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LA FEDE FILOSOFICA A CONFRONTO CON LA RIVELAZIONE CRISTIANA – KARL JASPERS

La fede nella rivelazione, dopo aver dominato per 1500 anni, si è costantemente indebolita.
Essa cela un'esistenza convenzionale. Raramente ha ancora quella forza spirituale che un tempo
riusciva a catturare le persone. È vero che oggi vi è una tendenza a tornare alla rivelazione. A volte
può sembrare che ci si aggrappi ad essa come ad un'ultima speranza.
Purtroppo, questa fede nella rivelazione non riesce ad unire tutti gli uomini. Per la sopravvivenza
dell'umanità, però, è indispensabile trovare il terreno su cui tutti gli uomini si possano incontrare a
prescindere dalla loro tradizione. Chi non crede nella Bibbia non deve di conseguenza perdere
anche il contenuto eternamente vero della Bibbia. Che cosa sia la rivelazione, lo comprende solo
il credente. La filosofia non può comprendere la rivelazione. Dai tempi di Socrate, però, la
filosofia fa sì che l'uomo che pensa in maniera filosofica distingua ciò che egli comprende da
ciò che egli non comprende. Ciò che egli non comprende, non per questo lo nega e non deve
lasciarlo da parte come qualcosa d'indifferente.
Dall'esterno la rivelazione si presenta nel modo seguente. La rivelazione è una comunicazione
diretta di Dio nello spazio e nel tempo, storicamente localizzata in determinati luoghi. La
rivelazione è una "realtà" che si trova sia nella storia profana sia nella storia sacra. Per il
credente la storia sacra e quella profana coincidono. Per questo egli vuole sapere come sono
andate le cose; egli guarda alla realtà concreta della rivelazione, ma al contempo, a qualcosa che
resta come realtà anche se l'elemento storico si fa incerto e poco chiaro.
La rivelazione viene creduta e non conosciuta tramite una prova storica. Se la comunicazione
diretta di Dio nella rivelazione fosse un fatto allo stesso modo in cui lo è una comunicazione tra
uomini, potrebbe essere comprovata sulla base di determinati documenti. Dato che però esiste solo
per la fede, la comunicazione diretta di Dio deve avere fin dal principio un carattere
fondamentalmente diverso rispetto a una comunicazione diretta tra gli uomini. Questo non è
però assolutamente sufficiente. In primo luogo, è un concetto generico che consentirebbe diverse
rivelazioni. Ma questo la fede cristiana non lo permette. In secondo luogo, la rivelazione è oggetto
di fede all'interno di una chiesa. Questo è un tratto di fondo di tutte le religioni. Caratterizzata da
determinati sacramenti, da un determinato annuncio dalla parola e da una professione di fede
chiaramente formulata. Per il pensiero razionale sorgono ben presto delle contraddizioni. La
rivelazione rivela, ma nasconde. Si pensa di avere la rivelazione nel primo annuncio degli apostoli;
essa, come parola di Dio, pretende obbedienza e non tollera alcuna critica. Ci dicono però: la
comprensione del kerygma è teologia. Questa permette e suscita critica e discussione. Dato che però
già il kerygma viene comunicato in linguaggio umano è già a sua volta comprensione e quindi una
teologia, che legata al kerygma, richiede obbedienza.
Sia la fede nella rivelazione che la rivelazione non sono dati di fatto chiaramente definibili,
con cui si possa operare come si opera con un oggetto. Per colui che comprende e che distingue
tra ciò che comprende e ciò che non comprende (il filosofo), decisivo è che il non compreso non è il
nulla.
La rivelazione specificamente cristiana pretende di essere esclusiva. La stessa rivelazione viene
interpretata in maniera diversa dalle confessioni e dai teologi. Sulla base della propria particolare
interpretazione, sono state sospettate e uccise nel nome di Dio molte persone e sono state
condotte nel nome di Dio molte guerre. Il risultato è stato che la fede biblica nella rivelazione si è
disgregata in figure diverse, le quali si sono combattute finché è rimasta la fiacca devozione che non
ha più effettivo potere nel mondo. La fede nella rivelazione ha dominato l'occidente e ha mostrato
in che modo essa sia presente e agisca nel mondo, sia nel bene che nel male. Dato che questo lato
buono c'è ancora, non basta condannare la fede rivelata sulla base di quei numerosi, terribili
fenomeni di cui ha riempito i secoli. Quando veniamo toccati da contenuti che provengono da
uomini della fede rivelata, ciò che non riusciamo a comprendere i filosofi lo rispetto.
Non neghiamo la possibilità della rivelazione per altri, perché non siamo tutti accomunati
dalla stessa e unica fede rivelata. Il filosofo agisce secondo coscienza e amore: “con l'amore e la
coscienza morale sto davanti alla trascendenza, tuttavia essa non risponde all'uomo che vive
filosofando allo stesso modo in cui risponde a chi crede nella rivelazione, visto che costui sa
sempre che cosa Dio vuole”.
Negli ultimi secoli la scienza moderna si è resa indipendente. È emersa la tensione tra il piacere
immeditato di delineare la realtà, che si presenta all'osservazione e al pensiero, e l'esattezza della
scienza. Negli ultimi secoli, grazie a grandi ricercatori, si è cercato di favorire l'autonomia della
conoscenza scientifica in tutti i campi. Quando il sapere della scienza si contrappone alla fede, la
fede ha perso la partita. Diversamene stanno le cose quando la filosofia si rivolge contro la
fede nella rivelazione. In questo caso non è il sapere a opporsi alla fede, ma la fede a opporsi
alla fede.
La fede rivelata e la fede razionale stanno, come tali, in un rapporto polare, sono toccate
l'una dall'altra, non si comprendono completamente, ma non rinunciano al tentativo di
comprendersi.
Noi vorremmo oltrepassare la scissione soggetto-oggetto, vorremmo arrivare al suo fondamento,
all'origine di tutte le cose e di noi stessi (Trascendenza).
- La fede filosofica non sa nulla di Dio, ma ode soltanto il linguaggio delle cifre. La fede
filosofica prende sul serio il comandamento biblico: “non ti farai né immagine né icona di
me”;
- La fede rivelata ritiene di conoscere le azioni di Dio tramite la sua autorivelazione che
irrompe e opera nel mondo, localizzato in un certo luogo e in un certo tempo. La fede
rivelata ha Dio non solo in immagine, bensì come realtà concreta in carne ed ossa.
Fin da quando ha cominciato a pensare, l'uomo nella sua vita ha a che fare con le cifre. Le
cifre non sono però mai la realtà autentica della trascendenza stessa, bensì ne sono il possibile
linguaggio.
La rivelazione ha molteplici figure:
1. I profeti che annunciano ciò che Dio esige;
2. Le chiese e i sacerdoti che dichiarano che alcuni testi sono sacri;
3. Gli apostoli che hanno testimoniato che Dio è apparso sulla terra in Cristo, ma senza
indicare fatti storici verificabili.
La cifra è possibilità, non realtà concreta. Per noi un mondo di cifre è un linguaggio oscillante
della trascendenza, non reale azione di Dio: è qualcosa da cui si può trarre un significato
possibile, non oggetto di obbedienza. Ciò che, nella rivelazione, è "realtà" autentica per il
credente, non lo è in assoluto.
Una fede filosofica non può essere affatto una fede in Dio. Bultmann scrive
“Dio è inteso in maniera corretta solo raramente e dal punto di vista della fede cristiana, la
fede umanistica in Dio va considerata come errore, follia. La fede rivelata è personale. Dio
sta di fronte come un Tu con cui nella preghiera è possibile comunicare da persona a
persona (mentre la fede filosofica conosce la personalità di Dio solo come cifra)”.
Il Dio dei credenti è concreto, vicino; la divinità della filosofia è astratta, lontana, solo pensata.
Dio esiste solo nelle cifre. Il Dio lontano, come Dio soltanto pensato, mantiene aperto lo spazio,
libera da tutti gli esclusivismi, da tutti gli atti di violenza. La realtà autentica di Dio si avverte
nel mondo più forte laddove non è velata da alcuna concretezza corporea, da alcuna mediazione
umana.
Per quanto riguarda la volontà di Dio abbiamo a che fare con un linguaggio che pretende
chiaramente obbedienza. Quel linguaggio delle cifre e la comunicazione diretta di Dio, non si può
dire che siano la stessa cosa. Il filosofo dice: “Dio parla attraverso le cifre”. Quindi, la rivelazione è
un atto autentico di Dio o anche essa una cifra? Per il teologo le testimonianze sono cifre diverse da
tutte le altre cifre, solo in loro c'è la realtà autentica di Dio.

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