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INDICE:

INTRODUZIONE

CAPITOLO I: COS'È LA COMUNICAZIONE EMPATICA EXCURSUS


STORICO
1.1 Definizione del concetto di Empatia
1.2 La polisemia del concetto
1.3 L’empatia nel significato attuale

CAPITOLO II: COMUNICAZIONE EMPATICA NEL CONTESTO


EDUCATIVO DIDATTICO
2.1 La comunicazione formativa
2.2 La comunicazione educativa in classe
2.3 Le patologie della comunicazione

CAPITOLO III: COMUNICAZIONE EMPATICA E PROGETTO


DIDATTICO
3.1 Comunicazione e progettazione didattica
3.2 Empatia per imparare a pensare
3.3 La capacità comunicativa della disciplina scientifica
CONCLUSIONI

BIBLIOGRAFIA

1
INTRODUZIONE:

L’attenzione che la pedagogia contemporanea riserva all’educazione affettiva è


dimostrata dai molteplici studi che hanno focalizzato l’attenzione sulla necessità
sociale di promuovere e incrementare situazioni capaci di favorire un clima
propositivo, accogliente, supportivo, atto a sostenere lo sviluppo e la promozione
della persona nei diversi contesti di vita: famiglia, scuola, lavoro, sport, gruppi
associativi, reti di relazioni anche telematiche. Ribadire il ruolo che svolge la
componente affettiva della relazione educativa «porta a considerare che l’atto
educativo è atto “totale” cioè che coinvolge tutta la persona – intelligenza e
volontà, relazionalità e affettività». L’empatia è sicuramente uno dei fattori più
importanti nella costruzione della competenza emotiva e affettiva; tuttavia,
nonostante il riconoscimento della sua centralità nella vita dell’uomo e nel suo
percorso educativo-formativo intorno a questo termine permangono ancora delle
ambiguità o delle incertezze, forse dovute proprio al fatto che è una parola che
interroga in primo luogo chi ha responsabilità educative. L'empatia, ovvero il
sentire dentro, è un'esperienza individuale e intersoggettiva che si origina
dall'azione integrata della sfera emotivo-affettiva e della sfera cognitiva di
ciascuno, per effetto della quale una persona è in grado di comprendere e
condividere lo stato emotivo dell'altro partecipandovi come se fosse proprio. Si
tratta quindi di un vissuto che investe la persona totale e che implica la presenza
di una concordanza affettiva (affect match) tra due o più individui, fondata su una
condivisione di tipo vicario, cioè sulla consapevolezza che l'emozione condivisa è
una derivazione di quella sperimentata dall'altro. L'empatia si configura dunque
come risposta affettiva - conforme alla situazione che ha generato l'interazione
empatica – cognitivamente mediata dalla percezione dello stato emotivo altrui. In
altri termini si può dire che l'empatia è «una risposta emotiva che è provocata
dallo stato emotivo o dalla condizione di un'altra persona, e che è congruente con
lo stato emotivo o la situazione dell'altro».
L'empatia, per il suo essere una capacità fondamentale nella costruzione di
relazioni interpersonali positive, costituisce una risorsa che deve essere educata
attraverso atti di cura. Questi possono prescindere da una intenzionalità

2
pedagogica e formativa specifica, in grado di promuovere e sviluppare una
consapevolezza emotiva matura. Di qui l’opportunità di pensare a progetti
educativi mirati a favorire lo sviluppo della competenza affettiva che, procedendo
dall'empatizzazione fino alla partecipazione sociale consapevole e propositiva
(anche in un microcosmo sociale come può essere la classe scolastica),
permettano lo strutturarsi di un curriculum di abilità cognitivo-affettive trasversale
rispetto agli ambienti di vita e alle dinamiche di ruolo, soprattutto se si considera
l'empatia come una componente funzionale allo svolgimento del lavoro. Se la
famiglia e la scuola sono i primo ambienti in cui agire per lo sviluppo
dell’empatia e l’età evolutiva un periodo aureo per la costruzione della persona
nelle sue diverse dimensioni, occorre non dimenticare che la possibilità di
miglioramento connessa all’apprendimento o al riapprendimento dei repertori di
competenze carenti è una possibilità che non esclude il mondo adulto, ma anzi ne
sollecita la riflessione per la realizzazione di una partecipazione piena e
costruttiva alla vita della collettività, che faccia argine a fenomeni allarmanti,
quali ad esempio il bullismo nella scuola, il mobbing nel lavoro, lo stalking
sempre più diffuso, tutti fenomeni i cui costi sociali altissimi sono tristemente
noti.

3
CAPITOLO I: COS'È LA COMUNICAZIONE EMPATICA EXCURSUS
STORICO
1.1 Definizione del concetto di Empatia

Nell’analisi del fenomeno empatico, quale strumento di comunicazione, è d’uopo


partire dalla definizione del concetto di empatia volgendo lo sguardo all’area
semantica dallo stesso coperta per coglierne l’importanza nell’ambito di qualsiasi
relazione educativa1. A ben vedere, la storia di questo concetto ha subito
un’evoluzione in termini di considerazione dello stesso, assumendo una semantica
maggiormente specifica solo in tempi recenti. Il termine proveniente dal greco
classico, è onnipresente nei dizionari delle lingue moderne. I vocabolari di greco
registrano il termine, ma più l'aggettivo empathés che il sostantivo empàtheia;
quest'ultimo è poco usato e non denota aspetti specifici della realtà, ha piuttosto il
significato (generico) di affezione o emozione, ma significa anche la sofferenza e
la passione. L'aggettivo ricorre invece più spesso; anch'esso però conserva nei
diversi autori lo stesso significato generico proprio del sostantivo: commosso,
emozionato, appassionato e simili; e, in senso figurato, flesso 2. In ragione di ciò,
forse si può intuire perché, nelle lingue moderne, il termine sia scomparso quasi
del tutto dal linguaggio ordinario, mentre si è conservato per così dire nelle
biblioteche, mantenendo lo status di parola dotta. Ciò può concorrere tra l'altro a
spiegare perché la ricognizione empirica dell'empatia non pervenga per se stessa
ad una sua semantizzazione rigorosa; oppure, prima ancora, perché il vissuto
empatico venga interpretato dalla coscienza comune, facendo ricorso a termini
diversi, senza preoccuparsi che a volte si tratta di parole altre, semanticamente
distanti. Empatia così fa rima con simpatia, mentre l'immedesimazione sembra
significare l'identificazione o intendere semplicemente una forma di proiezione.
Questi termini, però, ad una considerazione più attenta, mostrano di avere
referenze diverse, non possono denotare tutti lo stesso fenomeno al quale si fa

1
Bellingreri A., (a cura di), L’empatia come virtù, IBS, Trapani 2013, p. 25.
2
Montanari F., (a cura di), Vocabolario della lingua greca, Loescher, Torino 2008, p.
665.
4
riferimento; in breve, la realtà non ci guadagna affatto, perché tende a perdere i
suoi contorni definiti e a svanire.
Relativamente al concetto di empatia, esso non è mai stato un concetto abitual-
mente in uso nel linguaggio quotidiano, così non è stato comune neanche nel
linguaggio scientifico dell'Occidente, antico, medievale e moderno. Appartiene a
«giochi linguistici» storicamente determinati ed attualissimi che hanno contribuito
a formare il suo originale campo semantico; segnato da questa storia è entrato a
far parte, da non molto tempo, del linguaggio ordinario dove ha portato con sé
tutta una serie di presupposizioni. Il concetto dell'empatia, come tutti i concetti del
resto, è rimasto «esposto» alla «storia degli effetti»: alle intenzionalità originarie
si sono aggiunte, intenzionalità derivate; e interpretazioni svolte in contesti
diversi, teorizzazioni o oggettività ideali, hanno determinato nuove e differenziate
effettuazioni del significato costitutivo3. Empatia, infine, in ragione della sua
esposizione alla storia appare concetto «surdeterminato»; può risultare pertanto
equivoco, caricato come è accaduto di significati diversi, denotazioni in senso
proprio di esperienze differenti.4

1.2 La polisemia del concetto


3
Gadamer G., (a cura di), Verità e metodo. Lineamenti di un 'ermeneutica filosofica, tr. it.
di G. Vattimo, Bompiani, Milano 1983, p. 350-357.

4
Pinotti A., (a cura di), «Arcipelago empatia. Per un'introduzione», in Id. (ed.), Estetica
ed empatia. Antologia, Guerini, Milano 1997, p. 59.
5
La polisemia del concetto di empatia può comunque essere interpretata in una
diversa prospettiva; può assumere un significato positivo e costituire una risorsa.
È stato coniato ed impiegato in un determinato contesto storico, in Germania, a
cavallo tra l'Ottocento e il Novecento, nell'ambito di teorie estetiche, intese ad
interpretare il senso dell'ispirazione artistica e della contemplazione che si tratta di
un campo ampio, ci si trova di fronte più ad un plesso concettuale, che ad un solo
concetto.
Analizzando un saggio di Friedrich Theodor Vischer del 1887, risulta evidente la
centralità che egli attribuisce al concetto di empatia per denotare aspetti costitutivi
dell'esperienza estetica. Questa è definita da Friedrich Theodor Vischer l'«atto
dello spirito che connette ad un'immagine (Bild), un senso (Sinn)», in un processo
che «pensa l'uno nell'altro».5 Autori come Karl Kòstlin, cui Vischer fa riferimento,
in effetti hanno denotato questo «atto spirituale per eccellenza» con la locuzione
«simbolica della forma». Egli propone invece di chiamarlo semplicemente
Einfiihlung, termine nel quale il sostantivo fa riferimento al sentimento (Gefiihl),
mentre il prefisso ein intende sia l'interiorità sia l'unità. Il termine tedesco
all'inizio è stato tradotto spesso in italiano con «entropatia», oggi in modo
esclusivo lo si rende con «empatia»; in questo contesto dice di un movimento del
soggetto che cerca l'«interiore», ciò che del visibile resta sottratto alla visibilità; e
denota un'unificazione o «immedesimazione». R. Vischer propone una ragionata
distinzione tra l'empatia «sensoriale», di forme del volto o di stati d'animo; e
l'empatia «motoria», di forme in movimento. In entrambi i casi comunque,
l'essenziale è la «vivificazione» che l'immaginazione soggettiva crea nella realtà.
Il senso è trasposto nella forma e l'uno vive dentro l'altro grazie a questa attività
produttrice originaria, che opera secondo i criteri della similarità e dell'analogia.
Poste queste premesse, il passo è breve per concludere in un'integrale riduzione
della filosofia dell'arte a psicologia. È quanto coerentemente ha proposto Theodor
Lipps, la cui Estetica (1903-1906) è connotata in modo significativo dal
sottotitolo Psicologia del bello e dell'arte. La bellezza è definita sentimento
vissuto da un soggetto, e non è mai proprietà reale dell'oggetto; l'empatia è

5
Pinotti A., (a cura di), Estetica ed empatia. Antologia, cit., 141-176.
6
interpretata di conseguenza come «trasposizione» in un oggetto di un atto
psichico. Anche Lipps presenta una sua originale tipologia dall'empatia: parla di
empatia «appercettiva generale» e di quella empirica o «di natura»; e distingue
un'empatia di stati d'animo da quella intersoggettiva. L'aspetto comune è però
sempre il medesimo: in forme e modalità diverse, il soggetto è «empatizzato»
(eingefuhlt) nell'oggetto; oppure, ed è lo stesso, questi è visto e fruito come «sé
oggettivato»: rappresentazione che il soggetto fa di sé a sé6. In questa ermeneutica
dell'arte qualcosa di originario dell'esperienza estetica viene travisato o occultato,
forse proprio a motivo della particolare concezione dell'empatia. È quanto appare
chiaro già dalla critica che Wilhelm Worringer svolse nel 1907 nella sua tesi su
Astrazione ed empatia, con la quale ottenne, oltre il dottorato, anche successo di
pubblico. L'arte vi è definita come funzione del bisogno fondamentale di
«autoestraneazione», di espressione da parte del soggetto. Per comprendere però
le modalità secondo cui essa si effettua, è necessaria una critica dello «stile». Con
questo termine l'Autore intende il «sentimento del mondo», il modo singolare di
abitare il mondo e di atteggiarsi in esso, che segna sempre ogni determinata
situazione storica. Ora, per Worringer l'empatia sarebbe lo stile proprio delle
epoche «antropomorfiche»: quelle nelle quali, «la natura umana "si sa una col
mondo, e non sente quindi il mondo oggettivo come qualcosa di estraneo, ma
riconosce in esso la controparte che risponde alle sue sensazioni interiori"
(Goethe). Il processo di antropomorfizzazione diventa in questo caso un processo
di empatia, cioè un trasferimento della vitalità organica propria dell'uomo in tutti
gli oggetti del mondo fenomenico».7 Per Worringer infatti veramente «organico»
è nell'uomo il terrore per l'altro, lo sconosciuto o l'estraneo; per superarlo, l'uomo
ha bisogno di «empatizzare» il mondo, ossia di addomesticarlo, riconducendo a
figura umana ciò che dapprima gli si presenta in un modo minaccioso. Nell'arte
pertanto il mondo diviene l'immagine del mondo; e l'empatia è l'istanza che
«riconcilia» l'umanità con la natura e il cosmo. Più efficace la critica che negli
stessi anni rivolse all'«idealismo soggettivo» Johannes Volkelt (1848-1930).
6
Lipps T., (a cura di), «Estetica (Psicologia del bello e dell'arte)» (1908), in A. Pinotti
(ed.), Estetica edempatia. Antologia, p. 177-218.
7
Worringer W., (a cura di), Astrazione ed empatia. Un contributo alla psicologia dello
stile ( 1908), tr. it. di E. De Angeli, Einaudi, Torino 2008.
7
Questo Autore presenta una Teoria dell'empatia estetica, che è in realtà un
tentativo di ripensare in modo nuovo tutto l'universo estetico. La prima novità è
data dalla definizione dell'arte come intuizione della forma di un oggetto; deriva
all'autore, probabilmente, dallo studio della «metafisica del bello» di
Schopenhauer. Una seconda novità, la più importante in quel contesto storico-
teorico, è contenuta nella concezione «transsoggettiva» dell'oggetto percepito.
Grazie alla «visione» artistica, questo appare in una luce nuova e consente al
soggetto di far esperienza di sensazioni e di sentimenti non riconducibili al vissuto
passato; l'oggetto infatti non si riduce alle qualità sentimentali del soggetto, è esso
piuttosto che li pone in essere. L'empatia pertanto, in quanto consiste sempre in
una «immedesimazione», sia come animazione di una realtà naturale con la quale
il soggetto «si fonde», sia come assimilazione o «incorporazione» di essa, non
annulla mai la presenza originaria e irriducibile dell'altro. Resta una questione
ulteriore comprendere se il termine più adeguato, da impiegare per denotare il
processo di assimilazione dello spirito alla forma, sia empatia. Si intuisce che
l'empatia gioca, di certo, un ruolo importante in questo processo; considerato però
nel contesto delle teorie estetiche qui prese in esame, in relazione alla particolare
semantizzazione che di esso vien fatta, tale concetto si presenti problematico. Esso
implicat multa, porta con sé significati differenti cosa che non contribuisce a
chiarire lo specifico di questa esperienza: quale sia il vissuto che possa conferire il
senso originario e originale alla parola che voglia intenderlo; vissuto e senso senza
i quali il nome diverrebbe semplicemente insignificante. 8 Non è possibile eludere
il confronto con le teorìe estetiche dell'Einfiihlung, se si vuole pervenire ad una
comprensione adeguata del concetto che intende l'esperienza empatica nella sua
specificità. La semantizzazione di F.T. Vischer denota col termine Einfiihlung l'at-
to spirituale che sa rendere «visibile fisicamente l'anima»; si tratta, già lo si è
osservato, dell'empatia nella sua «forma più alta», «chiara e libera». Il contesto in
cui l'Autore presenta questa sua dottrina, la creazione e la contemplazione del
bello nell'arte, evidenzia che è questione per lui dell'empatia «subumana», non
personale. In generale, in tutte le teorie estetiche qui prese in esame l'interesse non

8
Bellingreri A., op. cit. p. 33 .

8
è rivolto all'empatia umana, interpersonale; ma a quella che intende le opere
artistiche, «creature» secundum quid viventi, che però non sono in senso proprio
vite intelligenti per sé sussistenti. Pertanto l'anima che si tratta di rendere
«fisicamente visibile» è solamente quella dell'artista o del fruitore dell'opera, dove
Einfuhlüng diventa un concetto che, in un plesso semantico con termini
etimologicamente affini, permetterebbe d’intendere la creazione e la
contemplazione del bello nelle opere d’arte.9 L'arte è innanzitutto un evento di
illuminazione, grazie al quale il soggetto è, per così dire, liberato da una
prospettiva ingannevole della realtà da una sorta di cecità che abita in seno al
vedere. L'arte è visione che, disvelando, offre allo sguardo, nella forma bella, un
fenomeno della realtà. Questa è pur sempre una figura reale, una «superficie», che
è visibile ed è determinata; resa però sottile come una pellicola, tale superficie
diviene transparentia della «profondità». Infine la figura reale è «trasfigurata in
idea»10, dalla riflessione sulla storia dell'estetica tedesca tra Ottocento e
Novecento emerge che con la semplice identificazione non sembra guadagnarci né
l'interpretazione dell'arte né l'intelligenza dell'empatia. Si tratta piuttosto di poter
vedere e intendere la struttura e la qualità della conoscenza singolare di un'altra
persona come prossima, in senso ontologico, alla contemplazione propria
dell'arte.11
Empatia si presenta, in virtù dell’excursus realizzato, come conoscenza singolare
di un’altra persona presente nel “nostro” mondo; conoscenza che solo
analogicamente è riconducibile a quella dell’arte. 12 Uno studio condotto
criticamente sui loro testi permette di comprendere col valore, i limiti di una tale

9
Vischer. T., (a cura di), «Il simbolo», in Pinotti A. (a cura di), Estetica ed empatia.
Antologia, Guerini e Associati, Milano,1997, pp. 141-176 cit., 151 (con riferimento a
Shakespeare e a Goethe).

10
Gadamer H.G., (a cura di), Verità e metodo, op. cit., 142-153.

11
Pareyson L., (a cura di), Estetica. Teoria della formatività, Bompiani, Milano 1988,
p.287-308.
12
Melchiorre V., (a cura di), Essere e parola. Idee per una antropologia metafisica,
Bompiani, Milano, 1990, pp. 160-166.
9
semantizzazione. Il processo empatico pare sovraccaricato di significati impropri,
d’altro genere, che finiscono per nascondere un dato elementare dell’esperienza.
Si dà immedesimazione con l’altro, empatia in senso proprio, quando l’altro è
visto e tenuto come un altro rispetto a sé; senza far prevalere, per così dire, né la
proiezione (di sé dell’altro) né l’identificazione (di sé con l’altro). Rispetto alle
teorizzazioni filosofiche, le ricerche svolte, sin dai primi anni del Novecento, dalle
discipline psicologiche hanno fatto valere, per sé stesse, un’istanza critica
elementare: l’intelligenza «non astratta» di un fenomeno che è originariamente
psicologico esige per ogni aspetto specifico, una logica specifica ad esso adeguata.
E’ cresciuta così, con le analisi di psicologia della conoscenza e dell’affettività,
ma anche grazie alla psicoanalisi, la consapevolezza della proprietà del complesso
«pianeta empatia», compreso nei suoi molteplici elementi e nelle forme
differenziate che assume nelle fasi di sviluppo del soggetto. 13

1.3 L’empatia nel significato attuale

Questo breve confronto, la lettura dialettica delle teorie estetiche tedesche fra fine
Ottocento e inizi del Novecento qui prese in esame, ci consente dunque di trovare

13
Gadamer H.G., (a cura di), Verità e metodo pp. 350-357.
10
un criterio sicuro nell'analisi dell'esperienza empatica. Si può tutto portare a
sintesi affermando che la percezione delle persone nel nostro mondo come
soggettività altre rispetto alla nostra esistenza e alla sua forma propria, presenta il
carattere di evidenza originaria, al pari della percezione che si ha della stessa
soggettività.
Ciò detto, si deve prender atto che nel contesto culturale contemporaneo - nei
mondi vitali dell'uomo della modernità radicale - non è più questa la predicazione
principale del concetto di empatia: in breve, di essa innanzitutto e per lo più non
se ne parla come categoria estetica. Intanto, lo si è già notato, nell'esperienza
quotidiana, il termine non è impiegato abitualmente; resta tuttora voce e dizione
dotta. Il significato ad esso attribuito, comunque, che di fatto rimbalza in diversi
modi nel linguaggio comune della vita d'ogni giorno, è quello divenuto prevalente
nelle analisi della psicologia, della sociologia e dell'antropologia culturale della
seconda metà del secolo scorso e più di recente nelle ricerche delle neuroscienze.
Esso resta carico delle presupposizioni semantiche legate a questa genesi
determinata: a volte pare possa coincidere semplicemente con simpatia o sintonia;
e pare possa significare immedesimazione di sé con chi ci sta di fronte, ma anche
proiezione o identificazione di sé.14
Dopo il breve esame delle semantizzazioni e delle aporie del concetto nella sua
storia, per far progredire il discorso, si rende necessario riavviarlo oltre l'orizzonte
della precomprensione empirica dell'esperienza: in direzione di una riflessione
razionale sul senso e sull'autenticità dell'empatia, dunque sul criterio che renda
evidente il senso della distinzione dall'inautenticità. Dalla ricognizione empirica
vanno solo trattenuti quei rilievi emersi, che ne evidenziano tratti ricorrenti e
caratterizzanti; possono costituire una prima traccia per la riflessione critica.
Secondo il mio modo di vedere, c'è, in particolare, un aspetto che mi pare offra
con chiarezza una visione della natura propria dell'esperienza empatica e possa
pertanto valere come utile punto di partenza. In quanto conoscenza emotivamente
connotata dell'universo singolare ed unico di una persona, essa presenta un nesso
non secondario con l'educazione e sembra svolgere, in alcuni contesti, una forte

14
Lo Coco A. – Tani F., (a cura di), Empatia. 1 processi di condivisione delle emozioni,
Giunti editore, Firenze 1999,p. 7-13.
11
rilevanza educativa: nelle relazioni duali, nell'amicizia e nella vita di coppia; non
meno che nelle relazioni intrafamiliari e in quelle insorgenti nella vita a scuola. Il
nesso non accidentale che lega relazione e comunicazione empatica con
educazione autentica può costituire la prima traccia per un'analisi critica
dell'esperienza e della coscienza dell'empatia.
L'assunzione di un tale presupposto, la forza educativa dell'empatia e la natura
empatica dell'educazione, consente allora di specificare lo statuto della riflessione
rigorosa e oggettiva sull'empatia che qui intendo elaborare: essa si deve ora porre,
risolutivamente, come istituzione di una categoria pedagogica. In questo saggio
tale compito viene effettuato prospettando una pedagogia fondamentale di stile
fenomenologico-ermeneutico dell'empatia. Questo uso critico della ragione, esige,
come prima stazione, un confronto dialettico - un dialogo - con le discipline
applicate allo studio scientifico dei fenomeni empatici - in particolare, secondo il
mio modo di vedere, con le discipline psicologiche. L'empatia infatti viene qui
vista e intesa innanzitutto nell'aspetto specifico per cui è un'emozione che vivifica
e feconda la comprensione dell'altro e del suo universo personale. Alla pedagogia
come scienza distinta è chiesto innanzitutto di essere critica; se così non fosse,
essa non sarebbe fedele a se stessa, non sarebbe scienza. Per esser critica però,
deve essere fedele al reale: deve assumerlo come il criterio primo ed ultimo, per
risultare insieme sapere della realtà e della ragione15. Aver ancorato il discorso
che si è avviato nell'esperienza certamente già risponde a questo criterio di
concretezza: le nostre parole, i concetti e le proposizioni, fanno riferimento, per la
loro genesi intuitiva e per l'originaria referenza ontologica, all'esperienza, che è la
realtà così come immediatamente si presenta. Sennonché, permanendo
nell'orizzonte dell'esperienza, i concetti e le proposizioni mostrano tutta una
complessità che li rende problematici e sembrano d'un tratto perdere i loro
significati specifici. Quasi logorati dall'uso, assumono significati generici, in
funzione di esigenze pratiche; a poco a poco non si intende più, in modo adeguato,
quale sia il determinato «riempimento» intuitivo e il loro referente proprio.
Empatia, così, diventa d'un tratto un concetto generico che intende una realtà

15
De Monticelli R. – Conni C, (a cura di), Ontologia del nuovo. La rivoluzione
fenomenologica e la ricerca oggi, Bruno Mondadori, Milano 2008.
12
generica; nessuna meraviglia allora che, nel tentativo di superare le aporie, per
denotarla si senta l'esigenza di far ricorso, nella vita quotidiana, a termini diversi,
anche sensibilmente diversi, reputando che tutto possa andar bene lo stesso.
Peraltro, proprio qualcosa di analogo sembra sia accaduto nelle semantizzazioni
delle teorie estetiche. Divenendo la categoria più importante per intendere il
processo estetico, empatia è un concetto che, a tratti, viene distorto: leggendo le
pagine di questi autori, pare, a volte, che si svolga un'analisi psicologica in sede di
filosofia dell'arte, col risultato di non percepire la specificità dell'esperienza
empatica. La letteratura critica sul comportamento empatico ha posto in risalto
piuttosto l’esigenza di far ricorso ad un paradigma «aperto» e multidimensionale.
Per sua natura, infatti, il fenomeno appare molto composito: innanzitutto, esso è
sempre compartecipazione emotiva e insieme atto di conoscenza intuitiva di
un’altra persona.
Ma, ancora, come sono molteplici i processi cognitivi, quelli affettivi e le condotte
sociali implicate, così sono differenziate e complesse le forme in cui l’empatia si
presenta nei diversi stadi di sviluppo di un soggetto. Sembrerebbe quasi che, per
produrre la «risonanza emotiva» della situazione dell’altro e la «rappresentazione
vicariante» della prospettiva sul mondo che gli è propria, sia necessaria
l’attivazione dell’intero psichismo umano e l’intensificazione delle singole forze.
16
Le ricerche più recenti pertanto propendono per un’interpretazione diversa del
fenomeno empatico: l’aspetto veramente decisivo è visto nel «riverbero emotivo».
Si tratta di una vera e propria «scintilla», da cui trae origine l’immedesimazione e
una «risposta affettiva vicariante»; oppure, si può parlare anche di una «scossa
emotiva», generante la comprensione del modo di conoscere e di sentire dell’altro:
quasi che, trattandosi della persona, la luce possa essere solo il frutto di un
sentimento amoroso.17 La psicologia dello sviluppo, nella sua prospettiva,
distingue gli stadi di crescita dell’empatia, dal semplice contagio emotivo,
presente già nel neonato, fino all’empatia «vera e propria», che è presente dalla
16
Fortuna F., Tiberio A., (a cura di), Il mondo dell’empatia. Campi di applicazione,
Franco Angeli Milano, 1999, pp. 15-32.

17
Bowlby J., (a cura di), Attaccamento e perdita. I: L’attaccamento alla madre (trad.
dall’inglese), Boringhieri,Torino, 1972.
13
fine del primo anno di vita; e, quando questa diviene condivisione che ha parte
alla vita dell’altro, fino all’empatia «matura», presente nell’adolescenza. Si deve
pertanto parlare di evoluzione empatica, in correlazione strettissima con lo
sviluppo psichico del soggetto, nei diversi stadi della crescita.
Lo studio del contagio emotivo nei primi mesi di vita persuade che, da un canto,
«empatici si nasce», come si è espresso qualcuno: ci troviamo di fronte infatti ad
una disposizione sempre presente e reale nell’uomo, che può essere definita
«naturale» («connaturata»). Per l’analisi delle fasi evolutive dell’empatia,
possiamo assumere come punto di partenza il modello proposto di M.L.
Hoffmann18, che ne delinea lo sviluppo in relazione ai due processi implicati: la
modalità determinata di attivazione affettiva di tipo empatico e lo sviluppo
specifico del senso cognitivo degli altri. Nel primo anno di vita, è presente nel
bambino una empatia globale, contraddistinta per un verso da modalità
automatiche di attivazione emotiva, quali la reazione circolare primaria,
l’imitazione motoria e il condizionamento classico; per un altro verso, da una
fusione sé-altro, che rende quasi nulla la mediazione cognitiva, per l’assenza della
percezione di differenziazione tra il soggetto e l’oggetto. 19 Ci troviamo pertanto di
fronte ad una forma di condivisione immediata non volontaria, che è piuttosto
contagio emotivo, senza conoscenza.
Dopo il primo anno di vita, è presente un’empatia egocentrica. Il bambino ha
acquisito l’abilità di cogliere la permanenza dell’oggetto ed è capace di
riconoscimento differenziato delle emozioni dell’altro; precondizioni che lo
rendono idoneo a percepire gli altri come entità distinte da sé. In questa età tutte le
persone sono però colte in quanto hanno parte ad un mondo al cui centro egli pone
spontaneamente sé stesso. Nel secondo e nel terzo anno di età, sorge l’empatia per
i sentimenti di un altro; che diventa, dopo il terzo o il quarto anno, empatia per
l’esperienza di un altro «al di là delle situazione immediata», per le sue condizioni
generali e le sue prospettive di vita. Ciò in corrispondenza soprattutto con
18
De Monticelli R., (a cura di), L’ordine del cuore. Etica e teoria del sentire, Garzanti,
Milano, 2003.

19
Agazzi E., (a cura di), «Criteri epistemologici delle discipline psicologiche», in G.
SIRI, Problemi epistemologici della psicologia, Garzanti, Milano, 1976, pp. 8-35.
14
l’evoluzione del linguaggio e l’acquisizione di abilità metarappresentative, che
rendono il bambino, per un verso, capace di relazioni emotivamente sempre più
significative; per un altro verso, capace di percepire gli altri come dotati di stati
interni indipendenti dai propri. Si tratta di una forma «più evoluta» di empatia,
nella quale la condivisione diviene partecipazione. Le emozioni dell’altro, in
realtà, sono ora vissute in modo vicario; ma soprattutto il soggetto, attorno al sesto
anno di età, diviene capace di decentrarsi, rappresentandosi il vissuto dell’altro e
prendendovi parte.20
La mediazione cognitiva, operante in modo sempre più complesso, svolge una
funzione determinante nell’assumere la prospettiva che l’altro ha del reale e
nell’immedesimarsi col suo vissuto personale. L’associazione non è più diretta,
ma avviene «per mediazione linguistica»; anche se la capacità figurativa ed
evocativa del linguaggio non porta in modo automatico una piena partecipazione
condivisa: blocchi emotivi, di diversa natura, possono ostacolare
l’immedesimazione. Con l’adolescenza, il soggetto incomincia a conquistare una
forma di empatia, che alcuni autori definiscono semplicemente «matura».
Prerequisito fondamentale è il pensiero astratto formale, insieme all’iniziale
consapevolezza di sé e del proprio mondo affettivo in quanto distinto dall’altro;
ciò porta, come è noto, ad un primo consolidamento della propria identità
personale. Ora, questi processi di maturazione rendono il soggetto capace di una
visione morale del mondo, che non solo riconoscere l’altro come altro da sé, ma
lo intende come un bene in sé.21 Il soggetto, inoltre, diviene idoneo ad elaborare
una visione positiva del reale, nella quale la condivisione è pensata e voluta come
un valore. A ben vedere, è forma autentica d’empatia solo quella che gli psicologi
definiscono «matura». Conquistandola il soggetto diviene capace di riconoscere
l’altro come un altro, di amare e comprendere il suo modo d’essere e di
prospettare un mondo personale, in quanto irriducibile al proprio. Si tratta però di
20
Franta H., (a cura di), Interazione educativa. Teoria e prassi, LAS, Roma 1982; e Rossi
B., Pedagogia degli affetti. Orizzonti culturali e percorsi formativi, Laterza, Roma-Bari,
2002.

21
Kohut H., (a cura di), La ricerca del sé (trad. dall’inglese), Boringhieri,Torino, 1982,
pp. 15 ss.
15
una conquista: non è, non può essere l’esito di un processo «spontaneo» di
crescita delle potenzialità comunicative ed espressive del soggetto; è piuttosto la
riuscita di un processo di formazione, che riguarda in qualche modo l’intera
personalità e che coincide con un atto di libertà e di consapevolezza di sé.22

CAPITOLO II: COMUNICAZIONE EMPATICA NEL CONTESTO


EDUCATIVO DIDATTICO
2.1 La comunicazione formativa

La comunicazione è il mezzo per raggiungere, là dove ci troviamo, un nuovo


modello di formazione che, giunto a noi da secoli di storia della pedagogia,
orienta le attività scolastiche e raggiunge il fine per il quale la scuola, oggi, ha un
ruolo radicalmente importante per la formazione umana dell'uomo, del soggetto

22
Stein E., (a cura di), Il problema dell’empatia (trad. dal tedesco), Laterza, Roma, 1998.
16
postmoderno, del cittadino planetario di società democraticamente fondate. La
scuola ha il fine di consegnare a coloro che in essa vivono, che attraverso di essa
passano, che in essa educano la propria persona umana, gli strumenti affinché per
tutto l'arco della vita sia possibile continuare ed esaltare la sua opera: la scuola
elabora e costruisce gli apprendimenti per la formazione umana dell'uomo. Tra
questi apprendimenti si situa il raggiungimento della più alta cultura dello spirito,
della coscienza, dell'anima, che resterebbe arida e sterile (ibidem) se ogni
soggetto, che nella scuola è educato, non venisse formato a comprendere che la
linfa vitale per crescere e raggiungere la sapienza, che la conoscenza delle
discipline consegna ad ognuno che ne voglia penetrare i segreti, giunge dalla
quotidianità della pratica didattica, nei luoghi della scuola, nell'incontro con l'altro
che è il professore, il compagno, il proprio gruppo-classe.
La categoria di educazione, rispetto a quella nobile di formazione, ha una valenza
conformativa che, nei secoli, ha evidenziato le matrici linguistiche della sua
provenienza. Educare è ex-ducere, nell'atto di trarre fuori dal soggetto ciò che
all'individuo viene consegnato, come sapere e come esperienza. In questa dimen-
sione di nascita alla vita umana, secondo la cultura e i saperi, l'educazione viene
elaborata attraverso un modello di riferimento valoriale e comportamentale a cui il
soggetto deve riferirsi. Educare è, però, anche edere, nel senso di nutrire il
soggetto che riceve l'educazione attraverso le discipline e i saperi, non
necessariamente scolastici, che vengono consegnati al bambino, all'adolescente, al
giovane, all'adulto e all'anziano. Secondo Cambi,23 la galassia dell'educazione può
essere analizzata attraverso quattro passaggi che permettono di rileggere lo
sviluppo filogenetico e ontogenetico dell'uomo. L'educazione è, in primo luogo,
crescita biologica. Le tappe fisiologiche che ogni bambino deve raggiungere sono
sature di educazione. Rappresentano il primo passaggio di un percorso educativo
che accompagna il soggetto dall'infanzia alla piena maturità e, oltre, fino all'età
anziana. Il processo filogenetico è denso di educazione che, attraverso la
comunicazione con l'ambiente primario, con gli affetti genitoriali, con i luoghi
sociali destina l'uomo a crescere in modo evolutivamente determinato. In tal

23
Cambi F. Frauenfelder E., (a cura di), La formazione. Studi di pedagogia critica,
Unicopli, Milano, 1995.
17
senso, l'appartenenza di specie connota il soggetto/uomo ad essere responsabile
della propria educazione. La comunicazione consente di rivedere la crescita
biologica attraverso le relazioni che il bambino costruisce con la madre, attraverso
la i reazione dei legami affettivi che saranno, successivamente, i punti di
riferimento dell'adolescente e dell'adulto. Il legame di attaccamento fra la madre e
il bambino è un rapporto dove la comunicazione reciproca struttura la mente di
entrambi i soggetti della relazione 24. Al centro della crescita biologica, sostenuta
dalla formazione del legame di attaccamento, c'è la qualità del rapporto
comunicativo fra la madre e il bambino, ma anche fra la madre e il padre, fra tutti
i familiari che, intorno al bambino, agiscono relazioni di affetto e, così facendo,
veicolali») educazione ed educazioni comunicative. I medesimi legami di
attaccamento, che tanto determinano la costruzione della personalità del bambino
e del sé di ogni soggetto, riaffiorano nella loro valenza educativa durante
l'adolescenza. Infatti, nel periodo adolescenziale i soggetti si individuano come
persone e come cittadini a partire proprio dall'esperienza di sé e degli all.tri
significativi che avrà connotato l'età infantile del medesimo soggetto. I modelli
operativi interni o script25 si definiscono durante gli anni dell'infanzia, ma
manifestano tutta la loro forza interpretativa nei momenti più densamente critici
dello sviluppo di ogni soggetto. La rappresentazione dei legami, che è immagine
interna delle relazioni effettivamente vissute, coordina e orienta il comportamento
di ogni adolescente, come di ogni soggetto adulto, in ogni momento della vita. In
tali occasioni le relazioni primarie sono determinate dalle comunicazioni vissute e
agite come anche da quelle immaginate.
L'inculturazione è il secondo passaggio dell'educazione. Il bambino sperimenta il
senso dell'appartenenza al gruppo sociale, alla comunità nella quale è nato. Il
percorso educativo e rappresentato dagli apprendimenti familiari e sociali che
introducono il soggetto nella prima e nella seconda infanzia a imparare come
agire, come parlare, come vivere nel proprio luogo di appartenenza. Il linguaggio
è il primo vero apprendimento che introduce in tale contesto. Attraverso la lingua
si veicolano modi di essere e comportamenti sociali, si educa e si istruisce il
24
Bolwby J., (a cura di), Costruzione e rottura dei legami affettivi, Raffaello Cortina,
Milano 1979.
25
BowlbyJ., (a cura di), Una base sicura,. Raffaello Cortina, Milano, 1989.
18
soggetto. La comunicazione verbale esalta lo sviluppo cognitivo ed emotivo del
bambino. Anche questo secondo stadio dell'educazione è connotato dalla presenza
della comunicazione. Non si apprende una lingua che non sia comunicata e con
questa comunicazione vengono veicolati tutti i saperi della cultura di riferimento.
Il soggetto si fa nella - e attraverso - la comunicazione della cultura.
L'apprendimento è un ulteriore percorso dell'educazione che per vocazione si
svolge nella scuola e nei contesti formali deputati alla trasformazione dei saperi e
delle discipline formalizzate. Apprendere e istruire sono atti sempre connotati da
processi educativi. Anche imparare ad apprendere, momento metariflessivo
dell'apprendimento stesso, è atto squisitamente educativo. La scuola è delegata ad
assolvere la possibilità della realizzazione di questo percorso.
Nelle società occidentali e in quelle pienamente inserite nel processo di
evoluzione democratica la scuola è il luogo della formazione delle menti, della
formazione viva delle personalità attraverso e con i saperi. Nelle società non
libere l'apprendere è, però, atto educativo ad alto tasso di conformazione, anzi
l'educazione, in taluni casi, è veicolo dell'ideologia che così, riproduce se stessa e i
propri apparati. Il modo della comunicazione nell'apprendimento determina la
qualità di questa trasformazione, modifica le discipline stesse e orienta i soggetti
ad accogliere o meno ciò che attraverso le comunicazioni didattiche viene
veicolato. La formazione rappresenta il punto di arrivo di questo percorso
dell'educazione, filogeneticamente connotato, ma non linearmente vissuto. La
formazione umana dell'uomo è il livello più elevato a cui l'educazione possa
tendere. L'uomo è la propria formazione perché solamente nella piena
consapevolezza dei propri strumenti formativi può imparare a conoscere se stesso
e così facendo può conoscere gli altri e il mondo. Formarsi vuol dire partecipare
come soggetti, in pienezza consapevole, al processo di apprendimento che
attraverso le discipline vuole insegnare a ogni studente gli strumenti materiali,
culturali i sociali per poter continuare a dare pienamente forma alla propria vita
spirituale, fisica e mentale. La comunicazione è connessa alla formazione
dell'uomo attraverso la consapevolezza che ciascun soggetto deve imparare ad
acquisire delle comunicazioni personali di sé a se stesso, di sé agli altri e di sé il
mondo. La categoria di formazione umana dell'uomo così come viene oggi

19
pensata, approfondita e applicata dal versante della riflessione pedagogica e
didattica, che fa capo alla pedagogia critica26, ha una lunga storia che attraversa
tutta la pedagogia, dai Greci ai romantici per giungere alle soglie del terzo
millennio attuale. La paideia è formazione di un uomo secondo un'idea che tende
a de-storicizzarlo, ad universalizzarlo, a renderlo sintesi vissuta e punto di
convergenza di tutto un universo (articolato) di cultura. E i greci trasmettono alla
civiltà occidentale questa idea di uomo modellato su un ideale che si fa sintesi
viva e autonoma del mondo, che coglie il proprio senso e valore in un processo di
universalizzazione; idea che costituisce uno degli aspetti più originali, più costanti
e determinanti di tale civiltà e radica in essa, già a livello antropologico, la
nozione di libertà. [...] La paideia si caratterizza così come processo ideale di un
rapporto tra individuo, cultura e mondo (naturale e sociale), ma anche è processo
di educazione che si compie nello spazio e nel tempo, nella società e nelle
istituzioni27. Le strutture categoriali della paideia greca hanno permesso che tale
tipo di formazione trasferisse i propri alti ideali di umanità attraverso i secoli e le
culture.
Cambi individua cinque piste dentro le quali è possibile ravvisare gli assi portanti
di questa formazione umana: «1. l'individuazione del propriamente umano nello
spirito; 2. la scoperta-affermazione di un "terzo mondo"; 3. Il rivivere lo "spirito
oggettivo"; 4. La ristrutturazione interiore come processo non-chiuso; 5. La
problematizzazione come superamento delle scissioni». All'interno di tutte le
prospettive su enunciate è individuabile l'apporto irrinunciabile di una modalità di
analisi comunicativa e, contemporaneamente, è rilevabile la presenza della
comunicazione in ognuna delle tracce che definiscono la formazione umana
dell'uomo. L'individuazione del propriamente umano nello spirito specifica la
caratteristica che rende persona umana un individuo. Non solo per l'appartenenza
al mondo della natura e per quella al mondo della cultura, ma l'uomo è tale in un
far-si e in un divenire oltre la natura e oltre la cultura di appartenenza: c'è un
26
Cambi F., Toschi L., (a cura di), La comunicazione formativa. Strutture, percorsi,
frontiere, Apogeo, Milano, 2006.

27
Contini M. (a cura di), Pedagogia della comunicazione in «Studium Educationis»,
Cedam, Padova 2000, n.4.
20
mondo di significati, una matrice di senso che orienta l'uomo verso valori e
modelli che definiscono un cosmo interiore, una identità profonda di appartenenza
alla terra-madre, alla natura-società, ma soprattutto ai mondi possibili di una
densità spirituale da scoprire, da cercare, da far emergere per orientare, dare
direzione, far valere al di là della propria stessa persona umana. La comunicazione
fra la natura dell'uomo, la cultura sociale, la dimensione personale è qui
determinante di questa matrice di appartenenza. Ciò permette di comprendere,
immediatamente, anche il secondo punto costituito dalla pista del "terzo mondo".
La comunicazione è circolare fra la cultura intesa, da una parte, come insieme di
organizzazione/deposito/ trasmissione di saperi e conoscenze, dall'altra intesa
come fonte sorgiva di figure che sono in grado di esprimere universi di senso
altamente significativi per la crescita e lo sviluppo interiore dell'uomo. Antigone,
nella presentazione di Sofocle, rappresenta la convergenza/comunicazione di
questi universi culturali, incarnando la terza via della costruzione di un modello di
donna oltre la natura, oltre la legge-cultura, oltre il proprio destino esistenziale.
Antigone comunica un modello altro di persona umana e di donna. Il modello è
lineare e la comunicazione garantisce il passaggio di una informazione da un
soggetto, o un sistema, ad un secondo individuo o meccanismo. Gli autori che per
primi elaborarono una teoria su questo modello furono i matematici americani
Shannon e Weaver28. Questi primi modelli furono integralmente "presi in prestito"
dai sistemi di segnalazione delle telecomunicazioni. Il modello lineare di Shannon
e Weaver sarà modificato con l'introduzione del feedback o retroazione, concetto
che esprime il cammino seguito dal messaggio che, giunto al destinatario, non
termina il proprio percorso, ma "torna indietro" riagganciandosi al messaggio
emesso dalla fonte, cosicché questo ne risulti opportunamente modificato. Un tale
modello è anche quello preso a riferimento dagli studi, altrettanto importanti nel
campo delle teorie della comunicazione, del famoso linguista Roman Jakobson
che ebbe il merito di introdurre i concetti linguistici di contesto, codice e contatto
adiacenti ai già presenti emittente, messaggio e destinatario. Tali componenti del
28
Claude E. Shannon e Warren W., (a cura di), The Mathematical Theory of
Communication, Università dell'Illinois all'Urbana-Champaign, 1949; pubblicato in Italia
con il titolo La teoria matematica delle comunicazioni, tradotto da Paolo Cappelli, Etas
Kompass, Milano, 1971.
21
processo comunicativo-linguistico «furono legate d.i Jakobson a sei funzioni
linguistiche: espressiva, conativa, Litica, metalinguistica, denotativo-referenziale,
poetica. Tali epressioni permettono di comprendere le differenti dimensioni della
comunicazione»29.
Le funzioni linguistiche hanno il compito di coprire i vari usi della comunicazione
verbale e ognuna di esse ha avuto, successivamente, particolare rilevanza
disciplinare. La funzione pedagogico/affettiva del linguaggio, per esempio, è stata
indagata soprattutto negli ultimi quindici anni per merito di un rinnovato dibattito
attorno al ruolo degli affetti e delle emozioni per la costruzione del soggetto e
della persona umana; così, la funzione metalinguistica è stata sottolineata dalla
teoria della pragmatica della comunicazione umana. La comunicazione formativa
ha come riferimento principe la teoria della pragmatica della comunicazione
umana30, che più di ogni altra teoria ci fornisce una chiave di lettura pedagogica
del comportamento umano in termini di comunicazione.
Il modello della pragmatica viene espresso attraverso cinque assiomi e,
strutturalmente, tale modello è orientato dalla cibernetica a cui fa riferimento
anche in termini di un cosiddetto "calcolo del comportamento". Il primo assioma
afferma che non è possibile non comunicare. Chiaramente ciò ha significato in
termini di comportamento umano: non è possibile non agire. Il riferimento
all'azione personale e sociale è qui particolarmente evidente e importante. Ogni
comunicazione verbale ha aspetti di relazione che possono anche inficiare o
contraddire la consistenza del contenuto linguistico e, al contrario, ogni
comportamento, ogni relazione comunicativa manifesta un aspetto linguistico, non
fosse altro che per la presenza del silenzio, nel caso in cui fosse presa in
considerazione solamente una comunicazione gestuale. Gli aspetti della
formazione che connotano ogni comunicazione sono evidenti: l'aspetto formativo
dell'interazione pragmatica può non essere esplicitato, ma ogni azione
intenzionale manifesta tracce, sempre presenti, di un modello educativo pre-
esistente. Uno dei primi autori che si sono occupati di analisi della comunicazione
29
Trisciuzzi L., (a cura di), Processi formativi e interattivi della comunicazione, ETS,
Pisa 1996, Id., Manuale di didattica in classe, ETS, Pisa, 1999..
30
Muzi M., (a cura di), Le professionalità educative. Tipologia, interpretazione e
modello, Carocci, Roma, 2003, pp. 67-94.
22
in termini di conversazione, nel campo della etnometodologia e della sociologia
della comunicazione è stato Goffmann. Lo studio che lo rese noto, La vita
quotidiana come rappresentazione31 (Goffmann, 2001), fu pubblicato nel 1959, e
oltre ad essere stato il suo lavoro più importante, condusse la riflessione
sociologica a esaminare la vita sociale come un tessuto di microcosmi dove la
relazione e la comunicazione interpersonale giocavano i ruoli principali nella
costituzione e presentazione delle soggettività. In realtà, la sua riflessione sulla
comunicazione e sui comportamenti agiti a livello sociale anticipò gli studi
sull'analisi della conversazione degli anni Novanta del Novecento 32. Goffman
(1959, 1969) ha illuminato brillantemente il reale oggetto di studio dell'analisi
conversazionale che è rappresentato dall'organizzazione sociale della
conversazione nella vita quotidiana. La conversazione viene analizzata negli
scambi linguistici quotidiani, anche in quelli della quotidianità più intima e
personale. L'unità di osservazione più interessante è data dalla coppia adiacente.
Goffman, infatti, sostiene che ogni affermazione esige una risposta. 33 Ogni volta
che le persone conversano è molto probabile che ci siano delle domande e delle
risposte. Questi enunciati sono prodotti in punti diversi nella "sequenza
temporale". Quale che sia il contenuto delle domande, chi le formula è orientato
verso ciò che viene subito dopo e dipende da ciò che sta per venire, mentre chi
risponde è orientato verso ciò che è stato appena detto e guarda indietro, non
avanti.34

31
Fratini C., (a cura di), Luci e ombre nella relazione insegnante-allievi, in Ulivieri S.,
Franceschini G., Macinai E. (a cura di), La scuola secondaria oggi. Innovazioni
didattiche e emergenze sociali, ETS, Pisa 2008, pp. 159-176.

32
Boella L., (a cura di), Sentire l'altro. Vivere e praticare l'empatia, Raffaello Cortina,
Milano 2006.
33
Boffo V., (a cura di), Per una comunicazione empatica. La conversazione nella
formazione familiare, ETS, Pisa 2005.

34
Boffo V., (a cura di), Comunicare a scuola. Autori e testi, Apogeo, Milano 2007.
23
2.2 La comunicazione educativa in classe

La comunicazione in classe è fortemente influenzata dalle comunicazioni che


sono veicolate dai contesti ai quali la classe medesima appartiene. La scuola è un
microcosmo che può accogliere o espellere gli studenti che ad essa si rivolgono e
nella quale trascorrono gli intensi anni dell'infanzia e dell'adolescenza. La
comunicazione è però la modalità attraverso la quale le relazioni scolastiche si
costruiscono e si modellano, si sciolgono e si tras-formano. I possibile affermare
che la comunicazione è ciò mediante cui si crea la relazione. Stare in relazione
con l’altro è prerogativa della specie animale, stare in una relazione che
intenzionalmente crea i legami fra gli uomini perché si possano definire "legami
fra persone" è prerogativa degli uomini. Infatti, l'uomo nasce, cresce, evolve in
rapporto all'altro, in relazione con l'altro da sé.

24
Questo dato fondante dell'"essere uomini" e, ancor più, dell'essere "persone
umane" è particolarmente evidente all'interno della scuola. I contesti di
insegnamento e apprendimento, dentro ai quali si attivano i processi di istruzione
e formazione, devono essere caratterizzati da una relazione autentica e profonda,
per questo particolarmente coraggiosa, che intercorre tra gli insegnanti, tra gli
insegnanti e gli allievi e tra i gruppi di studenti. Cosa significa costruire una
relazione per creare comunicazioni che la possano sostenere e far maturare? La
relazione a cui si fa riferimento è quella primaria fra la madre e il bambino e che,
all'origine della costituzione dell'essere umano, definisce i modelli operativi
interni che fissano relazioni ansiose, angosciate, serene, per mezzo delle quali sarà
possibile rivivere antichi sentimenti di benessere o momenti di disagio interiore.35
Ogni atto docente è dominato dall'ambivalenza di questi sentimenti originari che,
sviluppati in contesti ad altissimo tasso emozionale, riemergono ogni volta che il
soggetto è sottoposto a forti spinte emotive. Questo è il primo assunto dal quale
partire per comprendere il significato delle relazioni scolastiche. Anche i ragazzi
sono investiti e, spesso, dominati dai propri sentimenti, così la loro mente e la loro
psiche sono spesso compresse di fronte ai nodi emotivi per i quali non hanno
strumenti adeguati di risoluzione. In ogni atto di insegnamento e apprendimento
sono presenti aspetti emotivi e affettivi celati nell'inconscio individuale degli
insegnanti e degli allievi. Dunque, ogni atto di insegnamento e di apprendimento
è, in primo luogo, attraversato da tensioni inconsce e il dominio cognitivo del sé
agisce su questa base di fondo. Ogni soggetto che abita la classe conduce con sé, a
scuola, la propria vita, le relazioni che ha intessuto in famiglia o nel proprio
ambiente sociale. Nell'attività docente l'aspetto relazionale, quello cognitivo-
didattico e quello organizzativo sono le tre prospettive su cui indirizzare la
costruzione della progettualità didattica. Il docente riflessivo 36 è colui che riesce a
ripensare alla propria professionalità per rileggerla, per ricostruirla, per

35
Cambi F., Toschi L., (a cura di), La comunicazione formativa. Strutture e modelli,
Apogeo, Milano 2006.
36
Fadda R., (a cura di), Sentieri della formazione. La formatività umana tra azione ed
evento, Armando, Roma, 2002.

25
riorientarla in una costante azione di ricerca, di progettualità, di formazione. 37
Riflettere sulle relazioni a scuola significa imparare, in prima istanza, a guardare
come persone umane e poi come docenti. Imparare ad osservare' per capire dove
indirizzare la propria formazione, lo scambio reciproco dei saperi e delle
conoscenze, imparare ad auto-trasformarsi attraverso una profonda attività di
ricerca del sé38. Il nesso molto forte che corre fra la qualità delle relazioni
interpersonali all'interno della classe e l'apprendimento è così stretto che l'una
influenza l'altro, e viceversa, attraverso una somma irraggiungibile di scambi e
legami che condizionano le persone, la crescita dei ragazzi, l'autotrasformazione
docente e il flusso libero e piacevole degli apprendimenti. Sarebbe opportuno
imparare attraverso l'interesse per la materia e l'affetto per le persone, ma anche
per mezzo dell'amore del sapere e dei conoscere.
Gli adolescenti, e così ogni studente di ogni ordine e grado, sanno che la passione
domina la capacità di apprendere, sanno che non solo attraverso lo studio, ma
anche attraverso le multiformi attività extra-scolastiche è possibile trovare la
spinta necessaria per procedere sempre più in avanti. I fattori di ordine emotivo
che influenzano gli apprendimenti sono ben evidenziati da un modello di matrice
psicoanalitica proposto da Meltzer e Harris39 in un noto testo, Il ruolo educativo
della famiglia, dove viene presentata, a partire dai fondamenti della psicoanalisi
classica rintracciabili nelle opere teoriche di Freud, Abraham, Klein, Bion e
Money-Kyrie, una proposta per la lettura dello sviluppo della vita psichica di ogni
soggetto.
Ciò che risulta particolarmente interessante per la comprensione delle dinamiche
che dominano, orientano e coordinano l'apprendimento è l'analisi che viene
compiuta intorno alla dimensione epistemologica, dunque cognitiva, dello

37
Franceschini G., Macinai E. (a cura di), La scuola secondaria oggi. Innovazioni
didattiche e emergenze sociali, ETS, Pisa 2008, pp. 159-176.

38
Fratini C., La dimensione comunicativa, in Cambi F., Catarsi E., Coliocchi E., Fratini
C., Muzi M., (a cura di), Le professionalità educative. Tipologia, interpretazione e
modello, Carocci, Roma 2003, pp. 67-94.
39
Liss J., (a cura di), L'ascolto profondo. Manuale per le relazioni d'aiuto, la Meridiana,
Bari 2004.
26
sviluppo della mente. La conoscenza viene acquisita dal soggetto attraverso una
esposizione da parte dell'allievo nei confronti del docente tale che rende
quest'ultimo oggetto da imitare attraverso una identificazione gratificante con le
sue doti e i suoi meccanismi di pensiero. Tuttavia, la conoscenza che viene
raggiunta è di tipo meccanico più che formativo. Anche nell'apprendimento di tipo
adesivo lo studente mette in atto una capacità di imitazione delle doti del proprio
maestro/docente senza però attivare una capacità riflessiva rispetto alle azioni
conoscitive e al tipo di apprendimento che viene acquisito. Se in un primo
momento le relazioni e le comunicazioni in classe possono essere vissute dagli
studenti in tal modo, è necessario che il docente riflessivo sappia sviluppare una
relazione con i propri allievi tale che li porti a pensare e li porti a raggiungere una
motivazione intrinseca verso lo studio, non solo estrinseca, dettata cioè da fattori
esterni al soggetto stesso. L'apprendimento raccattato viene agito da coloro che
non riescono a connettere le conoscenze fra di loro. Anche in tal caso la funzione
dell'insegnante è determinante per chiarire come debbano essere sviluppati i
meccanismi dell'imparare ad apprendere40.
L'apprendimento ossessivo e quello delirante hanno a che vedere con stati della
mente in cui il soggetto non riesce a vedere le dimensioni reali o, possibilmente
condivisibili, degli oggetti di conoscenza, o meglio delle esperienze del conoscere
e del sapere. L'attaccamento per sottomissione a un persecutore si ha in tutti quei
casi in cui la relazione fra docente e allievo sia dominata dalla paura e, dunque, sia
improntata all'addestramento, piuttosto che alla comprensione Di contro a queste
modalità di apprendimento, agite dal soggetto-allievo nei confronti di un soggetto-
docente, è possibile identificare alcuni tipi di insegnamento che possono essere
qualificati come evasivi, seduttivi aggressivi 41. Il docente seduttivo circuisce i
propri allievi confidando nella propria arte comunicativa. In realtà, un insegnante
seduttivo vede al centro della relazione educativa, a scuola, i propri bisogni di
affermazione, piuttosto che i bisogni dello studente e la necessità di un allievo di
essere capito e compreso nel delicato passaggio e nella delicata trasformazione
40
Lumbelli L. (a cura di), Pedagogia della comunicazione verbale, Franco Angeli,
Milano 1987.

41
Dewey J., (a cura di), Democrazia e educazione, (1916), La Nuova Italia, Milano 2000.
27
pre-adolescenziale e adolescenziale. Il docente evasivo mette in atto un
comportamento, a scuola, teso a impegnarlo meno possibile con i propri studenti.
Non si concede all'altro perché la paura di non sostenere il limite dell'esistenza
altrui è più forte di qualsiasi legame o relazione educativa che coscientemente
ogni docente dovrebbe attivare42. Il docente aggressivo si comporta con la classe
in modo da ignorare la costruzione di una relazione che possa vedere al centro la
reciprocità e la vita stessa dei ragazzi. Il rapporto didattico è fondato sul sapere,
ignorando come questo sapere possa essere raggiunto dall'allievo. Una forte
componente di dominio, per la paura di essere sopraffatto, rende l'insegnante
incapace di ascolto. Come già è emerso dalle ricognizioni dei comportamenti di
insegnamento e di apprendimento, saper ascoltare se stessi, i propri allievi e la
classe, attraverso la comprensione delle dinamiche di gruppo, qualifica il
professionista riflessivo che pensa e comunica con intenzionalità i saperi,
riuscendo a mettere in pratica e a sperimentare con gli studenti un comportamento
empatico. L'empatia nasce da una capacità di ascolto profondo e dalla pratica del
sentire l'altro. Il nucleo centrale della relazione educativa che viene costruita nella
scuola e nella classe, l'intima natura delle comunicazioni formative, riuscite, che
comportano una crescita positiva dei soggetti che le sperimentano sono situati
nell'ascolto e nell'empatia. Difficile è raggiungere l'ascolto profondo dell'altro,
come ancor più arduo è sperimentare l'empatia nella classe. Senza l'uno e senza
l'altra è possibile pensare a un progetto educativo, è possibile iniziare solamente a
elaborare il progetto di formare i soggetti che alla scuola vengono affidati dalle
famiglie? Quanto è dove si ascolta nella scuola? È possibile imparare ad
ascoltare? Ascoltare l'altro significa riconoscerlo, significa rendergli la dignità di
esistere, significa accoglierlo e, accogliendolo, comunicargli inderogabilmente "tu
esisti", "tu hai pienamente diritto a esistere", " tu hai il dovere di imparare perché
questo li dia il permesso di essere con pienezza nel mondo".
Da qui ne deriva che tutti i soggetti, anche i diversamente abili, ogni ragazzo
nell'infanzia e nell'adolescenza, hanno il diritto di avere accesso all'istruzione, che
significa avere accesso al sapere, alla cultura e al conoscere se stessi, gli altri, la

42
Contini M., (a cura di), Comunicare fra opacità e trasparenza. Nodi comunicativi e
riflessione pedagogica, Bruno Mondadori, Milano 1987.
28
natura, le discipline e al conoscere. La formazione umana dell'uomo avviene,
anche, tramite l'istruzione e tramite gli apprendimenti culturali che spiegano il
mondo al quale apparteniamo e lo spiegano anche a coloro che non lo conoscono
affatto. Ascoltare l'altro nella profondità della relazione, nella ricerca della
comunicazione più autentica, come Rogers afferma43, significa dargli la parola per
esprimersi. Comunicare vuol dire ascoltare, prima di parlare, prima di dialogare.
Ascoltare significa ricercare il silenzio per far posto all'altro-da-sé. Ascoltare
l'altro vuol dire mettere il 'tu' al posto dell'io' e, così facendo, gettare un ponte per
costruire una legame più intenso, più creativo, più densamente riflessivo.44
Ascoltare l'altro vuol dire, però, gioire delle gioie altrui e condividere, o almeno,
provare a farlo, la sofferenza dell'interlocutore, del compagno, dell'allievo. Senza
lasciarsene contagiare, ma permettendo che il sentimento altrui accresca la
capacità di esperire e sentire emozioni, stati d'animo, affetti: per crescere, per
arricchirsi, per vivere l'empatia nella condivisione, ma anche nella distanza.
L'ascolto profondo nasce dal sentire, in primo luogo, l'esistenza degli allievi. Non
è possibile ipotizzare nemmeno di attivare capacità di ascolto o comunicazioni
empatiche se il docente non ha la determinazione riflessiva di sentire la classe.
Tale atto proviene, secondo Stein45 dalla motivazione di disporsi intenzionalmente
verso i propri allievi con la capacità di non essere o divenire il fuoco principale,
ma uno dei due fuochi dell'ellisse relazionale. Sapersi decentrare implica avere la
capacità di guidare la classe attraverso una comunicazione, pur sempre di tipo
asimmetrico, biunivoca e non univoca, a molte voci e non a una sola voce, implica
avere la consapevolezza che dare la parola agli allievi ha il fine di tracciare binari
formativi su cui ogni studente può camminare da solo. Dunque, per ascoltare si
deve essere motivati ad andare verso l'altro. La motivazione si acquisisce con la
determinazione della consapevolezza. L'arte di insegnare è un arte nel momento in
43
Rogers C.R., (a cura di), Un modo di essere, Martinelli, Firenze 1983.

44
Boella L., (a cura di), Sentire l'altro. Vivere e praticare l'ermpatia, Raffaello Cortina,
Milano 2006.

45
Stein E., (a cura di), Il problema dell'empatia, (1917), Studium, Roma 1984 (ed.orig.
1917).
29
cui ha un aspetto di costruzione sapienziale e una componente di intuitività
"formativa" che proviene, appunto, dalla motivazione ad essere profondamente
appassionati della propria disciplina e del proprio mestiere. L'empatia è l'atto
mediante il quale è possibile fare esperienza dell'altro, è «partecipazione affettiva
e abitualmente emotiva di un soggetto umano a una realtà che gli è estranea»
(Stein, 1985). Stein esprime in un linguaggio fenomenologico ciò che è possibile
sentire e imparare di fronte al sentimento letto sul volto dell'altro. A scuola i
docenti dovrebbero sperimentare l'empatia per insegnarla ai propri allievi, per
mezzo dell'esercizio di atti empatici. Non si nasce con la consapevolezza
dell'esperienza empatica. Questa è una esperienza sui generis, afferma ancora
Stein, vale a dire possibile da essere vissuta, che conduce il soggetto a
sperimentare le emozioni come atti di conoscenza della realtà che ci si para di
fronte e che possiamo riconoscere in quanto esseri umani.
L'empatia è un atto intenzionale, dunque, cognitivamente originato nella psiche
dell'uomo, che vede la piena partecipazione della coscienza e del corpo umano
all'ascolto e al riconoscimento dell'emozione che, originatasi sul volto dell'in-
terlocutore, si fa mezzo di comunicazione per la comprensione dell'altro. Nel
passaggio alla comprensione dell'allievo risiede tutta la forza comunicativa
dell'empatia.46 La comunicazione per essere autentica, profonda, interiormente
condivisa deve essere empatica. Altrimenti assomma ad un mero trasferimento di
dati, siano essi fisici o psichici o anche atti di coscienza, cioè vissuti. Tramite
l'empatia si arriva alla consapevolezza che gli studenti sono persone che amano,
soffrono, hanno una vita personale densa e ricca: questa stessa vita influenza gli
apprendimenti e determina il corso dei loro studi. L'empatia permette di conoscere
l'uomo e permette di sapere se, come insegnanti, siamo interessati al valore delle
esistenze i he ci si aprono di fronte. L'empatia può mettere in crisi le coscienze
perché richiama, con l'ascolto profondo, ad essere insegnanti e non solo istruttori
o programmatori di progetti, l'insegnante è come un artigiano rinascimentale che
forgia la mente, il corpo, la psiche dei soggetti, avendo a cuore la loro stessa
formazione. Attraverso il proprio sapere consegna all'allievo un modello per

46
Trisciuzzi L., (a cura di), Processi formativi e interattivi della comunicazione, ETS,
Pisa 1999.
30
conoscere e, contemporaneamente, i mezzi per continuare a indagare il mondo
nella quotidianità dei vissuti personali. Essere empatici vuol dire essere
disponibili a svolgere un servizio per se stessi e per gli uomini che abbiamo in
carico. In tal senso la scuola deve farsi carico della vita emozionale degli studenti,
anche attraverso la didattica delle discipline, come anche i docenti devono riuscire
a farsi carico di una assenza di emozioni che, se permette rendimenti cognitivi ele-
vati, non forma persone umane, ma solo individui anaffettivi e fragili, che non
sono in grado di problematizzare le proprie esperienze scolastiche e, soprattutto,
non sono motivati a riconnetterle in una narrazione personale significativa e inter-
pretativa del proprio mondo vitale.47

47
Simmel G., (a cura di), La socievolezza, Armando, Roma 1997.
31
2.3 Le patologie della comunicazione

Già Watzlawick, Beavin e Jackson, nel loro fortunato testo Pragmatica della
comunicazione umana, prendevano in considerazione alcuni eventi patologici che
derivavano dalla negazione dei cinque assiomi preposti alla descrizione di un
ipotetico calcolo del comportamento umano.48
La patologia più rilevante, tuttavia, è quella legata al doppio legame, effetto
perverso di una antinomia comunicativa che può agire su individui ancora in fase
di sviluppo o su soggetti particolarmente fragili psichicamente o anche incapaci di
mettere in atto strategie metacomunicative per il mantenimento dell'equilibrio
mentale. Il doppio legame è stato descritto da Bateson già negli anni Cinquanta e
può avvenire a scuola alla presenza di un docente, che ha con i propri allievi una
relazione particolarmente intensa sul piano emotivo, che mette in atto
comportamenti contraddittori lasciando costantemente gli allievi nell'incertezza
delle azioni da compiere: se ubbidiscono alle ingiunzioni contraddittorie del
docente sono minati nella loro integrità psichica e nella loro coscienza interiore,
dovendo confermare un comportamento che riconoscono fallace, se non vi
ubbidiscono, ugualmente, sono considerati privi di una considerazione che essi
richiedono per il tipo particolare di situazione emotiva che li lega al docente. Il
doppio legame può comportare seri blocchi di apprendimento se l'insegnante o un
altro adulto non sono in grado di smascherarlo. La letteratura sul doppio legame è
abbastanza diffusa a partire dal primo articolo del 1956 scritto da Bateson,
Jackson, Haley e Weak- land che attribuiva a tale patologia comunicativa

48
Boffo V., (a cura di), Comunicare a scuola. Autori e testi, Apogeo, Milano 2007.
32
l'insorgenza familiare della schizofrenia. La contraddizione fra relazione e
contenuto di una espressione linguistica che emerge dalla negazione del secondo
assioma della Pragmatica della comunicazione umana, può essere riportata dal
caso in cui si afferma a parole ciò che si sconferma con le azioni o con i gesti. In
una relazione educativa è particolarmente importante adeguare le azioni ad un
modello teorico espresso a parole. Tutti i bambini e i ragazzi hanno il diritto di
avere insegnanti che sanno riconoscere, con senso di responsabilità, la differenza
tra il 'fare' e il 'dire', fra la 'parola' e L'azione. La mistificazione e la risposta
tangenziale sono altre due patologie evidenziate da Laing, ma applicate agli
ambienti di apprendimento della scuola da Lumbelli49. La mistificazione è una
patologia della comunicazione particolarmente raffinata e molto pericolosa. La
mistificazione i l'atto mediante cui si fa credere al soggetto, nella comunicazione,
che egli sta provando sentimenti che in realtà non prova, ma che l'interlocutore più
forte della coppia comunicativa ha interesse che egli provi. Per esempio, un
insegnante di storia dell'arte che vuole somministrare una certa prova di
valutazione e che pensa di poter trovare opposizioni in classe, rammenta: «E vero
che preferite il compito a risposta chiusa piuttosto che il tema? Fra le due prove è
scontata la facilità della prima rispetto alla seconda». Gli studenti rispondono di
volere sostenere la prima prova, ma ciò equivale davvero al loro desiderio?
Anche la risposta tangenziale manifesta un disinteresse verso l'ascolto degli
allievi.
Oltre ai casi di eventi patologici, precedentemente descritti, accadono in classe
molte altre situazioni relazionali particolarmente invalidanti per gli studenti.
Alcuni effetti della patologia della relazione sono evidenziati dall'effetto "alone" e
dall'effetto "Pigmalione". L'effetto "alone" descrive un fenomeno psicologico per
cui l'insegnante che prova maggiore o minore simpatia per un allievo tende ad
evidenziare i suoi errori come semplici sbagli, invece in presenza di una alone
negativo che circonda l'allievo, appunto, gli errori rimangono tali e vengono
valutati sicuramente in termini molto più gravi del caso precedente. L'effetto
"Pigmalione" descrive il fenomeno per cui ogni docente tende a crearsi una

49
Lumbelli L., (a cura di), Comunicazione non autoritaria. Come rinunciare al ruolo in
modo costruttivo: suggerimenti rogersiani, Franco Angeli, Milano 1974.
33
immagine degli allievi che non sempre corrisponde alla realtà. Spesso viene
percepito molto bravo lo studente diligente e viene squalificato lo studente per-
cepito come negativo. Anche un possibile ribaltamento nella condotta scolastica
non muta tale percezione iniziale, creatasi attraverso un'idea; tale effetto spiega
perché in una classe ci siano spesso i capri espiatori e le maschere. A scuola, in
primo luogo, gli adulti non rendono conto della ricerca dell'autenticità e della
congruenza comunicativa.50
Infine, il conflitto nella scuola può essere un comportamento positivo per
aggregare bisogni di scontro e di crescita dei soggetti adolescenti nei confronti
dell'autorità oppure può essere agito per dividere e separare la classe. Molto
spesso accade, come Bion51 rileva, che i desideri nascosti dei soggetti configgono
con i fini manifesti della classe che sono rappresentati dagli apprendimenti e dal
raggiungimento della conoscenza. Il docente deve conoscere le dinamiche di
gruppo che, così spesso, agiscono e deve saper spezzare le routine comporta-
mentali di ostruzionismo che i gruppi di base, quelli attivi emozionalmente,
mettono in atto contro i gruppi di lavoro, attivi cognitivamente. I docenti
dovrebbero individuare i leader negativi che coalizzano la classe verso
l'annullamento degli apprendimenti. Un ascolto attento, un'attenzione dedicata agli
allievi, una partecipazione intensa alle comunicazioni di classe, una dislocazione
all'interno delle relazioni educative con ogni singolo allievo, una autenticità
empatica possono anticipare i fallimenti e possono indirizzarli verso la
cooperazione e la solidarietà comune. Nella classe è il lavoro cooperativo quello
che, attraverso comunicazione e relazione, può veramente portare i soggetti a una
crescita proficua che sia al servizio della persona umana. 52 L'apprendimento,
quando non è mero condizionamento e assimilazione passiva di contenuti
preconfezionati [...], implica sempre una forte componente di ansia. In altre
parole, il processo di apprendimento, come soluzione di problemi e acquisizione
di nuove conoscenze e abilità, rappresenta una sfida e un'avventura che implica un
50
Fonagy P., Alllen J., (a cura di), La mentalizzazione, il Mulino, Bologna 2008.

51
Fadda R., (a cura di), Sentieri della formazione. La formatività umana tra azione ed
evento, Armando, Roma 2002.
52
Contini M., (a cura di), Comunicazione e educazione, la Nuova Italia, Firenze 1980.
34
atto di fiducia che consiste nel coraggio di tuffarsi nell'incertezza e nell'ignoto.
L'errore e l'insuccesso sono ad ogni passo inevitabilmente presenti e, se ben
utilizzati, assumono un ruolo decisivo nel processo ili apprendimento stesso [...].
Ma il fallimento e l'insuccesso, o più semplicemente l'idea che esso possa
realizzarsi, per un soggetto ad autostima debole può costituire un trauma
gravissimo. Ed è per questo che nella scuola a volte si innescano delle dinamiche
fortemente ansiogene che concorrono ad aggravare situazioni familiari a rischio o
a trasformare il gruppo-classe in un luogo di disadattamento affettivo e sociale.
Compito fondamentale di un insegnante diventa allora quello di creare un setting
di apprendimento in cui la scelta e l'utilizzazione delle strategie didattiche più
idonee al raggiungimento dei vari obiettivi pedagogici avvenga sempre
nell'ambito di una relazione di "aiuto" e di "incoraggiamento". 53 L'empatia,
tuttavia, non è la panacea che risolve tutti i mali. Rappresenta indubbiamente un
valido agente terapeutico - oltre che un elemento centrale nella
comprensione/ascolto attivo - ma può essere resa difficoltosa, o impedita, da
modalità relazionali inadeguate e da strategie difensive messe in campo sia
dall'allievo che dall'insegnante. L'incidenza del transfert - controtransfert
nell'interazione [...] può essere determinante ai fini della qualità dell'interazione
stessa. Inoltre gli insegnanti, che a differenza degli psicoterapeuti sono assai poco
consapevoli delle dinamiche consce e inconsce che intervengono nella relazione,
spesso nutrono timore, diffidenza e sfiducia nei confronti degli allievi e quindi
tendono ad anticiparli attuando proiezioni transferali vere e proprie. [...]. Un ruolo
fondamentale spetta ai rispettivi processi di difesa, soprattutto a quelli di tipo
caratteriale [...]. Un'analisi e un intervento sulle strategie difensive caratteriali di
tipo adattivo - e delle relative contromisure - che entrano in gioco nelle interazioni
individuali e di gruppo non solo è possibile ma auspicabile, altrimenti l'insegnante
corre il rischio di restare intrappolato in situazioni collusive (l'insegnante irretito e
usato dall'allievo o, viceversa), con conseguenze pesanti a livello dell'apprendi-
mento e dell'equilibrio affettivo dell'allievo (e, ovviamente, di quello personale
dell'insegnante). Tali strategie difensive generalmente sono di tre tipi: evasione,

53
Esposito R., (a cura di), Communitas. Origine e destino della comunità, Einaudi, Torino
1998.
35
seduzione e ribellione. La prima modalità difensiva consiste nella chiusura e
nell'evitamento di qualsiasi rapporto che possa implicitamente provocare
frustrazione e ansia. [...]. La seconda modalità è quella della seduzione. Il
seduttore, uomo o donna che sia, nasconde l'aggressività e il bisogno di dominio
cercando di conquistare l'interlocutore con allusioni e promesse, alternandoli a
varie forme di ricatto affettivo. L'insegnante può avere la sensazione di essere
usato, sfruttato, manipolato e sviluppare un intenso controtransfert di tipo
negativo oppure, viceversa, rimanere completamente irretito nella seduzione. [...].
Laterza modalità è quella della ribellione aperta e totale con qualsiasi figura che
rievochi autorità. I rapporti interpersonali vengono vissuti alla stregua di un
"campo ili battaglia" dove le pulsioni aggressive vengono direttamente agite sia
verbalmente sia fisicamente. La dinamica prevalente è quella di dominanza-
sottomissione e l'ostilità e il rancore per l'autorità influenzano a tal punto la
relazione da trasformarla m una sfida permanente contro tutto e tutti. [...].54
[...] Se l'insegnate non diventa consapevole del tipo di relazione e delle relative
strategie difensive, rischia di essere suo malgrado coinvolto in una situazione
affettivo-relazionale senza via di uscita. A volte gli insegnati nutrono sfiducia e
aspettative molto negative nei confronti dei loro allievi e li anticipano mettendo in
atto per primi delle strategie difensive di tipo elusivo, seduttivo o aggressivo.
[...].55
I conflitti nella relazione interpersonale, tuttavia, non si esauriscono nella
dinamica strettamente diadica. Essi travalicano il rapporto allievo-insegnante e
finiscono per coinvolgere il gruppo classe e, in molti casi, l'intero corpo docente.
[...].56

54
Fratini C., Luci e ombre nella relazione insegnante-allievi, in Ulivieri S., Franceschini
G., Macinai E. (a cura di), La scuola secondaria oggi. Innovazioni didattiche e emergenze
sociali, ETS, Pisa 2008, pp. 159-176.
55
Fratini C., (a cura di), Luci e ombre nella relazione insegnante-allievi, in Ulivieri S.,
Franceschini G., Macinai E. (a cura di), La scuola secondaria oggi. Innovazioni didattiche
e emergenze sociali, ETS, Pisa 2008, pp. 159-176.
56
Liss J., (a cura di), L'ascolto profondo. Manuale per le relazioni d'aiuto, la Meridiana,
Bari 2004.
36
CAPITOLO III: COMUNICAZIONE EMPATICA E PROGETTO
DIDATTICO
3.1 Comunicazione e progettazione didattica

In una conferenza, tenutasi nel 1917 a Monaco, Weber tracciava alcune idee sulla
professione dello scienziato ( all’epoca dei fatti era da ritenersi tale sia il docente
universitario che il ricercatore). Partendo da questo testo si colgono importanti
riflessioni circa la comunicazione didattica ed il ruolo del professionista
dell’educazione scolastica.57 "La radice del termine 'comunicazione' risale infatti
ai verbi greci koinonéo (partecipo) - entrambi chiaramente legati all'idea della
Koinè, della comunità - e al latino communico (metto in comune, condivido). Le
azioni racchiuse in questa cornice terminologica stabiliscono una connessione
basata sul presupposto per cui 'mettere al corrente' qualcuno vuol dire
coinvolgerlo, fino all'instaurazione di impegnativi vincoli comunitari." Senza la
comunicazione, ogni via di inferenza e cioè la personalizzazione degli
eventi/azioni osservati negli altri, e la traduzione/elaborazione in termini propri,
ciò che permette la stessa costituzione della propria identità e personalità, sarebbe
preclusa. Addirittura, secondo Jaspers, "tutto ciò che non si realizza nella
comunicazione non esiste", per cui non il logòs, pensiero unico e monologante,
ma il dià/logòs, il pensiero-partecipazione comune che scaturisce da una relazione
ed è perciò pensiero dialettico, diventa presupposto fondante della crescita e
sviluppo dell'apprendimento storico-evolutivo. La comunicazione si esprime
soprattutto proprio attraverso l'azione della relazione/scambio tra soggetti e
dunque non va confusa con alcuni dei veicoli con i quali si connota; nel
57
Weber M., (a cura di), La scienza come professione. La politica come professione,
Einaudi, Torino 2004.

37
linguaggio comune, infatti, l'ottimale comunicazione di un individuo viene
identificata dal puro eloquio retorico formale, ciò che altrimenti viene inteso come
dialettica (insomma, il bel parlare, l'esprimersi correttamente, avere abilità di farsi
ascoltare, serrare le argomentazioni, capacità di repliche e 'battute' pronte, ecc..).
Ma la dialettica reale, che è frutto di pensiero dialettico, rende solo una variabile
l'eloquio retorico, variabile la cui importanza varia a seconda del contesto.
Quando nella comunicazione è implicato un processo formativo, quando è
presente l'intento educativo, si parla di comunicazione formativa. In questo caso
l'atto comunicativo non è di tipo semplice, ma di tipo complesso, perché
complessa è l'attività che richiede da parte dei soggetti della comunicazione. La
comunicazione formativa diventa vera e propria comunicazione didattica quando: 
 - la generazione dell'atto comunicativo è di tipo intenzionale 
 - l'intenzionalità è diretta ad un fine educativo generale e al fine di un
apprendimento specifico richiede un'attività mentale di elaborazione complessa da
parte dei soggetti interni della didattica: il docente, tramite tecniche e metodi
adeguati di insegnamento, come veicolo della struttura logica oggettiva; il
discente, tramite l'attività della sua struttura cognitiva soggettiva in direzione della
conquista della logica interna dei contenuti trasmessigli si sostanzia
continuamente di comunicazione retroattiva, cioè di   feedback. 58Per poter
conoscere, comprendere e dunque progettare e condurre consapevolmente
l’evento educativo e – più specificamente – l’azione didattica, è necessario
collocarli e analizzarli in relazione ad uno “sfondo integratore, un “contesto di
significati”, una rappresentazione di senso che dà significato a gesti, parole, fatti”,
dove il contesto può essere definito un insieme di norme e relazioni che ne
regolano il funzionamento e danno significato agli atti comunicativi e ai
comportamenti che si esplicano al suo interno. “Gli insegnanti e gli allievi non
producono semplici comportamenti di reazione reciproca, né semplici attività
materiali, ma elaborano condotte che assumono significati per coloro che le
producono e per coloro ai quali sono dirette; le relazioni fra di esse e i rispettivi
significati si concretizzano in luoghi e tempi che sono caratterizzati nei termini del

58
.Ricci P.E. Bitti/B. Zani, (a cura di), La comunicazione come processo sociale, Il
Mulino, Bologna 1983, pag.25.
38
sistema culturale dell’istituzione scolastica”. L’insegnante deve porsi in maniera
equidistante nei confronti degli autoritarismi (che si esprimono nella dominanza
degli educatori, che limitano e costringono il comportamento degli educandi) e dei
permissivismi e scegliere di essere guida autorevole e quindi di percorrere
l’itinerario del dialogo, dello scambio e della reciprocità comunicativa. Il docente
è guida autorevole, se viene riconosciuto dagli alunni come persona che possiede
competenze oggettive e normative, e quando, per la sua parziale o relativa
accettata superiorità, interviene attraverso funzioni orientative e regolative. Se
autorità autorevole, l’insegnante non genera paure, ma promuove fiducia e si
rende protagonista di una relazione stimolante e rassicurante, che facilita
l’autonomizzazione dell’alunno. Il docente affettivo non è solo antiautoritario, ma
anche aperto all’ambiente circostante e informato delle principali questioni della
società, che promuovono lo sviluppo dell’uomo e del cittadino. Le qualità
fondamentali per la professionalità esperta di un insegnante veramente animato da
amore pedagogico sono: essere autentico, incontrare (accogliere, valorizzare,
ascoltare, domandare, donare, ricevere), comprendere (riconoscere nell’altro
motivazioni, intenzioni, desideri, emozioni, sentimenti, passioni) e confermare
(ascoltare e capire).
Compito fondamentale del docente diventa quello di creare un setting di
apprendimento in cui la scelta e l’utilizzazione delle strategie didattiche più
idonee al raggiungimento dei vari obiettivi pedagogici avvenga nell’ambito di una
relazione di aiuto e incoraggiamento. Affinchè il setting operativo possa essere
messo in atto, secondo Fratini 59 l’insegnante deve possedere tre tipi essenziali di
competenze: capacità di ascolto attivo; capacità di comprensione delle dinamiche
di gruppo; capacità di introspezione e di autotrasformazione intesa come apertura
e disponibilità a mettere in discussione se stessi. Già Dewey aveva sancito il
rapporto irrinunciabile fra scuola e contesto sociale, affermando che
l’apprendimento dell’individuo avviene all’interno e grazie al gruppo di cui fa
parte e che il sistema scolastico non poteva essere deputato solo alla trasmissione

59
Fratini C., (a cura di), Le dinamiche affettive relazionali nei processi di insegnamento-
apprendimento, in Nel conflitto delle emozioni, a cura di F. Cambi, Armando, Roma,
1998.
39
dei contenuti disciplinari, ma doveva veicolare i valori democratici della società
da cui riceveva il suo mandato educativo.
Lewin, con la sua teoria di campo afferma che si possono ottenere e/o
incrementare i risultati di un processo sociale e/o educativo, operando sullo spazio
vitale dell’individuo, ossia predisponendo strutture e contesti adeguati agli
interventi di insegnamento-apprendimento: secondo questa teoria, il processo di
apprendimento è condizionato dal mondo esperienziale del soggetto, dai
precedenti condizionamenti educativi e dai fenomeni adattivi con cui il soggetto
integra i nuovi input conoscitivi nel mondo precedentemente elaborato e
interiorizzato mentalmente.60 Per Foucault “ogni epoca ha il suo épistémé, la
radice silenziosa ma reale che sostiene il suo linguaggio, che organizza la vita dei
soggetti, sia dal punto di vista sociale che culturale, contribuendo a costruire un
orizzonte di senso, un continuum sensoriale, affettivo-pratico, socio-culturale e
istituzionale entro cui collocare, classificare, spiegare, interpretare i fenomeni
biologici, sociali umani”. In questo senso, si ricollega agli studi antropologici
avviati da Levy Strass, Benedict, Mead, sviluppati poi dall’antropologia
interpretativa di Geertz, secondo cui i processi conoscitivi e dello sviluppo
avvengono in riferimento al contesto culturale di appartenenza, ossia al codice di
interpretazione della realtà del gruppo di cui si fa parte.
Goffman, attraverso lo studio delle istituzioni totali (manicomi, istituti per minori
abbandonati,…) evidenzia come l’organizzazione dei sistemi istituzionali
determinano le relazioni, i ruoli, le posizioni e le ‘facce’ (identità) dei soggetti che
vi fanno parte, connotando di significato metacomunicativo gesti , parole, azioni e
comportamenti. Secondo questo autore, ogni soggetto di un certo sistema/contesto
è allo stesso tempo osservatore e attore, che ‘recita’ le proprie parti/facce, i propri
ruoli, in base alla rete di norme e regole del sistema e in base
alla rappresentazione che si è costruito della propria identità e di quella altrui.
Ogni soggetto cerca al tempo stesso di essere all’altezza delle norme sociali e
morali esplicite e implicite, molto spesso ambigue, che gli vengono imposte, pur
cercando di rimanere fedele al suo personaggio e alle sue qualità positive, cioè

60
Lewin K., (a cura di), Teoria e sperimentazione in psicologia sociale, IL Mulino,
Bologna 1972, ed orig. 1951.
40
cercando di non perdere la sua ‘faccia’.
E’ attraverso il reale simbolizzato che gli esseri umani entrano in contatto e si
costruiscono un sistema di riferimento che permette di discutere, scegliere e
modificare i propri comportamenti.  L’interazionismo simbolico di Mead analizza,
in specifico, il rapporto fra organizzazione del connettivo sociale – nei suoi aspetti
relativi all’eventuale condivisione dei comportamenti, dei codici di interpretazioni
culturali, dei valori e degli stili di vita – e costruzione dell’identità personale. 61
L’azione didattica non potrà limitarsi a pensare ai contenuti disciplinari o, nei casi
più avvertiti, alle attività, alle strategie o agli strumenti con cui proporli; per
garantire a tutti i bambini il conseguimento di risultati soddisfacenti e permettere
uno sviluppo equilibrato l’insegnante dovrà tener conto, di volta in volta,
dell’influenza del gruppo generazionale, della famiglia, del mondo
rappresentazionale e simbolico entro cui il bambino filtra e interpreta le
conoscenze proposte, negoziando le strategie educative con la famiglia.
Bronfebrenner, però, non descrive queste connessioni sistemiche di cui il docente
dovrà tener conto come processi lineari-causali che, se considerati, assicurano
risultati positivi; piuttosto il responsabile del processo di insegnamento potrà
muoversi all’interno del loro complesso intreccio, senza però trascurare il ruolo
del caso, dell’evento inaspettato, di quegli ‘attesi imprevisti’ di cui parla Perticari,
che costellano e costruiscono la storia delle relazioni educative e delle azioni
didattiche, così come di ogni atto umano. “La didattica dell’inatteso” non si fonda
“sull’uso tranquillizzante delle metodiche oggettivanti e sulla riduzione a codici
standardizzati”, ignorando “tutti quegli aspetti non conformi agli schemi
precostituiti”. Secondo l’epistemologia della complessità, l’inatteso è “un segnale
irrinunciabile di informazione su ciò che sta accadendo nell’interazione reale”,
così come le regolarità relazionali, organizzativo-istituzionali, che caratterizzano
il contesto educativo e didattico62.
Come già evidenziato da Goffman e Foucault l’organizzazione degli spazi assume
una funzione simbolica e di controllo, che veicola significati relazionali e
61
Goffman E., (a cura di),  Asylum, Mulino, Bologna 1974.
62
Bronfenbrenner U., (a cura di), Ecologia dello sviluppo umano, Il Mulino, Bologna
1994.

41
distinzioni di ruoli, così come la predisposizione di spazi e materiali può costituire
un elemento di stimolo all’azione e all’apprendimento, promuovendo, di volta in
volta, autonomia o dipendenza.63 Allo stesso modo, come studiato dalle ricerche
che si sono concentrate sugli stili comunicativi e di insegnamento, i ruoli, le
relazioni e il sistema di controllo educativo sono determinati dai modi con cui
l’insegnante distribuisce i tempi dedicati alle varie attività, agli interventi verbali
di adulti e ragazzi, così come dalle modalità con cui modula e alterna la
comunicazione di tipo burocratico o di tipo personale. A questi risultati raggiunti
dalla pedagogia e dalla psicologia istituzionale si ricollegano  le ricerche relative
al rapporto fra risultati scolastici e analisi del contesto didattico e istituzionale:
alcuni esempi illustri sono rappresentati dalla ormai classica ricerca delle 15000
ore degli psicologi inglesi Rutter e Mortimer, così come dagli studi sul conflitto di
Deutsch e Goodlad negli Stati Uniti .In quest’ottica, usando le parole di L.
Galliani, l’azione didattica  verrebbe  intesa come “organizzazione sistemica delle
azioni formative dell’insegnare” finalizzate “all’ottimizzazione dei processi di
apprendimento”64.

63
Frabboni F., (a cura di), Didattica generale. Una nuova scienza dell’educazione.
Mondadori, Milano 1999.
64
Galliani L., (a cura di), “Didattica e comunicazione”, Studium educationis, Cedam,
Milano 1998, n.4.
42
3.2 Empatia per imparare a pensare

Nella vita scolastica quotidiana vengono richieste ai docenti, oltre ad un’accurata


preparazione disciplinare e ad una conoscenza puntuale delle più recenti
metodologie didattiche, delle competenze comunicative che diventano la
prerogativa indispensabile per la creazione di una buona interazione. Affinché
realmente si crei una sintonizzazione affettiva, il docente deve utilizzare la tecnica
dell’ascolto attivo: cioè essere sempre pronto a ricevere i segnali trasmessi, a volte
in modo confuso, dagli allievi. Per ascolto si intende la disponibilità per ciò che
viene detto e fatto al fine di trasmettere agli alunni la convinzione del loro valore
in quanto soggetti, le risposte alle loro domande e la decodificazione dei contenuti
latenti nei messaggi.65 Il ruolo dell’insegnante è quello di interpretare
comportamenti, reazioni e improvvisi cambiamenti di umore e di aiutare il
discente a prendere coscienza di quello che gli sta avvenendo, mettendolo in
condizione di riflettere, capire e parlare. La capacità di ascolto attivo offre la
possibilità di osservare in modo approfondito e costituisce un’efficace modalità di
sostegno
affettivo, per cui rappresenta di per sé un valido agente terapeutico. Perché
l’ascolto sia veramente attivo deve configurarsi come realmente empatico. Per
empatia si intende la capacità di comprendere il modo di essere-nel-mondo di un
altro dal di dentro, riuscendo ad immedesimarsi nella sua condizione e a penetrare
la sua dimensione di interiorità. L’empatia è la capacità di intuire e leggere fra le
righe, di captare le spie emozionali, di cogliere anche i segnali non verbali
indicatori di uno stato d’animo e di intuire quale valore rivesta un evento per
l'interlocutore, senza lasciarsi guidare dai propri schemi di attribuzione di
significato: diventa così possibile comprendere atteggiamenti e comportamenti
apparentemente assurdi, e rispondere soddisfacendo i bisogni specifici di un
soggetto. Un ambiente educativo capace di agire in questo senso integra e sostiene
la struttura della persona in difficoltà e, allo stesso tempo, crea un clima di fiducia.
65
Fratini C., (a cura di), Le dinamiche affettive relazionali nei processi di insegnamento-
apprendimento, in Nel conflitto delle emozioni, a cura di F. Cambi, Armando, Roma
1998.
43
Per Rogers66 la comprensione empatica ha una posizione centrale all’interno della
relazione educativa che significa innanzitutto "difendere e incrementare il
potenziale di umanità dell'alunno.
La scuola, in quanto organizzazione che fa dell’apprendimento il suo fine
peculiare, almeno potenzialmente, presenta condizioni adeguate in vista di
costituirsi e di agire come una learning organization. È chiaro che nel mondo della
formazione scolastica ciò non può avvenire limitandosi a “trapiantare” logiche e
approcci tipici dei contesti produttivi, ma occorre ricodificare i linguaggi
pedagogici in lessici e grammatiche adeguati alla nuova realtà. 67 L’apprendimento
organizzativo rappresenta, per la scuola, un modello cui ispirarsi per migliorare le
proprie pratiche, ed uno schema operativo da adottare per promuovere processi di
apprendimento continuo68. In quanto organizzazione che apprende, la scuola,
assumendo un atteggiamento autoriflessivo, processa informazioni relative tanto
ai comportamenti professionali quanto alle modalità attraverso cui si perseguono i
risultati, rileggendo in tal modo il proprio rapporto con l’ambiente, individuando
le proprie specifiche routines, e innescando processi di correzione degli errori
indagati. È chiaro come questo atteggiamento di valutazione rivolto verso
l’interno non escluda un processo di analisi delle richieste dell’ambiente esterno,
che oggi vanno nella direzione della formazione di competenze chiave e di abilità
trasversali.
Tale processo di analisi è fondamentale per cogliere l’effettiva rispondenza degli
obiettivi dell’azione educativa alle esigenze del contesto. Il delinearsi della scuola
quale learning organization richiede ovviamente lo sviluppo professionale dei
docenti, da realizzarsi nelle modalità della ricerca-azione cooperativa, che

66
Rogers C. R., (a cura di), Un modo di essere, trad. it Firenze, Psicho di G. Martinelli e
C s.a.s 1993.
67
Scurati, C., (a cura di), La scuola come organizzazione che apprende: riflessioni
pedagogiche. http://www.napoa.it/napoa1/documenti/documenti/la_scuola_come_organiz
zazione_che_apprende.pdf.
68
Alessandrini, G., (a cura di), Formazione e organizzazione nella scuola dell’autonomia,
Guerini, Milano 2000.

44
consenta un apprendimento integrato con l’esperienza di lavoro, frutto di processi
di riflessione e di autoanalisi. 69 I docenti, in un clima di decisionalità diffusa, si
configurano oltre che esperti della disciplina, anche gestori del processo didattico,
elaboratori di decisioni in rapporto all’utenza e al territorio, valutatori della qualità
dei processi in direzione del miglioramento continuo (Alessandrini, 2000));
quest’ultimo, tra l’altro, per potersi realizzare, esige l’inclusione, all’interno della
scuola, non a caso definita organizzazione “assorbente”, del cliente (l’allievo), che
è considerato, al pari del docente, un “lavoratore della conoscenza”.70

3.3 La capacità comunicativa della disciplina scientifica

69
Calidoni P., (a cura di), Didattica come sapere professionale, La Scuola, Brescia 2000.
70
Orsi M., (a cura di), Scuola, organizzazione, comunità, La Scuola, Brescia 2002.

45
L’agire didattico, che comprende la progettazione educativa, la comunicazione e
la valutazione (Paparella, 2010) non può esimersi dal tenere conto delle
peculiarità del contesto e degli attori sociali. 71 A questa istanza l’analisi dei
bisogni di formazione intende dare risposta, coinvolgendo i soggetti rispetto alle
prospettive di sviluppo che essi immaginano per se stessi negli ambienti dove essi
agiscono (sul piano della competenza) e iter-agiscono (sul piano delle relazioni).
Una buona progettazione assicura direzione, senso, intenzionalità e maggiore
certezza di esiti: quanto più si conoscono le variabili in gioco, tanto più è possibile
controllare il processo educativo nelle sue diverse fasi. L’analisi dei bisogni, in
particolare, permette di centrare l’azione didattica sul soggetto da formare,
assumendone in carico istanze, aspettative e identità che riguardano la sua identità
(non solo professionale). Permette inoltre di predisporre positivamente i soggetti
all’apprendimento, favorendo la comprensione di senso rispetto a carenze e
traguardi. Sussiste quindi un nesso profondo fra l’analisi dei bisogni e gli effetti
della formazione nel breve, medio e lungo periodo. Nelle organizzazioni, in
particolare, è necessario allineare costantemente il sistema organizzativo alle
sollecitazioni di un ambiente che a seguito dei processi connessi con la
globalizzazione, è divenuto più incerto e instabile, esposto a rischi di
indebolimento dell’identità, sia personale sia professionale. Inoltre, è interesse
delle aziende mettere le risorse umane di cui dispongono nelle condizioni di
innovare il bagaglio delle competenze possedute attraverso idonei programmi
formativi capaci di valorizzare l’esperienza dei soggetti, a prescindere dal contesto
e dalle circostanze dove quest’ultima è stata acquisita, assumendo pienamente la
prospettiva della formazione integrata. L’analisi dei bisogni, unitamente al
bilancio di competenze, rende possibile verificare e allineare differenti istanze:
organizzative e individuali.72
In ciò consiste la sua importanza, che è di orientamento, mediazione, condivisione
di obiettivi e di aspettative. Da questa prospettiva, l’analisi dei bisogni si
71
Manfreda A., (a cura di), Analisi dei bisogni formativi nella knowledge society, in S.
Colazzo (eds.), Progettazione e valutazione dell’intervento formativo, McGraw-Hill,
Milano 2008 pp. 108-118.
72
Di Fabio A., (a cura di), Bilancio di competenze e orientamento formativo, Giunti,
Firenze 2008.
46
configura come un’attività di ricerca (relativamente alla raccolta delle
informazioni sui bisogni), ed inoltre di azione (relativamente agli scopi concreti
che sottendono le logiche investigative). In quanto attività di ricerca adotta, a
seconda delle circostanze e delle opportunità, dispositivi e strumenti che la ricerca
sociale ed educativa mettono, ormai in grande varietà, a disposizione, con lo
scopo di restituire un quadro credibile dei formandi nel loro complesso
predisponendo positivamente i soggetti all’azione formativa. Questa, preparata da
un’analisi dei bisogni così intesa, ha maggiori probabilità  di successo, in quanto
può avvalersi della spinta motivazionale derivante dal processo di coinvolgimento
nel cambiamento che l’analisi dei bisogni rappresenta.
Così concepita essa può effettivamente svolgere, nei confronti delle persone e
dell’organizzazione, una funzione orientativa per l’azione, sottraendola
all’improvvisazione e alla casualità, riportando al centro dell’apprendere i bisogni
dei titolari diretti, ed infine evitando che la formazione divenga un luogo dove si
formano personalità socialmente omologate. L’analisi dei bisogni è quindi una
pratica necessariamente aperta alla prospettiva della formazione partecipata ; una
nuova frontiera educativa interessata a corresponsabilizzare i soggetti in
formazione sugli obiettivi e sui risultati dell’azione formativa all’interno di realtà
produttive riconosciute come luoghi per l’educabilità umana, dove il lavoro si
fonda su una convivenza civile e democratica, sostenuta da una leadership
distribuita, indispensabile per incentivare e valorizzare le risorse/potenzialità
integrali del soggetto.73
Saper gestire la classe, probabilmente, è per l’insegnante quanto di più difficile vi
sia da apprendere nella sua vicenda professionale insieme alla valutazione. La
difficoltà proviene da alcuni fattori: la complessità degli elementi da tenere in
considerazione, il loro carattere sistemico (se ne viene modificato uno si
modificano anche tutti gli altri), la estrema variabilità delle condizioni (colleghi,
alunni, ecc.) in cui l’insegnante si trova a operare, ma soprattutto la grande
flessibilità e le competenze di decisione in tempo reale che all’insegnante vengono
73
Colazzo S., Patera S., (a cura di), Verso un’ecologia della partecipazione, IBSN,
Melpignano Amaltea 2007.
.

47
richieste. In classe le cose non vanno mai come le si era progettate. 74 È alta la
probabilità che una qualche variabile modifichi la situazione. Questo richiede
all’insegnante competenze di regolazione del proprio agire professionale, ovvero
la capacità di “leggere” la situazione, di misurarne le deviazioni rispetto a quanto
atteso o progettato, di intervenire attraverso microdecisioni istantanee perché
l’attività che si sta svolgendo possa essere funzionale anche nel nuovo contesto. Si
tratta di competenze “fini” che non si possono ricondurre né ai principi della
“teoria”, né a un repertorio di soluzioni preconfezionate da giocare ogniqualvolta
se ne presenti l’occasione75.
Queste competenze assomigliano piuttosto a quello che Aristotele
chiamava habitus nell’impostazione delle virtù etiche: un habitus è un
comportamento acquisito che si sviluppa progressivamente attraverso il
compimento e l’aggiustamento continuo. E come Aristotele sosteneva che sugli
habitus si reggesse la saggezza morale, così si può dire che la capacità di
regolazione, più in generale la capacità di gestire la classe, sia una questione di
saggezza professionale: si acquisisce con il tempo, attraverso uno sforzo costante
di automiglioramento. Se poi si sposta l’analisi dalla lettura generale del processo
vedendo quali siano gli ambiti che la gestione della classe chiede all’insegnante di
tenere sotto controllo, è facile individuare almeno tre ambiti specifici di
intervento. Il primo è rappresentato dal setting. Con questo termine si designano a
un tempo l’organizzazione dello spazio-classe e l’atmosfera psichica del gruppo
che in quello spazio si trova. Collocazione dei banchi e della cattedra, presenza e
dislocazione della tecnologia, configurazione generale dell’aula sono tutti
elementi che incidono sullo “stare in classe” degli studenti favorendo il crearsi di
condizioni utili all’apprendimento e alla collaborazione 76. Strettamente collegati al
setting sono gli altri due ambiti. Si pensi, in primo luogo, all’organizzazione della
didattica, ovvero al design delle attività che l’insegnante intende far svolgere alla
classe. Più il design è vario, flessibile, basato su più modelli di comunicazione
didattica (dalla lezione frontale al lavoro di gruppo) e più esso richiederà analoga
74
Rossi P.G., (a cura di), Didattica enattiva, Franco Angeli, Milano 2010.
75
Pellerey, M., (a cura di), Pedagogia come sapere pratico-progettuale, LAS, Roma
1991.
76
Rivoltella P.C., Ferrari, S., (a cura di),  Scuola del futuro, Educatt, Milano 2010.
48
flessibilità nel setting: ma un po’ tutte le variabili relative al setting, a partire dallo
spazio disponibile, rappresentano vincoli od opportunità significativi in ottica di
design. Ma sul design incidono anche altri fattori, ciascuno dei quali meriterebbe
un’apposita ampia trattazione (basti pensare ai bisogni speciali o alle esigenze
dell’intercultura)77.
Con l’organizzazione del setting e il design didattico ha a che fare anche l’ultimo
ambito cui si intende far cenno: quello della disciplina. Si tratta di uno dei
problemi più difficili da affrontare da parte dell’insegnante nella gestione della
classe. Esso è da porre in relazione, certo, con la “difficoltà” di alcuni studenti (i
loro problemi familiari, di autostima, di motivazione, che spesso degenerano in
vera e propria devianza, come nel caso del bullismo), ma sicuramente dipende in
larga parte anche dalla scarsa sicurezza dell’insegnante. Nel setting essa si traduce
rapidamente in paura e la paura detta scelte sbagliate il cui effetto è un’ulteriore
perdita di controllo sulla classe. La via d’uscita (a prescindere dalla “personalità”
dell’insegnante, che rappresenta comunque una variabile di non poco conto e non
può essere surrogata se manca) si può trovare in accorgimenti e tecniche che
vanno dalla gestione della voce, al controllo dei comportamenti, alla gestione
generale della relazione con gli studenti.78

CONCLUSIONI:

Per poter conoscere, comprendere e dunque progettare e condurre


consapevolmente l’evento educativo e – più specificamente – l’azione didattica, è
necessario collocarli e analizzarli in relazione ad uno “sfondo integratore, un
“contesto di significati”, una rappresentazione di senso che dà significato a gesti,
parole, fatti”, dove il contesto può essere definito un insieme di norme e relazioni
che ne regolano il funzionamento e danno significato agli atti comunicativi e ai

77
Laurillard D., (a cura di), Teaching as a design science, Routledge, London 2001.
78
D’alonzo L., (a cura di),  La gestione della classe, La Scuola, Brescia 2002.
49
comportamenti che si esplicano al suo interno. “Gli insegnanti e gli allievi non
producono semplici comportamenti di reazione reciproca, né semplici attività
materiali, ma elaborano condotte che assumono significati per coloro che le
producono e per coloro ai quali sono dirette; le relazioni fra di esse e i rispettivi
significati si concretizzano in luoghi e tempi che sono caratterizzati nei termini del
sistema culturale dell’istituzione scolastica”. Già Dewey aveva sancito il rapporto
irrinunciabile fra scuola e contesto sociale, affermando che l’apprendimento
dell’individuo avviene all’interno e grazie al gruppo di cui fa parte e che il sistema
scolastico non poteva essere deputato solo alla trasmissione dei contenuti
disciplinari, ma doveva veicolare i valori democratici della società da cui riceveva
il suo mandato educativo. Lewin, con la sua teoria di campo afferma che si
possono ottenere e/o incrementare i risultati di un processo sociale e/o educativo,
operando sullo spazio vitale dell’individuo, ossia predisponendo strutture e
contesti adeguati agli interventi di insegnamento-apprendimento: secondo questa
teoria, il processo di apprendimento è condizionato dal mondo esperienziale del
soggetto, dai precedenti condizionamenti educativi e dai fenomeni adattivi con cui
il soggetto integra i nuovi input conoscitivi nel mondo precedentemente elaborato
e interiorizzato mentalmente. La comunicazione empatica è caratterizzata da una
funzione del maestro istituzionalmente è al contempo formativa, ma anche
affettiva. Risulta oltremisura complesso comprendere le dinamiche relazionali in
una classe di adolescenti e quanta esclusione deve subire il singolo allievo che non
vuole condividere i sentimenti degli altri, inevitabilmente messo al margine della
classe. L’insegnante può trovarsi di fronte a situazioni complesse che lo colgono
impreparato, soprattutto se manca di esperienza e di una formazione adeguata. Il
ruolo dell’insegnante non deve essere quello di intervenire in modo autoritario
negli equilibri del gruppo, ma, piuttosto, di far sì che gli allievi aumentino le loro
capacità critiche, creative e comunicative e riescano ad utilizzarle lungo il loro
cammino, risolvendo in modo autonomo di volta in volta i problemi della vita di
gruppo. Il docente è dunque colui che garantisce che tutti procedano, senza
perdere la strada, verso l’obiettivo generale prefissato, la crescita di ciascun
allievo.

50
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