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La Società degli altri

Il linguaggio

In una società scandita da limiti, barriere e frontiere, il linguaggio è la base della questione degli stranieri, degli "altri".

La lingua è, oltre alla maggior condizione di appartenenza, anche l'esperienza dell'espropriazione: essa ci appartiene, ma
allo stesso tempo tende ad allontanarsi da noi.

Nonostante la lingua inglese sia la lingua internazionale, la lingua dei mercati, quella che ci consente di effettuare
scambi, esistono moltissimi termini appartenenti a lingue nazionali difficili o addirittura impossibili da tradurre.
Nonostante l'importanza dell'inglese, le lingue locali continuano a vivere, svolgendo l'importante compito di portare
l'identità delle varie nazioni.
Tradurre significa ospitare, ma senza pretesa di assimilazione od omologazione. La differenza tra le lingue e la loro
molteplicità non deve scomparire - al contrario, deve essere mantenuta: essa è l'essenza dell'ospitalità.

L'ospitalità può essere vista come uno spazio linguistico, all'interno del quale mantenere e proteggere le differenze
linguistiche. La lingua è ospitale: essa diventerà ciò che noi ci aspettiamo da lei - aspettativa che può sempre rimanere
delusa. Siamo quindi anche ostaggi del linguaggio.

Le condizioni di un'inclusione ospitale


Mai come ora, in un paese sempre più etnicamente frammentato, la questione dell'integrazione sociale sembra causare
conflitti a livello giuridico, etico, religioso non semplici da risolvere.

Appare più che urgente una riformulazione etica del problema dell'integrazione tra estranei - integrazione che trova nel
diritto sia un rifugio che un limite.

Questo perché, al contrario dell'economia - indipendente da confini fisici e giuridici - il diritto ha bisogno di stabilire
confini, ha bisogno di essere localizzato: è proprio il tracciamento di un confine che distingue il residente dall'estraneo,
disintingue il dentro dal fuori.

Sembra finalmente avviarsi un processo di sconfinamento del diritto, dello spazio giuridico - un processo di
"allargamento" delle frontiere; è proprio nella società odierna, in cui vige l'estraniazione, che possiamo più facilmente
cogliere i tratti fondamentali dell'etica.
Paradossalmente, per pensare ad una riforma della dimensione essenziale dell'etica, è proprio dalla condizione di esilio
che dobbiamo partire, dalla condizione di stranieri all'interno della nostra stessa dimora.

L'ordine dello scambio economico


Con la progressiva perdità della centralità economica, l'occidente sta anche perdendo la sua centralità culturale.
Oggi i flussi migratori e i rapporti tra estranei sono prevalentemente regolati da interessi economici, e non culturali.

Lo scambio generalizzato va inteso come valore stesso, valore assoluto.


Si passa dal regime dell'alterità originaria al principio della differenza funzionale, dove l'altro diventa diverso - e,
paradossalmente - diventa uguale.

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Sembra vi sia una ragione dello scambio, che riducendo gli uomini a merci, rimane indifferente alla questione
dell'immigrazione e dell'integrazione sociale.
Dietro l'estensione globale, anche noi siamo stranieri, estranei agli altri.

Solidarietà tra estranei


L'ospitalità crea una sfera di incontro tra estranei basata sui rapporti sociali.
Ciò che appare urgente, oggi più che mai, è ripensare l'ospitalità, in quanto il modo di rapportarsi tra estranei si presenta
estremamente decisivo.
Si è provato a risolvere il problema della convivenza tra estranei in due modi: uno provando ad unificare culturalmente la
nazione, e l'altro garantendo sfere di autonomia alle varie culture. In Europa, la sfera dell'autonomia privata risulta
ridotta, mentre nell'ordinamento americano appare più ampia.
Per quanto riguarda l'immigrazione, gli stati oggi devono tollerare l'arrivo di nuovi individui e trovare un modo per
garantire una convivenza pacifica - anche qui, si è tentato di risolvere tale problema in due modi: con una politica delle
pari dignità, basata sulla convinzione che tutti gli individui sono uguali ecc..., ed una politica della differenza, che la
vede non come un fattore limitante ma al contrario una potenzialità da salvaguardare.
Ciò che appare necessario è riogranizzare i rapporti tra gli stati, nell'ottica di una prospettiva cosmopolitica.

Prospettive cosmopolitiche
L'ospitalità riconosce l'esigenza giuridica dell'universale nel comune.
L'altro è paradossalmente l'uguale che fa della sua estraniazione un'identità universale.
Secondo l'apostolo Paolo, siamo cittadini del mondo poiché siamo ospitati nel mondo - siamo tutti residenti e stranieri,
allo stesso tempo, nel nostro universo.
Se per San Paolo era grazie alla religione che si sarebbe potuto creare una comunità universale, per i giusnaturalisti
moderni era invece grazie alla ragione elevata a principio giuridico.
Kant ricondusse il cosmopolitismo entro i margini della legge; sebbene il suo stesso esercizio giuridico imponga limiti e
condizioni alla messa in atto dell'ospitalità, Kant ha elaborato un diritto aperto all'estraneo, all'accoglienza dell'altro - un
diritto probabilmente irrealizzabile.
Il cosmopolitismo va pensato come ordine di una diversità permanente: l'universale società degli altri - degli estranei - in
cui essi condividono universalmente la loro estraniazione.

L'ambivalenza del rapporto tra estranei e l'ospitalità come principio giuridico

Giorgio Del Vecchio, ne "L'Evoluzione dell'ospitalità", spiega come nelle popolazioni arcaiche l'abbandono volontario
del territorio fosse visto come una violazione degli obblighi del singolo verso la comunità, la quale si difendeva
ostacolando il soggetto, sopratutto dal punto di vista patrimoniale.

Lo straniero era privo di protezione giuridica - egli era fuori dalla legge, in quanto fuori dalla propria comunità.

Nelle società primitive, a solidarietà meccanica, l'ospitalità si presentava come beneficio spontaneo nel compimento di un
obbligo religioso. Con lo sviluppo dell'economia, l'ospitalità acquista invece un valore e diventa un negozio: al carattere
religioso si sovrappone quindi quello giuridico ed è così che lo straniero si trova sotto la tutela dell'ospite.

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Giunti a queste condizioni, era ormai molto forte l'esigenza di un riconoscimento pubblico degli stranieri.
Se Kant considerava l'ospitalità in un'ottica giusnaturalista, come riconoscimento di un diritto naturale, per Del Vecchio
questo diritto è ormai dato quasi per realizzato.

Il paradosso: al termine della sua evoluzione, l'ospitalità scompare con il suo significato originario - non ci sarà più infatti
bisogno dell'ospitalità, perché questa può esistere fin quanto esiste lo straniero. L'ospitalità, al termine del suo tragitto
evolutivo, diventa una funzione del diritto internazionale.

I sociologi che si trovano ad affrontare il tema dell'integrazione sociale ai tempi della globalizzazione, non parlano più di
ospitalità, in quanto credono che l'ordine dello scambio economico possa risolvere ogni problema di integrazione tra
estranei. Le cose in realtà non stanno così: la razionalizzazione degli scambi e dei processi capitalisti ha invece
alimentato le disuguaglianze sociali e ha favorito guerre imperialistiche.
L'ospite è insieme l'hospes e l'hostis.

Per Kant, la questione coincideva con la necessità di ripensare un regime universale di libertà che potesse considerare gli
uomini secondo un unico principio: il principio di Ragione.
Kant voleva conciliare la fede storica con una fede religiosa pura. Il discorso kantiano è di ordine morale ed il problema
religioso viene sciolto in riferimento alle imprescindibili esigenze dell'etica.

La società degli altri

Contestualmente all'inizio dell'industrializzazione, si verifican l'affievolirsi dell'autosufficienza individuale. Le società


iniziano ad essere percepite come un sistema di nessi funzionali e le relazioni assumono un aspetto autonomo.
Ogni individuo inizia a diventare sempre più dipendente dagli altri individui.

L'esistenza individuale diventa sempre più dipendente dall'organizzazione sociale.


L'individuo è in realtà una mera astrazione: ciò che ci appare astratto - cioè il sociale - risulta concreto, e ciò che ci
appare concreto - cioè l'individuo - risulta invece astratto.

Ora, la società in cui viviamo, sembra percerpirsi non come meri membri appartenenti ad un insieme di nessi funzionali,
bensì come estranei.

L'alterità si intende come estraneità irriducibile, ma il significato che noi le attribuiamo dipende dalle relazioni in cui essa
si colloca.
La qualificazione morale e culturale dello straniero, dipende anche dai modelli di integrazione sociali, dipendenti a loro
volta dai sistemi poltitici ed economici.

Il problema dell'inclusione sociale convoca tutti noi in quanto stranieri, ma anche come coloro, estranei tra estranei, a cui
è affidato il compito di realizzare insieme la società degli altri.

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