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Don Zeno di Nomadelfia

UN TOPO NELLA STIVA DI PIETRO

Lettere inedite di don Zeno Saltini alle Autorità Religiose: 1950-1953

a cura di
Fausto Marinetti

Alcuni testi per la ricostruzione storica

Martina G., La Chiesa in Italia negli ultimi trent’anni, Roma, 1977


Perrone N., De Gasperi e l’America, Palermo, 1995
Piva F., “La gioventù cattolica in cammino…” – Memoria e storia del gruppo
dirigente (1946-1954), Milano, 2003
Pombeni P., Il gruppo dossettiano e la fondazione della Democrazia, Bologna,
1979
Riccardi A., Il potere del papa Da Pio XII a Giovanni Paolo II, Bari,
1993.
Riccardi A. 2 , Il “ Partito Romano” nel secondo dopoguerra (1945-1954),
Brescia, 1983.
Scoppola P., La proposta politica di De Gasperi, Bologna, 1977
Rinaldi R., Mons. Vigilio Federico Dalla Zuanna, Vescovo di Carpi (1941-
1953), Dosson di Casier, 1992
Zizola G., Il microfono di Dio, Pio XII, P. Lombardi e i cattolici Italiani,
Milano, 1990
Zizola G., Don Giovanni Rossi – L’utopia cristiana nell’Italia del ’900, Assisi,
1997

PARTE PRIMA

1950: il movimento politico

L’orizzonte internazionale, carico di tensione. In oriente la guerra fredda


sfocia nel conflitto coreano (Riccardi 120). L’ateismo di stato e la repressione
religiosa all’Est terrorizza il Vaticano (Martina 24ss). In Italia dopo il trionfo
del ’48 la DC, il partito della Chiesa, nel ’51 perde un milione di voti. L’alleato
americano fa piovere dollari e sacchi di farina (Piano Marshall) ma esigerà
l’esclusione delle sinistre dal governo (’47). Il S. Ufficio scomunica i militanti
comunisti (1.7.1949; cf Riccardi 2, 132). Né alleanze con missini e
monarchici, nè timide riforme sociali riescono a contenere scioperi,
occupazioni di terre, dimostrazioni di piazza. L’attentato a Togliatti acuisce la
repressione, schedatura dei comunisti nelle fabbriche, carosello delle
camionette e manganellate della Celere del ministro degli interni, Scelba (86
dimostranti uccisi). L’AC fa da stampella alla DC con i comitati civici. Il papa,
trincerato in Vaticano: “E se [i soviet] arrivano qui con la cortina di ferro!”
(Zizola, 134, Cf Malgeri F., 98s, Scoppola, 272ss). De Gasperi ripete se stesso:
sesto governo. La Dc è concepita come argine, la Chiesa il suo baluardo.
.La riforma agraria si ridurrà ai grandi latifondi (legge Sila): 700 mila ettari per
120 mila famiglie. La Cassa per il Mezzogiorno stanzia 100 mila miliardi di
lire. Il Pci sfrutta il malcontento per la mancata bonifica, i bassi salari, i patti
agrari.
Nell’ex-campo di concentramento di Fossoli il sogno di don Zeno alle stelle.
Personalità e giornalisti visitano la Città di Dio e ne rimangono entusiasti. Non
gli fanno paura né debiti, né curiali, né politici: “Se ci domandano: siete con o
contro il governo? Noi non siamo contro nessuno. É il governo che è contro di
noi, perché ci affama. Abbiamo 750 fanciulli [accolti] . Perché non provvede il
necessario? Siamo degli oppressi. Secondo lei De Gasperi cos’è? Per me è un
tiranno (15.2.1950; Cf Perrone 171ss, 211ss, che ridimensiona il mito del
primo grande politico cattolico).
L’occupazione del campo, l’accoglienza di 120 scartini del brefotrofio di
Roma, la visita del Nunzio con i suoi elogi, la pioggia di visitatori nella Città
dell’Amore, le nobildonne in visita che lasciano i gioielli, la settimana di
Nomadelfia a Milano, la consegna in Duomo di 28 figli, il nuovo giro di valzer
sulle piazze per proporre il “Movimento dell’umana solidarietà”, i contatti con
gli organi vaticani, gli ossigenano l’anima, amplificano il sogno: “se
continuiamo a crescere al ritmo di 20% all’anno, entro il 1970, se non ci
saranno diaspore, saremo 100.000”. Quindi l’assemblea di Nomadelfia
programma nuove borgate e città, chiede allo Stato un territorio di 30mila
ettari. Otto padri serviti attratti dalla testimonianza di Nomadelfia, fuggono
dai conventi e chiedono asilo alle vittime.
Dietro le quinte della politica si profilano le difficoltà. Di qua e di là dal
Tevere si ritiene che don Zeno faccia il gioco dei comunisti. Il Vaticano si
preoccupa più della disciplina ecclesiastica che degli abbandonati.
Rimprovererà l’inosservanza della recita del breviario, messa quotidiana,
lavoro manuale, parità con i laici. La mentalità clericale non sembra in grado di
cogliere le novità di Nomadelfia: la famiglia non dal sangue, ma da Dio; la
casta clericale impedisce ai preti il rapporto alla pari con i cittadini di
Nomadelfia e la paternità sui figli; la beneficenza è umiliante, si esige il dovuto
per giustizia; don Zeno riprende la proposta sociale e politica: “Fate due
mucchi”.
I personaggi politici e religiosi dell’epoca non brillano per lungimiranza. La
pregiudiziale ideologica fa “vedere rosso”, nemici dappertutto, deviazioni
dottrinali. Lo scontro con il partito della Chiesa sarà inevitabile?
Don Zeno, dopo aver creato Nomadelfia, un modellino di nuova società con
più di mille figli, ritiene di aver le carte in regola per lanciare il movimento
politico del Due mucchi. Superato lo scoglio clericale del Concordato, non si
presenta più in piazza ed in Vaticano come chierico, ma in nome dei
nomadelfi, un piccolo popolo di 130 volontari, laici, organizzati in
associazione civile. Roma non è dello stesso parere. Il consultore del S.
Ufficio, padre Creusen, fa trapelare quanto si bisbiglia nei corridoi vaticani:
“Obiezioni del S. Ufficio. 1) Ciò che si fa a Nomadelfia è cosa ottima, ma
volerlo realizzare come sistema generale urta contro dei fatti (come
l’imperfezione della maggioranza degli uomini) e perciò diventa utopia.
2) Sulla proprietà privata sono espressi degli errori che sono in disaccordo con
la dottrina sociale della Chiesa. 3) Nel regime che viene proposto da don Zeno,
si accentra troppo nello stato. Vi sarebbe troppa invadenza da parte dello stato.
4) L’ottimo don Zeno alle volte si lascia vincere da illusioni. Queste
osservazioni sono state fatte dopo aver riconosciuto il tanto bene che c’è
nell’opera e nelle intenzioni di don Zeno” (3.5.1950).
Don Zeno risponde a nome di Nomadelfia:
“1) La Città di Nomadelfia in sostanza è una popolazione di volontari che
vivono in comunità di fede e di beni, per sua natura non può essere imposta a
tutta l’umanità. 2) Sulla concezione della proprietà privata, non si fa questione,
ritenendola un modo di usare la ricchezza e dei frutti del lavoro consono
all’attuale sistema sociale. 3) A noi pare che sia semplicemente all’inverso in
quanto lo stato è definito di natura puramente protettiva dei diritti dei singoli e
della collettività come a maggior raggiungimento delle libertà spirituali, morali
e materiali dei singoli. 4) Non avendo piacere di cadere in illusioni, sarebbe
bene dimostrare la consistenza del giudizio” (6.5.1950).

Quis ut Deus?

Alla Suprema Congregazione del S. Ufficio

“Chi sulla terra può osare una soluzione della socialità umana senza Dio o
contro Dio? Mi manca un solo segno per tuffarmi nel movimento dei “Due
mucchi”: che Cristo, il Papa, il popolo è con me e con i miei figli” (1).

Roma, 27 febbraio 1950


Venerabile Congregazione del S. Ufficio
Non si può più permettere che la S. Madre Chiesa sia svuotata della sua
missione redentrice del genere umano. I nemici della Chiesa stanno vincendo
una partita delle più ambite: dividono la Chiesa dalle masse tentando di
dimostrare che essa è un culto ed una dottrina speculativa ma che non incide
sostanzialmente sulla vita pratica e sociale degli uomini; che non è conditio
sine qua non della vita sociale del mondo. Ed i cattolici ne fanno il gioco in
modo oramai pauroso. Infatti come traducono i cattolici nelle opere il
mandatum novum? Quale forma sociale ne fanno derivare nella realtà? Forse
che tutto il vangelo, che tutta la parte più viva del Cristianesimo cattolico non
porta logicamente ad una forma comunitaria almeno tra le masse più umili e
sincere? Perché non l’abbiamo fatto? Perché non lo facciamo? Perché non lo
crediamo possibile? Forse che il liberalismo non è un errore contro la fede?
Forse che la concezione borghese non è la negazione della fraternità in quanto
individualista? Forse che l’accettazione della miseria, dell’oppressione dei
fratelli non è un peccato di omissione contro lo Spirito Santo? Forse che non
amando nelle opere non si sarà condannati al giudizio universale?
Quis ut Deus? Chi sulla terra può osare una soluzione della socialità
umana senza Dio o contro Dio? É l’ora di scendere in campo senza paura e
senza compromesso; è l’ora di tuffarsi senza riserve; è l’ora di non temere più i
farisei del cattolicesimo che si contano in una percentuale disastrosa. Io con i
miei figli sono pronto a discendere usque ad mortem, ma nella certezza di
ridare alla S. Madre Chiesa i suoi figli prediletti, le sue vie alla conquista dei
nuovi tempi. Ho i segni di Dio in mano e sono pronto a farli vedere ad occhio
nudo. Chiedo di essere ascoltato a fondo prima che non sia troppo tardi. Mi
manca un solo segno per tuffarmi: è questo che chiedo di essere ascoltato fino
in fondo, fino a toccare con mano che Cristo, il Papa, il popolo è con me e con
i miei figli. Se i comunisti che prepararono la rivoluzione russa furono
chiamati i demoni rossi; se ne accorgeranno gli uomini assetati di giustizia e
gli sfruttatori del sangue fraterno che noi saremo ben più veloci e ben più forti
di quelli... al nostro partire essi appariranno al popolo come lente e ridicole
lumache. Ci chieda il Papa i segni di Dio: glieli offriremo tangibili, poi ci
consegni la spada dell’Angelo... vedrà precipitare anche i demoni rossi sicut
fulgur. Non si perda tempo. Chi non crede alle sole parole di Cristo Redentore
non crede alla sua Chiesa quindi non possiede la forza di Cristo. In fede

(1) Nota di don Marchi in calce: Don Zeno ottiene udienza in segreto da Mons. Ottaviani, che lo
manda da S. Em. Marchetti Selvaggiani, il quale condivide nella sostanza, ma chiede: “ Quali
sono i segni che Lei ci dà per dimostrare che è l’ora di fare questo movimento?”.In marzo don
Zeno produce i Segni richiesti, con un interrogativo di fondo: Se “in capite” ci fosse “vevenum”
è doveroso far presto a disintossicarsi.

I segni di Dio sono le stesse realtà seguenti:

1) Le riforme sociali sono promosse e dirette dai nemici della Chiesa. Non
può, né deve essere perché i cattolici devono essere in testa per combattere
qualsiasi lotta diretta a rendere la vera giustizia agli uomini. E questo
devono farlo non rimanendo solo giudici degli eventi, sia pure esponendo
con zelo la loro dottrina eterna, ma facendo praticamente riforme in se
stessi e proponendole con il loro esempio personale e solidale al popolo
tutto. Non lo fanno?
Segno di Dio: sono dei falliti.
2) Persino tra sacerdoti, tra enti cattolici, tra i cattolici in massa si possono
segnalare le più ingiuriose situazioni di squilibrio e di ingiustizia
nell’attuazione del Mandatum Novum quanto alla distribuzione della
ricchezza, dei frutti del lavoro; e per me molti tra essi sono in errore contro
la fede. Provino a tradurre in dottrina scritta e sottoscritta il loro modo di
vivere in società, il S. Ufficio sarà costretto a condannarli.
Segno di Dio: questi sono in massa dei farisei.
3) I reazionari dell’attuale crisi si sono buttati sotto bandiere anticattoliche
anche per dottrina e così stanno svuotandosi dalla fede. Segno di Dio: per
causa della nostra mancata fraternità e solidarietà e per causa delle
nostre evidenti ingiustizie nel campo sociale, i figli ed i fratelli oppressi
escono dalla Casa del padre.
4) Il diritto privato di proprietà difeso a fatti dai cattolici è una ingiustizia
evidente, perché è un privilegio dei pochi che sono abili, ma più spesso
semplicemente che sono dei fortunati. É un fatalismo pagano.
Segno di Dio: ingiustizia sistematica a danno di coloro che, pur
lavorando, non riescono a vivere che di stenti: la proprietà privata anche
tra cattolici è un abuso evidente.
5) Diseredati e miserabili. Coloro tra essi che sono tali per cattiva volontà
sono da considerarsi come soggetti di diritto penale e per noi cattolici sono
oggetto di cura redentiva e di ammirevole assistenza. Ma se sono caduti in
quello stato sociale per sventura, allora sono vittime di tutti coloro che non
sono nelle loro condizioni.
Segno di Dio: al giudizio Universale noi dovremmo essere giudicati
ingiusti perché per causa della nostra omissione essi sono oppressi. 6) Il
comunismo è l’ultima trovata di Satana. Se riesce a invadere la terra, la
Chiesa sommergerà se non altro ridotta ad una forma puramente cultuale o
mistica, esclusa dalla vita reale dei popoli perché l’avremmo fatta fallire
storicamente nel campo sociale, per cui i popoli non avrebbero in mano un
motivo dovuto di credibilità ut videant opera vestra bona.
Segno di Dio: il malato è grave ed urge di operazioni chirurgiche che
portino, in tempo necessario sia anche attraverso sacrifici, ad una
soluzione chiara, pratica e definitiva sia nel campo sociale, sia politico.
7) Ad eccezione dei discorsi e delle encicliche dei papi la massa dei
cattolici, clero e fedeli, non ha concretizzato nulla di veramente
rivoluzionario nel campo sociale, se non fatterelli insignificanti come ad
esempio l’assistenza ai rovinati, ma in forma quasi sempre umiliante.
Segno di Dio. Incoerenza tra la dottrina e le sue applicazioni, reazione
indignata da parte delle masse, perché l’assistenza e l’elemosina
spessissimo non sono soluzioni, ma rappezzi anche ingiuriosi, perché si
danno comunemente “le briciole del superfluo”.
8) Abbiamo imposto sotto pena di peccato mortale di votare contro i
comunisti: e chi sono gli altri per i quali abbiamo votato? Uomini che
hanno promesso ciò che non fanno. Certa gente che non è rivoluzionaria
nel campo sociale, ma che si barcamena a difesa di un ordine, che dal
punto di vista dottrinale, è un disordine e dal punto di vista pratico è una
temeraria imposizione.
Segno di Dio: otto milioni di operai, contadini, disgraziati, miserabili
guidati da settari e da nemici dichiarati della Chiesa, hanno votato
apertamente contro il Papa; e gli altri, in gran parte, non hanno votato
per il Papa perché il Papa non la pensa come loro. Il Papa la pensa così:
“opus iustitiae pax”.
9) Il discorso del Papa all’apertura dell’anno santo è un discorso
sintomatico, perché secondo quello siamo in dolo a destra, a sinistra ed al
centro; ai poveri riconosce il diritto alla vita e non avendo egli in mano le
forze della giustizia sociale cristiana, invita questi a pazientare tra una
massa di cattolici dei quali moltissimi vivono da benestanti anche come
semplici lavoratori.
Segno di Dio: andare ai diritti dei poveri a tutti i costi è la sostanza della
nostra fede.
10) É sorta da venti anni la Città di Nomadelfia, segno concreto di vera
fraternità e solidarietà cristiana e sociale, è una popolazione di vittime
strappate alla rovina, che soffre mille ingiurie perché vive di stenti e di
privazioni delle cose più necessarie alla vita e al lavoro. E che cosa fanno i
cattolici? Guardano, commentano, applaudono e decantano Nomadelfia
come “cimbali suonanti”; ma vogliono un miracolo che Dio non farà.
Hanno sempre guardato se il bimbo riesce a vivere ed a crescere senza
nutrirsi; il che sarebbe oggetto di grida al miracolo. Ma la condanna a
questo atteggiamento è evidente: “qui non diligit manet in morte”.
Segno di Dio: questi figli resistono, si amano per dare alla Chiesa ciò che
non ha: una comunità di popolo solo cattolica sino alla radice della
volontà di Dio, pagando un prezzo durissimo: sono ingiuriati dalle
ingiuste omissioni dei fratelli di fede.
11) I DC sono falliti a metà legislatura.
Segno di Dio: il bivio: o preparare una rivoluzione popolare per arrivare
alla nuova legislatura con fatti ed idee chiare e decisive, oppure rimanere
degli oppressori. Intanto i nemici della Chiesa approfittano per
scristianizzare le masse. Con altre due generazioni avremo un popolo
quasi tutto pagano nei costumi tra cattolici pagani anch’essi quanto alla
solidarietà sociale.
12) Chi può muovere le masse ad arrivare al potere salvando il costume
cattolico e portando le masse in grembo alla S. Madre Chiesa? Unica cosa
che ha fatto scalpore è stata la predicazione di Padre Lombardi; ma ha
avuto sapore di appoggio alla mentalità borghese; io stesso ho avuto quella
sensazione; infatti dietro di sé non ha lasciato un movimento concreto, ed
ha, direi, quasi inutilmente irritato i marxisti ed i liberali. Ci sono qua e là
sacerdoti e cattolici laici che predicano un estremismo che praticamente
non ho mai potuto capire, in quanto non portano in conclusioni concrete.
Irritano la gente, illudono le masse, ma non hanno la via di scendere ai
fatti, né hanno in mano una soluzione.
Segno di Dio: “prurientibus auribus”, non sono praticamente nella
direttiva paolina “opus fac evangelistae”.
13) Passa la “Madonna Pellegrina”. Ma è passata ormai per quasi tutti i
paesi e le città; le masse l’hanno attorniata, l’hanno sentita. É passata come
una ridente giornata di sole in pieno e tormentato inverno.
Segno di Dio: una Madre di quella forza non può essere passata che
umiliata perché i figli anche più vicini si sono limitati a lodarla ed a
pregarla di liberarci dai nemici nostri, ma non da quelli di Dio che
saremmo anche noi nel campo sociale. Di una realtà viva e vera come la
Madonna si è fatta una bandiera sventolante nel vuoto degli egoismi.
14) La Santa Sede. Io non sono né posso essere in grado di dare un
giudizio, per quanto so che un figlio affezionato può sempre favorire anche
gli interessi della direzione della famiglia. Veda il Santo Padre. Le accuse
da parte dei nemici sono gravi.
Segno di Dio: il popolo non è soddisfatto, anzi è sfiduciato quanto ai
mancati favori ed alle mancate protezioni che invoca per essere liberato
dalle oppressioni della tirannia capitalistica e borghese. Non è male
almeno tenere presente il motto: “vox populi, vox Dei”. Se “in capite” ci
fosse “vevenum” è doveroso far presto a disintossicarsi.
15) Qua e là si sente dire che ci sono anime mistiche che parlano
direttamente con il Signore, con la Vergine Maria e che profetizzano, chi
in un modo, chi in un altro, tempi migliori per la fede. Io personalmente
non ho mai visto Gesù in persona, né la Madonna; però desidero di non
vederli se non quando sarò là dove si vede Iddio “sicuti est”. Il Signore mi
ha donato la fede che mi fa vedere i motivi di credibilità e che mi sospinge
all’amore. A quell’amore che mi sospinge a far amare Gesù ed il prossimo.
Per tutto ciò che dicono quelle anime, che io pure apprezzo moltissimo,
resto indifferente quanto al muovermi in un senso o nell’altro. Per tutto ciò
che mi dice la Chiesa nelle sue forme concrete e tangibili credo e mi
muovo in quel senso.
Segno di Dio del mio agire e dei miei figli: viviamo serenamente ed
eroicamente le direttive della Santa Madre Chiesa nelle sole espresse e
decise realtà della viva parola che esce dalla bocca del Papa e delle sue
gerarchie, dalla vitalità riconosciuta giusta e santa dall’Autorità
ecclesiastica competente; senza della quale noi sempre ci fermiamo anche
con un piede sospeso in aria per posarlo a terra solo quando la Chiesa
dice di farlo. Noi Piccoli Apostoli abbiamo visto andare alla deriva un
congresso di circa centomila lavoratori che si stava preparando dalle
masse del Basso Modenese, Basso Ferrarese, Basso Mantovano, Basso
Reggiano, da tenersi in Nomadelfia per creare un movimento
rivoluzionario [1945], ma non rivoluzionario in senso brutale che si dà a
questa parola, bensì pacifico, sostanzialmente cristiano nella giustizia
sociale. Il Vescovo di Carpi me lo ha proibito; ho ubbidito; sono stato
tacciato di traditore da parte di molti lavoratori. Ma ho serenamente e
giustamente subito la sconfitta. Ho vinto io perché ho ubbidito; ha vinto
Nomadelfia perché mi ha ubbidito.
16) Da centinaia di sedute e piccoli congressi improvvisati nelle suddette
zone, da conferenze pubbliche frequentatissime ancora prima della guerra
e più intensamente dopo la guerra si è andata formando tra me e il popolo
quella grande intimità dalla quale si sono avuti due risultati pratici: il
nascere e lo svilupparsi di Nomadelfia e l’attesa da parte delle masse che
io mi muova a condurle alla soluzione sociale. Mi credono, mi amano,
hanno motivo di credermi, hanno motivo di amarmi. Io ho parlato con il
santo Padre nel 1948. Ho esposto a lui questa realtà, mi ha ripetutamente
ed insistentemente pregato di agire: “faccia quello che vuole, don Zeno, il
Papa è con lei; non ha nulla da temere”. Questo me lo disse anche Pio XI
quand’ero ancora laico studente in legge; questo me lo disse anche il
Vescovo di Carpi Mons. Pranzini quando decisi di farmi sacerdote. Ma per
me questi non sono ancora i segni di Dio decisivi, perché io per fare quello
che voglio, voglio farlo in perfetta intesa con la Santa Sede. Questo segno
mi manca ed io lo voglio. É molto più facile travolgere e disperdere per
parte mia il comunismo in Italia che persuadere un solo sacerdote od un
solo Vescovo a non ostacolarmi il passo (1). Ho troppo sofferto per questo
ed ho sempre ubbidito attendendo, mentre vedo le vittime cadere a
migliaia sotto le grinfie del nemico per causa di questi arresti. Ho sempre
detto che quello che non dipende da me, dipende, nei miei riguardi, da Dio.
E con quei confratelli sacerdoti e con quei Vescovi con i quali c’è intesa di
vedute abbiamo fatto un bene immenso. Un movimento popolare di
carattere generale non può essere soggetto ad arresti per cause di
incomprensioni della circoscrizione giurisdizionale della parrocchia e della
diocesi. Se la legge è fatta al solo fine di favorire l’incremento della
Chiesa, in questo caso e per questo caso, se non si rimuove l’ostacolo si
potrebbe dire: “summum jus, summa iniuria” ed io per questo non mi
muovo.
Segno di Dio: necessità di rimuovere l’ostacolo da parte di quell’autorità
che è competente. Io non ho da persuadere nessuno in merito. Veda la
Santa Sede.
17) Già prima della guerra e più apertamente dopo, con padri di famiglia di
popolo, lavoratori onesti, sebbene di tutte le correnti politiche e con i babbi
Piccoli Apostoli, abbiamo fatto moltissime adunanze dalle quali sono
scaturite in linea di massima le basi fondamentali del movimento che si
voleva e che si vuole attuare in Italia partendo dall’Emilia in modo deciso.
Allego i documenti. Segno di Dio: comunisti e non comunisti erano e sono
disposti a buttare per questo movimento le loro bandiere. Questo mi fu
ripetutamente dichiarato in sedi varie da molti agitatori politici, da molti
capi, e ciò con sicura fermezza. Questa gente dice: “ Solo lei don Zeno
può farlo e faccia presto”.
18) Io so che mi sono presentato come sacerdote per portare la giustizia e
l’amore di Dio; so che questo ha fatto presa sul popolo, so che è cosa che
non deve essere considerata una simpatia per me, ma argomento essenziale
per creare un movimento.
Segno di Dio: il popolo mi crede ed io credo che posso guidarlo fino alla
vittoria.
19) Ritiene la Santa Sede necessaria, inevitabile questa rivoluzione di
Cristo nel campo sociale in Italia? Io la ritengo urgente e doverosa, per
parte mia anzi, dico che da essa avremo la pace nel mondo e la ripresa del
cattolicesimo come “lievito” sociale. Ha la Santa Sede un altro suo figlio
che possa dare l’attacco, corredato da tutti i segni suesposti? Io sono
sempre disposto ad aiutarlo. Ritiene la Santa Sede che io debba essere
l’esecutore in testa? Sono a sua disposizione per trattare la cosa a fondo.
Segno di Dio: non l’avallo della Santa Sede, ma la rimozione di quegli
ostacoli che io come sacerdote non posso né voglio affrontare a danno del
movimento.
20) Quanto al modo di iniziare, sono cose che bisogna trattare a fondo.
Segno di Dio: il Signore fino ad oggi mi ha sempre donata la forza di non
agire se non esaminando a fondo la meta e la ragionevolezza dei mezzi
adatti per raggiungerla. Sono paziente per la sua Grazia; ma della
pazienza della macchina da corsa. Si apra il circuito.
21) Le masse comuniste, come dissi chiaramente al S. Padre sono le più
idonee a rinnovare il cattolicesimo nel mondo, perché si sono liberate da
un formalismo che pesa sulla gente rimasta cattolica. Esse attualmente non
sono ancora penetrate dalla dottrina marxista e si agitano per un motivo
evidente: sono “assetate di giustizia” e “saranno satollate”. Conservano
ancora vivo il senso della morale cattolica. Io ho sempre fatto leva su
quella realtà intima e per quella so che si possono strappare al marxismo
ed infocarle di un ideale di redenzione sociale a base etica cattolica. Poi il
clero agirà su di loro per penetrarli degli altri elementi della fede alla quale
arriverebbero sospinti più che per speculazione mentale, per una necessità
vitale, cioè per la evidente necessità di tenere viva nel mondo la nuova
società fraterna e solidale, che in definitiva senza della fede non si
reggerebbe.
Segno di Dio: lasciarle in balia del nemico è un reato storico. Togliamo il
“trave” dal nostro occhio. Questo è l’ostacolo ingiurioso per le masse.
Mie previsioni: l’ottanta per cento degli italiani aderiranno. Il novanta per
cento dei parroci saranno di validissimo aiuto perché essi in primo luogo
vogliono essere con il loro popolo.
22) Come arriveranno le masse ad essere in grembo alla S. Madre Chiesa?
Prima di tutto per la ragione suesposta al N. 21. In secondo luogo perché è
un sacerdote che le muove; il che le imprime delle sole direttive del
cattolicesimo. In terzo luogo perché troverebbero nel papa la sola potenza
idonea a comprenderle ed a difenderle e nei parroci una paternità che mai
hanno potuto esercitare su di loro per causa della divisione ideologica nel
campo sociale. Entusiaste del papa e dei parroci quindi dei Vescovi
finiranno per correre al Carroccio naturalmente. Oggi sono entusiaste di
me; poi saranno entusiaste dei parroci, poi dei Vescovi, poi del Papa.
Finalmente di Cristo.
Segno di Dio: il mio tormento e quello dei miei figli è lievito indiscutibile
di redenzione, perché è solo amore a Cristo nella sua Chiesa. La
concretizzazione di Nomadelfia è una realtà sociale sbalorditiva per le
masse, davanti alla quale si sentono umiliate e retrograde. Davanti a
Nomadelfia lo stesso comunismo è pallida ed insignificante rivoluzione;
persino il movimento rivoluzionario che io e Nomadelfia proponiamo al
popolo è tutt’altro che eroico, ma poco più che una semplice contabilità.
Nomadelfia è la santità sociale: qualsiasi altro movimento rivoluzionario
che non sia della stessa natura di Nomadelfia è semplice giustizia.
Nomadelfia è “Charitas non quaerit ea quae sua sunt”. Il resto è: “Dare
unicuique suum”.
23) Il popolo italiano ha una sola missione da Dio: produrre dei santi.
Segno di Dio: per me e per noi Piccoli Apostoli quel movimento
rivoluzionario mette il popolo sulle basi idonee a preparare il sogno della
Santità. Arrivate le masse alla giustizia diventeranno sitibonde di santità.
24) Come apparirà evidente dall’allegato documento che sintetizza le
aspirazioni sociali dei movimenti fatti in precedenza per vent’anni tra le
masse ed i Piccoli Apostoli, la Chiesa non ha nulla da temere nel benedire
l’arrivo dei padri di famiglia come tali al potere massimo dello Stato
perché essi sono quasi nella totalità legati da un sacramento quindi hanno
la grazia dello stato. Non ha nulla da temere nel campo economico perché
lo stato non è il padrone, anzi è limitato solo ad essere custode dei diritti
del popolo. Non ha nulla da temere nel campo morale e delle dovute
libertà della Chiesa perché il popolo italiano vuole la Chiesa senza della
quale è disorientato, mesto ed inquieto. Non ha nulla da temere quanto ai
protestanti perché una volta impostata la vita sociale e politica su quelle
basi il protestantesimo rimane una corrente individualistica ed eccentrica
nello stesso sfacelo della famiglia.
Segno di Dio: mai sulla terra si è fatta una rivoluzione di quella natura.
Per me è chiaro che è il coronamento di venti secoli di cattolicesimo.
25) I documenti allegati devono essere i punti fondamentali per le
discussioni e le decisioni del suddetto congresso. Furono preparati con me
da molti padri di famiglia come detto sopra. Ho promesso al popolo nelle
piazze pubbliche che “all’ora di Dio faremo il congresso di masse, dove
fisseremo una nuova Costituzione e dopo di che marceremo al movimento
generale fino al potere”.
Segno di Dio: queste masse attendono; io ed i miei figli attendiamo. Per
preparare il congresso occorrono parecchi mesi cominciando subito
prima con un ciclo di conferenze su Nomadelfia; poi con una seconda
ondata sulla rivoluzione sociale. In agosto p. v. il Congresso nelle praterie
attigue a Nomadelfia. Veda il S. Ufficio sui punti dottrinali, veda il S.
Padre nella luce d’“ineffabile e dolce Cristo in terra”.

(1) Obiezione: Ma i figli, come laici, hanno bisogno del beneplacito del Papa
per muoversi in politica? Altri “segni” preoccupanti arrivano in Vaticano. I
giornali scrivono: “La città della fratellanza” sta per essere venduta all’asta (Il
tempo, Il nuovo giornale, Piacenza, 21.3.1950. Don Zeno supplica il Papa di
riscattare le “macchine per il lavoro”: valore, 8milioni. 22.3.1950.

Una rivoluzione sociale

A Mons. Ottaviani, Assessore del S. Ufficio


“Propongo questa riforma e rivoluzione sociale per il popolo per riportarlo alla
sua Chiesa”.
11 marzo 1950

Eccellenza Reverendissima e Carissima,


Preghi anche Lei perché si attui la sola volontà del Signore. Quando proponevo
Nomadelfia al mio primo vescovo, Mons. Pranzini, pareva un sogno
irrealizzabile. Ma il vescovo ha creduto e Nomadelfia è nata e vive nonostante
mille e mille sofferenze e tragiche situazioni. Propongo questa riforma e
rivoluzione sociale per il popolo al solo fine di riportarlo alla sua Chiesa. Io
personalmente credo che questo movimento sia una tale ripercussione divina
nelle anime da evitare, come dono di Dio, la guerra. La prego, Eccellenza, di
chiamare a colloquio intimo da lei Mons. Ercole Crovella della Congregazione
del Concilio che da parecchi anni conosce me e le mie cose. Egli può
illuminarLa su quanto io personalmente non saprei dirle. Chi trova un amico
trova un tesoro. Per me Mons. Crovella è un vero amico. Iddio può ciò che noi
non possiamo. Se quella sarà la via di Dio, Egli non mancherà di prenderci per
mano e condurci fino al miracolo del ritorno del mondo sotto il manto della
Sua Chiesa.

Un pugno di sterco

Al S. Ufficio
“Voi mi avete mandato nelle fogne… e oggi depongo ai piedi del papa un
pugno di quello sterco: ecco Petrus come sono ridotti i nostri figli”.

11 maggio 1950

Amare i nemici senza dare la vita per essi è una menzogna. Bisogna quindi
difenderli almeno nei loro diritti naturali (legge di Dio anche la natura) fino al
nostro martirio. Io in Nomadelfia sono voi, ma Nomadelfia non è don Zeno.
Siete stati voi che mi avete ordinato vostro confratello e che subito dopo
l’ordinazione sacerdotale mi avete mandato nelle fognature delle nostre
omissioni a raccogliere un pugno di sterco dal quale erigens pauperem. E dopo
vent’anni sono ritornato a voi per deporre ai piedi del papa un pugno di quello
sterco esclamando lacrimante, stretto a Cristo sanguinante al Getsemani, ecco
“Petrus” come sono stati ridotti i nostri figli. Quale scuola filosofica, quale
scuola teologica accreditata anche presso i più autorevoli nostri atenei oserà
non piegarsi a piangere con il papa tanta sciagura? Quale organo della Chiesa,
quale Angelo della diocesi non si piegherà a piangere e ad adorare EUM? Ero
Io in loro.
In quel momento, siatene certi, Gesù opererà il miracolo dell’attacco... avremo
riportato la Chiesa alla Pentecoste... non saremo più in ritirata, ma riavremo
l’iniziativa. E qualunque cosa proporremo al popolo l’accetterà perché il
gregge è sempre e solo di Dio... Da quel momento ne saremo realmente il buon
Pastore. Capiranno la nostra voce, noi capiremo la loro... i posteri studiando
questo momento diranno: et secuti sunt eum. Dobbiamo credere che il pastore
mercenario va al gregge solo quando si assenta il Buon Pastore. Come il Padre
ha mandato me, così Io mando voi. Miei cari, siamo poi andati noi? Ho paura,
sì, paura. Mi trema la mano dal dolore dell’anima mentre scrivo questo.
Preghiamo, meditiamo. Domine fac ut videam.

La più terribile delle vendette

Al papa Pio XII


“Non si deve intendere che sia io personalmente, meno ancora la Chiesa, a
proporre al popolo una riforma sociale, ma la Città di Nomadelfia”.

Roma, 13 maggio 1950


Beatissimo Padre,
Come completamento delle relazioni avute con il S. Ufficio ho inviato al
medesimo quanto qui allegato che per conoscenza, per me inevitabile, invio
alla Santità Vostra. Da domani mi ritirerò in preghiera intima con il Signore, in
attesa di essere chiamato a colloquio, dopo di che, Nomadelfia si butterà sulle
ali di Dio a portare a colpo sicuro nel mondo il messaggio di fraternità e di
pace.

ALLA S. CONGREGAZIONE DEL S. Ufficio, p.c. al S. Padre.


Allegato 1.
Se rimane pacifica la soluzione della struttura sociale che sarà proposta al
popolo nel congresso dei padri di famiglia, urge esaminare quanto segue circa
il modo per arrivare alla realizzazione.

PREMESSO

a) Tanto io quanto la Città di Nomadelfia ci muoviamo in solido solo se


vediamo di essere nella direttiva data da S. Paolo a Timoteo: sollicite cura te
ipsum probabilem exibere Deo... opus fac evangelistae.
b) Noi abbiamo sempre inteso di farci nel popolo pionieri del motto del S.
Padre: opus iustitiae pax che non può essere altro che uno tra i riflessi logici
del messaggio della redenzione: pax in terra hominibus bonae voluntatis.
c) Non si deve intendere che sia io personalmente, meno ancora la Chiesa, a
proporre al popolo una riforma sociale, ma tutta la Città di Nomadelfia; la
quale, mentre illustra al popolo la sua riforma eroica realizzata in venti anni
dalle stesse vittime delle ingiustizie sociali, propone al popolo un minimo
necessario che ancora non ha nulla a che fare con quella charitas che non
quaerit ea quae sua sunt, ma tuttavia è segno sufficiente per ottenere dal
Signore il divino dono della pace nel mondo. Faremo cioè nel popolo quello
che ho promesso alla città di Milano in una conferenza pubblica su
Nomadelfia: “noi Piccoli Apostoli realizzeremo nel Signore la più travolgente
e la più terribile delle vendette: porteremo l’Amore a sconfitta ed a dispersione
di quell’odio satanico che ci aveva colpiti a morte; disperderemo la ‘morte’
con la forza taumaturgica della redenzione” - cosa che fu accolta con un
plauso calorosissimo e riconoscente. Queste vittime opereranno nel mondo il
miracolo dell’amore fraterno perché essi sono i semplici che, colpiti, hanno
perdonato e si muovono solo per portare l’olivo del perdono; mentre il Signore
impiglierà i sapienti nella loro malizia. d) Qualcuno del S. Ufficio ha dubitato
della riuscita del movimento: Nomadelfia si muove a colpo sicuro. Ma chi ha
dubitato, ha ragione di farlo, perché non possiede ancora tutti gli argomenti per
passare alla nostra certezza. Per parte mia, una volta realizzata la condizione
che ho posto come segno di Dio, cioè di addivenire ad una perfetta intesa con
la S. Sede, posso assicurare che sarà operato il tanto sospirato miracolo: la
Pace di Cristo nel Regno di Cristo.
Io penso che Nomadelfia è la bomba atomica di cui si servirà il S.
Padre, quindi la Chiesa, per disperdere il nemico degli uomini. Il quale ora sta
tentando di persuadere gli uomini, anche i giusti se fosse possibile che non c’è
altra via che accettare una nuova guerra (1). Guerra che purtroppo sarebbe
fatalmente firmata dai cattolici al potere. É furbo Satana! Ma è anche stupido.
Basterà una fionda da ragazzi, di quei ragazzi che il mondo aveva buttati senza
accorgersi sul petto di una vergine mamma Piccola Apostola, basterà porre un
sasso in quella fionda, basterà dire al figlio: tira là... e rivedremo Satana
precipitare tamquam fulgur nel mare morto delle sue perfidie... ogni ordigno di
guerra apparirà il nulla, una bolla di sapone della bava di satana... e gli uomini,
proprio per miracolo, si troveranno sbalorditi nel riveder le stelle.
Credo a quella fionda, credo a quel sasso; credo a quel petto materno
di una vergine; credo a quel nostro e vostro figlio innocente... Vedrete le masse
del mondo intero prostrarsi in ginocchio in segno di sincera penitenza. Sarà
l’unum evangelico (art. 1 della costituzione di Nomadelfia) che opererà il
miracolo. La città nella quale è sola legge il soprannaturale non è forse il
Perfecti in unitate? E non ne consegue e il mondo crederà che Tu mi hai
mandato? E il mondo non griderà che il Papa è stato mandato da Cristo? E
questo, e solo per questo che cerca Nomadelfia, disposta per questo al martirio.
Avete notato che questa Città di Dio, come la definì un Cardinale, offre
attualmente (gaudentes) circa 500 quintali di carne battezzata in pasto alle
belve quale prezzo che il mondo riconosca che il Papa è mandato da Cristo.
Mai sulla terra è esistita una simile città; come mai sulla terra si è osato creare
uno stato senza il nome di Dio come si è fatto, chissà per quali disegni di Dio,
persino in Italia con al potere i cattolici: (Il diavolo è furbo, ma stupido) Dio si
è rifugiato a creare un altro suo popolo tra le vittime di quegli stati.

Proposte del modo in linea di massima

Per un movimento di riforma sociale come quello proposto da Nomadelfia al


popolo, è necessaria una ondata profonda di invito a penitenza del popolo.
Penitenza nel senso di condurlo a meditare religiosamente la responsabilità
individuale delle catastrofi sociali sino a mettere tutte le anime che credono e
che cercano Cristo nel piano del mandatum novum, quale sola volontà di Dio,
almeno per essi. Quindi grandi missioni al popolo usando di tutti i mezzi
necessari che la tecnica moderna offre per arrivare a tutti e reclutare tutti quei
sacerdoti secolari e religiosi che sanno infiammarsi di questo messaggio. Al
fine di evitare che si scivoli in vane illusioni mistiche o fantasmi, bisogna
avere il coraggio di mettere in luce quello che stanno facendo i mille fondatori
della Città di Nomadelfia, invitando i cristiani ad abbracciarsi e a collaborare a
Nomadelfia per anticipare il suo progresso che in definitiva sarebbe un eroico
esempio di società cristiana come avanguardia di altre soluzioni sociali che
attualmente però non esistono se non fondate su errori o tutto al più sulla legge
della foresta. Quando si vedrà che il Signore attraverso questa ondata di
missione avrà creato nelle anime il tormento, il sogno di una sana giustizia
sociale, allora si adunano in grande congresso i padri di famiglia ai quali si
propone la riforma sociale che Nomadelfia ha abbozzato come minimo
necessario alla convivenza umana universale, che è basata sul solo diritto
naturale e che i cristiani dovranno accettare per amore di Dio nella giustizia
distributiva, mentre i non cristiani o non credenti dovranno accettare come
legge inevitabile di convivenza sulla terra.
(…) Nomadelfia sarà presentata al mondo come una pianta robusta della S.
Madre Chiesa, come cioè uno stato più perfetto di socialità cristiana; la riforma
suddetta sarà presentata al mondo come un atto di buona volontà degli uomini
per realizzare almeno una vita di natura comune e ordinaria, a tutti possibile e
doverosa.

Come iniziare?

Io ho bisogno di parlare molto a lungo con il S. Padre, al quale devo aprire


certi lati dell’anima che non possono essere oggetto di studio di congressi o di
commissioni. Siatemi buoni, buoni come mi siete stati fino a questo momento,
non sono io che invoco questo esauriente colloquio con il S. Padre, ma sono i
figli in me. Guardate ad essi come a S. Giovanni Evangelista, lasciate loro
posare il capo sul petto del Dolce Cristo in terra. É necessario, sono giovani,
sono i più giovani tra gli Apostoli... ma vedrete che dopo essi sapranno
riscrivere con il loro sangue: qui non diligit manet in morte. Un movimento di
questa forza non può essere un esperimento, ma un piantare a colpo sicuro
l’umanità nello stesso cuore di Dio nel motto festina lente, cosa che solo Dio
può fare con un miracolo per il quale gli uomini chiamati ad agire si muovono
con Dio, Onnipotenti della onnipotenza di cui S. Paolo parla Omnia possum in
eo qui me confortat. Che l’abbraccio (che vi posso assicurare) dei figli vi
faccia taumaturghi nel condurre alla meta questa flotta di naufraghi salvatori
di naufraghi prima che discenda la nebbia. Credetemi in Corde Jesu
affezionatissimo figlio e confratello, comprendetemi come Gesù ha compreso
la molesta Cananea: fate presto.
(1) Mentre la guerra divampa in Corea, Pio XII, riferendosi ai rossi, confida a
P. Lombardi: Senza guerra, non cedono.

Il bambino poppa a credito

Al papa Pio XII


“I creditori ci sequestrano il grano... Noi ci comportiamo come bambini o
agnelli che invocano di non essere sgozzati”.

30 maggio 1950

Oramai i creditori minacciano di venderci le terre stesse, o meglio di svenderle.


D’altra parte sono nel loro diritto. Noi con essi ci comportiamo come bambini
o agnelli che invocano di non essere sgozzati. Noi abbiamo dato tutto e
soffriamo con il sorriso della fede sulle labbra. Si lavora e ci portano via i frutti
del lavoro. Se Nomadelfia fosse un semplice fatto finanziario sarebbe
scomparsa le mille volte perché il bambino non può pagarsi il latte e i
pannolini. Poppa e si scalda a credito... pagherà quando avrà raggiunto l’età
matura; o muore prima, nel pianto almeno dell’Angelo Custode. Questa società
neopagana avvezza a bombardare o ad affamare donne e bambini, senza pietà,
non può sentire questo palpito d’amore materno e paterno in Cristo.
Praticamente è ancora l’ora di Barabba. In questi giorni i figli cominciano a
mietere circa 700 quintali di grano già sequestrato che essi hanno seminato
dopo avere scassato terre selvagge. Realizzano la loro vendetta: amano, per
questo lavorano. Io chiedo per questo al Santo Padre £. 200.000.000 ut vitam
habeant.

[Il papa interviene con 5milioni. Scorrendo la storia dell’AC si apprende, che
“La S. Sede dava abbastanza largamente”: 30 milioni nel ’47, 120 nel ’49. “…
ogni tanto Carretto arrivava con delle borse di quattrini, con decine di milioni,
che lui chiamava ‘Provvidenza’”. Per la propaganda anticomunista la Giac,
1948, ottiene da Scelba “tre finanziamenti colossali (…) in tre anni trecento
milioni”. F. Piva, La gioventù cattolica in cammino, Milano, 2003, 162, 164ss.
Scelba nega i soldi a Nomadelfia per il mantenimento di 750 minori accolti,
ma foraggia l’anticomunismo di Gedda con 40 milioni al mese. Ib. 396.]

Legato mani e piedi

A Mons. Ottaviani, S. Ufficio


Bocciato il progetto a livello nazionale, si può iniziare in Emilia. Ma “le cose
sono rimaste impossibili perché non abbiamo ottenuto il riconoscimento di un
diritto che oltrepassi i regolamenti della disciplina ecclesiastica”

27 giugno 1950
Eccellenza Reverendissima,
Ho pensato, ripensato, meditato, pregato su la relazione che il Rev.mo Mons.
Crovini e V. E. mi hanno data su l’udienza del S. Padre a V. E. stessa e sulle
conclusioni del S. Ufficio. Sono in possesso anche di una lettera di S. E. Mons.
Montini, di cui allego copia. Mi sono pure consigliato con i miei più intimi
collaboratori. Il segno di Dio che ho posto come condizione per agire non
balza chiaro. Il S. Padre non vede attuabile la missione con i sacerdoti sotto la
forma proposta. Questo stesso giudizio lo rende inattuabile, quindi la scarto
senz’altro come un tentativo fallito con un autorevole colpo di spugna. Io
calcolavo che con 500-600 sacerdoti ben preparati si poteva tenere una
missione di 3 o 4 giorni per parrocchia. Le parrocchie mi pare siano 23.000. In
circa 4 mesi si sarebbe passata tutta Italia. Dopo di che era facile tenere un
congresso dei capi famiglia, si sarebbe creata un’atmosfera predisposta a
ragionare serenamente. Il S. Padre non ce la vede: fiat. Per altra strada ci si
perde in viaggio. Torniamo quindi al progetto di cominciare nell’Emilia. Là
bastiamo da soli. Se sacerdoti secolari o regolari vorranno e potranno venirci in
aiuto: Deo gratias. Ma anche per questo inizio le cose sono rimaste impossibili
perché non abbiamo ottenuto il riconoscimento di un diritto che oltrepassi i
regolamenti vigenti della disciplina ecclesiastica. Se anche in un solo paese
dico al popolo: Organizziamoci, mi domandano se io mi metto a loro completa
disposizione. Se anche non me lo domandano, lo presuppongono. Io so che in
coscienza non lo posso garantire, quindi non devo incominciare. Il popolo non
può disporre di me. Sarei costretto ad abbandonarlo al primo urto, nolente,
come fui costretto a fare nel 1945. La legge ecclesiastica sulla disciplina del
clero per me e per il mio caso, per i sacerdoti miei collaboratori e per il nostro
caso; per Nomadelfia e per il suo caso proibisce l’abbraccio con il popolo
perché ci ferma con un semplice punto di vista di un parroco o di un vescovo.
Un movimento per sua natura di carattere generale non può marciare con
sacerdoti che possono essere fermati alla dogana di un paese qualsiasi cui
devono obbedire in coscienza. V. E. mi ha detto di iniziare, ma non posso
perché sono legato mani e piedi.

Ascoltiamoli anche se bestemmiano (1)

Al S. Padre e al S. Ufficio
“La povertà in mezzo ai figli e ai fratelli poveri, è un dovere di stato. Non
morire per i fratelli e poi innalzare sugli altari quelli che muoiono è un
comportamento da becchini”.

29.6.1950

Così parlano contro di noi ecclesiastici gli oppressi per causa della povertà,
della miseria, della politica ed in definitiva coloro che al giudizio universale
saranno accusatori in Cristo. Il loro risentimento è come il pus di una profonda
piaga che si è venuta scavando nel cuore, nelle viscere tutte. Ne asciugate un
po’, rigurgita altro più fresco e non meno ripugnante.
Vedono in blocco noi ecclesiastici come una classe fortunata, non dei loro.
Quando non ci offendono, ci maledicono, si buttano a terra come dei vinti e ci
stendono la mano, forzati a subire la loro condizione come una fatale sventura;
in tal caso o bestemmiano Cristo oppure si aggrappano alla croce e pregano. Io
ho cercato di captare il loro grido contro di noi e forse è il seguente: Dai loro
frutti li conoscerete.
Si sono invertite le parti. Proprio voi che siete stati preposti nella Chiesa ad
esserci fratelli, padri, e quindi maestri, siete in dolo. Noi possiamo dire: “Voi
siete nobili e noi invece siamo ignobili” (1 Cor 4,10). Non potete dire di no.
Era l’apostolo che lo diceva ai fedeli, sono i fedeli oggi – la parte più vera dei
fedeli, gli oppressi – che lo dicono a voi e che, nell’autorità suprema della loro
oppressione, vi condannano. Ne sentirete l’eco al Giudizio Universale.
Se almeno ci tenete a salvare l’anima, giacché non ci tenete ad essere nostri
fratelli, vi consiglio a pensarci sopra. Voi infatti siete persone rispettabili, noi
siamo dei reietti condannati ad essere tali per causa del precetto dell’amore che
speriamo non oserete dire che è un semplice “consiglio evangelico”. Dove
arrivate voi si aprono tutte le porte, si imbandiscono le mense più raffinate e si
muovono gli armati in difesa... dove arriviamo noi lo stesso cane di guardia
abbaia.
Voi vi siete autorizzati a derubarci ogni giorno attraverso le vostre prebende, le
nostre limosine, che detraete dal nostro patrimonio, nei collegi vi siete
autorizzati a mangiare meglio dei ricoverati ed anche in faccia ai medesimi, e
la pietanza e il condimento che mangiate in più lo strappate violentemente
dalle loro boccucce le cui labbra innocenti sorridono egualmente tanto da farvi
esclamare: “Beati i fanciulli”. I poveri vi ringraziano e voi dite, forbendovi la
bocca col tovagliolo: “Beati i poveri”.
Nelle cerimonie spendete e spandete incensando Cristo e soffocandolo e
intossicandolo in noi, che vi guardiamo protendenti le mani, lacrimanti perché
i figli ed i fratelli sono con noi alla fame, senza casa, senza famiglia, senza
sorveglianza paterna e materna.
Perché non ci domandate il permesso prima di toccare il tesoro della Chiesa?
Non è patrimonio comune? Ve lo negheremmo, diremmo: Prima i piccini, poi
voi. Nelle elemosine che ci fate, che sono le “briciole”, spesso suonate la
tromba e ci offendete a morte perché non solo non ci siete padri, ma nemmeno
fratelli: siete degli autoritari gentili ed ammirevoli.
Tranquillizzate le coscienze al furto legale e imponete a noi di “non rubare”
perché se noi rubassimo come fate voi, sareste poveri e rovinati come noi. Voi
amministrate il nostro patrimonio, ve ne servite prima per Voi, ne accantonate
“prudentemente” fino a creare delle rendite “secondo le intenzioni” dei
donatori che avevano accumulato quei beni detraendoli dal sudore e dalla fame
dei lavoratori, fatte le ben rare eccezioni; mentre a noi non concedete
nemmeno i mezzi, gli strumenti del lavoro. In parte li spendete anche in
propaganda per tentare di farci credere che quella Chiesa lì è la nostra Chiesa.
Non accusateci di eresia, ci capite benissimo.
Vi siete creata una vostra Chiesa mondana, dove si mangia secundum legem ed
investite l’autorità della Chiesa che soffre e che vi riconosce, per la vita e per
la morte, “l’Autorità da Dio”. Appunto e perché siamo con voi la Chiesa, vi
riconosciamo ubbidienza e riverenza; appunto e solo perché senza di voi non
saremmo la Chiesa. Ma questa Fede, necessitata dalla Verità, ce la fate pagare
ad alto e ingiurioso prezzo.
Se nostra madre ci trattasse così avremmo il diritto di andarcene da casa senza
perdere la Fede; ce lo fate Voi e siamo costretti a non andarcene perché
usciremmo dalla nostra Barca e cadremmo nell’acqua. Perduti se usciamo,
rovinati se rimaniamo. Neppure possiamo impiccarci, perché è peccato e non
vogliamo peccare, vogliamo amare, dobbiamo amare. Non ci rimane altro atto
di amore e di fede che quello di combattere dal di dentro fino a disperdere il
vostro peccato pubblico. Siamo in molti, siamo il grido; siamo lo schianto
universale di cuori e di vittime. Della mia casa avete fatto una spelonca di
ladri. Si può dimostrare; ma perché costringete noi a farlo? Avete paura della
Verità? E non siete tenuti anche voi più di noi a difendere gli interessi del
padre Nostro che sta nei cieli?
La povertà in mezzo ai figli e ai fratelli poveri, è un dovere di stato. La miseria
in mezzo ai figli e ai fratelli miseri, è un atto di sovrana dignità. La propria
morte in olocausto, in mezzo ai figli innocenti ed ai fratelli che sono minacciati
di morte, è un dovere di preminenza. Non morire per poi innalzare sugli altari
quelli che muoiono è un comportamento da becchini. (…)

La Chiesa in realtà è ancora bambina, piccina e delicatissima. Che cosa sono


venti secoli per una creatura di quella forza? E voi la fate tacere quando volete;
la picchiate se piange, la nutrite come volete, la vestite come volete, la mettete
sullo scrannone quando volete, come volete; ne siete ancora i tutori. Ma
crescerà. Ha un bel da piangere la Piccina: Dio mio, Dio mio, perché mi hai
abbandonato? (Mt 27,46). E voi tenete sodo, la volete domare, ne siete gli
educatori freddi e sapienti, la volete rendere gentile, nobile, rispettosa delle
gioie altrui, non invidiosa del benessere altrui; non le permettete di andare a
giocare con i bimbi miserabili della strada... Si affezionerebbe troppo. (…)
Noi siamo per voi le lave infuocate ed il moto di un vulcano
finalmente in eruzione. Scorriamo: siamo oramai giunti alle fondamenta delle
vostre strutture pagane. Vi fonderemo, nello schianto di codeste vostre ridicole
e mostruose contraddizioni. Questo è l’amore: evitarvi di opprimerci e di
derubarci. Voi fate troppo presto a dire che i poveri sono nel vostro cuore. Se
ci fossero, avreste il mal di cuore e rimarreste uccisi perché vi assalirebbe
violento un rimorso spaventoso.
Questa è un’accusa. Noi diciamo che l’amore è la legge suprema
della Chiesa. Perché non vi mettete sotto processo? Avete i tribunali. Se
avessimo detto per disgrazia la verità? Oppure: perché non ci processate?
Siamo a vostra disposizione.
Veramente il vangelo risolverebbe il grave scandalo in modo diverso:
Se dunque stai offrendo il tuo dono all’altare e lì ti ricordi che il tuo fratello
ha qualche cosa contro di te, lascia lì il tuo dono davanti all’altare e va prima
a riconciliarti col tuo fratello (Mt 5,23-24).
Vi possiamo assicurare che noi abbiamo qualche cosa contro di voi.
(1) Diventerà il capitolo sesto del libro “Non siamo d’accordo”.]

AI RELIGIOSI

Al Definitorio dei Padri Serviti della provincia Lombardo-veneta.


“Voi religiosi siete in peccato di grave omissione. Non sentire il pianto di Dio
nelle sue creature è semplicemente pugnalare Dio alla schiena”.

24.7.1950
Se non vi fate eroi nel riformare voi stessi e le vostre forme, siete degli assenti
al pianto della S. Madre Chiesa che è aggredita ed ingiuriata da mille direttive
dall’interno e dall’esterno. Se non lo fate, proprio il Cielo può accusarvi di non
amare la sua Chiesa. Per parte mia siete in peccato di grave omissione. Non
sentire l’indole dei tempi, il pianto di Dio nelle sue creature che voi come
Cristo dovete amare, è semplicemente pugnalare Dio alla schiena. Siete
migliaia e migliaia. Ma cosa fate?

1) Perdete tempo ad alimentare un culto che ormai è il canto del cigno, perché
il popolo non lo vive né lo capisce più. Un mistero artificioso ed
incomprensibile che avviluppa e svisa un mistero plastico e sostanziale, vivo e
vitale. La sostanza è vivere Cristo in spirito e verità, i cui sacramenti sono ben
più limpidi e semplici di quello che li fate voi con tutti i vostri cabalistici
geroglifici. Siete migliaia e migliaia, ma non siete la viva forza della Chiesa,
idonea a ridonare al popolo un culto assimilabile che dica al popolo la divina
realtà che effonde Dio, il creato, l’uomo in un palpito solo d’amore, di
conversazione, di redenzione. Neppure nella vostra specialità, in cui vi siete
rifugiati, siete tanto specialisti da fare del culto qualcosa di vivo e di
assimilabile dalla massa.
2) Siete schiacciati da un fottio di regole che non osservate, perché se le
osservaste sareste addirittura delle mummie; e non osservandole siete degli
incoerenti. Lo sapete questo, ma non essendo più degli imitatori dei vostri
fondatori vi lasciate intricare il cammino dalle loro spoglie e non correte liberi
ad attuare il loro spirito. Lo vorreste: molti tra voi soffrono per questo intimo
Calvario, ma non avete il santo coraggio di liberarvene per riabbracciare Cristo
operante tra il popolo a portare il miracolo e la dolce novella.
Forse che per vivere fratres in unum in una missione così impegnativa nella
Chiesa come la vostra c’è proprio bisogno di essere inciampati in quelle
regole? La lettera vi uccide e vi deforma; è un massacro di anime
preziosissime, del cui fallimento siete responsabili. Quando insegnate ai vostri
preziosissimi e generosissimi giovani allievi che osservando e penetrando nella
pelle e nell’atteggiamento dello stesso corpo quelle regole si diventa santi, voi
mentite perché sapete che la santità è ben altra cosa: è vivere Cristo e donare
Cristo. Siete migliaia e migliaia e non avete la forza di guardare in faccia alla
realtà e correre decisi a Cristo che è straziato nell’umanità, in quella umanità
che ha diritto che ne siate lievito assimilabile, olocausto comprensibile e
travolgente.
Chi di voi oserebbe adorare ed amare gli accidenti dell’Eucarestia anziché
l’Eucarestia? La sostanza di quegli accidenti non è più il pane, ma Cristo vivo
e palpitante; mentre la sostanza delle vostre regole oramai è il vuoto, l’irreale,
il contrasto, la negazione della vera vita, se non fosse così sareste oggi nella
Chiesa gli angeli più cari al popolo cristiano e non cristiano, i taumaturghi
della pace tra le genti. Il vostro è un suicidio alla stessa guisa di chi si serve
della veste per impiccarsi, o meglio ancora, di chi rifiuta di tuffarsi nell’acqua
perigliosa non volendo levarsi la veste, mentre il fratello naufrago sta per
essere divorato ed annegato in pasto ai pescecani.
3) Dove avete messo il vangelo? Quando un giovane fresco e vivo abbandona
tutto ciò cui ha diritto per gridarvi Sequar te quocunque ieris non potete
ucciderlo nella sua freschezza e nella sua vivezza, ma snellirlo ancora di più,
fino a renderlo: Le volpi hanno le loro tane, gli uccelli il loro nido, mentre il
figliuol dell’Uomo non sa dove posare il capo. Questo e solo questo i giovani
vi hanno domandato, perché se avessero cercato la tana ed il nido non
avrebbero abbandonato quella vita che ad essi li offriva più belli e ben più vivi
dei vostri, ben più in armonia col creato. Non illudetevi con ciò di realizzare
una salutare mortificazione; ché mortificarsi è ben altra cosa: è modellarsi a
Cristo fino al vivo ego iam non ego sed vero vivit in me Christus. E potete
illudervi che Cristo e gli apostoli avrebbero accettato la vostra vita? Il vostro
contrasto? Ma essi del popolo erano il sangue caldo e saturo di globuli che
scorreva nelle arterie, nelle vene degli uomini consumandosi in alimento alle
cellule tutte. Per questo erano ammazzati dai micidiali tiranni che dell’uomo
vogliono fare un cadavere anziché un vivo canto d’amore a Dio creatore e
salvatore. Siete migliaia e migliaia, tanti da sconvolgere la terra, invece
appesantite e ingombrate la terra di una macchina che non ubbidisce al divino
pilota; nella rabbia del popolo che in essa confidava. Ma su chi può confidare
questa sanguinante, piangente, schiaffeggiata, condannata, derisa, inchiodata e
crocifissa Chiesa se anche voi fratres credete alla lettera anziché alla Vita? Se
anche voi calunniate Cristo gridandolo fallito nel suo e nel vostro popolo?
Volete opporre ai carri armati ed alle bombe atomiche gli schioppi di
Garibaldi? Ma questo è un offendere la divina Sapienza che vuole adeguare i
mezzi al fine. Io nei miei e vostri figli, se una buona volta vi deciderete a non
credere che farvi figli le vittime delle vostre omissioni non è una speciale
vocazione, ma un dovere di tutti i cristiani, sono entrato per un momento qui
tra le vostre mura a piangere e a tirarvi per la veste perché corriate decisi a
strappare il popolo dalle grinfie delle fiere che stanno dilaniandolo nelle carni a
sangue: é Cristo in loro quel Cristo che non è più qui e che voi avete giurato di
vestire in voi stessi.
Se io vi dico che non siete lo stato più perfetto mi linciate come eretico; ma se
vi dico che avete ucciso lo stato più perfetto, correte, tuffatevi: la Chiesa sta
per sommergere, si vede ad occhio nudo, basta un poco di cuore. Siete migliaia
e migliaia: fate vedere subito il miracolo di offrire al mondo che cosa è la
Chiesa. Unitevi unum a noi, fermeremmo la guerra, apriremmo i tempi nei
quali gli uomini adoreranno Iddio in ispirito e verità, e non in contorsioni e
comodità.
4) Quando vedete che nonostante i vostri sacrifici sbandate e non fermentate le
masse, quando vedete che per stare insieme avete sempre bisogno di tirar fuori
la disciplina, dovete tremare al pensiero che avete sepolto la perla che Dio con
tanto slancio d’amore vi ha consegnato il giorno in cui, come angeli, avete
accettato di farvi religiosi. Tirate fuori quella perla, vi costasse il Calvario;
vedrete che luminosità proietterete nella Chiesa; vedrete che voli volteggerete
nel cielo della vita, vedrete che le regole non vi interesseranno più perché
vivrete una legge che si chiama: Via, Verità, Vita. Codificherete il vangelo,
farete così una regola che è già stata preparata per voi da Cristo in persona: la
sua imitazione. Non ve ne avrete a male se poi la storia vi chiamerà apostoli
delle genti anziché Religiosi. Quanti frati sarebbero santi meravigliosi, anziché
dei viziati e degli sbandati: corruptio optimi, pessima.
Siete migliaia e migliaia: se risorgerete... la primavera della Chiesa,
sorprendente e miracolosa primavera... gli uomini si guarderanno meravigliati
in faccia esclamando: ma allora? Ma è proprio vero: siamo fratelli... e,
ridiventati fanciulli, correranno all’amore perché la vostra resurrezione sarebbe
l’amore.
Non credere a tutto questo è uno sputare in faccia a Cristo la sentenza di Caifa:
Blasfemavit.

Per pura disciplina

A Mons. Ottaviani, S. Ufficio


“La Santa Sede non potrebbe dichiarare che il movimento è promosso dai laici
di Nomadelfia?”.
27 luglio 1950

Eccellenza Reverendissima,
Allego copia della lettera che S. E. Mons. Vescovo di Carpi mi manda
comunicandomi che non può assumersi la responsabilità di concedere il
permesso per il movimento sociale. Che il Signore ci illumini tutti, Eccellenza.
Non potrebbe l’E. V. d’accordo con la Segreteria di Stato dichiarare che si
tratta di un movimento promosso dalla Città di Nomadelfia che è in se stessa
un movimento di comunità sociale cattolica e che per questa sua natura deve
esplicare il suo apostolato nel popolo con i suoi sacerdoti al fine di evitare di
scinderla e di farla fallire a danno del popolo stesso? Art... (La politica) Forse
che i sacerdoti erano assenti nelle lotte elettorali? (1) Possiamo noi sacerdoti
Piccoli Apostoli che condividiamo la vita in tutto e per tutto con questa
nascente popolazione di fratelli diventare, per causa di pura disciplina di
carattere generale, ostacolo ai naturali sviluppi della città? Sarebbe questa una
grave pregiudiziale che indurrebbe i padri di famiglia, le mamme ed i figli ad
escluderci dalla loro fraternità considerandoci degli estranei quando si tratta di
fare iniziative che sono solo soggette alla disciplina dei cattolici in genere.
Sarebbe un rompere l’unità fraterna tra Nomadelfia ed i suoi sacerdoti, sarebbe
un uccidere Nomadelfia. (…)

(1) Per i preti galoppini intruppati nei Comitati civici di Gedda cf Riccardi 2,
100. Oppure Mons. Ronca e p. Lombardi, usati per una politica destrorsa: la
famosa operazione Sturzo (cf ib).

Il benestare del S. Ufficio

Mons. M. Crovini, Sostituto Notaro del S. Ufficio


Don Zeno attribuisce importanza capitale a questo lasciapassare, tanto da
inviarne copia a quanti dubitano del suo carisma.

31 luglio 1950

Caro don Zeno,


S.E. Mons. Ottaviani ha letto la sua lettera del 27 giugno e m’incarica di
risponderle che Ella può fare quanto propone: cioè un Congresso limitato per
la zona e per il numero di persone. Per mia parte, a titolo personale, Le posso
dire che ho gustato il suo progettato manifesto, per il suo stile fuori di ogni
schema solito e per la sua sincerità e spontaneità. Preghiamo molto il Signore
che ci aiuti e salvi il mondo da questo nuovo grave pericolo per la pace dei
popoli. Mons. Mario Crovini

Opinione personale, o ...

A Mons. Ottaviani, S. Ufficio


“Il S. Padre è diffidente della riuscita del movimento per causa di una sua
opinione personale oppure per direttiva apostolica?”.

luglio 1950 (?)

Eccellenza Reverendissima,
Le risposte che a mezzo Mons. Crovini sono state date a Padre Vannucci non
mi appaiono tanto chiare quanto è necessario per conoscere la volontà del
Signore e per agire, quindi, in ordine ad Essa.
É necessario sapere:
a) Il S. Padre è diffidente della riuscita del movimento per causa di una sua
opinione personale oppure per direttiva apostolica?
b) Se è per una sua opinione ma ci lascia liberi di agire, noi siamo di opinione
diversa dalla sua e riteniamo la cosa non solo possibile, ma doverosa, quindi
agiremmo usque ad mortem.
c) Se è contrario per direttiva apostolica saremmo nel campo della disciplina e
allora ubbidiremmo sentendoci in uno stato di attesa, fino a quando la S.
Madre Chiesa non ci darà il via.

Nulla osta di Mons. Boccoleri

A Mons. Dalla Zuanna, Vescovo di Carpi


“L’Arcivescovo di Modena ha risposto che per la sua diocesi possiamo tenere
il congresso dove vogliamo”.

Assunzione 1950

Eccellenza Reverendissima,
Il suo secondo veto per il congresso del popolo, diretto a decidere un
movimento di riforma sociale secondo le proposte già esaminate dal S. Ufficio,
ci ha addolorati un pò tutti a Nomadelfia senza però farci perdere la speranza
che tutto sia chiarito. Intanto ne abbiamo parlato con S. E. l’Arcivescovo di
Modena al quale abbiamo dato da esaminare i documenti offerti anche al S.
Ufficio. S. E. l’Arcivescovo ha risposto che per la sua diocesi di Modena nulla
osta a che possiamo tenere il congresso in quella località della sua diocesi che
vogliamo. Abbiamo scelto la città di Modena. Tuttavia, io ho bisogno di
parlare a V. E. affinché non sorgano degli equivoci che fossero il gioco di
satana e non quello di Dio. Le sarei grato se volesse concedermi una udienza
possibilmente domani.

Non sono matto

A Mons. Montini, Sostituto alla Segreteria di Stato


“Dal mancato Cristianesimo sociale è nato il comunismo e, prima, il
liberalismo. Due forze negative che ci portano alla guerra”.

17 dicembre 1950 [inviata?]

Eccellenza Reverendissima,
Guardi che non sono matto. Se tutte le volte che vi porto una spranga d’oro voi
la guardate come ottone perché mi chiamo don Zeno non ci metteremo mai
d’accordo. C’è stata una levata di scudi contro di me? E forse che le masse ed
anche gran parte degli intellettuali non hanno apertamente fatto una levata di
scudi contro la Chiesa? Dal mancato Cristianesimo sociale è nato il
comunismo e, prima, il liberalismo. Sono le due forze negative che ci portano
alla guerra senza nulla risolvere. Che poi Iddio tragga bene dal male dopo il
disastro è affare suo ed è colpa nostra costringerlo a fare questo. Non
dimentichi che il comunismo è una religione che porta ad un intelligente
feudalesimo. Bisogna vedere questo per inorridire. Infatti la massa proletaria
sarà la gleba e la classe dirigente sarà l’organizzazione dei vassalli, valvassori,
valvassini: non si scappa. Se vincerà avremo secoli e secoli di barbarie. Se
vincerà il liberalismo avremo altri secoli di oppressione. L’oro sarà la
strapotenza, parlare di democrazia sociale è un’idiozia. Se domina l’oro è
schiavismo. Tutto questo è il mondo. Chi è Cristo? Ecco: Se avrete fede
sposterete i monti. I monti sono due: il comunismo e il liberalismo. Noi siamo
di fatto dei semplici cultuali (vedi anno santo che non è stato una riforma di
vita). Per questo non sposteremo i monti e sta per venire la guerra. Ve lo dico
io, mi dite che sono matto e mi leggete quasi come uno tra i tanti sentimentali
del Cristianesimo, che potrebbe anche essere un santo, ma che bisognerà
vedere. Invece io so che sono un peccatore come voi. Non super me, sed super
vos flete diceva Gesù alle pie donne. Oggi lo dice a noi. Siamo il legno secco.
Io vi dico che si può fare il miracolo di fermare la guerra, quindi di spostare i
due monti fino a neutralizzarli e renderli inoffensivi, e voi non lo credete.
Vi ho fatto tante proposte concrete e voi in parte le avete accettate ed in parte
non le avete credute. Si vede che non mi sono spiegato bene. Nel 1948 feci al
S. Padre una grande proposta. Non mi avete neanche risposto. Secondo me
avete sbagliato di grosso. Adesso vi dico che ho in mano il segreto per fermare
la guerra e voi mi tenete a prudente distanza. Io dico che avete paura di Gesù
Cristo e ripeto quello che dissi ad un segretario di S. E. Mons. Tardini: Spesse
volte siete dei superficiali. Questi mi rispose: Ma vuole dire che la Chiesa è
superficiale? Mi scappò da ridere e soggiunsi: Ma no, non ho detto la Chiesa,
ho detto voi. Ho parlato al S. Padre e non l’ho trovato che il S. padre, cioè
sensibile ai veri problemi di Dio nel suo popolo. Non vorremmo mica stare qui
a fare dei personalismi; allora vogliamo la guerra. Amiamo noi o non amiamo
il popolo? Se amiamo il popolo non ci importa anche torturarci a vicenda fino
a quando non abbiamo messa a punto la leva sul fulcro per spostare i due
monti. Guardi Eccellenza che non sono matto. Quando si viene da voi avete
sempre molta fretta, siete impegnatissimi. Ma che cosa meditate in quella
mezz’ora di meditazione quotidiana? Avete mai meditato che spesso perdete
tempo ad attaccare dei cerotti a teste che hanno bisogno di una decisa e ben
vibrata stangata? O del colpo ben calcolato della scure alla radice? Guardi,
Eccellenza, che io ho in mano il segreto per fermare la guerra. Se lo ricordi.
Sarebbe un soffio, ma voi non lo credete e senza di voi nihil potestis facere;
non posso fare nulla, devo assistere sbalordito ad un disastro che si può e si
deve prevenire. Guardi Eccellenza che non sono matto. Martedì 19 corr. sarò a
Roma proprio e solo per parlare con Lei. Cerchi di fare di tutto per ricevermi,
magari nel pomeriggio tranquillamente, della tranquillità di chi sta per buttare
la bomba atomica alle due montagne da spostare. Stia tranquillo; io ho in mano
il segreto per fermare la guerra. É un giochetto che poi si risolve in un vero e
clamoroso miracolo. Guardi Eccellenza che non sono matto.
Con affetto filiale La prego, La scongiuro, opportune et importune, di
ricevermi martedì a qualunque ora, sarà un’ora santa, veramente santa.

Senza il Papa non si riesce


Al papa Pio XII
“C’è Cristo alla Santa Sede, ma anche Cristo alle volte deve ivi piangere
amaramente cose che sono gravissime”.

25 dicembre 1950

Beatissimo Padre,
Ho celebrato questa notte sotto una tenda con i Piccoli Apostoli, babbi,
mamme e figli, qui nelle nostre selvagge terre di Grosseto, tra i boschi e le
distese da questi figli scassate, bonificate e seminate. Al freddo, al vento la
cerimonia. Poi si è passata insieme un’ora di allegria e due salti in famiglia: un
poco di dolci, canti e suoni di fisarmonica, io stesso suonavo la fisarmonica. Le
più umili e più semplici canzoni natalizie e popolari. Il tema del discorso
durante la S. Messa era di facile comprensione per tutti noi: Gesù si è fatto
simile a noi e ci ha donata la grazia che se bene l’assimiliamo ci fa simili a Lui
nell’unum tra noi. É nato in un rifugio pressappoco come quello nel quale noi
ci troviamo a celebrare l’Evento; al freddo, al vento. Questa è la redenzione,
farci simili tra noi comunicandoci in Cristo, con Cristo, per Cristo tutte le cose,
tutti i sentimenti, tutti i pensieri, tutte le sante ispirazioni della Grazia, nella
Grazia come principio vitale della nostra vita di uomini nuovi. Ed essi mi
capivano perché vivono quella vita di unità in Cristo. Avevo letto poco prima
l’articolo su Il Corriere della Sera (24.12.1950) che qui allego. I non cattolici
parlano così. Eppure quello, nella parte essenziale, sfiora il linguaggio di Dio.
Davanti a tanta sete di giustizia Gesù esclamerebbe: Misereor super turbam e,
volendolo noi, farebbe il miracolo per saziarle ed ultra.
Mentre Oriente ed Occidente stanno affilando le spade, alla S. Madre
Chiesa forse rimane un tratto di storia utile a creare il miracolo della pace. Io
da mille e mille segni dico che si riesce, ma senza il Papa non si riesce. Come
Vostra Santità può ben constatare, ognuno oggi mette generosamente sul
tappeto le cose più valide che ha a disposizione. I due colossi in lotta mettono a
disposizione la tecnica, gli eserciti, lo spionaggio più eroico, le armi più
spietate e la diplomazia più raffinata e sollecita. É tutto quello che hanno. La
Chiesa non ha di queste cose, queste sono le cose della terra e del mondo. La
Chiesa ha la fede che non è una superstizione, ma una realtà viva, un principio
vitale che si attua secondo leggi fissate dallo stesso Signore. La Chiesa è la
Religione, le altre sono religioni. Vostra Santità ha un motto che è il diapason
del tempo: Opus iustitiae pax; poveri noi se rimanesse un semplice motto.
Dall’assaggio fatto nella serie di conferenze alle masse della provincia di
Modena ho sentito il polso del popolo. Tutti coloro che hanno brontolato nei
nascondigli non se ne intendono e a loro non è dato di capire. Santità, si ricordi
che è possibile fermare la guerra. S. E. l’Arcivescovo di Modena mi disse
personalmente: Faccia, faccia; questa è la vera terza forza del mondo.
La Santa Sede è una macchina misteriosa, è un mondo, sotto certi
aspetti, addirittura ingombrante e da museo, mentre sotto altri è di una
plasticità miracolosa, di una freschezza primaverile. C’è Cristo alla Santa
Sede, ma anche Cristo alle volte deve ivi piangere amaramente cose che sono
gravissime. Nella mia dura esperienza sono stato esercitato dal Signore a
fiutare ed avvertire il tanfo di Satana. Nella Santa Sede, in certi angoli, si è
annidato in un modo da spaventare chiunque ne conosca le insidie e le
crudeltà. Per il fatto poi che Vostra Santità non se ne accorge in modo
chiarissimo, io lo deduco da molti segni, c’è da temere un qualche irreparabile
disastro. O la Santità Vostra non crede alle forze ed alle sole forze di Cristo,
cosa che non vorrei neanche sognarmi; oppure Satana è riuscito a realizzare un
capolavoro della sua perfidia; ma qualcosa di gravissimo c’è che non va e che
pugnala Cristo alla schiena lungo la via. Ma la Chiesa non ha proprio nulla di
diverso e di risolutivo da fare in questo momento? Ma la Chiesa non può fare
un miracolo? É la sua missione sulla terra, è quello che ha fatto il divino
Fondatore. Senza miracolo non si può camminare tra le potenze del mondo.
Energie fresche ed eroiche sono là sulla porta del Papa pronte a
mettersi in moto per vie strane, ma sicure. Il Papa non le conosce perché esse
sono oggi o contro il Papa o esasperate per causa della nullità di troppi fratelli
di fede. É nella prassi di Cristo suscitare uomini là dove meno si pensa, ai
quali affida il compito di salvare la sua Chiesa. Io conosco questi uomini, li
avverto anche solo se li vedo camminare per la strada. Sono sbandati a milioni
tra le fila dei partiti, dei malcontenti, dei sofferenti, ma in essi non c’è dolo.
Che mare di lacrime in me... Quando leggo sui giornali che il S. Padre ha
ricevuto gente che in parte ha buon tempo e che nulla conclude provo una pena
da Getsemani. Mentre io sono tenuto a distanza in un modo, per me,
dolorosissimo. Questo senz’altro è un lato diabolico della Santa Sede. Io ho
mille figli, veramente figli. Se qualcuno di essi vuole a tutti i costi parlarmi io
devo a tutti i costi ascoltarlo... e spesso ha ragione lui e torto io... Io devo
dimostrare a Vostra Santità gli errori della Santa Sede ed i rimedi, gli stessi
errori del Papa ed i rimedi, gli errori dell’Episcopato e del clero e i rimedi, gli
errori dei non cattolici ed i rimedi. Ma insomma non si vorrà dirmi: Timeo
Danaos et dona ferentes. Sono di casa. Sono un figlio. Santo Padre, oramai
tutto è stato consumato per darmi ragione. Ho in mano i segni, il segreto per
fermare la guerra e per aprire alla S. Madre Chiesa due strade:
a) portare Cristo a tutti gli uomini di buona volontà. Sono valanga;
b) neutralizzare le forze nemiche a Cristo costringendole al servizio di Cristo
indirettamente cioè mettendo in luce anche i soli diritti naturali dell’uomo e
difenderli come legge di Dio. Ho le prove in mano; posso mettermi costì con
Vostra Santità al tavolo e progettare insieme il piano di attacco definitivo. Mi
riceva segretamente, facciamo insieme un sintetico corso di santi esercizi;
parleremo chiaro del Cristo Gesù nella sua Chiesa, balzerà chiara la direttiva di
Gesù nel tempo che già precipita verso la china; combineremo insieme le cose
da tenersi nel segreto, quelle riservate a pochi e quelle che dovranno essere
pubbliche. Santità, mio Beatissimo Padre, guardi che se non faremo insieme
questo l’Anno Santo sarà stato un fallimento. Tutto dovrà essere chiaro,
limpido come il volto di Gesù e della sua Mamma. La Chiesa non può perdere
questa grossa partita, ne ha perse anche troppe per colpa nostra. Non credere
alla sola via di Gesù, questa volta, sarebbe un tale reato da rimanere fulminati
dal dolore, sarebbe un mollare dall’alto della Santa Sede di Pietro una bomba
micidiale sulla storia della Chiesa. Ha mai pensato la Santità Vostra che sulla
sua sovrana persona pesano, come inevitabile conseguenza, tutti i peccati
pubblici, le debolezze di troppi tra i suoi predecessori? Se deve pagare la
Vostra Santità, paghi; se dobbiamo pagare con Vostra Santità noi discepoli,
paghiamo; ma la Chiesa deve saper rispondere prontamente a quell’appello dei
figli e fratelli lontani nella forma e vicinissimi nella sostanza.
Quanta sofferenza in così poco spazio, vado sempre esclamando in
me stesso per causa di questo forzato allontanamento dal Papa. Satana sta bene
in guardia per evitare che io parli a lungo con Vostra Santità perché, ne sono
certissimo, sarebbe la sua completa disfatta in questa colossale macchina che
ha costruito contro la Chiesa medesima. Io conosco i sentieri del labirinto e so
che si deve entrare là dove oggi il mondo cattolico ipnotizzato da Satana ha
diligentemente piantato un cartello: Vietato l’ingresso ai non addetti. Quando
vedo che sperperiamo il tempo in questa maniera, sento un lamento misterioso,
non mio nell’anima mia: coepit taedere et mestus esse; e Pietro dormiva.
Santità, tiri fuori la sua onnipotenza, si svegli e mi riceva, e faccia presto, il
giorno se ne va e nella buia notte passerà Barabba nel plauso di troppi
sacerdoti. Non tema di nulla, Beatissimo Padre, vedremo ad occhio nudo
Satana precipitare sicut fulgur in due ore di colloquio e di bisturi.
Non dimentichi, Beatissimo Padre, che tengo i segni chiarissimi di
Dio in mano. Questa volta insisto, resisto, mi batto, ma a tutti i prezzi devo
parlare al Papa e con il Papa decidere.

PARTE SECONDA

1951: insubordinazione elettorale


La Camera autorizza il processo contro la deputata comunista Laura Diaz, che
ha insultato il papa. Si approva la legge per il riarmo nazionale. G. Dossetti si
ritira dalla politica. Commissione d'inchiesta "sulla miseria in Italia."
Alluvione nel Polesine.

Il S. Ufficio proibisce la diffusione di Dopo venti secoli. Alle elezioni (10.6) i


nomadelfi annullano il voto, nonostante l’ingiunzione dei vescovi di votare DC
(passa dal 48,6 % al 36,2 %). 165 voti sono insignificanti, ma il governo
centrista non può sopportare, che nell’Emilia (deposito di armi partigiane) il
“prete rosso” faccia il gioco dei senzadio. In Vaticano si diffonde il terrore che
un’amministrazione comunale comunista impedisca al papa il governo
universale della Chiesa. Come poteva il capo della cristianità convivere con il
demonio? (cf Scoppola 261s, Riccardi 2, 33ss).
Le difficoltà di Nomadelfia risalgono al ’49, quando la Santa Sede riceve un
Memoriale del Governo con gravi accuse: economia allegra, protesti bancari,
promiscuità, adulti oziosi; idee cristiane, ma un pò troppo spinte, di don Zeno;
il centro è situato nella frazione di Fossoli, una delle più rosse, della zona di
Carpi; l’opera si è estesa a campi sociali difficilmente controllabili (Cf Rinaldi
327ss).
Il Vaticano prende dei provvedimenti: impone ai sacerdoti di scindere le
proprie responsabilità da quelle dei laici. La comunità risponde, privandoli
d’ogni incarico, Dario Bignardi è nominato pro-patriarca, don Zeno il suo
assistente. La comunità, benedetta dai prelati, ammirata dai visitatori, elogiata
dalla stampa, sogna città e borgate. L’assemblea decide di: “1) chiedere allo
Stato italiano: a) se intende riconoscere la personalità giuridica di Nomadelfia;
b) se concede un territorio di circa trentamila ettari; c) se concede una somma
per il necessario avviamento; 2) di andarsene altrove, qualora ciò non potesse
essere fatto in Italia”. Inoltre il congresso (6.2) stabilisce di: “costruire una
borgata nomade per la missione al popolo; costruire una città in Africa e
un’ambasciata presso la Santa Sede: il papa oltre che vescovo di Roma sarà
anche vescovo della Città di Nomadelfia”. Quali reazioni possono provocare,
al di qua e al di là del Tevere, sfide e denunce, proiezioni di città, richieste di
trentamila ettari?
Per il Ministro degli Interni, Scelba (“l’anticomunista di ferro”), don Zeno è un
“truffatore” e Nomadelfia va soppressa. I nomadelfi sciolgono Nomadelfia
come opera diocesana e si costituiscono in libera associazione civile, per
togliere al Vaticano e allo Stato il pretesto d’intervenire (4-7.12).
Don Zeno guarda lontano: “Se si avvererà anche in questo secondo ventennio
la progressione avveratasi nel passato, nel 1972, se non succederanno diaspore,
saremo già arrivati a circa 120.000. Nulla dice che sia impossibile” (settembre
1951).

Insisto: non sono pazzo


A Mons. Montini, Sostituto Segreteria di Stato
Il movimento politico è autonomo e “libererà la S. Madre Chiesa da tutte le
oppressioni da parte della politica”.

Nomadelfia, 15 gennaio 1951


Circa un mese fa Mons. Crovini del S. Ufficio mi comunicò che per ciò che
interessa il Movimento della Fraternità Umana proposto al popolo dalla Città
di Nomadelfia, la competenza passava alla Segreteria di Stato. Mi pregio
comunicarLe che oramai quel movimento ha affermato la sua autonomia
sociale e politica nel senso che è già indipendente dalla Città di Nomadelfia in
via assoluta. Ieri sera si è chiusa la settimana di studio a Modena, nella quale i
promotori, secondo le deliberazioni del congresso tenuto, sempre a Modena, la
domenica 15.10.1950, si sono costituiti in gruppo dei promotori; hanno
nominato il segretario esecutivo provinciale. A Nomadelfia non è rimasto altro
che promettere di collaborare con tutto il cuore. Quanto alle deliberazioni del
congresso del 15.10 u.s., cui parteciparono 1700 tra babbi e mamme in
rappresentanza di tutta la provincia, già ho dato a suo tempo relazione al S.
Ufficio [Cf Lettere da una vita, I, 191ss]. Il numero dei promotori ingrossa
ogni giorno. Credo che nessuna forza al mondo più arresterà quel movimento
che sarà destinato a rivoluzionare tutta la struttura sociale del mondo. É una
mia previsione che deduco da mille e mille constatazioni. Non c’è bisogno di
vedere la pianta, basta conoscere bene la natura del seme. Se seminiamo una
ghianda sappiamo che nascerà e crescerà una quercia.

I Promotori sono una organizzazione creata nello stesso congresso di Modena


del 15.10, destinata ad affiancare il movimento politico con diritto di
presenziare e parlare nelle stesse assemblee politiche, nelle piazze, alle folle, in
qualità di difensori della ortodossia dei deliberata del suddetto congresso,
coll’impegno di scagliarsi anche contro il movimento politico qualora deviasse
in qualche modo dai principi e dalle direttive sempre del suddetto congresso
del 15.10.1950. I Promotori non possono avere cariche politiche direttive nel
Movimento della Fraternità Umana e devono vivere coerenti al programma
sociale votato nel congresso del 15.10 che non è altro che quello da me fatto
esaminare in via riservata al S. Ufficio. Ho la sensazione che tutto sia andato
secondo le vie del Signore.

Oramai è tolto così ogni sospetto di un avallo o di un impegno della Santa


Sede o della Città di Nomadelfia. Il popolo tuttavia già se ne accorge che quel
movimento è stato un grande dono offertogli dalla luce e dall’amore che
scaturisce dal cuore di Cristo e da una città che è il più vivo fiore sociale della
S. Madre Chiesa. Quel movimento libererà la S. Madre Chiesa da tutte le
oppressioni da parte della politica. Ormai i promotori lavorano in certe zone
della provincia nei bar, nelle osterie, sul lavoro; propagano con l’esempio: è un
vivo fermento. I settari non ci capiscono niente; gli agiati [corretto da altra
mano: ignavi] non se ne accorgono; ma quelli che cercano la vera giustizia si
muovono; insistono tra gli stessi iscritti ai loro partiti, nelle stesse adunanze
politiche. Credo che presto, se gli eventi bellici non precipiteranno, l’Italia
[corretto: Emilia] esploderà in un modo da edificare il mondo intero. Faccia
conto, Eccellenza, di assistere, in quel giorno, al famoso temporale
manzoniano: la peste se ne andrà come per incanto e il povero Renzo sarà ben
lieto di bagnarsi in quel modo. Sono mie previsioni che mi sembrano facili
profezie. Che satana possa molto, che la mondanità umana sia strapotente lo
sappiamo; ma sappiamo anche che se i figli delle tenebre sono più esperti dei
figli della Luce, Cristo però è l’onnipotente. ...sed vivit vero in me Christus... E
Cristo ha voluto quel movimento e lo ha provocato dal cuore, dal pianto, dal
trauma delle vittime dell’ingiustizia sociale. Preghiamo, Eccellenza carissimo,
preghiamo e facciamo pregare, affinché il Signore ci renda tutti noi cattolici
lievito santo a quella massa che si mette in moto in cerca di giustizia
finalmente nei piani di Dio, della quale giustizia è assetata fino allo spasimo.

Sa niente dell’udienza che ho chiesto al S. Padre? A suo tempo ne


chiesi informazione presso il Maestro di Camera e mi fu risposto che il S.
Padre aveva preso in considerazione il plico e che lo aveva dato da studiare a
competenti. Devo parlare al S. Padre; io credo che ogni giorno che passa
prorogando quella udienza la Chiesa perde qualche cosa. So che il S. Padre mi
vuol bene, perché non mi vuol parlare? Se sbaglio mi corregga e se io credo
che sbagli Lui in qualche cosa, se lo lasci dire. Portae inferi non prevalebunt
ma prima del non prevalebunt si possono prendere stangate da orbi da satana e
dal mondo. Renderemo più gloria a Dio se sapremo prevenirle. Questo lo
sanno anche i bambini della prima comunione. Ho letto una risposta su
L’Osservatore Romano all’articolo di cui mandai un esemplare al S. Padre. Ma
quella non è una risposta, è una inutile ed inesatta polemica. C’è ben altro da
rispondere perché credano che tu mi hai mandato!... Questo e solo questo deve
premere a coloro che tra noi cattolici sono cattolici; a coloro che tra noi poveri
peccatori riconoscono di essere peccatori. Guardi Eccellenza che non sono
pazzo a dire queste cose, sono semplicemente stupido perché non corro più
veloce a liberare la Chiesa da troppe insidie che la opprimono. Immerso in
questa atmosfera di una idiota umiltà pagana si fa fatica a credere alla nostra
onnipotenza. Se avrete fede sposterete i monti... Macché, come se neanche lo
avesse detto Lui... come se l’avesse detto un qualunque simpatico
canzonettista. Si ricordi Eccellenza che di questo passo la Chiesa sommerge e
non si annegherà, ma si sommerge per colpa nostra e non si annegherà e
riaffiorerà fresca ed affascinante non per merito nostro. Che non ci dica Gesù:
Vade retro satana. Mi pare un brutto complimento. Guardi Eccellenza che certi
errori o debolezze pubblici non si possono ripetere senza che il Signore non
dica una volta o l’altra: basta. Ma quei competenti impiegano tanto tempo a
vedere il volo di Dio? Eppure Cristo ha un volo inconfondibile; se non lo
vedono loro glielo farò vedere io: è una cosa semplicissima. La Chiesa è
coerenza a Cristo il resto, cioè tutto quello che non è coerenza a Cristo è
tossico di cui si conosce benissimo la medicina. Se non mi sentissi pienamente
corresponsabile e solidale alle responsabilità universali della Chiesa sarei non
meno di eretico.

Con affetto filiale ecc.


Se il Papa non sarà con noi…
Al papa Pio XII

“Dopo venti secoli”esce dalla tipografia della diocesi di Siena. Un’invettiva


contro lo sfruttamento dei poveri, l’ipocrisia e l’ignavia dei cattolici. Si
sollecita una riforma radicale della Chiesa.

marzo 1951
Beatissimo Padre,

Allego un libro che vorremmo pubblicare e diffondere in tutta Italia. Prima che
scoppi il flagello sarebbe opera santa buttarci su quella strada che, per noi
Piccoli Apostoli, è quella di Dio. Ma se il S. Padre si oppone noi non lo
pubblicheremmo. A noi basta che il S. Padre rimanga arbitro della lotta, non ci
lasci colpire; ma ci lasci agire fino in fondo. Ho visto che le anime più
generose tra i cattolici si buttano eroicamente e parlano nel popolo, si buttano
nelle piazze tra la gente e creano discussioni che durano animatissime ore ed
ore fino a tarda notte. Gli attivisti comunisti rimangono sbalorditi e corrono
come pazzi tra le cellule per convincere la gente loro a non aderire. I cattolici
hanno solo bisogno di essere tranquilli in coscienza perché temono una qualche
sentenza del Vaticano contro il movimento, cosa che li getterebbe allo scherno
ed all’attacco violento dei comunisti i quali vanno diffondendo tra la gente che
non c’è da fidarsi perché la Santa Sede finirà per scomunicarci, così le masse si
troveranno allo sbaraglio del capitalismo. Io dico in pubblico che la Chiesa su
quel piano non ha nulla da dire perché è la sostanza della dottrina sociale della
Chiesa stessa, la quale benedirebbe anche una radicale riforma dei cattolici ad
una vita integrale cristiana.

I capi comunisti si mostrano settari fino a dire cose che prima non
dicevano. Come ad esempio: Non si può accettare quel movimento perché non
si può concedere alla Chiesa la libertà. - Dio non esiste, bisogna liberare la
coscienza dallo spauracchio di Dio. Mentre prima nella propaganda dicevano
che avrebbero rispettato la Chiesa. I cattolici hanno difeso il movimento anche
attraverso la stampa, in risposta all’Avanti!. Noi, come Città di Nomadelfia
pubblichiamo quel libro per mettere in chiaro la posizione del Cristianesimo di
fronte alla lotta sociale. Dopo la pubblicazione, basterà tenere conferenze in
tutte le città d’Italia per creare un movimento di anime generose e decise, come
già si sono trovate nella provincia di Modena. Strappare la Chiesa dalle grinfie
della fatale politica attuale che ci travolge in una responsabilità che le anime di
Dio non possono accettare è opera divina. Combattere apertamente il
marxismo come inaccettabile soluzione politica e sociale è cosa facilissima, gli
stessi marxisti non riescono a difendersi nelle piazze e nei contraddittori
pubblici. Le masse non sono marxiste, infatti quando in un paese si fanno le
elezioni pubbliche del movimento i comunisti proibiscono ai tesserati di
votare, ma questi spesso mandano la moglie o qualche figlio per famiglia. I
cattolici hanno paura del Vaticano. É necessario attaccare di petto i comunisti
per rompere le loro file; ma tutto questo comporta la sicurezza ai cattolici che
il Vaticano non è né sarà contro di loro. Questo è un gioco di Dio.
Nomadelfia può combattere, è un popolo. Può buttare sulle piazze
nella lotta 600 tra uomini, donne e giovani, tutti agguerriti per tenere testa nelle
discussioni. Molti cattolici di Carpi, Mirandola, Modena e della montagna
modenese sono così intimi di Nomadelfia che ne condividono l’entusiasmo e il
sacrificio. I promotori del movimento sono ascesi ad oltre mille nella
provincia. Siamo un popolo che nasce e che cresce crocifisso. Per la giustizia
sociale siamo pronti a dare la vita, per la difesa di questo ingiurioso sistema
sociale non vogliamo dare nemmeno un’unghia. Che venga poi la guerra, che
vinca o perda la Russia a noi più nulla importa perché quando avremo
impostato sulla verità e sulla santità la vita nostra di cattolici e di cittadini
saremo lievito di santità anche nei campi di concentramento. Per parte mia,
questo movimento che riesca a risalire le vene e le arterie della Chiesa e che
riesca nel contempo a orientare cristiani e non cristiani ad abbracciarsi sulle
leggi di Dio scritte in rerum natura può fermare la guerra. Si tratta di un
miracolo al quale Nomadelfia crede. Beatissimo Padre, è una lotta che va fatta
a carte scoperte per confondere l’avversario che lavora nel segreto. Se la
Santità Vostra non mi farà sapere nulla, il libro uscirà entro il mese di aprile,
seguito da conferenze e da convegni di popolo, e uscirà senza la revisione
ecclesiastica perché nessuno tra gli ecclesiastici si prenderà la briga di
assumere le nostre responsabilità, non sarebbe neanche in grado di prendere
posizione a meno che non discenda con noi e come noi in campo di battaglia.
Ci commentino, ci riprovino, ci approvino attraverso la stampa, i contraddittori
e soprattutto ci dimostrino i nostri errori se ne diremo. Qualche vescovo ci
proibirà di parlare e di agire nella sua diocesi, ma noi risponderemo che si
tratta di una lotta che non è di sua competenza. Se Vostra Santità vorrà evitare
quegli scontri ha mille e mille modi per farlo.
La Chiesa è aggredita dai liberali, dai marxisti, dai ricchi. Beati
pauperes noi siamo poveri e siamo i più idonei ed i più autorevoli a risanare e
difendere la Chiesa. Se il Papa non sarà con noi riceveremo con questo una
mazzata sulla testa e ci chineremo per attendere ore più propizie, ma la lotta
deve essere fatta a tutti i prezzi ed a tutti i costi, stretti al Papa, ché perso il
Papa tutto è perduto. Se entro il mese di marzo non avrò nessuna notizia da
parte di Vostra Santità procederemo alla stampa ed alla pubblicità del libro.
Cioè ci metteremo al lavoro per stamparlo e faremo della propaganda
annunciandolo in tutte le città d’Italia.
Beatissimo Padre, prima di soffocare la Città di Nomadelfia ci pensi
e ci preghi sopra. Per parte mia è la sola forza limpida che è nella Chiesa per
dire al comunismo ed al liberalismo che cosa è veramente il cattolicesimo. Per
parte mia essa è la sola forza eloquente nella Chiesa che può riportare i
cattolici alla eroica fraternità in Cristo quindi alla fede operante. Tutto il resto
deve essere rivoluzionato. Dando mano libera a Nomadelfia, il papa la dà a
Cristo che oramai è stanco di essere accusato da egoista e da borghese.

Il carrettino del pane


A Mons. Ottaviani, S. Ufficio
In Francia i preti operai scendono dal piedistallo dei privilegi clericali. Ai preti
della Città di Dio non è riconosciuto il diritto/dovere evangelico di essere
fratelli, cioè alla pari, con i laici.

Nomadelfia S.P., 29 giugno 1951

Eccellenza Carissima e Reverendissima,

Quanto si sta facendo al S. Ufficio per la causa di Nomadelfia mi pare un


grande dono del Signore qualunque sia l’esito. Mi permetto di scrivere a V. E.
la presente per pregarla di prevenire, anche senza richiamarsi a questa, il S.
Ufficio su i seguenti accorgimenti affinché la decisione sia possibilmente
definitiva e non crei delle imprecisioni che potrebbero essere oggetto di
mortificazioni fuori luogo.

1 - Non si impongano alla Città di Nomadelfia delle direttive che siano una
limitazione della libertà che hanno i cattolici ed i cittadini di tutto il mondo.

2 - Uno scoglio che a mio avviso solo il S. Padre nella sua suprema autorità al
di sopra delle leggi può superare è il seguente: la condizione giuridica e di fatto
dei sacerdoti già accettati come cittadini di Nomadelfia. Qualsiasi limitazione
fatta a noi sacerdoti, che venga ad intaccare l’Unum nell’azione di diritto
comune della città in campo ecclesiastico e civile, limitazione tale da non poter
condividere fino in fondo con pari responsabilità di vita le lotte della città e dei
singoli cittadini metterebbe i sacerdoti stessi nell’impossibilità di vivere come
cittadini, quindi sarebbero esclusi dalla qualifica di cittadini. Il che metterebbe
la città nell’urgenza di nominare provvisoriamente un Patriarca laico e
considerare i sacerdoti come forestieri, tolta ai medesimi la missione paterna e
fraterna concessa a tutti i maggiorenni cittadini: art. 3, par.1; art. 4. Tutte le
leggi che limitano le possibilità ad essere noi sacerdoti dei loro cioè alla pari di
fraternità e paternità credo che appartengano al diritto positivo e non al diritto
naturale e divino. Gli Eccell.mi vescovi di Carpi e di Modena quando si trattò
nel 1943 questo problema hanno concesso di vincolarci ad experimentum. Su
questo punto, noi sacerdoti staremo evidentemente alla canonica ubbidienza
che abbiamo promesso in occasione della santa ordinazione, mentre il
Consesso dei capi famiglia di Nomadelfia è liberissimo di escluderci dalla
città.

In simile evento io chiederò al mio Ordinario se vorrà concedermi quaranta


mesi di vacanza perché in questi venti anni di sacerdozio non ho mai fatto un
giorno di vacanza concesso di diritto ai sacerdoti secolari; e ciò per andare a
piangere e morire per mio conto se questo mi porterà alla tanto sospirata morte,
senza più vedere un cittadino di Nomadelfia. Gli altri sacerdoti faranno quello
che crederanno, dai quali io mi sentirò di diritto del tutto svincolato. Una
fraternità ideale che non si può vivere fino in fondo non esiste che come
chimera. Se nei documenti in esame al S. Ufficio ci saranno degli errori o delle
inesattezze, tanto io quanto tutta Nomadelfia siamo pronti a ritrattarle anche
pubblicamente. Questo è affare di ordinaria amministrazione. A noi interessa la
verità. Ma la realtà rimane quella egualmente. Solo il S. Padre, con l’aiuto che
sta ottenendo dal S. Ufficio, potrà superare l’ostacolo inesorabile per causa del
quale, se non sarà superato, i sacerdoti Piccoli Apostoli perderanno la
cittadinanza di Nomadelfia e saranno necessitati ad andarsene. (…)

Quanto poi al Movimento della Fraternità Umana alla Santa Sede non rimane
altro da fare che, se crede, proibirlo pubblicamente a tutti i cattolici, perché,
sempre per la ragione suesposta, Nomadelfia come tale è nel diritto comune
delle genti cattoliche. Mi ricordi nelle sue preghiere e non dimentichi che da
fanciullo spingeva il carrettino del pane.

Non posso essere un paria


Al papa Pio XII

L’associazione civile di “Nomadelfia non presuppone nessuna ubbidienza


particolare al vescovo ed al Papa Sarò costretto a dimettermi. Il popolo dirà
una seconda volta che sono un traditore ”.

Nomadelfia San Pietro, 1 luglio 1951


Beatissimo Padre,

ho scritto a S. E. Mons. Montini, ho scritto al S. Ufficio. Mi permetto di dire a


Vostra Santità le seguenti ultime cose affinché si porti più luce su tutta la
gravissima causa in corso. Se dopo gli studi che sono in corso presso gli organi
competenti della Santa Sede verranno date a me direttive riguardanti la mia
personale attività, tali da dovermi mettere nella necessità di imporre la mia
volontà a Nomadelfia a limitazione della libertà che afferma la Costituzione
sarò costretto a dimettermi. Io personalmente, senza rappresentare Nomadelfia,
non ho nulla da dire al popolo, posso tranquillamente sparire dalla scena. Il
popolo dirà per una seconda volta che sono un traditore, Nomadelfia rimarrà
costernata. Quali poi siano le ripercussioni su Nomadelfia e sul popolo solo
Iddio può misurarle. Il consesso dei capi famiglia di Nomadelfia è composto di
circa 130 membri tra mamme e babbi ed è l’organo legislativo della città. Tutte
anime che sono legate tra loro dalla costituzione che hanno firmata nel 1948
dopo di averla vissuta per 17 anni tra mille e mille eroismi santi. Se io per
causa di impedimenti derivanti dal mio stato di sacerdote non potessi più
seguirli nella loro naturale e soprannaturale libertà di essere un popolo
compatto sarei dimesso perché non potrei più esercitare con loro la fraternità e
la paternità. La stessa sorte toccherebbe agli altri sacerdoti. Bisogna stare
attenti a scrutare la natura di Nomadelfia, essa non è per niente una istituzione,
come suol dirsi, clericale. I sacerdoti sarebbero così esclusi dalla popolazione
di Nomadelfia per incompatibilità. La città accetterà poi un parroco ogni
borgata per l’esercizio del culto e della missione della Chiesa alla pari di ogni
popolazione del mondo. Parroco che calcolerà forestiero quanto alla loro vita
di popolo.

Nomadelfia non presuppone nessuna ubbidienza particolare al vescovo ed al


Papa (art. 49 e 50 della costituzione). Tanto in materia di culto che di vita
sociale è tenuta alla sola osservanza delle leggi generali cui sono tenuti tutti i
cattolici del mondo, sia nella vita parrocchiale, che diocesana, che universale.
Nel 1943 gli Ecc.mi Vescovi di Carpi e di Modena davano a noi sacerdoti
Piccoli Apostoli il permesso di legarci a Nomadelfia ad experimentum. Noi
realmente siamo padri di questi figli, fratelli di queste mamme di questi babbi.
Ci sarà lecito in coscienza abbandonarli a se stessi? L’impegno sulle loro vite
esiste di fatto. Tutte cose da vedersi poi. Eppure se non ci sarà dato di
condividerne la sorte, tra noi ed essi c’è una ragione ineluttabile di
separazione. Resisterà un popolo del tutto e solo legato dalle leggi
soprannaturali senza che scorra nelle sue vene il sangue dell’animus
sacerdotale? Se Nomadelfia è necessitata a combattere le sue lotte politiche e
religiose di diritto comune nell’ambito della dottrina della Chiesa, i sacerdoti
non possono seguirla. Sono una categoria o una classe diversa per ciò stesso
esclusa dalla vita della città. Ne conseguirà un mare di lacrime e forse il
martirio della città, mentre noi sacerdoti che l’abbiamo generata dovremo
assistere alla loro rovina come forestieri. Tutto l’amore che hanno avuto per
noi si volterà in un santo ed amorevole disprezzo. La violenza con la quale io
personalmente ho affrontato la Santa Sede è forse dovuta ad una spinta interna
quasi inavvertita derivante dalla minaccia che venga distrutto nella Chiesa
questo prezioso germe di socialità del tutto basato sulle leggi della redenzione.
Questo è amore alla Chiesa.

Se la Santità Vostra non avrà la forza paterna di superare le leggi positive


vigenti e non riuscirà a buttare il clero di Nomadelfia nel cuore della città alla
stessa sorte della città, io prevedo il martirio più lacerante di questa comunità
cattolica che nelle sue leggi e nella sua concezione cristiana e sociale ha senza
dubbio di gran lunga superato la stessa comunità di Gerusalemme.

Beatissimo Padre, io oggi, non sono più il leone di ieri, sono l’agnello
disarmato e pugnalato dal card. di Torino [ha proibito le conferenze già
programmate]. Se il Papa non potrà donare il clero a Nomadelfia, tutto suo,
padre con i padri, fratello con i fratelli per la vita e per la morte, Nomadelfia
dovrà togliere la qualifica di cittadini ai sacerdoti quindi espellerli. Per diritto
divino questo sarebbe un misfatto, per diritto positivo è la cosa più logica di
questo mondo, come è la cosa più logica che noi siamo alla fame e molti
fratelli se la passano benone. Io personalmente avrò da piangere un contrasto
d’anima, il sacerdozio mi lega fatalmente di fatto come ad una casta, non posso
essere un paria. Semetipsum exinanivit formam servi accipiens me lo vieta la
legge positiva al di sopra della quale sta solo il Papa. Sono i paradossi della
storia: animati dalle più giuste e sante intenzioni i nostri padri hanno abrogato
con la legge positiva il mandato: sine pera a noi sacerdoti che non possiamo
essere ordinati senza garantirci un titolo economico. Essere sacerdoti di
Nomadelfia significa essere cittadini liberi di Nomadelfia, davanti alla quale
ogni barriera di circoscrizione giurisdizionale e ogni confine cadono perché un
popolo universale come Nomadelfia non ammette restrizioni di amore operante
per i fratelli di tutto il mondo. Per ottenere questa libertà e conservarla dovrà
lottare a sangue usque ad consummationem saeculi. Se nel medio evo il clero
ed i religiosi non fossero stati una classe, ma popolo, la rivoluzione francese
avrebbe generato la vera civiltà cristiana. Se Nomadelfia accettasse il
compromesso tra clero e popolo, sarebbe con ciò stesso finita. L’art. ottavo
della costituzione ben delinea la figura dei sacerdoti che Nomadelfia può
accettare a scorrere nelle sue vene.

Siamo di diverse stirpi: bianchi, gialli, negri e di circa 23 nazionalità. Non


siamo un’opera della Chiesa, ma un movimento nella Chiesa. Se Vostra Santità
crederà opportuno essere lungimirante non curandosi dei fatterelli dell’ora che
passa sarà necessariamente tenuto a predisporre che questo popolo abbia il suo
sacerdozio, le sue parrocchie, le sue diocesi con i suoi vescovi, tutti cittadini
accettati dalla città come padri e fratelli. Per parte mia consiglio Vostra Santità
a chiamare in udienza a Roma tutta la popolazione di Nomadelfia e
abbracciarla donandole la sua dovuta piena libertà di popolo nel popolo e
versandole nel cuore il fluido eterno del sacerdozio senza del quale non potrà
che andare a tragiche situazioni fuori luogo e all’olocausto, ancora bambina.

La Chiesa ha concepita Nomadelfia e la deve partorire evitando il micidiale


aborto. Pater meus agricola est. Questo è il seme dei nuovi tempi per la
Chiesa. Vostra Santità è l’agricola. Se non butta il seme nella terra tra le
insidie del tempo ed i pericoli degli insetti, la terra non produrrà le nuove
piantagioni. Nomadelfia sta per premere, sospinta dalla Vita, al fine di entrare
nel cuore del Papa perché la immetta nel sangue operante della Chiesa. Se la
respingerà, che ne sarà della Chiesa? Ho mille segni in mano per profetizzare
un clamoroso disastro. Ricordi, Santità, che una sola forza nella verità oramai
ci tormenta tutti: Charitas Christi urget nos. Ricordi, Santità, che la diplomazia
Vaticana è fallita per dare luogo alla incandescente e bruciante fiamma
dell’amore e dell’olocausto del fratello per il fratello. Il mondo si vince solo
seguendo le orme di Colui che ha potuto dire: Ego vici mundum.

Queste cose le dico io al Papa, il Papa dovrebbe imporle a me ed alla sua


Chiesa. Si lasci ammazzare, Santità, piuttosto che ammazzare Nomadelfia.
Vostra Santità non cerchi dai competenti se non quei sapienti consigli che
possono darLe, ma ciò che è solo di sua competenza, lo cerchi in se stesso.
Non facciamoci dei processi, ma camminiamo fin che siamo nella luce.

Io sono Paolo al Papa


Al papa Pio XII

Il Congresso di Nomadelfia delibera: “Non possono essere considerati membri


della comunità uomini e donne che siano legati a voti religiosi od a stati
giuridici ecclesiastici” (16.7.1951).

Roma, 22 luglio 1951

Beatissimo Padre,

Se quando parla dal balcone di S. Pietro alla folla, mi presentassi e Le posassi


sulle braccia protese al popolo un bambino vagitante l’abbandono ed irrequieto
in cerca della Mamma da Dio, e Vostra Santità lo gettasse dal balcone, che ne
sarebbe della Chiesa? E se accogliesse il bambino e lo donasse ad una Mamma
di Nomadelfia coram populo che ne sarebbe della Chiesa? Mi benedica,
qualsiasi cosa io faccia in questa tragica ora della Chiesa... il bambino riposa
già sul petto di una vergine mamma.

Io per il papa sono Paolo di Tarso, taglio netto, a colpo sicuro. Il miracolo è
stato compiuto, l’uomo nuovo, bambino, è tra le mammelle di una vergine, è al
sicuro. Per tagliare la testa al serpe che tenta di avvicinarsi per affogare e
mamma e figlio, ci penso io con i miei fratelli. E quando il Papa ed io ci
troveremo, lieti, abbracciati come due fratelli davanti a Gesù, Egli ci dirà in un
infinito mare di riconoscenza: ero rimasto senza mamma, e voi due mi avete
donata e difesa la mamma. Quanta festa in cielo e quanto sorriso di innocenti
in terra, usque ad consummationem saeculi!...

Io sono Paolo al Papa, e quando gli uomini avranno fatta saltare la mia testa,
Nomadelfia resterà Paolo al Papa... gli eventi si succederanno nei secoli; ma il
Papa avrà sempre Paolo a fianco, in guardia e pronto, a colpo sicuro, a tagliare
la testa al serpe. Una vergine avrà sempre tra le mammelle il bimbo che il Papa
non avrà voluto gettare dal balcone di S. Pietro coram populo. E le masse
finiranno per piegare le ginocchia sussurrando: Tu es Christus, vere Christus,
vere filius Dei. Et nos vidimus et credidimus quia tu es Christus, vere Christus,
vere filius Dei. Se tutto questo fosse un sogno, ne sentirei sollievo. É una realtà
che mi piega all’azione e che mi fa ripetere con Gesù: passi da me questo
calice... non mea, sed tua voluntas fiat. Vedo bene l’innocente e il serpe.
Amen. Beatissimo Padre, coraggio, doni a Nomadelfia il suo clero, non
affoghiamo l’amore.

Mi prostro al bacio del Sacro Piede e prego e sanguino.


La Città di Dio scrive al S. Ufficio
Chiediamo al “Supremo Tribunale di giudicare e, se del caso, condannare quei
cattolici colpevoli dei seguenti reati contro la fede”.

luglio 1951
“Giacché nella S. Madre Chiesa non esiste la necessità di essere in
maggioranza per decidere sulla verità, anche se siamo una piccola comunità tra
i cattolici, ci siamo adunati in congresso generale per chiedere che la S. Madre
Chiesa intervenga attraverso cotesto Supremo Tribunale a giudicare, e se del
caso condannare, quei cattolici che si sono resi colpevoli dei seguenti reati
contro la fede perché facciano la dovuta penitenza riparando al male fatto e
cambiando tenor di vita.
Premesse - Se il subire, perdonando, una ingiustizia dovuta ad un peccato in
opere od in omissioni commesso dal fratello di fede valesse a giustificare il
colpevole, saremmo ben lieti di farci vittime rinunciando ai nostri diritti alla
vita. La fede ci insegna che verranno gli scandali ma guai a coloro per colpa
dei quali avvengono, vedi tra l’altro come conclusione e sentenza definitiva il
giudizio universale. Al catechismo per i fanciulli si insegna che la Chiesa è la
società dei veri cristiani. Questa verità ci è confermata dalla sacra teologia
dogmatica e morale. Senza dubbio lo scandalo si può definire un peccato
mortale pubblico. La fede ci insegna che dobbiamo giudicare gli uomini dalle
loro opere. I veri cristiani quindi si devono giudicare dalle loro opere esterne,
tangibili. Se poi nelle loro opere si mostrano incoerenti alla fede che
professano dovranno essere giudicati in Ecclesia o come peccatori se non sono
in buona fede, o come ignoranti se sono in buona fede. Ma l’ignoranza nella
fede non è lecita, quindi devono riparare al male fatto anche per ignoranza e
devono studiare meglio i principi fondamentali della fede per far parte della
Chiesa. Tutta la legislazione della Chiesa, comunque sia espressa, non può
essere interpretata che la codificazione dei principi fondamentali della fede,
mai in abrogazione ai medesimi, se no si potrebbe condannare come eretica
ogni interpretazione ed applicazione che venisse a negare di fatto la fede, nel
qual caso si potrebbe dire: summum ius, summa iniuria per cui si sarebbe in
peccato se ci si attenesse come condotta di vita. Nessuna direttiva della Chiesa
potrà essere interpretata ed applicata dai cristiani cattolici in abrogazione al
precetto fondamentale del mandatum novum non essendo questo un semplice
consiglio evangelico ma una legge ineluttabile, anzi la legge universale,
fondamentale, impegnativa sub gravi della Chiesa. Qui non diligit manet in
morte. La legge del mandatum novum porta necessariamente alla conclusione
che è espressa nella preghiera del divino fondatore all’ultima cena: che siano
perfetti nell’unità. Perfezione che può ottenersi solo dalla osservanza del
mandatum novum: amatevi l’un l’altro come io ho amato voi. Il congresso
della Città di Nomadelfia anzitutto pone come accusa contro molti cattolici
colpevoli dei seguenti errori:
1) “il precetto dell’amore espresso nel mandatum novum è un semplice
consiglio evangelico ma non vincola in coscienza tutti i cattolici ai quali basta
osservare le leggi naturali della giustizia distributiva”. E questo perché si tolga
di mezzo un equivoco che fa della Chiesa un miscuglio eterogeneo tra gente
che osserva il precetto dell’amore e gente che si comporta da pagana pure
professando la fede pubblicamente.
2) “In coscienza basta osservare le leggi dello stato nei rapporti economici,
perché delle ingiustizie sociali è responsabile la società, ma non i singoli
cittadini”. Questo errore contro la fede potrà valere sì e no per i pagani, per
causa della loro ignoranza delle leggi di Dio, ma per i cattolici non vale
nemmeno secondo la legge naturale perché negherebbe la dovuta solidarietà
umana, che essi devono conoscere e riconoscere come legge data da Dio in
rerun natura.
3) “L’investito di benefici ecclesiastici può tranquillamente in coscienza vivere
da benestante ex honesto sustentamento anche se le anime che ha in cura sono
alla fame”. É un diritto che l’investito del beneficio perde dal fatto stesso della
presenza di fratelli alla fame, per cui essendo essi in extrema necessitate tra
l’altro avrebbero diritto di applicare di loro iniziativa, senza che si esiga
l’intervento di terza persona od ente l’omnia fiunt communia. É una
affermazione che nega di per se stessa il precetto dell’amore per il quale
l’investito di beneficio non può dare il così detto superfluo, cioè mettere prima
al sicuro la sua persona, ma deve condividere la sorte dei fratelli.
4) “I poveri ci saranno sempre come fatalità sociale, per causa del peccato
originale, quindi io non sono tenuto ad essere povero se ho la fortuna o l’abilità
di saltarne fuori ed assicurarmi il pane”. Questa affermazione nega il libero
arbitrio rendendo irresponsabile la società ed i singoli delle ingiustizie sociali,
in quanto nega all’uomo la libertà di azione secondo ragione, e rende la fede
stessa come un capriccioso dono di Dio, fatale anche questo, che l’ha chi l’ha,
come se Dio fosse il gioco della fortuna, invece Deus vult omnes salvos fieri.
Bisogna dire che l’uomo deve vivere secondo ragione e che può imporsi una
norma di vita contro i suoi bassi istinti, e che la fede è un dono a disposizione
di tutti coloro che l’accettano liberamente. Quindi la presenza dei poveri come
vittime involontarie delle ingiustizie sociali è un reato sociale contro lo Spirito
Santo, essendo una oppressione che grida vendetta al cospetto di Dio. É un
peccato individuale per tutti i cattolici che non si fanno di fatto poveri con i
poveri, oppressi con gli oppressi per amore soprannaturale di solidarietà
perfecti in unitate. Se non sono in tal caso oppressi sono oppressori per peccato
di omissione perché rifiutano l’amore l’uno per l’altro come Cristo ci ha
amati. La distinzione che fanno i moralisti tra ex iustitia ed ex caritate non vale
in questo caso perché nella fede non v’è giustizia senza amore, in quanto chi
non ama al giudizio universale sarà messo tra gli ingiusti anche se ha osservato
la sola giustizia. Ex iustitia nell’amore sempre soprannaturale un cattolico può
sposare un donna e può, ex caritate, cioè per un atto volontario e libero di
amore soprannaturale di olocausto votarsi al celibato. Questo appartiene ai
consigli evangelici per un cattolico la sola ex iustitia che non sia nell’amore è
peccato. Nei rapporti tra gli uomini, almeno secondo la fede, la mia giustizia è
misurata non dalla sola mia esigenza, ma dalla esigenza di tutti i fratelli.
Quindi il congresso di Nomadelfia chiede che sia definito: chi nelle sue opere
si appella alla ex iustitia abrogando di fatto con ciò la legge del mandatum
novum pecca ed è eretico.
DENUNCE CONTRO LE PERSONE
Qualsiasi possa essere la forma sociale con la quale i popoli si governano
rimane fermo per tutti un principio naturale:
a) sulla ricchezza privata o pubblica gravita in primo luogo la funzione sociale
b) sulle persone gravita il diritto alla liberà delle idee e alla libertà di
associazione privata anche comunitaria, quando non lede alla libertà di tutti.
Denunciano il Governo Italiano e le due camere al potere per i seguenti reati
pubblici:
permettono l’abuso sulla funzione sociale della ricchezza privata e pubblica,
anzi ne sanciscono la consistenza attraverso leggi coercitive contro gli
oppressi. Infatti:
a) i componenti il governo e le due Camere si sono assegnati lauti stipendi non
curandosi dei cittadini disoccupati ed invalidi per età e malattia ai quali quando
lo fanno, assegnano offensive elemosine e non il corrispettivo diritto alla vita.
b) Permettono ad una parte dei cittadini di possedere ed usare liberamente
appartamenti e ville oltre il necessario familiare in misura delle esigenze di
tutti i cittadini e puniscono con la forza chiunque essendo senza casa tentasse
di occupare appartamenti o case, o ville vuote o capricciosamente usate come
comodità di lusso. Permettono il dispendio di case di lusso e non costruiscono
le abitazioni necessarie ai cittadini indigenti.
c) Permettono differenziazioni di stipendi proporzionate alle vere esigenze di
tutti.
d) Non si curano dei problemi derivanti dalle miserie mentre permettono ad
una parte dei cittadini di speculare sul lavoro altrui attraverso titoli su aziende
le quali per legge naturale devono prima rispondere alle esigenze ed alla
funzione sociale che ai privati. Questa speculazione è evidentemente un atto
immorale che ferisce la personalità umana in quanto aggioga attraverso la
materia l’uomo all’uomo.
e) Dopo la guerra hanno ottenuto dal suffragio universale del popolo il potere
avendo promesso la giustizia sociale, ma invece sono rei di avere tenuto alla
fame, alla miseria ed all’abbandono lavoratori con i loro figli, vedove e figli in
tribolazione, mentre non hanno colpito gli sfacciati abusi sulle ricchezze da
parte dei ricchi dei proprietari e degli alti impiegati di aziende e dello stato.
Il Congresso di Nomadelfia prima di introdurre alla suprema Congregazione
documenti particolari con elenco delle persone responsabili direttamente e
indirettamente per collaborazione a tali misfatti pubblici, chiede alla Suprema
Congregazione del S. Ufficio:
1) la condanna come peccatori pubblici e come eretici a tutti i cattolici al
potere, qualsiasi partito rappresentino, perché oltre ad avere lesa la giustizia
distributiva secondo le semplici leggi naturali date da Dio, hanno disonorato,
offesa, tradita la Chiesa cattolica in quanto come cattolici non sono stati
solidali nel mandatum novun che oltre a presupporre la giustizia, pretende
l’olocausto piuttosto che opprimere un solo fratello sia esso cattolico o no.
2) La condanna come peccatori pubblici e come eretici a tutti quei cattolici ed
ecclesiastici che abusano della ricchezza privata ed ancor più se costituita da
benefici ecclesiastici non curandosi della giustizia sociale che per essi deve
essere una virtù personale, violando in modo così apertamente scandaloso la
legge del mandatum novum seminando vittime innocenti nella degenerazione
anche morale che inesorabilmente deriva da questo peccato pubblico che di
fatto nega la fede in Cristo salvatore.
3) La condanna alla seguente formula: in politica si deve necessariamente
andare al compromesso. Si deve sostituire con la seguente: “I cattolici hanno
diritto e dovere di esplicarsi anche in politica attiva, ma non possono
addivenire al compromesso quando questo implica rinuncia ai diritti derivanti
dalle leggi naturali sociali ed alla fede, nel qual caso devono mettersi
all’opposizione, né mai accettare cariche direttive che li costringano ad
applicare leggi ingiuste per tutti e avverse alla fede. La politica non li esime
dalla direttiva data da S. Paolo: imitatores mei estote sicut et ego Christi.
Direttiva che S. Paolo non dava ad una sola categoria di cristiani, ma alla
comunità intera, direttiva che fa parte integrale della rivelazione e che non è
altro che un riflesso del mandatum novum”.
Avranno il loro sacerdozio?
Al Nunzio Mons. Bongoncini Duca
La legge ecclesiastica induce i sacerdoti di Nomadelfia a violare la legge
naturale della paternità sugli abbandonati e la fraternità con i laici.
31 agosto 1951

Eccellenza Reverendissima,

La ringrazio della paterna visita che ha fatto a Nomadelfia. Le allego la


relazione che i babbi e le mamme di Nomadelfia hanno steso per il governo
italiano. Le allego pure, in sintesi, la relazione finanziaria che è stata fatta dal
ragioniere della prefettura incaricato ad hoc dal prefetto stesso. Detto
ragioniere è stato qui per cinque giorni controllando di persona uffici ed
aziende. Non conosciamo quale relazione abbia fatto circa le sue impressioni.
Se ne andò entusiasta della città, ma non so altro.

Oggi sono partiti per i loro conventi gli otto frati serviti. Hanno lasciato dei
vuoti che non so come potremo colmare perché già assistevano, tra l’altro, a
Grosseto, circa 200 giovani e giovinetti nel lavoro e nella vita quotidiana con
spirito di santa bontà sacerdotale. A Grosseto questo fatto ha lasciato nella
desolazione molti Piccoli Apostoli, perché da soli non sanno ancora come se la
caveranno. Quod non fecerunt barbari, su quei figli tanto martoriati, fecerunt
Barberini, si direbbe. Ma le vie del Signore sono misteriose. Non sono i soli a
subire simili traumi nella storia della minorità infelice. Quel divin Salvatore
che ha suscitato e condotto tra mille e mille insidie la Città di Nomadelfia,
saprà condurla ancora nonostante le nostre umane miserie. Quando dico a
molti amici e personalità che io sono un semplice sacerdote che ha lavorato
con questa massa di vittime, mi guardano con un senso di incredulità e pare
che dicano che molto dipende da me, invece da me non dipende niente.
Nomadelfia è una realtà davanti alla quale mi guarderei bene dal commettere
l’errore di far pesare la mia persona. Ho cercato di difendere queste creature
nelle loro vere esigenze per portarle a Dio, essendo, le loro esigenze vere,
quelle di Dio in esse. Per questo è stato lecito ad esse constatare, nell’ultimo
congresso straordinario, che noi sacerdoti attualmente non possiamo essere
cittadini di Nomadelfia. Che abbiano ragione si può anche constatare dal fatto
che i frati sono stati costretti ad abbandonarli, cosa che non potrebbe avvenire
tra di loro perché sono legati da un atto di libera volontà che nessuno al mondo
può negare essendo un diritto anche naturale, e non essendo essi legati a
nessuna forma giuridica che oltrepassi il diritto degli uomini sia pure cattolici.

Avranno un loro sacerdozio secondo la costituzione che si sono fatta


e alla quale si sono legati? Questo non dipende da loro, ma dalla sapienza
divina della S. Madre Chiesa. Riusciranno nel loro intento o saranno dispersi
da forze superiori alle loro? Dio solo lo sa. Noi sacerdoti di Nomadelfia che
siamo 18, tra quelli che vivono in Città e quelli che sono occupati al servizio
della diocesi, li amiamo come figli e fratelli, ma non possiamo garantire di
essere del tutto a loro disposizione. Nel 1941 gli Ecc.mi vescovi di Carpi e di
Modena ci diedero il permesso di dedicarci ai Piccoli Apostoli ad
experimentum; io personalmente fui autorizzato nel 1931 a fondare la Città, da
parte di S. E. Mons. Pranzini di s.m., allora vescovo di Carpi. S. E. Mons.
Pranzini sapeva che io mi prendevo questi ragazzi come figli, donde è nata la
forma della famiglia e del popolo di Nomadelfia. Io sarei per essi il capostipite.
La legge canonica non me lo consente. Ho impegni morali su di essi che sono
di gravissima importanza, così l’hanno i sacerdoti Piccoli Apostoli. Circa la
questione della S. Messa quotidiana e della recita del breviario è una cosa da
trattarsi con chi di ragione all’ora giusta, perché è inesatto tutto quello che si
dice al di fuori di Nomadelfia. Come feci notare anche a V. E. sono di quelle
cose sulle quali non ci sarà né discussione, né il minimo segno di ribellione da
parte nostra. Solo premetto che, per parte mia, nulla mi ostacola ad affermare
che se tutto il clero avesse fatto per il popolo come hanno fatto i sacerdoti
Piccoli Apostoli in questi venti anni, il popolo non sarebbe così
vergognosamente lontano dalla S. Madre Chiesa. Ma queste sono tutte parole.
Gesù all’ora giusta farà, attraverso la sua Chiesa, ciò che agli uomini non è
dato di fare. Questa sembra proprio l’ora di Barabba. Neppure alla vergine
Madre, in quell’ora, fu dato di prendere le difese del suo divino Figlio. Sarei
grato all’Ecc. V. Rev.ma, se appena avrà notizie precise sull’eventuale nomina
della persona che dovrà ufficialmente rappresentare in Nomadelfia l’Autorità
Ecclesiastica, vorrà comunicarmelo.

Mi prostro ecc.

Scelba non approva


Al Nunzio Borgoncini Duca

Per Scelba “Nomadelfia è una truffa. Don Zeno è un eretico. La Santa Sede ha
dato al Governo mano libera per sciogliere Nomadelfia”.
9 ottobre 1951
Eccellenza Reverendissima,

S. E. il Ministro Scelba chiamò a colloquio nel mese scorso la Contessa


Albertoni Pirelli come presidente del comitato di Nomadelfia di Milano. S. E.
teneva in mano la relazione fatta al Governo dalla Città di Nomadelfia
attraverso la prefettura di Modena; relazione che è in possesso anche di V. E.
Rev.ma. La Contessa, dopo il colloquio mi chiamò a Milano, e, presenti altri
membri del comitato, mi riferiva quanto segue:

a) Nomadelfia è una truffa e mi meraviglio come una figlia di Pirelli se ne


interessi sì che la sua attività personale diventa un avallo alla truffa stessa.

b) Don Zeno è un eretico.


c) La Santa Sede ha dato al Governo mano libera per sciogliere Nomadelfia,
solo chiede che siano sistemati i fanciulli accolti dalla città.

d) Si potrebbe anche salvarla nominando un consiglio amministrativo, escluso


don Zeno, che tra l’altro avvii l’Istituzione alla forma di Ente Morale.

e) La richiesta dei padri di famiglia di Nomadelfia non è accettabile perché non


è giusto dare terre e pagare debiti contratti mentre ci sono in Italia tanti
disoccupati e tanti Istituti che allo stesso scopo hanno contratto debiti nel
passato. [Il Ministro dimentica di dire che finanzia Gedda, presidente della AC
con quaranta milioni al mese. Cf Piva, 396. Fin dal ’48 “aveva mezzi
all’infinito” per organizzare i Comitati Civici. Cf Piva, 104]

f) Se vogliono andarsene all’estero vadano, gli paghiamo armi e bagagli.

Ha incaricato la Contessa Pirelli di dargli una risposta in merito. Io


ho risposto alla Contessa che personalmente non posso assumermi una
responsabilità che coinvolge la vita e le sorti di tanti fratelli e figli. Non ne
sarei autorizzato. Ho aggiunto che sarebbe stato meglio attendere la venuta di
V. E. Rev.ma a Nomadelfia. La Contessa si era impegnata di portarsi qui in
tale occasione. Essendo stata rimandata questa visita, la Contessa ha scritto di
sua iniziativa all’On. Scelba, assicurandolo che farà del suo meglio per dare
una risposta entro il 15 corrente. Don Marchi mi comunica che ogni eventuale
decisione che venisse presa da parte del Governo sarebbe stata comunicata
prima a V. E. Rev.ma; e che la visita è stata rimandata a tempo indeterminato.
Un fatto si presenta che deve essere affrontato con precauzione e con
ponderatezza: il 31 corr. Nomadelfia deve, improrogabilmente, evacuare dalle
terre che lavora qui a Fossoli e dalla tenuta Caprarecce a Grosseto. Cosa che è
impegnata a fare senza opporsi ai creditori interessati. Il 25 c. m. ci sarà in
merito una udienza al Tribunale di Modena. Il pro-patriarca di Nomadelfia
indice un congresso straordinario, facendo partecipare anche i Piccoli Apostoli
di Grosseto, il giorno 11 corr., al fine di trattare queste cose e dare la
responsabilità delle decisioni al congresso medesimo.

A Nomadelfia regna una grande calma e si prega così: Non mea, sed
tua voluntas fiat. I giovani hanno tenuto un corso di S. Esercizi e si sono tuffati
nelle mani di Gesù che essi vogliono seguire. Se del caso, il congresso
risponderà al Ministro degli Interni. Qualsiasi cosa succeda, a me, come
sacerdote, chiederanno in congresso una cosa sola: se è vero che la Santa Sede
abbia dato mano libera. Attualmente dovrei rispondere che non ne so niente, a
meno che V. E. non mi dia notizie in merito. Quanto all’affermazione che io
sono un Eretico mi basterà dire che il Ministro degli Interni non ha la missione
di trattare questi argomenti. Sono di quelle cose che ci turbano poco, perché
praticamente rispondono alla nostra storia. Chi mai ci ha aiutati equamente?
Nessuno. Chi mai ci ha difesi in pieno? Nessuno. Caso mai tutto ciò potrà
benissimo servirci a sconto dei nostri peccati ed a redenzione delle nostre
anime. Quanto poi ai fanciulli che ci vanno di mezzo, nulla di straordinario:
paga sempre l’innocenza, è la più valida moneta che circoli sulla terra e che sia
tenuta in pregio nel regno dei cieli.

Se V. E. Rev.ma avesse qualcosa da comunicarmi in merito prima del


congresso, lo potrebbe fare attraverso don Marchi, latore della presente.

Questa lettera è di carattere personale, semplicemente informativa.

Mi prostro ecc.

PARTE TERZA

1952: allontanamento e repressione

La DC, preoccupata per l’avanzata dei comunisti, decide di far fallire l’utopia
di Nomadelfia. Il S. Ufficio ordina ai sacerdoti di ritirarsi dalla comunità e
impone i salesiani per normalizzare l’opera. Inizia la repressione: il vescovo
revoca il decreto di approvazione ecclesiastica (16.5); il card. Schuster
condanna il movimento eretico-sociale di Nomadelfia (22.5); il S. Ufficio
mpone a don Zeno di interessarsi della comunità, la quale dichiara
l’autoscioglimento per tutelare i creditori (11.6).
Il 29.10 la Città di Nomadelfia viene sciolta ufficialmente d’autorità, i beni
sottoposti a liquidazione coatta. La polizia deporta i minorenni; con il foglio di
via i maggiorenni sono rispediti al loro paese d’origine. I poliziotti strappano
più di 300 bambini dalle braccia delle madri per sistemarli nei collegi. Zeno è
solito dire: O è crudele Dio a fare gli abbandonati o crudeli siamo noi.
Crudele, in questo caso, sarebbe la Chiesa? Avevamo 500 accolti, sui quali lo
stato poteva intervenire. Minacciava toglierceli se non accettavamo i salesiani.
I nomadelfi: ‘Perché i salesiani? Vorremo mica fare un collegio! Solo Roma
non sa che Nomadelfia è nata in alternativa all’assistenza dei religiosi. Zeno ha
lottato una vita contro orfanotrofio e la Chiesa rende orfani una seconda volta i
suoi “figli”. Per lui è riportarli nel cimitero dei senza-famiglia, sotterrarli di
nuovo... I bambini la sanno più lunga dei prelati. In ufficio, li sentirà gridare,
mentre vengono strappati alle mamme: “Dio è crudele con noi: prima ci fa
morire la mamma, poi ce la ridà e adesso ce la fa morire di nuovo”. “Giorni
terribili. Il trauma più brutto e più grosso: lo abbiamo chiamato la strage degli
innocenti” (DZR 265). Il 29.10 la Città di Nomadelfia viene sciolta
ufficialmente d’autorità, i beni sottoposti a liquidazione coatta. I superstiti,
riparati a Grosseto, si costituiscono in Società dei nomadelfi con una nuova
Costituzione, per cominciare da capo: l’amore non si scioglie.
“Alcuni ragazzi cominciano a fare dei guai” (DZR 271). La coscienza di Zeno
in stato d’emergenza. “Neppure la Suprema Autorità della Chiesa può
consigliare persone legate tra loro da rapporti ex iustitia, ad abbandonare alla
deriva i figli. Non ha nessun mandato di violare i diritti naturali e
soprannaturali, per soddisfare i suoi piani, anche se fossero i più santi. Io
perdono, ma non posso fare quello che neppure Dio può fare: essere ingiusto”
(20.9.1953).
Non siamo dei dispersi?

Al Nunzio Borgoncini Duca

“Il mio dolore è vedere che i poveri e le masse si allontanano dalla Chiesa”.

22 gennaio 1952

Eccellenza Reverendissima,
Il Senatore Medici sta organizzando una Commissione tecnico-finanziaria con
la Contessa A. Pirelli, come da richiesta fatta dallo stesso Ministro degli
Interni, fin dall’agosto scorso. Mi è stata chiesta una relazione ed un piano di
lavoro di cui allego copia a V. E. Rev.ma. Da fonte ufficiosa mi è stato
comunicato che la commissione, prima di adunarsi attende istruzioni o notizie
dal Ministro On. Scelba. Io personalmente non ho dato nessuna notizia
ufficiale delle mie decisioni prese e ultimamente comunicate a V. E. Rev.ma e
nemmeno quelle analoghe dei babbi e mamme di Nomadelfia. Non si è
cambiato ufficialmente né nome e nemmeno direttiva, mentre internamente si
sta lavorando per renderci autosufficienti attraverso sacrifici che spesso ci
costano un caro prezzo. Una ingerenza dello stato che ci leghi fino al pericolo
di essere domani schiavi di un qualsiasi eventuale governo anticattolico non
l’accetteremo, ci costasse le più paurose avventure. Se per noi non esiste una
giustizia umana, esiste invece una giustizia divina per tutti. Se per riconoscere
il diritto alla vita, e quindi, alla libertà, si volesse impegnare la libertà come
prezzo di pane, ci rifiuteremo a tutti i prezzi. Se siamo denutriti ci accusano di
trascuratezza, se ci nutriamo ci accusano di abbondanza. Se ci ammaliamo ci
accusano di temerarietà, siamo sani dicono che non abbiamo bisogno di niente.
Se i giovani lavorano molto dicono che sfruttiamo la gioventù, se non lavorano
molto dicono che tiriamo su dei poltroni e degli sfaccendati. Se consumiamo
combustibile per scaldarci dicono che sperperiamo, se stiamo al freddo dicono
che siamo dei miserabili, quindi colpibili. Se facciamo debiti dicono che siamo
dei truffatori, se non li facciamo dicono che siamo degli ignavi e dei senza
fede. Se protestiamo per ottenere i mezzi del lavoro dicono che siamo dei
pretenziosi perché ci sono oltre due milioni di disoccupati. Tutte cose che
sappiamo a memoria e che non possono essere causa di disorientamento. É
sempre stato così il mondo e sarà sempre così. Le realtà che stanno a fondo di
questo nostro atto di fraterno amore cristiano non possono essere che la
volontà del Signore. Quanto facciamo noi per attuare questa volontà tra mille e
mille difetti che il Signore non sempre sarà disposto ad accettare come tonalità
di vita. Riusciremo a conquistare la coerenza tra la nostra vita e la volontà del
Signore che ci chiede il perfecti in unitate? Qui balza fuori il grave problema
del Discorso della Montagna. Bisognerebbe andare lì per essere in quella
fraternità, ed è una strada molto piena di croci che per quanto siano soavi si è
facili a rifiutare a priori.
Ieri notte mi sono sentito un attacco al cuore. Credevo di morire. Mi
è capitato un’altra volta alcuni anni or sono. Si vede che si muore quando Dio
vuole e quando si è degni. Il mio dolore è vedere che i poveri e le masse si
allontanano dalla Chiesa anche per cause che si potrebbero evitare,
rimuovendo le quali si assisterebbe ad una vera controrivoluzione al
materialismo dilagante dall’oriente e infestato sotto mille bandiere in
occidente. Mammona è strapotente ed è sottile nelle sue radici che sanno
perforare anche la roccia. Tra le fila dei cattolici si è abbarbicato in modo
pauroso. In questo selvaggio bosco, tormentato, mentre sto scrivendo, da una
violenta tramontana volano foglie strappate alla pianta e cadono piante
disseccate o morenti. Le altre resistono per essere poi tagliate dai figli all’ora
giusta. Tutta notte il frastuono, la violenza, l’aggressione. É freddo, sul lavoro
si soffre. Viene da domandarsi: Ma che cosa ci possiamo attendere dagli
uomini? Nulla. Passa la figura di questa tormenta: queste sofferenti membra si
perderanno tra quelle foglie per riapparire alla risurrezione della carne, e
l’anima, sitibonda di giustizia, tornerà intanto in Patria. Quanti di questi
giovani hanno cercato la vita altrove invece sono finiti violentemente qui, dove
ogni tormenta diventa per essi stimolo a non cedere al mondo, dove ogni
giornata di sole e di spettacolare luce per essi non è altro che l’inverso della
medaglia. La loro letizia finirà per essere la visione delle dure realtà che stanno
come basi della esistenza sulla terra vanitas vanitatum et omnia vanitas. Donde
sempre più cercheranno di comprendere il divino crocifisso, al quale saranno
trasportati proprio sospinti dalle realtà che ad ogni momento si presentano ad
essi inesorabili. Per il momento si aggrappano molto a me perché sono stato
loro padre, fratello ed amico, ma le realtà suddette oramai affiorano tanto che
capiscono la tormenta inesorabile a strappargli e padre, e fratello ed amico
perché uno solo è loro Padre, Fratello, Amico: Dio.
Sono ancora teneri ed inesperti in molte cose, alle quali cerco di
educarli con prestezza. C’è chi dice: sarete dispersi. Forse che di fatto non
siamo dei dispersi? Qui siamo veramente degli eremiti, qui il bosco ci parla un
linguaggio stranissimo, qui le bestie del bosco ci insegnano a stare in guardia
dai cacciatori che arrivano in macchina dalle città vicine e che penetrano
attraverso le mulattiere, si nascondono e sparano senza pietà... e più
ammazzano più si fanno belli... Quante abitazioni di queste bestie ogni sera
invano attenderanno il ritorno dell’ospite... Preghi, Ecc. Rev.ma e faccia
pregare per noi, e se potesse mandarci qualche offerta lo faccia, credo che le
porgeranno la ricevuta regolare alle porte del paradiso.

Res nullius
A Mons. Ottaviani, S. Ufficio

“Sono veramente un eremita, salgo e risalgo le mulattiere”.

Eremo S. Severo, Batignano di Grosseto 23 (?) gennaio 1952


Eccellenza Reverendissima,
Spero di fare opera buona inviarLe la qui allegata relazione fatta per la
costituenda Commissione tecnico-finanziaria per Nomadelfia. Io qui sono
rimasto veramente un eremita, sia pure dei tempi nuovi. Siamo res nullius (1) e
vogliamo a tutti i prezzi, con la grazia del Signore, resistere perché il primo
occupante sia solo il divino Maestro. Molt’acqua passerà sotto i ponti prima
che balzi alla luce del mondo tutto questo. Ieri sera mi ha detto un amico che
stanziano molti miliardi dappertutto per fare le armi della pace (2). La vera
arma della pace è la giustizia; senza della quale ci si agita nelle sabbie mobili
di satana. Sono tutte considerazioni che faccio tra queste terre incolte e tra
questi boschi trascurati, che insieme potrebbero essere sorgenti inesauribili di
vita, di giustizia, di vera pace. Il Signore ha creato queste ricchezze e noi lo
offendiamo trascurandole, gementi nel mondo intero milioni di innocenti che,
di fatto, sono i più vicini a Dio crocifisso.
Mentre salgo e risalgo le mulattiere guardo e penso, e, se sono solo medito e
commento con il Signore, se sono in compagnia dei figli meditiamo e
commentiamo insieme nel Signore. Anche ieri sono capitati tre giovani finiti
dalla società. Oggi sono limpidi negli occhi e tranquilli. Per essi questa vita è
da grandi re. Uno è laureato in lettere, gli altri due ancora minorenni sono
appena riusciti a evitare la galera. Praticamente cercavano tutti la stessa cosa:
la vita, l’amore, una ragione tangibile della vita, un amore reale, cioè il Dio
vivente. Lo potevano cercare altrove, ma in realtà lo hanno voluto cercare qui.
E così la mia solitudine diventa solitudine comune.

(1) Secondo il diritto romano una cosa smarrita appartiene al primo che la
trova. (2) per il riarmo in Italia cf Perrone 179, 292.

Un parto misterioso
Al Nunzio Borgoncini Duca
“Sempre meglio essere nelle condizioni di Colui che non aveva dove posare il
capo”.

Nomadelfia S. Pietro, 26 gennaio 1952

Eccellenza Reverendissima,
Ieri sera ho avuto notizie che tra S. E. Scelba, Vanoni ed il Sen. Medici sono
avvenuti dei colloqui e che si è avviati ad una distensione d’animi con
propositi validi di metterci tutti al lavoro per definire qualcosa di concreto. Chi
mi riferisce questo era molto ottimista, nonostante sia a giorno di qualche
nuvolone minaccioso, che poi non conosce se non per sentito dire.
Nei boschi di Grosseto siamo attendati in circa 120 lavoratori a forma di
cantiere, più cinque famiglie nelle due case coloniche di Rosellana e
Caprarecce e una famiglia femminile nella casa di Ghiaccialone cui sono
aggregate una ventina di ragazze che lavorano di cucito, ortaggi, lavanderia,
ecc. C’è da intravedere che, secondo i lavori in corso, entro la prima metà di
marzo saremo in grado di produrre da mille a duemila quintali di calce alla
settimana, più da trecento a seicento metri cubi di pietrisco per strade,
pavimentazioni ecc. da vendere al comune commercio.
Non appena avremo preparato nuove tende e casette in legno
potranno venire sù da Fossoli altri 140 giovani lavoratori dai 15 anni in sù. Se
il Governo accetterà il nostro piano di lavori, in rapido volgere di tempo
saremo autosufficienti, a Dio piacendo. Di fatto io sono rimasto un eremita e
gli attendati in questi boschi vivono una vita da eremiti sui generis. Infatti non
vanno mai ai divertimenti della vicina città, si passano le loro ore di
ricreazione al tiro di fionde, di archi, di schioppo alla selvaggina, giocano al
foot-ball, vedono qualche documentario come aiuto alla scuola, pregano,
studiano, suonano, cantano, lottano contro non indifferenti privazioni: una vita
molto sana e primitiva. Giorni or sono hanno fatto un pellegrinaggio alla
basilica di S. Pietro a Roma con il loro pullman, dopo di essersi preparati con
tre giornate di spirito. Di fatto è una vita molto dura, ma il Signore li sosterrà.
Io guardo ed intervengo là dove la mia paternità lo esige. Ho passato questi due
mesi lavorando e pregando. Sono arrivato alle seguenti conclusioni:
1° Le sconfitte che abbiamo subito nel campo politico ci hanno
portato a meglio scrutare il nostro disagio e quello del popolo che di fatto si
allontana paurosamente dalla fede.
2° Ma è molto meglio realizzare che dire e polemizzare; quindi la
nostra presa di posizione come eremiti ci favorisce questo atteggiamento.
3° Ma comunque vadano le cose della vita quotidiana è sempre molto
meglio essere nelle condizioni di Colui che non aveva dove posare il capo;
quindi anche se arriveremo all’autosufficienza saremo egualmente costretti
dalla realtà e dalle esigenze dei fratelli rovinati a dissanguarci ogni giorno.
Questa autosufficienza non sarà dovuta a rendita, ma semplicemente frutto
quotidiano di duro lavoro.
Se fossi così buono in internis come sono confermato dalla S. Madre
Chiesa in externis, sarei un santo. Però voglio esserlo e vorrei che lo fossero
tutti i miei figli. Le confido, Eccellenza, che io sogno nell’anima mia un dono
che il Signore ci farà; ho mille motivi per crederlo: non appena saranno
appianate le questioni economiche, la S. Madre Chiesa avrà da gioire perché
salverà nel suo grembo un tesoro, una forza viva che attrarrà al Papa e quindi a
Dio chissà quante anime lontane ed in pericolo.
La divina e materna prudenza con la quale la Santa Sede ha trattato
Nomadelfia mi pare segno di Dio che si tratti di un parto doloroso e misterioso,
ma che finirà per essere un miracolo. Abbiamo avuto incontri e scontri
pericolosissimi, ma su l’orlo di quegli abissi stanno le stelle alpine che
finiremo di cogliere a sollievo della Grande Madre. Cerchi, Eccellenza, di dire
una buona parola di incoraggiamento a S. E. l’On. Scelba. Il Signore Le sarà
riconoscente in eterno. Grazie. Mi prostro ecc.

Obbedisco in corde Jesu


Ai figli

“Non vi sono più Padre”.

7.2.1952
Cari Babbi e Mamme di Nomadelfia,

martedì 5 febbraio, festa di Sant’Agata martire, alle ore 9 sono entrato nello
studio di S. E. il Nunzio apostolico, da Lui invitato. Ha estratto di tasca un
decreto del S. Ufficio nel quale mi si comanda di ritirarmi da Nomadelfia e di
mettermi a disposizione del Vescovo della mia Diocesi, con facoltà di
scegliermi anche un’altra diocesi di mio gradimento. Nello stesso decreto, tra
l’altro, si assicura che una commissione farà fronte alle passività di
Nomadelfia e che a Nomadelfia verranno i Salesiani. Io ho risposto che non
sono né il Papa e nemmeno la Chiesa e che credo a Gesù Cristo redentore
perché credo nella sua Chiesa. Ho preso il decreto ed ho scritto di mio pugno,
dopo la firma di S. E. il Card. Pizzardo: Eminenza, ringrazio il Signore che mi
fa il dono di compiere un atto di obbedienza. Obbedisco in Corde Jesu. Mi
prostro al bacio del S. Anello Dev.mo Sacerdote Zeno Saltini.
Vi posso assicurare che obbedisco senza ritorni di fiamma. Mi mandò la
Chiesa a voi e sono venuto, vi ho amati come veri figli ed ora la Chiesa mi
strappa a voi. Non vi sono più Padre, sono un sacerdote in cerca di una diocesi
e sono uno tra gli uomini più infelici che esistano sulla terra. Io devo seguire
una legge che ho accettato liberamente il 4.1.1931. Questa mia legge non è la
vostra. Voi seguite la vostra. Lo Spirito Santo non mancherà di illuminarvi e di
condurvi per mano tra labirinti misteriosi. Se ci incontreremo ancora sul
cammino misterioso che ci attende, se la mia legge mi concederà di essere dei
vostri lo sarò, se non me lo permetterà non lo sarò.
Sono uno tra gli uomini più infelici che esistano su questa terra. Se vi
occorresse il mio sangue cercatemi, mi troverete e potrete berlo tutto. Addio.
Vostro e non più vostro.
Don Zeno.
P.S. Voi avete l’età che avevo io quando, reietti e sbattuti nelle fogne della
società umana, spesso inumana, vi ho aperto cuore, anima, casa, vita, amore.
Siate liberi della libertà dei liberi figli di Dio.

La mia dottrina è quella della Chiesa


A Mons. Dalla Zuanna, Carpi

“Desidero andarmene dall’Italia, fosse anche domattina”.

11 febbraio 1952
Eccellenza Reverendissima,
Non so bene quello che sta succedendo a Nomadelfia. E preferisco non
interessarmene. Io desidero andarmene dall’Italia, fosse anche domattina. La
prego di essermi tanto paterno, come mi è sempre stato, da concedermi questo
dono.
A Carpi per il momento non me la sento di venire. Sfuggo a tutti; mi cercano e
non mi trovano; e quando mi trovano dico: fate quello che volete nel Signore.
Ho ricevuto una lettera giorni or sono di un amico del Brasile che mi invita a
fargli una visita. Vorrei vedere quei paesi, scrutare quella strana compagine di
civili e selvaggi. Là dove necessitasse la mia firma per atti pubblici ho già fatto
regolare procura per don Marchi e Dario. Non voglio mettere il vomere là dove
già l’hanno messo altri. Ho posto mano all’aratro che mi ha consegnato in
questo momento il Signore e non voglio voltarmi indietro. Nel decreto del S.
Ufficio si parla di dottrine. Non ho capito bene. Assicuri il S. Padre che io non
ho delle dottrine; la mia dottrina è quella della Chiesa, grazie al Signore.
Attendo una sua risposta a mezzo di d. Marchi. Grazie, Eccellenza, grazie.
Mi prostro al bacio ecc.

Reietto, delinquente con loro


Al papa Pio XII

“Mi faccio dei loro e con loro sono pronto ad andare tanto al capestro, quanto
a mensa”.

12 marzo 1952

Beatissimo Padre,
Scrivo alla Santità Vostra con lettera aperta, che rendo quindi di pubblica
ragione, perché Nomadelfia di fatto è finita per diventare quell’uomo che
scendeva da Gerusalemme a Gerico e che è stato investito nella strada fino ad
essere spogliato, bastonato a sangue, buttato a terra esausto. Naturalmente io
devo discendere da cavallo se non voglio essere condannato dal divino
Salvatore del mondo. Ho ubbidito alla Chiesa il 5.2, sottoscrivendo il decreto
del S. Ufficio firmato da S. Em. il card. Pizzardo; obbedisco alla Chiesa,
scendendo da cavallo di mia doverosa e spontanea iniziativa. Ho di fronte la
vittima; sarei tra i briganti se non discendessi da cavallo. Forse e senza forse
non basterà la mia travagliata esistenza, non basteranno quei pochi giorni che
ancora mi rimangono nel servire Colui che con Vostra Santità sono impegnato
a servire, per disinfettare le ferite con aceto, per mitigarne il tormento con olio,
per difenderle dalle insidie esterne con le fasce dell’Amore, per trovare alla
vittima un albergo almeno più umano.
Di commissioni governative che siano impegnate a far fronte alle
passività di Nomadelfia non se ne vedono. Di fatto non potrà il governo
italiano lamentarsi di noi, perché coloro che in Nomadelfia avrebbero avuto
diritto all’assistenza, gli sono costati molto meno dei carcerati in carcere. Su
circa 1.500.000 giornate di vita di quei miei conreietti, ha speso circa lire 60 a
testa al giorno, tra sani e ammalati. Siamo quindi creditori verso lo stato di non
meno di 400 milioni, calcolando una spesa minima di L. 300 giornaliere pro
capite, tra sani, ammalati specifici, minorati fisici e minorati psichici. Ripeto:
400 milioni per i soli che avrebbero avuto diritto all’assistenza, senza calcolare
l’enorme cifra che altri avrebbero potuto esigere, mentre invece le mamme, i
babbi e i sacerdoti di Nomadelfia hanno vissuto le parole di S. Paolo: L’amore
non esige ciò di cui ha diritto.
Il Sen. Medici, per sua dichiarazione fatta agli incaricati di
Nomadelfia, afferma che né la Chiesa né il governo sono impegnati a liquidare
le passività di Nomadelfia. Egli parlava in nome del governo. Ha fatto vaghe
proposte, ma nulla di concreto. I rappresentanti di Nomadelfia hanno chiesto al
Sen. Medici: Ma come può Lei parlare anche in nome della Santa Sede? Ed
egli ha risposto: Questo mi è stato riferito da S. E. il Nunzio ap. Anche la
contessa M.G. Albertoni Pirelli, simile risposta ha sostanzialmente avuto, in un
recente colloquio con S. E. il Nunzio ap.
É passato un mese e sette giorni dalla data della mia estromissione da
Nomadelfia; è passato con questo un mese e sette giorni di tragedia per quei
figli, una vera e propria aggressione diretta ed indiretta. Il governo doveva
intervenire almeno per ragioni di ordine pubblico. Per il governo questo deve
essere un semplice problema sociale, un impegno solenne. Per parte mia basta.
Mi faccio dei loro e con loro sono pronto ad andare tanto al capestro, quanto a
mensa. E con loro e come loro sono un reietto, un delinquente, un peso per gli
oppressori che vogliono legiferare e decidere la fame e la rovina dei fratelli.
Per me i nomadelfi sono una goccia di sangue che scorre nel fiume secolare
degli oppressi senza nome, senza legge, senza diritti, senza trattamento umano.
Siamo quindi degli schiavi ai quali si tenta, dai non schiavi, di dare il nome di
liberi per imporci gli oneri in difesa dei liberi, per essere oggetto di vile
elemosina a gloria dei liberi, per buttarci fango di calunnie e di offese, per
dimostrare il candore morale dei liberi, per accusarci di ribelli quando
chiediamo di essere alla pari dei liberi. Basta. I poveri hanno diritto alla vita
disse solennemente Vostra Santità all’apertura dell’anno santo. I fatti pubblici
lo smentiscono, quindi mi tuffo tra loro con loro, come loro, alla pari di loro,
perché sono certo che avrò, con loro, almeno diritto alla vita eterna.
Beatissimo padre, non siamo in mille, siamo milioni e milioni, siamo
il grido, il pianto, il sangue che clamat ad te de terra. Non sono più uno tra gli
uomini più infelici che esistano sulla terra, sono un reietto, un delinquente, un
mostro che non ha voluto essere una persona per bene perché ho voluto amare
l’oppresso facendomi oppresso. Beati gli assetati di giustizia perché saranno
satollati.
A mio parere è più che dimostrabile che la disciplina della Chiesa mi
impone sub gravi di fare quanto sto facendo. Sarebbe perfettamente fuori luogo
e sarebbe semplicemente temerario che i miei confratelli cattolici volessero
vedere in questo mio atto una ribellione alla Chiesa, perché la realtà è
l’inverso. Evidentemente non è neppure una posizione polemica, è un fatto che
si impone, quindi chi solo comprende non comprende, e chi partecipa
comprende.
Mi prostro al bacio del sacro piede Figlio della Santità Vostra.
Bosco Spolitica - Tenda senza numero - Parrocchia Batignano di Grosseto.

Alla fame
Al fratello don Vincenzo Saltini

“Se avessero avuto argomenti più decisivi avrebbero sconfessato tutto”.

16.3.1952
Caro don Vincenzo,
Ho la sensazione che il S. Ufficio sia rimasto sconcertato dalla resistenza dei
nomadelfi. Aveva il piano di mettere i salesiani, quindi di smorzare tutto sotto
forme che entrassero nella disciplina delle opere della Chiesa. La separazione
dei sacerdoti dal diritto di cittadinanza in Nomadelfia ha salvato i laici.
Una personalità vicina al Papa avrebbe detto a un amico che Nomadelfia ha un
punto discutibile in quanto vorrebbe che il Clero discendesse alla pari del
popolo mentre il Clero deve essere un’élite. Noi si pensava, che il clero fosse
eroe e fermento vivo del popolo, ma non una elite nel senso in cui si intende
oggi. Da questo il siluro? Molte accuse devono essere state fatte contro di me e
contro Nomadelfia al S. Ufficio. Però non me ne ha svelate nessuna. Intanto ho
la sensazione, che il parroco manda note e note al S. Ufficio. Con quei tipi di
informatori puoi immaginare che razza di documentazione faranno su.
Ma sono inflessibili nel tenermi fuori proprio perché, penso, che non vogliono
dare a Nomadelfia il suo clero.
La nostra tesi non è oggetto di condanna, ma non si fidano. E che cosa dovrà
fare Nomadelfia? Intanto la tengono alla fame. Se avessero avuto argomenti
più decisivi, credo che non avrebbero fatto complimenti a sconfessare tutto.
Penso anche che se non ci fosse stata la reazione della stampa chissà che cosa
avrebbero combinato! Da questo punto di vista sono veramente dei nemici.

Il sacerdozio di Nomadelfia
scritto inviato a sconosciuto

“Un cittadino di Nomadelfia può essere sacerdote di Nomadelfia, ma un


qualsiasi sacerdote non può essere sacerdote di Nomadelfia”.

Gainazzo di Guiglia, 29.3.1952

[Il sacerdote] Deve essere connaturale alla vita di Nomadelfia, non un avulso
oppure un rappresentante di gerarchie esterne alla vita della città. La natura di
Nomadelfia è di una città diversa delle altre città, alle quali propone la sua vita
non nel complesso dei cittadini, ma nel cambiare di vita sociale ai medesimi.
Mentre i laici di Nomadelfia per legge naturale hanno diritto di superare ogni
limite territoriale ed ogni giurisdizione civile ed ecclesiastica per espandere
dovunque, ai sacerdoti nelle attuali condizioni giuridiche invece è negata,
donde la impossibilità di esserne cittadini alla pari. Lo stesso decreto che ha
allontanato me e poi gli altri sacerdoti è a dimostrazione che in Nomadelfia
eravamo per legge positiva dei forestieri. La sofferenza attuale della città
dimostra la impossibilità di convivenza con i medesimi per cause non dovute
alla volontà dei sacerdoti, ma a leggi che per essi sono diventate ostacolo ad
essere fratelli di una popolazione che, come vita cristiana, li ha superati di gran
lunga.
In Nomadelfia è possibile essere l’uno per l’altro; ai sacerdoti è negato questo
dovere. O è un errore la pretesa dei sacerdoti di Nomadelfia di essere cittadini
alla pari; o è un errore la esigenza della città che protesta il diritto al suo
sacerdozio; oppure è in errore la Santa Sede a negarglielo. Quando le leggi
positive non incidono sulle esigenze della natura, sono tirannia. Se invece la
Santa Sede può dimostrare che è nella natura del sacerdozio non essere alla
pari di diritti e di doveri di una comunità cristiana di quella natura, allora si
affaccia il grave problema di disperdere Nomadelfia come un errore sociale,
cosa, secondo me, impossibile ed assurda.
La formula è: un cittadino di Nomadelfia può essere sacerdote di Nomadelfia,
ma un qualsiasi sacerdote che non sia cittadino di Nomadelfia non può essere
sacerdote di Nomadelfia. É successo un controsenso: sono venti secoli che si
predica l’Unum, ed una volta realizzato nel popolo, la Chiesa è costretta a
ritirare i sacerdoti che l’hanno generato. Quella popolazione è buttata al
lastrico, peggio anzi, alla quale s’impone una predicazione che ha poco a che
fare con la sua vita. Peggio ancora: i sacerdoti di Nomadelfia sono esenti dal
rispondere delle loro responsabilità di diritto naturale. Questo poi è
paradossale, per non dire mostruoso. Non sarà quindi lontano il giorno in cui i
nomadelfi ci accuseranno di traditori. E a noi è lecito tradirli?
É evidente che non possiamo muoverci se non d’accordo con la Santa Sede,
ma stiamo attenti noi con la Santa Sede di non costringere il Signore a
permettere dei reati per causa nostra. O Nomadelfia è nell’errore ed allora deve
essere condannata non da pretesti di difetti rimediabili, ma da sostanze ben
precisate. Nel qual caso c’è da domandarsi come mai il S. Ufficio l’ha
riconosciuta come entità laica. Nel qual caso perirà se non potrà accettare
trasformazioni sostanziali. Oppure Nomadelfia è cosa di Dio ben precisata
nelle sue sostanze ed allora tergiversare nel dare ad essa il suo sacerdozio è
tiranneggiarla perché ce l’ha, ed in essa è nato prima di essa: segno inequivoco
della volontà di Dio, o vocazione chiara.
Io ho il dovere preciso di venire al S. Ufficio per insistere che siano chiarite
queste gravi posizioni mie e dei miei confratelli. Le realtà di Dio non si
sopprimono con opinioni. Quando il nostro muoversi determina la
costernazione dell’innocenza, c’è da mettersi in guardia perché Dio non sia
contro di noi.

Nomadelfia è un fatto di Dio


A Mons. Ottaviani, S. Ufficio

“Ha dato del filo da torcere a me che l’ho in Cristo generata, ne darà molto di
più alla Santa Sede”.

Gainazzo di Guiglia, 29 marzo 1952

Eccellenza Reverendissima,
Secondo me bisogna prendere il coraggio a due mani e capovolgere la
situazione. Premetto: guardi, Eccellenza, che Nomadelfia è un fatto di Dio.
Come sacerdote me ne intendo. Quella è una forza atomica. Ha dato del filo da
torcere a me che l’ho in Cristo generata, ne darà molto di più alla Santa Sede.
Premetto ancora: si ricordi, Eccellenza, che Nomadelfia vince a tutti i prezzi,
rimanendo nella Chiesa perché è parto della Chiesa. Quanto è successo fino ad
ora è un pallido preludio di quanto potrà capitare. Ha visto come è andata a
finire quell’assemblea? Mi hanno portato il magnetofono che la registra. É una
cosa impressionante. Le relazioni scritte sono una sintesi. Ma l’assemblea è
stata un incendio d’amore e di inflessibilità.
Si dichiarano figli del sacerdozio e quindi della Chiesa, si dichiarano decisi a
tutto pur di liberare il mondo da qualsiasi sfumatura di servilismo. Guardi
Eccellenza che sottovalutare quella realtà è cadere in grande disonore ed è
perdere senza meno. ...ut confundant fortia. Amici e nemici sono ciecamente al
loro servizio. ...ludit in orbe terrarum.
Guardi, Eccellenza, che Cristo è dalla loro parte. É evidentissimo. Non
mollano, anzi si aggrappano a Cristo e Cristo si aggrappa ad essi perché
insieme devono sfondare a tutti i prezzi. Chi autorizza la Santa Sede a buttarli
in quella durissima prova? Sono in gioco dei diritti naturali e delle promesse
della fede che sono al di sopra di qualsiasi nostra considerazione. É vero, ad
esempio, che la Santa Sede ha dato mano libera a Scelba? Se è vero è inutile
tentare di smentirla, perché Ego sum veritas. Se non è vero perché non lo
smentisce il Vaticano? Io verrò da V. E. a fare delle proposte.
Guardi, Eccellenza, che Nomadelfia è un fatto inesorabile di Dio, e non ho
nessun timore a dire che Gesù si serve di Nomadelfia per riportare il mondo in
grembo alla sua Chiesa. Tutte cose che non le posso provare ma che hanno già
le loro premesse realizzate e dalle quali si può benissimo profetizzare.

Errori dogmatici?
A Mons. Ottaviani, S. Ufficio

“Non voglio avere dottrine mie, ma solo la dottrina della Chiesa”.

8 aprile 1952 [inviata?]

Eccellenza Reverendissima,
quanto è contenuto in questa lettera rimane solo di carattere personale. Ho da
esporre a V. E. un complesso di fatti che vorrei fossero oggetto della nostra
conversazione:
a) Sia nel decreto comunicatomi il 5.2, sia in modo speciale, nell’ultimo
colloquio, presente anche P. Castellano, si è parlato di errori anche dogmatici.
Io mi sono sempre limitato a sentire quelle affermazioni come fossero notizie
non ufficiali in quanto non si è precisato la fattispecie se non in forma piuttosto
vaga. V. E. capisce benissimo che questo finisce per diventare in me un grave
problema di coscienza. Togliere gli errori dall’anima mi pare una cosa molto
semplice. Basterebbe individuarli con precisione. Come scrissi anche a S. E. il
vescovo di Carpi, io non voglio avere delle dottrine mie, ma solo vivere la
dottrina della Chiesa. Se vivendo ed attuando questa dottrina avessi errato,
sarei stato in buona fede, ma la buona fede deve cessare all’ora del dubbio.
Non conosco in merito i sistemi del S. Ufficio, ma giacché ad esso sono venuto
sotto forma di prevenzione spontanea penso che V. E. sarà in grado di darmi
quei lumi e quei consigli di competenza che mi siano di guida per chiarire tale
equivoco. Se prima dell’incontro con V. E. lei potesse prepararmi una nota
esauriente a tranquillità della mia coscienza, faccia conto di farmi un grande
dono. Anche Lei si è fatto sacerdote per operare il bene.
b) Si è parlato anche di mentalità e cioè di una forma mentis mia che ingenera
sfiducia. Si potrebbe rivedere anche questo aspetto che mi pare urgente per i
suoi riflessi della coscienza mia di sacerdote che praticamente ha solo inteso di
servire la Chiesa secondo il mandato che la medesima affida nella sacra
ordinazione e nello svolgersi disciplinare del ministero.
c) Le mie pubblicazioni sono poche. Tra le zolle - 1939 - I due Regni - 1940 -
La rivoluzione sociale di Cristo - 1945. Ed hanno ottenuto regolare
imprimatur. Scrissi cose interne a Nomadelfia: Alle radici poche copie delle
quali una fu consegnata a mezzo di un Padre Gesuita al S. Padre nel 1944 -
qualche amico fuori di Nomadelfia lo ha avuto, ma quello era solo diretto ai
nomadelfi. Non è mai stato ristampato e credo che sia quasi del tutto esaurita
l’edizione. Lo scrissi nell’ora dell’esilio, tra mille e mille pene. Me lo stampò
un amico durante il trauma dei bombardamenti. Scrissi vari documenti che altri
hanno resi pubblici e dei quali naturalmente si sono assunti la responsabilità
della pubblicazione. In collaborazione con molti amici abbiamo pubblicato
Dopo venti secoli. Più che altro interessava il movimento sociale ben noto al S.
Ufficio. Fu fatto per chiarire le posizioni nostre di fronte al movimento,
incolpati da un mondo di opposizioni che venivano da correnti varie, specie da
parte dei comunisti e dei liberali che nei comizi e nei congressi ci assalivano
tacciandoci di insinceri e di disgregatori dei loro movimenti, secondo loro,
diretti a risolvere a fondo il grave problema sociale. E noi volevamo affrontarli
dimostrando che la Chiesa non era quella che essi vedono e che combattono:
cioè un complesso di difetti umani, ma che essa è sostanzialmente un fermento
tangibile di progresso di vera vita e di libertà. Infatti là dove fu lanciato quel
libretto, le obiezioni venivano fiaccate ed il nostro lavoro diventava più facile
perché si avvicinavano a noi diversi tipi sociali che prima erano diffidenti. Che
quel libretto contenga errori dottrinali non mi consta. Sarà troppo stringato, ma
nessuno mi ha mai obiettato esservi degli errori dottrinali. É rivoluzionario, ma
le rivoluzioni non si fanno con acqua di malva, che, dice la gente, non fa né
male né bene. La proposta sociale al popolo è stata studiata anche costì.
É fallito quel movimento della fraternità umana? É troppo presto per dirlo.
L’urgente necessità di arginare il comunismo ha messo gli anticomunisti in uno
stato febbrile di repressioni. Quali effetti avrà questo fatto? Dio solo lo può
sapere. La repressione è un tirare avanti, ma mette gli animi in grave stato di
disagio. Ho scritto molte lettere al S. Padre, alla Segreteria di Stato, al S.
Ufficio. C’è un precedente che forse spiega molto.
Io sono stato intimo di S. E. Mons. Pranzini, mio vescovo. A lui
confidavo apertamente senza mai paura di essere giudicato male, fin da
giovane, tutte le mie aspirazioni, le mie ire di passaggio, le mie reazioni ai fatti
immediati. Morto lui che per dieci anni era il mio autorevole confidente e
Padre, con il quale mi era possibile qualsiasi acrobazia apostolica, le più strane
cose a fin di bene, ho incontrato V. E. nel 1945, se ben ricorda. Mi parve di
rivedere in Lei Mons. Pranzini, e nel S. Ufficio l’episcopio che mi ammantava
di mille e mille compatimenti, e comprensioni, in un mare di opere apostoliche
spesso terremotate, i cui riflessi pericolosi venivano parati dalla autorità del
vescovo che evitava assalti da parte di confratelli di correnti contrarie. Se
serenamente si vorrà esaminare i fatti c’è da domandarsi: in conclusione,
hanno creato delle soluzioni pratiche e decisive i miei oppositori? Oppure è
stata l’inerzia che ha vinto su la dinamica? Dimostrare che la tesi fondamentale
del libretto Dopo venti secoli sia una tesi errata mi pare molto difficile. La
storia stessa ivi ci porta se vuole convivere con i popoli oramai in evidente
cammino verso forme sociali, oggi quasi tutte settarie, ma sostanzialmente in
cerca di un equilibrio che risponda alle leggi della natura sociale della umanità
nelle quali la Chiesa avrebbe sfogo a tutte le sue realizzazioni di fermento
soprannaturale dirette a portare gli uomini dall’umano al divino. Il S. Padre
invoca un cambiamento di rotta. Ma quando si vuole cambiare rotta bisogna
per lo meno dare un giro d’angolo al timone.
Io credo che tra S. Ufficio e me non c’è stata tutta quella
comprensione che era urgentissima. Che abbia solo errato io mi pare un po'
troppo esagerato. V. E. mi ha detto ultimamente che la stampa mi è contro.
Non mi pare esatto. Ma caso mai questo non sarebbe, secondo me, un cattivo
segno, perché io praticamente non sono d’accordo con la stampa attuale. Dove
sta un solo giornale imparziale o almeno che non sia legato a qualche corrente?
La stessa stampa cattolica è legata a correnti di carattere contingente che le
imprimono un certo particolarismo che la rendono non sempre troppo serena.
In sostanza io non riesco a trovare sulla terra un deciso movimento che abbia
almeno come programma la coerenza alla dottrina sociale della Chiesa, che se
fosse messa in atto, confonderebbe gli stessi comunisti ed anarchici, i quali,
senza avvedersene, sono caduti nell’errore di essere una reazione anziché una
realizzazione serena del grave problema sociale che tutti tormenta fino al
dolore. É inevitabile una contro rivoluzione.
E torno al mio chiodo iniziale, cioè da quando riproposi a V. E.
l’attacco nel 1950: solo i cattolici la possono fare perché essi hanno un tesoro
di dottrine dal quale si può tranquillamente spremere la sostanza della lotta.
Se Dopo venti secoli è errato non saprei dove possa stare il segreto della
controrivoluzione. V. E. si è manifestato tanto buono con me, mi compatisca
ancora e voglia ricevermi per fornirmi quelle considerazioni delle quali
realmente ha sete l’anima mia. Le auguro dal cuore una buona Pasqua, più lieta
di quella che passerò io.
Mi prostro al bacio del S. Anello, Dev.mo Suo don Zeno.

Non sarò mai un eretico


A Mons. Ottaviani, S. Ufficio

Il S. Ufficio dimostri che Dopo venti secoli ha degli errori.

22 aprile 1952

Eccellenza Reverendissima,
Presupposto davanti al Signore e a consolazione del Signore dovrebbe essere
che nelle precisazioni che andremo cercando tra il S. Ufficio e me nessun
timore di insincerità ci metta di fronte. Un fraterno abbraccio ci porti ad essere
più buoni tutti. Quello che domandiamo nel nome di Gesù alle anime che Gesù
stesso ci affida, lo faremo noi. Perché non poniamo una direttiva che è la mia
vocazione: Bisogna cambiare rotta? Io sono su quel piano. Non mi sono mai
spiegato perché il S. Ufficio abbia fermato il libretto Dopo venti secoli. Non si
poteva correggere se in qualche punto non era esatto?
a) Era diretto in modo speciale ad una moltitudine informe e viva di anime che
non accettano il comunismo perché, tra l’altro, è ingiusto e opprimente della
libertà umana. Non accettano la Chiesa perché non riescono a superare
l’ostacolo di aspetti pratici e non dottrinali, che, secondo loro, la rendono
opprimente come il comunismo, mentre ne accettano la morale e forse, se
soddisfatti dal punto di vista della giustizia sociale e della libertà, anche la sua
natura divina. D’altra parte ut videant opera vestra bona. Sono a moltitudini
queste anime alle quali, almeno per generosità nostra, bisogna riconoscere se
non il diritto, almeno l’esigenza di questa coerenza, per muoverle alla fede.
b) Era diretto a colpire i neo-farisei, perché sono di ostacolo al diffondersi
della fede viva e vissuta, perché, tra l’altro, sono ingiusti anche socialmente,
mentre svisano, con il loro contegno, la limpidezza delle leggi fondamentali
della fede.
c) Era diretto a chiarire le due posizioni: la scienza sociale e la fede. Impostata
la prima, la seconda può sprigionarsi in meravigliose e più precise vitalità.
Naturalmente, libera la prima, cioè la società basata sulle leggi naturali (le
quali solo la Chiesa può individuare con molta precisione e segnalare a tutti gli
uomini), la seconda assume carattere elevante dall’umano al divino.
Dopo venti secoli è la filosofia della proposta sociale di Nomadelfia.
Elimina un mondo di preconcetti e di equivoci che sono il primo ostacolo a
proporre una riforma sociale. O si eliminano, oppure è assurdo pensare ad una
riforma sociale, senza cadere in una persecuzione contro la Chiesa. I
comunisti, nelle cellule, non riuscivano a persuadere i compagni contro la
bontà e la praticità della nostra proposta sociale, ma facevano breccia,
asserendo che era uno dei soliti trucchi della Chiesa per riassoggettarli. Tesi
che hanno, con facilità e faciloneria, potuto dimostrare, quando la Santa Sede
si è mossa nei confronti di Nomadelfia. Decreto contro di me; autoritario
provvedimento contro il libretto; proibizione di parlare a Torino, Roma, ecc.
sempre autoritario; tutte cose che a me non sono tornate nuove, ma che, in
quegli avversari, hanno riconfermato la mancanza di libertà; tutte cose che
hanno fatto cadere un attacco che, almeno nelle sue linee fondamentali,
rispondeva alla volontà del Papa, o meglio, alla vera esigenza dei tempi, che il
Papa sente perché sente Dio, che in Lui insiste parecchio. Lo si sente vivissimo
nella tonalità fondamentale dei suoi discorsi.
Se la Chiesa fosse una associazione privata, si potrebbe evitare di
autocriticarla pubblicamente. Ma questo non può essere; è la luce sul moggio,
per cui ogni ombra è vista e deve essere criticata, ma non, anche tacitamente,
giustificata o trascurata. Se si vuole abbattere l’avversario, non c’è altra via che
quella di essere sinceri a riconoscere le proprie cattiverie, i propri errori, che
sono oggetto di scandalo in questo, e che sono anche ostacolo a servire Dio e la
sua Chiesa, che è diretta a non far perire l’avversario, ma farlo vivere e a
convertirlo.
Mi pare che la Chiesa deve accettare la sfida proposta nel libretto
Dopo venti secoli, pena la sommersione in gravissime calamità. Che, poi, i
competenti del S. Ufficio siano capaci di dimostrare che quel libretto ha degli
errori, mi pare molto difficile. Provino. Sarei tanto lieto che lo potessero
dimostrare. Io amo Gesù, quindi la verità; voi amate Gesù, quindi la verità. Su
questo siamo d’accordo. Per questo io non sarò mai un eretico. Proprio Le dico
sinceramente. Sarò burbero e selvatico a farlo, ma per me gli eretici sono dei
deficienti o degli infecondi testardi. Quello che dissi al nunzio apostolico lo
ripeto a voi: Non sono il Papa e nemmeno la Chiesa. Obbedisco, ma sarebbe
molto meglio evitare questi giochetti, che arrestano il bene, perché, di fatto, le
cose rimangono pericolosamente scombussolate, quando, addirittura, non
rovinate. So, grazie a Dio, che la disciplina è un dogma addirittura, senza della
quale è la negazione della Chiesa ed è proprio la disciplina che mi sospinge a
trattare con Voi, fino all’ultimo respiro che Dio mi donerà su questa misera
valle di lacrime.
Il S. Ufficio ha una enorme missione in questo momento storico. La
barca di Pietro è molto vasta, è immensa anche nello spazio. Si può vivere in
essa anche tacendo. L’essenziale è non andare al compromesso con l’errore; di
non cadere in questo equivoco o morale certezza nel Signore, il quale mi ha
sempre sostenuto, anche quando vado a cogliere stelle alpine, su friabili orli di
pericolosissimi precipizi. Vogliamo cambiare rotta? Cominciamo a discutere
la presente lettera. Vorrei chiarire quanto segue:
Tesi - per me il libretto Dopo venti secoli, in atmosfera contro-
rivoluzionaria va bene, errori contro la fede ed il costume mi pare che non ce
ne siano. In esso anche la dottrina sociale della Chiesa è data con esattezza, e
con il grande vantaggio che sono messe in chiaro le due leggi: la società e la
Chiesa, a grande tranquillità delle anime. Nega la veridicità delle altre
religioni.
Presupposto: sono pronto a difendere questa tesi; ma sono disposto
anche a combattere questa tesi, se fosse errata. Mentre, per il passato, la
politica era più un fatto amministrativo della cosa pubblica, che
un’applicazione dottrinale della natura della società umana, oggi è un fatto che
incide su la religione, in quanto vincola le coscienze sui veri problemi della
giustizia, senza attuare la quale si va all’inferno. Se non si pongono chiare sul
tappeto le due posizioni: società e Chiesa, nelle loro fondamentali ragioni di
essere, finiamo per perpetuare un equivoco, che cancella oramai, su zone
vastissime della terra, la presenza libera della Chiesa. A questa chiarificazione
pratica tende il libretto Dopo venti secoli.
Precisazione: tutte le lettere che ho scritto al S. Padre, alla Segreteria
di Stato ed al S. Ufficio, anche attraverso S. E. il nunzio ap., sono discussioni
in famiglia, alle quali non ho inteso dare valore definitivo. Sono state,
piuttosto, affettuoso e ardito frutto della comune angustia di anime (Vostre e
mia) chiamate a rendere conto a Dio del come avremo trattato gli interessi di
Dio nel consorzio umano e nella Chiesa, ut vitam habeant...
Con amore filiale mi prostro ecc.

Non credo più al clero


A don Vincenzo

“Al S. Ufficio sono stato trattato con molta bontà, che per me è cattiveria
secolare: è un altro mondo.”.

15 maggio 1952

Caro Don Vincenzo,


Ho letto la tua lettera. Tutto l’accaduto fino ad oggi ha finito per scalfire
nell’anima mia una profonda amarezza. E’ vero che quanto provavo di dolore
alla incomprensione del clero al tempo dell’Opera Realina si è di nuovo
confermato dopo venti e più anni di sacerdozio; al quale sono venuto sospinto
dalla ispirazione di dare alla Chiesa la viva sensazione di ciò che è l’animus
popolare che ha dei pregi sconosciuti al clero.
Sono fallito una seconda volta.
Temo che il ragionamento che il Consiglio di Nomadelfia ha fatto al P.
Castellano sia quello di Sansone: “muoia Sansone…”
Al S. Ufficio io sono stato trattato con molta bontà, ma una bontà che per me è
cattiveria secolare: è un altro mondo. Non hanno capito niente. Buttare in
polemica un atto d’Amore così vivo è semplicemente crudele. Io sto tentando
un colpo d’ala per capovolgere la situazione finanziaria, parare un fatto che
disonora la Chiesa; perché la Santa Sede ci mette nelle mani del così detto
braccio secolare. Temo che non riuscirò. Tuttavia nulla rimanga intentato.
Trattando con loro mi sembrava di assistere alla favola del lupo e dell’agnello.
Ti basti questo.
Grazie a Dio, tutto questo non ha diminuito il mio amore per la Chiesa, anzi...
Sono entrato in uno stato d’animo che è una sintesi dolorosissima.
Non credo più al clero. Timeo... et dona ferentes. Ad un certo momento non sa
amare e si drizza come inesorabile giudice. Anime bellissime, squisite,
vengono rovinate, alterate fino a non avere più un cuore, se non teologico. Se i
miei figli sono come me avranno la stessa sorte: dispersi, falliti in un lago di
lacrime; e si fermasse qui.
Il compromesso è la prassi del clero, torturatore, in questo senso, della sua
Chiesa. Non sa fare diversamente. E quando fa diversamente, purtroppo fa la
più grossa: butta la veste. Quanto male ci scambiamo tra noi sacerdoti, nella
santa e retta intenzione di comunicarci il Bene! E ne va di mezzo il dovuto
amore al popolo. Ho sentito il vero palpito delle folle, ho dato un babbo, una
mamma, un fratello all’innocente costernato dalla mancanza d’amore. Passo
sulla terra come uno mendicante l’Amore; quasi quasi nella tentazione santa di
esclamare: cupio dissolvi et esse cum Christo.
Anche se la Santa Sede mi chiamasse per trattare l’affare del ritorno non
discenderò al compromesso. Ho ben altro da pensare e da superare nella
zampata che si è data a Nomadelfia. Oramai le vittime innocenti sono
costernate, ho centinaia di lettere che sono un dolore incolmabile. Questa non è
una imminente tragedia, lo è già stata, alla quale nulla vale per riparare se non
un rivolo del sangue del Golgota.

Prega con me. Tuo D. Zeno. Ci vedremo presto, spero.

Roma: fortezza da abbattere


A don Vincenzo

“La Santa Sede è mondana ed avulsa dalle sofferenze degli oppressi e quindi
non capisce queste cose se non in teoria, mentre in pratica reprime, rimanda,
uccidendo spietatamente”.
24 maggio 1952

Caro Don Vincenzo,


E’ bene che in questi giorni tu sia al corrente di queste mie angustie.
Se il S. Padre non accetterà il mio ritorno tra i miei figli io rimarrò egualmente
padre per causa dei vincoli naturali che ci legano; quindi avremo lo
scioglimento di Nomadelfia e della comunità. Caso mai rimarranno i non figli,
quelli che in Nomadelfia non hanno sentita e vista una famiglia, ma una
istituzione pubblica.
Il problema dunque si è ridotto all’osso. Disperso il padre, dispersi i figli. Uno
per tutti, tutti per uno. Ecco come il Signore ha condotto le cose ...come io e te
siamo una cosa sola, così siano essi... Chi vede me vede anche il padre mio.
L’autorità ecclesiastica quindi non farà altro che proibire l’unum: in externis,
per ragioni di contingenza, cosa che può fare essendo nella normalità dei suoi
diritti. Summum jus, summa iniuria. Potrà anche proibire che in seguito io
abbia contatti con i figli. É nel suo diritto fino al limite dell’extrema
necessitate. Ed io obbedirò dicendo: summum jus, summa iniuria.
L’autorità ecclesiastica quando fa processi sugli uomini che sono ortodossi per
dottrina e per costume non è infallibile. Judicat in externis.
Se il riconoscere ai sacerdoti la reale paternità e fraternità su anime
determinate può essere un cambiamento di rotta nella concezione tradizionale
del clero, è nella facoltà del Papa decidere. Se non lo fa non c’è nessun motivo
per ribellarsi, solo, la Chiesa, per causa di quella tradizione diventa
opprimente, ma dura lex, sed lex.
Vi condanneranno nel mio nome, oppressi, quindi, e condannati nel suo nome.
O mangiare questa minestra o saltare dalla finestra: questo è stato il tenore
del decreto del S. Ufficio del 5.2 scorso. Io ho ubbidito perché non potevo
accettare di saltare dalla finestra. Una specie di brigantaggio: o la vita o il
portafoglio. Naturalmente ho risposto: prendetevi il portafoglio, tanto se mi
uccidete lo prendereste lo stesso. Questo è stato il mio atto di ubbidienza tanto
esaltato da chi non capisce niente.
Io penso quindi che i santi di domani cercheranno l’umiltà di prendere i posti
di comando nella Chiesa. Molto meglio che farsi vittime nella rinuncia a dare
l’assalto.
L’autorità ecclesiastica, che per sua natura è teocratica e non democratica,
quindi assolutista, deve essere tale da non poter accettare come regola le
lacune ed i compromessi dei gregari. Il Papa, nel caso di Nomadelfia, potrebbe
salvare tutto; non lo farà? Summum jus summa iniuria.
La Santa Sede nel suo costume è mondana ed è avulsa dalle sofferenze dei
fedeli oppressi, e quindi non capisce queste cose se non in teoria, mentre in
pratica per ragioni di opportunità (i tempi non sono maturi si dice), reprime,
rimanda, uccidendo spietatamente. Pochi uomini nella storia della Chiesa
hanno puntato su Roma, ma quella e solo quella deve essere la fortezza da
abbattere essendo tenuti prigionieri della mondanità causando tutte le sconfitte
dei cattolici e smorzando la vivezza e l’efficacia delle opere nascenti. Infatti gli
ordini religiosi impallidiscono perché l’ubbidienza si sposta dal correre alle
riforme al cedere al quietismo eccetera. Sono appunto gli aspetti mostruosi
accidentali di Roma che reggono la Chiesa in movimento, pure conservando
come tesoro nell’arca le Eterne Dottrine.
Esci dalla Chiesa? Esci dalla vita. Vivi nella Chiesa? Devi accettare e stare
agli ordini di quella mondanità. Non ci vuoi stare? Allora taci. Vuoi fare questi
ragionamenti in pubblico? Sei sospetto di eresia. Infatti neghi alla Chiesa
docente il diritto di... reggere la Chiesa di Dio secondo le disposizioni di Dio.
É vero, non puoi farlo. Quando si chiama gloria mundi la carica del Papa, tutto
è spiegabile. Nessuno di noi fratelli si è sognato di dire sulla salma del babbo o
della mamma: sic transit gloria mundi. Io, oramai sono vecchio, ma credo che
è opera più grande tormentare Roma che affannarsi a medicare qualche sua
vittima essendo queste a milioni e milioni. E mentre sei chinato sulla vittima,
quelli ti vibrano una ben misurata pugnalata, aggiungendo, come fece il
Nunzio il 5 febbraio: come vede, la Santa Sede è stata molto benigna. Grazie
tanto. Diceva bene quell’Arcivescovo: sono dei guastatori. Da questo punto di
vista sono il nostro nemico numero uno. Che fatalmente Roma debba essere il
Sinedrio mi pare un vero e mostruoso assurdo. Che noi ci acquietiamo ad
accettarlo è una correità imperdonabile, un tradimento al nostro, personale ed
indelebile sacerdozio.
Pensaci e non muoverti se non con quella prudenza che non abbiamo.
Tuo

Tacendo e piangendo
A Mons. Ottaviani, S. Ufficio

“Il decreto del card. di Milano è un colpo mortale al Comitato Milanese di


Nomadelfia”.

6 Roma, 28 maggio 1952

Eccellenza Reverendissima,
Sono venuto a Roma con D. Marchi per trattare con un avvocato cose urgenti
amministrative. Il decreto di S. Em. il card. di Milano [Cf L’Italia, 27.5.1952],
di fatto, si risolve in un deciso colpo mortale sul Comitato Milanese di
Nomadelfia. Non ho nessuna notizia del come sia stato preso a Nomadelfia.
Penso che chineranno il capo, addolorati e pensosi. Come del resto ho fatto
anch’io. Quel decreto offende e va oltre il necessario per essere giustificato. Io
non so fare altro che accettarlo tacendo e piangendo. Dirò, con S. Em.: che il
Signore ci benedica tutti. É perfettamente fuori luogo pensare in questo
momento di andare in America, le mie responsabilità economiche mi
impongono di trattare con creditori ed avvocati al fine di non creare dei dolori
nuovi per causa di non assistenza allo svolgersi delle conseguenze finanziarie.
Poi, fatto questo, vuol dire che quello che non possono fare gli uomini sarà
nelle sole mani di Dio. Sia fatta la sua volontà.
Se avrà bisogno di me abbia la bontà di avvisarmi attraverso S. E. il vescovo di
Carpi. Mi troverà più comprensivo di quanto non possa pensare. Si ricordi
anche di me e di quanti con me hanno collaborato nel voler fare del bene,
specialmente quando prega.
Mi prostro ecc.

Abbiamo fatto soffrire la Santa Sede


A Mons. Ottaviani, S. Ufficio

“Abbiamo commessi molti sbagli; altri ne hanno commesso nei nostri


confronti. Ma siamo tutti seguaci di Gesù, nella sua santa Chiesa”.

Roma, 29 maggio 1952

Eccellenza Reverendissima,
Mi permetto scrivere a V. E. personalmente le seguenti considerazioni e
proposte, nella certezza che vorrà esaminarle e se del caso valersene per
compiere un’opera paterna nei miei confronti e nei confronti dei nomadelfi. Da
tutta la caotica esplosione di animi tormentati dalla santa passione (dico santa
almeno nelle intenzioni) di realizzare Cristo in una nuova vita sociale solo
cattolica a santificazione delle anime che ne fanno e ne faranno parte e ad
edificazione dei non cattolici o anche dei cattolici non comunitari non solo, ma
non ardenti per l’amore verso il prossimo sono nati gravi equivoci in un
corrispettivo caos di interpretazioni. Per la stessa ragione anche il
provvedimento di S. Em. il card. di Milano è criticabile ed inesatto sotto molti
punti di vista. Praticamente non ci si intende perché si tratta di un mondo
nuovo che vuole nascere nella Chiesa e solo della Chiesa. E proprio per la
ragione del sine me nihil potestis facere, quel comunitarismo ha bisogno del
suo sacerdozio che gli doni la certezza della comunicazione dei beni che la
Chiesa dona al mondo attraverso il sacerdozio. Per essi questa è vocazione se
Nomadelfia è cosa di Dio. Che poi vedano in me il padre-sacerdote che ad essi
porta il loro sacerdozio nella sicura e chiara ubbidienza alla Chiesa è esatto,
non perché essi teologizzino ma perché sono come tralci di un ramo della Vite
che io ad essi rappresento e che sentono nell’anima.
Hanno posto un termine proprio perché non sono più capaci di convivere, si
sentono come senza una linfa che io ad essi trasmettevo assimilata per essi.
Non temo Eccellenza di peccare di presunzione se dico queste cose di me, la
sento e la vedo come la mia vocazione. Coincide con le dichiarazioni fatte dal
Consiglio al Padre Castellano.
Io lo so, sono stati sinceri; e se interpella tutta la popolazione vedrà
che, a differenza dei novellini e degli ospitati non come aspiranti cittadini, ma
come sventurati accolti in via provvisoria, quasi tutti finirebbero per dire la
stessa cosa. Non è personalismo, è stato il Signore a legarci così, benedetti ed
incoraggiati, anzi difesi eroicamente dal compianto Mons. G. Pranzini, poi dai
successivi vescovi. Abbiamo certamente commessi molti sbagli nel corso delle
nostre incessanti lotte; altri hanno commesso degli sbagli nei nostri confronti.
Ma siamo tutti seguaci di Gesù, nella sua santa Chiesa, dove il perdono, il
compatimento reciproco, la redenzione dallo stesso peccato sono legge e virtù.
É una cosa tanto nuova che facilmente può essere occasione di necessarie e
anche sanguinanti esperienze.
Anche la questione della pietà che tanto scalpore ha fatto e che forse
è stata una delle ragioni che hanno mosso il S. Ufficio ad addivenire a
conclusioni così gravi, va studiata molto. Noi stessi sacerdoti eravamo molto
incerti perché ci sentivamo chiamati ad una vita del tutto diversa di quella alla
quale eravamo stati educati. Tutte cose che si potevano meglio studiare con i
superiori nel santo intento di indovinare la reale volontà del Signore in quel
mondo in cui il costume deve finire per essere fedelissimo alle direttive della
S. Madre Chiesa, anzi un tangibile esempio di vita di popolo del tutto
emanazione dei presupposti del cattolicesimo, così detto integrale.
Scrissi una volta a S. E. il nunzio ap., segnalandogli che Nomadelfia,
di fatto, è ancora come il girino, destinato ad avere da adulto ben altra forma.
Io mi esprimevo così perché non sapevo e non so esprimermi meglio, donde è
facile che sia preso come un vago sognatore. E quanti errori dico
nell’esprimermi. É tanto difficile dire cose che si delineano nell’anima e che
devono passare sotto il crogiolo dell’esperimentazione e del consolidamento.
Non voglio scusarmi, Eccellenza, voglio solo salvare l’amore al
Signore ed offrirgli ciò che domanda a me ed ai nomadelfi per vivere la nostra
vita completamente e devotamente offerta per la maggiore sua gloria, per il
trionfo della S. Madre Chiesa salvando in quel modo l’anima nostra. É una
vocazione, Eccellenza, che invoca compatimento, comprensione, perdono
anche presso codesta Suprema Congregazione, non per inveterare i difetti ma
per correre con maggiore fiducia alla realizzazione del nostro sogno nella fede.
Abbiamo fatto soffrire la Santa Sede; ma quanto abbiamo sofferto anche noi!
Nomadelfia è una cosa che per sua natura esige che l’Autorità per chissà
quanto tempo la tratti sotto la luce non sempre del diritto positivo in vigore, ma
spesse volte de iure condendo, sotto la responsabilità di persona delegata ad
hoc da parte delle autorità competenti in materia.
Perdoni, Eccellenza se mi permetto di dirLe qualche proposta che
potrebbe meritare di essere presa in considerazione, non fosse altro perché
gliela espone chi ha dato tutto se stesso per Nomadelfia. In risposta al
Consiglio non si potrebbe mandare me ed un visitatore apostolico che con me
proponga ai nomadelfi di provare insieme a realizzare il Bene che essi con me
intendono di fare, e provare nella piena collaborazione con il visitatore, il quale
dovrebbe stare sul posto nella massima paterna famigliarità, non come giudice,
ma come autorevole collaboratore che concederà a noi di fare quello che a Lui
sarà concesso dalla Santa Sede? Nuova Nomadelfia, nuovo lo spirito ed il
sistema per legarla alla comune Madre. Gli diventeremmo tutti molto
confidenti e da quella confidenza nascerà la soluzione.
Ho sempre inteso di rappresentare la S. Madre Chiesa nel curare
quell’opera che il Signore mi affidava nella santa ubbidienza ai superiori. Ma è
una cosa così vasta che solo se sarà strettamente legata alle supreme autorità
nel suo sviluppo potrà continuare la sua esistenza sennò è prevedibile lo
sfacelo del tutto indipendentemente dai più santi propositi delle persone. Creda
Eccellenza, non è una irriverente imposizione quanto il Consiglio ha esposto al
P. Castellano, è una realtà più o meno male espressa. Ma su questi gravi
argomenti, tanto essi quanto io siamo dei bambini perché Nomadelfia è
bambina. E certi atteggiamenti o ragionamenti nostri non sono sempre frutto di
cattiveria, ma piuttosto inadeguati ad una realtà che è ancora embrionale. Si
sente nell’anima questa spinta verso una vita nuova, e spesse volte corre più la
fantasia che le gambe. Io sono tanto fiducioso che il Signore ascolterà questa
mia preghiera che gli faccio attraverso V. E.: proviamo.
Mi ha telefonato ieri sera Dario dicendomi che sono rimasti
addolorati per causa del provvedimento di S. Em. il card. di Milano. Queste
povere anime sono sotto una prova durissima. Io avevo preparato un
appartamentino per S. E. il nunzio ap. Speravo che venisse; invece tutto andò
per il peggio. Un simile avvenimento, cioè quanto propongo, sarebbe per i
nomadelfi una resurrezione addirittura; rivedrebbero riaprirsi la via al loro
Sogno. Faccia la Suprema Congregazione questo esperimento, chissà quanto
bene ne deriverà alle anime ed alla S. Madre Chiesa. Mi perdoni Eccellenza se
ancora una volta busso alla porta del suo cuore sacerdotale, mi sospinge
l’amore. Un eventuale rifiuto al Consiglio di Nomadelfia prevedo che sarà la
totale dispersione della nascente città. Nulla fa sperare diversamente. Gli
uomini vedranno il fatto come meglio potranno o vorranno, ma poi le realtà
saranno eloquenti ed avranno il linguaggio di Dio. Quanto alla questione
finanziaria la divina provvidenza provvederà assecondando il nostro sforzo di
realizzare a tutti i prezzi la volontà del divino fondatore della Chiesa che
malamente serviamo ma sempre da figli affezionati. Cercheremo di fare, come
vuole V. E. il Bene bene. E V. E. ci aiuterà a fare così. Esperimento che,
secondo me, dovrebbe durare moltissimo tempo prima che Nomadelfia possa
camminare da sola. Ci vuole un visitatore che abbia tempo e che si dedichi con
plasticità e competenza. Se tutto questo non fosse nei piani del Signore? Sia
fatta la sua santa volontà.
Mi prostro ecc.

La Santa Sede è un orrore di mondanità


A Gesù Cristo, meditazione

“La Santa Sede ha commesso dei crimini”.

Mio caro Gesù,


arrivare a Te è necessaria tutta una purificazione della vita, in tutte le sue
sfumature. Ti ho seguito nel dare alla Chiesa un nuovo fermento di
applicazione del tuo vangelo. Essa ancora lo ripudia.
Per quali motivi? Nomadelfia è una rivoluzione. Pare proprio che in questi
giorni passi nella fase più delicata: la persecuzione, quindi la dispersione.
Sono entrati in casa nostra da padroni, senza delicatezza alcuna, con
l’imbroglio; ed hanno commesso dei veri crimini contro l’innocenza e contro
anime a Te dedite.
Strappano con la violenza il padre, mi hanno ridotto un vagabondo; hanno
strappato i sacerdoti che Tu avevi portati in casa nostra come figli, stanno per
disperdere i figli, le famiglie intere.
Sono una tempesta.
La Santa Sede è un orrore di mondanità per questo commette simili misfatti.
Tenta di domarmi per ridurmi ad essere un ibrido borghese avulso dalla vita
dei fratelli ai quali vuole ch’io vada a predicare quello che il clero ed i vescovi
non fanno. E vorrebbe fare della mia vita una ammirevole eccezione e non
lasciarmi uno tra i milioni dei tuoi figli oppressi e sfruttati da loro stessi, che
vogliono essere una casta.

Non ce la faccio
A Mons. Dalla Zuanna

“Il Signore ci illumini tutti a non commettere la grave colpa o peccato di


ributtare in mani manigolde i fanciulli”

Milano, 20 giugno 1952

Ieri l’altro sera sono andato a udienza unitamente all’avv. Giovanni, mio
fratello, e Dario da S. E. il prefetto di Modena.
I - Situazione debitoria della ex Città di Nomadelfia.
a) S. E. il prefetto ha assicurato che il Governo non interverrà con nessun
contributo e nemmeno prenderà parte della commissione liquidatrice.
b) Noi gli abbiamo esposto un piano studiato con alcuni giuristi, piano che egli
ha apprezzato. Stiamo formando una commissione liquidatrice.
II - Sistemazione degli ex Nomadelfi.
Anche per questo ha dichiarato che non gli sono stati concessi fondi, per cui si
adopererà nel modo migliore ad evitare mali maggiori, ma fondi non ne ha. Gli
abbiamo dichiarato che non c’è nessuna possibilità di aiuti da parte dei
Comitati, Milano compreso, perché si sono sciolti. Riconobbe la gravità della
cosa perché praticamente sono tutti su l’orlo della denutrizione. Molti tra essi
sono malati o in condizioni pericolanti di ammalarsi. Io ho cercato di aiutarli,
ma non ce la faccio.
Il Signore ci illumini tutti soprattutto a non commettere la grave colpa o
peccato di ributtare in mani manigolde giovani e fanciulli che, se tornassero nei
loro ambienti di origine, tristi sorti anche morali li attenderebbero. Sono venuto
a Milano per diverse cose sempre in ordine a quanto detto. I ricchi in questi
giorni sono molto presi a preparare le valigie per andare ai monti ed al mare.
Ricostruire Nomadelfia in Brasile?
A padre Arnou SJ

“I figli sono pronti a seguirmi, ma rimanga fermo che io sono padre ed essi
figli”.

Modena, 20 giugno 1952

Ieri l’altro fui chiamato a Milano dal Rev. P. Casella.


Mi ha proposto di ricostruire Nomadelfia nel Brasile. Ma io non posso farlo
perché la Suprema Congregazione del S. Ufficio ha negato al Consiglio
direttivo di Nomadelfia il mio ritorno come padre tra i miei figli. Fu in seguito
a quella lettera che si è autosciolta la città. Si può dire che la ex Nomadelfia è
in un lago di dolore. Io poi personalmente sono nell’anima come un sepolto
vivo, tra mille e mille ingiurie che mi hanno provocato una amarezza da
Getsemani. Il 5.2 u.s. ho ubbidito per forza maggiore, perché non c’era altra
via se non quella di ubbidire ciecamente e contro ogni mia conoscenza della
causa, in quanto si poteva benissimo, a mio giudizio, metterci d’accordo. Come
riunirci? Secondo me, solo il S. Padre può farlo.
Se la Compagnia di Gesù accetta la mia collaborazione io Le offro ben di
cuore ogni energia; i miei figli sono pronti a seguirmi, ma rimanga fermo che
io sono padre ed essi figli, non perché vogliamo esserli dal solo cervello, ma
perché lo siamo di fatto. Donde è nata, donde si è sciolta, donde si può rifare
Nomadelfia. Calunnia sarebbe dire che questa è una ribellione. Non possiamo
fare delle cose che sono di natura diversa di quello che siamo. Forse siamo una
nuova società che nasce nella società umana, ma in grembo alla Chiesa; forse
siamo un nuovo monachesimo, forse siamo un semplice grido d’amore sociale-
cattolico che si disperde tra la ridda dei disordini del secolo. Per parte nostra
sappiamo che fino a questo momento ci siamo veramente amati l'uno per l'altro
e che io sono stato padre e gli altri figli: una grande e tormentatissima serena
famiglia della Chiesa.

Donare alla Chiesa una comunità sociale


A Mons. Ottaviani, S. Ufficio

“Nomadelfia è molto bambina e quando la Santa Sede la accarezza o la


percuote deve stare attenta di non pesare troppo sulle sue tenere carni”.

29 giugno 1952

Eccellenza Reverendissima,
Quando mi ha telefonato il Rev.mo P. Casella SJ non mi sorprese la sua
proposta. Pensavo infatti che il Signore avrebbe tratto da tutte le pene di questi
ultimi mesi una nuova e più ardua missione per me e per i miei figli. Mi pare
che il Signore mai più voglia che si spenga sulla terra una vocazione come la
nostra. Questo è un mio giudizio mistico che mi pare molto fondato.
Questi venti anni di strane vicende hanno portato alla formazione di uno stuolo
di anime pronte a seguirmi dovunque pur di realizzare quell’amore a Cristo,
alla Chiesa, al popolo. Donare alla Chiesa una comunità sociale che viva solo
la legge del Signore, pronta a darsi a tutte le lotte alle quali la Chiesa la
chiamerà. Lungo è il cammino, ed io penso che il resto della mia vita dovrei
consumarlo nella completa dedizione alla comunità per curarne anche le più
sottili sfumature di spiritualità. É talmente di grave importanza il sorgere di
questa vocazione sociale nella Chiesa che spero di potere ottenere di dipendere
direttamente dalla Santa Sede che per il momento potrebbe nominare un
Osservatore tra i Rev.di Padri della Compagnia di Gesù pure tenendo
completamente autonoma Nomadelfia dalla Compagnia, ma l’Osservatore
fosse in rappresentanza della Santa Sede. Le linee di massima che allego sono,
secondo me, il naturale evolversi della comunità.
Nomadelfia va ridotta alle linee più semplici possibili perché diventi
facilmente assimilabile dal popolo, nella quale dovrà vedere non solo una cosa
ammirabile, ma imitabile senza alterazioni della semplicità della vita che la
Chiesa esige da tutti per la santificazione dell’anima. Ogni virtù che la S.
Madre Chiesa domanda al popolo quale condizione di santificazione deve
essere vissuta in Nomadelfia nelle forme più semplici ed eloquenti come
costume.
La stampa di sinistra, la stampa liberale e la stampa protestante le hanno
tentate tutte per voler dimostrare che io sono un ingenuo a credere che si possa
realizzare nella Chiesa una simile comunità. E le hanno tentate ora
denigrandomi, ora esaltandomi. Con la quale mai ho accettato di entrare in
polemica. Devono vedere le opere, poi ci perseguiteranno a morte, perché una
Nomadelfia anche piccola, ma esatta nelle sue realizzazioni li umilierà e li
svuoterà con i fatti da tutte le loro chiacchiere. La Santa Sede, a mio parere, ha
urgente bisogno di una grande Nomadelfia. E Nomadelfia non potrà avere il
suo sviluppo senza essere intima con la Santa Sede. É molto bambina
Nomadelfia, e quando la Santa Sede la accarezza o la percuote deve stare
attenta di non pesare troppo sulle sue tenere carni. É opinione di molti che la
Suprema Congregazione del S. Ufficio è stata crudele con Nomadelfia, ma in
realtà il Signore ha fatto a suo modo contro ogni previsione degli uomini.
Quando la mamma entra in campo per intervenire nelle lotte tra i figli è facile
che chi assiste si commuova in favore dei figli, ma se i figli si ribellassero alla
mamma, allora ne rimarrebbe addolorato o disgustato.
La Chiesa è la santa famiglia, e Gesù la conduce ai trionfi anche attraverso
questi grandi esempi di terremotata umiltà da parte della Madre e da parte dei
figli. Lo strano è che io mi sento più di casa al S. Ufficio che presso le altre
sacre congregazioni. Sarà una vocazione bizzarra, ma ci deve essere sotto
qualcosa di Dio che sfugge al nostro controllo. In verità posso dire che il S.
Ufficio è stato molto paziente con me e che pure maneggiando le sue terribili
armi è stato divino. L’ho scritto diverse volte al S. Ufficio: nessuno al mondo è
capace di distruggere Nomadelfia, meno ancora la Santa Sede perché
Nomadelfia è sua figlia che è nata molto rumorosa ed irrequieta, ma
affezionatissima alla Madre. Nomadelfia è ancora quasi tutto mallo; quindi
dura ed amara, ma dentro, ancora come fluido latteo, si sviluppa la noce. Cadrà
il mallo, poi la Chiesa offrirà al mondo quel ben corazzato e generoso frutto,
assimilabile e nutriente. É una vocazione apparentemente bizzarra, bizzarra per
chi vede la Chiesa statica anziché dinamica, ma è una vocazione che si
sviluppa dalle viscere del tribunale più potente che esista sulla terra, che sa
tuonare i fulmini del cielo.
Dica Eccellenza carissima, alla Suprema Congregazione del S. Ufficio che
abbia pietà di loro, costasse qualunque prezzo.
Gesù le sarà riconoscente in eterno, mi creda per pietà!

La Chiesa non è una meretrice


A Mons. Ottaviani, S. Ufficio

“Viaggio con i figli sulla barca di Pietro, prontissimo alle più ardite imprese e
prontissimo a sedermi come semplice passeggero”.

Genova, 7 agosto 1952

Eccellenza Reverendissima,
Non posso, non so truccare il modo che deve portarmi ad un fine chiaro. Che il
S. Padre, la Santa Sede abbiano più o meno fiducia in me non sarebbe grave, se
fosse un giudizio derivante da cose non riuscite, ma che non incidesse
nell’esercizio del mio sacerdozio.

Che la politica, che i nemici della Chiesa, che le correnti cattoliche borghesi mi
siano nemici non mi preoccupa. Io ho vissuto 52 anni sospinto sempre a
cercare e realizzare l’amore fraterno in Cristo, severamente nella formula l’uno
per l’altro in tutto e per tutto, donde le realizzazioni in corso sotto forma della
nascente Nomadelfia, già duramente provata, nonostante sia ancora in fasce.
Non ho nulla da rimproverare a Nomadelfia se non la mancata fraterna
collaborazione anche economica dei miei confratelli di sacerdozio e dei fedeli
che con le loro insistenze e promesse ci hanno oberati di figli e che poi sono
passati a critiche e a ingiurie costringendoci al silenzio, mentre avremmo molto
da sfoderare dei loro guai.

Gli inconvenienti anche di casi immorali avvenuti in Nomadelfia sono cose


inevitabili là dove si affronta sul serio la redenzione degli uomini. Chi mai in
Nomadelfia si è sognato di giustificare i difetti? Io no certamente, pure
sopportandoli come incidenti del duro apostolato. Anche il movimento sociale
approvato in via riservata dal S. Ufficio forse che è fallito solo per colpa
nostra? Ma allora se si pretende che gli uomini che buttano la vita a donare alla
Chiesa uno slancio di apostolato siano subito colpiti non appena si trovano in
difficoltà od in difetto che essi stessi riprovano sempre mantenendo l’ardore di
correggere e di camminare è assurdo mettersi al lavoro perché si è certi di
fallire in partenza.

Il bene si fa bene quando si mette in bilancio preventivo anche la eventualità di


incidenti, di errori e la ferma volontà di riparare ad essi nella legge del perdono
e della redenzione. É grettezza pensare diversamente ed è ragione di inerzia e
di fallimento della vita.
Se nella storia che avanza il cattolicesimo volesse pretendere di
essere quello che è oggi nella vita pratica, finiremmo per non riconoscere più
la sua divina missione tra gli uomini. Per parte mia accetterei mai di essere
complice di queste disastrose deviazioni; chè il collaborare è follia. Si deve
applicare il Mandatum Novum e la giustizia che ne deriva, e non venire a patti
con coloro che rifiutano questa doverosa linea di apostolato. La Chiesa ha
diritto di essere difesa su questo piano, se no viene falsata all’occhio di quanti
hanno diritto di incontrarla e di abbracciarla. Se io e i miei figli amiamo la
Chiesa è solo perché la viviamo, sia pure indegnamente, su questo piano. Che
nella Chiesa vi siano a milioni anime sante, generosissime è un fatto; ma
perché queste non la devono vincere su tutti i farisei che pretendono di essere
loro la tonalità della Chiesa? É Roma che è debole o che ha paura di questa
gente. Basterebbe leggere un ultimo discorso del S. Padre diretto ad un
congresso sociale dei francesi per non accettare quella acquiescenza nel campo
delle realizzazioni.

Scendere in piazza a dire che i padroni sono dei pidocchi è una


carezza in confronto del loro schiavistico modo di comportarsi. Bisogna
buttarli fuori dal tempio di Cristo, come ha fatto Cristo, perché sono zavorra
che per colpa nostra si illude di adempiere ad una missione in quel modo.
Quando saranno sbattuti fuori da preti non borghesi allora si volteranno
indietro a protestare; e molti ritorneranno al Tempio facendo la dovuta
penitenza di contabilità e di giustizia fraterna. Ci sono tanti modi per fare ad
essi questo servizio! Tra i quali anche quello di minarli alle fondamenta con
una grande Nomadelfia che per causa delle sue realizzazioni li mostrerà per
quello che sono di fatto: delle sanguisughe e dei ladri. Forse che la Chiesa ha
bisogno di essere rispettata ed ossequiata da quella gente? Gesù è entrato in
casa di Zaccheo, ma conti alla mano. Forse che la Chiesa ha bisogno di essere
difesa contro i comunisti da quella gente? Illusione fatale sarebbe ed è questa.
Prima: state buoni e siate prudenti perché guai se sente il Duce. Adesso: state
buoni e siate prudenti perché se sente Togliatti, faremmo il suo gioco.

Ma allora dobbiamo sempre vivere da conigli? Se Gesù avesse avuto


di queste prudenze non si sarebbe meritato la gloria della croce, perché
nessuno avrebbe pensato di punire chi non lo avesse smascherato nei suoi reati.

Seguaci di quella Lingua. Seguaci di quel Cuore. Seguaci di


quell’Eroe. Seguaci di quel Libero. Seguaci di quel Vincitore.

Ma insomma non possiamo essere correi di quei filibustieri per non


essere aggrediti dai loro competitori. Noi siamo la Chiesa e come tali non
abbiamo paura di nessuno, avendo invece il preciso dovere di dimostrare che
siamo suoi discepoli, donde crederanno e gli uni e gli altri. Questo dobbiamo
affermare noi cattolici in questa ora nella quale tutto il mondo cerca disperato
ed armato la verità.
Si dice da sacerdoti e da laici bene informati: Sa, bisogna tacere
certe cose, bisogna passarci sopra perché c’è da salvare la Chiesa. Che
imbecilli! Sarebbe come dire che la messe si salva chiudendola nella buia
cantina, dopo di che né si macinerà né si riseminerà. Questa è la storia dei
talenti. Siamo al terzo servo se si va di questo passo.

Quante balle dicono certi giornali cattolici, e quante puerilità da Don


Abbondio dicono certi opuscoletti e foglietti parrocchiali in materia di
sociologia e quante idiozie ad esaltazione anziché a condanna dei borghesi e
dei comunisti. Ma se verrà Stalin (tutto può darsi) quanti metteranno il
fazzoletto rosso svolazzante al collo e diranno: Oramai è il partito nazionale.
Così si disse del fascismo e fu dichiarata la compatibilità delle due nature: la
cattolica e la fascista. Solo che alla Camera finalmente un deputato fascista
ebbe il coraggio civile di affermare che se vogliamo risalire le sorgenti del
cattolicesimo e del fascismo è evidente che siamo agli antipodi, e intanto i
gagliardetti sventolavano benedetti nelle grandi cattedrali. Stiano fuori o si dia
fuoco al tempio.

La Chiesa non è una meretrice. Cinquemila messe per un Peron, la


premurosa e strisciante adesione delle chiese cattoliche dell’Egitto a Naguib,
essendo scaduta quella a Faruk, saranno belle cose, ma in fondo sono
ripugnanti, c’è ben altro da fare. Non sarebbe male seguire Gesù un po' più da
vicino anche in queste faccende.

Se è un errore dire: Libera Chiesa in libero stato non sarà meno


errore ridurre la Chiesa schiava in libero stato. E giacché ciascuno di noi deve
rivestirsi della Chiesa come di Cristo, per parte mia non me la sento di ferire la
mia dovuta personalità con dei compromessi avvilenti e negativi. Così faranno
i miei figli per essere i miei figli. Ubbidire sempre alla Chiesa, ubbidire allo
stato quando non è offesa alla Chiesa, quindi alla coscienza cattolica.

Sono stato vice sindaco di Mirandola per otto mesi. Non ho mai
voluto limitarmi alle stupide leggi che avvilivano i poveri. Era proibito fare
buoni di medicine speciali per i poveri, ed io ne facevo sempre, nonostante le
liti che poi nascevano in sede di Consiglio. Quando sono entrati in più grette
legalità, mi sono dimesso e con questo ho inteso servire fedelmente la Chiesa.

Io viaggio con i miei figli sulla barca di Pietro, prontissimo a darmi


alle più ardite imprese, prontissimo ad assumermi le più gravi responsabilità e
prontissimo a sedermi come semplice passeggero; ma compromessi non ne
faccio con nessuno: temo, per paura e per amore, il giudizio universale.

Con affetto ecc.

Amore unilaterale, amore reciproco


A Mons. Ottaviani, S. Ufficio
“La nostra vocazione: realizzare il Mandatum novum sotto forma
comunitaria”.

Genova, 7 agosto 1952

Eccellenza Reverendissima,
Molte occupazioni dirette al bene del popolo che oggi vengono esplicate dai
cattolici, suore, frati, sacerdoti secolari, associazioni cattoliche Ecc. man mano
che la civiltà si evolve facilmente verranno assorbite dallo stato, essendo anche
in funzione di assistenza sociale. Infatti, quando lo stato vuole, riesce
facilmente ad ottenere l’adesione del popolo. Basterà pensare all’esempio della
alluvione del Po.
Avere molti insegnanti, medici, infermieri, assistenti cattolici sarà un grande
bene per il popolo. Avere molti deputati cattolici sarà un grande vantaggio per
il popolo. Avere uno stato cattolico anche nelle sue leggi sarebbe un toccare il
cielo con un dito. Attualmente la sociologia cattolica è ancora assai nebulosa.
Non credo che la sociologia, una volta conquistata nelle sue linee
fondamentali, abbia ad essere soggetta a successive gravi evoluzioni. Quel
momento in cui essa arriverà ad aderire alle leggi naturali della società umana,
non avrà altro da fare che evolversi nel perfezionarne l’applicazione, nel
mantenerne la purezza dei suoi presupposti immutabili. Però, sono tutte cose
che sapranno fare anche i non cattolici. I cattolici si differenzieranno dai non
cattolici solo se sapranno essere imitatori di Cristo, cosa che gli altri non
potranno fare se non convertendosi a Cristo. Presupposto della vita cattolica è
l’amore, dal quale scaturiscono tutte le virtù. E l’amore odia l’errore, quindi
cerca, accetta, vive la Verità.
Gesù ci espone due casi:
I - Un atto d’amore verso il prossimo, unilaterale. Il Samaritano che si fa
prossimo di chi non si è fatto suo prossimo.
II - Amatevi l’un l’altro come io ho amato voi. L’amore dei suoi discepoli che
è reciproco e che prende luce vivissima nella preghiera all’ultima cena.
Il primo atto d’amore può essere anche tra i gentili e gli scismatici; il
secondo identifica, caratterizza l’essere suoi seguaci. Questa è la Chiesa. Io, e
nemmeno i miei figli più maturi, ho mai pensato che sia solo cattolicesimo una
Nomadelfia ben messa a fuoco. Chi me ne ha accusato è senza dubbio in mala
fede e un ignorante. Però è sempre un amore comunitario in quanto deve
sempre esplicarsi nell’essere l’uno per l’altro secondo l’Unum sia in forma di
libera reale comunità sociale, sia di organizzazione di gente non convivente ma
egualmente legata alla reciproca assistenza secondo lo spirito della preghiera
all’ultima cena. La prima offre vantaggi di gran lunga superiori alla seconda
forma. La prima può raggiungere tali conquiste di perfezione d’ambiente da
rendere l’uomo fin da bambino un tutt’uno con Cristo anche nelle occupazioni
che altrove assumono più carattere di profano che di aderente alla vita
spirituale. Questa e quella forma di vita nell’amore del Mandatum Novum non
è possibile ai non cattolici, per cui gli altri vedranno e vedendo crederanno.
Il clero e i religiosi non sono stati educati a questa concezione pratica
della vita cattolica, per cui non me la sento di averli ad interferire nella nostra
comunità se non nei limiti di quelli che già son cresciuti con me. Questa è la
nostra vocazione, la realizzazione del Mandatum novum, sotto questa forma
comunitaria sociale, libera, cioè che nessuna autorità sarebbe autorizzata ad
imporre mentre avrebbe il dovere di difendere, come diritto naturale e
soprannaturale degli uomini. E quando facciamo queste affermazioni ci saltano
addosso tutti i cappellani che vogliono metterci i loro cappelli, le loro berrette,
i loro baschi, i loro turbanti, le loro insegne ed affini. Questi santi che
tormento! Direbbe Don Abbondio. E gli altri ci vorrebbero comunisti,
anticlericali, assistenziali, progressisti, pedagoghi, sociologi, esperti di
correzione della delinquenza minorile, città del fanciullo, giardino d’infanzia,
ricovero di mendicità, ... eroi senza gloria, mistici, anacoreti, monaci, suore,
impresari, ecc. Prima non sapevano neanche che fossimo al mondo, poi ci sono
piombati addosso a fila di pullman, tutti vedendo in noi ciò che ciascuno di
loro sognava in se stesso od odiava. E noi prendiamo botte orbe.
Nomadelfia è una tribù cattolica della quale io sono il capostipite-
sacerdote, ora lacerata perché la Santa Sede non l’ha capita, quindi non l’ha
protetta quando tutti le si scagliano contro. Che poi la tribù diventi tribù di
tribù, niente di straordinario. Si farà, d’accordo e nell’approvazione del Papa,
le sue leggi, si creerà il suo costume, sarà una popolazione, poi un popolo
comunitario, quindi parrocchie e diocesi comunitarie. Non è che io creda a
questo come facessi atto di fede o pretendessi di aver avuto delle visioni
profetiche, come sono stato accusato. Non ci penso neppure lontanamente a
vedere l’avvenire, quando ci pensa il Signore a questo; ma non farò un reato,
se studiando la natura della nuova pianta non escludo il suo naturale sviluppo.
Che poi si avveri o non è affare del Signore. É Dio che dà l’incremento. E chi
autorizza gli altri a negare quello che io vedo e che nasce attorno a me? A loro
non è dato di vedere. Ormai questo è chiaro. Chiunque ha voluto mettere mano
in Nomadelfia durante questi disgraziati sei mesi non ha fatto altro che dei
disastri. Adesso c’è chi vuole darmi dei direttori spirituali: non ne accetto. Mi
farebbero diventar matto. Qualche sincero e non segreto osservatore mi
sarebbe tanto di aiuto, ma basta che si tenga la sua mentalità e non voglia che
noi facciamo ciò che non risponde alla nostra vocazione. Niente spie. Si stia al
vangelo. Prima ne parlino con me, poi se non accetterò la loro tesi od
osservazione ne parlino con due testimoni; e se non mi piegherò: Dic ecclesiae.
Andremo così insieme davanti a Chi può giudicare e decidere. Povere anime di
Nomadelfia! Ma guardi un po' che razza di sventura è loro capitata! Mi ha
telefonato or ora Dario da Nomadelfia così: Oggi c’è stato un altro funerale. -
Un funerale? interruppi. Sì - continuò - Dodici bambine sono state deportate.
Quello è diventato il loro linguaggio. Quando una città grande, chiamerà
deportata una bambina sola, alla quale si vuol negare una rinata famiglia in
Cristo, la Chiesa potrà disporre di grandi forze per convertire il mondo. Sono
previsioni alla portata di tutti. Ma che proprio non si possa far nulla per
arrestare questo flagello? Ma che proprio si debba andare fino in fondo?
Tante volte anche il chirurgo si arresta quando se ne accorge che ha
provocato nel paziente pericolose emorragie di sangue. Ma se Gesù ha fin
mutato decisione, e dire che è Figlio dell’Immutabile, davanti alle insistenze
della cananea! Ma Roma siete i Suoi Ministri, quindi vedete se è il caso di
imitarlo davanti a queste cose gravissime e più che arrestabili.
Creda, Eccellenza, l’umanità e la Chiesa stessa hanno bisogno di
Nomadelfia come Gesù ha sete del nostro amore.
Con affetto mi prostro ecc.

Questa è la mia pietà


A Mons. Ottaviani, S. Ufficio

“Nella storia della Chiesa c’è un fatto così limpido come Nomadelfia?”.

Genova, 8 agosto 1952

Eccellenza Reverendissima,
una critica che deve aver avuto un peso enorme sulle decisioni della Suprema
Congregazione del S. Ufficio deve essere stata sulla pietà. Scrissi qualcosa in
merito a S. E. il Nunzio ap. Io personalmente non sono visto come sacerdote
pio da coloro che per pietà intendono qualcosa di diverso di quello che intendo
io. Come me sono i miei figli. Per parte mia non ho mai ceduto a fare
diversamente. Crearmi delle leggi nuove quando già è una lotta sovrumana
osservare quelle che impegnano sotto pena di peccato, come ad es. per me la
recita del Rosario e una mezz’ora di meditazione al giorno, in luogo del
breviario, l’osservanza dei doveri dello stato, lo studio delle sacre scritture, la
dovuta dedizione ai figli ed al prossimo, senza annoverare tutte le norme che
impongono le virtù cristiane, mi pare semplicemente assurdo.
Le stesse direttive pastorali, come consigli, date dal Codice non mi impegnano
nemmeno sotto pena di peccato veniale, e quindi mi ribello quando altri
vogliono imporle fino a disonorarmi se non le osservo, fino a distruggermi. No.
Non posso accettare queste cattiverie. Per parte mia non sono pietisti quelli che
fanno diverse pie pratiche, ma rifiuto come pericolosi pietisti quelli che le
pretendono dagli altri. Se mi alzo e non celebro sono sospetto di peccato, se
non entro in Chiesa a fare una visita al Santissimo, sono senza amore a Cristo;
se non frequento la novena della Immacolata sono freddo e non amo la
Vergine; ma insomma posso accettare tutte queste schiavitù contro la libertà
che il Signore e la Chiesa mi concedono? Come scrisse quel giornale francese
contro Nomadelfia: La Chiesa perde dei tesori, se non si celebra tutte le
mattine. Ma che cosa perde? Se perdesse qualcosa, imporrebbe di celebrare.
Perde quando qualcuno in forma anche indiretta me lo impone, cosa che poi io
non accetto. Perché questa mia impuntata su questo argomento? É parte
fondamentale della mia vocazione. La più assoluta ed indiscutibile libertà
diretta ed indiretta sulle cose che non sono sotto pena di peccato, non essendo
doveri. Ho mantenuto quella direttiva perché ho studiato la morale ed ho
esaminato un complesso di atteggiamenti del clero che urtano contro la serenità
della morale, che turbano fatalmente le anime. Ho esperimentato in me e in
molte anime l’abuso dei troppi improvvisati direttori spirituali, che rendono le
anime goffe e che le inducono a credere che la santità non si possa raggiungere
senza fare certe pratiche di pietà. Credo che sia santità reagire a quei malati. É
santo chi fa il proprio dovere ad imitazione di Cristo, secondo le leggi
proclamate nella rivelazione, riconosciute tali dalla Chiesa, e secondo le leggi
della Chiesa. Ma che un’anima abbia degli scrupoli perché non ha fatto la
comunione questa mattina è cosa da malati. E se l’ha fatta non pretenda che
altri la imitino o non giudichi male chi non l’ha fatta.
Sono stato in cura d’anime per 17 anni nella parrocchia di S.
Giacomo Roncole; credo che era, allora, la parrocchia nella quale si arrivò a
fare più comunioni. A Nomadelfia si sono sempre fatte molte comunioni,
specie in giorno di festa. Ma l’assicuro che mai ho permesso la minima
insistenza in materia. E la libertà che ho sempre difeso in quelle anime l’ho
difesa nella mia persona. É stato questo un motivo di sfiducia? Si parli chiaro.
Per parte mia sarebbe stato un pessimo giudizio perché ho battuto la strada
maestra per rendere disinvolta, ma sicura, la fede nei miei figli. Quello che
confessando so che devo pretendere dalle anime e quello che non devo
pretendere per non ingannarle nel giudicarsi davanti a Dio, l’ho preteso e non
l’ho preteso da me e dai miei figli, come norma di vita. É una colpa questa?
Con queste colpe si va in paradiso, perché si rende un grande servizio alla
Chiesa, in quanto si formano delle anime sensibili alle chiare leggi del Signore
che in realtà coinvolgono tutti gli istanti della vita e che nella imitazione di
Cristo sono tutti atti di virtù dovuti.
Io faccio la volontà del Padre mio. Ma, per piacere, si pretenda
quella volontà dalle anime nel rispetto anche delle loro libertà volute da Dio
stesso. Il Padre nostro vuole il culto come è comandato dalla Chiesa; vuole
l’amore come è comandato da Cristo, vuole la giustizia come è comandata
dalla morale cattolica, vuole le virtù come sono precisate dalla morale
cattolica, vuole la conoscenza delle verità della fede come sono insegnate dalla
Chiesa, vuole la libertà dei liberi figli di Dio. Su questo piano anche un
bambino capisce che è bello fare queste cose e se le lascia anche imporre,
perché sente che sono leggi inesorabili e secondo il massimo bene della sua
esistenza, ma non appena si alterano quelle linee pure e coerenti alla volontà
espressa di Dio c’è da rovinare chi ha la fede e da scandalizzare chi non l’ha.
Quando un padre, od una madre od un sacerdote dà uno schiaffo ad un
giovinetto perché si rifiuta di dire una imposta preghiera prima di andare in
letto, siamo davanti ad un fatto che potrebbe avere conseguenze fatali perché è
una violazione della legge di Dio. Ma se il giovinetto si rifiutasse di andare alla
S. Messa in giorno di festa, lo schiaffo non gli farebbe nessun effetto fatale
perché è diretto ad imporgli ciò che Dio impone.
C’è stato a Nomadelfia sei mesi un parroco estraneo alla nostra vita.
Credo che non abbia capito niente di tutto questo. Donde ha fatto la figura
deleteria di Donna Prassede con Lucia. Se i miei figli hanno resistito, penso
che è stato un clamoroso miracolo. Quante cose sono rimaste nel segreto
dell’anima mia! Nella ridda dei pettegoli e dei superficiali che mi torturavano
con le loro diverse e ben lontane mentalità tutto quello che dicevo ai figli
veniva inteso su quel piano mentre per gli zelanti veniva inteso come stranezza
e addirittura come ribellione alla Chiesa. Non intendo scusare i miei sbagli
nell’attuare tanta impresa; ma, creda Eccellenza, ho visto invadere il gregge
come da lupi rapaci pienamente in santa e buona fede, tanto che si saranno con
questo meritato il paradiso, ma che spavento e che deviazione per i miei figli!
Stavo portandoli tra le mille e mille contrarietà, che V. E. ben
conosce, sul piano della vera riforma della vita e cioè sul piano della dichiarata
e ben precisata volontà di Dio in tutte le espressioni vitali, sul piano dell’uomo
nuovo. Primo risultato fu infatti quello che, avendo scoperto la bontà della
volontà di Dio, stavano affezionandosi tra loro, come veri fratelli della
fraternità voluta dal Redentore. Una volta fissato nelle loro anime quella virtù
fondamentale tutto il resto diventava di facile conquista. E forse che può essere
nelle anime un amore così eroico se non avessero spirito? Ottenuto quello
spirito producente quell’amore si stava per rifinire le anime alla conquista delle
più alte virtù che devono essere nei liberi figli di Dio. Ha mai incontrato V. E.
nella storia della Chiesa un fatto così limpido e di tanta semplicità cristiana
come Nomadelfia?
Le stesse prime comunità dei cristiani erano ben lungi dall’essere su
quel piano. Per questo sono fallite. E sono fallite non per ordine di Pietro o
degli apostoli, ma perché avevano in se stesse le cause del fallimento,
mancavano loro le basi sociali ed erano poco limpide nelle loro forme di pietà,
mancavano loro venti secoli di esperienza, e sono rapidamente sboccate nelle
inesatte forme di elemosine¸ perché la loro comunità non rispondeva alle vere
e divine esigenze della vita cristiana.
La vita cristiana è senza dubbio molto più perfetta, molto più bella,
molto più affascinante se vissuta in comunità, ma solo quando la comunità
anziché mortificare, sviluppa il soddisfacimento delle vere esigenze dell’amore
che Cristo ci comanda: semplicità e aderenza pura alla volontà espressa di Dio.
Questa è la mia pietà, questa è la pietà dei miei figli, questa sarà la pietà di
Nomadelfia quando sarà cessata la persecuzione che ci ha dispersi. Comunità
che è il sorriso pieno dei bimbi e gioiosa dedizione eroica degli adulti, nel
trionfo del reciproco perdono secondo il cuore di Cristo. E Roma deve
rispettare questa mia vocazione, perché la vocazione è cosa di Dio. La deve
difendere perché la Madre deve difendere le sante aspirazioni di ciascun figlio,
anche se i fratelli si oppongono. E Roma non deve avere paura delle novità,
quando sono nient’altro che slanci d’amore a Dio ed alla sua Chiesa; deve anzi
correre in aiuto perché i figli dell’inerzia pesano e sono pericolosi al nascere di
quelle.
Vede i risultati delle due pietà? Prima i fanciulli di Nomadelfia erano
ridenti, ora piangono e si trasformano in desolati. Chi non capisce queste cose
vuol dire che ha un cuore fin anche teologico, ma non mistico e palpitante il
vivissimo palpito di quello di Gesù che sapeva piangere anche davanti al
morticino della vedova di Naim, nonostante che sapesse di farlo risorgere e di
ridonarlo alla sua mamma.
Io ho parlato con il S. Padre. Sono convinto che se Egli vivesse solo
un momento tra noi in questo spaventoso evento, piangerebbe alla
deportazione di un solo bambino, arresterebbe il funerale e ordinerebbe un
basta sovrano, lo ridonerebbe alla sua mamma. Ogni polemica svanirebbe per
dar luogo alla vita. Quanto sta accadendo è la morte. E mentre io sarò in giro in
cerca di terre nuove, in Italia i figli vengono strapazzati senza pietà. Il governo
non ci vuole aiutare a far fronte alle passività. Gli auguro con tutto il cuore che
il Signore gliela perdoni. Sarà difficile. Su simili reati sociali c’è poco da
costruire. Una ventina di giorni prima del decreto del S. Ufficio contro di me,
una commissione di amici di Nomadelfia andò da S. E. il Min. Vanoni, il
quale, visto il programma di lavori e considerata la bontà di Nomadelfia,
promise di dare subito 50 milioni per far tacere i creditori in un primo tempo,
altri 50 in un secondo tempo. L’On. Medici accettava la mia collaborazione a
Grosseto. S. E. Vanoni, presenti l’On. Medici e detta Commissione, telefona a
S. E. Scelba, chiedendo la sua approvazione e Scelba risponde: Niente,
Nomadelfia deve essere trasformata e don Zeno deve andarsene. Grazie tante.
Me ne sono andato, ma il fattaccio è rimasto.
Si avvicinano le elezioni. Il governo avrebbe molto più interesse a
mettersi d’accordo con me e quindi con Nomadelfia prima che gli avversari
non approfittino dell’occasione per accusarlo di delinquenza sociale, durante la
lotta elettorale. Ogni pulce, dice la povera gente, dà il suo pizzico. Potrebbe in
tal caso il partito del governo difendersi accusandoci di eretici, di ladri, di
immorali, come tentò Bedeschi, l’indomani del decreto del 5 febbraio.
Saremmo costretti a difenderci. Anche la pietà di Scelba e di De Gasperi ha
dato un pessimo risultato nei confronti di Nomadelfia. Ripeto: sul reato non si
costruisce che dei mostri. Il perdono reciproco sarebbe una santa e gran bella
cosa! Ma un perdono con risultati pratici. Non avverrà questo? Bisogna essere
molto faciloni per non credere che sul campo di battaglia elettorale non si
vedano, a sdegno delle masse votanti, un desolante spettro di morticini ricaduti
tra i senza famiglia, e lo scorrere del pianto di quante anime, donne e padri di
famiglia che speravano nel successo di Nomadelfia. Spettri che i fari rossi non
mancheranno di illuminare e di colorare chissà in quanti modi. C’è poco da
dire: il fattaccio esiste. Ma che gusto ha il governo a prendere alla leggera di
queste cose? Quanta gente pensava di dover morire sotto una spettacolare
bomba, durante la guerra; invece è morta di tetano, perché si è punta
inavvertitamente un piede con un modestissimo filo di ferro, cosa da niente.
Non credo che il Signore gliela passi liscia. Per parte mia sono sempre pronto a
vedere se si potesse prevenire l’irreparabile.
Questa è la mia pietà.
Mi prostro ecc.

Il Papa verrà a cena da noi


A Mons. Ottaviani, S. Ufficio

“Vuole un aiutante nel suo ufficio? Basta che faccia la sezione della giustizia
sociale, ci sto!”

Genova, 8 agosto 1952

Eccellenza Reverendissima,
E perché il Papa non mi accetta sacerdote della Sua diocesi? S’intende, come
padre dei nomadelfi? É stata la sua proposta, Eccellenza, che non accettai
perché mi si negava detta paternità; ma lo avrei fatto di tutto cuore. É il
vescovo più indicato per ospitare dei figli selvatici ma fedeli come siamo noi, e
avrebbe la gioia di tirarci spesso le orecchie e di vederci tra le plebi periferiche
come dei demoni bianchi. Il Papa tira fuori un pacchetto di milioni (vende
qualche tesoro della Scala Santa, una qualche tiara monumentale), prendiamo
una zona delle più rovinate, facciamo una parrocchia delle più all’osso e delle
più libere con incluse le borgate di Nomadelfia, De Gasperi paga la mancata
giustizia per il passato, il Papa ci mette alle costole un bravo osservatore (per
esempio Lei).
Vuole scommettere che se ciò avvenisse prima delle elezioni sarebbe un colpo
formidabile a tutti coloro che sono in agguato per colpire ed offendere la
Chiesa nell’ora della lotta elettorale? Vuole scommettere che il Papa finirebbe
per fare qualche passeggiata verso sera per venire a cena con noi? Il Papa ha
sopportato un S. Filippo Neri; a più ragione potrebbe lasciarsi molestare da una
Nomadelfia.
Pazzie? Quel povero vescovo di Carpi tremava, quando si muoveva
Nomadelfia, più per paura di Roma che delle ripercussioni locali. Il Papa non
tremerebbe, ma chi sa quante belle cose potrebbe realizzare nella sua diocesi
con questi figli spregiudicati fino a farsi fratelli e a predicare al popolo la
fraternità cristiana con le opere. V. E. non mi disse un giorno che è figlio di un
operaio e che da ragazzino spingeva il carrettino del pane come garzoncello
del fornaio? Provi a spingere questo carrettino. Sotto il manto del Vescovo di
Roma saremmo più arditi e meno fraintesi. Le prometto che faremmo una
travolgente missione in tutte le borgate della città con risultati inaspettati. Non
un chiasso, ma qualcosa di molto costruttivo. A un povero vescovo
dell’America del Sud, verrà la tremarella non appena saprà che siamo passati
attraverso le strettoie del S. Ufficio. Vuole un affezionatissimo aiutante nel suo
ufficio? Basta che faccia la sezione della giustizia sociale, ci sto! E faremo un
bene immenso. La DC, basta che si metta su di un piano cristiano, potrebbe a
Roma riguadagnare i 100.000 voti perduti. Sono colpi di scena e virate di
bordo che piacciono a tutti e che consolano tutti, anche sbalordiscono i
diabolici covatori di uova di serpe tra il popolo. Cose che sbandano il nemico
più di qualsiasi minaccia di bomba H. Giacché la Suprema Congregazione mi
riconosce padre dei nomadelfi, giacché essa non ha pubblicato nulla di quanto
è avvenuto tra me, Nomadelfia e la Santa Sede, giacché lo stesso governo non
si è compromesso con nessuna dichiarazione ufficiale, mi pare che il colpo sia
molto facile, tanto più che Nomadelfia, proprio per amore alla Chiesa, ha
preferito autosciogliersi e disperdersi volontariamente. Mi pare che il Signore
abbia tutto predisposto per cogliere la palla al balzo. La sana diplomazia, poi è
maestra nel rimettersi in carreggiata. Roma salva Nomadelfia, ma lasci pure
profetizzare che Nomadelfia salverà Roma, che realmente si trova molto
minacciata dal troppo meritato anticlericalismo e dall’ateismo invadente ed
assediante la città. Non lo crede Lei? Non ritiene opportuno esporre questo
piano al S. Padre, che mi disse: Faccia quello che vuole?
Non appena l’America sarà liberata dalla paura della Russia, se
riuscirà, vedrà che razza di invasione protestante farà a Roma. E forse che
Roosvelt non ha detto: É ora di farla finita con questa Roma eterna? E il
popolo di Roma non è più in quelle condizioni morali da saper far fronte,
tutt’al più finirà per non credere né agli uni né agli altri. Eppoi che Roma
cattolica è quella! C’è ben poco da imparare e molto da scandalizzarsi.
Tenni prima della guerra una missione di otto giorni a borgata
Tormarancia. Quanto bene si fece! Ma è la stessa cosa che accendere una
candela nella notte al vento, consola, invade di speranze, ma poi si spegne. Ci
sarebbe la materia infiammabile, ma manca qualcosa che non si vuol capire.
Parliamone con il S. Padre. Sono disposto a diventare un Suo diocesano, come
sono disposto a diventare un abitante selvaggio di una qualsiasi giungla.
Prima che piovano le bombe atomiche non sarebbe male piantare a
Roma i semi che tra le macerie finiranno per proporre nuove e più preziose vie
ai cristiani che saranno incolpati di chissà quali incoerenze alla loro dottrina.
Parrebbero cose troppo semplici per una Roma così complessa, invece sono le
vie maestre, attraverso le quali Cristo può far nascere le piante vive nelle aride
piazze, piante uguali a quelle delle più maestose foreste.
Mancherebbe di prudenza secolare il Papa se facesse questo? Ma il
Papa deve essere pioniere. Tutte le può tentare per riportare le masse in
grembo alla sua Chiesa. Questi sono i mezzi adeguati al fine. Io ci scommetto
che proprio quelle personalità che oggi ci guardano con tanta riservatezza
diventerebbero i nostri più entusiasti collaboratori. Gli estremi si toccano. Non
faremo della polemica, ne abbiamo fatta anche troppa. Faremo delle opere
eloquenti e secondo il cuore del Papa. Coraggio, Eccellenza, tutto è possibile a
chi ricorda di avere da fanciullo spinto il carrettino del pane, e che ora,
volendo, potrebbe fare tanto... nella eco delle canzoni che senza dubbio
cantava quando era chi oggi Gli è successore egualmente semplice ed
egualmente fanciullo ignaro delle malizie del mondo che serve
inconsapevolmente come un piccolo schiavo modernizzato.
É così semplice! Basta un comunicato stampa così telegrafico: don
Zeno ha scelto la diocesi di Roma. Però ci intendiamo prima. Ma se non è
possibile realizzare a Roma una Nomadelfia limpida secondo la sua natura, se
è cioè prematuro realizzare un piano che a me pare così bello per la Chiesa,
che in tutte le sue istituzioni è sofferente per causa di più forti esigenze che il
mondo invoca e che essa per sua natura potrebbe soddisfare con travolgenti
soluzioni attraverso l’esempio di un passo decisivo verso l’Unum da parte di
una popolazione nuova, seguiremo le vie di lontane terre per riprendere da
capo.
Chi segue Cristo passa di sorpresa in sorpresa.
Non mea sed tua voluntas fiat.
Mi prostro ecc.

La Chiesa ha bisogno d’essere amata


Al papa Pio XII

“Ho ubbidito violando le leggi della giustizia”.

Genova, 11 agosto 1952

Beatissimo Padre,
Fino a questo momento, grazie a Dio, ho inteso servire la Chiesa e salvare
l’onore dovuto alla Chiesa ed alle sue gerarchie. E voglio nel Signore
consumare il resto della mia travagliatissima esistenza al servizio della Chiesa.
Non saprei neppure fare diversamente, perché per me la vita è per volontà di
Dio naturaliter possibile solo nella Chiesa del Redentore, che è la Vita; come
non saprei pensare al suicidio anche quando la terra mi è tormento anziché casa
di pace e di amore.
Ho ubbidito alla Suprema Congregazione del S. Ufficio danneggiando in modo
gravissimo tutte quelle persone che mi avevano fatto credito per dare un pane
modesto e il lavoro per i figli che il Signore mi aveva mandati, essendo questi
alla più umiliante rovina ed all’abbandono.
Ho ubbidito alla Suprema Congregazione lasciando sterminare i figli
che in gran parte sono ritornati in mani matrigne e sono rimasti di nuovo senza
mamma, senza babbo, senza fratelli. Ho inteso salvare l’onore delle gerarchie
subendo in silenzio le evidenti ingiurie di S. Em. il card. di Milano, di S. E. il
vescovo di Carpi che senza nemmeno interpellarmi hanno fatto man bassa
affamando indirettamente e diffamando i miei figli. Ho ubbidito facendo tacere
la mia vocazione e quella dei figli, perché la Suprema Congregazione non
voleva riconoscerla, a scandalo degli innocenti. Ho ubbidito alla Suprema
Congregazione violando le leggi della stessa giustizia naturale, che mi
comandava di non trascurare gli interessi dei miei protetti, ai quali avevo
promesso amore paterno; e violando le dovute premure per la conservazione
dei capitali e delle iniziative che erano a garanzia dei creditori.
Nomadelfia si è autosciolta perché nessun tribunale ecclesiastico si è
messo alla sua difesa contro quelle evidenti violazioni dei suoi diritti di
giustizia e di fraternità. Abbiamo tutti chinato il capo convintissimi di avere
subita una ingiustizia tale che solo Dio saprà darcene ragione quando saremo al
cospetto del suo tribunale. Come colpita da micidiale siluro infertoci da nessun
nemico qualificato, bensì in casa nostra la navicella di Nomadelfia da sei mesi
affonda tra il pianto, la costernazione, lo spavento degli innocenti che cadono
nelle acque violente, insidiose e divoratrici, aggrappantisi spesso invano a
frammenti galleggianti, indifesi dai pescecani che sono accorsi per divorare
tenere fanciulle, ragazze strappate prima dall’incesto ed alla malavita,
giovinetti sfuggiti, scappati in casa nostra in cerca d’amore, dalle mani di
speculatori biechi; vedove desolate, anime materne e paterne, che tutta la parte
più preziosa della loro esistenza avevano donata a quelli che trasformavano a
ripeterne il santo gesto di dedizione. É rara cosa che nei naufragi tutti i
naviganti siano ingoiati dalla acque. I superstiti che sopravviveranno
chiederanno a Dio il dono di ricostruire la navicella per riprendere la via delle
loro sante aspirazioni nel convoglio della Chiesa, con un lutto in petto che
porteranno alla tomba. Gente provata in quella maniera finirà per sentire, come
naturale palpito nel soprannaturale, che la Chiesa ha urgente bisogno di essere
amata fino anche a queste forme di terribile ubbidienza. Chi ama Dio ama
necessariamente l’umanità e quindi non può che offrirsi anche in queste forme
di ingiurioso olocausto perché l’umanità a tutti i prezzi rientri nella sua Chiesa.
Circa un mese fa S. E. Mons. Ottaviani mi riconosceva la paternità
sui figli e mi autorizzava, sotto determinate condizioni di ricomporre la
famiglia all’estero, radunando i superstiti ed ivi portandoli. Due strascichi
rimangono inesorabili e chiedono una riparazione:
1- il recupero dei figli che ritornano all’abbandono, nonostante le
premure di autorevoli persone delegate ad evitare mali maggiori;
2- la restituzione dovuta a tutti quei creditori che non accettarono la
nostra proposta di concordato stragiudiziale, essendo Nomadelfia
giuridicamente una associazione civile, quindi impegnante in solido tutti
coloro che hanno agito per conto ed in nome di essa, e cioè tutti i maggiorenni.
Impegno cui siamo legati in coscienza, essendo fin dall’inizio consapevoli che
la natura di Nomadelfia non era da includersi tra le società a carattere
commerciale, quindi non poteva beneficiare delle leggi sui fallimenti, cosa che
i creditori evidentemente sapevano. Infatti i creditori più grossi non accettano
questo concordato. Conoscono bene la legge. Costruire su due mancate
giustizie, mancate di fatto, indipendentemente dalla ragione per cui in essa
mancanza si sia caduti è evidente ingiustizia. Il fine non giustifica i mezzi. Il
bene è riparare a queste due ingiustizie nei limiti consentiti dalle nostre forze,
perché siamo ancora vivi. Di conseguenza né io e nemmeno i miei figli
maggiorenni, sacerdoti e laici, siamo autorizzati ad esentarne anche uno solo
tra noi dall’impegno naturale e solidale di soddisfare a quelle obbligazioni
assunte verso i terzi. Obbligazioni perseguibili per tutta la vita ed anche contro
eredi. Nomadelfia come tale si è autosciolta e dispersa nel senso seguente:
siamo rimasti una famiglia legata a vincoli insopprimibili, pena la lesione
evidente di una dovuta giustizia. Che poi si rimanga in Italia o che si vada
all’estero, riparare comunque bisogna, dall’Italia o dall’estero; e questa nostra
ferma volontà di non peccare contro la dovuta giustizia deve essere fatta nota
quanto prima agli interessati, se non si vogliono offendere di scandalo le loro
anime. Cosa che scrissi anche alla Suprema Congregazione e a S. E. Mons.
Vescovo di Carpi, senza risposta.
Nemo tenetur ad impossibilia, ma non si potrà mai dire che una
famiglia di circa 300 lavoratori possa scusarsi di impotenza a soddisfare i suoi
impegni, sia pure nel tempo, o che sia autorizzata a dileguarsi tanto da rendere
impossibile il soddisfacimento di impegni assunti in solido.
Beatissimo Padre, ho detto tutto questo, ma senza rancore, anzi con
ferma volontà di camminare nelle vie dell’amore alla S. Madre Chiesa, a
Vostra Santità e persino al tribunale della Suprema Congregazione. Ho la
coscienza turbatissima perché non si sono fatte le cose come mi sembra
dovevano essere fatte, anche se fossero costate gravi ed odiosi sacrifici. Chiedo
una grazia alla Suprema Congregazione e cioè:
Premesso
a) Esistono vincoli sociali tra me, i miei figli maggiorenni e
minorenni che derivano da fatti insopprimibili nelle loro conseguenze di diritto
naturale;
b) esistono vincoli economici verso i figli come evidente
sopravvenuto dovere di reciproca assistenza;
c) esistono impegni economici di giustizia nei confronti dei terzi cui
tutta la famiglia che giuridicamente assume la fattispecie di società civile
secondo il Codice Civile, art. 36,37,3 ecc. è tenuta in solido a soddisfare;
d) esistono doveri di onore e di buon costume cristiano che
impongono di evitare lo scandalo di leggera e cattiva volontà nell’abbandonare
delle posizioni di lotta e di lavoro che sono moralmente giudicabili come
condizione sine qua non per mantenersi nella possibilità di soddisfacimento
degli impegni naturali e cristiani, assunti e comunque rimasti pendenti;
e) è in atto un disordine morale contro certe anime, che per causa
della mia assenza e che per motivi derivanti dai provvedimenti della Suprema
Congregazione riducono e me ed i miei figli in un contrasto di comportamenti,
lodevoli come spirito di ubbidienza, ma per niente giustificabili in sede di
diritto civile e penale;
f) il concordato stragiudiziale proposto dalla Commissione
liquidatrice minaccia di non riuscire costringendo e me e tutti i miei figli a
ricadere inevitabilmente in gravissime responsabilità anche, volendolo i
creditori, di carattere penale;
g) nessun atto autoritario può autorizzare l’insolvenza a danno di
terzi o contro la volontà dei terzi interessati;
h) è estremamente imprudente e colposo non prevenire in tempo tale
eventualità ora più che mai minacciante; chiedo una grazia alla Suprema
Congregazione e cioè:
1) Un giudizio in via rapida da parte della Suprema Congregazione
previo studio con me, in rappresentanza di Nomadelfia, su quanto premesso;
2) l’autorizzazione di adunare tutti i responsabili in solido, come
sopra detto, studiare insieme la situazione e decidere con impegno come si
intenda soddisfare ai nostri suddetti vincoli; cosa che mi è stata personalmente
proibita dalla Suprema Congregazione;
3) la mia libertà d’azione per essere solidale con i figli in ordine a
detti impegni.
Da tenersi presente. Prima di partire per il viaggio progettato per il
Sud America, per causa delle ultime notizie, ritengo inevitabile decidere
quanto sopra chiesto. Partire in questo momento senza avere precisato queste
responsabilità sarebbe imperdonabile e pericolosa imprudenza. Ripeto, a
sgravio di ogni mia responsabilità derivante da ritardi non da me voluti, la cosa
è molto urgente. In seduta farò noto cose che alla Suprema Congregazione
sono sfuggite.
Mi prostro al bacio del S. Piede, figlio dev.mo della Santità Vostra

La penicillina l’abbiamo solo noi


A Mons. Crovini, S. Ufficio

“Non è stata la questione finanziaria a determinare la tragedia, ma la famiglia


che ha sfondato i bastioni della famiglia pagana elevata a dignità di
sacramento”.

Modena, 25 agosto 1952

Personale
Carissimo Mons. Crovini,
Credo che verrà a conoscenza di una lettera che ho inviata a mezzo di Dario a
S. E. Mons. Ottaviani. Scrivo la presente a Lei come caro amico
indipendentemente dalla carica che copre al S. Ufficio. E perché le scrivo?
Non lo so, ma mi sento portato intimamente a farlo.
Chiunque ha voluto mettere mano su Nomadelfia per trasformarla o meglio
inquinarla di iniezioni superate ha finito per perdere la partita, e Nomadelfia ha
sempre guadagnato molto. Se Cristo Gesù avesse accettato il compromesso e
quindi rifiutata la croce non avrebbe potuto esclamare: Ego vici mundum.
Pretendere che una Nomadelfia non sia soggetta a gravi inconvenienti
nell’esplicarsi della sua vita sarebbe come pretendere che in guerra non
morisse nessuno e non ci fossero dei feriti. Volere normalizzare Nomadelfia è
la stessa cosa quindi come si volesse normalizzare la guerra. Mi viene in mente
la poesiola: eran trecento erano giovani e forti e sono morti. Sono morti ma
poi in mille hanno travolto un regno intero.
Troppa gente ha avuto la piccioleria di credere o dubitare che si potesse uscire
dalla Chiesa. Bastava avere un poco di fiuto per arrossire al solo pensarlo. Non
creda che sia stata la questione finanziaria a determinare la vera tragedia che
tortura questa massa di babbi, di mamme, di figli rinati alla famiglia il cui
amore ha sfondato i bastioni di una famiglia pagana elevata a dignità di
sacramento, ma incapace di estendere o travasare la gioia e la serenità della
convivenza fraterna e figliale ad altre creature sventurate della sola sventura
che nessuno vuole sostituirsi al padre od alla madre colpiti dalla morte o dal
disordine del peccato; ad una famiglia pagana elevata a dignità di sacramento
ma incapace di attaccare la santità dei vasi comunicanti per abbracciarsi ad
altre famiglie ut sint perfecti in unitate. Il sacramento c’è, ma il suo sviluppo
soprannaturale è ancora relegato forzatamente negli stagni morti del
paganesimo istintivo. Quella famiglia si può definire come si definisce la DC
per indurre le anime a darle il voto: il minor male. Quale legge umana può
ergersi contro la legge dell’amore che porta persino ad amare senza limitazioni
persino i nemici? Amore che va inteso come si intende Cristo: consummatum
est?
La società è appestata dal nostro compromesso e oramai è stanca di cerotti;
vuole la penicillina che scorra nel suo sangue. E la penicillina l’abbiamo solo
noi custodita in vasi d’oro, piombati perché nessuno azzardi usarla.
Andrebbero alla malora troppi fabbricatori di cerotti. Appena si avvicina a quei
vasi nasce una levata di scudi che nessuno pensava fossero così bene
organizzati. Anche questi sono come la piccola borghesia che non è mai
organizzata in forme di quadri, di assemblee, ecc. ma anche i più esperti
rivoluzionari devono fare i conti con essa. E decide sempre le sorti del più forte
in quanto finisce per appoggiarlo, cadesse il mondo. Passa così la piccola
borghesia da una schiavitù all’altra, mentre coloro che sanno salire anche il
patibolo sono i vincitori. Cerchi di comprendere senza esagerare. Ho
semplicemente voluto dire che Nomadelfia ha saputo salire al patibolo. Sono i
giochi del Signore. E chi l’ha ridotta al patibolo? Nessuno, i nessuno, perché
nessuno se ne dovrà confessare.
C’è chi ci accusa di essere stati imprudenti. Ma quando? Abbiamo
semplicemente fraternizzato i rovinati dall’ordine pubblico che di fatto è il
disordine organizzato e divinizzato, senza pretendere che fosse un lembo
sociale di impeccabili o di angeli di quelli del dopo guerra tra Lucifero e
Michele. Abbiamo semplicemente detto che i ricchi sono dei ladri e l’abbiamo
detto nelle piazze, perché ci dispiaceva imitare decisamente i santi in un primo
tempo: il ricco o è un iniquo o è l’erede dell’iniquo. Ben lungi poi dal
pretendere di ripetere le saette di Cristo e degli apostoli.
Abbiamo semplicemente detto e preteso che i poveri abbiano diritto alla vita
ma non sui libri solo, o sui giornali.
Abbiamo semplicemente detto che con delle chiacchiere non bolle la pignatta e
che pancia piena non sa di vuota.
Abbiamo semplicemente detto che se i pidocchi ringraziano Dio perché
possono vivere benone, non sapremmo quale Dio dovrebbero ringraziare
coloro che sono oppressi da quei pidocchi.
Abbiamo semplicemente detto che piuttosto di aderire a quella gente siamo
disposti a farci impiccare tutti.
Qualche panciotto ci tormenta asserendo che abbiamo precipitato le cose,
perché il mondo non è ancora predisposto a sentire quelle cose. Penso che
chissà quando poi sarà predisposto a metterle in atto!! I tempi non sono maturi.
Già, e per chi? per noi invece sono addirittura troppo passati; per noi è troppo
tardi, siamo cioè colpevoli di non essercene accorti prima, perché ci avevano
insegnato che si nasce poveri e ricchi, invece abbiamo imparato dalla levatrice
che si nasce nudi. Se la levatrice non la smette di insegnare quella cosa sarà
tacciata di marxista. Abbiamo detto degli errori? Certissimamente chi tace
difficilmente ne dice. Abbiamo fatto degli sbagli? É la marca di fabbrica. Dice
il popolino emiliano: “Se l’acqua l’àn lavìs e al sol àn sughìs, pover nueter!”. E
a che servirebbe il settanta volte sette?
Perdoni la chiacchierata, ma sono contento di avergliela fatta come caro
ricordo di un suo affezionatissimo amico.
Con affetto

Nota. Le cose precipitano. Scrive al Cardinal Ottaviani: “ho in mano le prove


che la Polizia di Carpi, sotto forme astute, perseguita i Nomadelfi. La
Prefettura, in belle maniere, ha messo al lastrico diverse persone e famiglie con
quei famosi fogli di via. Non Le parlo poi di troppi minorenni ridiventati dei
monelli, di ragazze finite malissimo. La Pretura di Bologna procederà contro di
me per “insolvenza fraudolenta”. Il Comissario di Carpi dice ai Nomadelfi che
io sono un “delinquente” . Qualsiasi cosa, comunque succeda, sarà sempre
niente in confronto della tristissima sorte toccata a molti innocenti. Si vuole
dunque il nostro sterminio?” (10/9/1952). Non mi resta che scrivere in alto…

Al Presidente del Consiglio On. De Gasperi

Lettera aperta [inviata?]

“Il nostro lamento non ha altro microfono che l’Orecchio di Dio che Lei
rappresenta”.

11 settembre 1952

Eccellenza,
scusi, che Lei sia demo non lo mettiamo in discussione; ma che sia cristiano
anche nel modo di permettere la persecuzione dei figli della ex Città di
Nomadelfia, rimane molto discutibile.
Domandi a S. E. il prefetto di Modena ed alla Questura dove sono e come sono
andati a finire non pochi minorenni dell’autosciolta Città di Nomadelfia.
Diversi presso famiglie miserabili, altri in stato di abbandono morale, altri alla
malavita. Diverse persone adulte, vedove, ecc. sono finite nella più squallida
miseria. Vuole le prove? Sono finiti tra la massa dei miserabili che si tengono a
bella posta sparpagliati, quindi impotenti, tra il brulichio sfacciato di coloro
che stanno bene e che, anche solo indirettamente, quindi con minori fastidi, ci
opprimono. Quelli sono liberi, protetti dai puntelli dell’ordine pubblico.
Il nostro lamento non ha altro microfono che l’Orecchio di Dio che Lei
rappresenta. Ogni potestà è da Dio e secondo noi, significherà anche senza
dubbio: ogni potestà deve rispettare e difendere i deboli ed i miserabili per i
quali Iddio sentenzia: Ero io in loro.
Avrà sentito un messaggio radio-trasmesso dalla Basilica Vaticana, presenti i
pellegrini di tutto il mondo [anno santo 1950]: I poveri hanno diritto alla vita;
quindi noi diremmo: se hanno diritto non sono più poveri, perché chi ha un
diritto non ha da fare altro che pretenderlo, e quindi sarà difeso senz’altro, caso
mai, dal Presidente del Consiglio dei Ministri.
Si informi, Eccellenza, per mettere a posto le cose prima delle imminenti
elezioni, delle quali sta studiando più la forma che la sostanza [per la sindrome
rossa Cf Zizola 297ss]. Non fosse altro, almeno, per essere tutti più tranquilli
in coscienza quando entreremo nella cabina a votare, dove siamo andati
diverse volte rimanendo come prima, e noi peggio di prima. Questa volta, scusi
il nostro analfabetismo, non sapremo leggere i manifesti, ma riusciremo a
interrogare lo stato reale della nostra esistenza.
Siamo cittadini? Ci domanderemo. Dovremo votare per il minor male? per
quel male che toccherà a noi, come sempre? Mentre molti voteranno per il
maggior bene, perché stanno e staranno benone.
E come la penserà Dio in quei minorenni? Sono molti Eccellenza, moltissimi,
una grave minaccia del cielo. Ci viene in mente una sentenza di S. Giacomo:
La vera religione è prendersi cura dei fanciulli e delle vedove in tribolazione.
Quanti sono i deputati e i senatori che devono in coscienza osservare quella
vera religione?
Provi, Eccellenza, a chiedere se avessero per caso cambiato religione.

Sbranano i figli e V. E. tace


A Mons. Dalla Zuanna, Carpi

“Vede cosa succede a lasciarli entrare nel gregge?”.

Modena, 19 settembre 1952

Eccellenza Reverendissima,
Credevo che almeno il mio Vescovo con i miei confratelli sacerdoti della
diocesi si mettessero decisamente alla difesa di tutti i miei figli, dei sacerdoti e
di me come fondatore e padre dei nomadelfi, contro le violenze che stiamo
subendo da parte dell’Autorità Politica. Molti accecati dal fanatismo politico o
dalla vigliaccheria potevano dimenticare il grande bene che prima come
giovane cattolico, poi come sacerdote ho fatto nel Signore per trent’anni nella
Diocesi di Carpi, ma il mio Vescovo no. Che cosa le rimane da salvare,
Eccellenza, se lascia bistrattare così i suoi figli più sventurati? Conosce,
Eccellenza, tutte le ingiurie che hanno subite innocenti fanciulli e fanciulle?
Povere vedove con i loro figli? Altre anime che V. E. ha visto donare tutte se
stesse alla salvezza delle vittime delle trascuratezze indegne degli uomini della
politica imperante? Vede che cosa succede a lasciarli entrare nel gregge?
Sbranano i figli come feroci lupi rapaci, e V. E. tace mentre la parte sana del
popolo rimane indignata e guarda, costernata come noi, pensando che Chi
rappresenta Dio non difende gli interessi di Dio nel popolo. Perché V. E. ha
voluto precipitare le cose con quei decreti [revoca del decreto di approvazione
dell’Opera, 16.5.1952], senza neanche comunicarli prima a me? Ha notizia di
quei fogli di via che sono solo giustificati dalla legge di Pubblica Sicurezza
contro persone perniciose e sospette? In violazione di persone che, se non fosse
altro, sono inquilini di casa propria, di proprietà mia e dei miei figli il cui titolo
affidai per sicurezza, come rogito, a Mons. Sabbadini?
Io sono stato trattato come un delinquente da ergastolo privo di diritti
civili ed ecclesiastici. In diocesi, cominciando da V. E. si è disposto dei miei
figli e dei miei beni come se io non esistessi. E chi ha difeso e innocenti e
sofferenti e abbandonati, e beni? Alcuni uomini e alcune donne che in gran
parte da bambini erano stati abbandonati alla rovina, non il clero e non il
Vescovo. Se sapesse Eccellenza quello che è successo! Che spavento di bimbi,
che orrore di indelicatezze. Ho bisogno di sapere, Eccellenza, se Mons.
Sabbadini mi restituisce la mia proprietà immediatamente o se intende di
rovinarci del tutto tenendo nelle mani ciò che possiede solo a titolo di
interposta persona [si tratta del titolo di proprietà del terreno di Fossoli, che
Mons. tiene come garanzia]. Se per qualsiasi motivo si rifiutasse io sono
costretto a farlo giurare che quella proprietà non è sua e a tentarle tutte per
avere immediatamente nelle mani il mio titolo, per oppormi alle angherie della
polizia e per assicurare la proprietà ai creditori che altrimenti avrebbero diritto
di mandare in galera me e tutti sacerdoti e figli che con me avrebbero sottratto
tanto patrimonio ai loro diritti di ricupero. Entro domattina a mezzogiorno ho
bisogno di avere una risposta scritta da parte di Mons. Sabbadini
contrassegnata dalla garanzia di V. E., garanzia nel senso che la diocesi non
vanta nessun diritto su quelle terre e quelle proprietà, non avendo nessuna
ipoteca, e che, quanto può essere di pendenza tra me e la diocesi, verrà regolato
sulla proprietà del Casinone e del teatro di S. Giacomo. Se questo non avverrà,
io devo prendermi tutte le mie libertà di diritto per difendere e me e i figli da
queste ingiurie.
Eccellenza, non creda che tutto ciò alteri l’affetto, la devozione che le
devo e che sento per Lei, solo La prego con tutto il cuore di essermi Padre,
Amico, difensore a qualsiasi prezzo, nel comune dolore.

Farò quello che la morale mi impone


A Mons. Ottaviani, S. Ufficio

“Il questore voleva addirittura occupare Nomadelfia con la polizia; Le assicuro


che sarebbe scorso sangue”.

Collegara, 22 settembre 1952

Eccellenza Reverendissima,
Se non stiamo attenti è proprio il momento in cui feriamo la Santa Madre per
causa di piccolezze da ragazzi.
Allego copia conforme di una lettera inviata al prefetto di Modena. Questa
mattina mi ha ricevuto. Si danno alla Chiesa delle colpe che non ha, e si fanno
delle interpretazioni dei provvedimenti della Santa Sede che non sono per
niente giuste, ma ingiuriose alla Chiesa.
Mi sono drizzato contro provvedimenti draconiani di carattere politico
poliziesco - niente meno con tanto di legge di P. S. - le ho tentate tutte per far
sfoderare al prefetto a quale provvedimento ministeriale si riferiscano quelle
violenze contro i nomadelfi. Non sono riuscito a farglielo dire, solo
indirettamente trapelava tutto, ma man mano che andavo indagando, egli si
ritirava fino a concludere che in seguito si procederà di comune accordo e a far
fermare l’ondata violenta ed indegna della polizia. Vedremo.
Io gli ho detto che non abbiamo nessuna intenzione di rifare Nomadelfia, ma
che questo, d’altra parte, non sarebbe stato di sua competenza, perché se lo
facessimo lo faremmo d’accordo con l’Autorità Ecclesiastica prima che con
quella politica. Gli ho detto che dimostri che siamo dei delinquenti da foglio di
via.
Ci siamo così lasciati in buona armonia perché ha ritirato le grinfie di una tale
cattiveria che non era sua personale perché con noi è sempre stato molto
buono.
Il questore voleva addirittura occupare Nomadelfia con la polizia; Le assicuro
che sarebbe scorso sangue.
Io però temo sempre un tiro del genere per cui venerdì 19 c.m. ho scritto a S.
E. Mons. Vescovo la lettera che allego in copia conforme essendo successi dei
fatti che non dovevano essere permessi in casa nostra. L’autorità ecclesiastica
locale è spaventata tra i due fuochi S. Ufficio-Scelba, tremano e lasciano
correre dei veri reati, tanto da dimenticare i veri diritti della Chiesa sulle
anime. Bisognava imporsi con il titolo di proprietà per non permettere simili
misfatti.
Oggi pomeriggio ho preso parte ad una seduta del consiglio amministrativo
della diocesi e spero che tutto sia stato regolato sapientemente, in modo che
qualunque cosa succeda in campo economico non sarà di disonore del
Vescovo, del Vicario e del Clero.
Si stava lasciando coinvolgere in un mare di accuse fuori luogo l’Autorità
Ecclesiastica da parte dei creditori che non cercano altro.
Non passa neppure per l’anticamera del cervello dei nomadelfi di riorganizzare
ciò che ad essi è costato tanta umiliazione, se non quando la Chiesa donerà ad
essi il loro sacerdozio. Uno tra essi, colpito, mi ha detto con molto affetto,
quindi ancora più pungente: Voi sacerdoti, non volendolo, ci avete traditi. E
passi. Essi non sono ribelli per niente, solo, sotto tanto tormento potranno dire
cose che come padre io scuso; penso anzi che sono anche troppo pazienti. Sto
sempre attento che non perdono la fede, scandalizzati come sono. Molti tra essi
sono molto tristi, è una cosa pietosissima. Come abbandonati.
La Società dei nomadelfi che essi hanno costituito, da me pure approvata come
consiglio di sacerdote, li ha salvati da un collasso morale che oramai si
avvicinava fatale per le loro anime, di questo temevo nella mia tremenda
responsabilità di sacerdote che ancora intendono.
É una associazione civile secondo il codice civile, quindi
inintaccabile essendo regolare di fronte alla legge. Allego di mia personale
iniziativa copia della nuova costituzione, che non è stata pubblicata.
La cooperativa di lavoro alla quale sono tutti iscritti è regolare di
fronte al tribunale, quindi darà ad essi la possibilità di lavoro in tutte quelle
aziende che vorranno qua e là formarsi. Non vivranno in comunità come prima
se non secondo le necessità del lavoro, ma esclusa ogni forma che esiga la
convivenza dei sacerdoti ad hoc. Andranno come e quando vorranno da
semplici cattolici dai parroci del luogo come e nelle sole competenze che ad
esse sono tenuti nei confronti dei parrocchiani: parroci che per essi saranno
degli estranei quanto al loro modo di vivere.
Leggo sui giornali l’errore del S. Ufficio circa quanto ha fatto di
Galileo si licet etc...; e forse questa volta lo ha commesso per cose di ben più
grave importanza. C’è solo di differenza, tra il fatto di Galilei ed il fatto di
Nomadelfia, che la terra nonostante il no del S. Ufficio girava lo stesso
indisturbata, mentre in questo caso sono state colpite delle vocazioni non solo
in adulti, ma anche in fanciulli, vocazioni ben delineate verso una forza nuova
nella Chiesa. Almeno così la vedo io.
Non si dia peso a tutte le chiacchiere che si riferiscono; alle fantasie
dei giornali, anche se rispondessero a verità, sempre praticamente non incidono
sulla sostanza vera che ci sospinge alla vita. Neppure creda che essi vogliano
fare della gazzarra in campo politico, se non sono costretti a difendersi. E che
forse sono così stupidi da voler fare gli spadaccini contro i mulini a vento? Che
girano solo quando c’è vento? Riprenderanno quei figli cui avranno diritto per
legge, esclusa qualsiasi forma di carattere, così detto, assistenziale e li
manterranno con il loro lavoro in solido.
Che cosa succederà nelle loro anime? Purtroppo non lo so prevedere
in via assoluta. Penso che noi ecclesiastici, nei loro confronti, tentiamo
temerariamente Dio. Io personalmente in quella Società dei nomadelfi non
posso proprio niente, se non un paterno, rispettato e forse compassionato
ricordo.
Farò per essi quello che la morale mi impone. Non illudiamoci noi
sacerdoti che quella loro nuova società riesca a creare qualcosa di solido.
Sarebbe proprio il colmo della incompetenza. E più ci metteranno mano altri
sacerdoti peggio sarà. É un ripiego per dar tempo al tempo, ma la mia
esperienza e la mia vocazione dicono chiarissimamente che andranno verso
enormi difficoltà, verso l’ignoto, come anime condotte in terre di conquista e
poi abbandonate dal padre. Quindi, non temo affermare, dalla Sacra
Gerarchia. Ad esse manca ciò che forzatamente è rimasto nell’anima mia, di
cui avevano ancora bisogno.
Vi tenete nelle mani una responsabilità che finirà per rendere anche
voi tristi ed addolorati. Cose che la Suprema Congregazione del S. Ufficio,
formata di sacerdoti, non ha voluto mettere a qualsiasi prezzo in primo piano
essendo tutto il resto polvere e fango dovuto alla tremenda lotta contro forze
insidiose più serpenti tra i più avvelenati serpenti. Eppure la vocazione è una
forza tra le più misteriose nella Chiesa, una potenza inafferrabile, appartiene
alla categoria delle radici.
Adesso poi è un precipitare di gravi sventure a troppe creature
innocenti, non so quando riuscirò a farne un succinto memoriale.
Sostanzialmente è una accanita persecuzione; e dire che in un baleno tutto
ritornerebbe tranquillo. Eppure il rimediare sarebbe una delle più belle virtù.
Vi do un figliale consiglio che altre volte vi ho dato invano: mandate da me un
sacerdote buono e intelligente, senza dire niente a nessuno dategli delle
istruzioni per me e basta. E che già sappia qualcosa della faccenda in causa.
Vedremo insieme il da farsi. Ascoltatemi perché è il Signore che nelle cose
chiaramente lo vuole. Che venga presso di me come amico e dica che è un
semplice mio amico. Se l’aria parlerà sulla sua missione smentiremo. Mandate
uno che sappia bene nell’anima che la Chiesa non è un monumento storico, ma
il tormento dei secoli, che non è in coda, ma in testa alle conquiste di Dio a
difesa degli interessi veri di Dio nel popolo. Se sa bene questo ci intenderemo,
e poi riferiremo insieme prima di agire. Faremo la volontà di Dio.
Siate buoni, lasciate andare le rigidezze che ci illudono di avere
ragione; invece, almeno a me pare, abbiamo torto. E ditegli che mi sia molto
aperto, perché altrimenti non saprei comprenderlo, e non mi saprei spiegare. E
non mi pare di essere un ingenuo; solo devo seguire vie nuove perché la Chiesa
è sempre nuova. É la mia vocazione, almeno la vedo così. Che venga a fare
almeno la prova del nove sulla vostra operazione.
Non illudiamoci neppure lontanamente che Nomadelfia sia sciolta nei
piani di Dio. É una forza che ci tormenta e che ci metterà davanti a tremende
responsabilità, se volessimo sopprimerla.
Con affetto mi prostro al bacio del S. Anello e la prego di non
sottovalutare questa ultima proposta che secondo me è un S.O.S.

Siamo una casta


A don Vincenzo

“Quando io sbagliavo i fanciulli sorridevano lieti; adesso che sbagliano gli


altri i fanciulli si sono fatti tristi e desolati”.

26.9.1952

Caro D. Vincenzo,
sono in un mare di dolori come sempre ci sono stato. Sono andato a toccare
con la punta del trivellino il midollo di una questione secolare nella Chiesa, per
questo si condannano a morte anche i bambini. Dopo il pianto di quelli io nella
mia persona non ho più nulla da salvare se non farmi fanciullo come loro e non
più trastullato da nessuno.
Quando io sbagliavo in Nomadelfia i fanciulli sorridevano lieti, immersi in un
mondo di amore; adesso che sbagliano gli altri i fanciulli si sono fatti tristi e
desolati. Nasceva con essi una nuova società umana che quelli che sbagliano
adesso non vogliono. Tutto qui. Il resto è cornice. Riusciranno a sbagliare fino
in fondo? Forse ci penseranno le bombe atomiche a distrarli.
Quei sacerdoti di Nomadelfia che tu dici essere sfasati non sono stati covati da
me, ma in seminario. Educazione che secondo me è del tutto fuori della vita
che sospinge la Chiesa alla conquista delle anime.
Che cosa mi farà il S. Ufficio? Purtroppo avrà più riguardo per me di quello
che non ha avuto per i miei figli. Tenta di salvare il clero. Qui sta il suo
gravissimo difetto che io gli perdono, ma che Dio non gli perdonerà. Il cui
sangue ...clamat ad te de terra.
Ma che cosa meditate voi, miei carissimi confratelli? S. E. Mons. vescovo se
ne è avuto a male della mia lettera? E dire che non gli ho fatto avere un
vigliacco foglio di via come ha permesso, anche con semplice trascuratezza, di
spiccarlo per i figli.
Siamo una casta.

Si potrebbe scatenare l’ira di Dio


Al papa Pio XII

“C’è in vista qualche funerale di bimbi. I pediatri dichiarano che sono rimasti
spaventati per essere stati strappati alle loro mamme”.

1 Ottobre 1952

Beatissimo Padre,
tra l’altro di molto grave, c’è persino in vista qualche funerale di bimbi che
competenti medici pediatri dichiarano essere rimasti spaventati per causa di
essere stati strappati alle loro mamme. Un pediatra di Modena che ben li
conosceva prima, voleva denunciare il fatto, ma io l’ho pregato di non farlo. In
istato di gravissima prostrazione fisica sono stati, segretamente alla questura,
riconsegnati alle loro mamme di Nomadelfia che stanno facendo di tutto,
assistite da due medici, per salvarli. Se succederanno di questi funerali, si salvi
chi può perché si potrebbe scatenare l’ira di Dio nonostante tutte le nostre
premure per evitarlo. Giacché poi in diversi istituti nei quali sono stati
conficcati i figli di Nomadelfia c’è una mal celata persecuzione a Nomadelfia,
quindi censura di lettere, certi ragazzini riescono a sfuggire a quelle censure e
scrivono a persone amiche in tutte le parti d’Italia, cose di avvilimento e di
spavento per le loro animucce. Non accettano, non vogliono ritornare dei senza
famiglia.
Beatissimo Padre, la vinceranno perché è la nostra vocazione. Posseggo
centinaia e centinaia di lettere nelle quali essi affermano di accettare tutto
questo come prova di Dio, ma sognano la loro città come il più grande dono di
Dio.

Nessuno nella Santa Sede ha la mia vocazione


A Mons. Ottaviani, S. Ufficio
“Quindi tutte le volte che essa interferisce non ci si intende”.

Modena, 1 ottobre 1952

Eccellenza Reverendissima,
dopo che non ho avuta nessuna risposta alla mia ultima lettera nella quale
chiedevo alla Suprema Congregazione un competente per rivedere le gravi
conseguenze del decreto del 5.2 mi permetto di scriverLe quanto segue:
1- É stata repressa una vocazione. Se quella vocazione dovrà venire a galla il
Signore provvederà. Per ora essa rimane una opinione non avendo ottenuto
il sigillo della Santa Sede.
2- I fatti conseguenti e viventi impegnano le anime interessate secondo la
morale.
3- All’autorità politica competente Dario ha consegnato un documento del
quale (a mia iniziativa personale) allego copia.
Tra Nomadelfia e la Santa Sede, un incontro si è trasformato in uno scontro
come spesso avviene nelle famiglie tra padri e figli, provocando una situazione
di semplice attesa, sia pure nella tortura di anime che la vita sospinge verso
orizzonti dalle nuove speranze. Ce n’è rimasto per tutti del materiale di attacco
e di difesa nelle inevitabili future polemiche, che io cercherò di limitare.
Io penso solamente che la Chiesa ha bisogno di Nomadelfia e che la Santa
Sede l’ha repressa. Naturalmente potrei sbagliare; ma tutto mi dice che ho
ragione. Difetti ed errori sono concomitanti persino allo svolgersi degli studi di
teologia, più ancora allo svolgersi di una vita del tutto nuova nel mondo come
quella di Nomadelfia. Se sarà vero che la Chiesa ha bisogno di Nomadelfia
vuol dire che l’ha già in seno e saprà in modo misterioso nutrirsela ed
allevarsela. Non ho incontrato nessuno che nella Santa Sede abbia la mia
vocazione, quindi tutte le volte che essa vocazione interferisce nei contatti
inevitabili nasce della confusione e non ci si intende. Io dico, ad esempio, che i
fanciulli di Nomadelfia sono confinati in carcere o nell’abbandono; alla Santa
Sede si reagisce perché offendo chi li ospita con ammirevole zelo apostolico,
suore, religiosi, sacerdoti e laici del tutto dediti e veramente eroi nel donare la
vita alla salvezza dei fanciulli. Riconosco verissimo tutto questo, ma falsissima
la sua applicazione sui figli di Nomadelfia.
Dico, ad esempio, che i figli di Nomadelfia hanno la vocazione di creare una
popolazione comunitaria nella Chiesa, e la Santa Sede dice di no,
semplicemente perché a quella popolazione vuole negare il suo clero
connaturale.
Non è quindi per me un giudizio negativo sui confratelli, ma una
differenziazione di vocazione.

Il mio intimo lamento


Riflessione inviata a persona non identificata
“Cosa risponde il S. Ufficio alla muta protesta degli innocenti che per colpa
sua sono stati strappati ai babbi, alle mamme, ai fratelli?”.

1.10.1952

Inspiegabile e paradossale mi sembra l’intervento del S. Ufficio perché ha


avuto come risultato la dispersione di fatto della Città di Nomadelfia, avendo
Esso strappato il sacerdote-padre, quindi anche gli altri sacerdoti che in essa
stavano facendo ogni sforzo per diventare elemento connaturale a quella nuova
forma di vita cristiana nella Chiesa.
Pure riconoscendo cordialmente quei difetti che potevano essere oggetto di
ritocco e di studio, evidentissima era in tutti noi sacerdoti l’intenzione di
donarci, come ci eravamo donati corpo ed anima, ad essere una cosa sola con
quella nascente popolazione comunitaria, per la quale io posso dire
autorevolmente ego genui vos; li ho generati io nel Signore quindi in armonia
con l’Autorità Ecclesiastica competente.
Non è la prima volta che quel Supremo Tribunale della Chiesa commette errori
disastrosi che vengono a mettere la Chiesa in grave disagio e scandalizza i non
cattolici. Poi impiega quattro secoli a permettere ai cattolici di dire che ha
sbagliato, mentre tormenta anime che, devote e ardenti nel donare alla Chiesa
opere dirette a ergersi con i fatti contro ciò che il Magistero riprova come
negativi alla Fede, non ammette di difendersi a parità di libertà almeno contro
le forze della resistenza al naturale svolgersi della vita nella Chiesa stessa. Non
è giusto. La Chiesa non può accettare di essere un monumento storico. Giacché
il S. Ufficio è fallibile si lasci attaccare, o ci dia modo esauriente per difenderci
dai suoi attacchi.
Per quanto suprema che sia la Congregazione del S. Ufficio, non vorrà
pretendere poi di fatto di sostituirsi a Dio i cui decreti sono infallibili ed
accettabili con amore dagli uomini.
Forse che siamo così ignoranti da non sapere in che consiste l’infallibilità del
Papa e della Chiesa? Mentre Esso rende esecutive ed inappellabili delle
sentenze che i colpiti alle volte riprovano, pure ritenendosi per ortodossia
obbligati a subire. Che la disciplina nella Chiesa sia necessaria e risponda ad
una basilare verità di fede siamo d’accordo tanto che abbiamo in coscienza
ubbidito; ma la disciplina è reciproca in molti casi perché con quelle sentenze
che non ammettono appello, in questi casi nei quali noi colpiti continuiamo a
dire ed a scrivere alla Suprema Congregazione eppur si muove, si instaura o si
perpetua la legge della prepotenza, cose che almeno il Papa non deve
permettere, e che noi come fedeli e sacerdoti non possiamo condividere sia
pure attenendoci devotissimamente fermi all’ancora della sacra dottrina, che
per noi è atto di fede.
Che cosa risponde la Suprema Congregazione del S. Ufficio alla muta protesta
degli innocenti che per colpa sua indiretta sono stati strappati ai babbi e alle
mamme, ai fratelli che avevano ritrovati dall’abominevole abbandono?
Vuole rispondere che vanno bene per essi gli istituti, specie di carceri nei quali
il bambino perde ogni nozione della vita della famiglia, della istituzione divina
della maternità, della paternità, della fraternità? Che gli stessi fondatori di
istituti affermano essere dei rappezzi o dei ripieghi? Vuole imporre ad essi
tanta mostruosità, quando finalmente per quei figli, almeno di Dio, era nata
nella Chiesa una città dell’amore fraterno e solidale fino a ridonare e padre e
madre a chi per causa delle così dette disgrazie o delle ingiustizie li aveva
perduti per sempre? E se noi nomadelfi sacerdoti e laici non vogliamo più
vivere i sistemi sociali che sono praticati anche dai cattolici, ma vogliamo
vivere liberamente nella Chiesa un nostro sistema sociale comunitario senza
venir meno ai nostri doveri verso il resto della società, il S. Ufficio non potrà
negarcelo come diritto e come principio.
Vuole dar ragione indirettamente alle grettezze del Governo Italiano che ci ha
sempre affamati? Vuole negare il diritto naturale dell’adozione o delle sue
forme simili dirette egualmente allo stesso fine? Vuole negare il diritto di
associazione? Vuole negare a quella città il suo sacerdozio connaturale alla
vocazione della medesima? Forse che noi siamo dei ribelli alla Chiesa? Per
essa siamo pronti a dare la vita. Siamo prontissimi a darla anche in difesa di
coloro che attualmente ci opprimono.
Vuole che gli uomini sacerdoti e laici che vivono quella vocazione siano degli
angeli senza difetti? Senza errori correggibili? Vuole rifiutarsi di fare un atto di
virtù, di dire cioè che ha sbagliato, mentre mi condannerebbe se io non lo
facessi?
Vuole farmi tacere? Perché? Avrebbe fatto cosa più divina lasciare a me la
parola anziché costringere Dio a parlare attraverso vittime innocenti; attraverso
gli stessi mattoni che proteggevano quei figli e le stesse tegole che li coprivano
nel famigerato campo di concentramento di Fossoli? Vuole associarsi con il
suo atteggiamento repressivo ai barbari moderni che costruivano e che sotto
altre bandiere sono prontissimi a ricostruire quel campo di costernazione, a
supplizio e a soppressione della vita umana?
Vuole continuare a permettere la persecuzione dei figli di Nomadelfia che
hanno ragione anche se hanno gli stessi difetti degli uomini dei quali i
componenti il S. Ufficio non sono esenti?
Vuole difendere il Cardinale Arcivescovo di Milano lasciandogli dire le
mormorazioni e le calunnie che pubblicò per affamare e disonorare di fatto i
figli di Nomadelfia che sono tra i figli più sofferenti della Chiesa? Io spero che
S. Em. se ne sia confessato per quanto non mi risulti, perché il confessore gli
avrebbe imposto di riparare il mal fatto, cosa che non avvenne.
Vuole prendere pretesto da errori ed inesattezze degli uomini e dei sacerdoti di
Nomadelfia per distruggere il bene che essi volevano fare al servizio di Dio
nella Chiesa di Dio, dispostissimi a correggere tutto? Ma quando mai è stata
decretata la infallibilità e la incorreggibilità degli uomini nell’esplicarsi della
vita che vuole essere aderente a Dio? E solo nella Chiesa di Dio?
Ma mentre in Cardinale di Milano, perché è Cardinale, non ammette critiche se
non da coloro che dal di fuori della Chiesa gliele suonano, e spesso anche
esatte, attraverso le censure ecclesiastiche mi impone di tacere quasi che
avesse ragione ad essere stato così severo e crudele contro noi sofferenti;
mentre la Suprema Congregazione preferisce le riprovazioni dei non cattolici
alle filiali nostre proteste condannando così a parole un fatto che per sua natura
non accetta quell’autoritarismo che non può essere secondo il cuore di Cristo,
cadono vittime e vittime in un collasso ed in una degenerazione che nessuno al
mondo ha diritto di provocare senza mortificare la Chiesa, le cui leggi e le cui
sostanze sono dalla parte delle vittime.
Dica la Suprema Congregazione del S. Ufficio il suo erravimus come noi tutti
sacerdoti e laici siamo prontissimi a dirlo là dove anche noi abbiamo errato. E
lo dica al mondo come noi siamo pronti a dirlo al mondo, perché il mondo ne
ha il diritto essendo rimasto scandalizzato; per dimostrare anche con un fatto
chiaro ed eloquente che la legge del S. Ufficio è la stessa nostra legge: quella
di Cristo: Amore, Verità, Redenzione, perdono reciproco e non unilaterale. E
rispetti la nostra vocazione come noi siamo tenuti a rispettare e vogliamo
rispettare la Sua altissima Missione. E nemmeno voglia applicare ai nomadelfi
leggi positive che non incidono sulla natura della loro vocazione, e che le mille
volte essi hanno rifiutate perché sanno che la Chiesa non è uno stato tiranno e
coercitivo, ma una divina e sovrana Madre che è tenuta per sua natura a nutrire
e proteggere i figli secondo le loro vere esigenze e non secondo tradizione e
leggi positive che potrebbero essere giustissime ed aderenti agli uni, ma
ingiuste, paradossali e mortali agli altri.
E non dice il S. Padre che milioni di uomini attendono un cambiamento di
rotta? è Dio che l’attende in quegli uomini: milioni di uomini l’attendono
prima dall’esempio di Roma, quel “cambiamento di rotta”. Cominci a farlo la
Suprema Congregazione del S. Ufficio perché da secoli dimostra di essere
troppo spesso non aderente alla natura della Chiesa, quando condanna senza
permettere una difesa aperta e pubblica come apertamente ed in pubblico ci
colpisce e ci disonora.
E cominci a farlo anche la Santa Sede che non vorrà pretendere di essere sul
piano segnato dai discorsi del Papa e dalle eterne linee segnate da Cristo, nelle
sue non poche incancrenite e falsissime posizioni di mondanità.
Non c’è nulla da riformare nella Chiesa, c’è solo da cominciare a realizzare
tagliando le incoerenze che sono oramai troppo grossolane ed evidenti, almeno
lealmente riconoscendole. E se facendo questo, in certe cose, venisse a dar
ragione agli avversari ne sia lieta. L’essenziale per il Divino Fondatore è che a
qualsiasi prezzo trionfi la verità.
Noi siamo degli oppressi anche se la Suprema Congregazione del S. Ufficio
dicesse di no, sotto pretesti anche verissimi, ma che non incidono sulla realtà.
Il S. Ufficio ci ha offesi a morte. Se non dico il vero me lo dimostri prima di
saltarmi addosso con tanta violenza, per niente cristiana, e provocante il vero
delitto della strage degli innocenti, senza darmi il modo di difendermi, prima
di permettere tanta rovina.
Ma se la Santa Sede ha paura a dire erravimus il Signore ci ridurrà di nuovo
alle catacombe, non perché si difendeva Cristo, ma perché si condannava
Cristo, con le opere negative alla volontà di Dio.
Io ho ubbidito a quel decreto famigerato del 5 febbraio e continuo ad ubbidire,
ma come [chi] gli si punta lo schioppo sul cuore e gli si dice: o mangi questa
minestra o salti da quella finestra.
S. E. il Nunzio ap. può testimoniare che gli dissi che secondo me quel decreto
è superficiale e che se mi fosse stato concesso me ne sarei appellato; e la
Suprema Congregazione sa che Le ho scritto: è ingiusto. Ed intanto le vittime
continuano a cadere irreparabilmente.
Si dica tanto dalle vette della Chiesa, quanto dalle fogne della tortura nelle
quali noi ci troviamo: erravimus. Cesserà lo scandalo ai fanciulli e Dio opererà
il miracolo che milioni di uomini attendono: cambiamento di rotta. Cosa che
Roma deve fare perché a noi non rimane altro che esserne seguaci, caso
contrario finiamo e finiremo sempre per ritrovarci di fronte ad una qualche
inaspettata intimatio, tremenda e paurosa perché non ammette protesta, perché
tra l’altro la Suprema Congregazione in simili casi non scherza: mostra i denti
della scomunica, arma la più micidiale del mondo, ben più grave, per noi
cattolici, dello stesso rogo.
Io scomuniche non ne voglio.
Nomadelfia sia salva dal pianto dei bambini perché contro di essi non si può
sentenziare una scomunica, per quanto certi fanatici cerchino di soffocarglielo
con molta gentilezza e zelo. Per parte mia quegli sono dei vigliacchi.
Ma i costernati bambini che cercano invano la mamma diranno tutto a Dio
come l’impiccato da Neguib.
Io sto difendendoli a sangue, ma con ben miseri risultati perché sono buttato a
terra come loro. E da chi? E perché? Da coloro che mi hanno insegnato ad
amare quelle creature come Cristo ci ha amati; da Coloro che riconosco
rivestiti d’Autorità dall’Alto che amo ed ai quali obbedisco in questo caso,
scandalizzato negli stessi miei figli costernati e spaventati.

Sac. Zeno Saltini

Cosa è rimasto?
Al papa Pio XII

“400 milioni di debiti a mio carico”.

5 ottobre 1952
Beatissimo Padre,
Ho notizia che il Consiglio direttivo della ex Città di Nomadelfia ha
comunicato in questi giorni al Prefetto di Modena il totale esodo dei minorenni
fatte alcune eccezioni di inevitabili ritardi per ragioni di legge. Con quell’atto
lo stesso consiglio dell’ex città non esiste più. Sono rimasti alcuni incaricati
per la liquidazione dei beni. Tutti gli altri, ad eccezione di quelli che devono
lavorare le terre in liquidazione e custodire immobili, macchine, ecc. se ne
vanno, non so dove, a lavorare organizzati in una Cooperativa di lavoratori.
Gli stessi che sono rimasti sulle terre, quelli a custodire i mobili e quelli a
curare l’ufficio creditori e alienazione fanno parte della cooperativa.
Di Nomadelfia non è rimasto niente, se non oltre 400 milioni di debiti a mio
carico. Ciò significa che io devo pagare.
E chi posso chiamare in causa? Secondo gli articoli 36, 37, 38 (tra gli altri) del
Codice Civile e gli articoli del Codice Penale là dove ci fossero delle
irregolarità, tutti coloro che hanno agito in nome e per conto di Nomadelfia che
giuridicamente è una Società Civile.
Abbiamo fatto ogni sforzo per raggiungere un concordato extra giudiziale, il
20% dei creditori non ha ancora aderito e diversi tra questi ultimi non
intendono aderire. A presentare i libri di contabilità in tribunale siamo
certissimi che nascerà un così detto pandemonio, perché tra l’altro l’intervento
del tribunale provocherà una levata di scudi e i più contrari o insistenti
preferiranno perseguitare i facenti parte la associazione piuttosto che accettare
quel poco di ricavato che una vendita potrà offrire ai creditori. Abbiamo
calcolato che non potendo raggiungere le percentuali di legge rimarrebbe ai
responsabili in solido un debito di oltre 300 milioni.
Chi sono i responsabili? Quasi tutti i sacerdoti secolari di Nomadelfia
e i religiosi che se ne andarono il 30 agosto dell’anno scorso per ordine del S.
Ufficio, più 15 o 20 laici tra uomini e donne. E che cosa deve fare questa gente
con me? Deve pagare. É in solido con me per legge civile e penale, senza
discutere sul reale vincolo morale. I laici sono sempre restati al loro posto di
responsabilità e di lavoro, mentre noi sacerdoti in gran parte li abbiamo
abbandonati a se stessi con dimostrabile danno alle aziende ed alla produzione,
sotto questo aspetto potremmo essere accusati di tradimento e di abbandono
dei beni e delle aziende che per legge dovevano essere il capitale sociale a
garanzia dei creditori. A differenza di don Ennio Tardini e di don Luigi Bertè,
tutti gli altri, me compreso, non siamo più stati sulle aziende, tra le quali per
questo, diverse sono state sospese fin dal febbraio u.s. per causa del mio
allontanamento, ed altre nell’ottobre dell’anno scorso per causa
dell’allontanamento dei religiosi.
La commissione liquidatrice, naturalmente dipende da me perché l’ex
Consiglio direttivo di Nomadelfia, per incarico di una regolare Assemblea
dell’ottobre 1951 non era altro che delegato da me nel campo amministrativo,
ed ora ha dato le dimissioni e si è sciolto. Detta commissione è stata eletta dal
Consiglio dietro mio nulla osta. Noi sacerdoti abbiamo ubbidito al S. Ufficio
ma nei rapporti e vincoli nati prima, la legge non tiene conto di questi ordini, e
meno ancora i creditori.
Chi paga? Bisogna pagare. Ogni contratto è legge tra le parti
contraenti. Che poi nei rapporti mistici ecc. tra noi ecclesiastici siamo stati
bravi o no nel violare le leggi economiche, se si può dimostrare che sono state
violate per ragioni di natura superiore; che siamo o no punibili dalla Sacra
Gerarchia non interessa le leggi civili e meno ancora i creditori.
Noi dobbiamo pagare e siamo tenuti in solido; il che è molto grave.
Io voglio pagare e se altri corresponsabili non volessero pagare li citerei in
giudizio prima che i creditori non mi saltassero addosso per colpirmi alla
schiena. E voglio pagare, essi con me devono pagare ci costasse tutto il resto
della vita.
Le realtà sono volontà di Dio: bisogna pagare. Ogni polemica rimane
chiusa o sospesa, la realtà è che bisogna pagare e che io con i miei
corresponsabili voglio pagare. E bisogna anche far presto a mettere le carte in
tavola per prevenire disastri che faremo di tutto per evitare. Che ne è stato di
tutto quanto era promesso nel decreto contro di me, del 5 febbraio? Volevo
appellarmi e non mi fu concesso. Protestai le mille volte con S. E. Mons.
Ottaviani e mai ho avuto soddisfazione per potermi muovere nelle mie vere
responsabilità.
Chi mi ha sostituito nella direzione di Nomadelfia? Nessuno. Qui sta,
purtroppo, il mio tradimento di fronte alla legge civile e di fronte ai creditori.
Che colpa ne ho io se i nomadelfi dicono di avere una vocazione che
non incide sulle proposte della Suprema Congregazione alle quali erano liberi
di dire di no? Una pretesa vocazione può essere e non essere in externis, ma i
debiti ci sono e non sono una opinione. Se sarà una vocazione quella, il
Signore ha modo di dimostrarlo dopo tanto flagello; egli può fare miracoli se
proprio non Gli apriamo nessuna via normale, a meno che non preferisca
lasciar correre le conseguenze fino in fondo. Attualmente i nomadelfi
diventano ogni giorno sempre più tristi e sempre meno accostabili.
A me sembra che noi ecclesiastici, da Roma in giù abbiamo loro
mancato di rispetto. Se questo fosse vero ne seguirebbero gravissime
conseguenze. Il Signore difficilmente arresta un sasso od una pallottola quando
sono stati lanciati, od un treno in discesa se gli vengono meno i freni. Anche i
pagani sapevano dire: maxima debetur puero reverentia.
Ma oramai ogni discussione ed ogni atto di buona volontà in merito
sono vani e fuori luogo. É invece doveroso non commettere un atto di
ingiustizia per ragioni che non incidono sulle realtà. Io spero che i miei figli
idonei al lavoro siano ancora così buoni da sacrificarsi per aiutarmi a pagare i
debiti. Ho sperato fino alla settimana ultima scorsa che saltasse fuori una
qualche logica ed efficace soluzione, ma oramai è da pazzi e da temerari
soprassedere.
Martedì 7 ottobre sarò a Roma essendo stato citato in Pretura per una
causa. Se non mi metteranno in galera, verrò, appena libero, al S. Ufficio per
chiedere udienza a S. E. Mons. Ottaviani o a chi mi sarà indicato, avendo
urgente bisogno di trattare a fondo e con prestezza quanto è contenuto nella
presente.
Entro la settimana devo a tutti i prezzi decidere una strada da seguire
perché, ripeto, voglio e devo pagare, costasse tutto il rimanente della mia
oramai torturata esistenza. Mi basterà entrare nella vita eterna potendo dire al
mio Signore: ho fatto di tutto per pagare, quindi fammi il saldo Tu di quanto è
ancora rimasto insoluto.
Mi pare che alla Suprema Congregazione non rimanga altra strada
che: o darmi un assegno per liquidare tutto, oppure non crearmi delle noie e
degli ostacoli a farlo in piena libertà con i miei corresponsabili, che prima di
lasciarsi citare presso i tribunali civili e penali sarà meglio si mettano
d’accordo con i laici e facciano presto a darsi a quel lavoro che insieme
vedremo necessario ed urgente.
Voglio pagare, devo pagare. Non è una opinione.
Mi prostro al bacio del S. Piede
Figlio Dev.mo Don Zeno.

Colpiti in mille modi


A Mons. Ottaviani, S. Ufficio

“Perché negare ai fanciulli la gioia della famiglia?”.

27 ottobre 1952

Eccellenza Reverendissima,
a Milano si dice che in dicembre ci sarà un grave provvedimento da parte del
S. Ufficio contro di noi. Lo stesso P. Generale dell’Ordine dei Servi di Maria
ha scritto all’avvocato mio fratello che ci saranno contro di me gravi
provvedimenti. Lo diceva anche il parroco di Nomadelfia, Don Pomati. É una
voce che corre molto. Si parla persino di condanne, specialmente a Milano.
Vedremo.
Il 6 di novembre ci dovrebbe essere un processo a Bologna contro di me e
Ugo, Irene e Corinna. Intanto sto difendendomi a Fossoli da un vero e proprio
arrembaggio sulle cose. Il tribunale non è ancora in grado, a tutt’oggi, di
intervenire efficacemente. Gli ospedali dove ricoveravamo ammalati gravi si
sono coalizzati contro di me, indirizzandomi lo stesso documento
personalmente, e contro i beni, portando via valori ingenti per coprirsi delle
spese di assistenza ospedaliera, autorizzati dalla prefettura. Non capisco
perché si debba pagare noi gli ospedali civili. C’è tutta una rete di vampiri che
ogni tanto si muove come lupi affamati. Sono divoratori di carogne. Si
organizzano in una maniera così astuta e violenta... ma questo è satana.
Macchine da 500 e più mila lire, le valutano 50; un valore di 15 milioni, 3.
Noi siamo colpiti in mille e mille modi; da mille e mille direzioni.
Non riesco a capacitarmi per inviare una relazione completa, perché è un
susseguirsi di cose odiosissime.
Che cosa rimarrà da questa violenza? Rimarrà la vera Nomadelfia,
crocifissa, la vera città di Dio, dove ogni legge ed ogni costume sarà la volontà
e solo la volontà di Dio espressa attraverso la Chiesa.
La Suprema Congregazione non farà altro che condannare quello che
Nomadelfia condanna, non pretenderà altro che quello che Nomadelfia
pretende; sarà una condanna ben lungi dal colpire la sostanza di Nomadelfia,
condanna buona anche essa per farci soffrire; tempo sprecato in tanta urgenza
di opere di Dio. Confido che il Signore non la permetterà.
Perché tra Galileo e la Santa Sede si è finito per commettere un così
grave errore? Cosa che non si deve ripetere? Perché discutevano su cose che
erano del tutto al di fuori del vivo problema che Galileo di fatto poneva sul
tappeto. Ottime cose ma fuori luogo. Quando mai ci siamo messi a tavolino per
trattare a fondo il problema che pone sul tappeto il fatto Nomadelfia?
Serenamente, con indiscussa esperienza? Mai. Sempre e quasi solo su cose di
circostanza.
Qualche punto sostanziale: Dio è Padre e noi tutti siamo figli, quindi
fratelli. Non facciamo delle chiacchiere. Se siamo fratelli amiamoci sul serio
l’un per l’altro. Cristo è il Redentore, Figlio di Dio Padre, Dio, seconda
persona della SS. Trinità. Amatevi l’un l’altro come io ho amato voi. E come ci
ha amati? Dando la vita per noi. E noi la risparmieremo per non darla per il
fratello? Ma se non v’ha cosa più grande al mondo?
Tutti i cattolici devono essere l’uno per l’altro; ma esserli, o sotto
forma di convivenza o sotto qualsiasi altra forma; non sarà quindi lecito,
adducendo il pretesto di dover vivere sotto altre forme, non essere realmente
l’uno per l’altro, s’intende salvi i precisi doveri dello stato nel quale ciascuno è
stato chiamato. Dio registra le realtà.
Si vuole vivere questo amore dovuto, in convivenza? É logico che ne
scaturisca una comunità. Sarà sempre meglio che qualsiasi altra forma, purché
sia di libera scelta. É più che dimostrabile. Basterà avere le nozioni più
elementari della sana pedagogia per dimostrare che la sola realtà idonea ad
assicurare all’uomo la completa formazione nella minorità è la famiglia, e dalla
famiglia, legato alla famiglia, entra pian piano a partecipare delle interferenze
sociali. Perde la famiglia? La comunità se lo prende come fratello e lo affida
sotto il suo controllo alla cura o assistenza paterna e materna ad una famiglia
facente parte della stessa comunità. Questo atto d’amore altera la natura della
famiglia legittima? No, perché il minorenne in disgrazia non entra negli stessi
diritti naturali della prole, ma semplicemente come assistito dallo stesso amore,
per cui sente vivo egualmente e vitale quell’amore che in questo caso è simile
a quello familiare. Infatti a Nomadelfia i cosiddetti figli adottivi non erano
adottivi, erano amati dello stesso amore di cui avevano bisogno, tanto che se i
coniugi o le mamme non rispondevano a tale missione, la comunità toglieva
via dalla famiglia tutti i figli adottivi, non gli altri. E perché, fermi i diritti della
prole, si dovevano amare meno gli uni degli altri? E non siamo tutti figli di
Dio? L’amore cristiano colma abbondantemente la natura, la eleva e trabocca
nell’infinito. E perché negare ai fanciulli la gioia della vera famiglia, se questa
è in grado di donargliela? E perché negare agli uomini la gioia della comunità
fraterna convivente, che tanto risponde alle più profonde aspirazioni della
perfezione?
La legge di Nomadelfia è la fraternità in Cristo nella Chiesa di Cristo.
Dalla fraternità nasce tra l’altro come conseguenza l’affidare alle famiglie i
figli che rimangono senza, come assistenza familiare nell’amore che essi
esigono per vivere la loro vita, la loro età, responsabile la comunità.
E perché mortificare i fanciulli? Qualsiasi altra forma è ancora un
rappezzo nelle imperfezioni di una società selvaggia, a meno che non si tratti
di fanciulli avviati a missioni speciali; ma bisogna andare molto adagio.
Promiscuità, caratteri ecc. sono tutte accidentalità che si devono regolare nella
sapienza del vivere secondo la fede, quindi secondo le virtù dovute ecc. Siamo
nell’errore, vivendo questa vocazione, a creare nella Chiesa una simile
comunità? Se non è errata la concezione della comunità, non sarà errore
viverla. E se non l’abbiamo ancora scoperta del tutto, quindi se erriamo anche
in qualche aspetto interpretativo, che c’entra? Ma, non siamo perfettibili?
Può esistere una simile comunità senza il suo clero convivente e
legato alla stessa fraternità, s’intende nell’espletamento della sua missione?
No; è dimostrabile. Come è dimostrabile che solo la Chiesa può generare e
vivificare una simile comunità. Fuori della Chiesa è assurdo che gli uomini la
tentino.
Questa tesi l’ho dimostrata a Londra in una adunanza di studiosi
cattolici, protestanti, atei, ebrei ecc., pregato dallo stesso vescovo ausiliario
della città, il quale mi disse anzi: Non è Nomadelfia che ha bisogno
dell’Inghilterra, è l’Inghilterra che ha bisogno di Nomadelfia. L’Em.
Cardinale era ammalato. Nella seduta una personalità, sacerdote anglicano,
dopo parecchie ore di discussione, si levò a darmi ragione.
Non ho nessun timore di dire con il cuore in mano alla Suprema
Congregazione che Nomadelfia è un fatto di Dio e che per bocca mia invoca
alla medesima: A qualunque prezzo, noli me tangere. Come il bambino invoca
tempo per dimostrare che è un uomo idoneo nel tempo ad essere anche un
grande santo. Oggi vagisce oppressa e costernata, ma domani parlerà nella
Chiesa, dalla Chiesa e con la Chiesa al mondo intero la parola del Regno di
Cristo in una novella conquista per la Chiesa. Eccellenza, la prego, tenga fermi
questi punti semplici, tenga ferma questa direttiva, resista a dare tempo al
tempo, il resto lo farà Gesù. Intanto noi viviamo la nostra tragedia, il nostro
dolore veramente spasimante. Mettiamoci a tavolino e cerchiamo di tirar fuori
le sostanze; è guadagnare tempo; il Signore ce ne sarà riconoscente.
Lasciate che in Nomadelfia ciascuno si esprima come sa, ma che
viva, poi saprà modellare la parola e le opere alla sua vocazione. Persino quasi
tutti i creditori sono pazienti con noi. E voi siete i nostri padri, quindi
pazientate anche voi.
La prego, Eccellenza, ne parli, se è possibile al S. Padre. Mettiamoci
a tavolino pazienti e forti perché forze misteriose tentano di sopraffarci, ma
non è sopprimibile Nomadelfia, è semplicemente torturabile. É così,
Eccellenza, creda è così. Lo ottenga, il Signore Le sarà tanto, tanto
riconoscente. In venti anni di vita Nomadelfia ha sempre pianto in grembo alla
Madre, non teme di continuare a piangere lo stesso dolore della Madre. Ne
parli al S. Padre. Tutte le cose di Dio, fatte dagli uomini che a Dio si dedicano,
sono alterate dai medesimi; ma Gesù è buono e paziente. Ne parli al S. Padre.
É una grazia che invoco, mettiamoci a tavolino.
Mi prostro con affetto ecc.

Una levata di scudi


A Mons. Ottaviani, S. Ufficio

“Ricostruire Nomadelfia è una responsabilità che non mi assumo se non ho


nelle mani quel segno: la fiducia del S. Padre”.

3 novembre 1952

Eccellenza Reverendissima,
Ieri sera mi ha telefonato da S. Paolo (Brasile) don Marchi. Ha già avuto
contatti con S. E. il Nunzio ap. presso il Brasile, con S. E. Mons. Vescovo,
credo di S. Paolo, con Mons. Rettore della Università di S. Paolo, nostro amico
che venne a visitare Nomadelfia nel 1951, con il Rev.mo P. Dainese SJ che
venne da V. E. a chiedere informazioni su Nomadelfia.
Al governo brasiliano, non so quando, fu presentato quel memoriale intitolato
Questa è Nomadelfia fatto nel 1951 per il governo italiano, più una proposta
fatta forse in tale epoca da parte di don Marchi per un eventuale esodo della
città all’estero. Mi ha telefonato per avere alcune direttive, essendo stato
chiamato d’improvviso per oggi stesso ai Ministeri di Grazia e Giustizia e
dell’Agricoltura o Commercio (non ho capito bene questo ultimo). Mi diceva
che in quegli ambienti è conosciuta Nomadelfia anche nelle sue ultime
vicende.
Il governo, credo di S. Paolo, accetterebbe quel piano del congresso di
Nomadelfia fatto nel 1951: fondare una grande città, nel tempo, con un piano
regolatore in partenza, su una vasta zona di terre da dissodare man mano che
vanno formandosi le borgate o parrocchie. Una città che in 20 o 30 anni arrivi
a contare circa 200 borgate di 600 abitanti l’una autosufficienti in partenza.
Don Marchi mi diceva che quel governo pare disposto ad assumersi le spese di
impianto, al fine di poter anche consegnare alla città fanciulli abbandonati,
secondo il piano sociale di Nomadelfia.
Gli ho descritto l’attuale nostra situazione in Italia; l’ho pregato di sentire che
cosa propone detto governo e che si informi.
V. E. mi disse un giorno, dopo la visita del P. Dainese SJ: Lei è il padre di
Nomadelfia. Se fosse oggi pentito di avermelo detto è in tempo a ritirare tale
qualifica dalla quale dipende chissà che cosa, Dio solo lo sa. Mi disse un’altra
volta che su di me c’è una specie di sfiducia, naturalmente tale da ostacolare
l’esercizio della mia paternità sui nomadelfi. Il Rev.mo P. Castellano in nome
della Suprema Congregazione mi diede ragione in occasione della mia ultima
richiesta di libertà d’azione per far fronte con i sacerdote e i laici alle
gravissime nostre responsabilità, ma poi, come ha visto, di fatto sono ancora
solo con don Marchi, don Ennio e don Luigi Bertè che è spesso ammalato,
mentre le cose precipitano. Solo perché ho invitato i religiosi ci fu una levata di
scudi violenta ed autoritaria.
Eccellenza, La prego, ne parli in alto dove vuole e come vuole; la realtà attuale
mi porta a chiedere un segno del Signore chiaro, preciso, sicuro. Continuare a
curare le vittime della mazzata data a Nomadelfia è un dovere che la sola
morale mi impone. Ma ricostruire Nomadelfia dovunque è una responsabilità
che non mi assumo più se non ho nelle mani quel segno: la fiducia della Santa
Sede, quindi del S. Padre. Chiunque dica che in questo momento io tento di
ricostruire Nomadelfia non ha capito niente. In questo momento non faccio
altro che il mio dovere a non venir meno alle mie obbligazioni verso i creditori
e verso i figli, nei soli limiti di una giustizia della quale dovrò rendere conto al
giudizio universale. Chi mi giudica diversamente è un temerario, settario e
cattivo.
Che poi Nomadelfia sia un fatto insopprimibile ne sono convintissimo, ma non
mi muovo se non nel rispondere a miei doveri inequivoci. Se, con me, ne fosse
convinto il S. Padre cesserebbe questa persecuzione su anime che, secondo me,
sono chiamate a donare una grande Nomadelfia alla Chiesa. E sono ancor più
convinto che la Chiesa ha urgente bisogno di Nomadelfia, un molto urgente
bisogno.
Un giorno il S. Padre mi sarà riconoscente con Gesù stesso perché ho tenuto
ferme le posizioni di giustizia, di quella giustizia, ripeto, che sarà materia
fondamentale e decisiva al giudizio universale. Fare queste cose è rendere
grande servigio alla Chiesa. E dire che appartengono alla più elementare
direttiva della morale cattolica. Ma, fin che si fanno dei processi c’è poco da
concludere, è tutto tempo perso.
Camminiamo fin che siamo nella luce. Faccia dunque la Santa Sede, quindi il
S. Padre, quello che vuole, e quello che vuole sarà il segno.
In altre parole:
I - Mi nega la fiducia di cui ho diritto per muovermi? E allora starò nello stato
di persecuzione a prendere botte e a parare colpi a quanti cadono vittime delle
passate obbligazioni.
II - Mi ridona la fiducia? Allora, ben ferma quella, risponderò a don Marchi
che adunerò i figli e daremo una risposta concreta.
Oramai la vita e il costume di Nomadelfia sono cose arcinote. Una ripresa
dovrà evitare i difetti del passato, poi difetti non mancheranno mai anche per
l’avvenire. Semo omeni, siamo uomini, dice don Calabria. Ho assoluto bisogno
di questo Segno. Sì - No. Mi va bene tanto l’uno quanto l’altro. Basta che sia o
sì, oppure no. Fiducia o sfiducia.
Se il Signore ci vuole in America può decidere di darmi quel segno senza del
quale non mi muovo, cadesse il mondo. Il valore di quella fiducia, è chiaro,
non ha niente di straordinario; è quello che il vescovo deve a qualsiasi
sacerdote al quale affida una missione, è quello che la Santa Sede deve a
chiunque affida una missione. Dopo di quella assicurazione farò le mie
proposte e vedremo il da farsi.
Evidentemente è anche urgente che, possibilmente, mi sia data una risposta.
Non posso venire a Roma per il momento perché qui le cose vanno
pericolosamente.
Mi prostro ecc.

Proibizione di ricostruire Nomadelfia


Il S. Ufficio A Mons. Dalla Zuanna

Prot. N. 160/45 - Dal Palazzo del S. Ufficio, 18.11.1952

Eccellenza Reverendissima,
mi dò premura di comunicare all’Ecc. V. Rev.ma, per Sua opportuna
conoscenza, che in data 11.11 u.s., nel palazzo del S. Ufficio, dal Rev.mo
padre Commissario è stata intimata al sacerdote Zeno Saltini, comparso
personalmente, la proibizione di ricostruire una nuova Nomadelfia, in Italia o
altrove. Don Zeno Saltini ha accettato l’intimazione ed ha promesso
obbedienza e sottomissione.

Profitto dell’occasione per professarmi con sensi di ben distinta stima dell’Ecc.
V. Rev.ma
Devotissimo Card. Pizzardo
Segretario Alfredo Ottaviani ass.

La sfiducia: segno di Dio


A Mons. Ottaviani, S. Ufficio

“Se sarò attaccato mi difenderò; se saranno bistrattati i figli li difenderò, se


saranno sacrificati i creditori mi metterò dalla loro parte”.

Collegara, 24 novembre 1952

(Personale)
Eccellenza Reverendissima,
Anche il processo [per insolvenza fraudolenta] è passato come generosa acqua
sotto i ponti.
Dopo la sfiducia che ho preso come segno di Dio attendo i risultati della mia
proposta circa il modo da seguirsi nella liquidazione. Qualsiasi risposta mi sia
data, mi lascerà indifferente (della indifferenza che imparai da giovane facendo
i S. Esercizi spirituali con un mio caro amico allora maestro dei novizi
cappuccini di Fidenza, morto in concetto di santità).
Mons. Pranzini mi diceva spesso che il Signore mi aveva chiamato ad essere
prudentemente audace. Sono due cose che stanno insieme solo con l’intervento
costante di Gesù. A 52 anni sono già arrivato, vivendo in quella strana
situazione. Come vede, in fondo, le mie linee basilari dell’azione sono molto
semplici.
In questi giorni sono un poco stanco, mi sospinge all’azione il camminare al
servizio del Signore fin che è giorno ancora. Al fine di non buttare delle anime
in pericolo di sgomento cerco di aiutare tutti i nomadelfi a sistemarsi nelle
nuove realtà, ad adeguarsi alla nuova volontà del Signore.
Solo alcuni tra i più intimi sanno che cosa è avvenuto tra me ed il S. Ufficio.
Sono crudele nel collaborare ad una operazione di distruzione che io
disapprovo in pieno. Dura lex sed lex. Amo questa Legge che a Dio mi tiene
abbracciato. Non vedo altro. Quindi nessun risentimento. Se sarò attaccato mi
difenderò; se saranno attaccati o bistrattati i figli li difenderò, se saranno
ingiustamente sacrificati i creditori mi metterò dalla loro parte. Sono linee
molto semplici, sottrarsi alle quali è peccato. Intanto faticosamente i nomadelfi
cercano abitazioni qua e là, cosa oltremodo difficile; e stanno organizzando le
aziende, cosa un poco meno difficile.
Spero che la prefettura non riprenda quei famigerati fogli di via, perché questa
volta mi opporrei senza meno là dove si buttasse la gente al lastrico. Eppoi
perché quella forma? L’incontro con il Min. Scelba sarebbe opportuno anche a
questi effetti. É già noto che in prefettura giace il decreto governativo di
scioglimento della Città di Nomadelfia fatto in precedenza e mai pubblicato.
Che cose strane! ...ludit... Quanto sono piccoli gli uomini di fronte alle cose
microscopiche od anche addirittura invisibili! Pare sempre che cada il mondo;
mentre ieri ne avevamo 23 ed oggi 24.
Gli Stati Uniti hanno eletto un generale a loro presidente. Speriamo che non
faccia il generale; che non faccia cioè precipitare gli eventi che esigono tempo
e pazienza per lor natura. Le bombe H non saranno certamente motivi di
credibilità né dall’una, né dall’altra parte. Se il Signore suscitasse qualche
anima ad interpretare l’angustia vera del secolo e polarizzasse il mondo, che
dono sarebbe per tutti! Che il Signore voglia la guerra è impossibile e neppure
la vorrà la schiacciante maggioranza degli uomini. Eppure si costruiscono armi
le più micidiali per sterminare inermi figli di Dio. E noi non crediamo nella
nostra onnipotenza, unica forza della quale siamo investiti. Tra le potenze della
terra siamo pagliuzze, ma guai alle potenze della terra se decidessimo di
muoverci con le forze di Dio, senza alcuna eterogeneità.
Io sono un fallito ufficialmente, ma non ho cessato di credere solo a quelle
forze. Mi accetta al S. Ufficio ad organizzare la sezione della giustizia sociale
come virtù dovuta? Guardi che non scherzo.
Giovedì verrà o Dario (si sente male molto) o altro mio intimo.
Mi prostro al bacio del Sacro Anello chiedendole scusa se continuo a farle
perder tempo con le mie considerazioni intime e forse noiose come le zanzare.
Devotissimo Suo.

AUTOCRITICA
Ai figli
“La dispersione è un atto di bontà del Signore, perché ci libera da troppe anime
che non capivano la nostra missione”.

10 dicembre 1952
Cari figli,
le vie del Signore sono sempre quelle della bontà. Tutto ciò che è a
Nomadelfia in questi ultimi mesi è salutare alle nostre anime se conserviamo in
noi quell’Amore che abbiamo promesso a Dio.
Che cosa vogliamo fare? Che cosa abbiamo sempre voluto fare? La volontà del
Padre Nostro che sta nei cieli come ha sempre fatto Gesù. Quindi abbiamo
voluto e vogliamo imitare Gesù. Le volpi hanno le loro tane, gli uccelli
dell’aria i loro nidi; mentre il Figliol dell’uomo non ha dove posare il capo.
Avevamo una bella e comoda città. L’abbiamo perduta. Avevamo molti figli e
sono stati dispersi, quindi anche gli innocenti non hanno dove posare il capo.
Chiunque tra noi, perdendo casa e figli, non si sente più fratello degli altri, non
si sente più in grado di essere l’uno per l’altro in qualsiasi situazione, vuol dire
che non ha mai amato dell’Amore che il Signore esigeva in Nomadelfia
perfetti nell’unità, per lui Nomadelfia era una cosa diversa.
L’avvenire dei nomadelfi dipende tutto dallo spirito di povertà e di donazione
della vita a quanti condividono il loro santo ideale di cristiana fraternità
sociale. Fraternità che ora potrà assumere forma di città ed ora forma di
dispersione, a seconda dei tempi e delle situazioni che presenterà la storia; ma
che rimarrà immutata anche nelle opere nell’uno e nell’altro caso.

SNELLEZZA

Questa dispersione è un grande atto di bontà del Signore perché ci ha liberati


dal pericolo di rimanere affogati da troppe anime che vivevano con noi, ma che
non capivano la nostra missione.
Per queste anime Nomadelfia era una bella e attraente sistemazione personale,
nella quale potevano anche compiacersi di fare un poco di bene, pure avendo
risolto il problema della vita meglio che tanti altri nel popolo. Queste anime,
senza avvedersene, pensavano: come è bella Nomadelfia! Si può star bene, non
ci sono pensieri per vivere, e si può anche fare del bene. Star bene e fare del
bene, ma star bene prima di tutto. Queste anime non erano di Nomadelfia,
erano a Nomadelfia; ma appartenevano al mondo dell’individualismo. Per
causa loro siamo ancora in grave difficoltà per disperderci; mentre, se tutti
fossimo stati dello spirito di Nomadelfia, in pochi giorni ci saremmo dispersi.
Se noi vogliamo donare alla Chiesa una vera città di Dio è necessario
approfittare di questa santa occasione per metterci in grado di essere molto più
snelli nei nostri movimenti. Bisogna essere tutti e ciascuno pronti a qualsiasi
spostamento, pronti ad avere la casa e prontissimi a perderla; pronti ad avere la
famiglia e prontissimi a disperderla in attesa di riunirla non appena sarà
possibile, senza danneggiare la vita della comunità. La famiglia deve essere
possibilmente sempre insieme, ma se le cose, gli eventi lo esigessero, bisogna
essere pronti a correre ciascuno là dove urge per il bene di tutti.
Quanti poveri, per causa di necessità, sono costretti ad emigrare per anni ed
anni! Essi lo fanno per necessità di vita e noi dobbiamo farlo per necessità di
Amore a Cristo ed alla sua Chiesa; e cioè: piuttosto che rinunciare al nostro
amore fraterno si accetta anche la dispersione per causa di persecuzione.
Quando saremo arrivati a questo spirito compenetrato nelle nostre persone,
avremo donato al mondo non più una Nomadelfia, ma la Città di Dio, città
della quale gli uomini potranno dire: veramente si amano tra loro come Cristo
ci ha amati perché sono veri imitatori di Cristo. Quindi sono sicurissimo che
non è stata la S. Sede o il Governo a disperderci, ma è stato il Signore per farci
fare un passo avanti.
Quando saremo veramente la Città di Dio, il Papa ci abbraccerà con grande
riconoscenza perché avremo donato alla Chiesa una santa forza sulla quale Egli
potrà contare come fermento di giustizia e di fraternità cristiana tra le genti.
Non temete, ma credete che tutto dipende da ciascuno di noi e tutto dipende
dalla volontà del Signore. Se faremo la sua volontà, ora ci unirà in città, ora ci
disperderà, ma saremo sempre gli stessi, sempre suoi imitatori, sempre l’uno
per l’altro. Se il mutare delle situazioni muta l’anima nostra, vuol dire che non
siamo l’uno per l’altro.
Io obbedisco alla S. Madre Chiesa come sacerdote; e voi ubbidite come laici.
Questo è amore, è quell’amore che abbiamo promesso a Dio. Il rimanere
dispersi o rifare la città non dipende da noi, ma da Dio attraverso la sua Chiesa,
alla quale noi dobbiamo ubbidire a qualsiasi prezzo, e nella quale dobbiamo
amarci a qualsiasi prezzo.
Chi è da Dio tra noi capirà questa lettera.
Vostro affezionatissimo Don Zeno
PARTE QUARTA
1953: laicizzazione e liberazione

Nomadelfia alla diaspora, Zeno alle prese con i figli tornati sulla strada, alla
malavita. La coscienza in tumulto tra la fedeltà al popolo e alla Chiesa. “Sono
stato ingannato dal decreto del S. Ufficio. In esso si diceva: che io sarei stato
libero da ogni responsabilità economica; i sacerdoti sostituiti dai salesiani.
Ingannato dall’autorità ecclesiastica oramai è incompatibile il mio status
clericale” (Appunti). Si sfoga con Cristo: “Il successore di Pietro ha finito, con
sadica crudeltà, per disperderci spaventando i figli, strappandoli alla mamma,
al babbo spietatamente. Il suo costume è mondano anche se personalmente
osserva certi aspetti della tua legge e del tuo amore. Ma non è un padre, non è
un fratello, è un re della terra ed è un tiranno che ha colpito vigliaccamente la
nascente tua società. Ci tocca quindi fare quello che dice, ma odiare quello che
fa essendo grave peccato. Se quella, e se solo quella fosse la Tua Chiesa; e solo
quella oggi ha tanto potere, cerca, o Signore, di aprirci la via per convertirla”
(meditazione: Il grande misfatto o crimine).
“E non va dubbio: approvare Nomadelfia significa sconquassare tutta la
compagine del costume sociale dei cattolici” (6.7.1953). Ma “L’avere
allontanato dai nomadelfi il loro sacerdozio, tentando di sostituirlo con un
clero assistente, è stata la causa dello sfacelo della città. Generati da quello,
sono rimasti come estirpati dalla loro terra” (22.8.1953). “La mia vera legge è
l’essere un naufrago tra i naufraghi. Infatti mai più mi presterei ad andare a
predicare come ecclesiastico perché non saprei che cosa dire” (a don Vincenzo,
5.10.1953). “La mia vera causa è rendere giustizia ai nomadelfi, qualsiasi
sacrificio mi potesse costare, sempre però nella Barca di Pietro, sia pure in
compagnia dei topi e dei gatti nella stiva. Rendendo giustizia ai nomadelfi la
rendo anche a coloro cui essi appartengono: agli oppressi ed agli sfruttati. (…)
Viaggio sugli orli dei precipizi” (meditazione, 7.10.1953). “Io credevo che,
per salvare un’opera come questa, avrebbero fatto prete un laico. Invece noi
preti siamo una casta... Allora ho detto: se non posso essere padre degli
abbandonati come sacerdote, lasciatemi esserlo come laico”.
In maggio pubblica Non siamo d’accordo: un terribile J’accuse contro la DC e
le autorità religiose. Non gli resta che formalizzare la domanda di
laicizzazione il 16.7, reiterarla il 13.9 ed il 30.11. Il 23.11 viene esaudito e
canta la libertà.

METAMORFOSI
A Ottaviani, S. Ufficio

“I fondatori non sono infallibili; ma su certi punti non la sbagliano, perché


vedono e sentono in modo inconfondibile la volontà di Dio”.

1953
Dire che un girino diventi rana e che un bruco diventi farfalla nessuno lo
crederebbe se non vedesse o se non ne fosse assicurato autorevolmente da chi
ne ha cognizione dall’esperienza. Il girino prima vive solo nell’acqua sotto
forma che in nulla assomiglia alla rana, poi si trasforma in rana; quattro gambe,
una testa ben distinta, un corpo ben delineato, vive sull’acqua, sott’acqua e
sulla terra, si muove svelto sulla terra su l’acqua, sott’acqua.
Chi l’avrebbe detto?
Prima la materia informe… poi le stelle punteggiare luminose lo spazio per
distanze di milioni di anni luce che viaggia a discreta velocità.
E chi l’avrebbe detto?!
Nomadelfia è ora il girino generato dal mio sacerdozio, è il bruco che si
trasformerà in farfalla santa, per volteggiare affascinante nel Cielo della
Chiesa, è materia informe che punteggerà di stelle luminose, infuocate
d’amore, lo spazio della Chiesa, senza “reticolati”; in fuocate di quale amore?
Sicut et ego dilexi vos...
E chi mi autorizza a dire questo? E’ la penna che scorre infrenabile su queste
pagine, dirette a Colui che lo Spirito Santo ha posto a reggere la Chiesa di
Dio.
Gli orfani non saranno più orfani, i desolati si trasformeranno in consolatori dei
desolati, gli abbandonati creeranno la cordata di Dio per trarre in salvo gli
abbandonati, chi sarà uscito dal pelago alla riva si volterà all’acqua perigliosa
non per guardare, ma per ributtarsi in acqua per tutta la vita a trarre in salvo gli
incapaci ad uscirne da soli... non avranno più padroni e servitori, ma fratelli;
non speculeranno più sul sudore degli altri, ma suderanno con essi, insieme…
ed insegneranno ai figli che Dio è amore e che, senza essere giusti, non si può
palpitare quell’amore. E andranno al capestro come alle nozze tra Cielo e
terra.
Non si conturbi, Eccellenza, per causa degli incidenti che possono capitare a
questa bambina ancora in fasce, non sa ancora parlare, ma balbetta e fa certe
cose che poi non farà. Narrerà con la vita opera Domini.
Nessuno lo può credere perché nessuno è autorizzato a crederlo. Io lo vedo,
perché se non lo vedessi non sarebbe mai esistita neppure sotto forma di girino
o di bruco o di materia informe. I fondatori non sono infallibili; ma su certi
punti non la sbagliano, perché generano opera Domini da un seme che essi non
conoscono, ma che vedono e sentono in modo inconfondibile essere volontà di
Dio.
Venti secoli di Cristianesimo hanno visto la Chiesa generare opere gigantesche
e travolgenti l’una decisamente diversa dall’altra e tutte incomprensibili
durante le fasi della loro metamorfosi. Dio non si ripete mai nelle sue opere, ce
lo dice la stessa vegetazione, i pesci del mare ce lo dicono, gli animali della
terra, gli uccelli dell’aria, i santi.
Queste opere nascono da una civiltà per trasformarsi in un’altra, nascono negli
uomini per trasformarsi in altri, nascono parlando un linguaggio conosciuto per
finire in un altro linguaggio, nascono dalla sete per dissetare, dalla fame per
sfamare, dall’abbandono per fraternizzarsi, dal selvaggio per passare
all’umano e dall’umano per passare al divino…, ciascuna nella propria
inconfondibile fisionomia quando sarà adulta.
Nessun calzolaio sa fare loro le scarpe se non il fondatore; nessun sarto sa
vestirle se non il fondatore, nessun maestro sa educarle se non il fondatore,
nessuno sa punirle o accarezzarle, se se non il fondatore.
Questa è un’autodifesa, Eccellenza, perché nessuno sulla terra oserebbe dire di
me e dei miei figli quello che oso dire io e che sono costretto a dire per ragioni
di vita. La Chiesa non è mai state contro queste sue opere, le ha provate e le ha
nutrite. Non è mai contro. Alle volte sembra, ma non è vero. Mai ho visto la
Chiesa contro di me e contro i miei figli, mai. É sembrato a chi non conosce la
Chiesa e nemmeno conosce la inconfondibile voce delle Sue opere. E quando
queste sono riuscite, i figli della sapienza del di poi il cui numero è infinito
grideranno: Vittoria. Ma Chiesa e le sue opere vincevano anche prima, non
sono mai state sconfitte, gemevano insieme, sia pure nel dolore che sempre
accompagna gestazione, parto e allevamento.
Nomadelfia (sembra un controsenso) nasceva nella Chiesa proprio nel
momento stesso, nel quale la Suprema Congregazione del S. Ufficio con quella
bacchettata del 5 febbraio 1952 le rompeva il guscio.
Non perdiamo tempo, Eccellenza, perché la bambina trema dal freddo, e,
senza alcun pericolo di morire, potrebbe essere aggredita e torturata da
broncopolmonite. Maxima debetur puero reverentia. Non lasciamola sempre
piangere, poverina; ma che sorrida una buona volta a letizia e a sollievo di
quanti piangono e soffrono quando vedono i bambini soffrire e piangere.
Con affetto ecc.

Ci siamo comportati da becchini


Al Card. Ottaviani, S. Ufficio
“Li ho visti muoversi come briganti con le camionette della polizia e puntare le
rivoltelle contro inermi vittime delle loro ingiustizie”.

22, gennaio 1953

Riservata

Eminenza,

la nuova fase nella quale si sono venuti a trovare i nomadelfi è molto


interessante da vari punti di vista, mentre la condizione degli ospiti
maggiorenni è tuttora difficilissima perché si dura enorme fatica a sistemarli,
essendo molti di essi quali minorati fisici e quali minorati psichici, quasi tutti
malaticci, che praticamente non sapranno mai affrontare la vita senza essere
perennemente sostenuti e sostentati. Tra l’altro hanno figli, per di più,
malaticci pure essi in parte.

Altri, sempre tra gli ospiti d’ambo i sessi, già si sono dati alla malavita e qui
bisogna fare di tutto per salvarli. Tra i nomadelfi, sempre maggiorenni (intendo
d’ambo i sessi) circa una trentina sono malati e in condizioni fisiche molto
precarie, sparsi qua e là presso amici e a Zambla Alta nella nostra casa di
prevenzione e di convalescenza che neanche farlo apposta, sarà venduta a
giorni non essendo di nostra proprietà.

Vs. Em. più volte mi disse che la Santa Sede ci avrebbe aiutato, ma finora si è
scomodata poco. Ci sono poi delle situazioni matrimoniali, tra gli ospiti,
delicatissime per cui basta un nonnulla per vederli separati irreparabilmente.
Giorni orsono due sposi stavano pensando al suicidio. Li ha ospitati Irene a
Collegara. L’assistenza ai fanciulli è sempre molto meno onerosa di quella
dovuta a queste creature. L’età non ha fatto su di loro altro che peggiorarne le
capacità di affrontare la responsabilità della vita; quindi o sostentarli ed
assisterli, con amore, o vederli rovinati in modo deplorevole morale e
materiale.

Ho affidato ad Irene la villa di mio fratello Giovanni a Collegara dove questi


vanno a rifarsi, rifugiarsi e riprendersi nelle loro insopprimibili realtà. Vanno,
vengono; li sistemiamo, poi tornano al lastrico. Ci costano cifre grosse, si può
dire che buona parte delle somme riscosse da ciascuno alla uscita da
Nomadelfia va spesa per la sistemazione di questi. Con qualcuno ho fatto il
duro e l’assente; ma me ne sono pentito e non lo farò più perché sono successi
dei guai grossi. Ho peccato di omissione.

Lo sfaldamento della città ha offerto il fianco a gravissime situazioni


e ha ingenerato un complesso di difficoltà che prima erano affrontabili
inavvertitamente. In venti anni di Nomadelfia mai uno era andato a finire in
galera, adesso in pochi mesi già quattro sono caduti in reato, tre a Modena ed
uno a Milano e, nientemeno, tutti secondo le competenze della corte di Assise.

Circa cinquanta famiglie di nomadelfi sono rimaste solidali e stanno


formando nuove aziende, a Grosseto, nel modenese e a Milano. Novanta
lavoratori sono protesi a queste sistemazioni aziendali e senza dubbio se la
caveranno benissimo. Che Iddio li illumini a rimanere generosi verso quelli.
Dopo la sfiducia che io stesso ho chiesto semplicemente per conoscere la
volontà di Dio, in questi due mesi sono finalmente riuscito ad offrire a questi
una cosa veramente grande. Sono riuscito a costruire con amici sette società a
responsabilità limitata finanziariamente solidissime, corrispondenti a sette
aziende indipendenti l’una dall’altra, sulle quali né io e nemmeno i figli siamo
impegnati di fronte ai terzi circa le responsabilità di legge come patrimonio; i
nomadelfi sono semplicemente impegnati a gestirle e di lavorarle. Sette gruppi
di lavoratori, soli nomadelfi (circa 50 famiglie) entro marzo saranno così tutti
al lavoro.
Le rendite nette sono tutte destinate per statuto di ciascuna società ai
nomadelfi, oltre gli stipendi ai lavoratori. Ai proprietari delle società non è
corrisposto altro se non l’impegno di far fronte in ogni difficoltà pagando di
loro tasca là dove, nonostante gli sforzi dei nomadelfi, per cause di forza
maggiore, le dette società si trovassero in momenti di crisi. Si è venuto così a
costituire un capitale aziendale di circa 150 milioni che ha come fine di offrire
lavoro ai nomadelfi e la cui proprietà non è praticamente di nessuno e che
nessuno può accollarsi, nemmeno i nomadelfi, per quanto sia solo a
disposizione per il lavoro ai nomadelfi. Non esistendo leggi civili ad hoc, si è
dovuto usare di qualche fictio iuris ratificata attraverso dichiarazioni scritte in
coscienza come controdichiarazioni. Giuridicamente sono esatte, civilmente
nulla da dire; c’è solo la novità che de facto esistono capitali senza capitalisti.
Le azioni sono senza dividendi e senza interessi. Non sono enti morali perché
non hanno nulla a che fare con questa forma. Singolare fatto è che sono
riuscito a persuadere i capitalisti a distruggere il capitalismo per opera delle
loro impegnative garanzie e con la loro collaborazione solidissima di esperti
industrialmente e finanziariamente: collaborazione cui sono impegnati a fondo.
E di questo essi pure coscienti ed entusiasti. Strano ma vero. Si tagliano le
gambe con entusiasmo, lieti di fare opera innovatrice. Sono stato io ad attuare
questo o è stato Dio? A Lei il giudicare. Come vede non ho rifatto la Città di
Nomadelfia, ma ho donato ai nomadelfi unitamente a preziose anime, un
grande atto di amore sacerdotale, nella più severa ubbidienza mia e loro alla S.
Madre Chiesa.

Ci pensi bene sopra, Eminenza, e non si lasci abbagliare dalle


chiacchiere e dalle polemiche e dalle ingratitudini al Signore (nostre e vostre),
che non sempre incidono sulla sostanza e che nulla possono sul volo di Dio che
noi mortali potremo interpretare anche applicandovi dottrine errate, ma
caduche perché sovrapposte. Sono l’inevitabile polverume che sempre
intossicante si leva al passaggio di chi vuole affrontare le strade del mondo,
contro il mondo. Ho obbedito da sacerdote e non da fantoccio, grazie a Dio.

I nomadelfi sono trincerati ad un Piave di Dio, cioè sulle sole leggi


fondamentali sociali ed ecclesiastiche. Toccarli in quella posizione
delicatissima che incide scarna sul diritto alla vita è, senza dubbio, peccare
contro lo Spirito Santo. Ho fatto da Cireneo a Gesù proprio per farGli un
grande piacere. Ricordi Eminenza che mi disse nel 1946: Sono cose che
bisognerebbe fare evitando le polemiche. Sarebbe bello, ma è assurdo perché
le opere di Dio per loro natura portano lo scompiglio nelle coscienze. Per causa
della loro natura sempre innovatrice e rivoluzionaria sembra che vogliano
scagliarsi contro tutti, invece si difendono dalle aggressioni di tutti coloro che
non le vogliono sopportare. Le donne possono anche peccare di aborto, una
volta concepito un figlio (mi viene in mente una bellissima pastorale del
cardinal Maffi al proposito); ma Gesù mai permetterà che lo faccia la sua
Chiesa, anche se i suoi mandatari si agitano e si lamentano per causa dei
molestissimi dolori che quel concepimento ingenera.

É giusto torturare con tanta violenza l’utero di una povera mamma?


Eppure i nascituri lo fanno senza tanti complimenti ed hanno solo ragione loro.

Sono stato io od è stato il Signore a tenermi in equilibrio sugli orli di


così minacciosi abissi? A lei giudicare. Quanto è avvenuto su Nomadelfia non
è stato una prova, ma ha degenerato in una aggressione su l’innocenza e su
anime eroine. Tuttavia sono cose, che non lasciano, almeno in me, nessuna
traccia di rancori. Vagirà un bambino che metterà in pensieri tutta la Chiesa e
sossopra i nemici della Chiesa. Vincerà l’innocenza e l’eroismo, mentre,
purtroppo, noi ecclesiastici anche questa volta faremo come Pietro;
mangeremo, dopo questa nostra impennata pubblica, ciò che attualmente ci
sembra profano. E ci sta bene. É una profezia facile, basta conoscere la natura
dell’aurora. É vangelo. I marinai non la sbagliano a profetizzare come sarà il
giorno che spunta. Guardano l’aurora. E ogni aurora è diversa dall’altra in
molte sfumature. Come nessuna giornata è identica all’altra. Se meditassimo il
cotidie moriar anche sotto questa luce, ad ogni nuovo evento rinasceremmo
nuovi.

E questo per i nomadelfi rimasti solidali. Invece una trentina di


minorenni dai 16 anni in su, quasi tutti propensi al reato ed alla malavita per
causa del loro passato, sottratti a suo tempo a correzionali o inviati dai
correzionali o da giudici, in via paterna a Nomadelfia, sono nei boschi del
Ceffarello a Grosseto, dove hanno voluto rimanere e dove fanno discretamente
a modo; vivono sotto le tende, lavorano, dissodano terre e producendo sasso
per calce. Toccare quelli significa vederseli o presto o tardi in gran parte sulle
vie della galera. Nelle ore veramente diaboliche e violente nelle quali nessuno
voleva intendere la gravità della situazione morale, noi li abbiamo sottratti al
collegio dove non sarebbero andati in via assoluta, mentre quelli che si erano
piegati li abbiamo mandati, sebbene contro la nostra volontà, e facendo questo
ci siamo comportati di fatto da becchini seppellitori di vivi.

Al Ceffarello quelli rimasti erano assistiti da don Ennio che poi fu


tolto d’autorità da parte della sacra Congregazione concistoriale. Al posto di
don Ennio è andato Dario. Ha visto, Eminenza, il film: Dio ha bisogno degli
uomini? Ha un fondo che assomiglia a questo dramma. Dario ivi si è
ammalato, ma tuttavia la sua presenza li consola perché lo amano e lo
rispettano molto. Nell’azienda Rosellana questi non possono andare, perché
metterebbero tutto sossopra a danno dell’azienda che è curata con tecnica. Io
acquistai a suo tempo i boschi della tenuta Caprarecce e Ceffarello (967 ettari),
soprattutto per risolvere il problema educativo di questi tipi che hanno bisogno
di essere molto amati e di spaziare in lavori facili e in ambiente dove la libertà
è naturale e logica come offre la natura di quella azienda boschiva.
Questa tenuta è già in vendita. Se non potremo salvarla, dove
andranno? Dio solo lo sa. Nelle nuove aziende normali dei nomadelfi non
possono essere sistemati per la ragione stessa per cui non possono andare a
Rosellana. Poi rimane aperta la grave partita della liquidazione dei beni di
Nomadelfia e la tacitazione dei creditori. Io non voglio fallire in via assoluta, i
conti parlano chiaro. Il governo non è venuto a patti come proposi a V. Em. e
attraverso V. Em.

Attualmente il governo va per le vie fallimentari; offrirà una


percentuale. Io non accetto. É una imposizione che mai ho inteso infliggere a
gente che ha fatto credito confidando nella provvidenza. La provvidenza non si
deve costringere a fallire, è più che mai solvibile. E forse che noi siamo morti
per sentenziare che la provvidenza non può pagare e che è fallita? La
provvidenza è padrona di tutto e Lei sa quando deve pagare direttamente.
Generalmente lo fa quando gli uomini decisamente si rifiutano di ascoltare i
suoi richiami, e questo fa in preparazione istruttoria del processo al giudizio
universale. Quando venite al tempio a pregare mi volto dall’altra parte perché
siete degli ingiusti. Proprio mi ridurrei ad essere un mostro di viltà se mi
piegassi a tanta evidente ingiustizia: sacerdote; mi spavento al solo pensarci.
Scelba, in buona o mala fede, per l’orgoglio di un prestigio mondano, non
vuole piegarsi a seguire le ragionevoli vie del Signore. Roma è molto malata.
Ivi raramente si incontrano personalità che siano pronte a dire: Ho sbagliato. E
questo chiamano prestigio! Invece è il mondo. (... io non prego per il mondo).

Come è diverso il vangelo di fronte agli sbagli anche di altissime


autorità! A me non preme il cosiddetto ordine pubblico, preme invece e solo di
non peccare di viltà e di connivenza a così grossolana ingiustizia che si vuole
commettere sotto il diabolico pretesto di conservare l’ordine pubblico. Il
peccato non è mai stato ordine.

Possibile che abbiano sempre ragione? ... Non avrai altro Dio fuori
che me... Che un sacerdote, tra gli altri, debba piegarsi a tanta viltà a danno
degli oppressi, per parte mia non sarà mai. Chi avvilisce se stesso sputa in
faccia a Cristo là quando è presentato in occasione dell’Ecce homo. Basta,
basta. Dio si serve solo con atto di giustizia e di verità; se no si pecca, e anche
gravissimamente, di tradimento.

Scoprirò un po' di carte in tavola riconoscendo i miei torti, ma


difendendo gli oppressi. Sarà un processo pubblico dal quale salterà fuori
senz’altro meglio che da quello di Bologna, che si voleva a tutti i prezzi finisse
in una solenne e meschina condanna. Che vigliaccheria! E tutto questo ad
onore della verità ed a richiamo alla vera giustizia che Dio vuole a tutti i costi e
che essi decisamente non vogliono. Da questo punto di vista sono veramente
eroi senza gloria: tengono sodo.
Per arrestare l’inondazione comunista non si fa solo un argine di
mitra; ma si crea una corrente di soda sociologia messa in atto. E quale è la
loro dottrina sociale? La conosce V. Em.? per parte mia sono chiacchiere.
Sotto il pretesto di fare dell’anticomunismo si fa del morboso liberalismo
marxista e protestante. La puerile unione delle idee. Forse che questo è ad
imitazione di Cristo? Ben altre sono le vie del Signore anche nel deserto arido
ed impegnativo della politica.
Li ho visti muoversi come briganti con le camionette della polizia, e
puntare le rivoltelle contro inermi vittime delle loro ingiustizie sociali, ho visto
i loro seguaci godersela ed affamarci spietatamente, prima e dopo la
comunione. Spettacolo nefando. E se ci rispettano in questo momento è solo
perché hanno paura, da vigliacchi; ma noi conosciamo le reti che ci hanno tese
e che, ancora più vigliacche, ci tendono per dirci boccheggianti.
Non voglio fallire e neppure i miei figli, lo vogliono. Questo è senza
dubbio molto grave e saturo di pericolosi interrogativi. I creditori, a qualsiasi
prezzo, devono essere pagati al 100 per 100 più gli interessi ed i danni di mora,
caso per caso. Hanno un bel da pubblicare i giornali governativi, come hanno
fatto a caratteri cubitali in occasione della recente deposizione della sentenza di
Bologna, che nei riguardi miei e di Nomadelfia non esiste insolvenza
fraudolenta. Segnalerò io dove sta l’insolvenza fraudolenta. É un ritornello che
l’Em.V. già conosce a memoria; è quanto le dissi al primo incontro dopo il
decreto del 5.2.1952. Nessuna intenzione di rifare o di lavorare al fine di rifare
la Città di Nomadelfia; ma nessuna intenzione anche di essere ingiusto e
vigliacco di fronte alle realtà che sono i più evidenti segni della volontà di Dio.
Come vede sono anche troppo paziente a danno enorme di molte vittime che
sanguinano per causa di questo sconsiderato e pazzesco rifiuto, frutto evidente
di un orgoglio e di una avarizia degni dei figli della Città di Dite.
Eminenza, adesso che il Signore Le ha offerto una croce più grossa
[il cardinalato], più pesante e più potente, cerchi di comprendermi. Comunque,
anche se in questa invocazione della comprensione di V. Em. non fossi
esaudito, dirò tranquillamente al Signore: Fa quello che vuoi. Io così e solo
così difendo certissimamente la Chiesa.
Mi prostro al bacio del sacro Anello nella speranza che a suo tempo
voglia donarmi la gioia di una sua udienza anche del tutto indipendente da
questo sublime pasticcio, come lo definì P. Gemelli in una sua conferenza. Le
sarei grato volesse fissarmi e comunicarmi il giorno e l’ora nella quale
potrebbe ricevermi. Se non avrò risposta vuol dire che non può. Io penso di
tenere una seduta stampa almeno entro la prima metà di febbraio per
rivolgermi al popolo italiano chiedendo una mano per liquidare le passività che
resteranno a liquidazione avvenuta. Non farò distinzione di colore, chiamo
tutti. Intanto comincio a parlare con i creditori più sofferenti e con i più
violenti, ai quali ho inviato la qui allegata lettera.
Con affetto dev.mo suo.
F.to Don Zeno

La Santa Sede si è prestata al gioco


A Mons. Montini, Segreteria di Stato

“In nome di quale Dio noi oppressi possiamo essere indotti a votare i nostri
oppressori?”.

1 febbraio 1953
Eccellenza,
Mi torna veramente doloroso tormentare lo stesso S. Padre su quanto segue,
che costituisce la premessa di una difesa al diritto alla vita cui non me la sento
di rinunciare senza peccare gravemente di mancata dignità e giustizia che si
deve a Dio ed agli uomini. Mi rivolgo alla Segreteria di Stato trattandosi di una
cosa che deriva dalla attività politica dei cattolici in Italia.
Come già a suo tempo espressamente per un anno circa ho insistito presso la
Suprema Congregazione del S. Ufficio, non intendo in via assoluta essere
condotto al fallimento, cioè ad una liquidazione della ex Città di Nomadelfia
imponendo una percentuale ai creditori. Mi premuro di comunicare la stessa
notizia alla Segreteria di Stato del Santo Padre, perché non torni allo stesso
Santo Padre di sorpresa quanto potrebbe capitare nel mese di febbraio. Ogni
tentativo di evitare simile scandalo è fallito. La liquidazione coatta dei beni
nostri procede come tutte le iniziative del genere, lentamente e potrebbe durare
chissà quanto ed anche fare esplodere grosse liti. Quanto avvenne tra la Santa
Sede e me è documentato ed è noto in via riservata; nei suoi effetti è di
pubblica ragione.
La Democrazia Cristiana, sorretta anche dall’Azione Cattolica e dagli
Ecclesiastici si presenta alle nuove elezioni dopo otto anni di oppressione ai
poveri ai quali non ha mai voluto riconoscere il diritto alla vita e pure avendo
in mano il potere si è accontentata di attuare una politica fondamentalmente
liberale-capitalistica e boghese facendo l’elemosina e dando le briciole del
superfluo a noi oppressi ed avviliti.
In politica non si può credere alle parole ed alle dottrine che vengno enunciate
dai medesimi che tengono in mano il potere, ma alle sole opere che dicono la
loro vera dottrina, per parte mia già condannata dalla Chiesa, e, senza meno,
condannabile dalla più elementare scienza sociale. Basta fare i conti per
spaventarsi.
Comunque, essendo anch’io tra gli oppressi ed essendo stato colpito
spietatamente anche con atti di crudelissima violenza mi metto in aperta difesa.
Quanto alla Santa Sede è evidente che essa si è prestata al gioco, anzi, sotto
questo aspetto le è scappata una inaspettata pugnalata alla schiena. Ed ha fatto,
secondo me, malissimo perché oramai gli stessi fatti conseguenti sono di una
eloquenza troppo inumana. Potrei produrre un memoriale ampio e ciò che
stiamo facendo come cattolici nel campo politico nei confronti del diritto alla
vita dell’uomo è troppo grave ed oramai insopportabile.
In nome di quale Dio noi oppressi possiamo essere indotti a votare per
consegnare il potere in mano ai nostri oppressori? In base a quale legge
morale?
Noi siamo gli schiavi ai quali di fatto è negata la cittadinanza che
giuridicamente importa il diritto alla vita, come importa il dovere dei servizi
pubblici quale ad es. la prestazione militare ecc. Questi ci sono imposti con la
violenza e quello ci è negato con i mitra puntati se ci ribelliamo. Tengo al
proposito una mazzo di fotografie delle violenze subite dai miei figli da parte
della Polizia, connivente il parroco don Pomati. Cose incredibili! Invece sono
cose che noi cattolici abbiamo permesso perché non abbiamo mai avuta una
linea politica basata sui principi della vera giustizia. Veniamo coinvolti in
questi reati perché siamo di fatto travolti da un costume borghese, condanna
tori a parole della concezione borghese.
Perché mentre la Santa Sede lascia la libertà agli oppressori di opprimerci e di
sfruttarci, non lascia anche a noi la libertà di difenderci?

Quanto avvenne tra la Santa Sede e me è documentato ed è noto in via


riservata; nei suoi effetti è di pubblica ragione. La DC, sorretta anche dall’AC
e dagli ecclesiastici, si presenta alle nuove elezioni dopo otto anni di
oppressione ai poveri ai quali non ha mai voluto riconoscere il diritto alla vita e
pure avendo in mano il potere si è accontentata di attuare una politica
fondamentalmente liberale-capitalistica e borghese, facendo l’elemosina e
dando le briciole del superfluo a noi oppressi ed avviliti. In politica non si può
credere alle parole ed alle dottrine che vengono enunciate dai medesimi che
tengono in mano il potere, ma alle sole opere che dicono la loro vera dottrina,
per parte mia già condannata dalla Chiesa, e, senza meno, condannabile dalla
più elementare scienza sociale. Basta fare i conti per spaventarsi. Comunque,
essendo anch’io tra gli oppressi ed essendo stato colpito spietatamente anche
con atti di crudelissima violenza, mi metto in aperta difesa. Quanto alla Santa
Sede è evidente che essa si è prestata al gioco, anzi, sotto questo aspetto le è
scappata una inaspettata pugnalata alla schiena. Ed ha fatto, secondo me,
malissimo perché oramai gli stessi fatti conseguenti sono di una eloquenza
troppo inumana. Potrei produrre un memoriale ampio e di scandalosa evidenza.
La incoerenza tra quello che dice il S. Padre nei suoi discorsi al mondo e ciò
che stiamo facendo come cattolici nel campo politico nei confronti del diritto
alla vita dell’uomo è troppo grave ed oramai insopportabile. In nome di quale
Dio noi oppressi possiamo essere indotti a votare per consegnare il potere in
mano ai nostri oppressori? In base a quale legge di morale? Noi siamo gli
schiavi ai quali di fatto è negata la cittadinanza che giuridicamente importa il
diritto alla vita, come importa il dovere dei servizi pubblici quale ad es. la
prestazione militare Ecc. Questi ci sono imposti con la violenza e quello ci è
negato con i mitra puntati se ci ribelliamo. Tengo al proposito un mazzo di
fotografie delle violenze subite dai miei figli da parte della polizia, connivente
il parroco don Pomati. Cose incredibili! Invece sono cose che noi cattolici
abbiamo permesso perché non abbiamo mai avuta una linea politica basata sui
principi della vera giustizia. Veniamo coinvolti in questi reati perché siamo di
fatto travolti da un costume borghese, condannatori a parole della concezione
borghese. Perché mentre la Santa Sede lascia la libertà agli oppressori di
opprimerci e di sfruttarci, non lascia anche a noi la libertà di difenderci?
Ma non si può vivere una vita così. Forse a milioni preferiamo le vie
del Calvario. Se non fossimo nel tempo della redenzione si potrebbe anche
adattarsi (perché quando mai l’uomo è stato rispettato fuori dal
Cristianesimo?); e fare quindi i ricchi e i benestanti noncuranti degli oppressi
dal nostro peccato di omissione, appellandoci agli dei falsi e bugiardi; ma
oramai Gesù ci ha svelato nitidamente la dignità umana per cui dare la vita per
la redenzione di se stessi e dei fratelli che si trovino in istato di oppressione è
da santi. Io personalmente come sacerdote non parto da una dottrina speciale o
da una novità filosofica, parto da un fatto inequivoco che mi sospinge a vivere
la mia fede, e che prendo come segno limpido della volontà di Dio per
muovermi.
Sono in causa. Mi difendo e difendendomi servo Dio. E con me tutti
gli oppressi. Siamo degli oppressi e ci difendiamo. É perfettamente fuori luogo
che mi si voglia intimorire accusandomi di errori o di dottrine dubbie. Sono
pretesti perché se si facesse il piacere di dirmi dove sono e in che cosa
consistono questi errori sarei telegrafico a rettificare tutto. Ripeto, non mi
muovo da una dottrina speciale, ma dall’anima e dalla vita che la Chiesa mi
offre per essere uomo e non uno schiavo.
Il fatto che pongo sul tappeto è semplice: vuole il Governo riparare
al male fatto a me ed ai miei figli? Sono disposto a trattare entro il 15 febbraio.
Non lo vuole fare? Per me è in peccato anche su questo fatto. Nel qual caso che
cosa farò? Non lo so. Mi difenderò. Quali saranno le ripercussioni pubbliche?
Non mi interessano. Come vede, Eccellenza, tutto è stato dai fatti ridotto
all’osso. Non vogliamo essere degli schiavi invece li siamo. Ci ribelliamo agli
oppressori servendoci delle leggi che nel loro spirito sono dalla nostra parte.
Nessuna preoccupazione, ripeto, delle conseguenze, mi basta rifiutarmi di
accettare simili ingiustizie. Se riusciranno a mettermi in galera sarò come un
Re, avrò la guardia d’onore giorno e notte. E con ciò renderò un grande
servizio alla S. Madre Chiesa, quindi alla parte oppressa ed avvilita del popolo.
Cercate in primo luogo... e la sua giustizia. Il resto non è nelle
nostre mani.
Mi prostro ecc.
Don Zeno
P.S. Mi riservo di produrre la presente anche in pubblico qualora gli eventi mi
costringessero a farlo.

Risposta di Mons. Montini

Dal Vaticano, 5 febbraio 1953

Confidenziale N. 284287
Reverendissimo Signore,
La Sua lettera mi reca viva pena. Sa Iddio se io vorrei essere in grado d’aiutare
la causa dei fanciulli e dei poveri.
Ma per difetto di competenza e di conoscenza non mi è dato di entrare nel
merito della sua questione, tratta, com’Ella sa, da altri organi e da altre
persone.
Che se dovessi occuparmi delle sue cose, non potrei ammetter certe sue
affermazioni, né accettare l tono usato dalla sua lettera, specialmente se essa ha
da considerarsi un ricorso all’autorità e alla carità del Santo Padre.
Io non ho mai avuto occasione d’incontrarla, né di interloquire nelle sue
faccende; ho però seguito da lontano la S. V., con interesse e con trepidazione;
e mi lasci perciò dirLe con fraternità sacerdotale, che il bene, se veramente
animato da spirito cristiano, non dovremmo mai compierlo con lo spirito
amaro e arrogante: vide ergo nec lumen quod est in te, tenebrae sint (Lc
11,35); caritas ptiens est, benigna est, … non irritatur, non cogitat malum…;
omnia suffert, omnia credit, omnia sperat, omnia sustinet… (1 Cor 13, 4-6).
Con distinto ossequio mi creda
Suo dev.mo in Cristo
F.to G.B. Montini
Nota: Don Zeno risponderà con una lettera al vetriolo pubblicata in “Non
siamo d’accordo”: “Che cos’è la verità”. “La carità è anche “Guai a voi, razza
di vipere”; “Via da me maledetti…”.

Non avete fiducia


Al papa Pio XII
“Ma perché ho fatto tutto questo rovinando e me e tante anime che avevano
diritto di essere difese anche con le armi?”

Milano, 14 febbraio 1953

Beatissimo Padre,

Oramai tutti i sacerdoti sono stati d’autorità tolti dalla assistenza e dall’aiuto ai
nomadelfi ed agli ospiti della ex città. Don Luigi Bertè essendo ammalato è
andato presso i suoi parenti in collina, ma si è messo a disposizione del
vescovo di Carpi. Don Ennio Tardini è andato coadiutore dal parroco di S.
Agostino a Modena. Quest’ultimo era l’unico che mi aiutava a sistemare i più
rovinati, e spero che lo faccia almeno nei limiti delle sue possibilità. Don
Walter Marchi mi ha scritto che ritorna dall’America, tra l’altro mi dice che si
sente malissimo come salute. I vostri ordini sono stati eseguiti, anche se a
qualcuno può essere apparso che lo facessimo insinceramente. E quasi tutti lo
hanno fatto, credo, contro la loro volontà. Hanno semplicemente ubbidito.
Ed ora che cosa succede? Sono rimaste delle gravi partite da regolare che io
non posso non regolare. La prima con il governo; la seconda con la Santa Sede,
la terza con gli ex cittadini e sacerdoti di Nomadelfia.

Premetto:

Se nei contrasti a parole ho sempre protestato e mi sono difeso come ho potuto


ed anche con molta confidenza, nell’azione pratica ho fatto di tutto per
muovermi aderente alle realtà le più evidenti.

a) Autorizzato dalla Suprema Congregazione avevo iniziato un movimento


sociale nel popolo che mi fu stroncato di autorità.

b) Avevo organizzato fin dal 1931 d’accordo con l’autorità ecclesiastica la


Città di Nomadelfia e son stato fermato d’autorità (5.2.52).

c) Volevo fin dal febbraio dell’anno scorso pagare i debiti, quindi agire per
organizzare aiuti in merito e sono stato fermato d’autorità.

d) Volevo evitare violenze e rovine sui figli e sono stato aggredito d’autorità.
e) Volevo evitare processi penali e ci sono stato condotto di autorità.

f) Volevo portare in America la Città secondo la mia vocazione e sono stato


fermato d’autorità.

E su tutto questo potrei anche concludere: nulla da dire. Offeso a morte posso
perdonare come spero di essere perdonato.

Quanto ai cattolici italiani al potere li ho chiaramente individuati come


oppressori dei poveri, quindi come se non esistessero. Se non la smettono di
perseguitare me ed i figli ed i poveri mi difendo e difendo questi qualsiasi cosa
succeda. Direte: Ma e l’ubbidienza? Io mi rivolgo appunto a Voi ancora e
sempre come ai miei Padri verso i quali, nonostante tutto l’accaduto, sono
legato non solo dalla fede, ma anche da un sincero affetto, tanto è vero che nel
caso di questo anno durante il quale potevano succedere cose gravissime a
disonore della Santa Sede per colpa del governo, e di don Pomati ed altri, ho
sempre parato ed attutito colpi che avrebbero provocato gravi scandali
specialmente in Emilia. Ho persino subito l’occupazione violenta ed illegale
del campo di Fossoli mentre i figli sono stati sbattuti al lastrico come cani.
Cose orrende, cose che si fanno in Russia, eguali. Ho lasciato fare, solo
mitigando l’estrema violenza. Ho taciuto a tutte le offese ed angherie del
Cardinale di Milano e di molto clero. Ho tenuto coperto cose che forse nella
storia del dopoguerra sarebbero di grave condanna sia al clero che al governo.
Minacciavo solo quando, non noi, ma clero e governo stavano per cadere sotto
gravi accuse. Mille e mille anime per questo hanno pianto e taciuto.

Ma perché ho fatto tutto questo rovinando e me e tante anime che avevano


diritto di essere difese anche con le armi, anche con una insurrezione popolare?
Voi sapete che cosa è avvenuto tra me e voi prima di dare inizio al movimento
sociale. Ho taciuto. Non ditemi che ho degli errori, caso mai, come Padri,
ditemi quali sono, con chiarezza, perché non ne voglio avere. Sarebbe un atto
di bontà. Per me è un problema molto semplice: la Chiesa è e deve essere per
destinazione divina la Luce del mondo ed il sale della terra quindi l’anima
vivente del mondo. Tutto il resto deve prendere luce ed amore dalla Chiesa.

Il costume privato e politico di troppi cattolici e di moltissimi


ecclesiastici non è aderente a questa missione, lo fanno indisturbati, lo
difendono, mentre è in perfetto contrasto con: Tra loro non c’era l’indigens. Il
comunismo come reazione sovversiva avanza con una concezione sociale che
non ammette l’indigens. Cosa che non ammette in via assoluta anche la
dottrina sociale della Chiesa. Perché non riuscirà mai a farlo il comunismo?
Ecco, io penso, perché sine me nihil potestis facere. Solo per questo, per
nessun altro motivo che per questo. Se non c’è il lievito del Cristianesimo
cattolico. Tra l’altro il comunismo la sbaglia anche come scienza sociale.

Voi non avete fiducia in me, e sia. Di questo non me ne ho a male. É


nelle Vostre competenze. Unicuique suum. Ed ora che cosa succede? Ho scritto
in merito una lunga lettera personale e confidenziale a S. Em. il card.
Ottaviani. Se sua Em. volesse permettere di confidarla alla Suprema
Congregazione, con la presente Lo autorizzo a consegnarla. É una lettera di
getto, a parte le polemiche in essa contenute, la sostanza è di interesse della
Suprema Congregazione: contiene notizie. Sono tutte lettere, intendo quella e
quante ho scritto alla Santa Sede, che mai pubblicherei, piuttosto di farlo
accetterei lo stesso martirio.

Allego invece tre lettere che se gli eventi mi costringessero a farlo


pubblicherei senza meno, togliendo, s’intende, qualche frase di carattere
polemico troppo confidenziale. Se il difendermi è anche difendere coloro dei
quali mi sono fatto prossimo è chiaro che ci andrei fino in fondo, sempre salvo
le cose segrete, a meno che il segreto non sia caso per caso da giudicarsi
reciproco e bilaterale. Ma queste sono cose di morale. Se invece si tratta di
difendere la sola mia persona, purché ciò non avesse riflessi su altre anime,
sarò ben lieto di tacere, come ho sempre fatto.

Dichiaro:

1 - Non posso fallire e nemmeno accetto che, per quanto sta in me, falliscano i
miei figli. Il mio fallire è rovinare altri.

2 - Non posso mancare di parola ai miei figli in qualsiasi rapporto di natura


sociale in tutte quelle cose che esigono giustizia e mutua assistenza. Senza
dubbio su di essi mi ero impegnato oltre le leggi canoniche che riguardano il
Clero, ma ciò è avvenuto ad experimentum consenziente il primo vescovo e
non contrari gli altri successori. La stessa costituzione di Nomadelfia fu da me
consegnata in copia originale al S. Padre nel 1948 ed al S. Ufficio nel 1950.

3 - Non voglio muovermi contro la disciplina ecclesiastica.

Chiedo:

Come fare?

Considerazione

Mi pare che quanto sopra scritto non sia frutto di una opinione personale ma di
un fatto concreto che esige una santa soluzione a tranquillità delle coscienze. Il
rinviare peggiora gravemente la situazione.

Invoco:

Voglia la Suprema Congregazione decidere qualcosa in merito e voglia anche


interpellarmi là dove lo ritenesse necessario. Venerdì 20 febbraio verrò, a Dio
piacendo, a Roma per chiedere una udienza, possibilmente, a S. Em. il card.
Ottaviani nella speranza che si possa decidere tutto nel più santo dei modi
possibili. Mi auguro che l’E.mo card. abbia per tale data ogni facoltà per
decidere con me. Sono indifferente (sempre secondo i santi esercizi di S.
Ignazio) a qualsiasi decisione, fermi restando i punti 1) 2) 3) della
dichiarazione di cui sopra, essendo, questi, realtà insopprimibili. In attesa
pregherò e farò pregare perché il Signore ci illumini tutti.
Mi prostro al bacio del S. Piede.

Figlio devotissimo della Santità Vostra.

Chiedo venia, ma...


Al Card. Ottaviani, S. Ufficio

“Cristo si è piegato alla ingiustizia? In simili casi si affronta l’avversario e si


va al Calvario”.

25 febbraio 1953
Eminenza,

Oramai credo che il Signore stia tirando le Sue conclusioni davanti alle quali
Egli mi troverà per sua grazia del tutto indifferente. Giudicare che nei miei atti
abbia dei secondi fini e delle mete cervellotiche da raggiungere è da temerario
e, per parte mia, è peccato. Ogni fatto che la vita presenta da affrontare deve
avere la sua soluzione secondo le leggi di Dio anche quelle espresse in rerum
natura.

Non mi scaglio contro nessuno, ma vivo e voglio vivere le mie realtà personali
che mi tengono legato vivente al mio Dio Vivente. Se poi questo atteggiamento
è di angustia e di tormento ad altri, non so cosa fare se non servire Dio nelle
sue leggi.

Prima di parlare a S. E. Mons. vescovo eletto di Carpi mi sono ritirato a


pensare e a scrivere a V. Em., una cosa intima nella certezza che non se ne avrà
a male di frasi che mi aiutano ad essere più chiaro. Lo stile del vescovo non è
un capolavoro di complimenti, ed è lo stile di Cristo. E forse che Cristo
intendeva offendere la gente? Intendeva arrivare all’osso. Se poi volessi
giustificarmi non sarei a posto con la coscienza, ma là dove avessi mancato di
rispetto chiedo venia. Ma neppure si vorrà che conceda a coloro che mi hanno
colpito che siano sempre stati di limpida gentilezza, sia pure con parole
appropriate e anche non sempre con quelle.

Tutto questo non incide sulla questione gravissima che dobbiamo insieme
affrontare. La Suprema Congregazione ha deciso. E sta bene. Beati i
componenti il Supremo Organo della Santa Sede se si sentono tranquilli in
coscienza. Io dico che l’hanno sbagliata in pieno. Lo dico io e quindi la posso
sbagliare in pieno. Anche questa: acqua passata sotto i ponti.

É nostro amico V. Em.? A me sembra di sì. Fosse vero. Avremmo finalmente


un vescovo e per di più un Cardinale amico. Nel senso che dico io ne abbiamo
avuto uno solo: Mons. G. Pranzini. Quando V. Em. mi fa certe obiezioni mi
domando: Ma sono Sue o le riporta? Quando venne a Nomadelfia il Padre
Castellano fu chiesto poi ad una donna: Che uomo è? Essa rispose: Mah! Sono
di quegli uomini che non si sa quanti anni abbiano e come la pensino,
s’intende per causa della carità. Io mi trovo in altro ambiente quindi mi sento
lieto e tranquillo perché non capisco quelle cose. Senza dubbio a V. Em. mi
sono sempre sentito molto affezionato. Non so il perché. Veda lei che la sa più
lunga di me. Anche questo è fuori della causa. La causa invece viene precisata
nei seguenti termini:

1- Sul fallimento di Nomadelfia non esiste nessuna causa di forza maggiore,


per questo non voglio fallire. É stato un eroico servizio pubblico, e da
questo punto di vista è anticristiano, inumano, antisociale; quindi
imperdonabile vigliaccheria cedere e piegarsi alla ingiustizia: ut videant
opera vestra bona. Forse che Cristo si è piegato alla ingiustizia? In simili
casi si affronta l’avversario e si va al Calvario, per poter dire con Cristo:
Ego vici mundum. E che forse siamo canne di palude sbattute dal vento?
Non è necessario sapere a quale religione o ideologia appartengono gli
avversari. Preme solo di individuare l’ingiustizia e colpirla in coloro che la
sostengono e che la infliggono, per non fare vuota e peccaminosa retorica.

2- Sono nati dei vincoli sociali (escluso tutto ciò che è di carattere
disciplinare come ecclesiastico) tra me ed i nomadelfi che non intendo di
violare perché mancherei di dovuta giustizia. Non li abbandonerò alla
deriva dovunque siano e in qualsiasi disagio si trovino. La Santa Sede ha
potuto liberamente provocare lo scioglimento della Città di Nomadelfia,
ma con questo ha esaurito le sue competenze. Oramai essi si trovano su le
sole leggi fondamentali della Chiesa, ed i miei rapporti con essi non hanno
nulla a che vedere con la disciplina degli ecclesiastici, caso mai hanno
ragione su di essa. Facendomi sacerdote non ho mai inteso di farmi
bersagliere o granatiere. Voglia intendere in senso vasto e retto. Grazie.
Guardi, Em., che i nomadelfi sono rimasti intatti, più che prima e sono
molti. Tra gli stessi fanciulli, giovanetti e giovani che sono stati
violentemente e (me lo lasci dire) senza criterio sbattuti in carcere per tutta
Italia, una buona parte sono legati a questi indissolubilmente. É una
vocazione. Vedrà, le parole anche mie, cioè anche di chi li ha generati nel
Signore, non contano. I fatti lo dimostreranno. Conterebbero le mie parole
se si accettasse che anch’io non sono e nemmeno so e posso essere un
angelo.

Quanto agli altri sacerdoti, grave si presenta la loro posizione. Diversa dalla
mia, ma non meno impegnativa nei suddetti rapporti. Sono nati vincoli sociali
che solo la morte può sciogliere. Su queste realtà la Suprema Congregazione
ha usato una semplice violenza; ma non ha risolto niente, ha di molto
aggravata la situazione. Di unilaterale c’era solo l’esercizio del sacerdozio che
non era in nostro potere, ma tutto il resto è legge tra le parti. Non è una causa
dubbia, è una realtà che nessuno può distruggere e che se va di questo passo
finisce per metterci davanti ad un terribile dilemma: o rispondere alle nostre
obbligazioni sociali nei rapporti con i nomadelfi oppure, non potendo violare
queste, chiedere la secolarizzazione, comunque non violarle mai. Lo abbiamo
fatto per un anno, ma si sono moltiplicate le gravi conseguenze di quella
ubbidienza che non aveva possibilità di contropartita.

Non ce la vede la Santa Sede di dare il suo sacerdozio a Nomadelfia? Non fa


altro che quello che Dio vuole: cioè quello che è in suo potere: potere che deve
esercitare nella Sua Luce, indipendentemente dalle nostre insistenze. Nulla da
dire. Ma la Santa Sede né potrà, né vorrà insistere a colpire delle anime che
devono rispondere a Dio ed agli uomini dei loro impegni in gran parte
insostituibili come persona. Se fosse solo questione di soldi si potrebbe anche
rimediare; ma c’è ben altro. La questione economica è il primo disastro che
chiede una soluzione fino in fondo; il che avrà gravi ripercussioni sociali anche
nel popolo. Poi emergeranno ancora più violente e virulente le altre.

Quando alla Santa Sede accetteranno di lasciarsi consigliare come succede tra
babbo, mamma e figli nelle buone famiglie allora mi permetterò di proporre
per la piena soluzione di questo gravissimo problema: V. Em., S. E. Mons.
Montini e S. E. Mons. Roberti.

V. Em. come autorevole amico e paraurti. S. E. Mons. Montini per i riflessi


sociali e politici. S. E. Mons. Roberti per affrontare in pieno il problema di una
diocesi comunitaria come è sempre stato nella linea fondamentale delle sue
previsioni su Nomadelfia. Fu infatti lui a consigliare S. E. Mons. vescovo di
Carpi a fare di ogni borgata una parrocchia secondo il suo costume. Il quale,
tra l’altro, ai 18 sacerdoti di Nomadelfia disse, senza farne mistero: Voi dovete
stare alle sole leggi fondamentali della Chiesa.

Questa è la strada giusta. Fuori di questa, di disastro in disastro, si arriverà alla


stessa conclusione: la Chiesa comunitaria nella unità e nella ubbidienza alla
Chiesa universale.

É inutile che V. Em. mi richiami, come fa spesso, alle opere già esistenti nella
Chiesa. Che c’entrano? Se non avessimo una vocazione diversa ci saremmo
fatti salesiani, gesuiti, giuseppini, sacerdoti operai, ecc. Forse che si deve
arrestare il naturale evolversi quo ad nos della vita di Cristo e della sua Chiesa
nel mondo? Ma la difesa di questa divina evoluzione è proprio oggetto
preminente della vocazione di V. Em. e di tutti i componenti la Santa Sede.
Quando non realizzate voi questa vostra vocazione tutta la Chiesa rimane ferita
a morte e microbi e contromicrobi assumono virulenza perché il corpo si
ammala, ma poi la spunta.

Il segno di Dio

Se il governo ci lascia andare al fallimento reagisco con tutte le mie forze che
derivano dal diritto, nel motto che è diventato per me un ritornello: Nati sumus
ad justitiam neque opinione sed natura constitutum est jus.

Procedura:
1- Presento il conto e pongo un termine a S. E. Mons. vescovo eletto di Carpi,
essendo a Lui mandato da V. Em.

2- D’accordo con Mons. Vescovo parlerò a S. E. Mons. Montini.

3- Passato il termine senza (concludere) di mio gradimento, porto la


questione nel popolo chiamando ad aiutarmi i sette religiosi ed i cinque
sacerdoti che erano interni; mentre gli altri essendo a noi legati come
associati mi aiuteranno nei limiti dei loro impegni assunti con noi fin dal
1942.

La terrò informata degli sviluppi della cosa.

Mi prostro ecc..

Solo gli oppressi possono capire la Chiesa


A Mons. Montini, Segreteria di Stato

“Provi a venire con noi, ad essere reietto come noi, vedrà che farà presto a
ragionare ed a muoversi come noi”.

27 febbraio 1953
Eccellenza Reverendissima,

Mi pregio allegare alla presente la proposta che consegnerò nelle mani di S. E.


Mons. vescovo eletto di Carpi previo accordo verbale con S. Em. il card.
Ottaviani.

É facile prevedere che la causa in gioco è di gravissima importanza, dalla quale


scaturiscono mille e mille rivendicazioni della personalità umana, come Dio ce
l’ha donata. Praticamente da ciò appare chiaro e tangibile che la giustizia
dovuta ad una sola creatura umana è giustizia universale; che provoca lotte di
carattere universale. S. Eminenza mi rimprovera ultimamente con paterna
bontà una certa mia indelicatezza nel trattare le Personalità. Di ciò che in me è
colpa in merito chiedo scusa anche all’E. V. Rev.ma ed a chiunque sia stato
offeso; di ciò che in me è dovuto alla natura della causa che mi tortura nel
Signore voglia avere la bontà di dare la colpa alla medesima.

Praticamente parlo da un mondo offeso in tutti i sensi, nell’anima e nelle carni;


un mondo che in parte piange nella impotenza e nella desolata rassegnazione; e
in gran parte impreca, bestemmia, inselvaggisce, abbrutisce fino a desiderare le
più sadiche vendette. Per quanto sia stato a contatto con la gente così detta
civile, il mio linguaggio è quello degli oppressi che sono sempre pronti alla
lotta di rivendicazione e che colgono ogni anche più disparata occasione per
frecciare ed indebolire l’avversario che chiaramente vedono e sentono su se
stesi, anche se invisibile, come inesorabile parassita, come il diavolo.
Io personalmente capisco i ragionamenti di coloro che praticamente
sono oppressori per deliberata volontà o per peccato di omissione. Ma sono
ragionamenti che non hanno nulla a che fare con i nostri. Mi possono
dimostrare essi anche in poesia perfetta, anche con il linguaggio dell’angelo
che la volpe è una bella e meravigliosa creatura di Dio, ma se questa mi capita
a tiro quando so che è in movimento per sterminare il pollaio o per aggredire
un bambino io le sparo senza pensarci su due volte. Anche lo schioppo è
creatura di Dio.

Non mi deve voler male, Eccellenza, se sono così, perché io Le


voglio molto bene, anzi Le dirò che, conoscendoLa per mezzo di Sue intime
persone, L’ammiro tanto. A me non importa che il governo ed il partito
democristiano accettino o non le nostre proposte allegate, mi interessa
semplicemente di sapere e di vedere tangibilmente se le accettano o se non le
accettano. Perché nel primo caso vuol dire che c’è una via aperta alle nostre
giuste rivendicazioni (parlo degli oppressi); nel secondo caso vuol dire che non
c’è nulla da fare con quella gente. Non siamo stati noi a suscitare lo scandalo
proprio nel periodo elettorale, sono i fatti voluti da loro che lo hanno
determinato. Vuol dire che Dio li ha confusi.

S. Em. mi ha detto: Ma non devono vincere i comunisti e non si deve


danneggiare la religione. Questo non dipende da noi, dipende da loro; a meno
che non si vogliano rovesciare i valori delle parole, dei fatti e della fede. La
giustizia e la verità fanno sempre bene, anche quando indirettamente l’umanità,
non volendole accettare, provoca fiumi di sangue. Non è superbia ergersi
contro quelle forze del mondo che infestano e la Chiesa e il consorzio umano:
è Santità. Provi a venire con noi, Eccellenza, e ad essere reietto come noi, e
vedrà che fa presto a ragionare ed a muoversi come noi; e capirà
immediatamente che cosa significa le volpi hanno le loro tane, gli uccelli
dell’aria i loro nidi mentre il Figliuol dell’uomo non ha dove posare il capo... -
et secuti sunt eum.

Il comunismo nei nostri confronti è borghesia grassa. Quando


verremo alle prese con quello ce la godremo perché è per sua natura facile a
donarci il martirio che noi desideriamo come il più grande dono di Dio. Il
comunismo è sbagliato anche come dottrina sociale quindi morte vestra
moriemini. É vulnerabilissimo. A noi non fa paura, come non ci fa paura la
borghesia. Non ci interessa di vincerli, ci interessa di combatterli rifiutandoli
sempre. Comunismo, borghesismo, capitalismo, fariseismo sono tutte etichette
di un identico contenuto: il mondo. Parlano della loro giustizia della loro
libertà della loro bontà della loro fede della loro casa del padre sono dei falsi
che solo possono convertirsi se noi continuiamo fino andando sereni al martirio
dicendo loro di no. A parole non si riesce, non è riuscito nemmeno il divino
Maestro: Voi non potete credere perché andate mendicando la gloria gli uni
dagli altri e non cercate la sola e vera gloria che è da Dio. Questo non è stato,
sotto un certo aspetto, un ragionamento, ma è stato un battere in ritirata in sede
accademica.

Eccellenza, badi a me, la Chiesa deve invadere rapidamente tutto il


mondo occidentale ed orientale, ma per far questo deve accettare la purga dai
tossici che la reprimono nelle naturali e soprannaturali forze di travolgenza.
Solo gli oppressi possono capire la Chiesa e portarla nel mondo intero. Gli altri
battono l’aria e scandalizzano e neutralizzano le anime rette e predisposte alla
immolazione.

Ho letto un articolo su il Giornale d’Italia nel quale si dice che in


caso di emergenza la Santa Sede si trasferirebbe con il Papa in Brasile.
L’articolo si riferisce alla rivista La Civiltà Cattolica. Io spero che all’ultimo
momento il S. Padre lasci andare in Brasile i fifoni perché si disperdano tra i
vigliacchi, mentre Egli starà a Roma per non tornare a chiedere a Gesù: Quo
vadis Domine? Il Papa è il Papa anche nelle catacombe. Non tema il S. Padre,
la terra dei vinti diventerà la tomba dei vincitori, ed anche in pochi anni.
Basteranno poche migliaia di tonnellate di sangue veramente e genuinamente
cristiano cioè non reazionario alle dovute soluzioni della giustizia sociale.
Questa volta non c’è solo da salvare il culto cattolico, ma la Vita completa ed
integrale cattolica.

Mi prostro al bacio del S. Anello dell’EVRma Dev.mo.

Padroni delle anime


Al Card. Ottaviani, S. Ufficio

“Quanto sta facendo di noi è una ricrocifissione di Gesù che protesta giustizia
negli oppressi.”
2 marzo 1953

Eminenza,

Le sarà parsa esagerata la nostra proposta al Governo. L’ho fatta d’accordo con
Dario e diversi suoi consiglieri, i quali tuttavia non hanno nessuna voglia di
mettersi d’accordo con il governo che oramai vedono sotto pessima luce. Gli
ha inflitto troppe ingiurie per le quali si è rivelato tiranno ed oppressore.
Comunque lasciano fare a me là dove non sarà piegarsi a simili tirannie.
Certissimamente in essi non ho notato risentimento, solo non vogliono cadere
nelle reti di un mondo che non solo tiranneggia loro, ma milioni e milioni di
poveri e di miserabili. Quando V. Em. pensa che solo a Milano esistono circa
sessantamila vani, vuoti perché di lusso, e migliaia di giovani sposi, di intere
famiglie sono praticamente senza casa, ed essi lo sanno, chi ha fede non può
non vedere il diavolo in quella gente. Satana sghignazza perché ha vinto una
abilissima battaglia diplomatica, li ha ridotti in un vicolo chiuso, disonorante e
fatale per la Chiesa.

I nodi più paurosi si riducono al pettine. Dovremmo o presto o tardi farci


impiccare perché nemici o conniventi ai nemici del popolo? Io non accetto, e
nemmeno i miei figli accettano, prontissimi tutti al martirio per rivendicare gli
interessi di Dio, quindi della Chiesa, nel popolo. La pelle si deve vendere al
suo giusto prezzo, come ha fatto Gesù, come ha fatto S. Stefano, come ha fatto
umilmente Pietro. Vedrà Em. che dovremo pagare quei reati sociali con fiumi
di sangue. Sono quei peccati che gridano vendetta al cospetto di Dio. Poveri
noi! Dio non perdona quei fatti sociali; sarebbe da un punto di vista, in
contrasto con Se stesso, a meno che non sorgesse una corrente di anime
talmente generose e buone da smuovere le masse orientandole al perdono ed
alla pacifica ricostruzione, rimediando cioè a quella mancata giustizia che Dio
vuole a tutti i prezzi.

E dove sono quelle anime? Io ho avuto modo di sentire il polso della Santa
Sede. Quante delusioni! Delusioni di tale amarezza da preferire ad esse la
morte. Quanto ho pianto per questo! Se non sarà V. Em. a impennarsi
decisamente contro questo disastroso contrasto, la Santa Sede finirà per ridurre
me ed i miei sacerdoti corresponsabili a chiedere, come le scrissi, la
secolarizzazione. Che cosa triste! Non vogliamo rompere la disciplina, sarebbe
tra l’altro, un grave scandalo alle anime e per noi un atto che non riusciremmo
a fare anche se il cielo ci dimostrasse che con quell’atto salviamo il mondo. Ho
mille motivi per credere che se la Santa Sede non cede sarà colpita da
spaventose disgrazie. Quanto sta facendo di noi è una ricrocifissione di Gesù
che protesta giustizia negli oppressi.

Quante volte, Em., ho protestato che la storia non si ripete mai, nel senso che
Dio è sempre nuovo e sorprendente nei suoi eventi storici. Perché mancare di
rispetto alle vocazioni? Nel dubbio ha ragione chi afferma di averla. Voi non
siete padroni delle anime. Ma non ha ancora capito la Santa Sede che la nostra
sincerissima ubbidienza è una crocifissione a noi; mentre si risolve in una
vendetta del cielo contro quanti non vorrebbero il trionfo della Chiesa tentando
la nostra pazienza?

Solo V. Em. può provocare il miracolo di una paterna e santa virata


di bordo, ma che sia una esplosione d’amore del tutto fuori da qualsiasi calcolo
diplomatico, politico, opportunistico. Non vuole il Signore di questi calcoli
quando pone le vittime come prezzo di riscatto. Se sapesse Em. di quale natura
è il nostro pianto, pianto che mai ha superato le soglie della Santa Sede, si
spaventerebbe. Un amore così vivo e semplice da mettere le vertigini. Siamo
giunti alla Santa Sede con le foglie, e queste abbiamo messo sotto giudizio;
solo queste; ma non con le radici, e nemmeno con i frutti, tanto che il Signore
Vi ha costretti a giudicare foglie caduche e rami che noi stessi stavamo per
potare, cose che avremmo saputo fare con molta più competenza che Voi
perché non era la Vostra missione.
Che cose tremende! Eppure sono avvenute. Ma io amo la Santa Sede
come la stessa casa mia nativa, quella di quel mio Padre e di quella mia Madre
che non mi sono stati dati dalla carne: sed ex Deo.

Che mistero!

Oremus.

Abbia la bontà, Eminenza di tenere in viva considerazione la lettera


ultima che Le ho inviata, ne scruti la sostanza. Grazie.

Domani andrò da S. E. Mons. Prati al quale ho già inviato a mezzo di


don Marchi la proposta al governo. Con don Marchi ha detto che non potrà
interessarsene se non dopo Pasqua. É troppo tardi. Dopo il 10 marzo non
tratterò più con nessuno quella partita. Basta, basta. Ho portato anche troppa e
rovinosa pazienza, per cui mi sento già beccamorto seppellitore di vivi anche
in questo ramo. La provvidenza sfonderà altrove. Giovedì, 5 corr. a Dio
piacendo, verrò a Roma dopo di aver parlato con S. E. Mons. vescovo. Costì
cercherò di ottenere una udienza da S. E. Mons. Montini. Pensi! Non l’ho mai
visto, non lo conosco se non per sentito dire. Ne ho tuttavia una immensa stima
perché di Lui mi hanno spesso parlato anime sue intime che tanto lo amano e
che sinceramente lo ammirano. Mi auguro che non mi tratti con diplomazia
perché non ci capirei niente.

Preghiamo, Eminenza, perché a parole non riusciamo più ad


intenderci. Che Gesù abbia pietà di noi tutti.

Con figliale affetto mi prostro a baciarLe il S. Anello, e se mi fosse


dato, ad abbracciarLa con santa riconoscenza.

Mi compatisca.

Dev.mo suo.

Chi potrà riparare?


Ai sacerdoti e religiosi di Nomadelfia
“Un misfatto che griderà vendetta al cospetto di Dio se non scenderemo da
cavallo noi che siamo i primi responsabili”.

14.3.1953

L’allegata lettera è stata consegnata brevi manu ai seguenti sacerdoti e religiosi


interni della ex Città di Nomadelfia: Don Ennio Tardini, Nino Bozzoli, L.
Bertè, W. Ferraguti, W. Marchi, P. Simonelli, G. Vannucci, G. Signori, V.
Spadetto, G. Pacconaro, A. Blasutic, P. Rao.

Carissimi Sacerdoti e religiosi di Nomadelfia,

Io non ce la faccio più da solo. Tutta la popolazione della disciolta Città di


Nomadelfia dopo che noi siamo stati allontanati d’autorità contro le nostre
intenzioni e nonostante le nostre proteste, è desolata, sofferente, dispersa,
resistente e perseguitata.

La commissione governativa che soprassiede alla liquidazione coatta sta per


chiudere i suoi lavori buttandoci in tal modo al più disonorante dei fallimenti.
Le famiglie sono state costrette violentemente e illegalmente al lastrico, certe
anime sono finite malissimo, altre mortificate come da una ventata di settarie
ingiurie. Chi può raccapezzarsi in tanta situazione? Chi è stato a farci tanto
male? Perché ce lo ha inflitto? Chi potrà riparare a tutte le ingiustizie che sono
nate da questi eventi che hanno rovinato persone e famiglie, sconvolgendo
coscienze e ferendo nelle stesse carni chissà quanti innocenti?

É stato un misfatto che, secondo me, griderà vendetta al cospetto di Dio se non
ci affretteremo a discendere da cavallo noi che siamo i primi, i diretti
responsabili. Discendere e medicare le vittime facendoci decisamente vittime
con esse. Semetipsum exinanivit formam servi accipiens.

Vi attendo a Collegara il giorno 20 corr. alle ore 10. Insieme decideremo il da


farsi. Nulla vi intrattenga perché le cose vertono per il peggio anche nei vostri
confronti. Credo che sarebbe da temerari non vedere che oramai la legge
suprema per causa della realtà, si è sostituita all’altra, e ci impone di agire nel
senso soprascritto. Ci tengo anzi a farvi noto che da oggi stesso in poi nei
vostri confronti non mi assumerò più nessuna responsabilità derivante dai
vostri impegni di solidarietà.

Vi attendo in preghiera ed in ritiro spirituale. Se potete venire anche prima sarà


meglio.

Vostro in Corde Jesu.

Abbiamo deciso
Al Card. Ottaviani e, p.c., a Mons. Prati Vescovo di Carpi, Mons. Boccoleri
arciv. di Modena, Rev.mo P. Benetti Priore Generale O.S.M.

“Noi sacerdoti non li abbandoniamo, intendiamo far fronte ai nostri obblighi


assunti fin da quando eravamo una sola famiglia con essi”.
23 marzo 1953

Eminenza,

Venerdì 20 c.m. ho tenuto una adunanza dei sottoscritti sacerdoti che erano
interni alla Città di Nomadelfia. Li ho invitati con lettera che allego. Ne sono
mancati quattro.

1°- Il 27 c.m. la Commissione liquidatrice deporrà in tribunale a Modena le sue


conclusioni. Risulterà un forte aumento dei debiti per causa degli interessi di
mora e dei danni subiti dai creditori.
2°- Il governo ha scritto una lettera alla suddetta commissione, dalla quale
risulta che difficilmente acquisterà gli immobili della Città di Nomadelfia di
Fossoli. Da questo deriverà che ai creditori toccherà una percentuale irrisoria.

3°- Molti ospiti si trovano ancora al lastrico e fino ad ora li abbiamo sostenuti
attraverso aiuti ottenuti da qualche amico e incontrando nuovi debiti con
persone che non ci faranno degli atti giudiziari; per una spesa che è a tutt’oggi
di circa quattro milioni.

4°- Quasi tutti i nomadelfi sono rimasti disoccupati fino adesso, fatta eccezione
di quelli che lavorano a Grosseto. In questi giorni cominciano ad occuparsi
nelle aziende in formazione. Nove famiglie sono già occupate nell’azienda
autotrasporti, oramai al completo come attrezzatura e macchine. Una decina a
Grosseto. Le altre nelle aziende in formazione a Milano: segheria e tipografia.
Anche per questi ho dovuto contrarre impegni finanziari con amici, sempre a
patto che non facciano atti in caso di insolvenza, circa sette milioni. Tutti
impegni che mi sono presi io in persona per non aggravare i laici di nuove
angustie.

5°- Le aziende sono state costituite da soli prestiti garantiti da persone solvibili,
per un valore che oltrepasserà di parecchio i 150 milioni, compresi i capitali
prestati in natura come terre e macchine e i prestiti delle banche. Detti capitali
e prestiti dovranno essere ammortizzati nel corso di circa cinque anni. Abili
tecnici collaborano e, data la solvibilità dei garanti, essendo in gran parte
assicurato il lavoro, si pensa che non sarà cosa difficile realizzare il detto piano
di ammortamento; comunque se anche occorressero più di 5 anni i garanti
faranno fronte. Tuttavia, su gli impegni suddetti la Società dei nomadelfi non
ha nessuna interferenza, solo è obbligata a gestire e lavorare le aziende in
collaborazione con i garanti che lo faranno a titolo gratuito. Di fronte ai garanti
io sono impegnato moralmente a occuparmene a garanzia per i laici. E questo
lo hanno preteso prima di concedere la possibilità di organizzare dette aziende.
S’intende che in questo mio impegno derivante dalle sventure dei nomadelfi io
sono in solido con i sacerdoti miei collaboratori.

6°- É stata istituita anche una società a responsabilità limitata per la


formazione e il possesso di case precostruite smontabili, per una cinquantina di
famiglie, più dei capannoni, sempre precostruiti e smontabili per i lavoratori.
Su queste costruzioni i nomadelfi dovranno pagare un affitto in ammortamento
che durerà 5 anni. Ogni famiglia dovrà pagare un affitto mensile di L. 10.000.
Sono abitazioni igienicamente buone ed anche dignitose. Anche per questo ho
dovuto garantire io personalmente il mio impegno morale, se no non sarebbe
stato possibile concludere l’affare.

CONSIDERAZIONI

Gli impegni di noi sacerdoti per il passato di Nomadelfia balzano chiari; quindi
o dichiararci falliti, oppure farci solidali con i laici per far fronte agli impegni
derivanti dall’enorme difficoltà di assestare i figli secondo le loro esigenze
materiali e morali. Alla seduta erano presenti anche il presidente dei nomadelfi,
Dario Bignardi e l’amministratore rag. Guido Granata; un tecnico dott.
Cappelli e l’amministratore unico delle nuove aziende Prof. Giuseppe
Merzagora. Questi hanno dichiarato che non intendono fallire, almeno
moralmente, e che per questo si impegnano di escogitare ogni mezzo per
mettersi d’accordo con i creditori. Hanno dimostrato che i danni subiti da loro
per causa del nostro abbandono sono stati di grave entità.

ABBIAMO DECISO:

1- Noi sacerdoti presenti alla seduta non intendiamo di abbandonarli a se stessi


e intendiamo di far fronte ai nostri obblighi materiali e morali, assunti fin da
quando eravamo una sola famiglia, in solido con essi. Quanto agli altri
sacerdoti che erano interni alla Città di Nomadelfia, invitati alla seduta ed
assenti, vedremo in seguito.

2- Ci domiciliamo provvisoriamente a Rovereto sulla Secchia, diocesi di


Carpi, presso il parroco, già sacerdote esterno di Nomadelfia dove prepareremo
in collaborazione con i laici un ampio ed esauriente memoriale.

3- Ci mettiamo subito a disposizione dei laici in tutte quelle attività che non
siano in contrasto con la proibizione del S. Ufficio e cioè: non rifare la Città di
Nomadelfia né in Italia né all’estero.

4- Attendiamo che venga in diocesi il nuovo vescovo, S. E. Mons. Artemio


Prati, con il quale tratteremo la nostra intricata posizione.
L’amministrazione dei nomadelfi ci ha consegnato il qui allegato
memoriale che i laici pensano di inviare ai creditori, e se del caso
pubblicare in seguito, ampliandolo. Noi sacerdoti abbiamo combinato con i
laici suddetti di attendere anche su questo punto, l’ingresso in diocesi di
Mons. Vescovo.

Tanto i laici quanto noi sacerdoti siamo decisissimi a non piegarci a tutte le
ingiustizie materiali e morali subite e derivanti dai colpi inferti alla Città di
Nomadelfia. Per tutto ciò che poteva essere oggetto di critica quanto alle
dottrine che si sono confusamente attribuite a Nomadelfia, tanto da parte degli
esterni, scrittori e pensatori, quanto da parte dei sacerdoti e laici di Nomadelfia,
ci rimettiamo alla sola dottrina della Chiesa.

Per tutto ciò che chiaramente è frutto di ingiustizie materiali e morali non ci
pieghiamo, e staremo alla morale, nella più sincera volontà di farlo in perfetta
armonia con i nostri superiori ecclesiastici. Si aggiunga che tanto noi sacerdoti,
quanto i nomadelfi laici, ci eravamo impegnati nel congresso del popolo a
Modena dell’ottobre 1950 di aiutare il popolo per creare un movimento sociale
del quale Vs. Em. è bene informata, e che è stato stroncato per causa nostra.
Forti proteste e gravi accuse ci fanno tutti quei lavoratori e professionisti che
facevano parte del movimento, i quali spesso si presentano tanto a me quanto
ai nomadelfi per chiedere che cosa intendiamo fare. Posso produrle molti
documenti comprovanti questo. Quel giorno in cui dicessimo che non ce ne
imbarazziamo più saremmo attaccati anche pubblicamente. Anche su questo
sono nati gravi impegni che non si possono sottovalutare senza pericolo di far
la figura dei buffoni, di ragazzi e di vigliacchi. Le comunico per maggior
tranquillità che noi subiremo anche gravi umiliazioni, ma non permetteremo
che nulla, per quanto starà in noi, venga a conoscenza della stampa su ciò che
succede, almeno fino a quando non avremo trattato con S. E. Mons. vescovo di
Carpi.

Mi prostro al bacio del S. Anello. Figlio Dev.mo dell’Ecc. Vs. Rev.ma. F.to
Don Zeno.

Per adesione: D. W. Marchi, D. E. Tardini, D. L. Bertè, D. N. Bozzoli, D. W.


Ferraguti, V. Spadetto, Angelo Blasutic, Paolo Rao.

Potrebbero accusarci di tradimento


A Mons. Prati, Vescovo di Carpi

“Non possiamo venir meno agli impegni assunti, vincoli di reciproca assistenza
nati da venti anni di convivenza”.

Rovereto sulla Secchia, 28 marzo 1953


Eccellenza Reverendissima,

Non voglio fallire e nemmeno i miei figli lo vogliono perché anzitutto non è
stata una disgrazia quanto ci è capitato, ma una volontà degli uomini, ed anche
uomini identificabili, ed in secondo luogo perché non siamo ancora morti;
siamo in molti per cui possiamo dedicarci corpo ed anima per soddisfare ai
nostri precisi impegni.

Noi sacerdoti abbiamo forzatamente abbandonati a se stessi i nomadelfi, ridotti


e costretti a far fronte da soli, il che è, tra l’altro, umiliante e ingiurioso. A far
fronte a che cosa? Anche ai nostri personali impegni. I nomadelfi laici
potrebbero anche accusarci di tradimento. Essi vogliono rimanere compatti
nella fraternità cristiana come prima, mentre noi sacerdoti non possiamo venir
meno ai nostri impegni assuntici nel passato anche sotto questo aspetto,
almeno per tutto ciò che riguarda i vincoli di reciproca assistenza nati da venti
anni di convivenza, da tutti noi voluta in quel senso. Molti tra essi sono stati
rovinati e tornati alla deriva e noi non possiamo trascurarli.

Il S. Ufficio autorizzava me e Nomadelfia a proporre al popolo una


soluzione sociale, approvandone un programma dettagliato ed a lungo discusso
con me; cosa che abbiamo fatta creando nelle masse una corrente in questo
senso, impegnandoci a collaborare con quanti si erano già dati a tale attività
con gravi sacrifici, e non vogliamo mancare di parola perché sono nati vincoli,
anche in questo campo, che non si devono violare così alla leggera. In tutto
quel complesso di realtà viventi abbiamo sempre protestato a voce ed in
iscritto a chi di ragione che eravamo pronti a togliere eventuali errori e difetti,
ma non ad accettare una ingiustificata distruzione. Se V. E. avrà la bontà di
volere esaminare tutti questi punti vedrà che si tratta di chiaro diritto naturale e
divino.

Davanti a queste inadempienze tutte stroncate autoritariamente e


anche con evidente persecuzione, la coscienza rimane offesa tanto che il
piegarci a simili ingiustizie non può essere che tradire e peccare. La morale
non è una opinione. Posti dalla provvidenza questi fatti inequivoci, la morale
impone le sue divine soluzioni.

S. Em. il card. Ottaviani, in occasione dell’ultima udienza che mi ha


concessa nel mese scorso, mi disse di mettermi nelle mani di V. E. Rev.ma
almeno nei limiti della natura del rapporto che è nato tra V. E. e me essendo
diventato mio Ordinario. La divina provvidenza dunque ha posto un nuovo
elemento nella tragica vicenda: l’arrivo di V. E. in diocesi; la decisione da
parte di S. Em. il card. Ottaviani di rimettermi a V. E. É da tener presente che
il S. Ufficio mi ha comunicato nel novembre dell’anno scorso un atto scritto di
sfiducia diretto a me personalmente per cui mi è proibito di rifare Nomadelfia
tanto in Italia, quanto all’estero. I laici, naturalmente, essendosi organizzati in
Società dei nomadelfi secondo le leggi civili non possono essere toccati. Sono
nel loro pieno ed assoluto diritto. Come vede, una massa di anime legate in
tanto amore, con un eroico e santo atto di fede, benedetto ed approvato dal
vescovo si deve rifugiare nelle fredde norme del diritto per non essere colpita
dai vescovi, che di fatto, nolenti o volenti, devono perseguitarla, colpendo me
che legittimamente l’ho in Cristo generata.

Oramai tutti i nodi si sono ridotti al pettine per cui bisogna decidere.
Io penso, Eccellenza, che se troverà tempo per trattare a fondo con me, forse il
Signore ci aprirà una qualche via logica e risolutiva. Pensare a dei
compromessi, credo che sia tutto tempo perso a danno enorme della causa.
Non per volontà degli uomini, ma per sua natura Nomadelfia non si presta al
compromesso. Bisogna tener presente che i nomadelfi laici per una metà
conviventi e per l’altra metà sparsi, tra maggiorenni e minorenni saranno circa
800 ancora. Tra loro sono in comunione di lavoro e di beni come prima. I più
incerti hanno ceduto al trauma; ma gli altri si sono stretti in decisa difesa.
Anche questo fatto è di grave importanza.

É da tanti secoli che si predica la fraternità sociale, non capisco


perché una volta apparsa sotto forma comunitaria nella fede si debba
strapazzare in quel modo. I laici stanno a guardare come andrà a finire la
faccenda di noi sacerdoti, mentre lavorano indefessi a ricostruire e abitazioni e
aziende e case di cura. Essi agiscono sospinti da una vocazione di fraternità
sociale in Cristo che nessuno è mai riuscito a spezzare nei loro cuori,
nonostante le lotte, gli assalti che hanno sempre dovuto affrontare in venti anni
di vita. Ed affermano decisamente che senza i loro sacerdoti non potranno mai
costruire la loro città.

Un semplice e sereno direttore di spirito fa presto a capire che si


tratta di una nuova vocazione ben delineata e ben precisata. Non si vorrà
pretendere che tutto si svolga senza difetti. Parlo di direttori di spirito che non
cadano nell’errore di inventarsela loro la vocazione degli altri con il metro
delle loro personali tendenze, abitudini od aspirazioni; e che non sfugga ad essi
che ogni sostanza ha la sua forma e la sua espressione appropriata e
necessariamente diversa dalle altre. Noi, sotto questo delicato aspetto, siamo
stati bistrattati paurosamente, violentemente, ammettiamo pure, in buona fede.
Come vede, Eccellenza, le cose impongono una forza ed una virtù decisiva.
Noi tutti sacerdoti e laici siamo per una soluzione decisiva e definitiva al fine
di non venir meno alla giustizia che ci sospinge, inequivoca.

Opus iustitiae pax.

Se da questa giustizia rinascerà Nomadelfia, il S. Ufficio si adatterà a


piegarsi alla volontà di Dio. Mi permetto, quindi, Eccellenza, di importunarla
chiedendole una prima udienza al fine di porre le premesse di trattative che non
saranno facili e nemmeno semplici; per quanto, se il Signore avesse deciso che
V. E. fosse strumento e guida per riportare la navicella in salvo, le soluzioni
potrebbero essere offerte in modo per tutti sorprendente.

Mi trovo presso il Parroco di Rovereto sulla Secchia - telefono n. 3.

Mi prostro ecc.

Gli oppressi in grembo alla Chiesa


Al Card. Ottaviani, S. Ufficio
“Non credo che la Santa Sede intenda fare della politica democristiana un
motivo di credibilità”.

5 aprile 1953

Personale
Eminenza,

Ho parlato brevemente con S. E. Mons. Vescovo in episcopio a Carpi. É molto


preso in questi giorni di inizio della sua alta missione in diocesi. Ci siamo
scambiati qualche idea, siamo intesi di rivederci verso il 15 corr.

Ai tre religiosi che sono venuti alla adunanza del 20 u.s. e che stanno
aiutandomi a mettere a posto un mondo di cose pendenti, il Rev.mo Priore
Generale ha regolarmente inflitto la sospensione a divinis. Ai medesimi,
essendosi subito presentati a lui per chiedere di soprassedere a tale
provvedimento per dare modo di chiarire le loro responsabilità, ha risposto che
questo oramai è nelle competenze del S. Ufficio. Ha scritto ad essi lettere
alquanto offensive anche contro di me. Pazienza. Pure noi non siamo stati
troppo gentili. Dente per dente? Non credo; realtà contro realtà. Tra l’altro ha
ad essi letto sue disposizioni inviate ai loro provinciali nelle quali impone
rigorosissime punizioni qualora rientrassero: una specie di carcerazione con
odiosa segregazione cellulare offensiva alla personalità umana. Se la morale
non sbaglia si direbbe: nemo tenetur tradere semetipsum. Dove si vada a finire
di questo passo io non lo so prevedere. Allego un trafiletto della stampa, al
quale ho deciso di rispondere pubblicamente senza tanti complimenti. Sono
sicurissimo di difendere la Chiesa facendo questo, perché difendo i diritti degli
oppressi tra i quali ci siamo anche noi. Non credo che la Santa Sede intenda
fare della politica democristiana un motivo di credibilità anche solo
impegolandosi indirettamente a costringere noi a piegarci alle evidenti
ingiustizie ed agli errori sociali della medesima DC. Che poi il nostro
difenderci determini un favorire i comunisti non lo credo perché i padroni di
sole due vacche, i parroci con discreti benefici, i sistemati, i privilegiati che,
sebbene sfruttati, già hanno un motoscooter, voteranno per la DC e per gli altri
partiti di destra. Sono un numero forte: non meno del 70% degli italiani non
hanno nessuna voglia di riforme e di traumi politici. Per essi va bene così,
tanto più che la predicazione dei parroci li acquieta in coscienza: la fede è
benessere e la pazienza nel subire l’ingiustizia è caparra sicura di vita eterna;
anzi il benessere è evidente dono della provvidenza.

Io amo la Chiesa e quella non è la Chiesa. Intenda in senso arciortodosso, al


midollo de l’ite in mundum universum... non osano dire che la miseria è
punizione di Dio, anche sugli innocenti figli, ma poco manca. I capitalisti
milanesi, subito dopo la sconfitta ai comunisti nel senato, hanno tenuta una
trionfante riunione in un locale dei loro, ed avranno ringraziato il Dio
Mammona perché ha saputo fregare la Chiesa giocandola con la presenza
eretica dei comunisti.

Scegli, pazzo Galileo: o il paradiso rosso oppure il paradiso


capitalistico e padronale.

La stampa cattolica gongolava per la vittoria di questo; e la stampa


comunista per la resistenza di quello. Circa un miliardo e 400 milioni di beati
sono concentrati in questo paradiso, e altri 800 milioni concentrati nell’altro.
Due empii errori sono a base dei due paradisi terrestri. E la Chiesa? Che
c’entra! É completamente messa fuori combattimento. E i veri interessi di Dio
nel popolo? Stanno subendo la stessa sorte della Chiesa.

Nel 1948 mi disse il S. Padre: Faccia quello che vuole, il Papa è con
lei. Ho già deciso di farlo a tutti i prezzi. Voglio riportare in grembo alla
Chiesa, vivi e travolgenti gli oppressi, sola forza sana rimasta di riserva e di
assalto alla mondanità che calpesta, violenta, la mia madre: la Chiesa. Sarà
pressappoco come segue: per aliam viam reversi sunt, quindi l’avventura, forse
la faremo passando attraverso le patrie galere, o quasi, o peggio. Speriamo che
la Santa Sede almeno taccia, come ha sempre fatto, grazie a Dio.

Lei sa Em. che mi muovo sempre con molta calma violenta. Non
tema, quindi. Il Signore mi illuminerà anche in avvenire. Lo credo perché
maneggio i suoi veri tesori che possiede sulla terra sicut in coelo. Difenderò
solo coloro dei quali la Chiesa mi assicura: ero io in loro. Su questo terreno
non si sbaglia: c’è Lui. Sono cose che si trattano in piazza ed anche
possibilmente con molto chiasso per lor natura, al fine di stordire l’avversario.
Tenga sempre presente la Santa Sede che i marxisti mi sono acerrimi nemici.
Li lasci cantare in mio favore, conosco il loro stile e non sono meno esperto di
loro. Devo sfondare i loro reticolati, come quelli della borghesia. Cose che non
si fanno in un colpo solo. Noi saremo calpestati e stangati dall’una e dall’altra
parte. Forse il Movimento della Fraternità Umana autorizzatomi dal S. Ufficio,
ha camminato più dopo il decreto del 5 febbraio che prima. Lei sa, Em., quanto
siano strane e apparentemente paradossali le vie del Signore. Come ad
esempio: con il simbolo del patibolo più ignominioso si porta la redenzione al
mondo. E nemmeno ci si illuda che sia un illuso. Sbaglio anch’io perché ne ho
il diritto settantasette volte al giorno.

Mi benedica Em., perché Lei, in fondo all’anima, è con me.

Mi prostro ecc.

Il grande misfatto o crimine


Meditazione
“Non è un padre, non è un fratello, è un re della terra”.

Signore mio Gesù,


ti ho seguito fin da giovane in cerca di amore da te e per te. Ho visto che la tua
Chiesa non è impostata nel tuo Comandamento come tonalità di costume sia
nella Docente che nella Discente, e ho visto che il popolo è schiavo sia esso
cattolico o non. Mi hai portato fino al sacerdozio ma i miei confratelli sono
organizzati in una legge che impedisce loro di essere l’uno per l’altro ed
insieme un tutt’uno con il popolo. Sono dei maestri, ma non sono per niente
dei fratelli e dei padri.
Ho tentato con te di fondare una società nuova nella quale fosse legge il tuo
Amore invocato a l’ultima Cena perfetti nell’unità ed ecco il Successore di
Pietro che ha finito con sadica crudeltà per disperderci spaventando i figli,
strappandoli alla Mamma, al babbo spietatamente. Il costume dello stesso
Successore di Pietro è costume mondano anche se personalmente osserva certi
aspetti della Tua Legge e del tuo Amore. Ma non è un padre, non è un fratello,
è un re della terra ed è un tiranno che ha colpito vigliaccamente la nascente tua
società.
Se egli leggesse questa preghiera mi colpirebbe senza pietà perché anche a Lui
come alla casta ecclesiastica che da Lui prende la tonalità di questo costume
mondano e tiranno, la verità diventa offensiva. Si è servito persino delle
calunnie e delle mormorazioni su fatti che sempre accompagnano la debolezza
umana e che sono stati alterati per trarne pretesto di aggressione anziché per
venire in aiuto a maggiore perfezione.
Ci tocca quindi di fare quello che dice, ma di odiare quello che fa essendo
grave peccato. Infatti ha scandalizzato i fanciulli ed ha colpito a morte le loro
Mamme, i loro babbi, i loro fratelli. Ha mandato nell’ovile gli armati, gli empi
soldati che tenendo nascoste le armi fingono di essere dei benefattori, mentre
dietro, tra le quinte, Cardinali e sacerdoti danno ordini senza pietà.
Se quella, e se solo quella fosse la Tua Chiesa; e se solo quella oggi ha tanto
potere, cerca, o Signore, di aprirci la via per convertirla e farla tornare allo
Spirito dei primi. Oramai si sono manifestati lupi rapaci che non accettano la
santità dell’Amore.
Amen

Che cosa è la verità


Meditazione
“Io penso che noi sacerdoti abbiamo deciso di andare all’inferno”.

Con affetto a S. Eminenza il Card. Alfredo Ottaviani

Bergamo, 1 maggio 1953

Le così dette opere di Dio hanno una loro natura chiara nelle finalità, e sono
misteriose nel modo con cui si fanno strada nella storia degli uomini. Sono tali
quando rispondono ad una reale e divina esigenza negli uomini, per cui Dio le
sospinge in modo, spesso, straordinario. Nessuno, che ad esse si dedichi, può
illudersi di essere in grado di condurle se non facendosi condurre dai Segni di
Dio che le caratterizzano. Che i nomadelfi stiano insieme e si aiutino tra loro
come fratelli nel Signore, nonostante l’ostilità di ecclesiastici e di cattolici
laici, e nonostante le persecuzioni, è cosa molto misteriosa. Non che tutti gli
ecclesiastici, tutti i cattolici e tutti i burocrati governativi li osteggino. Non
pochi li amano. Io di fatto li vedo rare volte perché sono impegnato a difenderli
da tutte le conseguenze esterne dovute al fallimento e allo sbandamento dei più
deboli di volontà, che in qualche modo si riesce a sistemare, e quando si è
riusciti a farlo, ce li vediamo facilmente, poco dopo, di nuovo al lastrico.

Ho preso parte al processo in Assise a Modena. Secondo me e secondo molti il


verdetto è stato duro per non dire ingiusto. I due minorenni che furono
perdonati dopo sette mesi di galera (grave fatto che si tengano in galera dei
minorenni), liberati, furono portati in questura e inviati, col foglio di via, uno a
Milano, l’altro a Monza dove non hanno nessuno per sé, senza mezzi, il solo
biglietto ferroviario, con diffida di ritornare in provincia di Modena. Cose
inumane. Li ho fatti ospitare dai nomadelfi. Ma ho notato che la galera li ha
molto alterati. Se non sto attento, quelli tornano in galera. Ragionano da
galeotti. Tanto per cominciare, li hanno lasciati tutta una giornata senza
mangiare. Abbiamo dovuto vestirli noi, a nostre spese.
Che cosa è la verità?

Gesù non ha risposto. Prima aveva detto in piazza che Egli è la verità. Se al
processo di Bologna non avessimo tirato fuori documenti scritti comprovanti la
falsità dell’accusa, io mi sarei preso quattro anni di galera; ed Irene, Corinna ed
Ugo non meno di due. L’Avvenire d’Italia con un ampio articolo, durante il
processo tentò di smorzare la stampa che era orientata a difenderci. Quella è
cattiveria, autentico fariseismo. Quando rileggo l’articolo di Don Bedeschi
stilato contro di noi nel febbraio del 1952 sotto il titolo: Sventola bandiera
bianca su Nomadelfia pieno di insinuazioni che avrei potuto querelare; quando
rivedo la notificazione di S. Em. il card. di Milano che è una vera e propria
mormorazione ed una calunnia, quando ripenso alla fame che ci costringevano
i persecutori, preti e burocrati, mi domando molte cose, tra le quali la seguente:
Che cosa è un sacerdote? Certo non può essere un vigliacco.

Avevo un modesto patrimonio paterno e l’ho dato tutto; avevo una carriera nel
mondo e l’ho buttata; avevo un prestigio familiare e l’ho buttato; ho accolto
come figli i più rovinati nel popolo per insegnare con la mia dedizione ad
essere fratelli l’uno per l’altro secondo la preghiera a l’ultima cena, quindi
cambiando rotta nel costume dei cattolici; avevo insegnato al popolo che la
giustizia è legge di tutti e l’avevo fatto nel nome della Chiesa.

Sono rotolato e rotolo nella rovina con i figli e sono il più rovinato nelle cose,
nel cuore e nell’anima, perché la nausea del Getsemani mi tortura tra un
susseguirsi di ingiurie che solo satana può approvare. La Santa Sede ha osato
chiedere a Nomadelfia un miracolo che non sarà altro che una ripetizione della
ignominiosa via del Calvario, scandalo alla innocenza e costernazione di anime
generose, dispersione e sbandamento di deboli alla malavita.

Che il Cielo non veda.

Io penso che nessun uomo ha diritto di provare così duramente le anime


inducendole nella tentazione. Dopo un fatto simile c’è da pensare che il
Signore, da un momento all’altro, potrà lanciare il grido: Si salvi chi può. Sono
a Bergamo. La prefettura ha ricevuto ordini di sgombrare la casa di
convalescenza e prevenzione che avevamo in questa provincia. Una trentina di
anime deboli, quali seriamente scosse nel sistema nervoso, quali
psichicamente, quali per residui di pleuriti o di lungo periodo di sanatorio, mi
domandano dove andare. Mi sono preso 15 giorni di tempo per sistemarli tutti.
Come farò? Non lo so, ma lo farò.

La questura rimedia sempre: foglio di via. Ma per queste creature devo


provvedere prima, per evitare anche quel trauma. Vedremo. Ma oramai siamo
alla deriva, nel senso che scorriamo nel fiume di milioni e milioni di schiavi. I
più forti nella volontà e nel fisico lavorano creando le aziende che già in parte
rendono e il cui ricavato va a beneficio di tutti. Soprattutto per salvare dalla
rovina anche morale i dispersi e gli sbandati. I nostri persecutori sono
impegnati nella lotta elettorale, in Italia. Un mio amico veniva dall’India e
raccontava le miserie di quel popolo. Aveva fotografie eloquenti e spaventose.
Non ho mai potuto credere che una sola di quelle anime valga meno della
nostra, ma credo che valga molto di più per causa della condizione nella quale
è ridotta da noi. Da qui tutta la spiegazione del mio agire. Mi sento dei loro e
non simbolicamente. Da qui l’attacco al mondo che opprime con il peccato di
omissione quei fratelli. Io poi non ho paura di nessun mortale perché la morte
non mi ha mai fatto paura. Quei pochi anni che ho vissuto, quelle poche ore,
mesi o anni che vivrò, mi sono stati e mi saranno donati. Ho la sensazione non
di vivere, ma di sopravvivere. Ho amato sempre ed amo la Chiesa, anche le
gerarchie. Non solo investite di autorità da Dio, ma sinceramente come
persone, nonostante tutto, nel senso che nei miei confronti e nei confronti dei
figli sono stati deboli quindi cattive fino ad amareggiarci profondamente. Tra
noi e loro non esiste altro di fatto che un rapporto derivante dall’atto di fede.
Nel resto siamo abbandonati a noi stessi anche se qualche personalità si limita
a sopportarci, e qualche altra tenta di venirci in aiuto. I fatti parlano. Se i nostri
confratelli ed i nostri superiori erano disposti a lasciarci andare in galera e a
lasciarci alla fame... tiri le conclusioni. Molti ecclesiastici hanno terrore del S.
Ufficio, specialmente i componenti il S. Ufficio. Per me il S. Ufficio è un
tribunale supremo fin che si vuole, ma sempre un tribunale che mi ha ridotto al
fallimento ed alla dispersione dei figli. Che abbia fatto bene o male lo sa Dio,
io dico che ha fatto male, perché le conseguenze del suo atto non sono altro
che detestabili e peccaminose. Caduti così nelle sole mani di Dio vedremo
come la penserà Dio. Non sfido nessuno; né gli uomini, né le autorità di qua e
di là del Tevere, meno ancora tento Dio. Mi difendo perché sulla terra nessuno
deve rinunciare al diritto, alla vita propria ed a quella dei fratelli. Il resto è
sempre accomodabile.

Il decreto del 5 febbraio 1952 è stato lo scoppio di una bomba atomica in seno
alla Chiesa ed all’umanità, un fatterello atomico, nel quale io stesso sono più
spettatore che attore, travolto in esso per causa dell’amore alla Chiesa ed ai
suoi figli interni ed esterni, professanti ed in attesa ed in diritto di diventare
professanti. Ha provocato una emorragia che minaccia di insanguinare tutta la
Chiesa. Pretendere di contenere questo fatterello nel campo di altri
avvenimenti del passato che sono passati, è prendersi un abbaglio-preconcetto
che può essere fatale. Se la Santa Sede volesse ora dare ascolto al nostro grido
di fraternità e volesse darci ragione, la Chiesa piomberebbe senza meno in un
caos e in una persecuzione paurosa fino a disperdersi e a scorrere nelle vene
degli oppressi di tutto il mondo. In pochi anni carceri e capestri sarebbero il
capezzale su cui poserebbero abitualmente il capo i cattolici, in oriente ed in
occidente.

Provi il S. Padre a dare ragione a noi e vedrà che cosa succederebbe in


Vaticano. Provi. Provi a condannare noi semplicemente dando ragione ai nostri
sfruttatori e persecutori e vedrà che sottosopra provocherebbe. Ci rifiutiamo di
riconoscere non solo ai ricchi, ma agli stessi assestati il diritto di opprimerci
anche con il solo peccato di omissione. É un vero duello all’ultimo sangue. Chi
osa sostituirsi a Dio? La morte, la denutrizione, la malattia, possono solo
esserci inflitti da Dio, mai potremmo accettarli da parte degli uomini, e meno
ancora da parte dei cattolici, senza decisamente opporci e senza più
decisamente condannarli come peccatori del peccato che grida vendetta al
cospetto di Dio: oppressione dei poveri e, per essere più coerenti al mandato di
Cristo, oppressione dei fratelli. Noi saremo sempre i delinquenti politici fino a
quando non apparirà chiaro che siamo le vittime dei delinquenti che si
arrogano il diritto di opprimerci anche attraverso il micidiale peccato di
omissione. Non si scappa, il nodo è giunto senza dubbio al pettine. Non creda
mai che io sia un esaltato. Sono un vivente osservatore di un fatto nel quale
come sacerdote e non come fantoccio sono coinvolto.

E poi che c’entro io? Sono le realtà di Dio che determinano e che pretendono
di operare in un senso piuttosto che nell’altro, servendo Dio nel primo, oppure
peccando nell’altro. E se non accettiamo il battesimo di acqua - dice Don
Calabria - subiremo il battesimo di sangue. Ma Cristo Gesù non vuole perdere
una partita di tanta decisiva importanza. La Chiesa dovrà essere il diapason di
nuovi tempi. Solo lo farà immergendosi e sommergendosi nel cuore e nelle
carni degli oppressi condannando senza complimenti qualsiasi forma e
qualsiasi uomo che sia al servizio dell’oppressione alla personalità umana. E lo
farà a costo di sconquassare i cardini del mondo intero.

Ci pensi molto, Em., perché non sempre i vasi si fabbricano a Samo. Se


sentisse come parla certa gente sana di popolo! C’è da mettersi molto in
ascolto. Dice cose gravi, molto paurosamente semplici. Leggo sui giornali tutte
le falsità che dicono al popolo i politicanti. Sembrano cantanti e moleste cicale,
inconsapevoli del mondo che sotto geme e che trascinano forse alle imminenti
stragi. Ma nessuno pensa più alla vita eterna dove si arriva da una vita di
giustizia, di amore e di verità?

I Democristiani strombazzano che hanno espropriato 550.000 ettari di terra. E


lo dicono come per farci credere che sono dei rivoluzionari. Sono sempre dei
simbolici che non simbolizzano niente. Che terra era? Terra trascurata dai
latifondisti che invece di essere pagati per l’esproprio, meritavano di essere
messi quasi tutti in galera, perché non solo non coltivano quelle terre, ma in
esse tenevano come schiavi e alla fame i lavoratori. E a questi disgraziati, ai
quali sono state consegnate, si fa pagare per trent’anni l’ammortamento di un
capitale rubato da quei lazzaroni, i quali ora sul ricavato prendono gli interessi
del 5%. Così standosene poltroni altrove, incassano per ogni milione, lire
50.000 senza nessuna tassa. Per guadagnare 50.000 lire un terrazziere deve
vangare due mesi. Hanno costruito per quella gente casette con la stalla di sotto
e le camere da letto e cucina di sopra. Bisogna mettere i ministri, i deputati e i
preti che li assecondano, a dormire in quelle stanze con le signore e i figli dei
primi, e i parenti e i nipoti dei secondi. Quei lavoratori non vanno mai al mare,
né in montagna. Io ho dormito in quelle case, viene su una puzza maledetta.
Quella è la loro aria nelle ore di riposo.

Creda, Em., non c’è nessun rispetto alla personalità umana. Sono in peccato. E
quanti ecclesiastici sono della loro stessa risma! D’altra parte questi sono i
maestri di quelli. Ma si può sapere perché noi sacerdoti di Cristo dobbiamo
essere conniventi di gente così stupidamente cattiva? Hanno la sensibilità degli
affetti da enterocolite acuta. Guai a toccarli, guai. Cade il mondo. Ma quando
ascendevamo l’altare per la prima volta non eravamo d’accordo così con il
divino sacerdote.

Io penso che noi sacerdoti abbiamo deciso di andare all’inferno. Vedrà, Em.,
che finiremo male. Saremo accolti dal Signore con tale e tanta freddezza da
rimanere spaventati. Che ci perdoni? Mah! Luce del mondo, sale della terra?
Poveri noi! Stia attento Lei che è vescovo e, per di più, cardinale!

Scusi, sa, Em., ma l’inferno è brutto. Alle volte mi vergogno a pregare, cioè a
parlare al Signore direttamente su questi argomenti. Ma voi che siete la
magistratura della Chiesa, perché non applicate la Legge? Di chi avete paura?
Povero Gesù e dire che ha fatto e parlato così bene, così chiaramente. Che
bello! Che buono! Che energico! Una umile madre lo curava; parlava poco e
soffriva molto. Ma Gesù non ci voleva così come siamo. Ci voleva lievito,
fermento, fuoco, ardore, giusti, poveri, senza niente, commestibili, potenti
contro il nemico dell’uomo, pronti sempre a sottoscrivere la sentenza di morte
contro di noi per qualsiasi opera d’amore verso il prossimo. E S. Giovanni poi
insisteva su quel piano fino ad infastidire gli uditori. Gli aveva spesso posata la
testa sul petto. Lo aveva capito. Ma Gesù è figlio del creatore, creatore egli
stesso del grano, delle banane, delle uova, del latte, della energia umana. Tutto
è suo, lavoratore, mai riposo.

Noi siamo fuori strada, lo creda, Em.; Gesù non può non piangere per causa
della nostra superficialità. Abbiamo affogata la Chiesa per debolezza e anche
per colpa dei nostri superiori che non ci lasciano mai sconquassare la famiglia,
covata dal diavolo. La vita è una cosa vera, l’uomo è fratello, le esigenze del
fratello sono esigenze di Gesù, le nostre vere e sole esigenze. La Chiesa è sua
ed ha le sue stesse piaghe, il suo stesso sudore di sangue, le sue stesse angustie;
la sua stessa incantevole, travolgente e disinvolta vivezza. Gesù ha avuto tutte
le premure per spiegare la sua umanità fraterna e la sua divina paternità. Chi
vede me vede anche il Padre mio. Quante parabole, similitudini pazienti;
quante cose ha fatto una diversa dall’altra, tutte umane, vicino all’uomo; tutte
divine, vicine all’uomo! Che buono!

Ma perché voi di Roma sopportate quelle cose che poi si ripetono grettamente
alla periferia? Siete terribili e debolissimi. Ogni vescovo è un piccolo Papa
infallibile, ogni parroco è papa re. Nepotismo dall’alto in basso regolarmente
uguale, fatte ben poche eccezioni. E il popolo fa le stesse cose: una gerarchia
non di missioni, ma di differenziazioni fino ai poveri, fiori di giardino,
parafulmini, che poi vengono educati dall’esempio nostro alle stesse grette
aspirazioni. Aspirano ad uno ad uno, senza pensare all’altro, di arrivare a
cavarsela e ad essere alterati come noi. Oggi mi sono capitate delle cose che mi
hanno fatto male all’anima cioè che mi hanno pugnalato.

Quasi tutta la Chiesa è ariana.

Io penso che anche il Vaticano al 90% è arianesimo. In Vaticano di


bello c’è poco, di brutto c’è molto. Gesù si deve trovare male tra quei muri. Gli
fate fare, tra l’altro, il diplomatico, il Cesare, il secondino, il guerriero, l’artista,
lo spauracchio, il leccato, il potente, il debole, il capriccioso, lo sportivo.
Povero Gesù! Ogni diocesi ripete il Vaticano nelle debite proporzioni, ma nella
stessa alterazione, ed ogni parrocchia è un regno addirittura dove è facile
incontrasi con una nipote, una madre, una sorella, ispiratrici, contro le quali
cadono tutte le aspirazioni sacerdotali del disgraziato uomo che ivi andava per
essere di tutti. Gesù se ne è andato altrove, forse è ritornato in Samaria dove gli
hanno detto: Rimani con noi. Povero Gesù! Da quando si è lasciato prendere
dai soldati del sinedrio non è più stato lui direbbe il popolo, nessuno lo ha più
liberato. Solo la morte.

Mi diceva l’altra sera in un bar di Milano un cameriere: per noi


morire è vivere.

La sua vera libertà sociale l’ha perduta in quel momento. Da quel


momento è sempre sotto processo, sempre. E appena parla, il soldato gli pianta
uno schiaffo. La Chiesa è già sommersa nell’anima lercia e spudorata della
concezione borghese: sintesi concentrata di tutte le eresie e di tutti i sadismi.
Infatti l’uomo può essere solo o cristiano o animale. La borghesia è l’istinto
che nega sempre Cristo, lo nega pregando (ad es. ... Per me e per tutti i miei
cari, così sia), lo nega a tavola, lo nega in treno, lo nega sul lavoro, lo nega al
27 del mese, lo nega sempre, persino nel decoro delle chiese, l’una più
privilegiata dell’altra, sempre, sempre, nella stessa distribuzione della fame ai
poveri; persino in cimitero, persino nelle esequie, persino negli ospedali,
persino nella libertà dell’aria, del sole, delle piante, dei parchi, sempre, sempre.

La borghesia è satana, e di borghesia in Vaticano ce n’è al minimo un


90%. Le verità che dite sono sempre quelle con qualche ritocco, ma sono
sempre le stesse cose. E poi non sono cose che fate. Le dite. La periferia fa lo
stesso. Il popolo fa a suo modo come fanno gli ecclesiastici.

Quando sono stato ricevuto dal S. Padre, mentre lo attendevo c’erano


due personaggi, senza dubbio importanti, e, per me molto imbecilli, che per
un’ora non hanno fatto altro che parlare di carriere e di onorificenze, tra loro.
Che stupidi! Farsi sacerdote per finire in tanta idiozia! Vede? Quelli
bisognerebbe mandarli a vuotare i pozzi neri almeno per due ore al giorno,
prima di venire a fare quei servizi. Forse diventerebbero più umani, più
sacerdoti. Borghesia nostalgica di un nuovo tipo di fetente nobilismo. Luigi
XVI, mentre minacciosa ed inesorabile la rivoluzione tuonava, la rivoluzione
che gli avrebbe portato poi in trionfo la testa infilzata sulla punta di una
pertica, decretava solennemente la misura dei fazzoletti per le signore della
nobiltà. Pio XII, mentre il mondo sommerge nel sangue delle rivoluzioni
comuniste e liberali, decreta solennemente di accorciare di un metro la coda
dei cardinali [Cf Martina 64] (1). Che forse l’uomo deriva dalla scimmia? Ma
quanta ne avete da poterla misurare a metri? E poi è una coda paralizzata e
stupida perché non siete capaci di muoverla da soli come fanno le scimmie.
Avete buon tempo! Io conosco affettuosamente Lei e non so pensarLa con
quella coda. Eppure ce l’ha anche Lei. Siete dei deboli. Lo vedete.

Vi immaginate il divino Maestro in giro con la coda? Poverino, Gli


faremo anche questa? Non che mi disturbi quella coda, caso mai disturba Voi;
ma è la storia dei fazzoletti di Luigi XVI. La stessa storia. E tutta la periferia è
malata del vostro male, mentre il popolo se ne infischia. Quando noi vediamo
una cerimonia mussulmana ci scappa da ridere perché non ci interessa, non
incide sulla nostra vita. Così oramai fa il popolo nostro davanti a quelle cose.
Servono per allontanarlo del tutto e definitivamente, avendo ben altre brighe,
dice.

Quando leggo L’Osservatore Romano penso sempre a quel


disgraziato del tipografo che per dire uno dei vostri nomi deve comporre due o
tre righe di piombo. Chissà quante maledizioni vi manda. Provi a meditare
queste cose, Em., e vedrà che entrano a far parte di un plumbeo fardello che
non ci permette di discendere tra i naufraghi perché sommergeremmo senza
meno.

Perché non mi prende al S. Ufficio ad organizzarle la sezione


Suprema della giustizia sociale come virtù dovuta? Quante volte glielo ho
chiesto? Faccia conto di creare una fabbrica di acido solforico al S. Ufficio.
Sarebbe uno spettacolo divertente a vedere come molti anche in Vaticano
dimostreranno che di Cristo non ne vogliono sapere. Tutta la stampa mondiale
rimarrebbe sbalordita, ma in poche battute sarebbe superata; e Cristo verrebbe
finalmente in luce. La cortina di ferro si spaccherebbe in due come il velo del
tempio in quel giorno.

Sono esaltato? Fate pure. Confido solo che una volta o l’altra Vi
persuadiate che Cristo è più forte della atomica. Io dico che noi ecclesiastici, in
processione con Voi, abbiamo deciso con Voi di andare all’inferno. Povero
Gesù! Ma qui è il caso di cominciare a dire: poveri noi, Lo abbiamo perso di
vista. Ma Egli ha detto: chi ha orecchie da intendere intenda. E dove sarà
andato a rifugiarsi? Che ne è stato di quella strombazzata del Grande ritorno
[Cf Zizola, 217ss]? E di quell’altro del Mondo nuovo [ib, 274]. Tutte cose che
si sono concluse con tre giaculatorie da una parte e la rabbia e la vendetta
dall’altra parte. Ma è da pazzi volere piegare Cristo a darci ragione, volerLo
costringere a mettere lo spolvero sui nostri reati pubblici, dei quali ciascuno di
noi è responsabile perché in questo caso non supplisce la Chiesa. Se lo facesse
si vedrebbe. Bisogna vedere. Che vedano...
É vero che il Vaticano si è creato quel tesoro aureo di tanti miliardi in
America? Ma questo sarebbe un peccato costernante addirittura. Che il popolo
lo sappia o non lo sappia può essere indifferente. Il guaio può essere che lo sa
certamente il divino Contabile, che non perdonerà nessuna intenzione per la
quale si fanno queste cose. Di rette intenzioni trabocca l’inferno. Ma noi
sacerdoti siamo dolorosamente e con personale ripugnanza corresponsabili di
fronte al popolo. Non conta più la nostra povertà personale, perché siamo dei
Vostri.

Chi Vi autorizza a coinvolgerci in quei peccati? Mi prende al S.


Ufficio? Con me andrebbero al S. Ufficio non meno di due miliardi di anime
assetate di giustizia ed inconsapevoli che attraverso quella si arriva con Cristo
rapidamente a Cristo. Solo così si cambia rotta. Gli sfruttatori dell’uomo e gli
imbecilli che li assecondano non possono essere più di mezzo miliardo. Ma
perché volete far perdere tempo al Redentore? Mi prende al S. Ufficio? Dico
sul serio. Chiedo spesso a certi miei confratelli sacerdoti ma che razza di libri
sei andato a pescare su cui mediti? Per cui ti persuadi di essere una brava
persona? Ti sei fatto un Cristo con i piedi piatti che non è più capace di
camminare sui pavimenti sconnessi delle catapecchie dei suoi figli fratelli suoi;
con le artriti alle ossa, per cui non è più capace di riposare sul terrume dove
riposano i suoi figli fratelli suoi; con l’ulcera allo stomaco e sdentato per cui
non può più rosicchiare e assimilare una dura pagnotta spalmata con un poco di
pomodoro a tavola con i suoi figli fratelli suoi, un timido che non può entrare
nelle case delle Sue figlie e delle Sue sorelle prostitute perché ha paura di
prostituirsi; e perché teme che Gli disonorino la Famiglia presso gente per
bene, un fallito mendicante che stende la mano agli altri Suoi figli fratelli Suoi,
anziché prenderli a sberle, che lo derubano, e dei quali ha grande timore
riverenziale, un inutile caramellato che serve solo per ingannare lo stimolo
della fame e della sete agli stessi bambini.

Ma che cosa mediti da riuscire a rovinarti fino al punto da scambiare


satana per Cristo? Arrivano i fascisti e mi diventa fascista; arriva la borghesia e
mi diventa borghese, arriva Marx e mi diventa marxista, arriva il re e mi
diventa monarchico, arriva la democrazia e mi diventa democratico, arriva la
guerra e mi diventa guerriero quasi sempre imboscato ed imboscatore di nipoti
e di privilegiati; ma mai che sia sacerdote di Cristo? Se fosse anche solo un
rapanello avrebbe la meravigliosa prerogativa di rimanere rapanello anche in
mezzo ad un cumulo di cipolle. Ma che cosa medita da riuscire a rovinarsi fino
a quel punto? Fino a riuscire a cancellare se stesso? Taumaturgo al rovescio:
cambia il vino in acqua per i poveri. E chi prega? E che cosa dice? Ad un
Uomo-Dio al quale non è facile contarla? Lo loda, gli dice che è bravo, che è
grande, che è immenso. Ma sono tutte cose che le sa a memoria, il Salvatore
del mondo. Va bene - gli dirà, annoiato, Gesù - e poi? E poi - egli risponde - tu
sei bravo, tu sei grande, tu sei immenso. Gesù regalmente risponderà: Vattene,
imbecille, non ho tempo da perdere. Così ha risposto anche a satana, anche a
Pietro. Vattene... sta scritto... Ma Gesù è un uomo vivo, è un Dio vivo, pratico,
si direbbe noi; vede e fa le cose come le vede e come le fa il Padre Nostro che
sta nei cieli. Fa le prugne prugne, le volpi volpi, le galline galline, gli stomachi
stomachi, le anime anime. Chiede delle grazie. Ma quali grazie. Non vorrà
mica pretendere di farlo bestemmiare! Sento dire: Il tal parroco, il tal vescovo
è santo, ma poveretto non sa reggere la parrocchia, la diocesi. Ma mi
domando: che santo è colui che non ha la santità di fare il suo mestiere e di
compiere la sua missione? Sarebbe come dire: il tal medico è santo, ma,
poveretto, ammazza molta gente perché non indovina la diagnosi. Eppure molti
lo ammirano. Asino lui e asini coloro che lo ammirano. Arrivano questi
cappellanini, nelle parrocchie a salvare il mondo, non pochi tra essi sembrano
ingenue lepri scappate da una gabbia; corrono. Poi si fanno parroci e salvano la
parrocchia. Diventano vecchi e fanno di tutto per tentare di salvare almeno se
stessi davanti ad un mare di guai che hanno combinato. Mentre il popolo se ne
infischia.

Chi è Cristo? Né loro e nemmeno il popolo lo sapevano. Hanno


attaccato qualche cerotto sui foruncoli; ma di penicillina per liberare il sangue
dal microbo non se ne è mai parlato. Condannare Cristo all’insuccesso si fa
presto. Basta agire nel suo nome con oggettive ed effervescenti intenzioni a
salve, senza imitarlo e senza farlo imitare, con inconsulte e fatali alterazioni
della sua figura che è ben delineata ed inconfondibile. La gente ci sta perché è
più comodo un Dio mummificato che un Dio vivo. Piantano croci dappertutto,
danno nomi di santi persino alle banche ed ai liquori, persino alle carceri;
impiccano il crocifisso dappertutto, persino nei tribunali, nelle scuole atee, sui
palazzi dei governi crudeli, sui viottoli che portano alla villa del signorotto,
tutto cristianizzano; consacrano al sacro Cuore tutti... ma che razza di strage!

Con dodici Pater, Ave, Gloria si è francescani, con alcuni venerdì di


comunioni si va sicuri in paradiso; tutte cose belle, ma che disastro! Sotto certi
aspetti sarebbe come voler nutrire il popolo con il profumo del pane fresco.
Che ingenui! Sai - dicono - il mio popolo è venuto tutto in Chiesa nella festa
del tal santo in occasione del centenario. Io rispondo: Il tuo popolo è
superstizioso, e tu non capisci niente perché sei superstizioso come il tuo
popolo; Dio li fa e li accompagna. E perché il tuo popolo non viene anche alle
altre feste? Rispondono: Un filo però lo tiene legato a Dio. E dai con questo
filo! Che manderà all’inferno chissà quanti vescovi e parroci. Meno male che il
centenario viene comunemente ogni cento anni. Ricordo del centenario? Un
monumento con il nome del parroco, del vescovo e del Papa regnanti, a
caratteri in concorrenza con quelli del santo. Ma l’eternità è poi di là.

Io penso che noi sacerdoti abbiamo deciso di andare all’inferno. Il S.


Padre adesso parla spesso di morale cattolica nel campo sociale e magari la
applicassimo. Provocherebbe un rinnovamento tra i più sanguinosi. Saremmo
nel reparto chirurgia. Perché non lo facciamo? Vedrebbe di colpo gli stessi
comunisti apparentarsi con i democristiani. E tutti insieme griderebbero che il
Papa e gli ecclesiastici sono impazziti. Lo griderebbero, concitandosi e
perdendo le staffe, furibondi come ciurme arrabbiate, anche molti ecclesiastici.
Io ci sto subito. Mi accetta al S. Ufficio? Però patti chiari: vengo nella legge
del medico cura te stesso. Il privilegio di applicarla prima spetta a noi
ecclesiastici. Non è superbia. Ma dico sul serio, Em., e lei lo sa. Vengo.
Avrebbero i componenti il S. Ufficio un carissimo amico in me. L’Osservatore
Romano diventerebbe il giornale più diffuso nel mondo. Lo troverebbe
finalmente nelle case e nelle grotte dei poveri, ritagliato e incollato alle pareti,
ai pali della energia elettrica, sulle ali dei ponti, alle spondine dei carrettini al
mercatello. Non lo crede? Prende un granchio.

Siamo i barbari che la Chiesa sarà lietissima di assimilare. É affamata


di noi e vomita il vecchio mondo che la intossica fino a deturparla e a renderla
ripugnante. I soli che possono dare mano forte al papa per cambiare rotta. Non
lo crede? Prende un granchio. Non stia a badare al tono del mio lamento. É
sempre compreso tra le famose sette note musicali. Provi a pestare
violentemente un callo ad una personalità delicata. Sentirà che il tono del suo
dire cambia. Se non lo facesse, stonerebbe.

Con affetto mi prostro ecc.

F.to Don Zeno.

(1) Digita in internet: “Correva l’anno 1950…”. Le grandi preoccupazioni dei


governanti: il sesso degli italiani.

Dedica al Papa del libro: Non siamo d’accordo


Un libello caustico contro il governo e le autorità ecclesiastiche. Esce senza
imprimatur nella fase più acuta della campagna elettorale.

25 maggio 1953
Al Santo Padre.

Santità, questo libro secondo me, è un colpo di scure alla radice del male, di
un male che è molto più profondo di quanto indichi lo scritto.

In rerum natura non si sono mai visti i babbi e le mamme ricchi o benestanti ed
i figli poveri, affamati, ignudi e senza casa. Si è visto e si vede spesso
l’inverso.

Noi ecclesiastici che siamo Padri per divina elezione, di fronte ai figli siamo
quindi contro natura, in peccato. Dal quale i figli hanno diritto di difendersi.

Vuol cambiare rotta Santità? Io ci sto e chissà quanti, come me ci stanno; forse
la maggioranza degli ecclesiastici.

Non vuole cambiare rotta, Santità? Il nodo è giunto al pettine, e nella Chiesa le
rivoluzioni non si possono fare dal basso in alto, ma solo sono possibili
dall’alto in basso.
Si mangia o non si mangia?
Al Card. Ottaviani, S. Ufficio
“Se l’episcopato italiano non ha pensato di opporsi al tradimento sociale della
DC vuol dire che è passato dalla parte dei traditori”.
2 giugno 1953
Eminenza,

Le allego un articolo di Don P. Mazzolari con trafiletto adatto per mandarmi


addirittura al rogo.

Dunque la carità sarebbe rinunciare anche in campo sociale alla redenzione


degli oppressi, creando una legislazione che ammette i due blocchi come
fatalità storica; nel campo religioso una religione che ingoia tranquillamente
gli eretici della dottrina e quelli delle opere come sistema contro la dottrina,
neganti la paternità di Dio e la solidarietà umana. E questo pubblicato su
l’organo massimo del grande partito di maggioranza, che dimentica esservi in
Italia un quarto di popolo praticamente schiavo. Un organo massimo di partito
che anziché confutare il mio libro, e che anziché pubblicare la mia
precisazione si permette di fare del dilettantismo in materia di Direzione
spirituale, niente altro.

Ha visto che anche la stampa anticlericale tace e che quella bolscevica fa poco
rumore? Perché sono di fatto tutti d’accordo che non siamo d’accordo, ed
ognuno, strano ma vero, è perfettamente d’accordo su questo anche con la DC
che sentenzia contro di me: Dio sta per abbandonarlo. Che mi attacchino, che
mi dicano dell’eretico, del diavolo, che reagiscano fin che vogliono, ma
l’ultima parola è di chi potrà chiedere: si mangia o non si mangia con voi; si
beve o non si beve con voi; si dorme all’aperto o in casa come voi ecc… La
legge è uguale per tutti.

Se non rispondono con i fatti, noi potremo dire: Dio non vi avrà abbandonato,
ma non è d’accordo con voi. Quando avranno con i fatti riconosciuto il nostro
diritto alla vita, allora starà anche in noi, perché saremmo liberi, il rinunciare,
occorrendo, per accidente, al diritto in favore di qualche oppresso, ma mai in
favore dell’oppressore quando il farlo significa confermarlo nel suo peccato,
verso il quale è carità dirgli sempre che è in peccato come l’adultero, come
l’omicida ecc. Perdonargli sempre, ma disapprovare e colpire sempre il suo
peccato sociale, e creare leggi e movimenti che lo neutralizzino nella sua
azione parassitaria.

Come vede, contro il grido di giustizia, lanciato non da me (io sono


la tromba della terribile macchina che avanza), ma dagli oppressi, i soli che
potranno salvare e la Chiesa e il mondo, cadono nel ridicolo le migliori penne
d’Italia, e nella abominazione i più potenti quotidiani, mentre nel mondo dei
peccatori, di anche sola omissione, nasce il più pauroso scompiglio e
disorientamento, per cui non trovano altra difesa che quella di mostrare e denti
e grinfie, braccia e mani d’acciaio vellutate.

Da Roma sono tornati i soliti bene informati assicurando i


Democristiani che il giorno otto (addirittura sanno la data) giugno io sarò
fulminato dalla Santa Sede (quindi, votate DC). Mi pare una propaganda molto
controproducente per persuadere ad essere democratici. La Santa Sede potrà
fare tutto quello che sarà in suo divino Potere. Mi troverò, con la grazia del
Signore, molto semplice e quindi, spero, molto esperto come esperto serpente.
E che cosa rivela il trafiletto ombrello de Il Popolo aperto autorevolmente a
protezione della grandiosa pagina del cuore di Don P. Mazzolari? (Strano!
Don Mazzolari, per l’occasione, d’accordo con la DC). Il neoguelfismo, il
neofariseismo, il clericalismo, in sintesi, il potere temporale, che non è
l’unione tra Chiesa e stato, ma l’asservimento della Chiesa alla tirannia di uno
stato diabolico.

Dire poi che io ho sepolto Nomadelfia mi pare molto stupido. Se


Nomadelfia non è opera di Dio sarà sepolta, se la è, vivrà. I miei figli sono un
atomo che fa parte della massa degli oppressi che essi devono amare e
difendere alla pari di sacrifici e di immolazioni. Se cercassero, non lo credo, di
entrare a far parte dei privilegiati e dei protetti dalla così detta fortuna, e dai
così detti potenti li butterei dalla parte degli oppressori, poi li guarderei come
traditori. Il naufrago che è uscito fuori dalle acque alla riviera, e che non si
volta rapidamente a creare la cordata per i rimasti in acqua e che non cerca
assestamenti personali fino a quando non ha tratto in salvo tutti i suoi fratelli,
per me, e credo anche per il Signore, è un traditore.

La storia ci racconta dei fatti paurosi. Ad un non possum del Papa,


tutto l’episcopato inglese passò dalla parte del traditore della fede: Enrico VIII.
Se l’episcopato italiano non ha nemmeno lontanamente pensato di opporsi in
tempo ed in solido al tradimento sociale della DC vuol dire che almeno in
questo fatto storico è passato dalla parte dei traditori, che minacciano di gettare
l’Italia in mano al marxismo, come fatale reazione al mancato Cristianesimo.
Lasciare pensare, per causa del malcostume sociale, al popolo che nel
Cristianesimo cattolico, veramente ortodosso, non ci sia la più decisa e la più
bella soluzione sociale è un tradimento.

Tutto l’oriente sta per andarsene. Di questo passo cadrà anche l’India.
E l’occidente sta per essere tradito da noi stessi perché non vogliamo, almeno
con fatti nuovi, dire: erravimus. In politica bisogna essere chiari. La libertà è
questa ma essere sinceri. La giustizia è questa ma farla prima in noi stessi
come atto di fede. Lo stato è questo, il popolo è questo, la Chiesa è questa, le
virtù sono queste, il paradiso è questo, il purgatorio è questo, l’inferno è
questo, e finalmente, piaccia o non piaccia, Cristo è questo e non altro che
questo. Dare immediatamente l’esempio noi; poi si discende in campo.
A leggere un articolo come quello di Don Mazzolari c’è da piangere
perché mentre io sono stangato Il Popolo sentenzia la sua verità che nega la
Verità. Se, come sopra ho accennato, ci fosse ancora in vigore il malcostume
del rogo, io sarei già stato arrostito in piazza, ad edificazione del popolo.
Infatti: ...pagine disperate... smarrimento spirituale... deviazioni di ordine
morale... c’è più che il sufficiente per squillare l’allarme, suonare campane a
martello, unire le masse e dar fuoco alle fascine, al grido: Dio lo ha
abbandonato. Il popolo guarderebbe e penserebbe: Terribile il Dio degli
eserciti, cerchiamo di evitare il rogo e se ne andrebbe maledicente tutto e tutti
concludendo che la vita sulla terra per molti è un inferno. Lo dice sempre.

Concludo con la conclusione del cameriere che mi parlò in un bar di


Milano, come le scrissi in una mia ultima: per noi morire è vivere, perché
quando non ci calpestano ci lasciano calpestare sul nostro diritto alla vita, nella
evidente illusione di salvare in questo modo la Chiesa. La Chiesa si salverà da
sola perché senza dubbio è anche nella nostra immolazione. Ma guai a coloro
per colpa dei quali si fanno di queste immolazioni cruente nel corpo vivo dei
figli di Dio. Quel giovane che recentemente a Milano aveva spaccata con una
scure la testa della giovane cognata, ha poi raccontato alla magistratura che la
donna cadde a terra in un lago di sangue, ma con gli occhi aperti e fissi su di
lui. Uno spavento lo prese. E quegli occhi rimanevano inesorabili, aperti,
spalancati e fissi su di lui. Non si spacchi il cranio agli oppressi che difendono
il diritto di Dio sulla umanità, cadrebbero ad occhi aperti e fissi sugli
oppressori. Che Dio li salvi da così paurosa sventura. Che dopo non cominci
Dio a muoversi da solo. Miserere nostri Domine, miserere.

Dio sta per abbandonarmi.

Mai Dio abbandonerà gli oppressi ed i sacrificati che vogliono essere


l’uno per l’altro nel nuovo comandamento dell’amore. Cristo si erge
inesorabile alla nostra difesa sia pure accompagnandoci per mano sulle vie di
questo nuovo e pauroso Calvario, in seno alla sua strapazzata e tradita Chiesa.
Poi la guerra. Noi ecclesiastici siamo dei deboli, Em., ma se vogliamo essere
forti ed onnipotenti si fa presto: abbiamo da Dio l’autorità di farlo. Basterà
ascoltare il consiglio della Vergine: Fate quello che vi dice Lui, e saremo
onnipotenti nel coepit facere et docere. Che non ci lasciamo sedurre dalla
diabolica tentazione del giovane cognato di Milano.

Mi prostro ecc.

Torturare un fondatore
Al Card. Ottaviani, S. Ufficio

“Il clero è quasi tutto nepotista”.


13 giugno 1953
Personale
Eminenza,

Ho consegnato a S. E. Mons. vescovo di Carpi le lettere delle quali allego


copia conforme.

Nomadelfia è il solo elemento embrionale controrivoluzionario che la Chiesa


abbia per riportare le masse nel suo grembo. Non vedere questo è sbagliare
senza dubbio. Questo lo dico io. Scrivo questo a V. Em. perché ne parli al S.
Padre in via segreta. Il famigerato libro “Non siamo d’accordo” era diretto ad
incunearsi nelle masse che lo hanno accolto come cosa loro. Peccato che ce
n’erano poche copie sì che ben pochi lo poterono avere.

La stampa di sinistra ci ha fatto un ottimo servizio. É un sacerdote che parla e


che esse masse hanno sentito dei loro con Nomadelfia vittima come loro.
Quando un partito forte come quello comunista azzarda servirsi di un libro
come quello per rafforzare una campagna elettorale è segno che i capi non
capiscono la sensibilità delle masse così dette di manovra. Se poi Mons.
vescovo non si fosse lasciato prendere dal panico e non mi avesse fatto firmare
quella precisazione e avesse taciuto, il colpo sarebbe stato ancora meno
sospetto per le masse. Quella precisazione ha indebolito la speranza nelle
masse di arrivare ad una libertà politica del tutto diversa di quella che propone
ad esse il socialismo nenniano ed il comunismo, e avrebbe lasciato i cattolici in
maggior disagio essendo praticamente in dolo quanto alla dovuta virtù della
giustizia, si sarebbero sentiti maggiormente responsabili del loro evidente
peccato sociale.

Ho letto i discorsi del S. Padre, che ha tenuto nella festa del Corpus Domini. Il
clero doveva parlare così e non temere perché anche agli effetti elettorali avrà
più valso quel dire paterno e preciso del S. Padre che tutti i febbricitanti
discorsi del clero. Il clero se non vuole farsi impiccare tutto deve cambiare
rotta nel suo personale costume sociale. Praticamente, fatte ben rare eccezioni,
il clero in cura d’anime è quasi tutto nepotista, quindi solo un miracolo lo potrà
conservare utile alla causa di Dio nel riportare la Chiesa all’abbraccio con le
masse. Sul peccato non si costruisce niente. Faccia caso: il clero disubbidisce
sempre al Papa quando gli chiede un sacrificio in campo sociale, ed il Vaticano
fa la stessa cosa. S. E. Mons. Boccoleri mi disse al proposito due anni or sono:
Non calcoli sul clero, muova le masse alla giustizia, solo esse hanno influenza
tale da intimorirlo e da indurlo moralmente a mettersi sul piano del costume
sociale nuovo, perché, in fondo, non può perdere le masse. Al vescovo non
ubbidisce in materia, proprio non ubbidisce per niente. S. E. Mons. Boccoleri è
molto addentro nella conoscenza della psicologia e delle esigenze materiali,
morali e sociali del popolo.

Io poi sono sicurissimo che i capi comunisti sono degli illusi a credere che le
masse li seguano per convinzione. Lo fanno per interesse e per odio secolare
alle classi che le sfruttano freddamente. Non hanno altro movente, e nell’anima
sono cattolici almeno sul piano della morale. Sono anticlericali ed hanno
ragione. Spero che V. Em. abbia letto e preso in considerazione la mia lettera
inviata al Prof. Jemolo [Cf Lettere, II, 31ss]. Jemolo non è per niente un uomo
d’azione, ma è un buon giurista del quale ho bisogno a tavolino per rifare con
lui e con altri tecnici la proposta sociale di Nomadelfia in forma tecnicamente
ineccepibile ed anche comprensibile da parte delle masse. Ma per sé tutto
questo non rappresenta una difficoltà. É pane per i miei denti da selvaggio.

Il muro insormontabile è la disciplina come ecclesiastico. Un


parrocchetto qualsiasi mi può fermare, come ha fatto il card. di Torino che in
un movimento di carattere nazionale non sarebbe stato, per diritto almeno
naturale, competente a fermarmi. Quando si tratta di una controrivoluzione che
c’entrano le leggi canoniche? Ecco il punto che non dipende da me quando io
in via assoluta non me la sento di oppormi alle ingiunzioni dei superiori pure
seminando per questo vittime nel popolo.

Nomadelfia è il fermento; come vede, infatti, è sentita da tutti e


tormenta tutti. Di riflesso può provocare la controrivoluzione sociale per
portare il popolo sul piano della giustizia che non è altro che il piano sociale
derivante dalla morale cattolica. Le proposte che ho fatte a S. E. Mons.
vescovo sono sospinte dalla realtà, quindi da inequivocabili segni di Dio. Non
c’è bisogno di fare nessuna invenzione, basta concludere sul ragionamento e
sulle premesse dei fatti parlanti e concreti. Basta essere semplicemente logici.
Nel mio intimo mi muovo dal solo amore a Dio ed alla Chiesa, quindi vedo
tutto e solo da quella divina visuale.

Oramai il S. Padre non è costretto a dovere fare un atto di fede di


carattere straordinario per decidere, perché i segni di Dio sono molto chiari. Si
sarà persuaso che Nomadelfia non è nelle sue mani e nemmeno nelle mie. Ogni
volta che la strapazziamo, il Signore provoca esplosioni che minacciano di
sconvolgere tutto. Se io fossi nel S. Padre avrei paura di Nomadelfia, molta
paura, come di una forza atomica che se usata al servizio della vita darebbe un
benessere sorprendente e che se usata al servizio della morte farebbe una
strage.

Ci pensi, Em., perché hanno ragione le realtà che sono poi la più
sicura strada che porta a scoprire le mete di Dio. In seno alla Chiesa,
Nomadelfia è perseguitata come i primi cristiani erano perseguitati
dall’impero, anche con più freddezza perché l’impero non vincolava e non
turbava le coscienze. Il S. Padre dia la libertà religiosa e sociale a Nomadelfia
come richiede la sua reale natura comunitaria in seno alla Chiesa e in seno al
popolo cattolico e non cattolico e le esplosioni pericolose sarebbero finite. Per
me questa e solo questa è la volontà di Dio. Umilmente, ma tanto umilmente
da umiliarmi ad esprimermi come un superbo, dico a V. Em. per dirlo
attraverso V. Em. al S. Padre: si guardi anche il S. Padre dal torturare un
fondatore di un movimento di quella forza. I fondatori sono da Dio e sentono i
tempi e le cose come i profeti, vedono al nudo ciò che per gli altri è mistero o
frutto di difficili ed imprecisi ragionamenti; ed hanno un linguaggio che i
sapienti non sanno intendere e dal quale sempre inesorabilmente si sentono
offesi a morte. Le miserie personali dei fondatori sono come quelle di Pietro
quando rinnega per tre volte Cristo, non incidono sul corso o sulla traiettoria
della loro missione. Io sono uno tra quelli, cosa che vedo con tanta semplicità
come quando da fanciullo portavo una importante lettera di mio padre a
qualche persona: un portalettere consapevole del dovere di portare a
destinazione la lettera.

Il S. Padre non ha altro da fare che riconoscere il diritto di


Nomadelfia come ha osato dirmi: Faccia quello che vuole. Vedrà che alle
prossime elezioni in Italia totaliter aliter. Non deve fare un decreto di erezione
a Ente o a Opera Nomadelfia. Deve semplicemente dichiarare che Nomadelfia
ha diritto di vivere libera la sua vita nella Chiesa e che il clero di Nomadelfia è
parte integrante e quindi moventesi là dove Nomadelfia arriva con le sue
iniziative. E deve strappare il clero di Nomadelfia dal così detto privilegio del
foro, ma lasciarlo in balia degli eventi alla pari dei concittadini fratelli e figli
secondo il costume della città. Una specie di laicizzazione sui generis.
Riconoscimento di un diritto che il Papa o presto o tardi sarà costretto ad
affrontare come sarà costretto a riconoscere che una mela non è un fico, pure
avendo in comune molte sostanze fondamentali ed appartenendo
tranquillamente al medesimo regno vegetale.

Comunque suono il mio solito disco: Nati sumus ad iustitiam neque


opione sed natura constitutum est ius, con tutte le formidabili e divine
conseguenze che ne derivano.

Mi prostro con affetto ecc.

Non vogliamo piegarci all’ingiustizia


A Mons. Prati, Carpi

“L’autorità ecclesiastica ci liberi dai vincoli clericali oppure ci laicizzi”.


giugno 1953
Eccellenza Reverendissima,

A seguito della mia lettera inviataLe in data 8 corr. e della ultima udienza
paternamente concessami, come d’accordo mi pregio esporLe le mie promesse
proposte conclusive, che mi sembrano nient’altro che logiche e conformi alla
realtà che Dio ha posto sul tappeto come segni chiari della sua volontà.

1) É possibile ricostruire la Città di Nomadelfia come era stata concepita in


venti anni di vita, studiando le correzioni che si addicono a tutte le opere in
formazione? Siamo disposti a farlo. Per parte mia, come fondatore della
medesima, dico che è la sola giusta soluzione e che è la volontà di Dio.
2) Non è possibile? Allora è necessario affrontare il seguente dilemma: a) O
l’autorità ecclesiastica competente assicura a me ed a tutti i sacerdoti in causa
la più logica libertà d’azione ogni qual volta, a nostro giudizio, è necessario
intervenire in collaborazione ai nomadelfi a soddisfacimento dei vincoli nati e
preesistenti di fraternità e di solidarietà almeno di diritto naturale;

b) Oppure ci laicizza soprattutto per svincolarci da discipline che ci


costringerebbero spesso, come è avvenuto in questi ultimi tempi, a venire
meno a controprestazioni morali e materiali chiaramente dovute nei confronti
dei nomadelfi e di altri aventi diritto, ed anche per non coinvolgere più gli
ecclesiastici in opere che praticamente non condividono anche come impegno
fraterno e sociale.

3) Quanto alla soluzione del problema fallimentare della ex Città di


Nomadelfia tanto la Santa Sede quanto V. E. sanno che noi non vogliamo
piegarci a quella ingiustizia essendo il nostro debito sempre un debito fatto
non per speculazioni personali nostre, ma fatto a fini di cristiana e sociale
assistenza a vittime della omissione dal punto di vista religioso, e della
ingiustizia sociale dal punto di vista politico. Volere rendere fatale un
fallimento determinato dalla volontà degli uomini è contro natura ed è contro
Dio. Subire di quelle cose non è carità, è vigliaccheria peccaminosa essendo a
danno di terze persone. Lo sanno anche i bambini della prima comunione.
Qualora non riuscisse l’iniziativa promossa e condotta con lucida praticità e
con altrettanta benevolenza da parte di V. E. Rev.ma; qualora lo stato, o un
ente ecclesiastico non volessero o non potessero liquidare i creditori con
perfetta giustizia e senza coazioni, anche solo morali, sui creditori ad accettare
percentuali definitive a saldo del loro avere, è giocoforza far pagare al popolo
essendo il primo responsabile dei mali che nascono dal suo pessimo e
peccaminoso costume sociale. In questo ultimo caso saremmo costretti a
organizzare sottoscrizioni e a creare comitati in tutta Italia per impegnare la
gente di buona volontà a:

1) liquidarci tutti gli impegni affinché sia salva la giustizia nei confronti di
gente che ha anticipato la vita a tante creature figlie della parte più colpita del
popolo stesso;

2) aiutarci a sistemare almeno umanamente le vittime dello scioglimento della


ex Città di Nomadelfia.

Che il Signore illumini l’E. V. Rev.ma e tutte le autorità ecclesiastiche che


saranno per competenza chiamate a risolvere una causa così grave nella quale
sono in gioco delicatissimi problemi di carattere spirituale e corporale, sociale,
avente come sfondo indiscutibile l’incalzante comando del Salvatore del
mondo di amarci l’un l’altro come Egli ha amato noi e la legge egualmente
inderogabile: unicuique suum.

Mi prostro con riconoscenza ecc.


Invoco il rispetto della mia vocazione
A Mons. Prati, Carpi
“Se non posso essere padre degli abbandonati come sacerdote, mi si conceda di
esserlo come laico”.
6 luglio 1953

Eccellenza Reverendissima,

Mentre La ringrazio di cuore per tutta la premura paterna con la quale si


interessa per risolvere il grave e complicato problema di Nomadelfia, Le sarei
tanto grato volesse tener presenti le seguenti dichiarazioni.

Ho ripensato all’ultima proposta di V. E. La soluzione finanziaria come la


tenta V. E. sarebbe un vero dono di Dio. Ma non altrettanto mi sembra lo sia la
insistenza da parte di V. E. a volere a tutti i prezzi misconoscere la esistente
realtà di vincoli insopprimibili nei confronti dei nomadelfi laici e noi sacerdoti
che ad essi ci riteniamo legati per causa delle promesse fatte bilateralmente con
i maggiorenni ed unilateralmente con i minorenni. Quando ho firmato il
decreto del S. Ufficio il 5.2.1952 non potevo con questo negare i diritti nati tra
me e gli altri come rapporto di dedizione della vita l’uno per l’altro secondo
l’amore a Cristo e secondo il precetto della unità in Cristo come era nato nelle
anime nostre. Io avevo motivo di firmare perché mi era stato comandato. Era
quindi naturale che si fosse anche avverato quanto in esso decreto si conteneva
sulla questione finanziaria, per cui avevo ragione di credere che non sarei stato
poi condotto al fallimento. Invece sono stato persino costretto ad andare sotto
processo penale per causa delle inadempienze. La mia firma del decreto non
aveva altro valore che personale. Avevo ragione di credere che poi l’autorità
ecclesiastica si sarebbe messa d’accordo con gli altri. Io su questo non avevo
nulla da dire perché diventava affare della città l’accettarlo o meno. Infatti
andò a finire che i nomadelfi non accettarono se non un parroco in via
provvisoria cosa che poi portò all’autoscioglimento della città, 11.6.1952,
perché la Suprema Congregazione rifiutava di concedere il mio ritorno. In quei
giorni S. Em. il card. Arciv. di Milano pubblicava una notificazione offensiva
in quanto conteneva insinuazioni e calunnie.

Sono seguiti giorni veramente tragici; la più strana e la più inconsulta delle
persecuzioni, abuso d’autorità contro i più elementari diritti della personalità e
della dignità umana. Io sono sempre pronto a dimostrare che è stato un vero e
proprio tradimento, come fatto, indipendentemente dalle intenzioni per le quali
si è agito. Tradimento irreparabile in molte sue conseguenze pratiche e forse
anche spirituali su molte anime. L’autorità ecclesiastica poi non ha preteso di
imporre ai nomadelfi laici di rinunciare al loro amore fraterno, cosa che d’altra
parte non è in suo potere. Tuttavia molto si è fatto nelle periferie per ostacolare
loro il passo attraverso forme veramente ingiuriose. Abbiamo subito
umiliazioni che solo il Signore avrà potuto misurare nella loro portata: gravi,
gravissime e scandalizzanti.
Nonostante tutto è rimasta in me precisa la mia vocazione che è legata in
externis, quindi dimostrabile dalle realtà insopprimibili che sono solo
affrontabili nella mia libertà piena di dedicarmi ad esse. Non discuto la
vocazione degli altri sacerdoti a me legati sullo stesso piano di vocazione
perché hanno la loro età e possono ad uno ad uno spiegarsi e difendersi. Invoco
il rispetto alla mia vocazione nei confronti dei nomadelfi che hanno la stessa
mia vocazione. E per i nomadelfi appunto intendo maggiorenni e minorenni
che vogliono vivere con me questa nuova vita comunitaria. Non posso vivere
la mia vocazione nell’esercizio del sacerdozio? Me lo vieta l’autorità
ecclesiastica? Giacché essa vietandomelo mi perseguita in quanto mi costringe
a trascurare cose insopprimibili cui sono legato come persona, abbia almeno la
paterna bontà di laicizzarmi. Pessima soluzione, ma meno disastrosa che una
persecuzione.

Dal 5.2.1952 ad oggi io sono stato in evidente posizione di tradimento nei


confronti dei figli, ed ancora in più evidente stato di persecuzione da parte dei
miei superiori sia pure nelle massime benevolenze usatemi in via esecutiva. Ad
impossibilia nemo tenetur. Mi hanno voluto imporre l’impossibile, donde tutti i
veri reati che ne sono conseguiti, semplicemente perché ero necessitato ad
ubbidire come un carcerato. Esistono le competenze dell’autorità costituita,
esistono i diritti dei sudditi, egualmente diritti ineluttabili. Io affermo, fino a
prova contraria, che sono stato violato nei miei diritti personali e che lo sono
tuttora.

Sono offeso in pubblico e mi difendo in pubblico; sono offeso in via segreta e


mi difendo in via segreta su quei diritti. Quando mi si potrà dimostrare che il
samaritano, ad es. non aveva diritto di scendere da cavallo con tutte le
conseguenti premure necessarie verso il disgraziato colpito dai briganti, mi
sarà dimostrato che Cristo aveva torto a scagliarsi in pubblico contro il
sacerdote e contro il levita che tirarono diritto, chissà per quali motivi. E
quando mi si potrà dimostrare che gli impegni assunti in solido tra privati non
sono contratti bilaterali e quindi oggetto di diritto civile e penale, saremo
riusciti a cancellare l’uomo come soggetto del diritto privato e pubblico. E
giacché l’osservanza delle leggi civili che non sono contro la fede, sono
obbligatorie per noi cattolici, in coscienza almeno quando impongono un
comportamento morale, qualora le cose andassero per le lunghe io
comunicherò ai nomadelfi la condizione mia, e quella degli altri sacerdoti, di
impotenza a rispondere ai nostri doveri. In simile caso essi se vorranno
difendersi dalle conseguenze che ne deriverebbero saranno liberissimi di
muoversi anche (adendo) ai tribunali competenti. Io stesso in coscienza mi
sentirò costretto a sospingerli per non tradirli anche invocando una clemenza
del tutto fuori luogo.

La Suprema Congregazione del S. Ufficio avrà senza dubbio capito che sono
disposto ad andarci fino in fondo perché si faccia luce e si faccia la dovuta
giustizia su cose che invocano luce e giustizia. La Suprema Congregazione sa
quanto io abbia fatto per evitare scandali di grossolana brutalità che si stavano
per commettere le mille volte in occasione della persecuzione che ha seguito il
decreto del 5 febbraio. E questo, si creda o non si creda, l’ho fatto per solo e
semplice spirito di carità spinto fino al paradosso.

Noi risponderemo delle nostre responsabilità e delle nostre colpe, mentre


chiunque ci ha colpiti ingiustamente risponderà delle sue. Scopriremo, per così
dire le carte in tavola senza complimenti, cosa che abbiamo sempre minacciato
in caso di impossibilità di addivenire con chi di ragione a forme di riparazione
più sapienti e più caritative. Escludiamo in via assoluta qualsiasi forma di così
detta carità quando si risolva invece in una perfetta ingiuria verso terze
persone, o una rinuncia ai doveri della difesa della personalità e della dignità
umana, cosa che finirebbe per essere un peccato, quando asservire se stessi alla
ingiustizia, tra l’altro diventa scandalo al prossimo. La carità non può essere
negazione della verità e della giustizia, quando, la rinuncia a far valere le quali,
sappiamo bene in quali casi può essere consentita.

Al fine di evitare che al ritorno da Roma di V. E. non si sia da capo, Le sarei


tanto grato se vorrà tener presente questa mia risoluta dichiarazione contenuta
nella presente lettera. V. E. mi diceva ieri sera che preferisce, ama fare le cose
con chiarezza e con concretezza anche se il farlo torna penoso. Abbia la bontà
di tener presente questa mia posizione di stato d’animo e di impegni cui non
voglio venire meno. Se per addivenire ad una conclusione fosse anche
necessario un processo presso tribunali ecclesiastici, sono a disposizione, salva
la libertà durante il processo di interessarmi delle eventuali nuove disgrazie che
capitassero ai miei figli e salvi tutti i loro diritti di agire là dove lo ritenessero
necessario per prevenire nuovi malanni.

E non voglia, Eccellenza, sottovalutare, come troppo spesso è avvenuto in


questo duro periodo di persecuzioni, la loro capacità di esplodere a difesa dei
loro diritti. Se non lo hanno fatto, ciò è avvenuto semplicemente perché li ho
pregati di attendere la soluzione dei problemi inerenti a noi sacerdote: cosa che
hanno fatta e che hanno pagata a duro ed inumano prezzo. Le stesse anime che,
disorientate dagli eventi, cedono e se ne vanno per loro conto, con questo non
perdono il diritto di essere assistite qualora si trovassero poi in situazioni
disastrose e avessero bisogno del nostro aiuto. Anime consigliate a fare questo
da sacerdoti e da direttori spirituali che si permettono di giudicare una cosa che
è ancora sub judice. Essi non sono nemmeno in grado di misurare le delittuose
conseguenze del loro atto. Esse anime facendo questo, aggravano
enormemente il peso a quelle che restano solidali. Facciano pure. Usufruiscono
di un diritto di amore che abbiamo sempre concesso con la massima libertà
nonostante le tremende conseguenze che ne sono sempre derivate a nostro
danno. In questa cosa, ci siamo sempre attenuti alla Charitas perché eravamo
forti della nostra comune solidale vocazione. Era programma nostro
fondamentale di favorire le anime, che non se la sentivano più di rimanere con
noi, ad andarsene. Ed è sempre stato nostro costume fare di tutto per sistemarle
fuori di Nomadelfia secondo le loro nuove aspirazioni. Su questo punto i
nomadelfi sono stati dei veri eroi. Hanno sempre subito per sobbarcarsi i danni
arrecati dai fedifraghi a duri ed inumani prezzi. I quali fedifraghi al fine di
giustificare il loro atto spesso non hanno fatto altro che portare fuori dei
pettegolezzi, delle mormorazioni, delle insinuazioni, delle calunnie e qualcosa
anche di peggio, cioè veri e propri tradimenti. E poi li rivediamo di tanto in
tanto riapparire e a invocare la nostra comprensione ed il nostro perdono,
naturalmente, spesso, a prezzo di nuovi oneri di cui cercano di aggravarci
come prezzo del nostro perdono. E sia anche questo.

Ma appena parliamo noi in difesa dei nostri diritti siamo subito aggrediti come
dei ribelli e dei mezzi eretici, degli esaltati, dei fuorilegge. Fortunatamente che
i conti finali si faranno presso il tribunale di Dio. Sono convintissimo che
all’ora giusta, alla Sua ora, Gesù interverrà provocando fatti di tale gravità da
imporre a noi nomadelfi ed ai nostri persecutori di muoversi tutti sui Suoi Piani
che dai fatti stessi diventeranno uno spavento.

Ciò che oggi è possibile in via di buona volontà a far le cose con criterio
preventivo e logico, domani, allo scoccare di quell’Ora, sarà un pianto ed un
rimorso provocati dalla divina giustizia, direttamente. Anche durante la vita
terrena scoccano le ore dell’ira di Dio. La storia dell’antico e nuovo testamento
è piena di questi spaventosi esempi.

Non temo a dichiarare alla E. V. Rev.ma che io sono fermissimo e resistente a


sostenere che il [mio] comportamento e quello dei miei figli deriva da una
vocazione che i fatti confermano. Vocazione repressa contro la eloquenza dei
fatti. Sostengo questa tesi disposto a metterla sul tappeto in caso di processo. E
quando anche in occasione di una sentenza negativa fossi costretto per
disciplina a piegarmi alla ubbidienza, dirò egualmente: eppur si muove, pure
attenendomi nel comune campo della fede e della legge della S. Madre Chiesa.
Sono affermazioni queste che potrebbero essere anche interpretate come
ribelli, invece sono semplicemente l’inverso. A carte scoperte vedremo chi ha
fatto la volontà di Dio.

Mi prostro al bacio del S. Anello, fiducioso di essere stato compreso.


Dev.mo dell’E. V. Rev.ma.

Domanda di laicizzazione
A Mons. Prati, Carpi
Collisione tra disciplina canonica e diritti naturali.

Milano, 16 luglio 1953


Eccellenza Reverendissima,

Don L. Bertè mi ha comunicato che V. E. è tornato da Roma. Mi ha detto che


V. E. attende a parlarmi. Mi capitano delle cose in questi giorni che non devo
trascurare senza mettere in gravi pericoli e disagi morali e materiali troppe
anime, e molte cose di indiscussa giustizia.

Al fine di sgravare l’autorità ecclesiastica almeno da tutto quello che può


nascere da questo perdurare di mie inadempienze personali dovute alla
collisione tra disciplina e diritti naturali e giuridici, Le allego domanda di
laicizzazione personale, alla quale domanda V. E. Rev.ma potrebbe dare corso
qualora non avesse la certezza di concedere a me ed ai sacerdoti interessati le
libertà chieste a suo tempo e che V. E. avrà senza dubbio esaminato e trattato
con chi di ragione.

Degli altri sacerdoti che con me sono impegnati in solido, non chiedo nulla con
la presente: Hanno la loro età. Voglia comprendermi, E. Rev.ma, da padre
come mi ha promesso a Salsomaggiore. Almeno entro il mese corrente io devo
provvedere alle mie cose con piena responsabilità e certezza che non continuo
a tradire anime che hanno diritto alla mia incondizionata promessa dedizione.

Quanto al fallimento della Città di Nomadelfia se V. E. riuscirà a concludere


una soluzione avrà fatto opera veramente grande e generosa; caso contrario
seguiremo vie diverse: pagherà il popolo.

La prego, Eccellenza, con il cuore in mano. Non mi tiri per le lunghe per
timore di addolorarmi. Il dolore è l’aria che respira giorno e notte l’anima mia
aggrappata a Cristo ed alla Chiesa per un atto di amore che non disdegna
qualsiasi olocausto.

Mi prostro ecc. F.to Don Zeno.

Non con grave incomodo


Curia Vescovile di Carpi: Mons. Prati a Don Zeno

Le ragioni del Vescovo

20 luglio 1953
Reverendo e Caro don Zeno,
Riscontro la Sua del 16 c.m. Non le nascondo che mi ha recato grande pena.
Anzitutto: Lei nella sua lettera dell’11/6/53 subordinava la richiesta di
laicizzazione a che (nella impossibilità di ricostruire Nomadelfia) non Le fosse
dato libertà d’azione per il soddisfacimento dei suoi vincoli intercorrenti tra
Lei e i nomadelfi.
Io ho fatto presente a chi di dovere in iscritto i suoi desiderata. Fino ad ora non
è venuta nessuna risposta. Tuttavia, mentre da una parte non vedo nessun
elemento nuovo che lasci anche solo pensare alla ricostruzione di Nomadelfia,
dall’altra parte mi sembra che Lei ha un po' fatto quanto ha voluto. Non vedrei
quindi logico che avanzi la richiesta anzidetta. Ad ogni modo io ho spedito alla
sede competente il documento in parola.
Personalmente, poi, mi sono fatto questa convinzione, che modestamente Le
espongo, salvo meliore iudicio.
Nella sua lettera del 16 c.m. Lei parla di diritti naturali e giuridici. Io non mi
sento di ammettere che lo siano. Saranno, se mai, dei doveri. Come tali, però, a
mio modo di vedere non sono degli obblighi necessari di diritto naturale e
divino, ma semplicemente libere obbligazioni assunte:
a) In forza della carità: perciò non sono obbligazioni insopprimibili, ma (oltre
che essere soggette a dispensa) non obbligano con grave incomodo: e per un
ecclesiastico, è certamente grave incomodo la incompossibilità di tali doveri
colla disciplina ecclesiastica a cui si è precedentemente e liberamente legato;
b) In forza della fedeltà: anche in questo caso valgono gli stessi principi di
prima. Se di fatto queste obbligazioni derivanti da Nomadelfia fossero
incompossibili con quelle conseguenti lo stato sacerdotale, le quali derivano a
loro volta dalla virtù della religione (che pone il sacerdote nello stato di anima
consacrata a Dio e imprime il carattere): a me pare che sarebbe più logico
chiedere la dispensa da quelle obbligazioni anziché da queste.
Quanto alla grave questione dei debiti, ho seriamente lavorato per venirle in
aiuto. Allo stato attuale delle cose, non le posso ancora dire nulla. Ritengo che
abbia molto nuociuto la sua ultima pubblicazione: per cui non sarà male che si
attenda a che uomini nuovi studino il problema con criteri diversi e ci vengano
incontro.
Termino dicendole che ho la coscienza di avere sempre agito, nei suoi
confronti, da padre. Ed è con questo affetto di padre che Le auguro ogni bene
dal Signore e di gran cuore La benedico.
F.to + Artemio Prati Vescovo.

Se non faccio presto...


A Mons. Prati, Carpi
Chi può dispensare dagli obblighi di diritto naturale?
24 luglio 1953
Eccellenza Reverendissima,

Anzitutto La ringrazio del tanto paterno colloquio che mi ha concesso. Ho


meditato la Sua lettera che mette a fuoco dottrinalmente la questione dei diritti
naturali e giuridici. Bisogna vedere se i miei vincoli entrano in quella
categoria che espone V. E. Mi riservo di farne uno studio più approfondito.
Sono obbligazioni naturali quelle che impegnano necessariamente ad un
determinato comportamento o prestazione. Sono giuridiche quando la legge
positiva le impone almeno secondo le norme generali del diritto.

Ad impossibilia nemo tenetur.

Summun jus summa iniuria.

L’importante è l’esaminare le conseguenze che possono derivare da una


mancata promessa prestazione. E se, pure lasciando in disparte altre
considerazioni molto gravi, venendo meno a quelle prestazioni si venisse a
determinare il fatto della parabola del samaritano? Finirei per essere tra i
briganti. Si entrerebbe decisamente nelle obbligazioni di diritto naturale e
diritto positivo. E chi potrebbe dispensare da quelle obbligazioni? Ma quelle
costituiscono anche un diritto ed un dovere per lo stesso sacerdote, in deroga a
qualsiasi disciplina. Può nascere anche una grave obbligazione da un fatto
colposo o colpevole. Bisogna sempre esaminare la prestazione a chi è dovuta
ed in quale stato di vita cade colui cui viene negata la prestazione.

Il decreto del 5 febbraio mi ha completamente rovinato. A quale legge


appartiene il mio diritto di difendermi da un simile fatto, quanto alle sue
conseguenze personali su di me e su quanti erano a me legati per un complesso
di impegni infranti violentemente fino a buttarci al fallimento? E le violenze
che sono state inflitte alle persone? Con tutte le gravi conseguenze morali e
fisiche che ne sono derivate? Chi cura quella massa di offesi, di rovinati e di
scandalizzati? Altro che diritto naturale e positivo, siamo nel più rigoroso
diritto positivo divino. E, secondo me, sempre salvo meliore iudicio, se non
faccio presto a saltarne fuori cado in vero e proprio peccato mortale per grave
omissione, perché io assisto e vedo direttamente la strage che si sta facendo
contro le persone e contro le loro anime. Siamo esattamente sulla via che da
Gerusalemme discende a Gerico, dove è successo il fattaccio e le vittime non si
contano più, tante sono; anche se molti non hanno occhio per vederle ed
orecchio per udirne lo straziante lamento. Summum jus summa iniuria. E che
ingiuria!

Guardi, Eccellenza, che non risponde a verità che io abbia fatto un


po' quanto ho voluto, come sembra a V. E., secondo la Sua pregiata in (data)
20/7/53. Se lo avessi fatto non sarei né un fallito e nemmeno avrei permesso
che si rovinassero tante famiglie e tanti innocenti. Su di me e sui nomadelfi si è
consumato un reato la cui portata nessuno al mondo sarà capace di prevedere
nelle sue conseguenze. É un fatto che di per sé minaccia ben più gravi
esplosioni di quelle che fino ad ora si sono manifestate. Purtroppo. Non
bisognerà mai perdere di vista che Nomadelfia, anche se è stata un atto di
carità lo è stata in funzione di giustizia sociale che impegna sub gravi ogni
cattolico, donde la solidarietà dei nomadelfi con gli oppressi e gli sfruttati,
quindi un fatto di popolo.

Mi prostro ecc.

Le infinite prepotenze di Scelba


A Mons. Prati, Carpi
“Io, la figura del burattino e del traditore non la voglio fare”.

Milano, 9 agosto 1953


Eccellenza Reverendissima,
dopo il colloquio che V. E. si è degnato di concedermi ultimamente sono
andato a visitare quasi tutti i nomadelfi sparsi qua e là, ed i gruppi di Grosseto
e di Milano. Tra le mamme è successo che alcune se ne sono andate; tra le
famiglie, ad eccezione di alcune di ospiti, le altre sono rimaste insieme. Ci
sono dei sacerdoti che consigliano le mamme ad andarsene; si dice che lo
fanno in confessionale.

Gli impegni sono quattro:

1° Verso i creditori della ex Città di Nomadelfia, i quali già


cominciano a rumoreggiare e a minacciare.

2° Verso gli usciti che non riescono ad assestarsi.

3° Verso i creditori che hanno anticipato denaro a me dal 5/2/1952 a


tutt’oggi, al fine di sostentare tutti coloro che sono stati ridotti addirittura alla
fame e al lastrico. Sono circa venti milioni.

4° Verso coloro che hanno anticipato i capitali, in parte regalati ed in


parte a credito per fare le case ai nomadelfi rimasti insieme, e per istituire
aziende produttive. Sono circa cento milioni che a lavori ultimati saliranno a
150.

Ogni uomo o donna che abbandona gli altri, butta peso sui rimasti,
quanto al soddisfacimento dei sopra indicati quattro impegni. Chi li consiglia
ad andarsene, tra l’altro, a base di mormorazioni, di calunnie e di chimeriche
visioni di apostolato, il men che meriti, si può dire che non sa quello che fa.
Risponderà poi lui degli impegni assunti addirittura con documenti scritti da
parte di coloro che vengono sospinti a disertare? Dicono che ci penserà il
Signore. Mi fanno pensare al pecca fortemente e credi fortemente; oppure al:
maledetto l’uomo che pecca nella speranza del perdono. Ha voglia qualcuno di
questi sacerdoti di trovarsi poi in grossi guai? E come si può fare del bene
mancando di parola su cose di così semplice ed evidente giustizia? Sul peccato,
fosse anche in buona fede, non si costruisce niente. L’apostolato ha e deve
avere ben altre basi di partenza. É quella facile leggerezza e zelo dottrinale e
sociale dei molti cattolici, che poi butta la Chiesa al disonore come avviene
oggi al Parlamento Italiano dove i cattolici sono accusati di fronte al popolo di
affamatori e di antisociali; ed io aggiungerei: di traditori della Chiesa e dello
stato.

Per l’amore di Cristo, se fosse vero amore a Cristo, non si calpestano


i più elementari principi della solidarietà e della giustizia. Chi perde questa
visuale perde inesorabilmente la vera visione di Dio e del suo divin Figliuolo
Incarnato: in vanum laboraverunt. Il sensus Cristi non può essere in chi con
tanta leggerezza calpesta i veri diritti del fratello. Soggettività deleteria e
spesso micidiale. Che poi dei direttori spirituali si permettano di orientare le
anime per le vie del tradimento è semplicemente mostruoso. Che sacerdoti di
Cristo stiano ad ascoltare i pettegolezzi delle donne per basarsi su quelli, senza
avere cognizioni delle realtà che rendono quelle anime sofferenti e quindi
soggette a crisi spirituali, per strapparle ai loro veri doveri, è semplicemente
pazzesco. Quale la ragione che portano per fare questo? Opinioni sul nostro
attaccamento di fedeltà alla Chiesa. E che ne sanno loro? Si pagano o non si
pagano i debiti dovuti al forzato fallimento che noi non accetteremo a costo di
qualsiasi lotta? Ecco una domanda alla quale urge una risposta richiesta
insistentemente da parte di molti creditori.

E chi paga? V. E., benevolmente e con ardimento da Padre, si è con


me impegnato a trattare con chi di ragione. Ma purtroppo i risultati sono
ancora allo stato del 1952. Sempre da Roma si è assicurato che si farà qualcosa
di concreto; mentre presso la prefettura di Modena esistono documenti che non
confermano se non delle intenzioni: intenzioni anche rette ma che, secondo me,
sono più diplomatiche che fondate su dati concreti.

Intanto al governo cadono i responsabili, si cambiano le cariche; e


questo non sarà a vantaggio della soluzione. Le statistiche pubbliche della
Commissione Ministeriale sulle famiglie rovinate del popolo e sulla massa
enorme e paurosa dei disoccupati costringerà i governi attuali, prima di una
qualche rivoluzione calda o fredda a pensare al futuro e non ad aggiustare le
marachelle dei governi passati.

Il caso Nomadelfia è da mettere tra tutte le infinite prepotenze di


Scelba e dei suoi complici, per cui si dirà: Chi ha avuto ha avuto, Si guardi al
futuro.

Ho chiesto la laicizzazione per guardare al futuro, per non lasciarmi


coinvolgere in nuove imperdonabili inadempienze, qualora, come sacerdote
soggetto alla disciplina ed ai privilegi del foro, non mi sia dato di farlo senza
limitazioni come quelle che ho dovuto subire fino ad ora e che mi hanno
portato alla rovina. I laici vogliono tenere un’adunanza di tutti i responsabili
(sacerdoti e laici) che sono (responsabili) in solido, per decidere qualche cosa
di veramente concreto. É facile che una simile adunanza diventerà di pubblica
ragione perché saranno, tra l’altro, comunicate ai creditori le conclusioni.

Appena avrò sbrigato alcuni impegni qui a Milano, verrò da V. E.


entro la prossima settimana per esporLe anche a voce tutto ciò che sta per
accadere. Io credo che tutto si possa sintetizzare nel seguente motto: La corda
troppo tesa facilmente si spezza. É naturale: oltre che avere buttato alla deriva
80 famiglie, si è anche consumata una evidente ed odiosissima persecuzione
contro di noi, con il tradimento di fatto da parte dei sacerdoti legati in solido,
avendo quasi tutti agito in nome e per conto della Città di Nomadelfia.

Ma ignorare le leggi non si può, perché proprio esse costringono e


riducono i nodi al pettine. Molti creditori stanno in agguato, non dubiti E.
Rev.ma. Solo fanno i sornioni in attesa di prendersi qualcosa dal governo, ma
appena perderanno quella speranza ci piomberanno addosso addirittura
inferociti. Per questo i nomadelfi vogliono mettersi sul piano della realtà per
dire ai creditori in anticipo le loro intenzioni e per proporre un componimento
ragionevole.

Un’altra domanda che corre tra i nomadelfi e tra i creditori: ma nulla


può l'autorità ecclesiastica? Qualsiasi possa essere la risposta, sarà necessario
saperla. Caso mai il silenzio sarà inteso come un evidente negative.
All’autorità ecclesiastica forse sarà parso che io abbia sobillato e condotto in
modo da creare tutte queste disastrose situazioni. Creda, Eccellenza, è
l’inverso. Ma per il momento non è il caso di discutere queste cose. La verità è
ancora molto nascosta e alterata dalla ridda dei fatti e degli eventi.

Purtroppo non riesco più a tenere ferme le facili esplosioni dei


colpiti, i quali hanno sempre confidato in me e della quale fiducia io ho preso
atto per evitare mali maggiori. Ma in questi giorni sono stato costretto a svelare
ad essi le mie gravissime difficoltà personali a tenere fronte a tutto il mare di
guai che stanno per accadere. Abbiamo dovuto constatare insieme la lotta
sorda e disfattista che ci è fatta dietro le quinte da parte di ecclesiastici, per cui
oramai è il caso di lasciare liberi i laici di agire a loro difesa e a loro salvezza
da evidenti nuove calamità. I laici potranno con molta facilità dimostrare che,
dato il comportamento dei sacerdoti, dal 5/2/1952 in poi, essi possono
addossare a questi ogni responsabilità sul fallimento. E forse che noi sacerdoti
avremo l’ardire di mortificarli sostenendo che non è vero? Ma se essi hanno in
mano documenti gravi e provanti la loro tesi!

Io, la figura del burattino e del traditore non la voglio fare. E gli altri
sacerdoti hanno la loro età. Per essi non mi assumo responsabilità. Me ne lavo
le mani. Bisogna evitare che nasca questo contrasto perché si va a finire in
piazza e facilmente nei tribunali. Per parte mia, mai vorrò farmi colpevole di
menzogne e di reticenze. La Chiesa è la Verità. Dopo tutto l’accaduto, e allo
stato attuale dei fatti, ogni polemica fatta da parte dei sacerdoti contro i laici
nomadelfi e i loro collaboratori, peggio ancora contro i creditori, sarebbe non
solo controproducente, ma addirittura ripugnante per causa delle realtà troppo
evidenti ed offensive che sarebbero messe sul tappeto.

Io tengo ferma la mia paternità sui nomadelfi indipendentemente


dalla mia qualità di sacerdote. Anche questa è una realtà che, se rispettata,
forse salva molto e ferma deplorevoli ripercussioni private e pubbliche. Infatti
nella stessa lettera pubblica con la quale comunicavo ai babbi e alle mamme di
Nomadelfia (10/2/1952) il mio allontanamento impostomi da parte del S.
Ufficio, assicuravo i figli che qualora si fossero trovati in gravi eventi, e
fossero rovinati sarei stato a loro completa disposizione.

Infatti, il giorno dopo si è constatata una aggressione sulla città che


già metteva tutti i figli in stato di persecuzione fino all’affamamento, fino alle
barbariche violenze della forza pubblica connivente persino qualche
ecclesiastico. E così ebbe inizio lo stato di estrema necessità che mi
costringeva a scendere da cavallo. Guardi, Eccellenza che non dico se non una
minima parte della verità che, una volta sfoderata, sarebbe causa di gravi
esplosioni. Forse l’autorità ecclesiastica si basa su preconcetti nei miei
confronti che la portano a diffidare delle mie accorate insistenze a cambiar
rotta nei confronti dei nomadelfi. Faccia pure. Ad un certo momento, io non lo
voglio, il Signore costringerà le cose fino a sentirci tutti costretti a dire:
unicuique suum. Eppure quante vie ci sono per non arrivare a quei disastri!

Io temo che non si ragioni sulle realtà, ma semplicemente sulle


opinioni fossero anche di grave importanza, ma sempre opinioni che
potrebbero avere avuta poi una sola funzione: trarre in fatale inganno. Alle
volte ho la chiara sensazione che si ripeta lo stesso disastro del Galilei mutatis
mutandis, servatis servandis. Forse ancora più grave disastro perché questa
volta si intaccano addirittura i diritti vitali dell’uomo.

Non è la prima volta che l’autorità ecclesiastica cade in disastrosi


tranelli. Prima che entri in funzione la infallibilità c’è da passare spesse volte
attraverso il disonore del Calvario. Tutte cose da prevenire e da evitare perché
il Signore offre ben altre e più ragionevoli soluzioni.

Accusare me di deviazioni morali e spirituali è semplicemente


diabolico. Che sia un povero peccatore lo sono, ma che mi si salti addosso con
quelle calunnie è molto grave. Quando tutto verrà in luce e forse gli eventi -
che sono sempre i segni di Dio - lo provocheranno, per molte anime sarà
mortificante l’averci torturati con tanta superficialità. Dico queste cose anche
se V. E. non può controllarle essendo nuovo della grave questione. Mi preme
solo di fargliele presenti perché in ultimo si possa almeno dire che la verità
non ha taciuto.

Nella fiducia di poterLa incontrare nella prossima settimana, mi


prostro ecc.

P.S. Credo che i laici terranno la summenzionata seduta entro la prima metà di
settembre.

Non c’è cuore...


A don Vincenzo
“Nei confronti miei e dei miei figli sono stati dei cannibali”.

19 agosto 1953
Caro don Vincenzo,
sono due anni in questo mese da che arrivò l’ordine ai Religiosi di ritirarsi nei
conventi. E sono due anni che Roma mi perseguita, dalla quale mi difendo
come una vittima presa tra le zanne di un gigante strapotente, tenace,
silenzioso e tremendo senza pietà alcuna. E lo fa nello stesso nome di Colui del
quale mi lascio torturare in quell’inumano modo.
Ti scrivo in risposta della tua ultima che ho letto anche tra le righe, senza
pretesa di avere indovinato esattamente. Realmente non sono stanco di lottare e
neppure sono sconvolto. Sono torturato da quella forza che non ha pietà di
niente e che tenta di sopprimermi o di piegarmi a essere un altro. Per fortuna
che ha perso nelle elezioni altrimenti a quest’ora chissà che cosa mi avrebbe
combinato. Mons. Vescovo era disposto a lasciarmi arrestare e ad andare in
prigione per L. 75.000 che non sapevo come procurarmi. Ho chiesto alcuni
giorni di rinvio poi ho pagato strappandolo dalla bocca dei nomadelfi. L’ho
tanto pregato che me li procurasse lui; ma niente da fare.
Proprio in quei giorni io gli cedevo il Casinone ed il cinematografo,
donandogli, oltre il Casinone, un patrimonio per pochi soldi, di attrezzature, tra
cui anche il termosifone. Non c’è cuore e non c’è un filo di morale. Quando
penso alle costruzioni di Panzano, Gargallo, Rovereto e S. Giacomo, tutte
bagnate dal sudore di poveri figli oggi buttati come cani al lastrico sento il …
coepit tedere et pavere…
Gli ecclesiastici sono organizzati secolarmente come una misteriosa sabbia
mobile che ti ingoia senza pietà e ti riduce in croce. Tutte cose che ho provato
nelle mie carni. Una diocesi che ha ricevuto capitali per milioni e milioni di
valore, è disposta a farmi languire in una prigione per 150 giorni perché mi
rifiuta L. 75.000, almeno come atto di fraternità!... Ma esiste un passo delle
scritture o un poema che giustifichi queste cose? Che non le condanni? Io non
ne conosco.
Avendo in mano le prove di un vero tradimento fattomi e le cui conseguenze
sono tali da impormi moralmente di non trascurarli, la mia laicizzazione
diventa una evidente liberazione. Ho persino chiesto al vescovo che me la
ottenga come punizione se non può ottenermela come Grazia. E gli ho detto
questo non per esasperazione ma per ragione che i miei impegni superano ogni
ragione di delicatezza nei miei confronti.
Che cosa farò dopo? Fossi poi ridotto ad essere un reietto ed un disprezzato
impotente avrò egualmente soddisfatto ai miei impegni: vittima con le vittime.
Avrò vinto la lotta contro quel mondo per il quale Cristo si è rifiutato di
pregare.
Quando un vescovo non può evitarmi il carcere perché non lo vuole, e mi
insiste a dire che non esistono le ragioni sufficienti per liberarmi da quella
disciplina per me oramai tiranna fino a tal punto, è il paradosso che si fa strada.
Che Padri sono? Che confratelli sono?
Io ho condiviso la vita con essi per 23 anni, ma sarò più sacerdote se laicizzato
che se martoriato in questa maniera me connivente a danno di tante creature
innocenti. Mi viene in mente che quando decisi di farmi sacerdote lo espressi
con le seguenti parole: … scelgo di ripetere sulla terra la vita di Cristo
sacerdote.
Mi tocca la stessa sorte da parte dei sacerdoti del nuovo tempio. Nei miei
confronti e nei confronti dei miei figli sono stati dei cannibali veri e propri. E
non avendolo potuto fare fino in fondo perché c’è ancora la faccenda dei
debiti, adesso cercano di far pagare al governo per poi liberarsi di ogni
ostacolo e vibrare gli ultimi colpi del flagello fino a ridurci come mostri
irriconoscibili.
So quello che stanno facendo, lo so benissimo. Ne scruto ogni mossa. Come il
Sinedrio, essi pure hanno timore della plebe ed attendono l’ora giusta per
gridare che siamo dei bestemmiatori contro Dio, e dei traditori contro Cesare.
Quando venne il Nunzio ap. non fu sincero, fu un atto puramente in funzione
politica, quindi tutto andava benissimo, poi tutto andava malissimo. I pietisti
sono i miei veri e più frenetici nemici. In tutta la Chiesa si lavora per
annientarmi demolendomi lentamente e disonorandomi dicendo che sono
vittima della esasperazione e di una deviazione morale e spirituale.
Lo ha detto anche a Cesarina [sorella di don Zeno] un confessore in
confessionale a Milano, cosa che si fa già in molti confessionali. Siamo arrivati
lì. Nel tribunale più delicato che abbia la Chiesa, tribunale incontrollabile
perché il rappresentante della legge è libero di dire che non ha detto niente e
che non sa niente. Può liberamente calunniarmi e può liberamente mormorare
contro di me. Io non posso difendermi dalla sua insidia da vipera.

Non ho paura di Voi


Alla Suprema Congregazione del S. Ufficio
“Questa non è una accusa, è il pianto di tutti i feriti come me ".

23 agosto 1953

Fino ad ora ho sempre scritto alla Suprema Congregazione nella massima


confidenza filiale anche trattando cose di grave importanza. Forse sono stato
ingenuo, forse ho fatto bene.

Mentre alle Camere si pretendono le riforme sociali da parte dei nemici della
Chiesa e della morale anche semplicemente naturale, in tutta la Chiesa le cose
vanno malissimo, ma veramente malissimo. La Suprema Congregazione
certamente lo sa e sarà bene informata. E che cosa ha combinato la Suprema
Congregazione nei miei confronti e nei confronti di Nomadelfia? Un disastroso
reato di inganno e di truffa in campo economico ed in campo morale. Questa
sarà l’accusa dei nomadelfi, dei creditori e dei benefattori qualora non si
volesse correre ai ripari in tempo trattando segretamente con me.

S. Em. il card. Ottaviani è testimone della mia instancabile insistenza ad


evitare simili scandali. S. E. il Nunzio ap. allora Borgoncini Duca è testimone
della mia disapprovazione quando mi lesse il decreto del 5/2/1952 per cui gli
chiesi di appellarmi perché lo giudicai del tutto sbagliato e fuori luogo. Il
Rev.mo P. Castellano sa quante volte ho protestato per tutto il male che si
lasciava correre e le violenze che si facevano sulle anime e contro la giustizia
la più elementare. É inutile e fuori luogo che la Suprema Congregazione
continui a trattarmi come un fanatico o come un ingenuo fino al punto da
ridurmi di nuovo sotto processo per causa della rovina nella quale ho ridotto
me stesso, i nomadelfi ed i creditori lasciandomi portare al fallimento per causa
delle mie eroiche obbedienze.

Ma è poco grave farmi firmare un decreto nel quale mi si assicurava una


Commissione finanziaria che doveva far fronte alla parte economica e la
sostituzione nella mia responsabilità sacerdotale da parte dei salesiani senza
aver nemmeno avuto il minimo rispetto dei laici a chiedere loro se li avessero
accettati poi? Ma questa è truffa ed inganno nei confronti miei, dei nomadelfi e
dei creditori. S. Em. il card. Ottaviani è testimone che io poco dopo il decreto
gli dissi che non vogliamo fallire in via assoluta e che volevamo rispettare tutti
i vincoli nati tra noi dai venti anni di vita in comune. Esistono in merito
documenti indirizzati anche direttamente alla suprema Concregazione.

Errori? Che me ne importa quando si tengono segreti come se si trattasse di


cosa da niente, ché il solo annunciarli mettono in turbamento le anime. Ma le
anime valgono niente, le nostre? E chi me ne ha svelato anche uno solo?
Nessuno. E che forse vi sono un nemico? Vi amo e molto di più di quello che
potreste immaginare. E quella confidenza che ho con Gesù ho diritto di averla
anche con Voi e quella fiducia che ho in Gesù ho diritto di averla anche con
Voi. Mi siete Padri e non dovevate rovinarmi in questa maniera perché la mia
vita vale come la vostra e ve lo dico sinceramente perché questo mio dire non è
mancare di rispetto, è atto d’amore, è la verità tremendamente e paurosamente
vera. Io non ho paura di Voi perché Vi amo. Ho quel timore di figlio, ma non
di servo e di vigliacco.

Troppa gente Vi riverisce con mille inchini e Vi tradisce buttando la Chiesa


chissà in quali lacrime. Ed ora chi strapperà dalle grinfie del marxismo i figli
d’Italia più rovinati e dal borghesismo egualmente diabolico tutto il resto del
paese? Cavatevi la voglia di andare alla domenica a sentire nelle chiese come
si spiega il vangelo e il catechismo e ve ne accorgerete che disastro! Leggete
L’Osservatore Romano e ve ne accorgerete come incensa gente che è ladra e
speculatrice del sudore umano fino alla spudoratezza. Abbiamo l’acqua alla
gola e voi continuate a far credere che non è vero, invece è verissimo.

E adesso tornando al mio sventurato caso che sta per esplodere in uno scandalo
pauroso perché incide disgraziatamente sugli stessi dolori e sugli stessi
risentimenti della parte oppressa, avvilita e sfruttata del popolo, ma che cosa
facciamo? Ma chi è alla Santa Sede che mi è talmente nemico da accecarsi fino
al punto che per annientare e me ed i miei figli sta per buttare nel disonore tutta
la Chiesa? C’è truffa ed inganno, e ciò che è peggio, truffa ed inganno
risultanti da documenti pubblici e da una marea di documentazioni che io ho
sempre tenuto riservate per quanto non siano nelle mie mani. Appartengono a
Nomadelfia. Ma Nomadelfia non era una città di ragazzi, era di uomini e di
donne che non dormono, sebbene che per amore alla Chiesa ne abbiamo
passate tante da pensare che solo i santi fanno di quelle cose. Ma poi il Signore
suona le sue ore. Io dico che bisogna prevenirle, che ci vuole molta buona
volontà, cosa che la Suprema Congregazione del S. Ufficio non mi ha
dimostrato di avere per tutto ciò che mi risulta dai suoi documenti tutti
autoritari e senza spiegazioni.

Non giudico le persone che mi sono carissime al cuore e all’anima tutta. Se


non fosse così avrei agito ben diversamente. Ma quel saltarmi addosso per
rovinarmi e per rovinare circa 2500 persone che dal mio comportamento di
ubbidienza hanno subito simili inganni è stato veramente un disastro. Sono
venuto a voi come un figlio con il cuore trafitto per causa di tutti i tradimenti
che si stanno facendo alla Chiesa nel popolo più vicino alla Chiesa, avrò avuto
i miei errori, avrò fatto tutti gli sbagli che accompagnano facilmente opere di
così ardua impresa, (ma mi muovevo tra i più acerbi e tremendi nemici della
Chiesa, penetravo nelle loro linee, nelle loro trincee) e prima mi avete
abbracciato e mandato nel fuoco e poi mi avete tirato un sasso in faccia senza
nemmeno dirmi il perché.

Questa non è una accusa, è un pianto che forse e senza forse è il pianto di tutti i
feriti come me da questo disastroso momento storico della Chiesa. E voi agite
ancora nei nostri confronti come se foste di fronte ai Luterani, agli anglicani, ai
liberali, ai comunisti. Ma siamo i vostri figli e vi amiamo. Chiedeteci la vita
per la Chiesa e ci vedrete saltare nel fuoco, dove volete, come quando volete.
Ma non volerci imporre di essere dei borghesi, perché non li vogliamo essere.

E adesso che cosa si fa? Vi prego, siate più plastici, cerchiamo di evitare un
disastro le cui conseguenze nessuno saprebbe prevedere. Mons. vescovo di
Carpi non ce la fa perché non conosce tutto, si confonde mancandogli un
mondo di nozioni, ma conoscendo le quali facilmente cadrebbe in gravi
inganni. Io ho scritto questa lettera alla Suprema Congregazione a insaputa di
Mons. vescovo. Vi prego, non lasciatevi prendere da preconcetti, non ho voluto
mai queste imminenti esplosioni, le ho ritardate il più che ho potuto, ma oramai
basterà tentennare per vederci scappare dalle mani ciò che ancora il Signore ci
concede, direi come monito e come tregua.

La faccenda delle dottrine, degli errori e degli sbagli miei l’aggiustiamo in


dieci minuti. Ma se esplode la truffa e l’inganno ai nomadelfi ed ai creditori ed
anche ai benefattori chi più l’aggiusterà? Nessuno certamente, sarebbe come
un irreparabile terremoto nel popolo e nella Chiesa. Credetelo, ve ne prego,
tutto a tavolino si può aggiustare, ma per l’amore a Dio ed alla Chiesa non
esploda quel disastroso scandalo. Mons. vescovo si illude di rimediare
attraverso il governo. Ci vuole ben altro! Potrebbe essere una via per rimediare
qualcosa, ma la causa ha dimensioni ben più vaste e di ben altra natura. Chiedo
d’urgenza una seduta nel S. Ufficio con personalità a ciò delegate dalla
Suprema Congregazione, almeno entro il 4 settembre p.v. Dopo tale data non
saprei più come rimediare. Che tutto rimanga nella più assoluta segretezza e
che tutto si svolga nella più grande apertura di sincerità ad esclusione di
qualsiasi reticenza, per quella strada forse il Signore ci porta alla soluzione.

Attendo un invito al seguente indirizzo: don Zeno Saltini - Casella Postale 36


(Personale) Modena.

Che il Signore ce la mandi buona.

Figlio devotissimo sebbene non sembri.

Sac. Zeno.
Allego: a) Appunti per la causa di Nomadelfia b) Copia conforme di una lettera
inviata a me ed ai sacerdoti della ex Città di Nomadelfia da parte del
presidente della Società di Nomadelfia.

Gli uomini sbagliano, Dio no


Al Card. Ottaviani, S. Ufficio

“I tribunali hanno sentenziato che non abbiamo truffato nessuno”.

25 agosto 1953

Confidenziale

Eminenza,

Le allego copia di alcuni documenti. Chi può mai sapere quale mistero ci sia
sotto a tutto questo tormento di cose e di uomini? Non se ne salta fuori, nulla si
assesta. Mi pare anzi che tutto si peggiori. Fin dove?

Un vescovo mio amico mi ha chiesto alcuni mesi or sono: Ma come andrà a


finire? Gli ho risposto: Mi pare, molto male. Temo che sia così. Ma che a
nessuno venga in mente di indagare, dopo che le cose si sono ridotte a questo
punto, quale possa essere la volontà del cielo? Può darsi che il cielo la pensi
del tutto diversamente da noi.

Il 7 novembre del 1951, se ben ricorda, dopo tutte le contrarietà capitateci, ci


adunammo, babbi e mamme, a Grosseto nella tenuta e decidemmo di
autosciogliere la città e di creare un ritiro od eremo sociale come forma
intermedia, al fine di giungere ad una nuova soluzione e intanto stare uniti per
far fronte agli impegni derivanti dalla attività dei venti anni passati insieme. Lo
comunicai a S. E. Rev.ma il Nunzio ap. Non ebbi alcuna risposta. Vanoni era
disposto a darci il denaro per pagare i debiti e Medici era disposto a stringere
relazioni più intime con noi per collaborare in campo agricolo ed artigiano.
Scelba telefonò a Vanoni un veto. Il 5 febbraio mi fu comunicato il decreto del
S. Ufficio. Gli uomini sbagliano, ma Dio non sbaglia.

Noi, il 7 novembre del 1951, avevamo deciso di metterci come in un silenzio


di tomba, lavorando e perfezionandoci nello spirito e nelle cose. Il Signore non
lo ha voluto. Siamo invece stati travolti in un cataclisma che ha interessato
milioni e milioni di anime di tutte le tinte. Siamo stati travolti contro la nostra
volontà.

Fin dal 1948 Scelba aveva espresso al Prefetto di Modena che ci avrebbe
dispersi spietatamente. Quante volte ho chiesto a V. Em. che sarebbe stato il
caso di un’abile virata di bordo da parte del S. Ufficio! V. Em. la tentò, ma
non è riuscito. Il Signore non lo ha voluto. E allora scoppiò il processo di
Bologna, poi il fallimento. A Mons. vescovo di Carpi, il 13 corr. è scappato
detto con un sacerdote di Nomadelfia che Nomadelfia presto sarà condannata
come dottrina e che di essa non se ne parlerà più. Io gli scrissi chiedendogliene
ragione e pregandolo di ricevermi. Mi ha risposto con una lettera diplomatica
dicendo che quando comunica le cose lo fa direttamente o per interposta
persona. C’è solo che il sacerdote con il quale ha parlato è parte interessata. Mi
riceverà non prima di 15 giorni da quella data, cioè ai primi di settembre,
essendo impegnato e dovendosi assentare.

Venga pure anche la condanna. E poi? E poi sarà peggio ancora; e il problema
sarà ancora più mordente.

Don Primo Mazzolari ha scritto su il Popolo se ben ricorda: Don Zeno ha


sepolto Nomadelfia. Mi pare che oramai sia rimasta insepolta, nonostante tutto,
e che Dio ci sconquassi tutti perché la bistrattiamo. Scelba definiva a S. E.
Rev.ma il Nunzio ap. ed alla Contessa Pirelli, Nomadelfia come truffa
nazionale. Truffa di chi? Se non ci sarà un attimo di buona volontà da parte di
tutti, risponderà Dio con i suoi sistemi. I tribunali pubblici hanno già
sentenziato che noi non abbiamo truffato nessuno. Perché non vedere in questo
fatto un tremendo segno di Dio che impone di cambiare rotta nei nostri
confronti?

Se V. Em. potesse o volesse intervenire come arbitro e organizzasse la seduta


che propongo io forse troveremo la soluzione. Nella seduta del 14 settembre,
Dario metterà sul tappeto molti gravi fatti, più il memoriale inviato a suo
tempo a S. E. Rev.ma Mons. Montini. Mons. Montini rispose a don Marchi che
non aveva tempo di occuparsi di una faccenda così grave e così vasta e lo
consigliò: andate ai tribunali pubblici.

Noi ci presenteremmo di nuovo ai tribunali pubblici con le mani vuote e


rovinati pressappoco come Gesù e gli apostoli si presentarono al sinedrio ed ai
tribunali civili. Ci accuseranno: avete detto... poi avete fatto... e ciascuno farà
del nostro passato la storia alla sua maniera. E nessuno ci capirà niente. Forse
si finirà per liberare una prostituta preferendola ad una mamma di Nomadelfia.
Contro questa si griderà: sia crocifissa.

Se non ci sarà una virata di bordo si finirà lì. Vedrà! Di fatto si è scandalizzato
i fanciulli e si è tirato un sasso in faccia ad anime di una generosità
inarrivabile. E il cielo ci confonde tutti noi sapienti della scienza dovuta.
Mentre quelle anime rapiunt regnum Dei. E nella loro semplicità finiscono per
lasciarci cadere tutti al giudizio del popolo che in simili casi non ha bisogno di
ragionare perché gli scatta l’intuito severo.

Ma se ancora qualcosa è rimasto nelle nostre mani, perché non approfittarne


per rimetterci sui piani di Dio? Se stiamo a badare alle nostre imperfezioni, ai
nostri errori, ai nostri sbagli dimentichiamo Colui che è Santo e perfetto e che
vuole vincerla nonostante le nostre miserie. Un poco di mistica non farebbe
male in questo momento. Se V. Em. riuscisse a provocare un mutamento di
rotta sarebbe proprio strumento di Dio operante in Lei un grande miracolo.
Penso sempre e solo a Lei come l’unica personalità che possa ciò che nessun
altro può, perché mi pare che abbia i segni di Dio per fare ciò che altri
arrabbattandosi tra le carte non ci capirebbero niente.

Comunque, che sia fatta la volontà di Dio, solo quella. Al Signore non ho mai
domandato altro che questo.

Mi prostro ecc.

Nomadelfia non l’ho sepolta io, ma Roma


Al Card. Ottaviani, S. Ufficio
“Se rompo una gamba a qualcuno, nasce una obbligazione che non appartiene
più alla carità ma alla giustizia”.

3 settembre 1953
Eminenza,

Le allego alcuni documenti.

Quale sarà dunque la decisione di Dio?

Mons. vescovo segue un piano per me molto enigmatico. Il 24 settembre dovrò


comparire in udienza in tribunale a Modena per una causa civile che potrebbe
degenerare anche in causa penale. Si tratta di 60 milioni più gli interessi di
mora e di danni. La liquidazione coatta non pregiudica i diritti dei creditori di
adire ai tribunali contro di noi, essendo noi membri di una associazione civile
non riconosciuta (art. 36, 37, 38 C.C.) quindi, avendo agito in nome e per
conto dell’associazione, siamo responsabili in solido e con ciò i creditori
possono agire liberamente contro chiunque tra noi personalmente, a loro scelta.
A chi è colpito rimane solo il diritto di rivalsa sugli altri.

Pare che Mons. vescovo non le voglia intendere, queste cose. E dire che sono
chiari segni di Dio che indicano il da farsi indipendentemente da qualsiasi
considerazione di convenienza, di opportunità e di legittimità formale. Queste
cose sono circostanziali, utili, persino necessarie nella procedura; ma a Mons.
vescovo prima di tutto dovrebbe premere la sostanza che è la seguente: noi
sacerdoti di Nomadelfia siamo stati letteralmente rovinati ed abbiamo il diritto
di prevenire e parare i colpi che minacciano la integrità morale e fisica delle
nostre persone .

Oramai è il caso di fare un disco perché queste cose le ho dette, ridette, scritte,
insomma all’infinito: a Roma, a Carpi e forse in cielo ed in terra ed in ogni
luogo, in Corde Jesu, dove sono stato chiamato a dire sempre le stesse cose. Ed
ancora si discute, mentre noi prendiamo colpi mortali. Mah! É una vera e
propria tortura, grossa ed inumana, inumana almeno nei suoi effetti pratici.
Vorrei sbagliare, ma ci deve essere, a base di tutti questi assurdi, un grazioso
preconcetto, non disgiunto da inavvertiti ed ingenui risentimenti, in chi e dove
non saprei. Lo deduco dalla natura diabolica della causa, e, vedrà, che
facilmente questo salterà fuori quando meno ce lo aspettiamo. In quelle cose
nelle quali non si ragiona, nonostante la evidenza dei fatti, non c’è Dio, ma c’è
il suo avversario che muove abilmente le sue legioni ed avanza con esse sotto
forma di valanga di balle: il grottesco, il paradossale, l’irragionevole, il
mostruoso, il pretesto, il contingente, contro cose semplici e trasparenti nelle
loro realtà.

É stato detto autorevolmente e scritto, ma non posseggo lo scritto, ad un


sacerdote, che io faccio della questione finanziaria e delle obbligazioni nate dal
fatto Opera Piccoli Apostoli poi Nomadelfia, e si potrebbe aggiungere Eremo
Sociale (7.11.1951) un pretesto per rifare Nomadelfia. É un granchio solenne
che si prende chi lo pensa. Giudicare le intenzioni delle persone mi pare del
tutto temerario. Sarebbe meglio e più umano e più da santi riconoscere che le
obbligazioni esistono e che ad esse si deve dare la parola. Esse dicono quale è
la volontà di Dio. Quante volte ho detto e scritto queste cose a chi di ragione!
Come non detto.

E se per caso il Signore avesse deciso di rifare Nomadelfia, che c’entro io? Un
po' di mistica, per piacere! Ma guardi un po'! Ho chiesto a suo tempo ed in
tempo sufficiente la laicizzazione. Macché! Come se avessi cantato una
canzonetta. Mons. vescovo mi ha tirato fuori ex charitate, ex fidelitate. Tutte
cose molto belle, anzi molto piacevoli. Che c’entrano? Per niente. Se ex
charitate et ex fidelitate rompo una gamba a qualcuno o gli brucio la casa,
nasce una obbligazione che per sua natura non appartiene più alla carità ed alla
fedeltà, ma alla giustizia. Io amo e stimo molto il mio vescovo. Ma che
c’entra? Mi pare anzi che dicendogli le cose chiare e senza fronzoli gli
manifesti più figliale e sincero affetto e più indiscutibile sincerità. Le belle
parole alle volte alterano il senso di ciò che si vuole dire. Perché di belle parole
non ce ne sono poi tante nel vocabolario e tutte sono state sfruttate fino alla
nausea. Adesso va a finire che ho offeso anche il vescovo di Carpi. Ma guardi
un po' che destino! direbbe il popolo. A nave rotta ogni vento è contrario. Si
vede che io sarò una nave rotta. E che cosa ci posso fare? Sommergere non
posso perché, tra l’altro, annegherei terze persone, si che il secondo male
sarebbe peggiore del primo.

Mi auguro che S. E. Mons. vescovo di Carpi non abbia dei gravi dispiaceri per
causa di questa ragazzina, al secolo Nomadelfia, che è stata sepolta viva e che
muove la terra a scandalo del popolo. Nonostante le balle di don P. Mazzolari
(v. art. sul Popolo) Nomadelfia non l’ho sepolta io, ma Roma del di qua e del
di là del Tevere. Io avrò contribuito con le mie miserie umane, comuni a tutti
anche di qua e di là del Tevere, senza volere mancare di rispetto a nessuno.
C’entra anche un poco quel curioso di Adamo. C’è solo di differenza che io
volevo curare le inevitabili ferite del viaggio, e altri le hanno aggravate fino
allo sterminio della città. Da Castro a Nomadelfia; e da Nomadelfia chissà
dove. Dico queste cose perché amo sinceramente la Chiesa. Caso mai ne
parleremo con più limpidezza di là.

Se Mons. vescovo il giorno 8 c.m. mi laicizzasse gli sarò riconoscente in


eterno con la stessa riconoscenza che riserbo di Mons. Pranzini che il 4
gennaio 1931 mi ordinava sacerdote nella Chiesa parrocchiale di Fossoli, dove
fui battezzato nel 1900. Tre date: 1900-1931-1953 egualmente care al mio
travagliato vivere. Più confidente di così e più sincero non potrei essere. Più
figliale di così non saprei essere.

Forma mentis? V. Em. ricorda. E sia. Non l’ho detto io e non lo condivido. Lo
subisco, l’ho subito. Ma se mi cadesse una tegola sulla testa, qualsiasi forma
mentis avessi, sarei sempre tenuto a dire: mi è caduta una tegola in testa e
vedendo sangue e sentendo dolore vado dal medico per curarmi la ferita. Fin lì
ci arrivo con la mia forma mentis. Ma guardi un po' che cose mi capitano!
Eppure mi capitano e mi sono capitate.

Chi dice che parlo così perché sono addolorato, chi dice che lo faccio perché
sono risentito e chi dice quello che gli passa per la mente. Io intanto vado dal
Medico... et ego reficiam vos, che in questo caso traduco stranamente: conti
chiari ed amicizia lunga. C’è chi mi dice: bisogna sapere passare sopra. Ma a
che cosa e a chi? Sulla morale? Sui feriti? Sarebbe un capolavoro di
stranissima forma mentis, che io passassi a perdonare il male che faccio agli
altri! Sulla carità? Peggio ancora. Non passerò sopra a niente, affronterò la
realtà senza paura, grazie a Dio.

Mi prostro ecc.

Un padre può diventare giudice?


Al S. Ufficio
“Amo i Padri del S. Ufficio, nonostante l’accaduto, perché sono andato ad essi
come un figlio e mi sono saltati addosso come giudici severi”.

238 settembre 1953


INVOCAZIONE AI MIEI PADRI

S. E. Mons. G. Pranzini, al sorgere dell’Opera Piccoli Apostoli (1931), mi


autorizzò con le seguenti parole: Tutte le volte che sorge qualche opera nella
Chiesa c’è sempre qualche sacerdote o qualche vescovo che fa la parte del
persecutore. Io quella parte non la faccio. Fa quello che vuoi e fa ciò che il
Signore ti ispira. Ti benedico.

Il suo successore S. E. Mons. Carlo De Ferrari disse al popolo sull’opera: Hic


digitus Dei.
Il successore di S. E. Mons. Carlo De Ferrari, S. E. Mons. Vigilio Dalla
Zuanna disse al popolo, sempre a proposito dell’opera: Quest’opera è nata nel
cuore di Cristo.

Il S. Padre nel 1944 mi faceva chiedere a mezzo di un Padre Gesuita i


documenti e una sintesi su l’opera. Mi fece poi sapere attraverso il detto P.
Gesuita che avrebbe parlato con me volentieri per alcuni minuti se avessi avuto
bisogno, (Egli stava ricevendo in quel tempo i vescovi dell’Italia Meridionale)
ma molto a lungo, non appena avrebbe avuto più tempo. Io risposi che per il
momento non avevo bisogno, e che ci sarei andato più avanti. Infatti chiesi
l’udienza, che subito mi fu concessa, nel marzo 1948. Come nel 1944 in
iscritto, così nel 1948 a voce, Gli esposi l’opera che in quel tempo si chiamava
Città di Nomadelfia sotto i suoi due aspetti: la forma comunitaria dei
nomadelfi; e Nomadelfia, come fin dal 1931, è stata sempre, quale fermento
per creare anche un movimento sociale e politico di solidarietà umana nel
popolo. Gli raccontai i gravi ostacoli che avevo incontrato nell’ambiente degli
ecclesiastici, soprattutto il veto al movimento nel 1946. Gli ho esposto al nudo
la sostanza e i gravi traumi che avrebbe ingenerato nell’ambiente cattolico ed
ecclesiastico il movimento e lo svilupparsi della città. Insistentemente mi ha
detto di fare quello che volevo, assicurandomi con le seguenti parole
ripetutemi diverse volte: Ma perché deve temere? Glielo dice il Papa: il Papa
è con lei, lo faccia, il Papa è con lei, glielo dice il Papa. Ricordo bene. Queste
parole sono rimaste scolpite nell’anima mia, e luccicheranno in cielo.

Io ho creduto al Papa, ma per evitare certi fatti urtanti la disciplina sono andato
io stesso personalmente in precedenza al S. Ufficio ad esporre preventivamente
il mio piano e le ragioni dottrinali che lo animavano, e l’ho fatto
confidenzialmente nella fede palpitante. Non dico tutto quello che è avvenuto
tra me e il S. Ufficio. Ivi ricorderanno quello che mi hanno detto e come essi
stessi hanno poi collaborato.

Se i padri del S. Ufficio avessero avuto con me quella apertura che io ho avuto
con loro, avrebbero sopportato certi miei sbagli, se sbagli ne avessi fatti, e mi
avrebbero illuminato sul cammino, anziché colpirmi d’un tratto senza neppure
preavvertirmi. Mi sono saltati addosso con tale violenza che ne sono rimasto
costernato, poi rovinato in tutti i sensi, in un mare di reati e di lacrime
susseguenti e conseguenti. Io amo la Chiesa, ne ho dato le prove al vescovo fin
dal 1912 (avevo 12 anni), quando accettai di essere segretario di un circolo
giovanile cattolico tra i più forti e tra i più battaglieri della diocesi. Amo molto
personalmente anche i Padri del S. Ufficio, nonostante tutto l’accaduto che
disapprovo, qualsiasi ragione abbiano in loro favore, perché sono andato ad
essi confidenzialmente come un figlio e mi sono poi saltati addosso come
giudici severi, e non hanno più voluto ascoltare le mie proteste nonostante che
le cose conseguenti vertessero in veri e propri delitti.

Al S. Ufficio ho avuto molta confidenza, veramente figliale, con S. Em. il card.


Ottaviani, con Mons. Crovini, col Rev.mo P. Castellano e con il Rev.mo Padre
Commissario, che veramente amo; li amo e li ammiro per motivi intimi. Essi
sanno che io non ho nascosto niente e che non ho mai avuto timore di dire le
cose anche le più confidenziali. Non credevo di essere in tribunale, forse
perché nell’anima mia, e forse qui ho sbagliato io, senza esserne pentito, non
so persuadermi che un Padre mi possa di colpo diventare giudice. Tralascio
l'altra pugnalata a freddo dell'E.mo card. di Milano che il Signore sa quanta
intimità sincera ed aperta sia prima intercorsa tra noi due.

CONCLUSIONE

Il 5 febbraio ha segnato la mia fine come ecclesiastico, l’ho presentito


nell’anima, amaramente, quando alle proteste fatte a S. E. Rev.ma il Nunzio
ap. (5/2/1952), al quale dicevo che quel decreto era inappellabile. (Pensai in
me stesso: inesorabile). Ho firmato in Corde Jesu frase che poi spiegai a S.
Em. il card. Ottaviani, e cioè nel dolore del Getsemani.

Ho diritto di sopravvivere a quella pugnalata mortale al cuore, per far fronte


alla mia vita distrutta che mi è rimasta, per riparare e rimediare con i travolti
nella mia sventura (circa 2500 anime identificabili, centinaia di migliaia non
identificabili) a tutte le infinite conseguenze del disastro. Unum con esse. Cose
che come ecclesiastico non posso più fare, date le circostanze del caso (si
ricordi), senza creare nuove ferite e chissà quali nuovi reati e delitti di
ingiustizia, di ingiurie, di crudeltà e di oppressione che i fatti fatalmente
determinerebbero.

Che i miei Padri del S. Ufficio, che ancora amo tanto, e per i quali non esiste
traccia in me di risentimenti, mi ritornino almeno Padri un secondo momento
laicizzandomi ut vitam habeant. E quale vita? Un nuovo e santo olocausto che
mi accompagnerà con Cristo Gesù, - cui tutta la mia esistenza ho sempre
donato - alla tomba. Vorrei sperare: presto, alla tomba. Sì: cupio dissolvi et
esse cum Christo.

Ma se ancora questi brandelli di carne viventi che mi sono rimasti dopo il


Calvario del 5/2/1952, possono tornare utili alla Chiesa, lo farò da laico, lo
faccio laicizzandomi egualmente sacerdote in eterno. Purtroppo non c’è altra
via aperta.

Ce ne sarebbe un’altra, ma per essa un muro si è drizzato ad ostruirla: una


autorevole notificazione di sfiducia per causa della mia forma mentis. Forma
mentis che cosa è? L’indefinibile.

Chiedo un atto di giustizia


A Mons. Prati, Carpi
“Cause civili o penali contro l’autorità ecclesiastica non ne voglio”.

Milano, 13 settembre 1953


II domanda di laicizzazione.
Ragioni richiestemi da parte di S. E. Rev.ma Mons. Vescovo.

I°- Io ho ubbidito al decreto del 5/2/52 perché in esso c’erano le condizioni alle
quali ho creduto:

1°) Una Commissione avrebbe fatto fronte alla questione finanziaria.

2°) I salesiani mi avrebbero sostituito.

Chiesi a S. E. il Nunzio ap. di appellarmi e mi rispose che non era possibile. A


maggior ragione ho creduto così al contenuto del decreto. Invece non si è
avverata né l’una né l’altra condizione. Ed io con i figli siamo stati sterminati e
buttati al fallimento. Io non voglio fallire e ne ho il diritto. Fallire è un diritto
per i commercianti e non per i non commercianti, e nello stesso tempo è un
diritto, quando lo è, ma non un dovere.

II°- La natura giuridica della Città di Nomadelfia è la seguente: una


associazione civile di mutua assistenza nella quale parte dei minorenni erano
soci di diritto cui l’associazione garantiva di decidere a 21 anni se rimanere o
no nella associazione con tutti i diritti nati per causa della loro convivenza e
dedizione nella minore età. Una simile associazione non aveva nessun diritto di
fallire non essendo di natura speculativa nei confronti di terzi. Inganni non ne
voglio fare a nessuno piuttosto soccombo a tutte le conseguenze. E sono nel
mio diritto.

III°- Per evitare di essere ancora chiamato in giudizio io ed i miei figli ho fatto
di tutto perché essi rimanessero compatti ed uniti in nuova associazione per
organizzarci nel lavoro al fine di renderci con il tempo solvibili nei confronti
dei creditori. Io stesso ho garantito i capitali che persone private hanno messo a
disposizione di detta associazione e per causa di mille e mille forme di
persecuzione che li minacciano c’è pericolo che ne vada di mezzo
l’organizzazione economica, per cui sarei coinvolto in maggiori mali.

IV°- Ecclesiastici veri e pur anche molto autorevoli li diffamano sia in


confessionale, sia parlando, sia dirigendo anime, sia pubblicamente. V[edi].
Notificazione dell’Em. card. Arc. di Milano che denuncia al popolo della sua
Archidiocesi un mare di calunnie e di mormorazioni chiamando(mi) i pastori
di Nomadelfia. V. Il Popolo di Milano. V. Il Popolo di Torino. Vedi molta altra
stampa che perfino alla vigilia del processo di Bologna tentava con
insinuazioni di buttare fango sulla mia persona e sui figli.

Io personalmente cause civili o penali contro l’autorità ecclesiastica, che di


fatto, sia pure nelle più sante intenzioni, mi ha buttato in tanta rovina e
costernazione, non ne voglio intentare. Se avessi detto o pensato idee che
realmente fossero dubbie o addirittura errate contro la fede sono prontissimo a
ritrarle, ma la dignità della persona mia e di quanti ho coinvolto in tanta rovina
è sacra e rispettabile come anche quella dell’ultima creatura umana per la quale
al momento della nascita il vangelo dice: É nato un uomo al mondo e per la
quale Gesù si è incarnato, ha vissuto sulla terra fino alla passione e morte,
donandoci la S. Madre Chiesa che per me è ragione della salvezza dell’anima
mia, se in Essa mi farò santo.

Nomadelfia come era stata concepita e come si era sviluppata fino al 5/2/1952
non esiste più, mentre esistono i suoi abitanti sterminati spietatamente; tra i
quali ci sono anch’io. La vittima è sacra anche quando passa immanettata tra i
carabinieri e quando viene tratta al cospetto dei tribunali. La morale è dalla mia
senza dubbio perché nessuna ragione circostanziale può essere così forte da
cancellare o mutare la sostanza qui esposta e sottoscritta. Se confidenzialmente
o pubblicamente avessi avuto anche espressioni men che riguardose almeno
nei confronti della superiore autorità ecclesiastica chiedo con la presente
perdono ma ribadisco la mia sincerità, ed è la seguente: si sarà trattato di modi
di esprimere le più inumane realtà che mi colpiscono e che colpiscono quanti
come me sono rimasti vittime di quei gravi provvedimenti. Astio, odio,
irriverenza d’animo non appartengono alla realtà del mio stato d’animo.

Un’anima colpita da questi eventi mi ha riferito che autorevoli sacerdoti hanno


assicurato altre anime che io ho perduto la grazia dello stato e che ho
disubbidito alla Chiesa. Del resto V. articolo di D. P. Mazzolari sul Il Popolo
di Milano con quell’infamante trafiletto del giornale che lo presentava. Tra
l’altro: Dio sta per abbandonarlo. Ma insomma! Ma chi può sparare
pubblicamente ed anche solo intimamente di queste tremende sentenze senza
compiere un atto umano, almeno oggettivamente, di grave peccato contro lo
Spirito Santo? Che un confratello critichi al nudo l’operato pubblico di un
sacerdote è atto leale e generoso, ma entrare in quegli antri delle coscienze solo
Dio può farlo essendo il Padre ed il creatore, il redentore.

Conclusione. Una volta regolarmente laicizzato nessuno avrà più nulla da dire;
ed io con quell’atto avrò in parte riacquistato il mio onore e la mia libertà che
mi è stata donata dal battesimo. Poi risponderò, e a creditori e a vittime, di
persona fosse anche languendo nelle carceri. É un olocausto impostomi dalla
tragica realtà, un caso urgentissimo di estrema necessità. Non oso chiedere
indulgenze, favori, comprensione, tutte cose belle che non pretendo e che
lascio nella più assoluta libertà di quanti saranno da Dio chiamati a rispondere
a questa mia sanguinante istanza. Chiedo solamente un atto di suprema e santa
giustizia nel senso più coerente alla volontà del Signore e alle tremende realtà
in gioco nel senso più armonioso al cuore trafitto di Dio incarnato, cui tutta la
mia esistenza ho donato disposto a tutto, per sua grazia, nell’amore a Cristo
redentore ed al prossimo mio. Unicuique suum.

Mi prostro con inalterato affetto ecc.

Consigliato a peccare contro la giustizia


A Mons. Montini, Segreteria di Stato
“Chi ci perseguita nella Chiesa? La borghesia clericale che finirà per
scristianizzare l’Italia”.

21 settembre 1953
Eccellenza Reverendissima,

La prego, abbia la bontà di sopportarmi e di consegnare al S. Padre la qui


allegata lettera. Quella ragazzina, al secolo Nomadelfia, è stata sepolta viva e
muove la terra a scandalo del popolo. É bene che il S. Padre sappia
personalmente, a mio modesto avviso. E che, potendo, abbia la paterna bontà
di provvedere e di prevenire mali maggiori. Grazie Eccellenza, e creda che le
voglio bene, e molto, alla mia maniera, sinceramente. Mi prostro ecc.

Beatissimo Padre,

La Santa Sede mi ha travolto alla rovina con un decreto della Suprema


Congregazione, in gran parte inconsistente. Poi ha oppresso i figli nello spirito,
mettendoli alla fame, poi alla disperazione ed al lastrico lasciandoli sbranare
dalla ferocia del braccio secolare, poi ha permesso con mille raggiri che si vada
al fallimento ed al lastrico più umiliante. La polizia perseguita me ed i miei
figli mentre molti ecclesiastici non fanno altro che diffamarci in pubblico ed in
privato, autorevolmente. E noi non sappiamo come difenderci. Se ci
difendiamo ci saltano addosso d’autorità.

Io come ecclesiastico non voglio essere ridotto al fallimento in via assoluta e


nemmeno rendermi complice di tante ingiustizie. Non voglio fallire e questo lo
sapevano alla Suprema Congregazione. E i miei figli sono risoluti e non
accettano un simile fallimento che è un vero e proprio inganno.

Se parlo e scrivo sono subito preso e mi si accusa che sono men che
riguardoso e mi si impone di firmare per ubbidienza. Se mi muovo per fare il
mio dovere nei confronti delle vittime, sono ostacolato e costretto ad
ubbidienze draconiane. Neppure lontanamente posso ammettere che la Santa
Sede nei miei confronti mi si trasformi da casa del Padre in un organismo
tiranno. Sono consigliato dalle stesse autorità ecclesiastica praticamente a
peccare contro la giustizia e contro altre severe norme della morale; e ne ho
abbastanza. Ho le prove in mano. Con la presente chiedo alla Santità Vostra la
grazia della laicizzazione mia e di quella dei sacerdoti con me ingannati e
ridotti al fallimento. E già da tempo che la chiedo e non mi è mai concessa.
Sarà come una specie di separazione legale con gli ecclesiastici per
incomprensione reciproca, o meglio dire, perché molti confratelli ecclesiastici
la smettano di perseguitarci con tanto accanimento a rovina dei figli,
maltrattati e vilipesi; indegnamente e diabolicamente scandalizzati.

Ma queste sono cose gravi! Non hanno nessuna paura dell’inferno i


persecutori? Chi ci perseguita nella Chiesa? La borghesia clericale che di
questo passo finirà per scristianizzare tutta l’Italia e rendere sospetta la Chiesa
in tutto il mondo. Bel servizio stanno facendo gli ecclesiastici a Gesù che viene
ormai maledetto dai poveri e dagli oppressi! i tesori della Chiesa.

Provi a discutere, Santità, con i rampolli del clericalismo borghese,


molti appartenenti all’Azione Cattolica, e ne rimarrà costernato perché sono
borghesi fino alle radici del cuore. E non se ne avvede la santa Chiesa che la
borghesia è la più tremenda eresia pratica? Il borghese rinnega la paternità di
Dio sulla umanità e quindi non crede. La borghesia come l’arianesimo,
minaccia di svuotare la Chiesa dalla divinità di Cristo.

Vostra Santità non farà in tempo a vedere il collasso, ma non vorrei


essere nei panni del suo successore. Borghesia e marxismo stanno per darsi la
mano, sono la stessa cosa: l’uno è il rovescio della medaglia dell’altro. Li ho
esperimentati io in 23 anni di sacerdozio, nelle mie carni ed in quelle dei miei
figli quei tremendi e raffinati borghesi. La loro fede è una pericolosa e
micidiale superstizione. Sono addirittura sadici quando calpestano i diritti dei
poveri e degli abbandonati. E lo fanno convinti di rendere gloria a Dio, al loro
Dio. Provi Santità a condannare chiaramente la concezione borghese e vedrà
che se ne infischierebbero quasi tutti. Direbbero che il Papa non è più
infallibile. I tempi sono cambiati direbbero. Il Santo Vangelo per essi è un
simbolo ed una formidabile ed ingenua utopia. Mi sono piombati addosso
come volpi. Sapevano che non eravamo d’accordo con loro, e ci odiavano. Non
pochi tra quegli ecclesiastici borghesi sono nepotisti fino alla scandalo, avari,
politicanti ed ignoranti in sociologia più degli agrari che sono famosi per
grettezza di vedute sociali.

Che cosa propongono al popolo? Li vada a sentire in certe chiese,


Santità, e si addormenterà facilmente. Quando spiegano il vangelo sembra che
parlino dal mondo della luna. Non sono tutti così, ma purtroppo sono tanti.
Fanno pensare ai cattolici inglesi che ad un non possumus del Papa sono poi
passati quasi tutti, con l’episcopato in testa, dalla parte del re Enrico VIII. Il
male aveva corroso la radice senza che se ne fosse accorta la stessa Santa Sede.

Io chiedo alla Santità Vostra la nostra laicizzazione semplicemente


per mantenere le parole date, e con questo servo ed onoro la Chiesa. Ma sulla
ingiustizia non si costruisce niente, e l’ingiusto va all’inferno. Sono due anni
ormai che l’autorità ecclesiastica in belle e brutte maniere ci tortura come se
fossimo dei delinquenti, forse per fini altissimi, ma con mezzi illeciti. Non ne
ha il diritto. Ritornerò, rovinato, tra i rovinati, e forse solo così manterrò la
parola data alla Santità Vostra; riporterò questi in grembo alla S. Madre Chiesa
della quale ha urgente bisogno; e dei quali essa non può fare a meno, direi, per
essere la Chiesa.

Le classi medie sono incapaci di generosità, sono grette e sono più


ricche nella testa che non i ricchi nel portafoglio. Sono maltusiane, sono
banderuole in politica, sono meschine nelle iniziative e sono viziate molto più
di quanto si pensi. Non hanno midollo e rovinano il progresso segnato da Dio
nel tempo. Sono i lettori de Il Candido, dell’Oggi, dell’Europeo, de l’Epoca,
de Il Mondo ecc. Votano per la DC perché le rinsalda nella loro mentalità e
anche perché non muove niente; e ad esse va bene così. Non vanno in prigione,
non fanno neanche da testimonio per non compromettersi. Fossi caldo, fossi
freddo, ma giacché non sei né caldo né freddo ti vomito dalla mia bocca.

Bisogna orientare alle soluzioni le masse veramente oppresse. Quelle


non scherzano! Le quali per poco tempo ancora sono res nullius; ma per poco
tempo. La sola assistenza, sebbene doverosa, non le porta a Dio, bensì la
conoscenza della loro dignità e dei loro diritti per ottenere i quali devono, esse,
scendere in piazza. Non credono alla politica dei cattolici classici ed hanno
ragione. Ma temono anche quella marxista. A base della politica democristiana
c’è l’errore scientifico e religioso; tra l’altro anche l’evoluzionismo etico-
sociale.

Il problema sociale è il problema di Dio Padre. Io ho esperimentato


come hanno trattato me ed i miei figli, i cattolici classici. Sono tremendi, feroci
come i serpi e gretti come i rospi. Il vangelo li segnala come una vera e propria
calamità. Se Vostra Santità - che per la suprema carica e suprema mansione
affidataLe dallo Spirito Santo sente la Chiesa - ci volesse pensare e pregare
sopra un poco, vedrà che ho ragione e mi concederà la grazia che chiedo per
me e per i miei sacerdoti. Che cosa mi possono attribuire di male che io abbia
fatto nella mia vita da osare di perseguitarmi in così crudele e barbara maniera?
Ho fatto del bene, molto; abbracciato a Cristo Gesù all’amore alla Chiesa, e
non mi piego a quelle idiozie.

É stato il Signore a portarmi in quel bivio lì. Io dico che il Signore lo


vuole, tanto che non c’è più altra soluzione: o peccare di grave ingiustizia o
essere laicizzato, nel qual caso la giustizia, cui io personalmente sono tenuto,
sarà affrontata energicamente. Mi conserverò la veste talare ben custodita ed
amata, perché sono convinto che finita la mia nuova missione me la rimetterò
quando i rovinati come me, con me rientreranno nel tempio di Dio, vittoriosi e
santi a rinfrancare la Chiesa.

Non vaneggio, Santità, è il Signore che lo vuole. E c’è da domandarsi


purtroppo, come mai Vostra Santità abbia permesso un simile misfatto nella
Chiesa, oggi, tanto insidiata dalla borghesia e nera e rossa e verde. Non son
risentito, ma il Signore è rimasto offeso a morte. Mi prostro al bacio del sacro
piede e prego Vostra Santità di essere sollecito nel cedere anche se le costerà
una lacrima paterna. Nel cuore di Dio.

F.to Sac. Zeno Saltini

Ci hanno crocifissi spietatamente nel Suo nome


A don Vincenzo
“Voi tentate di cristianizzare il peccato sociale che nega la paternità di Dio e
quindi genera e opprime i poveri”.

1.10.1953
Caro Don Vincenzo,
ti allego alcuni documenti. Per me la cosa è chiara. Ed è tanto chiara per cui
non ci si intende più con i miei confratelli ecclesiastici, e non ci si intenderà
più trattandosi di due mondi diversi come stato di vita. Ho notato che tutti
coloro che sono venuti a Nomadelfia per fare un apostolato in favore dei
nomadelfi sono caduti o stanno per cadere, non erano di quelli, dei loro. Chi
invece aveva bisogno personalmente di quell’amore è rimasto e rimarrà ad
eccezione di quelli che sono venuti solo per ricevere senza l’esigenza di
reddite…
É logico che il mondo che non è il nostro, essendo forte e potente quando non
ci sa sopportare ci strazia e ci perseguita, perché ritiene necessario sopprimerci.
Essi ci perseguiteranno sempre anche perché noi non li lasceremo mai in
quiete. Quanto poi al sopprimerci credo che non riusciranno più.
La Santa Sede, se volesse cavarsela elegantemente, dovrebbe laicizzare i
sacerdoti di Nomadelfia. É la soluzione più ragionevole, dato l’ambiente
ecclesiastico. Ci penseremo poi noi, dalle fogne ex stercore, a ridiventare
sacerdoti delle fogne con futuri immancabili riconoscimenti dal fatto e non dai
progetti del cervello. Le ingiurie che abbiamo ricevuto si fanno sentire oggi in
noi nella loro più nauseante amarezza e realtà. Da questo è facile stabilire che
ci hanno crocifissi spietatamente nel Suo nome, illusi di rendere gloria a Dio.
Voi tentate di cristianizzare il peccato sociale che nega la paternità di Dio sugli
uomini e quindi genera e opprime i poveri (contro lo Spirito Santo). noi ci
siamo accorti che siamo vittime di quel peccato e individuiamo in coloro che
non si sono accorti di esserne vittime, dei complici (soggettivamente e
oggettivamente), ma lo sono in tanto in quanto si muovono illusi di
cristianizzare il peccato. Invece tirano su dei mostri.
Vedi? Gli apostoli non sentivano questo problema perché essi sapevano che
erano delle vittime come il Divino Maestro… Vos nobiles, nos autem ignobiles
ecc. Era il loro stato di vita l’essere vittime senza assestamento nella società.
Vedi? … non ha dove posare il capo… Non poteva averlo perché era di quelli
…formam servi accipiens…
Ecco perché mi domando insistentemente che cosa meditino i miei confratelli.
Il naufrago vede e sente, chi non è naufrago ci medita sopra anche, ma non ci
capisce niente. Se si vuole capire si deve saltare tra i naufraghi a lottare con
essi. Se la Santa Sede non riuscirà ad affogarci e a seppellirci bene, cioè
chiudendo bene la tomba, la nostra presenza provocherà un cataclisma nella
Chiesa. Potrà ripetere nei nostri confronti la storia o favola del lupo e
dell’agnello ma gli agnelli non moriranno tutti, qualcuno scapperà e si
moltiplicherà.
Che cosa è il cristianesimo? Sostanzialmente è rivestirci di Cristo, ciascuno di
noi. E Cristo andava anche a casa dei ricchi ma conti alla mano. Lasciava ad
essi il diritto di vivere, ma Si vis perfectus esse… E chi mai può essere
consigliato a non essere perfetto? A tranquillizzarsi nella imperfezione o
mediocrità? Nessuno, di meno ancora un sacerdote.
Che cosa te ne puoi fare di un sacerdote che non è nello stato di vita dei reietti?
Non ripete Cristo. Cristo era accettato in un paese ed entrava benedicente
oppure non era accettato ed andava altrove. Che lo accettassero poi gli
ortodossi o che lo accettassero i non ortodossi era per Lui indifferente, perché
praticamente erano tutti suoi figli e suoi fratelli. Ma non assumeva i loro difetti
né si faceva complice delle loro ingiustizie sociali; non cristianizzava il loro
peccato e per questo è finito sulla croce.
Chi può immaginare che cosa succederà dopo il 10 corrente? Tu sai quanto io
ami Roma ed i miei confratelli. Ma per essi non potrò mai buttare in acqua un
solo bambino. Ho lasciato correre fino adesso, ma basta a qualsiasi prezzo. Il
Vescovo lo sa: sono già sceso da cavallo e non ho tempo da perdere. Le cose
sono a questo punto preciso: Nomadelfia non esiste più. Roma l’ha sacrificata
a Cesare. Esistono i profughi senza patria; famiglie mutilate e sacerdoti senza
giurisdizione, tutti errabondi, in viaggio verso l’ignoto, maledetti da tutti,
quindi non da Dio. Tutti mesti e senza speranza. Quelli che si lasciano
abbagliare dalla concezione borghese se ne vanno. Poi li incontriamo ancora
più mesti di noi. Fingono di essere allegri, ma non è vero. Infatti hanno quasi
sempre bisogno di noi e dicono egualmente male di noi per giustificare se
stessi, e noi continuiamo ad aiutarli.
Che i laici siano costretti ad agire contro i sacerdoti perché facciano il loro
dovere è infernale addirittura. Eppure è così.
Caro don Vincenzo,
suonano delle brutte ore. Di chi la colpa? Non interessa più. Forse di
Costantino, forse di Carlo Magno, forse di Innocenzo X, forse di Giulio II,
forse mia. Chi lo può sapere? Ma non interessa più. Interessa: non amplius
peccare davanti alle vittime, al richiamo divino delle vittime. Che poi Roma
sbagli in queste cose è molto facile perché vive un costume del tutto opposto.
Chi comanda non serve più e chi è primo non è più ultimo. Evidentemente io
di Roma non ho paura perché sono al mio punto di battaglia. Gliene dico
perché non devo tacergliele per non farmi complice, cosa che sarebbe molto
grave.
Nascerà una rottura? E di quale natura? Dottrinale no. Ma una frattura di fatto
è già in atto fin dal 5/2/52.
Chi ha ragione? Certissimamente chi tira diritto ha torto. Immagina poi in
quale stato si trovi chi si fa addirittura brigante.
Mah! Anche questa giornata è passata. Scrivimi, te ne sarò grato.
Con affetto, tuo Don Zeno

Roma ha peccato gravissimamente


A don Vincenzo
“Laicizzandomi non sarò più complice della ingiustizia”.

Limbiate 4.10.1953
Caro D. Vincenzo,
ti ringrazio della tua del 29/9/53. Mi fai un vero piacere espormi degli
interrogativi.
Che l’autorità ecclesiastica abbia sbagliato su cose di fatto è controllabile. Che
poi sotto aspetti di natura di sola sua competenza abbia creduto bene fare
quanto ha fatto io non ho nulla da dire. Ma nel complesso quando il
comportamento finisce addirittura in un succedersi di reati, allora ha torto su
tutta la linea.
Se come ecclesiastico non posso difendermi, allora non so perché debba
rimanere in quello stato giuridico. Per peccare contro la morale? Ma quella la
conosco anch’io senza aspettare che me la dicano da Roma o da Carpi.
Avvilimenti? Altro che avviliti siamo noi tutti, siamo buttati come cani nelle
fogne. Non conosco bene quei sacerdoti operai e nemmeno i loro programmi.
Che Nomadelfia abbia o no un suo sacerdozio non dipende da noi, ed in questa
fase di persecuzione non interessa niente. Interessa solo ed urge essere solidali
nelle obbligazioni assunte, perché le vittime ci guardano costernate, ché di
fatto le abbiamo tradite andandocene e lasciandole cadere in mano a quei
caimani. Qui ha sbagliato Roma. E non supplet Ecclesia, perché le vittime si
vedono.
Tu dici che le vittime soffrono. No, sono cadute e cadono alla deriva, qualcuna
perde addirittura la fede. Vedi, don Vincenzo, non posso pensare al bene o alle
possibilità di domani, se oggi pecco per ottenerli. E’ assurdo. Quando saltai
nelle fiamme, veramente paurose, per cercare Fernando e per portarlo fuori da
quelle, non ho pensato che lasciavo tutti i figli pure sapendo che sarebbe stato
più facile rimanerci anch’io che uscirne. Vicino c’era un mucchio di
munizioni.
Non penso a Nomadelfia, penso ai nomadelfi e li prego di stare insieme
altrimenti sarebbe un mare di reati susseguenti in aggiunta a quelli già
consumati. Roma ha torto in questo senso, mentre potrebbe avere mille ragioni
in un altro di sua competenza, ma che non ci importa niente, oggi. Roma fa
delle chiacchiere come ha sempre fatto in simili evenienze, se vuoi guardare al
passato.
Roma ci ha buttati alla fame consapevolmente. Ha peccato gravissimamente.
Ed ora io devo precipitarmi tra le vittime, vittima, non salvatore. Ho una sola
cosa da salvare: l’anima mia. E, volendo salvare l’anima non voglio uscire
dalla Chiesa, quindi sto alla morale senza tener conto, sebbene presenti, di tutte
le altre sante e mistiche considerazioni. Oramai non è più neanche il caso di
parlare di vocazioni. Chi vede si butta nelle fiamme. Chi non vede è orbo. So
solo che un sacerdote ed un levita tirarono diritto, perché forse avranno avuto
alte mansioni da parte del tempio da compiere a Gerico. Ma Gesù li ha
condannati: qui sta tutta la legge e tutti i profeti. Chi si trova in quelle
contingenze si trova in quella sintesi… poi: a destra o a sinistra al giudizio
universale.
Non è che io creda che laicizzandomi, se mi laicizzano, di soddisfare alla
giustizia, solo almeno non sarò più complice della ingiustizia che mi viene
imposta dalla legge positiva contro la legge naturale e divina. Quindi,
l’esempio del malato che si va a prendere aria non incide. Non sono malato io,
sono malati quelli; ed io devo tuffarmi nelle fiamme per non tradire Dio in
essi.
Polemizzo con Roma solo perché è generosità anche questa, ma lo faccio
tuttavia in funzione di mitigare le ferite alle vittime. Ma quelli non capiscono
queste cose... davanti alle quali tirano diritto. Ti basti pensare che si difendono
da noi, dai nostri contrattacchi, invece di mettersi alla nostra difesa. Il figlio
che attacca il padre perché questi gli mangia in faccia!!... e il padre si mette in
difesa!!... Il figlio che cade tra i briganti ed il padre che tira diritto. Ma non si
possono commettere di questi reati, senza negare la sostanza della fede. Chi
non vede l’uomo non vede Dio.

La mia legge: naufrago tra i naufraghi


A don Vincenzo
“Sepolto vivo, parlo il linguaggio delle vittime, alle quali non interessano più
le code dei cardinali e le tiare dei papi”.

Limbiate, 5 ottobre 1953

Segreta
Caro Don Vincenzo,
ti ringrazio delle tue considerazioni o interrogativi. Visto da di fuori ti potrei
dare ragione. Ma le cose stanno su ben altra realtà.
Nomadelfia non è più: non solo di diritto ma anche di fatto. Dario mi ha detto
tempo fa: prima ci siamo auto sciolti ed ora ci autodistruggiamo. Ed è vero.
Nell’interno dei nomadelfi come comunità c’è il disorientamento. Io sono
andato per alcuni giorni a Grosseto, poi qui a Limbiate, ed ho notato che
l’enorme lotta contro di essi da parte del clero alto e basso li ha molto feriti.
Credo anche che molti tra essi stanno per perdere la Fede. Verso di me hanno
quell’affetto sufficiente per rinnegarmi come (si licet parva componere
magnis) fece Pietro in quella tragica notte nei confronti di Gesù. Scappano nel
disorientamento. I più deboli se ne sono scappati anche fisicamente.
Anch’io ho i miei lumi.
Tengo fermo ciò che è inesorabilmente fermo: la giustizia, contro tutti; anche
contro i figli. E tengo ferma la non ribellione alla Chiesa sebbene ex iustitia in
essa debba buttare anche pietre di rimando.
Ti allego alcuni documenti che devi vedere solo sotto questa luce pensando che
nulla c’è da salvare. E’ un atto di distruzione assoluta fino al consummatum
est.
E’ la profezia della Costituzione di Nomadelfia: ubbidire alla Chiesa fino alla
distruzione della città, fosse anche in un lago di sangue di martiri o di vittime,
come è avvenuto.
Ci sarà una resurrezione?
Questo non dipende da più da noi. Nomadelfia, te lo posso assicurare, non
esiste più. Finis coronat opus. Fine veramente da santi, veramente gloriosa.
Questo l’ho visto io e lo vedranno i posteri a loro immensa edificazione.
Adesso è la fase del fragore delle armi, delle flagellazioni, delle calunnie, delle
mormorazioni: Iesus autem tacebat. E quando parlava, in quelle ore,
condannava e perdonava. Poco prima allo stesso Pietro disse: Vade retro
Satana. A me non resta altro che buttarmi contro la Roma mondana nella più
affettuosa dedizione alla Roma oppressa dalla sua mondanità, dal suo mal
costume sociale, malcostume che è senz’altro peccato costante contro lo
Spirito Santo.
E se non voglio peccare contro la giustizia devo battermi contrattaccando
Roma, colpevole del misfatto. Anche la laicizzazione non sarebbe altro che un
atto di giustizia e non di esasperazione. Lo status clericalis in me ora è una
paradossale sovrastruttura perché la realtà è che mi hanno buttato a mare tra i
naufraghi. La mia vera legge è l’essere naufrago tra i naufraghi. Infatti mai più
mi presterei ad andare a predicare come ecclesiastico perché non saprei che
cosa dire. La Gerarchia mi sopporta e non mi laicizza per non creare uno
scandalo, altrimenti lo avrebbe già fatto. Teme solo che il secondo male sia poi
peggiore del primo.
Mi farai sempre un immenso favore scrivermi le tue considerazioni. Ma anche
tu per me non puoi più fare niente nel senso suesposto come la stessa Vergine
(sempre si licet parva componere magnis) per il suo Figlio, in quelle ore. Vedo
chiara la mia situazione e non la dico ai nomadelfi e nemmeno ai sacerdoti
perché è meglio che per il momento non la vedono e forse non la capirebbero
anche se gliela svelassi.
Chi si mette alle difese dei nomadelfi cade e a Roma e alla periferia; sia egli
semplice laico, sacerdote semplice e anche Vescovo o Cardinale. Lo stesso
Santo Padre non ci potrà far niente. Un mistero profondo avvolge tutta la
realtà, ma tutta, si che ciò che si vede e che si fa non è vero. E, se tu riesci,
cerca di non scandalizzarti di me perché di fatto io sono sepolto vivo e parlo il
linguaggio delle vittime, alle quali non interessano più le code dei cardinali e le
tiare dei papi, con annessi e connessi. Interessa solo la vita palpitante, tale e
quale senza cose di ornamento e di eterogeneo. Pensa alle vittime e mi potrai
almeno sopportare.
Con affetto tuo Don Zeno
P.S. Che poi io in questo status faccia anche degli sbagli, è nel mio diritto non
essendo Colui che devo imitare.

“Nella Barca di Pietro in compagnia dei topi nella stiva”.


Meditazione

Milano, 7 ottobre 1953


Servire Dio nella causa di Dio.
Ciascuno nella sua chiamata deve regolarsi sapientemente. La mia vera causa è
rendere giustizia ai nomadelfi, qualsiasi sacrificio mi potesse costare, sempre
però stando nella Barca di Pietro, sia pure in compagnia dei topi e dei gatti
nella stiva.
Non ho altro da fare per il resto della mia esistenza. Rendendo giustizia ai
nomadelfi la rendo anche a coloro cui essi appartengono agli oppressi ed agli
sfruttati nel popolo. E’ quindi la causa della giustizia sociale che Dio a me
presenta direttamente sui nomadelfi, dei quali sono realmente padre perché li
ho tratti dall’abbandono e dalla desolazione, promettendo loro formalmente di
accettarli come figli. Sono uno dei loro. Non posso tradire quella mia posizione
dell’essere sulla terra uno dei loro. Vedo chiaramente che sarebbe un suicidio
grave e peccaminoso. Mancherei a me stesso e colpirei con me i figli, a morte.
Sarebbe un vero salto nella notte di Satana, forse per non più rivedere le Stelle.
Devo dibattermi tra due mondi egualmente veri: la legge positiva e la legge
dell’estrema necessità. La prima esige un comportamento sapiente per non
essere negata, la seconda un altro per non rendere la prima conformistica,
quindi peccaminosa. Viaggio, così, sugli orli dei precipizi; e devo mettere il
piede sempre su la roccia non friabile: scivolerei chissà dove. Scivolo se voglio
io. Se non voglio non scivolo, perché solo la volontà mia può accettare il
peccato.
Servo Dio nella Sua causa; e Dio è con me; e mi sarà riconoscente come io Gli
sarò riconoscente per avermi accettato ad essergli collaboratore nel superare
questi acrobatici assalti al mondo che opprime e rende schiavo il fratello. Chi
vede quello schiavo, vede Cristo Crocifisso, e Lo ascolta.
Verrà giorno nel quale Egli mi dirà: oggi sarai con me in Paradiso. Me lo dirà
se avrò lottato fino al consummatum est.

Una curia: poco più, poco meno


A don Vincenzo
“E se non sarà comunismo, sarà borghesia, sarà fariseismo, ma di cristiano non
c’è niente”.

Rosellana, 21.10.1953
Caro Don Vincenzo,
Questi giorni di attesa del responso della Santa Sede mi trovano sereno e in un
bagno di indifferenza qualsiasi soluzione mi potesse capitare. Penso al mio
passato, ai forti sogni di tornare utile alla Causa della Chiesa quindi di Dio. Se
fossi un profeta piangerei su le rovine di una città fallita che in realtà non ha
voluto attuare il limpido piano evangelico. Nel vangelo ci sono tutti i germi di
una poderosa civiltà veramente umana e tutti i germi di una miriade di santi
che potrebbero fermentarla. Invece è una cosa meschina e puerile la realtà delle
cose, un fallimento anche scientifico nel campo sociale. Una umanità a fumetti,
meschina nelle sue realizzazioni. Sta sempre per partorire i monti, e nasce
sempre un ridicolo topo.
Il popolo non ha più ideali; i colti sono dei confusi e degli inetti, il clero è
stranamente preso da cose che non interessano la vita del popolo, non sono
lievito nella farina, le idee sono circostanziali, lo storicismo fa strage perché,
tra l’altro, distrae e occupa l’uomo moderno che non sa saltarne fuori.
In questi due anni di persecuzione ho visto e provato cose gravi, veramente
gravi. Siamo tutti omiciattoli, povera gente, intossicata, quindi incapace di
vedere i veri problemi di Dio. Dove si sboccherà? Quando penso che l’impero
romano dal 476 al 525 fu ridotto in una maceria e dispersi i suoi abitanti,
guardo a questa gente moderna e penso che potrebbe subire la stessa sorte.
Senza dubbio l’uomo comunista diventa un cretino, un atomo, un nulla. E il
borghese diventa un vuoto di ideali, un altro tipo di cretino, una meschinità, un
automa né freddo né caldo. E se va di questo passo, il cristiano diventa un
capolavoro di fariseismo. E la Chiesa? Io sono stato molto a contatto con
Roma. E’ una curia, poco più, poco meno. Macchiavelli diceva che non ha
abbastanza forza per ingenerare le riforme e ne ha a sufficienza per
neutralizzarle. Anche gli avversari vedono un poco i nostri malanni. Quella
famiglia che tanto viene esaltata è un centro malato di egoismi, una roccaforte
d’individualismo. Fondata su di un sacramento, non riconosce il fratello nato
fuori dalle sue mura. E che cosa sono le parrocchie e le diocesi? Tu lo sai.
Vedersi all’ombra dei nostri elevati campanili, i cui bronzi vibrano nell’aria
qualcosa di veramente arcano, fiorire un’erba così selvaggia, degna del più
arido dei deserti, come il comunismo, e proprio nell’anima degli sfruttati e
degli oppressi, i più cari al cuore di Dio, è uno spavento.
Ma che cosa hanno seminato i nostri padri da lasciarci una eredità così arida?
Ma che cosa ci hanno combinato? E noi continuiamo a camminare sulle loro
orme che sono senza dubbio sbagliate. Dai frutti si giudica la pianta. Orme
che non hanno nulla in comune con la limpida e serena figura del Salvatore del
mondo. E se non sarà comunismo, sarà borghesia, sarà fariseismo, ma di
cristiano non c’è niente. C’è qualche bell’anima che poi nel costume si muove
quasi sempre nel compromesso con quella gente, non taglia netto. Volete
andarvene anche voi?... Amen amen dico vobis…
Mah! Siamo a terra. A quando il rimbalzo?
Con affetto Tuo Don Zeno

La Chiesa mi scorre nel sangue


A S. EM. Card. Ottaviani
“La lotta tra due correnti: quella degli oppressi è dalla parte di Dio; l’altra è
fariseismo”.
Modena, 5 novembre 1953
Eminenza,

Ammesso che io abbia una forma mentis diversa da quella di molti miei
confratelli ecclesiastici anche tra i Padri, ammesso che io abbia, per causa della
forma mentis offeso qualcuno, la realtà è che il colpito sono stato io e che per
dire quello che è capitato a me ed ai rovinati del popolo non ci sono parole
adatte nel vocabolario, perché sarebbero tutte offensive, comunque le metta
insieme.

Fin che il vangelo scrive Beati i poveri, beati gli assetati di giustizia… si può
anche accettare come un canto al dolore; ma il brutto poi comincia quando
scrive guai a voi... serpenti, vipere, ecc. Peggio ancora quando comincia a
scrivere parabole molto offensive ed inconciliabili. Se poi vogliamo seguire il
divino Maestro nel suo modo di muoversi e di trattare la gente c’è poco da
consolarsi. Realmente sobillava le masse senza una via di uscita; perché che
cosa avrebbe dovuto fare il sinedrio? Il sinedrio era fariseo sebbene
rappresentasse la religione ufficiale e vera. E che cosa fanno poi S. Benedetto?
S. Francesco? Gregorio VII? La stessa lotta che fece Cristo nella Chiesa
ebraica essi nella Chiesa cattolica, con quella sola differenza che questa volta
la Chiesa è quella della redenzione. La lotta tra due correnti delle quali quella
degli oppressi è dalla parte di Dio; l’altra è fariseismo, cioè assestamento
mondano, che dice la verità, ma che è con il costume dalla parte dell’errore,
mentre i colpiti rimangono scandalizzati.

Perché ho chiesto la laicizzazione? Semplicemente perché nello stato clericale


non mi è più dato di soddisfare alle mie obbligazioni nate da un apostolato
incoraggiato e benedetto dai miei Padri e confratelli che poi mi hanno buttato
a mare con i figli. Se la spieghi lei, Em., che è più intelligente e più esperto di
me.

Io non sono un ribelle, sono una vittima, vittima di una ingiustizia che si
traduce anche in cifre economiche. Se io non credessi nella Chiesa avrei già
risolto il problema. Me ne sarei andato senza voltarmi indietro e senza
risentimenti. Avrei detto che la Chiesa non è di Cristo, e arrivederci. Invece la
Chiesa mi scorre nel sangue e anche laicizzato sarei due volte sacerdote, e
difenderei egualmente la Chiesa, fuori dalla quale, comunque è la perdizione.
A me, ai figli ed ai creditori capitano delle cose molto gravi.

Di chi è la colpa? Oramai è tutta della Santa Sede perché Le ho fatto mille e
mille proposte e non ha voluto ascoltarmi. Se non decide sulla laicizzazione,
ma si può sapere che cosa vuole da me e da noi? Vuole il nostro sterminio?
Non ne ha il diritto, ed ogni giorno che passa segna una nuova grave
responsabilità della Santa Sede.

Noi notiamo un atteggiamento delle questure e delle autorità, che riproviamo e


che subiamo con danni enormi. Sono già due mesi che la questura di Milano
tira avanti con chiacchiere la licenza della tipografia di Limbiate, e ivi
sospensione del lavoro. Il mio passaporto sospeso da mesi per causa della
Santa Sede. Ho perso un affare in Svizzera che non sarà certo stato per colpa
mia. Faccio tacere tutti, prometto che presto faremo il nostro dovere.

Ho persino scritto al S. Padre. Ma a chi si può rivolgere il nostro pianto per


essere ascoltati? Ammesso anche che non abbia usato le parole che ivi si
esigono, la giustizia è fatta di numeri e non di parole. Sono i numeri che non
scherzano. Ho scritto al S. Padre il cui motto è: Opus iustitiae pax. Mentre la
questura si degna di dare permessi ai comunisti, agli anarchici ecc. Perché
tratta così noi? Dicono sempre: ordini superiori. Se chiediamo: Ma da chi?
Rispondono: Mah! Siamo dunque dei perseguitati. E da chi? In famiglia. Fino
a qual punto? Questo è nelle sole mani di Dio.

É uscito in questi giorni un opuscolo di un certo Luparello, intitolato: Ha torto


o ha ragione don Zeno? É stupido dalla prima pagina fino all’ultima. Parlano
di avversari della Chiesa, illusi che io non sia del tutto con la Chiesa. E quando
parlano i cattolici, addirittura Dio sta per abbandonarlo. Oppure sono passato
alla seconda fase di Tertulliano. Somari; oppure poveracci! Ma è meno
offensivo chiamarli somari.

Le scrivo dal capezzale, sono ammalato. Credo che sia cosa da poco, deve
essere la cosiddetta influenza. Morirei volentieri, ma anche la morte si
comporta con me come la Santa Sede: sempre rimanda. Da ragazzo sognavo
che sarei poi morto da una schioppettata in piazza. Di una sola cosa credo di
poter essere certo, che se ciò avvenisse, sarei un martire della Chiesa. E se
morissi su questo capezzale concluderei: dilexi iustitiam, odiavi iniquitatem
propterea morior in exilio. E comunque morirei molto volentieri. Veramente
cupio dissolvi.

Dal 5 febbraio 1952 ad oggi ho dovuto assistere a tali e tanti delitti che la terra
mi sembra un inferno. E dove ho sbagliato? Tanto da meritarmi tanto? Di una
sola cosa può stare certissima la Santa Sede: una volta laicizzato avrò in mano
le armi più efficaci per difendere e la Chiesa e le sacre gerarchie. E ne
aggiungo una più forte e che prevedo: sarà l’Emilia a sconquassare i veri
nemici della Chiesa, perché l’Emilia è ancora una delle regioni più sane nel
costume, più calda e più esperta per la solidarietà sociale e molto laboriosa. Il
comunismo sta dilaniandola, ma non è detta l’ultima parola.

Ma V. Em., che ha così larghe vedute, non se ne è accorto che Nomadelfia si è


tuffata nell’olocausto a sola difesa degli interessi della Chiesa nel popolo? Si è
buttata come sanno buttarsi i santi contro tutti e nonostante gli stessi tradimenti
interni, le diffamazioni, gli affamamenti, i processi e le violenze del braccio
secolare. Abbiamo fatto la sola volontà di Dio, a fil di rasoio. C’è solo che
abbiamo individuati i veri nemici della Chiesa egualmente satanici neri, rossi e
verdi. Li conosciamo a fiuto. Non ce la contano. E i nostri difetti valgono per
dimostrare che qui c’è il dito di Dio. Queste cose non sono possibili ai sapienti.
I sapienti sono di ingombro al cammino della Chiesa; ma ci sono e con essi c’è
da fare i conti, sempre. Ed essi i conti li fanno a colpi di pugnale.

Come vede, Em., la ricordo sempre. Forse Le voglio molto bene.

Mi prostro ecc.

Il nemico numero uno: Scelba


A don Vincenzo
“Se la Chiesa si fosse interessata delle soluzioni sociali dei popoli e non della
politica sarebbe nel cuore dei sofferenti”.
Collegara, 7.11.1953
Caro D. Vincenzo,
Mi sento ancora poco bene. Ti ringrazio di quanto hai fatto. Io sono qui
immerso in un mare di profonde considerazioni.
Alle volte mi passa per l’anima che ho finito la mia missione e che solo devo
dedicarmi alle vittime del disastro. E lo penso perché mi pare che la Chiesa sia
vittima di terribili forze occidentali, che, come vedi, non scherzano a Trieste.
Ad un certo momento faranno così anche contro la Santa Sede. Sono maestri in
diplomazia ed in crudeltà.
Quel momento in cui le anime di spirito vedranno questa situazione, si
abbracceranno ai veri oppressi e con essi porranno i germi di tempi nuovi.
Beati gli assetati di giustizia. Gli ecclesiastici non sono con essi se non in
modo equivoco. Una volta domata la Russia, l’America non scherzerà e non
sopporterà nemmeno la potenza economica della Città del Vaticano. Tra l’altro
siamo in terra protestante. Un sacerdote americano cattolico che espresse
pubblicamente dottrine sociali antiborghesi è stato messo al manicomio dei
politici. I comunisti in America sono buttati in galera appena si muovono o
fanno anche semplici sedute, sia pure in pochi, persino in famiglie private.
A Trieste sparano spietatamente sulla popolazione. E se non ci fossero [loro] ci
sarebbero gli altri, perfettamente uguali ma meno diplomatici, quindi più rapidi
nel massacrare. Forse la libertà durerà ancora per poco tempo. Facilmente il
mondo finirà sotto il tallone anglosassone e ne avremo per molti secoli.
Ho parlato a lungo con la figlia dell’ambasciatore del Messico in Italia. É una
cattolica. Racconta cose inumane di quello che fanno gli Stati Uniti al Messico.
Dovunque essi mettono basi navali e aeree con la scusante della guerra fredda
alla Russia.
Se nel dopoguerra la Chiesa si fosse solo interessata delle soluzioni sociali dei
popoli e non della loro politica si sarebbe impostata nel cuore dei sofferenti.
Non lo ha fatto e dovremo pagare a duro prezzo. Quello che è capitato a noi
per causa del comportamento della Santa Sede, è capitato al popolo. Oltre due
milioni di famiglie, in Italia solo, sono alla rovina più nera. Quello è una specie
di elegante campo di punizione o concentramento. Puoi andare a braccetto con
i colpevoli? Fare opera di persuasione? Mah! Gesù non lo ha fatto. Ha parlato
chiaro e senza reticenze. Solo in funzione di ammortizzatore delle rivolte degli
oppressi ti accettano cappellano nelle carceri, nelle officine e nelle parrocchie.
Siamo sempre stati i loro cappellani e basta. Sono come il cobra, fin che suoni
il flauto ti guardano e godono, ma appena cessi di suonare o li tocchi ti
ammazzano.
Da Costantino in poi stiamo facendo questo duro servizio al nemico del
popolo. Passano per l’anima mia queste gravi considerazioni e vedo che
incidono su quanto è capitato a me ed ai miei figli. Nomadelfia non serviva al
gioco e la Santa Sede non ha potuto difenderla. É evidente dalla frase di Mons.
Ottaviani dopo pochi giorni dal decreto. Ci è stato imposto dal di fuori del S.
Ufficio. É chiaro: il braccio secolare. Infatti Castellano: Il vostro nemico
numero uno Scelba. - Le frecce gli hanno fatto male, sempre Castellano [il
voto era stato annullato con il simbolo di tre frecce convergenti]. L’episcopato
italiano in gran parte a suo doloroso incomodo ha dovuto piegarsi sotto il
tallone del potere secolare e rinunciare a dare giudizi sul cattivo governo della
Democrazia Cristiana, che adesso deve fare i conti a Trieste, contro gli
anglosassoni.
Che situazione tremenda. Ringrazio il Signore che ho potuto publicare in
tempo Non siamo d’accordo. Servirà alla Chiesa al momento giusto.
Basterebbero anche le sole due pagine 32-33. Rileggile serenamente e ti
diranno la grave realtà.
Con affetto, tuo Don Zeno

Qui fu Castro
A S. Em. Card. Ottaviani, S. Ufficio
Nella morsa tra due amori: la Santa Sede e i figli.
9 novembre 1953
Eminenza,

Allego copia conforme di una lettera che ho scritto oggi stesso al S. Padre.
Timeo Dominum transeuntem. Si vede che di buona volontà e di pazienza il
Signore me ne ha donato un mare immenso. Ho preso botte inumane, ho avuto
la fredda e lacrimante forza di assistere ad una vera e propria ecatombe, cioè
alla Castro del secolo XX; ho agito immorsato tra due amori: la Santa Sede ed i
figli egualmente cari al mio cuore di rovinato sacerdote. Che tragedia! Quello
che è noto alla superficie è la punta esile di un enorme dolore vivente ancora
nel segreto dei cuori. Ma oramai si presenta la fine di questa fase di
persecuzione e di paradossali incomprensioni.

La strage è consumata, mentre i più resistenti nell’amore fraterno hanno


emigrato e si sono stabiliti su nuove terre. A Fossoli è la desolazione e lo
scompiglio. Ritornerà il Campo di concentramento. Ivi si può mettere una
colonna di marmo con la famigerata scritta: Qui fu Castro [rasa al suolo nel
1649 per ordine del Papa per vendicare l’uccisione del vescovo].

Mi riceverà il S. Padre? Solo con il S. Padre, fosse presente anche Lei, Em., si
può rimediare tutto, perché molto, forse per pochi giorni è ancora nelle mani
mie. Purtroppo non è una minaccia, Em., è una cosa che avanza inesorabile.
Tuttavia, con la presente, chiedo una udienza confidenziale a V. Em.

Don Marchi si interessa per darmene notizia. Ho anche molto desiderio di


vederLa, Em., indipendentemente da tutti questi intrighi, e sublimi pasticci
come li chiamò Padre Gemelli. Comunque, preghiamo, cosa che tra l’altro,
costa anche poco incomodo alla cassaforte, e può dare ciò che la cassaforte non
saprebbe dare. Sempre, salva la giustizia, intendiamoci.

Mi prostro ecc.

PS. Sono nove mesi che non La vedo, Em. Sono stato bravo.

Un abuso di autorità
Al papa Pio XII
“Mettersi alla difesa dei rovinati non vuol dire favorire i comunisti”.
9 novembre 1953

Beatissimo Padre,

S. E. Mons. Vescovo mi ha assicurato a suo tempo che la Suprema


Congregazione gli aveva notificato che entro il mese di ottobre avrebbe
esaminata la domanda di laicizzazione. Ottobre è passato da nove giorni. Se
non ci mette mano la Santità Vostra la questione di Nomadelfia è talmente
intricata per cui non si arriva più ad una conclusione ragionevole, non per
cattiva volontà degli organi competenti, ma, secondo me, ad essi manca forse
quella Autorità Sovrana che si esige in un caso così nuovo e così grave. Forse
si tratta di un fatto de iure condendo.

Con il decreto del S. Ufficio del 5 febbraio1952 noi sacerdoti di Nomadelfia


siamo stati privati dell’esercizio del ministero pastorale nella Città. Questo è
nel diritto della autorità ecclesiastica, e per questo abbiamo obbedito.
Rimanevano scoperti tutti i rapporti tra noi ed i nomadelfi, che praticamente
non sono stati affrontati, donde il collasso e le conseguenti ingiustizie, violenze
e rovine che abbiamo dovuto subire. Sono nate così gravi responsabilità che si
devono attribuire in gran parte alla Santa Sede e al governo. L’Ordine dei Servi
di Maria proibì ai sette religiosi corresponsabili di stare in rapporti con me e
con gli altri appartenenti alla ex Città di Nomadelfia. E ogni volta che si sono
interessati di noi per fare il loro preciso dovere sono stati severamente puniti.

Il dovere di noi sacerdoti sarebbe stato quello di non accettare le severe


disposizioni della autorità ecclesiastica e scendere per così dire, decisamente
da cavallo per difendere e soccorrere le vittime e per resistere contro le
vigliacche e feroci violenze del governo che su di noi agiva contro legge e
contro natura. É facile dimostrare con ampio memoriale - memoriale che noi
possiamo produrre con documenti scritti, con fotografie, persino con un
discreto patrimonio filmistico e con fili di magnetofono - che quanto ha fatto
contro di noi tanto la Santa Sede quanto il governo, salvi quei diritti di cui
sopra, si è risolto in fatti di indiscussa immoralità.

E perché non ci siamo ribellati? Non ci siamo ribellati semplicemente per un


grande amore alla Autorità ecclesiastica, confidando che avrebbe finito per
ravvedersi e per riparare a tanti mali arrecati. La Santa Sede è la casa del Padre
Nostro Comune e ha mezzi per rimediare a ciò che ha avuto conseguenze
economiche. Il governo rappresenta il popolo; e se non rimedia il governo,
dovrà rimediare o riparare questo disgraziato popolo che lascia sempre
vigliaccamente ferire così barbaramente i suoi figli più rovinati per causa della
ingiustizia sociale, della quale è connivente.

Giuridicamente a che cosa siamo stati ridotti noi sacerdoti di Nomadelfia nei
confronti dei laici? A dei traditori, in tanto in quanto abbiamo abbandonato di
fatto i laici alla deriva, la più umiliante e la più paurosa. Esistono
eloquentissime documentazioni. E perché? per ubbidire ad ordini dell’Autorità
ecclesiastica. Vede, Santità, la diplomazia anche Vaticana ha le gambe corte
come la bugia. Può mai darsi che il Signore si assoggetti a simili incoerenze e a
così evidenti ingiurie alle anime a lesione dei loro più elementari diritti alla
vita? Bisogna che la Santa Sede si persuada che contro Nomadelfia ha perso la
partita, grazie a Dio. Ed ha perso perché non l’ha saputa valorizzare
lasciandola così andare nella legge della estrema necessità.

La Suprema Congregazione è testimone di tutti i miei sforzi per evitare


esplosioni disonoranti la Santa Sede. Noi ne siamo rimasti addirittura
costernati, e se non siamo ancora esplosi in una azione difensiva a fondo, è
solo perché c’è di mezzo la Santa Sede. Come ecclesiastici noi sacerdoti di
Nomadelfia siamo dei falliti, almeno nel giudizio della Santa Sede. E abbiamo
mille e mille motivi per insistere sulla nostra laicizzazione, tra i quali anche
questo. E siamo sconfitti perché nei rapporti con la Città di Nomadelfia è
rimasto sconfitto in noi il clero, che dopo di averla in noi generata, l’ha
vilipesa spietatamente.

Io incontro dei creditori bisognosi che mi chiedono: Quand’è che cominciate a


pagare? Se la Santità Vostra volesse benignarsi di ricevermi in udienza, forse
aggiustiamo tutto con molta semplicità. Ma attraverso gli organismi della Santa
Sede si è già visto che non si combinano che dei guai.

Ci voleva poco a capire che Nomadelfia era una cosa di Dio e che contro Dio
non si può andare per considerazioni di carattere circostanziale. Si doveva
anche capire che Dio non si ripete mai nelle sue opere e che per questo la Santa
Sede non è autorizzata a pianificarle come fa la Russia. E come si è difeso il
Signore dalle invadenze della Santa Sede? Facendola cadere in fallo, così i
nostri torti circostanziali sono finiti nel nulla, mentre è rimasto evidente ed
eloquente che la Santa Sede ha commesso un abuso di autorità e Nomadelfia è
vittima innocente. Andare poi a dire che i sacerdoti di Nomadelfia non avevano
la pietà è da settari. Avevano la loro pietà, che vivevano in armonia alle leggi
canoniche, e che si confaceva alla vita della città, che esigeva di ridurre tutto
alle sole leggi, perché fosse accettabile da tutti con disinvoltura, come precisa
volontà di Dio e non come superstruttura che non si poteva imporre nemmeno
indirettamente.

Vostra Santità non potrà mai immaginare quanto male abbia fatto a quelle
anime quel periodo di un parroco imposto dal S. Ufficio, che insisteva per
pratiche di pietà in modo urtante e sconcertante e, in definitiva, del tutto fuori
luogo; mentre insidiosamente voleva portare la popolazione sui piani della
concezione borghese. Tra noi e quei sacerdoti era sorta la stessa lite che
dovette sostenere S. Paolo contro S. Pietro. Identica, sebbene su cose diverse,
ma dello stesso spirito. Anche questo è stato un vero e proprio reato contro la
libertà degli spiriti. Noi volevamo si stesse alle leggi fondamentali per causa
della natura della città. Fino a quel punto si è arrivati, senza rispetto e con
inusitata, malcelata e micidiale prepotenza. Tutto in buona fede? E sia.

E in politica? Volerci imporre una politica ingiusta ed opprimente fino al


sadismo? La morale la conosciamo anche noi. Se noi, con non meno di un
quarto di soli italiani, siamo trattati come cani, che cerca da noi quella gente?
Noi stiamo ai fatti e non alle chiacchiere. E solo perché abbiamo accennato a
voler far valere i nostri diritti e a non piegarci, quindi, ai loro inumani voleri,
ha visto, Santità, come ci hanno trattati? Se il direttore di una banca non mi
volesse pagare un assegno regolare e volesse che io lo apprezzassi perché è
cattolico, io gli direi ugualmente del farabutto.

Noi praticamente non abbiamo il diritto di cittadinanza in Italia e nel mondo,


siamo degli schiavi, e la nostra presenza, per la stessa legge della estrema
necessità, annulla il diritto di proprietà privato e pubblico, e lo condanna come
un furto, essendo nei nostri confronti un immorale privilegio ed una evidente
sottrazione. Questa è la morale. Questo è il reato di coloro che l’episcopato
italiano imponeva che si rieleggessero sotto pena di peccato. E che cosa fanno
ora? Continuano il loro peccato sociale, come se niente fosse, peggio che
prima. Sono dei borghesi nella testa, nel portafoglio e nel cuore, fatte le dovute
eccezioni di deboli e di conniventi, oppressi e sfruttati come noi, ma operanti
in tal modo contro di noi, quindi traditori.

Calpestare noi è calpestare la Chiesa. Ma se il loro costume sociale non è


cattolico, essendo amorale, perché si vuole insistere a dire che come politici
sono cattolici, persino su L’Osservatore Romano? Ma sono al potere; ma
devono esercitare quel potere che è da Dio e non dal diavolo; ma devono farsi
martoriare piuttosto che peccare in quella maniera. E dove va a finire la morale
cattolica? La fede? Hanno toccato Nomadelfia ed hanno finalmente toccato
male. Vedrà, Santità.

Non sarà mai detto che mettersi alla difesa dei rovinati voglia dire favorire i
comunisti. Ma questo è un pretesto satanico, pretesto furbo e stupido come
satana. Come avrà notato, Santità, hanno toccato male, perché il Signore tiene
sodo. L’innocenza colpita questa volta chiama al redde rationem. Spero che
Vostra Santità non voglia prendere troppo sul serio il movimento del Mondo
Nuovo [Proposta di riforma della Chiesa di P. Lombardi , tanto apprezzata da
Pacelli, da lanciarla ufficialmente il 10/2/1952. Cf Zizola, 274]. In campo
sociale ha tutte le caratteristiche di essere un nuovo mondo di vecchie
chiacchiere. Campa cavallo. É un eroico simbolismo, socialmente parlando.
Bisogna saper dire di no decisamente agli oppressori ed agli sfruttatori, come
la fanciulla pura dice di no allo stupratore anche se fosse suo fratello, cadesse il
mondo. E la Chiesa tra le masse plaudenti la innalza alla gloria degli altari
[riferimento a S. Maria Goretti canonizzata nel 1950].

La legge di Dio è fatta così in tutti i campi. Io chiedo la laicizzazione ed insisto


perché non voglio continuare a tradire i miei creditori, i figli e gli oppressi,
essendo personalmente coinvolto da fatti oramai inequivoci. Se non fossi
personalmente coinvolto, continuerei a lottare come ecclesiastico sui soli binari
della disciplina ecclesiastica riguardante il clero. I sacerdoti con me
responsabili devono essere laicizzati se non si vuole che manchino alla dovuta
giustizia. Ci sarebbe un’altra soluzione, ma la Santa Sede preferisce l’ingiuria
contro di noi. E se non si fa presto, i laici ci chiameranno in giudizio e così
sarebbero scoperte le carte in tavola. Della loro pazienza abbiamo abusato fino
alla crudeltà, noi ecclesiastici. E forse che io sarò così ingenuo da farmi
chiamare in giudizio dai figli? Neppure il Papa avrebbe diritto di impormi una
simile infamia. Nemmeno Dio, naturalmente, lo vorrebbe, perché Dio non può
essere in contraddizione con se stesso. Per questo li ho vivamente pregati di
attendere e pazientare a loro danno incommensurabile. Ma non c’è più tempo
da perdere. E Dio ci condurrà per mano sulle vie della sua giustizia. Di questo
non possiamo dubitare.

Una volta laicizzati saremo molto più cauti di quanto si possa prevedere, ma
doneremo la nostra vita per rendere testimonianza agli offesi ed ai calpestati
che non li abbiamo traditi. Se la Santità Vostra vuole degnarsi di ricevermi,
credo che facilmente tutto sarebbe sistemato ragionevolmente e sapientemente,
divinamente addirittura.

Oramai i nodi sono giunti al pettine. Comunque sia fatta la sola volontà di Dio.
Secondo me, rimandare una così grave e così urgente soluzione è un pugnalare
Dio alla schiena. E purtroppo temo di non esagerare, perché lo deduco dai reati
che ne conseguono ogni giorno, sempre più odiosi, sempre più pericolosi.

Mi prostro al bacio del S. Piede dev.mo della Santità Vostra.


PS. Mi riceva, Santità, mi riceva. Le sono un figlio devotissimo senza la
minima sfumatura di risentimento. Mi riceva presto perché oramai la scure,
indipendentemente dalla mia volontà, è alla radice. Noi siamo la tromba di una
terribile macchina in movimento. Terribile come terribile è sempre la vittima
che, quando Dio la muove, sconquassa i cardini del mondo intero. Quante volte
un piccolo fatto ha provocato dei cataclismi addirittura! Io non minaccio
niente. Ma Dio che cosa farà? E Dio non si ripete mai nelle sue opere, sempre
misterioso è il suo cammino. Seguitemi e vedrete; e così di sorpresa in
sorpresa, ci trascina al Calvario. E noi stiamo sempre bisticciando tra noi come
facevano gli apostoli mentre malamente lo seguivano. Mah! Santità, allego
copia di alcuni appunti o cenni rivoluzionari tratti da un immenso patrimonio
di scritti, di documenti desunti da congressi popolari tenuti prima della guerra,
durante la guerra, nel 1945, nel 1951 e, sempre in qualche adunanza, anche
dopo. Se la Santità Vostra potrà e vorrà dedicare alcune delle sue preziosissime
ore per scorrerli, forse non lo farà invano. A chi promuove di queste cose, il
minimo che gli può capitare è una schioppettata, perché solo il popolo lo può
capire. Ma poi il popolo, se i padroni si armano, scappa facilmente ed egli si
deve necessariamente prendere la schioppettata. Ben meritata e feconda di
redenzione. Ma è la vera terza forza che si incunea tra i due mondi che
ingannano egualmente il popolo. Io avevo promesso sulle piazze al popolo di
condurlo a quelle conclusioni, ma per ben due volte l’autorità ecclesiastica mi
ha fermato - 1946 e 1952. E così anche in questa cosa promessa, ho tradito il
popolo. Ci pensi, Santità, e vedrà che ho ragione. Far questo è urgente perché
solo su quelle basi la società umana diventa il buon terreno al seminatore
evangelico, che potrà finalmente e tranquillamente buttare il seme. Altrimenti
lo butta sempre sul sentiero, nelle siepi e sui sassi, fino a far pensare al non
buttate le perle ai porci. Ci pensi, Santità, ci mediti sopra e non creda a tutte le
chiacchiere che si fanno sul mio conto. Se dicono che non sono un santo hanno
ragione. Cercherò di diventarlo. Ma che c’entra? Ma se dicono che ho torto, la
sbagliano. Avrò dei torti. E chi non ne ha? E che diritto hanno per prendermi
per la gola come fanno? Quella è tirannia.

La grazia della laicizzazione


Al papa Pio XII
“Chiedo la grazia di una laicizzazione provvisoria”.

Richiesta di laicizzazione
Roma, 15 novembre 1953
Beatissimo Padre,
Ieri l’Em. Signor card. Alfredo Ottaviani mi ha concessa una paterna udienza
durante la quale io sono giunto a fissare la mia richiesta di laicizzazione nei
termini seguenti:
1- per soddisfare alle mie esigenze con le obbligazioni nate dal fatto
Nomadelfia dovrò dedicarmi a chissà quante iniziative di carattere
commerciale ed industriale dalle quali trarre i mezzi e con le quali offrire
lavoro ai colpiti per metterci tutti in condizioni sufficienti da far fronte alle
suddette obbligazioni. Tutto questo coinvolgerebbe il clero in nuove
responsabilità almeno morali qualora lo facessi nello stato clericale. Tale
stato non mi consentirebbe la più assoluta garanzia di libertà che si esige
al fine di assumere impegni nei confronti dei terzi anche perché questi non
accetterebbero di operare con me sapendo che almeno moralmente non
potrei impegnarmi essendo in contrasto con le leggi canoniche. Io penso,
come dissi a S. Em., di potermela cavare in tre anni, ma è chiaro che non
posso impegnarmi, quanto al termine. Lo tengo come un dato probabile.
2- Chiedo quindi la grazia di una laicizzazione provvisoria che a sola mia
richiesta potesse cessare qualora l’autorità ecclesiastica competente mi
ritenesse degno di riprendere l’esercizio del sacerdozio.
3- Durante il periodo di laicizzazione io dovrei essere libero alla pari di
qualsiasi laico, senza nessuna riserva all’infuori dell’obbligo del celibato.
4- Con il presente atto prego vivamente la Suprema Congregazione di
decidere in merito nel tempo più breve possibile per gravissime ragioni di
carattere economico e per arrestare imminenti e facili esplosioni pubbliche
che mi potrebbero creare i creditori ed i colpiti dalle sventure dovute ai
recenti eventi in parte noti alla Suprema Congregazione.
Mi prostro al bacio del S. Piede. Figlio dev.mo della Santità Vostra.

Il costume sociale della S. Sede e della DC è pagano


Al Card. Ottaviani, S. Ufficio

“Cosa chiedo alla Santa Sede? Di non amplius peccare”.


Roma, 16 novembre, 1953

Eminenza,

Perdoni se la disturbo sempre e se approfitto della sua tanto edificante bontà


che mi ha sempre donata. Vede, Em., che cosa chiedo alla Santa Sede? Chiedo
di non amplius peccare contro gli inflessibili impegni della morale che mi
costringono a scendere da cavallo. Niente altro. Un atto di dovuta giustizia
personale. Chiedo che i miei padri legalizzino ufficialmente, a tranquillità delle
anime, quell’atto dovuto. Un dovere che sarebbe di qualsiasi uomo
indipendentemente dal suo stato personale di vita. Infatti, i laici nomadelfi che
non erano legati al mio stato, si sono stretti tra loro per soddisfare a quel
dovuto atto di giustizia personale nei confronti dei terzi danneggiati o
comunque bisognosi del loro aiuto promesso in precedenza. Tutto qui. I
nomadelfi, a differenza anche dei tanto discussi preti operai della Francia, non
si sono mai associati, e quando furono invitati dal comitato comunista della
pace si sono presentati dichiarando che essi non sono per una pace comunista e
che collaborano solo a patto di creare un nuovo comitato del tutto sinceramente
apartitico. Infatti a Fossoli si fece un secondo comitato del tutto indipendente
dalla iniziativa comunista, cui parteciparono tutte le correnti, ed in esso i
comunisti nulla poterono fare.

I nomadelfi mai presero parte a sindacati anche democristiani perché non ne


condividevano il costume sociale. La nostra affermazione era molto semplice:
noi siamo cattolici e non condivideremo mai qualsiasi costume sociale e
partitico che sia errato contro la morale cattolica. Compromessi non ne
facciamo con nessuno. Piuttosto ci lasciamo perseguitare e sterminare. Ed è
quello che abbiamo fatto prima con il regime fascista, poi con il caos seguito
che non si sa che cosa sia e che o che cosa cerchi. Per noi l’attuale costume
sociale e politico di qua e di là della cortina di ferro è la barbarie, l’uomo
animale, l’uomo animale come costume imposto dalle stesse leggi;
animalesche anche le leggi.

La nostra proposta sociale non è un compromesso con il mondo e la animalità.


Ci vada a fondo e vedrà che è la base della fede cattolica perché svelle
qualsiasi altra concezione religiosa. É la morale cattolica che si impone anche
ai non cattolici senza naturalmente pretendere un atto di fede teologica, che
sarebbe una tirannia pretendere e nello stesso tempo sarebbe anti cattolica. É la
vera egemonia della Chiesa nel mondo, il quale non potrà mai realizzarsi su
quel piano senza invocare la Chiesa come fermento necessario, ma non più
come instrumentum regni. Non lo potrebbe fare senza la Chiesa: Sine me nihil
potestis facere, costretto inesorabilmente a liberarsi delle altre concezioni
religiose essendo esse alla base tutte amorali, obbiective.

Il costume sociale della Santa Sede è pagano, o protestante, quello dei


protestanti nepotisti e borghesi è pagano, quello della Democrazia Cristiana è
pagano. E lo strano è che mentre la gerarchia è sollecita a condannare anche le
sfumature di evidenti errori contro certe verità della fede, di fronte a questa
eresia rimane impotente. E ancora più strano è che c’è da pensare che se la
Santa Sede volesse fare un deciso e sano cambiamento di rotta la periferia non
la seguirebbe, non perché non lo volesse, ma perché cadrebbe nella confusione
delle idee e non saprebbe cambiare costume sociale. Di questo può esserne
certissimo.

Secondo me dovrebbe farlo lo stesso essendo quel costume obiettivamente del


tutto peccaminoso mortalmente e anche contro lo Spirito Santo. Se la Santa
Sede non si fosse imbarazzata apertamente di Nomadelfia avrebbe fatto un
affarone di Dio. Il ragionamento che faceva quell’Ecce.mo vescovo
dell’Australia, da un punto di vista dottrinale è del tutto sbagliato, di fatto è
giustificabile. Dato il peccato sociale anche dei cattolici australiani sono
necessari i pionieri, aspiranti tuttavia alla sistemazione sociale peccaminosa, e
qui sta l’errore anche di questi.

Mai nei secoli la Santa Sede e la gerarchia sono state messe a così dura prova.
Condannando l’errore sociale condannerebbero se stesse in un mare di guai. E
perché di fatto la Chiesa si è ridotta a mortificare l’eroico sforzo dei Preti
operai [cf Zizola, 332]? Perché essi nel loro divino sforzo di arrivare a mettere
il dito sulla ferita si sono trovati in una società del tutto pagana sia nella
corrente comunista, sia in quella cattolica, e sono rimasti degli avulsi e vittime
di una santa ingenuità. E qui la gerarchia ha segnato un altro mostruoso
fallimento. Io compiango quei poveri sacerdoti colpiti fatalmente da un vero e
proprio fallimento che per causa dell’errore sociale nei cattolici sono caduti in
una simile illusione. Praticamente sono oramai ridotti a cappellani del lavoro.
Che lavorino poi o che non lavorino è del tutto indifferente. Erano e sono degli
avulsi comunque. Io ebbi occasione di parlare nel 1949 a Londra con uno di
essi e gli dissi: per parte mia credo che voi non mutate niente, perché il
problema è un altro. Lavorare manualmente può far bene anche per la
formazione della personalità, ma è un fatto di contingenza. Il popolo da noi
aspetta ben altro, aspetta che siamo anche come costume sociale dei veri
ripetitori della divina persona di Cristo. Solo di questo ha bisogno. Io penso
che l’autorità ecclesiastica ha avuto ragione a fare quello che ha fatto dei preti
operai. Ma che cosa ha fatto? Li ha dichiarati impotenti della sua stessa
impotenza a penetrare le masse, essendo Essa stessa di fatto impotente su
l’errore sociale come evidente costume. Su per giù deve essere così. Che
desolazione!

Ma lei che è cardinale si faccia ben valere in questo santo dovere di dare un
colpo di scure alla radice del male. Di fatto siamo neutralizzati da voi.

Mi prostro ecc.
Né io, né lei, né il S. Padre...

Don Zeno racconta:


“Diversi figli tornano alla malavita. Ottaviani mi riceve. Dico: “Ieri sera m’è
successo un caso strano. Arrivo a Roma a mezzanotte e in pizzeria mi vedo
entrare una ragazza tutta pitturata, con un uomo. Una delle nostre figlie. Cosa
fai qua? - Ho trovato questo che mi mantiene, faccio quello che vuole...
Neanche a farlo apposta...
Io ho il dovere di dirle che, se non trovo come rimediare, non posso celebrare
la messa, perché sono in peccato. La morale me l’avete insegnata voi. Adesso
lo sa anche lei ed è corresponsabile. Fra pochi minuti lei parla con il Papa ed è
responsabile anche lui. Se non ho in mano il documento di laicizzazione, né io,
né lei, né il S. Padre possiamo celebrare. E non è un peccato che, una volta
confessato, c’è il perdono. Se non si rimedia, il perdono non c’è.
Io mi tengo la responsabilità che ho assunto quando ho preso il primo ragazzo.
Non siete stati voi a prenderli... e adesso chiedo la laicizzazione per salvarli.
Tanto, se sono sacerdote, lo sono lo stesso”.
Ottaviani:
- A don Zeno il sacerdozio gli scorre nel sangue, è assurdo che si laicizzi.
- Se mi scorre nel sangue è finita la questione.
- Ma cosa dirà l’opinione pubblica?
Faccio il gesto di sputare sul bel tappeto rosso.
- Se Cristo avesse avuto timore della opinione pubblica non sarebbe andato
sul patibolo degli schiavi.
- Vada a Carpi che ci sarà il decreto.
E, abbracciandomi, aggiunge
- Per la Chiesa è una pagina oscura.

Ed è stata l’ultima Messa

Il Vescovo, imbarazzato, dice:


- Ah, don Zeno ho qui un decreto... quanto mi dispiace!
- Dispiace anche a me.
- Non c’era proprio altra soluzione?
- Guardi. Fino a stamattina ho celebrato e, come atto di fede, ho sacrificato
Cristo. Ma questa mattina ho sacrificato Cristo e la mia persona. Ed è stata
l’ultima messa.
(30.11.1953, DZR 280ss).

I figli riposano sul mio ritorno


Meditazione

Limbiate, notte 2-3 dicembre 1953


“Sul mio letto una veste talare ed un manto nero. Li ho di fronte e li guardo. Li
ho immolati: per questi miei figli che riposano lieti, sapendomi ritornato tra
loro, padre, e in eterno sacerdote. Mi avevano perduto e mi hanno ritrovato. E
sanno che la Chiesa, attraverso quell’olocausto, mi ha ridonato ad essi. Ho
fatto la volontà del Padre. Come ha fatto Colui del quale sono sacerdote e
fratello.
Sono stanco. Ho consumato uno di quegli atti che neppure una fibra di questo
mio povero corpo ha risparmiato al dolore ed alla riconoscenza; dolorosa anche
questa. Riconoscenza viva, come viva è la linfa che stilla a gocce dal tralcio
ferito in primavera dal potatore che l’ama.
Sono stanco. Domattina, quale sarà delle mie figlie che, io assente, entrerà in
questa stanza e che, avvolta da un mistero profondo, coglierà la veste talare ed
il manto posati sul letto per portarli nel suo armadio come reliquie viventi?
Sono figli di un amore che non è dalla carne, che non è nemmeno dalla volontà
degli uomini. Il loro padre sono io. Ed essi lo sanno. Mi amano ed io li amo.
Quelle due viventi reliquie racconteranno loro l’Amore.
Non commentano questi eventi grandi, li sanno rispettare, solo li vivono come
me e con me. Per questo sono nati da me, non dalla carne, non dalla volontà
degli uomini, ma dal mio sacerdozio, quindi da Dio. Lo sanno, mi amano ed io
li amo.
Mi attendevano con la notizia. Mi hanno preparato una stanza riscaldata, mi
sono corsi tutti attorno, ho dato loro la notizia. Adesso riposano. Che cose
belle! Ho dato tutto ad essi: 23 anni di sacerdozio. Quando, in duomo a Carpi,
salivo l’altare per la prima volta avevo trent’anni. Già la brughiera si illumina
dell’alba di questo nuovo giorno ed i figli riposano sul mio ritorno.
Sono stanco, tanto stanco; ma il nuovo giorno mi attende. Ho 53 anni”.

Riflessione

Don Zeno scrive a Mons. Crovini del S. Ufficio: “Non creda sia stata la
questione finanziaria a determinare la tragedia, ma la famiglia il cui amore ha
sfondato i bastioni della famiglia pagana elevata a dignità di sacramento, ma
incapace di estendere la gioia della convivenza fraterna ad altre creature
sventurate” (25.8.1952).

Don Zeno accoglie i figli di nessuno, ma mira alla radice del male: la famiglia
individualista, la società egoistica, il vincolo del sangue.
A cavallo tra 800 e 900, preti e suore si prodigano in opere di bene (1). Nascono
come funghi orfanotrofi, istituti, buoni samaritani, che accolgono i “poverini”.
Innumerevoli fondatrici si dedicano ai malati, orfani, ragazze madri, figli dei
carcerati, prostitute, vedove, anziani (2). Anche i ricchi, attratti da tanto
esempio, gareggiano in generosità. Ogni parrocchia ha il suo benefattore con
tanto di targa sull’opera finanziata. Tutto per amore di Dio, per la sua maggior
gloria.

Zeno inizia la sua carriera con una scuola di arti e mestieri (1925) per i piccoli
delinquenti. Fallito l’esperimento, è ospite di Don Calabria, un campione della
carità, nella “Casa dei buoni fanciulli” di Verona. E proprio lì giura: “Non farò
mai un istituto. Non basta dargli ciò di cui ha bisogno il corpo. E il resto?”.
Immergendo mani e cuore nelle lacrime delle vittime (un nuovo battesimo), si
rende conto che assistente/assistito, benefattore/beneficato, superiore/suddito,
sono due razze umane agli antipodi: una sopra per dare, l’altra sotto per
ricevere. Generosità da una parte, umiliazione dall’altra. Si sa cosa prova chi dà:
soddisfazione , gratificazione, autostima. Zeno vuole scoprire cosa prova chi
riceve.

L’istituto è dignitoso, pulito, ordinato. Ma manca il calore della famiglia. I


ragazzini, al buio, sotto le coperte, piangono. La sera, quando le assistenti se ne
vanno, tirano i sassi. Vogliono un rapporto d’amore, non di compassione:
“Poverini!”. L’amore non può essere a ore, né si compra né si vende. E’
possibile solo tra persone sullo stesso piano, implica un rapporto “alla pari”.

Nel ’31 un parroco lo invita per le missioni ai fanciulli. Gli segnalano un


orfanello. Lo fa vestire bene e il parroco si complimenta: “Che bel bambino il
suo nipote!”. Quando scopre la verità sbotta: “Lo sa, lei, che può essere figlio
del peccato?”. “Non si è mai sentito dire che il diavolo sia capace di fare figli!”.

Nel ’37 la canonica scoppia di abbandonati. Delle suore gli danno una mano.
“Mi regalano una gallina. A cena trovo i ragazzi alle prese con le zampe e le ali.
In cucina sorprendo le religiose in azione sulle cosce e il petto. Quale madre
non dà il meglio ai figli? Le rispedisco in convento. Per loro prima di tutto viene
la regola. La sera si ritirano e loro restano soli quando si acuisce il bisogno della
tenerezza materna. Mensa appartata, vincolate alle pratiche di pietà, un tenore di
vita senza calore familiare”. “Il clero non capisce l’ora e l’indole dei tempi.
Perché non lo ama non ne vuole sapere di discendere al popolo; perché, di
spirito, è un signorotto, un gerarca, non un padre. Anche le suore hanno questa
mentalità. La troppa preghiera le ha rovinate. Il ripetere atti d’amore spirituale,
non attuati, quindi astratti, ha sdoppiato la loro anima. Vogliamo curare le
anime divise dal corpo. Perciò passa un sacerdote e tira dritto, passa un levita e
fa altrettanto, passa Gesù e va in croce. Da questo punto di vista i crocifissori di
Gesù nel popolo sono i suoi ministri e le suore. In gran parte è una spiritualità
evanescente. Quando va male i primi a sentirne gli effetti, anche nel fisico,
dobbiamo essere noi, non i fanciulli, né il popolo” (7.2.1938).

Sulla via del cimitero, che tragedia sentire i commenti delle donne! “Quando
muore la mamma sarebbe meglio mettere i figli nella bara con lei”. Predicando
nelle osterie, nelle piazze, fisarmonica a tracolla, offre figli a tutte quante: “Te,
forte e robusta come sei, vieni con me, ti do 8/10 figli, già belle fatti”. Per
vincere diffidenze e perplessità, racconta: “Da ragazzo noto in cortile due gatte
con i piccoli. Una muore. L’altra prende gli orfanelli, li porta nel suo nido e li
allatta tutti quanti. Foste delle gatte, almeno! Perché amate soltanto i vostri
figli? Non sono tutti di Dio, tutti uguali? Anche gli animali mettono al mondo i
piccoli. Che differenza c’è tra la maternità/paternità animale e quella umana?
Guardiamo i frutti: chi porta in collegio i figli irrequieti e al ricovero i genitori
anziani? Dove è andato a finire il tanto decantato affetto familiare? Quale
garanzia si può dare ai figli? Basta un nonnulla e la famiglia va a rotoli, fa
piangere le “sue” vittime: orfani/e e vedovi/e”.
“I miei ragazzini sono arrivati a dire: “Le donne non hanno cuore. Vengono a
ore. Constatano: “Si vede che hanno bisogno della mamma” e se ne vanno. Non
riescono a sentirli come figli. Umiliati, traumatizzati. Come un violino: può
essere uno Stradivari, ma se nessuno lo ha accordato con le corde dell’amore?
Che differenza c’è tra il figlio della serva e quello della padrona, della prostituta
e della santa? Il vincolo del sangue va e viene come il sentimento. Se si ama
dell’amore di Cristo nasce una maternità nuova, che non si regola più con
l’affetto istintivo, ma con l’amore universale. Quando arriva un abbandonato
andiamo in chiesa e facciamo quello che ha fatto Gesù: “Donna, ecco tuo figlio;
figlio, ecco tua madre”. La mamma, per noi, nasce sotto ogni croce. “Ora, non
più poverini, non più orfani. Tu sai, Signore, che per me orfano è una parola
infernale” (20.9.1944). Irene, la prima mamma, un giorno trova scritto sul vetro
appannato: orfano! Vi traccia sopra una grande X. Mai più. Sia cancellata per
sempre questa ignominia. Vengono altre ragazze e a ognuna affido una nidiata
di figli. Sentirsi chiamare mamma da Gesù, che si è identificato con gli
abbandonati [“Ero io in loro”], non è qualcosa di grande?”.

Nel 1944, ricercato e ramingo nel sud Italia, viaggia a piedi tra macerie ed
orfani di guerra. Scrive a Badoglio, al cardinale di Napoli, a un generale
americano. Nessuno gli da retta. “C’è da meravigliarsi che il clero e
l’episcopato abbiano accettato collegi e orfanotrofi? Un flagello! A Pompei i
preti hanno fatto perfino la “Casa dei figli dei carcerati”. Una scritta a caratteri
cubitali. Ma come? Tu, prete, hai il coraggio di chiamare figli dei carcerati
coloro che Dio ha scelto per figli prediletti, perché rifiutati dagli uomini?
Disprezzati dal mondo è un conto, ma anche dalla Chiesa non è troppo? É
lecito commettere di questi guai? Il Calvario è la storia di Dio nell’umanità. La
chiesa riprenda i figli nati lì”. Oggi il Cristo non direbbe alla Chiesa: “Madre,
prenditi cura dei figli/popoli che sono orfani”?

Per Zeno la maternità/paternità spirituale è troppo facile e funzionale ad una


spiritualità disincarnata (3). Nel 1953 dedica al papa il libro Non siamo
d’accordo: “In rerum natura non si sono mai visti i babbi e le mamme ricchi o
benestanti ed i figli poveri, affamati, ignudi e senza casa. Si è visto e si vede
spesso l’inverso. Noi ecclesiastici, che siamo Padri per divina elezione, di fronte
ai figli siamo quindi contro natura, in peccato”.

Non parla mai di carità, ma di giustizia. Alle nobildonne di Milano, che amano
fare la beneficenza, dice: “Avreste il coraggio di fare l’elemosina a Gesù
Cristo? Bisogna stare attenti, perché potrebbe averne a male. Quando vuole
presentarci l’uomo giusto racconta quella parabola che è uno schiaffo al clero e
alle suore: il samaritano. Perché sceglie lo scomunicato, il senzadio, il
comunista? Questi mette da parte i suoi affari, cura, paga non per il gusto di fare
il benefattore, ma per un dovere di solidarietà. Nella parabola non si parla di
religione, Dio, amore. Non basta essere uomini per vedere, che l’altro uomo è
come te?”.

Curare le vittime della società, la “politica dei cerotti”, rischia di essere non solo
un palliativo ma una forma di connivenza. Non si legittima e perpetua una
situazione di ingiustizia fino a istituzionalizzarla? La società produce i poveri,
tanto c’è chi glieli cura. Si sa, con tanti briganti in giro per il mondo (individui e
popoli) il pronto soccorso è inevitabile. Certo, non si spara sull’ambulanza. Ma
la carità dovrebbe essere in funzione di mancata giustizia in caso d’emergenza.
Se invece di essere un aiuto straordinario, eccezione, diventa regola, non si
sovverte l’ordine stesso della natura?

Il Cristo dichiara: “Se amate i vostri parenti ed amici cosa fate di diverso?
Anche i pagani… Se la vostra giustizia non sarà superiore…”.

“Il più grande ostacolo alla nuova civiltà è il rapporto familiare. La famiglia
deve esserci, ma quella di Dio, non quella di quei due! La famiglia isolata non
ce la fa a salvare i figli. Ogni giorno vai al lavoro e non sai se torni la sera.
Esponi moglie e figli al rischio di restare vedova e orfani. Non è come andare in
aereo senza paracadute? L’adottato può ridiventare orfano, quindi ha bisogno di
un supporto più ampio della famiglia. Tribù, clan, gruppi gentilizi, famiglie
patriarcali avevano delle soluzioni più civili delle nostre. La famiglia isolata è
contro natura”.

Zeno, nella fossa dei leoni, a lottare con vecchi e nuovi mostri: sensismi,
egoismi, razzismi, abitudini ataviche, patrie, confini. La sfida di Cristo a
Nicodemo (“Bisogna rinascere dallo spirito”) vale per il singolo o anche per la
famiglia? La cristianità non ha esempi storici da offrire. Il prete ha invaso il
campo dei laici, pretendendo dettar legge nella camera da letto.

“Nel 1954, dopo 23 anni, m’avvedo che in Nomadelfia ci sono preferenze,


favoritismi, privilegi. La mamma si ammala e bisogna mandare una ragazza a
fare da serva. Decido lo scioglimento. L’alba scende dalle colline della
Maremma. Una pace, un silenzio... Mi viene in mente la mia famiglia
patriarcale: “Un solo pane, un solo vino”. Nessuna sventura è irreparabile. Non
si abbandonano né figli né vecchi né inabili. Se con il vincolo del sangue si
sono fatte delle famiglie così robuste, cosa si potrebbe fare con quello della
fede? Una soluzione: faremo dei gruppi di 3-4 famiglie ed i figli si sentiranno
sotto un ombrello più ampio e sicuro di rapporti e di affetti. Come si pretende la
fraternità tra gli individui, perché non pretenderla tra le famiglie? O fratelli
anche come famiglie o niente. Se l’amore che hai per tuo marito e tuo figlio
diventa un ostacolo per amarci anche tra famiglia e famiglia, che amore è? Ha
funzioni diverse, ma se privilegia qualcuno è a scapito degli altri. Allora il
bambino vede che le donne sono tutte mamme, perché tutte si preoccupano per
lui. Ecco come il cristiano porta a compimento l’umano: la famiglia “da Dio”
perfeziona quella “da volontà di uomo”.
Il cancro della chiesa é che il matrimonio non é vissuto come una vocazione
universale. Il Signore ci ha creati nella famiglia, ma l’amore dei coniugi è un
episodio. Si legano nel sacramento e rinascono ad un rapporto nuovo: “Non
dalla carne, dal sangue, dalla volontà di uomo, ma da Dio siamo nati”. Perché
“ciò che é carne é carne, é lo spirito che vivifica”. Se Dio é nostro padre, noi
tutti siamo figli e fratelli. I genitori non procreano l’anima. Sono strumenti
occasionali. “Ho fatto un figlio”: come, se non sai neanche quanti capelli ha? Le
mamme si impossessano di Dio e dei suoi figli. Ladre! Non potete strapparli a
Lui per farli vostri. Dovete essere così fraternizzate, che i bambini non sentono
la differenza a stare con una o con l’altra. Hanno il diritto d’entrare in casa
come in un tempio, dove tutti sono liberi figli di Dio, quindi fratelli. La luce di
Dio passa attraverso i sensi, diventa sensibile, ma é misurata, equilibrata,
universale. Dobbiamo imparare ad amare con i sensi senza fermarci ad essi,
all’uomo animale, che non “percepisce le cose di Dio”. I sensi, ciechi e crudeli,
vanno tenuti sotto controllo. Le donne devono stare attente di non legare i figli
con l’elastico per tirarli di nuovo nel loro utero. Se li volete solo per voi, li
strappate agli altri.

La rivoluzione, oggi, è amarci come Lui ci ha amato anche come famiglie.


Nomadelfia è un atto d’amore per tutto il popolo, perché abbiamo eliminato la
schiavitù del sangue. Dobbiamo esplodere, uscire, sentire pietà per il mondo.
Sono nostri fratelli. Per legge di solidarietà universale, che è prima del
cristianesimo, dobbiamo portare la nuova civiltà con la famiglia nuova, e, tante
famiglie nuove formeranno il popolo nuovo”.

Note: (1) Sono tanti, che ci vanno stretti nella Gloria del Bernini. Difficile
trovare per Zeno una nicchia nella platea clericale dell’epoca: don Bosco, don
Cafasso, don Murialdo, don Rua, don Faà di Bruno, Mons. Farina, don Gnocchi,
don Guanella, don Orione, don Calabria, don Facibeni, don Alberione, don
Gallo, fratel Ettore, ecc. senza contare le innumerevoli fondatrici di istituti di
assistenza e beneficenza. Tutti saranno foraggiati dai benefattori. Solo Zeno sarà
costretto alla fame, lui ed i suoi figli?
(2) Giovanni Paolo II canonizza 482 santi, tra cui solo due mamme e due regine.
I cattolici hanno solo l’imbarazzo della scelta: 9934 santi. Si verifichi se ce n’è
uno, che predichi e pratichi il rapporto umano “alla pari”, superando
l’assistenzialismo. (3) Si veda in internet (Sat 2000, la TV dei Vescovi italiani)
le interviste a delle giovani suore affascinate (o travolte?) da una sorta di
spiritualismo evanescente. Zeno diceva: “La suora prende l’orfano, lo porta
davanti alla statua della Madonna e gli dice: “Questa è la tua mamma”. Ma
quella lì non gli lava i calzini, non lo assiste quando è malato! Quante sante
bugie…”.

Nota informativa: nel Sud del mondo ci sono 163milioni di abbandonati (2010,
Unicef). Nei ricchi Stati Uniti sono 750.000. In Italia gli orfanotrofi chiusi per
legge nel 2006, si sono trasformati in 2800 case di accoglienza con circa 25.000
ospiti. Ogni anno vengono abbandonati 3000 neonati.

INDICE
Parte prima - 1950: il movimento politico p. 4

1 : Quis ut Deus? - a Ott , 27.2,………………………………………p. 6


2 : I segni di Dio - al S. Ufficio, 27.2, ………………………………p. 7
3 : Una rivoluzione sociale - a Ott, 11.3,…………………………….. p. 13
4 : Rovesciare capitalismo e marxismo, a Pio XII, 3.5.1950 (p. 26)
5 : Un pugno di sterco - al S. Ufficio, 11.5,…………………………. p. 14
6 : La più terribile delle vendette - al Papa, 13.5, …………………... p. 15
7 : Il bambino poppa a credito - al Papa, 30.5,……………………… p. 18
8 : Missione di penitenza in Italia - al Papa, maggio-giugno,……….. p. 19
9 : Legato mani e piedi - a Ott, 27.7,………………………………… p. 20
10 : Ascoltiamoli anche se bestemmiano - al Papa, 29.6, …………….p. 21
11 : Processo per direttissima – a Ott, 3,7
12: Il benestare del S. Ufficio - a don Zeno, 31.7, ………………….. ..p. 22
13: Ai religiosi - al Definitorio dei P. Serviti, 24.7, ……………………p. 23
14: Per pura disciplina - a Ott , 27.7,…………………………………. .p. 26
15: Opinione personale, o... - a Ott , fine luglio,.………………..............p. 26
16: Nulla osta di Mons Boccoleri - a D. Zuanna, Assunzione, ………….p. 27
17: Non sono matto - a Mons Montini, 17.12,…...……………….p. 27
18: Senza il Papa non si riesce - al Papa, 25.12, …………………p. 29

Parte seconda - 1951: insubordinazione elettorale p. 33

19: Insisto: non sono pazzo - a Mons Montini, 15.1, …………….p. 35


20: Se il Papa non sarà con noi - al Papa, fine marzo,..…………...p. 37
21: Il carrettino del pane - a Ott, 29.6, …………………………. p. 40
22: Non posso essere un paria - al Papa, 1.7,……………………. .p. 41
23: Io sono Paolo di Tarso al Papa - al Papa, 22.7,….………….. .p. 44
24: La città di Dio scrive al S. Ufficio, luglio, ………………….. .p. 45
25: Avranno il loro sacerdozio? - al Nunzio, 31.8,………………..p. 49
26: Scelba non approva - al Nunzio, 9.10, ………………………..p. 51

Parte terza- 1952: allontanamento e repressione - 54

27: Non siamo dei dispersi? - al Nunzio, 22.1, ……………………p. 55


28: Res nullius - a Ott, 23(?).1, ………………………………….…p. 58
29: Un parto misterioso - al Nunzio, 26.1,………………………... .p. 59
30: Obbedisco in corde Jesu - ai figli, 7.2,……………………….. .p. 60
31: La mia dottrina è quella della chiesa - a D. Zuanna, 11.2,…… .p. 61
32: Reietto, delinquente con loro - al Papa, 12.3,…………………..p. 62
33: Alla fame - a don Vincenzo, 16.3,………………………………p. 63
34: Il sacerdozio di Nfia, a?, 29.3.1952
35: Nfia è un fatto di Dio - a Ott, 29.3,…………………………….p. 65
36: Errori dogmatici? - a Ott, 8.4,………………………………….p. 66
37: Non sarò mai un eretico - a Ott, 22.4,………………………… p. 69
38: Non credo più al clero - a don Vincenzo, 15.5, ………………..p. 72
39: Roma: fortezza da abbattere - a don Vincenzo, 24.5, ………….p. 73
40: Tacendo e piangendo - a Ott, 28.5,……………………………. p. 75
41: Abbiamo fatto soffrire la Santa Sede - a Ott, 29.5,…………… p. 75
42: La Santa Sede è un orrore di mondanità - al Cristo, 9.6,………. p. 79
43: Non ce la faccio - a Mons D. Zuanna, 20.6,…………………… p. 79
44: Ricostruire Nomadelfia in Brasile? - a p. Arnou sj, 20.6,………p. 80
45: Donare alla chiesa una comunità sociale - a Ott, 29.6,…………p. 80
46: La chiesa non è una meretrice - a Ott, 7.8,……………………...p. 82
47: Amore unilaterale, amore reciproco - a Ott, 7.8,………………..p. 85
48: Questa è la mia pietà - a Ott, 8.8,………………………………. p. 85
49: Il Papa verrà a cena da noi - a Ott, 8.8, ………………………...p. 93
50: La chiesa ha bisogno d’essere amata - al Papa, 11.8,…………...p. 96
51: La penicillina l’abbiamo solo noi - a Mons Crovini, 25.8, ……..p. 99
52: Al presidente del Consiglio, 11.9,……………………………. p. 102
53: Sbranano i figli e VE tace - a Mons D. Zuanna, 19.9,………… p. 103
54: Farò quello che la morale mi impone - a Ott, 22.9,…………… p. 104
55: Siamo una casta - a don Vincenzo, 26.9,……………………… p. 108
56: Si potrebbe scatenare l’ira di Dio - al Papa, 1.10,……………... p. 108
57: Nessuno nella S. Sede ha la mia vocazione - a Ott, 1.10,.……. p. 109
58: Il mio intimo lamento - scritto, 2.10,...………………………… p. 110
59: Cosa è rimasto? - al Papa, 5.10,…….…………………………. p. 114
60: Colpiti in mille modi - a Ott, 27.10,…………………………… p. 116
61: Una levata di scudi - a Ott, 3.11,………………………………. p. 120
63: Proibizione di ricostruire Nomadelfia - S. Ufficio a d. Zeno….. p. 122
64: La sfiducia: segno di Dio -a Ott, 24.11,…………………………p. 123
65: Autocritica - ai figli, 10.12,……………………………………. p. 124

Parte quarta - 1953: laicizzazione-liberazione p. 127

66: Metamorfosi - a Ott, senza data,…………………………………p. 128


67: Ci siamo comportati da becchini - a Ott, 22.1,…………………. p. 128
68: La Santa Sede si è prestata al gioco - a Montini, 1.2,……………p. 135
69: Risposta di Mons. Montini – a don Zeno 5.2
70: Non avete fiducia - al Papa, 14.2,………………………………. p. 137
71: Chiedo venia, ma... - a Ott, 25.2,………………………………. p. 140
72: Solo gli oppressi possono capire la chiesa - a Montini, 27.2,……p. 143
73: Padroni delle anime - a Ott, 2.3,………………………………… p. 146
74: Chi potrà riparare? - ai sacerdoti di Nomadelfia, 14.3,…………. p. 148
75: Abbiamo deciso - a Ott, 23.3,…………………………………… p. 149
76: Potrebbero accusarci di tradimento - a Mons Prati, 28.3,……….. p. 152
77: Gli oppressi in grembo alla chiesa - a Ott, 5.4,………………….. p. 154
78: Il grande misfatto o crimine – scritto senza data
79: Che cosa è la verità? - a Ott, 1.5,…………………………………p. 156
80: Dedica al papa del libro: Non siamo d’accordo
81: Amo tutti gli oppressi – a Dario, 2.5 (167)
82: Mi prende al S. Ufficio? – a Ott, Ascensione (168)
83: Dedica del libro NSD - al Papa, 25.5,…………….. ……………...p. 168
84: Si mangia o non si mangia? - a Ott, 2.6,………………………..…p. 168
85: Torturare un fondatore - a Ott, 13.6,………………………………p. 170
86: Non vogliamo piegarci all’ingiustizia - a Mons Prati………….... p. 175
87: Invoco il rispetto della mia vocazione - a Mons Prati, 6.7,………. p. 176
88: Domanda di laicizzazione - a Mons Prati, 16.7,………………….. p. 181
89: Non con grave incomodo - Mons Prati a don Zeno, 20.7,…………p. 181
90: Se non faccio presto… - a Mons Prati, 24.7,………………………p. 181
91: Le infinite prepotenze di Scelba - a Mons Prati, 9.8,………………p. 184
92: Non c’è cuore - a don Vincenzo, 19.8,…………………………….p. 188
93: Non ho paura di voi - al S. Ufficio, 23.8,………………………….p. 189
94: Gli uomini sbagliano, Dio no - a Ott, 25.8,………………………. p. 192
95: Nomadelfia non l’ho sepolta io, ma Roma - a Ott, 3.9,……………p. 195
96: Un padre può diventare giudice? - al S. Ufficio, sett.,……………. p. 197
97: Chiedo un atto di giustizia - a Mons Prati, 13.9,………………….. p. 200
98: Consigliato a peccare contro la giustizia - a Montini, 21.9,………. p. 202
99: Ci hanno crocififissi nel Suo nome - a don Vincenzo…………….. p. 205
100: Roma ha peccato gravissimamente - a don Vincenzo, 4.10,……… p. 206
101: La mia legge: naufrago tra i naufraghi – a d. Vincenzo, 5.10
102: Nella barca di Pietro in compagnia dei topi nella stiva, 7.10
103: Una curia: poco più, poco meno - a don Vincenzo, 21.10,……….. p. 207
104: La Chiesa mi scorre nel sangue – a Ott, 5.11,…………………….. p. 208
105: Il nemico numero uno: Scelba - a don Vincenzo, 7.11,…………… p. 210
106: Qui fu Castro - a Ott, 9.11,………………………………………… p. 212
107: Un abuso di autorità - al Papa, 9.11,………………………………. p. 212
108: La grazia della laicizzazione - al Papa, 15.11,……………………. p. 218
109: Il costume sociale della S. Sede e della DC è pagano - a Ott, 16.11, p. 218
110: Né io, né lei, né il S. Padre...
111: Ed è stata l’ultima Messa
112: I figli riposano sul mio ritorno – meditazione, 2-3.12,………… .p. 221
113: Riflessione

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