La prima produzione poetica giovanile che apre i primi 10 anni del secolo, si può definire
neoclassica, perché sono componimenti di stampo classico (componimento in endecasillabi scioleti
è In morte di Carlo Imbonati, che ebbe come precettore Parini). In questo testo si ribadisce il fatto
che la poesia debba avere un intento morale; inoltre questo carme è importante perché in alcuni
versi l’autore trasmette al personaggio i suoi ideali e la sua poetica: c’è l’idea espressa che per
Manzoni la poesia dovrebbe nascere dall’unione di meditazione e sentimento; non a caso in questo
carme si fa riferimento al “Santo Vero”, alla ricerca cioè della verità. Poco più tardi (1815) Manzoni
pubblica i primi quattro inni sacri che sono la resurrezione, in nome di Maria, il Natale e la
Passione; Manzoni ne aveva in programma 12, corrispondenti alle festività cristiane, ma questo
progetto non viene portato a termine.
Già con gli inni sacri siamo di fronte a una poetica nuova: nascono dall’esigenza di un profondo
rinnovamento tematico e linguistico. Soprattutto Manzoni dice che bisogna rendere la poesia
liturgica teologica interessante.
Negli inni inoltre Manzoni vuole evitare di affrontare i temi teologici in modo eccessivamente
complesso; perciò la stesura di questi componimenti segue uno schema abbastanza chiaro che ne
facilita la lettura. Tre i momenti fondamentali: 1) la dichiarazione del tema; 2) la narrazione
dell’episodio sacro; 3) l’esposizione delle conseguenze attuali.
Tra gli inni il più significativo è l’ultimo (1817-1822), che viene completato dopo aver scritto
l’Adelchi. Manzoni celebra la Pentecoste (50° giorno dopo la resurrezione, quando lo spirito santo
scende sugli apostoli). Il componimento si divide in tre parti:
1) Primi 48 versi in cui c’è la descrizione della discesa dello spirito, con la conseguenza che gli
apostoli riuscirono a farsi capire a prescindere dalla lingua parlata;
2) 49-80, versi dedicati alle conseguenze dell’avvenimento e alla prospettiva del rinnovamento
dell’umanità;
3) 81-144: c’è preghiera allo spirito santo perché scenda ancora sugli uomini.
Questo inno è importante dal punto di vista del linguaggio: mentre negli altri inni c’è la
contrapposizione tra linguaggio alto e uso di linguaggio più accessibile, Manzoni nella Pentecoste
trova un equilibrio maggiore.
Una caratteristica peculiare di Manzoni è quella di seguire sempre con passione le vicende politiche
italiane. Le sue poesie civili nascono legate a delle occasioni, spesso scritte sul momento, tipo
Aprile 1814, scritta in seguito all’entusiasmo suscitato dalla caduta di Napoleone e dalla
conseguente cacciata dei Francesi dall’Italia.
Tra le odi civili possiamo ricordare: Marzo 1821, in riferimento ai primi moti rivoluzionari e al
timore che il reggente Carlo Alberto Savoia potesse dichiarare guerra all’Austria; 5 Maggio, scritta
nel luglio 1821 dopo la morte di Napoleone: è un’ode civile dai toni epici, che ricorda gli inni sacri
in quanto riprende il linguaggio lirico religioso di stampo biblico.
5 Maggio 1821 (28/05/2007)
Questa ode è composta di 18 strofe, di versi settenari, con lo schema abcbde e sui versi sdruccioli
c’è la rima; il ritmo dell’ode è reso molto vario per l’alternarsi di versi sdruccioli, piani e tronchi e
anche dal movimento della sintassi. Ci sono periodi paratattici alternati a ipotattici (con
subordinazioni, ricche di similitudini): prevale dunque un ritmo spezzato che suscita concitazione,
emozione; inoltre c’è una velocità che aumenta quando vengono elencate le imprese in rapida
successione; il ritmo rallenta immediatamente nei punti di riflessioni, o quando ci sono dei
commenti (come l’esilio). Lo stile è adattato al contenuto, il lessico si fa notare per la sua alta
letterarietà, per la sua ricercatezza e raffinatezza (uso frequente di figure retoriche).
- 3° e 4°: il silenzio del poeta durante la vita di Napoleone e la sua decisione di scrivere su
Napoleone soltanto ora che è morto;
- 5° e 6°: la rievocazione delle imprese e la domanda se quella di Napoleone “fu vera gloria”;
- 9° e 10°: Napoleone al culmine della sua gloria e del potere e anche subito dopo la repentina
scomparsa di scena. Siamo nel punto di inversione della vicenda di Napoleone;
- 17° e 18°: l’elogio della fede e del suo trionfo e la richiesta finale di Manzoni del silenzio.
Il protagonista
Manzoni è commosso e anche turbato dalla scomparsa di quest’uomo che ha segnato la storia;
Manzoni è emotivamente coinvolto; da questa emotività, Manzoni vuole passare a una fase più
riflessiva, in particolare Manzoni viene invitato dalla vicenda a riflettere genericamente sul rapporto
tra uomo e Dio, o meglio, tra un grande personaggio della storia e Dio. (Stesso tipo di rapporto su
cui Manzoni riflette a proposito di due personaggi dell’Adelchi, cioè Ermengarda, sorella di Adelchi
e l’Adelchi stesso). La grandezza e il rispetto che Manzoni ha nei confronti di Napoleone è resa più
forte dal fatto che nell’ode non è mai pronunciato il suo nome, ma si usa il pronome Ei, oppure
degli epiteti (uom fatale, quel securo, quell’alma).
La trama delle opposizioni semantiche
Tutta la parabola di Napoleone è ricostruita attraverso una serie di opposizioni, che sono: luce-buio;
movimento-immobilità; voce-silenzio; alto-basso. La vita di Napoleone vincitore è dominata dalla
luce folgorante e la metafora del fulmine ci porta ad altri due concetti: l’idea di rapidità e di rumore;
quindi come il fulmine, così la vicenda di Napoleone ha raggiunto il culmine del potere; la fama è il
rumore. Molto commovente è la parte della disperazione di Napoleone: la vita di Sant’Elena è come
l’anticipazione della morte. Gli elementi dominanti sono il senso di immobilità e di inerzia, silenzio.
Napoleone è disperato, nostalgico e a questo punto si apre la prospettiva della speranza, in quanto
egli concepisce la speranza della vita eterna e il passaggio alla speranza nel divino ribalta
totalmente i valori. Dio può intervenire a risollevare le sorti di un uomo e può avviarlo sulla via
della salvezza: occorre quindi che o tanto più un uomo è stato grande nella storia, tanto più deve
riconoscere che la sua grandezza non deriva dalle sue forze ma da Dio; quindi tanto più è grande,
tanto più l’uomo si deve abbandonare fiducioso alla volontà divina, e quindi non deve essere
orgoglioso, ma umile. Dunque la grandezza dell’uomo è un riflesso della grandezza divina, la quale
è tanto più elevata quanto più questo uomo si piega davanti a Dio, umiliandosi secondo l’esempio di
Cristo. Infine, adesso che la vita di Napoleone si è conclusa, Manzoni chiede agli uomini di tacere
di fronte alla sacralità della morte; Dio sta visitando quest’uomo e gli sta offrendo la salvezza:
questa è la speranza del cristiano. Manzoni dice che è Dio che atterra e risuscita, che affanna e che
consola e queste parole sono molto interessanti in quanto anticipano quelle che dirà Padre
Cristoforo davanti a Don Rodrigo.
Adelchi (01/06/07)
La vicenda
Adelchi è un dramma considerato molto significativo per capire la poetica di Manzoni, a partire dal
suo contenuto. La vicenda si svolge in Italia negli anni 772-774 d.C. Abbiamo grandi personaggi
sulla scia: Desiderio, re longobardo, padre di Adelchi, già associato altrono; Desiderio compie un
atto di aggressione, occupando alcuni possedimenti del papa Adriano, il quale reagisce e per
recuperare ciò che gli è stato sottratto, chiama il capo degli alleati franchi Carlo Magno, malvisto
dai Longobardi per aver ripudiato la moglie Ermengarda, figlia di Desiderio, preferendo a lei una
donna sveva. Questo è l’antefatto.
1° atto
La tragedia si apre nella reggia di Pavia, capitale longobarda, dove Desiderio e Adelchi accolgono
Ermengarda, ripudiata, che chiede di poter andare nel convento di Brescia. Già si vuole evidenziare
l’importanza per la fede di Ermengarda. Desiderio e Adelchi sono diversi tra di loro per indole e
opinioni: il figlio condanna la politica aggressiva del padre verso il pontefice proprio perché
intravede rischi di guerra, mentre Desiderio è ciecamente determinato a perseguire la sua azione.
2° atto
I Franchi hanno deciso di entrare in guerra, ma giunti nella Val di Susa, non riescono a passare
anche per la sorveglianza di Adelchi, tanto che Carlo Magno pensa di dover abbandonare l’impresa.
L’arrivo di un diacono ravennate, Martino, risolve la situazione, perché aiuta i Franchi a passare e
Carlo, che dubitava, adesso ha campo libero, fiducioso di fare bottino per ricompensare i soldati.
3° atto
L’azione si sposta sul campo dei Longobardi. Adelchi confida al suo scudiero Anfrido la sua
sofferenza per questo conflitto tra morale e il suo ruolo politico. Poi sopraggiunge la notizia
dell’attacco improvviso dei Franchi: Carlo Magno sbaraglia i Longobardi, Anfrido muore in
battaglia, Desiderio si rifugia a Pavia, mentre Adelchi si dirige verso Verone con un piccolo
manipoli di soldati.
4° atto
Ermengarda è a Brescia e, dopo aver saputo delle nuove nozze di Carlo, muore nel monastero di
San Salvatore. Il momento della morte è uno dei più famosi, con la parte corale. La morte è lenta e
caratterizzata da profondo strazio per i ricordi dei momenti felici con Carlo Magno, poi il ripudio e
poi la morte. L’azione si sposta a Pavia, dove alti duchi longobardi stanno portando avanti delle
cospirazioni per consegnare la città al nemico.
5° atto
L’azione si svolge a Verona, caduta ormai in mano ai Franchi e avviene l’incontro tra Carlo Magno
vincitore e lo sconfitto Desiderio: quest’ultimo si rende conto dei suoi errori e si pente delle sue
azioni. Carlo Magno generosamente, decide di essere clemente risparmiandogli la vita e, alla sua
presenza viene chiamato che sta morendo in quanto fu ferito nella difesa di Verona. C’è il colloquio
finale tra Adelchi e Desiderio, al quale il figlio rivolge parole dolorosissime sulla tragedia di
trovarsi nell’impossibilità di conciliare l’esercizio del potere e la giustizia.
I temi
La responsabilità dell’uomo di fronte alla storia: Desiderio incarna il personaggio del potente che ha
il compito di agire e accetta l’inevitabile violenza che l’agire comporta, persino di provocare
sofferenze collettive e individuali; d’altra parte Adelchi ed Ermengarda soffrono per la
contraddizione tra la loro condizione di figli di re, inseriti in questo gioco di potere, come il ripudio
e il loro mondo di ideali e di affetti. Le loro tragiche vicende esprimono in pieno la visione
manzoniana del drammatico scontro tra la necessità e i doveri storico-politici e dall’altra i valori
morali e i sentimenti delle persone.