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Antropologia dice che per riuscire ad orientarci non basta parlare di una determinata cosa, luogo ma bisogna
andare sul luogo, conoscere ciò di cui si sta parlando senza parlare per stereotipiesperienza sul campo.
Per capire l’uomo guardo attraverso l’espressione delle culture. Cultura in antropologia non è il sapere alto
ma è qualcosa di più, è considerata come un complesso di elementi non biologici attraverso cui i gruppi
umani si adattano all’ambiente e organizzano la vita sociale (famiglia, scuola, politica..).
Antropologia culturale fa parte del settore delle scienze umane DEA= settore disciplinare dell’antropologia,
D=demo; E=etno; A=antropologiche (demologia, etnologia, antropologiaaccomunate dall’interesse per lo
studio dell’uomo e lo studio delle culture umane):
D=demologia (parola usata in Italia ma conosciuta altrove come folklore)studia la cultura popolare della
tradizione della nostra stessa societàstudia il primitivo del proprio paese (a differenza dell’etnologia che va
lontano);
E=etnologiastudio di popoli e culture in diverse parti del mondo, le culture primitive, lontane e diverse;
A=antropologiaapprocci generali, si riferisce alle teorie e alle metodologie.
1871=Edward Tylor, testo: cultura primitivariferimenti alla filosofia della diversità di Erodoto (può essere
considerato precursore dell’antropologia). Erodoto aveva testimonianze visive di ciò che riportava, insieme a
lui entra anche la figura del barbaro (etimologia greca e indica lo straniero, parola onomatopeica riporta la
bla bla dei bambini). Egli ci parla dei barbari per parlare della Grecia, per renderla superiore agli latri
stranieri. Tylor usa la parola primitivo per definire quel legame forte che unisce antropologia con i barbari e
con i primitivi.
Definisco una mia identità per mettermi in relazione con altri, definisco l’altro per avere una mia
identitàErodoto lo faceva con i greci in relazione ai barbari che non si erano evoluti.
1877=Lewis Morgan, testo: società anticaintroduce una gerarchia di stadi evolutivi per la società umana
che rispecchia gli stadi dell’evoluzione: selvatichezza Categorizzazione e gerarchizzazione,
barbarie creo dicotomie ovvero opposizioni tra
civiltà
ciò che sono io e ciò che sono gli altri
Illuminismo è importante come influenza per l’antropologia.
Radici 800 antropologia: positivismo, colonialismo, modernizzazione
Antropologia è attenta a quel diverso che è primitivo e barbaro, tutto ciò che l’Europa si è lasciata alle spalle
e ha sottomesso.
Antropologi
lavoravano per le amministrazioni Vuole salvare il diverso, il primitivo,
Conflitto tra le cose vuole risollevare la figura dei barbari
coloniali che li finanziavano per
lavorare e fare spedizioni
[aspettando i barbari 1904 di kavalisi, libro dove spiega che i greci aspettano proprio l’arrivo dei barbari per
definirsi come esseri superiori]
Antropologia ha una vocazione, un’attenzione per la diversità, attrazione per studiare il diverso.
Lévi-Strausslo sguardo da lontano: quando viviamo in una cultura siamo assuefatti, in una
routine, non ci interroghiamo più su certi aspetti della nostra cultura. Lo sguardo da lontano , da chi
vive fuori, ci permette di riscoprire questi aspetti, attraverso chi non essendo abituato a certi aspetti
si interroga e li nota.
Klucknhonil giro lungo: antropologo serio fa un giro lungo poiché sta a lungo nei luoghi e la
riflessione deve entrare a fondo, deve interagire pienamente con la cultura che studia. Occorre
anche imparare la lingua locale per un’analisi più completa.
METODI:
-comparazione
-imparare a parlare al plurale, moltiplicare le immagini: occorrono una lente caledoscopica e una lente
strabica= sguardo che è allo stesso tempo capace di guardare la realtà locale del paese ma anche
relazionarlo al piano globale, in grande scala
-ricerca sul campoBoas e Malinowski fondano l’antropologia con la ricerca sul campo e rifiutano
l’antropologia da tavolino (riferimento ai vecchi antropologi che stavano alla scrivania e non indagavano da
vicino)
1922 Malinowski testo: il metodo dell’osservazione partecipanteosservazione che si può fare solo
quando adotto un atteggiamento olistico, ovvero devo stare a lungo in una cultura, partecipare a tutti gli
aspetti di quella società, analizzare ogni cosa. L’antropologo deve partecipare direttamente. Bisogna però
cercare una congiunzione tra la partecipazione attiva di una società e anche usare lo sguardo da lontano di
Lévi-Strauss per vedere tutto nel suo completo senza fossilizzarsi.
Oggi giorno però non si pensa più al campo, al luogo come area circoscritta in cui abita solo un popolo con
una cultura e un unico linguaggio oggi antropologo sta in più posti, non più solo in uno, non più solo in
un’area circoscritta.
-metodo comparativo: vocazione critica il pensare l’altro e la diversità significa mettere un paio d’occhiali
e vedere qual è la mia cultura; analizzando l’altro io penso alla mia cultura anche se dall’altra parte mi
genera a primo impatto estraniamento poi però mi fa riflettere su chi sono io (es: Heidegger che dice l’altro è
il mio volto). Intento antropologia è far capire che la possibilità di specchiarsi e di ritrovarsi non sta solo nel
confronto con uno uguale a me (es: amico) ma è farlo ritrovandosi con il barbaro, con il primitivo/nemico, con
quello diverso da me.
Antropologia si differenzia dalle altre scienze sociali perché ha uno sguardo/studio attento verso la
profonditàvocazione ricerca sul campotesto di Malinowski fondamentale (antropologo non sta più nel
suo studio ma si muove)sguardo del giro lungo: per entrare in rapporto empatico di relazione stretta con la
diversità occorre andare sul campo ma anche starci per un po’ di tempo; devo partecipare (osservazione
partecipante) della vita sociale, culturale ed economica della comunitàma vocazione anche critica poiché
antropologo non è interessato al confronto con l’altro in quanto tale ma è interessato a un confronto con
l’altro per capire noi, la nostra società, le nostre categorie culturali (non perché l’altro sia esotico/diverso e
allora lo attrae) [metafora Heidegger “come se l’altro fosse il mio volto”].
Quando ci chiudiamo nelle nostre identità rispetto all’altro, ci porta ad una riduzione della nostra capacità di
capire chi siamo; per definire la nostra identità dobbiamo definirne delle altre.
3 modi (centrali rispetto alle costruzioni contemporanee della realtà) fondamentali attraverso i quali il
pensiero antropologico definisce la diversità:
1. Diversità razziale – razza
2. Diversità culturale – cultura
3. Diversità etnica – etnia
Questi termini concettuali definiscono il nostro rapporto con gli altri, anche nella quotidianità.
Concetto di razza
Non è una parola che fa parte da tanto tempo del vocabolario delle lingue indoeuropee, entra nel 500 con
significato specifico diverso da quello che assume poi verso la seconda metà dell’800. Con razza si
identificava una discendenza, un gruppo di parentela, un lignaggio (area di parentela più ampia).
Successivamente nella seconda metà dell’800 le cose cambiano, la parola razza definisce un gruppo umano
che è diverso da altri perché appartenenti ad un gruppo che ha segni evidenti e riconoscibili di tratti somatici
o comportamentali; queste specificità si suppone abbiano una fondatezza biologica, che siano di natura
trasmesse per via ereditaria.
Perché assume questa connotazione in quel determinato periodo? Periodo positivismo che afferma il
primato della scienza e che se qualcosa è scientificamente provato allora è dato per verità assoluta, la
scienza si sostituisce al linguaggio religioso.
Si afferma il razzismo biologico fondato da un conte francese De Gobinan che pubblica un saggio nel 1859:
saggio sulla disuguaglianza delle razze umane; in esso afferma:
- Biologizzazione o naturalizzazione di ogni tipo di differenza tra culture o civiltà umane
- Le razze solo visibili e intendibili in un sistema di gerarchia: affermazione di una gerarchia rigida fra
le razze che vede ai vertici la razza bianca
- Orrore per la mescolanza di razze (mixofobia)atteggiamento che porta ad una chiusura
Razzismo è anche degenerativo (non solo pessimistico che chiude qualsiasi possibilità di miglioramento)
le culture greche e romane stavano meglio perché erano meno mischiate. Si utilizza un linguaggio di
disprezzo e si ha una paura per l’incontro con l’altro.
Si afferma un altro tipo di razzismo che è progressista, pregno del retaggio positivista, fiducia nel progresso
(pensiero diverso da De Gobinan) attraverso ingegneria etico sociale eugenetica legata alle teorie
evoluzionistiche di Darwin e Spencer; la razza superiore sceglie chi può evolvere tramite strumenti specifici.
(Galton padre eugenetica) legato alle teorie dell’evoluzione sopravvive il più fortequesto porta da una
guerra tra chi è migliore e chi è peggiore. Galton pensa che se può sopravvivere solo il migliore tanto vale
aiutarlo, tanto chi non può sopravvivere è già spacciato allora aiutiamo l’evoluzione naturale.
Razzismo biologico e degenerativo non esistono solo in Europa, in Germania, ma anche li si trova ovunque,
fanno parte dell’umanità.
Fischer scienziato Hitler faceva esperimenti sui crani sia di tedeschi, ebrei ma anche i persone che facevano
parte di una popolazione della Namibia (hereromessi in campi di sterminio da parte dei tedeschi in
territorio namibiano). Rispetto della diversità non si costruisce ne attraverso un muro ne attraverso il
compiacimento, se no non si darà mai all’altro la possibilità di riscattarsi.
-Melville-Herskovits (allievo Franz Boas) e Lévi-Strauss (padre fondatore dello strutturalismo: corrente
attraverso la quale si articola il pensiero antropologico)sono i primi ad avere una visione fortemente
etnocentrica affermando i principi del relativismo culturale. Lévi-Strauss dice “barbaro è anzitutto colui che
crede nelle barbarie”= nel momento in cui noi definiamo l’altro barbaro è perché abbiamo bisogno di farlo,
perché in realtà siamo noi i barbari . i barbari esistono perché noi abbiamo bisogno degli altri per definire le
nostre identità (es: Buzzati con il libro il deserto dei tartari dove un ufficiale di frontiera aspetta i barbari per
sconfiggerli e classificarsi come eroe)
Concetto di etnia
Termine spesso utilizzato per definire gruppi umani in un tempo pre-politico, che abitano in Africa, Australia,
Asia e che non sono organizzati secondo la formazione che gli stati nazionali. Origine della parola greca
<ethnos> e indicava i diversi, gli altri, i barbari nella stessa accezione. Nella bibbia ethnos definisce quelli
che non sono ebrei e non sono cristiani. Quando arriva agli europei il termine è legato sempre ai gruppi
umani che sono diversi, nella bibbia quando raggiunge gli europei il termine prende significato di pagano. Il
termine entra a far parte dell’etnologia indicando la descrizione e lo studio delle caratteristiche sociali dei
gruppi umani. Nell’uso odierno i modi si intrecciano nell’uso della parola etnia. Il problema è quando i termini
vengono traslati nel mondo dei mediaessenzializzazione del termine/reificazione del termine non c’è un
incontro tra etnie perché essenzializzate a qualcosa di nettoapproccio pericoloso e criticato dalla corrente
antropologica interpretativa (Clifford Geertz).
Assolutizzazione delle differenze attraverso etnie e cultura: razzismo differenzialista, ovvero un razzismo
che definisce differenze come assolute che non possono essere cambiate, non fatto sulla base biologica o di
natura ma attraverso identità che si essenzializzano, attraverso etnia e culturaè sempre una
discriminazione del diverso che però non avviene più per razza e basi biologiche ma che fanno capo alla
cultura con effetti comunque devastanti. Razzismo differenzialista ha gli stessi scopi del razzismo biologico
ma una linguaggi, strumenti e mezzi diversi.
Essenzializzare la pluralità e l’essenza= neo razzismo differenzialista se è vero che ci sono tantissime
culture e tutte hanno diritto d’essere io ho paura della contaminazione dell’altro, mi devo difendere e quindi si
creano difese basate in termini culturali ed etniciLévi-Strauss usato per legittimare i discorsi dei neo
razzisti: dice che in qualche modo dobbiamo difendere la differenza culturale e per farlo dobbiamo essere un
po’ “sordi”, ovvero necessitiamo di un po’ di sordità reciproca tra culture per preservare la diversità culturale.
-Alain De Benoist contribuisce teoricamente alla nuova destra francese e fonda la sua visione politica su
alcuni aspetti di Lévi-Strauss: il suo discorso razzista a livello politico riprende le riflessioni che Lévi-Strauss
usa in un contesto antropologico ovvero: l’immigrazione è condannabile perché mette in pericolo l’identità
della cultura che accoglie così come l’identità degli immigrati. Lévi-Strauss voleva solo dire che è importante
preservare le culture ma non voleva dire che non bisogna fonderle, invece De Benoist dice “preservo la mia
cultura non mischiandola con i diversi”.
Oggi non è più facile riconoscere il neo-razzismo (un tempo era esplicitato e condannato es: apartheid, KKC,
razzismo..). Quindi quali sono i modi per riconoscere il razzismo oggi? Attraverso quali forme di
concretizzano?
Antropologo francese Taguieff cerca di definire le basi ideologiche del neo razzismo e ciò che le mette in
movimento, ciò che le costruisce:
Categorizzazione essenzialista: fa parte del nostro modo di articolare un linguaggio che non
necessariamente deve sfociare in neo razzismo in tutti gli individui “es: i tedeschi sono tutti
rigidi”creo una categoria poiché non è vero che sono tutti rigidi. Categorizzazione non per forza
determina qualcosa di negativo, mentre quando sfocia nello spregiativo, nel negativo come risultato
si ottiene lo stereotipo che si forma a partire dai dati di realtà che vengono generalizzati e spesso
negativizzati; categorizzazione essenzialista: nel momento in cui categorizziamo in maniera
essenzialista, compiano un atto di riduzione della complessità, riduciamo un individuo allo statuto di
essere un rappresentante di una comunità d’origine elevata a comunità di natura (es: essere italiani
dipende da fatti inscritti nella storia, trascendono dalla biologia/natura). Dove c’è una possibilità di
spostarsinascere tali significa essere e dover rimanere tali, una posizione fissa della categoria
naturale. La categoria essenzialista definisce delle appartenenze a delle categorie e produce un
giudizio formulato a priori e totalizzante. Es: ebreo negli anni 30-40/ negro negli anni dell’apartheid o
negli usa anni 50/ extracomunitario o clandestino ai giorni d’oggi.
Se non è razzismo fare una considerazione rispetto al fatto che tra gli immigrati c’è un alto tasso di
criminalità è razzista dire che tutti gli immigrati sono criminali, ovvero considerare qualcuno criminale solo
per il fatto di appartenere a quelle categorieil problema è la generalizzazione, non è fare un’affermazione
ma prendere quell’idea/affermazione ed estenderla a tutti.
Non tutte le categorizzazioni essenzialiste sono razziste, ridurre individui a delle essenze è normale e fa
parte del meccanismo sociale, noi viviamo costruendo categorizzazioni tutti i giorni (es: le parole
categorizzano oggetti anche) per far si che una categoria diventi di tendenza razzista occorre che ci sia una
asimmetria di potere, una differenza di potere, per cui è razzista una essenzializzazione che riguarda una
categoria debole, subalterna. Il senso comunque è pieno di queste categorizzazioni, aspetti retorici della
lingua che fanno parte della vita comunees: umorismo.
Stereotipi invece molti sono innocui ma lo stesso non si può dire quando li creiamo per correnti subalterne
(es: albanesi violenti). Enunciati seppur identici nella sintassi hanno implicazioni razziste molto diverse
esempio: i tedeschi sono tutti uguali Stessa struttura sintattica ma per la diversità di potere, la mixofobia e la
gli albanesi sono tutti uguali barbarizzazione moderna, la seconda risulta molto più razzista e
spregiativa della prima frase.
STEREOTIPO è uno dei risultati possibili dei processi della categorizzazione. È una categoria basata su
classificazioni generali e semplificate ma largamente condiviso e usato dalla gente.
Etimologia= stereos (duro, solido) e tipos (impronta, immagine) è un’immagine rigida.
Dove nasce la parola? In che contesto? Contesto tipografico, fine 700, in Francia Didot lo utilizza per
indicare un metodo di duplicazione delle composizioni tipografiche, era una sorta di stampino lo stereotipo.
All’inizio il termine aveva lo stesso significato con il termine cliché, parola onomatopeica introdotta nel
linguaggio perché riproduceva a livello fonico il suono della macchina fotografica usata per produrre
stampini. Con il tempo i termini si sono staccati e sono arrivati a significare un’idea che sono ripetute
infinitamente, in massa e sempre uguali.
Stereotipo indica un concetto astratto, schematico che deve essere condiviso, ma qual è il significato che
ha? Non per forza negativo (es: immigrato= criminale), neutrale (es: natale= bello e felici in famiglia) o
positivo (es: francesi sono romantici). Tutti gli stereotipi negativi, neutri e positivi sono fondati su
interpretazioni generalizzate e semplificate. Antropologia dice: non ci interessa la formulazione di un giudizio
etico, ma come costruiamo le relazioni, i rapporti sociali non basandoci e creando stereotipi. Ciò si fa tramite
la conoscenza ed esperienze che sono essenziali per car cadere gli stereotipi , sperimentare perché gli
antropologi sono sempre sul campo. Per Lippmann ciò che produce lo stereotipo sono immagini mentali che
ci costruiamo per semplificare la realtà e renderla a noi comprensiva, una visione distorta e semplificata della
realtà sociale. Antropologia non vuole negare che in quanto individui appartenenti a gruppi umani ci
costruiamo delle categorie, ma il suo intento è spiegare come tutti questi stereotipi e categorie sono
costruzioni culturali e sociali e non sono naturaliquindi antropologia dice che ciò che comprendiamo
dipende dal paio di occhiali che ci mettiamo. Dimostra che cambiano da contesto a contesto, ogni società
vede in modo diverso e variano le categorie e gli stereotipi.
Stigmatizzazione e mixofobia: io mi difendo all’altro in quanto diverso, ho la fobia di mischiarmi
con lui che nasce dal fatto di vederlo diverso in senso brutto, di vederlo come un qualcosa che mi
contaminaavviene per diversità di potere, chi ottiene potere stigmatizza quello più debole;
Barbarizzazione: come faccio a dire che l’altro vale meno di me? Lo barbarizzo, dico che è il
bambino che devo educare, lo riduco a mera identità che è ad uno stadio evolutivo primitvo.
Oltre al piano ideologico ci sono anche gli atteggiamenti pratici:
1. Segregazione, discriminazione ed espulsione; tengo l’altro sempre nella mia società ma lo includo in
modo diverso (es: ghetti vivono nella stessa mia città ma in una certa zona)
2. Forme dirette di persecuzione e di violenza essenzialista (es: violenze contro la minoranza africana
negli USA)
3. Genocidio quando si arriva al caso estremo
Oggi siamo di fronte a forme nuove, magari meno esplicite che non ragionano su un piano biologico ma in
base alla differenza etnica.
Relativismo culturale se esasperato il rischio è che si finisca in una essenzializzazione di culture ed etnie
riducendole a delle macchie di colore delimitate da confini che non si riescono a superareparadigma
divisionista cosa di più lontano che possa esistere dalla visione multipla del paio di occhiali (es: un po’ l’idea
delle cartine geografiche dove ogni stato ha un colore ed è diviso dagli altri tramite linee e confini che non si
possono mischiare). Relativismo criticato perché si pensa che possa poi sfociare in una perdita di ogni
criterio di giudizio morale e conoscitivo, giustificando tutto in base al fatto che ogni gruppo ha la sua cultura e
che essa determini i comportamenti del gruppo come se giustificassi un po’ tutto.
Anni 80-90 del 900 dibattito se non fosse legittimo abbandonare l’identità culturale? Antropologi dicono non
si tratta di abbandonare le categorie (etnia, razza, cultura) perché ci servono per relazionarci, però anziché
pensarle come essenze (scatole chiuse come l’idea delle cartine geografiche colori separati divisi da linee)
bisognerebbe considerarle come dei processi, nel momento in cui le guardiamo come tali capiamo che
possono cambiare, un processo è sempre in evoluzione e cambiamento.
Clifford Geertz (padre fondatore dell’antropologia interpretativa) parla di anti-anti-relativismo, egli dice:
invece di criticare il relativismo cerchiamo di metterci un paio di occhiali che valorizzi i punti positivi del
relativismo. Dipende da noi, dal paio di occhiali e da dove mi colloco a guardare, ogni angolazione mi offre
una visuale diversa. È importante cercare di posizionarci dentro ai confini, è un confine che straborda non
più netto. Collage e puzzle di confini ben definiti non sono utili ne possibili per orientarci nella nostra
contemporaneità. Questo ci aiuta a capire che il paio di occhiali che ci mettiamo, in un determinato luogo (sui
margini, nelle zone di contatto e scambio) ci fanno capire che l’estraneità comincia dalla pelle, sta qui con
noi. Quindi gli altri non sono più alternative a noi ma per noinon vedo più l’altro come una minaccia
(mixofobia) alternativa ame ma come alternativa per capire me stesso e la mia identità. L’altro è il mio volto,
guardandolo capisco che trovo un’alternativa ai miei limiti ed è un modo per crescere, andare oltre i miei
limiti.
Ernesto De Martino etnocentrismo critico= via di mezzo tra la prospettiva universalista e relativista
(riprendendo Malinowski antropologo sul campo è l’etnografo) De Martino dice che nel momento in cui
l’antropologo incontra l’altro non può spogliarsi delle sue categorizzazioni culturali, ma allo stesso tempo
deve essere capace di farle funzionare in relazione a quello che il gruppo sta studiando. Antropologo non
può comprendere il diverso se non parte da categorizzazioni che sono sue, non si può spogliare di tutti le
sue paia di occhiali che gli ha messo addosso la sua cultura inconsciamente, però deve capire che può
metterle in relazione con le categorie dell’altro e metterle a confronto per migliorare e capire cosa funziona
delle mie e cosa delle sue.
Principali paradigmi (collegarlo al paio di occhiali e a seconda del paradigma che adotto il risultato sarà
diverso) teorici che si sono succeduti nella storia del pensiero antropologico. Alcuni già visti come
l’evoluzionismo quando fine 800 l’antropologia nasce strettamente legata all’evoluzione di Darwin; il
funzionalismo con Malinowski segue poi Lévi-Strauss con lo strutturalismo. Questi paradigmi e riflessioni
contestualizzati nell’antropologia, ma ad esempio lo strutturalismo ha inciso anche nelle arti, nella critica
letteraria e in molte altre discipline. Oltre questi 3 succede una corrente che è l’antropologia interpretativa
con Geertz (uno tra gli antropologi che più hanno contribuito a costruire un dialogo con le altre discipline),
parla di antropologia interpretativa perché l’intento è di intavolare una comprensione con questa scienza
antropologica e non interessa dare formule, ricette o paradigmi (non interessa creare degli –ismi) ma
proporre una riflessione critica dentro l’antropologia. Antropologia interpretativa si mette un paio di occhiali
diverso rispetto agli –ismia partire da essa si sviluppano correnti antropologiche critiche:
-writing culture
-approcci post-coloniali
-svolta riflessiva, perché questi nuovi paradigmi riflettono nell’antropologia stessa, esercizio di epistemologia
dell’antropologia su come si produce la conoscenza
-passaggio da etnografia realista a etnografia sperimentale, forme di restituzione della ricerca sperimentale
che incrociano altre forme (es: arte)
Scuola evoluzionista: nasce in Inghilterra, massimi esponenti sono Edward Tylor (sulle origini della cultura)
e J.G. Frazer (ramo d’oro). Seguono un approccio che riprende l’evoluzionismo darwiniano biologico
applicato all’evoluzionismo culturaleper antropologi l’evoluzionismo è traslato nelle origini culturali. Altro
aspetto importante è di credere in un universalismo etnocentrico, nel momento in cui creo una gerarchia che
sta alla base parto dal presupposto che al vertice ci sono io, con la mia cultura; porta ad una unità del
genere umano ma gerarchizzata. Antropologi interessati al passato, alla storia dell’evoluzione culturale, ma
quando essa poneva dei buchi (perché non si può ricostruire perfettamente) studiosi applicavano un metodo
comparativo con altre culture, poiché evoluzione avviene nello stesso modo e c’è unità del genere umano
(che legittimizza il mio comportamento le culture diverse), vado a vedere nello stesso periodo cosa è
successo in un’altra cultura limitrofa e lo trasporto a coprire i buchi nella storia della cultura della popolazione
che sto studiando. Si presupponeva che tutto si evoluzionasse in modo uguale ovunque, a partire dal
presupposto che in tutte le culture del mondo le evoluzioni siano state tutte uguali (funziona per qualsiasi
tratto storia, religione, ecc..). ciò ha portato a giustificare che alla vetta della gerarchizzazione ci sia la mia
cultura occidentale. Allo stesso tempo essi intendevano che l’evoluzione non potesse avvenire nello stesso
tempo ovunque, evolvono si tutti allo stesso modo perché c’è l’unità del genere umano ma non tutti alla
stessa velocità e non con gli stessi tempi; ecco perché ci sono i primitivi, a me contemporanei ma non
ancora evoluti quanto me, quindi rimasti nel passato, indietro nel processo di evoluzione concetto di
survival= sopravvivenza, noi capiamo che sono ancora primitivi perché ci sono segni culturali che ci fanno
intendere che sono ancora a stai precoci dell’evoluzione e non avanti come noi.
Frazer nel suo libro il ramo d’oro dice che è come se ci fosse sotto la crosta della società vittoriana inglese
fine 800 un vulcano, e quando cerchiamo di guardarlo ci accorgiamo che troviamo spiegazioni che ci
rimandano ad una serie di pratiche passate che hanno a che fare con la sfera magico sociale, sacrifico, riti di
fertilitàantropologia evoluzionista si lega alla psicoanalisi freudiana.
A cavallo tra 800/900 si inizia ad affiancare all’evoluzionismo britannico il movimento del diffusionismo
che aveva un interesse profondo per la storia dell’evoluzione delle culture, anche loro con sguardo verso il
passato, ma la differenza è che introducono l’importanza di basarsi su delle fonti e avere prove concrete,
contaminandosi con studi di linguistica comparata e filologia. Introducono l’idea che le culture si sarebbero
organizzare a partire da un centro unico di diffusione culturale. Diffusionismo britannico intendeva che il
centro di diffusione fosse l’Egitto, mentre la scuola culturale austro-tedesca sosteneva ci fossero circoli
culturali di grande ampiezza diversa che hanno contribuito a formare poi il mosaico contemporaneo. Boas
critica l’evoluzionismo ma nella prima parte del suo pensiero fu legato al diffusionismo.
Intanto negli USA si afferma il particolarismo storico di Boas con la sua scuola statunitense, in forte
opposizione alle generalizzazioni evoluzioniste:
-approccio anti-evoluzionista, muove la sua critica dal fatto che le generalizzazioni alla base
dell’evoluzionismo non sono possibili
-scettico perché non crede nella comparazione culturale a vasto raggio, per lui le culture estremamente
diverso non sono comparabili, non crede che possano aver subito lo stesso percorso evoluzionista
-ricerca sul campo, metodologia usata per decostruire l’evoluzionismo introdotto da Malinowski e i
funzionalisti.
Allievi di Boas importanti: Kroeber, Margaret Meadantropologa con ruolo significativo, insieme al suo terzo
marito è stata una delle iniziatrici dell’antropologi visuale (fotografia e video).
Scuola sociologica francese periodo tra 800/900 si crea questa scuola, fa capo a due: Durkheim e Mauss.
Aspetto fondamentale è il riconoscere la dimensione essenzialmente/intrinsecamente collettiva o social della
cultura, la cultura è qualcosa che può essere compreso se guardo alla visione collettiva e sociale. Prima
c’era l’osservazione dell’individuo ora parto dalla società e dalla collettività per la mia osservazione. Cosa più
forte di questa scuola è che riconoscono un’origine agli aspetti sociali delle culture (alle pratiche umane) che
studiano, che è sempre storico-sociale e non naturale o psicologica. Durkheim scrive sul suicido per capire
questo atto estremamente personale, si parte comunque a cercare dalla collettività. Stessa prospettiva nelle
opere di Mauss, in un suo saggio esprime che anche il corpo estremamente personale e individuale è
affrontato e trattato come una costruzione sociale.
Funzionalismo inglese approccio scuola sociologica influisce fortemente nel funzionalismo e
nell’evoluzione del suo pensiero. Prima grande rivoluzione nella caratterizzazione della disciplina
antropologica. Malinowski introduce la ricerca sul camporivoluzione rispetto all’approccio portato avanti
fino ad ora. Cambia che per la prima volta l’antropologo non è più da tavolino ma mette i piedi in giro (prima
di allora antropologhi studiavano i resoconti, i dati che venivano dai viaggi di altri che non erano però studiosi
o scienziato ma funzionari, esploratori, missionari..). Malinowski introduce il fatto che lo studio di qualcuno su
una popolazione deve avvenire attraverso la conoscenza in prima persona di quella comunità. In Inghilterra
si parla di antropologia sociale perché la prospettiva malinowskiana ha inciso parecchio, è un approccio
sociale che riprende la scuola di Durkheim, funzionalismo perché importante sul campo è osservare la
funzione che ogni tratto culturale svolge all’interno di quella comunità studiata. Per fare ciò devo guardare a
tutti i tratti culturali, usare un approccio distico (es: se vado in Africa per studio della parentela devo guardare
anche a tutti gli altri tratti, economico religioso per capire a pieno e fondo). Approccio anche sincronico,
ovvero si ha un’attenzione quasi fotografica al sistema sociale/culturale che sto studiando, fotografia del
momentaneo presente però; non una dimensione diacronica. Paragone ella società come sistemi
omeostatici, resistenti rispetto all’esterno, come se le società fossero resistenti all’evoluzione e al
cambiamento della storia.
Scuola Manchester post-funzionalismo rappresentate Max Gluckman che afferma l’esigenza di
reintrodurre la dimensione storica negli studi antropologici, lo sguardo sincronico non va bene, siamo negli
anni 50/60 periodo di decolonizzazione, l’Africa sta cambiando. Altra affermazione importante è la
reintroduzione del processo di mutamento e conflitti no come disturbi da eliminare ma come fattori creativi e
di sviluppo. Turner con “dal rito al teatro” fondatore dell’antropologia performativa dove sono importanti i
movimenti liminari, di confine, passaggio e cambiamento tra uno stadio della mia identità e un altro.
Strutturalismo di Lèvi-Strauss esponente principale. Non è una corrente di pensiero applicato solo
all’antropologia ma lo troviamo in molte discipline (linguistica, filosofia..). Strauss francese di origine ebrea,
durante occupazione nazista va negli USA dove negli anni 30 inizia lo studio delle popolazioni
nell’Amazzonia, dal quale produrrà dei testi fondamentali. La sua prima opera principale il modello che
diventerà fondamentale è applicato alle strutture di parentela. Nel 1949 “le strutture elementari della
parentela” approccio strutturalistico lo applicherà poi allo studio dei miti amerindi negli anni 60.
Nell’approccio strutturalistico di Lèvi-Strauss ci sono forti influenze del metodo strutturale linguistico,
applicato alla cultura: cultura funziona come una lingua, le parole della lingua nella cultura sono sostituite da
altri elementi collocati nel mondo naturale, sociale (es: al posto delle parole ci saranno animali. Strutture di
parentela, corpo..). Lévi-Strauss non osserva la struttura a partire da un dato tangibile. La struttura ha a che
fare con una matrice che è invisibile, inconscio, che non vedo ma che regola il funzionamento della mia vita
all’interno del contesto sociale. Come se fosse un principio che regola ma non me ne rendo conto, una legge
non scritta, che non vedo, inconsciamente sta dentro ognuno di noi e regola il funzionamento sociale. La sua
riflessione sul mito: Lévi-Strauss dice che i miti non sono delle fantasie ma delle costruzioni logiche, lui
paragona il funzionamento dei miti a degli algoritmi, i cui elementi non sono costituiti da simboli astratti, non
sono numeri ma oggetti concreti del mondo naturale, culturale e sociale. Il mito è come se utilizzasse degli
elementi di esperienza comune, di vita (es: acqua, fuoco, aria, animali) e li traducesse il operatori simbolici, li
facesse funzionare cose fossero qualcos’altro. Nulla simboleggia qualcosa in sé e per sé ma il significato
che assume dipende dalla relazione che ha con gli altri simboli, non lo posso capire se non lo oppongo a
qualcos’altro. I miti non sono fantasie, hanno una loro concretezza, sono forme di espressione estetica che
hanno influenza forte sull’organizzazione sociale e nel suo funzionamento. I miti sono rappresentazioni
estetiche che non sono meno ricche di quelle moderne, ha influsso sulla critica letteraria e sulla disciplina
della semiotica con i suoi approcci alla cultura di massa contemporanea.
Antropologia interpretativa: interpretazione di culture con Geertz che usa approccio critico alla disciplina,
non vuole fondare un altro –ismo, un altro paradigma, ma vuole iniziare una riflessione su quelli che erano i
modi di produzione della conoscenza antropologica (riflessione epistemologica). Questo ramo
dell’antropologia si contrappone agli assunti che sono alla base dello strutturalismo, a Geertz non interessa
la scoperta delle strutture nascoste e profonde che determinano il comportamento umano, ne quale sia il
funzionamento ella società attraverso la descrizione di un linguaggio oggettivo. Geertz riprende la tradizione
del particolarismo storico di Boas, entrambi si oppongono all’approccio generalizzante, che universalizza la
dimensione culturale, prende anche da Malinwski e persiste sull’importanza di imparare a vedere il mondo
dal punto di vista dei nativi, però al contrario di quanto diceva Malinowski, Geertz non vuole immedesimarsi
in essi, ma capire il significato ci ciò che dicono o fanno, ricostruire una relazione empatica; riuscire a
mettersi il loro paio di occhialiper Geertz bisogna interpretare i vari significati che i nativi attribuiscono a
diversi aspetti della loro vita sociale e culturale, egli afferma che l’uomo è un animale che produce significati
e l’antropologo ha il ruolo di interpretare quei significati. Riferimento all’ermeneutica filosofica di Paul
Ricoeur, etnografia è un processo lento di avvicinamento per tentativi, non riuscirò mai totalmente a
immedesimarmi in loro ma posso cercare di avvicinarmi, anche se sarà sempre parziale e provvisorio, una
comprensione sempre imperfetta. Per Geertz non posso applicare dei modelli, la realtà è troppo complessa
per ridursi a dei modelli, però la posso interpretare (es: cultura per Geertz come ragnatele e cultura per Lévi-
Strauss come un diamante). Geertz dice che per comprendere le culture non basta viverle, ma devo anche
inscriverle i un testo, tradurre la mia esperienza sul campo in una scrittura etnografica, scriverle in un testo
non solo viverle, ma lasciarle incise nero su bianco da qualche parte.
Ricerca etnografica= far ricerca concretamente
Scrittura etnografica= restituire la ricerca fatta attraverso la scrittura ma anche attraverso la fotografia o
videonascono le etnografie sperimentali.
Differenza tra thin (sottile) e thick (denso). Geertz afferma che il compito dell’antropologo è fornire una
descrizione densa, che va oltre il livello più superficiale di quello che osserva e cerca di capirne i significati.
Esempio dell’occhiolino: se vedo qualcuno fare un occhiolino a primo impatto vedo solo uno che contrae la
palpebra, ma questa contrazione a livello fisico quanti significati può assumere? Un tic nervoso, oppure dei
giocatori/amici che se lo fanno per l’intesa di una mossa.. Se mantengo un livello di descrizione superficiale
mi accontento del primo significato, invece lo sguardo intenso dell’antropologo mi permette di capire più a
fondo e contestualizzare il gesto. Geertz paragona l’antropologo ad uno scrittore, afferma addirittura che
l’antropologo si situa a metà tra scienza e letteratura, e dicendo ciò definisce qualcosa di importante.
Principale differenza tra scrivere da romanziere o da antropologo è che lo scrittore può inventare,
l’antropologo deve far funzionare l’aspetto creativo ma con le fonti, i documenti raccolti da esperienze
vissute, l’antropologo non può inventare ma deve attenersi alla realtà.
Queste divisioni e categorie che creiamo per orientarci in realtà sono categorie molto fluttuanti, non confini
rigidi, nel momento in cui pratichiamo l’antropologia possiamo. Usare strumenti che provengono da più
correnti e mescolarli.
Metodo principale dell’antropologia è la ricerca sul campo il mettersi in gioco in prima persona, che è anche
ciò che distingue questa disciplina dalle altre scienze sociali. In realtà la ricerca sul campo non ha sempre
caratterizzato l’antropologia, è entrata a far parte da quando Malinowski ha introdotto il concetto; all’inizio
non era caratterizzata da quattro dimensione applicata di ricerca sul campo, ma l’antropologia evoluzionista
(prima corrente antropologica) teneva ben separati i ruoli di chi faceva la teoria antropologica e di chi dava
sul campo (es: Tylor faceva le sue ricerche antropologiche in base ai dati raccolti da altre persone che
viaggiavano per altri scopi e non erano scienziati). Quando invece non si riferivano a delle fonti raccolte dai
viaggi, si riferivano a fonti bibliografiche, ma non viaggiavano mai loro stessi in prima persona. La definizione
a loro data è quella di antropologi da tavolino. Quando gli antropologi lavorano come tali, non lavorano fuori
dal loro contesto storico ma lavorano in un determinato e preciso contesto che influenza le loro visioni e
idee. Al tempo dell’antropologia evoluzionista c’erano le grandi esplorazioni coloniali. Tutto cambia in
maniera sostanziosa con l’avvento dell’approccio funzionalista in antropologia con il contributo di Malinowski
ai metodi che verranno adottati in futuro. Malinowski di origine polacche, vive e studia in Inghilterra, compie
la sua esperienza più importante di campo alle isole Trobriand in Melanesia, ritornerà poi in Inghilterra a
scrivere la sua opera fondamentale “argonauti del Pacifico occidentale” nel 1922.
Immagine tenda sulla spiaggia che sta a simboleggiare andare sul campo, non basarsi più su resoconti di
altri, ma intraprender e viaggi suoi luoghi diretti interessati, andarci e starci a lungo. Caratteristiche
fondamentali di questo nuovo metodo:
-diventa forte l’esigenza di una relazione intima e costante sul piano della teoria e dell’osservazione sul
campo con annessa descrizione in prima persona, entrambe le cose fatte dalla stessa persona. Far
dialogare l’aspetto teorico con l’osservazione diretta sul campo. Non posso teorizzare se non faccio
esperienza e non posso fare esperienza in maniera consapevole se non ho i concetti teorici principali.
-fondamentale sarà il metodo dell’osservazione partecipante (che non è partecipativo). Il metodo
partecipativo implica la partecipazione di qualcun altro, ad esempio attori che partecipano alla ricerca;
mentre l’osservazione partecipante implica una partecipazione all’osservazione da parte dell’osservatore,
che porta in se la difficoltà che sta nella capacità dell’antropologo sul campo da una parte decentrarsi
rispetto alla sua cultura di provenienza il suo background sociale e dall’altra saper entrare in contatto
empatico con il soggetto della sua ricerca (ad esempio i nativi del luogo). Non guardo come spettatore il mio
studio ma sono partecipegrande sforzo dell’antropologo perché non è per niente facile, crea una sfida, ma
per Malinowski questo atteggiamento è l’unico che consente all’antropologo di raggiunger e cogliere gli
aspetti imponderabili della vita reale, quegli aspetti che caratterizzano la vita, aspetti inconsapevoli che fanno
parte della vita sociale e influenzano le situazioni. L’antropologo nel momento in cui compie una ricerca con
l’intento di riportare le caratteristiche sociali naturali del popolo si trasforma in etnologo. Importante è saper
tenere insieme il piano emotivo dell’osservatore e conciliarlo con l’elaborazione teorica.
-introduce un approccio olistico=molto diverso dall’approccio del comparativismo perché l’approccio olistico
considera necessario per comprendere una cultura guardarla in tutte le sue sfaccettature, guardare a tutto
tondo l’insieme di tutte le dimensioni che caratterizzano la comunità.
-la mia esperienza deve anche essere restituita ciò implica un’attenzione alle modalità attraverso cui gli
antropologi disseminano e comunicano la loro ricerca, modalità della scrittura monografica che introduce la
monografia etnografica dove la modalità di scrittura prevede l’utilizzo del presente etnografico (una delle
ragioni per cui poi le correnti future criticheranno la corrente di Malinowski) che però decentralizza il tempo
presente, come se questo finisse per privare la cultura rappresentata della sua dimensione storica, non
guarda con attenzione al mutamento del passato che comunque fa parte di un popolo. Oggi un antropologo
deve saper trasmettere una conoscenza etnografica a tutti.
Esempio del rituale del Kula scambio rituale che caratterizza le comunità delle sole Trobriand, scambio di
gioielli formati conchiglie rituale che è centrale per queste popolazioni. Intraprendono un viaggio per andare
nelle altre isole e scambiarsi i gioielli. Malinowski nota durante questi viaggi che intraprendente con i locai
che questo era anche un modo per portare avanti anche altri scambi di tipo economico, di cibo. Lo scambio
di conchiglie era solo un modo per instaurare fiducia tra i popoli per poi intentare altri scambi.
Queste modalità introdotte da Malinowski diventano modello per antropologi degli anni 20-70 del ‘900. Tutto
porta a una specializzazione areale ed etnica, dove si ha una caratterizzazione degli antropologi che si
specializzano in una determina area e cultura (non era possibile per un antropologo studiare mille aree
diverse e popoli diversi perché per uno studio approfondito doveva stare tanto sul luogo e gli spostamenti da
una parte l’altra non erano così immediati). Evans Pritchard fa ricerche sull’africa orientale fondamentali, e
nelle sue ricerche si attiene alle “regole” date da Malinowski, con il presente etnografico e utilizzo di molti
schemi.
La ricerca sul campo e la monografia etnografica sono il metodo centrale introdotto nell’antropologia nel 900
in Gran Bretagna e America, mentre nell’antropologia francofona ci da spunti interessanti perché
l’antropologia francese con Mauss e Griaule (esperto di Africa occidentale studia i Dogon del Mali) va per la
prima volta in Africa tra il 1931-1933 nella missione Dakar-Gibuti alla quale partecipano anche surrealisti
(forte connessione tra surrealismo artistico e letterario con l’etnologia). Museo Trocadero a Parigi si ispira
fortemente alla connessione surrealista-etnografica e si viene a definire la forte presenza dell’arte africana.
Decolonizzazione che va di pari passo e determina la svolta riflessiva in antropologia negli anni 60, ovvero
antropologi per la prima volta Messi di fronte a situazioni storiche che li mettono in crisi, si domandano se
strumenti utilizzati sono giusti per comprendere ciò che si vede. Cambia l’oggetto della ricerca perché ci si
inizia a domandare chi sono veramente i primitivi e cambia il soggetto della ricerca antropologica ovvero
cambia la risposta alla domanda chi sono gli antropologi. In tutto questo cambiamento ruolo fondamentale è
occupato dalla decolonizzazione che spunta dopo le lotte all’indipendenza (prima colonia africana a
diventare indipendente è il Ghana nel 1954, le ultime le colonie usofone negli anni 70, ultimo di tutti la
Namibia nel 1990 perché ha conosciuto la colonizzazione da parte di un altro paese africano che è il
Sudafrica). Non è più possibile pensare ai primitivi come popoli immersi nel presente storico che li rendeva
statici e soggetti muti/inconsapevoli.
Cambiamento a livello epistemologico all’interno della disciplina, epistemologia è il nostro paradigma e paio
di occhiali. Cambiamento sulle prospettive attuali della ricerca antropologica, la decolonizzazione ha portato
alla rivolta dell’oggetto etnografico, i primitivi si rivoltano conto le categorizzazioni a loro date; la
globalizzazione che segue la decolonizzazione determina la scomparsa dell’oggetto etnografico, ovvero non
è che non c’è più un oggetto di studio per l’antropologia, non sono annullate le differenze etniche culturali ma
porta alla scomparsa dell’oggetto etnografico come era stato tradizionalmente incasellato dall’antropologia.
Le differenze etniche non devo per forza andare a cercarle nelle isole esotiche ma le ho vicino casa. Quindi
anche fare un’etnografia come la intendeva Malinowski ovvero stare sul campo continuativamente per tanti
anni, non è il utile per comprendere gli oggetti etnografici, poiché i metodi devono comunque stare anche
alle evoluzioni dei periodi. Nascono quindi le etnografia multi-situate, io seguo l’oggetto dove si sposta.
Nasce anche la nethography cioè etnografia della rete. Ritorno a casa dell’antropologo che può anche fare
ricerca a casa propria, ciò che è importante e rimane al centro dell’antropologia della globalizzazione è di
riuscire a mostrare i legami spesso nascosti e inconsapevoli tra la dimensione del locale e del globale “ogni
locale porta in se schegge del globale”. Cambiano anche i modi di restituzione della ricerca, oggi di fronte
alla necessità di rendere il prodotto della ricerca antropologica utile a tutti impone di trovare un modo per
renderla accattivante, si cerca quindi un’antropologia visuale con video, foto, iper-testi. Nascono anche i
musei etnografici, trasformati poi in musei delle culture.
Caso di Swakopmund
Ricerca fonti negli archivi e consulto i documenti, ricerca bibliografica (libri in biblioteca), ricerca sul campo
—> i modi per fare una tesi sono tanti e ognuno apporta qualcosa di diverso e di aggiunto. Era usanza degli
amministratori coloniali tedeschi mandare nelle festività o in ricorrenze particolari delle cartoline che
raffigurassero scene di vita quotidiana nella colonia Herero che molto spesso erano loro immagini nei campi
di concentramento. C’era usanza di esibire i prigionieri che venivano messi in posa con una serie di oggetti
che dovevano confermare un’esibizione di poter del coloniale sul nativo. Oggi giorno nelle celebrazioni degli
Herero si rivestono come erano visti dai colonizzatori, usano catene, costumi di soldati tedeschi per qualche
modo dominare il dominatore. Le documentazioni storiche raccontano i campi di prigionia anche con parole
e firme sotto le foto di archivi, nonostante ciò i tedeschi negano che tutto sia mai avvenuto. Altra immagine
rappresenta Swakopmund con la volontà di rappresentare questa città come sviluppo economico e
industriale. Swakopmund centro costruito su posizione strategica per spostamenti e collegamenti, costruito
per farlo diventare un grande centro sviluppato. Kramersdorf area residenziale di lusso dentro la città a
ridosso del cimitero comunale di Swakopmund e a ridosso di un’area desertica importante per le memorie
Herero. Interrogarsi su quali fossero le tracce visibili e invisibili della memoria Herero a Swakopmund? Da
una parte memoria nazionale egemonica che non riportano esplicitamente dall’altra il rappresentate comitato
genocidio Herero. Anche le guide scritte sulla città non fanno per nulla riferimento al campo di
concentramento. Come trovare il luogo esatto su cui sorgeva il campo? Non si sa nulla e nessun reperto è
stato lasciato nemmeno negli archivi. Ci si deve riferire allora alle memorie orali, e in più si trova un
documento dalle ricerche d’archivio scritto da un missionario finlandese che racconta la costruzione di un
campo prigionia Herero. Oggi in quel luogo sorge la spiaggia, con ville di lusso, centro commerciale, tendoni
tenuti da tour operator namibiani che organizzano tour nel deserto o sulla ghost coast, concessionario (non
c’è traccia di quella memoria). Poi però disseminati per la città ci sono una serie di edifici con delle date sul
fronte (es: 1905, 1906, prigioni con delle date, sull’ospedale..). Tutti gli edifici della città non dicono niente
della memoria passata, se non che ci sono delle date. Edifici costruiti tutti negli anni dei campi di
concentramento perché sono tuti edifici costruiti dai prigionieri Herero, quindi all’interno della città non c’è un
monumento preciso che ricorda quanto accaduto, ma è nella memoria di ogni singolo edificio che ricorda
indirettamente a quanto accaduto. I monumenti che si trovano nella città voluti dal governo namibiano sono
tutti costruiti alla memoria dei tedeschi. Luogo che più di tutti racconta di questa memoria complessa tra
storie diverse: è il cimitero municipale di Swakopmund. Muro bianco introdotto nel 2010, prima di questa
data nel cimitero c’erano solo tombe alla memoria dei missionari finlandesi, soldati tedeschi, monumento
commemorativo per i soldati tedeschi morti durante lo “scontro con i rivoltosi Herero” che in realtà è la guerra
contro gli Herero fatta passare non come un attacco dei tedeschi ma una loro risposta alla rivolta iniziata
dagli Herero. Al di la del muro bianco c’è l’area che appartiene alla fossa comune (oggi ancora si trovano
reperti), non era l’area su cui sorgeva il campo vero e proprio ma solo la zona in cui venivano portati i corpi
morti perché era una zona invisibile e non frequentata. Muro fatto costruire quando i rappresentati delle
comunità genocidio Herero riescono a far riconoscere l’appartenenza delle ossa agli Herero e si iniziano a
costruire le prime tombe anche. Si costruiscono poi per la prima volta non solo monumenti ai tedeschi ma
anche targhe e altri monumenti in ricordo dei genocidi Herero.
Anche nella capitale sorgeva un campo di concentramento ma nessuna traccia lasciata riguardo a questo,
oggi giorno solo qualche monumento.
Ripensare alle frontiere come un luogo emblematico di quella che è la complessità attraverso la quale si
esprime la globalizzazione contemporanea (altro luogo emblematico è la città). Quello che interessa nel
focalizzarci sulla nostra riflessione dell’antropologia delle frontiere, e cercare di capire come la valenza di
luogo complesso emerge quando guardò su diversi piani: immaginario, pratico, immagine. Immaginario
centrale per la costruzione di qualsiasi discorso, ha una ricaduta sul piano politico, sociale, culturale. Gli
immaginari producono comportamenti, hanno ricaduta concreta nella nostra vita concreta. Tema legato
anche alle immagini, quelle che io produco dipendono dal l’immaginario che io metto in campo, al quale io mi
riferisco. (immagine frontiera che divide deriva da un immaginario etnocentrico occidentale che divide gli stati
entrato dopo l’idea dello stato nazionale, inventate in epoca moderna). Despetacolizzare immaginario della
frontiera basandosi su altri immaginari, emergerà un’immagine molto diversa. Borderscapes= etimologia
scape rimanda all’immagine estetica (es: landscape), ma rimanda anche nelle lingue germaniche viene dalla
parola che significa dare forma, creare. Non è solo rimanere fuori dal paesaggio guardarlo e basta ma è
anche dare forma e vita ad uno spazio, luogo che da geometrico diventa umanizzato che è un po’ il processo
di territorializzazione.
Tema delle frontiere con riferimento al lavoro etnografico svolto nello spazio di frontiera tra Italia e Tunisia
nel Medieranno.
Antropologia delle frontiere si pone all’interno di quella parte della disciplina che si occupa di globalizzazione.
Una delle sfide che la disciplina antropologica si è posta a partire dalla svolta riflessiva in antropologia (fine
anni 60 inizio 70) è stata quella di mettere in discussione le identità e culture come essenzializzate, identità
chiuse marcate da confini. Visioni della prima antropologia, antropologia evoluzionista con idea di culture e
identità che porta all’essenzializzazione di esse, con la svolta riflessiva antropologica l’attenzione è posta
sull’importanza di riandare le culture e le identità come delle unità in continua interazione e scambio tra di
loro. La svolta interpretativa in antropologia cambia non solo perché cambia l’approccio definito
epistemologico (cambia il modo in cui l’antropologia definisce la conoscenza), antropologia interpretativa nel
momento in cui intende identità come delle unità mobili in continuo cambiamento e dinamiche, il
cambiamento epistemologico è dovuto anche all’influsso dei cambiamenti geo-politici dagli anni 60 in poi.
Nuova visione fortemente influenzata dalla globalizzazione che caratterizza il mono di quegli anni e continua
a farlo con forme nuove e diverse. Globalizzazione ci mette di fronte come antropologi all’esigenza di
ripensare le identità e culture come delle identità non più essenzializzate e “pure”, essa mette in evidenza il
carattere ibrido, plurale di interscambio continuo tra le identitàciò determina il nuovo sguardo
dell’antropologia e l’elaborazione di una nuova teoria dell’antropologia tiene in considerazione di questi nuovi
scambi. Nella nuova re-interpolazione del suo oggetto di studio l’antropologia non può più occuparsi con il
suo ampio di occhiali degli enti locali, ma deve guardare anche alle relazioni tra il globale e il locale
contemporaneo. Argomento confini e frontiere è fondamentale, in questa prospettiva dinamica e relazionale
ciò che cambia è a definizione di confini tra gli uni e gli altri non più rigidi e immodificabili ma in ambito
antropologico se ne parla in modo simbolico. La globalizzazione, che ha una sovrapproduzione di definizioni,
da un punto di vista antropologico è un processo; non è un dato ne un evento. Processo che è complesso
(aggettivo complesso usato riprendendo l’etimologia= cum pletteretessuto insieme) significa intenderlo
come un processo che può essere compreso solo nel momento in cui guardo a tutti i fili che compongono la
tela della globalizzazione, guardo alle relazioni di quei fili e solo guardando il tutto insieme posso
comprendere, se anche tolgo un filo il risultato non sarà uguale; la globalizzazione è un processo complesso
non solo nello spazio, si tende a percepire la globalizzazione come qualcosa che riguarda solo la modernità
che non ha passato, non è interpretata come un processo storico e non vengono messe in evidenza le
dimensioni temporali del passato. In realtà la globalizzazione è un processo complesso sia dello spazio che
del tempo, al momento in cui guardo al processo della globalizzazione metto un paio di occhiali che mi
faccia guardare all’indietro. Emergono quindi aspetti interessanti per capire anche la globalizzazione di oggi:
migrazioni umani (fenomeno che maggiormente caratterizzano la globalizzazione contemporanea) sono un
qualcosa che caratterizza la storia dell’uomo e la storia umana che si fa globalizzata; globalizzazione inizia
fin dai tempi delle prime migrazioni umane (si può risalire al 1492 scoperta Americhe). Non si può pensare di
interpretare la globalizzazione prendendo in considerazione solo un ramo: dimensione economica è quella
più presa in causa mia a è solo uno dei fenomeni che compongono la globalizzazione come processo
complesso; sono importanti tutti i fili che compongono la trama. Quando l’antropologia guarda alla
globalizzazione con una prospettiva complessa deve tener conto:
1-dimensione economica
2-dimensione politica: riferimento non solo alle istituzioni sovra-nazionali ma anche a quelle nuove forme id
organizzazione politica che riguardano livelli trans-nazionali
3-flussi migratori: non da intendersi solo demograficamente, dal punto di vista dell’antropologia è
importante interrogarsi sulle caratteristiche che distinguono i flussi migratori, focalizzazione su due forme di
comunità che vengono a generarsi: comunità diasporiche e comunità trans-nazionali
4-globalizzazione della cultura: si occupa di riflettere sui flussi comunicativi determinati dalle nuove
tecnologie, a livello mediale e informatico e all’ampliamento dell’industria culturale (legata alla produzione
cinematografica, musicale) a come queste produzioni di cultura cambiano e si trasformano di fronte alla
globalizzazione contemporanea
5-nuove gerarchie sociali: su quelli che sono cambiamenti anche dal punto di vista sociale determinati
dalla globalizzazione; attenzione verso i rapporti di disuguaglianza e a come questi sistemi si leghino a delle
forme di manifestazione del potere che cambia di fronte agli scenari globalizzatiinter-dipendenza
mondiale. In periodo mercantile chi partiva dall’Europa lo faceva con scopi commerciali, sfruttamento risorse
economiche dei paesi nei quelli si arrivava, diversamene in periodo coloniale chi parte lo fa su mandato
dell’attore stato-nazionale e la volontà di arrivare nei paesi colonizzati è quella di costruire dei modelli che
riproducessero gli stati nazionali nelle colonie. Nel colonialismo ciò che crea inter-dipendenza è di carattere
politico oltre che economico.
Flussi migratori e migrazioni hanno caratterizzato tutta la storia moderna: oggi giorno dall’Africa all’Europa,
nel novecento dall’Europa agli USA, metà novecento migrazioni all’interno dell’Europa. Cosa cambia nel
momento in cui guardo la globalizzino e contemporanea rispetto a quelle passate? È una differenza inscritta
nella quantità, il fenomeno migratorio attuale assume una quantità che rispetto al passato è più sostanziosa,
ma non è solo la quantità è anche una questione di qualità delle dimensioni e di velocità con la quale i
fenomeni accadono; tutto oggi avviene in modo più rapido e veloce, sia per i flussi delle persone, che delle
merci e informazioni. La velocità ha portato il modello di immigrazione da nazionale a trans-nazionale: i due
modelli sono distinti perché quando parlo di migrazioni trans-nazionali parlo di migrazioni di persone che
grazie alle nuove tecnologie e sviluppi riescono a mantenere un rapporto constante e continuo forte con i
paesi di origine e provenienza, sono delle comunità che si creano in maniera stabile etnia pesi di
accoglienza ma che allo stesso tempo mantengono relazioni stabili con i paesi di origine; rapporti non solo
tecnologici ma anche perché essi si muovono continuamente tornando spesso ai loro paesi. L’affermarsi dei
movimenti migratori nella contemporaneità che si inscrivono nei termini trans-nazionali, fanno si che quelli
che erano i modelli di lettura sono messi in discussione non bastano più per comprendere: i modelli di
l’assimilazione e riconoscimento non sono più sufficienti. Non colgono più la complessità del legame del
migrante trans-nazionale con il paese di provenienza. Parlando di complessità degli spazi transnazionali si
prendono in considerazione diversi soggetti:
-i turisti ad esempio, sono una soggettività che caratterizza in maniera determinate quelle che sono le
configurazioni economiche e culturale della globalizzazione contemporanea, gli spostamenti che l’industria
turistica determina a livello globale porta alla creazione di luoghi (artificiali come i villaggi turistici dove si
vengono a creare comunità transnazionali, reali come le città o luoghi di turismo come parchi) che assumono
l’aspetto di luogo di frontiera, spazi dove si incontrano e scontrano identità diverse
-parlando di attori transnazionali e spazi ci sono da considerare anche le figure che ruotano attorno ai
fenomeni di crisi della cittadinanza, come nei casi dei campi profughi, rifugiati politici, richiedenti asilo,
migranti in stato di clandestinità
-élite del transnazionalismo, quelli che viaggiano con tanti soldi in tasca, viaggiano per motivi di lavoro: sfere
professionali
Tema dell’omologazione considerata caratteristica per comprendere la modernità viene riproposta nella
globalizzazione, presentata come una nuova e più potente forma di imperialismo culturale, nel quale i
modelli sviluppati occidentali si impongono sugli altri; si vede la globalizzazione come fenomeno omologante,
una sorta di monotonia. Nel momento però in cui guardo al globalizzazione come fenomeno omologante è
come se togliessi la possibilità di agency ai locali (agency non ha una vera propria traduzione in italiano,
agency come una possibilità di azione, una capacità di agire). Omologare la globalizzazione annulla la
possibilità di azione dei soggetti locali. Se da un parte ci sono le teorie dell’omologazione dall’altra esistono
teorie dell’ibridazione: esse dicono che se è senz’altro vero che ci sono dentro la globalizzazione delle forze
egemoniche e dominanti che influenzano, allo stesso tempo queste configurazioni egemoniche dominanti
interagiscono con le identità locali, con i modi in cui le identità si manifestano a livello locale. Es:
omologazione McDonald anche se propone gli stessi menu in tutti i paesi ci sono delle proposte di menu
diverse per ogni paese, che riprendono i gusti dei locali. La mcdonaldizzazione stimola la ripresa dei slow
food, ovvero la ripresa delle tradizioni locali nel cibo. Ritorna il concetto di glocale, coniato da un sociologo
Robertson, vicino alla visione del paio di occhiali strabico, esigenza di guardare allo stesso tempo alla
dimensione locale e globale, capacità di tenere lo sguardo allo stesso tempo alle due dimensioni. Fenomeni
di indigenizzazione, processi attraverso i quali delle categorie culturali che vengono imposte a livello globale
come dominanti, vengon riprese dia locali e fatte proprie. Persino nelle comunità virtuali si verifica un
radicamento e una creazione di contesti locali dento lo spazio delle che risponde ad abitudini e regole
diverse. Anche dentro allo spazio virtuale si hanno comunque forme di indigenizzazione, si creano comunità
virtuali distinte. Riferimento a Arjun Appadurai, antropologo indiano che analizza la globalizzazione
scomponendola in cinque scenari:
1-ethnoscapes riguarda i gruppi umani in movimento, flussi di persone che caratterizzano la globalizzazione
2-technoscapes: sguardo verso le nuove tecnologie che distinguono la globalizzazione contemporanea da
quella storica
3-financescapes dinamica del capitale globale finanziario
4-mediascapes dimensione mediatica
5-ideoscapes modelli politici e ideologie
L’immaginario è un pratica culturale, ha risvolti concreti, condiziona i nostri comportamenti e le nostre
ideologie, produce pratiche.
Importante è capire che l’antropologia si occupa id globalizzazione a partire da quello che è il suo focus di
attenzione originale, ovvero i contesti originali, dalle unità di luogo. Lo sguardo dell’antropologo è situato in
uno spazio-tempo. La globalizzazione è vista dall’antropologo sempre attraverso il paio di occhiali che si
mette, ponendo l’attenzione forte tra le unità globali e locali; egli andrà a vedere nelle comunità locali quelli
che sono i cambiamenti e le configurazioni che la globalizzazione produrrà. Anche il più piccolo
cambiamento che avviene in una zona seduta de mondo avrà risvolti a livello globale, il fatto di occuparmi di
globalizzazione non esclude che io non debba più interessarmi dei contesti locali, che sempre
influenzeranno. L’omologazione assoluta non esiste, non c’è possibilità di sentirsi a casa ovunque, il perfetto
cosmopolita non esiste nella pratica, ognuno di noi anche nel mezzo delle spinte omologatorie continua ad
essere ancorato alla sua identità.
Frontiere come luogo complesso attraverso il quale leggere la globalizzazione contemporanea. Quando si
parla di confini e frontiere si parla di qualcosa che tiene insieme mondi diversi tra loro, diventa una struttura
paradossale: se da una parte separano e creano differenza, dall’altra creano possibilità di connessione,
scambio, di relazione tra dentro/fuori e noi/altri. Questa interpretazione della frontiera come struttura
paradossale è diversa rispetto a quella dominante della contemporaneità, l’interpretazione della frontiera che
predomina è quella di una linea che separa, linea che non esiste nella realtà ma nella carta geografica.
L’idea di un luogo che non può essere umanizzato perché geometrico. Frontiera emerge come struttura
paradossale e anche dal fato che scaturisce emozioni diverse e contrastanti: paura e speranza, morte e vita,
coraggio e delusione. Nello spazio geometrico non c’è spazio per i sentimenti, invece nella reinterpretazione
della frontiera fa capire che essa è un luogo umanizzato. Quando si parla di frontiere si ha a che fare con il
piano della legalità e illegalità, frontiera come istituzione. Interessa però anche il piano della legittimità, che
riguarda la frontiera non come istituzione (prenderei in considerazione anche gli attori stato-nazionali) ma
come processo (metto nell’analisi una serie di altri attori che non sono quelli stato nazionali ma della società
civile, di chi abita la frontiera). Da un punto di vista antropologico quando guardo alle frontiere il mio sguardo
tiene in considerazione di tutti coloro che abitano la frontiera, di tutti i portatori di nuove agency.
Bordering: indica la valenza processuale della frontiera, -ing come processoconsiderare la frontiera non
come identità immutabile ma utilizzando -ing la rendo attiva
Ordering: quando traccio confini e metto frontiere creo ordine, creo il mio nomos (odine della terra che
dipende dal tracciare i confini)
Othering: nel momento in cui io traccio confini creo anche una molteplicità
La frontiera marca le differenze ma è allo stesso tempo una possibilità a venire.