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Infatti la mossa filosofica intende condurre un discorso che valga non solo per il
singolo uomo, ma per tutti gli uomini.
Le questioni relative alla definizione dellagire cosa e come si configurarisultano dominanti nellambito delletica antica; mentre le tematiche relative al
dovere contraddistinguono la tradizione ebraico-cristiana e sono il riflesso di
quella scissione fra ci che luomo portato a compiere e ci che invece gli
viene richiesto da unistanza superiore.
Il problema del senso dellagire (perch io faccio o debbo fare qualcosa),
emerge come problema filosofico nel momento in cui viene meno la risposta
religiosa.
La definizione dei modi dellagire mira ad individuarne le cause. Conoscendo
tali cause, possibile ricavare previsioni su comportamenti futuri e fornire
indicazioni su ci che nellagire stesso deve essere perseguito.
ARISTOTELE: il suo tentativo di definire lagire e di descriverne i processi si
ricollega alla concezione che egli sviluppa del bene in generale e del rapporto
che lagire ha con il bene. Il bene fine, scopo dellazione umana. Raggiungere
il bene, per Aristotele un tendere naturale delluomo. Ogni uomo persegue
bene particolari: qualcosa che bene per lui poich corrisponde ai sui desideri.
Il bene da perseguire il bene supremo, al quale ogni essere razionale per
natura tende. Per garantire il raggiungimento di questo bene, viene stabilito un
ordine tra le facolt proprie delluomo: tra quelle che possono allontanare dal
suo perseguimento, e quelle grazie alle quali possibile ottenerlo.
Ne consegue una gerarchia fra i beni, che vede i beni particolari subordinati
alla prospettiva di una pi generale felicit (eudaimonia), concepita come bene
supremo delluomo. La felicit data dal conseguimento della nostra autentica
vocazione: dal raggiungimento di quellequilibrio di vita che trova il suo
modello pi alto nella figura del filosofo.
Alletica del bene, come fine a cui lagire delluomo mira, si lega unetica della
virt, come modo in cui viene perseguito il bene (la parte razionale delluomo
deve dominare le inclinazioni che possono allontanarci dal nostro scopo).
ETICA DI ARISTOTELE: si cerca di instaurare un doppio equilibrio: lequilibrio
interno al singolo uomo reso possibile dalla prospettiva di una vita buona
nellottica del raggiungimento del bene; lequilibrio fra tutti gli uomini in cui
lindividuazione del bene e il suo raggiungimento mirano alleliminazione di
ogni conflitto.
La proposta aristotelica ha presupposti di base:
-la spiegazione dei processi dellagire faccia comprendere anche le loro
motivazioni, il loro senso.
- possibile definire la natura umana in maniera fissa e univoca.
-non sussiste alcuna scissione tra ci che faccio e ci che debbo fare: il dovere
non appare in contrasto con la mia natura, ma ne rappresenta unesplicazione.
Tali presupposti sono messi in discussione allinterno della TRADIZIONE
EBRAICO-CRISTIANA: emerge unaltra idea di etica che fa una distinzione tra
ci che io sono, ci che posso o voglio fare e ci che debbo fare. La riflessione
sul nostro agire deve assumere il problema del male, nel rapporto tra la volont
di Dio e la volont delluomo.
Mentre per Aristotele letica poggia sulla natura delluomo, nel contesto biblico
essa viene fondata sulla religione, ossia su un particolare legame che luomo
pu instaurare con il divino.
Ci che Dio richiede alluomo appare in contrasto con quello che luomo
sarebbe portato per natura a perseguire. Si delinea una scissione interna
alluomo stesso, fra ci che egli spinto di per se a realizzare e ci che, indotto
da Dio, ritiene invece di dover fare. Dio stabilisce che cosa bene fare e cosa si
deve fare per realizzare il bene (es. 10 Comandamenti).
Il comandamento fondamentale quello dellamore non solo nei confronti di
Dio, ma anche del prossimo; quindi deve essere contrastato legoismo, lamor
proprio (tendenze ben radicate nella natura umana), a favore dellapertura
verso laltro (atteggiamenti a loro volta insiti nelluomo stesso).
Nella tradizione ebraico-cristiana emerge una concezione non pi statica, bens
dinamica dellessere umano. Al centro di questa etica viene posta una
particolare idea di libert: la libert delluomo di decidere di ubbidire o meno ai
comandi divini. Tale libert si trasforma dunque in responsabilit. Sannuncia
letica del dovere: lazione pensata come risposta libera a un comando che
viene considerato vincolante per le azioni di volta in volta compiute.
Questo modello di etica non viene abbandonato a dispetto della
secolarizzazione dellet moderna, ma viene proposto a pi riprese
individuando altri criteri di giustificazione sia del principio del dovere che dei
suoi contenuti. Come accade alla fine del 700 con Immanuel Kant.
KANT: il dovere non giustificato a partire da una rivelazione divina. Esso
stesso si presenta alla coscienza morale come principio dellagire. Il dovere
trova espressione nei modi di un comando, di un imperativo che si impone
assolutamente alla coscienza delluomo. Questo comando non prescrive
qualcosa di determinato, ma risulta una funzione di riconoscimento: il criterio
che consente di riconoscere la moralit o meno di ci che induce a compiere
unazione. In Kant il principio del dovere non poggia su una rivelazione divina,
ma al contrario Kant cercher di motivare lammissione dellesistenza di Dio
movendo da una tale assunzione da parte delluomo, di quel principio della
moralit che risulta insito in lui stesso. la morale a diventare il fondamento
della religione.
NIETSCHE: nella seconda met dell800 ripensa la morale in unepoca nella
quale non si da pi per scontato il riferimento a Dio della tradizione ebraicocristiana. Nietsche avanza il problema del senso che un principio morale deve
avere e mostra che tale senso non giustificato a partire da qualcosa che
simpone, come la rivelazione divina. Il senso delle nostre azioni risiede nel
nostro stesso volere.
PENSIERO DEL 900: si presenta il problema dellagire, ossia
dellindividuazione delle motivazioni che mi spingono a fare qualcosa. La
riflessione contemporanea segue due strade:
1) Filosofia continentale (Europa): giustificare la possibilit che un senso si
possa dare non pi nei modi dellimposizione ma in quelli del coinvolgimento
(finiamo col muoverci nel nostro agire e nel nostro pensare).
2) Filosofia analitica (ambito culturale anglo-americano): si rinuncia alla ricerca
di un senso complessivo e si dedica a unanalisi dei diversi modi in cui lagire
trova la propria esplicazione.
Letica contemporanea deve fare i conti con il problema del senso, del
perch, della motivazione. Oggi interviene la TECNICA attraverso cui il senso
dellagire viene a risolversi nellefficacia di una prestazione. Gli sviluppi
tecnologici hanno trasformato i modi in cui le azioni vengono compiute e i
criteri in base a cui possono essere pensate.
Viviamo nellet della tecnica in cui gli strumenti tecnologici facilitano la vita, e
grazie ai quali siamo in grado di abitare io mondo e di sentirci ovunque a
casa. Per questo siamo in grado di sorprenderci sempre meno, dato che per
ogni cosa c o ci pu essere una spiegazione, e tutto o quasi tutto si pu
prevedere.
Insomma lo scopo della tecnica rendere il mondo ancora pi comodo. Le
procedure della tecnica, elaborate per essere al servizio delluomo nel suo
rapporto con il mondo, finiscono per rendere luomo e il mondo stesso,
qualcosa di funzionale a tali procedure.
La tecnica mostra un duplice volto: da un lato ci fa abitare il mondo in maniera
sempre pi comoda, dallaltro in grado di modificare, distruggere e
annientare questo mondo stesso (2 guerre mondiali, attuale emergenza
ecologica).
Oggi la tecnica ci che tende a riassorbire ogni comportamento nelle proprie
procedure; quindi non c pi spazio per unassunzione di responsabilit da
parte dei soggetti individuali o collettivi.
Questo scenario ha sollecitato il riproporsi delle tradizionali domande etiche
sul che cosa, sul come, sul perch facciamo o dobbiamo fare qualcosariguardo allagire che si compie nellet della tecnica. Di fronte a tali problemi
specifici e allallargamento delletica generale sono nate le ETICHE APPLICATE.
Limporsi di una sempre pi comprensiva immagine tecnica del mondo ha rotto
quei limiti a partire dai quali erano stati elaborati i precedenti modelli di etica.
Tre sono i limiti messi in discussione:
1)Limite relativo al potere delluomo di incidere sul mondo, sullambiente,
sullesistenza o meno degli altri e di se stesso. Grazie alluso delle tecnologie
siamo in grado di trasformare, distruggere la vita sulla terra; al contrario con le
scienze biomediche siamo in grado dimodificare i processi che riguardano la
vita.
2)Limite che distingueva ci che naturale e ci che artificiale; limite
oggi scomparso.
3)Limite che poteva essere imposto allagire delluomo da un comando
superiore: dalla voce della coscienza o da un ordine divino. Lagire, liberato da
ogni costrizione, scopre di dover rispondere solo a se stesso.
Il venire meno di questi limiti fa sorgere il problema della responsabilit che
contraddistingue ogni azione. vero che grazie alla tecnica possibile
controllare gli effetti di ogni azione, ma controllarli non significa esserne
responsabili; inoltre effetti collaterali e imprevedibili scaturiscono dallagire
illimitato della tecnica.
Di fronte a questa situazione, i modelli di etica del passato non bastano pi.
Non c pi spazio per unetica fondata sullessere o sulla natura delluomo;
ma va elaborata una morale che sia davvero allaltezza della mutata
condizione dellagire umano nellepoca della tecnica. Vanno ripensate le nozioni
fondamentali delletica. Questo ci che hanno iniziato a fare le ETICHE
APPLICATE partendo dai vari campi dellazione che in epoca recente hanno
visto cambiare i loro tradizionali punti di riferimento. Sono nate nuove
discipline allo scopo di approfondire e valutare limpatto delle nuove tecnologie
sui vari ambiti della nostra vita: la bioetica, letica sociale, letica della
comunicazione.
Se si deve giustificare la scelta tra i modelli etici di fondo, sulla cui base ogni
comportamento morale pu essere regolamentato, allora bisogna muoversi a
livello delletica generale.
3)ETICA NELLA COMUNICAZIONE: forma elaborata di recente da Apel e
Habermas. Il loro progetto caratterizzato dallintenzione di rinvenire
allinterno dello stesso ambito comunicativo, criteri e principi etici che
pretendono di avere una validit universale. Lanalisi del discorso infatti
capace di evidenziare, al suo interno, specifici vincoli normativi. Vi sono aspetti
decisivi che assumono il carattere di obbligo morale, dato che tali obblighi sono
riconosciuti da ogni soggetto razionale e che quindi possibile elaborare
unetica generale.
APEL: il primo a sostenere che vi una normativit morale allinterno dellatto
comunicativo. Tali principi sono quelli della giustizia (uguale diritto a tutti i
possibili partner del discorso allimpiego di ogni atto linguistico utile
allarticolazione di pretese di validit in grado di ottenere consenso), della
solidariet (valida per tutti i componenti della comunit attuale riguardante il
reciproco appoggio e dipendenza nel quadro di un comune intento di una
soluzione argomentativa dei problemi), e della corresponsabilit (che vincola i
partner della comunicazione allo sforzo solidale per larticolazione e la
soluzione di problemi).
Ciascun interlocutore considerato agente razionale ed emerge un a possibilit
di comportamento conforme ai criteri che regolano linterazione comunicativa e
che ne decretano la riuscita.
HABERMAS: parte da una trattazione dei concetti di azione e di razionalit
allinterno della quale lagire comunicativo si configura per la sua aspirazione
allintesa e per lidentificazione del linguaggio come luogo in cui una tale intesa
si pu realizzare.
Habermas perviene allelaborazione di una sua etica del discorso in cui sono
indicati i principi che consentono di effettuare un accordo razionalmente
motivato quando devono essere affrontate questioni pratico-morali
controverse.
Il principio di universalizzazione (U) prevede che ogni norma valida deve
conformarsi alla condizione che le conseguenze e gli effetti collaterali che
risultano dalla sua osservanza universale, possano essere accettati senza
imposizione di tutti gli interessati.
A ci si ricollega la formula essenziale (D) delletica del discorso per cui ogni
norma valida dovrebbe poter trovare il consenso di tutti gli interessati purch
questi partecipino ad un discorso pratico.
Il problema che emerge riguarda lindividuazione da parte di un soggetto
razionale del legame che dovrebbe istituirsi fra i vincoli etici insiti nel discorso e
il loro effettivo riconoscimento da parte dei vari parlanti.
Per il funzionamento di unetica nella comunicazione il momento
dellelaborazione delle norme morali messe in opera nel discorso quotidiano
non pu essere disgiunto dalla percezione di esse, dal loro riconoscimento.
Di fronte a tali problemi rischia di restare senza risposta la domanda relativa al
senso del nostro agire morale, ossia il nostro volerci conformare a ci che
risulta gi inscritto nel funzionamento dellargomentare comunicativo.
La condizione di possibilit che stata identificata nel funzionamento del
linguaggio va concretamente attivata. Si delinea quello spazio di libert
allinterno del quale ciascuno di noi in grado di essere fedele o meno alle
Questo modello ha riscosso molto successo fra gli autori del 900, per i quali
pensare significa comunicare e comunicare vuol dire dialogare. Nel dialogo si
attua nel modo migliore quella relazione che unisce gli uomini fra di loro e nel
caso degli autori che assumono una prospettiva religiosa, il rapporto delluomo
con Dio.
Dalla riflessione, sul versante teologico, di Buber emerge che il Dio della Bibbia
colui che crea sia le cose che luomo con la parola e che sempre con la parola
rivela alluomo chi e cosa vuole che luomo faccia. Il dialogo fra Dio e luomo
diviene il modello di ogni rapporto: sia quello che pu legare gli uomini fra di
loro, che quello che unisce luomo al mondo in generale.
Comunicare bene significa rivolgersi a un tu, promuovere un rapporto fra tutti
coloro che sono capaci di parola, trasformare ogni relazione fra un io e un esso
(una relazione a senso unico), in un legame fra interlocutori.
Nella struttura del dialogo sono racchiusi alcuni principi di comportamento:
lattenzione e il rispetto per linterlocutore, lascolto delle sue ragioni, la
costruttiva intenzione trovare un accordo.
Tuttavia, allinterno di questo modello non viene giustificata la motivazione che
mi spinge, nellinterazione comunicativa, a optare per il dialogo.
Perch debbo dialogare?? I teorici del dialogo danno 2 risposte a questa
domanda:
-Bisogna dialogare perch Dio, che per primo si rivolge alluomo adottando
forme dialogiche
-La natura delluomo risulta capace di dialogo e nel dialogo trova la sua piena
realizzazione
entrambi gli esiti sono difficilmente sostenibili sul piano filosofico.
3)IL PARADIGMA RETORICO DEL RIFERIMENTO ALLAUDIENCE
La buona comunicazione quella che viene incontro allinterlocutore, quella
che tiene conto in primo luogo dellaudience. Comunicare bene significa
conformarsi alle esigenze dellinterlocutore.
Se finora letica della comunicazione era soprattutto caratterizzata da una
fedelt e se stessi in quanto soggetti comunicativi e dalla disponibilit ad
andare davvero oltre se stessi, con questo modello simpone il criterio di
fedelt allinterlocutore: si salvaguarda il diritto non solo di chi parla, ma
soprattutto di chi ascolta.
Nel nostro rivolgerci agli altri, insita la tendenza a uniformare ci che diciamo
a quelle che sono le categorie di comprensione.
Bisogna ripesare alla nozione di retorica: la buona retorica quella in cui si
ha lintenzione di regolare il proprio discorso a partire dalle esigenze
dellaudience che devono essere subordinate allidea di dire la verit; cattiva
retorica quella in cui linteresse per linterlocutore risulta prioritario
indipendentemente dal contenuto del comunicato scopo del comunicare
rischia essere solo quello di persuadere, che rende inutile ogni attenzione ai
contenuti.
Nel testo La Retorica di Aristotele, viene evidenziato il rapporto tra retorica
ed etica infatti nel misura in cui lascoltatore un interlocutore capace di
decidere, compito del discorso retorico quello di mettere in opera ladeguato
modello di persuasione conforme a ciascun argomento.
4)IL CRITERIO DELLUTILIT
Il principio supremo dellagire morale promuove la diffusione di una prospettiva
che pu diventare universalmente condivisa. Questa ricerca di principio
universale, oggi criticata perch tale principio sarebbe incapace di dar voce
alle istanze specifiche che provengono da mondi e realt differenti. Al posto di
una dimensione condivisa, proliferano concezioni che rivendicano la loro
particolarit. Limporsi di tale scenario, oggi spaventa. Tali istanze infatti hanno
iniziato a manifestarsi in modo violento.
Sembra venir meno ogni possibilit di comunicazione e restare spazio solo per
la forza.
Qual il criterio morale cui si richiamano tutte queste posizioni? Il principio
dellutile individuale. Ci che si ritiene utile per se pu risultare in conflitto con
altre istanze, anchesse volte a perseguire un utile particolare.
In ogni caso, lutile di cui si fa portavoce una parte o un gruppo non potr mai
essere realmente partecipato da tutti i soggetti morali, non potr mai diventare
patrimonio comune, perch qualcuno ne verr escluso.
La mediazione dei vari interessi parziali non viene giustificata da un punto di
vista etico, ma demandata a un piano giuridico; quindi la mediazione
regolata sulla base di sanzioni che possono colpire chi trasgredisce norme
imposte dallesterno.
Il principio dellutile richiede di essere giustificato da un punto di vista teorico,
per poi assumere forma universale. Sorge cos la DOTTRINA
DELLUTILITARISMO, per la quale tutti gli uomini sono indotti ad agire spinti dal
perseguimento dellutile. Utile significa ci in cui si realizza la felicit
individuale, lappagamento di se.
Nellutilitarismo questa tendenza alla felicit considerata lelemento che
contraddistingue ogni soggetto morale. Compito dellutilitarismo individuare il
modo in cui la ricerca della felicit del singolo pu condurre allaffermazione
dellutile collettivo. Tale scopo viene raggiunto analizzando cosa fa felice
ciascun individuo allinterno di una societ, sommando poi i diversi desideri che
egli esprime e scoprendo il meccanismo che consente di rendere felici oltre a
lui, il maggior numero possibile di persone.
Lutilitarismo sostiene che luniversale tendenza delluomo a perseguire il
proprio utile viene identificato con la propria felicit.
La storia dellutilitarismo classico ci mostra come il principio dellutile pu
anche essere interpretato non solo in una prospettiva egoistica, ma anche e
soprattutto tenendo conto fin dallinizio dellidea di utile collettivo.
Il compito dellutilitarismo nelletica della comunicazione, quello di
promuovere il bene pi grande per il maggior numero di persone e per il tempo
pi lungo possibile.
5)IL PRINCIPIO DELLA COMUNITA DELLA COMUNICAZIONE
Questo modello in grado di motivare e giustificare il concreto agire
comunicativo, partendo dal fatto che comunicare significa aprire uno spazio
comune fra gli interlocutori.
Questo modello si rif al principio della comunit della comunicazione, e il
primo ha elaborato questa dottrina Apel.
TESI DI APEL: allinterno dellambito comunicativo, nellesercizio stesso della
comunicazione, possibile vedere allopera principi morali precisi. Essi sono, la
norma fondamentale della giustizia, della solidariet e della corresponsabilit.
Tutte e tre si annunciano ogni qualvolta viene fatta esperienza di una relazione
nella quale gli interlocutori sono in grado di argomentare e di presentare il
proprio discorso in forme condivisibili da tutti. Per Apel ogni parlante membro
di una comunit illimitata della comunicazione, e ciascun interlocutore non pu
aggirare i principi che sono allopera nellesercizio del comunicare. Cos come