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DE OFFICIIS MINISTRORUM

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DE OFFICIIS MINISTRORUM
LIBRO I
CAPITOLO I
1. Io non ritengo di poter essere da alcuno ritenuto presuntuoso, se spontaneamente assumo l'ufficio di
insegnare ai miei figli, dal momento che il maestro dell'umilt ha detto: Venite, figlioli, ascoltatemi, ed io
vi insegner il timore del Signore (Sal 33, 12): nelle quali parole possiamo scorgere sia l'umilt del suo
decoro, sia la sua grazia. Pere questo motivo dicendo, timore del Signore, timore che sembra sia comune a
tutti, espresse un notabile insegnamento di modestia; e essendo tal timore anche principio di sapienza e
motivo della beatitudine, perci quelli che temono Dio, sono beati, evidentemente si mostr insegnare la
sapienza, e dimostrarne il modo di acquistare la beatitudine.
2. Anche noi dunque, diligenti ad imitare la modestia, non ci usurpiamo la grazia conferita; cose concesse
a lui dallo spirito della sapienza diamo a voi come a figliuoli quelle cose che egli ha manifesto da noi sono
state ritrovate vere mediante l'esperienza e l'esempio; non potendo ormai pi schivare l'ufficio
dell'insegnare impostoci ( quando lo fuggivamo) dall'ordine del Sacerdozio. Poich (Ef 4, 11) Il Signor
Iddio ha instituito alcuni Apostoli, alcuni altri Profeti, alcuni Evangelisti, finalmente certi altri P astori, e
Dottori.
3. Io dunque non mi attribuisco la gloria degli Apostoli, perch chi lo potrebbe, eccetto coloro che dal
Figliuol di Dio furono eletti ? Non mi usurpo la grazia dei Profeti, non la virt degli Evangelisti, non la
vigilanza dei Pastori, ma solamente desidero di conseguire l'intelligenza e diligenza circa le Scritture
Divine, la quale tra gli altri uffici dei Santi fu posta dall'Apostolo nell'ultimo luogo; appunto per poter
imparare allo scopo d'insegnare agli altri. Perch un solo fu quel vero Maestro, che non ebbe bisogno
d'imparare quello, che egli a tutti gli uomini insegn. Ma gli uomini prima imparano quel, che hanno da
insegnare, e da lui prima apprendono quello che poi agli altri devono insegnare.
4. A me, poi, non capit neppure questo. Poich rapito al Sacerdozio dai Tribunali, e dall'insegne della
corte ho cominciato ad insegnare a voi quello, che io non ho fino a qui da me imparato. Pertanto
comincer prima ad insegnare, che ad imparare. Mi bisogna dunque in un medesimo tempo imparare, e
insegnare perch non ho avuto, tempo d'imparare, prima. E per profitto grande che si sia fatto, che non
abbia bisogno di imparare mentre ch' vive.
CAPITOLO II
5. Ma che ? abbiamo noi sopra tutte le cose ad imparare altro che il tacere per poter parlare, a questo non
mi condanni prima la mia voce, che l'altrui mi assolva? Poich egli scritto; (Mat, 11, 37) Dalle tue
parole sarai condannato, Che bisogno c' dunque, che tu ti affretti di sottometterti al pericolo d'esser
condannato col parlare, potendo star molto pi sicuro col tacere ? Ho veduto molti parlando incorrere in
errore; tacendo appena alcuno vi incorse. Pertanto pi difficile il saper tacere, che il parlare. Io so che
molti parlano, e non sanno star cheti. (S'. Ambr. ipso de Virginis. Lib. I. c. i.) cosa rara che uno taccia,
quando non gli giova affatto il parlare. dunque savio chi sa tacere. Infatti la sapienza di Dio ha detto (Is
50, 4.): II Signor mi ha concesso la lingua erudita, affinch io sappia parlare, quando sia opportuno.
Meritamente dunque savio quello, che dal Signor Dio ha ricevuto il lume per discernere in qual tempo
gli si convenga parlare. Poich dice bene la Scrittura (Eccli. 20. 7.) : L'uomo savio tacer fino che sia
tempo.

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6. E per i Santi del Signore, che sapevano che la voce dell'uomo per lo pi messaggera del peccato, e
che il principio dell'errore umano il parlare dell'uomo, amavano il silenzio. Finalmente il Santo del
Signore diceva (Sal 38, 1.): Ho detto, io custodir le mie vie, affinch non pecchi con la lingua mia.
Perch sapeva, ed aveva letto che dipende dalla protezione divina, far, che l'uomo si sottragga dal flagello
della sua lingua, e dal testimonio di sua coscienza. Poich noi siamo tormentati dal tacito obbrobrio dei
nostri pensieri, e dal giudizio della coscienza; siamo ancora percossi dal suono della nostra voce, quando
parliamo quelle cose, col suono delle quali si percuote l'animo nostro, e s'impiaga la mente. E chi quelli
che abbia il cuore mondo dalla bruttura dei peccati, o non erri per mezzo della tua lingua? Per questa
ragione dunque perch sapeva, che nessuno pu conservare casta la bocca dalla sozzura del parlare, si
impose col silenzio legge d'innocenza, affinch tacendo potesse schivare quel vizio, nel quale, parlando,
facilmente sarebbe incorso.
7. Udiamo dunque il Maestro, che insegna dal guardarcene. Ho detto: io custodir le mie vie, cio io mi
sono imposto un tacito comandamento col pensiero di conservare le mie vie. Altre sono le vie, che noi
dobbiamo seguire, altre quelle, che noi dobbiamo custodire. Seguire dobbiamo le vie dei Signore;
custodite le nostre, perci non s'incamminino verso il peccato. E quelle puoi custodire, se tu non farai
presto nel parlare. La Legge dice: (Deut 6. 3.) Ascolta Israele il tuo Signore Iddio. Non dice, parla, ma
ascolta. Per cadde Eva, perch ella parl al marito quel, che non aveva udito dal suo Signor Dio. La
prima voce di Dio ti dice: Od ; se tu udirai, custodirai le tue vie, e cadendo, correggiti presto. ( Sal 118. 9.
) E come corregge il giovanetto la sua via, se non coll'osservare le parole del Signore? Taci dunque prima,
e ascolta, affinch non erri con la tua lingua.
8. O grave danno, che si debba esser condannato per la propria bocca. E se egli si deve rendere ragione
(Mat 12, 36) delle parole oziose, quanto maggiormente delle sporche e brutte? Poich quelle sono molto
pi gravi, che le oziose. Se dunque della parola oziosa ne domandato conto, quanto maggiormente si
pagher la pena dell'empio parlare?
CAPITOLO III
9. Che dobbiamo dunque fare! forse di mestieri che noi siamo in silenzio? Non gi; poich (Eccle. 3, 7)
c' tempo per tacere, e un tempo per parlare. Inoltre se noi abbiamo a render ragione delle parole oziose,
facciamo di non avere a render conto dell'ozioso silenzio. Perch egli si trova una taciturnit di tal sorta,
che grande, e che opera pur assai, come era quella (Dan, 13, 3) di Susanna, la quale col tacere oper
molto pi che se ella avesse parlato; perch col tacere davanti agli uomini parl con Dio, n trov maggior
testimonio della sua castit, che il silenzio. Parlava la coscienza l, dove non si udiva la voce, n cercava
in suo favore il giudizio degli uomini, avendo la testimonianza di Dio. Da quello dunque voleva esser
assolta, il quale ella sapeva in nessun modo poter esser ingannato. Lo stesso Salvatore nostro ( Mat, 26, 63
) nel Vangelo altres tacendo operava la, salute di tutti gli uomini. Ben dunque Davide non s'impose
silenzio perpetuo, ma una guardia del parlare.
10. Abbiamo pertanto cura del nostro cuore, custodiamo la nostra bocca. Perch l'uno, e l'altro scritto:
qui, che noi custodiamo la bocca; ed altrove (Prov 4, 23) ti detto; Con ogni custodia abbi cura del tuo
cuore. Se Davide ne aveva custodia, tu non ne avrai? Se Isaia aveva le labbra immonde, che disse (Is 6, 5)
: O misero me, che son macchiato, ed ho i labbri immondi. Se il Profeta del Signore aveva le labbra
immonde, in che modo l'avremo pure noi ?
11. Ed a chi ha egli scritto, se non a ciascuno di noi: (Eccli, 28, 29) Circonda con spinose siepi il tuo
podere; lega l'oro, e l'argento tuo, chiudi la tua bocca con una porta e un catenaccio e pesa le tue parole
sulla stadera. Il tuo podere non altro, che la tua mente: il tuo oro il tuo cuore; il tuo argento significa il
tuo parlare. (Sal 11, 7) I detti del Signore son detti mondi, argento purgato col fuoco. Inoltre il buon
podere non altro che la buona mente; e
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finalmente il prezioso podere non altro, che l'uomo puro. Circonda dunque di siepi quel podere, e
circondalo de tuoi pensieri come d'un vallo, fortificalo di spinose ansiet, affinch non facciano impeto in
lei, e lo soggioghino le irragionevoli passioni del corpo, n vi scorrano i movimenti gravi, n finalmente
portino via la sua vendemmia tutti quelli, che passano per la strada. Conserva il tuo uomo interno, non lo
dispregiare, non lo avere in fastidio come cosa vile; che egli un prezioso possedimento, e mestamente
preziosa, per esser i suoi frutti, non caduchi e temporali, ma stabili e di eterna salute. Coltiva dunque il tuo
possedimento, affinch tu lo mantenga.
12. Contieni il tuo parlare, che non sia soverchio o lascivo, e col troppo eccedere non si accumulino
peccati. Sia ristretto e chiuso dentro alle sue rive; perch il fiume che trabocca, presto raccoglie il fango.
Raffrena il tuo senso, che non sia troppo libero e sciolto, affinch non si possa dire di te (Is 6, iuxta
versionem LXX. Interpretum): Non vi si pu porre impiastro, n olio, n falciatura, La sobriet della
mente ha i suoi freni, coi quali si regge, e si governa.
13. Sia sulla tua bocca una porta, affinch si chiuda dove bisogna, e si serri pi diligentemente, affinch
nessuno ecciti la voce tua ad ira; n tu renda villania per villania. Avete oggi udito leggere (Sal 4, 5):
Adiratevi, e non vogliate peccare. Dunque se non ci adiriamo per esser l'ira affezione della natura, e non
in nostro potere, non ci lasciamo uscir di bocca alcuna parola mala, per non incorrere nel peccato. Ma
tieni alle tue parole il giogo, e la stadera; cio l'umilt, e la misura; che la tua lingua sia sottoposta alla
mente. Sia trattenuta con la briglia: abbia i suoi freni, coi quali si possa limitare. Escano da lei parole a
misura pesate con la bilancia della giustizia, affinch sia gravit nel senso, peso nel parlare, e modestia
nelle parole.
CAPITOLO IV
14. Chi osserva queste cose, diventa benigno, mansueto, e modesto, perch col custodire la sua bocca, col
raffrenare la sua lingua, n parlando prima, da altri sia domandato; e che si siano esaminate, considerate, e
pesate le parole: se questo si deve dire o no; se si deve dire contro a costui; quando tempo di dirlo;
questi certamente esercita la modestia, la mansuetudine, e la pazienza: sicch non parli mosso da sdegno e
da ira; non, dia segno ancora nelle sue parole di passione alcuna; non manifesti col suo parlare ardore di
libidine, e nel suo parlare non agisca l'impulso della collera. Eviti insomma che il suo discorso che
dovrebbe offrire una favorevole immagine del suo animo, manifesti apertamente qualche difetto nel suo
carattere.
15. Perch allora principalmente tende agguati l'avversario, quando egli vede generarsi in noi qualche
passione: allora muove l'inclinazione, e prepara i suoi lacci. Poich meritamente ( siccome voi avete oggi
udito leggere ) dice il Profeta ( Sal. 90, 3.): Che egli mi ha liberato dal laccio del cacciatore, e dall'aspra
parola. Simmaco disse, una parola da aizzare; altri parola che sconvolge. Il nostro parlare un laccio del
nostro avversario, ma egli stesso non ci meno nemico. Spesse volte diciamo quello, che dal nostro
nemico viene raccolto, e ci ferisce quasi col nostro stesso coltello. Quanto sarebbe pi facilmente da
tollerare perir piuttosto con l'altrui spada, che con la nostra.
16. Spia dunque l'avversario le nostre armi, e brandisce le Tue. Se egli mi vedr muovere, getta i suoi
aculei per destare i semi delle discordie. Se io dir una parola meno che onesta, tira il suo laccio. Alle
volte mi adesca con la possibilit della vendetta, affinch mentre desidero di vendicarmi, da me medesimo
entri nel laccio, e mi leghi col nodo della morte. Se qualcuno sente questo tal nemico esser presente, allora
molta pi cura deve avere alla sua bocca per non dargli occasioni. Ma non sono molti quelli che lo
vedono.
CAPITOLO V

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17. Ma ancora da quel nemico che si pu vedere bisogna guardarsi, chiunque egli sia che ci aizza, e ci
incita, ci esasperi, o ci pone avanti agli occhi desideri di lussuria o di libidine. Quando dunque alcuno dice
a noi villania, ci ingiuria, ci provoca alla violenza, ci chiama a parole ingiuriose; allora conserviamo il
silenzio: allora bisogna che non ci vergogniamo di diventar muti, perch chi ci provoca, che ci fa ingiuria,
peccatore, e desidera che diventiamo simili a lui.
18. E per se tu stai cheto, se tu fingi di non vedere, o di non udire, dice solitamente: Perch non parli?
Parla, se ne hai il coraggio; ma tu non l'hai, sei muto, ti ho fatto chetare? Se taci, scoppia ancor pi di
rabbia, si ritiene vinto, deriso, trascurato, beffato. Se tu rispondi, gli pare di essere al di sopra, avendo
trovato un suo pari. Perch se tu non gli risponderai, si dir: A costui stata detta una villania; ma egli
non l'ha stimata. Se tu gli rispondi per le rime, si dir: si sono oltraggiati l'un l'altro. Ambedue ritraggono
biasimo, nessuno assolto. Quello dunque si sforza di stuzzicarmi perch io parli simili a lui. Ma l'ufficio
di un giusto fingere di non udire, non rispondere cosa alcuna, tener buon frutto della sua coscienza,
rimettere pi al giudizio dei buoni, che all'insolenza di un ghiotto, contentarsi della gravit dei suoi
costumi. Che questo ( Sal. 38, 3. ) tacere i suoi beni, perch colui che consapevole di non aver errato,
non si deve muovere per le cose false, n stimare che valga pi un mal detto di un altro, che il suo proprio
testimonio.
19. Cos facendo viene ancora a conservare in un medesimo tempo l'umilt. Ma se non vuol sembrare
umile, si rivolge per la fantasia tali parole, e dice a se stesso: dunque questi mi disprezza e sfacciatamente
mi dice contro tali parole, come se io non potessi aprir bocca. Perch non dico anch'io di quelle cose
spiacevoli? Costui dunque ha ardire di inguaiarmi, come se io non fossi altres uomo, come se io non me
ne potessi vendicare? Questi dice verso me parole tanto brutte, come, se io non potessi dirne delle pi
vituperevoli contro di lui.
20. Chi dice, o pensa tali cose non mansueto, non umile, non senza tentazione. Il tentatore lo
travaglia. Egli gli mette innanzi simili tentazioni. Il pi delle volte piglia un uomo, e gli pone innanzi uno
spirito maligno, che gli dica quelle cose. Ma tu hai a tenere il piede fermo sulla pietra E se un servo dice
villania, il giusto tace. E se un infermo gli fa qualche stranezza, il giusto non parla: se un povero gli dice
vituperio, il giusto non risponde. Queste sono le armi del giusto, vincere col cedere: siccome gli arcieri
esperti nel saettare sogliono vincere cedendo, e fuggendo ferir con pi gravi percosse chi gli seguita.
CAPITOLO VI
21. Che? Bisogna dunque commuoversi, quando ci detta villania? Perch non imitiamo quello che
diceva ( Sal. 38, 3): Io ammutolii per lo silenzio, e mi sono umiliato, e tacqui i miei pregi. Forse Davide si
limit a dire queste parole senza metterle in atto? No, al contrario, ag in modo conforme alle sue parole.
Infatti dicendogli villania Semei ( 2. Reg. 16, 7 ss.) figliuolo di Gemini, taceva Davide e bench si
trovasse allora accerchiato dalle sue proprie guardie armate non gli rispondeva, non cercava di vendicarsi;
anzi al figlio di Saruja, che voleva vendicarlo, non lo permise. Andava dunque come muto e umiliato;
andava in silenzio, n si commuoveva, quando era chiamato uomo micidiale, come chi era ben
consapevole della sua mansuetudine. Non si turbava dunque per le villanie, essendo certo della
moltitudine delle sue buone opere.
22. Pertanto chi si commuove presto per una ingiuria, si mostra degno di essa mentre si ingegna di
provare il contrario. Meglio dunque fa chi non cura d'esser ingiuriato, che chi se ne duole, perch chi non
ne tiene conto, non ne fa altra stima che se egli non sentisse; ma chi se ne duole, tormentato come colui,
che ha sentito.
CAPITOLO VII

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23. Non senza considerazione, scrivendo a voi miei figliuoli, mi son servito del proemio di questo Salmo
(Sal 38,1 ), che il Profeta David diede a cantare al Santo Iditum. Io vi conforto ad attenderlo, dilettatomi
nel profondo senso di quello, ed altres nella virt delle sentenze che vi sono dentro poich tra quelle cose,
che noi brevemente fino a qui abbiamo toccato, si considerato insegnarvi in questo Salmo e la pazienza
del tacere, e l'opportunit del parlare, e nel rimanente poi il disprezzo delle ricchezze; le quali cose sono
grandissimi fondamenti delle virt. Mentre dunque che io considero questo Salmo, m' venuto nell'animo
di scrivere degli Uffici.
24. Sebbene certi filosofi ne abbiano scritto, siccome Panezio, ed il suo figliuolo tra Greci e Cicerone tra
Latini; non mi pare sconvenevole al grado nostro altres scriverne, e siccome Tullio per ammaestrare il
figliuolo, io ancora per erudir voi miei figliuoli; perch io non v'amo punto meno, avendovi generati nel
Vangelo, che se io vi avessi acquistati col matrimonio. N pi veemente la natura ad amare, che la
grazia. Certamente noi dobbiamo amar molto pi quelli, coi quali noi pentiamo d'aver a star in perpetuo,
che coloro, coi quali abbiamo a conversar solamente, in questo secolo. Quelli degenerati nei modi, che e
fanno vergogna al padre; e voi siete da noi eletti per esser amati. Quelli sono finalmente sono amati per
necessit, la quale none maestra molto a proposito, n molto durabile a far amare in perpetuo. Voi per
elezione, per la quale s'aggiunge alla carit grave peso a fortificar tal amore; approvar, cio quelli, che tu
ami, ed amar quelli, che tu hai eletti.
CAPITOLO VIII
25. Poich egli convenevole quanto alle persone, ed a me scrivere, ed a voi udire, veggiamo al presente
se la cosa stessa, cio scriver degli uffici sia ella a proposto, e se questo nome atto solamente alle
filosofiche scuole, o si ritrovi ancora nelle Scritture divine. Pertanto oggi mentre che da noi si lesse il
Vangelo, a proposito (quasi confortandoci a scrivere) ci offr lo Spirito Santo un luogo, col quale ci
confermassimo, che ancora tra noi si convenga questa parola ufficio. Poich essendo ammutolito il
Sacerdote Zaccaria nel Tempio, n potendo parlare dice il Vangelo ( Lc 1,23), che adempiendosi i giorni
del suo ufficio, se ne and a casa sua. Leggiamo dunque che da noi si pu convenevolmente dire ufficio.
26. N la ragione l'abborrisce, per questo noi pensiamo ufficio esser detto ab efficiendo, cio dal fare
quasi efficium; ma poi per ornamento del parlare, mutata una lettera, chiamarsi officium, o veramente,
perch, quelli si devono fare quelle cose, che non danneggino alcuno, e giovino a tutti.
CAPITOLO IX
27. Giudicarono che (Cic. lib. I, Offic ) gli uffici derivassero dall'onesto, e dall'utile, e di questi due si
eleggesse quel che migliore. In oltre che se egli accadesse talora che concorrano due cose oneste, e due
utili, allora si cerchi qual delle due pi onesta, e qual pi utile. Primariamente dunque l'ufficio si
divide in tre parti: nell'onesto, e nell'utile, ed in quel che dei due migliore. Di poi questi tre si dividono
in cinque aspetti: in due onesti, in due utili, e nel giudizio dell'eleggere. Le prime dunque dicono
appartenersi all'onore, e all'onest della vita; le seconde i beni della vita, alla potenza, alla roba, alle
ricchezze, alle facolt; ed esser ancora il giudizio dell'eleggere: e questo secondo la divisione loro.
28. Ma noi non misuriamo l'onesto, e quel che convenevole se non con la regola pi delle cose future,
che delle presenti, e nulla definiamo utile se non ci che ci giovi alla grazia per la vita eterna, non quello
che serva a comodi, e diletti della presente. N vediamo alcun vantaggio nelle facolt, e nell'abbondanza
delle ricchezze; anzi le reputiamo incomodi se non vengono disprezzati, e le giudichiamo pi di peso
quando si hanno, che di danno quando si spendono.
29. Non dunque superfluo questo nostro scrivere, perch noi misuriamo l'ufficio con norma molto
diversa dalla loro. Quelli pongono tra beni le comodit di questo secolo, laddove noi anzi li reputiamo
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danni: perch chi riceve quaggi beni, come quel ricco, di l tormentato, e (Lc 16,25) Lazzaro che
sopport qui molte avversit, trov di l grandissimi conforti. Inoltre quelli che non leggono i loro scritti,
leggeranno i nostri, se vorranno: quelli, dico, che non cercano la copia delle parole, n l'arte del dire, ma
solamente la semplice grazia delle cose.
CAPITOLO X
30. Nelle nostre Scritture siamo istruiti ed educati, esser posto nel primo luogo il decoro, leggendo: ( Sal
64,2) A te, 0 Dio, si conviene la lode in Sion. E l'Apostolo dice: (Ad Titum 2, 1) Parla quelle cose, che
convengono alla sana dottrina, ed altrove: (Ad Hebr. 2. 12) Era cosa convenevole, che quello, per mezzo
del quale son tutte le cose, e in grazia del quale son tutte le cose; avendo egli condotti molti figlioli nella
gloria, come autore della salute loro fosse mediante la Passione perfettamente esaltato.
31. Fu egli forse Panezio, o Aristotele, che ancora egli disput dell'ufficio, prima di Davide, quando e
Pitagora stesso che si legge essere stato pi antico, che Socrate, ad imitazione del Profeta(Sal 38, 2)
Davide impose legge di silenzio ai suoi? Ma egli per proibire ai suoi scolari l'uso del parlare per cinque
anni; e Davide non per diminuire il debito della natura, ma per insegnare il tempo e il modo del parlare. E
Pitagora per insegnar loro parlare col silenzio; Davide per insegnarci meglio a parlare col parlare a tempo.
Perch in qual modo si pu egli acquistare la Dottrina senza esercizio? E che progresso si pu egli fare
senza esperienza?
32. Chi vuol ben possedere l'arte militare, continuamente si esercita alle armi, e quasi che allora sia per
venire alle mani, sa quasi un principio alla battaglia, e come se egli avesse avanti agli occhi il nemico, si
mette innanzi, e fa prova delle sue braccia: e come le trova atte alla maestria, ed alla forza del lanciare
un'asta, o sfugge i colpi dell'avversario, o con vigilante occhio li schiva. Chi d opera a guidar col timone
una nave in mare, o condurla coi remi, prima anticipa d'esercitarsi nei fiumi. Quelli che studiosamente
cercano la soavit del cantare e l'eccellenza della voce, prima a poco a poco eccitano la voce col canto. E
quelli che con le forze del corpo, e legittima lotta cercano d'essere coronati; indurando le membra col
quotidiano esercizio della palestra; nutrendo la pazienza si avvezzano alla fatica.
33. E la natura stessa ce lo insegna a proposito dei piccoli fanciulli che prima vanno ritrovando i suoni
delle parole per imparare a parlare. Pertanto il suono un certo esercizio, e una palestra della voce. Cos
dunque quelli, che vogliono imparare a parlar cauti, non neghino quello che naturale, ed esercitino
quello, che all'accorgimento appartiene, come quelli che essendo di vedetta, bisogna che si impegnino ad
osservare attentamente, non a dormire. Perch ciascuna cosa, infatti, si accresce mediante esercizi
appropriati.
34. Davide dunque taceva: non sempre, ma a tempo; non stava dunque continuamente, e con ogni persona
senza rispondere; ma al nemico, che l'aizzava, al peccatore, che lo provocava, non rispondeva. E come
egli in un altro luogo dice (Sal 37,13-14): Come sordo non udiva quei, che dicevano cose vane, e
pensavano ad inganni; ed a questi tali a guisa di muto non rispondeva. Perch tu hai in un altro luogo
(Prov. 16,4.) : Non rispondere all'imprudente secondo la sua imprudenza, per non diventar simile a lui.
35. Il primo ufficio dunque il modo del parlare. Per mezzo di questo a Dio si rende il sacrificio della
lode; con questo si onora, quando si leggono le divine Scritture; con questo si onorano i parenti. So che
molti sogliono parlare, non sapendo tacere. cosa rara a ciascuno il tacere, quando il parlare non gli
giova. Il savio dunque quando egli ha a parlare, considera prima molte cose: quel che egli ha da dire, a
chi, in che luogo, e a che tempo. dunque un certo termine nel tacere, e nel parlare. Ed ancora il
termine nei fatti. E conseguentemente cosa bella mantener la misura dell'ufficio.
CAPITOLO XI
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36. Ogni (Cic.lib.I.Offic.c. i.) ufficio dunque o medio, o perfetto; lo che parimente possiamo provare
coll'autorit delle Scritture. Perch noi abbiamo nel Vangelo (Mat 19, 17-19 ), il nostro
Signore aver detto ad un giovine: Se tu vuoi venir nell'eterna vita, osserva i Comandamenti. E quali gli
chiese? Gli rispose Ges Cristo: Non far omicidio, non adulterare, non rubare, non far falsa testimonianza.
Onora il padre e la madre: ed ama il prossimo tuo tome te medesimo. Questi sono gli uffici medi, ai quali
manca qualche cosa.
37. Finalmente gli dice quel giovane: ( Ibidem 20. 21.) Io ho dalla fanciullezza osservato tutte queste
cose; che mi manca egli ancora? Gli disse, Cristo: Se tu vuoi esser perfetto, va, vendi le tue facolt, e dalle
ai poveri, ed acquisterai tesori in cielo, e vieni, e seguimi. E cos sta scritto pi sopra la dove dice (Mt
5,44-45), che noi dobbiamo amare i nemici, e pregare per quelli che ci calunniano, e ci perseguitano, e
benedire quelli che ci maledicono: noi dobbiamo far questo se vogliamo esser perfetti, come il Padre
nostro che in cielo, il quale fa che il sole spanda i suoi raggi sopra i buoni, e sopra i cattivi, e che
ingrassino tutte le terre di pioggia, e di rugiada senza distinzione di persona. Questo dunque il perfetto
(Cic. loc. cit.) ufficio, chiamato dai Greci ?????q??? col quale si correggono tutte le cose che hanno potuto
aver mancamento alcuno.
38. Buona ancora la misericordia, la quale rende perfetti, perch ella imita il perfetto Padre. Per nessuna
cosa tanto lodata l'anima cristiana, quanto per la misericordia. Anzitutto (Cic. De Offic. I,3, 8) verso i
poveri, che tu giudichi i prodotti della natura esser comuni, la quale genera i frutti della terra ad utilit di
tutti, affinch tu doni al povero quel che tu hai, e aiuti chi, simile a te, condivide la tua sorte. Tu gli dai
una piccola cosa, ed egli riceve la vita. Tu gli dai denari, ed egli lo considera tutta la sua sostanza, e cos
quella tua moneta diventata tutta la sua rendita.
39. In cambio di quelle cose egli molto pi ti conferisce, riconoscendosi tuo debitore della sua salute. Se
tu vesti l'ignudo, tu vesti te stesso di giustizia. Se tu alloggerai un pellegrino sotto il tuo tetto, se tu
accoglierai un bisognoso, egli ti acquister l'amicizia dei santi, e i tabernacoli eterni. Non poca questa
grazia, (I Corinth. 9) Tu semini cose corporali, e raccogli cose spirituali. Ti meravigli del giudizio del
Signore circa il (Iob. 29,15-16) Santo Giobbe! meravigliati della sua virt, che poteva dire: Ero l'occhio
dei ciechi, il piede degli zoppi. Ero il padre degli infermi, le loro spalle furono riscaldate dal vello dei miei
agnelli. Il forestiero non rimaneva all'aperto; ma la mia porta era aperta a chiunque si presentasse. Beato
certamente, della cui casa non usc mai povero alcuno a mani vuote. Perch nessuno pi beato di quello
che comprende (Sal. 40) alle necessit del povero, e al danno dell'infermo, e del bisognoso. Nel giorno del
giudizio avr la salute dal Signore, che, gli sar debitore per la sua misericordia.
CAPITOLO XII
40.Ma molti sono ritratti dall'ufficio della misericordia dispensatrice, pensando che Iddio non di curi
l'azioni, o che non sappia quel che noi facciamo segretamente, quel che tenga la nostra coscienza: o che il
giudizio suo non sia giusto, vedendo i peccatori abbondare di ricchezze, essere onorati, sani, avere figli; e
dall'altra parte i giusti essere poveri, senza onori, senza figli, infermi nel corpo, ed in continue fatiche.
41. N piccola tal questione, poich (Gb 4.8,3 e seg.) quei tre Re amici di Giobbe giudicavano lui essere
peccatore, poich lo vedevano da ricco fatto povero, privato dei molti figli, che egli aveva, pieno di
piaghe, trasfigurato per le lividure, coperto di ferite dal capo sino ai piedi (Ibid. 11, 14 e seg.): ai quali il
santo Giobbe propone questa conclusione: (Ibid. 21,7 e seg.) se io patisco queste cose per i miei peccati,
perch vivono tanto gli empi? Ed essi non sono invecchiati, e le loro case abbondano di ricchezze, vedono
moltiplicare la loro prole secondo la loro voglia; hanno i figli davanti agli occhi; non hanno timore alcuno
di Dio, e Iddio non li castiga.

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42. Vedendo queste cose un debole di cuore, fortemente si turba, e leva dalla misericordia la sua
affezione, le parole dal quale volendo riferire il santo Giobbe, disse innanzi per scusarsi (Ibid. 21, 1 e
seg.): sopportatemi alquanto, ed io parler, di poi ridetevi di me. Perch se io son castigato, sono castigato
come uomo. Sopportate dunque il peso delle mie parole, perch io sto per dire cose ingiuste, al tutto fuori
di mia opinione, ma le dir per riprendere voi. O certamente perch sia cos: ditemi di grazia: sono forse
punito da un uomo? Cio l'uomo non mi pu punire per un peccato ch'io abbia fatto, sebbene io meriti
d'essere castigato; perch voi non mi riprendete di vizio alcuno evidente, ma giudicate i meriti dei peccati
secondo le pene che voi vedete. Vedendo dunque il debole che agli ingiusti succede ogni cosa
prosperamente, e lui stesso punito, dice a Dio: (Ibid. 14) Allontanati da me, io non voglio conoscere le
tue strade. Che ci giova il servirlo? Che utilit caviamo noi dall'ubbidire a lui? Nelle loro mani vengono
tutte le bonacce, ed egli non vede le operazioni degli empi.
43. Platone lodato per avere introdotto nella sua Politica uno, che volendo disputare difendendo
l'ingiustizia, chiede scusa delle cose dette da lui: non che cos pensasse, ma per trovare il vero, e per
disputare aveva accettato il compito che gli era stato imposto. Questo piacque tanto a M. Tullio, che nei
libri che egli scrisse delle Repubblica, giudic di fare allo stesso modo.
44. Quanto pi antico di loro Giobbe, che innanzi a loro scopr questo modo di fare? N giudic fare tale
proemio per ornamento di eloquenza, ma per provare la verit, e subito sciolse il nodo di tal questione,
dicendo che (Gb 21, 17) la lucerna degli empi si spegne, e che avverr la loro distruzione. Dice poi che
Iddio, maestro della sapienza e della disciplina, non ingannato, ma che (Ibid. 22) giudice della verit;
per non si deve giudicare la beatitudine di ciascuno secondo l'abbondanza comune e volgare dei beni, ma
secondo l'interna coscienza, la quale discerne i meriti degli innocenti e degli scellerati, a come un
incorrotto giudice delle pene, e dei premi. Muore l'innocente (Ibid. 23 e seg.) nel potere della sua
semplicit, nell'abbondanza della propria volont, avendo l'anima come ripiena di abbondanza. Ma il
peccatore, bench abbondi di fuori, e galleggi nelle delicatezze, e emani fortissimi odori, finisce la vita
con l'amarezza dell'anima, e chiude l'ultimo giorno, non portando con se alcuna di quelle cose che egli
aveva godute, non portando con se altro che il pregio delle sue scelleratezze.
45. Pensando queste cose nega se puoi, che vi sia la rimunerazione da parte del Giudizio divino. Beato
quegli conoscendo la sua affezione, questi meschino. Quegli assolto dal suo giudizio, questi condannato;
quegli allegro alla fine, quegli sofferente. Da chi pu essere assolto quello che neppure con se stesso
innocente. Ditemi, dice egli, (Gb 21, 28) dov' la dimora degli empi? Non se ne trova segno alcuno.
Perch la vita di uno scellerato come un sogno. Apr gli occhi, ed era passato il suo riposo, ed il piacere
finito: il piacere che negli empi si vede, anche mentre che essi vivono, nell'inferno. Perci essi stessi
mentre ancora vivono scendono nell'inferno.
46. Tu vedi il banchetto del peccatore, esamini un poco la sua coscienza; non ella pi puzzolente che
tutti i sepolcri? Tu vedi la sua allegria, ed il benessere del suo corpo, e l'abbondanza dei figli, e delle
ricchezze! Guarda dentro le piaghe, e le lividure della sua anima, e la tristezza del suo cuore. E che cosa
dir io delle ricchezze, avendo tu letto (Lc 12,15) che la sua vita nell'abbondanza, anche se tu sai che
anche se egli ti sembra ricco, a lui sembra di essere povero, e col suo parere smentisce il tuo stesso
parere? Che dir io anche della moltitudine dei figli, e del non avere mai avuto alcun dispiacere, motivo
per il quale egli si angustia, e pensa di morire per avere eredi, non volendo essere imitato dai suoi
successori? Perch niente l'eredit del peccatore. L'empio dunque a s medesimo pena, ed il giusto a
se stesso gloria, e ciascuno di loro da solo si retribuisce delle buone, o delle cattive azioni.
CAPITOLO XIII
47. Ma torniamo al nostro proposito, per non sembrare d'avere lasciato indietro la divisione fatta, perch
noi abbiamo voluto rispondere all'opinione di quelli che, vedendo molti uomini scellerati essere ricchi,
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allegri, onorati, potenti, ed essendoci dall'altra parte molti giusti che patiscono sia la povert, che
l'infermit, pensano che Iddio o non curi dei nostri fatti, come dicono gli Epicurei, o che egli non conosca
le vicissitudini degli uomini, come pensano gli empi, o se pure le fa, che egli sia un giudice ingiusto, che
sopporta il venire meno dei buoni, o per lo contrario l'avanzare dei cattivi. Tal digressione non stata
superflua, perch ha fatto s che il sentimento di coloro i quali essi giudicano che siano beati, mentre essi
reputano se stessi meschini. Dico ci perch io mi sono immaginato, che egli abbiano creduto pi a se
medesimi, che a me.
48. Fatto questo discorso penso di confutare le altre cose facilmente, e in primo luogo la posizione di
quelli, che ritengono che Iddio non abbia cura del mondo, come Aristotele, che disse che la sua
provvidenza non s'estende alle cose che sono al di sotto della Luna. E qual creatore quello che non si
curi della sua opera? Chi abbandonerebbe e trascurerebbe quelle cose, che egli prima avesse giudicato di
dovere fare? Se non degno di lui reggere il mondo, non egli neanche degno di averlo fatto, non farebbe
ingiustizia alcuna, mentre il disprezzare quel che tu hai fatto sarebbe somma empiet.
49. E se negano che Iddio loro Creatore, o giudicano di far parte delle fiere e delle bestie, che diremo
noi di quelli, che si condannano con questa accusa? Dicono che Iddio in tutte le cose, e che tutte le cose
sussistono in virt di quello; dicono poi che la forza, e la sua maest penetra per tutti gli elementi: la terra,
il cielo, il mare, e giudicano una sua bassezza, se egli penetrasse la mente dell'uomo, della quale non ci ha
dato cosa pi perfetta, e vi entrasse con la scienza della Maest divina.
50. Ma quei Filosofi, che tra tutti sono ritenuti i pi sobri e modesti, deridono l'autore di questi tali
discorsi, come ubriaco e troppo amico dei piaceri. E che dir io dell'opinione di Aristotele, che pensa che
Iddio s'accontenti dei suoi confini, e stia nel regno a cui si limitato, come dicono le favole dei Poeti, che
scrivono che il mondo fu diviso in tre parti, e che per il caso toccasse ad alcuni il governo del cielo, ad
altri del mare, ad altri ancora quello dell'inferno, e che stanno attenti a non fare guerra tra di loro, poich
desiderano troppo la parte degli altri? E similmente dice che non ha cura della terra, come non l'ha del
mare, n nell'inferno. Ed in che modo non tengono essi conto dei Poeti, dei quali accolgono i miti?
CAPITOLO XIV
51. Si continua rispondendo a quella domanda, secondo cui in Dio ci sia scienza, dato che egli abbia cura
delle cose che egli ha fatte. Dunque colui, che ha formate le orecchie, non ode? Chi ha fabbricato l'occhio,
non vede, non osserva?
52. Non pass questa vana opinione, senz'essere conosciuta dai santi Profeti. Infatti Davide fa parlare
quelli, che gli parevano pieni di superbia. Difatti, quale cosa si pu immaginare di pi superba, di quella
che essi, essendo sotto il peccato, si dispiacciano che i peccatori vivano dicendo: (Sal 93, 3) e fino a
quando o Signore, fino a quando si vanteranno i peccatori? E poco di sotto: ( Ibid.7 e seg.) Essi dissero: il
Signore non vedr n il Dio di Giacobbe comprender. Ai quali risponde il Profeta, dicendo: comprendete
ormai insensati tra i popoli, e voi stolti rinsavite. Colui che ha fatto le orecchie non ode? Quello che ha
fabbricato l'occhio, non osserva? Colui che corregge le genti, non riprender? Quello che insegna agli
uomini la scienza? Il Signore Dio sa che i pensieri degli uomini sono vani. Quello che ha trovato le cose,
che sono vane, non conosce le cose sante, e quelle cose che egli ha fatto? Pu un Artefice non conoscere
l'opera sua? Egli uomo, e nei suoi lavori conosce tutti i segreti; e Iddio non conosce l'opera sua? Ci sar
dunque pi perfetta conoscenza nell'opera, che nell'Autore? Ha creato allora qualche cosa superiore a s,
della quale, bench autore, ignora i meriti, e, bench signore non conosce i sentimenti? E questo sia per
loro una risposta sufficiente.
53. Del resto a noi basta la testimonianza di colui, che disse (Ger 17,10): Io sono colui che penetra i cuori,
e i reni. E quel che disse nel Vangelo Ges Cristo ( Lc 5,22): Perch pensate male nei vostri cuori? Perch
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egli sapeva che essi pensavano male. Di questo infatti ne rende testimonianza l'Evangelista, quando dice (
Lc 6, 8): Infatti Ges conosceva i loro pensieri .
54. L'opinione di costoro, dunque, non sar sufficiente a convincerci, se noi considereremo le loro azioni.
Non vogliono avere come superiore un giudice che sappia ogni cosa, e per tal motivo non pu essere
ingannato. Non gli vogliono concedere la conoscenza delle cose nascoste, temendo che i loro segreti si
scoprano. Ma il Signore anche sapendo le loro operazioni, li pose nelle tenebre. Di notte, disse,(Gb 24,
14-15) si aggirer il ladro. E l'occhio dell'adulter scruter le tenebre dicendo, io non sar visto e
cercher di nascondersi. Perch chiunque fugge dalla luce, ama le tenebre, cercando di nascondersi, e per
non si pu nascondere dalla faccia di Dio, il quale conosce dentro al profondo dell'abisso, e dentro le
menti degli uomini, non solamente le cose, che si sono fatte, ma anche quelle, che si vogliono fare. Infine
quello che dice nel Siracide (Sir 23, 25-26): chi mi vede ora? Sono coperto dalle mura e dalle tenebre, di
che ho paura? Bench egli pensi a quelle cose mentre che egli nel letto, visto nientedimeno quando
non se l'aspetta. E sar, dice, vergogna che egli non avr conosciuto il timor di Dio.
55.E che cosa pu egli pensare pi sciocca, che credere che a Dio non sia chiara e manifesta ogni cosa?
Poich il Sole che strumento della luce, penetra anche le cose nascoste, e la forza del suo calore arriva
nelle fondamenta della casa, e nelle pi chiuse e segrete stanze? Chi negher che le viscere della terra
indurite prima dal freddo dell'inverno, non s'intiepidiscano per il temperato caldo della Primavera?
Dunque le parti nascoste degli alberi sentono sia la forza del caldo che del freddo, perch le loro radici o
si bruciano, per il freddo, o rinverdiscono per il caldo del Sole; e la terra finalmente fiorisce in vari e
diversi frutti, appena che la benignit del Cielo vi arride.
56. Pertanto se il raggio del Sole diffonde la sua luce su tutta la terra, ed entra in tutte quante le cose
nascoste, e non gli pu essere impedito di trapassare n da oggetti di ferro, n da porte anche se grosse,
come non potr penetrare l'intelligibile splendore di Dio nei pensieri degli uomini, e nei cuori, che egli
stesso ha creati? Ma non vedrebbe egli le cose da lui fatte, ed avrebbe egli ordinato che quelle che
esistano, siano migliori e pi potenti di lui che le ha fatte, cos da potersi nascondere dalla conoscenza del
loro creatore? Ha egli concesso dunque tanta virt e tanta potenza alle nostre menti, che egli medesimo
non la possa comprendere, quando egli volesse?
CAPITOLO XV
57. Abbiamo parlato di due cose, n sconvenevolmente, come sembra, ci capitata tale disputa. Ci resta
pertanto una terza questione, che questa: Per qual motivo i peccatori abbondino di mezzi e di ricchezze,
stiano in continui conviti e feste, senza alcun dispiacere, affanno, o noia; ed ai buoni manchi qualunque
cosa, e tutto il giorno si dolgano o per la perdita delle mogli o dei figli. Ai quali dovrebbe bastare quella
parabola del Vangelo(Lc. 16,25) secondo cui il ricco si vestiva di bisso e di porpora, ed ogni giorno
faceva banchetti, e dall'altra parte il povero pieno di piaghe raccoglieva le briciole che cadevano dalla sua
mensa. E dopo la morte d'ambedue il povero riposava nel seno di Abramo, e il ricco si trovava nei
tormenti. Non manifesto che i premi o le pene dei nostri meriti ci attendono dopo la morte?
58. E ben a ragione, perch nella lotta viene prima la fatica, e dopo quella alcuni ottengono la vittoria, altri
ne riportano vergogna. Si d forse la palma, o si concede la corona ad alcuno, prima che egli abbia finita
la carriera? Giustamente dunque disse Paolo (Tm 4, 7-8 ): Ho combattuto la buona battaglia, ho terminato
la corsa, ho conservato la fede; quanto al resto m attende la corona che il Signore giusto giudice mi dar in
quel giorno; e non solamente a me, ma anche tutti quelli, che attendono con amore la sua venuta. Render
in quel giorno, dice, non qui. E qui s'affaticava come buon guerriero in fatiche, in pericoli, in naufragi,
perch egli sapeva che bisogna per mezzo di molte tribolazioni entrare nel regno di Dio. Non pu dunque
nessuno ricevere il premio, se prima non avr legittimamente combattuto. N si pu chiamare vittoria
gloriosa, se non dove siano state battaglie faticose.
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CAPITOLO XVI
59.Non diremo noi che sia ingiusto colui che domanda il premio prima che la gara sia terminata? Per
questo diceva il nostro Signore nel Vangelo ( Mt 5, 3 ): Beati sono i poveri di spirito, perch di essi il
regno dei cieli. Non disse beati i ricchi, ma i poveri. Quindi comincia la beatitudine appunto al giudizio
divino, dove comincia la calamit secondo il parere umano (Ibid., 5 seg. ). Beati quelli che hanno fame,
perch saranno saziati. Beati quelli che piangono, perch saranno consolati. Beati i misericordiosi, perch
Iddio avr misericordia di loro. Beati i puri di cuore, perch vedranno Dio. Beati quelli che sono
perseguitati a causa della giustizia, perch, di essi il regno dei Cieli. Beati siete tutte le volte che gli
uomini vi bestemmiano e perseguitano, e dicono ogni male di voi, per la giustizia: Rallegratevi, e siate
lieti, perch grande il vostro premio nel regno dei Cieli. Non ha promesso che il premio si d nel
presente, ma in futuro; non in terra, ma in cielo. Perch dunque domandi quelle cose in un luogo, che ti
sono dovute in un altro? Perch domandi troppo frettolosamente la corona, prima di vincere? Perch
cerchi di scuotere la polvere? Perch vuoi riposarti? Perch brami di banchettare prima che le gare siano
finite? Ci sono ancora gli spettatori, ancora i combattenti sono in lizza, e tu cerchi gi di riposarti?
60. Ma forse mi dirai: Perch se ne stanno allegri gli empi? Perch attendono alle dissolutezze? Per quale
motivo non s'affaticano anche essi con me? Perch quelli che non si sono messi in lista per acquistare la
corona, non son tenuti alla fatica della lotta. Quelli che non si vogliono presentare al campo, non s'ungono
coll'olio, ne si stropicciano con la polvere. A quelli aspetta il disagio, per cui preparato l'onore. I
profumati sogliono stare a vedere, non a combattere, non sopportare sole, caldo, polvere, o acqua. Dicano
dunque loro i lottatori: Venite, affaticatevi con noi. Ma gli spettatori risponderanno: noi stiamo qui in
mezzo a giudicare di voi; e se vincerete, conseguirete l'onore senza noi.
61. Costoro dunque che hanno posto i loro studi nelle delicatezze, nella lussuria, nel derubare gli altri, o
nei guadagni, o negli onori, sono piuttosto spettatori, che combattenti: ottengono il profitto della loro
fatica, non hanno il frutto della virt; si ne stanno nell'ozio, accumulano con astuzie e scelleratezze
ricchezze in gran quantit; ma finalmente ricevono, bench alle volte tardi, la pena delle loro ribalderie. Il
riposo di quei tali nell'inferno, ed il tuo in Cielo. La Casa di questi tali sottoterra, la tua in Paradiso. Il
perch di ci, molto elegantemente lo diceva Giobbe (Gb 21,32): che essi vegliano nelle sepolture, perch
essi non possono dormire quel sonno di quiete, che ( 1Cor 13) dorm colui che risuscit.
62. Non pensare dunque come un piccolo bambino, parlare come un fanciullino, avere i pensieri d'un
fanciullino; non attribuirti come un fanciullino quello che appartiene all'ultima et. La corona dei
perfetti. Aspetta che venga colui, che perfetto: quando tu non per somiglianza, n sotto parlare oscuro,
ma a faccia a faccia possa conoscere la nuda verit. Allora si manifester per quale motivo quello stato
ricco, che era scellerato, e ladro della roba altrui; e il motivo per cui quell'altro fosse potente, e perch
quell'altro fosse copioso di figli, un altro pieno di onori.
63. Forse per poter dire al ladro, tu eri ricco, per quale motivo prendevi la roba d'altri? Non ti spinse certo
la povert, n la necessit. E non ti feci io ricco, perch tu non potessi avere alcuna scusa? Per poter dire
anche al potente, perch non aiutasti la vedova, e gli orfani che subivano ingiustizia? Ti mancavano i
mezzi ? Non potevi tu aiutarli? Io non ti feci patente per altro motivo se non perch tu non usassi violenza
con persona alcuna; anzi la allontanassi del tutto. Non ho scritto per te (Qo 4. 9. ): Difendi chi
ingiuriato? Non ho scritto parimenti per te ( Sal 81,4): Traete il povero e liberate il meschino delle mani
del peccatore? Per poter dire anche a quello che ebbe molti figli: lo ti moltiplicai gli onori, ti concessi la
sanit del corpo, perch non seguisti i miei comandamenti? Servo mio, che ti feci io, (Mic 6, 3. seg.) in
che ti contristai? Non ti detti io figli, non ti concessi onori, non ti donai la salute, perch mi rinnegasti?
Perch giudicavi ch'io non conoscesse le tue azioni? Per quale motivo tenevi tu i miei doni, e disprezzavi i
miei comandamenti?

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64. Queste cose finalmente possiamo concludere dalla condotta di Giuda traditore, il quale fu eletto
Apostolo tra dodici, ed aveva in custodia i danari, i quali doveva dispensare ai poveri, affinch non si
pensasse che egli avesse tradito il Signore per essere da lui poco stimato, oppure per povert. Per il
Signore gli concesse queste cose, per potersi in lui giustificare, che egli non come provocato ad ingiuria,
ma come contrappostosi alla grazia meritasse pi crudeli, e maggiori tormenti.
CAPITOLO XVII
65.Perch dunque per le cose dette sin qui assai chiaro che debbano essere puniti i vizi, e premiate le
virt, cominceremo a parlate dei doveri, i quali (Cic. Offic. Libro I ) da piccoli bisogna coltivare, affinch
insieme coll'et crescano gli studi delle buone azioni. Appartiene dunque ai buoni giovani avere il timore
di Dio, onorare i parenti, riverire i pi attempati, conservare la castit, non disprezzare l'umilt, amare la
clemenza, e la modestia: le quali cose tutte sono ornamenti della tenera et. Perch siccome da
apprezzare la seriet nei vecchi, e nei giovani la vivacit cosi anche nei fanciulli si deve lodare la
modestia, quasi come una dote di natura.
66. Temeva Iddio Isacco, come conveniva a quegli che era figlio d'Abramo, e tanto onore e riverenza
portava al padre, che per non opporsi al suo volere (Gn 22, 9 e seg.) non rifiutava la morte. Giuseppe
anche (lbid. 37,6 e seg.) contuttoch avesse sognato nientedimeno che il sole, la luna, e le stelle
l'adorassero, manteneva una continua ubbidienza al padre. Tanto casto (Ibid. 39,8 e seg.), che egli non
voleva udire alcun parlare se non pudico; umile sino alla servit, vergognoso sino alla fuga, paziente, sino
al carcere, perdonatore d'ingiurie sino a rendere bene per male. La cui modestia fu tanta, che preso da una
donna volle pi fuggendo lasciare la propria veste nelle mani, che menomare la sua modestia. Mos anche
e Geremia (Ger 1,6) eletti dal Signore per predicare al Popolo gli oracoli Divini, ricusavano per vergogna
e modestia di fare molte cose che essi potevano fare per mezzo della grazia.
CAPITOLO XVIII
67. La virt dunque della modestia (Cic. Offic. Libro I) bella, soave la grazia, la quale si vede non
solamente dai fatti, ma anche dalle parole, perch fa s che di bocca tua non esca parola alcuna
disconveniente. Perch infatti le parole rispecchiano l'animo. La modestia tempri il suono della voce,
affinch essa usata in modo troppa forte non offenda le orecchie di alcuno. Infine nel modo del cantare la
prima regola la modestia, anzi in ogni uso di parlare. Perci a poco a poco si comincer a salmeggiare, o
cantare, o finalmente parlare, in modo che la discrezione iniziale faccia apprezzare ci che seguir.
68. Anche lo stesso silenzio, che il riposo di tutte le altre virt, un grandissimo atto di modestia. Infatti
se procede da fanciullezza o da superbia, si biasima assai; se procede da rossore, si attribuisce a lode.
Susanna (Dn 13,35) nei pericoli taceva, e pensando che fosse pi grave danno il perdere la modestia che
la vita, non giudic che si dovesse, per salvare la vita, mettere l'onore a repentaglio. Parlava solamente
con Dio, al quale poteva parlare con casta delicatezza. Evitava di guardare in faccia degli uomini; infatti
anche negli occhi un certo rossore, che la donna non pu sopportare di vedere uomini, n da quelli essere
veduta.
69. Ma nessuno, pensi che questa lode sia solamente della castit; perch la modestia compagna della
pudicizia, in unione con la quale, la castit pi sicura. Perci il pudore un ottimo aiuto a reggere la
carit; che se essa fa innanzi ai primi pericoli, non lascia violare la pudicizia. Il pudore la prima virt
che rende ammirevole ai lettori del Vangelo ( Lc 1,19 e seg.) la Madre di Dio, e come grande
testimonianza assicura che lei degna d'esser eletta ad un cos grande ufficio. Poich in camera, sola,
salutata dall'Angelo tace e si commuove nell'entrare di quello, e si turba il suo l'aspetto per la viso di un
uomo estraneo. Pertanto bench ella fosse umile, nientedimeno per modestia non gli restitu il saluto, n
gli dette risposta alcuna, se non quando intese d'avere a generare il Figlio di Dio. E quando parl, fu
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soltanto per conoscere la natura di ci che sarebbe capitato in lei, non per confutarne il parlare.
70. Nella nostra orazione anche molto piace a Dio la modestia, e molta grazia ci acquista presso il nostro
Dio. E non fece ella preferire il Pubblicano(Lc 18,13-14), e lo raccomand, lui che non ardiva di levar gli
occhi al Cielo? Per fu giustificato pi appresso al Signore, che quel Fariseo, il quale per la presunzione
fu rifiutato. Pertanto preghiamo conservando incorrotto lo spirito della mitezza e della modestia, che
gradito a Dio, come dice S. Pietro (1 Pt 3,4). Grande quindi la modestia, anche se sia di sua natura molto
nascosta, e niente usurpa, niente si attribuisca, ed in un certo modo stando al di sotto delle sue capacit,
non per questo grande presso a Dio, presso al quale nessuno ricco. Ricca la modestia, perch ella
porzione di Dio. S. Paolo anche ( 1 Tm 2, 9 ) comanda di pregare con rispettosa modestia e sobriet.
Vuole che questa virt preceda e faccia una strada all'orazione futura, perch non sia orgogliosa l'orazione
del peccatore, ma quasi guidata dal rossore, quanto pi si vergogna al ricordo dei peccati commessi, tanto
maggiore grazia meriti e riceva.
71. Si deve anche (Cic. Offic. libro I )conservare la modestia anche nei movimenti, nei gesti, e nel
portamento, perch la virt della mente si deduce dall'atteggiamento e dalla disposizione del corpo.
Quindi si conoscono i segreti affetti dell'animo, e si giudica l'uomo essere leggero, o vanitoso, o stupido; o
al contrario riputato serio, costante, puro, e maturo. Pertanto il movi-mento del corpo una certa voce
dell'animo.
72. Ricordatevi figlioli che un certo amico, bench egli paresse lodevole per molte sue azioni,
nientedimeno non fu da me ricevuto nel Clero, solo perch i suoi gesti erano molto sconvenevoli. Ed
avendone anche trovato un altro nel Clero, gli comandai che non mi si presentasse pi d'avanti, perch
egli con il suo insolente andare feriva con i miei occhi, lo stesso mio animo: ci lo dissi mentre egli,
poich mi aveva in tale modo offeso, si riprendeva ad attendere ai suoi doveri. Quello solo mi fece dar
loro eccezione, n m'ingannai nel mio parere; per questo ambedue si sono allontanati dalla Chiesa, perch
si manifestasse la perfidia dell'animo loro, il quale nel loro portamento si poteva comprendere. Perch uno
nel tempo che seguiva la setta d'Ario abbandon la Fede; l'altro desideroso di danari, per non essere
giudicato, neg d'essere nostro Sacerdote. Si scorgeva nel loro portamento il ritratto della leggerezza ed
un certo atteggiamento da buffoni.
73.Ci sono anche (Cic. Offic. Libro I) alcuni che coll'andar adagio imitano i gesti degli istrioni, e quali
simili ai portatori di vasi nei pomposi spettacoli imitano i movimenti delle statue, sicch, ogni volta
ch'essi muovono il passo, pare che essi osservino certe determinate misure.
74. Non giudico convenevole l'andare molto frettolosamente, a meno che qualche pericolo, o una giusta
necessit non lo richiedesse. Perch il pi delle volte noi vediamo alcuni correre in modo che, che oltre al
non poter respirare, deformano in tal modo la faccia, che se manca loro il necessario motivo di tanta fretta,
si ha in essi ragionevole motivo di offenderli. Non parlo gi di quelli che di rado, e con qualche cagione
affrettano tanto il passo, ma di quelli ai quali un tal passo veloce e continuo si converte in natura. Non
lodo dunque in quelli l'andare in modo che essi sembrino pitture, n in quegli altri la stessa velocit delle
frecce lanciate dagli arcieri.
75. Perch solo quell'andare lodevole, in cui ci sia forma d'autorit, peso di gravit, e vestigio di
tranquillit; purch tutto sia lontano da ogni studio ed affettazione, ma sia movimento puro e semplice,
perch nessuna cosa finta piace. La natura dia forma ai moti. E se si ritrova qualche cosa di vizioso nella
natura, l'industria la purifichi, di maniera che vi manchi l'arte, ma non gi la correzione.
76. Che se anche a queste cose si pensa tanto, quanto pi bisogna che l'uomo sia attento, che non gli esca
di bocca parola alcuna turpe; perch questo grandemente macchia l'uomo, perch non il cibo guasta
l'uomo, ma bens il calunniare, e il parlar volgare. Queste cose anche presso il popolino sono di vergogna;
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ma nel nostro stato ogni parola meno che onesta, che ci cade di bocca, cagione di vergogna. E non solo
non dobbiamo noi proferire cosa alcuna disdicevole, ma neanche prestare orecchi a simili discorsi, come
Giuseppe (Gn 39,12) che per non udire cosa meno che convenevole alla sua modestia, scapp, e lasci la
veste: perch chi si rallegra d'udire, provoca gli altri a parlare.
77. L'ascoltare anche qualche cosa volgare di somma vergogna ; ma quanto abominevole il vedere
simili cose, se per caso uno vi si abbattesse! Quelle cose dunque che ci dispiacciono in altri, come
possono piacere in noi stessi? La stessa natura c'insegna queste cose, la quale distinse perfettamente tutte
le parti del nostro corpo provvedendo alle necessit, ed ornando la bellezza; tuttavia lasci aperte quelle,
che fossero gradite all'occhio, perch in esse risaltassero il culmine della bellezza posta quasi in cima, e
l'eleganza della figura, e la grazia del volto stesse in alto, e fosse pronta al continuo servizio. E di quelle
che sono fatte per le naturali occorrenze e necessit, perch non offrissero di s indecoroso spettacolo, in
parte le nascose dentro nel corpo, e in parte insegn e persuase di doverli coprire.
78. Non dunque la natura stessa maestra della modestia? Dal cui esempio mossa la modestia degli
uomini ( la quale penso essere cosiddetta dal modo e misura di sapere quel che sia conveniente) vel e
copr quelle parti che trov nascoste nella struttura del nostro corpo, come si copriva quell'uscio, che fu
ordinato al giusto No (Gn 6,16) che facesse attraverso all'arca, nella quale era la figura o della Chiesa, o
del nostro corpo, per lo qual uscio si smaltiscono le superfluit d cibi . Il Fattore dunque della natura
ebbe tal riguardo della nostra modestia, e in tal modo osserv nel nostro corpo il decoro e l'onesto, che
egli pose in quei condotti della parte posteriore del corpo l'uscita delle nostre superfluit, togliendole dalla
nostra vista, affinch la purgazione del ventre non offendesse la vista degli occhi nostri (Cic. Offic. Libro
I). Di questo diceva ottimamente l'Apostolo S. Paolo (1 Cor 12,23) che quelle membra del corpo che ci
paiono pi deboli, sono pi necessarie, ed a quelle parti che sono pi vili riputate, rendiamo maggiore
onore: e quelle che sono pi sporche, hanno in loro maggiore onest . Imitando la natura, la nostra
iniziativa ha accresciuto la nostra bellezza. La qual cosa noi abbiamo altrove (libro I De Arca e No cap. 8
) pi a lungo espressa; che quelle parti che sono da coprire, noi non solamente le nascondiamo agli occhi
nostri, ma anche pensiamo che sia cosa brutta e sconvenevole chiamare con i propri nomi le tracce, e gli
usi di quelle membra.
79. E finalmente se queste parti ci vengono per caso scoperte, la modestia se ne offende, e se le scopriamo
apposta, ci ritenuto spudoratezza. Per la qual cosa Cam, figlio di No ( Gn 9, 22 e seg.) fu punito,
perch rise vedendo suo Padre in tali parti scoperto, e quelli che lo coprirono, conseguirono la grazia della
benedizione. Da qui venne anticamente in uso si nella Citt di Roma, e anche in molte altre Citt, che i
figli giovani non si lavassero insieme con i padri, n i generi coi suoceri, affinch non diminuisse
l'autorit paterna, bench molti ne bagni si coprono quanto possono, affinch anche quivi, dove sta nudo il
rimanente del corpo, non stia scoperta quella parte.
80. I Sacerdoti anche anticamente portavano le mutande come noi leggiamo nell'Esodo (28, 42-43),
siccome il Signore Iddio disse a Mos: Ordina loro mutande di pannolino per coprire le parti vergognose,
le quali saranno dai lombi sino alle cosce, e le porti Aronne, ed i suoi figli, quando entreranno nel
Tabernacolo della testimonianza, e quando saranno a sacrificare all'Altare del Santo, e non indurranno il
peccato sopra di loro per non morire. Ci osservato da molti di noi, e molti anche pensano ci doversi
intendere spiritualmente per conservar la modestia, e per mantener la castit.
CAPITOLO XIX
81. Ho avuto non piccolo piacere di parlare di ci che attinente alla modestia, perch parlavo a voi, i
quali o in voi stessi conoscete i suoi beni, o non sapete il danno di esserne privi, la quale sebbene
opportuna per tutte le et, per tutte le persone, e tempi, e luoghi, nientedimeno conviene primariamente
all'et giovanile.
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82. Ed in qualunque et bisogna che quello che tu fai, sia dicevole, e conveniente, e corrisponda a se
stesso l'ordine della tua vita. Per la qual cosa anche Tullio (Libro I De Officiis) ritiene che si debba
osservare l'ordine in tale convenienza, e dice che essa consiste nella bellezza, nell'ordine, nel vestire
adattato alle situazioni: le quali cose, dice egli, difficilmente si possono esprimere con parole, ma basta
ch'esse stesse s'intendano.
83. Ma non so a che fine egli vi abbia posta la bellezza; bench egli anche lodi le forze del corpo, noi non
poniamo il luogo della virt nella bellezza del corpo, non escludiamo per la grazia, perch la modestia,
suole spargere nei volti un certo rossore, e renderli pi graziosi. Perch come un artefice suole molto
meglio operare in una materia pi comoda, cos la modestia sta molto meglio nella pi bella parte del
corpo, in modo per che questa bellezza del corpo non sia finta, ma naturale, semplice e pi trascurata,
che desiderata; non aiutata da preziosi e vani vestiti, ma comuni ed ordinari, affinch non manchi cosa
alcuna di quello che onesto, e necessario, e niente vi si aggiunga che accresca lo splendore.
84. La voce anche non sia bassa n fievole: niente suoni di femminile, come sogliono fingere molti per
essere ritenuti gravi, ma riservi un'impronta, una certa regola,e sapore virile. Questo il tenere la bellezza
del vivere, operare dipendentemente dal modo in cui si conviene a ciascun sesso, ed a qualunque persona.
Questo il miglior ordine per le azioni, questo l'abbigliamento adatto a tutte quante le attivit. Ma come
non mi piace o il suono della voce, i gesti del corpo fuor di misura delicati o deboli, cos anche biasimo i
ruvidi, e i villani. Imitiamo la natura. La sua forma forma di disciplina, forma d'onest.
CAPITOLO XX
85. La modestia ha certamente i suoi scogli: non che essa li porti con s, ma spesse volte incappa in essi,
quando per esempio ci imbattiamo in compagnie di dissoluti, i quali sotto l'apparenza di volere star allegri
e di passare il tempo, corrompono i buoni. Costoro se continuamente ci stanno d'intorno, e in particolare
nei conviti, ai giochi e ai passatempi, indeboliscono quella gravit virile. Stiamo attenti, dunque, che
quando noi vogliamo un po'alleviar l'animo nostro, a non guastare tutta l'armonia, per cos dire, il
melodioso accordo delle buone opere. Infatti l'abitudine altera presto la natura.
86. Perci io giudico molto conveniente ad una prudente condotta ecclesiastica, e soprattutto al ministero
sacerdotale, evitare i conviti degli estranei, o affinch voi ospitiate i pellegrini, o affinch con la
sopraddetta cautela voi allontaniate ogni occasione a chi volesse dire male di voi. I conviti con gli estranei
tengono impegnati a lungo, e manifestano anche la cupidigia di mangiare. Di frequente sinsinuano anche
discorsi mondani e lascivi: non puoi chiudere le orecchie, e l'impedirlo sembra arroganza. Senza
accorgersene si beve anche oltremisura. Meglio scusarti in casa tua una sol volta, che molte a quelle
d'altri : e bench ti alzi sobrio, non deve nientedimeno essere criticata la tua presenza per colpa dell'altrui
indolenza.
87. Non opportuno che i giovani vadano nelle case delle vedove, n delle vergini, eccetto che per una
visita e in compagnia di anziani, cio con dei sacerdoti, o se il motivo pi importante, col Vescovo. Che
bisogno c' che noi diamo motivo ai laici di mormorare? Che bisogno c' che quelle frequenti e visite ne
tolgano l'autorit? Se per caso, qualcuna di loro cadesse in qualche errore, perch devi caricare su di te la
responsabilit dell'altrui peccato? Quanti anche se forti, sono stati ingannati dalle lusinghe? Quanti sono
quelli che non hanno errato, e ne hanno dato sospetto !
88.Perch non utilizzi nel leggere quel tempo, che il ministero ti lascia libero? Perch non vai visitare
Cristo, a parlare con Cristo, ad ascoltare Cristo? Noi parliamo con Cristo, quando facciamo orazione, e
l'udiamo, quando noi leggiamo le scritture sacre. Che abbiamo in comune con l'altrui case? Una la casa
che tutti accoglie. Vengano piuttosto trovarci, quelli che ci cercano. Che abbiamo noi a fare con i vani
racconti? Dobbiamo servire gli altari di Cristo e non intrattenere gli uomini.
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89. Si addice a noi anche essere umili, benigni, mansueti, seri, pazienti, misurati in tutte le cose, cosicch
n il parlare, n il volto mostri che ci sia vizio alcuno nella nostra condotta nostra.
CAPITOLO XXI
90. Guardiamoci dall'ira, oppure se non possiamo difenderci col prevenirla, cerchiamo di placarla, perch
l'ira una cattiva conseguenza che in noi a causa del peccato, che talmente perturba il nostro animo, che
non lascia alcuno spazio alla ragione. La prima cosa da fare d'ingegnarsi di abituarsi in modo che, se ci
possibile, la tranquillit del carattere diventi in noi qualcosa di naturale mediante l'esercizio. Inoltre
perch il moto d'ira, il pi delle volte in cero modo radicato nella natura, e nelle abitudini, che esso non
si pu sradicare n evitare; se si pu prevedere, bisogna sopprimerlo con la ragione. Oppure se l'animo
fosse assalito dallo sdegno, prima che egli con la ragione l'avesse potuto prevedere, occorre preoccuparsi
di non essere in tale modo occupato, e pensa in che modo abbia a vincere i movimenti dell'animo tuo, e
temperare gli sdegni. Fa resistenza all'ira se puoi; se non puoi cedi, perch scritto (Rm 12, 19): Cedete
all'ira.
91. Giacobbe (Gn 27, 42 e seg.) cedette con bont al suo fratello irato, ed ammaestrato dai consigli di
Rebecca, cio della pazienza, prefer andarsene e soggiornare in terra straniera, che eccitare gli sdegni del
fratello, e ritornare poi quando egli pensasse che il fratello si fosse calmato; e per quel motivo trovo tanta
grazia presso Dio. Inoltre con quante riverenze, con quanti doni con se riconcili egli (Ibid. 32 e seg. ) il
suo fratello, affinch egli si dimenticasse che gli aveva carpita la benedizione, e si ricordasse la
soddisfazione accordatagli.
92. Se l'ira dunque sopravverr e dominer la tua mente, non lasciare il tuo posto. II tuo posto la
pazienza, la sapienza, la ragione, ed il calmare l'ira. Oppure, se la presunzione di chi ti risponder, ti
irriter, e la perversit ti spinger allo sdegno; se non potrai mitigare la mente, frena la lingua; perch cos
scritto (Sal 33, 14-15): frena la tua lingua dal male e le tue labbra, dal parlare con inganno. Inoltre:
Cerca la pace, e seguila. Considera la pace del santo Giacobbe, con la quale in primo luogo pacificherai il
tuo animo. Se non avrai potuto renderti superiore a te stesso, poni il freno alla tua lingua e poi non
tralasciare il cercare di riconciliarti. Gli Oratori profani hanno posto nei loro libri queste cose dopo averle
attinte dai nostri; ma chi le pronunci per primo ha il merito di un tale modo di sentire.
93. Schiviamo dunque, o freniamo l'ira, affinch non si faccia un'eccezione per essa nelle nostre lodi, n
sia artificiosamente esagerata nei nostri difetti. Non cosa facile mitigare l'ira: non inferiore che
arrabbiarsi affatto. Questo nostro compito, l'altro della natura. Infine quegli impeti d'ira nei fanciulli non
sono rimproverare, perch essi hanno pi grazia, che asprezza. E se i fanciulli presto si arrabbiano tra loro,
facilmente si pacificano, e ritornano pi amici di prima, perch non si trattano cos per malizia o per
inganno. Non disprezzate tali fanciulli, dei quali disse il Signore ( Mt 18, 3): Se non diventerete come
questi fanciulli non entrerete nel regno dei Cieli. Pertanto lo stesso Signore, cio la virt di Dio, come un
fanciullo, quando era offeso, taceva; quando era percosso, non percuoteva chi lo (1Pt 2,23) batteva.
Disponiti dunque in tal modo che, come un fanciullo tu non ricordi le ingiurie, e non agisci con malizia;
tutte le cose procedano da te innocentemente. Non considerare come tu sia trattato dagli altri, compi il tuo
dovere, mantieni la semplicit e la purezza del tuo cuore. Non rispondere ad un irato secondo la sua ira, n
ad un imprudente secondo la sua imprudenza. Spesso un peccato tira l'altro. Se tu sfreghi le pietre, non ne
scaturisce una scintilla?
94. Esaltano i pagani, soliti come sono d'ingrandire ogni cosa, un certo Archita Tarentino Filosofo, che
disse ad un suo fattore: Disgraziato, quanto ti picchierei, se non fossi adirato. Ma anche David (1 Re
25,32) fren nel suo sdegno l'armata mano. Quanto maggior merito deriva dal non rispondere alle offese,
che dal vendicarsi? Alle preghiere di Abigail i combattenti pronti a vendicarsi contro Nabal, si fermarono.
Con questo abbiamo fatto vedere che bisogna che non solamente dobbiamo cedere alle preghiere fatte in
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proposito, ma anche rallegrarci. Egli si compiacque tanto, che ringrazi chi fece da mediatore per
distoglierlo dal vendicarsi.
95. Aveva gi detto dei suoi nemici ( Sal 34, 4 ): Perch essi precipitarono sopra di me le loro iniquit, e
nel loro sdegno mi furono molesti. Ascoltiamo ora quello ch'gli disse turbato nell'ira: (Ibid., 7) Chi mi
dar ali come di colomba, e voler, e mi riposer? Quelli dunque lo provocavano allo sdegno, ed egli
sceglieva la tranquillit.
96. Gi aveva detto: (Sal 4,5) Adiratevi, ma non peccate. Questo maestro di morale, che sapeva benissimo
che l'impulso naturale piuttosto si doveva calmare con l'insegnamento fondato sulla ragione, piuttosto che
sradicandolo, ci d precetti per agire rettamente cio: adiratevi quando c' un motivo, per il quale vi
dovete adirare; perch non accada che noi non ci arrabbiamo per delle cose indegne, altrimenti non
sarebbe virt, ma anzi si giudicherebbe insensibilit, o un atto da persona indolente. Adiratevi dunque in
modo tale, che non abbiate colpa. Oppure : se vi adirate, non peccate, ma vincete lo sdegno con la
ragione. Oppure infine si pu intendere: se voi v'adirate, adiratevi con di voi stessi perch vi siete turbati,
e cos non peccherete. Perch chi si sdegna con se stesso per essersi cos velocemente turbato, cessa di
adirarsi con chi adirato. Ma chi vuol giustificarsi d'essersi adirato a ragione, s'infiamma maggiormente, e
presto cade nella colpa. Per secondo Salomone ( Prv 16, 32 ) val di pi colui che frena l'ira, che chi
conquista una Citt: perch l'ira acceca anche i forti.
97. Dobbiamo dunque stare attenti non incorrere nelle passioni, prima che la ragione disponga
convenientemente gli animi nostri. Infatti lo sdegno, o il dolore, o la paura della morte il pi delle volte
colpisce la ragione, e la percuote con un colpo inaspettato. Conviene quindi prevenire l'ira ragionando,
affinch non sia colpita improvvisamente dalla passione, ma invece si domi, frenata dal giogo e dalle
briglie della ragione.
CAPITOLO XXII
98.Ora i movimenti sono di due tipi: cio dei pensieri, e dell'appetito; altri sono quelli dei pensieri, altri
quelli dell'appetito: non sono gi mescolati, ma separati e diversi. L'ufficio dei pensieri cercare il vero, e
quasi tritarlo; l'appetito dall'altra parte respinge e decide di operare qualche cosa. Pertanto nella loro
propria natura i pensieri devono infondere la tranquillit, laddove l'appetito detrae il moto dell'operare.
Bisogna dunque che noi in questo modo stiamo disposti che non cada nell'animo vostro pensiero alcuno se
non di cose buone. E che l'appetito ubbidisca alla ragione e che la frizione di qualche cosa non escluda la
ragione, ma la ragione stessa esamini diligentemente quello che conviene all'onest.
99. E perch noi abbiamo detto che vogliamo conservare il decoro, bisogna che noi sappiamo in quale
modo dobbiamo agire sia nei fatti sia delle parole: l'ordine delle parole viene prima, di quello dell'operare:
il parlare si divide in due parti; nel ragionamento familiare, e nel trattato, e nella disputa azione della fede
e della giustizia. Bisogna osservare e dell'uno, e nell'altro, che non sia perturbato niente. Ma sia mansueto,
piacevole, pieno di grazia e benevolenza, ma si parli finalmente senza ingiuriare alcuno. Sia discosta nel
parlare familiare la pertinace contenzione; perch ella suole pi presto destare vane questioni, piuttosto
che arrecare utilit alcuna. La disputa azione sia senza ira, la sua vita priva di ogni amarezza,
l'ammonizione senza asprezza, il conforto senza offesa. E siccome in qualunque operazione della nostra
vita dobbiamo guardare che il movimento dell'animo troppo gagliardo non escluda la ragione, conviene
che teniamo conto del consiglio; cos anche nel parlare bisogna che manteniamo una certa forma affinch
non si desti o ira o odio o che non si scoprono in noi segni veri di ingordigia o di pigrizia.
100. Questo primo modo dunque di parlare perlopi riguardo le scritture divine. Perch di quale cosa
dovere che noi ne parliamo pi che dell'ottima conversazione, dei conforti ad osservare, e custodire
disciplina? Il suo principio sia con ragione e il suo fine con misura; perch colui che pigro nel parlare
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accende ire.
101. Il trattare ancora della dottrina della fede, del magistero della continenza, del disputare della
giustizia, del comportare alla diligenza, non sia sempre una medesima cosa; ma l'abbiamo a cominciare, e
a finire e definire nel modo che noi possiamo, fino a che ci si offrir la lezione (che si far intendere nella
danza della Chiesa) ne sia troppo lungo, n troppo breve, o non lasci fastidio, o non dimostri alcuna
trascuratezza. Il parlare sia puro, chiaro, semplice, ed aperto, pieno di carit e di peso, non affrettato di
eleganze, ma tale che non sia privo di grazia.
CAPITOLO XXIII
102. Gli uomini secolari oltre a questo danno molti precetti circa il modo di parlare, i motti e le facezie, le
quali giudico introdotto da lui doversi tralasciare. Perch sebbene talvolta i motti sono onesti, e soavi,
niente di meno la regola ecclesiastica li aborrisce. Perch in qualche modo possiamo noi usurpare quelle
cose, le quali non abbiamo trovate nelle sante scritture?
103. Bisogna ancora guardarsi nelle recare novelle, che elle non cambino la gravit dei pi severi
proponimenti. Male per voi che ora ridete, dice il Signore, perch piangerete (Lc 6.21): e noi cerchiamo
materia da ridere,sapendo che qui rideremo ma nell'aldil piangeremo? Gi dicono ancora che noi non
solamente dobbiamo schifare quelle risate troppo dissolute; ma ancora tutte le parole. Ho gi detto che il
parlare sia pieno di sua vita e di grazia.
104. Ma che cosa dir io della voce, la quale giudico che basti, che sia semplice. Perch avere la voce
sonora e dono della natura, non viene dall'ingegno: sia pure nel pronunziare distinta, e piena di spirito
virile, talch ella fa Luca un certo suono rozzo e villano; non sia gi artificiosamente affrettata a guisa di
quelli che parlano in scena. Ma sia adatta alla santit dei misteri.
CAPITOLO XXIV
105. Penso di aver detto abbastanza circa il modo di parlare, ora considereremo quello che sia
convenevole comperare circa le azioni della vita. Attorno a questo dobbiamo vedere tre cose la prima, che
l'appetito non sia ripugnante alla ragione. Per questo modo solamente possono, tra gli uffici nostri,
convenire con quel decoro. Perch se l'appetito ubbidir alla ragione, si potr in tutti gli uffici facilmente
conservare quello che sia conveniente. Poi, che noi non iniziamo a fare una cosa con maggior diligenza, o
con minore di quella che ella ricerca, o che noi non iniziamo a farne una piccola con grande apparato, ma
una grande con apparato piccolo. La terza circa il moderare i nostri studi, e le operazioni. Non penso
ancora che si debba lasciare indietro l'ordine delle cose, e l'opportunit dei tempi.
106. Ma quella prima e quasi il fondamento di tutte le altre, che l'appetito ubbidisca alla ragione. La
seconda, e la terza riguardano la stessa cosa; cio luna, e l'altra Il moderare. Per questo attorno a noi non
si tiene conto della trinit, e della forma liberale, che tenuta come bellezza, seguita dall'ordine delle
cose, e dell'opportunit dei tempi. E per questo tre sono quelle cose, che dobbiamo vedere, se possiamo
insegnare che esse siano le impronte in qualche santo.
107. Primariamente dunque il padre Abramo, che fu informato, e istruito nell'insegnare alla futura
successione, gli fu ordinato di uscire dalla sua terra e dal suo parentado, e dalla casa di suo padre, bench
legata da molta flessione di parentele non fece in modo che l'appetito ubbidisse alla ragione? Perch chi
non si diletterebbe di stare nella sua terra, nel suo parentado, e infine nella sua propria casa? Ed egli
dunque ancora, come gli altri si trovava dolcemente felice tra i suoi, ma era mosso dal comando celeste, e
dall'eterna remunerazione. Non considerava forse, che senza un grande pericolo non si poteva condurre la
moglie, debole alle fatiche, tenera alle ingiurie, bella, tanto da accendere gli insolenti? E nientedimeno
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giudic essere molto meglio sottentrare a tutte quelle cose, che scusarsi. Di poi andando in Egitto,
l'avvert che dicesse di essere sua sorella, non sua moglie.
108. Bisogna notare da quanti appetiti egli era combattuto. Temeva riguardo l'onore della moglie, temeva
riguardo la salute, aveva sospetto le libidini degli egizi; e niente di meno in lui la ragione pot fare altro
che eseguire la devozione; perch considero, che col favore di Dio poteva star sicuro per tutto; ma offeso
ch'egli avesse il Signore, non avrebbe potuto star sicuro neppure in casa sua. La ragione dunque vinse
l'appetito e lo rese ubbidiente.
109. Preso il nipote, non spaventato, n sbigottito dai popoli di tanti re mosse guerra, e vittorioso rifiut
una parte della preda, che per opera sua si era guadagnata. Oltre a questo, quando gli fu promesso un
figlio; bench egli considerasse le forze estenuate del suo corpo, come morto, e la sterilit della donna, e
l'ultima vecchiezza, contro ancora l'uso della natura, credette a Dio.
110. Notiamo come tutte le cose e lui convennero. L'appetito non manc, ma fu represso; l'animo
parimenti delle sue operazioni si govern, che non intim le cose grandi per i vili, n le piccole per i
grandi. Osserv moderazione delle faccende, l'ordine delle cose, l'opportunit dei tempi, e la misura nelle
parole. Nella fede non fu secondo a nessuno, nella giustizia fu eccellentissimo, prode nella guerra, nella
vittoria liberale, e accertatore in casa sua dei forestieri, verso la moglie ufficioso.
111. Mentre il suo nipote Giacobbe si dilettava di stare in casa sua sicuro, sua madre volle che egli si
allontanasse e desse luogo all'ira del fratello. Questo salutevole consiglio vinse l'appetito. Fuori di casa
lontano dei parenti, per tutto nientedimeno tenne convenevole misura alle faccende, e conserv i tempi e
le occasioni. Grato in casa ai parenti, tanto che il padre provocato dalla premura del servizio gli diede la
benedizione, la madre con pietoso amore vi prese parte. Posto avanti ancora al giudizio del fratello,
quando egli pens di concedere il cibo, si dilettava certo di un nutrimento che fosse secondo natura, e
secondo la qualit cedette alla richiesta. Fu fedele pastore del gregge del Signore, al suocero fu ufficioso
genero; sollecito nelle faccende, moderato nel mangiare, preveniva nel soddisfare, e largamente
remunerava. Infine mitig in questa maniera l'ira del fratello, che egli si acquist la grazia sua, laddove
egli temeva la sua inimicizia.
112. Che cosa dir ora video di Giuseppe, il quale grandemente desiderava la libert, e prese la necessit
della servit? Quanto era egli subito nella servit, quanto nella virt era costante, quanto era benigno nel
carcere, saggio nell'interpretare, moderato nella potenza, provvido nell'abbondanza, giusto nella carestia,
aggiungendo ordine lodevole alle cose, e l'opportunit ai tempi, dispensando ugualmente ai popoli con la
moderazione del suo ufficio?
113. Giobbe ugualmente irreprensibile nelle prosperit, e nelle avversit paziente, grato ed accetto a Dio,
era continuamente tormentato dai dolori, ma consolava se stesso.
114. David ancora forte della guerra, paziente nelle avversit, in Gerusalemme Pacifico, mansueto nella
vittoria, doloroso nei peccati, il provvido nella vecchiezza, fervente per tutte le et tanto nei modi delle
cose, e negli ordini dei tempi, che mi pare che egli componesse un immortale cantico al Signore Dio del
suo merito, non punto minore nel modo del vivere, che con la soavit per cantare.
115. In quale parte delle principali virt manc egli a questi uomini? Nel primo luogo delle quali
costituirono la potenza, la quale si occupa nel cercare la verit, e infonde desiderio di maggiore scienza.
Nel secondo la giustizia, la quale distribuisce a ciascuno il suo non soltanto quello degli altri: dispregiare
utilit propria per mantenere la comune equit. In terzo luogo la fortezza, la quale consiste nell'avere
animo grande e invincibile, non solamente fuori nel mestiere della guerra, ma ancora dentro in casa, e
nelle forze del corpo. Nel quarto ed ultimo luogo posero la temperanza, la quale conserva la misura e
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l'ordine di tutte quante le cose, che noi giudichiamo di dover fare o di dire.
CAPITOLO XXV
116. Forse qualcuno dir che bisognava porre queste cose all'inizio; perch da queste quattro virt
derivano tutte le sorte degli uffici. Ma questa una cosa che appartiene all'arte, di definire prima che cosa
sia ufficio, e poi dividerlo in pi parti. E noi fuggiamo l'arte, proponiamo gli esempi dei maggiori, che non
ci sono difficili da capire, n ci portano in difficili problemi. Serva dunque la vita dei maggiori per
specchio di ammaestramenti, non gi per sorgente di inganni.: Ci sia cagione di irriverente imitazione, e
non gi di fraudolenta disputazione.
117. Fu dunque nel santo Abramo primariamente la prudenza, del quale dice la scrittura (Gen 15.6.):
credette Abramo a Dio, e fu reputato a giustizia: per questo non si pu chiamare prudente chi non consola
Dio. Finalmente fu lo stolto quello che disse (Psal. 13.1): Dio non ; perch un saggio non lo direbbe. E in
che modo chiameremo noi saggio quello che non ricerca il suo creatore, che dice ad una pietra: tu sei
mio padre ; che dice al diavolo, come Manicheo: tu sei il mio creatore? Come chiameremo noi saggio
colui che vuole presto, come Ario, avere un creatore imperfetto e erroneo, che vero e perfetto? Come
saranno nominati saggi quelli che reputano che ci sia un Dio ribaldo piuttosto che buono? Come si dir
che sia saggio colui, che non teme il suo Dio? Con questo si d che (Psal 110.9.) il principio della
sapienza temere il Signore. E altrove si legge (Prov. 24.7.) : che i saggi non si partono dalla bocca del
Signore, ma ne estrapolano le loro confessioni e leggendo la scrittura ancora: egli fu reputato a giustizia;
manifest che l'altra virt era anche in lui.
118. Primariamente dunque i nostri definirono che la prudenza consisteva nel conoscere il vero. E chi di
loro scrisse innanzi ad Abramo, a Davide, a Salomone? Di poi dissero che la giustizia era necessaria per la
societ della generazione umana. Finalmente disse Davide (Psal. 111.9.): egli ha distribuito e dato ai
poveri; la sua giustizia dura in eterno. Il giusto ha misericordia, il giusto dona. Per il giusto e il saggio
tutto il mondo pieno di ricchezze. Il giusto reputa le cose comuni sue proprie, e le sue comuni. Il giusto
accusa prima se stesso che gli altri; perch veramente giusto colui che non risparmia se medesimo e non
sopporta che i suoi fatti stiano nascosti. Vedete quanto fu giusto Abramo. Aveva ricevuto secondo la
promessa divina un figlio nella sua vecchiezza; e bench fosse unico, quando il Signore Dio lo richiese
perch lo sacrificasse, non pens di negarglielo (Gen. 22.3.).
Vedete che in questo solo atto concorsero tutte quattro le virt. La sapienza fu non credere a Dio e non
riporre l'amore del figlio al di sopra del comandamento del creatore. Fu la giustizia a renderlo poi giusto
dopo che lo ebbe ricevuto. Fu la fortezza a frenare l'appetito con la ragione. Il padre lo conduceva per
sacrificarlo; il figlio domandava, l'affezione paterna era tentata, ma non vinta; pi e pi volte ripeteva il
figliolo questo nome: padre. E questo lo rattristava, ma non li diminuiva la devozione. Si aggiunge la
quarta virt, cio la temperanza. Manteneva con giustizia la misura della piet, e l'ordine dell'esecuzione.
Infine mentre portava le cose necessarie al sacrificio, mentre egli accendeva il fuoco, legava il figliolo,
alzava il coltello, merito con l'ordinare in tal modo il sacrificio di salvare il figliolo.
120. Che cosa si pu immaginare pi saggio di Giacobbe, che vide Dio faccia a faccia e merit di essere
da lui benedetto? Che cosa di pi giusto, che divise col fratello, e gli don quelle cose che egli stesso
aveva acquistate? Che pi forte di lui, che fece la lotta con Dio? Chi pi modesto, che conservava tanto la
modestia ai luoghi e ai tempi, che volle piuttosto coprire con le nozze l'ingiuria, che gli fu fatta nella
figliola, che vendicarsi, giudicando per essere in forestieri paesi, che fosse meglio farsi ben volere, che il
tirarsi l'odio addosso?
121. Quanto pi saggio No che fabbric una grande arca? Quanto a quelli giusto, che riservato per la
conservazione universale, solo fra tutti divenne l'avanzo della passata generazione, ed autore della futura;
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nato veramente per il mondo tutto che per se stesso. Quanto forte, che vinse il diluvio? Quanto egli fu
ancora temperato, che lo toller? Che conobbe quando egli aveva ad entrare nell'arca, ed in che modo egli
l dentro governava: e quando egli aveva a mandar fuori il corvo che quando la colomba e quando
tornando essi li doveva ricevere, e che sette ancora benissimo, quando doveva prendere l'occasione di
uscire.
CAPITOLO XXVI
122. Pertanto dicono che nel cercare la verit si deve conservare quel decoro che faccia in modo che con
ogni diligenza si ricerchi quello che sia il vero: non prendere cose false per vere, non inviluppare ancora le
cose scure con le vere, non occupare infine l'animo in cose superflue, implicate, e dubbiose. Che cosa si
pu immaginare pi convenevole che lavorare le statue, che essi medesimi fanno? Che cosa pi oscuro,
che voler trattare dell'astrologia e della geometria: che egli lodano assai; e misurare gli spazi del profondo
e la larghezza delle aree e rinchiudere in numeri il cielo, e il mare; lasciare a parte le cagioni della salute, e
cercare quelle degli errori?
123. O non seppe queste cose quel Mos erudito in qualunque scienza degli egizi? Ma egli giudic tal
sapienza non essere altro che danno e pazzia, e levatosi da quelle cerco Dio con tutto l'intrinseco del suo
cuore: tanto che egli lo vide, gli domand, e lo ud parlare. Chi fu pi saggio di lui, il quale ha
ammaestrato da Dio, con la virt della sua opera fece divenire vana tutta la sapienza degli egizi, e le
potenze di tutte le arti? Questi non teneva le cose incognite per notte, n a quelle a caso aderiva. Le quali
due cose primariamente dicono di schivare in questo naturale e codesto luogo coloro che non giudicano
essere cosa contro natura, n brutta, adorare i sassi e domandare aiuto alle statue, che non hanno
sentimento alcuno.
124. Quanto dunque la sapienza pi eccelsa virt, tanto non giudico che noi ci dobbiamo sforzare di
ottenerla. Pertanto per non aver a fare cosa alcuna che sia contro natura, o brutta, o senza decoro, bisogna
che consideriamo queste due cose; cio il tempo, e la diligenza per poter considerare ed esaminare le cose.
Per questo non c' nessuna cosa che faccia l'uomo pi eccellente degli altri animali se non l'essere capace
anche di ragione: egli ricerca le cagioni delle cose, pensa che sia da investigare il creatore della sua
generazione, che regge e governa il mondo con un solo cenno, al quale noi sappiamo di avere a rendere
ragione di tutte quante le nostre operazioni. Perch nessuna cosa ci aiuta tanto a vivere onestamente,
quanto il credere di dover avere un giudice, al quale nessuna cosa si occulta: le cose di sconvenienti
rechino ingiuria, e le oneste di letto e compiacimento.
125. Tutti gli uomini dunque naturalmente hanno questo desiderio di cercare la verit, la quale tira allo
studio del riconoscimento e della scienza, e ne diffonde il desiderio di cercare. E l'essere eccellente pare
ad ognuno una cosa bella, ma pochi data di ottenerla, che compiono una gran fatica immaginar pensieri
per la fantasia, in esaminare opinioni per poter prevenire a quel vivere beatamente ed onestamente, ed
appellarsi all'operare. Per questo non chi mi dir signore Signore entrer nel regno dei cieli, ma chi far
quelle cose che io dico; perch gli studi delle scienze, senza operare non so se ancora portino sviluppo.
CAPITOLO XXVII
126. La prima fonte dell'ufficio e la prudenza, e meritatamente; perch quale cosa pi ufficiosa, che il
rendere a chi ne l'autore la debita affezione e riverenza? Da quale fonte pure si sparge e si estende nelle
altre virt: perch non pu stare la giustizia senza la prudenza, e con ci compito della prudenza
esaminare quale cosa sia giusta e quale ingiusta. In queste due cose si compie un grande errore; perch
sar odioso presso Dio chi confonder una cosa giusta per ingiusta; e anche chi replicher giuste e
ragionevoli quelle inique e ingiuste, (Prov. 17.15-16) dice Salomone: Come pu nell'imprudente abitare la
giustizia? N dall'altra parte la prudenza senza la giustizia. Perch la piet che sia verso Dio e principio
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dell'intelletto: per questo abbiamo considerato questa cosa esser pi presto stata trasferita, che trovata dai
saggi di questo secolo, perch la vita il fondamento di tutte le virt.
127. E la piet della giustizia si deve prima Dio, secondariamente alla patria, nel terzo luogo a quelli che
siano generati, ultimamente a tutti: la quale stessa un ammaestramento secondo natura: e con questo
vediamo che dall'infanzia subito abbiamo un punto di sentimento, amiamo la vita come dono di Dio, e la
patria, e i genitori: poi i nostri pari, la compagnia dei quali noi desideriamo. Di qui nasce la carit, la quale
antepone gli altri a se medesima, non cerca le cose che sono sue, nelle quali consiste il principato della
giustizia.
128. A tutti gli animali ancora dato dalla natura il difendere primariamente la propria salute, il guardarsi
dalle cose, che possono loro nuocere: il cercare quelle che giovino, come il vitto, i nascondigli in cui si
possono difendere dai pericoli e dalle piogge, e dal sole: e questo appartiene alla prudenza. Si aggiunge
questo che tutte le specie degli animali siano per natura collegabili insieme, e primariamente con quelli
della stessa specie, poi con tutti gli altri siccome noi vediamo i puoi accompagnarsi con gli armamenti, i
cavalli con i greggi, e dilettarsi soprattutto i pari con i pari . Vediamo ancora i cervi accompagnarsi con i
cervi, e molte volte ancora con gli uomini. Ma che cosa dir io dell'ingegno che essi usano per
moltiplicarsi e verso la propria prole o dell'amore dei generanti: nella qualcosa consiste la principale
forma della giustizia?
129. dunque gi chiaro che queste, e le altre virt sono insieme tra di loro congiunte. Questo sottolinea
che anche la fortezza, che difende nelle guerre la patria dai barbari o che difende in casa i deboli o i
compagni dagli assassinii, sia piena di giustizia: e alla prudenza, e alla modestia appartiene il sapere in
che modo si debba difendere ed aiutare e prendere oltre a questo l'opportunit dei tempi, e dei luoghi: e la
temperanza non si sappia in modo alcuno governare senza la prudenza: e l'ufficio della giustizia sia
conoscere le occasioni, e ordinatamente distribuire: in tutte queste cose sia necessaria la magnanimit, e
una certa fortezza di mente, e molte volte ancora del corpo, per cui possiamo adempiere quello che esso
vuole.
CAPITOLO XXVIII
130. La giustizia dunque si riferisce alla societ del genere umano, e alla comunit, perch il modo della
societ si divide in due parti: in giustizia e in beneficenza, la quale si chiama anche liberalit, e benignit.
La giustizia mi pare pi eccelsa ed eminente, e la benignit pi graziosa. L'una contiene in s severit e
l'altra la bont.
131. Ma presso di noi si esclude dalla giustizia quello che i filosofi giudicarono che fosse il suo primo
ufficio. Per questo e gli dicono che la prima forma della giustizia non nuocere a nessuno, se non si fosse
prima ingiuriarti. La qual cosa si leva con l'autorit del Vangelo, perch la scrittura vuole che in noi ci sia
lo spirito del figlio dell'uomo, il quale venne a conferire la grazia, non ad ingiuriare.
132. Poi pensarono che la forma della giustizia fosse che le cose comuni e pubbliche si tenessero tali
mentre quelle particolari e private si tenessero proprie. E questo non ancora secondo la natura, perch la
natura produce tutte quante le cose in comune per tutti. E per questo il Signore Dio aveva ordinato che
cos si generassero tutte le cose, che il vitto fosse comune a tutti, e la terra fosse come una certa comune
possessione di tutti. La natura dunque gener la ragione comune, e l'usurpare ha fatto la ragione privata.
Nel qual luogo dicono che l'opinione degli storici fu che tutte le cose, che produce la terra siano fatte per
il servizio degli uomini e che gli uomini siano generati per le comodit degli altri uomini, affinch si
possano tra loro l'un l'altro giovare.
133. E da dove hanno preso queste cose, se non dalle nostre scritture? Perch Mos scrisse (Gen. 1.23)
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che Dio aveva detto: facciamo l'uomo ad immagine e somiglianza nostra, ed abbia potere sopra i pesci del
mare e gli uccelli del cielo, e signoreggi a tutti quanti gli animali che sono sopra la terra; e Davide disse
(Psal. 8.8/9): tu gli hai sottoposto tutte le cose: le pecore, i tuoi e tutte le altre bestie della terra: gli uccelli
del cielo e i pesci del mare. Hanno dunque preso dai nostri che tutte le cose sono sottoposte all'uomo; e
per giudicavano che esse fossero fatte dall'uomo.
134. Abbiamo ancora trovato nei libri di Mos che gli uomini sono fatti per gli altri uomini, e ha detto il
Signore (Gen. 2.18): non bene che l'uomo sia solo, facciamogli un aiuto a lui somigliante. Per aiuto
dunque dell'uomo gli fu data la donna, affinch degenerasse; e affinch aiutasse l'uomo e gli altri uomini.
Finalmente fu detto (Ibid. 20.) che da Adamo la donna stata generata (Ibid. 20.): Non si trovato un
simile a lui, che l'aiuti; perch l'uomo non poteva avere aiuto se non da altri uomini. Tra tutti gli animali
pertanto nessuno fu simile all'uomo; e persino nessun animale trovo aiuto dall'uomo: si aspettava dunque
per aiuto suo il suo stesso femminile.
135. Dunque secondo la volont di Dio e secondo la convenienza naturale, ci dobbiamo aiutare l'un l'altro;
fare a gara con le operazioni l'un l'altro, come dire, mettere in comune tutte le utilit e per servirsi delle
parole della scrittura, aiutare l'un l'altro o con la diligenza o con gli uffici o col denaro o con le operazioni
o in qualche altro modo affinch in noi accresca la grazia della societ. Perch nessuno per spavento si
ritragga dall'ufficio, ma ciascuno giudichi che tutte le cose o prospere, o contrarie esse siano,
appartengono a lui. Infatti il santo Mos non ebbe paura di intraprendere tante grandi guerre per il popolo
dei suoi padri, n temette delle armi del potentissimo re, n ancora manc di coraggio di fronte alla
ferocit e alla Barbara crudelt ma mise da parte la sua propria salute per rimettere il suo popolo in libert.
136. Pertanto grande lo splendore della giustizia, la quale nata per altri pi che per se stessa, aiuta la
nostra comunit e la nostra compagnia; tanto imminente che essa tiene tutte quante le cose sottoposte al
suo giudizio; d aiuto agli altri, somministra danari, non nega il suo aiuto, prende sopra di s gli altrui
pericoli.
137. Chi non desidererebbe possedere la rocca di questa virt, se l'avarizia primariamente non indebolisse,
e piegasse il vigore di una tanto grande virt? Per questo mentre noi desideriamo a crescere in ricchezze,
accumulare denari, occupare grandi paesi con le nostre possessioni, e avere pi facolt di qualcun altro, ci
spogliamo della forma della giustizia, e perdiamo la beneficenza comune. Perch in che modo pu essere
giusto chi si sforza e si ingegna nel prendere le cose altrui per s? Il desiderio ancora della potenza rende
effeminata la forma virile della giustizia. E come pu intercedere per altri colui che si sforza di sottoporsi
agli altri, e come pu salvare un debole dalle mani dei potenti chi si ingegna a mettere una grande forza
contro la libert?
CAPITOLO XXIX
138. Si dimostra con gli esempi di Mos e di Eliseo di dover osservare la giustizia nella guerra con gli
stessi nemici: avere gli antichi appreso dagli ebrei il costume di chiamare i nemici con un nome pi dolce
ed umano: finalmente la giustizia come ha il suo fondamento nella fede e come si pratichi nella chiesa.
139. Quante siano le forze della giustizia, si pu vedere da questo che ella non ha eccezione alcuna n di
persone, ne di luoghi, vedi tempi e si deve osservare ancora (Cic. De officiis Lib. I) ai nemici intanto che
contro la giustizia, quando se coordinato con nemico o luogo o tempo da combattere, il prevenire un
luogo o il tempo, perch gli gran differenza se qualcuno vinto in qualche battaglia o grave conflitto o
mediante la divina grazia, o per qualche altro avvenimento. Con ci che stabilito che la pi grande
vendetta si infierisce verso i pi potenti ed infedeli nemici i quali hanno pi offeso. Di questo abbiamo
l'esempio dei madianiti (Num 31.3.) i quali avevano fatto peccare molti tra il popolo dei giudei attraverso
le loro donne; dove li l'ira di Dio si sparse sopra il popolo dei padri. Il perch il vittorioso Mos gli fece
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ammazzare tutti. E Giosu (Giosu 9.20.) non espugn i Gabaoniti che avevano tentato il popolo dei padri
pi con le frodi e gli inganni che con la guerra; ma gli ingiuri assai contro i patti che fece loro. Ed Eliseo
(4Reg 6.14) fece che il re di Israele non ammazzasse quelli della Siria che l'assediavano, condotti che li
ebbe nella citt essendo essi subitamente accecati, n potessero per questo vedere dove essi andassero
dicendo: tu non devi ferirli non avendoli tu presi con le tue armi: d loro il pane e dell'acqua affinche
posssano mangiare e bere, e licenziali affinch tornino dal loro re e mossi dalla cortesia dell'incontro ne
rendano il merito. Infine da quel tempo in poi nessuno di quelli della Siria and ad assassinare in Israele.
140. Se la giustizia dunque pu tanto nella guerra, quanto pi ella deve essere osservata nella pace? E
questa cortesia la us il profeta verso quelli che lo venivano a prendere. E perci noi leggiamo in questo
modo; che il re di Siria, sapendo che Eliseo era quegli che si opponeva a tutti i suoi consigli argomenti,
mand il suo esercito ad assediarlo. Il qual esercito vedendo Giezi, servo del profeta, cominci a dubitare
dei pericoli della salute; al quale disse il profeta: non aver paura, perch noi abbiamo molti pi in
compagnia nostra, di quelli che son con lui: e per le preghiere del profeta furono aperti gli occhi del suo
servo; e Giezi vide pertanto tutto il monte pieno di cavalli e di carri attorno ad Eliseo: signore Dio acceca
tutto l'esercito di Siria. Avendolo ottenuto disse a quelli di Siria: venite con me e vi porter dall'uomo che
voi cercate. E videro quelli che erano venuti per prendere Eliseo, ma non poterono prenderlo. dunque
manifesto che bisogna osservare la fede e la giustizia anche nella guerra, e ce non ci pu essere cosa
buona laddove violata la fede.
141. Infine gli antichi chiamavano ancora gli avversari con un nome dolce, (Cic. Lib. I De off. E. 12 )
come egli non avrebbe chiamato i forestieri. Perch il forestiero anticamente era chiamato oste: la qual
cosa ancora possiamo dire che egli l'abbiano presa dai nostri padri. E perch gli Ebrei chiamavano i loro
nemici Allofili, cio Alienigeni, per parlare latinamente. Leggiamo questo nel primo libro dei Re (Cap.4
v. 1.): ed avvenne in quei giorni, che gli Alienigeni venissero a combattere con Israele.
142. Il fondamento dunque della giustizia la fede ( Cic. Lib. I De off. Cap 7). Perch i cuori dei giusti
meditano la fede; e chi si accusa giusto colloca la giustizia sopra la fede: perch allora si manifesta la sua
giustizia se quel che dice vero. Pertanto dice Dio tramite Isaia: (Isai. 28.18.) ecco io mando la pietra per
fondamento di Sion, cio Cristo a fondamento della Chiesa; perch Cristo il fondamento di tutti: e la
Chiesa una certa forma di giustizia, ragion comune a tutti. Fa orazione in comune, opera in comune, in
comune tentata. Infine chi nega s tutto il giorno, egli giusto, egli degno di Cristo. perci San Paolo (
I Cor. 3.11.) pose Cristo per fondamento, affinch noi ponessimo le opere della giustizia sopra di lui
perch la fede il fondamento. Ma nelle opere consiste, essendo cattive, l'iniquit; essendo buone la
giustizia.
CAPITOLO XXX
143. Ma gi tempo che noi parliamo della beneficienza, la quale ancora si divide in due parti, cio in
benevolenza e liberalit. Da queste due risulta che la benevolenza vuole essere perfetta: perci non basta
solo voler bene ma bisogna anche fare del bene: (Dist. 86 c. Non Fatis ) n basta ancora fare del bene, se
esso non nasce da una buona fonte, cio da buona volont: per lo che Iddio ama il lieto donatore ( Cor.
9.7.). Perch se agisci contro la tua volont, che premio devi avere? La dove l'Apostolo (1 Cor. 9.17.) dice
genealmente: se io so questo volentieri, io sono premiato; se lo so per forza, egli mi commesso
l'amministrar L'evangelo. Nell'Evangelo ancora abbiamo molti ammaestramenti della giusta liberalit.
144. dunque cosa onesta il voler bene e il dispensare con intenzione di giovare e non di nuocere.Perci
se tu pensassi di donare al lussurioso perch potesse spendere nelle cose appartenenti alla lussuria, o ad un
adultero per questioni degli adulteri; questa non beneficenza alcuna, l dove non benevolenza. Questo
nuocere ad altri, non giovare: se tu donassi a chi vuole cospirare contro la patria, o a chi volesse alle tue
spese radunare scellerati per impugnare la chiesa... Questa non lodevole liberalit: se aiutassi chi volesse
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aspramente combattere contro la vedove, o i piccoli, o si ingegnasse con qualche forza su qualche loro
possessione .
145. Non si approda a quella liberalit con prendere ad alcuni, per donare ad altri; cercare ingiustamente
con il pensiero di donare poi giustamente: se gi per avventura tu non rendesti prima i quattro
doppiamente, come quel (Lc. 19,8) Zaccheo, a colui che tu avessi frodato, e cos compensassi i vizi della
paganit con lo studio della fede, o con le opere del credere. Si ricerca dunque che la tua liberalit abbia
questo fondamento.
146. In primo luogo questo si ricerca: che tu conferisca con la fede, n rubi circa quello che tu dai; che tu
non dica di dar di pi, n di meno. Perch a cosa serve il dire? La frode della promessa: in tua podest
dare quel che ti pare. La frode dissolve il fondamento, e rovina l'opera. Ebbe forse Pietro tanto sdegno,
che egli volesse che Anania, o la sua donna (At. 5,3 ss) perissero? Ma non volle che gli altri perissero con
l'esempio loro.
147. Neppure quella liberalit ancora perfetta (Cic. Lib I Offic. C. 13), quando uno si dona pi per
vanagloria, che per misericordia. L'affezione tua pone il nome alla tua opera. Nel modo che ella esce da
te, cos giudicata. Vuoi vedere che giudice costumato hai? Prendi consiglio da te, in quale modo egli
abbia ad accettare la tua opera, e domanda prima alla tua mente. Non sappia, dice, (Mt. 6,3) la tua sinistra
quello che faccia la tua destra. Non parla del corpo; ma che ancora chi con te una cosa sola, che il tuo
fratello, non sappia quello che tu fai; e ci perch mentre tu cerchi qui il premio della buona gloria, non
perda nello stesso tempo il frutto della remunerazione. Ma la perfetta liberalit l dove qualcuno con
silenzio copre l'opera sua, e occultamente sovviene alle necessit di tutti: questi lodato dalla bocca del
povero, e non dalle sue stesse labbra.
148. Inoltre (Dift. 86. C. Non satis perfecta liberalitas) La perfetta liberalit e commentata dalla fede, dalla
ragione, dal luogo, e dal tempo: che per prima cosa tu operi verso gli intrinseci motivi della fede. Grande
colpa se, essendone tu consapevole, un fedele patisce, se tu sai quello che a lui manca, e muoia di fame,
o sia oltraggiato, se ancor di pi egli si vergogna di andare accattando: se egli incorrer o in prigionia dei
suoi, o nelle calunnie, e tu non lo aiuti: se il giusto soffre in carcere o in pena, o in altro modo, per debito,
soffre, afflitto e tormentato: (perch sebbene noi siamo tenuti ad usare misericordia verso tutti; non di
meno molto pi verso i giusti) se al tempo delle sue afflizioni non ottiene niente da te; se nel tempo del
pericolo in cui egli in pericolo di morte, hanno pi potere su di te pi i tuoi danari, che la vita di un
uomo, che sta per morire. Di ci diceva bene Giobbe: (Gb. 19,15) su me venivano le benedizioni di quello
che periva.
149. Certamente Dio non un accettatore di persone, perch egli fa tutte le cose; e noi siamo tenuti ad
usare misericordia verso tutti. Ma perch molti la cercano con inganni, e fingono di avere grande
necessit;si deve usare pi largamente la misericordia l dove pi manifesta la ragione, dove si conosce
la persona, dove il tempo stringe: perci Dio non avaro, che ricerchi molto. veramente beato chi lascia
ogni cosa, e lo segue. Ma ancora beato colui che fa di cuore quello che egli pu. Infine (Lc. 21,3) i due
quattrini della vedova furono anteposti ai grandi doni dei ricchi, perch ella don tutto quello che poteva,
mentre quelli diedero solo una minima parte delle tante ricchezze che possedevano. L'affezione dunque
quella che fa l'offerta ricca, oppure povera, e pone il pregio alle cose. Infatti Dio non vuole (Dift. 86. C.
Deus non vult) che le ricchezze si scialacquino insieme; ma che elle si spendino per Dio: se gi altri non
fecero come Eliseo, che (3 Re 19,21) ammazz i suoi buoi, e diede il cibo ai poveri con quello che aveva,
per non avere pi alcuna pena familiare, ma lasciate tutte le sue facolt potesse darsi alla disciplina
profetica.
150. ancora da approvare (Dift c .86. Est probanda) quella liberalit, che se tu vedi qualcuno dei tuoi
avere bisogno, gli vai incontro. Perch meglio che tu vai incontro ai tuoi, i quali si vergognano di
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chiedere soldi ad altri, o domandare ad altri aiuto per le loro necessit; non per che vogliano per questo
arricchirsi con quello che tu potresti dare ai poveri. Perci qui ha a prevalere la ragione, e non la
gratitudine. Perch anche tu non ti sei consacrato al Signore per fare ricchi i tuoi, ma per acquistarti la vita
eterna mediante il frutto delle buone opere, e redimere i tuoi peccati con il prezzo della misericordia. Essi
pensano di chiedere poco, cercano il tuo premio, si sforzano di toglierti il frutto della tua vita, e
pretendono di operare con equit. E uno ti riprende, che tu non lo hai fatto ricco, che ti vuole defraudare
del prezzo della vita eterna.
151. Abbiamo messo davanti il consiglio, cerchiamo ora l'autorit. In primo luogo dunque nessuno si deve
vergognare, se da ricco diventa povero, per dare ai poveri: perci Cristo essendo ricco, si fece povero, per
potere arricchire tutti con la sua povert. Ci diede la regola che noi dobbiamo seguire, perci sappiamo di
giovarci molto nell'avere diminuito il patrimonio per diminuire la fame dei poveri, e dare sollievo ai
bisognosi. In un luogo dice l'apostolo (2 Cor. 8,10): io vi consiglio in questo, perch questo vi utile, che
voi imitiate Ges Cristo. Il consiglio si d ai buoni, ed il correggere frena quelli che sbagliano. Infine a
quelli che sono quasi buoni dice (ibidem) che dall'anno passato in qua avete cominciato non solamente a
fare, ma anche a volere. Ai perfetti appartiene l'una e l'altra parte di questo, e non una sola. Pertanto
insegna, che la liberalit non perfetta senza la benevolenza, n la benevolenza senza la liberalit.
Laddove esorta alla perfezione, dice: (ibidem 11) ma ora procedete con l'operazione, cos che siccome
l'animo del ben volere si trova pronto in voi; cos anche sia disponibile ad eseguire quel tanto che voi
potete. Perch se la volont pronta, accetta secondo quello che ella ha, non secondo quello che ella non
ha. Non voglio gi che il vostro donare sia ragione altrui di vivere dolcemente, e voi ne abbiate a partire;
ma voglio per un certo pareggiamento che le vostre ricchezze in questo tempo suppliscano alla loro
povert, e l'abbondare di loro vi faccia scemare le facolt, perci siate pari come scritto: a quelli che
raccolsero molto, non avanz, e a quelli che raccolsero poco, non manc.
152. Abbiamo veduto quale compresa la benevolenza, e la liberalit, e il modo, e il frutto, e le persone:
per soprattutto il modo, perch egli dava consiglio agli imperfetti. Perci non patiscono angosce se non
gli imperfetti. Ma se qualcuno costituito nel sacerdozio, o in un altro ministero, per non gravare sulla
Chiesa, non distribuisse tutto quello che egli ha, ma operasse con onest quanto basta al suo ufficio, costui
non mi pare imperfetto. E penso che egli abbia detto qui angosce, non di animo, ma di cose.
153. Riguardo poi alle persone, penso che egli abbia detto che le vostre ricchezze suppliscono alla loro
povert, e l'abbondare di loro sia ragione del diminuire il vostro, cio che egli sia l'abbondanza delle
buone opere del popolo (che sia intesa) a sollevare la loro povert con il nutrirli; e la loro abbondanza
spirituale aiuti nel popolo la povert del merito spirituale, e gli conferisca la grazia.
154. Laddove egli pose un ottimo esempio: a coloro che raccolsero poco, non manc; ed a quelli che
raccolsero molto, non ne avanz. Conforta bene questo esempio tutti gli uomini impegnati nell'ufficio
della misericordia: cos che quelli che posseggono molto oro, non ne abbondano; perch tutto quello che
si trova in questo mondo niente: ed a quelli che ne posseggono poco, non manca; perch niente quello
che essi perdono. una cosa senza perdita quella che tutta perdita.
155. Si pu ancora intendere cos, ebbene: quelli che hanno molto sebbene non donano non avanza loro;
perch qualora essi non acquistino, sempre manca loro, perch desiderano di pi: mentre a quelli che
hanno poco non manca, perch poca cosa quella che chiede un povero. Similmente dunque quel
povero che conferisce le cose spirituali per quelle temporali, bench egli ha molta grazia, non abbonda,
perci la grazia non aggrava, ma alleggerisce l'anima.
156. Si pu ancora intendere in questo modo: uomo tu non abbondi. Perch quanto quello che tu hai
ricevuto bench ti sembra molto? Giovanni che fu il maggiore uomo che nacque da una donna (Lc. 7,28)
era inferiore a quello che il pi piccolo nel regno dei cieli.
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157. Si pu ancora intendere cos: la grazia di Dio non abbonda in modo corporale, perch spirituale.
Per ci che pu comprendere la grandezza, la larghezza di quella pur non vedendola? Se la fede fosse
grande quanto un granello di senape, pu spostare i monti, e a te non dato pi che un granello di senape.
Se tu abbondi nella grazia bisogna avvertire che la tua mente non cominci ad innalzarsi per tale dono,
perch molti sono quelli che pi gravemente sono caduti dalla altezza del loro cuore, che se essi non
avessero avuto come punto di Grazia Dio. E a chi ne ha poco, non ne manca; perch ella non una cosa
corporea che si pu dividere; e quello che pare poco a chi lo ha, molto a chi non manca alcuna cosa.
158. da considerare (Dift. c. 86. Consideranda) ancora nel donare: le et e la debolezza, molte volte
ancora la vergogna che manifesta l'essere nato nobile; cos tu doni pi ai vecchi che con la fatica non si
possono pi guadagnare il vitto: similmente la malattia del corpo, e questa ancora si deve pi prontamente
aiutare. Inoltre se qualcuno dalla ricchezza cadesse in povert, e ancor pi se questo non gli avvenisse per
una sua mancanza, ma perch avesse perduto quello che egli aveva, oppure per essergli stato rubato, o
confiscato, o per calunnia.
159. Ma forse dirai: un cieco siede in un luogo, si passa via, e non riceve cosa alcuna, mentre un giovane
gagliardo molte volte riceve. vero, perch egli chiede con molta importunit. Non ragione di ci la
elezione, ma il tedio. Perci il Signore dice nel Vangelo (Lc. 11,8) a proposito di quello che aveva gi
chiuso la sua porta, che se qualcuno bussa troppo, questo si alza e gli dona il necessario per la sua
impotunit.
CAPITOLO XXXI
160. convenevole cosa, ancora, nel donare, guardare chi ti ha fatto qualche beneficio o dono, se egli poi
cadesse nella necessit. Perch quale cosa pi contro all'ufficio, del rendere quello che tu hai ricevuto?
Neppure giudico che si deve rendere di pari misura; ma di molto maggiore, e pesare l'utilit del beneficio
che tu gli sopravvenga tanto quanto basta a togliergli la sua calamit. Perci il non essere di gran lunga
superiore nel rendere piuttosto che nel conferire i benefici, un volere essere del tutto inferiore; perch
chi dona prima, superiore di tempo, e precedente per umanit.
161. Perch dobbiamo in questo imitare la natura della terra, la quale solita prendere la semente ricevuta
con numero molto maggiore, che ella non aveva ricevuto. E per scritto per te (Pro. 24, 30 e 31) L'uomo
sciocco come l'agricoltura, e lo uomo senza sentimento simile ad una vigna: se tu la abbandonerai si
desoler. Il saggio dunque ancora come l'agricoltura che restituisce i ricevuti semi con misura maggiore,
come se gli fossero stati dati ad usura. La terra dunque ora produce i frutti spontaneamente, o spande
indietro e rende fuori le cose piantate con un numero maggiore. Dell'una cosa, e dell'altra sei debitore per
un certo uso ereditario della madre terra, per non essere lasciato come un campo non fecondo. Ma, posto
pure che qualcuno si possa scusare di non aver dato spontaneamente, come si potr egli mai scusare di
non aver venduto indietro? Il non dare lecito appena a pochi, ma il non rendere a nessuno.
162. Perci dice bene Salomone (Pro. 23, 1 e ss.) quando tu siedi a tavola con qualche principe per
mangiare, considera diligentemente le cose, che ti sono poste davanti, e metti la tua mano sapendo che
bisogna preparare tali cose, ma sei tu sei insaziabile, non desiderare le sue vivande; perch queste cose
ottengono una vita falsa. E noi desiderando di imitarlo abbiamo scritta la sua sentenza. bene il fare dei
servigi, ma asprissimo colui che avendone ricevuti non ne rende in uguale misura. La terra ci pone
davanti agli occhi un esempio di umanit: la quale ne produce i frutti che tu non hai piantati; e, quelli che
ella ha ricevuto, li restituisce moltiplicati. Tu non puoi negare i soldi che ti sono stati dati in prestito, e
come ti sar lecito non usare la cortesia verso quelli che la hanno usata con te? Hai nei proverbi (Eccl.
3,34), che l'essere grato con quelli che con te sono stati cortesi, pu molto davanti a Dio; che ancora nel
giorno della rovina trovi grazia, quando i peccati possono preponderare. Ma a quale fine addurr io altri
esempi, promettendo lo stesso Signore nel Vangelo la remunerazione pi grande che i meriti dei santi; e
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ne esorti che noi operiamo bene dicendo: (Lc. 6, 37, 38) perdonate e sar a voi perdonato: date e sar a voi
donato: vi renderanno nel vostro grembo una misura buona, abbondante, e traboccante.
163. Pertanto quel convito di Salomone non di cibi, ma di buone opere. Perch di quale cosa godono pi
gli animi, che delle buone opere? O quale altra cosa pu tanto riempire le menti dei giusti, che l'essere
consapevoli di avere operato bene? Quale cibo pi giocondo che adempiere la volont di Dio? Il quale
cibo solo diceva Cristo di s abbondare, come scritto nel Vangelo (Gv. 4,34) il mio cibo osservare la
volont del Padre mio, che in cielo.
164. Dilettiamoci di questo cibo, del quale dice il profeta (Sal. 36,4) dilettati nel Signore. Di questo cibo
si dilettano quelli che con meraviglioso ingegno hanno compreso le dilettazioni superiori, i quali possono
sapere quale quel mondo ed intelligibile diletto della mente. Cibiamoci dunque di quel pane di sapienza,
e riempiamoci nel verbo di Dio; perch non solamente nel pane la vita dell'uomo fatto ad immagine di
Dio, ma ancora in ogni parola di Dio. Ma circa la bevanda assai esplicitamente dice il santo Giobbe (Gb.
29, 23): come la terra aspetta la pioggia, cos costoro il mio parlare.
CAPITOLO XXXII
165. dunque molto a proposito che ci rinfreschiamo con il parlare delle scritture divine e che le parole di
Dio cadano sopra di noi come rugiada. Quando dunque tu siedi alla mensa di quel principe, non conosci
chi sia questo principe potente; e messo nel paradiso del piacere, e costituito nel convitto della sapienza,
considera le cose che ti sono poste davanti. La sacra scrittura il convitto della sapienza; tanti libri tante
vivande sono. Capisci prima quanto delicati sono le vivande che nei preziosi piatti si contengono, e allora
metti la mano, cosicch tu esegui con le opere quelle cose che tu leggi, o che ricevi dal Signore tuo Dio, e
adoperi con gli uffici la cortesia ricevuta come Pietro e Paolo, i quali con l'evangelizzazione hanno reso
un certo cambiamento al donatore del dono, tanto che ciascuno di loro pu dire (1 Cor. 15,10) per grazia
di Dio sono quello che sono, e la grazia di Dio in me non fu vana: ma io mi sono affaticato pi
abbondantemente che tutti gli altri.
166. Alcuni dunque rendono il frutto del beneficio ricevuto, oro per oro, argento per argento; altri la
fatica: altri, e non so se anche pi abbondantemente, restituiscono solamente la affezione, perch come
deve fare chi non ha il modo?Nel rendere il beneficio opera pi l'animo, che la misura del dono, e vale pi
la benevolenza, che il poter rendere il dono, perch la cortesia si giudica secondo le forze del
rimuneratore. Grande dunque la benevolenza, la quale ancorch ella niente sborsi, da nientemeno pi; e
non avendo alcuna facolt, dona a molti in pi, e questo fa senza una sua perdita, e con il guadagno di
tutti. Per pi perfetta la benevolenza della liberalit. Pi ricca questa di costumi che quella di doni.
Per pi sono quelli che hanno bisogno delle cortesie che quelli che ne abbondano.
167. Ma la benevolenza congiunta alla liberalit, dalla quale viene la liberalit stessa, quando l'utilit del
donare segue l'affezione della larghezza, separata ed appartata, perch dove manca la liberalit, sta la
benevolenza come una madre comune a tutti la quale unisce e congiunge l'amicizia, fedele nei consigli,
allegra nelle prosperit, e nelle avversit triste, tanto che ciascuno si rimette pi nel consiglio di un
benevolo che di un saggio; come Davide, il quale bench fosse pi prudente nientemeno stava ai consigli
(Re 22,44) di Gionata, pi giovane. Togli dal consorzio degli uomini la benevolenza, sar appunto come
se tu levassi il sole dal mondo, perch senza essa non pu stare il commercio degli uomini, come mostrare
la via (Cic. Uff. lib. I. c. 15) ad un viandante, richiamare che sbaglia la strada, alloggiare i forestieri, (non
dunque mediocre virt quella della quale si gloriava Giobbe (Gb. 31, 32) dicendo fuori di casa mia non
stavano i pellegrini; che la mia porta stata aperta a chiunque vi pervenisse: apprestare l'acqua dalla corsia,
accendere il lume con lume. La benevolenza pertanto tra tutte queste cose come una fonte di acqua che
rinfresca gli assetati, come una luce che riluce ancora negli altri, per questo non viene meno a quelli che
hanno acceso con il suo lume il lume degli altri.
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168. Appartiene ancora alla benevolenza quella liberalit che, se tu hai ragione contro un tuo debitore, gli
restituisca stracciando la scritta, senza avere conseguito niente del debito. E che noi dobbiamo fare quello
che dice il santo Giobbe (ibidem 35 ss.) con il suo esempio. Dunque chi ha, non ha carta, e chi non ha,
non libera la scritta obbligatoria a pagare. Perch dunque conservi tu agli eredi avari quella scritta,
ancorch tu non la riscuota, la quale tu non puoi consegnarla loro con lode di benevolenza e senza danno
dei denari?
169. E per discutere pi pienamente la benevolenza in primo luogo uscita dalle persone familiari cio dai
figli, padri e fratelli, venne nei circuiti delle citt per i gradi dei congiungimenti, e uscita dal paradiso
riempie il mondo. Finalmente avendo il Signore Dio posto l'affezione della benevolenza nell'uomo e nella
donna, disse (Gen. 2, 24) saranno due in una medesima carne, e in un medesimo spirito. Laddove Eva si
fid del serpente perch avendo ricevuto la benevolenza non giudicava esservi la malevolenza.
CAPITOLO XXXIII
170. La benevolenza si accresce con la adunata della Chiesa, consorzio della fede, come la compagnia dei
sacrifici, con l'intrinsecit del ricevere la grazia, con la comunione dei misteri: per ancora queste
intrinsecit si attribuiscono e tirano con s la riverenza dei figli, l'autorit e la piet dei padri e
l'amorevolezza dei fratelli. L'intrinsecit dunque della grazia giova molto all'accumulare la benevolenza.
171. (Cic.lib. I c. 16) Aiutano ancora gli studi di simili virt. Con ci la benevolenza fa ancora
somiglianza nei costumi. Infatti Gionata figlio del re sauro (1 Re 19, 2 ss.) imitava la mansuetudine del
santo Davide perch assai lo amava. L dove quel detto: (Sal. 17,26) col Santo sar il santo, non pare da
applicarsi solo alla conversazione, ma ancora alla benevolenza. Perci i figli dei due (Gen. 9,22 ss.)
abitavano insieme e non era tra loro concordia nei costumi. Abitavano ancora in casa del padre (ibidem
25, 27) Esa e Giacobbe: ma era tra loro diverso parere, siccome non c'era benevolenza tra loro tanto che
volesse che l'altro gli passasse davanti, ma piuttosto contesa cos che (ibidem 27,14 ss.) prendesse la
benedizione. Perch essendo il primo di loro aspro e l'altro mansueto, non poteva esserci benevolenza tra i
costumi diversi e gli studi ripugnanti. Si aggiunge che il santo Giacobbe non poteva preferire alla virt un
trascinatore della casa.
172. Nessuna cosa tanto amichevole alla societ quanto la giustizia e l'equit la quale, come pari e
compagno della benevolenza fa che noi amiamo quelli che noi crediamo che ci siano uguali. Ha la
benevolenza ancora in s fortezza, perch procedendo l'amicizia dalla fonte della benevolenza, non dubita
nel sostenere per l'amico pericoli gravi che comportino la vita. E se egli me ne incorre male, sopporto,
dice, (Eccl. 21,31) per lui.
CAPITOLO XXXIV
173. La benevolenza ancora solita trarre di mano il coltello dell'ira. La benevolenza fa che le ferite
dell'amico (Pro. 27,6) siano pi utili che i volontari baci del nemico. La benevolenza fa che (Cic. Lib I c.
16) da pi si faccia un'unica cosa, perch sebbene siano amici, diventano uno dei quali un medesimo
spirito, ed un medesimo parere. Similmente abbiamo considerato che i coinvolgimenti dell'amicizia ci
sono grati, essi hanno punture ma non hanno dolore. Perch non ci sentiamo pungere per gli parlari, che
ne correggono. Ma ci dilettiamo della benevola diligenza.
174. E per concludere a tutti non si devono sempre i medesimi uffici, ne si debbono ancora sempre
preferire le persone, ma il pi delle volte le ragioni e i tempi: alle volte da aiutare piuttosto un vicino che
un fratello. Perch Salomone ancora dice: (ibidem 10) meglio un vicino appresso che un fratello che
abiti lontano. E per il pi delle volte altri si rimette piuttosto alla benevolenza di un amico, che al
parentado di un fratello. Tanto pu la benevolenza, che ella vince il pi delle volte i regni della natura.
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CAPITOLO XXXV
175. Assai copiosamente abbiamo trattato della natura e della forza dell'onesto, appartenente alla giustizia.
Trattiamo ora della fortezza, la quale pi che le altre si divide nei negozi della guerra, e nei familiari. Ma
lo studio delle cose della guerra pare gi strano dal nostro ufficio, perch noi rimettiamo pi diligenza
nell'ufficio dell'animo che in quello del corpo e l'uso nostro non si aspetta alle armi ma ai negozi della
pace. Eppure i nostri antichi, come Ges Nave, Geroboal, Sansone, Davide riportarono grande gloria
ancora delle cose della guerra.
176. pertanto la fortezza una virt in un certo modo maggiore delle altre, ma mai senza compagnia;
perci mai si fida di se stessa, altrimenti la fortezza senza la giustizia materia di ribalderie. Perch ella
quanto pi robusta tanto pi pronta ad opprimere i pi deboli: consorti nelle cose militari, la prima cosa
si deve considerare se le guerre sono giuste o ingiuste.
177. Davide mai mosse guerra se non provocato. Pertanto nella guerra ebbe la prudenza per compagna
della fortezza, perch dovendo combattere corpo a corpo con (1 Re 17,40) Golia che era di statura
grandissima, rifiut le armi da caricarsi, essendo che la virt si posava pi nelle sue braccia che nelle
altrui armi. Poi per ferirlo pi gravemente da lontano prese una pietra ed ammazz il nemico. Inoltre mai
incominci una guerra se non con il consiglio del Signore Dio (2 Re 5,19 ss.) per vincitore in tutte le
guerre e fino alla decrepita vecchiezza pronto di mano, facendo guerra ai titani, come soldato (2 Re 21,15
ss.) si mescolava nelle feroci schiere desiderando gloria, n tenendo in alcun conto la propria salute.
178. Ma non solo quella virt eccellente, ma ancora reputiamo gloriosa la fortezza di quelli, che
mediante la fede, con la grandezza d'animo loro (Eb. 11, 33 e 34) chiusero le bocche dei leoni, spensero la
forza del fuoco, schivarono l'acutezza dei coltelli, uscirono dalle infermit forti: i quali non attorniati da
compagnie e moltitudine di uomini armati riportarono la vittoria come con molti, ma singolarmente
trionfarono sui crudeli con la sola virt dell'animo. Quanto fu invincibile Daniele, che non temette i leoni
ruggenti attorno a lui? Fremevano le bestie ed egli si cibava sicuro. (Dan. 14,38)
CAPITOLO XXXVI
179. La gloria della fortezza dunque non consiste solamente nelle forze del corpo e nelle braccia; ma
molto pi nella virt dell'animo, n la legge della virt nell'ingiuriare ma nello scacciare le ingiurie.
Perch chi (23 q. c. non in inferenda) non disfaccia dal compagno le ingiurie potendo, in colpa simile a
quello che fa l'ingiuria. L dove il santo Mos (Es 2,1 ss.) di qui cominci a provare la fortezza militare,
perci avendo veduto che un ebreo era da un egizio ingiuriato, lo difese in tale maniera che egli uccise
l'egizio, e lo nascose nella sabbia. Salomone ancora dice (Pro 24,10) libera quello che portato a morte.
180. dunque molto chiaro dove Tullio, o Panezio ancora o Aristotele stesso abbiano tratto tutto questo.
Che ancora Giobbe pi antico che questi due aveva detto molto avanti (Gb. 29, 12 e 13) io trassi salvo il
povero dalla mano dei potenti e aiutai il piccolo che non aveva chi lo difendesse, e me ringraziavano
quelli che dovevano perire. Non fortissimo questi, che tanto fortemente sopport gli impeti del diavolo e
lo vinse con la virt della sua mente? Ne lecito dubitare della fortezza di quegli al quale dice il Signore
(ibidem 40, 2) prepara come un uomo i tuoi lombi, prendi l'altezza e la virt, abbatti ed abbassa tutti gli
ingiuriosi. L'apostolo ancora dice (Eb. 6,18) voi avete un grandissimo conforto. dunque forte colui che
si conforta in qualche dolore.
181. E veramente si chiama fortezza quella quando uno vince se stesso per zelo di Cristo, frena l'ira e non
si piega ne si ammorbidisce per allettamenti alcuni, non si turba per le avversit ne si innalza per le
prosperit, non si lascia aggirare dalla mutazione di varie cose come da un certo vento. Che cosa per lui
pi eccelsa e pi magnifica che esercitare la mente, affliggere la carne e ridurla in servit, cos che ella
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ubbidisca al comando, si attenga ai consigli in modo che nel mettere mano alle fatiche ella esegua
prontamente il proposito e la volont dell'animo?
182. Questa dunque la prima forza della fortezza perch la fortezza dell'animo si considera in due casi:
prima che si giudichino e tengano come minime le cose esteriori del corpo e pi presto si disprezzino
come superflue quelle che si desiderano, poi che si eseguiscano all'effetto con buona intenzione di animo
tutte le cose grandi e tutte quante quelle cose nelle quali si vede l'onest e quel convenevole. Perch quale
cosa tanto eccellente quanto che tu informi l'animo tuo in tale maniera che ti mantenga in assoluto
pregio n le ricchezze n i piaceri, n gli onori; n consumi tutto lo studio tuo in queste cose. Perch
quando tu avrai in tale modo accomodato tutto il tuo animo bisogna che tu pensi di avere a preporre
quell'onesto e quel decoro, e a quello indirizzare tutto l'animo cos che come superiore non senta quello
che solito rubare gli animi: o il perdere le cose, l'onore o le calunnie degli scellerati. Poich i pericoli
della stessa salute presi per la giustizia non ti muovano.
183. Questa quella vera fortezza che ha l'atleta di Cristo, il quale (2 Tim. 2,5) non coronato se non ha
prima legittimamente combattuto. Ti pare forse mediocre il comandamento della fortezza? (Rm 5,3 Fac.
C. I. v. 3.4) la tribolazione opera la pazienza, la pazienza dimostra la perfezione, la perfezione genera la
speranza. Vedi quante battaglie, ed una sola corona. In quale comandamento non da, se non quello, che
confortato in Ges Cristo (2 Cor. 7,5) la cui carne non aveva riposo ma afflizione da ogni banda: di fuori
battaglie, di dentro paure. E bench egli si trovasse posto in mezzo ai pericoli, in pi a fatiche, in prigioni,
in morti, niente meno non mancava di animo ma combatteva tanto che egli diveniva pi potente nelle sue
debolezze.
184. Pertanto considera in che modo egli insegni, che devono disprezzare le cose umane quelli che
vengono alla amministrazione della Chiesa (Col. 2,20 ss.) Se voi dunque siete morti con Cristo dagli
elementi di questo mondo, perch ne contrassegnate voi tanto come se in quello vivete? Non toccate, non
gustate, non maneggiate quelle cose che nell'usarle vi inviano alla corruzione. E poco di sotto: (ibidem
3,1) se dunque siete resuscitati con Cristo cercate le cose che sono di sopra. Di nuovo (ibidem 5)
mortificate dunque le vostre membra che sono sopra la terra. E queste cose fino a qui ha detto a tutti i
fedeli. Ma te, figliolo, spingi a disprezzare le ricchezze, a schivare le favole secolari e da vecchierelle,
niente permettendoti se non quelle cose che ti esercitano alla piet, perch l'esercitazione del corpo non
buona cosa alcuna, ma la piet utile a tutte le cose.
185. La piet dunque ti eserciti alla giustizia, alla continenza, alla mansuetudine, cos che tu fugga dalle
opere giovanili, confermato e radicato in grazia subentri al buon combattimento della fede: non ti
impieghi nelle faccende secolari, perch tu militi con Dio. E se a uno che milita per l'imperatore vietato
dalle leggi umane far liti e agitare le faccende mercantili, vendere le merci, quanto pi si devono astenere
da ogni uso di faccenda quelli che esercitano la milizia della fede, accontentandosi del loro piccolo podere
che hanno, se non lo hanno del frutto dei loro stipendi. Con ci un buon testimonio quello che dice (Sal.
36,25) io sono stato giovane e sono invecchiato, n ho visto che il giusto sia stato abbandonato, n mai
vidi i suoi figli cercare del pane. Perch tale la tranquillit e la temperanza dell'animo, che ella mai n
per desiderio di acquistare si affligge, n per paura di povert si affanna.
CAPITOLO XXXVII
186. Quella tranquillit di animo ancora scarica di ogni passione di questa sorta che non si lascia nei
dolori essere troppo delicati, n troppo gonfi nelle prosperit. E se costoro che istruiscono chi ha ad
esercitarli nel governo della Repubblica, dando questi ammaestramenti, quanto pi dobbiamo fare quelle
cose che piacciono a Dio noi che siamo chiamati alla amministrazione della Chiesa cos che si possa
presumere che sia in noi la virt di Cristo e piacciamo in tal modo al nostro imperatore; che le nostre
membra siano armi di giustizia, armi non carnali nelle quali regna il peccato, ma armi forti per Dio con le
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quali si distrugge il peccato? Muoia la carne nostra cos che abbia a morire ogni colpa e cos da morte
resuscitiamo a nuove opere e costumi.
187. Questi stipendi della fortezza sono pieni di ufficio onesto e bello. Ma perch in tutte quante le cose
che noi facciamo cerchiamo non solamente che sia onesto ma ancora quello che sia possibile, cos per
caso non cominciamo qualche cosa, che poi non possiamo condurre a compimento, l dove il nostro
Salvatore vuole che nel tempo che noi siamo perseguitati, (Mt. 20,23) passiamo da una citt in un'altra,
anzi, per ridire la sua parola, appunto, noi fuggiamo, e ci mentre uno desidera la gloria del martirio non
si asserisca a caso a quei pericoli, i quali forse la carne pi debole o l'animo meno forte non possano poi
sostenere o tollerare.
CAPITOLO XXXVIII
188. Nemmeno deve qualcuno per pigrizia cedere e abbandonare la fede per paura del pericolo. Si deve
con tale grazia preparare l'animo, esercitare la mente e stabilirla con la costanza cos che l'animo non si
possa turbare per spaventi alcuni, o piegarsi per dispiaceri o infine cedere per i tormenti. Le quali cose
difficilmente si possono sopportare. Ma tutti i tormenti si vincono con la paura di maggiori tormenti, per
se tu non confermerai con il consiglio l'animo tuo, e penserai, non ti avere a partire della ragione, e ti
proporrai la paura del giudizio divino e i tormenti dell'eterno supplizio, potrai facilmente impiegare
l'animo tuo a tollerare simili cose.
189. Questo primo dunque appartiene alla diligenza, il prepararsi in tale modo: e quell'altro all'ingegno;
cio se qualcuno pu con il vigore della mente vedere prima le cose future, e in un certo modo porsi
davanti agli occhi quello che possa avvenire e determinare quello che, succedendo cos, si deve fare;
talvolta si volgono per la fantasia due o tre cose insieme, le quali egli, per congettura, pensa di poter unire
a caso o di per s, e disporre le operazioni che sa che possono giovare a quelle, insieme o di per s.
190. All'uomo forte dunque appartiene non il dissimulare quando gli sta per sopraggiungere qualche cosa,
ma considerare anzitutto e quasi spiare da una certa veletta della mente e ovviare con prudente pensiero
alle cose future, cos che non abbia poi a dire: queste cose perci mi sono venute addosso perch mai
avrei creduto che elle non mi potessero avvenire. Pertanto le avversit se non si considerano molto innanzi
presto occupano. Siccome nella guerra il non aspettato nemico appena lo si considera, e facilmente pu
opprimere quando egli non ne trova di ben provvisti, cos i mali non aspettati atterrano di pi l'animo.
191. Pertanto in quelle due cose constatate quella eccellenza dell'animo, che in primo luogo il tuo animo,
esercitato nei buoni pensieri, veda con occhio puro quello che vero e onesto, perci (Mt. 5,8) beati sono
quelli che hanno il cuore puro perch essi ancora vedranno Dio. E giudichi che sia buono solamente
quello che onesto. In secondo luogo non si turbi per occupazioni alcune e non si lasci trasportare dalle
onde dei desideri.
192. La quale cosa, certo, non si fa molto facilmente. Perch quale cosa cos difficile del guardare come
inferiori a s le ricchezze e tutto ci che dalla moltitudine stimato grande cosa e eccellente, stando quasi
sopra una alta rocca di sapienza? Poi tu confermi con le stabili ragioni il tuo proponimento e disprezzi
quelle cose che tu avrai reputate leggere, come quelle che in nessuna cosa ti possono giovare. Inoltre che
se tu avessi qualche avversit, e quella fosse ritenuta aspra e noiosa, la sopporti; cos da pensare che non ti
sia occorsa alcuna cosa contro la natura avendo letto: (Gb 1,21) io sono nato nudo in questo mondo e
nudo ne uscir. Il Signore mi ha tolto quelle cose che egli mi aveva dato, eppure aveva costui perduto i
figli e le cose, e mantenga in tutte le cose la persona del saggio e del giusto come chi disse (ibidem) cos
come piaciuto a Dio accaduto, sia ringraziato il nome del Signore. E di poco sotto (ibidem 2, 10) tu hai
parlato come una donna poco prudente, se noi abbiamo dalla mano del Signore avuto le prosperit perch
non sopporteremo le avversit?
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CAPITOLO XXXIX
193. La fortezza dunque non una cosa mediocre n separata dalle altre virt dell'animo cos che ella
abbia a guerreggiare con delle altre, ma tale che da sola difende gli ornamenti di tutte le virt e mantiene
i giudizi e fa guerra inestinguibile contro tutti i vizi; invincibile nelle fatiche, forte nei pericoli, rigida
contro i piaceri, dura contro gli allettamenti, ai quali non fa prestare gli orecchi, n, come si dice, salutarli;
disprezza i denari, fugge l'avarizia come una certa macchia che snerva la virt. Perch niente tanto
contrario alla fortezza quanto lasciarsi vincere dal guadagno. E molte volte si visto che, cacciati che
sono i nemici ed essendo in fuga l'esercito nemico, il vincitore mentre trattenuto nello spogliare i morti,
viene ucciso miseramente nel mezzo di quelli che egli prima aveva uccisi, mentre le sbandate legioni si
occupano dei suoi trionfi e delle spoglie, dopo aver richiamato contro di s il nemico che gli era fuggito
davanti.
194. La fortezza dunque scacci via e soggioghi tanto crudeli feste, n si lasci tentare dai desideri o piegare
per paura; perch la virt sta costante nel perseguitare insieme fortemente tutti i vizi come veleni della
virt, e con certe armi assale l'ira che impedisce il consiglio e la schiva come una malattia. Si guardi
ancora dal desiderare la gloria, la quale, senza modo desiderata, molte volte ha nuociuto, cos usurpata ha
nuociuto sempre.
195. Quale di queste cose o nella virt manc al Santo Giobbe, o l'assal nel vizio? In che modo sopport
egli la fatica della malattia, del freddo, della fame? In che modo disprezz egli il pericolo della salute? Lo
eccitarono forse le ricchezze radunate di rapine, le quali in tanta quantit abbondavano ai poveri? O
l'avarizia, i censi, o gli studi dei piaceri e dei desideri? O lo fecero adirare l'ingiuriosa contenzione dei tre
re o la tirannia dei servi? Forse la gloria alzava ella al modo dei leggeri, quelli che imprecavano e
desideravano gravi pene, se mai avesse celato il suo non volontario peccato o avesse avuto tanto rispetto
alla moltitudine della plebe che non lo avesse apertamente palesato al cospetto di ognuno? Perch le virt
non sono d'accordo con i vizi, ma stanno tra loro ferme. Chi dunque tanto forte come il santo Giobbe al
quale si pu stimare che fosse inferiore, qualunque si trov senza pari?
CAPITOLO XL
196. Ma la gloria militare tiene forse occupati alcuni che pensano che la fortezza consista solamente nel
mestiere delle armi e giudicano che io mi sia volto ai sopraddetti esempi perch ella mancasse ai nostri.
Quanto fu forte Ges Nave, (Gs. 10,5 ss.) che in una guerra abbatt cinque re, che egli ebbe prigioni con i
loro popoli? E poi guerreggiando contro i Gabaoniti e dubitando che la notte non gli impedisse la vittoria,
con grandezza di mente e di fede grid: Si fermi il sole. Ed esso si ferm tanto che egli ottenne la vittoria.
Gedeone (Gc. 7,8 ss.) con trecento uomini soli riport trionfo contro un grandissimo popolo ed un aspro
nemico. Il giovinetto Gionata (1 Re 14,1 ss.) in una grande guerra fece buona prova. Ma che dir io dei
Maccabei?
197. Ma prima parlo del popolo dei padri, (1 Mac. 2,35 ss.) che essendo pronti per combattere per il
tempio di Dio e per le cose della loro legge; assaliti il giorno del sabato dai nemici con l'inganno, vollero
pi presto esporre i propri corpi nudi alle ferite piuttosto che combattere per non violare il sabato. Pertanto
tutti con pace si esposero alla morte. Ma i Maccabei considerando che per tale esempio potrebbe perire
tutta la gente, nel sabato essendo stati ancora provocati alla guerra, vendicarono la morte dei loro
innocenti fratelli. L dove, stimolato poi il re Antioco, muovendo guerra per i suoi capitani Lisia,
Nicanore; e Gorgia fu in tal modo battuto con la sua fanteria e le genti orientali, e gli assiri che nel mezzo
del campo, pur essendo quarantottomila furono messi in rotta da tremila uomini.
198. Misurate da un suo soldato la virt del capitano Giuda Maccabeo. Perch (1 Mac. 6,43 ss.) Eleazaro
vedendo un elefante che avanzava davanti agli altri vestito con armature regali, pensando che ci fosse
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sopra il re, preso un corso si gett nel mezzo della legione, e buttato via lo scudo con ambedue le mani
ammazzava la bestia ed andandogli sotto e conficcatagli nella pancia la spada, la ammazz, pertanto la
bestia cadendo uccise Eleazaro ed egli in tal modo mor. Quanta virt dunque di animo fu questa? In
primo luogo che egli non temesse la morte, poi che accerchiato dalle squadre dei nemici si gettasse nella
folta schiera di quelli e penetrasse in mezzo all'esercito, e con maggiore ferocia, disprezzata la morte,
gettato via lo scudo e con ambedue le sue mani sostenesse la grandezza della bestia ferita, poi le and pi
sotto per ferirla meglio, e per la caduta di questa, pi rinchiuso che schiacciato, fu nel suo stesso trionfo
sepolto.
199. Ne l'ingann l'opinione, sebbene prima l'aveva ingannato l'abito regale. Perch spaventati i nemici
dallo spettacolo di tanta virt, non si arrischiarono di andare contro di lui, che era disarmato ed occupato
dopo la caduta della rovinosa bestia, e ebbero tanta paura che tutti loro si giudicarono inferiori alla virt di
uno solo. Infine il re Antioco figlio di Lisia che era venuto con un esercito di ventimila uomini e trentadue
elefanti, in tale maniera bardati che alla levata del sole in ciascuna di tali bestie, non in altro modo che
certi monti di armi, splendevano simili ad ardenti fiaccole, spaventato dalla forza di uno solo chiese la
pace e cos Eleazaro lasci la pace erede della sua virt. Ma queste cose sono dette a riguardo dei trionfi.
CAPITOLO XLI
200. Ma la fortezza si sperimenta non solamente nelle prosperit, ma anche nelle avversit, e
consideriamo la fine di Giuda Maccabeo. Perch egli (1 Mac. 9,8 ss.) dopo che ebbe vinto Nicanore,
capitano del re Demetrio, avendo pi sicuramente cominciato la guerra con novecento uomini contro
l'esercito del re che era di ventimila, siccome i suoi volevano fuggire per non essere oppressi dalla
moltitudine dei nemici, li confort a scegliere pi presto una gloriosa morte piuttosto che vilmente
fuggire. Non voglio, disse, che noi in alcun modo macchiamo il nostro onore. Pertanto cominciata la
guerra avendo combattuto dalla levata del sole fino alla sera, assalito il lato destro nel quale sapeva esserci
la pi forte parte dei nemici, facilmente li mise in fuga. Ma mentre inseguiva quelli che fuggivano si
lasci ferire alle spalle. Cos trovo pi glorioso luogo della morte che non nei trionfi.
201. Per quale motivo aggiunger io Gionata suo fratello, che combattendo con poca gente contro gli
eserciti regali, abbandonato dai suoi e lasciato da solo con due, restaur la guerra, cacci il nemico e
richiam i suoi che gi fuggivano alla compagnia del trionfo?
202. Hai la fortezza della guerra nella quale una non mediocre forma della onest e del decoro tanto che
sceglie piuttosto la morte che la servit, e la bruttezza. Ma cosa dir io delle passioni dei martiri? E che
dire dei fanciulli Maccabei, che non riportarono minore trionfo sul superbo re Antioco, dei loro propri
padri? Con ci quelli vinsero armati, costoro senza armi (2 Mac. 7, 1 ss.); stettero invitti i sette fanciulli
accerchiati dalle legioni regali, mancarono i supplizi, cedettero i tormentatori, non vennero meno i martiri.
Uno, scorticatogli il capo, aveva mutata la faccia, ma accresciuta la virt. L'altro, comandato che gli
cavasse fuori la lingua cos che gli fosse tagliata, rispose: il Dio che udiva (Es. 14,15) Mos che taceva,
non ode solamente quelli che parlano. Egli ode pi i taciti pensieri dei suoi che le voci di tutti. Tu hai
paura del flagello della lingua e non temi il flagello del sangue? Ha ancora il sangue la sua voce con la
quale egli grida a Dio come grid Abele (Gen 4,10)
203. Cosa dir io della madre, la quale con animo allegro stava a vedere (2 Mac. 7, 20 ss.) tanti trofei,
quante morti dei figli, e si dilettava delle loro voci che morivano come dei dolci canti dei musicisti,
vedendo nei figli la bellissima cetra del suo ventre, e l'armonia della pietra pi soave che il concerto di
ogni altra lira?
204. Cosa dir dei piccoli fanciulli che ricevettero prima la palma della vittoria che il sentimento della
natura? Cosa di Santa Agnese che, posta in pericolo di due grandissime cose, della castit e della vita,
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salv la castit e baratt la vita con l'immortalit?


205. Non lasciamo indietro san Lorenzo, che vedendo Sisto suo vescovo esser portato al martirio,
cominci a piangere non la passione di lui, ma l'esser restato indietro lui. E cos con queste parole
cominci a chiamarlo: Padre dove andate senza il figlio? Dove andate santo sacerdote senza il diacono?
Voi non eravate mai soliti offrire il sacrificio senza il ministro. Cosa dunque vi dispiaciuto in me? Avete
voi visto che io traligni? Ora provate davvero se mi avete eletto ministro proposito. Negate forse la
compagnia del vostro sangue a quello a cui voi avete commissionato la compagnia di consacrare il sangue
di Cristo e di condurre a compimento i sacramenti? Guardate che il vostro giudizio non si inganni mentre
lodata la sua fortezza. Egli danno del maestro che ha cacciato il discepolo. Anzi molti uomini dotti e
illustri vincono pi con le forze dei discepoli che con le proprie. Infatti Abramo offr il figlio. Pietro
mand avanti Stefano. E voi padre mio mostrate la vostra virt nel figlio, offrite quello che avete istruito
affinch sicuro si conduca alla corona con la nobile compagnia del vostro giudizio.
206. Allora Sisto: io non ti lascio, figliolo, ne ti abbandono; ma guerre pi grandi ti aspettano. Noi come
vecchi prendiamo la via per combattere pi leggermente; a te come giovane aspetta un trionfo pi glorioso
sul tiranno. Poco dopo verrai: smetti di piangere, mi seguirai dopo tre giorni. Questo numero in mezzo
conveniente tra il sacerdote ed il levita. Non ti spettava di vincere sotto al maestro come se tu cercassi
aiuto. Perch desideri la compagnia della mia passione? Io ti lascio tutta la sua eredit. Perch cerchi la
mia presenza? I deboli discepoli precedano il maestro; i forti lo seguano perch vincano senza maestro;
infatti ormai non hanno pi bisogno di ammaestramenti. Cos Elia lasci Eliseo e non gli tolse la virt. A
te dunque affido la successione della nostra virt.
207. Tale era la loro contesa, degna certamente che per quella combattessero il Sacerdote ed il ministro,
chi prima patisse per il nome di Cristo. Dicono nelle favole tragiche, che si sono levati grandi rumori,
quando Pilade diceva di essere Oreste, ed Oreste (siccome era vero) affermava di essere Oreste: l'uno per
essere ammazzato al posto di Oreste; ed Oreste per non patire che Pilade fosse ammazzato al posto suo.
Ma a quelli non era lecito vivere, dato che entrambi avevano commesso parricidio: avendo uno compiuto
il fatto, l'altro per averlo aiutato. Qui per non c'era altro che spingeva San Lorenzo se non l'amor di
devozione; egli dopo tre giorni che bruciava sulla graticola, sprezzante del tiranno, disse: Sono arrostito,
girami e mangia. Tanto vinceva con la virt la natura del fuoco.
CAPITOLO XLII
208. Ritengo ancora essere da guardarsi, che mentre alcuni son trasportati dal desiderio di troppa gloria, si
servano insolentemente del potere e incitino molte volti a perseguitarci gli animi dei Gentili, gi spiccati
da noi, e li accendano d'ira. Equanti faranno mal capitare per poter star forti e vincere i tormenti?
209. Bisogna anche guardare, che noi non prestiamo gli orecchi agli adulatori. Perch lasciarsi piegare per
le adulazioni, non solamente non atto di fortezza, ma d'estrema poltroneria.
CAPITOLO XLIII
210. Avendo fino a qui ora trattato delle tre altre virt, resta di parlare della quarta, la quale chiamata
temperanza o modestia: nella quale si considera e si ricerca primariamente la tranquilit d'animo, lo studio
della mansuetudine, la grazia della moderazione, la cura dell'onesto, e la considerazione del decoro.
211. Dobbiamo dunque tenere un cert'ordine di vivere, che dalla verecondia derivino certi fondamenti, per
essere questa compagna e familiare della piacevolezza della mente, schiava della caparbiet, lontana da
ogni superfluo, amante della sobriet, nutrice dell'onest e ricercatrice del decoro.
212. Dopo queste cose noi preferiamo conversare con quei anziani che sono tra gli altri reputati i migliori.
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Perci siccome il conversare con quelli di pari et pi cosa soave, cos coi vecchi cosa pi sicura:
perch con un certo ammaestramento come guida della vita, colora i costumi dei giovinetti, e gli tinge
quasi con la porpora della bont. Perciocch se quelli che non son consapevoli dei luoghi, sono soliti
mettersi in cammino con guidatori esperti, quanto pi devono i giovani entrare coi vecchi nel nuovo
cammino della vita, per non errare, ne deviare dal diritto cammino della virt? Perch nessuna cosa pi
bella che avere i medesimi per ammaestratori della vita e testimoni della stessa.
213. In qualunque azione ancora si deve ricercare ci che conviene alle persone, ai tempi e alle et, e
ancora ci che secondo la natura di ciascuno: perch spesso la medesima cosa a uno si richiede, e
all'altro disdicevole; ed una cosa sta bene al giovane, un'altra al vecchio; una si conviene nei travagli,
un'altra nella prosperit:
214. Danz David davanti all'arca del Signore, non danz Samuele, n perci egli merit reprensione; ma
questi fu pi lodato. Mut sembianza davanti al Re, che si chiamava Achis. E s'egli avesse fatto questo,
rimossa la paura, per non esser conosciuto, non avrebbe potuto riportar biasimo di leggerezza. E Saul
avendo attorno una moltitudine di Profeti, prosper ancora egli: ma di lui solo, come di non degno di
diceva: Saul ancora tra i profeti.(1 Re 19,24).
CAPITOLO XLIV
215. Ciascuno dunque conosca la sua natura, ed applichi a quelle cose, le quali egli avr scelto come atte a
s. Pertanto consideri molto bene innanzi che compito si assume. Che non conosca solamente le sue virt;
ma anche i suoi vizi, e sia giusto giudice di se stesso, parta dai vizi e in seguito le virt.
216. Uno pi atto a leggere, un altro pi bravo a cantare, un altro pi sollecito a liberare coloro che
sono tormentati da spiriti maligni; un altro pi atto ad amministrare i sacramenti. Tutte queste cose
consideri il Sacerdote e destini ciascuno a quel compito al quale egli pi atto. Perch ciascuno sa con
maggior grazia quelle cose alle quali ha inclinazione della natura, e ci che pi gli conviene.
217. Ci in tutti i mestieri difficilissimo, nelle nostre operazioni difficilissimo. Perch ciascuno
preferisce continuare la vita del Padre. Infatti molti vogliono abbracciare la vita militare e portarsi alla
guerra, perch i loro padri sono stati soldati, ed altri per lo medesimo rispetto s'appigliano a diversi lavori.
218. Ma nell'ufficio ecclesiastico non si pu trovar cosa pi rara che quello che voglia seguire l'istituzione
del Padre, o perch gravi occupazioni spaventano o perch l'astinenza pi difficile nella sdruccevole et,
o perch questa vitta par pi strana alla pronta giovinezza, e per si volgono a quei mestieri che giudicano
pi piacevoli e plausibili. Perch i pi prepongono le cose preferite alle future. Essi pensano alle cose
presenti non alle future. La dove la ragione migliore tanto pi si deve attendere.
CAPITOLO XLV
219. Facciamo dunque di avere in noi la verecondia e la modestia che innalzano tutto il bello della vita.
Perch non poco tenere misura in tutte le cose, e compatire quell'ordine nel quale veramente riluce quel
che noi chiamiamo decoro: che in tal cosa si accompagna con l'onesto, che non si pu separare. Cos ci
che conveniente e anche onesto; quello che onesto conveniente tanto che vi pi distinzione nelle
parole che separazione nella virt: perci che si pu conoscere la differenza tra loro, ma non si pu
esprimere.
220. Per sforzarci di trovare qualche distinzione. L'onesto come se noi dicessimo la sanit ed un certo
benessere del corpo; il conveniente poi la venust e la bellezza. Siccome la bellezza pare che sia
migliore, che la sanit ed il benessere del corpo; e nientedimeno non pu sussistere senza di queste ne in
modo alcuno essere separati: perch non vi pu essere la bellezza e la venust la dove non si trova la
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sanit; cos nel medesimo modo l'onesta contiene in se quel decoro, tanto che pare uscito da lei e che
senza di essa non possa essere in nessun modo. Siccome dunque l'onest la salute delle nostre azioni e
compiti; cos la bellezza il decoro, il quale mescolato con l'onest, si distingue solamente con l'opinione.
Perci sebbene pare eccellente in qualcuno; non di meno nelle radici dell'onesta: ma a guisa di un fiore
bellissimo che senza di lei cada ed in quella fiorisca. Perch qual cosa l'onest se non quella che fugge la
bruttezza, non altrimenti che la morte? E che cosa la sconvenienza se non quella che non apporta la
sterilit e la morte? Verdeggiando dunque la sostanza della virt, risplende quel decoro a guisa di fiore;
perch salva la radice: ma guasta la radice del nostro proponimento, niente ne produce.
221. Hai questo pi chiaramente espresso nei nostri. Perch David dice: il Signore ha regnato e si vestito
di bellezza (Sal 92,1); e l'Apostolo dice: camminate onestamente come di giorno (Rm 13,13). Quello che
detto dai greci (Euschimonos), questo significa appresso di noi di buon abito e di buona speranza. Dio
quando fece l'uomo, lo form di buona abitudine, di buona disposizione di membra, e gli diede una
perfetta bellezza. Non gli aveva concesso la remissione dei peccati: ma poich lo rinnov di spirito, e gli
infuse la grazia; quegli, che venne in forma di servo, e in apparenza d'uomo, prese la bellezza della
Redenzione umana: e per disse il profeta: il Signore ha regnato, e si vestito di bellezza. Dice in un altro
luogo: A te Signore si conviene l'inno in Sion (Sal 64,2). Egli onesto, che noi ti temiamo, ti amiamo, ti
preghiamo, ti onoriamo perch scritto: tutte le vostre cose si facciano onestamente (1 Cor 14,40). Ma noi
possiamo temere un uomo, amarlo, pregarlo onorarlo. L'inno si dice specialmente a Dio. Questa, come pi
eccellente cosa, che l'altre conveniente credere, che lo dobbiamo a Dio. conveniente ancora che la
donna faccia orazione in abito ornato: ma specialmente che ella preghi velata, e che preghi promettendo
castit con buona conversazione.
CAPITOLO XLVI
222. dunque il decoro quello che in tutte le cose predomina, la cui divisione doppia. Uno il decoro
generale sparso universalmente per tutta l'onesta: che quasi per tutto il corpo si dimostra, e ve ne un altro
speciale; quello cio che in qualche parte peculiarmente risplende. Il generale come quando egli ha una
pari ed universale forma in ogni suo atto corrispondente e consonante; che tutta la sua vita consenta a se
medesima, n sia in alcuna cosa discrepante. Lo speciale, quando nelle sue virt egli ha qualche atto
eccellente.
223. Avverti ancora che insieme sta il decoro e il vivere secondo la natura, secondo la natura governarsi: e
brutta cosa quella che si fa contro l'ordine della natura. L'Apostolo dice quasi domandandosi: sta bene
che la donna faccia orazione a Dio senza velo in capo? N la natura stessa ve lo insegna; che se l'uomo si
lascia crescere i capelli, gi vergogna; perch questo contro all'ordine della natura? (1 Cor 11,13) ed
inoltre dice: Ma la donna se ha i capelli di onore (Ibid.15); perciocch cosa naturale, servendo quelli
per velo; perch questo un velame naturale. la natura dunque ne concede la persona, e la bellezza che
noi dobbiamo mantenere: e iddio volesse che noi potessimo mantenere la sua innocenza e che la nostra
malizia non la mutasse.
224. hai questo decoro in universale; perciocch Iddio fece questo mondo bello. L'hai in particolare,
perch quando il Signor Iddio ebbe fatta la luce e distinto il giorno e la notte, creato il cielo separato la
terra e il mare; dopo che ebbe ordinato che il sole la luna, le stelle risplendessero sopra la terra approv
ciascuna cosa. Dunque questo decoro che riluceva in ciascuna parte del mondo, risplendette nel tutto,
come prova la Sapienza che dice: io ero quella a cui faceva festa, rallegrandosi poich egli ebbe compito il
mondo (Pro 8,30-31). Similmente adunque nella fabbrica del corpo umano graziosa la proporzione di
qualunque membro. Ma molto pi ne diletta in comune l'atta composizione delle membra, che paia, che le
quadrino e convengano tra loro.
CAPITOLO XLVII
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225. Se qualcuno dunque osserva l'ugualit e la misura di tutta la sua vita e di ciascun atto, e custodisce
ancora l'ordine e la costanza delle parole e dei fatti, e la mediocrit della sua vita, risplende quel decoro, e
riluce come in uno specchio.
226. Si aggiunga nientedimeno il soave parlare, per conciliarsi l'affezione degli uditori, e renderti grato ai
familiari o ai cittadini o se possibile a tutti; ne sia adulatore, ne voglia ancora essere adulato da altri:
perch l'una di queste cose atto di troppa astuzia, l'altra di vanit.
227. Non tenga poco cono di quello che si stimi di se qualunque persona, e massimamente dai buoni.
Disprezzare i giudizi dei buoni, o da uomo arrogante o da troppo sciolto: l'una si attribuisce a superbia
l'altra a negligenza.
228. abbia ancora cura ai movimenti dell'animo suo; perch esso deve osservare se medesimo e guardarsi
d'ogni intorno, e siccome deve guardarsi per rispetto di se medesimo, e cos da se stesso difendersi. Perci
vi sono certi movimenti, nei quali quell'appetito che in un certo modo impetuosamente salta fuori. La
dove detto dai greci (orm), per gettarsi egli ad un tratto con una certa forza. in questi una certa non
mediocre forza d'animo e di natura: la quale forza nondimeno di due forti: l'una posta nell'appetito;
l'altra nella ragione, la quale deve raffrenar l'appetito, e renderselo obbediente, e guidarlo dove ella vuole,
sicch gli insegni quasi con diligenti ammaestramenti quel che bisogni fare, e ci che da schivare, per
obbedire a lei, che gli buona domatrice.
229. Perci noi dobbiamo esser molto pi cauti di non far qualche cosa a caso, o senza considerazione, o
della quale noi non possiamo al tutto render ragione probabile: perch sebbene noi non abbiamo a render
conto ad ognuno delle nostre faccende; sono nientedimeno da ognuno esaminate. Ne abbiamo cosa nella
quale ci possiamo scusare; perch sebbene in ogni appetito una creta forza di natura; nientedimeno il
medesimo appetito sottoposto per la legge della stessa natura alla ragione, e la obbedisce. La dove al
buon pensatore appartiene considerare in tal materia innanzi coll'animo, che l'appetito non possa prevenire
la ragione, ne abbandonarla, acci col prevenirla non la perturbi ed escluda, e con l'abbandonarla non la
lasci. La perturbazione toglie la costanza: l'abbandonare questa segno di vilt, e ne dimostra pigrizia.
Perciocch perturbata la mente, l'appetito si spande in pi larga e pi profonda maniera, e non
diversamente che una bestia schiva impetuosamente i freni, ne sente alcun reggimento della sua guida, col
quale si possa ritirare; il perch molte volte quando l'animo perturbato, non solamente si perde la
ragione, ma ancora si infiamma il volto o per l'ira, o per la libidine, impallidisce per la natura, per il
piacere non sta in se, e brilla per la troppa allegrezza.
230. Mentre quelle cose avvengono, si perde quella severit naturale e gravit di costumi, n si pu
mantenere quella costanza, la quale sola pu mantenere la sua autorit, e quel che sia convenevole
nell'eseguire gli impegni e nei consigli.
231. Ma l'appetito pi grave nasce per il troppo sdegno, il quale il pi delle volte acceso dal dolore della
ricevuta ingiuria. Circa questa cosa ammaestrano sufficientemente i comandamenti del salmo posto da noi
nel proemio. Ci torna molto utile, che scrivendo riguardo gli uffici, ci serviamo di quell'allegato iniziale
(cap. 2.6 e 7): la quale essa stessa appartiene all'ammaestramento dell'ufficio.
232. Ma perch io ho accennato sopra brevemente (come si doveva) come ciascuno pu vedere, che non
ci sia ingiuria dubitando che la prefazione non fosse troppo lunga, preferisco parlarne ora pi largamente;
infatti il punto giusto che, nelle parti sulla temperanza io dica in che modo si freni l'ira.
CAPITOLO XLVIII
233. Voglio pertanto mostrare che vi sono tre sorte di persone nelle scritture divine che ricevono ingiurie.
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La prima sono quelli che da peccatori sono scherniti, oltraggiati, molestati e incitati come da acuti sproni.
A questi tali, perch manca la giustizia, cresce la vergogna. Aumenta il dolore. Nel numero di costoro
sono molti del mio ordine, del mio numero. Pertanto se qualcuno fa un'ingiuria a me debole, ancorch io
sia debole, perdonerei quell'ingiuria. Ma se egli mi rimproverasse qualche brutto vizio, io non sono cos
perfetto che mi basti la mia coscienza, ancorch io sapessi di non aver errato, ma come infermo mi sforzo
di lavare la macchia della mia onesta vergogna. Dunque io riscuoto occhio per occhio, dente per dente, e
ricompenso villania per villania.
234. Ma se io sono nella via della perfezione (bench non ancora perfetto)n non rispondo alle villanie; e
sebbene egli sbottoneggia verso di me, e riempie le mie orecchie di villanie io taccio e non rispondo
alcuna cosa.
235. Ma se io son perfetto (per esempio sia detto, perch in realt io son debole) benedico quelli che
dicono male, come faceva anche Paolo che dice: noi siamo maledetti e benediciamo (1 Cor 4,12); perch
egli aveva udito il Signore che diceva: amate i vostri nemici, pregate per quelli che vi calunniano e
perseguitano (Mt 5,44). Per Paolo era perseguitato e sopportava, perch sia vinceva sia mitigava
l'affezione umana per amore del premio propostogli di diventare figlio di Dio se egli avesse amato il
nemico.
236. Non di meno possiamo insegnare che il Santo David non fu inferiore a Paolo in questa sorta di virt:
il quale prima ricevendo villanie dal figliuolo di Semei, e rinfacciategli alcune scellerataggini, taceva e si
umiliava e nascondeva i suoi beni; e questo per essere egli consapevole delle sue buone azioni: in seguito
desiderava di essere oltraggiato, perch con quelle villanie cercava la misericordia di Dio.
237. Guarda un po'in che modo egli abbia mantenuto l'umilt, la giustizia e la prudenza di meritare la
grazia di Dio. Prima dice: questi mi dice villanie perch il Signore gli ha detto che me ne dica (2 Sam
16,20) vedi l'umilt perch egli come un servo giudicava di dover sopportare pazientemente quelle cose
che gli erano comandate dal Signore Dio. Inoltre disse: ecco che mio figlio, che uscito dal mio ventre,
cerca la mia morte(Ibid 11). Hai la giustizia. Perci se noi sopportiamo, d a noi le cose pi gravi; perch
sopportiamo noi indegnamente quelle fatte dagli estranei? In terzo luogo disse: lasciagli dirmi questa
villania, perch vuole cos il Signore per vedere la mia umilt e rendermi la benedizione per questa
villania che io sopporto (Ibid12). N sostenne solamente che lo ingiuriasse di parole ma anche quando lo
perseguitava o lapidava lo lasci andare senza offesa alcuna; anzi dopo la vittoria chiedendogli perdono
volentieri glielo accord.
238. Ho deciso di insegnare ci, che il santo David, guidato dallo spirito evangelico, non solo non offese
quello che gli disse villania; ma gli fu anche grazioso e pi presto si dilett che egli inasprisse per le
ingiurie e per queste giudicava di dover essere perdonato. Ma non di meno, bench fosse perfetto, cercava
cose ancor pi perfette. Si scaldava per il dolore dell'ingiuria come uomo, ma vinceva con lo spirito come
buon soldato. Tollerava come buon combattente (perch il fine della pazienza aspettare le cose
promesse); e per diceva: dimmi Signore il mio fine e il numero dei miei giorni perch sappia quel che mi
manca (Sal 38,5). Cerca quel fine delle promesse celestiali o quello quando ciascuno resusciter nel suo
ordine: prima Cristo poi quelli che son di Cristo che hanno creduto nella sua venuta, poi sar la fine (1Cor
15,23). Perch consegnato il Regno a Dio Padre e annullate tutte le podest inizia la perfezione come
disse l'Apostolo. Qui dunque c' l'impedimento, qui l'infermit ancora dei perfetti; e qui la totale
perfezione. Per ricerca quei giorni della vita eterna che sono e sussistono; non che passano, cos che
conosca quel che gli manca: quale sia la terra di promessa che produce i frutti perpetui: quale sia la prima
stanza appresso al Padre, quale la seconda, quale la terza nelle quali si riposa ciascuno secondo la
proporzione dei propri meriti.
239. quelle cose dunque dobbiamo con tutte le forze cercare, nelle quali la perfezione e la verit. Qui c'
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l'ombra, qui l'immagine, qui la verit. L'ombra nella Legge, l'immagine nel Vangelo, la Verit in cielo.
Prima si offriva l'agnello, si sacrificava il vitello, ora si offre Cristo; ma si offre come uomo, quasi
ricevente la passione; e offre se medesimo come sacerdote per cancellare i nostri peccati. Qui in
immagine, l in verit dove egli intercede per noi come nostro avvocato presso il Padre. Qui dunque
andiamo in immagine e in immagine vediamo; l faccia a faccia dove compiuta e consumata la
perfezione perch tutta la perfezione consiste nella verit.
CAPITOLO XLIX
240. Dunque mentre che noi siamo qui serviamo l'immagine e cos arriviamo l alla verit. sia in noi
l'immagine della giustizia l'immagine della sapienza; perch noi giungeremo a quel giorno e saremo
giudicati secondo l'immagine.
241. Non trovi in te il nemico la sua immagine, non la rabbia non il furore, perch in queste cose
l'immagine della nequizia. Perci il diavolo nostro nemico ringhiando come un leone cerca chi
ammazzare, chi divorare. Non trovi desiderio di oro non copia di argento non immagini dei vizi cosicch,
non ti privi della voce della libert. Perch la voce della libert che tu dica: verr il principe di questo
mondo e non trover niente in me (Gv 14,30). Pertanto se tu sei sicuro che lui non trovi niente in te
quando verr a considerarti dirai quel che disse il patriarca Giacobbe a Labano: guarda se vi niente di
tuo verso di me(Gen31,32). Beato giustamente Giacobbe presso il quale Labano non pot ritrovare cosa
alcuna di suo, perch Rachele aveva nascosti i simulacri dei suoi dei.
242. Pertanto se la tua sapienza se la fede, se il disprezzo di questo mondo, se la tua grazia nasconder
ogni perfidia sarai beato, perch tu ( cfr Sal 29,5) non guardi nelle vanit n nelle false stoltezze. Ti pare
forse cosa mediocre chiudere la bocca all'avversario cos che non possa avere autorit di riprenderti?
Pertanto chi non riguarda nelle vanit non si turba: per chi vi guarda, si turba, e di sicuro inutilmente.
Perci cos' radunar ricchezze se non vanit? Perch cercare cose caduche, cosa vana. E quando tu le
avrai accumulate che sai tu se potrai goderle?
243. Non cosa vana che un mercante consumi notti e giorni in viaggio per accumulare tesori, raduni
mercanzie, si turbi dei prezzi perch non venga a vendere meno di quanto ha comperato, osservi i prezzi
dei luoghi e provochi subito gli assassini verso di se per l'invidia dei famosi traffici: o non aspettando
venti pi prosperi; mentre che egli cerca il guadagno non volendo aspettare, perisca in mare?
244. o non si turba ancora vanamente chi raduna con grandissima fatica e non sa quale erede abbia a
godere il suo? Molte volte succede che il lussurioso erede dissipi con un veloce scialacquamento quello
che l'avaro radun con grandissima ansiet; e che il brutto scialacquatore, cieco delle cose presenti,
improvvido delle future, inghiottisce come un ingordo baratro, le cose per lungo tempo acquistate. Spesso
ancora lo sperato successore si concita invidia per l'acquistata verit e con una morte immediata d facolt
agli estranei di entrare nella sua successione.
245. A che proposito tessi la tela del ragno che vuota e senza frutto e ti servi, come di reti, dell'inutile
abbondanza delle ricchezze le quali anche se traboccano, non giovano a nulla; anzi ti spogliano
dell'immagine di Dio e ti vestono dell'immagine dell'uomo? Se qualcuno si veste la forma e l'immagine di
un tiranno non egli stesso sottoposto alla dannazione? Tu poni da banda l'immagine dell'imperatore
Eterno e innalzi in te l'immagine della morte. Caccia invece l'immagine del diavolo dalla citt dell'anima
tua e ponici l'immagine dio Cristo. Questa rifulga in te, nella tua citt, cio risplenda nell'anima che
cancella le immagini dei vizi delle quali David dice: Signore nella tua citt ridurrai a niente le loro
immagini (Sal 72,20). Perch quando il Signore Dio avr dipinta quella Gerusalemme ad immagine sua
allora si canceller ogni immagine degli avversari.

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CAPITOLO L
246. Che se nel Vangelo del Signore ancora il popolo stesso informato e ammaestrato a disprezzare le
ricchezze, quanto pi bisogna che vi asteniate da desideri terreni voi, leviti, la cui porzione Dio? Perci
dividendosi da Mos il possesso della terra dei padri al popolo, il Signore eccettu i leviti dal consorzio
del possesso della terra per essere Egli il fine per loro e il sostenimento dell'eredit. Da ci dice David: il
Signore mia parte di eredit e mio calice (Sal 15,5). Infine questo vuol dire levita: esso mio, ovvero
egli per me. Grande dunque il suo dono; che di lui il Signore dica :esso mio, ovvero come Egli disse
a San Pietro di quella moneta in corpo a quel pesce: la darai loro per me e per te (Mt 17,26). Da qui
l'Apostolo ancora quando egli ebbe detto che il vescovo deve essere sobrio, pudico, ornato, accogliente
dei forestieri, ammaestratore, non avaro, non litigioso, ben orinato per la sua casa, soggiunse: bisogna
similmente che i diaconi siano gravi, non di due lingue non dediti al troppo vino, non esperti del brutto
guadagno, ma abbiano il mistero della fede in pura coscienza e costoro prima siano approvati e cos
amministrino, non avendo alcuna macchia (1 Tim 3,8).
247. Consideriamo quante cose si ricerchino in noi: che il ministro del signore si astenga dal vino; che
egli sia fortificato dalla buona testimonianza non solo dei fedeli, ma anche di quelli che sono di fuori.
Perch gli conveniente che dei nostri fatti e delle nostre azioni ne sia testimone quello che
pubblicamente si giudica e afferma non derogare al grado, di ci chi vede il ministro dell'altare ornato di
convenienti virt, predichi il Creator ed onori il Signore che ha tali servi. Perci la lode del Signore l
dove l'irreprensibilit, e l'innocente disciplina della famiglia.
248. Ma che dir io della castit, quando gli son permesse le prime nozze, ma mai le seconde? dunque
legge del matrimonio di non ripeterle, ne cercare mai di congiungersi con la seconda moglie. Il che fa
meravigliare molti perch le nozze ripetute prima ancora del Battesimo generino impedimento all'elezione
del grado e prerogativa degli ordini; con ci anche sei peccati non sono soliti nuocere se gli son cancellati
nel Battesimo. Ma questo dobbiamo intendere, perch nel battesimo si pu perdonare il peccato non si
pu cancellare la legge: nel matrimonio non peccato ma legge. Pertanto quello che di colpa si cancella
nel Battesimo: quel che di legge non si scioglie col matrimonio. E in che modo pu esortare alla
vedovit colui che ha frequentato il matrimonio?
249. Ma voi che avete ricevuto la grazia del sacro Ministero col corpo integro, con la pudicizia
inviolabile, alieni ancora dal consorzio coniugale sapete che si deve amministrare senza offesa alcuna, in
modo immacolato, senza violare questo compito con alcun atto di matrimoniale commercio. Ho voluto
dire ci perch in alcuni luoghi pi nascosti pur amministrando o ancora sacrificando hanno avuto figli, e
in questo si difendono con la vecchia usanza quando si sacrificava per intervalli di giorni: e non di meno
ancora il popolo stava casto due o tre giorni per venire puro al sacrificio, come leggiamo nel vecchio
Testamento; e lavava i suoi vestimenti. Se aveva tanta osservanza nella figura, quanta ce ne deve essere
nella verit? Appaia sacerdote e levita che cosa sia lavare i tuoi vestimenti, perch tu purifichi il tuo corpo
per celebrare i sacramenti. E se al popolo era vietato avvicinarsi alla propria vittima se prima non aveva
lavati i suoi vestiti, tu che hai il corpo e la mente cos immondi, hai l'ardire di supplicare in favore degli
altri, hai l'ardire di amministrare agli altri?
250. Non piccolo l'ufficio dei leviti dei quali dice il Signore: ecco io eleggo i leviti nel mezzo dei figli di
Israele per ogni primogenito che nasce nei figli di Israele, costoro saranno il pregio della redenzione e
saranno miei leviti. Perch io ho santificato per me i primogeniti nella terra d'Egitto (Num 3,12-13).
Abbiam visto che i leviti non sono contati tra gli altri ma sono a tutti preposti; ma tra tutti sono eletti e
sono santificati come le primizie dei frutti, che si offrono al Signore: e in questi c' l'adempimento dei voti
e la redenzione dei peccati. Dice: non li riceverai tra i figli di Israele e ordinerai i Leviti sopra il
tabernacolo del testimonio e sopra tutti i suoi vasi, e l'altare e tutte quelle cose che gli sono sopra. Essi
tolgano il tabernacolo e tutti i suoi vasi, ed essi amministrino in quello, ed essi pongano le tende attorno al
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tabernacolo e nel muovere le tende, essi, leviti, depongano il tabernacolo, e nel ricostruirle di nuovo essi
riordinino il tabernacolo sopradetto qualunque estraneo vi si avviciner subito muoia (Num 1,49ss).
251. Tu dunque sei eletto di tutto il numero dei figli di Israele reputato come primogenito tra i sacri frutti,
preposto al tabernacolo, affinch tu proceda nel campo della santit e della fede; e se qualche estraneo vi
si accoster muoia: sei posto e destinato a coprire ossia a custodire l'arca del testamento. Infatti, non tutti
vedono il profondo dei misteri perch son coperti a loro dai leviti, affinch non vedano coloro che non
devono vedere, ne prendano quelli che non possono conservare. Mos infine vide la circoncisione
spirituale ma la copr e scrisse molto avanti la circoncisione in un segni. Vide ancora gli azzimi della
sincerit e della verit: copr la passione del Signore col sacrificar l'agnello o il vitello; e i buoni leviti
osservarono il ministero della loro fede sotto questo velo; e a te sembra poco ci che ti affidato? In
primo luogo che tu veda le cose profonde di Dio: il che appartiene alla sapienza; dopo che tu ordini le
guardie per il popolo: il che appartiene alla giustizia; che tu difenda le squadre e custodisca il tabernacolo:
il che appartiene alla fortezza; e che tu ti ingegni di essere continente e sobrio: la qual cosa compito
della temperanza.
252. Queste sorti principali di virt ordinarono ancora quelli che sono fuori. Ma giudicarono che l'ordine
della comunit fosse superiore all'ordine della sapienza; con ci affinch essendo la sapienza fondamento,
la giustizia sia opera che non possa stare se non ha fondamento. E il fondamento Cristo.
253. La prima dunque la fede che la sapienza come dice Salomone imitando il padre: il principio della
sapienza il timore del Signore (Prov 9,10; Sal110,10) e la Legge dice: ama il Signore tuo Dio, ama il
prossimo tuo (Dt 6,5). dunque bella cosa che tu ponga nel comune della generazione umana la tua
grazia e i tuoi uffici. Ma pi eccellente cosa che tu affidi a Dio quella cosa che hai di pi prezioso cio
la tua mente della quale non hai cosa alcuna pi eccellente. Quando tu avrai pagato il debito al Creatore,
potrai collocare le tue azioni a beneficare e ad aiutare gli uomini e prestare aiuto alle necessit o con
denari o con l'ufficio, o ancora con qualche dono: il che si vede largamente nella vostra professione. Con i
denari che tu provveda; liberi chi legato da un debito: con l'ufficio che tu prenda ad osservare quelle
cose che teme di perdere colui che le aveva date in deposito.
254. Ufficio dunque mantenere e rendere un deposito. Ma talora succede un tal cambiamento o per
tempo o per necessit, che non sia un ufficio da rendere a lui quello che tu avrai accettato in deposito:
come se qualche manifesto nemico aiutando i barbari contro la patria ti chiedesse i denari, o se tu gli
rendessi ad uno, che avesse attorno chi subito glieli rubasse; se tu li restituissi a un matto che non sapesse
mantenerli; se tu non negassi ad un pazzo un coltello da lui datoti da lui in custodia col quale egli si
uccida: non sarebbe questo pagamento o questa restituzione contro all'ufficio? Non ancora contro
l'ufficio ricevere in custodia quelle cose che tu sappia che sono rubate per ingannare quello che le aveva
perdute?
255. ancora spesso contro l'ufficio osservare la promessa, mantenere il giuramento: come Erode, che
giur di dare alla figlia di Erodiade ci che ella gli avesse chiesto e ammazz Giovanni per mantenere la
promessa. E che dir io di Iefte che sacrific la figliola che dopo la vittoria gli si fece incontro prima che
alcuna altra cosa per adempiere al voto, che egli aveva promesso di offrire a Dio la prima cosa che gli
capitasse innanzi. Molto meglio sarebbe stato non promettere tali cose che disobbligarsi da tal promessa
col parricidio.
256. Voi sapete quanto giudizio bisogna avere nel considerare quelle cose. E per faticoso eleggere tale
levita che custodisca le cose sacre, non si inganni col consiglio, non abbandoni la fede, non tema la morte,
non faccia cosa alcuna a meno che in modo temperato, che mostri gravit nella stessa presenza,
convenendogli massimamente aver continenti non solo l'animo ma anche gli occhi e questo per qualche
fortuito riscontro non violasse la fronte della sobriet. Perch: chi guarda una donna con desiderio cattivo
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ha gi commesso adulterio con lei nel suo cuore (Mt5,18). Cos l'adulterio non si commette solamente con
l'atto stesso ma anche con l'intenzione del vedere.
257. Grandi appaiono queste cose e troppo severe ma non sono superflue in quest'ufficio: poich tanta la
grazia dei leviti che di essi disse Mos nelle benedizioni: date a Levi quelli che sono veramente e
manifestatamente suoi, date a levi la porzione del suo aiuto, e le sue verit all'uomo santo che lo hanno
tentato nelle tentazioni e maledetto sopra l'acqua della contraddizione. Quello che dice a suo padre e a sua
madre: io non vi conosco; e ai suoi fratelli: io non so chi voi siate; ed ha cacciato da s i figli; questi
custodisce le tue parole e osserver il tuo testamento. (Dt 33,8ss).
258. Quelli dunque sono i suoi veramente e manifestatamente che non hanno nessun inganno nel cuore,
non nascondono nessuna frode; ma custodiscono le sue parole e le custodiscono nel loro cuore, come le
custodiva Maria Santissima: che sappiano di non dover preferire i suoi parenti al proprio ufficio; che
abbiano in odio coloro che violano la castit, vendichino l'offesa della pudicizia; conoscano i tempi degli
uffici; quello che sia maggiore e quello che sia minore, quello che sia pi adatto a qualunque tempo e che
seguano solamente quello che onesto; e dove si ritrovino due onesti, pensino di dover preporre quello
che pi onesto. Costoro sono da lodare giustamente.
259. Se qualcuno dunque manifesta la giustizia di Dio, e offre l'incenso: benedici Signore la sua virt,
ricevi le azioni delle sue mani (Dt 33,10) perch egli trovi la grazia della benedizione profetica presso
Colui che vive e regna nei secoli dei secoli. Amen.
LIBRO SECONDO
CAPITOLO I
1.Abbiamo fin qui trattato degli Uffici, che noi giudicavamo convenire all'onest nella quale non
dubitavamo che sia posta la vita beata, detta nella Sacra scrittura, detta vita eterna. Perci lo splendore
dell'onest tanto che la tranquillit della coscienza e la sicurezza dell'innocenza sono quelle che rendono
la vita beata. Per siccome il sole del giorno nasconde il globo della luna e le altre luci delle stelle, cos il
chiarore dell'onest dove risplende con vera e incorrotta bellezza offusca tutte quelle cose, che sono
reputate buone secondo il piacere del corpo, o secondo il mondo, ritenute chiare ed illustri.
2.Beata certamente che non giudicata da giudizi estranei ma come giudice di se, coi suoi propri
sentimenti si impara. Perch ella non ricerca come premio le opinioni del popolo ne le teme per supplizio.
Pertanto quanto meno cerca gloria, tanto pi superiore a quella. Perci a quelli che ricercano la gloria,
l'ombra delle cose future gi premio delle presenti che impedisce la vita eterna. E questo scritto nel
Vangelo: in verit vi dico essi hanno gi ricevuto il loro premio (Mt 6,2); quelli cio che fanno ogni
sforzo per mostrare la liberalit che usano verso i poveri come se con la tromba lo notificassero; e altres
del digiuno che fanno solamente per ostentazione: loro hanno, dice, il loro premio.
3. All'onest dunque appartiene o usar misericordia, o digiunare segretamente cos che appaia che tu
aspetti il premio solamente dal tuo Dio e non dagli uomini. Perch chi cerca di essere premiato dagli
uomini ha gi il suo premio; ma chi lo aspetta solo da Dio, ha la vita eterna che non la pu concedere se
non l'autore dell'eternit come si vede qui: oggi sarai con me in paradiso (Lc 23,43). Da qui la Scrittura
chiam pi espressamente vita eterna quella che sia tanto felice da non poter dipendere in nessun modo
dalle opinioni degli uomini, ma che si lascia al giudizio divino.
CAPITOLO II
4. Pertanto i filosofi posero la vita beata, altri nel non avere dispiaceri, come Girolamo, altri nel
soddisfacimento delle cose, come Erillo, che sentendo da Aristotele e da Teofrasto lodare
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meravigliosamente la scienza delle cose, giudic che essa fosse la sola ad essere il sommo bene
nonostante che essi l'avevano lodata come cosa buona ma non come l'unica buona. Altri la posero nel
piacere come Epicuro. Altri furono dell'opinione di Califone, e dopo di lui Diodoro, il primo di
raggiungere il piacere, l'altro di non avere dispiaceri, il consorzio dell'onest perch senza di quella non ci
pu essere vita beata. Zenone stoico ritenne che il sommo bene fosse solamente quello che onesto; e
Aristotele e Teofrasto e gli altri peripatetici ritennero che la vita beata fosse nella virt, cio nell'onest;
ma affermarono che la felicit si compie perfettamente ancora con i piaceri del corpo e con i beni
esteriori.
5. Ma la Sacra Scrittura ha posto la vita beata nel conoscere la divinit e nel frutto delle buone opere.
Finalmente dell'uno e dell'altro abbiamo detto la testimonianza evangelica. Perch circa la scienza cos
disse Ges Cristo nostro Signore: questa la vita eterna che conoscano Te, l'unico vero Dio e Ges Cristo
che Tu hai mandato (Gv17,3); e circa le opere cos rispose: chiunque lascer la casa i fratelli le sorelle, le
propriet per Mio nome ricever cento volte tanto e ricever la vita eterna (Mt19,29).
6. Ma perch non si giudichi questa essere cosa nouva, e trattata prima nei filosofi che trattata prima nel
Vangelo, anche se i filosofi, cio Aristotele Teofrasto, Zenone e Girolamo siano stati anteriori al Vangelo,
ma altres posteriori ai profeti, sappiano costoro quanto prima che si udisse ricordare e il nome dei filosofi
che ambedue queste cose furono apertamente dette per bocca del santo Davide. Infatti scritto: beato
l'uomo che tu, Signore, avrai educato e gli avrai insegnato la tua legge (Sal93,12) e in un altro passo
abbiamo: beato l'uomo che teme il Signore e desidera i suoi comandamenti (Sal111,1). Abbiamo
insegnato della conoscenza il cui premio ha detto il Profeta, essere frutto dell'eternit, aggiungendo che
tali cose sono nella casa di colui che teme Dio ed ammaestrato nella legge, e che desidera fare i divini
comandamenti: onore e ricchezza bella sua casa e la sua giustizia dura per sempre (Ibid 3). Circa le azioni
aggiunge ancora nel medesimo salmo che all'uomo giusto dovuto per premio la vita eterna. Alla fine
dice: felice l'uomo pietoso che d in prestito, disporr le sue parole nel giudizio e non sar rifiutato in
eterno; in memoria eterna sar il giusto (Ibid 5-6). E poco sotto: egli ha distribuito e dato ai poveri, la sua
giustizia dura pe sempre (Ibid 9).
7.La fede dunque ha la vita eterna perch il fondamento buono; ce l'hanno i buoni fatti; questo affinch
l'uomo giusto si esprima con le parole e con i fatti. Perch se si sar esercitato nel parlare e non
nell'operare, scaccer con le opere la sua prudenza; ed molto peggio sapere quel che tu dovresti fare e
non fare quel che sai di dover fare. D'altra parte ancora fare opere buone ed essere con i discorsi poco
fedele come se tu volessi edificare un alto muro sopra un fondamento pessimo; tanto che quanto pi
costruisci pi si distrugge; perch le buone azioni non possono stare senza la forza della fede. La nave se
messa male nel porto si guasta e un terreno arenoso presto cede n pu sopportare il peso di un edificio
costruitogli sopra. La sapienza del premio dunque la dove c' la perfezione della virt ed una certa
uguaglianza della modestia nelle parole e nei fatti.
CAPITOLO III
8. E perch gli si rifiutata la sola scienza delle cose o come vana opinione secondo le superflue dispute
filosofiche; o come non perfetta consideriamo quanto senza scrupoli la Sacra Scrittura dichiari il suo
parere circa questa cosa; della quale noi vediamo, essere implicate e confuse tante questioni nella
filosofia. Perch la Scrittura afferma, niente ben se non ci che onesto e giudica la virt essere felice in
ogni stato; la quale non si accresce mediante i beni esteriori o del corpo; n per l'avversit diminuisca:
niente beato se non quello che lontano dal peccato pieno di innocenza, abbandonato alla Grazia di Dio.
Perch scritto: Beato l'uomo che non segue il consiglio degli empi e non sta nella via dei peccatori, e
non siede nel pestilente seggio, ma la sua volont nella legge del Signore.(Sal 1,1-2). Ed in un altro
luogo: Beato quelli che non hanno errato nella legge degli empi, ma vanno nelle vie del Signore.(Sal
118,1).
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9. l'innocenza dunque e la scienza fanno l'uomo beato; e sopra abbiamo notato, la beatitudine della vita
eterna esser e il premio delle nostre azioni. Rimane dunque che, spregiato il patrocinio del piacere o la
paura del dolore ( l'uno come troppo delicato e molle, l'altro senza forze e debole) io dimostri che la
felicit si acquista nei dolori. Il che mi sar facile insegnare avendo letto: Beati voi quando sarete
oltraggiati e perseguitati e sar detta ogni ingiustizia contro di voi. Rallegratevi e gioite, perch gande la
vostra ricompensa nei cieli. Perch cos hanno perseguitato i profeti prima di voi (Mt5, 11-12). E in altro
luogo: Chi vuol venire dietro a Me rinneghi se stesso prenda la sua croce e mi segua. (Mt16,24).
CAPITOLO IV
10. Dunque la felicit nei dolori (che la virt piena di soavit frena e smorza) di intrinseche ricchezze o
per la coscienza o per la grazia, per se medesima abbondante. Perch non fu poco beato Mos quando
insieme col popolo dei padri solc le onde marine come se fossero terra con meriti di piet essendo
accerchiato dalla moltitudine degli egizi e racchiusa nel mare: perch quando fu gli fu pi forte Mos che
allora accerchiato da strani pericoli non disperava della salute ma domandava il trionfo?
11. Che diremo noi di Aronne quando si tenne egli pi beato, quando stette nel mezzo dei vivi e dei morti,
e col contrapporsi ferm la morte per non passare dai corpi dei morti alle schiere dei vivi? Che del
giovane Daniele che era tanto saggio, che posto tra leoni per la fame rabbiosi, per niente temeva la
crudelt di tali bestie, tanto estraneo alla paura, che egli poteva mangiare, n temeva di provocare col suo
esempio le bestie al pasto di se stesso?
12. dunque ancora la virt nel dolore, la quale ha in se la soavit della buona coscienza; e per segno,
che il dolore non rompe tanto il piacere della virt. Siccome dunque niente allontana la felicit dalla virt
mediante il dolore cos anche non gli si avvicina per i piaceri del corpo o per comodit alcuna. E circa
questo diceva ottimamente l'Apostolo: io per amore di Cristo ho giudicato che tutte queste cose che prima
per me erano un guadagno ora sono delle perdite (Fil 3,7-8). E aggiunge: per il quale ho reputato queste
cose dannose e le stimo come sterco per guadagnare Cristo (Eb 11,26).
13. Infine Mos stim che i tesori degli egizi fossero per se un danno e a quelli oppose gli obbrobri della
croce del Signore ne allora fu ricco quando Egli abbondava di denari; n poi fu povero quando gli
mancava il vitto se gi per sorte non paresse essere stato neppure felice allora, quando nel deserto gli
mancavano le quotidiane vettovaglie per se e per il suo popolo, ma gli era continuamente somministrata
dal cielo la manna, cio il pane degli angeli. Il che nessuno ardir dire che non fosse il sommo bene e di
gran felicit. Ancora le carni abbondavano di continuo per vivande di tutta la moltitudine di grande
abbondanza.
14. Mancava il pane anche al santo Elia (1Re 17,6) per il vitto se egli lo avesse cercato: ma non pareva
che gli mancasse perch non lo cercava. Pertanto per il quotidiano servizio era nutrito la mattina dai corvi
e la sera con il pane e la carne. Era forse per questo poco felice, per essere quanto a se povero? Anzi era
felicissimo perch egli era ricco quanto Dio. Perci per lui meglio esser ricco per altri che per se, come
era questo, che nel tempo di grande carestia che se il cibo ad una vedova dalla quale egli era andato per
ottenere che l'orcio della sua farina non venisse meno per tre anni e sei mesi; e che tanto tempo ancora
bastasse alla povera vedova l'orcio dell'olio per il suo uso quotidiano. Giustamente dunque Pietro voleva
stare laddove egli vedeva costoro. Giustamente apparirono costoro sopra il monte in gloria con Cristo;
perch egli ancora si rese povero essendo ricchissimo
15. Nessun aiuto pongono le ricchezze alla vita beata. Il che lo dichiar apertamente il nostro Salvatore
nel Vangelo, dicendo: beati i poveri perch dicessi il regno die cieli, beati quelli che hanno fame e sete
della giustizia perch saranno saziati. Beati voi che ora piangete perch riderete (Lc 6,20ss). Abbiamo
pertanto in modo chiarissimo provato che la povert, la fame, il dolore, che son ritenute avversit, non
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solo non sono impedimento alla felicit, ma ancor di pi aiuto.


CAPITOLO V
16. Ma quelle cose che ancora appaiono prospere: ricchezze abbondanza, allegrezza, tranquillit d'animo
sono al frutto della beatitudine dannosa ci ampiamente dichiarato dal giudizio del Signore quando egli
dice: guai a voi ricchi che avete i vostri premi, guai a voi che siete sazi al presente perch avete fame(Ibid
24ss). E per quelli che ridono perch piangeranno. Cos dunque i beni del corpo e quelli esteriori non solo
non sono di aiuto alla vita beata ma anche di grande fastidio.
17. Perch quindi fu beato Nabot ancora mentre era lapidato dal potente, perch essendo povero ed
infermo, fu molto ricco solamente d'animo e di religione contro le ricchezze regali, che egli non volle
vender al Re la vigna della sue eredit paterna per i denari; e per questo fu perfetto, perch col proprio
sangue difese le ragion i dei suoi antenati. Quindi ancora fu infelice il re Acab, secondo il suo parere,
perch egli aveva fatto uccidere quel poveretto per occupare la sua vigna.
18. Certa cosa che la sola virt il sommo bene, e che ella da sola basta al frutto della vita beata, e che
la felicit non si consegua con i beni esteriori o del corpo, ma con la sola virt mediante la quale la vita
eterna si acquista. Perch la vita beata il frutto delle cose presenti e la vita eterna la speranza di quelle
future.
19. Non di meno sono molti che pensano che sia impossibile che la vita beata sia in questo corpo tanto
infermo, tanto fragile nel quale bisogna affannarsi, dolersi, piangere, sopportar malati; come se io dicessi
che la vita beata consista in una certa allegrezza del corpo, e non nell'altezza della sapienza, nella soavit
della coscienza, e nella altezza della virt. Perci cosa felice non il rimanere nelle passioni, ma vincerle;
n lasciarsi sopraffare dalle perturbazioni del dolore temporale.
20. Si supponga che sopravvengano quelle cose che possono portare gravi dolori, come la cecit, l'esilio,
la fame, lo stupro della figlia, la perdita dei figli. Chi dir che Isacco non fosse beato, lui che nella sua
vecchiaia non vedeva, ma distribuiva le beatitudini con le sue benedizioni? Non fu anche felice Giacobbe
che fuggiasco dalla casa paterna, divenuto pastore mercenario sopport l'esilio, vide macchiare la
pudicizia della figlia e sostenne la fame? Non sono dunque felici coloro, la cui testimonianza per la loro
fede ricevette Dio, quando Egli dice: Dio di Abramo, Dio di Isacco, Dio di Giacobbe (Gen 34,1)?
Meschina la servit ma non gi meschino Giuseppe; anzi completamente felice poich posto in servit
frenava le libidini della sua signora. Che dir io del santo David che pianse la morte di tre suoi figli(di
Amone, Assalonne, e di quel fanciullo che gli nacque da quella che era stata moglie di Uria), e quello che
di queste cose pi aspro, l'incesto della figlia? Cosa diremo noi che non era beato lui, dalla cui
successione nacque l'Aurora delle beatitudini, che rese felici quasi un'infinit di persone? Perch beati
sono quelli che senza aver veduto hanno creduto (Gv20,29). Furono ancora nel sentimento dell'infermit,
ma ne uscirono forti. Che cosa pi faticoso del santo Giobbe o nell'incendio della casa o nell'istantanea
morte di dieci figli, o nei dolori del corpo? Forse egli non fosse felice se non avesse sostenuto quelle cose,
nelle quali fu provato?
21. Non di meno si conceda che egli avesse mescolato con queste cose, qualche asprezza: qual dolore non
nasconde la virt dell'animo? Dir io che il mare non sia profondo, perch le sponde sono facili da
guadare? Non negher che il cielo sia sereno perch esso talvolta nuvoloso, n neanche che la terra sia
fertile perch in certi luoghi si trova solo sterile ghiaia. O che le biade siano grasse perch esse son solite
aver mescolata l'avena non feconda. Nel medesimo modo, pensa di essere molestata la ricolta dalla
coscienza tranquilla da qualche aspro dolore. O se per avventura accade qualche avversit o amarezza,
non si nasconde essa come fertile avena, nelle vicende di tutta la vita beata o si copre come l'amarezza del
loglio nella soavit del grano? Ma gi tempo di tornare al nostro profitto.
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CAPITOLO VI
22. Abbiamo fatto nel libro passato una divisione di questa maniera, in modo che in primo luogo si
tenesse l'onesto e il decoro, dal quale derivano gli uffici; in secondo luogo abbiamo messo l'utile. E come
abbiamo detto nel primo che tra l'onesto e il decoro c' una certa distinzione, che pi facile da
comprendere che da esprimere; cos parlando al presente dell'utile, sembra da considerare ci che pi sia
utile.
23. Non stimiamo l'utilit secondo il guadagno dei denari, ma con l'acquisto della piet, come dice
l'Apostolo: la piet utile a tutte quante le cose, contiene le promesse della vita presente e futura(1Tim
4,8). Troviamo pertanto, se noi cerchiamo diligentemente che nella sacra scrittura si chiama spesse volte
utile quello che onesto. Tutte le cose mi sono lecite ma non tutte utili (1Cor 6,12).Sopra parlava dei vizi,
ora dice: si pu peccare ma non conveniente. I peccati sono in nostro potere ma non sono onesti. Il
lussureggiare facile ma non giusto; perch il cibo non si raccoglie per Dio ma per il ventre.
24. Dunque perch quel che utile anche giusto, utile che noi serviamo Cristo, che ci ha riconquistati.
Per giusti sono quelli che si offrono alla morte per il suo nome; ingiusti quelli che sfuggirono questa cosa
dei quali scritto: che utilit hai dalla mia morte se perisco? (Sal 29,10). Cio che acquisto della mia
giustizia? Da dove: leghiamo il giusto perch egli ci di inciampo(Is 3,10). Cio ingiusto che ci riprende
condanna corregge; bench quello si possa riferire anche all'avarizia degli uomini empi la quale vicina
alla perfidia siccome noi leggiamo di giuda il traditore, che per avarizia e desiderio di denari incorse nel
laccio del tradimento.
25. di queste utilit dunque dobbiamo trattare, che sia piena di onest come defin l'Apostolo con queste
stesse parole: dico questo per vostra utilit non per rendervi un laccio ma per sollecitarvi all'onest.
dunque manifesto che ci che utile anche onesto e giusto; e quel che onesto e anche utile e giusto; e
quel che giusto utile e onesto. Perch io non indirizzo questo ragionamento a mercanti per la sfrenata
voglia di denari, ma a voi figli, e parlo di quegli uffici che io cerco di inculcare e infondere in voi quali ho
eletti nel ministero di Dio, perch quelle cose che per l'usanza e le istituzioni nelle menti e nei vostri
costumi sono impiegate e impresse, si manifestino ancora col parlare e la disciplina.
26. Dovendo parlare dell'utilit mi servir di quel versetto del profeta: volgi il mio cuore alle tue parole e
non all'avarizia (Sal118,36) perch il suono dell'utilit non desti il desiderio dei denari. Infine in certi testi
si legge: Piega il mio cuore alle tue parole e non all'utilit; a quella cio che sta attenta alle piazze dove si
guadagna, a quella impiegata e derivata per usanza degli uomini agli studi del denaro: perci volgarmente
si chiama utile solo quello che apporta guadagno. E noi trattiamo di quell'utilit che si cerca con i danni
per guadagnare Cristo, il guadagno del quale la piet con la sufficienza: gran guadagno certamente con
il quale noi acquistiamo la piet la quale presso Dio ricca non di caduche facolt, ma di doni eterni nei
quali ci sia non una certa tentazione, ma una costante e perpetua grazia.
27. Si trova dunque secondo la divisione dell'Apostolo, una utilit corporale, un'altra della piet. Perch
l'esercitazione corporale utile a poco, la piet utile a tutte le cos.(1 Tim 4,8). E cosa pi onesta
dell'integrit? Cosa cos bello quanto il mantenere il corpo immacolato e la pudicizia inviolata ed
incontaminata? Che cosa ancora tanto grazioso quanto una vedova che osservi la fede al passato marito?
Che cosa ancora pi utile di questa con la quale si acquista il regno dei cieli? Perch ci sono molti che
per il regno dei cieli si sono castrati (Mt 19,22).
CAPITOLO VII
28. E dunque non solo c' familiarit tra l'onesta e l'utilit ma sono il medesimo appunto. Perci chi
voleva aprire a tutti il regno dei cieli, non cercava ci che fosse utile per se, ma a tutti. La dove dobbiamo
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cercare un certo ordine e grado, ancora da queste cose utili e comuni, per quelle che sono pi eccellenti,
per cavar maggior utilit da pi cose.
29. E per prima casa dobbiamo sapere che niente pi utile, quanto l'esser ben voluto; nulla tanto inutile
quanto il non esser amato: perch reputo che sia dannoso e troppo capitale l'esser odiato. Pertanto
sforziamoci con ogni diligenza di farci tenere in buona reputazione e opinione da tutti e di entrare prima
nell'affezione degli uomini con la piacevolezza della mente, e con la benignit dell'animo. Infatti la
benignit favorita dai popoli e piace a tutti e non c' nessuna cosa che penetri tanto facilmente nei
sentimenti umani. Questa se aiutata dalla mansuetudine dei costumi, dalla facilit d'animo, da
comandamenti moderati, dall'affabilit del parlare, e da onore delle parole e da pazienza scambievole nei
ragionamenti, e dalla grazia della modestia che incredibile quanto accresca la grandezza dell'amore.
30. Perch noi abbiamo letto quanto profitto abbia l'esser facile, lusinghevole e affabile; non solo per le
persone private ma anche per i re, ed al contrario quanto abbia nociuto la superbia e l'asprezza nel parlare
che ha portato perfino a rovinare regni, e mutare stati. E se qualcuno si acquista la grazia del popolo col
consiglio, con le azioni, col ministero e con gli uffici, o se qualcuno si espone a qualche pericolo per tutta
la moltitudine, non c' dubbio che da tutto il popolo gli sia portato tanto amore, che metter davanti la sua
salute e grazia alla propria.
31. Quante villanie inghiottiva Mos fattegli dal popolo; e bench il Signor Iddio li volesse castigare per
le loro insolenze; non di meno frequentemente per il popolo si offriva per salvarlo dall'ira divina? Con
quante parole amorevoli chiamava il popolo dopo che aveva ricevuto ingiurie da lui, lo confortava nelle
fatiche, lo addolciva con gli oracoli e lo favoriva con le opere?(Es 32,11ss). E bench egli intimamente
parlasse costantemente con Dio, non di meno era solito parlare col popolo, con umili e preziose domande.
Meritatamente fu reputato sopra tutti gli uomini, tanto che essi non potevano guardare la sua faccia e
credessero che non si trovasse la sua sepoltura; cos egli aveva conquistato le menti di tutti gli uomini, che
l'amarono pi per la sua mansuetudine, che non l'ammirarono per le sue opere grandi!
32. Ma che diremo noi del suo imitatore, il santo David, eletto dal numero di tutti a governare il popolo:
quanto egli fu benevolo e benigno, umile di spirito, diligente di cuore, affabile nel parlare? Prima che fu
divenuto re, si offriva per tutti; dopo esser stato fatto re pareggiava la sua milizia con tutti, prendeva la sua
parte della fatica, forte nel guerreggiare, mansueto nel comandare, paziente negli oltraggi, pi pronto a
sopportare che a render ingiurie perci era tanto grato a tutti che egli ancora giovane fu contro la sua
voglia chiesto per diventare re, e pur resistendo fu forzato; poi diventato vecchio fu pregato che non
volesse trovarsi presente in guerra, preferendo essi mal capitare per lui piuttosto che solo lui per tutti.(1
Sam10,12ss)
33. Con tanti giocondi uffici si era obbligata la moltitudine(2Sam 2,2ss). Primariamente per le discordie
dei popoli prefer di star in esilio in Ebron piuttosto che regnare a Gerusalemme. Poi avendo egli amato
cos tanto la virt del suo nemico, ritenendo di dover osservare la giustizia, allo stesso modo con quelli
che avevano preso le armi contro di lui come coi suoi. Ammir infine Abner fortissimo combattente,
capitano della parte avversa, e venendo a chiedergli pace, invece di dispregiarlo lo onor; e sapendo,
ch'egli era stato ucciso con degli agguati, se ne dolse e pianse: gli fece esequie e con la sua presenza le
ingrand; vendicatosi della morte fece fede di quel che aveva nell'animo; ci che egli lasci al figlio tra le
ragioni dell'eredit fu di non lasciar passare senza vendetta la morte dell'innocente pi che dolesi della
sua.
34. Non fu poco questo in un re, che in lui ci fossero le forze dell'umilt cos che egli si rendesse simile
con i pi infimi, che non ricercasse cibo con il pericolo per altri, ricusasse il bere; confessasse il peccato,
offrisse se stesso alla morte per il popolo per far venire sopra di se il castigo di Dio, offrendosi al flagello
dell'angelo di Dio dicendo: Ecco io son quegli che ho peccato, io pastore ho fatto il male; e questo gregge
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che ha fatto? La tua mano scorra sopra di me (Ibid 24,17).


35.Ma che posso dire di pi; che mentre questi pensavano di ingannarlo, non apriva la bocca, e come se
egli non avesse udito, riteneva di non dover dire nulla.; non rispondeva alle villanie: quando fu degradato
dal suo grado pregava: quando era maledetto, benediva, andando nella semplicit e fuggendo l'arroganza
dei superbi, seguendo i non nocevoli: mescolava la cenere coi suoi cibi, quando piangeva i suoi peccati
colle lacrime stemperava il suo vino. Fu cos da tutto il popolo considerato meritevole che vennero a lui
tutti quelli della trib del fratello dicendo: anche noi siamo tua carne e tue ossa: sia ieri che l'altro ieri
quando Saul regnava sopra di noi, tu eri quello che guidavi e accompagnavi, fratello. Ed il Signore ha
detto: tu pascerai il mio popolo (2Sam 51ss). E che dir io pi di lui, poich Dio disse: (Sal88,21) io ho
trovato David mio servo secondo il mio cuore? Perch chi come questi cammin nella santit del cuore e
nella giustizia in tal modo che egli adempisse la volont di Dio? Per amor del quale fu perdonato ai suoi
posteri, quando essi errarono; e fu riservata la prerogativa agli eredi.
36. Chi dunque non l'avrebbe amato, vedendolo cos affabile con gli amici; perch amandoli tanto
sinceramente poteva anche giudicare di essere parimenti amato da loro? Finalmente i padri lo
preponevano ai figli e i figli ai padri; essendo gravemente sdegnato Saul volle con un'asta percuotere
Giona suo figlio giudicando che ci fosse in lui pi amicizia per David che piet per l'autorit paterna.(1Re
11,12-13)
37. Perci molto pu incitare all'amor comune, se qualcuno scambievolmente vuol bene, e molto non
amar punto meno chi ama lui: lo chiaro in molti esempi di amicizia. Perch qual cosa pi popolare che
la grazia? Che abbiamo di pi naturale che amar chi ci ama? Che cosa pi invecchiata e impressa nelle
azioni umane, che indurirsi nell'animo di voler bene a quello dal quale tu desideri di esser amati? Con
merito dice il Savio: spendi i denari per il parente e per l'amico. Ed altrove: non mi vergogner salutar
l'amico ne mi nasconder dalla sua faccia.(Sir 29,13ss). Il parlare dell'Ecclesiastico faccia fede che la
medicina della vita e dell'immortalit sta nell'amico! E nessuno dubiti che l'aiuto non sia nella carit
dicendo l'Apostolo: Ella sopporta tutte le cose, tutte le crede, di tutte ha speranza, tutto sopporta, mai cade
la carit (1Cor 13,7ss).
38. Perci non cadde mai David, perch fu caro a tutti, e volle piuttosto esser amato da tutti i suoi sudditi
che temuto. Perch il timore prende bens la guardia e la difesa per qualche tempo: ma non la sa
mantenere lungamente. Pertanto donde si parte il timore, cresce l'audacia, perch la fede non dal timore
sforzata, ma donata dall'affezione.
39. Adunque la carit la prima, che ne loda. Pertanto bene che si sappia di esser amato da molti. Da
qui nasce la fede, che molti essendo ancora lontani dalla fede non dubitano fidarsi di te, vedendo che tu
sei molto grato. Similmente mediante la fede si giunge alla carit: chi avr osservato la fede di uno o due
far come se penetrasse negli animi di tutti, e acquietasse la grazia universale.
CAPITOLO VIII
40. Queste due cose dunque possono assai acquistare lode, cio la carit e la fede, e questa terza cosa,
cio, se la maggior parte giudicher che in te sia degna di ammirazione, e perfino d'averti con ragione ad
onorare.
41. E perch l'uso del consigliare concilia molto gli uomini, perci la prudenza, e la giustizia si desiderano
per ciascuno, e si aspettano da molti, cos che si presti fede a quello, nel quale si ritrovano queste cose,
che egli possa consigliar utilmente e fedelmente a chi lo domanda. Perch chi si rimetterebbe in quello
che non pensi, che sappia molto pi di lui che domanda consiglio? dunque di necessit che sia pi
eccellente colui al quale chiesto consiglio, che quel che lo domanda. Perch a qual proposito tu
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domanderesti consiglio a quello che tu non pensi ci sia cosa migliore che in te?
42. Che se tu trovi uno che sia eccellente di vivacit d'ingegno, di vigore di mente, e di reputazione, ed si
aggiunga a quello, che a lui sia per l'esempio e per l'esperienza pi pronto, sciolga i pericoli presenti, veda
prima il futuro, ti porga aiuto e rimedio a tempo dovuto, sia pronto e preparato non solamente a dar
consiglio, ma anche aiuto: a quello si presta fede, cos che quel che chiede consiglio dica: se egli mi
consiglier male lo sopporter per lui.
43. In un uomo dunque cos fatto, che sia giusto, come dicemmo sopra, e prudente rimettiamo la nostra
salute ed onore. Perch la giustizia fa si che non ci sia paura di affidarsi a lui, e la prudenza ancora fa, che
non vi sia sospetto alcuno, che lui possa sbagliare; non di meno noi ci fidiamo pi di un uomo giusto, che
di un prudente per parlare secondo la opinione comune. Che nella definizione dei saggi dove si trova una
virt concorrono tutte le altre insieme, ne pu senza la prudenza star la giustizia: ci che troviamo ancora
nei nostri; perci David dice: il giusto ha misericordia e presto (Sal 36,11). Quel che presta il giusto, ce lo
dichiara in un altro luogo: l'uomo grazioso ha misericordia e presta disporr il suo parlare nel giudizio
(Sal 111,5)
44. E quel nobile giudizio di Salomone non fu egli pieno di sapienza, e di giustizia? Consideriamo
dunque, se egli cos. Due donne, dice, stettero alla presenza di Salomone e una di loro disse: (cfr 1Re
3,16ss) Signore ascoltami: abitando quella donna ed io in una medesima camera, dopo tre giorni che ebbi
partorito, lei partor: e stavamo insieme in sala; con noi non c'era nessun altro, donna alcuna, se non noi
sole, ed il figliolo di costei mor questa notte; perch ella gli si addorment addosso; e levatasi di notte mi
lev il mio figlio dal lato e se lo mise accanto a se, e pose il suo figliolo morto accanto a me. Io mi levai
stamattina per allattarlo e lo trovai morto e lo considerai a buon'ora e lui non era mio figlio. Rispose
l'altra: la cosa non sta cos; ma questi che vive figlio mio ed il tuo quello che morto.
45. E questa era la lite, che ciascuna s'attribuiva per figlio quello che era vivo, ed ambedue negavano che
il morto fosse il suo. Allora il re comand che si portasse un coltello e che il piccolo bambino si dividesse
e che se ne desse una parte a ciascuna: mezzo all'uno, mezzo all'altra. Grid la donna, che era mossa da
vera affezione: signore di grazia non lo fate dividere, si dia, piuttosto a costei, e viva, e non si ammazzi;
ma l'altra rispose: n mio n suo ha da essere il fanciullo, dividetelo pure. E il re ordin che fosse dato a
quella donna che aveva detto di non ammazzarlo; perch la sua interiorit, disse sopra suo figlio si
commosse.
46. Per meritatamente fu reputato che in lui fosse l'intelletto divino, rivelandogli gli ascosi segreti divini.
Perch qual cosa pi profonda che la testimonianza delle viscere interiori, nelle quali scese l'intelletto
del Savio come un certo arbitro della piet, e cav quasi una certa voce del genital corpo, mediante la
quale si fece palese l'affezione materna, che elesse piuttosto che il suo figliol vivesse con una estranea,
che essere ucciso alla sua presenza?
47. Fu dunque gran saviezza distinguere le segrete coscienze, trarre la verit dalle cose occulte, e cos con
l'armatura dello spirito, come con un certo coltello, penetrare non solo le viscere del corpo, ma anche
quelle dell'anima, e della mente. Fu giustizia ancora, che quella che aveva morto il figlio suo, non
togliesse l'altrui, ma la propria madre ricevesse il suo. Finalmente ancor questo narra la Scrittura: tutto
Israele, dice, sent questo giudizio, che dette il re, e temettero la sua faccia, conoscendo che l'intelletto di
Dio in lui risplendeva tanto; che lui facesse giustizia (1Re 3,28). Finalmente Salomone stesso chiese cos
la sapienza, che egli ottenne che gli fosse concesso un cuor prudente ad ascoltare, e giudicar con giustizia.
CAPITOLO IX
48. Dunque secondo la Sacra scrittura, che pi antica, altres manifesto, che la sapienza non pu stare
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senza giustizia, perch l dove una delle virt, l l'altra. Daniele ancora quanto sapientemente trov
egli con un'alta domanda la bugia della fraudolente accusa, che la risposta dei calunniatori tra se medesimi
discordassero? Fu dunque gran prudenza, chi aveva errato nella testimonianza della lor propria voce. Fu
ancora giustizia castigar chi aveva commesso il delitto, e salvar chi non era nocevole.
49. dunque un medesimo modo della sapienza, della giustizia, ma secondo l'usanza del volgo si
distingue un certa forma delle virt; che la temperanza sia nel disprezzare i piaceri, la fortezza si consideri
nelle fatiche e nei pericoli; la prudenza nel metter da parte le cose buone, saper distinguere le comodit e
le avversit; la giustizia quella che mantiene le ragioni altrui, si attribuisce il proprio e conserva a
ciascuno ci che suo. Abbiamo fatto dunque per amor della comune opinione questa divisione in quattro
parti, che ritirandoci da quella sottile disputa della Filosofia e della sapienza, che si ricava come da una
certa entrata per limare la Verit, continuiamo l'usanza volgare, e il senso del popolo. Dunque osservata
questa divisione, ritorniamo al nostro proposito.
CAPITOLO X
50. Noi affidiamo i nostri affari pi volentieri ad uno che sia sommamente prudente; e a lui prontamente
che ad altri domandiamo consiglio. Nondimeno molto meglio un fedele consiglio d'un uomo giusto, e
molte volte prevale l'ingegno di uno assai sapiente. Dunque: sono pi utili le ferite degli amici, che i baci
degli altri (Pro 27,6). Finalmente perch l'atto del giusto il giudicare, e l'atto del savio di discutere con
ragioni: in quello il giudizio della disputa, in questo l'astuzia dell'invenzione.
51. Se tu congiungi una cosa con l'altra, ne usciranno molti lodevoli consigli, che sono considerati da tutti
con meraviglia della sapienza ed amor della giustizia, tanto che ciascuna cerchi di udire la sapienza di
quell'uomo, nel quale siano insieme queste cose, non altrimenti che ceravano tutti i Re della terra di
vedere la faccia di Salomone, ed udire la sua sapienza, tanto che la Regina di Saba venne a lui per
provarlo e metterlo alla prova circa difficili questioni. Dice: E venne e gli disse tutte le cose che ella aveva
nel cuore, e ud tutta la sapienza di Salomone, e non ne perse parola (1 Re 10,2-3)
52. Chi sia questa che intendesse tutte le cose, e nessuna cosa si trovasse che davvero Salomone non gli
fosse rivelata e manifestata, lo puoi capire dalle cose che tu la senti parlare. Dice: Sono vere le cose che io
ho udito nel mio paese sulle tue parole e sulla tua prudenza; e mai l'ho credute da quelli che me le hanno
raccontate fintantoch io non sono venuta di persona e i miei occhi le hanno vedute; ed ora conosco che
non se ne dicono neppure la met. Tu hai molte felicit oltre a quelle, che io non ne abbia udite nei miei
paesi. Felici certo sono le tue donne, felici i tuoi servi che ti servono, che odono la tua prudenza. Riguardo
al convito del vero Salomone, e con grande sapienza contempla le cose, che prima in tal convito si sono
poste, e considera in che paese l'unione delle nazioni abbia udita la fama della vera sapienza e della
giustizia, e con quali occhi lo abbia veduto, con quelli certamente che contemplano le cose che non si
vedono. Perch: le cose che si vedono sono eterne, quelle che non si vedono, eterne (2Cor 4,14).
53. Quali sono le donne felici, se non quelle, delle quali detto che molte odono e partoriscono il Verbo
di Dio?(Lc 2,28). E in un altro luogo: Chiunque osserver la Parola di Dio, questi mio fratello, sorella e
madre (Mt 12,50). Chi sono ancora i felici servi che amministrano per Lui, se non Paolo che diceva: Io sto
fino a questo giorno protestando al maggiore e al minore (At 26,22), e Simeone (Lc 1,25) che aspettava
nel Tempio per vedere la consolazione di Israele? In che modo dunque chiederebbe egli di esser lasciato
andare, se non perch servendo il Signore non aveva facolt di andarsene, se prima non acquistava la
volont del Signore? E noi abbiamo proposto Salomone come esempio, la cui sapienza chiunque cercava
a gara di capire.
54. N a Giuseppe ancora quando egli era in carcere, mancava chi venisse a consigliarsi con lui circa le
cose dubbiose. Il suo consiglio universalmente giov tanto all'Egitto, che esso non sent la sterilit di sette
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anni, e dal digiuno dell'orrenda fame sollev gli altri popoli.


55. Daniele ancora del numero delle prigioni, messo nel consiglio regale, con i suoi consigli chiar le cose
presenti, e predisse le future. Perci avendo egli mostrato mediante le cose da lui frequentemente
interpretate di prevedere la verit, gli era da ciascuno prestata fede.
CAPITOLO XI
56. Ma ancora il terzo luogo di quelli che devono essere riguardati con meraviglia, pare assai dichiarato
con l'esempio di Giuseppe, di Salomone e di Daniele. Ma che dir io di Mos, i cui consigli erano ogni
giorno aspettati da tutto Israele, la cui vita rendeva testimonianza della sua prudenza e accresceva la sua
ammirazione? Chi sarebbe quello che non si rimetteva al consiglio di Mos, quando i pi vecchi
riserbavano per lui qualche cosa che loro giudicassero esser sopra il loro intelletto e la loro virt?
57. Chi schiverebbe il consiglio di Daniele, del quale lo stesso Dio disse: Chi pi saggio di Daniele? (Ez
28,3). O in che modo potrebbero mai dubitare gli uomini delle menti di quelli ai quali Dio conferiva tanta
grazia? Con il consiglio di Mos dal cielo pioveva cibo, dalla pietra usciva acqua.
58. Quanto fu puro l'animo di Daniele, che temper i barbari costumi, mitig i leoni? Quanta temperanza
ci fu in lui? Quanta continenza sia dell'anima sia del corpo? Pertanto non a torto fu da tutti ammirato,
poich egli (che con grande stupore sono soliti gli uomini riguardare) fortificato da amicizie regali non
cercava tesori, n stimava gli onori che gli erano fatti, pi che la fede. Ma lui preferiva per la legge del
Signore mettersi in pericolo, che lasciarsi piegare dai favori mondani.
59. Io parler della castit, della giustizia di san Giuseppe, il quale io avevo quasi lasciato indietro, l'una
delle quali ebbe in orrore gli allettamenti della padrona, rifiut i premi propostili; l'altra spregi la morte,
cacci la paura e desider piuttosto la prigione? Chi non giudicherebbe costui essere al tutto proposito a
consigliar una ragion privata; il cui animo arrendevole, e la mente fertile cambi in abbondanza la fertilit
dei tempi con la copia dei consigli e del cuore.
CAPITOLO XII
60. Abbiamo dunque veduto, che nel consigliare fa assai la bont della vita, la prerogativa delle virt,
l'uso della benevolenza e la grazia della facilit. Perch chi cercherebbe nel fango di una fonte? Chi
cercherebbe di bere un'acqua torbida? Chi perci giudicherebbe di prendere qualcosa l, dove c' la
lussuria, l'intemperanza, la confusione dei vizi? Chi non dispregerebbe la sozzura dei costumi? Chi
riterrebbe utile per l'altro chi vede essere dissoluto nella sua vita? Chi non fuggirebbe un uomo maligno,
spergiuro, e sempre pronto a offendere? Chi non schiverebbe in ogni modo questo tale?
61. Chi andr da quello che bench sia prudente e atto a consigliare, sia difficile da trovare e nel quale ci
sia mancamento come una sorgente chiusa? Perch a qual cosa giova la prudenza, se tu non vuoi dar
consigli? Se tu neghi solitamente io consigliare hai serrato la sorgente cos che non servir n ha te n ad
altri.
62. E quadra bene anche in colui che avendo la prudenza la macchia con la lordura dei vizi per
contaminare l'uscita dell'acqua. La vita manifesta gli animi che tralignano. E come puoi tu pensare che ti
trapassi di consigli colui che vedi esserti inferiore nei costumi? Quello in cui mi propongo di fidarmi mi
deve essere superiore. O penser mai io che mi pu consigliare colui chi non sa badare a se stesso e
ritengo che potr aiutarmi nei miei compiti quando trascura i suoi: il cui animo occupato dai piaceri
legato alla libidine soggiogato dall'avarizia perturbato dalla cupidigia e mosso dalla paura? In che modo
egli potr avere posto per qualche consiglio mancando per la quiete?
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63. A me pare di essere ammirato quello che da consigli, che il Signore quando era propizio, dette ai padri
e lo lev da loro quando si sdegno a causa loro. Questo deve imitare quello che pu dal consiglio, e
conservare la prudenza estranea ai vizi: poich nessuna cosa macchiata pu congiungere quella.
CAPITOLO XIII
64. Chi dunque mostrer con la faccia tanta bellezza e guaster la grazia della forma superiore con le parti
posteriori di bestia e con gli unghioni di fiera; essendo la forma delle virt, tanto meravigliosa ed
eccellente, e particolarmente la bellezza della sapienza secondo che la Sacra Scrittura ne manifesta?
Perci questa pi splendente che il sole e comparata con la luce si trova molto pi pura che tutta la
disposizione delle stelle. Perch la notte caccia questa luce, ma la malizia non vince la sapienza.
65. Abbiamo detto della sua bellezza, e con la testimonianza della Scrittura l'abbiamo provato, resta, che
noi con l'autorit della medesima scrittura insegniamo, che questa non ha famigliarit alcuna con i vizi ma
il suo congiungimento con le altre virt inseparabile, il cui spirito erudito, senza macchia, certo santo,
amatore del bene, potente che in ogni cosa vieti il fare bene, benigno stabile, sicuro, che ha tutte le virt, e
vede da lontano tutte le cose. E conseguentemente insegna la sobriet, la giustizia e la virt.
CAPITOLO XIV
66. Tutte le cose opera la prudenza, ed in accordo con tutti i beni. Perch come pu dare consiglio utile,
se questa non ha la giustizia: se ella non ha la costanza, n teme la morte, non potr essere libera n dagli
spaventi n da alcuna paura, n potr pensare di non essere piegata da alcuna adulazione: non schivi
l'esilio, sappia che in tutte le parti del mondo la patria del saggio: non tema la povert; che sappia che al
sapiente non manca cosa alcuna; a cui tutto il mondo di ricchezze abbandonevole? Pech che cosa pi
eccellente di quell'uomo, che non sa essere mosso per l'oro, che reputa vili le ricchezze, e come una roccia
pone sotto di se la cupidigia degli uomini? Chi osserver ci, sar giudicato dagli uomini pi di un uomo.
Chi questi - dice - e lo loderemo? Perch egli ha fatto nella sua vita cose meravigliose. (Eccli.
31,9). Perch in qual modo non guarderemo con meraviglia quell'uomo che dispregia le ricchezze, le quali
in molti hanno preposto alla loro vita?
67. A tutti dunque si deve la seriet della moderazione, la reputazione della continenza, e massimamente
chi posto in grado, poich un uomo cos degno non sia posseduto dalle sue ricchezze, e serva soldi colui
che preposto agli uomini liberi: a quello pio conviene molto essere con l'animo distaccato dalle
ricchezze, e ricerchi di compiacere l'amico. Perch l'umilt accresce la grazia. Questa piena di lodi, e
degna dei primi uomini; non avere desideri del vile guadagno comune ai trafficoni di Tiro, e coi mercanti
di Galazia, ne costituire ogni bene nei soldi, e tener conto per iscritto dei quotidiani guadagni come si fa
nelle arti meccaniche.
CAPITOLO XV
68. Se va lodato chi ha un animo staccato da queste voglie,quanto sar staccato da queste voglie, quanto
sar pi pregevole se uno si guadagna l'amore della moltitudine con una liberalit che non eccede con gli
importuni, e non ristretta con i bisognosi?
69. Vi sono per diversi generi di liberalit, non solo quello di disporre e distribuire con quotidiana spesa
del cibo che serva a sostenere la vita ai bisognosi:ma anche quello di provvedere e soccorrere coloro che
hanno vergogna di mostrare in pubblico la loro miseria, purch non si esaurisca l'alimento comune dei
poveri. Poich io parlo di chi presiede a qualche ufficio, o come sacerdote, o elemosiniere, purch indichi
al Vescovo tali bisogni e non respinga chi si trova in qualche necessit, o chi, decaduto dalle richezze,
ridotto alla fame; e questo tanto pi se costretto a guadagnarsi giornalmente il pane non per aver
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scialacquato il patrimonio, ma per qualche furto o perdita.


70. liberalit somma il redimere i prigionieri e il sottrarli dalle mani del nemico, strappare gli uomini
alla morte e principalmente le donne dal disonore, ridare i figli ai genitori, i genitori ai figli, i cittadini alla
patria. La triste esperienza fatta nella devastazione dell'Illiria e della Tracia ce lo insegna anche troppo!
Quanti prigionieri non erano messi in vendita per io mondo intero che a metterli insieme una provincia
non basterebbe a contenerli? Vi furono tuttavia perfino taluni che volevano rifare i prigionieri quelli che le
Chiese avevano riscattato; pi molesti in questo della prigionia stessa perch mostravano di veder male
l'altrui compassione.
71. Si fanno atti di speciale liberalit, se si riscattano prigionieri, massimamente da un nemico barbaro, il
quale non abbia altro motivo di umanit, per essere misericordioso, di quello dell'avarizia per il prezzo del
riscatto; se ci si addossa un debito altrui, quando il debitore non possa pagare e sia costretto al pagamento
della legge, ma impossibilitato dalla povert; se si nutriscono i bambini e si difendano i pupilli.
72.Vi pure chi cerca di accasare le donzelle orfane per tutelarne l'onore; non solo spendendo di zelo, ma
anche di borsa. Inoltre vi pure la liberalit di cui parla l'Apostolo: Se qualcuno tra i fedeli ha delle
vedove, le soccorra e non ne sia aggravata la chiesa, perch questa possa bastare a quelle che veramente
sono vedove (I Tim.,V,15)
73. Tale liberalit inutile, ma non pu essere comune; perch i pi, anche buonissima gente, hanno
entrate scarse, che bastano appena al loro uso, ma non da permettere di alleggerire l'altrui povert; tuttavia
si presenta un diverso genere di beneficenza col quale aiutare gli inferiori. Duplice infatti la liberalit;
una consiste nel soccorso materiale, cio del denaro, l'altra nel prestare servizi, ed spesso migliore e pi
signorile.
74. Abramo recuper il nipote, preso dai nemici vincitori, con pi gloria che se l'avesse riscattato col
denaro (Gen., XIV.16).Giuseppe con i suoi provvidi consigli fu pi utile al Faraone che se gli avesse dato
del denaro. Non fu infatti il denaro a procacciare l'abbondanza ad una sola citt; ma la previdenza per
cinque anni tenne lontana la fame da tutto l'Egitto(Gen., XLI, 33 e ss)
75. Il denaro facilmente si consuma, ma i consigli non possono esaurirsi; anzi questi si moltiplicano;
mentre al contrario il denaro diminuisce, presto viene meno e lascia impotente la stessa liberalit, cosicch
tanto meno ne aiuti quanto sono pi numerosi quelli ai quali vorresti donare, e spesso manca a te ci che
hai creduto bene dare agli altri. Non per cos del consigliare e del prestare servizi; poich quanto pi si
estendono, tanto pi sovrabbondano e ritornano pi ricchi alla loro fonte. La ricchezza della prudenza
ritorna in s aumentata; e quanto pi s' sparsa, tanto pi sa fare con svelta attenzione ci che rimane.
CAPITOLO XVI
76. chiaro quindi che vi deve essere la dovuta misura nella liberalit, perch non diventi una generosit
senza senso. I sacerdoti massimamente usino moderazione, per fare distribuzioni secondo giustizia, non
per vana ostentazione. In nessun luogo, come nella Chiesa, c' tanta mania di chiedere. Si presentano
uomini validi, uomini che non hanno altro motivo di girellare e pretendono vuotare la cassa dei soccorsi
per i poveri e consumare ogni spesa:non contenti di poco, insistono per avere di pi; con imbroglio di
misere vesti si suffragano la loro domanda, e contrastano con la simulazione dei natali, per aumentare dei
guadagni. Se si presta facilmente loro fede, subito si esauriscono le riserve destinate per il pane dei poveri.
Vi sia misura nel dare, cosicch non si ritirino a mani vuote, e il sostentamento, ch' la vita dei poveri, non
vada a finire preda dei fraudolenti. Dunque la misura sia siffatta da non trascurare il sentimento d'umanit,
n da mancare alla necessit.

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77. Molti fingono debiti. Si indaghi la verit. Si lamentano d'essere stati spogliati dai ladri; in tal caso o il
danno autentichi il vero, oppure il riconoscimento della persona, perch pi volentieri si venga in aiuto. A
quelli che la Chiesa ha rimosso da s(per punizione e quindi per penitenza)si faccia la distribuzione
soltanto nel caso in cui non abbiano da mangiare. Cos, chi si tiene nella giusta misura, non avaro con
nessuno ed generoso con tutti; poich non si deve prestare l'orecchio solo per ascoltare le preghiere di
chi domanda, ma anche avere occhio per considerare le loro necessit. Un buon elemosiniere considera
nel povero nel povero la debolezza pi che la voce. Avviene che l'importunit di chi pi alza la voce
riesca a strapparci anche di pi, ma non sempre ci si presti alla sfrontatezze. Guarda quegli che non osa
guardarti, e ricerca chi ha vergogna di farsi vedere. Ti venga anche alla memoria chi chiuso nel carcere,
e la voce dell'ammalato che non pu risuonare al tuo orecchio, risuoni nel tuo cuore.
78. Quanto pi il popolo ti vedr attivo, tanto pi ti amer. Conosco molti sacerdoti che, quanto pi hanno
dato, tanto pi hanno abbondato: poich, chiunque vede un buon lavoratore, a lui affida ci che per ufficio
distribuisce, sicuro che l'atto suo misericordioso arrivi al povero. Se invece vedr un elemosiniere senza
discrezione, od ad un altro troppo stretto, li disdegner: perch non deve dissiparsi in erogazioni superflue
il frutto dell'altrui lavoro, ma neppure nasconderlo nei borsellini. Ma come la liberalit deve avere la
misura, cos, ci pare, che pi spesso abbia bisogno di sprone. La misura giusta deve consistere nel poter
fare ogni giorno la beneficenza che fai, nel non sottrarre alla necessit quello asseconderebbe la
prodigalit: lo sprone, perch il denaro meglio occupato per il cibo del povero che rimane nella borse del
ricco. Guarda di non chiudere nella tua cassa quello che rappresenta la salvezza dei bisognosi e di non
tener chiusa, come in sepolcro, la vita dei poveri.
79. Giuseppe avrebbe potuto donare tutte le ricchezze egiziane e versare i tesori del re; tuttavia non volle
parere prodigo dell'altrui; e prefer dare a prezzo il frumento agli affamati, anzich donarlo; se infatti a
pochi lo avesse donato, moltissimi ne sarebbero rimasti senza. Prefer quella liberalit che permetteva che
tutti ne avessero in abbondanza. Apr i granai, perch tutti comprassero il frumento che li
soccorresse(Gen., XLI, 56,57); per evitare che col riceverlo gratuitamente lasciassero il lavoro dei
campi:infatti chi si serve dell'altrui il suo lo trascura.
80. Prima di tutto ammasso il denaro, poi tutti gli attrezzi, infine acquisto per il re i diritti delle terre, non
per spogliare tutti della propriet, ma per sostenerli; per stabilire un pubblico tributo, onde possedessero
con pi sicurezza le proprie cose. E questo fu cos gradito a coloro, ai quali aveva preso le terre, da
ritenere di non aver ceduto il proprio diritto, ma di aver riscattata la propria salvezza. Cos infatti dissero:
tu ci hai salvato, ed abbiamo trovato grazia al cospetto del nostro Signore (Gen.,XLVII, 14 e ss.,25).
Nulla della propriet avevano perduto coloro che ne avevano il diritto: come niente d'utile aveva perduto
chi ne aveva acquistato la perpetuit.
81. Uomo veramente grande, che non penso di guadagnarsi una gloria temporanea per eccesiva liberalit,
ma piuttosto volle un servizio continuo di provvidenza! Dispose infatti che i popoli traessero vantaggio
dai propri tributi e non avessero nel tempo della necessit di desiderare il soccorso altrui. Fu assai meglio
dare parte dei frutti che perdere tutto il diritto. Stabil la quinta parte da dare, mostrando assai perspicacia
nel provvedere e molta liberalit nel fissare il tributo. Cos l'Egitto nell'avvenire non soffr pi simile
carestia.
82. Con quale lucidit seppe prevedere il futuro! Con che acume, come interprete, seppe svelare il sogno
del re! Ecco il sogno: sette vacche venivano su dal fiume, di bell'aspetto e grasse, e pascolavano lungo la
riva. Poi altre vacche, brutte e magre, dopo le prime risalivano dal fiume e pascolavano vicino alle grasse
lungo i rialzi delle rive: parve al re che le vacche magre e stecchite divorassero quelle che si
distinguevano per la loro formosit e grazia. Ecco il secondo sogno: sette spighe colme, scelte, ben granite
s'elevavano da terra, e dietro sette spighe mingherline, sgualcite dai venti, e rinsecchite tentavano di
soppiantarle; e gli parve che le spighe vuote e stente divorassero le piene e rigogliose.
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83. Tale sogno fu interpretato da Giuseppe cos: le sette vacche rappresenterebbero sette anni, cos pure le
sette spighe, deducendo il tempo del parto e della msse. Il parto infatti della vacca rappresenta un anno e
la msse un anno completo. Il risalire dal fiume si spiega col fatto che i giorni, gli anni, e il tempo
scorrono come la corrente del fiume e presto dileguano. I primi sette anni pertanto significano sette anni
di fecondit e fertilit della terra; gli altri sette posteriori, sette anni sterili e infecondi, la sterilit dei quali
consumer l'abbondanza degli antecedenti. In conseguenza avvert che si prevedesse che, dagli anni
dell'abbondanza, si mettesse insieme una riserva di grano, colla quale si poteva affrontare le necessit per
la futura carestia.
84. Che dovr ammirare per primo? La penetrazione della mente, con cui riusc ad entrare nel dominio
della verit; oppure il saggio consiglio con cui provvide alle gravi e lunghe necessit; o la vigilanza e la
giustizia; con la prima delle quali, per l'impiego cos oneroso a lui dato, raccolse tante vettovaglie, e con
la seconda seppe mantenersi imparziale con lui? Non far parola della sua magnanimit, giacch, venduto
come schiavo dai fratelli, non solo non ricambi l'offesa, ma risparmi loro la fame; e neppure della
dolcezza che con pia frode, simulando un furto. Di questo l'accus per tenerlo come ostaggio alla sua
benevolenza.(Gen.,XLIV,2 e ss.):
85. Giustamente il padre gli dice: Giuseppe, figlio che cresce, figlio che cresce, il figlio mio pi giovane
che non ha rivali.il mio Dio ti ha aiutato, e ti ha benedetto con la benedizione del cielo, dell'alto, con la
benedizione della terra, della terra che ha tutto, con la benedizione del padre e della madre. Prevalse sopra
le benedizioni dei monti stabili e sopra il desiderio dei colli eterni.(Gen., XLIX,22 e ss). E nel
Deuteronomio: Colui che apparve vivo nel roveto venga sul capo di Giuseppe e sopra la cima della sua
testa;onorifico tra i fratelli; e il suo decoro come quello del primo nato del toro, e corni di rinoceronte i
suoi corni. Con essi le miriadi d'Efraim, a lui le migliaia di Manasse (Deus., XXXIII, 16 e ss.).
CAPITOLO XVII
86. Chi deve dare consigli ad altri deve essere tale da poter presentare se stesso come modello per
l'esempio delle buone opere, nella dottrina, nell'integrit di vita, cosicch la sua parola riesca salutare e
irreprensibile; il consiglio utile, la vita onesta, il parere decoroso.
87. Paolo che dava consigli alle vergini(I Cor., VII, 25 e ss.); che ammaestrava i sacerdoti(Tim., II; 7) era
di tale condotta da poter presentare se stesso a noi come modello da imitare. Sapeva anche umiliarsi, come
fece Giuseppe, che nato dalla nobile stirpe dei patriarchi, senza sdegnare un'oscura schiavit, la
rappresentava con umile obbedienza e l'illustrava con le virt. Seppe umiliarsi, se toller il venditore e il
compratore chiamandolo Signore. Ascolta come s'umilia: se il mio signore per me non sa nulla in casa sa
e tutto ci che possiede la messo in mano mia, e nulla alla mia dipendenza fuori di te che sei la sua
moglie, come potrei io fare un tal male e peccare contro il mio Dio? (Gen.,XXXIX, 8 e ss.). Parole piene
di umilt, piene di castit, perch riteneva grave peccato il contaminarsi con vergognosa azione.
88. Ci consiglia, deve essere tale di non avere nulla di torbido, d'ingannevole, di simulato che ne
redarguisca la vita e i costumi; nulla di malvagio e malevolo che distorni chi vuole consigli. Alcuni vizi
infatti si schivano, altri si disprezzano. Si sfuggono quelli che possono nuocere e che maliziosamente
possono insinuarsi a nostro danno; come sarebbe se chi ci consiglia sia di dubbia fede, avido di debaro da
lasciarsi corrompere; se uno poi malvagio schivato e sfuggito. Chi invece dedito ai piacere,
intemperante, e,se anche alieno da frode, pure avaro e bramoso di turpe guadagno, questi disprezzato.
Chi fosse dato all'infingardaggine ed alla concordia, quale prova di sollecitudine,quale frutto di lavoro
potrebbe mettere fuori; quale cura e premura nutrire nel suo cuore?
89. Pertanto un uomo di ottimo consiglio dice: Io ho imparato a bastare a me stesso con le cose che mi
trovo ad avere (Filip. IV,11). Sapeva infatti come la cupidigia la radice di tutti i male, e perci,
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contento del suo, non cercava altro.(I Tim., VI, 10). Mi basta, dice, quello che ho; e sia poco, o
moltissimo, per me moltissimo. bene che aggiunga qualcosa di pi chiaro. Ha usato un termine
efficace: mi basta, dice, quello che ho ; ossia nulla vi manca, nulla v' di pi. Nulla manca, perch
niente altro cerco; nulla v' di pi, perch non posseggo solo per me, ma per molti. E questo riguarda il
denaro.
90. Del resto pu dirsi lo stesso di tutto ci che aveva; perch non desiderava onore maggiore, ne pi
copiosi segni di riguardo: non era desideroso di eccessiva gloria, n cercava indebita benevolenza; ma
tollerante della fatica e sicuro del merito attendeva con impazienza il termine della battaglia assegnatagli:
So, diceva, anche umiliarmi (Filip. VI, 12). Non la sua umilt da ignorante, ma tale da riconoscersi e
misurarsi, e perci degno di lode. V' infatti un'umilt di paura, d'inettitudine e di ignoranza; quindi la
Scrittura dice: E gli umili di spirito salver (Ps.,XXIII,19). Perci assai bene ha detto: So umiliarmi ;
ossia in qual luogo, in qual misura, per qual fine, in quale ufficio, in quale ministero. Non seppe farlo il
Fariseo, e perci fu reietto, lo seppe il pubblicano e perci fu giustificato.
91. Paolo sapeva esser ricco, perch era ricco d'anima, quantunque non avesse il tesoro dei ricchi. Sapeva
essere ricco, perch di ci che dava non ricercava il denaro, ma il frutto della grazia. Possiamo anche
interpretare cos: la bocca nostra s' aperta verso voi, o Corinti, e il nostro cuore s' allargato (II Cor.
VI, 11).
92. Era avvezzo in tutto, ad essere sazio e ad avere fame. Felice lui, che sapeva saziarsi in Cristo. Non si
tratta dunque di una saziet corporale, ma spirituale, la quale prodotta dalla scienza. Giustamente c'
bisogno di scienza, perch l'uomo non vive di solo pane, ma di ogni parola di Dio (Deut.VIII,3). Quindi
chi sapeva saziarsi ed aver fame, sapeva andare sempre in cerca di cose nuove, cio di aver fame di Dio.
Sapeva di aver fame sapendo che gli affamati mangeranno (Math., V,6): sapeva e poteva esser ricco,
mentre nulla possedendo aveva tutto(II Cor., VI,10).
CAPITOLO XVIII
93. Ecco che la giustizia rende giustamente gloriosi quelli che sono a capo di qualche ufficio; mentre
l'ingiustizia li lascia in abbandono e li combatte. Ce ne porge esempio la Scrittura la quale racconta come,
avendo il popolo d'Israele alla morte di Salomone pregato il figlio suo Roboamo di sottrarre il loro crollo
di dura schiavit e di mitigare l'asprezza del governo del padre, quegli, disprezzato il consiglio dei vecchi,
e messo su dai giovani, abbia risposto che avrebbe aggravato il giogo paterno e cambiato in pene pi gravi
le pene pi lievi(III Reg., XII, 4 e ss.).
94. A tale risposta i popoli esasperati replicarono: Che abbiamo noi a che fare con David, o quale eredit
con i figli di Iesse? Ritorna, o Israele, e ciascuno alle sue tende (Ib., 16); che costitu non sar n
sovrano, n duce tra noi. Perci lasciato e abbandonato dal popolo pot avere, per riguardo ai meriti di
David, a stento la societ di due trib.
CAPITOLO XIX
95. chiaro che l'equit rafforza gli imperi, e l'ingiustizia li fa crollare. Come infatti la malvagit potrebbe
conservare un regno, se non riesce neanche a reggere una sola famiglia privata? necessaria quindi una
grandissima bont non solo per reggere il timone di uno stato, ma anche per tutelare privati diritti. La
bont giova moltissimo; essa si studia di circondare tutti con i benefici, di avvincerseli con i servizi, di
guadagnarseli con le cortesie.
96. Abbiamo anche detto che a guadagnarsi gli animi giova moltissimo la dolcezza nel parlare. Questa
per, secondo il nostro desiderio, ha da essere schietta, misurata, e scevra di adulazione; perch
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l'adulazione stona col linguaggio semplice e sano; e noi dobbiamo essere per gli altri non solo modello
nell'azione ma anche nella parola, nella castit, nella fede. Siamo tali, quali vogliamo essere stimati; e
quali sono i sentimenti dentro di noi, tali mettiamoli fuori. Non proferiamo in cuor nostro parole inique
che crediamo sepolte nel silenzio, perch nel secreto le ascolta chi ha fatto anche le cose secrete, e
conosce i secreti del nostro intimo chi nel nostro intimo ha infuso i sentimenti. Quindi, come se ci
trovassimo in presenza del giudice, riteniamo esposto alla luce tutto ci che facciamo, perch a tutti sia
manifesto.
CAPITOLO XX
97. di grande giovamento, per ognuno l'unirsi ai buoni; e per i giovani pure utile andare dietro ad
uomini illustri e saggi; giacch saggio chi se la fa con i saggi, e chi invece si attacca agli stolti, stolto si
da a dividere. Serve moltissimo, pertanto, sia per l'insegnamento, sia come testimonianza di probit.
Infatti i giovani dimostrano d'essere imitatori di quelli a cui si accostano, a s'avvalora la fama che abbiamo
ricopiato la condotta di vita proprio da quelli, coi quali hanno avuto il desiderio di stare insieme.
98.Perci riusc cos grande Giosu Nave, perch lo stare con Mos non solo gli serv per ammaestrarsi
nella scienza della Legge, ma lo santific per la grazia(Exod. XXIV, 13). Infatti quando il Signore con la
divina presenza rifulse nella sua maesta nella tenda di lui, nella tenda v'era solo Giosu. Mos parlava con
Dio, e Giosu ugualmente era avvolto dalla nube sacra; gli anziani ed il popolo stavano al basso; e Giosu
con Mos saliva per ricevere la Legge(Ex. XXXIII,11). Tutto il popolo era dentro gli accampamenti,
Giosu fuori dagli accampamenti nella tenda della testimonianza. Quando la colonna della nube
discendeva e parlava con Mos, egli assisteva come un fedele ministro, e sebbene giovane non usciva
dalla tenda; mentre gli anziani posti a distanza dinanzi ai prodigi divini tremavano.
99. Dapertutto quindi tra le opere mirabili e i misteriosi secreti era inseparabilmente con Mos; di modo
che con Mos era stato partecipe della vita, divenne erede del potere(Deut.,XXIV, 9). Meritamente
divent uomo tale da fermare il corso dei fiumi,(Iosue, III, 15 e ss) e da dire: Si fermi il sole, e che il sole
si fermasse (Iosue, X, 12,13); come se volesse prolungare il giorno per essere spettatore della sua vittoria.
Che dire poi se fu solo eletto per introdurre il popolo nella terra promessa? Grande uomo per i miracoli
della fede, grande per i trionfi. Le gesta di Mos furono pi gloriose, quelle di Giosu pi felici. L'uno e
l'altro sostenuti dalla grazia di Dio, oltrepassarono le possibilit umane(Exod., XVI, 21:l'uno comand al
mare l'altro al cielo.
100. Bella cosa la compagnia dei vecchi con i giovani;gli uni servono di testimonianza; gli altri di
conforto: gli uni d'istruzione,gli altri di diletto. Tralascio di dire come il giovane Loth non si staccava da
Abramo, anche quando si metteva in viaggio; perch non si creda che questo avvenisse per ragioni di
parentela e pi per necessit che per volont. Che diremo di Elia e di Eliseo? Quantunque la Scrittura non
faccia espressa menzione della giovent di Eliseo, tuttavia ci accorgiamo e deduciamo che fosse assai
giovane(III Reg., XIX, 21). Negli Atti degli Apostoli vediamo che Barnaba prese con se Marco, Paolo,
Sila;Timoteo e Tito (Atti, XII, 25 et altri).
101. Nei precedenti casi vediamo come divise le mansioni, cosicch gli anziani tenevano il primo posto
per consigliare, e i giovani nell'agire. Spesso ancora, pari in virt, differenti per et, si compiacevano di
stare insieme, come Pietro e Giovanni.Leggiamo quindi nel Vangelo, e proprio in bocca sua, che
Giovanni(XIII, 23,e XXI,20)fosse giovane, sebbene per meriti e sapienza non secondo ad alcuno degli
anziani, giacch in lui v'era la vecchiaia della condotta e sapienza da attempato. La vita immacolata lo
stipendio di una buona vecchiaia.
CAPITOLO XXI

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102. Ad aumentarti la buona stima ti giover, se strappi un povero dalle mani di un potente, se liberi dalla
morte un condannato, quando si possa fare senza pubblici inconvenienti, affinch non appaia pi farlo per
boria che per misericordia e non aggiunga ferite pi gravi, mentre desideriamo medicarne di pi leggeri.
Se poi libererai un oppresso dal peso di un potente e gravato pi che dal debito della sua scelleratezza da
trame di partito, si allargher la testimonianza della buona fama a tuo riguardo.
103. L'ospitalit mette in buona vista molti. una bella e palese mostra di umanit che un pellegrino non
manchi di ospizio, che sia cortesemente accolto, e che sia aperta la porta a chi viene. ritenuta in tutto il
mondo come cosa decorosa l'accogliere con onore i viandanti, che alla mensa non manchi il dono
dell'ospitalit, il prevenire con premure cortesi e signorili e il cercafre di provvedere la venuta di ospiti.
104. Tale lode stata data ad Abramo, il quale dinanzi alla porta vigilava perch un pellegrino non
passasse oltre, e con cura montava per cos dire la guardia per andare incontro, prevenire e pregare perch
il forestiero non passasse oltre, dicendo: Signore, se ho trovata grazia dinanzi a te, non lasciare il tu
servo (Gen., XVIII, I e ss.). Quindi quale mercede della sua ospitalit ebbe il frutto della posterit.
105. Il suo nipote, Loth, stretto a lui, non solo per sangue, ma anche per virt, per l'amore che aveva per la
sua ospitalit storn da se e dai suoi il castigo inflitto a Sodoma.
106. Conviene dunque essere ospitali, benigni, giusti, senza cupidigia delle corse altrui, anzi pronti
piuttosto a fare qualche concessione su i nostri diritti, se si fosse provocati, anzich calpestare i diritti
degli altri; fuggire le liti, aborrire dalle rise, salvare la concordia e il dono della tranquillit. In verit che
l'uomo dabbene ceda un poco su i suoi diritti non solo segno di liberalit, ma spesso anche utile. Non
un guadagno disprezzabile prima di tutto il non spendere per liti; in secondo luogo si aggiunge l'aumento
dell'amicizia, da cui nascono moltissimi vantaggi, i quali, se per un dato tempo si trascurano, potranno in
seguito dare i loro frutti.
107. Con tutti nei doveri dell'ospitalit si dovr essere benevoli; per ai giusti si deve fare maggiore
onore: Chiunque infatti accoglier un giusto come giusto avr la ricompensa del giusto (Math.X, 41),
come ha detto il Signore. La grazia dell'ospitalit ha tanto valore dinnanzi a Dio che non rimarr senza
premio neanche un bicchiere di acqua fresca. Non vedi che Abramo, mentre va in cerca di ospiti, accoglie
come ospite Dio? Non vedi che Loth ospit gli Angeli? Come sai se anche tu, quando accogli un uomo
non accolga Cristo? Sebbene nell'ospite c' Cristo, perch Cristo nel povero, come egli stesso ha detto:
Ero in carcere, e veniste da me, ero nudo e mi vestiste (Math.,XXV,36).
108. dolce cosa, quindi, non avere la passione del denaro ma occuparsi vivamente di far cose gradite.
Per un bel pezzo che nel cuore umano s' infiltrato il male di tenere in onore il denaro e di lasciarsi
abbagliare dalle ricchezze. L'avarizia, in conseguenza, vi si cacciata dentro e guisa di un vento bruciante
ha inaridito tanti buoni doveri; cosicch gli uomini ritengono come ua perdita tutto ci che si spende fuori
dal solito. Ma perch l'avarizia non potesse porre impedimenti la Scrittura, che reclama il nostro rispetto,
ha pensato anche a questo riguardo ad assalirla, dicendo: preferibile l'ospitalit con pochi legumi
(Prov.,XV,17) meglio un pezzo di pane nella dolcezza della pace (Prov.,XVII,1). La Scrittura, infatti,
non ci vuole prodighi ma liberali.
109. In verit vi sono due modi di dare: uno decoroso, un altro di eccessiva prodigalit. giusta liberalit
l'accogliere ospiti, vestire gli ignudi, riscattare i prigionieri, e aiutare chi non ne ha, spendendo del nostro;
prodigalit il largheggiare con sontuosi banchetti e gran coppe di vino; perci ha detto: Lussuriosa cosa
il vino e tumultuosa l'ubriachezza (Prov., XX,1). da prodigo dissipare le proprie sostanze per
guadagnarsi la popolarit:come fanno coloro che dilapidano il patrimonio per i giochi del circo, per i
teatri, per gli spettacoli dei gladiatori ed anche per la caccia, per sorpassare la celebrit dei loro
predecessori; mentre tutto questo non che vanit; ed anche perch l'eccesso di spese non bello neppure
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per le opere buone.


110. La giusta liberalit ha la sua misura perfino con i poveri, appunto per giovare a pi; e non largheggia
eccessivamente per guadagnarsi favore. bello, quello che si mette fuori con sentimento puro e sincero;
non l'intraprendere a costruire senza bisogno; e non trascurare di edificare se necessario.
111. Sta bene al sacerdote adornare il tempio di Dio con il dovuto decoro, perch la reggia del Signore
risplenda anche sotto questo aspetto; fare di frequente spese richieste da opere di misericordia; trattare i
pellegrini secondo il bisogno, non con superficialit, ma secondo la convenienza; non con
sovrabbondanza, ma con senso di umanit perch non si acquisti il favore altrui con danno dei poveri; e
con i chierici non si mostri n tirato n troppo indulgente. La prima cosa sarebbe inumana, la seconda
eccessiva, se tu non fornissi il necessario a coloro che tu devi ritrarre dal sordido mercantilismo, o se
nell'abbondare ne assecondassi le voglie.
CAPITOLO XXII
112. Ci vuole anche la misura nelle parole stesse e nei comandi, perch non vi sia n troppa indulgenza ne
troppa severit. Molti infatti preferiscono essere molto indulgenti per comparire come buoni: ma certo
che niente di simulato e di fittizio ha la vera virt anzi per di pi ha poca durata. Da principio germoglia
primaverilmente; col tempo, come un fiorellino, si guasta e si disf:mentre invece ci che vero e schietto
mette profonde radici.
113.E per confermare con esempi la nostra asserzione, che cio, quello che finito, non pu durare a
lungo, ma a guisa di pianticella per breve tempo verdeggia e poi svanisce, noi proprio della famiglia che
ci ha dati moltissimi esempi a profitto della virt, metteremo fuori una prova di dolorosa simulazione.
114. Assalone (II Reg., XV,1 e ss.), figlio del re David, era d'aspetto distinto, notevole per bellezza,
prestante per giovent, di modo che in Israele non se ne trovava un altro simile:tutto un candore da capo a
piedi.
Si era fatto cocchi e cavalli e aveva cinquanta uomini, che dovevano marciare dinanzi a lui. S'alzava
all'alba e si metteva diritto sulla porta del palazzo che dava sulla via; e se scorgeva uno che avesse
richiesto giustizia dal re gli si accostava dicendo: Di che citt sei? Rispondeva: Io sono di una delle trib
d'Istrael, servo tuo: Replicava Assalone: le tue parole sono buone e giuste, ma dal re non ti stato dato chi
ti ascoltasse. Se uno mi stabilir come giudice, allora chiunque verr da me di quelli che hanno bisogno di
giustizia, io gliela far. Con simili discorsi si guadagnava l'animo di ognuno. E, quando qualcuno
s'accostava per riverirlo, gli porgeva la mani e, abbracciatolo, lo baciava. Cos si inimic l'animo di tutti;
che tali cortesie toccavano l'intimo del nostro cuore.
115. Ma tale gente voluttuosa e ambiziosa accolse volentieri tali segni d'onore graditi e piacevoli per un
certo tempo; ma quando fu trascorsa la dilazione che il profeta (David) nella sua saggezza credette bene di
interporre col cedere alquanto, non pot pi tollerarlo e sopportarlo. In ultimo non dubitando affatto
David della vittoria, raccomandava a quelli che avrebbero combattuto che lo risparmiassero. Perci
appunto non volle prendere parte al combattimento, perch non sembrasse riportare vittoria di un parricida
vero ma tuttavia suo figlio.
116. quindi chiaro come soltanto ci che vero, dura nella sua saldezza, e tutto ci che si guadagna con
la sincerit e non con l'inganno; quello invece che ci prepariamo con la simulazione e con l'adulazione
non pu reggere a lungo.
CAPITOLO XXIII
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117. Chi dunque potrebbe credere che siano fedeli quelli che sono portati all'obbedienza dal denaro, che vi
sono stati invitati dall'adulazione? I primi infatti vogliono vendersi spesso, ed i secondi non possono
tollerare il giogo di un duro comando. Facilmente si lasciano irretire la leggiera adulazioncella; ma se
rivolgerai una parola di rimprovero, brontolano abbandonano, si allontanano inimicati, lasciano sdegnati,
preferiscono comandare anzich obbedire, e, schiavi del beneficio, ritengono che debbono essere loro
soggetti, quelli che invece dovrebbero essere a loro preposti.
118. Nessuno dunque pu pensare fedeli quelli che si legato o col denaro o con adulazione. Infatti chi
riceve il denaro, se spesso non ricomprato, si ritiene vile fino al dispregio. Aspetta perci ogni momento
il prezzo dovutogli; e chi si vede circuito da preghiere vuole che sempre a lui si ricorra.
CAPITOLO XXIV
119. Ritengo pertanto che si debba salire agli onori con azioni buone e con sincero intanto, massimamente
se si tratti di onori ecclesiastici; perch non si dia luogo n ad una tronfia di arroganza, o ad una
negligente rilassatezza; n ad una vergognosa affettazione e ad una indecorosa ambizione. La semplicit
diritta di animo pi che sufficiente allo scopo, perch si raccomanda abbastanza da s.
120. Nell'esercizio del proprio ufficio non sta bene n una severit dura, n una indulgenza eccessiva;
perch nel primo caso non paia che vogliamo esercitare il nostro potere, nel secondo non sembri che
trascuriamo di fare il dovere assunto.
121. Cerchiamo con zelo di guadagnarci moltissimi con i benefici e le maniere cortesi, e manteniamo il
favore che abbiamo dato, perch non si dimentichino con ragione del beneficio quelli che si dolgono di
essere stati gravemente lesi. Spesso infatti accade che quelli che hai protetto con qualche grazia o
promosso ad un grado superiore,te li rendi contrari, se immeritatamente giudichi di dovere loro anteporre
qualche altro. Ma si richiede pure che il sacerdote (Vescovo) mostri favore ai suoi con i benefici e con i
giudizi per mantenere l'equit, che sia deferente al prete od al ministro come ad un padre.
122. Questi per, una volta approvati, non hanno da essere arroganti, ma tenersi maggiormente umili,
memori come debbono essere, della grazia ottenuta; ed il sacerdote (Vescovo) non si ritenga offeso se un
prete, od un ministro, o qualsiasi del clero cresce nella stima o per la sua misericordia, o per i digiuni, o
per l'integrit, o per la dottrina, o per la lettura. Che si lodi un dottore una grazia per la Chiesa. buona
cosa che si faccia noto l'operare di qualcuno; purch non si faccia per mania d'ostentazione. Non siano le
proprie labbra, ma quelle del prossimo a lodare ognuno; e non i propri desideri, ma le opere siano le sue
commendatizie.
123. Del resto se uno non obbedisce al vescovo e desidera magnificare ed esaltare se stesso, ed oscurare i
meriti del suo superiore o con simulata dottrina, o umilt, o misericordia; questi fuori dalla verit
s'invanisce; giacch la regola della verit impone di non far nulla per propria gloria col fine di abbassare
gli altri, e, se qualcosa di buono ti trovi ad avere, non deve servirti a fare sfigurare un altro od a
vituperarlo.
124. Non prender la difesa dei malvagi e non ritenere di potere affidare le cose sante ad un indegno: e se
non hai scoperto che abbia mancato, non volere di nuovo urtare od assalire nessuno. Infatti, se l'ingiustizia
subito ci urta in tutti, principalmente ci urta nella Chiesa dove ha da regnare l'equit, dove conviene che vi
sia l'uguaglianza; cosicch chi pi potente, non s'arroghi nulla di pi, e chi pi ricco, nulla di pi si
prenda. O ricchi, o poveri, tutti sono in Cristo una sola cosa. Chi pi santo non si attribuisca di pi,
giacch conviene che sia anche pi umile.
125. Nel giudicare non pigliamo le parti di alcuno;non ci sia favoritissimo, e i soli meriti della causa
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motivino il giudizio. Nulla nuoce tanto alla stima anzi anche al credito, quanto l'appoggiare chi pi
potente in una causa con un inferiore; oppure quanto a far colpa ad un innocente perch povere; e
discolpare uno reo, perch ricco. Gli uomini sono proclivi a favorire i pi onorati, perch non si reputino
offesi, e non si dolgano, se vinti. Ma prima di tutto se temi di offenderli non assumerti di giudicare: se sei
sacerdote o chi sia, non provocare. Ti permesso tacere solamente in questione d'interessi; quantunque
proprio di chi ha un carattere sostenere la giustizia. Se per c' impegnata la causa di Dio, e c' il pericolo
di comunicare per i fratelli cristiani, anche il dissimulare peccato grave.
CAPITOLO XXV
126. Che mai ti giova, se favorisci il ricco? Forse pensi che assai presto rimuneri chi l'ama? Infatti pi
spesso siamo soliti favorire coloro dai quali speriamo il contraccambio. Ma per questo appunto dobbiamo
maggiormente interessarci del debole e del povero; perch invece sua, che non ha, attendiamo la
ricompensa da Ges Cristo (Luc., XIV, 12-13); il quale sotto l'immagine di un banchetto mise in luce il
modello generale delle virt, perch di preferenza noi beneficiassimo quelli che non possono ricambiarci
il beneficio, insegnandoci ad invitare al banchetto i poveri e non i ricchi. Sembra infatti che i ricchi
vengano invitati, perch a loro volta ci invitino; i poveri al contrario, quando hanno accettato, siccome
non hanno modo di contraccambiarci ci offrono come rimuneratore il Signore, il quale si obbligato, al
posto del povero.
127. Il beneficio fatto al povero, anche per la vita di questo mondo, giova di pi di quello fatto al ricco;
perch il ricco sprezza il beneficio e si vergogna di essere debitore di un favore: che anzi, ci che gli
stato dato, lo ritiene dovuto ai suoi meriti, quasi l'ascesa e ricevuto per diritto, oppure perch gli stato
con l'intenzione che, chi glielo ha dato, si attenda dal ricco un contraccambio pi generoso. Quindi nel
ricevere i benefici se avviene che chi lo riceve un ricco, per questo stesso crede di averlo fatto pi che di
averlo ricevuto; il povero invece; sebbene non abbia come restituire il denaro, offre la sua gratitudine. E
con ci d di pi che non riceva: infatti il denaro si paga con altro denaro, ma la gratitudine non viene mai
meno. Con la restituzione un debito si spegne, ma la gratitudine con l'averla si paga, col pagarla si tiene.
Inoltre, il povero(oh, ma il ricco se ne guarda bene!), confessa di essere legato da un debito, di aver
ricevuto un soccorso e non lo ritiene dato al suo merito: stima che gli sia stato fatto il dono della vita e
salvata la famiglia. Quanto perci preferibile fare il beneficio ai buoni, che agli ingrati!
128. Il Signore pertanto dice ai suoi discepoli: " Non vogliate possedere n oro, n argento, n denaro"
(Math., X, 9); e con tale massima taglia al piede la pianta dell'avarizia che germina nel cuore umano.
Pietro pure dice allo storpio: " Non ho n oro, n argento: ma ti di quello che ho. In nome di Ges Cristo
Nazareno lvati e cammina" (Act., III, 6). Non dette denaro, dette la guarigione. E non meglio avere la
salute senza il denaro che il denaro senza la salute? Si drizz su lo storpio, e non lo sperava; non ebbe il
denaro che sperava. Per appena nei santi si trova che disprezzino le ricchezze.
CAPITOLO XXVI
129. Ma ecco che gli uomini di solito sono talmente proclivi ad ammirare le ricchezze che solo il ricco
stimato degno di onore. Il malvezzo vecchio, perch un gran pezzo- e questo peggio- che tale vizio
s' radicato nel cuore degli uomini. In vero, dopo che al suolo la grande citt di Gerico, e Giosu ottenne
la vittoria, subito s'accorse che il valore del popolo s'era indebolito per l'avarizia e la cupidigia dell'oro.
Infatti, avendo Achar tolto dalle spoglie della citt incendiata una veste d'oro e duecento didramme
d'argento, e una lamina d'oro, sacrificato al Signore scopr il furto senza poterlo negare (Iosu, VII, 19 e
ss.).
130. L'avarizia un vizio vecchio e antico, che ebbe il suo inizio con la promulgazione della stessa Legge
di Dio, anzi essa fu propriamente data per presto reprimerla. Per l'avarizia Balach pens di poter
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corrompere Balaam per indurlo a maledire il popolo dei patriarchi: e l'avarizia avrebbe avuto vittoria, se il
Signore non gli avesse proibito di astenersi dal maledirlo (Num.. XXII, 7 e s.s.). Per l'avarizia Achar si
rovin e trascin nella rovina la moltitudine dei parenti. Giosu che riusc a fermare il sole, non pot
arrestare l'avarizia degli uomini, sicch questa non si infiltrasse. Alla sua parola si ferm al sole, non
l'avarizia. Fermato il sole, Giosu fece il trionfo: ma per il dilagare dell'avarizia poco manc che la
vittoria non fosse vana.
131. Sansone, il pi forte degli uomini, non fu forse ingannato dall'avarizia della donna, Dalila? Pertanto
quegli che con le sue mani sbran il leone che rugge, che legato consegnato a stranieri, senza aiuti, da
solo, rotti legami, ne uccise mille,che stracci, come se si trattasse di sottili fili di giunco, le funi fatte di
nervi attorcigliati, piegato il cavo sulle ginocchia della donna e mozzato perdette quello che era la
prerogativa del suo valore, l'ornamento dei suoi capelli che lo rendevano invincibile. Il denaro trova la via
per insinuarsi nel grembo della donna,e la grazia si allontan dall'uomo.
132. Funesta cosa l'avarizia, e il denaro pieno di attrattive; contamina chi lo ha, non giova chi non lo ha.
Tuttavia si d il caso che il denaro aiuti; sicuramente per chi da meno e lo desidera. Ma colui che lo
desidera, che non lo cerca, che non ha bisogno dell'aiuto che pu dargli e che non si piega per voglia che
ne abbia? E che agli altri, se, colui che ne ha, neanche in abbondanza?Forse aumenta la sua onest, perch
di ci che ha pi che possessore custode? Noi possediamo quello di cui ci serviamo: quello di cui non ci
serviamo, non c'era il frutto del possederlo, ma il pericolo nel doverlo custodire.
CAPITOLO XXVII
133. In quello che abbiamo brevemente esposto, vediamo come il disprezzo del denaro sia un aspetto
della giustizia; perci dobbiamo fuggire l'avarizia e tendere con tutto lo zelo a non far nulla che violi il
giusto, ma custodirlo in ogni nazione e in ogni opera.
134. Se vogliamo renderci cari a Dio, abbiamo carit, siamo unanimi, seguiamo l'umilt, ritenendo gli altri
superiori a noi. L'umilt infatti vuole che non ci arroghiamo nulla e che ci veniamo da meno degli altri. Il
vescovo si serva dei chierici, come delle sue membra; e principalmente dei ministri, i quali sono davvero
suoi figli; e una ciascuno assegni in ufficio per il quale lo vede idoneo.
135. Si taglia con dolore perfino quella parte del corpo che andata in cancrena; e a lungo si pondera se
possibile sanarla con i medicamenti; se poi non si pu, da una buon chirurgo si fa tagliare. Il sentimento(I)
di un buon vescovo sta nel desiderare di guarire gli infermi, togliere le ulcere che si formano lentamente,
cauterizzare e non recidere alcune parti; all'ultimo soltanto, quando la guarigione impossibile, tagliare
con dolore la parte. Sotto tale riguardo spicca in tutta la sua bellezza il precetto di pensare non a ci che
nostro, ma ci che degli altri (Phil.II,4). In tale maniera non vi sar pericolo che nell'ira assecondiamo il
nostro particolare affetto, o che per parzialit assecondiamo la nostra volont pi del giusto.
CAPITOLO XXVIII
136. Il pi grande invito che possa farci la misericordia quello di compatire le altrui sventure e giovare,
secondo le nostre possibilit, alle altrui necessit, e talora anche pi di ci che possiamo. Vale meglio
infatti per motivi di misericordia suo addossarsi le cause, incontrare perfino l'ostilit, che mostrarsi senza
piet. Noi, per esempio, un tempo fummo in odio, perch sprezzando i vasi sacri per il riscatto dei
prigionieri; il che era stato visto di malocchio agli ariani, non tanto per il fatto in s, quanto per avere da
ridere sul nostro conto. Ora chi cos duro, crudele e insensibile da provare dispiacere che non un uomo
venga riscattato da morte, una donna sottratta alla libidine dei barbari, cosa peggiore della morte stessa,
che delle fanciulle, dei fanciulli e perfino dei bambini dalla peste dell'idolatria che per timore della morte
li minacciava?
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137. Questa questione, sebbene fosse stata da me trattata non senza un qualche riguardo, pure dinanzi al
popolo la portammo al punto da confessare ed aggiungere che la sta chiudere salvare le anime per il
Signore che conservare l'oro(Math., X,9). Colui che ha mandato gli Apostoli senza oro senza oro ha
congregato la Chiesa. La Chiesa non ha l'oro per conservarlo, ma per spenderlo per soccorrere nelle
necessit. A che custodire ci che non deve servire? Ignoriamo forse tutto l'oro l'argento che gli Assiri
portarono via dal tempio del Signore?(IV Reg., XXIV,13) Non fanno meglio i sacerdoti, se altri mezzi
mancano, a fonderlo per nutrimento dei poveri,piuttosto che un nemico, contaminandoli, sacrilegalmente
li poti via? Il Signore forse no dir: perch hai lasciato morire tanti indigenti? L'oro certo l'avevi, e
avresti dovuto fornire l'alimento. Perch tanti prigionieri furono messi in vendita, e, non riscattati, sono
stati uccisi dal nemico. Era assai meglio salvare i corpi dei vivi che non vasi di metallo
138. A simili rimproveri non si potrebbe replicare. Che potresti dire? Ebbi timore che il tempio del
Signore rimanesse disadorno. Ti risponderebbe: i sacramenti non cercano l'oro; mi piace per ragione
dell'oro ci che non si compra con l'oro. Ci che di ornamento ai Sacramenti serve al riscatto dei
prigionieri. Sono davvero preziosi i vasi che salvano le anime dalla morte. davvero tesoro del Signore
quello che serve ad ottenere ci che ha ottenuto il prezzo del suo sangue. Allora proprio si riconosce
pervaso del sangue del Signore quando per l'uno e per l'altro si vedrai riscatto; cosicch il calice riscatti
dal nemico colore che il sangue ha riscattato dal peccato. Che bellezza che si possa dire, quando la Chiesa
ha riscattato schiere di prigionieri: Questi Cristo li ha redenti! Questo l'oro degno di lode, oro utile, oro
di Cristo che libera dalla morte, che salva il pudore, conserva la castit.
139. Preferii perci consegnarvi liberi costoro anzich conservare l'oro. Il numero di questi prigionieri,
questa loro schiera vale pi della bellezza dei calici. Al simile compito dovette giovare l'oro del
Redentore, cio a salvare chi era in pericolo. Lo riconosco che il sangue di Cristo messo nel calice d'oro
non solo mand bagliori, ma ancora per essere servito a redenzione, ha impresso il sigillo dell'azione
divina.
140. San Lorenzo martire tale oro lo riserv per il Signore: perch domandato dei tesori della Chiesa
promise che li avrebbe mostrati. Il giorno seguente condusse i poveri. Interrogato dove fossero i tesori
promessi, indic i poveri dicendo: Ecco Cristo quelle in cui la fede. L'Apostolo infatti dice: abbiamo il
tesoro in vasi di creta(II Cor., IV, 7). Quali tesori migliori ha Cristo di quelli nei quali dice di essere Lui
stesso?Sta scritto: ebbi fame mi deste da mangiare; ebbi sete e mi desta da bere; ero pellegrino e mi
ospitaste (Math., XXV, 35) E poco dopo: Quello che avete fatto ad uno di costoro l'avete fatto a me
(Ib., 40). Quali tesori migliori a Ges di quelli i quali vuole essere rappresentato?
141.Lorenzo mostr tali tesori, e vinse; perch questi neanche il persecutore l pot portar via. Joachim
che nell'assedio conserva l'oro senza distribuirlo per provvedere di cibo, vide portare via loro e se stesso
come prigioniero(IV Reg., XXV,13). Lorenzo che prefer distribuire ai poveri l'oro; anzich serbarlo per il
persecutore, in grazia della vivace e originale sua interpretazione ebbe la corona sacra del martirio. Fu
detto forse a Lorenzo: non dovevi dare i tesori della Chiesa e vendere i vasi che servono per i sacramenti?
142. Ognuno deve compiere questo ufficio con fede sincera con oculata e previdenza. In verit, se alcuno
li storna a suo vantaggio, commette un'infamia; se invece li d ai poveri, riscatta un prigioniero, fa fatto di
misericordia. Nessuno infatti pu dire: perch il povero vive? Esso non pu lamentarsi che siano riscattati
i prigionieri; nessuno pu muovere l'accusa di si sia edificato il tempio di Dio; nessuno pu sdegnarsi,
perch si allargato lo spazio per inumare le reliquie dei fedeli; nessuno pu lamentarsi se nelle sepolture
dei Cristiani vi sia il riposo dei morti. Per queste tre opere permesso spezzare, fondere, vendere i vasi
della Chiesa anche consacrati.
143. necessario che dalla Chiesa non esca fuori il calice della mistica bevanda, perch dalla funzione di
calice sacro non passi ad usi profani. Perci dentro la Chiesa fatta prima l'incetta dei vasi non sacri; quindi
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si sono spezzati, fusi e distribuiti in piccole erogazioni ai bisognosi, e giovarono pure come riscatto per i
prigionieri. Che se mancano i nuovi e quelli che non sembrassero consacrati, io credo che possono senza
offesa la doveva adoperarsi per gli usi sopraddetti.
non piccolo; ma se dispensa ai poveri, ricompera prigioni, misericordia. Perch nessuno pu dire:
Perch vive il povero? ( ) .Nessuno si pu rammaricare, che i prigioni siano riscattati. Nessuno pu
riprendere che si sia edificato il tempio di Dio. Nessuno si pu sdegnare che si lascino gli spazi per
sotterrar le ossa dei fedeli. Nessuno se ne pu dolere, perch nelle sepolture dei cristiani il riposo dei
passati. Per queste tre sorti di cose lecito spezzare i vasi della Chiesa, ancora i sagri, fondergli o
vendergli.
143. Fa bene di mestiere che della Chiesa non esca la forma del vaso sacro, e che il ministero del sacro
calice non si converta in usi brutti. Per furono prima della Chiesa introdotti vasi, che non fossero sacri;
appresso furono spezzati e finalmente battuti; furono per piccole distribuzioni dispensati ai poveri e
giovarono ancora non poco ai prigioni. Ma se mancano i nuovi e quelli che non sono ancora sacri, giudico
che tutte le cose si possano piamente convertire in simili usi, quali noi abbiamo sopra parlato.
CAPITOLO XXIX
144. Egli bisogna bene usare ogni diligenza, che i depositi delle vedove si tengano in modo che non vi
siano poste su le mani, e si conservino senza offensione alcuna; e non solamente delle vedove ma ancora
di tutti. Perch la fede si deve mantenere a tutti, ma di maggior considerazione sono le cagioni delle
vedove e dei pupilli.
145. Finalmente per questo solo nome di vedove, secondo quello che noi abbiamo letto nei Maccabei ( 2
Mac 3.10 ), tutto quello che fu raccomandato dalla Chiesa, fu conservato. Perch subito che si ebbe inizio
dei denari, che lo scellerato Simone manifest al re Antioco trovarsi in gran quantit nel Tempio di
Gerusalemme, Eliodoro mandato in Gerusalemme ( mandato sul fatto, sullo stesso luogo. PP.Maurini )
venne al Tempio, e manifest al Sommo Sacerdote il carico di tale inizio e la cagione della sua venuta.
146. Allora il Sacerdote disse che egli eran messi l in deposito per vitto di vedove e di pupilli: ed una
parte essere d'Ircano di Tobia uomo santo, e questa gli mostr. La somma era quattrocento talenti
d'argento e duecento d'oro. Le quali cose subito che Eliodoro mostr di voler usurpare e tirarle ai comodi
del re, i Sacerdoti vestiti colle stole sacerdotali si gettarono innanzi all'altare e piangendo invocavano il
vivo Dio che aveva data la Legge dei depositi, che volesse far osservare i suoi comandamenti. Ma la
faccia ed il colore del Sommo Sacerdote era di tal maniera mutata, che facilmente appariva il dolor
dell'animo e l'ansiet della intenta mente. Tutti piangevano, considerando che quel luogo sarebbe al tutto
vilipeso, se n ancora nel tempio di Dio si mantenesse sicura guardia della fede : e le donne fasciatesi il
petto di cilicio, e le rinchiuse vergini picchiavan le porte; altri correvano alle mura, alcuni stavano a
vedere dalle finestre, tutti insieme alzavano le mani al cielo pregando il Signore che difendesse le sue
Leggi.
147. Ma Eliodoro, che non si spaventava per queste cose, sollecitava il bisogno e aveva accerchiato colla
sua guardia il luogo dove stavano i tesori. Ed ecco subito apparire un valoroso cavaliere splendente per le
dorate armi : ed il suo cavallo era ornato con superba coperta. Comparvero ancora l due altri giovani di
suprema virt, di grazioso aspetto con lo splendor di gloria, con vaghi vestiti, i quali lo misero in mezzo e
dall'una banda e dall'altra, senza mai punto restar, lo batterono. Che pi! Egli sopraggiunto da una folta
nebbia cadde a terra, e giaceva mezzo morto con manifesti segni delle operazioni divine; n era in lui
speranza alcuna di salute. Cominciarono i paurosi ad rallegrarsi, ed i superbi ad impaurire, e alcuni degli
amici di Eliodoro atterriti pregavano con gran riverenza Onia che gli impetrasse la vita, perch egli era in
sul trapassare.
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148. Per le preghiere dunque del Sommo Sacerdote i medesimi giovani di nuovo apparvero ad Eliodoro,
vestiti colle medesime vesti, e gli dissero: ringrazia Onia Sommo Sacerdote, perch la vita ti per lui resa;
e tu che hai provato i flagelli di Dio, va e manifesta a tutti i tuoi quanta religione e podest di Dio tu hai
conosciuto nel tempio : e dopo tali parole mai pi si videro. Eliodoro pertanto riavuta che ebbe la vita,
sacrific una vittima al Signore, ringrazi Onia Sacerdote e coll'esercito se ne torn al Re con queste
parole: se tu hai nemico alcuno o persona che ti voglia male, indirizzalo qui ed egli torner a te tutto
flagellato.
149. Bisogna dunque, figlioli miei, conservare i depositi ed averne gran cura. Quindi risplende assai il
ministero vostro, se voi raffrenate i soprusi dei potenti coll'aiuto della Chiesa; i quali non possono essere
tollerati dalle vedove o dai pupilli: se voi mostrerete di tener pi conto dei comandamenti di Dio che dei
favori dei ricchi.
150. Ricordatevi quante volte io ho avuto a combattere contro gli impeti dei Re, per mantenere i depositi
delle vedove ; anzi di tutti. Io vi racconto per esempio un caso che lo sapete voi ancora, come io, di nuovo
nella Chiesa di Pavia che portava pericolo di perdere u deposito, ch'ella aveva in custodia da una vedova.
Perch giuridicamente domandandolo colui che se lo voleva appropriare per avere il rescritto
dell'imperatore, i preti non mantenevano l'autorit loro: e quei potenti e coloro che opponevano per essere
stati dati per esecutori, dicevano che non potevano fare contro a quel che aveva comandato l'Imperatore.
Leggevasi la pi stringente forma del rescritto : era stipulata una commissione del Maestro degli Uffici,
gli agenti stavano nel negozio. Che pi? Il deposito era gi dato
151. Nientedimeno presone meco parere il Santo Vescovo attorni quel conclave dov'egli sapeva che s'era
trasportato il deposito della vedova. Il quale poich non n pot portare, se ne fece fare inventario e
ricevuta, per vigor della quale si mise di nuovo a dimandarlo. Aveva l'Imperatore rinnovato il
comandamento tanto che da se stesso ce lo domand. Gli fu negato e dichiarata l'autorit della legge
divina, e l'ordine della lezione ed il pericolo d'Eliodoro; a fatica finalmente l'Imperatore accett le ragioni.
Di poi si tent di torlo nascosto, ma il Santo vescovo anticip di rendere alla vedova quel ch'egli aveva di
suo. In questo mentre la fede salva: il credito non fu violato, perch oramai non portava pericolo la fede,
ma solamente la roba.
CAPITOLO XXX
152. Figlioli, schivate gli scellerati, e guardatevi dagli invidiosi. Questa differenza tra scellerato e
l'invidioso, che lo scellerato si diletta dei suoi beni; e l'invidioso degli altri si affligge. Quelli ama le cose
cattive; ha in odio le cose buone, di maniera che egli par quasi pi tollerare chi vuol bene a se, che chi
vuol male a tutti.
153. Figlioli, quando voi avete a fare con una cosa, pensatevi innanzi, e quando voi vi avete pensato lungo
tempo, allora fate quel che vi par meglio. Beato il morire quando se ne ha occasione lodevole, ed allora
si deve subito rapirla. L'onore, che si differisce, si fugge, n si pu facilmente comprendere.
154. Amate la fede; imperciocch Giosia( 4.Reg.23.) mediante la fede e devozione si acquist gran
benevolenza da tutti perch egli celebr la Pasqua del Signore essendo di diciotto anni: io che non fece
alcuno avanti a lui. Pertanto siccome vinse i suoi Passati di divozione, cos similmente voi Figlioli siate
zelatori di Dio. Ritrovisi in voi tale zelo del Signore, che in tal maniera vi consumi, che ciascuno di voi
dica con verit: lo zelo della casa tua mi ha ricercato. L'Apostolo si diceva zelatore di Cristo. Ma perch
so io menzione dell'Apostolo? Lo stesso Signore disse: lo zelo della casa tua mi ha consumato. Si trovi
dunque in voi lo zelo di Dio; non quello umano, generato dall'invidia.
155. Si trovi tra voi la pace, la quale avanza ogni sentimento. Amatevi l'un l'altro. Nessuna cosa pi
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soave, che la carit; nessuna pi gioconda che la pace. E voi stessi sapete che io sempre vi ho amati, ed
amo pi, che gli altri. Voi siete cresciuti insieme nell'affezione della mia fratellanza a guida di figlioli di
un medesimo padre.
156. Mantenete le cose che son buone, e il Dio della pace far con esse voi in Ges Cristo, al quale
onore, gloria, magnificenza, podest con lo Spirito Santo nei secoli dei secoli.Amen.
LIBRO III
CAPITOLO I
1. Il profeta Davide ci insegn a passeggiare per il nostro cuore, quasi per una ampio , e conversar con
quello, come con un ottimo compagno: tanto ch egli a se stesso diceva; e seco medesimo parlava: Io ho
detto, io custodir le mie vie, e Salomone tuo figliolo ancora disse: Bevi dell'acqua dei tuoi vasi, e delle
fonti dei tuoi pozzi, cio consigliati teco medesimo, perch l'acqua profonda il consiglio nel cuore
dell'uomo. Non ne far, dice, partecipe alcun forestiero; fa di avere una fonte d'acqua particolare, e sta
allegro con la donna, che tu hai dalla giovent; il cervo dell'amicizia ed il puledro delle grazie ragionino
in te.
2. Non fu dunque Scipione il primo, che sapesse di non essere solo, quando egli era solo: n manco
ozioso, che quando egli era ozioso. Prima di lui lo seppe Mos, che gridava mentre egli taceva, e
combatteva mentre egli stava ozioso e non solamente combatteva, ma ancora trionfava dai nemici. Era
tanto ozioso, che gli altri sostenevano le sue mani, n era meno occupato degli altri; che con le oziose
mani espugnava il nemico, che non poteva essere vinto da quelli che combattevano. Mos dunque parlava
nel silenzio e nell'ozio operava. E chi ha mai avuto negozi tanto importanti quanto l'ozio di questi; che
stando quaranta giorni sul monte, apprese tutta la Legge e non manc in quella solitudine chi con esso lui
favellasse? La dove Davide disse: Io ascolter quel che Iddio parler in me. E quanto egli pi se Iddio
parla con qualcuno che parlare se stesso?
3. Passavano gli Apostoli, e l'ombra loro sanava gli infermi. Erano tocchi i loro vestimenti e derivavano la
sanit.
4. Parl Elia, e la pioggia si ferm, n per tre anni e sei mesi cadde sopra la terra. Oltre a questo parl
un'altra volta, ed il vaso della farina non venne meno, e quell'olio in tutto il tempo della lunga fame non si
svuot giammai.
5. E perch molti si dilettano delle cose della guerra. Che cosa pi eccellente; dar fine ad una guerra con
le braccia di un grande esercito o coi soli meriti? Eliseo sedeva in un luogo e il re di Siria faceva una
grande guerra al popolo dei Padri e li aspreggiava con diverse sorte di frodi e gli insegnava con agguati di
accerchiarli; ma il profeta sapeva tutti quanti i suoi provvedimenti; ed essendo per la grazia di Dio con il
vigor della mente presente in tutti i luoghi, avvisava ai suoi i pensieri dei nemici e gli avvertiva in quali
luoghi dovevano guardare: questo che subito pervenne agli orecchi del re di Siria, con un esercito serr il
profeta. Ora Eliseo fece accecare tutti coloro che erano venuti ad assediarlo.
6. Ora agguagliamolo quest'ozio a quel degli altri. Perciocch gli altri vogliono levare la fantasia dalle
faccende per riposarsi, e rimuoverli dalla moltitudine e conversazione degli uomini, ed andarsene in una
segreta villa, cercare le solitudini dei campi, o dentro alla citt sciogliersi dai fastidi e dar opera alla quiete
e alla tranquillit. Ma Eliseo nella solitudine col suo passare divise il giordano in tal modo che la parte
sotto correva all'ingi al solito e la parte di sopra ritornava verso la sua fonte; o nel Carmelo faceva che
una sterile rimanesse in cinta contro l'opinione di chiunque la conosceva, levatagli gli impedimenti, che
ella aveva nel generare; o risuscitava morti; o temperava l'amarezza dei cibi e col mescolare la farina li
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faceva addolcire; o col distribuire solamente dieci pani; satollato che egli aveva il popolo ricoglieva quel
che avanzava, o veramente essendo uscito il ferro della scure e caduto nel fiume Giordano: col mettere il
manico nell'acqua lo faceva venire a galla; o egli mondava il lebbroso e mutava il secco con le piogge; o
egli scambiava la fame con l'abbondanza.
7. Quando dunque solo il giusto, che sta solo con Dio? Quando sta egli solitario chi non separato da
Cristo? Spero che n la morte, n la vita, n gli angeli. Quando si allontana egli dalle faccende, colui che
non si parte mai del merito, col quale ad esse si da compimento? Ed in quali luoghi egli rimane ristretto
chi possiede tutte le ricchezze del mondo? Di quanto pregio egli stimato chi non si pu comprendere con
opinione? Imperciocch in un tempo medesimo( 1Cor.6.8) egli quasi conosciuto, e non conosciuto:
quasi morto ed ecco che vive quasi malinconioso ed eccolo sempre pi allegro; povero ed abbondevole,
come quegli che non ha cosa alcuna, se non quel che giusto ed onesto. E per ancora che agli altri
appaia povero, non di meno in s ricco, come quegli, che non giudicato dalla stima delle cose che son
caduche, ma di quelle che son eterne.
CAPITOLO II
8. E perch noi abbiamo trattato dei due primi luoghi, nei quali abbiamo mostrato quell'onesto e utile,
resta al presente che si vegga se noi abbiamo a comparare l'onest e l'utilit tra loro e cercar dopo questo
quel che seguir si deve. Perch siccome noi abbiamo trattato di sopra se quello fosse onesto o brutto, e
dopo questo se egli utile o disutile; cos nel medesimo modo molti pensano che si debba cercare se una
cosa onesta o utile.
9. Ma noi diciamo per non parere di voler indurre queste cose come ripugnanti fra loro, quali abbiamo gi
mostrato sopra di essere una medesima cosa; che egli non pu essere onesto, se non quel che utile, n
utile se non quel che onesto: imperciocch noi non cerchiamo la sapienza della carne, appresso la quale
si tiene pi conto dell'utilit del denaro; ma la sapienza, che procede da Dio, appresso la quale tutte le
cose, che sono di gran pregio in questo secolo, sono riputate per danni.
10. Perci questo Catorthoma(.) che il perfetto e compiuto ufficio, si deriva dalla vera fonte della virt.
Al quale l'ufficio comune inferiore: che si esprime col parlare, che quel che pu essere comune a molti,
non difficile n di singolare virt. Perch cercare di accumulare denaro cosa famigliare a molti, il
dilettarsi di delicati cibi e di squisite bevande cosa usata. Ma il digiunare e l'essere continente cosa
usata da pochi e il non diaria l'altrui cosa rara. E l'opposto il voler troppo quello degli altri, e il non
accontentarsi del suo. Perci questa cosa molto comune. Altri dunque sono i primi uffici e altri i medi; i
primi sono comuni con pochi, i medi con molti.
11. Finalmente nelle medesime parole molte volte EVVI differenza. Perch noi in un modo chiamiamo
buono Iddio, e in un altro l'uomo; in un modo diciamo che egli giusto Iddio, e in un altro l'uomo. E
finalmente in un modo diciamo Iddio essere savio e l'uomo in un altro. Come appare nel Vangelo( Mt
5.48) Siate perfetti, siccome perfetto il Padre vostro che nei Cieli. E Paolo stesso dice essere perfetto, e
non perfetto. Perci quando egli ebbe detto: (Phil. 3.12) Non ch'io l'abbia gi ricevuto, o ch'io sia perfetto,
ma lo seguir per ottenerlo; subito soggiunse Ibid.15.) Quanti dunque siano perfetti. Perci la forma della
perfezione di due sorti: l'una che ha tutti i numeri, l'altra che ne ha parte; una qui, l'altra quivi. L'una
secondo la possibilit dell'uomo, l'altra secondo la perfezione futura. Ma Iddio giusto per tutte le cose,
savio sopra tutte le cose, perfetto in tutte le cose.
12. Passa altres gran differenza tra gli stessi uomini. Perch in un modo fu Savio Daniello, del quale
scritto: (Ez. 28.3) Chi di Daniello pi Savio? In un altro savi fli altri. Altrimrenti Salomone, che fu
ripieno di sapienza sopra tutta la sapienza degli antichi, e sopra tutti i savi dell'Egitto. Perci altra cosa
essere Savio comunemente, altra perfettamente. La sapienza di quello che Savio comunemente, si stende
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solo circa le cose temporali, per le sue particolari, come usurpare altrui qualche cosa, e applicarla a se.
Quegli che ha la sapienza perfetta, non considera n tiene conto dei suoi comodi, ma con tutta l'affezione
aspira a quel che eterno, che orrevole ed onesto. Cerca non quello che torna utile a se, ma quello che
risiuta in comodo di tutti.
13. Pertanto questa sia la regola e la norma, che noi non possiamo errare tra l'onesto e l'utile: perci il
giusto pensa di non aver a usurpare quello d'altri, n vuole con il danno altrui crescere i suoi comodi,
Questa forma ti ordina l'Apostolo quando ti dice: (1Cor 10.22) Tutte le cose sono lecite, ma non tutte
stanno bene. Tutte son lecite ma non tutte edificano. Nessuno cerchi quel che suo, ma l'altrui, cio
nessuno cerchi il comodo suo, ma l'altrui; nessuno vada dietro all'onor suo, ma all'altrui. La dove egli dice
in un altro luogo: (Phil. 2.3-4) Ciascuno giudichi l'altro superiore a se, non pensando nessuno a quel che
suo, ma a quel d'altri.
14. Nessuno cerchi di essere onorato o lodato; ma altri. La qual cosa ne fu ancora ampiamente mostrata
nei Proverbi, dicendo lo Spirito Santo per Salomone: (Prov. 19.22) Figliolo, se tu sarai Savio, gioverai a
te, e ad altri; ma se tu sarai il contrario, nocerai a te stesso solamente. Perci il Savio giova col consiglio
ad altri, come il giusto; con ci la forma dell'una e dell'altra virt sia della medesima forza.
CAPITOLO III
15. Chi vuol dunque piacere a tutti in tutte le cose, cerchi non quel che utile a se, ma quello che utile a
molti, siccome ancora cercava San Paolo. Perci questo confermarsi a Cristo;(Phil.2.6) non cercare
l'altrui, non usurpare l'altrui per appropriarlo a se: perch il Signore Ges Cristo essendo in forma di Dio,
si abbasso tanto che egli prese forma d'uomo per arricchirla con le virt delle sue operazioni. Tu dunque
spogli quello che ha vestito Cristo? Lo provi in quel che gli ha donato Cristo? Perci tu fai questo, quante
volte tu ti ingegni con l'altrui, danno accrescere i tuoi comodi.
16. Considera uomo dove hai preso il nome; dalla terra, la quale non toglie cosa alcuna a nessuno, ma a
tutti dona tutte le cose, ed in servigio di tutti gli animali ne produce diversi frutti. Quindi detta l'umanit,
speciale e famigliar virt dell'uomo, perch ella aiuta i suoi conforti.
17. Appara dalla forma del tuo corpo, e dall'uso delle membra. Un tuo membro si attribuisce egli l'ufficio
di un altro membro, come l'occhio l'ufficio della bocca, o la bocca quello dell'occhio, o la mano si usurpa
ella l'esercizio del piede, o il piede quello delle mani? Anzi che ancora le stesse mani destra e sinistra
hanno molti uffici distinti; che se tu volessi mutar l'uso dell'una con quella dell'altra, sarebbe cosa contro
natura, e prima spoglieresti tutto l'uomo, che tu potessi mutare gli esercizi delle tue membra, come
sarebbe volersi imboccare colla man manca o servirsi della man dritta negli esercizi della manca, come
nel lavare certi resti di cibi, se gi per avventura non lo ricercasse la necessit.
18. Ors immaginati questo e d tanta virt al tuo occhio, che possa levar via il sentimento dal capo,
l'udito dalle orecchie, i pensieri dalla mente, l'odorato dalle narici, il sapore dalla bocca e attribuiscano a
se; non guaster egli tutto lo stato della natura? La dove disse bene l'Apostolo: (1Cor 12-17) Se tutto il
corpo fosse occhio, dove sarebbe l'udito? Se fosse tutto udito dove sarebbe l'odorato? Tutti dunque siamo
un medesimo corpo, e diverse membra, ma tutte necessarie al corpo. Perci un membro non pu dire
all'altro io non ho bisogno di te. Anzi che quei membri, i quali paiono pi deboli, sono molto pi
necessari, e il pi delle volte hanno maggiore bisogno di esserne guardati. E se per avventura un membro
si duole, si dolgono insieme seco le altre membra.
19. La dove quanto aspro, che noi leviamo via cosa alcuna da quei, in compagnia dei quali abbiamo
ancora noi a patire ed inganniamo e siamo di danno a quelli che noi dovremmo sollevare ed aiutare?
Questa certamente la legge della natura, che ad ogni umanit ne spinge, che noi accarezziamo l'un
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l'altro, come parti di un medesimo corpo. N facciamo pensiero di usurpare cosa alcuna e con ci il non
giovare altrui sia contro la legge della natura. Perch in tal modo nasciamo, che le membra convengono
con le altre e l'uno con l'altro si accostino e l'un l'altro altres con scambievoli servizi ubbidiscano. Che se
uno di loro manca dell'ufficio suo, si impediscono ancora gli altri, esempio se la mano cava un occhio,
non ha ella a se medesima negato l'uso dell'ufficio suo? Se ella ferisce un piede dell'utilit di quanti fatti
sar ella stata a se medesima invidiosa? E quanto egli pi aspra cosa far capitare male tutto un uomo,
che un membro? Gi se egli si viene a guastare tutto il corpo per un membro solo, certamente in un uomo
si scioglie la conversazione di tutta l'umanit, si viola la natura della generazione umana e la
congregazione della Santa Chiesa la quale cresce in un corpo congiunto e fabbricato con l'unit della fede
e della carit. E Ges Cristo Signore nostro, che morto per tutti noi, si dovr ancora che egli si sia
perduto il premio del suo sangue.
20. Anzi che la stessa Legge vecchia del Signore ancora insegna a tener questa forma; che per tuo comodo
tu non usurpi altrui cosa alcuna, quando ella dice: (Prov. 22.28) Non trapassare i confini antichi posti dai
vostri Padri; quando ella comanda che si riconduca( Eso. 23.4) il vitello smarrito del suo fratello; quando
ella comanda che i ladri (Levit. 19.13) si ammazzino; quando ella proibisce che si frodi (Levit. 19.13) il
mercenario del dovuto pregio; quando ella giudica che si rendano i denari senza usura (Deut. 23.19).
Perci gli grande umanit sovvenire chi non ha; ma molto maggiore crudelt voler da altrui trarre pi di
quel che tu gli hai dato; se perci il povero ebbe bisogno del tuo aiuto, perch egli non pot pagare col
suo: non egli cosa empia che sotto specie di umanit tu riesca maggiore somma da chi non poteva
pagare la minore? Tu sciogli dunque un debitore da altri, per obbligarlo a te, e ci chiami umanit,
laddove egli si vede accresciuto di ribalderia.
21. In questo siamo pi eccellenti degli altri animali; che altre specie di animali non fanno conferire cosa
alcuna, e laddove le fiere tolgono, gli uomini danno. Laddove il salmista dice: (Sal.36.21) Il giusto ha
misericordia e dona. Ritrovasi ancora a chi le ferie conferiscono, con ci con tale conferimento elle
nodriscono la loro schiatta, e gli uccelli saziano col loro proprio cibo la loro progenie; ma all'uomo dato
solamente di pascere tutti come suoi propri. Questo per la stessa legge della natura fare si deve. Che se
egli non lecito il non dare, il togliere come sar lecito? N le stesse leggi ce lo insegnano, che
impongono che si restituisca tutto quello che stato altrui tolto o con danno di persona o con acquisto
della cosa stessa, per spaventare con la pena il ladro dal rubare o richiamarlo alla con condanna.
22. Concedasi non di meno, che vi sia chi non tema la pena e si faccia beffe delle condanne. egli forse
cosa onesta che alcuno si usurpi l'altrui? Questo vizio e meschino e da uomini vilissimi usitato; ed tanto
contro la natura, che par piuttosto che la povert spinga ella a sor per forza, che lo persuada la natura.
Niente di meno gli uomini di infima condizione commettono di nascosto qualche furto; ma i potenti
pubblicamente rubano.
23. E che cosa egli tanto contro la natura, che violare l'altrui per le proprie comodit, la dove la naturale
affezione mostra che tu sei obbligato a vegliare per gli altri, e prendere sopra di te i loro fastidi e ricevere
la fatica per loro; e si giudica chi cerca coi propri pericoli la tranquillit di tutti, prenda un'impresa
generosa e degna di grandissimo onore e ciascuno si reputi la cosa molto pi gioconda di aver cacciato le
rovine della Patria, che i propri pericoli e giudichi che cosa sia pi eccellente collocare l'opera sua in aiuto
della Patria; che se egli in ozio, avesse consumato la vita tranquilla dietro alla moltitudine dei piaceri.
CAPITOLO IV
24. Quindi si pu dire che chi in tal modo formato ed impegnato dalla natura che egli gli ubbidisce,non
pu ad altri nuocere. E se nuoce a qualcuno, e viola la natura, non n tanto il comodo, che egli pensa di
trarne, quanto lo scomodo nel quale egli per ci incorre? Qual giudizio pi severo, che il proprio e
dimestico, mediante il quale ciascuno sa di aver sbagliato e riprende se medesimo di avere a torto
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ingiurato il fratello? Quello che non biasima mediocremente la Scrittura; dicendo: (Prov.14.3) Di bocca
degli stolti esce il bastone delle ingiurie. dunque tacciato di stoltezza colui che fa un'ingiuria. O non si
deve egli forse schivar proprio questo che la morte o la perdita o la povert che l'esilio o il dolore e la
malattia? Perch chi colui che non giudichi pi leggero un mancamento del corpo o della roba che un
vizio dell'animo o la perdita della reputazione?
25. dunque chiaro che tutti dobbiamo cercare e mantenere, che l'utile nostro non sia altro, se non quello
che giova a tutti; e che noi non dobbiamo reputare utile alcuna cosa, se non quella che comunemente a
tutti giova. Perch in qual modo pu giovare ad uno quello che a tutti nuoce? A me certo non pare, che chi
ad altri dannoso, possa per se medesimo essere utile: perci se la legge della natura una medesima a
tutti, una certamente sar l'utilit di tutti. E se l'utilit di tutti una, siamo parimenti dalla lagge della
natura astretti a giovare a tutti. Non si appartiene dunque a chi vuole secondo l'ordine della natura giovare
ad uno, nuocere al medesimo contro la legge della natura.
26. Perci se quelli, che corrono nello stadio, sono in tal modo ammaestrati ed istruiti, che ciascuno si
sforzi di vincere con la prestezza, e non con gli inganni e solleciti alla vittoria col correre; ma non con il
gettare gli altri per terra ed urtargli; quanto noi maggiormente dobbiamo cercare la vittoria nel corso della
vita senza ingannare o frodare l'altrui?
27. Dubitano alcuni se un savio posto in naufragio potesse stare delle mani una tavola ad uno stolto, che
allo stesso modo si trovasse in quel naufragio; se lo debba fare o no. A me di vero, bench comunemente
sia tenuto meglio campar dal naufragio un savio, che uno stolto; niente di meno non pare che un cristiano
e giusto e savio debba cercare di vivere coll'altrui morte, come quegli che se ancora si desse ad un
assassino armato, non pu, bench io lo ferisca, ferir lui, perci mentre egli cerca di difendere la salute,
non contamini la piet. Della qual cosa ne abbiamo nei libri evangelici chiara e manifesta tendenza: (Mt
26.52) Riponi il tuo coltello; perch chiunque col coltello percuoter, da quello sar percosso. E qual
assassino si deve pi detestare, che quel perseguitare che era venuto per ammazzare Cristo? Ma Cristo
non volle essere difeso dalle ferite dei persecutori, che con le sue piaghe volle tutti sanarne.
28. Ed in che modo ti reputerai migliore di un altro, essendo l'ufficio del cristiano preferir gli altri, non
s'arrogar cosa alcuna, non si usurpare onore alcuno, non attribuire il pregio del suo merito? Finalmente
perch non t'avessi a sopportar piuttosto il proprio danno, che toglier l'altrui comodo? Che cosa egli
tanto contro la natura, quanto non si accontenta di ci che ha, andar cercando l'altrui, e bruttamente
cercarlo? Perci se l'onest secondo la natura( perci Iddio fece tutte quante le cose molto buone) la
bruttura certo gli contraria. Non possono dunque convenir insieme l'onest e la bruttezza, essendo
veleno tra loro per leggi naturali distinte e separate.
CAPITOLO V
29. Ma essendo gi tempo di dare ancora compimento a questo libro, nel quale come nel fine della nostra
disputa concludiamo, che egli non si deve desiderare altro che l'onesto: perci il savio non sa cosa alcuna
se non quella che sia onesta, n cosa alcuna opera, se non con sincerit, e senza frodi, n sa cosa alcuna,
nella quale si obbligati ad alcun peccato, ancorch celatamente far lo potesse. Perch ognun sa il suo
errore prima che altri lo sappiano, n tanto si deve vergognare che si pubblichi la sua sceleraggine, che
della sua coscienza. Quello che possiamo chiaramente mostrare non con finte novelle, come fanno i
filosofi, ma con verissimi esempi di santi uomini.
30. Non finger dunque una fessura della terra, la quale sia per grandissime piogge aperta, nella quale
fecondoch scrive Platone (lib. 2. de Rep. E Cic. Lib. 3, Offic. c. 4.) scese Gige, e trovovvi quel favoloso
cavallo di bronzo, che aveva n fianchi due porte, le quali aperte ch'egli ebbe; pose l'occhio fu di un
anello d'oro, che era in dito d'un uomo morto, il cui corpo l giaceva senza spirito: ed egli avido dell'oro
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prese l'anello. Ma subito ch'ei fu tornato tra regali pastori, del cui numero era ancor egli, avendo per
avventura volta la pietra dell'anello verso la palma della mano vedeva tutti gli altri, ch' giudic
ammazzare, acci non gli si contrapponessero, ottenne il Regno di Lidi.
31. D, dice, questo anello ad una savio, acci, col beneficio di quello si possa nascondere quando egli
avr errato. Non fuggir punto meno la macchia d peccati, che s'ei non potesse celarsi: perch l savio
non fonda la sua speranza circa'l non esser punito n nascondimenti, ma nell'innocenza. Finalmente la
legge (1Tim. 1.9.) posta non per i giusti, ma per i malvagi: perciocch l giusto ha la legge della sua
mente, e la norma dell'equit della giustizia; e per cotal cagione non s'astiene dal peccare per paura della
pena, ma per amor dell'onest.
32. Adunque per tornare al proposito produciamo non gli esempi favolosi per i veri; ma i veri in cambio
d favolosi. Perch qual bisogno ho io di fingere un'apertura della terra, l cavallo di bronzo, e l'anello
d'oro trovato in dito al morto: il valor del qual anello sia tale, che chi l'ha in dito, possa a suo beneplacito
essere veduto l dove vuole; e quando non vuole si possa sottrarre dal cospetto dei presenti, di maniera
che essendo egli in un luogo, possa dai circostanti non essere veduto? Perci questo ad altro non tende, se
non a sapere se un savio ancora che egli abbia la comodit di questo anello col quale si possa nascondere
le sue sceleraggini e conseguire un regno; e se egli reputer pi grave la macchia della ribalderia, che i
dolori delle pene: o veramente se con la speranza di non esser panico se ne servir a commettere simili
sceleraggini. Perch dico ho bisogno di tali novelle, potendo insegnare dai fatti, che quando l'uomo savio
non vedesse che solamente doversi restar nascosto il peccato, ma ancora fosse certo di avere, col
commettere tal ribalderia, a regnare; e dall'altra banda vedesse il pericolo della salute, se egli si astenesse
da cotali scelleraggini eleggerebbe nonostante questi piuttosto il pericolo della salute per non
commetterla, che la ribalderia per acquistarsi con essa il regno.
33. Ecco David( 1Reg. 26.2) quando egli fuggiva dalla faccia del Re, quando il Re lo cercava nel difetto
con tremila uomini scelti per ammazzarlo; entrato tra le squadre regali e trovato il Re a dormire; non
solamente non lo fer, ma lo difese, e gli fece scudo ch'e non fosse morto da alcuno di quei ch'eran venuti
seco. Perch dicendogli Abifai :(Ibid. 8) Il Signore ti ha rinchiuso oggi il nemico nelle man, io lo voglio
da una banda all'altra al presente passare; gli rispose: Non lo toccare perch chi s'insanguiner le mani del
Cristo del Signore; e sar puro? E soggiunse: Vive il Signore, che se non lo percuoter egli, o se non
giunger l'ora sua, che muoia o noi non lo ammazziamo nella battaglia, guardami Iddio ch'io non gli
ponga le mani addosso.
34. Pertanto non lo lascio ammazzare, ma port via seco solamente la lancia, che era al capo del Re, ed un
vaso d'acqua, dormendo quivi tutti. Uscito dalle squadre sal sulla sommit d'un monte e cominci a
riprendere le guardie del Re, e principalmente Abner capitano della milizia, che egli non faceva fedel
guardia al Re e Padron suo; finalmente gli disse che mostrasse dove fosse la lancia del Re e il vaso
d'acqua che era al di lui capo. E chiamato dal Re gli restitu la lancia, dicendo: Il Signore renda a ciascuno
secondo le opere e la fede sua, siccome Iddio ti ha oggi dato nelle mie mani ed io non mi sono voluto
imbrattar nel sangue del Cristo del Signore. E bench egli dicesse cotali parole, temeva nientedimeno
grandemente i suoi agguati e fugg, mutando paese con l'esilio. N prepose nientedimeno la salute
all'innocenza, che avendo altra volta comodit d'ammazzare il Re, non volle godere il beneficio
dell'occasione, che a lui temente offriva sicurezza della salute ed apprezz il regno mentre ch'egli era fuor
uscito.
35.Quando ebbe bisogno Giovanni dell'anello di Gige: che se avesse taciuto, non sarebbe stato morto da
Erode? Questo gli poteva concedere il suo silenzio, che fosse veduto e non ammazzato. Ma perch egli
non acconsent non solamente di peccar egli per difesa della sua salute, ma non pot ancora tollerare e
sopportare l'altrui peccato, eccit contro di se la cagione della morte. Quei dunque, che dicono che egli
non pot essere che Gige si celasse col beneficio dell'anello, non potranno gi negare che quest'altro
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potesse tacere.
36. Ma questa novella, sebbene essa non ha in se forza alcuna di verit, contiene nondimeno questa
ragione; che un uomo giusto che ancora si potesse nascondere, schiverebbe non di meno il peccato nel
medesimo modo, che se egli non lo potesse nascondere: e che non nasconde la sua persona chi ha in dito
l'anello, ma bens nasconde la vita sua chi si vestito Cristo, come dice l'Apostolo: ( Col.3.3) Che la vita
nostra con Cristo in Dio nascosta. Nessuno dunque cerchi di risplendere: nessuno si attribuisca
arrogantemente, nessuno si vanti. Cristo non voleva esser qui conosciuto, non voleva che il nome suo
fosse predicato nell'Evangelo mentre ch'egli era in terra( Luc. 9.36): venne per non essere conosciuto da
questo secolo. Noi dunque ancora dobbiamo nel medesimo modo nascondere la vita nostra nell'esempio di
Cristo: fuggiamo l'ostentazione, non desideriamo d'essere lodati. Meglio stare qui in bassezza, quivi in
gloria. Quando dice: (Col. 3.4) Cristo si manifester, allora voi altres comparerete insieme seco gloriosi.
CAPITOLO VI
37. L'utilit non possa pi in noi che l'onest; anzi l'onest vinca l'utile: chiamando per utilit quella ch'
tenuta cos secondo l'opinione del volgo. Ammortisci l'avarizia, si distrugga la concupiscenza. Il Santo
dice, (Salm. 70.15) che non si mai intromesso in faccende perch cercare gli accrescimenti dei pregi non
semplicit, ma astuzia. Ed un altro dice : ( Prov. 11.26) Chi aspetta di vendere il grano, ch' sia in gran
pezzo, da popoli bestemmiato.
38. stabilita questa sentenza senza lasciar luogo alcuno alle dispute; come suol esser quel modo di dire
nei litigi, quando uno vuol mostrare che l'agricoltura deve essere tenuta in pregio appresso di tutti: che i
semplici frutti della terra rinterrano; che chi ha seminato pi, merita d'esser lodato pi: che le fertili
entrate dell'industria non son frodate, che si suol biasimar pi la negligenza e la trascuraggine di una villa
mal tenuta.
39. Io ho arato, dice, diligentemente, il perch ho seminato in maggior quantit, e con maggior studio ho
lavorato, ho abbondantemente ricolto, con gran sollecitudine ho riposto, ho lealmente conservato e con
gran provvidenza mantenuto. Al presente vendo nel tempo della fame, sovvengo a'bisognosi, vendo il mio
grano e non l'altrui: non pi che gli altri, anzi per avventura meno. Che frode questa? Conci che molti
potrebbero andare in rovina s' non avesser che comperare? Si ha egli a riprendr l'industria? Biasimali
forse la diligenza? Debbesi egli per vituperar la provvidenza? Per avventura dir: e Giuseppe( Gen.
41.34) adun grani in grandissima quantit e poi nella carestia gli vend. egli forzato alcuno a comperar
pi caro? Usasi egli violenza al comperatore? A tutti ugualmente si propone la copia del comperare ed a
nessuno si fa ingiuria.
40. Poich dunque queste con tutto l'ingegno e saper dell'uno son disputate, si rizza l'altro, e dice:
L'agricoltura nel vero in se buona, la quale ne produce i frutti per ciascuno, e colla semplice industria
accumula l'abbondanza delle terre, non interrompendo inganno o frode alcuna. Finalmente se vi sar
mancamento veruno, vi sar maggiore spesa, perch chi seminer bene, mieter meglio: e chi avr
seminato il granel netto del grano, avr pi pura e pi sincera la raccolta. La terra fertile raddoppia quel
ch'ella riceve, ed il campo fedele suole con non piccola usura render l'entrate.
41. Dall'entrate dunque delle grasse zolle debbi aspettare il frutto della tua fatica, dall'abbondanza del
grasso terreno devi sperare i giusti vantaggi. Perch converti tu in frode l'industria e la larghezza della
natura? Perch tieni tu con invidia ai servigi degli uomini le pubbliche parti? Perch scemi tu
l'abbondanza ai popoli? Perch ti affatichi per la povert? Perch sei cagione che i popoli desiderano la
sterilit? Perci non pervenendo loro il beneficio dell'abbondanza, ponendo tu il pregio all'incanto e
riponendo i grani; desiderano pi tosto che niente nasca, che il tuo mercantare colla pubblica fame. Usi
ogni diligenza che fra mancamento di grani e carestia del vitto, ti duoli del parto della larga terra, ti
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rammarichi della pubblica fertilit, ti rattristi che i granai sian pieni di biade, veletti quando siano pi
fertili le entrate, pi esili le ricolte, ti rallegri che le loro bestemmie abbiano adempiuto il desiderio tuo;
cio che non nascesse cosa alcuna. Allora ti compiaci che sia venuta la tua ricolta, allora della meschinit
di tutti ti raguni le ricchezze, e questa chiami industria: a questa hai posto nome diligenza, che un
espressa malizia e manifesta astuzia di frode; e chiami rimedio questo che un trovato di ribalderia. Ho io
a chiamar questo assassina mento od usura? Si scelgono tali tempi, come fanno gli assassini, nei quali tu
aspro insidiatore esca ad assaltare le viscere degli uomini. Si accresce il prezzo come raddoppiato
dall'usure sopra il capitale col quale si ammonta il pericolo della vita. A te si moltiplica l'usura delle
nascoste biade, tu nascondi il grano a guisa d'usuraio, e come venditore lo poni all'incanto. Per qual
ragione desideri male ad ognuno e fai che gli abbia a crescere la fame come se non fosse per avanzare
biada alcuna e come se l'anno futuro avesse ad essere pi sterile? Il tuo guadagno il danno universale.
42. Il Santo Giuseppe( Gen 41.56) aperse a ciascuno i granai, non gli ferr, n cerc i pregi delle
vettovaglie, ma costitu un perpetuo sussidio, non acquist cosa alcuna per se, ma con ottimo governo
dispose come s'avesse per l'avvenire a cacciar la fame.
43. Voi avete letto, qualmente il Signor Ges Cristo espose nell'Evangelo questo che andava dietro ai
pregi dei grani: la cui possessione aveva prodotti abbondanti frutti; ed egli a guisa di bisognoso diceva: (
Lc 12.17) Che far io non ho dove riporre queste mie ricolte, roviner i miei granai e farogli maggiori,
quando non poteva egli sapere se era per vivere la seguente notte o no. Non sapeva che si fare; come se gli
avesse avuto a mancare il vitto, stava dubbioso. I suoi granai non eran capaci delle ricolte, ed egli credeva,
che non gli mancassero.
44. per dice Salomone: (Prov.11.26) Chi serva i grani, gli lascer alle nazioni e non agli eredi, perch
l'emolumento dell'avarizia non perviene alle ragioni dei successori. Quel che non si acquista
legittimamente dissipato e portato via dagli strani, non altramente che dalla polvere farebbero i venti; e
soggiunse: (Ibid.) Chi incetta le vettovaglie, maledetto dalla plebe, e quegli che ne fa partecipi i popoli
consegue le benedizioni. Tu vedi dunque che gli convenevole esser liberale dei grani e non accrescitore
dei prezzi. Non si deve dunque chiamar utilit questa, nella quale si deroga pi all'onesto ch' non
s'accresce all'utile.
CAPITOLO VII
45. Ma a quelli ancora, che cacciano i forestieri dalla citt meritano biasimo; cacciate in quel tempo, che
si dovrebbe porgere aiuto, separare dai commerci della comune madre, negare i parti per tutti ugualmente
prodotti, proibire i gi cominciati consorzi del vivere, non voler dividere i sussidi nel tempo delle
necessit con quei coi quali sono le ragioni comuni. Le fiere e le bestie reputano, che il vitto che produce
la terra sia a tutti comune. Quelle ancora aiutano gli animali della medesima specie; l'uomo gli impugna
che debbe credere che ci che si trova d'umano, gli sia proprio.
46. Quanto meglio fece quegli, che essendo gi vecchio; ed essendo la citt oppressa da gran carestia, e (
come suole in simili casi avvenire ) volendo gi tutti mandare fuori della terra i forestieri; egli sopra il
quale pi, che tutti gli altri si posava la cura della Citt, adun pi onorati, e ricchi cittadini; chiese che
ognun dicesse parer suo, e deliberassero, affermando, esser cos crudel cosa, cacciar i forestieri, come
spogliare ed assassinare un'uomo: quello che fa colui, che nega il cibo a quegli, che muore. Noi
sopportiamo che i cani stiano intorno alle tavole senza mangiare ; e mandiam fuori gli uomini? Quanto
disutile ancora che tanti popoli periscano al mondo, i quali fa mancare la crudel fame, tanti capitar male
nella lor citt, che solevano esser di non piccol aiuto o in dar sussidio, o in esercitar commerci: nessuno
porgere aiuto all'altrui fame :differir la carestia qualche giorno, non in tutto cacciarla ; anzi che estinti
tanti coltivatori, morendo tanti cittadini periscono in perpetuo le speranze, e gli aiuti delle vettovaglie. Noi
dunque escludiamo quelli, che a noi solevano ministrare il vitto? Non vogliamo pascere costoro nel tempo
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della necessit, che per l'addietro hanno per ogni stagione pasciuti noi? Quante sono le cose, che eglino al
presente in questo tempo ne ministrano? (Dt. 8,3. Mt. 4,) Non nel solo pane vive l'uomo. Quivi medesimo
la nostra famiglia, e molti ancora di loro son nostri congiunti. Rendiam quel che noi abbiam ricevuto.
47. Ma noi temiano di non accumular la povert. Primieramente la misericordia mai abbandonata, ma s
bene aiutata. In oltre ricomperiamo col conferire, e restauriamo con l'oro le vettovaglie, delle quali ci
bisogna far parte a costoro. Forse mancando questi non abbiamo noi necessit di ricomperare altri
artigiani e lavoratori? Quanto egli pi utile cosa il pascerli, che il comperarli? Donde ancora gli potrai tu
avere? Dove troverai tu uno da dirozzarlo? Oltre che se tu troverai qualcuno, che non sappia fare, e
avvezzo a costumi stranieri, lo potrai sostituire ne luogo loro, ma non nelle faccende.
48. Che pi? Ragunati da ciascun di loro e fatta somma di danari, si provvidero i grani. Cos per questo
suo tal consiglio non si scem l'abbondanza della Citt, e si somministr il vitto a forestieri. Quanto
merit appresso a Dio il santissimo vecchio? Quanta gloria ancora s'acquist egli appresso agli uomini?
Questi veramente si pot dir grande, che pot con verit dire all'Imperatore mostrandogli i Popoli di tutta
la Provincia : Costoro tutti ti ho conservato, costoro vivono per beneficio del tuo Senato, costoro dalla tua
Corte sono stati gi tolti alla morte.
49. Quanto fu pi utile questo, che quel che avvenne poco fa a Roma? Che furono cacciati d'una si ampia
Citt quei, che eran vissuti quivi tanti anni : piangendo si partiron co'figliuoli, dolendosi d'esser rimossi, e
mandati come cittadini in esilio ; s'interuppero l'intrinsichezze di molti ; e le affinita si levaron via. E
certamente che con gran piacere aveva la larghezza dell'anno favorito ; mancava solo far di grani forestieri
provvedimento ; e n'avrebbero avuto, se l'avessero chiesto a quelle Citt d'Italia, i cui figliuoli si
mandavan fuori. Non pi brutta cosa di questa, che il mandar fuori uno come strano, e riscuoter da lui
come s' fosse proprio. Perch cagione mandi fuori quello, che si fa col suo le spese? Perch cacci quello,
che d a te il vitto? Tu ti serbi appresso il servo, e mandi via il padre? Tu rapisci per forza il suo vitto, e
non gli ne sei grato?
50.Quanto disutile, e quanto vituperoso questo? Perch in qual maniera pu esser utile quello che non
convenevole? Da quanti aiuti di corpi gi per l'addietro stata privata e defraudata Roma? Avrebbe potuto
non perdere, ed insieme campare la fame, aspettando i venti prosperi, ed il salvo condotto delle sperate
navi.
51. Ma quanto onesto, ed utile quel ch'io ho di sopra detto? Perch qual cosa si pu egli immaginare pi
bella, e pi onesta, quanto che col conferire d ricchi s'aiutino i bisognosi, si ministri il vitto agli affamati
: far che non manchi cibo a persona? Che cosa egli tanto utile, quanto conservare i coltivatori delle terre,
non lasciar mancare la moltitudine d villani?
52.Quello dunque che onesto, utile : e quel ch' utile, altres onesto. E per l'opposito ancora quello
che disutile, contro al decoro, e l'indecoroso ancora non utile.
CAPITOLO VIII
53.Quando sarebbe potuto uscire di servit i nostri Maggiori, (Es. 12, 34) se eglino non avesser giudicato
esser non solamente cosa disonesta, ma ancora meno che utile servire al Re degli Egizi? Giosu
ancora(Nm. 13, 28.) e Caleb mandati a riconoscer la terra riferirono bens quella essere abbondevole, ma
essere da stranissime genti abitata. Il popolo sbigottito dallo spavento della guerra ricusava la possessione
di quella terra.
54.Giosu, e Caleb, che furono mandati per spiare, persuadevano, che la terra fosse utile : riputavano cosa
obbrobriosa cedere alle nazioni ; piuttosto eleggevano d'esser lapidati secondo ch dal popolo n'eran
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minacciati, che partisci dall'onesta. Altri (Nm. 14,6.) ne sconfortavano, la plebe gridava, dicendo d'aver a
far guerra con genti aspre e selvagge ; che perirebbero nella guerra; che le donne loro, de i lor figliuoli
sarebber saccheggiati.
55.Fuor di misura s'infiamm l'ira di Dio, volendo rovinar costoro, ma alle preghiere di Mos mitig lo
sdegno, differ la vendetta, giudicando di punir bastevolmente la perfidia loro ; che sebbene ci perdonava
loro in questo mezzo, n percuoteva i non credenti ; faceva nondimeno che eglino mai si conducessero a
quella terra, ch'ei avevan ricusata; e questo per demerito della loro incredulit ; ma i fanciulli, e le donne,
che non avevan contro di lui mormorato, che o per il sesso, o per l'et meritavan perdono, prendessero la
tanto promessa eredit di quella terra. Finalmente quelli che passavan vent'anni, lasciarono le membra
loro nel deserto, ma agli altri fu differita la pena. E quelli, che essendo vi saliti con Giosu ne
sconfortarono il popolo, subitamente di gravi piaghe morirono. Ma Giosu e Caleb coll'innocente et, o
sesso entrarono insieme nella terra di promessione.
56.La miglior parte dunque di loro prepose la gloria alla vita; la peggiore per l'opposito prefer la vita
all'onesta. Ma la sentenza divina approv quel, che giudicavano, che le cose oneste fossero anteriori alle
utili, e quei condann, che preponderavano quelle cose, che parevan pi comode per la salute, che per
l'onest.
Correzione del testo di Googlebooks a carico di: Giambattista Conti, Tullio Trapani, Antonio Facco,
Tommaso Fontana, Giovanni Maggioni, Andrea Vignati, Alessandro Flamini Ottaviani, Luca Ruggeri,
Ivan Quintavalle.

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