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Viperae […] arida et inaquosa sectantur.

sed nos pisciculi secundum ΙΧΘΥΝ nostrum Iesum Christum in aqua nasci-
mur, nec aliter quam in aqua permanendo salvi sumus
Le vipere […] cercano ambienti aridi e senz’acqua. Noi invece, alla maniera del nostro IKHTHÝS, Gesù Cristo, come
pesciolini nasciamo nell’acqua, né altrimenti che restando nell’acqua possiamo essere salvi.

CHIESA DELLE ORIGINI: LA PREGHIERA PREGATA


1. DIDACHÉ (sec. I): la Eucaristia (trad. G. Visonà, 2000)
A) IX,1. Riguardo all’eucaristia, così rendete grazie. 2. Dapprima per il calice: “Noi ti rendiamo grazie, Padre nostro,
per la santa vite di David tuo servo, che ci hai rivelato per mezzo di Gesù tuo servo. A te gloria nei secoli”. 3. Poi
per il pane spezzato: “Ti rendiamo grazie, Padre nostro, per la vita e la conoscenza che ci hai rivelato per mezzo
di Gesù tuo servo. A te gloria nei secoli. 4. Nel modo in cui questo pane spezzato era sparso qua e là sopra i
colli e raccolto divenne una sola cosa, così si raccolga la tua Chiesa nel tuo regno dai confini della terra; perché
tua è la gloria e la potenza, per Gesù Cristo nei secoli”. 5. Nessuno però mangi né beva della vostra eucaristia se
non i battezzati nel nome del Signore, perché anche riguardo a ciò il Signore ha detto: “Non date ciò che è santo ai
cani”. X,1. Dopo che vi sarete saziati, così rendete grazie: 2. “Ti rendiamo grazie, Padre santo, per il tuo santo
nome che hai fatto abitare nei nostri cuori, e per la conoscenza, la fede e l’immortalità che ci hai rivelato per
mezzo di Gesù tuo servo. A te gloria nei secoli. 3. Tu, Signore onnipotente, hai creato ogni cosa a gloria del tuo
nome; hai dato agli uomini cibo e bevanda a loro conforto, affinché ti rendano grazie; ma a noi hai donato un
cibo e una bevanda spirituali e la vita eterna per mezzo del tuo servo. 4. Soprattutto ti rendiamo grazie perché
sei potente. A te gloria nei secoli. 5. Ricordati, Signore, della tua chiesa, di preservarla da ogni male e di
renderla perfetta nel tuo amore; santificata, raccoglila dai quattro venti nel tuo regno che per lei preparasti.
Perché tua è la potenza e la gloria nei secoli. 6. Venga la grazia e passi questo mondo. Osanna alla casa di
David. Chi è santo si avanzi, chi non lo è si penta. Maranatha. Amen”. 7. Ai profeti, però, permettete di rendere
grazie a loro piacimento.
B) XV 3. Correggetevi a vicenda, non nell’ira ma nella pace, come avete nel vangelo. A chiunque abbia offeso il
prossimo nessuno parli: non abbia ad ascoltare neppure una parola da voi finché non si sia ravveduto. 4. E fate le
vostre preghiere, le elemosine e tutte le vostre azioni così come avete nel vangelo del Signore nostro. XVI,1.
Vigilate sulla vostra vita. Non spegnete le vostre fiaccole e non sciogliete le cinture dai vostri fianchi, ma state
preparati perché non sapete l’ora in cui il nostro Signore viene. 2. Vi radunerete di frequente per ricercare ciò che si
conviene alle anime vostre, perché non vi gioverà tutto il tempo della vostra fede se non sarete perfetti nell’ultimo
istante. 3. Infatti negli ultimi giorni si moltiplicheranno i falsi profeti e i corruttori, e le pecore si muteranno in
lupi, e la carità si muterà in odio;

2. ATTI DI GIOVANNI (composti in greco nell’Asia Minore, ca. 140-150 d.C.; trad. ERBETTA, 1966)
94-96. Gesù [...] ci comandò di fare come un giro, tenendoci l'un l'altro le mani [...]. Cominciò quindi a cantare l'inno
seguente: «Gloria a te, o Padre!». E noi ci muovevamo in circolo dicendo: «Amen». «Gloria a te, o Lógos [...]. Ti
ringraziamo, o Luce, in cui non c'è tenebra. Amen. Ed ora dirò perché ringraziamo: "Voglio essere salvato e voglio
salvare, amen. Voglio essere sciolto e voglio sciogliere, amen. Voglio essere ferito e voglio ferire, amen. Voglio genera-
re ed essere generato, amen. Voglio mangiare ed essere mangiato, amen. Voglio udire e voglio essere udito, amen.
Voglio essere pensato, io che sono tutto pensiero, amen. Voglio essere lavato e voglio lavare, amen. La Grazia danza.
Voglio suonare il flauto. Danzate tutti. Amen. Voglio lamentarmi, piangete tutti, amen [...]. Al tutto è concesso in alto di
danzare, amen. Chi non danza, non sa che cosa succede, amen. Voglio fuggire e voglio rimanere, amen. Voglio essere
unito e voglio unire, amen. Una casa non ho e case io ho, amen. Un luogo non ho e luoghi io ho, amen. Un tempio non
ho e templi io ho, amen. Una lampada sono per te che mi guardi, amen. Uno specchio io sono per te che mi intendi,
amen. Una porta io sono per te che mi bussi, amen. Una strada sono io per te, passeggero, amen. Se tu segui la mia
danza, osserva te stesso in me che parlo e, vedendo ciò che faccio, taci dei miei misteri. Tu che danzi comprendi ciò
che faccio: è tua questa sofferenza umana a cui mi sottopongo. Tu non potresti assolutamente comprendere ciò che
1
soffri, se non ti fossi stato inviato come Lógos dal Padre. Tu che vedesti ciò che soffro, mi vedesti come sofferente (ὡς
πάσχοντα εἶδες) e, vedendomi, non restasti immobile, ma fosti tutto sconvolto. Sconvolto per diventare saggio, tu hai in
me un letto: riposati in me! Chi io sia, lo saprai quando me ne andrò. Non sono quello che appaio. Lo vedrai quando
verrai. Se tu sapessi soffrire, saresti capace di non patire. Impara a patire e sarai capace di non soffrire. Quello
che non sai, io te lo insegnerò (εἰ τὸ πάσχειν ᾔδεις, τὸ μὴ παθεῖν ἂν εἶχες. τὸ παθεῖν σύγγνωθι καὶ τὸ μὴ παθεῖν
ἕξεις. ὃ σὺ μὴ οἶδας αὐτός σε διδάξω). Voglio essere congiunto in armonia con le anime sante [...]. Ho saltato, ma tu
osserva tutto e di’: Gloria a te, Padre! Amen”».

3. ATTI DI PIETRO (composti in greco nella seconda metà del II secolo sulla base degli Atti di Giovanni).
[37 (8), 1] [Pietro,] avvicinatosi, stette presso la croce e prese a dire: «O nome della croce, mistero nascosto! O grazia
ineffabile espressa nel nome della croce! O natura umana inseparabile da Dio! O amore indicibile dal quale non ci si può
separare e che le labbra contaminate non possono esprimere! Ora che sono al termine della mia liberazione dalla terra
io ti comprendo! Ora manifesterò chi tu sia; non tacerò questo mistero della croce da lungo tempo celato nella mia
anima. [2] Per voi che sperate in Cristo, la croce non sia ciò che sembra di essere! Essa è, infatti, completamente
diversa dalla apparenza: anche questa passione, conformemente a quella di Cristo, è diversa da ciò che appare. Ora
soprattutto che potete comprendermi, voi che ne avete la forza, ascoltatemi nell'ora ultima e suprema della mia vita.
Allontanate le anime vostre da tutto ciò che è materiale, da tutto ciò che è apparenza, ma non realtà. Distoglietevi da
tutti questi modi di vedere, distoglietevi da tutti questi modi di dare ascolto alle cose apparenti! E conoscerete ciò che
riguarda Cristo e tutt'intero il mistero della salvezza! Per voi che le udite, queste mie parole siano come se non fossero
dette. Ma per te, Pietro, è giunto il momento di abbandonare alle tue guardie il tuo corpo: prendetelo dunque voi che
avete questo compito. Io ve lo chiedo, o esecutori! Crocifiggetemi così: con la testa all'ingiù e non diversamente! Il
motivo lo dirò a quelli che mi ascoltano». [38(9), 1] Dopo che fu sospeso come aveva chiesto, prese nuovamente
a dire: «Uomini che avete il compito di ascoltare, udite ciò ch'io vi annunzio, soprattutto in questo momento in cui sono
crocifisso! Comprendete il mistero di tutta la natura e quale è stato il principio di ogni cosa! Dunque, il primo uomo, della
cui stirpe io, precipitato con la testa in basso, porto l'immagine, manifestò una natura diversa da quella che aveva una
volta: non avendo movimento, è morta. Egli aveva gettato a terra il suo stato primitivo e, così rovesciato, organizzò tutto
l'ordine di questo mondo: sospeso secondo l'immagine della sua vocazione, fece vedere destra la sinistra e la sinistra
destra; cambiò tutti i segni della sua natura tanto da considerare bello ciò che non lo è, e buono ciò che è cattivo.
[2] A questo proposito, il Signore dice in un mistero: "Se della destra non fate sinistra e della sinistra destra,
inferiore ciò che è superiore, e anteriore ciò che è posteriore, non comprenderete il regno". Questo è il pensiero
ch'io pongo davanti ai vostri occhi; e la figura che voi vedete, contemplandomi sospeso [a testa in giù], è l'immagine
dell'uomo che nacque per primo. [3] Voi, dunque, diletti miei, tanto voi che udite adesso quanto quelli che vi ascolteran-
no, dovete abbandonare questo primitivo errore e rialzarvi. È giusto, infatti, salire sulla croce di Cristo che è l'unica e
sola parola distesa, della quale lo Spirito dice: "Che cos'è Cristo, se non la Parola, l'eco di Dio?". Sicché la Parola è
l'asse dritto della croce, quello al quale sono crocifisso; l'eco è l'asse trasversale, cioè la natura dell'uomo; il
chiodo che unisce l'asse trasversale a quello dritto è la conversione e la penitenza dell'uomo. [39 (10), 1]
Poiché, dunque, o Parola di vita, come da me fu or ora chiamato l'albero, mi hai fatto conoscere e mi hai svelato
queste cose, io ti ringrazio con labbra inchiodate, non con una lingua che sparge verità e menzogna, né con
questa parola che si diffonde per opera di una natura terrestre, bensì ti ringrazio, o re, con quella voce che è
compresa dal silenzio, che non si ode apertamente, che non è emessa da organi corporei, che non entra in
orecchie di carne, che non è udita da un essere corruttibile, che non è nel mondo e che non si spande sulla
terra, che non è scritta in libri, che non appartiene a uno ad esclusione di altri: è con questa voce, Gesù Cristo,
ch'io ti ringrazio, con il silenzio di questa voce con cui lo Spirito che è in me ti ama, ti parla, ti vede, ti supplica.
[2] Tu sei comprensibile soltanto per opera dello Spirito. Tu sei per me padre. Tu sei per me madre. Tu sei per
me un fratello, tu sei un amico, tu sei un servo, tu sei un intendente, tu sei il tutto, ed il tutto è in te. Tu sei Colui
che è e non esiste altro all'infuori di te. [3] Anche voi, fratelli, rifugiatevi in lui; e quando avrete compreso che tutto
sussiste soltanto in lui, otterrete ciò di cui vi parlo: “ciò che occhio non vide, orecchio non udì, né mai salì nel cuore
dell'uomo” [1Cor 2,9]. Ti domandiamo dunque ciò che tu hai promesso di darci, o Gesù senza macchia, noi ti lodiamo,
noi ti ringraziamo, noi uomini ancora deboli, ti confessiamo e glorifichiamo. Poiché tu solo sei Dio e non altri: al quale sia
gloria, ora e in tutti i secoli dei secoli. Amen». [40 (11), 1] Ed allorché la moltitudine presente ripeteva ad alta voce
questo "Amen", insieme all'"Amen" Pietro rese lo spirito al Signore.

4. ODI DI SALOMONE (siriache, capolavoro del profetismo cristiano della metà del II secolo; trad. M. Erbetta, 1975)
A) Ode 6: Come la mano si muove sulla cetra e le corde parlano, / così parla nelle mie membra lo Spirito del
Signore / ed io parlo nel suo amore. / Esso distrugge ciò che è straniero / e tutto appartiene al Signore.
2
B) Ode 2: Le mie membra sono presso di lui; / con esse sono appeso e lui arde per me. / Io davvero non
saprei amare il Signore, / se lui non mi amasse. / Chi può comprendere l’amore, / se non chi è
amato? / Chi è unito all’immortale, / anche lui sarà immortale. / Chi della vita si compiace, / vivo sarà.
C) Ode 40: Come [...] il latte fluisce da donna che dei suoi figli si delizia, / così pure è la mia speranza su te,
mio Dio. / Come sorgente effonde le sue acque, / così effonde il mio cuore la lode del Signore /
e le mie labbra fanno scaturire lode per lui. / La mia lingua divien dolce nei colloqui con lui / e
splendide si fanno le mie membra con la dolcezza dei suoi salmi. / Il mio volto esulta con il suo giubilo,
/ giubila il mio spirito nel suo amore / e fulge la mia anima in lui.
D) Ode 8: Amatemi con affetto, / voi che amate! / [...] Prima che fossero, / li ho esaminati
attentamente: / sul loro viso ho impresso il mio sigillo. / Io ho preparato le loro membra / e le mie
mammelle ho loro apprestato, / perché bevessero il mio latte santo e così avessero la vita. / In
loro mi sono compiaciuto / e di loro non mi vergogno. / [...] Io mente e cuore volli e formai: miei sono essi.
E) Ode 21: Le mie braccia ho innalzato verso l’alto, / verso la pietà del Signore. / Egli ha gettato via da
me i miei vincoli. / Mi sono tolto l’oscurità / ed ho rivestita la luce. / Membra ha avuto
l’anima mia, / in cui non c’era male, / angustia o dolori. / [...] Fui a lui vicino, / mentre [...]
rendevo atto alla sua gloria. / Il mio cuore uscì fuori e si trovò sulla mia bocca / ed apparve sulle mie labbra».
F) Ode13: Ecco: il nostro specchio è il Si-  CLEMENTE DI ROMA (96-98), Lettera ai Corinzi (tr. A. Quacquarelli 1976)
gnore! (cfr. Sap 7,26 ss.; 2Cor 13,18; Gc 1,22-24) 36,1-2: Questa la strada, o beneamati, nella quale troviamo salvezza:
Aprite gli occhi e vedetevi in lui. Gesù Cristo il sommo sacerdote delle nostre offerte, il protettore e l’aiuto
imparate a conoscere il vostro volto. della nostra debolezza. Per mezzo suo fissiamo lo sguardo sulle altezze
Uscite con inni di gloria al suo Spirito. dei cieli, per mezzo suo osserviamo come in uno specchio la sua
Tergete lo sporco dal vostro viso, faccia immacolata e sublime, per mezzo suo si sono aperti gli occhi
amate la sua santità e con essa rivestitevi; del cuore, per mezzo suo la nostra mente ottusa e ottenebrata rifiorisce
così sarete sempre immacolati vicino a Lui. alla luce, per mezzo suo il Signore ha voluto farci gustare la scienza im-
Alleluia! mortale».
5.
ΥΜΝΟΣ INNO DI SAN CJANT DI SAN CLEMENT A
ΤΟΥ ΣΩΤΗΡΟΣ CLEMENTE A CRISTO CRIST SALVADÔR
PAR CUI CH’AL E’ ANCJEMO’
ΧΡΙΣΤΟΥ SALVATORE
FRUT TE FEDE
ΤΟΥ ΑΓΙΟΥ PER CHI E’ ANCORA
(CLEM. ALEX. Paedagogus, III [GCS 12bis, 1, ed.
ΚΛΗΜΕΝΤΟΣ BAMBINO NELLA FEDE O. STÄHLIN – U. TREU, Berlin 19723 (1909), 291-
292]; Alessandrie d’Egjit, ultins dal II sec., in
(CLEM. ALEX. Paedagogus, III [GCS 12bis,
1, ed. O. STÄHLIN – U. TREU, Berlin 19723
anapescj ˘˘ˉ)
(1909), 291-292]; Alessandria d’Egitto, fine sec. II,

in versi anapestici ˘˘ˉ)


Στόμιον πώλων ἀδαῶν, (1) Dei puledri inesperti tu il Freno, Dai pujeris sbrenâts la Cjaveçe,
πτερὸν ὀρνίθων ἀπλανῶν, degli uccelli migranti tu l’Ala, dai uciei di passaç tu sês l’Ale,
οἴαξ νηῶν ἀτρεκής, delle navi il sincero Timone, da lis nâvs il Tamon ca no fale,
ποιμὴν ἀρνῶν βασιλικῶν· degli agnelli del Re sei il Pastore: dai agnei dal Re nestri il Pastôr:
τοὺς σοὺς ἀφελεῖς (5) i tuoi ingenui 5 sclets e rûts 5
παῖδας ἄγειρον, bambini raccogli i tiei fruts clame dongje
αἰνεῖν ἁγίως, santamente a lodare, santamentri a laudâ,
ὑμνεῖν ἀδόλως senza inganno a cantare sençe ingjan a cjantâ,
ἀκάκοις στόμασιν con le bocche innocenti cu lis bocjis nocentis
παίδων ἡγήτορα Cristo Guida ai bambini. 10 Crist la Guide dai fruts. 10
Χριστόν. (10) Re dei santi, Re dai sants,
Βασιλεῦ ἁγίων, o Parola invincibile o Peraule che dut dismiestee
λόγε πανδαμάτωρ dell’altissimo Padre, dal Pari tô adalt profierte,
πατρὸς ὑψίστου, di sapienza o Sovrano, de sapiençe o Sovran,
σοφίας πρύτανι, in fatiche Sostegno 15 tes faturis confuart par poiâsi, 15
στήριγμα πόνων (15) e pei secoli Lieto di grazia, Legri simpri gjoldint dal tô creât,
3
αἰωνοχαρές, della stirpe degli uomini des gjernaçiis dai umign
βροτέας γενεᾶς Salvatore o Gesù, Salvadôr o Jesù,
σῶτερ Ἰησοῦ, tu Pastore, Aratore, tu il Pastôr, l’Aradôr,
ποιμήν, ἀροτήρ, Timone sei e Freno 20 tu il Tamon, la Cjaveçe, 20
οἴαξ, στόμιον, (20) ed Ala celeste tu sês l’Ale dal cîl
πτερὸν οὐράνιον del purissimo gregge: pal tô trop crei e mond:
παναγοῦς ποίμνης, Pescatore degli uomini Pescjadôr tu tu sês
ἁλιεῦ μερόπων in salvo portati de int salvade
τῶν σῳζομένων da perfidia del mare, 25 de tristerie dal mâr 25
πελάγους κακίας, (25) pesci puri tu adeschi e pessuts bongn e pûrs gjavis fûr
ἰχθῦς ἁγνοὺς fuori da onda nemica di chês ondis ledrosis
κύματος ἐχθροῦ con dolcezza di vita. cu la lescje dal dolç de to vite.
γλυκερῇ ζωῇ δελεάζων.
Προβάτων λογικῶν Guida tu, delle pecore Tu âs tu di menânus, des pioris
ποιμὴν ἅγιε, (30) ragionevoli quale Pastore! 30 ca jan cjâv il Pastôr! 30
ἡγοῦ, βασιλεῦ O Santo! Tu guida, Sêstu tu, o Sant, la Guide
παίδων ἀνεπάφων· nostro Re, i tuoi bambini ora al seguito di nô fruts, o Re di ducj, ch’o lin daûr
ἴχνια Χριστοῦ delle impronte di Cristo! da lis olmis di Crist!
ὁδὸς οὐρανία. Tu la Via sei celeste Tu la Strade dal cîl,
Λόγος ἀέναος, (35) e Parola flüente per sempre, 35 la Peraule sicu flum ch’à simpri aghe , 35
αἰὼν ἄπλετος, incolmabile Tempo, e il Timp ca ‘l sô fons nuje implene,
φῶς ἀίδιον, Luce eterna, Lûs eterne,
ἐλέους πηγή, di pietà la Sorgente, risultive di pietât,
ῥεκτὴρ ἀρετῆς di prodigi potenti l’Artefice: siôr di fâ maraveis:
σεμνῇ βιοτῇ (40) di chi in vita sua onesta 40 se vivint sald e onest 40
θεὸν ὑμνούντων. inni canta di Dio, un al cjante cjants a Diu,
Χριστὲ Ἰησοῦ, o Cristo Gesù, Crist Jesù,
γάλα οὐράνιον tu sei il Latte celeste tu ’i sês Lat dal cîl
μαστῶν γλυκερῶν dalle dolci mammelle dal pet dolç
νύμφης χαρίτων (45) della Sposa, dai doni di grazia 45 de Nuviçe, de graçie 45
σοφίας τῆς σῆς, della tua Sapïenza de tô sante sapiençe
ἐκθλιβόμενον. spremuto. strucât fûr.
Οἱ νηπίαχοι Ecco infanti tuoi figli, Venus chì fantulins,
ἀταλοῖς στόμασιν dalla tenera bocca pe bocjute inmò cree
ἀτιταλλόμενοι, (50) in tenerezza nutriti, 50 sossolâts e nudrîts, 50
θηλῆς λογικῆς dal capezzolo almo di senso e ragione di chel tetul incolm di reson e sintiment
πνεύματι δροσερῷ con rugiada di Spirito cun rosade di Spirt
ἐμπιμπλάμενοι, ben saziati, ben passûts,
αἴνους ἀφελεῖς, laudi ingenue, scletis lauds,
ὕμνους ἀτρεκεῖς (55) sinceri inni, 55 cjants sancîrs 55
βασιλεῖ Χριστῷ, al Re Cristo al Re Crist,
μισθοὺς ὁσίους come puro compenso par pajâ in puretât
ζωῆς διδαχῆς, della scuola di Vita la tô scuele di Vite,
μέλπωμεν ὁμοῦ. insieme cantiamo, cumò in sdrume cjantin,
Πέμπωμεν ἁπλῶς (60) in semplicità su cantiamo rûds ch’o sin, su cjantin
παῖδα κρατερόν, il Bambino possente! 60 il Frut fuart, vivarôs! 60
χορὸς εἰρήνης Coro in danza di pace, Scjap ch’al zorne balant a la pâs,
οἱ χριστόγονοι, noi nati da Cristo nô ch’o sin fïolançe di Crist,
λαὸς σώφρων, e popolo saggio, popul savi,
ψάλλωμεν ὁμοῦ (65) sempre insieme suonando cantiamo 65 simpri adun ‘o scugnin cjants sunâ
θεὸν εἰρήνης. per il Dio della pace! al Diu nestri, Diu de pâs! 65

6. CLEMENTE DI ALESSANDRIA, Protrettico ai Greci, I 2,4; 5,3-4; 6,1; 6,4; 7,2-3; 7,6 (trad. F. MIGLIORE, 2004 [con modifiche])
In verità [il mio Signore Dio] canta […] il canto perenne sull’eterno modo della nuova armonia, il canto giustamente
chiamato “di Dio”, il “Canto Nuovo”, “che lenisce collera e dolore, che fa obliare ogni male” (OMERO, Odissea, 4,221).
[…] La Parola di Dio, che discende da Davide ed esiste prima di lui, disdegna la lira e la cetra, strumenti inani-
mati. Accordato questo cosmo allo Spirito Santo e così il microcosmo, cioè l’uomo, la sua un flauto a motivo
dello spirito, un tempio a motivo della ragione, affinché l’una risuoni, l’altro spiri e l’ultima comprenda il Signore.
[…] Il Signore creò l’uomo bello, a sua immagine (cfr. Gn 1,27), come uno strumento animato; e certamente egli
stesso, la Parola celeste, è uno strumento di Dio, uno strumento in tutto melodioso, assolutamente accordato e
santo, sapienza che è al di sopra di questo mondo, Parola celeste. Che cosa, dunque, vuole questo strumento,
la Parola di Dio, il Signore, e il Nuovo Canto? Dischiudere gli occhi dei ciechi, aprire le orecchie dei sordi (cfr. Is
4
35,5-6; Mt 11,5; Lc 7,22), guidare con la sua mano verso la giustizia coloro che vacillano ed errano, mostrare Dio agli
uomini senza senso, porre fine alla corruzione, sconfiggere la morte, riconciliare con il Padre i figli disobbedienti. […] Ma
antico è l’errore, e la verità sembra essere cosa nuova. […] Come dice, infatti, l’Apostolo del Signore, divinamente
ispirato: “È apparsa a tutti gli uomini la grazia di Dio, apportatrice di salvezza …(Tt 2,11-13)”. Questo è il Canto Nuovo,
cioè l’epifania, che soltanto ora ha brillato fra noi, della Parola che era in principio, e perciò preesisteva; […] è apparsa
la Parola dalla quale sono state create tutte le cose (Gv 1,3), egli che, come Creatore dopo averci dato in principio il
vivere […], rivelatosi come Maestro, ci insegnò il vivere bene, affinché, come Dio, ci potesse procurare in seguito il
vivere in eterno. […] Poiché uno solo è l’ingannatore, che in principio condusse Eva alla morte e ora vi conduce anche
gli altri uomini, uno solo è anche colui che accorre in nostro aiuto e ci sostiene: il Signore nostro, che all’inizio preannun-
ziava mediante la voce dei profeti e che adesso, ormai anche apertamente, ci chiama alla salvezza.

7. SINESIO DI CIRENE, Inni, VIII (IX) vv. 1-30 col corpo mortale
(trad. M. Simonetti 2000, con modifiche) sei disceso in fondo al Tartaro,
Te canto, amatissimo dove la morte governa
glorioso beato figlio innumerevoli popoli di anime.
della vergine di Gerusalemme, Rabbrividì allora di fronte a te
te che dai grandi giardini Ade dall’antica origine
che aveva offerto alla giovane primigenia e il cane divoratore di popoli
il frutto proibito, dall’immane vigore
del Padre hai scacciato si ritirò dalla soglia.
il laccio insidioso, il serpente infernale, Liberati dai tormenti
alimento di dolorosa sventura. i cori santi delle anime,
Te canto, coronato con le schiere immacolate
glorioso padre, figlio tu innalzi inni al Padre.
della vergine di Gerusalemme. Te canto, coronato
Sei disceso fino alla terra glorioso padre, figlio
per dimorare tra gli uomini effimeri; della vergine di Gerusalemme. […]

8. PALLADIO DI GALAZIA (363-420 ca.), La storia lausiaca


§20: C'è nell'Egitto un monte che conduce al grande deserto della Scete, e si chiama Ferme. Su questo monte abitano
circa cinquecento uomini che si dedicano all'ascesi: fra di loro un certo Paolo (così lo chiamano) tenne questo modo di
vita: non diede mano ad alcun lavoro né attività, e non accettò nulla da nessuno all'infuori del cibo che mangiava. La sua
occupazione e la sua ascesi consistevano nel pregare ininterrottamente. Recitava trecento preghiere prestabilite:
raccoglieva altrettante pietruzze che teneva in seno, gettandone fuori una per ogni preghiera che recitava. Incontratosi
con il santo Macario (che è soprannominato il Cittadino) per un colloquio, gli disse: "Padre Macario, sono angustiato".
L'altro lo costrinse a spiegargli la ragione. Ed egli disse: “In un villaggio abita una vergine che da trenta anni pratica
l'ascesi; di lei mi hanno raccontato che non tocca mai cibo, all'infuori del sabato e della domenica, ma lascia trascorrere
le settimane in tutta l'ampiezza del tempo mangiando solo ogni cinque giorni, e così riesce a recitare settecento preghie-
re. E io, apprendendo questo, ho disperato di me stesso, perché non sono stato capace di superare le trecento". Il santo
Macario gli rispose: "Io dopo sessant'anni di vita recito ogni giorno cento preghiere stabilite, compio il lavoro
necessario a procurarmi il nutrimento e soddisfo all'obbligo di concedere colloqui ai confratelli, e la mia ragio-
ne non mi condanna come se avessi mancato di diligenza. Se tu, pur recitando trecento preghiere, ti senti
condannato dalla tua coscienza, è chiaro che non preghi con cuore puro, o che sei in grado di pregare anche di
più e che non lo fai."

9. S. PAOLINO DI AQUILEIA († 802), Inno I, vv. 139-151 (trad. A. PERSIC)


“In giubilo e con volto fremente per animo gaio
sempre grazie inneggianti a te con favella sincera,
o sommo Genitore, renderò, mio Dio, alto potere;
e a te, o Nato da Dio, dell’ampio universo speme unica;
e a te, o Spirto di vita, donde è timor, maestà tremenda,
di carità la fonte, amor dolce più di ogni miele,
luce e origin del bene, tu che il casto amore spiri,
che dove vai e donde tu vieni si ignora e l’orbe
della terra riempi e senza posa ovunque spiri.
5
Si ode, ecco, la tua voce: col silente suo richiamo
del cuor suona all’orecchio, senza scossa di clamore.
Sia gloria al Padre, gloria al Generato Dio sommo,
sia gloria allo Spirito santo Dio nei secoli tutti”.

CHIESA DELLE ORIGINI: LA PREGHIERA PENSATA E INSEGNATA


10. Didaché (sec. I): la preghiera quotidiana (trad. Visonà, 2000)
VIII,1. I vostri digiuni […] non siano fatti contemporaneamente a quelli degli ipocriti; essi infatti digiunano il secondo e il
quinto giorno della settimana, voi invece digiunate il quarto [= mercoledì] e il giorno della preparazione [‘parasceve’ =
venerdì]. 2. E neppure pregate come gli ipocriti, ma come comandò il Signore nel suo vangelo; così pregate: “Padre
nostro che sei nel cielo, sia santificato il tuo nome, venga il tuo regno, sia fatta la tua volontà, come in
cielo così in terra. Dacci oggi il nostro pane quotidiano, e rimetti a noi il nostro debito, come anche noi
lo rimettiamo ai nostri debitori, e non ci indurre in tentazione, ma liberaci dal male; perché tua è la
potenza e la gloria nei secoli”. 3. Pregate così tre volte al giorno.

11. ERMA, Il Pastore (1a metà sec II)


Precetto 10, 3: Leva l’afflizione da te stesso e non opprimere lo Spirito Santo che abita in te: che mai supplichi Dio
contro di te e da te si allontani! Infatti lo Spirito di Dio donato nella carne non sopporta tale afflizione e ristrettezza (di
cuore). Rivestiti di gaiezza (ἔνδυσαι … τὴν ἱλαρότητα, indue … hilaritatem), la quale in ogni circostanza trova grazia
presso Dio e gli è beneaccetta, e delìziati (ἐντρύφα, gloriare) in essa. Infatti, ogni persona ilare (ἱλαρὸς ἀνήρ, hilaris
homo) compie opere buone e concepisce pensieri buoni, e riesce a disprezzare il dolore (λύπην, tristitiam). L’uomo
triste (λυπηρός [cioè ‘vulnerabile al dolore, e che quindi sparge afflizione’]), è invece malvagio (homo autem tristis
semper nequam est): innanzitutto è malvagio perché addolora lo Spirito Santo che è stato donato ilare all’uomo (τὸ
δοθὲν τῷ ἀνθρώπῳ ἱλαρόν, qui illi a Deo hilaris datus est); in secondo luogo, addolorando lo Spirito Santo, opera
contro la giustizia, perché non intrattiene più relazione con il Signore, né si apre più a lui nella confidenza e nella lode. In
ogni circostanza, perciò, lo stato di afflizione e molestia non consente all’uomo la forza di ascendere all’altare
dove si offre il sacrificio a Dio. [...] Dunque purifica te stesso da questo dolore malvagio e così potrai vivere in Dio; e
vivranno in Dio tutti coloro che abbiano scacciato da se stessi il dolore e si siano rivestiti solo di ilarità (ἐνδύσωνται
πᾶσαν ἱλαρότητα, induerint omnem Domini hilaritatem)».

12. IRENEO DI LIONE (2a metà sec. II), da Confutazione e rovesciamento della falsa conoscenza (trad. G. FARNEDI, 1997)
3,17,1-3: “Il Signore, concedendo ai discepoli il potere di far nascere gli uomini in Dio, diceva loro: ANDATE, AMMAESTRA-
TE TUTTE LE NAZIONI, BATTEZZANDOLE NEL NOME DEL PADRE, E DEL FIGLIO E DELLO SPIRITO SANTO (Mt 28,19). È questo lo
Spirito che, per mezzo dei profeti, il Signore promise di effondere negli ultimi tempi sui suoi servi e sulle sue
serve, perché ricevessero il dono della profezia. Perciò esso discese anche sul Figlio di Dio, divenuto figlio
dell’uomo, abituandosi con lui a dimorare nel genere umano, a riposare tra gli uomini e ad abitare nelle creature
di Dio, operando in essi la volontà del Padre e rinnovandoli dall’uomo vecchio alla novità di Cristo. Luca narra
che questo Spirito, dopo l’ascensione del Signore, venne sui discepoli nella Pentecoste con la volontà di e il
potere di introdurre tutte le nazioni alla vita e alla rivelazione del Nuovo Testamento. Sarebbero così diventate un
mirabile coro per intonare l’inno di lode a Dio in perfetto accordo, perché lo Spirito Santo avrebbe annullato le
distanze, eliminato le stonature e trasformato il consesso dei popoli in una primizia da offrire a Dio. Perciò il
Signore promise di mandare lui stesso il Paraclito per renderci graditi a Dio. Infatti come la farina non si amal-
gama in un’unica massa pastosa, né diventa un unico pane senza l’acqua, così neppure noi, moltitudine
disunita, potevamo diventare un’unica Chiesa in Cristo Gesù senza l’ACQUA che scende dal cielo. E come la
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terra arida se non riceve l’acqua non può dare frutti, così anche noi, semplice e nudo legno secco, non avremmo
mai portato frutto di vita senza la Pioggia mandata liberamente dall’alto. Il lavacro battesimale con l’azione dello Spirito
Santo ci ha unificati tutti nell’anima e nel corpo in quell’unità che preserva dalla morte. Lo Spirito di Dio discese sopra il
Signore come Spirito di sapienza e di intelligenza, Spirito di consiglio e di fortezza, Spirito di scienza e di pietà, Spirito
del timore di Dio (cf. Is 11,2). Il Signore poi a sua volta diede questo Spirito alla Chiesa, mandando dal cielo il
Paràclito su tutta la terra, da dove, come disse egli stesso, il diavolo fu cacciato come folgore cadente (cf. Lc 10,18).
Perciò è necessaria a noi la rugiada di Dio, perché non abbiamo a bruciare e a diventare infruttuosi e, là dove troviamo
l’accusatore, possiamo avere anche l’avvocato. Il Signore affida allo Spirito Santo quell’uomo incappato nei ladri,
cioè noi. Sente pietà di noi e ci fascia le ferite, e dà i due denari con l’immagine del re. Così imprimendo nel
nostro spirito, per opera dello Spirito Santo, l’immagine e l’iscrizione del Padre e del Figlio, fa fruttificare in noi i
talenti affidatici perché li restituiamo poi moltiplicati al Signore.

13. CIPRIANO DI CARTAGINE (210-258), da La Preghiera del Signore (trad. A. Hamman, 1962)
22. […] Dopo ciò preghiamo per i nostri peccati : E rimetti a noi i nostri debiti come noi li rimettiamo ai nostri debitori.
Dopo il sostentamento chiediamo il perdono del peccato. Colui che è nutrito da Dio deve vivere in Dio e
preoccuparsi non solo della vita presente e temporale, ma anche di quella eterna. Egli può accedervi se i
peccati gli sono rimessi. Il Signore li chiama debiti, secondo la parola del Vangelo: Io ti ho rimesso tutto il tuo debito,
perché tu mi hai supplicato (Matteo XVII, 32). Quanto è necessario, saggio e salutare, che il Signore ci ricordi che siamo
peccatori, invitandoci a pregare per i nostri peccati! Così ricorrendo all’indulgenza di Dio, ci rendiamo conto dello stato
della nostra coscienza. Affinché nessuno si compiaccia in sé come se fosse innocente e si perda per questa iattanza, gli
si ricorda che egli pecca ogni giorno, chiedendogli di pregare ogni giorno per i suoi peccati. Anche Giovanni ci avverte
nella sua epistola : Se pretendiamo di essere senza peccato, inganniamo noi stessi, e la verità non è in noi. Ma se
riconosciamo i nostri peccati, è fedele e giusto il Signore che ci perdonerà i nostri peccati (I Giovanni I, 8-9). Nella sua
epistola egli unisce le due cose: dobbiamo pregare per i nostri peccati e in questa preghiera implorare il perdono.
Afferma che il Signore è fedele nel perdonare i peccati, secondo la sua promessa. Perché colui che c’insegna a
pregare per i nostri debiti e per i nostri peccati, promette in pari tempo una misericordia paterna e il perdono.
(23) Il Signore precisa le condizioni del suo perdono : vuole che rimettiamo i debiti ai nostri debitori, come noi chiediamo
che ci siano rimessi i nostri. Non possiamo chiedere la remissione dei nostri peccati, se non agiamo nello stesso modo
nei riguardi dei nostri debitori. Egli dice altrove: La misura con cui misurate servirà per misurarvi (Matteo VII, 2). Il servo
al quale il padrone aveva rimesso tutti i debiti, ma che non volle agire nello stesso modo riguardo a un suo compagno, è
gettato in prigione. Non ha voluto perdonare al suo compagno, e perde il perdono già avuto dal padrone. Nei suoi
precetti, il Cristo inculca questa verità con vigore severo. Quando siete in piedi per pregare, perdonate se avete
qualcosa contro qualcuno, affinché il Padre vostro che è in cielo vi rimetta pure i vostri peccati. Se non perdonate, il
Padre vostro che è in cielo, non vi perdonerà neanche le vostre offese (Marco XI, 25-26). Non avrai dunque nessuna
scusa nel giorno del giudizio, quando sarai giudicato secondo il tuo comportamento: subirai quel che hai fatto subire.
Dio ci prescrive di conservare la pace e la concordia nella sua casa, e di vivere secondo le leggi della nuova nascita;
divenuti figli di Dio dobbiamo salvaguardare la pace di Dio. All’unità dello Spirito deve corrispondere l’unità delle
anime e dei cuori. Dio non accetta il sacrificio dei fautori di discordia, li respinge dall’altare affinché si
riconcilino prima con i loro fratelli: Dio vuole essere propiziato con preghiere di pace. La più bella oblazione per
Dio è la nostra pace, la nostra concordia, l’unità, nel Padre, nel Figlio e nello Spirito Santo, di tutto il popolo
fedele. (24) Nei primi sacrifici, offerti da Abele e da Caino, Dio non considerava le offerte, ma i cuori: i doni erano
graditi se lo erano i cuori. Il pacifico e giusto Abele, che offre il suo sacrificio con animo puro insegna agli altri che
bisogna presentarsi, quando si offre il proprio dono, col timore di Dio, col cuore semplice, col senso della giustizia, con
la concordia e la pace. Offrendo con tali disposizioni il sacrificio a Dio, ha meritato di divenire egli stesso un’offerta
preziosa e di dare la prima testimonianza del martirio. Ha annunziato con la gloria del suo sangue la passione del
Signore, perché possedeva in sé la giustizia e la pace del Signore. Tali esseri ottengono la corona, tali esseri
giudicheranno col Cristo, nel giorno del giudizio. I dissidenti, invece, che non vivono in pace con i loro fratelli, sono
condannati dall’Apostolo e dal Vangelo; anche se si facessero uccidere per il nome di Cristo resterebbero lo stesso
colpevoli della discordia seminata tra i fratelli; perché è scritto: Chi odia il proprio fratello è omicida; ora l’omicida non ha
accesso nel regno dei cieli e non vive con Dio (I Giovanni III, 1). Chi preferisce imitare Giuda piuttosto che il Cristo, non
può essere col Cristo. Quanto è grande questo misfatto, che neanche il battesimo del sangue può cancellare! Quanto
grave dev’essere questo capo di accusa che il martirio non può espiare!

14. ORIGENE (Alessandria in Egitto 185 – Cesarea di Palestina 254), Commento al “Padre nostro” da La Preghiera

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«E rimetti a noi i nostri debiti come anche noi li abbiamo rimessi ai nostri debitori» o, come dice Luca, «e rimetti a noi i
nostri peccati poiché anche noi li rimettemmo a ogni nostro debitore». E dei debiti parla anche l'Apostolo: «Rendete a
tutti ciò che dovete: Il tributo a chi dovete il tributo, la gabella a chi la gabella, il timore a chi dovete il timore, l'onore a chi
spetta. Non abbiate altro debito con alcuno se non d'amarvi gli uni gli altri». Siano dunque debitori perché abbiamo non
soltanto obblighi nel dare, ma anche nel dire una parola di bene e nel compiere siffatte azioni; ché anzi dobbiamo avere
verso gli altri una disposizione di questo genere. Questi debiti certamente li soddisfiamo coll'adempiere i comandi della
legge divina o non li soddisfiamo, disprezzando la santa parola e rimanendo quindi debitori. La stessa cosa bisogna
pensare dei debiti verso i fratelli che sono stati rigenerati con noi in Cristo, secondo la parola della nostra religione, e
verso quelli che hanno il nostro stesso padre e la stessa madre. E c'è un debito anche verso i cittadini ed un altro
comune a tutti gli uomini, specialmente se sono ospiti ed hanno l'età del nostro padre; un altro debito verso quei tali che
è giusto onorare come figli o fratelli. Chi quindi non soddisfa i debiti verso i fratelli, resta debitore di ciò che non ha fatto.
Così pure se manchiamo agli uomini nelle cose che noi dobbiamo loro in virtù dello spirito di sapienza che si estende a
tutto il genere umano, maggiore diventa il debito. Ma anche nelle cose che riguardano noi stessi, dobbiamo sì servirci
del corpo, ma non consumare le carni del corpo coll'amore al piacere; dobbiamo poi dedicare una certa cura all'anima e
provvedere alla vigoria del pensiero e della parola, onde sia senza il pungiglione ed utile e non affatto vana. E se noi
tralasciamo i doveri che abbiamo verso noi stessi, più grave diventa questo debito. Ed oltre a ciò, poiché siamo
sopra ogni cosa fattura ed immagine di Dio, dobbiamo conservare verso di Lui una certa disposizione amandolo «con
tutto il cuore, con tutte le forze e con tutta la mente». Qualora trascuriamo ciò, restiamo debitori verso Dio peccando
contro il Signore. Chi, per questa colpa, pregherà per noi? «Se un uomo commette peccato contro un uomo, si pregherà
pure per lui. Ma se pecca contro il Signore, chi pregherà per lui?» , come Eli dice nel primo libro dei Re. Siamo poi
anche debitori a Cristo che col proprio sangue ci riscattò, come ogni servo è debitore a chi lo comprò del tanto denaro
da questi versato. Abbiamo un debito anche verso lo Spirito Santo, che paghiamo quando «non lo contristiamo, nel
quale siamo stati suggellati per il giorno della redenzione»; e non contristandolo portiamo i frutti che attende da noi:
poiché ci viene in aiuto e vivifica la nostra anima. E se non sappiamo con precisione chi sia l'angelo di ciascuno di noi,
che «vede il volto del Padre nei cieli», è tuttavia evidente a chi rifletta che anche verso di lui abbiamo un piccolo debito.
E se noi «siamo sulla scena del mondo di fronte agli angeli e agli uomini», va tenuto presente che come colui che è in
teatro deve recitare o fare quella tal parte davanti agli spettatori e, non facendola, è punito come se abbia offeso tutto il
teatro, così anche noi di fronte a tutto il mondo, a tutti gli angeli e al genere umano siamo debitori di quanto, volendo,
apprenderemo dalla sapienza. A parte questi debiti che sono rivolti a tutti, c'è un debito della vedova cui la Chiesa
provvede, un altro del diacono ed un terzo del presbitero, mentre quello del vescovo è gravissimo ed è sollecitato dal
Salvatore di tutta la Chiesa, e punito se non venga sciolto. E già l'Apostolo chiamò debito quello comune tra uomo e
donna, scrivendo: «Il marito renda alla moglie ciò che le è dovuto e lo stesso faccia la moglie verso il marito». E
soggiunge: «Non vi private l'un dell'altro». Che bisogno ho io di enumerare quanti debiti abbiamo, potendo coloro che
leggono quest'opera collezionarne di propri in base a quanto s'è detto? Se non sciogliamo questi debiti, resteremo
insolvibili; se li paghiamo, ne saremo liberati. Ma non è possibile che chi vive in questa vita, sia privo di debiti ogni
ora della notte e del giorno. E nella condizione di debitore, uno o paga o non paga. Può darsi che in questa vita
si paghi il debito, ma che anche non si paghi. Ci sono di quelli che non devono più nulla a nessuno, altri invece
che pagando moltissimo riescono ad estinguere una piccola parte del debito; ed altri che pagando un poco
aumentano sempre più il debito. Forse c'è quello che non paga nulla, ma resta debitore di tutto. E chi ha pagato
tutto così da non essere più debitore, ci impiega del tempo, avendo però bisogno di una cancellazione dei debiti
precedenti e potendola ragionevolmente ottenere, se dopo un certo tempo si è comportato in modo da non aver più quel
debito per cui, siccome non aveva pagato, restava vincolato. E quelle forze contrarie impresse nell'anima superiore
sono il «chirografo che è sfavorevole a noi», per cui saremo giudicati, a guisa di libri scritti, per dir così, da tutti noi
quando «tutti compariremo davanti al tribunale di Cristo onde ciascuno riceva la retribuzione delle cose fatte quando era
nel corpo, secondo quel che fece sia di bene che di male». Di questi debiti se ne discorre anche nei Proverbi: «Non dare
te stesso in garanzia nei debiti, vergognandotene in volto, poiché se non avrai con che soddisfare, porteranno via la
coperta tua che è sotto la tua schiena. Ma se sono così tanti quelli verso cui siamo in debito, certamente abbiamo pure
qualcuno che debba a noi. Alcuni infatti hanno dei debiti verso di noi, perché siamo il loro prossimo; altri perché loro
concittadini, oppure perché padri; alcuni devono come a figli, ed oltre a questi, come donne a mariti, o come amici ad
amici. Ora, se alcuni dei moltissimi nostri debitori si fossero mostrati piuttosto trascurati nel rimettere quanto ci devono,
saremmo portati a trattarli con indulgenza e senso di umanità, memori dei numerosi personali debiti in cui fummo
negligenti, non solo verso gli uomini, ma anche verso Dio stesso. Ricordandoci infatti di non aver pagato i debiti che
avevamo, anzi di aver commesso una frode essendo passato il tempo in cui bisognava che li avessimo estinti nei
riguardi del nostro prossimo, saremo più larghi verso coloro che erano nostri debitori e non hanno soddisfatto il debito.
Soprattutto se non dimentichiamo le nostre trasgressioni contro la legge di Dio e le parole d'ingiustizia pronunziate
contro l'Altissimo, sia per ignoranza della verità sia per mala sopportazione degli eventi che dipesero dalle circostanze.
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Ma se non vogliamo essere più indulgenti verso coloro che ci sono debitori, soffriremo come colui che non condonò al
conservo i cento denari: era stato prosciolto, secondo i fatti esposti nel Vangelo; il padrone, avendolo imprigionato,
esigette da lui ciò che prima gli aveva condonato, dicendogli: «Cattivo servitore, e pigro: non dovevi aver pietà del tuo
conservo come anch'io l'ebbi di te? Buttatelo in prigione, finché non renda tutto quanto deve». E soggiunse il Signore:
«Così farà anche per voi il Padre celeste, se non perdonate, ciascuno, al proprio fratello dall'intimo del vostro cuore». Si
devono perdonare quelli che, avendo peccato spesso verso di noi, dicono d'esser pentiti delle colpe. Infatti è scritto: «se
il tuo fratello ha peccato contro te sette volte al giorno, e sette volte torna a te, dicendo - mi pento -, gli perdonerai». Non
siamo aspri verso quelli che non si pentono: costoro fanno del male a se stessi: «Chi rigetta la disciplina odia se
stesso». Ma anche in questi casi, occorre procurare di avere ogni attenzione per chi è completamente traviato da non
accorgersi dei propri mali, ma è colmo di una ubriachezza più perniciosa di quella causata dal vino: l'ubriachezza da
tenebra del male. E quando Luca dice: «Rimetti a noi i nostri peccati», poiché i peccati sono i debiti che noi abbiamo ma
che non paghiamo, dice la stessa cosa di Matteo, che sembra escludere chi vuole perdonare soltanto ai debitori che si
pentono, e dice che è stato il Salvatore a comandare di aggiungere, pregando: «poiché anche noi li rimettemmo ad ogni
nostro debitore». Certamente tutti abbiamo potere di rimettere i peccati commessi contro di noi, come appare dalle
parole: «Come anche noi li rimettemmo ai nostri debitori» e dalle altre: «poiché anche noi li rimettemmo ad ogni nostro
debitore». Chi ha ricevuto da Gesù il soffio dello Spirito Santo come gli Apostoli (e si può riconoscere dai frutti
perché ha ricevuto lo Spirito Santo ed è diventato spirituale, essendo come il Figlio di Dio portato a fare ogni
azione secondo ragione) perdona ciò che perdonerebbe Dio e non assolve i peccati che sono incurabili. Poiché
è ministro di Dio - il solo che ha potere di rimettere i peccati - come lo erano i profeti, perché dicevano non quello che
volevano loro, ma Dio. E si leggono queste parole nel Vangelo di Giovanni sulla remissione dei peccati operata dagli
Apostoli: «Ricevete lo Spirito Santo; a quelli cui rimettete i peccati, sono loro rimessi, a quelli cui li ritenete, sono stati
ritenuti». Chi però accoglie senza discernimento queste parole, potrebbe rimproverare agli Apostoli di non perdonare a
tutti, affinché a tutti Dio perdoni; ma di ritenere i peccati di qualcuno, cosicché per mezzo loro anche da parte di Dio
sarebbero ritenuti. È utile servirci di un paragone tratto dalla Legge per poter comprendere il perdono dei peccati dato
da Dio agli uomini per mezzo degli uomini stessi. I sacerdoti della Legge non possono compiere sacrifici in remissione di
certe colpe di coloro in nome dei quali si offrono le vittime. Ed il sacerdote che ha il potere su certi involontari peccati od
offre sacrificio per le colpe volontarie, mai sarà che offra olocausti per adulterio o deliberato omicidio o per altra più
grave colpa e peccato. E così pertanto anche gli apostoli ed i sacerdoti, fatti simili agli Apostoli secondo il grande
Sommo Sacerdote, avendo ricevuto la scienza della divina terapia, sanno, ammaestrati dallo Spirito, per quali peccati
bisogna offrire vittime e quando ed in qual modo, e conoscono i casi in cui non si devono far sacrifici. Anche il sacerdote
Eli, saputo che i figli Ofni e Finees peccavano, poiché non poteva far nulla per rimettere i loro peccati, confessa di non
avere speranza che questo si possa ottenere: «Se commette peccato un uomo contro un uomo, pregheranno anche per
lui; ma se pecca contro il Signore, chi pregherà per lui?». Alcuni, arrogandosi, non so come, poteri oltre la dignità del
sacerdote [= vescovo], forse perché non conoscono la scienza sacerdotale, si vantano di poter rimettere anche la colpa
dell'idolatria e perdonare l'adulterio e la fornicazione; sciolgono persino il peccato che porta alla morte, pregando per
quelli che hanno osato commetterlo. Non conoscono infatti quel che è detto: «C'è un peccato che porta alla morte, non
intendo dire che si preghi per quello». Bisogna ricordare anche il fortissimo Giobbe che offriva sacrificio per i figli,
dicendo: «Che i miei figli non abbiano nella loro mente il peccato di cattivi pensieri contro Dio». Infatti egli offre sacrificio
per i peccati dubbi o che non sono saliti fino alle labbra.

15. ORIGENE (185 – 254), da La Preghiera


[Quattro generi di preghiera]XIV.1. […] Esaminiamo le parole: «Chiedete le cose grandi, le piccole vi saranno aggiunte;
chiedete le celesti e vi saranno aggiunte anche quelle della terra». Tutto ciò che è simbolo ed immagine, a paragone
dell’autentico e dello spirituale, è cosa piccola e terrena. Quando la parola di Dio ci invita ad imitare le preghiere dei
santi [della Prima Alleanza] affinché otteniamo realmente ciò che essi ottennero solo in figura, intende dire che i beni
terrestri e piccoli non sono che l’indicazione di quelli celesti e grandi. […] 2. […] Nella prima lettera di san Paolo a
Timoteo quattro nomi indicano quattro cose attinenti all’argomento della preghiera […]: «Io esorto dunque, prima di tutto,
che si facciano suppliche, preghiere, intercessioni, ringraziamenti per tutti gli uomini» ecc. 2. Ritengo pertanto che la
supplica (déesis) sia la preghiera del bisognoso, supplichevolmente innalzata per ottenere qualcosa; la preghiera poi
(proseuché), quella di chi domanda cose più grandi, fatta con intenzione più elevata e per dar gloria; invece
l’intercessione (énteuxis) è la domanda a Dio di qualche cosa, da parte di chi ha una certa maggior confidenza; il
ringraziamento (eucharistía) infine è la testimonianza unita alla preghiera per aver ottenuto i beni da Dio che accetta in
cambio il riconoscimento della grandezza – o almeno ciò che sembra tale agli occhi del beneficato – della grazia
concessa. 3. Come esempio di supplica citiamo le parole che Gabriele rivolse a Zaccaria quando questi pregava per la
nascita di Giovanni: «Non temere Zaccaria, perché la tua preghiera è stata esaudita; e tua moglie Elisabetta ti partorirà
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un figlio al quale porrai nome Giovanni» […]. 4. Del secondo genere di preghiera abbiamo esempi […] anche in Giona:
«Pregò Giona il Signore suo Dio, dal ventre del pesce, dicendo: “Gridai nella mia tribolazione al Signore mio Dio e mi
ascoltò; dal seno del sepolcro del mio gemito udisti la mia voce; mi gettasti nella profondità, nel cuore del mare e le
acque mi circondarono”». 5. Il terzo esempio lo prendiamo da san Paolo che giustamente definisce la nostra una
preghiera, ma quella per mezzo dello Spirito una intercessione, essendo Questi più potente ed avendo confidenza con
Colui al quale si rivolge: «Non sappiamo come chiedere ciò che abbiamo da chiedere, ma lo Spirito intercede da Dio egli
stesso per noi con sospiri ineffabili. E colui che investiga i cuori conosce quale sia il pensiero dello Spirito, perché esso
intercede per i santi, secondo Dio» 12. Lo Spirito infatti chiede e chiede con insistenza, noi invece preghiamo.[…]
Esempio, infine, di ringraziamento è la voce del Signore nostro, quando dice: «Io ti rendo lode, Padre, Signore del cielo
e della terra, perché hai nascosto queste cose ai sapienti e agli intelligenti e le hai rivelate ai piccoli» 15. Quel «rendo
lode» equivale a «rendo grazie». [Pregare solo il Padre, ma per mezzo del Cristo] XV, 1. Ora, se abbiamo compreso la vera
essenza della preghiera, non dobbiamo pregare mai alcuno dei mortali, neppure lo stesso Cristo, ma solo il Dio e il
Padre di tutte le cose, che anche lo stesso nostro Salvatore pregava […] ed insegna a noi a pregarlo. Quando infatti
sentì chiedersi: «Insegnaci a pregare», non insegnò a pregare se stesso, ma il Padre; così: «Padre nostro che sei nei
cieli», ecc. […] Resta quindi da pregare solo Dio, Padre di tutte le cose, ma non senza il Sommo Sacerdote che è stato
costituito con giuramento dal Padre secondo la formula: «Giurò e non si pentirà: tu sei sacerdote in eterno secondo
l’ordine di Melchisedec». 2. Poiché dunque i santi rendono grazie nelle loro preghiere a Dio, è per mezzo di Gesù Cristo
che gli rendono grazie. Poiché colui che prega con zelo non deve pregare Chi già prega, ma Quegli che il Signore
nostro Gesù insegnò ad invocare durante le preghiere: il Padre; così non senza il Cristo si deve rivolgere al Padre la
preghiera, poiché Lui stesso ce lo mostra chiaramente, dicendo espressamente: «In verità, in verità vi dico: se
chiederete qualcosa al Padre mio, ve lo darà in nome mio. Fino ad ora non avete chiesto nulla in nome mio; chiedete e
riceverete, affinché la vostra allegrezza sia completa». Non disse infatti: «chiedete a me», o semplicemente: «chiedete
al Padre», ma: «se chiederete qualcosa al Padre in mio nome ve lo darà» 3. Poiché prima di questo insegnamento di
Gesù nessuno aveva chiesto al Padre in nome del Figlio […].

16. Origene (185-254), da La Preghiera


[Come ci si dispone alla preghiera] XXXI, 1. Dopo di ciò non mi sembra fuori posto approfondire il problema della preghiera;
trattare con maggiore penetrazione l’argomento sul contegno e sulle disposizioni che devono esserci nell’orante; sul
luogo dove bisogna pregare; verso quale direzione si debba rivolgere lo sguardo, qualora qualche ostacolo non si
opponga; e così pure sul tempo adatto e preferibile alla preghiera, e di altre cose consimili. Le disposizioni sono da
riferire allo spirito, il contegno invece è da riferire al corpo. Paolo […] descrive le disposizioni quando dice che bisogna
pregare «senza ira, né discussione»; si riferisce invece al contegno con l’esortazione «levando le mani pure». Questo
mi sembra ricavato dai Salmi, dove c’è questa espressione: «l’elevazione delle mie mani è come sacrificio vespertino».
A proposito del luogo [dice quindi]: «Voglio che gli uomini preghino in ogni luogo». Quanto all’orientazione, nella
Sapienza di Salomone è scritto: «Affinché sia noto che bisogna precorrere il sole per renderti grazie e adorarti al
riapparire della luce». 2. A mio avviso, chi si appresta a pregare, se per un po’ di tempo si impegnerà a raccogliersi
internamente si renderà più pronto e attento in tutto lo svolgimento della preghiera. Del pari avverrà se […] allontanerà
tutti gli elementi estranei e in tal modo verrà alla preghiera, tendendo per così dire l’anima prima delle mani, elevando a
Dio lo spirito prima degli occhi; se prima di erigersi in piedi solleverà dalla terra la parte superiore del suo spirito e si
presenterà davanti al Signore dell’universo; se rimuoverà da sé ogni cattivo ricordo che potrebbe avere di ingiustizie
inferte a suo danno, come egli stesso desidera che Dio non si ricordi delle sue male azioni e dei peccati, commessi
contro molti dei suoi prossimi, o ancora di tutti i falli di cui ha coscienza d’essere incorso contro la retta ragione. Non si
può mettere in dubbio che, per quanto numerose passano essere le posizioni del corpo, a tutte sano da preferire quella
consistente nell’elevare le mani e nel rivolgere in alto gli occhi; giacché in tal modo il corpo reca nella preghiera
l’immagine delle qualità che convengono all’anima nell’orazione. Diciamo che ciò bisogna mettere in atto a meno che
alcune circostanze non lo impediscano. Effettivamente in talune contingenze è consentito qualche volta pregare
convenientemente stando seduti, come ad esempio quando si soffra un mal di piedi non trascurabile; oppure stando
a letto a causa delle febbri, o altre simili infermità. Analogamente, se ad esempio siamo sulla nave o se il disbrigo di
affari non permette di ritirarsi per la dovuta preghiera, si può pregare senza averne l’aria. 3. Conviene dunque sapere
che quando uno sta per accusarsi davanti a Dio dei propri peccati, supplicandolo che glieli rimetta, è necessaria anche
la genuflessione. Trova questa la sua figura in Paolo che si umilia e si sottomette, dicendo: «Perciò io piego le
ginocchia davanti al Padre, da cui deriva ogni paternità in cielo e in terra». La genuflessione spirituale, così detta
perché tutti gli esseri si sottomettono a Dio nel nome di Gesù e si umiliano davanti a lui, mi sembra che l’Apostolo la
significhi con quella espressione: «Affinché nel nome di Gesù ogni ginocchio si pieghi in cielo, sulla terra e negli abissi».
[…]. La stessa cosa è scritta nel Profeta: «Ogni ginocchio si piegherà davanti a me». [Il luogo della preghiera] 4. Quanto al
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luogo della preghiera, conviene sapere che, qualora si preghi bene, ogni luogo vi è adatto: «Dappertutto, dice il Signore,
offritemi l’incenso». E: «Voglio dunque che gli uomini preghino in ogni luogo». Perché possa fare le proprie orazioni più
quieto e senza distrazioni, ognuno può scegliere un luogo particolare e predisposto nella sua abitazione privata se vi è
spazio, per così dire, più santo, e ivi pregare. Prima però dell’esame generale di questo luogo egli indagherà se nel
posto dove si prega nulla di nefando e di contrario alla retta ragione mai sia stato commesso. Colui che così operò non
soltanto se stesso, ma anche il luogo della sua preghiera personale ha resa tale che Dio distolga di là il sua sguardo.
[…]. 5. Aggiunge alla utilità qualche cosa di gradevole il luogo della preghiera, dove i credenti si riuniscano insieme,
perché è credibile che ivi potenze angeliche partecipino alle assemblee dei credenti. Là discende la forza dello stesso
Signore e Salvatore nostro, dove si radunano gli spiriti dei santi, a mio credere, quelli dei morti che ci hanno preceduto e
senza dubbio anche quelli dei santi ancora in vita, benché ciò non riesca facile a dirsi come avvenga. Se degli angeli ciò
si può arguire dal detto: «L’angelo del Signore si aggirerà intorno a coloro che temono Dio e li libererà», se Giacobbe
asserisce il vero non solo nei suoi riguardi, ma anche con riferimento a quelli che sono devoti a Dio, quando parla
dell’«angelo che mi libera da tutti i mali», è credibile che, allorquando molti sono legittimamente riuniti per la gloria di
Cristo, l’angelo di ciascuno s’aggiri intorno a ognuno di coloro che temono il Signore, se si trova con l’uomo che ha
l’incarico di custodire e di dirigere, di guisa che, quando i santi sono riuniti, vi sono due chiese, quella degli uomini e
quella degli angeli. […] Quanto alla potenza del Signore che è presente nella Chiesa, Paolo dice: «Essendo radunati voi
e il mio spirito con la potenza del Signore», come se la potenza del Signore fosse non solamente con gli Efesini, ma
anche con i Corinzi. Ora, se Paolo, ancora rivestito di carne corporea, ha pensato di essere portato con il suo spirito a
Corinto, non è temerario pensare che i beati usciti dai loro corpi vengano in spirito, forse più celermente di colui che è
nel corpo, in mezzo alle assemblee. Per tali ragioni non si devono tenere in poco conto le preghiere che si fanno nelle
chiese, perché esse hanno veramente qualche casa di eccellente per chi legittimamente vi prende parte. 6. Come la
potenza del Signore e lo spirito di Paolo e degli uomini che a loro assomigliano e gli angeli del Signore, che si aggirano,
che attorniano i santi si riuniscono e si assembrano con coloro che si congregano in modo legittimo, bisogna darsi
pensiero che, se qualcuno è indegno dell’angelo santo a causa delle colpe e delle ingiustizie commesse per disprezzo
di Dio, non cada in balia di un diavolo. Un tale uomo, data che sono rari coloro che gli rassomigliano, non sfuggirà per
lungo tempo alla provvidenza degli angeli, i quali per servizio del divino volere esercitano la sorveglianza sulla comunità
e portano a conoscenza di tutti i falli di quell’uomo. Ma se tali individui divengono più numerosi e se si radunano alla
stregua delle società umane per occuparsi di affari terrestri, Dio non veglierà più su di loro. Ciò appare chiaro dalle
parole del Signore presso Isaia: «Quando venite per comparirmi innanzi, io, dice Egli, stornerò i miei occhi da voi e, se
moltiplicherete le vostre suppliche, non vi ascolterò». Può pertanto darsi che invece della doppia assemblea, di cui
abbiamo parlato, cioè di uomini santi e di angeli beati, vi sia una doppia congrega di uomini empi e di angeli malvagi.
Allora gli angeli santi e gli uomini probi potrebbero dire di siffatta riunione: «Io non mi sono assiso nel sinedrio de
vanitosi e non mi associerò con quelli che commettono iniquità, e non siederò accanto agli empi». È per questo, a mio
credere, che gli abitanti di Gerusalemme e di tutta la Giudea, perché caduti in numerosi delitti, sono stati sottomessi ai
loro nemici: i popoli, che avevano abbandonato la legge [di Dio], sono abbandonati e dagli angeli custodi e dagli uomini
santi, che avrebbero potuto salvarli. Così si permetterà che intere assemblee soccombano talvolta alle tentazioni,
affinché ciò che credano di avere sia loro tolto e, a somiglianza del fico maledetto e disseccato sino alle radici per non
avere dato il suo frutto a Gesù che aveva fame, esse pure, siano inaridite e private del poco di forza vitale nella fede,
che ancora avevano. Queste delucidazioni mi sono embrate necessarie nell’esaminare il luogo della preghiera e per
mostrare che il miglior posto per pregare è proprio quello, dove i santi si radunano in assemblea.
[L’orientazione nella preghiera] XXXII. Ora, sia pure brevemente, bisogna dire qualcosa sul punto del cielo, verso cui ci si
deve rivolgere per pregare. Poiché vi sono quattro punti cardinali, il settentrione, il mezzogiorno, l’occidente e l’oriente,
chi non ammetterebbe senz’altro che l’oriente intuitivamente manifesta che noi dobbiamo pregare da quel lato,
significando essa, simbolicamente, l’anima con il suo sguardo rivolto alla levata della luce vera? Se qualcuno preferisce
pregare guardando l’apertura della sua porta, comunque sia l’ubicazione della porta della sua casa, sostenendo che la
vista del cielo per se stesso ha qualcosa di più invitante di quella dei muri, a meno che nella sua casa non vi sia
l’apertura verso oriente, converrà rispondergli che trattasi di pura convenzione la costruzione delle case verso questo o
quel punto cardinale, ma che per natura quello verso oriente ha titolo di preminenza sugli altri, e che il criterio della
natura è preferibile a quelli della convenzione. E che è? Colui che prega in un campo non pregherà piuttosto verso
l’oriente, che verso l’occidente? Se dunque per motivo così ragionevole si deve preferire l’oriente, perché non far questo
in ogni luogo?

17. Origene (185-254), da La Preghiera


XII 1. [La preghiera, dardo contro Satana] […] Oltre a ciò io credo che le parole dellapreghiera dei santi, essendo ripiene di
potenza soprattutto quando, pregando, pregano in spirito e in intelletto; con una potenza divina, qual luce che sorge
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dalla mente dell’orante e procede dalla sua bocca, soffochino il veleno spirituale infuso dalle potenze avverse nella
parte-guida dell’anima di quelli che trascurano di pregare e non osservano il comando «pregate senza tregua» detto da
Paolo secondo le esortazioni di Gesù. La preghiera infatti, come un dardo aguzzato dalla conoscenza, dalla ragione e
dalla fede, scaturisce dall’anima dell’uomo santo che prega, ferendo a morte e a rovina gli spiriti nemici di Dio i quali
vogliono avvolgerci nelle catene del peccato. 2. [Come pregare incessantemente] Colui che alle obbligatorie opere
unisce la preghiera e alla preghiera le convenienti azioni, incessantemente prega, poiché le opere di virtù o i
comandamenti osservati sono in parte preghiera; poiché soltanto così possiamo accogliere il «pregate senza
tregua» come un comando traducibile in pratica, se chiameremo tutta la vita del santo un’unica, continua,
grande orazione. Parte di siffatta preghiera è quella comunemente intesa e che si deve fare non meno di tre volte tutti i
giorni; ad essa allude chiaramente Daniele che pregava tre volte al giorno quando era sotto la minaccia di un pericolo
tanto grande. E Pietro poi «salendo sul terrazzo della casa, verso l’ora sesta, per pregare, quando vide discendere dal
cielo un recipiente calato per le quattro estremità», allora recita la seconda delle tre preghiere, che prima di lui riporta
già Davide: «Al mattino ascolterai la mia voce, al mattino mi metto dinanzi a te e guardo». Anche l’ultima è indicata con
queste parole: «L’alzarsi delle mie mani sia il sacrificio della sera». Ma non termineremo il tempo della notte senza
questa preghiera, secondo le parole di Davide: «A mezzanotte mi alzo a lodarti per i tuoi giusti giudizi»; e Paolo, come
dice negli Atti degli Apostoli, «a metà della notte, quand’era a Filippi, pregava e lodava Dio insieme a Sila, cosicché li
sentivano anche i carcerati».

18. BASILIO DI CESAREA (329-379), Parvum Ascetikon


2, 83-95: È necessario che con ogni attenzione conserviamo intatto il nostro cuore, perché i cattivi desideri e i
pensieri ignobili non allontanino e caccino dalle nostre anime il desiderio di Dio; ma, al contrario, con assiduo
ricordo e riflessione di Dio ognuno di noi imprima in qualche modo la sua forma e la sua immagine nella propria
anima e con tali segni che non possa essere cancellata da nessun turbamento. Proprio così in noi si accende il
desiderio dell'amore di Dio, se il suo frequente ricordo illumina la mente e l'animo, e siamo spinti e animati
alla pratica dei comandamenti di Dio. E anche dalle opere stesse di carità viene conservato e aumentato
l'amore di Dio in noi. Credo che ciò appunto voglia dimostrare Dio quando dice: “Se mi amate, osservate i miei
comandamenti” (Gv 14, I5), e in un altro luogo: “Se fate quella che vi dico rimanete nel mio amore; come anch'io
ho osservato i comandamenti del Padre mio, e rimango nel suo amore” (Gv 14, 10). Con queste parole ci insegna
che le considerazioni riguardo alle nostre opere devono dipendere dalle volontà di lui, cosicché, avendo lui come
nostro specchio e sempre rivolti verso di lui, dirigiamo le nostre azioni con l'occhio del cuore fisso in lui. […] È del
resto impossibile che possa avere una consistenza la forma della nostra opera, se non si avrà sempre nella
mente la volontà di chi ha commissionato l'opera, perché così, una volta osservata e compiuta la sua volontà
con l'esecuzione diligente e competente dell'opera siamo sempre uniti a Dio, mentre siamo di continuo memori di
lui.

19. EVAGRIO PONTICO (345-399), Trattato pratico sulla vita monastica


49: Non ci è stato prescritto di lavorare, vegliare, digiunare di continuo; mentre ci è stata fatta legge di pregare
incessantemente, perché, mentre quelle [osservanze], che guariscono la parte passibile dell'anima, abbisognano, in
ordine alla loro operazione, anche del nostro corpo, che non basta, per la sua debolezza, a [quelle] fatiche, la preghiera
rende vigoroso e puro per il combattimento l’intelletto, che è naturalmente fatto per pregare, anche separatamen-
te da questo corpo, e per dare battaglia ai demoni, a difesa di tutte le potenze dell’anima.
[…] 153: Quando, accostandoti alla preghiera, sei pervenuto al di sopra di ogni altra gioia, allora hai veramente
trovato la preghiera.

20. DIODORO DI TARSO (Antiochia, 330 circa – ante 394), dalla Prefazione al Commento ai Salmi
“Ogni Scrittura è ispirata da Dio”, secondo il beato Paolo, “ed è giovevole per l’insegnamento, la confutazione, la
correzione, l’educazione nella giustizia” (2Tim 3,16): e in realtà essa insegna ciò che è utile, confuta gli errori, corregge i
difetti e porta così a compimento l’uomo perfetto; l’Apostolo infatti aggiunge: “affinché l’uomo di Dio sia reso pronto ad
ogni opera buona” (2Tim 3,17). E non ci si potrebbe sbagliare concludendo che questo elogio della divina Scrittura si
attagli al libro dei divini Salmi: esso infatti educa con mansuetudine ed equilibrio coloro che vogliono imparare, confuta
con sollecitudine e senza ruvidezza i presuntuosi, corregge tutti gli inconvenienti in cui non bene incorriamo, per
casualità o in maniera deliberata. Ma tutto ciò davvero lo comprendiamo non tanto a salmodiare, quanto invece se
finiamo per trovarci nelle situazioni stesse a causa delle quali proviamo dei Salmi necessità. Beatissimi certo
tutti quelli che, per la loro felicità di vita, han bisogno solo dei Salmi di ringraziamento! Ma poiché, essendo
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uomini, non è possibile che non subiamo anche la prova delle infelicità e non cadiamo nelle necessità che
insorgono sia dall’esterno sia da noi stessi, le anime riconoscono il grandissimo giovamento di una medicina
appunto quando scoprono già a loro disposizione nei Salmi l’argomento di cui hanno intenzione di discorrere
con Dio: infatti lo Spirito Santo stesso ha prevenuto tutte le situazioni umane e perciò ha espresso per mezzo
del beatissimo Davide parole appropriate ai nostri dolori, grazie alle quali chi in essi cade sia curato. Ecco allora
che quelle espressioni su cui salmodiando passiamo di corsa e che appena tocchiamo in superficie, una volta caduti
nelle necessità e nelle tribolazioni le comprendiamo e su di esse ci soffermiamo, perché la ferita stessa che c’è in noi
attira a sé il rimedio adatto, mentre la medicina stessa si dimostra appropriata e contiene il sentire che corrisponde [al
nostro male]. Dunque, di questa Scrittura assolutamente necessaria, i Salmi – dico –, ho ritenuto giusto fare una
succinta esposizione, quale anch’io ho ricevuta, degli argomenti inerenti a ciascun Salmo in particolare e della loro
interpretazione letterale (κατὰ λέξιν), affinché i fratelli, al momento di salmodiare, non abbiano a rimaner distratti dalle
parole e, non capendole a fondo, a lasciar vagare altrove il pensiero, ma, riconoscendo invece l’ordine conseguente
(τὴν ἀκολουθίαν) delle cose dette, possano – com’è scritto – “salmodiare con intelligenza” (Sal 46,8), ossia dal profon-
do del loro pensiero e non dalla superficie e dal fior delle labbra. […]. Ma per non frapporre indugi a quanti desiderano
vedere la spiegazione dettagliata dei Salmi, tenendoli occupati con la molteplicità degli argomenti, fermiamoci qui,
perché bisogna passare alle parole dei Salmi, dopo aver rammentato questo solo, sebbene í fratelli lo sappiano già: il
genere profetico nel suo complesso si divide in tre parti: il futuro, il presente, il passato. È profezia quella di Mosè
quando racconta d'Adamo e dei primordi: è profezia la scoperta di ciò che viene tenuto nascosto, come è successo a
Pietro che ha riconosciuto il furto di Anania e Saffira; ma profezia in senso più proprio è quella che riguarda il futuro, e si
realizza dopo molte generazioni, come per i profeti, che hanno predetto la venuta di Cristo, e per gli apostoli, che hanno
predetto la fede dei gentili e il rigetto dei Giudei. Cominciamo dunque seguendo l'ordine che si ritrova nel libro stesso dei
Salmi e non secondo l'ordine dei temi. Infatti i Salmi non sono stati suddivisi per categorie, ma come ciascuno fu trovato.
Lo provano molti Salmi, e soprattutto il fatto che il Salmo 3 rechi questa intitolazione: “Salmo di Davide, quando fuggì
dalla faccia di Assalonne suo figlio”, mentre il Salmo 143 rechi l'intitolazione: “canto contro Golia”. Chi non sa di quanto
sono anteriori í fatti che riguardano Golia rispetto a quelli di Assalonne? I Salmi si trovano in questo stato perché il libro
andò perduto durante la prigionia babilonese ed è stato ritrovato dopo, al tempo di Esdra, non tutto intero ma in vari
pezzi, uno o due o tre Salmi insieme: perciò lo si è ricostituito nell'ordine di ritrovamento e non in quello cronologico. Da
ciò consegue che le intitolazioni sono per lo più sbagliate, perché quelli che avevano rícomposto la raccolta cercavano
di comprenderli per sommi capi e non con applicazione. Dunque, per quanto possibile, con l'aiuto di Dio, spiegheremo
questi errori: non ci allontaneremo dalla verità letterale [ἀλήθεια] e non respingeremo il senso superiore
[ἀγωγή] e una più alta contemplazione [ὑψηλοτέρα θεωρία]. La Storia [ἱστορία] infatti non si oppone alla
superiore Contemplazione, anzi è la base e il sostegno delle concezioni che sono più elevate [κρηπὶς
εὑρίσκεται καὶ ὑποβάθρα τῶν ὑψηλοτέρων νοημάτων]. Bisogna però stare attenti che la Contemplazione non
sia vista come una sorta di rovesciamento del testo [ἀνατροπὴ τοῦ ὑποκειμένου], perché allora non sarebbe
più Contemplazione, ma Allegoria [ἀλληγορία]. Ciò che è inteso in modo completamente altro [ἄλλως] dal testo
non è Contemplazione, ma Allegoria. L’apostolo non ha mai stravolto la Storia, introducendo la Contemplazione
[e chiamando la contemplazione ‘allegoria’]: [così la chiamò] non per ignoranza dei nomi, bensì volendo
insegnare che bisogna considerare anche il termine d’Allegoria secondo le regole della Contemplazione [κατὰ
θεωρίαν], se viene usato rispettando il contesto e non danneggiando mai il senso della Storia [οὐδαμοῦ
βλάπτοντας τῆς ἱστορίας τὴν φύσιν]. Ma gli innovatori della sacra Scrittura, i sapienti secondo se medesimi, o
perché incapaci di valutare la Storia o volendo scientemente menomarlo, hanno introdotto l'Allegoria, non secondo il
senso dell’Apostolo, ma secondo le loro vane opinioni. Essi fanno sì che chi legge intenda altro per altro. Per esempio,
al posto di “abisso” i diavoli, al posto di “serpente” il demonio e così via. Ma basta su ciò, per non fare io stesso lo
sciocco con il pretesto di biasimare gli sciocchi. Pur respingendo questa posizione una volta per tutte, non ci impedire-
mo di applicare bene la Contemplazione e di ricondurre ciò che leggiamo a un senso superiore [εἰς ἀναγωὴν
ὑψηλοτέραν], come per esempio assimilare Caino e Abele alla Sinagoga e alla Chiesa, o cercare di dimostrare che la
Sinagoga dei Giudei è stata rigettata, come il sacrificio di Caino, mentre le offerte della Chiesa sono gradite, come
avvenne a quelle di Abele, al puro e rituale Agnello offerto al Signore. Queste spiegazioni non distruggono la storia, né
rigettano la Contemplazione: al contrario, questo nostro metodo medio che qui sperimentiamo, insieme letterale e
teoretico [ἡ μεσότης αὕτη καὶ ἡ ἐμπειρία, ἡ κατà τὴν ἱστορίαν καὶ θεωρίαν], ci libera dall’ellenismo [pagano], che
predica cose estranee le une alle altre e introduce mostruosità, mentre, al tempo stesso, non inclina al giudaismo,
costringendoci a star legati alla sola lettera [τῇ λέξει μόνῃ] e ad averne religioso rispetto [θεραπεύειν]; ci permette
invece un senso che va più lontano ed è più elevato. Questo in succinto [ἐν συντόμῳ] è necessario sappia chi sta per
affrontare l'interpretazione [ἐντυγχάνειν τῇ ἑρμηνείᾳ] dei Salmi divini.

21. TEODORO DI MOPSUESTIA (Antiochia 350 ca. - Mopsuestia 428), Commento al Padre Nostro dai Discorsi catechetici
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[Padre nostro che sei nei cieli]. Dice Cristo, anzitutto: voi dovete sapere quello che eravate; solo così, infatti, potrete
conoscere quello che siete diventati ed apprezzare in tal modo il dono immenso ricevuto da Dio. Questo dono è ben più
grande di quello che ricevettero i vostri antenati. In realtà quello che io faccio per quelli che credono in me è di trattarli
ben al di sopra dei discepoli di Mosé, se è vero che questa alleanza fu “quella del Monte Sinai, che genera nella
schiavitù, rappresentata da Agar … che è schiava insieme ai suoi figli” (Gal. 4, 24-25). Tutti coloro che erano soggetti
alla legge erano schiavi della legge: chiunque trasgrediva la legge era assoggettato alla sentenza capitale. Voi, invece,
avete ricevuto la grazia dello Spirito Santo, per questo siete diventati figli adottivi di Dio e lo potete chiamare “Padre”. Lo
Spirito Santo non vi è stato dato perché ricadiate nuovamente nel timore e nella schiavitù. “Voi non avete ricevuto uno
spirito da schiavi per ricadere nella paura, ma avete ricevuto uno spirito da figli adottivi per mezzo del quale gridiamo:
Abbà, Padre” (Rom. 8, 15). Voi ormai fate parte della Gerusalemme celeste e ricevete quella libera condizione che
spetta a coloro che la risurrezione ha reso immortali e che, con questa natura, vivono in cielo. Una volta chiarita la
differenza tra i cristiani e coloro che sono sotto messi alla legge – se è vero che la legge uccide ed infligge ai trasgres-
sori una sentenza di morte ineluttabile, mentre lo Spirito vivificante rende immortali mediante la resurrezione -è bene
che vi comportiate in maniera degna del dono che avete ricevuto, poiché è “Figlio di Dio” colui che ha ricevuto lo Spirito
di Dio ed, in quanto figlio, ha la stessa natura del Padre e fa le opere del Padre, mentre coloro che sono sottomessi alla
legge hanno ricevuto il semplice nome di “figli”, cioè di creature. Ho detto già: “Voi siete dei, siete tutti figli dell’Altissimo”
(Sal. 81, 6). Coloro che hanno ricevuto lo Spirito Santo di Dio e che attendono l’immortalità, devono vivere secondo lo
Spirito, conformarsi a Lui, avere una giusta coscienza, astenersi da ogni peccato e compiere azioni conformi alla vita
celeste. In caso contrario, Dio non potrà rispondere alla vostra preghiera quando lo invocate, dicendo: “Signore nostro e
Dio nostro!”. Dovete sapere inoltre che Dio è creatore di ogni cosa ed in quanto tale è Lui che vi darà il godimento dei
suoi beni. Chiamatelo tuttavia “Padre”, affinché, consapevoli della vostra nobiltà, dignità e grandezza di Figli di Dio, Lui
vi ammaestri e vi aiuti ad agire ed a comportarvi di conseguenza. Non dite “Padre mio”, ma “Padre nostro”. Il
Padre, infatti, è comune a tutti, come è di tutti la· Sua grazia santificante che ci rende figli Suoi. Quindi, non vi acconten-
tate di agire convenientemente nei soli confronti del Padre, ma manifestatevi a vicenda la concordia e l’amore di fratelli
a cui il Signore ha elargito la stessa grazia e garantito la stessa protezione. Ha aggiunto poi “che sei nei cieli” per
rendervi consapevoli del luogo a cui siete destinati: infatti, grazie all’adozione filiale, pregate perché possiate diventare
un giorno cittadini del cielo; tale infatti è la dimora dei Figli di Dio. Ma che cosa debbono fare coloro che la
pensano in questo modo? [Sia santificato il Tuo nome]. Prima di tutto lodate Dio, vostro Padre. Gesù ha detto: “Così
risplenda la vostra luce davanti agli uomini, perché vedano le vostre opere buone e rendano gloria al vostro Padre che è
nei cieli” (Mt 5, 16); ed ha ribadito: “sia santificato il Tuo nome”. Ciò vuol dire: agite in modo che tutti lodino il nome di
Dio. Ciò avverrà quando il Suo Spirito di misericordia e di grazia vi riempirà completamente. Allora vedremo i frutti della
vostra figliolanza con Dio: lo Spirito che Egli vi avrà donato, determinerà in voi un progresso ed una trasformazione
senza fine, per cui potrete veramente chiamare Dio “Padre”. In caso contrario, con la vostra condotta causereste la
bestemmia e la contestazione contro Dio in coloro che vi circondano e che, vedendo le vostre opere inique, vi giudiche-
rebbero indegni di essere figli di Dio. Se fate il bene, invece, le vostre opere testimonierebbero il vostro diritto ad essere
“figli di Dio”, degni della santità di un tale Padre. Per provocare dunque in tutti la lode di Dio, sforzatevi di agire in modo
conveniente. [Venga il Tuo regno]. Questa petizione completa la precedente. Coloro che hanno ricevuto l’adozione a
Figli ed hanno in loro la natura divina, sono destinati al Regno ed attendono di condividere il cielo con Cristo; infatti,
secondo la parola di San Paolo: “saremo rapiti … tra le nuvole, per andare incontro al Signore nell’aria e così saremo
sempre con il Signore” (1 Tess. 4,17). Proprio in considerazione di questa mèta a cui siamo destinati, cerchiamo di
avere dignità di pensieri, santità di azioni, distacco dalle cose terrene. Non facciamo come il suddito che, abitando nella
reggia e potendo godere continuamente della vicinanza e della vista del re, si intrattiene nei mercati e nelle bettole,
trascurando la compagnia di coloro che abitano nel palazzo. Allo stesso modo noi, che siano stati destinati al regno dei
cieli, agiamo di conseguenza in modo conforme a questo senza abbandonarci all’iniquità ed alle opere malvagie,
comportandoci come cittadini del cielo. Come, infatti, si potrebbe conciliare la perversione della vita con la santità di
Dio? Ma come possiamo compiere opere di vita eterna, conformandoci ai modi di vivere del cielo e provocando negli
altri con le nostre azioni le lodi di Dio, nonostante la debolezza della natura umana? [Sia fatta la Tua volontà come in
cielo così in terra]. Cerchiamo di comportarci in terra, per quanto ci è possibile, secondo i modelli della vita del cielo.
Lassù nulla complotta contro Dio: il male è sconfitto, tutti i peccati sono cancellati, la potenza del demonio è abbattuta,
tutti i nemici sono vinti. Alla fine, quando, risuscitati dai morti, abiteremo il cielo in una natura immortale e, liberati dalla
schiavitù del peccato, vivremo alla luce di Dio, finalmente non desidereremo e non compiremo altro che la Sua volontà
senza che a ciò si opponga alcuna forza contraria. Fino a che saremo in questo mondo, altro non ci si chiede che
mettere le nostre deboli forze al servizio di Dio, cercando di fare la Sua volontà in modo da accordare, in questa, il
nostro volere e la nostra coscienza. Ma fin tanto che saremo in questo corpo mortale, la nostra volontà sarà soggetta
alle tentazioni del mondo, allontanandoci dalla volontà di Dio. “Non conformatevi alla mentalità di questo secolo”, ci
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ammonisce San Paolo (Rom. 12,2), “ma trasformatevi, rinnovando la vostra mente, per poter discernere la volontà di
Dio, ciò che è buono, a Lui gradito e perfetto”. San Paolo non ci chiede di sopprimere le nostre passioni, sforzandoci e
fondando i nostri sforzi solo sulla volontà, ma ci esorta a prendere coscienza che tutto ciò che è del mondo è destinato a
perire. Lungi da noi, quindi, l’imitazione della vita terrena; lottiamo, invece, contro tutte le lusinghe e gli inganni del
mondo che gonfiano il nostro orgoglio e frantumano il nostro coraggio. Opponiamoci specialmente a tutto ciò che è
contrario a Dio e ci allontana dal bene. Proteggiamo il nostro cuore e correggiamo il nostro pensiero ogni giorno.
[Dacci oggi il nostro pane quotidiano]. Vi raccomando, insomma, di cercare i beni della vita futura e di regolare la vostra vita
terrena su quella celeste, secondo le vostre forze, non al punto di non mangiare né bere né usare il necessario per
vivere, ma di amare e ricercare con tutto il vostro essere il bene che voi avete scelto. Potete, quindi, soddisfare i vostri
bisogni più urgenti, ma non cercate né domandate alcuna cosa più del necessario. San Paolo ci dice: “Quando dunque
abbiamo di che mangiare e di che coprirci, contentiamoci di questo” (l Tim. 6,8). È questo il “pane” che intende il
Signore: questo pane è necessario al nostro nutrimento ed alla nostra sussistenza. “Oggi” significa “ora”: è oggi che
esistiamo ed è oggi che ne abbiamo bisogno. Domani sarà un altro “oggi” e la misericordia di Dio, anche in questo caso,
ci fornirà il pane. La Sacra Scrittura chiama “oggi” ciò che è presente e vicino. Ad esempio, “oggi se udite la mia voce,
non indurite i vostri cuori come nel giorno della ribellione, il giorno della tentazione nel deserto, dove mi tentarono i vostri
padri mettendomi alla prova, pur avendo visto per quarant’anni le mie opere” (Eb. 3,7–8). Che significa tutto ciò? Finché
siamo in questo mondo, ricordiamo sempre queste parole della Scrittura; essa stimolerà ogni giorno la nostra coscienza,
renderà vigile la nostra anima e ci spronerà a correggere i nostri difetti, fuggendo il male e ricercando il bene. Finché
siamo in questo mondo e possiamo ancora correggerci e fare penitenza, cerchiamo di progredire fin quanto è possibile
sulla via della santità; quando poi avremo lasciato questo mondo ed il tempo della penitenza e della correzione sarà
passato, arriverà il tempo del giudizio. Ecco perché nostro Signore Gesù dice “dacci oggi il pane che ci è necessario … “
[= gr. epioùsion]. L’espressione “che ci è necessario” significa “secondo la nostra natura”, cioè quanto è necessario
all’essere ed alla sua sussistenza. Dio creatore ce ne ha imposto l’uso. Quanto al superfluo, il desiderarlo, l’acquistarlo e
l’ammassarlo in modo smodato non è degno di coloro che cercano la perfezione. Accumulare beni non necessari alla
nostra vita, altro non significa che ammucchiare per gli altri. · [Rimetti a noi i nostri debiti come noi li rimettiamo ai nostri
debitori]. Nelle prime petizioni della preghiera nostro Signore fissava la definizione della virtù. Con “dacci oggi il nostro
pane quotidiano”, Egli ha praticamente posto un limite alle nostre occupazioni, ammonendoci dal desiderare e dal
ricercare smodatamente tutto quanto è superfluo per la nostra esistenza. Con questa ulteriore richiesta “rimetti a noi i
nostri debiti”, il Signore Gesù, ben sapendo che, nonostante tutta la nostra applicazione e i nostri sforzi, la debolezza
umana ci renderebbe impossibile rimanere indenni dal peccato, ci offre il rimedio del perdono. Applicatevi pure al bene,
Egli dice, senza domandare nulla più del necessario: potete ricevere la remissione dei vostri peccati. Questi peccati, in
fondo, sono involontari: colui che cerca il bene e fugge il male, sia pure con le sue povere forze, non pecca mai volentie-
ri. E aggiunge: “come noi li rimettiamo ai nostri debitori”: nel senso che possiamo sperare nella remissione dei nostri
peccati nella misura in cui noi condoniamo i debiti a coloro che ci hanno offeso. Anche se abbiamo scelto il bene e
cerchiamo di perseguirlo con tutte le nostre forze, ci capita sempre di peccare contro Dio e contro gli uomini. È dunque
utile che Dio abbia trovato un rimedio a questi due mali, rimettendoci le nostre colpe come noi le rimettiamo ai nostri
debitori. Quando dunque abbiamo peccato, imploriamo il perdono del Signore: Egli ce lo concederà e da ciò ricaviamo
la forza di perdonare a nostra volta coloro che ci hanno offeso e se ne scusano con noi. Solo chi si sente veramente
perdonato è pronto al perdono. La nostra esistenza terrena è soggetta quotidianamente a tribolazioni, quali malattie,
cattiverie del prossimo ed altro che ci colpiscono e ci turbano, tentando gravemente la nostra anima e facendoci cadere
nella mormorazione e nell’inaccettazione della nostra storia quotidiana, Gesù, ben consapevole di questo, ha aggiunto
alla preghiera che ci ha insegnato, un’altra petizione: [E non ci indurre in tentazione]. Ogni volta che sopraggiungono
delle tentazioni, sforziamoci di sopportarle con coraggio finché non siano passate. Tante sono le tentazioni che ci
pesano durante tutto il cammino della vita: le malattie, le passioni carnali, i desideri sensuali ed ogni altra cosa che ci
spinge al male. Ed oltre a ciò, siamo sottoposti a prove ancora più terribili ed insidiose: quando, ad esempio, subiamo il
male da parte di fratelli nella fede che agiscono contro di noi. Il Signore è severissimo contro costoro: “Chi scandalizzerà
anche uno solo di questi piccoli” dice infatti “sarebbe meglio per lui che gli si fosse appesa al collo una macina girata da
asino e fosse gettato negli abissi del mare” (Mt. 18,16). Il giudizio sarà tremendo per questi falsi fratelli che, con la loro
condotta, fanno vacillare i puri ed i semplici che si sforzano di condurre una vita modesta e senza peccato, nuocendo
loro con azioni malvagie e perverse. Perciò il Signore Gesù aggiunge ancora: [Ma liberaci dal maligno]. Satana,
usando tutte le sue numerose e varie astuzie.ci causa gravi danni, tentando, in tal modo, di sviarci dalle scelte che
abbiamo operato. Con la preghiera che ci ha insegnato, il nostro Signore Gesù Cristo ci mostra chiaramente cosa siano
la perfezione morale e la nostra vocazione ed in che cosa consistano il nostro dovere, i nostri ostacoli ed i nostri veri
bisogni. È proprio per il fatto che nel “Padrenostro” c’è una perfetta sintesi tra ortodossia dottrinale, vita morale e fede
sincera, che i Padri lo hanno trasmesso ai propri catecumeni. La fede che ci viene trasmessa con la predicazione ci
insegna la vera dottrina, mentre la preghiera di Gesù regola la nostra vita terrena in modo tale da poterla conformare a
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quella celeste. Ecco quindi qual è l’insegnamento prezioso dell’orazione domenicale. Sforzatevi di chiuderla gelosamen-
te nei vostri cuori, di meditarla e di tradurla in pratica. In tal modo potrete modellare, per quanto ve lo permettano le
forze, la vostra vita presente a quella futura. Camminate secondo gli insegnamenti di nostro Signore Gesù Cristo ed
otterrete tutti quei beni celesti che ci sono stati garantiti in grazia del Figlio unigenito di Dio al quale sia gloria con il
Padre e lo Spirito Santo, ora e nei secoli dei secoli. Amen.

22. AGOSTINO DI IPPONA, Lettera 130 (a Proba, scritta non molto dopo il 411)
[Cristo esorta: chiedete, cercate, bussate!] 8. 16. […] Colui che sa concedere ai suoi figli i buoni doni, ci spinge a
chiedere, a cercare, a bussare. [La preghiera, esercizio di fede e speranza] 8. 17. Potrebbe far meraviglia che agisca
così Colui che conosce ciò che ci è necessario prima che glielo chiediamo, se non comprendessimo che il Signore Dio
nostro non desidera che noi gli facciamo conoscere qual è il nostro volere ch'egli non può non conoscere, ma desidera
che nelle preghiere si eserciti il nostro desiderio, onde diventiamo capaci di prendere ciò che prepara di darci. Questo
bene è assai grande, ma noi siamo piccoli e angusti per accoglierlo. Perciò ci vien detto: Allargate il cuore, per non
mettervi a portare il giogo con gli infedeli 39. Con tanto maggiore capacità riceveremo quel bene molto grande, che
occhio non ha veduto perché non è colore, orecchio non ha udito perché non è suono, né è entrato nel cuore dell'uo-
mo 40, perché tocca al cuore dell'uomo elevarsi fino ad esso, con quanto maggior fede crediamo ad esso, con quanto
maggiore fermezza speriamo in esso, con quanto maggiore ardore lo desideriamo. [Pregare sempre per
mantenere il fervore] 9. 18. Noi dunque preghiamo sempre con desiderio continuo sgorgato dalla fede, speranza e
carità. Ma a intervalli fissi di ore e in date circostanze preghiamo Dio anche con parole, affinché mediante quei segni
delle cose stimoliamo noi stessi e ci rendiamo conto di quanto abbiamo progredito in questo desiderio e ci sproniamo
più vivamente ad accrescerlo in noi. Più degno sarà l'effetto che sarà preceduto da un affetto più fervoroso. Perciò
anche quel che dice l'Apostolo: Pregate senza interruzione, che altro significa se non: " Desiderate, senza stancarvi, di
ricevere da Colui, che solo ve la può dare, la vita beata, che non è se non la vita eterna "? Se dunque sempre la
desideriamo da Dio nostro Signore, non cesseremo nemmeno di pregare. Ecco perché in determinate ore noi distoglia-
mo il nostro pensiero dalle preoccupazioni e dagli affari, che ci fanno intiepidire in qualche modo il desiderio, e lo
rivolgiamo alla preghiera eccitandoci con le parole dell'orazione a concentrarci in ciò che desideriamo per evitare che il
desiderio, cominciato a intiepidirsi, si raffreddi del tutto e si spenga completamente qualora non venisse ridestato con
più fervore. Perciò il medesimo Apostolo disse: Le vostre domande siano manifeste presso Dio. Queste parole non
vanno intese nel senso che debbano essere conosciute da Dio, il quale senz'altro le conosceva prima che fossero
formulate, ma nel senso che siano note a noi presso Dio per incoraggiarci, non presso gli uomini per vantarci. Oppure
vanno forse intese anche nel senso che siano note agli angeli che stanno alla presenza di Dio, affinché in qualche modo
le offrano a lui e lo consultino in merito ad esse e ciò che hanno conosciuto di dover compiere per suo ordine lo apporti-
no a noi in modo manifesto od occulto come hanno conosciuto da Dio essere a noi conveniente. Disse infatti l'angelo
all'uomo: E dianzi, quando tu e Sara pregavate, io ho presentato la vostra preghiera al cospetto della luminosa grandez-
za di Dio. [La preghiera non è multiloquio] 10. 19. Stando così le cose, non è male né inutile pregare a lungo
quando abbiamo tempo, cioè quando non sono impedite altre incombenze di azioni buone e necessarie, sebbene anche
in quelle azioni, come ho detto, bisogna pregare sempre con quel desiderio. Infatti il pregare a lungo non equivale, come
credono alcuni, a un pregare con molte parole. Una cosa è un parlare a lungo, altra cosa un intimo e durevole desiderio.
Anche del Signore infatti sta scritto che passò la notte a pregare 44 e che pregò assai a lungo 45. E nel fare così, che
cos'altro voleva se non darci l'esempio, egli che nel tempo è l'intercessore opportuno, mentre nell'eternità è col Padre
colui che ci esaudisce? [La preghiera sia breve ma fervorosa] 10. 20. Dicono che in Egitto i fratelli fanno
preghiere frequenti, sì, ma brevissime, e in certo modo scoccate a volo, affinché la tensione vigile e fervida, somma-
mente necessaria a chi prega, non svanisca e perda efficacia attraverso lassi di tempo un po' troppo lunghi [si tratta,
appunto, di ‘giaculatorie’]. E con ciò essi dimostrano che la tensione, come non dev'essere smorzata se non può durare
a lungo, così non dev'essere interrotta subito, se potrà persistere. Siano bandite dall'orazione le troppe parole ma non
venga meno il supplicare insistente, sempre che perduri il fervore della tensione. Usare troppe parole nella preghiera è
fare con parole superflue una cosa necessaria: il pregare molto invece è bussare con un continuo e devoto fervore del
cuore al cuore di Colui al quale rivolgiamo la preghiera. Di solito la preghiera si fa più coi gemiti che con le parole, più
con le lagrime che con le formule. Iddio pone le nostre lagrime al suo cospetto e il nostro gemito non è nascosto a lui,
che tutto ha creato per mezzo del Verbo e non ha bisogno di parole umane. [Spiegazione del “Padre nostro”]
11. 21. A noi dunque sono necessarie le parole perché richiamiamo alla mente e consideriamo che cosa chiediamo, ma
non dobbiamo credere che con esse si suggerisca qualcosa al Signore o lo si voglia piegare ai nostri voleri. Quando
diciamo: Sia santificato il tuo nome 46, eccitiamo noi stessi a desiderare che il nome di lui, ch'è sempre santo, sia
considerato santo anche presso gli uomini, cioè non sia disprezzato, cosa questa che non giova a Dio ma agli uomini.
Quando diciamo: Venga il tuo regno, il quale, volere o no, verrà senz'altro, noi eccitiamo il nostro desiderio verso quel
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regno, affinché venga per noi e meritiamo di regnare in esso. Quando diciamo: Sia fatta la tua volontà come in cielo così
in terra, noi gli domandiamo l'obbedienza, per adempiere la sua volontà, a quel modo che è adempiuta dai suoi angeli
nel cielo. Quando diciamo: Dacci oggi il nostro pane quotidiano, con la parola oggi intendiamo " nel tempo presente ", in
cui o chiediamo tutte le cose che ci bastano indicandole tutte col termine " pane " che fra esse è la cosa più importante,
oppure chiediamo il sacramento dei fedeli che ci è necessario in questa vita per conseguire la felicità non già di questo
mondo, bensì quella eterna. Quando diciamo: Rimetti a noi i nostri debiti come anche noi li rimettiamo ai nostri debitori,
richiamiamo alla nostra attenzione che dobbiamo chiedere e fare per meritare di ricevere questa grazia. Quando
diciamo: Non c'indurre in tentazione, ci eccitiamo a chiedere che, abbandonati dal suo aiuto, non veniamo ingannati e
non acconsentiamo ad alcuna tentazione né vi cediamo accasciati dal dolore. Quando diciamo: Liberaci dal male, ci
rammentiamo di riflettere che non siamo ancora in possesso del bene nel quale non soffriremo alcun male. Queste
ultime parole della preghiera del Signore hanno un significato così largo che un cristiano, in qualsiasi tribolazione si
trovi, nel pronunciarle emette gemiti, versa lacrime, di qui comincia, qui si sofferma, qui termina la sua preghiera. Con
queste parole era opportuno affidare alla nostra memoria le verità stesse. [Il “Padre nostro” compendia le invoca-
zioni dei santi dell'Antico Testamento] 12. 22. Ora, tutte le altre parole che diciamo, sia quelle che formula da
principio il sentimento di chi prega per renderlo più vivo, sia quelle cui rivolge l'attenzione in seguito per accrescerlo, non
esprimono altro se non quanto è racchiuso nella preghiera insegnataci dal Signore, se la recitiamo bene e convenien-
temente. Chi però dice cose che non abbiano attinenza con questa preghiera evangelica, anche se non prega illecita-
mente, prega in modo carnale e non so come quelle cose non si dicano in modo illecito, dal momento che ai rinati nello
Spirito conviene pregare solo in modo spirituale […]. E se passi in rassegna tutte le parole delle preghiere contenute
nella S. Scrittura, per quanto io penso, non ne troverai una che non sia contenuta e compendiata in questa preghiera
insegnataci dal Signore. Pertanto nel pregare ci è permesso domandare le medesime cose con altri termini, ma non
dev'essere permesso di domandare cose diverse. [La preghiera sia avvalorata dalle opere buone] 13. 24.
[…]. La fede, la speranza e la carità conducono a Dio colui che prega, cioè colui che crede, spera, desidera e considera
nella preghiera del Signore che cosa Gli debba chiedere. I digiuni, l'astinenza dai piaceri, la mortificazione delle passioni
carnali, senza tuttavia trascurare la salute, e soprattutto le elemosine sono di grande aiuto a chi prega […]. Come mai
difatti si potrebbe cercare Dio incorporeo e impalpabile con le mani, se non venisse cercato con le opere?
[Utilità delle sofferenze] 14. 25. Forse vorrai ancora domandarmi perché l'Apostolo abbia detto: Noi non sappiamo che
cosa dire nelle preghiere per pregare come dovremmo. […] L'Apostolo stesso mostra di non essere esente neppure lui
da questa ignoranza […]; infatti allorché […] gli fu data una spina nella carne, un angelo di Satana che lo schiaffeggias-
se, pregò tre volte il Signore perché lo allontanasse da lui […]. Finalmente udì la risposta di Dio perché non avveniva
quello che un sì gran santo chiedeva e perché non conveniva che si realizzasse: Ti basti la mia grazia, poiché la forza si
perfeziona nella debolezza. […] [Ignoriamo quel che ci giovi domandare] 14. 26. In queste tribolazioni
dunque, che possono giovare o nuocere, noi non sappiamo che cosa chiedere perché la nostra preghiera sia come si
conviene; tuttavia, poiché sono prove dure, amare, che ripugnano alla sensibilità della nostra natura, noi preghiamo, con
un desiderio comune a tutti gli uomini, che esse vengano allontanate da noi. Ma […] se accadrà l'opposto di quanto
chiediamo, sopportando pazientemente e ringraziando Dio in ogni caso, non dobbiamo avere il minimo dubbio che ciò
che ha voluto Dio era più opportuno di quel che avremmo voluto noi. L'esempio ce l'ha dato il divino Mediatore quando
disse: Padre, se è possibile, si allontani da me questo calice. Ma poi, modificando la volontà umana assunta nella sua
incarnazione, soggiunse subito: Tuttavia (sia fatto) non ciò che voglio io, o Padre, ma ciò che vuoi tu. Ecco perché
giustamente per l'obbedienza di uno solo molti sono costituiti giusti. [Il vero bene da chiedere: il sommo
Bene] 14. 27. Chiunque chiede al Signore e cerca d'ottenere l'unica cosa, senza cui non giova niente qualunque altra
cosa abbia ricevuta pregando come si deve, la chiede con certezza e sicurezza, né teme ch'essa gli possa nuocere
quando l'abbia ricevuta. Questa cosa infatti è l'unica vera vita e la sola beata: cioè il poter contemplare, immortali per
l'eternità e incorruttibili nel corpo e nello spirito, le delizie di Dio. In vista di questa sola cosa si cercano e si desiderano
onestamente tutte le altre […]. Ma poiché essa è la pace che supera ogni intendimento 70, anche quando la chiediamo
nella preghiera, non sappiamo che cosa chiedere per pregare come si conviene. Quando infatti una cosa non riusciamo
a immaginarla com'è in realtà, certamente non la conosciamo; tutto ciò che s'affaccia al pensiero lo rigettiamo, lo
rifiutiamo, lo disapproviamo, sappiamo che non è quello che cerchiamo, quantunque non sappiamo ancora che cosa sai
specificamente. [Si può desiderare Dio conoscendolo imperfettamente] 15. 28. C'è dunque in noi una,
per così dire, dotta ignoranza, dotta in quanto illuminata dallo Spirito di Dio, che aiuta la nostra debolezza. Difatti
l'Apostolo dopo aver detto: Se ciò che non vediamo lo speriamo, l'aspettiamo mediante la pazienza, subìto soggiunse:
Allo stesso modo anche lo Spirito ci viene in aiuto nella nostra debolezza, poiché non sappiamo che cosa dobbiamo
chiedere nella preghiera per pregare come si deve; ma lo stesso Spirito supplica per noi con gemiti ineffabili: Colui però
che scruta i cuori sa che cosa desidera lo Spirito, poiché esso intercede per i santi secondo (il volere di) Dio. […]. Lo
Spirito Santo spinge dunque i santi a supplicare con gemiti ineffabili ispirando in essi il desiderio di un bene tanto
grande, ma ancora sconosciuto, che aspettiamo mediante la speranza. Come potrebbe essere espresso un bene ignoto
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quando lo si desidera? Se lo si ignorasse del tutto, non sarebbe oggetto di desiderio; e se d'altro canto lo si vedesse,
non sarebbe desiderato né domandato con gemiti.

23. DIADOCO DI FOTICA (in Epiro, 400 – 474 ca.), Cento considerazioni sulla fede
61: La mente, quando è libera da passioni, anche se l’oggetto del desiderio [- la capacità di ravvivare il ricordo del
Signore Gesù -] le viene rubato per breve tempo dall’oblio, subito di nuovo, usando l’attività che le è propria, afferra con
fervore quella preda bramata e salvatrice. Allora, infatti, l’anima ha la grazia divina stessa che l’aiuta a rimanere
assorta nel meditare e invocare: ‘Signore Gesù!’, come farebbe una madre che insegni al suo bimbo e con lui
sia assorta nel ripetere la parola ‘papà’, fino a condurlo da qualunque altro modo infantile di comunicare all’abitudine
di chiamare il suo papà a chiare sillabe, anche nel sonno. Per questo afferma l’Apostolo: COSÌ ANCHE LO SPIRITO SOC-
CORRE LA NOSTRA DEBOLEZZA: INFATTI NON SAPPIAMO CHE COSA DOBBIAMO CHIEDERE NÉ COME CONVENGA CHIEDERLO; MA LO
SPIRITO IN PERSONA INTERCEDE PER NOI CON GEMITI INESPRIMIBILI (Rm 8,26). Poiché infatti noi siamo come bambini rispetto
alla perfezione della virtù, abbiamo bisogno in tutto dell’aiuto dello Spirito, affinché dalla sua ineffabile dolcezza, che
stringe e riempie di delizia tutti i nostri pensieri, siamo mossi con tutta la nostra disposizione al ricordo e
all’amore di Dio, Padre nostro. Perciò, come ancora san Paolo dice, quando lo Spirito ci dà il ritmo per chiamare
incessantemente Dio Padre, è in lui che gridiamo: ABBA, PADRE!.

24. PS.-MACARIO (Siria, sec. IV-V), Omelie spirituali (trad. E. GANDOLFO, 1984)
18,8; A quanti sono stati giudicati degni di diventare figli di Dio e di nascere di nuovo dallo Spirito Santo, accade di
piangere e di affliggersi per tutto il genere umano; essi pregano per l’Adamo totale versando lacrime, infiammati come sono di
amore spirituale per l’umanità. Talvolta il loro spirito s’infiamma d’una tale gioia e d’un tale amore che, se fosse possibile, essi
prenderebbero tutti gli uomini nel loro cuore, senza distinguere i cattivi dai buoni. Talvolta, ancora, nell’umiltà dello
spirito, essi si abbassano talmente davanti ad ogni uomo che si considerano come gli ultimi ed i più piccoli di tutti. Dopo di
che, lo Spirito li fa di nuovo vivere in una gioia ineffabile.

25. NICOLA CABASILAS (Tessalonica, ca. 1320 - Costantinopoli 1397/8), da La vita in Cristo (trad. Umberto Neri, 1971)
La vita futura non porterà affatto pienezza di felicità a quelli che avrà accolti senza le potenze e i sensi ad essa necessa-
ri: morti ed infelici abiteranno quel mondo beato e immortale. E la ragione è che allora, benché sorga la luce e il sole
offra il suo raggio puro, non è più il tempo di plasmare l'occhio. Il profumo dello Spirito si effonde copiosamente e
riempie tutto, ma non lo coglie chi non ha l'olfatto. In quel giorno gli amici di Dio possono comunicare nei misteri col
Figlio di Dio e apprendere da lui quello che ha udito dal Padre; ma è necessario che vi giungano già amici e con le
orecchie già fatte. Non è quello il tempo di fare amicizia, di aprire le orecchie, di prepararsi la veste nuziale e tutto quel
che è richiesto per quelle nozze. L'esistenza presente è l'officina di questa preparazione e coloro in cui essa non
si compie prima che muoiano, non possono in alcun modo partecipare alla vita divina. Ne fanno fede le vergini e
l'invitato alle nozze: giunti senza avere l'olio e la veste, non poterono più farne acquisto. In conclusione: questo mondo
porta in gestazione l'uomo interiore, nuovo, creato secondo Dio, finché egli qui plasmato, modellato e divenuto perfetto -
non sia generato a quel mondo perfetto e che non invecchia (lib. I, cap. 1).
[…] Risalendo dall'acqua battesimale, portiamo il Salvatore nelle anime nostre, nella testa, negli occhi, nelle
viscere, in tutte le membra, puro da peccato, libero da ogni corruzione, quale risorse e apparve ai discepoli e
ascese al cielo, quale verrà di nuovo a chiedere conto di questo tesoro. Così, una volta generati e come coniati
nell'immagine e nella forma del Cristo, perché non possiamo introdurre alcun'altra forma estranea, egli occupa le vie per
le quali entra la vita. Poiché la vita del corpo si sostiene con l'aria e col cibo, egli si insinua nelle anime nostre per le
stesse vie dell'aria e del cibo e fa sue entrambe le porte, l'una come unguento e profumo, l'altra come cibo appropriato.
Infatti lo respiriamo ed egli diventa il nostro cibo. Così, mescolandosi e fondendosi a noi in tutto, fa di noi il suo corpo e
diviene per noi quello che il capo è per le membra (lib. I, cap. 6).
[…] Nei primi tempi questo sacramento [del crisma, o myron (μύρoν)] dispensava ai battezzati carismi di guarigioni, di
profezia, di lingue e simili: essi erano chiara dimostrazione a tutti gli uomini della sovraeminente potenza del Cristo [...].
Tuttavia, i carismi che il crisma attira sempre nei cristiani e per i quali ogni tempo è opportuno sono quelli della
pietà, della preghiera, dell'amore, della sobrietà e gli altri doni utili a coloro stessi che li ricevono [...]. Dunque lo
Spirito comunica realmente agli iniziati i suoi doni distribuendo a ciascuno in particolare come vuole, e non cessa mai di
beneficarci il Signore che ha promesso di essere sempre con noi. Infatti l'iniziazione del myron non è conferita invano:
come dal divino lavacro riceviamo la remissione dei peccati e dalla sacra mensa il corpo di Cristo, e questi doni non
possono mai venir meno finché non venga manifestamente colui che ne è la causa; allo stesso modo è assolutamente
necessario che i cristiani godano il frutto del divinissimo crisma miron ed abbiano parte ai doni dello Spirito santo (lib. III,
cap. 9-11)
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[…] La meditazione non richiede sudore, né fatica, né consumo di ricchezze, non procura disonore, né
vergogna, non ci reca danno in nulla. Anzi, non è affatto proibito occuparsi delle varie arti e non c'è nessun
impedimento all'esercizio di qualunque mestiere: il generale continuerà a condurre l'esercito, l'agricoltore a coltivare
la terra, l'architetto procederà ai suoi lavori, nessuno per questo motivo dovrà privarsi delle solite occupazioni. Non è
necessario raggiungere regioni remote, né prendere un cibo inconsueto, né mutare abito, né rovinarsi la salute, né
osare qualche altra impresa audace; ma restando in casa propria, senza perdere alcuna sostanza, è possibile avere
continuo commercio con questi pensieri (lib. VI, cap. 4).
[…] Perché la nostra meditazione sia sempre rivolta a Cristo, per poter perseverare ad ogni istante in questo
impegno, invochiamolo continuamente, a tutte le ore, come l’oggetto dei nostri pensieri. Non c'è alcun bisogno
di alcun apparato per la preghiera, né di luoghi speciali, né di grida per invocarlo, perché non c'è luogo dove
non sia già presente e già unito a noi, lui che è più vicino a coloro che lo cercano del loro stesso cuore. Riflet-
tiamo ora anche alla forma della nostra supplica: certo non pretendiamo di chiedere e di ricevere quello che conviene
agli amici, ma ciò che è permesso anche a servi colpevoli che hanno offeso il loro Signore, e soprattutto ad essi. Ora
noi invochiamo Dio con la lingua, con la volontà, con i pensieri, per applicare il rimedio a tutte le facoltà con le
quali abbiamo peccato, l'unico rimedio salutare: infatti non c'è altro nome nel quale dobbiamo essere salvati (lib. VI,
cap. 11).
[…] Se saremo così uniti al Cristo nel sacramento, nella preghiera, nella meditazione, nei pensieri, eserciteremo
l'anima ad ogni virtù, conserveremo - come ordina Paolo - il deposito che ci è stato affidato e custodiremo la grazia
infusa in noi dai misteri. Lui solo infatti ci inizia ai misteri ed è i misteri, lui solo egualmente custodisce in noi il dono che
ci ha fatto e ci dispone a perseverare in ciò che abbiamo ricevuto, perché - dice - senza di me non potete fare nulla (lib.
VI, cap. 12).
[…] Le nostre membra sono membra di Cristo, sono sacre e contengono, come in una coppa, il suo sangue,
anzi meglio sono ricoperte del Salvatore tutt'intero, non come ci si riveste di un mantello e nemmeno della nostra
pelle, ma in un modo ancora più perfetto, perché questa veste aderisce a coloro che la indossano molto più della pelle
alle ossa. Ossa e pelle infatti, anche nostro malgrado, ce le possono strappare, ma il Cristo nessuno ce lo può portare
via, né gli uomini, né i demoni, non le cose presenti, né le future, dice Paolo, né l'altezza, né la profondità, nè qualunque
altra creatura, per quanto superiore a noi per potenza. Il maligno può togliere la pelle ai martiri di Cristo, può
scorticare per mano dei tiranni, può amputare le membra, spezzare le ossa, riversare gli intestini, strappare le viscere,
ma non può spogliare i beati di questa veste e privarli del Cristo. Anzi i suoi disegni falliscono a tal punto che senza
saperlo li riveste del Cristo molto più di prima, proprio con quei mezzi con i quali credeva di spogliarli (lib. VI cap. 20).
[…] In linea di massima si può dire che la grazia infonde nell'anima la percezione dei beni divini: dando a gustare grandi
cose, ne fa sperare di ancora più grandi e, fondandosi sui beni già ora presenti, inspira ferma fede in quelli ancora
invisibili. La nostra parte invece è di custodire la carità. Non basta semplicemente incominciare ad amare ed
accogliere in sé questa passione: bisogna conservarla e alimentare il fuoco perché duri. Quando la volontà è
presa fino in fondo dal Cristo e aderisce a lui solo, tutto quanto si vuole, si ama e si cerca, è lui. Poiché il Cristo
è lo scrigno di tutti i beni, se non portiamo stabilmente in lui tutta la nostra volontà, se ne lasciamo cadere qualche
particella fuori da questo tesoro, essa rimane sterile e morta: se uno non rimane in me è gettato fuori come il sarmento e
inaridisce, e li raccolgono e li gettano al fuoco e ardono (lib. VII, cap. 6).

26. GREGORIO PALAMAS (1296-1359), Omelie, 53 (L’ingresso nel Santo dei Santi ed in esso la vita di specie
divina della Purissima Nostra Signora Madre di Dio e Sempre Vergine Maria) [trad. E. Perrella, E. Greselin]
51-53: Non è la stessa cosa dire qualcosa su Dio ed incontrarsi con Dio; la prima cosa ha bisogno anche d’una parola,
cioè di quella pronunciata, e forse anche dell’arte che la riguarda, se non si vuole solo avere, ma anche usare e trasmet-
tere il sapere; ed inoltre anche di tutta la materia […] delle necessità logiche per dimostrazione e degli esempi tratti dal
mondo, la totalità o la maggior parte dei quali è raccolta a partire da quanto si vede o si sente; e tutti questi fattori sono
più o meno di coloro che vivono nel mondo, ed a volte possono certamente riguardare pure i sapienti di questo secolo,
anche se non sono completamente puri nella vita e nell’anima. Invece è davvero impossibile incontrarsi con Dio se,
oltre alla purificazione, non usciamo da noi stessi, anzi, se non superiamo noi stessi, tralasciando tutto ciò che
riguardi le cose sensibili insieme alla sensazione, sollevandosi al di sopra dei ragionamenti, […] d’ogni cono-
scenza e dello stesso intelletto, […] ottenuta l’ignoranza superiore alla conoscenza, ed è come dire superiore ad
ogni forma della ben nota filosofia, dal momento che la conoscenza, in questa, è il fine più importante. Dunque la
Vergine, cercando questo […], trova come guida la santa hesykhìa [= ‘silenzio’ interiore…]; e hesykhìa è come
la quiete dell’intelletto e del mondo, la dimenticanza delle cose di quaggiù, l’iniziazione alle cose di lassù,
l’impostazione al meglio dei concetti; questa è davvero una pratica, un cammino alla vera contemplazione o
visione divina, o, per dirlo in un modo più appropriato, il solo esempio di un’anima davvero sana; infatti ogni altra
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virtù è come un rimedio che difende dalle infermità dell’anima […], mentre la contemplazione è il frutto dell’anima sana,
essendo come un fine […]; attraverso di essa l’uomo si fa Dio […] per l’allenamento nella hesykhìa; in quanto attraverso
di essa siamo sciolti dalle cose di quaggiù e ci rivolgiamo verso Dio e, come nella parte superiore della vita, persistendo
notte e giorno con preghiere e suppliche, raggiungiamo in qualche modo quella natura intatta e beata. E così coloro
che, grazie alla santa hesykhìa, sono puri di cuore, quando la luce superiore alla sensazione ed all’intelletto si
unisce ineffabilmente a loro, vedono in se stessi Dio, come in uno specchio (cf. 1Cor 13,12). Breve dimostrazione
di questo è la grande utilità, soprattutto quando mette in rapporto con i bisognosi, di questa Vergine per così dire fin
dalla sua più tenera età: sola fra tutti avendo praticato in modo straordinario la hesykhìa fin da quando era ancora una
bambina, sola tra tutti portò in sé senz’aver cosciuto uomo la Parola divinumana».

27. SILVANO DEL MONTE ATHOS (1866-1938), da Divo Barsotti (cur.), Mistici russi, Torino 2000, passim
Tutto il cielo vive e si muove nello Spirito Santo. Anche in terra lo Spirito Santo è presente. È presente nella nostra
Chiesa, vive nei Santi Sacramenti, nella Sacra Scrittura, nei cuori dei fedeli. Congiunge tutti lo Spirito Santo, e i Santi
perciò ci sono così vicini, ci sentono se li invochiamo e l’anima nostra sente ch’essi intercedono per noi. I Santi vivono
in un altro mondo, e là vedono nello Spirito Santo la gloria di Dio; nello stesso Spirito santo vedono però anche
tutta la nostra via e le nostre azioni. Conoscono le nostre sofferenze e ascoltano le nostre fervide preghiere. […]
Là nel Cielo l’amore cresce e raggiunge la perfezione. Se quaggiù l’amore non può dimenticare il fratello, quanto di più i
Santi ci ricorderanno e pregheranno per noi! […] Il mondo sussiste per le preghiere dei Santi […].
Chi però non ama i nemici, non gusterà la dolcezza dello Spirito Santo. È il Signore stesso a insegnarci ad amare i
nemici, a sentire e patire con loro come fossero nostri propri figli. Ci sono uomini che augurano ai loro nemici e ai
nemici della Chiesa pene e tormento nel fuoco eterno. Essi non conoscono l’amore di Dio pensando così. […] Io
ti domando: ammettiamo che il Signore ti dia un posto nel suo Regno; se tu vedi nel fuoco eterno colui a cui hai augura-
to il tormento eterno, non avrai compassione per lui, anche s’egli fosse stato un nemico della Chiesa? Hai forse un
cuore di sasso? Nel Regno dei Cieli non c’è posto per i sassi. Ci vuole l’umiltà e l’amore di Cristo, che ha
compassione per tutti. […] Certo al principio devi costringerti ad amare i tuoi nemici; ma il Signore, vedendo la tua
buona volontà, ti aiuterà in ogni cosa, e l’esperienza stessa ti mostrerà la strada. […] Dio è amore; egli ci dette il
comandamento di amarci l’un l’altro e anche i nostri nemici, e lo Spirito ci insegna questo amore. Tornate a lui, popoli
tutti della terra, innalzate le vostre preghiere a Dio. Se la preghiera di tutto il mondo assieme sale a lui come una
colonna grandiosa e silenziosa, allora tutti i cieli esulteranno e canteranno lode al Signore per la sua Passione,
per la quale egli ci ha salvati.

«O Cristo Gesù, una volta i tuoi apostoli vennero a te domandando: “Signore, insegnaci
a pregare”. Perciò ti diciamo anche noi: “Signore, insegnaci a pregare”. Insegnaci a com-
prendere che senza la preghiera il mio intimo inaridisce e la mia vita perde consistenza e
forza. Rimuovi da me le chiacchiere degli avvenimenti e delle necessità, dietro le quali si
nascondono pigrizia e rivolta. Dammi serietà e salda decisione e aiutami, con
l’obbedienza e l’abnegazione, a imparare ciò che è indispensabile per la salvezza. Guida-
mi alla tua santa presenza. Insegnami a parlarti nella serietà della verità e nell’intimità
dell’amore. Amen» (ROMANO GUARDINI [1885-1968], Preghiere teologiche))

PISTE DI RIFERIMENTO PER IL LAVORO DI GRUPPO

1) QUALE EVOLUZIONE NELLA PREGHIERA COMUNITARIA E INDIVIDUALE MOSTRANO I DOCUMENTI PALEO-


CRISTIANI QUI PROPOSTI ?

2) QUALE/I ANTROPOLOGIA/E SOTTENDONO I VARI DOCUMENTI EUCOLOGICI DURANTE LO SVILUPPO DELLA


SPIRITUALITÀ PATRISTICA ?

3) LA EVIDENTE E CONSAPEVOLE DIMENSIONE CARISMATICA DELLA ANTICA PREGHIERA CRISTIANA DA QUALI


ELEMENTI È POSTA IN RISALTO ?

4) QUAL È IL RAPPORTO FRA LA PREGHIERA INDIVIDUALE E COMUNITARIA ANTICA E LA CONOSCENZA MEDI-


TATA DELLA BIBBIA ?

5) QUALE APPARE LO STILE COMPLESSIVO DELLA PREGHIERA LITURGICA PALEOCRISTIANA ? QUALI STIMOLI
PUÒ SUGGERIRE PER LA PRATICA DELLA ATTUALE PREGHIERA LITURGICA E PERSONALE ?
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