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Paola Piacentini

I testamenti in un feudo dei Colonna

In tempi recenti sono stati numerosi gli studi dedicati alla vita e alla morte
nella società rinascimentale. Staccandoci da una realtà come quella romana,
alla quale è stata riservata particolare attenzione, ci si è rivolti ad una società
periferica, quella di Genazzano, cittadina 50 km a sud di Roma, importante
feudo del ramo principale dei Colonna, patria di papa Martino V (Oddone
Colonna) e di Marcantonio, detto il Trionfante, eroe della battaglia di Lepan-
to, di Giovanni Bracalone de Carlonibus detto Brancaleone, uno dei tredici
cavalieri della disfida di Barletta e dell’agostiniano Mariano Mastrangeli (Ma-
riano da Genazzano), teologo e grande predicatore nemico di Savonarola. 1
Dopo aver studiato i matrimoni abbiamo esaminato i testamenti presenti
nella documentazione conservata nell’archivio del santuario di S. Maria del
Buon Consiglio: due cartelle di pergamene (Archivio Storico A e B) e un re-
gistro (ms. 1), 2 mutilo dell’inizio e della fine, scritto dal notaio genazzanese
Giovanni Iacopo de Pusanis o filius notari Sancti Pusani fra il 24 gennaio 1466
e il 1° febbraio 1500, 3 alcuni fogli del quale sono nell’Archivio di Stato di
Roma, Archivio notarile di Genazzano, vol. 10, con atti fra il 26 novembre 1500

1
  Paola Piacentini, Genazzano, il castello Colonna e l’occupazione borgiana, in La fortuna
dei Borgia. Atti del convegno Bologna, 29-31 ottobre 2000, a cura di Ovidio Capitani – Miriam
Chiabò – Maria Consiglia De Matteis – Anna Maria Oliva, Roma 2005, pagine totali articolo,
nota 30; Un registro della famiglia di Giovanni “Brancaleone”. I Bracaloni de Carlonibus, a cura
di Rocco Ronzani – Emanuele Atzori, Genazzano - Roma 2014, nota 13.
2
 Da ora citati come A seguito da un numero (i documenti di B non sono numerati) e la
sola indicazione della carta secondo la numerazione moderna per il ms. 1. Trattandosi di do-
cumentazione inedita, la bibliografia riportata in nota sarà ridotta all’essenziale; mi permetto
anche di citare alcune mie pubblicazioni in cui mi sono occupata di Genazzano. Inevitabil-
mente le stesse persone saranno citate più volte in diverse circostanze a seconda dell’argomen-
to trattato e per chiarire meglio tali argomenti (e per evitare troppi rinvii) saranno ripetute
alcune delle cose già segnalate.
3
  Paola Piacentini, Il matrimonio a Genazzano (da un registro notarile dell’Archivio del
Convento di S. Maria del Buon Consiglio), in Roma donne libri tra medioevo e rinascimento. In
ricordo di Pino Lombardi, Roma 2004, pp. 145-148.

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e l’8 maggio 1501 e frammenti del 1504-1505. Gli atti presi in esame sono 114
(61 delle donne, 30 delle quali vedove, 53 degli uomini di cui 36 sposati): 4 non
è molto per avere un quadro completo delle usanze vigenti in un centro della
provincia di Roma, ma può essere un inizio.

Importanza del testamento. La società a Genazzano

Il testamento permetteva al testatore di indicare la propria volontà riguar-


do alla sua persona e ai suoi beni, indipendentemente dalle regole sulle suc-
cessioni in genere stabilite dagli statuti comunali, precisando quali dovevano
essere i destinatari dei propri averi, specie in presenza di minorenni o in as-
senza di eredi legittimi. Non sono stati conservati gli statuti di Genazzano per
il periodo in esame e gli statuti più antichi servivano soprattutto a regolare i
rapporti fra i signori e i “sudditi”: gli unici due paragrafi delle conventiones,
ordinamenta et pacta stipulati fra la comunità di Genazzano (Universitas pedi-
tum) e Fabrizio e Stefano di Pietro di Giordano Colonna nel 1379 si riferisco-
no a chi muore intestato. 5
I testamenti, insieme con gli elenchi dotali, permettono inoltre di intuire la
realtà di un paese della provincia romana soggetto al dominio signorile nella
seconda metà del XV secolo, un paese essenzialmente agricolo come doveva
essere Genazzano: le principali colture, i sistemi di coltivazione, la produzione
di fibre tessili, l’allevamento e la pastorizia, i rapporti di lavoro e la tipologia
contrattuale, gli oggetti di uso comune. 6
Nella documentazione si trovano spesso menzionate le vigne, con o senza
la vasca per la spremitura dell’uva (vinea... et media vasca; cum medio torcula-
re), con o senza i canneti (cannetum; cum arundineto) indispensabili, in assenza
di sostegni vivi, per sorreggere i tralci, i pascoli per il bestiame, i castagneti
e i boschi, i terreni dissodati (pastina), gli orti, in genere situati a ridosso o
nelle immediate vicinanze delle mura cittadine, dentro l’abitato, presso le case

4
  Per le donne è indicato se sono mogli o vedove, non per gli uomini: il loro “stato civile”
si può desumere dal fatto che nel testamento siano o no citate le mogli. A volte sembra che
si parli di seconde nozze, ma anche in questo caso è possibile ipotizzarlo dalle disposizioni
testamentarie.
5
 Le precedenti convenzioni (1277) erano fra i Colonna e i nobili loro vassalli: Francesco
Tomassetti in Statuti della Provincia romana, a cura di Francesco Tomassetti – Vincenzo Fe-
derici – Pietro Egidi, Roma 1910, pp. 126-134, 360-372; anche Andreas R ehberg, Uomini di fi-
ducia e collaboratori di Martino V provenienti da Genazzano e dintorni: le origini socio-culturali
del papa Colonna e i loro effetti sul suo pontificato, in Martino V. Genazzano, il pontefice, le
idealità. Studi in onore di Walter Brandmüller, a cura di Pierantonio Piatti – Rocco Ronzani,
Roma 2009, p. 66 e segg.
6
 Alfio Cortonesi, Terre e signori nel Lazio medioevale.Un’economia rurale nei secoli XIII-
XIV, Napoli 1988, pp. 29-104, 112 nota 38, 185-190 e passim.

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(prope muros Terre; canapina cum orto; terrenum sive ortum cum curia). Molte
le cese, aree disboscate di estensione variabile (cesa sive terrenum; vineam cum
cesa; medium pratum cum cesa; olivetum sive terrenum cum cesa; cesa seminis
rublarum ij), meno frequenti gli oliveti, mentre non dovevano mancare la ce-
realicoltura e la coltura delle piante tessili, in particolare della canapa (cana-
pina; canapina vel vigna), testimoniata dalle pezze di tessuto e dalla biancheria
menzionate nei testamenti e nelle doti spesso insieme con il letto, il materasso
e le lenzuola, sottolineata dagli attrezzi inseriti fra i beni mobili e “stabili” in
un elenco dotale del 1486 in cui, oltre al letto, alla biancheria e a oggetti per la
casa sono ricordati «Item de filato bologninos X / Item certa cannapa in livoli
... / Item VI pectini pro pannis ... / Item lo orditore et la caiola» (c. 195r). In-
fine la presenza di arnie (cupelli) rivela l’esistenza dell’apicoltura, importante
in quanto il miele era il dolcificante più diffuso e la cera veniva ampiamente
utilizzata per l’illuminazione e la fabbricazione di candele, oggetto di lasciti
pro anima.
Poche parole sulle chiese di Genazzano, quasi sempre nominate nei testa-
menti per i lasciti o per le sepolture: le tre parrocchie già presenti nelle con-
venzioni del 1277 S. Paolo Apostolo, S. Maria del Buon Consiglio, la chiesa
castellana S. Nicola di Bari, a cui si aggiunge S. Giovanni, sicuramente esisten-
te nel 1356 quando fra i testimoni di un atto è il prete di S. Giovanni; spesso è
anche ricordata la chiesa extraurbana di S. Maria in Campo, successivamente
dedicata a s. Pio papa, all’estremità settentrionale del parco del castello, oggi
purtroppo in stato di abbandono. 7
Le persone che esprimono le ultime volontà davanti al notaio dovevano ap-
partenere in linea di massima ad una classe sociale media in quanto proprie-
tari o affittuari di immobili, di appezzamenti di terreno e di bestiame, anche
se non è possibile quantificare la consistenza patrimoniale del testatore sulla
base dei soli lasciti testamentari, forse mirati a favorire determinate persone o
istituzioni, mentre il resto dei beni, cioè l’intero patrimonio del morente, rien-
trava nella porzione legittima dell’eredità. Alcuni più abbienti possono dotare
cappelle di loro proprietà, hanno servitù alla quale fanno piccoli lasciti; uno
è indicato come nobilis vir, altri come magistri, forse piccoli commercianti o
artigiani, proprietari o gestori di botteghe affacciate sulle piazze come Nardo
di Antonio Nardi che fa testamento nel 1489.
L’inventario post mortem dei beni appartenuti a Valentino di Iacopo Cap-
pellutie e consegnati alla vedova perché li custodisca per i figli (redatto in
volgare) può dare un’idea, in linea di massima, di quanto possedeva un abi-
tante del paese: piatti di varie misure, sei pezzi di rame e un concolino, diversi
oggetti da cucina come una conca, una schiumarola, una scodella, pignatte,

7
  Pio Francesco Pistilli, La rifondazione di Genazzano ai tempi di Martino V, in Martino
V. Genazzano, pp. 132-133.

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mortaio, taglieri ecc., un letto, sei lenzuola, due camicie da donna e due da
uomo, biancheria varia personale e di casa, alcune branche di filato, un cas-
sone, tre arche, un’accetta, un serrecchio, una zappitella, mezza coppa di sale,
due quarti di grano nel tino, tre galline, tre pollastre, due canestri e un mani-
cuto, uno pilliccio, una scodella de preta (f. 232rv). 8
Non sono stati riscontrati testamenti di milites (che usavano dettare le loro
volontà prima di partire per la guerra) o di ebrei, che pure sappiamo presenti
nella comunità genazzanese. 9 Altri sono discendenti da dalmati trasferitisi in
Italia (forse, secondo una leggenda, al seguito della miracolosa Madonna del
Buon Consiglio) 10 ma di famiglia ormai stanziata a Genazzano; nel testamen-
to di Mariano Cefrelic, come in altri, la moglie è nominata usufruttuaria se
rimane vedova, esecutore e tutore dei figli minorenni – ed eredi – è un nobile
e notaio, Pandolfo di Francesco Salvati, uno dei testimoni è Giorgio Petri al-
banensis. Troviamo poi un solo religioso, il venerabilis vir dominus Antonio de
Mancinis da Olevano, 11 cappellano della cappella di S. Angelo a Genazzano e
arciprete di S. Nicola, che nel 1489 detta le ultime volontà in casa di un certo
Giovanni Mande al quale, con donazione inter vivos, lascia tutti i suoi beni, 12

8
 Un altro inventario (sempre in volgare) è allegato al testamento di Perna vedova di Giu-
liano Tuccioli: anche in questo caso oggetti e biancheria per la casa, attrezzi da lavoro, e inoltre
beni immobili forse parte della dote.
9
 Un sintetico riepilogo in Piero Scatizzi, I Colonna signori di Genazzano, in Il castello Co-
lonna a Genazzano. Ricerche e restauri, a cura di Agostino Bureca, Roma 2000, pp. 17-20; per
gli ebrei, Piacentini, Il matrimonio a Genazzano, pp. 164-165; Bice Migliau – Micaela Procac-
cia, Lazio. Itinerari ebraici. I luoghi, la storia, l’arte, Venezia – Roma 2001, pp. 61-62; R ehberg,
Uomini di fiducia, pp. 75-76; anche Anna Esposito, Una descriptio relativa alla presenza ebraica
nel Lazio meridionale nel tardo Quattrocento, in «Latium», 2 (1985), pp. 151-158.
10
 Sulla leggendaria apparizione della immagine della Madonna v. per es. Orsetta Baron-
celli, Arte, storia e religione (Paola P iacentini – Orsetta Baroncelli, Devozione a Genazzano
nel XV secolo. I), in Andrea Bregno e la committenza agostiniana, Atti del Convegno di studi 28
aprile 2007, a cura di Cesare Panepuccia, Roma 2008, pagine totali articolo, p. 44 e passim;
Paola Piacentini – Piero Scatizzi, Le pergamene dell’Archivio del Convento di S. Maria del
Buon Consiglio di Genazzano (1317-1431), in «Analecta Augustiniana», 71 (2008), pagine totali
articolo, p. 212 nota 27 e bibliografia ivi citata.
11
 F. 190rv (16 genn. 1486), f. 192r (13 apr. 1486). La cappella di S. Angelo doveva essere una
delle cappelle della chiesa di S. Nicola, dove venivano sepolti i Colonna, posta all’estremità
della navata centrale e demolita agli inizi del Seicento per rettificare la strada fra il castello e
il borgo: Michela Lucci, La chiesa di S. Nicola di Bari a Genazzano, in «Latium», 24 (2007), pp.
137-138, 143-146 e passim.
12
 Un’altra donazione inter vivos è quella di Suffia figlia del fu magister Pietro e moglie di
Giuliano di Iacopo Cappellutie, indicato come vir suus, che nomina erede universale la figlia
Caterina, forse figlia di un primo matrimonio (cc. 79 v-80r). Nel 1477 Suffia «donavit et titulo
donationis dedit ... ea donatione que inrevocabiliter dicitur inter vivos» al marito Giuliano
una vigna o sodo «videlicet a rasis antiquis usque ad superius dicti terreni sive vinea» in loc.
la Valle; l’anno seguente, nel testamento, assegna a Giuliano «duas rasas vinee antique» alla
Valle, di proprietà del fu magister Pietro, e il ricavato della vigna per un anno, la stalla e la sala
di mezzo della casa di Pietro per un anno dopo la sua morte a patto che Giuliano restituisca
la sua dote e i lasciti.

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indica i normali lasciti pro anima, vuole essere sepolto in S. Nicola, lascia sei
ducati pro reparatione alla chiesa di S. Agapito e 200 canales (tegole?) al Buon
Consiglio. 13
Questo Giovanni Mande abitava nella parrocchia di S. Nicola ma non è
stato possibile stabilire se i due erano parenti o vicini. Il tentativo di rico-
struire i nuclei famigliari dei testatori è infatti reso difficile dalla mancanza
dei cognomi nel senso odierno del termine e dall’uso dei soprannomi, dal
ripetersi dello stesso nome di battesimo fra cugini e discendenti, anche se fra
i testimoni degli atti, i tutori di minorenni, gli esecutori testamentari si pos-
sono trovare persone con lo stesso ‘cognome’, membri del gruppo familiare
(diretti o acquisiti), persone di fiducia alle quali era usanza rivolgersi in caso
di necessità. In genere i capifamiglia sono indicati col nome di battesimo e il
patronimico ai quali talvolta si aggiunge il soprannome e, per gli uomini – ma
non sempre – il “cognome”, formatosi sul luogo di provenienza, sul mestiere
o anche sul soprannome, mentre per le donne è usato il nome proprio seguito
da “figlia di” o “moglie/vedova di”. Del resto il cognome dello stesso notaio
potrebbe derivare da Pusano, un borgo fortificato oggi diroccato a valle di
Olevano, che faceva parte dei possedimenti dei Colonna.

Composizione dei testamenti. Formulari. Luogo di dettatura

I testamenti esaminati sono inseriti in un formulario che non sembra su-


bire notevoli variazioni nel circa mezzo secolo coperto dal registro in nostro
possesso. Anche se talvolta le disposizioni possono subire degli spostamenti
all’interno di questo schema abbastanza ripetitivo, la prima parte dell’atto è
riservata a indicare i legati pii per i funerali e le chiese, per domandare messe,
ed è seguita dalla parte dedicata alla famiglia o agli amici, per concludersi
con la nomina degli eredi e (non sempre) degli esecutori, dei tutori cui affi-
dare eventuali figli minorenni, dell’actum. A volte mancano alcune formule
ma non è possibile sapere se ciò è dovuto alla sintesi del notaio o alla volontà
del soggetto.
Quello degli esecutori (in genere due, scelti fra i conoscenti, i parenti stret-
ti o gli eredi) era un incarico importante poiché dovevano garantire al testa-
tore l’attuazione delle sue volontà ed eventualmente vendere una parte dei
suoi beni per soddisfare tutti i suoi lasciti; qualche volta venivano retribuiti
pro eorum labore (venti-quaranta soldi, un ducato). 14 Altobello di Nardo Velle

13
 Forse la chiesa di Palestrina dove era venerato s. Agapito martire. I lasciti destinati
alle riparazioni degli edifici sacri o di opere pubbliche erano abbastanza frequenti e facevano
parte dei legati pro anima.
14
  Per lo più sono uomini, raramente donne. Le donne scelgono il figlio o il marito o il
fratello, a volte il genero (Maria vedova di Spirito) o un religioso (Santa vedova di Angelino).

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chiede messe di S. Gregorio 15 e obsequia «secundum possibilitatem et discre-


tionem executorum»; Stefania moglie di Bonando Veneccase dà la facoltà al
padre Matteo e al marito «tantum vendendi de bonis suis quod satisfaciat ad
predicta relicta»; Francesco Sclavi sette anni dopo la morte del padre Barto-
lomeo, con il consenso del fratello Bastiano, vende una cesa pro anima patris
sui (f. 185r) e come esecutore di Pasquale Azelami (manca il testamento) vende
una terrata per dieci ducati d’oro (f. 230v); Cecco Bello assegna una parte del
patrimonio alle chiese di Genazzano «secundum dicunt executores» e dieci
lire all’ospedale romano del Salvatore «sicut placent executorum».
I testamenti presenti nella nostra imbreviatura sono per lo più redatti in
casa o davanti alla casa del testatore o in locali annessi alle chiese (in porticali
Sancti Pauli; 16 in barrochia [sic] Sancti Nicolai et in domibus pape; in parrrochia
Sancte Marie et in domo dicte ecclesie et habitationis dicte testatricis; in ecclesia
Sancte Marie Boni Consilii), eccezionalmente in casa o davanti alla casa del
notaio (Giovanni da Nocera; Petruccia vedova di Iacopo Barberii). Per la mag-
gior parte sono dettati da persone malate o moribonde, solo tre da persone
sane: Giuliano di Pietro Iannotti con la moglie Maria e il providus et spectabilis
vir Tommaso fu Pietro Vito – forse discendente del Tommaso di Pietro Vito
conestabile all’epoca delle prime convenzioni fra i nobili e i Colonna nel 1277
‒ che teme di morire a causa della peste che infierisce in Genazzano.
In genere il soggetto, languens/infirmus corporis ... sed sanus mentis ... timens
periculum future mortis ... nolens intestatus decedere, raccomanda l’anima a Dio
(commendatio anime) ed esprime le sue ultime volontà: è sempre presente una
somma obbligatoria di cinque soldi destinati al vescovo di Palestrina pro ca-
nonica portione, pro confirmatione huius testamenti e, nei casi in cui mancano
eredi diretti, dieci soldi sono destinati alla curia signorile come indicato nelle
convenzioni del 1379; 17 il testatore poi specifica quanto lascia per le esequie

Anche gli uomini sembrano privilegiare il figlio o il fratello, raramente la moglie o un altro
congiunto: il cognato, il nipote, la madre, il genero (Salvato di Antonio Viatricis); Giuliano
Fasoli si affida ad un frate, Andrea. Qualcuno nomina esecutore anche lo stesso notaio Pusani
(Cecco Bello) o un altro notaio genazzanese, Lorenzo fu Nicola Amati (Antonio fu Nicola
magistri Angeli: Piacentini – Scatizzi, Le pergamene, pp. 223-224, nr. 12).
15
  Cioè trenta messe da celebrare in giorni consecutivi: Isa Lori Sanfilippo, Morire a
Roma, in Alle origini della nuova Roma. Martino V (1417-1431), Atti del Convegno, Roma,
2-5 marzo 1992, a cura di Miriam Chiabò, Giusi D’Alessandro, Paola Piacentini, Concetta
Ranieri, Roma 1992, p. 609; Maria Luisa Lombardo – Mirella Morelli, Donne e testamenti a
Roma nel Quattrocento, in Donne a Roma tra Medioevo e Età moderna («Archivi e cultura»,
25-26 (1992-1993), p. 89).
16
 L’attuale chiesa di S. Paolo, ingrandita e modificata nel Cinque e nel Settecento, non
presenta portici e forse non ne aveva neanche in antico; potrebbe trattarsi di una struttura
vicina alla chiesa. Aleksandar Kamerer, La Chiesa Collegiale di S. Paolo Apostolo in Genazzano
(Roma), Genazzano 2015.
17
  Statuti della provincia, paragrafo XXI; il morente può disporre liberamente dei suoi
beni che però passano alla curia se non le vengono assegnati i dieci soldi previsti.

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(pro deo et anima), per le singole chiese, per celebrare messe di suffragio, pro
unctione et accomendatione, pro tummatico, 18 pro untione, vigiliis et viatico, per
i sacerdoti e i chierici che celebravano la messa durante la permanenza della
salma in chiesa (dum corpus suum manet super terram) o che provvedevano alla
sepoltura, per opere pie o enti religiosi, 19 per l’ottavario e l’anniversario della
morte dopo un anno, per l’acquisto di cera – la cui quantità, regolata a Roma
dalle leggi suntuarie, era variabile e non sempre precisata (quantum sufficit) –
da utilizzare per doppieri, torce e candele che dovevano essere suddivisi fra le
chiese scelte dal testatore o da distribuire ut moris est ad sepeliendum ai preti,
ai chierici e alle confraternite pro funere/ quod faciant sibi honorem; sono poi
elencati i lasciti per i parenti più o meno prossimi, in alcuni casi per i vicini e
gli amici. Il documento si conclude con l’actum con i nomi dei testimoni, per
lo più sette, in genere laici. Troviamo un’eccezione nel testamento di Cecco
Bello: nella prima stesura dettata in casa sua i testimoni sono laici, mentre in
un codicillo dettato sette anni dopo nel convento del Buon Consiglio solo due
sono laici mentre gli altri cinque sono frati, presumibilmente agostiniani del
convento.
In un caso abbiamo trovato l’indicazione di una donazione mortis causa:
Nunzia di Angelo Gualderi da Sant’Anatolia ma abitante a Genazzano, dopo
un lascito alla figlia, probabilmente a integrazione di una dote già ricevu-
ta (cinque soldi iure institutionis), destina al nipote Stefano figlio del figlio
Tomasso defunto, nominato erede universale, una vigna con torculare «pro
donatione causa mortis»; l’atto è dettato in casa di Tomasso nella parrocchia
di S. Paolo e non è nominato il marito di Nunzia. Talvolta è anche indicato un
lascito pro malis ablatis – non è detto quali –, per esempio nel testamento di
Giovanni di Antonio Santolini da Nocera, fattore e procuratore del convento
di S. Maria del Buon Consiglio (la piccola somma di un fiorino) 20 o in quello
di Vanna vedova di Caruccio.

18
 L’espressione è solo nei testamenti di Cecca moglie di Cola Mattei che vuole essere se-
polta in S. Paolo e lascia dodici soldi pro tummatico (sepoltura?); di Nardo di Matteo Arcangeli
che dispone «quod fiat pulcram cappellam supra tummatico in ecclesia sancti Iohannis».
19
  Rientrano nella categoria dei legati pro anima anche i lasciti per le cappelle (v. oltre).
Spesso il lascito è legato alla richiesta di messe, ma in caso di inadempienza del destinatario
la donazione veniva revocata o trasferita ad altri: Mattiuccia fu Mario Frazzoli lascia dieci lire
alla confraternita della Beata Vergine Maria affinchè «faciant sibi honorem et si non faciunt
quod non reliquit dictas X libras»; Giuliano di Iacopo di Buzio detto Inciollo lascia ai frati del
Buon Consiglio parte di tre vigne in cambio di due messe annuali e in caso di inadempienza
le vigne vanno alle altre chiese di Genazzano.
20
  Piacentini – Scatizzi, Le pergamene, pp. 211-213, 229-230, n. 22. La moglie Petruccia
sostenne la ricostruzione della chiesa del Buon Consiglio in cui sarebbe apparsa l’immagine
miracolosa proveniente da Scutari; anche nota 10 supra.

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La cerimonia funebre. Tipologia dei testamenti

Non ci sono informazioni su come si svolgeva la cerimonia funebre che


tuttavia doveva essere simile a quella di altre realtà cittadine: il corteo dalla
casa alla chiesa, la veglia in chiesa, il trasporto al sepolcro; più d’uno chiede
la messa di S. Gregorio; raramente sono indicati legati per abiti di lutto: il
solo Paolo di Meo precisa che le figlie con il suo lascito devono comprare una
gonna in funere suo. Si possono trovare indicazioni sulle spese per il pranzo
offerto per celebrare l’anniversario, in genere l’ottavario: Nicola Rascini oltre
ai soliti lasciti in denaro dispone che una giovenca «distribuatur unicuique
ad comedendum in die octavo»; in due pergamene viene espresso il desiderio
di celebrare la “settima”: Giovanni da Nocera offre 11 fiorini per la carne e
cinque rubbia di grano; Tommaso fu Pietro Vito lascia le sue bestie vaccine al
cugino Francesco di Antonio Miccinilli purché celebri la settima dopo la fine
dell’epidemia di peste con pane vino e carne delle bestie «ut moris est in dicto
castro [Genezani]».
Va poi rilevato che le donne lasciano non tanto denaro quanto biancheria,
masserizie, oggetti per la casa: tutte cose che probabilmente facevano parte
delle res iocales e del corredo e, forse in parte, dei doni del marito o dei lasciti
dei genitori, le uniche cose di cui potevano disporre. 21 Così Gentilesca vedo-
va di Angelo di Petruccio detta un lungo elenco di lasciti, in gran parte desti-
nati a donne – figlie, parenti, amiche o figlie di amici –, di piccole somme ma
soprattutto di panni e alla sorella oggetti che devono servire per la dote della
figlia; beni immobili di sua proprietà solo a Giovanni Mande (fraginale) e alla
sorella. Santa vedova di Angelino lascia un paio di lenzuola, una camicia, 34
braccia di panno e sei libre di filato, una tovaglia di cotone bianco (mantile
ad bammacilem album), il letto alla sorella, un capezzale di piume (capitalem
penne) al figlio Giuliano, un’arca cernetora all’altro figlio Prospero.
Le disposizioni testamentarie potevano essere modificate: per la mutata
situazione familiare, forse per dissapori, 22 o per il desiderio di mantenere il
più possibile indiviso il patrimonio della famiglia, perché le divisioni fra eredi
potevano portare ad un sempre maggiore frazionamento delle proprietà: lo
indicano i lasciti e le doti in cui spesso vengono distribuite parti di case o di
terreni confinanti con altri dei parenti. In alcuni casi viene fatto un secondo
testamento o i testatori aggiungono, anche a distanza di tempo, dei codicilli
che cambiano le precedenti decisioni. Palozia vedova di Santo Rascini e priva
di eredi diretti detta un primo testamento nel 1473 nominando erede No-

21
 Sulla vita delle donne e la solidarietà fra loro, per esempio, Lombardo – Morelli, Don-
ne e testamenti, pp. 111 e segg.
22
  Per es. Giuliano detto Inciollo nomina eredi universali un figlio e la moglie, ma desti-
na solo la legittima all’altro figlio disobbediente e dissipatore «et propter ... penas quas pro
delictis per eum commissis».

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cenzio di Giuliano Sfrizze (forse un parente al quale nel 1467 con donazione
inter vivos aveva assegnato tutti i suoi beni mobili ed immobili riservandosene
l’usufrutto, ff. 17r-18r), 23 e un secondo nel 1492 in cui gli eredi sono i figli di
Nocenzio, nel frattempo defunto come dimostra l’actum di un elenco di beni
dotali del 1486 stilato «in domo heredibus Nocentii Sfrizze videlicet in domo
Palotie Rascini» (f. 195v).
Cecco Bello detta il suo testamento nel 1468 indicando i lasciti usuali pro
anima e due decenas di cera per cinque doppieri, due dei quali dedicati alla
chiesa di S. Giovanni de Urbe e all’ospedale del Salvatore de Urbe; alla figlia
lascia terreni, soldi ai nipoti. Cecco Bello è ancora vivo nel 1475 e nel frattem-
po ha aggiunto o revocato alcune sue decisioni: con un primo codicillo – mo-
dificato l’anno successivo – lascia alla cappella della Vergine Maria del Buon
Consiglio un calice del valore di dieci ducati e la sua cirbinaria situata sotto
la casa di Cecca di Petruccio 24 a patto che i frati o i procuratori addetti alla
cappella non la vendano, altrimenti decadono (decadant) e stabilisce che suo
nipote Pietro di Giovanni di Cecco Bello e i suoi figli elargiscano annualmen-
te venti soldi; lascia alla sua cappella dedicata ai SS. Pietro e Paolo in ecclesia
supradicta un orto e la quarta parte di un altro orto; alla figlia altri terreni e
oggetti; altri lasciti in denaro pro opera sono destinati a S. Paolo, S. Maria in
Campo e alla chiesa di S. Spirito de Urbe.
In genere i testamenti sono abbastanza dettagliati ma se ne possono anche
trovare di estremamente succinti, con poche scarne indicazioni e una serie di
eccetera, con riferimento allo ius institutionis. Si possono anche trovare testa-
menti “laici” in cui non sono registrati lasciti pro anima e non è fatta richiesta
di messe di suffragio a meno che non siano sottintesi nei numerosi “eccetera”
usati dal notaio. Brevissimi sono per esempio i testamenti di Benedetto di
Bartolomeo Pafutii e di Cristoforo detto Facchino; ambedue accennano rapi-
damente ai lasciti pro anima, ma il primo si preoccupa soprattutto della moglie
Perna incinta dichiarando che se il nascituro sarà una femmina dovrà avere di
che sposarsi «secundum possibilitate domus», il secondo lascia cinque lire alla
figlia (probabilmente già dotata) e tutto il resto – non specificato – ai cinque
figli maschi. Andrea di Pietro Alteri indica solo un lascito pro funeralia per
poi assegnare alla moglie la casa e una vigna come restituzione della dote e
designare erede la figlia ma senza nominare gli esecutori. Damiana moglie di
Iacopo Vicentie indica numerosi lasciti pro anima e vuole essere sepolta in S.

23
 Alla morte di Palozia era previsto che Nocenzio facesse una donazione di cinquanta
lire di denari del Senato pro deo et anima di Palozia, somma che Nocenzio paga immediata-
mente «in eadem hora et coram dictis testibus» e di cui non c’è traccia nel testamento.
24
 La Cecca di Petruccio del codicillo potrebbe essere la Cecca uxor Petrutii alia dicto Cec-
ca Cecco Bello che detta le sue concise volontà nel 1482 chiedendo di essere tumulata (iacere)
nella chiesa di S. Paolo. La cirbinaria e la terrata erano una grotta o cantina, comunque un
locale rustico non pavimentato.

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10 paola piacentini

Maria del Buon Consiglio ma non chiede – e non si può dire se è una omissio-
ne del notaio – che siano celebrati gli anniversari. Santa vedova di Angelino si
limita a chiedere ad ognuno dei suoi figli di spendere 10 carlini per comprare
cinque «duppleria et candelas obsequia untione et vatico ut moris est» (ma
non sono nominate le chiese o le confraternite e non sono registrati i cinque
soldi per il vescovo di Palestrina), per poi indicare i lasciti, di panni e di ogget-
ti di casa, ai parenti; infine «de residuum dictis relictis reliquit pro campana
Sancti Nicolai pro anima sua». 25

Luogo di sepoltura

Il diritto canonico prevedeva la sepoltura nella chiesa parrocchiale del de-


funto alla quale doveva essere dato quanto le spettava, 26 ma solo alcuni indi-
cano il luogo in cui vogliono essere sepolti: 27 a S. Paolo otto uomini e cinque
donne, a S. Maria del Buon Consiglio nove uomini e una donna, a S. Nicola
due uomini, a S. Giovanni un uomo, tre infine a S. Maria in Campo.
In alcuni casi i lasciti – in denaro ma anche con somme ricavate dalla ven-
dita di beni immobili – sono destinati all’acquisto di oggetti sacri, come i
calici o le campane, o alla decorazione e alla manutenzione (pro reparatione)
delle chiese o delle cappelle prescelte. 28 Tommaso fu Pietro Vito vuole essere
sepolto nella chiesa del Buon Consiglio nella cappella dedicata a s. Felice
martire da lui edificata, dotandola della casa dove abita, di un pozzo per il

25
 Anche Antonella di Bastiano aveva lasciato venti fiorini alla chiesa di S. Nicola pro
campanario e Giovanni da Nocera, pur volendo essere sepolto in S. Nicola, aveva destinato
sessanta fiorini per una campana per S. Maria del Buon Consiglio.
26
  In genere per le sepolture erano utilizzate le cripte delle chiese (sotto la navata centrale
della chiesa del Buon Consiglio di Genazzano sono stati rinvenuti alcuni sepolcri e ossari).
A Genazzano sembra comunque che esistessero anche cimiteri: un atto di vendita del 1499 è
stipulato «in cimiterio Sancti Nicolai» (c. 350r), forse annesso alla chiesa di S. Nicola prima
che la zona venisse modificata dagli interventi di Filippo Colonna nel Seicento. Un cimi-
tero era presso la chiesa di S. Croce (mai nominata nei nostri testamenti), posta fuori delle
mura quattrocentesche presso la porta meridionale del Borgo: Orsetta Baroncelli – Fran-
cesca Conticello, La chiesa di S. Croce a Genazzano: architettura, arte e storia, in «Latium»,
25 (2008), pp. 57-74: p. 60; Francesca Conticello, La chiesa di S. Croce a Genazzano: analisi
storico-architettonica, in Martino V. Genazzano, p. 152.
27
  Purtroppo non è possibile identificare nelle chiese di oggi le cappelle indicate nei te-
stamenti perché le successive ristrutturazioni hanno alterato la situazione originaria; Lori
Sanfilippo, Morire a Roma, pp. 606 nota 14, 608, 620: il desiderio di una cappella costituiva
l’«affermazione della propria casata e ... aspirazione ad avere un luogo “privato” ... dove la ce-
lebrazione ... dei riti di suffragio sembra offrire maggiori probabilità di salvezza per la propria
anima»; anche Lombardo – Morelli, Donne e testamenti, p. 80.
28
  Benedetta vedova di Giuliano Manentis sembra accennare – unico esempio del nostro
dossier – ad un pellegrinaggio: «dixit habere votum ad Ecclesia sancte Marie de Loreto [forse
a Roma] et similiter ad Ecclesiam sancti Iohannis Laterani sine calciamentis».

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i testamenti in un feudo dei colonna 11

grano davanti al cellario della casa e di un terreno; Gerardo di Iacopo Simo-


nis chiede «quod se facciano dui figure in nella tosa (?) de santo Francesco
una dellà et laltra de qua alla via»; Nicola Rascini fa dipingere la Madonna
di Loreto in S. Maria in Campo e destina un calice a S. Paolo; anche Cec-
ca moglie di Petruccio magistri Iacobi vuole far dipingere un’immagine della
Vergine sull’altare di s. Savina in S. Maria in Campo e incarica per questo gli
esecutori di vendere la sua casa; un lascito di dieci ducati del testamento di
Nardo di Matteo Arcangeli è destinato ad affrescare una cappella (pro pictura
cappelle) in S. Maria in Campo e a dipingere un’immagine della Madonna in
una cappella in S. Giovanni («quod fiat pulcram cappellam supra tummatico
... et quod sit picta cum ymagine beate Virginis Marie»), dotandola di vigne
e terreni, stabilendo che debba essere consacrata e avere lo ius patronatus dei
suoi eredi e nominando un cappellano con l’obbligo di celebrare due messe
settimanali pro anima (anche se in un codicillo dettato il giorno successivo
viene riservato alle eredi uno dei terreni destinati alla cappella di S. Giovanni
e la messa è limitata a una sola); 29 anche Nardo di Antonio Nardi destina un
appezzamento di terreno libero e franco alla sua cappella in S. Paolo dedicata
a s. Matteo «et quod infrascripti heredes habeant iuspatronatus in dicta cap-
pella»; Salvato di Antonio di Nardo Viatricis ha scelto per la sua sepoltura
la chiesa di S. Paolo e le assegna quanto resta di 40 fiorini lasciati pro anima
incaricando il figlio Antonio di utilizzarli entro due anni; Antonio a sua vol-
ta vuole essere sepolto nella stessa chiesa del padre e dichiara che se i figli
dovessero morire senza eredi legittimi i beni ereditati devono essere venduti
per costruire in S. Paolo una cappella, dotarla e assegnarle un cappellano che
celebri una messa settimanale.
Anche alcune donne esprimono la volontà di essere sepolte in determinate
cappelle (non sappiamo se quelle della famiglia paterna o del coniuge) o chie-
dono di decorarle, come la già ricordata Cecca moglie di Petruccio magistri
Iacobi: Maria moglie di Alessandro Altobelli sceglie la cappella di S. Nicola
da Tolentino, 30 Palozia vedova di Santo Rascini lascia otto ducati alla cappella
dei SS. Filippo e Iacopo in S. Paolo, Iacobella di Menico Floderici indica la
cappella di S. Caterina in S. Paolo incaricando gli eredi di donare alla chiesa
un calice del valore di otto ducati. 31

29
 La pictura del testamento potrebbe essere il quadro della Madonna con Bambino attri-
buito ad Antoniazzo Romano e bottega oggi a S. Patrizio a Roma: Adriana Capriotti in An-
toniazzo Romano Pictor Urbis 1435/1440-1508, a cura di Anna Cavallaro – Stefano Petrocchi,
Cinisello Balsamo 2013, pp. 106-107.
30
 Forse la cappella era nella chiesa del Buon Consiglio: Cesare Panepuccia, Il santuario
della Madonna del Buon Consiglio in Genazzano. Storia, architettura e opere artistiche, in La Ma-
donna del Buon Consiglio di Genazzano Portata da mano angelica, a cura di Franca Fedeli Ber-
nardini, Roma s. d., pagine totali articolo, p. 37 (ma l’autore non cita la fonte della notizia).
31
  Gli eredi sono Giovanni Battista e Veradino figli di Francesco di Stefano Frazzoli che
ricevono da Iacobella parte di una casa e una cirbinaria già di proprietà di sua figlia Caterina;

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12 paola piacentini

Lasciti

Come si è visto i lasciti potevano essere in denaro, in natura, in beni immo-


bili (case o terreni), o in oggetti sacri.
È ancora Cecca di Petruccio magistri Iacobi che lascia panni alle nipoti ut
moris est tempore nuptiarum, un terreno alla confraternita della Beata Vergine,
numerose cese e vigne ai figli, l’usufrutto delle quali deve essere goduto dal
marito (che è anche esecutore testamentario) dum vixerit. Altobello di Nardo
Velle lascia varie somme a figlie, nipoti, parenti, amici (fra l’altro un bolognino
ciascuno a venti vicini, dieci soldi agli esecutori) e altri legati in beni mobili
e immobili: un materasso e una coperta (celone) alla confraternita della Beata
Vergine, un paio di lenzuola ai due ospedali romani del Salvatore e di S. Maria
delle Grazie, alla figlia la casa con cirbinaria dove vive il testatore, una terrata
e diversi oggetti purché lo accudisca per tutta la vita, alle nipoti lenzuola,
terreni, vigne, una canapaia, ai nipoti Giovanni Battista e frate Valentino (Va-
lentino di Buzio, osa) vigne in località Santo Pietro; chiede di celebrare messe
di S. Gregorio e anniversari («obsequia cum oratione sancti Petri ut moris
est») pro anima sua.
In natura sono i lasciti di quattro coppe di grano e tre di orzo destinate
da Antonio de Mancinis alla chiesa di S. Maria in Campo, o dal discretus vir
Nicola di Antonio di Giovanni Marce (mezzo orto al Buon Consiglio e otto
libbre di cera a S. Maria in Campo), ma soprattutto quelli di Giuliano di Ia-
copo di Buzio: oltre a donazioni di denaro (come le cinque lire a S. Paolo pro
supplemento tumbarum), di un doppiere all’immagine della Vergine che sta
nella via sopra S. Maria in Campo ubi dicitur la Cona (dove passava la vecchia
via per San Vito), di qualche vigna, lascia pecore, una vacca, una cavalla, scro-
fe, buoi, ancora una rubbiatella di maggese e due rubbia di grano per il servo,
sei rubbia di grano ad mensuram parvam per il nipote, una scrofa alla nipote
Iacobella di Nardo.
Sono frequenti i lasciti di beni mobili o immobili ai parenti o ai conoscenti
con la richiesta di essere assistiti, come abbiamo visto per Altobello detto
Usima e per Iacobella di Menico Floderici; Pietro di Nicola di Cicco da Pa-
liano nomina eredi i figli vincolandoli ad assisterlo, sostentarlo e dargli di che
vestirsi per il resto dei suoi giorni e lascia alcune somme per messe cantate
alle chiese di S. Andrea e S. Maria e per il monastero di S. Pietro a Paliano. 32
Questo dimostra che alcune persone, anche se residenti a Genazzano, non
dimenticano il paese d’origine loro o della loro famiglia: così Gemma vedova

devono offrire il calice se nel giro di tre anni entrano in possesso dei due immobili – altrimenti
non sono tenuti alla donazione – in cambio dei quali «debeant nutrire et gubernare dictam
Iacobellam toto tempore vite sue»; in caso contrario il lascito passa al dominus Francesco di
Bartolomeo Sclavi che deve a sua volta occuparsi di Iacobella.
32
  Piacentini – Scatizzi, Le pergamene, p. 228, nr. 20.

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i testamenti in un feudo dei colonna 13

di Pietro Fasoli e Bartolomea di Andrea da Ciciliano, probabilmente parenti,


dispongono di un lascito anche per la chiesa di S. Maria di Ciciliano. 33
Come si è visto più di uno dispone dei lasciti per ospedali romani, in par-
ticolare per quello del Salvatore (o di S. Giovanni), 34 ad eccezione di Maria di
Giuliano Iannotti che preferisce dotare di un letto con le lenzuola l’ospedale
di Genazzano: Gentilesca vedova di Angelo di Petruccio (un letto con lenzuo-
la e coperta), Benedetta vedova di Giuliano Manentis (lenzuola usate e una
coperta), Altobello detto Usima (lenzuola), mentre Giuliano di Pietro Iannotti
assegna all’ospedale la sua casa o granarium destinata alla confraternita della
Frusta nel caso che quest’ultima voglia venderla.

Eredi. La dote delle donne

Dopo essersi preoccupati della salvezza della propria anima nell’aldilà, e


aver indicato a chi devono andare i loro lasciti, i morenti si accingono a sce-
gliere i loro eredi e cercano, in linea di massima, di non dividere il patrimonio
familiare lasciandolo a parenti stretti e aggiungendo clausole relative a even-
tuali vendite fra di loro: Bartolomeo di Tomasso Pafutii lascia varie case ai figli
ma si raccomanda «si unus vel alter vult vendere sortem suam quod teneant
vendere supradictis fratribus pro iusto pretio».
Talvolta è precisata anche la destinazione del lascito in caso di morte dei
figli e quindi il passaggio ai figli dei figli indicando una successione alla se-
conda/terza generazione; per lo più l’eredità è divisa in parti uguali fra il figlio
vivente e i figli del figlio morto o altri parenti stretti: Angelo Petii lascia eredi
universali la moglie Lucia e il figlio Giovanni, ma se i due muoiono e se Gio-
vanni non ha lasciato figli legittimi «quod succedant consanguiniores dicti
testatoris»; inoltre, se Lucia contrae un nuovo matrimonio può riavere la sua
dote ma non ha più diritto all’eredità. Altobello detto Usima nomina eredi la
figlia Iacobella per una metà del patrimonio e i nipoti Giovanni Battista, An-
gelella, Altabella, Desiderata per l’altra metà, ma in mancanza di figli legittimi
delle tre sorelle la loro parte deve andare al fratello. Nicola Andrea Bene Nato

33
  Il testamento di Gemma è del 1475 e quello di Bartolomea del 1497; il figlio ed erede di
Gemma è Giuliano di Pietro Fasoli, un Giuliano Fasoli (manca il patronimico) è erede univer-
sale di Bartolomea; un Giuliano Fasoli (lo stesso?) detta il testamento nel 1498.
34
 Secondo Ivana Ait (I costi della morte: uno specchio della società cittadina bassomedie-
vale, in La morte e i suoi riti in Italia tra medioevo e prima età moderna, a cura di Francesco
Salvestrini – Gian Maria Varanini – Anna Zangarini, Firenze 2007, p. 284) i lasciti per gli
ospedali possono dimostrare una preoccupazione per le frequenti epidemie. L’ospedale del S.
Salvatore ad Sancta Sanctorum era uno dei principali ospedali romani. S. Maria delle Grazie è
probabilmente l’ospedale al Foro Romano: Anna Esposito, Le confraternite e gli ospedali di S.
Maria in Portico, S. Maria delle Grazie e S. Maria della Consolazione a Roma (sec. XV-XVI), in
«Ricerche di storia sociale e religiosa», 17-18 (1981), pp. 145-156.

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14 paola piacentini

lascia l’usufrutto alla moglie Francesca e nomina erede il figlio Giovanni, ma


se Giovanni dovesse morire in pupillari etate i beni devono essere divisi in par-
ti uguali tra Francesca e suo fratello Bonando. Antonio di Buzio (Caballario)
nomina erede la figlia Caterina che a sua volta deve lasciare il patrimonio al
figlio (quindi nipote di Antonio) Francesco Mambrino; ma, a differenza degli
esempi precedenti, se Mambrino dovesse morire senza eredi legittimi i suoi
beni, invece di passare agli altri parenti, cioè agli zii paterni o agli eventuali
figli di un secondo matrimonio di Caterina, devono andare alla confraternita
della Beata Vergine Maria in cambio di messe annuali. 35
Alla morte del marito le donne potevano scegliere se restare con i figli – o
comunque con gli eredi – del defunto e godere dell’usufrutto dei suoi beni
o passare a seconde nozze, nel qual caso non avevano diritto all’usufrutto; o,
infine, vivere da sole, eventualmente insieme con i figli minorenni; e dei figli
che devono ancora nascere o in pupillari etate spesso si preoccupano i padri.
Nei testamenti femminili per lo più sono privilegiati come eredi universali
i maschi, soprattutto i figli, poi i fratelli e i nipoti; più raramente le figlie. A
quanto pare solo tre donne su 61 designano erede universale il marito, anche
in presenza di figli, altre lo nominano usufruttuario o esecutore; qualcuna
infine non lo nomina affatto (ma non ne possiamo essere sicuri) come Cecca
moglie di Francesco di Giovanni Mataluni che nel 1478 indica come eredi le
figlie ed esecutori il padre Filippone e un Alessandro Guidoni, anche se il ma-
rito doveva essere ancora vivo perché nel 1482 è uno dei testi nel testamento
di Nicola Rascini 36.
Gli uomini nominano le mogli usufruttuarie, eredi o, più raramente, ese-
cutrici testamentarie, e qui si presenta un nuovo problema, cioè capire dai
testamenti se alle donne viene restituita la dote portata all’atto del matrimo-
nio, la cui entità era stata pattuita fra il padre della sposa e il futuro marito,
in genere costituita da beni mobili dei quali era calcolato il valore (corredo,
oggetti per la casa, qualche gioiello) e da qualche immobile, a cui si aggiun-
gevano i doni (canestro) che la madre, a volte il padre, e le amiche portavano
tre giorni dopo le nozze (dies lune). Ma in una società come quella dell’epoca,
strutturata per dare il potere agli uomini ignorando la volontà delle donne, la
moglie poteva entrare in possesso di quanto le veniva lasciato solo «donec ho-
neste et caste vixerit et vitam vidualem servaverit/ duxerit»; disposizione fra

35
 Francesco Mambrino è figlio di primo letto di Caterina sposata in prime nozze con
Angelo di Cristoforo Benedicti detto Mostarda e in seconde nozze con Giuliano di Martino:
Piacentini, La popolazione, pp. 60, 66 nota 44.
36
  È possibile che Cecca non avesse fiducia nel marito poiché i suoi legati sono per la
sorella e per il padre Filippone al quale restituisce una vigna avuta in dote se le figlie eredi
muoiono minorenni. Un Francesco Mataluni (manca il patronimico: forse un nipote viste le
date; seconde nozze?) è marito di Maddalena che detta il testamento nel 1497, nominando
eredi due figlie; il 7 dicembre 1499 un Francesco Mataluni è anche esecutore testamentario di
Pietro di Giovanni Mataluni.

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i testamenti in un feudo dei colonna 15

l’altro tesa, come detto, ad evitare il frazionamento dei patrimoni, perché le


vedove potevano portare a un secondo marito quanto avuto indietro dal ma-
rito scomparso. Abbiamo trovato un solo caso di un marito, Agostino di Cola
Papachionis, che lascia venti lire alla moglie Menica (forse seconda moglie,
incinta) senza richiedere la vedovanza e la castità, aggiungendo che se Menica
vuole stare con i suoi figli deve essere nutrita con i beni del marito.
Al di là dello ius commune i mariti si rendevano comunque conto che con
la loro scomparsa le vedove potevano trovarsi in difficoltà economiche e quin-
di decidevano di nominarle eredi o usufruttuarie, disponevano di restituire
la dote ed eventualmente assegnavano altri beni come la casa di abitazione,
altre case o terreni, somme di denaro; per lo più lasciavano detto che la mo-
glie poteva continuare a vivere nella loro casa, dove infatti sono dettati molti
testamenti femminili, spesso le assegnavano anche il necessario per il vitto
e le vesti, ordinavano ai figli di occuparsi della madre, di provvedere al suo
sostentamento e, nel caso, di fornire un altro alloggio se la convivenza era
difficile 37. Pietro di Giovanni Mataluni lascia alla moglie una sua stanza, ed
inoltre due rubbi di grano, due cavallate di mosto, mezzo porco, una decena
di lana, due petitti di olio «annuatim dum vixerit». Andrea di Pietro Alteri
assegna alla moglie la casa in cui vive e una vigna come restituzione della dote
«que fuerat libr. ducent. in rebus mobilibus et in alia manu libr. XXX quod
habuit a domina Cornelia [la madre] et pro die lune ut moris est». Francesco
di Giovanni Recchia lascia la moglie Caterina usufruttuaria e le affida il figlio
Cristofano minorenne (suo erede universale) aggiungendo che nel caso di un
secondo matrimonio Caterina deve riavere la sua dote ma la tutela di Cristo-
fano e tutto il patrimonio passano al fratello Giuliano, esecutore insieme con
l’altro fratello frate Girolamo. Paolo di Genco affida i figli alla madre Petruc-
cia e restituisce la dote alla moglie Francesca a patto che stia con Petruccia
trattandola come sua madre, altrimenti Petruccia può “espellerla” dai suoi
beni, e le lascia XV lire « super omnibus iuribus suis».
Non tutti i mariti restituivano la dote – o per lo meno nei testamenti non se
ne parla: Iacopo di Cola di Buzio si limita a lasciare alla moglie Benedetta die-
ci fiorini, il vitto per un anno e una terrata sotto alla sua casa dove Benedetta
potrà abitare nel caso che non riesca ad andare d’accordo con i figli; in realtà

37
 Alcuni esempi: Nicola detto Cola Feroci lascia l’usufrutto alla moglie Stefania finché
vedova; se vuole risposarsi riabbia la dote più 20 lire «Et quod fiet supradicta Stefania domina
domina cum Antonio patre suo et fratribus dicte Stefanie». Nicola Perella dichiara che nes-
suno dei suoi figli può “contrariare” la madre Tomassa e se vuole risposarsi oltre alla dote le
assegna quindici lire. Bartolomeo di Cola Cicchini dichiara che se la moglie non può convivere
col figlio può avere due terrate. Nardo Mattie lascia alla moglie mezza casa che tornerà agli
eredi alla sua morte. Nicola di Pietro Iannotti lascia l’usufrutto alla moglie Trifolina e nomina
erede il figlio Altobello che deve ubbidire alla madre altrimenti «dicta Trifolina possit ipsum
expellere de omnibus bonis suis dum vixerit».

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16 paola piacentini

Benedetta aveva portato una ricca dote in terreni e beni mobili (f. 5rv) ed è poi
il figlio Antonio che restituisce i suoi beni alla madre (f. 118v).
In conclusione, i testamenti possono essere considerati una «fonte della
storia religiosa e sociale», 38 e per completare il quadro si possono confrontare
i testamenti di due coniugi (quattro casi) che dimostrano come non sempre
marito e moglie siano concordi nel distribuire i loro lasciti. Il discretus vir Giu-
liano di Pietro Iannotti e la moglie Maria, ambedue in buona salute e senza
figli, fanno testamento nel 1494, stesso giorno e stessa ora, nel loro podere (te-
nimento) nominandosi a vicenda eredi universali; ambedue nominano esecu-
tori Antonio di Bartolomeo, fratello di Maria, e il dominus Fabrizio; ambedue
destinano un lascito per la famula Giuliana: 39 Giuliano lascia cento fiorini che
comprendono – ma non è chiaro – una casa, una vigna con il canneto, una
caldaia di una salma; Maria le lascia un filo di coralli. Giuliano è proprietario
terriero e assegna i suoi beni a diverse persone fra cui un parente prossimo,
il nipote Altobello; numerosi lasciti sono destinati a enti religiosi. Maria la-
scia venti soldi per i vicini ma i suoi lasciti per il fratello Antonio e i nipoti
sono essenzialmente di beni mobili, biancheria, oggetti per la casa; anche lei
dispone alcuni lasciti per istituzioni religiose e preferisce dotare l’ospedale di
Genazzano di un letto con le lenzuola. 40
Anche Bartolomeo Sclavi, infirmus, 41 e la moglie Rita Bartholomei Sclavi
testano insieme (eadem hora): fanno gli stessi lasciti pro anima e indicano gli
stessi esecutori, i figli dominus Francesco e Menico. Bartolomeo destina alle
figlie femmine piccole somme, Rita dei panni; hanno sei figli maschi Filippo,
Antonio, Bastiano, Francesco, Menico, Cristofano: il marito assegna ai primi
quattro terreni e bestiame vaccino, nomina Rita usufruttuaria ed eredi i figli;
anche Rita nomina eredi i primi quattro figli lasciando a Menico e Cristofano

38
 Nolens intestatus decedere. Il testamento come fonte della storia religiosa e sociale. Atti
dell’in-contro di studio (Perugia, 3 maggio 1983), Perugia 1985.
39
  Questa famula Giuliana è detta figlia di Menico Cofani, ricordato nel testamento dei
due coniugi, che nel 1496 la promette a Silvestro di Antonio di Pietro Lippi e alla quale Giu-
liano Iannotti assegna una dote di duecento lire (ff. 286r-286v). Giuliana potrebbe essere una
figlia illegittima dello Iannotti: così si spiegherebbero il nome e i ricchi doni.
40
  Il testamento di Maria è del 1494, quindi deve trattarsi dell’ospedale nuovo, fondato
per volere di Antonio Colonna (testamento 1470) presso la chiesa di S. Croce e non dell’ospe-
dale vecchio, documentato nelle convenzioni del 1370: Scatizzi, I Colonna signori di Genazza-
no, p. 18; Baroncello – Conticelli, La chiesa di S. Croce, p. 69 e segg.
41
 La famiglia Sclavi sembra molto attiva nella comunità genazzanese, a cominciare da
un Bartolomeo de Sclavis conestabile nel 1277. Il nostro Bartolomeo, più volte testimone,
confinante, esecutore di Iacobella di Menico Floderici è morto prima del febbraio 1479 (f.
104v: eredi Bartholomey Sclavi); il più presente dei figli è il dominus Francesco: testimone,
destinatario di donazioni e lasciti (per es. Iacobella Floderici), esecutore (vendita di una terrata
per Pasquale Azelami, f. 231r); come esecutore del padre con il consenso del fratello Bastiano
vende una cesa per la sua anima (f. 185r). Secondo la leggenda i de Sclavis e i Giorgi avevano
accompagnato l’immagine della Madonna dall’Albania a Genazzano.

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i testamenti in un feudo dei colonna 17

solo cinque lire di legittima. Non possiamo sapere perché, ma due dei figli
sembrano discriminati rispetto agli altri.
Salvato di Antonio Viatricis e la moglie Perna testano a pochi giorni di
distanza: Salvato detta il testamento nella sua casa sulla piazza, Perna davanti
alla casa del marito; Salvato lascia dieci ducati alla figlia (che evidentemente
aveva già avuto la sua dote), non si cura della moglie e nomina esecutori il fi-
glio (che è anche erede) e il genero. Perna nomina Salvato esecutore e usufrut-
tuario e i figli Antonio e Contadina eredi, con piccoli lasciti in panni e terreni
alle nipoti figlie di Contadina e otto lire pro anima matris sue.
Nicola Rascini e la moglie Bartolomea testano a tre anni di distanza; am-
bedue nominano il figlio Bartolomeo erede universale ed esecutore; analoghi
sono i lasciti per l’anima e per gli anniversari; Nicola lascia un ducato per
messe gregoriane per l’anima sua e dei suoi morti, cinque carlini per dipingere
un’immagine della Madonna di Loreto in S. Maria in Campo, incarica Barto-
lomeo di comprare un calice per S. Paolo, riserva una giovenca per il pranzo
dell’ottavario e assegna una vitella (asseccaticcia) di due anni a Giuliano Pon-
celli, fratello di Bartolomea, esecutore e tutore della nipote Veradina, figlia del
figlio Pietro; Nicola si preoccupa anche della sua dote assegnandole duecen-
tocinquanta lire comprensive di una casa, un oliveto, un orto, una vigna, un
terreno e una vacca, e chiede a Bartolomeo di fornirle cibo e vesti finché non
si sposa; Bartolomea le lascia quindici lire di legittima che passeranno allo zio
se Veradina dovesse morire senza figli legittimi.

Elenco testamenti (a cura di Giacomo D’Andrea)

Testatore Data Fogli


Agostino di Cola Papachionis detto Fattore 16 febbraio 1478 88v-89
Altobello di Nardo Velle detto Usima 28 maggio 1497 306v-307v
Altobello di Nardo Velle (codicillo) 15 giugno 1497 310
Andrea di Pietro Alteri 17 ottobre 1496 291v
Angela vedova di Cola Marchentis 4 marzo 1496 282v-283
Angela vedova di Princivalle 1 giugno 1480 123rv
Angelo Petii 3 aprile 1486 191v
Antonella di Bastiano 28 marzo1478 92v-93v
Antonella di Bastiano 1 settembre 1487 207v-208
Antonella fu Benedetto Mattiotti 21 febbraio 1479 103v-104
Antonella vedova di Paolo di Cola Iannis 12 aprile 1499 352
Antonio di Buzio magistri Iacobi detto Caballario 3 dicembre 1497 323rv
Antonio de Mancinis da Olevano 21 giugno 1489 224v-225v
Antonio fu Nicola magistri Angeli 2 luglio 1401 A3

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18 paola piacentini

Testatore Data Fogli


Antonio Mattiutie 19 agosto 1498 336v-337
Antonio di Salvato Viatricis (Antonio Mosetti) 18 luglio 1485 180rv
Antonio Mosetti (codicilli) 19-20 luglio 1485 180v-181
Bartolomea di Andrea da Ciciliano 17 dicembre 1497 325
Bartolomea Buccutie 8 febbraio 1485 174rv
Bartolomea moglie di Cola Rascini 14 marzo 1482 106rv
Bartolomeo di Cola Cicchini 3 ottobre 1486 193v-194
Bartolomeo Sclavi 20 agosto 1478 99v-100v
Bartolomeo di Tomasso Pafutii 1 settembre 1489 226-227
Bartolomeo Tomassi Pafutii (codicillo) 3 ottobre 1489 227rv
Benedetta vedova di Giuliano di Stefano Manentis 23 luglio 1498 335v
Benenata vedova di Calabrese 13 dicembre 1497 324v
Benedetto di Bartolomeo di Tomasso Pafutii 12 giugno 1490 245v-246
Biagio di Antonio Gallatii 16 agosto 1482 152-153
Caterina moglie di Mariano Antolini 24 maggio 1497 307v-308
Caterina moglie di Menico di Bartolomeo Sclavi 25 luglio 1479 113rv
Cecca moglie di Cola Mattei 16 marzo 1466 3v-4
Cecca moglie di Francesco di Giovanni Mataluni 15 aprile 1478 94v-95
Cecca moglie di Petruccio detto Cecca Cecco 7 marzo 1482 146rv
Bello
Cecca moglie di Petruccio magistri Iacobi 23 novembre 1485 187rv
Cecco Bello 1 febbraio 1468 21-22
Cecco Bello (codicillo) 30 aprile 1475 55v-56
Cecco Bello (codicillo) 3 aprile 1476 68v
Colasia vedova di Menichitto 7 settembre 1489 227v-228
Coletta moglie di Alessandro Felenge 11 gennaio 1498 327
Cristoforo detto Facchino 15 dicembre 1488 220rv
Damiana moglie di Iacopo Vicentie 31 gennaio 1483 161v-162
Femmina vedova di Giuliano Cille 11 marzo 1482 146v-147v
Francesca moglie di Giuliano Poncelli 25 aprile 1490 242v
Francesco Casaliveri 28 dicembre 1498 341rv
Francesco di Giovanni Recchia 17 gennaio 1478 87-88
Francesco di Maria Ripis detto Margagnone 14 marzo 1478 92rv
Francesco Mattiotti 12 aprile 1498 330v-331
Francesco di Paolo di Pietro Ciotte 11 ottobre 1495 277v
Gemma vedova di Pietro Fasoli 28 gennaio 1475 52v-53
Gentilesca vedova di Angelo Petrutii 27 ottobre 1497 318-319
Gerardo di Iacopo Simonis 4 settembre 1499 359v-360
Giuliano fu Antonio Floderici detto Marzo 8 settembre 1473 27v-28
Giuliano Fasoli 1 giugno 1498 333v

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i testamenti in un feudo dei colonna 19

Testatore Data Fogli


Giuliano di Iacopo di Buzio detto Inciollo 31 luglio 1503 A 24
Giuliano di Pietro Iannotti 24 agosto 1494 269v-270
Iacobella fu Pietro Lippi m. di Bernardino de Bono cartella
Anno detto Cardello 119
Iacobella di Menico Floderici 18 maggio 1476 72-73
Iacobella di Menico Floderici (codicillo) 29 maggio 1476 73
Iacobella moglie di Antonio Naticuti 15 luglio 1466 7rv
Iacobella vedova di Piccara 28 febbraio 1467 15v
Iacobella vedova di Stefano di Paolo Venettelli 26 gennaio 1477 78rv
Iacobella vedova di Stefano di Paolo Venettelli 17 novembre 1497 320v-321
Iacopo di Cola Butii 27 novembre 1478 102rv
Iuvanda vedova di Giovanni Petitti 19 novembre 1496 294v
Lucia fu --- Antonii moglie di Francesco 22 dicembre 1456 cartella B
Maddalena moglie di Francesco Mataluni 16 aprile 1497 303v-304
Maiorana vedova di Angelo Cefari 10 settembre 1497 316v
Maria moglie di Alessandro 12 settembre 1497 317rv
Maria moglie di Alessandro (codicillo) 24 settembre 1497 317v
Maria moglie di Giuliano Iannotti 24 agosto 1494 270rv
Maria vedova di Spirito 8 aprile 1477 82rv
Mariano di Antonio Varonis 10 luglio 1490 247
Mariano Cefrelic 30 giugno 1498 335
Matteo di Giovanni Quaglioni 25 luglio 1482 151v-152
Mattiuccia fu Mario Frazzoli 30 luglio 1478 98v-99v
Menica di Pietro Rubei 13 maggio 1481 135rv
Menica vedova di Pietro Iannotti 7 dicembre 1466 12rv
Nanna di Matteo da Montefortino (Artena) 28 febbraio 1490 241v
Nardo di Antonio Nardi 15 settembre 1489 228v-229v
Nardo di Antonio Nardi (codicillo) 17 settembre 1489 230rv
Nardo di Matteo Arcangeli 22 dicembre 1482 156-157v
Nardo di Matteo Arcangeli (codicillo) 23 dicembre 1482 158
Nardo Mattie 11 maggio 1490 243rv
Nicola di Antonio di Giovanni Marce detto Cola 11 settembre 1467 19v-20v
Feroci
Nicola Andrea Bene Nato 26 ottobre 1481 138v-139
Nicola Perella 7 dicembre 1480 128v-129
Nicola di Pietro Iannotti 8 settembre 1482 153rv
Nicola Rascini 31 marzo 1482 147v-148v
Nunzia di Angelo Gualderi 7 ottobre 1482 153v-154
Palma vedova di Giovanni Varonis 12 settembre 1499 360
Palotia vedova di Santo Rascini 22 giugno 1473 27rv

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20 paola piacentini

Testatore Data Fogli


Palotia vedova di Santo Rascini 16 luglio 1492 261v-262
Paolo di Genco 20 agosto 1478 101rv
Paolo di Giovanni Marce 25 maggio 1482 149v-150v
Paolo di Meo 7 gennaio 1498 325v-326
Paolo di Pietro Manentis 20 luglio 1483 163v-164
Perna moglie di Altobello di Cola Iannotti 15 agosto 1491 254rv
Perna moglie di Salvato di Antonio Nardi 24 ottobre 1482 154rv
Perna vedova di Giuliano Tuccioli 31 dicembre 1499 367rv
Perpetua vedova di Pacitto 2 ottobre 1489 233v-234
Petruccia vedova di Iacopo Barberii detto Genco 30 novembre 1482 155v-156
Petruccia vedova di Pasquale 9 settembre 1489 228rv
Pietro di Nicola di Cicco da Paliano 3 luglio 1418 cartella B
Pietro di Giovanni Mataluni detto lo Pioto 7 dicembre 1499 366rv
Pietro Paolo di Giovanni Francisci 26 luglio 1497 311v-312
Pietro di Sante Petreconis 9 luglio 1492 261rv
Tommaso fu Pietro Vito 29 novembre 1483 A 21
Renza vedova di Francesco Mattiotti 9 dicembre 1498 340v-341
Rita di Bartolomeo Sclavi 20 agosto 1478 100v-101
Rita fu Matteo Petracche 23 dicembre 1479 118rv
Rita Petracche 2 settembre 1483 164rv
Salvato di Antonio di Nardo Viatricis 10 novembre 1482 154v-155
Santa moglie di Cola Butii 23 aprile 1488 218
Santa moglie di Francesco Maria Ripis 4 marzo 1478 91rv
Santa moglie di Giuliano Lippa 23 maggio 1478 96-96v
Santa vedova di Angelino 12 marzo 1499 348v-349
Santarella 11 luglio 1496 287v-288
Santo di Cola Mey 26 luglio 1495 271v-272
Santo di Lorenza 17 ottobre 1466 10v-11
Stefania moglie di Bonando Veneccase 11 marzo 1475 54-55
Suffia moglie di Giuliano Cappellutie 28 maggio 1478 97v-98v
Tomassa vedova di Salvato Antolini alias Tomassa 5 marzo 1475 53v-54
de Mangone
Vanna vedova Carutii 3 marzo 1449 A 57

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