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La trattatistica politica
Il quadro culturale dell’Inghilterra all’inizio del ‘500 vede una serie di fenomeni nuovi, cioè:
● la diffusione della stampa → che si deve alla figura di William Caxton che nel 1476
pubblicherà le prime opere a stampa in Inghilterra;
● la diffusione della Riforma → che inizialmente viene avversata da Enrico VIII
(1509-1547), che addirittura viene proclamato dal Papa Difensore della fede per
essersi scagliato contro il luteranesimo in un suo opuscolo;
● il ruolo sempre più importante che assumono la diffusione del pensiero
umanistico e le università insieme contestualmente, dal punto di vista sociale,
all’affermazione dei ceti mercantili.
Tutto questo avviene nel contesto di un Paese che vede il progressivo consolidarsi della
monarchia Tudor iniziata con Enrico VII e prosegue con Enrico VIII sotto il cui regno
procede:
Da questo scaturisce anche la necessità di creare un discorso che legittimi la figura del
monarca. Da qui scaturisce la fittissima pubblicistica che si diffonde proprio nei primi anni
del ‘500. Ricchissima pubblicistica che ha come tema, e poi quindi anche come finalità,
quello della formazione del sovrano, di fornire al sovrano e alla sua corte una serie di
strumenti di ordine politico, morale, etico. Di fatto si tratta di manuali che insegnano l’arte
del buon governare. Quindi, l’ascesa al trono di Enrico VII prima e di Enrico VIII dopo gli
anni della guerra civile vedono un consolidamento del potere monarchico che si
accompagna quasi naturalmente, perchè favorito dall’avvento della stampa, al diffondersi di
una trattatistica politica la cui finalità è quella di fornire al governante una formazione. Una
formazione che sia politica, etica e così via.
Un antenato di questo tipo di trattatistica politica è rappresentato da un genere di origine
medievale che è quello dello speculum principis, cioè dello specchio del principe. Questi
specula principis erano trattati di teoria politica in cui venivano offerti ai principi e ai re,
attraverso una serie di esempi tratti dalla storia, degli esempi di virtù ai quali ispirarsi. Degli
specchi, da qui il titolo, in cui riflettersi e dai quali apprendere quelle che erano le virtù
necessarie al buon governo, che erano la giustizia, la fermezza, la magnanimità, la
equanimità e così via. Dunque, questi trattati avevano lo scopo di garantire la formazione del
regnante sia come buon principe che come buon cristiano. Questo modello, nella cultura
rinascimentale, di fatto è ripreso da tutta la trattatistica politica che si diffonde proprio in
questo periodo e di cui un esempio a noi tutti noto è Il Principe di Machiavelli. Il Principe di
Machiavelli è un esempio in chiave rinascimentale di speculum principis.
Uno dei primi importanti trattati che vengono pubblicati in Inghilterra è The Boke named the
Governour scritto da Sir Thomas Elyot e pubblicato nel 1531, cioè tre anni dopo la
2
pubblicazione in Italia di quel testo che costituirà il modello della trattatistica politica, e dei
manuali di condotta anche, di tutto Rinascimento: il Cortigiano di Baldassarre Castiglione.
Il Cortigiano viene pubblicato da Castiglione in Italia nel 1528. Sarà tradotto solo negli anni
molto più tardi, cioè negli anni ‘50 del ‘500, ma avrà una larghissima circolazione in
Inghilterra fin da subito. L’italiano che era una lingua conosciuta dalle classi intellettuali
dell’epoca e dalla stessa sovrana Elisabetta che, peraltro, era donna di ampia e solida
cultura. Questo modello, sia dal punto di vista del comportamento privato che politico del
cortigiano, viene ripreso da Sir Thomas Elyot in questo libro dedicato alla figura di Enrico VII
ma anche tutti coloro ai quali spetta di affiancare il sovrano nella gestione dello stato e del
bene comune. È un trattato che ha come obiettivo la formazione di un governante-filosofo
secondo un modello di ascendenza platonica. La formazione deve essere appunto
improntata agli ideali della cultura umanistica e allo studio dei classici.
Ancora, un altro testo di questo genere in cui questa volta si discute dei meriti rispettivi del
potere monarchico e del potere papale è A dialogue between Reginald Pole & Thomas
Lupset di Thomas Starkey. Questo testo, come lo stesso Cortigiano di Castiglione, è scritto
in forma di dialogo.
Questa modalità verrà ripresa anche dal testo di teoria politica più importante della cultura
primo cinquecentesca inglese: l’Utopia di Thomas More.
Thomas More
Vita
Tommaso Moro nasce nel 1478 a Londra. Studia a Oxford che è un’università che ha
recepito in pieno la cultura umanistica e dove è stata istituita già nel 1490 una cattedra di
greco proprio ad opera di Thomas Linacre e di William Grosin. Diventa avvocato e nel 1529,
cioè cinque anni prima dello scisma anglicano, assume il ruolo di Lord cancelliere. Il Lord
cancelliere era una delle figure più importanti della corte di Enrico. È responsabile delle corti
di giustizia ma è anche uno dei consiglieri politici più importanti della corona. Quindi, un
ruolo politico di primo di piano quello di Moro secondo quella che era un’idea, che era stata
propria della prima generazione degli umanisti italiani, dell’intellettuale come colui che deve
contribuire in maniera attiva alla vita civile del proprio Paese. Quindi, Moro in questo
senso è un tipico prodotto della cultura umanistica, egli stesso studioso e politico al tempo.
Sarà proprio Enrico a volerlo presso la propria corte. Contemporaneamente More non
abbandona mai i propri studi di carattere letterario, religioso e politico e soprattutto, prima di
diventare Lord cancelliere, stringe amicizia con quello che è forse il più importante
intellettuale dell’Umanesimo europeo che è Erasmo da Rotterdam, il quale comporrà la sua
opera più importante, cioè l’Elogio della follia, proprio a Londra, ospite di Moro. Il titolo
scelto per il suo testo, che verrà pubblicato nel 1509 in latino, è anche un tributo a Moro
perché la parola greca per follia che Erasmo adotta, Moria, allude chiaramente al cognome
Moro. Come Erasmo, anche More rimane fedele alla Chiesa cattolica di Roma e, anzi,
pagherà questa sua fedeltà con la vita. Tuttavia, non risparmierà critiche anche molto severe
alla corruzione della Chiesa, non eviterà di denunciare gli abusi ecclesiastici e, come l’amico
Erasmo, propugnerà un ritorno all’autenticità, alla semplicità della chiesa delle origini senza
tuttavia per questo aderire alla Riforma protestante. Anzi, More sarà uno dei più fieri
avversari di Enrico VIII quando Enrico deciderà di staccarsi dalla Chiesa di Roma. E Enrico
non esiterà a condannarlo a morte per non averlo sostenuto in questo progetto. Il rifiuto dello
scisma costerà a Moro la vita: verrà prima imprigionato nella torre di Londra, poi processato
3
per alto tradimento e, infine, decapitato nel 1535. Tutto questo ha guadagnato a Moro la
santità. Tommaso Moro è uno dei Santi della Chiesa cattolica.
L’Utopia
L’opera più famoso di Moro è l’Utopia. Utopia è una parola che compare nel lessico politico
proprio grazie a Moro. È un neologismo, non esisteva prima.
1) È una parola che Moro costruisce dal greco mettendo insieme la negazione οὐ, che
in greco significa non, e la parola topos che significa luogo. E questa è la prima
versione dell’etimologia della parola Utopia. Utopia come parola che indica ‘nessun
luogo’.
2) L’altra possibilità è che la parola metta insieme l’avverbio ευ-, che significa buono in
greco, e il sostantivo topos, quindi un buon luogo.
Probabilmente Moro aveva in mente queste due opzioni in realtà. Quindi, è sia il luogo che
non c’è che il luogo ideale.
L’Utopia viene pubblicata in latino nel 1516, che è la lingua in cui gli umanisti scrivono
moltissime opere, e poi, invece, tradotta in inglese molto più tardi nel 1551 da Ralph
Robinson.
Il libro è chiaramente ispirato a quella Repubblica in cui Platone disegna un progetto di
società e città ideale governata dai filosofi1.
Il testo si divide in due libri:
1) il primo è una sorta di denuncia dello stato della società inglese del tempo → Come
per altri trattati politici dell’epoca, anche Utopia viene redatta nella forma di un
dialogo. Nel primo libro abbiamo Morus, cioè lo stesso Moro, che racconta di un suo
viaggio nei Paesi Bassi nel corso del quale ha incontrato due personaggi che sono
Pietro Gil e soprattutto Raphael Hythlodaeus. il cui nome, Hythlodaeus, è un nome la
cui etimologia probabilmente deriva dalla parola greca Itlos cioè frottola. Questo
Raphael Hythlodaeus racconta a Moro di un viaggio compiuto a seguito di Amerigo
Vespucci, alla volte delle Americhe nel corso del quale si è imbattuto appunto in
Utopia, un Paese le cui istituzioni gli sono apparse assolutamente superiori a quelle
di tutte le nazioni europee.
2) il secondo, invece, è quello in cui Moro descrive questa società ideale → Nel
secondo libro descrive nel dettaglio l’ordinamento sociale di Utopia.
1
Peraltro va ricordato che la teorizzazione politica avente come oggetto la costruzione di una società
ideale è un genere di larga diffusione nella cultura rinascimentale. Pensiamo per esempio alla Città
del sole di Tommaso Campanella.
4
Per dare un’idea di com’è organizzata la società di Utopia, un estratto di Utopia in cui Itlodeo
descrive a Moro cos’ha visto e com’è organizzata la vita economica di Utopia:
“L’isola comprende 54 (1) città ampie e magnifiche, pressoché uguali di lingua, costumi,
istituzioni e leggi. Tutta identica nel tracciato e dovunque simile nell’aspetto per quanto il sito
lo consente (2). Le più vicine tra loro distano 24 miglia ma nessuno è tanto isolata che da
essa non si possa raggiungere a piedi un’altra città con un giorno di cammino. Ogni anno (3)
tre cittadini di ciascuna città, anziani ed esperti, si riuniscono ad Amauroto (4) per discutere
gli affari che interessano tutta quanta l’isola (5). Questa città infatti, situata quasi nel centro
del Paese, è più agevole da raggiungere per i delegati delle varie zone e viene considerata
quindi la capitale dello Stato. La campagna è stata assegnata alle città con tanta larghezza
che nessuna di esse ne possiede per meno di 12 miglia in qualsiasi direzione e qualcuna
anche molto di più. Nessuna città ha bramosia di ampliare i propri confini perché di quanto
posseggono si considerano piuttosto coltivatori che padroni (6). Hanno in campagna delle
case ben fornite di attrezzi agricoli e distribuite opportunamente in mezzo ai campi, nelle
quali abitano i cittadini che a turno vi si trasferiscono (7). Nessuna famiglia rurale conta
meno di 40 adulti, fra uomini e donne, oltre a due schiavi che le sono assegnati (8). A capo
di tutti sono posti un padre e una madre di famiglia giudiziosi e attempati. Venti persone di
ogni famiglia rientrano ogni anno in città, cioè quelli che hanno compiuto il biennio in
campagna, e altrettante tratte di fresco dalla città vengono a rimpiazzarle in modo da venire
istruite da coloro che già si trovano sul posto da un anno e da poter istruire a loro volta quelli
che verranno l’anno successivo perchè se tutti fossero novizi allo stesso modo e inesperti
dei lavori agricoli l’imperizia potrebbe recare a pregiudizio agli approvvigionamenti. Benchè
questo sistema di alternare la popolazione rurale sia imposto per evitare che qualcuno
venga costretto di malanimo a continuare troppo a lungo un’esistenza più faticosa, molti
tuttavia, che per natura si dilettano del lavoro dei campi, ottengono l’autorizzazione a
rimanere per più anni.”
(1) La scelta di questo numero, 54, non è casuale perché è un’allusione polemica alle 54
contee in cui è divisa l’Inghilterra. Nel primo libro, Moro denuncia quelli che sono i mali che
affliggono la società inglese come, ad esempio, la conflittualità religiosa. Per quanto riguarda
la questione sociale, una delle cose contro cui Moro si scaglia in maniera molto severa è la
pratica delle cosiddette enclosures, cioè le recinzioni. Si tratta della pratica da parte
dell’aristocrazia inglese di recintare appunto, appropriandosene, quelli che erano campi
comuni sui quali chiunque poteva coltivare la terra, per trasformarli in pascoli, ricavandone
così naturalmente vantaggio economico. Ma pratica che naturalmente determinava un
impoverimento di coloro i quali, invece, di quelle terre si sostentavano grazie alla
coltivazione delle terre perché dal Medioevo fino in pratica al ‘700 c’era questa prassi cioè
che, accanto alle grandi estensioni di terre che erano di proprietà privata di nobili signori,
c’erano poi delle aree intorno ai villaggi che erano delle common lands, cioè delle terre
comuni che chiunque poteva coltivare. Le recinzioni sono un processo che avviene nel corso
dei secoli in varie fasi. Una di queste fasi di recinzioni molto estese avvenne proprio negli
anni in cui More scriveva. Un processo analogo avverrà nel ‘700 anche.
(2) Qua emerge un tratto che non sono stati in pochi a sottolineare, cioè l’assoluta uniformità
di questa società che è organizzata secondo principi astratti e razionali. E, quindi, proprio
questo carattere di astrattezza ne determina anche l’assoluta uniformità. E questo forse è
l’aspetto inquietante. Immaginiamo questa società ideale in cui tutte le 54 città sono
5
esattamente una identica all’altra. Sembra più uno scenario distopico che uno scenario
utopico.
(3) E questo riguarda l’organizzazione politica.
(4) Amauroto è la capitale.
(5) È una sorta di assemblea.
(6) Cioè non esiste la proprietà privata. Esistono queste vaste estensioni di terre che sono
nella disponibilità di ciascuna città per coltivare ciò che è necessario alla propria
sussistenza.
(7) E questo è l’elemento interessante, cioè non esiste una netta divisione tra popolazione
urbana e popolazione rurale. È previsto che ciascuna famiglia si sposti dalla città alla
campagna e coltivi la terra per un certo lasso di tempo per poi ritornare in città e lasciare il
posto ad altri.
(8) Nonostante tutto è una società che prevede lo schiavismo.
Questi sono alcuni degli aspetti che caratterizzano la società che More immagina. More
immagina un modello di società che in qualche maniera è disumano perché è concepito
secondo principi esclusivamente razionali e, per questo, astratti. In qualche modo è una
società che da una parte rispetta le libertà individuali, dall’altra però, non è un caso ed è
significativo, che di tutti gli abitanti dell’isola non ci viene fornito il nome proprio. In questa
omologazione assoluta, l’unico di cui Itlodeo fornisce il nome è solo il re, Utopos appunto. In
qualche maniera si può dire che c’è il rischio che questa ricerca di una felicità razionalmente
perseguita si traduca poi in qualcosa che non realizza questa felicità proprio perché
escludere dall’umano tutto ciò che non attiene alla razionalità è un’operazione che può
essere pericolosa.
Comunque, questo testo avrà una larghissima diffusione. È l’opera più importante di Moro
ma non è l’unica perché scriverà altre opere tra le quali una storia del re Riccardo III, il re
che verrà sconfitto da colui il quale diventerà Enrico VII Tudor. Questa cronaca storica sarà
una delle fonti alla quale attingerà Shakespeare per il suo Riccardo III.
William Caxton
La prosa della prima età umanistica, tuttavia, non si esaurisce solo nella trattatistica politica.
Un’importante opera in prosa che vede la luce negli ultimi anni del ‘400 grazie proprio alla
figura dello stampatore William Caxton si intitola La morte di Artù. Nel 1473 William Caxton
aveva stampato già a Bruge, cioè in Belgio, una prima raccolta delle storie di Troia. Quindi,
apprende le tecniche della stampa sul continente e nel 1476 si trasferisce a Londra per
aprire una propria stamperia. Qui, pochi anni dopo, nel ‘78, stamperà la sua prima opera in
prosa cioè i Canterbury Tales di Geoffrey Chaucer2, l’opera con cui si fa convenzionalmente
iniziare la storia della letteratura inglese. Qualche anno più tardi, Caxton pubblicherà La
morte di Artù. Caxton ha un ruolo molto importante nella cultura umanistica inglese perché,
grazie alla sua attività di stampatore e alla scelta dei testi che decide di stampare
contribuisce a creare un primo canone della letteratura inglese. Caxton, cioè, sceglie di
stampare una serie di testi che ritiene importanti per la tradizione letteraria del proprio
Paese, cioè quelli dei grandi autori inglesi del ‘300 (Chaucer in primo luogo ma poi anche
2
Il cosiddetto “padre” della lingua inglese.
6
altri due autori che sono Lydgate e Gower3), e in questo modo definisce un primo canone
letterario. Non solo si limita a stampare questi testi, ma li accompagna con introduzioni,
epiloghi, prologhi insomma con scritti che rappresentano un primo esempio di saggistica in
prosa e di critica letteraria diremmo in termini moderni. Quindi, è stampatore ed è anche
editor4 nel senso inglese della parola. Caxton si imbatte e sceglie di pubblicare, nel 1485, un
testo messo a punto da una figura che è quella di Thomas Malory vissuta pochi anni prima,
tra il 1409 e il 1471. Thomas Malory riprende le leggende del ciclo arturiano, che erano state
tramandate dalla tradizione dei romanzi cortesi già a partire dall’XI secolo, le traduce in
prosa, perché i romanzi cortesi erano in versi, e dà vita a un’opera che Caxton pubblicherà
in una versione che si è poi scoperto in realtà essere molto diversa da come Malory l’aveva
concepita: Le Morte d'Arthur (1485). È un’opera in prosa lunghissima in cui vengono
raccontate le leggende del ciclo arturiano dalla nascita di Artù fino alla morte per mano del
figlio Mordred. Nella stampa di Caxton, il testo di Malory viene riunito in un unico volume
costituito da 21 libri ciascuno dei quali poi diviso in capitoli. Quindi, di fatto Caxton dà una
struttura sostanzialmente unitaria a questo insieme di leggende che poi la scoperta nel
1934, cioè cinque secoli dopo, di un manoscritto di Malory ci ha fatto capire che nella prima
stesura, cioè quella di Malory, non erano state raccolte in un volume unico ma messe
insieme in una forma del tutto episodica. Questa operazione la fà Caxton. L’opera di Malory
aveva un carattere molto meno unitario, era semplicemente un insieme di leggende. Questo
testo è importante perché la riscoperta del mito arturiano costituisce un importante elemento
dal punto di vista ideologico. Cioè Artù, il mitico passato della Britannia e le leggende del
mito arturiano sono funzionali alla definizione dell’identità della nuova nazione che si va
formando proprio in età Tudor. In generale, la celebrazione del mito arturiano sarà
fondamentale anche per gli stessi sovrani Tudor perché lo utilizzeranno in funzione
patriottica, propagandistica. Non a caso Enrico VII sceglie di chiamare Artù il proprio figlio
primogenito, quello che muore lasciando vedova Caterina d’Aragona che poi sposerà
Enrico. Re Artù non a caso comparirà poi nella più importante opera in versi di età
elisabettiana che è The Faerie Queene, La regina delle fate di Spenser in cui, appunto,
compare la figura di Artù che non è ancora re, è principe e verrà fatto poi sposare con un
personaggio dietro la cui identità si nasconde l’identità della stessa Elisabetta. Esprime la
volontà del nuovo sovrano e della neonata nazione inglese di definire l’identità della nazione
istituendo una connessione, un legame tra la nuova dinastia Tudor e il mitico re fondatore
della Britannia.
3
Gower, peraltro, è uno scrittore che ricompare nella funzione di voce narrante in uno dei romances
shakespeariani che è il Pericle. Nel Pericle, Shakespeare fa introdurre la vicenda che poi mette in
scena proprio dalla figura di un grande poeta trecentesco che è Gowen.
4
Editor, in inglese, è colui il quale cura un libro, cioè lo mette insieme. Scrive eventualmente
l’introduzione e/o un commento.
7
Il sonetto
Nel 1589, cioè in Età elisabettiana, in un famoso trattato di poetica che è The Art of English
Poesy George Puttenham scrive che presso la corte di Enrico VIII sorse un nuovo gruppo
di poeti di corte che lui chiama new courtly makers in inglese con a capo Sir Thomas
Wyatt il vecchio, per distinguerlo dal poeta giovane e figlio, e Henry conte di Surrey i quali
“avendo viaggiato in Italia e avendo gustato i dolci e nobili metri e lo stile della poesia
italiana, quali novizi appena usciti dalla scuola di Dante, Ariosto e Petrarca, diedero una
nuova e grande raffinatezza all’umile e rozza maniera della nostra poesia volgare quale
prima era stata e perciò si possano a ragione definire i primi riformatori della metrica e
dello stile inglesi.” Cioè, un paio di decenni dopo la circolazione delle opere di questi due
autori, Wyatt e Surrey, Puttenham attribuisce loro il merito di aver innovato la storia della
poesia inglese. Wyatt e Surrey erano entrambi attivi presso la corte di Enrico VIII e per
tanto vengono chiamato new courtly makers. L’innovazione della poesia inglese introdotta
da Wyatt e Surrey consiste nell’aver ripreso la forma del sonetto, grazie soprattutto alla
lettura del Canzoniere di Petrarca, e di averla introdotta nella poesia inglese. Fino a Wyatt
e Surrey, in Inghilterra non si scrivevano sonetti. Con Wyatt e Surrey inizia la voga della
sonettistica, un genere di componimento che comincia a circolare, non nelle versioni a
stampa, ma sotto forma di raccolte manoscritte di componimenti poetici presso un
ristretto gruppo di persone, generalmente esponenti della corte. Quindi, una forma di
poesia decisamente elitaria la cui circolazione è limitata a cenacoli ristrettissimi di cortigiani
e poeti e che soltanto a partire dalla fine del ‘500 vedranno poi una circolazione a stampa.
Tra l’altro, questo fatto non riguarda solo l’Inghilterra. Il petrarchismo, cioè l’imitazione di
Petrarca, è un fenomeno che investe tutta la scena letteraria europea del primo ‘500. La
voga petrarchista riguarda tutte le letterature europee. L’Italia è il modello delle letterature
europee: Bembo definisce Petrarca come il modello della poesia e il petrarchismo diventa un
fenomeno culturale che investe tutta l’Europa. Nel caso dell’Inghilterra, il modello di Petrarca
è assunto da Wyatt e poi da Surrey che sono coloro i quali portano il sonetto in Inghilterra
dando inizio a una voga che durerà per tutto il corso del secolo, soprattutto in età
elisabettiana con due figure tra le altre, cioè Sidney e Spense, e cominciano a essere veri e
propri canzonieri, cioè raccolte unitarie di sonetti, come tra l’altro aveva fatto Petrarca
stesso.
Wyatt
incrociate (ABBA ABBA) seguite da due terzine, o una sestina, cioè strofe da 3 versi, con
uno schema a rime replicate (CDE CDE). Per quanto riguarda le due terzine, c’è anche la
possibilità di schemi metrici diversi:
Questo tipo di componimento viene importato in Inghilterra da Sir Thomas Wyatt. Sir
Thomas Wyatt era appunto un esponente della corte inglese il quale, durante una missione
diplomatica in Italia nel 1527, conosce alcune delle figure più importanti della cultura italiana
del tempo: Baldassare Castiglione, Pietro Bembo5 e, probabilmente, addirittura anche
Ariosto6. Wyatt torna in Inghilterra e prende a tradurre e adattare i sonetti di Petrarca alla
lingua inglese. In un saggio dedicato a Wyatt e Surrey, contenuto nel testo curato da Michele
Stanco, l’autore del saggio, Mario Domenichelli, scrive che “[...] nell’adattamento di Wyatt,
Petrarca subisce una sorta di metamorfosi” perché Wyatt adotta un registro più basso
rispetto a quello di Petrarca e dà ai propri sonetti, che spesso sono delle vere e proprie
traduzioni dei sonetti di Petrarca, una maggiore autenticità, urgenza, immediatezza rispetto
a quello che succede con Petrarca. Un esempio, scrive ancora Domenichelli in questo
saggio, di come Wyatt interviene a trasformare Petrarca, traducendolo, in realtà è
rappresentato da un sonetto che è il sonetto 190 del Canzoniere di Petrarca che si intitola
Una candida cerva sopra l'erba, dove la cerva del titolo qui è l’animale dietro cui si cela la
figura idealizzata di Laura. Questo sonetto viene tradotto da Wyatt con il titolo Whoso List to
Hunt. Whoso ha il significato di whoever, cioè A chiunque piaccia cacciare. E qui, sottolinea
Domenichelli, come Wyatt traduce in effetti il sonetto di Petrarca e, al tempo stesso, lo
trasforma nel senso che la donna che si cela dietro il simbolo della cerva nel caso di Wyatt è
una donna che ha una dimensione più terrena, non una dimensione metafisica.
Whoso list to hunt, I know where is an hind, A Una candida cerva sopra l’erba A
But as for me, hélas, I may no more. B verde m’apparve, con duo corna d’oro, B
The vain travail hath wearied me so sore, B fra due riviere, all’ombra d’un alloro, B
I am of them that farthest cometh behind. A levando ’l sole a la stagione acerba. A
Yet may I by no means my wearied mind A Era sua vista sí dolce superba, A
Draw from the deer, but as she fleeth afore B ch’i’ lasciai per seguirla ogni lavoro: B
Fainting I follow. I leave off therefore, B come l’avaro che ’n cercar tesoro B
Sithens in a net I seek to hold the wind. A con diletto l’affanno disacerba. A
Who list her hunt, I put him out of doubt, C "Nessun mi tocchi - al bel collo d’intorno C
As well as I may spend his time in vain. D scritto avea di diamanti et di topazi - : D
And graven with diamonds in letters plain D libera farmi al mio Cesare parve". E
There is written, her fair neck round about: C
Noli me tangere, for Caesar's I am, E Et era ’l sol già vòlto al mezzo giorno, C
And wild for to hold, though I seem tame. E gli occhi miei stanchi di mirar, non sazi, D
quand’io caddi ne l’acqua, et ella sparve. E
5
Il quale nel 1525 in un’opera intitolata Prose della volgar lingua, definisce quelli che sono i modelli
per la scrittura in versi e in prosa: Petrarca per la poesia e Boccaccio per la prosa.
6
Cioè l’autore dell’Orlando furioso.
9
Nel sonetto di Petrarca abbiamo il poeta che riceve un’immagine che poi svanisce. Nel
sonetto di sonetto di Wyatt, invece, ci viene presentato un cacciatore, dietro le cui spoglie si
cela la figura dell’amante, che vanamente insegue questa cerva che gli sfugge e sul cui collo
c’è questa scritta: “Noli me tangere, for Caesar's I am”, “Non mi toccare perché sono di
Cesare”. C’è chi ha voluto legge qui un’allusione alla figura di Enrico VIII (Cesare) e Anna
Bolena (la cerva).
Wyatt riprende lo schema metrico di Petrarca per le prime due quartine (ABBA ABBA).
Segue, poi, una terzina in cui lo schema metrico è diverso (CDD) e poi abbiamo l’ultima
terzina che è CEE con gli ultimi due versi delle due terzine a rima baciata.
Surrey
Accanto a Wyatt un’altra figura di primo piano è quella di Henry Howard, conte di Surrey,
nato nel 1517 e morto nel 1547. Esponente di una delle famiglie più importanti del regno,
sposa in età molto giovane Lady Frances de Vere. Quando Enrico mette in prigione Anna e
tutti i membri del circolo che intorno a lei si era creato Wyatt, che ne faceva parte, finì in
prigione con accuse di alto tradimento anche lui ma venne poi liberato. Surrey, invece, fu
fatto condannare a morte. Come Wyatt, Surrey è un grande sperimentatore di nuove
metriche. A Surrey dobbiamo sostanzialmente due cose, cioè:
Il blank verse è un pentametro giambico che non rima. La parola blank, cioè vuoto, sta a
indicare, appunto, l’assenza della rima.
2) la trasformazione del sonetto, che Wyatt aveva introdotto, nella forma che
diventerà poi nota come sonetto elisabettiano o sonetto petrarchesco → rimane
un componimento di 14 versi ma la distribuzione dei versi nelle strofe con Surrey
cambia. Il modello elaborato da Surrey diventerà il modello della poesia elisabettiana
adottato anche da Shakespeare.
10
Surrey rimodula il sonetto inglese in una nuova forma: non più due quartine e due terzine,
ma tre quartine e un distico finale. Qui, abbiamo ancora una volta un esempio di sonetto di
Petrarca, nel caso specifico si tratta del sonetto CXIII (123), che viene riproposto da Surrey
secondo questo nuovo schema:
Sonnet 8 [Set me where as the sun doth Pommi ove 'l sole occide i fiori et l'erba
parch the green]
Ponmi ove ’l sole occide i fiori et l’erba, A
Set me where as the sun doth parch the green, A o dove vince lui il ghiaccio et la neve; B
Or where his beams do not dissolve the ice; B ponmi ov’è ’l carro suo temprato et leve, B
In temperate heat where he is felt and seen; A et ov’è chi ce ’l rende, o chi ce ’l serba; A
With proud people, in presence sad and wise; B
ponmi in humil fortuna, od in superba, A
Set me in base, or yet in high degree, C al dolce aere sereno, al fosco et greve; B
In the long night, or in the shortest day, D ponmi a la notte, al dí lungo ed al breve, B
In clear weather, or where mists thickest be, C a la matura etate od a l’acerba; A
In lost youth, or when my hairs be grey; D
ponmi in cielo, od in terra, od in abisso, C
Set me in earth, in heaven, or yet in hell, E in alto poggio, in valle ima et palustre, D
In hill, in dale, or in the foaming flood; F libero spirto, od a’ suoi membri affisso; C
Thrall, or at large, alive where so I dwell, E
Sick, or in health, in ill fame or good: F ponmi con fama oscura, o con ilustre: D
sarò qual fui, vivrò com’io son visso, C
Yours will I be, and with that only thought G continüando il mio sospir trilustre. D
Comfort myself when that my hope is nought. G
Il significato cambia nell’ultima parte perché qui Petrarca sembra alludere a una capacità del
poeta di rimanere costante nel tempo e in qualsiasi condizione. Nel caso di Surrey, invece, il
distico finale esprime un'intenzione di fedeltà ad un’amata presumibilmente (“Yours will I
be”).
La diversa distribuzione dei versi nelle strofe comporta anche una trasformazione dello
schema metrico che viene adottato:
Nel sonetto petrarchesco abbiamo un ripetersi delle stesse mentre in quello elisabettiano c’è
una maggiore varietà di rime. Questo anche perché la lingua inglese, per la sua struttura,
rendeva difficile l’applicazione di questo tipo di schema metrico. Non c’erano tante parole
che rimassero tra di loro. Da qui anche la necessità di variare lo schema metrico.
Come osserva Michele Stanco a proposito del sonetto elisabettiano, questa diversa
organizzazione del sonetto voluta da Surrey non è semplicemente un fatto formale ma incide
anche sul contenuto perchè nel sonetto italiano la conclusione del sonetto è affidata a due
terzine e, quindi, nel sonetto italiano si approda alla conclusione in maniera più morbida, più
graduale. Viceversa, nel sonetto inglese la conclusione è affidata al distico finale. Questo
distico di solito svolge due funzioni:
I sonetti scritti da Wyatt e Surrey ebbero larga circolazione nella corte di Enrico VII ma in
realtà non vennero stampati se non dopo la morte dei due poeti. Nel 1554 quando apparve
un’antologia intitolata Songs and sonnets. Questa raccolta viene generalmente conosciuta
con il nome di Tottel's Miscellany, cioè della Miscellanea di Tottel. Tottel è l’editore che mette
insieme questi sonetti e li pubblica a stampa. È da quel momento in poi che i sonetti di Wyatt
e Surrey vengono conosciuti presso un pubblico più vasto.