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Torniamo sul Carme in morte di Carlo Imbonati: che si conclude con l’indicazione da parte
di Carlo al giovane allievo affinché onori e rispetti il Santo Vero. Questo nesso tra parola e
verità, è un punto importante, sarà un rovello per Manzoni in tutta la sua parabola creativa, il
rapporto con il vero, che non deve limitarsi solo alla parola scritta, ma deve investire ogni
aspetto della parola, e abbiamo visto come attraverso la figura di Carlo Imbonati che
trasmette idealmente il suo testamento morale al giovane Alessandro, Manzoni tratteggia
una figura ideale del giusto solitario è colui , l’intellettuale, che ospita la virtù, offre un
riparo alla virtù, interiormente laddove la virtù è misconosciuta, offesa denigrata dai suoi
contemporanei. Nel Carme si insite molto sul fatto che la società contemporanea ha
pervertito i valori di giustizia, di fedeltà, di onestà. La società contemporanea non onora la
virtù la disprezza, allora all’intellettuale colui che si richiama amico della virtù, non resta
altra strada che quella di coltivare la virtù solitariamente, dunque DENTRO DI SÉ, dunque
l’animo del poeta diventa una sorta di protezione per la virtù, in cui continua a vivere anche
in tempi che le sono ostili, nemici. Perché questo ritratto Malinconico dell’intellettuale
solitario, non perdiamo di vista il fatto che Manzoni per la prima volta a Parigi nella casa
della madre ha modo di frequentare personaggi importanti, tra cui uno dei suoi amici più
cari Claude Fauriel , questo che si chiude nei suoi rapporti eletti e che al tempo stesso viene
disconosciuto dalla società e dal mondo, è molto diverso rispetto a quella che è valorizzata
nel trionfo della Libertà, nella fase dell’entusiasmo giacobina di Manzoni. l trionfo è
un’opera che vuole celebrare una nuova era, che la trasformazione che l’intellettuale
annuncia come i profeti dell’antico testamento, come l’autore dell’apocalisse Giovanni Di
Patmos, che questa trasformazione sia autentica davvero dunque la libertà trionfa nel
momento in cui Napoleone riesce a dileguare le ombre della tirannide sembrano liberare la
scena. È un ottimismo sociale, anche se venato di inquietudine.
Non è così invece nel Carme in Morte di Carlo Imbonati, siamo nel 1806, Napoleone allarga
la sua supremazia, ma questa comincia ad essere contesa tra L’Austria che si dimostra
debole, e Russia e Inghilterra che contrastano Napoleone. In un’atmosfera così inquieta in
cui gli ideali Giacobini sono così ridimensionati, questo ripiegamento denuncia una crisi
nella possibilità dell’intellettuale che incida e promuova un rinnovamento della società, si
confina e si auto-reclude nel colloquio con gli antichi. Carlo invita il giovane Alessandro a
coltivare il rapporto con gli antichi, e si propone quindi una sorta di FUGA DAL
PRESENTE, nel Carme non c’è più l’atteggiamento militante del trionfo. Che questo sia
uno dei temi più interessanti lo dimostra anche la lettera che abbiamo citato al Fauriel del 9
febbraio 1806 nella quale appunto Manzoni reagiva ad un giudizio positivo di Fauriel del
Carme, in quella lettera Manzoni svolge una considerazione di eccezionale intelligenza
relativa allo Scollamento tra il POETA E LA SOCIETA’: osserva Manzoni nel passo
conclusivo della lettera afferma che in Italia a diff. Di quello che accade in Francia, in Italia
il poeta non riesce a promuovere davvero l’amore nel suo popolo per la virtù. Il
rinnovamento della società non sembra passare per la poesia. Il grande poema Parini che per
Manzoni è l’incarnazione della virtù, Manzoni dice che neanche lui è stato capace di
convertire alla virtù il popolo, la moltitudine, si è rivolto alle persone che già condividevano
il suo pensiero, ma la moltitudine è rimasta fuori da questo discorso. Perché il poeta è
inefficace? Perché non è un esempio per la moltitudine perché in Italia tra la lingua della
moltitudine e quella letteraria esiste un divario molto grande, a differenza di quanto accade
in Francia. Questo sarà il grande problema di Manzoni, il Romanzo sarà la risposta la
problema di come sanare il divario tra il poeta e la società.
In generale il mito di Urania ha una ricca tradizione iconografica, nel 700 come simbolo di
Armonia universale e per traslato anche di Armonia interiore. Accanto alla Musogonia va
ricordata un’altra opera di Monti, presente nella stesura dell’Urania manzoniana, che è il
Prometeo, colui che rubò il fuoco agli dei e lo portò agli uomini (accennata anche
nell’Urania manzoniana). Di nuovo Monti come una delle figure centrali nella produzione
Manzoniana in questi anni.
Accanto al Monti bisogna citare in questo poemetto le conversazioni con Fauriel. È un
interlocutore prezioso con il quale Manzoni scambia continuamente informazione. Fauriel
ha una funzione importantissima, soprattutto moltissima della letteratura europea di quegli
anni, si interessa alla letteratura tedesca era legato a Madame de Staёl, in questo caso in
riferimento ad Urania va ricordato per l’introduzione che Fauriel scrisse ad un’opera del
poeta Danese, Jens Baggesen (Partenide, opera 1810). I temi che Fauriel tocca in questa
introduzione erano noti a Manzoni per le continue conversazioni con l’amico mentre si
dedicava alla stesura del poemetto.
Fauriel dà un interpretazione di Partenide idillo del poeta danese Bexell: secondo Fauriel
nell’idillio di Banxen lo schema narrativo va interpretato e letto alla chiave dell’opposizione
che fu stabilita dal poeta danese, tra Apollo e Urania da una parte e le divintà antagoniste
Amore e Mercurio (numi della bellezza e della cupidigia, delle passioni mondane e sensuali
che contrastano i valori spirituali della civiltà difesi da Apollo e Urania). Dunque questo
idillio del poeta danese rappresenterebbe un po’ dietro lo schema del viaggio compiuto dal
giovane Northfrank per sposare la figlia una delle tre figlie di un ricco mercante, dietro
questo schema narrativo si cela lo scontro tra pulsioni dell’essere umano diverse;
ASPIRAZIONE AL SUBLIME, APOLLO E URANIA e L’ATTACAMENTO AI
BENI MONDANI, che minacciano di corrompere l’aspirazione dell’uomo.
Ci riporta un po’ al tema principale del poemetto che riguarda essenzialmente la virtù
civilizzatrice della poesia, la questione che messa al centro di Urania è questa. Ma Urania è
un poemetto di ispirazione neoclassica ma che segna il congedo di Manzoni dalla cultura
neoclassica. Dopo Urania, non a caso giudicata da Manzoni negli anni a seguire con
insofferenza, come un’opera accademica da rifiutare insieme al Carme in Morte di Carlo
Imbonati, perché Manzoni sentirà in queste opere qualcosa di falso, innaturale, dunque
quest’opera è il culmine e il congedo del neoclassicismo Manzoniano. È la fiducia nella
possibilità che la poesia da sola sia una forza civilizzatrice, che sia sufficiente a instaurare la
virtù tra gli uomini, la coscienza di un dissidio tra la letteratura e la società ormai è piena.
Dunque Urania segna la volontà di riaffermare la funzione civilizzatrice della poesia in un
momento in cui la coscienza deve ripensare ha necessità di ripensare a questo nesso.
l’autosufficienza della poesia a Manzoni non basta più, da qui la stanchezza e insofferenza
nei confronti di questo poemetto. Ideale che deve essere sottoposto ad altre verifiche, la
letteratura deve compromettersi con la vita , con la storia, deve abbandonare questa fuga
verso il mito, che la rende pura ma astratta spezzando il nesso con il sentire e con la verità
che era punto nevralgico al quale era giunta la riflessione di Manzoni nel Carme in Morte di
Carlo Imbonati.
Procediamo alla lettura:
vv.1-14
Su le populee rive e sul bel piano
• Da le insubri cavalle esercitato,
• Ove di selva coronate attolle
• La mia città le favolose mura,
• Prego, suoni quest’Inno: e se pur degna
• Penne comporgli di più largo volo
• La nostra Musa, o sacri colli, o d’Arno
• Sposa gentil, che a te gradito ei vegna
• Chieggo a le Grazie. Chè dai passi primi
• Nel terrestre viaggio, ove il desio
• Crudel compagno è de la via, profondo
• Mi sollecita amor che Italia un giorno
• Me de’ suoi vati al drappel sacro aggiunga,
• Italia, ospizio de le Muse antico.
•
l’esordio è piuttosto sostenuto: le popule rive fiumi e canali che fiancheggiate dai pioppi
attraversano e irrigano la pianura padana, percorso dalle cavalle lombarde (insubri cavalle,
insubria vecchio nome di Milano)
…le favolose mura la mia città è Milano allude ai bastioni coperti di alberi a quel tempo,
favolose perché le mura sono associate a origini mitiche, antichi, in tal caso circondate da
mistero
prego suoni quest’inno il poemetto è definito un INNO una sorta di preghiera,
ringraziamento, come un Inno sono le Grazie del Foscolo la stesura delle grazie è molto
travagliata ma sicuramente l’idea di comporre un inno alle grazie , era in Foscolo già nel
1803 come dimostra il commento alla Chioma di Berenice di Callimaco, scritto dal Foscolo
nel 1803 dove troviamo una digressione sul mito delle grazie
E se pur degna…chieggo alle grazie qui si rivolge alle Grazie direttamente affinché
quest’inno sia rivestito di penne idonee ad un più largo volo e giunga gradito alla sposa
gentile dell’Arno ovvero Firenze (perché in quanto culla della poesia italiana, della
rinascita delle muse in Italia)
Ché fin dalla mia tenera età il desiderio die essere annoverato nel drappello sacro dei poeti
Italiani, figli di Italia. già nel sonetto alla Musa era espressa questa volontà di essere poeta.
Italia ospizio delle muse antico qui si rinnova un’antica tradizione che voleva le muse si
fossero rifugiate in Italia a Roma dopo la conquista della Grecia da parte dei Romani.
vv.15-24
Nè fuggitive dai laureti achei
• Altrove il seggio de l’eterno esiglio
• Poser le Dive; e quando a la latina
• Donna si feo l’invendicato oltraggio,
• Dal barbaro ululato impaurite
• Tacquero, è ver, ma l’infelice amica
• Mai non lasciâr; chè ad alte cose al fine
• L’Itala poesia, bella, aspettata,
• Mirabil virgo, da le turpi emerse
• Unniche nozze.
Le dive le dee le muse fuggitive dai boschi pieni di alloro della Grecia, trovano rifugio in
Italia dell’eterno esilio perché non torneranno mai più nella patria d’origine. (146 d.C Roma
conquista la Grecia). I boschi achei sono di alloro perché sono un dato di fatto ma anche
perché celebra il simbolo degli eroi greci (l’alloro).
quando la donna latina l’Italia, la signora latina, quella che fino a quel momento era stata
la signora, la padrona del mondo, subì l’assalto dei barbari, oltraggio che Manzoni definisce
INVENDICATO (battuta polemica di Manzoni nei confronti all’attualità) perché quando
Manzoni scrive questi versi l’Italia è ancora sotto il dominio dello straniero. Le muse
dunque impaurite tacquero la poesia in quanto simbolo di tutti gli ideali di civiltà nati in
Grecia ed emigrati in Italia, è ridotta al silenzio dall’ULULATO BARBARBO
contrapposizione con i suoni dei barbari che destano terrore. La poesia tace ma nonostante
questo le muse non abbandonarono mai l’infelice amica, l’Italia.
..unniche nozze le muse neanche in tempi così oscuri abbandonarono l’Italia tanto è vero
che la poesia italiana rinacque dal connubio con i barbari, e rinacque nuova e diversa, ma
ugualmente bella. Proprio perché le muse restarono in Italia, ormai era la loro sede, dopo
l’iniziale silenzio, cominciarono a riprendere la loro opera civilizzatrice e la poesia italiana
rinacque dal CONNUBIO CON I BARBARI.
vv. 24-35
E tu le bende e il manto
• Primo le desti, e ad illibate fonti
• La conducesti; e ne le danze sacre
• Tu le insegnasti ad emular la madre,
• Tu de l’ira maestro e del sorriso,
• Divo Alighier, le fosti. In lunga notte
• Giaceva il mondo, e tu splendevi solo,
• Tu nostro; e tale, allor che il guardo primo
• Su la vedova terra il sole invia,
• Nol sa la valle ancora e la cortese
• Vital pioggia di luce ancor non beve,
• E già dorata il monte erge la cima.
•
La poesia rinasce , le muse tornano a fiorire con Dante Alighieri. Rinasce con il padre della
poesia italiana
Tu per primo (Dante , fondatore o rifondatore della poesia italiana) le desti (all’Italia) le
bende e il manto ( le insegne regali) la Azzolini cita un verso della canzone all’Italia di
Leopardi
e ad illibate fonti la conducesti per primo Dante conduce l’Italia a bere ad illibate fonti
difficile capire quali siano queste fonti incontaminate fino ad allora non toccate da nessuna
bocca. Si possono formulare delle ipotesi: forse gli autori antichi, Virgilio ma anche gli altri
classici letti e amati da Dante e dimenticati secondo questa visione nei secoli bui del
Medioevo, chiaramente oggi questa visione non è più condivisibile, che Dante avrebbe
riattualizzato sottraendoli all’oblio, dunque le fonti illibate scritture dei classici
…ad emular la madre le danze sacre , ci viene rappresentata nel movimento della danza la
scioltezza, l’agilità, la freschezza della rinata e dunque giovane poesia italiana. Qui le danze
sono sacre, perché si può pensare ispirate dalle muse o sacre perché si fa riferimento alla
poesia sacra della commedia ma anche in questo caso il verso è di incerto significato. Il
poeta rivolgendosi a Dante dice tu insegnasti alla poesia ad emulare l’antica madre, dunque
a mettersi in competizione con la poesia greca.
…divo Alighier le fosti tu hai insegnato alla rinata poesia italiana gli accenti dell’Ira e del
Sorriso. Vengono valorizzati due aspetti tradizionalmente messi in relazione con la poesia di
Dante ovvero lo SDEGNO, il contenuto di polemica civile della sua poesia, e il SORRISO
elemento comico, secondo una riduzione dell’Alighieri a questi due contrastanti sentimenti
che sono elementi che prevalgono nell’interpretazione della figura di Dante in questo
periodo (700-800).
-in lunga notte giaceva il mondo la terra delle tenebre del medioevo,
e tu splendevi solo la figura di Dante si staglia solitaria in questo panorama , Dante sta
solitario toccato dalla luce alle pendici del monte, luce che poi arriverà ad illuminare anche
le parti più basse. Tu nostro , tu italiano, il primo poeta italiano.
…erge la cima Ovvero Dante che si staglia solitario come un monte che il sole nascente
illumina e che solo in seguito la luce raggiunge la valle. Luce benefica che si propagherà
anche agli individui comuni.
vv.36-48
A queste alme d’Italia abitatrici
• Di lodi un serto in pria non colte or tesso;
• Chè vil fra ’l volgo odo vagar parola
• Che le Dive sorelle osa insultando
• Interrogar che valga a l’infelice
• Mortal del canto il dono. Onde una brama
• In cor mi sorge di cantar gli antichi
• Benefici che prodighe a l’ingrato
• Recar le Muse. Urania al suo diletto
• Pindaro li cantò. Perché di tanto
• Degnò la Dea l’alto poeta e come,
• Dirò da prima; indi i celesti accenti
• Ricorderò, se amica ella m’ispira.
Qui Manzoni ci dà il contenuto del suo poemetto.
a queste alme d’Italia abitatrici tesso ora un serto (una ghirlanda) di lodi dedicata alle
alme abitatrici d’Italia, le muse. Da dove nasce l’idea di rivolgere un inno alle muse? Dalla
volontà di contrastare una tesi volgare: c’è chi sostiene infatti che la poesia, che il dono del
canto non serva a nulla, non valga ad alleviare l’infelicità dell’uomo. Quindi questa tesi che
Manzoni vuole confutare, sostiene, nega, la funzione civilizzatrice della poesia, e afferma
che a nulla vale il dono del canto. Che la poesia , il canto poetico ma in generale , l’arte
figlia delle muse, p inessenziale alla civiltà umana. Ecco dunque l’argomento del poema
Una brama mi sorge in cuore forte desiderio. Il poeta ingrato è Pindaro. È questo
l’argomento del poemetto. I Benefici che Urania la musa delle cose celesti, cantò. Espose in
un canto al suo diletto Pindaro, al suo pupillo che si era dimostrato ingrato nei confronti
delle muse, non sufficientemente devoto e Pio. compare qui Urania la musa da cui il
poemetto prende nome. Urania era citata anche nella Musogonia di Monti (1797) al quale
questo esperimento neoclassico del Manzoni deve molto e in quel poemetto di Monti,
Urania era ricordata in questo modo: “Urania che gode le carole temprar negli astri e l’abitar
del sole” così Monti la definisce, la nona musa, gode temperare il moti degli astri e abitare
nel cielo , perché è la musa più cosmologica delle 9 muse, e abita il cielo e gode dice monti
ad abitar nel sole: questo dettaglio simbolico non è irrilevante perché Urania è propriamente
la musa che si trova nello spazio intermedio tra le regioni superiori abitate dalle pure
intelligenze e la terra. Abita il cielo attraverso il quale gli influssi delle divinità superiori
raggiungono la terra. Questa è la funzione di Urania che deve conciliare, temperare,
armonizzare i sentimenti terrestri e attraverso i suoi influssi e richiamarli verso l’alto e
temperarli con sentimenti di ordine e purezza caratteristica della sfera divina. Il Mito di
Urania nel 1700 è una trasposizione di un principio cardine dell’estetica del Winkelmann,
nella storia dell’arte dell’antichità, il Winkelmann aveva individuato in questa sintesi tra
elementi razionali, formali e elementi affettivi questo equilibrio questa armonia , aveva
individuato le caratteristiche dell’arte greca e le ragioni della sua grandezza. Urania è la
raffigurazione di questo principio, stesso principio che è accolto da Foscolo nell’Inno alle
grazie, dove le Grazie e il velo delle Grazie che tessono mirabilmente, rappresenta proprio la
capacità della poesia, dell’arte di nobilitare gli affetti e le passioni degli uomini che
abbandonate a sé stesse , prive di questa azione, rischiano di abbandonare l’uomo alla sua
parte puramente terrestre. Agisce qui anche l’influsso della scienza nuova di Vico, molto
letta a Milano già alla fine del ‘700, in cui si descrive il progresso della civiltà grazie alla
poesia, il primo distaccarsi della civiltà umana dalla sua prima fase animalesca,
gradualmente attraverso l’evolversi della civiltà porta alle grandi riflessioni filosofiche.
Al Mito di Urania non è estranea questa cultura. È una figura di mediazione ecco perché
abita il cielo, nell’idea che attraverso il cielo si propaghino sulla terra quegli influssi divini ai
quali la terra è chiamata a rispondere elevandosi, attraverso l’arte, verso il cielo.
Canterò i Benefici che le muse recarono all’ingrato Pindaro e gli insegnamenti che Urania
cantò a questo, e dirò da prima per quale motivo la Dea degnò il poeta di una simile
grazia, e quindi ricorderò i celesti accenti rievocherò il discorso della musa, se amica ella
mi ispira se la Musa viene in mio soccorso , consentendomi di ripetere il contenuto
altissimo sublime del discorso rivolto all’ingrato Pindaro.