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Contenitori di forme brevi nel

Novecento
I primi decenni del Novecento, in alternativa alla complessità e all’articolazione del
romanzo modernista, spesso percorso da venature speculativo-saggistiche, vengono
coltivando un’idea ampia e accogliente di brevità letteraria come nel caso della oritura
del poème en prose, sulla scorta di Baudelaire. E d’altro canto una tensione tutta
novecentesca sarà individuabile nella reazione a un fenomeno osservabile su scala
mondiale: la rappresentazione della totalità incarnata del romanzo ottocentesco. È in
questa tendenza che si inscrive la fortuna di tutti quei generi (novella, racconto short
story) che si vogliono parziali, si assegnano limiti e rinunciano ad ambizioni
rappresentative perché si pongono piuttosto problemi si rappresentazione. Rifuggendo
dalla tentazione di comporre un grande quadro descrittivo e ambendo dunque a far
ri ettere su quanto racchiude nel suo minuto involucro a de nire la forma breve come
luogo di incontro, di sintesi e mutua ibridazione tra i generi, occasione per una loro
ricostituzione.

In questo senso la contrapposizione tra romanzo e il “controgenere” del racconto breve,


limitato, semplice, frammentario e singolativo, ovverosia riguardate la narrazione singola
di un singolo fatto e a seguire dagli studiosi di teoria e generi letterari della seconda metà
del secolo viene costantemente messa in discussione ed erosa dalle sperimentazioni
novecentesche. E ciò a partire da un romanzo composto in realtà da più quadri che si
giustappongono fra loro. Ma questa tendenza a strutturare un a resco narrativo si impone
come modello persistente no ai giorni nostri. Tali strutture della molteplicità paiono avere
in comune l’idea di tendere verso il romanzo, verso la progressiva acquisizione di
un’esperienza di lettura compatta, grati cante. Oppure possono condurre all’esatto
opposto, verso l’esaltazione della singolarità irriducibile delle parti, evidenziando la
diversità delle componenti che determinano il polo di attrazione: la forma-romanzo.

Calvino, Le città invisibili


Nella molteplicità Calvino parla delle forme brevi. Per lui è importante creare una
letteratura combinatoria, prende spunto da Borges e dai suoi microracconti che
potessero creare un mosaico della nostra vita. Parla di un modello narrativo come rete dei
possibili (delle possibilità narrative). Vuole creare un romanzo che sia fatto di
combinatorie, non per forza un romanzo che abbia una ne e un inizio lineare ma che sia
composto da microracconti. Un romanzo che contenga altri “incipit” di racconti. In questa
occasione fa la critica, spiega il romanzo Se una notte d’inverno un viaggiatore. C’è anche
il valore di concepire una letteratura diversa, che veniva da Borges ma che condivide.
Chiama questo romanzo di potenzialità Iperomanzo.

Calvino e Celati si possono leggere insieme, in quanto Calvino maestro di Celati. Per
entrambi è fondamentale questa forma breve narrativa: questa formula, componimento
narrativo generalmente in prosa il cui contenuto è breve e concentrato. Abbiamo un altro
tempo, per cui dobbiamo adattarci a questa nuova contemporaneità fatta di frantumi e di
immagini che si sovrappongono. Siamo immersi nella molteplicità, ma in questa
ricostruzione dobbiamo essere fedeli a questa nuova condizione umana. La continuità del
tempo la ritroviamo solo nei romanzi di quell’epoca.

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Al con ne non solo tra diverse forme, ma anche fra diversi modi e generi letterari, di cui
Città invisibili di Italo Calvino rappresentano uno dei più a ascinanti esemplari di cimento
con le forme brevi da parte della letteratura mondiale del Novecento. Colpisce la brevità
delle 55 narrazioni di città come pure quella delle cornici, nelle quali si estrinseca una
continua e parallela narrazione. La cornice appare “luogo della trama”, lo spazio testuale
nel quale si addensano la narrazione e insieme la ri essione metanarrativa. Quindi
mettendola più diretta relazione col romanzo, siamo di fronte a un primo dato indicativo
della singolarità del contenitore in esame, che davvero sembra risentire della deregulation,
della libera ricombinazione di forme, codici e stili che l’a ermazione del postmodernismo
in letteratura. Le forme narrative brevi di cui si compone il libro racchiudono sì storie, ma
non veri e propri spunti di intreccio, quanto piuttosto ritratti, biogra e e ra gurazioni
allegoriche di città. L’interesse di chi legge è captato dalla forma urbana, dal quadro che
ogni singola descrizione, autonomamente, viene esprimendo. Un libro di percorsi paralleli,
Le città invisibili, dove i titoli, le insegne sotto le quali si apre ogni breve descrizione
raccordano la narrazione x a una serie o rubrica preordinata, secondo un modello
combinatorio progressivo, ben solubile all’indice.

Il legame tra la singola unità e la serie cui si raccorda non sempre è manifesto; spesso
s da il lettore, lo esorta a ricostruire un senso latente, misterioso. Dinnanzi a questa
proliferazione di immagini, forme o possibili sviluppi urbani svanisce la possibilità di
classi care con certezza il libro entro i generi canonici: come testo alla con uenza di più
forme e modi. Da un lato si può ravvedere nella descriptio urbis medievale, nella forma
dell’atlante e nel racconto utopico di età moderna, una serie di modelli formali per le città
calviniste, dall’altro lato proprio la concezione delle Città invisibili come libro di piccole
utopie ci permette di leggerle alla con uenza sì di più modi, ma sopratutto nel segno del
abesco meraviglioso.

Città invisibili privilegia l’immaginazione fantasiosa e non di rado paradossale, la


creazione di quadri favolosi a dati a motivi che vengono a essere posti in evidenza da
una lingua ricca e precisa. Le città invisibili è un libro poligenesi, che appare a chi legge
come un contenitore letterario la cui e cienza strutturale sopravanza, l’autonomia e
l’ampiezza dei contenuti. Un lo che occorre seguire, per giungere a concrete acquisizioni
tematiche è quello che lega le città utopiche ai modelli del mondo reale. Il fatto che le
città raccontate al Kan dall’esploratore veneziano rechino tutte nomi di donna, mai
arbitrari, sempre evocativi, intesi a comunicare a chi legge spiccate suggestioni foniche,
nonché a disegnare, sullo sfondo della città, immagini femminili della storia o del mito.

Se una notte d’inverno un viaggiatore


I romanzi lunghi scritti oggi forse sono un controsenso; la dimensione del tempo è andata
in frantumi. Non possiamo vivere o pensare se non spezzoni di tempo che s’allontanano
ognuno lungo una sua traiettoria e subito spariscono. La continuità del tempo possiamo
ritrovarla solo nei romanzi di quell’epoca...che è durata su per giù cent’anni e poi basta.

Calvino e Ariosto
Ariosto ha un andamento a zig zag, che dà movimento e linee spezzate, mentre Calvino
ha una struttura policentrica e sincronica, dove le vicende si diramano in ogni direzione e
si biforcano. E’ con questo zig zag tracciato dai cavalli al galoppo e dalle intermittenze del
cuore umano che veniamo introdotti nello spirito del poema: il piacere della RAPIDITA’ 
dell’azione si mescola subito a un senso di larghezza  nella disponibilità dello spazio e del
tempo’. È il movimento errante della poesia di Ariosto.

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Levi, Il sistema periodico

Il sistema periodico è un intento di nobilitazione della chimica, intesa come fascinosa


riserva di immagini e conoscenza, la volontà di intervenire, in maniera partecipe e
creativa, tanto autorevole quanto suggestiva, nel dibattito su letteratura e scienza,
contribuendo a predisporre un ponte fra le due culture. Più passi decretano la certezza
dell’accostamento, la dimensione poetica, altamente simbolica della materia.

Per tornare a so ermarci sull’architettura del libro, un passo di carattere metanarrativo,


riferito all’ipotesi di composizione di un racconto che e ettivamente sarebbe rientrato nel
volume per concluderlo, Carbonio, insiste ancora sul compito conoscitivo a dato da Levi
al suo progetto di descrizione letteraria della chimica. In mezzo, due racconti “minerali” di
invenzione, Piombo e Mercurio, propagano nel testo a dominante memorialistica. Con
Oro irrompe nel testo la guerra e l’imprigionamento del narratore per via della sua
partecipazione alla Resistenza, mentre Cerio si so erma su un dettaglio della vita ad
Aushwitz già descritto in Se questo è un uomo, ovverosia sull’impossessamento e sulla
lavorazione di cilindrati in una lega, il ferro-cerio era divenuta una merce di scambio presa
nell’economia sotterranea dei lager.

In questo contesto, è a dato il compito di tracciare una linea di continuità tra il recente
della paci cazione e l’esperienza dell’internamento. Il Levi narratore e il Levi testimone,
nel racconto, convivono; i diversi piani temporali dell’esperienza vengono fatti vacillare e
messi in diretta comunicazione tra loro. Un libro che fa perno sull’autonomia, sulla
concisione e sulla compiutezza dei singoli racconti per mostrarne, come nella tavola
periodica degli elementi, la signi catività se considerati in sé stessi, come pure la
capacità di reagire, di articolare richiami, combinazioni, concatenazioni a distanza. Di qui
la focalizzazione sulla varietà, sulla costitutiva diversità dei materiali che lo compongono.

Celati, Narratori delle pianure


Giunti al 1985 delle 30 novelle che compongono Narratori delle pianure di Gianni Celati,
assistiamo a una singolare inversione di tendenza. È un’opera innovativa anzitutto da un
punto di vista stilistico, dal momento che, di contro alle libere e frenetiche scritture
celatane del passato, il novelliere in questione è connotato da una scrittura piana e quasi
dimessa, dove a orano scarni brandelli di discorso diretto e dove l’atto del rammemorare
iene come incorniciato, dotato di un indubbio risalto. In tal senso agiscono gli esordi
all’imperfetto, dal valore individuante, simile a quello prodotto dal “c’era una volta” delle
abe, la presentazione di una vicenda, di una persona in un determinato luogo.

È lo stesso Celati riscrittore e teorico delle novelle tre-quattrocentesche, a indurci a


ravvisare, dietro a questo metodo “plurale”, l’in usso della forma ereditata dalla tradizione
italiana. Egli pone in relazione il proprio modo di narrare con quell’idea di “racconto d’un
racconto già sentito”, intimamente legata alla novella tradizionale, presenta un duplice
vantaggio: quello di mantenere una certa, poetica vaghezza intorno al racconto, e,
aderendo in modo particolare all’uso quotidiano, ovvero a come racconteremmo
comunemente un fatto accadutoci, quello di sfuggire all’arti ciosità di una certa narrativa
realistica. Celati connette il piacere del racconto proprio della forma novellistica della
tradizione all’e etto dispersivo, vago e suggestivo ricercato nel suo novelliere degli anni
Ottanta.

Narratori delle pianure propone a chi legge un dato uni cante: la riscoperta della novella
come forma plurivalente e allo stesso tempo immediata, sede di un narrare naturale,
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direbbe Celati, sgombra da nalità preordinate, non mediata da categorie e l’edizione del
multiforme novelliere a contenitore ideale per racchiudere, in storie brevi e parte in più
direzioni, una partecipe, interpretazione dell’esistenza contemporanea.

Gianni Celati e Italo Calvino


Calvino era molto amato da Celati, e in un testo di Celati la fantasia spiega questa
questione della visibilità e la spiega attraverso i fumetti che lo legano a Calvino. Spiega la
particolarità di Calvino nel spiegare una nuova letteratura molto rivoluzionaria e piace a
Celati a partire dalla sua passione per i fumetti. Lui usava i fumetti per spiegare la
letteratura, anche attraverso le immagini e i disegni molte volte fatti a mano.

Roland Barthes si occupa dei racconti del ‘700 francesi, il racconto comincia con la
stessa storia dell’umanità. Non c’è mai stato nessun popolo da nessuna parte senza
racconto. Calvino nel ’56 lavora su un’altra molteplicità che sono le abe, a cui si lega sin
dall’inizio riscrivendole in italiano contemporaneo. Si lega all’Orlando furioso per le ottave.
C’è una linearità creativa dell’autore che vuole adattarsi alle diverse società che si
susseguono nel tempo. Anche il racconto di Ariosto procede a zig zag e Celati rivede i
racconti di Calvino.

Bambini pendolari che si sono perduti


C’è l’idea di un racconto che nasce da un punto di vista normale ma con una critica e uno
sguardo particolare, che cambia sulla situazione (es. luigi ghirri). Comunicare per
immagini, attraverso ad una narrazione veloce e alle ripetizioni che dà un qualcosa di
cantilenante. Lo sguardo dei due bambini è poi lo sguardo del narratore, che inquadrano
le immagini della normalità, le persone normali della quotidianità e danno un giudizio. Egli
lavora sul tempo narrativo, il modo di raccontare id celati è diverso da calvino e riguarda
l’uso del tempo narrativo. È un nuovo racconto, molto diverso da quello di Pirandello o
Boccaccio. Costruisce un incantesimo che non “lascia pace al lettore”.

Calvino parla del tempo nella sua lezione sulla rapidità. Il narrare per Celati è una
percezione, bisogna far percepire a chi legge la temporaneità. Mentre si legge bisogna
percepire il tempo del racconto. Non è importante sapere e conoscere la ne dei bambini
ma far percepire l’angoscia e la malinconia della ne della loro infanzia. Tutte le nostre
frasi e gesti dipendono dal variare dei momenti, anche noi variamo, siamo continuamente
varietà cambiando il nostro modo di essere. Vuole smuovere le coscienze e l’impossibilità
di ssare tutto in un modo de nitivo, ma in una uidità continua. Descrive in maniera
particolare la sua visione, scrive per immagine la sua realtà. La nebbia che diventa una
trappola, in una metafora della loro vita che hanno cercato di evitare ma che evitandola ci
sono caduti ancora di più.
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