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LEZIONE 3

Riepilogo: caratterizzazione gerarchica, vede la superiorità del maschile sul femminile; la


rappresentazione è stata pensata come un rispecchiamento della natura, motivata dal fatto
che il mondo è effettivamente fatto così: due sessi, due generi, ordine gerarchico. O vi è
anche un’altra concezione che prevede (dal 1700) una rappresentazione che non corrisponde
a dati di fatti naturali, ma è una costrizione e costruzione culturale. Esempi dei filosofi che
vedono l’umano maschile come norma dell’umano mentre la donna differisce per
caratteristiche sue proprie. Il femminile è un particolare dell’umano universale che è
maschile e il femminile viene caratterizzato come da controllare, caratterizzato dalla sua
attività riproduttiva ma come un’attività animale di riprodurre la specie.
Valenza differenziale dei sessi risulta una invariante del pensiero filosofico occidentale, idea
che il pensiero femminista mette.

Eritiè: inizia a ragionare su questi temi. Tenta di mostrare, attraverso le sue ricerche
antropologiche, la profondità di questa rappresentazione che ci abita così profondamente da
non essere facilmente accessibile alla nostra coscienza e quindi difficilmente modificabile.
Nelle prime pagine del libro, (scritto nel ’96 in cui non vi era la diffusione delle teorie
gender) vuole mostrare il fatto che ai due sessi vengono dati due valori diversi, e che questo
si trova in culture diverse “non descrizione delle diverse culture e differenza di sesso ma
vuole scovare gli elementi invarianti che si caratterizzano come ineguaglianza tra i sessi
quasi ovvia e naturale”. Le modalità con cui porterà avanti il suo studio è antropologico.

La ricerca non è tassonomica, è una ricerca che ci porta a scavare nel modo che noi abbiamo
a disposizione per immaginare gli esseri umani, e l’umanità corporea e sui fluidi che abitano
il corpo umano, sangue, latte, semi, solo così si può comprendere perché c’è una
rappresentazione differenti dei sessi e perché il maschile sia più valorizzato. Non è una
ricerca arcaica, questa ricerca immaginaria ci abita ancora oggi.
Il senso della sua indagine: descrive e prendere contatto con la persistenza di questa
disparità è un atto necessario per poterla cambiare, per uscire da questa rappresentazione. Il
cambiamento di questa condizione non è semplice, bisogna lottare, richiede una difficoltà
ossia superare qualcosa che noi diamo per scontato e che caratterizza implicitamente il
nostro pensiero. (p.9)
Gli umani funzionano attraverso norme e istituzioni taciute, non percepite, e quindi
considerate immutabili per natura, questo modo di funzionare. Per affermare l’importanza di
questa cosa la neghiamo, la predelizione, idea secondo cui sembriamo funzionare non
mettendo in discussione né percependo gli elementi fondamentali del mondo (p.10). Quello
che bisogna fare è non aderire cecamente al mondo ma essere consapevoli di ciò che ci
muove, certo non ci porterà al cambiamento ma ci porterà ad una consapevolezza maggiore
della costruzione di alcuni elementi.
Pp. 10/11 non possiamo allontanare delle strutture come quelle aristoteliche solo perché
lontane dal nostro tempo, dato che abitano ancora le nostre rappresentazioni. Nonostante la
nostra cultura scientifica ci muoviamo ancora su linee arcaiche: come maschio attivo,
femmina passiva. Ci cita la conferenza mondiale sulle donne a Pechino per consentire alle
donne di avere il pieno controllo sulla sessualità e la libertà sessuale come contraccettivi o
aborto. Ciò avviene perché c’è questa idea del femminile informe e sregolato, e sulla base
del fatto che solo l’uomo ha controllo.
Dunque non vi è nulla di arcaico, è un pensiero vivo ancora oggi, la società italiana ad
esempio è ancora molto dispari; vuole capire le ragioni profonde della soggezione delle
donne nei confronti degli uomini, vuole decifrare cose oscure e sepolte che possono essere
presenti e per decifrare il nostro futuro in visione diversa.

Antropologia di Eritié fa riferimento a LeviStrauss, in particolare la sua opera le strutture


della parentela. Vi sono differenti prospettive antropologiche: una prima che riporta la
pluralità delle società e gruppi umani ad un unico modello universalmente valido. Una
seconda che ritiene si possa comprendere la cultura della società soltanto dall’interno.
La tesi di LeviStrauss è una tesi sottile che riprende dalla linguistica di Jacobs: si possono
cercare delle regolarità nelle diverse culture, come matrimonio, alleanze, MA queste
regolarità, ossia diffuse maggiormente, non sono esse stesse ricorrenti anzi sono relazioni
con contenuti variabile. In ogni cultura differente ci sarà un riconoscimento di parentela e
relazione e alleanza matrimoniale, esiste l’esistenza di caratterizzare i matrimoni. Non si
riscontra in tutte le culture la stessa idea di matrimonio es. uomo e donna si sposano e
diventano parenti dell’altra famiglia, questa non è la struttura universale, in alcune culture
non si ha una parentela globale o altri possono sposare membri della propria famiglia.
Non vi è una forma universalmente valida di matrimonio, di filiazione, non ci sono leggi
eterne ma diverse forme ma in ogni cultura ci sarà una qualche definizione di chi è parente
di chi e chi si può sposare con chi. Le esigenze relazionali sono universalmente date,
alleanza è universale ma come si dà cambia da cultura in cultura.
Il modo in cui si danno le strutture umane, secondo Levistrauss, è dato da strutture
universali, cambia il contenuto non la struttura. In tutte le culture abbiamo l’opposizione tra
chi è parente e chi non lo è: la parentela prende le forme più disparate, e tutte le società
organizzano un sistema di parentela, non lo stesso ma stipulano alleanze differenti tra loro.
Vi è un’invarianza nascosta che possono intercorrere la varianti che variano mentre la
struttura è portante.
Queste invarianze che strutturano il nostro modo di stare in società, sono percepibili solo se
usciamo dalla dimensione interna, non vediamo la struttura profonda così ma soltanto le
norme di superficie. Levistrauss dice che per capire la profonda struttura bisogna
confrontare le diverse società, quindi uscire dalla cieca appartenenza. Gli appartenenti alla
propria cultura spiegano in base alle regole di quella data cultura, bisogna organizzare
comparazioni tra culture diverse, ecco così procederà Eritié per quanto riguarda la
differenziazione dei sessi. Pur avendo relazione biologica, non è strutturale, non si dà
società umana senza: unione, proibizione dell’incesto e ripartizione sociale sessuale ossia
chi fa cosa, questi tre pilastri non hanno a che fare con il sesso biologico, sono norme
universali, valgono sempre e per sempre, sono normative ma non vi è una ragione biologica
ma legata alla dimensione sociale dell’essere umano. Ogni società umana articola questi tre
pilatri, in modo differenziale ricombinandoli in modo diverso ma utilizzando questa
struttura. L’aspetto combinatorio consente varianti ma non troppe varianti, Eritié ci richiama
all’attenzione di questo aspetto combinatorio, e inizia a sostenere un passo avanti rispetto la
riflessione di Levistrauss, sostiene che oltre i tre pilastri ve ne sia un altro ossia la valenza
differenziale dei sessi. Levistrauss afferma che in ogni società vi siano compiti ripartiti
all’interno della società tra maschio e femmina, ma non implica un dominio maschile,
invece per Erité ciò non accade, nessuna società ha mai strutturato la società dando più
valore alla donna che all’uomo, pur essendo possibile la combinazione degli elementi,
questo tipo di struttura non si dà mai. Allora bisogna pensare che le società siano mossi da
altre necessità ossia il controllo maschile sul femminile.
[ Lo strutturalismo: è difficile da definire, la caratteristica di questa corrente è quella di
pensare che gli individui agiscano secondo condizioni strutturali, e che normano il darsi
della soggettività. Lo strutturalismo vede l’umano non storicista, non spiega evolutivamente
la condotta umana ma delimitata da relazioni umane implicite. Non si vede l’umano in
termini storici ma un’orizzontalità di norme che possono mutare. Si oppone all’ermeneutica
del soggetto, nello strutturalismo l’umano è abitato e delimitato dall’interno da strutture di
fondo, l’inconscio è fondamentale. Non è empirista, la struttura non è un dato di fatto ma un
modello esplicativo del reale che però è sociale. E’ una filosofia senza empiria e senza
soggetto.]

4 LEZIONE

Héritier, Capitolo 1, La valenza differenziale dei sessi alla base della società?
Note di introduzione e di guida alla lettura del capitolo.
In questo capitolo H. propone il nucleo centrale delle sue riflessioni e ci consegna il senso
del suo testo. E’ quindi un capitolo centrale per la nostra analisi del volume, poiché qui H.
chiarisce il fulcro del discorso che svilupperà, che sono in effetti racchiusi nella domanda
centrale posta nel titolo: La valenza differenziale dei sessi sta alla base della società?
Qui H. illustra altresì il metodo con cui ragionerà intorno al tema della valenza
differenziale dei sessi.
Seguiamo lo svolgersi del capitolo, dividerò l’esposizione seguendo il susseguirsi dei brevi
paragrafi (§), indicando ove necessario brani salienti facendo riferimento al numero della
pagina e ai capoversi (cp).
Nelle prima pagina e mezzo di introduzione (pp. 3-4)
H. ci spiega la doppia origine del suo interesse per il tema della valenza differenziale dei
sessi, ovvero come qui anche lo definisce per il tema della “distinzione sociale tra i sessi”
(p. 3 prime righe)
Da una parte, come ci spiega a p. 4, il suo interesse per il tema è emerso nei suoi studi
antropologici.
D’altra parte (p. 3) questo interesse ha avuto un’origine contingente, è sorto cioè dalle
varie occasioni in cui H. è stata convocata, in ambiti diversi, per dare la sua opinione circa
le implicazioni sociali dello sviluppo delle nuove tecniche procreazione medicalmente
assistita (inseminazione artificiale, fecondazione artificiale e simili).
NB per inciso il dibattito intorno alla PMA (procreazione medicalmente assistita) si è
sviluppato in occidente nel corso degli anni ’80 del 900, a seguito della nascita nel 1978
della prima bambina per via di fecondazione artificiale (quella tecnica che richiede il
prelievo si seme e ovociti, la fecondazione in vitro, la coltivazione in vito dell’embrione per
le prime fasi di divisione cellulare e il reinserimento in utero dello stesso). Negli anni ‘80 e
‘90 del ‘900 in molti paesi si è acceso il dibattito introno alla normazione giuridica di queste
tecniche (in Italia sono state normate nel 2004 con la legge 40/2004).
E’ a questo dibattito, che ora qui non è importante indagare, che spesso coinvolgeva
studiosi di diverse discipline (non solo medici e biologi, ma anche giuristi, filosofi, ecc), che
H. sta facendo riferimento [tornerà sul tema nei cap. 10 e 11]
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Ciò che è importante è che in questo dibattito, come spiegherà nel § successivo, ha
trovato modo di usare le riflessioni che provenivano dai suoi studi antropologici.
Per quanto riguarda questi ultimi, notate che negli ultimi 2 cp (capoversi) di questa breve
introduzione, a p. 4, H. offre una brevissima presentazione dei suoi studi, che riassume
quel che in effetti si troverà nel volume.
Leggete dunque con attenzione:
- ha condotto studi sui sistemi di parentela e di alleanza in popolazioni africane (ciò che
già vi spiegavo nella lezione scorsa e di cui darà conto nel cap. successivo)
- questo l’ha portata necessariamente a mettere a tema il rapporto tra le regole proibitive
relative ai matrimoni (le alleanze) e le concezioni relative alla rappresentazione simbolica
del corpo e dei suoi fluidi (ve ne ho già detto la lezione scorsa, ricordate anche la
relazione con alcune tesi filosofiche) e quindi della riproduzione. Così è arrivata a mettere
a tema la questione del rapporto tra i sessi.
Per concludere, queste pagine introduttive sono utili perché mostrano come le riflessioni
antropologiche su culture cosiddette “tradizionali” possano essere utili anche a leggere
l’oggi di culture diverse come sono le nostre (che H. definisce “scientifiche”), coem aveva
anche affermato nelle righe conclusive della premessa.
Questo rimanda al discorso che già facevo la volta scorsa, circa l’esistenza di strutture
universali soggiacenti culture diverse (secondo la linea di Levi Strauss che vi ho illustrato e
su cui H tornerà nel cap. 2).
§ Poteri sociali e antropologia (pp. 4-6)
E’ qui che, a partire dalla sua esperienze e dalla questione del valore che possono avere
le indicazioni e riflessioni antropologiche per i decisori politici, che H. afferma (a p. 5) il
punto cruciale del suo lavoro ovvero che: esistono “profondi ancoraggi simbolici che
rimangono invisibili a chi li mette in pratica”
Ricordate in proposito quel che ha detto sul “funzionamento per preterizione” nella
Premessa, e quel che vi ho spiegato nella lezione scorsa.
[Tra l’altro notate l’esempio più che attuale sull’epidemia e le reazioni profonde che genera
in culture “tradizionali” e in quelle definite “scientifiche”, le nostre]
Anche i rapporti tra i sessi, afferma dunque H., rientrano in ciò che è normato in modo
invisibile da queste strutture profonde.
Portarlo alla luce può essere importante (che è il nostro punto). Non dobbiamo infatti
rimanere “sordi” (o “ciechi” cfr. premessa)
Per non rimanere “ciechi” o “sordi” dobbiamo superare – e questo è un tema cruciale per
leggere il suo lavoro – il pregiudizio che ci fa pensare che via sia uno iato incolmabile, tra
le culture tradizionali e le nostre, e che quello di cui parlerà appartiene a culture altre,
estranee, arcaiche che non ci riguarda.
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Questo è un punto fondamentale, che già vi dicevo riguardo alla storia della filosofia e per
es, ad Aristotele: può sembrare che la sua rappresentazione e le sue nozioni biologiche
siano superate nei fatti dalle nostre (scientifiche) e che quindi il suo discorso su sessi,
corpi, umori, e quindi sul maschile e femminile, sia superato, non ci abiti più, ma appunto
così non è. Qualcosa rimane sul fondo. E’ questo che H. ci aiuterà a vedere.
§ la differenza dei sessi, ultimo limite del pensiero (p. 6-8)
E’ in questo § dunque che H. presente la sua tesi centrale ovvero (prime righe del §) che
la differenza dei sessi stia alla base tanto del pensiero tradizionale quanto di quello
scientifico.
leggete bene tutto il I° capoverso:
- la riflessione degli umani, alla nascita del pensiero, non ha potuto che rivolgersi a
quanto era dato loro di osservare: il corpo e l’ambiente…
- Il corpo umano presenta un “tratto notevole e scandaloso” : la differenza sessuale
e il differente ruolo dei sessi nella riproduzione.
[NB qui H. sembra assumere che almeno questi siano dati di natura, come ho detto nella I
lezione questo non è vero per tutti i pensieri che criticano la rappresentazione 2 sessi - 2
generi - 1 ordine gerarchico, per es. per gender e queer theories, ci torneremo, ma vedi
infra perché anche H. ci torna]
H. sembra sostenere altresì che su questa differenza si fondi l’opposizione centrale del
pensiero umano cioè quella tra identico e differente. (p. 6 in fondo), che per H è – si noti
– comune a tutti i sistemi di rappresentazione umani (p. 7).
Una opposizione che pre-sta alla costruzione di sistemi binari che oppongono diversi valori
astratti o concreti (caldo/freddo, chiaro/scuro, superiore/inferiore) e che guarda caso si
ritrovano nelle griglie di classificazione del maschile e femminile, lei dice da Aristotele a
oggi. [leggete gli esempi che fa p. 7, ma ricordate anche quanto ho detto sui Pitagorici]
Si tratta, afferma dunque H., non di una sopravvivenza di una conoscenza filosofica di cui
saremmo eredi, ma di “una manifestazione spontanea di una griglia interpretativa”, valida
in culture diverse (p.7) [leggete bene tutto il passo che conclude il I° cp]
La conclusione di questo paragrafo (a partire dall’ultimo capoverso di p. 7) è di nuovo
preziosa e indicativa.
Qui H. afferma che il suo tipo di analisi, riguardo al rapporto tra i sessi nei sistemi di
rappresentazione, si collocherà a un livello più generale rispetto al dibattito sulla natura dei
concetti di sesso e genere (se siano dati di natura o costruzioni culturali)
Ma che, d’altra parte, non può fare a meno di interessarsi alla “costruzione sociale del
genere”.
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Qui vi è una prima connessione con Levi Strauss, ovvero con la sua tesi che già vi dicevo
che la ripartizione sessuale dei compiti (che corrisponde alla costruzione del genere
maschile e femminile), sia uno dei tra pilastri del darsi delle società umane, insieme alle
regole sul matrimonio (divieto di incesto – esogamia) e alla formazione di unioni
riconosciute (il sistema di parentela).
Il “genere sessuale” è dunque un “artefatto culturale” sociale, ma anche un “artefatto” che
riguarda e incide sui singoli individui (pp. 7-8)
Qui (p.8) dunque H. rende chiaro che, se la differenza dei sessi è un dato di natura, se
esistono cioè dati anatomici che differenziano i due sessi, l’identità sessuale e il genere
sessuale sono invece ascrizioni sociali. E fa l’esempio degli Inuit. Leggetelo bene
Così può concludere il § con una prima affermazione importante (leggere ultimo cp): se
c’è una universalità nella rappresentazione della valenza differenziale dei sessi, essa non
è dovuta a una natura biologica comune, ma a costruzioni culturali, che purtuttavia hanno
valenza universale.
Il punto sarà dunque come mai si dà l’universalità della valenza differenziale dei sessi.
Per capire queste righe bisogna passare al § successivo,
§ l’alfabeto dei dati biologici
[qui e nei due successivi H. comincia a introdurre qualche considerazione sul piano delle
sue ricerche antropologiche.]
In questo § affronta il rapporto tra dati di natura e rappresentazioni.
Leggete le prime righe con attenzione
Qui H. chiarisce che non c’è una corrispondenza biunivoca tra fatti di natura e
rappresentazioni culturali (come se vi fosse un’unica trascrizione possibile, lineare, tra
strutture naturali e strutture concettuali).
Al contrario, i caratteri di ciò che si osserva sono ridotti a elementi concettuali di base che
vengono poi organizzato in associazioni complesse, sintagmatiche, in modo diverso nelle
diverse culture, aprendo alla possibilità di rappresentazioni diverse, a partire dagli stessi
dati di natura.
Questo è un punto cruciale da capire:
Come afferma nel II° cp di p. 9, l’iscrizione nel biologico è necessaria, cioè il biologico
fornisce alcuni elementi semplici per così dire inderogabili, insuperabili, ma che possono
essere ricomposti in modo diverso nelle diverse culture.
Per es. per quanto riguarda i sistemi di parentela, il genere della persona, la
rappresentazione della riproduzione ecc ecc.
La chiarificazione di questa affermazione è nel III° cp di p. 9:
per es. rispetto alla filiazione vi sono alcuni elementi naturali:
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- l’incontro necessario tra due individui di sesso diverso
- l’ordine delle generazioni che non può essere capovolto (il genitore precede
sempre il generato)
- l’ordine dei generati (i figli/e nascono l’uno dopo l’altro).
Questi diversi dati di natura, sono però ricombinati in sistemi di parentela molto diversi,
che esplorano per così dire, tutte le possibilità logiche che essi consentono.
Per esempio sistemi la rilevanza dei due genitori patrilineari, matrilineari, bilaterali ecc.
Il valore dei diversi figli (chi nasce prima o altro) e quindi il valore della dimensione
collaterale (le relazioni tra fratelli/sorelle).
Qui dunque la sua conclusione: H. si dice “materialista” (p. 8 in fondo e inizio p. 9) poiché
considera l’esistenza e la rilevanza della dimensione biologica, che pone certi limiti alle
possibilità di rappresentazione (non si darà una società in cui il generato viene prima del
genitore, non è fisicamente/biologicamente possibile quindi pensabile), ma le possibilità
che si lasciano alla diversità delle ricombinazioni di questi fatti, quindi alle rappresentazioni
e alle interpretazioni culturali e all’ascrizione di valore sono ampie e variegate (es. conta di
più il genitore maschio o quello femmina, o entrambi, per definire di chi siamo figli e chi
sono i nostri parenti?) e ogni cultura/società può selezionare/costruire diversamente il suo
sistema, entro lo schema di possibilità dato. Lo vedremo.
Ora il punto dirimente, come ci spiega nel § successivo (illustrando così il contributo che
può dare l’antropologia), è studiare appunto quali e quante di queste possibilità sono state
percorse nelle diverse culture e se vi sono delle regolarità strutturali (ricordate quello
che vi ho detto su Levi Strauss).
§ La valenza differenziale dei sessi (pp. 10-13)
Questo è un § centrale!
Qui infatti H. propone la tesi centrale del suo lavoro, che poi esemplificherà e ritroveremo
nei capitoli tematici.
Qui infatti ci spiega (nelle prime righe) la sua tesi centrale, ovvero: se c’è una variazione
possibile nella ricombinazione dei dati biologici elementari nelle diverse culture, e per molti
aspetti si coglie la varietà della ricombinazione nelle diverse culture (cioè culture diverse
ricombinano e significano gli elementi base in modo diverso), c’è tuttavia un aspetto in sui
invece sembra esserci un modo costante di rappresentare i dati di natura (tanto da far
sembrare che vi sia un’unica traduzione culturale possibile, che si tratti di un vincolo come
gli altri che ha elencato) e cioè quello della valenza differenziale dei sessi. Tanto da far
sembrare quello che è un artefatto culturale un fatto di natura (come i 3 che aveva
elencato a p. 9)
Culture e società anche molto diverse, che quindi costruiscono per esempio in modo
diverso la rappresentazione della parentela, della filiazione, dei generi sessuali, finiscono
tutte comunque per definire un “rapporto concettuale orientato tra maschile e femminile”,
in termini di peso, potere, dominanza.
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Questo si vede nel fatto che, per es. in sistemi culturali diversi rispetto alla filiazione (ad
es. i sistemi “Crow” vs quelli “Omaha”, cioè patrilineari e matrilineari), che quindi
dovrebbero dare più valore – simmetricamente - in un caso alla figura maschile e nell’altro
a quella femminile, questa specularità non venga portata di fatto fino in fondo. Ciò che
accade è che in ogni caso, ad un determinato livello, anche i modelli matrilineari (o che
pongono a valore la figura femminile) prevedono la dominanza maschile [H. tornerà su a
chiarire questa affermazione, in modo più articolato, nel cap. 2].
Qui si veda l’es. degli Irochesi a p. 11.
Quindi torniamo all’idea che la valenza differenziale dei sessi (la loro diversità in potere)
sia una invariante.
Il punto è capire la natura di questa invarianza.
Qui H. afferma la sua tesi i fondo:
Nella seconda metà di p. 11 (III° cp) H. afferma chiaramente che questa invarianza non
trovi la sua origine in una naturale debolezza o “handicap” femminile, in un dato di fatto
dunque, ma piuttosto tragga la sua origine dalla “volontà di controllare la riproduzione da
parte di coloro [i maschi] che non dispongono di questo potere così particolare” (p.11),
quindi da un fattore culturale-umano, si potrebbe dire
C’è dunque un elemento fattuale, cioè il modo in cui si riproducono gli umani, e la
differente partecipazione per parte femminile e maschile (la riproduzione si fa nel corpo
femminile), ma c’è un elemento umano o culturale, cioè la volontà per parte maschile di
controllare la riproduzione, che prende la forma del controllo sociale delle donne.
Quest’ultimo è infatti un elemento non-naturale, cioè non necessitato naturalmente, si
sarebbero potuti dare, infatti, almeno in linea teorica, sistemi sociali in cui proprio a motivo
della biologia della riproduzione il potere di controllo sulla stessa, e quindi sulla società nel
suo complesso, fosse ascritto alle donne (società pienamente matriarcali). Ma questo non
si dà.
Tutte le società di cui siamo a conoscenza, sembra affermare H., nonostante diverse
ascrizioni di ruoli femminili e maschili, non danno mai più potere alle donne.
Per questo H. suggerisce che oltra ai tre pilastri della società umana, indicati da Levi
Strauss, ve ne sia un quarto: la valenza differenziale dei sessi. E per questo cerca di
ragionarci su.
Infine è in questo paragrafo (a partire dalle ultime righe di p. 11) che ci spiega come via sia
un legame tra questa rappresentazione (sessi, parentela, femminile e maschile ecc.) e
quella della dimensione corporea, della produzione di fluidi e umori. Come i due livelli
siano inestricabilmente connessi.
Anche qui ci sono elementi naturali di base, osservabili, che vengono ricombinati e
significati in modi diversi, ma in linea (questo è il suo punto) con la valenza universale del
principio della differenza tra i sessi.
A p. 12 è interessante una prima breve disamina in questo senso delle tesi aristoteliche
(cui facevo menzione nella II lezione) leggetela bene.
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Nella conclusione del § (ultime tre capoversi), H. chiarisce che a suo avviso quella della
valenza differenziale dei sessi è un dato invariante (ancorché descritto e simbolizzato
diversamente nelle diverse culture) e quindi universale.
Contesta la tesi di alcune femministe che siano esistite società con un ordine diverso di
valenza differenziale (con le donne nel polo del dominio e del potere), e considera invece
questo come uno dei pilastri del darsi delle società umane.
Qui fa riferimento alle tesi di L.S. (cfr la lezione scorsa) cioè che esitano degli universali,
non naturali, che permettono di spiegare il funzionamento delle società umane, che
giacciono invisibili al fondo di ogni costruzione sociale e culturale umana (righe tra p. 12
e13).
Anzi, afferma una tesi ancora più forte, ovvero che la valenza differenziale dei sessi è il
pilastro che lega assieme gli altri tre.
Ovviamente dice infine H. il punto è capire se questo ci consegna una verità “disperante”,
cioè immodificabile, o se qualcosa si può fare. Cruciale è domandarsi che ruolo hanno gli
attori sociali (p. 13). E’ certo, infatti ed infine, che questa dimensione concettualmente
orientata si traduce in ineguaglianza vissuta.
Vedremo poi come H, stessa sviluppa questi ultimi punti, o come altri trattino queste
stesse questioni nei loro volumi. Qui H. dice poche cose nel § successivo.
Prima di vederlo, fatemi ribadire che qui il punto centrale che è emerso è che l’ordine
gerarchico apparentemente universale dei sessi, ordinato nel senso di un potere maggiore
del maschile sul femminile, non trova origine – secondo l’autrice - in un dato naturale di
maggior debolezza femminile, ma nell’esigenza di controllo della riproduzione da parte
maschile che non è naturale in nessun senso (ma umana o culturale) che semrba
spiegare il funzionamento delle società umane.
§ Categorie conoscitive, disuguaglianza, dominazione.
Qui H. ribadisce che al di là delle differenze “colpiscono le costanti”, le invarianze.
H. riconosce che nelle società cosiddette “sviluppate” il ruolo degli attori sociali, cioè dei
singoli esseri umani che agiscono nelle società, è importante e ha prodotto mutazioni, che
vi sono cambiamenti tecnici e di costume che consentono dei mutamenti rispetto ai ruoli di
genere, ma che - a suo avviso - questi mutamenti non hanno portato a una universale
parità tra i sessi e che, proprio per le ragioni che ha detto, e dirà meglio in seguito, le
sembra che guadagnarla possa risultare difficile.
Ci fa notare, cosa che già dicevo nelle lezioni precedenti, che il fatto che le differenze si
assottiglino, che molto terreno sociale venga guadagnato per esempio all’agibilità per
parte femminile, non significa affatto che le differenze siano cancellate.
Sostiene che tendere asintoticamente alla uguaglianza non significa raggiungerla: ci sarà
sempre (come afferma nell’ultimo capoverso di p. 13) un ambito, magari piccolo o
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selezionato, che sarà riservato al maschile e ne segnerà il maggior potere (ricordate il
discorso sul celibato dei presti, su cui H. tornerà).
Nelle ultime righe di p. 13 e nelle prime di p. 14, H chiarisce ancora che questo
andamento non è legato in sé direttamente a un dato biologico di maggiore competenza
maschile, ma piuttosto nella durevolezza, nel perdurare, di categorie conoscitive, di griglie
concettuali (come quelle oppositive viste più sopra) che prendono le mosse da alcuni
elementi biologici, ma ne fanno poi norma (invisibile) del ragionamento.
Quindi, arrivando a una conclusione, H. sembra sostenere, nel corpo di p. 14, che
nonostante l’antropologia o altre scienze umane possano anche descrivere i problemi
sollevati dl “dominio maschile”, non sarà facile modificarlo. Questi meccanismi potenti non
si modificano per decreto, o per decisione politica, e nonostante il ruolo importante degli
attori sociali, lei dubita che si possa andare molto lontano.
Nel penultimo e nell’ultimo capoverso, H. sembra infatti affermare, che le società umane si
reggono sui 4 pilastri (i 3 di Levi Strauss più il suo, li elenca nel testo), che essi abbiano
quindi valore universale, e che questa struttura si saldi con un’“ossatura concettuale” che
si regge sui, o ha origine dai, dati immutabili che gli esseri umani osservano da sempre,
cioè il loro corpo e l’ambiente.
Questo è un punto teorico importante: sembra che per H. esistano dunque dati naturali
immutabili e quindi anche norme fondamentali sociali universali che solo con molta fatica
possiamo cambiare, trovando come dice nell’ultima riga “la leva che permetta di far saltare
queste associazioni” (p.14). vedremo se questa è la sua tesi, leggendo il esto del volume,
e poi al confronteremo con altre, contenute negli altri volumi.
Qui ci fermiamo per ora. Vedremo poi come H. presenterà e argomenterà in modo più
articolato i nuclei teorici che ha riassunto in questo capitolo inziale.
Nel capitolo II, presenterà infatti le linee di fondo del suo approccio antropologico (cfr prox.
Lezione).

LEZIONE 5

F. Héritier, Capitolo 2, le logiche del sociale.


Note di introduzione e di guida alla lettura.
In questo capitolo H. propone delle considerazioni introduttive al sapere disciplinare
antropologico, per come lei lo intende, che le permetteranno di dare corpo, qui e nei
capitoli successivi del volume, alla sua tesi principale, quella che aveva esposto nel
capitolo precedente, che vi ho illustrato nella lez. scorsa e che qui vi riporto.
Come ho scritto, nel cap. I, H. spiega la sua tesi centrale, ovvero: se c’è una variazione
possibile nella ricombinazione dei dati biologici elementari nelle diverse culture (cioè se
culture diverse ricombinano e significano gli elementi base in modo diverso), c’è tuttavia
un aspetto rispetto al quale invece sembra esserci un modo costante di rappresentare i
dati di natura (tanto da far sembrare che vi sia un’unica traduzione culturale possibile, che
si tratti di un vincolo come gli altri che ha elencato) e cioè quello della valenza differenziale
dei sessi. Tanto da far sembrare quello che è un artefatto culturale, un fatto di natura.
Culture e società anche molto diverse, che quindi costruiscono per esempio in modo
diverso la rappresentazione della parentela, della filiazione, dei generi sessuali, finiscono
tutte comunque per definire un “rapporto concettuale orientato tra maschile e femminile”,
in termini di peso, potere, dominanza (cfr. p.10).
Seguiamo dunque il tipo di considerazioni che offre in questo II° capitolo, che vanno da
definizioni abbastanza ampie, in cui ritroveremo eco di quanto vi ho detto sull’antropologia
strutturalista di Levi Strauss, all’illustrazioni di alcune questioni fondamentali circa le
strutture di parentela e alleanza, che sono rilevanti per la sua tesi.
Nelle prime righe introduttive e nel § Tre approcci, tre livelli di complessità (pp.15-17)
H. propone un chiarimento circa i diversi tipi di studi etnografici, etnologici, antropologici, e
le possibili interpretazioni diverse dei loro domini.
Senza entrare nella querelle del diverso uso di questi termini per es, nella tradizione
francese o nordamericana, quel che è qui rilevante è come lei definisce i diversi tipi di
studio.
Trovate quindi a p. 16 e 17 le sue definizioni, secondo le quali:
L’etnografia fa un lavoro descrittivo di usi costumi, pratiche, rituali ecc., che riguarda una
data popolazione o più popolazioni, senza necessità di formalizzare o organizzare in
schemi queste descrizioni.
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L’etnologia, indica invece un lavoro di analisi degli usi, costumi, tecniche, pratiche, gli
aspetti simbolici ecc., di una data popolazione, nell’ottica di ricostruirne un’interpretazione
integrata o integrale, mettendo cioè in relazione tra loro i diversi aspetti individuati.
L’antropologia, infine, si colloca a un livello di analisi più generale e, servendosi della
comparazione tra studi su diverse popolazioni, ha come oggetto la formulazioni di “ipotesi
generali circa il concatenamento dei fatti osservati” (si veda ultimo cp p. 16 e il I° p. 17).
Basandosi quindi sui dati riguardanti più popolazioni, l’antropologo/a formula delle ipotesi
o dei principi generali che possano spiegare certi aspetti delle società umane, per
es. il ruolo dei miti o la strutture di parentela. Il fine è (come afferma in conclusione del I°
cp di p. 17) “arrivare a formulare leggi generali, o modelli di intellegibilità a portata
universale, delle pratiche sociali che sono state isolate come oggetto di studio”.
Cosi H si definisce sia come etnologa, per i suoi studi sulle popolazioni Samo del Burkina
Faso, sia come un’antropologa interessata due ambiti precisi, quello della parentela e
delle strategie di alleanza matrimoniale e quello del simbolismo del corpo.
NB Ci ricorda anche qui, come ha già ricordato nel cap. precedente e mostrerà nei
successivi, che è particolarmente interessata a mostrare come questi due ambiti vadano
considerati uno in rapporto all’altro.
Ovviamente questo tipo di descrizione delle discipline e dei loro oggetti è derivato dal suo
modo specifico di intenderle e dunque non è universalmente condiviso. E’ proprio nel §
successivo che ci mostra altri modi di interpretare lo studio antropologico. E’ qui per altro
che torna il riferimento a quanto vi ho detto nella lezione del 17 marzo sull’impostazione di
Levi Strauss.
§ il pensiero culturalista (pp. 17-18)
Qui ci illustra come esista un altro modo di intendere la ricerca antropologica, che non
considera la possibilità di trovare degli universali strutturale, ma invece si dedica a studiare
le culture nella loro differenza e singolarità, non considerando che i loro tratti specifici
possano essere ridotti a tratti simili di altre.
Si tratta di un approccio simile a quello che ho ascritto alla antropologia americana della
scuola di F. Boas di cui vi ho già parlato (nella lez. Del 17/3).
In questo quadro l’idea di cercare dei principi universali viene considerato come il tentativo
di imporre (oggi potremmo dire in modo imperialista o colonialista) schemi concettuali di
parte (quelli dell’antropologo) su culture radicalmente altre, che devono essere
considerate invece come intraducibili. Ogni tentativo di traduzione sarebbe una riduzione a
schemi “nostri” e non “loro”.
Non si potrebbe quindi dare un sapere unificato, neanche rispetto a regole molto generali,
ad es, come il divieto di incesto nelle sue diverse declinazioni.
NB per inciso, questo tipo di posizioni è molto interessante e di fatto molto attuale, anche
in filosofia, e nella filosofia femminista: si può dire qualcosa della condizione delle donne
in società diverse da quella in cui viviamo? oppure così facendo non facciamo altro che
proiettare le nostre comprensioni, pretendendo la loro universalità, su realtà che ci sono
profondamente sconosciute? Detto in altri termini c’è un livello di analisi in cui possiamo
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porci che possa avere pretesa di neutralità culturale e di universalità? D’altra parte come si
può pensare di ragionare assieme se invece si parte dall’intraducibilità totale di ogni
esperienza?
Questo è ovviamente un tema molto ampio, anche in filosofia, e le posizioni femministe si
dividono su questo ampiamente, e non posso soffermarmici ora, di fatto quel che qui è
interessante è il modo in cui H. indica la sua posizione, che appunto è debitrice alla
riflessione di Levi Strauss di cui vi ho detto.
Infatti, H. sostiene che il pensiero culturalista (quello che premia la particolarità) ha delle
ragioni, cioè che è vero che non si possono ridurre le culture diverse a tratti simili, ma
d’altra parte che non si può neanche pensare che la scienza dell’umano da questo punto
di vista si riduca alla sommatoria di descrizioni particolari. Infatti H, sostiene che ogni
società umana ha dei tratti particolari unici, intraducibili e irriducibili ad altri di altre società,
e che questi sono riportabili per ciascuna società a un insieme integrato di pratiche, a suo
volta unico (anche legato a dimensioni ambientali e storiche), i cui meccanismi di fondo,
però, cioè i meccanismi che stanno alla base dell’integrazione e associazione di quei tratti
unici, sono paragonabili a quelli di altre società.
Questa è la stessa ‘terza via’ che vi avevo illustrato circa le tesi di Levi Strauss quando
confrontate con la via universalista di Durkheim e quella particolarista di Boas.
Questo è quello che appunto H. chiarisce nel breve paragrafo seguente.
§ L’invariante sotto la diversità
Qui H. chiarisce appunto che a suo modo di vedere l’antropologia non deve percorrere né
la via di cercare tratti universali legati a una universale comprensione della natura umana,
né una via particolarista, ma invece che il suo modo di pensarla (si veda il II cp di p. 19) è
quello di una ricerca che tenti di “il dato fenomenologico variabile delle società [cioè
l’insieme di tratti diversi che le caratterizza] a un piccolo numero di meccanismi invarianti
soggiacenti, che ordinano il dato e gli conferiscono senso”.
Questa è esattamente la descrizione della tesi strutturalista di L.S, per come ve l’ho
descritta nella lezione del 17/3.
Leggete bene il II cp. e anche il successivo, dove si trova si ritrova anche la nozione di
tratto pertinente, che rimanda anche alle riflessioni sul linguaggio che vi ho brevemente
introdotto.
Qui (ultimo cp del §) è importante capire quel che H. intende: in relazione a diversi ambiti,
ogni società o cultura, che pure esprime tratti unici e particolari, sta di fatto declinando in
modo particolare una gamma di distinzioni o relazioni date, che oppone in modo
significativo e particolare, rispetto a uno schema di fondo che permette di declinare
diverse possibilità (come l’uso dell’opposizione tra suoni vocalici o consonanti).
Questo complesso concetto è al cuore della riflessione di H. quindi cercate di venirne a
capo.
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Di fatto credo che diverrà più chiaro andando avanti nel capitolo con gli esempi particlari
che fa.
Ma si può provare a dire, come ho già detto nella lezione del 17, che la ricerca
strutturalista non cerca similitudini a livello superficiale tra le diverse culture, cioè tratti
simili o identici ricorrenti, ma cerca invece di ricostruire la ricorrenza di alcune relazioni
strutturali tra i contenuti variabili, cioè di ciò che rende visibile la sistematicità delle
differenze.
Come già dicevo si cercano delle strutture costanti che rendono possibile una gamma di
possibilità diverse, secondo alcune regole generali di opposizione.
Come vedremo per es. rispetto alle sistemi di parentela, essi sono variegati, ma esistono
ovunque e hanno alcuni bivi, alcune opposizioni, alcuni tratti (le relazioni di genitorialità, di
collateralità (cioè tra fratelli e sorelle), l’ordine dei nati ecc.) di cui devono dare senso, il
che può essere fatto in un numero ampio ma non infinito di modi.
La stessa variazione delle diverse culture è coglibile solo in riferimento a queste strutture
soggiacenti, che quindi – lo ricorderete – non sono fatti biologici, ancorché iscritte nella
biologia, ma strutture o norme universali “improvvisamente insorte” dice a p 21 H, che
rendono perspicuo il funzionamento sociale umano.
§ Sociale: un numero finito di combinazioni (pp.19-20)
Un tratto che permette di pensare all’esistenza di quelli che qui H. definisce “fenomeni di
struttura” sono le combinazioni di tratti che non possono esistere, che non ci sono, che
non sono mai state realizzate.
E non si tratta solo come nel caso della breve riflessione che offre sul motivo per cui è
impensabile che piccole tribù africane che vivono in certo modo e in certi ambienti,
sviluppino una concezione dello Stato, ma di questioni più complesse.
E questo lo spiega nel § successivo.
§ Il materiale fisico e biologico del pensiero.
Qui ritorna sul tema che ha già affrontato nel capitolo precedente, cioè il rapporto tra le
strutture del pensiero e la materialità.
Nel I° cp ritorna sul suo assunto materialista: il pensiero umano si è sviluppato guardando
ai materiali di osservazione immediata del mondo fisico e biologico. Questi sono stati
ridotti ad elementi semplici che sono stati poi riarticolati in modo diverso.
Questa riarticolazione è certo in parte definita, limitata o vincolata dallo stesso
funzionamento del mondo fisico e biologico, ma d’altra parte è anche strutturata dalle
combinazione logiche che è possibile fare di quegli elementi, quindi da una dimensione
che possiamo caratterizzare nei termini del pensiero più che del dato naturale, non del
pensiero cosciente o della scelta collettiva, ma della struttura stessa delle possibilità
del pensiero umano.
Ora è rispetto a questo insieme di possibilità (pensabili a partire da dati biologici e
combinazioni logiche) che è interessante vedere quali possibilità si sono effettivamente
date e quali no, per approfondire la ricerca e capire la via intrapresa dall’umanità, si
potrebbe dire.
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Ci sono diversi piani:
- il piano biologico degli elementi di base
- il piano della possibilità logica della ricombinazione
- il piano di ciò che effettivamente è stato riconosciuto come pensabile.
H. non spiega perché certe vie sono pensabili ed altre no (ultimi due cp. del §), ma
sostiene che è importante individuarle e individuarne appunto la portata strutturale (non
considerando le differenze come fenomeni primari, ma come esiti di dimensioni più
profonde).
E’ su questo piano del “pensabile”, come dicevo, che H. farà emergere la dimensione
strutturale della “valenza differenziale dei sessi”.
Per fare questo, e anche per aiutarci a capire ciò che ha appena detto in termini così
astratti, H. dedica i paragrafi successivi del capitolo ad introdurre alcuni capisaldi e
alcune questioni rilevanti circa la riflessione antropologica sulla parentela.
NB
Per quanto riguarda questa seconda e più specifica parte del capitolo, è inutile che io vi
appesantisca il lavoro, riassumendo pedissequamente quel che dice nel testo, si
tratterebbe solo di un raddoppio, è forse meglio che vi misuriate direttamente con la
lettura dei paragrafi. Io qui di seguito vi darò poche indicazioni.
Vi faccio però presente che in questa parte del capitolo dovrete per forza iniziare a
familiarizzarvi con il lessico tecnico che H. usa, che in parte spiega, e in parte da per
scontato, ma che con poco sforzo potete decifrare. Considerate che quel che è importante
ai fini del nostro lavoro sul testo non è che voi diveniate edotti nei diversi sistemi di
parentela, nella loro classificazione, e simili, ma che possiate capire come a partire da
questo tipo di analisi, H. riesce a trarre la conclusione che propone nelle pagine
conclusive del capitolo ovvero che per quanto possano essere diverse le strutture di
parentela o alleanze matrimoniali che si sono date nelle diverse culture umane (esistenti e
esistite), tutte in qualche modo si organizzano intorno a un diverso valore dato alle figura
maschili rispetto a quelle femminili. Più in particolare H. mostra che il modo in cui sono
state pensate le figure della consanguineità (che non è una dimensione biologica ma
sociale) o il rapporto tra parenti acquisiti e il loro valore, o l’ordine delle generazioni (chi è
figlio di chi), o anche il rapporto tra fratelli o sorelle, e il loro esser riconosciuti come
maggiori o minori (cadetti), che di nuovo sono tutte significazioni umane e riorganizzazioni
delle possibilità biologiche, sono sempre abitate dal medesimo ordine.
Ciò detto è purtuttavia necessario che cerchiate di familiarizzarvi e di capire, nelle loro
linee generali, le considerazioni più tecniche che H. offre.
Per la comprensione specifica dei termini e delle questioni potete aiutarvi come vi ho già
detto con dizionari ed enciclopedie. Per esempio con le voci “Antropologia”,
“Parentela” dell’Enciclopedia Treccani on line (volendo riguardate anche quella
dedicata a Claude Levi Strauss).
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Ciò detto vi do qualche indicazione su passi e nessi rilevanti:
per quanto riguarda il § le grandi questioni dello studio della parentela
La parte fondamentale è la seconda metà di p. 22 dove H. illustra le 3 direzioni della sua
ricerca, che sono:
1. le leggi generali a partire dalle quali sono stati elaborati i grandi tipi strutturali di
terminologie della parentela (qui il riferimento è al fatto che la griglia di possibilità che si
possono dare a livello biologico viene percorsa in un modo specifico da ogni cultura e
significata attraverso sistemi di termini che nominano in modo particolare quelle possibilità
di rapporto; sistemi di termini che quindi rimandano al modo in cui in una data cultura, o in
più, si struttura una particolare comprensione della parentela (che di nuovo è un artefatto
culturale e non un dato di fatto biologico), ovvero al modo specifico in cui si tagliano le
possibilità offerte dalla biologia).
2. il funzionamento delle strutture di alleanza semi-complesse di cui dirà a breve,
3. il rapporto tra queste e quelle delle strutture di alleanza complesse che dominano nella
società occidentali.
Si noti che con strutture di alleanza, come spiega, H. fa riferimento alle unioni matrimoniali
(che sono una delle strutture fondamentali delle società umane) e la distinzione tra
strutture elementari, semi-complesse e complesse si riferisce alle modalità in cui si dà la
possibilità di scegliere il coniuge. (ciò che spiega subito dopo)
Nel § Quando la nascita determina la scelta del coniuge
H. appunto illustra le strutture elementari di alleanza. Qui non c’è che seguire il testo,
seguendo le spiegazioni che offre anche della terminologia (ricordate che “gemani”
significa fratelli/sorelle che sono figli della stessa coppia di genitori, e cugini germani sono
quelli che sono figli di fratelli o sorelle (noi diciamo cugini di I grado)).
Per spiegare i sistemi semi-complessi o complessi bisogna passare per un altro tema
fondamentale: quello come si significa la filiazione (chi è figlio di chi/chi è genitore di chi),
che non è un dato ovvio o biologicamente fondato, ma appunto uno dei meccanismi
fondamentali di significazione delle strutture di parentela.
Ne trovate una spiegazione nel § La filiazione una o più linee privilegiate.
Anche qui seguite il testo del §, il quale si conclude con la spiegazione dei termini delle
strutture di alleanza elementare, semi-complesse e complesse.
Brevemente: dato il proprio posto nella struttura familiare attraverso il particolare sistema
di filiazione che “divide l’universo sociale” in una data cultura, elementari sono quelle
strutture di alleanza che prevedono che l’individuo si debba sposare con una determinata
persona e categoria di persone, definita in genere all’interno della stessa corte di parenti.
Quelle semi-complesse sono invece quelle che non dicono chi si deve sposare, ma
piuttosto individuano i gruppi di individui con cui non ci si può sposare, e quelle complesse
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i singoli individui (attraverso norme legali o usi consuetudinari di divieto, es. il divieto
dell’incesto)
Segue nel paragrafo successivo (§ Diritto francese: i matrimoni vietati) una
esemplificazione di queste ultime regole nel diritto francese.
(NB non è così diverso dal nostro sistema, magari ci torniamo)
A cosa le serve spiegare (e per voi capire) tutto questo? Ad arrivare a un punto cruciale
che trovate nel § Un sistema di parentela dà una particolare visone dl mondo
Qui H. spiega la tesi che ha già illustrato all’inizio, ovvero che il modo in cui le diverse
culture strutturano i sistemi di parentela, pur partendo dall’invariante fornito dal dato
naturale, dice, proprio nel modo in cui questo dato viene significato, usato, ricombinato,
qualcosa della visione generale che quella popolazione, ed ogni popolazione, ha dei
rapporti tra i sessi e tra le generazioni (cfr. prime righe pag. 29)
Quindi come afferma più sotto, questa sistemazione “mette in atto una particolare visone
del mondo”.
Questa visione, lungi dall’essere una traduzione del dato naturale universale, è dunque
una delle possibilità che si dà a partire da quel dato, sviluppata attraverso le possibilità
consentite dalla logica dei concatenamenti concettuali (i primi due piani dei tre visti prima a
p. 5 di queste note).
Quindi per concludere i sistemi possibili sono limitati, ancorché variabili, e sviluppati in
modi diversi attraverso nomi e categorie diverse.
Ovviamente però rimane un ampio spazio di arbitrarietà, nella definizione di queste visoni
del modo o organizzazioni sociali, dati anche questi vincoli, e appunto ciò che è
interessante per H. è proprio come si definiscono le diverse visioni del mondo, cioè ciò che
è pensabile all’interno di una, di più o di tutte le culture, rispetto a certi temi specifici.
H Rafforza questa tesi nel § legami biologici, legami sociali
esemplificando queste tesi a partire dalla riflessione sulla consanguineità e la filiazione,
mostrando come poco abbiano a che fare con quello che può apparire l’ovvio sostrato
biologico.
Leggete in questo senso il cp. conclusivo del § a p. 32: Il sistema di parentela non esiste
nei fatti, ma solo nelle coscienze degli individui, non è altro che un sistema arbitrario di
rappresentazioni.
[NB quando nel testo H. dice “uomini”/”uomo” intende essere umano, non so se è un
problema della traduzione, perché non ho potuto visionare l’originale, o se è una
“adesione cieca” a un uso chiaramente sessista da pare dell’autrice]
Si arriva così al § Il dato biologico elementare
Qui al II° cp di p. 33 trovate la tesi centrale che rende necessario tutto questo lavoro di
familiarizzazione con queste questioni:
Se tutto quello che ha detto è vero, il punto che è importante è notare che date le
possibilità logiche e il sostrato biologico, alcune possibilità logiche di
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rappresentare la parentela e i suoi snodi fondamentali non sono state percorse in
nessuna cultura umana nota.
E come vedremo questo ha a che fare con la valenza differenziale dei sessi.
Qui poi H. aggiunge altro: ovviamente le diverse culture non hanno scelto a partire
dall’insieme delle possibilità come se fossero logicamente squadernate davanti a loro, ma
piuttosto alcune soluzioni si sono di volta in volta imposte.
Difficile dire come sia avvenuto la costruzione/selezione di una certa visione del mondo,
certo è, si veda il I° cp di p. 34, che queste scelte sono associate a “costruzioni esterne a
quelle del dato biologico elementare”.
In modo più piano, per venire al punto rilevante per noi, H sta dicendo che l’assenza che
lei assume come riscontrabile empiricamente, di strutture sociali compiutamene matriarcali
(in cui cioè la valenza differenziale dei sessi veda le donne nella posizione del
potere/preminenza), non dipenda da nulla di naturale, ma da qualche altra forma di
costrizione, che ha costretto le culture umane, dato che questo tipo di società non si sono
mai date, appunto queste sono le strutture profonde che cerca. Strutture universali ma
non biologiche.
H. corrobora questa affermazione, nei 3 paragrafi conclusivi del capitolo, mostrando come
in diversi modi le culture umane non abbiamo esaurito tutte le possibilità logiche della
combinazione degli elementi biologici, che in diversi ambiti manchino sempre le possibilità
che vedono le donne in posizione di maggior potere. Lo fa:
- Sia rispetto alle classificazioni proposte da Lowie rispetto all’incrocio tra dimensione
lineare (genitori-figli) e quella collaterale (fratelli/sorelle), nel § Ordine delle generazioni,
differenze tra i sessi e fratrie.
- sia guardando ai rapporti e agli appellativi riguardanti le relazioni di un individuo con i
suoi fratelli/sorelle, e l’ordine tra maggiori e minori, o con i cugini, negli ultimi due paragrafi.
E’ proprio guardando alle possibilità pensabili della relazione fratello/sorella, che emerge
con chiarezza, afferma H, la tesi centrale che vuole sostenere, cioè che non sia mai neutra
la dimensione sessuata, che i sessi valgano sempre in modo asimmetrico a favore del
sesso maschile, e mai simmetrico come pure potrebbe logicamente darsi (che è la tesi
che vi ho ricordato all’inizio). Cioè se la biologia ci consegna due sessi (e questo H non lo
dubita), potrebbero darsi possibilità simmetriche di metterli in ordine: maschio su femmina,
femmina su maschio, o pari. Ma in realtà le ultime due possibilità non si danno mai. E
appunto H. lo ha mostrato con queste sue considerazioni. Questo è quanto vuole mostrare
e indagare anche nel resto del volume.
Su questo punto ci possiamo fermare e magari prima di passare oltre a vedere come
questa dimensione si lega con quelle del simbolismo del corpo, facciamo il punto nella
prossima lezione.

LEZIONE 6

VI lezione Teorie femministe


Riepilogo primo e secondo capitolo: la prima questione implicita è quella relativa ai sessi
quando dice la valenza relativa dei sessi, per Heritier sono naturali. Esiste per natura sesso
femminile e sesso maschile e questi esauriscono l’umanità, ciò che c’è tra questi due sessi
viene considerato come uno sbaglio.
Heritier sostiene che a questi due sessi venga dato un valore, ai due sessi vengono
riconosciuti una cerca serie di capacità o meno, che li colloca in una struttura sociale, il
valore viene ascritto. Inoltre viene dato un valore maggiore o minore ed è sbilanciato in
quanto un sesso domina sull’altro (maschile sul femminile). Lo studio di Heritier si basa
sulla valenza differenziale dei sessi, questa ascrizioni si ripropone per ogni cultura, anche le
società apparentemente matriarcali non vedono la figura femminile più forte da un punto di
vista sociale.

Alla base della società umana vi è questa valenza differenziale dei sessi, per arrivare a
questa tesi propone un itinerario complesso. In primo luogo ci invita a considerare come
questa univocità dell’ordine dei valori dei sessi, può rimandare a strutture del mondo umano
che fanno riferimento a simboli, noi strutturiamo il mondo attraverso organizzazioni
simboliche persistenti e permanenti, hanno valenza universale, ma sono impercettibili alla
nostra coscienza, per questo è ciò che l’antropologia studia. Heritier sembra attraverso i suoi
studi, veicolare che esiste un unico ordine simbolico che struttura l’umanità, nel modo in cui
è stata resa questa struttura, non sia stato considerato questa dimensione della valenza
differenziale dei sessi che universalmente ci abita. Heiritier arriva a sostenere che se è vero,
come lei crede, che la descrizione centrale di LeviStrauss è incompiuta perché per lui la
struttura era composta da tre pilastri, ma non veniva considerato che stabilmente la valenza
differenziale vada in favore dei maschi. Il suo lavoro è portare a visibilità questa struttura
profonda, è la tesi su cui articola i suoi lavori antropologici. Il senso di questa indagine, non
è solo descrive il reale ma anche problematizzare il reale, lei ha descritto la possibilità di
rendere meno cieco il nostro modo di aderire a queste strutture. Cerca di renderci
consapevoli per poter mettere in discussione questo ordine di sesso, il senso ultimo di questa
ricerca è sì descrivere la struttura di alcune culture ma soprattutto ciò che struttura noi stessi
e la nostra percezione di noi, per capire l’oggi, e per modificare queste strutture
sovraimposte sulla realtà, trovare dei varchi per poter cambiare, nonostante sia difficile.

[Io sto alla larga di Vereni. Testo sulle pratiche di governo, le guarda con occhio
dell’antropologo e ci prova a mostrare che il tipo di raccomandazione che il governo ha
proposto sono mosse da logica e razionalità che portano al rallentamento del virus: state a
casa; Lo slogan è mosso o risponde a una logica simbolica profonda che vincola il tipo di
raccomandazioni che un leader politico può fare, a fronte di questa esigenza hanno detto:
STATE A CASA, non state lontani tra voi. State a casa traduce questo slogan in
opposizione dentro-fuori, pubblico-privato. Il fuori è pericoloso, stare dentro è sicuro,
caverna sicura, fuori no. Vereni sostiene che il modo in cui il governo ha prodotto
raccomandazioni risente di questa opposizione dentro o fuori che non è congrua con
l’espansione del virus, che è differente dal dire ‘’mantenere le distanze’’ non è così dicibile
come state a casa, l’antropologia ci aiuta a capire perché facciamo alcune cose e perché
possiamo farne altre. Fa una breve descrizione di questa logica simbolica che è invisibile
agli attori sociali. Noi apprendiamo solo quando la studiamo come antropologi, ponendoci
fuori dalla logica immediata delle pratiche sociali in cui siamo immerse. Il modo in cui noi
diciamo le cose non coincide con il modo in cui le pratichiamo, creando effetti di
distorsione che l’occhio attento dell’antropologo può cogliere.
“Fermo l’epidemia” e la pratica del governo per fermarla. Il modo è tenere le distanze,
anche fuori. Vi è una distorsione che vincola il nostro dire e il nostro fare] Heritier prova a
dimostrare l’effetto di distorsione mediante cui viene descritta una cultura e come in realtà
è, il modo più specifico è quello di cogliere l’assenza.
Queste strutture di fondo che noi facciamo per cui maschio forte-donna debole, limitano la
possibilità ricombinatoria che ogni cultura ha, per cui nonostante siano logicamente
pensabili alcune combinazioni, noi non troviamo mai stabilmente traccia di quella
combinazione possibile in cui vi è il polo femminile. Le strutture di fondo ci costringono a
pensare entro certi schemi. Uno degli schemi profondi che ci abita è la disparità dei sessi. Ù
Linea parentale (capitolo 2)
Un linguaggio e rappresentazione che può spiegare in modo coerente i fenomeni propri
dell’ordine naturale e perfino del clima che caratterizza ogni società. Non vi è nulla nel dato
naturale che produca necessariamente l’ordine gerarchico e dunque non vi sia una debolezza
femminile alla base, ma che questo ordine è del tutto umano, è legato alla riproduzione che
vuole essere controllata dall’uomo dato che si sviluppa prettamente nel corpo femminile e
potrebbe darle maggior potere.

LEZIONE 7
F. Héritier, Capitolo 3, Fecondità e sterilità.
Note di introduzione e di guida alla lettura.
Riprendo, per iniziare, alcune delle considerazioni generali sui capitoli centrali del
volume con cui ho concluso l’ultima lezione.
A partire dal III cap. troviamo una serie di capitoli in cui H. indulge di più nelle merito delle
sue ricerche non solo antropologiche, ma anche etnologiche, per come le ha definite nel
II° cap. (si veda p. 16, etnologico è qui descritto come quel lavoro di analisi delle pratiche
sociali e simboliche di una popolazione al fine di offrirne un quadro integrato).
Qui rende conto quindi di alcune di queste ricerche anche in modo specifico, ancorché
evidentemente il tipo di ricerche di cui ci rende edotti/e, in questi capitoli, e gli aspetti che
ne mette in luce, servono nell’economia del testo a dar conto delle sue tesi più
complessive. Sarà quindi il caso, come già vi dicevo, di attraversare questi capitoli
prestando certo attenzione ai dettagli che ci presenta, ma soprattutto cercando di cogliere
gli elementi che servono a H. per comporre il suo ragionamento complessivo e le notazioni
che fa in questo senso.
Proprio per mantenere questo quadro di riferimento ampio, vi avevo ricordato nella lezione
scorsa e vi riporto qui di seguito alcuni punti generali che sarà bene tenere presente.
Fatto salvo il fatto che la tesi centrale di H. è ragionare intorno alla valenza differenziale
dei sessi, nel suo darsi ubiquitario, nelle diverse società umane, nel senso del predominio
del maschile sul femminile, è bene ricordare anche quel che segue.
- Come afferma anche nella premessa dove presenta il suo volume (p. XII), se nel II cap.
H. ragiona intorno alla valenza differenziale dei sessi a partire dalla riflessione
antropologica rivolta all’organizzazione dei sistemi di parentela e alleanza. Nei capitoli
2
centrali del volume intende, come afferma, “mettere in evidenza i punti cardine, alcuni
chiaramente visibili (fecondità e sterilità), altri nascosti (statuto degli umori del corpo), della
grande costruzione della differenza gerarchica tra i sessi”(p. XII), e quindi si volge a quella
parte delle sue ricerche, rivolte, come spiega anche nel I cap., in modo più specifico alla
rappresentazione e al simbolismo del corpo, in date culture, considerando queste ricerche
come rilevanti per la riflessione intorno ai rapporti tra i sessi (p. 4); rapporti che sono infine
iscritti – potremmo dire – a loro volta in quella “manipolazione simbolica del reale” che ogni
sistema di parentela è (come afferma a p. 43).
Quindi nel leggere questi capitoli, più propriamente dedicati alla riflessione sul maschile e
il femminile in termini di simbolizzazione del corpo, dei suoi umori, della riproduzione ecc.
ecc. non bisogna perdere di vista il legame con la riflessione sulle più ampie pratiche
sociali che in qualche modo si nutrono di questa stessa simbolizzazione.
- Un altro elemento riflessivo importante da tenere presente è quello relativo al tema
ampio del rapporto tra dati naturali e rappresentazioni simboliche e sociali su cui pure H
aveva insistito nel I cap.
Sarà bene ricordare come nel I cap. H. abbia sostenuto che il pensiero umano si sia
sviluppato a partire da osservazioni immediate di ciò che gli esseri umani avevano intorno
e del loro stesso corpo, organizzandone gli elementi attraverso quello che nel I cap.
definisce come un “alfabeto simbolico”, fatto di opposizioni primarie, sulla base delle quali
ogni cultura costruisce le sue “frasi” (p. 8), ovverosia costruisce, usando le nozioni che H.
presenta in questi capitoli centrali, la propria visione del mondo, il proprio corpo ideologico.
[si noti che su questo tema era tornata anche nel cap. II a p. 20-1]
Per quanto riguarda la nozione di “corpo ideologico” nel cap. III a p. 46, prime righe. Dove
si chiarisce come H. intenda con questo nozione un sistema esplicativo che tiene insieme,
in un sistema coerente di rappresentazione, fenomeni corporei, sociali e naturali.
Sempre rispetto a questo tema va infine considerato, come H. già aveva sostenuto nel I
cap., che le opposizioni binarie che strutturano queste rappresentazioni complessive,
comprendono sempre anche quella tra i sessi (nel I cap. l’aveva definita una differenza
“scandalosa” che sta alla base della distinzione tra “identico e differente” p. 6); da questo
si può concludere dunque che la logica che oppone i sessi nella simbolizzazione della
3
dimensione biologica è omologa a quella che li oppone socialmente, ed è per questo che
ragionare, come farà in questi capitoli, sulla prima dimensione è importante.
Anche da questi esempi si mostrerà, per altro, che si tratta tra l’altro, di una struttura
oppositiva che non oppone mai i sessi in modo simmetrico, ma in modo gerarchico. Cioè il
tema centrale che H. vuole sviluppare.
- Un ultimo punto da tenere presente, nell’attraversare questi capitoli, è il breve ma
fondamentale accenno che H. fa sempre nel I cap. là dove (p. 11) sostiene che, a suo
avviso, l’universalità della valenza differenziale dei sessi (a favore di quello maschile) non
vada, per le ragioni sopra viste, considerata altro che come una dimensione concettuale, e
che l’ipotesi che lei sosterrà per spiegarne la natura ubiquitaria non è quella di ricorrere
alla tematizzazione di una qualche maggiore debolezza femminile che sarebbe
rispecchiata in questa concettualizzazione (cf. su questo quanto detto nella storia della
filosofia occidentale), quanto piuttosto quella che questa sia una “espressione di una
volontà di controllare la riproduzione da parte di coloro che non dispongono di un potere
così particolare”(p.11). E’ proprio per questo che come vedremo nei capitoli centrali del
volume H. si dedica anche a indagare il modo in cui vengono rappresentati la riproduzione
e i diversi contributi per parte maschile e femminile. Questo è certo un tema ampio, su cui
ritornare, ma per ora seguiamo la riflessione di H.
Per concludere si può dire che dal III cap. in poi (almeno fino al 7°) H. rende conto di
come alcune opposizioni di base ordinino la simbolizzazione del piano biologico del
corporeo, del piano dei fenomeni naturali (ad es. il clima), come anche i sistemi sociali di
date popolazioni. E come in queste opposizioni si ritrovi costantemente la distinzione e la
polarizzazione del maschile e del femminile. Su questo si possono vedere sia le righe
conclusive del cap. III che del cap. IV. In entrambi i passaggi è bene notare che al di là
delle differenze rispetto alle culture che lei qui indaga, H. sostiene che sotto questo
importante aspetto anche i “nostri” sistemi di credenze (occidentali contemporanei) non si
differenzino da quelli che descrive (su questo tornerà negli ultimi cap. del volume).
In questo senso infine potrebbe essere interessante sottolineare le notazioni che qui e lì
H. fa in questa ottica, o provare da voi a trovare delle analogie.
Fatte queste premesse generali provo a indicarvi i punti rilevanti del III capitolo.
4
Nel I° § Al centro della tela ideologica trovate esposto quanto vi ho detto più sopra circa
l’esistenza di un sistema di opposizioni di base, marcate da un segno positivo e uno
negativo, tra cui vi è anche quella tra i sessi, che permea i sistemi di rappresentazione
complessivi di diverse culture, e ne organizza come afferma a p. 45 (ultima riga) i “rapporti
di forza”. Sistemi di rappresentazione o ideologici che rispondono all’esigenza di dare
“senso” a una serie di fenomeni, ivi compresi i “fatti elementari di ordine puramente
fisiologico”(p 46).
In questo capitolo, attraverso la descrizione di alcune pratiche sociali, e delle categorie
simboliche in cui affondano le radici, della popolazione Samo del Burkina Faso che lei
ha studiato, H. vuole mostrare infatti, come spiega nel II° §, al I° cp (p. 46), che “una
stessa logica rende conto del rapporto tra i sessi così come del funzionamento delle
istituzioni”.
Logica che nel caso del pensiero samo è dominata dalla dicotomia caldo/freddo (cfr il
III° § Il caldo e il freddo, categoria concettuale centrale).
E’ sulla base di questa opposizione che vengono letti infatti una serie di fenomeni che
includono le differenza tra i sessi, la riproduzione, la mancata riproduzione (sterilità),
pratiche sociali e fenomeni climatici, e le relazioni tra tutti questi fenomeni.
Diciamo fin da subito che le analisi che offre (anche nei § successivi) in questo senso le
servono a mostrare come le diverse culture possano essere riportate, come afferma nelle
righe conclusive del capitolo (p. 58), a sistemi ideologici saldamente strutturati e che,
d’altra parte, tracce delle opposizioni che lei rintraccia ad es. nella cultura samo, o che si
trovano in altre culture tradizionali, si possono trovare anche nelle nostre culture
(occidentali/scientifiche) almeno a livello di “substrato inconscio”, soprattutto per quanto
riguarda la distinzione maschile/femminile (si veda per es. il 5° cp di p. 58 in questo
senso). Le servono quindi a spiegare (cf. ultime righe del capitolo) come “Questo insieme
valorizzato di concezioni molto profonde continua a legittimare non solo la differenza ma la
diseguaglianza tra i sessi”.
Tra i samo, come tra noi, dunque.
5
Con queste indicazioni di massima (NB anche per i capitoli successivi è bene guardare
alle ultime righe degli stessi per cogliere i senso più generale di quel che H. ha inteso
fare), si possono leggere i paragrafi che compongono il corpo capitolo.
Qui appunto H. spiega come la “categoria dualista” che oppone caldo a freddo sia centrale
nel pensiero samo; come al freddo sia associata l’umidità, ma anche la prosperità e il
bene, e al caldo il secco, ma anche ciò che è pericoloso, e come l’equilibrio del mondo sia
pensato reggersi sull’armonioso bilanciarsi di questi due elementi. Elementi che sono
entrambi necessari, perché si chiamano e si oppongono in una dinamica vitale, ma che
non devono prevalere in modo eccessivo, portando a eccessi di umido o di secco.
Queste stesse coppie spiegano eventi climatici (la pioggia o le stagioni secche), ma anche
fenomeni corporei, e in particolare quelli relativi alla riproduzione, come anche tappe e
caratteristiche dei viventi.
Così spiega, la terra è per i Samo calda, la pioggia fredda, e questi elementi sono
incarnati e governati da alcuni individui specifici nei villaggi samo (il signore della terra e il
signore della pioggia); individui che sono marcati dalla categoria opposta, che attira quella
a sua volta opposta, e sono vincolati nel loro muoversi e agire perché non si creino
sovraccarichi di calore o freddo. Ugualmente tutti gli individui che vivono nel villaggio
hanno una serie di obbligazioni o divieti che si leggono nella stessa ottica.
Anche le fasi della vita umana e la differenza dei sessi sono marcate attraverso questa
coppia. I bambini/e sono sempre caldi, gli uomini sono caldi e proprio per questo
producono dalle loro giunture (cfr. il midollo osseo) il sangue necessario per sé e il sangue
che andrà al bambino quando lo concepiranno. Lo sperma si trasforma infatti nel sangue
del bambino, che la madre invece non è capace di dargli, avendo la madre solo una
“matrice” ma non essendo ella capace di produrre da sé il sangue per il figlio che porta in
grembo; ella fornisce la materia del corpo del bambino, ma non il sangue (quindi ciò che
da vita?). Come si vede l’opposizione caldo/freddo spiega anche la fisiologia della
riproduzione e la diversa simbolizzazione dei contributi maschili e femminili.
Le donne dunque sono tendenzialmente fredde, e hanno bisogno del caldo dall’esterno o
dall’uomo. Esse infatti pur producendo sangue per sé, non lo trattengono e lo perdono
(attraverso le mestruazioni, fenomeno visibile e che è uno dei tratti ricorrenti della
differenziazione tra maschile e femminile, si pensi a Aristotele). Sono calde quando sono
incinta grazie al calore del sangue/sperma maschile, che gli permette di “cuocere” il figlio.
6
Il parto è infine un momento di perdita di calore, per questo esse devono essere riscaldate
dall’esterno perché riescano a produrre il latte. Ma non devono accumulare troppo calore
perché altrimenti il latte si secca (e questo spiega il divieto di rapporti sessuali durante
l’allattamento che è il divieto da cui H. è partita nella sua analisi).
Già si vede come di fatto il potere femminile di generare è molto ridimensionato in questa
rappresentazione simbolica.
Sempre all’interno di questo sistema di rappresentazione H. indaga, infine, come viene
rappresentato il fallimento riproduttivo, che è sempre imputato alla donna, e come viene
considerata la donna sterile.
Si ricordi in proposito che nel cap. II° H. ha spiegato il peculiare sistema di matrimonio e
filiazione attivo presso i samo, tale per cui la ragazza che è promessa sposa a un certo
uomo, è costretta prima di andare sposa a stare con un amante e a restare con lui per un
tempo massimo di tre anni, o finche non avrà un figlio, che sarà considerato il I° figlio del
marito, per cui anche ove quest’ultimo fosse sterile egli avrebbe comunque un figlio.
Similmente H. spiegherà più avanti, nel cap. 4°, altri modi di dare figli a un marito che non
riesce ad averne.
La donna sterile è invece in una posizione sociale debolissima, poiché viene meno al suo
ruolo fondamentale, che è quello di avere gravidanze e figli, e la sua incapacità non si può
nascondere, ne è emendabile. Di particolare gravità è infine la situazione della donna che
non ha mai avuto mestruazioni, poiché essa accumula calore come una sorta di vampiro
gonfio di sangue (p. 54), e rimane bambina, non ha destino autonomo, è posseduta dal
desiderio materno. Ugualmente sospetta è, infine, la posizione delle donne in menopausa.
H. elenca le pratiche sociali in vita e in morte di queste donne.
Vedete da voi i dettagli, molto più numerosi rispetto a questo breve sunto, delle riflessioni
che qui H. propone, che le servono, credo, sia ad avvalorare la sua tesi circa l’esistenza di
sistemi simbolici che organizzano diversi aspetti del vivere e del comprendere fenomeni di
diverso tipo di ogni popolazione, sia ad mostrare il fatto che questi sistemi simbolici sono
spesso organizzati anche attorno alla distinzione maschile/femminile e come infine essi, in
buona sostanza, giustifichino l’articolarsi di questa distinzione nel senso di una
sperequazione o della dominazione del maschile sul femminile.
Da questa breve disamina si evince infatti come tutta una serie di pratiche sociali (obblighi
e divieti), di istituzioni (come per es. il matrimonio, le cerimonie della pubertà, gli usi
rispetto al sesso), e il trattamento stesso di donne e uomini, prendano senso all’interno di
7
questo tipo di spiegazioni (per i Samo il caldo e il freddo) e come anche sia diversamente
regolato il femminile rispetto al maschile e, forse, si potrebbe dire più regolato del maschile
(ancorché anch’esso sia per suo verso regolato) e che una serie di colpe e rischi e quindi
divieti e interdetti ricadano sulle spalle delle donne.
Tornando al tema del potere di generare, si noti come questo tipo di simbolizzazione
sembra rendere impossibile il riconoscerlo alle donne, e ne faccia invece artefici gli uomini,
i quali però, per potersi pensare potenti in questo senso devono di fatto limitare di molto e
controllare la vita delle donne. E’ evidente infine che queste dinamiche che ho appena
accennato, e su cui torneremo, non si diano ad un livello conscio: non si tratta di pensare
che gli uomini samo vogliano controllare le donne samo. Questo tipo di spiegazioni sulle
strutture di fondo, che H. propone, sono rintracciabili con uno sguardo esterno alle
costruzioni culturali indagate e che gli individui, sia uomini che donne, si muovono invece
all’interno delle concettualizzazioni di superfice, e non hanno presente, come
normalmente non lo abbiamo neanche noi del resto, il livello profondo.

LEZIONE 8
F. Héritier, Capitolo 4, Sterilità, aridità, siccità.
Note di introduzione e di guida alla lettura.
In questo capitolo, come anche nei due successivi, H. porta avanti considerazioni simili a
quelle che ha proposto nel III capitolo, atte a mostrare, come afferma nelle righe
conclusive di questo capitolo (p. 94), che ogni sistema di credenze, compreso il nostro
attuale, leghi insieme il piano biologico, quello sociale e quello naturale, costruendo dei
sistemi di interpretazione che permettono di ordinare le relazioni sociali, di forgiare un
sistema di condotta (morale) e di spiegare eventi naturali che riguardano gli esseri umani
stessi e ciò che hanno intorno. Vuole altresì mostrare come l’opposizione
maschile/femminile sia compresa in questi sistemi di interpretazione, anzi li strutturi,
rispetto a questi stessi diversi livelli.
Al di là del fatto che, secondo H., è in questo quadro dunque che si deve guardare al
rapporto tra i sessi e alla caratterizzazione e comprensione del maschile e del femminile, e
al di là dei contenuti specifici che in questo senso che H. ci fornisce in questo capitolo e
nei successivi (cercando di far emergere delle invarianti rintracciabili in culture diverse), un
punto ulteriore che incomincia a prendere forma in questo capitolo è quello che riguarda il
luogo in cui si possono collocare gli elementi che strutturano questa complessità di
rapporti, ovvero dove vadano cercate quelle invarianze che H. mostra, considerando per
altro anche il piano interno ed esterno ad ogni sistema culturale, compreso quello di chi
studia e osserva.
Provo a spiegarmi in questo modo, sempre alla p. 94, H. afferma, nello stesso passo che
riportavo sopra, che ogni sistema di credenze, compreso il nostro, percepisce l’ambito
biologico, quello sociale e questo naturale (ambiente esterno) come intimamente legati,
perché (così afferma H.) “a partire dalla proprietà sensibili delle cose, l’uomo [cioè l’essere
2
umano!] in società ha incessantemente costruito sistemi di interpretazione che esprimono
il suo bisogno di ordine…”.
Da questo passo io credo emerga con chiarezza il tema cui facevo riferimento appena
sopra, ovvero emerge l’idea che l’invarianza si leghi contemporaneamente, potemmo
provare a dire, sia all’esistenza di quelli che H. chiama “le proprietà sensibili delle cose”,
sia a quella ”esigenza di ordine”, di dare senso, che caratterizza l’umano. Sono questi due
piani insieme, mi pare, che segnano il luogo o livello in cui cercare delle invarianze, che
quindi non sono determinate solo dal piano di ciò che esiste, dei dati di fatto, e d’altra
parte non sono neanche il frutto arbitrario dell’esigenza di ordine degli umani, della loro
mente che si muove nel vuoto, ma si danno nel gioco tra le due dimensioni (fattuale di
pensiero).
Questo tra l’altro permette ad H. di farci presente, che culture che hanno un diverso
accesso al piano dei dati di fatto (quelle dotate o meno di conoscenze scientifiche,
assumendo – come mi pare lei sembra fare – che quelle che ne siano dotate siano più
vicine a una descrizione valida di ciò che accade sul piano dei fatti), hanno comunque in
comune con le altre le stesse esigenze di ordine e il modo stesso di strutturarle lungo
quelle linee elementari che H. descrive.
Per dirla in altri termini mi pare si possa dire che H. cerca di evitare di pensare che si
possa ridurre la spiegazione dei fenomeni complessi della darsi delle società umane
a una qualche forma di riduzionismo per cui proviamo a spiegare il darsi di una serie di
pratiche sociali particolari (per es. relative a matrimonio, filiazione, maschile e femminile)
sulla base di fatti biologici (di cui noi occidentali oggi, per altro, deterremmo le chiavi
interpretative vere, attraverso la scienza), né al contrario si tratta di sostenere una sorta di
primazia o autonomia del piano culturale/sociale su quello fattuale (che risulterebbe solo
prodotto/costruito), ma invece di vedere la pregnanza di quelle strutture di fondo del
pensiero umano che si sono ottenute organizzando elementi empirici facilmente
osservabili (questo è affermato forse con più chiarezza nel capitolo successivo e poi torna
nei successivi); strutture che abitano il senso comune sia delle culture tradizionali come
anche quelle scientifiche (quindi anche dell’osservatore e degli osservati nello studio
dell’antropologia). E che appunto si proiettano, in modo omologo, sui diversi piani di
interpretazione del biologico, del sociale e del naturale ambientale in ogni cultura.
3
Ciò che è al centro del capitolo, come vedrete, è proprio l’interazione tra i piani, per cui
risulta che fenomeni che possono sembrare appartenere al piano biologico, come la
sterilità, la riproduzione e quindi la filiazione e la genitorialità, appartengano invece al
piano sociale, ma d’altra parte risulta altresì come questo stesso piano sociale sia
organizzato o trovi la sua spiegazione in credenze relative al piano biologico, alla
produzione di fluidi corporei, alla riproduzione, al mescolamento dei sangui, a ciò che
appartiene allo stesse genere (umano, animale, sovrumano) o al susseguirsi delle
generazioni. Come argomenterà nei diversi paragrafi che formano il capitolo.
Prima di venire a questi temi, mi fermo solo un momento sulle prime due pagine, per
segnalarvi come qui H. indichi, per mostrare la potenza di certe strutture, che noi (i
francesi come gli italiani odierni) diciamo di un autore o di un pensiero che è
fecondo/fertile o sterile, usando quindi categorie che rimandano all’ambiente o alla
biologia umana, per descrivere il piano della produzione del pensiero. Secondo H. questo
tipo di uso denota la persistenza dell’opposizione fertile-umido vs. sterile-secco, su piani
diversi, e anche attraverso culture diverse, la nostra come quelle tradizionali.
Si potrebbe anche notare, qui H. non lo fa ma vi accennerà più avanti nel volume, che
seguendo questo stesso esempio, si può notare come vi sia un rapporto stretto tra l’essere
fecondo sul pano biologico e fecondo sul piano del pensiero, il che ci porterà - una volta
che come vedremo si posa riconoscere la diffusa rappresentazione del solo sesso
maschile come origine/motore della fecondazione umana - a sostenere che vi è anche un
diverso accesso per sesso al piano del pensiero (ripensate alla storia della filosofia per
come l’abbiamo brevemente attraversata nella II lezione).
Per ora vi segnalo solo il punto del quale qui H. non parla.
Nel corpo del capitolo H. prova infatti, come dicevo più sopra a dar conto, attraverso le
analisi comparate di diversi studi etnografici, del modo in cui si strutturano diverse
interpretazioni culturali intorno alla generazione o la sua mancanza, la sterilità, mostrando
l’unione appunto dei piani dell’interpretazione dei fenomeni biologici a quello dell’ordine
sociale, tale
Nozioni che sembrano rimandare a un piano di fatto, in realtà sono costruzioni sociali,
sono il frutto di pratiche sociali (ad es. la filiazione, la paternità, la sterilità), pratiche sociali
che d’altra parte devono comunque fare i conti con alcuni fatti facilmente osservabili (ad
es. le donne partoriscono i bambini, gli uomini e le donne si uniscono in rapporti sessuali,
4
le donne hanno mestruazioni o non le hanno, gli uomini producono lo sperma, le donne il
latte, ecc. ecc.) e le diverse interpretazioni a cui aprono e le polarizzazioni che queste
implicano; che questi fatti siano simbolizzati in una cultura scientifica o meno, sono questi
e le pratiche sociali che li significano che sono rilevanti.
Per tornare a concentrarci sul tema del maschile e del femminile è bene considerare
come in questo capitolo H. si concentri, in primo luogo, sulla categoria di “sterilità” e
soprattutto a mostrare come la sterilità sia imputata in modo quasi ubiquitario alle donne
(mostrando – sia detto qui per inciso che spesso anche l’osservatore-studioso sia
attraversato da griglie interpretative analoghe), mentre quella maschile è in genere
misconosciuta (salvo il caso di impotenza). [NB si consideri che la sterilità maschile non è
necessariamente visibile perché dipende dalla mancanza o debolezza degli spermatozoi
nel liquido seminale quindi non è “evidente”, ma attenzione che anche in epoca scientifica
la sterilità maschile è considerata con difficoltà, si vedrà questo rispetto alle PMA che
discuterà nei capitoli finali].
Da questo primo tipo di considerazioni, H. passa dunque a quelle che riguardano il tema
corrispondente, ovvero il ruolo fondamentale e positivo nella generazione che viene
generalmente ascritto all’uomo, su cui tornerà anche nel capitolo successivo.
Un risultato interessante di questo schema, i cui dettagli vi invito a vedere sul testo, è
infine quello per cui in questo tipo di costruzione simbolica ubiquitaria le donne sembrano
avere principalmente - in questa strutturazione - il potere di non far nascere, più che quello
di far nascere, cioè il potere di impedire l’attività generativa maschile (si vedano le prime
righe di p. 84) e che sia a contenere questo potere che una serie di pratiche sociali si
determinano o spiegano (si pensi qui per venire a noi al tema dell’aborto e alla battaglia
sociale che si fa su di esso).
Il corpo del capitolo, che non vi riassumo qui, ma che andrete a vedere, mostra anche
come siano implicate in questo schema di nuovo tutta una serie di credenze relative al
piano biologico, alla produzione di fluidi corporei, alla riproduzione, al mescolamento dei
sangui, a ciò che appartiene allo stesse genere (umano, animale, sovrumano) o al
susseguirsi delle generazioni.
Così facendo H. esemplifica la tesi generale che aveva esposto in precedenza cioè quella
che vi sia un rapporto inestricabile tra le strutture della parentela e alleanza e la
simbolizzazione del corpo e dei suoi prodotti e come esse siano anche inestricabilmente
connesse alla valenza differenziale dei sessi.
5
Il capitolo è denso di esempi e di riflessioni che rimandano certo anche ad altri piani di
analisi che potete individuare da voi, leggendone le pagine come ora vi invito a fare.
In generale va tenuto presente che H in questi capitoli centrali del volume sta elencando
una serie di elementi, ed esemplificazioni, su cui poi tornerà alla fine per tentare un quadro
riassuntivo. In questo va notato che il volume paga il prezzo di essere costruito a partire
da saggi probabilmente inizialmente slegati, ma credo che potremmo ricostruire il quadro
di insieme usando gli ultimi capitoli, intanto cerchiamo di avere chiari i diversi elementi
che H. propone attraverso questi esempi.

LEZIONE 9

F. Héritier, Capitoli 5 e 6.
Note di introduzione e di guida alla lettura.
In questa lezione vorrei concludere la disamina dei capitoli centrali del volume, il 5° e il 6°,
che proseguono le riflessioni che abbiamo già visto nel 3° e 4° cap.
Per riprendere il filo generale di queste riflessioni si può ripartire dalle righe conclusive del
cap. 4, a p. 94, rileggetele.
Qui H. afferma che ogni sistema di credenze, compreso il nostro attuale, leghi insieme il
piano biologico, quello sociale e quello naturale, costruendo dei sistemi di interpretazione
che permettono di ordinare le relazioni sociali, di forgiare un sistema di condotta (morale)
e di spiegare eventi naturali che riguardano gli esseri umani stessi e ciò che hanno
intorno; sistemi di interpretazione che come anche dice sono costruiti “a partire dalla
proprietà sensibili delle cose”, ed “esprimono il suo [degli umani] bisogno di ordine…”
Come vi avevo già fatto notare nella lez. precedente, qui emergono due tratti importanti:
che i sistemi di interpretazione comprensivi, che ordinano cioè il piano biologico, sociale e
naturale (ambientale), si strutturano sia intorno alla simbolizzazione di proprietà sensibili
delle cose, sia alla necessità umana di dare ordine e senso ai fenomeni naturali e alle
relazioni umane.
Il quadro generale dell’analisi che H sta portando avanti rispetto al maschile e al
femminile (ovvero alla valenza differenziale dei sessi), prende senso se si ricorda, come
H. afferma anche nel capitolo conclusivo del testo (a p. 194, 4° cp), in cui tira un po’ le
fila del suo discorso, che sembra che nella storia dell’Homo sapiens si sia passati “dalla
palese differenza anatomica e fisiologica oggettiva, materiale, irrefutabile dei sessi” alla
“gerarchia, alla categorizzazione in opposizioni di tipo binario e alla valorizzazione o
svalorizzazione di queste categorie a seconda che si applichino al maschile o al
femminile”.
2
Questa è appunto l’ipotesi che troveremo esemplificata e anche rafforzata nei cap. 5 e 6.
Nello specifico, nel cap. 5, H. prova a mostrare come, in culture diverse e lontane nel
tempo e nello spazio, si trovino una serie di interpretazioni e simbolizzazioni relative ai
fluidi corporei (soprattutto sangue e sperma, ma anche latte) e delle loro funzioni, che
rimandano, sia pure nelle diverse articolazioni che le diverse culture ne danno, a una
medesima gerarchizzazione della caratterizzazione dei sessi, e quindi alla
giustificazione di ordini sociali squilibrati nello stesso senso, come è
chiaramente affermato nelle righe conclusive di p. 102 e prime di p. 103, leggetele (si noti
per altro sono un commento al passo in cui parla di Aristotele).
Vediamo dunque il capitolo più nel dettaglio.
Ripartiamo dalle prime pagine del cap. (p. 95-6).
Qui H. sembra porre la quesitone generale che affronterà ovvero afferma che una serie di
concatenamenti di fatti, di cui si ha esperienza ordinaria, ha suscitato la riflessione degli
esseri umani, implicando una serie di domande cui andava data una risposta.
I fatti concatenati rilevanti sono:
- il nesso sangue-vita-calore (i cadaveri sono privi di vita, freddi e il sangue non
circola)
- il nesso tra la nascita di un bambino/a e l’incontro tra un uomo e una donna e il
passaggio di una sostanza dall’uomo alla donna.
- Solo le donne che “perdono il sangue” sono in grado di concepire (non prepuberi,
non le donne in menopausa)
Ora, l’interpretazione di questi fatti (che pur non scientifica - dice per altro H. - deve
rispondere a qualche criterio di razionalità esplicativa) lega, sostiene H, una spiegazione o
teoria della riproduzione a una più ampia visione della “ordinata e coerente” del mondo, e
quindi anche a una teoria o visione della persona umana e della struttura sociale (cf. p. 96
I° cp).
In secondo luogo H. afferma che ovviamente le interpretazioni sono diverse, nelle diverse
culture, ma che il numero dei modelli di interpretazione non è infinito, ma limitato (cf. p 96
penultimo cp.), proprio perché si rifà ai medesimi dati empirici.
Quindi si producono teorie “incredibilmente simili” (p. 96).
3
Rispetto a queste prime considerazioni possiamo porci una prima domanda:
Questo è un modo in cui H. sta cercando un’origine comune dell’ordine dei sessi? Sembra
di sì. E la colloca in questa dimensione di interazione tra elementi osservabili e modelli
esplicativi? E i modelli sono simili per questioni di fatto o questioni culturali? Questo
rimane ancora da capire per certo verso.
Vediamo dunque quali sono gli elementi invarianti che rintraccia.
Nel § La dolce alchimia del concepimento H. ricostruisce brevemente il risultato dei suoi
studi sulla popolazione Samo rispetto alla loro visione complessiva della vita, persona,
riproduzione, e quindi anche del maschile e del femminile e di alcune strutture sociali.
In questo paragrafo ricostruisce l’interpretazione del concepimento, la diversa
caratterizzazione del contributo maschile e di quello femminile, il legame tra il seme
maschile e il sangue del bambino e la diversa produzione del latte dal sangue materno
(che non viene più perso con le mestruazioni quando si produce latte).
Guardate i dettagli da voi. Ma è bene sottolineare alcuni elementi che emergono:
il concepimento e la formazione del bambino dipende dall’indispensabile apporto di
sangue che arriva attraverso lo sperma maschile, dove invece la madre riesce al più a
fabbricare lo scheletro del bambino (dal proprio sangue che non perde più) e dopo a
nutrirlo con il latte. I due contributi, quindi, pur complementari non sono segnati da
una valutazione simmetrica.
E’ infatti se la vita dipende dal sangue, è il padre che da la vita. Non la madre.
Lo sperma è dunque un prodotto perfetto del corpo maschile, rispetto al prodotto meno
perfetto del corpo femminile che è il latte, e questa diversa produzione è letta nel segno di
una incapacità femminile, dovuta alla freddezza e al non calore del corpo femminile (cfr
infra cap. precedenti).
Nel § successivo (a p. 98) H. spiega come a questa “teoria della riproduzione” Samo
corrisponda una strutturazione dei rapporti sociali e alle regole che strutturano le alleanze
(cioè i matrimoni) nella medesima popolazione, rapporti e regole che privilegiano la linea
del sangue paterno nella possibile serie di tracce dell’incrocio dei sangui paterno e
materno, vietando alcune nozze perché insisterebbero sullo stesso sangue. H. fa notare,
per altro, che il sangue delle donne 8come quello degli uomini) è il sangue del loro padre
4
(che gli ha dato on lo sperma al momento del loro concepimento), quindi ciascuno è
all’interno di un lignaggio, ma la traccia materna (cioè il sangue del padre della madre di
un bambino) deve soccombere nella valutazione sociale rispetto a quello del padre del
bambino, che è anche quello di suo padre, poiché la filiazione è qui patrilineare. E infatti il
sangue della madre fa solo le ossa e non il sangue del figlio.
La filiazione è quindi una struttura sociale che si costruisce su una particolare
interpretazione delle possibili linee che uniscono un bambino all’ampia serie di persone
con cui è legato, ma anche a una certa meccanica dei fluidi corporei.
Nel § Concezioni popolari vs. pensiero scientifico H. offre alcune considerazioni più
metodologiche e generali.
Qui afferma di nuovo che vi sia una stessa struttura che lega la concezione delle perone,
del legame sociale e del mondo naturale.
Ma ritorna anche sul funzionamento per preterizione:
chi è all’intero di una cultura non vede lo schema di fondo, vede sole le diverse
interpretazioni e simbolizzazioni cui da luogo (aderisce ciecamente).
Così a p. 100 afferma che l’informate nativo (cioè l’individuo che fornisce le spiegazioni su
cui l’antropologo si basa [NB per una interessante critica a questa nozione si può vedere
Spivak, Critica della ragione postcoloniale, ricordatemi di parlarvene nella prossima
lezione in video se vi interessa], ricostruisce un quadro sbocconcellato, imperfetto, a tratti
anche contraddittorio.
Di nuovo H. afferma che è solo dall’esterno che si coglie la struttura che si compone di
elementi che si definiscono in opposizione diadica (p. 101 prime righe).
Implicite in questa affermazione, e nelle righe successive che dedica a mostrare come
alcune interpretazioni siano simili a quelle “scientifiche” che noi diamo (ad es. la funzione
ematopoietica del midollo, la nozione di recessività, la diversificazione genetica), sono due
considerazioni importanti:
1. gli elementi da cui si parte in tante culture (anche quelle scientifiche) sono gli stessi
(basati su una semplice osservazione del corpo umano) e quindi le spiegazioni sono simili.
2. tutti, e anche noi, funzioniamo per preterizione.
Prima di andare avanti possiamo chiederci se H. ci stia suggerendo che siano i dati
biologici che fondano la valenza differenziale dei sessi. Non direttamene direi, altrimenti
5
contraddirebbe le sue tesi inziali, piuttosto mi sembra che sita affermando che essa è
legata all’osservazione di certi fatti e al modo simile in cui sono stati messi in ordine
(fenomeno umano quest’ultimo).
Così infatti, nei §§ successivi, mostra alcuni esempi di queste invarianze, guardando al
pensiero greco antico, al pensiero Indù, all’antico Egitto ai Sumeri ecc.
Nel § a pag. 102 torna su Aristotele e sulle sue tesi sulla riproduzione animale (cfr la mia
II lezione) che ora prendono un aspetto diverso, inserendosi in questo schema più ampio.
E’ a conclusione di questo §, per altro, che troviamo l’affermazione che citavo all’inizio su
caratterizzazione della differenza dei sessi e ordine gerarchico.
Leggetevi i §§ seguenti e le diverse brevi analisi che H. offre di interpretazioni culturali
diverse nella superficie ma simili nello schema di fondo; tra l’altro notate l’interessante
nesso che si stabilisce tra simbolizzazione dei cicli ossa/alimenti-sangue-vita e i diversi
usi funerari (cremazione vs conservazione delle ossa). Di nuovo, infine, si può notare la
ubiquitaria polarizzazione tra maschile e femminile.
Il capitolo non si conclude (cf. p. 108) sul tema del maschile e femminile, come ci si
sarebbe potuti aspettare, ma su una disputa teorica che a noi interessa meno, come tale,
ma in cui H. ribadisce al sua tesi generale: qui H. nega che queste similitudini dipendano
dalla comunicazione diffusiva tra culture, ma che invece dipendano da quel che ha già
detto tante volte, dall’osservazione di fenomeni simili, dalla materia.
Per concludere su questo capitolo vi fornisco io invece delle considerazioni di
commento su maschile e femminile.
Mi pare che questo cap. illustri bene come in diverse culture la polarizzazione tra maschile
e femminile sia presente e ne abiti diversi ambiti.
Per quanto riguarda la riproduzione è bene sottolineare come ovunque (anche in
rappresentazioni diverse del nesso sangue/vita ecc.) il principio fecondante sia
maschile.
Ora riguardo a questo tema possiamo porci delle domande sull’oggi.
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Noi oggi viviamo in una cultura scientifica che sembra aver maggiormente parificato il
contributo maschile e femminile nella riproduzione, l’embrione è infatti il frutto di metà del
patrimonio genetico maschile e metà di quello femminile, o anche mostrato che il rapporto
tra sangue materno e sangue fetale è stretto, ma questo significa che noi ci orientiamo nel
mondo in modo diverso da quello che H ha descritto rispetto alle culture che ha
esaminato?
Pensiamo al linguaggio ordinario:
noi diciamo tranquillamente che gli uomini mettono incinte le donne e che le donne
vengono messe incinte, denotando una polarizzazione attivo/passivo molto netta.
Similmente la donna porta in grembo, da o dona o ridà il figlio al padre. [e per altro il suo
potere è quello negativo di non farlo, di non darlo, come si diceva a proposito del III
capitolo]
Ci sono echi della stessa struttura? C’è una dissimmetria? Funzioniamo anche noi per
preterizione, come direbbe H.?
C’è poi un altro punto importante: Il tema della maggiore attività maschile, del maschio
come agente o motore della riproduzione, si lega al tema del desiderio, che H. non tocca.
direttamente, ma di cui offre tracce.
Sembra che l’uomo essendo l’agente attivo della riproduzione sia anche il soggetto
desiderante, capace di desiderio sessuale, in modo diverso dalle donne.
Esiste il desiderio femminile? È simbolizzato e come?
Questo tema, come vedremo, si lega anche al tema della violenza sessuale maschile.
Che per es. (vedremo molti dei testi che esamineremo) è giustificata proprio sulla base di
una certa caratterizzazione, come naturale, del desiderio maschile di fare sesso, di
accoppiarsi, più che sulla dissimmetria per cui un uomo può obbligare una donna ad avere
un rapporto e fecondarla e la donna no.
Quest’ultima notazione si lega al tema che già menzionavo nella lezione scorsa e che
apre alla lettura del cap. 6, quello per cui il “potere femminile” di generare, viene in
questo quadro ridotto al potere negativo di impedire la riproduzione di cui l’uomo è il
principale artefice, operando negativamente sulle sviluppo del feto in utero o dopo,
quando il nato/a è al seno, secondo un ordine concettuale che è di nuovo fortemente
7
polarizzato. (quindi guadiamo in un modo specifico – concettualmente orientato - a certi
fatti di base).
Ma veniamo brevemente al Cap. 6.
In questo cap., seppure H. discetta sempre sulla tesi che l’origine di credenze e di
istituzioni sociali che non vada ricercata nella traduzione semplice di un’evidenza empirica
immediata, ma nella loro strutturazione in termini di opposizioni di base, la studiosa torna
anche – sia pure indirettamente - sul tema di cui vi dicevo poco sopra.
Il capitolo indaga infatti le credenze e gli interdetti (i divieti) che ruotano attorno alla salute
del neonato allattato al seno, che può essere minacciata dal ritorno delle mestruazioni
materne (il “cattivo odore”), e/o dalla ripresa delle attività sessuali.
Qui H. mostra (ma vedete i dettagli sul testo) come a partire dai trattati medici Accadici del
VIII o VII secolo a.C. per arrivare ai trattati medici francesi del 1500 o del 1800, risulti
costante la considerazione della rischiosità per la salute del neonato della ripresa delle
mestruazioni della donna (madre o balia) che lo allatta o della sua ripresa dell’attività
sessuale.
Il tema che H. discute più direttamente, come accennavo più sopra, è che questo tipo di
considerazioni non traducano immediatamente il fatto empirico che la possibilità di un’altra
gravidanza impedisca la lattazione e quindi privi il neonato del nutrimento necessario, ma
si inseriscano invece nella più ampia rappresentazione della meccanica degli umori
corporei, basata ancora una volta sull’opposizione caldo/freddo, e quindi risultino dal
rischio del mescolamento di umori che non vanno mescolati (pensate anche alle
prescrizioni ebraiche circa cosa si può mangiare o cuocere nelle stesse pentole, o pensate
anche a quanto ancora viene detto su cosa deve mangiare una donna che allatta).
Rispetto a questo tema H. arriva alle stesse conclusioni già viste, si veda l’ultimo
paragrafo a p. 117/118: trova temi invarianti, elementi organizzati in una struttura logica
comune, e preterizione.
Ma tra le righe, per es, a p. 118, si coglie come tutto questo rimandi di nuovo alla
questione della relazione tra i sessi.
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Infine, ancora più tra le righe, si può leggere un rimando al tema che vi dicevo circa il
potere femminile rispetto alla generazione.
Appare chiaro infatti, anche da questi esempi, come questo “potere” possa prendere, al
più, la forma, pur temibilissima, dell’avvelenamento da parte della donne del frutto della
fecondazione maschile. Avvelenamento che può avvenire o perché la donna riprende a
mestruare, o perché (come dice a p 112, II° cp) essa “è incapace di rifiutare” i rapporti
sessuali col marito.
Qui di nuovo ci troviamo confrontate da una parte con la rappresentazione della
pericolosità femminile, ma anche con l’idea che questa si esprima non per una piena
volontà (o soggettività femminile), ma piuttosto per la sua debolezza o imperfezione.
La donna può di fatto molto poco, in questo tipo di simbolizzazioni. Infine, di nuovo
emerge il tema del desiderio, che è maschile, che al limite è compito femminile rifiutare.
Qui di nuovo ci troviamo confrontate con l’attività maschile e la passività femminile, con il
desiderio maschile (ripensate a Platone) che si lega alla capacità fecondante maschile ma
anche al tema della violenza sessuale (su questo si tornerà).
Per ora ci fermiamo, qui.
Con questo capitolo si chiude questo gruppo centrale di capitoli, nei prossimi due H. si
confronterà più direttamente con la rappresentazione del maschile (e quindi del femminile)
per poi venire a condirezioni sull’oggi delle società occidentali e a considerazioni
conclusive.

LEZIONE 10

Riepilogo e domande: Non ci interessa il punto di vista descritto quanto piuttosto ci


interessa assumerla come fenomeno umano con la quale interpretazione ci confrontiamo. E’
legato in modo particolare a come un ordine umano si proietti e diventi un universale
umano, che non si spiega solo su una base fattuale, e dal punto di vista della natura è cultura
e dall’altra parte è qualcosa che si dà stabilmente e ci abita profondamente. Il luogo in cui si
colloca questo universale che ci abita in modo radicato, dunque è difficile scardinarlo; il
punto importante della tesi di Heritier è la dimensione di struttura profonda di questa
valenza dei sessi che ci costringe a funzionare in un certo modo.
Spiega capitolo 7 8 e 9 dove torna sulla riflessione maschile-femminile dovuta alla
rappresentazione e simbolizzazione del corpo umano rimanda ad una stessa visione di fondo
che si basa su alcune opposizioni di fondo come caldo-freddo, umido-secco.
Parte da uno studio etnologico, fino ad arrivare a queste differenze. Si possono tenere
insieme i tre capitoli perché si ha un passaggio di temi che va dalla rappresentazione e
generazione umana, e anche quella della nascita di individui di sesso diverso, al tema della
virilità, ossia come gli uomini difendono la capacità di procreare e che da uno status sociale
specifico.
Settimo capitolo: struttura attorno una disputa interna tra antropologi, forse poco
interessante. Illustrazioni che sono argomento centrale che si muove attorno alla domanda
del perché una figura che rappresenta l’umano, tagliato a metà, si trovi in diverse culture.
Pag 120 è un’immagine stabile, che si trova con la stessa forma e struttura, è una sorta di
istituzione o motivo ricorrente ed invariante, un modo universalmente diffuso di
rappresentare l’umano.
Un antropologo dà la sua visione: una forma stabile di rappresentazione che non ha nessun
motivo necessario che costringa gli uomini a rappresentarsi così, è una forma archetipica
che trova il suo senso non in un senso necessario o biologico, ma si struttura e dà senso nella
dimensione dell’ordine simbolico, dunque è una forza psichica che rimanda al nostro modo
di strutturarci per cui questa immagina ha eco e forza. E’ una rappresentazione che è passato
ed evoluto da cultura a cultura. Ha avuto molta diffusione perché una cultura l’ha copiata
dall’altra.
Secondo Heritier non è sufficiente questa spiegazione, non dice da cosa dipende e dove fa
presa, su che cosa fa presa questa figura. L’idea di Heritier è capire questa rappresentazione,
che ogni cultura ha elaborato di per sé, e quindi bisogna fare ulteriori studi; ella arriva alla
conclusione che questa rappresentazione è la rappresentazione della differenziazione dei
sessi. Si sofferma su due materiali forniti dall’antropologo (ci sono sul libro) La storia di
Silai è figlio dei primi uomini sulla luna, nasce mostruoso nel senso che nasce a metà,
dovuto al fatto che il padre non ha potuto aggiungere l’altra parte perché non ha potuto
avere rapporti con la moglie incinta e non poter aggiungere sperma, calore e sangue. Altra
storia, una donna vuole procreare da sola e viene colpita da un fulmine e viene divisa in due
parti, una maschile ed una femminile.
Heritier vede questa rappresentazione di corpi umani a metà ha a che fare con il tema della
sessualità, e della differenza dei sessi. La stessa esigenza di dar conto dei due sessi è quella
che rintraccia nella narrazione di Platone del Simposio, in cui vengono divisi gli uomini.
Heritier ci sta suggerendo una prima tesi: la presa psichica, la diffusione di questa figura,
non è legata ad un segno particolare di cultura in cultura, ma piuttosto è dovuta al rimando
all’interesse primario degli esseri umano che è quello di spiegare la differenza dei sessi, è
questo che caratterizza la pregnanza di queste figure. L’umanità è dimezzata perché vi è una
metà maschile ed una femminile.
Questa metà di essere umano è una metà di sesso maschile. L’uomo fornisce la forma
umana alla materia informe prodotta dal corpo femminile, solo grazie all’azione maschile si
genera questa creatura e quando è perfetta dà forma ad un individuo di sesso maschile.
Queste figure rimandano al tentativo di simbolizzare elementi naturali come la differenza
dei sessi. Heritier propone altre immagini e miti di molte culture legate alla figura maschile,
che sta in equilibrio su un solo piede e con una sola scarpa che la portano a ragionare
intorno al fatto che tutta questa serie di rappresentazioni di miti riguardano la forza
maschile, che è forza di generare, forza del calore che non va disperso, stare col piede per
terra è leggibile con lo stare in contatto col calore della terra. Emerge l’idea che il maschile
sia l’elemento fondamentale nella generazione ma il potere di generare gli uomini lo devono
conservare, devono stare in equilibrio. Potenza maschile diviene una costante che Heritier
vuole mostrare. Questo stesso tema si ha nei due capitoli successivi.
Capitolo 8: Teoria aristotelica della generazione, che rientra perfettamente in questo
schema. L’uomo è caldo, brucia il sangue che diventa sperma, poi soffio vitale; la donna è
fredda e viene cotta-mossa, solo grazie al movimento dello sperma maschile. Abbiamo una
polarizzazione, il maschio è potente e la donna inerte, la stessa polarizzazione si ha a livello
di nascite, Aristotele si chiede se il maschio, con lo sperma, dona la sua forma allora come è
possibile che nascano femmine o che il nascituro può assomigliare alla madre? Questo è
spiegato con la debolezza del contributo maschile. Se il calore o il movimento che viene
generato non sono sufficienti, così nascono le femmine. Le donne nascono da un difetto del
padre, e sono in sé difettose, frutto di una mancanza, sono imperfette. E’ un errore utile
perché le donne servono per altra procreazione di uomini. [Anche Platone afferma che
quando l’uomo vuole replicare se stesso, avrà rapporti con uomini per generare pensieri, ma
quando vorrà procreare la specie si accoppierà con donne.] L’unicità del desiderio è
maschile, la donna non desidera niente perché inerte (ecco perché spesso vi è violenza sulle
donne), Heritier ci aiuta a pensare che tutto questo non è un dato di fatto ma è una
costrizione che sta dentro queste logiche; in Aristotele vi è solo il potere maschile di
generare.
Nella popolazione Zambia, le donne hanno un recipiente per raccogliere il seme.
Gli inuit il sesso alla nascita non è rilevante, solo l’anima nome caratterizza l’individuo,
bimbi considerati di sesso femminile, alla pubertà il bambino però riacquista la sua identità
sessuale maschile e questa identità è definita nella forma di essere capaci di azioni che
definiscono la potenza maschile.
Capitolo 9: celibato un uomo non ha rapporti sessuali che va differenziato dal celibato
secondario, dove i vedovi vengono obbligati. In alcune culture cattoliche, questo elemento
va non soltanto con la mascolinità, anche le suore sono nubili, mentre in altre culture questa
figura viene vista diversamente. Questa figura rimanda alla differenza dei sessi perché le
diverse figure del celibato rimandano alla stessa polarizzazione. Alcune vite prive di
rapporti sessuali (preti o sciamani) sono figure di rilievo e di potere, che solo l’uomo
maschio che non si presta alla generazione può avere, mentre figure di celibato come le
suore non hanno la stessa potenza anzi, matrimonio con Dio e soggezione al maschile
divino.
In culture primitive invece troviamo che l’uomo celibe è disprezzato, oggetto di
denigrazione, oggetto di malefici e pericoloso ma questa figura tende socialmente essere
risolta attraverso il matrimonio per eliminare l’essere celibe, addirittura poteva sposarsi da
morto. Il celibato porta ad una dimensione o di superpotenza o di disprezzo che però viene
rimediato con il matrimonio. Le donne nubili invece non hanno posizione sociale positiva,
poche volte hanno figura di sacralità, ma spesso sono considerate streghe malefiche oppure,
in alcune culture alcune donne vedove, che non hanno più una vita sessuale, viene permesso
di vivere una vita senza rapporti con gli uomini ma quelle donne devono sviluppare tutte le
facoltà degli uomini (cacciare, sopravvivere) un nubilato femminile che si mascolinizza.
Tornando al suo elemento combinatorio, importante sono le assenze. Anche qui si può
notare un’assenza, ci sono uomini soli che però possono essere soli, altre che disprezzano
l’essere senza figli, mentre le donne sono disprezzate o fatte diventare mascoline. A nessun
uomo è consentito di vivere una vita da donna, mentre alcune donne devono
mascolinizzarsi. Un ambito del privato è sempre femminile.
Questo serve ah Heritier a mostrare la differenziazione dei sessi ma anche ad aprire uno
spiraglio sugli ultimi capitoli in cui parla degli schemi che ancora oggi viviamo.

LEZIONE 11

Ultimi tre capitoli.


Capitolo 10 e 11: nuovi modi di procreare.
Heritier scrive nel 96, un momento in cui si sta diffondendo la tecnica di procreazione
assistita. La prima caratteristica di queste tecniche è potersi riprodurre senza passare per
l’atto sessuale (inseminazione), o attraverso una tecnica più complessa ossia la fecondazione
artificiale, si ottiene una fecondazione attraverso sperma e ovociti, e poi vengono inseriti
nell’utero. Inoltre si possono scegliere sperma e ovociti. All’inizio di questo sviluppo c’è
stata una grande discussione, serviva ad ovviare la sterilità di coppia.
Queste tecniche avrebbero avuto un carattere deleterio per le famiglie?
Heritier riesce a mostrare questa tesi a partire dalle tecniche di procreazione assistita? Beh
perché ci si chiedeva se questa rivoluzione biologica avrebbe avuto degli esiti sociali
importanti; Ella spiega che se noi pensiamo alla filiazione, noi vediamo che il cambiamento
a livello tecnico di come si ottenga la filiazione non è importante, essere figlio di ed essere
riconosciuto come figlio di non ha a che fare col piano biologico, ha a che fare più che altro
sul piano sociale e che sono basate sulle opposizione maschio-femmina. Non ci sarà alcuno
sconvolgimento sociale.
Prova a mostrare come dal punto di vista sociale, non c’è nulla di nuovo che venga dalle
nuove tecniche di procreazione medicalmente assistita, sicché sono esse stesse tecniche
ideate per lo sviluppo. Heritier ci mostra che tutte le società, anche quelle non tecnicamente
avanzate, hanno comunque sempre risolto i due problemi che sembrano muovere i problemi
sulle nuove tecniche riproduttive. Servono a ovviare la sterilità maschile e femminile e un
altro problema che affronta è la differenza tra figli legittimi e figli naturali (basta pensare
agli studi nel Burkinafaso dove una donna prima di sposarsi viveva tre anni con un uomo, ci
faceva un figlio poi poteva sposarsi). Ciò che potrebbe cambiare il nostro concetto della
filiazione non riguarda le tecniche di procreazione, ma l’ideare una serie di bambini, i
bambini dello stato, una sorta di utopia ovviamente. Tutto questo per poter dare una progene
all’uomo. La logica che abita le società tradizionali, struttura le nostre società; Heritier
sostiene due tesi che ha già sostenuto, non vi è una connessione diretta tra biologico e
sociale e né questa concezione sociale apporta modifiche al binarismo di genere.
Non si tratta di desiderio, quanto di doverosità di discendenza. Gli esseri umani devono
riprodursi, questa è una struttura sociale che in seguito abbiamo trasformato creando anche
l’amore romantico, ma la cosa principale è la riproduzione, non è desiderio ma dovere di
avere una progenie, nelle donne invece non è un dovere avere figli ma ha il dovere di dare
figli. Maschi dovere di procreare, donne dovere di dare un figlio all’uomo che deve
procrearsi.
Capitolo 11: affronta precisamente le tecniche di riproduzione medica assistita. Noi
discutiamo di procreazione, a partire dai desideri e dalle libertà degli individui, una libertà
che non esiste poi effettivamente nella realtà.

Pag 195 non è un pregiudizio, non si ha la modificazione attraverso alcune strutture sociali.
Bisognerebbe conoscere la struttura profonda per sovvertirla. Per mostrare la permanenza
della rappresentazione differenziale dei sessi, nel paragrafo le donne sono individui, affronta
il tema del riconoscimento al diritto al voto femminile, un diritto avvenuto dopo la seconda
guerra mondiale. Si chiede che le donne siano uguali agli uomini o che si dia valore alle
donne. Si chiede il diritto al voto in nome del valore femminile, ma così non si fa altro che
rafforzare l’esclusione femminile dalla sfera pubblica, in quanto sono rappresentati di un
altro ambito ossia quello domestico. In Francia invece si ottiene nel 44 il voto femminile in
nome dell’uguaglianza di uomini e donne ma neanche qui si ha una promozione delle donne
in quanto in realtà questa uguaglianza non è riconosciuta e soprattutto se donne e uomini
sono uguali allora non c’è bisogno del voto femminile perché sarà uguale a quello maschile.
Heritier svolge due tipi di considerazioni diversi:
Che considerazione si dà alle donne
Come consideriamo l’ascrizione di potere

Che tipo di potere è lasciato alle donne in questa rappresentazione? Nella valenza
differenziale vi è l’idea che le donne non siano pienamente agenti, non fanno qualcosa ma il
mezzo attraverso cui qualcosa viene fatto, ma proprio per questa conformazione. Si può
distribuire il potere in modo egualitario? Che le donne possono fare?
Heritier sembra essere titubante, in quanto c’è molta difficolta nell’agire in una struttura
così profonda. Se guardiamo alla storia dell’umanità i progressi sono molto limitati, certo
hanno guadagnato diritti e qualche libertà, ma in realtà questa ascrizione di potere non si è
sconfitto.
Il piano su cui lavorare è il piano delle rappresentazioni.

Tre input dal testo di Bourdeau in cui emerge


Paradosso della doxa ossia adesione ad obblighi del mondo che viene assunto da tutti e
rispettato, un ordine che ha rapporti di dominio, dominio maschile, sottomissione femminile
alla violenza maschile. Perché si aderisce a questo che è ingiusto e scomodo?
Antropologia può aiutare a far emergere l’elemento di naturalizzazione, ossia come non sia
naturale questo ordine ma sia naturalizzato.

LEZIONE 12

Preambolo di Bourdeu: un uomo può parlare dell’oppressione femminile?


Nato nel 1930, morto nel 2002, è una figura di rilievo nella sociologia. Il confine tra
sociologia e filosofia è molto labile, infatti ci sono molti riferimenti a Kant, Laibniz, e
prosegue anche attraverso studi etnologici. I suoi studi si basano sull’analisi della
riproduzione delle gerarchie sociali, come mai nelle società di producono queste gerarchie e
rapporti di dominio.
Indicazioni di massima: nel riflettere sulle società, Boudieu, si muove in schemi materialisti
e deterministi. Schemi in cui gli attori sociali sono condizionati e determinati da strutture
che ne condizionano le scelte (la struttura determina le scelte degli individui). E’ originale il
modo in cui l’autore espone il condizionamento del soggetto da parte della struttura, infatti è
più interessato di altri, non al mutamento della struttura ma al versante soggettivo dello stare
nella struttura, l’impatto soggettivo di stare in una società. D’altra parte caratterizza una
struttura simbolica; la dimensione simbolica sul dominio poi, è al centro della sua opera.
La dimensione simbolica di Bordieu, è molto specifica. Una delle forze che muove la
società è un capitale, ma non un capitale di denaro, mezzi, né culturale ossia il sapere, in
realtà il capitale che muove e struttura il sociale è un capitale simbolico: la possibilità
di avere relazione sociale, di avere credito, di essere oggetto di fiducia, essere considerato
onorevole. Gli altri riconoscono quella persona come degna di attenzione, riconoscimento,
rispetto è un capitale simbolico fondamentale, comporta ovviamente ricchezze, agio e
potere.
Il capitale simbolico dipende dal riconoscimento di tutti di un simbologia per cui ci sia il
concetto di onore. Alcune caratteristiche come degne di riconoscimento e degne di rispetto.
La vita sociale è strutturata su questa simbologia e costringendoli a stare in posizioni
diverse, ma le reti simboliche agiscono sugli individui e gli uomini sottostando a queste le
mantengono vive, queste vivono finché tutti le riconoscono. Gli individui nascono e si
muovono dentro queste strutture simboliche mantenendo questa stessa struttura, una
struttura che sembra stabile perché è costantemente ripetuta ma dipende dagli individui;
L’habitus è il modo in cui tutti noi siamo abitati dello status simbolico: come funziona?
Il sistema simbolico non produce semplicemente categoria mediante cui vediamo il mondo,
agisce in modo più profondo in cui determina il nostro stesso modo di agire e stare nel
mondo, è il modo in cui ci disponiamo, percepiamo noi stessi, il mondo e la nostra stessa
possibilità di postura ed azione, che è frutta di questa struttura simbolica. E’ legata alla
struttura pratica, ai modi di muoversi, il modo di parlare.
Bourdieu è il primo a mettere a tema un atteggiamento autoriflessivo e critico. Descrive
scientificamente, in modo oggettivo, ciò nonostante egli è consapevole di essere immerso in
queste strutture e dunque anch’egli condizionato da esse.
Il dominio maschile è una forma di autoanalisi di un maschio potente che si autocritica,
parlerà del femminile e si chiederà se ha il diritto di farlo, e risponderà anche di sì.
Fine introduzione.
Il dominio maschile è il prototipo di questa dimensione assurda, non dipende da nessun fatto
naturale ma è considerato tale, anche da chi è in una posizione meno tollerabile. Il modo di
funzionare di questo dominio è dolce, nel senso di subdola, invisibile che non si impone con
la forza della costrizione ma ci abita determinando i nostri stessi sentimenti. L’ingiustizia
viene vissuta come un destino e vi si aderisce senza mettere in discussione; una condizione
sociale ingiusta però, è sostenuta da tutti: da cui ha pieno vantaggio e da chi invece è in
chiaro svantaggio, basta pensare alle donne.
Boudieu parte da studi etnologici e fa accenno alla società dei Berberi della Cabilia, in
Algeria, qui si riesce a cogliere la dimensione simbolica del dominio maschile (pag.9).
“Biologizziamo il sociale” difficile da sradicare.
Pag. 13 Bisogna ricercare le categorie dell’intelletto di Kant per comprendere il mondo,
bisogna capire quali sono gli strumenti dell’intelletto e le categorie dell’incoscio collettivo
che proiettano il dominio dell’ordine maschile.
Passaggio a Durkaim, per Durkaim le categorie non sono degli innati a priori ma sono
sociali, costruzioni, quindi cerca le forme di classificazione sociale.
Pag. 17 Non ricerca strutture dell’intelletto né cognitive, Bourdieu cerca gli habitus che ci
segnano.
Eco di Heritier, parla delle differenze dei corpi (pag.15 e schema a pagina 19 delle
opposizione già viste ampiamente con il volume precedente di Heritier). La differenza dei
sessi non è un dato di natura, è una simbolizzazione che ci permette di vedere la differenza
maschile-femminile in modo significativo. Bourdieu qui introduce la nozione di Habitus,
uno schema di percezioni e che diventa anche uno schema corporeo.
La corporeità è costruita nel suo darsi dalla simbolizzazione. La femminilità si esprime
all’opposto di ciò che viene riempito che non può gonfiare e ciò che è permeabile e corpo
che non può parlare pubblicamente. L’uomo invece ha un pene che si erge, si gonfia, e ha
dominio.

LEZIONE 13

Piedi fasciati in Cina, burqua in occidente, tacchi alti in occidente portano alla costrizione
delle donne a camminare meno, sembrano far diventare naturale la sottomissione delle
donne.
Anche il maschio deve fare un processo di ammaestramento verso il proprio corpo, un
processo di virilizzazione, attraverso la separazione forzata con il femminile materno. In
entrambi i casi è un lavoro psico-somatico che sono l’una la negazione dell’altro.
La virtù femminile è quella di Hume: castità e modestia, non c’è nulla da mostrare se non
ciò che è nascosto diventa prezioso e che deve essere posseduto dall’uomo per il suo onore.
Postura uomo: dritta, avente diritti; postura donna: curva, morbida, inetta. Anche il lessico
va cambiato, perché spesso vi è per le donne una diminuzione: professore, professoressa in
diminutivo, come a voler disprezzare ma ciò non basta.
Pag. 40, le donne possono solo diventare ciò che diventano secondo la ragione mitica, le
donne possono diventare solo donne, condannate ad essere il secondo sesso, sminuito e che
però mantengono dando la possibilità agli uomini di sentirsi superiori. Sia donne che uomini
non vedono questa inculcazione, e la abitiamo. Perfino l’intuito femminile è semplicemente
l’intuito del dominato che essendo tale può prevenire i desideri del dominante.
Pag 43 Bourdeu cerca di individuare degli schemi pratici che risultano ai singoli come già
dati e trascendenti ma in realtà sono concezioni storiche che si colgono come trascendentali,
non si tratta di schemi che sono degli a priori, ma sono storici che però influenzano il
comportamento degli individui.
La violenza simbolica non vuol dire una violenza che si pone fuori dalla realtà, simbolico è
anche reale, la violenza simbolica costringe forzatamente i corpi ad esprimersi in un certo
modo, si spiega perché gli uomini possono usare la forza e anche dove gli uomini non usano
forza fisica sulla donna non vuol dire che non stiano usando violenza. Il dominio maschile è
simbolico ma permette anche la violenza fisica.
Pag 45.
Pag. 52.

LEZIONE 14

Riepilogo: nozione di Habitus, habitus differenti sono il prodotto del dominio maschile ma
sono anche la conferma della validità del dominio maschile, con questo andamento circolare
che Bourdieu ha spiegato (meccanismo causa-effetto) per cui la causa prima, la
strutturazione sociale che premia o si permea sul dominio maschile è invisibile, mentre
visibili sono i suoi effetti che sembrano giustificare questo dominio.
Violenza: violenza dovuta ad un dominio maschile, non è violenza fisica anche se viene
giustificata, ma la violenza simbolica produce l’adesione dei dominati al punto di vista dei
dominanti. Un’adesione sentimentale e corporea e che si regge sulla ripetizione di un unico
punto di vista nel mondo. Il dominio maschile rende possibile una sola visione del mondo
che preme a pochi individui, ma a cui aderiscono sia coloro che vincono che coloro che
perdono. Per capire il dominio maschile, bisogna agire sugli Habitus degli individui non
sulle cosciente soggiogate da questa struttura.
Fine riepilogo.
Le donne sono simboli che servono ad accrescere il capitale simbolico degli uomini, questo
capitale vale solo se tutti leggono quel simbolo come degno di valore. Perché l’asservimento
femminile possa essere utile per il singolo uomo, deve essere riconosciuto per tutti gli
uomini.
Le disposizione che gli uomini si trovano a produrre, li porta a questo tipo di posizione e
quindi a cercare capitale simbolico, cosa che nelle donne non accade, e dunque accettano di
non essere detentrici di questo capitale simbolico se non attraverso l’uomo a cui si legano.
Sono proprio le donne che spiegano la subordinazione femminile.
Pag 56/57 gioco immateriale, si regge sulla condivisione delle sue regole stesse. E’ un gioco
simbolico che considera alcuni vincenti, dunque le donne vengono vincolate.
Pg. 59 ciò che fa un uomo, l’uomo il raggiungimento di tutti i doveri verso se stessi. La
virilità ha un costo che pagano i maschi. Le donne vengono sottomesse, si addestrano a non
parlare, intervenire, postura modesta; anche gli uomini sono subdolamente vittime di questa
struttura subordinante. Così come non c’è nulla di naturale nella sottomissione femminile, è
solo frutto della società, così non c’è nulla di naturale nello status del Vir ma è un dover
essere, una virtù che si impone come naturale. Il privilegio maschile è una trappola, ogni
uomo deve sempre affermare la loro virilità, devono essere sempre all’altezza delle
circostanze che solo a loro vengono proposte. La virilità è un destino, un ideale sempre in
gioco e sempre smentibile, basta un piccolo errore e si perde il proprio capitale sociale;
richiede un lavoro costante. Le donne sminuiscono, anche quando vanno fuori dal loro
addestramento, ossia agiscono in modo differente, vengono ricondotte al loro essere
inferiore, streghe, isteriche mentre gli uomini devono ripartire da zero, dimostrare
nuovamente di essere virili, agonisti, vincere sugli altri. Per essere uomo devo essere capace
di usare la violenza o simbolica o fisica, attraverso prove collettive di coraggio per non
essere femminili, essere virili è anche la capacità di resistere alla sofferenza e soprattutto
resistere ad infliggere sofferenza agli altri.
II Capitolo
Riporta queste tesi alla riflessione che noi stessi possiamo fare nella nostra società.

LEZIONE 15

Si lascia guidare dal saggio di Virginia Wolf basate sui rapporti di dominio maschile.
Chi prova a comprendere il dominio maschile spesso resta impigliato nelle strutture di
dominio.
Eternizzazione, come mai ci appare eterno quello che invece ha descritto come effetto
storico, non naturale. Bisogna lavorare sul lavoro storico di destoricizzazione, così da dare
per naturale il lavoro della struttura di dominio, bisogna quindi contrastare il lavoro di
destoricizzazione, ossia portare a visibilità la storia della creazione e ricreazione delle
strutture soggettive e oggettive delle strutture di dominio, ideata da quando esiste la storia
umana. Vi è un effetto di ripetizione delle strutture del dominio maschile. Bourdieu è
interessato alla storia degli agenti che concorrono per la concorrenza del dominio maschile.
La stessa struttura può prendere forme diverse, effetti di superficie diverse, ma la struttura di
potere è la stessa, simbolizza solo dimensioni diverse ma di fatto rimandano al dominio
maschile. La soggezione femminile può essere sia esclusione dal lavoro pubblico, sia in
altro, dunque non bisogna focalizzarsi sull’inclusione o meno della donna, ma guardando la
struttura soggiogante.
Sistema di divisione che genera i generi e le pratiche sessuali, la selezione
dell’eterosessualità come unica permessa e che inevitabilmente riversa il dominio di questa
struttura. Sono schemi che incorporiamo perché sono sempre ripetuti.
La chiesa rafforza la struttura del dominio maschile perché inculca esplicitamente alcuni
contenuti che rafforzano la percezione di sé e del destino femminile o maschile, rispetto ai
ruoli del maschile e femminile, ma anche implicitamente dal simbolismo della liturgia, le
chiese, i templi, il modo in cui si sta nella chiesa (prima le donne si coprivano il capo), ha il
volere di riconnettere il dominio maschile anche alle dimensioni cosmologiche, vi è sempre
un legame a livello di identità sessuale, pratiche sociali e cosmologia.
La scuola anche rafforza la struttura, ma anche il luogo dove si potrebbe agire.
Il dominio maschile non si impone più con l’evidenza di ciò che è ovvio, non diamo più per
scontato questo dominio, deve essere affermata ma giustificata. Questo cambiamento si è
potuto avere grazie alla condizione femminile che ha potuto lavorare sulle disposizioni e
habitus, quindi si è potuto avere un influsso minore di questa struttura, i cambiamenti
visibili celano permanenze nelle posizioni relative, cosa vuol dire? Che seppur vi sono
spostamenti di ambiti che posso essere agibili al femminile, non vuol dire che la distanza del
maschile e del femminile siano colmate, per esempio alcuni ambiti sono di prerogativa
maschile come meccanico, idraulico, mentre ambiti delle donne vengono abbandonati dagli
uomini. Le donne hanno la caratteristica comune di essere separate da tutte gli uomini da un
coefficiente simbolico negativo, che come il colore della pelle, connota negativamente tutto
ciò che esse sono o fanno, ma sono poi separate le une dalle altre in base alle condizioni
economiche e culturali, così il dominio maschile risulta invisibile.
Riepilogo: ampia serie di trasformazioni sociali avvenute grazie a cambiamenti politici
come manifestazioni femministe, lesbismo, ma secondo Bordeau la struttura del dominio
maschile abita ancora profondamente l’uomo, e la società. Viene rafforzato dalla famiglia,
scuola, chiesa e società in generale. Un fattore principale sia da rintracciare nell’economia
dei beni simbolici, fattore determinante, di cui il matrimonio (unione legittima di un uomo e
una donna) costituisce l’elemento fondamentale; è bene notare come Bourdieu spiega come
l’economia dei beni simbolici produca un nesso tra l’esercizio legittimo della sessualità e il
mantenimento del capitale simbolico. Ci spiega infatti che non sono la riproduzione fisica
ma anche la dedizione della donna verso l’uomo sono necessari per la conservazione e
l’accumulo del capitale simbolico ossia il valore sociale di un uomo, stirpe, gruppo che
determina poi l’agio sociale che permette l’arricchimento materiale.
Bourdieu riprende il ruolo delle donne nella difesa e promozione degli interessi materiali
della stirpe, degli uomini, e come questo le assoggetta a questi interessi. Questo ruolo non è
soltanto il procreare figli (per contadini la ricchezza è avere tanti figli, in altri contesti no,
quindi è relativo), ma di un ampio lavoro riproduttivo e domestico, lavoro di cura, che non
si chiude soltanto nella cura della casa, nel provvedere al cibo, ma anche attività che
servono a mantenere i rapporti di parentela, sociali, come inviti, feste, mantenere le relazioni
attraverso mail, lettere, tutto il lavoro che serve a mantenere il prestigio della famiglia.
Non si può pensare di cambiare la struttura soltanto attraverso il linguaggio, perché la
struttura simbolica si iscrive nei corpi.
Bourdieu si interroga sull’amore, dopo averci fornito questo quadro abitato da una struttura
simbolica così profonda, amore per l’uomo che ci è stato imposto. Anche l’amore quindi
può essere strutturato, abitati da questa struttura. Può cleopatra affascinare, l’amore può
provocare il rovesciamento del dominio, infatti è condannata la donna seduttrice, esiste la
forza dell’amore che lega uomini e donne e può portare ad un rovesciamento di questa
struttura, può anche essere una risorsa di trasformazione se pensata in un certo modo, non
quando viene letta solo come passionalità, erotismo, innamoramento, ma quando sembra
fargli abbandonare la strategia del dominio. Quando l’amore si propone come tregua
miracolosa, si dà la possibilità di una rottura con l’ordine simbolico androcentrico. Una
rottura non momentanea ma un esercizio continuo per stabilizzare i tratti di un amore non
patriarcale, e si caratterizza attraverso una serie di sue forme come un amore reciproco,
mutuo abbandono e dono di sé, dall’interesse. L’amore puro esiste come qualcosa come al
di fuori dello schema patriarcale.
Dimensione corporea che irrompe nell’amore a scapito della struttura simbolica, non è
consapevolezza la passione amorosa reciproca.

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