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LA DISCIPLINA APPLICABILE
AL NEGOZIO MISTO A DONAZIONE
Cass. sez. II, 21 gennaio 2000, n. 642 Pres. Volpe V- Rel. Vella A - PM Sepe Ea
(conf.) - Rolando c. Enriel S.S.
Donazione - Indiretta - Negozio mezzo negotium mixtum cum donatione - Nozione - Donazione indiretta attraverso compravendita - Configurabilit - Conseguenze Forma - Dello schema negoziale adottato.
Con il negotium mixtum cum donatione le parti,
attraverso un contratto tipico oneroso, attuano
anche una donazione indiretta; pertanto, non
necessaria la forma solenne prescritta per la donazione diretta, ma sufficiente la forma propria
del negozio oneroso effettivamente utilizzato.
(Massima non ufficale)
Svolgimento del processo
Con citazione notificata il 2 aprile 1987 Gianni
Rolando, nella qualit di erede testamentario di
Valentino Tallia, il quale aveva costituito insieme
con Gualtiero Graglia e Simona Loso la societ
semplice Enriel, propose contro questultima al
Tribunale di Torino domanda di liquidazione della quota sociale del proprio dante causa. A tale fine promosse anche azione di simulazione del
contratto di compravendita con il quale il de
cuius risultava avere trasferito come conferimento la nuda propriet di un immobile alla societ,
mentre, secondo il suo assunto, glielo aveva donato con un negozio di cui chiese laccertamento
della nullit, perch concluso in forma pubblica,
ma non in quella solenne (presenza di testimoni)
prescritta per gli atti di liberalit, sebbene tale
forma dovesse rispettarsi anche in caso di qualificazione giuridica della convenzione come negotium mixtum cum donatione in considerazione
della prevalenza dellanimus donandi, rivelata
dalla sproporzione enorme tra il prezzo indicato e
il valore effettivo della nuda propriet. Il Rolando chiese anche la declaratoria di nullit, per violazione dellart. 2265 Codice civile, della clausola dellatto costitutivo con la quale il proprio dante causa era stato esentato dalle perdite e ammesso a percepire gli utili nella misura irrisoria
delluno per cento, con il limite massimo di centomila lire.
Costituitasi in giudizio la societ si oppose allaccoglimento di tutte le istanze eccependone
linfondatezza.
I soci Graglia e Loso ai quali la citazione era stata notificata rimasero invece contumaci.
Con sentenza del 28 dicembre 1993 il Tribunale
respinse le domande.
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le del documento, nel qual caso consentito il ricorso alle testimonianze e alle presunzioni (sentt.
nn. 1690 del 1991, 7021 del 1994).
Con il secondo motivo, denunziandosi la violazione degli artt. 1417, 2697, 2724, 2725, 2739 del
Codice civile in relazione allart. 360 del Codice
di procedura civile, si censura la sentenza impugnata per avere il Giudice dappello dichiarato
inammissibile la prova per testimoni della simulazione citando erroneamente a sostegno della
sua decisione alcune pronunce della Corte di
Cassazione estranee al caso in esame perch riguardanti la diversa ipotesi del negozio simulato
non concluso in forma scritta, in presenza della
quale soltanto lesperibilit della prova orale
subordinata alla dimostrazione della perdita incolpevole del documento. Nella specie, invece,
stato prodotto in giudizio il contratto apparente,
concluso per atto pubblico, per cui in esso esiste
del negozio mascherato di donazione il requisito
di forma richiesto (anche se poi latto di liberalit
nullo per la mancanza di testimoni), e, quindi,
inapplicabile lart. 2725 del Codice civile. Lesattezza di questa conclusione si evincerebbe
dallart. 1414 del Codice civile il quale, disponendo che se le parti hanno voluto concludere
un contratto diverso da quello apparente, ha effetto tra esse il contratto dissimulato, purch ne
sussistano i requisiti di sostanza e di forma, ha
inteso affermare che, quando il negozio dissimulato formale, sufficiente che lelemento formale sia presente nel negozio simulato.
Si critica, inoltre, la sentenza dappello rilevandosi che:
a) - la Corte del merito avrebbe dovuto ammettere la prova per testimoni quanto meno per dimostrare la simulazione del contratto di compravendita, il cui accertamento era stato chiesto dallattore anche a prescindere da quello del negozio
dissimulato. I prescritti limiti probatori riguardano, infatti, soltanto il contratto dissimulato, dato
che nessuna differenza sostanziale sussiste tra simulazione assoluta e relativa in ordine alla prova
della simulazione del contratto apparente;
b) - il Giudice dappello avrebbe dovuto anche ritenere che lonere della prova del rispetto della
forma richiesta per la validit della donazione incombe sul destinatario della liberalit, il quale ha
uno specifico interesse in tal senso potendo altrimenti essergli sottratto il bene ricevuto in conseguenza dellaccertata simulazione dellatto apparente e della dichiarata nullit di quello dissimulato.
Le tre censure di cui si compone il motivo esposto sono tutte infondate.
In ordine alla prima censura si osserva che le limitazioni probatorie sono operanti in tutte le ipotesi di simulazione relativa non essendo le ragioni addotte nel motivo di ricorso idonee a circoscriverne lapplicazione al caso in cui le parti non
si siano servite della forma scritta per il contratto
simulato, e alla tesi riduttiva non risulta che abbia
mai aderito questa Corte dalle cui decisioni si
evince il convincimento contrario (v. sentt. citate). N argomento a favore della menzionata tesi
si trae dalla norma dellart. 1414 del Codice civi-
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le, in quanto questa non disciplina la materia della prova della simulazione, ma sul presupposto
che questa sia stata accertata con lapplicazione
delle regole probatorie prescritte, dispone che il
contratto dissimulato produce i suoi effetti tra le
parti, purch di esso sussistano i requisiti di sostanza e di forma.
Con riguardo alla seconda censura si rileva che
colui il quale propone la domanda di simulazione
relativa, oltre a chiedere laccertamento dellinesistenza del contratto apparente, come avviene
nellipotesi di simulazione assoluta, agisce anche
per dimostrare che le parti avevano voluto concludere un contratto diverso (negozio dissimulato). E ci o allo scopo di porre in risalto la sua invalidit o illiceit ovvero, come si verifica spesso, al fine di esperire lazione di riduzione se si
tratti di un erede legittimario interessato a dimostrare che un contratto di compravendita mascheri una donazione lesiva dei suoi intangibili diritti
alla quota di riserva. Pertanto, linteresse di chi
promuove lazione di simulazione relativa inscindibile e non possibile conseguentemente risolvere il problema dei limiti probatori distinguendo la prova diretta a dimostrare la simulazione del contratto apparente da quella volta ad
evidenziare il negozio dissimulato. Ed per questa ragione che la giurisprudenza applica una disciplina differenziata alla simulazione assoluta
(caso in cui loggetto dei mezzi di prova linesistenza del contratto apparente) e a quella relativa senza, per, prevedere ulteriori disparit di
trattamento nellambito di questultima.
Infine la terza censura assolutamente inconsistente perch in base ai principi dellonere della
prova (art. 2697 Codice civile) compete sempre
allattore dimostrare che la domanda fondata ai
fini del suo accoglimento al quale, in tema di simulazione, ha interesse per potere rientrare nella
disponibilit del bene oggetto dellalienazione.
Con il terzo motivo, denunziandosi la violazione
degli artt. 782 e 809 del Codice civile, in relazione allart. 360 del codice di procedura civile, si
censura la sentenza impugnata per avere la Corte
dappello ritenuto valido il contratto qualificato
giuridicamente come negotium mixtum cum donatione concluso per iscritto, sullerroneo rilievo
che per esso era sufficiente la forma della compravendita immobiliare, cio dello schema negoziale effettivamente adoperato in concreto dalle
parti. In contrario si sostiene che la Corte avrebbe dovuto dichiarare la nullit del contratto in applicazione del cd. principio della prevalenza in
base al quale, per la giurisprudenza pi recente,
al negotium mixtum cum donatione deve estendersi la disciplina, anche formale, della donazione se lattribuzione patrimoniale risulti dovuta
prevalentemente a spirito di liberalit, e la disciplina dellatto oneroso qualora invece lattribuzione sia eseguita in funzione di corrispettivo.
Il motivo infondato.
Sulla questione della disciplina da applicare al
negotium mixtum cum donatione la Corte di Cassazione non ha avuto un orientamento univoco in
quanto ha a volte seguito il criterio della prevalenza (sentt. nn. 1545 del 1981, 8446 del 1990,
7666 del 1995) e a volte quello dello schema negoziale adottato. Tuttavia, contrariamente a quel
che si afferma nel ricorso, con le pronunce meno
remote si accolto questultimo criterio (sentt.
nn. 1214 e 4231 del 1997) dal quale non vi ragione di discostarsi. Infatti esso si basa sulla corretta considerazione che latto in questione una
donazione indiretta per la quale sufficiente la
forma dellatto da cui essa risulta, giacch lart.
782 Codice civile, che prescrive latto pubblico
per la donazione diretta, non si estende a quella
indiretta non costituendo larricchimento leffetto tipico del negozio che le parti adottano per realizzarlo.
Con il quarto motivo, denunziandosi la violazione dellart. 2265 del codice civile in relazione
allart. 360 del codice di procedura civile, si critica la sentenza impugnata per non avere la Corte
dappello dichiarato la nullit della clausola del
contratto costitutivo della societ Enriel, integrante gli estremi del patto leonino perch prevedeva la esclusione del Tallia dalle perdite e il suo
diritto a una minima partecipazione agli utili.
Anche questo motivo destituito di fondamento.
Innanzi tutto deve escludersi che il Rolando abbia
interesse alla declaratoria di nullit della clausola
societaria per la mancata partecipazione del suo
dante causa alle perdite, potendo avere semmai interesse alla sua conversazione. Del patto leonino
vietato mancano, comunque, i presupposti. Questa
Corte ha avuto occasione di precisare che si ha patto leonino quando sia prevista la esclusione totale
e costante del socio dalla partecipazione al rischio
dimpresa e dagli utili, ovvero da entrambi. E che,
pertanto, esulano dal divieto sancito dallart.
2265 Codice civile le clausole le quali contemplino la partecipazione agli utili e alle perdite in misura diversa dallentit della partecipazione sociale del singolo socio, sia che si esprimano in una
misura difforme da quella inerente ai poteri amministrativi (situazione di rischio attenuato), sia che
condizionino in alternativa la partecipazione o la
non partecipazione agli utili o alle perdite al verificarsi di determinati eventi giuridicamente rilevanti (sent. n. 8927 del 1994).
Il Giudice dappello si correttamente uniformato a questo principio di diritto avendo negato nel
caso concreto la configurazione del patto leonino
vietato in quanto la esclusione dalla perdite e la
limitata partecipazione agli utili del Tallia, erano
perfettamente bilanciate anche dal suo esonero,
come socio dopera, dallobbligo di sopperire al
fabbisogno finanziario della societ il quale era
stato posto a carico esclusivo dei soci di capitale
in proporzione delle loro quote.
Con il quinto motivo, denunziandosi la violazione dellart. 2284 del Codice civile, si censura la
sentenza impugnata sostenendosi che la Corte
dappello incorsa in errore nel ritenere che la
domanda di liquidazione della quota sociale del
defunto Valentino Tallia si sarebbe dovuta proporre contro i singoli soci e non nei confronti della societ come aveva fatto, invece, lattore.
Questo motivo fondato.
Anche su detta questione si formato un contrasto nella giurisprudenza della Corte di Cassazio-
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ne essendosi con alcune sentenze ritenuta la legittimazione passiva dei singoli soci (sentt. nn.
4821 del 1993, 3842 del 1994, 2226 del 1996) e
con altre pronunce quella della societ (sentt. nn.
1027 e 11956 del 1993, 3773 del 1994, 5757 del
1998). Questultima soluzione tuttavia quella
da condividere per le perspicue considerazioni
che si rinvengono nella fondamentale sentenza n.
1027 del 1993, richiamate anche nelle successive
decisioni favorevoli a tale orientamento e che si
possono riassumere affermando che con la conclusione del contratto di societ e il conferimento
dei beni da parte dei singoli soci si costituisce,
con un suo patrimonio autonomo, un nuovo soggetto di diritto, il quale il titolare esclusivo delle situazioni attive e passive derivanti dallesercizio dellattivit sociale, e nei cui confronti, pertanto, gli eredi del socio defunto devono promuovere le azioni per la liquidazione della sua quota.
E legittimata passiva sempre la societ, anche
se, come la Enriel, abbia natura personale in
quanto, essendo titolare di un patrimonio, pur se
priva di personalit giuridica, comunque un
soggetto di diritto, in base al principio per cui
ogni persona soggetto ma non ogni soggetto
persona (v. sent. n. 3773 del 1994 cit.).
Consegue laccoglimento del quinto motivo del
ricorso, lassorbimento del sesto e ultimo motivo
- da considerarsi superato, essendosi con esso addotto che la Corte di appello avrebbe dovuto, comunque, ritenere che la domanda di liquidazione
della quota del socio defunto era stata proposta
anche nei confronti dei singoli soci - la cassazione della sentenza impugnata, limitatamente alla
statuizione relativa al motivo accolto e il rinvio
della causa ad altra sezione della stessa Corte
dappello di Torino la quale provveder sulle spese di questo giudizio e, nel decidere, si adeguer
al seguente principio di diritto: Nellipotesi di
morte di un socio della societ semplice il diritto
dei suoi eredi alla liquidazione della quota, costituisce un credito nei confronti della societ la
quale , pertanto, passivamente legittimata rispetto alla domanda dai medesimi proposta per
ottenere tale liquidazione.
Gli altri motivi (1, 2, 3, 4) devono essere, invece, tutti rigettati.
P.Q.M.
la Corte rigetta i primi quattro motivi del ricorso,
accoglie il quinto motivo e dichiara assorbito il
sesto. Cassa la sentenza impugnata, in relazione
al motivo accolto, e rinvia la causa, anche per le
spese del giudizio di legittimit, ad altra sezione
della Corte dappello di Torino che si uniformer
allenunciato principio di diritto.
IL COMMENTO
di Costanza Radice
Il caso
Da quanto dato desumere dal
testo della decisione, la vicenda
giudiziaria ebbe inizio allorquando lerede testamentario di
una certa persona evoc in causa una societ semplice, della
quale il de cuius era stato socio,
chiedendo la liquidazione della
sua quota sociale nonch laccertamento della nullit, sia del
contratto con cui il dante causa
aveva trasferito alla societ un
immobile per un corrispettivo
pari a circa un terzo del suo valore effettivo, sia del patto sociale con cui lo stesso era stato
esentato dalle perdite ed ammesso a percepire utili nella misura irrisoria dell1%, col limite
massimo di . 100.000.
Mentre in primo ed in secondo
grado tutte le sue domande erano state respinte dai Giudici torinesi, la Suprema Corte ha cassato la sentenza dappello rinviando al Tribunale per la sola
liquidazione della quota del socio defunto da parte della societ, cos rigettando le istanze
volte alla dichiarazione di nul-
Il negozio misto
a donazione
Il principio affermato presenta
indubbio interesse dato che sul
negotium mixtum cum donatione si registra tanto presso la
dottrina quanto presso la giurisprudenza una certa difformit
di vedute che dalla natura
dellistituto si riflette conseguentemente anche sulla relativa disciplina positiva.
Secondo unautorevole opinione (1) si definisce negotium
mixtum cum donatione quel negozio giuridico bilaterale in cui
le parti stabiliscono volutamente un corrispettivo di gran
lunga inferiore a quello che sarebbe dovuto, luna con lintenzione di arricchire laltra, e ne
Nota:
(1) Torrente, La donazione, Milano,
1956, 43.
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