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Giuseppe Grisi

Prof. ord. dell’Università « Roma Tre »

LA MORA DEBENDI NEL SISTEMA


DELLA RESPONSABILITÀ PER INADEMPIMENTO

Sommario: 1. La costituzione in mora, ex re ed ex persona. — 2. Gli effetti della mora. —


3. Mora, ritardo e risarcimento del danno. — 4. Adempimento tardivo, ritardo nel-
l’adempimento e mora. — 5. Inadempimento definitivo e mora.

1. — Si suole riferire l’espressione latina « mora debendi » alla costitu-


zione in mora del debitore disciplinata nell’art. 1219 c.c. Trattasi di un atto
formale — intimazione o richiesta scritta di adempiere rivolta dal creditore al
debitore (1) — che trova il suo presupposto nel ritardo nell’adempimento di
una prestazione esigibile (2), quali che siano le cause che l’abbiano determi-
nato e senza che importi valutare l’estraneità o meno del debitore al loro veri-
ficarsi.
Presto vedremo in dettaglio quali effetti il compimento di quest’atto de-
termina. Prima interessa rilevare — come pure si evince dal comma 2o del ci-
tato art. 1219 c.c. — che la costituzione in mora è, in alcuni casi, superflua,
nel senso che gli effetti ai quali si accennava si producono a prescindere da
essa: ciò accade quando il debito deriva da fatto illecito (3), qualora il debito-
( 1 ) Non è richiesto l’uso di formule solenni, né di particolari espressioni, essendo suffi-
ciente che emerga la volontà di pretendere l’adempimento. Quanto alla forma scritta, essa
si impone — a detta dei più — ai fini della validità dell’atto. Su questi ed altri profili, legati
alle caratteristiche che l’atto di costituzione in mora deve presentare, v. U. Breccia, Le ob-
bligazioni, Milano 1991, p. 594 ss. e, più di recente, G. Villa, Danno e risarcimento con-
trattuale, in Tratt. Roppo, V, Rimedi, 2, Milano 2006, p. 852 ss.
( 2 ) Anche etimologicamente parlando, è incontestabile che il termine mora rimandi al
ritardo nell’effettuazione di un pagamento dovuto. Nulla a che vedere, dunque, con la vi-
cenda — che con l’inadempimento ha poco o nulla a che spartire — implicata nella mora
credendi (mora del creditore): non è casuale che quest’ultima risulti disciplinata negli artt.
1206 ss., c.c. e, dunque, nell’ambito del Capo II del Libro IV, dedicato all’adempimento
delle obbligazioni.
( 3 ) E l’illecito si connette naturalmente alla fattispecie contemplata nell’art. 2043 c.c. e
— come dottrina e giurisprudenza, in larga parte, affermano — deve intendersi solo ad essa
riferito. « Quando (...) l’obbligazione risarcitoria deriva dall’inadempimento di un obbligo
specifico — nota U. Breccia, op. cit., p. 602 — non sempre la mora è automatica; sì che
ben può capitare che gli interessi possano decorrere dalla domanda giudiziale stessa, quale
atto idoneo a costituire in mora il debitore ». C.M. Bianca, Diritto civile. 5. La responsabili-
tà, Milano 1994, p. 96 ritiene, però, più « conforme alla ragione della norma (...) l’opinione
che reputa estesa la previsione della mora automatica anche all’illecito contrattuale che non
consista nel ritardo » (illustra le ragioni che rendono poco convincente questa tesi, G. Vil-
la, op. cit., p. 856 s.).
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re abbia dichiarato per iscritto di non voler adempiere (4) e allorché sia sca-
duto il termine se la prestazione va eseguita — ai sensi dell’art. 1182 c.c. —
al domicilio del creditore (5). In questi ambiti non è che la mora non rilevi,
ma il debitore inadempiente è già, potremmo dire automaticamente, in mora
(6): si parla, pertanto, di mora ex re, per distinguere da questi i casi ordinari
— definiti di mora ex persona — in cui la costituzione in mora è frutto, come
detto, di richiesta o intimazione (7).
Alle tre ipotesi supra considerate — già esse delimitanti un’area assai
estesa (8) — se ne possono aggiungere altre (9), sicché già tempo fa si è regi-

( 4 ) D’altro canto, a fronte di una dichiarazione siffatta, sarebbe illusorio attendere che
la prestazione sia, ancorché in ritardo, effettuata. La fattispecie qui considerata implica
l’esigibilità della prestazione al momento in cui la dichiarazione è resa, sicché la dichiara-
zione « dev’essere: successiva alla scadenza dell’obbligazione; eseguita con atto scritto [...];
sorretta da precisa manifestazione di volontà negativa » (U. Breccia, op. cit., p. 597). L’A.
da ultimo citato rivela come sia « ancora oggetto di discussione il problema dell’eventuale
rilevanza di una manifestazione di non voler adempiere che non presenti i caratteri legal-
mente richiesti » e, in quest’ambito, in particolare si dibatte sul valore da dare alla dichia-
razione anticipata del debitore di non voler adempiere l’obbligazione, risultando dubbia —
in tale evenienza — la configurabilità dell’inadempimento: per ragguagli su questo tema v.
G. Villa, op. cit., p. 857 s., nonché il commento di A.M. Princigalli a Cass. 9 gennaio 1997,
n. 97 (la quale ha ritenuto che detta dichiarazione, configurando inadempimento, può porsi
a fondamento della risoluzione del contratto a prestazioni corrispettive), pubblicato in
Danno e resp., 1997, p. 728 ss.
( 5 ) G. Villa, op. cit., p. 859 sottolinea lo « atteggiamento elastico » manifestatosi a
proposito dell’interpretazione della formula « domicilio del creditore ». Lo stesso A. rileva
che « se un termine non è stato prefissato o se l’adempimento va effettuato altrove, il caso
ricade nella previsione generale dell’art. 1219, comma 1o, ed è quindi necessaria la costitu-
zione in mora » (op. cit., p. 840), aggiungendo che il « fenomeno considerato dall’art. 1282
(...) solo superficialmente potrebbe essere fatto coincidere con l’inadempimento da ritar-
do ». A giustificare, nel caso in esame, la superfluità della mora potrebbe addursi il fatto
che l’esatta esecuzione della prestazione non è in alcun modo condizionata all’iniziativa del
creditore e, peraltro, la giurisprudenza ha assimilato a questo altri casi connotati dall’inin-
fluenza dell’iniziativa del creditore ai fini dell’adempimento (v. Cass. 12 aprile 1978, n.
1734, in G. it., 1978, I, 1, c. 1420; Cass. 10 dicembre 1979, n. 6415, in Rep. F. it., 1979,
voce Obbligazioni in genere, n. 32). Va evidenziato, infine, che — stando all’art. 1219, n.
3), c.c. — se il termine per l’adempimento scade dopo la morte del debitore, la costituzione
in mora non è più superflua — e si ha l’onere di effettuarla nelle consuete forme — nei ri-
guardi dei suoi eredi.
( 6 ) Se — in linea col dettato del comma 2o dell’art. 1219 c.c. — nei casi ora considerati
della richiesta o intimazione non v’è necessità, nulla impedisce però che esse siano ugual-
mente rivolte dal creditore al debitore, quali domande di adempimento.
( 7 ) Dunque — come nota U. Breccia, op. cit., p. 590 — alla mora ex persona vanno ri-
condotti « l’intero genere delle obbligazioni quérables, eseguibili al domicilio del debitore o
in un luogo diverso dal domicilio del creditore, e, tra le obbligazioni portables, soltanto
quelle in cui il termine scada dopo la morte del debitore ».
( 8 ) Lo rileva G. Villa, op. cit., p. 851, facendo notare che — stante l’art. 1219, comma
2o, n. 3) — la generalità delle obbligazioni pecuniarie finisce, in pratica, per ricadere in
questa sfera; diventa, dunque, complicato immaginare un debitore di somme di denaro che
non sia costituito in mora. Qualche eccezione, tuttavia, c’è, come rivelano, da un lato, le re-
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strato che le ipotesi di mora automatica sono le « più frequenti nel campo
delle obbligazioni » (10). Non è, però, il caso di inserire nel novero anche il ca-
so contemplato nell’art. 1222 c.c., il quale, più che rispondere alla logica che
presiede alla mora ex re, pare legato all’idea dell’irrilevanza della costituzione
in mora. Non è casuale che nell’articolo da ultimo citato si affermi che le « di-
sposizioni sulla mora non si applicano alle obbligazioni di non fare »: un da-
to, questo, tutt’altro che sorprendente ed, anzi, sul piano logico ineccepibile,
ove solo si rifletta sul fatto che, rispetto all’obbligazione negativa, « non può
aversi ritardo nell’adempimento né adempimento ritardato » (11).
L’offerta, anche non formale (o irrituale) ma seria e tempestiva, della
prestazione dovuta è l’antidoto della mora: questo, alla fin fine, si evince dal-
l’art. 1220 c.c., che fa però salva la possibilità del rifiuto opposto dal credito-
re per un motivo legittimo (12).

2. — Veniamo, finalmente, agli effetti che conseguono alla mora, ex re o


ex persona; effetti, che il ritardo puro e semplice non determina. Sono tre
quelli che risultano esplicitamente stabiliti dalla legge.
Il primo è descritto nell’art. 1221 c.c. — la cui rubrica recita « Effetti
della mora sul rischio » — e, più precisamente, si connette al passaggio del ri-
schio legato all’impossibilità sopravvenuta (alla mora) della prestazione per
gole disciplinanti l’adempimento dei debiti della P.A. le quali — come lo stesso Villa fa no-
tare (op. cit., p. 859) — sottraggono le obbligazioni pecuniarie verso gli enti pubblici alla
mora ex re e, dall’altro, le ipotesi, che vanno al di là di quella configurata nel comma 2o
dell’art. 1282 c.c., da C.M. Bianca, op. cit., p. 197 segnalate.
( 9 ) L’elenco è ben più folto, risultando chiaro che la « norma sulla costituzione in mora
automatica non ha carattere tassativo » (C.M. Bianca, op. cit., p. 100). L’A. ora citato ritie-
ne superflua la costituzione in mora anche in ipotesi di ritardo intollerabile, di termine es-
senziale e di preventiva pattizia esclusione, ma va segnalato che espressioni sostanzialmente
equipollenti a quella impiegata nel comma 2o dell’art. 1219 c.c. — come « senza bisogno di
costituzione in mora » e « senza che sia necessaria la costituzione in mora » — compaiono,
ripettivamente, nell’art. 3, comma 3o della l. 18 giugno 1998, n. 192 (in materia di subfor-
nitura nelle attività produttive) e nell’art. 4, comma 2o, del d. legisl. 9 ottobre 2002, n. 231
(recante attuazione della Dir. 2000/35/CE relativa alla lotta contro i ritardi di pagamento
nelle transazioni commerciali) ed integrano, dunque, verosimilmente, casi riconducibili alla
mora ex re.
( 10 ) A. Magazzù, voce Mora del debitore, in Enc. dir., XVIII, Milano, 1976, p. 939.
( 11 ) M. Giorgianni, L’inadempimento, Milano, 1975, p. 88. Ciò rende doveroso ammet-
tere che, in quest’ambito, la mora non trovi spazio; sicché — precisa, ancora, l’A. — nel
campo delle obbligazioni negative, se l’esecuzione tardiva della prestazione non è neanche
immaginabile, « non vi può essere che una situazione di adempimento o di inadempimen-
to ». Concorde U. Breccia, op. cit., p. 593 s. (cui si rinvia per ulteriori notazioni), il quale
coerentemente tratta il caso de quo nel paragrafo dedicato all’ambito di applicazione della
disciplina della mora.
( 12 ) Per ragguagli in merito a preclusione e fine della mora, v. U. Breccia, op. cit., p.
602 ss. Il verificarsi di una causa estintiva dell’obbligazione — rileva giustamente l’A. — è
tra i fattori che determinano il venir meno della mora (ma, a nostro avviso indebitamente, è
annoverato tra le cause estintive dell’obbligazione l’inadempimento definitivo).
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causa non imputabile al debitore (13). Detta impossibilità — com’è notorio —


è causa di estinzione dell’obbligazione, per cui il rischio relativo grava, di
norma, sul creditore; ma se il debitore ritarda l’adempimento ed è costituito
in mora, il rischio in questione si trasferisce in capo a lui, con la conseguenza
che egli è considerato responsabile come se la sopravvenuta impossibilità del-
la prestazione fosse a lui imputabile (14). Che si possa o meno parlare, in tal
caso, di un aggravamento della regola di responsabilità (15), sta di fatto che il
debitore inadempiente ha un solo modo per evitare quel trasferimento: fornire
la prova che l’oggetto della prestazione sarebbe ugualmente perito se, essendo
stato tempestivo l’adempimento, fosse stato nella disponibilità del creditore
(16). Alla prova de qua è ammesso solo il debitore che non abbia illecitamente
sottratto la cosa, poi perita o smarrita (art. 1221, comma 2o, c.c.). Chi si è
appropriato senza averne titolo di un bene altrui è tenuto, senza condizioni, a
restituire il mal tolto ed, ove la restituzione dovesse risultare impossibile a
causa del perimento della cosa sottratta, a versare all’avente diritto il valore
di essa.
Il secondo effetto della mora debendi è quello interruttivo della prescri-
zione (art. 2943, ult. comma, c.c.).

( 13 ) E se si ammette che sussistono prestazioni non suscettibili di divenire impossibili


(come quelle pecuniarie), giocoforza bisogna desumere che la regola qui descritta non ope-
ra a tutto campo. Il richiamo testuale nell’art. 1221 c.c. operato al perimento dell’oggetto,
lascia intendere che ipotesi paradigmatica sia quella della prestazione di consegna di cosa
determinata, ma — come riferisce U. Breccia, op. cit., p. 600 — sono in molti a ritenere
che la regola possa anche riguardare « alcuni obblighi di fare » e l’obbligazione di contrar-
re; dunque — come sottolinea G. Villa, op. cit., p. 863, riflettendo sul punto — non biso-
gna credere che la disposizione concerna le sole obbligazioni di consegna di cose determina-
te, potendo la prova liberatoria « riguardare più in generale il fatto che la prestazione non
sarebbe stata ugualmente utilizzabile dal creditore ».
( 14 ) Il § 287 BGB prevede una regola sostanzialmente analoga.
( 15 ) L’incertezza deriva dal non univoco apprezzamento della ragione che giustifica
l’effetto de quo, avendo taluni avanzato l’idea che se il rischio grava sul debitore è perché la
cosa permane nella sua sfera di controllo (v. G. Visintini, L’inadempimento delle obbliga-
zioni, in Tratt. Rescigno, 9, Torino 1984, p. 192 s.) ed altri, invece, sostenuto che l’impos-
sibilità è imputabile al debitore perché inadempiente e, dunque, secondo i principi comuni
(C.M. Bianca, op. cit., p. 105).
( 16 ) Ovviamente, i diversi orientamenti rilevati nella nota che precede si ripercuotono
anche nella lettura data del limite così delineato. Quest’ultimo, se nella logica accolta da
Visintini si spiega da sé (costituendo logico corollario di quanto postulato nel primo inciso
del comma 1o dell’art. 1221 c.c.), nel solco della diversa impostazione prospettata da C.M.
Bianca, op. cit., p. 105 trova giustificazione in quanto « espressione di uno dei principi re-
golatori in materia di danno risarcibile, e precisamente del principio della causa successiva
ipotetica, ossia del principio della non risarcibilità del danno che il creditore avrebbe co-
munque subito per fatti sopravvenuti non imputabili al debitore ». Circa il concreto modo
di atteggiarsi della prova richiesta al debitore, si contendono il campo tesi più e meno rigo-
rose e v’è chi — come G. Villa, op. cit., p. 862 s. — valuta sufficiente « la dimostrazione di
un perimento ipotetico presso il creditore, circostanza che, in assenza di fatti storicamente
verificatisi, rinvia ad una valutazione secondo l’id quod plerumque accidit ».
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Il terzo effetto si lascia evincere dal dettato dell’art. 1224, comma 1o, c.c.
— che è disposizione concernente i danni nelle obbligazioni pecuniarie — at-
teso che, in quest’ambito, « sono dovuti dal giorno della mora gli interessi le-
gali », che perciò prendono la qualifica di moratori.
Null’altro da segnalare, a quanto sembra, se non che, forse per derivazio-
ne da questo terzo effetto (17), si è giunti a configurarne un altro argomentan-
dosi, sul piano generale, che il risarcimento possa essere preteso dal creditore
solo se il debitore inadempiente sia costituito in mora; e benché né nell’art.
1223 c.c., né in altra disposizione sia espressamente prevista una regola tanto
rilevante (18), sta di fatto che sono in molti a ritenerla vigente (19) e, dunque,
a considerare anche da noi operante una disciplina sostanzialmente analoga a
quella delineata — ma questa volta in modo esplicito — e nel code civil fran-
cese (20) e nel BGB tedesco (21).
Siamo qui di fronte ad un profilo problematico, che merita un più attento
esame. La riflessione sul punto consentirà di verificare la tenuta della costru-
zione da ultimo illustrata e di precisarne i termini e, nel contempo, di far luce
sulla funzione che l’istituto della mora è chiamato ad assolvere.

3. — L’idea che vuole l’obbligazione risarcitoria disattivata in assenza


della costituzione in mora ben si armonizza con l’altra volta a negare che il ri-
( 17 ) È un’ipotesi da verificare, ma d’acchito viene di pensare che lo sviluppo in questio-
ne possa aver tratto spunto dalla natura risarcitoria riconosciuta agli interessi moratori.
( 18 ) Che dalla mora consegua l’obbligo « di risarcire il pregiudizio generato dal ritar-
do », è da G. Villa, op. cit., p. 863 considerato « un’applicazione delle regole generali sul
danno contrattuale ».
( 19 ) « Gli altri effetti della situazione di “mora del debitore” sono costituiti dal risarci-
mento del danno e dalla necessità che il debitore corrisponda al creditore gli interessi dal
giorno della “mora” » (U. Breccia, op. cit., p. 601). Anche F. Galgano, Diritto privato, Pa-
dova 2008, p. 212 è esplicito nel ricondurre agli effetti della mora « l’obbligazione di risar-
cire i danni che il creditore provi di avere subito a causa dell’inadempimento o del ritardo
nell’adempimento ».
( 20 ) Alla stregua dell’art. 1146 code civil, infatti, les dommages et intérêts ne sont dus
que lorsque de débiteur est en demeure de remplir son obligation; ed è interessante notare
la presenza, in calce all’articolo in questione, nell’edizione Dalloz del Code civil, del richia-
mo ad una risalente decisione (Cass. civ. 5 gennaio 1938) che ha precisato che la mise en
demeure non è necessaria per far decorrere les dommages-intérêts compensatoires de l’exé-
cution d’une obligation devenue impossibile). Del pari chiaro è l’art. 1153 nell’affermare
che gli interessi moratori ne sont dus que du jour de la sommation de payer, excepté dans
le cas où la loi les fait courir de plein droit.
( 21 ) Anche il BGB, nel § 280, legittima il creditore a pretendere il risarcimento del dan-
no da ritardo solo sussistendo i presupposti di cui al § 286, che regola — per l’appunto —
la mora del debitore; v’è, però da segnalare, ai sensi dell’abs. 2 del paragrafo da ultimo ci-
tato, la presenza di casi in cui l’intimazione di pagamento non è necessaria ai fini della co-
stituzione in mora, tra i quali quello legato alla fissazione di un termine di calendario per
l’esecuzione della prestazione. Sulla falsariga del nostro art. 1224, il § 288 poi stabilisce
che nel caso di mora nell’adempimento di un’obbligazione pecuniaria vanno corrisposti gli
interessi sulla somma dovuta.
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tardo nell’adempimento di per sé dia luogo ad inadempimento, ovverosia ad


affermare che « il ritardo nella esecuzione della prestazione sarà qualificabile
come inadempimento soltanto nelle ipotesi di mora automatica, o mora ex
re » (22). A suffragio della tesi da ultimo descritta si adducono, da un lato, la
formulazione non proprio chiara dell’art. 1218 c.c. (23) e, dall’altro e soprat-
tutto, la presenza dell’art. 1219 c.c. recante — per l’appunto — la disciplina
della costituzione in mora del debitore. Il tutto renderebbe plausibile sostene-
re che è quest’ultima a far divenire illecito il ritardo, con quanto da ciò conse-
gue.
Questa lettura, tuttavia, pare viziata da un errore di fondo, giacché tra-
scura di considerare un dato che non si può fare a meno, invece, di valorizza-
re. Trattasi del principio dell’esatto adempimento — consacrato proprio nel-
l’art. 1218 c.c. — che impone di aderire alla conclusione che tutto ciò che
non è esatto adempimento (e, dunque, anche il semplice ritardo) costituisce
inadempimento e deve consentire l’accesso alla tutela risarcitoria. Certo è che,
in questa chiave, la presenza della costituzione in mora diventa più complica-
ta da giustificare (24), ma una volta appurato che il ritardo è violazione del-
l’impegno assunto, pensare che la sua rilevanza possa essere condizionata al
rispetto delle formalità previste nell’art. 1219 c.c. non solo è incongruo e as-
sai poco convincente, ma è anche in controtendenza rispetto agli sviluppi ac-
creditati in normative più recenti (25), oltre che nelle elaborazioni di diritto
europeo dei contratti (26).

( 22 ) In questi esatti termini si esprime M. Proto, Termine essenziale e adempimento


tardivo, Milano 2004, p. 25, nota 60, che non esita a giudicare ovvio l’approdo raggiunto e
a considerare del pari assodato l’assunto che lega, negli altri casi, la presenza dell’inadem-
pimento al « momento in cui il creditore abbia costituito in mora il debitore, con intimazio-
ne o richiesta per iscritto ». Di quest’avviso è buona parte della dottrina: vedasi, tra gli al-
tri, F. Galgano, op. cit., p. 211.
( 23 ) Questa disposizione, nel primo inciso — quello che testimonia lo stretto nesso tra
inadempimento ed obbligo di risarcimento del danno — omette di dare autonomo risalto al
ritardo nell’adempimento, menzionandolo invece distintamente rispetto all’inadempimento
nella parte finale, ov’è disciplinata la c.d. prova liberatoria offerta al debitore. Da siffatta
formulazione potrebbe trarsi spunto per affermare che il ritardo in sé e per sé non vale a
configurare inadempimento e il fatto che la parte finale dell’art. 1218 c.c. richiami sì il ri-
tardo, ma nel quadro della fattispecie dell’adempimento tardivo, sembrerebbe confermare
l’intuizione.
( 24 ) Viene infatti di chiedersi, allora, a che pro disciplinare la costituzione in mora,
quando il debitore — in virtù del ritardo maturato nell’effettuazione della prestazione do-
vuta — è già inadempiente.
( 25 ) Sviluppi che — come già segnalato — trovano riscontro negli artt. 3, comma 3o,
della l. 18 giugno 1998, n. 192 e 4, commi 1o e 2o del d. legisl. 9 ottobre 2002, n. 231, dan-
do corpo ad un sensibile ampliamento dell’area ove la costituzione in mora non è necessa-
ria.
( 26 ) V. i Principles of European Contract Law frutto del lavoro della commissione pre-
sieduta da O. Lando, nonché il Code Européen des Contrats elaborato dall’Accademia dei
Giusprivatisti Europei coordinata da G. Gandolfi.
PARTE I - DOTTRINA 75

Buone motivazioni, dunque, spingono ad abbandonare l’idea dell’irrile-


vanza giuridica del ritardo senza mora; vero è, invece, che a prescindere da
quest’ultima, il primo configura inadempimento (27) e apre le porte alla tutela
risarcitoria (riferita, ovviamente, al ritardo). Nemmeno, però, si può fingere
che l’art. 1219 c.c. non esista (28), né si può d’emblée negare che un problema
di coordinamento tra detta disposizione (e le altre riguardanti la mora) e
l’art. 1218 c.c. si ponga ed aspiri ad essere risolto secondo una logica di coe-
renza sistematica. Detto coordinamento — si è notato — « trova divisi gli in-
terpreti » (29); segno evidente di un’incertezza, che giocoforza si manifesta an-
che là dove ci si interroga sul senso da dare alla costituzione in mora.
Si sono, al fine, battute varie strade (30). La considerazione — diffusa,
soprattutto, in giurisprudenza — della mora quale forma di responsabilità del
debitore che, con colpa o dolo, abbia dato causa al ritardo ingiustificato (31) è
stata, sotto diversi profili, criticata: si è, così, replicato che l’accostamento
corretto da operare non è tra mora e ritardo colpevole, ma tra mora e ritardo
imputabile (32). La costituzione in mora varrebbe a conferire a quest’ultimo,

( 27 ) L’inadempimento — correttamente si sostiene — « sorge e rileva di per sé » e pre-


scinde dalla mora (v. Cass. 6 febbraio 1989, n. 728, in Rep. F. it., 1989, voce Obbligazioni
in genere, n. 36).
( 28 ) E il nostro codice non è il solo a contemplare la costituzione in mora, che — come
si è detto — è pure prevista nei diritti francese e tedesco, mentre nei « sistemi di Common
Law (...) non è invece necessaria perché la prestazione va eseguita anche senza formale ri-
chiesta » (A. di Majo, La responsabilità contrattuale, Torino 2007, p. 80).
( 29 ) U. Breccia, op. cit., p. 588.
( 30 ) Per una ricognizione sui diversi orientamenti avanzati in dottrina e giurisprudenza,
v. C.M. Bianca, op. cit., p. 82 ss. (e ancor prima lo stesso A., in Dell’inadempimento delle
obbligazioni, in Comm. Scialoja-Branca, Bologna-Roma 1979, p. 186 ss.).
( 31 ) Si veda, da ultimo, Cass. 11 febbraio 2005, n. 2853.
( 32 ) La mora — afferma lapidario C.M. Bianca, Diritto civile. 5. La responsabilità, cit.,
p. 82 — è « il ritardo imputabile al debitore »; gioca, a giudizio dell’A., il fatto che il « ter-
mine mora, (...) è sempre impiegato nella disciplina delle sanzioni connesse al ritardo, e
quindi nell’evidente presupposto che si tratti di un ritardo di cui il debitore deve rispondere
secondo il principio della responsabilità contrattuale » (C.M. Bianca, Dell’inadempimento
delle obbligazioni, cit., p. 188 s). Critica l’accostamento tra mora e ritardo colpevole G.
Villa, op. cit., p. 848 s., il quale non nasconde di concordare con quel che G. Visintini, op.
cit., p. 183 s. ha al riguardo sostenuto e, in particolare, con l’idea che « è la presenza di una
causa non imputabile, non la mancanza di colpa, ad esonerare il debitore dalla responsabi-
lità ». La vicinanza al pensiero di quest’ultima A. ben si coglie soprattutto là dove Villa si
chiede se il rinvio alla colpa operato dalla giurisprudenza « abbia concreto impatto, oppure
se si tratti di declamazioni nelle quali si manifesta il medesimo ossequio formale alla natura
soggettiva della responsabilità che spesso emerge quando i giudici si occupano in generale
dell’inadempimento » (op. cit., p. 848): già Visintini, infatti, valutando criticamente la ten-
denza giurisprudenziale a ritenere necessaria la colpa del debitore ai fini della mora, l’ave-
va giudicata « ridondante » ed avente « il solo significato di richiamare, sul terreno della
mora, i principi generali che regolano la responsabilità contrattuale » (op. cit., p. 183), ov-
vero mossa dall’intento di esprimere « un mero ossequio formale all’uso, invalso presso una
parte della dottrina civilistica, di attribuire la qualifica di colposo al ritardo quando sia
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non già rilievo, ma una qualificazione ulteriore, di guisa che solo in presenza
di detta costituzione « il ritardo imputabile genera tutte le conseguenze impo-
ste al responsabile » (33); il piano effettuale, dunque, si mostra più complesso
e articolato rispetto a quello legato al ritardo nell’adempimento, ciò che ha
indotto a ritenere che il nostro ordinamento, accanto al c.d. ritardo semplice
(34), conosca ipotesi di ritardo — per così dire — qualificato, ancorate per
l’appunto alla mora debendi (35). Sembra muoversi su questa lunghezza d’on-
da anche chi sostiene che la messa in mora dà luogo ad una « (forma di) re-
sponsabilità che ha effetti propri, distinti e diversi dalla comune responsabili-
tà per inadempimento » (36).
L’ipoteca di concezioni soggettive della responsabilità per inadempimen-
to grava sulla considerazione della mora quale ritardo imputabile, sicché è
inevitabile che quest’ultima susciti perplessità in chi — come noi — si mostra
propenso ad accreditare una lettura in chiave oggettiva del sistema. All’idea
che la mora, alla luce degli effetti che da essa discendono, valga a qualificare
il ritardo si può invece anche accedere, ma — a parte la dubbia utilità sul
piano scientifico dell’approdo così raggiunto — crediamo che occorra non re-
stare imprigionati in questa prospettiva per poter appieno apprezzare valenza
e portata che, nel sistema della responsabilità per inadempimento, fanno capo
alla mora. Il coordinamento cui prima si è accennato potrebbe rivelarsi meno
problematico se si coglie che il rilievo della mora è sì legato al fenomeno del
ritardo, ma non si esaurisce in esso.

mancata, da un lato, la prova di una causa non imputabile all’impossibilità di adempiere


tempestivamente, e dall’altro lato, quando non risulti una tolleranza del creditore della di-
lazione nell’adempimento o sia mancato un atto di costituzione in mora da parte sua, tali
da giustificare, alla stregua del giudizio di buona fede, il ritardo del debitore » (op. cit., p.
184).
( 33 ) G. Villa, op. cit., p. 850.
( 34 ) Nozione, questa, rappresentativa di quello che dianzi si è denominato ritardo nel-
l’adempimento.
( 35 ) Si veda U. Breccia, op. cit., p. 588, secondo cui, « quando al ritardo si aggiungono
alcuni presupposti fissati per legge, si producono ulteriori effetti tipici di peculiare gravità
(tali sono le conseguenze di quella situazione di “ritardo qualificato” che prende il nome
specifico di “mora del debitore”) ».
( 36 ) È orientato in tal senso A. di Majo, op. cit., p. 80 s., il quale cita — a conferma —
Cass. 1989/728 e sottolinea che se « l’inadempimento dà titolo a chiedere danni compen-
sativi, la mora dà titolo a chiedere quelli moratori »; nota pure l’A. che in « molti ordina-
menti di Civil Law (...) la mora del debitore introduce una forma di responsabilità più ag-
gravata rispetto a quella normale » (op. cit., p. 81); aggravamento che, peraltro, può anche
registrarsi nel nostro sistema, se si guarda alla disciplina degli effetti della mora sul rischio
di cui all’art. 1221 c.c. Questa disciplina, perciò, facendo gravare sul debitore in quanto co-
stituito in mora una regola di responsabilità più pesante rispetto a quella cui egli va solita-
mente incontro, sembra recare acqua al mulino dell’autonomia della responsabilità del de-
bitore in mora.
PARTE I - DOTTRINA 77

4. — Bisogna, per meglio intendere il nucleo duro del discorso, riprende-


re alcune delle linee della responsabilità per ritardo nell’adempimento che, in
altro studio, abbiamo tracciato (37) e condurre un’analisi che guardi partita-
mene alle varie ipotesi di inadempimento prospettabili.
La prima è quella dell’adempimento tardivo (o ritardato) — che non è
esatto adempimento — in merito alla quale avemmo modo di notare che il
creditore, per aver realizzato il suo interesse alla prestazione ma non nei tem-
pi dovuti, ha diritto ad ottenere ex art. 1218 c.c. il risarcimento del danno le-
gato al ritardo, solo neutralizzato dalla prova che quest’ultimo è effetto del-
l’impossibilità (temporanea) della prestazione derivante da causa a lui non
imputabile (38). Assodato che qui rileva unicamente il risarcimento del danno
da ritardo, chiediamoci se esso possa prescindere dalla costituzione in mora.
La risposta che viene spontaneo dare è affermativa. In nessuna disposizione è
scritto che la costituzione in mora è in tal caso necessaria (39) e l’art. 1224,
comma 1o, c.c. — che afferma « dovuti dal giorno della mora gli interessi le-
gali » — ha un ambito di applicazione circoscritto e non può considerarsi
espressione di una regola a portata generale (40).
Se della mora non v’è necessità nell’ipotesi di adempimento tardivo, non
si vede perché considerarla imprescindibile ai fini del risarcimento del danno
da ritardo nell’adempimento in sé e per sé apprezzato. La dottrina più avve-
duta, infatti, giustamente riconosce la possibilità, per il creditore, di agire per
il risarcimento del danno da ritardo nelle more dello (eventuale) adempimen-
to tardivo, senza dar peso alla sussistenza di una preventiva richiesta, anche
informale, di immediato adempimento (41). Ma il ritardo nell’adempimento

( 37 ) Lo studio in questione, dal titolo Inadempimento e fondamento dell’obbligazione


risarcitoria, è stato redatto per gli Studi in onore di Davide Messinetti (a cura di F. Ruscel-
lo), attualmente in corso di pubblicazione.
( 38 ) Prova comunemente definita « liberatoria », che il debitore ha l’onere di offrire.
( 39 ) È anzi indicativo che l’art. 1223 c.c., che pure fa esplicito riferimento al risarci-
mento del danno per il ritardo, non dedichi alcun cenno alla mora.
( 40 ) Il particolare regime degli interessi moratori ivi delineato e il fatto che essi siano
chiamati a liquidare forfetariamente il danno da ritardo nelle obbligazioni pecuniarie po-
trebbe valere a giustificare l’ancoraggio alla costituzione in mora, non previsto invece in li-
nea generale. Fa riflettere il fatto che il richiamo alla mora non compaia nel comma 2o del-
l’art. 1224 c.c., che — come noto — consente al creditore che dimostri di aver subito un
danno maggiore di ottenere l’ulteriore risarcimento: se questa disposizione sancisce il « re-
cupero (...) delle obbligazioni pecuniarie ai comuni principi della responsabilità contrattua-
le per danni (da ritardo) » (A. di Majo, voce Obbligazioni pecuniarie, in Enc. dir., XXIX,
Milano 1979, p. 291), viene da pensare che tale silenzio non sia casuale, ma stia ad indica-
re che il predetto ancoraggio viene meno, se si sceglie (di non conseguire automaticamente
gli interessi moratori ma ci si avvale della possibilità) di ottenere il risarcimento del mag-
gior danno subito.
( 41 ) Si veda A. di Majo, Le modalità dell’obbligazione, Bologna 1986, p. 685. È questa
la tesi che gode di maggiore e più autorevole credito, ma va ribadito che, sul punto, non
mancano orientamenti diversi.
78 RIVISTA DI DIRITTO CIVILE - 1/2010

— a differenza dell’adempimento tardivo — lascia aperta la porta all’ina-


dempimento definitivo, non potendo ipotizzarsi che la situazione di incertezza
legata al ritardo abbia a protrarsi senza che nulla accada all’infinito (42):
emerge, allora, il problema di identificare la soglia oltre la quale, essendo ir-
ragionevole pretendere che il ritardo sia dal creditore tollerato, matura il di-
ritto di questi ad ottenere, in luogo della prestazione dovuta, il risarcimento
del danno. Si appalesa, dunque, che il ritardo nell’adempimento non è solo in
contatto con il risarcimento del danno da ritardo, ma anche col risarcimento
(che potremmo qualificare « integrale ») del danno, quello — tanto per inten-
dersi — parametrato al valore della prestazione dovuta e costituente, rispetto
a quest’ultima, un rimedio sostitutivo.

5. — Il ritardo, che pure è inadempimento, non può legittimare il credi-


tore a pretendere il risarcimento integrale, essendo quest’esito conseguibile
solo a fronte di un inadempimento che possa dirsi « definitivo » (43); ina-
dempimento, che il ritardo protratto oltre il normalmente ed obiettivamente
tollerabile certamente configura. E se ci chiediamo quando questo limite
possa dirsi varcato, possiamo giungere ad ammettere che ciò è dato consta-
tare anche là dove la domanda di adempimento rivolta dal creditore al debi-
tore non abbia ottenuto alcun positivo risultato e sia da essa decorso un las-
so di tempo — per dirla all’unisono con quanto disposto nell’art. 7.2.5 dei
Principi UNIDROIT — « determinato e ragionevole ». Ecco, allora, stagliar-
si, in questa luce, un ruolo importante che la costituzione in mora può gio-
care; ruolo, che si riverbera in effetto ulteriore rispetto a quelli summenzio-
nati aventi chiaro riscontro normativo e che dà il senso di una reale integra-
zione della mora nel sistema della responsabilità per inadempimento a tutto
tondo considerato.
Quando si dice che « la messa in mora può sostanzialmente definirsi la
notizia che si dà al contraente che egli è tenuto ad adempiere e che, in difetto,
sarà responsabile di inadempimento » (44), non si fa altro che porre l’accento
sull’attitudine della mora a fornire un contributo decisivo alla trasformazione

( 42 ) L’altra eventualità prospettabile è l’adempimento ritardato.


( 43 ) Si sono evidenziate, nello studio menzionato nella nota 37 (al quale, pertanto, rin-
viamo), sia le ragioni a suffragio di questa conclusione, sia le ipotesi riconducibili nell’alveo
dell’inadempimento definitivo. Si può solo aggiungere che la presenza di quest’ultimo non è
incompatibile con l’esecuzione della prestazione dovuta, né con l’interesse del creditore a ri-
cevere proprio detta prestazione, per cui resta sulla scena la pretesa avente ad oggetto
l’adempimento, la quale, ovviamente, trova fondamento nel rapporto obbligatorio, che per-
mane vivo non potendo dirsi intervenuta alcuna causa idonea a determinarne l’estinzione.
Si profila, dunque, la facoltà di scelta tra due rimedi — quello dell’adempimento in natura
e quello risarcitorio — che hanno fondamento e presupposti comuni e condividono la finali-
tà di attuazione dell’obbligazione, in natura l’uno e per equivalente l’altro.
( 44 ) A. di Majo, La responsabilità contrattuale, cit., p. 79.
PARTE I - DOTTRINA 79

dell’inadempimento in inadempimento definitivo (45) e, dunque, a consentire


l’accesso — altrimenti precluso — alla tutela di risarcimento (integrale nel
senso anzidetto). Parliamo di contributo, perché la costituzione in mora è, a
quel fine, necessaria, ma non sufficiente: quella trasformazione, infatti, in
tanto si produce in quanto la mora risulti infruttuosamente costituita, non sia
cioè seguita — nel tempo « determinato e ragionevole » cui dianzi si accenna-
va — dall’adempimento (tardivo) della prestazione dovuta. Deve, dunque,
congiurare l’elemento temporale (46), ma l’effetto resta riconducibile alla mo-
ra, sicché va configurata la coincidenza del momento dell’insorgenza dell’ina-
dempimento definitivo con quello della costituzione in mora. Inquadrata in
questo contesto, anche l’idea che porta a considerare indispensabile la mora
ai fini dell’accesso al risarcimento del danno potrebbe rivelarsi giusta, ma se
si fa salva la precisazione — che è bene ribadire — che il risarcimento di cui
trattasi non è quello da ritardo, bensì il c.d. risarcimento integrale (sostitutivo
della prestazione ineseguita).
Si può meglio riuscire a spiegare, in questa prospettiva, valutando il peso
notevole delle conseguenze che detta trasformazione comporta, il formalismo
che connota la mora ex persona. Potrebbe — per altro verso — risultare pro-
blematico giustificare la superfluità della mora nei casi enumerati nell’art.
1219, comma 2o, c.c., ma a ben vedere non è così ed, anzi, la costruzione deli-
neata finisce col ben armonizzarsi anche con quel dato se si medita su quanto
segue. Si può considerare logico che la costituzione in mora non sia necessaria
là dove l’inadempimento definitivo si sia già materializzato: il rilievo si atta-
glia all’ipotesi contemplata sub 2) nella disposizione da ultimo citata, giacché
chiara è la valenza da assegnare alla dichiarata volontà del debitore di non
voler adempiere. Se volgiamo l’attenzione al caso riportato nel n. 1), potrebbe
tornare utile riflettere sul fatto che l’obbligazione risarcitoria ex art. 2043
c.c., se inadempiuta, non dà accesso a risarcimento, ma apre le porte al pro-
cesso di esecuzione (47). Quanto al caso delineato sub 3), se esso emblemati-
camente rimanda al ritardo nell’adempimento di un’obbligazione pecuniaria,
ben si comprende, stante il fatto che ha natura pecuniaria anche l’obbligo di

( 45 ) Il formalismo che connota la mora ex persona ben potrebbe giustificarsi alla luce
delle conseguenze, di considerevole peso, che questa trasformazione comporta.
( 46 ) Non è così per gli altri effetti dalla legge collegati alla costituzione in mora, che in-
vece si realizzano con certezza ed immediatamente in coincidenza con essa. È indicativa
l’assenza, nella previsione dell’art. 1219 c.c., di richiami all’elemento temporale [ove si ec-
cettui quello, irrilevante ai fini che intendiamo evidenziare, presente nel n. 3) del comma
2o], in quanto rivela — in linea, peraltro, con quanto enunciato nel comma 1o — che effetti-
vamente il debitore è costituito in mora quando l’intimazione o la richiesta scritta di adem-
pimento (che hanno natura recettizia) divengono a lui conoscibili.
( 47 ) Ciò considerato, si può — in certo qual senso — affermare che l’obbligazione de
qua è insuscettibile di inadempimento, risultando, dunque, inconfigurabile anche il ritardo
nell’adempimento della prestazione.
80 RIVISTA DI DIRITTO CIVILE - 1/2010

risarcimento, che la possibilità di pretendere il risarcimento integrale sia lega-


ta all’automatismo proprio della mora ex re.
Nei casi ora elencati, dunque, constatato il ritardo nell’effettuazione della
prestazione, il creditore, abbia o meno rivolto al debitore un’intimazione o ri-
chiesta (scritta o in altra forma) di adempiere, ha diritto di pretendere tutto
ciò che gli è dovuto; perdurando il ritardo, potrà farlo, se il suo credito deriva
da fatto illecito, facendo valere la responsabilità patrimoniale del debitore e,
negli altri casi, ricorrendo ai rimedi, in natura o per equivalente, dall’ordina-
mento apprestati a fronte dell’inadempimento.
Ove sia necessaria la formale costituzione in mora, sussistendo il ritardo,
non è dato ottenere, prima che questa sia effettuata (48), il risarcimento del
danno in luogo della prestazione ineseguita; nessun ostacolo, invece, alla ri-
sarcibilità del danno da ritardo. E se l’atto di costituzione in mora configura
una domanda di adempimento in natura, è mestieri ritenere che quest’ultimo
goda di prioritaria considerazione rispetto al risarcimento: come dire, che nel-
la necessità della mora trovasi implicata l’idea secondo cui, in tanto può chie-
dersi il risarcimento, in quanto si sia registrato che il rimedio dell’adempi-
mento in natura ha fallito.

( 48 ) Ed una volta constatato che essa non ha sortito alcun effetto.

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