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TEOLOGIA FONDAMENTALE 7

I PARTE

 Lavoriamo sul capitolo 2° di Halik ( La fede come esperienza del mistero)


 Il testo lavora su qsti 2 elementi: fede e incredulità. Una prima affermazione che fa Halik è che non
è così scontato avere chiaro chi fa parte di un gruppo e chi fa parte di 1 altro (cioè nn si può
facilmente distinguere tra “credenti” e “non credenti”).
 Ciò vuol dire che il credere, il fidarsi, l’affidarsi è qlcs che avviene in modo più fluido (Martini
parlava del nn credente che è in noi, per es.). La stessa persona vive a volte entrambe le esperienze
(del credere e del non credere) in diverse fasi della vita.
 Dice Halik (p.21) “Fede e incredulità convivono in una dimensione dell’uomo assai più profonda
rispetto alle aree consapevoli e accessibili della ragione”  se il credere fosse semplicemente
quello che lui chiama la fides quae (un riferimento ai contenuti: articoli del credo, dottrina,
convincimenti…), la differenza sarebbe chiara.
 (Nota: quello che noi stiamo facendo in qsta prima parte di teologia fondamentale è molto attento
ai contenuti, alla dottrina, alle verità di fede).
 Halik dice, secondo la prospettiva legata al nostro contesto culturale, che l’elemento più decisivo
nel tema della fede è la fides qua, cioè l’atto del credere, cioè l’affidamento che una persona fa.
 Questi 2 elementi nn sono scindibili: sono 2 aspetti della fede che vanno sempre insieme, tu ti affidi
a un Dio che poi conosci e pensi sia in un certo modo. Qs due aspetti nn vanno messi in
contrapposizione; la differenza è accentuare l’uno o accentuare l’altro.
 Halik dice che in qs fase molto più importante è la fides qua rispetto alla fides que.
 Se facciamo riferimento al tempo del luteranesimo, senz’altro Lutero ha accentuato molto la fides
qua (l’atto di fede); nella tradizione sono state colte e rimarcate entrambe le prospettive in modo
diverso.
 Questa dunque è una prima posizione dell’autore; osserva che ci sono tante persone non credenti
( che nn pronunciano il Credo, nn vanno a Messa, nn sono praticanti…) ma hanno un atteggiamento
da credenti, inteso come un’apertura verso il mistero, verso dei valori, verso dimensioni a cui
dedicano la vita. Ma nn pronuncerebbero mai una fede nel Dio di Gesù Cristo.
 Per questo è difficile fare una distinzione netta tra credenti e non credenti. Inoltre Halik centra
molto sul fatto che oggi forse bisogna riflettere su qual è la tensione, la ricerca spirituale che c’è
nelle persone, che appartengono a qsto insieme di una ricerca profonda ma che poi si
espliciterebbe in appartenenze diverse, e quindi in posizioni/convincimenti/religioni diverse.
 Mette anche in luce la fede come esperienza del mistero, un mistero che nn è catturabile, che nn è
del tutto dicibile, che nn è riconducibile a quella fides quae chiara e distinta degli articoli di fede.
 (Leggiamo a p.22): “Parlo di ‘incredulità dei credenti’ e ‘fede dei non credenti’…”  questa
mescolanza tra posizioni diverse c’era anche al tempo di Gesù. E’ finito il cristianesimo o è finito un
modo di vivere la fede? Halik pone l’accento sul fatto che nonostante questa “crisi” di presenza
nelle chiese e nelle pratiche della fede, la ricerca di Dio continua ad esserci, ma dobbiamo guardare
qsta dimensione come qsa che guarda all’affidamento che in tanti, in modi diversi, oggi vivono. 
questa è la chiave di lettura di fondo di quanto dice Halik.
 Leggiamo (inizio pag.23): “Fede e incredulità — soprattutto oggi, nella cultura del mondo
globalizzato, in cui diverse correnti e posizioni spirituali si influenzano continuamente l’una con
l’altra — non possono essere distinte in modo univoco e separate del tutto: nei pensieri di molti
contemporanei esse si mescolano. Il dialogo tra fede e incredulità oggi non é una questione
riguardante due gruppi nettamente separati: si gioca nella mente e nel cuore dei singoli individui.”
 è un invito a riprendere il concetto di una fede in movimento: bisogna cogliere i movimenti
interiori, i movimenti tra le persone, tra i convincimenti…bisogna cogliere qsta dimensione
profonda e uscire da 1 concezione statica, da appartenenze fisse.
 Inoltre dice qlcsa di molto importante (soprattutto relativamente a qsto corso di teologia
fondamentale): chi è l’autore primo della fede? E’ Dio stesso. Noi non diamo la fede a nessuno; la
testimoniamo. L’autore della fede è Dio. La fede è un dono di grazia, una virtù teologale. Sarà la
grazia di Dio a lavorare nelle persone che incontriamo.
 (DOMANDA) Predestinazione: come Dio parla al cuore dell’uomo non è una cosa decisibile da fuori.
Come sono salvati gli uomini delle altre religioni, come sono incontrate da Dio le persone atee,
sono tutti dannati? Oppure Dio parla alla storia in modalità e forme che sono quelle che troviamo in
Mt 25 ‘benedetto tu perché mi hai dato da mangiare’. Noi nn sappiamo come Dio arriva al cuore di
ciascuno e non perché non li vediamo pronunciare il credo, qs dice che sono fuori.
 Qs dice che il tema dell’incontro tra Dio e la libertà dell’uomo è una cosa molto profonda e non
riconducibile a categorie troppo strette. Rischiamo di ridurlo a un discorso troppo stretto.
 Il dono di grazia di Dio si incontra certamente con la nostra libertà. A livello cattolico, per noi la
risposta dell’uomo non è inutile, secondaria, anche se la visione cattolica pone un primato sulla
fede che è da Dio: ma questo poi apre una “storia”, una libertà tra l’uomo e Dio che chiede anche 1
compartecipazione nell’atto di fede, che è la ns umanità, cultura, educazione, la ns storia.
 Halik poi mette in luce alcune diverse posizioni (leggiamo p.23): “ Alcune scuole teologiche
distinguono in modo piuttosto rigoroso fra il desiderio ‘naturale’ dell’uomo per l’assoluto e la
risposta ‘sovrannaturale’ di Dio, il dono della grazia. Altre sostengono che questo stesso desiderio
agisce nell’uomo come ‘grazia’, energia divina che apre e dispone l’uomo al dono più grande, il
donarsi di Dio. Questa sete di assoluto si desta nei singoli individui con diversa intensità, in eta e
circostanze diverse: giunge loro per vie e forme diverse. ” (commento): quando Blondel all’inizio
del ’900 parla dell’apologetica dell’immanenza dice: per me è importante il desiderio che c’è
nell’uomo, qsto aspetto nn è secondario. Quindi il desiderio di Dio che c’è nell’uomo è qlcsa che ci
interessa per arrivare a Dio. (e tt qsto lo dice scontrandosi con la posizione ufficiale della Chiesa,
che vedeva in qste forme troppa soggettività).
 Come coltiviamo qste dimensioni? Halik dice (vedi p.24): “Dio viene attraverso la Parola: attraverso
la parola del racconto biblico cosi come attraverso la Parola incarnata nella storia — attraverso
Cristo e attraverso la Chiesa, che fa da mediatrice in molti modi fra l’uomo e la Parola. Ma la
risposta di Dio puo giungere anche silenziosa e intima, addirittura anonima. ”  ci sono delle forme
che noi riconosciamo nella tradizione, tradere vuol dire trasmetttere. Come arriva a noi qsta Parola,
questo incontro? Tramite forme ufficiali, canoniche, che la Chiesa dice di sé come sicure: la Parola,
la Bibbia, la tradizione.
 Ma ci sono anche tante altre forme anonime che nn hanno un riconoscimento ufficiale ma che
hanno agito nella storia e hanno raggiunto il cuore degli uomini.
 Sottolinea anche che c’è qsta trascendenza di Dio che nn è riconducibile al nostro atto di
affidamento. Continua: “ Con la libera risposta dell’uomo alla chiamata di Dio si realizza il carattere
dialogico della fede. La fede personale é la nostra risposta — e questo sia come aspetto esistenziale,
atto di fede (fides qua, faith) , sia come contenuto della nostra fede personale, come sua
articolazione nella forma di un nostro convincimento (fldes quae, belief).” Non contrappone Fides
qua e fides quae, ma è messa maggiormente in luce ancora una volta la fides qua. Perché dice a
pag. 25
 “La fides quae, un ‘convincimento’, aggiunge alla fede intesa come fides qua la possibilita di
autoespressione verbale e intellettuale e di comunicazione con gli altri. La fides qua (faith) senza la
fides quae (belief) e forse ‘nuda’, ma questa ‘nudità’ non deve per forza essere vacuità, bensi un
rimanere in silenzio stupito e umile di fronte al mistero.”  è l’esperienza interiore di essere di
fronte al mistero di Dio che ti raggiunge nella tua profondità e che sollecita la tua risposta
personale.
 Poi prende forma verbale in quelli che sono i ‘convincimenti’(il credo, le parole…), ma soprattutto
qsta esperienza profonda di essere come, uomo e come donna, di fronte al mistero di Dio, e la cosa
più incredibile è che si fa presente all’uomo.
 Si sottolinea qui fortemente qsta esperienza spirituale, mistica, dove succede qsa fuori
dall’ordinario, che non fa parte del ns normale modo di pensare, che ci mette di fronte al
trascendente, al mistero, a Dio.
 Parliamo di una fede che genera un movimento che tocca il mistero profondo della coscienza e la
mette in una nuova relazione (che poi prende anche 1 forma esterna: il Battesimo, la professione di
fede, l’aderire a 1 comunità etc.)  vediamo che fides quae e fides qua nn sono separabili: una
fides quae senza la fides qua sarebbe veramente povera…una fede ipocrita. (nn si coltiva più la
relazione con Dio, si fanno solo pratiche di fede per abitudine).
 Halik sottolinea quindi che la fede è questa relazione profonda.
 (DOMANDA) In genere è la fides qua che genera l’ipocrisia, perché ti riempi la bocca di parole, ma
non credi in quelle parole.
 È concretezza della vita che fa la differenza, chi si spende per il bene, chi di fatto si fida di ciò che è
buono, fa il bene.
 Fidarsi è un atto profondo che cambia la vita, che lascia che alcune cose lo coinvolgano. Prende
delle dimensioni carnali, è una lotta del corpo. Non è una cosa che ci lascia uguali. In tanti momenti
della vita è radicale.
 Le pagg. 26 e 27 sottolineano il carattere dialogico che avviene dentro una storia. La fede prende i
tratti di una storia. Ciascuno di noi ha la sua personale storia di salvezza.
 Sottolinea anche il rischio della fides qua quando cerca di categorizzare o dare parola in modo
eccessivo con il rischio di ridurre il mistero a dei ragionamenti.
 Dobbiamo sempre avere la percezione che il mistero resta mistero. Non possiamo ridurre il mistero
a dei ragionamenti. Dobbiamo sempre avere la percezione che mistero resta mistero, non lo
possiamo categorizzare del tutto altrimenti sarebbe una riduzione antropologica di Dio. Neanche le
verità di fede esauriscono la comprensione di Dio, e nemmeno la Scrittura.
 È l’indicazione per nn perdere di vista chi è Dio, ma Dio è di più della Scrittura, altrimenti
diventeremmo dei fondamentalisti, andremmo a difendere ogni singolo versetto delle Scritture,
quando invece,Dio è di più.
 “In un dizionario di termini religiosi e teologici il concetto probabilmente più vicino
all’interpretazione esistenziale della fede che io sostengo in questo libro e quello di spiritualità,
purché non la intendiamo in modo troppo ristretto soltanto come vita interiore o componente
soggettiva della fede. La spiritualità é lo ‘stile di vita della fede’: colma praticamente tutto lo spazio
della fides qua.”  si intende uno stile di vita nella fede; si parla di una fede che prende forma nella
vita, una vita che “parla” di un affidamento a Dio. Una persona spirituale non è una persona che
dice tante cose di Dio, ma è una persona che parla di qs affidamento a Dio.
 Poi dice un altro concetto importante, il concetto di tradizione. Quindi la sua impostazione di fondo
dice: ‘mi riconosco in questo stile spirituale della vita’.
 Poi parla di tradizione:
 (p.28) “Un altro concetto inscindibile da questa interpretazione della fede e quello di tradizione —
corrente viva creatrice, che rende possibile tramandare e testimoniare. La tradizione e un moto
incessante di ricontestualizzazione e reinterpretazione: studiare la tradizione significa in primo
luogo cercare la continuità nella discontinuità, l'identità nella pluralità di fenomeni sempre nuovi
che emergono in un processo di evoluzione. In questo processo di trasmissione, la fede si mostra
come un fenomeno dinamico, mutevole, che non può essere compresso dentro i cofini di una ben
delimitata definizione.”  la parola ‘tradizione’ non fa riferimento a qsa di statico (grande
intuizione del Concilio Vaticano II: fare in modo che la tradizione avvenisse nelle lingue del popolo;
la Bibbia e il magistero ora si traducono in tt le lingue…prima era solo in latino). Questo è positivo
anche se in ogni traduzione si pone anche un problema teologico e culturale.
 Ma è importane, perché si entra nella storia, nella storia di tutti.
 Quando Lutero ha capito che la fede nasce dalla parola e da Dio e che Dio parla al cuore di
ciascuno, ha tradotto la Bibbia in tedesco.
 La Bibbia non è stata tradotta in tutte le lingue, le vostre per esempio. Tante lingue non hanno
nemmeno una grammatica scritta. Ci vorranno ancora un po' di secoli.
 Però, dice il testo, bisogna riuscire a comprendere la tradizione in questa dimensione dinamica, in
movimento, dentro la storia. Per poter cogliere una fede in movimento anche la tradizione deve
essere in movimento.
 Bisogna cambiare prospettiva. Bisogna riconoscere che Dio rimane un mistero impenetrabile e
trascendente, e di fronte a Lui accettare la propria finitezza e creaturalità per poterlo vivere in 1
modo adeguato, e non per possederlo.
 Conclude dicendo(p.32): “Fede e incredulità riguardano l’intera persona, e per questo della loro
autenticità nella vita di un individuo concreto può giudicare solamente Dio.” →come facciamo a
sapere se uno è credente? Non dobbiamo nemmeno arrivare a deciderlo
 “Una cosa pero possiamo affermare con sicurezza: il fanatismo militante rimane la maschera
preferita dell'incredulità esistenziale.”  i fanatici e i fondamentalisti, che affermano con
assolutezza parole e formule, sono quelli più esposti ad una incredulità esistenziale.
 Le religioni diverse trovano più dialogo tra di loro nelle persone più spirituali. Le persone più
spirituali in genere non sono fondamentaliste. I fondamentalisti sono molto legati ad una
esteriorità concreta. Il fanatismo militante rimane la maschera preferita dell’incredulità
esistenziale.
 Noi abbiamo moltissimi ambiti della vita religiosa che si espongono a questo. Perché poi fissare
cose concrete è più facile che governare il cuore.
 Questo capitolo è molto importante per la TF perché dà i significati della fede. Noi arriveremo a
questo tema nella seconda parte dell’anno, ma qs lettura ci aiuta a comprendere qs aspetto della
fede.

II PARTE

 (49’ domanda fino a 53’)


 Torniamo al discorso sull’estrinsecismo.
 Abbiamo visto come nell’impostazione, ripercorrendo in modo particolare la DF, quindi quello che
la DF dice della rivelazione e della fede, che l’impostazione che c’è sotto e che soggiace, che c’è, che
governa l’impostazione della TF, tra fine dell’800 e ancora nel 900, ha dentro qs dimensione che
abbiamo chiamato estrinsecismo.
 Cioè fede e ragione sono collegate, ma una è esterna all’altra: la ragione sta fuori dalle cose
profonde della fede e le può raccogliere, le può valutare per segni esteriori.
 Lo Spirito Santo però suscita la volontà che poi porta l’intelletto a riconoscere qsti fatti esteriori.
 Riassumendo qsti passaggi importanti perché mettono in gioco il rapporto tra natura- sovranatura,
Dio e l’uomo, la grazia e la libertà, non sono N.B: Con l’estrinsecismo sono implicati anche il
rapporto tra natura e sovranatura; Dio e l’uomo; la grazia e la libertà;dire estrinsecismo vuol dire
che qs dimensioni rimangono una fuori dall’altra.
 questo è un modo col quale la Chiesa ha salvaguardato il suo contenuto per evitare che venisse
reso troppo antropologico, troppo naturale, troppo immanente…ma lasciandolo fuori, così rimane il
problema di come leggere una relazione più profonda tra il mio desiderio di Dio e il mio parlare di
Dio. Vuol dire che ragione e fede sono una di fronte all’altra, fuori dall’altra
 Leggiamo(dispensa p.17): Credo si possa vedere l’impostazione che cade sotto il nome di
Estrinsecismo, cioè quel modello di pensiero secondo il quale la ragione, cioè l’umano, non può
accedere al mistero, (Halik non è un estrinsecista) non può coglierne l’evidenza, per la sua (del
mistero) dimensione sovrannaturale, non deve neppure cercare di farlo per non rischiare di ridurre il
mistero a sé (riduzione antropologica), con il fine di preservare il mistero in sé  confondere Dio
con il mio desiderio di Dio è un problema, perché Dio nn è il mio desiderio (altrimenti avrebbe
ragione Feuerbach: Dio come proiezione dell’umano).
 Poi questa estraneità o esteriorità della ragione rispetto al mistero viene riequilibrata da segni
esterni, quasi compensativi, e da una visione che vede convergenti fede e ragione in una
antropologia che coglie questa unità, pur nella distinzione tra le due, e che afferma la
ragionevolezza e libertà della fede sovrannaturale.  quindi abbiamo dei segni esterni, quindi la
esteriorità viene riequilibrata da segni esterni e da una visione che vede convergenti la fede e la
ragione. Quindi nel modello teologico che abbiamo visto nel Vaticano I fede e ragione nn sono
separate in un modo contrapposto; sono convergenti benché viaggino una fuori dall’altra.

 In questa visione che cerca di salvaguardare la superiorità della fede e la sovrannaturalità della
rivelazione si cede però a un modello scientifico, (piccolo cedimento positivista) laddove si sente
l’esigenza che vengano esibiti dei fatti, o segni esterni, quasi una esigenza imposta dalla ragione di
avere delle prove. Io ragione dico: ma tu fede, che prove hai perché io ti creda? Le prove sono una
dimensione scientifica. Si cercano dei fatti, il miracolo.
 Si coglie una tensione tra le esigenze della fede di porsi al di sopra della ragione e le esigenze di una
razionalità che impone criteri di credibilità. la ragione chiede alla fede di essere credibile. Il tema
della credibilità della fede davanti alla ragione è un grosso tema di TF. Chi chiede alla rivelazione di
essere credibile? La ragione. La ragione chiede segni alla fede. Ricordiamo che la richiesta di “segni”
è presente anche nel vangelo.
 MA PER FINIRE SI COGLIE UN ALTRO SALTO: i miracoli e il fatto storico colto nella storia di Gesù per
essere via di scoperta del Cristo /Dio devono essere creduti, cioè deve agire lo spirito che muove la
volontà che persuade l’intelligenza ad acconsentire al loro riconoscimento.  per riconoscere dei
segni bisogna crederci. E’ come dire che la ragione positivista /scientifica, non è sufficiente. Ciò che
viene in luce è che l’atto di fede (che ha un riferimento anche ai segni esteriori) non è mai solo
ragionamento ma è anche affidamento. Cioè deve agire lo spirito che muove la volontà che
persuade l’intelligenza ad acconsentire al loro riconoscimento. (rif. a Gesù che nn fa molti segni là
dove nn c’è la predisposizione ad accoglierli). Se tu nn hai la buona predisposizione a vedere, non
vedi. Questo mette in luce un problema che prenderà corpo nella riflessione filosofica tra fine 800 e
inizio 900. è una questione rilevante perché è come dire: la ragione che sta di fronte alla fede, che
ragione è? È una ragione matematica? La riflessione positivista dell’impianto scientifico, la cultura
dell’800 hanno messo in evidenza una ragione matematica, una ragione che ha prove, calcolo,
quantità, esperimenti. Ma questa non è una ragione che riesce a capire tutto, perché anche la
ragione, per capire la vita, deve essere una ragione ermeneutica, non matematica. Deve non
comprendere l’aspetto nomotetico, ma ideografico. Cioè non comprendere dall’esterno, ma
comprendere dall’interno, cioè essere empatica, entrare nella vita, coinvolgersi con i vissuti.
 Ciò che viene progressivamente messo in luce dalla riflessione filosofica tra fine 800 e inizio 900 che
la ragione positivista è una ragione parziale, non capisce bene tutto.
 Perché la ragione deve poter essere accompagnata sempre da un affidamento, da un credere in
qlcs.
 Ciò che ci sta dicendo questa riflessione è che di fronte al mistero di Dio, qsta ragione che vuole dei
segni che confermino che il contenuto che io vado a proclamare è veramente credibile, è una
ragione che per riconoscere i segni deve fidarsi, non può soltanto provarli.
 Per capire la differenza tra un’idea che bastino le differenze matematiche per raggiungere a auna
comprensione, o che non bastino le evidenze matematiche. Quando parliamo di cose riducibili a un
modello quantitativo bastano le evidenze matematiche, o ce le facciamo bastare. Per la più parte
degli aspetti della vita non bastano. Poi il convenzionalismo arriverà anche a dire che la ragione
matematica è un convincimento di fede, cioè devi credere ai numeri, ti metti d’accordo che va bene
così.
 Di fronte alla mentalità positivista ci sono le posizioni convenzionaliste, che sono quelle che
indicano che anche il modello matematico è un’opinione, una convenzione, ma non è una verità.

 (1h e 7’ domanda su Popper. La ragione non deve cercare le conferme, ma deve cercare l’errore.
Lui lavora sulla confutabilità. Per lui è’ più produttivo cercare gli errori, per cui la ragione non deve
cercare le conferme ma l’errore, perché l’ipotesi è sempre parziale. Per lui l’ipotesi scientifica è una
prospettiva confutabile. Una teoria è forte quando supera l’errore, secondo Popper))

 Quindi il modello di ragione da elaborare è quello ermeneutico (nn è certo quello di Popper).
 E’ una ragione che sa che per poter capire deve accettare e compromettersi con alcune
affermazioni a cui credere (compromettersi con la vita, con i punti di vista, con la storia…). E’ il
modello gadameriano.
 È un ragionamento complesso perché presuppone conoscenze filosofiche. Però si avvantaggia il
ragionamento della fede teologica grazie anche a quello che succede nell’elaborazione della
ragione scientifica, che riconosce i suoi limiti e quindi deve allargare il proprio modo di intendersi
abbracciando la dimensione vitale, soggettiva, dei vissuti.

 (1h e 12’ altra domande su convenzionalismo/convenzioni e ripresa su rapporto ragione/ fede)

 Riprendiamo leggendo a p. 18 ( 1h e 28’): L’impalcatura del ragionamento è complessa, poggia sulla


tradizione metafisica, sulla divaricazione netta tra natura e sovranatura, ben marcata per evitare la
riduzione del sovrannaturale al naturale ma con alcune condizioni che lasciano intravedere una non
rappacificata relazione tra le esigenze della ragione e quelle della fede. Si vede una oscillazione tra
razionalismo (segni , prove) – ragionevolezza dell’atto di fede - segni esteriori che sostengono
adesione a un contenuto di fede non argomentabile – rischio di fideismo nell’attribuire i segni
esteriori proprio a Dio
 Perché di un fatto che accade dico: è un miracolo? Qs sembra un atto di fede che non ha ragioni.
 In qs posizione noi attraversiamo un po’ tt le posizioni: razionalismo, un tentativo di conciliazione,
una dimensione un po’ fideistica…
 “I fatti della fede richiederebbero un tipo di ricezione da parte di un soggetto che capisce
affidandosi e non solo di un soggetto che applica una ragione matematica – oggettivante  il
miracolo no è una prova scientifica. Bisogna riconoscerlo.
 Da qui in poi qsto modello estrinsecista adottato dal Vaticano I è messo in discussione dalle analisi
e dalle acquisizioni più profonde e puntuali relative all’umano.

 (sempre p.18) Perché nulla dell’umano è adatto per entrare in relazione con Dio?
 Perché dobbiamo non ritenere credibile, attendibile una nostra apertura al mistero e soltanto dire
no, è una verità di fede e la accetti così.
 Desideri alti, anelito alla giustizia e alla verità, vissuti che sono una mescolanza di idee, desideri,
affetti, la dimensione della persuasione e della libertà che non possono disancorarsi dall’accoglienza
della verità… tutto inutile, pericoloso, arbitrario? Blondel parla appositamente dell’apologia
dell’immanenza - rispetto a una apologetica che persegue solo segni esterni, il teologo francese
pone in luce la tensione interiore all’umano che cerca Dio senza ridurlo a sé.  cioè oltre ai segni
esteriori, c’è qsa che muove il cuore da dentro e lo riconduce a conoscere Dio nella storia? O tutte
queste mie propensioni rappresentano un rischio di soggettivismo e parzialità?

 Si capisce che in un contesto dove le scienze umane cercano di occupare tutto lo spazio, eliminando
la trascendenza, si possa avvertire come un pericolo ogni cedimento al primato dei vissuti,
dell’esperienza, del soggettivo e si condanna l’esistenzialismo, il relativismo, il personalismo. 
quando qsto modello estrinsecista viene difeso siamo ancora in un contesto molto rischioso per il
modello della fede, perché la mentalità corrente è molto aggressiva che vorrebbe imporre un
modello razionale che in qlche modo fa perdere il mistero; lo ridurrebbe a una dimensione
naturale.
 In questo scontro molto forte tra l’affermazione del primato delle verità dottrinali, custodite e
trasmesse cercando di non cedere alle mode dei tempi e le esigenze di valorizzazione del ruolo del
soggetto con tutte le sue potenzialità come elemento imprescindibile dell’affermazione del senso
della realtà (anche la lezione fenomenologica dell’intrascendibilità della coscienza docet) si
comprende la tensione anche percepibile in HG.  il modello teologico soggiacente all’Humani
generis (che è del 1950) è lo stesso del Vaticano I. Per cui si difendono i dogmi, l’interpretazione
letterale della Scrittura…e l’unico modello accettabile è Tommaso.
 Come uscirne? Se la storicità dell’uomo è pericolosa perché in qualche modo rischia di ridurre la
verità di Dio a sé, l’altra via che rimane, e che il cristianesimo ha in sé, è la ricomprensione della
storicità di Dio. La storia non è solo sicuramente il luogo del relativismo negativo, ma è storia che
rivela Dio, scelta da Dio per dire sé fino a farsi uomo per farsi intendere dagli uomini.  la storia
dell’uomo nn è sufficiente. Ma se la storia è storia di Dio, storia che rivela Dio, di sicuro mi porta a
Dio. C’è un umano adatto ad arrivare a Dio: l’umanità di Dio, cioè Gesù, la storia di Gesù.
Quell’umano scelto da Dio per dirsi agli uomini.
 Quindi se prendiamo quella strada non dobbiamo temere di perderci.

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