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Vili CENTENARIO DELLA NASCITA DI S.

FRANCESCO D'ASSISI

fr. Corì I.'io Del Zotto o.f.m.

VISIONE MANCESCANA
DELLA VITA
SETTIMANA D I SPIBfTUALITÀ F R A N C E S C A N A

S A N T U A R I O D E L L A V'ORNA 25/29 A C O S T O 1982

Q U A D E R N O II
In copertina:

X i l o g r a f i a di P i e t r o P a r i g i , p u b b l i c a t a nel v o l u m e " V i t a
e p o e s i a di S . F r a n c e s c o " di M a r i o C h i n i , Ed B e m p o r a d ,
F i r e n z e 1 9 2 6 . V i e n e r i p r o d o t t a per g e n t i l e c o n c e s s i o n e
d e l l a R i v i s t a " C i t t à di V i t a " e del M u s e o di S . C r o c e in
Firenze.
Q U A D E R N I DI SPIRITUALITÀ FRANCESCANA
SANTUARIO - LA VERNA

VISIONE FRANCESCANA DELLA VITA

Lezioni di spiritualità francescana


di Fr. Cornelio Del lotto, o.f.m ,
Pro/c'ssore di 7 eologia nel Pontificio Ateneo Antoniano in Roma

Quaderno II - Lez V/IX


" C o n s i d e r a , o u o m o , in quale sublime condizione ti
ha posto Dio che ti creò e ti fece a immagine del suo di-
letto Figlio secondo il c o r p o , e a sua similitudine se-
condo lo s p i r i t o .
E tutte le c r e a t u r e , che sono sotto il c i e l o , ciascu-
na secondo la sua n a t u r a , servono e conoscono e obbedisco-
no al loro Creatore meglio d i t e . E anche i demoni non lo
c r o c i f i s s e r o , m a tu con essi lo crucifiggesti e ancora lo
crucifigqi col dilettarti nei vizi e nei p e c c a t i . D i che
dunque puoi gloriarti?
Infatti se tu fossi tanto intelligente e sapiente che
tu a v e s s i tutta la scienza e tu sapessi interpretare tutte
le lingue e acutamente perscrutare le cose c e l e s t i , in
tutto questo non ti puoi gloriare; p o i c h é un solo demonio
seppe delle cose celesti e ora sa d i quelle terrene più
d i tutti g l i uomini insieme; benché c i sia stato qualche
uomo che ricevette dal Signore una speciale cognizione
della somma s a p i e n z a .
Ugualmente se tu fossi più bello e più ricco d i tutti
e anche se tu facessi cose m i r a b i l i , come scacciare i de-
m o n i , tutte queste cose ti sono d'ostacolo e no; sono d i
tua pertinenza e in queste non ti puoi gloriare per nien-
te; ma in questo possiamo g l o r i a r c i , rielle nostre infermi-
tà e portare ogni giorno la santa croce del Signore nostro
Gesù C r i s t o " . (Amm V:FF 1 5 3 - 1 5 4 ) .

"Disse il Signore ad Adamo :'Mangia del frutto d i qua-


lunque albero del P a r a d i s o , m a dell'albero della scienza
del bene e del male non mangiare'. Adamo poteva dunque man-
giare ogni frutto di qualunque albero del P a r a d i s o , e g l i ,
finché non contravvenne a l l ' o b b e d i e n z a , non p e c c ò .
M a n g i a infatti dell'albero della scienza del bene co-
lui che si appropria la sua volontà e si esalta dei beni
che il Signore manifesta e opera in lui; e così per sugge-
stione del diavolo e per aver trasgredito ad un comando
diventò per lui il frutto della scienza del male; per cui
bisogna che ne sopporti la p e n a " . (Amm II:FF 146-147).
V Lezione:

L'APOSTOLATO FRANCESCANO

IL FASCINO DEL BUON ESEMPIO

1) La trasparenza della verità dell'amore.

2) Edificare insieme nella gioia.

3) La testimonianza dell'amore che dona la vita.

•<•>»

1) La trasparenza dèlia verità dell'amore

Ieri ho parlato prima della fraternità, poi della pre-


ghiera francescana. Per mancanza di tempo non ho accentuato
un particolare che voglio riprendere oggi. Si tratta del
tipico modo francescano d i vivere in fraternità, di pregare
e quindi d i fare apostolato. Qual'è questo tipico modo
francescano? L'aspetto caratteristico del francescano è
la gioiaj lo stile di vita francescano è caratterizzato
dalla gioia: la gioia d'aver visto il S i g n o r e .
Pensate ai discepoli di Emmaus: erano tristi, in fuga,
scappavano) ad un certo punto cambiano rotta, si converto-
n o , camminano verso questo prossimo che non è,più straniero
e entrano nella pienezza, nella comunione, nella celebra-
zione eucaristica.
La notte d i v e n t a ' g i o r n o , corrono a Gerusalemme, non
c'è più tristezza, ma gioia, e là testimoniano: "Abbiamo
visto il S i g n o r e " . L'hanno però visto in modo particolare
in tutte le sue presenze e si sono esercitati in questa
visione come gli esperti della visione del Signore, l'hanno
visto in tutte le pecessità: lavando i piedi al fratello
che li aveva sporchi, dando da mangiare a l fratello che
aveva fame, servendo il fratello e compiendo le opere di
misericordia spirituali.
L'operosità è il segno dell'amore vigile, efficace,
vero 5 quindi uno che vive in pienezza deve comunicare la

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gioia, non può tenerla per sé e non importa se non parla:
è la vita che parla in lui.
Voglio leggervi dalla Regola non Bollata qua!'è lo
stile dei frati, come li voleva S . Francesco.
Prima di tutto l'esigenza di operare, l'amore è sempre
operoso. S . Francesco non voleva gente oziosa perché la
più grande offesa che facciamo a Dio è quella di consumare
il tempo e i suoi doni senza far niente. Vanificare la gra-
zia di Dio e i suoi doni è la cosa peggiore che si possa
fare al mondo. E' rendere vano Colui che è Eterno, Immuta-
bile, Colui che è la Verità, l'Amore, la Pienezza: è vera-
mente un grave peccato.
"Tutti i frati (n.25 e 26 cap. VII della1
Regola non
Bollata) cerchino di darsi alle opere buone ', cioè siano
operosi perché il Padre opera sempre e il Figlio opera
sempre finché è giorno. E' operosità di una vita che si
esprime nell'amore, quindi è vigorosa.
Ricordate che cosa disse Gesù quando dette l'addio
agli Apostoli: "Attendete in Galilea finché sarete rive-
stiti di potenza dall'Alto". E' il vigore dello Spirito
Santo che ci rende operosi, non ci lascia più fermi, ci
mette in cammino nuovamente, non soltanto con i piedi, ma
con il cuore e con la vita. Non basta avere i piedi per
muoversi, ci vuole il cuore. Le mani sono soltanto distri-
butrici: è il cuore che dona. Così i piedi contano poco
se non si muove il cuore, e le labbra parlano invano se
non parla il cuore e se la vita non risuona come una cassa
armonica in questa pienezza.
Ecco, allora cerchiamo sempre di essere operosi, di
darci alle opere buone, di esercitarci, "perché sta scrit-
to: Fa' sempre qualcosa di buono, affinché il diavolo ti
trovi occupatoj e ancora: l'ozio è nemico dell'anima, per-
ciò i servi di Dio devono sapere sempre dedicarsi alla
preghiera,(L'opera principale è la preghiera) e a qualche
opera buona".
La preghiera è l'opera prima, il primo amore è accet-
tare di essere amati da Dio e di amarlo. Questa è l'opera
prima, lo disse Francesco e perciò i servi di Dio devono
sempre sapersi dedicare alla preghiera? la prima opera,

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quella che compie nell'uomo la dimensione divina perché
accettare il dono è ricambiarlo con riconoscenza. E' rico-
noscersi riconoscendosi nella fonte e facendo rimbalzare
la lode proprio nel cuore del Padre.
L'opposto di tutto questo è la tristezza: "Si guardi-
no i frati dal mostrarsi tristi". Il Signore è felice, ha
visto il Padre ed è come un raggio di luce e di sole. Come
può essere triste? Il triste è un bugiardo, un fintone,
uno che inganna, uno che non ha capito nulla o che ha con-
taminato il dono appropriandoselo. Francesco lo dice chia-
ramente: "Si guardino i frati ovunque saranno, negli eremi
o negli altri luoghi, di non appropriarsi di alcun luogo,
né di contenderlo ad alcuno".
Per questo non bisogna mai appropriarsi di nullaj chi si
appropria di qualcosa offusca il dono, gli impedisce di
circolare. L'amore non circola più, è morto. Ho consumato
magari tutto di nascosto con i miei amici e lascio morire
di fame gli altri. L'amore deve restare santo e circolare
sempre per dare la vita a tutti). L'amore dona la vita. Si
deve amare tutti: "E chiunque verrà ad essi, amico o nemi-
co, ladro o brigante, sia ricevuto con bontà". E' la rego-
la, sapete, è la regola prima, ma parte dal cuore di Fran-
cesco, anzi dal cuore di Cristo.
E dovunque sono i frati e in qualunque luogo si tro-
veranno? spiritualmente e con amore si debbano rispettale
e onorare scambievolmente senza mormorazione". Nello spi-
rito è l'incontro, qui è il punto, la carne divide, i
corpi separano. Non basta mettersi insieme, non ci si uni-
sce, è lo Spirito che unisce e rende vivo anche il corpo
e lo rende mediatore di gloria, di grazia e di salvezza,
lo rende d o n o . Il corpo non basta, ci vuole lo Spirito.
In questo mondo che sta andando a fondo nel materialismo,
sapete qual'è il dono? E' il Cuore Immacolato di Maria,
questa è la grazia che immette questo vigore dello Spirito
che è istante vivificante. I Padri della Chiesa hanno una
bellissima immagine; mentre in cielo i Serafini cantano:
santo, santo, santo, sapete qual'è l'eco sulla terra?:
Vergine, Vergine, Vergine * è la Vergine che diventa Chie-
sa .

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A proposito, sapete l'unica parola che è messa in
bocca alla Chiesa come Sposa, dalla Scrittura? Una volta
sola parla la Chiesa come Sposa e cosa dice nello Spirito?
(è il canto della speranza cristiana, della fedeltà):
"Vieni, Signore Gesù!". E lo Spirito e la Sposa dicono:
"Vieni".
L'unica parola degna della Chiesa che non va in giro
in cerca di amorucci, come quella del Vecchio Testamento.
Ecco la Sposa vera, quella che è vergine, attende il Si-
gnore e dice: "Vieni Signore Gesù".
Ripeto "E dovunque sono i frati e in qualunque luogo
si troveranno, spiritualmente" (cioè in questo ordine nuo-
vo dello spirito, camminando secondo lo Spirito e con amo-
re diligente, cioè con grande amore) "si devono rispetta-
re". (Qui è il punto fondamentale, la riverenza. L'amore
è prima di tutto riverenza e attenzione all'altro) io re-
sto incantato, l'altro c'è, l'accolgo e rimango meravi-
gliato per il suo mistero d'amore. Lì c'è Dio, io lo sco-
pro e lo ricevo; non voglio manipolarlo, farlo a mia imma-
gine, rispetto la sua libertà, lo accolgo con riverenza,
segno dell'immagine di Dio che è in lui. Nella V Ammoni-
zione S . Francesco dice che l'altro è immagine del Corpo
di Cristo, e, secondo lo Spirito, corpo glorificato, corpo
sofferente; cioè tutto il Cristo è presente nell'uomo.
Quindi la riverenza è onorare. Io metto in luce il
Signore che è nell'uomo. E' il Signore, lo riconosco. Ecco
l'esperienza della visione del Signore: se io vedo il Si-
gnore il resto non conta, il Signore dà la pace. Il Signo-
re è nella Pasqua e chi vede il Signore è nella Pasqua,
è nella Risurrezione e quindi ha superato ogni cosa ed è
nella gioia.
Quindi, rispettare i fratelli è la base di ogni vita
comune. E' la prima predicazione. Perché l'apostolato pri-
ma si fa dentro, non fuori. "Si debbono rispettare" (io
riverisco il fratello, lo rispetto e godo del bene che c'è
in lui, son contento che sia migliore di m e . Questo è im-
portante: godere del bene altrui come del nostro, questo
è il bene) "e onorare scambievolmente, senza mormorazio-
ne".

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"Non mormorate più, fratelli e sorelle, è un'offesa
al Signore che è presente. Noi ci lasciamo sempre prendere
da] difetto e siamo delle pattumiere della parola, della
sporcizia del mondo. Possibile che non abbiamo nient'altro
da fare che mormorare? Siamo specialisti dell'amore e del-
la risurrezione e ci perdiamo in quella sporcizia? Pur-
troppo capita anche nei conventi di trovare l'ozio e la
mormorazione, ma queste sono due occupazioni proibite ai
servi di Dio perché l'ozio offende Dio e sciupa il suo do-
no e lo consuma e la mormorazione distrugge il bene, in
quanto pone l'accento sul male; essa prepone un Barabba
qualsiasi al Signore della gloria, quindi è un'offesa
grandissima. Corriamo dietro la vanità e le sciocchezze
e diventiamo infedeli a Dio e alla Verità. Bonaventura lo
dice molto bene: "la curiosità vana è il principio della
superbia e la superbia imprime il marchio della bestia
dell'Apocalisse".
Chi si vende a questa vanità diventa vano anche lui
e quindi serve la bestia e non il Figlio di Dio vivente.
Non possiede più la Verità, non è più messaggero di Cri-
sto, ma di quell'altro, perché ognuno trasmette là dove
l'antenna è tesa.
E adesso il tocco dell'artista, di Francesco, che era
uomo cortese e chiamava Dio 'il sire della cortesia', per-
ché l'amore compie ogni cosa nell'immagine della bellezza
e della perfezione. Noi entriamo nella conoscenza, se re-
stiamo nella conoscenza saremo sempre soltanto edotti; ca-
pita ancora di trovare persone coltissime, però rozze,
volgari, maleducate. E' naturale, perché soltanto l'amore
affina; è perfezione dell'immagine della bellezza. L'amore
cambia il mondo, il resto lo lascia come prima, anzi lo
peggiora.
Quando il sapere diventa potenza, gonfia chi lo ha
e distrugge gli altri perché è contaminato; chi contamina
la verità distrugge anche il fratello perché trasmette il
bacillo e muore.

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2) Edificare insieme nella gioia

Francesco, che è l'artistà della fraternità, dice:


"Si guardino i frati da mostrarsi tristi all'esterno e o-
scuri in faccia come ipocriti, come se non fossero figli
di Dio, come se non avessero ricevuto il dono del Figlio
di Dio che è lo Spirito Santo, la Vita e tutto".
Se i frati sono tristi è come se non fossero consacra-
ti come segno di quell'unico Gesù Cristo che appare, come
se non fossero cellule vive. Francesco non amava 'frate
Mosca' e non lo voleva perché non degno dell'offerta che
Dio dà ai suoi servi.
"Ma si mostrino lieti nel Signore" (ecco la gioia
perché abbiamo visto insieme il Signore. Questa risonanza
della fraternità, queste molteplici voci che diventano
sinfonia dell'amore, canto di questa sinfonia della per-
fetta letizia); "ma si mostrino lieti nel Signore e giocon-
di e garbatamente allegri" (RegNB VII,ll,l8:FF 25-27).
La grazia è più che allegria, l'allegria è esterna;
graziosi vuol dire essere configurati dalla grazia. Fran-
cesco è figlio della grazia; e uno che si configura a que-
sta immagine dello Spirito e quindi diventa dono. La gra-
zia che resta dono; in nome della povertà ogni cosa diven-
ta dono per cui si riceve e si ringrazia Dio e il prossi-
mo .
Chi ringrazia partecipa senza sciupare nulla. Allora
1'amore si moltiplica e la gioia diventa immensa.
Ecco lo stile: "lieti nel Signore, giocondi e conve-
nientemente graziosi". La grazia è segno che Dio abita in
noi, è trasparenza della verità, è anticipo del Regno, è
il canto nuovo che già dai primi tocchi del cuore risuona
quella melodia segreta di cui parlava Sant'Ignazio: "Un'ac-
qua viva mi mormora dentro: torna al Padre".
E' la nostalgia dell'eterno di Dio che nasce dal cuore
e ci riporta a casa. Il primo apostolato non si fa fuori:
chi è veramente dentro, fa già l'apostolato.
S . Francesco lo diceva (2Cel 172) e qui vediamo tutta
la gamma dell'apostolato che parte dall'amore verso tutte
le creature e si trasmette verso i fratelli e se l'amore

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è vero, è vitale. L'amore vero diventa un'antenna di tra-
smissione dell'amore della vita della Chiesa, quindi quella
montagna della vita divina, per cui siamo dentro. L'aposto-
lo irradia la fede del cuore. Non occorre la voce, anche
se aiuta, ma dopo (FF. 758). Francesco parla della carità:
"La forza dell'amore aveva reso Francesco fratello di tutte
le creature". Essere fratelli è il primo apostolato, ma
fratelli veri, veri figli del Padre che dicono Padre No-
stro, che sono figli e fratelli e sono contenti di essere
fratelli e che il Signore abbia dato loro questi fratelli;
magari uno è scorbutico, uno indigesto, però me li ha re-
galati il Signore e quindi sono contento anche di questi
fratelli e non altri, ma questi prossimi.
Nella civiltà moderna c'è un processo di svuotamento
portato dall'arte e dalla filosofia e dalla teologia, la
parola diventa vuota e allora ci vanifichiamo e siccome
l'amore del prossimo è concreto, allora noi inventiamo u-
na terza via: facciamo dialogo con i lontani, con quelli
dell'America, dell'Australia. Uno ti pesta i piedi, uno
ti si oppone, uno ti offende, uno ti pugnala e ti tradisce;
ama quel prossimo lì e niente altro.
Gesù è molto concreto e questa è la vita che si deve
fare anche in convento.
Anche il frate antipatico è il tuo prossimo, te lo
ha regalato il Signore. Quando il Signore mi consola, mi
dà una grazia speciale sulla "montagna" devo abituarmi a
ringraziare, a dire "grazie", perché il Signore mi dà que-
sta grazia speciale per riuscire a sopportare il fratello.
Ogni grazia non è una dolcezza da consumare per noi, è un
viatico per andare a Gerusalemme. Dalla montagna santa si
va giù e poi si va a portare la croce.
E Pietro dice: "Signore, questo non sia mai". E cosa
risponde Gesù?: "Non far lo stupido, Pietro, cambia stra-
da". Lo chiama 'Satana' perché non capisce il nuovo ordine
dell'amore di Dio. Gesù vuol dire che non è Pietro la via.
La via alternativa non vale, è sbagliata, e poi non scen-
dere dalla croce e non cambiar strada e non superarmi. Se-
guimi, vieni dietro a me, vedrai arrivi giusto.
Questo è il punto: se il Signore ci chiama, ci dà la

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grazia; è un invito perché riusciamo a portare quel pros-
simo che è pesante.
Torniamo all'esempio. Se io avessi detto 'Signore,
grazie, cosa vuoi che faccia' (subito, perché se Lui mi
dà la grazia c'è una chiamata). Avrebbe detto: 'Ecco ti
affido il fratello perché diventi nuovo, affinché diventi
nuovo. Lo dai alla luce,
1
è tuo figlio, te lo affido, oggi,
come figlio alla madre -
Anche Francesco accettava il suo confessore Frate Leo-
ne come una madre. Porta in grembo il fratello finché non
10 dai alla luce e diventa nuova creatura. Guarda che fidu-
cia ha Dio in noi! Ci affida i casi disperati, quelli più
difficili .
Invece di dirgli grazie perché siamo in missione spe-
ciale, noi ci lamentiamo e gli diamo contro e scendiamo
dalla croce senza accorgerci che il Signore è sopra. Siamo
ciechi, non vediamo il Signore. Chi non vede il Signore
è fuori strada e non è credente? diceva bene un frate an-
ziano e santo: "Chi guarda prima il povero o il lebbroso
o il bisognoso, difficilissimamente arriva a Cristo, ma
chi vede il Signore arriva al prossimo e può aiutarlo do-
nando non se stesso ma il Signore". Dobbiamo fare tutto per
amore del Signore.
E' la motivazione determinante: se c'è il Signore, an-
che ciò che mi costa sangue lo faccio per suo amore. Biso-
gna camminare ogni giorno per la via giusta: la croce è
11 dono che ci ha promesso il Signore ogni giorno. "Chi
vuol venire dietro a m e , rinneghi se stesso, prenda ogni
giorno la sua croce e mi segua". Rinneghi se stesso, faccia
il suo esodo. Il deserto è il prossimo. Prenda la sua croce
che è il prossimo.
Chi è in famiglia ha a casa la 1 croce, chi è in conven-
to l'ha in convento ogni giorno. E portando questa croce
che si arriva alla glorificazione del Signore e all'edifi-
cazione del suo Regno. C'è un,pericolo gravissimo: la cu-
riosi tà.

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3) La testimonianza dell'amore che dona la vita

Quando Gesù disse a Pietro: "Quando eri giovane andavi


dove volevi, ma quando sarai più anziano qualcuno ti mette-
rà là dove non vorresti", e ciò significava in che modo
sarebbe morto, legato mani e piedi, e Pietro, invece di
pensare a mettere in pratica questa parola, dice: "E di
questo, di Giovanni, che ne sarà?". E Gesù risponde: "Cosa
ti importa, tu segui me". Noi ci perdiamo nella curiosità
anche oggi, mentre solo il Signore è importante, il resto
non conta nulla. Ciò che fa Dio è importante, ma noi cor-
riamo dietro le vanità e poi ci perdiamo per strada.
Un grazie non detto è un'accusa e chi non ringrazia
per 99 benefici ricevuti vi accuserà per il centesimo che
crede di non aver ricevuto. Facciamo l'esperienza nella
nostra vita; non accusiamo gli altri e mettiamoci a dire
grazie. La vita francescana è un bel grazie: Francesco l'a-
veva capito. Questo è essere figli; il Figlio è la persona
del grazie? il Figlio è uno che si riceve, è uno che ci
è donato e del quale si ringrazia continuamente.
Essere figli; di Dio è un bel grazie con gioia, è essere
contenti di essere figli, è essere contenti che noi, in
molti, formiamo un unico Figlio, perché l'unico figlio è
il re della promessa.
Questa è la teologia della vita religiosa, che diventa
beatitudine. Questa gioia non si può contenere, deve esplo-
dere e irradiare in tutto il mondo come il sole.
Niente è più importante della salvezza delle anime:
l'Unigenito di Dio si è degnato di essere appeso alla croce
per le anime, ecco la chiamata dalla croce. La motivazione
unica è questa parola: Gesù mi ha chiamato dalla croce dan-
do la vita per m e .
Io, chiamato, rispondo dando la vita per la vita e
mi dono tutto a Colui che tutto si dona e dò la vita ogni
giorno per tutti i miei fratelli. La madre: l'unico modo
reale, concreto, degno di Dio, senza pregiudizi, senza "se"
e "ma", senza misurare niente. La totalità dell'ampie è
dare tutto. Noi ci perdiamo in troppe spiegazioni, l'amore
vivi* • di risposte, noti di spiegazioni.

173
Francesco lo prova molto spesso, col fatto che l'Uni-
genito di Dio si è degnato d'essere appeso alla croce per
le anime. Da] Crocifisso di S . Damiano derivava concreta-
mente il suo impegno nella preghiera. La prima opera per
Francesco è la preghiera, il ringraziamento a Lui per quan-
to ci dona.
Quando Gesù moltiplicò i pani e i pesci, tutti mangia-
no, sono contenti e felici, ma quanti hanno detto grazie?
Dei dieci lebbrosi, quanti hanno detto grazie? Uno. E c c o ,
esaminiamo questo grazie cosa significa. Quei nove son ri-
masti contenti di avere ritrovato la salute fisica e se
ne sono andati senza dire grazie. L'unico che riconosce
nel dono il donatore, dice grazie e riceve la vita eterna
e la fede.
Soltanto un cuore riconoscente può ricevere tutto il
dono di Dio, la pienezza. Un cuore vergine, un cuore libero
da ogni cosa, un cuore povero. La povertà non è opera uma-
na, è opera dello Spirito Santo, che ci trapianta nel Re-
gno. Riferiamoci al Vangelo, all'esempio dell'albero e del-
la montagna. "Se avrete tanta fede quanto un grano di sena-
pa direste a questa montagna: 'trapiantati in mare' ed essa
andrebbe in mare". San Luca, a differenza di Matteo, cambia
in albero l'immagine della montagna. L'albero è la persona
vivente, perché è simbolo della vita e il mare è il mare
immenso dell'amore di Dio. L'albero è trapiantato in Dio,
quindi cresce in Dio, non ha più terra ferma sotto i piedi,
quindi uno o cammina sulle acque o va a fondo e se ha solo
paura affonda, se invece ha fede allora cammina verso la
Terra Promessa in questa barca che è la Chiesa.
Così non ha nulla di proprio sotto i piedi, non solo
sotto il cielo, ma sotto i piedi, quindi vive sostenuto
dalla grazia di Dio; quindi chi è trapiantato in Dio non
può avere altro; ma è come un pesce fuor d'acqua se cammi-
na attaccato alle cose del mondo.
Nessun altro ringrazia, per fortuna c'è il Figlio di
Dio, il Grazie Vivente che passa tutta la notte in preghie-
ra a dire grazie al Padre, per riparare. Egli rappresenta
tutta l'umanità presso il Padre.
Da questo grazie nasce anche la chiamata; Gesù passa

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la notte in preghiera col Padre e poi chiama. Dall'intimità
dell'amore nasce la parola che chiama e nasce la missione.
Questo è leggere e capire i testi e la teologia di
un Santo, che è anche esperienza di vita
Da qui per Francesco derivava l'impegno della preghie-
ra: prima opera, primo apostolato, prima predicazione, e
il suo trasferirsi da un luogo all'altro per predicare,la
sua grande preoccupazione di dare buon esempio; quindi di
essere predicazione, risonanza, buon esempio e rivelazione
di Cristo. Francesco è messaggero, araldo, quindi non può
far altro che d i r e , come il Signore: "il Regno di Dio è
con noi, convertitevi e credete al Vangelo". Non altre pa-
role, ma "attendete: verrà il Signore". Quindi consacra
la sua vita, e cammina, suda e lavora, come faceva Gesù.
Quindi è una vita che diventa missione, messaggio,
dono, risonanza, rivelazione.
Francesco non si riteneva amico di Cristo se non amava
le anime che Egli ha amato, quindi si identifica nella chia
mata, entra in Cristo, ha gli stessi suoi sentimenti (Fil
2,5), gli stessi atteggiamenti di Cristo, fa le opere di
Cristo5 quindi è la pienezza. La Chiesa compie ciò che man-
ca alla Passione d i Cristo, non perché non sia completa,
ma perché siamo noi che non siamo ancora entrati dentro;
finché non sarà risorto l'ultimo cristiano, Cristo è incom-
piuto .
Noi dobbiamo percorrere lo stesso cammino per risorge-
re, per avere quella pienezza ed entrare nel Regno, altri-
menti non si arriva.
Era questo il principale motivo per cui Francesco ve-
nerava i dottori in Sacra Teologia; perché collaboratori
di Cristo; un dottore in teologia cerca di sbriciolare la
Verità per renderla accessibile ai fratelli, come una mamma
che mastica per i piccoli. Quindi i dottori in Teologia
hanno avuto la grazia di ricevere una maggiore istruzione
per compiere il servizio di tradurre la Verità, affinché
tutti possano comprenderla, magari con immagini. Quindi
i dottori in Teologia, come collaboratori di Cristo, eser-
citavano con Francesco - non dottore e non sacerdote - lo
stesso ufficio.

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"Tutti i frati predichino con le opere" (RegNB XVII,
3:FF 4 6 ) . Questo è il compito per tutti quanti, questo è
il mandato, quindi è la vita che deve predicare, è il man-
dato di Francesco, il compito principale.
Continuiamo gli esempi di Francesco cominciando dal
convento e non da fuori perché se io non amo dentro non
amerò neanche fuori. Francesco amava di un amore partico-
larmente intimo, con tutto l'affetto del cuore il suo fra-
tello Gesù perché il Vangelo diceva che bisogna amare Gesù
con tutto l'affetto del cuore. Amava con tutto l'affetto del
cuore i frati e i fratelli come familiari di una stessa
fede speciale, e uniti dalla partecipazione alla eredità
eterna. I fratelli del Regno sono i frati, gli intimi, pro-
prio i suoi figli, dati alla luce da lui, con il suo gemi-
to, con la sua preghiera, con il suo amore, i fratelli re-
galati a lui dal Signore con un dono speciale e caratteri-
stico e che lui custodisce come una mamma i suoi bambini.
Francesco affida alla Chiesa i suoi figli e come gal-
linella li custodisce dal di dentro, non con la potenza. So-
no familiari di una stessa fede e la fede ci dà un motivo
in più per amarli. La fraternità nasce dalla fede e vive
di fede; quindi ogni passo che faccio verso il fratello
è un atto di fede, non è un gioco.
Non basta essere amici, questa amicizia deve nascere
da Dio, deve essere lo Spirito che ci fonde insieme, deve
nascere un uomo nuovo, bisogna morire e risorgere, altri-
menti è un fatto umano. La filantropia non è ancora l'ami-
cizia, che è la base e la terra vergine nella quale nasce
la fraternità che è ancora più alta, perché fratello vuol
dire essere fratello di Cristo, entrare in Cristo, essere
frate!1 0 di tutti i fratelli di Cristo^ perché il fratello
vero è sempre Cristo.
Il prossimo è sempre Cristoj altro non è che Lui.
Il prossimo però cambia aspetto, cambia volto e si
vela di altre fisionomie; però Lui traspare sempre, chi
ha l'occhio vigile e attento lo vede sempre.
Quindi i fratelli sono per Francesco l'unico amore
perché gli altri sono una rifrazione. Ed allora vediamo il
suo esempio personale (2Cel 173:FF 759).

176
"Quando gli facevano notare il rigore della sua vita,
rispondeva di essere stato dato come modello all'Ordine
per incoraggiare come aquila i suoi piccoli al volo". E'
l'immagine biblica dell'aquila che è Dio Padre che racco-
glie il suo popolo.
Ora, Francesco è modello ali'Ordine per incoraggiare
i suoi frati come aquila al volo! Perciò faceva anche peni-
tenza e tutto il resto, per dare buon esempio. Quindi chi
ha un ufficio di servizio, di superiore, deve cercare di
aiutare gli altri, di tirarli avanti, di avere pazienza,
allenarli come fa l'aquila con i suoi piccolini.
"Perciò quantunque la sua carne innocente, che già
spontaneamente si assoggettava allo Spirito, non aveva bi-
sogno di castigo per le colpe commesse, tuttavia moltipli-
cava le sue penitenze per dare l'esempio, e batteva vie
difficili solo per incoraggiare gli altri". Faceva il capo-
-cordata nella montagna per incoraggiare gli altri; tirava
su e guidava i compagni, affinché non cadessero nei burro-
ni .
E adesso leggiamo la motivazione: "E' ben a ragione.
Perché si guarda più ai fatti che alle parole dei Superio-
ri. Con i fatti, Padre, tu convincevi più soavemente, per-
suadevi con più facilità ed anche presentavi la prova più
convincente". Sono i fatti che provano, la verità non ha
bisogno di essere provata ma conosciuta, mentre la bugia
ha bisogno di tante parole per essere resa accettabile,
per diventare un inganno passabile.
E' la vita che predica e tutti i frati son chiamati
a predicare con la vita. Qui c'è quella pienezza di cui
si parlava il primo giorno perché i frati son chiamati ad
essere appunto segno e pienezza del Vangelo. Nessuno da
solo può essere tutto il Cristo.
Bisogna capire nel prossimo il mistero del Cristo ve-
lato, nascosto, che è il mistero del cristiano che vede
il Cristo nascosto e lo scopre dentro, anche sotto una cor-
teccia mal messa, una figura sfigurata; è il Signore, lo
scopre subito. Il mistero va capito. Perché nessuno di noi
è il Cristo, tutto il Cristo; Lui è presente in tutti, si
è incarnato per tutti. Non cercate mai il Cristo nel volto

177
di un solo uomo, ma cercate in ogni uomo il volto del Cri-
sto .
La pienezza nasce dalla comunione, dalla fedeltà?
soltanto chi ha fatto l'esperienza quotidiana di portare
il peso del fratello, di darlo alla luce ogni giorno come
figlio di Dio, avrà una risonanza, una pienezza, una gioia
che gli altri non conoscono. Questa è la pienezza del Van-
gelo di cui parla il Celano.
Francesco era triste quando vedeva che i frati non
davano buon esempio, addirittura malediceva quelli che
danno cattivo esempio: "Il Santo si alzò di scatto levando
le mani al cielo, col volto inondato di lacrime e proruppe
in queste parole: "Signore Gesù Cristo, tu che hai scelto
i dodici Apostoli dei quali, anche se uno venne m e n o , gli
altri però rimasero fedeli ed hanno predicato il Santo
Vangelo animati dall'unico Spirito, Tu, o Signore, in que-
sta ultima ora, memore dell'antica misericordia hai fonda-
to l'Ordine dei Frati Minori a sostegno della Tua fede e
perché per loro mezzo si adempisse il mistero del Tuo Van-
gelo" (2Cel 156:FF 740).
I frati sono per la pienezza della sequela del Vange-
lo, non una sequela qualsiasi, per diventare segno? ora,
questo è possibile quando uno dà la vita continuamente o
è in uno stato di dare la vita continuamente come Gesù
Cristo. Come Gesù che ha pagato con la vita quella pre-
ghiera che ha fatto: "Che siano uno affinché il mondo cre-
da", e ha dato la vita per questo? ha lavorato per 30 an-
ni, troppo poco anche se è già qualcosa lodare Dio nel la-
voro? ha predicato benissimo, ha fatto miracoli? poco an-
che questo. Ha dato la vita e i molti diventano uno.
"Quando sarò elevato trarrò tutti a me" e "Se il gra-
no non cade sotto terra e muore": ecco il gran mistero
della vita e del Vangelo.
Ora, il frate cade sotto terra in convento e muore,
dà la vita per il fratello ogni giorno, come una madre che
nutre e ama. Se uno non mangia vuol dire che muorej se uno
mi mangia vuol dire che muoio e celebro la Pasqua. Muoio
e risorgo ogni giorno e dico sì al Signore col fiatone
grosso perché l'altro era pesante e l'ho portato sulle

178
spalle e nel cuore e lo dò alla luce ogni giorno.
Soltanto questo amore è capace di far risuonare quel-
la pienezza, questa cassa armonica. Il convento è un pia-
noforte che ha una risonanza immensa, piena. Quindi la ve-
rità risuona immensa, è il rumore di molte acque di cui
parla l'Apocalisse, la parola che diventa acque scroscian-
ti, quindi un fiume di acqua viva che si immette nel mondo
per farne da un deserto un giardino, per farlo rifiorire.
Ecco, questo è il Vangelo della grazia, questo fiume
che il nuovo evangelista Francesco affida a tutti i suoi
frati, noi abbiamo un tesoro talmente grande che siamo cru-
deli se non lo partecipiamo alla Chiesa. Oggi i nostri fra-
telli stanno morendo di miseria e di fame perché non cono-
scono il Mistero del Regno. Noi abbiam visto il Signore
e stiamo qua nascosti, magari a litigare per chi è il più
grande e il più piccolo, come gli Apostoli, e Gesù si mette
all'ultimo posto a lavarci i piedi. Cominciamo a lavarci
i piedi a casa ma con cortesia e benevolenza, con finezza,
e poi laviamoli anche fuori, non occorre che facciamo al-
tro .
Passiamo ora al metodo missionario di Francesco.
Quando egli manda i suoi frati nelle missioni dice nella
RegNB XVI,3-11 :FF 42-44) che ci sono due modi per predica-
re; il primo vale per tutti, l'altro per chi ha l'occasio-
ne di cominciare con la Parola. Francesco infatti, dopo
aver premesso che i frati che vanno tra i Saraceni e gli
infedeli, devono avere il permesso del Ministro (perché
la predicazione deve essere fatta nella Chiesa proprio in
obbedienza; non può essere un fatto personale, non dobbia-
mo appropriarci la predicazione, altrimenti non siamo più
messaggeri ma la consumiamo e ne diventiamo proprietari,
quindi non è più vivificante), indica loro anche il modo
di predicare.
"I frati poi che vanno fra gli infedeli, possono ordi-
nare i rapporti spirituali in mezzo a loro in due modi.
Un modo è che non facciano liti o dispute, ma siano sogget-
ti ad ogni creatura umana per amore di Dio e confessino
di essere cristiani.
L'altro modo è che, quando vedranno che piace al Si-

179
gnore, annunzino la parola di Dio perché credano in Dio
onnipotente Padre e Figlio e Spirito Santo, creatore di
tutte le cose, e nel Figlio Redentore e Salvatore, e siano
battezzati, e si facciano cristiani, poiché, se uno non
rinascerà per acqua e Spirito Santo non potrà entrare nel
Regno di Dio" (RegNB XVI,6-1G:FF 43).
Paolo dirà col suo Vangelo (Atti 20,24): "La mia vita
non ha altro senso che questo: di rendere testimonianza
al Vangelo della grazia". La vita diventa un sacrificio
continuo, un martirio continuo per testimoniare la Verità.
Il mondo moderno crede più ai testimoni che ai teologi
e ai maestrij quindi in primo luogo testimonino e confes-
sino di essere cristiani. Non neghino, altrimenti son tra-
ditori, non scappino, non fuggano ma restino credenti come
testimoni di Cristo.
In secondo luogo, quando vedranno che piace al Signo-
re, non quando vogliono loro, annunzino la Parola di Dio
perché gli altri credano in Dio che è Onnipotente, Padre,
Figlio e Spirito Santo, Creatore di tutte le cose e nel
Figlio Redentore e Salvatore e siano battezzati e si fac-
ciano cristiani, perché se uno non rinascerà p*r acqua e
Spirito Santo non potrà entrare nel Regno di Dio.
Quindi il Regno diventa l'unica motivazione. Io l'an-
nunzio per trasparenza di persona e poi lo lascio risuonare
nella parola, però la mia parola deve essere la parola si-
mile a quella di Francesco che attraeva tutto al Verbo.
Attingo a quella Parola che è Vangelo comune ma anche
mio Vangelo, parola della chiamata e lo faccio risuonare
nelle parole, quindi divento una mediazione di grazia, un
annuncio e una edificazione del Regno; questa è la missione
in senso francescano.

180
VI Lezione:

IL LAVORO FRANCESCANO: UNA GRAZIA DI DIO


E UN DONO AI FRATELLI

1) L'operosità segno ed espressione dell'amore.

2) Edificazione del Regno di Dio nel mistero della


Chiesa.

3) La grazia di lavorare.

k) La consacrazione del lavoro.

1) L'operosità segno ed espressione dell'amore

Adesso parliamo del lavoro francescano: una grazia


di Dio e un dono ai fratelli. E incominciamo dallo Spirito
perché Francesco non limitava, come diremmo noi oggi, il
lavoro a quello manuale. Il lavoro impegna tutta la persona
e la esprime come immagine di Dio. Quindi in primo luogo
compie le opere di Dio, e coopera con Lui nell'edificazione
del suo Regno e nel compimento delle altre opere che egli
ha benedetto nel creato.
Vorrei incpminciare col n . 256 e seguenti delle FF.,
con le Lodi delle Virtù, perché non c'è lavoro ordinato
se non c'è vita ordinata, se non c'è l'ordine dell'amore.
E quindi è necessario che ogni buon lavoro sia sintonizzato
con l'opera del Signore.
Lodi delle Virtù (è un po' una sinfonia del lavoro
ben fatto, secondo lo spirito).j
"0 regina sapienza" (quindi non basta lavorare, l'im-
portante per portar frutto è gustare, lo dirà anche S . Bo-
naventura: uno studia diritto ecc..., che cosa conta se
non gusta nulla? L'importante è gustare, quindi assaporare,
esperimentare la gioia, la beatitudine, anche nel lavoro).

l8l
" ...il Signore ti salvi con tua sorella, la pura e
santa semplicità.
Signora santa povertà, il Signore ti salvi con tua
sorella, la santa umiltà.
Signora santa carità, il Signore
1
ti salvi con tua so-
rella, la santa obbedienza". (E un corteo di virtù che
camminano insieme, una processione d'amore).
"Santissime virtù tutte, il Signore vi salvi, dal qua-
le procedete e venite.
Quasi non c'è uomo al mondo che possa avere per sé
una sola di voi se prima non muore.
Chi ne ha una e le altre non offende, le ha tutte,
e chi ne offende una non ne ha alcuna e le offende tutte5
e ciascuna confonde i vizi e i peccati.
La santa sapienza confonde satana e tutte le sue in-
sidie.
La pura e santa semplicità confonde ogni sapienza di
questo mondo e la sapienza della carne.
La santa povertà confonde ogni cupidigia e avarizia
e le preoccupazioni di questo mondo.
La santa umiltà confonde la superbia e tutti gli uomi-
ni di questo mondo e tutte le cose di questo mondo.
La santa carità confonde tutte le diaboliche e mondane
tentazioni e tutti i timori umani.
La santa obbedienza confonde tutte le volontà carnali
e corporali e tiene il suo corpo mortificato, in obbedienza
allo spirito e in obbedienza al proprio fratello" (ecco
l'atteggiamento di fondo) "e rende l'uomo soggetto a tutti
gli uomini di questo mondo e non soltanto agli uomini ma
anche agli animali, alle fiere, così che possono fare di
lui quello che vogliono, in quanto sarà loro permesso dal
Signore".
Ecco, il lavoro prima di essere qualcosa che si fa,
è una vita che si esprime, che si manifesta alla luce di
Dio. Volete un esempio? Anche le stelle lavorano, son crea-
ture di Dio, non stanno ferme, lo dicono bene Giobbe e Ba-
ruch, è molto bello. Esse risplendono, mandano i loro raggi
e dicono: 'siamo qua' ed esultano perché Dio le ha create.
Ecco la loro gioia. Questo è il loro lavoro quotidiano:

182
lode a Dio e servizio agli uomini, perché di notte splendo-
no e rendono un bel servizio. Così il sole. Tutto fanno
per l'amore impresso nel loro essere, perciò non sono con-
sapevoli, ma è un fatto naturale. Dio ha immesso quella
voce ed essi la trasmettono, ha immesso quel dono ed essi
lo partecipano, ma senza venderlo o appropriarselo. Bona-
ventura ha un'immagine molto bella e dice: "0 Sole perché
non vendi i tuoi raggi? Diventeresti ricco, il più ricco
del mondo. Guarda quanta ricchezza, quanto oro. E tu, o
Senna, (era a Parigi) perché non vendi le tue gocce d'ac-
qua? Diventeresti ricchissima. Voi avete ricevuto in dono
e regalate i doni di Dio".
Quindi bisogna essere dono. L'uomo, questo miserabi-
le, vende i doni di Dio e ne fa tesoro per sé. Oggi, in
un mondo in cui tutto si vende e si compra e tutto viene
manipolato, è importante immettere un ordine nuovo nella
vita, affinché si esprima e si manifesti secondo il disegno
di Dio. E' qual'è il disegno di Dio? Quello rivelato a Pen-
tecoste. E cosa avvenne a Pentecoste? Tutti quanti furono
beneficati perché il Signore, salendo al cielo, non ci la-
sciò soli, ma ci ha dato il suo Spirito Santo e ognuno ha
avuto un dono, non tanti, ma uno solo. Però quel dono lo
compie nel disegno di Dio, di modo che tutti insieme siano
felici e ogni dono edifichi tutti gli altri. Il primo lavo-
ro è edificarsi insieme.
E di fatto leggiamo il testo degli Atti degli Apostoli
perché è un esempio molto significativo :( At 2,42-461). Qui
si dà il primo lavoro che ha fatto Iddio insieme agli uomi-
n i , la prima cooperazione, almeno quella più efficace, che
è andata subito a monte, perché sembrava che andasse tutto
benissimo (quindi un cuore e un'anima sola), ma subito dopo
le vedove che venivano dal paganesimo morivano di fame per-
ché, dicevano, le nostre vedove sono le nostre (quelle dei
giudei, dei cristiani giudei). Quindi, quando noi ci si
mette qualcosa di proprio, qualche sfumatura, qualche bar-
riera, tutto si rovina, tutto è finito.
Stiamo bene attenti, è difficile lavorare con Dio,
essere suoi fedeli collaboratori. "Erano assidui nell.'a-
sco11 a re l'insegnamento degli apostoli e nell'unione fra-

183
terna... " (At 2,42). Quindi il primo lavoro è ascoltare
Iddio, essere attenti a ciò che egli dice, quindi permette-
re a luì di operare in noi, permettere che ci renda segno
suo, questa è ]'opera più grande. Ascoltare l'insegnamento
degli Apostoli e vivere nell'unione fraterna.
La comunione quindi è il primo lavoro. Se noi siamo
segno, non occorre che facciamo altro, il lavoro è già fat-
to; il resto è tutto commento, coreografia. Vi porto un
esempio: quando il nostro Provinciale P . Florindo andò dal
Patriarca di Venezia e gli chiese: "Ha qualche desiderio
per i miei frati?", rispose: "No, che siano frati e basta.
E' già fatto tutto. Dica ai suoi frati che facciano i frati
e lascino stare tutto quello che impedisce loro di essere
frati, fratelli e basta".

2) Edificazione del Regno di Dio nel mistero della Chiesa


1
E il nostro lavoro nella Chiesa: di essere fratelli
minori, cioè miti ed umili di cuore. Questo è il nocciolo
del Vangelo. "Imparate da me che sono mite ed umile di
cuore". Mite vuol dire un amore delicato, genti! un amore
materno, pieno di tenerezza e umile? che è sincero, sempli-
ce? che non pesa sull'altro, diventa servizio, che lava
i piedi con delicatezza, con cortesia, senza far pesare
il dono? quindi allorché Gesù ci dice 'imparate da me'
vuol dire questo. L'opera principale è proprio questa.
Quindi nella frazione del pane (qui entriamo nel punto
più difficile) si spezza il" pane, che è Cristo, ma è anche
noi, noi siamo un pane spezzato per la vita. Ora, uno che
non spezza il pane ogni giorno non edifica, ha già falsifi-
cato il suo impegno, è già diventato infedele. Il pane eu-
caristico, ma anche l'altro pane. Si comincia dai doni di
Dio, ma bisogna poi allargare la nostra opera a tutto il
,'resto.
E nelle preghiere, pregare insieme. Il primo lavoro
comune è pregare insieme, cioè restituire a Dio il suo do-
no, ecco il primo punto. Iddio ti regala il dono della vita
e tu dici: "Grazie, Signore". Ma dobbiamo dirlo tutti in-
sieme, questo è il grande dono, e poi insieme operiamo,

184
anche esteriormente. Quindi un lavoro che comincia da Dio
e continua sempre. Prendiamo un esempio dalla Trinità. Gesù
ha detto: "Siate perfetti come il Padre che è nei cieli"
e "Siate misericordiosi come il Padre che è nei cieli".
Qui ci siamo tutti; in quanto ad usare misericordia, ce
n'è per tutti i gusti. Quindi qua è il nostro lavoro: usare
misericordia. Il mondo attuale del lavoro si uccide nella
giustizia, cioè, col pretesto della giustizia, ognuno fa
i propri comodi e chiama questo giustizia. Tutti vogliono
partecipare, ma per avere di più, per portar via, per pren-
dere un pezzo più grande di torta, non per cooperare. Ognu-
no vuol avere di più per sé e quindi sempre lotte, invidie,
contese, contestazioni. In questo mondo, appunto, che è
immerso nel possesso e quindi nella lotta, nella contesa,
è necessario scoprire il lavoro come partecipazione, però
libera, come dono, come beatitudine. E questo S.Francesco lo
ha scoperto.
Continuiamo dagli Atti: " ...e nelle preghiere". Ma
prima voglio aggiungere un'altra cosa, e cioè la capacità
di cooperare con Dio, ma anche di essere nuovi. Noi siamo
già tutti vecchi, abbiamo i nostri progetti, i nostri pro-
grammi: non va bene, bisogna entrare in una nuova sintonia
con Dio e qui c'è lo stupore, la meraviglia. Là traduzione
degli Atti riporta la parola "timore", ma non va bene, me-
glio meraviglia, stupore, incanto davanti a Dio. La capaci-
tà di meravigliarsi rinnova il mondo prima ancora di lavo-
rare, è un segno che illumina. Chi semina nella speranza,
produce, edifica. Quindi prima ancora di operare, è una
vita che è comunicata, partecipata come dono. Non bisogna
mai materializzarsi nel lavoro,ma infondere arte, fantasia,
armonia, bellezza. Quindi l'amore è inventiva, è creativi-
tà .
"E prodigi e segni avvenivano per opera degli aposto-
li": il mondo diventa nuovo.
Facciamo un esempio. Pietro va al tempio a pregare,
va a pregare ogni giorno e cosa capita? Vede un poveretto
alla Porta Bella e gli dice: "Non ho né oro né argento, nel
nome di Gesù alzati e cammina". E quello si alza in piedi,
guarito. Lo risana, quindi coopera con Dio ad edificare

185
l'uomo nella sua pienezza, spiritualmente e, se i] Signore
vuole, anche fisicamente. Questi segni e prodigi sono opera
dello Spirito che è presente in lui, e compie cose che van-
no al di là di ogni aspettativa umana.
"Tutti coloro che erano diventati credenti stavano in-
sieme e tenevano ogni cosa in comune".
Ecco quindi la partecipazione. Il primo dono che comu-
nicavano era lo Spirito ma poi comunicavano anche altri do-
ni: davano agli altri tutto quello che potevano."Chi aveva
proprietà e sostanze le vendeva e ne faceva parte a tutti,
secondo il bisogno di ciascuno. Ogni giorno tutti insieme
frequentavano il tempio e spezzavano il pane a casa, pren-
dendo i pasti con letizia e semplicità di cuore". Ecco i
fratelli minori. Pensate ai primi frati, che erano talmente
gioiosi che non riuscivano a contenersi: "Lodando Dio
e godendo della simpatia di tutto il popolo" (Leggete 1 Cel
38).
Intanto il Signore aggiungeva alla Comunità quelli che
erano salvati. Ecco lo stile dell'operosità di Dio nello
Spirito. Quindi non è un lavoro materiale, ma è immettere
il vigore dello Spirito in questo mondo per trasformarlo,
consacrarlo. La 'consecrazio mundi' si edifica nel lavoro.
Ogni cristiano è reso atto a compiere le opere di Cristo.
Tre opere: la prima è dire parole di Dio, quindi la predi-
cazione della Parola che salva, che rinnova il mondo.
Seconda opera : è sacerdote in virtù del Battesimo e
quindi è capace di consacrare il mondo, prima di tutto il
suo cuore e la sua vita, perché deve restituirla a Dio come
lode di gloria. Quindi glorificazione di Dio, nel proprio
corpo e poi nell'universo.
E poi re: perché porta l'immagine di Dio, quindi non
deve mai umiliarsi, abbassarsi. Vi ricordo una bella para-
bola. L'ha insegnata Gesù Cristo a S . Francesco.
"Quando vai a Roma insegna al Papa così: 'C'era una
donna povera e bella che ha avuto tanti figli bellissimi
dal gran re. E i figli erano poveri, erano nel deserto. Pe-
rò lei li consolava e diceva: 'vedete, siete figli del gran
re, quindi non abbiate paura', ma avevano fame. Un giorno
li porta dal gran re, che dice: 'mi rassomigliano, sono

26
miei, alla mensa del re devono essere educati e nutriti'"
Ecco la caratteristica, la dignità regale: siamo figli
del gran re.
E allora Francesco va dal Papa e gli dice: "Se Dio nu-
tre anche gli uccelli dell'aria, non avrà un pane per i
suoi figli?" E il Papa risponde:
1
"Va bene figliolo, vivi
secondo la tua illuminazione' .
E' importante predicare in parabole e in segni, ma an-
che in immagine, e questa predicazione è tipicamente fran-
cescana. La 'bibbia dei poveri' nelle chiese è predicazio-
ne, annuncio, è opera di apostolato che edifica la Chiesa.
E quindi un frate non può essere come gli altri, deve esse-
re come Francesco, parola e immagine insieme, così anche
nel lavoro. Quindi dovunque arriva riempie il tempio della
gloria di Dio: quindi anche il creato, l'universo. E sapete
quale è il luogo del lavoro? E' il chiostro immenso: l'uni-
verso, dove convengono i frati per operare, dar lode a Dio
ed edificare il suo Regno.

3) La grazia di lavorare

Questo è lo stile nuovo, non si limita ad una sfumatu-


ra, ma è tutto un atteggiamento nuovo. Il lavoro come dono.
Lo vediamo nella Regola Bollata al Cap. V 5 è un passo si-
gnificativo che sintetizza il modo di lavorare dei frati.
E' appunto la grazia del lavoro: FF 88. "Quei frati ai qua-
li il Signore ha concesso la grazia di lavorare, lavorino
con fedeltà e con devozione, così che, allontanato l'ozio,
nemico dell'anima, non spengano lo spirito della santa ora-
zione e devozione al quale devono servire tutte le altre
cose temporali. Come ricompensa del lavoro per sé e per i
loro frati ricevano le cose necessarie al corpo, eccetto
denari o pecunia e questo umilmente, come conviene a servi
di Dio e a seguaci della santissima povertà".
La scelta fondamentale è questa: è tutta qui la teolo-
gia del lavoro. Il lavoro non è condanna, non è peso, è
grazia. E' poter cooperare con Dio. Io vorrei che noi di-
ventassimo cooperatori di Dio.

187
E quanto si dice dei predicatori, vale anche per gli
operatori del bene, con chi coopera con Dio, il quale opera
sempre perché è amore e l'amore non rimane mai inattivo.
E' il cuore che opera e che dona, quindi Francesco anticipa
la teologia del lavoro dei nostri giorni, dicendo che il
lavoro è grazia di Dio, è dono. Quindi ecco il famoso vigo-
re dall'alto che Gesù ha promesso ai suoi discepoli. Dice:
"Aspettate qui finché sarete rivestiti di vigore dall'alto"
(Atti), quindi è Dio che ci abilita ad essere suoi coopera-
tori .
Nel piano della creazione c'è una cooperazione sul pia-
no della vita; quindi generare i figli, ma anche possedere
il mondo, dominarlo, ordinarlo, per restituirlo a Dio. Ec-
co, un esempio lo si può prendere forse da un'opera, l'ope-
ra prima, quella delle Lodi di Dio, che è più facile. Quan-
do Francesco andò nel deserto, a Venezia, ci fu un incontro
con altri operai: gli uccelli. Lavoravano troppo, gridavano
troppo forte, ma Francesco voleva lodare Dio e disse loro:
"Tacete, lasciateci pregare". Quindi ordina il ritmo del
lavoro della creazione, impone un ordine divino dall'alto.
Quindi il frate, se opera, immette questo ordine nuovo
di Dio, immette lo spirito e la vita nel suo lavoro, non
è un operaio qualsiasi, anche se lavora in fabbrica o al-
trove. E' uno che consacra il lavoro e che ha la gioia di
poter cooperare con Dio e quindi rivelarlo nel suo sacrifi-
cio.
Quindi il lavoro è grazia e, se è grazia di benestare,
cioè grazia di beatitudine, è Spirito Santo e quindi vivi-
ficante, è vita, è spirito e vita. Se noi lo materializzia-
mo non è più grazia, non è più dono, non è più Spirito, non
è più vita. E allora si intristisce, perde il suo vigore,
]a sua fecondità, non porta frutto.
E qui si ritorna alla vocazione, alla chiamata: il Si-
gnore non ci ha mandati p e r lavorare e sudare, ci ha manda-
ti per portare frutti. Se il lavoro è vero, porta frutto.
Anche il lavoro manuale è sacro. Gesù Cristo l'ha consacra-
to per trent'anni; la Madonna e S . Giuseppe hanno fatto lo
stesso, quindi dobbiamo consacrarlo anche noi. Anche il la-
voro manuale è capace di essere informato dallo Spirito e

188
di diventare opera di Dio. Così ogni opera creata diventa
opera di Dio capace di glorificarlo.
Ma quanto tempo dobbiamo lavorare? Sempre? Noi non sia-
mo mai fuori servizio. Papa Paolo VI disse un giorno a Ca-
stel Gandolfo, quando gii chiesero: "Ma lei è in ferie?".
"Beh! - rispose - non posso mai andare in ferie dal mio uf-
ficio di pastore della Chiesa". Il frate è sempre a servi-
zio di Dio, è servo di Dio e un servo di Dio non va mai in
pensione.
San Francesco è contro l'ozio, perché? Perché il tempo
è grazia. S . Agostino diceva :" Cos ' è il tempo? Non lo so.
Se non me lo chiedi lo so, ma se me lo chiedi non lo so
più" .
Ma c'è il tempo in senso biblico. Vi siete mai chiesti
cos'è il tempo secondo la bibbia? Bisogna capir la bibbia
anche nella sua struttura, nella sua incarnazione. Cos'è
il tempo, secondo la bibbia? Il tempo è grazia, la bibbia
parla così, non ha date e numeri, ma dice: 'nell'anno tal
dai tali, il tale Re ebbe un incontro con il tal Profeta.
In quale anno? Non importa. Il tempo è un dono di Dio. Se
viene accolto, diviene "tempo di grazia", altrimenti non
esiste più.
Non possiamo permetterci il lusso dell'ozio, il tempo
è dono di Dio, se non l'usiamo andiamo contro di Lui. Quin-
di è un peccato, e non possiamo neppur vanificarlo ma dob-
biamo riempirlo. Da quando è arrivato Gesù Cristo, il tempo
è entrato nella sua pienezza, ecco perché il frate deve o-
perare e non deve stare in ozio, sarebbe la più grande of-
fesa che fa al Signore e anche ai fratelli. Sarebbe una
doppia offesa, perché egli è chiamato a compiere il mistero
del Vangelo di Cristo, quindi a entrare nella pienezza,
sempre.
Quindi deve riempire il tempo o di preghiere o di ser-
vizio, deve riempirlo non soltanto col lavoro manuale, ma
anche col lavoro intellettuale. Anche questo è lavoro.
E cos'è lo spazio, ve lo siete mai chiesti? Cos'è la
distanza tra un astro e noi? Quello è vuoto, non è spazio.
Francesco
;
definisce lo spazio il chiostro dove convengono
frati. Per Francesco lo spazio è rapporto di persone in

189
comunione. Il mondo è questo grande chiostro, come dicono
i frati a sorella povertà, anzi a madonna povertà: "ecco
il nostro chiostro: il cielo è il nostro tetto e il mondo
è il nostro chiostro dove convengono i frati, le persone".
Quindi il lavoro comincia forse dalle mura esterne, come
per Francesco , ma poi entra dentro, edifica la persona,
quindi coopera ad edificare gli altri.
Questo lavoro implica tutte le capacità dell'uomo,
quindi tempo e spazio sono occasioni di grazia per edifica-
re il Regno. E se sono riempite di amore restano, altrimen-
ti non hanno senso. E Dio ha affidato a noi la sua creazio-
ne, affinché la compiamo. Benedizione di Dio significa glo-
rificazione, quindi, quando io restituisco a Dio il creato,
glorifico Dio. Per questo l'Eucarestia è così importante:
compie la Creazione. Teillard de Chardin ha una bella imma-
gine: la Messa sul mondo. Dice che alla fine ci sarà una
grande Messa e l'Eucarestia trasfigurerà ogni cosa.
Quella è solo un'immagine, però è molto bella, ma esige
il travaglio dell'operosità perché l'amore è difficile,
perché è ancora sotto il peso della pena. Quindi noi coope-
riamo nella fatica e nel sudore.
Teillard de Chardin ha un'altra immagine che forse il-
lumina un po' il nostro dramma. Nelle persone, come nel la-
voro, noi vediamo solamente la fatica, l'esterno e non ve-
diamo quello che c'è dentro, come nella Croce. Dice Bona-
ventura: "Noi vediamo l'esterno e stiamo lontani dalla Cro-
ce, la riteniamo pericolosa. Finché Cristo è a Betlemme,
va bene: gli angeli cantano 'pace in terra', va benissimo.
Finché predica e fa miracoli, ancora va bene, ma quando ar-
riva la Croce, basta. Ma dentro la Croce c'è Cristo, c'è
la Sapienza. Si deve avere il coraggio di andar fino alla
Croce e poi, attraverso la Croce, alla Risurrezione".
Ma torniamo a Teillard de Chardin. Ha un'immagine molto
bella: il frate minore non ha nulla di proprio, neppure
l'operosità è sua, la forza gli viene da Cristo e dallo
Spirito Santo. Quindi dovunque arriva un frate, lì arriva
Cristo. Lui è l'araldo del gran re.
T . de Chardin mette questa immagine in bocca a un suo
amico, ma è lui che ha questa esperienza mistica, che è

190
pubblicata nei quaderni postumi ad Amsterdam. Dice: "Un
giorno camminando, medita in questa grande città: cosa av-
verrebbe se adesso venisse Gesù per compiere l'universo?
(ho detto prima che noi siamo chiamati a compierlo). Cosa
avverrebbe? Entra in chiesa, si inginocchia davanti a una
grande statua del Sacro cuore, quella statua si illumina
ed egli contempla la chiesa piena di gente. Ma ciò che è
più bello, li vede tutti veri, trasparenti in quella luce,
veri, compiuti. E rimane incantato, guarda ancora, fissa
e si accorge che sta contemplando gli occhi di un uomo mo-
rente. Ecco i due momenti: il travaglio dell'operosità del-
la Croce e il compimento finale nella visione della verità.
Ques to è ciò che devono fare i frati, con la loro presenza,
dovunque siano.
E c'è uno spirito francescano per operare. Vediamo S .
Francesco. Operava sempre. Il famoso segno del carro di
fuoco, ve lo ricordate? Egli opera 'per praesentiam'.. S. Bo-
naventura dice che Cristo incarnato ha operato 'per presen-
tiam', la presenza basta per fare tutto. In quanto è lì lui
opera, quindi dà la vita. Se una vita è donata, è la più
efficace. Un corpo per la vita è già donato.
S . Francesco stava pregando, e mentre prega, i frati
che sono la a Rivotorto vedono arrivare un carro di fuoco
che fa tre giri, con sopra un globo luminosissimo. Ma il
bello era che ciascun frate si vedeva vero. Quella è l'ope-
ra, rende vero l'altro. E ognuno si vedeva trasparente nel-
l'altro, non c'era più barriera. Quindi operava la comunio-
ne della Chiesa. E i frati rimasero incantati e ognuno per-
cepiva che era Francesco. E di fatto lui arrivò} forse sta-
va preparandosi per fare una predica, poiché il giorno do-
po doveva predicare in Duomo. Quindi torna indietro e co-
mincia a rimare i loro pensieri, a fare un bel canto, una
bella poesia.
Ecco l'opera prima: la fraternità che rende veri. La
Verità è l'opera piena: Gesù muore per la Verità. Quindi e-
dificare il regno dentro i cuori delle persone è la prima
opera, come ciò si faccia è secondario. La Madonna ha ope-
rato quelle poche cose in casa, però è la più grande. Quin-
di chi ama di più opera di più e compie il tempo nella pie-

191
nezza.
S . Francesco parla tanto bene del lavoro. E quale è
stato il lavoro principale di Francesco? Era la preghiera,
era stare col Signore. Stare col Signore non è facile, è
un lavoro d u r o , c'è la tentazione del deserto, anche per
noi.
Non dimentichiamo che anche la preghiera è un lavoro,
un lavoro difficilissimo, il più difficile ed esigente dei
lavori. E' più facile fare altri lavori che fare questo.
Il lavoro deve essere onesto, quindi deve essere ordinato
secondo il ritmo dell'amore e dello Spirito e deve essere
fatto con devozione, cioè consacrato. Quando io lavoro si
consacra la Chiesa. La 'devotio' deriva da 'devovere' che
significa fare un voto e regalarlo a Dio. Ciò che era pro-
fano diventa sacrificio, viene reso sacro. Il frate offre
un sacrificio anche lavorando con le sue mani, spazzando
o cucinando. Ciò che è profano, che può essere oggetto
di protesta o di ribellione, ciò che serve per procurare
il denaro, deve essere reso sacro: questo è il lavoro.

4) La consacrazione del lavoro |

'Sacrum facere', 'sacrificium'. Sono sacerdote, quindi


in virtù del Battesimo lo regalo a Dio: ecco l'Eucarestia
perenne, la vita come glorificazione di Dio, come lode di
gloria. Prendo il mondo e consacro tutto l'universo, non
lo prendo per m e , lo regalo a Dio. Come la Vergine Chiara,
così ogni creatura ha la sua verginità, perché è del Signo-
re. Lo raccolgo e lo restituisco e permetto che sia parola
di Dio, che risuoni alla sorgente.
Proprio come glorificazione, proprio come le stelle che
mandano i raggi e dicono: "Siamo qua, grazie Signore, siamo
felici di risplendere", così l'uomo, la creatura, raccoglie
tutti i beni, ogni bene, non soltanto i beni spirituali,
ma anche gli altri, perché son tutti doni del Signore e
glieli restituisce tutti.
Questa è l'opera, il lavoro di un frate, un lavoro
francescano, raccogliere tutto ciò che c'è nel mondo e
consacrarlo, farne un sacrificio, non per sé, non per accu-

192
mulare, ma per regalarlo a Dio.
Vi porto un esempio: delle sorelle in una piccola comu-
nità del Nord chiamano ogni tanto un uomo a lavorare. Per
ricompensarlo gli danno dei doni, della frutta fresca o al-
tro e lui non li tocca e dice che li porta a sua moglie.
E' bellissimo. Non vuol mangiar nulla da solo, regala il
meglio a lei perché sia felice.
Così noi dobbiamo fare col Signore, lui ci ha sposato,
che ci crediamo o no, ci ha sposato. Non siamo Chiesa? C'è
un amore sponsale che celebriamo in convento; la festa del
Regno la facciamo ogni giorno. Quindi, se ci crediamo, il
meglio si regala al Signore, a Lui si regala tutto il bene.
Fatichiamo, portiamo il peso, portiamo la Parola di Dio.
Anche la Parola di Dio è un peso. Quando vengono consacrati
i Vescovi, mettono il Vangelo sulla loro testa: stare sot-
to, senza scappar via, è difficile.
Quello è il primo peso, ma poi ci sono anche gli altri
pesi; quello dei fratelli e altri. Si devono portare volen-
tieri, perché è croce del Signore? si porta la croce del
Signore e si dà la mano anche agli altri? non si deve pesa-
re sull'altro, ma dargli una mano, aiutarlo.
Quindi lavorare insieme, cooperare, edificare insieme
il Regno è sempre croce del Signore. Può essere deserto o
può essere anche città, può essere qualsiasi lavoro, ma di-
venta un cooperare con Dio e un rendere sacro ciò che è
profano. Qui si consacra la Vergine Chiara e anche la Vergi-
ne Madre Chie sa e anche il vergine Frate. Si consacra qui,
operando nello Spirito. Quindi il vigore dall'alto consacra
. lui e ogni sua opera, perché? Quando la Madonna disse di
sì, si mise in movimento, non poteva più stare ferma e si
mise ad operare subito. Andò di corsa ad aiutare Elisabet-
ta. Vide che aveva bisogno e portò, non solo le sue mani
e i suoi piedi e la sua opera, ma portò il frutto dell'amo-
re donato e consacrato dallo Spirito: portò Gesù Cristo.
Un frate che opera dona sempre Gesù Cristo, non dona
qualcosa, ma Qualcuno, con l'unica gioia di potere edifica-
re insieme il Regno e restituirlo al Signore. Se non ha il
pane, va alla mensa del Signore, del gran Re? lui sa che
ha diritto di ricorrere alla sua mensa? Lui gli darà da

193
mangiare, perché è fedele.
Quindi c'è un nuovo concetto di lavoro, che non è ri-
dotto alla schiavitù, o all'oppressione, o al guadagno.
Francesco è libero da ogni cosa, egli spazia nei cieli di
Dio ed immette un vigore nuovo, un ritmo nuovo nella sto-
ria. E' questo il ritmo dello Spirito che consacra ogni co-
sa .
Quando dice che la Vergine fatta Chiesa è poi consacra-
ta dallo Spirito Santo, egli ci indica un modo di edificare
il Regno, di operare. Come la Chiesa viene consacrata, così
ogni opera di Dio deve essere consacrata. L'opera prima è
la preghiera; l'opera seconda siamo noi, tutto il nostro
corpo e ogni cosa che facciamo. Se siamo figli e se obbe-
diamo, diamo lode al Padre, se facciamo qualcosa lo faccia-
mo per Lui. Un servo invece, fa il suo servizio e basta,
poi prende la paga. Purtroppo spesso abbiamo animo servile.
Ci sentiamo servi e schiavi, non figli.
Torniamo alla vocazione di cui abbiamo parlato il primo
giorno. La gioia di essere figli di Dio è la prima beatitu-
dine. Francesco l'ha capito. La povertà non è qualcosa, non
è rinunciare, la povertà è , C r i s t o . L'altissima povertà è
Cristo: questo è il Regno, la Terra dei viventi. Quindi o-
gnuno non ha nulla da rimpiangere, deve lavorare anche tut-
ta la vita pur di annunciare Cristo, pur di edificarlo.
Come ricompensa del lavoro, si ricevano le cose neces-
sarie per il corpo, tanto per sostenerci; il resto non con-
ta. Non si deve avere denaro, Francesco lo rifiutava. Egli
era molto esigente, non voleva niente, come si conviene ai
servi di Dio. Ecco, egli è l'araldo del gran Re e servo di
Dio, non è servo di altri. E si qualifica come operaio, co-
me uno che ha capito che la vita ha senso in quanto entra
nella pienezza. Ecco la gioia di partecipare tutto.
La terza opera è importante. Chi è in convento non può
essere frate mosca. Francesco si oppone a frate mosca, per-
ché non si può vivere a spese degli altri, non si può ruba-
re il pane degli altri; ognuno deve aver la gioia di parte-
cipare il suo dono. E qui ci sono tre atteggiamenti sba-
gliati: i tre vizi capitali. La superbia, l'invidia e l'ira
sono tra i più comuni in convento. L'invidia mi toglie il

194
prossimo, l'ira mi toglie me stesso, e la superbia mi to-
glie Iddio.
Per questo prima si parlava delle virtù. Bisogna essere
nell'amore per poter operare il bene. Al contrario dell'in-
vidia, io godo dell'opera dell'altro; questo è cooperare
insieme. Quindi il bene si moltiplica. Poi io non mi lascio
provocare dai difetti, dal male dell'altro, ma partecipo
il mio dono con gioia. Dò una mano, se posso. E questo lo
facciamo insieme, a lode di Dio, quindi consacrandolo.
C'è uno stile nuovo, un modo nuovo di operare, ma anche
la gioia di partecipare. E qui ognuno ha un modo proprio.
Accennavo prima, all'inizio, che c'è un dono proprio, un
proprio talento. Ora, ogni frate ha un suo dono, un suo ta-
lento; deve riconoscersi e identificarsi come un grande co-
ro. Facciamo un esempio. Come ognuno deve cantare con la
sua voce, così io devo riconoscermi nella Parola che mi ha
chiamato e identificarmi in quella, per intonarmi con gli
altri. Io non posso vivere a spese degli altri, ma devo
articolare la mia voce e anche esprimere il mio dono, mani-
festarlo, per edificare insieme agli altri, altrimenti sono
infedele, perché consumo il dono senza parteciparlo.
Ogni dono è per la edificazione comune. Quindi anche
in questo devo rendermi utile all'altro ed essere contento
di poter lavorare per gli altri. Non so se voi avete mai
vissuto da soli; io sono rimasto solo per alcuni anni quan-
do ero in Germania ed ho mangiato poco volentieri, da solo.
La mensa è segno di comunione, quindi io preparo e regalo
all'altro, si mangia insieme. Neppure il Papa è contento
quando mangia da solo. Papa Giovanni una volta disse: "Come
mai qui si mangia da soli?". "Ma il Papa ha stabilito...".
"Ma anch'io sono Papa... venite qua e mangiamo insieme!". E'
importante anche questo: condividere.
E qui c'è uno sviluppo di Chiesa, l'ordine entra nella
Chiesa proprio operando. In questo secolo c'è un cammino
nella teologia della Chiesa. La prima scoperta: noi siamo
corpo di Cristo. La gioia! Siamo Chiesa! Guardini dice nel
1920-21 che un fatto di straordinaria importanza sta irrom-
pendo nel mondo: la Chiesa nasce nel cuore dei fedeli. Sia-
mo Chiesa, è bellissimo. Il Papa Pio XII coglie questo mes-

195
1
saggio e ne deriva ]a 'Mistici Corporis , la Chiesa Corpo
Mistico.
Però noi tendiamo sempre ad appropriarci del dono: ecco
il disastro, e ne facciamo una barriera, una roccaforte di
difesa, un possesso. 11 vantaggio del Concilio è che ci ha
messo in movimento: Popolo di Dio nell'atteggiamento della
sposa, la quale è fedele, ma anche infedele, perché siamo
peccatori. Quindi Corpo di Cristo ma nella libertà della
sposa, che può essere fedele o infedele.
Ora siamo arrivati al terzo punto: sentirsi Chiesa è
l'unico modo di lasciarci coinvolgere. Ecco la partecipa-
zione .
Come frati siamo già da otto secoli che partecipiamo
insieme. Noi siamo antesignani, siamo proprio pionieri in
questo campo, dovremmo annunciarlo a tutto il mondo. La de-
mocrazia moderna l'abbiamo avuta noi, perché nasce dallo
Spirito Santo, che partecipa il dono, lo condivide. L'auto-
rità come servizio l'abbiamo noi frati, quindi anche nel
lavoro dobbiamo avere un ordine nuovo che non è di potenza
o di prepotenza, bensì di partecipazione. E quindi anche
nei conventi e in qualsiasi lavoro, la gioia di poter comu-
nicare. Io ho un dono e te lo regalo, te lo partecipo. Tu
hai un dono e me lo regali e me lo partecipi: e li mettiamo
insieme, e allora tutti sono felici.
Il bene si moltiplica e fa felici tutti. Donando si ri-
ceve. Quindi è un modo nuovo anche questo, che è la rispo-
sta a tutte le contese di oggi, sindacali e non sindacali.
Il frate ha risolto il problema in bellezza perché ama e
l'amore trova subito la soluzione dicendo: "Te lo dono".
Non è che il frate non debba anche perseguire la giustizia
sociale, anche questo è un compito bello e buono, però il
frate ha lasciato il possesso di queste cose per essere
contento di ciò che gli dà il Signore; quindi non deve ave-
re nulla di proprio sotto il cielo. Vivendo così, annuncia
questa dimensione nuova, immette questo vigore, questo spi-
rito nuovo nel mondo, perché anche il lavoro diventi opera
dello Spirito, diventi quindi una grazia e un dono che è
partecipato, e quindi che è comunicazione e gioia di vivere
insieme.

196
Una vita che si partecipa e si comunica, un'operosità
che viene amalgamata insieme, ordinata secondo un ritmo
dello Spirito di Dio, e poi la gioia di consacrare ogni co-
sa, restituirla a Dio e anche agli altri? quindi la lode
restituisce a Dio e consacra e poi diventa nutrimento>dei
fratelli, un modo di essere madre. Il frutto del mio lavoro
te lo partecipo per darti la vita e sostenerla come servi-
zio cortese e materno. Quindi.delicatezza, cortesia e tene-
rezza materna caratterizzano il lavoro di Francesco.

197
VII Lezione: L'AMORE PER LE CREATURE

1J Ogni creatura è parola di Dio: una parola stu-


penda

2) L 'universo nella sovrana dignità di creatura di


Dio e sua splendida rivelazione

3) L'uomo, immagine e somiglianza di Dio, intona il


Cantico delle Creature divenendo piena lode di
gloria.

——

1) Ogni creatura è parola di Dio: una parola stupenda

Oggi consideriamo un altro capitolo di vita france-


scana, che diventa messaggio spirituale e dono di S . Fran-
cesco e dei suoi figli santi e sapienti a quanti desiderano
condividerne l'esperienza salutare: l'amore per le creature
Innanzitutto dobbiamo purificare il cuore ca ogni de-
siderio di possesso e chiedere umilmente e devotamente a
Dio di sintonizzarci al ritmo della sua parola di vita.
Poiché ogni creatura porta nel suo intimo, nel mistero del-
la sua esistenza, un messaggio divino: essa risuona nella
Parola che l'ha donata alla vita e che la caratterizza nel
suo rapporto di dipendenza da Dio, suo munifico e sapien-
tissimo Creatore. "Ogni creatura è parola di Dio, perché
annuncia Dio", una parola viva ed espressiva, che l'occhio
contempla con ammirazione e riverenza, dice San Bonaventu-
ra, interpretando l'esperienza di San Francesco: (S.Bonav.,
Comm. in Eccl.,C.1,v.11 ;q. 2; Op.Omnia,VI,lób). Ma "il rag-
gio divino non rifulge se non a coloro che vivono secondo
lo Spirito, non si espande se non negli umili, non riposa
se non sopra i devoti" (S.Bonav.,Dom. I Adv., Sermo 5, Ope-
ra Omnia,IX,30b) . Per questo un'altra immagine ci illumina
sull'atteggiamento di riverenza verso la creatura, che ap-
pare nella sua dignità di figlia di Dio. Il mondo è "come

198
l'anello da sposa che il Figlio di Dio ci ha messo al dito,
perché lo usiamo in memoria e per amore dello Sposo". Siamo
quindi re e regine, inanellati dal Re dei Re, Gesù Cristo.
Ma egli è fedele ed esige la nostra fedeltà anche riguardo
alle creature. "L'anima è creata ad immagine di Dio e quin-
di egli solo le è proporzionato, la soddisfa e la diletta
pienamente" (S. Bonaventura, Sermo De Regno Dei, Op.Omnia,
V,542b). Per questo, se essa si rivolge alla creatura per
appropriarsela, ne offusca la bellezza e ne contamina il
messaggio, la umilia, rendendola schiava del suo desiderio
o del suo possesso. Per questo Bonaventura chiarisce l'im-
magine dell'anello, indicando il crogiuolo nel quale si
tempra la fedeltà della sposa: l'uso dell'anello. Se lo
porta per amore dello sposo e in sua memoria, rimane fede-
le, se invece ama più l'anello dello sposo, diventa adulte-
ra e contamina se stessa insieme all'anello (S.Bonav.,Comm.
in Eccl., Proem.q.l, resp.; Op Omnia,VI,6b). Le voci delle
creature sono varie per intensità e vigore, poiché "l'uni-
verso è come un bellissimo carme, che si snoda secondo ot-
timi accordi e consonanze, finché perviene al proprio fine,
di esprimere il Creatore" (S.Bonav., I Sent.,d.44,a.1,q.3;
Op.Omnia,I,786b). L'immagine illustrativa di Bonaventura
è quella della cetra: "le corde sono armonizzate in modo
che vi sia la debita proporzione, se si tira maggiormente
una corda, per farla suonare più forte, non c'è più armonia
(consonanza)" (S.Bonav.,1 Sent.,d.44,a•1,q.3 conci.; Opera
Omnia,1,787a). "Tutte le creature, secondo le loro proprie-
tà sia di perfezione che di debolezza, con voci fortissime
e altissime proclamano l'esistenza di Dio, del quale esse
hanno bisogno per essere sostenute o per venire perfeziona-
te, per cui secondo la minore o maggiore perfezione che
esse hanno, alcune con voci forti, altre con voci più for-
ti, altre infine con voci fortissime, gridano che Dio esi-
ste" (S.Bonav., Quaest.Disp. De Mysterio Trinitatis, q.l,
a.1 conci.; Opera Omnia,V,49a).
Francesco, Bonaventura, e noi ora, tutti i francescani
incontrano le creature con simpatia, le incontrano viventi
nell'atto corale di esprimere la lode di Dio. L'universo
esulta e si ammanta di luce allo sguardo pieno di amore

199
di chi incontra in esso il suo Dio e ne raccoglie ricono-
scente la voce, per farla risuonare in sinfonia d'amore,
liberando ogni essere dalla schiavitù del peccato, per im-
metterla nell'armonia della creazione redenta. Perché ogni
creatura si riconosce nella sua pura fonte sorgiva, ma solo
l'uomo è capace di esprimerne la beatitudine, in un vivo
palpito d'amore, che tutte le raccoglie e le consacra, re-
stituendole a Dio come pura lode di gloria. Bonaventura
si fa interprete di questa emozionante esperienza: "Tutte
le creature esprimono Dio, che cosa farò? Canterò insieme
a tutte!" (S.Bonaventura).
Alla Verna poi c'è una sfumatura caratteristica, l'in-
tonazione avviene sulla cetra dei Serafini ardenti: "Come
dunque si quieterà il moto dei mondi? Dico che gli astri
si muovono per servire il loro Creatore. Questo concento
spetta a tutta la gerarchia angelica di nove ordini, secon-
do che essi sono reciprocamente ordinati. E sopra di sé
la gerarchia angelica ha la Vergine gloriosa e la beata
Vergine sopra di sé ha il Figlio suo Gesù Cristo... Il con-
c e n t o dei cieli è l'armonia della lode angelica, poiché,
come nella cetra ogni corda suona secondo il timbro e il
ritmo che le è proprio, così, secondo i doni e le virtù
nella gerarchia angelica dei nove Ordini e delle nove Bea-
titudini, vi è una mirabile consonanza di cantici e di lau-
d i . Secondo il Salmo 83,5: "Beati quelli che abitano nella
tua casa, o Signore", poiché è beato colui che può lodare
Dio con gli Angeli; per questo il Salmo 137,2 dice: "Alla
presenza degli Angeli canterò a Te, o Dio" (S. Bonaventura,
De sanctis Angelis, Sermo 1 Opera Omnia, IX,6l2b-6t3a).
"Gli Angeli discendono sulla teiera per cantare le lodi
di Dio; similmente trasportano verso l'alto (sursum agun-
tur) per lodare Dio. Essi lodano Dio Padre come originale
principio del Verbo e lodano il Padre e il Figlio come prin-
cipio dello Spirito Santo e lodano il Padre e il Figlio
e lo Spirito Santo come principio originale di tutte le
creature; e in questo fatto che il Verbo parli (si esprima
"nella verità della carne" - S.Leone Magno,Ad Flavianum),
loda il Padre e lo Spirito Santo, e lo Spirito Santo loda
il Padre e il Figlio, e tutta la Trinità loda se stessa"

200
(S.Bonaventura, De sanctis Angeiis, sermo 1, Collatio? Ope-
ra Omnia,IX,6l6b).
Noi purtroppo siamo freddi e non riusciamo ad accen-
derci per accordarci a questa lode perenne, che raccoglie
nella cetra degli Angeli Santi tutta la lode dell'universo
e la restituisce alla Trinità creatrice, come sinfonia del-
l'amore e canto della vita.
S . Bonaventura sospira e dice: "Speriamo di avere gli
Angeli come nostri concittadini e di venire illuminati dal-
la loro luce, di essere vivificati dalla loro vita e di
essere riempiti della loro gioia" (S.Bonaventura, De san-
ctis Angeiis, sermo 1, Opera Omnia,IX,òl2b). Poiché "gli
Angeli sono deiformi", in quanto rifondono (fanno fluire)
i carismi delle grazie che essi ricevono da Cristo, nel
Corpos e r mistico
m o
della Chiesa"(S.Bonaventura, De S.Stephano
Opera Omnia,IX,480b). "Gli Angeli sono talmen-
te rapiti dalla visione di Dio e perfettissimamente ordina-
ti a Lui, che ormai non possono più venire turbati né a-
scendendo alla contemplazione di Dio né discendendo per
"ministrare" (per servire ufficialmente) all'uomo; poiché,
contemplando Dio "faccia a faccia" (l Cor 13,12), "quocum-
que mittantur, intra Deum currunt" (dovunque siano mandati,
essi corrono in Dio)"(S. Bonaventura, Brevi!oquium, p.2,c.85
Opera Omnia, V,22óa). Quindi è Dio stesso che ci visita, ci
corrobora e ci abilita al suo servizio e alla sua lode,
mediante il ministero de^li Angeli.
S . Bonaventura, nell'Itinerarium mentis in Deum (cap.
4) Op.Omnia,V,306s.) inserisce l'azione degli Angeli nel-
l'opera diretta di Gesù Cristo, il quale riveste l'immagine
della nostra mente (supervestienda) con le tre virtù teolo-
gali, mediante le quali l'anima viene purificata, illumina-
ta e resa perfetta"(cap.4,3), quindi riordinata, secondo
il progetto di Dio, nella sua arte perfetta che è il Verbo.
"Occorre, dunque, rivestire l'anima nostra delle tre
virtù teologali, per mezzo delle quali viene purificata,
illuminata e perfezionata, in modo che l'immagine divina
si riforma conformandosi così alla sua patria celeste e
diviene parte della Chiesa militante, figlia della Gerusa-
lemme celeste, come dice S . Paolo: "La Gerusalemme celeste

201
è libera ed è madre nostra"(Gal 4,20!. L'anima dunque che
crede, spera, ed ama Gesù Cristo, verbo incarnato, increa-
to e ispirato, cioè "Via, Verità e Vita (Gv 14,6), creden-
do in Cristo come Verbo increato e splendore del Padre,
recupera l'udito spirituale, per ascoltare le parole divi-
ne; la vista per contemplare gli splendori della sua luce;
sperando in Cristo ispirato riacquista, col desiderio e
l'amore, l'olfatto spirituale; amando il Verbo incarnato,
che la riempie di esultanza e, come passando in Lui median-
te l'estasi dell'amore, ricupera il gusto e il tatto. Ria-
bilitati i sensi, l'anima, mentre vede, gusta, abbraccia
il suo Sposo, quale sposa (si pensi all'anello!), può can-
tare il Cantico dei Cantici che fu scritto per questo quar-
to grado di contemplazione, che non è compreso se non da
chi lo esperimenta, consistendo più nell'esperienza dell'a-
more che nella speculazione razionale. In questo grado in-
fatti, riacquistati i sensi interiori per vedere ciò che
veramente è bello, per udire ciò che è sommamente armonio-
so, per odorare ciò che è al sommo odoroso, per gustare
ciò che è realmente soave e possedere ciò che è sovranamen-
te dilettevole, l'anima si trova disposta ai rapimenti del-
l'estasi con la devozione, l'ammirazione e l'esultanza,
corrispondenti alle tre esclamazioni del Cantico dei Canti-
ci. La prima delle quali proviene dall'abbondanza della
devozione, nella quale l'anima diviene "come una piccola
colonna di fumo, formatosi dagli aromi della mirra e del-
1'incenso"(Ct 3,6). La seconda scaturisce dall'estatica
ammirazione, per cui l'anima diviene "come l'aurora, la
luna e il sole"(Ct 6,10), secondo la graduatoria delle il-
luminazioni che la elevano alla contemplazione dello Sposo;
la terza poi scaturisce dall'intensità della gioia per cui
l'anima, rivolta unicamente al suo Sposo, è ricolma di soa-
vissime delizie"(Ct 8,5).
Compiuta questa iniziazione, il nostro spirito diventa
gerarchico (cioè illuminato, purificato, perfetto!) nelle
sue elevazioni, in conformità a quella Gerusalemme celeste,
nella quale nessuno può entrare se essa stessa non entra
nel suo cuore con la grazia, come vide S . Giovanni nell'A-
pocalisse ( Ap 21,2). Essa discende nel cuore, quando il

202
nostro spirito, per il ristabilimento del1'immagine divina
in lui. per le virtù teologali, per le gioie dei sensi spi-
rituali e i rapimenti estatici, diventa gerarchico, cioè
purgato, illuminato e perfezionato. Viene pure insignito
di nove gradi, corrispondenti ai nove Cori degli Angeli:
l'annuncio, il consiglio, la guida? l'ordine, il vigore,
il comando? l'accoglimento, la rivelazione, l'unzione. I
primi tre riguardano la natura della mente umana; gli altri
tre i suoi atti; gli ultimi la grazia. Con questi doni,
entrando in se stessa, l'anima penetra nella Gerusalemme
celeste dove, considerando i Cori degli Angeli, vede che
Dio risiede al di sopra di essi. Dice infatti San Bernardo
nell'opera dedicata al Papa Eugenio (De Consideratione,V,
c.5,n.12;PL182,795): "Dio ama nei Serafini come carità,
conosce nei Cherubini come verità, risiede nei Troni come
giustizia, impera nelle Dominazioni come maestà, regge nei
Principati come principio, difende nelle Potestà come sal-
vezza, opera nelle Virtù (si pensi alle "sante Virtù" di
cui parla S . Francesco nella preghiera alla Vergine! Bo-
naventura, come Francesco, considera gli Angeli sul piano
della grazia, "per grazia e lume dello Spirito Santo sono
infuse nel cuore dei fedeli, per renderli da infedeli fede-
li a Dio"-FF 261-) come vigore (forza), rivela negli Arcan-
geli come luce, assiste negli Angeli come pietà". Perciò,
contemplando l'anima, in cui Dio abita con i doni del suo
amore infinito, si vede che "Egli è tutto in tutte le cose"
(1 Cor 15,28)"(S.Bonaventura,Itinerarium mentis in Deum,
4,3-4} Opera Omnia,V,306b-307a), la traduzione è di P.Gau-
denzio Melani,OFM, nella Collana "L'Abete" della Verna 93-
101).
Mi perdonerete questa lunga citazione. Ma credo pro-
prio che sia necessaria per comprendere quanto Francesco
ha sperimentato qui alla Verna, che non è solamente un in-
contro con Dio, ma un incontro con tutto il creato, nella
perfezione massima dell'amore dei Serafini, e una conoscen-
za del creato nella luce piena di Dio, nella sinfonia divi-
na della sua multiforme sapienza.
Per comprendere il linguaggio delle cose, per accorda-
re il canto della creazione, è necessario preparare l'an-

203
tenna interiore, ristabilire l'armonia dell'uomo con Dio.
Solamente allora è possibile quella intesa e quella colla-
borazione, che sono il compimento dell'universo nella lode
del suo Creatore.
Appare così evidente, come "la multiforme sapienza
di Dio" (Ef 3,10), che viene chiaramente trasmessa nella
Sacra Scrittura, sia nascosta in ogni conoscenza e in ogni
natura. Appare pure evidente che tutte le conoscenze sono
a servizio della teologia? e quindi essa assume gli esempi
e si serve di vocaboli riguardanti qualsiasi genere di co-
noscenza. Appare ancora edidentemente quanto sia ampia
la via illuminativa e come in ogni cosa che si percepisce
o che si conosce, "interius lateat ipse Deus (nell'intimo
si celi lo stesso Dio)". - E questo è il frutto di tutte
le scienze, che in ogni cosa si edifichi la fede, "sia ono-
rato Dio"(1 Pt 4,11), siano composti i costumi, vengano
attinte le consolazioni che si esperimentano nell'unione
dello sposo e della sposa, la quale si realizza mediante
la carità, in cui termina tutta l'intenzione della sacra
Scrittura e,per conseguenza^ogni illuminazione che discen-
de dall'alto, e senza la quale ogni conoscenza è -ana, per-
one non si perviene mai al Figlio di Dio se non mediante
lo Spirito Santo, che "ci insegna la verità tutt'intera"
(Gv 16,13), che è benedetto nei secoli dei secoli.Amen"(Rm
1,25)"(S.Bonaventura,De Reductione Artium ad Theologiam,
n.26? Opera Omnia,V,325b).
Si tratta quindi di percepire il creato nella sua im-
mensa gamma di voci e di risonanze e di armonizzare tutta
la vita dell'uomo e ogni sua conoscenza, al ritmo e secondo
l'intensità della Parola rivelata, per cui essa viene chia-
mata da S . Bonaventura "Croce intelligibile"(Breviloquio,
Prologus,6; Opera Omnia,V,208a). Essa apre il mistero del
creato nella luce della Croce, che, imprimendosi nella men-
te, "sotto forma di una certa croce intelligibile, nella
quale viene descritto e in qualche modo si contempla con
la luce della mente tutta la macchina dell'universo", si
comprende che "c'è una grande bellezza nella macchina del-
l'universo, ma molto più grande è nella Chiesa, adornata
dalla bellezza dei santi, massima però nella Gerusalemme

204
1

celeste, super-massima infine nella Trinità somma e beatis-


sima" ( S . Bonaventura , Breviloquium, Prologus,3 5 0pera Omnia
V,205a). '
"Lò Spirito Santo, che vive e dimora in noi, ci rende
simili a quella somma Trinità, come dice il Signore: "af-
finché siano uno, come Noi siamo uno (Gv 17,22)"(S.Bonaven-
tura , i_Sent^,d.10,a.1,q2,fund.4,Opera_Omnia,I,I97 a ).
Si tratta quindi di scoprire l'universo come il grande
tempio della gloria di Dio, nel quale si celebra la grande
liturgia della Parola, nella quale tutto il creato è stato
espresso come nella sua arte divina e si raccoglie nell'in-
no eucaristico della C h i e s a .
Per San Bonaventura è questo il mistero della rivela-
zione di Dio, che è carità, nel fuoco vivo dello Spirito
Santo, prefigurato nel Roveto Ardente (Es 3,lss.), reso
celebrazione profetica nella visione del tempio di'Isaia
(Is 6,2ss. ), illuminato nella Colonna di fuoco, che prece-
deva il popolo eletto, trasformando la notte in giorno (Es
14,19-21), rappresentato dai due Cherubini, che custodivano
la sua gloria nel Santo dei Santi del Tempio di Gerusalem-
m e , e finalmente espresso nel fulgore della luce dell'Uma-
nità di Cristo, e reso fiammante dal "carbone ardente del-
l'Altare", partecipato dal ministero dei Serafini (cfr.
Is 6,6), diventa meriggio infuocato nella Croce di Cristo
e fa sprizzare dalla chiusura del sepolcro la luce nuova
che vide ascendere il Primo dei Risorti, inaugurando il
tempo della speranza cristiana e dell'attesa del compimento
della creatura mortale nella piena comunione dell'amore
nella Comunione dei Santi, ossia nella comunione con il
Santo dei Santi, con il Santissimo e con tutti i Santi,
con tutte le creature santificate dall'amore e purificate
dalla Croce, rese quindi libere di intonarsi al Cantico
delle altezze di Francesco, intonato sull'arpa dei Serafi-
ni, e ri suonato nel suo cuore ardente proprio qui, quando
il suo cuore, toccato dalla punta della croce di Cristo,
s'accordò come arpa divina, per raccogliere tutte le lodi
dei santi, tutte le voci dell'universo.
E' l'esperienza della "somma sapienza" (Amm 5,6:FF
154) concessa come dono straordinario al serafico padre

205
Francesco.
"Gli riusciva più facile compiere le cose più perfette
che predicarle, poiché più che le parole, che rivelano la
virtù ma non fanno l'uomo virtuoso, impiegava tutte le sue
forze in opere sante. Perciò sicuro e lieto cantava a sé
e a Dio "canti di letizia nel suo cuore"(Ef 5,19). Per que-
sto, a lui che si è rallegrato tanto della rivelazione più
piccola, ne viene elargita una ben maggiore, ed "essendo
stato fedele nel poco, gli è dato autorità su molto"(Mt
25,21)"(1 Cel 93:FF 483).
Il Celano intende parlare dell'esperienza delle Stim-
mate, che, per me, se-gnano il momento di piena illuminazio-
ne di Francesco non solo di fronte a Dio, ma anche di fron-
te al creato, e gli permettono quindi di incontrare ogni
creatura, avvolgendola con tutta la tenerezza della croce
di Cristo. Ogni creatura sarà quindi quella ombra "materna"
che custodisce la croce di Cristo e prepara l'avvento del
suo Regno, quando le sarà concesso di lasciar risuonare
la voce che porta dentro come mistero della sua vita e di
lasciar risplendere quella luce, come irradiazione della
divina sapienza e lode di gloria del Sommo Artefice.
E' nell'Umanità del Figlio di Dio che avviene il gran-
de accordo della creazione ed e mediante la sua croce che
si intona il canto nuovo degli eletti. In essa si compie
il mistero del roveto ardente e si esprime nella pienezza
la Parola in cui ogni essere è stato espresso, nel Figlio
di Dio, come nella sua Arte perfettissima. Commentando Es.
3,2s., il Dottore Serafico scrive: "Il Roveto pieno di spi-
ne è la passibilità della carne? la fiamma è l'anima di
Cristo, piena di lumi e del fuoco della carità? la luce
è la divinità? la luce congiunta al roveto mediante la
fiamma, è la divinità congiunta alla carne mediante lo Spi-
rito ossia mediante l'anima" (S.Bonaventura,In Hexaemeron,
Collatio 3,13?Opera Omnia,V,345b). Anche la gloria di Dio,
che riempie il tempio di cui parla Isaia, non è che l'e-
spandersi dell'umanità di Cristo, "come pienezza di Colui
che si realizza interamente in tutte le cose" (Ef 1,23).
"Che cos'è ciò che si trovava sotto il Signore e "sopra"
i Serafini e "riempiva il tempio" se non l'Umanità del Fi-

206
glio di Dio"?(S.Bonaventura,De Purificatione B.V.Mariae,
sermo 4? Opera Omnia,IX,651b)~ ~~
E' celebrando la sua Pasqua qui sulla Verna, ossia
"passando definitivamente in Gesù Cristo, nel mistero della
sua Umanità crocifissa, che Francesco percepisce tutta la
tenerezza del Cuore del Padre e quindi conosce ogni sua
creatura, amandola di vero cuore. Noi, purtroppo, siamo
lontani da quei vertici di percezione interiore e fatichia-
mo a riconoscere le creature nella luce di Dio. Per questo
abbiamo bisogno della mediazione degli Angeli, che sempre
contemplano il suo volto e "per mille mondi non distrarreb-
bero per un solo istante il loro sguardo da Lui"(S.Bonaven-
tura). Non ce l'ha promesso Gesù, che noi vedremo "gli Ange-
li di Dio salire e scendere sul Figlio dell'Uomo?" (Gv 1,51).
"Il monte Sinai è qualsiasi buon servo di Cristo, che
deve tutto fumare interiormente mediante la dolorosa com-
punzione del cuore ed esteriormente mediante una confessio-
ne orale piena di lacrime di tutti i suoi peccati? "allora
il Signore scende su di lui"(Es 19,18) come nel fuoco, per
illuminarlo mediante lo splendore della verità, e per in-
fiammarlo mediante l'ardore della carità... Infatti il di-
scendere di Dio non significa degradare la similitudine
divina, bensì un esaltare la natura umana"(S.Bonaventura,
Dominica 20 post Pent.,sermo 1;Opera Omnia,IX,433a-432b).
Gli Angeli santi sono come "le stelle del mattino"(Gb
38,10), che risplendono gioiose davanti a Dio, in un peren-
ne rendimento di grazie. Essi illuminano le tenebre della
creatura e aprono la via della "Luce vera, venuta nel mon-
do" (cfr. Gv 1,9) che illumina ogni uomo. Essa s'eleva, con-
figurandosi in Croce, per delineare l'ampia e maestosa
struttura di un tempio, che è la Gerusalemme di lassù, la
patria ideale di ogni creatura.
"Sapete che dalla rifrazione dei raggi del sole su
un corpo opaco e solido si genera materialmente il fuoco?
così Costoro (i Serafini) che sono ferventi del fuoco della
dilezione di Dio, venendoci incontro benignamente (conde-
scendendo nobis) e presentandoci molti benefici generano
in noi il fuoco della dilezione di Dio. Perché apparve il
Signore a Mose nella fiamma del Roveto (Es 3,lss.), se non

207
perché Costoro sono incandescenti e1 si sforzano di infiam-
mare anche gli altri? Sapete, qual è il segreto? Noi siamo
ne] mondo come carboni spenti, nei quali c'è poco fuoco,
una piccola scintilla; ma quando vengono gli Angeli e ci
introducono in quella fornace, allora l'anima diventa tutta
infuocata come il carbone? come il carbone spento, appena
viene gettato nella fornace, diventa subito tutto ardente.
Oh! se sentissimo qualcosa della dilezione di Dio,
allora ci apparirebbe chiaramente come ogni creatura sia
ardente (ignita); poiché ogni creatura, contemplata nella
sua verità, ci infiammerebbe all'amore di Dio. Nessuno vi
inganni, poiché secondo la quantità di questo fuoco, cioè
della dilezione, sarà proporzionata la quantità della ri-
compensa e della gloria e della beatitudine"!(S.Bonaventu-
ra, De sanctis Angelis,sermo 5;0pera Omnia,IX,629b-630a).
Ecco spiegato il mistero della Verna, che diventa
quindi per ogni francescano il principio esegetico fonda-
mentale, che apre il mistero della creazione, come la Croce
di Cristo, la sua Passione, Morte e Resurrezione, rivelano
tutto il mistero delle Scritture (cfr. Le 24,26, ma anche
v.29), quale "Croce intelligibile", che illumina e rende
comprensibile ogni cosa. Così è per noi l'esperienza del
Serafino crocifisso della Verna, come la presentano i suoi
biografi (cfr. 1 Cel 112:FF 516: "Veramente Francesco appa-
riva l'immagine della Croce e della Passione dell'Agnello
immacolato (lPt 1,19), che lavò i peccati del mondo"). E'
il momento della riconciliazione come celebrazione della
memoria di Colui che, versando "sangue e acqua" (Gv 19,34)
dal suo petto, "aveva riconciliato il mondo con il Padre"
(Rm 5,10)"(ICel 113:FF 518).
I frati che vissero con lui, inoltre sanno molto bene
come ogni giorno, anzi ogni momento affiorasse sulle sue
labbra il ricordo (l'uso delle creature, come "anello por-
tato per amore e in memoria dello Sposo divino"!) di Cri-
sto; con quanta soavità e dolcezza gli parlasse, con quale
tenero amore discorresse con Lui (ICel 115:FF 522). In que-
sto discorso con Gesù Cristo si inserisce il dialogo con
le creature. Egli ne sente la "risonanza", proprio perché sono
state tutte espresse nell'unica Parola. Ogni creatura è

208
"Parola di Dio, che lo annuncia", quindi una voce, che en-
tra in dialogo con l'uomo e si intona al suo inno di lode
al Creatore. Ma come è stata espressa? nella doppia dimen-
sione di voce, risonanza, che esprime, ma anche presenza
e immagine, che rivela il munifico creatore. Vi è certamen-
te una diversa intensità di tono e una diversa espressività
dell'immagine, che va dal vestigio (creature) all'immagine
vera e propria che è l'uomo ( Amm 5,1-2:FF 153-154), per
compiersi nella sua immagine trasfigurata a similitudine
del Corpo glorioso di Cristo, nella celebrazione piena del
suo Regno.

2) L'universo nella sovrana dignità di creatura di Dio


e sua splendida rivelazione

Allo sguardo purificato e trasfigurato dell'amore di


Dio di San Francesco, nel quale anche noi ora desideriamo
illuminarci, tutto il creato acquista senso, diventa "si-
gnificazione dell'Altissimo" (Cant 4:FF 263), quindi è e-
spressivo nella sua luminosa fonte sorgiva, non contaminata
dallo sguardo dell'uomo, perché Francesco non le desidera
come oggetto di piacere o come obiettivo di potere o di
possesso ma, reso da ogni cosa libero, le contempla tutte
e le ascolta con devozione, ne condivide i segreti.
"Chiamava tutte le creature col nome di fratello e
sorella, intuendone i segreti in modo mirabile e noto a
nessun altro, perché aveva conquistato la libertà della
gloria riservata ai figli di Dio"(l Cel 8l:FF 461).
Egli esulta di fronte alle stelle, di cui parla la
Scrittura e le contempla felice nella luce di quella parola
di sapienza divina: "Le stelle brillano al loro posto, pie-
ne di gioia: egli le chiama per nome ed esse rispondono:
Eccoci! E brillano di gioia per il loro Creatore"(Bar 3,34-
35). Francesco percepisce la lode segreta delle creature
e le addita all'uomo, quale esempio: "E tutte le creature,
che sono sotto il cielo, ciascuna secondo la sua natura,
servono e conoscono e obbediscono al loro Creatore meglio
di te. E anche i demoni non lo crocifissero, ma tu con essi
lo croci figgesti e ancora lo crocifiggi col dilettarti nei

209
vizi e nei peccati"(Amm 5,2-3:FF 154). L'uomo si rende col-
pevole di abuso delle creature, quando compie il peccato,
umiliandole, poiché le rende oggetto del suo desiderio di
potere o di piacere, sottraendole al loro Creatore e quin-
di, considerandole "separate" da Dio, le contamina e conti-
nua a crocifiggere il Signore. Ecco perché Francesco, che
era talmente purificato interiormente, da vedere in ogni
creatura Dio, le eleva tutte, restituendole riconciliate
e trasfigurate dal suo amore fraterno a Dio, come beatitu-
dine del suo Cantico di lode. Lo stelle sono "chiarite e
belle" e, come le parole del Signore e i sacri vasi del-
l'altare (cfr. LettCust 6-7:FF 241) "preziose". Sono viste
quindi nella loro dimensione cristologica, in rapporto al
loro servizio divino, che trova nel sacrificio di Cristo
l'inizio del compimento d'amore. Anche "sora acqua" è uti-
le e umile, ed è "preziosa e casta", perché custodisce il
mistero della "terra vergine", capace di accogliere il se-
me della parola di Dio e di venire vivificata dallo Spiri-
to Santo. L'acqua è preziosa, perché ha il potere di esse-
re "santificata dalla parola" (Lett.CapFrati 47:FF 225)
e quindi di custodire santamente la vita, rigenerandola
nel battesimo, ma anche custodendola, come "liquido vita-
le" che permette alla creatura di formarsi nel grembo ma-
terno e di vedere felicemente la luce. Una vita quindi che
rinasce all'alba del primo giorno, che risorge in virtù
della fede e della purezza di cuore di Francesco d'Assisi,
fratello di tutti gli uomini, custode fedele di tutte le
creature.
Così pure nell'abbinamento tra acqua e vento appare
evidente la forza rigeneratrice dello Spirito Santo, sim-
boleggiato dal vento, che è l'autore della vita sopra le
acque all'inizio della creazione e della vita nuova nella
rigenerazione degli eletti. Il battesimo porta questa ca-
ratteristica dello Spirito Santo e vivificante, come noi
apertamente confessiamo nel "Credo".
Questa capacità di ammirazione, di riverente stupore
e di piena e generosa accoglienza delle creature, presup-
pone l'accettazione di se stessi come creatura di Dio e
la solidarietà con tutte le creature del Signore. (Esem-

210
piare l'atteggiamento del B.Leopoldo da Castelnuovo!).
L'accoglienza e il giusto apprezzamento del dono di
Dio in sé e negli altri è la prima lode che si eleva al
Creatore dal cuore riconoscente della creatura. Ma questo
atteggiamento permette di vedere e incontrare la realtà
nella sua verità profonda e salutare, nella sua dimensione
cristologica e cristocentrica.
E' veramente cieco, quindi, chi non è illuminato da
tante luci, che promanano a profusione dal creato. E' sor-
do chi non si scuote al concertò di tante voci. E' muto
chi davanti a tante meraviglie non loda il Signore. Ed è
stolto chi, dietro tanti effetti, non riconosce il Primo
Principio. Apri dunque gli occhi, tendi l'orecchio del tuo
spirito, disserra le tue labbra ed eccita il tuo cuore a
vedere, intendere, lodare, amare, venerare, onorare e glo-
rificare il tuo Dio in tutte le cose, se non vuoi che in-
sorga contro di te tutto 1'universo"(S.Bonaventura,Itine-
rarium mentis in Deum,1,15,Opera Omnia,V,299b;trad.Melani,
PP-37-39).
La chiave di lettura della Verna rimane sempre il Se-
rafino crocifisso. "Le sei ali del Serafino, infatti, raf-
figurano le sei fasi della illuminazione mistica, con le
quali, come per sei gradini o sentieri, l'anima è aiutata
a passare al godimento della pace nei rapimenti estatici
della sapienza cristiana. Ma la via unica per giungervi
non è che l'amore ardentissimo al Crocifisso, che rapì
Paolo "al terzo cielo" (2Cor 12,2) e lo trasformò talmente
in Cristo, da fargli dire: "Sono crocifisso con Cristo in
Croce. Non sono più io che vivo, ma è Cristo che vive in
me" (Gal 2,19). Questo stesso amore infiammò tanto la men-
te di San Francesco ("qua mens in carne patuit") che im-
presse nella sua carne le sacre Stimmate della Passione,
da lui portate per due anni, cioè fino alla morte. Le sei
ali del Serafino simboleggiano dunque i sei gradi di illu-
minazione, che cominciano dalle creature e conducono fino
a Dio, ai quale nessuno arriva rettamente se non tramite
il Crocifisso"(S.Bonaventura,Itinerarium mentis in Deum,
Prologus,3 ; Opera Omnia,V,295b,trad.Melani.7-Q). Il Dottore
Serafico aggiunge una osservazione molto acuta: "Beati co-

211
loro che lavano le loro vesti nel sangue dell'Agnello: es-
si avranno diritto all'albero della vita ed entreranno
nella città per le porte"(Ap 22,14). Quasi volesse dire:
non basta la contemplazione per entrare nella Gerusalemme
celeste, occorre attraversare quella porta che è il Sangue
dell'Agnello" (ivi). L'esperienza pasquale di Francesco
è quindi essenzialmente un entrare nell'Albero della vita
e nella città di Dio vivente.
"Ora, accentuando l'indagine speculativa, non le re-
sta che elevarsi al di sopra del mondo sensibile e di se
stessa. In questa ascesa Cristo è "la Via e la Porta"(Gv
14,6510,7), la scala e la guida, il Propiziatorio colloca-
to sopra l'altare di Dio e "il mistero nascosto nei seco-
li"(Ef 3,9)• Chi guarda attentamente questo Propiziatorio,
e fissa Gesù in croce con vero spirito di fede, di speran-
za e di amore, con devota ammirazione, con gioia e venera-
zione, con lodi e canti, fa veramente la Pasqua (Es 12,11)
con Lui cioè compie il passaggio; con la Verga della Croce
passa il Mar Rosso (Es 14-16) entrando dall'Egitto nel de-
serto, ove gusta la "manna nascosta" (cfr.Ap.2,17); riposa
con Cristo nel sepolcro, come morto alle cure di questo
mondo, e sperimenta in sé, per quanto è concesso alla na-
tura umana, ciò che Cristo in croce promise al buon ladro-
ne: "Oggi sarai con me in Paradiso"(Le 23,43).
"Tutto ciò si verificò in S . Francesco quando nel ra-
pimento dell'estasi sulle alture del monte della Verna -
dove meditai ciò che ho scritto - gli apparve un Serafino
crocifisso, come io e molti altri abbiamo udito dal compa-
gno che allora era con lui (frate Leone). Ivi, nel rapi-
mento dell'estasi passò a Dio"(S.Bonaventura,Itinerarium
mentis in Deum,7, l-3;0pera Omnia,V,312; trad.Melani, 14.1-147).
"Poiché l'anima ardente di amore non può restare fer-
ma in se stessa, e superate tutte le cose, per il rapimen-
to dell'estasi, viene portata alla contemplazione del suo
Creatore"(S.Bonaventura,Feria II post Pascha,Collatio,Ope-
ra Omnia,IX,286b).
Tra le tante virtù che hanno gli Angeli c'è quella
di "contemperare in sé per noi il raggio divino, affinché
sia proporzionato alla nostra capacità recettiva, di ele-

212
varci per poterlo accogliere. Pure c'è in essi la virtù
suprema mediante la quale si rivolgono totalmente a Dio,
nella accoglienza degli splendori e della luce eterna, che
amano5 .e tutte le cose le riconducono ad essa, in modo da
tendere a Dio "mediante l'amore e la lode"(S.Bonaventura,
In Hexaemeron,Collatio 5,27;Opera Omnia,V,358b).
Così Francesco, affinato alla perfezione d'amore dei
Serafini e da esso reso atto ad accogliere la pienezza
della luce della visione di Dio, scopre un mondo nuovo,
riconciliato, un mondo capace di riempire il tempio della
gloria di Dio, rivelandosi come sua creatura.
Confrontando quella visione con la nostra, Bonaventu-
ra dice: "Ora noi siamo appena un inizio di creatura, ma
allora saremo semplicemente "creatura"(cfr.Gel,17-18)"(S.
Bonaventura,In Hexaemeron,3,19; Opera Omnia,V,346b).
E' nel fuoco dello Spirito che si profila l'immagine
nuova della creatura riconciliata, che non contamina, non
consuma, bensì consacra e trasfigura, donando la tempra
della fedeltà e la corona della gloria. E qui si profila
il mistero della Creatura, che è sempre rimasta nell'amore
e quindi porta tutta la bellezza e la fragranza dell'imma-
gine di Dio: "Si dice nell'Esodo (3,2) che il Roveto arde-
va e non si bruciava, cioè, la Vergine gloriosa, dando al-
la luce il Figlio di Dio e la Luce, in virtù del fuoco del
divino Amore donò al mondo la luce e non fu corrotta. L'a-
more di carità preserva dalla corruzione"(S.Bonaventura,De
Donis Spiritus Sancti,Collatio 6,8 } Opera Omnia,V,48.Sa). ~
Si inaugura allora un incontro con le creature non
più soggetto al logorio del peccato, bensì illuminato dal-
la visione del Signore, il quale, incarnandosi, "non ha
diminuito la verginità della Madre, ma l'ha consacrata!"
(Colletta,S.Messa,Natività di Maria,8 Settembre).
Ma la consacrazione indica subito un rapporto diretto
al Corpo di Cristo e all'Eucarestia, quindi una dimensione
liturgica dell'universo. Francesco vive questo mistero di
amore divino nell'esperienza della povertà. "E poiché os-
servava che la povertà, mentre era stata intima del Figlio
di Dio, veniva pressoché rifiutata da tutto il mondo, bra-
mò di sposarla "con amore eterno"(cfr.Ger 31,3). Perciò,

213
"innamorato della sua bellezza"(Sap 8,2), per aderire più
fortemente alla sposa ed "essere due in un solo spirito",
non solo "lasciò padre e madre"(cfr.Gen 2,24jMc 10,7), ma
si distaccò da tutto. Da allora la strinse in casti am-
plessi e "neppure per un istante"(Gal 2,5) "accettò di non
esserle sposo"(2Cel 55:FF 641). E' meraviglioso osservare-
come Francesco non solo riverisca la creatura, ma la veda
nella prospettiva del Regno di Dio ed egli, da amico dello
Sposo, la custodisca e la prepari per la grande festa del
Regno. Avendo scelto come sua unica "porzione" sulla ter-
ra, quella di Gesù Cristo (cfr.Sai 141,6) che p o r t a t i l a
terra dei viventi"(RegB 6,6:FF 90), egli destituisce tutto
il resto al Signore, intonando un grande inno di ricono-
scenza e di lode.
La mancanza di riconoscenza è la radice di tutti i
peccati (H.Schlier). Perché chi non ringrazia non ricono-
sce il dono di Dio in ogni creatura e, non riconoscendo
né la creatura né tanto meno il Creatore, se l'appropria
e la consuma, assoggettandola al suo dominio. S . Francesco
è il grande restitutore: restituisce a Dio tutte le crea-
ture e tutto se stesso in un perenne rendimento di grazie.
E' l'amore consacrante, attinto dal fervore dei Sera-
fini e dalla ferita del costato del Figlio di Dio croci-
fisso, che gli permette di entrare in accensione e di per-
cepire con l'antenna del cuore il palpito della creazione,
per intonarlo nella lode del Signore. "Poiché egli come
"un carbone ardente"(cfr.Sai 17,13-14 5 Is 6,6), pareva tut-
to divorato dalla fiamma dell'amor divino.
Al sentir nominare l'amor del Signore, subito si sen-
tiva stimolato, colpito, infiammato: quel nome era per lui
come un plettro, che gli faceva vibrare l'intimo del cuo-
re. "Offrire in compenso dell'elemosina, il prezioso pa-
trimonio dell'amor di Dio (anche l'amore è "prezioso",
perché ha un potere consacrante!) - così egli affermava
- è nobile prodigalità} e stoltissimi sono coloro che lo
stimano meno del denaro, poiché soltanto il prezzo inap-
prezzabile dell'amor divino è capace di comprare,, il Regno
dei cieli. E molto si deve amare l'amore di Colui che mol-
to ci ha amato". (Le creature sono dono di Dio e chi ama

214
le comprende). "Per trarre da ogni cosa incitamento ad ama-
re Dio, "esultava per tutte quante le opere delle mani del
Signore"(cfr.Sai 91,5) e, da quello spettacolo di gioia,
risaliva alla Causa e Ragione che tutto fa vivere.
Contemplava, nelle cose belle, il Bellissimo e, "se-
guendo le orme" (cfr.Gb 23,11) impresse nelle creature,
"inseguiva", dovunque "il Diletto"(Ct 5,17). Di tutte le
cose si faceva una "scala" per salire ad afferrare Colui
che è "tutto desiderabile"(Ct 5,16).
Con il fervore di una devozione inaudita, in ciascuna
delle creature, come in un ruscello, delibava quella Bontà
fontale, e le esortava dolcemente, al modo di Davide pro-
feta, alla lode di Dio, perché avvertiva come un concento
celeste nella consonanza delle varie doti e attitudini che
Dio ha loro conferito"(LM 9,1:FF 11Ó1-1162).
San Bonaventura dà l'interpretazione teologica del-
l'atteggiamento di Francesco verso le creature, ma già il
Celano insisteva su questo straordinario senso di Dio che
in Francesco permetteva alle creature di illuminarsi nella
più pura lode di gloria. Egli le faceva rinascere, le con-
sacrava a Dio, come un giorno Chiara, l'immagine più tra-
sparente dopo la Vergine Maria, che illuminasse il mistero
di ogni creatura. Come in quella bellissima trasfigurazio-
ne poetica della meditazione alla fonte, nella quale non
si rispecchia più la luna, come afferma il fratello, bensì
il volto di Chiara, della Vergine, della nuova creatura,
quella amata da Dio, che la riconobbe "buona"(Gen 1,18.21.
25), anzi "molto buona"(Gen 1,31), all'alba del primo
giorno della vitaj quella per cui Gesù Cristo, Figlio di
Dio, intraprese il grande pellegrinaggio terreno al fine
di rifonderla nel suo Sangue prezioso, per renderla nuova
creatura, capace di sostenere i raggi della luce nuova,
che lo vide ascendere al cielo e ritornare al Padre, tra-
sfigurato, come "Primogenito di coloro che risuscitano dai
morti"(Col 1,18) per offrire il Regno al Padre,(ICor 15,24)
tutto raccolto, "ricapitolato" (Ef 1,10) nel suo Corpo,
che è la Chiesa, che diventa così "pienezza di Colui che1
si realizza interamente in tutte le cose"(Ef 1,23). E
questo il desiderio più profondo, il gemito della "crea-

215
zione, che attende con impazienza la rivelazione dei figli
di Dio", nella "speranza di essere liberata lei pure dalla
schiavitù della corruzione, per entrare nella libertà dei
figli di Dio. Sappiamo infatti che tutta la creazione geme
e soffre fino ad oggi nelle doglie del parto; essa non è
sola, ma anche noi, che possediamo le primizie dello Spi-
rito, gemiamo interiormente aspettando l'adozione a figli,
la redenzione del nostro corpo"(Rm 8,19-23). E' nella di-
mensione della corporeità, nel corpo umano e nel Corpo di
Cristo che si realizza la salvezza. Per questo si compren-
de l'annuncio profetico del compimento del mistero di Cri-
sto in Francesco proprio mediante il miracolo delle Stim-
mate. Tutta la creazione entra con lui crocifisso per amo-
re della povertà di Cristo e viene così immessa nella sua
pienezza. Soltanto una terra vergine, soltanto un corpo
reso vergine dalla consacrazione dello Spirito (Battesimo)
e dalla purificazione della Croce (rigenerazione nel San-
gue di Cristo e rifusione della immagine) e totalmente
configurato al segno della altissima povertà, che è quella
non solo di non avere nulla di proprio sotto il cielo
(RegB 6,1-7):FF 90), ma di non essere più di e stessi,
bensì di Cristo (cfr.lCor 12,27:"Corpo di Cristo"!). "La
altissima povertà" è quella di essere nuova creatura",
proprio perché uno "è in Cristo" (2Cor 5,17). Questo non
può avvenire solo in forma personale, come in Francesco,
ma deve realizzarsi continuamente nella Chiesa, in virtù
dei "molti che diventano uno"(Gv 17,20-21) ossia Chiesa,
nella dimensione del Corpo di Cristo, come rivelazione del
mistero nascosto da secoli (cfr. Ef 3,9). Francesco ha
scelto la terra dei viventi (RegB 6,4:FF 90) cioè il Corpo
di Gesù Cristo, la Carne di Cristo, donata per la vita del
mondo, incamminandosi per la "via nuova e vivente" che è
appunto la carne umana di Cristo, la dimensione del dono
e della pienezza dell'amore che dona la vita nello Spiri-
to.
Allora tutto il creato s'infiamma, diventa ardente,
una immensa scala di Giacobbe, (cfr.Gen 28,10-22) che con-
giunge la terra al cielo e che permette a Dio di restitui-
re ogni sua creatura nella originale dignità di "figlia

216
di Dio". C'è infatti una figliolanza universale, pur nella
vasta gamma di significato del termine. L'uomo è il figlio
che raccoglie tutto il creato ed è in qualche modo "ogni
creatura"(S.Bonaventura,De Ss.Philippo et Jacobo App.,Ser-
mo 1, Opera Omnia, IX, 533b ). E in ogni uomo è celato il Fi-
glio di Dio, che attende di potersi manifestare nel tempio
della sua gloria, nel macrocosmo che è l'universo con al
centro il sole, e nel microcosmo che è l'uomo, dal cui
centro, dal cuore si eleva a Dio l'inno perenne della ri-
conoscenza (cfr.S. Bonaventura,In Hexaemeron,Collatio 1,19;
Opera Omnia, V , 332b). Ridare alla creatura la capacità di
accogliere Dio e permetterle di compiersi nell'esplicazio-
ne di questo suo originale "ministero" di lode è il compi-
to di Francesco, in virtù della sua scelta di "essere con-
tento solo di Gesù Cristo, Altissimo e glorioso"(Spec 26:
FF 1711) e quindi di non essere un pretendente al dominio
del creato, bensì un servo fedele "un Araldo del Gran Re"
(ICel 16:FF 346,LM 2,5:FF 1044), che vuole farne una offer-
ta eucaristica per la grande Messa, che continuamente si
celebra nella Chiesa e consacra a Dio, nel Corpo del Fi-
glio suo Gesù Cristo, non solo tutti gli uomini, ma tutte
le creature, la cui vocazione essenziale è di diventare
Corpo di Cristo, terra vergine, "cieli nuovi e terre nuo-
ve"(2Pt 3,13).
"Per mezzo di Lui, dunque, offriamo continuamente un
sacrificio di lode a Dio, cioè il frutto di labbra che
confessano il suo nome"(Eb 13,15). Francesco è diventato
ormai un grande inno, intonato nella liturgia eucaristica,
una bocca che canta le lodi di Dio, un corpo che s'intona
nella cetra dei Serafini, un'anima diventata piena somi-
glianza e quindi beatitudine del Regno di Dio 5 e un immen-
so desiderio di riconoscenza. "Come descrivere il suo i-
neffabile amore per le creature di Dio e con quanta dol-
cezza contemplava in esse la sapienza, la potenza e la
bontà del Creatore? Proprio per questo motivo, quando mi-
rava il sole, la luna, le stelle del firmamento, il suo
animo si inondava di gaudio. 0 pietà semplice e semplicità
pia! Perfino per ivermi sentiva grandissimo affetto, perché
la Scrittura ha detto del Signore: "Io sono verme e non

217
uomo"(Sai 21,6)j perciò si preoccupava di toglierli dalla
strada, perché non fossero schiacciati dai passanti. E che
dire delle altre creature inferiori, quando sappiamo che,
durante l'inverno, si preoccupava addirittura di far pre-
parare per le api miele e vino perché non morissero di
freddo? Magnificava con splendida lode la laboriosità e
la finezza d'istinto che Dio aveva loro elargito, gli ac-
cadeva di trascorrere un giorno intero a lodarle, quelle
e tutte le altre creature. Come un tempo i tre fanciulli
gettati nella fornace ardente (cfr. Dn 3,51ss.) invitavano
tutti gli elementi a glorificare e benedire il Creatore
dell'universo, così quest'uomo, ripieno dello Spirito di
Dio, non si stancava mai di glorificare, lodare e benedi-
re, in tutti gli elementi e in tutte le creature, il Crea-
tore e governatore di tutte le cose.
E quale estasi gli procurava la bellezza dei fiori,
quando ammirava le loro forme o ne aspirava la delicata
fragranza! Subito ricordava la bellezza di quell'altro
Fiore il quale, spuntando luminoso dal cuore dell'inverno
dalla radice di lesse, col suo profumo ritornò alla vita
migliaia e migliaia di morti. Se vedeva distese di fiori,
si fermava a predicare loro e li invitava a lodare Iddio,
come esseri dotati di ragione; allo stesso modo le messi
e le vigne, le pietre e le selve e le belle campagne, le
acque correnti e i giardini verdeggianti, la terra e il
fuoco, l'aria e il vento con semplicità e purità di cuore
invitava ad amare e lodare il Signore. E finalmente chia-
mava tutte le creature col nome di fratello e sorella, in-
tuendone i segreti in modo mirabile e noto a nessun altro,
perché aveva conquistato la libertà della gloria riservata
ai figli di Dio" (ICel 80-8l:FF 458-461).
Nel dare la significazione teologica di questo atteg-
giamento di fede di Francesco di fronte alle creature, il
Celano mette in luce un altro aspetto, che "egli trovava
non piccolo aiuto nelle cose che sono nel mondo"(2Cel 165:
FF 750). Esse lo aiutavano a vincere il male (dimensione
di croce e di purificazione) e si serviva di esse "nei ri-
guardi di Dio come di uno specchio tersissimo della sua
bontà" (Sap. 7,26)"(2Cel l65:FF 750). Egli percepisce che

218
"da tutto ciò che per lui è buono" (cfr. Gen 1 , 3 1 ) sale
un grido : "Chi ci ha creati è infinitamente buono". Attra!
e 0 r r e S S e n e l l a
Ietto ' t ;%7 , - t u r a , segue ovunque il Di-
letto (Ct 5,17) e si fa scala di ogni cosa per "giungere
a suo trono" (Gb 2 3 , 3 ) . Abbraccia tutti gli esseri c r L
con un amore e una devozione quale non si è mai udita, par-
lando loro del Signore ed esortandoli alla sua lode Ha
riguardo delle lucerne, lampade e candele, e non vuole spe-
gnerne di sua mano lo splendore, simbolo della luce eterna
(Sap 7,26)"(2Cel 1Ó5:FF 7 5 0 ) .
1 U Ì B n a v e n t u r a
di J r r ^ ° trovato lo specchio
di quella fiamma viva delle cose, che permette a tutte d i '
diventare Roveto ardente, nella rivelazione e nella puri-
ficazione dell'uomo, che può così incontrare in ciascuna
di esse nel mistero del fuoco della sofferenza e della l l a
mortalità, il D i o v i v e n t e . gì q u e l l a ^ ^
Francesco riconosce di avere ricevuto come straordinario
dono da Dio (Amm 3 , 6 : F F 1 5 4 ) e che gli permette di vedere
tutto nella sua trasparenza divina, incontrando ogni cosa
C n S a C r a t a n e l l a
;d ° — z i o n e redenta dal Sangu
di Cristo e divenuta nuova nella sua risurrezione.
E cosi appare evidente come tutto il mondo sia come
un unico specchio, p i e n o di l u c i c h e p r e s e n t a n o l a ^
C me C a r b n e i n c a n d e s
l u c e ^ Y ° " ° « n t e , che irradia la
rZ,V 3 4 2 , 2 7
, O p e r a Om-

d Ì V Ì n a S a P Ì 6 n Z a 8 6 n n l a S a Ì e
cioè il r i ' ^ ' ° P -*>
0 P r Ì n C Ì p Ì d ì
non solo dell ' ^ ^ ^ °
non solo delle v e n t a rivelate, ma anche, mediante la sua
sapienza della croce" (LM,Mir. 10,8:FF 1328) chiave d'in
d e U , U n Ì V e r S 0 6 S U a
X T s T n trasfigurata e
gloriosa. Il mondo
d
si apre come un libro sapienziale, ma
il Libro scritto dentro e fuori è Lui, appeso alla Cr ce,
che attira a se tutta la creazione, per renderla "nuovi
creazione" imprimendole il sigillo della fedeltà, che d T
venta manifestazione del carattere battesimale n 11 uomo
( E 9 4 A P 7 2
S t C a ^P a C : . S 'Ì g >Ì l l a r 'C 1^, >0 p e —r a d i WD ilo l o del no-
d l
sLilli H t > mediante
sigilli divini che egli, nel suo rappresentante France-

219
sco, porta nel cuore e nelle membra, rese veramente, in
tutta l'espressività dell'amore, "Corpo di Cristo" e di
"Cristo crocifisso". E' così che in Francesco anche la
creazione passa in Cristo e si compie nella dimensione del
suo corpo trasfigurato, illuminandosi nella luce, che lo
vide ascendere al Padre (si pensi ancora al Crocifisso di
San Damiano!). H a dignità della creatura è quella di esse-
re di Cristo e di poter diventare Corpo di C r i s t o . Dobbia-
mo proclamarlo da questo Monte Santo della Verna, che di-
venta l'esegesi del mistero di Francesco, entrato total-
mente in Cristo, ma anche del creato che viene assunto al-
la dignità di creatura di Dio e trasfigurato nella dimen-
sione del Corpo di Cristo. La povertà altissima di France-
sco diventa quindi non solo personalmente, ma per tutti
gli uomini e per tutte le creature "terra dei viventi"(Sal
141,6), cioè Corpo di Cristo. Poiché la carne di Cristo
è la "terra dei viventi". E' la porzione che Francesco si
è riservato sulla terra, poiché "dell'Altissimo Figlio di
Dio egli nient'altro vede corporalmente, in questo mondo,
se non il santissimo corpo e il sangue suo che i sacerdoti
consacrano e amministrano - essi soli - agli al tri"(Test
12:FF 113). I
Questo significa in primo luogo che la presenza eu-
caristica di Gesù Cristo è la massima possibile e divie-
ne l'unica nostalgia del cuore di Francesco, ma anche,
che la chiave di lettura dell'universo è proprio Lui, Gesù
Cristo, l'unica realtà permanente di quanto si trasforma,
passando per il logorio del tempo e il travaglio della
croce, fino all'ultima purificazione della morte, per es-
sere, finalmente, introdotto in Cristo, ossia nella sua
nuova immagine, perfetta e definitiva, "l'immagine del-
l'uomo celeste" (ICor 15,49). Quindi l'uomo appare nella
sua sovrana dignità di offerente, in virtù del "sacerdozio
universale" dei fedeli, e di "materna verginità", che per-
mette di rigenerare la creatura, come la Vergine Madre Ma-
ria, sotto la Croce, accettando non solamente di diventare
nuova creatura, nel Sangue di Cristo, ma di accogliere il
frutto di quell'amore donato, dal Figlio di Dio e dalla
Madre Vergine, il figlio e i figli della promessa, fratel-
li di Cristo, come Giovanni, che tutti li rappresenta sot-

220
to la Croce
1
(cfr.Gv 19,25-27).
E la Donna dell'Apocalisse (Ap 12) che porta in sé,
nel travaglio del parto, il frutto della Parola, che in
lei ha preso la verità della carne umana, permettendo alla
carne umana di diventare capace di generare il Figlio di
Dio, e, incandescente nel Sole, ma anche vestita di tutta
la creazione e incoronata di stelle (che, secondo S.Bona-
ventura, sono non solo gli astri del cielo, ma in primo
luogo gli Angeli di Dio), offre il figlio suo a Dio, e poi
continua a vivere nel deserto, per ripercorrere il cammino
della celebrazione pasquale, finché tutti i figli della
promessa saranno dati alla luce, nel fuoco rigeneratore
dello Spirito e nella beatitudine della fede. Questa è la
"Vergine fatta Chiesa"(SaiVerg, K.Esser,Opuscula,300),
Santa Maria degli Angeli e insieme Chiara, "impronta della
Madre di Dio" (LegSCh, LettIntr:FF 3153) e ogni creatura,
che trova nell'uomo non solo il suo coronamento, ma anche
il compimento personale e divino. Giacché "l'Uomo"(Gv 19,5),
che rende testimonianza alla Verità, che quindi fa l'ese-
gesi della Verità sulla Croce, aprendo, nel suo corpo mor-
tale, il Cuore stesso di Dio, la rende la dimora di tutti
i figli, che, in virtù del suo dono, vengono nutriti alla
mensa del Padre.
Allora "il grande chiostro di questo mondo"(Vitry,
HOcc 17:FF 2230) si allarga fino ai confini della terra,
per inaugurare la grande festa del Regno di Dio e consa-
crare il mondo, raccogliendolo come offerta e sacrificio
di lode, nel sacrificio di Cristo e nella mirabile parte-
cipazione di Francesco al mistero della croce, su questa
montagna, che diventa vessillo dei popoli e perenne an-
nuncio del compimento del mistero del Regno di Dio. Calva-
rio e Tabor ad un tempo, la Verna diventa la sorgente del-
la speranza dell'umanità, che vive crocifissa e ancora non
sa che la croce può illuminarsi nella resurrezione di Cri-
sto. Ma anche il tempio santo dell'umanità, poiché quella
pietra, dalla quale Cristo ha fatto scaturire anche per
noi, come per il contadino assetato, l'acqua viva, per in-
tercessione del suo servo Francesco (cfr. LM 7,12:FF 1132),
apre il tempo della grazia, che fluisce nel tempio del

221
cielo (cfr. Ap 22,lss.) per dissetare nello Spirito tutti
i figli di Dio. La roccia della Verna è Cristo, dentro il
quale Francesco cercava rifugio, sicurezza, conforto, ma
anche sulla quale egli ha edificato Santa Maria degli An-
geli, la chiesetta in onore della Vergine, e, in essa,
"tutta la Chiesa", edificandola in Cristo (cfr.2Cel 1Ó5:FF
750), come suo pieno compimento e inaugurazione del Regno
di Dio. "Quella Bontà fontale, che un giorno sarà tutto
in tutti (ICor 15,28), a questo Santo appariva chiaramente
come "il tutto in tutte le cose"(2Cel 1Ó5:FF 750). Siamo
ai vertici della pienezza dell'opera di Cristo, che è la
attuazione del suo Regno, mediante la mediazione del sa-
crificio della Croce, "che ricapitola in Lui tutte le co-
se"(Ef 1,10). Francesco, da "Araldo del Gran Re" (lCel 16:
FF 346, LM 2,5:FF 1044), si immette nell'annuncio apoca-
littico di Cristo, che decide le sorti della storia e la
conquista con il suo Sangue, mediante il sigillo della fe-
deltà: E' Lui (e con Lui anche il fedele seguace France-
sco!), che ha inaugurato, durante il Concilio, il tempo
del compimento della Chiesa, proclamando l'avvento del Ca-
valiere bianco dell'Apocalisse, che è "Fedele" e "Verace"
(Ap 19,11) e il cui nome è "Verbum Dei" (Verbo di Dio (Dei
Verbum,Cost.Domm.sulla Divina Rivelazione,1) e dalla cui
"bocca esce una spada affilata"(Ap 19,13-14). Chi non vede
in Francesco, segnato dalla Croce, sigillato dalla Spada
e dal Tau, come vide frate Pacifico (cfr.LM 4,9:FF 1078-
1079) l'esemplare dell'uomo nuovo, del seguace di Cristo,
dell'Araldo fedele, che edifica il Regno, facendo di tutto
il mondo un unico tempio della sua gloria e di tutte le
croci un'unica grande Croce pasquale di Cristo? San Bona-
ventura ci invita a seguirne l'esempio, per affrettare
l'avvento del Regno di Dio ed essere, oggi, fedeli disce-
poli di Cristo, che hanno il coraggio di edificare in Lui
tutta la Chiesa.
"Concludiamo il discorso con una specie di ricapito-
lazione sommaria. Chiunque ha letto fino in fondo le pagi-
ne precedenti, rifletta su questa considerazione conclusi-
va: la conversione avvenuta in modo ammirabile, l'effica-
cia nel proclamare la Parola di Dio, il privilegio delle

222
virtù sublimi, lo spirito di profezia unito alla penetra-
zione delle Scritture, l'obbedienza da parte delle creatu-
re prive di ragione, l'impressione delle sacre stimmate
e il celebre transito da questo mondo al cielo, sono, in
Francesco, sette luminose testimonianze che dimostrano e
garantiscono a tutto il mondo che egli, preclaro Araldo
di Cristo, "porta in se stesso il sigillo del Dio vivente"
(Ap 7,2) e, perciò, è degno di venerazione per la missione
ricevuta, ci propone una dottrina autentica, è ammirevole
nella santità.
Con sicurezza, dunque, seguano Lui coloro che "escono
dall' Egitto"(cfr.Es 13,17): le acque del "mare verranno
divise"(Sai 135,13) dal bastone della croce di Cristo; es-
si "passeranno il deserto e, attraversato il Giordano"(Dt
27,3) della vita mortale, per la meravigliosa potenza del-
la Croce stessa, entreranno "nella terra promessa dei vi-
venti" (Ap 7,5). Là, per i buoni uffici del beato Padre,
ci introduca Gesù, inclito Salvatore e nostra Guida. A
Lui, nella Trinità perfetta, con il Padre e con lo Spirito
Santo, ogni lode, "onore e gloria nei secoli dei secoli.
Amen"(Rm l6,27)"(LegMin 7,9:FF 1393).
La celebrazione pasquale è il grande segno liturgico
di Francesco, chiamato dalla Croce pasquale di Cristo a
San Damiano e segnato dalla Croce pasquale di Cristo sulla
Cima altissima della Verna.
Per questo egli invita i suoi fratelli a celebrare
continuamente la Pasqua, ossia il passaggio attraverso il
deserto di questo mondo (dove il "deserto" indica una vita
alla presenza di Dio, i 40 giorni di purificazione e di
grazia, che preparano alla Pasqua), da questo mondo al Pa-
dre (cfr.LM 7,9:FF 1129).
Il collegamento della povertà con la celebrazione pa-
squale, permette di vederne già i frutti di grazia e di
intravvedere i doni dello Spirito, in una feconda materni-
tà spirituale. Forse per questo, con un aggettivo pieno
di significato, Bonaventura e lui solo, chiama la povertà,
non solamente "sposa e signora", ma "Madre" (LM 7,6:FF
1125). Questa povertà è già la povertà della Vergine Madre
Maria, che non ha nulla di proprio, essendo "piena di gra-

223
zia", e quindi essendo nel Regno della grazia, è già nel
Regno di Dio. Anche il Celano è profeta, quando designa
Francesco come "figlio della grazia" (ICel 13:FF 342) e
lo stesso San Francesco caratterizza i suoi frati come uo-
mini, che si rivelano dono, grazia di Dio, che vivono nel-
la pienezza del tempo di grazia del Vangelo e quindi devo-
no essere "convenientemente graziosi"(RegNB 7,l8:FF 27).
Egli ste sso ci precede in questa immensa processione
di risorti che entrano gioiosi nel Regno di Dio, felici
di essere solo di Cristo, "contenti di avere Lui solo Al-
tissimo e glorioso"(Spec 2ó:FF 1411).
"E perciò si afferma, a buon diritto, che egli viene
simboleggiato nel La figura "dell'Angelo che sale dall'o-
riente e porta in sé il sigillo di Dio vivo"(Ap 6,12 e 7,2),
come ci descrive l'altro amico dello Sposo (cfr.Gv 3,29),
l'Apostolo ed Evangelista Giovanni, nel suo vaticinio ve-
ritiero. Dice infatti Giovanni nell'Apocalisse (7,2), al
momento dell'apertura del sesto sigillo: Vidi poi un al-
tro Angelo salire dall'Oriente, il quale recava il sigillo
del Dio vivente"(LM Prol 1:FF 1022).
Non ci meravigli questa applicazione teologica di S .
Bonaventura, poiché lo stesso Figlio di Dio si è degnato
di significare la missione di Francesco abilitandolo a si-
gillare gli eletti, dato che ogni dono non deve essere
proprietà del singolo, bensì contribuire ad edificare tut-
ta la comunità, cioè la Chiesa (cfr.lCor 12,7 } 14,4).
E poiché la Chiesa non si programma, ma è frutto di-
vino di un amore verginale, nel mistero della "Vergine che
diventa Chiesa", è celebrando la Pasqua, ossia entrando
nel mistero di Cristo, povero e crocifisso, che ogni cre-
dente edifica la Chiesa e moltiplica i figli del Regno.

3) L'uomo, immagine e somiglianza di Dio, intona in Cri-


sto il Cantico delle Creature, divenendo piena lode
di gloria

Tutta la vita di S . Francesco è stata una celebrazio-


ne pasquale. Il suo amore per le creature è ordinato dalla
visione in esse della Croce pasquale di Cristo. Per questo

224
le introduce tutte nella Pasqua del Signore, intonando in
esse e con esse il Canto nuovo degli eletti, che seguono
1'Agnell o immolato e vivente (cfr.Ap 5,6-14) ossia vivono
in pienezza il mistero della chiamata del Crocifisso di
San Damiano.
"Nient'altro possedeva, il povero di Cristo, se non
"due spiccioli"(Mc 12,42), da poter elargire con liberale
carità: il corpo e l'anima. Ma corpo e anima, per amore
di Cristo li offriva continuamente a Dio, poiché qvasi in
ogni istante immolava il corpo col rigore del digiuno e
l'anima con la fiamma del desiderio: "olocausto"(cfr.Es
30,1.27-28), il suo corpo, immolato all'esterno, nell'a-
trio del tempio; incenso l'anima sua, esalata all'interno
del tempio.
Ma mentre quell'eccesso di devozione e di carità lo
innalzava alle realtà divine, la sua affettuosa bontà si
espandeva verso coloro che natura e grazia rendevano suoi
consorti.
Non c'è da meravigliarsi: come la pietà del cuore lo
aveva reso fratello di tutte le altre creature, così la
carità di Cristo lo rendeva ancor più intensamente fra-
tello di coloro che portano in sé l'immagine del Creatore
e sono stati "redenti dal Sangue"(cfr. Ap 5,9) del Reden-
tore .
Non si riteneva amico di Cristo, se non curava con
amore le anime da Lui redente. Niente, diceva, si deve an-
teporre alla salvezza delle anime, e confermava l'afferma-
zione soprattutto con quest'argomento: che l'Unigenito di
Dio, per le anime, si era degnato di salire sulla Croce"
(LM 9,3-4:FF 1167-1168).
La celebrazione pasquale di Francesco diventa per
tutti invito a celebrare insieme, non limitandosi a una
visione esterna, ma entrando di persona nel mistero di
Cristo.
Dapprima una grande Liturgia della parola, che mette
a fuoco la dignità della creatura, fatta a immagine di
Dio. "Considera, o uomo, in quale sublime condizione ti
ha posto Dio che ti "creò" e ti "fece a immagine"(cfr.Gen
1,26) del suo diletto Figlio secondo il corpo (ossia con-

225
figurato al corpo mortale di Cristo, alla sua presenza in-
carnata, che percorre tutto il cammino dell'umanità per
renderla suo Corpo Mistico, e a sua "similitudine" secondo
lo Spirito (Amm 3,1:FF 153)• Non si tratta semplicemente
dell'anima, bensì della pienezza dell'immagine, che appare
nel segno del Figlio dell'Uomo, quando i molti diventano
uno (cfr.Gv 17,20-26), realizzando lo scopo della preghie-
ra di Gesù e del suo sacrificio sulla croce, quindi rice-
vendo la pienezza dell'amore, che compie il mistero del-
l'Unità, passando per il travaglio della molteplicità dei
doni dello Spirito, fino al compimento "di tutti i misteri
di Cristo" (2Cel 217:FF 810), alla pienezza della sua im-
magine di Figlio, per ritornare con Lui al Padre.
Il creato "serve e conosce e obbedisce al Creatore"
(Amm 3,2:FF 154) meglio dell'uomo. Quindi è necessario che
qualche uomo si metta ad intonare il Canone liturgico del-
la solenne liturgia di lode, che dal cuore della creatura,
passando per il cuore trafitto di Cristo, ricompone nel-
l'unità tutta la creazione, elevandola al Padre come pura
lode di gloria. Francesco d'Assisi riconosce di avere ri-
cevuto questo dono straordinario, che egli chiama "specia-
le cognizione della somma sapienza"(Amm 3,6:FF 154) e
quindi ci ammaestra oltre che con il suo esempio, anche
con i suoi scritti.
Le Lodi per ogni Ora (FF 264) segnano l'apertura del-
la sinfonia d'amore: "Santo, santo, santo il Signore Iddio
onnipotente, che è, che era e che verrà"(Ap 4,8). "Lodino
Lui glorioso i cieli e la terra e ogni creatura che è nel
cielo e sulla terra (quindi Angeli e uomini, tutti gli al-
tri esseri), il mare e le creature che sono in esso"(Ap
5,13)"(LodOr 1,7:FF 264).
All'uomo in particolare viene rivolto l'invito: "Of-
fritegli i vostri corpi, e portate la sua santa croce: se-
guite fino in fondo i suoi comandamenti (cfr.Le 14,27? Rm
12,1). Tutta la terra si scuota davanti a Lui: gridate a
tutti i popoli che il Signore regna"(UffPass I,Vesp.8:FF
288, V,Vesp. 13:FF 303).
"E attribuiamo al Signore Dio Altissimo e sommo tutti
i beni e riconosciamo che tutti i beni sono suoi e di tut-

226
ti rendiamo grazie, poiché procedono tutti da Lui. E lo
stesso Altissimo e sommo vero Dio abbia, e gli siano resi,
e Egli stesso riceva tutti gli onori e l'adorazione, tutta
la lode e tutte le benedizioni, ogni rendimento di grazie
e ogni gloria, poiché ogni bene è suo ed "Egli solo è buo-
no"(Le 18,19)"(RegNB 17,17-19:FF 49).
"Ma in santa carità che è Dio (1 Gv 4,16), prego tut-
ti i frati, sia ministri che gli altri, che, allontanato
ogni impedimento e messa da parte ogni preoccupazione e
ogni affanno, in qualunque modo meglio possono, debbano
servire, amare, adorare e onorare il Signore Iddio, con
cuore puro e con mente pura, ciò che Egli stesso domanda
sopra tutte le cose.
E sempre costruiamo in noi una casa,(al Figlio), una
dimora (allo Spirito) permanente a Lui, che è Signore Dio
onnipotente, Padre e Figlio e Spirito Santo"(RegNB 22,26-
27:FF 60-61j LettFed 6l-62:FF 202).
Dopo la preparazione dei doni e la disposizione a lo-
dare Dio, Trino ed Uno, Padre, Figlio e Spirito Santo, San
Francesco intona uno dei più perfetti inni di riconoscenza
e di adorazione di Dio, che siano mai usciti da cuore di
credente e di santo: il cap. 23 della Regola Non Bollata
(FF 63-71), che vi prego di leggere per intero. Mi limito
a fare qualche riflessione. K . Esser lo chiama il "Credo
di Francesco", altri chiamano "Te Deum" o "Gloria", altri
"Prefazio", altri infine Canone della Messa o Prece euca-
ristica, come O.Schmucki. (Si veda: L.Lehmann,"Gratias a-
gimus tibi" Structure and Content of Chapter XXIII of the
Regula Non Bullata, in: E.Covi (a cura) L'esperienza di
Dio in Francesco d'Assisi, Roma Ed. Laurentianum 1982,312-
375). Una cosa è certa, mentre il Cantico di Frate Sole
è veramente il "Cantico delle Creature", il capitolo 23
della Regola Non Bollata è il "Cantico degli Uomini", o
il canto dell'Uomo nuovo, Francesco (cfr. 3 Cel 1-2:FF 822-
825), divenuto "una persona" con Cristo (2Cel 214:FF 8 1 4 ) .
Il capitolo inizia con un rendimento di grazie a fiio,
Padre Figlio e Spirito Santo, perché è Dio "onnipotente,
altissimo, santissimo e sommo"(RegNB 23,1:FF 6 3 ) , "Signo-
re, re del cielo e della terra", cioè degli Angeli e degli

227
uomini. Il grazie si estende alla creazione dell'uomo e
dell'Angelo che è in Cristo il primogenito della creazio-
ne: "poiché per la tua santa volontà e per l'unico tuo Fi-
glio nello Spirito Santo hai creato tutte le cose spiri-
tuali e corporali": l'uomo poi è visto come immagine e so-
miglianza: "e noi fatti a tua immagine e a tua somiglianza
hai posto in paradiso"(cfr.Gen 1,26 e 2,15)"(RegNB 23,3:
FF 63). Da notare la creazione "per mezzo del Figlio".
A causa del peccato originale e della caduta, del-
l'Angelo e dell'uomo, Dio manda il Figlio suo "fa nascere
lo stesso vero Dio e vero Uomo dalla gloriosa sempre Ver-
gine beatissima santa Maria, e per la Croce e il Sangue
di Lui ci ha voluti liberare"(23,5-6:64).
Il terzo rendimento di grazie si estende alla seconda
Venuta del Signore nella gloria, per chiamare gli eletti
e giudicare i reprobi, introducendoli nel regno che hanno
amato: il paradiso per coloro che sono stati contenti del
Signore, altissimo e glorioso; l'inferno per coloro che
hanno preferito l'alternativa del maligno (23,7-8:FF 6 5 ) .
Dopo aver introdotto le prime tre strofe con un "Ti
rendiamo grazie"(23,1.5-7) Francesco riconosce che noi non
siamo neppure degni di lodare il Signore e introduce la
lode pura del Figlio e dello Spirito Santo: "E poiché tut-
ti noi miseri e peccatori non siamo degni di nominarti,
supplici preghiamo che il Signore nostro Gesù Cristo Fi-
glio tuo diletto, "nel quale ti sei compiaciuto"(Mt 17,5)
insieme con lo Spirito Santo Paraclito ti renda grazie,
così come a te e ad essi piace, per ogni cosa, Lui che ti
basta sempre in tutto e per il quale a noi hai fatto cose
tanto grandi. Alleluia"(23,9-11:FF 66).
Dopo la strofa trinitaria, San Francesco invita tutte
le creature, secondo la perfezione e l'ordine gerarchico
a diventare pura lode di gloria, incominciando dai Santi
del cielo fino agli uomini.
"E per il tuo amore umilmente preghiamo la gloriosa
e beatissima Madre sempre Vergine Maria, il beato Michele,
Gabriele, Raffaele e tutti i cori degli Spiriti celesti:
Serafini, Cherubini, Tronij Dominazioni, principati e po-
testà, Virtù, Angeli e Arcangeli" (23,12:FF 67) e prosegue

228
con tutti gli Apostoli e santi "affinché rendano grazie
a Te, sommo e vero Dio, eterno e vivo con il Figlio tuo
carissimo, Signore nostro Gesù Cristo e con lo Spirito
Santo Paracl ito"(23,I5 :FF 67).
"E tutti coloro che vogliono servire al Signore Iddio
nella santa Chiesa cattolica e apostolica: tutti gli ordi-
ni ecclesiastici: i sacerdoti, i diaconi, suddiaconi, ac-
coliti, esorcisti, lettori, ostiari, e tutti i chierici,
tutti i religiosi, le religiose, tutti i fanciulli, i po-
veri e i miseri, e i re e i principi (primi i poveri dei
re!), i lavoratori, i contadini, i servi e i padroni, tut-
te le vergini, le vedove e le maritate, i laici, gli'uomi-
n i , le donne, tutti i bambini, gli adolescenti, i giovani,
i vecchi, i sani, gli ammalati, tutti i piccoli e i gran-
d i , e tutti i popoli, le genti, le razze, le lingue (ora
qui egli realizza Ap 7,9, restaurando la Chiesa da tutte
le genti, nella Croce e nel Sangue di Cristo!), tutte le
nazioni e tutti gli uomini della terra, che sono e che sa-
ranno, noi tutti frati minori (Francesco si identifica non
solamente con Gesù Cristo, divenendo sua voce, ma anche
con tutti i frati, rappresentandoli nell'unità della fede
e dell' amore della lode di Dio e dell'edificazione del
Regno di Dio nella lode del Signore!), umilmente preghiamo
e supplichiamo di perseverare nella vera fede e nella pe-
nitenza, poiché diversamente nessuno può essere salvo"(23,
16-22:FF 68). E' commovente l'ampiezza del cuore di Fran-
cesco che invita tutti gli uomini di buona volontà ad en-
trare nella Chiesa e gli infedeli li esorta a diventare
fedeli, perché tutti possano esperimentare la beatitudine
del Regno di Dio. Egli che ha scelto il Regno di Dio come
unica patria non ha altro desiderio se non quello di "por-
tare tutti in paradiso", (Perdono di Assisi).
Dopo avere messo all'inizio: "rendiamo grazie a Dio"
(23,1.5.7.10.15), Francesco effonde la pienezza della sua
carità, cantando la sinfonia dell'amore, per giungere al-
l'ultimo "Deo Gratias" della sua Liturgia cosmica, che
raccoglie l'universo nel cuore dell'uomo, per consacrarlo,
(sacrum facere) nell'Inno eucaristico della chiesa e con-
cludere con gioia "rendiamo grazie"(23,32) a Colui che è

229
"tutto, sempre e sopra tutte le cose desiderabi1 e"(23,34 ).
Scusatemi se leggo tutto il testo, ma è talmente bel-
lo e perfetto, che non si riesce a sintetizzarlo senza
perderne la melodia sinfonica, che è come l'inno della Ge-
rusalemme celeste, simile allo scrosciare di molte acque
(cfr. Ap 19,6) .
"Tutti amiamo, con tutto il cuore e con tutta l'ani-
ma, con tutta la mente, con tutta la capacità e la fortez-
za, con tutta l'intelligenza, con tutte le forze Icfr.Dt
6,5jMc 12,30 e 33,Le 10,27), con tutto lo slancio, con
tutto l'affetto, con tutti i sentimenti più profondi, con
tutto il desiderio e la volontà il Signore Iddio, il quale
a noi ha dato e dà"(si pensi al mistero della 'Immacolata
Concezione' : la Vergine è una concezione, cioè un amore
che continuamente si riceve da Dio ed essendo santo è vi-
vificante, consacrando la sua verginità e compiendola nel-
la visione del Signore, come Santa Maria degli Angeli,
l'Assunta francescana!, realizza pienamente il progetto 1
di Dio, come la creatura 'santa e immacolata nella carità
ch'egli ha amato nel Figlio suo prima della creazione del
mondo (Ef 1,4) e costituisce quindi il primo amore di
Dio!) "tutto il corpo, tutta l'anima, tutta la vita, che
tutti ci ha creato e redento, e che ci salverà per sua so-
la misericordia"( 23, 23-25 •• FF 69).
Ma ciò che preme a Francesco è di fare di tutte que-
ste moltitudini l'unico "nuovo popolo semplice ed umile,
che sia contento solo di Lui, Altissimo e Glorioso"(Spec
26:FF 1411), insieme ai frati, che sono stati scelti pro-
prio per compiere sulla terra "il mistero del Vangelo"(2
Cel 156:FF 740) "animati dall'unico Spirito". Si tratta
quindi di introdurre la creazione con tutti i suoi abitan-
ti nella festa del Regno di Dio.
E' questo il senso e l'invito insistente delle altre
strofe, che vi prego di leggere, per venire rapiti in que-
sto impetuoso soffio dello Spirito di Dio e compiuti nella
visione di Colui, "che è tutto desiderabile"(23,34:FF 71).
Accanto a queste "Laudi degli Uomini" Francesco com-
pose anche le "laudi delle Creature", il "Cantico delle
Creature"(FF 263) che raccoglie le voci delle creature e

230
le compone in un bel Cantico.
Si svela così il profondo mistero delle creature e
dell'uomo nella prospettiva del Regno di Dio e tutta la
vita si intona nella solenne liturgia dell'universo, al
cui centro s'eleva la Croce pasquale di Cristo, che racco-
glie la Chiesa e la consacra, a lode della Trinità.
La creatura vera non è quella che noi spesso incon-
triamo, opaca ed inespressiva, ma una trasparenza di luce,
una scala che scende e sale, portata sulle ali degli Ange-
li .
Per noi, qui alla Verna, il canto si intona, come per
Francesco, sulla cetra dei Serafini ardenti e diventa lode
pura ed esultante della gloria e della grazia di Dio, che
in ogni cosa si rivela e tutto compie e trasfigura, ricom-
ponendolo nella pace del Primo Amore, nella beatitudine
della Trinità.
Una nostalgia ci nasce in cuore: contemplare questo
mondo nuovo, con gli occhi estasiati di Francesco e canta-
re questo canto nuovo col cuore innamorato di Francesco,
il Serafino della Verna.
Ma per giungere a questi vertici di contemplazione
e di beatitudine non c'è che una via, quella seguita da
Francesco serafino: l'ardente amore verso gli Angeli santi
e soprattutto verso la Regina di tutti gli Angeli, la Ver-
gine Madre Maria. Così si congiunge il cammino della croce
pasquale di Cristo al cammino della Ascensione al cielo
del Figlio di Dio glorificato e dell'Assunzione al cielo
della beatissima Vergine, Santa Maria degli Angeli: il mi-
stero del compimento dell'opera salvifica, nell'unità del
Padre celeste, che tutto raccoglie e custodisce nella sua
pienezzza fontale. Poiché questa è la vita eterna, che noi
celebriamo la Pasqua con Cristo, per ritornare con Lui al
Padre (Gvl3,l, LM 7,9:FF 1129). La sua croce diventa così
non solo via e verità, ma ci introduce nella vita eterna
(cfr.Gv 14,6). "Il Verbo dunque esprime il Padre e tutte
le creature che per lui sono state fatte, e principalmente
ci riconduce "ad Patris congregantis unitatem" (all'unità
del Padre che tutto raccoglie in unità), e sotto questo
aspetto è l'Albero della vita (Ap 22,2), perché per suo

231
mezzo ritorniamo e siamo vivificati nella stessa Fonte
della vita"(Sai 35,10)"(S.Bonaventura,In Hexaemeron, Col-
latio 1,17,Opera Omnia,V,332a). "Per cui questa è la vita
eterna, e solamente questa, cioè che lo spirito razionale,
che promana dalla Santissima Trinità ed è immagine della
Trinità, compiendo come un circolo intelligibile (un iti-
nerario dello spirito) ritorni per la memoria, l'intelli-
genza e la volontà, per la deiformità della gloria nella
Santissima Trinità"(S.Bonaventura,De Mysterio Trinitatis,q
Vili,7?0pera Omnia,V,115b).
Le mie considerazioni non sarebbero complete se non
ricordassi il momento concreto del passaggio di Francesco
nel grande inno della Chiesa, come "Exultet" pasquale, che
intona tutte le voci della creazione e degli uomini nel
Canto nuovo, che è il Canto della Parola della chiamata
a San Damiano, la quale, dopo essergli stata via della
croce e di averlo introdotto nella verità di Cristo e del-
la sua vita compiuta in Cristo, gli apre le vie della vi-
ta, introducendolo nel Regno di Dio.
Si tratta dell'ultima purificazione, dell'ultima ri-
sonanza della Parola, dell'ultima rifrazione dell'immagine
di Cristo e dell'ultima risposta, che dal suo cuore, aper-
to dalla ferita dell'amore, sale al Padre come perfetto
rendimento di grazie, là dove aveva detto il primo "Lo fa-
rò volentieri, Signore!" (3Comp 13:FF 1411).
"E non fu senza motivo la sua perfetta purificazione
in questa "valle di lacrime"(Sal 83,7): con essa "ha paga-
to sino all'ultimo spicciolo"(cfr. Mt 5,25) se vi era ri-
masto qualcosa da bruciare, in modo da volare poi, purifi-
catissimo, in cielo, scrive Tommaso da Celano.
Ma la principale ragione dei suoi dolori penso sia
stata, come egli affermava di altri, la speranza di rice-
vere nel sopportarli "una grande ricompensa"(Sai 18,12)
(la prospettiva è sempre il Regno di Dio).
"Una notte, essendo sfinito più del solito per le
gravi e diverse molestie delle sue malattie, cominciò nel-
l'intimo del suo cuore ad avere compassione di se stesso.
Ma, affinché "lo spirito" sempre "pronto" (Mt 26,41) non
provasse, neppure per un istante, alcuna debolezza umana

232
per il corpo, invocò Cristo e col suo aiuto tenne saldo
lo scudo della pazienza. Mentre pregava così impegnato "in
questa lotta"(lCor 9,25) il Signore "gli promise la vita
eterna" (cfr.Eb 10,36 e Gv 6,69) con questa similitudine:
- "Supponi che la terra e l'universo intiero sia oro pre-
zioso di valore inestimabile e che, tolto ogni dolore, ti
venga dato per le tue gravi sofferenze un tesoro di tanta
gloria che, a suo confronto, sia un niente l'oro predet-
to, neppure degno di essere nominato, non saresti tu con-
tento e non sopporteresti volentieri questi dolori momen-
tanei?" -
- "Certo sarei contento - rispose il Santo - e sarei con-
tento smisuratamente!" -
- "Esulta, dunque, - concluse il Signore - perché la tua
infermità è caparra del mio regno e per il merito della
pazienza devi aspettarti con sicurezza e certezza "di aver
parte allo stesso regno"(c.fr.Ef 5,5)" (2Cel 212-213-FF
801-802).
Gesù Cristo stesso intona in Francesco il canto del
compimento. Allora, dopo la notte terribile, infestata dai
topi (LegPer 43:FF 1591), Francesco entra in sintonia e
vi modula il Cantico delle Creature (2Cel 213:FF 203, Leg
Per 43 : FF 1592, Spec 100:FF 1799) e il Cantico per ^ ' " P o -
vere Dame di San Damiano"(cfr.LegPer 45:FF 1594, Spec 90:
FF 1788), come il Magnificat della creazione nuova, ricon-
ciliata e compiuta nella pace dell'Amore.

233
Vili Lezione:

PEDAGOGIA FRANCESCANA DELL 'AMORE

1) Ospitalità e accoglienza cortese: "con bontà e a-


micizia "

2) Amare e nutrire "come una madre"

3) La persona umana: un'immagine di Cristo che at-


tende di rivelarsi nella perfetta somiglianza

k) Obbedienza come dono reciproco della vita, e ma-


turità cristiana dell'amore.

Questa sera parlerò della pedagogia francescana del-


l'amore. Abbiamo visto che la vita francescana è un amore
che s'incarna, che entra dentro la parola rivelata: il Van-
gelo; entra dentro l'immagine: iconomia (--entrare nell'ico-
na), che alla fine traspare. L'immagine di Cristo, proprio
quassù alla Verna, traspare in quella di Francesco. Quindi
una vita che riesce, si compie nel disegno di Dio. Qual è
l'aspetto umano, direi di iniziazione, il cammino da percor
rere, per realizzare questa esperienza d'amore? Ce lo inse-
gna la pedagogia, che è l'arte che prende il bambino da
piccolo e lo aiuta a realizzarsi come persona, incomincian-
do dai primi passi: lo conduce verso il compimento, la per-
fezione, quindi lo mette in movimento, però non in qualche
modo, bensì cogliendo la sua caratteristica. Cerca di capir
ne il mistero, di formarne il cuore e la mente, di farlo
crescere e di farlo sviluppare, affinché possa identificar-
si per entrare in comunione. Quindi ne sviluppa i doni,
i talenti e cerca di farlo crescere come persona. Per rea-
lizzare questo è necessario un progetto, una visione. Que-
st'uomo non nasce per aria, ma è incarnato in un contesto
storico. Quindi ci vuole una visione, che noi abbiamo cerca
to di abbozzare in questi giorni, una concezione dell'uomo.

234
Vi è un modo d'incontrare l'uomo, che è tipicamente france-
scano ed è quello dell'amore, un amore fraterno che diventa
materno. Intendo trattare la pedagogia francescana dell'a-
more .

1) Ospitalità e accoglienza cortese: "con bontà e amicizia"

Mi ha sempre colpito una espressione di Tommaso da


Celano, che qualifica come nuovi i principi sui quali Fran-
cesco fondava il suo metodo di formazione dei suoi "nuovi
figli": "Il Beato Padre Francesco, ricolmo ogni giorno più
della grazia dello Spirito Santo, si adoperava a formare
con grande diligenza e amore i suoi nuovi figli,insegnan
do loro con nuovi principi, a camminare rettamente e con
passo fermo sulla via della povertà e della beata semplici-
tà" (ICel 26:FF 363).
Il Celano indica così lo stile formativo di Francesco
che è fatto principalmente di "grande diligenza e amore"
ossia di un amore attento, servizievole, gentile e fedele,
di modo che la vita diventi sempre più conforme all'ordine
nuovo dello Spirito Santo e acquisti le caratteristiche
dell'altissima povertà di Cristo, raggiungendo la perfetta
purezza e semplicità di cuore, che permettano di vedere
il Padre e quindi di essere beati. Una vita nuova che s'a-
pre alla sorprendente primavera della visione del Signore,
che con la sua presenza rinnova ogni cosa. Francesco è chia
mato figlio della grazia" (ICel 13:FF 342) e, "ricolmo ogni
giorno più della grazia dello Spirito Santo", vuole che
i suoi frati siano "lieti nel Signore, ilari e conveniente-
mente graziosi" (RegNB 7,17:FF 27, 2Cel 128:FF 712). Si
tratta quindi di una formazione umana, che parta dalla for-
mazione del cuore, che egli vuole "bello e buono"(Le 8,15)
"(RegNB 22,18:FF 58), ossia terra vergine, capace di acco-
gliere la novità della grazia di Dio e di aprirsi alla bea-
titudine del suo Regno e, necessariamente, resa da ogni
cosa libera, affinché possa accogliere la pienezza della
"altissima povertà" (RegB 6,5:FF 90), che è quella di Cri-
sto, o meglio Cristo stesso. Per cui Francesco insiste:
"Questa sia la vostra porzione (si pensi alla tribù di Le-

235
vi, che non aveva porzione alcuna, perché la sua porzione
era quella del Regno di Dio!, cfr. Lv 7,28ss.) che vi condu
ce "alla terra dei viventi"(Sal 141)"(RegB 6,6:FF 90). il
povero del Regno non vuole avere altro sotto il cielo (RegB
6,7:FF 90), perché è "contento solo di Gesù Cristo, altis-
simo e glorioso"(Spec 26:FF 1711, LegPer 67:FF 1017).
L'amore ha una capacità immensa di accoglienza. Anzi
soltanto l'amore crea un'intimità e prende l'altro e lo
porta dentro. Quindi se lo raccoglie e lo custodisce e gli
permette di crescere finché vede la luce. E' l'immagine
bellissima della madre che non elimina il seme, non lo con-
suma, ma lo custodisce e lo matura, se lo cresce dentro,
finché darà alla luce il bambino, l'immagine della Donna
apocalittica (Ap 12). L'apocalisse si rivela qui in France-
sco e si rivela anche in tutti coloro che, come lui, credo-
no e amano (cfr. A . Kleinhans,ofm,"De Commentario in Apoca-
lypsim Fr.Alexandri Bremensis ofm" , Ant 289-334 • 2/1927 ).
Quindi la prima cosa è 1' accoglienza, rispettosa
e cortese. E' questo il primo atto di amore: l'accettazione
dell'altro così com'è. Quindi attenzione all'esistenza
dell'altro o dell'altra, perché ha la sua dignità, ha la
sua presenza e quindi merita tutto il rispetto.
Il grande pedagogo romano Quintiliano diceva che si
deve massima riverenza al bambino, io aggiungo: non solo
al bambino, ma ad ogni uomo, ad ogni creatura. Quindi il
rispetto e la riverenza, però anche la sorpresa che apre
il cuore alla gioia. E qui San Francesco fa della sua espe-
rienza un dono, perché egli stesso è rimasto sorpreso dal
suo Maestro povero e crocifisso, che ad ogni incontro lo
riempiva di nuovo stupore. Incontrava degli uomini per stra
da e s'accorgeva che non è vero ciò che è fuori, ma quello
che è dentro: la realtà è interiore, è spirituale, pur rive
landosi mediante i segni e le parole.
Quindi nel povero traspare Cristo, nel lebbroso tra-
spare Cristo. E dovunque sia, non vede altro che questa
immagine nuova. Quindi c'è qualcosa che si illumina nella
visione di Francesco: l'uomo non è solo quello che appare
esteriormente, neppure si deve identificare con l'aspetto
fisico o le sue evidenti deformazioni morali, è qualcosa

236
di più: è una persona, un mistero, una presenza, è un dono
di Dio, una sua immagine unica e irripetibile, tale da su-
scitare tutto lo stupore e la meraviglia del Santo. Quindi
bisogna trovare in Dio la sua origine, la sua significazio-
n e . Per questo San Francesco, che ha solo Gesù Cristo ed
è "contento solo di lui", pone come principio quello fonda-
mentale e per tutti i figli di Dio (cfr.Rm 8,28-30) esempla
re, dell'Incarnazione: accoglienza e amore. Un'accoglienza
che diventa bontà e cortesia è la regola, per lui e per
i suoi frati. Proprio perché il Signore lo chiama per nome,
lo accogl ie e lo trasforma usandogli misericordia, egli
ne fa una regola. E' qui il primo punto: la pedagogia fran-
cescana come ospitalità e accoglienza cortese.
Già San Paolo suggeriva ai cristiani di Roma di esse-
re "premurosi nell'ospitalità" (Rm 12,13). Ma l'accoglienza
non è tanto facile. San Giovanni, l'Apostolo dell'Amore,
ha patito la più grande delusione della sua vita proprio
perché tra i cristiani non c'era ospitalità, che è il segno
del vero amore. Nella terza di Giovanni, l'Apostolo dell'a-
more soffre immensamente perché Diotrefes, che era il capo
della Chiesa, della comunità (fosse sacerdote o vescovo,
non lo sappiamo), era prepotente, perché amava i primi po-
sti ed era violento, eliminava gli altri e rifiutava di
accogliere gli ospiti, che erano i cristiani perseguitati.
Giovanni invece loda coloro che sono ospitali e "fanno in-
sieme la Verità" (3Gv 8 ) . L'ospitalità come segno che noi
siamo di Cristo e siamo figli di Dio, capaci di accoglien-
za. Soltanto l'amore è capace di tale accoglienza.
San Francesco ne fa una norma per i frati: "E chiun-
que verrà da essi, amico o nemico, ladro o brigante, sia
ricevuto con bontà" (RegNB 7,15:FF 26). Ma anche i frati
devono usarsi reciproca stima e sincero affetto: "E ovunque
sono i frati e in qualunque luogo si troveranno, spiritual-
mente e con amore, si debbano rispettare e onorare scambie-
volmente, senza mormorazione" (lPt 4,9).
Quindi è lo Spirito che dà il ritmo nuovo, l'ordine
nuovo che viene da Dio, dalla fede, dall'amore, e ha un
immenso potere di consacrare, non tocca la creatura, non
la rigetta, ma l'accoglie e la custodisce con cortesia e

237
con gioia. Lo stile esprime l'atteggiamento interiore. Chi
è contento di accogliere Gesù Cristo velato sotto le sem-
bianze del fratello, non può contenere la gioia e la espri
me spontaneamente: "E si guardino i frati dal mostrarsi
tristi all'esterno, oscuri in faccia come gli ipocriti
(cfr. Mt 6,16), ma si mostrino lieti nel Signore" (Fil 4,4)
e giocondi e garbatamente allegri" (RegNB 7,17:FF27). (Con-
venientemente graziosi, perché son figli della Grazia e
quindi devono dimostrarsi graziosi, è uno stile che corri-
sponde al dono di Dio, ci configura al dono ricevuto).
Quindi l'accoglienza è il primo atto di amore che
accoglie l'altro e gli permette di essere se stesso. Acco-
glienza quindi con bontà, con riverenza, con rispetto, con
gioia, di modo che ognuno si senta accolto e questo deve
esprimersi anche all'esterno, non soltanto in teoria, ma
in pratica. Per cui, il frate è un uomo che ha il cuore
aperto, che è accogliente. La cordialità francescana è di-
ventata proverbiale e quindi dovrebbe essere anche il fonda
mento di ogni incontro, di ogni dialogo. Ospitalità e acco-
glienza cortese, perché la cortesia caratterizza l'amore.
Quindi non in modo brusco, volgare. L'amore affina sempre
e quindi sa accogliere l'altro dovunque egli si trovi, e
nel modo a lui più confacente, adattando il proprio atteg-
giamento alla capacità di percezione dell'altro e commisu-
randolo alla sua lunghezza d'onda, aumentando progressiva-
mente il ritmo per promuoverne le migliori qualità. Non
è sufficiente una lunghezza d'onda comune, perché nessuno
è una persona comune. Ciascuno è una individualità unica
e irripetibile, un mondo forse rinchiuso nel proprio egoi-
smo, ma capace di aprirsi a tutte le finezze e sfumature
dell'amore e di esprimersi con misura e proprietà, con sti-
le e con arte.
Ecco, vediamo allora un esempio tipico, quello dei
briganti di Montecasale nelle tre versioni tramandateci.
La prima versione (Fior 26:FF 1858) parla di tre briganti,
i quali vengono al convento a chiedere da mangiare e frate
Angelo che pure era un buon frate, stimato da San Francesco
che lo aveva costituito guardiano, li caccia via in malo modo,
Arriva Francesco ed egli decanta la sua bravura, quasi per

238
averne una lode. 'Sei stato molto crudele - dice invece
Francesco al guardiano - . 'Ma se se meritavano'. 'Va a
chiedere perdono - ordina sapientemente il Santo - , ti sei
lasciato provocare dal difetto, non li hai riconosciuti
come uomini, non hai accolto in loro l'immagine di Cristo.
E allora devi riprendere umilmente a esercitarti nel vedere
il Signore, per potere incontrare i fratelli nella verità'.
Chi vede prima il difetto, difficilmente arriva a Cristo,
solo chi vede Gesù Cristo può accogliere il fratello.
Francesco insegna ad amare per primo e a usare miseri
cordia nutrendo i fratelli ladroni. Prendi tutto il pane
e tutto il vino che ho raccolto alla mensa del Signore.-
(La totalità è la legge dell'amore. Dio che è l'Amore non
dona mai meno di se stesso. Chi ama, dona sempre il cuore,
in tutti i segni espressivi del suo amore. Soltanto il cuo-
re che ama accoglie).
'Va a chiedere perdono e dà loro da mangiare'. Frate
Angelo li va a cercare nella foresta, li ritrova, chiede
loro perdono e dà loro da mangiare. Quelli cadono dalle
nuvole, vedendo un frate che chiede perdono a loro che sono
briganti e son talmente commossi che si convertono, si fan-
no frati e muoiono da santi. I Fioretti danno una versione
trasfigurata. Mentre, la questione è un po' più difficile,
come ricordano la Leggenda Perugina (n.90:FF 1646) e Lo
Specchio di Perfezione(66:FF 1759)Le due versioni corrispon
dono.
Vediamo come San Francesco sapeva accogliere la gente
difficile da educare.
"In un eremitaggio situato sopra Borgo San Sepolcro,
venivano di tanto in tanto certi ladroni a domandare del
pane. Costoro stavano appiattati nelle folte selve di quel-
la contrada e talora ne uscivano, e si appostavano lungo
le strade per derubare i passanti.
Per questo motivo, alcuni frati dell'eremo dicevano:
"Non è bene dare l'elemosina a costoro, che sono dei ladro-
ni e fanno tanto male alla gente". Altri, considerando che
i briganti venivano a elemosinare umilmente, sospinti da
grave necessità, davano loro qualche volta del pane, sempre
esortandoli a cambiar vita e fare penitenza.

239
Ed ecco giungere in quel romitorio Francesco. I frati
gli esposero il loro dilemma: dovevano oppure no donare
il pane a quei malviventi? Rispose il Santo: "Se farete
quello che vi suggerisco, ho fiducia nel Signore che riusci
rete a conquistare quelle anime". E seguitò: "Andate, acqui
state del buon pane e del buon vino, portate le provviste
ai briganti nella selva dove stanno rintanati, e gridate:
Fratelli ladroni, venite da noi! Siamo i frati, e vi por-
tiamo del buon pane e del buon vino"» ì
Paolo VI chiamò fratelli i brigatisti, vi ricordate?
li chiamò, ma non risposero. Francesco ebbe migliore fortu-
na . I frati li invitano, non li rifiutano, li accolgono,
li invitano a mensa, da amici, ecco la celebrazione: è l'Ul
tima Cena, è la lavanda dei piedi di cui parlavo i giorni
scorsi; io accolgo l'altro, che ha i piedi sporchi, che
è brigante, ladrone e lo accolgo nella mia intimità, gli
permetto di essere parte di me stesso, affinché egli diven-
ti nuovo, sono una madre che lo accoglie e custodisce fino
alle doglie del parto, affinché divenga nuova creatura.
"Quelli accorreranno all'istante. Voi allora stendete una
tovaglia per terra". (Quindi con eleganza, con dignità, con
arte) "disponete sopra i pani e il vino e serviteli con ri-
spetto e buon umore"(1'al tra versione dice: con riverenza
e amicizia. Più o meno vi sono sempre le due caratteristi-
che, con cortesia ma anche con dignità. Sono creature di
Dio, uomini, fratelli e allora sono Cristo. Attenti: il
fratello è Cristo, sempre; siamo fratelli di Cristo, quindi
tutta la riverenza che debbo a Cristo, al Santissimo, la1
debbo a ogni fratello. Ambedue sono "mistero di fede". K
la fede la beatitudine della maternità divina e verginale
della Madonna (Le 1,45) e di quanti hanno il coraggio di
risorgere (cfr. Gv 20,29). Ecco la visione di lede: Ja
fedeltà nasce dalla fede, come la diligenza nasce dall'amo-
re . Uno che ama capisce questo. Con rispetto e con buon u-
more, con garbatezza, quindi con gioia).
" F i n i t o che a b b i a n o di m a n g i a r e , p r o p o r r e t e loro le
parole del S i g n o r e . C h i u d e r e t e 1 ' e s e r t a z i o n e c h i e d e n d o loro
per a m o r e di D i o , u n p r i m o p i a c e r e " (quindi a n c h e m o l t o
p r o g r e s s i v a la p e d a g o g i a , un passo d o p o l ' a l t r o , c h i e d e r e

240
quel poco che possono donare) "e cioè che vi promettano
di non percuotere o comunque maltrattare le persone. Giac-
ché, se esigete da loro tutto in una volta" (attenti alia
pedagogia di Francesco), "non vi starebbero a sentire. Ma
così, toccati dal rispetto e affetto" (come i frati, quindi
diventano familiari, intimi. Il brigante è mio fratello
intimo, è Cristo, quindi lo accolgo nel mio cuore, Io amo
davvero e quello è commosso, è sorpreso, meravigliato dal
rispetto che ho per lui, che è immagine di Dio, immagine
del corpo di Cristo e dall'affetto vero, non finto, un'af-
fetto che è intimo e sincero, di cuore) "che dimostrate,
ve lo permetteranno senz'altro".
Quindi prima lezione di pedagogia fatta da S . France-
sco. Vediamo la seconda: "Il giorno successivo tornate da
loro e in premio" (ecco, hanno fatto bene, date loro un
premio. Vedete come accentua il bene, dicevo di mettere
in luce il bene. La critica è l'arte di saper lodare, è
mettere in evidenza il bene, promuoverlo, svilupparlo fin-
ché giunge alla perfezione) "della buona promessa fattavi,
aggiungete al pane e al vino delle uova e del cacio" (al-
trove dicono: delle buone uova e dell'ottimo cacio), "por-
tate ogni cosa ai briganti e serviteli". (Ecco la lavanda
dei piedi, servirli, capite. L'amore deve essere donato,
partecipato, ecco la condivisione di oggi. E' attualissimo
questo, condividere, partecipare il dono, affinché essi
vivano. Amare e nutrire, in convento e fuori convento. Pri-
ma amare e poi nutrire, garantire la pace, non camparla
per aria). "Dopo il pasto direte: - Ma perché starvene qui
tutto il giorno, a morire di fame e a patire stenti, a or-
dire tanti danni nell'intenzione e nel fatto, a causa dei
quali rischiate la perdizione dell'anima, se non vi ravve-
dete? Meglio è servire il Signore, e Lui in questa vita
vi provvederà del necessario e alla fine salverà le vostre
anime - . E il Signore, nella sua misericordia, ispirerà
i ladroni a mutar vita, commossi dal vostro rispetto e af-
fetto". (Rispetto e affetto, prima la riverenza perché im-
magino di Dio, perché vedono il Signore in quei brigante,
e poi affetto vero, come una madre verso il suo bambino,
di modo che egli diventi familiare, domestico, intimo. E'

241
parte di me perché se è prossimo, è Cristo. Ricordate l'e-
sempio dei discepoli di Emmaus? Finché sono pellegrini
e stranieri non capiscono nulla, quando lo invitano "resta
con noi" diventa prossimo. E allora il Cristo si rivela
subito. Lavanda dei piedi, comunione piena, nella Eucare-
stia, celebrazione solenne).
"Si mossero i frati e fecero ogni cosa come aveva sug-
gerito Francesco "/'(La pratica, l'esercizio. Lezione a scuo-
la tenuta da Francesco, adesso l'esercizio pratico). "I
ladroni, per la misericordia e grazia che Dio fece scendere
su di loro " | (perché c'è anche Dio che o p e r a , non dobbiamo
mai dimenticarlo, mai escluderlo. Un cristiano è sempre
l'antesignano, l'araldo di Cristo. Dove arriva lui deve
arrivare Cristo, altrimenti è infedele, annuncia un altro
regno. Se invece è fedele annuncia sempre Cristo e ne pre-
para le vie), "ascoltarono ed eseguirono punto per punto
le richieste espresse loro dai frati. Molto più, per l'af-
fabilità e l'amicizia dimostrata loro dai frati, comincia-
rono a portare sulle loro spalle la legna al romitorio"
(Cominciano a fare qualche opera buona. Vedete la differen-
za delle versioni a cui accennavo? I Fioretti trasfigurano
i ladroni che vanno in convento, si fanno frati e divengono
santi, tutto in un istante. Un bel fioretto. Mentre qui
fanno anche il cammino. Qualcuno comincia a fare qualche
opera buona? per riparare i suoi peccati porta la legna
sulle spalle al romitorio). "Finalmente, per la bontà di
Dio e la cortesia e amicizia" (ripete: cortesia e amicizia)
"dei frati, alcuni di quei briganti entrarono nell'Ordine,
altri si convertirono a penitenza, promettendo nelle mani
dei frati che d'allora in poi non avrebbero più perpetrato
quei mali e sarebbero vissuti con il lavoro delle loro ma-
ni". (Quindi promettono di diventare onesti. E' già una
bella cosa. Però c'è un altra leggenda che dice che qualcu-
no è rimasto brigante, perché ognuno ha la libertà di coo-
perare o di rifiutare la grazia).
"I frati e altre persone venute a conoscenza dell'ac-
caduto, furono pieni di meraviglia, pensando alla santità
di Francesco, che aveva predetto la conversione di uomini
così perfidi e iniqui, e vedendoli convertiti al Signore

242
così rapidamente" (LegPer 90:FF I 6 4 6 ) .
Ecco allora il primo punto: l'accoglienza cortese,
riverente, gentile. Quindi un servizio vero, un amore vero.
Se l'amore è vero porta frutto, dobbiamo crederci. Quindi
ci pensa Dio a far portare frutto, purché noi siamo fedeli
anche in questo. Prima cosa accoglienza, cortese, gentile,
con bontà e amicizia rispetto e riverenza. Lo stesso anche
nello Speculum, perciò non sto a ripetere. Però avete visto
la differenza anche dalle fonti. Bisogna saper leggere.
Non basta la verità, bisogna vedere anche le sfumature.
Quindi Francesco ha qui tre momenti. Prima cosa: amare.
Soltanto l'amore cambia l'altro. Se io lo rifiuto, ho già
finito, anche se perdo una vita, è inutile. Soltanto ciò
che accolgo ciò che amo veramente, diventa nuovo. L'amore
cambia, la conoscenza non basta. E quindi l'accoglienza.
Poi la gradualità: coglie l'altro lì dov'è. Un brigante
non può diventar santo subito. E' impossibile. Che prima
di tutto rinunci a fare del male, però come conseguenza
di un bene ricevuto. Come fa lui a credere all'amore se
nessuno lo ha amato mai? Amalo per primo, quall'altro avrà
una risposta, il suo cuore si accenderà e quindi diventerà
migliore. E poi un poco alla volta metti in evidenza il
bene, quindi promuovi il bene in lui, in modo che possa
crescere. Ecco la pedagogia, mette in movimento il bambino
che è dentro. Si parla spesso anche nella poesia del bambi-
no che ognuno porta in sé... il Pascoli per es. Il fanciul
lino che è dentro tu lo fai venire fuori, alla luce e così
sei una madre, che lo porta dentro finché viene alla luce.
E allora l'altro un poco alla volta cresce cresce, finché
diventa adulto e maturo ed è capace di camminare con i
propri piedi e di usare la propria libertà. Ecco la forma-
zione, la vera pedagogia. La prima cosa, quindi, ospitali-
tà e accoglienza cortese con bontà e amicizia. Tuttavia
non ci si deve limitare alla prima accoglienza, bisogna
custodire, portare dentro il bambino.

243
2) Amare e nutrire "come una madre"

L'apocalisse (Ap 12) presenta la creatura nuova, la


Donna nel sole che è capace di essere fecondata da Dio,
quindi di accogliere il seme, che può essere un germe di
vita, può essere un fratello, un altro, accoglierlo per
vivificarlo mediante l'amore vero, ma poi custodirlo den-
tro. F portarlo per nove mesi. Un fratello bisognerà portar
lo per chi sa quanti anni!
Oggi è Santa Monica. Per quanti anni ha portato in
grembo quel bambino perché egli rinascesse? La prima volta
nove mesi, è naturale, ma poi per la seconda nascita, quan-
ti anni? Eh, più di venti! Non è facile portare il fratello
per venti anni, se poi è un po' pesantino... Qualcuno è
leggero, ma altri sono piuttosto pesanti. Eppure bisogna
portarli, se vogliamo che imparino ad amare e siano anche
essi capaci di diventare materni. E' un nuovo ordine secon-
do lo Spirito. E qui un figlio diventa madre. E' dalla Paro
la di Dio che nasce questa fecondità, per cui il figlio
o la figlia possono diventare madre, fratello e sorella
del padre e della madre. In quanto è prossimo di enta Cri-
sto e quindi il metodo pedagogico francescano intende rende
re ogni creatura, prossimo. Accoglierlo nelle proprie vici-
nanze e accoglierlo come Cristo, perché il prossimo è sem-
pre Cristo5 e amarlo come si ama Cristo.
Quando Francesco l'ha scoperto questo nel lebbroso
(lCel 17:FF 348, 2Cel 9:FF 592, LM 1,5:FF 1034), dopo aver-
lo abbracciato e baciato, risalì a cavallo, si voltò, ma
non vide più nessuno, benché la pianura fosse libera. Era
evidentemente Cristo in persona che si era presentato a
lui come lebbroso, testimoniano sia il Celano che San Bona-
ventura. Ma cos'ha fatto Francesco dopo quello straordina-
rio incontro? Dopo avere imparato la lezione a memoria?
Si è esercitato ogni giorno, andava nel lebbrosario a servi
re i lebbrosi (3Comp 11:FF 1407). Perché se questa è la
verità, bisogna essere nella verità. Si esercitava.
Quindi incominciamo così anche noi. L'accoglienza
però, non comincia dai lontani. Finché uno è lontano, non
è prossimo, non è Cristo, non si capisce niente. E dicevo

244
nei giorni scorsi, noi abbiamo trovato la scappatoia per
non amare il prossimo, che è noioso è indigesto, con un
caratteraccio insopportabile, abbiamo scelto una scappatoia
molto intelligente, moderna: il dialogo con i lontani. At-
tenti: non che non sia utile e anche doveroso, ma non come
alternativa. Tanto per non amare il prossimo, vado dai lon-
tani, faccio il mio bel dialogo, e tutto rimane come prima,
se non lo rendo prossimo. Non cerchiamo alternative, Gesù
è molto concreto: amore del prossimo.
Quindi cerchiamo di rendere prossima ogni creatura.
Francesco rendeva prossime anche le creature inanimate e
le chiamava fratello e sorella, dando a loro un volto uma-
no, cioè un volto cristiano. Accoglienza e custodia si com-
pletano. Siamo responsabili per tutta la vita di colui che
abbiamo reso "prossimo" (si pensi alla rosa nel Piccolo
Principe di Antoine de Saint-Exupery, o al dialogo finale
tra il Piccolo Principe e la volpe: il segreto qual'è? Si
vede bene solo con il cuore, le cose più belle restano na-
scoste a chi non ama). Il nostro compito è di portarlo den-
tro il cuore, come una madre il suo bambino.
"Ma è possibile? - diceva Nicodemo - io sono adulto,
non entro nel grembo di mia madre. E' impossibile". E inve-
ce ognuno, anche Nicodemo (Gv 3,lss.)deve rinascere e per
rinascere ci vuole una madre (secondo lo Spirito, è chia-
ro). Ecco, qualcuno che abbia un amore talmente grande come
quello di una madre, addirittura più grande ancora. Prendia
la Regola (RegNB 9,14:FF 32, RegB 6,8-10:FF 91) e vediamo
come deve essere questo amore che accoglie, l'accoglienza
materna del frate: "E ciascuno ami e nutra il suo fratello,
come la madre ama e nutre il proprio figlio (lTs 2,7), in
tutte quelle cose in cui Dio gli darà grazia" (RegNB 9,14).
E' un paragone molto efficace.
Sia la RegNB che la RegB fanno precedere a questi
passi l'e sortazione ad abbracciare l'altissima povertà di
Cristo: è la via della liberazione. Chi ha scelto il Regno
non ha più nulla di proprio al di fuori di Cristo, quindi
non gli resta altro che Cristo. L'Altissima povertà è Cri-
sto, quel modo di essere umanamente sulla terra porta le
dimensioni di Cristo. Egli quindi lo scopre e cerca di in-

245
c a r n a m e la realtà. "E ovunque sono e si troveranno i frati
si mostrino familiari tra loro" (RegB ò , N : F F 91), quindi
familiari, domestici, proprio l'intimità della famiglia.
E' il focolare. Dicevo che l'amore crea sempre un'intimità,
e se l'amore è vero, è felice. Uno è contento e porta frut-
to. Quando marito e moglie sono contenti insieme, nascono
anche i figli e sono contenti e felici, se invece non van
d'accordo non nascono figli e non sta in piedi neppure la
famiglia. L'amore vero quindi crea un'intimità, un focola-
re, dà fecondità e gioia.
L'aggettivo "domestici" richiama l'amore che edifica
la casa (ICor 8,1) e diventa dimora dello Spirito, taberna-
colo della Trinità. Ecco, edifichino una casa nel loro cuo-
re per l'altro e insieme formino una casa, un tempio per
Iddio (cfr. Gv 14,17): "Se uno mi ama, osserverà la mia
parola e il Padre mio lo amerà e noi verremo a lui e prende
remo dimora presso di lui". Quel loro convenire insieme
lo consacrino in tempio di Dio, affinché fiorisca l'amore
e siano segno."E ciascuno manifesti con fiducia all'altro
le sue necessità". Questo è il bello, è nuova creazione.
Io mi affido all'altro, non ho paura. Io dico: Ik- bisogno
e permetto all'altro di aiutarmi, mi fido di lui, mi affido
a lui, io rinasco perché l'altro mi ama.
Mi ricevo dall'altro come ha fatto Iddio? incarnando-
si, si riceve dalla sua creatura, ecco l'umiltà di Dio che
Francesco ammirava (LettCapFr 26-37:FF 220-221 5 Am 1,16-22:
FF 144-145). Vedi che discese nel grembo della Vergine Ma-
ria e ogni giorno nelle mani del sacerdote. Si umilia, si
riceve dalla creatura: l'umiltà di Dio. Così io seguo l'e-
sempio del Figlio di Dio, mi accolgo dall'altro, gli per-
metto di farmi nuovo perché ho bisogno, sono povero. Quindi
mi affido a lui ed egli mi ricrea nel suo amore, come una
madre. "Poiché se la madre, nutre e ama il suo figlio carna
le, con quanto più affetto uno deve amare e nutrire il suo
fratello spirituale?". Avete notato quel chiasmo? Se una
madre nutre ed ama, quanto più uno deve amare e nutrire.
Ha il suo senso questo chiasmo. La madre nutre ed ama. Si
pensa che, almeno nell'ordine della natura, la madre nutra
ed ami. Purtroppo non è sempre così. Talvolta la madre nu-

246
tre per istinto naturale, quindi per fecondità naturale,
ma purtroppo non ama. E allora quella creatura non vedrà
la luce, è il dramma moderno. 0 è consumata dentro, o è
eliminata, o, se viene alla luce, sarà infelice, perché
non amata e quindi senza intimità, senza famiglia.
Vi ricordavo quel dramma, che ho visto, della bambina
di 4 anni che non sente e non vede niente, perché è andato
male l'aborto, ma lei vive ed è proprio una croce vivente,
sono le croci moderne per il prossimo che non amiamo. Le
croci moderne hanno altri volti, sono sempre fatte in un
determinato modo. E' la sofferenza che deve essere incarna-
ta negli innocenti, nei giusti, per continuare la passione
del Figlio di Dio, per il quale non c'era posto nella fami-
glia degli uomini. Per fortuna, il Figlio di Dio ha avuto
una Madre vergine, perfetta nell'amore e ha gustato la gio-
ia di quella intimità pura e ospitale. Anche oggi c'è biso-
gno di vergini che abbiano un cuore di madre. Soltanto l'a-
more crea quel piccolo luogo in cui uno può crescere e di-
ventare se stesso, identificarsi ed entrare in comunione.
Perché? Iddio, che è l'amore ( lGv 4,16) può rivelarsi
soltanto là dove l'amore si esprime. Incontra ciascuno sin-
golarmente, però nella comunione, nella pienezza dell'amore
che dona la v i t a . Comunque, una madre può nutrire senza
amare e il frate cosa deve fare? Deve prima amare e, se
ama veramente, nutre il fratello, quindi non basta dire:
"Signore, lascia andare lui per la sua strada e io per la
mia, non gli faccio del male, ma esigo che mi lasci in pa-
ce". No, se tu non lo ami, egli muore, oggi, gli togli l'a-
ria che respira. Se non lo accogli in grembo, se non porti
in te le doglie del parto, non rinasce. Egli resterà sempre
quello che era prima, non diventerà nuova creatura, non
sarà proprio quell'uomo nuovo che Gesù attende da te.
Quindi ognuno è fratello, ed essere fratello è molto
più che essere madre, perché ama prima e nutre continuamente.
Vuol dire che la vita la d ò . Siamo sempre al crocifisso
di S . Damiano. E' l'amore che dà la vita per farla risorge-
re. diventa voce che chiama e accoglie Francesco e lo fa
nuovo subito, ma nella Chiesa, nella comunione. Quindi crea
quelli) intimità, quella comunione, per cui uno può crescere

247
e diventare perfetto. Quindi: amare e nutrire.
Ma cosa significa nutrire? Che l'altro ti mangia.
Se nutri vuol dire che sei mangiato, come pane mondo, direb
be Sant'Ignazio. Ma c'è di più. Bisogna salire alla Verna
e fare l'esperienza del Serafino crocifisso. L'immagine
che avete visto, ricordate? Figlio di Dio crocifisso, Sera-
fino alato, e nel mezzo cosa c'è? L'Albero della vita. Chi
ama entra nella vite che è Cristo e dà frutto abbondante
(cfr.Gv 15 e Ap 22,2, Ez 47,12), per cui diventa gloria del
Padre, ma nutrimento dei fratelli.
Ecco il vero cristiano, che è anche il frate: il vero
cristiano, che nutre i fratelli. Pensate a Ignazio, il gran
de martire romano. Faceva proprio questo. "Non pregate -
scriveva ai cristiani di Roma - perché io sia liberato dai
leoni. Anzi, desidero essere maciullato per diventare pane
mondo, eucarestia perenne". Ecco che cosa è il frate: è
una eucarestia, gloria di Dio nella sua vita e nutrimento
dei fratelli. Questo è il vero frate e questa è la vera
pedagogia. Perché uno che diventa cibo buono se lo mangiano
gli altri, non lo lasciano, certamente. Ed egli è felice
di partecipare il suo dono. Ecco la edificazione della Chie
sa di Dio: partecipare il dono ricevuto. Non sotterrandolo
come quel servo infedele della parabola dei talenti, ma
crescendolo dentro finché diventi un dono, un frutto matu-
ro. E il frutto dello Spirito è fatto appunto anche di pa-
ce, di gaudio, di gioia, pazienza, benevolenza, bontà, fe-
deltà, mitezza (Gal 5,22).
E' un lavorio nello Spirito che permette all'altro
di vivere in m e . Se ognuno ama il fratello come una madre,
nutrendolo giorno per giorno, certo che si avrà una bella
comunità, ben cresciuta, ben riuscita, anche nell'immagine
della belle zza, secondo il detto di uno che non era cristia
no, Tago re: "Quando il tuo dono di fratello sarà compiuto
nella verità, apparirà la bellezza" (cfr.RegNB 7,17:FF 27
"convenientemente graziosi").
Ora, l'estetica francescana non è campata per aria:
è un dono perfetto, fatto con garbo, con cortesia. Quindi
in campo pedagogico io sono una madre che ama il suo figlio
con tenerezza. Qui nasce la tenerezza, dal dono della vita,

248
dall'obbedienza vicendevole (RegNB 5,l6-l8:FF 20? Am 3,9:FF
1S0), non è una premessa, ma è una conseguenza, è u n frut-
to. La tenerezza nasce dallo Spirito, un nuovo sentimento,
un cuore nuovo che è capace di tutte le finezze e le riso-
nanze del cuore di Cristo ed è misericordia. Questa è la
tenerezza nuova. Nuovo nome della tenerezza cristiana si
chiama Misericordia, che non è un fare per amor di Dio co-
sì, tanto per fare, n o . Operare come il Padre Celeste (cfr.
Mt 5,48 "perfetti") è un amore che ti fa nuovo.

3) La persona umana: un'immagine di Cristo che attende


di rivelarsi nella perfetta somiglianza

Il fratello è peccatore, scusi P . Provinciale, se


parlo a lei, mettiamo il caso, speriamo di n o , che lei fos-
se peccatore, se io L'amo La faccio nuova, quindi non è
il peccato che m i interessa in Lei, io amo il Figlio di
Dio in Lei e lo faccio rinascere e viene alla luce un Pro-
vinciale che è un Angelo, quindi il suo nome. Per questo
avrò un po' di merito in Paradiso, perché ho collaborato.
Questo è fare insieme la Comunità. M a se invece dico: "Mi
ha offeso, mio fratello". Ma se ti ha offeso vuol dire che
era un po' fuori dei gangheri, quindi era un po' fuori fa-
se. Ma perché era fuori fase? Lo hai amato tu? Va, accogli-
l o . Gli dici: "Fratello posso darti una mano?" e l'altro
dice: "No, vai via". Pazienza, continua, camminagli accan-
to, non solo per tutta la giornata. Per due giorni, tre,
finché accoglie il tuo dono. E a proposito del Superiore,
permetta Padre Provinciale, nella lettera al Ministro Pro-
vinciale, dice Francesco: "Se un frate avesse peccato quan-
to poteva peccare - (cioè ne avesse fatte di tutti i colo-
ri) - e meritasse di essere cacciato fuori dal convento...
e venisse da te, non contempli i tuoi occhi senza partirne
perdonato, senza ricevere misericordia".
Ecco, la madre può. far miracoli anche a lei, P. Pro-
vinciale. Quindi far nuovi i frati con la sua misericordia
che li fa rinascere, come una mamma che dà alla luce il
suo bambino. E se non ti chiede perdono e dice: "No, non

249
voglio, me ne vado via", domandagli: "Posso perdonarti,
fratello... posso farti nuovo, posso far sì che tu diventi
una creatura di luce, quindi un uomo contento, felice, che
sia in Cristo, cristiforme, appunto". Questo è proprio l'i-
deale della pedagogia francescana, secondo San Bonaventura.
Ecco allora, vedete, una madre regala la vita, e, se il
figlio è cattivo, lo ama maggiormente e se è malato lo ama
ancora di più.
Ne abbiamo parlato e spero che l'abbiate compreso
bene: un amore vero crea un'intimità, accoglie l'altro e
gli permette di crescere dentro e soffre le doglie del par-
to per darlo continuamente alla luce. Quindi muore, dà la
vita, la regala subito, sempre, con gioia (RegNB 7,17-185
2Cel 128:FF 712). Il grano cade sotto terra e quindi è di-
sposto a pagare di persona. Ecco il buon Samaritano, le
Parabole del regno sono tutte dentro qui, quindi chi ama,
paga di persona, ha il privilegio di poter pagare il prezzo
della nuova vita in Cristo.
Ma dice: "Mi ha offeso". Qual è più prossimo di que-
sto? Ti ha ferito al cuore, ti ha colpito, ti ha tradito,
oppure ha rovinato la tua famiglia. Vi ha rovinati tutti?
Più prossimo di così! Se ti ha colpito al cuore, è il più
prossimo! Abbraccialo e bacialo! Più lebbroso di così!...
Ma è peccatore! "Non voglio vedere il peccato, io vedo il
Figlio di Dio" (Test 11 :FF 113), quindi se è il Figlio di
Dio, è prossimo, lo abbraccio, lo bacio. Capite, questo
è il punto! Qui sì che c'è la vera tenerezza della pedago-
gia dell'amore e tutto quanto insieme.
Quindi vedete come il mondo diventa nuovo. Tu mi ucci
d i , ma io ti voglio bene. Stefano oppure anche Francesco:
non vuole vedere il peccato. Quindi è una pedagogia che
è fondata su Gesù Cristo. Determinante è la sua presenza
nell'altro, comunque sia sfigurata, egli è il mio prossimo,
è Cristo: io amo Cristo. Francesco ha scelto il Regno. Eb-
bene, egli è fedele, vuole soltanto il Regno e paga di per-
sona, dà anche la vita, finché l'altro rinasce e diventa
un vero figlio di Dio. Andiamo avanti, vediamo in che modo
diventa figlio di Dio. Ecco, allora prendo da S.Bonaventura

250
questa citazione: "in quanto diventa cristiforme".
La meta educativa è quindi prefissata da Dio e presen
tata come germe di vita nell'uomo, che è immagine di Gesù
Cristo in attesa di rivelarsi come sua piena similitudine.
San Bonaventura ci invita a prestare attenzione al progetto
divino e a realizzarlo: "Il rettore (o qualsiasi educatore)
deve preoccuparsi soprattutto di rendere i giovani a lui
affidati "cristiformi", cioè di imprimere in essi la forma
di vita e della dottrina di Cristo, di modo che non solo
siano a lui orientati con la mente, ma anche che lo imitino
mediante i buoni costumi, secondo la Lettera agli Efesini
(5,1) "Siate imitatori di Dio come figli carissimi" e la
Lettera ai Galati (4,19): "Figliolini miei, che io nuovamen
te partorisco finché in voi sia formato Cristo" (S.Bonaven-
tura, Delle Sei Ali dei Serafini,c.5,N.99;Opera Omnia,VIII,
142a). E' il progetto originale di Dio Padre (cfr. Rm 8,28-
30).
Imitare Dio è sempre stato il modello degli uomini
religiosi, sia Greci che Romani e anche di altri paesi e
continenti, ma imitarlo come Padre ed accoglierne gli edu-
candi, come una madre che continuamente li dà alla luce
finché sia realizzato in essi il progetto divino, finché
vengano alla luce come veri figli di Dio, è l'ideale e la
meta educativa di ogni pedagogo cristiano e specialmente
di un pedagogo francescano, che si riconosce nel metodo
di vita del Vangelo.
Noi potremmo avere certe pretese, un po' di vanità.
Un teologo diceva che la teologia è diventata vanitosa,
non so se anche la nostra pedagogia. Forse anche noi (sono
stato anche io educatore) vorremmo che fossero a nostra
immagine e ci rassomigliassero. N o . Guardiamo l'esemplare
Gesù Cristo! Vorresti che fosse a tua immagine? Ma no, sa-
rebbe una brutta copia. Immagine di Cristo! Quella è la
bella copia. L'uomo è Cristo. Francesco ce lo dice nella
V Ammonizione: l'uomo è Cristo, come singolo e come comuni
tà: è l'uomo nuovo, non è l'uomo Adamo, quello è peccatore,
quindi quello si corrompe, quello deve ancora morire. E'
l'uomo risorto. San Damiano e il Crocifisso, tutto Gesù
Cristo che ha sofferto ed è morto ed è risorto e vive glo-

251
rioso, però portando i segni della umanità, come è apparso
qui sulla Verna.
(Amm. V FF 153) : "Considera o uomo in quale sublime
condizione ti ha posto Dio che ti creò e ti fece a immagine
del suo diletto Figlio, secondo il Corpo e a sua similitudi
ne secondo lo spirito". Ecco la dignità. Qui Francesco è
originale, io ne resto meravigliato, è l'unico autore medie
vale che parla in questa doppia similitudine con Cristo?
Si rifà facilmente a Ireneo, non so dove l'abbia trovato,
perché è davvero originale, o l'ha trovata dallo Spiritò
Santo, può darsi. Soltanto Ireneo parla di questa doppia
realtà, corpo e anima. Tutti gli altri parlavano soltanto
di Immagine in quanto tale, ma non distinguevano tra corpo
e anima. Ora qui non è soltanto secondo l'Incarnazione,
Cristo, Corpo di Cristo, ma anche secondo lo Spirito, il
corpo glorificato, che è costituito Signore, già nella glo-
ria ed è uno con lo Spirito (2Cor 3,17). Ora, tutta questa
dignità, questa gamma c'è nell'uomo.

Anche se è a terra, peccatore, però io vedo tutto


il Cristo e lo amo, e faccio di tutto affinché venga alla
luce: che beila immagine di Cristo! Quindi creato a immagi-
ne... E cos'è l'uomo allora: è un'immagine che tende alla
somiglianza, alla pienezza della Trinità. Crescere dentro
Cristo, quindi prima scoprire l'immagine, non mia, ma di
Cristo, allora cercare nel ragazzo, nel bambino, nel giovane
quei tratti che gli rassomigliano e cercare di svilupparli.
I difetti, n o . Quelli scompaiono un poco alla volta. A
me, che lo sviluppo, interessa Cristo. Vedo quali tratti
sono cristiformi in lui e li sviluppo un poco alla volta,
finché vien fuori una bella immagine abbastanza riuscita!
Qua S . Francesco è riuscito bene! Alla Verna il Padre eter-
no dice: "Bravo Francesco... ti imprimo un bel sigillo.
Firma d'Autore, un vero cristiano. Infatti i segni son giu-
sti, esatti. Quindi la crocce è vincente in Francesco, egli
è una bella immagine di Cristo, talmente cristiforme che
alla fine si confondevano i frati. Quando apparve dopo la
morte,... videro: "E' Francesco quello! Sì è Francesco,
no è Cristo... Allora chi è Francesco? Sembrava che France-
sco e Cristo fossero diventati una sola persona. Ecco la

252
somiglianza secondo lo Spirito: uno.
Quindi un'opera ben riuscita, con la firma d'Autore
sotto, il sigillo, il Tau come sigillo. Ben riuscito! Be-
nissimo! E' questo l'uomo vero che porta in sé il dramma
dell' umanita, incarna la sofferenza, il dolore, le croci,
tutte quante. Però le risolve nella Resurrezione. E quindi
diventa corpo d i Cristo, non è schiavo di nessuno. Anche
il ragazzo, il giovane o chiunque sia, il fratello, la so-
rella, non è schiavo di nessuno, neanche mio. Non posso
legarlo a m e , attenti, il pericolo è questo, che io anche
senza saperlo, se non sono libero totalmente, se non sono
puro, lo attacco a m e , lo rendo schiavo del mio desiderio
oppure della mia potenza,me lo rendo uno schiavetto. Fac-
ciamo un esempio dalla scienza, forse qui è più facile.
Bonaventura in una conferenza sull' Exaemeron ricorda
Francesco e dice che veramente era contrario alla scienza,
ma sapete perché? Non in quanto tale, difatti incarica fra-
te Antonio a fondare la prima Scuola francescana, purché
la scienza sia devota, quindi divenga un dono, un voto a
Dio, un regalo, una lode di gloria al Signore. Devozione
e fedeltà, altrimenti era contrario, perché dice: tu vai
in cattedra (eh, come siamo fragili), batti la tavola col
pugno e chiami tuo fratello e dici: vieni qua, portami il
libro... E non è più tuo fratello, ma tuo servo. Capite,
qui facciamo dei ranghi, anche la scienza può rendermi po-
tente, se io me l'approprio. Quindi "il nulla di proprio"
è indispensabile anche per i formatori, per gli educatori.
Il bambino non m i appartiene, il giovane non mi appartiene,
il frate non mi appartiene, non è mio, è di Cristo. 0 anche
la suora: è sposa di Cristo, non m i a . Se io la tocco già
l'appanno, non posso appropriarmela. E questo può avvenire
anche senza l'intenzione di appropriarsene. Se io non sono
puro la contamino già, la rendo schiava. Quindi è indispen-
sabile questa mia purificazione continua per essere di Cri-
sto e solo di Cristo. Io per primo, come educatore, affinché
l'altro diventi solo di Cristo, e non sia T i mio schiavetto
e neppure di altri. E avere il coraggio di lasciare tutte
le schiavitù per entrare nella libertà dei figli di Dio.
Sarà caratteristica francescana la libertà, che frate

253
Francesco imporrà a frate Leone e a tutti gli altri. Quindi
diventa uomo libero, proprio libero, e nello spirito. Que-
sta è l'immagine di uomo. E allora facciamo un confronto
semplice in due minuti, tra la visione che abbiamo oggi
nella formazione e quella cristiana e francescana.
Spesso noi siamo provocati dal difetto, quindi ci
lasciamo provocare e reagiamo, siamo sempre in contropiede,
nella formazione; Uno ci accusa, ci attacca, e allora noi
mandiamo giù un po' la rabbia e poi cerchiamo con bontà
di andargli incontro. E' troppo poco, non possiamo limitar-
ci ad essere sul banco degli imputati e reagire soltanto.
Dobbiamo proporre un'immagine di uomo, che è immagine di
Dio, perché il progetto originale è quello (Rm 8,28-30).
Dio vuole figli a immagine del suo Figlio. Ora, noi
dovremmo cercare di proporre questa immagine del Figlio
di Dio e scoprirla negli altri e metterla alla luce. Cosa
capita? Le scienze moderne sono preziose, però limitate.
Perché? Sono sorte in un momento di rottura tra scienza
e fede, anzi colgono l'uomo nel suo difetto, per cui l'uomo
è sconvolto, è teso, in disarmonia, è in ribellione con
se stesso e con gli altri, quindi cercan di aiutarlo. Però,
non vedendolo nella sua pienezza, donde viene, chi è e dove
va, non possono aiutarlo perfettamente, per cui si aiuterà
magari il corpo, ma lo si devasterà nello spirito.
Io ho in mente degli esempi, ho visto qualcuno che
veniva dallo psicoterapista, poveretto, era una maschera.,
è così, perché l'han devastata, quella povera persona...
perché abbiamo dei poteri in mano, possiamo influire sul-
l'altro, ognuno è mediatore o di grazia o di rovina e se
io mi impossesso dell'altro, ne faccio uno straccio, lo
manipolo. Guai a questo. Nessuno ha diritto a toccare 1'uo-
mo .
E qui c'è il primo precetto della Bibbia: non uccide-
re. E' fondato sull'immagine di Dio, per cui l'uomo fatto
a immagine di Dio, non puoi toccarlo. Ma non soltanto non
devi ucciderlo, ma neanche manipolarlo o devastarlo nell'in-
timo, quindi ci vuole riverenza. Francesco lo fa con rive-
renza, con amicizia, con devozione, ma non con prepotenza.
Se io sono un potente, come scienziato, gli faccio più male che

254
bene-
E poi ci vuole l'umiltà di accogliere il dono di Dio.
Permettetemi un'osservazione, così, di passaggio. Eravamo
a Regensburg, all'università, e facemmo una tavola rotonda
sulla nuova prassi della penitenza. E c'erano questi psico-
terapisti, questi scienziati, questi pedagoghi e psicologi
e c'erano anche dei teologi. Allora, i teologi erano pitto-
sto prudenti, non volevano dire apertamente che erano cre-
denti, perché oggi, credere non è più di m o d a . Quando uno
dice che è credente, si dice che è un vecchio, uno del Me-
dioevo, che non è più all'altezza dei tempi, non è aggiorna
to, non cammina sulla cresta dell'onda. Mentre uno psicote
rapista, quello sì, che ha parlato chiaro. Disse: "Guarda-
te - (non so se sia vero, perché non me ne intendo, comun-
que ripeto ciò che ha detto lui) - a noi occorrono trecen-
to ore per rimettere un po', in qualche modo, a posto, una
persona che è devastata, che è malmessa. A voi, preti e
frati, bastano tre minuti, per rimettere a nuovo in nome
di Dio una persona. Perché Dio fa nuove tutte le cose, me-
diante la Parola e i segni sacramentali. Ma usateli, quei
tre minuti!... e lasciateci in pace noi".
Oggi tutti corrono dallo psicoterapista, e disertano
i confessionali, dove Dio ci fa nuovi, fa nuove tutte le
cose. Insegniamo ai giovani, alle ragazze la gioia di la-
sciarsi amare da Dio. Diamogli il permesso di operare in
noi e di compiere negli alunni il suo mirabile disegno di
amore. Usiamo quindi tutti i mezzi che abbiamo a disposi-
zione e permettiamo a Dio di amare quei giovani, divinamen
te. ~
Quindi usare dei mezzi divini, anche per educare. Per
mettere a Dio di operare in noi. Dicevo stamattina che "la
santa operazione" non è fare, soltanto fare qualcosa, ma
continuare l'opera di Cristo, del Figlio, entrare nel Fi-
glio, quindi vuol dire salvare tutto l'uomo intero, rifar-
lo nuovo, ricrearlo nella Grazia, renderlo figlio di Dio.
Non dare soltanto un pane. Il pane è importante, ma è al
secondo posto. E col pane, la salute fisica e tutto il re-
sto .
Il primo dono da partecipare è la parola di Dio, che

255
permette di entrare in Cristo e di salvare tutto l'uomo.
Quindi anche noi non possiamo limitarci a un aiuto, a una
parte, ma mirare alla totalità. L'uomo non è solo corpo,
l'uomo è persona. Uno che non crede che l'uomo sia immagi-
ne di Dio, lo devasta, anche se non vuole. Non basta la
buona intenzione: accennavamo a Paolo che con la buona in-
tenzione uccise Stefano. Perché l'amore che non è puro è
contaminato, quindi uccide. Questo potrebbe accadere an-
che oggi. Quindi, noi francescani, abbiamo il compito e
il dovere di presentare un'immagine di Cristo che sia alme
no passabile e dire all'uomo: tu sei immagine di Dio, rico
nosciti in quello che Dio ti ha fatto: un'immagine unica
e irripetibile di Cristo. Quindi: comportati bene, ricono-
sci la tua dignità. Una immagine che tende alla somiglian-
za .
Questa è un'arte, un'arte divina. Anche noi spesso
ci lasciamo provocare, vediamo il difetto e allora reagia-
mo, no! Dobbiamo sapere accettare anche il difetto e mette
re l'accento là dove c'è un punto buono, sano. Io son con-
tadino: da noi si innestavano le viti. Il metodo è di ta-
gliare finché di trova il punto buono, sano, e lì si inne-
sta. Ne nasce un bel pollone: uva buona e vino migliore.
Quindi anche qui trovare il punto sano, l'antenna che anco
ra è aperta.
Volete un esempio: da Papa Luciani) era meraviglioso,
proprio perché sapeva cogliere il punto giusto. Fece la
predica a Motta di Livenza, un anno prima di diventare Pa-
pa. Disse qualcosa a questo proposito: trovare un'antenna
giusta proprio per inserirsi, per accogliere l'altro, per
trasmettere, là dove è capace di accoglienza, anche per
il nuovo insegnamento. Parlò di quel Vescovo francese che
andò in visita pastorale e, arrivato in una parrocchia
piccola, dovette fare la predica. Legge il Vangelo, ma in-
tanto si alza nel primo banco un ubriaco e comincia a fare
la sua predica. E parla e parla e il Vescovo è un po' in
imbarazzo e dice: "Scusi, buon uomo, guardi, se permette,
toccherebbe a me parlare. Se mi dà il permesso". Quello
parla più forte ancora. Arriva il segretario e gli dice:
"Scusa..." e quello più forte ancora. Arriva il Parroco,

256
niente da fare. Tutti sono in imbarazzo, tutta la Chiesa,
e il vescovo non sa cosa fare. Il sacrestano mette l'oc-
chio fuori della sacrestia e vede il vescovo e i fedeli
in imbarazzo, corre, va vicino all'ubriaco, gli parla al-
l'orecchio, quello tace e in silenzio esce di chiesa. Il
Vescovo, il Parroco e il segretario, rimangono meraviglia-
ti. Finisce il pontificale, e il vescovo, giunto in sacre-
stia, chiede al sacrestano: "Cosa ha detto a quell'uomo
per convincerlo a uscire?". E' semplice, eccellenza, gli
ho detto: "Venga, andiamo a bere un'altra Ombretta".
E Luciani commentava: "Bisogna prendere ognuno per
il suo verso". Era l'unica antenna che riceveva, le altre
non ricevevano più. Questo significa amarlo come uno è,
prenderlo così com'è, non giudicarlo, non accusarlo, ma
accettarlo così com'è. Se è mezzo morto (pensiamo al Buon
Samaritano) non possiamo metterci lì a far la predica: po-
tevi stare a casa tua, sapevi che la zona era infestata
dai briganti. Sei stato imprudente, quindi adesso paga di
persona e poi io non posso, perché devo fare la mia confe-
renza. Adesso devo andare al tempio a fare la celebrazione
solenne e lo scriba: della conferenza devo fare il verba-
le... e quindi non lo vedono, passano oltre. Il Buon Sama-
ritano, invece, lo vede! Perché chi ama, vede, lo vede e
porta subito l'aiuto' necessario, le parole non contano,
sono spiegazione e coreografia. E' l'amore vero che salva.
Il buon samaritano lo porta sulle spalle, e paga.
Pagare di persona, una madre che ama e nutre. Ecco:
pagare di persona. Non è possibile rifare nuove le persone
se non si paga di persona. Sarebbe inutile, non nasce un
bambino così, per caso. Bisogna nutrirlo, quindi amarlo
e nutrirlo. Ecco, allora abbiam visto: accogliere là dove
è, e cogliere questo punto sano dove egli è ancora capace
di recepire qualcosa. E cercare di promuovere questo aspet
to, perché ognuno è unico e irripetibile. Non fare delle
copie di nessuno, ogni uomo è unico al mondo. Quindi, ve-
derlo nella luce di Cristo e cercare di fare un bell'ori-
ginale, non copie di nessuno. E allora avremo dei conventi
che son meravigliosi, dei fiori variopinti, bellissimi con
tutti i colori, come un bel giardino.

257
La vita è fatta di queste meraviglie, di questi colo-
ri. E allora ci accorgeremo: ma che bel ragazzo, che frate
meraviglioso, chi l'avrebbe mai immaginato? Tutti diversi,
non ci sono copie. Perché farne una copia vuol dire farne
uno schiavo di . qualcuno. La libertà dei figli di Dio, la
libertà è la caratteristica della formazione francescana,
la libertà dello Spirito che permette di essere di Cristo
e di nessun altro. Quando a Francesco chiesero: "Chi sei?
A che banda appartieni?", "Araldo del Gran Re - rispose
- non sono di nessuno", e prende le botte. Può darsi che
diano le botte anche a noi, perché non siamo di un partito
o di un altro. Non importa, basta che siamo di Cristo.
Allora, vediamo qual'è la meta educativa di un fran-
cescano. La prendo da S . Bonaventura, perché è un bravo
maestro, un grande pedagogo, quindi la prendo da lui. Egli
delinea il compito del pedagogo nello scritto "Delle sei
ali dei Serafini" (Cap 5,9;Opera Omnia,Vili,142a):
"Il rettore infatti deve soprattutto tendere a questa
meta della sua azione pedagogica, cioè che i ragazzi, i
giovani, le ragazze, le giovani, che sono a lui affidati,
diventino cristiformi, quindi realizzino l'immagine di
Cristo, siano se stessi, figli di Dio, conformi all'imma-
gine di Cristo, cioè - e spiega - che assumano la forma
della vita e della dottrina di Cristo". La doppia dimen-
sione: parola e immagine, quindi diventino risonanza di
Cristo e rivelazione sua, come Francesco. Imprimano in es-
si, però da soli non possono, ci vuole lo Spirito Santo.
E' nello Spirito che avviene questa nuova forma di
educazione, affinché non soltanto con la mente siano indi-
rizzati a lui, quindi abbiano la buona intenzione, ma an-
che lo imitino con i costumi, quindi che si conformino a
lui. Bonaventura dirà in un altro punto della seconda
conferenza sull'Exaemeron: "Non ascoltando soltanto, ma
praticando, l'uomo diventa sapiente". Quindi non basta a-
scoltare con l'orecchio, ma bisogna attuare con la prati-
ca. Chi fa la verità viene alla luce: è chiaro, anche qui
per la formazione. E le citazioni chiariscono ancora il

258
senso biblico. Imitatori di Dio, come figli carissimi, non
miei, di Dio. Perfetti come il Padre che è nei cieli, che
è sempre il termine di paragone, di cui noi siamo figli
carissimi, "e io per questo come una madre vi dò la luce"
(Gal 4,19). Paolo dice ai Galati: "Vi ho partoriti nel do-
lore" e li rimprovera, perché si comportavano male. Ma
continua a darli alla luce, come una madre: "vi partorisco
di nuovo finché in voi sia formato Cristo". E' un continuo
partorirli, darli alla luce, finché.... Durerà un anno,
due, cinque, sei, dieci, venti, trenta, infine Cristo ap-
pare. Finché viene alla luce: la donna dell'Apocalisse,
eccola, quella madre che viene fecondata da Dio nella fede
e nello Spirito Santo, rimane Vergine e nella verginità
diventa madre di molti figli. Francesco parla spesso di
questo, della sterile che riceve da Dio molti figli, se
li porta dentro con amore, finché vengono alla luce, e poi
li restituisce a Dio, perché sono figli di Dio. Non se li
appropria, non li rende schiavi di nessuno, perché il fi-
glio dell'amore donato è sempre Cristo.
Quindi vedete la meta pedagogica francescana: non ce
ne sono altre, ed è l'unica degna di un uomo, che è fatto
ad immagine del corpo glorioso di Cristo. Finché nell'uo-
mo non appare la seconda immagine, quella di Cristo, il
secondo Adamo, non è perfetta la formazione. E se uno ha
anche 90 anni, se Cristo non appare, non è perfetto. Fran-
cesco ha lasciato apparire questa immagine e allora è sta-
to ben formato. Quindi conformi all'immagine del Figlio
suo, Gesù Cristo.

4) Obbedienza come dono reciproco della vita, e maturità


cristiana dell'amore

S . Francesco esige che i frati si donino reciprocamen


te la vita. Per es.: la regola degli eremiti (FF 136-138).
Neppure un eremita può star solo. Cerca la solitudine per
essere solo, fuori dal prossimo. Ma Francesco non glielo
permette. Dice: tre o quattro almeno e due fan da madre
e uno o due da figli. Perché? Affinché possano esercitarsi
in questa pienezza dell'amore che dona la vita. E' l'obbe-

259
dienza perfetta.
L'Ammonizione III: questa è l'obbedienza vera che dà
la vita per il fratello. La prima è l'obbedienza vera, la
seconda è quella caritativa, la terza è quella perfetta.
Le conoscete queste tre obbedienze. L'obbedienza è dono
della vita, perché Cristo è venuto sulla terra per obbedi-
re. Quello che faceva a casa sua, direbbe don Maggioni,
lo fa anche in trasferta, all'estero, come i nostri ope-
rai. A casa era obbediente, come il Figlio di Dio, quindi
lo è ancora, all'estero, incarnandosi, ha fatto l'obbedien
za ancora e ha obbedito fino alla morte di croce (Fil 2,5-
8). Ci ha insegnato l'obbedienza, perché un figlio è obbe-
diente, è figlio, e se è Figlio è in rapporto al Padre e
dà la vita al Padre. Quindi si spiega il fatto che il Fi-
glio di Dio regali la vita, la doni, sia un corpo donato
per la vita, quindi una vita per la vita. Questo è l'amore
materno.
Oggi vogliamo essere ancora le ragazzine di 18 anni
che fanno all'amore, ragazzine giovani, è bello essere
giovani... nessuno vuol esser più padre e madre! E' un
guaio, sapete! Senza madri non nascono più figli- Solamen-
te fratelli e sorelle, ma nessuna madre. Ma è possibile?
Non vogliamo più avere delle madri. E guardate, è un feno-
meno un po' strano. E senza padri e madri non ci sono fi-
gli. E' davvero un fenomeno strano e pericoloso. Francesco
ha capito! Fratelli, ma come madri che danno la vita. Cioè
un amore che è capace di questa perfezione.
Comunque andiamo alla III Ammonizione (FF 148-151):
L'obbedienza vera è quando mi metto a disposizione del su-
periore e quindi sacrifico la mia volontà.
Sacrum facere: è un vero lavoro, un'operazione santa.
Lo offro al Signore e accetto l'obbedienza, faccio quello
che piace al Superiore. Poi c'è l'obbedienza caritativa.
Qual'è? Quando io sacrifico qualcosa, quindi il mio bene
migliore, il mio progetto migliore, lo metto sull'altare
dell'obbedienza e lo regalo a Dio. Conseguenza: fiorisce
l'amore. Questa obbedienza è caritativa, fa fiorire l'amo-
re. Quindi qui nasce la comunità. Quando io non mi appro-
prio neppure un mio progetto, ma lo regalo a Dio, quello

2b0
porta molto frutto e allora il Superiore ha la gioia di
vedere che i figli si moltiplicano} in virtù del mio sacri-
ficio rendo sacro questo mio dono, era pane buono, eccellen
te, una- vera opera d'arte. Io la regalo al Signore e quindi
diventa più perfetta, perché nulla è così bello e buono,
che non diventi ancora migliore quando è regalato, donato.
Ecco, Eucarestia anche in questo senso. Gesù Cristo poteva
stare sulla terra a predicare e invece regala il suo corpo
al Padre. Siamo anche noi in questo atteggiamento.
Ma la terza è la più difficile. Si resta crocifissi
e non si esce dalla croce, cioè si passa al Padre ma non
si scende dalla croce. Dice così: quando il mio Superiore
mi comanda cose proibite. Può capitare, non è mica santo
neanche lui, può sbagliare e comandarmi cose o contro l'a-
nima o contro la Regola. Qui Francesco è meraviglioso, non
dice contro la coscienza, è troppo poco. La coscienza è
appunto quella parte dell'anima che io percepisco, è ri-
flessa, mentre l'altra è tutto l'uomo come immagine di Dio.
Quindi chi la tocca, tocca Iddio, allora sono guai. L'anima
è di più, è l'uomo secondo lo spirito, l'immagine secondo
lo spirito, quindi la somiglianza di Dio, per cui io non
posso andare contro il progetto di Dio. Se io l'offendo,
offendo Iddio e quindi non posso obbedire.
Oppure se è contro la Regola, io non posso obbedire.
E tuttavia, pur non potendo dare il corpo, dò l'anima, mi
sacrifico. L'amo lo stesso. E anche se mi batte, non impor-
ta, gli voglio bene lo stesso. Questa obbedienza è vera
e perfetta. Perché? "Perché chi vorrà piuttosto sostenere
la persecuzione anziché separarsi dai suoi fratelli (per-
ché il Superiore è fratello anche lui, non dimentichiamolo,
è fratello ed è prossimo come Superiore), rimane veramente
nella perfetta obbedienza, perché pone la sua anima per
i suoi fratelli" (Am 3,9:FF 150).
E' una madre che dà alla luce il suo Superiore (che
sarà un po' più pesante degli altri) forse con un taglio
cesareo, ma verrà fuori un bel bambino, nascerà anche lui.
Per questo i frati si debbono obbedire a vicenda nella ca-
rità (RegNB 5,16-18:FF 20).
Allora vediamo che questa è la vera pedagogia, anche

261
per San Francesco, quindi l'obbedienza "vera e santa" che
diventa un amore materno, capace di dare la vita, di darla
alla luce, non soltanto di buttarla. Quindi è una maturità
cristiana che deve esserci anche in convento, altrimenti
non vengono vocazioni, non nascono i figli.
Un esempio di S . Francesco e concludo. Frate Leone vo-
leva tanto bene a Francesco. Lo amava tanto. E proprio qui
alla Verna avviene un dramma. Egli vede Francesco serafino
e cade in una tristezza profonda. E' amareggiato e incapace
di pregare. Forse pensa alla grandezza di Francesco, forse
il Signore permette che partecipi ali 'immmenso dolore del-
le Stimmate, dato che è tanto vicino a S . Francesco. Non
sappiamo quale fosse il vero motivo, ma i biografi sono
concordi nel dire che era angosciato. Chiuso in se stesso
era triste, inconsolabile. Francesco, mentre pregava, si
accorge che il suo fratello Leone, sacerdote e suo confes-
sore, è nei guai. E lo chiama. Gli chiede un piacere. Ri-
cordate la Samaritana e Gesù che chiede un piacere per do-
narle tutto se stesso? Una pedagogia bellissima. Cioè apre
l'altro all'amore affinché faccia un atto d'amore, altri-
m e n t i non può entrarci dentro. Prepara l'antenna, la forma
affinché possa percepire, ricevere il messaggio. "Portami
carta e penna, voglio scrivere le Lodi di Dio". E scrive
quelle bellissime Lodi che spesso recitiamo. Che cosa fa?
Ama Dio per il fratello Leone. Lo ama nella verità. Quindi
adora Iddio in Spirito e Verità anche lui per riuscire a
cavarlo fuori dalla solitudine, dalla sua angoscia, dal suo
egoismo, chi sa, forse dalla sua debolezza o, comunque sia,
dalla tentazione, perché il diavolo è terribile, separa per
bastonare.
Francesco lo tirò fuori, lo liberò da quella schiavitù
per immetterlo nella gioia di Dio, renderlo capace ancora
di parlare e di essere felice. Francesco quindi parla con
Iddio Padre e gli dice tutta l'angoscia del fratello Leone
e il Padre dice: "Va', Francesco, porta la mia benedizione
a Frate Leone, va'". Però non avendo nulla di proprio, Fran
cesco non può dire parole proprie. Quindi riporta la bene-
dizione della Bibbia: "Il Signore ti benedica e ti custodi-
sca, ti mostri il suo volto, ti illumini il cuore...!". Pe-

262
rò c'è un tratto personale proprio. Sapete qual'è? E questo
è il tocco del pedagogo vero, che è madre e pedagogo per-
fetto. Qual'è la caratteristica personale, mentre Francesco
fa da mediatore, dicevo stamattina "fa il ponte"? E' il
pontefice, trasmette la benedizione. Benedice anche lui se
non è sacerdote? "Il Signore benedica te, frate Leone". Te!
Egli porta la benedizione di persona, e Leone l'ha capito.
Scrive con caratteri rossi: l'ha data per m e , capite. Ed
è consolato. Questa è pedagogia divina.
Però Francesco ha anche un altro tratto. Capisce che
il cuore ha anche delle risonanze umane e allora nella let
tera diretta a Frate Leone, gli parla come una madre. Però
vorrei portare un esempio di benedizione per dirvi l'effi-
cacia. E' capitato a me da chierico, scusate se è persona-
le, comunque qui possiamo dirlo. Ero chierico di liceo a
Motta di Livenza, proprio giovanissimo, 18/19 anni, e il
mio maestro mi portò a S . Vito perché c'era la festa di un
frate, un 50°. Io, che abitavo a una diecina di chilometri,
chiedo: "Padre posso andare a casa a salutare mamma e pa-
pa?". "Sì, sì - dice - va' a casa". Quando sono le quattro
sento che è ora di partire e dico: "Devo andare a prendere
il treno, per tornare in convento prima di sera". Papà
prende un taxi. Andiamo di corsa, arrivo in stazione, non
c'è treno. Non c'è nessuno. "Va bene - dico - pazienza".
Mi misi a pregare la corona francescana e andavo su e giù,
camminavo. A un certo punto vedo un uomo, era anziano, ave-
va 84 anni e poi è morto quasi centenario. Mi guarda e a
un certo punto mi ferma e dice: "Padre, mi "benedica!". Io
resto interdetto perché non sono sacerdote, però dico: "Gli
dò la benedizione di S . Francesco!". E gliel'ho data subi-
to. Quegli sospira e dice: "Padre, sapesse da quanto tempo
aspetto questa benedizione!". Io casco dalle nuvole, perché
non era mica programmato quell'incontro, io ero arrivato
per caso alla stazione. E mi racconta una lunga storia: era
stato da Pio X, da giovane, a Venezia. Ma aveva già 84 an-
ni. Il peggio è che era l'ultimo viaggio che stava facendo,
sarebbe sceso a Portogruaro, poi avrebbe posto fine alla
sua vita. Io cercai di dargli da mangiare, avevo del for-
maggio, un po' d'uva. Era commosso e non poteva prendere

263
niente. Allora gli dissi: "Guardi, il Signore è così buono,
vada a confessarsi, vada a Udine. Egli era di Udine e vi
tornò, ma non mi scrisse. Più tardi scrisse che era andato
a confessarsi alle Grazie. Andai a trovarlo a Udine in un
ricovero, e lo chiamavano 'il vecchio' perché aveva più
di 90 anni. Poi non mi scrisse più e quindi pensai che il
Signore lo avesse chiamato.
Ora, pensate, quella benedizione di S . Francesco!...
Egli aspettava? non so da chi, ma il Signore glielo avrà
messo in cuore. E allora? Uno ti prende come Abacuch per
i capelli e ti porta là e tu diventi mediatore... Mi ha
fatto un'impressione immensa, per tutta la mia vita; più
di una predica, più di tante altre cose. Perché io non
c'entro niente, capite. Il Signore t'ha preso come frate
e ti dice: "Benedici", e io ho benedetto come Francesco.
E l'altro è diventato figlio di Dio, è stato salvato, è ri-
nato... durante quello che per lui doveva essere l'ultimo
viaggio, a 84 anni!
Questo per dirvi che dobbiamo benedire. Il mondo è
schiavo, è pieno di paura e di morte, bisogna portare vita
e gioia, un po' di Spirito nel mondo e nell'universo. Scu-
sate questo racconto personale, ma mi ha fatto impressione,
al 1 ora.
Ora leggo la lettera a Frate Leone e concludo con que-
sta, perché proprio Francesco parla a Frate Leone come una
madre. E' il tratto umano della sua pedagogia che è pure
anche divina, ma ha sempre delle sfumature bellissime (FF
249): "Frate Leone, frate Francesco tuo (ecco, vedete l'a-
more? Questo "tuo" caratteristico. L'amore diventa persona-
le, non è mai anonimo, non siamo anonimi noi. Non siamo una
serie, un numero e, siccome Dio ha un nome, chiama per no-
m e . Così dobbiamo essere personali, sempre, nell'amore) ti
dà salute e pace. Così dico a te, figlio mio, come una ma-
dre (eccolo l'esempio della pedagogia francescana, come una
madre), che tutte le parole che abbiamo detto in via (ha
camminato a lungo, lo ha raccolto, gli ha cercato di spie-
gare tutto, come una madre che si porta dentro il bambino
e lo educa e lo forma un poco alla volta) brevemente in
questa frase riassumo a modo di consiglio. E dopo non ti sa-

264
rà necessario venire da me per consigliarti, poiché così
ti dico (attenzione bene, qui comanda la libertà, di esse-
re se stesso e gli dà il merito dell'obbedienza) in qualun-
que maniera ti sembra meglio di piacere al Signore Iddio
e di seguire i suoi passi e la sua povertà, fatelo con la
benedizione di Dio e con la mia obbedienza. (Qui c'è un er-
rore di sintassi, quindi deve essere di Francesco di sicu-
ro, non l'ha vista nessun altro. C'è un plurale, fatelo in-
vece di fallo). È se credi necessario, per il bene della
tua anima o per averne conforto, venire da me e lo vuoi,
Leone, vieni". (Un cuore aperto, un cuore di madre, è un
grembo materno che accoglie. Non occorre che tu venga, di-
ce, fa' quello che credi, ti dò una bella benedizione. Hai
il merito dell'obbedienza. Quindi sii te stesso, fa' ciò
che piace a Dio e io sarò contento di te, ti dò la benedi-
zione, hai anche il merito dell'obbedienza. Però se vedi
che posso esserti utile, vieni da me; un cuore sempre aper-
to. Se vuoi consolazione, vieni sempre).
Ecco, questi è un vero pedagogo, vorrei consigliarlo
a me prima di tutto, ma anche a voi. E' una perfezione ir-
raggiungibile. Però potremo, in qualche modo, avvicinarci,
perché uno che ama ha sempre queste finezze,anche se il do-
no è limitato. Ogni parola di Dio ha il potere di compierci
nella perfezione dell'amore, nell'immagine della bellezza.
E, quel che è ancora più bello, di compiere anche gli altri
nella dimensione di Dio, realizzando non il nostro progetto
pedagogico, ma quello di Dio che è il primo amore di ogni
educando.

265
IX Lezione:

VISIONE FRANCESCANA DELLA VITA

1) La vita come dono

2) La vita come celebrazione pasquale

3) Una vita tutta raccolta in Dio, nel mistero della


Chiesa

b) Un mondo nuovo, riconciliato e fraterno

5) La fraternità come pienezza del Vangelo di Cristo.

1) La vita come dono

Oggi concludo questa settimana di lezioni sulla spiri-


tualità francescana, che è stata una semplice introduzione,
allo scopo di dare l'avvio a uno studio personale e a una
nuova esperienza di vita, simile a quella di S . Francesco.
Vorrei che incominciaste a gustarne la bellezza e ad eser-
citarvi, come Francesco, che s'è messo per quella via piena
di sorprese, indicatagli da Gesù Cristo.
Oggi abbiamo come tema proprio quello conclusivo, che
dà il tono a tutta la settimana: Visione francescana della
vita.
Ecco: la visione non è soltanto una fantasia o una con-
cezione ideale, ma è un modo di intendere, di concepire e
anche di sperimentare, di attuare la vita, compiendola nel-
la dimensione dell'amore e nella misura in cui si ama.
Quindi un modo di vedere e di esperimentare Dio e gli uomi-
ni, un modo di concepire e di incontrare il creato, le co-
se, la storia. E' un punto di vista, direi quasi un flash,
è un raggio di luce che penetra in tutta la realtà del mon-
do, dell'universo, e lo mette a fuoco, in modo che diventa
luminoso, diventa chiaro, trasparente nella sua pura fonte

266
sorgiva.
Ricordo ciò che mi disse durante un "Simposio bonaven-
turiano", un professore di New York, innamorato della visio
ne francescana della vita. Allora stavo facendo la tesi e
gli chiesi che cosa mi suggeriva, per S . Bonaventura. Egli
mi rispose: "Guardi, padre, Bonaventura (e quindi anche
Francesco e ogni francescano) è un mondo nuovo. Per entrar-
ci dentro ci vogliono occhi nuovi. Provi a immaginarsi una
sala, che è oscura. A un certo punto si illumina e tutto
appare chiaro, acquista ordine, armonia e bellezza. E' un
mondo che s'apre nella luce di Dio, quasi un cielo che si
rivela". Bonaventura dirà di S . Francesco che egli era di-
ventato un Cielo in cui Dio poteva rivelarsi. Non nasconde-
va il suo dono, non lo seppelliva, ma lo custodiva in un
cuore puro, lo rivelava, lo manifestava, partecipandolo con
cortesia, con delicatezza. Quindi un dono che si esprime
e che diventa frutto saporito, gustoso. Però ci vuole anche
la capacità di accoglierlo.
Comunque, mettiamoci in questa sintonia, per attuarlo
oggi. E poiché - dice S . Bonaventura - non basta aver ascoi
tato per gustare, "quia non audiendo solum, sed observando
fit homo sapiens" (in Exaemeron,Coli.II,3,Qp.Omnia V,337a).
Non basta ascoltare, bisogna mettere in pratica, questo è
il bello. E poi - diceva - imparare tante cose e non gusta-
re nulla, a che vale? "Si in ligno crucis studuissent scien
tiam salutarem invenissent". Se avessero letto il libro del
la croce, se lo avessero gustato nella sapienza, allora a-
vrebbero trovato quel gusto saporito.
Quindi è necessario avere questo atteggiamento di fon-
d o , altrimenti non si entra dentro. Bisogna "desideranter
quaerere, gaudenter invenire, incessanter repetere", cioè
cercare sempre con desiderio, trovare con gioia, masticare
sempre, portarselo dentro il dono, come una canzone bella
che risuona nel cuore. Diventa quindi il canto nuovo della
vita. Però c'è un punto d'incontro che è indispensabile per
capire tutto. Qui non basta l'ascolto (audire), ci vuole
l'attenzione e la disponibilità del cuore (obaudir^) e quin-
di la piena e totale dedizione (oboedientia fidei).
Vi porto un esempio molto semplice, una leggenda orien-

267
tale che mette a fuoco la nostra visione di stamani, per
entrare in questo mondo nuovo di Francesco, della vita fran
cescana. La leggenda della canna di bambù, l'avete mai sen-
tita? "C'era un bellissimo giardino e in questo giardino
molti fiori e piante. C'era una pianta più grande, più al-
ta, più splendida: la canna di bambù, che in oriente è an-
cora più vistosa, più maestosa che da noi.. Ella sapeva di
essere bella e grande e si compiaceva della sua bellezza.
Vanitosetta lo era pure, capite. Un giorno arriva il signo-
re del giardino a fare visita ed essa se ne accorge, lo
guarda ed esulta nel suo cuore, e dice: "Finalmente è arri-
vato. Vedrà che sono bella e mi ammirerà. Ella quindi aspet
tava. Il signore si avvicina e la canna si piega fino a
terra in segno di riverenza e dice: "Ben venuto, Signore".
Ed egli rispose: "Ben trovata" e subito le sussurrò all'o-
recchio: "Mia cara canna di bambù, ho un progetto su di te".
"Oh subito, Signore", disse la canna, contenta e felice,
perché aveva scelta proprio lei tra tutti i fiori e le pian
te del giardino. Contentissima. Ma il signore soggiunge"!
"Però, guarda, per il mio progetto bisogna fare qualche
correzione, bisogna fare qualche operazione" - "Qu.il e, Signo
re?" - "Eh - dice - devo sfrondarti" - "Come, Signore? ma
scherziamo? ma la mia bellezza, la mia chioma? Son finita
in tutto il mio essere se mi tagli i rami, le foglie, sono
finita" - "Eppure, per il mio progetto devo sfrondarti" -
"Beh, Signore, se proprio vuoi, dato che ho detto di sì,
sfronda" - "Non è tutto - continua il Signore - mia cara
canna di bambù. Sai, devo tagliarti" - "Ma allora sì che
sono morta, - dice - se mi tagli, sono finita, cosa posso
fare, la mia vita è finita" - "Eppure - dice - ho bisogno
di tagliarti sotto" - "Beh - sospira la canna - se proprio
vuoi, Signore, taglia" - "Sta bene attenta, non ti ho rive-
lato ancora tutto, - dice il signore - devo aprirti il cuo-
re" - "Eh, ma allora sì che sono morta, Signore, se mi apri
il cuore" - "Ebbene - disse facendo un sospiro profondo -
Signore, ormai fa' di me quello che vuoi, fa' quello che
credi"
E il Signore si mette all'opera. Egli non scherza, quan
do ha un progetto lo realizza fino in fondo. Comincia a sfron-

268
dare, poi un colpo forte sotto, taglia tutto, e infine un
gran colpo in mezzo e spacca in due la canna. (Sapete, la
canna dentro è vuota). Finalmente il signore può attuare
il suo progetto. Non molto lontano di lì c'era una sorgente
che da secoli e millenni gorgogliava, ma non serviva a nes-
suno perché la sua acqua andava dispersa. E non molto lon-
tano c'era un deserto, che restava deserto perché non c'era
acqua. Cosa fa il signore di quel giardino? Unisce una par-
te di quella canna alla sorgente e l'altra parte al deser-
to. L'acqua comincia a gorgogliare felice di potersi tra-
smettere, comunicare, e va nel deserto, che diventa fecon-
do. Si semina e si raccoglie e la gente si nutre ed è feli-
ce. La morale della favola è semplice: quella canna che,
nella sua magnificenza, piaceva solo a se stessa, nella sua
povertà diventa utile agli altri. Ecco il segreto: essere
disponibili.
Un'altra leggenda, che può mettere a fuoco una nostra
remora, una nostra paura, o addirittura qualche scusa ben
fatta, intelligente, per non dover dire di sì, quando il
Signore ci chiama. La riportano le parole di Tagore, che
è un grande maestro, un grande educatore, un artista per-
fetto, però anche lui un fifone come Pietro e come tanti
di n o i . Egli fu interrogato un giorno da un suo amico cri-
stiano, come mai non si fosse fatto cristiano. La domanda
è comprensibile, alla luce dei suoi sentimenti e delle sue
poesie dell'amore, della giovinezza: sono bellissime e uno
ci si ritrova anche come cristiano. Oppure i grandi canti
religiosi: "Tutti i miei canti vengono a te, Signore, come
le nubi che solcano il cielo, che vanno verso Dio, cammina-
no verso l'eterno, come incessanti preghiere bussano alla
tua porta". Però non si è fatto cristiano, almeno ufficial-
mente. Certamente il Signore se lo è preso in Paradiso,
perché uno che è in cammino, alla fine lo trova, fa l'espe-
rienza della misericordia, che è l'ultima sorpresa di Dio.
Allora l'amico gli chiese: "Come mai non ti sei fatto cri-
stiano?". Ed egli da artista sommo qua! era, rispose con
delicatezza: "Hai mai incontrato una rosa sul tuo cammino?"
"Certamente", rispose l'amico cristiano". "Come ti sei ac-
corto?". "Eh, l'ho vista". "E se fossi stato cieco? Ti sa-

269
resti accorto?". "Certamente", rispose. "E come ti saresti
accorto?". "Dal profumo, la rosa ha profumo". "Eh, vedi,
- conclude Tagore - non ho ancora sentito il profumo del-
l'amore cristiano".
Una bella scusa, da artista sommo, ma sempre una scusa.
Qual è la risposta vera di Tagore? E' in un frammento, in
un'opera incompiuta e deve restare frammento, perché il
dramma interiore rimane un po' come l'incompiuta, come i
prigioni di Firenze, quelli di Michelangelo, che vengono
fuori dal sasso. Rimane appena un raggio di luce, uno spraz
zo, però è la verità questa, in un frammento c'è il suo
dramma. Nella Leggenda del mendicante. C'è un mendicante
che è sempre al lato della strada e chiede l'elemosina con-
tinuamente. Un giorno sente dire che arriverà il gran R e .
"Allora - dice - mi darà molto oro, sarò ricco e felice?
quindi finirà la mia miseria e sarò felice". E di fatto ar-
riva il gran Re, maestoso, bellissimo, con un corteo immen-
so. Egli rimane incantato. E quel che è più bello, si ferma
proprio davanti a lui. TI Re lo guarda, scende da cavallo,
gli si avvicina."Ormai - pensa il povero - è arrivata l'ora
della felicità", e sta aspettando che gli butti ridosso un
sacco d'oro. Invece il Re stende la mano e chiede: "Cosa
hai tu da darmi?". "Quale gesto regale fu quello di chiede-
re l'elemosina a me povero!" Tutto confuso, mise la mano
nella saccoccia, tirò fuori un granellino e lo donò al
gran R e , il quale continuò il suo viaggiò. Il povero rimase
lì a terra deluso."Persa 1'occasione", pensava, e continuò a
mendicare fino a sera. A sera si raccolse nel suo tugurio,
buttò per terra ciò che aveva raccolto, guardò fisso e co-
minciò a piangere lacrimoni grossi grossi. Cosa aveva vi-
sto? Un granellino d'oro. Allora pianse tutte le sue lacri-
me, perché non aveva avuto il coraggio di dare tutto ciò
che possedeva. Ecco il dramma, non ha avuto il coraggio di
dare tutto ciò che possedeva; solo ciò che si dona viene
trasformato, diventa amore, diventa ricchezza, diventa fe-
licità. Una felicità a buon mercato non esiste. Il possesso
non rende felici. Francesco l'ha capito questo: dare tutto
affinché tutto venga trasformato e divenga per la fede, ap-
punto, quell'Altissima povertà, che è Gesù Cristo in perso-

270
na. Quindi la vita che ha senso in Gesù Cristo.

2) La vita come celebrazione pasquale

Ricordate l'immagine del Crocifisso di S . Damiano,


il d ramina della Croce che diventa pienezza dell'universo-
la croce che sigilla il Regno di Dio perché Gesù , risorto
e vivente, sta ascendendo al Padre e quindi chiama da quel-
la Croce.
Gesù Cristo • è l'Altissima Povertà, è Lui in persona che si
è fatto povero. E' la povertà di Cristo (UltVol: FF 140),
non altre povertà. E' la povertà del Regno di Dio. Quindi
uno che diventa povero (RegB 6,2-7:FF 90) è capace della
pienezza di Dio, allarga il suo cuore all'orizzonte del
cuore di Dio. E' la prima risposta, Giobbe. H dolore umano
ha una risposta in questa dilatazione del cuore che si ac-
corda al cuore di Dio. La seconda è la Croce di Cristo che
rende eloquente ogni croce e dà al dolore il senso della
speranza cristiana. La terza risposta è Gesù Cristo risorto
e glorioso, che dice: "Sono risorto e rimango sempre con
te!" (Sequenza pasquale).
Diventa quindi risonanza della Parola, Vangelo di Gra-
zia, beatitudine di coloro che soffrono, appunto perché sa-
ranno consolati. Il Crocifisso di S . Damiano ricorda pale-
semente che l'amore totale, che dona la vita (cfr. Gv 15,
13) inaugura la Risurrezione e fonda la missione della Chie
sa, compiendola nella pienezza di Cristo (cfr. Ef 1,23).
E' Dio che consola il suo popolo, entra dentro e ci a-
pre il cuore per donarci un cuore di figli, mediante il do-
no del Figlio. Vi ricordate l'immagine di Francesco col
cuore aperto e il Vangelo che risuona nel cuore. Ecco,
la Parola ti apre il cuore: questo è il mistero, il segre-
to. Es sa è efficace, semina dentro la speranza di Dio, af-
finché il mondo viva di quella speranza che nel nostro cuo-
re porta i doni vivificanti e i frutti vivi dello Spirito
Santo. Quindi apre il cuore e segna la vita, per cui uno
diventa davvero non solo immagine, ma somiglianza: entra
dentro il Cristo. Ricordate, risonanza, dicevo all'inizio
e rivelazione dell'immagine, la quale, divenendo visibile,

271
si imprime. Così uno si configura ad essa, entra nell'imma-
gine, c'è un nuovo ordine, che è proprio della pienezza,
l'ordine di Cristo, entrare dentro il Cristo, per cui,al la
fine, ognuno appare nella pienezza di Cristo e Cristo appa-
re nella povertà della creatura. Una unità d'amore.
Quindi si tratta di una vita che si configura in Cristo
al progetto del Padre (cfr. Rm 8,28-30). Come? S . Bonaven-
tura lo spiega teologicamente, però ricordando la teologia
di S . Francesco. Egli non inventa nulla, soltanto ricorda,
nel testo che abbiamo visto all'inizio (LM 7,9,FF 1129).
Francesco dà il senso della vita come celebrazione pasqua-
le: chi vede il Signore è già nel Regno, entra dentro e vi
introduce ogni cosa, passata, presente e futura, la porta
dentro nell'impulso del suo amore e della sua speranza.
Quindi anche se uno soffre, soffre nella speranza, se uno
piange, se uno muore, piange e muore nella speranza. E' una
vita che s'apre verso il giorno, verso la Pasqua del Signo-
re e che s'illumina nella visione del suo volto. Pensate
alla prima comunità cristiana: era una comunità raccolta
nell'amore, che lodava Iddio (un vero francescano dà lode
a Dio con la sua vita!) e attendeva il giorno. '<>ìla notte
la comunità credente annuncia che verrà il giorno. Ed è co-
si la sposa fedele che consacra il suo corpo nella attesa
(cfr. Ap 22,20): tutta la teologia sponsale di Francesco
è imperniata sulle Parabole del Regno, sulla sposa che at-
tende il Signore e dice: "Vieni, Signore Gesù!"(Ap 22,20).
L'unica parola che sia degna della sposa fedele. E se davve
ro la creatura è questo "anello da sposa", noi dovremo rac-
cogliere tutti questi tesori immensi e restituirli al gran
Re per la festa del Regno.
Quindi la vita nostra è di essere messaggeri, araldi
del gran R e . Francesco si è definito all'inizio: "Non son
di nessuno, né dei potenti, né dei sapienti, di nessuno,
sono di Cristo e basta. E son contento soltanto di Lui".
Ecco il "nuovo popolo che è contento solo di Cristo"(LegPer
67:FF l6l7;Spec 26:FF 1710). E' una vita nuova che si apre
nel Vangelo delle Beatitudini. Leggiamo San Bonaventura (LM
7,9:FF 1129). Egli unisce la povertà con la celebrazione
della liberazione del Regno. La povertà è la quaresima, è

272
il deserto, è il cammino della speranza, sono i 40 giorni
di attesa del Signore. La vita francescana è celebrazione
pasquale, un tempo di grazia. Son quei 40 giorni che vanno
da Pasqua a Pentecoste, che il Signore ci dona per abituar-
ci a vivere da risorti. Si compiono da S . Damiano a S . Ma-
ria degli Angeli. Ci si abitua a vivere con il Signore, a
essere contenti solo di Lui. I 40 giorni di consuetudine,
di condivisione, di gioia di essere con Lui, permettono di
incontrarlo in tutte le sue presenze: nei segni sacramenta-
li, nel prossimo, nel servizio della lavanda dei piedi e
dell'accoglienza ospitale. E' l'allenamento, la preparazio-
ne, finché alla fine egli ci riconoscerà. Questa è la vita
francescana: abituarsi a vivere con Cristo, a essere di
Cristo e ricevere soltanto Lui e a servire a Lui con gioia.
Celebrazione pasquale, quindi, di ogni francescano ma
anche di ogni persona veramente cristiana. Francesco è un
vero cristiano, che ha creduto al Vangelo e l'ha vissuto
in pienezza.
Nel giorno santo di Pasqua, si trovava in un romito-
rio molto lontano..dall'abitato (si tratta di Greccio) e non
c'era possibilità di andare a mendicare. La mendicazione,
come andare alla mensa del gran Re, è la più grande quali-
ficazione dei figli, che vengono così nutriti alla sua men-
sa regale. Pensate alla bella parabola che Francesco rac-
conta al Papa, della donna povera, ma bellissima, che aveva
ricevuto in dono dal Signore molti e bellissimi figli che
poi conduce alla reggia perché vengano da Lui nutriti. Il
Re dei re li riconosce subito, perché gli rassomigliano.
Ecco la caratteristica: il gran Re li riconosce, perché
hanno le sembianze di Cristo, sono di Cristo e portano i
suoi segni, quindi sono i figli del Re, veri figli di Dio
(2Cel 16:FF 602 5 3Comp 50:FF 1459* AnPer 35:FF 1527). '
Va a mendicare perché Gesù Cristo si è fatto povero per
noi (Cfr. 2Cor 8,9, Spec l8:FF 1701), memore di Colui che
in quello stesso giorno appare ai discepoli in cammino ver-
so Emmaus (cfr. Le 24,13-35} LM 7,9:FF 1129? 2 Ce! 6l:FFÓ47).
La mendicazione è cammino pasquale per incontrare Cristo,
e offrire a chi non la conosce un'occasione buona perché
venca a conoscere questa verità e diventi cristiano. Dà

273
l'occasione di fare del bene e sollecita il bene, lo stimo-
la, lo promuove. La promozione francescana abbraccia tutto
l'universo, tutte le opere possibili, affinché compongano
ed edifichino il Corpo di Cristo, sia nelle persone che in
tutto l'universo che diventa un grande tempio, in cui ri-
splende la gloria del Signore. La mendicazione diventa così
cammino pasquale di Cristo insieme agli uomini, incontro
agli uomini. Un francescano non ha nulla di proprio e quin-
di è un cristiano che cammina insieme a Cristo. L'esempio
che vi portavo della Biennale: Francesco che tiene il passo
di Cristo e si illumina in quella luce. Egli segue fedel-
mente Gesù.
Noi dovremmo essere come Francesco, Se muoviamo il no-
stro passo al ritmo del passo di Cristo allora introduciamo
gli uomini alla sua sequela. E' un po' il preludio, noi li
introduciamo in questo grande canto, in questa grande sin-
fonia dell'amore che è la vita in Cristo, che è la perfetta
vita francescana.
Orbene, Francesco va a chiedere l'elemosina, come Gesù
Cristo che va a chiedere l'elemosina a quei due viandanti,
a quei discepoli. E cosa chiede? Stimola il loro amore,
perché lo invitino: "Resta con noi". Chiede non di rimanere
sempre straniero, ma di diventare prossimo, allora può ri-
velarsi, perché il prossimo è sempre Cristo. Di fatto, dopo
tante ore di spiegazione, di liturgia della parola, si ac-
corgono, se non altro in quell'atto di amore: "Resta con
noi". "Finalmente - dice Gesù - posso entrare dentro di voi
e voi in m e ! " . Di fatto entra nella pienezza, nel corpo
di Cristo, che è il centro, il fondamentale tratto della
visione francescana. La realtà corporale, di cui parla
Francesco, è Gesù Cristo in persona, il regno è Lui e l'Eu-
carestia è la Verità proprio nello spessore massimo della
sua presenza, e diventerà il centro della vita sia dei fra-
telli come della Chiesa e di tutta l'umanità.
Ali ora Francesco celebra la Pasqua, memore (ecco la vi-
ta che è memoria, pensa sempre a Cristo, "pensando sempre
a te" - Comm Padre Nostro 8:FF 270 - di Colui che apparve
nello stesso giorno ai discepoli in cammino verso Emmaus,
in figura di pellegrino (Le 24,13-35s2Cel 6l:FF 647,LM 7,9:

274
FF 1129). Ecco perché il frate è pellegrino, è Cristo che
è in cammino verso gli uomini, verso Dio, verso il Padre.
Per questo San Francesco discendeva dalla scala di Giacobbe
verso gli uomini o saliva verso Dio (LM 13,1:FF 1222). Una
vita che è in cammino, nella operosità dell'amore, che non
conosce inattività. S . Agostino: "Ogni bel canto ha delle
pause, dei silenzi, ma il canto della vita, dell'amore, è
una canzone che non conosce silenzi", perché è vita che
continuamente si apre sempre verso Dio e si comunica agli
uomini. Quindi Francesco è in piena sintonia con il Risor-
to, cammina nella Pasqua assieme al Risorto. Però lo rappre
senta degnamente, come araldo, non si sostituisce a Lui.
Egli è soltanto risonanza, soltanto voce di Cristo.
Chiederò l'elemosina è essere nutriti dal gran Re alla
sua mensa, alla mensa del Signore. A proposito qual'è la
mensa del Signore? L'Eucarestia, il Figlio di Dio Gesù Cri-
sto. I figli sono figli nel Figlio, uniti alla mensa del
Padre. Quindi l'Eucarestia è la mensa del Signore (CommPa-
dreNostro 13:FF 271), l'altro pane viene al secondo posto.
Al primo posto stanno la mensa della Parola e la mensa del
Corpo di Cristo, che Francesco vede sempre insieme. Anche
quando non si può celebrare la Messa lo contempla presente
nello Spirito, in una profonda esperienza. "Come l'ebbe ri-
cevuta, li ammaestrò con santi discorsi a celebrare conti-
nuamente la Pasqua del Signore". La vita francescana: cele-
brare continuamente la Pasqua del Signore.
Il Vaticano II si è accorto, dopo 7 secoli e mezzo che
il senso della vita cristiana è celebrare la Pasqua (Sacr.
Conc. 6,106-107? Presb. Ord. 2), cioè morire e risorgere,
passare per il deserto della povertà per entrare nella Pa-
squa di Cristo e annunciare insieme che il Signore è risor-
to e che noi siamo testimoni della sua risurrezione. Testi-
moniando che ha visto il Signore, la prima comunità si edi-
fica come Chiesa. Anche nel racconto di Emmaus la comunità
testimonia che il Signore è risorto ed è apparso a Pietro
e poi i due come privati incalzano: "L'abbiamo visto anche
noi". 11 cristiano è uno che testimonia: "Ho visto il Si-
gnore" (Gv 20,18) e lo comunica nella gioia pasquale.
liceo allora Francesco che esorta continuamente a cele-
brare la Pasqua del Signore, cioè il passaggio da questo

275
mondo al Padre (LM 7,9:FF 1129).
"Una volta, nel giorno santo di Pasqua, siccome si tro-
vava in un romitorio molto lontano dall'abitato e non c'era
possibilità di andare a mendicare, memore di Colui che "in
quello stesso giorno" apparve ai discepoli in cammino verso
Emmaus, in figura di "pellegrino" (Le 24,13ss.), chiese
l'elemosina, come pellegrino e povero, ai suoi stessi frati.
Come l'ebbe ricevuta, li ammaestrò con santi discorsi
a celebrare continuamente la "Pasqua del Signore" (Gv 13,1),
cioè il passaggio "da questo mondo al Padre", passando per
il deserto del mondo in povertà di spirito, e come pelle-
grini e forestieri e come veri Ebrei.
Poiché, nel chiedere le elemosine egli non era spinto
dalla brama del guadagno, ma dalla libertà dello Spirito,
Dio, Padre dei poveri, mostrava per lui una speciale solle-
citudine" .
Ecco, i figli vanno a casa, dal padre. La vocazione ti
chiama, ti prende là dove sei, per strada, in chiesa, dap-
pertutto e ti porta a casa, nel cuore del Padre. Ti restitui
sce, tu sei figlio e quindi sei nella casa del Padre. Gesù
Cristo è venuto per questo, ha fatto da ponte perché il
pa ssaggi o fosse possibile attraverso il deserto del mondo
e anche attraverso questo grande fiume (ricordate la vi-
sione di S . Francesco nel Fioretto 36:FF I 8 7 O ) , mediante
l'aiuto di Francesco, perché s'è configurato a C r i s t o . Quin-
di il francescano è uno che va sempre a casa, non ha altre
dimore che la Casa del Padre, quindi è figlio vero e si ri-
conosce ed è contento solo di essere nel Figlio (Spec 2ò:FF
1710, LegPer 67:FF 1617) passando per il deserto del mondo
in povertà di spirito. Il deserto non è mancanza di uomini,
non è mancanza di c o s e , può essere popolatissimo. Deserto
è vivere alla presenza di D i o . Il creato se non lo stacco
dalla sorgente, non me lo approprio, ma lascio che si illu-
mini in quella luce affinché sia veramente creatura di Dio
unica e irrepetible è il mio fratello, come il fratello uo-
mo è il fratello C r i s t o .
Quindi io non lo tocco, ma lo ammiro e lo accolgo con
delicatezza, come una madre suo figlio. E mi lascio benefi-
care, mi lascio servire dal fratello in Cristo, e sono lie-

Z7t>
to che egli si lasci servire da m e . Guardate l'umiltà di
Dio: si riceve dalla creatura, si riceve dalla Vergine Ma-
ria, dal sacerdote sull'altare, da ognuno di n o i . Si riceve
in dono; si abbassa, si affida a noi e si riceve in d o n o .
Questa è l'umiltà di Dio, e quando noi restituiamo il dono
ricevuto nell'amore, allora il Padre è felice perché non
ha altra gioia, dice S . Francesco, che avere dei figli ve-
ri (2Cel 192:FF 778):
"La grande assemblea è il nostro Ordine, quasi un si-
nodo generale, che si raccoglie da ogni parte del mondo
sotto una sola forma di v i t a . In questo i sapienti traggono
a loro vantaggio le qualità proprie dei semplici, perché
vedono persone senza cultura cercare con ardore le cose ce-
lesti e pur senza istruzione umana, raggiungere per mezzo
dello Spirito Santo, la conoscenza delle realtà spirituali
(cfr. At 11,285 Mt 16,23).
In quest'Ordine anche i semplici traggono profitto da
ciò che è proprio dei sapienti, quando vedono umilia:si con
loro allo stesso modo uomini illustri, che potrebbero vive-
re carichi di onori in questo m o n d o .
Da qui - conclude - risalta la bellezza di questa beata
famiglia, che per le sue molteplici qualità forma la gioia
del Padre di famiglia (Mt 20,1)".
Il Padre è lieto, felice di avere dei figli, niente al-
tro egli desidera. Ecco allora come pellegrini e forestie-
r i , in povertà di spirito (non povertà-rinuncia, che non
rende felici nessuno), ma povertà di spirito, povertà beati
tudine (Mt 5,3), povertà amata, desiderata. Questa è la po-
vertà vera: avere soltanto Cristo. Quindi non basta rinun-
ciare a tutto per essere contenti. Si può essere tristi e
inquieti e anche un po' risentiti perché si è dovuto lascia
re tutto per amor di Dio, proprio come G i o n a , che andava
dall'altra parte, per non dovere essere contento solo di
Dio!
Una povertà amata e desiderata perché non vuol avere
nuli'altro sotto il cielo di proprio se non Gesù Cristo.
Come pellegrini e forestieri in questo mondo e come veri
Ebrei. Ecco la Bibbia che si incarna in Francesco, la sua
voce è voce di Profeti e voce di tutti i camminatori del

277
Vecchio Testamento, di Elia che di là cammina verso la gran
de montagna che è qui, la Verna, la montagna del Signore.
Cammina tutta una vita finché arriva al vertice del monte
e allora il Signore lo sigilla con quella manna nascosta,
che è l'amore del Figlio, che è il sigillo della fedeltà
nello Spirito. Se ogni chiamata nasce nel cuore del Padre
celeste e diventa teofania nel fuoco del Roveto ardente,
come per Mose (cfr. Es 3,lss), allora in Francesco si com-
pie il mistero della chiamata, quando viene sigillato nel
fuoco del roveto che è la Croce, in lui si compie il mes-
saggio biblico del Vecchio e del Nuovo Testamento.
Vorrei che capissimo questa celebrazione pasquale di
Francesco quassù alla Verna, perché qui è la massima espres
sione di un amore vissuto in pienezza anche sul piano uma-
no, anzi sul piano psicologico. E' una pienezza che nessuno
ha mai raggiunto. Anche Freud dice: "Francesco è l'uomo più
compiuto, più perfetto, perché non ha avuto più paura di
niente, neanche della morte, egli l'ha cantata come sorella
(Cant 12:FF 263). Quello è un uomo felice, ben riuscito.
E lo stesso Lenin diceva: "Se avessi avuto un Francesco
d'Assisi non occorreva fare tanti milioni di mor' i. Purtrop
po non l'ho avuto e ho dovuto fare la rivoluzione".
Se manca l'amore non resta che spaccare, fare fuori
tutto. Soltanto l'amore edifica la casa per Iddio e per gli
uomini. Quindi proprio questo nostro dramma Francesco lo
risolve in modo esemplare qui alla Verna realizzando la
pienezza massima possibile ad un uomo. Nell'evento delle
Stimmate Cristo è diventato pienezza dell'uomo in lui, per-
ché non aveva nulla di proprio. Egli l'ha accolto in pie-
nezza, totalmente. Vediamo come. Iddio Padre lo ha amato
nel massimo segno di amore nel Figlio che dà la vita sulla
croce (S.Damiano). Lo ha incontrato così e gli ha usato mi-
sericordia, l'ha rifatto nuovo. Lo ha amato nel segno mas-
simo dell'amore creato (Serafino, che è il vertice dell'a-
more. I Serafini ardenti chiamano Dio per nome: Santo, San-
to, Santo- Is 6,3 ). Allora quest'uomo è diventato "creatu-
ra del Santo", cioè capace di intonarsi ai cori angelici.
Il Padre lo ama però nella vite che è Cristo (cfr. Gv
15,lss. ), nell'albero della vita (Ap 22,2). Francesco diven

278
ta così un frutto saporito dell'albero della vita. Difatti,
ricordate le ali centrali di quell'immagine di Serafino
che vi mostrai? Sono foglie dell'albero della vita, i cui
frutti nutrono per tutti i mesi dell'anno e le foglie sono
medicina per i popoli. L'Apocalisse lo dice chiaro.
Ma cosa succede, quando il Signore chiama in questa
pienezza d'amore? Il Padre chiama nel Figlio, che fa l'ese-
gesi dell'amore sulla Croce, aprendo il cuore. La chiamata
apre il cuore. Infatti Francesco ha il cuore aperto e quel-
l'apertura diventa Vangelo e quel Vangelo diventerà Buona
Novella per tutti, diventerà beatitudine. Di fatto France-
sco incarna quella parola, diventa araldo, risonanza della
Parola (cfr. 2Cel 54:FF 640): "Irradiato in tal modo dallo
splendore della luce eterna, attingeva dalla Parola ciò
che riecheggiava nelle sue parole".
E lo dirà anche ai suoi frati di essere così (LettCap
Fr 10:FF 216). Quella parola fa piaga nel cuore e dà il to-
no alla vita, la sigilla nella fedeltà, perché la verità
è anche fedeltà; lo rende vero nell'immagine di Cristo e
alla fine Francesco rivela la Croce, nelle sue mani, nei
suoi piedi e nel suo cuore. Ma anche porta il vessillo del-
la croce vittoriosa, la croce vincente della Verna, come
la croce pasquale del Cristo di S . Damiano. La via è giu-
sta, l'unica vera che porta alla Verità e alla Vita, fino
al Regno, alla terra dei viventi (RegB 6,6:FF 90).
Quindi Francesco porta la Croce, la incarna e la rive-
la e quella croce parla, non è più silenziosa. Come il Cri-
sto di S . Damiano, parla, perché è vincente, risorto. Quel-
la voce risuonata in Francesco incontra Bonaventura, e lo
compagina nella unità di una nuova Croce, incarnata nelle
persone che compongono la fraternità. C'è un'unità. Sotto
il Crocifisso c'è Chiara e anch'essa è compaginata nell'u-
nità propria dell'amore. L'immagine rappresenta una cellula
viva della Chiesa. E i colori sono vivacissimi. Alla pre-
senza di Dio con quell'azzurro che è appunto il Cielo. L'o-
ro della corona, dei capelli di Francesco (ricordiamo la
Madonna nell'oro dello Spirito Santo) e anche del cingolo
che diventa corona, legame nello Spirito, patto nuovo, nuo-
va alleanza con Dio.

279
E così in Bonaventura ii rosso del ministero è uguale
al rosso delle piaghe di Francesco, proprio lo stesso amore
che diventa Vangelo e diventa dono. Però il vertice, sapete
qua]'è? E' la Verginità. Se teniamo presenti le sei ali del
Serafino, le due superiori sono violacee, il colore della
veste di Chiara, ossia: la Veiginità, che consacra la per-
sona e la compie nei cieli altissimi, rendendola un cielo
nel quale Dio possa rivelarsi.

3) Una vita tutta raccolta in Dio nel mistero della Chiesa

I Padri della Chiesa rilevano una ri spendenza tra il


triplice "Santo, Santo, Santo", che ri suonò in cielo tra
i Serafini e riempie il tempio di cui parla Isaia (6,3)
della gloria di Hio, e la risonanza sulla terra,: "Vergine,
Vergine, Vergine!" Un amore che non è sciupato, consumato,
neppure usato, ma che rimane "santo e i mma.col ato" ( Ef 1,4),
che rimane amore e rimane santo, Spirito Santo. Ecco il mi-
stero dello Spirito Santo, il quale non ha nulla di pro-
prio, ma è tutto del Padr e e del l igi io, non ha neppure pa-
role proprie, ma dice quelle del 1Padre, faceiuk le brillare
sul volto di Cristo (Cfr. 2Cor 4,* ). Configurando la perso-
na, consacrata dall'amore, all'immagine di. gloria di Gesù
Cristo (cfr. 2Cor 3,18) e permettendole di partecipare alla
pienezza fontale del Padre, trova in Francesco proprio quel
la terra vergine, che può essere fecondata da Dio e rivela-
re la fecondità di cui egli stesso parla, riferendosi ai
"frati poverelli" i quali "come la donna sterile, hanno par-
torito molti figli"(l Sam 2,5)"(2 Cel l64:FF 749; Spec 72?
FF 1767).
Allora proprio qui sulla Verna c'è la celebrazione del
la vita, come "santa operazione" (Regfì 10,10:FF 104; RegSCh
10,9-10:FF 2811) dello Spirito del Signore, nella piena at-
tuazione del suo progetto originale, senza contaminazione
o riduzione alcuna (cfr. Rm -8,28-30. il segreto di France-
sco è di permettere a Dio di essere Dio; Padre, Figlio e
Spirito Santo e di lasciarlo "operare" in lui, secondo la
misura della sua perfezione di amore, in virtù dell'altis-

280
sima povertà (RegB 6,5:FF 90), che è "la vita e la povertà
dell'altissimo Signor nostro Gesù Cristo e della sua santis
sima Madre" (UltVol 1:FF 140, PrivPov:FF 3279? RegSCh,Bolla
P.Innoc.IV,5:FF 2745; l6:FF 2749; TestSCh 33-36 :FF2835-
2837). Quindi Francesco è "contento solo di Gesù Cristo,
Altissimo e glorioso" (LegPer 67:FFl6l7; Spec 26:FF 1710-
1711), e sotto il cielo ha Lui come sua unica porzione, che
conduce alla terra dei viventi (cfr. RegB 6,6:FF 90), Gesù
Cristo, povero e crocifisso. Non ha neppure operazione pro-
pria, bensì "lo Spirito del Signore e la sua santa operazio
ne"(RegB 10,10:FF 104? RegSCh 10,9-10:FF 2811).
Lo Spirito è santo e non tocca la creatura, non la con
tamina, non la consuma, bensì la rende ardente, la ritempra,
la illumina, la consacra e rende feconda, nella maternità
verginale dello Spirito, per cui il Padre celeste, pienezza
fontale di ogni vita e sorgente di ogni generazione, può
rendere feconda la creatura non più soggetta ai limiti del
corpo, ma dilatata dalla santità dello Spirito, secondo "la
pienezza di Colui che si realizza pienamente in tutte le
cose" (Ef 1,23). Poiché il figlio di una Vergine e di Dio
non potrà essere che figlio di Dio. I figli di un amore do-
nato, consacrato dalla verginità dello Spirito e del cor-
po, saranno quindi i figli della promessa, "nati da Dio"(Gv
1,13). Essi saranno numerosi come le stelle del cielo (cfr.
Gen 17,1-7; 22,16-18). Francesco li esprime nell'immagine
della donna povera e bellissima, amata dal Re del cielo e
resa madre di molti figli, i quali portano le sembianze del
"Figlio" (cfr. Rm 8,29) e quindi vengono accolti nella casa
del Padre (cfr. 2Cel l6:FF 602; 3Comp 50-51:FF1458-14Ó0).
Appare quindi evidente in Francesco che la sua altis-
sima povertà rende possibile l'opera del Padre celeste e
il compimento del suo disegno sapientissimo. L'esperienza
della Verna adombra il mistero di "Santa Maria degli Ange-
li", il mistero della "Vergine fatta Chiesa", l'avvento e
il compimento del Regno di Dio, nel mistero divino della
Chiesa.
San Francesco è chiamato "vero adoratore della Trini-
tà" (3Comp 29:FF 1431), "perfetto seguace di Cristo"(LegMin
3,5:FF 1352), ma con tale pienezza di umanità che "pareva

281
portare in sé un cuore di madre"(LegMin 3,7=FF 1354)•
"Attraverso l'amore per l'altissima povertà, l'uomo
di Dio divenne così florido e ricco di santa semplicità
che, pur non avendo assolutamente nulla di proprio tra le
cose del mondo, sembrava il possessore di tutti i beni, poi
ché possedeva l'autore stesso di questo mondo. Infatti con
l'acutezza della colomba, cioè con la penetrazione che è
propria di una mente semplice, e con lo sguardo puro della
rifle ssione, egli riportava tutte le cose al Sommo Artefice
e in tutte riconosceva, amava e lodava lo stesso Fattore.
E così avveniva, per dono della clemenza celeste, che egli
possedeva tutte le cose in Dio e Dio in tutte le cose" (Leg
Min 3,6:FF 1353).
Se Santa Teresa d'Avila chiama la verginità "un profon
do silenzio di tutte le cose", allora penso che San France-
sco avesse ottenuto quella perfezione della verginità dello
Spirito, per cui egli aveva trovato in Dio il suo tutto,
come ripete insistentemente nei suoi scritti e nelle sue
preghiere, e quindi tutto il resto avesse senso solamente
in Dio e in ciascuna creatura non cercasse che Lui. Questo
puro sguardo verso Dio e verso le creature è proprio dei
vergini, che sono, per così dire, "come un solo occhio"
(S.Bonaventura,De S.Agnete V.et.M.,Sermo 1?Opera Omnia,IX,
504b), rapito in Dio. E, come gli Angeli santi, per mille
mondi non distoglierebbero da Lui per un solo istante il
loro sguardo e sono talmente a Lui uniti che "quocunque mit
tantur, intra Deum currunt".
"Chi aderisce a Dio diventa un solo Spirito" (lCor 6,17).
Questo è il vertice della santità che possa essere concesso
ad una anima e fa sì che essa si trovi già in cielo... E
così l'anima diventa" la Donna vestita di sole, con la luna
sotto i suoi piedi, e nel suo capo una corona di dodici
stelle" (Ap 12, 1 ) "noiché è piena di luci e non distoglie
mai il suo sguardo dalla Luce"(S. Bonaventura,In Hexaeme-
ron,Col1atio 22,39; Opera Omnia,V,443b).
"E come Gesù Cristo venne nella pienezza dei tempi,
così occorre che alla fine sia generata la Chiesa contempla
tiva. Infatti la Chiesa contemplativa e l'anima non diffe-
riscono, se non per il fatto che l'anima ha tutto in sé,

282
ciò che la Chiesa ha nei molti. Infatti ogni anima contem-
plativa ha tale perfezione da vedere le visioni di Dio"(S.
Bonaventura, In Hexaemeron,Collatio 23,4; Opera Omnia,V
445b)..
"Ma non si è ancora Città di Dio, né segnati, se non
si viene sigillati dallo Spirito Santo..." (23,10;V,446b).
Di questo segno dice S . Paolo (Ef 1,13;cfr. Rm 8,15,2Cor
1,22): "Siete stati segnati dallo Spirito di adozione. Da
questo segno si distinguono gli amici dai nemici, i figli
dai servi, i celesti dai terreni. Questo segno viene impres
so sulla fronte dell'anima contemplativa e sulla fronte de-
gli eletti. Questo segno apparve nei "segnati sopra il Mon-
te Sion" (Ap 14,1 ; nella 2Tim 2,19): "Il fondamento gettato
da Dio sta saldo"; questo è il segno mediante il quale "il
Signore conosce i suoi"(Num 16,5.26); conosce mediante un
segno espresso, per il quale l'anima invoca il nome del Si-
gnore dall'intimo"(S.Bonaventura, In Hexaemeron, Collatio
23,13;V,447a).
Il fatto che la Trinità consacri la creatura e la si-
gilli nel segno dello Spirito di adozione, l'accolga cioè
nel Figlio, è la conoscenza che Dio ha della sua creatura,
una conoscenza, che è intima esperienza d'amore, per cui
la creatura diventa un'intimità feconda, un'anima ecclesia-
le, una Vergine fatta Chiesa, quella Vergine, vestita di
sole, che dell'universo si riveste come di un manto di luce
e viene incoronata dagli Angeli santi. Non è questa Santa
Maria degli Angeli? Non è questo Francesco, segnato dal fuo
co vivificante dello Spirito Santo, nel meriggio infuocato
della passione del Figlio di Dio crocifisso, che dona la
vita per amore, aprendo la fecondità della Chiesa che diven
ta quindi la sua pienezza (cfr. Ef 1,23); "il suo CorpoT
la pienezza di Colui che si realizza interamente in tutte
le cose"? Non è questa la "rivelazione del mistero nascosto
da secoli", "il mistero della sua volontà che ci viene fat-
ta conoscere per realizzare il suo disegno nella pienezza
dei tempi: il disegno cioè di ricapitolare in Cristo tutte
le cose, quelle del cielo come quelle della terra"? (Ef 1,
9-10). Ma non è anche il mistero della divina maternità del
la Chiesa, "che Cristo ha amato e ha dato se stesso per

283
lei, per renderla santa, purificandola per mezzo del lava-
cro dell'acqua accompagnato dalla parola, al fine di farsi
comparire davanti la sua Chiesa tutta gloriosa, senza mac-
chia né ruga o alcunché di simile, ma santa e immacolata"?
(Ef 5,2 5-27). Noti è questa la profonda e pura conoscenza
che Dio ha della creatura e che la creatura ha di Dio, non
semplicemente nell'esperienza d'amore del matrimonio, che
è soltanto immagine e profezia del grande mistero della pie
nezza, quando Cristo diventerà un solo Spirito nella sua
Chiesa? (cfr. Ef 5,31-32) e il Padre potrà finalmente dona-
re i figli della promessa, numerosi, come le stelle del
cielo e fare della terra un'unica grande Chiesa, un tempio
consacrato, nel quale la gloria di Dio (cfr. Is 6,3) riem-
pia il tempio, "ossia l'umanità di Cristo", che come sole
dal grembo verginale di Maria si levò, per illuminare ogni
uomo e consacrare tutto l'universo?
"Così la Vergine gloriosa, generando il Figlio di Dio
e la Luce, per il fuoco del Divino Amore (cfr. Le 1,28-35 :
"Spiritus Sanctus superveniet in te!") donò al mondo la Lu-
ce e non fu corrotta. L'amore di carità preserva dalla cor-
ruzione" (S. Bonaventura commenta l'Esodo 3,2: "Il Roveto
ardeva e non si consumava"). "Perciò Colui che nascerà da
te" per grazia di un amore illibato e incontaminato, "sarà
chiamato Figlio di Dio" (Le 1,35). Come dall'amore di un
uomo con una donna nasce il figlio carnale, così dall'amore
della Vergine con Dio nacque il Figlio di Dio"(S.Bonaventu-
ra ,De_J)onis_JSpi^ Collatio 6,8;Opera Omnia,V,
485a).
Così la creatura consacrata in tempio santo di Dio,
in taberbacolo dell'amore di Dio viene conosciuta dalla
Trinità e resa vergine, ossia purificata nel fuoco del Ro-
veto ardente ( Es 3,2) e nel1'ardentissimo amore dei Figlio
di Dio sulla Croce e dall'incendio divino della Pentecoste,
in virtù della piena disponibilità come frutto della pover-
tà altissima, che non le permette più di avere dimora sulla
terra, ma di essere dimora dello Spirito Santo di Dio, di
non avere altra porzione sotto il cielo che il Figlio di
Dio del quale può condividere tutto l'amore e tutto il do-
lore per divenire con 1 tri un solo spirito nella sua Croce

284
e quindi, come nuova creatura, di diventare cielo nel quale
il Padre celeste trova la sua compiacenza. Per questo Gio-
vanni vede "la Gerusalemme celeste, la città santa, la Ge-
rusalemme nuova, discendere dal cielo" (cfr. Ap 21,10) "ri-
splendente della gloria di Dio".
"Così l'anima contemplativa viene segnata da Dio. Per
cui del sesto Angelo si dice, che apparve l'Angelo avente
'il segno del Dio vivente' (Ap 7,2), questo fu nella desi-
gnazione di Gerusalemme, in quando risiede nel cielo. A
questo Angelo apparve un segno espressivo in quanto al modo
di vivere rispondente a tale segno"(S. Bonaventura,In Hexa-
emeron, Collatio 23,14;Opera Omnia,V,447a).
Ecco il grande segno di conoscenza divina che trasfor-
ma Francesco nell'Angelo dell'Apocalisse, che ha il compito
di sigillare gli eletti, imprimendo sulla loro fronte, non
tanto il segno del suo desiderio di possesso o di potere,
quanto il segno dell'appartenenza definitiva a Dio (cfr LM
Prol FF 1022).
E perciò si afferma,a buon diritto, che egli viene
simboleggiato nella figura dell'"Angelo che sale dall'Orien
te e porta il sigillo del Dio vivo" (Ap 7,2), come descrivi
l'altro amico dello sposo" (cfr. Gv 3,29), l'apostolo ed
evangelista Giovanni, nel suo vaticinio veritiero"(S.Bona-
ventura, LM,Prologo,FF 1022).
Ora questa creatura mirabile, che porta il nome di
Francesco inaugura i tempi nuovi, apre l'orizzonte univer-
sale della fraternità, imprime nei figli di Dio il segno
della beatitudine del suo Regno, poiché, essendo "fedele"
non aggiunge nulla alla Parola, ma attinge da essa tutte
le espressioni della sua vita, tutte le risonanze del suo
messaggio di pace (cfr. 2Cel 54:FF 640).

4) Un mondo nuovo, riconciliato e frat erno

Tutto l'universo s'illumina in questa prospettiva di-


vina e diventa originale, autentico, nella rivelazione del-
la parola che porta nel suo intimo come segreto della sa-
pienza creatrice, ma che affida a Francesco, affinché l'in-
toni nel suo Cantico delle Creature (Cant 1-15:FF 263) e

285
lo restituisca come un bel grazie nella sua solenne litur-
gia di lode alla Trinità creatrice.
E' in questo senso che il Celano, interpretando l'espe
rienza dello Spirito, dice di Francesco che "non è possibi-
le che l'occhio fisso al cielo non comprenda le realtà ce-
lesti" (2 Cel 54:FF 640). Francesco diventa quindi in virtù
della profonda conoscenza di Dio, ai vertici della esperien
za mistica del Serafino Crocifisso, un conoscitore vero
delle creature e degli uomini.
Egli rimane incantato, in quella sublime rivelazione:
ciò che maggiormente lo stupisce è che l'amicizia di Dio
non rimane nascosta, ma diventa come un manto di tenerezza
e di fraternità universale, che rigenera la creazione, rin-
novandola nella sua pura fonte sorgiva.
Il Celano non riesce a nascondere la sua meraviglia:
"Veramente, soggiunge, è grande costui (cfr.Gb 1,3) che gli
animali venerano come un padre e che, pur privi di ragione,
riconoscono come amico del loro creatore"(3 Cel 31:FF 8 5 4 ) .
Ma ancor più si meraviglia nel constatare che "non soltanto
la creatura obbediva al solo cenno di quest'uomo, ma la
Provvidenza stessa del Creatore condiscendeva ovur ne ai suoi
desideri" (3Cel~33 = FF 856;LM 5,11:FF 1100).
S . Bonaventura ne dà apertamente la spiegazione teolo-
gica: "Francesco, in realtà, aveva raggiunto tale purezza
che il suo corpo si trovava in meravigliosa armonia con lo
spirito e lo spirito si trovava in meravigliosa armonia con
Dio. Perciò avveniva, per divina disposizione, che la "crea
tura servendo al suo Fattore" (cfr. Sap 16,24), sottostava
in modo mirabile alla volontà e ai comandi del Santo"(LM
5,9:FF 1098). E aggiunge stupefatto: "Sembra davvero che
tutta la macchina del mondo si metta al servizio dei sensi,
ormai così purificati, di quest'uomo santo" (LM 5,12:FF
1 102) .
E' un mondo nuovo, fraterno, riconciliato, che si il-
lumina alla vista del fratello umile e benigno, che si av-
vicina ad ogni creatura con devozione, per incontrare in
ciascuna di esse l'Altissimo, Onnipotente, Bon Signore" al
quale insieme ad esse vuole elevare la lode.
Ma è Francesco che è stato consacrato dalla conoscenza

286
di Dio e quindi è capace di conoscere e incontrare il crea-
to nella verità e nella purezza consacrante dell'amore.
"La pietà lo elevava a Dio per mezzo della devozione,
Io trasformava in Cristo per mezzo della compassione, lo
faceva ripiegare verso il prossimo per mezzo della condi-
scendenza e, riconciliandolo con tutte le creature, lo ri-
portava allo stato di innocenza primitiva" (LM 8,1:FF 1134).
A questo vertice di amore e di perfezione, è l'uomo
che maggiormente commuove il suo cuore, perché nell'uomo
appare più evidente la immagine di Cristo e perché, proprio
per redimere l'uomo,il Padre Celeste ha donato il suo Fi-
glio Unigenito, che ha dato la vita per noi sulla Croce.
"Per es sa (pietà) sentiva grandissima attrazione verso
le creature, ma in modo particolare verso le anime, redente
dal sangue prezioso di Cristo Gesù? e, quando le vedeva in-
quinate dalle brutture del peccato, le compiangeva con una
commiserazione così tenera che ogni giorno le partoriva,
come una madre, in Cristo"(LM 8,1:FF 1134).
Proprio in simile contesto di ammirazione e di vergi-
nale fecondità, S . Bonaventura ricorda l'elogio di France-
sco per i fratelli poveri e semplici, che diventano parte-
cipi dell'immensa fecondità dello Spirito di Dio.
"Aveva un suo modo di spiegare l'espressione biblica:
'Anche la sterile ha partorito molti figli' (1 Sam 2,5).
La sterile, diceva, è il frate poverello, che non ha nella
Chiesa l'ufficio di generare figli. Costui nel giorno del
giudi zio partorirà molti figli, nel senso che in quel gior-
no il Giudice ascriverà a sua gloria quelli che egli ora
converte con le sue preghiere nascoste" (LM 8,2:FF 1137).
Così si apre il vero mistero della Verna: una fecondi-
tà che deriva direttamente dal Padre dei lumi, dalla pie-
nezza fontale di ogni vita e di ogni beatitudine. La pover-
tà della creatura è tale, da muovere Dio ad inviare il Suo
Figlio Unigenito, nella immagine perfetta dell'amore che
dona la vita, facendolo accompagnare dalla più perfetta e
ardente di tutte le creature capaci di amare, il Serafino,
e così in una mirabile visita, in una conoscenza spiritua-
le, Francesco si sente ammirato da Dio, si sente guardato
con amore e reso partecipe dell'intimità divina (cfr. LM

287
13 j 3 :FF 1225).
Qui nasce il canto delle beatitudini, quella bella
preghiera a Dio, nostra speranza (LodAlt:FF 261), qua nasce
il dono, la partecipazione materna al fratello Leone e a
tutti gli altri, di una vita nuova nello Spirito. Il Signo-
re benedica, frate Leone, te (BenFrLeone 1-4:FF 2Ó2). Così
diventa benedizione anche lui, come il Figlio è diventato
un sì, benedizione per noi (cfr. 2 Cor 1,19-20), così anche
ognuno che entra nel Figlio diventa benedizione (cfr. 2Cor
1,20b ) .
Quindi la vita in pienezza, Cristo pienezza dell'uomo
e l'uomo espresso nella pienezza di Cristo. Certamente la
via è un po' dolorosa, fa un po' male. Quei segni impressi
nelle carni di Francesco, le sacre stimmate, lo consacrano,
ma fanno male. Non sono piacevoli, gustosi, però questa è
l'unica via vera: l'amore che dona la vita, l'amore del Pa-
dre che genera Francesco nella pienezza di Cristo. Ecco,
questa è celebrazione pasquale. Se noi celebrassimo sempre
la Pasqua, non ci sarebbe tempo da perdere in altre cose.
Cerchiamo di vedere anche altri momenti di questa gran
de visione francescana, che è una visione cristiana, tutta
compiuta in Cristo. Qual è il centro focale? La croce, sì,
ma ancor più l'Eucarestia come segno che dà significato e
che raccoglie tutto l'universo, che raccoglie tutta la real
tà e la rende Corpo di Cristo. Non siamo schiavi di nessu-
n o , ma siamo di Cristo, siamo in Cristo e di Cristo. Per
cui la realtà deve essere liberata dalla schiavitù degli
egoismi terreni e restituita a Gesù Cristo, per diventare
suo corpo, suo segno di unità. Diventerà tutto una grande
Eucarestia, una incontenibile lode di gloria. Per questo
ci vuole molta riconoscenza.
Innanzitutto bisogna riconoscere nel segno eucaristico
la presenza di Cristo e in ogni segno la attitudine a diven
tare Corpo di Cristo, nell'uomo, in noi e mediante noi
(LettCapFr 2ó-36:FF 220-221).
La prima ammonizione parla dell'umiltà di Dio che vie-
ne sulla terra; si incarna e poi rinnova la sua presenza
nell'Eucarestia (Amm l,15b-22:FF 144-145).
Quindi il Centro focale è il Cristo, sempre nella sua

288
verità della carne, come dirà Leone Magno (Lettera ad Fla-
vianum). Ma chi è che riceve il Figlio di Dio? Chi è degno
di riceverlo? Nessuno! Soltanto Iddio può ricevere degna-
mente Dio e Francesco l'ha ben capito e dice: E' lo Spiri-
to che l'accoglie nel grembo della Vergine: dapprima consa-
cra il Tempio e poi accoglie la Parola degnamente (Le 1,35).
Ed è lo stesso Spirito Santo che accoglie il Figlio di Dio
in n o i . "Per cui lo Spirito del Signore, che abita nei suoi
fedeli" egli stesso dimora in noi (quindi restare nell'amo-
re, dimorare nell'amore è essere nello Spirito Santo, in
questo nuovo ordine che realizza il progetto di Dio). "Egli
stesso riceve il S S . Corpo e Sangue del Signore...". E' lo
Spirito Santo che lo riceve.
Questo aspetto è molto sviluppato nella esperienza di
S . Chiara, come affermano le testimonianze del Processo di
canonizzazione.
Mentre S . Chiara era in dialogo con il Signore che
la consolava con la sua presenza, sotto l'aspetto di bel-
lissimo bambino, una sorella "vide sopra el capo di essa
Madonna Chiara due ali, splendide come el sole, le quali
alcuna volta se levavano in alto, et alcuna volta coprivano
el capo de la preditta Madonna" (ProcCan IX Test.4:FF 30Ó2).
Un'altra testimone attesta di avere visto, mentre pre-
dicava frate Filippo, un bambino bellissimo, mentre una il-
luminazione interiore le fece comprendere: "Io sono in mez-
zo de loro" (cfr. Mt 18,20), proprio a commento delle paro-
le: "Io sono il buon pastore" (Gv 10,11).
Ma ciò che maggiormente stupisce è una doppia appari-
zione di luce sul capo della Santa: "Pareva che uno grande
splendore fusse intorno alla preditta madre Santa Chiara,
non quasi de cosa materiale, ma quasi splendore di stelle.
E disse che essa testimonia per la apparizione preditta
sentiva una soavità inesplicabile" (ProcCan X,8:FF 3076).
Questo potrebbe corrispondere all'esperienza del Sera-
fino della Verna, tanto più che la precedente testimone
aveva visto le a l i . La seconda luce mette Chiara in diretta
relazione con la Vergine Maria nel mistero della Chiesa.
"E dopo questo, vide un altro splendore, non quasi de
quello colore che era el primo, ma tutto rosso, in modo che

289
pareva gittasse fora certe scintille de foco; e circundò
tutta la preditta Santa, e coperse tutto el capo suo. E du-
bitando essa testimonia che cosa fusse questo, le fu rispo-
sto, non con la voce, ma le fu detto nella mente sua: "Spi-
ritus Sanctus superveniet in te (lo Spirito Santo scenderà
su di te)" (Le 1,35)"(ProcCan,X Test 8:FF 3076).
Appare evidente da questa esperienza mistica un tratto
essenziale dell'esperienza del mondo e della visione france
scana della vita, illuminata dalla Parola (che diviene pre-
sente nel Bambino) e vivificata dallo Spirito Santo che
trasfigura nel fuoco tutta la persona, consacrandola e ren-
dendola feconda, senza contaminarla, anzi immergendola nel
fuoco dello Spirito (si pensi alla diapositiva della Madon-
na, nel fuoco dello Spirito Santo di M . Grunerwald).
Questo scendere della luce dall'alto nella figura del-
le ali o del Serafino infuocato di Francesco sulla Verna,
rappresenta il segno della Donna vestita di sole, che sta
generando nel dolore un figlio di Dio, in virtù della fede,
mentre il fuoco rosso rappresenta l'evento di Pentecoste,
che rinnova la faccia della terra e anche la compie nella
piena dimensione di Cristo, che realizza il disegno del Pa-
dre celeste.
La creatura, che aderisce
1
mediante la fede, viene pie-
namente trasfigurata. E lo Spirito che abilita a dire:
"Gesù è Signore" ed è lo Spirito che ci svela il mistero
del Padre, di modo che il Padre partecipa la sua vita divi-
na ai vergini e ai credenti.
Quindi uno che non crede è fuori del Regno, è fuori
strada. "Ecco ogni giorno egli si umilia... (l'esempio del
Figlio di Dio sulla croce, di un amore che dà la Vita. Un
corpo donato per la vita del mondo) ...ma contemplandolo
con gli occhi della fede (ecco la prima beatitudine: vedere
il Signore, vedere il Risorto) credevano... che il suo cor-
po e il suo sangue sono vivi e veri (ecco la fede. E' una
fedeltà che è fondata sulla fede. Per quello il sigillo
della Verna è proprio la fedeltà) e in tale maniera il Si-
gnore è sempre presente con i suoi fedeli (ecco la presenza
di Cristo nella Chiesa - Vat.Il,L.G. 43-46 - quando parla
dei religiosi). Qua! è il loro compito? Incarnare Gesù Cri-

290
sto, renderlo più presente alla Chiesa e ai non credenti
nei suoi atteggiamenti, quando è che parla col Padre (quin-
di contempla), quando va incontro agli uomini, quando risa-
na i malati5 quindi rendere presente Cristo alla Chiesa,
incarnarlo, non fare qualcosa, ma rendere presente: è il
mistero eucaristico, mistero pasquale nel religioso. Viene
consacrato per questo. E di fatto la Vergine è divenuta,
fatta Chiesa, consacrata. L'unica volta che Francesco usa
la parola consacrata. E' per la Vergine Maria, che è Vergi-
ne fatta Chiesa, dallo Spirito Santo consacrata.
Così siamo noi, ogni vergine, ogni frate è consacrato
come tempio dello Spirito ed è lui, appunto, che diventa
Chiesa. E così il Signore è presente attraverso questa con-
sacrazione che è l'espressione del sacerdozio comune dei
fedeli nella sua massima espressività. Quindi è presente
sempre con i suoi fedeli, così come egli dice:"Ecco io sono
con voi fino alla fine del mondo" (Mt 28,20).
Presenza di Cristo, sua risonanza, sua rivelazione:
ecco cos'è il francescano. Nient'altro, non ha nulla di
proprio. Ha l'Altissima povertà di Cristo, è in Cristo e
in lui ha trovato la sua beatitudine."Un popolo nuovo con-
tento solo di Te, Altissimo e glorioso", come dice lo Spec-
chio di perfezione (n.2ó:FF 1710) riecheggiando La Leggenda
Perugina (Ó7:FF 1Ó17).
Questo vale appunto per la scelta, una vita incentrata
in Cristo che non vede altro, ma se lo vede è già sempre
in Paradiso, perché chi vede il Signore è già risorto, è
già nel Regno. Vediamo però come S . Francesco esorti i fra-
telli sacerdoti a conformarsi a questo atteggiamento fonda-
mentale, e allora prendiamo la Lettera al Capitolo Gen.le
e a tutti i frati (FF 220 n.26-37): "Udite fratelli miei,se
la beata Vergine Maria è così onorata, come è giusto, per-
ché lo portò nel suo santissimo seno, se il Battista beato
tremò di gioia e non osò toccare il capo santo del Signore,
se è venerato il sepolcro, nel quale per qualche tempo Egli
giacque; quanto deve essere santo, degno, colui che Lui non
già morituro, ma eternamente vivente e glorioso"(eccolo :
eternamente vivente e glorioso, quindi entra nella risurre-
zione), " L u i , sul quale gli Angeli desiderano volgere lo

291
sguardo" (lPt 1,12) "accoglie nelle proprie mani, riceve
nel cuore e con la bocca, offre agli altri perché lo rice-
vano? Badate alla vostra dignità, frati sacerdoti, e siate
santi perché egli è santo". (Ma vale per tutti i fedeli).
"E come il Signore Iddio onorò voi sopra tutti gli uomini,
per questo mistero, così voi più di ogni altro uomo amate,
riverite, onorate lui.
Gran miseria sarebbe, e miserevole male se, avendo Lui
così presente, vi curaste di qualunque altra cosa che fosse
nell'universo intero!"(Guai a colui a cui Gesù Cristo non
basta, guai a chi non è contento di Lui, che cerca altrove.
Questo è già in fuga e prende le botte da tutti ed è infe-
dele. Ricordate: la mancanza di riconoscenza è la radice
di tutti i mali e chi non è contento di Cristo, chi non è
contento di Dio, che cosa vuole di più? Va in cerca di al-
tri padroni e li serve, quindi offende il Signore).
"L'umanità trepidi, l'universo intero tremi, e il cie-
lo esulti, quando sull'altare, nelle mani del sacerdote,
è il Cristo figlio di Dio v i v o " , - T u sei il Cristo, il Fi-
glio di Dio vivente (Mt 16,16-18> che edifica la Chiesa-.
Anche noi dobbiamo riconoscere che Gesù è il Sigptre, nello
Spirito Santo , nel segno dell'Eucarestia e, come vedremo,
della comunità, che è lo stesso mistero di fede.
0 ammirabile altezza, o degnazione stupenda! 0 umiltà
sublime! 0 sublimità umile, che il Signore dell'universo,
Dio e Figlio di Dio, così si umili da nascondersi, per la
nostra salvezza, in poca apparenza di pane! Guardate, fra-
ti, l'umiltà di Dio, e aprite davanti a Lui i vostri cuori,
umiliatevi anche voi, perché egli vi esalti. Nulla, dunque,
di v o i , tenete per voi, affinché vi accolga tutti colui che
a voi si dona tutto".
La totalità è la legge dell'amore, di un amore maturo
che è capace di dono, di un amore materno, dà tutto al Si-
gnore.
Allora qui si ricompone l'armonia trinitaria. Il Padre
dà tutto se stesso al Figlio ed è felice di generarlo, il
Figlio è tutto un bel grazie. Una persona che dice grazie.
Egli si restituisce a Dio con il suo corpo donato, eucare-
stia perenne. E lo Spirito Santo è la Gioia di questo dono

292
che fluisce e ci viene comunicato come sorgente di vita
divina, affinché noi entriamo in questa fonte d'acqua viva
che zampilla fino alla vita eterna.
Questo è il francescano che vive dentro il Regno e
quindi immette questi filoni di misericordia nell'universo
affinché tutto il mondo divenga tempio di Dio e terra dei
viventi. Non regno di qualche signorotto terreno, n o , terra
dei viventi. Divenga di Cristo. Allora comprendiamo la di-
gnità e la bellezza della vita francescana e del creato,
e dell'universo che è capace di Dio, capace di essere fecon
dato da Dio, di accogliere il Figlio di Dio e darlo alla
luce.
Questa immagine apocalittica della donna vestita di
sole (Ap 12): ecco il francescano. E' nel sole, è in Cri-
sto, non è fuori, non ha nulla di proprio e, se mai,
:
ha la
luna sotto i piedi come gradino, affinché possa ascendere
per questa scala di Giacobbe portata dagli angeli, salire
e scendere presso Dio e anche verso gli uomini, però non
dando se stesso, perché potrebbe provocare reazioni, n o ,
dando il frutto di quell'amore donato che è il Figlio di
Dio Gesù Cristo.
Così la vita si compie pure in Cristo e acquista i
tratti del suo volto. Certo la terra ha ancora molte ombre
che nascondono le linee del suo volto, però anche tante lu-
ci, perché noi possiamo scoprire quel volto mirabile in o-
gni creatura, in ogni prossimo. E possiamo permettergli di
venire alla luce, riconoscerlo, affinché egli possa regnare
ed essere al centro, per restituire il Regno al Padre (iCor
15,24-28).

5) La fraternità come pienezza del Vangelo di Cristo

Questo significa edificare la Chiesa, ricostruirla,


rimetterla al posto, la Chiesa che sta crollando anche og-
gi, che è in sfacelo perché è corrotta la cellula vitale,
quella non riesce più a rigenerarsi, è scomposta nella sua
intimità, bisogna ricondurla alla fonte perché si rinnovi.
Edificarlo quindi vuol dire permettere al Cristo di appari-

293
re, di edificare nel cuore degli uomini il suo Regno di a-
more e di pace.
E per questo Francesco non vuole fare una Chiesa nuo-
va, bella, più bella, un'altra Chiesa. Nessuna alternativa.
Egli restaurò la Chiesa vecchia. Sull'antico ceppo egli mi-
se il pollone nuovo, affinché fosse evidente che il primato
spetta a Cristo, pietra angolare, l'unica pietra che è Cri-
sto (ICel 18:FF 350). Quindi edificò in Cristo, il suo Re-
gno.
E così il frate. Il compito suo è di edificare il Re-
gno di Dio sulla terra, annunciarlo con la Parola, di esse-
re messaggero, non può tacere. Però nel modo giusto "come
pienezza del Vangelo di Cristo" (2Cel 15ó:FF 740). Questo
è importante, non in qualche modo. Uno che vive in comuni-
tà, e con la fraternità, dà il gusto, il senso di vivere
insieme e ti allena e ti ritempra affinché il tuo messaggio
sia annunciato con purezza. Però con tutte le risonanze,
la fraternità ti permette di esercitarti a portare il peso,
lavare i piedi, di modo che a un certo punto uno percepi-
sce. La sua voce è voce di moltitudine, è risonanza, quindi
quando parla un frate, non parla uno, parlano c c t-0, mille,
ventimila frati; c'è questa schiera immensa che sta dietro
le spalle e risuona nella parola di ognuno.
Quindi è voce di molte acque, dice l'Apocalisse (19,6),
che annuncia il regno di Cristo. Allora questa voce diventa
pienezza del Vangelo. Vi leggo dal Celano (2Cel 15Ó-.FF 740)
perché comprendiamo cosa significhi pienezza, vivere in
pienezza, vivere da fratelli nella Chiesa per rinnovarla
tutta dal di dentro nella forma cellulare, affinché essa
si rinnovi e divenga veramente di Cristo e sia contenta sol
tanto di Lui.
Francesco si trovava proprio in un momento drammatico.
Quando c'è la croce là emette luce subito. Siamo sullo spar-
ti acque, la croce non si spacca, ma la croce ti apre la
via per una nuova visione, apre la via di Dio nuova e viven
te. Francesco era desolato per i cattivi esempi che viola-
vano la santità dell'ordine e pronunciò parole terribili
contro coloro che distruggono ciò che si fa nell'ordine.
E poi si rivolge al Signore:

294
"Signore Gesù Cristo, tu che hai scelto i dodici Apo-
stoli, dei quali anche se uno venne meno, gli altri però
rimasero fedeli ed hanno predicato il santo Vangelo animati
dall'unico Spirito, tu, o Signore, in questa ultima ora,
memore della antica misericordia, hai fondato l'Ordine dei
frati a sostegno della tua fede e perché per loro mezzo si
adempisse il mistero del tuo Vangelo". (Ecco la pienezza.
Chi non ha nulla di proprio, accoglie tutta la pienezza
della Parola e dell'immagine e può trasmettere anche il do-
no completo. Non lo manipola, non lo consuma per sé, perché
non vuole appropriarsene. Quindi un amore che è santo e vi-
vificante ed è il mistero dello Spirito Santo. La Chiesa
non ha nulla di proprio e lo Spirito Santo non ha nulla di
proprio. E' del Padre e del Figlio e dice soltanto Padre
e Figlio, dice le parole del Figlio. Nient'altro. Nulla di
proprio, è Spirito santo e vivificante.
Ora la Vergine madre Maria Immacolata è tutta mistero
dello Spirito, non ha nulla di proprio, neppure il peccato,
per fortuna. Noi purtroppo abbiamo i peccati, proprietà di
cattivo gusto, comunque ce li abbiamo. E' importante lascia
re anche il peccato, ogni cosa e vedere soltanto il Figlio
di Dio, affinché in noi ci sia il mistero dello Spirito
Santo nella sua perfezione. Nulla di proprio sotto il cie-
lo. E lo Spirito non ha altro che il Cristo, il Figlio e
il Padre. E' la sua beatitudine piena. Chi entra in questo
mistero entra nella pienezza, ma questa è la Chiesa (Vat.II
L.G.,n.4).
Cos'è la Chiesa? E' quella famiglia che è stata raccol
ta nel nome del Padre, del Figlio e dello Spirito SantoT
E la fraternità francescana? E' la Chiesa cellulare, viva.
Siamo chiesa del Dio vivente, non occorre fare una cappel-
letta accanto, n o , siamo Chiesa viva, qui si rinnova tutta
la Chie sa, tutto il mondo, proprio in questo essere figli
ed essere nel Figlio.
Ed è il nuovo popolo di cui parlava Francesco conso-
lando i suoi frati. Lo ricordate? (Spec 26:FF 1710-1711).
Quando Gesù Cristo ebbe un desiderio e dice: "Padre, dammi
un popolo nuovo che sia contento di me! Sono tutti mal con-
tenti. tutti si lamentano. Un popolo nuovo che sia contento

295
solo di m e " . "E va bene, te lo regalo!". Francesco lo rac-
conta appunto per consolare un frate che diceva "pace e be-
ne" (che è il saluto, il dono francescano, perché la pace
e la somma dei beni messianici, quindi dobbiamo darla a tut
ti quanti la pace, ma quella vera, non quella che inganna,
e il bene, che è la pienezza di tutti i doni di Dio, però
visti col suo occhio. Il mondo è bello e buono perché è
creatura di Dio).
Ecco, Francesco consolava un frate che diceva: "Padre,
abbiamo detto: 'pace e bene' e ci hanno riso dietro. Non
capiscono, non possiamo dire un altro saluto? Buon giorno,
buona sera...". "Ma no, figliolo, no. Me lo ha rivelato il
Signore questo saluto: 'che il Signore ti dia pace'". Non
diamo noi stessi, qualcosa, diamo il Signore, sempre, anche
nel saluto. E allora Francesco gli racconta la visione di
quello che Cristo chiese al Padre e aggiunse: "Questo vale
per tutti i cristiani, ma in modo particolare per questo
piccolo gregge che siamo noi, i frati piccoli, poveri e
semplici, però che siamo contenti solo di Lui, Altissimo
e glorioso".
Ecco il nuovo popolo di Dio. Se la Chiesa oggi parla
di un nuovo popolo non basta fare teologia, bisogna vivere
in questa novità dello Spirito. Essere contenti soltanto
di Gesù Cristo, Altissimo e glorioso. Allora guardiamo un
po' S . Francesco (mi piace tanto che qui alla Verna voglia-
te fare una cattedra di spiritualità) e facciamo un rappor-
to tra S . Francesco e S . Bonaventura.
Bonaventura in un discorso su S . Francesco, sapete co-
sa dice? Parte da Gesù Cristo, che è il Maestro unico dei
cuori, dal cuore di Cristo. Francesco è in Cristo e allora
viene fuori dal cuore (nell'immagine che vi ho mostrato Fran
cesco è dentro Cristo). "Imparate da me che sono mite ed
umile di cuore". Cosa significa mite? Uno che è gentile,
delicato, cortese. E umile? E' uno che ha un grande amore
al servizio, uno che è povero, che non fa pesare il suo do-
no, ma lo porge con delicatezza, con tenerezza, quindi mite
ed umile.
Francesco allora ha vissuto questo messaggio, questa
parola. E noi la possiamo applicare in due modi: in quanto

296
all'inizio era un bravo discepolo, quindi il vero discepo-
lo ed ha imparato dal Cristo ad essere mite ed umile di
cuore. Però, dice alla fine, è diventato "bonus doctor",
eccel lente dottore (Opera Omnia Voi 9, Sermone quinto di S .
Bonaventura su S . Francesco), in pedagogia dell'amore, Fran-
cesco. Perché è diventato mite ed umile di cuore, cioè, ve-
ro frate minore. Mite vuol dire fratello, nel senso materno
di tenerezza, e minore vuol dire umile, delicato, cortese,
gentile, servizievole. Quindi vero frate minore vuol dire
mite ed umile di cuore.
Questo nuovo popolo che è contento soltanto di Cristo
e che ha i suoi sentimenti e i suoi atteggiamenti. Quindi
incarna in qualche modo Gesù Cristo, realizza il Vaticano
II in pieno, in anticipo, nella parola che è presente, nel
Cristo presente nella parola e nella Chiesa, che è mistero
della sua pienezza (Ef 1,23).
La Chiesa non si riduce a struttura esteriore ma è
presenza di Cristo sotto il velo dei segni, e difatti Fran-
cesco ha camminato per capire questo, parte dalle pareti
esterne, poi edifica il suo cuore e lo consacra, poi vive
con i fratelli e vede questa fecondità dello Spirito. E'
il Signore che gli dà dei fratelli. E' una vita nuova che
si illumina alla luce della fede nella risurrezione. E'
un mondo nuovo, risorto.
E di fatto Ubertino da Casale ricorda questa visione
di Francesco Risorto, che appare per salvare l'Ordine e la
Chiesa. E' una escatologia francescana. Vi lessi il primo
giorno quel commento all'Apocalisse di frate Alessandro da
Brema il quale vede incarnata l'Apocalisse nei frati (Anto-
nianum 2 (1927) 289-334). E' rivelazione di Cristo oggi,
non domani, oggi! Quello che rivela Francesco oggi è Apoca-
lisse, perché rivela Gesù Cristo. E quindi, rivelandolo,
10 partecipa agli altri, lo comunica, non è infedele, non
nasconde il talento di cui si parlava oggi, non lo consuma,
non lo mette sotto terra, ma lo rivela come fa la Madonna,
che non lo tiene nascosto dentro di sé, perché non ha nulla
di proprio che divenga parete, oppure chiusura.
Anche noi, seguendo l'invito del Papa dovremmo aprire
11 cuore a Cristo. Aprire il cuore, non far finta. Il cuore

297
deve essere aperto, affinché fluiscano i torrenti della
misericordia. Il frate è uno che riceve misericordia e la
usa, perché entra nella pienezza del Vangelo, e ]a miseri-
cordia è l'ultima parola di Gesù Cristo sulla croce, che
io immette nella resurrezione. Allora vediamo come questa
visione francescana si illumini in Gesù Cristo, nella sua
presenza incarnata, nella sua umiltà, nei suoi atteggiamen-
ti e sentimenti, nella sua concretezza eucaristica, che
è una presenza vera, reale e continua.,
Non parla più il Signore, ci ha affidato la sua Paro-
la. Dobbiamo diventare noi risonanza, ma fedele, non falsi-
ficare il messaggio, mi raccomando, non contaminare, non
manipolare, non migliorare, nonjc'è bisogno di migliorarla, '
è parola vera, quella. Attenzione bene: chi non è nella
verità, non è per la via giusta, perché non arriva alla
vita. Stiamo bene attenti, non cerchiamo di manipolare,
di addomesticare la verità. Non si addomestica, è spada
a doppio taglio. E se nell'Apocalisse il nome di quel cava-
liere bianco, "Fedele" e "Verace", è Verbum Dei (Ap 19,11—
13), ora il suo nome è risuonato nella sua Chiesa.
1
(Il Va-
ticano II ha scoperto che la Chiesa vive dell Parola di
Dio come Francesco 8 secoli fa). E allora questa parola
deve risuonare oggi nel nostro cuore e deve diventare mes-
saggio, dono. Altrimenti la storia cambia rotta e va fuori
strada, se non è questa parola di Dio che la decida per
Cristo.
Con Francesco viviamo questa parola di Dio, contenti
di esservi dentro. Questo Verbum Dei è il cavallo apocalit-
tico che decide la storia e noi siamo responsabili di que-
sta buona novella che deve diventare beatitudine. Gesù Cri-
sto dice che c'è una beatitudine, quella di "coloro che a-
scoltano la parola di Dio e la mettono in pratica" (Le 11,
28). E' la prima beatitudine: quella della Vergine Madre:
beata te che hai creduto (Le 1,45)? quella della fede nella
parola che rende uno madre, fratello e sorella (Mt 12,50,
Le 8,21). San Francesco ha capito perché siamo fratelli
nel senso di essere madre, perché si vive della parola che
è la prima beatitudine. Ed è la vittoria sulla prima tenta-
zione, perché oggi molti vogliono il pane per tutti. E'

298
una bella cosa, il pane è importante, ma è secondo; prima
è la parola di Dio (Mt 4,4)- Noi siamo i messaggeri della
parola di Dio, noi siamo messaggeri della parola che edifi-
ca il Regno. Non il pane per un giorno, ma il "tuo diletto
Figlio, il Signore nostro Gesù Cristo" (CommPater 13:FF
271), dice Francesco. Diamo il Figlio di Dio, non di meno,
guai, se ci accontentiamo di meno! Noi abbiamo il dono to-
tale da regalare a tutti quanti, quindi da immettere nel
mondo affinché Egli sia il salvatore di tutti e possa re-
stituire il Regno al Padre.
Quindi realizziamo la vita come celebrazione. La vita
francescana è un canto nuovo che incomincia; quindi non
è rinuncia. Il francescano non ha rinunciato a nulla, ha
regalato tutto ed è felice di poterlo regalare perché l'ha
ricevuto in dono. Si riconosce nella povertà. Nella povertà
riconosce che tutto è un dono di Dio e dice un bel grazie
con la parola, col cuore, con la vita. La parola si accorda
con il cuore, il cuore con la mente, la mente con il Cristo
e il Cristo con il Padre. Tutta la vita entra in sintonia,
come la sinfonia dell'amore. Come Francesco, il frate, che
è reso da ogni cosa libero, non si appropria di nulla, né
casa né cose, ne alcunché, neppure il creato, e allora tut-
ti gli si affidano. Può custodirli perché non li sciupa,
non li consuma.
Oggi, nel mondo, nella civiltà del consumo, ci vuole
qualcuno che risusciti la nostalgia delle beatitudini. La
vita non è consumo, non è merce da buttarsi via, da vendere
o da 1comprare, bensì gioia di ricevere in dono e di regala-
re. E beatitudine.
E poiché qui siamo sul monte della Verna, dove Francesco
venne dopo la festa dell'Assunta, vorrei ricordare che il
dogma dell'Assunta e un compimento di Dio ed è il dono di
Dio al nostro secolo. Nel cammino della Chiesa, sempre cre-
sce la conoscenza della verità. Quando la Chiesa conosce
una verità e la conosce in una certa dimensione, vuol dire
che è il momento di compiersi pienamente in quella dimen-
sione. Ora l'Assunta cosa significa? Una vita che si compie
alla presenza di Dio, come Francesco quassù alla Verna si
compì proprio nella visione del Signore. Il dogma c'insegna

299
che il corpo umano è fatto per vedere il Signore, è tempio
di Dio e dimora dello Spirito, è creato per vedere il Si-
gnore, e si compie nella sua visione. Non è per essere con-
sumato, distrutto o rovinato, per essere schiavo, bensì
per essere compiuto in Dio.
Questo dono del secolo ventesimo diventa il nostro mes-
saggio. S . Maria degli Angeli, la chiesa della Verna, è
consacrata all'Assunta, la Vergine fatta Chiesa, consacrata
dalla Trinità che si compie nella visione di Dio. San Fran-
cesco fa la quaresima per l'Assunta e quassù alla Verna
per compiere nel suo corpo, non direttamente, come la Ma-
donna Immacolata che è Assunta in cielo, ma passando per
il segno della croce e la purificazione del dolore, "tutti
i misteri di Cristo"(2Cel 217:FF 810).
Quindi egli si lascia sigillare dall'amore crocifisso
con il Tau degli eletti (cfr. Ez 9,4? Ap 7,2-3) ed entra
nel suo compimento, la visione del Signore 5 Francesco si
compie nella verità, nella dimensione della Speranza cri-
stiana, che porta nel cuore la sofferenza della croce, ma
annuncia la risurrezione.
Siamo i custodi della speranza che non confonde - c e lo
ha detto il Papa a Roma, ali ' Antonianum - lo ha ripetuto
in tutti i toni. San Francesco chiama Dio nostra speranza
proprio quassù, alla Verna: "Tu sei la nostra Speranza!"
(LodAlt 12 :FF 261).
Quindi noi dobbiamo accoglierlo e annunciarlo questo
messaggio, affinché il mondo sia salvo, tta bisogno di que-
sta speranza per vivere. In un mondo che muore nel materia-
lismo, dobbiamo immettere il vigore dello Spirito, questo
nuovo ritmo dello Spirito, della Speranza che non confonde.
E allora siamo Chiesa, perché la sposa che è fedele dice
nello Spirito: "Vieni, Signore Gesù" (Ap 22,17-20). Lo atten
de, non si lascia dar le bustarelle, non serve a nessuno,
ma attende il Signore e lo aspetta con gioia, la gioia del
Cantico delle Creature (FF 263), che proprio Francesco sco-
pre un istante prima di entrare nel Regno. E' l'anticipo
del Regno. Egli invita tutte le creature a lodare il Signo-
re, a ringraziarlo. E' il Deo Gratias di Francesco, il Cap.23
delia Regola non Bollata (FF 63-71), ritmato dai "Rendiamo j'

300
grazie a Dio" che lo caratterizzano. Ma c'è un "Deo gratias"
personale che segna il coronamento della vocazione france-
scana di Chiara e sorelle, nell'armonia della Croce di S .
Damiano (cfr. Spec 84:FF 1781 « Leg Per 45:FF 1 594).
"Sempre in quei giorni e nello stesso luogo, dopo che
Francesco ebbe composto le "Laudi del Signore" per le sue
creature, dettò altresì alcune sante parole con melodia,
a maggior consolazione delle povere Signore del monastero
di San Damiano, e soprattutto perché le sapeva molto con-
tristate per la sua infermità. E poiché a causa della ma-
lattia, non le poteva visitare e consolare personalmente,
volle che i suoi compagni portassero e facessero sentire
alle recluse quel canto.
In esso, Francesco si proponeva di manifestare alle so-
relle, allora e per sempre, il suo ideale: che cioè fossero
un solo cuore nella carità e convivenza fraterna, poiché
quando i frati erano ancora pochi, esse si erano convertite
a Cristo, dietro l'esempio e i consigli di lui, Francesco.
La loro conversione e santa vita è gloria ed edificazione
non solo dell'Ordine dei Frati, di cui sono pianticella,
ma anche di tutta la Chiesa di Dio" (LegPer 45:FF 1 594,
TestSCh 9-17:FF 2826-2828, RegSCh 6,3:FF 2788; 10,7:FF
2810) .
E, per quanto riguarda S . Maria degli Angeli, è signifi-
cativo quanto dice lo Specchio di Perfezione, unendo la
Vergine Chiara alla Vergine Madre Maria, nel mistero della
Chiesa :
"Chiara, sposa di Dio, qui si lasciò recidere le chiome,
e seguì Cristo abbandonando gli splendori del mondo.
Sacra Madre, essa diede alla luce Fratelli e Sorelle,
e per loro mezzo partorì Cristo rinnovando il mondo".
(Spec 84:FF 178I)

E, alla fine, un motto per questo centenario commemora-


tivo della Nascita di San Francesco: "Risuonare Cristo col
cuore di Francesco!". L'originale: "resonare Christum
corde romano" è di S. Paolino di Aquileia, l'autore
dell'"Ubi Charitas't dove c'è l'amore vero, lì c'è Dio (Ci-

301
vidale 796). Auguro a tutti di poter risuonare Cristo co]
cuore di Francesco. E' la sinfonia dell'amore come canto
nuovo dell'umanità, perché Francesco d'Assisi è stato un
maestro di umanità vera. Paolo VI disse che deve nascere
la civiltà dell'amore. Sta a noi accogliere il dono di
Francesco per inaugurare da questo santo monte della Verna
la civiltà dell'amore.

" ...affinché testimoniate la voce di


Cristo con la parola e con le opere".

(CapGenFrati 10:FF 216)

302
Conclusione

1) Riproposta dell'esperienza di San Francesco

2) Dall' amore crocifisso alla Pentecoste di grazia

3) Il canto della pienezza, come annuncio della gioia


e della speranza cristiana.

1) Riproposta dell'esperienza di San Francesco


Ringraziamo il Signore e anche San Francesco, come pure
i frati della Verna, per averci donato questi giorni di
grazia. Insieme abbiamo visto il Signore e vogliamo ora
proclamare con la vita la sua gloria.
Abbiamo percorso insieme un itinerario dello Spirito
qui alla Verna, cercando di entrare nell'esperienza d i vita
spirituale di San Francesco, il quale proprio sopra questo
monte ricevette il sigillo della fedeltà e la corona della
gloria, che è il compimento della santità nella rive]azione
di Gesù Cristo. Su questo monte santo si è compiuto un iti-
nerario di amore che era iniziato a San Damiano nel mistero
della Croce pasquale di Cristo, che ascendendo al Padre
glorioso, aveva inviato il suo servo Francesco a restaurare
la Chiesa. Francesco, fedele al mandato ricevuto, "trasci-
nato da un amore intenso, volle camminare per la via della
perfezione e raggiunse la vetta della più sublime santità
e "contemplò il termine di tutta la perfezione" (Sai 118,
96). Perciò ogni persona, di qualsiasi condizione, sesso
ed età, può trovare in lui limpide direttive di sana dot-
trina e splendidi esempi di opere virtuose. Chi vuole, dun-
que, metter mano a cose grandi e conquistare i doni più
alti della via della perfezione, guardi nello specchio del-
la sua vita e imparerà ogni perfezione" (lCel 90:FF 477).
Il Seràfino crocifisso rimane anche per noi un esemplare
di vita tutta compiuta nella sequela di Gesù Cristo e nella

303
celebrazione pasquale del suo passaggio da questo mondo
al Padre (LM 7,9:FF 1139) .
"Quel premio anche noi, senza alcun dubbio, potremo rag-
giungerlo se, come il Serafino (cfr. Ez 1,5-14 e 22-25,
Is 6,2) terremo "due ali dritte sopra il capo" (Ez 1,23)
se cioè, sull'esempio del beato Francesco, conserveremo
in ogni opera buona purezza d'intenzione e rettitudine d'a-
zione, così da rivolgerle a Dio, impegnandoci senza stan-
chezza a seguire tutto il suo volere. E' necessario che
"queste ali siano congiunte, coprendo il capo"(Ez 1,23, poi-
ché il "Padre dei lumi" (Gc 1,17) non gradirebbe l'opera
buona, se non fosse unita alla purità d'intenzione... Il
secondo paio d'ali simboleggia il duplice precetto della
carità verso il prossimo: confortare l'anima con la parola
di Dio e aiutare il corpo con i mezzi materiali. Difficil-
mente esse si congiungono, perché assai di rado un'unica
persona può attendere ai due compiti... Le ultime due ali
devono coprire il corpo ogni volta che questo, denudato a
causa del peccato, viene di nuovo rivestito dell'innocenza
mediante il pentimento e la confessione" (1 Cel 1 1 4 : F F 5 2 0 ,
si veda pure LM 13 :FF 1222-1245; 1 Cel 94-95:FF 4^4-486).
"Tutto questo realizzò a perfezione il Beato Padre
Francesco, che ebbe figura e forma di Serafino e, perseve-
rando a vivere crocifisso, meritò di volare all'altezza
degli spiriti celesti. E veramente non si staccò mai dalla
croce, perché non si sottrasse mai a nessuna fatica e sof-
ferenza, pur di realizzare in sé e di sé la volontà del
Signore.
I frati che vissero eon lui, inoltre sanno molto bene
come ogni giorno, ogni momento affiorasse sulle sue labbra
il ricordo di Cristo, con quanta soavità e dolcezza gli
parlava, con quale tenero amore discorreva con Lui. "La
bocca parlava per l'abbondanza dei santi affetti del cuo-
re"(cfr. Mt 12,34), e quella sorgente di illuminato amore
che lo riempiva dentro, traboccava anche di fuori. Era
davvero molto occupato eon Gesù. Gesù portava sempre nel
cuore, Gesù sulle labbra. Gesù nelle orecchie (tutto pro-
teso nell'ascolto!), Gesù negli occhi ( contempi azione ! ),
Gesù nelle mani (operosità e servizio!). Gesù in tutte le

304
sue membra (sequela fedele!)... Proprio perché pori,, a e
conservava sempre nel cuore con mirabile amore "Gesù Cri-
sto e questo crocifisso" (ICor 2,2), perciò fu insignito
gloriosamente più di ogni altro della immagine di Lui, che
egli aveva la grazia di contemplare durante l'estasi, nel-
la gloria indicibile e incomprensibile, seduto alla "de-
stra dei Padre", con il quale 1'egualmente altissimo Fi-
glio dell'Altissimo, assieme con lo Spirito Santo vive e
regna, vince e impera, Dio eternamente glorioso, per tutti
i secoli" (Dn 3,52.90)"(ICel 115:FF 321-322).

2) Da11 'amore crocifisso alla Pentecoste di grazia

In San Francesco appare una nuova immagine di uomo,


nella armonia della creazione riconciliata dalla Croce di
Gesù Cristo ed elevata alla perfezione della santità dei
Serafini. Un mondo nuovo, segnato dall'amore e ordinato dal-
lo Spirito, prepara l'avvento del Regno di Dio e ne anti-
cipa la pienezza nella propria vita, tutta raccolta nella
parola di vita, tutta "contenta" é quindi felice nella
beatitudine del Regno. Il miracolo delle Stimmate sigilla
questa antropologia cristiana, prospettando un uomo nuovo,
capace di elevarsi ai vertici sublimi dell'amore dei Sera-
fini e di compiere la creazione nel Canto della santità di
Dio, la cui gloria riempie il tempio nell'Umanità di Cri-
sto e si rivela nell'uomo vivente in Lui, sigillato dal
sigillo della fedeltà del Figlio di Dio, che nella Croce
unisce la Chiesa e il mondo come nel suo centro di indivi-
sibilità, per restituirla al Padre come Sposa bella, che
celebra la festa del Regno di Dio.
Quest'uomo nuovo è l'uomo del "Sanctus", chiamato a
elevare a Dio la lode ardente dei Serafini, per riempire
l'universo della gloria del Signore, restaurando in Cristo
il suo Regno. Poiché è nella Umanità glorificata di Cristo
che appare anche l'uomo nuovo Francesco. Tuttavia questo
non si compie sulla Verna, bensì là dove aveva avuto ini-
zio il cammino dell'amore, a S . Damiano, accanto alla Ver-
gine Chiara, che assieme alle Vergini consacrate è "gloria
ed edificazione non solo dell'Ordine dei Frati Minori, ma
anche di tutta la Chiesa di Dio" (LegPer 45/FF 1594) e a

305
Santa Maria degli Angeli.
Soltanto l'ultima risonanza della verità del Vangelo
e l'ultima risposta fedele di Francesco, che raccoglie
tutta la sua vita e la restituisce a Dio come supremo o-
maggio di lode e di adorazione nel momento della morte,
permette a Francesco di diventare vero figlio della Vergi-
ne Madre Maria, figlio della Chiesa non più in divenire,
ma compiuta nel Regno di Dio (cfr. ICel 10ó:FF 503).
La purificazione della sofferenza e delle tribolazio-
ni proprio nel luogo in cui era iniziato il cammino della
sequela, a San Damiano, diventa per Lui l'ultimo tratto di
cammino e per noi l'ultima consolante certezza: "Fratello,
sii felice ed esultante nelle tue infermità e tribolazio-
ni, d'ora in poi vivi nella serenità, come se tu fossi già
nel mio Regno" (LegPer 53=FF 1591). Allora intona il Can-
tico delle Creature. Ma è il Vangelo, nel quale si compie
il ritmo della sua vita per passare dall'ascolto e dalla
visione di fede, alla contemplazione chiara e senz'ombre,
alla beatitudine infinita del Regno. Soltanto così egli
potè entrare nella pienezza di Cristo.
"La sua aspirazione più alta, il suo desiderio domi-
nante, la sua volontà più ferma era di osservare perfetta-
mente il santo Vangelo e di imitare fedelmente con tutta
la vigilanza, con tutto l'impegno, con tutto lo slancio
dell'anima e del cuore la dottrina e gli esempi del Signo-
re nostro Gesù Cristo" (1 Cel 84:FF 466).
Quindi, ritornato là, dove per i meriti della "Madre
della misericordia, aveva lui stesso concepito e partorito
lo spirito della verità evangelica" (LM 3,1:FF 1051),
"Colei che concepì il Verbo pieno di grazia e di verità"
(Gv 1,14), gli ottenne benigna di "compiere nella sua vita
tutti i misteri di Cristo" (2Cel 217:FF 810).
Fu allora che egli si fece leggere il Santo Vangelo
che celebra il compimento dell'amore di Gesù Cristo, per
entrare nella medesima pienezza (Gv 13,1): "amò i suoi fi-
no alla fine" (2Cel 214:FF 804). Allora anch'egli, entrato
nel "Sì" del Figlio di Dio (2Cor 1,19), potè 'far salire a
Dio il suo Amen per la sua gloria" (2Cor 1,20), diventando
lui pure in Cristo benedizione.

306
"Ma per dimostrare che in tutto era perfetto imitato-
re di Cristo suo Dio, "amò sino alla fine" (Gv 13,1) i
suoi frati e figli, che "aveva amato" fin da principio".
Fece chiamare tutti i frati presenti nella casa, e cercan-
do di lenire il dolore che dimostravano per la sua morte,
li esortò con affetto paterno all'amore di Dio. Si intrat-
tenne a lungo sulla virtù della pazienza e sull'obbligo di
osservare la povertà, raccomandando più di ogni altra nor-
ma il santo Vangelo. Poi, mentre tutti i frati gli erano
attorno, "stese la sua destra su di essi e la pose sul ca-
po" (Cfr. Gen 48,14-22) di ciascuno, cominciando dal suo
vicario (cfr. 1 Cel 108:FF 505-506): "Addio - disse - voi
tutti figli miei, vivete "nel timore del Signore" (At 9,
31) e conservatevi in esso sempre! E poiché si avvicina
l'ora della prova e della tribolazione, beati "quelli che
persevereranno" (Mt 10,22) in ciò che hanno intrapreso! Io
infatti mi affretto verso Dio e vi affido tutti alla sua
grazia". E benedisse nei presenti anche tutti i frati, o-
vunque "si trovassero nel mondo" (cfr. 2Cor 1,12), e quan-
ti sarebbero venuti dopo di loro "sino alla fine dei seco-
li" (cfr. Dn 7,l8)"(2Cel 2l6:FF 806).
Francesco diventa benedizione per i suoi frati e per
tutta la Chiesa proprio là, dove la verità ha incominciato
a diventare pienezza di Cristo nella sua vita e si compie
là dove la pienezza, entrando ormai nella beatitudine del
Regno, riceve la corona della gloria della Beata Vergine
Maria, Regina degli Angeli.
L'amore trova così un modo per esprimere la pienezza
della celebrazione pasquale, come dono della vita "a nu-
trimento dei fratelli". Egli entra ormai definitivamente
nell'immagine di Cristo e ritorna con Lui al Padre. "Si
fece portare del pane, lo benedisse, lo spezzò" (Mt 14,19)
e ne diede "da mangiare" (Gv 6,53) un pezzetto a ciascuno.
Volle anche il libro dei Vangeli e chiese che gli legges-
sero il Vangelo secondo Giovanni (Gv 13,1), dal brano che
inizia: "Prima della festa di Pasqua, ecc."(2Cel 217:FF
808). Anche il compimento è intonato alla pienezza del
Vangelo, che introduce nella beatitudine del Regno. Così
egli unisce misticamente San Damiano a Santa Maria degli

307
Angeli, compiendo il periodo di consuetudine con il Signo-
re, i quaranta giorni, che sono il tempo della Chiesa, che
testimonia ]a Resurrezione del Signore e attende incessan-
temente la sua venuta. Per questa ora del compimento non
è sufficiente la presenza delie vergini consacrate di San
Damiano, ma deve rinnovarsi nella celebrazione il mistero
di quel Crocifisso che, uscendo dal sepolcro vuoto, raduna
la Chiesa e la raccoglie attorno alla Vergine Madre Maria,
che Egli per prima consacra effondendo su di Lei il suo
Spirito e diviene quindi "Vergine fatta Chiesa" (C.ESSER,
Opuscula,Grottaferrata 1978,300), Madre Vergine di tutti
i figli della promessa, incominciando da Giovanni, fino a
Francesco e a tutti coloro per i quali egli l'ha costitui-
ta "avvocata" (LM 3,1:FF 1051).
"Durante il biennio che seguì alla impressione delle
Stimmate, egli, come una pietra destinata all'edificio
della Gerusalemme celeste, era stato squadrato dai colpi
della prova, per mezzo delle sue molte e tormentose infer-
mità, e, come un materiale duttile, era stato ridotto alla
ultima perfezione sotto il martello di numerose tribola-
zioni .
Nell'anno ventesimo della sua conversione, chiese che
lo portassero a Santa Maria della Porziuncola. pei' tendere
a Dio lo "spirito della vita" (cfr. Gen b,17), là dove a-
veva ricevuto lo "spirito della grazia" (cfr. Kb 10,29)"
(LM 14,3 :FF 1239; ICel 108:FF 507).
Ma è nel mistero della verginità consacrata che Fran-
cesco continua a restaurare cellularmente la Chiesa. "Né
sarebbe stato giusto che, alla sera dei tempi, germoglias-
se altrove l'Ordine della fiorente verginità, se non lì,
nel tempio di Colei che, prima tra tutte, e di tutte la
più degna, unica fu Madre e Vergine. Questo è quel famoso
luogo nel quale ebbe inizio la nuova schiera dei poveri,
guidata da Francesco: così che appare chiaramente che fu
la Madre della misericordia a partorire nella sua dimora
l'uno e l'altro Ordine"(LegSCh 8:FF 3171).
Per questo San Francesco voleva che a Santa Maria de-
gl-i Angeli vi fossero sempre i frati per attìngere al tro-
no della grazia la pienezza della loro vocazione e "c.om-

148
piere così i] mistero del Vangelo di Gesù Cristo" (2Cel
156:FF 740).
"Fu suo desiderio costante e vigile premura mantenere
tra 1 figli il "vincolo dell'unità" (cfr. Ef 4,3) in modo
che vivessero concordi nel grembo di una sola madre quelli
che erano stati "attratti dallo stesso Spirito e generati
dallo stesso Padre" (cfr. Gb 34,14; Pr 23,22)"(2Cel 1Q1-FF
777).
"Francesco sapeva che il Regno dei Cieli si estende
ad ogni località della terra ed era convinto che la grazia
divina poteva esser largita agli eletti di Dio dovunque;
pure, aveva sperimentato che il luogo di Santa Maria della'
Porziunco.1 a era colmo di una grazia più copiosa, ed era
frequentato dalla visita degli spiriti celesti. Per questo
era solito dire ai frati: "Guardate, figli, di non abban-
donare mai questo luogo! Se vi cacciano via da una parte,
voi tornateci dall'altra, poiché questo luogo è santo, è
l'abitazione di Cristo e della Vergine sua Madre. Fu qui
che quando noi eravamo pochi, l'Altissimo ci ha moltipli-
cati; qui ha fatto risplendere l'anima dei suoi poveri con
la luce della sua sapienza; qui ha acceso le nostre volon-
tà con il fuoco del suo amore. Qui, colui che pregherà con
cuore devoto, otterrà quanto domanderà, ma le offese sa-
ranno punite più severamente. Per questo, figli, conside-
rate con riverenza e onore questo luogo così degno, come
si addice all'abitazione di Dio singolarmente prediletta
da Lui e dalla Madre sua. E qui con tutto il cuore e con
voce di esultanza e di ringraziamento, glorificate Dio Pa-
dre e il Figlio suo, il Signore Gesù Cristo, nell'unità
dello Spirito Santo"(Spec 83:FF I78O).

^ Il canto della pienezza, come annuncio della gioia e


della speranza cristiana

La s e q u e l a d i G e s ù C r i s t o c o m p r e n d e t u t t o l ' a r c o d e l -
la r i v e l a z i o n e d e l suo a m o r e , ma si c o n c e n t r a n e i grandi
m i s t e r i d e l l a sua v i t a , p a s s i o n e , m o r t e e r i s u r r e z i o n e e
s i g n i f i c a p e r il c r i s t i a n o c e l e b r a z i o n e c o n t i n u a e p a r t e -
c i p a z i o n e d e l l a b e a t i t u d i n e di e s s e r e " c o n t e n t o solo di
Lui, altissimo e glorioso"(Spec 26:FF 1711).

309
Il tempo di questa mirabile esperienza di amore e di
allenamento a vedere il Signore e a realizzare il suo Re-
gno sulla terra - e d i f i c a n d o insieme la Chiesa, nel rinno-
vamento cellulare e nella molteplicità dell'opera, di Cri-
sto, che va dall'annuncio fedele alla perfetta rivelazione
della sua immagine in noi e in tutti i fratelli, che egli
ci regalai,comprende i 40 giorni di grazia della vita sul
la montagna della visione del Signore, che è la Croce di
S . Damiano e la Verna delle Stimmate, quindi "la piena ve-
rità di Gesù Cristo", e le "parole dello Spirito" (LettFe-
deli, FF 180) che rivela il Padre e il Figlio ed edifica
in noi la sua Chiesa, a Santa Maria degli Angeli, (Spec 82-
83/FF 1779-1781), la Pentecoste serafica, nel mistero del-
la consacrazione verginale di "Chiara, impronta della Ma-
dre di Dio, nuova guida delle donne" (LegSCh FF 3153) -
E poiché, alla fine di questo corso , ognuno di noi
ritornerà alla sua missione cristiana, nel luogo dove Dio
attende l'omaggio della sua adorazione in spirito e verità
(Gv 4,22) e del servizio fedele e generoso ai fratelli (Gv
13,1 ss.), desidero ancora fare un augurio: che lo spirito
del compimento che ha permesso a Francesco • iniziare
l'ultimo tratto della sua esperienza di Dio, entrando pie-
namente in Cristo, ci accompagni per tutta la nostra vita e
ci doni la grazia e la gioia di compierci e di compiere o-
gni nostra opera nella dimensione dell'amore che ha espres-
so in Francesco l'immagine del Crocifisso (LM 13, 5:FF 1228).
Come cristiani e come religiosi abbiamo la grazia
della fede, che ci immette in Cristo. Ma l'esperienza del-
la comunione con Dio e della sublimazione di Francesco su
questo monte santo è aperta a tutti gli uomini che cercano
Dio con cuore sincero. E' pensando a tutti i veri amanti
della sapienza e ai veri cercatori di Dio, che oso lancia-
re l'idea di fare di questo monte un santuario dell'umani-
tà. Mi incoraggiano in tal senso le esperienze che hanno
già fatto alcuni monaci indù e buddisti. Dalle loro testi-
monianze possiamo comprendere quale ampiezza e quale di-
mensione profetica rivesta l'esperienza di San Francesco
e come noi dovremmo parteciparvi con tutto il vigore della
nostra fede.

310
Innanzitutto sono rimasti sorpresi ed ammirati della
accoglienza francescana, tanto da sentirsi in dovere di
ringraziare per il dono del tempo e della calorosa, fra-
terna accoglienza, che ha permesso loro di sentirsi a casa
propria e di fare una profonda esperienza di Dio. Ma uno
di loro, parlando a nome di tutti ha fatto una rivelazione
sorprendente: "Fra noi e voi ci sono differenze teologi-
che, ma sul piano della vita ci sentiamo molto vicini a
voi, perché come voi abbiamo i voti, la preghiera e la co-
munità" (H.Saddhatisse, Ceylon).
Questo viene confermato da altre testimonianze, oltre
a quelle ricordate nell'introduzione.
"Tutte le mie preghiere di questi cinque anni sono
state per i monaci di San Francesco, essi salveranno il
mondo occidentale dal grande pericolo del comunismo, come
il Mahatma Gandhi e i suoi seguaci fanno di tutto per sal-
vare l'India dal comunismo. Possa lo spirito di servizio
e di sacrificio di San Francesco ispirare tutta l'umanità
e condurre noi tutti ai piedi del Signore Gesù" (J.Rama-
chandra Gandhi, Bangalore, India).
"Le parole non sono capaci di esprimere la nostra fe-
licità. Vi auguriamo felicità e successo nella vostra vita
di dedizione" (Dr. Rwata Dhamma of Burma e H . Saddhatisse,
Ceylon, 12.10.1977).
Sia le testimonianze indù che quelle buddiste confer-
mano il fascino irresistibile di questo Monte Santo, che
ha consacratoli'esperienza di incondizionato amore di un
uomo, che ha avuto il coraggio di scegliere Dio, come suo
tutto e di essere "contento solo di Gesù Cristo, Altissimo
e glorioso" (Spec 2ó:FF 1711).
Che avverrà di noi, che non abbiamo solamente la buo-
na volontà e la sincerità di cuore, ma siamo stati consa-
crati e sigillati dallo Spirito Santo, per essere "tutti
uno in Cristo"(Gal 3,28), portando in noi la sua immagine
gloriosa e crocifissa (Amm 5:FF 153) che tende a rifulgere
nella similitudine di Cristo, in virtù dello Spirito San-
to, che in noi geme, gridando: "Abbà, Padre!" (Rm 8,15;
Gal 4,6; Le 11,2), "Padre nostro"(Mt 6,9)"(Commento al
"Pater noster":FF 266-275; LettFedeli 48-60:FF 200-201) e,

311
rendendoci tutti concordi e unanimi nell'amore (cfr.At 4,
32; ICor 1,10; Ef 5,1-2 e 4,15; Fil 2,5ss.; Col 1,24; lPt
1,22-23 e 2,4; 3Gv v.8), ci permette di "testimoniare il
Vangelo della grazia di Dio"(At 20,24), in piena consonan-
za con Gesù Cristo, in modo da essere "sua voce" (LettCap
Frati 9-10:FF 216) e sua rivelazione, affinché il mondo
creda? (cfr. Gv 17,21). Gesù ha già pregato per questo
(cfr. Gv 17,20) e ha donato se stesso (Eb 10,5-10).
Permettete, quindi che, come vostro fratello minore,
vi rivolga le parole del Serafico Padre: "Nulla, dunque,
di voi tenete per voi, affinché vi accolga tutti Colui che
a voi si dà tutto" (LettCapFrati 37:FF 221).
Allora anche noi incominceremo a fare l'esperienza
della pienezza e ritroveremo l'unità di noi stessi e di
Dio, raccolti nell'amore della Trinità. Una vita che si
intona al ritmo della Parola del Vangelo e si esprime nel-
1'immagine di Gesù Cristo "povero e crocifisso", rinnova
nella Chiesa il fervore della primitiva comunità dei cre-
denti ed edifica l'universo intero in tempio del Dio viven
te, raccogliendo i popoli nell'adorazione pura, "nello
Spirito e nella Verità"(Gv 4,23-24), nel segno ^clla per-
fezione d'amore del Serafino della Verna, quindi nel segno
della Verna, Monte Santo dell'umanità.
Accennavo in questi giorni a una singolare visione
dei primi secoli del francescanesimo: Francesco che risor-
ge per rinnovare l'Ordine e la Chiesa é restituirli "rin-
novati e fedeli" a Gesù Cristo, che li presenta al Padre
per inaugurare la grande festa del Regno di Dio.
Spero ch'egli sia risorto anche in noi, iti questi
giorni, e, per la mediazione di Santa Maria degli Angeli,
ci abbia resi "da infedeli, fedeli a Dio"(SalVergine 8:FF
259). Nel "Roveto Ardente" (cfr. Es 3,2ss.) della rivela-
zione di Dio, ritemprati per la grande missione della pace
e della misericordia (cfr. Gal 6,l6), scendiamo dal Monte
Santo del Calvario e delle Beatitudini, portando in cuore
la nostalgia di"Gesù Cristo, povero e crocifisso", pregan-
do San Francesco di ottenere anche a noi, "quella speciale
cognizione della somma sapienza" (Amm 5,6:FF 154), che a
lui fu concessa, qui, alla Verna.
Spero anche che abbiamo compreso il senso della sa-
pienza francescana (F.Chauvet,0FM,'la sapienza cristiana
secondo San Francesco', Vita Minorum,30 (1959) 198-224),
che significa entrare spediti per la "via nuova e vivente,
che Gesù Cristo ha inaugurato per noi attraverso il velo,
cioè la sua carne" (Eb 10,20). E che siamo contenti di a-
vere solo Lui, come "nostra porzione che ci conduce alia
terra dei viventi" (Sai 141,6)"(RegB 6,6:FF 90) senza vo-
ler avere "altro sotto il cielo".
Annunciamo a tutti che abbiamo visto il Signore"
(cfr. Gv 20,18.20:28-29), e ricordiamoci che siamo "i cu-
stodi della gioia" (cfr. 2Cor 1,24) pasquale di Cristo e
di Francesco, nella Chiesa e nell'umanità, partecipando
veramente al mistero della "Assunta francescana", di Santa
Maria degli Angeli, della "Virgo Ecclesia facta"(Es ser,0-
puscula,300), nella dimensione del compimento e della pie-
nezza della speranza cristiana, come "voce di Cristo"(Lett
CapFrati 10:FF 216)Mt
e di Dio, che l'uomo nuovo Francesco
(3Cel 2:FF 825), l u o m o santo" (LM 5,12:FF 1102), la crea
tura del "Santo", fece qui alla Verna, proprio in virtù
dell'esperienza del Serafino Crocifisso, che gli permise
di entrare definitivamente in Gesù Cristo e di chiamare,
con cuore di figlio, Dio "nostra Speranza" (LodAlt 12-.FF
261).
Così, con la grazia di Dio, potremo, diventare simili
a Gesù Cristo, secondo la visione e lo stile di vita di
San Francesco, "icona della indivisa santità della Chieda"
(M.T.Alexeeva-Leskov in:R.Falsini (a cura) San Francesco
educatore spirituale, Edizioni O.R. Milano 1982, 53-66),
e , come Santa Chiara, "impronta della Madre di Dio"(LegSCh
Lettlntrod FF 3153). Noi pure potremo continuare l'espe-
rienza della Verna, l'esperienza di Gesù Cristo, povero e
crocifisso e di Francesco "Serafino", che ritorna con Lui
continuamente al Padre.
Lasciando questa montagna di Dio, sentiamo un po' la
nostalgia di San Francesco e del suo accorato addio del 30
settembre 1224: "Addio Monte Alverna, addio "Monte degli
Angeli!". E portiamo in cuore il suo messaggio di speran-
za, continuando ad accendere alla sua fiamma viva un pal-

313
pito sempre nuovo di vita, che si compie, nella gioia e
nel d o l o r e , s o l a m e n t e p e r amore.

"Qwipotente, AaruLUiAimo, aJjtiA/simo e 4ommo Oddio,


che Aei. Li Sommo Bene., tutto iÀ. Bene, ogni. Bene,
che aoJjo tei. buono, {.a'che noi. ti rendiamo ogni. Àode,
ogni gAonJLa, ogni gn.a%ixi, ogni. onoJie, ogni benedizione.,
e tutti, i beni. Fiat. Anen" (FF 265)

314
(

1
I N D I C E

V Lezione: L'APOSTOLATO FRANCESCANO -


IL FASCINO DEL BUON ESEMPIO

1. L a trasparenza della verità dell'amore 165

2. E d i f i c a r e insieme nella gioia 170

3. La testimonianza dell'amore che dona la vita 173

VI Lezione: IL LAVORO FRANCESCANO: UNA GRAZIA


DI DIO E UN DONO A l FRATELLI

1. L ' o p e r o s i t à segno ed espressione dell'amore 181

2. Edificazione del Regno di Dio nel mistero del-


la Chiesa 184

3. L a grazia di lavorare 187

A. L a consacrazione del lavoro 1.92

VII Lezione: L'AMORE PER LE CREATURE

1. O g n i creatura è parola di Dio: una parola


stupenda 198

2. L ' u n i v e r s o nella sovrana dignità di creatura


di Dio e sua splendida rivelazione 209

3. L ' u ò m o , immagine e somiglianza di Dio, into-


na il Cantico delle Creature divenendo piena
lode di gloria 224

VIII Lezione: PEDAGOGIA FRANCESCANA DELL'AMORE.

1. O s p i t a l i t à e accoglienza cortese; "con bontà


e amicizia" 235

316
2. A m a r e e nutrire "come una madre'
244
3. L a persona umana: un'immagine di Cristo che
attende di rivelarsi nella p e r f e t t a somiglianza 249

4. Obbedienza come dono reciproco della vita,


e maturità cristiana dell'amore
259

IX Lezione: VISIONE FRANCESCANA DELLA VITA

1. L a vita come dono


266
2. L a vita come c e l e b r a z i o n e pasquale
271
3. Una vita tutta raccolta in Dio, nel mistero
della Chiesa
280
4 . Un mondo nuovo, riconciliato e fraterno
285
5. L a fraternità come pienezza del Vangelo di
Cristo
293

Conciusione

1. R i p r o p o s t a dell'esperienza di S. Francesco 303

2. D a l l ' a m o r e crocifisso alla Pentecoste di g r a z i a 305

3. Il canto della pienezza, come annuncio della


gioia e della speranza cristiana 309

317
SECONDO CORSO DI SPIRITUALITA' FRANCESCANA
LA VERNA, 22 31 a g o s t o 1983
Tema
"Seguire le o r m e di Cristo, sotto la guida dello Spirito"
Relatori

-22-24 agosto: Prof. P.Cornelio Del Zotto, Professore del


Pontificio Ateneo Antoniano in Roma;
-25-31 agosto: Prof. P.Ottato Van Asseldonk, Preside del-
l'Istituto di Spiritualità del Pontificio Ateneo Antoniano.
N.B.
Il corso si svolgerà con il patrocinio del Pontificio Ate-
neo Antoniano di Koma. Li saranno due lezioni al gior-
no, una al mattino e una nel pomeriggio", rimane così
10 s p a z i o sia per lo studio personale e sia per incarna-
re la spiritualità della Verna.
Mattino e pomeriggio ci saranno momenti di preghiera
e di riflessione, inerenti al tema del Corso e in più
sarà data la possibilità di partecipare ai momenti più
importanti della vita del Santuario, in modo che, per
coloro che lo desiderano, può servire anche quale corso
di esercizi spirituali.
Al corso seguirà, nei giorni 31 agosto - 3 settembre,
11 C o n v e g n o di Spiritualità, che avrà per tema: "Parola
di Dio e Liturgia delle Ore"; vari esperti tratteranno
i seguenti argomenti:

1. Dalla preghiera di Cristo alla preghiera della


Chiesa
2. Il mistero della parola di Dio
3. La funzione della parola nella preghiera liturgica
4. In ascolto dèlia parola: letture bibliche
5. La parola diventa preghiera: i Salmi
6. Pregare sempre, pregare oggi

Comunicazioni :

1. Lodi e Vespri: significato e struttura


2. Interpretazione liturgica dei Salmi
3. Pregare con tutto il corpo
4. Francesco d'Assisi, cantore della p r e g h i e r a d i Lode.

Per informazioni ed eventuali prenotazioni, rivolgersi


al Superiore del Santuario della Verna: tei 0575/599016

319
Lezioni riprese dalle registrazioni e in parte cor-
rette dall'autore.

Ciclostilato presso

Convento S. Francesco
Via A . G i a c o m i n i , 3
5013? Firenze

a c u r a di F r . E u g e n i o B a r e l l i , F r . R o d o l f o Cetolo-
ni, Fr. Luciano Checcucci.

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