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Talenti in luce
Talenti in luce
Il dialetto di Genzano
tra passato e presente
Un inquadramento storico
e un’indagine sul suo uso presso i giovani
Elisa Altissimi
ISBN 978-88-908027-5-1
2 - 2017
1-2017
Conoscere, Restaurare, Rinnovare Il Santuario di Diana a Nemi
di Vanessa Mingozzi
ISBN: 978-88-908027-4-4
2-2017
Il dialetto di Genzano tra passato e presente
di Elisa Altissimi
ISBN: 978-88-908027-5-1
Le immagini non possono essere riprodotte, memorizzate o trasferite in nessuna forma
e con alcun mezzo, se non autorizzato per iscritto dall’autore.
Segreteria e coordinamento
Dionino Colleluori
Talenti in luce
Il dialetto di Genzano
tra passato e presente
Un inquadramento storico
e un’indagine sul suo uso presso i giovani
Elisa Altissimi
2 - 2017
Il progetto “Talenti in luce” della Fondazione Terre Latine
4
sionali che il nostro paese attualmente non permette di valorizzare
come necessario. Da qui il titolo del progetto “Talenti in luce”, come
antitesi ai cervelli in fuga.
5
Premessa
6
sono studenti e studentesse che nella tesi non si impegnano mol-
to, presentando elaborati abborracciati, spesso scritti in un italiano
improbabile, che mettono a dura prova la pazienza del relatore. Ma
ci sono anche studenti e studentesse assistiti da un’autentica pas-
sione per lo studio, che interpretano la stesura dell’elaborato come
una prima occasione di approfondimento su un tema che sta loro a
cuore, come una piccola, ma già significativa (e comunque per loro
importante) prova di ricerca. A mio parere, proprio per non tarpare
le ali a questi studenti e a queste studentesse (che non costituisco-
no certamente la maggioranza di coloro che arrivano alla laurea di
primo livello, ma non rappresentano neppure una specie in via d’e-
stinzione, e costituiscono comunque le “punte di eccellenza” a cui
affidiamo la trasmissione del sapere) è necessario che la tesina finale
venga mantenuta: l’impegno del/della laureando/a, opportunamente
stimolato dal docente, può non solo approdare all’acquisizione di un
metodo con cui redigere un breve saggio argomentativo, ma anche a
risultati meritevoli di attenzione perché contenenti spunti originali.
E vengo così a parlare più specificamente del lavoro che segue. Dopo
aver seguito con entusiasmo l’insegnamento di Dialettologia Italiana
(che, in seguito al pensionamento della carissima collega e amica
Antonia G. Mocciaro, è stato spesso affidato a me), Elisa ha scelto
di svolgere la sua tesina in questo insegnamento, dedicandosi al dia-
letto di uno dei paesi, Genzano, appartenenti all’area in cui è nata, i
Castelli Romani, celebre anche per le sue tradizioni, tra cui l’Infio-
rata. I dialetti castellani costituiscono una realtà linguistica molto
complessa (sia per la prossimità spaziale con Roma, e il conseguente
e inevitabile influsso del romanesco, sia per le differenziazioni in-
terne tra i vari centri, molto percepibili a un’analisi microscopica,
sia sul piano strutturale sia su quello sociolinguistico), che è stata
7
analizzata già in una serie di studi (per limitarci agli autori contem-
poranei, e non a quelli attivi tra fine Ottocento-inizio Novecento,
dobbiamo fare i nomi almeno di Antonella Stefinlongo e di Mauri-
zio Dardano, anch’essi per molti anni docenti di Linguistica Italiana
a Roma Tre, di Michele Loporcaro e di Stefania Tufi e soprattutto di
Luca Lorenzetti, docente di Linguistica Generale presso l’Università
della Tuscia, anche lui “castellano doc”, che ai dialetti castellani ha
dedicato la sua tesi di dottorato e vari contributi di grande rilievo).
8
tenza attiva del dialetto, arrivando anche a stilare una classifica circa
la vitalità dei tratti che più caratterizzano, ai diversi livelli di analisi
(fonetica, morfologia, sintassi), il dialetto genzanese (spesso anche
nel confronto col romanesco, oltre che con l’italiano) e poi anche
sulla competenza passiva. Ma, cosa altrettanto importante sul piano
sociolinguistico, ha documentato gli atteggiamenti, le valutazioni, le
idee dei giovani di Genzano nei confronti del dialetto locale.
Dal lavoro risulta con chiarezza la sostanziale vitalità del dialetto, an-
che in alcuni tratti arcaici, la cui sopravvivenza non si poteva affatto
dare per scontata data la duplice pressione del romanesco e dell’ita-
liano; e risulta anche, nel complesso, un forte attaccamento del mon-
do giovanile, al dialetto e a ciò che rappresenta. Elisa conclude il
suo lavoro affermando che i suoi giovani informatori dimostrano “di
avere non solo la capacità di parlare ancora il dialetto, ma anche di
provare ancora un amore e un attaccamento verso quest’ultimo e di
conseguenza verso le loro tradizioni e la cultura del proprio paese”.
Io posso aggiungere che questo stesso amore, per il dialetto e anche
per il suo studio, lo ha dimostrato anche Elisa con il suo lavoro; e lo
stesso si può dire per chi ha dato a Elisa la possibilità di pubblicare la
sua tesina, a cui va anche il mio ringraziamento.
Paolo D’Achille
Università degli Studi Roma Tre
9
SOMMARIo
INTRODUZIONE 12
1. I DIALETTI NEL LAZIO 15
1.1 Il Lazio 15
1.2 La situazione del Lazio 16
1.3 L’area mediana 21
1.3.1 Le caratteristiche comuni dei dialetti dell’area mediana 22
1.4 La classificazione dei dialetti nel Lazio 25
1.4.1 Le caratteristiche comuni dei dialetti laziali 27
2. GENZANO 34
2.1 I Castelli Romani 34
2.1.1 La classificazione dei dialetti dei Castelli Romani 41
2.2 Genzano 47
2.2.1 La storia di Genzano 47
2.2.2 Tratti della cultura genzanese 54
2.3 Il dialetto a Genzano 59
2.4 Le caratteristiche del dialetto di Genzano 61
2.4.1 Caratteristiche fonologiche 62
2.4.2 Caratteristiche morfologiche 66
2.4.3 Caratteristiche sintattiche 72
2.4.4 Esempi lessicali 74
10
3. L’INDAGINE 78
3.1 Lo scopo dell’indagine 78
3.2 Il campione dell’indagine 80
3.3 Il metodo dell’indagine 83
3.4 Analisi dei dati raccolti 89
3.4.1 Analisi delle caratteristiche fonologiche 90
3.4.2 Analisi delle caratteristiche morfologiche 92
3.4.3 Analisi delle caratteristiche sintattiche 95
3.4.4 Comprensione del lessico 97
3.5 Come i giovani genzanesi percepiscono il proprio dialetto 99
4. Conclusioni 103
APPENDICE 1 107
APPENDICE 2 109
BIBLIOGRAFIA 120
SITOGRAFIA 124
11
INTRODUZIONE
12
Seguirà un sottoparagrafo relativo nello specifico alla classificazione
dei dialetti dei Castelli e ai loro tratti comuni. A seguito della tratta-
zione generale sui Castelli si parlerà del paese di Genzano. Si daran-
no notizie sulla sua storia e sulla sua cultura. Si entra a questo punto
nel vivo del lavoro con il paragrafo sulle caratteristiche del dialetto
genzanese: si è cercato di darne una panoramica completa, suddivi-
dendo i tratti caratteristici in fonologici, morfologici, sintattici e les-
sicali, in modo tale da rendere in un certo senso “familiare” questo
dialetto anche a quanti non lo avessero mai sentito parlare. Prima
della trattazione scientifica del dialetto si è però voluta dare un’idea
di come il dialetto sia percepito dai suoi parlanti proprio attraverso
le parole di questi ultimi, tratte da interviste realizzate dall’autrice.
13
dei Castelli Romani, ma ancor di più desidera valorizzare i nuovi
talenti, che nascono e crescono nel nostro territorio. Non è scontato
che sia primariamente il luogo in cui si nasce a dare a un giovane i
riconoscimenti e la spinta necessari per continuare il proprio lavoro,
soprattutto di questi tempi. Ma Terre Latine è una Fondazione attiva
sul territorio che ama e che propone iniziative sempre brillanti, così
come sono i giovani talenti che vuole mettere in luce, in modo tale
da spingerli concretamente a non abbandonare il proprio Paese e
così facendo promuoverne lo sviluppo culturale. Per questo ringra-
zio la Fondazione, per me e per tutti coloro che dopo di me rientre-
ranno in questo progetto; perché ci dà fiducia, quella necessaria per
continuare a credere nei nostri sogni.
14
1. I DIALETTI NEL LAZIO
1.1 Il Lazio
Il Lazio in cui viviamo oggi è un Lazio molto diverso da ciò che
era il territorio chiamato Latium dai romani. La regione compresa
sotto questo nome non aveva però confini definiti ed era una zona
abbastanza disomogenea dal punto di vista dei popoli e della lingua.
Vi risiedevano infatti sia popolazioni latine che popolazioni sabine,
ma anche Equi e Volsci. Già in età romana infatti il territorio gene-
ricamente chiamato Lazio veniva suddiviso idealmente in due zone:
il Latium Vetus, la zona cioè originariamente abitata dai Latini; il
Latium Novus o Adiectum, la zona cioè a sud dei territori latini, fino
alla valle del Liri e del Sacco. Questa distinzione fu poi abbandonata
in età tardo imperiale, nel momento in cui il Latium Novus fu accor-
pato alla Campania.
1. Le regioni in tare solo in altre due regioni italiane1. Esso è infatti tagliato lungo
questione sono le
Marche e l’Umbria, sua metà da uno dei confini linguistici più importanti di tutta l’area
attraversate anch’esse
dallo stesso fascio italo-romanza (D’Achille 2002): il fascio di isoglosse che partendo
di isoglosse che
attraversa il Lazio, la da Ancona divide la penisola seguendo una forma a S attraversan-
linea Roma-Ancona
(Vignuzzi 1981). do le Marche, l’Umbria (tagliando la valle del Chiascio, toccando
16
2. La linea Roma
Ancona è solo uno
dei due fondamentali
confini linguistici
della penisola italiana.
È infatti presente
un secondo fascio
di isoglosse che si
estende tra La Spezia
e Rimini. Sia la linea
Roma-Ancona che
la linea La Spezia-
Rimini sono state in-
dividuate dal linguista
tedesco Gerhard
Rohlfs. Grazie ai
suoi già approfonditi
studi necessari alla
compilazione dell’At-
lante Italo Svizzero
(AIS), in un saggio
intitolato La struttura
linguistica dell’Italia,
risalente al 1937, il
grande studioso riu-
sciva ad identificare i
Perugia e attraversando la valle del Tevere) e ovviamente il Lazio due più netti confini
linguistici d’Italia,
(Vignuzzi 1981). Il fascio di isoglosse, individuato con chiarezza da inaugurando di fatto
una nuova tipologia
Rohlfs, è chiamato linea Roma-Ancona2. di classificazione
dei dialetti, quella
basata appunto sulle
La linea, ricalcando l’antico confine tra i territori dei popoli etruschi isoglosse. (Avolio
2009). Mentre la
a nord e italici a sud che correva lungo il corso del Tevere e le vie linea Roma-Ancona
attraversa più o meno
al centro tre regioni,
consolari Salaria e Flaminia, divide in due grandi blocchi i dialetti la linea La Spezia-
Rimini segue quasi
del centro-sud Italia (D’Achille 2002). A nord del fascio di isoglos- completamente il
confine settentrionale
se troviamo il sistema centrale, che è appunto localizzato tra il fascio della Toscana.
17
di isoglosse La Spezia-Rimini e quello in questione, a sud invece tro-
viamo il sistema centro-meridionale.
Inoltre Roma è sempre stata una città relativamente isolata dal resto
della regione cui appartiene. Questa situazione risale già all’epoca
della Roma repubblicana, quando la città non lasciava sopravvivere
centri di rilevante importanza nei suoi pressi; esistevano sì centri
vitali, ma erano tutti centri minori, come Castra Albana, Tivoli, Fi-
dene, Lanuvio, Anzio, Cerveteri, per citarne solo alcuni. Per arriva-
re a centri di maggiore importanza bisognava salire fino a Chiusi o
scendere fino a Napoli, Cuma e Pompei. Ma i conflitti con i popoli
italici spinsero Roma a limitare sempre di più lo sviluppo dei centri
circostanti fino a sostituirli con un sistema di ville patrizie. Con l’a-
vanzare dei secoli e della crisi dell’impero le ville furono addirittura
abbandonate. Quindi l’isolamento della città che si è perpetrato per
secoli ed è giunto fino alle soglie del nostro tempo affonda le sue ra-
dici in periodi antichissimi. Questa situazione ha quindi in qualche
modo frenato l’avanzamento del dialetto romanesco nel resto della
19
regione (De Mauro-Lorenzetti 1991). Nella situazione di pro-
gressivo avvicinamento dei confini estremi della città verso quelli
dei piccoli centri contigui sviluppatasi nelle ultime decine di anni,
ma anche a causa del pendolarismo iniziato alla fine dell’Ottocento
e vieppiù aumentato fino ai nostri giorni, il romanesco dà segni di
espansione soprattutto nel vasto hinterland intorno alla capitale, ma
anche nel resto della regione inizia ad essere accolto come varietà di
maggior prestigio rispetto al dialetto locale, che pure continua ad
essere utilizzato nei centri in cui ha una radicata tradizione (si pensi
ad esempio alla zona dei Castelli Romani). Tendenzialmente, nella
provincia romana possono essere identificati due codici dialettali
distinti: il romanesco e il dialetto locale. In alcuni casi il romanesco
è utilizzato come varietà di prestigio nettamente distinta dal dialet-
to locale (ad esempio nell’area della Tuscia viterbese), in altri casi
invece la compresenza dei due codici porta alla mescidazione, con
conseguente ampliamento della variabilità del dialetto romano. La
4. Gli elementi che centralità di Roma sta portando il romanesco a diventare la varietà
hanno portato Roma
a un’ampia italofonia di prestigio all’interno del Lazio, anche se, a causa dei sostrati dia-
sono del tutto scono-
sciuti invece nel resto
lettali locali, si stenta a individuare un italiano regionale omogeneo
del territorio laziale. (D’Achille 2002, D’Achille-Stefinlongo-Boccafurni 2012).
Infatti i dialetti della
regione hanno subito
un’evoluzione sostan- Ancora, il dialetto romanesco ha subito valutazioni negative da par-
zialmente estranea
alla conoscenza te dei suoi stessi parlanti, probabilmente a causa della sua vicinanza
della lingua e poco
vitale, hanno vissuto con la lingua (D’Achille 2002). Infatti le vicende dell’italofonia ro-
in effetti in una
condizione di relativa mana4 sono del tutto diverse da quelle riscontrabili nel resto delle
staticità. L’italiano nel
Lazio è stato sempre
città italiane. Si è già detto della toscanizzazione della lingua cittadi-
una lingua scritta e lo
na avvenuta nel Cinquecento, quindi di un avvicinamento alla lin-
è ancora oggi, con le
normali limitazioni gua che, come noto, sarà poi basata sul toscano. È anche importante
per quanto riguarda
la classe sociale (De ricordare che la presenza della sede papale spinge buona parte del
Mauro-Lorenzetti
1991). ceto impiegatizio e artigianale a usare la lingua piuttosto che il dia-
20
letto nei rapporti con la curia. In tempi più recenti è stata invece la
classe governativa romana a spingere il popolo all’uso dell’italiano.
Ancora più vicino ai nostri giorni, i mass media hanno contribuito
non poco alla diffusione della lingua. A Roma avevano e hanno tut-
tora sede ad esempio la RAI e Cinecittà nonché altri importanti cen-
tri di informazione, come Il Messaggero o Il Sole 24 ore. La lingua ha
avuto quindi a Roma, come in pochi altri luoghi, un uso veramente
vivo. L’italiano, del resto, si è progressivamente adattato anche all’uso
quotidiano e non solo all’uso letterario o burocratico. Il dialetto è
quindi diventato ciò che la politica linguistica postunitaria ha credu-
to che fosse dappertutto: «un idioma dei ceti subalterni, di reietti. A
Roma invece fu veramente tale: un idioma per sguaiati nei momenti
di sguaiataggine» (De Mauro-Lorenzetti 1991: 329) Proprio que-
sta italofonia precoce della capitale, che ha determinato il giudizio
negativo nei confronti del dialetto locale5, deve aver contribuito a
impedire la diffusione del romanesco nel Lazio, quindi la creazione
di una koinè dialettale regionale (D’Achille 2002).
L’area comprende tutti i dialetti parlati nel Lazio a sud e a est del
corso del Tevere (da Amatrice e Rieti fino ad Anagni, Priverno e 5. Il giudizio negativo
dei romani non è
Sonnino), nell’Umbria sud-orientale (con Foligno, Spoleto, Terni riferito solo al proprio
dialetto, ma ancor più
e Norcia), nelle marche centro-meridionali (nel maceratese e nelle è forte nei confronti
degli altri dialetti
zone confinanti delle province di Ancona, Fermo e Ascoli Piceno)
laziali, sentiti come
e nell’Abruzzo settentrionale (dall’Aquila e Avezzano verso ovest e varietà popolari e
rustiche (D’Achille
nord) (Avolio 2009). 2002).
21
1.3.1 Le caratteristiche comuni dei dialetti dell’area mediana
22
ES: A Napoli troviamo pilë (pelo, -i) che deriva dall’originario latino
PĬLUS, secondo il vocalismo italiano dalla -Ĭ- dovrebbe derivare -é.
Uócchiu (occhio) deriva invece dall’originario latino ŎCŬLUS, se-
condo il vocalismo italiano da -Ŏ- dovrebbe derivare -ò.
Fiuri (fiori) deriva dall’originario latino FLŌRIS, secondo il vocali-
smo italiano da -Ō- dovrebbe derivare -ó.
- Gli sviluppi di -L- più consonante: sono tre, spesso convivono nella
stessa varietà. Il primo è il rotacismo, in cui -l- passa a -r-. Il secondo
è la velarizzazione, in cui -l- passa a -w- o -ve-. Il terzo è il dileguo,
in cui -l- cade.
24
il plurale, come nomi astratti, verbi e aggettivi sostantivati, sostan-
tivi non numerabili ecc. La conservazione del neutro avviene sia
attraverso un particolare tipo di articolo determinativo sia tramite
aggettivi e pronomi dimostrativi diversi dalla forma maschile. Vie-
ne riservato al neutro l’articolo lo (anche ridotto a ’o), mentre per
il maschile è utilizzato l’articolo lu (anche ridotto a ’u); gli articoli
derivano rispettivamente dai dimostrativi latini ILLŬD (neutro) e
ILLŪM (maschile). Per quanto riguarda gli aggettivi e i pronomi di-
mostrativi viene usata per il neutro la desinenza -o e per il maschile
la desinenza -u. Le forme del pronome e dell’aggettivo maschili sono
sempre metafonetiche (issu, quillu, quistu) al contrario di quelle del
neutro (ésso, quéllo, quésto).
ES: ’o pane ʻil paneʼ (il sostantivo neutro si riferisce al pane in ge-
nerale)
’u pane ʻil paneʼ (il sostantivo maschile si riferisce ad uno speci-
fico pezzo di pane)
26
mente vicina alle Marche centrali, all’Umbria sudorientale e all’area
aquilana;
- l’affricazione di -s-, che passa a -ts-, dopo -n- -r- -l-. In dialetto av-
viene soprattutto con le prime due, perché la -l- tende a rotacizzarsi
o a cadere, impedendo così il fenomeno.
- L’anaptissi della -v- tra due vocali, per alleggerire il gruppo ai fini
della pronuncia. Anche l’anaptissi è un fenomeno che caratterizza
non poche aree della penisola.
29
Il tratto è particolare, in quanto è presente nel Lazio in modo varia-
bile. Rispetto all’area romanza orientale e l’Italia a nord della linea La
Spezia-Rimini, che presentano una sistematica sonorizzazione delle
sorde nella suddetta posizione, l’Italia centrale, invece, non presenta
questa stessa sistematicità. Peraltro i fenomeni non sono del tutto
coincidenti: la sonorizzazione settentrionale avviene solo all’interno
di parola, mentre la lenizione centromeridionale anche in fonosin-
tassi. Il tratto è molto caratterizzante e presente sia a Roma che nel
resto del Lazio. Nel romanesco contemporaneo, si nota una sem-
pre maggiore tendenza ad abbandonare l’uso delle sorde (presente
invece nel romanesco antico) in favore della loro lenizione. Ciò si
verifica a partire dal Cinquecento, probabilmente a causa dell’inizio
della “smeridionalizzazione” del romanesco che via via si inizia ad
avvicinare al toscano. Nel resto del Lazio il fenomeno di lenizione
o completa sonorizzazione è maggiore in presenza della consonante
dentale, in posizione postonica, all’interno di parola e in fonosintas-
si, nelle generazioni più giovani, nella zona meridionale della pro-
vincia romana, nelle classi sociali con basso grado di scolarizzazione
(D’Achille-Stefinlongo 2008, Carlucci 2015).
30
tervocalica. Anche nel romanesco è però spesso presente la lenizione
della labiovelare iniziale (guasi ʻquasiʼ).
ES: sèndi ʻsentiʼ
31
suadere, preoccupare, disturbare ecc.) appaiono più spesso di altri in
presenza di accusativo preposizionale. L’accusativo preposizionale è
dovuto alla perdita delle marche di caso flessive e alla posizione non
rigida di soggetto, verbo e oggetto all’interno della frase: la prepo-
sizione assume il valore di marca di caso in presenza di oggetti che
più facilmente potrebbero essere scambiati per agenti: esseri animati
e soprattutto persone (Berretta 1990). È un tratto tipico anche dei
dialetti meridionali.
ES: chiama a nonna ʻchiama nonnaʼ
32
singolari e plurali (Lorenzetti 1992).
ES: sò magnato ʻho mangiatoʼ
33
2. GENZANO
autostrada Roma 4 PANORAMA DAL BELVEDERE DELLA VIA SACRA 8 EMISSARIO DI NEMI
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37 PALAZZO RUSPOLI
1 Siti archeologici 26
38 PALAZZO SAVELLI (Rocca Priora)
1 Patrimonio artistico
Velletri 39 PALAZZO ANNIBALDESCHI
1 Chiese e conventi 40 VILLA MONDRAGONE
10
Confini del Parco 24 41 VILLA PARISI chiese e conventi
42 VILLA ALDOBRANDINI
Area del Parco N
1. Il detto è riportato
in dialetto albanense,
«Arbanese fregnone e broccolaro, castellano mmiccarolo, genzanese il suo significato è:
albanense sempliciot-
rogarolo, velletrano sette volte villano, marinese ajo, cipolla e pepe- to e mangiatore di
broccoli, castellano
rino, frascatano pallonaro, ricciarolo biedone, rocchiciano fascettaro, imbroglione, genza-
nese che ha a che fare
nemese sciorno 1.» con i rovi (era una
professione tipica-
(Dori-Onorati-Sirilli-Torreggiani 2006: 85) mente genzanese il
creare legami per la
vigna con rovi lavo-
rati), velletrano sette
volte villano, Marino
aglio, cipolla e peperi-
I Castelli sembrano disposti da un artista lungo le pendici del cratere
no (sono a Marino le
vulcanico, arroccati e aggrappati ai versanti rocciosi che circondano cave di peperino, roc-
cia tipica della zona),
i due laghi, di Nemi e di Castel Gandolfo, incastonati come perle tra frascatano bugiardo,
ariccino mangiatore
i monti e la rigogliosa vegetazione (vedi Fig. 2, pag. 36). di bieta, rocchigiano
produttore di fascine,
La bellezza del territorio e la salubrità del clima, che nettamente si nemese sciocco.
35
differenziava dalla campagna romana stremata dalla malaria, hanno
attratto fin dall’Ottocento i viaggiatori e le località castellane sono
entrate ben presto nel percorso del Grand Tour (Piccioni 1993).
Grandi uomini e grandi artisti visitarono questa suggestiva zona e
se ne lasciarono incantare, lasciandoci testimonianze e scritti del
loro passaggio. Nella letteratura straniera del Sette-Ottocento sono
molte le opere che testimoniano l’interesse per i Castelli Romani.
Dalla Francia vennero Montesquieu e Sade, dalla Germania venne
Goethe, forse il più celebre visitatore ottocentesco della penisola,
che descrisse il percorso del suo viaggio nell’opera Viaggio in Italia
soffermandosi anche sul passaggio ai Castelli. Ma anche personaggi
italiani lasciarono descrizioni entusiaste del luogo, come Massimo
D’Azeglio o, più vicino ai nostri giorni, Gabriele D’Annunzio.
Il paesaggio naturale offrì anche scenari perfetti per ambientazioni
di opere letterarie o teatrali: Byron cita Nemi ne Il pellegrinaggio del
Fig. 2 - I due laghi giovane Aroldo, Hans Christian Andersen ambientò gran parte del
visti dalla via sacra di
Rocca di Papa.
suo romanzo L’improvvisatore nella campagna di Nemi e Genzano,
fonte: http://www.
George Sand (pseudonimo con cui la scrittrice Amandine Aurore
parks.it/fotoNews/i_
due_laghi.jpg Lucile Dupin firmava le sue opere) nel suo romanzo La Daniella si
36
sofferma sulla descrizione e sull’atmosfera dei luoghi in cui sorgeva-
no alcune ville di Frascati2.
Non furono solo uomini illustri a visitare i Castelli: infatti questi ul-
timi furono da sempre meta anche del turismo locale, che si spostava
da Roma. I Castelli attiravano i romani per le loro bellezze paesaggi-
stiche, per il loro folklore e per il loro clima. La calma di un luogo di
provincia così ameno ma tanto vicino alla città era un invito a stac-
care per un po’ dalla frenetica vita quotidiana. Nelle guide turistiche
che riguardavano Roma non mancavano mai i Castelli come tappa
obbligata della visita. Il rapporto turistico così stretto con la città,
che decollò tra gli anni ottanta e novanta dell’Ottocento, è testimo-
niato dalla fitta rete di trasporti pubblici che si andava sviluppando
a partire dalla metà del secolo. Nel 1856 venne inaugurata la linea
Roma-Frascati, il primo tratto di ferrovia dello Stato pontificio. Da
qui molti altri ne furono realizzati: nel 1859 venne aperta al pubblico
la tratta Roma-Albano, del 1862 è invece la tratta Roma-Ceprano,
che dopo solo un anno raggiungerà Napoli, passante per Velletri. In-
fine nel 1916 dalla ferrovia Roma-Fiuggi-Frosinone venne staccata
la diramazione Frascati-San Cesareo. Sulla carta la zona era quindi
fornita di una ferrovia di tutto rispetto, ma in realtà le stazioni erano
2. Informazioni prese
spesso lontane dal centro dei paesi, costringendo i turisti a percor- dai siti http://www.ca-
stelliromanigreentour.
rere lunghe scalinate a piedi o a prendere l’omnibus (un servizio di it/blog/i-colli-albani/
grand-tour-i-giorni-
trasporto costituito da lunghe carrozze, dalla capienza di circa dieci felici-di-goethe-ai-ca-
stelli-romani/ e http://
persone, sostituite in seguito da autobus). A causa del disagio causa- www.specchioro-
mano.it/fondamen-
to dalla lontananza delle stazioni dal centro e dall’esclusione di alcu- tali/Lespigolatu-
re/2005/Febbraio%20
ni paesi dalla ferrovia, come Genzano, la costruzione della tramvia 2005/I%20Castel-
li%20Romani%20
dei Castelli Romani nel 1906 fu salutata con grande entusiasmo. La
un%20diario%20
tramvia corre lungo le strade, quindi porta tutti i vantaggi di un tra- a%20pi%C3%B9%20
voci.htm, consultati il
sporto pubblico nel cuore del paese (vedi Fig. 3, pag. 39). 6 luglio 2016
37
Ma anche il servizio stradale dei Castelli è particolarmente ricco. In
primis sono attraversati da una delle più importanti strade d’Italia,
la Via Appia, la cui origine risale al 310 a. C. e che tocca i comu-
ni di Castel Gandolfo, Albano, Ariccia, Genzano, arrivando poi a
Velletri e oltrepassandola in direzione di Napoli. A metà Ottocento
venne inoltre creata la Via Tuscolana, sempre su un antico tracciato
romano, che uscendo da Roma all’altezza dell’Appia se ne biforcava
dirigendosi verso Frascati. Importante collegamento tra le due arte-
rie fu la Via Gregoriana, dal nome del suo costruttore, papa Grego-
rio XVI. Ai primi del Novecento vennero inoltre inaugurate diverse
strade provinciali, importanti collegamenti interni alla zona. Per fare
un solo esempio fondamentale si cita laVia dei Laghi, che partendo
dall’Appia giunge fino a Velletri.
Lo scambio umano tra città e provincia non è a senso unico: c’è co-
stantemente il flusso turistico, ma a partire dagli inizi del Novecento
inizia anche un ricco flusso di pendolari che si spostano verso la
città. La popolazione dei Castelli si rivolge a Roma per una variegata
serie di motivi, tra cui i servizi pubblici, gli uffici statali, i negozi,
i locali notturni; ma soprattutto i castellani si recano a Roma per
lavorare. Il lavoro è stato e sarà sempre la maggiore attrattiva della
capitale, per comuni che sono ad oggi sostanzialmente autonomi dal
punto di vista dei servizi, che iniziano a essere forniti delle migliori
attrattive per gli acquisti e che si trovano immersi in una tranquillità
e in un ambiente naturale assenti in città (Piccioni 1993).
38
ciare a crescere e diventare sempre di più la componente
principale dell’economia castellana. Ad esempio il comune
di Ariccia, particolarmente virtuoso, ha già da molti anni
avviato un servizio di visite guidate all’interno di parco e
palazzo Chigi, fastosa dimora barocca; il palazzo attira per
la sua bellezza un notevole numero di turisti. Il comune di
Genzano ha invece iniziato pochi anni fa la valorizzazione
e la promozione del palazzo Sforza-Cesarini. Il restauro,
progettato a partire dal 2001, ci ha restituito un palazzo
ricco di storia, ma anche un meraviglioso giardino ro-
mantico ottocentesco. Il comune di Castel Gandolfo ha,
proprio da questa estate, attrezzato nuovamente le spiag-
ge del bellissimo lago con stabilimenti balneari. Inoltre il
Papa ha deciso di aprire a visite guidate il suo palazzo e
il suo giardino, mettendo così a disposizione dei turisti
anche ciò che di artistico Castel Gandolfo ha, oltre alla secentesca Fig. 3 - l’immagine
chiesa a pianta centrale, costruita su progetto del Bernini. mostra il percorso
della tramvia (linea
nera più spessa) e il
I Castelli Romani sono stati fino ad ora trattati come un’unica entità, percorso delle fer-
rovie (linea nera più
come se lo fossero sempre stati. Dal punto di vista geografico e cul- sottile) all’altezza del
1930. fonte: piccioni
turale in effetti è così da sempre. Dal punto di vista storico, invece, 1993.
ogni paese ha avuto una propria evoluzione, a partire addirittura
dall’epoca romana in alcuni casi, dipendente soprattutto dalle vicen-
de delle famiglie che vi risiedevano e che possedevano il feudo. È
impossibile quindi cercare di delineare una storia unitaria delle cit-
tadine della zona, ma si può cercare di individuare il momento in cui
questo variegato insieme di paesi ha cominciato a essere percepito
dall’esterno come un’unica entità e il momento in cui ha assunto il
nome con cui oggi è noto. Quando, quindi, i Castelli Romani hanno
assunto tale denominazione? Il primo a occuparsi del problema fu
39
lo storico Giuseppe Tomassetti, che nella sua La campagna romana
antica, medievale e moderna3, monumentale opera storica appunto
sulla campagna romana, spiegava il toponimo come derivante dalla
cittadinanza romana degli abitanti dei Castelli, dovuta alle immi-
grazioni trecentesche, causate dallo spostamento della sede papale,
e a quelle cinquecentesche, causate dal sacco di Roma. Lo storico
però non portava nessun dato oggettivo a dimostrazione della sua
tesi. Nonostante ciò la sua opinione ebbe una notevole autorità per
decenni, finché lo storico Renato Lefevre non la mise in discussione
(Lorenzetti 1999).
40
Ciò dimostra che in epoca post unitaria il toponimo era finalmente
entrato nell’uso. Secondo Lefevre la denominazione si diffonde per-
ché si diffonde l’uso di villeggiare ai colli Albani e Tuscolani e perché
viene inaugurata la ferrovia che li collega con la capitale, facilitan-
done i contatti. Alla fine del secolo il toponimo è diffuso nelle guide
turistiche e nei giornali ma anche a livello popolare (Lefevre 1978).
Accontentandosi dell’espressione ellittica “Castelli”, la datazione può
essere anticipata, in Belli appare due volte (ma sempre riferita al vino
e glossata, segno che l’espressione non era ancora diffusa e poteva
non essere compresa), ma si può arrivare addirittura al 1598: la si
trova nei verbali di un interrogatorio, il diletteuole essamine de’ Gui-
doni, Furfanti ò Calchi, altramente detti Guitti (Lorenzetti 1999).
Ma ciò che è importante è che l’espressione si diffonde realmente
nell’uso vivo a partire dall’unità. Dalla seconda metà del secolo di-
venterà sempre più l’espressione comune per indicare il complesso di
comuni dei colli Albani e Tuscolani, fino ad arrivare ai nostri giorni,
al raggiungimento della fama di essere un luogo di pace e serenità.
Di essere un luogo che riempie gli occhi con le sue bellezze paesag-
gistiche e artistiche, delizia il palato con il suo famoso vino, allieta
l’anima con il suo folklore, la spontaneità e l’allegria del suo popolo.
41
rio enorme. E lì…parlando ’na vota co ’na perzona me disse che è
perché i trasporti erino chelli che erino, cioè pe’ annà da Genzano a
Ariccia a quei tempi era ’n viaggio, ce dovevi annà a cavallo…ce met-
tevino quattro cinqu’ore […]. Ma che scherzi, tra Ariccia e Genzano,
tra Velletri e Genzano ce sta ’na differenza abbissale4!»
42
4. Dialetti Interni: comprendono i comuni di Rocca di Papa e Nemi.
Sono accomunati dal vocalismo atono finale a cinque vocali (-i, -e,
-a, -o, -u), dalla sonorizzazione postnasale, dalla metafonesi di tipo
antico-romanesco (per cui le vocali medio basse dittongano mentre
vengono conservate quelle medio alte. Quindi si ha téttu, órzo, ma
pjétto, nwóvo.), dalla sonorizzazione postnasale, dal dimostrativo di
tipo chillu.
45
do sopravvivere i tratti mediani, ma relegandoli al ceto più basso
della piramide sociale. È però difficile verificare tale ipotesi dal pun-
to di vista puramente linguistico, perché i documenti dialettali dei
Castelli sono pochissimi, non risalgono oltre la metà del ’500 e sono,
nella quasi totalità dei casi, documenti di livello alto.
Un’altra delle possibili spiegazioni della variabilità è la questione
dell’immigrazione. È diffuso il pensiero, soprattutto tra gli studiosi
locali, che le differenze dipendano dalle immigrazioni avvenute nel
corso dei secoli, soprattutto quelle dovute a ripopolamenti cinque-
centeschi (resi necessari dai saccheggi che avvennero contestual-
mente al sacco di Roma). Guardandosi dalle esagerazioni, l’ipotesi
potrebbe essere presa in considerazione, perché spiegherebbe le dif-
ferenze che intercorrono tra i confinanti comuni di Ariccia e Gen-
zano o Castel Gandolfo e Marino. Però, piuttosto che credere che
gli immigrati abbiano del tutto soppiantato le parlate precedenti,
bisogna immaginare un rapporto fluido e instabile. I nuovi arrivati
avranno sicuramente portato innovazioni linguistiche, ma bisogna
ricordare che, in generale, gli immigrati non si trovavano in una
posizione sociale tanto forte da poter essere più di tanto influenti
(Lorenzetti 1998).
Probabilmente quindi la situazione linguistica dei Castelli non potrà
dipendere da un solo fattore, ma dipenderà, invece, dall’intreccio di
diversi eventi, tra cui sicuramente quelli accennati sopra: la loro po-
sizione geografica, con l’influenza di aree linguistiche “forti”, come
quella romana e quella meridionale; il loro complesso rapporto con
Roma, che ha esportato i suoi tratti linguistici in alcuni comuni ma
non in altri; l’immigrazione del XVI secolo, che avrà sicuramente
contribuito, con l’importazione di alcuni tratti “esterni”, all’attuale
definizione dei dialetti dei Castelli Romani.
46
2.2 Genzano
47
5. Caffarelli, nel suo trizie, come la celebre villa degli Antonini, risalente al I secolo d.C.
volume Il Lazio nome
per nome, sostiene (Feliciani 2008). Fin dal periodo romano e per quasi tutto l’alto
che il toponimo
Genzano indichi medioevo il territorio della futura Genzano fu parte delle proprie-
l’antica proprietà
della zona ed è per tà dell’antica famiglia romana dei Gentiani, da cui secondo il Ratti,
questo caratterizzato
dal suffisso prediale più illustre e antico storiografo della città di Genzano, proviene il
-ano. Il toponimo
deriverebbe dal nome nome. Ratti non si limita a dimostrare la corretta etimologia5. Ci
di persona Genacius
o Genicius (o forse tiene a specificare quanto la pretesa di far risalire il nome della città
Genucius) oppure da
Gentius, secondo la al culto di Diana sia «una capricciosa invenzione di bello spirito»
trafila Geniciano >
Gentiano > Genzano
(Ratti 1797: 19). Secondo il Ratti il toponimo Genzano è sempre
(Caffarelli 2011).
stato lo stesso, nelle sue diverse versioni: Gienzanum, Gentianum,
Anche il dizionario di
toponomastica edito Gencianum, Genzanum o Gensanum, Jensanum, Jenzanum e Janza-
dalla Utet (Gasca
Queirazza et al. num (Ratti 1797: 15). Soltanto nel secolo XV si coniò senza fon-
1990) fa risalire il
toponimo Genzano damento il nome latino: Cynthianum o Cinthianum. Questa nuova
a una formazione
prediale derivante dal denominazione si affermò fino ad arrivare ai nostri giorni, tanto da
nome latino Genicius
o Genucius, con vederla ancora utilizzata come nome del cinema cittadino. Il primo a
l’aggiunta del suffisso
aggettivale -anus che utilizzarla fu Biondo da Forlì, seguito subito dopo da Pio II e da Raf-
indica appartenenza.
faele Volterrano. Non se ne conoscono infatti attestazioni anteriori.
D’altra parte, si chiede lo studioso, come è possibile che una città
abbia preso il nome da un tempio già distrutto all’epoca della sua
fondazione? Il tempio della dea si trova sul territorio che sarà poi di
Nemi; allora perché Genzano avrebbe dovuto prenderne il nome al
posto di Nemi? Come è possibile inoltre che il ben più antico topo-
nimo Cynthianum, da cui Genzano dovrebbe derivare, non ricorra
mai nei secoli né a livello popolare né a livello letterario? Per questi
motivi il Ratti afferma con forza che il toponimo Genzano derivi dal
nome della famiglia patrizia dei Genziani (Ratti 1797). Il territo-
rio sarebbe stato proprietà dei Genziani finché per ragioni tutt’oggi
oscure, passò sotto il dominio dei Gandolfi, possessori di un vasto
fondo ai piedi di Monte Cavo, che includeva anche i laghi. Nel 1218 i
48
Gandolfi, fieri ghibellini, furono costretti a cedere per motivi politici
il fondo al papa Onorio III (Feliciani 2008).
49
borgo, che poté essere ricostruito solo grazie all’aiuto della Camera
Apostolica. La storia di Genzano incontra però nuovamente quella
della famiglia Colonna: papa Giovanni XXII, infatti, per cercare di
porre fine alle continue lotte tra i Colonna e la Chiesa, decise di far
loro dono, insieme ad altri possedimenti, del feudo genzanese. Nic-
colò e Giovanni Colonna ottennero così Genzano a partire dal 1410.
Il castello divenne poi dominio di Antonello Savelli fin quando nel
1417 il papa Martino V lo riconsegnò nuovamente ai monaci, ce-
dendo alle pressioni degli stessi. Subito i monaci diedero Genzano
in affitto ai Colonna per tre anni. A questo punto però la famiglia
voleva entrare definitivamente in possesso del feudo: chiese infatti
di poterlo acquistare. I monaci si riunirono per decidere sul da farsi
e la riunione si concluse con la vendita della proprietà, per la cifra
di quindicimila fiorini. Da questo momento Genzano sarà proprietà
dei Colonna fino al 1563, con un solo intervallo (1480-1485) duran-
te il quale il feudo fu retto dal cardinale Guglielmo D’Estouteville.
Genzano fu venduta nel 1563 da Marcantonio Colonna a Fabrizio
De’ Massimi, che dopo solo un anno lo cedette al duca Giuliano I
Cesarini. I terreni acquistati dai Cesarini comprendevano anche al-
cuni territori di Ariccia, il castello di Civita Lavinia (oggi Lanuvio) e
il territorio della tenuta detta “Due Torri”.
50
del ’600, il palazzo subì un primo ampliamento verso il lago, scaval-
cando quella che era la porta del paese. Giuliano lasciò comunque
il diritto di transito a tutti coloro che dovevano uscire o entrare dal
borgo. Lo stesso Giuliano, in concomitanza con i lavori a palazzo,
dal 1668, iniziò la realizzazione delle Olmate, una struttura viaria a
forma di tridente che sarebbe stata la base del futuro sviluppo della
cittadina, in un’ottica di riorganizzazione urbanistica appunto del-
la “Genzano nuova”. La struttura, con i suoi rigogliosi viali alberati,
andò così a creare su tutto il territorio cittadino un grande giardino
all’italiana. Le Olmate sono ad oggi identiche a come erano nel ’600,
del tutto percorribili, dove a piedi e dove in macchina. Solo gli olmi
purtroppo hanno patito il passare dei secoli e sono stati sostituiti
con dei tigli. Giuliano fece costruire anche la chiesa dei Cappuccini
e fece erigere la chiesa di Santa Maria della Cima sulla chiesetta me-
dievale che avevano lasciato i monaci cistercensi.
Alla morte di Giuliano III la famiglia si trovò senza eredi: i due figli
maschi erano morti, le due figlie femmine maggiori erano entrambe
suore, la terza era ancora troppo giovane. La situazione venne risolta
da Livia Cesarini, già suor Maria Pulcheria, che, ottenuta l’autoriz-
zazione dalla Sacra Rota, lasciò il convento per unirsi in matrimo-
nio con Federico Sforza di Santa Fiora. Ha origine così nel 1671 la
famiglia Sforza-Cesarini. Livia si dimostrò all’altezza di suo padre,
seguendone le orme nella realizzazione della “Genzano nuova”: fece
costruire un’ulteriore struttura viaria, un tridente più interno rispet-
to alle Olmate, anch’essa ancor oggi esistente.
L’intervento settecentesco (1714-1730), portato avanti da Gaetano
I, primogenito di Livia, completa il successivo affrancamento del
palazzo dal borgo medievale, in un’ottica non soltanto architettoni-
ca, ma anche culturale, di accoglienza e apertura verso il mondo; in
51
questa occasione il palazzo assunse l’aspetto che possiamo ammira-
re oggi con un ulteriore ampliamento verso il lago, l’aggiunta di un
secondo piano nobile e il completamento della facciata. Gli ultimi
lavori, avvenuti dal 1846 al 1857, si concretizzarono nell’aggiunta di
un’ulteriore ala che guarda verso il borgo e nel restauro della zona
medievale (Ratti 1797, Apa 1982, Melaranci 2001, Feliciani
2008, Gazzabin-Mammucari 2015).
52
Lo scoppio della seconda guerra mondiale confermò ai cittadini l’in-
giustizia dei regimi totalitari, così che la resistenza divenne ancora
più eroica. Molto attive sul territorio furono infatti le organizzazio-
ni partigiane e patriottiche che causarono non pochi problemi alle
truppe naziste e fasciste con mirate azioni di guerriglia.
Nel 1944 gli alleati statunitensi sbarcarono ad Anzio, per mettere in
atto l’Operazione Shingle, con lo scopo di attaccare alle spalle il fron-
te tedesco Gustav. Per evitare di essere subito respinte dai tedeschi
che si trovavano a terra, le forze alleate dovettero bombardare per un
raggio di molti chilometri città e paesi. Tra questi c’erano anche i Ca-
stelli Romani. Il 9 febbraio 1944, durante uno dei bombardamenti,
morirono a Genzano ventinove civili e altrettanti ne morirono il 12
febbraio. Tra il 31 gennaio e il 14 aprile dello stesso anno morirono
centosei genzanesi, a cui vanno aggiunti i sei martirizzati alle Fosse
Ardeatine. Durante i bombardamenti Genzano fu quasi completa-
mente rasa al suolo, avendo avuto più dell’ottanta per cento di edifici
distrutti o danneggiati fortemente. Dopo la Liberazione fu istituita a
Genzano una giunta del CLN che restò in carica fino al marzo del
’46, quando si svolsero le prime elezioni amministrative post-fasci-
smo. Da quel momento fino alle elezioni del giugno 20166, Genzano
ha sempre avuto un’amministrazione a maggioranza di sinistra. La
stabilità politica ha permesso al paese di crescere in modo continuo
sul piano civile ed economico: la sua popolazione è raddoppiata, la
popolazione addetta al settore primario è scesa fino a circa il dieci
per cento7, il settore terziario è stato fortemente incrementato, so-
prattutto nella ristorazione (Feliciani 1990). 6. Elezioni in cui ha
trionfato il movimen-
to cinque stelle, così
come in altre impor-
tanti città italiane.
53
2.2.2 Tratti della cultura genzanese
55
e vie, po’, mo n’ se sa si pe fagne proprio dispettu oppuramente nun
11. "Ormai sono
tanti anni che si fa potevino fà diverzamente, fatto sta che doppo spostanno ’a fontana
l’Infiorata. Si dice che
abbiano iniziato a de San Baschianu, che ’n mezzo ar Corzo deva fastidiu, e gn’a missi-
farla due fratelli a via
Sforza, dove scendeva no ’ttaccata all’imboccu de via Sforza. Chilli de ’a via subbito dissino:
la processione [del
Corpus Domini]: essi “Levete a’a fontana da qua, sindó n’a facemo piùne ’a ’Nfiorata! Ve’ che
fecero davanti la loro
casa un quadro di
nun scherzemo!”. E defatti nun scherzevino. ’A fontana n’a levanno e
fiori e venne loro così issi ’a ’Nfiorata nu’a fecino più11!» (Gallenzi-Gallenzi 2015: 103)
bene che l’anno suc-
cessivo anche gli altri
vicini si misero a fare
questi quadri di fiori.
Così, quelli di via Il primo documento che ci dà notizie certe dell’Infiorata è un mano-
Livia, vedendo come
gli abitanti di via scritto anonimo, conservato presso la Biblioteca Nazionale Centrale
Sforza si pavoneggia-
vano, dissero: “E che
di Roma, del 1824. Il testo ci informa che la prima Infiorata “intera”,
noi non lo possiamo
cioè costruita lungo tutta via Sforza, si ebbe nel 1782. Sarà totalmen-
fare? E che ci vuole?”.
E così si misero a co- te infiorata anche via Livia solo nel 1814.
piarli e fecero anche
loro i quadri sopra Durante il corso dei secoli la manifestazione ha avuto visitatori illu-
la propria strada, da
dove la processione stri: Massimo d’Azeglio la citerà ne I miei ricordi (e probabilmente
risaliva per riandare
alla chiesa del Duo- alla sua testimonianza fa riferimento il GRADIT, che data la voce av.
mo. Per molti anni
seguitarono a farla 1862), nel 1871 accoglie i principi Umberto e Margherita di Savoia,
entrambe le vie, poi,
non si sa se per fargli nel 1874 per Garibaldi viene allestita un’edizione speciale a inizio
proprio dispetto op-
pure perché non po-
inverno, nel 1947 è visitata da Alcide De Gasperi e Palmiro Togliatti.
tevano fare altrimenti,
Nel 1957, l’Infiorata viene allestita addirittura in Vaticano, così che
fatto sta che poi
spostarono la fontana Papa Pio XII possa ammirarla.
di San Sebastiano,
che in mezzo al corso
dava fastidio e gliela Inoltre, molti artisti hanno partecipato nel corso degli anni alla re-
misero proprio all’in-
gresso di via Sforza. alizzazione dei bozzetti per i quadri. Ha dato inizio a questa tradi-
Gli abitanti della
via subito dissero: zione il pittore Renato Guttuso, realizzando un bozzetto per il Cen-
“Togliete la fontana
da qua, altrimenti
tenario della morte di Garibaldi nel 1982. Tra i più importanti si
non facciamo più ricordano: Clerici, Treccani, Sassu, Vespignani, Migneco, Calabria,
l’Infiorata! Guardate
che non scherziamo!”. Paladino, ecc. Dal 1992 partecipano all’infiorata anche gli stilisti; il
Infatti non scherzava-
no. La fontana non la primo a partecipare è Missoni, seguito da Versace, Fendi, Laura Bia-
levarono e l’Infiorata
non la fecero più!" giotti, Gai Mattiolo e Gattinoni.
56
Fig. 5 - l’Infiorata
su via Livia, in cima
alla strada la chiesa
di santa maria della
cima.
fonte: www.comune.
genzanodiroma.
roma.it
57
propria Infiorata. L’Infiorata approda anche in America per la pri-
ma volta nel 1985 quando viene realizzata a Philadelphia, negli anni
successivi si sposterà anche in altre città del nuovo continente: nel
1986 e nel 1988 arriva a New York, nel 1991 a Toronto e Montreal,
nel 2007 a Huamantlatlax, in Messico. Ma l’Infiorata viene esportata
anche nella nostra Europa: in Francia nel 1999 e nel 2008 (Lourdes)
e nel 2000 (Chatillon); in Germania nel 2013 e nel 2014 (Garmisch);
in Spagna nel 2006 (La Orotava).
58
Sauro con, oltre ai fiori, crusche, farine, filoni, pagnotte e rosette. 12. Le fonti sono
state arricchite con
La festa è inoltre arricchita dalla Bruschettata: un lunghissimo tavolo informazioni prove-
nienti dal sito web del
che corre lungo tutta via Italo Belardi (la via dell’infiorata) viene ri- comune di Genzano
di Roma Portale
coperto di migliaia di fette di pane bruscato e condito, così che tutti turistico all’indirizzo
http://www.comune.
gli avventori possano goderne in compagnia e allegria12. genzanodiroma.roma.
it/turismo/SitePages/
home.aspx. Consul-
tato in data 25 luglio
2016.
15. Il testo è la
possa esse ’nfluenzata da dialetti che non siano i suoi credo che comun-
trascrizione di una
que nel momento in cui t’esce ‘a parte istintiva de te parlerai sempre
registrazione effet-
tuata in fase di studio
chella che è ’na parte del core tuo, cioè u dialetto. Io quanno me arrab-
preliminare per il
presente lavoro. Il bio parlo dialetto, quanno ciò ’n’ emozzione che va al de fori o della
parlante è un uomo
di 70 anni. Se ne dà mia comprenzione o del mio controllo parlo dialetto cioè ’a ggente me
la traduzione: "È una
cosa che deve esistere riconosce subbito. […] Io credo che sia…io non credo che sia ’n pezzo
[il dialetto], deve es-
sere, anzi, rafforzata. de storia che me devo portà dentro, perché a’a fine voi non voi ‘e storie
Dovrebbe essere inseg-
nato a scuola secondo che conosci so sempre tramandate da generazzione ’n generazzione,
me. La mia opinione
è che sia una cosa non chelle so cose astratte che poi riimmaggini nella tua mente… io credo
da perdere, un patri-
monio importante". che sia ’na parte talmente inzita ’n te che nu’ riesci più a fanne a meno
60
perché è ’na cosa che appunto te tramanna tu nonno, tu nonna. Cioè 16. Il testo è la
trascrizione di
è ’na cosa che tu ’n’ t’a devi ricordà, è ’na cosa che tu quanno voi ’a tiri una registrazione
effettuata in fase di
studio preliminare per
fori. […] Io credo che sia l’unica memoria che possa avé ’u core»16. il presente lavoro. Il
parlante è un ragazzo
di 26 anni (laureato).
Se ne dà la traduzione
"Io dico che una perso-
«Dialetto è ’na cosa che pe’ molti è sbagliata, ma secondo me no. Per- na, per quanto possa
essere acculturata e per
ché è ’na cosa che deve rimané perché fa parte de tutte ’e storie d’Italia quanto possa essere
influenzata da dialetti
che non siano i suoi,
e de tutte ’e storie de’e varie popolazzioni, perciò è giusto che anche credo che comunque
nel momento in cui ti
nelle scole e nelle associazzioni culturali ne parlino. Perché è giusto che esce la parte istintiva
di te parlerai sempre
comunque se continui a parla’ ’a lingua del proprio paese. Non sempre quella che è una parte
del cuore tuo, cioè il
però perché ce vole anche l’italiano, ma ce vole anche ’a lingua del pro- dialetto. Io quando mi
arrabbio parlo dialetto,
quando provo un’emo-
prio paese per sapersi identificare per dove vai»17. zione che va al di fuori
o della mia compren-
sione o del mio control-
lo parlo dialetto. Cioè
la gente mi riconosce
«Secondo me è ’na cosa che tè da rimané…perché io tante vote sento i subito. […] Io credo
che sia…io non credo
che sia un pezzo di
genitori che baccaiano a’i fii che tenno da parla’ italiano pe forza… a storia che mi devo por-
tare dentro, perché alla
mi ’ste cose nun me stanno bè! Perché doppo se perde no? [...] sarebbe fine vuoi o non vuoi le
storie che conosci sono
’na cosa brutta nei confronti dei parenti, dei nonni, dei zii…cioè i non- sempre tramandate
di generazione in
ni ai nipoti parlino così… cioè tenno da cresce così!»18. generazione, quelle
sono cose astratte che
poi immagini nella tua
Questi stralci di conversazioni dimostrano quanto effettivamente mente… io credo che
sia una parte talmente
insita in te che non rie-
il dialetto sia, per i cittadini genzanesi, un bene prezioso che deve sci più a farne a meno
perché è una cosa che
essere salvaguardato e quanto questo abbia un posto nel loro cuore, appunto ti tramanda
tuo nonno, tua nonna.
anziani o giovani che siano. Cioè è una cosa che tu
non ti devi ricordare, è
una cosa che tu quan-
do vuoi tiri fuori. […]
Io credo che sia l’unica
memoria che possa
avere il cuore".
2.4 Le caratteristiche del dialetto di Genzano
17. Il testo è la
Secondo la divisione dei dialetti dei Castelli Romani di Lorenzet- trascrizione di una re-
gistrazione effettuata
in fase di studio preli-
ti (Lorenzetti 1999) il dialetto di Genzano appartiene all’area dei minare per il presente
lavoro. Il parlante è
dialetti occidentali, insieme a quello di Lanuvio. Il paese ha quin- un ragazzo di 17 anni.
Se ne...
di un dialetto più vicino alla zona mediana (piuttosto che a quella (segue pag. succ.)
61
...dà la traduzione: "Il romana) e presenta alcuni tratti in comune con quest’ultima. Così
dialetto è una cosa che
per molti è sbagliata, come tutte le lingue e tutti i dialetti, anche il genzanese ha subito nel
ma secondo me no.
Perché è una cosa che
deve rimanere, perché corso dei secoli una variazione diacronica e si è evoluto fino a ciò
fa parte di tutte le
storie d’Italia e di tutte che ascoltiamo oggi. È certo quindi che il genzanese abbia avuto una
le storie delle varie
popolazioni, perciò fase arcaica. Purtroppo però, per la zona dei Castelli, sono quasi del
è giusto che anche
nelle scuole e nelle
associazioni culturali tutto inesistenti testi antichi “bassi” (Lorenzetti 1998) ed è perciò
ne parlino. Perché è
giusto che comunque molto difficile riuscire a documentare l’uso arcaico del genzanese. È
si continui a parlare
la lingua del proprio possibile però basarsi sulle opere poetiche, anche se certamente più
paese. Non sempre
però perché ci vuole moderne rispetto a ciò che si intende per “arcaico”, di poeti genzane-
anche l’italiano, ma ci
vuole anche la lingua
del proprio paese per si, come ad esempio Igino Argentini o Cladinoro Di Lello, entrambi
potersi distinguere".
novecenteschi. Ci si può inoltre basare su testi che raccolgono rac-
conti di persone ormai molto anziane, come ad esempio Genzano
18. (pag. precedente)
Il testo è la trascrizio- Racconta di Mirco e Alessandro Gallenzi, o su articoli di giornale
ne di una registrazio-
ne effettuata in fase in dialetto, come i testi a firma di Lucia ’a Panacca ne “Il giornale
di studio preliminare
per il presente lavoro. locale”. Inoltre, è comune ancora sentir parlare in genzanese persone
Il parlante è un
ragazzo di 18 anni. molto anziane, che possono restituire un dialetto diacronicamente
Se ne dà la traduzio-
ne: "Secondo me [il
dialetto] è una cosa
più antico dell’attuale.
che deve rimanere…
perché io tante volte
Di seguito si darà comunque una panoramica di tutti i tratti che ca-
sento i genitori che
rimproverano i figli
ratterizzano il genzanese contemporaneo.
perché devono parlare
italiano per forza… a
me queste cose non mi
stanno bene! Perché
dopo si perde no?
[...] sarebbe una cosa 2.4.1 Caratteristiche fonologiche19
brutta nei confronti
dei parenti, dei nonni,
degli zii…cioè i nonni - Il tratto più significativo, che rende il dialetto di Genzano imme-
ai nipoti parlano
così… cioè [i nipoti] diatamente riconoscibile è il vocalismo atono finale a cinque vocali.
devono crescere così!".
È questa la caratteristica maggiormente avvertita anche dai parlanti
19. Il paragrafo è che non hanno contezza della struttura vocalica o della sua origi-
basato sulle seguenti
fonti: Rohlfs 1966, ne: non è raro, infatti, parlando con un genzanese, ma anche con
Lorenzetti 1998, qualsiasi altro abitante dei Castelli, sentirsi dire che i genzanesi par-
Gallenzi-Gallenzi
2014. lano tutti con la “u”. Del vocalismo atono finale si è già trattato nel
62
paragrafo riguardante le caratteristiche dei dialetti mediani: è pro-
prio infatti il mantenimento della distinzione tra -Ō e -Ŭ originarie
uno dei tratti che accomuna il dialetto genzanese con questi ultimi
(QUANDŌ > quanno, BŎNUM > bonu).
sorima»20; oppure: «È rinomata Genzano pe’ ’o pa’, pe’ ’o vino, pe’ ’e 21. Il testo è la trascri-
zione di una registra-
ciammellette, pe’ ’a ’Nfiorata, è rinomata pe’ parecchie cose» .
21
zione effettuata in fase
di studio preliminare
- Per quanto riguarda, invece, gli esiti di -L preconsonantica, a Gen- per il presente lavoro.
Il parlante è un
zano sono presenti due dei tre esiti possibili: il dileguo: «’Na vota ragazzo di 17 anni. Se
ne dà la traduzione:
unu che era tenuto sempre u somaru, arzò ’a mattonella, piò i rispar- "Genzano è rinomata
per il pane, per il vino,
mi de ’na vita e ce se ì a comprà ’a maghina.»22 (Gallenzi-Gallenzi per le ciambellette al
2015: 73) e la rotacizzazione, che però è presente in misura assolu- vino, per l’Infiorata, è
rinomata per parec-
tamente minoritaria: «[…] [i nemesi] vonno più be’ ai sordi che a’e chie cose".
dialetto arcaico, ma nelle nuove generazioni è sempre più presente. 23. "[…] [i nemesi]
vogliono più bene ai
- In comune con il dialetto romanesco, invece, il genzanese ha la soldi che alle mogli".
caduta di -LL- nei derivati di ILLE e i suoi composti: «Quanno ’rriva 24. "Quando arriva
la primavera, tutto
’a primavera, tuttu ’u monnu se risvìa. A mì, ’nvece, me vè ’a ceca- il mondo si risveglia.
A me invece viene
gna…»24 (Lucia ‘a Panacca, 1999: 68); sonnolenza…".
63
«Era mezzuggiornu passatu e ’n vignarolu genzanese steva a rivenis-
sine via da’a vigna che teneva sotto a Civita»25 (Gallenzi-Gallenzi
2015: 69).
64
cora molto produttivo nella zona mediana, è invece quasi del tutto
assente a Genzano: la lenizione di t dopo nasale, non avviene mai,
mentre può avvenire la lenizione di c, come nel caso di palanga. È
presente e ancora abbastanza produttiva, invece, la tendenza a le-
nire l’occlusiva velare sorda in posizione intervocalica, tratto anche
romano, che diventa un suono intermedio tra sordo e sonoro. È il
caso di maghina. La lenizione di t intervocalica, invece, si riscontra
soprattutto tra le generazioni più anziane come ad esempio in fadica
ʻfaticaʼ o padate ʻpatateʼ. Questo tratto è però appunto una tendenza:
non è un fatto sistematico e non avviene con l’occlusiva p. Si registra
invece una generalizzata tendenza al mantenimento delle sorde eti-
mologiche tra vocali o tra vocale e vibrante: è il caso di patre (padre),
matre (madre), lacu (lago), latru (ladro), ecc.
- Un altro tratto che Genzano ha con l’area mediana è il possessivo 31 "C’era un nemese
che era in causa,
enclitico, tratto di cui si è appunto già parlato nel capitolo preceden- perché lo avevano
accusato che il maiale
te. Se ne dà un esempio inserito nel dialetto genzanese: «’A mmatina (aveva un maiale a
pascolare) avesse
de ’u primu aprile, m’ero ’ncaponita da nu’ escì da casa. ’U moti-
mangiato le mele
vu c’era: tutti l’anni chillu fregnacciaru de Brocculò me faceva trovà rovinate per terra e
il proprietario del
comme pesce d’aprile, ’n pitale pieno zeppo de vino, fora ’a porta de terreno lo aveva
denunciato".
càsima»32 (Lucia a’ Panacca 1999: 52).
32 "La mattina del
primo aprile, mi ero
- Ancora in comune con la zona mediana e meridionale, il genza- incaponita di non
uscire di casa. Il
nese ha l’utilizzo di tenere al posto di avere. Ma a Genzano tenere è motivo c’era: tutti gli
utilizzato anche al posto di dovere in costruzioni del tipo: tengo da anni, quel bugiardo
di Brocculò mi faceva
fa ʻho da fareʼ. Questo tipo di utilizzo del verbo tenere è un altro dei trovare, come pesce
d’Aprile, un vaso da
tratti più caratterizzanti del dialetto, che viene riconosciuto come notte pieno zeppo di
vino, fuori la porta di
tale anche dai parlanti del resto dei Castelli. casa mia."
67
«Tenemo da ì a Palermo a vedè certa robba de computere […]»33
(Lucia ‘a Panacca 1999)
INDICATIVO
Presente Imperfetto Passato remoto Futuro semplice
io sò io èro io fui Io sarrajo
tu si tu èri tu fosti tu sarrai
issu/essa è issu/essa èra issu/essa fu issu/essa sarrà
noi sémo noi èssimo noi èssimo noi sarrémo
voi séte voi èssivo voi èssivo voi sarréte
issi/esse sò (ènno) issi/esse èrino issi/esse funno issi/esse sarranno
CONGIUNTIVO
Presente Imperfetto Passato Trapassato
io sia io fusse io sia statu/stata io fusse statu/stata
tu sia tu fussi tu sia statu/stata tu fussi statu/stata
issu/essa sia issu/essa fusse issu/essa sia statu/stata issu/essa fusse statu/stata
noi sémo noi fùssimo noi sémo stati/state noi fùssimo stati/state
voi siate voi fussiate voi siate stati/state voi fussiate stati/state
issi/esse sìeno issi fùssino (fùssero) issi/esse sìeno stati/state issi fùssino (fùssero)
stati/state
CONDIZIONALE
Presente Passato
io sarìa io sarìa statu/stata
tu sarissi tu sarissi statu/stata
issu/essa sarìa issu/essa sarìa statu/stata
noi sarìssimo noi sarìssimo stati/state
voi sarìssivo voi sarìssivo stati/state
issi sarìino issi sarìino stati/state
69
Tabella II - Paradigma del verbo tenere
INDICATIVO
Presente Imperfetto Passato remoto Futuro semplice
io tèngo io tenévo io ténni Io terrajo/tenerajo
tu tié/chié tu tenévi tu ténni tu tenerai
issu/essa tè issu/essa tenéva (tenéa) issu/essa ténne issu/essa tenerà
noi tenémo noi tenéssimo noi tenéssimo noi tenerémo
voi tenéte voi tenéssivo voi tenéssivo voi teneréte
issi tènno issi tenévino issi tènnino issi teneranno
CONGIUNTIVO
Presente Imperfetto Passato Trapassato
io tenesse io fusse tenuto
tu tenessi tu fussi tenuto
Non attestato issu/essa tenesse Non attestato issu/essa fusse tenuto
noi tenessiamo noi fussimo tenuto
voi tenessiate voi fussiate tenuto
issi/esse tenéssino issi/esse fùssino (fùssero)
tenuto
CONDIZIONALE
Presente Passato
io terrìa io sarìa tenuto
tu tenerissi tu sarissi tenuto
issu/essa terrìa issu/essa sarìa tenuto
noi tenerìssimo noi sarìssimo tenuto
voi tenerìssivo voi sarìssivo tenuto
issi/esse tenerìino issi sarìino tenuto
70
seconda persona plurale derivano dal verbo latino ĔO. Sono quindi
presenti le forme EĀMUS > jamo e EĀTIS > jate al posto delle for-
me che derivano da AMBITARE. La prima persona singolare vajo
è ricalcata analogicamente sulla prima persona singolare di avere:
ajo. Anche la forma dell’infinito è una forma arcaica: si dice infatti
ire. Per quanto riguarda il participio passato vale lo stesso discorso:
anch’esso è in forma arcaica: ito/ita (Lorenzetti 1987).
«Curre currenno,
ficca ficchenno,
fa chella cosa
35. Indovinello
genzanese, tratto da:
e poi se riposa»35.
http://gallenzimirco.
altervista.org/. La
riposta è: la chiave.
71
- Ancora, molto importanti per la caratterizzazione del dialetto gen-
zanese sono i suoi pronomi personali soggetto, che sono:
Io
Tu
Issu
Éssa
Issi
Ésse.
I pronomi personali oggetto sono, invece: me, te, lu/’u, la/’a, lo/’o,
ce, ve, li/’i, le/’e. Le forme integrali sono di solito utilizzate solo in
posizione enclitica. È spesso presente una contrazione del pronome
personale con il verbo che lo precede, con conseguente allungamen-
to della vocale: hâ vista? ʻla hai vista?ʼ (Gallenzi-Gallenzi 2014)
72
usa ecco, coniato sulla base di eccum, per indicare qualcosa vicino a
chi parla; si usa èsso, coniato sulla base di ipsu, per indicare qualcosa
vicino a chi ascolta; si usa èllo, coniato sulla base di illu, per indicare
qualcosa lontano da chi parla e da chi ascolta. Ecco, èsso e èllo, come
in italiano per ecco, possono essere combinati con i pronomi perso-
nali atoni e le particelle pronominali: ècchime, ècchine, èsselu, èsseli,
èllele ecc; possono esistere anche combinazioni tra pronome e par-
ticella: ècchitelu, èllitelu, ècchitene ecc. (Rohlfs 1969, Gallenzi-
Gallenzi 2014).
73
- Uno altro tratto che maggiormente rende riconoscibile il dialetto
genzanese è lo scambio degli ausiliari. Per ciò che riguarda Genzano,
vale ciò che si è già detto riguardo l’Italia mediana: l’ausiliare esse-
re viene esteso anche ai verbi transitivi, con l’eccezione della terza
persona singolare e plurale, che prende l’ausiliare avere. Lo scambio
degli ausiliari avviene solo al passato prossimo, per gli altri tempi
verbali è invece generalizzato l’uso di essere. In presenza del prono-
me clitico riflessivo, in costruzioni, quindi, del tipo: Anna si è man-
giata la pasta, la scelta dell’ausiliare non è precisamente definita, in
generale viene preferito l’ausiliare essere, ma non sono pochi i casi in
cui viene usato avere, con costruzioni del tipo: Anna s’ha magnato ’a
pasta. (Tufi 2005).
75
rativi per l’Infiorata, catana per ʻtascapane per la vignaʼ, conchina-
nale per ʻaltalenaʼ, cucchiarella per ʻcucchiaio in legno da cucinaʼ,
gnommeru per ʻgomitoloʼ, monnelu per ʻscopetta per pulire i forni
del paneʼ o ʻpersona molto sporcaʼ, mmuttatore per ʻimbutoʼ, picchiu
per ʻtrottola di legnoʼ, sorecchiu per ʻfalcetto a mezza lunaʼ, straccali
per ʻbretelle che reggono i pantaloniʼ, zinale per ʻgrembiuleʼ.
76
piccola e violacea, perzica per ʻpescaʼ, torzu per ʻtorsoloʼ.
77
3. L’INDAGINE
78
gnifica che stia necessariamente scomparendo: abbiamo visto infatti
come, arrivata ad una certa soglia, la diminuzione dei dialettofoni si
stia mantenendo stabile. La padronanza dei dialetti è quindi ancora
viva e presente sì nelle generazioni più anziane, ma anche in quelle
più giovani. Sono ormai molto diffusi in rete siti in cui viene utiliz-
zato il dialetto, ma anche sui social network si diffondono sempre
più pagine in cui l’utilizzo di quest’ultimo è fondamentale per dare
espressività e rendere al meglio ciò che si vuole comunicare: ne è
un calzante esempio la pagina Recensire con pressappochismo, che
utilizza il dialetto romanesco e che ha raggiunto ormai un discreto
successo. Sono comuni anche gruppi musicali che per il loro testi
utilizzano il dialetto; si ricordano ad esempio i Modena City Ram-
blers, emiliani, gli Almamegretta, napoletani, o i Sud Sound Sistem,
salentini.
Per quanto il dialetto sia ancora diffuso su tutto il territorio nazio-
nale, la sua conservazione è maggiore nei piccoli centri e minore
nelle grandi città, è maggiore al sud piuttosto che al nord-ovest. Sia
per la Doxa che per l’ISTAT le regioni più dialettofone sono le regio-
ni del nord-est (maggiormente Veneto e Trentino) e le regioni del
sud (maggiormente Calabria e Basilicata) (Avolio 2009, Marcato
2002).
Questa situazione di equilibrio tra una progressiva italianizzazione
da un lato e una rivitalizzazione e ripresa del dialetto dall’altro por-
ta alla necessità di stabilire quanto effettivamente al giorno d’oggi il
dialetto si mantenga, come si modifichi sotto le pressioni della lin-
gua italiana e se i giovani che parlano il dialetto siano solo qualche
eccezione o se la tendenza sia generalizzata.
79
colo centro dei Castelli Romani di cui ci si occupa, Genzano. Si cer-
cherà di capire quanto il dialetto usato nel 2016 sia distante da quello
arcaico, quali sono i tratti ancora vitali, perché vengono mantenuti
proprio quei tratti, forse perché comuni a un altro dialetto più diffu-
so, in quale misura vengono mantenuti. Questo è quindi un lavoro di
documentazione, che mira a restituire al lettore uno spaccato della
lingua che oggi viene parlata a Genzano.
7 25 M Dipendente Diploma
9 22 M Disoccupato Diploma
11 25 M Dipendente Diploma
14 22 F Studente Diploma
15 25 F Disoccupato Diploma
18 21 F Studente Diploma
19 20 F Studente Diploma
20 19 F Studente Diploma
21 22 M Studente Diploma
81
Informatore Età Sesso Professione Titolo di studio
24 20 M Studente Diploma
25 24 F Studente Diploma
27 25 M Dipendente Diploma
31 19 M Studente Diploma
32 21 F Studente Diploma
33 19 M Studente Diploma
34 19 F Studente Diploma
35 21 M Studente Diploma
36 19 M Studente Diploma
37 25 M Dipendente Diploma
41 23 M Dipendente Diploma
42 20 F Tirocinante Diploma
44 25 M Studente Diploma
82
3.3 Il metodo dell’indagine
83
a) Questa mattina ho mangiato la pizza con mia sorella.
Questa frase indaga precipuamente due tratti morfologici: lo scam-
bio dell’ausiliare, che dovrebbe verificarsi nel passato prossimo del
verbo mangiare, e l’enclisi del possessivo che dovrebbe verificarsi
con il possessivo mia. La corretta resa in genzanese sarebbe infatti:
’Stammatina me so magnato ’a pizza co’ sorima.
86
manifestarsi nel sostantivo non numerabile vino. La sua corretta tra-
duzione è quindi: Sì bevuto ’o vino?.
Come si evince dalla spiegazione frase per frase, la maggior parte dei
tratti indagati ha un riscontro non solo nella frase ad esso dedicata,
ma anche in un’altra frase. Ciò per essere certi che la risposta sia
stata data con cognizione di causa e che non sia, appunto, dovuta
al caso.
87
Di seguito si riporta una tabella dei dati ridotta (in cui sono presenti
i primi quattro informatori e due tratti), dove il sì rappresenta la pre-
senza del tratto e il no la sua assenza, a titolo esemplificativo.
Come già detto in precedenza, questo tratto è uno dei più significa-
tivi in assoluto, uno di quelli che per primo permette di identificare
un parlante genzanese. I dati raccolti riguardo il vocalismo hanno
infatti evidenziato un utilizzo ancora molto diffuso: l’86,4% dei gio-
vani intervistati ha dato prova di utilizzare il tratto. Pur essendo uno
dei tratti più caratterizzanti del dialetto in esame, il vocalismo atono
a cinque vocali finali è anche una delle caratteristiche dei dialetti
mediani (ma non del romanesco, neppure di prima fase). È, per que-
sto, un tratto utilizzato anche in altre zone d’Italia, limitrofe a quella
che interessa il presente lavoro. Probabilmente proprio quest’ampia
diffusione del tratto e la sua “meridionalità” contribuiscono alla sua
così netta persistenza. I giovani che non hanno utilizzato il tratto si
sono orientati sul normale vocalismo italiano.
Esempi:
l’informatore 2 traduce la frase ʻOggi ho incontrato il padre di Giuliaʼ
come Oggi so ’ncontrato ’u patre de Giulia. L’informatore 23 traduce,
invece, la frase ʻQuel giorno stavano a casa tuaʼ come Chillu giornu
stevino a casita. In entrambe le traduzioni si nota un uso corretto
di questo tipo di vocalismo. L’informatore 4, invece, rende la frase
ʻQuel giorno stavano a casa tuaʼ come Chillo giorno stevino a casa
tua; si nota in questo caso un utilizzo della vocale -o invece che della
vocale -u, un passaggio cioè al vocalismo atono italiano.
90
Esito di -L preconsonantica.
Esempi:
l’informatore 13 traduce la frase ʻUna volta incontrammo Chiara giù
al lagoʼ come ’Na vota semo ’ncontrato Chiara giù au lacu. L’informa-
tore 8 traduce la stessa frase come ’Na vorta semo ’ncontrato Chiara
giù au lagu. (coerente la sonorizzazione/lenizione in lagu).
Esempi:
l’informatore 14 traduce la frase ʻLui gli rispose…ʼ come Issu gne
rispose…, l’informatore 8, invece, la rende come Issu jie rispose.
92
Esempi:
l’informatore 40 traduce la frase ʻDurante il giorno il sole è molto
caldoʼ come De giorno ’o sole è assai callo. Si noti che i sostantivi po-
tenzialmente neutri, giorno e sole, sono entrambi resi effettivamente
come neutri. L’informatore 7 traduce la stessa frase come Durante ’u
giornu ’o sole coce. In questo caso è presente la consapevolezza che
non tutte le desinenze o gli articoli debbano terminare in -u, ma
l’informatore non è in grado di riconoscere, quindi utilizzare, la cor-
retta desinenza. L’informatore 2 traduce la stessa frase come Durante
’u giornu ’u sole è callu. In questo caso si nota una totale assenza di
consapevolezza dell’esistenza del neutro. Infatti lo stesso informatore
traduce anche la frase ʻHai bevuto il vino?ʼ come Sì bevuto ’u vinu?.
Esempi:
l’informatore 3 traduce la frase ʻQuel giorno stavano a casa tuaʼ
come Chillu giornu stevino a casita. L’informatore 1 traduce la frase
ʻQuesta mattina ho mangiato la pizza con mia sorellaʼ come Stam-
matina me sò magnato ’a pizza insieme a sorima.
93
Come detto al capitolo precedente, quindi, questa evoluzione della
desinenza verbale è presente anche a Genzano. È perciò un tratto
caratteristico non solo del genzanese ma anche delle zone limitrofe
più meridionali. È proprio questo forse il motivo per cui il tratto è
ancora vivo e utilizzato dal grande maggioranza dei giovani: l’86,4%.
Esempi:
l’informatore 14 traduce la frase ʻQuando ero piccolo mia madre mi
portava all’Olmataʼ come Quanno ero ciucu mi madre me porteva su
pe’ l’Ormi.
L’informatore 5 traduce la frase ʻQuel giorno stavano a casa tuaʼ
come Chiullu giornu stevino a casa tua.
Esempio:
l’informatore 21 traduce la frase ʻDomani devo andare a lavoroʼ
come Dimane tengo da ì a lavorà. Si noti che l’infinito ire subisce
apocope.
Come detto nel paragrafo sui dialetti dei Castelli Romani, pronomi
e aggettivi dimostrativi sono tra le caratteristiche dialettali più im-
portanti per la suddivisione in aree linguistiche della zona. Il tratto è
quindi particolarmente importante per l’identificazione del parlante
genzanese. Nonostante ciò, viene utilizzato solo dal 68,2% degli in-
94
tervistati. Si può però lo stesso affermare che il tratto è ancora vivo in
quanto è presente in ben più della metà degli informatori.
Esempi:
l’informatore 29 traduce la frase ʻQuel giorno stavano a casa tua.ʼ
come Chillu giornu stevino a casa tia. L’informatore 36 traduce la
frase ʻRicordi quella volta…?ʼ come Ricordi chella vota…?.
Esempio:
l’informatore 18 traduce la frase ʻLui gli rispose…ʼ come Issu gne
rispose.
Utilizzo di ecco.
Nel Lazio e nelle zone vicine di Campania e Abruzzo, come detto nel
capitolo precedente, vige il particolare sistema tripartito di ecco, esso e
ello. Nonostante la sua abbastanza ampia diffusione, il tratto in que-
stione viene utilizzato solo dal 31,8% degli informatori, forse a causa
dell’influenza dell’italiano che non comporta una tripartizione per ecco.
95
Esempi:
come già spiegato al paragrafo 3.3, la frase che indaga questo trat-
to poteva ammettere due risposte corrette. L’opzione di risposta che
comprende ello (Ellelu che ariva! ʻEccolo che arriva!ʼ) non è presen-
te in nessuno dei giovani intervistati. Mentre tutto il 31,8% sopra
citato utilizza la forma esso: ad esempio l’informatore 13 rende la
frase ʻEccolo che arriva!ʼ come Essetelu tié. Il restante 68,2% rende
la frase come Ecchilu che ariva! o simili, utilizzando comunque la
forma ecco.
Esempio:
l’informatore 28 traduce la frase ʻDomani devo andare a lavoro.ʼ
come Dimane tengo da ì a lavorà.
Come detto nel paragrafo 3.3, le parole scelte per un’indagine sulla
permanenza del lessico caratteristico genzanese sono sì parole anti-
che, che si riferiscono a cose o mestieri ormai scomparsi, ma sono
anche parole più comuni, che ancora si possono trovare sulla bocca
dei genzanesi.
97
mine straccali (al posto di bretelle) e che da bambini tutti li hanno
portati, il termine viene identificato dal 70,5% degli intervistati.
98
romani, tanto che anche in questo caso è tradotta correttamente dal
95,5% degli informatori. Viene utilizzata in situazioni di caldo mol-
to afoso, che fa sudare; comica la traduzione di un venticinquenne:
ʻHai caldo e ti sudano le ascelleʼ. Uno dei giovani, lo stesso informa-
tore 26, la traduce però come ʻarrabbiatoʼ.