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Università degli Studi di Cagliari

Facoltà di Lettere e Filosofia


Corso di Laurea in Beni Culturali
Curriculum Archeologico

Tesi di Laurea

Giustino e la polemica antigiudaica


nel Dialogo con Trifone

Relatore: Prof. Antonio Piras

Studente: Fabio Manuel Serra

Anno Accademico 2009-2010


Indice

• Introduzione p. 3

• Capitolo I: Quadro Storico p. 7

• Capitolo II: La figura di Giustino nel II secolo d.C. p. 20

• Capitolo III: Il Dialogo con Trifone p. 33

• Conclusioni p. 49

• Bibliografia p. 51

2
Introduzione

Questo lavoro intende trattare il tema della polemica antigiudaica, ma anche il


cruciale distacco del cristianesimo dal giudaismo, con il conseguente confronto sui testi
biblici. Per intraprendere questo percorso mi servirò delle nozioni storiche e letterarie
che provengono dalle fonti del I e del II sec. d.C., ma soprattutto utilizzerò la maggiore
delle opere antigiudaiche di parte cristiana a noi pervenute da quel periodo: il Dialogo
con Trifone dell’apologeta greco Giustino.

Pompeo, investito qualche anno prima dell’imperium infinitum su tutto il


Mediterraneo grazie alla proposta del tribuno della plebe Aulo Gabinio (che voleva così
risolvere definitivamente i problemi di pirateria nei mari), confermava Tigrane re
d’Armenia, ma lo privava della Siria, che passò sotto la giurisdizione di Roma.
Nel frattempo, in Giudea, il potere temporale e quello spirituale erano stati
unificati già da tempo1, e il figlio di Alessandra Salome (che prese il potere nel 76 a.C. e
morì nel 67 a.C.), Ircano II, ottenne dalla madre il titolo di sommo sacerdote, suscitando
però le invide del fratello Aristobulo II, e dando così vita ad una guerra per il potere.
Questa situazione, ovviamente, gettò nel caos la Giudea; la notizia della riduzione della
Siria a provincia romana, però, portò Ircano II ed il fratello ad appellarsi entrambi a
Pompeo.
Fu così che, nel 63 a.C., Gneo Pompeo entrò in Gerusalemme non di certo da
ospite, bensì da conquistatore, tant’è che entrò nel Sancta Sanctorum del Tempio2. La
questione tra i due fratelli si risolse con la conferma di Ircano II come sommo sacerdote,
e con l’esilio forzato a Roma di Aristobulo. Per quanto, invece, concerneva la Giudea,
essa veniva teoricamente costituita stato autonomo, ma in pratica aggregata alla
provincia di Siria ed obbligata a pagare un tributo.
Da questo momento i romani, diventavano direttamente parte attiva nelle
vicende storiche del popolo ebraico.

1
Dal tempo dell’elezione del primo re (Saul), fino ancora al tempo dell’esilio, il potere temporale e quello
spirituale erano profondamente suddivisi (vedi ad esempio Ag 1, 14). Col tempo, durante il III sec. a.C. si
unificarono, e il sommo sacerdote esercitò anche il potere temporale.
2
GIUSEPPE FLAVIO, Antichità Giudaiche, XIV, 41. Cfr. P. MERLO (a cura di), L’Antico Testamento,
Introduzione storico – letteraria, Roma 2008, p. 63.

3
Di lì a poco, sotto il regno di Erode il Grande3, all’incirca intorno al 4 a.C.4,
nacque Gesù di Nazareth, che, durante la sua vita pubblica, dette corpo ad una
predicazione senza precedenti tale da condizionare profondamente le coscienze, fino al
momento della sua morte in croce, culmine ultimo della vita profetica del Cristo, cioè
dell’“Unto del Signore”.
Dopo la sua resurrezione, Gesù affidò ai suoi apostoli il compito di
evangelizzare la terra e di diffondere la Parola di Dio ovunque5, dando così vita al
cristianesimo6.
I pagani accusavano i “neonati” cristiani di essere essenzialmente nuovi in un
mondo in cui la novità era vista con sospetto e diffidenza7; la questione che veniva loro
posta dai pagani, infatti, era legata al fatto che se fosse vero quanto veniva predicato nel
Vangelo, era impensabile che i grandi saggi del mondo antico, quali ad esempio Omero,
Platone o Aristotele, non avessero avuto in merito conoscenza alcuna di ciò8. Intorno a
questo punto d’accusa si articolò la difesa dei cristiani, che avocarono a sé l’antichità
del loro culto, poiché consideravano ispirata la Settanta9, e riconoscevano il Dio degli
ebrei come il Padre predicato da Gesù, e dimostravano ciò mediante le citazioni
veterotestamentarie del contenute nei Vangeli.
Il difendersi dai pagani, dunque, implicava l’interazione con l’altro grande
gruppo dei tria genera10, cioè quello degli ebrei. Come è ovvio, non era pensabile che i

3
Erode era figlio di Antipatro, principale alleato di Ircano II, e divenne Re quando il fratello e lo stesso
Ircano furono catturati dai Parti. Cfr. MERLO, L’Antico Testamento cit., p. 65.
4
Data che deduciamo chiaramente dal Vangelo di Matteo, nel passo in cui è descritta la morte di Erode
(Mt 2, 19) e gli succede Archelao (Mt 2, 22), per cui l’Erode che muore è Erode il Grande, storicamente
deceduto nel 4 a.C.
5
Mt 28, 18 – 20; Mc 16 , 15 – 18; Lc 24, 47 – 48; At 1, 8.
6
Questa è una semplicistica schematizzazione. Probabilmente non è mai esistito un solo Cristianesimo,
giacché sono coesistite svariate posizioni, dall’estremismo filogiudaico al marcionismo, ovviamente con
in mezzo vari gradi di accettazione dell’uno o dell’altro estremo. Si veda, ad esempio, lo studio presente
in R.E. BROWN - J.P. MEIER, Antiochia e Roma, Chiese-madri della cattolicità antica, Assisi 1987, pp. 10
– 18. Tra gli stessi Apostoli non c’era unanimità sul come muoversi nei confronti dei Gentili, ed alcuni
erano estremamente filogiudaici (At 15, 5 – 6; Gal 1, 13 – 17; Gal 2, 15 – 16).
7
La mancata accettazione della novità sono tipiche espressioni culturali dei romani, e di ciò esistono
anche riscontri in campo letterario.
8
Si veda sull’argomento l’importante studio in B.D. EHRMAN, I Cristianesimi perduti, Apocrifi, sette ed
eretici nella battaglia per le Sacre Scritture, Roma 2008, p. 148.
9
La traduzione detta “dei Settanta”, o anche nota come la Settanta, era, fino al 70 d.C., la Bibbia Ebraica
tradotta in greco. Dopo il 70 d.C. (cioè dopo il Concilio di Jamnia) gli ebrei modificarono la
composizione della loro Bibbia, togliendo da essa i libri di Giuditta, di Tobia, di Gesù figlio di Sirach, il
Primo Libro di Esdra, i Diciotto Salmi di Salomone, il Salmo 151, i Quattro Libri dei Maccabei, le Odi, il
Libro della Sapienza di Salomone, la Lettera di Geremia e il Libro di Baruch; inoltre adottarono la
cosiddetta “recensione breve” del Libro di Esther. I cristiani non adottarono mai la Bibbia di Jamnia, ma
usarono sempre l’edizione greca della Settanta.
10
Trattasi della schematizzazione, operata dagli apologeti cristiani, secondo cui il genere umani era
suddiviso in pagani, ebrei e cristiani. Cfr. L. CRACCO RUGGINI, Pagani, Ebrei e Cristiani: odio

4
giudei potessero stare a guardare mentre i cristiani s’impossessavano dell’Antico
Testamento, dando una loro interpretazione delle Scritture e riconoscendo Gesù come il
tanto atteso Messia. Gli ebrei, inoltre, furono ben motivati dal difendersi da quella che
per loro era una profonda storpiatura del loro credo, giacché dopo la distruzione del
Tempio di Gerusalemme nel 70 d.C., ad opera di Tito Flavio, con la diaspora c’era il
reale pericolo della dispersione della cultura giudaica e della nascita di nuove sette
autonome con Scritture proprie e con interpretazioni personali, come già avvenuto del
resto nel periodo di Simone Maccabeo con la nascita dei gruppi dei farisei, dei sadducei,
ma soprattutto degli esseni11. Questi ultimi, estraniatisi dal mondo giudaico, erano un
gruppo che, aspirando alla purezza, al rispetto della Legge, e al sacerdozio legittimo,
polemizzava così coi farisei e minava la tradizione giudaica più antica. I cristiani, come
gli esseni, rappresentavano per gli ebrei un rischio di scissione e di sopraffazione della
loro cultura; e in effetti, questo era un rischio avvertito concretamente, quindi, se da una
parte nacque una polemica anticristiana (come, si vedrà di seguito, nella letteratura
talmudica e midrašica), da parte cristiana nasceva invece una prima fase apologetica che
nel tempo si trasformò in polemica antigiudaica sempre più veemente, in modo da
rivendicare profondamente la legittimazione d’essere i veri successori degli ebrei nel
culto di Dio.
Il Dialogo con Trifone di Giustino è la massima opera letteraria della polemica
antigiudaica del II secolo d.C., ed è il punto d’arrivo di un percorso proprio che
appartiene alla cristianità di area greca. Furono tanti gli eventi che si susseguirono dalla
morte e resurrezione di Gesù fino alla stesura del Dialogo (ca 160 d.C.), e non si
limitarono solo alla letteratura ma, come vedremo nel caso di Bar Kochba, anche ad
azioni belliche e sanguinose.
In merito a ciò, la caratteristica del II secolo d.C. è che la polemica antigiudaica
è profondamente pari alla polemica anticristiana; questa caratteristica si perderà nei
secoli successivi, quando i cristiani continueranno a polemizzare contro i giudei, mentre

sociologico e odio teologico nel Mondo Antico, in AA.VV., Gli Ebrei nell’Alto Medioevo (XXVI
Settimana di Studi sull’Alto Medioevo, Spoleto 1980, pp. 25 e sgg.
11
Simone Maccabeo morì assassinato nel 135 a.C.; egli è considerato il fondatore della dinastia asmonea.
Dopo la sua morte gli successe il figlio Giovanni Ircano I, e fu proprio nel periodo della successione che,
a causa delle difficoltà del periodo maccabaico, si formalizzarono le scissioni di varie sette dalla dottrina
ufficiale. I farisei rimanevano fedeli agli insegnamenti tradizionali, invece i sadducei, tra le altre cose,
negavano la resurrezione (come ben attestato in Mt 22, 23; Mc 12, 18; Lc 20, 27; At 4, 1 – 2; At 23, 8).
Gli esseni, invece, si ritiravano nel deserto presso comunità autonome (la più importante è certamente
quella di Qumran), e producevano testi sacri propri. Sull’argomento di veda MERLO, L’Antico Testamento
cit., p. 63.

5
questi, “sconfitti”, verranno addirittura perseguitati con le accuse più turpi, ma
sostanzialmente per il semplice fatto d’essere giudei12.
Il nascente cristianesimo ortodosso13 dovette, nel contempo della lotta con i
giudei, non solo produrre una forte apologia per difendersi dalle accuse dei pagani14, ma
anche difendersi dai tentativi di prevaricazione interni di varie correnti ad esso opposte,
come quella del giudeocristianesimo15 od anche dal pericoloso gruppo dei cristiani
gnostici.
In tale contesto, Giustino fu impegnato sostanzialmente sia nella polemica
antigiudaica che nell’apologetica verso i pagani.
Per iniziare questo mio studio, partirò, di seguito, da un quadro storico che ci
porterà a valutare attentamente come si sviluppò la polemica antigiudaica nei suoi
aspetti salienti.

12
Un esempio eclatante può essere tratto dal Manuale dell’Inquisitore di Fra Nicolau Eymerich, che nel
1376, riferendosi ai cristiani che potevano aver scelto di diventare giudei, o ai giudei che avevano
abiurato, ma si erano poi riconvertiti al giudaismo scrive: «Se vogliono abiurare il rito giudaico ma non
accettano di abiurare il giudaismo né di fare penitenza, saranno perseguitati in quanto eretici impenitenti
dai vescovi e dagli inquisitori, i quali li abbandoneranno al braccio secolare». Cfr. FRA N. EYMERICH,
Manuale dell’Inquisitore, A.D. 1376, a cura di R. CAMMILLERI, Casale Monferrato 1998, p. 64.
13
Per “cristianesimo ortodosso” intendiamo sostanzialmente il vincitore della lotta interna fra cristiani.
Sostanzialmente, quindi, ci riferiamo al “cristianesimo paolino”, profondamente diverso da svariate altre
interpretazioni che poi finirono per essere obliate per sempre.
14
Che spesso sfociavano in persecuzioni.
15
Cfr. BROWN - MEIER, Antiochia e Roma cit., pp. 11 – 12.

6
Capitolo I
Quadro Storico

§ 1. Definizione di antigiudaismo

L’antigiudaismo, come tale, ha la peculiarità di voler costruire una rete di


informazioni e di idee riguardanti l’ebraismo, che hanno come obiettivo quello di
confutare teologicamente le posizioni giudaiche.
Facendo l’ovvia premessa che l’antigiudaismo trae le sue origini dal periodo
direttamente connesso al 70 d.C., cioè alla distruzione del Tempio di Gerusalemme ed
alla contrapposizione della Sinagoga ai giudeocristiani, possiamo dire che vi è uno
sviluppo sempre maggiore in tre secoli delle posizioni e delle tesi dei cristiani verso i
giudei, come si evince dalle fonti letterarie.
Essendo il cristianesimo di derivazione giudaica, come è ovvio, nacque il
problema di come affrontare i rapporti tra la dottrina ebraica e la nascente dottrina
derivante dagli insegnamenti di Gesù fin dalle origini.
Le posizioni verso il giudaismo, in origine, erano infatti molteplici e si potevano
distinguere varie correnti, dalle più filogiudaiche di derivazione farisaica a quelle più
estremiste rasentanti il marcionismo.
Il confronto col giudaismo, inevitabile, nasce inizialmente dal problema
scritturistico: Gesù, nei suoi insegnamenti, cita spesso la Bibbia16. Come intendere,
quindi, gli insegnamenti giudaici? Come rapportarsi con la Legge di Mosè?
Inoltre, nasce l’ampia questione della predicazione. Se Gesù ha predicato agli
ebrei, è giusto predicare ai non ebrei?
Queste domande chiave sono quelle che i cristiani si pongono propriamente.
Ed è dalle risposte che si danno i cristiani stessi che nasce una polemica con i
giudei, anche cogliendo le provocazioni che giungevano dalle Sinagoghe dopo il 70
d.C.17

16
La Bibbia citata da Gesù è ciò che noi oggi chiamiamo “Antico Testamento” rappresentato, in ambiente
cristiano, dalla traduzione dei Settanta, più vecchio della Bibbia ebraica in uso ai tempi di Giustino di
circa trecento anni, e contenente alcuni testi (es: Odi, Sapienza di Salomone, Siracide, Baruch, etc…) un
tempo ritenuti sacri anche dagli ebrei ed oggi scomparsi dalla loro Bibbia e, alcuni di essi, scomparsi
anche dalle Bibbie cattoliche (sopravvivono solo nelle Bibbie ortodosse).
17
Ci limitiamo solo a dire che i giudei, dopo la diaspora, espulsero i cristiani dalla Sinagoga bollandoli
come eretici.

7
Lo scontro tra giudei e cristiani, però, col tempo assume anche una dimensione
essenziale: la sopravvivenza in un mondo come quello dell’Impero Romano, in cui solo
i culti di maggiore antichità erano tollerati, mentre quelli di nuova invenzione erano
malvisti. L’obiettivo che sorse, quindi, fu senza alcun dubbio quello di “strappare” al
popolo ebraico la pretesa d’essere la religione antica, giacché l’essere “nuovi” era fra i
motivi per legittimare le persecuzioni dei Romani ai danni dei cristiani18.
Nei primi tre secoli della cristianità si può rilevare che le opere antigiudaiche
composte trattarono, per lo più, sempre gli stessi temi19. Ovviamente, questo, ha varie
sfaccettature, che passano attraverso l’area greca prima e latina poi. Questo terreno di
scontro, quindi, diventò molto sentito nelle comunità cristiane, e soprattutto in quelle
che vissero in aree ad alta concentrazione giudaica.
Un ulteriore motivo di polemica, non indifferente, era quello derivante dalla
progressiva scelta di diffondere il messaggio cristiano anche ai non giudei20. Questo
comportò degli scontri con le frange più radicali del giudeocristianesimo, ma comportò
anche scontri con gli estremisti (marcioniti) che rifiutavano gli insegnamenti
veterotestamentari. La via scelta dai cristiani ortodossi, dunque, fu quella non di
rifiutare l’Antico Testamento21, ma di darne una interpretazione diversa da quella dei
giudei. Attaccare l’interpretazione giudaica dell’Antico Testamento era quindi azione
necessaria ai cristiani per rendere possibile la diffusione della nuova religione anche
presso i pagani (la circoncisione, il Sabato, etc., sarebbero state considerate pratiche
poco attraenti)22, oltre che per giustificare le dottrine neotestamentarie.
Dall’insieme di tutte queste divergenze nacque così l’antigiudaismo.

18
Altro grande motivo era che i cristiani rifiutavano di tributare agli déi pagani. Se lo avessero fatto,
sarebbero stati lasciati liberi, probabilmente, di praticare anche il culto cristiano.
19
Cfr. TERTULLIANO, Polemica con i Giudei, a cura di I. Aulisa, Roma 1998, p.26.
20
At 10, 44 – 48; At 15, 5 – 21.
21
Cosa che sarebbe stata impossibile, visto che Gesù lo citava abbondantemente.
22
Cfr. EHRMAN, I Cristianesimi perduti cit., p.231.

8
§ 2. Il cristianesimo prima delle Guerre Giudaiche di Tito (66 – 70 d.C.)

Affinché potesse verificarsi uno scontro tra giudaismo e cristianesimo, però, era
necessario che si formasse gradualmente la primissima dottrina cristiana, in quanto essa,
come detto sopra, era una rielaborazione degli insegnamenti diretti di Gesù (che era un
ebreo, nato da ebrei, che ha vissuto nella terra degli ebrei), ma era una progressiva
interpretazione della predicazione del Cristo, avvenuta soprattutto tramite la tradizione
orale prima e le produzioni scritte poi. Ad esempio, il più antico testo cristiano in forma
scritta, ossia la prima lettera di Paolo ai Tessalonicesi (ascrivibile agli anni 40/50 del
d.C., quindi precedente alla distruzione del Tempio), ci tramanda la consuetudine di
trasmettere gli insegnamenti oralmente23, specificando, nell’ovvia ottica cristiana, che,
oltre alla parola, il messaggio di Gesù è trasmesso anche per opera dello Spirito Santo e
per mezzo della fede.
Per poter comprendere come mai il cristianesimo non divenne la naturale
continuazione del giudaismo, bensì una religione diversa e distaccata, si può prendere
ad esempio la situazione di divergenza che era intrinseca nelle nascenti comunità
cristiane, come attestato da alcune fonti letterarie, come ad esempio: gli Atti di
Nicodemo24 e gli Atti degli apostoli.
Dopo la morte e resurrezione di Gesù, gli apostoli ebbero notizia del lieto evento
ch’egli ancora viveva, e si trovava in Galilea.
Gesù apparve più volte agli apostoli, sia secondo i Vangeli che secondo Paolo, il
quale riferisce anche un’apparizione collettiva a più di cinquecento persone25. La
presenza di Gesù nel mondo si compì con la sua ascensione, avvenuta, secondo gli Atti
di Nicodemo, sul Monte Mamilch26, che secondo il Moraldi è identificabile con l’Orto
degli Ulivi27.

23
Cfr. 1 Ts 1, 5.
24
Questo titolo che do al testo è mio, è mutuato dal titolo che viene dato al testo dal manoscritto
conservato a Roma nella Biblioteca Vaticana scoperto da C. Tischendorf (il quale ignorava il numero del
manoscritto, cfr. L. MORALDI (a cura di), Tutti gli Apocrifi del Nuovo Testamento, Vangeli, Casale
Monferrato 1994, p.608): “Le memorie delle cose accadute al Signore nostro Gesù sotto il procuratore
Ponzio Pilato, scritte in lettere ebraiche da Nicodemo capo della sinagoga degli ebrei”. Il testo è meglio
noto sotto il nome di “Vangelo di Nicodemo”, o di “Atti di Pilato”. Per il testo seguo: MORALDI, Tutti gli
Apocrifi del Nuovo Testamento, Vangeli cit., pp. 613 e sgg.; confronterò anche col testo M. CRAVERI, I
Vangeli Apocrifi, Torino 19902, pp. 303 e sgg.
25
Cfr. 1 Cor 15, 6.
26
Cfr. Act. Nicod. 14, 1.
27
Cfr. MORALDI, Tutti gli Apocrifi del Nuovo Testamento, Vangeli cit., p. 630; vedi anche At 1, 12.

9
Si può riconoscere nelle parole di commiato di Gesù che ascende al cielo la sua
richiesta di evangelizzare il mondo28.
Da quel momento, dunque, possiamo dire che storicamente inizia la missione
degli apostoli e dei discepoli di Gesù, che hanno come obiettivo quello di diffondere la
buona novella in ogni dove, «fino agli estremi confini della terra»29.
Le persone coinvolte in questa missione, dunque, hanno ricevuto un incarico che
ha due implicazioni: la creazione di un nuovo movimento, che va affiancato a quello
farisaico, sadduceo ed esseno, e ovviamente la diffusione del messaggio di Gesù a tutti.
La nascita di diverse correnti interne al primissimo cristianesimo si deve proprio
a questa genericità: “la diffusione del messaggio di Gesù a tutti” sì, ma tutti chi?
Sostanzialmente identifichiamo due gruppi primordiali che sono contrapposti, per lo
meno come si può evincere dalle fonti: da una parte vi sono come rappresentanti di una
corrente di pensiero Nicodemo e Giuseppe d’Arimatea30, dall’altra Pietro, Giovanni e
Giacomo31.
La figura di Paolo è posteriore a queste che abbiamo per ora visto.
Se i primi due, Nicodemo e Giuseppe d’Arimatea, rappresentano una parte
certamente molto filogiudaica, al punto che vorrebbe convincere il Sinedrio e i sommi
sacerdoti ad accogliere il messaggio di Gesù32, gli altri erano invece soliti scontrarsi con
le autorità per le dottrine che insegnavano, come ad esempio accadde a Pietro e
Giovanni, fatti arrestare dai sadducei33.
Il cristianesimo nascente, sempre mal tollerato dalle autorità ebraiche, che lo
reputavano non una nuova religione, bensì un’eresia, aveva però un carattere
innovativo: l’essere missionario. Tale peculiarità si manifestò quasi immediatamente
dopo l’istituzione dei diaconi34 ed il martirio di Stefano35, con la dispersione del
messaggio in varie comunità circostanti, per ampliare sempre più il raggio di espansione
dell’evangelizzazione.

28
Cfr. Act. Nicod. 14, 1; At 1, 8.
29
At 1, 8.
30
Cfr. Act. Nicod. 5, 1; 11, 3.
31
Cfr. At 1, 12; At 3, 1. Giacomo è il “fratello del Signore”, capo della Chiesa di Gerusalemme, e non è
da identificare né con Giacomo fratello di Giovanni, che muore per ordine di Erode Antipa (At 12, 2) né
con Giacomo figlio di Alfeo.
32
Cfr. Act. Nicod. 15, 6 – 8.
33
Cfr. At 4, 1 – 3.
34
At 6, 1 – 7.
35
At 7, 57 – 60.

10
È da dopo il martirio di Stefano, inoltre, che appare la figura di Saulo, che è per
il momento ancora un persecutore, ma che presto diventerà Paolo, uno degli apostoli più
impegnati nella diffusione del messaggio cristiano.
Dalla diffusione del messaggio di Gesù fuori da Gerusalemme nacque
inevitabilmente l’incontro coi pagani, e quindi prevalse l’atteggiamento dell’annunzio
del messaggio cristiano non solo ai giudei, ma anche ai pagani36, cosa che non fu
accolta di buon grado dagli ebrei convertiti: così ci fu motivo di scontro37. Pertanto
prevalse la logica dell’evangelizzazione dei pagani: questo scontentò indubbiamente le
correnti più giudaizzanti, ma avviò il cristianesimo verso quel sentiero che lo avrebbe
portato all’emancipazione dall’ebraismo, con l’inevitabile polemica antigiudaica
conseguente.

§ 3. La distruzione del Tempio e il Concilio di Jamnia (70 d.C.)

Il momento cruciale di distacco del cristianesimo dall’ebraismo fu certamente


identificabile con il momento della distruzione del Tempio di Gerusalemme, ma
soprattutto con le conseguenze che tale evento determinò.
L’evento storico che portò alla presa del Tempio, oltre che alla distruzione della
stessa città ed anche alla fine del potere sacerdotale ebraico, determinò la scomparsa del
luogo simbolo, principale, di tutto il mondo giudaico.
Esula dal nostro intento la descrizione degli eventi storici della distruzione del
Tempio, quindi ci concentreremo essenzialmente su ciò che si verificò successivamente
a tale momento di spartiacque nella storia ebraica: il Concilio di Jamnia.
Il mondo ebraico, che era già spaccato naturalmente in più correnti di pensiero,
vedendosi defraudato del Tempio, vide in pericolo la propria sopravvivenza, e vide
anche a rischio di oblio le proprie tradizioni e le proprie usanze.
Fu per questo che a Jamnia38 si riunirono i Tannaim, ovvero i Saggi, che
avevano il compito di decidere come affrontare una crisi senza precedenti nella storia
del giudaismo.
Una delle cose che fecero i Tannaim fu quella di fissare una halakah, cioè una
interpretazione della Legge, che fosse universale ed immutabile. Per fare questo erano

36
Cfr. At 10, 44 – 48.
37
At 11, 1 – 3.
38
Città della Giudea, localizzata a nord – ovest rispetto a Gerusalemme.

11
necessari due passaggi essenziali: fissare un canone definitivo e preciso, ed eliminare
ogni sorta di divisione interna all’ebraismo.
Il fissare una interpretazione, ovviamente, significava arrivare ad una rottura
definitiva con i cristiani e con tutti i gruppi “dissidenti”, tant’è vero che i Tannaim
condannarono una moltitudine di persone, non identificabili né con i sadducei né con gli
esseni, che furono raggruppate idealmente con il nome generico di amme ha-areş
(popoli della terra)39. Dunque, va considerato che una moltitudine di gruppi, distinti dai
Tannaim, potevano portare non solo una propria halakah, ma con essa un motivo di
divisione e probabilmente di dispersione e/o di alterazione di quella che la fazione
farisaica, quella dominante, rappresentata dai Saggi, considerava l’unica “legge orale”
valida.
Il canone della Bibbia ebraica fu fissato, come detto, durante il Concilio di
Jamnia, e fu composto dalla Torah40, che era il fulcro principale e più importante, dai
Profeti41 e dagli Scritti42.
La scelta di quali testi canonizzare, oltre alla Torah, fu molto accurata da parte
dei Tannaim, i quali scelsero solo i libri che potevano non sollevare dubbi circa la loro
halakah, e scartarono tutti i testi invece che potevano dare problemi in questo senso43.
Una frase decisamente significativa da citare in tale contesto, ci proviene dal
Talmud Babilonese:
«Rabbi Adda, figlio di Rabbi Chanina, disse: “Se Israele non avesse peccato,
solo il Pentateuco e il libro di Giosuè gli sarebbe stato donato, [quest’ultimo] perché
riferisce la distribuzione della Palestina [fra le tribù]”»44.
Fissato e riconosciuto il Canone, fu dato egual valore sia alla Torah come
“Legge scritta”, che all’halakah come “Legge orale”, procedendo, di seguito,
all’espulsione dalla Sinagoga di tutti quei gruppi che differivano dai criteri fissati dai
Tannaim, cioè dai Saggi.

39
Cfr. D. JAFFÉ, Il Talmud e le origini ebraiche del Cristianesimo, Gesù, Paolo e i Giudeocristiani nella
Letteratura Talmudica, Milano 2008, p.20.
40
Che era già ritenuta canonica all’epoca di Esdra. Cfr. JAFFÉ, Il Talmud e le origini ebraiche del
Cristianesimo cit. p.27.
41
Divisi in “Profeti Anteriori” (i nostri Istorikã) e “Profeti Posteriori” (i nostri Profetikã).
42
Gli Scritti erano stati da sempre un problema: era difficile identificare quanti e quali fossero, e, in
questa ottica, prima di Jamnia era possibile che molti testi oggi ritenuti apocrifi fossero ritenuti canonici,
come anche attesta la traduzione della Settanta, più vecchia del canone di Jamnia di circa trecento anni.
43
Cfr. JAFFÉ, Il Talmud e le origini ebraiche del Cristianesimo cit., p. 27.
44
La citazione è ricopiata testualmente da MERLO, L’Antico Testamento cit., p. 99; proviene dal Talmud
Babilonese, b.Ned 22b.

12
Questi criteri, peraltro, furono raccolti, nel corso del tempo, nel Talmud e nella
letteratura midrašica.
La sorte che toccava a chi veniva espulso dalla sinagoga era di subire in ogni
celebrazione le “maledizioni” dagli ebrei sotto forma di Birkat haminim (Benedizione
degli eretici), recitate verso i minim (gli ebrei dissidenti, che noi definiremmo “eretici”)
e i noşerim (i giudeocristiani)45, come si può ben notare in questo esempio:

«Per gli apostati non ci sia speranza, e che il regno dell’insolenza venga sradicato nei
nostri giorni, e che i noşerim e i minim scompaiano in un istante, che siano cancellati
dal libro della vita e non vi vengano iscritti assieme ai giusti. Benedetto Tu, o Signore,
che sottometti gli arroganti»46.

Questa Birkat haminim è un’ovvia testimonianza della polemica anticristiana che


si generò a partire dal Concilio di Jamnia, che espulse di fatto i cristiani dalla Sinagoga,
bollandoli come eretici. Dopo questa fase, dunque, si instaurò una decisa reazione da
parte cristiana, che, come è ovvio, partì da tutto il mondo antico orientale, che era quello
meglio cristianizzato (II sec. d.C.), per poi lentamente lambire anche l’Africa romana
nel secolo successivo.

45
Cfr. JAFFÉ, Il Talmud e le origini ebraiche del Cristianesimo cit. p.24.
46
La citazione di questa “Benedizione degli Eretici” è ricavata da JAFFÉ, Il Talmud e le origini ebraiche
del Cristianesimo cit. p. 125.

13
§ 4. La polemica antigiudaica tra il Concilio di Jamnia e la rivolta di Bar
Kochba (70 – 132 d.C.)

La reazione dei cristiani alla loro espulsione dalla Sinagoga non si fece
attendere, tenendo conto anche delle premesse.
Desumeremo sostanzialmente la presenza di quella che è la posizione cristiana
dalle fonti letterarie, che da questo momento diventano il fulcro a noi utile per lo studio
e la conoscenza della cristianità delle origini. La produzione letteraria di questo periodo,
ad opera dei seguaci di Gesù tra la distruzione del Tempio e la rivolta di Simone Bar
Kochba47, è infatti segnata da un’opera che vogliamo qui definire certamente una pietra
miliare della la letteratura cristiana antica.
Ci riferiamo alla cosiddetta lettera di Barnaba, uno scritto in lingua greca in
forma epistolare, suddiviso in ventuno capitoli, quindici dei quali48 sufficientemente
diretti ad uno scopo polemico antigiudaico.
L’importanza di questo testo è sicuramente grande, ed è tramandata sotto il
nome di Barnaba, un compagno di Paolo; fatto, questo, che porterà più avanti a
considerare questa lettera come un testo canonico neotestamentario da parte di alcuni
Padri della Chiesa49.
Secondo Giorgio Otranto, la Lettera di Barnaba fu composta basandosi su alcuni
testimonia precedenti di ispirazione antigiudaica50, ipotesi, questa, che dovrebbe
ovviamente presupporre la data di composizione del testo posteriore al 70 d.C., o
meglio, posteriore anche al 100 d.C.
Cadrebbe, dunque, l’ipotesi di F. Martin, che data la lettera intorno al 70 d.C.51,
avvalorando la datazione della Prinzivalli, che la colloca intorno al 130 d.C.52
Il contenuto di questo testo è squisitamente polemico incentrato a dare ai
cristiani una spiegazione effettiva di cosa sia e di come si interpreti l’Antico

47
Bar Kochba significa “figlio della stella”, e deriva da Nm 24, 17. È l’ultima rivolta, stroncata da
Adriano nel 135 d.C., del mondo giudaico che tenta di liberare così la Palestina. Cfr. CRACCO RUGGINI,
Pagani, Ebrei e Cristiani cit. pp. 26 e 27.
48
Tolto il capitolo 1, che serve da introduzione generale all’opera, non sono da considerare parti della
polemica i capitoli che vanno dal 17 al 21, che espongono la dottrina delle Due Vie.
49
Il celebre Codex Sinaiticus la inserisce accanto agli scritti neotestamentari. Didimo il Cieco ritiene la
Lettera di Barnaba ed il Pastore di Erma autorità scritturali, e invece condanna la seconda lettera di
Pietro, che invece è oggi un testo ritenuto “canonico”. Cfr. EHRMAN, I Cristianesimi perduti cit., p. 289.
50
Questa ipotesi la ritroviamo in G. OTRANTO, La polemica antigiudaica da Barnaba a Giustino, in
“Annali di Storia dell’Esegesi” 14/1 (1997) 55 – 82, p. 63.
51
Cfr. F. MARTIN, Le Livre d’Hénoch, traduit sur le texte éthiopien, Paris 1906.
52
Cfr. M. SIMONETTI -E. PRINZIVALLI, Letteratura Cristiana Antica, Casale Monferrato 2003, p. 128.

14
Testamento. A tal fine, l’autore esamina una serie di passaggi, tutti essenziali, che
diventeranno poi i temi della polemica antigiudaica anche del III secolo.
In ordine, questi sono così schematizzabili:
• I sacrifici giudaici;
• Il digiuno;
• L’alleanza di Dio;
• Il sacrificio del capro espiatorio
• La circoncisione;
• Le carni proibite;
• Le prefigurazioni battesimali dell’acqua e della croce;
• I due popoli (paragone del “maggiore che servirà il minore”);
• Il Sabato;
• Il Tempio.
In ciascuno di questi punti, la lettera di Barnaba si sofferma con citazioni
veterotestamentarie e con una forma di esegesi propriamente cristiana che tende a dare
una spiegazione in chiave cristologica di tutti i passi dell’Antico Testamento.
La lettera di Barnaba, addirittura, va ben oltre la semplice polemica esegetica,
poiché arriva ad accusare i giudei di aver fallito nell’interpretazione dell’Antico
Testamento, poiché si sono fatti ingannare da un angelo malvagio53. Si faccia bene
attenzione a questo “passaggio polemico”, giacché in esso si ritrova, certamente, una
reazione al Concilio di Jamnia. L’espulsione dei cristiani dalla sinagoga era, infatti,
causata da una loro diversa halakah, cioè dalla diversa interpretazione della Legge e dei
Profeti. Qui, di contro, Barnaba accusa i Tannaim, i Saggi giudei, di aver loro fornito
una interpretazione fuorviante della Legge e dei Profeti, e li condanna in quanto si sono
lasciati traviare da un angelo malvagio.

53
Barn. 9, 4.

15
§ 5. La perduta Disputa di Giasone con Papisco

Dopo lo stroncamento della rivolta di Bar Kochba, per opera di Adriano nel 135,
la polemica antigiudaica si accentua ulteriormente da parte cristiana, vista l’aggiunta di
un’aggravante, per lo meno agli occhi dei cristiani, circa la posizione dei giudei. Difatti,
ora non vi è più solo un precedente verbale, come prima del 132 d.C., quando cioè il
motivo di scontro era la halakah e la conseguente espulsione dalla sinagoga dei
cristiani, ma ora addirittura un duro scontro fisico, con la persecuzione effettiva, da
parte dei sostenitori di Bar Kochba54, nei confronti e ai danni della stessa fazione
cristiana. Persecuzione, peraltro, legata al fatto che Bar Kochba si sarebbe autodefinito
il “Messia”, e quindi avrebbe preteso la legittimazione di tale titolo anche da parte
cristiana; legittimazione, questa, che non poteva ovviamente essere ottenuta, in quanto i
cristiani riconoscevano come Messia solo Gesù di Nazareth.
Da questo momento in poi, in molti testi cristiani posteriori al 135 d.C.,
compaiono espliciti ed impliciti attacchi a Bar Kochba, mirati a demolirne l’immagine.
Un esempio particolarmente significativo lo troviamo nell’Apocalisse di Pietro, un
apocrifo del Nuovo Testamento55 pervenutoci in lingua etiopica56:
«Quando essi [Israele] vedranno la malvagità delle sue azioni andranno dietro
di loro rinnegando il primo Cristo, colui che fu crocifisso, colui che fu lodato dai nostri
padri, commettendo così un grande peccato. Questo impostore non è il Cristo. Quanti
gli si opporranno, egli li ucciderà con la spada, e vi saranno molti martiri»57.
Nella letteratura polemica che si andò dunque generando, già da dopo il Concilio
di Jamnia, si possono riconoscere diversi generi letterari, come individuati da Giorgio
Otranto58, quali appunto il dialogus, l’epistula, il tractatus, i testimonia, l’homilia ed il
sermo.
Un genere tipico che si sviluppò nel II secolo d.C., e andò poi evolvendosi fino
al Medioevo con esponenti dello spessore culturale di Abelardo59, è per l’appunto il
dialogus. La forma dialogica per l’appunto permetteva di scrivere testi contenenti una

54
Cfr. CRACCO RUGGINI, Pagani, Ebrei e Cristiani cit. p. 27 nota 22.
55
Il Canone del Muratori indica questo testo come la seconda Apocalisse del Nuovo Testamento, ed è
realmente probabile che fosse considerata canonica fino alla prima metà del IV secolo, come attestato
dalle fonti patristiche. Cfr. L. MORALDI (a cura di), Tutti gli Apocrifi del Nuovo Testamento, Lettere
Apocalissi, Casale Monferrato 1994, pp. 319 e sgg.
56
Cfr. MORALDI, Tutti gli Apocrifi del Nuovo Testamento, Lettere Apocalissi cit. p. 321.
57
Ap Pt 2; testo tratto da MORALDI, Tutti gli Apocrifi del Nuovo Testamento, Lettere Apocalissi cit. p.
330.
58
Cfr. OTRANTO, La polemica antigiudaica da Barnaba a Giustino cit. p. 55.
59
Cfr. CRACCO RUGGINI, Pagani, Ebrei e Cristiani cit. pp. 16 e sgg.

16
tesi ed una rispettiva antitesi, e quindi di poter confrontare, e soprattutto di poter
confutare, le varie posizioni circa lo stesso argomento. L’esempio più famoso a noi
giunto, (mi riferisco ovviamente al Dialogo con Trifone), è da collocare tra il 135 ed il
16060.
Altrettanto importante è anche il dialogus noto col nome
ÉIãsonow ka‹ Pap¤skou éntilog¤a per‹ XristoË (= Disputa tra Giasone e Papisco
sul Cristo). Questo testo, di lingua greca, oggi perduto e notoci solo attraverso
frammenti, fu attribuito da Giovanni di Scitopoli ad Aristone di Pella, uno storico
cristiano del II secolo, però questa attribuzione parrebbe oggi cadere61.
Il testo prende le mosse da quella che è presentata come la registrazione di un
incontro tra un giudeo ed un cristiano62, evento certamente non raro nel mondo antico,
ma si dimostra artificio letterario di parte cristiana, vista la notizia secondo la quale, al
termine della disputa, il giudeo si converte al cristianesimo, convinto della correttezza
della nuova dottrina; il tutto dopo una conversazione in cui l’interlocutore cristiano fa la
parte del leone.
L’opera godette di una certa popolarità nel II secolo, tanto è che Celso la nomina
nel suo ÉAlhyØw lÒgow e fu probabilmente tradotta in latino nel III secolo63. La perdita
di quest’opera ci impedisce però di conoscerne l’esatto contenuto del contenuto, ma la
sua esistenza, più volte citata nei secoli successivi, dimostra come la polemica
antigiudaica si sviluppò con vigore a decorrere dagli anni posteriori alla rivolta di
Simone Bar Kochba per opporre resistenza alle posizioni giudaiche, sia religiose che
politiche64.

60
La data è quella proposta da Giuseppe Visonà per la composizione del maggiore Dialogo del II secolo,
cioè il Dialogo con Trifone di Giustino; cfr. GIUSTINO, Dialogo con Trifone, a cura di G. VISONÀ, Torino
1988, p. 15 e pag 18.
61
Decisamente significativa a tal fine è la dimostrazione filologica di come il testo non possa appartenere
ad Aristone di Pella; cfr. G. OTRANTO, La Disputa tra Giasone e Papisco sul Cristo falsamente attribuita
ad Aristone di Pella, in “Vetera Christianorum” 33 (1996) 337 – 351, pp.341 e sgg.
62
Cfr. OTRANTO, La Disputa tra Giasone e Papisco sul Cristo cit., p. 345.
63
Cfr. Ibidem p. 341.
64
Nel mondo antico c’è sempre da tenere presente che la religione e la politica erano in più punti
pressoché coincidenti, da qui si comprende l’importanza di affermare la propria autorità e legittimità di
pensiero religioso.

17
§ 6. Polemica antigiudaica nell’Ad Diognetum

Se sinora abbiamo esaminato la polemica antigiudaica in testi composti


intenzionalmente con fine polemico, diretti contro la parte ebraica, ora, invece,
esamineremo il caso di un testo di lingua greca, come l’A Diogneto, che ha come
caratteristica prevalente l’essere un’opera riassuntiva della dottrina di un buon cristiano,
e non è dunque direttamente finalizzato alla polemica antigiudaica. Questo testo,
totalmente sconosciuto ai Padri della Chiesa, fu scoperto per puro caso a Costantinopoli
nel 1436 in un mercato del pesce65.
Moltissimi studiosi lo hanno elogiato, e il Norden lo definisce, ad esempio, la
perla della letteratura cristiana antica66.
Questo testo ha presentato vari problemi di datazione. Ci sono state proposte che
lo ponevano ad esempio prima del 70 d.C., ed altre che lo portavano al III secolo d.C.,
ma oggi è prevalentemente accettata la datazione alla metà del II secolo d.C.67
Interessanti per il nostro argomento sono i capitoli 3 e 4, in cui in particolare si
affrontano due temi: i sacrifici e il ritualismo giudaico.
Il discorso sui sacrifici è qui particolarmente duro e veemente, in quanto si
paragonano i giudei ai pagani nella loro forma cultuale sacrificale, e si dice
espressamente che “li si potrebbe giudicare non religiosi, ma pazzi68”. Ancora battente è
la polemica circa il ritualismo, in cui si vanno a condannare in breve i punti cardine del
culto giudaico, quali la circoncisione, il rispetto del sabato, i digiuni e il computo dei
noviluni69.
Ulteriore dato significativo per l’argomento legato alla polemica è
l’affermazione presente in A Diogn. 5, 17, secondo cui i giudei perseguitano i cristiani
in quanto li vedono come stranieri.
L’opera prosegue con altre tematiche apologetiche e trattatistiche che tendono a
presentare il cristianesimo agli occhi di un pagano70, evitando quindi di ripetersi in

65
Il manoscritto dell’A Diogneto sarebbe stato utilizzato come carta per incartare il pesce se non fosse
stato scoperto da uno studioso recatosi a Costantinopoli per perfezionare le proprie conoscenze sul greco.
Quel manoscritto ha avuto sorte comunque tragica nel 1870, quando fu distrutto durante la guerra franco
– prussiana a causa dell’incendio della Biblioteca di Tubinga ove era custodito.
66
Come evidenziato dal Quacquarelli. Cfr. A. QUACQUARELLI (a cura di), I Padri Apostolici, Roma 1976,
p. 351.
67
Cfr. QUACQUARELLI, I Padri Apostolici cit. p. 352.
68
Citazione testuale di A Diogn. III, 3. Per il testo uso G. GENTILI, A Diogneto, Bologna 2006.
69
I cristiani dei primi secoli ritenevano assurdo calcolare le feste sulla base del novilunio.
70
È stato proposto di identificare Diogneto con il maestro dell’Imperatore Marco Aurelio. Cfr.
QUACQUARELLI, I Padri Apostolici cit. p. 351.

18
accenti polemici antigiudaici, anche se la comparsa di questi toni in un testo come
questo è molto importante. Se l’A Diogneto è da considerare un “Manuale del
cristianesimo” del II secolo, allora è da accettare anche che la polemica antigiudaica era
una prerogativa essenziale del cristianesimo delle origini.

In tale contesto si andrà ad innestare la stesura del Dialogo con Trifone di


Giustino. In questo lavoro mi concentrerò principalmente su questa opera, che divenne
un modello per la polemica del secolo successivo, anche se Tertulliano, e soprattutto lo
Pseudo-Cipriano vi aggiungeranno nuove accuse e sposteranno l’attenzione sull’accusa
di deicidio71. L’analisi del Dialogo con Trifone, come vedremo, sarà utile perché ponte
effettivo tra grecità e latinità, e perché in esso sono presumibilmente concentrate tutte le
singole sillogi prodotte anche nelle opere perdute della polemica antigiudaica del II
secolo d.C.
Per esaminare coerentemente il Dialogo, non potremo prescindere dal descrivere
la figura di Giustino, che, come vedremo, si presenta come “filosofo cristiano”, cultore
della sapienza contenuta nei Profeti, e grande apologeta del nascente cristianesimo
ortodosso.
Di seguito, dunque, inizieremo l’analisi di questo personaggio, così importante
per la cristianità, autore del Dialogo e delle due Apologie oltre che di numerose altre
opere andate perdute72, che professò fermamente il suo Credo fino al momento del
martirio.

71
Per la verità, già accennata anche nel Dialogo (Dial. 16, 4 – 5), creata da Melitone di Sardi come
concetto (La Pasqua 5, 72 – 75), ma l’accusa più veemente è sviluppata nello Pseudo-Cipriano (Adv. Iud.
4, 10 – 15). Tutta la polemica antigiudaica della latinità cristiana del III secolo prendeva le mosse da
quella precedente della grecità del II secolo, ma muta sensibilmente d’atteggiamento, spostando la sua
attenzione verso tematiche più accusatorie contro il popolo ebraico.
72
Si veda sull’argomento: GIUSTINO, Dialogo con Trifone, cit. p. 18 nota 9.

19
Capitolo II
La figura di Giustino nel II secolo d.C.

Giustino fu, senza alcun dubbio, uno dei massimi esponenti dell’apologetica e
della letteratura cristiana del II secolo d.C.
Degli personaggi ricordati da Girolamo nel De Viris Illustribus per quanto
riguarda il suo secolo, Giustino è l’unico ad essere presentato come “filosofo, che volle
sempre portare il mantello dei filosofi”73. La sua figura, molto venerata e molto
rispettata come quella d’un maestro d’altri tempi, è profondamente condizionata da
questa raffigurazione nelle vesti di filosofo, tra l’altro da lui stesso presentato nel
famoso prologo del Dialogo con Trifone.
Giustino nacque tra la fine del primo e gli inizi del secondo secolo74 a Flavia
Neapolis, l’antica Sichem di Samaria, da famiglia presumibilmente di coloni, di
probabile origine greca75. Egli, presentandosi all’imperatore Antonino il Pio nella Prima
Apologia, di sé scrive:
ÉIoust›now Pr¤skou toË Bakxe¤ou,t«n épÚ Flaou˝aw N°aw pÒlevw t∞w
Sur¤aw Palaist¤nhw 76
Da qui ricaviamo il nome del padre e del nonno del filosofo cristiano, quindi
figlio di Prisco e nipote di Baccheio (o anche Bacchio). Da giovane, come era normale
per un ragazzo della sua condizione, fu educato secondo gli usi pagani del tempo, ed
ebbe come impostazione culturale quella dei pagani. Non è documentabile in alcun
modo una conoscenza del giudaismo samaritano, cosa peraltro da escludere, giacché dal
prologo del Dialogo con Trifone questo non solo non traspare, ma è smentito nei fatti.
Andando per ordine nell’esposizione della vita di Giustino, esamineremo di
seguito i punti cruciali della sua vita e delle sue opere, prima di cimentarci in un’analisi
della sua maggiore opera a noi giunta: il Dialogo.

73
Cfr. GIROLAMO, Gli Uomini Illustri, Introduzione, traduzione e note di E. CAMISANI, Roma 2000, p.
111.
74
Presumibilmente o sotto l’impero di Domiziano o sotto quello di Cocceio Nerva.
75
Cfr. GIUSTINO, Le Apologie, Introduzione, traduzione e note a cura di C. BURINI, Roma 2001, p. 5.
Secondo il Drobner potrebbe trattarsi, oltre che di Greci, anche di Coloni Romani; cfr. H.R. DROBNER,
Patrologia, Casale Monferrato 1998, p. 131.
76
Testo tratto da: GIUSTINO, Apologie, Testo Greco a fronte, a cura di G. Girgenti, Milano 1995, p. 36; I
Apol. 1,1.

20
Il percorso filosofico di Giustino e la sua conversione

La fonte di riferimento utile alla ricostruzione biografica di quella che fu la via


percorsa da Giustino è indubbiamente il già menzionato prologo del Dialogo con
Trifone. Nei primi due capitoli, Giustino si trova a passeggiare nel sisto77
(probabilmente di Efeso78) e viene notato da Trifone e da alcuni suoi amici, i quali
scorgono l’abbigliamento da filosofo e, come essi stessi affermano, lo avvicinano per tal
motivo: hanno, infatti, appreso da un socratico l’importanza di discutere ampiamente
con le persone che portano il mantello dei filosofi, poiché se ne può ricavare qualche
beneficio interiore e cognitivo79. Dopo questo primo approccio, quando Giustino
apprende che Trifone è ebreo, Giustino spinge lo stesso Trifone a spiegargli per qual
motivo egli s’accinge a parlare di filosofia pagana, anziché trovare conforto nelle parole
della Scrittura e nei Profeti. La risposta di Trifone è che il filosofo è degno d’indagare la
natura delle cose, e che lo scopo della filosofia è di indagare circa la vera natura di Dio,
per cui era positivo apprendere notizie dai filosofi80.
Dalla discussione su quale fosse il reale tipo di pensiero filosofico di Giustino, o
meglio da quale scuola derivasse, nasce il racconto autobiografico dell’apologeta
cristiano, il quale spiega come le scuole degli stoici, dei teoretici, dei peripatetici, dei
pitagorici, finanche dei platonici, siano nate dal fraintendimento di cosa fosse realmente
la filosofia e di come l’uomo non avesse colto la ragione per cui la filosofia fosse stata
inviata dal Divino81.
A tal proposito, dunque, Giustino giustifica la propria affermazione, raccontando
puntualmente il proprio percorso di ricerca filosofica, essendo la sua anima “bramosa di
ascoltare il grande insegnamento caratteristico della filosofia”82.
Il primo impatto con gli studi filosofici Giustino lo ebbe presso un maestro della
scuola stoica, il quale però non gl’insegnò nulla sul problema di Dio, nonostante il
tempo sufficiente trascorso dall’apologeta cristiano presso il maestro; questi, infatti,
insegnava al discepolo che non era necessario conoscere Dio83.

77
Il portico coperto del Ginnasio.
78
Come ricavato da Eusebio di Cesarea. Cfr. GIUSTINO, Dialogo con Trifone, cit. p. 17.
79
Dial. 1, 2.
80
Dial. 1, 3 – 4.
81
Dial. 2, 1.
82
Dial. 2, 4.
83
Dial. 2, 3; la posizione dello stoicismo è il raggiungimento dell’apatia, che si ottiene con la virtù e col
rispetto delle leggi inflessibili ed ottime. Per questo motivo risultava inutile al maestro stoico il discorrere
di Dio.

21
Giustino, reputando così il suo maestro impreparato sull’argomento da lui
richiesto e bramato, lo abbandonò per recarsi presso un altro maestro, stavolta afferente
alla scuola peripatetica. Quest’ultimo, che aveva grande fama di sapiente, tenne con sé il
discepolo per alcuni giorni, ma poi gli chiese di fissare un compenso, affinché il tempo
trascorso ad insegnare non fosse infruttuoso. Giustino, dunque, ritenendo il maestro
tutto meno che un filosofo, abbandonò anche lui84.
Bramoso d’imparare l’arte della filosofia, l’apologeta si rivolse dunque ad un
dotto ed importante esponente della scuola pitagorica, il quale gli domandò, come
premessa, se avesse studiato la musica, l’astronomia e la geometria; avendo Giustino
risposto negativamente, fu allontanato dal maestro, giacché per la sua dottrina era
impossibile contemplare la Bellezza coincidente con il Bene senza prima aver abituato
l’anima alle discipline sopra indicate85.
Infine, Giustino, sempre desideroso di conoscenza filosofica, venne in contatto
con un famoso maestro della scuola platonica, giunto da poco nella sua città in quei
tempi. Così, sotto la sua guida, egli divenne, giorno dopo giorno, sempre più sapiente e
più ferrato nella contemplazione del Mondo delle Idee; e perciò iniziava a reputarsi un
saggio86. In questa nuova condizione mentale, Giustino decise di isolarsi per un periodo
dagli uomini, al fine di contemplare meglio gli aspetti filosofici che aveva appreso. Così
si ritirò in un luogo molto vicino al mare, deserto e solitario.
Fu durante una sua passeggiata in questo luogo che si rese conto di non essere
solo: un uomo molto anziano, che ispirava venerazione dall’aspetto, lo seguiva. Iniziò,
dunque, ad interloquire con lui, e, dopo le presentazioni, si sentì “rimproverare”
dall’anziano del fatto di non essere un uomo d’azione in cerca della verità, ma un
sofista.
Ovviamente questo per Giustino non poteva essere che un punto di scontro,
giacché secondo la sua ottica, subito rimarcata, era la filosofia il bene supremo, l’unica
via per la felicità, la strada superiore alle altre e per la quale tutti gli uomini si sarebbero
dovuti impegnare, anche trascurando indubbiamente la via del fare87. L’anziano
interlocutore, proseguendo il suo discorso senza ribattere, spostò l’attenzione di
Giustino sul problema di Dio: su chi o cosa fosse. L’apologeta lo definì come essere

84
Dial. 2, 3. I peripatetici erano i seguaci della scuola di pensiero di Aristotele, ed erano così chiamati per
l’abitudine di filosofeggiare passeggiando.
85
Dial. 2, 4 – 5. Il complesso mistico dei pitagorici si incentrava sui numeri e sulle arti liberali, dunque
queste erano le uniche ed ovvie premesse che potevano essere accolte.
86
Dial. 2, 6.
87
Dial. 3, 4.

22
immortale e supremo, causa di tutte le altre realtà mutabili, ma immutabile Lui stesso.
La definizione soddisfaceva entrambi, e così, proseguendo su questo tema, l’anziano
fece cadere in contraddizione Giustino, dimostrandogli che conoscere Dio non è come
conoscere la geometria, la musica o l’astronomia88. Ma il tema più arduo venne
affrontato subito dopo, quando l’attenzione dei due si indirizzò sul problema delle
anime. Il sottile gioco si andò ad articolare nel disquisire su come le anime immortali, se
considerate tali, possano essere premiate per le buone azioni. Se per Giustino solo le
anime buone possono vedere Dio perché capaci di comprenderlo, per l’anziano
interlocutore allora non si capisce per quale motivo anche le capre o le pecore non
possano vedere Dio, essendo queste anime identiche a quelle degli uomini ed altrettanto
giuste. Le motivazioni addotte dall’apologeta non convinsero il vecchio uomo, il quale
spostò poi il discorso sul tema cruciale della metempsicosi.
L’anziano saggio, parlando ancora delle anime, disse espressamente:
OÎte oÔn ır«si tÚn yeÚn afl cuxa¤, oÎte metame¤bousin efiw ßtera s≈mata 89
Nei meandri dei paradossi90, l’anziano sostenne quindi che le anime non vedono
Dio, e allo stesso modo non trasmigrano in altri corpi. Allo stesso modo sostenne che le
anime degli animali non possono vedere Dio.
A quel punto, l’anziano interlocutore dimostrò a Giustino l’inconsistenza
dell’ingenerazione dell’anima: l’anima è generata ed è mortale, se privata dello Spirito
di vita. Da qui la famosa scissione in spirito, anima e corpo.
La benedizione suprema dell’anima, così come una condanna a eterni supplizi,
non avviene per volontà propria dell’anima, ma per giudizio di Dio, creatore e motore di
tutte le cose.
A questo punto, Giustino, smarrito e privato delle certezze del platonismo,
scopre che l’anziano è un cristiano che ha appreso tutto questo non da un maestro di
filosofia, bensì dai Profeti, a sua detta unici veri maestri spirituali.
Giustino, abbracciando la fede cristiana, aveva dunque abbandonato tutte le altre
dottrine filosofiche, intendendo i Profeti e la Scrittura come una filosofia: l’unica
possibile. Per questo Trifone lo schernisce, e il prologo si conclude per dare poi inizio al
Dialogo, che vedremo nel capitolo seguente.
88
Dial. 5, 5 – 7.
89
Cfr. GIUSTINO, Apologie, cit., p. 228; Dial. 4, 7.
90
I ragionamenti che vengono proposti dall’anziano a Giustino sono molto tortuosi e complessi, e
diverrebbe fuori luogo riproporli qui. La nostra narrazione vuole semplicemente avere il fine di narrare la
conversione al cristianesimo di uno dei più grandi apologeti cristiani, soffermandosi solo sui punti
preliminarmente importanti.

23
Proseguendo nell’analisi della biografia di Giustino, però, dobbiamo tenere a
mente questo suo percorso, che lo ha segnato e che gli ha dato la spinta per la ricerca del
Bene supremo attraverso il cristianesimo.

Le opere perdute di Giustino

Dopo la sua conversione al cristianesimo, Giustino si attivò profondamente per


difendere il suo Credo per mezzo della letteratura, e il suo impegno produsse molti testi,
oggi purtroppo perduti. Girolamo ricorda, ad esempio, il libro Contro i Pagani, nel
quale tra l’altro si disserta sulla natura dei demòni, un libro intitolato Confutazione,
anche questo contro i pagani; e ancora, il libro Sull’unità di Dio, uno scritto intitolato Il
salmista ed un altro intitolato Sull’anima. Scrisse, infine, due libri contro gli eretici: uno
Contro le eresie, utilizzato anche da Ireneo di Lione, ed un altro Contro tutte le eresie91.
Oltre tutte queste opere, perdute purtroppo, restano i tre famosissimi libri di Giustino: le
due Apologie ed il Dialogo con Trifone. Brevemente accenneremo qui alle Apologie,
per soffermarci poi sul Dialogo nel capitolo seguente.

La Prima Apologia

Lo scritto in lingua greca indirizzato all’imperatore Antonino il Pio, a Marco


Aurelio e a Lucio Vero, che prende il nome di Prima Apologia, è un testo molto
importante per la storia della letteratura cristiana antica, ma anche per il cristianesimo
nascente. In esso si leggono chiaramente sia la visione teologica di Giustino, sia la
strenua difesa delle posizioni cristiane dinanzi alla giustizia romana, oltre che una
vivace nota di polemica antigiudaica, usata a fine apologetico per rivendicare la
necessaria antichità del culto.
Il testo della Prima Apologia lo possiamo suddividere in tre parti: la prima
(capitoli 1 – 22) è incentrata sulla confutazione dei miti pagani, sulla religione che essi
praticano e su come i cristiani siano incolpevoli dinanzi a loro; la seconda parte (capitoli
23 – 52) è la più corposa ed è l’esposizione costante di profezie a dimostrazione dei loro
adempimenti, con la conseguente ed inevitabile profonda polemica coi giudei, reputati,
a detta di Giustino, incapaci di interpretarle correttamente; l’ultima parte (capitoli 53 –

91
GIROLAMO, De Vir. Ill. 23.

24
68) è infine incentrata su come i miti della religione olimpica e della filosofia pagana
siano mutuati dai Profeti, e su come essi siano stati inventati ad hoc da parte di coloro
che, conoscendo l’Antico Testamento, lo hanno modificato adattandolo alle esigenze del
culto della loro religione. L’apologia si conclude con la Lettera di Adriano a Minucio
Fundano, proconsole d’Asia, nella quale si raccomanda di non condannare i cristiani a
priori, ma di istruire giusti processi.
Scendendo nel dettaglio, vediamo di seguito quali sono i punti preminenti di
questo importante testo di Giustino.
Nella prima parte i passi salienti sono sostanzialmente tre. Innanzitutto, l’opera,
scritta in greco, si apre con l’immediata difesa dei cristiani dalla sola colpa di esserlo. Il
nome “cristiani”, Xristiano‹, va assimilato non ad un qualcosa di negativo, ma ad un
qualcosa di ottimo (in greco “ottimi” si rende con xrhstÒtatoi)92: con questo gioco
di parole Giustino punta a dimostrare, oltre alla buona fede della parte cristiana, anche
l’inconsistenza dell’accusa di ateismo rivolta ai seguaci di Gesù semplicemente perché
rifiutano di tributare offerte agli idoli93.
L’apologeta attribuisce ai demòni la volontà dei pagani di torturare ed attaccare
ingiustamente i seguaci di Gesù94, così come gli stessi demòni, angeli ribelli a Dio,
scesero in terra e si unirono alle donne95, le quali partorirono i giganti. Poi, gli stessi
angeli ribelli mostrarono agli uomini le azioni più turpi, e si fecero venerare come déi
infondendo timore ed orrore nelle genti96. Giustino arriva a dire che Socrate è morto
perché fatto condannare dai servi del diavolo, i quali, avendo scorto ch’egli era sulla via
della verità e pronto ad comprendere quale fosse il vero Dio, fecero in modo che
morisse con accuse infamanti97.
La bontà del Signore fece sì ch’Egli si manifestasse ai barbari98 per annunziare
la sua via.
A questo punto l’apologeta sposta l’attenzione verso la seconda questione
importante della prima parte dell’apologia: l’idolatria e la mancanza di partecipazione ai
sacrifici e alle libazioni per le divinità della religione olimpica. Per i cristiani, infatti,

92
I Apol. 4, 1 – 5.
93
I Apol. 6.
94
I Apol. 5, 1.
95
I Apol. 5, 2; cfr. Gn 6, 1 – 4; ma soprattutto Enc 6, 1 – 6; Enc 7, 1 – 5.
96
I Apol. 5,2; questa descrizione non trova eguali nella Bibbia (inutile il tentativo di paragone con Gn 6,
5: Giustino ha desunto tutto questo da Enc 8, 1 – 3).
97
I Apol. 5, 3.
98
Il termine bårbaroi compare in Giustino (I Apol. 5, 4), e serve per designare i giudei.

25
questo è vietato dalla Scrittura99. Giustino fa presente che è inutile offrire sacrifici
terreni a statue, opere d’uomo, in quanto ciò è inutile all’uomo stesso100. Le statue che
gli uomini forgiano e fabbricano raffigurano le apparizioni di entità che altri non sono se
non i demòni di cui abbiamo parlato sopra, ed è dunque irrazionale offrire ad oggetti
inanimati corone ed onori101. A Dio, invece, non è necessario offrire nulla, in quanto è
Egli stesso che dona ogni bene all’uomo102.
Infine, la terza questione affrontata è correlata esclusivamente all’affermazione
evangelica: «Rendete dunque a Cesare quello che è di Cesare e a Dio quello che è di
Dio»103. Qui Giustino spiega come i cristiani siano fedeli all’Impero ed alle sue leggi,
specialmente per ordine divino: quindi, ribadisce, è inaudito accanirsi contro i seguaci di
Gesù solo per il fatto d’essere tali104. L’apologeta da qui in poi prosegue mostrando
delle analogie tra alcuni culti misterici e cristianesimo, riferendosi alla punizione dei
malvagi nel fuoco eterno, e mostrando come non si punivano tali culti, mentre si
contestava la fede in Gesù105. Da qui, dunque, si passa alla tematica principale del testo,
cioè alla Scrittura.
La seconda parte dell’Apologia, che è anche la più corposa, tratta
molteplici tematiche, ma soprattutto contiene alcune tracce di polemica antigiudaica
interessanti, visto che vengono esposte ad un imperatore pagano come metodo di difesa
del cristianesimo. A tal proposito Giustino elenca varie profezie e i loro adempimenti,
relativamente alla nascita verginale di Cristo106, alla distruzione di Gerusalemme107,
all’inibizione di Gerusalemme ai giudei108, etc., e per alcune di esse viene mostrato
come i giudei, volutamente o per inganno dei demòni109, non abbiano compreso gli
Scritti.
Qui si ravvisa una delle tematiche più forti ed importanti di Giustino: l’essere
cristiani prima di Cristo, tema trattato nel capitolo 46 della Prima Apologia. La frase in
questione, famosissima e rappresentativa, è:

99
Citare tutti i passi in cui si vieta di venerare immagini, statue od idoli sarebbe impossibile per ragioni di
spazio; si veda, però, a titolo d’esempio: Es 20, 4; Dt 4, 15 – 19; Dt 5, 8; Sap 13, 10 – 19; Is 40, 18 – 19;
Is 44, 9 – 20; Bar 6, 1 – 39; Bar 6, 45 – 71.
100
I Apol. 9, 1.
101
I Apol. 9, 1 – 3.
102
I Apol. 10, 1.
103
Citazione testuale di Mt 22, 21; vedi anche Mc 12, 17; Lc 20, 25.
104
I Apol. 17.
105
I Apol. 20, 1 – 3.
106
I Apol. 33, 1 – 5.
107
I Apol. 47, 1 – 4.
108
I Apol. 47, 5 – 6.
109
Cfr. Barn 9, 4.

26
Ka‹ ofl metå lÒgou bi≈santew Xristiano¤ efisi,kín êyeoi §nom¤syhsan,oÂon
§n ÜEllhsi m¢n Svkrãthw ka‹ ÑHrãkleitow 110.
Si noti l’affermazione della prima parte, su cui s’impernia la questione: coloro
che vivono secondo la legge di Cristo insita nel cuore degli uomini fin dalla nascita
sono cristiani a priori. Per rivendicare inoltre il valore dell’antichità della fede, Giustino
afferma che Socrate ed Eraclito furono considerati atei, ma erano, in realtà, veri e propri
cristiani. L’esame della questione è importante, giacché la ritroveremo anche sottintesa
nel Dialogo con Trifone. Va comunque tenuto presente che una visione di questo genere
può probabilmente derivare dalla lettera di Barnaba, in cui velatamente si afferma, in
polemica col giudaismo, che tutto l’Antico Testamento è in realtà un testo cristiano,
male interpretato e non capito, così reso vano dagli ebrei. La novità che troviamo in
Giustino è l’estensione di questa visione anche ai Gentili (Socrate ed Eraclito).
Giustino afferma che furono puniti tutti coloro che trasgredirono il Logos111, che
fu dato ad ogni uomo nel cuore, anche prima della nascita di Gesù112.
L’altra grande questione che possiamo esaminare è la tematica del lignum
crucis. Questo tema, molto caro a Giustino113, è qui chiaramente esposto. Giustino cita
vari passi veterotestamentari, soprattutto:
«Gioiscano i cieli ed esulti la terra;
si dica fra i popoli: “Il Signore regna”»114.
ed anche
«Il Signore regna, esulti la terra,
gioiscano le isole tutte»115.
Secondo Giustino, dopo l’espressione “il Signore regna”, dovrebbero seguire le
parole “dal legno”116; dunque, l’opinione cristiana era che i giudei avevano volutamente
alterato il testo per non offrire appigli riconducibili alla crocifissione di Gesù.
Per quanto riguarda il Primo Libro delle Cronache, però, la lezione della
Settanta non registra tale variante in nessun codice noto; così pure per il Salmo 96. Il
Visonà evidenzia come questo caso di interpolazione biblica, operato da parte dei

110
Cfr. GIUSTINO, Apologie, cit., p. 124; I Apol. 46, 3.
111
Giustino si riferisce al Logos spermatikòs, ossia alla legge morale di Cristo insita nel cuore degli
uomini fin dalle origini.
112
I Apol. 46, 4. Questa dottrina della legge eterna deriva ancora, oltre che dallo Pseudo-Barnaba, anche
dal Libro di Enoch (cfr. Enc 99, 2).
113
Ripreso soprattutto in Dial. 73, 1.
114
1 Cr 16, 31.
115
Sal, 96, 1.
116
I Apol. 41, 4.

27
cristiani, sia tale da far credere genuini i passi biblici “corrotti”, in contrapposizione con
l’esattezza dei testi giudaici, rifiutati dai cristiani come fasulli117.
Ritenere l’origine della questione legata prettamente allo Pseudo-Barnaba118 è
probabilmente inesatto. Il tema del lignum crucis, infatti, deriva sostanzialmente
dall’Apocalisse di Esdra, un testo ebraico molto importante per la storia della
cristianità: fu scritto da un giudeo in una data compresa tra l’81 ed il 100 d.C.119 e
divenne subito canonico per i cristiani. Fu inserito nella Bibbia come testo ispirato, e fu
considerato tale fino al Concilio di Trento, che lo dichiarò non canonico120. In varie
Bibbie, comunque, fu ancora stampato in appendice, dopo l’Apocalisse di Giovanni, per
altri centocinquant’anni circa. In tale testo si legge, infatti:
«Se però l’Altissimo ti concederà di vivere, lo vedrai pieno di confusione dopo il
terzo (periodo)! D’improvviso il sole risplenderà di notte, e la luna di giorno, dal legno
stillerà sangue, le pietre emetteranno voce, i popoli si agiteranno, l’aere si
muterà…»121
Anche nel libro della Sapienza ricorre un passo in cui si loda il legno122, così
come in Ezechiele123. Per Giustino, dunque, il legno è il trono di Cristo124, e la Scrittura
che egli conosce125 è pervasa di questi elementi.
Nella polemica antigiudaica si vedrà spesso l’accusa di aver corrotto la Scrittura
omettendo, per l’appunto, l’espressione “dal legno”.
Per quanto concerne il resto della seconda parte della Prima Apologia,
trascureremo qui alcuni passi della polemica antigiudaica, in quanto molti di essi si
noteranno meglio nel Dialogo con Trifone.
Infine, nella terza parte dell’Apologia, si trattano sostanzialmente due
tematiche importanti: la falsità dei miti pagani (e tutto ciò che intorno ad essi ruota) e
degli eresiarchi, e i due riti principali del cristianesimo, cioè il battesimo e l’eucaristia.
Per quanto concerne i miti pagani, Giustino muove l’accusa ai poeti dei tempi antichi di

117
Si veda sull’argomento: GIUSTINO, Dialogo con Trifone, cit. p. 246 nota 1.
118
Barn 8, 5; ma soprattutto Barn 12, 1.
119
Il Marrassini propone la data del 100 d.C., in quanto l’autore conosce Domiziano. Non ce la sentiamo,
però, di escludere a priori una composizione nel ventennio precedente al 100 d.C.; cfr. P. MARRASSINI,
Quarto Libro di Ezra, in P. SACCHI (a cura di), Apocrifi dell’Antico Testamento, vol. 2, Torino 2006, p.
244.
120
Cfr. MARRASSINI, in Apocrifi dell’Antico Testamento cit., p. 238.
121
Ap Esd 5, 4 – 5.
122
Sap 14, 7.
123
Ez 37, 19.
124
Ovviamente ci si riferisce al legno della croce.
125
Nota attraverso Testimonia che erano in circolazione al suo tempo.

28
essersi fatti plagiare dai demòni, i quali, avendo saputo dell’imminente nascita di Cristo,
hanno pensato di ingannare l’umanità facendo credere a molti d’essere figli di Zeus126.
Alcuni miti, addirittura, altro non sono se non storpiature delle profezie
veterotestamentarie, come il caso di Bellerofonte che cavalca un Pegaso, deformazione
delle profezie in cui il Messia entra a Gerusalemme su un puledro127; o anche il mito di
Perseo che nasce da una vergine, così come sarebbe dovuto accadere per
l’Emmanuele128.
Sempre nell’ambito delle descrizioni delle falsità, Giustino s’impegna
profondamente nella difesa del cristianesimo “ortodosso” dalle eresie derivanti da
Simone Mago129, Menandro di Samaria130 e Marcione del Ponto131.
Interessante è, inoltre, la descrizione della massima espressione della spiritualità
del cristianesimo: i riti del battesimo e dell’eucaristia. Come ben noto, il battesimo in
origine non si amministrava alla nascita del fanciullo; era necessario, infatti, che chi
riceveva il battesimo fosse preparato nelle Scritture e sapesse bene a cosa andava
incontro abbracciando la fede in Gesù132. Questo fatto è ovviamente rimarcato anche in
Giustino133, il quale descrive il rito del battesimo all’imperatore affinché i cristiani non
vengano malvisti a causa di pratiche sconosciute ai pagani. Ma l’apologeta cristiano non
si limita a questa descrizione, bensì volge l’accusa ai demòni di aver plagiato il
battesimo, dopo averlo conosciuto dal Profeta134. Giustino allude al lavacro obbligatorio
per i sacerdoti che entravano nei templi pagani135. Così, dunque, spiega l’importanza del
battesimo, per poi istruire il lettore sull’eucaristia, celebrata per i soli battezzati136, come
manifestazione del corpo e sangue di Gesù Cristo137. Avviandosi alla conclusione,
l’apologeta descrive i riti del dies solis (cioè della Domenica) in cui i cristiani si
riuniscono e celebrano l’eucaristia, dopo aver però prima letto, studiato e commentato la
Scrittura138.

126
I Apol. 54, 1 – 3.
127
I Apol. 54, 8. Cfr. Zc 9, 9.
128
I Apol. 54, 9. Cfr. Is 7, 14.
129
Che è lo stesso losco personaggio che appare in At 8, 9 – 24.
130
Per Simone e Menandro I Apol. 56, 1 – 3.
131
I Apol. 58, 1 – 3.
132
Cfr. At 1, 5; At 8, 12; At 8, 36 – 40; At 16, 30 – 33; At 18, 8; At 19, 4 – 5; Rom 6, 2 – 3; Gal 3, 26 –
27; Did 7, 1 – 4.
133
I Apol. 61, 2 – 3.
134
In questo caso è bene precisare che il Profeta in questione è Giovanni il Battista; cfr. Mt 11, 9 – 12.
135
I Apol. 62, 1.
136
I Apol. 66, 1.
137
I Apol. 66, 2 – 3.
138
I Apol. 67, 3 – 6.

29
La Prima Apologia si conclude con un appello finale all’imperatore, al quale si
chiede di considerare ciò che gli è stato inviato, altrimenti subirà comunque le
conseguenze delle sue azioni davanti a Dio139. Giustino allega all’apologia la lettera
dell’imperatore Adriano a Minucio Fundano, nella quale si raccomanda equità nei
processi per i cristiani, e chiede ad Antonino il Pio di agire rettamente come proposto
dal padre. Così si chiude, dunque, la Prima Apologia di Giustino.

La Seconda Apologia

Il testo greco conosciuto come Seconda Apologia, indirizzata al senato romano,


è decisamente più breve rispetto al precedente (ma non per questo meno pungente), e da
alcuni è stato ritenuto una continuazione della prima140, anche se è più ragionevole
pensare che sia stata scritta per un motivo occasionale che vedremo a breve.
La stesura di questa apologia si deve al fatto che il prefetto di Roma Lollio
Urbico ed altri governatori avevano scatenato una persecuzione contro alcuni
cristiani141. Tale gesto nasceva da una delazione del marito pagano di una donna
cristiana, la quale era stata costretta a lasciare il consorte a causa delle sue ripetute
azioni orgiastiche142; l’uomo, però, più per dispetto che per altro, denunciò al prefetto il
maestro dell’ex moglie, un cristiano di nome Tolomeo, che Urbico fece condannare a
morte per il solo fatto che questi si professava cristiano143. Dopo tale condanna, però,
dal prefetto si recò un tale di nome Lucio144 che si oppose all’ingiustizia commessa
contro Tolomeo. Avendo Urbico indagato ed avendo scoperto che anche Lucio era
cristiano, lo fece condannare a morte145.
Da questo punto Giustino inizia la sua polemica contro il filosofo cinico
Crescente; con giochi di parole simili a quelli già visti nella Prima Apologia146,
l’apologeta dice che il rivale non è filÒsofow147, bensì è filocÒfow148 e

139
I Apol. 68, 1 – 2.
140
Cfr. GIUSTINO, Apologie, cit., p. 28.
141
II Apol. 1, 1.
142
II Apol. 2, 1 – 7.
143
II Apol. 2, 9 – 14.
144
Da come viene descritto, costui sembrerebbe essere un legionario o comunque un personaggio non
secondario; ma questa è solo una supposizione di chi scrive.
145
II Apol. 2, 16 – 20.
146
Ci si riferisce alla trasposizione di Xristiano‹ in xrhstÒtatoi.
147
Filosofo, vero amante del sapere: il massimo ideale di Giustino è il ricercatore della Verità, quindi il
vero filosofo non può essere che cristiano.
148
Letteralmente: amante delle dicerie.

30
filokÒmpow149; questo filosofo, infatti, testimonia contro i cristiani pubblicamente150 e
lo stesso Giustino verrà condannato per causa di Crescente.
Inutile incitare i cristiani al suicidio per raggiungere quanto prima il loro Dio,
poiché questo offenderebbe la sua volontà di predicare sulla terra151; bensì si deve
tenere presente che il male si diffonde costantemente per opera degli angeli ribelli152 che
si unirono alle donne e così generarono i demòni153, i quali insegnarono malefici
all’umanità154 ed ispirarono i poeti ed i mitologi dell’antichità155.
Ma per Giustino non si può attribuire a Dio un nome specifico156, come per
Zeus, per Hermes, o per Athena; quindi, l’unico degno di un nome è lo stesso Gesù, il
Logos, per mezzo del quale fu creata ogni cosa157 e a motivo del quale Dio non
distrugge ancora il mondo, ma ritarda tale evento affinché tutti possano convertirsi158.
Avviandosi alla conclusione, l’apologeta parla della pena eterna dell’inferno di
fuoco, precisando che queste non sono fantasie, giacché le leggi devono essere fatte
rispettare, a motivo di una pena giusta data da un giusto legislatore, come del resto
avviene anche per gli uomini159. La punizione dei malvagi avverrà nel fuoco160, e la vera
prova di giustizia è quella che danno i cristiani non temendo la morte: pensiero, questo,
che affascinava Giustino già quando era ancora un platonico161.
L’apologia tratta di altre nozioni interessanti, come ad esempio il diluvio162, ed
altri raffronti con il paganesimo.

149
Letteralmente: amante della menzogna.
150
II Apol. 3, 1 – 3.
151
II Apol. 4, 1 – 3.
152
Chiamati più propriamente “Angeli Vigilanti” (cfr. Enc 1, 5; Enc 10, 7) poiché, come spiegato da
Giustino, dovevano vigilare sull’umanità: II Apol. 5, 2.
153
II Apol. 5, 3. Questa affermazione è diversa da I Apol. 5, 2: qui i demòni non sono gli angeli malvagi,
bensì sono i loro figli. Questa in apparenza grave incongruenza deriva sostanzialmente da Enc 15, 3 – 12,
da cui si evince che gli spiriti dei giganti diventano i diavoli che tormentano l’umanità; soprattutto nei
versetti 11 – 12 si afferma: «E gli spiriti dei giganti, dei Nafil oppressori sono corrotti, cadono, sono
violenti, fracassano sulla terra, causano dolore, non mangiano alcun cibo, non soffrono sete e non si fanno
conoscere, si elevano, queste anime, contro i figli degli uomini e contro le donne [perché sono usciti in
tempo di uccisione e di corruzione]». Cfr. P. SACCHI (a cura di), Apocrifi dell’Antico Testamento, vol. 1,
Torino 2006, pp. 489 – 490.
154
II Apol. 5, 4. Cfr. Enc 8, 1 – 3.
155
II Apol. 5, 5. Questa affermazione deriva da Gn 6, 4; da essa Giustino ricava che gli “uomini famosi”
dell’antichità altri non sono se non i figli degli angeli malvagi, quindi i demòni.
156
II Apol. 6, 1 – 2.
157
II Apol. 6, 3.
158
II Apol. 7, 1.
159
II Apol. 9, 1 – 2.
160
Cfr. ad es. Enc 10, 13; Gdt 16, 17; Sal 10, 6; Sal 20, 10; Mc 9, 42 – 48; Ap 14, 10; Ap 20, 10; Ap Esd
7, 36 – 38.
161
II Apol. 12, 1.
162
II Apol. 7, 2 – 4.

31
La Seconda Apologia si chiude con la richiesta al senato di approvare lo scritto
affinché possa essere pubblicato163.

Il martirio di Giustino

La vita di questo grande filosofo del cristianesimo si chiuse con la “perfezione”


del martirio, avvenuto intorno al 165 d.C. a Roma.
La principale notizia della sua morte ci giunge da un testo in greco, redatto
presumibilmente pochi anni dopo questo evento: il testo è noto come Acta Iustini164.
Da tali Atti apprendiamo che Giustino, insieme a Caritone, a Carito, ad
Evelpisto, a Ierace, a Peone ed a Liberiano, furono condotti dinanzi al prefetto di Roma,
Rustico165, il quale li interrogò brevemente sul loro stile di vita e su quali fossero le loro
credenze. Giustino rispose che egli aveva cercato di praticare svariati principi, quindi
riassunse il suo percorso filosofico, fino alla scoperta di quelli veritieri cristiani, che,
disse l’apologeta, non trovano consenso presso coloro che hanno errate opinioni. Così
Giustino si dimostrò polemico verso i pagani fino alla fine166. L’interrogatorio proseguì
con tono autoritario da parte del prefetto, che voleva sapere da Giustino in quale luogo
si riunissero i cristiani. Ma la risposta, beffarda come sempre, fu che era impossibile che
tutti i cristiani si riunissero in un sol luogo, vista la grande moltitudine della gente167.
Nuovamente interrogato sull’argomento, Giustino indicò genericamente il luogo di
riunione della sua comunità presso i bagni di Mirtino, cioè presso casa sua168. Seguì
l’interrogatorio degli altri, i quali dichiararono tutti di essere cristiani. Infine, Rustico
chiese a Giustino se fosse convinto che, dopo la condanna, sarebbe salito in cielo. Alla
risposta affermativa dell’apologeta169, il prefetto sentenziò:
«Quanti non hanno voluto sacrificare agli dèi siano fustigati e condotti
all’esecuzione secondo la procedura di legge»170.
Giustino morì decapitato171 dopo essere stato fustigato, con la forza di chi aveva
difeso strenuamente i principi in cui credeva, e sostenuto da Dio e dalla fede in Lui.

163
II Apol. 14, 1 – 2.
164
Ci si rifà qui per il testo a: A.A.R. BASTIAENSEN - A. HILHORST - G.A.A. KORTEKAAS - A.P. ORBÀN -
M.M. VAN ASSENDELFT (a cura di), Atti e Passioni dei Martiri, s.l. 2007, pp. 52 – 57.
165
Act. Iust. 1, 1.
166
Act. Iust. 2, 3.
167
Act. Iust. 3, 1.
168
Act. Iust. 3, 3.
169
Act. Iust. 5, 1 – 2.
170
Cfr. Atti e Passioni dei Martiri cit., p. 57; Act. Iust. 5, 6.

32
Capitolo III
Il Dialogo con Trifone

§ 1. Introduzione alle tematiche del Dialogo con Trifone

La maggiore opera di Giustino a noi pervenuta è senza dubbio il famoso e ben


noto Dialogo con Trifone. Questo testo, redatto in greco presumibilmente intorno al 160
d.C.172, è indubbiamente la più antica opera antigiudaica a noi pervenuta173. La
strutturazione si presenta con un prologo (capp. 1 – 9), importantissimo e da noi già
analizzato nel capitolo precedente, seguito dal vero e proprio corpo dell’opera (capp. 10
– 141), in cui si narrano due giornate174 di dibattito con il giudeo Trifone, e che si
chiude con il commiato finale (capitolo 142). Rispetto ad altre opere del III secolo, ma
anche ad un testo fondamentale come La Pasqua di Melitone di Sardi175, il Dialogo è
sostanzialmente inorganico nella sua stesura. Giustino, in questo testo, non dimostra la
stessa eloquenza e la stessa maestria letterarie evidenziate nelle due apologie, ma anche
nel prologo stesso. Molto spesso, infatti, è prolisso e ripetitivo, accenna a varie
tematiche senza poi però affrontarle, per poi riprenderle successivamente. Esempio
degno di questa inorganicità è certamente la questione della nascita verginale di Cristo,
profetizzata da Isaia nel famoso versetto:
fidoÁ ≤ pary°now §n gastr‹ ßjei ka‹ t°jetai uflÒn, ka‹ kal°seiw tÚ ˆnom
a aÈtoË
Emmanouhl 176.
Giustino affronta inizialmente la questione in Dial. 68, 6 in cui l’apologeta
apostrofa Trifone promettendogli una rapida dimostrazione di come questa profezia

171
Il fatto che la morte fosse per decapitazione si evince da Act. Iust. 5, 1.
172
Il Drobner, insieme alle due apologie, colloca il Dialogo tra il 150 ed il 160 (cfr. DROBNER, Patrologia
cit., p. 132), mentre il Visonà è più preciso nel collocarlo al 160 (cfr. nota 76).
173
La Lettera di Barnaba, infatti, per quanto intrisa di polemica antigiudaica, non è un testo che può
essere considerato polemico in tal senso. L’opera antigiudaica più antica in assoluto è invece la Disputa di
Giasone con Papisco.
174
La suddivisione in due giornate non è più evidente nel testo in nostro possesso, a causa di una
gravissima lacuna alla fine del capitolo 74, che deve essere molto estesa: in essa vi era la fine della prima
giornata e l’inizio della seconda. Di recente Giorgio Otranto ha pubblicato il ritrovamento di un
frammento appartenente a questa lacuna. Su tutto l’argomento si veda GIUSTINO, Dialogo con Trifone,
cit. p. 19 e p. 249 nota 1.
175
In cui è immancabile una nota di polemica antigiudaica che, nel III secolo, verrà letta come accusa di
deicidio verso il popolo ebraico; cfr. nota 88.
176
Is 7, 14.

33
fosse riferibile al Cristo e non piuttosto ad Ezechia177, al contrario di quanto gli aveva
detto Trifone in Dial. 67, 1 accusando tra l’altro i cristiani di aver letto male la
Scrittura178, ma subito si perde in discorsi che esulano da tale dimostrazione e sfociano
direttamente nel tema preferito di Giustino: le opere del diavolo e dei demòni,
specialmente nell’elaborare i miti pagani179. La questione viene ripresa in Dial. 71, 3,
per essere però subito abbandonata perché Trifone180 sposta l’argomento sulle presunte
omissioni degli ebrei nella Scrittura, e quindi si sfocia nella tematica del lignum crucis
già vista sopra.
L’argomento della nascita verginale, finalmente, è riaffrontato e risolto solo in
Dial. 84, 1 – 4181 con un esame organico.
Nonostante questi costanti sbalzi d’argomento, è possibile individuare tre parti
fondamentali nel corpo centrale del Dialogo. La visione della Legge per i giudei e per i
cristiani (capp. 10 – 30)182, la figura di Gesù come Messia e come Cristo di Dio (capp.
31 – 108) ed infine la tematica della chiamata delle genti alla mensa di Giacobbe, cioè
del popolo cristiano che è divenuto il Nuovo Israele (capp. 109 – 141).
Una tematica filologica davvero molto importante è costituita da due punti: la
veridicità storica di quanto narrato nel Dialogo e la figura di Trifone.
Circa il primo punto, la questione è molto controversa, soprattutto nell’ottica
della critica contemporanea. Infatti la composizione di opere antigiudaiche è stata vista
in modo decisamente vario e contrastante fra i vari studiosi, passando dall’estremo dello
scontro costante tra giudei e cristiani puntualmente registrato dalla letteratura183

177
Ezechia fu re d’Israele tra il 716 ed il 687 a.C. (2 Re 18, 1 – 2; 2 Cr 29, 1) e fu contemporaneo del
profeta Isaia. È famoso per essere stato degno di grande santità (2 Re 18, 3; 2 Cr 29, 2), per aver distrutto
il famoso serpente di rame di Mosè (il serpente di Nm 21, 5 – 9 che, al tempo di Ezechia, era venerato
come un dio e gli si offriva incenso, ed era chiamato Necustan; 2 Re 18, 4) e per aver tenuto testa a
Sennacherib (2 Re 18, 13 – 17; 2 Cr 32, 1 – 8). Questa forma di esegesi è ignota a noi, sia dalle vicende
bibliche che riguardano Ezechia che soprattutto dal Talmud (è presente nelle fonti solo un legame non
netto, ma velatamente descritto, e riguardante non una vergine, ma una fanciulla); questo non esclude,
però, che Giustino abbia conosciuto questa lettura della profezia. Cfr. GIUSTINO, Dialogo con Trifone, cit.
p. 231 nota 2.
178
Ci riferiamo alla traduzione dall’Ebraico del termine "almah" (= fanciulla), che nella Settanta viene
reso con pary°now, inteso col significato di “vergine” da parte dei cristiani. Trifone qui si rifà invece alla
più recente traduzione in greco fatta da Aquila intorno al 130 d.C, che ha nean¤aw.
179
Dial. 69, 1 – 3 e sgg.
180
Teniamo ben presente che anche Trifone è Giustino, cioè l’autore del Dialogo; quindi è lo stesso
Giustino che evita nuovamente l’argomento.
181
Quindi dopo l’estesissima lacuna del capitolo 74, e dunque il giorno dopo!
182
Che è comunque la parte più organica fra le tre.
183
Come ricordato da G. Otranto, Williams nega una “Letteratura Antigiudaica”, ma pensa ad una serie
di opere composte ogni volta ad hoc per situazioni sempre nuove di scontro (cfr. G. OTRANTO, Giudei e
Cristiani a Cartagine tra II° e III° Secolo, L’Adversus Iudæos di Tertulliano, Bari 1975, p. 92); e, come

34
all’estremo in cui tutta la polemica è una pura finzione, utile solo ai cristiani per
chiarificarsi i dubbi che si ponevano da sé nel confronto col giudaismo, non senza un
fine apologetico verso i pagani184.
Per quanto riguarda il Dialogo con Trifone, è questo un testo scritto da Giustino
per un certo Marco Pompeo185 e, come detto sopra, redatto intorno al 160 d.C.,
presumibilmente dopo la Seconda Apologia, e dunque composto a Roma. Se riteniamo
vera l’affermazione di Eusebio di Cesarea, secondo cui l’opera è la registrazione di un
reale dibattito avvenuto ad Efeso, è ragionevole pensare che Giustino abbia scritto il
testo svariati anni dopo l’avvenimento del fatto. La cronologia comunemente accettata
di quello che sarebbe stato il reale discorso con Trifone fa pensare che essp sia avvenuto
tra il 130 ed il 140 d.C.186; l’apologeta cristiano, quindi, avrebbe composto l’opera circa
30 (o 20) anni dopo il reale avvenimento.
Questo, ovviamente, induce a pensare che Giustino non si poneva di certo un
fine cronachistico nello scrivere il Dialogo con Trifone! Alcuni hanno proposto di
considerare il Dialogo come un’opera composta per “distruggere” le posizioni giudaiche
dinanzi ad un incalzante Giustino (al quale poco o nulla s’oppone la figura di Trifone),
elaborata non a fine antigiudaico, bensì a fine apologetico verso i pagani e ad avallo
degli stessi cristiani nei loro dubbi spontanei circa i rapporti col giudaismo187; altri
hanno invece visto nel Dialogo un’opera studiata sostanzialmente per opporsi alle
tematiche giudaiche, basandosi sulla registrazione di un avvenimento realmente
accaduto e non costruito come finzione letteraria188.
Ciononostante è da registrare obiettivamente che il Dialogo non può essere un
testo scritto con finalità apologetiche verso i pagani: non è infatti indirizzato a nessuna
autorità romana, né tanto meno ai pagani189: non è pensabile che un testo di quel genere,
peraltro molto articolato sui temi della legge giudaica, potesse essere d’interesse per

ricordato da G. Visonà, così anche Simon, che conferma le tesi di Williams (cfr. GIUSTINO, Dialogo con
Trifone, cit. p. 52).
184
Come ricordato sia da Otranto che da Visonà, von Harnack è un tenace assertore dell’inesistenza di
uno scontro reale con i giudei (cfr. OTRANTO, Giudei e Cristiani a Cartagine tra II° e III° Secolo cit., p.
92; GIUSTINO, Dialogo con Trifone, cit. p. 51).
185
Come ben si evince da Dial. 141, 5; la dedica è accennata anche nel Prologo, in Dial. 8, 3, ma ivi non
compare il nome di Marco Pompeo.
186
Cfr. GIUSTINO, Dialogo con Trifone, cit. p. 54 nota 36.
187
Ibidem pp. 53 – 54.
188
Ibidem pp. 54 – 55.
189
Cosa che è invece presente nelle Apologie: si veda l’indirizzo ad Antonino il Pio in Giustino I Apol. 1,
1; l’indirizzo al senato romano in Giustino II Apol. 14, 1; II Apol. 15, 2; l’indirizzo ad un maestro pagano
come Diogneto scritto dall’Anonimo autore del testo in A Diogn. 1, 1; l’indirizzo ai magistrati del popolo
romano in Tertulliano Apol. 1, 1; l’indirizzo a tutti i pagani in Tertulliano Ad Nat. I, 1, 1 – 2; e molti altri
esempi si potrebbero portare.

35
qualche pagano190. D’altro canto, non è nemmeno pensabile che l’opera sia diretta solo
ed esclusivamente ai giudei, visti come diretti rivali dei cristiani; questo perché il
Dialogo è dedicato e diretto a Marco Pompeo191, certamente un cristiano. Come logica
implicazione, il Dialogo potrebbe essere diretto anche alle sette dei giudeocristiani, cioè
ad un gruppo di cristiani non ortodossi.
L’opera, quindi, è diretta sia a giudei delle comunità romane che ai cristiani,
come ipotetico chiarimento su eventuali dubbi correlati con i raffronti con la legge
mosaica. Il Dialogo, dunque, è certamente scritto sulla base di un incontro realmente
accaduto, magari registrato da Giustino in qualche diario, usato però come pretesto
letterario per dirimere altre questioni: da qui la sua inorganicità, giacché i brani del
diario vengono mischiati con altri brani tratti da testimonia vari.
Circa il secondo punto accennato prima, cioè la figura di Trifone, la questione
s’incentra su un tentativo, fatto da Eusebio di Cesarea, di indicare questo personaggio
come un rabbino, e più precisamente come il più illustre fra i rabbini presenti al tempo
di Giustino; sulla base di queste affermazioni, si è voluto cercare di identificare Trifone
con Tarfone, un noto rabbino del II secolo d.C.; oggi, però, questa ipotesi è stata
totalmente abbandonata192.
Più valida è la definizione fatta da Goodenough, che condivido, che descrive
Trifone come un “uomo di paglia”193. La figura dell’interlocutore dell’apologeta
cristiano è quella di un bersaglio comodo per Giustino, giacché quasi mai lui si oppone
a quello che, a volte, pare essere più un monologo che un dialogo. Da questo deduciamo
quanto poco possa essere attendibile il ritenere il Dialogo con Trifone una cronaca di un
evento storico; è impensabile che, ad alcune veementi accuse di Giustino, reputate da
molti contemporanei come un triste contributo all’antisemitismo194 della Chiesa verso i

190
L’unico argomento a favore di un interesse apologetico può essere quello evidenziato nella necessità di
dimostrare l’antichità del culto, già evidenziato in EHRMAN, I Cristianesimi perduti cit., pp. 148, 231, 242
– 243. Ciononostante la cosa viene già brillantemente fatta da Giustino nella Prima Apologia, senza
discorsi prolissi e soprattutto inorganici, che più che altro confonderebbero le idee di un pagano.
191
Con ottime probabilità si tratta di un pagano convertito al cristianesimo.
192
Vista la debolezza lampante di Trifone, e visto il suo profilo caratteriale, è impensabile identificarlo
come un rabbino, tantomeno come il più illustre dei rabbini; cfr. GIUSTINO, Dialogo con Trifone, cit. p. 55
nota 37 e l’accenno a p. 244 nota 1.
193
La citazione di E.R. Goodenough è tratta da GIUSTINO, Dialogo con Trifone, cit. p. 53.
194
Si faccia attenzione a non confondere l’antisemitismo con l’antigiudaismo! Per antigiudaismo
intendiamo lo scontro tra giudei e cristiani sul tema esegetico e teologico; l’antisemitismo, invece, è la
pura violenza fisica e materiale ai danni degli ebrei per motivi razziali. Sull’argomento si veda la lettura
di M. PESCE, Antigiudaismo nel Nuovo Testamento e nella sua utilizzazione. Riflessioni Metodologiche,
in “Annali di Storia dell’Esegesi” 14/1 (1997) 11 – 38, pp. 13 e sgg.

36
giudei195, Trifone non solo opponga poca o nulla resistenza verbale, ma a volte non
opponga proprio resistenza! Sarebbe stato più logico, per alcune accuse, come quelle
incredibilmente “cattive” di Dial. 112, 1 – 5196, che Trifone quantomeno se ne andasse,
o, peggio, facesse scoppiare una rissa! Invece, non solo l’ebreo incassa il colpo, ma non
dice parola per svariati altri capitoli, lasciando a Giustino campo libero per continuare
ad accusare gli ebrei!

§2. L’Antico Testamento nel confronto tra giudei e cristiani

Il terreno di scontro più aspro tra giudaismo e cristianesimo, indubbiamente, fu


quello dell’Antico Testamento. Scriveva Simon Wiesenthal nel 1995: «Voi cristiani ci
avete già preso la Bibbia, i profeti e i salmi. Lasciateci questo cimitero»197. Questa frase
è alquanto eloquente e ben descrive ciò che poi è stato il risvolto della polemica
antigiudaica più propriamente improntata sulla Scrittura: l’impossessamento da parte
cristiana di quei testi biblici che, prima, appartenevano esclusivamente al popolo
ebraico.
Se i giudei hanno vissuto come scippo questa situazione, i cristiani invece lo
hanno rivendicato come eredi di tali Scritture; e tale eredità è stata data da Gesù, che ha
rivolto il suo messaggio ad ogni popolo della terra piuttosto che solo al popolo ebraico il
quale, invece, ha fatto “ciò che è male agli occhi del Signore”198.
Ebbene Giustino è l’iniziatore di questo “scippo”, o, per i cristiani, “rivendicazione”.
Ma, come abbiamo già visto sopra, in realtà la faccenda è molto più complessa, poiché
viene contestata agli ebrei la manomissione della Scrittura, come ad esempio nella questione del

195
Come evidenzia il Visonà, così afferma B.Z. Bokser per la critica ebraica, ma anche Hoffmann e Joly
per la critica cristiana; cfr. GIUSTINO, Dialogo con Trifone, cit. pp. 47 – 49.
196
Affermazioni che criticano duramente sia l’esegesi biblica dei giudei, sia gli insegnamenti dei loro
maestri sia l’intelligenza stessa dei giudei. A titolo d’esempio cito: «[…] si fa come i vostri maestri, che si
limitano a spiegarvi perché nel tal passo non si parla di cammelli femmina o che cosa s’intende per
cammelli femmina, […] danno queste spiegazioni in modo meschino e terra terra, mentre quello che
sarebbe veramente importante e meritevole di indagine non osano né parlare né dare spiegazioni, e
quando noi diamo le nostre, di interpretazioni, vi intimano di non prestare assolutamente ascolto […]»
(Dial. 112, 4).
197
Citazione di un passo apparso sul quotidiano La Stampa il 28 Gennaio 1995; tratto da G. GARDENAL,
L’antigiudaismo nella letteratura cristiana antica e medievale, Brescia 2001, p. 17.
198
Dt 4, 25; Dt 9, 18; Dt 17, 2; Dt 31, 19; Gdc 2, 11; Gdc 3, 7; Gdc 3, 12; Gdc 4, 1; Gdc 6, 1; Gdc 10, 6;
1Re 14, 22; 1Re 15, 26; 1Re 15, 34; 1 Re 16, 19; 1Re 16, 25; 1Re 16, 30; 1Re 21, 10; 1Re 22, 53; 2 Re
3, 2; 2 Re 8, 18; 2 Re 8, 27; 2Re 13, 2; 2Re 13, 11; 2Re 14, 24; 2Re 15, 9; 2Re 15, 18; 2Re 15, 24; 2Re
15, 28; 2Re 17, 2; 2Re 17, 17; 2Re 21, 6; 2Re 21, 16; 2Re 21, 20; 2Re 23, 32; 2Re 23, 37; 2Re 24, 9; 2Re
24, 29; 2Cr 21, 6; 2Cr 22, 4; 2Cr 29, 6; 2Cr 33, 2; 2Cr 33, 6; 2Cr 33, 22; 2Cr 36, 5; 2Cr 36, 9; 2Cr 36,
12; Bar 1, 22. Questa espressione ricorre 49 volte nella Bibbia (48 in quella ebraica, giacché in essa, al
Concilio di Jamnia, il libro di Baruch fu rigettato).

37
lignum crucis. Questo deriva semplicemente dalla profonda differenza di fonti utilizzate dalle
due parti.
Gli ebrei si basavano sostanzialmente su:
• Scritture in lingua ebraica, ritenute canoniche al Concilio di Jamnia;
• Talmud e letteratura midrašica.
I cristiani si basavano invece su:
• Traduzione greca dell’Antico Testamento, detta Septuaginta;
• La considerazione canonica dei libri di Enoch e dell’Apocalisse di Esdra;
• Testimonia di varia origine e composizione;
• Targumim199 e midrašim200.
Ovviamente, a causa di queste palesi diversificazioni di fonti, anche i testi letti
dalle due parti erano, in alcuni punti, diversi. Da qui nascono punti di scontro e
divergenza, ma non per malafede dell’una o dell’altra parte, bensì semplicemente
perché leggendo libri diversi era impossibile ottenere una medesima lettura obiettiva (o
anche soltanto soggettiva).
Principali punti di discordanza fra le fonti di riferimento sono:
• La composizione del canone veterotestamentario: quello di Jamnia è più breve
della Settanta, il quale ha in più ben 16 libri201 rispetto al testo ebraico.
• La discordanza di esegesi in alcuni punti, come il passo già visto sopra di Isaia
7, 14, in cui il gli ebrei leggono fanciulla e i cristiani leggono vergine.
• La profonda differenza di esegesi, influenzata da una parte da quanto stabilito
dai Tannaim, dall’altra da quanto scritto come commento nei testimonia.
• L’accusa da parte cristiana di modifiche alla Scrittura, operate invece dagli stessi
autori dei Targumim.
• La Birkat haminim dei giudei rivolta verso i cristiani.
La parte cristiana, inoltre, faceva uso dei testimonia come si fa oggi con i lezionari:
poteva capitare, quindi, che si desse più credito a testi ricopiati da non si sa chi202 in
funzione liturgica, piuttosto che alla versione ufficiale della Settanta.

199
Si tratta di rimaneggiamenti della Scrittura, con aggiunte, soppressioni o modifiche varie; cfr.
GIUSTINO, Dialogo con Trifone, VISONÀ (ed.), cit. p. 63.
200
Si tratta di passi inesistenti nella Scrittura, composti con aggregamento di parti varie fra loro, od anche
mediante trascrizione di tradizioni orali; cfr. GIUSTINO, Dialogo con Trifone, VISONÀ (ed.), cit. p. 63.
201
Molti di questi oggi Canonici per i Cattolici, mentre alcuni sono stati esclusi anche dal Canone
Romano – Tridentino; sopravvivono integralmente Canonici per gli Ortodossi.
202
Molti testimonia potevano essere pieni di errori e contraddizioni. A questo si aggiunga la mancanza di
garanzia di un copista noto; talvolta, infatti, ci si improvvisava copisti.

38
Nei paragrafi successivi, esaminando il Dialogo, vedremo alcuni punti di scontro
proprio sull’Antico Testamento.

§3. Il Nuovo Testamento nella polemica antigiudaica del II secolo d.C.

Circa il tema del Nuovo Testamento mi limiterò giusto ad un accenno sulle varie
questioni che lo riguardano.
Sopra abbiamo ricordato che non è mai esistito un solo cristianesimo, per lo
meno alle sue origini. Questo fatto ha ovvi riflessi sul piano letterario: il Nuovo
Testamento, infatti, non è altro che una raccolta di testi ritenuti sacri dal gruppo dei
cristiani proto-ortodossi, cioè dal gruppo che ha vinto la battaglia per affermare la
propria dottrina; questo ha provocato e la scomparsa di molti altri testi dei primissimi
secoli della cristianità203, soprattutto di vangeli, che alcuni gruppi di cristiani
conservavano e tenevano cari come vera e propria Scrittura204.
Un caso eclatante è quello verificatosi ad Antiochia circa quarant’anni dopo il
martirio di Giustino: il vescovo Serapione era andato in visita alla comunità di Rosso, la
quale faceva uso di un testo evangelico scritto da Simon Pietro in persona205. Il vescovo
accolse di buon grado il fatto che la comunità utilizzasse un testo scritto da un così
importante apostolo del Cristo. Quando, però, alcuni delatori fecero presente che il testo
conteneva alcune eresie, Serapione lesse il vangelo e ne proibì l’uso ai cristiani di
Rosso206.
Ma veniamo, dunque, all’autore del nostro Dialogo con Trifone. Giustamente,
osserva Ehrman, Giustino non ha assolutamente cognizione dei Vangeli come Scrittura,
ma solo come “Memorie degli Apostoli”, mentre Ireneo di Lione, che scrive circa
trent’anni più tardi di Giustino, riconosce i Vangeli come autorità scritturale; e nello
stesso punto Ehrman rileva che Giustino non considera quasi mai Paolo, probabilmente
perché veniva usato da Marcione207. Questo ci serve per dire che Giustino è fortemente
condizionato dalla lotta contro gli eretici, che al suo tempo proliferavano e con i quali
poi si scontrò, come è ricordato anche nelle due apologie. Sopra abbiamo fatto presente

203
Come limite massimo per la canonicità di un testo si accetta una data che non vada oltre il 150 d.C.
204
Come puntualmente rilevato da EHRMAN, I Cristianesimi perduti cit., p. 31.
205
Trattasi del famoso Vangelo di Pietro, testo docetista del II secolo d.C.
206
Per tutto l’argomento e per approfondimenti si legga EHRMAN, I Cristianesimi perduti cit., pp. 33 e
sgg.
207
Cfr. EHRMAN, I Cristianesimi perduti cit., pp. 299 – 300.

39
che il Dialogo è dedicato ad un certo Marco Pompeo, e l’opera non è diretta
esclusivamente ai giudei, ma anche alle sette più radicali del giudeocristianesimo, che
certamente dovevano avere in Roma una loro base e che potevano così creare dubbi ed
incertezze anche nei cristiani proto-ortodossi. Il testo cardine di queste comunità era
indubbiamente il famosissimo Vangelo secondo gli Ebrei, un’opera antichissima (oggi
perduta) che fu al centro di svariate polemiche e fu sul punto di essere considerato un
vangelo pari ai canonici208. Il testo, addirittura, fu tradotto da Girolamo molto più tardi,
che lo considerava come se fosse l’originale ebraico del Vangelo secondo Matteo209. Un
testo come questo, che lo Pseudo-Cirillo dichiara espressamente essere il quinto
Vangelo210, era il baluardo di una più estesa cerchia di persone collegate alla setta dei
farisei convertiti al cristianesimo, che predicava ancora la circoncisione e il rispetto
della legge di Mosè211. La teologia di questi cristiani differiva profondamente da quella
di Giustino, e la sottigliezza conciliante da essi utilizzata, ha fatto giungere il testo
(considerato l’originale del Vangelo di Matteo) addirittura fino a Girolamo212, che
afferma ve ne fosse una copia nella biblioteca di Cesarea.
Per Giustino, quindi, anche coloro che praticavano la legge mosaica, seppur
cristiani, erano considerati espressamente bersagli. L’apologeta muove un’accusa verso
chi si circoncide, come ben si evince in Dial. 19, 1 – 5, e lancia una frecciata anche ai
giudeocristiani: l’apologeta cristiano, infatti, dichiara che la circoncisione della carne è
segno utile a Dio “affinché il popolo sia non-popolo e la nazione non più nazione”213.
La duplice definizione di popolo e nazione è così esplicabile: i cristiani si definivano il
popolo di Dio, ma, se si circoncidevano, diventavano non-popolo; altrettanto i giudei,
che sono la nazione che Dio promise ad Abramo214, se non convertiti diventano non-
nazione.
Non sia considerata, questa, una forzatura, bensì una forte esigenza delle
comunità cristiane ortodosse: se, infatti, queste volevano essere riconosciute da parte
dei romani, non potevano accettare di mostrarsi divise e non concordi, in continua lotta
intestina, ma dovevano piuttosto mostrare di avere una unica esegesi biblica, e se
vogliamo dirla alla maniera ebraica, una unica halakah, che denotasse inoltre grande

208
Sull’argomento si veda MORALDI, Tutti gli Apocrifi del Nuovo Testamento, Vangeli cit. pp. 431 e sgg.
209
Cfr. MORALDI, Tutti gli Apocrifi del Nuovo Testamento, Vangeli cit. p. 432.
210
Cfr. CRAVERI (ed.), I Vangeli Apocrifi cit., pp. 275 – 276.
211
Cfr. BROWN - MEIER, Antiochia e Roma cit. pp. 11 – 12.
212
Eloquente è ciò che dice Girolamo nel Capitolo III del De Viris Illustribus.
213
Dial. 19, 5.
214
Si veda ad es. Gn 17, 20.

40
antichità di culto. Come sarebbero apparsi altrimenti i proto-ortodossi agli occhi dei
romani dinanzi a gruppi di giudeocristiani che, molto più di loro, praticavano
degnamente la legge di Mosè? Non avrebbero certamente ritenuto più autorevoli quelli,
piuttosto che i seguaci della dottrina proto-ortodossa? La polemica antigiudaica, in
questo senso, ha un peso non indifferente.
Per concludere, ed anche per dare un riferimento utile, diremo che il Nuovo
Testamento, così come lo conosciamo oggi, non è assolutamente frutto di accurati anni
di concili delle varie Chiese, bensì estrapolazione quasi tacita della famosissima Lettera
Festale 39, composta da Atanasio di Alessandria intorno al 367 d.C., ed inviata alle
comunità della sua diocesi per comunicare la data della Pasqua e per imprimere
finalmente quali fossero, secondo la sua esperienza e secondo quanto egli vedeva nel
mondo cristiano, le vere Scritture Neotestamentarie215.

§4. La prima parte del Dialogo: la Legge di Mosè

Dopo queste considerazioni, veniamo ad esaminare come propriamente


incomincia il più importante Dialogo del II secolo d.C.
La prima parte dell’opera è certamente la più breve e la meno articolata, e
consente un esame meglio condotto rispetto a come potremo fare per le altre due
sezioni, per le quali vedremo solo le tematiche principali, sia per brevità che per dare al
lettore la possibilità di valutare attentamente la visione del pensiero di Giustino.
Nel capitolo 10, che è dopo il prologo, Trifone inizia il dibattito opponendosi a
Giustino. Le affermazioni del giudeo sono certamente tali da dare serietà al dibattito, in
quanto egli dice di non rifarsi alle turpi affermazioni fatte dai pagani216, bensì di aver
letto i Vangeli217 e di aver constatato la bontà delle cose ivi scritte, anche se impossibili
da seguire, e nonostante tutto di non condividere la totale inosservanza della legge
mosaica da parte dei cristiani, visto che questa era l’unico simbolo dell’alleanza con

215
Malgrado le resistenze che ci furono ancora dopo, come ad esempio quelle di Didimo il Cieco,
prevalse la scuola di Atanasio: la composizione del Nuovo Testamento, che spesso si vanta essere stata
fatta nel II secolo d.C., è invece frutto della singola opinione di una sola persona. Sull’argomento si legga
EHRMAN, I Cristianesimi perduti cit. pp. 288 – 289.
216
Trifone si riferisce alle accuse di infanticidio e di incesto rivolte ai cristiani dai pagani; cfr. Dial. 10, 2.
217
Per Giustino i Vangeli, o meglio, le “Memorie degli Apostoli” che hanno maggior valore sono
sostanzialmente il Vangelo secondo Matteo ed il Vangelo secondo Luca; minimo l’influsso di Marco, e
quasi del tutto nullo l’influsso di Giovanni, che probabilmente Giustino ritiene apocrifo. Cfr. GIUSTINO,
Dialogo con Trifone, cit. p. 69.

41
Dio218. La risposta di Giustino non si fa attendere, e diventa veemente fin da subito. In
vari concetti, organicamente esposti, egli di fatto tratta due temi: l’abrogazione della
legge di Mosè e la fine dell’Alleanza con gli ebrei, e la necessità del battesimo per la
redenzione dei peccati. Se una nuova legge entra in vigore, e va in contrasto con una
precedente, ovviamente la nuova abroga la vecchia; e stessa cosa dicasi per
un’alleanza219. E, citando Isaia, ma soprattutto Geremia220, l’apologeta accusa i giudei
di non aver colto nelle profezia l’imminente arrivo del Salvatore, la vera Legge di Dio,
la vera alleanza per i popoli. Grazie a questa nuova alleanza, Abramo sarebbe diventato
padre di molti popoli, come già annunziato da Dio221. Così facendo Giustino rivendica
non solo l’alleanza vera ed esclusiva con Dio, ma anche la discendenza d’Abramo. A
questo punto ci si aspetterebbe una logica reazione di Trifone, che potrebbe
argomentare su varie questioni, soprattutto sull’esegesi dei passi biblici citati
dall’apologeta cristiano, ma, incredibilmente, il giudeo tace e incassa il colpo222. Da
questa inerzia dell’interlocutore, Giustino ha il trampolino di lancio per tuffarsi in una
serie di accuse che, realisticamente, avrebbero dovuto provocare quanto meno una
reazione, ma che invece vengono brillantemente (direi quasi “stoicamente”) sopportate
da Trifone: i giudei, pertanto, per l’incapacità d’aver colto l’invito di Isaia al battesimo
di conversione223 e per la stessa incapacità di cogliere le profezie in genere, Giustino
reputa i giudei sordi, ciechi ed ottusi224, tant’è che per lavare le loro colpe ed i loro
delitti non basterebbe nemmeno tutta l’acqua del mare225.
L’esortazione dell’apologeta è, dunque, quella di convertirsi al cristianesimo e di
accettare umilmente il battesimo nel nome di Gesù, unica via di salvezza226.
Nei passi successivi si riscontra ancora una certa veemenza nelle accuse mosse
da Giustino ai giudei, come nel celebre passo in cui si legge che gli ebrei sono rei di
aver ucciso il Cristo e prima di lui tutti i profeti227, così di aver diffamato i cristiani più

218
Dial. 10, 2 – 4.
219
Dial. 11, 2.
220
In Dial. 11, 3 è citato Ger 31, 31 – 32.
221
Dial. 11, 5.
222
Da questo momento in poi, per tutto il Dialogo, Trifone diventerà l’uomo di paglia di cui abbiamo
parlato sopra, citando il Goodenough; cfr. nota 193.
223
Invito che non è assolutamente espresso nei passi citati, se non dal verbo loÊv, che tradizionalmente i
cristiani vedevano associato al battesimo. Dial. 12, 1 – 3; cfr. GIUSTINO, Dialogo con Trifone, cit. p. 115.
224
Dial 12, 2.
225
Dial. 13, 1.
226
Dial. 14, 1 – 2.
227
Dial. 16, 4; da questa opinione nasceranno le durissime espressioni di Melitone di Sardi, che
sfoceranno nell’accusa di deicidio nel III secolo d.C.; cfr. nota 71. In questo stesso passo c’è la famosa
allusione alla Birkat haminim.

42
di tutti gli altri popoli e di aver sparso il seme dell’odio verso Gesù attraverso la
menzogna in tutto il mondo228.
Queste affermazioni, che porterebbero all’esaurimento della pazienza di
chiunque, sembrano quasi non interessare a Trifone che, puntualmente, continua a
rimanere zitto ad incassare colpi229.
Giustino, non pago, punta a dimostrare l’inutilità dei sacrifici giudaici, dati ai
giudei come punizione per la durezza del loro cuore, giacché Dio non ne ha mai avuto
bisogno230. Qui è palese anche l’accusa rivolta ai giudeocristiani di matrice farisaica, i
quali sostenevano che senza praticare i sacrifici non vi è salvezza.
Giustino prosegue lanciando un’accusa verso i giudeocristiani, assimilandoli ai
marcioniti, quando afferma che ammettere che Dio ha bisogno di sacrifici è come
ammettere l’esistenza di due déi diversi: al tempo di Enoch, infatti, non erano richiesti
sacrifici, bensì sono stati dati ai soli giudei per colpa delle loro azioni, e non per
necessità di Dio231. Con questo stratagemma, agli occhi dell’apologeta cristiano, tutti
coloro che non la pensano come lui (fossero essi ebrei, giudeocristiani, marcioniti o
quant’altro) vengono accomunati nella stessa cerchia.
Le ulteriori accuse di Giustino, specialmente trattandoli la questione dei tempi
della Legge, provocano finalmente una timida e debole reazione di Trifone, che chiese
all’apologeta con quale criterio egli potesse affermare che i giudei non avrebbero
ereditato nulla sul monte santo232. Giustino nega d’aver mai asserito che i giudei non
erediteranno nulla, bensì l’eredità sarà tolta solo a coloro che hanno perseguitato il
Cristo, continuano a perseguitarlo e si ostinano a non riconoscerlo233.
Nonostante ulteriori repliche di Trifone234, Giustino, non ritenendo di dover
rispondere alle obiezioni del suo interlocutore, va avanti fino alla conclusione della
prima parte, lodando i cristiani e condannando gli ebrei, i primi perché degni di esser

228
Dial. 17, 1 – 3.
229
Evidenziare lo strano atteggiamento di Trifone è necessario per capire quanto poco sia credibile che un
dialogo realmente accaduto possa essere andato così.
230
Dial. 22, 1.
231
Dial. 23, 1 – 2.
232
Dial. 25, 6: si tratta della prima reazione di Trifone.
233
Dial. 26, 1; sembra quasi scontato da dire, ma Giustino non si è affatto difeso dall’accusa velata di
Trifone di aver criticato i giudei affermando che essi non avranno parte sul monte santo. Sostanzialmente
l’apologeta dice che nulla spetterà a chi ha perseguitato Cristo (i pagani ed anche i giudei nella rivolta di
Bar Kochba), di chi lo perseguita (i pagani) e di chi non lo riconosce (i giudei).
234
Dial. 27, 1; Dial. 28, 1.

43
accolti da Dio, da loro invocato per mezzo di Gesù dopo aver rinnegato il culto dei
demòni, mentre i secondi sono ottenebrati dalle loro colpe che li rendono ciechi235.

§5. La seconda parte del Dialogo: Gesù è il Cristo

Con la prima parte del Dialogo con Trifone termina anche l’unico barlume di
organicità dell’opera. Senza impelagarci in una alquanto labirintica descrizione di tutto
ciò che è stato scritto dall’apologeta cristiano, vedremo di esaminare i temi che
riguardano più da vicino la polemica antigiudaica.
Le tematiche principali che si possono individuare, e che qui proporremo, sono
sostanzialmente quattro: la questione delle due Parusie, la comparsa di un Dio diverso
da Elohim sia ad Abramo che ai padri del popolo ebraico, gli angeli malvagi ed il
millenarismo, ed infine la vicenda del serpente di rame.
La tematica delle due Parusie è certamente molto importante, perché è quella che
dà il via ad un’ottica dualistica che tende a distinguere costantemente le profezie
veterotestamentarie in due rami: quelle che annunziano la prima Parusia, cioè la storia
terrena di Gesù Cristo, e la seconda Parusia, cioè quella che sarà con l’avvento in terra
del Figlio dell’Uomo nella sua gloria, per stabilire il suo regno eterno ed eliminare il
male. A sostegno di questo, Giustino cita la profezia di Daniele, riguardante l’Antico
dei Giorni236, come per indicare che la venuta di Cristo nella gloria sarà grande237; ma
Trifone, che pare non aver capito la tematica, timidamente volge questa profezia per
indicare quanto sia sbagliato considerare Gesù il Messia, visto che questi non è venuto
nella gloria, ma è stato appeso ad un legno238.
A difesa della sua tesi, l’apologeta cristiano richiama rapidamente le citazioni
fatte nella prima parte, sostenendo che Gesù sarebbe dovuto venire due volte: la prima,
per l’appunto, è quella in cui ha subito la crocifissione ad opera dei giudei239. Giustino
ribadisce, con l’uso dei salmi, che solo Gesù è degno di svariati titoli regali, fra cui
quelli di Dio, sacerdote ed angelo240, e solo lui è giudice giusto241.

235
Dial. 1, 1 – 3.
236
Dn 7, 9 – 28.
237
Dial. 31, 1 – 6.
238
Si tratta dell’affermazione della legge di Mosè, secondo cui è maledetto da Dio colui che è stato
appeso ad un legno: Dt 21, 22 – 23.
239
Dial. 32, 2.
240
Dial. 34, 2; Angelo inteso come annunziatore; il titolo di angelo verrà abbandonato rapidamente nel
giro di un secolo, per evitare che questo portasse confusione con le schiere angeliche di Dio; cfr.
GIUSTINO, Dialogo con Trifone, cit. p. 159 nota 2.

44
Così facendo, il tema delle due Parusie diventa occasione di polemica: non si
legge come necessaria la morte del Cristo per l’adempimento delle profezie, ma si dà la
responsabilità ai giudei, ancora una volta ritenuti colpevoli di non aver “capito niente
delle Scritture242”.
Questione certamente non scollegata da quanto visto finora è il secondo tema
principale trattato dall’apologeta cristiano: quello della comparsa di un altro Dio.
Tematica certamente scottante, e oserei dire a doppio taglio, considerato l’annoso
problema del marcionismo. Ma Giustino non vuole affermare che esistano due déi: uno
malevolo e vendicativo, ed uno misericordioso, bensì afferma che Dio esiste e vive
sempre e solo nelle regioni sovra-celesti, oltre il firmamento, mentre le teofanie sono
state compiute da Gesù, che così era da riconoscere come esistente prima di tutti i
secoli. A testimonianza di quanto detto, l’apologeta cita il famoso incontro di Mamre fra
Abramo e gli angeli di Dio243, ma Trifone e i suoi amici gli fanno giustamente notare
che quel racconto non contiene alcuna prova delle affermazioni fatte circa l’esistenza
d’un altro Dio. Nel dibattito che si snoda in due capitoli (il 56 ed il 57), Trifone
finalmente sembra essere parte attiva, e non solo lui ma anche i suoi amici, e da questi
viene addirittura tentata una spiegazione per l’incredibile calma dei giudei244, ma alla
fine la discussione scade su argomenti irrilevanti: si parla ad esempio del fatto che
l’ipotetico Dio (che per Trifone è solo un angelo) ha mangiato qualcosa nella tenda di
Abramo, e quindi non è chiaro se egli fosse umano o divino, cosa che per Giustino è
invece chiara, visto che la Scrittura non dice che il presunto Cristo ha usato i denti per
masticare245.
La discussione sulla vicenda dell’altro Dio prosegue citando ulteriori passi
biblici abbastanza noti246. Il primo di questi passi si riferisce all’episodio biblico in cui
Giacobbe combatte con un uomo che poi si rivela essere Dio247. L’altro caso
interessante è quello secondo cui Mosè, attraverso il roveto, parla con Dio248. Segue
l’ultimo racconto biblico, legato ad un sogno fatto da Giacobbe, in cui egli vede a Luz

241
Sulla scorta delle affermazioni qui fatte nel Dialogo ci pare di riconoscere l’influsso di Ap Esd 7, 29 –
36.
242
Dial. 34, 1.
243
Raccontato in Gn 18, 1 – 15.
244
Dial. 56, 16; Trifone qui dice che il giorno avanza, e da questo punto deduciamo d’essere nella prima
giornata; inoltre dice che loro hanno sempre tollerato tutte le accuse di Giustino, poiché fondate sulla
Scrittura.
245
Dial. 57, 2 – 3; la questione, ovviamente, è scaduta totalmente d’importanza e di rilevanza.
246
Gli episodi di Giacobbe di Gn 28, 10 – 19; Gn 31, 10 – 13; Gn 32, 23 – 31; Gn 35, 6 – 10; Es 3, 2 – 6.
247
Gn 32, 23 – 31.
248
Es 3, 1 – 15.

45
una scala che conduce fino ai cieli, e da essa scendevano e salivano gli angeli, e Dio
guardava da lì la terra249.
La tematica seguente è particolarmente cara a Giustino, degli angeli malvagi.
Segnalo questo argomento per il fatto che l’apologeta cristiano lo tratta in modo
completamente diverso da come lo affronta nelle apologie. Sembra quasi dimenticare
Enoch, e cerca piuttosto di rifarsi ad altri passi biblici più propriamente giudaici e
farisaici250. È quindi ipotizzabile che alcuni cristiani conoscessero l’opinione dei giudei
in merito ad alcuni testi veterotestamentari quali ad esempio il libro di Enoch, visto che,
come dimostrato sopra, Giustino non rinunzia facilmente a citare il suddetto libro
quando scrive contro i pagani.
Bisogna considerare che Trifone appare irritato per le affermazioni del suo
interlocutore251, però si frena di fronte all’inconfutabile prova della Scrittura; questo fa
rilevare obiettivamente l’artificiosità letteraria e la costruzione “a tavolino” di tutta la
faccenda. Il fatto che si discuta circa gli angeli malvagi in modo differente che nelle
apologie, però, dipende in realtà da un richiamo ad un tema trattato in precedenza, che a
noi sfugge a causa della grave lacuna del capitolo 74. Non è quindi da escludere a priori
una già precedente digressione su Enoch.
La discussione prosegue con l’accenno alla dottrina del millenarismo252, che è
proposta da Trifone come richiamo ulteriore a temi già trattati (ma anche questi perduti,
forse ricadono nella lacuna), ovvero la seconda Parusia di Cristo che sfocia nella
ricostruzione di Gerusalemme e nel regno dei mille anni insieme coi santi e coi
martiri253, al termine del quale ci sarà la resurrezione dei morti ed il Giorno del
Giudizio, con la disfatta definitiva di Satana254. Giustino si professa un millenarista,
anche se riconosce che molti cristiani da lui definiti “autentici” non credono in questa
teoria255.

249
Gn 28, 10 – 19.
250
Il libro di Enoch è un testo che fu adottato in ambiente esseno, mentre fu rifiutato fermamente dai
farisei; ebbe però una importanza non indifferente per i cristiani. Cfr. P. SACCHI (a cura di), Apocrifi
dell’Antico Testamento, vol. 1 cit. pp. 423 – 424.
251
Dial. 79, 1.
252
Dial. 80, 1 – 2.
253
Ap 20, 4 – 6.
254
Ap 20, 7 – 10.
255
Dial. 80, 2; questo passo è fondamentale per la comprensione dell’organizzazione delle comunità
cristiane delle origini: non è mai esistita una “pretesa di monopolizzare l’esegesi”, così come non è mai
esistito un unico Nuovo Testamento. Ogni cristiano ortodosso era tale perché credeva nei punti
fondamentali della vita di Cristo e metteva in pratica il vangelo, ma non aveva l’obbligo di riconoscere
come buono e giusto ogni altro testo che gli veniva proposto, e tantomeno aveva l’obbligo di credere in

46
Concludiamo l’analisi di questa seconda parte del Dialogo esaminando la
faccenda del serpente di rame, costruito da Mosè per ordine di Dio, affinché gli ebrei,
morsi da serpi velenose, venissero guariti256. L’importanza di questa citazione è
indiscussa, sia perché proviene da un testo come la lettera di Barnaba257, sia perché
questa figura è diventata uno dei simboli alchemici più importanti del Medioevo. Il fatto
che Dio abbia richiesto di realizzare una immagine, e così facendo d’infrangere il suo
precedente comandamento, non è una forma di “colpa divina”, bensì è un evento
profetico per annunziare il mistero della crocifissione258. Il serpente, prefigurazione del
diavolo e del peccato259, viene sconfitto, inchiodato al legno del bastone, che è
prefigurazione della croce. I giudei giunti il secondo giorno del Dialogo concordano con
l’apologeta cristiano nel dire che non vi è altra spiegazione, e Giustino incalza dicendo
che, così, viene a cadere la colpa di maledizione per chi è stato appeso ad un legno260.
Con molte altre tematiche si va ad articolare questo secondo blocco letterario
dell’opera, e con esse si giunge nella terza ed ultima parte.

§6. La terza parte del Dialogo: i cristiani, Nuovo Israele

La conclusione del Dialogo è forse quella più intrisa di profezie, citate col solo
scopo di “strappare” la paternità di Abramo ai giudei ed arrogarsi il diritto di diventare
così legittimi eredi dell’Antico Testamento. Giustino si rifà ad un concetto chiave
presente nella Bibbia, e cioè alla chiara affermazione secondo cui Abramo sarà padre di
molti popoli261. Del resto, anche tutte le usanze giudaiche, come i sacrifici, vengono a
decadere perché Dio non li accetta più, e solo l’eucaristia rimane come offerta per il
Signore262.
Richiamandosi al Vangelo secondo Matteo, inoltre, l’apologeta apostrofa gli
interlocutori con l’accusa di come essi siano empi e “diventati doppiamente figli della
Geenna263” così come i loro proseliti, per i quali tanto si prodigano i maestri farisaici. In

tutto ciò che veniva insegnato da un vescovo o da una comunità cristiana. Il confronto era alla base del
cristianesimo nascente, ed era impensabile dover accettare qualcosa come fosse un dogma.
256
Nm 21, 5 – 9.
257
Barn 12, 5 – 7.
258
Dial. 94, 1 – 2.
259
Gn 3, 1 – 6; Gn 3, 13; Gb 26, 13; Sir 21, 2; Sir 25, 14.
260
Dial. 94, 4 – 5.
261
Dial. 119 1, 4.
262
Dial. 117, 1.
263
Dial. 122, 1; il passo è legato a Mt 23, 15.

47
quest’ottica è ovvio che i profeti non si sono mai rivolti agli ebrei, bensì a coloro i quali
hanno creduto al Cristo, ovvero ai seguaci di Gesù264.
Una delle affermazioni più forti di tutto il Dialogo è quella in cui Giustino
proclama tutti i cristiani veri figli di Dio265; questa dovette suonare come bestemmia alle
orecchie del povero Trifone, come del resto suonò bestemmia l’affermazione di Gesù al
Sinedrio ed al Sommo Sacerdote, quando egli si dichiarò Figlio di Dio266. Infatti, visto il
turbamento nei presenti, l’apologeta cristiano inizia a citare altri passi biblici (Sal 82, 1
– 8) cercando di fornire diverse versioni, una ebraica ed una dei Settanta267, appunto per
giustificare quanto detto. Nonostante questo, anche se stimolati da una richiesta esplicita
di risposta da parte del filosofo cristiano, i giudei tacquero268.
Il resto dei capitoli prosegue su questi toni, ma con esortazioni concilianti come
quella in cui Giustino prega i giudei di riconoscere Cristo e di non ingiuriarlo, e
soprattutto chiede di smettere di recitare la Birkat haminim269.
Il Dialogo si conclude con una strana esortazione alla monogamia e ad evitare la
fornicazione270, sempre con il supporto delle profezie bibliche in cui si cita il peccato di
Davide271. Appare quasi fuori luogo questo richiamo, giacché erano i costumi pagani,
più propriamente greci, e non quelli giudaici a portare alla fornicazione ed a peccati
sessuali. Si rivela però un ulteriore pretesto utile a Giustino per polemizzare sulla
remissione dei peccati.
Il Dialogo si conclude col capitolo 142, in cui Trifone e Giustino si salutano
cordialmente come vecchi amici, ed entrambi affermano che la discussione è stata
davvero proficua272, e che, se non fosse che l’apologeta stesse per imbarcarsi per un
viaggio, sarebbe stato bello vedersi ogni giorno per rinnovare tale dibattito.

264
Dial. 122, 1 – 2.
265
Dial. 123, 9.
266
Mt 26, 63 – 65; Mc 14, 61 – 63; Lc 22, 70 – 71; Gv 10, 36 – 38; Gv 19, 7.
267
Dial. 124, 1 – 3; entrambe le versioni citate da Giustino, però, appartengono alla Settanta; cfr.
GIUSTINO, Dialogo con Trifone, cit. p. 352 nota 1.
268
Dial. 125, 1.
269
Dial. 137, 1 – 2.
270
Dial. 141, 2 – 4.
271
2 Sam 11, 2 – 22; Davide giacque con la moglie di Uria l’Hittita, e per evitare che questi scoprisse il
tradimento, lo mandò a morire in prima linea in guerra.
272
Di certo lo è stata per i cristiani, non altrettanto per i giudei!

48
Conclusioni

La polemica antigiudaica, quale emerge dal Dialogo con Trifone di Giustino,


mette in evidenza molte questioni, sostanzialmente riconducibili al confronto tra
l’antico culto giudaico e il nascente cristianesimo. Il dibattito fa costante riferimento
all’esegesi dell’Antico Testamento, come è ovvio per chi come Giustino aspira ad
accaparrarsi il privilegio dell’antiquitas per la nuova religione e il diritto di essere
riconosciuto discendente della stirpe dei profeti. Questo è il motivo che più risalta dal
Dialogo, poiché l’apologeta vuole portare sia il proprio interlocutore che il lettore alla
verità, o più esattamente alla sua verità. Tale atteggiamento di Giustino si rileva ogni
qualvolta egli evidenzia la propria esegesi biblica, applicata costantemente in chiave
cristologica e naturalmente contrapposta a quella giudaica, rappresentata dal “timido”
Trifone.
La figura storica di Giustino, proposta dalle fonti con i lineamenti di un filosofo
cristiano, si inquadra così nella patristica sia per il suo ruolo di apologeta, che si rivolge
alle autorità romane per ottenere giustizia per i cristiani perseguitati, sia per il confronto
con il giudaismo, ben documentato dal Dialogo. Questo duplice ruolo di Giustino è da
tenere sempre presente nella lettura tanto delle Apologie, quanto del Dialogo con
Trifone, essendo sempre riscontrabile una componente apologetica comune a tutte le sue
opere. Nella valutazione della figura del Nostro andrà tenuto nel giusto conto anche il
suo percorso filosofico che, come lui stesso racconta, lo ha accompagnato attraverso
varie scuole di pensiero fino al platonismo e di qui alla conversione al cristianesimo.
L’opera antigiudaica dell’apologeta cristiano è la più antica a noi pervenuta,
anche se non la più antica di cui abbiamo notizia. Si può quindi considerare il Dialogo
come archetipo anche per le opere polemiche dei secoli successivi, composte da altri
padri della Chiesa, quali ad esempio Tertulliano e lo Pseudo-Cipriano. Giustino è
indubbiamente un difensore dell’interpretazione tipologica in chiave cristologica
dell’Antico Testamento, che probabilmente conobbe solo attraverso testimonia e i
targumim: ne è indizio il fatto che egli fa riferimento ad alcune varianti testuali della
Scrittura che non hanno corrispondenza né nella lezione ebraica né in quella greca.
È infine necessario ricordare che l’apologeta cristiano nel portare avanti le
proprie argomentazioni ha avuto probabilmente di mira non solo gli ebrei tout court, ma
anche alcuni gruppi di giudeocristiani di matrice farisaica, che quindi non

49
appartenevano alla cerchia dei proto-ortodossi. Anche in questo caso l’intento è
difendere e nello stesso tempo promuovere le proprie convinzioni dottrinali, così da
ottenere per il cristianesimo una legittimazione da parte dei romani e dunque la libertà
di praticare il proprio culto senza l’obbligo del sacrificio agli dèi della religione
tradizionale.
Giustino morì decapitato a Roma intorno al 165, su ordine di Giunio Rustico, per
aver difeso le proprie posizioni religiose; non è però morto il suo pensiero, giacché una
tradizione manoscritta ininterrotta ha fatto sì che le Apologie ed il Dialogo giungessero
fino a noi.

50
Bibliografia
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