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Quaderni di Terre Latine

Talenti in luce
Talenti in luce

Il dialetto di Genzano
tra passato e presente
Un inquadramento storico
e un’indagine sul suo uso presso i giovani

Elisa Altissimi

Fondazione Terre Latine


2-2017

ISBN 978-88-908027-5-1
2 - 2017

9 788890 802751 Fondazione Terre Latine


Quaderni di Terre Latine pubblicati nella stessa collana Talenti in luce:

1-2017
Conoscere, Restaurare, Rinnovare Il Santuario di Diana a Nemi
di Vanessa Mingozzi
ISBN: 978-88-908027-4-4

2-2017
Il dialetto di Genzano tra passato e presente
di Elisa Altissimi
ISBN: 978-88-908027-5-1
Le immagini non possono essere riprodotte, memorizzate o trasferite in nessuna forma
e con alcun mezzo, se non autorizzato per iscritto dall’autore.

Segreteria e coordinamento
Dionino Colleluori

Fondazione Terre Latine


Via G. Garibaldi, 23 - 00045 Genzano di Roma
www.fondazioneterrelatine.it
Quaderni di Terre Latine

Talenti in luce

Il dialetto di Genzano
tra passato e presente
Un inquadramento storico
e un’indagine sul suo uso presso i giovani
Elisa Altissimi

2 - 2017
Il progetto “Talenti in luce” della Fondazione Terre Latine

Nel corso delle attività e dei programmi culturali organizzati e svol-


ti dalla Fondazione Terre Latine, è emerso come tema portante e
ricorrente quello del “paesaggio come progetto”, idea che vede nel-
la riflessione, nella conoscenza e nella preservazione del patrimo-
nio storico-archeologico, artistico e culturale dei Castelli Romani,
il campo di indagine principale su cui misurare anche una nostra
specifica modalità di interpretare il nostro tempo ed essere attori
partecipi della nostra comunità. Il paesaggio non è semplicemente
il panorama ma quell’insieme di valori ambientali, storici, letterari e
linguistici, lirici e poetici del luogo. E’ necessario, pertanto, disporre
degli strumenti più congeniali per la conoscenza del nostro paesag-
gio storico.

A questo scopo è nata l’idea di istituire un riconoscimento rivolto


alle tesi di laurea incentrate sullo studio del territorio dei Castelli
Romani, attraverso la pubblicazione dell’elaborato di tesi e l’orga-
nizzazione di convegni e giornate di approfondimento sulle temati-
che di volta in volta analizzate. L’obiettivo fondamentale dell’inizia-
tiva è incentivare i giovani neolaureati alla ricerca e allo studio del
loro territorio, in modo da porre le basi per un punto di riferimento
longevo, destinato alla popolazione dei Castelli e non solo.

In altri termini, l’iniziativa vuole incoraggiare i talenti del nostro ter-


ritorio affinché si rendano utili al luogo natio e di conseguenza offri-
re un’opportunità di inserimento nel tessuto sociale e professionale.
L’iniziativa vuole porsi in antitesi al fenomeno crescente della fuga
all’estero dei nostri talenti, che purtroppo sempre più spesso sono
costretti a lasciare la nostra Italia per ricavarsi opportunità profes-

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sionali che il nostro paese attualmente non permette di valorizzare
come necessario. Da qui il titolo del progetto “Talenti in luce”, come
antitesi ai cervelli in fuga.

Il proposito di istituire un premio a quelle Tesi di Laurea rivolte


al territorio dei Castelli Romani, presuppone la costituzione di un
Comitato scientifico costituito ad hoc all’interno della Fondazione,
che esaminerà di volta in volta le candidature avanzate dai giovani
neolaureati. Le tesi prescelte, saranno pubblicate sui “Quaderni di
Terre Latine” nel contesto di una Collana specificatamente dedicata.
Questo secondo libro della collana "Talenti in luce " de i Quaderni
di Terre Latine, fornisce un'accurata ricostruzione delle tradizioni
storico-culturali, attraverso la presentazione del dialetto genzanese,
molto caratterizzato rispetto a quello di altri dei Castelli Romani.

Il Presidente della Fondazione Terre Latine


Bruno Baldetti

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Premessa

Con molto piacere ho accettato l’invito a scrivere una breve premes-


sa allo studio di Elisa Altissimi sul dialetto di Genzano. Si trattava
del resto di un impegno per me ineludibile, essendo stato il relatore
della tesi in Dialettologia Italiana da cui è tratto questo lavoro, con la
quale Elisa ha conseguito, nel novembre 2016, la laurea (triennale)
in Lettere presso l’Università Roma Tre.

Limiterò il mio intervento a poche considerazioni di carattere ge-


nerale.

La prima riguarda proprio il genere testuale a cui lo studio Elisa


appartiene: dopo la riforma del cosiddetto “3+2”, alla fine del ciclo
triennale delle lauree di primo livello, i nuovi ordinamenti prevedo-
no un “elaborato scritto” (spesso non si parla neppure di “tesi” o di
“tesina”) che deve vertere su un argomento rientrante negli ogget-
ti di studio di un “insegnamento in cui si sono conseguiti crediti”
(questa, più o meno, la terminologia ufficiale: in parole povere, in
una materia compresa nel proprio piano di studi, in cui quindi il/la
laureando/a abbia sostenuto almeno un esame). Questo “elaborato
scritto”, in genere, ha una mole contenuta ed è scarsamente originale
(anche nei casi in cui il/la laureando/a non ricorra all’assemblaggio,
oggi facilitato dalla tecnica del “copia e incolla”, di testi e brani presi
qua e là dalla rete), tanto che, anche tra i colleghi del mio Ateneo,
c’è chi propone di eliminarlo, sostituendolo, per esempio, con una
prova di scrittura diversa (una specie di “tema”). Io – sulla base della
mia ormai lunga esperienza di relatore di moltissime tesi, nei diversi
àmbiti della Linguistica Italiana – sono contrario a questa proposta,
pur riconoscendo la fondatezza di molte critiche all’attuale sistema,
e il caso di Elisa mi sembra un argomento a mio favore. Certo, ci

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sono studenti e studentesse che nella tesi non si impegnano mol-
to, presentando elaborati abborracciati, spesso scritti in un italiano
improbabile, che mettono a dura prova la pazienza del relatore. Ma
ci sono anche studenti e studentesse assistiti da un’autentica pas-
sione per lo studio, che interpretano la stesura dell’elaborato come
una prima occasione di approfondimento su un tema che sta loro a
cuore, come una piccola, ma già significativa (e comunque per loro
importante) prova di ricerca. A mio parere, proprio per non tarpare
le ali a questi studenti e a queste studentesse (che non costituisco-
no certamente la maggioranza di coloro che arrivano alla laurea di
primo livello, ma non rappresentano neppure una specie in via d’e-
stinzione, e costituiscono comunque le “punte di eccellenza” a cui
affidiamo la trasmissione del sapere) è necessario che la tesina finale
venga mantenuta: l’impegno del/della laureando/a, opportunamente
stimolato dal docente, può non solo approdare all’acquisizione di un
metodo con cui redigere un breve saggio argomentativo, ma anche a
risultati meritevoli di attenzione perché contenenti spunti originali.

E vengo così a parlare più specificamente del lavoro che segue. Dopo
aver seguito con entusiasmo l’insegnamento di Dialettologia Italiana
(che, in seguito al pensionamento della carissima collega e amica
Antonia G. Mocciaro, è stato spesso affidato a me), Elisa ha scelto
di svolgere la sua tesina in questo insegnamento, dedicandosi al dia-
letto di uno dei paesi, Genzano, appartenenti all’area in cui è nata, i
Castelli Romani, celebre anche per le sue tradizioni, tra cui l’Infio-
rata. I dialetti castellani costituiscono una realtà linguistica molto
complessa (sia per la prossimità spaziale con Roma, e il conseguente
e inevitabile influsso del romanesco, sia per le differenziazioni in-
terne tra i vari centri, molto percepibili a un’analisi microscopica,
sia sul piano strutturale sia su quello sociolinguistico), che è stata

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analizzata già in una serie di studi (per limitarci agli autori contem-
poranei, e non a quelli attivi tra fine Ottocento-inizio Novecento,
dobbiamo fare i nomi almeno di Antonella Stefinlongo e di Mauri-
zio Dardano, anch’essi per molti anni docenti di Linguistica Italiana
a Roma Tre, di Michele Loporcaro e di Stefania Tufi e soprattutto di
Luca Lorenzetti, docente di Linguistica Generale presso l’Università
della Tuscia, anche lui “castellano doc”, che ai dialetti castellani ha
dedicato la sua tesi di dottorato e vari contributi di grande rilievo).

Elisa ha condotto il suo lavoro senza lasciarsi intimorire da questi


precedenti: dopo aver fornito, nel capitolo iniziale, un inquadra-
mento storico dei dialetti del Lazio (e più in generale della cosid-
detta area mediana) e poi, nel secondo, una rapida ma accurata ri-
costruzione della storia di Genzano e una dettagliata presentazione
del dialetto locale, fortemente caratterizzato rispetto a quello di altri
Castelli Romani), nel terzo fondamentale capitolo, ha svolto un’in-
dagine sul campo, per verificare l’uso del dialetto presso i giovani
genzanesi.

È stato così predisposto un questionario scritto (al riguardo, so bene


che molti dialettologi, i quali ritengono che le inchieste debbano ri-
ferirsi esclusivamente alla lingua parlata, storceranno il naso, e an-
che comprensibilmente; ma qui siamo, appunto, in una tesi trien-
nale, soggetta a limiti di spazio e di tempo, svolta da una studiosa
promettente, ma ancora in erba), che è poi stato somministrato a
44 informatori (non pochi, quindi!), diversi per genere (29 maschi
e 15 femmine), età (dai 16 ai 25 anni), livello di istruzione (spesso
alto), a cui è stato chiesto di tradurre delle frasi italiane in dialet-
to, di riconoscere il significato di alcune voci locali, di esprimere
le proprie idee sull’uso del dialetto. Elisa è riuscita così a ottenere
anzitutto indicazioni (a mio parere molto interessanti) sulla compe-

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tenza attiva del dialetto, arrivando anche a stilare una classifica circa
la vitalità dei tratti che più caratterizzano, ai diversi livelli di analisi
(fonetica, morfologia, sintassi), il dialetto genzanese (spesso anche
nel confronto col romanesco, oltre che con l’italiano) e poi anche
sulla competenza passiva. Ma, cosa altrettanto importante sul piano
sociolinguistico, ha documentato gli atteggiamenti, le valutazioni, le
idee dei giovani di Genzano nei confronti del dialetto locale.

Dal lavoro risulta con chiarezza la sostanziale vitalità del dialetto, an-
che in alcuni tratti arcaici, la cui sopravvivenza non si poteva affatto
dare per scontata data la duplice pressione del romanesco e dell’ita-
liano; e risulta anche, nel complesso, un forte attaccamento del mon-
do giovanile, al dialetto e a ciò che rappresenta. Elisa conclude il
suo lavoro affermando che i suoi giovani informatori dimostrano “di
avere non solo la capacità di parlare ancora il dialetto, ma anche di
provare ancora un amore e un attaccamento verso quest’ultimo e di
conseguenza verso le loro tradizioni e la cultura del proprio paese”.
Io posso aggiungere che questo stesso amore, per il dialetto e anche
per il suo studio, lo ha dimostrato anche Elisa con il suo lavoro; e lo
stesso si può dire per chi ha dato a Elisa la possibilità di pubblicare la
sua tesina, a cui va anche il mio ringraziamento.

Paolo D’Achille
Università degli Studi Roma Tre

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SOMMARIo

INTRODUZIONE 12
1. I DIALETTI NEL LAZIO 15
1.1 Il Lazio 15
1.2 La situazione del Lazio 16
1.3 L’area mediana 21
1.3.1 Le caratteristiche comuni dei dialetti dell’area mediana 22
1.4 La classificazione dei dialetti nel Lazio 25
1.4.1 Le caratteristiche comuni dei dialetti laziali 27

2. GENZANO 34
2.1 I Castelli Romani 34
2.1.1 La classificazione dei dialetti dei Castelli Romani 41
2.2 Genzano 47
2.2.1 La storia di Genzano 47
2.2.2 Tratti della cultura genzanese 54
2.3 Il dialetto a Genzano 59
2.4 Le caratteristiche del dialetto di Genzano 61
2.4.1 Caratteristiche fonologiche 62
2.4.2 Caratteristiche morfologiche 66
2.4.3 Caratteristiche sintattiche 72
2.4.4 Esempi lessicali 74

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3. L’INDAGINE 78
3.1 Lo scopo dell’indagine 78
3.2 Il campione dell’indagine 80
3.3 Il metodo dell’indagine 83
3.4 Analisi dei dati raccolti 89
3.4.1 Analisi delle caratteristiche fonologiche 90
3.4.2 Analisi delle caratteristiche morfologiche 92
3.4.3 Analisi delle caratteristiche sintattiche 95
3.4.4 Comprensione del lessico 97
3.5 Come i giovani genzanesi percepiscono il proprio dialetto 99

4. Conclusioni 103

APPENDICE 1 107

APPENDICE 2 109

BIBLIOGRAFIA 120

SITOGRAFIA 124

fonte foto: https://commons.wikimedia.org/wiki - autore: LPLT

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INTRODUZIONE

Il fascino che i dialetti hanno su di me è dovuto alla loro estrema


varietà. Alla capacità di incarnare la cultura di un popolo in maniera
così minuta da assumere connotazioni diverse a distanze minuscole.
La passione per la linguistica, poi, ha giocato un ruolo fondamen-
tale nella scelta dell’argomento di questa tesi. Amo scoprire ciò che
regola il nostro modo di comunicare, amo ancora di più scoprire le
differenze che intercorrono tra i modi di comunicare delle diverse
società: devo amare per forza, quindi, quella disciplina linguistica
che è la dialettologia. Il senso di appartenenza e l’amore che provo
verso i miei luoghi di origine sono il secondo fattore che ha influen-
zato la mia scelta. Mi sento cittadina dei Castelli Romani, amo il loro
paesaggio, la serenità che trasmettono, la ricchezza della loro cultu-
ra. Per questo la scelta è stata quella di occuparmi di uno dei dialetti
dei Castelli Romani. Uno perché, come si potrà scoprire leggendo il
presente lavoro, non esiste un dialetto castellano unitario. La scelta
è ricaduta su Genzano perché ho ritenuto più appassionante per me
trattare un dialetto che si avvicinasse di più ai dialetti mediani, un
sistema che ho trovato molto interessante: ulteriore fattore che ha
inciso sulla scelta.

La tesi inizia con un capitolo dedicato a una panoramica sull’area


mediana, area di cui appunto Genzano fa parte. In questo capitolo si
esaminerà la situazione dei dialetti mediani e le loro caratteristiche
comuni, passando successivamente a una analisi più ravvicinata dei
dialetti del Lazio, della classificazione dei suoi dialetti e delle loro
caratteristiche comuni.

Il secondo capitolo inizia ad addentrarsi nella zona che più interessa


questo lavoro: i Castelli Romani. Si potrà leggere un paragrafo rela-
tivo alla definizione dei Castelli, alla loro storia e alla loro cultura.

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Seguirà un sottoparagrafo relativo nello specifico alla classificazione
dei dialetti dei Castelli e ai loro tratti comuni. A seguito della tratta-
zione generale sui Castelli si parlerà del paese di Genzano. Si daran-
no notizie sulla sua storia e sulla sua cultura. Si entra a questo punto
nel vivo del lavoro con il paragrafo sulle caratteristiche del dialetto
genzanese: si è cercato di darne una panoramica completa, suddivi-
dendo i tratti caratteristici in fonologici, morfologici, sintattici e les-
sicali, in modo tale da rendere in un certo senso “familiare” questo
dialetto anche a quanti non lo avessero mai sentito parlare. Prima
della trattazione scientifica del dialetto si è però voluta dare un’idea
di come il dialetto sia percepito dai suoi parlanti proprio attraverso
le parole di questi ultimi, tratte da interviste realizzate dall’autrice.

Il terzo capitolo riguarda l’indagine vera e propria. La ricerca è volta


a documentare il dialetto di Genzano così come lo si incontra oggi
per le vie del paese, sulla bocca della sua giovane generazione. Per
raggiungere tale scopo è stata condotta una ricerca linguistica at-
traverso questionari scritti, fatti compilare agli informatori: giovani
ragazzi genzanesi. Il capitolo presenta inizialmente l’indagine, il suo
scopo, il suo metodo e il campione su cui è stata condotta. Segue l’a-
nalisi dei dati: come nel capitolo secondo i tratti saranno suddivisi in
fonologici, morfologici, sintattici e lessicali. Per ognuno dei tratti si
darà una panoramica del suo utilizzo, si definirà la sua permanenza
nel linguaggio giovanile e si cercherà di capire per quale motivo il
tratto sia ancora presente o perché stia scomparendo.

In ultimo si darà una panoramica completa dei risultati dell’indagi-


ne e si trarranno le conclusioni.

In questa sede desidero anche ringraziare sentitamente la Fondazio-


ne Terre Latine, che ha permesso la realizzazione di un sogno che
ogni giovane studioso ha, vedere per la prima volta un proprio lavo-
ro pubblicato. La pubblicazione è stata possibile nell’ambito del pro-
getto “Talenti in luce” che ritengo essere una iniziativa davvero lo-
devole. La Fondazione vuole valorizzare così non soltanto le bellezze

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dei Castelli Romani, ma ancor di più desidera valorizzare i nuovi
talenti, che nascono e crescono nel nostro territorio. Non è scontato
che sia primariamente il luogo in cui si nasce a dare a un giovane i
riconoscimenti e la spinta necessari per continuare il proprio lavoro,
soprattutto di questi tempi. Ma Terre Latine è una Fondazione attiva
sul territorio che ama e che propone iniziative sempre brillanti, così
come sono i giovani talenti che vuole mettere in luce, in modo tale
da spingerli concretamente a non abbandonare il proprio Paese e
così facendo promuoverne lo sviluppo culturale. Per questo ringra-
zio la Fondazione, per me e per tutti coloro che dopo di me rientre-
ranno in questo progetto; perché ci dà fiducia, quella necessaria per
continuare a credere nei nostri sogni.

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1. I DIALETTI NEL LAZIO

1.1 Il Lazio
Il Lazio in cui viviamo oggi è un Lazio molto diverso da ciò che
era il territorio chiamato Latium dai romani. La regione compresa
sotto questo nome non aveva però confini definiti ed era una zona
abbastanza disomogenea dal punto di vista dei popoli e della lingua.
Vi risiedevano infatti sia popolazioni latine che popolazioni sabine,
ma anche Equi e Volsci. Già in età romana infatti il territorio gene-
ricamente chiamato Lazio veniva suddiviso idealmente in due zone:
il Latium Vetus, la zona cioè originariamente abitata dai Latini; il
Latium Novus o Adiectum, la zona cioè a sud dei territori latini, fino
alla valle del Liri e del Sacco. Questa distinzione fu poi abbandonata
in età tardo imperiale, nel momento in cui il Latium Novus fu accor-
pato alla Campania.

Ciò ci dà l’idea di quanto il coronimo Lazio sia oggi riferito ad una


zona dai confini geografici molto diversi rispetto a quelli che i roma-
ni assegnavano al loro Latium. La prima volta che il termine Lazio
appare utilizzato in senso moderno (ma riferito ad un’area molto
inferiore a quella che è l’attuale regione) è già nel Cinquecento. La
sua prima occorrenza è in un testo di Giovanni Maria Tolosani (La
sfera). Da questo momento il coronimo inizia a diffondersi sempre
di più, se ne trovano attestazioni abbastanza frequenti soprattut-
to all’inizio dell’Ottocento. La sua definitiva affermazione risale al
1871, quando fu costituita la regione Lazio dopo la presa di Roma
nel 1870 (D’Achille 2010). A seguito della presa della città i ter-
ritori pontifici furono non solo annessi al neonato Regno d’Italia,
ma anche ristrutturati e ridimensionati. La sua struttura odierna
è frutto di notevoli aggiunte e ampliamenti che risalgono al 1927,
in epoca fascista: furono costituite le province di Viterbo, di Rie-
15
ti, che comprendeva anche territori appartenuti all’Umbria e all’A-
bruzzo, e di Frosinone, che comprendeva anche territori appartenuti
alla Campania. Entrarono così a far parte del Lazio alcuni centri di
rilievo, quali ad esempio Cittaducale, Amatrice o Leonessa a nord-
est, Sora e Cassino, Formia e Gaeta a sud (questi ultimi due centri
passarono poi alla provincia di Littoria, oggi Latina, costituitasi nel
1934). L’annessione di territori che gravitavano in origine intorno a
centri diversi da Roma ci mostra quanto sia stato impossibile per il
Lazio avere una sua unità storica, geografica, ma soprattutto lingui-
stica. Il problema non è solo recente, ma risale, come si è accennato,
già all’epoca romana. Se teniamo inoltre conto del fatto che il Lazio
non solo confini, ma che effettivamente sfumi e si compenetri con la
maremma toscana, zona ovviamente caratterizzata da tratti lingui-
stici nettamente diversi da quelli che si possono trovare nelle zone
già campane, iniziamo a renderci conto che la situazione linguisti-
ca, così come quella territoriale o sociale, è tutt’altro che omogenea
(D’Achille 2002).

1.2 La situazione del Lazio


La situazione dialettale del Lazio è infatti particolarmente frammen-
tata rispetto alle altre regioni italiane. Non esiste un tipo dialettale
definibile laziale e non esistono nemmeno linee di frattura nette tra
le diverse parlate laziali (De Mauro-Lorenzetti 1991).

Inoltre il Lazio è caratterizzato da una condizione che si può riscon-

1. Le regioni in tare solo in altre due regioni italiane1. Esso è infatti tagliato lungo
questione sono le
Marche e l’Umbria, sua metà da uno dei confini linguistici più importanti di tutta l’area
attraversate anch’esse
dallo stesso fascio italo-romanza (D’Achille 2002): il fascio di isoglosse che partendo
di isoglosse che
attraversa il Lazio, la da Ancona divide la penisola seguendo una forma a S attraversan-
linea Roma-Ancona
(Vignuzzi 1981). do le Marche, l’Umbria (tagliando la valle del Chiascio, toccando
16
2. La linea Roma
Ancona è solo uno
dei due fondamentali
confini linguistici
della penisola italiana.
È infatti presente
un secondo fascio
di isoglosse che si
estende tra La Spezia
e Rimini. Sia la linea
Roma-Ancona che
la linea La Spezia-
Rimini sono state in-
dividuate dal linguista
tedesco Gerhard
Rohlfs. Grazie ai
suoi già approfonditi
studi necessari alla
compilazione dell’At-
lante Italo Svizzero
(AIS), in un saggio
intitolato La struttura
linguistica dell’Italia,
risalente al 1937, il
grande studioso riu-
sciva ad identificare i
Perugia e attraversando la valle del Tevere) e ovviamente il Lazio due più netti confini
linguistici d’Italia,
(Vignuzzi 1981). Il fascio di isoglosse, individuato con chiarezza da inaugurando di fatto
una nuova tipologia
Rohlfs, è chiamato linea Roma-Ancona2. di classificazione
dei dialetti, quella
basata appunto sulle
La linea, ricalcando l’antico confine tra i territori dei popoli etruschi isoglosse. (Avolio
2009). Mentre la
a nord e italici a sud che correva lungo il corso del Tevere e le vie linea Roma-Ancona
attraversa più o meno
al centro tre regioni,
consolari Salaria e Flaminia, divide in due grandi blocchi i dialetti la linea La Spezia-
Rimini segue quasi
del centro-sud Italia (D’Achille 2002). A nord del fascio di isoglos- completamente il
confine settentrionale
se troviamo il sistema centrale, che è appunto localizzato tra il fascio della Toscana.

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di isoglosse La Spezia-Rimini e quello in questione, a sud invece tro-
viamo il sistema centro-meridionale.

Il sistema centrale comprende tutti i dialetti parlati in Toscana,


nell’Umbria nord-occidentale, nelle Marche settentrionali, e, ap-
punto, nell’alto Lazio. Oggi si tende a distinguere più nettamente la
Toscana dalle altre zone, chiamate da Vignuzzi paramediane o peri-
mediane. I dialetti di tipo toscano sono infatti divisi in quattro grup-
pi principali: il fiorentino, il toscano occidentale (che comprende la
zona di Lucca, Pisa e Pistoia), il toscano meridionale (che compren-
de la zona di Siena e Grosseto), il toscano orientale (che comprende
la zona di Arezzo e della Val di Chiana).

Il sistema centro-meridionale è invece un sistema più complesso,


divisibile a sua volta in altri tre grandi blocchi: l’area mediana, l’area
alto-meridionale o meridionale e l’area meridionale estrema.

L’area meridionale estrema comprende tutti i dialetti parlati in Si-


3. La Koinè regionale, cilia, nella Calabria centromeridionale e, in Puglia, nel Salento; l’a-
o anche dialetto
regionale, è quella rea alto-meridionale comprende tutti i dialetti parlati in Molise, in
realtà linguistica che
viene condivisa da un Campania, in Basilicata, nelle Marche meridionali, nel Lazio meri-
territorio abbastanza
ampio. Solitamen- dionale (nei territori che furono campani), in gran parte dell’Abruz-
te è il risultato di
una espansione zo, nella Puglia centro-settentrionale e nella Calabria settentrionale
del dialetto di una
città particolarmente (Avolio 2009).
importante, cultural-
mente, socialmente Dell’area mediana, di cui fa parte la zona che interessa questo studio,
ed economicamente,
nel resto della regione si parlerà diffusamente più avanti.
di appartenenza. Ciò
non capita siste-
La frammentazione linguistica risalente al periodo romano, la pre-
maticamente, ma è
avvenuto per diverse senza di diversi sostrati dialettali, l’inclusione di zone appartenenti
regioni italiane, come
ad esempio in Veneto a sfere di influenza linguistica diverse hanno perciò impedito la for-
con Venezia, in Pie-
monte con Torino, in mazione di una koinè dialettale3 univoca per tutta la regione. Ciò
Campania con Napoli
(AVOLIO 2009). d’altronde è dovuto anche al fatto che il capoluogo di regione non
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ha svolto il ruolo uniformante che hanno invece svolto altri grandi
centri, come Torino o Venezia (D’Achille 2002). Il mancato ruolo
di Roma come promotrice di una realtà dialettale regionale è dovuto
a diversi fattori.

In primis il fatto che il dialetto romanesco ha subito nel corso del


Cinquecento una forte toscanizzazione a partire dal sacco dei Lan-
zichenecchi del 1527. Già nel tardo Medioevo, la città era caratteriz-
zata dall’assenza di una forte classe dirigente locale e dalla presenza,
presso la corte papale, tornata a Roma definitivamente agli inizi del
Quattrocento, dopo la cattività avignonese, di nuclei borghesi di ori-
gine fiorentina e toscana. Molto probabilmente, quando, nel Due-
cento e nel Trecento, Roma presentava un dialetto più strettamente
meridionale, la realtà dialettale della regione doveva essere più omo-
genea (D’Achille 2002, De Mauro-Lorenzetti 1991).

Inoltre Roma è sempre stata una città relativamente isolata dal resto
della regione cui appartiene. Questa situazione risale già all’epoca
della Roma repubblicana, quando la città non lasciava sopravvivere
centri di rilevante importanza nei suoi pressi; esistevano sì centri
vitali, ma erano tutti centri minori, come Castra Albana, Tivoli, Fi-
dene, Lanuvio, Anzio, Cerveteri, per citarne solo alcuni. Per arriva-
re a centri di maggiore importanza bisognava salire fino a Chiusi o
scendere fino a Napoli, Cuma e Pompei. Ma i conflitti con i popoli
italici spinsero Roma a limitare sempre di più lo sviluppo dei centri
circostanti fino a sostituirli con un sistema di ville patrizie. Con l’a-
vanzare dei secoli e della crisi dell’impero le ville furono addirittura
abbandonate. Quindi l’isolamento della città che si è perpetrato per
secoli ed è giunto fino alle soglie del nostro tempo affonda le sue ra-
dici in periodi antichissimi. Questa situazione ha quindi in qualche
modo frenato l’avanzamento del dialetto romanesco nel resto della

19
regione (De Mauro-Lorenzetti 1991). Nella situazione di pro-
gressivo avvicinamento dei confini estremi della città verso quelli
dei piccoli centri contigui sviluppatasi nelle ultime decine di anni,
ma anche a causa del pendolarismo iniziato alla fine dell’Ottocento
e vieppiù aumentato fino ai nostri giorni, il romanesco dà segni di
espansione soprattutto nel vasto hinterland intorno alla capitale, ma
anche nel resto della regione inizia ad essere accolto come varietà di
maggior prestigio rispetto al dialetto locale, che pure continua ad
essere utilizzato nei centri in cui ha una radicata tradizione (si pensi
ad esempio alla zona dei Castelli Romani). Tendenzialmente, nella
provincia romana possono essere identificati due codici dialettali
distinti: il romanesco e il dialetto locale. In alcuni casi il romanesco
è utilizzato come varietà di prestigio nettamente distinta dal dialet-
to locale (ad esempio nell’area della Tuscia viterbese), in altri casi
invece la compresenza dei due codici porta alla mescidazione, con
conseguente ampliamento della variabilità del dialetto romano. La

4. Gli elementi che centralità di Roma sta portando il romanesco a diventare la varietà
hanno portato Roma
a un’ampia italofonia di prestigio all’interno del Lazio, anche se, a causa dei sostrati dia-
sono del tutto scono-
sciuti invece nel resto
lettali locali, si stenta a individuare un italiano regionale omogeneo
del territorio laziale. (D’Achille 2002, D’Achille-Stefinlongo-Boccafurni 2012).
Infatti i dialetti della
regione hanno subito
un’evoluzione sostan- Ancora, il dialetto romanesco ha subito valutazioni negative da par-
zialmente estranea
alla conoscenza te dei suoi stessi parlanti, probabilmente a causa della sua vicinanza
della lingua e poco
vitale, hanno vissuto con la lingua (D’Achille 2002). Infatti le vicende dell’italofonia ro-
in effetti in una
condizione di relativa mana4 sono del tutto diverse da quelle riscontrabili nel resto delle
staticità. L’italiano nel
Lazio è stato sempre
città italiane. Si è già detto della toscanizzazione della lingua cittadi-
una lingua scritta e lo
na avvenuta nel Cinquecento, quindi di un avvicinamento alla lin-
è ancora oggi, con le
normali limitazioni gua che, come noto, sarà poi basata sul toscano. È anche importante
per quanto riguarda
la classe sociale (De ricordare che la presenza della sede papale spinge buona parte del
Mauro-Lorenzetti
1991). ceto impiegatizio e artigianale a usare la lingua piuttosto che il dia-

20
letto nei rapporti con la curia. In tempi più recenti è stata invece la
classe governativa romana a spingere il popolo all’uso dell’italiano.
Ancora più vicino ai nostri giorni, i mass media hanno contribuito
non poco alla diffusione della lingua. A Roma avevano e hanno tut-
tora sede ad esempio la RAI e Cinecittà nonché altri importanti cen-
tri di informazione, come Il Messaggero o Il Sole 24 ore. La lingua ha
avuto quindi a Roma, come in pochi altri luoghi, un uso veramente
vivo. L’italiano, del resto, si è progressivamente adattato anche all’uso
quotidiano e non solo all’uso letterario o burocratico. Il dialetto è
quindi diventato ciò che la politica linguistica postunitaria ha credu-
to che fosse dappertutto: «un idioma dei ceti subalterni, di reietti. A
Roma invece fu veramente tale: un idioma per sguaiati nei momenti
di sguaiataggine» (De Mauro-Lorenzetti 1991: 329) Proprio que-
sta italofonia precoce della capitale, che ha determinato il giudizio
negativo nei confronti del dialetto locale5, deve aver contribuito a
impedire la diffusione del romanesco nel Lazio, quindi la creazione
di una koinè dialettale regionale (D’Achille 2002).

1.3 L’area mediana


L’area mediana è quella regione linguistica al cui interno si trova la
zona che direttamente interessa questo studio: i Castelli Romani. Se
ne darà quindi un quadro d’insieme.

L’area comprende tutti i dialetti parlati nel Lazio a sud e a est del
corso del Tevere (da Amatrice e Rieti fino ad Anagni, Priverno e 5. Il giudizio negativo
dei romani non è
Sonnino), nell’Umbria sud-orientale (con Foligno, Spoleto, Terni riferito solo al proprio
dialetto, ma ancor più
e Norcia), nelle marche centro-meridionali (nel maceratese e nelle è forte nei confronti
degli altri dialetti
zone confinanti delle province di Ancona, Fermo e Ascoli Piceno)
laziali, sentiti come
e nell’Abruzzo settentrionale (dall’Aquila e Avezzano verso ovest e varietà popolari e
rustiche (D’Achille
nord) (Avolio 2009). 2002).

21
1.3.1 Le caratteristiche comuni dei dialetti dell’area mediana

Le differenze linguistiche tra i diversi centri dell’area mediana sono,


come in tutta la penisola, sicuramente molte. Nonostante la forte
differenziazione è però possibile individuare alcune caratteristiche
che si presentano in tutti i dialetti della zona. Queste sono:

- La metafonesi: è un fenomeno che interessa le vocali medie in po-


sizione accentata in presenza di -I e -U originarie latine nella sillaba
seguente. Per influsso delle vocali latine la vocale medio alta -é in-
nalza in -i, la vocale medio alta -ó innalza in -u. La vocale medio bas-
sa -è innalza in -é, la vocale medio bassa -ò innalza in -ó. Questo tipo
di metafonesi è chiamata metafonesi sabina o ciociara/ciociaresca.
Quando la vocale medio bassa -è dittonga in -ié e la vocale medio
bassa -ò dittonga in -uó si ha invece la metafonesi napoletana, anche
detta dittongo napoletano. L’area mediana è interessata da entrambi
i tipi di metafonesi, anche se quella sabina è più diffusa.
Nel Lazio, nello specifico, la tipologia di metafonesi più presente è
quella sabina, diffusa appunto nella zona sabina e in quella ciociara.
Ma sono anche presenti diverse zone in cui si riscontra la tipologia
napoletana, come quelle ai confini con la Campania, che furono già
campane. Si riscontra quest’ultimo tipo di metafonesi anche nella
zona dei Castelli Romani, dove però la fenomenologia del tratto è
complessa e varia da paese a paese. È bene ricordare che nel roma-
nesco antico il dittongo napoletano era la prassi e la sua presenza
in centri più lontani dalla zona altomeridionale, come ad esempio
Leonessa o Amatrice, testimonia l’influenza che il romanesco ebbe
sulla diffusione di questo tratto prima della sua toscanizzazione (Vi-
gnuzzi 1981);

22
ES: A Napoli troviamo pilë (pelo, -i) che deriva dall’originario latino
PĬLUS, secondo il vocalismo italiano dalla -Ĭ- dovrebbe derivare -é.
Uócchiu (occhio) deriva invece dall’originario latino ŎCŬLUS, se-
condo il vocalismo italiano da -Ŏ- dovrebbe derivare -ò.
Fiuri (fiori) deriva dall’originario latino FLŌRIS, secondo il vocali-
smo italiano da -Ō- dovrebbe derivare -ó.

- Il betacismo: è un fenomeno che interessa le consonanti -b e -v: si


sono infatti fuse in un unico esito che dipende dalla posizione in cui
si trovano. In posizione forte (dopo consonante, o se intensa, anche
a causa del raddoppiamento fonosintattico) l’esito è -b; in posizione
debole (tra vocali o in posizione iniziale di parola) l’esito è -v. Oggi è
assente a Roma, ma era presente nel romanesco antico.

ES: ’na vòta ʻuna voltaʼ


tre bbòte ʻtre volteʼ

- L’assimilazione consonantica progressiva: interessa i nessi conso-


nantici originari latini -ND-, -MB- e spesso -LD-. È detta progressi-
va perché è la prima consonante ad imporsi sulla seconda. È anco-
ra molto vitale l’assimilazione di -ND-, sta scomparendo quella di
-MB- e ormai quella di -LD- sopravvive solo in callo (caldo) e i suoi
derivati.

ES: callo ʻcaldoʼ


quanno ʻquandoʼ
gamma ʻgambaʼ

- La lenizione postnasale: dopo la nasale, ma spesso anche dopo una


laterale, i suoni sordi si trasformano quasi completamente in suoni
sonori. Questo fenomeno interessa i suoni -k-, -t-, -p- (le occlusive
sorde), che rispettivamente passano a -g-, -d-, -b-. Interessa anche
le affricate sorde -ts e -tʃ che rispettivamente passano a -dz e -dʒ e
23
la labiovelare -qu che passa a -gu. Dal dialetto il tratto risale anche
all’italiano locale,

ES: anghe ʻancheʼ


mónde ʻmonteʼ
cambo ʻcampoʼ
ungino ʻuncinoʼ
delinguente ʻdelinquenteʼ

- Gli sviluppi di -L- più consonante: sono tre, spesso convivono nella
stessa varietà. Il primo è il rotacismo, in cui -l- passa a -r-. Il secondo
è la velarizzazione, in cui -l- passa a -w- o -ve-. Il terzo è il dileguo,
in cui -l- cade.

ES: vòrta, vòuta, vòta ʻvoltaʼ

- Il possessivo enclitico: il possessivo privo di accento viene pospo-


sto con i nomi di parentela e con il sostantivo casa. È estraneo al
romanesco moderno ma era presente in quello antico.

ES: sòrema ʻmia sorellaʼ


càsita ʻla tua casaʼ
màdrema ʻmia madreʼ

- La distinzione tra -o e -u finali di derivazione latina è un tratto par-


ticolarmente caratterizzante. Ad oggi la distinzione tende ad essere
meno regolare, sono presenti generalizzazioni per l’una o per l’altra
vocale. Troviamo da una parte ad esempio òmo e quanno e dall’altra
ad esempio fócu o musu. Questo fenomeno si ricollega strettamente
al mantenimento del neutro latino.

- La conservazione del neutro latino anche detta neutro di materia,


si rileva nell’area mediana soprattutto negli articoli e nei pronomi. Il
genere neutro è di solito riservato a sostantivi che non ammettono

24
il plurale, come nomi astratti, verbi e aggettivi sostantivati, sostan-
tivi non numerabili ecc. La conservazione del neutro avviene sia
attraverso un particolare tipo di articolo determinativo sia tramite
aggettivi e pronomi dimostrativi diversi dalla forma maschile. Vie-
ne riservato al neutro l’articolo lo (anche ridotto a ’o), mentre per
il maschile è utilizzato l’articolo lu (anche ridotto a ’u); gli articoli
derivano rispettivamente dai dimostrativi latini ILLŬD (neutro) e
ILLŪM (maschile). Per quanto riguarda gli aggettivi e i pronomi di-
mostrativi viene usata per il neutro la desinenza -o e per il maschile
la desinenza -u. Le forme del pronome e dell’aggettivo maschili sono
sempre metafonetiche (issu, quillu, quistu) al contrario di quelle del
neutro (ésso, quéllo, quésto).

ES: ’o pane ʻil paneʼ (il sostantivo neutro si riferisce al pane in ge-
nerale)
’u pane ʻil paneʼ (il sostantivo maschile si riferisce ad uno speci-
fico pezzo di pane)

- L’utilizzo di tenere al posto di avere non ausiliare e l’utilizzo di stare


per essere non ausiliare (Avolio 2009-D’Achille 2002).

ES: tengo ’a maghina nova ʻho la macchina nuovaʼ


ce sta ’n gatto nero ’n giardino ʻc’è un gatto nero in giardinoʼ

1.4 La classificazione dei dialetti nel Lazio

Concentrandosi solo sulla zona del Lazio, invece, la trattazione delle


parlate subisce ovviamente delle variazioni rispetto all’osservazione
della più estesa area mediana. Come si è detto la frammentazione
linguistica della regione impedisce di parlare di un dialetto laziale
e obbliga a classificare in qualche modo tutte le parlate presenti sul
territorio.
25
La classificazione più convincente dei dialetti laziali è stata proposta
da Ugo Vignuzzi nel 1981 e nel 1988 (D’Achille 2002).

Vignuzzi distingue nel Lazio quattro macroaree:

- l’area settentrionale, che corrisponde alla provincia di Viterbo uni-


tamente ai centri in provincia di Roma a ovest del Tevere. Questa
zona è caratterizzata da dialetti che presentano caratteristiche di
transizione tra il sistema centrale, nello specifico della zona meri-
dionale della Toscana, e il sistema mediano. Sono stati infatti definiti
dallo stesso Vignuzzi dialetti «paramediani»;

- l’area romana, che comprende appunto Roma e la sua vasta perife-


ria, con tutti quei centri “nuovi” che non posseggono cioè tradizio-
ni culturali antiche, dove la penetrazione del romanesco può essere
maggiore, come ad esempio le città nuove (Latina, Sabaudia ecc.)
(De Mauro-Lorenzetti 1991) e tutto il versante tirrenico, da Ci-
vitavecchia al Circeo. Ma quest’area in realtà comprende altre zone
in cui la penetrazione del romanesco è più difficile e articolata, zone
in cui la tradizione culturale è radicata e il dialetto locale resiste te-
nacemente più di quanto gli stessi parlanti credano. Ovviamente il
dialetto romanesco presenta differenziazioni tra il centro della città
e le sue periferie;

- l’area orientale e sudorientale che abbraccia le province di Frosi-


none e Rieti, la zona a est dell’area romana, con la valle dell’Aniene,
il versante dei monti Lepini in provincia di Latina. Quest’area è ca-
ratterizzata da dialetti di tipo ciociaro e sabino che appartengono
al tipo dialettale mediano. Proprio per questo la zona è linguistica-

26
mente vicina alle Marche centrali, all’Umbria sudorientale e all’area
aquilana;

- infine l’area meridionale, che comprende quelle zone delle provin-


ce di Frosinone e di Latina appartenute al Regno di Napoli invece
che allo Stato della Chiesa e che entrarono a far parte del Lazio nella
ristrutturazione territoriale del 1927. È quindi caratterizzata da dia-
letti che propendono di più verso il sistema altomeridionale o che
comunque presentano caratteristiche di transizione tra quest’ultimo
e il sistema mediano.

Come risulta chiaro dalla suddivisione delle zone dialettali laziali, è


molto difficile trovare dei tratti che accomunino tutte le parlate della
regione. Quando si riescono a identificare tratti comuni, questi sono
nella maggior parte dei casi tratti che caratterizzano tutta l’Italia cen-
tromeridionale (D’Achille 2002).

Si darà di seguito una panoramica dei tratti comuni più rappresen-


tativi.

1.4.1 Le caratteristiche comuni dei dialetti laziali

Come è possibile immaginare, molti dei tratti comuni dei dialetti


laziali, saranno in comune anche con i dialetti dell’area mediana
(questi sono: la metafonesi, il betacismo, l’assimilazione progressiva,
gli sviluppi di -L- seguita da consonante, il possessivo enclitico, la
conservazione del neutro latino con la differenziazione tra -Ō e -Ŭ
latine, l’uso di tenere per avere e di stare per essere).
27
Altri tratti comuni a tutti i dialetti parlati nel Lazio, di cui non si è
trattato precedentemente, sono:

- l’affricazione di -s-, che passa a -ts-, dopo -n- -r- -l-. In dialetto av-
viene soprattutto con le prime due, perché la -l- tende a rotacizzarsi
o a cadere, impedendo così il fenomeno.

ES: bórza ʻborsaʼ

- La mancata chiusura della -e- protonica in -i-. La chiusura avviene


nei clitici anche in posizione postonica. Questo tratto non è tipi-
co solamente dei dialetti laziali, ma è di particolare rilievo perché
ha resistito a Roma anche alla toscanizzazione del cinquecento ed è
oggi molto diffuso, fino a risalire nell’italiano regionale. Si manifesta
anche il passaggio da -o- protonica a -u-, ma è molto meno diffuso, e
sostanzialmente assente a Roma.

ES: de Roma ʻdi Romaʼ


damme ʻdammiʼ
cusì ʻcosìʼ

- L’epitesi della particella -ne dopo parole ossitone. Ad oggi, soprat-


tutto a Roma, il fenomeno è limitato a sì e no e quasi solamente con
intento enfatico. È però un tratto in Italia molto comune e diffuso
anche in altre aree dialettali.

- L’anaptissi della -v- tra due vocali, per alleggerire il gruppo ai fini
della pronuncia. Anche l’anaptissi è un fenomeno che caratterizza
non poche aree della penisola.

ES: Pavolo ʻPaoloʼ


28
- L’aferesi della vocale all’inizio della parola prima di un gruppo di
consonanti che inizia con una nasale o una nasale palatale. Questo
tipo di aferesi è però un tratto non esclusivo dei dialetti laziali.

ES: ’ntigne ʻintingereʼ


’namo ʻandiamoʼ

- L’apocope: avviene con gli infiniti, con alcuni imperativi e con i


nomi allocutivi. È un tratto abbastanza diffuso, soprattutto per gli
allocutivi, anche al sud.

ES: dormì ʻdormireʼ


viè ʻvieniʼ
Irè ʻIreneʼ

- Il cosiddetto sistema tripartito delle desinenze verbali: le prime


persone singolari del presente terminano in -amo (per la prima co-
niugazione), in -emo (per la seconda coniugazione), -imo (per la
terza coniugazione). È però un tratto che appartiene praticamente
a tutta l’Italia, tranne la Toscana, che ha imposto infatti la sua desi-
nenza -iamo.

ES: salutamo ʻsalutiamoʼ


bevémo ʻbeviamoʼ
dormimo ʻdormiamoʼ

- Un tratto morfosintattico particolarmente diffuso è l’utilizzo del


costrutto stare a + infinito, che sostituisce quello standard stare +
gerundio.

ES: sto a dormì ʻsto dormendoʼ

- La lenizione delle occlusive sorde -p- -t- e -c- intervocaliche o tra


vocale e -r-.

29
Il tratto è particolare, in quanto è presente nel Lazio in modo varia-
bile. Rispetto all’area romanza orientale e l’Italia a nord della linea La
Spezia-Rimini, che presentano una sistematica sonorizzazione delle
sorde nella suddetta posizione, l’Italia centrale, invece, non presenta
questa stessa sistematicità. Peraltro i fenomeni non sono del tutto
coincidenti: la sonorizzazione settentrionale avviene solo all’interno
di parola, mentre la lenizione centromeridionale anche in fonosin-
tassi. Il tratto è molto caratterizzante e presente sia a Roma che nel
resto del Lazio. Nel romanesco contemporaneo, si nota una sem-
pre maggiore tendenza ad abbandonare l’uso delle sorde (presente
invece nel romanesco antico) in favore della loro lenizione. Ciò si
verifica a partire dal Cinquecento, probabilmente a causa dell’inizio
della “smeridionalizzazione” del romanesco che via via si inizia ad
avvicinare al toscano. Nel resto del Lazio il fenomeno di lenizione
o completa sonorizzazione è maggiore in presenza della consonante
dentale, in posizione postonica, all’interno di parola e in fonosintas-
si, nelle generazioni più giovani, nella zona meridionale della pro-
vincia romana, nelle classi sociali con basso grado di scolarizzazione
(D’Achille-Stefinlongo 2008, Carlucci 2015).

- L’esito -j- da J-, DJ- e G- originarie latine prima di -e- e di -i-. A


Roma la pressione della lingua letteraria ha fatto scomparire il tratto
in favore della -g- palatale, che viene però pronunciata intensa, come
per -b-.
ES: iènte ʻgenteʼ

- La lenizione delle occlusive sorde e delle affricate sorde postnasali.


A volte si può spingere anche fino alla completa sonorizzazione. A
Roma invece la lenizione postnasale è ignota, esiste solo quella in-

30
tervocalica. Anche nel romanesco è però spesso presente la lenizione
della labiovelare iniziale (guasi ʻquasiʼ).
ES: sèndi ʻsentiʼ

- Lo scempiamento della -r- intensa, molto vitale anche nel roma-


nesco.
ES: tèra ʻterraʼ

Di seguito si darà invece un elenco di alcuni tratti che caratterizzano


il Lazio, ma che sono invece assenti nel romanesco:

- la presenza di pronomi personali del tipo isso, issu, essa.

- Il sistema tripartito per gli aggettivi dimostrativi e per alcuni av-


verbi di luogo.

- L’uso generalizzato della forma di allocutivo tu al posto delle forme


di cortesia. La tendenza a questo tipo di uso c’è anche nel romanesco.

- La presenza del cosiddetto accusativo preposizionale, cioè l’uso


della preposizione a davanti a nominali, nomi o pronomi, che costi-
tuiscono un complemento oggetto e che si riferiscono a esseri uma-
ni. Il fenomeno ha però alcune restrizioni d’uso. La prima è relativa
al tipo di oggetto interessato: i pronomi personali sono i più fre-
quenti, la prima persona è sicuramente predominante. La seconda
è relativa alla posizione dell’oggetto rispetto al verbo: la posizione
dell’oggetto è molto più spesso pre- che postverbale, si tratta spesso
di enunciati con dislocazione a sinistra; l’accusativo preposizionale
può essere presente anche nelle frasi cosiddette scisse o pseudoscis-
se; inoltre il clitico di ripresa sembra facilitare la comparsa di a. La
terza è relativa al verbo reggente: i verbi psicologici (convincere, per-

31
suadere, preoccupare, disturbare ecc.) appaiono più spesso di altri in
presenza di accusativo preposizionale. L’accusativo preposizionale è
dovuto alla perdita delle marche di caso flessive e alla posizione non
rigida di soggetto, verbo e oggetto all’interno della frase: la prepo-
sizione assume il valore di marca di caso in presenza di oggetti che
più facilmente potrebbero essere scambiati per agenti: esseri animati
e soprattutto persone (Berretta 1990). È un tratto tipico anche dei
dialetti meridionali.
ES: chiama a nonna ʻchiama nonnaʼ

Per quanto riguarda invece la morfologia verbale:

- Alcuni verbi della prima coniugazione, nella terza persona plurale


del presente indicativo, terminano in -ao o -au.
ES: vao ʻvannoʼ

- Il comportamento degli ausiliari in area mediana è invertito ri-


spetto allo standard. Con i verbi transitivi infatti si osserva un uso
generalizzato di essere in luogo di avere. Estendere un solo ausiliare
a tutti i verbi non è tipico solamente della zona mediana; al contrario
caratterizza molti dialetti italiani e anche altre lingue della Romània
periferica: ad esempio il catalano o il rumeno generalizzano l’ausi-
liare avere, in maniera opposta invece alla grande variabilità delle
lingue della Romània centrale. La vera particolarità della zona me-
diana è infatti l’utilizzo di ausiliari diversi nello stesso paradigma. Il
criterio con cui gli ausiliari vengono distribuiti è poco chiaro, ma
sembrerebbe dipendere dalla persona grammaticale. Infatti si nota
l’utilizzo generalizzato per i verbi transitivi e intransitivi di essere per
le prime due persone, singolari e plurali, e avere per le terze persone,

32
singolari e plurali (Lorenzetti 1992).
ES: sò magnato ʻho mangiatoʼ

sì magnato ʻhai mangiatoʼ

ha magnato ʻha mangiatoʼ

sémo magnato ʻabbiamo mangiatoʼ

séte magnato ʻavete mangiatoʼ

hanno magnato ʻhanno mangiatoʼ

- Il condizionale termina in -ia invece che in -ei. Il condizionale,


in italiano, secondo lo sviluppo fonetico della lingua, dovrebbe ter-
minare in -eva o -ea; in realtà, fin dall’inizio risulta molto diffuso il
condizionale che termina in -ia, così come nel provenzale o nell’ibe-
ro-romanzo. È lecito quindi immaginare che il provenzale abbia in-
fluenzato il condizionale italiano a partire dal settentrione e che da lì
si sia diffuso nel resto della penisola. Questa terminazione si ritrova
anche nel dialetto toscano, anche se in minoranza rispetto alla ter-
minazione -ei; ad oggi è scomparsa dal toscano, ma la si ritrova nelle
sue zone limitrofe, come, appunto, il Lazio (Rohlfs 1967 §677).

ES: faria ʻfareiʼ

33
2. GENZANO

2.1 I Castelli Romani

Con la denominazione Castelli Romani (Fig. 1) si indica una zona


ben delimitata nella parte meridionale della provincia di Roma,
Fig. 1 - l’area dei
situata nell’area dei Colli Albani, di cui fanno parte sedici comu-
Castelli Romani
all’interno del Parco
ni: Albano, Ariccia, Castel Gandolfo, Colonna, Frascati, Genzano,
Regionale dei Castelli
Romani.
Grottaferrata, Lanuvio, Lariano, Marino, Monte Compatri, Monte
fonte: http://www.
parcocastelliromani.
Porzio Catone, Nemi, Rocca di Papa, Rocca Priora, Velletri (Lucia-
it/inners/pages/
carta_turistica
ni-Faiella 2010).

punti panoramici siti archeologici

Roma Via Casilina


1
2
PANORAMA DA TUSCOLO

PANORAMA DA MONTE CERASO


5
6
PERCORSO ARCHEOLOGICO CITTADINO

VILLA DEGLI ANTONINI

3 PANORAMA DAL MASCHIO D’ARIANO 7 TEMPIO DI DIANA NEMORENSE

autostrada Roma 4 PANORAMA DAL BELVEDERE DELLA VIA SACRA 8 EMISSARIO DI NEMI
- Napoli A2
9 VILLA DI CESARE

28 10 SANTUARIO DI GIUNONE SOSPITA


12 27
11 RESTI DEL CASTELLO D’ARIANO
.A. Via Tuscola
G.R Monte Porzio Catone
auto

na 12 BARCO BORGHESE
re 58 56
ula
stra

Via Ca 13 ANTICA CITTÀ DI TUSCOLO


o An 57 29 silina
da

rd 40 14 CATACOMBE AD DECIMUM
cco 39
Mil

e Ra 42 15
nd Monte Compatri MITREO DI MARINO
ano

Via 46
Gra An 45 41 16
a
Frascati NINFEO DORICO
-N

gn 43
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apo

a 17 NINFEO BERGANTINO
44
Ciampino 55
li A

18 EMISSARIO DI CASTEL GANDOLFO


1

ferrovia Roma 14 48
- Frascati 19 ROMITORIO DI S. ANGELO IN LACU
1
Via

13
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Ap

VIA SACRA
fer
pia

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Rocca di Papa
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60 Monte Cavo Via
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Lago Ari
Maschio delle Faete Via
Albano
Castel Gandolfo 33 18
3
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Via
lletri

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Maschio dell’Ariano
p

52
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22 l Viv
34 de
53 Via
Via

Albano Laziale 23 7 musei


de

35
i

Ariccia
La

Roma 9
g

37
Lariano
hi

Parco Regionale 21 MUSEO CIVICO DI ALBANO LAZIALE


8
dei Castelli Romani Maschio dell’Artemisio 22 MUSEO DELLA II LEGIONE PARTICA

Nemi 23 MUSEO DELLE NAVI ROMANE

36 24 MUSEO CIVICO LANUVINO


Lago
25 MUSEO CIVICO DI VELLETRI
fe di Nemi
rro 26 MUSEO DIOCESANO DI VELLETRI
via
Ro 27 MUSEO DIFFUSO DEL VINO
ma
-V 28
ell MUSEO DELLA CITTÀ
etr
i
Genzano patrimonio artistico 29 MUSEO TUSCOLANO

LEGENDA di Roma Via


Ari
a na
30 MUSEO ARCHEOLOGICO

34 PALAZZO CHIGI 31 MUSEO DI GEOFISICA

1 Punti panoramici 6 54 35 LOCANDA MARTORELLI 32 MUSEO CIVICO DI MARINO


pia 25
Ap 36 33 ANTIQUARIUM
1 Musei Via PALAZZO SFORZA CESARINI

37 PALAZZO RUSPOLI
1 Siti archeologici 26
38 PALAZZO SAVELLI (Rocca Priora)
1 Patrimonio artistico
Velletri 39 PALAZZO ANNIBALDESCHI
1 Chiese e conventi 40 VILLA MONDRAGONE
10
Confini del Parco 24 41 VILLA PARISI chiese e conventi
42 VILLA ALDOBRANDINI
Area del Parco N

34 43 VILLA FALCONIERI 52 CONVENTO DEI CAPPUCCINI


Confini dell’area contigua 44 VILLA TUSCOLANA 53 CHIESA DI SANTA MARIA DELL’ASSUNTA
W E
Lanuvio
Via Appia

Area contigua 45 VILLA LANCELLOTTI 54 CATTEDRALE DI SAN CLEMENTE

Rete stradale S 46 VILLA TORLONIA 55 CONVENTO DI SAN SILVESTRO

47 56 CATTEDRALE DI SAN PIETRO


Grande Raccordo Anulare VILLA GRAZIOLI

48 VILLA MUTI 57 CATTEDRALE DI SANTA MARIA IN VIVARIO


Autostrade
49 VILLE PONTIFICIE 58 CHIESA DEL GESÙ
Rete ferroviaria 0 1000 2000
50 SPECOLA VATICANA 59 ABBAZIA DI SAN NILO

Stazioni ferroviarie 200 400 600 800


51 PALAZZO SAVELLI (Albano Laziale) 60 CONVENTO DI PALAZZOLO
Metri Scala 1:35.000
Velletri in realtà, essendo l’unico comune a non essere mai stato un
feudo, rientra un po’ forzatamente nell’elenco dei Castelli, che pren-
dono appunto il proprio nome dal fatto di essere stati tutti sotto il
diretto controllo di famiglie importanti (Gazzabin-Mammucari
2015).
Sopra l’ormai spento vulcano laziale sorge quindi un complesso di
paesi vasto, ma allo stesso tempo compatto, con località accomunate
dal patrimonio artistico, culturale, ma anche geografico. Purtuttavia
ogni paese riesce ancora a mantenere spiccate specificità, con le feste
di paese, le sagre, le ricchezze artistiche e non ultima, la lingua. Pur
sentendosi parte di un’unica realtà, non mancano infatti le tipiche
rivalità tra paesi limitrofi che si sono radicate nel corso dei decenni
e sopravvivono (ovviamente nelle limitazioni di una società che si
evolve e diventa sempre meno provinciale) ancora oggi e ci si mo-
strano solitamente sotto forma di blasoni popolari:

1. Il detto è riportato
in dialetto albanense,
«Arbanese fregnone e broccolaro, castellano mmiccarolo, genzanese il suo significato è:
albanense sempliciot-
rogarolo, velletrano sette volte villano, marinese ajo, cipolla e pepe- to e mangiatore di
broccoli, castellano
rino, frascatano pallonaro, ricciarolo biedone, rocchiciano fascettaro, imbroglione, genza-
nese che ha a che fare
nemese sciorno 1.» con i rovi (era una
professione tipica-
(Dori-Onorati-Sirilli-Torreggiani 2006: 85) mente genzanese il
creare legami per la
vigna con rovi lavo-
rati), velletrano sette
volte villano, Marino
aglio, cipolla e peperi-
I Castelli sembrano disposti da un artista lungo le pendici del cratere
no (sono a Marino le
vulcanico, arroccati e aggrappati ai versanti rocciosi che circondano cave di peperino, roc-
cia tipica della zona),
i due laghi, di Nemi e di Castel Gandolfo, incastonati come perle tra frascatano bugiardo,
ariccino mangiatore
i monti e la rigogliosa vegetazione (vedi Fig. 2, pag. 36). di bieta, rocchigiano
produttore di fascine,
La bellezza del territorio e la salubrità del clima, che nettamente si nemese sciocco.

35
differenziava dalla campagna romana stremata dalla malaria, hanno
attratto fin dall’Ottocento i viaggiatori e le località castellane sono
entrate ben presto nel percorso del Grand Tour (Piccioni 1993).
Grandi uomini e grandi artisti visitarono questa suggestiva zona e
se ne lasciarono incantare, lasciandoci testimonianze e scritti del
loro passaggio. Nella letteratura straniera del Sette-Ottocento sono
molte le opere che testimoniano l’interesse per i Castelli Romani.
Dalla Francia vennero Montesquieu e Sade, dalla Germania venne
Goethe, forse il più celebre visitatore ottocentesco della penisola,
che descrisse il percorso del suo viaggio nell’opera Viaggio in Italia
soffermandosi anche sul passaggio ai Castelli. Ma anche personaggi
italiani lasciarono descrizioni entusiaste del luogo, come Massimo
D’Azeglio o, più vicino ai nostri giorni, Gabriele D’Annunzio.
Il paesaggio naturale offrì anche scenari perfetti per ambientazioni
di opere letterarie o teatrali: Byron cita Nemi ne Il pellegrinaggio del

Fig. 2 - I due laghi giovane Aroldo, Hans Christian Andersen ambientò gran parte del
visti dalla via sacra di
Rocca di Papa.
suo romanzo L’improvvisatore nella campagna di Nemi e Genzano,
fonte: http://www.
George Sand (pseudonimo con cui la scrittrice Amandine Aurore
parks.it/fotoNews/i_
due_laghi.jpg Lucile Dupin firmava le sue opere) nel suo romanzo La Daniella si

36
sofferma sulla descrizione e sull’atmosfera dei luoghi in cui sorgeva-
no alcune ville di Frascati2.
Non furono solo uomini illustri a visitare i Castelli: infatti questi ul-
timi furono da sempre meta anche del turismo locale, che si spostava
da Roma. I Castelli attiravano i romani per le loro bellezze paesaggi-
stiche, per il loro folklore e per il loro clima. La calma di un luogo di
provincia così ameno ma tanto vicino alla città era un invito a stac-
care per un po’ dalla frenetica vita quotidiana. Nelle guide turistiche
che riguardavano Roma non mancavano mai i Castelli come tappa
obbligata della visita. Il rapporto turistico così stretto con la città,
che decollò tra gli anni ottanta e novanta dell’Ottocento, è testimo-
niato dalla fitta rete di trasporti pubblici che si andava sviluppando
a partire dalla metà del secolo. Nel 1856 venne inaugurata la linea
Roma-Frascati, il primo tratto di ferrovia dello Stato pontificio. Da
qui molti altri ne furono realizzati: nel 1859 venne aperta al pubblico
la tratta Roma-Albano, del 1862 è invece la tratta Roma-Ceprano,
che dopo solo un anno raggiungerà Napoli, passante per Velletri. In-
fine nel 1916 dalla ferrovia Roma-Fiuggi-Frosinone venne staccata
la diramazione Frascati-San Cesareo. Sulla carta la zona era quindi
fornita di una ferrovia di tutto rispetto, ma in realtà le stazioni erano
2. Informazioni prese
spesso lontane dal centro dei paesi, costringendo i turisti a percor- dai siti http://www.ca-
stelliromanigreentour.
rere lunghe scalinate a piedi o a prendere l’omnibus (un servizio di it/blog/i-colli-albani/
grand-tour-i-giorni-
trasporto costituito da lunghe carrozze, dalla capienza di circa dieci felici-di-goethe-ai-ca-
stelli-romani/ e http://
persone, sostituite in seguito da autobus). A causa del disagio causa- www.specchioro-
mano.it/fondamen-
to dalla lontananza delle stazioni dal centro e dall’esclusione di alcu- tali/Lespigolatu-
re/2005/Febbraio%20
ni paesi dalla ferrovia, come Genzano, la costruzione della tramvia 2005/I%20Castel-
li%20Romani%20
dei Castelli Romani nel 1906 fu salutata con grande entusiasmo. La
un%20diario%20
tramvia corre lungo le strade, quindi porta tutti i vantaggi di un tra- a%20pi%C3%B9%20
voci.htm, consultati il
sporto pubblico nel cuore del paese (vedi Fig. 3, pag. 39). 6 luglio 2016

37
Ma anche il servizio stradale dei Castelli è particolarmente ricco. In
primis sono attraversati da una delle più importanti strade d’Italia,
la Via Appia, la cui origine risale al 310 a. C. e che tocca i comu-
ni di Castel Gandolfo, Albano, Ariccia, Genzano, arrivando poi a
Velletri e oltrepassandola in direzione di Napoli. A metà Ottocento
venne inoltre creata la Via Tuscolana, sempre su un antico tracciato
romano, che uscendo da Roma all’altezza dell’Appia se ne biforcava
dirigendosi verso Frascati. Importante collegamento tra le due arte-
rie fu la Via Gregoriana, dal nome del suo costruttore, papa Grego-
rio XVI. Ai primi del Novecento vennero inoltre inaugurate diverse
strade provinciali, importanti collegamenti interni alla zona. Per fare
un solo esempio fondamentale si cita laVia dei Laghi, che partendo
dall’Appia giunge fino a Velletri.

Lo scambio umano tra città e provincia non è a senso unico: c’è co-
stantemente il flusso turistico, ma a partire dagli inizi del Novecento
inizia anche un ricco flusso di pendolari che si spostano verso la
città. La popolazione dei Castelli si rivolge a Roma per una variegata
serie di motivi, tra cui i servizi pubblici, gli uffici statali, i negozi,
i locali notturni; ma soprattutto i castellani si recano a Roma per
lavorare. Il lavoro è stato e sarà sempre la maggiore attrattiva della
capitale, per comuni che sono ad oggi sostanzialmente autonomi dal
punto di vista dei servizi, che iniziano a essere forniti delle migliori
attrattive per gli acquisti e che si trovano immersi in una tranquillità
e in un ambiente naturale assenti in città (Piccioni 1993).

Questo fervente turismo verso i Castelli Romani è vivo, se pure in


modo meno ricco e continuo rispetto all’Ottocento, anche ai nostri
giorni. Negli ultimi anni, le amministrazioni comunali di alcuni pa-
esi hanno voluto iniziare a valorizzare ciò che possiedono dal punto
di vista artistico e paesaggistico affinché il turismo possa ricomin-

38
ciare a crescere e diventare sempre di più la componente
principale dell’economia castellana. Ad esempio il comune
di Ariccia, particolarmente virtuoso, ha già da molti anni
avviato un servizio di visite guidate all’interno di parco e
palazzo Chigi, fastosa dimora barocca; il palazzo attira per
la sua bellezza un notevole numero di turisti. Il comune di
Genzano ha invece iniziato pochi anni fa la valorizzazione
e la promozione del palazzo Sforza-Cesarini. Il restauro,
progettato a partire dal 2001, ci ha restituito un palazzo
ricco di storia, ma anche un meraviglioso giardino ro-
mantico ottocentesco. Il comune di Castel Gandolfo ha,
proprio da questa estate, attrezzato nuovamente le spiag-
ge del bellissimo lago con stabilimenti balneari. Inoltre il
Papa ha deciso di aprire a visite guidate il suo palazzo e
il suo giardino, mettendo così a disposizione dei turisti
anche ciò che di artistico Castel Gandolfo ha, oltre alla secentesca Fig. 3 - l’immagine
chiesa a pianta centrale, costruita su progetto del Bernini. mostra il percorso
della tramvia (linea
nera più spessa) e il
I Castelli Romani sono stati fino ad ora trattati come un’unica entità, percorso delle fer-
rovie (linea nera più
come se lo fossero sempre stati. Dal punto di vista geografico e cul- sottile) all’altezza del
1930. fonte: piccioni
turale in effetti è così da sempre. Dal punto di vista storico, invece, 1993.
ogni paese ha avuto una propria evoluzione, a partire addirittura
dall’epoca romana in alcuni casi, dipendente soprattutto dalle vicen-
de delle famiglie che vi risiedevano e che possedevano il feudo. È
impossibile quindi cercare di delineare una storia unitaria delle cit-
tadine della zona, ma si può cercare di individuare il momento in cui
questo variegato insieme di paesi ha cominciato a essere percepito
dall’esterno come un’unica entità e il momento in cui ha assunto il
nome con cui oggi è noto. Quando, quindi, i Castelli Romani hanno
assunto tale denominazione? Il primo a occuparsi del problema fu

39
lo storico Giuseppe Tomassetti, che nella sua La campagna romana
antica, medievale e moderna3, monumentale opera storica appunto
sulla campagna romana, spiegava il toponimo come derivante dalla
cittadinanza romana degli abitanti dei Castelli, dovuta alle immi-
grazioni trecentesche, causate dallo spostamento della sede papale,
e a quelle cinquecentesche, causate dal sacco di Roma. Lo storico
però non portava nessun dato oggettivo a dimostrazione della sua
tesi. Nonostante ciò la sua opinione ebbe una notevole autorità per
decenni, finché lo storico Renato Lefevre non la mise in discussione
(Lorenzetti 1999).

Nell’articolo Perché, quando e quali i “castelli romani”, apparso sul-


la “Strenna dei romanisti” nel 1978, Lefevre cerca di identificare un
momento preciso, la prima apparizione del toponimo Castelli Ro-
mani. Lo storico si dichiara subito scettico nei confronti dell’idea
di Tomassetti, per due ragioni. Perché a Lefevre sembra impossibile
che nel medioevo prima e nel rinascimento poi i romani si siano
rifugiati solo sui Colli Albani, evitando accuratamente il resto della
provincia, e perché gli sembra altrettanto impossibile, se pure fos-
se vera una simile ipotesi, che nessuno per secoli abbia chiamato la
zona col suo moderno toponimo. Lefevre non trova sue attestazioni
né nei registri dello stato pontificio, né negli scritti letterari e nem-
meno nelle guide turistiche. Ciò fino al 1879, quando nella seconda
edizione di quella che si può definire la prima guida turistica moder-
na dei Castelli, I colli Albani e Tuscolani, di Oreste Raggi, la locuzio-
ne Castelli Romani appare ben tre volte. Il Raggi ci restituisce un’in-
3. L’opera fu iniziata segna di un’osteria dei Castelli, su cui compare la scritta “vini dei
nel 1879, fu portata a
compimento dal figlio Castelli romani”, ci dice che la zona dei Castelli Romani dovrebbe
di Tomassetti, Fran-
cesco, e fu pubblicata essere fornita di una ferrovia interna, ci descrive il panorama dei col-
postuma a partire dal
1910. li Albani e Tuscolani come disseminato dai famosi Castelli Romani.

40
Ciò dimostra che in epoca post unitaria il toponimo era finalmente
entrato nell’uso. Secondo Lefevre la denominazione si diffonde per-
ché si diffonde l’uso di villeggiare ai colli Albani e Tuscolani e perché
viene inaugurata la ferrovia che li collega con la capitale, facilitan-
done i contatti. Alla fine del secolo il toponimo è diffuso nelle guide
turistiche e nei giornali ma anche a livello popolare (Lefevre 1978).
Accontentandosi dell’espressione ellittica “Castelli”, la datazione può
essere anticipata, in Belli appare due volte (ma sempre riferita al vino
e glossata, segno che l’espressione non era ancora diffusa e poteva
non essere compresa), ma si può arrivare addirittura al 1598: la si
trova nei verbali di un interrogatorio, il diletteuole essamine de’ Gui-
doni, Furfanti ò Calchi, altramente detti Guitti (Lorenzetti 1999).
Ma ciò che è importante è che l’espressione si diffonde realmente
nell’uso vivo a partire dall’unità. Dalla seconda metà del secolo di-
venterà sempre più l’espressione comune per indicare il complesso di
comuni dei colli Albani e Tuscolani, fino ad arrivare ai nostri giorni,
al raggiungimento della fama di essere un luogo di pace e serenità.
Di essere un luogo che riempie gli occhi con le sue bellezze paesag-
gistiche e artistiche, delizia il palato con il suo famoso vino, allieta
l’anima con il suo folklore, la spontaneità e l’allegria del suo popolo.

2.1.1 La classificazione dei dialetti dei Castelli Romani

La variabilità linguistica all’interno della ristretta area dei Castelli


Romani è sorprendente. Prima ancora di apprenderlo dagli stu-
di scientifici, lo apprendiamo dagli abitanti della zona: non è raro
infatti sentir parlare, con un certo stupore, delle spiccate differenze
che intercorrono tra le parlate dei comuni castellani e sentire anche
cercare di spiegarsene il motivo:
«Io tante vote me so chiesto…tra Ariccia e Genzano ce sta ’n diva-

41
rio enorme. E lì…parlando ’na vota co ’na perzona me disse che è
perché i trasporti erino chelli che erino, cioè pe’ annà da Genzano a
Ariccia a quei tempi era ’n viaggio, ce dovevi annà a cavallo…ce met-
tevino quattro cinqu’ore […]. Ma che scherzi, tra Ariccia e Genzano,
tra Velletri e Genzano ce sta ’na differenza abbissale4!»

E non è raro nemmeno sentir dire da un albanense quanto parli


“male” un genzanese, che dirà lo stesso di un velletrano.

La zona dei Castelli Romani può essere suddivisa, in base al criterio


linguistico in due grandi zone: la zona occidentale, comprendente
i comuni posti sul versante occidentale dei Colli Albani, e la zona
orientale, comprendente i comuni posti sul versante orientale e tu-
4. Il testo è la scolano dei Colli Albani (Lorenzetti 1998). Queste due macroaree
trascrizione di una
registrazione effet- sono a loro volta suddivisibili in altre sei zone più ristrette, identifi-
tuata dall’autrice in
data 4 marzo 2016, cate da Lorenzetti sulla base dei tratti più caratteristici:
durante la fase di
studio preliminare
per il presente lavoro.
1. Dialetti Albani: comprendono i comuni di Castel Gandolfo, Alba-
Il parlante è un uomo
no e Ariccia. Sono accomunati dal vocalismo atono finale a quattro
di 65 anni. Se ne dà la
traduzione: "Io tante vocali (-i, -e, -a, -o), dall’assenza di metafonesi nominale, dall’assen-
volte ho riflettuto sul
fatto che tra Ariccia za della sonorizzazione postnasale, dal dimostrativo di tipo quillo.
e Genzano ci sia
un divario enorme.
Parlando una volta 2. Dialetti Occidentali: comprendono i comuni di Genzano e Lanu-
con una persona mi
disse che ciò avviene vio. Sono accomunati dal vocalismo atono finale a cinque vocali (-i,
perché una volta i
trasporti erano quelli -e, -a, -o, -u), dall’assenza di metafonesi nominale, dal dimostrativo
che erano: per andare
da Ariccia a Genzano di tipo chillu. La sonorizzazione postnasale è assente a Genzano, ma
a quei tempi era un
viaggio, ci dovevi presente a Lanuvio.
andare a cavallo, ci
mettevano quattro
o cinque ore! […] 3. Dialetti Nordoccidentali: comprendono i comuni di Marino e
Ma che scherzi, tra
Ariccia e Genzano, Grottaferrata. Sono accomunati dal vocalismo atono finale a cinque
tra Velletri e Genzano
c’è una differenza
vocali (-i, -e, -a, -o, -u), dall’assenza di metafonesi nominale, dalla
abissale!"
sonorizzazione postnasale, dal dimostrativo di tipo quillu.

42
4. Dialetti Interni: comprendono i comuni di Rocca di Papa e Nemi.
Sono accomunati dal vocalismo atono finale a cinque vocali (-i, -e,
-a, -o, -u), dalla sonorizzazione postnasale, dalla metafonesi di tipo
antico-romanesco (per cui le vocali medio basse dittongano mentre
vengono conservate quelle medio alte. Quindi si ha téttu, órzo, ma
pjétto, nwóvo.), dalla sonorizzazione postnasale, dal dimostrativo di
tipo chillu.

5. Dialetti Nordorientali “sabini”: comprendono i comuni di Fra-


scati, Montecompatri, Rocca Priora, Colonna. Sono accomunati dal
vocalismo atono a cinque vocali (-i, -e, -a, -o, -u), dalla metafonesi
nominale di tipo sabino, dalla sonorizzazione postnasale, dal dimo-
strativo di tipo quillu.

6. Dialetti Velletrani: comprendono i comuni di Velletri e Lariano.


Sono accomunati dal vocalismo atono finale a quattro vocali (-i, -e,
-a, -o), dalla metafonesi nominale di tipo misto, dalla sonorizzazio-
ne postnasale, dal dimostrativo di tipo chillo.

Monte Porzio Catone non è presente in questa suddivisione perché


presenta un dialetto diverso dagli altri Castelli, si comporta come
un’isola dialettale (Lorenzetti 1999).

Come si può evincere da queste prime caratteristiche fornite allo


scopo della suddivisione, i Castelli Romani non costituiscono uno
strappo alla tipologia dialettale dell’area mediana, condividono anzi
con essa la maggior parte delle loro caratteristiche. Data l’importan-
te variabilità linguistica della zona, è impossibile tentare di parlare
di un unico “dialetto dei Castelli Romani” e altrettanto impossibile è
tentare di individuare fenomeni linguistici comuni a tutta l’area che
non siano banali. Gli unici tratti omogeneamente diffusi sono infatti
43
tratti appartenenti già a tutta l’area mediana. Se ne ricordano alcuni:
il possessivo enclitico, lo scambio degli ausiliari, il condizionale in
-ia, l’uso di tenere al posto di avere, l’assimilazione progressiva, i tre
sviluppi di -L- preconsonantica ecc. Alcuni tratti dell’area mediana,
come la metafonesi o il mantenimento di -Ō e -Ŭ originarie latine
con conseguente mantenimento del neutro, sono addirittura presen-
ti solo in alcuni dei comuni castellani.
Ci sono inoltre alcuni tratti dei dialetti castellani che presentano
continuità con il romanesco di prima fase: l’assenza di anafonesi in
parole come lengua, fongo, ogna (lingua, fungo, unghia), la metatesi
della vibrante in parole come drento, crompà, i resti del plurale neu-
tro latino in -A in parole come ‘e mela, ‘e fava (ʻle meleʼ, ʻle faveʼ), gli
aggettivi e i pronomi possessivi mio, tio, sio, (ʻmioʼ, ʻtuoʼ, ʻsuoʼ), il
mantenimento della sorda etimologica in parole come matre o patre,
l’uso di alcune forme lessicali particolari, come femmina per donna
o munello per bambino (Durante 2006).
I dialetti dei Castelli, pur essendo racchiusi in una zona geografi-
camente ben definita, non sono però isolati e chiusi in sé stessi (si
è già detto dello scambio col romanesco antico e della continuità
con l’area mediana), ma sono in continuo rapporto osmotico con
le aree circostanti. Essi si trovano, infatti, al centro della confluenza
di diverse zone dialettali: a nordest una zona di tipo sabino, a su-
dest la Ciociaria, a sud e sulla costa una zona di tipo altomeridio-
nale e infine, da nord, la zona romanesca. L’area romanesca, quella
più ampia e influente a nord, ha agito in modo diverso sulla zona,
ma sicuramente i dialetti castellani che più ne sono stati influenzati
sono i Dialetti Albani. Così, a Castel Gandolfo, Albano e Ariccia, il
romanesco viene avvertito come una varietà parallela al dialetto lo-
cale, che viene selezionata in molte occasioni che fino a poco tempo
44
fa avrebbero richiesto il dialetto locale. Ciò determina una sempre
minore autonomia di questi dialetti, tanto che negli ultimi anni la
varietà romana si impone in misura sempre maggiore. Tra i tratti dei
Dialetti Albani ce ne sono infatti alcuni che coincidono con quelli
del romanesco postcinquecentesco: la confluenza in -o di -Ŭ e -Ō
finale latine, l’assenza della metafonesi, totale assenza della lenizione
postnasale per Albano e Castel Gandolfo, l’esito di -b in posizione
debole come -bb- e non -v-, l’esito di -L- preconsonantica come -r,
caduta di -ll- nei derivati di ILLE ecc. (Lorenzetti 1999, Loren-
zetti 1993, Lorenzetti 1992).

Le origini di questa spiccata variabilità linguistica in una zona in


effetti così ristretta non sono ancora del tutto chiare, si possono però
avanzare alcune ipotesi. Uno dei motivi fondamentali è la posizione
geografica della zona, al centro di diverse aree dialettali, come già
detto in precedenza. Potrebbe essere quindi in primis il fattore geo-
grafico: le caratteristiche linguistiche delle zone limitrofe sfumereb-
bero quindi gradualmente all’interno dell’area castellana.
Ma il caso particolare di un’influenza del romanesco moderno solo
su alcuni dei comuni castellani porta a domandarsi quale sia sta-
to il rapporto intrattenuto con Roma nei secoli passati e se non sia
proprio un’asimmetria di relazione con la lingua parlata a Roma la
causa di una sostanziale divisione in due grandi aree: una con ca-
ratteristiche più vicine al romanesco (i Dialetti Albani, vedi sopra)
e una con caratteristiche più specificamente mediane. Lorenzetti,
infatti, ipotizza che tra Roma e i Castelli ci sia stata una sovrapposi-
zione dialettale a cavallo tra i secoli XVI e XVII. Il tipo romanesco
avrebbe influito sia sui Dialetti Albani, la zona in cui si è imposto
maggiormente, lasciando in eredità tratti propri, sia sulle altre zone
castellane. Su queste ultime ha agito in maniera più blanda, lascian-

45
do sopravvivere i tratti mediani, ma relegandoli al ceto più basso
della piramide sociale. È però difficile verificare tale ipotesi dal pun-
to di vista puramente linguistico, perché i documenti dialettali dei
Castelli sono pochissimi, non risalgono oltre la metà del ’500 e sono,
nella quasi totalità dei casi, documenti di livello alto.
Un’altra delle possibili spiegazioni della variabilità è la questione
dell’immigrazione. È diffuso il pensiero, soprattutto tra gli studiosi
locali, che le differenze dipendano dalle immigrazioni avvenute nel
corso dei secoli, soprattutto quelle dovute a ripopolamenti cinque-
centeschi (resi necessari dai saccheggi che avvennero contestual-
mente al sacco di Roma). Guardandosi dalle esagerazioni, l’ipotesi
potrebbe essere presa in considerazione, perché spiegherebbe le dif-
ferenze che intercorrono tra i confinanti comuni di Ariccia e Gen-
zano o Castel Gandolfo e Marino. Però, piuttosto che credere che
gli immigrati abbiano del tutto soppiantato le parlate precedenti,
bisogna immaginare un rapporto fluido e instabile. I nuovi arrivati
avranno sicuramente portato innovazioni linguistiche, ma bisogna
ricordare che, in generale, gli immigrati non si trovavano in una
posizione sociale tanto forte da poter essere più di tanto influenti
(Lorenzetti 1998).
Probabilmente quindi la situazione linguistica dei Castelli non potrà
dipendere da un solo fattore, ma dipenderà, invece, dall’intreccio di
diversi eventi, tra cui sicuramente quelli accennati sopra: la loro po-
sizione geografica, con l’influenza di aree linguistiche “forti”, come
quella romana e quella meridionale; il loro complesso rapporto con
Roma, che ha esportato i suoi tratti linguistici in alcuni comuni ma
non in altri; l’immigrazione del XVI secolo, che avrà sicuramente
contribuito, con l’importazione di alcuni tratti “esterni”, all’attuale
definizione dei dialetti dei Castelli Romani.
46
2.2 Genzano

Il presente studio si occupa nello specifico del dialetto di Genzano


di Roma, un comune a 29 km da Roma, di circa 22.000 abitanti, ada-
giato sulle pendici esterne del cratere vulcanico che accoglie il lago
di Nemi (Fig. 4). Se ne darà quindi una panoramica storica, culturale
e linguistica.

2.2.1 La storia di Genzano

Il toponimo Genzano è stato spesso fatto risalire all’antico culto della


Fig. 4 - il Comune di
dea Diana, presente sul territorio fin dal IV secolo a.C. Diana, nata Genzano. all’estrema
sinistra si scorge il
secondo la leggenda sulle pendici del monte Cynthio sull’isola di lago di Nemi su cui
si staglia palazzo
Delo, era anche chiamata Cynthia. Da qui, e dall’antico tempio posto
Sforza-Cesarini. al
nel cuore del bosco a lei sacro situato sulle pendici del cratere che centro via Livia, su
cui si può vedere al-
accoglie il lago di Nemi, deriverebbe il nome Fanum Cynthianum. lestita la caratteristica
infiorata, che collega
Durante l’epoca romana però Genzano non era ancora un centro il borgo vecchio alla
piazza. fonte: www.
cittadino; di ciò che è la Genzano moderna esisteva soltanto il ter- comune.genzanodi-
roma.roma.it (foto di
ritorio; territorio che era prediletto per la costruzione di ville pa- Ennio Genovese)

47
5. Caffarelli, nel suo trizie, come la celebre villa degli Antonini, risalente al I secolo d.C.
volume Il Lazio nome
per nome, sostiene (Feliciani 2008). Fin dal periodo romano e per quasi tutto l’alto
che il toponimo
Genzano indichi medioevo il territorio della futura Genzano fu parte delle proprie-
l’antica proprietà
della zona ed è per tà dell’antica famiglia romana dei Gentiani, da cui secondo il Ratti,
questo caratterizzato
dal suffisso prediale più illustre e antico storiografo della città di Genzano, proviene il
-ano. Il toponimo
deriverebbe dal nome nome. Ratti non si limita a dimostrare la corretta etimologia5. Ci
di persona Genacius
o Genicius (o forse tiene a specificare quanto la pretesa di far risalire il nome della città
Genucius) oppure da
Gentius, secondo la al culto di Diana sia «una capricciosa invenzione di bello spirito»
trafila Geniciano >
Gentiano > Genzano
(Ratti 1797: 19). Secondo il Ratti il toponimo Genzano è sempre
(Caffarelli 2011).
stato lo stesso, nelle sue diverse versioni: Gienzanum, Gentianum,
Anche il dizionario di
toponomastica edito Gencianum, Genzanum o Gensanum, Jensanum, Jenzanum e Janza-
dalla Utet (Gasca
Queirazza et al. num (Ratti 1797: 15). Soltanto nel secolo XV si coniò senza fon-
1990) fa risalire il
toponimo Genzano damento il nome latino: Cynthianum o Cinthianum. Questa nuova
a una formazione
prediale derivante dal denominazione si affermò fino ad arrivare ai nostri giorni, tanto da
nome latino Genicius
o Genucius, con vederla ancora utilizzata come nome del cinema cittadino. Il primo a
l’aggiunta del suffisso
aggettivale -anus che utilizzarla fu Biondo da Forlì, seguito subito dopo da Pio II e da Raf-
indica appartenenza.
faele Volterrano. Non se ne conoscono infatti attestazioni anteriori.
D’altra parte, si chiede lo studioso, come è possibile che una città
abbia preso il nome da un tempio già distrutto all’epoca della sua
fondazione? Il tempio della dea si trova sul territorio che sarà poi di
Nemi; allora perché Genzano avrebbe dovuto prenderne il nome al
posto di Nemi? Come è possibile inoltre che il ben più antico topo-
nimo Cynthianum, da cui Genzano dovrebbe derivare, non ricorra
mai nei secoli né a livello popolare né a livello letterario? Per questi
motivi il Ratti afferma con forza che il toponimo Genzano derivi dal
nome della famiglia patrizia dei Genziani (Ratti 1797). Il territo-
rio sarebbe stato proprietà dei Genziani finché per ragioni tutt’oggi
oscure, passò sotto il dominio dei Gandolfi, possessori di un vasto
fondo ai piedi di Monte Cavo, che includeva anche i laghi. Nel 1218 i
48
Gandolfi, fieri ghibellini, furono costretti a cedere per motivi politici
il fondo al papa Onorio III (Feliciani 2008).

Il primo documento in cui si nomina Genzano è una bolla di papa


Lucio III (1181-1185) del 1183 (in questo caso Genzano è chiamata
Genziano) (Ratti 1797: 13). Nella bolla si parla di una torre costrui-
ta dai Gandolfi proprio sul territorio dell’odierna Genzano. In questa
occasione il fondo è citato tra le proprietà dei monaci cistercensi
del monastero di Sant’Anastasio alle acque Salvie in Roma. La na-
scita del primo nucleo urbano della cittadina è quindi da ricondursi
all’opera di riorganizzazione sociale dei monaci cistercensi: prima
che un borgo, infatti, Genzano dovette essere un fondo adibito alla
coltivazione della canapa, come si deduce dalla stessa bolla di Lucio
III. I monaci iniziarono a costruire il borgo e abbiamo notizia, da
una bolla di papa Alessandro IV del 1255, che il fondo era diventato
il Castrum Gentianum e che possedeva già un castello e un’ampia
cerchia di mura. Così come gli altri paesi laziali, tra il XIV e XVI
secolo, anche Genzano fu coinvolta tra le dispute delle famiglie ba-
ronali della zona, che si contendevano i vari territori, e le dispute tra
le stesse famiglie e la Chiesa. Infatti, il borgo appartenne ai monaci
fino al 1378, quando fu assegnato dall’antipapa scismatico Clemente
VII alla famiglia degli Orsini, che però riuscì a conservarlo per poco
tempo, visto che già l’anno successivo ritroviamo di nuovo Genzano
tra le proprietà dei monaci. Pochi anni dopo, nel 1393, il borgo fu
conquistato con la forza dalla famiglia Colonna. I genzanesi però
non vedevano di buon occhio il dominio di questa famiglia e infat-
ti preferirono sottomettersi spontaneamente a Pietro Passarello, un
nobile napoletano che era a capo delle milizie di papa Bonifacio IX
a Marino. Forte dell’appoggio papale, Passarello spodestò la famiglia
Colonna (1399). Nel 1402 un incendio distrusse quasi totalmente il

49
borgo, che poté essere ricostruito solo grazie all’aiuto della Camera
Apostolica. La storia di Genzano incontra però nuovamente quella
della famiglia Colonna: papa Giovanni XXII, infatti, per cercare di
porre fine alle continue lotte tra i Colonna e la Chiesa, decise di far
loro dono, insieme ad altri possedimenti, del feudo genzanese. Nic-
colò e Giovanni Colonna ottennero così Genzano a partire dal 1410.
Il castello divenne poi dominio di Antonello Savelli fin quando nel
1417 il papa Martino V lo riconsegnò nuovamente ai monaci, ce-
dendo alle pressioni degli stessi. Subito i monaci diedero Genzano
in affitto ai Colonna per tre anni. A questo punto però la famiglia
voleva entrare definitivamente in possesso del feudo: chiese infatti
di poterlo acquistare. I monaci si riunirono per decidere sul da farsi
e la riunione si concluse con la vendita della proprietà, per la cifra
di quindicimila fiorini. Da questo momento Genzano sarà proprietà
dei Colonna fino al 1563, con un solo intervallo (1480-1485) duran-
te il quale il feudo fu retto dal cardinale Guglielmo D’Estouteville.
Genzano fu venduta nel 1563 da Marcantonio Colonna a Fabrizio
De’ Massimi, che dopo solo un anno lo cedette al duca Giuliano I
Cesarini. I terreni acquistati dai Cesarini comprendevano anche al-
cuni territori di Ariccia, il castello di Civita Lavinia (oggi Lanuvio) e
il territorio della tenuta detta “Due Torri”.

Con la vendita ai Cesarini iniziò un periodo di prosperità e splen-


dore per il paese: la famiglia si sarebbe prodigata per lo sviluppo del
suo territorio, che avrebbe visto una crescita continua e ordinata, dal
punto di vista demografico, economico, ma anche artistico e cultu-
rale. I duchi Cesarini decisero fin da subito che il castello medievale,
parte integrante delle mura del borgo, sarebbe divenuto la loro resi-
denza: iniziò così un lavoro di ristrutturazione e ampliamento del
palazzo. Già con Giuliano III Cesarini, a partire dal quinto decennio

50
del ’600, il palazzo subì un primo ampliamento verso il lago, scaval-
cando quella che era la porta del paese. Giuliano lasciò comunque
il diritto di transito a tutti coloro che dovevano uscire o entrare dal
borgo. Lo stesso Giuliano, in concomitanza con i lavori a palazzo,
dal 1668, iniziò la realizzazione delle Olmate, una struttura viaria a
forma di tridente che sarebbe stata la base del futuro sviluppo della
cittadina, in un’ottica di riorganizzazione urbanistica appunto del-
la “Genzano nuova”. La struttura, con i suoi rigogliosi viali alberati,
andò così a creare su tutto il territorio cittadino un grande giardino
all’italiana. Le Olmate sono ad oggi identiche a come erano nel ’600,
del tutto percorribili, dove a piedi e dove in macchina. Solo gli olmi
purtroppo hanno patito il passare dei secoli e sono stati sostituiti
con dei tigli. Giuliano fece costruire anche la chiesa dei Cappuccini
e fece erigere la chiesa di Santa Maria della Cima sulla chiesetta me-
dievale che avevano lasciato i monaci cistercensi.
Alla morte di Giuliano III la famiglia si trovò senza eredi: i due figli
maschi erano morti, le due figlie femmine maggiori erano entrambe
suore, la terza era ancora troppo giovane. La situazione venne risolta
da Livia Cesarini, già suor Maria Pulcheria, che, ottenuta l’autoriz-
zazione dalla Sacra Rota, lasciò il convento per unirsi in matrimo-
nio con Federico Sforza di Santa Fiora. Ha origine così nel 1671 la
famiglia Sforza-Cesarini. Livia si dimostrò all’altezza di suo padre,
seguendone le orme nella realizzazione della “Genzano nuova”: fece
costruire un’ulteriore struttura viaria, un tridente più interno rispet-
to alle Olmate, anch’essa ancor oggi esistente.
L’intervento settecentesco (1714-1730), portato avanti da Gaetano
I, primogenito di Livia, completa il successivo affrancamento del
palazzo dal borgo medievale, in un’ottica non soltanto architettoni-
ca, ma anche culturale, di accoglienza e apertura verso il mondo; in
51
questa occasione il palazzo assunse l’aspetto che possiamo ammira-
re oggi con un ulteriore ampliamento verso il lago, l’aggiunta di un
secondo piano nobile e il completamento della facciata. Gli ultimi
lavori, avvenuti dal 1846 al 1857, si concretizzarono nell’aggiunta di
un’ulteriore ala che guarda verso il borgo e nel restauro della zona
medievale (Ratti 1797, Apa 1982, Melaranci 2001, Feliciani
2008, Gazzabin-Mammucari 2015).

Nel 1870, la presa di Roma sancì la definitiva annessione al Regno


d’Italia di tutti i territori rimasti ancora al Papato. Ciò ovviamente
valse anche per Genzano, dove molti cittadini avevano preso parte
sia ai moti del 1848-1849, sia a quelli del 1867-1870. Da quel mo-
mento in poi il paese prese il nome di Genzano di Roma (per evitare
di confonderlo con Genzano di Lucania) e la cittadinanza iniziò a
partecipare alla vita politica: contadini e braccianti iniziarono ad es-
sere protagonisti di memorabili lotte per l’ottenimento dei diritti. La
prima lotta popolare si svolse nel 1898, in opposizione all’aumento
del prezzo del pane, contestualmente ad altre che si svolgevano in
tutta Italia. La repressione fu molto dura, ma i cittadini riuscirono ad
ottenere l’abolizione dell’aumento del prezzo. Frequenti e importanti
furono le lotte dei contadini, che combattevano per l’assegnazione
di terre private ai cittadini: memorabile fu l’occupazione delle terre
nel 1919. L’ottenimento di terre della tenuta Muti-Buzi e di terreni
a Colonia di Presciano (ex tenuta Garibaldi) contribuì in maniera
decisiva allo sviluppo di una moderna agricoltura. Le lotte per le
terre continuarono senza interruzione fino all’avvento del fascismo,
momento in cui iniziò una resistenza fiera e serrata, da parte di una
città che fin dall’inizio della storia del comunismo si dimostrò una
“piccola Mosca”. Durante tutto il Ventennio centinaia sono stati gli
antifascisti genzanesi arrestati, inviati al confino o uccisi.

52
Lo scoppio della seconda guerra mondiale confermò ai cittadini l’in-
giustizia dei regimi totalitari, così che la resistenza divenne ancora
più eroica. Molto attive sul territorio furono infatti le organizzazio-
ni partigiane e patriottiche che causarono non pochi problemi alle
truppe naziste e fasciste con mirate azioni di guerriglia.
Nel 1944 gli alleati statunitensi sbarcarono ad Anzio, per mettere in
atto l’Operazione Shingle, con lo scopo di attaccare alle spalle il fron-
te tedesco Gustav. Per evitare di essere subito respinte dai tedeschi
che si trovavano a terra, le forze alleate dovettero bombardare per un
raggio di molti chilometri città e paesi. Tra questi c’erano anche i Ca-
stelli Romani. Il 9 febbraio 1944, durante uno dei bombardamenti,
morirono a Genzano ventinove civili e altrettanti ne morirono il 12
febbraio. Tra il 31 gennaio e il 14 aprile dello stesso anno morirono
centosei genzanesi, a cui vanno aggiunti i sei martirizzati alle Fosse
Ardeatine. Durante i bombardamenti Genzano fu quasi completa-
mente rasa al suolo, avendo avuto più dell’ottanta per cento di edifici
distrutti o danneggiati fortemente. Dopo la Liberazione fu istituita a
Genzano una giunta del CLN che restò in carica fino al marzo del
’46, quando si svolsero le prime elezioni amministrative post-fasci-
smo. Da quel momento fino alle elezioni del giugno 20166, Genzano
ha sempre avuto un’amministrazione a maggioranza di sinistra. La
stabilità politica ha permesso al paese di crescere in modo continuo
sul piano civile ed economico: la sua popolazione è raddoppiata, la
popolazione addetta al settore primario è scesa fino a circa il dieci
per cento7, il settore terziario è stato fortemente incrementato, so-
prattutto nella ristorazione (Feliciani 1990). 6. Elezioni in cui ha
trionfato il movimen-
to cinque stelle, così
come in altre impor-
tanti città italiane.

7. Dato del 1990 (FE-


LICIANI 1990).

53
2.2.2 Tratti della cultura genzanese

Ognuno dei Castelli Romani è caratterizzato da un elemento parti-


colare, un prodotto tipico o una festa, che diventa per l’esterno il se-
gno distintivo di quel comune. È il caso, per esempio, di Ariccia con
la sua porchetta, di Castel Gandolfo con le sue pesche, di Nemi con
le sue fragoline, di Marino con la sua sagra dell’uva, di Lariano con il
suo pane, di Frascati con la sua bambolina al miele. Genzano non è
esente da questa tradizione, anzi, può vantare addirittura due segni
distintivi: la celebre Infiorata e il caratteristico pane. Uno tra i più
grandi poeti in romanesco del Novecento, Mario dell’Arco (pseu-
donimo di Mario Fagiolo), ha celebrato con la sua poesia entrambe
le tradizioni. Il poeta, nato a Roma nel 1905 da padre genzanese e
madre marinese, ebbe sempre a cuore la «Genzano dell’Infiorata»
(come amava chiamare Genzano) tanto da ritirarvisi nel 1966. L’an-
no prima della sua morte, avvenuta nel 1996, ricevette la cittadinan-
za onoraria a Genzano e oggi riposa nel cimitero della città. Mario
dell’Arco amò Genzano tanto da scrivere diverse poesie riguardanti i
simboli della cittadina e soprattutto ciò che maggiormente egli ama-
va: la tranquillità delle Olmate, la bontà del vino e del pane genzane-
si, la bellezza dell’Infiorata8. Il 23 aprile 2016 il comune di Genzano
ha posto un monumento in suo onore all’interno del parco Sforza-
Cesarini. Il monumento è costituito da una stele decorata da foglie
di olmo su cui è incisa una delle sue poesie: L’ ormo.
L’infiorata è una ricorrenza annuale, durante la quale, la domenica
successiva alla festa religiosa del Corpus Domini, la storica via Livia
(la strada è stata reintitolata a Italo Belardi dopo la seconda guer-

8. Vedi ad esempio ra mondiale. Italo Belardi fu un comunista perseguitato dal regime


la raccolta poetica
Genzano mon amour negli anni precedenti la guerra, fino ad essere deportato nel 1940
del 1991.
in un campo di concentramento a Manfredonia per scontare una
54
condanna di quattro anni decisa dal Tribunale Speciale dello Stato9)
viene ricoperta di quadri che rappresentano i soggetti più dispara-
ti – ritratti, soggetti religiosi, forme astratte – creati con migliaia di
petali di fiori colorati disposti come in un mosaico. Il tappeto flore-
ale è largo nove metri e lungo duecentocinquanta; il più delle volte
i quadri sono tredici: è considerato il più grande tappeto policromo
del mondo.

Durante i giorni che precedono la festa, i fiori (nella quantità di cin-


quecento quintali) vengono raccolti, sgambati e alcuni addirittura
triturati, per essere conservati all’interno di fresche grotte finché i
maestri infioratori non li utilizzano per riempire i disegni preceden-
temente tracciati sul selciato con del gesso.

L’ultimo giorno di festa il tappeto viene spallato: i bambini vengono


lasciati liberi di correre da Santa Maria della Cima, in cima a via Ita-
lo Belardi, fino alla fine della strada, così da distruggere l’opera in un
modo che è ormai diventato parte integrante della festa.

L’origine dell’infiorata come la conosciamo oggi è abbastanza incer-


ta, generalmente si fanno risalire i suoi primi tentativi al 1778. Una
storia tramandata oralmente durante il corso degli anni ci racconta
come nacque questa particolare tradizione:

«A ’Nfiorata sò pochi de anni mo che se fa! Dice che l’ònno ’ncomincia-


ta a fà du’ fratelli a via Sforza10, ‘ndó scegneva a predissió: issi fecino
denanzi a’a casa sia ’n quadru de fiori, e gne venne così bè, che l’annu
doppo puro l’atri vicini se missino a fà ssi quadri de fiori. Mo chilli de
9. L’informazione
via Livia, vedenno comme sgaggevino i viasforzari, dissino: “E che noi proviene da Virginio
Melaranci.
nu’o potemo fa? E che ce vò?”. E cosìne se missino a riccopialli e fecino
10. I due fratelli sono
puro issi i quadri sopre a strada sia, da ’ndò a predissió rizzeccheva pe Arcangelo e Nicola
Leofreddi (Feliciani
riì a’a chiesa ar Domo. ’N sgrullu d’anni seguitanno a falla tutte e due 1990).

55
e vie, po’, mo n’ se sa si pe fagne proprio dispettu oppuramente nun
11. "Ormai sono
tanti anni che si fa potevino fà diverzamente, fatto sta che doppo spostanno ’a fontana
l’Infiorata. Si dice che
abbiano iniziato a de San Baschianu, che ’n mezzo ar Corzo deva fastidiu, e gn’a missi-
farla due fratelli a via
Sforza, dove scendeva no ’ttaccata all’imboccu de via Sforza. Chilli de ’a via subbito dissino:
la processione [del
Corpus Domini]: essi “Levete a’a fontana da qua, sindó n’a facemo piùne ’a ’Nfiorata! Ve’ che
fecero davanti la loro
casa un quadro di
nun scherzemo!”. E defatti nun scherzevino. ’A fontana n’a levanno e
fiori e venne loro così issi ’a ’Nfiorata nu’a fecino più11!» (Gallenzi-Gallenzi 2015: 103)
bene che l’anno suc-
cessivo anche gli altri
vicini si misero a fare
questi quadri di fiori.
Così, quelli di via Il primo documento che ci dà notizie certe dell’Infiorata è un mano-
Livia, vedendo come
gli abitanti di via scritto anonimo, conservato presso la Biblioteca Nazionale Centrale
Sforza si pavoneggia-
vano, dissero: “E che
di Roma, del 1824. Il testo ci informa che la prima Infiorata “intera”,
noi non lo possiamo
cioè costruita lungo tutta via Sforza, si ebbe nel 1782. Sarà totalmen-
fare? E che ci vuole?”.
E così si misero a co- te infiorata anche via Livia solo nel 1814.
piarli e fecero anche
loro i quadri sopra Durante il corso dei secoli la manifestazione ha avuto visitatori illu-
la propria strada, da
dove la processione stri: Massimo d’Azeglio la citerà ne I miei ricordi (e probabilmente
risaliva per riandare
alla chiesa del Duo- alla sua testimonianza fa riferimento il GRADIT, che data la voce av.
mo. Per molti anni
seguitarono a farla 1862), nel 1871 accoglie i principi Umberto e Margherita di Savoia,
entrambe le vie, poi,
non si sa se per fargli nel 1874 per Garibaldi viene allestita un’edizione speciale a inizio
proprio dispetto op-
pure perché non po-
inverno, nel 1947 è visitata da Alcide De Gasperi e Palmiro Togliatti.
tevano fare altrimenti,
Nel 1957, l’Infiorata viene allestita addirittura in Vaticano, così che
fatto sta che poi
spostarono la fontana Papa Pio XII possa ammirarla.
di San Sebastiano,
che in mezzo al corso
dava fastidio e gliela Inoltre, molti artisti hanno partecipato nel corso degli anni alla re-
misero proprio all’in-
gresso di via Sforza. alizzazione dei bozzetti per i quadri. Ha dato inizio a questa tradi-
Gli abitanti della
via subito dissero: zione il pittore Renato Guttuso, realizzando un bozzetto per il Cen-
“Togliete la fontana
da qua, altrimenti
tenario della morte di Garibaldi nel 1982. Tra i più importanti si
non facciamo più ricordano: Clerici, Treccani, Sassu, Vespignani, Migneco, Calabria,
l’Infiorata! Guardate
che non scherziamo!”. Paladino, ecc. Dal 1992 partecipano all’infiorata anche gli stilisti; il
Infatti non scherzava-
no. La fontana non la primo a partecipare è Missoni, seguito da Versace, Fendi, Laura Bia-
levarono e l’Infiorata
non la fecero più!" giotti, Gai Mattiolo e Gattinoni.

56
Fig. 5 - l’Infiorata
su via Livia, in cima
alla strada la chiesa
di santa maria della
cima.
fonte: www.comune.
genzanodiroma.
roma.it

La bellezza del tappeto floreale (Fig. 5) ha reso famosa la manife-


stazione in tutta Italia, ma anche all’estero, tanto che molte volte
Genzano è stata invitata a realizzare l’opera in altre città, italiane e
straniere. La prima Infiorata “esportata” è stata quella già citata del
1957 nella Città del Vaticano. Con il Giappone si è instaurato un
rapporto, che dura ancora oggi, a partire dal 1975, quando l’opera è
stata per la prima volta realizzata a Tokio. L’evento si è ripetuto nel
1978, nel 1986 e nel 2009. Nella città di Kobe invece è stata realizzata
nel 2004, 2005 e 2007, successivamente la città ha dato inizio a una

57
propria Infiorata. L’Infiorata approda anche in America per la pri-
ma volta nel 1985 quando viene realizzata a Philadelphia, negli anni
successivi si sposterà anche in altre città del nuovo continente: nel
1986 e nel 1988 arriva a New York, nel 1991 a Toronto e Montreal,
nel 2007 a Huamantlatlax, in Messico. Ma l’Infiorata viene esportata
anche nella nostra Europa: in Francia nel 1999 e nel 2008 (Lourdes)
e nel 2000 (Chatillon); in Germania nel 2013 e nel 2014 (Garmisch);
in Spagna nel 2006 (La Orotava).

Moltissime sono le città italiane in cui Genzano ha riproposto la sua


arte. La più celebre è Noto (Siracusa), che ha dato vita alla propria
Infiorata a partire dal 1980, con cui Genzano intrattiene un rappor-
to di scambio che dura ancora oggi. Bologna (1983), Roma (1992,
2000, 2011, 2012, 2014, 2015), Cosenza (1996), Bari (1999), Paler-
mo (2002), Pescara (2005), La Spezia (2012) sono solo alcune delle
località che hanno accolto la tradizionale infiorata (Feliciani 1990,
Feliciani 2008).

Il secondo elemento per cui Genzano è conosciuta è il suo tipico


pane. Un filone o una pagnotta di pane molto leggero, con una mol-
lica ricca, morbida e poco compatta e una crosta sottile, scura e mol-
to croccante. Il Pane Casareccio di Genzano ha ottenuto finalmente
la certificazione IGP nel 1997. Tale certificazione comporta l’osser-
vanza di una disciplinare di produzione per garantirne la qualità:
per far sì che venga sempre rispettata è stato istituito il Consorzio del
Pane Casareccio, composto da un gruppo di produttori volontari.
Per celebrare questa ricchezza ogni anno, dal 1989, viene organiz-
zata la Festa del Pane. Durante la festa, oltre a poter effettuare visite
dei forni storici e delle altre ricchezze artistiche di Genzano, si può
ammirare l’infiorata di pane: i maestri infioratori mettono la propria
arte a disposizione del pane, realizzando un tappeto su via Nazario

58
Sauro con, oltre ai fiori, crusche, farine, filoni, pagnotte e rosette. 12. Le fonti sono
state arricchite con
La festa è inoltre arricchita dalla Bruschettata: un lunghissimo tavolo informazioni prove-
nienti dal sito web del
che corre lungo tutta via Italo Belardi (la via dell’infiorata) viene ri- comune di Genzano
di Roma Portale
coperto di migliaia di fette di pane bruscato e condito, così che tutti turistico all’indirizzo
http://www.comune.
gli avventori possano goderne in compagnia e allegria12. genzanodiroma.roma.
it/turismo/SitePages/
home.aspx. Consul-
tato in data 25 luglio
2016.

2.3 Il dialetto a Genzano


Genzano, dal punto di vista linguistico, è uno tra i paesi più con-
servativi dei Castelli Romani. È una sensazione comune: tutti gli
abitanti dei Castelli, soprattutto quelli dei paesi più vicini a Gen-
zano, sanno inconsciamente che i genzanesi parlano il genzanese.
Affermazione che può sembrare banale, ma che invece non è sempre
valida: non è scontato ad esempio che un albanense parli l’arbanese.
Ovviamente la sensazione che alcuni comuni parlino più in dialetto
di altri (ciò vale per Velletri, Nemi o Ariccia) è una generalizzazione
effettuata dagli stessi parlanti. È vero che alcuni comuni sono più
conservativi di altri, ma bisogna anche considerare la variazione
diacronica, quindi le differenze tra gli anziani e i giovani, e la varia-
zione diafasica: è ovvio che il registro viene adattato alla situazione.
Ma è anche vero che camminando per le vie di Genzano, aspettan-
do il proprio turno alle Poste o prendendo un caffè al bar in piazza
è difficile non sentir parlare il dialetto, o quantomeno un italiano
contaminato dai tratti più significativi del dialetto genzanese. Tale
situazione è determinata anche dal fatto che i parlanti genzanesi ten-
gono in alta considerazione il proprio dialetto; a differenza di altri
comuni, ma anche di grandi città (si pensi alla stessa Roma, di cui si
è già discusso), a Genzano saper parlare dialetto diventa un vanto:
59
è un elemento della propria cultura che non va assolutamente per-
so, il dialetto è normale e amato, così come sono normali e amate
l’Infiorata, la piazza, l’Olmata. Gli abitanti di Genzano insistono col
13. Questi sentimenti
comuni tra i cit- dire che la propria parlata sia un bene prezioso e che come tale vada
tadini genzanesi sono
stati rilevati durante conservata e protetta dall’oblio, alcuni sostengono addirittura che
il lavoro preliminare
per il presente studio, dovrebbe essere insegnata a scuola13:
durante il quale sono
state effettuate delle
interviste a parlanti
di tutte le fasce di
età, ma anche tramite «Pe’ mme è ’na bella tradizzio’, è ’na cosa che se i regazzi se ’mparano,
l’esperienza personale.
’nzomma… ’mparano… devono sapé u dialettto genzanese, conservi-
14. Il testo è la
trascrizione di una no u dialetto genzanese…è bellu, in ogni paese penzo che è bellu u
registrazione effet-
tuata in fase di studio dialetto. Èsso»14.
preliminare per il
presente lavoro. A
parlare è una donna
di 65 anni. Se ne dà la
traduzione: "Per me è «È ’na cosa che deve esiste, deve esse anzi rafforzata e ’nzegnallo a
una bella tradizione
[il dialetto], è una scola secondo me. L’oppinione mia è che è ’na cosa non da perde, è ’n
cosa che i ragazzi
devono sapere, che patrimogno ’mportante! Capito?»15.
devono conservare,
perché il dialetto gen-
zanese è bello, credo
che il dialetto sia bello
in ogni paese". «Io dico che ’na perzona pe quanto possa esse acculturata e pe quanto

15. Il testo è la
possa esse ’nfluenzata da dialetti che non siano i suoi credo che comun-
trascrizione di una
que nel momento in cui t’esce ‘a parte istintiva de te parlerai sempre
registrazione effet-
tuata in fase di studio
chella che è ’na parte del core tuo, cioè u dialetto. Io quanno me arrab-
preliminare per il
presente lavoro. Il bio parlo dialetto, quanno ciò ’n’ emozzione che va al de fori o della
parlante è un uomo
di 70 anni. Se ne dà mia comprenzione o del mio controllo parlo dialetto cioè ’a ggente me
la traduzione: "È una
cosa che deve esistere riconosce subbito. […] Io credo che sia…io non credo che sia ’n pezzo
[il dialetto], deve es-
sere, anzi, rafforzata. de storia che me devo portà dentro, perché a’a fine voi non voi ‘e storie
Dovrebbe essere inseg-
nato a scuola secondo che conosci so sempre tramandate da generazzione ’n generazzione,
me. La mia opinione
è che sia una cosa non chelle so cose astratte che poi riimmaggini nella tua mente… io credo
da perdere, un patri-
monio importante". che sia ’na parte talmente inzita ’n te che nu’ riesci più a fanne a meno
60
perché è ’na cosa che appunto te tramanna tu nonno, tu nonna. Cioè 16. Il testo è la
trascrizione di
è ’na cosa che tu ’n’ t’a devi ricordà, è ’na cosa che tu quanno voi ’a tiri una registrazione
effettuata in fase di
studio preliminare per
fori. […] Io credo che sia l’unica memoria che possa avé ’u core»16. il presente lavoro. Il
parlante è un ragazzo
di 26 anni (laureato).
Se ne dà la traduzione
"Io dico che una perso-
«Dialetto è ’na cosa che pe’ molti è sbagliata, ma secondo me no. Per- na, per quanto possa
essere acculturata e per
ché è ’na cosa che deve rimané perché fa parte de tutte ’e storie d’Italia quanto possa essere
influenzata da dialetti
che non siano i suoi,
e de tutte ’e storie de’e varie popolazzioni, perciò è giusto che anche credo che comunque
nel momento in cui ti
nelle scole e nelle associazzioni culturali ne parlino. Perché è giusto che esce la parte istintiva
di te parlerai sempre
comunque se continui a parla’ ’a lingua del proprio paese. Non sempre quella che è una parte
del cuore tuo, cioè il
però perché ce vole anche l’italiano, ma ce vole anche ’a lingua del pro- dialetto. Io quando mi
arrabbio parlo dialetto,
quando provo un’emo-
prio paese per sapersi identificare per dove vai»17. zione che va al di fuori
o della mia compren-
sione o del mio control-
lo parlo dialetto. Cioè
la gente mi riconosce
«Secondo me è ’na cosa che tè da rimané…perché io tante vote sento i subito. […] Io credo
che sia…io non credo
che sia un pezzo di
genitori che baccaiano a’i fii che tenno da parla’ italiano pe forza… a storia che mi devo por-
tare dentro, perché alla
mi ’ste cose nun me stanno bè! Perché doppo se perde no? [...] sarebbe fine vuoi o non vuoi le
storie che conosci sono
’na cosa brutta nei confronti dei parenti, dei nonni, dei zii…cioè i non- sempre tramandate
di generazione in
ni ai nipoti parlino così… cioè tenno da cresce così!»18. generazione, quelle
sono cose astratte che
poi immagini nella tua
Questi stralci di conversazioni dimostrano quanto effettivamente mente… io credo che
sia una parte talmente
insita in te che non rie-
il dialetto sia, per i cittadini genzanesi, un bene prezioso che deve sci più a farne a meno
perché è una cosa che
essere salvaguardato e quanto questo abbia un posto nel loro cuore, appunto ti tramanda
tuo nonno, tua nonna.
anziani o giovani che siano. Cioè è una cosa che tu
non ti devi ricordare, è
una cosa che tu quan-
do vuoi tiri fuori. […]
Io credo che sia l’unica
memoria che possa
avere il cuore".
2.4 Le caratteristiche del dialetto di Genzano
17. Il testo è la
Secondo la divisione dei dialetti dei Castelli Romani di Lorenzet- trascrizione di una re-
gistrazione effettuata
in fase di studio preli-
ti (Lorenzetti 1999) il dialetto di Genzano appartiene all’area dei minare per il presente
lavoro. Il parlante è
dialetti occidentali, insieme a quello di Lanuvio. Il paese ha quin- un ragazzo di 17 anni.
Se ne...
di un dialetto più vicino alla zona mediana (piuttosto che a quella (segue pag. succ.)

61
...dà la traduzione: "Il romana) e presenta alcuni tratti in comune con quest’ultima. Così
dialetto è una cosa che
per molti è sbagliata, come tutte le lingue e tutti i dialetti, anche il genzanese ha subito nel
ma secondo me no.
Perché è una cosa che
deve rimanere, perché corso dei secoli una variazione diacronica e si è evoluto fino a ciò
fa parte di tutte le
storie d’Italia e di tutte che ascoltiamo oggi. È certo quindi che il genzanese abbia avuto una
le storie delle varie
popolazioni, perciò fase arcaica. Purtroppo però, per la zona dei Castelli, sono quasi del
è giusto che anche
nelle scuole e nelle
associazioni culturali tutto inesistenti testi antichi “bassi” (Lorenzetti 1998) ed è perciò
ne parlino. Perché è
giusto che comunque molto difficile riuscire a documentare l’uso arcaico del genzanese. È
si continui a parlare
la lingua del proprio possibile però basarsi sulle opere poetiche, anche se certamente più
paese. Non sempre
però perché ci vuole moderne rispetto a ciò che si intende per “arcaico”, di poeti genzane-
anche l’italiano, ma ci
vuole anche la lingua
del proprio paese per si, come ad esempio Igino Argentini o Cladinoro Di Lello, entrambi
potersi distinguere".
novecenteschi. Ci si può inoltre basare su testi che raccolgono rac-
conti di persone ormai molto anziane, come ad esempio Genzano
18. (pag. precedente)
Il testo è la trascrizio- Racconta di Mirco e Alessandro Gallenzi, o su articoli di giornale
ne di una registrazio-
ne effettuata in fase in dialetto, come i testi a firma di Lucia ’a Panacca ne “Il giornale
di studio preliminare
per il presente lavoro. locale”. Inoltre, è comune ancora sentir parlare in genzanese persone
Il parlante è un
ragazzo di 18 anni. molto anziane, che possono restituire un dialetto diacronicamente
Se ne dà la traduzio-
ne: "Secondo me [il
dialetto] è una cosa
più antico dell’attuale.
che deve rimanere…
perché io tante volte
Di seguito si darà comunque una panoramica di tutti i tratti che ca-
sento i genitori che
rimproverano i figli
ratterizzano il genzanese contemporaneo.
perché devono parlare
italiano per forza… a
me queste cose non mi
stanno bene! Perché
dopo si perde no?
[...] sarebbe una cosa 2.4.1 Caratteristiche fonologiche19
brutta nei confronti
dei parenti, dei nonni,
degli zii…cioè i nonni - Il tratto più significativo, che rende il dialetto di Genzano imme-
ai nipoti parlano
così… cioè [i nipoti] diatamente riconoscibile è il vocalismo atono finale a cinque vocali.
devono crescere così!".
È questa la caratteristica maggiormente avvertita anche dai parlanti
19. Il paragrafo è che non hanno contezza della struttura vocalica o della sua origi-
basato sulle seguenti
fonti: Rohlfs 1966, ne: non è raro, infatti, parlando con un genzanese, ma anche con
Lorenzetti 1998, qualsiasi altro abitante dei Castelli, sentirsi dire che i genzanesi par-
Gallenzi-Gallenzi
2014. lano tutti con la “u”. Del vocalismo atono finale si è già trattato nel
62
paragrafo riguardante le caratteristiche dei dialetti mediani: è pro-
prio infatti il mantenimento della distinzione tra -Ō e -Ŭ originarie
uno dei tratti che accomuna il dialetto genzanese con questi ultimi
(QUANDŌ > quanno, BŎNUM > bonu).

- L’assimilazione progressiva è un altro dei tratti presenti anche nei


dialetti mediani ed è una caratteristica oggi ancora molto produtti-
20. Il testo è tratto da
va. Così come per l’area mediana, si ha assimilazione ancora attiva uno dei questionari
distribuiti ai fini della
nei nessi -ND e -MB, mentre per il nesso -LD sopravvive il relitto di raccolta di dati per
callo (caldo) e derivati. È però un tratto che il parlante tende a eli- il presente lavoro. Il
parlante è un ragazzo
minare quando vuole elevare il registro, perché appunto marca uno di 18 anni. Se ne dà la
traduzione: "Questa
stile più basso. Nonostante ciò lo si trova ancora in modo abbastanza mattina ho mangiato
la pizza con mia
omogeneo anche tra i giovani: «Stammatina so magnato a pizza co sorella".

sorima»20; oppure: «È rinomata Genzano pe’ ’o pa’, pe’ ’o vino, pe’ ’e 21. Il testo è la trascri-
zione di una registra-
ciammellette, pe’ ’a ’Nfiorata, è rinomata pe’ parecchie cose» .
21
zione effettuata in fase
di studio preliminare
- Per quanto riguarda, invece, gli esiti di -L preconsonantica, a Gen- per il presente lavoro.
Il parlante è un
zano sono presenti due dei tre esiti possibili: il dileguo: «’Na vota ragazzo di 17 anni. Se
ne dà la traduzione:
unu che era tenuto sempre u somaru, arzò ’a mattonella, piò i rispar- "Genzano è rinomata
per il pane, per il vino,
mi de ’na vita e ce se ì a comprà ’a maghina.»22 (Gallenzi-Gallenzi per le ciambellette al
2015: 73) e la rotacizzazione, che però è presente in misura assolu- vino, per l’Infiorata, è
rinomata per parec-
tamente minoritaria: «[…] [i nemesi] vonno più be’ ai sordi che a’e chie cose".

moji»23 (Gallenzi-Gallenzi 2015). 22. "Una volta, uno


che aveva sempre
avuto l’asino, alzò la
- Un altro tratto in comune con l’area mediana, ma anche con l’area
mattonella, prese i
romana, è la mancata chiusura della e protonica. Lo scempiamen- risparmi di una vita e
ci si andò a comprare
to di -r- intensa, altro tratto del romanesco moderno, non si ha nel una macchina".

dialetto arcaico, ma nelle nuove generazioni è sempre più presente. 23. "[…] [i nemesi]
vogliono più bene ai
- In comune con il dialetto romanesco, invece, il genzanese ha la soldi che alle mogli".

caduta di -LL- nei derivati di ILLE e i suoi composti: «Quanno ’rriva 24. "Quando arriva
la primavera, tutto
’a primavera, tuttu ’u monnu se risvìa. A mì, ’nvece, me vè ’a ceca- il mondo si risveglia.
A me invece viene
gna…»24 (Lucia ‘a Panacca, 1999: 68); sonnolenza…".

63
«Era mezzuggiornu passatu e ’n vignarolu genzanese steva a rivenis-
sine via da’a vigna che teneva sotto a Civita»25 (Gallenzi-Gallenzi
2015: 69).

- L’epitesi della particella ne, tratto già caratteristico dell’area media-


na, è presente anche a Genzano. Essa ha la funzione di dare a una
parola tronca un andamento piano. Nel genzanese antico era molto
produttiva (piùne ʻpiùʼ, peròne ʻperòʼ, cosìne ʻcosìʼ); oggi, invece, è
difficile ascoltarla se non dalla voce di qualche anziano: «Sì capito
tùne?»26 (Lucia ’a Panacca 1999: 23). Tra i giovani è invece utiliz-
zata solo in casi scherzosi o con valore enfatico, si limita sostanzial-
mente a sine e none. È invece più viva ancora oggi l’epitesi di vocale
atona dopo la vocale tonica alla fine di parole che terminano per
consonante (la lingua italiana infatti tende sempre a evitare la termi-
nazione consonantica) (Rohlfs 1966): «Ma che te sì ’mmattitu? Me
vié addosso senza fermatte? Ma nu’o vedi che tié ’u cartellu co scritto
stoppe?» 27 (Gallenzi-Gallenzi 2015: 73).

- Anche la tendenza ad affricare la s dopo la n, dopo la l (ma la l il più


delle volte tende a cadere, impedendo così il fenomeno) e dopo la r
non è esclusiva del genzanese, ma è anch’essa un tratto ancora asso-
lutamente presente e vivo. È un tratto automatico, che non risente
di nessun tipo di variazione. Borza (borsa), penzo (penso), ’nzomma
25. "Era mezzogiorno
passato e un vignarolo (insomma) ne sono solo alcuni esempi.
genzanese stava an-
dando via dalla vigna
che possedeva sotto - Un altro tratto proprio del genzanese, uno di quelli che anche i
Civita [Lanuvio]."
parlanti non esperti riconoscono come caratterizzante, è l’innalza-
26. "Hai capito tu?".
mento della vocale bassa -a nella vocale medio alta -é o addirittura
27. "Ma che sei impaz-
zito? Mi vieni addosso
nella vocale alta -i dopo l’accento: stevino per ʻstavanoʼ, mànchino per
senza fermarti? Ma
ʻmancanoʼ. È però un tratto avvertito come basso.
che non lo vedi che hai
il cartello con scritto
stop?". - La lenizione postnasale, che è, come detto, un tratto presente e an-

64
cora molto produttivo nella zona mediana, è invece quasi del tutto
assente a Genzano: la lenizione di t dopo nasale, non avviene mai,
mentre può avvenire la lenizione di c, come nel caso di palanga. È
presente e ancora abbastanza produttiva, invece, la tendenza a le-
nire l’occlusiva velare sorda in posizione intervocalica, tratto anche
romano, che diventa un suono intermedio tra sordo e sonoro. È il
caso di maghina. La lenizione di t intervocalica, invece, si riscontra
soprattutto tra le generazioni più anziane come ad esempio in fadica
ʻfaticaʼ o padate ʻpatateʼ. Questo tratto è però appunto una tendenza:
non è un fatto sistematico e non avviene con l’occlusiva p. Si registra
invece una generalizzata tendenza al mantenimento delle sorde eti-
mologiche tra vocali o tra vocale e vibrante: è il caso di patre (padre),
matre (madre), lacu (lago), latru (ladro), ecc.

- È un tratto molto produttivo la presenza di aferesi, in particola-


ri condizioni fonotattiche (presenza, dopo la vocale, di n- precon-
sonantico; prefisso ar-), all’inizio di articoli, aggettivi dimostrativi,
preposizioni, sostantivi: metteva ’n bocca (metteva in bocca), c’era
’n falegname (c’era un falegname), quanno ’riveva (quando arrivava)
ecc. Si riscontra anche la presenza dell’aferesi in posizione iniziale
con tutti gli elementi già citati, ma anche nei nomi propri: ’Ntognu
(Antonio), ’Ngelì (Angelino).

- L’anafonesi, che come noto è un tratto proprio dei dialetti toscani (e


specificamente del fiorentino, da cui è passato all’italiano standard),
è infatti assente a Genzano così come in altre zone dell’Italia me-
diana. Sono quindi caratteristiche parole come fongu ʻfungoʼ, ogna
ʻunghiaʼ, onto ʻuntoʼ ecc.

- Anche la metatesi della r, il fenomeno per cui la r postconsonan-


tica della seconda sillaba di una parola si unisce alla consonante o
65
al gruppo consonantico iniziale (Rohlfs 1966, § 322), è un tratto
produttivo a Genzano ed è uno di quelli che anche i parlanti identifi-
cano come caratterizzante. Si dice crompà per ʻcomprareʼ, drento per
ʻdentroʼ, crapa per ʻcapraʼ ecc. Attualmente però l’utilizzo del tratto
è in recessione.

- L’esito gn (nasale palatale) da -NJ e -NG è un tratto che il genzane-


se ha in comune col romanesco post-cinquecentesco, ed è un tratto
ancora assolutamente produttivo e quasi automatico per l’esito da
-NJ, mentre è marcato in modo più basso l’esito da -NG. La nasale
palatale viene utilizzata in alcuni casi anche a inizio parola, quando
il normale esito in italiano sarebbe la nasale dentale o la nasale vela-
re: gnudo ʻnudoʼ, gnottì ʻinghiottireʼ, gniciunu ʻnessunoʼ.

Un caso particolare, ma molto importante per la caratterizzazione


del dialetto genzanese, è il pronome personale gne (che presenta la
nasale palatale al posto dell’italiana palatale laterale di gli) che corri-
sponde in italiano ai pronomi personali maschili e femminili singola-
ri gli e le e al pronome personale plurale loro: «Gne nascì sta fia e nu’
gne dette manco ’o latte, gnente!»28 (Gallenzi-Gallenzi 2015: 195)

2.4.2 Caratteristiche morfologiche 29

- Così come la distinzione tra -o e -u è uno dei tratti più sentiti e


28. "Le nacque questa
figlia e non le dette caratterizzanti del dialetto genzanese, altrettanto vale per ciò che ne
nemmeno il latte,
deriva: il mantenimento del neutro latino. Del neutro latino si è già
niente!".
parlato durante la trattazione riguardante l’Italia mediana e, infatti,
29. Anche questo
paragrafo è basato questo tratto non è esclusivo del genzanese. È però, per i dialetti dei
su Rohlfs 1967,
Lorenzetti 1998, Castelli che lo posseggono, una delle caratteristiche che più li sposta
Gallenzi-Gallenzi
2014. verso il meridione: «Stu grischianu ’na vota tenne ’n malannu a ’na
66
zampa e s’u curò da solu mettennise co ’na ssedia a séde a cavarcioni
a’a botte co ’a zampa a mollo pe fasse ’i ’mpacchi co ’o vino roscio.
Aho, mettetela ’n po’ comme ve pare, ma s’è guaritu»30 (Gallenzi-
Gallenzi 2015: 35).
In genzanese, quindi, il genere è strutturato in questo modo: per il
femminile si hanno l’articolo la/’a e le desinenze -a o -e (’a tanfa ʻla
puzzaʼ, ’a matre ʻla madreʼ); per il maschile si hanno l’articolo lu/’u
e le desinenze -u o -e (’u luffu ʻil reneʼ,’u maése ʻil maggeseʼ); per il
neutro si hanno l’articolo lo/’o e le desinenze -o o -e (’o belletto ʻil
rossettoʼ;’o fume ʻil fumoʼ).
30 "Questo cristiano
Residui del genere neutro latino si riscontrano anche però in alcuni una volta ebbe un
malanno a una gamba
sostantivi che hanno il plurale: in questo caso si mantiene la desi- e se lo curò da solo
mettendosi con una
nenza in -A del plurale neutro: «C’era ’n nemese che steva ’n causa, sedia a sedere a caval-
cioni alla botte, con la
perché l’erino accusato che ’u porcu (teneva ’n porcu a pasce) s’era gamba immersa per
farsi gli impacchi con
magnato ’e mela fraciche pettèra e ’u proprietariu d’u terrenu l’era
il vino rosso. Mettete-
denunciatu»31 (Gallenzi-Gallenzi 2015: 20). la un po’ come volete,
ma è guarito".

- Un altro tratto che Genzano ha con l’area mediana è il possessivo 31 "C’era un nemese
che era in causa,
enclitico, tratto di cui si è appunto già parlato nel capitolo preceden- perché lo avevano
accusato che il maiale
te. Se ne dà un esempio inserito nel dialetto genzanese: «’A mmatina (aveva un maiale a
pascolare) avesse
de ’u primu aprile, m’ero ’ncaponita da nu’ escì da casa. ’U moti-
mangiato le mele
vu c’era: tutti l’anni chillu fregnacciaru de Brocculò me faceva trovà rovinate per terra e
il proprietario del
comme pesce d’aprile, ’n pitale pieno zeppo de vino, fora ’a porta de terreno lo aveva
denunciato".
càsima»32 (Lucia a’ Panacca 1999: 52).
32 "La mattina del
primo aprile, mi ero
- Ancora in comune con la zona mediana e meridionale, il genza- incaponita di non
uscire di casa. Il
nese ha l’utilizzo di tenere al posto di avere. Ma a Genzano tenere è motivo c’era: tutti gli
utilizzato anche al posto di dovere in costruzioni del tipo: tengo da anni, quel bugiardo
di Brocculò mi faceva
fa ʻho da fareʼ. Questo tipo di utilizzo del verbo tenere è un altro dei trovare, come pesce
d’Aprile, un vaso da
tratti più caratterizzanti del dialetto, che viene riconosciuto come notte pieno zeppo di
vino, fuori la porta di
tale anche dai parlanti del resto dei Castelli. casa mia."

67
«Tenemo da ì a Palermo a vedè certa robba de computere […]»33
(Lucia ‘a Panacca 1999)

- Per quanto riguarda la morfologia verbale, si daranno di seguito, a


titolo esemplificativo i paradigmi nei modi e tempi più utilizzati dei
verbi essere e tenere (verbo che come già detto sostituisce sistemati-
camente avere non ausiliare). (Tabb. I, II).
Il passato remoto del modo indicativo è utilizzato in genzanese mag-
giormente come tempo narrativo, per storie lontane nel tempo (fui
e fosti sono infatti forme molto rare). È sostituito per gli altri usi dal
passato prossimo.
Il congiuntivo presente e passato, invece, è usato molto raramente,
soprattutto per influsso dell’italiano. È sostituito dal congiuntivo im-
perfetto o trapassato oppure dall’ imperfetto o trapassato prossimo
dell’indicativo (Gallenzi-Gallenzi 2014).
È interessante notare come in genzanese sia sistematica l’estensione
analogica (fenomeno per cui una desinenza o un altro contrassegno
della flessione possono venire associati a un altro o più verbi) della
seconda coniugazione dei verbi, che si impone in moltissimi casi al
posto della prima e a volte anche al posto della terza: améva per
33. "Dobbiamo
andare a Palermo a ʻamavaʼ, lasceva per ʻlasciavaʼ, risparagnémo per ʻrisparmiamoʼ, face-
vedere certa roba di
computer […]". mo per ʻfacciamoʼ, sentevi per ʻsentiviʼ, guardeva per ʻguardavaʼ ecc.
34. "Bello o brutto,
fate un po’ voi, è che «O bello o brutto, facete ’n po’ voi, è che ssu poracciu da’a finestra
questo poveraccio
dalla finestra delle de’e carceri, a stommicu votu, guardeva propio drento ’a finestra de
carceri, a stomaco
vuoto, guardava ’a cucina de casa sia, ’ndó ’a matre coi fratelli stevino a cenà co ’a
proprio dentro la
finestra della cucina frittata fatta co l’ova che era rubbato issu…»34 (Gallenzi-Gallenzi
di casa sua, dove la
madre con i fratelli
2015: 93).
stavano cenando con
la frittata fatta con le - Molto importante per la riconoscibilità del dialetto genzanese è la
uova che aveva rubato
lui…". forma arcaica del verbo andare: nell’indicativo presente, la prima e la
68
Tabella I - Paradigma del verbo essere

INDICATIVO
Presente Imperfetto Passato remoto Futuro semplice
io sò io èro io fui Io sarrajo
tu si tu èri tu fosti tu sarrai
issu/essa è issu/essa èra issu/essa fu issu/essa sarrà
noi sémo noi èssimo noi èssimo noi sarrémo
voi séte voi èssivo voi èssivo voi sarréte
issi/esse sò (ènno) issi/esse èrino issi/esse funno issi/esse sarranno

Passato Prossimo Trapassato Prossimo Trapassato Remoto Futuro anteriore


io sò statu/stata io èro statu/stata io sarrajo statu/stata
tu si statu/stata tu èri statu/stata tu sarrai statu/stata
issu/essa è statu/stata issu/essa èra statu/stata issu/essa sarrà statu/stata
noi sémo stati/state noi èssimo stati/state Non attestato noi sarrémo stati/state
voi séte stati/state voi èssivo stati/state voi sarréte stati/state
issi/esse sò stati/state issi/esse èrino stati/state issi/esse sarranno stati/state

CONGIUNTIVO
Presente Imperfetto Passato Trapassato
io sia io fusse io sia statu/stata io fusse statu/stata
tu sia tu fussi tu sia statu/stata tu fussi statu/stata
issu/essa sia issu/essa fusse issu/essa sia statu/stata issu/essa fusse statu/stata
noi sémo noi fùssimo noi sémo stati/state noi fùssimo stati/state
voi siate voi fussiate voi siate stati/state voi fussiate stati/state
issi/esse sìeno issi fùssino (fùssero) issi/esse sìeno stati/state issi fùssino (fùssero)
stati/state

CONDIZIONALE
Presente Passato
io sarìa io sarìa statu/stata
tu sarissi tu sarissi statu/stata
issu/essa sarìa issu/essa sarìa statu/stata
noi sarìssimo noi sarìssimo stati/state
voi sarìssivo voi sarìssivo stati/state
issi sarìino issi sarìino stati/state

69
Tabella II - Paradigma del verbo tenere

INDICATIVO
Presente Imperfetto Passato remoto Futuro semplice
io tèngo io tenévo io ténni Io terrajo/tenerajo
tu tié/chié tu tenévi tu ténni tu tenerai
issu/essa tè issu/essa tenéva (tenéa) issu/essa ténne issu/essa tenerà
noi tenémo noi tenéssimo noi tenéssimo noi tenerémo
voi tenéte voi tenéssivo voi tenéssivo voi teneréte
issi tènno issi tenévino issi tènnino issi teneranno

Passato Prossimo Trapassato Prossimo Trapassato Remoto Futuro anteriore


io sò tenuto io ero tenuto io sarrajo tenuto
tu si tenuto tu eri tenuto tu sarrai tenuto
issu/essa ha tenuto issu/essa era tenuto issu/essa sarrà tenuto
noi sémo tenuto noi èssimo tenuto Non attestato noi sarrémo tenuto
voi séte tenuto voi èssivo tenuto voi sarréte tenuto
issi/esse ònno tenuto issi/esse èrino tenuto issi/esse sarranno tenuto

CONGIUNTIVO
Presente Imperfetto Passato Trapassato
io tenesse io fusse tenuto
tu tenessi tu fussi tenuto
Non attestato issu/essa tenesse Non attestato issu/essa fusse tenuto
noi tenessiamo noi fussimo tenuto
voi tenessiate voi fussiate tenuto
issi/esse tenéssino issi/esse fùssino (fùssero)
tenuto

CONDIZIONALE
Presente Passato
io terrìa io sarìa tenuto
tu tenerissi tu sarissi tenuto
issu/essa terrìa issu/essa sarìa tenuto
noi tenerìssimo noi sarìssimo tenuto
voi tenerìssivo voi sarìssivo tenuto
issi/esse tenerìino issi sarìino tenuto

70
seconda persona plurale derivano dal verbo latino ĔO. Sono quindi
presenti le forme EĀMUS > jamo e EĀTIS > jate al posto delle for-
me che derivano da AMBITARE. La prima persona singolare vajo
è ricalcata analogicamente sulla prima persona singolare di avere:
ajo. Anche la forma dell’infinito è una forma arcaica: si dice infatti
ire. Per quanto riguarda il participio passato vale lo stesso discorso:
anch’esso è in forma arcaica: ito/ita (Lorenzetti 1987).

- Un altro tratto che riesce immediatamente a rendere riconoscibile


il dialetto di Genzano sono i suoi aggettivi e pronomi dimostrativi.
Così come altri dialetti della zona mediana il genzanese presenta la
stessa suddivisione tripartita – vicino a chi parla, vicino a chi ascolta,
lontano da entrambi – che ha l’italiano di base toscana con: questo,
codesto e quello: chistu/chisti, chésta/chèste, chésto per ʻquesto/aʼ e
ʻquesti/eʼ; chillu/chilli, chélla/chelle, chéllo per ʻquello/aʼ e ʻquelli/eʼ;
chissu/chissi, chéssa/chésse, chésso per ʻcodesto/aʼ e ʻcodesti/eʼ. La ter-
za forma del dimostrativo, quella che termina in -o, è la forma neu-
tra. Nell’uso aggettivale sono presenti anche le forme abbreviate, ad
esempio: ’stu per chistu o ’ssa per chéssa. Pur non avendo metafonesi
nominale, il genzanese ne presenta tracce proprio nei dimostrativi:
si nota infatti la differenza di vocale tonica tra, ad esempio, chillu e
chélla. La vocale tonica di chillu innalza in -i- proprio per influsso
dell’originaria -u latina (Gallenzi-Gallenzi 2014).

«Curre currenno,

ficca ficchenno,

fa chella cosa
35. Indovinello
genzanese, tratto da:
e poi se riposa»35.
http://gallenzimirco.
altervista.org/. La
riposta è: la chiave.

71
- Ancora, molto importanti per la caratterizzazione del dialetto gen-
zanese sono i suoi pronomi personali soggetto, che sono:

Io

Tu

Issu

Éssa

Ésso (questa è la forma per il neutro, da non confondere con l’avver-


bio èsso o con il pronome italiano esso.)

Noi/noa (la forma noa è arcaica e non più usata attualmente)

Voi/voa (la forma voa è arcaica e non più usata attualmente)

Issi

Ésse.

Anche il pronome personale issu, come il dimostrativo chillu, pre-


senta metafonesi: la é innalza in i pe influsso della -u finale origina-
ria latina.

I pronomi personali oggetto sono, invece: me, te, lu/’u, la/’a, lo/’o,
ce, ve, li/’i, le/’e. Le forme integrali sono di solito utilizzate solo in
posizione enclitica. È spesso presente una contrazione del pronome
personale con il verbo che lo precede, con conseguente allungamen-
to della vocale: hâ vista? ʻla hai vista?ʼ (Gallenzi-Gallenzi 2014)

2.4.3 Caratteristiche sintattiche

- Come pronomi e aggettivi dimostrativi, anche ecco, considerato


generalmente un avverbio, ha un sistema tripartito. In genzanese si

72
usa ecco, coniato sulla base di eccum, per indicare qualcosa vicino a
chi parla; si usa èsso, coniato sulla base di ipsu, per indicare qualcosa
vicino a chi ascolta; si usa èllo, coniato sulla base di illu, per indicare
qualcosa lontano da chi parla e da chi ascolta. Ecco, èsso e èllo, come
in italiano per ecco, possono essere combinati con i pronomi perso-
nali atoni e le particelle pronominali: ècchime, ècchine, èsselu, èsseli,
èllele ecc; possono esistere anche combinazioni tra pronome e par-
ticella: ècchitelu, èllitelu, ècchitene ecc. (Rohlfs 1969, Gallenzi-
Gallenzi 2014).

«NANNINA: “Bongiorno, Peppì, che séte portato stammatina?”

PEPPINO: “Oh èsso, du’ rape, du’ broccoletti; quanti ve ne faccio?”»


36
(Gallenzi-Gallenzi 2015: 172).

- In italiano, oltre al nesso semplice verbo+infinito derivante diret-


tamente dal latino (ad esempio ʻdevo studiareʼ) esistono diversi co-
strutti che implicano l’infinito retto da preposizione (ad esempio ʻsto
per mangiareʼ). In genzanese è molto comune infatti l’utilizzo della
preposizione da davanti all’infinito in presenza del verbo modale
dovere. Come già accennato in precedenza, però, in dialetto il verbo
avere viene sistematicamente sostituito con il verbo tenere Si hanno 36."NANNINA:
“Buongiorno, Peppi-
quindi costrutti di questo tipo: tengo da ì a lavoro ʻdevo andare a no, cosa avete portato
questa mettina?”
lavoroʼ (Rohlfs 1969, § 713). PEPPINO “Oh ecco,
due rape, due broc-
coletti; quanti ve ne
- In italiano la circonlocuzione verbale più diffusa è sicuramente sta- faccio?”".
re + gerundio. Il verbo stare però in dialetto può essere sostituito da
37. "Tanti anni fa giù
altri verbi: è proprio il caso di Genzano, che al posto di stare utilizza al lago ci stava un
genzanese che aveva
andare: «Tanti anni fa giù au lacu ce steva ’n genzanese che teneva come vicino di terra
un nemese. Il genza-
comme vicinu de tera ’n nemese. ’U genzanese java zappenno sotto nese stava zappando
’na macèra, quanto pia e esce fora ’na linterna. ’A va a strofinà pe’ sotto un muretto,
quando esce fuori una
pulilla e chiappa e esce fora ’u gegnu37 […]» (Gallenzi-Gallenzi lanterna. La strofina
per pulirla e esce fuo-
2015: 18) (Rohlfs 1969, § 720) ri il genio […]"

73
- Uno altro tratto che maggiormente rende riconoscibile il dialetto
genzanese è lo scambio degli ausiliari. Per ciò che riguarda Genzano,
vale ciò che si è già detto riguardo l’Italia mediana: l’ausiliare esse-
re viene esteso anche ai verbi transitivi, con l’eccezione della terza
persona singolare e plurale, che prende l’ausiliare avere. Lo scambio
degli ausiliari avviene solo al passato prossimo, per gli altri tempi
verbali è invece generalizzato l’uso di essere. In presenza del prono-
me clitico riflessivo, in costruzioni, quindi, del tipo: Anna si è man-
giata la pasta, la scelta dell’ausiliare non è precisamente definita, in
generale viene preferito l’ausiliare essere, ma non sono pochi i casi in
cui viene usato avere, con costruzioni del tipo: Anna s’ha magnato ’a
pasta. (Tufi 2005).

2.4.4 Esempi lessicali

Il genzanese ha la fortuna, che non hanno invece altri dialetti dei


Castelli, di possedere un suo vocabolario, redatto da Mirco e Ales-
38. Una versione sandro Gallenzi (Gallenzi-Gallenzi 2014). Per una più esaustiva
non completa del
vocabolario si può descrizione lessicale si rimanda pertanto al suddetto vocabolario38.
trovare anche on line
all’indirizzo http:// Senza quindi avere la pretesa di offrire una panoramica completa del
gallenzimirco.altervi-
sta.org/. lessico genzanese, si daranno in questa sede esempi lessicali, avver-
39. Péntima: un luogo titi come caratteristici (se pure non appartenenti solo al genzanese),
presso Agazzano
(Piacenza); Péntema: suddivisi per tipologia.
frazione di Torriglia
(Genova) e Pentemi- Per quanto riguarda voci relative alla geografia o al paesaggio si se-
na: un torrente presso
la cittadina; Péntama: gnalano: in primis pentime che ha il significato di ʻterreno in pendio
presso Lecce assume
il significato di sulle rive dei laghi vulcanici dei Colli Albaniʼ (Prati 1934). Il Prati
"macigno" (Prati
1934). Pèntima, oggi documenta la presenza del termine non solo per la zona di cui si
Corfinio, è un paese
in provincia dell’A- occupa questo studio, ma anche in altre zone d’Italia39. È un voca-
quila (Stefinlongo
1990). bolo molto utilizzato, appunto, in riferimento alle coste del lago, che
74
diventano ’e pentime d’u lacu. La sua origine risulta essere addirittura
prelatina: nel suo Grande dizionario della lingua italiana, Salvato-
re Battaglia la definisce «Voce di area laziale, dal latino medievale
pentoma (nel 1005 a Roma), di origine prelatina». La sua prima at-
testazione risalirebbe, secondo il Prati, agli anni tra il 999 e il 1158,
anni cui risale il Code Cajetani, in cui occorre il termine (cfr. anche
Stefinlongo 1990). Si cita inoltre arberi pizzuti che letteralmente
ha il significato di ʻcipressiʼ ma per estensione assume il significato di
ʻcimiteroʼ. Si ricordano anche macera ʻdirupoʼ e sprefonnu ʻburrone,
precipizioʼ.

Relativamente all’ambito del corpo umano e delle sue malattie si se-


gnalano: barbozzu per ʻmentoʼ, bifera per ʻnaso lungoʼ, ’e frocia per
ʻnariciʼ, ganna e gargarozzu per ʻgolaʼ, nasca per ʻgrosso nasoʼ, muccu
per ʻfacciaʼ, ’ncacchiatura per ʻarticolazioneʼ, acquarolu per ʻvescica
piena d’acquaʼ, ficozzu per ʻbernoccoloʼ, malaccio per ʻmalattia
incurabileʼ, tinticarellu per ʻsensazione fastidiosa dovuta al mal di
gola accompagnata da frequenti e brevi colpi di tosseʼ, luggeretta per
ʻaftaʼ.

Relativamente, invece, alle voci riguardanti la “cultura materiale” si


citano: accia per ʻquantità di filo che si infila nell’ago per cucireʼ, af-
fare per ʻcosa, aggeggioʼ, aratu per ʻaratroʼ, arca per ʻmadia dove si
impastava e custodiva il paneʼ, bagnarola per ʻbacinella utilizzata per
il trasporto del bucatoʼ, baròzza per ʻcarrozzaʼ, barzu per ʻlo stelo di
una spiga utilizzato per legare il fascioʼ, battilonto per ʻpiano di legno
per battere il lardo o altroʼ, bigonzu per ʻbigonciaʼ o ʻgran quanti-
tà di qualcosaʼ, bompesu per ʻmerce che il commerciante aggiunge
gratuitamente a quella già pesata da pagareʼ, buàtta per ʻrecipiente
di latta per liquidiʼ, buzzicu per ʻbarattolo di lattaʼ, capupezzu: è il
direttore della disposizione dei fiori in un quadro durante i prepa-

75
rativi per l’Infiorata, catana per ʻtascapane per la vignaʼ, conchina-
nale per ʻaltalenaʼ, cucchiarella per ʻcucchiaio in legno da cucinaʼ,
gnommeru per ʻgomitoloʼ, monnelu per ʻscopetta per pulire i forni
del paneʼ o ʻpersona molto sporcaʼ, mmuttatore per ʻimbutoʼ, picchiu
per ʻtrottola di legnoʼ, sorecchiu per ʻfalcetto a mezza lunaʼ, straccali
per ʻbretelle che reggono i pantaloniʼ, zinale per ʻgrembiuleʼ.

In ambito di flora e fauna, si citano invece: arzilla per ʻrazzaʼ (pe-


sce), barbadefrati per ʻpianta selvatica simile alla caccialepreʼ, ber-
vu per ʻbelvaʼ, biocca per ʻchiocciaʼ, bucalossu: è un tipo di pianta
selvatica, cardarella per ʻcetonia dorataʼ: è un insetto che i bambini
legano a un filo e portano con sé, filamaria: è una falena diurna, dal
volo lento, nera con una striscia gialla o arancio intorno all’addome
e le ali punteggiate di bianco, fucerdola per ʻlucertolaʼ, fucivola per
ʻbisciaʼ, granatu per ʻmelogranoʼ, grattaculu per ʻagrifoglioʼ, meri-
colu per ʻmoraʼ, ’mmazzasomari: è la Vespa Crabro, un vespide di
grosse dimensioni, il comune calabrone, temuto per le sue punture,
nastrinu: è un fiore simile alla margherita, di vari colori, radica per
ʻradiceʼ, ricacciu per ʻpolloneʼ, trombone: è un fiore giallo pendente
dal lungo stelo, vellutinu: è un fiore selvatico simile al giglio.

Per quanto riguarda la gastronomia si ricordano: assognó per


ʻsugnaʼ, bricocola per ʻalbicoccaʼ o ʻalbicoccheʼ, bussolanu: è un tipo
di biscotto natalizio molto duro preparato con farina, miele e noc-
ciole, callalessa per ʻcastagna lessaʼ, cannacce: sono un formato di
pasta simile al bucatino, ma con diametro molto più largo, carcio-
felu per ʻcarciofoʼ utilizzato anche in senso figurato, cazzimperu per
ʻpinzimonioʼ, cotica per ʻcotennaʼ, fargna: indica un porcino sfatto,
maregnanu per ʻmelanzanaʼ, ojosa: è una pianta di insalata selvatica,
pallaceto: tipo di pane condito con aceto, peparolu: è un tipo di fungo
commestibile simile al galletto, perdiconcinu: è una specie di prugna

76
piccola e violacea, perzica per ʻpescaʼ, torzu per ʻtorsoloʼ.

Tra i verbi caratteristici del dialetto genzanese si citano: baccajà per


ʻsgridareʼ, ’bbottà per ʻgonfiareʼ utilizzato anche in senso figurato:
’bbottasse di cibo, ’bbozzà per ʻaccettare qualcosa di sgradevoleʼ,
’bioccasse è riferito alla chioccia e significa ʻentrare nel perio-
do della covaʼ, per estensione assume il significato di ʻappisolarsi,
abbattersiʼ, capecce per ʻentrarci, avere spazio a sufficienzaʼ, ’cciuccià
per ʻlegare i capelliʼ, concallasse per ʻputrefarsi o guastarsi per il trop-
po caldoʼ, mazzolà per ʻdare una mazzata, maltrattareʼ, mentuà per
ʻnominare, menzionareʼ, ’mmuccasse per ʻmettere il broncioʼ, ’mpe-
cettà per ʻmacchiareʼ, ’mpiccasse per ʻfare fatica, dannarsiʼ, ’ncoccià
per ʻscaldare la testa a causa del troppo soleʼ, panogne per ʻungereʼ,
ribbudicchià per ʻavvolgereʼ, sbadizzasse per ʻagitarsi, inquietarsiʼ,
schiumà per ʻsoffrire per il caldo afosoʼ, sgofonasse per ʻmangiare un
agrande quantità di ciboʼ, sgrugnà per ʻcausare un’escoriazioneʼ.

Si segnalano inoltre alcune voci che si riferiscono alla “caratteriz-


zazione” della persona: bambació per ʻscioccoʼ, beccamortu per
ʻstupido, scioccoʼ, boccalone per ʻingenuo, creduloneʼ, cazzabbub-
bolu per ʻbabbeoʼ, ciciosu per ʻlagnosoʼ, lacarolu per ʻpersona che si
reca spesso al lagoʼ.

77
3. L’INDAGINE

3.1 Lo scopo dell’indagine

A partire dall’unità d’Italia si è notevolmente accelerata la diffusio-


ne dell’italiano, grazie ai nuovi mezzi di comunicazione, come la
radio all’inizio e successivamente la televisione, ma anche grazie a
una maggiore mobilità della popolazione. La diffusione dell’italiano
è testimoniata, oltre che dalla crescente espansione della lingua al
posto del dialetto nell’uso parlato, anche dalla progressiva italianiz-
zazione di quest’ultimo. Confrontando le indagini statistiche è evi-
dente come coloro che si dichiarano dialettofoni siano in continua
diminuzione. Le indagini statistiche cui ci si riferisce sono quelle
condotte da due enti: uno privato, la Doxa, e uno pubblico, l’ISTAT.
La Doxa ha iniziato le rilevazioni sul dialetto nel 1974, anno in
cui coloro che affermavano di utilizzare il dialetto erano il 51,3%,
la maggioranza della popolazione. Già nel 1982 il dato era sceso al
46,7%, fino ad arrivare nel 1996 al 32,4%. Questa generale riduzione
della dialettofonia ha però subito una battuta d’arresto già a partire
dal 1991, contemporaneamente ad un incremento dei casi di utiliz-
zo alternato di dialetto e lingua. Infatti, passando ai dati dell’ISTAT,
che coprono anche gli anni più recenti, infatti, notiamo che negli
anni tra il 2000 e il 2006 ci sono state soltanto minime oscillazioni:
coloro che si dichiarano dialettofoni sono scesi al 16% con amici, al
13,2% in famiglia, al 5,4% con estranei. L’utilizzo alternato si è invece
mantenuto stabile. Per questo motivo non è raro sentir lamentare
una progressiva scomparsa dei dialetti, addirittura, a volte, una loro
definitiva morte. Ma benché il dialetto sia progressivamente meno
usato, come ci mostrano le statistiche appena esaminate, ciò non si-

78
gnifica che stia necessariamente scomparendo: abbiamo visto infatti
come, arrivata ad una certa soglia, la diminuzione dei dialettofoni si
stia mantenendo stabile. La padronanza dei dialetti è quindi ancora
viva e presente sì nelle generazioni più anziane, ma anche in quelle
più giovani. Sono ormai molto diffusi in rete siti in cui viene utiliz-
zato il dialetto, ma anche sui social network si diffondono sempre
più pagine in cui l’utilizzo di quest’ultimo è fondamentale per dare
espressività e rendere al meglio ciò che si vuole comunicare: ne è
un calzante esempio la pagina Recensire con pressappochismo, che
utilizza il dialetto romanesco e che ha raggiunto ormai un discreto
successo. Sono comuni anche gruppi musicali che per il loro testi
utilizzano il dialetto; si ricordano ad esempio i Modena City Ram-
blers, emiliani, gli Almamegretta, napoletani, o i Sud Sound Sistem,
salentini.
Per quanto il dialetto sia ancora diffuso su tutto il territorio nazio-
nale, la sua conservazione è maggiore nei piccoli centri e minore
nelle grandi città, è maggiore al sud piuttosto che al nord-ovest. Sia
per la Doxa che per l’ISTAT le regioni più dialettofone sono le regio-
ni del nord-est (maggiormente Veneto e Trentino) e le regioni del
sud (maggiormente Calabria e Basilicata) (Avolio 2009, Marcato
2002).
Questa situazione di equilibrio tra una progressiva italianizzazione
da un lato e una rivitalizzazione e ripresa del dialetto dall’altro por-
ta alla necessità di stabilire quanto effettivamente al giorno d’oggi il
dialetto si mantenga, come si modifichi sotto le pressioni della lin-
gua italiana e se i giovani che parlano il dialetto siano solo qualche
eccezione o se la tendenza sia generalizzata.

Il presente lavoro vuole dare un piccolo contributo a questo lavoro


di documentazione dei dialetti moderni fotografando quello del pic-

79
colo centro dei Castelli Romani di cui ci si occupa, Genzano. Si cer-
cherà di capire quanto il dialetto usato nel 2016 sia distante da quello
arcaico, quali sono i tratti ancora vitali, perché vengono mantenuti
proprio quei tratti, forse perché comuni a un altro dialetto più diffu-
so, in quale misura vengono mantenuti. Questo è quindi un lavoro di
documentazione, che mira a restituire al lettore uno spaccato della
lingua che oggi viene parlata a Genzano.

3.2 Il campione dell’indagine

Per portare avanti l’intento stabilito, quindi documentare il dialetto


genzanese al tempo presente e stabilire le sue eventuali modificazio-
ni, si è ritenuto necessario rivolgersi a informatori di giovane età, per
evitare di fissare un dialetto già più arcaico, di generazioni anziane.

Gli intervistati sono quindi ragazzi di età compresa tra i 16 e i 25


anni. La scelta del campione è avvenuta in maniera casuale: sono
stati intervistati ragazzi che normalmente vivono a Genzano, che
escono in piazza o all’Olmata con gli amici, che vanno a scuola a
Genzano e che hanno vissuto a Genzano fin dalla nascita. Si è cerca-
to inoltre di intervistare un campione non appartenente a un unico
livello di istruzione: sono stati intervistati ragazzi che non hanno
finito il liceo, ragazzi che ancora si devono diplomare, ragazzi che
sono già laureati. Ciò per evitare di focalizzarsi su un’unica prove-
nienza, cosa che potrebbe di certo interessare per un altro tipo di
lavoro, e dare invece uno spaccato completo di tutte le tipologie di
gioventù genzanese. I giovani intervistati sono quarantaquattro: ver-
ranno inseriti in una tabella (con relativa età, sesso, professione e ti-
tolo di studio) e numerati, in modo da facilitarne i riferimenti futuri.
80
Informatore Età Sesso Professione Titolo di studio

1 25 M Studente Laurea triennale

2 18 M Studente Licenza media

3 18 M Studente Licenza media

4 19 M Dipendente Licenza media

5 20 M Studente Licenza media

6 17 M Studente Licenza media

7 25 M Dipendente Diploma

8 17 F Studente Licenza media

9 22 M Disoccupato Diploma

10 25 M Libero professionista Diploma

11 25 M Dipendente Diploma

12 23 M Dipendente Laurea triennale

13 25 M Studente Laurea triennale

14 22 F Studente Diploma

15 25 F Disoccupato Diploma

16 25 M Libero professionista Laurea magistrale

17 24 M Dipendente Laurea magistrale

18 21 F Studente Diploma

19 20 F Studente Diploma

20 19 F Studente Diploma

21 22 M Studente Diploma

22 16 F Studente Licenza media

81
Informatore Età Sesso Professione Titolo di studio

23 23 F Studente Laurea triennale

24 20 M Studente Diploma

25 24 F Studente Diploma

26 22 F Dipendente Licenza media

27 25 M Dipendente Diploma

28 25 M Studente Laurea triennale

29 18 F Studente Licenza media

30 23 M Studente Laurea triennale

31 19 M Studente Diploma

32 21 F Studente Diploma

33 19 M Studente Diploma

34 19 F Studente Diploma

35 21 M Studente Diploma

36 19 M Studente Diploma

37 25 M Dipendente Diploma

38 25 M Dipendente Laurea magistrale

39 24 M Studente Laurea triennale

40 18 F Studente Licenza media

41 23 M Dipendente Diploma

42 20 F Tirocinante Diploma

43 18 M Studente Licenza media

44 25 M Studente Diploma

82
3.3 Il metodo dell’indagine

L’indagine è stata portata avanti tramite un questionario scritto che


è stato sottoposto agli informatori personalmente o tramite e-mail.
Il questionario (che può essere visionato nella prima appendice) è
strutturato in tre parti. La prima parte è costituita da una doman-
da aperta, che riguarda la percezione del dialetto da parte degli in-
formatori: “Cosa rappresenta per te il dialetto? Ti piace parlarlo?”.
La domanda è stata inserita al fine di comprendere come i giovani
considerano il proprio dialetto: è un elemento importante della pro-
pria cultura? Lo parlano perché credono sia qualcosa di positivo, da
mantenere, oppure lo parlano perché non sanno fare altrimenti? È
considerato invece un elemento negativo, da abbandonare in favore
dell’italiano? Gli informatori in questa parte avevano tutta la libertà
possibile di esprimere la propria opinione, senza alcuna guida. Al-
cune risposte sono state molto interessanti e pertanto si dedicherà a
questa sezione del questionario un paragrafo apposito.
La seconda parte invece riguarda la conoscenza attiva del dialetto:
sono state sottoposte agli informatori frasi in italiano da tradurre.
Ognuna di queste frasi è stata strutturata in modo da contenere uno
o più tratti del genzanese, che sono stati scelti tra i tanti per la loro
importanza nella caratterizzazione del dialetto. Sono quei tratti, in-
somma, che rendono riconoscibile il dialetto genzanese dagli altri,
che suonano caratteristici a tutti i parlanti, anche e soprattutto a co-
loro i quali non conoscono la linguistica. Traducendo queste frasi,
quindi, il tratto in questione, se utilizzato dal parlante, sarebbe venu-
to fuori. Di seguito si riporteranno le frasi contenute nel questiona-
rio, al fine di esporre quali tratti sono volte a indagare.

83
a) Questa mattina ho mangiato la pizza con mia sorella.
Questa frase indaga precipuamente due tratti morfologici: lo scam-
bio dell’ausiliare, che dovrebbe verificarsi nel passato prossimo del
verbo mangiare, e l’enclisi del possessivo che dovrebbe verificarsi
con il possessivo mia. La corretta resa in genzanese sarebbe infatti:
’Stammatina me so magnato ’a pizza co’ sorima.

b) Ricordi quella volta…?


Anche questa frase indaga due tratti dialettali: l’utilizzo del tipico
aggettivo dimostrativo genzanese chella e la caduta di -L- preconso-
nantica. La corretta resa in dialetto dovrebbe infatti essere: Te ricordi
chella vota…?

c) Oggi ho incontrato il padre di Giulia.


In questa proposizione è invece indagato un solo tratto: l’utilizzo
dell’articolo genzanese ’u. (anche nel primo esempio, peraltro, era
coinvolto l’articolo determinativo, femminile in quel caso). Può però
anche essere un ulteriore riscontro per la valutazione dell’utilizzo
dell’ausiliare essere al posto di avere. La frase giustamente tradotta è
infatti: Oggi so ’ncontrato ’u patre de Giulia.

d) Eccolo che arriva!


La frase indaga l’utilizzo del sistema tripartito dell’avverbio ecco. La
tipologia di frase potrebbe accogliere due risposte esatte: Esselu che
’riva ponendo il caso che chi parla si stia riferendo a una persona che
arriva vicino a chi sta ascoltando, oppure Ellelu che ’riva ponendo il
caso che chi parla si stia riferendo a una persona che arriva lontano
da chi parla e da chi ascolta. In ogni caso la traduzione corretta non
84
potrebbe essere Ecchelu che ’riva perché una persona che sta arrivan-
do non può essere già vicina a chi parla.

e) Domani devo andare a lavoro.


Ancora, la frase indaga due tratti: il primo è l’utilizzo del costrutto
tenere + da + infinito, il secondo è l’utilizzo della forma arcaica ire
per ‘andare’. La corretta resa in dialetto sarebbe infatti: Dimà tengo
da ì a lavoro.

f) Lui gli rispose…


Questa volta i tratti indagati sono: l’utilizzo del pronome personale
di tipo genzanese, issu, e l’utilizzo del pronome personale atono gen-
zanese gne (che corrisponde in italiano ai pronomi personali atoni
ʻleʼ, ʻgliʼ, ʻloroʼ). L’esatta traduzione dovrebbe essere: Issu gne rispo-
se…

g) Una volta incontrammo Chiara giù al lago.


Anche questa volta i tratti indagati sono essenzialmente due: l’utiliz-
zo del passato remoto come tempo narrativo e l’utilizzo del vocali-
smo atono finale a cinque vocali. La proposizione può anche essere
un utile riscontro per l’esito di -L- preconsonantica. La corretta resa
in dialetto è: ’Na vota ’ncontressimo Chiara giù a ’u lacu.

h) Quel giorno stavano a casa tua.


Il tratto indagato in questa frase è l’estensione analogica di coniu-
gazione che, se presente, dovrebbe manifestarsi nel verbo stare. La
frase è anche un riscontro per l’utilizzo dell’aggettivo dimostrativo
genzanese chillu, per l’utilizzo del possessivo enclitico. La resa cor-
retta in dialetto sarebbe quindi: Chillu giornu stevino a casita.
85
i) Quando ero piccolo/piccola mia madre mi portava all’olmata.
In questo caso la frase è un riscontro per l’estensione analogica di co-
niugazione: la seconda coniugazione dovrebbe essere usata in luogo
della prima nel verbo portare. La sua traduzione in dialetto è: Quan-
no ero munellu mi matre me porteva pe’ l’ormi.

l) Durante il giorno il sole è molto caldo.


Questa frase è stata pensata per indagare l’utilizzo del neutro, che
dovrebbe concretizzarsi nel sostantivo giorno, che in questo caso
non indica un giorno preciso, ma semplicemente l’arco temporale
del periodo di luce solare, con il relativo articolo determinativo ’o.
L’esito di questa risposta può essere confrontato con la risposta alla
frase “h”, in cui si parla di un giorno specifico, dove l’esito corretto
sarà chillu giornu. In questa stessa frase è presente un ulteriore so-
stantivo neutro: sole, che deve avere l’articolo neutro ’o. La corretta
traduzione in dialetto è quindi: Durante ’o giorno ’o sole è callo.

m) Hai bevuto il vino?


Il neutro è un tratto che non può essere indagato con una sola frase
o un solo sostantivo. Questo perché una risposta che sembra dimo-
strare l’utilizzo del tratto da parte dell’informatore potrebbe essere
invece specchio di un mancato utilizzo del vocalismo atono a cin-
que vocali (per questo è anche importante confrontare questa ri-
sposta con quelle precedenti: se l’utilizzo del vocalismo atono finale
a cinque vocali è presente avremo una conferma in più che quella
desinenza in -o è effettivamente del neutro). Al contrario, è possi-
bile che una desinenza in -u su un sostantivo neutro possa essere
dovuta a un’ipercaratterizzazione dovuta alla situazione particolare
dell’intervista. Per questo è stata inserita nel questionario un’ulterio-
re domanda dedicata solo al neutro. In questo caso il tratto dovrebbe

86
manifestarsi nel sostantivo non numerabile vino. La sua corretta tra-
duzione è quindi: Sì bevuto ’o vino?.

Come si evince dalla spiegazione frase per frase, la maggior parte dei
tratti indagati ha un riscontro non solo nella frase ad esso dedicata,
ma anche in un’altra frase. Ciò per essere certi che la risposta sia
stata data con cognizione di causa e che non sia, appunto, dovuta
al caso.

Esaminando quindi le traduzioni fornite dall’intervistato, si può sta-


bilire se il tratto analizzato viene utilizzato o meno. Nel momento in
cui nella frase dedicata si verifica l’utilizzo del tratto e questo viene
poi confermato dalla frase di riscontro, si stabilisce che il tratto è
presente in quell’informatore. A questo punto il dato viene inserito
in una tabella a doppia entrata, nelle righe sono inseriti tutti gli in-
formatori, mentre nelle colonne sono inseriti tutti i tratti. Lungo la
riga relativa ad un determinato informatore sono quindi riportati i
dati relativi ad ogni tratto, uno per colonna. Se l’utilizzo di un tratto
è presente solo nella frase dedicata o in quella di riscontro il dato
viene considerato come negativo. Se invece il tratto è presente in più
di due frasi, il dato è considerato come negativo in caso di presen-
za nella minoranza delle frasi. In caso di omissione di traduzione
di una delle frasi da parte dell’informatore, viene considerata per
la valutazione del tratto la frase di riscontro; in caso di assenza del
tratto in una delle due frasi dedicate e in assenza di traduzione di
una di queste ultime, il dato viene considerato come negativo. Le
traduzioni di ogni informatore possono essere visionate nella secon-
da appendice.

87
Di seguito si riporta una tabella dei dati ridotta (in cui sono presenti
i primi quattro informatori e due tratti), dove il sì rappresenta la pre-
senza del tratto e il no la sua assenza, a titolo esemplificativo.

Età Utilizzo del neutro Scambio dell’ausiliare


25 sì sì
18 no sì
18 no sì
19 no sì

La terza parte del questionario è relativa al lessico. Sono state propo-


ste agli informatori diverse parole in dialetto, alcuni modi di dire e
un proverbio da tradurre in italiano. Si tratta quindi in questo caso
di verificare la conoscenza passiva del dialetto. Questa parte è stata
inserita nel questionario per valutare anche la permanenza del les-
sico, l’elemento più superficiale di una lingua, quello, cioè, che più
in fretta può subire modificazioni, aggiunte o perdite. Le parole in-
serite sono state scelte prevalentemente tra i termini della “cultura
materiale”, che purtroppo, ad oggi, inizia ad andare perduta a causa
soprattutto della scomparsa di alcuni mestieri tipici. Sono presenti
anche termini relativi alla gastronomia e uno relativo all’ambiente
naturale. I termini, però, non solo solamente termini “difficili”, cioè
notoriamente scomparsi dall’uso vivo: sono presenti anche parole
più comuni, che possono a volte ancora essere udite, soprattutto dai
non più giovanissimi. Ciò per capire se anche questi termini che
ancora sono usati dai genitori, dagli zii e sicuramente dai nonni, si
possono trovare anche sulla bocca dei giovani. Di seguito si ripor-
teranno i termini inseriti nel questionario con il relativo significato.

a) Mmuttatore: sostantivo maschile; può definire l’imbuto in genera-


le o più nello specifico l’imbuto usato per imbottare il vino.

b) Baccajà: verbo intransitivo; sgridare.


88
c) Straccali: sostantivo maschile; bretelle per i pantaloni.

d) Pallaceto: sostantivo neutro; pane condito, panzanella.

e) Batte ’e brocchette: frase idiomatica; battere i denti per il freddo.

f) Roghi: sostantivo maschile; rovi, pianta spinosa appartenente alla


famiglia delle rosacee (Rubus Ulmifolius).

g) Fà ’a genzanesata: frase idiomatica; lasciare una piccolissima parte


di cibo nel piatto.

h) Stà a schiumà: frase idiomatica; soffrire per il caldo afoso.

i) Ce vònno de Fuligno li funari e de Genzano vecchio i rogaròli: pro-


verbio; a ognuno il suo mestiere. La prima parte del proverbio è
diffusa anche altrove e si riferisce ai noti costruttori di funi di Fo-
ligno. La seconda parte è invece un’aggiunta genzanese e si riferisce
al mestiere del rogaròlo svolto anticamente: venivano raccolti i rovi
da utilizzare per la creazione di corde sfruttate poi come legacci in
agricoltura.

l) Zinale: sostantivo maschile; grembiule utilizzato in cucina.

m) Bricocola: sostantivo femminile; albicocca.

3.4 Analisi dei dati raccolti

Nella successiva parte del capitolo si analizzeranno i tratti presenti


nel questionario uno ad uno. I tratti sono stati descritti nel capito-
lo secondo; per la loro analisi si rimanda, pertanto, a tale parte del
lavoro.

Per ognuno di essi sarà stimata una percentuale di utilizzo, al fine di


dare un’idea immediata della sua distribuzione e si cercherà di capire
89
il motivo della sua persistenza o della sua scomparsa. Verranno inse-
riti inoltre alcuni esempi significativi tratti dalle interviste.

3.4.1 Analisi delle caratteristiche fonologiche

Vocalismo atono a cinque vocali finali.

Come già detto in precedenza, questo tratto è uno dei più significa-
tivi in assoluto, uno di quelli che per primo permette di identificare
un parlante genzanese. I dati raccolti riguardo il vocalismo hanno
infatti evidenziato un utilizzo ancora molto diffuso: l’86,4% dei gio-
vani intervistati ha dato prova di utilizzare il tratto. Pur essendo uno
dei tratti più caratterizzanti del dialetto in esame, il vocalismo atono
a cinque vocali finali è anche una delle caratteristiche dei dialetti
mediani (ma non del romanesco, neppure di prima fase). È, per que-
sto, un tratto utilizzato anche in altre zone d’Italia, limitrofe a quella
che interessa il presente lavoro. Probabilmente proprio quest’ampia
diffusione del tratto e la sua “meridionalità” contribuiscono alla sua
così netta persistenza. I giovani che non hanno utilizzato il tratto si
sono orientati sul normale vocalismo italiano.

Esempi:
l’informatore 2 traduce la frase ʻOggi ho incontrato il padre di Giuliaʼ
come Oggi so ’ncontrato ’u patre de Giulia. L’informatore 23 traduce,
invece, la frase ʻQuel giorno stavano a casa tuaʼ come Chillu giornu
stevino a casita. In entrambe le traduzioni si nota un uso corretto
di questo tipo di vocalismo. L’informatore 4, invece, rende la frase
ʻQuel giorno stavano a casa tuaʼ come Chillo giorno stevino a casa
tua; si nota in questo caso un utilizzo della vocale -o invece che della
vocale -u, un passaggio cioè al vocalismo atono italiano.
90
Esito di -L preconsonantica.

Anche l’esito di -L, che si concretizza maggiormente nella sua ca-


duta, è uno dei tratti genzanesi più evidenti. Le interviste hanno
evidenziato che l’86,4% dei giovani intervistati possiede ancora il
tratto. Anche la caduta di -L avvicina il dialetto genzanese al me-
ridione, zona in cui gli esiti di -L sono sicuramente la caduta o la
velarizzazione, lo allontana invece dalla zona romana, dove l’esito
caratteristico è invece la rotacizzazione (questa è presente anche a
Genzano, ma è l’esito minoritario). La caduta di -L è quindi avvertita
dal parlante come assolutamente caratteristica ed è forse per questo
che viene preferita anche dai giovani, che più potrebbero subire l’in-
flusso del romanesco. I giovani che non si orientano verso la caduta
di -L scelgono, infatti, la rotacizzazione. Per indagare questo tratto è
stata scelta la parola ʻvoltaʼ, in cui nessun parlante genzanese, se vero
conoscitore del dialetto, inserirebbe mai una -L rotacizzata. Per que-
sto si è certi che se un giovane dice vorta quello sarà l’esito preferito
anche in altri casi. Pochissimi sono i casi in cui la -L resta tale.

Esempi:
l’informatore 13 traduce la frase ʻUna volta incontrammo Chiara giù
al lagoʼ come ’Na vota semo ’ncontrato Chiara giù au lacu. L’informa-
tore 8 traduce la stessa frase come ’Na vorta semo ’ncontrato Chiara
giù au lagu. (coerente la sonorizzazione/lenizione in lagu).

Utilizzo del pronome gne.

Questo pronome, come già detto in precedenza, è del tutto partico-


lare e caratteristico dell’area genzanese, in quanto nella zona romana
e laziale si ha la forma ji o je, con la palatalizzazione della laterale. È
stato utilizzato dal 59,1% degli intervistati. Si trova quindi in misu-
ra minore rispetto ai tratti precedentemente osservati, ma è ancora
91
una buona percentuale: più della metà dei giovani ancora utilizza il
pronome atono gne. Nelle risposte, dove era assente l’utilizzo di gne
era però sempre presente quello di ji/je. Ciò può far pensare ad un
influsso dell’area romanesca sul territorio castellano. Probabilmente
i giovani, pur scegliendo di parlare in dialetto, avvertono la varietà
romanesca come meno provinciale e di maggior prestigio.

Esempi:
l’informatore 14 traduce la frase ʻLui gli rispose…ʼ come Issu gne
rispose…, l’informatore 8, invece, la rende come Issu jie rispose.

3.4.2 Analisi delle caratteristiche morfologiche

Utilizzo del neutro.

Così come detto nel capitolo precedente, il neutro, ricollegandosi


alla struttura del vocalismo atono finale, è uno dei tratti più impor-
tanti e riconoscibili del genzanese. Pur essendo questo un tratto
diffuso in tutta l’area mediana, ed essendo quindi ancora vivo e uti-
lizzato in altre zone d’Italia, dalle interviste si evince che a Genza-
no, tra i giovani, il tratto sta scomparendo. È infatti utilizzato solo
dal 27,3% degli informatori. A differenza di altri tratti, per i quali la
presenza o assenza sono nettamente definite, nel caso del neutro si
nota un’incertezza presente pressoché in tutto il restante 72,7% degli
intervistati. La desinenza -o neutra dell’articolo in alcuni casi o del
sostantivo in altri è presente, ma utilizzata in modo non conforme
all’uso dialettale: molto spesso viene utilizzato un articolo neutro
con un sostantivo terminante in -u, oppure un sostantivo neutro è
accompagnato da un articolo maschile. In altri casi, invece, è tutto
reso con la desinenza del maschile.

92
Esempi:
l’informatore 40 traduce la frase ʻDurante il giorno il sole è molto
caldoʼ come De giorno ’o sole è assai callo. Si noti che i sostantivi po-
tenzialmente neutri, giorno e sole, sono entrambi resi effettivamente
come neutri. L’informatore 7 traduce la stessa frase come Durante ’u
giornu ’o sole coce. In questo caso è presente la consapevolezza che
non tutte le desinenze o gli articoli debbano terminare in -u, ma
l’informatore non è in grado di riconoscere, quindi utilizzare, la cor-
retta desinenza. L’informatore 2 traduce la stessa frase come Durante
’u giornu ’u sole è callu. In questo caso si nota una totale assenza di
consapevolezza dell’esistenza del neutro. Infatti lo stesso informatore
traduce anche la frase ʻHai bevuto il vino?ʼ come Sì bevuto ’u vinu?.

Utilizzo del possessivo enclitico.

Il possessivo enclitico è utilizzato dal 72,7% degli intervistati. Si può


quindi affermare che il tratto è ancora vivo e utilizzato. Anche questo
è un tratto caratteristico dell’area mediana, ma è anche uno dei tratti
più sentiti dal popolo genzanese. Per questo, probabilmente, i gio-
vani scelgono di utilizzarlo nel momento in cui passano al registro
dialettale.

Esempi:
l’informatore 3 traduce la frase ʻQuel giorno stavano a casa tuaʼ
come Chillu giornu stevino a casita. L’informatore 1 traduce la frase
ʻQuesta mattina ho mangiato la pizza con mia sorellaʼ come Stam-
matina me sò magnato ’a pizza insieme a sorima.

Estensione analogica di coniugazione.

Nell’Italia settentrionale e meridionale, la desinenza verbale latina


-emus ha soppiantato quasi totalmente le desinenze -amus e -imus.

93
Come detto al capitolo precedente, quindi, questa evoluzione della
desinenza verbale è presente anche a Genzano. È perciò un tratto
caratteristico non solo del genzanese ma anche delle zone limitrofe
più meridionali. È proprio questo forse il motivo per cui il tratto è
ancora vivo e utilizzato dal grande maggioranza dei giovani: l’86,4%.

Esempi:
l’informatore 14 traduce la frase ʻQuando ero piccolo mia madre mi
portava all’Olmataʼ come Quanno ero ciucu mi madre me porteva su
pe’ l’Ormi.
L’informatore 5 traduce la frase ʻQuel giorno stavano a casa tuaʼ
come Chiullu giornu stevino a casa tua.

Utilizzo della forma verbale arcaica ire.

Il tratto, presente anche in altri dialetti meridionali, è uno tra i più


vivi ed utilizzati. È presente addirittura nel 90,9% degli informatori.
Oltre ad essere un tratto già genericamente meridionale, è uno dei
tratti che più rendono riconoscibile il genzanese agli occhi dei vicini
castellani.

Esempio:
l’informatore 21 traduce la frase ʻDomani devo andare a lavoroʼ
come Dimane tengo da ì a lavorà. Si noti che l’infinito ire subisce
apocope.

Utilizzo dell’aggettivo dimostrativo di tipo chillu.

Come detto nel paragrafo sui dialetti dei Castelli Romani, pronomi
e aggettivi dimostrativi sono tra le caratteristiche dialettali più im-
portanti per la suddivisione in aree linguistiche della zona. Il tratto è
quindi particolarmente importante per l’identificazione del parlante
genzanese. Nonostante ciò, viene utilizzato solo dal 68,2% degli in-
94
tervistati. Si può però lo stesso affermare che il tratto è ancora vivo in
quanto è presente in ben più della metà degli informatori.

Esempi:
l’informatore 29 traduce la frase ʻQuel giorno stavano a casa tua.ʼ
come Chillu giornu stevino a casa tia. L’informatore 36 traduce la
frase ʻRicordi quella volta…?ʼ come Ricordi chella vota…?.

Utilizzo del pronome personale di tipo issu.

Questo tipo di pronome personale è caratteristico non solo di Gen-


zano, ma anche di altre zone dell’Italia centromeridionale: lo si ri-
trova anche in Umbria, Abruzzo e Campania. È largamente presente
anche nella zona salentina. Forse per la sua grande diffusione, ma
anche per il fatto che, come detto in precedenza, il pronome è uno
dei tratti maggiormente riconoscibili del genzanese, è utilizzato
ancora dal 72,7% degli informatori. Nel resto dei giovani che non
utilizza questo tipo di pronome è presente quello dell’italiano neo-
standard lui.

Esempio:
l’informatore 18 traduce la frase ʻLui gli rispose…ʼ come Issu gne
rispose.

3.4.3 Analisi delle caratteristiche sintattiche

Utilizzo di ecco.

Nel Lazio e nelle zone vicine di Campania e Abruzzo, come detto nel
capitolo precedente, vige il particolare sistema tripartito di ecco, esso e
ello. Nonostante la sua abbastanza ampia diffusione, il tratto in que-
stione viene utilizzato solo dal 31,8% degli informatori, forse a causa
dell’influenza dell’italiano che non comporta una tripartizione per ecco.

95
Esempi:
come già spiegato al paragrafo 3.3, la frase che indaga questo trat-
to poteva ammettere due risposte corrette. L’opzione di risposta che
comprende ello (Ellelu che ariva! ʻEccolo che arriva!ʼ) non è presen-
te in nessuno dei giovani intervistati. Mentre tutto il 31,8% sopra
citato utilizza la forma esso: ad esempio l’informatore 13 rende la
frase ʻEccolo che arriva!ʼ come Essetelu tié. Il restante 68,2% rende
la frase come Ecchilu che ariva! o simili, utilizzando comunque la
forma ecco.

Utilizzo del costrutto tengo + da + infinito.

Il costrutto è largamente presente nel Lazio, ma anche in altre zone


ad esso limitrofe: lo ritroviamo infatti anche in Campania e in
Abruzzo. Per questa sua diffusione al di fuori dei confini genzanesi
e laziali il tratto è ancora molto vivo nell’uso dei giovani, tanto da
essere presente nell’86,4% degli informatori. Il restante 13,6% degli
intervistati utilizza la forma italiana verbo + infinito.

Esempio:
l’informatore 28 traduce la frase ʻDomani devo andare a lavoro.ʼ
come Dimane tengo da ì a lavorà.

Scambio degli ausiliari.

L’estensione di essere in luogo di avere, nelle modalità già descritte


nel capitolo precedente, è una caratteristica non solo di Genzano, ma
di gran parte dell’area mediana. Il tratto è comunque tra i più sentiti
come caratteristici dai parlanti genzanesi e in effetti lo scambio degli
ausiliari avviene ancora nell’88,6% dei giovani intervistati. Il restante
11,4% utilizza la distribuzione italiana degli ausiliari.
96
Esempi:
l’informatore 30 traduce la frase ʻUna volta incontrammo Chiara giù
al lago.ʼ come ’Na vota semo ’ncontrato Chiara giù au lacu. L’informa-
tore 6 traduce la frase ʻQuesta mattina ho mangiato la pizza con mia
sorellaʼ come Stammatina so magnato ’a pizza co mi sorella.

3.4.4 Comprensione del lessico

Come detto nel paragrafo 3.3, le parole scelte per un’indagine sulla
permanenza del lessico caratteristico genzanese sono sì parole anti-
che, che si riferiscono a cose o mestieri ormai scomparsi, ma sono
anche parole più comuni, che ancora si possono trovare sulla bocca
dei genzanesi.

La prima delle parole prese in esame (mmuttatore ʻimbutoʼ


ʻimbottavinoʼ) è una di quelle ormai quasi del tutto in disuso, la si
può ascoltare ancora solo da qualche persona più anziana, ed è re-
lativa alla cultura materiale. Infatti, solo il 52,3% degli intervistati
la traduce in modo corretto. Gli intervistati che non ne conoscono
il significato lasciano lo spazio per la risposta in bianco, solo l’in-
formatore 33 lo traduce, erroneamente, come ʻQuello che porta a
pascolare gli animaliʼ.

La seconda delle parole prese in esame (baccajà) è un verbo molto


utilizzato, facile da sentire in tutte le generazioni (è del resto diffuso
anche in romanesco). Infatti, l’86,4% dei giovani lo traduce in modo
corretto.

La terza parola è relativa a un capo di abbigliamento praticamen-


te scomparso fino a qualche anno fa, quando è improvvisamente
tornato di moda: le bretelle per i pantaloni. Complice forse questo
ritorno, ma forse anche di più il fatto che i genitori utilizzano il ter-

97
mine straccali (al posto di bretelle) e che da bambini tutti li hanno
portati, il termine viene identificato dal 70,5% degli intervistati.

La quarta parola (pallacéto) è un termine che riguarda la cultura ga-


stronomica genzanese. Si tratta infatti di una fetta di pane condita
con sale e olio e inzuppata nell’aceto. È un piatto tradizionale che
però è quasi del tutto scomparso dall’uso attuale. Per questo soltanto
il 22,7% dei giovani riesce a identificarlo. Addirittura, uno degli in-
tervistati, l’informatore 11, lo traduce come ʻstupidoneʼ.

Il quinto elemento lessicale indagato è una frase idiomatica (Batte


’e brocchette) che ha il significato di ʻbattere i denti per il freddoʼ. È
possibile ascoltarla spesso anche sulla bocca dei giovani. Probabil-
mente per il fatto di essere un modo di dire molto diffuso (è anche
romanesco), è tradotto correttamente dal 75% dei giovani.

La sesta, roghi, è una parola che si ricollega all’antico mestiere genza-


nese di creare legami per la vigna appunto attraverso i roghi, cioè la
pianta spinosa diffusa pressoché ovunque. Pur essendo legata a una
cultura ormai scomparsa è spesso utilizzata anche solo per indicare
sì il tipo di pianta, ma anche più in generale le fratte. È stata infatti
identificata dal 65,9% degli informatori.

Il settimo elemento lessicale è un’altra frase idiomatica: Fa ’a gen-


zanesata. È particolarmente significativa, come si può immaginare,
per il paese, ma è anche molto conosciuta e utilizzata nel resto dei
Castelli. Si usa quando viene lasciata una piccolissima parte di cibo
nel piatto. Per la sua grande diffusione è stata, infatti, tradotta cor-
rettamente dal 95,5% dei giovani. L’informatore 26 però la traduce
stranamente come ʻscenataʼ.

L’ottavo elemento lessicale è di ancora una frase idiomatica: Stà a


schiumà. È anche questa una frase molto diffusa, anche tra i giovani

98
romani, tanto che anche in questo caso è tradotta correttamente dal
95,5% degli informatori. Viene utilizzata in situazioni di caldo mol-
to afoso, che fa sudare; comica la traduzione di un venticinquenne:
ʻHai caldo e ti sudano le ascelleʼ. Uno dei giovani, lo stesso informa-
tore 26, la traduce però come ʻarrabbiatoʼ.

Il nono elemento lessicale è un proverbio: Ce vònno de Fuligno li


funari e de Genzano vecchio i rogaròli. È particolarmente legato a
quella “cultura materiale” che sta, purtroppo, scomparendo. Si riferi-
sce infatti al mestiere di rogaròlo, di cui si è precedentemente parlato.
Forse proprio per la scomparsa del mestiere il proverbio è stato reso
in italiano correttamente solo dal 9,1% dei giovani. L’informatore 19
traduce funari addirittura come ʻspazzacaminiʼ.

La decima parola (zinale) è relativa al tipico abbigliamento delle


donne di paese, che sopra gli abiti portavano spesso il grembiule
(detto anche parannanza). Anche se ormai quasi scomparsa dall’u-
so, è stata identificata dal 65,9% dei giovani intervistati. Stranamente
però l’informatore 23 crede che significhi "orinatoio" (forse per as-
sonanza con pitale).

L’ultima delle parole, bricocola, è relativa ai frutti. Nonostante ormai


sia difficile sentir chiamare un’albicocca bricocola, la parola è stata
riconosciuta dall’84,1% dei giovani.

3.5 Come i giovani genzanesi percepiscono il proprio dialetto

La prima parte del questionario è stata dedicata ad una indagine ge-


nerale sulla percezione del dialetto da parte dei giovani intervistati.
Si è voluto indagare se il dialetto è per l’informatore una scelta con-
sapevole dovuta a un amore o comunque un’accettazione del dialetto
99
come lingua alternativa all’italiano, necessaria in alcune determinate
situazioni. Il risultato è stato sorprendente: solo uno dei giovani in-
tervistati ha risposto alla domanda aperta in modo negativo (l’infor-
matore 33 scrive: «Non mi piace parlarlo e per me rappresenta l'esse-
re “chiuso” di ciascun paese»). Tutto il resto dei giovani ha affermato
di amare il dialetto e di considerarlo un elemento importante della
cultura del proprio paese. Molti hanno inoltre affermato che il dia-
letto deve essere preservato, insegnato e salvato dall’oblio. In questo
paragrafo si riporteranno le risposte più interessanti alla domanda
ʻCosa rappresenta per te il dialetto? Ti piace parlarlo?ʼ tratte dai que-
stionari.
Tutti i giovani intervistati considerano il proprio dialetto un elemen-
to fondamentale della cultura di Genzano, un elemento che rappre-
senta la sua popolazione:

- «Il dialetto per me è un bagaglio culturale e linguistico che va


preservato dato che ci può raccontare tradizioni e usi del passato
e residui di altre lingue e culture. Sì, mi piace parlarlo.»1

- «È una lingua che non deve morire e rappresenta la tradizione.»2

- «Per me il dialetto resta l’impronta che un vero cittadino ha pre-


so in “eredità” dai vecchi tempi.»3

- «Il dialetto rappresenta “la lingua del cuore” forte elemento di


unità all’interno del paese.»4

1. Informatore 23. - «Il dialetto è cultura, tradizione, le radici e la storia da cui partire
2. Informatore 2.
3. Informatore 14. per non dimenticare da dove veniamo.»5
100
Anche se la considerazione del dialetto è quindi positiva, molti in-
formatori hanno specificato che amano parlarlo solo in determinate
occasioni, così come è giusto che sia:

- «Il dialetto rappresenta per me il simbolo di ogni città, che porta


nelle sue parole e nel suo idioma la storia di ogni dato luogo. Io
personalmente parlo dialetto non solitamente, ma solo quando
sono in confidenza con l’interlocutore.»6

- «Il dialetto è una ricchezza socio-culturale importante che in


quanto tale va tutelata e preservata. Sì, in situazioni specifiche mi
piace parlarlo.»7

- «Il dialetto è un “legame” con il mio paese. Mi piace parlarlo ma


ovviamente dipende dalle situazioni.»8

- «Le mie origini, con gli amici sicuramente, se sono a scuola o in


qualche posto formale evito il dialetto.»9

- «Il dialetto è l’identità di un paese. Per molti può risultare alle


volte volgare, alle volte incomprensibile…ma è indispensabile.
Io adoro parlare il mio dialetto e ammetto che spesso qualche
parola dialettale mi scappa anche quando non dovrebbe.»10

- «La forma per rappresentarci al massimo. Mi piace parlarlo nei


momenti divertenti.»11
4. Informatore 20.
5. Informatore 35.
6. Informatore 12.
Alcuni giovani hanno anche aggiunto che il dialetto è una lingua 7. Informatore 13.
8. Informatore 15.
che, più dell’italiano, riesce a comunicare le emozioni ed è quindi 9. Informatore 31.
10. Informatore 32.
più adatta alle situazioni della vita quotidiana. 11. Informatore 22.

101
- «Elemento culturale e di appartenenza. Sì, il dialetto fortifica il
concetto.»12

- «Mi piace parlare il mio dialetto in quanto secondo me i dialet-


ti sono una forma del linguaggio “colorita”. Parlare in italiano
non esprime totalmente l’emozione della persona, invece, con il
dialetto si riesce a trasmettere all’ascoltatore tutto il nostro stato
d’animo.»13

12. Informatore 17.


13. Informatore 25.

102
4. CONCLUSIONI

Lo scopo della ricerca è stato quello di capire se il dialetto di Genza-


no fosse ancora utilizzato dalla sua giovane generazione.

Per capire ciò è necessario osservare se i tratti analizzati durante il


presente lavoro restino nel linguaggio usato da quest’ultima. Può
quindi rendersi utile la stesura di una tabella, che metta in evidenza
quali sono i tratti che vengono utilizzati di più, in grado di fornire a
colpo d’occhio una “classifica” delle caratteristiche ancora vitali. Nel-
la tabella che segue si inseriscono quindi i tratti con relative percen-
tuali di utilizzo (calcolate in base al numero delle risposte “esatte”,
cioè in base ai sì presenti nella tabella di trascrizione dei dati) in
ordine dal più utilizzato al meno utilizzato1.

Tratto Percentuale di utilizzo


Utilizzo della forma arcaica ire 90,6%
Scambio ausiliari 88,6%
Utilizzo del costrutto tengo+da+infinito 86,4%
Caduta di -L preconsonantica 86,4%
Vocalismo atono a cinque vocali finali 86,4%
Estensione analogica di coniugazione 86,4%
Utilizzo del possessivo enclitico 72,7%
Utilizzo del pronome personale di tipo issu 72,7%
Utilizzo dell’aggettivo dimostrativo di tipo chillu 68,2%
Utilizzo del pronome personale atono gne 59,1%
Utilizzo del sistema tripartito di ecco 31,8%
Utilizzo del neutro 27,3%

Il tratto che viene utilizzato dal maggior numero di informatori è la 1. L’uguaglianza di


alcune percentuali è
forma arcaica ire, con più del 90%. È evidente come, quindi, questo frutto del caso.

103
sia un tratto ancora largamente presente nel linguaggio giovanile. Si
può quindi definire ancora vitale. Seguono lo scambio degli ausiliari
e il costrutto tengo + da + infinito, con l’88,6%. Ma, come si può
osservare, non sono solo pochi tratti ad avere percentuali di utilizzo
così alte. In realtà i tratti ancora assolutamente vivi e utilizzati tra
i giovani sono ben otto su dodici. Oltre a quelli appena citati, ab-
biamo infatti la caduta di -L preconsonantica, il vocalismo atono a
cinque vocali finali, l’estensione analogica di coniugazione, l’utilizzo
del possessivo enclitico, l’utilizzo del pronome personale soggetto di
tipo issu. Questi tratti hanno tutti una percentuale di utilizzo supe-
riore al 70%, percentuale che si ritiene sufficientemente alta da poter
dire che il tratto è ancora vitale.

Due sono invece i tratti che si pongono in posizione intermedia: l’u-


tilizzo dell’aggettivo dimostrativo di tipo chillu, con il 68,2%, e l’uti-
lizzo del pronome personale atono gne, con il 59,1%. Queste percen-
tuali mostrano come i tratti possano essere considerati ancora vitali,
essendo utilizzati da più della metà degli informatori.

Ancora due sono invece i tratti in fase di netto calo: l’utilizzo del
sistema tripartito di ecco, con il 31,8% e l’utilizzo del neutro, con il
27,3%. Le percentuali non sono ancora trascurabili, ma sono suffi-
cientemente basse da poter dire che i due tratti in questione sono, se
non ancora in via di sparizione, di certo in declino. Pur essendo il
neutro un tratto importante e caratteristico del dialetto genzanese,
ormai non è più né utilizzato né compreso dalle giovani generazio-
ni: e questo si spiega col fatto che il genere neutro è estraneo sia al
romanesco, sia all’italiano di base toscana. La situazione del neutro
(si rimanda al capitolo terzo per una più completa spiegazione delle
risposte date dagli informatori) è però particolare rispetto agli altri
tratti: più che di una vera e propria sparizione del neutro a favore
del maschile, si può parlare di una mancata percezione delle regole
104
di assegnazione del genere e quindi delle corrette desinenze da uti-
lizzare.

Anche per quanto riguarda il lessico, si fornirà di seguito una tabella


riassuntiva dei dati raccolti. Nella tabella che segue si inseriscono
quindi gli elementi lessicali con relative percentuali di traduzioni
corrette da parte degli informatori2.

Percentuale di
Elemento lessicale
traduzioni corrette
Sta a schiumà 95,5%
Fa ’a genzanesata 95,5%
Baccajà 86,4%
Bricocola 84,1%
Batte ’e brocchette 75,0%
Straccali 70,5%
Roghi 65,9%
Zinale 65,9%
Mmuttatore 52,3%
Pallaceto 22,7%
Ce vònno de fuligno li funari e de genzano vecchio i rogaròli 9,1%

Osservando la tabella si nota che gli elementi lessicali che hanno una
percentuale superiore al 70% sono sei su undici: Sta a schiumà, Fa
’a genzanesata, Baccajà, Bricocola, Batte ’e brocchette e Straccali. Son
perciò tutti elementi ancora in uso tra i giovani.

Si pongono in posizione intermedia tre elementi: Roghi, con il 65,9%,


Zinale, con il 65,9%, Mmuttatore, con il 52,3%.

In netto calo ci sono due elementi: Pallaceto, con il 22,7% e soprat-


2. Anche in questo
tutto il detto Ce vònno de fuligno li funari e de Genzano vecchio i caso l’uguaglianza di
alcune percentuali è
rogaròli, con il 9,1%. frutto del caso.

105
Non è sorprendente che gli elementi in via di sparizione, ma anche
quelli utilizzati meno (dalla metà o poco più degli informatori), si-
ano tutti relativi alla cosiddetta “cultura materiale”, che, purtroppo,
sta scomparendo. Solo uno è relativo alla gastronomia, ma è il nome
di un piatto tipico, che è anch’esso in via di sparizione.

Analizzando i dati raccolti tramite i questionari, si può quindi affer-


mare che il dialetto di Genzano è ancora in uso tra i giovani. Anche
se alcuni dei tratti che più lo caratterizzavano stanno via via uscendo
dall’uso, molti altri sono ancora più che vivi. Il genzanese sta quindi,
come tutte le lingue e come è naturale che sia, attraversando una fase
di cambiamento durante il suo passaggio attraverso le nuove genera-
zioni, ma di certo non sta scomparendo. I giovani hanno dimostrato
di avere non solo la capacità di parlare ancora il dialetto, ma anche di
provare ancora un amore e un attaccamento verso quest’ultimo e di
conseguenza verso le loro tradizioni e la cultura del proprio paese. È
probabilmente proprio questo il motivo per cui il dialetto genzanese
non sta morendo, anzi, se pure trasformandosi, acquista una sempre
nuova forza che gli deriva dall’uso da parte delle nuove generazioni.

106
APPENDICE 1
QUESTIONARIO

Parte I
Cosa rappresenta per te il dialetto? Ti piace parlarlo?

Parte II
Rendi in dialetto genzanese le seguenti frasi.
a) Questa mattina ho mangiato la pizza con mia sorella.
b) Ricordi quella volta …?
c) Oggi ho incontrato il padre di Giulia.
d) Eccolo che arriva!
e) Domani devo andare a lavoro.
f) Lui gli rispose …
g) Una volta incontrammo Chiara giù al lago.
h) Quel giorno stavano a casa tua.
i) Quando ero piccolo/piccola mia madre mi portava all’olmata.
l) Durante il giorno il sole è molto caldo.

Parte III
Conosci il significato di queste parole/modi di dire?
Rendili in italiano.
a) Mmuttatore
b) Baccajà
c) Straccali
d) Pallaceto
e) Batte ’e brocchette

107
f) Roghi
g) Fa ’a genzanesata
h) Sta a schiumà
i) Ce vònno de Fuligno li funari e de Genzano vecchio i rogaròli.
l) Zinale
m) Bricocola

Anagrafica
1) Età
2) Professione
3) Titolo di studio
4) Luogo di nascita
5) Luogo di provenienza dei genitori

108
APPENDICE 2
Le tabelle seguenti riportano le traduzioni delle frasi per ogni informatore. Per le
domande in italiano si rimanda all’appendice 1.
Informatore 1 Informatore 3

a) Stammatina me sò magnato ’a pizza insieme a sorima. a) Stammatina sò magnato ’a pizza co’ sorima.

b) chiiè... comme n’ta ricordi chella vota...? b) Te ricordi chella vota…?

c) Oggi sò ’ncontrato u patre de Giulia. c) Oggi sò ’ncontrato ’u padre de Giulia

d) chiè... essela. / ecchela chiè! d) Ecchelu che ’riva!

e) Dimane tengo da ii a lavoru. e) Dima’ tengo da ì a lavoro.

f) issu gna ditto... f) Issu gne risponne…

g) Na vota semo incontrato Chiara giu au lacu. g) ’Na vota incontrassimo Chiara giù au lagu.

h) Chillu giornu stevino a casita. h) Chillu giornu stevino a casita.

i) Quanno ero munellu, mi madre me porteva sempre pe l’ormi. i) Quanno ero piccolu madrema me porteva all’olmata.

l) Madonna che fa callo ’u giornu. l) ’N mezzo a ’u giornu o sole è callo.

m) assente m) ’O sì bevuto ’u vinu?

Informatore 2 Informatore 4
a) Stammatina sò magnato ’a pizza co sorima. a) Stammatina sò magnato ’a pizza co’ mi’ sorella.
b) Tô ricordi chella vota...? b) Te ricordi chella vota…?
c) Oggi sò ’ncontrato ’u patre de Gulia. c) Oggi sò visto ’u padre de Giulia.
d) Ecchelu che ariva! d) Ecchelu sta a venì!
e) Dimane tengo de ì a lavoru. e) Dimane tengo da ì a lavorà.
f) Issu ja risposto... f) Lui ja risposto…
g) ’Na vota ’ncontrassimo Chiara giù au lacu. g) Una volta semo ’ncontrato Chiara giù au lagu.
h) Chillu giornu stevino a casa tia. h) Chillo giorno stevino a casa tua.
i) Quanno ero piccolu madrema me porteva all’olmata. i) Quando ero ciucu ciucu mi madre me porteva all’olmata.
l) Durante ’u giornu ’u sole è callu. l) Durante ’u giorno il sole è callu.
m) Sì bevuto ’u vinu? m) Sì bevutu ’u vinu?

109
Informatore 5 Informatore 7

a) Stammatina sò maganto la pizza co’ mi’ sorella. a) Stamattina me sò magnato ’a pizza co sorima.

b) Ricordi chella vota…? b) Ricordi chella vota…?

c) Oggi sò ’ncontrato ’u padre de Giulia. c) Oggi sò ’ncontrato ’u padre de Giulia.

d) Ecchelu che ’riva! d) Ecchitu tiè che ariva!

e) Dimane tengo da ì a lavorà. e) Dimane tengo da ì a lavorà.

f) Issu gne rispose… f) Issu gne risponne…

g) ’Na vota semo ’ncontrato Chiara giù au lagu. g) ’Na vota semo ’ncontrato Chiara giù au lagu
(a ’e pentime d’u lagu).
h) Chillu giornu stevino a casa tua.
h) Chillu giornu stevino a casa tia.
i) Quanno ero piccolu mi madre me porteva all’ormata.
i) Quanno ero munellu mi madre me porteva su pe’ l’ormi.
l) Durante ’u giornu ’o sole è callo.
l) Durante ’u giornu ’o sole coce.
m) Sì bevuto ’o vino?
m) Sì bevuto ’o vino?

Informatore 6 Informatore 8

a) Stammatina sò magnato ’a pizza co mi’ sorella. a) Stamattina me sò magnata ’a pizza co’ mi’ sorella.

b) Ricordi quâ vota…? b) Te ricordi quâ vota…?

c) Oggi sò ’ncontrato ’o padre de Giulia. c) Oggi sò ’ncontrato ’u padre de Giulia.

d) Ecchelo che ariva! d) Ecchitu che ariva!

e) Dimani tengo da ì a lavorà. e) Dimane tengo da ì a lavoro.

f) Isso gne rispose… f) Issu je rispose…

g) ’Na vota incontrassimo Chiara ao lago. g) ’Na vorta semo ’ncontrato Chiara giù au lagu.

h) Queo giorno stevano a casa tia. h) Quel giorno stevino a casa tua.

i) Quanno ero piccolu mi madre me portava all’olmata. i) Quann’ero piccola mi madre me porteva all’ormi.

l) Durante ’o giorno ’r sole è molto callo. l) Durante er giorno il sole è molto caldo.

m) Sì bevuto ’o vinu? m) Sì bevuto ’o vino?

110
Informatore 9 Informatore 11

a) Stamattina sò magnato ’a pizza co mi’ sorella. a) Stammatina sò magnato ’a pizza co’ sorima.

b) Ricordi chella vota…? b) Ricordite chella vota…

c) Oggi sò ’ncontrato ’u padre de Giulia. c) Oggi sò ’ncontrato ’u pdre de Giulia.

d) Ecchitu tiè! d) Ecchelu che vè!

e) Domani tengo da ì a lavoro. e) Dimane tengo da ì a lavorà.

f) assente f) Issu gne disse…

g) ’Na vota sò ’ncontrato Chiara giù au lagu. g) ’Na vota ’ncontressimo Chiara giù au lagu.

h) Quer giorno stevano a casa tia. h) Chillu giornu stevino a casita.

i) Quanno ero piccolo mi madre me portava all’olmata. i) Quanno ero piccolu mamma me porteva pe’ l’ormi.

l) Durante er giorno ’u sole è molto callo. l) De giorno ’o sole è callo.

m) Sì bevuto ’u vino? m) Sì bevuto ’o vino?

Informatore 10 Informatore 12

a) Stammatina ho magnato ’a pizza co’ mi’ sorella. a) Stammattina ho magnato ’a pizza co’ mi’ sorella.

b) Te ricordi chella vorta…? b) Te ricordi quella vorta…?

c) Oggi ho visto ’u pdre de Giulia. c) Oggi so ’ncontrato il padre de Giulia.

d) Ecchilu che arriva! d) Eccolo stà ’rivà!

e) Dimane devo annà a lavorà. e) Domani devo ‘nnà a lavoro.

f) Isso je dice… f) Lui ja risposto…

g) ’Na vorta semo visto Chiara giù au lagu. g) ’Na vorta semo ’nocontrato Chiara giù ao lago.

h) Chillu giornu stevino a casa tia. h) Quel giorno semo stati a casa tua.

i) Quanno ero piccolo mi madre me portava all’olmata. i) Quanno ero piccolo mi madre me porteva all’ormata.

l) Durante ’o giorno ’o sole coce. l) assente

m) assente m) assente

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Informatore 13 Informatore 15

a) Stamattina sò magnato ’a pizza co’ sorima. a) Stammatina sò magnato ’a pizza co sorima.

b) Te ricordi chella vota? b) Te ricordi chella vota…?

c) Oggi sò ’ncontrato ’u padre de Giulia. c) Oggi so’ ’ncontrato ’u padre de Giulia.

d) Essetelu tiè! d) Ecchitutiè!

e) Dimane tengo da ì a lavorà. e) Dimane tengo da ì a lavorà.

f) Issu jiarispose… f) Issu gne risponne…

g) ’Na vota semo ’ncontrato Chiara giù au lacu. g) ’Na vota semo ’ncontrato Chiara giù au lacu.

h) Chillu giornu stevino a casita. h) Quillu giornu stevino a casita.

i) Quanno che ero piccolo mi madre me porteva pell’olmi. i) Quanno ero munellu mamma me porteva pe l’ormi.

l) Durante ’o giorno ’u sole è callo assai. l) assente

m) assente m) assente

Informatore 14 Informatore 16

a) Stamatina sò magnato ’a pizza co sorema. a) assente

b) Ta ricordi chella vota…? b) Te ricordi chella volta…?

c) Oggi sò ’ncontrato ’u padre de Giulia. c) Oggi sò ’ncontrato ’u padre de Giulio.

d) Esselu che ’riva! / Tiè esselu! d) Ecchelo che arriva!

e) Dimà tengo da ì a lavorà. e) Dimane tengo da ì a lavoro.

f) Issu gne rispose… f) Issu gli ha ditto…

g) ’Na vota ’ncontrammo Chiara giù au lacu. g) ’Na vota semo ’ncontrato Chiara giù pe’ ’u lago.

h) Chillu giorno stevino a casita. h) Chillu giornu stevino a casa tia.

i) Quanno ero ciucu mi madre me porteva su pe’ l’ormi. i) Quando ero un munello mi’ madre me porteva pe’ l’olmi.

l) De giornu ’u sole è parecchio callu. l) assente

m) Sì bevuto ’u vino? m) assente

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Informatore 17 Informatore 19

a) Stammatina me sò magnato ’a pizza co’ sorima. a) Stamattina ho magnato ’a pizza co’ sorema.

b) Ta ricordi chella vota…? b) T’o ricordi…?

c) Oggi sò ’ncontrato ’u padre de Giulia. c) Oggi ho visto ’u padre de Giulia.

d) Esselu tiè! d) Ecchetelu tiè!

e) Dimane tengo da ì a lavorà.  e) Dimane devo annà  a lavorà. 

f) Issu gne fece… f) Gne disse…

g) ’Na vota semo ’ncontrato chiara giù ’u lacu. g) ’Na vota sò visto Chiara au lagu.

h) Chillu giornu stevino a casita h) Quel giorno stevino a casita.

i) Quanno ero munellu mi’ madre me porteva pe’ l’olmi. i) Quando ero piccola issimo all’olmata.

l) De giorno ’u sole ’ncoccia. l) assente

m) Sì sgargarozzato? m) Te sì ’mbriacato?

Informatore 18 Informatore 20

a) Stamattina me sò magnato ’na pizza co’ sorema. a) Stamattina ho magnato ’a pizza co’ sorema.

b) Ta ricordi quaa vota…? b) Ta ricordi qua vota…?

c) Oggi sò ’ncontrato ’u padre de Ggiulia. c) Oggi sò ’ncontrato ’o padre de Giulia.

d) Ecchelu che ’rriva. d) Ecchelo che arriva!

e) Dimane tengo da ì a lavorà. e) Dima’ tengo da ì a lavorà.

f) Issu gne rispose… f) Issu je dice…

g) ’Na vota semo ’ncontrato Chiara giù pe’e pentime du lacu. g) ’Na vota semo ’ncontrato Chiara giù ao lago.

h) Quoo giorno stevino a casita. h) Quo giorno stessimo a casa tia.

i) Quann’ero munella mi madre me porteva su pe’ l’ormi. i) Quanno ero piccolo mamma me porteva su all’olmi.

l) Durante ’u giornu ’o sole è ’nsacco callu. l) Durante ’o giorno ’o sole è callo.

m) Sì bevuto ’u vino? m) ’O si bevuto ’o vino?

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Informatore 21 Informatore 23

a) assente a) Stamatina ho magnato ’a pizza co’ sorema.

b) Ta ricordi chella vota…? b) T’aricordi qua vorta…?

c) Oggi sò ’ncontrato ’u padre de Giulia. c) Oggi ho incontrato ’u patre de Giulia.

d) Esselu (che vè)! d) Ecchelu che viè!

e) Dimane tengo da ì a lavorà. e) Dimane tengo da ì a lavoro.

f) Issu gne disse… f) Lui j’arispose…

g) ’Na vota semo ’ncontrato Chiara giù au lacu. g) ’Na vorta incontrammo Chiara giù au lacu.

h) Chillu giornu stevino a casita. h) Chillu giorno stevino a casita.

i) Quann'ero munello mi madre me porteva su per l'ormi. i) Quanno ero munellu matrema me porteva all’Ormata.

l) De giornu ’u sole coce ’n fusto. l) Durante ’u giorno ’u sole è molto callo.

m) Tu sì bevutu ’u vino? m) Hai bevuto ’u vino?

Informatore 22 Informatore 24

a) Stamatina m’ho magnato ’a pizza co’ sorema. a) Stamattina sò magnato ’a pizza co’ sorema.

b) Ta ricordi chella vota…? b) Te ricordi qua vota...?

c) Sò incontrato ’u padre de Giulia. c) Oggi sò ’ncontrato ’r padre de Giula.

d) Ecchelu che ’rriva! d) Esselu che ariva!

e) Dimane tengo da ì a lavoro. e) Dimane tengo da ì a lavorà .

f) Issu gna ditto… f) Issu gne fece...

g) ’Na vota incontressimo Chiara giù au lacu. g) ’Na vota ’ncontrammo Chiara au lago (de Nema).

h) Chillu giornu stevino a casita. h) assente

i) Quanno ero munella mi’ madre me porteva pe’ l’olmi. i) Quanno ero regazzino mi’ madre me porteva pe l’Olmi.

l) ’U giornu ’u sole te coce. l) assente

m) Sì bevuto? m) Te sì ’mbriacatu?

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Informatore 25 Informatore 27

a) Stamatina ho magnato ’a pizza co’ mi’ sorella. a) Stamane me sò magnato ’a pizza co’ sorima.

b) Te ricordi qua vota…? b) Te ricordi chella vota...?

c) Sò visto Giulia. c) Oggi soò incontrato ’u padre de giulia.

d) Tiè è ’rivato! d) Tie, esselo!

e) Dimane devo annà a lavorà. e) Dimà tengo da ì a lavorà.

f) Gli ha risposto… f) Issu gne risponne…

g) ’Na vota semo ’ncontrato Chiara giù au lago. g) ’Na vota so’ incontrato chiara giu pe’ ’u lacu.

h) Chillo giorno stevino a casa tia. h) Chello giorno stevino a casita.

i) Da piccolo mammima me portava pe l’Olmi. i) Quann’ero munelletto mi madre me porteva su pe’ l’olmi.

l) ’Mazza che fa callo durante ’o giorno. l) ’U sole è callo quann’è giorno.

m) Sì bevuto ’o vino? m) Sì bevuto?

Informatore 26 Informatore 28

a) Stamattina me sò magnato ’a pizza co’ ’a motatella. a) Stammatina me sò magnatu ’a pizza co’ sòrima.

b) Te ricordi chella vota…? b) Te ricordi quanno...?

c) Oggi ho ’ncontrato ’u padre (incompleta) c) Oggi sò visto ’u patre de Giùglia.

d) Ecchelu! d) Èsselu!

e) Dimane tengo da ì a lavorà. e) Dimane tengo da ì a lavorà.

f) Issu gne disse… f) Issu gne fece...

g) ’Na vota semo incontrato chiara au lagu. g) ’Na vòta ’ncontressimo Chiara giù ’u lacu.

h) Chillu giornu (incompleta) h) Chillu giorno stèvino a càsita.

i) Quanno ero munella mamma me porteva (incompleta) i) Quand’eru munellu mi madre me porteva su pe’ l’Ormi.

l) De giorno ’o sole scotta. l) De giornu ce se concàlla.

m) Ma che te sì bevuto o vino? m) ’O sì mmai bevuto ’u vino?

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Informatore 29 Informatore 31

a) Stamattina me sò magnata ’a pizza co’ sorima. a) Stammattina me sò magnato ’a pizza co’ sorema.

b) Ta ricordi chella vota…? b) Te ricordi qua vota…?

c) Oggi sò ’ncontrato ’u padre de Giulia. c) Oggi sò ’ncontratu ’u padre de Giuja.

d) Esselu che ’riva! d) Ecchelu!

e) Dimane tengo da ì a lavoru. e) Dimane tengo da ì a lavorà.

f) Issu gna ditto. f) Issu disse…

g) ’Na vota semo ’ncontrato Chiara giù au lagu. g) Semo ’ncontratu chiara giù p’u lagu.

h) Chillu giornu stevino a casa tia. h) Killu jornu stevino a casa tia.

i) Quanno ero piccola mi madre me porteva all’olmata. i) Quanno ero pischello mi’ madre me porteva all’ormata.

l) Durante u giorno er sole è ’nfocato. l) Durante ’u jornu ’o sole è callo.

m) ’U si bevuto ’u vino? m) ’U si bevuto ’u vino?

Informatore 30 Informatore 32

a) Stammatina ho magnato ’a pizza co’ sorima. a) Stamattina ho magnato ’a pizza co’ sorima.

b) Te ricordi chella vota…? b) Te ricordi chella vota…?

c) Oggi sò ’ncontrato ’u patre de Giuglia. c) Oggi sò incontrato ’u padre de giu(l)ia.

d) Ecchitelu tie! d) Ecchelo tiè!

e) Dimà tengo da ì a lavorà. e) Dimane tengo da ì a lavoro.

f) Gna ditto… f) Gne rispondette…

g) ’Na vota semo ’ncontrato chiara giù au lacu. g) ’Na vota incontrassimo Chiara giù au lacu.

h) Chella vota stessimo a casita. h) assente

i) Quanno ero munellu mi’ madre me porteva pe l’ormi. i) Quando ero piccolo mamma mi porteva all’ormata.

l) Durante ’u giornu ’u sole ’nfoca. l) Durante ’o giorni ’u sole scotta.

m) ’O sì mai bevuto ’o vino? m) Sì bevuto ’o vino?

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Informatore 33 Informatore 35

a) Stamattina ho mangiato la pizza con mi’ sorella. a) Stammatina me sò magnato ’a pizza co’ sorema.

b) Te ricordi…? b) T’aricordi qua vota…?

c) Oggi sò incontrato ’u padre de Giulia. c) Oggi sò ’ncontrato ’u padre de Giulia.

d) assente d) Ecchelu ch’ariva!

e) Domani taggia ì a lavoro. e) Dimane tengo da ì a lavorà.

f) Isso gli rispose. f) Issu gn’arispose…

g) ’Na vota incontrammo Chiara ao lago. g) ’Na vota ’ncontrammo Chiara giù au lagu.

h) Chillo giorno stavamo a casa sia. h) Quer giorno stevino a caseta.

i) Quanno ero piccolo mi’ madre mi portava all’olmata. i) Quann’ero munellu mi madre me porteva all’Olmata.

l) ’U giorno ’o sole è caldo. l) Durante il giorno ’u sole è ’nsacco callo.

m) ’O sì bevuto il vino? m) Sì bevuto ’u vinu?

Informatore 34 Informatore 36

a) Sta mattina me sò magnata ’a pizza co’ sorima. a) Ssa matina ho magnato ’a pizza co’ sorema.

b) Ta ricordi qua vota…? b) Ricordi chella vota…?

c) Oggi sò ’ncontrato ’u padre de Giulia. c) Oggi sò incontrato ’o padre de Giulia.

d) Ecchelu che ’riva! d) Esselu che ariva!

e) Dimane tengo da ì a lavorà. e) Dimane tengo da ì a lavoro.

f) Issu je rispose… f) Issu gna ditto…

g) ’Na vota semo ’ncontrato Chiara au lagu. g) ’Na vota essimo visto chiara giù au lagu.

h) Chillu giornu stevino a casita. h) Chillu giornu stevino a caseta.

i) Quanno ero piccola mi’ madre me porteva all’olmata. i) Quann’ero regazzino mi’ madre me porteva all’olmata.

l) Durante ’u giorno‘u sole coce. l) assente

m) Te sì bevuto ’u vinu? m) assente

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Informatore 37 Informatore 39

a) Stammatina me sò magnato ’a pizza co’ sorima. a) Stammatina sò itu a magnà ’a pizza co’ sorima.

b) Te ricordi chella vota…? b) Ricordi chella vota…?

c) Oggi ’n te sò visto ’u patre de Giuglia. c) Oggi sò ’ncontrato ’u padre de Giulia.

d) Ècchitelu chiè! d) Ecchelu che ’riva!

e) Dimane tengo da ì a lavorà. e) Dimane tengo da ì a lavorà.

f) Issu gne risponnette… f) Issu gne rispose…

g) ’Na vota Chiara ’a ’ncontressimo giu au lagu. g) ’Na vota ’ncontressime Chiara giù au lacu.

h) Chillu giornu stessimo a càsita. h) Chillu giornu stevino a casita.

i) Quann’ero piccolu mamma me porteva all’ormata. i) Quanno ero ciucu mammima me porteva su pe l’olmi.

l) De giorno ’o sole te ’ncoccia. l) Quanno è giorno ’u sole coce.

m) Te si bevuto ’o vino? m) T’u sì bevutu ’u vinu?

Informatore 38 Informatore 40

a) Stammatina me sò magnatu ’a pizza co’ sorima. a) Stammatina sò magnato ’a pizza co’ ssorima.

b) ’Nta ricordi chella vota…? b) Te ricordi chella vòta…?

c) Oggi sò ’ncontratu ’u padre de Giulia. c) Oggi sò ’ncontrato ’u patre de Giulia.

d) Esselu che ’rriva! d) Esselu!

e) Dimane tengo da ì a lavoru. e) Dimane tengo da ì a lavorà.

f) Isso gne ha rispostu… f) Issu je rispose…

g) ’Na vota semo ncontratu Chiara giu pu u lagu. g) ’Na vòta semo ’ncontrato Chiara giù au lacu.

h) Chillu giornu stessimo a casita. h) Chillu ggiornu stessimo a casita.

i) Quann’ero munello mi madre me porteva all’olmata. i) Quann’ero piccolu mamma me porteva all’Ormata.

l) De giornu ’u sole è callu. l) De giorno ’o sole è assai callo.

m) Sì bevutu ’u vinu? m) ’O sì bbevuto ’o vino?

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Informatore 41 Informatore 43

a) Ssa matina sò magnatu ’a pizza co’ sorima. a) Sta matina sò magnato ’a pizza co’ sorima.

b) Ta ricordi chella vota…? b) Ricordi chella vorta…?

c) Oggi sò ’ncontrat’u padre de Giulia. c) Oggi sò ’ncontrato ’u padre de Giulia.

d) Ecchitelu tiè! d) Ecchelo che ariva!

e) Dimà tengo da ì a lavorà. e) Dimane me tocca ì a lavoro.

f) Issu gne disse… f) Lui che gli rispose…

g) ’Na vota essimo ’ncontrato Chiara gi’u lagu. g) ’Na vota semo ’ncontrato Chiara au lagu.

h) Chillu giornu stevino a casita. h) Chillu giorno stevo a casita.

i) Quann’eru munellu mamma me porteva su pell’ormi. i) Quanno ero piccolu mi madre me portava all’ormi.

l) Pe ’u giornu ’u sole è callu. l) Durante ’u giornu ’u sole è caldo.

m) Sì bevut’u vino? m) ’O sì mai bevuto ’o vino?

Informatore 42 Informatore 44

a) Sta matina me sò magnatu ’a pizza co’ mi sorella. a) Stammatina me sò magnato ’n pezzu de pizza co’ sorima.

b) Te ricordi chella vota…? b) Te ricordi chella vota…?

c) Oggi sò ’ncontratu ’u patre de Giuglia. c) Oggi sò ’ncontrato ’u patre de Giuglia.

d) Ecchelu! d) Esselu che ’riva!

e) Dimane tengo da ì a faticà. e) Dimane tengo da ì a lavorà.

f) Issu gna dittu… f) Issu gne respose…

g) ’Na vota semo ’ncontratu Chiara a ’u lacu. g) ’Na vota ’ncontressimo Chiara giù au lacu.

h) Chillu giorno stessimo a casita. h) Chillu giornu stevino a casita.

i) Quando eru munella mamma me porteva pe’ l’olmi. i) Quann’ero piccolu mi madre me porteva all’ormata.

l) Durante ’u giornu ’u sole è callu. l) Durante ’u giornu ’o sole è parecchio callo.

m) Sì bevutu ’u vinu? m) Sì bevuto ’o vino?

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Finito di stampare in settembre 2017
da Arti Grafiche Ariccia snc - via borgo San Rocco, 128 - 00072 Ariccia

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