Documenti di Didattica
Documenti di Professioni
Documenti di Cultura
I masculinity studies si affermano come una specializzazione degli studi di genere che cerca di
mettere in evidenza come si forgia la costruzione sociale maschile, la sua identità e come essa si
modella in base ai cambiamenti e alle trasformazioni sociali che avvengono e come queste si
configurano all’interno non solo di consolidamento della struttura eteropatriarcale, ma anche come
quest’ultima diviene elemento centrale per rafforzare la logica capitalista. In questi termini, il
rapporto d’insubordinazione della donna nei confronti dell’uomo non si configura solo attraverso la
produzione di una violenza fisica, psicologica e verbale ma anche attraverso la circoscrizione
all’interno dei processi di accumulazione che vede da una parte l’uomo etero-cis, bianco come il
soggetto che rappresenta i rapporti di produzione all’interno delle logiche del mercato del lavoro e
dall’altra la donna a cui viene relegata alla sfera della riproduzione, attraverso il lavoro domestico,
affettivo inteso come lavoro gratuito che il capitale incorpora e nasconde. In questo determinato
ambito, la donna diviene, quindi una soggettività sfruttata dall’economia familiare, basti pensare
1
anche al lavoro di cura sostenuto dalle colf e dalle lavoratrici domestiche. Rispetto a ciò, è
fondamentale, affermare che quindi la nostra posizione di dominio non è solo determinata da una
produzione di violenza simbolica di cui andremo a discutere successivamente attraverso i contributi
di Bordieu, ma si determina anche attraverso quella che è una vera e propria divisione sessuale dei
ruoli sociali di genere all’interno di questo sistema-mondo. E’ fondamentale quindi, sottolineare che
la società capitalista attuale non si definisce solo all’interno di un’imposizione di una struttura di
natura solo economica, bensì definisce un modo culturale egemone ovvero un modo di essere,
pensare e vivere che modella le relazioni interpersonali.1
Il concetto di mascolinità egemonica di Raewyn Connell (Connell 1987) funge da strumento
analitico per identificare quegli atteggiamenti e pratiche tra gli uomini che perpetuano la
disuguaglianza di genere, coinvolgendo sia il dominio degli uomini sulle donne sia il potere di
alcuni uomini su altri (spesso gruppi di minoranze). Il concetto è stato ampiamente utilizzato e
discusso, e nel corso degli anni è stato perfezionato (Connell e Messerschmidt 2005), con l'idea di
base che la mascolinità egemonica rappresenti sia “ una forma ideale e culturale e sia un progetto
personale che collettivo" (Donaldson 1993, 645).
La concettualizzazione della mascolinità egemonica è descritta come:
un insieme di valori stabiliti da uomini che producono forme di potere che servono per
includere/escludere e per organizzare la società in modi diseguali di genere. Ciò è combinato da
diverse caratteristiche: una gerarchia di mascolinità, un accesso differenziale tra uomini al potere
(rispetto alle donne e altri uomini) e l'interazione tra identità degli uomini, ideali, interazioni e la
legittimazione del potere e del patriarcato da parte di quest’ultimi.
Le mascolinità sono molteplici, fluide e dinamiche e le posizioni egemoniche non sono le uniche
mascolinità prodotte in una data società. Esse possono anche essere viste come posizioni occupate
situazionalmente, in quanto la posizione occupata, le pratiche e i valori sposati in un contesto
possono essere diversi da quelli di un altro. Un elemento chiave nella costruzione della mascolinità
egemonica è l'eterosessualità e, in misura maggiore o minore, la mascolinità egemonica è costruita
come una posizione di genere tanto "non gay" quanto "non femminile". Basti pensare ai meccanismi
di violenza riprodotti dalla mascolinità egemonica maschile che diviene tossica nel momento in cui
ripudia quelle maschilità non egemoni che definiscono generi non conformi che rifiutano il
binarismo uomo/donna. Il tutto può essere maggiormente compreso nel momento in cui, noi uomini
usiamo espressioni come “femminuccia” e il termine “gay” come insulto. In questi termini la
violenza che si produce è sia misogina e sia omofoba.
- La nozione di egemonia pone le sue radici nella letteratura prodotta da Gramsci ed è
essenzialmente una posizione di dominio raggiunta attraverso un consenso relativo piuttosto che da
una forza regolare e imposta anche se quest’ultima la legittima. Il consenso è costruito tra coloro
che beneficiano della promozione della mascolinità, così come molti di quelli che ne sono oppressi,
in particolare le donne. La mascolinità egemonica è tanto per le donne quanto per gli uomini un
ideale culturale della virilità, che viene premiato dagli interessi, dalle attenzioni e dagli sforzi delle
donne per replicare questo ideale nei loro parenti e collaboratori maschi.
Il concetto di mascolinità egemonica è talvolta usato come parte di una teoria del cambiamento, ma
più comunemente viene visto in termini di identificazione di un elemento chiave nell'ordine di
1
R.Jewkes, R.Morrell,J.Hearn,E.Lundqvist,D.Blackbeard, G.Lindegger,M.Quayle,Y.Sikweyiya&L.Gottzén,
Hegemonic masculinity: combining theory and practice in gender interventions, Journal: culture, Health&Sexuality,
Vol.17
2
genere che fa parte di una spiegazione per l'esistenza e la perpetuazione della disuguaglianza di
genere. Sebbene non sia mai risolto e accolga esplicitamente il cambiamento nel tempo e sostenga a
livello centrale che le mascolinità sono per natura fluide e dinamiche, non ha lo scopo di consentire
l'identificazione di momenti significativi in cui la mascolinità egemonica è più che meno equa in
termini di genere. Il concetto di mascolinità egemonica può essere attivamente incorporato nella
progettazione dell'intervento per consentire il cambiamento. Per comprendere ulteriormente questo
passaggio, Gramsci in “Americanismo e fordismo”, ad esempio mostra perfettamente come
l’industrializzazione della società fordista risultò essere come il “maggior sforzo collettivo per
creare un tipo nuovo di lavoratore e di uomo, attraverso una vera e propria mutazione
antropologica. In questi termini Gramsci, evidenzia come il nuovo industrialismo sia basato sulla
monogamia dei rapporti eterosessuali, poiché l’uomo lavoratore non deve sprecare energie nervose
nella ricerca disordinata ed eccitante del soddisfacimento sessuale occasionale poiché non può
andar d’accordo con i movimenti cronometrici dei gesti produttivi legati ai più perfetti automatismi.
Non a caso, è proprio nell’era fordista a determinarsi la famiglia nucleare basata sul modello male
breadwinner inteso come spazio privato dove avviene una divisione sessuale del lavoro e quindi dei
ruoli di genere. Da una parte abbiamo una mascolinità egemone proiettata al lavoro, al sacrificio e
alla durezza che nasconde lo sfruttamento del lavoro riproduttivo e di cura delegato alla donna o
alle soggettività più “femminilizzate” che non solo subiscono lo sfruttamento di un lavoro
totalmente gratuito al contrario dell’uomo, ma allo stesso tempo diviene possibile vittima di
violenza domestica, in quanto questi rapporti vanno a circoscriversi perfettamente all’interno della
struttura eteropatriarcale. Rispetto a ciò, è possibile quindi vedere una stretta interconnessione tra
sessismo, patriarcato e società capitalista.
E’ proprio all’interno della sfera domestica che possiamo osservare come l’uomo produca
molteplici forme di violenza alcune davvero molto sottili e invisibili ma che diventano tangibili nel
momento in cui le si vive. Ad esempio all’interno del mio ambito familiare e domestico, il processo
di crescita e di educazione sia mio che di mio fratello, sono stati entrambi completamente relegati
alla figura di mia madre, ritrovandosi con un carico mentale e fisico che è a tutti gli effetti si pone
come una violenza, in quanto precarizza e rende non lineare il processo di esistenza, in questo caso
di mia madre. Ma ve ne sono altri di esempi che possono essere testimoniati: ad esempio la
violenza psicologica, verbale fino ad arrivare ai casi più estremi come quelli di violenza domestica e
femminicidi, dove di solito sono accompagnate da una narrazione tossica che prova a giustificare la
violenza sistemica prodotta dagli uomini, usando termini come “raptus”, “se le cercata”, “era
ubriaca” che vanno solo ulteriormente ad aumentare la violenza provocata nei confronti delle
donne. Da questo punto di vista l’analisi sulle responsabilità della produzione di violenza va fatta
sull’oppressore, ovvero su chi reprime e in questi termini è l’uomo eterosessuale incapace di
decostruire il proprio maschilismo.
La violenza maschile contro le donne, la violenza omofobica e transfobica risultano essere, in
diverse forme, una costante negli atteggiamenti e comportamenti riprodotti dall’uomo eterosessuale.
2
A.Curcio, Introduzione ai femminismi, Roma, DeriveApprodi,2019 cap. II, pp.38,
3
P.Bordieu,Il dominio maschile ,Milano,Feltrinelli,1999 cap.la violenza simbolica, p.43
4
P.Bordieu,Il dominio maschile ,Milano,Feltrinelli,1999 cap.la violenza simbolica, p.45
4
violenza fisica sulle donne perché essa è quella più esposta e più tangibile, ma ciò non toglie che
nessun uomo è esente dalla riproduzione sociale del sistema eteropatriarcale, poiché come afferma
Bourdieu, l’effetto del dominio simbolico di genere si esercita attraverso schemi di percezione, di
valutazione e di azione che sono costitutivi degli habitus che fondano un rapporto di conoscenza
profondamente oscuro a se stesso. Così, la logica paradossale del dominio maschile e della
sottomissione femminile diviene spontanea ed estorta e ciò lo si può comprendere solo se si prende
atto degli effetti durevoli che l’ordine sociale esercita sulle donne ( e gli uomini) che l’ordine stesso
spontaneamente impone. Per questo motivo, la forza simbolica è una forma di potere che si esercita
sui soggetti direttamente e in assenza di ogni costrizione fisica. In questi termini occorre prendere
atto e render conto della costruzione sociale delle strutture cognitive che organizzano gli atti di
costruzione del mondo e dei suoi poteri. 5
In questi termini, al motto intrinseco di violenza simbolica dominante che si è diffuso in questo
ultimo periodo #Notallmen dopo l’ennesimo caso di violenza strutturale di dominio maschile
attraverso il RevengePorn praticato su molteplici piattaforme social, prima fra tutte Telegram,
preferisco quei uomini che consapevoli del male che possono rappresentare e riprodurre, hanno
deciso di decostruirsi silenziosamente, ovvero “decolonializzare” la propria posizione di privilegio,
cercando di liberarsi dalla visione dominante che intrappola i nostri modi di essere e di pensare in
maniera opprimente.
Il verbo “decolonializzarsi” , in questi termini, è usato per rigettare i rapporti di dominazione, di
sottomissione e di dipendenza che colonizzano i territori della mente, dell’essere e del potere.6
7
essere gay può voler dire la fine della tua carriera».( tratto dalla biografia di Greame Le Saux:
Left field).
Questi esempi mostrano come il processo di coscientizzazione non può esimersi dalla capacità
di cambiare strutturalmente la visione del sistema-mondo e dei suoi spazi fisici e non fisici,
dove l’agire dei nostri corpi appaiono come costruzioni sociali naturali, ma in realtà,
necessitano di una loro messa in discussione. In questi termini come afferma Rachele Borghi
nella sua analisi pedagogica decoloniale, la differenza tra presa di coscienza e processo di
coscientizzazione è che il primo si rifà ad una visione più consapevole di ciò che siamo e del
ruolo sociale che abbiamo, il secondo invece cerca di far elaborare meccanismi di critica
radicale sulla sovversione delle plurime forme di gerarchizzazione di potere che ingabbia
l’agire dei nostri corpi, tra questi il dominio maschile. 9
Come si è sottolineato nei paragrafi precedenti, le mascolinità sono fluide e dinamiche e il loro
rapporto con la riproduzione di alcune forme di sessismo e violenza patriarcale, muta. In questi
termini, l’uomo può riprodurre la sua egemonia attraverso la sua durezza e machismo, ma
anche con la ragionevolezza e la violenza sottintesa prodotta dal fascino dell’intellettualità.
L’esempio più concreto e che può far comprendere la pervasività del dominio maschile, è
sicuramente, il caso di una giovane studentessa di legge indiana, Raya Sarkar, che ha pubblicato
una lista di oltre 60 nomi di docenti che studentesse, ex-studentesse e colleghe hanno indicato come
molestatori. Tra i nomi, se ne trovano alcuni di enorme fama, come quello di Dipesh Chakrabarty,
studioso rinomato in tutto il mondo per i suoi contributi alla teoria post-coloniale e ai Subaltern
Studies, che incarnano un progetto politico di solidarietà radicale con “coloro che non hanno una
voce” ovvero con tutte le soggettività la cui voce è appunto schiacciata dall’interazione di
molteplici architetture di oppressione, tra cui anche quelle derivanti dall’identità di genere e dalla
divisione gendered del lavoro. Non stupirà, dunque, che appena pubblicata, la “lista indiana” sia
stata fortemente criticata e esposta a pratiche di delegittimazione non soltanto per mano dei poteri
forti o delle autorità accademiche. A mettere in discussione la credibilità delle denunce sono state
anche colleghe donne impegnate nello sviluppo di studi femministi e post-coloniali. 10
La messa in discussione del proprio privilegio determinato dal dominio maschile che
riproduciamo non consiste semplicemente nella consapevolezza del male che le parole, gli
sguardi e i gesti possono arrecare ad una soggettività femminile/ non binaria, non è soltanto un
esercizio quotidiano e capillare, ma è l’incessante desiderio di sognare e costruire mondi liberi
dalla violenza sistemica e dai rapporti di sfruttamento che questa società capitalista attua ed è
per questo motivo che penso che i processi di coscientizzazione sono anche processi di
liberazione, soprattutto da quella dell’oppressore.
9
Infine, ciò che mi ha spinto totalmente alla necessità di riposizionarmi e di rileggere nuovamente le
logiche del sistema-mondo, è stata l’interiorizzazione della precarietà esistenziale che mia madre ha
subito in quanto donna all’interno del contesto domestico. Comprendere il rapporto intrinseco tra
dominio maschile e struttura capitalista, significa porre in evidenza quanto la casa e la famiglia sono
gabbie invisibilizzate, dove la quotidianità dilaniata dal carico mentale e del lavoro riproduttivo,
relega le donne e le soggettività femminilizzate all’esclusione sociale e alla sopraffazione
psicologica ed emotiva. Sono figlio di una famiglia operaia, tipicamente a stampo fordista dato che
mio padre per decenni, in quanto lavoratore salariato presso L’Ex Ilva di Taranto, ha posto le basi
per quel nucleo familiare basato sul modello “male breadwinner”, ponendo in evidenza, fin
dall’inizio della mia fase adolescenziale, le precarie basi su cui poggiava. Sottolineo non per
giustificazione ma rendere ancora più evidente il potere simbolico del dominio maschile, mio padre
non hai mai adottato forme di violenza fisica nei confronti di mia madre e tantomeno posso
affermare che è un padre cattivo ma, nel suo caso, la sua inconsapevolezza di ciò che riproduceva
da un punto di vista della violenza psicologica, ha precarizzato la vita di mia madre, relegandola
alla cura dei suoi figli maschi che rappresentano, tutt’oggi, apparentemente il suo unico motivo per
esistere. A testimonianza di ciò, in un momento difficile per mia madre, mi raccontò di quanto
sarebbe voluta tornare indietro per cambiare alcune decisioni che hanno limitato la sua
autodeterminazione, leggendo dal suo viso la tristezza e la delusione di una donna a cui è stata
privata sistematicamente la libertà di essere.
La storia di mia madre è l’esito di una costruzione sociale ingabbiata dalle logiche produttive e
riproduttive del dominio maschile ed eterosessuale, che ha colonizzato totalmente il suo processo di
esistenza. In questi termini, la mia pratica di decostruzione l’ho potuta sperimentare attraverso il
rapporto intimo e indissolubile che condivido con lei. Condividere le responsabilità di cura in casa,
usare un adeguato linguaggio di genere, e adottare tutte quelle piccole forme di esercizio di
decolonializzazione del proprio privilegio maschile. Da un altro punto di vista ho potuto
politicizzare gli atteggiamenti e i comportamenti di mio padre che precarizzavano l’esistenza di mia
madre, in un’ottica né di giustificazione e nemmeno di colpevolizzazione, ma di trasformazione del
modo di intendere il suo ruolo all’interno del lavoro affettivo della famiglia.
La pratica dell’autoriflessione mi ha permesso di politicizzare ciò che sono e rappresento in tutti i
suoi aspetti: privato, politico e spirituale, non giustificando più i miei atteggiamenti o degli altri
uomini o riproducendo forme di victim-blaming, ma decidere di non essere più una mera stampella
di un sistema-mondo che definisce i rapporti sociali in termini di dominio e oppressione.
La costruzione di un immaginario che sovverte il paradigma attuale dell’oppressione non può essere
definito senza una lettura femminista quotidiana della propria esistenza all’interno di questo mondo.
Un immaginario che può essere realizzato solo se si crede realmente che la nostra concezione di
libertà e autodeterminazione non può esimersi dall’avvento di una società che interiorizza e pratica i
femminismi.
6.Conclusioni
L’elaborazione di questa tesina si pone come sperimentazione di un esercizio di condivisione di
scrittura non solo politica ma anche emotiva: l’emozione, quella di chi scrive e quella di chi legge.
Esplicitare le proprie emozioni e suscitarle in chi legge è un modo alternativo di scrivere il sapere
10
scientifico, politicizzando le proprie esperienze vissute, ponendo in rilevanza il rapporto tra
conoscenza e prospettiva radicale11. Attraverso questa tesina, ho potuto condividere il rapporto con
le teorie femministe che mi accompagnano nel percorso accademico e la loro rilevanza nei miei
processi di auto-riflessione sul mio modo di essere e di attraversare il mondo. Inoltre la sua scrittura
è stata elaborata durante questi due mesi di auto-isolamento forzato causato dal lockdown scaturito
dalla diffusione pandemica del Covid-19. In una fase in cui repentinamente il presente a cui
eravamo abituat* è divenuto un mero ricordo e un futuro che si ritrova sempre avvolto nella spirale
dell’incertezza e della precarietà, mi sono ritrovato in una fase di precarietà esistenziale che mi ha
permesso ulteriormente di interrogarmi nuovamente su come la società capitalista neoliberale
attraverso una velocità inaudita, sia riuscita a trasformare, performare le nostre vite facendoci
interiorizzare la crisi e la violenza sistemica come elementi naturali con cui convivere. In particolar
modo ho riflettuto su quanto questa società, oggi più che mai, risulta incompatibile con il benessere
sociale sia a livello individuale e comunitario. Un sistema che ha ulteriormente palesato la sua
violenza eteropatriarcale, attraverso la delega delle conseguenze della crisi della sua riproduzione
sociale alle soggettività femminili e femminilizzate relegate al lavoro di cura: madri, infermier*,
insegnant*, badant*, migrant*( hanno garantito la nostra sussistenza alimentare) e
contemporaneamente criminalizzando ed esponendo a processi di vulnerabilità economica e
consequenzialmente sex workers e comunità transgender.
La mia esposizione psicologica dinanzi a tutto questo male inaudito e scellerato, mi ha permesso di
analizzare quanto la società attuale abbia colonizzato ogni aspetto della nostra vita indirizzandoci
alla riproduzione sociale della violenza sistemica. In questa fase di crisi, Il dominio maschile in cui
sono circoscritti i rapporti sociali, ha reso evidente come concetti di “amore”, “solidarietà”,
“felicità”, “cura” sono stati completamente intermediati dalla precarizzazione della salute fisica e
mentale di quelle soggettività che stanno sopravvivendo con il peso della crisi. Non a caso proprio
in questo periodo, sono aumentati vertiginosamente casi di femminicidio, di violenza domestica, di
genere assieme a quelli di Tso e suicidio. In questi termini la società capitalista basata sulle
relazioni di potere eteropatriarcali sono incompatibili con la salute fisica e mentale degli individui e
di tutto il vivente.12 Rispetto a ciò è l’uomo patriarcale che deve imparare di nuovo l’amore e
sperimentare una rivoluzione interiore. Le norme sociali imposte agli uomini devono essere respinte
e combattute. L’amore non come mero sentimento che produce relazioni tossiche, ma inteso come
la capacità di intessere processi emancipatori e di condivisione, costruendo relazioni e mondi dove
la cura, il benessere sociale e le relazioni umane sono alla base di una società libera dalle gerarchie
di potere ed oppressioni e questo può avvenire solamente se si distrugge il dominio maschile. 13
In questi termini, come afferma bell hooks14, necessitiamo di costruire spazi di resistenza, luoghi
capaci di offrirci la condizione di una prospettiva radicale da cui guardare, creare, immaginare
11
R.Borghi, Decolonialità e Privilegio, Milano,Meltemi,2020, p.28
12
C.Morini, Abbiate cura. Società della cura e reddito di autodeterminazione, Effimera ( http://effimera.org/abbiate-
cura-societa-della-cura-e-reddito-di-autodeterminazione-di-cristina-morini/,2020
13
H.Dirik, Trovare l’amore rivoluzionario: Che cosa significa amare in una società dominata dal capitalismo,
dall’egoismo, dal sessismo e dall’auto-alienazione, DinamoPress,2018
14
loria Jean Watkins è una scrittrice, attivista e femminista statunitense conosciuta come bell hooks. Esso deriva da
quello della bisnonna materna, Bell Blair Hooks
11
alternative e nuovi mondi, attraverso le nostre esperienze vissute. 15
Michael Tortorella
N° matricola: 0000832496
15
B.hooks, Yearning: race, gender and cultural politics, Boston, South End Press,1990
12
Riferimenti bibliografici:
L. Gasparrini, Diventare uomini. Relazioni maschili senza oppressioni, Pesaro-Urbino, Settenove
edizioni, 2016
M.Wittiq, Il pensiero eterosessuale ( a cura di) Federico Zappino, Verona, Ombre Corte, 2019
A. Curcio ,Introduzione ai Femminismi, Roma,DeriveApprodi,2019
A. Lorde, Gli Strumenti del padrone non smantelleranno mai la casa del padrone, in Sorella Outsider,
Milano, Il dito e la luna, 2014
P.Bordieu, Il dominio maschile, Milano, Feltrinelli,1999
B.hooks, Yearning: race, gender and cultural politics, Boston, South End Press,1990
A.Gramsci, Quaderno 22: Americanismo e Fordismo, Torino, Einaudi, 1978
Sitografia:
R.Jewkes, R.Morrell,J.Hearn,E.Lundqvist,D.Blackbeard, G.Lindegger,M.Quayle,Y.Sikweyiya&L.Gottzén,
Hegemonic masculinity: combining theory and practice in gender interventions, Journal: Culture,
Health&Sexuality ( https://www.tandfonline.com/doi/full/10.1080/13691058.2015.1085094?src=recsys )
Vol.17
F.Boni, Hector Bellerin, il calciatore spagnolo vittima di omofobia: ‘mi danno della lesbica perché porto i
capelli lunghi’, gay.it ( https://www.gay.it/sport/news/hector-bellerin-lesbica-omofobia ) , 2018
F.Coin, P.Rivetti, Abusi e silenzi nell’accademia postcoloniale. La necessità di una lettura femminista dei
saperi, Dinamopress(https://www.dinamopress.it/news/abusi-silenzi-nellaccademia-postcoloniale-la-
necessita-lettura-femminista-dei-saperi/ )
R.Ciciarielli, “Il Personale è Politico“: storia e significato dello slogan femminista, bossy
(https://www.bossy.it/il-personale-e-politico-storia-e-significato-dello-slogan-femminista.html), 2019
H.Dirik, Trovare l’amore rivoluzionario: Che cosa significa amare in una società dominata dal capitalismo,
dall’egoismo, dal sessismo e dall’auto-alienazione( https://www.dinamopress.it/news/trovare-lamore-
rivoluzionario-un-mondo-profonda-alienazione ), DinamoPress,2018
13