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DE TRANQUILLITATE ANIMI

IL MALE DI VIVERE

10)Di qui quella noia e quell’insofferenza di sé, e l’irrequietezza dell’animo che non trova pace in nessun
posto, e la triste e angosciosa sopportazione della propria inattività, soprattutto quando si ha ritegno ad
ammetterne i motivi e il pudore ricaccia dentro il tormento, mentre le passioni, confinate in una angusta
prigione, senza sbocchi, si soffocano a vicenda; di qui la tristezza, la depressione e i mille ondeggiamenti
dell’animo incerto, che la speranza accarezzata tiene sospeso, la frustrazione rende triste; di qui
l’atteggiamento di quanti detestano il proprio riposo e si lamentano di non aver nulla da fare; di qui, anche,
l’invidia feroce per i successi altrui. Perché l’inattività insoddisfatta nutre il livore e, non avendo potuto farsi
avanti loro, desiderano la rovina di tutti;

11) quindi, per questa rabbia dei successi altrui e per la sfiducia riguardo ai propri, l’animo si adira contro la
sorte e si lamenta dei tempi in cui vive ritirandosi negli angoli a rimuginare sulla propria pena, mentre prova
fastidio e vergogna di sé. Infatti l’animo umano è per natura attivo e portato al movimento. Gli è gradita
ogni occasione di muoversi e distrarsi, e ancor più gradita a quei pessimi soggetti che volentieri si lasciano
logorare dalle occupazioni; come certe ferite cercano le mani che recheranno loro dolore e godono
d’essere toccate, e come la scabbia ripugnante trova sollievo in tutto ciò che la irrita (il grattare dà sollievo
alla scabbia deturpante), non diversamente direi che per questi caratteri, in cui le passioni esplodono come
ferite dolorose, lo sconvolgimento e l’agitazione sono fonti di piacere.

12)Ci sono infatti cose che arrecano diletto al nostro corpo anche con un certo dolore, come voltarsi e
girare il fianco non ancora stanco e prendere fresco ora in una posizione ora in un’altra, come quel famoso
achille descritto da omero, che, ora prono, ora supino, assume varie posizioni - il che è proprio di un malato
- non ne sopporta a lungo nessuna e usa i cambiamenti come rimedi.

13) Quindi si intraprendono viaggi senza meta e si va errando da una spiaggia all’altra sperimentando ora
per mare ora per terra l’instabilità sempre nemica del presente: “ora andiamo in Campania.” Ma subito i
luoghi deliziosi vengono a noia: “andiamo a vedere quelli incolti, andiamo tra i monti del Bruzio e della
lucania”. tuttavia in mezzo ai luoghi desolati si cerca qualcosa di piacevole, in cui gli occhi avidi di
godimento possano trovar sollievo dalla lunga desolazione dei luoghi selvaggi: “andiamo a taranto, nel suo
decantato porto, in quella terra dove l’inverno è così mite e la ricchezza sufficiente anche per la
popolazione di un tempo”. “Ma via, andiamo a Roma”: da troppo tempo le orecchie sono restate lontane
dagli applausi e dal chiasso, ora fa piacere godere della vista del sangue umano. Si intraprende un viaggio
dietro l’altro e si sostituisce uno spettacolo con un altro.

14Come dice lucrezio, in questo modo ciascuno fugge continuamente se stesso. Ma a che serve, se non ci
riesce? Ciascuno sempre si segue e si incalza da solo, compagno insopportabile di sé.

15) Dunque dobbiamo convincerci che non è colpa dei luoghi il male di cui soffriamo, ma nostra: siamo
incapaci di sopportare ogni cosa, e non tolleriamo troppo a lungo la fatica né il piacere né noi stessi né
niente. Ciò ha portato alcuni alla morte, poiché, cambiando continuamente propositi, finivano per
riproporre sempre le stesse cose senza lasciare spazio al nuovo: cominciarono a provare disgusto per la vita
e per il mondo stesso e si insinuò in loro quel famoso dubbio proprio di chi marcisce in mezzo alle mollezze:
“Fino a quando sempre le stesse cose?

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