Forces (');

(’) The UK Regular Armed Forces are thè Royal Navy, thè Regular Forces as
defined in Section 225 of thè Army Act 1955, thè Regular Air Force as defined by
LEGISLAZIONE PARTICOLARE 785

Art. 34. El personal del Ordinariato Militar estará sujeto a las dispo-
siciones de seguridad emitidas al respecto por las Comandancias corres-
pondietes y al secreto que debe guardar de las informacioncs que, en razón
de su función, llegaren a su conocimiento.
Art. 33. El Ordinario Militar, el Vicario General Militar y los Ca-
pellanes usarán como distintivos los correspondientes a su grado y ser­
vido.
Art. 36. La asistencia a los servidos religiosos es voluntaria para el
personal militar, ninguna autoridad ya sea religiosa o militar puede dictar
ordenes que obstaculicen dicha libertad.
Art. 37. Se reconoce y respetará la libertad de cultos y el Comandan­
te de cada Unidad facilitará el cumplimiento de su ejercicio.
Art. 38. El Ministério de Defensa y de Seguridad Pública facilitará
las condiciones necesarias para el mejor desempeno del servicio religioso
para la Fuerza Armada, estableciendo una Capilla Mayor de la Fuerza Ar­
mada y Capillas menores en los Cuerpos Militares; proporcionando
asimismo una residência para el Ordinario Militar con su curia, anexa a la
Capilla Mayor de la Fuerza Armada.
Art. 39. Para el cumplimiento del servicio religioso en la Fuerza Ar­
mada, el Ministério de Defensa y de Seguridad Pública asignará los fondos
económicos necesarios, en base al estúdio que presente el Ordinario Mi­
litar y aprobados en el presupuesto de la Nación.
Art. 40. En caso de la duda en la aplicación o de asuntos no previstos
en el presente Reglamento, corresponde al Ministério de Defensa y de Se­
guridad Pública y al Estado Mayor Conjunto de la Fuerza Armada, en
coordinación con el Ordinario Militar, resolver lo que fuere del caso.
Art. 41. El presente reglamento entrará en vigência a partir del dia
de su publicación en el Diario Oficial.
C.E.D.E.S, 23 de noviembre de 1984; Casa Presidencial, 30 de Julio de
1986.
Doy Fe,
Pbro. Leopoldo Barreiro Gómcz
Secretario General de la C.E.D.E.S.
LEGISLAZIONE PARTICOLARE 787

2) Dependents: Catholic dependents (2) habitually residing with


members of thè UK Regular Armed Forces;
3) Others: Catholic members of thè UK Reserve and Auxiliary
Forces (3), when undergoing training or called out for service;

Civilian Personnel and Their Dependents


4) In UK: Catholic civilians, whether religious or lay, who reside
in thè UK within an establishment managed by thè Ministry of Def-
ence;
5) Outside UK: Catholic civilians, whether religious or lay, who
reside outside thè UK and to whom any of thè UK service discipline
législation applies, excluding persons who are locally engaged;
6) Other. Catholics serving or borne in ships of thè Royal Fleet
Auxiliary at sea;

Military Personnel of Other Nations and Their Dependents


7) Personnel &■ Dependents: Catholic personnel and dependents of
thè Armed Forces of other nations, when serving outside their own
countries with thè UK Regular Armed Forces, whenever they do not
have available thè ministry of one of their nation’s chaplains.

VI
The Military Ordinary dépends upon thè Congrégation for
Bishops.

VII
The Church of thè Military Ordinary is SS. Michael and George,
Queen’s Avenue, Aldershot, Hampshire, England; his Curia is situated
at 26 The Crescent, Farnborough, Hampshire, England.

Vili
The Curia consists of thè following officiais:
1) One or more Vicars generai or episcopal Vicars, according to
thè pastoral needs of thè Military Ordinavate;

Section 223 of thè Air Force Act 1955, thè Queen Alexandra’s Royal Naval Nurs­
ing service, and thè Women’s Royal Naval Service.
(2) Dependents include spouses, children, relatives, employées and other
members of thè household.
(3) The UK Reserve and Auxiliary Forces are thè Royal Naval Reserve, thè
Royal Marines Reserve, thè Territorial Army, thè Ulster Defence Regiment (in
practice thè UDR is under thè pastoral care of locai civilian clergy; only outside
Northern Ireland would members be cared for by Chaplains of thè Regular Forces),
thè Army Reserve, thè Royal Auxiliary Air Force and thè Air Force Reserve.
788 DOCUMENTI

2) The Chancellor, who will normally be che Secretary to thè Mili-


tary Ordinary;
3) The Vice-Chancellor, who will normally be thè Person i/c
Ordinariate Records;
4) The Financial Administrator.

IX
1) The Military Ordinary holds no military rank. However, thè
Defence Council recognises his right to exercise ecclesiastical power of
govcrnance in relation to thè clergy and faithful attached to thè UK Re­
gular Armed Forces.
2) The Principal Chaplains to thè UK Regular Armed Forces are
appointed by thè Defence Council in consultation with thè Military
Ordinary.
3) Priests entering thè Military Ordinariate as commissioned or
full-time officiating Chaplains normally remain incardinated in their
own particular Churches. While they belong to thè Military Ordinariate
presbyterate, thè provisions of Canon 271 apply.
4) In thè exercise of ecclesiastical office and in thè care of souls,
Chaplains are subject to thè authority of thè Military Ordinary; as
members of thè UK Regular Armed Forces, they are subject to Service
Law.

X
1) When it is vacant, governance of thè Military Ordinariate
devolves upon thè Ordinariate Administrator, who will be elected by
thè College of Consultors in accordance with Canon 419; only thè Prin­
cipal Chaplains to thè UK Regular Armed Forces will be eligible for
élection.
2) When it is impeded, governance of thè Military Ordinariate is
determined by thè Military Ordinary in accordance with Canon 413.1;
a copy of thè List mentioned in thè said Canon is communicated to thè
Metropolitan of Westminster.
3) The functions a metropolitan may be required to fulfill when a
see is vacant or impeded as described in Canons 415 and 421.2, are
performed for thè Military Ordinariate by thè Metropolitan of
Westminster or, failing him, by thè Suffragan of thè Westminister
Province senior by promotion.

XI
1) The supervision of thè ecclesiastical goods of thè Military
Ordinariate falls to thè Ordinary (cf. Canon 1276); thè administration
belongs to thè Finance Committee. The ecclesiastical ownership of such
LEGISLAZIONE PARTICOLARE 789

goods is protected in civil law by thè limitée! company known as « The


Roman Catholic Bishopric of thè Forces (GB) ».
2) The Finance Committee, governed by its own Statutes and
presided over by thè Military Ordinary, consists of thè Principal
Chaplains and three other members of thè UK Regular Armed Forces,
generally members of thè Ordinariate, expert in financial affairs and
civil law, of outstanding integrity, and appointed by thè Military
Ordinary.
3) The Roman Catholic Chaplaincy Services of thè UK Regular
Armed Forces are established as juridical persons capable of acquiring,
administering and retaining temporal goods for purposes befitting thè
Church’s mission (cf. Canon 114.1); thè Principal Chaplains represent
and act in thè name of thè juridical persons (cf. Canon 118).

XII
The Council of Priests, governed by its own Statutes, is established
in two sections: one section in thè UK; thè second section for thè UK
Regular Armed Forces in Germany. The Metropolitan of Westminster
is consulted in thè circumstances mentioned in Canon 501.3.

XIII
The Pastoral Council, governed by its own Statutes, is established
for thè entire Military Ordinariate. Représentatives are drawn from all
Ordinariate organisations, and from thè clergy and faithful of thè UK
Regular Armed Forces at home and overseas.

XIV
1) The Military Ordinariate Records Office, entrusted to thè care
of thè Vice-Chancellor, is situated at Queen’s Avenue, Aldershot,
Hampshire, England.
2) The following books are preserved at thè Records Office:
I) Registers of thè administration of thè sacraments of initiation;
II) Registers of thè célébration of marriage and validations;
III) Records of acts connected with thè célébration of marriage
and validations.
3) The official archives and records of thè state of persons are
kept by thè Chancellor.

XV
The Tribunal of thè Archdiocese of Westminster acts as a court of
thè first instance for judicial cases concerning thè faithful of thè Mili-
790 DOCUMENTI

tary Ordinariate; thè Tribunal of thè Archdiocese of Birmingham acts


as court of thè second instance.

XVI

These Particular Statutes shall take force one month from thè date
of their promulgation, which may be by means of a publication of thè
Military Ordinariate itself. They cannot be modified without thè ap­
provai of thè Holy See.

Decreto di ratifica degli statuti ad opera della Congregazione per i


Vescovi, 24 ottobre 1987.

Congregatici prò Episcopis


Ordinariatus Militam Magnae Britanniae
De Statutorum ratihabitione

Decretum

Pro sollicitudine omnium Ecclesiarum, qua Romanus Pontifex


urgetur, Ioannes Paulus, Divina Providentia PP. II, melius consulere
studens opitulationi eorum fidelium, qui inter copias sunt conscripti,
Apostolicam Constitutionem « Spirituali Militum Curae » die XXI
mensis Aprilis, superiore anno editam promulgavit. Ibi enim
generaliores sanciebantur normae, quae ad omnes Ordinariatus militar­
es, qui mine sunt, vel in posterum erigentur, pertinerent. lei insuper
eadem Constitutione Summus Pontifex decrevit, ut huiusmodi normae
aptius explicarentur atque prò temporum locorumque opportunitate ac-
comodarentur per leges particulares seu peculiaria Statuta, ab Apostolica
Sede prò unoquoque Ordinariatu condita.
Itaque, ratione habita multiplicium necessitatum atque adiun-
ctorum sive ecclesiastici sivi civilis generis, in quibus proprium Ordina-
riatuum pastorale munus disponendum et exsequendum est, voluit Ro­
manus Pontifex socia eorumdem Ordinariatuum opera uti, ut ipsa legum
particularium scriptura ac confectio variis locorum temporumque adiun-
ctis congruenter responderet. Itaque omnibus ac singulis Ordinariis
Militaribus mandavit, ut unusquisque suae particularis legis exemplar
appararet secundum dictae Constitution^ Apostolicae « Spirituali
Militum Curae » generales normas, necnon peculiares normas superiori
temporis hisce cum normis congruentes, utque tale specimen Statutorum
Apostolicae Sedi traderet, eo sane consilio ut exhiberentur et re-
cognoscerentur antequam supremae Romani Pontificis auctoritati ap-
probanda subicerentur et ab eadem Apostolica Sede publice ederentur.
LEGISLAZIONE PARTICOLARE 791

Haec Congregatio prò Episcopis, a qua Ordinariatus Castrensis


Magnae Britanniae dependet, postquam attente perpendit eiusdem
Statutorum exemplar, collatis cum ipso Ordinario militari consiliis ad
necessarias opportunasque mutationes inducendas, Summo Pontifici in
Audientia diei 24 mensis Octobris subiciendum curavit.
Summus vero Pontifex, de iis omnibus certior factus, id muneris
huic Congregationi commisit, ut, ad normam can. 30 Codicis Iuris
Canonicis, hoc ipso Decreto Ordinariatus militaris Magnae Britanniae
Statuta publice ederet. Attento autem praescripto can. 8 § 2 C.J.C.,
haec Statuta Ordinariatus militaris Magnae Britanniae vigere incipient
post unum mensem elapsum ab eorundem promulgatione, quae quidem
per commentarios ipsius Ordinariatus militaris fiet.
Contrariis quibusvis nihil obstantibus.
Datum Romae, ex Aedibus Congregationis prò Episcopis, die 24
mensis Octobris, anno 1987.
B. Cardinal Gantin, Praefectus.
J.B. Re, a Secretis
Pagina bianca
SOMMARIO DEL VOL. 1. GENNAIO-DICEMBRE 1989

DOTTRINA
Pag
J.l. Arrieta, Conferenze episcopali e vincolo di comunione.............................. 3
S. Berlingò, La tipicità dell'ordinamento canonico........................................... 95
P. Ciprotti, La giustizia amministrativa nell’ordinamento giuridico vaticano . . . 449
C. de Diego-Lora, La potestad de régimen de las conferencias épiscopales en el
« Codex » de 1983 ..................................................................................... 23
A. de Fuenmayor, Le prelature personali e l'Opus Dei (A proposito di una re­
cente monografia di Gaetano Lo Castro)..................................................... 157
C.J. Errazuriz, La dimensione giuridica del « munus docendi » nella Chiesa ... 177
V. Fagiolo, « Potestas » del vescovo e conferenza episcopale.............................. 47
J.L. Gutiérrez, La conferenza episcopale come organo sopradiocesano nella
struttura ecclesiastica................................................................................... 69
J.L. Gutiérrez, Le prelature personali............................................................. 467
J. Hervada, Il diritto naturale nell'ordinamento canonico.................................. 493
C. Larrainzar, La «Stimma super quarto libro Decretalium » de Juan de An­
drés ............................................................................................................. 509
J.T. Martin Agar, L'incapacità consensuale nei recenti discorsi del romano
de
Pontefice alla Rota Romana....................................................................... 395
M.F. Pompedda, Il processo canonico di nullità di matrimonio: legalismo o leg­
ge di carità?................................................................................................. 423

GIURISPRUDENZA

Supremo Tribunale della Segnatura Apostolica. lurium. Decreto definitivo.


21 novembre 1987. Card.CastilloLara,Ponente...................................... 197
Tribunale Apostolico della Rota Romana. FSeapolitana. Nullità del matrimo­
nio. Sentenza definitiva. 22 luglio 1985. Pompedda, Ponente (con nota
di J. Carreras) ........................................................................................... 557
Tribunale Apostolico della Rota Romana. Romana. Nullità del matrimonio.
Sentenza definitiva. 20 febbraio 1987. Pinto, Ponente (con nota di J.
Carreras)..................................................................................................... 569
Tribunale Apostolico della Rota Romana. Lausannensis-Genevensis-Friburgensis.
Separazione. Sentenza definitiva. 26 febbraio 1987. Stankiewicz, Ponen­
te .............................................................................................................. 204
Tribunale Apostolico della Rota Romana. Fortalexiensis. Nullità del matri­
monio. Sentenza definitiva.18 marzo 1987. DeLanversin, Ponente .... 216
Tribunale Apostolico della Rota Romana. Grossetana seti Fiorentina. Nullità
del matrimonio. Sentenza definitiva. 11 aprile 1988. Pompedda, Ponen­
te .............................................................................................................. 230
794 SOMMARIO GENNAIO-DICEMBRE 1989

pai-
Tribunale Apostolico della Rota Romana. Romana. lumini (crediti et
àamnorum). Questione incidentale sull’esecuzione di sentenza rotale. De­
creto. 13 aprile 1988. Palestro, Ponente ................................................. 581
Tribunale Apostolico della Rota Romana. Romana, lurium (crediti et damno-
rum). Sentenza definitiva. 15 giugno 1988. Palestro, Ponente (con nota
di J. Llobell)............................................................................................... 587

NOTE E COMMENTI

E. Baura, II permesso per la pubblicazione di scritti........................................ 249


E. Caparros, L'affaire des trésors de l Ange-Gardien ....................................... 617
J. Llobell, Il tribunale di appello del Vicariato di Roma.................................. 257
L. Madero, A legislação complementar do código de direito canònico da Confe­
rência nacional dos bispos do Brasil........................................................... 645
J. Sanciiis, Il passaggio di un religioso da un monastero autonomo ad un altro
dello stesso istituto, federazione o confederazione....................................... 279
J. Sanchis, L'aborto procurato: aspetti canonistici............................................. 663

RECENSIONI

AA. VV., Código de derecho canònico. Edición bilingue y anotada a cargo del
Instituto Martin de Azpilcueta (E. Baura)................................................... 289
AA.VV., Il sinodo diocesano nella teologìa e nella storia (j. Llobell) ................ 291
AA.VV., Teologia e diritto canonico (C.J. Erràzuriz)....................................... 293
AA.VV., Le nouveau code de droit canonique (Actes du V Congrès international
de droit canonique. Ottawa, 19-2.5 août 1984) (J. Llobell).......................... 681
AA.VV., Manual de Derecho Canónico, a cura dell’Istituto Martin de Azpil­
cueta (Università di Navarra) (C.J. Erràzuriz)......................................... 685
AA.VV., Il processo matrimoniale canonico (R. Rodrigucz-Ocana) .................. 689
AA.VV., Studi in onore di Guido Saraceni (D. Cito)....................................... 696
AA.VV., Episcopato, presbiterato, diaconato, teologia e diritto canonico (E.
Baura)......................................................................................................... 699
J.I. Arrieta, El Sinodo de los Obispos (A. Bettetini)....................................... 701
R. Astorri, La Conferenza Episcopale Svizzera. Analisi storica e canonica (J.L.
Domingo)................................................................................................... 703
R. Astorri, Gli statuti delle conferenze episcopali. (Vol. 1 Europa) (J.Llobell) . 298
D. Baudot, L’inséparabilité entre le contrat et le sacrament du mariage. La dis­
cussion après le Concile Vatican II (E. de Leon)....................................... 300
S. Berlingò, Libertà d'istruzione e fattore religioso (J.T. Martin de Agar)........ 704
F. Bolognini, Lineamenti di diritto canonico (E. de Leon) .............................. 707
SOMMARIO GENNAIO-DICEMBRE 1989 795

Pag-
C. Burke, Autbonty and freedom in thè Church (J. Sanchis)........................... 708
R. L. Burke, Lack of discrétion of judgement because of schizophrenia: doctrine
and recent rotai jurisprudence (I. Gramunt)............................................... 303
G. Caberletti, L’oggetto essenziale del consenso coniugale nel matrimonio
canonico. Studio storico-giuridico sul pensiero di Tomás Sánchez (F.
Eguiguren)................................................................................................. 305
S. Cotta, Il diritto nell'esistenza (C.J. Erràzuriz)............................................. 710
F. D’Agostino, Sanzione e pena nell'esperienza giuridica (C.J. Errazuriz)........ 306
A. de Fuenmayor-V. Gómez-Iglesias-J.L. Illanes, El itinerario jurídico del
Opus Dei. (Historia y defensa de un carisma) (C.J. Errazuriz).................... 713
V. de Paolis, De sanctionibus in Ecclesia. Adnotationes in Codicem: liber VI
(J. Sanchis).................................................................................. 308
C. J. Errazuriz, La teoria pura del derecho de Hans Kelsen (vision crítica) (J.
Llobell)....................................................................................................... 309
J. Gaudemet, Le mariage en Occident (L. Orlila)........................................... 310
P. Giuliani, La distinzione fra associazioni pubbliche e associazioni private dei
fedeli nel nuovo Codice di diritto canonico (L. Navarro)........................... 312
J.M. Gonzalez del Valle, Derecho matrimoniai canònico. (Segttn el Código de
1983), 4a ed. riveduta (J. Llobell)............................................................ 720
I. Gramunt-J. Hervada-L.A. Wauck, Canons and commentari.es on marriage
(C.J. Erràzuriz) ......................................................................................... 314
J. L. Gutiérrez, Estúdios sobre la organización jerarquica de la Iglesia (D. Cito) 724
J. Hervada, Elementos de Derecho constitucional canònico (L. Navarro)........ 315
D. Le Tourneau, Le droit canonique (J. Llobell)............................................. 726
J.T. Martîn de Agar, El matrimonio canónico en el Derecho civil espahol (J.
Llobell)...................................................................................................... 318
J. Martínez-TorrÓn, La configuración jurídica de las prelaturas personales en el
Concilio Vaticano II (J. Sanchis)............................................................... 320
A. Marzo a, La censura de excomunión. Estúdio de su naturaleza jurídica en los
siglos XIII-XV (J. Sanchis)......................................................................... 323
P. Moneta, Il matrimonio nel nuovo diritto canonico (C.J. Erràzuriz) ............ 324
M. Morgante, La Chiesa particolare nel Codice di Diritto Canonico: commento
giuridico-pastorale (D. Cito)....................................................................... 727
Pontificia Commissio Codici Iuris Canonici Authenticf. Interpretando,
Codex Iuris Canonici fontium annotatione et indice analytico-alphabetico
auctus (E. Baura)....................................................................................... 729
A.M. Punzi Nicolò, Gli enti nell'ordinamento canonico (E. Baura)................ 327
J.-P. Schouppe, Le réalisme juridique (C.J. Erràzuriz)..................................... 331
Il Sinodo Pastorale dell’Archidiocesì di Cracovia (1972-1979) (J. Llobell).......... 331
Studio Rotale. Quaderni (J. Llobell)................................................................... 334
796 SOMMARIO GENNAIO-DICEMBRE 1989

Pag.
A. VIANA, Los acuerdos con las confesiones religiosas y el principio de igualdad
(sistema espanol) (F. Eguiguren)...................................................................... 337

DOCUMENTI

Atti di Giovanni Paolo II.

M.p. Quo civium iuta, 21 novembre 1987, con il quale si adatta l’Ordina­
mento giudiziario dello Stato della Città del Vaticano alle recenti leggi
canoniche.......................................................................................................... 341
M.p. Sollicita cura, 26 dicembre 1987, con cui si costituisce il Tribunale di
appello del Vicariato di Roma........................................................................ 343
M.p. Decessores Nostri, 18 giugno 1988, con cui si riordina la Pontificia com­
missione per l’America Latina........................................................................ 733
M.p. lusti iudicis, 28 giugno 1988, con cui si istituiscono i patroni presso la
Curia Romana e della Santa Sede (con nota di J. Llobell)......................... 735
M.p. Ecclesia Dei, 2 luglio 1988, con cui si istituisce una commissione pei­
dar risoluzione alle questioni poste dalla Fraternità sacerdotale di S. Pio
X ...................................................................................................................... 346
Allocuzione alla Rota Romana, 26 gennaio 1989 ................................................. 740

Atti della Santa Sede.

Segreteria di Stato. Lettera ai Presidenti delle Conferenze episcopali sulla


pubblicazione delle norme complementari al codice di diritto canonico, 8
novembre 1983 ............................................................................................... 349
Congregazione per la dottrina della fede. Decreto di scomunica latae
sententiae in merito alla recezione e divulgazione di quanto detto fra
penitente e confessore nell’atto della confessione sacramentale, 23 set­
tembre 1988..................................................................................................... 745
Congregazione per la dottrina della fede. Professio /idei e Iusiurandum
fidelitatis, Io marzo 1989 ...................................................... 745
Congregazione per i Vescovi. Monitum a Mons. Léfebvre, 17 giugno 1988 . 352
Congregazione per i Vescovi. Direttorio per la « visita ad limina », 29
giugno 1988 (con nota di E. Baura)............................................................. 748
Congregazione per i Vescovi. Decreto di scomunica a Mons. Léfebvre e ai
presbiteri da lui consacrati vescovi, Io luglio 1988 .................................... 353
Tribunale della Rota Romana. Indirizzo di omaggio rivolto al Santo Padre
dal Decano, 26 gennaio1989 ......................................................................... 758
Pontificio Consiglio per l’interpretazione dei testi legislativi. Risposte
autentiche pubblicate dall’11 luglio 1984 al Io giugno 1988..................... 353
SOMMARIO GENNAIO-DICEMBRE 1989 797

pag.
Pontificio Consiglio per l’interpretazione dei testi legislativi.Risposta
del 23 maggio 1988 (pubblicata il 10 marzo 1989) .................................... 760

Legislazione particolare.
Belgio. Legislazione complementare al codice di diritto canonico. Decreti
della Conferenza Episcopale del 26 marzo 1985 e del 28 ottobre 1986
(con nota di J.-P. Schouppe).......................................................................... 763
Brasile. Legislazione complementare al codice di diritto canonico. Decreti
della Conferenza Episcopale del 27 febbraio 1986 e del 30 ottobre 1986 767
El Salvador. Statuti dell’Ordinariato militare (23 novembre 1984-30 luglio
1986) ................................................................................................................ 779
Francia. Statuti dell’Ordinariato militare (16 maggio 1988) ........................... 377
Gran Bretagna. Statuti dell’Ordinariato militare (24 ottobre 1987) ............. 786
Inghilterra e Legislazione complementare al codice di diritto cano­
Galles.
nico. Decreti della Conferenza Episcopale del 1985 e del 1986 ............... 360
Messico. Legislazione complementare al codice di diritto canonico. Decreti
della Conferenza Episcopale del 12 ottobre 1985 e dell’11 aprile 1988 . . 365
Stati Uniti. Statuti dell’Ordinariato militare (18 agosto 1987)....................... 382

Legislazione dello Stato della Città del Vaticano.

Segretario di Stato. Legge che approva l’Ordinamento giudiziario dello

Stato della Città del Vaticano, 21 novembre 1987 .................................... 387

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