Sei sulla pagina 1di 23

Si distingue dalle altre per la ricerca sul campo. “Antropologia è come la filosofia ma con le persone dentro”.

Antropologia dice che per riuscire ad orientarci non basta parlare di una determinata cosa, luogo ma bisogna
andare sul luogo, conoscere ciò di cui si sta parlando senza parlare per stereotipiesperienza sul campo.
Per capire l’uomo guardo attraverso l’espressione delle culture. Cultura in antropologia non è il sapere alto
ma è qualcosa di più, è considerata come un complesso di elementi non biologici attraverso cui i gruppi
umani si adattano all’ambiente e organizzano la vita sociale (famiglia, scuola, politica..).

Antropologia culturale fa parte del settore delle scienze umane DEA= settore disciplinare dell’antropologia,
D=demo; E=etno; A=antropologiche (demologia, etnologia, antropologiaaccomunate dall’interesse per lo
studio dell’uomo e lo studio delle culture umane):
D=demologia (parola usata in Italia ma conosciuta altrove come folklore)studia la cultura popolare della
tradizione della nostra stessa societàstudia il primitivo del proprio paese (a differenza dell’etnologia che va
lontano);
E=etnologiastudio di popoli e culture in diverse parti del mondo, le culture primitive, lontane e diverse;
A=antropologiaapprocci generali, si riferisce alle teorie e alle metodologie.

1871=Edward Tylor, testo: cultura primitivariferimenti alla filosofia della diversità di Erodoto (può essere
considerato precursore dell’antropologia). Erodoto aveva testimonianze visive di ciò che riportava, insieme a
lui entra anche la figura del barbaro (etimologia greca e indica lo straniero, parola onomatopeica riporta la
bla bla dei bambini). Egli ci parla dei barbari per parlare della Grecia, per renderla superiore agli latri
stranieri. Tylor usa la parola primitivo per definire quel legame forte che unisce antropologia con i barbari e
con i primitivi.
Definisco una mia identità per mettermi in relazione con altri, definisco l’altro per avere una mia
identitàErodoto lo faceva con i greci in relazione ai barbari che non si erano evoluti.

1877=Lewis Morgan, testo: società anticaintroduce una gerarchia di stadi evolutivi per la società umana
che rispecchia gli stadi dell’evoluzione: selvatichezza Categorizzazione e gerarchizzazione,
barbarie creo dicotomie ovvero opposizioni tra
civiltà
ciò che sono io e ciò che sono gli altri
Illuminismo è importante come influenza per l’antropologia.
Radici 800 antropologia: positivismo, colonialismo, modernizzazione

Uomo occidentale Missione


dominatore degli civilizzatrice, dal
altri 1492

Uomo occidentale si definisce con uno


sguardo che lo fa credere superiore agli
altri etnocentrismo

Antropologia è attenta a quel diverso che è primitivo e barbaro, tutto ciò che l’Europa si è lasciata alle spalle
e ha sottomesso.
Antropologi
lavoravano per le amministrazioni Vuole salvare il diverso, il primitivo,
Conflitto tra le cose vuole risollevare la figura dei barbari
coloniali che li finanziavano per
lavorare e fare spedizioni

[aspettando i barbari 1904 di kavalisi, libro dove spiega che i greci aspettano proprio l’arrivo dei barbari per
definirsi come esseri superiori]

Antropologia ha una vocazione, un’attenzione per la diversità, attrazione per studiare il diverso.

 Lévi-Strausslo sguardo da lontano: quando viviamo in una cultura siamo assuefatti, in una
routine, non ci interroghiamo più su certi aspetti della nostra cultura. Lo sguardo da lontano , da chi
vive fuori, ci permette di riscoprire questi aspetti, attraverso chi non essendo abituato a certi aspetti
si interroga e li nota.
 Klucknhonil giro lungo: antropologo serio fa un giro lungo poiché sta a lungo nei luoghi e la
riflessione deve entrare a fondo, deve interagire pienamente con la cultura che studia. Occorre
anche imparare la lingua locale per un’analisi più completa.
METODI:
-comparazione
-imparare a parlare al plurale, moltiplicare le immagini: occorrono una lente caledoscopica e una lente
strabica= sguardo che è allo stesso tempo capace di guardare la realtà locale del paese ma anche
relazionarlo al piano globale, in grande scala
-ricerca sul campoBoas e Malinowski fondano l’antropologia con la ricerca sul campo e rifiutano
l’antropologia da tavolino (riferimento ai vecchi antropologi che stavano alla scrivania e non indagavano da
vicino)
1922 Malinowski testo: il metodo dell’osservazione partecipanteosservazione che si può fare solo
quando adotto un atteggiamento olistico, ovvero devo stare a lungo in una cultura, partecipare a tutti gli
aspetti di quella società, analizzare ogni cosa. L’antropologo deve partecipare direttamente. Bisogna però
cercare una congiunzione tra la partecipazione attiva di una società e anche usare lo sguardo da lontano di
Lévi-Strauss per vedere tutto nel suo completo senza fossilizzarsi.
Oggi giorno però non si pensa più al campo, al luogo come area circoscritta in cui abita solo un popolo con
una cultura e un unico linguaggio oggi antropologo sta in più posti, non più solo in uno, non più solo in
un’area circoscritta.
-metodo comparativo: vocazione critica il pensare l’altro e la diversità significa mettere un paio d’occhiali
e vedere qual è la mia cultura; analizzando l’altro io penso alla mia cultura anche se dall’altra parte mi
genera a primo impatto estraniamento poi però mi fa riflettere su chi sono io (es: Heidegger che dice l’altro è
il mio volto). Intento antropologia è far capire che la possibilità di specchiarsi e di ritrovarsi non sta solo nel
confronto con uno uguale a me (es: amico) ma è farlo ritrovandosi con il barbaro, con il primitivo/nemico, con
quello diverso da me.
Antropologia si differenzia dalle altre scienze sociali perché ha uno sguardo/studio attento verso la
profonditàvocazione ricerca sul campotesto di Malinowski fondamentale (antropologo non sta più nel
suo studio ma si muove)sguardo del giro lungo: per entrare in rapporto empatico di relazione stretta con la
diversità occorre andare sul campo ma anche starci per un po’ di tempo; devo partecipare (osservazione
partecipante) della vita sociale, culturale ed economica della comunitàma vocazione anche critica poiché
antropologo non è interessato al confronto con l’altro in quanto tale ma è interessato a un confronto con
l’altro per capire noi, la nostra società, le nostre categorie culturali (non perché l’altro sia esotico/diverso e
allora lo attrae) [metafora Heidegger “come se l’altro fosse il mio volto”].

Quando ci chiudiamo nelle nostre identità rispetto all’altro, ci porta ad una riduzione della nostra capacità di
capire chi siamo; per definire la nostra identità dobbiamo definirne delle altre.
3 modi (centrali rispetto alle costruzioni contemporanee della realtà) fondamentali attraverso i quali il
pensiero antropologico definisce la diversità:
1. Diversità razziale – razza
2. Diversità culturale – cultura
3. Diversità etnica – etnia
Questi termini concettuali definiscono il nostro rapporto con gli altri, anche nella quotidianità.

Concetto di razza
Non è una parola che fa parte da tanto tempo del vocabolario delle lingue indoeuropee, entra nel 500 con
significato specifico diverso da quello che assume poi verso la seconda metà dell’800. Con razza si
identificava una discendenza, un gruppo di parentela, un lignaggio (area di parentela più ampia).
Successivamente nella seconda metà dell’800 le cose cambiano, la parola razza definisce un gruppo umano
che è diverso da altri perché appartenenti ad un gruppo che ha segni evidenti e riconoscibili di tratti somatici
o comportamentali; queste specificità si suppone abbiano una fondatezza biologica, che siano di natura
trasmesse per via ereditaria.
Perché assume questa connotazione in quel determinato periodo? Periodo positivismo che afferma il
primato della scienza e che se qualcosa è scientificamente provato allora è dato per verità assoluta, la
scienza si sostituisce al linguaggio religioso.
Si afferma il razzismo biologico fondato da un conte francese De Gobinan che pubblica un saggio nel 1859:
saggio sulla disuguaglianza delle razze umane; in esso afferma:
- Biologizzazione o naturalizzazione di ogni tipo di differenza tra culture o civiltà umane
- Le razze solo visibili e intendibili in un sistema di gerarchia: affermazione di una gerarchia rigida fra
le razze che vede ai vertici la razza bianca
- Orrore per la mescolanza di razze (mixofobia)atteggiamento che porta ad una chiusura
Razzismo è anche degenerativo (non solo pessimistico che chiude qualsiasi possibilità di miglioramento)
le culture greche e romane stavano meglio perché erano meno mischiate. Si utilizza un linguaggio di
disprezzo e si ha una paura per l’incontro con l’altro.
Si afferma un altro tipo di razzismo che è progressista, pregno del retaggio positivista, fiducia nel progresso
(pensiero diverso da De Gobinan) attraverso ingegneria etico sociale eugenetica legata alle teorie
evoluzionistiche di Darwin e Spencer; la razza superiore sceglie chi può evolvere tramite strumenti specifici.
(Galton padre eugenetica) legato alle teorie dell’evoluzione sopravvive il più fortequesto porta da una
guerra tra chi è migliore e chi è peggiore. Galton pensa che se può sopravvivere solo il migliore tanto vale
aiutarlo, tanto chi non può sopravvivere è già spacciato allora aiutiamo l’evoluzione naturale.
Razzismo biologico e degenerativo non esistono solo in Europa, in Germania, ma anche li si trova ovunque,
fanno parte dell’umanità.
Fischer scienziato Hitler faceva esperimenti sui crani sia di tedeschi, ebrei ma anche i persone che facevano
parte di una popolazione della Namibia (hereromessi in campi di sterminio da parte dei tedeschi in
territorio namibiano). Rispetto della diversità non si costruisce ne attraverso un muro ne attraverso il
compiacimento, se no non si darà mai all’altro la possibilità di riscattarsi.

Concetto antropologico di cultura


Cultura non nel senso di conoscenza alta, ma intesa come insieme di pratiche, usi e costumi che ci
raccontano di come un gruppo umano si adatti ai posti dove vive e instaura relazioni sociali. All’inizio
l’antropologia non era lontana dalle visioni positiviste ed evoluzioniste (Tylor fondatore antropologia
evoluzionista: testo cultura primitiva) ma quello che caratterizza il pensiero antropologico alla cultura in
questa prima fase di avvicinamento è che se io non mi immagino più delle differenze gerarchiche sul piano
biologico le immagino a livello culturale, e c’è una possibilità di evolvere culturalmente (applico sguardo
progressista). In questa prospettiva i primitivi non sono coloro che hanno vissuto nel passato ma sono coloro
che pur vivendo contemporaneamente a me è come se vivessero nel passato, vivessero indietro e non
fossero evoluti culturalmente rispetto a me. Come se io fossi adulto evoluto e loro bambini da educare.
Con la nascita dell’antropologia moderna, inizio 900, si ha un passaggio e le cose cambiano.
Franz Boas (fondatore corrente relativismo culturale) ha un’idea opposta a quella evoluzionista (che si basa
sull’unità intellettuale del genere umano =unico paio di occhiali) ovvero pensa che esistano diversi paia di
occhiali per vedere, ognuno ha la stessa legittimità d’esistere, dignità d’essere e tutti hanno diritto d’essere
pluralismo, sguardo che relativizza non assolutizza. Con l’affermarsi di questa visione di pluralità del
relativismo culturale si afferma una visione etnocentrista della realtà; io ho bisogno di un paio di occhiali
caledoscopico che moltiplica la possibilità di visione ma anche un paio di occhiali strabici:
-caledoscopicomultiplo, plurale
-strabicoviene fuori dal libro di Lévi-Strauss uno sguardo che guarda allo stesso tempo alla prospettiva
micro e macro, che sa vedere che il cambiamento microscopico che avviene nel paesino più sperduto
determina anche un cambiamento globale.

-Melville-Herskovits (allievo Franz Boas) e Lévi-Strauss (padre fondatore dello strutturalismo: corrente
attraverso la quale si articola il pensiero antropologico)sono i primi ad avere una visione fortemente
etnocentrica affermando i principi del relativismo culturale. Lévi-Strauss dice “barbaro è anzitutto colui che
crede nelle barbarie”= nel momento in cui noi definiamo l’altro barbaro è perché abbiamo bisogno di farlo,
perché in realtà siamo noi i barbari . i barbari esistono perché noi abbiamo bisogno degli altri per definire le
nostre identità (es: Buzzati con il libro il deserto dei tartari dove un ufficiale di frontiera aspetta i barbari per
sconfiggerli e classificarsi come eroe)

Concetto di etnia
Termine spesso utilizzato per definire gruppi umani in un tempo pre-politico, che abitano in Africa, Australia,
Asia e che non sono organizzati secondo la formazione che gli stati nazionali. Origine della parola greca
<ethnos> e indicava i diversi, gli altri, i barbari nella stessa accezione. Nella bibbia ethnos definisce quelli
che non sono ebrei e non sono cristiani. Quando arriva agli europei il termine è legato sempre ai gruppi
umani che sono diversi, nella bibbia quando raggiunge gli europei il termine prende significato di pagano. Il
termine entra a far parte dell’etnologia indicando la descrizione e lo studio delle caratteristiche sociali dei
gruppi umani. Nell’uso odierno i modi si intrecciano nell’uso della parola etnia. Il problema è quando i termini
vengono traslati nel mondo dei mediaessenzializzazione del termine/reificazione del termine non c’è un
incontro tra etnie perché essenzializzate a qualcosa di nettoapproccio pericoloso e criticato dalla corrente
antropologica interpretativa (Clifford Geertz).
Assolutizzazione delle differenze attraverso etnie e cultura: razzismo differenzialista, ovvero un razzismo
che definisce differenze come assolute che non possono essere cambiate, non fatto sulla base biologica o di
natura ma attraverso identità che si essenzializzano, attraverso etnia e culturaè sempre una
discriminazione del diverso che però non avviene più per razza e basi biologiche ma che fanno capo alla
cultura con effetti comunque devastanti. Razzismo differenzialista ha gli stessi scopi del razzismo biologico
ma una linguaggi, strumenti e mezzi diversi.
Essenzializzare la pluralità e l’essenza= neo razzismo differenzialista se è vero che ci sono tantissime
culture e tutte hanno diritto d’essere io ho paura della contaminazione dell’altro, mi devo difendere e quindi si
creano difese basate in termini culturali ed etniciLévi-Strauss usato per legittimare i discorsi dei neo
razzisti: dice che in qualche modo dobbiamo difendere la differenza culturale e per farlo dobbiamo essere un
po’ “sordi”, ovvero necessitiamo di un po’ di sordità reciproca tra culture per preservare la diversità culturale.
-Alain De Benoist contribuisce teoricamente alla nuova destra francese e fonda la sua visione politica su
alcuni aspetti di Lévi-Strauss: il suo discorso razzista a livello politico riprende le riflessioni che Lévi-Strauss
usa in un contesto antropologico ovvero: l’immigrazione è condannabile perché mette in pericolo l’identità
della cultura che accoglie così come l’identità degli immigrati. Lévi-Strauss voleva solo dire che è importante
preservare le culture ma non voleva dire che non bisogna fonderle, invece De Benoist dice “preservo la mia
cultura non mischiandola con i diversi”.
Oggi non è più facile riconoscere il neo-razzismo (un tempo era esplicitato e condannato es: apartheid, KKC,
razzismo..). Quindi quali sono i modi per riconoscere il razzismo oggi? Attraverso quali forme di
concretizzano?
Antropologo francese Taguieff cerca di definire le basi ideologiche del neo razzismo e ciò che le mette in
movimento, ciò che le costruisce:
 Categorizzazione essenzialista: fa parte del nostro modo di articolare un linguaggio che non
necessariamente deve sfociare in neo razzismo in tutti gli individui “es: i tedeschi sono tutti
rigidi”creo una categoria poiché non è vero che sono tutti rigidi. Categorizzazione non per forza
determina qualcosa di negativo, mentre quando sfocia nello spregiativo, nel negativo come risultato
si ottiene lo stereotipo che si forma a partire dai dati di realtà che vengono generalizzati e spesso
negativizzati; categorizzazione essenzialista: nel momento in cui categorizziamo in maniera
essenzialista, compiano un atto di riduzione della complessità, riduciamo un individuo allo statuto di
essere un rappresentante di una comunità d’origine elevata a comunità di natura (es: essere italiani
dipende da fatti inscritti nella storia, trascendono dalla biologia/natura). Dove c’è una possibilità di
spostarsinascere tali significa essere e dover rimanere tali, una posizione fissa della categoria
naturale. La categoria essenzialista definisce delle appartenenze a delle categorie e produce un
giudizio formulato a priori e totalizzante. Es: ebreo negli anni 30-40/ negro negli anni dell’apartheid o
negli usa anni 50/ extracomunitario o clandestino ai giorni d’oggi.
Se non è razzismo fare una considerazione rispetto al fatto che tra gli immigrati c’è un alto tasso di
criminalità è razzista dire che tutti gli immigrati sono criminali, ovvero considerare qualcuno criminale solo
per il fatto di appartenere a quelle categorieil problema è la generalizzazione, non è fare un’affermazione
ma prendere quell’idea/affermazione ed estenderla a tutti.
Non tutte le categorizzazioni essenzialiste sono razziste, ridurre individui a delle essenze è normale e fa
parte del meccanismo sociale, noi viviamo costruendo categorizzazioni tutti i giorni (es: le parole
categorizzano oggetti anche) per far si che una categoria diventi di tendenza razzista occorre che ci sia una
asimmetria di potere, una differenza di potere, per cui è razzista una essenzializzazione che riguarda una
categoria debole, subalterna. Il senso comunque è pieno di queste categorizzazioni, aspetti retorici della
lingua che fanno parte della vita comunees: umorismo.
Stereotipi invece molti sono innocui ma lo stesso non si può dire quando li creiamo per correnti subalterne
(es: albanesi violenti). Enunciati seppur identici nella sintassi hanno implicazioni razziste molto diverse
esempio: i tedeschi sono tutti uguali Stessa struttura sintattica ma per la diversità di potere, la mixofobia e la
gli albanesi sono tutti uguali barbarizzazione moderna, la seconda risulta molto più razzista e
spregiativa della prima frase.
STEREOTIPO è uno dei risultati possibili dei processi della categorizzazione. È una categoria basata su
classificazioni generali e semplificate ma largamente condiviso e usato dalla gente.
Etimologia= stereos (duro, solido) e tipos (impronta, immagine) è un’immagine rigida.
Dove nasce la parola? In che contesto? Contesto tipografico, fine 700, in Francia Didot lo utilizza per
indicare un metodo di duplicazione delle composizioni tipografiche, era una sorta di stampino lo stereotipo.
All’inizio il termine aveva lo stesso significato con il termine cliché, parola onomatopeica introdotta nel
linguaggio perché riproduceva a livello fonico il suono della macchina fotografica usata per produrre
stampini. Con il tempo i termini si sono staccati e sono arrivati a significare un’idea che sono ripetute
infinitamente, in massa e sempre uguali.
Stereotipo indica un concetto astratto, schematico che deve essere condiviso, ma qual è il significato che
ha? Non per forza negativo (es: immigrato= criminale), neutrale (es: natale= bello e felici in famiglia) o
positivo (es: francesi sono romantici). Tutti gli stereotipi negativi, neutri e positivi sono fondati su
interpretazioni generalizzate e semplificate. Antropologia dice: non ci interessa la formulazione di un giudizio
etico, ma come costruiamo le relazioni, i rapporti sociali non basandoci e creando stereotipi. Ciò si fa tramite
la conoscenza ed esperienze che sono essenziali per car cadere gli stereotipi , sperimentare perché gli
antropologi sono sempre sul campo. Per Lippmann ciò che produce lo stereotipo sono immagini mentali che
ci costruiamo per semplificare la realtà e renderla a noi comprensiva, una visione distorta e semplificata della
realtà sociale. Antropologia non vuole negare che in quanto individui appartenenti a gruppi umani ci
costruiamo delle categorie, ma il suo intento è spiegare come tutti questi stereotipi e categorie sono
costruzioni culturali e sociali e non sono naturaliquindi antropologia dice che ciò che comprendiamo
dipende dal paio di occhiali che ci mettiamo. Dimostra che cambiano da contesto a contesto, ogni società
vede in modo diverso e variano le categorie e gli stereotipi.
 Stigmatizzazione e mixofobia: io mi difendo all’altro in quanto diverso, ho la fobia di mischiarmi
con lui che nasce dal fatto di vederlo diverso in senso brutto, di vederlo come un qualcosa che mi
contaminaavviene per diversità di potere, chi ottiene potere stigmatizza quello più debole;
 Barbarizzazione: come faccio a dire che l’altro vale meno di me? Lo barbarizzo, dico che è il
bambino che devo educare, lo riduco a mera identità che è ad uno stadio evolutivo primitvo.
Oltre al piano ideologico ci sono anche gli atteggiamenti pratici:
1. Segregazione, discriminazione ed espulsione; tengo l’altro sempre nella mia società ma lo includo in
modo diverso (es: ghetti vivono nella stessa mia città ma in una certa zona)
2. Forme dirette di persecuzione e di violenza essenzialista (es: violenze contro la minoranza africana
negli USA)
3. Genocidio quando si arriva al caso estremo
Oggi siamo di fronte a forme nuove, magari meno esplicite che non ragionano su un piano biologico ma in
base alla differenza etnica.

Tensione tra atteggiamento universalismo etnocentrico e atteggiamento relativismo essenzialista: il primo è


poco sensibile alle differenze, razzismo biologico, gerarchizzazione, razzismo fondato sulla biologia (c’è un
gruppo migliore di tutti); il secondo ha generato le forme di razzismo culturale o differenzialista.
Etnocentrismo= 1906 usato per la prima volta da Sumner, termine che designava una concezione per la
quale il proprio gruppo è considerato il centro di riferimento di qualsiasi cosa. Quando adotto un
atteggiamento etnocentrico giudico, valuto, categorizzo i diversi non assumendo il loro valore in quanto tali
ma per comparazione in base a ciò che sono io. Ogni gruppo alimenta quindi la vanità, proclama la sua
superiorità e non tende a conoscere le diversità e interessarsene, semplicemente considera con disprezzo
gli altri, non assume la differenza dell’altro. Ha un paio di occhiali diverso che non vede e riconosce ciò che
le caratteristiche degli altri, quindi coglie queste mancanze nella sua visione e pensa che ci sia bisogno di un
suo intervento per colmare quei vuoti. Atteggiamenti etnocentrici sono una nostra inconsapevole e
inculturata tendenza, è un atteggiamento inconscio all’adesione del modello culturale che ci viene fornito e
che ci viene inculcato.
Tutto ciò può funzionare anche quando in maniera non critica ad esempio protesto contro qualcosa assumo
atteggiamenti etnocentrici contro gli altri (es: sporco razzistaio mi abbasso ai loro livelli).
Esclusivismo culturale: forma di etnocentrismo che agisce nei rapporti interni alla società stratificata e
complessa. I comportamenti degli strati subalterni vengono respinti e disprezzati perché non conformi con gli
atteggiamenti dei ceti dominanti e non sono conformi ai modi ufficiali e standard di vedere il mondo.
Manifestato anche a livello spaziale.
Atteggiamento relativista: mette in discussione e rifiuta l’etnocentrismo. Rifiuta la costruzione gerarchica e
afferma un’accettazione incondizionata della pluralità delle culture, accetta la coesistenza di tutti. Relativismo
culturale nasce nell’ambito della scuola americana di Franz Boas (primo antropologo a capo del museo
etnografico) e dai suoi allievi. Alla base del pensiero c’è che ogni cultura ha una sua unicità, quindi
accantona il pensiero che una cultura sia meglio delle altre. Aspetti positivi:
-valorizzazione culture primitive
-critica del razzismo biologico e gerarchizzante
-afferma una tolleranza verso la diversità culturale
-c’è bisogno di rispettarsi reciprocamente, ogni cultura ha diritto d’essere
-rispetto che si può costruire tramite la conoscenza
-sospensione del giudiziotutte le culture hanno pari dignità di essere

Relativismo culturale se esasperato il rischio è che si finisca in una essenzializzazione di culture ed etnie
riducendole a delle macchie di colore delimitate da confini che non si riescono a superareparadigma
divisionista cosa di più lontano che possa esistere dalla visione multipla del paio di occhiali (es: un po’ l’idea
delle cartine geografiche dove ogni stato ha un colore ed è diviso dagli altri tramite linee e confini che non si
possono mischiare). Relativismo criticato perché si pensa che possa poi sfociare in una perdita di ogni
criterio di giudizio morale e conoscitivo, giustificando tutto in base al fatto che ogni gruppo ha la sua cultura e
che essa determini i comportamenti del gruppo come se giustificassi un po’ tutto.
Anni 80-90 del 900 dibattito se non fosse legittimo abbandonare l’identità culturale? Antropologi dicono non
si tratta di abbandonare le categorie (etnia, razza, cultura) perché ci servono per relazionarci, però anziché
pensarle come essenze (scatole chiuse come l’idea delle cartine geografiche colori separati divisi da linee)
bisognerebbe considerarle come dei processi, nel momento in cui le guardiamo come tali capiamo che
possono cambiare, un processo è sempre in evoluzione e cambiamento.

Clifford Geertz (padre fondatore dell’antropologia interpretativa) parla di anti-anti-relativismo, egli dice:
invece di criticare il relativismo cerchiamo di metterci un paio di occhiali che valorizzi i punti positivi del
relativismo. Dipende da noi, dal paio di occhiali e da dove mi colloco a guardare, ogni angolazione mi offre
una visuale diversa. È importante cercare di posizionarci dentro ai confini, è un confine che straborda non
più netto. Collage e puzzle di confini ben definiti non sono utili ne possibili per orientarci nella nostra
contemporaneità. Questo ci aiuta a capire che il paio di occhiali che ci mettiamo, in un determinato luogo (sui
margini, nelle zone di contatto e scambio) ci fanno capire che l’estraneità comincia dalla pelle, sta qui con
noi. Quindi gli altri non sono più alternative a noi ma per noinon vedo più l’altro come una minaccia
(mixofobia) alternativa ame ma come alternativa per capire me stesso e la mia identità. L’altro è il mio volto,
guardandolo capisco che trovo un’alternativa ai miei limiti ed è un modo per crescere, andare oltre i miei
limiti.
Ernesto De Martino etnocentrismo critico= via di mezzo tra la prospettiva universalista e relativista
(riprendendo Malinowski antropologo sul campo è l’etnografo) De Martino dice che nel momento in cui
l’antropologo incontra l’altro non può spogliarsi delle sue categorizzazioni culturali, ma allo stesso tempo
deve essere capace di farle funzionare in relazione a quello che il gruppo sta studiando. Antropologo non
può comprendere il diverso se non parte da categorizzazioni che sono sue, non si può spogliare di tutti le
sue paia di occhiali che gli ha messo addosso la sua cultura inconsciamente, però deve capire che può
metterle in relazione con le categorie dell’altro e metterle a confronto per migliorare e capire cosa funziona
delle mie e cosa delle sue.

Principali paradigmi (collegarlo al paio di occhiali e a seconda del paradigma che adotto il risultato sarà
diverso) teorici che si sono succeduti nella storia del pensiero antropologico. Alcuni già visti come
l’evoluzionismo quando fine 800 l’antropologia nasce strettamente legata all’evoluzione di Darwin; il
funzionalismo con Malinowski segue poi Lévi-Strauss con lo strutturalismo. Questi paradigmi e riflessioni
contestualizzati nell’antropologia, ma ad esempio lo strutturalismo ha inciso anche nelle arti, nella critica
letteraria e in molte altre discipline. Oltre questi 3 succede una corrente che è l’antropologia interpretativa
con Geertz (uno tra gli antropologi che più hanno contribuito a costruire un dialogo con le altre discipline),
parla di antropologia interpretativa perché l’intento è di intavolare una comprensione con questa scienza
antropologica e non interessa dare formule, ricette o paradigmi (non interessa creare degli –ismi) ma
proporre una riflessione critica dentro l’antropologia. Antropologia interpretativa si mette un paio di occhiali
diverso rispetto agli –ismia partire da essa si sviluppano correnti antropologiche critiche:
-writing culture
-approcci post-coloniali
-svolta riflessiva, perché questi nuovi paradigmi riflettono nell’antropologia stessa, esercizio di epistemologia
dell’antropologia su come si produce la conoscenza
-passaggio da etnografia realista a etnografia sperimentale, forme di restituzione della ricerca sperimentale
che incrociano altre forme (es: arte)

Scuola evoluzionista: nasce in Inghilterra, massimi esponenti sono Edward Tylor (sulle origini della cultura)
e J.G. Frazer (ramo d’oro). Seguono un approccio che riprende l’evoluzionismo darwiniano biologico
applicato all’evoluzionismo culturaleper antropologi l’evoluzionismo è traslato nelle origini culturali. Altro
aspetto importante è di credere in un universalismo etnocentrico, nel momento in cui creo una gerarchia che
sta alla base parto dal presupposto che al vertice ci sono io, con la mia cultura; porta ad una unità del
genere umano ma gerarchizzata. Antropologi interessati al passato, alla storia dell’evoluzione culturale, ma
quando essa poneva dei buchi (perché non si può ricostruire perfettamente) studiosi applicavano un metodo
comparativo con altre culture, poiché evoluzione avviene nello stesso modo e c’è unità del genere umano
(che legittimizza il mio comportamento le culture diverse), vado a vedere nello stesso periodo cosa è
successo in un’altra cultura limitrofa e lo trasporto a coprire i buchi nella storia della cultura della popolazione
che sto studiando. Si presupponeva che tutto si evoluzionasse in modo uguale ovunque, a partire dal
presupposto che in tutte le culture del mondo le evoluzioni siano state tutte uguali (funziona per qualsiasi
tratto storia, religione, ecc..). ciò ha portato a giustificare che alla vetta della gerarchizzazione ci sia la mia
cultura occidentale. Allo stesso tempo essi intendevano che l’evoluzione non potesse avvenire nello stesso
tempo ovunque, evolvono si tutti allo stesso modo perché c’è l’unità del genere umano ma non tutti alla
stessa velocità e non con gli stessi tempi; ecco perché ci sono i primitivi, a me contemporanei ma non
ancora evoluti quanto me, quindi rimasti nel passato, indietro nel processo di evoluzione concetto di
survival= sopravvivenza, noi capiamo che sono ancora primitivi perché ci sono segni culturali che ci fanno
intendere che sono ancora a stai precoci dell’evoluzione e non avanti come noi.
Frazer nel suo libro il ramo d’oro dice che è come se ci fosse sotto la crosta della società vittoriana inglese
fine 800 un vulcano, e quando cerchiamo di guardarlo ci accorgiamo che troviamo spiegazioni che ci
rimandano ad una serie di pratiche passate che hanno a che fare con la sfera magico sociale, sacrifico, riti di
fertilitàantropologia evoluzionista si lega alla psicoanalisi freudiana.
A cavallo tra 800/900 si inizia ad affiancare all’evoluzionismo britannico il movimento del diffusionismo
che aveva un interesse profondo per la storia dell’evoluzione delle culture, anche loro con sguardo verso il
passato, ma la differenza è che introducono l’importanza di basarsi su delle fonti e avere prove concrete,
contaminandosi con studi di linguistica comparata e filologia. Introducono l’idea che le culture si sarebbero
organizzare a partire da un centro unico di diffusione culturale. Diffusionismo britannico intendeva che il
centro di diffusione fosse l’Egitto, mentre la scuola culturale austro-tedesca sosteneva ci fossero circoli
culturali di grande ampiezza diversa che hanno contribuito a formare poi il mosaico contemporaneo. Boas
critica l’evoluzionismo ma nella prima parte del suo pensiero fu legato al diffusionismo.
Intanto negli USA si afferma il particolarismo storico di Boas con la sua scuola statunitense, in forte
opposizione alle generalizzazioni evoluzioniste:
-approccio anti-evoluzionista, muove la sua critica dal fatto che le generalizzazioni alla base
dell’evoluzionismo non sono possibili
-scettico perché non crede nella comparazione culturale a vasto raggio, per lui le culture estremamente
diverso non sono comparabili, non crede che possano aver subito lo stesso percorso evoluzionista
-ricerca sul campo, metodologia usata per decostruire l’evoluzionismo introdotto da Malinowski e i
funzionalisti.
Allievi di Boas importanti: Kroeber, Margaret Meadantropologa con ruolo significativo, insieme al suo terzo
marito è stata una delle iniziatrici dell’antropologi visuale (fotografia e video).
Scuola sociologica francese periodo tra 800/900 si crea questa scuola, fa capo a due: Durkheim e Mauss.
Aspetto fondamentale è il riconoscere la dimensione essenzialmente/intrinsecamente collettiva o social della
cultura, la cultura è qualcosa che può essere compreso se guardo alla visione collettiva e sociale. Prima
c’era l’osservazione dell’individuo ora parto dalla società e dalla collettività per la mia osservazione. Cosa più
forte di questa scuola è che riconoscono un’origine agli aspetti sociali delle culture (alle pratiche umane) che
studiano, che è sempre storico-sociale e non naturale o psicologica. Durkheim scrive sul suicido per capire
questo atto estremamente personale, si parte comunque a cercare dalla collettività. Stessa prospettiva nelle
opere di Mauss, in un suo saggio esprime che anche il corpo estremamente personale e individuale è
affrontato e trattato come una costruzione sociale.
Funzionalismo inglese approccio scuola sociologica influisce fortemente nel funzionalismo e
nell’evoluzione del suo pensiero. Prima grande rivoluzione nella caratterizzazione della disciplina
antropologica. Malinowski introduce la ricerca sul camporivoluzione rispetto all’approccio portato avanti
fino ad ora. Cambia che per la prima volta l’antropologo non è più da tavolino ma mette i piedi in giro (prima
di allora antropologhi studiavano i resoconti, i dati che venivano dai viaggi di altri che non erano però studiosi
o scienziato ma funzionari, esploratori, missionari..). Malinowski introduce il fatto che lo studio di qualcuno su
una popolazione deve avvenire attraverso la conoscenza in prima persona di quella comunità. In Inghilterra
si parla di antropologia sociale perché la prospettiva malinowskiana ha inciso parecchio, è un approccio
sociale che riprende la scuola di Durkheim, funzionalismo perché importante sul campo è osservare la
funzione che ogni tratto culturale svolge all’interno di quella comunità studiata. Per fare ciò devo guardare a
tutti i tratti culturali, usare un approccio distico (es: se vado in Africa per studio della parentela devo guardare
anche a tutti gli altri tratti, economico religioso per capire a pieno e fondo). Approccio anche sincronico,
ovvero si ha un’attenzione quasi fotografica al sistema sociale/culturale che sto studiando, fotografia del
momentaneo presente però; non una dimensione diacronica. Paragone ella società come sistemi
omeostatici, resistenti rispetto all’esterno, come se le società fossero resistenti all’evoluzione e al
cambiamento della storia.
Scuola Manchester post-funzionalismo rappresentate Max Gluckman che afferma l’esigenza di
reintrodurre la dimensione storica negli studi antropologici, lo sguardo sincronico non va bene, siamo negli
anni 50/60 periodo di decolonizzazione, l’Africa sta cambiando. Altra affermazione importante è la
reintroduzione del processo di mutamento e conflitti no come disturbi da eliminare ma come fattori creativi e
di sviluppo. Turner con “dal rito al teatro” fondatore dell’antropologia performativa dove sono importanti i
movimenti liminari, di confine, passaggio e cambiamento tra uno stadio della mia identità e un altro.
Strutturalismo di Lèvi-Strauss esponente principale. Non è una corrente di pensiero applicato solo
all’antropologia ma lo troviamo in molte discipline (linguistica, filosofia..). Strauss francese di origine ebrea,
durante occupazione nazista va negli USA dove negli anni 30 inizia lo studio delle popolazioni
nell’Amazzonia, dal quale produrrà dei testi fondamentali. La sua prima opera principale il modello che
diventerà fondamentale è applicato alle strutture di parentela. Nel 1949 “le strutture elementari della
parentela” approccio strutturalistico lo applicherà poi allo studio dei miti amerindi negli anni 60.
Nell’approccio strutturalistico di Lèvi-Strauss ci sono forti influenze del metodo strutturale linguistico,
applicato alla cultura: cultura funziona come una lingua, le parole della lingua nella cultura sono sostituite da
altri elementi collocati nel mondo naturale, sociale (es: al posto delle parole ci saranno animali. Strutture di
parentela, corpo..). Lévi-Strauss non osserva la struttura a partire da un dato tangibile. La struttura ha a che
fare con una matrice che è invisibile, inconscio, che non vedo ma che regola il funzionamento della mia vita
all’interno del contesto sociale. Come se fosse un principio che regola ma non me ne rendo conto, una legge
non scritta, che non vedo, inconsciamente sta dentro ognuno di noi e regola il funzionamento sociale. La sua
riflessione sul mito: Lévi-Strauss dice che i miti non sono delle fantasie ma delle costruzioni logiche, lui
paragona il funzionamento dei miti a degli algoritmi, i cui elementi non sono costituiti da simboli astratti, non
sono numeri ma oggetti concreti del mondo naturale, culturale e sociale. Il mito è come se utilizzasse degli
elementi di esperienza comune, di vita (es: acqua, fuoco, aria, animali) e li traducesse il operatori simbolici, li
facesse funzionare cose fossero qualcos’altro. Nulla simboleggia qualcosa in sé e per sé ma il significato
che assume dipende dalla relazione che ha con gli altri simboli, non lo posso capire se non lo oppongo a
qualcos’altro. I miti non sono fantasie, hanno una loro concretezza, sono forme di espressione estetica che
hanno influenza forte sull’organizzazione sociale e nel suo funzionamento. I miti sono rappresentazioni
estetiche che non sono meno ricche di quelle moderne, ha influsso sulla critica letteraria e sulla disciplina
della semiotica con i suoi approcci alla cultura di massa contemporanea.
Antropologia interpretativa: interpretazione di culture con Geertz che usa approccio critico alla disciplina,
non vuole fondare un altro –ismo, un altro paradigma, ma vuole iniziare una riflessione su quelli che erano i
modi di produzione della conoscenza antropologica (riflessione epistemologica). Questo ramo
dell’antropologia si contrappone agli assunti che sono alla base dello strutturalismo, a Geertz non interessa
la scoperta delle strutture nascoste e profonde che determinano il comportamento umano, ne quale sia il
funzionamento ella società attraverso la descrizione di un linguaggio oggettivo. Geertz riprende la tradizione
del particolarismo storico di Boas, entrambi si oppongono all’approccio generalizzante, che universalizza la
dimensione culturale, prende anche da Malinwski e persiste sull’importanza di imparare a vedere il mondo
dal punto di vista dei nativi, però al contrario di quanto diceva Malinowski, Geertz non vuole immedesimarsi
in essi, ma capire il significato ci ciò che dicono o fanno, ricostruire una relazione empatica; riuscire a
mettersi il loro paio di occhialiper Geertz bisogna interpretare i vari significati che i nativi attribuiscono a
diversi aspetti della loro vita sociale e culturale, egli afferma che l’uomo è un animale che produce significati
e l’antropologo ha il ruolo di interpretare quei significati. Riferimento all’ermeneutica filosofica di Paul
Ricoeur, etnografia è un processo lento di avvicinamento per tentativi, non riuscirò mai totalmente a
immedesimarmi in loro ma posso cercare di avvicinarmi, anche se sarà sempre parziale e provvisorio, una
comprensione sempre imperfetta. Per Geertz non posso applicare dei modelli, la realtà è troppo complessa
per ridursi a dei modelli, però la posso interpretare (es: cultura per Geertz come ragnatele e cultura per Lévi-
Strauss come un diamante). Geertz dice che per comprendere le culture non basta viverle, ma devo anche
inscriverle i un testo, tradurre la mia esperienza sul campo in una scrittura etnografica, scriverle in un testo
non solo viverle, ma lasciarle incise nero su bianco da qualche parte.
Ricerca etnografica= far ricerca concretamente
Scrittura etnografica= restituire la ricerca fatta attraverso la scrittura ma anche attraverso la fotografia o
videonascono le etnografie sperimentali.
Differenza tra thin (sottile) e thick (denso). Geertz afferma che il compito dell’antropologo è fornire una
descrizione densa, che va oltre il livello più superficiale di quello che osserva e cerca di capirne i significati.
Esempio dell’occhiolino: se vedo qualcuno fare un occhiolino a primo impatto vedo solo uno che contrae la
palpebra, ma questa contrazione a livello fisico quanti significati può assumere? Un tic nervoso, oppure dei
giocatori/amici che se lo fanno per l’intesa di una mossa.. Se mantengo un livello di descrizione superficiale
mi accontento del primo significato, invece lo sguardo intenso dell’antropologo mi permette di capire più a
fondo e contestualizzare il gesto. Geertz paragona l’antropologo ad uno scrittore, afferma addirittura che
l’antropologo si situa a metà tra scienza e letteratura, e dicendo ciò definisce qualcosa di importante.
Principale differenza tra scrivere da romanziere o da antropologo è che lo scrittore può inventare,
l’antropologo deve far funzionare l’aspetto creativo ma con le fonti, i documenti raccolti da esperienze
vissute, l’antropologo non può inventare ma deve attenersi alla realtà.
Queste divisioni e categorie che creiamo per orientarci in realtà sono categorie molto fluttuanti, non confini
rigidi, nel momento in cui pratichiamo l’antropologia possiamo. Usare strumenti che provengono da più
correnti e mescolarli.
Metodo principale dell’antropologia è la ricerca sul campo il mettersi in gioco in prima persona, che è anche
ciò che distingue questa disciplina dalle altre scienze sociali. In realtà la ricerca sul campo non ha sempre
caratterizzato l’antropologia, è entrata a far parte da quando Malinowski ha introdotto il concetto; all’inizio
non era caratterizzata da quattro dimensione applicata di ricerca sul campo, ma l’antropologia evoluzionista
(prima corrente antropologica) teneva ben separati i ruoli di chi faceva la teoria antropologica e di chi dava
sul campo (es: Tylor faceva le sue ricerche antropologiche in base ai dati raccolti da altre persone che
viaggiavano per altri scopi e non erano scienziati). Quando invece non si riferivano a delle fonti raccolte dai
viaggi, si riferivano a fonti bibliografiche, ma non viaggiavano mai loro stessi in prima persona. La definizione
a loro data è quella di antropologi da tavolino. Quando gli antropologi lavorano come tali, non lavorano fuori
dal loro contesto storico ma lavorano in un determinato e preciso contesto che influenza le loro visioni e
idee. Al tempo dell’antropologia evoluzionista c’erano le grandi esplorazioni coloniali. Tutto cambia in
maniera sostanziosa con l’avvento dell’approccio funzionalista in antropologia con il contributo di Malinowski
ai metodi che verranno adottati in futuro. Malinowski di origine polacche, vive e studia in Inghilterra, compie
la sua esperienza più importante di campo alle isole Trobriand in Melanesia, ritornerà poi in Inghilterra a
scrivere la sua opera fondamentale “argonauti del Pacifico occidentale” nel 1922.
Immagine tenda sulla spiaggia che sta a simboleggiare andare sul campo, non basarsi più su resoconti di
altri, ma intraprender e viaggi suoi luoghi diretti interessati, andarci e starci a lungo. Caratteristiche
fondamentali di questo nuovo metodo:
-diventa forte l’esigenza di una relazione intima e costante sul piano della teoria e dell’osservazione sul
campo con annessa descrizione in prima persona, entrambe le cose fatte dalla stessa persona. Far
dialogare l’aspetto teorico con l’osservazione diretta sul campo. Non posso teorizzare se non faccio
esperienza e non posso fare esperienza in maniera consapevole se non ho i concetti teorici principali.
-fondamentale sarà il metodo dell’osservazione partecipante (che non è partecipativo). Il metodo
partecipativo implica la partecipazione di qualcun altro, ad esempio attori che partecipano alla ricerca;
mentre l’osservazione partecipante implica una partecipazione all’osservazione da parte dell’osservatore,
che porta in se la difficoltà che sta nella capacità dell’antropologo sul campo da una parte decentrarsi
rispetto alla sua cultura di provenienza il suo background sociale e dall’altra saper entrare in contatto
empatico con il soggetto della sua ricerca (ad esempio i nativi del luogo). Non guardo come spettatore il mio
studio ma sono partecipegrande sforzo dell’antropologo perché non è per niente facile, crea una sfida, ma
per Malinowski questo atteggiamento è l’unico che consente all’antropologo di raggiunger e cogliere gli
aspetti imponderabili della vita reale, quegli aspetti che caratterizzano la vita, aspetti inconsapevoli che fanno
parte della vita sociale e influenzano le situazioni. L’antropologo nel momento in cui compie una ricerca con
l’intento di riportare le caratteristiche sociali naturali del popolo si trasforma in etnologo. Importante è saper
tenere insieme il piano emotivo dell’osservatore e conciliarlo con l’elaborazione teorica.
-introduce un approccio olistico=molto diverso dall’approccio del comparativismo perché l’approccio olistico
considera necessario per comprendere una cultura guardarla in tutte le sue sfaccettature, guardare a tutto
tondo l’insieme di tutte le dimensioni che caratterizzano la comunità.
-la mia esperienza deve anche essere restituita ciò implica un’attenzione alle modalità attraverso cui gli
antropologi disseminano e comunicano la loro ricerca, modalità della scrittura monografica che introduce la
monografia etnografica dove la modalità di scrittura prevede l’utilizzo del presente etnografico (una delle
ragioni per cui poi le correnti future criticheranno la corrente di Malinowski) che però decentralizza il tempo
presente, come se questo finisse per privare la cultura rappresentata della sua dimensione storica, non
guarda con attenzione al mutamento del passato che comunque fa parte di un popolo. Oggi un antropologo
deve saper trasmettere una conoscenza etnografica a tutti.
Esempio del rituale del Kula scambio rituale che caratterizza le comunità delle sole Trobriand, scambio di
gioielli formati conchiglie rituale che è centrale per queste popolazioni. Intraprendono un viaggio per andare
nelle altre isole e scambiarsi i gioielli. Malinowski nota durante questi viaggi che intraprendente con i locai
che questo era anche un modo per portare avanti anche altri scambi di tipo economico, di cibo. Lo scambio
di conchiglie era solo un modo per instaurare fiducia tra i popoli per poi intentare altri scambi.
Queste modalità introdotte da Malinowski diventano modello per antropologi degli anni 20-70 del ‘900. Tutto
porta a una specializzazione areale ed etnica, dove si ha una caratterizzazione degli antropologi che si
specializzano in una determina area e cultura (non era possibile per un antropologo studiare mille aree
diverse e popoli diversi perché per uno studio approfondito doveva stare tanto sul luogo e gli spostamenti da
una parte l’altra non erano così immediati). Evans Pritchard fa ricerche sull’africa orientale fondamentali, e
nelle sue ricerche si attiene alle “regole” date da Malinowski, con il presente etnografico e utilizzo di molti
schemi.
La ricerca sul campo e la monografia etnografica sono il metodo centrale introdotto nell’antropologia nel 900
in Gran Bretagna e America, mentre nell’antropologia francofona ci da spunti interessanti perché
l’antropologia francese con Mauss e Griaule (esperto di Africa occidentale studia i Dogon del Mali) va per la
prima volta in Africa tra il 1931-1933 nella missione Dakar-Gibuti alla quale partecipano anche surrealisti
(forte connessione tra surrealismo artistico e letterario con l’etnologia). Museo Trocadero a Parigi si ispira
fortemente alla connessione surrealista-etnografica e si viene a definire la forte presenza dell’arte africana.
Decolonizzazione che va di pari passo e determina la svolta riflessiva in antropologia negli anni 60, ovvero
antropologi per la prima volta Messi di fronte a situazioni storiche che li mettono in crisi, si domandano se
strumenti utilizzati sono giusti per comprendere ciò che si vede. Cambia l’oggetto della ricerca perché ci si
inizia a domandare chi sono veramente i primitivi e cambia il soggetto della ricerca antropologica ovvero
cambia la risposta alla domanda chi sono gli antropologi. In tutto questo cambiamento ruolo fondamentale è
occupato dalla decolonizzazione che spunta dopo le lotte all’indipendenza (prima colonia africana a
diventare indipendente è il Ghana nel 1954, le ultime le colonie usofone negli anni 70, ultimo di tutti la
Namibia nel 1990 perché ha conosciuto la colonizzazione da parte di un altro paese africano che è il
Sudafrica). Non è più possibile pensare ai primitivi come popoli immersi nel presente storico che li rendeva
statici e soggetti muti/inconsapevoli.
Cambiamento a livello epistemologico all’interno della disciplina, epistemologia è il nostro paradigma e paio
di occhiali. Cambiamento sulle prospettive attuali della ricerca antropologica, la decolonizzazione ha portato
alla rivolta dell’oggetto etnografico, i primitivi si rivoltano conto le categorizzazioni a loro date; la
globalizzazione che segue la decolonizzazione determina la scomparsa dell’oggetto etnografico, ovvero non
è che non c’è più un oggetto di studio per l’antropologia, non sono annullate le differenze etniche culturali ma
porta alla scomparsa dell’oggetto etnografico come era stato tradizionalmente incasellato dall’antropologia.
Le differenze etniche non devo per forza andare a cercarle nelle isole esotiche ma le ho vicino casa. Quindi
anche fare un’etnografia come la intendeva Malinowski ovvero stare sul campo continuativamente per tanti
anni, non è il utile per comprendere gli oggetti etnografici, poiché i metodi devono comunque stare anche
alle evoluzioni dei periodi. Nascono quindi le etnografia multi-situate, io seguo l’oggetto dove si sposta.
Nasce anche la nethography cioè etnografia della rete. Ritorno a casa dell’antropologo che può anche fare
ricerca a casa propria, ciò che è importante e rimane al centro dell’antropologia della globalizzazione è di
riuscire a mostrare i legami spesso nascosti e inconsapevoli tra la dimensione del locale e del globale “ogni
locale porta in se schegge del globale”. Cambiano anche i modi di restituzione della ricerca, oggi di fronte
alla necessità di rendere il prodotto della ricerca antropologica utile a tutti impone di trovare un modo per
renderla accattivante, si cerca quindi un’antropologia visuale con video, foto, iper-testi. Nascono anche i
musei etnografici, trasformati poi in musei delle culture.

Appunti di metodologia della ricerca etnografica


Ricerca etnografica è una metodologia di ricerca che riguarda l’antropologia ma viene anche usata in altre
discipline come la sociologia che usa molte discipline quantitative oltre che quelle qualitative (privilegiate
dall’antropologia). Etnografiaethnos=popolo + grapho=scrivo descrizione di un popolo, rappresentazione
scritta delle forme di vita sociale e culturale di gruppi umani. La ricerca etnografica prevede 5 fasi:
1. preparazione
2. raccolta etnografica, raccolta sul campo
3. interpretazione dei dati raccolti sul campo, devo dire qual è il mio pensiero come studioso sui dati raccolti,
che dipenderà dal paio di occhiali che mi metto
4. Stesura della ricerca, mettere in forma scritta le interpretazioni
5. Disseminare e rendere pubbliche le mie stesure
Le tecniche qualitative a cui si riferisce la metodologia della ricerca etnografica si distinguono in tre principali,
distinte a partire dall’azione che si compie: osservare, interrogare e leggere.
-l’azione dell’osservare ha come tecnica l’osservazione partecipante o non partecipante
-l’azione dell’interrogare con la tecnica del questionario o. Intervista
-l’azione del legger con la tecnica dell’uso di pubblicazioni e documentazioni
Quando parliamo di osservare non si intende guardare, ma nel momento in cui osservare lo si cala all’interno
del contesto della ricerca ci riferiamo a uno sguardo che è guidato dalle ipotesi che io formulo al fine di
ottenere delle informazioni mirate e efficaci rispetto a ciò che documentando. Non esiste un’osservazione
obiettiva vera e assoluta, anzi è costantemente esposta al rischio della soggettività. L’osservazione diventa
obiettiva soltanto nella misura in cui viene condotta secondo procedere controllate, sistematiche, ripetibili e
comunicabili. Importanza di COSA, COME (utilizzo osservazione partecipante o non partecipante? Uso la
telecamera o il registratore?), QAUNDO , DOVE (dove devo andare per osservare ciò che mi interessa
secondo le modalità che mi interessano) osservare. L’osservazione partecipante ha caratterizzato in maniera
preponderante le tecniche etnografiche portate avanti dall’antropologia, con questa osservazione entriamo in
contatto diretto ed empatico con un determinato gruppo, non comprende solo osservare ma anche saper
ascoltare, quando metto in pratica questa osservazione ciò che mi interessa è avere una visione dal di
dentro della comunità che sto studiando, con l’obiettivo non solo di ricostruire gli aspetti sociali e culturali del
gruppo ma anche riuscire a delineare le regole che sono implicite e non espresse, ma importanti per capire.
Quali sono i fondamentali di quella comunità, quali sono i principi che regolano I legami sociali e li fanno
funzionare. Antropologo un po’ come un esploratore che non si limita ad osservare solo quello che si vede,
ma cerca di cogliere anche l’invisibile, ciò che non è esplicitato.
Osservazione partecipante può essere:
 dissimulata dove osservo un gruppo ma non mi paleso come osservatore, dissimulo la mia identità
di antropologo, usata soprattutto in contesti pericolosi;
 palese entro in un contesto di ricerca dichiarando cosa faccio
Accedere al gruppo è fondamentale per svolgere la ricerca, devo essere accettato. Entrano così in gioco due
figure: mediatore culturale che è una figura che da una parte gode il rispetto della comunità che vado a
studiare ma è anche capace di comprendere le esigenze del ricercatore; informatore o testimone
privilegiato non deve riuscire ad avere gli strumenti per capire quali sono le finalità di ricerca
dell’antropologo ma deve essere una persona che gode di fiducia del gruppo anche con determinate figure
del gruppo al fine di ottenere informazioni sul gruppo stesso per agevolarmi. Si instaurano anche relazioni tra
ricercatore e informatore, che può aiutare il ricercatore nella visione nell’interpretazione della comunità
studiata. 5 macro oggetti di osservazione da tenere in considerazione:
1. Contesto fisico ovvero la descrizione della conformazione strutturale degli spazi nei quali sviluppo
la ricerca
2. Contesto sociale, vedere com’è popolato il contesto della ricerca (età, che genere sono, come
sono)
3. Interazioni formali quelle formalizzate dentro a dei contesti e regolate da vincoli precisi; le seconde
4. Interazioni informali ovvero interazioni che avvengono tra individui all’interno del gruppo nelle quali
I ruolo non sono prefissati ne regolamentate da vincoli
5. Interpretazioni degli attori sociali ovvero le interpretazioni che io ricercatore do alle interpretazioni
tra i soggetti del gruppo che ho notato.
Processo di registrazione dei dati osservati che inizia già durante la ricerca stesa, sono appunti che prendo
nel mio diario etnografico giorno per giorno, tutto ciò che avviene. Importante è che si capisce che gli appunti
messi non sono i miei personali ricordi ma sono il frutto di un’interazione continua tra me e i miei interlocutori
sul campo che sto studiando.
Il ciclo della ricerca etnografica=Durante il lavoro sul campo le cose possono evolversi e portare
l’antropologo a mettere in discussione gli obbiettivi che l’antropologo si era prefissato in partenza, capisce
che non funzionano e deve riadattarsi. Continua definizione e ridefinizione del lavoro da svolgere.
Oltre all’osservazione partecipante c’è anche l’osservazione non partecipante, “osservatore tappezzeria”,
dove deve arrivare ad essere quasi ignorato dai soggetti osservati che comporta molte difficoltà e porta
all’uso di nuovi strumenti come una videocamera. Tecnica shadowing metodo di osservazione che consiste
nel seguire un utente come un’ombra durante le sue attività senza interferire nella sua vita quotidiana, solo
osservare e documentare. Durante la ricerca si può anche interrogare le popolazioni con interviste strutturate
con risposte che do io antropologi a priori,, oppure interviste semi-strutturate enuncio il tema dell’intervista
prima di eseguirla; intervista non strutturata o narrativa dov’è sostanzialmente si è interessati a scambiare
delle chiacchiere con l’interlocutore in maniera molto informale (questa la si attua quando interlocutore e
antropologo hanno un minimo di rapporto). Oltre alle interviste ci sono anche I questionari che possono
prevedere risposte strutturate chiuse o risposte aperte. Antropologo dispone di diversi strumenti, soprattutto
in anni recenti si stanno sviluppando gli strumenti visivi (con la svolta dell’antropologia interpretativa anni 80
del ‘900) con utilizzo di fotografia, video, mappe partecipative, disegni. Strumenti che puntano a virare le
tecniche di ricerca verso la partecipazione e il coinvolgimento di ciò che si studia.
Approccio antropologico può dare una chiave di lettura della contemporaneità a livello sociale e politico
(partecipazione alla sfera pubblica dei cittadini). Tema del rapporto tra antropologia e memoria, tema del
tempo e della storiatre temi collegai tra di loro. Qual è il rapporto che l’antropologia come disciplina
intrattiene con la memoria? Approccio che l’antropologia ha con la memoria è diverso da quello che ha con
la storia, sono diversi i metodi che utilizza per indagare il fenomeno sociale e culturale della memoria. La
memoria non è solo un tema di studio per l’antropologo ma è di più, diventa la memoria una costituente di
quelle che sono le fonti che l’antropologo utilizza per costruire la sua identità etnografica. I colloqui con gli
interlocutori sul campo permettono di raccogliere fonti orali che racchiudono una memoria rispetto alla
cultura che si sta studiando. La memoria entra a far parte di una componente fondamentale che aiutano
l’antropologo. Anche oggetti, cerimonie, riti, simboli e luoghi possono essere considerati come forme di
memoria collettiva. Una memoria che si scrive negli oggetti e non sta solo nelle menanti delle persone.
Oggetti ed elementi diventano simboli della memoria. Il doppio articolarsi della memoria tra un paio che è
ufficiale e uno vernacolare (del quotidiano) è un punto importante. Da una parte l’attenzione verso le
memorie ufficializzate, dall’altra si dà importanza alle piccole memorie che vengono fuori dalla quotidianità,
dal vivere e anche legate alle piccole storie familiari. Antropologo interessato anche a mettere in
comparazione le relazioni che ci sono tra esse. La memoria non è un’entità fissa ma è un processo che noi
costruiamo e che è il risultato di una negoziazione e di una conflittualità tra diversi punti di vista su quello che
è il passato. Non esiste una memoria giusta o sbagliata, una memoria che si oggettiva; esistono diverse
interpretazioni diverse e possibili del passato e io ne devo essere consapevole. Se l’antropologia è
interessata in particolare, come la storia, ad una memoria a lungo termine c’è un’altra disciplina che si è
interessata alla memoria in maniera diversa che la psicologia. Essa ha soprattutto un’attenzione alla
memoria a breve termine, tuttavia anche dalla psicologia vengono alcune riflessioni interessanti per gli
sviluppi dell’antropologia della memoria. Se la psicologia sperimentale porta avanti degli esperimenti sulla
memoria in laboratorio (lontana dall’approccio antropologico sulla memoria), si vengono a definire negli anni
30 approcci alla psicologia interpretativa, da importanza ad uno studio alla memoria che esce dall’ospedale
tedio in laboratorio e da attenzione alle dinamiche che influenzano la memoria a partire dall’inserimento
dell’individuo in un contesto sociale e culturale particolare. Questi studi seguiti poi dalla fondazione
dell’approccio ecologico, che fa comprendere che per capire le articolazioni complesse della memoria
occorre. Considerare le prestazioni della memoria dell’individuo dentro un contesto sociale e culturale.
Conseguenza aspetti importanti portati in evidenza: tema della falsa memoria e tema delle distorsioni della
memoria. La memoria non è mai una costruzione data oggettiva e vera ma una conseguente di scelte messe
in atto. Psicologo Bartlett utilizza il concetto di “schema” e concetto di “copioni” che rimanda all’antropologia
interpretativa di Geertz e dice che la memoria è lontana dall’essere qualcosa di neutro e osservabile
attraverso le tecniche di laboratorio ma è invece una costruzione complessa fatta dal soggetto a partire da
un susseguirsi di scelte. Questi ricordi sono quindi un qualcosa di costruito e modellato attraverso strategie
rappresentative. La falsa memoria interviene anche da parte dei gruppi etnici per scopi difensivi della loro
identità, quando essi si romano minacciati spesso si inventano una memoria etnica che non esiste (caso
degli herero ad esempio). La reinvenzione della tradizione ha a che fare anche con il campo turistico,
comunità inventano o reinventano una tradizione per soddisfare l’occhio del turista, che vede in loro ciò che
vuole vedere (es: popolazione Imba o Dogon). In realtà è come se la memoria fosse una “fiction”, non
perché sia finta, ma perché implica una costruzione, delle scelte e delle strategie del ricordo. Il mio modo di
ricordare farà capo a delle strategie di costruzione che metto in campo in base a quali sono i miei obiettivi.
Sociologo Halbwachs, allievo di Durkheim, considerato il fondatore degli studi sulla memoria collettiva; si
ricollega al concetto di Durkheim sulle rappresentazione collettiva, intesa come qualcosa che viene prima
delle rappresentazioni individuali radicato nelle istituzioni sociali. Halbwachs riprende questa teoria di
Durkheim e la applica a partire dal concetto dei quadri sociali della memoria (schemi della psicologia
cognitiva), sono quadri sociali in cui la memoria si articola come fenomeno collettivo prima di essere un
fenomeno individuale. La memoria collettiva non emerge dalla combinazione di ricordi individuali, ma tutto il
contrario. Nel momento in cui noi adottiamo una prospettiva sociale sulla memoria, ci sono diversi aspetti
che diventano centrali:
-costruzione linguistica del ricordoanalisi del discorso che è una metodologia di ricerca
-indagini empiriche sui rituali commemorativi, il modo in cui io costruisco la memoria avviene si attraverso il
discorso ma anche attraverso cerimonie di commemorazione di eventi passati di fatti storici da indagare
anche chi, come lo celebra (uno stesso evento può essere celebrato in modi diversi nello stesso territorio)
-le indagini empiriche sull’incorporazione della memoria in luoghi e oggetti materiali, incorporazione della
memoria negli oggetti (danno vita ai musei)
Tema delle memorie concrete, la memoria si concretizza e si ancora in luoghi, oggetti materiali. Sono delle
forme della memoria che non sono discorsive ma materiali. Rispetto alle memorie concrete Halbwachs fa un
esempio interessante: cerca di vedere come l’identità e la memoria dell’identità cristiana a dopo le Crociate
cerca di costruirsi e riaffermarsi, cecando una memoria sia su un piano immaginario che su un piano della
realtà fisica.
Libro Chatwin “le vie dei canti”, testo tra romanzo/saggio/diario di viaggio, le vie dei canti sono qualcosa di
già descritto negli anni 40 del 900 dall’etnologo Strelhow e sono qualcosa che pertiene la mitologia aranda
australiana, le vie dei canti sono come se si concretizzassero negli oggetti che fanno parte del paesaggio e
questi elementi non hanno solo un valore meramente di estetico e bello ma hanno un valore importante,
ognuno di quegli elementi per gli aranda è stato creato dagli antenati; quindi per loro attraverso il paesaggio
è anche possibile ricostruire l’albero genealogico e conoscere gli antenati di una famiglia attraverso questi
elementi fisico-naturali. Sono anche mappe concrete per orientarsi sul territorio. Associazione piano
mitologico di come la memoria venga elaborata a partire dalla mitologia è un concretizzarsi con luoghi che
fanno la geografica contemporanea di queste popolazioni. Concretizzazione della memoria negli oggetti
rituali si trova anche nei churinga, oggetti rituali che rappresentano il corpo fisico di un antenato, un oggetto
che ha una valenza simbolica rispetto alla memoria, ogni persona che indossa un churinga diventa la
reincarnazione di quell’antenatointrecciarsi memoria con mitologia; sul quale già si era soffermato Lévi-
Strauss che li considera un esempio di come quello che lui chiama il pensiero selvaggio. Come questi
oggetti riescano a tenere insieme il passato (dimensione diacronica) e il presente (dimensione sincronica).
Altra riflessione importante che ci propone è la dicotomia tra società fredde e calde:
-società fredde definite attraverso la metafora dell’orologio, sono le società primitive, quelle che funzionano
come un orologio dove ci sono ingranaggi che le tengono insieme con meccanismi delicati e che funzionano
sempre allo stesso modo, portando avanti un’idea di tempo circolare che ritorna sempre. Nelle società
fredde c’è un’idea che tuto ciò che poteva accadere è già accaduto nella storia, ciò che riguarda il presente è
già tutto esistito nel passato che ritorna sempre circolare.
-società calde definite attraverso la metafora della macchina a vapore, sono le società moderne con una
diversa concezione del tempo, tempo vettoriale che progredisce va in avanti ed evolve, non ci si riferisca la
passato già avvenuto. Ecco perché la metafora della macchina a vapore, essa sviluppa sempre temperature
più alte attraverso energie la spingono sempre più avanti. Dimensione ricorsiva della storia.
Società fredde-calde si inserisce in una serie di dicotomie che hanno contrapposto la società moderna con
quella tradizionale es: tempo ciclico-lineare; tempo sacro-profano; società senza storia-storica; oralità-
scrittura. Tutte queste dicotomie sono state dominanti negli dell’interpretazione della memoria da parte degli
antropologi, oggi messe fortemente in discussione. Storico francese Nora ha distinto luoghi della memoria da
quelli della storia. La memoria associata alle società fredde-primitive e la storia associata alle società calde;
egli viene molto criticato da parte di diversi antropologi che scrivono e lavorano sul tema della memoria dopo
gli anni 60 e partecipano alla svolta interpretativa dell’antropologiaaccusano Nora di ragionare ancora
dentro le dicotomie e separare le società primitive con quelle di oggi; ma Nora da degli spunti interessanti su
cui riflettere riguardi alle pratiche commemorative rituali e simboliche.
Egittologo Assmann scrive un testo all’inizio degli anni 90 del 900 intitolato la memoria culturale, riporta a
osservazioni riguardo al tener presente il piano della memoria comunicativa e il piano della memoria
culturale. Nel suo libro traccia un distinzione tra quella che è la memoria comunicativa e quella che è la
memoria culturale; la prima si scrive nella scala piccola riguarda relazioni faccia-faccia gruppi piccoli a livello
familiare e dinastico; la seconda culturale si distingue da quella comunicativa perché capace di risalire ad un
passato molto lontano e riesce a istituzionalizzare il ricordo, genera memoria collettiva attraverso coloro che
parlano da un punto di vista del potere, le cui parole hanno un peso che consente alla memoria di
istituzionalizzarsi (il potere lo detengono politi e tutti quelli che lavorano e fianco e per loro). Le memorie
ufficiali e vernacolari sono sempre negoziate e in tensione le une tra le altre, tensioni che rimangono nella
sfera dell’invisibile ma ciò non vuole dire che non esistano. Quando parliamo di memoria collettiva capace di
raggiungere messe di persone nasce nell’età moderna e va di passo con gli stati nazionali (prima non c’era
questa idea, prima le memorie erano molto più piccole); ci sono simboli attraverso i quali questa memoria
collettiva si costruisce (es: bandiera, inno nazionale). Sono simboli attraverso i quali raggiungere l’emotività
di un gruppo molto ampio di persone e costruire a partire da essi una memoria comune che è la memoria
collettiva nazionale coincide con la memoria dello stato nazionale. Quando parliamo di memoria dobbiamo
anche parlare dell’oblio, di quello che viene escluso dalla memoria collettiva che si sceglie di non ricordare è
dimenticarlo. Storico Reinan dice che non solo ci sono strategie di costruzione della memoria e del ricordo
ma ci sono anche strategie della dimenticanza, dell’oblio. Per. Guardare come funziona la memoria devo
guardare sia alle costruzioni del ricordo che alle costruzioni dell’oblio. Ci sono figure ed eventi che vengono
dimenticati e scordati come le minoranze etniche, le donne. Memoria e patrimonio accomunati nei musei, ciò
che è patrimonio culturale definito dall’UNESCO all’Onu viene definito attraverso scelte; l’Onu ha potere e
decide cosa è e cosa non è patrimonio culturale.
Spesso il tema della violenza e della memoria vengono trattati insieme in campo antropologico per indagare
e comprendere la contemporaneità. Parlare di violenza in antropologia significa cercare di comprender
equali sono le relazioni visibili e invisibili che le violenze intrattengono con le identità. Il problema della
violenza pone un quesito fondamentale alla disciplina antropologica, si riprende la domanda posta da Primo
Levi: com’è possibile che l’umanità possa essere così crudele da compiere atti di violenza così grandi? Di
fronte alla capacità umana di compiere atti così crudeli noi siamo scioccati, rimaniamo senza parole anche
rispetto a certe immagini che si vedono. Ma in realtà dietro al nostro stupore si nasconde il fatto che non
siano capaci di definire e spiegare tale violenza. L’antropologia classica nella prima fase tace tutto sulla
violenza (Evans Pritchard monografia che parla dei Nuer in Sudan, scritto nei tempi in cui il governo metteva
in atto violenze contro queste etnie ma Evans di tuto questo non ne parla nella sua monografia, tace tutto
della violenza subita da questi popoli da parte del governo colonizzatore). Anche se comunque è vero che
tutto viene taciuto ma bisogna anche considerare la possibilità di strumenti che si hanno a disposizione per
condannare dei fatti, ai tempi non avevano abbastanza strumenti come oggi e sopratutto il mio paio di
occhiali dipende anche dal contesto storico e geografico in cui mi colloco, quindi oggi giorno possiamo
essere più critici e obbiettivi rispetto ad anni passati. Negli ani 60 del 900 le cose cambiano con la svolta
post-coloniale, svolta riflessiva negli studi antropologici. Svolta fortemente influenzata dai cambiamenti geo-
politici, socio-culturali che interessano I contesti nei quali gli antropologi studiavano in quegli anni. Fanon
denuncia fortemente l’antropologia che aveva portato alla completa eliminazione del ricordo della violenza
come se non fosse esistita nei corpi e nelle menti, violenza fisica e epistemologica (invisibile, agisce sul
piano emotivo). Con la svolta post-coloniale l’antropologo diventa impegnato, è coinvolto (engaged) rispetto
a quelle che sono molte delle situazioni che l’antropologo studiaportano l’antropologo a diventare anche
un’attivista nei movimenti dei diritti umani. Cambiano anche profondamente i contesti sul campo in cui
l’antropologo studia, contesti under fire come se l’antropologo lavorasse sempre in un contesto di
conflittualità. Conflitto non sempre legato alla guerra tra eserciti ma ci sono altri tipi di guerre che iniziano a
proliferare dalla seconda metà del novecento fino ad oggi, coinvolgono tutta la popolazione; guerre a bassa
intensità perché non ci sono due eserciti con carri armati e armi ma tutta la popolazione era coinvolta. Dalle
guerre recenti Vietnam, Balcani (tra serbi e croati), conflitti etnici quasi il 100% dei morti non si riscontrano
tra le file dei soldati ma tra i civili. La guerra si insidia in tutti i tessuti sociali, la guerra diventa indistinguibile
dalla quotidianità non è più considerata come un evento d’eccezione ma diviene parte del quotidiano. Walter
Benjamin (importante rispetto al tema dell’estetica in chiave politica) opera Angelus Novus nel quale dice
che ci dobbiamo abituare all’idea che per interpretare il significato della violenza non dobbiamo considerarla
come qualcosa di eccezionale ma come qualcosa che fa parte del funzionamento della società, non
possiamo capire in maniera critica la violenza se interpretarla se continuiamo a guardarla come se capitasse
in determinate situazione, altrimenti la società umana sarebbe priva di violenza e pacifista (non è così).
Conflitto e violenza non sono l’eccezione ma la regola del funzionamento dei gruppi sociali umani, solo se
capisco ciò posso capire in maniera virtuosa cosa sia la violenza. Uno dei temi fondamentali diventa il fare
campo under fire in situazione di conflittualità esplicite che interessano tutta la popolazione e non degli
eserciti, questo mette di forme l’antropologo ad un problema: come faccio a descrivere e restituire
etnograficamente la violenza? Si interroga un’antropologa per quelli che sono i contesti dello Sri Lanka e del
Mozambico (un contesto asiatico e uno africano); in questi testi ella si interroga fortemente come fare per
restituire l’esperienza, come mantenere il distacco da quello che è il contesto che sta studiando ma allo
stesso tempo a interpretarlo nel momento in cui si trova di fronte a situazioni che la chiamano in causa
emotivamente. Si interroga sempre su: come faccio io a raccontare qualcosa che sto studiano nel momento
in cui io quella cosa che studio non la vedo allo stesso modo degli antropologi classici la vedevano, ovvero
tranquilla, a me appare tutta rivoltata e messa in discussione. Nella rappresentazione etnografica poi entra
molto il discorso etico, io come antropologo sono chiamato a raccontare non solo l’oppresso ma anche
l’oppressore, devo indagare e raccontare di chi ammazza innocenti. Antropologo Michael Taussig si è
occupato molto della descrizione etnografica dell’antropologia, si interroga scrivendo pagine molto intese su
come fare a scrivere contro il terrore e prendere una posizione nel momento in cui si trova in un contesto di
campo dove non capisce niente, tutti i contesti sociali sono annullati e rimangono solo i ruoli di carnefice e
oppressorenon facile da stabilire perché dipende con chi parlo, per qualcuno il carnefice può essere una
determinata persona che in realtà per altri è l’oppresso. Le gerarchie e le regole sociali in un contesto di
caos saltano e non è facile per l’antropologo. Antropologo può inciampare in due problemi: può avere uno
sguardo troppo distaccato e quindi una giustificazione della violenza che l’antropologo osserva oppure
dall’altra parte nel momento in cui decide di non avere uno sguardo distaccato e prendere una posizione
militante rischia di cadere nel pericolo di voyeurismo. Si sviluppa poi la corrente dell’antropologia critica, ha
come esponente Scheper-Hughes, secondo lei l’antropologo deve dare importanza non solo alla violenza
esplicitata ma ci sono anche una serie di violenze che avvengono nel quotidiano, nascoste, spesso anche
violenze autorizzate dal potere giustificate che fanno parte dii quello che è il funzionamento sociale dei
contesti. Diversi contesti in cui ciò può essere osservato: ospedali, carceri, tribunali. Da questo punto di vista
l’approvazione della legge Basaglia è stata fondamentale con la chiusura dei manicomi dove la violenza
veniva adottata liberamente con consenso.
Esempio etnografico della Namibia (studio fatto dalla professoressa) riporta a parlare nei termini più classici
dell’antropologia di genocidio e violenza invisibile, che spesso sono così presenti anche in quelli che sono
sistemi democratici. Ambientato nella Namibia post-coloniale, ovvero nell’età contemporanea, Namibia in un
contesto geograficamente lontano da noi ma non per questo meno importante. Aspetto importante è che per
capire come va tutto ciò che sta intorno a noi dobbiamo anche valutare e osservare ciò che succede nel più
piccolo punto del mondo, globale e locale non è una dicotomia ma vanno di pari passo per capire l’una e
l’altra. Così fa la Namibia che seppur così lontana da noi è importante per capire gli europei. Stato diventato
indipendente per ultimo, negli anni 90, perché la Namibia è l’unico stato africano che ha conosciuto una
colonizzazione contigua di un altro stato africano che è il Sudafrica. Sudafrica è stata colonia inglese e
americana durante la guerra fredda, invece il paese sopra che è l’Angola era sotto influenza
sovieticaNamibia si trova giusto in mezzo tra i due paesi. Namibia prima di tutto fu colonia tedesca dal
1886 al 1914 (spartita poi perché fine 1GM Germania perde tutte le sue colonie)(ciò fa capire che comunque
tutto ritorna, anche quando si parla di guerre mondiale ne parliamo a livello europeo invece anche l’Africa e
molti altri paesi ritornano sempre in ogni questione, anche per questo è importante vedere le loro realtà per
comprende la nostra attualità e contemporaneità). Giro in Namibia ha voluto interrogare i luoghi della
memoria herero (fatto da Nora), confronto con i paesaggi della memoria e i paesaggi dell’oblio. Non c’è solo
una strategia della costruzione della memoria ma anche una strategia della costruzione dell’oblio, decido
non solo cosa voglio ricordare ma anche cosa voglio dimenticare. Il paesaggio della memoria io lo vedo, ma
allo stesso tempo l’indagine ha voluto guardare a quelle che sono le tracce nel paesaggio della Namibia
attuale di quella memoria che si vuole ricordare e di quello che si è voluto dimenticare. Oltre alla ricerca
etnografica sul campo si è fatta una ricerca di fonti storiche nella biblioteca nazionale della Namibia. Luoghi
non originari dove gli herero vivendo ma venivano portati nelle città per stare nei campi di concentramento
nelle città di Luderitz, Swakopmud, Windhoek (capitale Namibia), Omaruru, Wateberg, Okakarara.
L’attenzione alla dimensione della memoria storica degli herero si intreccia con altre dimensioni che
rimandano alle tematiche sia della memoria che dell’identità etnica e nazionale. Quando si parla dei contesti
post-coloniali si ha a che fare con un’identità che si complica, una relazione complessa tra l’identità
nazionale (essere namibiano) e le identità etniche che gli abitanti si portano addosso dall’età pre-coloniale.
In seguito agli ordini di stermino ci fu la diaspora herero, molti sono morti ma quelli che sono sopravvissuti
sono emigrati altrove, si parla quindi di un’identità trans-nazionale attraversa I confini della Namibia e
raggiunge le comunità herero nei luoghi dove hanno emigrato. Thabo Apollos ragazzo giovane figlio della
diaspora, un herero che vive in Sudafrica da quando è nato, capisce l’herero ma non lo parla, scrive poesie
riguardanti la diaspora in inglese. Omarula albero importantissimo per gli herero, crea una metafora come se
l’albero omarula rappresenti la popolazione herero, la distruzione di questo albero significa la distruzione
della popolazione. C’è una tendenza a territorializzare, rendere ancorati a degli elementi fisico-territoriali
quella che è la memoria di paese, comunità.
Memorie commemorazione nell’herero day, maschi indossano divise similia quelle dei soldati tedeschi
(mettersi nei panni dell’altro è come finire per dominare il dominatore, sfidano i dominatori e costruiscono
una loro identità) donne si vestono di rosso, verde e bianco (ricordano I tre colori dei tre gruppi herero
principali). Durante l’herero day tutti gli herero arrivano da ogni parte dell’Africa, organizzati in
truppe/confraternite per commemorare e ricordare il ritorno in Namibia della salma dell’ultimo capostipite
herero vittima della diaspora morto in Sudafrica. Zona del Waterberg (oggi parco nazionale) zona con rilievi
simili a montagne senza punta, in cui nel 1904 si è combattuta una battaglia durissima tra tedeschi ed herero
(all’interno del parco c’è un sito di commemorazione). Solo 100 anni dopo nel 2004 è stata messa una targa
commemorativa per ricordare le vittime herero fino ad allora taciute (riportando al discorso dell’oblio nelle
memorie). Non a caso nell’anno 2004, perché proprio in questo anno è stato riconosciuto dal popolo tedesco
il genocidio herero. I luoghi della memoria diventano frequentati da moltissimi turismi che vanno a visitare il
parco e anche I luoghi dei genocidi. Oltre a Waterberg c’è anche un’altra battaglia importante combattuta a
Hamakari, che ha portato la morte di moltissimi herero; questo luogo che è una pozza d’acqua oggi si trova
sul posto dove sorge una guest farm (utilizzata per il turismo).
Tema della violenza: noi ci domandiamo come l’umanità possa essere capace di violenza, riferimento ala
grande domanda che si pongono prima i filosofi degli antropologi, riassunta nella domanda del libro di Primo
Levi che si domanda come è possibile che l’uomo sia capace di atti così violenti da produrre effetti
devastanti che nel caso specifico delle persecuzioni naziste hanno avuto sulla popolazione globale.
Antropologo nel momento in cui si trova a riflettere sul tema della violenza, deve anche confrontarsi con la
violenza sul campo della ricerca etnograficaqui il problema non è soltanto a livello di conoscenza su come
posso spiegarmi una violenza, ma come posso trovare la giusta misura rispettosa di tutti gli attori in gioco su
un tema così delicato. Tutto si lega al tema dell’identità, antropologia riflette su come la violenza si lega ai
processi di costruzione identitaria e di come la violenza si lega al rapporto di diverse identità e alterità.
L’antropologia interessata a diverse declinazioni dell’identità: in particolare al tema dell’identità etnica.
Quando si parla di identità etnica si parla di un qualcosa che serve anche per comprendere le nostre identità
non solo quelle degli altri. Contraddizione che se da una parte l’identità etnica spesso e volentieri oggi giorno
non esiste più perché lo riferiamo al passato o slegato a noi la contestualizziamo in un altrove e la facciamo
corrispondere con delle società “primitive” dall’altra parte le parole identità etnica si usano molto spesso a
livello mediatico per descrivere ciò che caratterizza la nostra contemporaneità (es: le guerre nei paesi
islamici o guerre nei Balcani anni 90 rappresentate come scontri tra etnie diverse e religioni diverse) (spesso
identità etnica viene associata all’identità religiosa). Antropologi parlano a riguardo di un mito di un conflitto
etnico globale, un’invenzione, dicono in sostanza della globalizzazione (Ugo Fabietti in Italia) che in realtà gli
scontri contemporanei e la violenza che li caratterizza non sono in realtà dovuti a delle differenze e a delle
contrapposizioni a livello etnico e identitario iscritte in un passato, ma sono piuttosto delle strategie utilizzate
(dai poteri stato nazionali e dagli attori che detengono il potere politico nella contemporaneità) per costruire
le loro identità immaginate di uno stato/nazione che ha bisogno di un’identità unica e aggregante (lo
stato/nazione nega le diversità); inventano un’identità che non esiste nel paese. Sfruttano le differenze tra
culture per i loro fini politici. Le vittime di questa invenzione di una conflittualità etnica usata dai poteri politici
per portare avanti una loro idea di identità nazionale non sono immaginarie, i civili e le vittime sono reali.
Potere dell’immaginario: l’immaginario non è apolitico, non ha effetti surreali, quello che noi produciamo sul
piano dell’immaginario ha delle ripercussioni concrete e reali. Arjun Appadurai dice che l’immaginario è una
pratica culturale, dobbiamo leggerlo secondo delle prassi, esso prende forma anche attraverso dei nostri
comportamenti; ha una ricaduta sul piano concreto. Nel testo modernità in polvere approfondisce il tema del
culturalismo= mobilitazione delle differenze culturali da parte dei poteri politici e contemporanei per
giustificare delle scelte che fanno a livello politico (sfrutto una differenze culturale o religiosa). Il culturalismo
è una reificazione e riproduzione in maniera meccanica di contrapposizioni, di differenze etniche che
vengono contrapposte le une contro le altre al fine di soddisfare delle strategie politiche. Egli dice che le
contrapposizioni etniche sono qualcosa che riguarda la globalizzazione e il mondo contemporaneo e sono il
frutto di incertezze che caratterizzano la globalizzazione contemporanea, è l’insicurezza che porta a delle
strategie di invenzione della conflittualità etnica.Fabio Dei altro antropologo che si occupa dell’antropologia
della violenza. Tutto ci aiuta perché quando parliamo di identità etniche non stiamo parlando di qualcosa
lontano dai noi nel tempo e spazio ma riguarda qualcosa che è qui e ora nel mondo globalizzato
contemporaneo. Tutto dipende dalla tipologia del paio di occhiali che ci si mette, non possiamo pensare che
ciò che accade in luoghi ed eventi lontani da noi non ci riguarda perché sono lontani, ma dobbiamo coglierli
perché attraverso il nostro sguardo strabico noi riusciamo a delineare quella che è la complessità
contemporanea. Tutto fa parte della stereotipizzazione delle identità degli altri (fatti per semplificare una
realtà ben diverse è difficile nel momento in cui si impara a conoscerla). Tema della conflittualità etnica che
nn viene più collegata a certezze ma a delle incertezze, a delle insicurezzenoi non sappiamo più chi siamo
noi e chi sono gli altri. È difficile mantenere i confini perché le migrazioni (di persone, tecnologici, finanziari)
mettono in discussione le nostre certezze. Aspetto di come la violenza non riguarda solo casi straordinari di
conflitti ma riguarda anche la nostra quotidianità attraverso modalità di attuazione della violenza che si
hanno ordinariamente (prigioni, reparti psichiatrici..).
Tema del tempo, centrale nella riflessione antropologica cosi come lo è il tema dello spazio (anche se
antropologia preferisce parlare di territorio, luogo, paesaggio). Geografia è una scrittura della terra, non è
solo dove le cose sono ma è anche un cosa significano le cose. Lo spazio come il tempo è una categoria
fondamentale dell’esperienza umana, non può farsi essa fuori dal tempo e dallo spazio; se l’antropologia è
quindi interessata all’esperienza umana non può prescindere dall’essere interessata dai temi tempo e
spazio. Sono categorizzazione essenziali che l’antropologia riprende nel suo pensiero. Sono
categorizzazioni universali (tutti gli esseri umani vivono nello spazio-tempo), ma allo stesso tempo spazio e
tempo sono categorie plasmate dalle culture, ogni cultura ne ha un’esperienza particolare. Da una parte la
categoria dello spazio è universale a tutti gli esseri umani ma contemporaneamente con la categoria tempo
abbiamo a che fare con una categoria che differisce fortemente rispetto ai contesti con cui si ha a che fare.
Alla fine del 800 c’è un rapporto di un certo tipo che l’antropologia intrattiene con lo spazio, le cose cambiano
con il 900 e la svolta riflessiva a partire dal periodo post coloniale (anni 60 del 900’ in poi). L’antropologia è
un sapere localizzante, antropologia classica (nata tra la fine 800 e primo 900 del funzionalismo, Malinowski,
Pritchard..) è un sapere localizzante perché interessata allo studio di gruppi umani che condividono l’abitare
in uno stesso luogo. Antropologia classica non decide di studiare le popolazioni di cui si occupa a partire da
dalle categorie che vengono prestabilito prima di andare sul campo, ma è anche un’antropologia relazionale
interessata a studiare le relazioni su diversi piani tra membri che vivono negli stessi luoghi. Etnografia
(definita da Clifford Geertz) è una strategia localizzante, costantemente caratterizza da un viaggio verso un
campo che mette l’antropologo in una situazione di tensione tra l’essere la sul campo (che può essere un
altrove più o meno lontano) e qua dove scrive la sua ricerca fatta. Clifford Geertz dice che in realtà la visione
di sapere localizzante dell’antropologia classica corre il rischio dic recar una visione divisionista delle culture
e delle identità, il rischio è quello che si creino identità e culture delimitate e chiuse in confini netti e fissi;
come se le etnie venissero classificate e non più prese come costruzioni a livello identitario. Nella sua
riflessione sullo spazio l’antropologia si trova a dover mettere in relazione elementi che riguardano la
riflessione della geografia: distinzioni spazi umani e spazi naturali che distinguono quelli che sono elementi
naturali da quelli antropici. Elementi antropoidi in riferimenti alle costruzioni che l’uomo fa nello spazio (delle
materialità che trasformano lo spazio naturale) ma anche di trasformazioni che l’uomo compie sullo spazio
(es: rivoluzione neolitica nascita agricoltura e allevamentouomo da cacciatore ad agricoltore cambia il
modo di rapportarsi con l’ecosistema). Tuttavia aspetto su cui si riflette molto è la distinzione tra spazio
naturale e antropico definita come distinzione orientativa, una distinzione fissa non c’è poiché un ambiente
naturale puro praticamente non esiste da un punto di vista antropologico. Antropologia mette in discussione
il determinismo ambientale, che attraversa tutta la filosofia occidentale, che aveva una visione deterministica
per la quale i comportamenti e le azioni di una società erano determinati dalle caratteristiche ambientali di un
territorio. Antropologia dello spazio mette in discussione il determinismo ambientale dicendo che lo spazio
non è uno sfondo neutro su cui avviene l’azione umana, ma l’ambiente partecipa, c’è rapporto dialogico
costante tra ambiente e società che lo abita, gli abitanti costruiscono significativa anche attraverso la loro
interazione con l’ambiente che abitano. Antropologia quando riflette sullo spazio è interessata a indagare il
rapporto tra spazio e cultura, riprendendo il punto di vista dei nativi prima di tutto; all’antropologo non
interessa portare il suo punto di vista presso le comunità che studia, ma vuole cercare di comprendere come
i nativi significano lo spazio, come lo vedono loro. Ciò che interessa all’antropologo è cercare di far emergere
attraverso le parole dei nativi e l’osservazione dei loro comportamenti quelle che sono le loro strategie dello
spazio che abitano, come lo spazio viene utilizzato, raccontato dai nativi per soddisfare a dei fini sociali,
culturali e politici. Come attraverso lo spazio si creino dei sistemi di categorizzazione che sono alla base del
funzionamento di una cultura che creano delle corrispondenze e delle differenze; attraverso i modi con i quali
una cultura costruisce il suo spazio, lo ordina e lo organizza il realtà costruisce il suo nomos ovvero ordine.
Lo spazio e le modalità di organizzazione a livello spaziale del villaggio riflettono una differenzializzazione
dei ruoli delle persone che e abitano quel villaggio. Aspetti importanti da considerare su come si struttura lo
spazio:
-confini: tracciando confini sia interni che esterni alla comunità categorizzo e costruisco il mio sistema di
riferimento; confine rimanda all’atto primordiale di distinzione tra noi e gli altri. Il tracciare confini avviene
anche a livello metaforico, non attraversano solo lo spazio materiale
-centri: devo anche definire dei centri che non sono uguali tra una comunità e l’altra. Secondo la nostra
logica centro è la città e le campagne periferie; ciò non vale se ci si sposta presso altre culture e società.
Contesto africanoquando arrivano i colonizzatori costruiscono i loro centri che però non erano centri per le
popolazioni dei nativi, ma ne riconoscevano di diversi a seconda dell’appartenenza etnica. La strutturazione
dello spazio appunto è qualcosa che rientra a pieno titolo nei modi in cui una cultura si struttura e si definisce
-territori: dobbiamo individuare dei territori e la possibilità d’uso di tali
-mondo: è come se noi attraverso queste categorizzazioni creiamo e costruiamo il nostro nomos, il nostro
mondo.
Dal punto di vista antropologico è importante la costruzione temporale dello spazio, distinzione tra luoghi
sacri e profani, delle volte il corpo umano o animale iene preso come esempio per palare del presente.
L’interpretazione dello spazio che emerge dall’antropologia mette in contraddizione lo spazio meramente
geometrico della società occidentale, ‘antropologia umanizza lo spazio. L’interpretazione che l’antropologia
da in termini culturali dello spazio, è che quello geometrico non esiste nemmeno parlando delle società
occidentali (es: posizione e costruzione mappe geografiche è una costruzione fatta noi geometricamente e di
nostra visione, dall’altra parte del mondo le cartine e mappe sono disegnate in altro modo con i vari paesi in
posizioni diverse). Antropologi classici parlano di spazio in maniera descrittiva ma non lo interpretano, invece
quello che l’antropologia della contemporaneità a partire dagli anni 60 del ‘900 contribuisce a farci capire è
che lo spazio non è solo uno sfondo che sta li e non mi interessa per la comprensione della cultura che
studio, ma è piuttosto una questione da porre al centro. Antropologia propone il passaggio da una visione
dello spazio come astratto ad una visione dello spazio come vissuto e umanizzato, comprensione qualitativa.
Paesaggio da spazio geometrico a luogo come spazio abitato attraverso un dialogo della filosofia di
ispirazione fenomenologica. Heidegger antepone due parole tedesche “stelle” e “ort” che indicano un luogo
ripresi da Platone che utilizzò “topos” e “chora”.
Topos rimanda a idea di uno spazio geometrico, la “chora” e “ort” rimandano a d uno spazio umanizzato e
abitato caricato di valore antropico, è uno spazio che si fa un serbatoio di valori culturali e sociali, religiosi,
intrattiene un rapporto stretto con la cultura. Come non esiste lo spazio puramente naturale non esiste
nemmeno uno spazio geometrico, l’uomo non può esistere fuori dallo spazio e lo spazio non può esistere se
non come costruzione umana. L’antropologia concepisce il territorio come esito che l’essere umano compie
sullo spazio chiamato processo di territorializzazione, trattamento culturale sullo spazio definito dagli
antropologi. I luoghi sono come delle emergenze dentro questo territorio, delle porzioni di territorio che
dentro una cultura finiscono per l’assumere dei significati particolari per le popolazioni che lo abitano. Il
paesaggio dentro questa lettura non è un qualcosa che riguarda solo la natura, ma è anche culturale e
l’uomo non è un osservatore del paesaggio ma osserva il pareggio da fuori; tutto ciò ha portato alla
concezione del paesaggio come una bella immagine, ma non è cosi perché esso è una costruzione culturale
alla quale l’uomo compartecipa non lo guarda solamente ma ci e dentro. Opera di Marc Auge pone una
distinzione tra i luoghi antropologici e i non luoghi; i primi implicano dei sensi di appartenenza e identità i non
luoghi (aeroporti,stazioni,banche) non suscitano sensi di appartenenza, ma sono luoghi dove le persone
sono ridotte a utenti. La gente non li frequenta perché sono luoghi dove non si instaurano conoscenze ma
solo per finalità pratiche. Ma ci sono anche limiti a questa teorizzazione: prima di tutto dire che tutti i non
luoghi (centri commerciali, aeroporti..) lo sono per tutti equivale a generalizzare e imporre uno sguardo
dall’esterno; infatti non per tutti ad esempio il centro commerciale è solo un luogo dove spendere, per molti
diventa anche un punto di ritrovo. Riflessione di Michel De Certeau in cui dice che nella nostra attenzione a
come i luoghi vengono costruiti culturalmente dobbiamo tenere a mene due categorie: strategia e tattica.
Da una parte nella costruzione dei luoghi c’è sempre un’azione da parte di soggetti potenti che organizzano i
luoghi in modo sistematico in relazione a determinati usi con strategie de potere; dall’altra parte ci sono
anche tattiche che De Certeau usa per definire che i luoghi si costruiscono socialmente e moralmente con
tattiche che non sono istituzionalizzate ma sono nel quotidiano portate avanti da una serie di soggetti che
non per forza detengono un potere politico. Libro del 1996 di Feld e Basso in cui c’e una prefazione di Casey
in cui dice una cosa molto importante, ci fa capire che se esiste qualcosa che chiamiamo cultura, questo
qualcosa che chiamiamo cultura esiste come “qualcosa di più concreta e completa nei luoghi piuttosto che
nelle menti”, nei luoghi intesi però come chora e ort di spazi umanizzati. Tutto ciò non annulla la dimensione
materiale del luogo, riconoscerne la valenza sociale dei luoghi non significa distogliere l’attenzione da una
dimensione naturale che è indissolubile dalla cultura.
Serbatoio assiologico , lo spazio diventa un serbatoio in cui si condensano i valori simboli, religiosi.
Attenzione culturale che umanizza lo spazio, io come essere umano non posso abitare uno spazio
geometrico. È fondamentale mettere l’uomo dentro al paesaggio, che non diventa più un bel quadro da
guardare a distanza e non da tutelare perché bello, ma dal nostro punto di vista il paesaggio diventa
patrimonio anche se umanizzato.
Tutti i temi affrontati contestualizzati con il luogo della frontiera che permette di guardarli in maniera implicita.
Namibia—>situata in Africa australe, confina con il Sud Africa, tra le diverse popolazioni ci si focalizza sulla
popolazione Herero che parla una lingua bantu e vedremo come sia nella costruzione della memoria che
dell’oblio c’è sempre una volontà precisa, na strategia che sottende ciò che si ricorda e ciò che si dimentica.
Non esistono memorie assolutamente vere, la memoria è sempre una costruzione e perciò non ne esisterà
mai solo una ma molteplici. In relazione due temi centrali del discorso antropologico: memoria e identità.
Identità che l’antropologia legge come identità nazionale e etnica, noi quindi vedremo come i paesaggi della
memoria Herero intrinsecano l’identità della memoria nazionale e etnica. Il paesaggio namibiano è crono-
topo (tempo + spazio) esposto da un linguista, interessante per connettere la dimensione temporale con
quella spaziale, come se il territorio della Namibia diventasse un luogo su cui si articolano diverse
temporalità che ci raccontano di una storia passata e presente e probabilmente della storia futura (perché la
memoria mette in relazione passato e presente in vista di una costruzione di futuri, strategie della memoria
non sono solo funzionali per una ricostruzione del passato ma anche per gli obiettivi futuri). Smith definisce il
tecnicismo: è un processo attraverso il quale un’identità etnica viene politicizzata, viene usata per soddisfare
a degli scopi politici. Una memoria etnica viene politicizzata, inventata funzionalmente a scopi politici.
Passaggio fondamentale che permette di legare alcuni temi che sono centrali nell’interpretazione
antropologica come memoria, identità, potere. Quando parliamo di potere esso diventa centrale per
comprendere quelle che sono le articolazioni della memoria, le strategie della memoria sono funzionali ad un
potere. Chi detiene il potere stabilisce quali sono le memorie dominanti, costruzione di una memoria
egemonica nel momento in cui c’è una persona che ha potere. La memoria della guerra del 1904-1905 e il
periodo della deportazione e del genocidio tedesco poi, è stata completamente dimenticata e sepolta; libro
blue book che era prova esistente dei genocidi viene bandito. Memoria che ritorna a galla solo verso la fine
degli anni 80 quando iniziano i movimenti per l’indipendenza della Namibia. Anni 90 diventata indipendente
la Namibia, la memoria viene nuovamente sepolta. Solo nel 2004 a cent’anni dalla guerra e dall’ordine di
sterminio la Germania riconosce il genocidio Herero, ma non riconosce la costruzione a tutt’oggi dei campi di
concentramento.(Gli Herero sono una minoranza nella Namibia diventata indipendente, quindi il potere
politico viene detenuto dal gruppo degli Ovambo). Si decide di costruire i campi di concentramento per
diverse ragioni: prima si spiega sui luoghi dove questi campi sorgono, Herero per tradizione vivevano
nell’area centro orientale del paese (dove c’è il Waterberg), da qua chi sopravvive all’ordine di stermino del 2
ottobre 1904 di Von Trottar scappa e fugge (tema della fuga) e si ha la disparò a verso il Botswana e Sud
Africa. Come mai i tedeschi vanno a costruire campi di concentramento in zone distanti? Uno costruito a sud
a Luderitz su un’isola di fronte alla città, un altro a Swakopmund città costiera costruita dai tedeschi, uno
nella capitale a Windhook, uno a Karibib uno a Okahandja. Solo un campo venne costruito in area Herero,
gli altri tutti lontani perché:
- volvevano diminuire il rischio di fuga verso i confini
-volevano togliere gli Herero dalle dimensioni di reti del territorio che abitavano
-la ragione economica, avevano bisogno di manodopera per costruire strade e ferrovie (ferrovia costruita per
trasportare rame da una parte all’altra del paese), chi veniva fatto prigioniero nei campi venivano
“noleggiato” per la costruzione di infrastrutture
Il fatto che una nazione forte, democratica e sviluppata come la Germania non ammetta la strage dei campi
di concentramento fa capire quanto siano forti le costruzioni della memoria e anche l’oblio della memoria.

Caso di Swakopmund
Ricerca fonti negli archivi e consulto i documenti, ricerca bibliografica (libri in biblioteca), ricerca sul campo
—> i modi per fare una tesi sono tanti e ognuno apporta qualcosa di diverso e di aggiunto. Era usanza degli
amministratori coloniali tedeschi mandare nelle festività o in ricorrenze particolari delle cartoline che
raffigurassero scene di vita quotidiana nella colonia Herero che molto spesso erano loro immagini nei campi
di concentramento. C’era usanza di esibire i prigionieri che venivano messi in posa con una serie di oggetti
che dovevano confermare un’esibizione di poter del coloniale sul nativo. Oggi giorno nelle celebrazioni degli
Herero si rivestono come erano visti dai colonizzatori, usano catene, costumi di soldati tedeschi per qualche
modo dominare il dominatore. Le documentazioni storiche raccontano i campi di prigionia anche con parole
e firme sotto le foto di archivi, nonostante ciò i tedeschi negano che tutto sia mai avvenuto. Altra immagine
rappresenta Swakopmund con la volontà di rappresentare questa città come sviluppo economico e
industriale. Swakopmund centro costruito su posizione strategica per spostamenti e collegamenti, costruito
per farlo diventare un grande centro sviluppato. Kramersdorf area residenziale di lusso dentro la città a
ridosso del cimitero comunale di Swakopmund e a ridosso di un’area desertica importante per le memorie
Herero. Interrogarsi su quali fossero le tracce visibili e invisibili della memoria Herero a Swakopmund? Da
una parte memoria nazionale egemonica che non riportano esplicitamente dall’altra il rappresentate comitato
genocidio Herero. Anche le guide scritte sulla città non fanno per nulla riferimento al campo di
concentramento. Come trovare il luogo esatto su cui sorgeva il campo? Non si sa nulla e nessun reperto è
stato lasciato nemmeno negli archivi. Ci si deve riferire allora alle memorie orali, e in più si trova un
documento dalle ricerche d’archivio scritto da un missionario finlandese che racconta la costruzione di un
campo prigionia Herero. Oggi in quel luogo sorge la spiaggia, con ville di lusso, centro commerciale, tendoni
tenuti da tour operator namibiani che organizzano tour nel deserto o sulla ghost coast, concessionario (non
c’è traccia di quella memoria). Poi però disseminati per la città ci sono una serie di edifici con delle date sul
fronte (es: 1905, 1906, prigioni con delle date, sull’ospedale..). Tutti gli edifici della città non dicono niente
della memoria passata, se non che ci sono delle date. Edifici costruiti tutti negli anni dei campi di
concentramento perché sono tuti edifici costruiti dai prigionieri Herero, quindi all’interno della città non c’è un
monumento preciso che ricorda quanto accaduto, ma è nella memoria di ogni singolo edificio che ricorda
indirettamente a quanto accaduto. I monumenti che si trovano nella città voluti dal governo namibiano sono
tutti costruiti alla memoria dei tedeschi. Luogo che più di tutti racconta di questa memoria complessa tra
storie diverse: è il cimitero municipale di Swakopmund. Muro bianco introdotto nel 2010, prima di questa
data nel cimitero c’erano solo tombe alla memoria dei missionari finlandesi, soldati tedeschi, monumento
commemorativo per i soldati tedeschi morti durante lo “scontro con i rivoltosi Herero” che in realtà è la guerra
contro gli Herero fatta passare non come un attacco dei tedeschi ma una loro risposta alla rivolta iniziata
dagli Herero. Al di la del muro bianco c’è l’area che appartiene alla fossa comune (oggi ancora si trovano
reperti), non era l’area su cui sorgeva il campo vero e proprio ma solo la zona in cui venivano portati i corpi
morti perché era una zona invisibile e non frequentata. Muro fatto costruire quando i rappresentati delle
comunità genocidio Herero riescono a far riconoscere l’appartenenza delle ossa agli Herero e si iniziano a
costruire le prime tombe anche. Si costruiscono poi per la prima volta non solo monumenti ai tedeschi ma
anche targhe e altri monumenti in ricordo dei genocidi Herero.
Anche nella capitale sorgeva un campo di concentramento ma nessuna traccia lasciata riguardo a questo,
oggi giorno solo qualche monumento.
Ripensare alle frontiere come un luogo emblematico di quella che è la complessità attraverso la quale si
esprime la globalizzazione contemporanea (altro luogo emblematico è la città). Quello che interessa nel
focalizzarci sulla nostra riflessione dell’antropologia delle frontiere, e cercare di capire come la valenza di
luogo complesso emerge quando guardò su diversi piani: immaginario, pratico, immagine. Immaginario
centrale per la costruzione di qualsiasi discorso, ha una ricaduta sul piano politico, sociale, culturale. Gli
immaginari producono comportamenti, hanno ricaduta concreta nella nostra vita concreta. Tema legato
anche alle immagini, quelle che io produco dipendono dal l’immaginario che io metto in campo, al quale io mi
riferisco. (immagine frontiera che divide deriva da un immaginario etnocentrico occidentale che divide gli stati
entrato dopo l’idea dello stato nazionale, inventate in epoca moderna). Despetacolizzare immaginario della
frontiera basandosi su altri immaginari, emergerà un’immagine molto diversa. Borderscapes= etimologia
scape rimanda all’immagine estetica (es: landscape), ma rimanda anche nelle lingue germaniche viene dalla
parola che significa dare forma, creare. Non è solo rimanere fuori dal paesaggio guardarlo e basta ma è
anche dare forma e vita ad uno spazio, luogo che da geometrico diventa umanizzato che è un po’ il processo
di territorializzazione.
Tema delle frontiere con riferimento al lavoro etnografico svolto nello spazio di frontiera tra Italia e Tunisia
nel Medieranno.
Antropologia delle frontiere si pone all’interno di quella parte della disciplina che si occupa di globalizzazione.
Una delle sfide che la disciplina antropologica si è posta a partire dalla svolta riflessiva in antropologia (fine
anni 60 inizio 70) è stata quella di mettere in discussione le identità e culture come essenzializzate, identità
chiuse marcate da confini. Visioni della prima antropologia, antropologia evoluzionista con idea di culture e
identità che porta all’essenzializzazione di esse, con la svolta riflessiva antropologica l’attenzione è posta
sull’importanza di riandare le culture e le identità come delle unità in continua interazione e scambio tra di
loro. La svolta interpretativa in antropologia cambia non solo perché cambia l’approccio definito
epistemologico (cambia il modo in cui l’antropologia definisce la conoscenza), antropologia interpretativa nel
momento in cui intende identità come delle unità mobili in continuo cambiamento e dinamiche, il
cambiamento epistemologico è dovuto anche all’influsso dei cambiamenti geo-politici dagli anni 60 in poi.
Nuova visione fortemente influenzata dalla globalizzazione che caratterizza il mono di quegli anni e continua
a farlo con forme nuove e diverse. Globalizzazione ci mette di fronte come antropologi all’esigenza di
ripensare le identità e culture come delle identità non più essenzializzate e “pure”, essa mette in evidenza il
carattere ibrido, plurale di interscambio continuo tra le identitàciò determina il nuovo sguardo
dell’antropologia e l’elaborazione di una nuova teoria dell’antropologia tiene in considerazione di questi nuovi
scambi. Nella nuova re-interpolazione del suo oggetto di studio l’antropologia non può più occuparsi con il
suo ampio di occhiali degli enti locali, ma deve guardare anche alle relazioni tra il globale e il locale
contemporaneo. Argomento confini e frontiere è fondamentale, in questa prospettiva dinamica e relazionale
ciò che cambia è a definizione di confini tra gli uni e gli altri non più rigidi e immodificabili ma in ambito
antropologico se ne parla in modo simbolico. La globalizzazione, che ha una sovrapproduzione di definizioni,
da un punto di vista antropologico è un processo; non è un dato ne un evento. Processo che è complesso
(aggettivo complesso usato riprendendo l’etimologia= cum pletteretessuto insieme) significa intenderlo
come un processo che può essere compreso solo nel momento in cui guardo a tutti i fili che compongono la
tela della globalizzazione, guardo alle relazioni di quei fili e solo guardando il tutto insieme posso
comprendere, se anche tolgo un filo il risultato non sarà uguale; la globalizzazione è un processo complesso
non solo nello spazio, si tende a percepire la globalizzazione come qualcosa che riguarda solo la modernità
che non ha passato, non è interpretata come un processo storico e non vengono messe in evidenza le
dimensioni temporali del passato. In realtà la globalizzazione è un processo complesso sia dello spazio che
del tempo, al momento in cui guardo al processo della globalizzazione metto un paio di occhiali che mi
faccia guardare all’indietro. Emergono quindi aspetti interessanti per capire anche la globalizzazione di oggi:
migrazioni umani (fenomeno che maggiormente caratterizzano la globalizzazione contemporanea) sono un
qualcosa che caratterizza la storia dell’uomo e la storia umana che si fa globalizzata; globalizzazione inizia
fin dai tempi delle prime migrazioni umane (si può risalire al 1492 scoperta Americhe). Non si può pensare di
interpretare la globalizzazione prendendo in considerazione solo un ramo: dimensione economica è quella
più presa in causa mia a è solo uno dei fenomeni che compongono la globalizzazione come processo
complesso; sono importanti tutti i fili che compongono la trama. Quando l’antropologia guarda alla
globalizzazione con una prospettiva complessa deve tener conto:
1-dimensione economica
2-dimensione politica: riferimento non solo alle istituzioni sovra-nazionali ma anche a quelle nuove forme id
organizzazione politica che riguardano livelli trans-nazionali
3-flussi migratori: non da intendersi solo demograficamente, dal punto di vista dell’antropologia è
importante interrogarsi sulle caratteristiche che distinguono i flussi migratori, focalizzazione su due forme di
comunità che vengono a generarsi: comunità diasporiche e comunità trans-nazionali
4-globalizzazione della cultura: si occupa di riflettere sui flussi comunicativi determinati dalle nuove
tecnologie, a livello mediale e informatico e all’ampliamento dell’industria culturale (legata alla produzione
cinematografica, musicale) a come queste produzioni di cultura cambiano e si trasformano di fronte alla
globalizzazione contemporanea
5-nuove gerarchie sociali: su quelli che sono cambiamenti anche dal punto di vista sociale determinati
dalla globalizzazione; attenzione verso i rapporti di disuguaglianza e a come questi sistemi si leghino a delle
forme di manifestazione del potere che cambia di fronte agli scenari globalizzatiinter-dipendenza
mondiale. In periodo mercantile chi partiva dall’Europa lo faceva con scopi commerciali, sfruttamento risorse
economiche dei paesi nei quelli si arrivava, diversamene in periodo coloniale chi parte lo fa su mandato
dell’attore stato-nazionale e la volontà di arrivare nei paesi colonizzati è quella di costruire dei modelli che
riproducessero gli stati nazionali nelle colonie. Nel colonialismo ciò che crea inter-dipendenza è di carattere
politico oltre che economico.
Flussi migratori e migrazioni hanno caratterizzato tutta la storia moderna: oggi giorno dall’Africa all’Europa,
nel novecento dall’Europa agli USA, metà novecento migrazioni all’interno dell’Europa. Cosa cambia nel
momento in cui guardo la globalizzino e contemporanea rispetto a quelle passate? È una differenza inscritta
nella quantità, il fenomeno migratorio attuale assume una quantità che rispetto al passato è più sostanziosa,
ma non è solo la quantità è anche una questione di qualità delle dimensioni e di velocità con la quale i
fenomeni accadono; tutto oggi avviene in modo più rapido e veloce, sia per i flussi delle persone, che delle
merci e informazioni. La velocità ha portato il modello di immigrazione da nazionale a trans-nazionale: i due
modelli sono distinti perché quando parlo di migrazioni trans-nazionali parlo di migrazioni di persone che
grazie alle nuove tecnologie e sviluppi riescono a mantenere un rapporto constante e continuo forte con i
paesi di origine e provenienza, sono delle comunità che si creano in maniera stabile etnia pesi di
accoglienza ma che allo stesso tempo mantengono relazioni stabili con i paesi di origine; rapporti non solo
tecnologici ma anche perché essi si muovono continuamente tornando spesso ai loro paesi. L’affermarsi dei
movimenti migratori nella contemporaneità che si inscrivono nei termini trans-nazionali, fanno si che quelli
che erano i modelli di lettura sono messi in discussione non bastano più per comprendere: i modelli di
l’assimilazione e riconoscimento non sono più sufficienti. Non colgono più la complessità del legame del
migrante trans-nazionale con il paese di provenienza. Parlando di complessità degli spazi transnazionali si
prendono in considerazione diversi soggetti:
-i turisti ad esempio, sono una soggettività che caratterizza in maniera determinate quelle che sono le
configurazioni economiche e culturale della globalizzazione contemporanea, gli spostamenti che l’industria
turistica determina a livello globale porta alla creazione di luoghi (artificiali come i villaggi turistici dove si
vengono a creare comunità transnazionali, reali come le città o luoghi di turismo come parchi) che assumono
l’aspetto di luogo di frontiera, spazi dove si incontrano e scontrano identità diverse
-parlando di attori transnazionali e spazi ci sono da considerare anche le figure che ruotano attorno ai
fenomeni di crisi della cittadinanza, come nei casi dei campi profughi, rifugiati politici, richiedenti asilo,
migranti in stato di clandestinità
-élite del transnazionalismo, quelli che viaggiano con tanti soldi in tasca, viaggiano per motivi di lavoro: sfere
professionali
Tema dell’omologazione considerata caratteristica per comprendere la modernità viene riproposta nella
globalizzazione, presentata come una nuova e più potente forma di imperialismo culturale, nel quale i
modelli sviluppati occidentali si impongono sugli altri; si vede la globalizzazione come fenomeno omologante,
una sorta di monotonia. Nel momento però in cui guardo al globalizzazione come fenomeno omologante è
come se togliessi la possibilità di agency ai locali (agency non ha una vera propria traduzione in italiano,
agency come una possibilità di azione, una capacità di agire). Omologare la globalizzazione annulla la
possibilità di azione dei soggetti locali. Se da un parte ci sono le teorie dell’omologazione dall’altra esistono
teorie dell’ibridazione: esse dicono che se è senz’altro vero che ci sono dentro la globalizzazione delle forze
egemoniche e dominanti che influenzano, allo stesso tempo queste configurazioni egemoniche dominanti
interagiscono con le identità locali, con i modi in cui le identità si manifestano a livello locale. Es:
omologazione McDonald anche se propone gli stessi menu in tutti i paesi ci sono delle proposte di menu
diverse per ogni paese, che riprendono i gusti dei locali. La mcdonaldizzazione stimola la ripresa dei slow
food, ovvero la ripresa delle tradizioni locali nel cibo. Ritorna il concetto di glocale, coniato da un sociologo
Robertson, vicino alla visione del paio di occhiali strabico, esigenza di guardare allo stesso tempo alla
dimensione locale e globale, capacità di tenere lo sguardo allo stesso tempo alle due dimensioni. Fenomeni
di indigenizzazione, processi attraverso i quali delle categorie culturali che vengono imposte a livello globale
come dominanti, vengon riprese dia locali e fatte proprie. Persino nelle comunità virtuali si verifica un
radicamento e una creazione di contesti locali dento lo spazio delle che risponde ad abitudini e regole
diverse. Anche dentro allo spazio virtuale si hanno comunque forme di indigenizzazione, si creano comunità
virtuali distinte. Riferimento a Arjun Appadurai, antropologo indiano che analizza la globalizzazione
scomponendola in cinque scenari:
1-ethnoscapes riguarda i gruppi umani in movimento, flussi di persone che caratterizzano la globalizzazione
2-technoscapes: sguardo verso le nuove tecnologie che distinguono la globalizzazione contemporanea da
quella storica
3-financescapes dinamica del capitale globale finanziario
4-mediascapes dimensione mediatica
5-ideoscapes modelli politici e ideologie
L’immaginario è un pratica culturale, ha risvolti concreti, condiziona i nostri comportamenti e le nostre
ideologie, produce pratiche.
Importante è capire che l’antropologia si occupa id globalizzazione a partire da quello che è il suo focus di
attenzione originale, ovvero i contesti originali, dalle unità di luogo. Lo sguardo dell’antropologo è situato in
uno spazio-tempo. La globalizzazione è vista dall’antropologo sempre attraverso il paio di occhiali che si
mette, ponendo l’attenzione forte tra le unità globali e locali; egli andrà a vedere nelle comunità locali quelli
che sono i cambiamenti e le configurazioni che la globalizzazione produrrà. Anche il più piccolo
cambiamento che avviene in una zona seduta de mondo avrà risvolti a livello globale, il fatto di occuparmi di
globalizzazione non esclude che io non debba più interessarmi dei contesti locali, che sempre
influenzeranno. L’omologazione assoluta non esiste, non c’è possibilità di sentirsi a casa ovunque, il perfetto
cosmopolita non esiste nella pratica, ognuno di noi anche nel mezzo delle spinte omologatorie continua ad
essere ancorato alla sua identità.
Frontiere come luogo complesso attraverso il quale leggere la globalizzazione contemporanea. Quando si
parla di confini e frontiere si parla di qualcosa che tiene insieme mondi diversi tra loro, diventa una struttura
paradossale: se da una parte separano e creano differenza, dall’altra creano possibilità di connessione,
scambio, di relazione tra dentro/fuori e noi/altri. Questa interpretazione della frontiera come struttura
paradossale è diversa rispetto a quella dominante della contemporaneità, l’interpretazione della frontiera che
predomina è quella di una linea che separa, linea che non esiste nella realtà ma nella carta geografica.
L’idea di un luogo che non può essere umanizzato perché geometrico. Frontiera emerge come struttura
paradossale e anche dal fato che scaturisce emozioni diverse e contrastanti: paura e speranza, morte e vita,
coraggio e delusione. Nello spazio geometrico non c’è spazio per i sentimenti, invece nella reinterpretazione
della frontiera fa capire che essa è un luogo umanizzato. Quando si parla di frontiere si ha a che fare con il
piano della legalità e illegalità, frontiera come istituzione. Interessa però anche il piano della legittimità, che
riguarda la frontiera non come istituzione (prenderei in considerazione anche gli attori stato-nazionali) ma
come processo (metto nell’analisi una serie di altri attori che non sono quelli stato nazionali ma della società
civile, di chi abita la frontiera). Da un punto di vista antropologico quando guardo alle frontiere il mio sguardo
tiene in considerazione di tutti coloro che abitano la frontiera, di tutti i portatori di nuove agency.
Bordering: indica la valenza processuale della frontiera, -ing come processoconsiderare la frontiera non
come identità immutabile ma utilizzando -ing la rendo attiva
Ordering: quando traccio confini e metto frontiere creo ordine, creo il mio nomos (odine della terra che
dipende dal tracciare i confini)
Othering: nel momento in cui io traccio confini creo anche una molteplicità
La frontiera marca le differenze ma è allo stesso tempo una possibilità a venire.

Potrebbero piacerti anche