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ERMENEUTICA

Ermeneutica è un termine di origine greca, “ermeneia”, che indica l'arte o la tecnica di esprimere,
di comunicare e soprattutto di interpretare.
L'ermeneutica ha una duplice origine storica: nella riflessione greca, è connessa alla comprensione
ed espressione linguistica della verità da parte del Logos; nel periodo medioevale e moderno si
intreccia all'interpretazione dei testi delle sacre Scritture, incrementando la lettura simbolica propria
dell'ermeneutica antica.
Dal punto di vista storico e teorico l'ermeneutica è stata una corrente critico-letteraria, poi una
teologia e una filosofia che ha ruotato sempre sull’interpretazione sino a identificarsi col pensiero
stesso (nell’idealismo moderno). Nei dialoghi socratici Platone, attraverso la figura di Socrate,
presenta una delle più importanti istanze ermeneutiche: la funzione fondamentale che svolge la
domanda nel dialogo. Socrate mostra come il saper domandare sia essenziale per saper interpretare
e il saper comprendere. Nella domanda è già contenuta in qualche modo la risposta che si cerca e il
porre domande conduce l’interlocutore a partecipare alla comunicazione dalla propria prospettiva
sulla verità. Qui in Platone la concezione del primato della domanda è collegata all'interpretazione
del testo: per esempio nel “Fedro” la parola orale ha il primato sulla parola scritta e il testo scritto
diventa esso stesso un discorso che si esprime oralmente. Il testo è un interlocutore vivo nel dialogo
con il suo interprete.
Il testo da interpretare, quindi, non è una realtà inerte, ma realtà viva che pone domande così che
interpretare un testo scritto significa anche capacità di ascolto, un lasciarsi interrogare da esso.
Platone, inoltre, sviluppa una tensione tra tecnica dell'interpretazione e comprensione della verità, in
quanto l'interpretazione di per sé non possiede le caratteristiche della saggezza filosofica: pertanto
essa sola non può trasmettere un vero sapere, in quanto conosce soltanto ciò che è stato detto, senza
sapere se sia vero o meno. La comprensione della verità, invece, è possibile dall'esame dialettico e
critico delle diverse interpretazioni. Sul concetto di ermeneutica peserà per anni la condanna
platonica che ha visto in essa l'indicazione di una tecnica di interpretazione o traduzione incapace di
cogliere l’autentica verità. Cosicché fino all'età moderna si è continuato a distinguere l'ermeneutica
come arte di intendere correttamente le parole altrui, in particolare quelle scritte, e come arte di
accertare la verità sulla base dei dati e delle testimonianze sufficienti.
Schleiermacher è stato il promotore dell'ermeneutica filosofica moderna, introducendo l'analisi
psicologica del testo, per cercare di cogliere l'aspirazione dell'autore, e il genere letterario in
riferimento al contesto storico. In. Dilthey e lo storicismo tedesco l'ermeneutica diventa la logica
propria delle scienze dello spirito, non soltanto interpretazione, ma anche in quanto comprensione
degli eventi e dell'uomo nel mondo.
Con Nietzsche l'ermeneutica si sviluppa come critica che distrugge le certezze e mostra ciò che è
“umano troppo umano”, il nascosto, il non-detto delle idee, in quanto produce la decostruzione dei
modelli di pensiero in corso.
In Heidegger l'ermeneutica diviene la struttura dominante del pensiero e la forma esistenziale
dell'Esserci umano “gettato” nel tempo, chiamato a leggere sé stesso e il mondo a partire dalla realtà
in cui è immerso.
Nell'ambito del sapere pedagogico, l'ermeneutica offre una lettura critica, autonoma rispetto
all'evento pedagogico, senza soffocarne la complessità. L'ermeneutica in ambito pedagogico
rappresenta così una guida illuminante in quanto offre validi contributi per interrogarsi sul
significato autentico dell'educazione.
La pratica educativa di Freud si sviluppa all'interno di circoli di cultura in favore di adulti
analfabeti impegnati per la conquista del linguaggio. L'alfabetizzazione non si limitava
semplicemente all'atto di istruire, quanto alla possibilità di riscoprire sé stessi attraverso la
riflessione critica o a partire dall'analisi della propria esistenza, per tradursi in un processo di
liberazione.
L'educazione diviene quindi mezzo di liberazione quando promuove la coscienza critica dei soggetti
i quali, in un rapporto intenzionale con il mondo, danno vita alla coscienza autentica.
Paulo Freire è stato uno dei più grandi pedagogisti del nostro tempo, che ha saputo restituire il
significato autentico dell'educazione, caratterizzata per la sua capacità liberatrice, ossia capace di
rendere il destinatario della pratica educativa un soggetto autonomo, consapevole, in grado di agire
nella storia per cambiare la realtà sociale in un processo di continua costruzione di una società più
giusta.
Ed è proprio in questo aspetto che risiede la straordinaria attualità della proposta pedagogica di
Freire. La forza attualizzante della sua pratica educativa parte dall'esperienza sul campo attraverso
iniziative educative in favore della classe popolare svantaggiata. In un contesto storico
caratterizzato da conflitti politici, economici e sociali e dalla necessità di liberare le masse povere,
sfruttate e oppresse dal colonialismo, Freire propone un'educazione come pratica di libertà che
matura dalla necessità di restituire la parola al popolo per la conquista dei propri diritti e per la
democratizzazione della cultura in favore delle persone più vulnerabili.
Nonostante il tema dell'educazione come affermazione della libertà risalga a prospettive filosofiche
antichissime, nella concezione freiriana tale principio necessita di circostanze concrete che diano
senso, nel contesto della perenne lotta per la liberazione. E’ questo il significato più profondo che
Freire contrappone all'educazione tradizionale, depositaria, da sempre imposta dalle classi
dominanti per manipolare la massa di analfabeti: l’educazione problematizzante, che non pratica la
manipolazione ma si serve della coscienza degli individui.
Si tratta di una pedagogia che parte dunque dalla sottocultura, e che diviene riflessione, ricreazione
della coscienza, la quale a sua volta non potrà più concepire la vecchia idea di essere oppressa da un
oppressore. Anche Hegel ritiene che nella coscienza risieda la consapevolezza di sé e del rapporto
con il mondo. Freire, seguendo la lezione hegeliana di Marx, scrupoloso osservatore delle
dinamiche sociali, considera l'educazione scolastica depositaria una forma di oppressione, dal
momento che non aiuta i soggetti ad essere di più, “oltre” sé stessi, ma al contrario li rende passivi,
li addomestica: in questo modo la cultura diventa un sistema di nozioni statiche da depositare nelle
menti degli alunni. Il pensiero pedagogico di Freire è illuminante se pensiamo alla metodologia
educativa presente negli attuali contesti educativi. L'educazione deve scaturire dalla relazione tra
insegnante ed alunno, mediata dall'oggetto dell'insegnamento che deve sollecitare lo studente,
invitandolo a partecipare senza metodi autoritari. Qualsiasi pratica educativa non può essere neutra,
essendo necessariamente direttiva ma non manipolatoria.
Pertanto è importante per l'educatore sviluppare la capacità di inventare e sperimentare con passione
nuovi metodi e tecniche che “catturino” l’alunno. Un autentico rapporto educativo per Freire non
può essere che un rapporto (socraticamente) dialettico-dialogico: l'educatore andrà in dialogo con
l’educando e si rende conto che nel rapporto dialogico egli stesso viene educato. Non c'è più un
educatore di un educando, ma due soggetti che si educano insieme. L'educatore non è più colui che
ha acquisito la conoscenza e la trasmette agli educandi: l’educazione è quindi ricerca comune, nella
quale insieme si tenta di comprendere e comprendersi. Tale profonda comunione è realizzabile solo
a partire da e attraverso un autentico rispetto reciproco. Solo così chi insegna può aprirsi realmente
al mondo culturale dei suoi studenti, che siano essi bambini e ragazzi o adulti. Solo così il processo
educativo può favorire la crescita di persone libere, critiche, capaci di cogliere la realtà
eventualmente oppressiva e liberarsene.
Questo tipo di pedagogia, d’ispirazione freudiana, vuole essere uno strumento finalizzato a risolvere
- attraverso la “coscientizzazione” - ogni forma di dominazione politica e sociale. D’altra parte è
indubbio che tale pedagogia indirizzata alla liberazione non vuole e non può essere la leva per una
qualche rivoluzione politica, quanto un auspicio culturale, un ripensamento dell’educazione verso
una nuova democrazia di tipo genuinamente popolare.
Tuttavia oggigiorno, a distanza di anni, l'esperienza pedagogica di Freire non riesce ancora a
concretizzarsi del tutto in un mondo globalizzato e intriso di nuove problematiche e di nuove
criticità. A tal proposito, riflettendo ancora sull'analisi di Freud, sul filo conduttore dei temi della
povertà, ricchezza, classe operaia e capitalismo, è magistrale l'analisi socioeconomica di Z.
Bauman nell'attuale contesto storico. A cominciare dal suo concetto di “modernità liquida”, egli
evidenzia come ancora oggi siano presenti forme surrettizie di oppressione, come ad esempio la
diffusione del “lavoro liquido”, precario e discontinuo, che presagisce instabilità ed insicurezza.
Volendo fare una comparazione tra gli attuali lavoratori di routine e i lavoratori un tempo
appartenuti alla classe operaia, è possibile comprendere quale tipo di dominio e oppressione venga
esercitata ancora oggi nell'attuale società globalizzata. Si comprende così il perché nei lavoratori sia
sparita del tutto la fiducia e la sicurezza di un lavoro a lungo periodo, in un mercato del lavoro
sempre più peregrino. Anche per questo la pedagogia della liberazione è più che mai attuale, se ci
riferiamo alle forme di dominio ancora presenti nei contesti sociali e nelle istituzioni educative post-
moderne.
In conclusione, ritornando al concetto filosofico generale di ermeneutica, sembra interessante
sottolineare quanto in età contemporanea (dopo la crisi del razionalismo scientistico moderno) si sia
dunque progressivamente riaffermato il modo di intendere antico, dialettico, della questione
relazionale e comunicativa. In particolare, in un illustre pensatore come Michel Foucault, l’atto
ermeneutico di interpretazione è visto alla luce dell’esperienza greca (socratica e cinica) della
“parresia” in quanto espressione visibile della verità: entrare in relazione tra soggetti è possibile
ancora una volta solo ricercando quella “parola vera”, il Logos, immagine dell’altro individuo che
diviene il mio “alter-ego”. La verità umana nel senso foucaultiano non è un fatto oggettivo,
determinabile una volta per tutte – e per questo non è proprietà esclusiva di alcuno, o un’arma per
dominare gli altri - bensì è il frutto di una continua “soggettivazione” della realtà, del nostro esserci
ciascuno come individualità unica ed irripetibile, ma sempre nuovamente da rimettere in
discussione, da porre in dialogo confrontandola con la singolarità dell’altro.

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