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I PARTE
II PARTE
In questa visione che cerca di salvaguardare la superiorità della fede e la sovrannaturalità della
rivelazione si cede però a un modello scientifico, (piccolo cedimento positivista) laddove si sente
l’esigenza che vengano esibiti dei fatti, o segni esterni, quasi una esigenza imposta dalla ragione di
avere delle prove. Io ragione dico: ma tu fede, che prove hai perché io ti creda? Le prove sono una
dimensione scientifica. Si cercano dei fatti, il miracolo.
Si coglie una tensione tra le esigenze della fede di porsi al di sopra della ragione e le esigenze di una
razionalità che impone criteri di credibilità. la ragione chiede alla fede di essere credibile. Il tema
della credibilità della fede davanti alla ragione è un grosso tema di TF. Chi chiede alla rivelazione di
essere credibile? La ragione. La ragione chiede segni alla fede. Ricordiamo che la richiesta di “segni”
è presente anche nel vangelo.
MA PER FINIRE SI COGLIE UN ALTRO SALTO: i miracoli e il fatto storico colto nella storia di Gesù per
essere via di scoperta del Cristo /Dio devono essere creduti, cioè deve agire lo spirito che muove la
volontà che persuade l’intelligenza ad acconsentire al loro riconoscimento. per riconoscere dei
segni bisogna crederci. E’ come dire che la ragione positivista /scientifica, non è sufficiente. Ciò che
viene in luce è che l’atto di fede (che ha un riferimento anche ai segni esteriori) non è mai solo
ragionamento ma è anche affidamento. Cioè deve agire lo spirito che muove la volontà che
persuade l’intelligenza ad acconsentire al loro riconoscimento. (rif. a Gesù che nn fa molti segni là
dove nn c’è la predisposizione ad accoglierli). Se tu nn hai la buona predisposizione a vedere, non
vedi. Questo mette in luce un problema che prenderà corpo nella riflessione filosofica tra fine 800 e
inizio 900. è una questione rilevante perché è come dire: la ragione che sta di fronte alla fede, che
ragione è? È una ragione matematica? La riflessione positivista dell’impianto scientifico, la cultura
dell’800 hanno messo in evidenza una ragione matematica, una ragione che ha prove, calcolo,
quantità, esperimenti. Ma questa non è una ragione che riesce a capire tutto, perché anche la
ragione, per capire la vita, deve essere una ragione ermeneutica, non matematica. Deve non
comprendere l’aspetto nomotetico, ma ideografico. Cioè non comprendere dall’esterno, ma
comprendere dall’interno, cioè essere empatica, entrare nella vita, coinvolgersi con i vissuti.
Ciò che viene progressivamente messo in luce dalla riflessione filosofica tra fine 800 e inizio 900 che
la ragione positivista è una ragione parziale, non capisce bene tutto.
Perché la ragione deve poter essere accompagnata sempre da un affidamento, da un credere in
qlcs.
Ciò che ci sta dicendo questa riflessione è che di fronte al mistero di Dio, qsta ragione che vuole dei
segni che confermino che il contenuto che io vado a proclamare è veramente credibile, è una
ragione che per riconoscere i segni deve fidarsi, non può soltanto provarli.
Per capire la differenza tra un’idea che bastino le differenze matematiche per raggiungere a auna
comprensione, o che non bastino le evidenze matematiche. Quando parliamo di cose riducibili a un
modello quantitativo bastano le evidenze matematiche, o ce le facciamo bastare. Per la più parte
degli aspetti della vita non bastano. Poi il convenzionalismo arriverà anche a dire che la ragione
matematica è un convincimento di fede, cioè devi credere ai numeri, ti metti d’accordo che va bene
così.
Di fronte alla mentalità positivista ci sono le posizioni convenzionaliste, che sono quelle che
indicano che anche il modello matematico è un’opinione, una convenzione, ma non è una verità.
(1h e 7’ domanda su Popper. La ragione non deve cercare le conferme, ma deve cercare l’errore.
Lui lavora sulla confutabilità. Per lui è’ più produttivo cercare gli errori, per cui la ragione non deve
cercare le conferme ma l’errore, perché l’ipotesi è sempre parziale. Per lui l’ipotesi scientifica è una
prospettiva confutabile. Una teoria è forte quando supera l’errore, secondo Popper))
Quindi il modello di ragione da elaborare è quello ermeneutico (nn è certo quello di Popper).
E’ una ragione che sa che per poter capire deve accettare e compromettersi con alcune
affermazioni a cui credere (compromettersi con la vita, con i punti di vista, con la storia…). E’ il
modello gadameriano.
È un ragionamento complesso perché presuppone conoscenze filosofiche. Però si avvantaggia il
ragionamento della fede teologica grazie anche a quello che succede nell’elaborazione della
ragione scientifica, che riconosce i suoi limiti e quindi deve allargare il proprio modo di intendersi
abbracciando la dimensione vitale, soggettiva, dei vissuti.
(sempre p.18) Perché nulla dell’umano è adatto per entrare in relazione con Dio?
Perché dobbiamo non ritenere credibile, attendibile una nostra apertura al mistero e soltanto dire
no, è una verità di fede e la accetti così.
Desideri alti, anelito alla giustizia e alla verità, vissuti che sono una mescolanza di idee, desideri,
affetti, la dimensione della persuasione e della libertà che non possono disancorarsi dall’accoglienza
della verità… tutto inutile, pericoloso, arbitrario? Blondel parla appositamente dell’apologia
dell’immanenza - rispetto a una apologetica che persegue solo segni esterni, il teologo francese
pone in luce la tensione interiore all’umano che cerca Dio senza ridurlo a sé. cioè oltre ai segni
esteriori, c’è qsa che muove il cuore da dentro e lo riconduce a conoscere Dio nella storia? O tutte
queste mie propensioni rappresentano un rischio di soggettivismo e parzialità?
Si capisce che in un contesto dove le scienze umane cercano di occupare tutto lo spazio, eliminando
la trascendenza, si possa avvertire come un pericolo ogni cedimento al primato dei vissuti,
dell’esperienza, del soggettivo e si condanna l’esistenzialismo, il relativismo, il personalismo.
quando qsto modello estrinsecista viene difeso siamo ancora in un contesto molto rischioso per il
modello della fede, perché la mentalità corrente è molto aggressiva che vorrebbe imporre un
modello razionale che in qlche modo fa perdere il mistero; lo ridurrebbe a una dimensione
naturale.
In questo scontro molto forte tra l’affermazione del primato delle verità dottrinali, custodite e
trasmesse cercando di non cedere alle mode dei tempi e le esigenze di valorizzazione del ruolo del
soggetto con tutte le sue potenzialità come elemento imprescindibile dell’affermazione del senso
della realtà (anche la lezione fenomenologica dell’intrascendibilità della coscienza docet) si
comprende la tensione anche percepibile in HG. il modello teologico soggiacente all’Humani
generis (che è del 1950) è lo stesso del Vaticano I. Per cui si difendono i dogmi, l’interpretazione
letterale della Scrittura…e l’unico modello accettabile è Tommaso.
Come uscirne? Se la storicità dell’uomo è pericolosa perché in qualche modo rischia di ridurre la
verità di Dio a sé, l’altra via che rimane, e che il cristianesimo ha in sé, è la ricomprensione della
storicità di Dio. La storia non è solo sicuramente il luogo del relativismo negativo, ma è storia che
rivela Dio, scelta da Dio per dire sé fino a farsi uomo per farsi intendere dagli uomini. la storia
dell’uomo nn è sufficiente. Ma se la storia è storia di Dio, storia che rivela Dio, di sicuro mi porta a
Dio. C’è un umano adatto ad arrivare a Dio: l’umanità di Dio, cioè Gesù, la storia di Gesù.
Quell’umano scelto da Dio per dirsi agli uomini.
Quindi se prendiamo quella strada non dobbiamo temere di perderci.