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Come finora affermato, l’uomo si realizza pienamente nella società relazionandosi con
gli altri; la ricerca della verità avviene nella comunità e nel dialogo di domanda e risposta
finalizzato ad un domandare ulteriore.
La storia della pedagogia riconosce due tipologie di dialoghi, quello platonico e quello
aristotelico.
La lezione aristotelica valorizza l’esperienza, il vissuto, che deve essere assunto come
guida per l’agire morale.
Il dialogo, nell’ottica aristotelica, non è finalizzato alla ricerca di una verità astratta, ma
è il terreno di confronto di diverse esperienze di vita realizzatesi nella storicità, per
ricercare punti di vista condivisibili.
Seguendo questa tesi ripresa da H.-G. Gadamer1 – che prospetta tale linea nella lettura
pedagogico-ermeneutica – si può sostenere che il dialogo si caratterizza per essere quella
situazione educativa in cui la teoria e la prassi si incontrano.
1
Cfr. H.-G. Gadamer, Verità e metodo, tr. it., Bompiani, Milano 1983.
La pedagogia ermeneutica, pertanto, considera il dialogo non sotto il profilo
metodologico, ma come un vero e proprio valore dell’educazione, perché consente al
singolo di uscire da sé, di incontrare l’altro e di intendersi con lui.
È eminentemente grazie al linguaggio che il soggetto, anziché essere gettato nel mondo,
può diventare ideatore e progettista del suo modo di essere-al-mondo.
L’altro-da-sé per il soggetto, se è preso nella storicità, non può essere un oggetto, ma un
altro soggetto con una propria identità storica.
È necessario che tra i soggetti ci sia una comunicazione che tenga presente le entità
oggettive, sociali, politiche, morali del tempo storico in cui due dialoganti appartengono.
È evidente, quindi, che il soggetto che vuole riconoscere l’altro da sé come un altro
soggetto deve stabilire con quest’ultimo una comunicazione dialogica.
Il dialogo è ciò che caratterizza l’ermeneuticità del comprendere: non è una metodologia
che si applica ad una situazione comunicativa, ma è la stessa situazione comunicativa che
viene ad assumere una veste dialogica di natura ermeneutica.
La pedagogia ermeneutica non intende fissare a priori le norme morali, ma preferisce che
queste si formino nel libero confronto tra diversi soggetti. Non è un semplice incontro,
ma un confronto nel quale è possibile individuare orizzonti di senso.
Il confronto, tuttavia, non è ancora l’esito finale ambìto dalla pedagogia ermeneutica, che
va oltre l’incontro e pretende di raggiungere l’intesa, un orizzonte di senso condiviso.
Ma, per perseguire al meglio questo obiettivo, occorrerà prendere in esame il circolo
ermeneutico.
Per superare il rischio della soggettività, infatti, i dialoganti devono raggiungere l’intesa.
Nel dialogo, lo scambio di opinioni non è fine a sé stesso, ma ha l’obiettivo di far crescere
il soggetto, abituandolo a modificare le proprie posizioni di partenza.
Il vero problema pedagogico, allora, sarà quello di indicare, tramite l’intesa, il fine ultimo
dell’educazione.
Il passaggio dal confronto all’intesa può avvenire soltanto riconoscendo che l’uomo ha
una sua dimensione di spiritualità e rispettando il suo legame con il trascendente,
altrimenti si raggiungerà un accordo solamente riguardo agli aspetti “esteriori” e materiali
che, per quanto importanti, non potranno mai realizzare autenticamente l’umanità
dell’uomo.
Con la circolarità ermeneutica si vuole raggiungere una “fusione di orizzonti” che non è
la somma delle singole verità, bensì la nascita di una nuova, diversa verità.
La pedagogia, pertanto, più che al metodo d’indagine deve essere attenta a comprendere
la domanda di senso che proviene dalla società del terzo millennio, così difficile da
interpretare e comprendere a causa delle sue svariate sfaccettature e articolazioni.
La fusione di orizzonti non si risolve nella metodologia del dialogo, ma è tesa alla ricerca
di orizzonti veritativi comuni, che consentono all’uomo contemporaneo di vivere la vita
da persona educata nella società post-moderna.
L’intesa, oggi, si può raggiungere più sulla solidarietà che sulla tolleranza.
Come sostiene Angela Perrucca, la piena solidarietà richiede “accettazione,
valorizzazione, convocazione delle differenze insieme alla consapevolezza della
ricchezza del nuovo e della possibile complementarità del diverso”2.
La pedagogia ermeneutica, nella sua doppia veste teorica e pratica, deve individuare una
teoria della prassi educativa in quei settori sociali (come la scuola, la famiglia, la
religione, la giustizia, la politica…) che oggi sono in profonda trasformazione e che dalla
ricerca pedagogica pretendono nuove linee guida e idee-forza per la costruzione di una
società educata.
Bibliografia
2
A. Perrucca, La pedagogia interculturale, in Id. (a cura di), Pedagogia interculturale e dimensione
europea dell’educazione, Pensa, Lecce 1996, p. 32.