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FONDAZIONE MARCO BESSO

La fortuna dei Proverbi


Identità dei popoli
Marco Besso e la sua collezione
La fortuna dei proverbi, identità dei popoLi
Marco besso e La sua coLLezione

Roma 2014
In copertina
Catalogue des livres parémiologiques composant la bibliothèque de Ignace Bernstein.
Varsovie, W. Drugulin, 1900, Do n. 1670. (Coll. Besso: 11.G.21-22)
La fortuna dei proverbi,
identità dei popoLi
Marco besso e La sua coLLezione
a cura di Laura Lalli

Saggi di: Sevim Aktas, Gunhild Avitabile, Francesco Avolio,


Marco Bais, Sanzio Balducci, Franco Bampi, Michele De Gioia,
Temistocle Franceschi, Gisèle Lévy, Daniela Magdan,
Donatella Mazzeo, Janet Mente, Francesco Montuori,
Andràs Nemeth, Martina Nied Curcio, Giulio Paulis,
Giovanni Rufino, Valentina Sagaria Rossi, Maria Antonella Sardelli,
Alessandro Scarsella, Gaga Shurgaia, Marcello Teodonio,
Renzo Tosi, Arthur Weststeijn, Clara Yu Dong
© Fondazione Marco Besso
Tutti i diritti riservati

Progetto
Orsa M. L. Lumbroso

Immagini
© Fondazione Marco Besso

Ringraziamenti
Laura Bassotti, Antonella Ferro, Carla Rivolta
Staff della Biblioteca

Revisione abstract
Lynn Swanson

© Copyright 2014
Editoriale Artemide s. r. l.
Via Angelo Bargoni, 8 – 00153 Roma
Tel. 06.45493446 – Tel. /Fax 06.45441995
editoriale.artemide@fastwebnet.it
www. artemide-edizioni.it

Segreteria di redazione
Antonella Iolandi

Impaginazione
Monica Savelli

Copertina
Lucio Barbazza

ISBN 978-88-7575-211-8
indice generaLe

Indice delle immagini 7

Prefazione di Laura Lalli 11

contributi

Sevim Aktas
Una piccola eredità per la cultura turca 19

Gunhild Avitabile
Sui proverbi giapponesi 29

Francesco Avolio
I proverbi d’Abruzzo nelle raccolte tardo-ottocentesche 41

Marco Bais
Proverbi armeni nelle pubblicazioni dei Padri Mechitaristi di Venezia 53

Sanzio Balducci
La raccolta e lo studio dei proverbi marchigiani 63

Franco Bampi
Curiosità di oggi nei proverbi genovesi di ieri 73

Michele De Gioia
« Mieux vaut tard que jamais ». Su alcuni proverbi francesi
della collezione di Marco Besso 81

Temistocle Franceschi
Sui proverbi toscani: Giuseppe Giusti e Gino Capponi 97

Gisèle Lévy
Piccoli segreti 107

Daniela Magdan
Su alcuni autori e le loro opere della paremiologia romena 119
6

Donatella Mazzeo
Proverbi indiani 131

Janet Mente
Caput Mundi: Roma nei proverbi e negli aforismi anglofoni 145

Francesco Montuori
Sui proverbi della Campania 153

Andràs Nemeth
Le raccolte paremiologiche di Ballagi Mór e János Erdélyi 167

Martina Nied Curcio


Sprichwörter - Redensarten - Zitate. Da Agricola ino a Wander 179

Giulio Paulis
I proverbi sardi 193

Giovanni Rufino
Sui proverbi siciliani 201

Valentina Sagaria Rossi


Fortuna e natura dei proverbi arabi 213

Maria Antonella Sardelli


Sbarbi e l’importanza dei proverbi in Spagna 227

Alessandro Scarsella
Il “desiato ine”: proverbi veneti e lombardi nell’opera
paremiologica di Marco Besso 239

Gaga Shurgaia
Vladimir Ivanovič Dal’ e la paremiologia russa 249

Marcello Teodonio
Sui proverbi romaneschi: Giuseppe Giachino Belli e Giggi Zanazzo 265

Renzo Tosi
La tradizione degli ‘Adagia’ nella biblioteca privata di Marco Besso 273

Arthur Weststeijn
Sfogliando il «grande libro della collettività»: i proverbi olandesi
e i loro cultori tra passione e moralismo 287

Clara Yu Dong
La saggezza orientale attraverso i proverbi cinesi 295
indice deLLe iMMagini

1. Osmanische Sprichwörter. Wien, 1865. 17


2. Steenackers Francis-Tokunosuké Ueda (cur.) Cent proverbes japonais. 27
Paris, 1885.
3. Romani Fedele (cur.) L’amore e il suo regno nei proverbi abruzzesi, 39
Firenze, 1897.
4. Choix de proverbes et dictons arméniens traduits en français. 51
Venise, 1888.
5. Bellabarba Renato (cur.) Proverbi marchigiani illustrati… 61
Firenze, 1971.
6. Staglieno Marcello (cur.) Proverbi genovesi … Genova, 1869. 71
7. La Nove Pedro de Synonyma et aequivoca gallica […]. Lugduni, 1618. 79
8. Piattoli Giuseppe (cur.) Raccolta di quaranta proverbi toscani [...]. 95
Firenze, 1786.
9. Kramer Ludwig von (cur.) Das Lob des tugendsamen Weibes [...]. 105
München, 1885.
10. Zanne Iuliu A. (cur.) Proverbele Românilor [...]. Bucuresci, 1895-1901. 117
11. Fritze Ludwig (cur.) Indische Sprüche [...]. Leipzig, 1882. 129
12. Shakespeare proverbs. London, 1848. 143
Taccuino manoscritto (sec. XIX-XX). 144
13. Basile Giambattista Il Pentamerone. Bari, 1925. 151
14. Ballagi Moritz (cur.) Magyar példabeszédek, közmondások és 165
szojárások gyüjtemenye. Pest, 1855.
15. Deutsche Sprüchwörter und Spruchreden in Bildern und Gedichten [...]. 177
Dusseldorf, 1852.
16. Spano Giovanni (cur.) Proverbi sardi trasportati in lingua italiana [...]. 191
Cagliari, 1852.
17. Pitrè Giuseppe (cur.) Proverbi siciliani [...]. Palermo, 1880. 199
Catania Paolo (cur.) Canzoni morali sopra i motti siciliani. Palermo, 1661. 200
8

18. Ali Ibn Abi Taleb Ali’s hundert Sprüche [...]. Leipzig, 1837. 211
19. Nuñez de Guzman Fernando (cur.) Refranes, o proverbios en 225
romance [...]. Salamanca, 1555.
20. Pasqualigo Cristoforo (cur.) Raccolta di proverbi veneti [...]. 237
Venezia, 1879.
21. Dal’Vladimir (cur.) Poslovicy russkago naroda… 247
S. Peterburg-Moskwa, 1879.
22. Zanazzo Giggi (cur.) Proverbi romaneschi. Roma, 1886. 263
23. Erasmi Roterodami proverbiorum Chiliadas… Basilea, 1515. 271
24. Tuinman Carolus (cur.) De Oorsprong en Uitlegging van dagelyks g 285
ebruikte Nederduitsche Spreekworden. Middelburg, 1720-1727.
25. Perny Paul Hubert (cur.) Proverbes chinois. Paris, 1869. 293
Sui proverbi della Campania
francesco Montuori

Dialects and cultures differ signiicantly in Campania. Proverbs belonging to this


area use different metaphors to express ideas and beliefs from folk culture. In this
brief essay, the author sheds light on the main sources of these ancient and modern
proverbs, highlighting some lexical variants and discussing their semantic and
morphological ambiguities.

Con «quel dinamismo e quella varietà di composizione etnica, di espres-


sioni politiche, di manifestazioni di civiltà artistica, di forme e di inlessioni
linguistiche» che la caratterizzano sin dall’età del ferro, la Campania ha
una storia e una conformazione geograica che non hanno favorito l’omo-
geneità antropologica della sua popolazione1. Lo stesso aggettivo campano
è adoperato molto raramente per descrivere il limite geograico di un fatto
culturale locale, e oggi ha un uso quasi esclusivamente “istituzionale”.
A tale disomogeneità corrisponde, ancora in età moderna, una pronun-
ciata frammentazione linguistica, con la differenziazione interna dei dialetti
della regione e la connessa dificoltà di trovare fenomeni fono-morfologici
che disegnino un conine chiaro tra i dialetti della Campania e quelli delle
zone coninanti2. La mai avvenuta diffusione del napoletano come varietà
di prestigio si manifesta anche nell’italiano regionale, che conserva, nelle
diverse province, un ampio spettro di realizzazioni fonetiche chiaramente
avvertito dai parlanti.
Tale situazione inluenza in modo signiicativo il patrimonio paremio-
logico campano. In una regione tradizionalmente votata all’agricoltura, il
clima, il paesaggio, la distribuzione degli insediamenti sono molto diversi
tra la zona costiera e l’entroterra dell’Irpinia, del Sannio e di parte del Ci-
1
G. Galasso, Motivi, permanenze e sviluppo della storia regionale della Campania, in
L’altra Europa. Per un’antropologia storica del Mezzogiorno d’Italia, Nuova edizione ac-
cresciuta, Lecce, 1998, pp. 395-435.
2
N. De Blasi, Proilo linguistico della Campania, Bari-Roma, 2006; F. Fanciullo-P. Del
Puente, Per una Campania dialettale in F. Fanciullo, Dialetti e non solo, Alessandria, 2004,
pp. 149-175.
154 La fortuna dei proverbi, identità dei popoLi: Marco besso e La sua coLLezione

lento, con ovvî effetti di lungo termine sull’organizzazione del lavoro e sui
rapporti sociali in genere. I proverbi didattici, cioè quelle sentenze che la
tradizione orale ha strutturato e diffuso allo scopo di trasmettere un corpus
di conoscenze e di regole, ne risentono in modo particolare, ma non per
quello che dicono, quanto per le immagini utilizzate per dirlo.
Nella Fondazione sono conservati un buon numero di raccolte relative a
Napoli, un repertorio di proverbi di un paese dell’Irpinia, Sant’Angelo dei
Lombardi, e un altro di un antico centro del golfo di Napoli, Sorrento, dove
l’attività marinara e la coltivazione degli agrumi hanno a lungo coinvolto la
maggior parte degli interessi degli abitanti3. Le diverse condizioni climatiche
non hanno effetti signiicativi sui proverbi tramandati da queste compilazio-
ni: se in Irpinia si dice «Nun te levà lu cappotto si nun vene re giugno l’otto»4,
a Napoli si trova: «Nun è ’state si nun è San Giuvanne» (il 24 giugno)5; e le
insidie degli improvvisi cambiamenti meteorologici di agosto sono utili per
irridere i vicini («La prim’acqua r’austo, vierno a Nusco»)6 e per invitare alla
cautela («Chi d’Agusto non s’è bestuto, no malanno l’è benuto»)7.
Anche se ampliamo lo sguardo su uno spazio più vasto, che comprende
tutto il Regno, vediamo comporsi le frammentate condizioni climatiche in
opinioni di validità sovralocale. Il giudizio sulle dificoltà ambientali poste
dagli eccessi del caldo e del freddo nelle regioni del Regno individua ben
presto le regioni dai climi più insidiosi e ne formalizza il loro non invidia-
bile primato. In una sua lettera del 29/8/1458 inviata da Teano al duca Fran-
cesco Sforza, l’ambasciatore milanese a Napoli Giovanni Caimi racconta
dell’inizio della sua missione in Puglia presso il principe di Taranto:
«La matina sequente Orpheo [l’altro ambasciatore, Matteo Cenni da Ri-
cavo detto Orfeo] se aviò al suo camino et io al mio in Puglia, unde ho mol-
to trovato più che vero el proverbio che dice: “Chi vole gustare dele penne
del’inferno de estate vada in Puglia et in Apruzo de inverno”»8.
3
Cfr. Le edizioni paremiologiche nella biblioteca della Fondazione, a cura di L. Lalli,
Roma, Fondazione Besso, 2006, nn. 606, 611, 627, 630, 669, 674, 767 e 769 per Napoli; 470
per Sorrento; 621 per Sant’Angelo dei Lombardi.
4
G. Chiusano, Canti, proverbi e idiomi popolari di S. Angelo dei Lombardi, Cava dei
Tirreni, 1975, p. 79.
5
R. De Falco, Proverbi napoletani raccolti da R. D. F. In appendice: Indovinelli, Napoli,
1991, p. 36.
6
Chiusano, op. cit., p. 77.
7
Guida pratica del dialetto napoletano o sia spiegazione in lingua toscana della Mimica
di alcune frasi e delle voci dei venditori e scene comiche dei costumi napolitani raccolte e
pubblicate per cura di Giacomo Marulli e Vincenzo Livigni, Napoli, 1877, p. 18.
8
Dispacci sforzeschi da Napoli. I (4 luglio 1458 - 30 dicembre 1459), a cura di F. Sena-
tore, Salerno, 2004, p. 98.
francesco Montuori. sui proverbi deLLa caMpania 155

Il proverbio è molto diffuso e ha diverse versioni in varie regioni9: qui


viene utilizzato dall’ambasciatore milanese in una forma verosimilmente
appresa nella sede di servizio, adatta alle caratteristiche climatiche del Re-
gno e quindi eficace perché lo scrivente possa raccontare le dificoltà della
propria missione.
Sebbene in Campania vi siano località che non condividono le stesse
condizioni ambientali, alcune importanti consuetudini della vita quotidia-
na, il regime alimentare, la distribuzione delle attività di lavoro nell’arco
della giornata, le relazioni con i vicini, le gerarchie all’interno del gruppo
e così via, tuttavia la frammentazione antropologica della regione non si
manifesta quasi mai nell’inconciliabilità delle opinioni dichiarate attraver-
so la locuzioni proverbiali. E quindi non emergono tanto opinioni diverse
relativamente alle attività della vita e alle relazioni sociali, ma, piuttosto,
si segnalano le differenti metafore utilizzate per l’espressione sintetica dei
concetti10. In una località come Sorrento, in cui la navigazione ha un’antica
(e a lungo gloriosa) tradizione, l’insofferenza nei confronti di mutamenti
sociali bruschi e repentini sono espressi con una metafora marina: «Quan-
no ’o mare sta ’ntempesta, tutt’ ’a purcaria assomma ’ncoppa» ‘quando il
mare è in tempesta, la sporcizia si accumula in supericie’11. A Procida, il
passaggio di mano tra le generazioni è espresso con igure prese dai tipi
di imbarcazioni in uso: «re buzzarèdde vòttene e re vvarche ngràrene» ‘le
barchette si spingono in mare e le barche si ritirano in cantiere’12; invece a
Napoli per lo stesso concetto si adopera un toponimo locale: «purtà ’e ierre
a Sant’Aloja», cioè a Sant’Eligio, dove si ferravano i cavalli vecchi13; e a
Sant’Angelo dei Lombardi si usa il più tradizionale «ogni scarpa arreven-
ta scarpone»14; e, a proposito dell’imprevedibilità della morte che talvolta
colpisce i giovani e risparmia i vecchi, si usa il più agreste «quanno rici ca
more lu ciuccio, more la pecora»15.
Anche la frammentazione dialettale interna alla regione ha effetti si-
gniicativi sul patrimonio paremiologico, che ovviamente si esprime nelle
9
Cfr. C. Lapucci, Dizionario dei proverbi italiani, Milano, 2007, P 2902; V. Boggione-
L. Massobrio Dizionario dei proverbi. I proverbi italiani organizzati per temi. 30.000 detti
raccolti nelle regioni italiane e tramandati dalle fonti letterarie, Milano, 2004, VIII 7.4.1.
10
L’osservazione è già in M. Cesarotti, Saggio sulla ilosoia delle lingue, II 16.
11
Cfr. G. Amali, Tradizioni ed usi nella penisola sorrentina descritti da G.A., Palermo,
1890, p. 116.
12
V. Parascandola, Vèio. Folk-glossario del dialetto procidano, Napoli, 2000 [1a ediz.:
1976], p. 178, s.v. ngrarà.
13
De Falco, Proverbi, op. cit., p. 139.
14
Chiusano, op. cit., p. 87.
15
Chiusano, op. cit., p. 82.
156 La fortuna dei proverbi, identità dei popoLi: Marco besso e La sua coLLezione

diverse varietà linguistiche locali, ma al contempo è sottoposto a pressioni


dall’esterno. Vi sono termini non indigeni attestati nei proverbi campani, di
chiara origine italiana. Nelle raccolte la circostanza si può spiegare perché
il compilatore in modo inadeguato adatta al dialetto locale il proverbio im-
portato: il primo proverbio di Sorrento citato da Gaetano Amali è «’A bu-
scìa ha ’e gamme corte’», dove ci si sarebbe attesi tenere invece di avere16.
In altri casi è possibile che il termine che il dialetto condivide con l’italiano
abbia una vitalità di lunga tradizione al ianco di quello locale. Nell’elenco
dello stesso Amali al secondo posto si trova «Attacche l’asene addò vò’ o
patrone»: il naturale impulso di sostituire àseno con il locale ciuccio non
deve far dimenticare la lunga vitalità del derivato di ASĬNUS nei testi dia-
lettali napoletani17, che a lungo prevale su ciuccio e su somarro; del resto
una variante del proverbio è in Giovan Battista Basile «Lega l’aseno dove
vò lo patrone»18.
In altri casi, nel lessico “speciale” dei proverbi si manifesta la conserva-
zione di parole che tendono ormai a uscire dall’uso. Nel proverbio «ll’arte
de tata [‘padre’] è meza mparata»19, la cui vitalità si deve anche all’efica-
cia della struttura ritmica dei due quinari, si trova la parola tata, attestata a
Napoli in antico20 ma probabilmente divenuta presto di uso non cittadino21;
oggi per la maggior parte delle località campane il termine tata si ascolta
solo in detti e locuzioni22. Un parlante campano di oggi, che non abbia mai
16
Amali, op. cit., p. 101; tene si legge poco dopo, a p. 109 (n. 139).
17
Per l’attestazione del derivato di ASĬNUS in nap. vd. Lessico Etimologico Italiano, fon-
dato da M. Pister, Wiesbaden, 1978-, vol. 3,1621 e 1624; la diffusione del proverbio è a col.
1625; un panorama dei nomi dialettali dell’asino è in K. Jaberg-J. Jud, Sprach- und Sachat-
las Italiens und der Sudschweitz [= AIS], c. 1066.
18
Cunto, I 10.64. Si cita testo e traduzione da G. B. Basile, Lo cunto de li cunti overo lo
trattenemiento de peccerille, a cura di C. Stromboli, Roma, 2013. In un altro esempio, la
rima garantisce l’originalità di aseno: «chi n’ha denare è no paputo e n’aseno, che d’ogne
tiempo le piglia lo spasemo» ‘chi non ha denari è un mostro e un asino, che in ogni tempo gli
prende lo spasimo’ (Cunto, IV 2.11). Naturalmente anche l’esoticità del prestito, maggiorata
dall’adattamento alla fonetica locale, rende più eficace il detto la cui decodiica è dificile
anche da un punto di vista letterale. Un caso esemplare è il procidano «Nun sparà ch’è
dd’èseno» ‘non sparare: è l’asino’, al cui signiicato letterale si accede attraverso un lungo
aneddoto (Parascandola, op. cit., p. 37, s.v. battarìa).
19
Cfr. Marulli-Livigni, op. cit., p. 17. Si legge anche in N. Castagna, Proverbi italiani, Na-
poli, 1866, p. 20. Niccola Castagna era di Città Sant’Angelo, in provincia di Pescara. Nella
traduzione di Lapucci, p. 1091 (s.v. padre, n. 64) il proverbio perde la rima: «L’arte del padre
è mezza imparata».
20
Vd. F. D’Ascoli, Nuovo vocabolario dialettale napoletano, Napoli, 1993, s.v.
21
AIS c. 5, punto 721. Forse non è inopportuno ricordare che in Cuore di De Amicis il
protagonista de “L’infermiere di Tata” è un ragazzo che «veniva da un villaggio dei dintorni
di Napoli».
22
Le località in cui il termine sopravvive sono periferiche: vd. per esempio tatà in N. De
francesco Montuori. sui proverbi deLLa caMpania 157

ascoltato il proverbio «l’arte di tata è mezzo imparata», avrebbe dificoltà a


comprenderlo per l’opacità semantica di tata.
Ma molto spesso decodiicare i proverbi è complicato per altri motivi. Nel-
la trasmissione per via orale di generazione in generazione, i proverbi restano
congelati in strutture che ne favoriscono la memorizzazione e la decodiica ri-
spetto ai contesti d’uso. La moda di riunirli in raccolte, di grande successo già
nel Cinquecento e di grande inluenza anche sulle opere lessicograiche23, ga-
rantisce la conservazione e la trasmissione di un’enorme quantità di paremio-
logie, ma non ne favorisce la decodiica. Tali repertori hanno infatti il difetto
di sottrarre il proverbio al contesto d’uso, cioè a quell’elemento che ne costi-
tuisce lo strumento principale per una completa signiicatività. Per tale motivo
i repertori paremiologici sin dalle origini tentano di conservare o recuperare
la situazione comunicativa all’interno della quale il proverbio può essere efi-
cacemente usato24. Infatti, chi studia i proverbi ha ben chiara l’importanza di
rendere più completo il proprio repertorio con la documentazione proveniente
dai testi scritti, all’interno dei quali gli autori presentano un contesto che rilet-
te concretamente uno dei possibili signiicati del proverbio citato25.

Tra i dialetti campani, il napoletano ha una lunga tradizione scritta, soprat-


tutto letteraria, che consente l’analisi del patrimonio paremiologico per molti
secoli, quasi per lo stesso tempo che si ha a disposizione per la lingua italiana.

Blasi-F. Montuori, «Moniello», «Zaino» e le coordinate spaziali del Dizionario storico del
napoletano, in Tra lingua e dialetto [...], a cura di G. Marcato, Bologna, 2010, pp. 27-41,
alle pp. 29-30; Cfr. anche Castagna, ibid.: «Qui Tata, che pur dicono Tatà, nel vernacolo, sta
tutta come voce contadinesca per Padre e Babbo»; M. Cortelazzo-C. Marcato, Dizionario
etimologico dei dialetti italiani, Torino, 1992, s.v. tata. Tra gli altri proverbi riscontrati nelle
raccolte in qui citate troviamo: «Chi rice che ti vo’ bene chiù ’e mamma e tata, te ’nganna»
(Amali, op. cit., p. 105); «Chi nu’ ’ntenne a mamma e tata, va a murì’ assò nun è nato» (ivi,
p. 118); «Nun faciti chiù lu sermone a tata: è benuta Pasqua cu l’ove» (Chiusano, op. cit., p.
84); «Pe mancanza r’uommene rabbene, faciero a tata sinnico!» (L. De Blasi, Proverbi in
uso nel territorio di San Mango sul Calore, Capoli, 2006, n. 254.); «Chiamma tata a chi le dà
pane» (A. Consiglio, Dizionario ilosoico napoletano: detti, motti e proverbi, Roma, 1971,
p. 70 seg.; cfr. Le edizioni paremiologiche, op. cit., n. 606); «Llà truove mamma e tata» (‘in
signiicato di trovar tutto ciò che ti manca’: Marulli-Livigni, op. cit., p. 14); «Lo munno è
cchiù biecchio de mamma e tata» (ivi, p. 15); «Tata vatte a me e io vatto a Tata» (De Falco
Proverbi, op. cit., p. 38).
23
Basti qui ricordare la presenza dei Floris Italicae linguae libri novem di Agnolo Mono-
sini come testo di lingua nel Vocabolario (1612) dell’Accademia della Crusca.
24
Cfr. per es. l’edizione del 1525 dei Proverbij [...] in facetie di Antonio Cornazzano (Le
edizioni paremiologiche, op. cit., n. 19).
25
Le fonti scritte sono sia in Lapucci, op. cit., sia in Boggione-Massobrio, op. cit. La “spie-
gazione” dei proverbi è esplicita in Lapucci, mentre è delegata alla struttura in categorie in
Boggione-Massobrio.
158 La fortuna dei proverbi, identità dei popoLi: Marco besso e La sua coLLezione

In particolare è la letteratura del Seicento a dare il contributo principale,


e non solo in termini quantitativi: alcune opere classiche in dialetto napole-
tano guardano con grande apertura mentale alla cultura popolare in un mo-
mento di particolare snodo della sua storia, prima di quella progressiva mo-
dernizzazione che, dal XVIII secolo in poi, ha indotto le tradizioni popolari
dall’originaria marginalizzazione al decadimento e all’inerzia. Lo cunto de
li cunti di Giovan Battista Basile trae dal suo principale modello strutturale,
il Decameron, il motivo di rappresentare gli eventi umani come racconti di
temi antropologici e sociologici. Boccaccio per condurre la storia su questo
sfondo didattico si avvale, tra l’altro, di elementi macrostrutturali come la
cornice o gli argomenti delle giornate; solo episodicamente, nell’introdu-
zione o nella conclusione del narratore, utilizza l’espediente di riportare un
proverbio per richiamare in modo rapido e conciso tutti i livelli di signiica-
to della narrazione26. La ictio del Cunto impone l’irruzione dell’elemento
popolare in tutte le sue manifestazioni, dai personaggi alla grammatica, e
vede perciò moltiplicarsi il procedimento di aprire e soprattutto di chiudere
i racconti con la citazione di un proverbio. Lo stesso esordio è elaborato
con un proverbeio de chille stascionate, de la maglia antica, cioè con un
‘proverbio di quelli stagionati, di antico conio’: «chi cerca chello che non
deve trova chello che non vole». Con grande abbondanza, quindi, da questo
monumento letterario in poi, nelle raccolte di novelle27 come anche nelle
opere teatrali28, i proverbi napoletani hanno conosciuto un uso scritto e in
contesto dei proverbi, che ne consente lo studio con grande agilità e facilità.
Nella bella biblioteca della Fondazione, il libro di Basile è ancora as-
sente, così come manca l’utile strumento messo a punto da Speroni29, che

26
Accade per esempio nella novella di Alatiel (II 7) che si chiude con un distico: «E per
ciò si disse: “Bocca basciata non perde ventura, anzi rinnuova come fa la luna”». Per gli altri
casi cfr. la nota ad l. e la p. 1759 in G. Boccaccio, Decameron, a cura di A. Quondam, M.
Fiorilla e G. Alfano, Milano, 2013.
27
Di particolare interesse è P. Sarnelli, Polisicheata [1684] a cura di E. Malato, Roma,
1986. Molto prezioso per il signiicato di proverbi in uso nel sec. XVII è l’atipico voca-
bolario di Partenio Tosco, L’eccellenza della lingua napoletana con la maggioranza alla
toscana, Napoli, 1662.
28
In questo settore la continuità della produzione utile per gli studi paremiologici copre
un arco cronologico ancora maggiore, poiché giunge ino ai giorni nostri (cfr. oltre) ed è
documentata già nel ’400: cfr. per es. l’esordio di uno gliommero anonimo, Eo non agio igli
né ittigli ‘non ho igli nè fastidi’ (ed. G. Parenti, Un[o] gliommero di P. J. De Jennaro «Eo
non agio igli né ittigli», in «Studi di Filologia Italiana», 26, 1978, pp. 321-65) con G. B.
Basile, Cunto, II 10.6 «n’aveva né iglie né ittiglie» e con il procidano «Chi non téne igghi
nen téne sfuttìgghi» (Parascandola, op. cit. p. 117).
29
C. Speroni, Proverbs and proverbial phrases in Basile’s ‘Pentameron’, Berkeley and
Los Angeles, University of California Press, 1941. Il libro è utile anche per veriicare la
francesco Montuori. sui proverbi deLLa caMpania 159

ha catalogato tutti i proverbi che occorrono nelle novelle, documentando i


molti spunti utili per la loro interpretazione e l’analisi della lingua30.
Nel Cunto (II 7.11) si riporta, sia pure per smentirlo, il detto: «se sole di-
cere pe proverbio [...] a cavallo iastemmato luce lo pilo». Il proverbio è ben
documentato31, anche perché occorre già nella poesia quattrocentesca di
tono più popolare, dove c’è un signiicativo ricorso al patrimonio paremio-
logico orale: «A cavallo biastimato | sempre lo pilo le luce» scrive, in ordo
artiicialis, un non meglio identiicato Coletta in uno strambotto conserva-
to nel ms. It. 1035 della Biblioteca Nazionale di Parigi; la composizione,
in cui l’autore intende rispondere ad invettive ricevute dai suoi nemici, si
chiude con un wellerismo: «Né mo né mai, dice Cola de Trane», attestato
anch’esso da Basile32. Non sfugga, poi, che alcune raccolte moderne tro-
vano nella sentenza sul cavallo la naturale tendenza dei maldicenti e degli
invidiosi a prendere come obiettivo della loro attività quelli che appaiono in
ottima salute e hanno buona fortuna economica33, mentre nel poeta e nella
novella il contesto suggerisce l’idea che si tratti di una sorta di protezione
contro l’invidia e la malevolenza altrui, tesa a sminuirne gli effetti34. È una
cosa del tutto normale, giacché uno stesso proverbio può signiicare più
cose dal momento che comunica diversi valori paremiologici35.
Restando al Quattrocento, è opportuno ricordare quanto fosse diffuso
ragionare argomentando attraverso i proverbi, al punto che anche nella trat-
tatistica si riscontrano serie paremiologiche molto ricche. Diomede Carafa,

corrispondenza tra i proverbi attestati da Basile e quelli raccolti in loco dagli antropologi
nell’Ottocento: per es. «A barca storta ’o puorto deritto» (Amali, op. cit., p. 108 e Cunto, I
7.77).
30
Non si parla qui di modi di dire, che pure potrebbero offrire spunti interessanti per argo-
menti afini a quelli relativi ai proverbi. Per es. chiagnere a vita tagliata ‘piangere a dirotto’
è locuzione che deriva dalla coltivazione della vite (Cunto, V 9.12 e 10.12).
31
Cfr. per es. De Falco, Proverbi, op. cit., p. 61.
32
Ne Le Muse Napolitane, egl. 3,455 (Talia overo Lo Cerriglio).
33
Vd. per es. S. Zazzera, Proverbi e modi di dire napoletani, Roma, 2012, p. 13: «chi è mal
visto dagli altri ha sempre un bell’aspetto».
34
Vd. per es. Marulli-Livigni, op. cit., p. 13: «A chi ha molti invidiosi, la fortuna lo aiuta»;
Lapucci, op. cit., C 1172; Boggione-Massobrio, IX 12.5 “Invidia e malignità punita”. Tale
desiderio, antropologicamente rilevante, di dimostrare che il destino è irriducibile al potere
della parola, si manifesta spesso nei detti sul cavallo, l’animale nobile da trasporto sul quale
sono solite concentrarsi le maledizioni per invidia o le lodi per vanagloria; perciò a Procida
esiste un detto che recita: «Cavèddo tropp’avantèto, arredùtto a carrecà préte» ‘cavallo vez-
zeggiato ridotto a caricar pietre’ (Parascandola, Vèio, op. cit., p. 61). Poiché nel dialetto di
Napoli manca l’articolazione avanzata della -a- tonica, la rima è assente nel corrispondente
proverbio napoletano (avantato - prete: De Falco, Proverbi, op. cit., p. 59).
35
Cfr. T. Franceschi, La formula proverbiale, in Boggione-Massobrio, op. cit., pp. IX-
XVIII, a p. XIV.
160 La fortuna dei proverbi, identità dei popoLi: Marco besso e La sua coLLezione

conte di Maddaloni e braccio destro dei re Aragonesi, scrisse alcuni memo-


riali indirizzati a personalità della famiglia reale. Nella meritoria edizione
che documenta la superstite testimonianza in volgare e alcune traduzioni
in latino, Antonio Lupis raccoglie un buon numero di sentenze. Uno dei
proverbi si legge in un breve trattato economico36, dove ogni consiglio è
inalizzato all’equilibrio:

«Et nota che non sulo la robba non se deve dare, como ho dicto, senza saputa
del marito, ma se vole ben governare et ben administrare ad quilli de casa, che
non li manche et che no li sia superchya, ché se dice lo assay scompe et lo poco
basta»37.

Qui, tenendo conto di scompere per ‘inire’, si osserva che la formularità


del proverbio impone una presenza di lessico locale maggiore rispetto a
quanto si riscontra in genere nel volgare di Diomede.
Ma d’altra parte il comune patrimonio paremiologico è stabilmente pre-
sente nell’epistolograia quattrocentesca. Si leggono proverbi in lettere di
«esponenti della classe media napoletana», come Tommasino da Nizza, che,
curando i beni di Lapa Acciaiuoli in Buondelmonti, chiede un piccolo favo-
re: «Pregove, madama, per l’amor de Dio, che de chilli denare che eo agio
vostri [...], che mi ’ndi impristiti una unça a buono rendere; yo faço commo
lo villano, che chi li porgie lo dito se pilla tucta la mano»38. Inoltre, si usa-
no proverbi nella stessa conversazione diplomatica, ai più alti livelli39, così
che i parlanti, pur non utilizzando la stessa varietà linguistica, mostrano di
riuscire a condividere, durante i colloqui, i diversi aspetti delle loro culture.
Era consuetudine degli “ambasciatori” riportare in discorso diretto alcuni
dialoghi avuti con personalità di spicco della corte: essi riuscivano a memo-
rizzarli non solo per la speciica abilità professionale sviluppata, ma anche
perché durante le conversazioni utilizzavano formule convenzionalmente
36
Memoriale et recordo de quello have da fare la mulglyere per stare ad bene con suo
marito et in che modo se have ahonestare, in D. Carafa, Memoriali, a cura di F. Petrucci
Nardelli, note linguistiche e glossario di A. Lupis, Roma, 1988, pp. 245-54.
37
Cfr. R. Vigliotti, Antiquae sententiae nun falliscene maie [...], S. Maria Vico, 2009, n.
950, p. 167 nella forma ’O ppoco abbasta, ll’assaje se chiompe.
38
Cfr. F. Sabatini, Volgare «civile» e volgare cancelleresco nella Napoli angioina, in Lin-
gue e culture dell’Italia meridionale (1200-1600), a cura di P. Trovato, Roma, 1993, pp.
109-32, alle pp. 112 e 123; cfr. Lapucci, op. cit., V 787.
39
Un buon esempio è in F. Guicciardini, che nella Storia d’Italia, VI 2, testimonia di una
struttura proverbiale ben nota adattata a papa Alessandro VI e al duca Valentino: «la simu-
lazione e dissimulazione de’ quali era tanto nota nella corte di Roma che n’era nato comune
proverbio che ’l papa non faceva mai quello che diceva e il Valentino non diceva mai quello
che faceva».
francesco Montuori. sui proverbi deLLa caMpania 161

stabilite dall’etichetta e dalla epistolograia e molti proverbi. L’ambasciato-


re iorentino Piero Nasi ebbe intensa collaborazione con Giovanni Pontano
negli ultimi anni del regno di Ferrante I d’Aragona, e molto spesso, nelle
sue lettere agli Otto di Pratica e a Lorenzo de’ Medici, ne riporta le parole
in discorso diretto. Nello scrivere al Magniico nel 4/8/1491, il Nasi nella
minuta appunta un frammento di discorso di Pontano, che, imbarazzato per
la dificile mediazione che deve operare tra il re e i suoi igli dice: «Et io per
questo molte volte ne sono nel travaglio, perché sua maestà vuole fare delle
cose le quali non vuole sappino i suoi igliuoli, et i igliuoli fanno per male
[‘se ne hanno a male’] se non sono chiamati et no llo faccio loro asapere, et
così io sono il panno che sto fra la forbicia»40. Una certa cura nel riportare
l’espressione propria del parlante emerge dal singolare forbicia, estraneo
al tipo toscano e invece diffuso a Nord e nelle aree dialettali dell’Italia
mediana e meridionale41. Sulla forma del proverbio nel suo complesso si
può formulare invece qualche dubbio: avere uno nelle forbici cioè ‘in piena
potestà’ è locuzione della III redazione del Vocabolario della Crusca42, ma
nella fattispecie il proverbio riportato dal Nasi sembra fondarsi soprattutto
sull’analogia tra il panno e il parlante, che si sente “tra le forbici” come uno
posto tra l’incudine e il martello; è utilizzato quindi un costrutto compara-
tivo tipico dell’italiano antico43 e, in alcune forme, vitale ancora oggi44, che
induce a parafrasare in questo modo il proverbio in italiano moderno: ‘io
sono come il panno che sta tra le forbici’. E anzi, poiché le forbici serviva-
no a cimare (cioè a tagliare) il pelo superluo dal panno, una variante del
proverbio di Pontano è quella riportata da Basile nel settimo cunto della pri-
ma giornata (Cunto I 7.11), quando un giovane invita il proprio fratello ad
allontanarsi dal paese, per sottrarsi a un pericolo: «non stare co lo cuoiero
a pesone [‘a rischio della pelle’45] fra lo panno e l’azzimmatore». In questo

40
Corrispondenza degli ambasciatori iorentini a Napoli. Piero Nasi (10 aprile 1491-22
novembre 1491), Antonio Della Valle (23 novembre 1491-25 gennaio 1492) e Niccolò Mi-
chelozzi (26 gennaio 1492-giugno 1492), a cura di B. Figliuolo e S. Marcotti, Salerno, 2004,
n. 97, p. 135.
41
Cfr. AIS 1545.
42
Vol. 2, p. 706, s.v. forbici, § 4: «§. Avere uno nelle forbici, il che si direbbe anche averlo
nell’unghie: vale Averlo giunto, ed essere in tuo arbitrio, e in tua podestà, il far di lui quello,
che più ti piace. Lat. aliquem in sua potestate habere».
43
L. Renzi-G. Salvi, Grammatica dell’italiano antico, Bologna, 2009, § 7.2. p. 1110 e §
14.1.6. p. 561.
44
Cfr. il modo (usato ma non consigliabile) «Io sono un tipo che non mi offendo» (S.
Fornasiero-S. Tamiozzo Goldmann, Scrivere l’italiano. Galateo della comunicazione scrit-
ta, Bologna, 2013, p. 178).
45
Cfr. mettere ’o cuorio a pesone (Consiglio, op. cit., p. 170); D’Ascoli, op. cit., s.v. cuóiero.
162 La fortuna dei proverbi, identità dei popoLi: Marco besso e La sua coLLezione

caso l’associazione è tra l’uomo e la cimatura, ma il signiicato generale e


l’ambito della metafora sono gli stessi.
Non sempre, infatti, le varianti tra i proverbi hanno effetti sul signiicato,
ma qualche volta ciò accade: per esempio, al diffusissimo e “costiero” «’n
tiempo ’e tempesta ogne pertuso è puorto», che induce a trovare ragioni di
conforto anche nelle avversità46, corrisponde, in Irpinia, il più neutro «A
tiempo re tempesta, chi sta dinto nun esce fore»47, che però, come semplice
invito alla prudenza, signiica altra cosa. E i molti proverbi testimoniati per
iscritto offrono l’occasione anche per valutare quelle varianti che non solo
provocano variazione di signiicato ma che si manifestano nella compre-
senza di caratteristiche morfosintattiche appartenenti a diacronie diverse.
Nel Cunto di Basile è possibile comparare due espressioni quasi simili
nella forma ma profondamente diverse nel signiicato. Ne L’orza (‘l’orsa’
II 6), un re vedovo cerca una moglie bella come la regina appena morta;
convocate a palazzo tutte le donne del regno, opera una sorta di rivista delle
brutture: «una le pareva storta de fronte, una longa de naso, chi larga de
vocca, chi grossa de lavra, chesta longa ciavana [‘alta alta’], chella corta
male cavata [...]». L’espressione corta male cavata indica una persona che
coniuga il difetto isico di un’anomala bassezza con un carattere più che
scontroso, maligno, e deriva con ogni probabilità dalla lavorazione di par-
ticolari tipi di maccheroni, per fare i quali bisognava tagliare un adeguato
pezzo di pasta e manipolarlo opportunamente, pena la riuscita di un pro-
dotto troppo piccolo e deformato48. L’espressione è tuttora molto in voga,
soprattutto nella forma curto e male ’ncavato49, per la quale avrà pesato
l’italianizzazione di cavare in incavare e soprattutto l’adozione di una for-
ma proverbiale, con una dittologia che sostituisce la pura giustapposizione
dei costituenti e coordina due concetti asimmetrici dal punto di vista in-
formativo, con l’anteposizione della bassa statura, caratteristica facilmente
percepibile da tutti, e la posposizione della notizia più pregnante e nuova,
giacché la malignità sfugge, a prima vista.
L’espressione si è proverbializzata ricalcando uno schema già esistente e
46
Letteralmente vale: ‘quando il mare è in tempesta, anche la più piccola insenatura è un
buon rifugio’. Cfr. Lapucci, op. cit., p. 290.
47
Chiusano, op. cit., p. 93.
48
Vd. G. B. Del Tufo, Ritratto o modello delle grandezze, delizie e meraviglie della no-
bilissima città di Napoli, a cura di O. S. Casale-M. Colotti, Roma, 2007: «Poi, quei buon
maccaron d’altra maniera, | domestichevolmente menestrati | da man leggiadra, ancor che
albestra e iera, | detti gli strascinati, | sovra d’un canestrin ben ben cavati» (I, vv. 1175-79).
E a conforto, Cfr. L. J. Scoppa, Spicilegium [...], Napoli, 1512, s.v. Lixulae, p. 181: « lo
maccarone strassinato […] idest cavato con le digiti, gnocchi, gnocco».
49
Ma Chiusano, op. cit., p. 76, ha «curto e male cavato».
francesco Montuori. sui proverbi deLLa caMpania 163

quasi omofonico, curto e male parato, che però ha origini e signiicato mol-
to diversi. Nel cunto I 1.51 un oste e la moglie sperano di trarre vantaggio
da un bastone fatato posseduto da un viaggiatore (Antuono de Marigliano);
ma quando dicono la formula magica «Àuzate, mazza!» vengono percossi
senza pietà: «tale che, vedennose curte e male parate, corzero [...] a scetare
Antuono, cercanno meserecordia»50. Il signiicato è ‘in grande dificoltà’,
deducibile dal contesto, ma certamente imprevedibile, per un parlante mo-
derno, dai singoli componenti lessicali. Infatti curto non è il ben noto ag-
gettivo ma un participio forte in -to (del tipo it. e nap. nato, it. morto e nap.
muorto) del verbo correre ‘devastare, fare scorrerie’51: una parola che oggi
appare del tutto indecifrabile, sia nel signiicato sia nella forma, giacché il
participio di correre è in -so e il signiicato di ‘devastare’ è uscito dall’uso.
L’ambiguità, la ristrutturazione della forma e del signiicato, la formazio-
ne di varianti sono tutte manifestazioni della vita dei proverbi nei loro aspetti
linguistici e negli usi sociali. Sembra di poter dire che la fortuna naziona-
le di alcuni proverbi di origine campana abbia origine dalle caratteristiche
speciiche delle singole sentenze e perciò non si fonda tanto sul prestigio
della varietà linguistica del capoluogo quanto soprattutto sulla brillantezza
dell’espressione e sul vigore dell’immagine adoperata. La grande notorietà
di ogne scarrafone è bello a mamma soja52 si deve all’eficacia del contrasto
tra affetto materno e repellenza dei referenti, al ritmo trocaico, e forse an-
che all’espressività del termine scarrafone, di non ampia diffusione areale in
Campania53 ma trasparente per tutti i parlanti italiani; e anche al fatto che, in
generale, i proverbi di natura familiare tendono ad essere condivisi e acquisiti
con grande facilità: lo dimostrano casi recenti54 come «’E iglie so’ piezze
’e core»55, ormai elevato a emblema dell’italico “familismo amorale”, o il
diffuso wellerismo «I igli non si pagano, dice Filumena Marturano», che
sembra tendere a trasformarsi in espressione che veicola rinnovati contenuti
semantici e si adatta a contesti diversi rispetto all’originale.

50
La stessa espressione è in Cunto, II 10.20: «Io, che me vediette curto e male parato
[...]».
51
Cfr. L. De Rosa, Ricordi, a cura di V. Formentin, Roma, 1998, p. 749, s.v.
52
De Falco, Proverbi, op. cit., p. 67; Cfr. anche ogni scarrafone è bello a mamma soja
(Amali, op. cit., p. 120); Lapucci, op. cit., S 560.
53
Cfr. AIS 472; e cfr. anche la variante antica «scarafuniello a mamma pentillo [‘grazio-
so’] le parea» (Cunto, III 10.7)
54
Tuttavia, sebbene siano esempi di origine teatrale, si tratta di casi che hanno la funzione
di slogan più che di proverbi, e rientrano quindi in tipi ben noti di neoformazioni sentenzio-
se: cfr. E. Soletti, Proverbi, in Enciclopedia dell’italiano, a cura di R. Simone, Roma, 2011,
s.v.; Franceschi, op. cit., p. XIII, n. 26.
55
Cfr. Lapucci, op. cit., F 836.
Nel 1887, il bibliofilo Marco Besso pubblica un libro dal titolo Roma nei proverbi e nei
modi di dire. La fonte d’ispirazione fu la preziosa collezione di edizioni paremiologiche
che egli acquistò nel corso della sua vita, custodita, ancora oggi, presso la Biblioteca
privata della Fondazione, da egli stesso istituita a Roma nel 1918. Oggi come allora, la
curiosa sezione paremiologica ha continuato a suscitare grande interesse anche negli
autori di questo libro. Sagaci, scherzosi o irriverenti, i proverbi hanno delineato da
sempre un ponte tra tradizione ed attualità. Il libro è frutto di una attenta e sapiente
ricerca arricchita da interessanti riferimenti letterari e di attualità che prendono spunto
dalla tradizione popolare. Si affronta il tema della “sapienza della vita”, con lo scopo
di proporre una riflessione serena sui valori di amore, libertà, speranza, sofferenza e
coraggio. Gli autori aprono un varco verso la conoscenza di differenti visioni del mondo
che si uniscono in un reticolato di singolarità e di sfumature insite nei dialetti regionali
italiani, nelle più note lingue europee fino ad arrivare ai meno conosciuti proverbi
dell’estremo Oriente.
Laura Lalli

Contributi di Sevim Aktas, Gunhild Avitabile, Francesco Avolio, Marco Bais, Sanzio
Balducci, Franco Bampi, Michele De Gioia, Temistocle Franceschi, Gisèle Lévy, Daniela
Magdan, Donatella Mazzeo, Janet Mente, Francesco Montuori, Andràs Nemeth,
Martina Nied Curcio, Giulio Paulis, Giovanni Ruffino, Valentina Sagaria Rossi, Maria
Antonella Sardelli, Alessandro Scarsella, Gaga Shurgaia, Marcello Teodonio, Renzo
Tosi, Arthur Weststeijn, Clara Yu Dong

ISBN 978-88-7575-211-8

Euro 25,00

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