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Tesina su Studi e Politiche di Genere: Per decostruire il proprio privilegio maschile solo i

femminismi possono salvarci


Introduzione
-Fin da quando nasciamo, i nostri corpi vengono educati ed influenzati in base alle immagini,
alle parole e ai rapporti interpersonali con cui entriamo in contatto. Il nostro modo di vivere non
si autodetermina in maniera libera, bensì veniamo plasmat* a seconda di come la società
determina i rapporti di potere. Fin dalla nascita, se si viene configurati all’interno del genere
maschile, la nostra crescita ed educazione sarà proiettata all’interno di un mondo che riconosce
gli uomini come produttori di potere e di dominio, come duri e forti, dediti al controllo, al
successo, legittimati da una società che in ogni ambito pubblico o privato è impregnata di
sessismo, ovvero quella struttura culturale che legittima e riproduce la violenza
eteropatriarcale. In questi termini, come afferma Lorenzo Gasparrini in “Diventare uomini-
Relazioni maschili senza oppressioni”, il sessismo pur essendo esteso ormai ai rapporti tra tutti i
generi sessuali, non significa che questi siano paritari cioè equivalenti, poiché la
discriminazione per eccellenza è ancora quella del genere maschile eterosessuale verso gli altri
e rispetto a ciò, come afferma Monique Wittig, una delle fondatrici del movimento francese di
liberazione delle donne, la lotta contro il dominio maschile non può prescindere da una lotta
contro l’egemonia eterosessuale da cui scaturisce il processo di eteronormazione della società
attuale.
In questi termini per comprendere il sessismo bisogna analizzare la sua pervasività ovvero
rendersi conto anche dei propri comportamenti sessisti, soprattutto dell’uomo etero e partendo
da questo punto di vista, il processo di decostruzione del proprio privilegio maschile si pone
come un lungo e arduo lavoro su di sé che non vedrà mai una vera e reale fine. E’ un processo
capillare, quotidiano, di infinita ricerca del proprio posizionamento all’interno di questo mondo.
Un percorso di cambiamento individuale e comunitario, dove il nostro agire non deve essere
canalizzato alla riproduzione di potere e di violenza sistemica che consolida le strutture
gerarchiche di potere di genere, sesso, razza e specie, ma dedita alla costruzione di un
immaginario dove possono essere praticati processi di liberazione e di autodeterminazione.

2.Origini dei masculinity studies

I masculinity studies si affermano come una specializzazione degli studi di genere che cerca di
mettere in evidenza come si forgia la costruzione sociale maschile, la sua identità e come essa si
modella in base ai cambiamenti e alle trasformazioni sociali che avvengono e come queste si
configurano all’interno non solo di consolidamento della struttura eteropatriarcale, ma anche come
quest’ultima diviene elemento centrale per rafforzare la logica capitalista. In questi termini, il
rapporto d’insubordinazione della donna nei confronti dell’uomo non si configura solo attraverso la
produzione di una violenza fisica, psicologica e verbale ma anche attraverso la circoscrizione
all’interno dei processi di accumulazione che vede da una parte l’uomo etero-cis, bianco come il
soggetto che rappresenta i rapporti di produzione all’interno delle logiche del mercato del lavoro e
dall’altra la donna a cui viene relegata alla sfera della riproduzione, attraverso il lavoro domestico,
affettivo inteso come lavoro gratuito che il capitale incorpora e nasconde. In questo determinato
ambito, la donna diviene, quindi una soggettività sfruttata dall’economia familiare, basti pensare
1
anche al lavoro di cura sostenuto dalle colf e dalle lavoratrici domestiche. Rispetto a ciò, è
fondamentale, affermare che quindi la nostra posizione di dominio non è solo determinata da una
produzione di violenza simbolica di cui andremo a discutere successivamente attraverso i contributi
di Bordieu, ma si determina anche attraverso quella che è una vera e propria divisione sessuale dei
ruoli sociali di genere all’interno di questo sistema-mondo. E’ fondamentale quindi, sottolineare che
la società capitalista attuale non si definisce solo all’interno di un’imposizione di una struttura di
natura solo economica, bensì definisce un modo culturale egemone ovvero un modo di essere,
pensare e vivere che modella le relazioni interpersonali.1
Il concetto di mascolinità egemonica di Raewyn Connell (Connell 1987) funge da strumento
analitico per identificare quegli atteggiamenti e pratiche tra gli uomini che perpetuano la
disuguaglianza di genere, coinvolgendo sia il dominio degli uomini sulle donne sia il potere di
alcuni uomini su altri (spesso gruppi di minoranze). Il concetto è stato ampiamente utilizzato e
discusso, e nel corso degli anni è stato perfezionato (Connell e Messerschmidt 2005), con l'idea di
base che la mascolinità egemonica rappresenti sia “ una forma ideale e culturale e sia un progetto
personale che collettivo" (Donaldson 1993, 645).
La concettualizzazione della mascolinità egemonica è descritta come:
un insieme di valori stabiliti da uomini che producono forme di potere che servono per
includere/escludere e per organizzare la società in modi diseguali di genere. Ciò è combinato da
diverse caratteristiche: una gerarchia di mascolinità, un accesso differenziale tra uomini al potere
(rispetto alle donne e altri uomini) e l'interazione tra identità degli uomini, ideali, interazioni e la
legittimazione del potere e del patriarcato da parte di quest’ultimi.
Le mascolinità sono molteplici, fluide e dinamiche e le posizioni egemoniche non sono le uniche
mascolinità prodotte in una data società. Esse possono anche essere viste come posizioni occupate
situazionalmente, in quanto la posizione occupata, le pratiche e i valori sposati in un contesto
possono essere diversi da quelli di un altro. Un elemento chiave nella costruzione della mascolinità
egemonica è l'eterosessualità e, in misura maggiore o minore, la mascolinità egemonica è costruita
come una posizione di genere tanto "non gay" quanto "non femminile". Basti pensare ai meccanismi
di violenza riprodotti dalla mascolinità egemonica maschile che diviene tossica nel momento in cui
ripudia quelle maschilità non egemoni che definiscono generi non conformi che rifiutano il
binarismo uomo/donna. Il tutto può essere maggiormente compreso nel momento in cui, noi uomini
usiamo espressioni come “femminuccia” e il termine “gay” come insulto. In questi termini la
violenza che si produce è sia misogina e sia omofoba.
- La nozione di egemonia pone le sue radici nella letteratura prodotta da Gramsci ed è
essenzialmente una posizione di dominio raggiunta attraverso un consenso relativo piuttosto che da
una forza regolare e imposta anche se quest’ultima la legittima. Il consenso è costruito tra coloro
che beneficiano della promozione della mascolinità, così come molti di quelli che ne sono oppressi,
in particolare le donne. La mascolinità egemonica è tanto per le donne quanto per gli uomini un
ideale culturale della virilità, che viene premiato dagli interessi, dalle attenzioni e dagli sforzi delle
donne per replicare questo ideale nei loro parenti e collaboratori maschi.
Il concetto di mascolinità egemonica è talvolta usato come parte di una teoria del cambiamento, ma
più comunemente viene visto in termini di identificazione di un elemento chiave nell'ordine di
1
R.Jewkes, R.Morrell,J.Hearn,E.Lundqvist,D.Blackbeard, G.Lindegger,M.Quayle,Y.Sikweyiya&L.Gottzén,
Hegemonic masculinity: combining theory and practice in gender interventions, Journal: culture, Health&Sexuality,
Vol.17
2
genere che fa parte di una spiegazione per l'esistenza e la perpetuazione della disuguaglianza di
genere. Sebbene non sia mai risolto e accolga esplicitamente il cambiamento nel tempo e sostenga a
livello centrale che le mascolinità sono per natura fluide e dinamiche, non ha lo scopo di consentire
l'identificazione di momenti significativi in cui la mascolinità egemonica è più che meno equa in
termini di genere. Il concetto di mascolinità egemonica può essere attivamente incorporato nella
progettazione dell'intervento per consentire il cambiamento. Per comprendere ulteriormente questo
passaggio, Gramsci in “Americanismo e fordismo”, ad esempio mostra perfettamente come
l’industrializzazione della società fordista risultò essere come il “maggior sforzo collettivo per
creare un tipo nuovo di lavoratore e di uomo, attraverso una vera e propria mutazione
antropologica. In questi termini Gramsci, evidenzia come il nuovo industrialismo sia basato sulla
monogamia dei rapporti eterosessuali, poiché l’uomo lavoratore non deve sprecare energie nervose
nella ricerca disordinata ed eccitante del soddisfacimento sessuale occasionale poiché non può
andar d’accordo con i movimenti cronometrici dei gesti produttivi legati ai più perfetti automatismi.
Non a caso, è proprio nell’era fordista a determinarsi la famiglia nucleare basata sul modello male
breadwinner inteso come spazio privato dove avviene una divisione sessuale del lavoro e quindi dei
ruoli di genere. Da una parte abbiamo una mascolinità egemone proiettata al lavoro, al sacrificio e
alla durezza che nasconde lo sfruttamento del lavoro riproduttivo e di cura delegato alla donna o
alle soggettività più “femminilizzate” che non solo subiscono lo sfruttamento di un lavoro
totalmente gratuito al contrario dell’uomo, ma allo stesso tempo diviene possibile vittima di
violenza domestica, in quanto questi rapporti vanno a circoscriversi perfettamente all’interno della
struttura eteropatriarcale. Rispetto a ciò, è possibile quindi vedere una stretta interconnessione tra
sessismo, patriarcato e società capitalista.
E’ proprio all’interno della sfera domestica che possiamo osservare come l’uomo produca
molteplici forme di violenza alcune davvero molto sottili e invisibili ma che diventano tangibili nel
momento in cui le si vive. Ad esempio all’interno del mio ambito familiare e domestico, il processo
di crescita e di educazione sia mio che di mio fratello, sono stati entrambi completamente relegati
alla figura di mia madre, ritrovandosi con un carico mentale e fisico che è a tutti gli effetti si pone
come una violenza, in quanto precarizza e rende non lineare il processo di esistenza, in questo caso
di mia madre. Ma ve ne sono altri di esempi che possono essere testimoniati: ad esempio la
violenza psicologica, verbale fino ad arrivare ai casi più estremi come quelli di violenza domestica e
femminicidi, dove di solito sono accompagnate da una narrazione tossica che prova a giustificare la
violenza sistemica prodotta dagli uomini, usando termini come “raptus”, “se le cercata”, “era
ubriaca” che vanno solo ulteriormente ad aumentare la violenza provocata nei confronti delle
donne. Da questo punto di vista l’analisi sulle responsabilità della produzione di violenza va fatta
sull’oppressore, ovvero su chi reprime e in questi termini è l’uomo eterosessuale incapace di
decostruire il proprio maschilismo.
La violenza maschile contro le donne, la violenza omofobica e transfobica risultano essere, in
diverse forme, una costante negli atteggiamenti e comportamenti riprodotti dall’uomo eterosessuale.

Il dominio maschile come produzione di potere della violenza simbolica e materiale


-Dalla mia esperienza personale di “ decostruzione del privilegio maschile” ,cominciato nel
momento in cui sono entrato in contatto con i femminismi grazie al Movimento Transfemminista
globale Non Una Di Meno (2016) che è stata capace, attraverso le sue assemblee, le sue piazze e i
3
suoi modi di resistere e costruire, di educarmi alla messa in discussione dei propri privilegi,
comprendendo le forme di violenza sistemica da cui essi derivano. In questi termini il femminismo
praticato in questo Movimento transnazionale ci insegna attraverso la liberazione
dall’eteropatriarcato e la pratica intersezionale a vivere e costruire relazioni e comunità libere, non
oppresse e soprattutto senza oppressioni e forme di dominio egemoni.
I femminismi radicali, uso questo termine al plurale perché nella loro differenza di analisi, mi hanno
sempre trasmesso saperi e strumenti analitici per assumere una visione della propria esistenza e
quindi del mondo, all’interno di un posizionamento femminista. Educarsi ai femminismi, significa
apprendere la lettura intersezionale che ereditiamo dalla lettura femminista Nera della dominazione
strutturale. Il termine “intersezionalità” è stato coniato da Kimberle Crenshaw nel 1989, tale
concetto attraversa sotto altre formulazioni tutta la letteratura Black Feminist. Il Comabahee River
Collective, già nel 1977, teorizza la molteplicità e la simultaneità delle oppressioni in ragione
dell’interconnessione fondativa di genere, sessualità, razza e classe 2.
Per comprendere la ragione per cui noi uomini noi dobbiamo iniziare completamente a decostruirci
per liberarci dall’eteropatriarcato, significa interiorizzare, come afferma Bourdieu, avere
consapevolezza della precedenza universale che ci viene riconosciuta come uomini che si afferma
nell’oggettività delle strutture sociali e delle attività produttive e riproduttive, fondate su una
divisione sessuale del lavoro di produzione e di riproduzione biologica e sociale che riserva
all’uomo come la parte migliore.3
Bordieu, in questo passaggio, riassume concretamente come la storia dei nostri privilegi prodotti dal
dominio maschile siano la principale causa dell’oppressione di genere. Una violenza che è
circoscritta all’interno dei modi di vivere, pensare ed essere, che viene universalmente condivisa da
tutti i membri della società. E’ all’interno di questo processo storicamente legittimato e agito, che il
dominio maschile risulta il prodotto di un lavoro incessante di riproduzione cui contribuiscono
agenti singoli4 (fra cui gli uomini, con armi come la violenza fisica e la violenza simbolica) e
istituzioni, famiglie, chiesa, scuola, stato.
Dalla comprensione di quest’analisi, si intende che il corpo sociale è il prodotto di rapporti di
dominio che vengono circoscritti all’interno di categorie che vengono interiorizzate come naturali,
ovvero il dominio non può esistere senza la dominata poiché la violenza simbolica colonizza lo
spazio vitale in cui i soggetti interagiscono. Da questo punto di vista, chi ha erroneamente accusato
Bourdieu sostenendo che porre l’accento sulla violenza simbolica implichi minimizzare quella
fisica o peggio o addirittura voler discolpare gli uomini da questa forma di violenza, non analizza la
profondità dell’analisi del sociologo, antropologo e filosofo francese, che per simbolico intende una
violenza sistemica spirituale che rappresenta un suo valore all’interno dell’esperienza soggettiva dei
rapporti di dominio. In linea con questo, Non Una Di Meno attraverso la sua analisi
transfemminista, ha sempre inteso la violenza eteropatriarcale prodotta dal dominio maschile come
una violenza strutturale e sistemica che permea ogni istituzione e ogni ambito della nostra vita.
Decostruire la propria spiritualità dominante, significa analizzare e mettere in discussione le
plurime forme di micropoteri che le molteplici egemonie maschili hanno parcellizzato e diffuso nel
tempo, trasformandone la presenza senza diminuirne l’efficacia. Per questo motivo non credo
minimamente che ci si possa definire di essere uomini liberi e consapevoli solo perché si è contro la

2
A.Curcio, Introduzione ai femminismi, Roma, DeriveApprodi,2019 cap. II, pp.38,
3
P.Bordieu,Il dominio maschile ,Milano,Feltrinelli,1999 cap.la violenza simbolica, p.43
4
P.Bordieu,Il dominio maschile ,Milano,Feltrinelli,1999 cap.la violenza simbolica, p.45
4
violenza fisica sulle donne perché essa è quella più esposta e più tangibile, ma ciò non toglie che
nessun uomo è esente dalla riproduzione sociale del sistema eteropatriarcale, poiché come afferma
Bourdieu, l’effetto del dominio simbolico di genere si esercita attraverso schemi di percezione, di
valutazione e di azione che sono costitutivi degli habitus che fondano un rapporto di conoscenza
profondamente oscuro a se stesso. Così, la logica paradossale del dominio maschile e della
sottomissione femminile diviene spontanea ed estorta e ciò lo si può comprendere solo se si prende
atto degli effetti durevoli che l’ordine sociale esercita sulle donne ( e gli uomini) che l’ordine stesso
spontaneamente impone. Per questo motivo, la forza simbolica è una forma di potere che si esercita
sui soggetti direttamente e in assenza di ogni costrizione fisica. In questi termini occorre prendere
atto e render conto della costruzione sociale delle strutture cognitive che organizzano gli atti di
costruzione del mondo e dei suoi poteri. 5
In questi termini, al motto intrinseco di violenza simbolica dominante che si è diffuso in questo
ultimo periodo #Notallmen dopo l’ennesimo caso di violenza strutturale di dominio maschile
attraverso il RevengePorn praticato su molteplici piattaforme social, prima fra tutte Telegram,
preferisco quei uomini che consapevoli del male che possono rappresentare e riprodurre, hanno
deciso di decostruirsi silenziosamente, ovvero “decolonializzare” la propria posizione di privilegio,
cercando di liberarsi dalla visione dominante che intrappola i nostri modi di essere e di pensare in
maniera opprimente.
Il verbo “decolonializzarsi” , in questi termini, è usato per rigettare i rapporti di dominazione, di
sottomissione e di dipendenza che colonizzano i territori della mente, dell’essere e del potere.6

4.Il processo di coscientizzazione come processo di liberazione


Come si è evidenziato nei paragrafi precedenti, quando nasciamo i nostri corpi si configurano
all’interno di un preciso ambiente circostante costruito e definito all’interno di processi educativi,
linguaggi, spazi simbolici che forgiano le nostre menti e i nostri modi di essere. Fin da bambini e
bambine, le nostre visioni vengono distorte dalle culture dominanti che vengono naturalizzate
all’interno della nostra quotidianità. Impariamo fin da subito ad osservare il mondo, attraverso
categorie pre-impostate che performano socialmente le nostre abitudini, prospettive e modi di
relazionarci. Appena si è nati/e, in base al sesso biologico che ci viene assegnato ci identificano con
un colore, rappresentando simbolicamente un binarismo sulla quale si forgia la divisione sessuale
della società. Il rosa, indossare lo smalto, avere cura del proprio corpo e di chi ci sta attorno, essere
fragili, in questa società, vengono considerate come attitudini prettamente femminili in quanto fin
dall’inizio i processi di apprendimento intrinsechi di sessismo ed eteropatriarcato educano ai ruoli
sociali che storicamente si sono determinati all’interno del rapporto tra storia umana e natura.
Sovvertire il proprio dominio maschile non significa soltanto liberarci dalle gabbie della virilità che
intrappolano il nostro corpo, non significa soltanto riconoscere la violenza sistemica che gli uomini
riproducono all’interno dei rapporti sociali storicamente determinati, ma è possibile immaginare e
costruire un mondo dove l’uomo decostruisce quotidianamente quelle pratiche dominanti che
configurano la costruzione sociale del nostro sesso e del nostro genere, un processo che non punta
al miglioramento delle strutture già definite, ma ad un loro cambiamento radicale. In questi termini
non credo che la storia dell’eteropatriarcato sia una condizione oggettiva astorica della società
umana ma il suo superamento è consequenziale alla decostruzione dei rapporti di oppressione di
5
P.Bordieu, Il dominio maschile, Milano, Feltrinelli,1999, cap. la violenza simbolica, pp.48-51
6
R.Borghi, Decolonialità e Privilegio, Milano,Meltemi,2020, p.37
5
genere, cioè distruggere i paradigmi esistenti per lasciare spazio a pratiche, definizioni e linguaggi
totalmente inediti. Pensare società libere significa costruire e praticare mondi femministi.
Decolonializzare il proprio privilegio maschile è un esercizio quotidiano che tanto nella costruzione
del pensiero quanto nella pratica, richiede una messa in discussione perenne del proprio Sé, del
ruolo all’interno di questo mondo e della profondità con cui riusciamo a scavare all’interno dei
nostri pensieri e della nostra spiritualità. Si tratta di un processo di coscientizzazione che mette in
rilevanza la colonialità del potere che noi produciamo e che performa i nostri corpi, designando un
sistema-mondo basato su un’architettura politica dell’inclusione/esclusione ed espulsione sociale 7.Il
processo di coscientizzazione come afferma Paulo Freire, è un passaggio da coscienza quotidiana a
quella critica, che permette di comprendere come le oppressioni si configurano all’interno dei
rapporti di potere insiti nelle strutture sociali. Ritengo centrale l’idea di pensare i nostri corpi come
processi di coscientizzazione continui perché la coscientizzazione è uno strumento che irrompe
nella apatica quotidianità di meccanismi di oppressioni invisibilizzati che relegano la realtà attuale
ad un solo paradigma che vede trionfare gli oppressori sulle oppresse. In questi termini, la
coscientizzazione permette di costruire spazi e alleanze che sovvertono e distruggono i paradigmi
attuali basati sulle disuguaglianze di genere, ovvero come afferma Audre Lorde “ il vero obiettivo
del cambiamento rivoluzionario non è mai stata solo la situazione oppressiva dalla quale si cerca di
scappare ma quel pezzo di oppressore che è piantato nel profondo di ciascuno di noi.” 8
L’eteropatriarcato se analiticamente rappresenta la struttura della società dove gli uomini si
appropriano per se stessi sia del lavoro riproduttivo e produttivo delle donne, sia dei loro corpi, da
un punto di vista un materiale, mostra come il motore delle mascolinità tossiche egemoni è la
iper-interiorizzazione della cultura dello stupro (rape culture). Essa è la struttura di dominio che
condanna le donne e le soggettività femminilizzate ad un mondo di resistenza alla violenza
sistemica misogina, omofoba e transfobica. La cultura dello stupro, non è solo l’atto in sé
determinato dall’abuso sessuale in termini fisici, ma è tutto quel processo di colonizzazione che gli
uomini hanno storicamente praticato, attraverso molteplici forme. La cultura dello stupro definisce
quei spazi prodotto dove la violenza contro le donne viene normalizzata, giustificata dai media e
dalle istituzioni, se pensiamo ad alcune sentenze emanate dal sistema giudiziario.
La cultura dello stupro viene perpetuata attraverso l’uso di un linguaggio misogino, l’oggettivazione
del corpo delle donne e la spettacolarizzazione della violenza sessuale. E’ stupro quando si ride
dinanzi ad una violenza sessuale, quando gli uomini normalizzano questo termine nella quotidianità
ed è cultura dello stupro ogniqualvolta che ad una donna o una soggettività che viene simboleggiata
come femminile, subisce l’invasione dell’uomo da un punto di vista culturale, psicologico e fisico.
La rape culture è lo strumento che l’uomo si avvale per definire il corpo di una donna come una
terra di conquista. Non a caso, essa, è sempre stata utilizzata come pratica da guerra da parte degli
invasori, dei coloni. Ad esempio Nella categoria 'stupri di guerra' rientrano anche le situazioni nelle
quali le donne sono costrette a prostituirsi o a diventare schiave sessuali dalle forze occupanti, come
nel caso delle comfort women durante la seconda guerra mondiale.
Anche in questi termini possiamo notare l’intersezione che avviene tra genere, razza e classe.
Rispetto a ciò, lo stupro è la guerra civile, l'organizzazione politica tramite la quale un sesso
dichiara all'altro: mi arrogo tutti i diritti su di te, ti costringo a sentirti inferiore, colpevole,
degradata.
7
R.Borghi, Decolonialità e Privilegio, Milano, Meltemi,2020, p.131
8
A.Lorde, Gli Strumenti del padrone non smantelleranno mai la casa del padrone, in Sorella Outsider, Milano, Il dito e
la luna, 2014, p.200
6
Un reale processo di coscientizzazione non può esimersi dalla consapevolezza che il nostro modo
di essere è la risultante di una cultura che rende le mascolinità tossiche e devianti, ponendosi come
elemento centrale di un mondo che riconosce corpi privilegiati e corpi subordinati. Soggettività che
rappresentano i canoni del “socialmente accettabile” come l’esser uomo, bianco, cis e proprietario e
che contemporaneamente definiscono quelle norme invisibili e tangibili per la quale altri corpi
risultano “fuori luogo”. Banalmente basti pensare al razzismo strutturale insito nelle forze
dell’ordine occidentali nel come trattano differentemente le persone in base alle loro costruzioni
sociali. Se sei uomo e bianco, come me, semplicemente ci spetta una semplice identificazione come
previsto dalla legge, se sei donna, migrante e Nera rischi di essere vittima di violenza o comunque
sia subire forme di abusi e prevaricazione.
Il processo di coscientizzazione che sto cercando di praticare nella mia vita, non si tratta solo di una
mera discussione della mia mascolinità perché non credo che possa esistere un uomo migliore fino a
quando non si comprenderà che è la definizione di questa costruzione sociale a normalizzare la
violenza sistemica di genere.
Un esempio lampante che mi risulta anche più nitido rispetto ad altri dato che l’ho vissuto da
bambino/adolescente sono le plurime forme di mascolinità tossica che si vanno a definire negli
ambiti sportivi di competizione come il calcio. Avendo praticato questo sport a livello dilettantistico
per quasi dodici anni, la mia idea è che lo spogliatoio maschile è luogo non solo di produzione della
cultura dello stupro, ma soprattutto della combinazione di plurime mascolinità tossiche derivanti dal
proprio androcentrismo nutrito di competizione, durezza, leadership che vanno a costituire una
pratica dello sport che legittima un dominio maschile che produce violenza sistemica misogina e di
genere attraverso insulti e pratiche sessiste, omofobe o semplicemente atti di prevaricazione che
vogliono mettere in rilevanza la virilità in cui l’uomo deve obbligatoriamente riconoscersi. Rispetto
a ciò, non è un caso che per decenni il mondo dello sport e in particolar modo del calcio è stato
luogo di discriminazione sessuale e di genere, privando gli atleti e le atlete di autodeterminarsi. Ad
esempio, Il calcio ha una lunga storia di violenza nei confronti dei suoi giocatori più eccentrici,
sia in campo che fuori, e il sesso è stato quasi sempre al centro del discorso. Basti pensare al
coro “Where’s your handbag Charlie George?”, dov’è la tua borsetta Charlie George,
cantavano i tifosi avversari negli anni ‘70 in direzione dell’attaccante dell’Arsenal, che
sfoggiava un taglio alla Beatles. Glenn Hoddle, leggendario centrocampista del Tottenham, era
invece chiamato Glenda, o ancora più esplicitamente poof – cioè frocio, ricchione – più o meno
per lo stesso motivo.
Più recentemente è stato invece Hector Bellerin ad essere bersaglio di insulti omofobi. Il
terzino spagnolo dell’Arsenal viene spesso chiamato “lesbica” dai tifosi avversari per i suoi
capelli lunghi e la passione per la moda, e per un momento ha chiuso i suoi account social per
gli insulti omofobi. «È impossibile che qualcuno sia apertamente gay nel mondo del calcio», ha
detto Bellerin. «Il problema è che le persone hanno un’idea di come un calciatore dovrebbe
apparire, di come dovrebbe comportarsi, di cosa dovrebbe parlare».
Il diverso, quindi, è tutto ciò che esce dai confini dell’immaginario e dalla morale comune,
quasi sempre influenzata dalla religione e da un certo conservatorismo più o meno esplicito. E
dato che non c’è niente di più diverso, in un mondo machista, di un gay, le due cose diventano
una sola.
«Mi sono domandato se fosse diffamatorio essere chiamato omosessuale, dato che non lo ero»,
racconta Le Saux. «Ma nel calcio penso che lo sia, perché uno si deve difendere: ammettere di

7
essere gay può voler dire la fine della tua carriera».( tratto dalla biografia di Greame Le Saux:
Left field).
Questi esempi mostrano come il processo di coscientizzazione non può esimersi dalla capacità
di cambiare strutturalmente la visione del sistema-mondo e dei suoi spazi fisici e non fisici,
dove l’agire dei nostri corpi appaiono come costruzioni sociali naturali, ma in realtà,
necessitano di una loro messa in discussione. In questi termini come afferma Rachele Borghi
nella sua analisi pedagogica decoloniale, la differenza tra presa di coscienza e processo di
coscientizzazione è che il primo si rifà ad una visione più consapevole di ciò che siamo e del
ruolo sociale che abbiamo, il secondo invece cerca di far elaborare meccanismi di critica
radicale sulla sovversione delle plurime forme di gerarchizzazione di potere che ingabbia
l’agire dei nostri corpi, tra questi il dominio maschile. 9
Come si è sottolineato nei paragrafi precedenti, le mascolinità sono fluide e dinamiche e il loro
rapporto con la riproduzione di alcune forme di sessismo e violenza patriarcale, muta. In questi
termini, l’uomo può riprodurre la sua egemonia attraverso la sua durezza e machismo, ma
anche con la ragionevolezza e la violenza sottintesa prodotta dal fascino dell’intellettualità.
L’esempio più concreto e che può far comprendere la pervasività del dominio maschile, è
sicuramente, il caso di una giovane studentessa di legge indiana, Raya Sarkar, che ha pubblicato
una lista di oltre 60 nomi di docenti che studentesse, ex-studentesse e colleghe hanno indicato come
molestatori. Tra i nomi, se ne trovano alcuni di enorme fama, come quello di Dipesh Chakrabarty,
studioso rinomato in tutto il mondo per i suoi contributi alla teoria post-coloniale e ai Subaltern
Studies, che incarnano un progetto politico di solidarietà radicale con “coloro che non hanno una
voce” ovvero con tutte le soggettività la cui voce è appunto schiacciata dall’interazione di
molteplici architetture di oppressione, tra cui anche quelle derivanti dall’identità di genere e dalla
divisione gendered del lavoro. Non stupirà, dunque, che appena pubblicata, la “lista indiana” sia
stata fortemente criticata e esposta a pratiche di delegittimazione non soltanto per mano dei poteri
forti o delle autorità accademiche. A mettere in discussione la credibilità delle denunce sono state
anche colleghe donne impegnate nello sviluppo di studi femministi e post-coloniali. 10
 La messa in discussione del proprio privilegio determinato dal dominio maschile che
riproduciamo non consiste semplicemente nella consapevolezza del male che le parole, gli
sguardi e i gesti possono arrecare ad una soggettività femminile/ non binaria, non è soltanto un
esercizio quotidiano e capillare, ma è l’incessante desiderio di sognare e costruire mondi liberi
dalla violenza sistemica e dai rapporti di sfruttamento che questa società capitalista attua ed è
per questo motivo che penso che i processi di coscientizzazione sono anche processi di
liberazione, soprattutto da quella dell’oppressore.

5. Decostruire il proprio privilegio maschile per costruire nuovi mondi


Il primo concetto che ho interiorizzato attraverso l’attivismo nei movimenti femministi e
transfemministi è stato sicuramente quello del “ Il personale è politico”, storico slogan femminista
elaborato da Carol Hanisch,, attivista e saggista statunitense, femminista radicale che evidenziò il
ruolo centrale della pratica dell’autoriflessione che i movimenti femministi ripresero dal
Movimento per i diritti civili degli afroamericani, ponendo in enfasi la propria condizione e la
9
R.Borghi, Decolonialità e Privilegio, Milano,Meltemi,2020, cap.coscientizzazione pp.131-134
10
F.Coin, P.Rivetti, Abusi e silenzi nell’accademia postcoloniale. La necessità di una lettura femminista dei saperi,
Dinamopress(https://www.dinamopress.it/news/abusi-silenzi-nellaccademia-postcoloniale-la-necessita-lettura-
femminista-dei-saperi/)
8
valorizzazione della propria esistenza all’interno di una società che rendeva sempre più evidenti le
contraddizioni e le violenze sistemiche riprodotte dai rapporti di potere eteropatriarcali. La pratica
dell’autoriflessione, nell’arco della storia dei movimenti femministi e in generale, porta la nascita e
l’affermazione dei gruppi di autocoscienza nei quali le donne si riunivano per discutere dei propri
problemi e delle proprie esperienze personali poiché si sentivano infelici nel loro ruolo di mogli e
madri e la loro insoddisfazione veniva trattata erroneamente come un problema personale sia da
loro stesse che dai medici. Secondo Betty Friedan, teorica del movimento femminista degli anni
sessanta e settanta, l’unico modo per risolverlo invece sarebbe stato trovare la giusta causa di questo
malessere, che andava cercata nella posizione che le donne occupavano nella società.
Nei gruppi di autocoscienza, in pratica, le donne riscoprono un mezzo per politicizzare la
comprensione di quello che sperimentano quotidianamente e che erano abituate a nascondere e a
pensare come strettamente privato. “Il personale è politico” per tanto diviene un metodo e una
rivendicazione. In sintesi, lo scopo del motto femminista “Il personale è politico” è quello di
ricordare di riportare il personale su un piano politico e rendere il politico uno strumento per
cambiare il personale. Si tratta di un promemoria importante: in gioco c’è il modo in cui dovremo
vivere.
Ho fatto questa premessa storica poiché la pratica dell’autoriflessione la vedo fondamentale anche
rispetto alla decostruzione del proprio privilegio maschile e di un cambiamento radicale del
concetto di militanza e attivismo all’interno dei movimenti sociali radicali dove il soggetto
subalterno è stato per tanto tempo circoscritto alla figura dell’operaio maschio, bianco cis. Questo
processo di definizione del soggetto militante non ha solo invisibilizzato le plurime sofferenze che
altre soggettività impreviste subivano, ma contemporaneamente, riproduceva sistematicamente le
logiche di dominio maschile all’interno dei processi stessi di messa in discussione del sistema-
mondo, ponendosi lui, in primis, come nemico da cui combattere. In questi termini, il cambiamento
e il superamento delle logiche di ingiustizia sociale non possono avvenire se non si ha la capacità di
costruire spazi e contesti sicuri, o meglio ancora, immaginare una società liberata non può esimersi
dalla liberazione delle nostre visioni e i nostri comportamenti da oppressori.
Il rapporto virtuoso e salvifico che ho sviluppato con le pratiche femministe mi hanno permesso non
solo di interrogarmi quotidianamente su ciò che sono e ciò che rappresento socialmente, ma allo
stesso tempo ho interiorizzato la visione per la quale è impossibile progettare modi di essere, vivere
e abitare se non si è capaci di riconcettualizzare il proprio posizionamento all’interno di questo
mondo. In contrasto con quei movimenti sociali che per decenni hanno legittimato la rivoluzione
come un mero ideale in cui credere, i movimenti femministi e transfemministi mi insegnano che
essa, in realtà, è una pratica individuale e comunitaria da diffondere, rivendicare e sperimentare
poiché una rivoluzione può essere tale, solo se è femminista.
La pratica dell’autoriflessione, in questi termini, risulta centrale per interrogarmi quotidianamente
su come vivo le mie relazioni interpersonali con le soggettività femminili e non binarie, con la mia
famiglia e in ogni ambiente dove può essere riprodotta la violenza di genere. Un modo di auto-
osservarsi che mi ha permesso di ri-analizzare i cicli della mia vita. Sono riuscito a scavare nel
profondo del mio passato, ricercando dinamiche, espressioni ed eventi che in qualche maniera
hanno riprodotto, sotto forma di stereotipi di genere, violenza e dolore nei confronti di qualcun*.
Consapevole che pur incominciando relativamente presto il mio processo di decostruzione del
privilegio maschile, non sono mai stato esente dalla riproduzione del sessismo, proprio perché
decolonializzarsi si pone come un lavoro quotidiano e permanente.

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Infine, ciò che mi ha spinto totalmente alla necessità di riposizionarmi e di rileggere nuovamente le
logiche del sistema-mondo, è stata l’interiorizzazione della precarietà esistenziale che mia madre ha
subito in quanto donna all’interno del contesto domestico. Comprendere il rapporto intrinseco tra
dominio maschile e struttura capitalista, significa porre in evidenza quanto la casa e la famiglia sono
gabbie invisibilizzate, dove la quotidianità dilaniata dal carico mentale e del lavoro riproduttivo,
relega le donne e le soggettività femminilizzate all’esclusione sociale e alla sopraffazione
psicologica ed emotiva. Sono figlio di una famiglia operaia, tipicamente a stampo fordista dato che
mio padre per decenni, in quanto lavoratore salariato presso L’Ex Ilva di Taranto, ha posto le basi
per quel nucleo familiare basato sul modello “male breadwinner”, ponendo in evidenza, fin
dall’inizio della mia fase adolescenziale, le precarie basi su cui poggiava. Sottolineo non per
giustificazione ma rendere ancora più evidente il potere simbolico del dominio maschile, mio padre
non hai mai adottato forme di violenza fisica nei confronti di mia madre e tantomeno posso
affermare che è un padre cattivo ma, nel suo caso, la sua inconsapevolezza di ciò che riproduceva
da un punto di vista della violenza psicologica, ha precarizzato la vita di mia madre, relegandola
alla cura dei suoi figli maschi che rappresentano, tutt’oggi, apparentemente il suo unico motivo per
esistere. A testimonianza di ciò, in un momento difficile per mia madre, mi raccontò di quanto
sarebbe voluta tornare indietro per cambiare alcune decisioni che hanno limitato la sua
autodeterminazione, leggendo dal suo viso la tristezza e la delusione di una donna a cui è stata
privata sistematicamente la libertà di essere.
La storia di mia madre è l’esito di una costruzione sociale ingabbiata dalle logiche produttive e
riproduttive del dominio maschile ed eterosessuale, che ha colonizzato totalmente il suo processo di
esistenza. In questi termini, la mia pratica di decostruzione l’ho potuta sperimentare attraverso il
rapporto intimo e indissolubile che condivido con lei. Condividere le responsabilità di cura in casa,
usare un adeguato linguaggio di genere, e adottare tutte quelle piccole forme di esercizio di
decolonializzazione del proprio privilegio maschile. Da un altro punto di vista ho potuto
politicizzare gli atteggiamenti e i comportamenti di mio padre che precarizzavano l’esistenza di mia
madre, in un’ottica né di giustificazione e nemmeno di colpevolizzazione, ma di trasformazione del
modo di intendere il suo ruolo all’interno del lavoro affettivo della famiglia.
La pratica dell’autoriflessione mi ha permesso di politicizzare ciò che sono e rappresento in tutti i
suoi aspetti: privato, politico e spirituale, non giustificando più i miei atteggiamenti o degli altri
uomini o riproducendo forme di victim-blaming, ma decidere di non essere più una mera stampella
di un sistema-mondo che definisce i rapporti sociali in termini di dominio e oppressione.
La costruzione di un immaginario che sovverte il paradigma attuale dell’oppressione non può essere
definito senza una lettura femminista quotidiana della propria esistenza all’interno di questo mondo.
Un immaginario che può essere realizzato solo se si crede realmente che la nostra concezione di
libertà e autodeterminazione non può esimersi dall’avvento di una società che interiorizza e pratica i
femminismi.

6.Conclusioni
L’elaborazione di questa tesina si pone come sperimentazione di un esercizio di condivisione di
scrittura non solo politica ma anche emotiva: l’emozione, quella di chi scrive e quella di chi legge.
Esplicitare le proprie emozioni e suscitarle in chi legge è un modo alternativo di scrivere il sapere

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scientifico, politicizzando le proprie esperienze vissute, ponendo in rilevanza il rapporto tra
conoscenza e prospettiva radicale11. Attraverso questa tesina, ho potuto condividere il rapporto con
le teorie femministe che mi accompagnano nel percorso accademico e la loro rilevanza nei miei
processi di auto-riflessione sul mio modo di essere e di attraversare il mondo. Inoltre la sua scrittura
è stata elaborata durante questi due mesi di auto-isolamento forzato causato dal lockdown scaturito
dalla diffusione pandemica del Covid-19. In una fase in cui repentinamente il presente a cui
eravamo abituat* è divenuto un mero ricordo e un futuro che si ritrova sempre avvolto nella spirale
dell’incertezza e della precarietà, mi sono ritrovato in una fase di precarietà esistenziale che mi ha
permesso ulteriormente di interrogarmi nuovamente su come la società capitalista neoliberale
attraverso una velocità inaudita, sia riuscita a trasformare, performare le nostre vite facendoci
interiorizzare la crisi e la violenza sistemica come elementi naturali con cui convivere. In particolar
modo ho riflettuto su quanto questa società, oggi più che mai, risulta incompatibile con il benessere
sociale sia a livello individuale e comunitario. Un sistema che ha ulteriormente palesato la sua
violenza eteropatriarcale, attraverso la delega delle conseguenze della crisi della sua riproduzione
sociale alle soggettività femminili e femminilizzate relegate al lavoro di cura: madri, infermier*,
insegnant*, badant*, migrant*( hanno garantito la nostra sussistenza alimentare) e
contemporaneamente criminalizzando ed esponendo a processi di vulnerabilità economica e
consequenzialmente sex workers e comunità transgender.
La mia esposizione psicologica dinanzi a tutto questo male inaudito e scellerato, mi ha permesso di
analizzare quanto la società attuale abbia colonizzato ogni aspetto della nostra vita indirizzandoci
alla riproduzione sociale della violenza sistemica. In questa fase di crisi, Il dominio maschile in cui
sono circoscritti i rapporti sociali, ha reso evidente come concetti di “amore”, “solidarietà”,
“felicità”, “cura” sono stati completamente intermediati dalla precarizzazione della salute fisica e
mentale di quelle soggettività che stanno sopravvivendo con il peso della crisi. Non a caso proprio
in questo periodo, sono aumentati vertiginosamente casi di femminicidio, di violenza domestica, di
genere assieme a quelli di Tso e suicidio. In questi termini la società capitalista basata sulle
relazioni di potere eteropatriarcali sono incompatibili con la salute fisica e mentale degli individui e
di tutto il vivente.12 Rispetto a ciò è l’uomo patriarcale che deve imparare di nuovo l’amore e
sperimentare una rivoluzione interiore. Le norme sociali imposte agli uomini devono essere respinte
e combattute. L’amore non come mero sentimento che produce relazioni tossiche, ma inteso come
la capacità di intessere processi emancipatori e di condivisione, costruendo relazioni e mondi dove
la cura, il benessere sociale e le relazioni umane sono alla base di una società libera dalle gerarchie
di potere ed oppressioni e questo può avvenire solamente se si distrugge il dominio maschile. 13
In questi termini, come afferma bell hooks14, necessitiamo di costruire spazi di resistenza, luoghi
capaci di offrirci la condizione di una prospettiva radicale da cui guardare, creare, immaginare

11
R.Borghi, Decolonialità e Privilegio, Milano,Meltemi,2020, p.28
12
C.Morini, Abbiate cura. Società della cura e reddito di autodeterminazione, Effimera ( http://effimera.org/abbiate-
cura-societa-della-cura-e-reddito-di-autodeterminazione-di-cristina-morini/,2020
13
H.Dirik, Trovare l’amore rivoluzionario: Che cosa significa amare in una società dominata dal capitalismo,
dall’egoismo, dal sessismo e dall’auto-alienazione, DinamoPress,2018

14
loria Jean Watkins è una scrittrice, attivista e femminista statunitense conosciuta come bell hooks. Esso deriva da
quello della bisnonna materna, Bell Blair Hooks
11
alternative e nuovi mondi, attraverso le nostre esperienze vissute. 15

Michael Tortorella
N° matricola: 0000832496

15
B.hooks, Yearning: race, gender and cultural politics, Boston, South End Press,1990

12
Riferimenti bibliografici:
L. Gasparrini, Diventare uomini. Relazioni maschili senza oppressioni, Pesaro-Urbino, Settenove
edizioni, 2016
M.Wittiq, Il pensiero eterosessuale ( a cura di) Federico Zappino, Verona, Ombre Corte, 2019
A. Curcio ,Introduzione ai Femminismi, Roma,DeriveApprodi,2019
A. Lorde, Gli Strumenti del padrone non smantelleranno mai la casa del padrone, in Sorella Outsider,
Milano, Il dito e la luna, 2014
P.Bordieu, Il dominio maschile, Milano, Feltrinelli,1999
B.hooks, Yearning: race, gender and cultural politics, Boston, South End Press,1990
A.Gramsci, Quaderno 22: Americanismo e Fordismo, Torino, Einaudi, 1978

Sitografia:
R.Jewkes, R.Morrell,J.Hearn,E.Lundqvist,D.Blackbeard, G.Lindegger,M.Quayle,Y.Sikweyiya&L.Gottzén,
Hegemonic masculinity: combining theory and practice in gender interventions, Journal: Culture,
Health&Sexuality ( https://www.tandfonline.com/doi/full/10.1080/13691058.2015.1085094?src=recsys )
Vol.17

F.Boni, Hector Bellerin, il calciatore spagnolo vittima di omofobia: ‘mi danno della lesbica perché porto i
capelli lunghi’, gay.it ( https://www.gay.it/sport/news/hector-bellerin-lesbica-omofobia ) , 2018

F.Coin, P.Rivetti, Abusi e silenzi nell’accademia postcoloniale. La necessità di una lettura femminista dei
saperi, Dinamopress(https://www.dinamopress.it/news/abusi-silenzi-nellaccademia-postcoloniale-la-
necessita-lettura-femminista-dei-saperi/ )

R.Ciciarielli, “Il Personale è Politico“: storia e significato dello slogan femminista, bossy
(https://www.bossy.it/il-personale-e-politico-storia-e-significato-dello-slogan-femminista.html), 2019

C.Morini, Abbiate cura. Società della cura e reddito di autodeterminazione, Effimera (


http://effimera.org/abbiate-cura-societa-della-cura-e-reddito-di-autodeterminazione-di-cristina-morini/,2020

H.Dirik, Trovare l’amore rivoluzionario: Che cosa significa amare in una società dominata dal capitalismo,
dall’egoismo, dal sessismo e dall’auto-alienazione( https://www.dinamopress.it/news/trovare-lamore-
rivoluzionario-un-mondo-profonda-alienazione ), DinamoPress,2018

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