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STORIA ROMANA MOD.

B
15-02 (prima lezione)
Il testo che noi leggeremo è le “Res Gestae Divi Augusti” ed è un testo scritto da Augusto e reso
noto solo alla sua morte. Questo è uno di quei tre documenti che augusto aveva consegnato alle
vestali, sacerdotesse che tengono vivo nel tempio di Vesta il fuoco di roma, perché fossero da loro
custoditi e resi poi noti alla sua morte. I tre testi erano: uno il testamento, e questo noi lo
conosciamo per i riassunti che hanno fatto Tacito e Svetonio; il secondo testo era il “Breviarum
totius imperii”, uno scritto perso completamente, era interessante perché conteneva un inventario
di tutte le unità militari, del numero dei soldati sotto augusto, conteneva tutte le entrate dello
stato romano e tutte le uscite, tutte le spese necessarie per l’amministrazione imperiale; il terzo
testo è quello che leggeremo noi, Svetonio lo chiama “in res rerum a se gestarum”, una rassegna
delle imprese da lui compiute, da qui il nome delle “res gestae divi augusti”. Questo testo noi pure
lo avremmo perduto, ma alla sua morte augusto fece monumentalizzare questo scritto e lo fece
incidere su due colonne di bronzo davanti al suo mausoleo. Il mausoleo di augusto fa parte di un
complesso urbanistico, quello del campo marzio, che augusto rivoluziona e caratterizza in maniera
importante perché il campo marzio è la parte di roma in cui c’è l’Ara Pacis Augustae e il Solarium,
la grande piazza dove uno degli obelischi portati dall’egitto fa da meridiana.
Le due colonne di bronzo del mausoleo non sono arrivate fino a noi, come quasi tutte le iscrizioni
sul bronzo, sono state rifuse nel corso dei secoli. Quasi tutta l’epigrafia di bronzo, che doveva
essere stata importante, purtroppo è andata perduta, meglio si è conservata l’epigrafia su pietra,
anche se molto spesso la pietra viene reimpiegata, ma viene reimpiegata magari in maniera tale
che noi ancora possiamo leggere le iscrizioni. Le res gestae si sono salvate perché sono state
trascritte anche su monumenti in qualche modo collegati al culto imperiale.
La storia romana si può dividere in due parti (scolasticamente): età repubblicana ed età imperiale;
questi due periodi hanno caratteri molto diversi, un tratto distintivo per cui la storia repubblicana
si differenzia da quella imperiale è che non si prevede l’apoteosi di personalità politiche.
L’apoteosi che cos’è è la divinizzazione dell’imperatore morto.
Questo testo viene intitolato “res gestae DIVI augusti”, sottolineiamo DIVI. Quando si dice che un
imperatore è divus, vuol dire che ha ricevuto l’apoteosi, cioè a dire è stato dichiarato dio dal
senato romano, alla sua morte. Non tutti gli imperatori diventano divi, per esempio Tiberio,
successore di Augusto, non è stato divinizzato; Claudio è stato divinizzato, Caligola no; Nerone
neanche, Vespasiano si, Tito anche. Ci sono quindi degli imperatori divi e degli imperatori che non
sono stati divinizzati. Alla divinizzazione si allude ad esempio con iconografie che rappresentano
un genio alato rappresentante l’aion, l’eternità (Antonino pio e Faustina). Quando vediamo un
imperatore e un’aquila, per esempio come avviene con una raffigurazione di augusto, l’aquila sta
portando in cielo l’imperatore, qui c’è un allusione a una prassi funeraria molto precisa, descritta
anche da Erodiano a proposito del funerale di Marco Aurelio: in occasione del funerale di un
imperatore che ha ricevuto l’apoteosi, sopra la pira sulla quale brucia il corpo, si mette una gabbia
con un’aquila che nel momento in cui si accende il fuoco viene aperta e l’aquila spicca il volo
portando l’imperatore alle sue sedi celesti.
Altro esempio può essere l’arco di Tito che è stato costruito dopo la sua morte; infatti,
sull’iscrizione del frontone recita “divo Tito” con ciò si vuole dire che Tito è gia morto. Qui si vede
Tito che sta dietro un’aquila che lo porta in paradiso e la descrizione “senatus populusque
romanus divo tito divi vespasianus filio”.
Noi siamo in grado, ora, di ricostruire quasi per intero il testo delle Res Gestae Divi Augusti perché,
perduta la trascrizione sulle colonne di bronzo davanti al mausoleo di augusto, si sono conservate
le copie fatte al tempio di Ancara, in turchia, capitale della provincia di Galazia.
In età repubblicana non si conosce un culto di qualche personalità politica, si può venerare roma
ma non l’imperatore; con l’avvento dell’impero, nella misura in cui gli imperatori romani sono in
qualche modo gli eredi dei monarchi ellenistici, tra i quali era prassi corrente che fossero venerati
come divinità, così gli imperatori, nella misura in cui augusto è il successore per esempio dei
Tolemei, o delle altre regalità ellenistiche, attira su di se un culto per cui si erigono questi templi,
dedicati a roma e ad augusto, perlopiù in oriente ma anche in occidente, come il famoso tempio a
Pola, dove vi appare l’iscrizione “romae et augusto cesari divi filio patri patriae”. Ora, tornando al
tempio di Ancara, il testo delle res gestae è stato trascritto sulle pareti all’ingresso, nel pronao.
-se consultiamo il link che il prof ha copiato su teams possiamo vedere le foto del tempio di Ancara
con le iscrizioni e la traduzione-
Leggiamo il prologo delle res gestae, questo non è augusteo e noi ce ne accorgiamo dal fatto che si
usa la III persona singolare (subiecit), il testo che comincia subito dopo invece inizia invece con la I
persona singolare.
“delle imprese del divo augusto, con le quali ha sottomesso tutte le terre abitate alla capacità di
comando del popolo romano e delle spese che fece a vantaggio della res publica e del popolo
romano, incise in due colonne di bronzo che sono poste in Roma, questa è la copia”.
Alcuni concetti da sottolineare: qui si dice che augusto ha sottomesso l’orbis terrarium
all’imperium populi romani, la frase può sembrare esagerata ma proprio così non è, non che gli
uomini colti dell’età di augusto non fossero consapevoli che il mondo abitato non coincideva con il
territorio puramente amministrato da governatori romani, c’è un imperium che è delimitato dai
confini dei mandati di governo degli amministratori romani, che si limita ai confini dell’impero,
cioè c’è un confine sul reno, un confine sul danubio, confine sull’eufratesull’Eufrate (limes
renanus, limes danubianus, limes eufrathensis) che delimitano il territorio direttamente
amministrato dai governatori romani, siano essi legati augusti pro-pretore o pro-consoles o
prefecti; c’è però un imperium che va oltre quei confini, nel senso che la potenza romana sa farsi
rispettare, sa imporre i propri voleri anche oltre i confini dei territori direttamente amministrati e
in questo senso gli ammiratori di augusto dicono che lui ha sottomesso l’orbis terrarum (tutto il
mondo) al volere del popolo romano, non nel senso che tutto il mondo sia amministrato da
governatori romani, ma tutto il mondo obbedisce ai voleri del popolo romano.
Quindi il primo concetto da fissare è che l’Impero romano si propone come impero universale,
anche se dal punto di vista strettamente amministrativo-geografico il mondo è molto più grande
dei territori direttamente amministrati da Roma, tuttavia dal punto di vista ideologico l’impero
romano è un impero che non ammette altri imperi uguali, tutto quello che è fuori dall’impero
romano, obbedisce all’impero romano, dunque può essere definito come impero ecumenico.
Noi con il nostro lessico scolastico tendiamo ad opporre la repubblica all’impero, storia di età
repubblicana e storia d’età imperiale, nel linguaggio di augusto, e non solo, la res publica è sempre
quella, naturalmente con aggiustamenti, però non si da così importanza a quella frattura
istituzionale che poi vedremo. La res publica è sempre quella, idem il populus romanus. Poi
vedremo che questa continuità è limitata.

18-02 (seconda lezione)


Cominciamo con il leggere la prima sezione in cui si rievocano gli inizi della carriera politica del non
ancora Augusto. Scolasticamente ci si riferisce ad Augusto con il nome Ottaviano per tutto ciò che
accade prima del 27 a.C., anno del suo settimo consolato, perché il cognomen augustus gli fu
conferito proprio in quell’anno, nel 27 a.C., prima di allora era chiamato Cesare, ovviamente dopo
l’adozione via testamentaria di giulio cesare dittatore. Voi sapete che questo era imparentato con
la nonna di Octavius, era un pronipote di cesare dittatore ed è stato da cesare adottato per
testamento. Ha assunto da qui il nome del padre adottivo, quindi a partire dal 44 a.c.a.C. appare
nelle iscrizioni come Gaius Iulius Caesar e talvolta capita anche che in qualche test disgrafico noi
non siamo sicuri che si tratti di Cesare dittatore o di suo figlio adottivo Gaius Iulius Caesar. quando,
negli anni più tardi, nel 42-43, lo si chiama Octavius o Octavianus è come se lo si volesse insultare,
gli si ricorda che suo padre naturale non era così nobile come il padre adottivo ricordandogli le sue
origini poco nobili.
Quando noi ci riferiamo ad Augusto quindi lo dobbiamo chiamare Ottaviano per tutto ciò che
precede il gennaio del 27 a.C. e Augusto per tutto ciò che segue il gennaio del 27 a.C.
Iniziamo a leggere e tradurre la sezione che riguarda gli inizi della carriera della carriera politica di
Ottaviano che è stata molto precoce: lui ha iniziato a occuparsi di politica subito dopo la morte del
padre adottivo e l’adozione per testamento.
Le vecchie volpi della politica romana come cicerone si trovano davanti un diciannovenne che si fa
chiamare Cesare, come appunto il detestato (da gran parte degli ottimati) dittatore, vittima della
congiura recente, che però ha ereditato il nome di cesare e la sua fortuna e anche il suo carisma,
(cesare aveva un seguito costituito soprattutto dai suoi veterani). Al suo ingresso nell’arena
politica, questo ragazzino si è dovuto barcamenare tra i cesariani di vecchia data come Marco
Antonio, Lepido, e personaggi come Cicerone che avevano sostenuto e applaudito i cesaricidi; con
una spregiudicatezza che lascia ancora adesso allibiti, lui avendo capito che non gli si lascia
diventare il capo del partito cesariano, si allea, non con i cesaricidi, ma con Cicerone contro
cesariani come Antonio, contro il quale scende in guerra.
Res Gestae
“a diciannove anni ho messo insieme un esercito con decisione privata e con spesa privata”,
sappiamo infatti che questo eredita la fortuna di cesare e ne eredita il nome; quindi, ha i mezzi
finanziari per pagare i veterani di cesare. Gente che aveva combattuto per cesare nelle campagne
galliche e poi nelle guerre civili e che era ormai in pensione, viene richiamata in servizio, ma un
serrvizioservizio per un privato, per uno che non è un magistrato della repubblica romana e che li
paga privatamente.
“esercito con il quale ho liberato la repubblica che era oppressa dalla prepotenza di una fazione”,
la fazione cui si riferisce sono gli antoniani, seguaci di Antonio, che raccoglieva gran parte di quello
che era stato il seguito di cesare perché nel 44 subito dopo il suo assassinio c’è un momento in cui
la situazione resta sospesa in quanto i cesaricidi non vengono accolti dall’entusiasmo popolare;
Antonio è abile poi a isolarli, si raggiunge un compromesso con cicerone per cui si vota l’amnistia
per i cesaricidi che scappano però in oriente perché a romaRoma l’aria si fa irrespirabile; quindi
antonioAntonio raccoglie coloro che avevano seguito cesare e si propone come il tutore dei loro
interessi. Questa situazione dura fino a quando cicerone si mette a capo di quella parte del senato
ostile ad Antonio e riesce nel capolavoro politico di assicurarsi il sostegno di Ottaviano.
Paradossalmente l’erede di cesare si schiera con quei senatori che forse non erano stati tra coloro
che avevano partecipato alla congiura contro cesare, ma certo avevano salutato il tirannicidio
come l’inizio della libertà.
“l’alleanza tra cicerone e i senatori che cicerone rappresenta, e Ottaviano dall’altra con i veterani
di cesare si stringe negli ultimi mesi del 44. Sono i mesi in cui cicerone, tornato a Roma, comincia a
pronunciare le filippiche contro Antonio; quindi, c’è questo scontro ormai insanabile tra Antonio e
i senatori guidati da cicerone e assistiti militarmente anche da Ottaviano. Nel 43 subentrano i
consoli Gaio Pansa e Aulo Irzio. Anche questi sono cesariani, sono consoli e accettano il mandato
affidato loro dal senato, cioè quello di combattere contro Antonio. In questo 43 Augusto ricorda
che Ottaviano ancora non aveva ricoperto nessuna magistratura; quindi, non aveva diritto di
partecipare alle riunioni del senato, però siccome era indispensabile militarmente dato che si
poteva permettere di pagare i veterani di cesare, gente che era abituata a adoperare le armi,
uomini preziosi, appunto si cerca di colmare questo divario tra l’età di Ottaviano e il suo seguito
politico-militare. Gli si conferisce allora la carica senatoria. I senatori non sono tutti uguali, gli si da
una autorevolezza diversa a seconda della carriera politica che hanno alle spalle. Un senatore che
è stato solo questore, ad esempio, non ha lo stesso prestigio di un senatore che è stato pretore o
addirittura console. Se uno è un consolare, ha delle prerogative che i suoi colleghi meno avanti in
carriera hanno. Prerogativa è quella di parlare prima degli altri, parlando prima quindi può
orientare più facilmente le discussioni in senato. Nel 43, quando viene “ad laectus” in senato,
Ottaviano riceve una “dignità consolare”, come se fosse stato già console. Qui si vede già il suo
peso politico.
“res publica n[e quid detrimenti caperet] me pro praetore simul cum consulibus pro[uidere iussit.”
Questa è la formula del “senatus consultum ultimus”, ovvero, in condizioni di estrema emergenza
il senato da mandata ai consoli di fare tutto quello che ritengono necessario per salvare la
repubblica. In questo caso, perché la repubblica non prenda alcun danno il senato ordinò che
ottaviano, da propretore insieme ai consoli, facesse di tutto per salvarla.
Fino al paragrafo 3 si riferisci ai primi mesi del 43, quando appunto Ottaviano è alleato con il
senato, con Cicerone, i senatori che lo appooggiano e Decimo Bruto, che difende la cisalpina
contro antonioAntonio. Si riferisce quindi a un momento della lotta politica successivo alla morte
di cesare che ha visto ottavianoOttaviano e cicerone da una parte e dall’altra Antonio e Lepido. Nel
capitolo 4 vediamo il cambiamento di soggetto. Quello di prima era il senato, ora è “populus”.
“Il populus, cioè i comizi, nello stesso anno, poiché entrambi i consoli erano caduti in guerra mi
elesse console e triumviro”. I due consoli muoiono in circostanze che hanno fatto anche
sospettare, almeno in un caso, un assassinio politico nel quale si è sospettata anche la mano dello
stesso Ottaviano. Sconfitto antonioAntonio i due consoli, uno morto in battaglia, l’altro morto in
circostanze sospette. Sta di fatto che alla fine della guerra di modenaModena, nello stesso 43 i due
consoli non ci sono più e resta questo propretore ragazzino, il quale vuole essere eletto console, il
senato che non ha più il timone di antonioAntonio, perché pensa che ormai sia più o meno finito, è
restio a eleggerlo console, dunque si va a uno scontro tra ottavianoOttaviano e i suoi soldati e un
senato praticamente inerme, per cui c’è una marcia su romaRoma, al termine della quale
ottavianoOttaviano viene eletto console, a 20’anni, questo il 19 agosto del 43. Subito dopo
Ottaviano, con un voltafaccia, si allea con antonioAntonio; qui grazie alla mediazione di Lepido, i
due, che si erano combattuti a modenaModena, nella gallia cisalpina, si accordano e assieme a
lepido si fanno eleggere “triumviri per la riforma dello stato”. È il populus che li elegge. Questi
triumviri poi decidono di procedere allo scontro con i cesaricidi che nel frattempo si sono
organizzati in oriente.
“coloro che trucidarono il mio genitore, li ho esiliati con giusti processi, punendo il loro delitto e
poiché loro portavano guerra contro la repubblica, li ho vinti due volte in battaglia”
Questa è la guerra di Filippi del 2 ottobre 42. Sono state due le battaglie di Filippi, per la verità a
filippi il vero vincitore fu antonioAntonio; Ottaviano non era un grandissimo soldato, anche se poi
ha passato la sua vita a fare guerre, spesspspesso fortunate, ma si dice che sono stati i suoi
generali, soprattutto Agrippa, in certe occasioni a risolvere sul campo le difficoltà militari. Le due
battaglie di filippi, in una poco mancò che fosse preso prigioniero e fu vinta da Bruto, l’altra
antonioAntonio dopo aver vinto contro cassio, vinse anche contro bruto. Il vero trionfatore di
filippi fu antonioAntonio.
Fino ad adesso c’è stata una narrazione cronologicamente ordinata degli eventi, anche se ci si
limita a raccontare i fatti senza spiegare tutte le giravolte politiche che li spiegano, perché messi
insieme così sembrano azioni contraddittorie, la cui azione politica non ha una idealità ma è
soltanto indirizzata dalla ricerca del potere. Fin qui c’è una narrazione degli eventi dall’aprile del
44 fino all’ottobre del 42. Segue poi, considerazioni che riguardano il complesso dell’attività
politica di Augusto, parla di sue imprese, atteggiamenti, che si protraggono un po’ per tutta la sua
vita.
“ho spesso combattuto guerre per terra e per mare, guerre civili ed esterne”
Le guerre civili sono quelle che si combattono cittadini contro cittadini, le guerre esterne sono
quelle che si combattono contro non cittadini romani, in tutto il mondo.
“e vittorioso in tutte ho risparmiato quei cittadini romani che chiedevano venia. Quanto alle genti
esterne, ho preferito preservarli piuttosto che annientarli, se si poteva perdonare loro in sicurezza.
Ci furono circa cinquecentomila cittadini romani che giurarono fedeltà a me”.
Vedremo che augusto lascerà un esercito romano che ha in organico 25 legioni, il che porta a
stimare meno di 150.000 i legionari in forza all’esercito romano. Accanto ai legionari ci sono gli
ausiliari, cioè delle unità militari, coorti se si tratta di fanteria, ale se si tratta di cavalleria, dove
militano perlopiù dei peregrini. Il contrario di cittadino romano è peregrino.
Se all’inizio la distinzione tra cives e peregrini è tra italici e non italici, grossomodo, via via questa
distinzione tra cives e peregrini sarà di status giuridico senza necessarie implicazioni etniche.
“tra questi cinquecentomila ho dedotto nelle colonie” -deducere in coloniam è la formula tecnica,
dedurre in colonia significa “inviare” soldati in pensione dove non sono stati mai, sono chiamati a
fondare spesso una nuova città o a ripopolare una già esistente. Ricevono una terra che dovrebbe
consentire loro di vivere dignitosamente e ricevono spesso premi in danaro. Qui augusto si vanta
di aver mandato a fondare delle colonie da più di 300.000 soldati congedati- “più di 300.000
soldati o li rimandai nei loro municipi; e a essi assegnai terre o donai denaro in premio del
servizio”.
In età augustea un legionario riceve degli stipendia. La differenza rispetto all’età repubblicana è
che in età imperiale abbiamo un esercito di professione, esercito che resta pronto anche in tempo
di pace, mentre in età repubblicana veniva arruolato soltanto in caso di necessità, poi, finita la
guerra per la quale era stato arruolato, i soldati venivano congedati, se non che, in progresso di
tempo, negli ultimi anni della repubblica, le guerre sono state così frequenti che questi qui erano
praticamente sempre soldati a tempo determinato, però gli ingaggi erano così frequenti che questi
finivano di fatto con l’essere dei soldati di professione. Nell’età augustea invece l’esercito è un
esercito professionale. Si viene arruolati all’età tra i 18 e i 25 anni e si milita all’inizio per 16 anni,
poi questo servizio si prolunga e diventa 20’anni (nell’ultimo decennio di augusto) e spesso
l’amministrazione trattiene anche oltre. Si tratta di persone che entrano a far parte dell’esercito
romano quando sono molto giovani e ci restano per gran parte della loro vita.
I legionari ricevono tre “stipendia” all’anno, ogni quattro mesi: a gennaio, maggio e settembre.
All’età di augusto è di 300 sesterzi ogni stipendio, al posto dei sesterzi potevano essere utilizzati 75
denari.
Un “aureus”, ovvero una moneta d’oro- con augusto si affermano queste che sono le principali
monete della massa monetaria in circolazione- di circa 8 grammi o poco meno, vale 25 denari
(moneta d’argento di 3,45 grammi) equivalente a sua volta a 100 sesterzi, moneta di bronzo. Noi
distinguiamo tra le monete di metallo nobile, che sono l’aureus e il denarius da quelle di bronzo
dove il valore nominale è più alto di quello intrinseco, mentre per la moneta d’oro c’è una
sostanziale equivalenza tra il valore nominale e quello intrinseco.
“ho catturato 600 navi, senza contare quelle più piccole delle triremi”. Le due battaglie navali più
importanti sono state quelle di Nauloco contro Sesto Pompeo nel 36 e Azio contro Cleopatra e
Antonio nel 31.

19-02 (terza lezione)


Siamo al capitolo 4 delle res gestae divi augusti.
Questa sezione riguarda il rapporto tra le guerre e la religione. La guerra quando è condotta in
maniera particolarmente brillante e culmina in un successo particolarmente notevole può essere
coronata da trionfo oppure quando è un po’ meno trionfale con una “ovatio”. Entrambe sono
processioni dell’esercito e dell’imperator dentro la città di romaRoma. Normalmente i soldati
armati non possono entrare in città, devono stare fuori del pomerio, fuori dello spazio sacrale,
eccetto che per l’occasione del trionfo. I trionfi non sono eventi molto frequenti nella storia di
Roma. Non sono rarissimi ma neanche frequentissimi. Un trionfatore è sicuro che sarà ricordato
per sempre dai suoi discendenti. Un trionfo da lustro a tutta la gens, a tutto il casato. Le ovationes
sono molto rare. Augusto dice di averne celebrate due, una sicuramente a seguito della vittoria
contro Sesto Pompeo nel 36, nella guerra servile, così da lui definita nelle res gestae dal momento
che Sesto Pompeo aveva arruolato nella sua flotta molti schiavi. Oltre a queste due ovazioni ci
sono tre trionfi: uno per operazioni militari nella Dalmazia intorno al 38 a.Ca.C. e gli altri due sono
entrambi connessi alla guerra contro cleopatra. Uno è il trionfo Aziaco e l’altro il trionfo
Alessandrino. Questi cortei dell’esercito all’interno del pomerio urbano prevedevano anche
l’esposizione di pitture che raccontassero i momenti salienti delle campagne militari. Sono note
quindi le pitture trionfali dove si celebra questo rapporto stretto tra arte figurativa e racconto
storico nella cultura romana. Questa è molto diversa da quella greca, mentre l’arte greca, la
pittura, la scultura, raffigura per lo più mondi mitici, le divinità; viceversa, l’arte romana entra
molto spesso nel racconto storico. il trionfo culminava con un sacrificio nel campidoglio.
Nell’ovatio l’imperator sfilava a cavallo, nel trionfo invece sfilava su un carro.
“due volte ebbi un’ovazione trionfale e tre volte celebrai trionfi sul carro e fui acclamato ventuno
volte imperator, sebbene il senato acclamasse un maggior numero di trionfi, io ho soprasseduto”.
Quando dice “appellatus sum imperator”, queste sono le acclamazioni imperatorie, manifestazioni
di gioia della popolazione di romaRoma alla notizia di vittorie dell’imperator. Acclamazioni che in
età precedenti le faceva l’esercito. In un’età in cui l’imperator sta a Roma (vedremo che Augusto
spesso va fuori romaRoma, come in spagna o in galliaGallia per dirigere campagne militari) e riceve
qui la notizia della vittoria delle sue truppe, l’acclamazione imperatoria la fa il popolo. In totale
augusto ha raccolto 21 acclamazioni imperatorie. Una delle ragioni della rarità dei trionfi è che è il
senato a decretarli. Per ottenere un trionfo in età repubblicana devono essere d’accordo i colleghi
senatori per far si che si possa celebrare il trionfo. Quando si riesce a celebrare un trionfo quello è
il segno di una particolare influenza di quel senatore su tutto il consenso del senato perché i
senatori sono gelosi e in genere restii a concedere l’onore del trionfo a un proprio collega. Augusto
invece fa le mostre di rifiutarne alcuni. Questa è una cosa che va messa particolarmente in rilievo
perché Augusto è stato avaro di trionfi con sé stesso e con gli altri. Proprio perché la cerimonia del
trionfo è in grado di innalzare chi ne viene onorato, augusto è stato molto attento a far concedere
l’onore del trionfo ad altre persone. Celebra 3 trionfi come Romolo, anzi, aveva anche pensato di
farsi chiamare anziché Augusto, Romolo ma aveva rinunciato perché avrebbe ricordato troppo la
monarchia. A partire dal 19 d.C. non c’è stato più nessuno, se non persone connesse alla sua
famiglia a trionfare.
Prendiamo un frammento dei fasti trionfali: lastre di marmo, iscrizione augustea che nel foro
romano ricordavano tutti i trionfatori. Si ricorda anche un trionfo di romoloRomolo.
“romulus martis filius rex- la pietra è rotta ma si capisce che si vuole intendere il primo anno dalla
fondazione di roma- “de caeninensieus”- ha trionfato sui ceinenses – “kalendis marti”- alle calende
di marzo quindi.
Questa è quasi sicuramente stata inventata “Romolo, figlio di Marte, re nel primo anno dalla
fondazione di romaRoma, nel primo giorno dell’anno ha trionfato”.
Per capire le implicazioni di un trionfo: augusto ha avuto come braccio destro Agrippa, l’uomo che
poi ha sposato la figlia e che dal loro matrimonio sono nati poi Gaio e Lucio Cesari, dei giovani che
lui subito ha adottato, ha voluto che fossero i suoi propri figli. Agrippa è una persona che è
legatissima ad augusto. Ha avuto la tribunicia potestas, però Agrippa era di origini non nobili e
dagli altri aristocratici e senatori, gente che discendeva da famiglie vecchie di secoli che stavano in
senato da sempre, era guardato dall’alto in basso, anche se poi Agrippa è quello che ha vinto la
guerra di Perugia, quello che ha vinto ad Azio. Ci sono state tre volte in cui Augusto avrebbe voluto
che agrippaAgrippa trionfasse, ma è stato lo stesso agrippaAgrippa a rifiutare il trionfo: nel 37, nel
19, nel 14 dopodichèdopodiché nel 12 muore.
Tiberio era invece un claudioClaudio, quindi patrizio. Nel 12 è il senato a volere che tiberioTiberio
trionfi per le campagne militari in pannonia, ma augusto non glie lo concede. Gli da gli “ornamenta
trionphalia”, sua invenzione, una specie di surrogato di trionfo. Augusto afferma il principio che
solo l’imperatore, e quindi solo lui ha gli auspicia e siccome ce li ha solo lui, solo lui può trionfare.
Tiberio riesce comunque a celebrare due trionfi: il primo nel 7 a.Ca.C. quando tiberioTiberio ormai
sa di essere stato retrocesso negli equilibri della casata imperiale perché stanno sorgendo i nuovi
astri, Gaio e Lucio Cesari, figli di Agrippa e Giulio; lui che è figlio di Livia, moglie di Augusto, si vede
sul punto di essere scavalcato. Questo trionfo è qualcosa che possiamo presumere Livia ha
ottenuto per suo figlio, proprio per farlo sentire ancora influente a corte, ma insomma è qualcosa
che non ha indotto tiberioTiberio a rinunciare all’idea di andare in esilio; infatti, l’anno dopo se ne
andrà a Rodi e resterà li fino a quando Gaio e Lucio Cesari saranno in vita.
Il secondo trionfo, nel 12 d.Cd.C. quando è ormai chiaro che Tiberio sta per diventare imperatore;
augusto è molto vecchio, morirà nel 14, e si sa che Tiberio è colui che lo succederà.
“ho deposto l’alloro dai fasci in campidoglio, sciogliendo così i voti solenni che avevo pronunciato
per ciascuna guerra”.
Sentiamo spesso ripetere che la religione romana è contrattualistica, prevede cioè dei patti tra
l’orante e gli dèidei. Questo promettere significa formulare dei voti, questi una volta formulati,
quando si ottiene quello che si era richiesto, debbono essere sciolti.
“per le imprese fortunate compiute da me oppure attraverso i miei legati con i miei auspici”
Qui troviamo la formulazione che ci permette di capire la dottrina augurale di augusto: solo
l’imperatore ha gli auspicia. Dal punto di vista augurale, è lui il responsabile della comunicazione
degli dei e a lui spettano tutti gli onori per la vittoria ottenuta. Quindi le operazioeni militari
possono esser condotte dai suoi legati, ma gli auspicia sono i suoi e dunque la vittoria non è dei
legati, ma dell’imperatore.
“per cinquantacinque volte il senato decretò che si dovesse supplicare agli dei immortali”.
Altra cerimonia che festeggia le vittorie dell’esercito. Le “supplicationes”, tutti i templi della città
vengono aperti e la gente entra per supplicare gli dei immortali e a ringraziarli per le vittorie
ottenute.
“per i giorni durante i quali in base a deliberazione del senato si supplicò furono ottocentonovanta
giorni. Nei miei trionfi furono condotti davanti al mio carro nove re o figli di re. Ero stato tredici
volte console quando scrivevo queste cose ed ero alla trentasttesimatrentasettesima tribunicia
potestas”
Le tribunicia potestates sono molte di più dei consolati. Il primo consolato tenuto da augusto è
stato nel 43, il secondo nel 33, poi nel 31 di seguito fino al 23, dopodichèdopodiché è stato preso
solo nel 5 e nel 2 a.C.
Il consolato è stata la magistratura che augusto ha tenuto dopo la guerra contro Antonio e
Cleopatra perché quella era la suprema magistratura. Questo era quanto del vecchio stato potesse
dare l’opportunità di agire come voleva, si è fatto quindi eleggere console fino al 23 a.C.
Non si fa eleggere console per il 22 ed assume la tribunicia potestas. Cos’è? Sono le prerogative, i
poteri, del tribuno della plebe e cioè: quello di convocare i comizi tributi, quindi di far approvare
delle leggi, di mettere il veto sulle iniziative degli altri magisttatimagistrati, anche di convocare il
senato e ha anche la sacrosantitas, protezione che aveva il tribuno della plebe. Della tribunicia
potestas la cosa più importante è che dà al principe il potere di legiferare, può presentare delle
leggi ai comizi tributi che ormai sono una sorte di pantomima. La tribunicia potestas ricevuta nel
23 viene rinnovata annualmente, così che si spiega che questo scriva “ero nella trentasettesima
tribunicia potestas quando scrivevo queste cose”.
Al 5 verso si riferisce a dei fatti avvenuti nel 22 a.C.
Nel 23 c’è questo cambiamento costituzionale, si lascia il consolato e siprendesi prende questa
tribunicia potestas e l’anno dopo Augusto parte per un viaggio in oriente, dal quale tornerà nel 19.
Sta per partire se non che scoppiano dei disordini a romaRoma proprio perché questa sua
partenza getta la plebe nel panico perché c’era una carestia, prezzi del grano molto alti e la
partenza di augusto aveva aumentato il panico della plebe di romaRoma per le prospettive
annonarie, per l’approvvigionamento, questi si sentivano infatti protetti dalla figura
dell’imperatore; dunque quando sta per partire viene subito richiamato, gli si vuole concedere la
dittatura proprio per tenerlo a romaRoma.
“non accettai la dittatura che sotto il consolato di Marco Marcello e Lucio Arrunzio mi era stata
offerta però non ho rifiutato, in una grande carestia, il compito di rifornire romaRoma di grano,
compito che ho svolto in maniera tale da liberare tutta la città dalla paura e dal pericolo
incombente in pochi giorni con spesa e cura mia”.
Ormai l’imperatore è il più grande proprietario terriero. Le proprietà imperiali sono notevoli e con
le sue risorse ha risolto questo problema.
“ho rifiutato anche il consolato annuo e perpetuo”.
Qui non si dice chi sia stato a conferirglielo, ma si può dedurre che come sopra, sia stato il populus
e il senatus. Sono i tentativi che si fanno per trattenerlo a romaRoma, cosa che lui non accetta.
Partirà il 22 in questo viaggio che lo vedrà rimanere in oriente a trattare con i parti. Dal 22 al 19
sono gli anni in cui Augusto sta spesso a Samo, riceve legazioni da molti popoli orientali e riesce a
ottenere dai parti le “insegne partiche”. Quelli dal 22 al 19 sono gli anni in cui augusto sta spesso a
Samo, riceve legazioni da molti popoli orientali e riesce a ottenere dai Parti le insegne partiche.
Questo viene presentato come un successo che avrebbe dovuto compensare, annullare l’onta del
disastro di Carre. Nel 53 sappiamo che Marco Licinio Crasso viene duramente sconfitto a Carre dai
persiani e perde le insegne militari che poi Augusto si farà restituire e metterà nel tempio di Marte
ultore.

22-02 (quarta lezione)


Una precisazione rispetto alla trentasettesima tribunicia potestas, questa inizia nel 14, non nel 13.
Passiamo al 6 capitolo delle Res Gestae.
Qui augusto tiene a sottolineare di non aver accettato nulla, nessuna magistratura che non fosse
già nel mos maiorum. Noi che siamo abituati alle costituzioni scritte, diremmo “che non fosse
prevista dalla costituzione”. Per i romani, il mos maiorum, quindi la tradizione, la prassi stabilita,
ha valore normativo, più o meno come la nostra carta costituzionale. Qui ci troviamo nell’anno 19
a.C., anno in cui Augusto torna dall’oriente, ricordiamo che era partito il 22.
“sotto il consolato di Vinicio e Lucrezio e poi di Publio e Gneo Lentulo (18 a.C.) e ancora Fabio
Massimo e Quinto Tuberone (11 a.C.), consentendo il senato e il popolo romano che io fossi eletto
da solo curatore delle leggi e dei costumi con poteri sommi, io non accettai nessuna magistratura
offertami contro il mos maiorum”.
Quindi assemblea dei senatori e il populus sarebbero stati d’accordo nell’offrirgli questa carica che
si presenta in maniera molto vaga.
“le cose che il senato volle che io attuassi le ho portate a termine per tribuniciam potestatem”.
La tribunicia potestas che gli era stata conferita nel 23 viene adoperata nel 19-18 e nell’11 per far
approvare delle leggi; ecco appunto a cosa serve, gli dà il potere legislativo, di fatto lui presenta
delle erogazioni che vengono approvate in plebisciti e dunque diventano leggi. Le assemblee in età
imperiale sono totalmente inconsistenti. Non si ricorda una legge presentata da un senatore che
non sia stata approvata. Due delle leggi augustee sono particolarmente emblematiche: una è
quella “de adulteriis coercendis”, quindi della repressione degli adulteri, una moralizzazione della
vita privata degli aristocratici, augusto si sforza di dettare uno stile dell’aristocrazia imperiale e lo
vuole improntato a una morale tradizionale. Anche l’altra legge, quella “de maritandi ordinibus”
tende a ostacolare le unioni interclassiste; si tende a preservare la nobiltà dei due ceti privilegiati:
quello senatorio e quello equestre; da questi ceti l’amministrazione imperiale recluta tanto i
govenatorigovernatori delle province, quanto i manager di stato, i procuratori, quelli che
amministrano i beni pubblici e curano ad esempio la riscossione delle tasse, sorvegliano la
contabilità di stato, comandano l’esercito, le flotte. Nel 19-18 a.C. augusto sente il bisogno di
moralizzare questi ceti, di dar loro delle regole di vita privata, quindi niente adulteri, niente
matrimoni con ex schiavi ecc.
Si approfondiscono le differenze di status sociale; ci sono questi due primi ceti che debbono dare
l’esempio di una condotta di vita tradizionale. Pure nella stessa direzione va la “lex suntuaria” che
limita le spese dei ceti aristocratici. La competizione politica tra i vari senatori si combatte sul
piano dello splendore della vita privata quindi si puntava ad abitare in una domus vistosa, fastosa,
dove ci sono tante opere d’arte, dove ci sono marmi, dove ci sono grandi estensioni di giardini,
una domus curata da schiere numerosissime di schiavi. L’aristocrazia romana competeva nelle
spese che si facevano per il lusso privato, quindi quelle che si facevano per le case, le cene, i gioielli
delle donne, oppure per le spese pubbliche in termini di spesa per la vita ludica della città. I
magistrati della città di romaRoma, i questori, pretori e consoli, erano tenuti ad offrire dei giochi,
dei “ludi” (corse dei carri nel circo massimo), oppure gli spettacoli al teatro di Pompeo. Augusto fa
quindi questa legge in parte per evitare che questi senatori diventassero troppo popolari, in parte
perché i senatori non sono tutti ricchi allo stesso modo e permettere loro di gareggiare senza limiti
poteva portare alla marginalizzazione dei senatori più poveri, cosa che comunque capitava perché
questi qui per organizzare i loro giochi si indebitavano e indebitandosi, molto spesso non
riuscivano a ripagare i debiti contratti durante i loro mandati ed erano costretti poi ad uscire
dall’ordine senatorio perché (ricordiamo che) per appartenere ai primi due ordini: quello senatorio
e quello equestre, era necessario avere un patrimonio minimo. Nel caso dell’ordine senatorio
1milione di sesterzi, nel caso dell’ordine equestre di 400.000. Chi eccedeva nelle spese poi si
vedeva costretto a chiedere all’imperatore la “venia dall’ordine”, ovvero il permesso di essere
congedato dall’ordo senatorius. Poi abbiamo anche la “lex de ambitu” la quale riguarda le
propagande elettorali. Ancora c’era della competizione elettorale e anche questa viene regolata da
augusto. Augusto vorrebbe una classe senatoria attenta, moderata e facilmente controllabile.
Proseguiamo con la lettura del 6 verso:
“le cose che il senato volle fossero da me fatte, le ho portate a termine grazie alla tribunicia
potestas, della quale potestas io chiesi e ottenni, dal senato, per cinque volte un collega”.
I colleghi in realtà sono due: il primo è Agrippa, che ha avuto come collega dal 18 al 13 e poi dal 13
per altri cinque anni sarebbe dovuto essere e invece nel 12 a.C. Agrippa muore e dal 6 a.C. Tiberio,
la cui tribunicia potestas viene poi via via rinnovata per altre due volte.
Verso 7:
“sono stato triumviro per riordinare la repubblica per dieci anni di continuo”.
Gli anni vanno dal 43 al 33. Il 43 è l’anno del triumvirato con Antonio e Lepido.
“sono stato il primo dei senatori fino al giorno in cui ho scritto queste cose per 40 anni. Sono stato
pontefice massimo, augure, quindecemviro alle sacre cerimonie, settemviro degli epuloni, fratello
arvale, sodale Tizio, feziale”.
Il princeps senatus, il primo tra i senatori, è colui che ha diritto di parlare per primo, poi i
sacerdozi, vengono citati in ordine di importanza prima i quattro più importanti e sono: quello del
pontificato, dell’augurato, del quimdecemvirato (i quindecemviri sacris faciundis sono quelli che si
occupano della lettura dei libri sibillini, sono dei testi incomprensibili, dove si dice che fossero
scritti in un linguaggio criptico, costoro, in circostanze di particolare emergenza potevano essere
richiesti, da parte del senato, di andare a consultare i libri sibillini, questi traevano delle indicazioni
sul da farsi) e dei settemviri epuloni (questi erano un collegio che si occupa di banchetti rituali); i
frates arvales, sodales e feziales sono collegi antichissimi che augusto porta a nuova vita e che
però il cui prestigio era minore rispetto a quello degli altri sopra elencati. Augusto quindi è stato
membro di tutti questi collegi religiosi.
Verso 8:
“ho aumentato, quando ero console per la quinta volta (nel 29) ho aumentato il numero dei
patrizi”.
Dai Claudi non si hanno notizie di altre gentes accolte nel patriziato, quindi per quattrocento, quasi
cinquecento anni, non ci sono state famiglie immesse nel patriziato. Augusto crea nuovi patrizi
perché con le guerre civili, molte famiglie patrizie si sono pratiamnete estinte. C’è bisogno quindi
di creare nuovi patrizi per ricoprire quei sacerdozi che solo i patrizi possono ricoprire. Questi sono i
flamines maggiori e soprattutto il rex sacrorum.
“senatum ter legi”, si accede al senato perlomeno dopo aver ricoperto la questura, alcuni senatori
saltano la questura e diventano direttamente tribuni della plebe o edili o pretori; normalmente si
ricopre anche la questura ed è questa che da accesso al senato. Le liste dei senatori vanno riviste
di tanto in tanto e augusto lo fa tre volte. Vanno riviste perché ci possono essere dei senatori che
ormai si dimostrano non più degni di stare in questo club ristetto e d’altra parte ci può essere
bisogno di introdurre nuovi personaggi in senato, ad esmepioesempio l’imperatore che vuole
favorire una personalità meritevole può associare al senato persone che non hanno ricoperto la
questura e di li poi seguono la loro carriera politica. Augusto lo fa per tre volte, queste tre volte
sono collegate ai censimenti; la pratica repubblicana dei censimenti l’abbiamo vista all’inizio
connessa alla necessità di ripartire in classi di censo il corpo civico romano (riforma militare di
servioServio tullio). Era dal 69 a.C. che non si celebrava più un censimento. Augusto ne fa tre, uno
nel 28, uno nell’8 a.C. e uno nel 13 d.C., poco prima di morire. Grazie alle res gestae abbiamo il
numero dei cittadini romani.
“nel mio sesto consolato (28 a.C.) ho celebrato il censo del popolo romano con il collega Marco
Agrippa, ho fatto la cerimonia che concludeva il censo dopo 41 anni. Furono censiti 4.063.000
cittadini romani”.
Il numero dei cittadini è un numero su cui si discute perché l’ultimo censimento, quello del 69
a.C.avevaa.C. Aveva registrato 910.000 “capita”, nel 28 se ne registrano 4.063.000. ci sono indirizzi
interpretativi diversi: c’è chi dice che non è possibile che dal 69 al 28 a.C. il numero dei cittadini
romani sia quadruplicato, un aumento demografico di questa portata richiede tempi molto più
lunghi; quindi, questi 4 milioni non sono soltanto i cittadini maschi adulti (in età repubblicana solo
questi venivano registrati, perché il censo serviva ad indicare i soldati, quelli che potevano portare
le armi) ma anche le donne e i bambini. Mentre altri ritengono che i criteri di classificazione sono
rimasti gli stessi e che l’alto numero dei cittadini romani registrati nel censimento augusteo si
spiegano in parte con l’estensione della cittadinanza romana alla Galla Cisalpina (che avviene con
Cesare nel 49 a.C.). Oltretutto si ritiene che con augusto i censimenti siano stati condotti con
maggior scrupolo che non nelle età precedenti.
“poi feci un secondo censimento con potere consolare, senza collega, sotto il consolato di Gaio
Censorio e Gaio Asinio e in questo censimento furono registrati 4.230.000 cittadini romani”
In venti anni si ha un aumento di 170.000 unità.
“feci un terzo censimento con potere consolare insieme a mio figlio Tiberio Cesare, sotto il
consolato di Sesto Pompeio e Sesto Apuleio, in questo censimento furono registrati 4.937.000
cittadini romani”
Fatto nell’anno 14 a.C. a distanza di altri venti anni c’è un ulteriore aumento di 700.000 cittadini
romani.
Poi vedremo come spiegare questi importanti aumenti del numero dei cittadini romani.
“su mia proposta sono state approvate le leggi nuove che hanno dato nuova vitalità a delle
tradizioni che erano ormai cadute in disuso ai nostri tempi e io stesso ho tramandato esempi da
imitare in molte cose”.
Il numero dei cittadini romani aumenta nella prima età imperiale anche perché contribuiscono per
un verso gli affrancamenti, uno schiavo liberato diventa cittadino romano e molto spesso questi
aristocratici che si circondavano di schiavi per lustro, quando muoiono danno la libertà ai loro
schiavi. Molto spesso gli schiavi, soprattutto quelli più dinamici e indipendenti riescono a
guadagnare abbastanza per riprendersi la loro libertà e questi quando fossero stati affrancati con
tutte le formalità diventavano cittadini. Questa è una delle fonti di arricchimento della
popolazione romana. L’altra fonte è l’esercito. La metà, grossomodo, dell’esercito romano è
costituito da unità ausiliarie, non da legioni ma da coorti se si tratta di fanteria oppure alee se si
tratta di unità di cavalleria, nelle coorti e nelle alee militano perlopiù i peregrini, cioè dei soldati
che non sono provvisti di cittadinanza romana, a costoro viene data la cittadinanza. I documenti
più antichi risalgono a Claudio, però è verosimile che anche prima di Claudio gli ausiliari
ricevessero la cittadinanza al momento del congedo. Questi ausiliari militano per 25 anni e quando
è il momento del pensionamento ricevono la cittadinanza per sé e per i figli che abbiano avuto da
una sola moglie. Stiamo parlando di 150.000, molti dei quali non arriveranno al congedo perché
moriranno prima, si tratta però comunque di diverse migliaia di soldati peregrini che ogni anno
ricevono la cittadinanza romana. Ci sono poi anche altri modi con i quali si può arrivare alla
cittadinanza romana, però certamente questi sono i canali più importanti.
APPROFONDIMENTI:
I numeri che noi abbiamo riguardo la cittadinanza romana sono scarsi e ci dicono solo la variazione
del numero dei cittadini romani. Non è detto che ad una variazione del numero dei cittadini
romani corrisponda una variazione della massa demografica. Noi abbiamo numeri di un altro
censimento, quello di Claudio, per il quale abbiamo due numeri: il primo ce lo da tacito e sono
5.984.000 e l’altro ci da 6.940.000. noi non sappiamo se questa variazione dipenda da un aumento
della popolazione generale oppure semplicemente da una maggiore generosità da parte di Claudio
nel concedere la cittadinanza romana.

25-02 (quinta lezione)


abbiamo già parlato del “votum”, di questa promessa che i devoti romani fanno agli dei, se mi
concedete questo, io farò questo, si fanno quindi dei voti pubblici.
Verso 9:
“il senato decretò che venissero fatti voti per la mia saluta da consoli o sacerdoti ogni quattro anni.
In seguito a questi voti spesso, quando ero in vita, talvolta i quattro collegi sacerdotali più
importanti, talvolta i consoli, allestirono i ludi”
Per ludi si intendono le corse dei carri al circo massimo, i ludi circenses, i ludi teatrales, ovvero la
rappresentazione di opere teatrali al teatro di pompeo; dunque, spesso a seguito di questi voti
fecero i ludi. I quattro collegi sacerdotali più importanti sono: quello dei pontefici per primo,
secondo quello degli auguri, terzo quello dei quindecenviri e quarto quello dei settemviri degli
epuloni.
“tutti i cittadini, come individui privati e come comunità cittadina, unanimemente, continuamente,
supplicarono per la mia salute presso tutti i pulvinaria”.
Pulvinaria: letti sui quali si adagiavano le immagini sacre degli dei. Abbiamo visto prima dei voti
formulati pro-salute (per l’incolumità) i quali non presuppongono una malattia di augusto; le
supplicationes pro-valetudine presuppongono una malattia dell’imperatore (ce lo dice svetonio
che augusto era cagionevole di salute, cadeva spesso malato e più di qualche volta si è temuto per
la sua vita).
Verso 10:
“il mio nome è stato inserito per decreto del senato nel carmen Saliare”
Abbiamo detto che i Sali erano dei giovani, divisi in due gruppi ( Sali palatini e collini), reclutati solo
dai patrizi; una delle ragioni dell’ampliamento del numero dei patrizi è il mantenimento di questi
sacerdozi a famiglie che lo stato romano riconosceva come famiglie patrizie, quando queste
antiche famiglie con le guerre civili si iniziano ad estinguere, vengono create nuove casate patrizie
per mantenere nell’ambito del patriziato sacerdozi come i Sali. Questi erano dei ballerini sacri che
in determinate occasioni, come in marzo, a primavera, celebravano delle processioni a roma e
cantavano questo carmen saliares, pervenuto fino a noi perché alcune cose sono state citate dai
grammatici.
Il nome di augusto è quindi stato includo in questo carmen, come ad invocare delle benedizioni nei
confronti di augusto.
“e fu stabilito per legge che io fossi sacrosanctus in perpetum, inviolabile per sempre e che avessi
la potestà tribunizia a vita”
Abbiamo visto che la sacrosanctitas è una delle prerogative del tribuno della plebe, è una sorta di
protezione che si accorda a questa figura, chi fa violenza al tribuno della plebe diventa sacer, cioè
la sua condizione è equiparabile a quella di una vittima sacrificale che dunque deve essere
sacrificata agli dei, colui che uccide chi ha fatto violenza al tribuno della plebe non è passibile di
reato. La sacrosanctitas è stata accordata ad ottaviano nel 36, la tribunicia potestas invece, cioè
tutte le prerogative del tribunato della plebe, e soprattutto quella di convocare i comizi tributi e di
presentare delle leggi ai comizi tributi, parte dalla fine di giugno del 23 a.C. (anno in cui smette il
conosolato) e si rinnova ogni anno, viene quindi numerata. Nelle titolature imperiali, ma anche
nelle res gestae, a volte si fa riferimento alla, per esempio, dodicesima tribunicia potestas, il che
vuol dire che la prima parte dal giugno del 23 e finisce al giugno del 22, la seconda dal giugno del
22 al giugno del 21 ecc…
Le tribunicie potestates di augusto vengono ricordate nelle iscrizioni, ciò che ci consente di
datarle. Quando troviamo una iscrizione augustea che menziona la tribunicia potestas, allora
possiamo essere sicuri che quella iscrizione non è anteriore al 23 a.c. e se quell’iscrizione ricorda il
numero della tribunicia potestas, saremmo anche in grado di datarla ad annum.
“rifiutai di divenire pontefice massimo al posto di un mio collega ancora in vita, benchè fosse il
popolo ad offrirmi questo sacerdozio, che mio padre aveva rivestito”
Sappiamo che il pontifex maximus non è inaugurato, è un sacerdote che si elegge, lo eleggono i
comizia religiosa, di 17 tribù. Cesare dittatore era stato pontefice massimo, alla sua morte diviene
pontefice massimo emilio lepido che qui augusto insinua che aveva usurpato questo sacerdozio in
occasione di torbidi civili (qui civilis motus occasione occupaverat). Emilio lepido è stato un
cesariano di prima grandezza, è uno dei tre triumviri reipublicae costituende ed è stato quello che
mediando tra antonio e ottaviano, è stato il regista di questa alleanza tra i due nemici. Nel 43
ottaviano e antonio si erano combattuti, ricodiamo la guerra della gallia cisalpina, che ottaviano,
insieme ai consoli irzio e pansa combatte contro antonio; la ritirata di antonio e poi il suo ritorno,
aiutato da lepido e anche munazio planco. Alla fine, poi l’accordo tra ottaviano, antonio e lepido.
Emilio lepido era un personaggio evidentemente importate che era stato il magister equitum di
cesare dittatore e che alla sua morte riesce a farsi eleggere pontifex maximus. Dopo il 36, dopo la
vittoria di ottaviano su sesto pompeo, tuttavia non c’è più spazio politico per emilio lepido nel
confronto tra le due figure di spicco, quindi tra quella di antonio e quella di ottaviano, per cui viene
accantonato, viene esautorato, però conserva il pontificato massimo.
“il quale sacerdozio, dopo alcuni anni, morto colui che lo aveva usurpato in occasione dei torbidi
civili, confluendo ai miei comizi da tutta l’italia una moltitudine tanto grande quanta mai a roma si
dice vi fosse stata fino a quel momento, ho ripreso il pontificato massimo nel XII a.C.”
Il XII a.C. segna una data importante dal punto di vista istituzionale: da allora in poi, fino al 383
d.C., per poco meno di 400 anni, l’imperatore sarà anche, automaticamente, pontefine massimo.
Nel 383 Graziano, sotto la spinta del vescovo di milano Ambrogio, rinuncia al pontificato massimo,
è un momento di svolta della cristianizzazione dell’impero. I primi imperatori cristiani, costantino
ad esempio, erano pontefici massimi.
Verso 11:
due altari sono stati consacrati a roma per due ritorni diversi di augusto: uno nel 19 a.C. e uno nel
13 a.C.: l’ara Fortunae Reducis e l’ara Pacis. Il primo non lo abbiamo recuperato, abbiamo invece
recuperato l’ara Pacis, che appartenendo a una fase più matura dell’età augustea ha anche
un’importanza ideologica maggiore, ha un significato simbolico molto più importante.

Ne sta parlando perché una ragazza ha fatto una domanda a proposito:


L’ara Victoriae è stata introdotta da augusto stesso in senato. Il vocabolo è lo stesso (ara) però
l’ara Pacis, che doveva ospitare riti sacrificali posto nel campo marzio in una posizione molto
significativa e dedicata alla pace; l’ara Victoriae è invece una statua e un’altare che sono stati
messi dentro il senato perché fossero oggetto di venerazione da parte dei senatori. Quella è stata
già collocata nel 28, era una statua della dea vittoria in oro fatta venire da taranto; vanno anche
letti i sottintesi di questo atto di ottaviano, quello che ha vinto le guerre civili contro antonio, con il
quale antonio molti dei senatori avevano combattuto; molti dei senatori avevano puntato su
antonio dato che era un buon combattente, non su ottaviano e invece poi ad Azio le cose sono
andate diversamente. Ottaviano li riaccoglie in senato ma nel 28 fa mettere questa statua della
dea vittoria, la quale ha dato a lui la vittoria ad Azio. Quello era anche un memento per quei
senatori che si erano schierati contro di lui.

Il 22 augusto parte per l’oriente, resta spesso a Samo, a curare le cose orientali, ci sono le
trattative con i Parti da portare avanti per le quali manda tiberio, con queste trattative si riesce ad
ottenere la restituzione delle insegne che erano state prese ai comandanti romani, soprattutto
quella presa a Marco Licinio Crasso nel 53. Torna nel 19 da questo soggiorno orientale e il senato
fa erigere questo altare della fortuna che ritorna (ara fortunae regis).
“il senato deliberò al mio ritorno la costruzione dell’ara fortunae reducis davanti al tempio di
Onore e Virtù presso la porta Capena nella quale ara i pontefici e le vergini vestali celebrassero un
sacrificio ogni anno nel giorno in cui, sotto il consolato di Quinto Lucrezio e Marco Vinicio ero
ritornato a roma dalla siria, e designò quel giorno “augustalia”, dal mio soprannome”
Gli atti di augusto divengono spesso festività pubbliche della repubblica romana.
Leggeremo poi forse il feriale cumanum, cioè la lista delle festività che si celebravano in un anno
durante l’età augustea e vedremo come le ricorrenze degli avvenimenti più importanti della vita di
augusto venissero ricordate, del resto è probabile che già nel 27 c’è stato il cambio del nome del
mese di agosto che prima di questa data si chiamava “sextiliis”, si decise di ridenominarlo augustus
non per la sua nascita (che è il 23 settembre) ma perché una serie di ricorrenze che andavano dalla
presa di Alessandria, dalla fine delle guerre civili all’inizio del I consolato di augusto, erano capitate
nel mese di agosto, per questo c’è stata questa rinominazione del mese. Abbiamo adesso il giorno
del ritorno di augusto dal suo viaggio in oriente che viene solennizzato con la creazione di questa
festa, gli augustalia.
Verso 12:
“per decisione del senato una parte dei pretori e dei tribuni della plebe assieme al console Quinto
Lucrezio e ai più eminenti uomini, mi furono tutti inviati incontro in Campania”
Questo è il viaggio durante il quale muore virgilio, sappiamo muore nel 19 nella traversata dalla
grecia a brindisi.
Attraverso la via appia augusto arriva in campania e tutti questi gli vanno incontro.
“il quale onore, a nessuno eccetto me è stato decretato. Quando tornai dalla spagna e dalla gallia”
Altro soggiorno fuori di roma da parte di augusto. Capiamo che non è stato molto spesso a roma
perché gia nel 26/24 deve combattere la guerra Cantabrica, poi nel 22 se ne va in oriente e vi resta
fino al 19 senza combattere guerre, poi parte via da roma di nuovo nel 16 perché combatte delle
guerre in spagna e in gallia, soprattutto c’è stata la gravissima sconfitta di Marco Lollio contro i
germani, per cui si deve combattere contro questi, e ciò lo terrà impegnato fino al 13 a.C. anno in
cui tornerà a roma. Il consolato di Tiberio nerone e publio quintilio che vedremo qui sotto è nel 13.
“quando tornai a roma, nel 13 a.C. dopo aver compiuto imprese militari felicemente in spagna e in
gallia, il senato decretò che si dovesse consacrare per il mio ritorno l’ara Pacis Augustae presso il
campo Marzio, nella quale magistrati, sacerdoti e vergini vestali avrebbero dovuto compiere un
sacrificio annuale”.
Mentre il giorno del ritorno di augusto dalla siria diventa festa pubblica, il ritorno dalla spagna e
dalla gallia genera un rito annuale che debbono celebrare i magistrati, sacerdoti e le vergini vestali,
però non tutti gli altri; e mentre l’ara Fortunae Reducis si collega strettamente al ritorno di
augusto, alla fortuna che riconduce augusto a roma, l’ara Pacis impegna un concetto più vasto e
importante che è quello della pace. Vedremo leggendo il resto delle res gestae che augusto pensa
all’impero romano come qualcosa di ecumenico, ecumenico nello spazio. L’ideologia augustea può
quindi pensare l’impero romano come un qualcosa di infinito, imperium sine fine, parole di virgilio,
dal punto di vista dello spazio e dal punto di vista della storia si colloca al centro della storia
romana; ancora virgilio nel libro VI dell’eneide pensa alla storia romana che precede augusto come
ad una preparazione per la sua venuta. Gli evangeli di augusto precedono, anche se di poco, quelli
di cristo e ci capiterà di dimostrare che è per impulso della ideologia imperiale che quella che era
una setta del giudaismo è diventata la religione cristiana cattolica e universale ma su questo ci
torneremo.
Due parole sulla pax augusta:
pax augusta è lo stato normale del mondo. Spieghiamo. L’impero romano è qualcosa di universale
ed ecumenico, abbraccia tutto il mondo, tutto l’orbis terrarum. Augusto ha sottomesso il mondo al
volere del popolo romano quindi anche se questo non governa tutto il mondo, direttamente, i suoi
legati non governano tutto il mondo, tuttavia l’imperium populi romani, quindi la capacità di
dominio del popolo romano abbraccia tutto il mondo e siccome non c’è nessuna regione del
mondo che non obbedisce all’imperium populi romani, allora questo è normalmente in uno stato
di pace. La condizione normale quindi dell’impero romano è una condizione di pace, la pax
augusta, può capitare però che qualcuno abbia l’ardire di sfidare roma e l’imperatore turbando
questa pace, allora interviene Mars ultor (marte vendicatore), prima di augusto non troviamo altre
attestazioni di questa caratterizzazione di marte. Mars ultor è. Una invenzione augustea ed è una
invenzione necessaria, complementare, alla nozione di pax augusta, di pace ecumenica. La pace
ecumenica, quando è turbata, viene restaurata da Marte, che non è più conquistatore, ma
vendicatore.
L’ara Pacis Augustae viene decretata quindi nel 13 ma verrà consacrata soltanto nel 9 a.C. nel
giorno del compleanno di Livia e vedremo che questo altare si inserisce in un contesto
architettonico significativo che comprende anche il mausoleo di augusto e lo gnomone, cioè con
uno degli obelischi fatti venire da augusto tra l’11 e il 10 a.C., uno fatto innalzare nel circo
massimo, fa la spina (la pista da corsa è divisa da un muro intorno al quale le bighe devono girare,
a una estremità del muro viene messo questo obelisco fatto venire dall’egitto, ed è quello che
adesso si trova a piazza del popolo; l’altro obelisco si torva a piazza montecitorio, era lo gnomone
di una gigantesca meridiana che comprendeva tutta la piazza e serviva a scandire le ore del giorno.

26-02 (sesta lezione).


Torniamo al problema delle due ovazioni di ottaviano. Non è vero che non sappiamo, riguardo la
prima delle due ovationes, abbiamo infatti delle notizie contraddittorie, nel senso che i fasti
trionfali, tanto quelli capitolini quanto quelli barberiniani, riferiscono la ovatio alla pace
intervenuta tra ottaviano e marco antonio, laddove svetonio invece attribuisce questa ovtio alla
vittoria riportata a filippi sui cesaricidi. Diciamo che le due informazioni sono diverse però devono
essere integrate. Quello che spesso si fa è dire che svetonio si trova in errore, i fasti trionfali sono
documenti ufficiali, quindi se li si dice che l’ovatio è stata celebrata per festeggiare la pace tra
ottaviano e antonio, così deve essere, e in effetti si può dire che nel 41 c’è stata una guerra molto
violenta non tra marco antonio e ottaviano, ma tra lucio antonio (fratello di marco antonio) e
ottaviano, la cosiddetta guerra di perugia, perché culminata con l’assedio della città dove si erano
asserragliati lucio antonio e fulvia. Dunque, nell’ottobre del 42 c’è la battaglia di filippi e vincono
antonio e ottaviano, vince soprattutto antonio, che rimane in oriente e nella primavera del 41 a
efeso incontra cleopatra e inizia la loro storia; nel 41 invece a ottaviano si affida l’incarico ingrato
di ricompensare i veterani che hanno combattuto a filippi, concedendo delle terre in italia.
Vedremo che nelle res gestae augusto si vanterà di aver indennizzato i municipi per
l’espropriazione di terre, finalizzata alla deduzione di colonie militari, augusto si vanterà di aver
comperato le terre da distribuire ai soldati e dirà pure quanto ha speso. Nel 41 non fu così perché i
patti erano, con i soldati che avevano combattuto a filippi, che avrebbero ricevuto terre in italia,
requisite in primo luogo alle città che avevano sostenuto i cesaricidi. Virgilio, properzio, tibullo,
sono stati tutti rovinati dalla redistribuzione delle terre dopo la battaglia di Filippi, e tutti questi
possessori di terre hanno animato una rivolta contro questa redistribuzione capeggiata dal fratello
di marco antonio, Lucio e da quella che fino a poco tempo prima era stata la donna di Marco
Antonio, Fulvia, una donna di grande temperamento ed energia. Questi hanno quindi animato
questa rivolta di proprietari italici e antoniani. La cosa ha del paradossale perché quello che stava
facendo ottaviano è redistribuire delle terre a dei militari che avevano combattuto per antonio
stesso e invece suo fratello si mette alla testa dei proprietari italici che da quella operazione erano
stati rovinati. Nel 41 si combatte quindi questa guerra, vince ottaviano. Antonio non combatte,
non sostiene l’azione politica e militare del fratello e di fulvia e nel 40 si riconcilia con ottaviano, di
qui la pace tra i due che secondo i fasti barberiniani e capitolini sarebbe stata all’origine di questa
ovatio. Si dice quindi spesso che svetonio sbagli ma il prof è sta coloro che ritengono che ciò non
sia così sicuro perché è vero che la versione ufficiale dell’età augustea avanzata rimane quella dei
fasti trionfali, ma ne danno una notizia manipolata perché l’ovatio, che doveva essere di tutti e
due, di antonio e ottaviano, appare del solo ottaviano, quindi è una notizia addomesticata e al prof
e svetonio sembra strano che una ovatio sia concessa per una riconciliazione politica. La seconda
ovatio concessa a ottaviano è per una vittoria militare su sesto pompeo, dopo la battaglia di
nauloco. Si celebra quindi un successo militare. Si potrebbe infine dire che nel 40 era stata data
per la battaglia di filippi, anche se il clima di riconciliazione politica tra antonio e ottaviano ha
suggerito questa contestualizzazione dei fasti.
Tornando alle res gestae; avevamo detto dell’importanza dell’ara pacis augustae, che il senato ne
decreta la ricostruzione nel 13, al ritorno di augusto dalle campagne militari combattute in gallia e
spagna, che viene però. Consacrata nel 9. Nell’11/10 vengono dall’egitto i due obelischi, quello di
p.zza montecitorio e quello che ora è a p.zza del popolo. Quello di p.zza montecitorio era al campo
marzio, fuori dal pomerio e che viene monumentalizzato da augusto conla costruzione del
mausoleo di augusto, dell’ara pacis, dell’obelisco che fa da gnomone, cioè dalla piazza della
meridiana e vengono disposte in maniera tale da far si che il 23 settembre, l’ombra del vertice
dell’obelisco vada a finire nella porta dell’ara pacis. Qui c’è una concezione del tempo e della
storia e della presenza dell’imperatore nella storia che vediamo anche nella base della colonna di
Antonino Pio e Faustina. Questa è una scena di apoteosi: la coppia imperiale viene portata in cielo
dall’aion, dall’eterno. Gli antichi dividono “aion”, che è il tempo eterno e indivisibile, dal
“chronos”, che è il tempo misurato, quello che in platone definisce l’immagine mobile
dell’eternità. Il chronos si divide in “to gegonos” (passato); “to enestos” (presente); “to mellon”
(futuro). Questa è una teologia politica che ha le sue radici nell’era augustea.
Tornando al discorso di marte ultore, vendicatore, prendiamo ad esempio la moneta che porta
raffigurata la scritta “imp.IX.tr.po.V”, sul retro della moneta vediamo raffigurato un tempio
dedicato a “mart. Ulto.” Non sappiamo se questa moneta raffiguri un tempio già costruito o se si
tratti di un tempio che si pensa di costruire allora, nel 18-17 augusto è da poco tornato dal suo
viaggio in oriente (22-19) e attraverso questa permanenza, attraverso tiberio, figlio di livia, è
riuscito a riavere indietro dai parti le insegne romane prese (insegne partiche) e questa moneta ne
prefigura la collocazione nel tempio di marte ultore.
Un’altra moneta, riportante la stessa datazione, al posto del tempio reca un arco, con una
quadriga sopra con inciso “senatus populusque romanus signis recetis” ciò vuol dire che questo
arco è stato fatto costruire dal senato e dal popolo di roma perché sono state recuperate le
insegne partiche. Nel 18-17 c’è quindi questa restituzione delle insegne partiche ed è in questo
clima che affiora per la prima volta la caratterizzazione di marte come vendicatore. Il vero e
proprio tempio di marte ultore sarà nel foro di augusto. Tempio molto importante nel senso che si
pone come un tempio che celebra al tempo stesso la storia di roma e la storia della gens iulia, così
come l’eneide finisce per fare della gens iulia l’asse portante della storia di roma. Il tempio di
marte ultore è stato dedicato nel 2 a.C.
C’è chi crede che siano stati costruiti due templi a marte ultone, prima uno più piccolo sul colle del
campidoglio, poi il secondo più grande nel foro. Comunque stiano le cose il tempio del 18 vuole
celebrare la restituzione delle insegne partiche.
Torniamo ora alla lettura delle res gestae:
verso 13:
vediamo qui l’importanza della pax per l’ideologia augustea, l’esistenza di una pax parta victoriis,
una pace frutto di vittorie, non la conseguenza di sconfitte; quando c’era pace per terra e per mare
era la condizione di pace che confermava la realtà dell’impero ecumenico augusteo, la
certificazione della pace la dava la chiusura del tempio di IANUM QUIRINUM. C’è da dire che nelle
altre fonti non si insiste così tanto su questo tempio di Giano Quirino e sulla sua chiusura in tempo
di pace, è augusto che valorizza questa tradizione perché funzionale alla sua teoria di
valorizzazione della pace.
“il tempio di giano quirino, che i nostri antenati vollero che fosse chiuso quando in tutto l’impero
romano per terra e per mare fosse stata ottenuta con le vittorie, la pace, mentre prima che io
nascessi si ricorda che soltanto due volte in tutto fosse stato chiuso, per tre volte sotto il mio
principato, il senato ritenne che si dovesse chiudere”
Nell’ultima parte del capitolo troviamo marcata l’enfasi sulla pace, che è la prova provata del
successo dell’imperatore e dell’impero.
C’è poi una piccola sezione che riguarda i figli, figli adottivi, nipoti di sangue, figli di giulio e agrippa.
Capitolo 14:
“i miei figli, che la fortuna mi ha strappato giovani, gaio e lucio cesari”
Gaio è nato nel 20 a.C. e morirà nell’1 d.C., lucio invece è nato nel 17 a.C. e morirà nel 2 d.C.
“per onorarmi, il senato del popolo romano, mentre erano nel loro quindicesimo anno, li designò
consoli perché iniziassero quella magistratura dopo cinque anni”
Si prevede, si fa in modo che inizino con il consolato; quindi, saltando tutti i gradini precedenti al
consolato, alla stessa età in cui Ottaviano aveva ottenuto il consolato. Sappiamo infatti che
Ottaviano fu eletto console il 19 agosto del 43 a.C. ed era nato il 23 settembre del 63 a.C. quindi
mancavano pochi mesi al suo ventesimo compleanno, si fa quindi in modo che gaio e lucio cesari
siano designati in maniera tale da essere consoli al loro ventesimo anno.
La “deductio in forum” che vedremo qui sotto è il passaggio all’età adulta, nel quindicesimo anno
questi smettevano la praetexta; quindi, l’abito da minori e prendevano la toga virilis, si vestivano
quindi da adulti e presentati al foro.
“a partire dal giorno in cui furono dedotti al foro, il senato decretò che partecipassero alle sedute
senatorie. Tutti i cavalieri romani li chiamarono tutti e due principi della gioventù e donarono loro
scudi e aste d’argento”
Principes iuventutis perché l’ordine equestre è come un ordine giovanile rispetto al senato. Il
senatus comprende infatti i senes, ovvero “vecchi”, è un’assemblea di anziani, mentre l’ordine dei
cavalieri è un ordine che si caratterizza come giovanile rispetto al precedente. I figli dei senatori,
fintanto che non iniziavano la carriera politica divenendo questori, erano membri dell’ordine
equestre; un senatore nella prima parte della sua vita era stato un cavaliere, c’è quindi nella storia
personale dei vari senatori, un periodo di vita come membro dell’ordine equestre che coincide con
la loro giovinezza.
Verso 15:
qui si parla dei “congiaria” ovvero distribuzioni di danaro alla plebe di roma. In età imperiale il
significato del termine plebe cambia rispetto all’alta repubblica romana. In età repubblicana la
plebs comprende tutti quei cittadini di roma che non appartengono al patriziato; nella
ristrutturazione della società romana nel passaggio dalla repubblica all’impero, la plebs urbana è
tutta quella popolazione di roma che non appartiene ne al senato ne all’ordine questre. Il termine
plebe assume quindi un nuovo significato, sono tutti quei cittadini che non appartengono ai due
ordini privileggiati. Nel vecchio senso all’interno del senato ci possono essere membri patrizi e
plebei, questa antica distinzione si mantiene ai fini del reclutamento dei sacerdozi di rex, flamines
maggiori e salii, lì ci vogliono dei patrizi, quindi dei senatori plebei non possono essere reclutati
come tali. A questa nuova plebe, senza nessuna regolarità, si danno dei danari, queste
distribuzioni si chiamano congiaria, le somme di danaro, vedremo quelle di augusto, variano da
400 sesterzi a 300 sesterzi fino a 260 sesterzi, chi riceve questi danari? I plebei, quindi sono esclusi
i senatori e i cavalieri, sono escluse anche le donne, li ricevono solo i maschi adulti e i numeri che
ci da augusto in questo capitolo sono altrettanto presiosi di quelli che ci da nel capitolo 8 relativo
ai censimenti. Lì noi abbiamo i numeri di tutti i capita dei cittadini romani; per gli accipientes dei
congiari, per coloro che quindi ricevono i congiari, noi possiamo avere una idea di quella che
poteva essere la popolazione di quella che era la roma augustea e imperiale. Lui comincia con il
ricordare (perché ne ricorda più di uno di congiaria) il primo, avvenuto nel 43, è un congiario
testamentario: cesare aveva lasciato del danario da distribuire alla plebe di roma.
“alla plebe romana ho pagato 300 sesterzi a testa in base al testamento di mio padre e a mio
nome ho pagato 400 sesterzi a testa provenienti dal bottino delle guerre, quando ero console per
la quinta volta”
Augusto fu console per la quinta volta nel 29 a.C.; il bottino era quello fatto in egitto, il 2 settembre
del 31 ci fu la battaglia di azio, il 1 agosto del 30 la conquista di alessandria e nel 29 il ritorno di
ottaviano in italia e la redistribuzione del bottino alla plebe romana e vedremo anche ai soldati.
“una seconda volta, nel mio decimo consolato (24) dal mio patrimonio ho pagato 400 sesterzi di
congiaria a testa, e nell’anno successivo (23) console per l’undicesima volta ho distribuito dodici
frumentationes, avendo acquistato privatamente del frumento”
Se i congiaria sono distribuzioni di danaro, le frumentationes sono distribuzioni di grano, agli stessi
individui che ricevono i congiaria. Mentre i primi sono straordinarie, le frumentazioni sono
ordinarie, regolari, a parte quella che sta citato ora augusto, che è un qualcosa di aggiuntivo a
quella regolare della repubblica romana. Sin da gaio gracco (123-122 a.C.) si afferma il pricipio che
la repubblica romana si deve occupare dell’accessibilità del grano: a roma il grano si deve avere,
all’inizio si dice, un prezzo accessibile alla popolazione, per cui si stabiliscono queste vendite a
prezzo calmierato, la lex frumentalia di gaio gracco prevedeva questo e tutte le leggi frumentarie
hanno previsto questo, fino a quando, nel 58, il tribuno claudio pulcro le ha rese gratuite, quindi gli
ultimi anni della repubblica romana hanno visto un grosso impegno da parte dello stato al
reperimento di questo grano da distribuire gradualmente alla popolazione di roma; nel 46 cesare
operò un tentativo di riduzione del numero delle persone titolate a ricevere questo grano gratuito,
la misura è di 5 ammodi al mese, 60 ammodi all’anno, è una misura importante. Nel 46 risultavano
320.000 coloro che ricevevano il grano gratuitamente dallo stato, cesare li riporta a 150.000.
quando ottaviano distribuisce il congiario testamentario, questi qui vanno a non meno di 250.000
persone; quindi, il tentativo di cesare di farli scendere a 150.000 già dopo la sua morte si rivela
fallito.

1° marzo (settima lezione)


Riprendiamo la lettura del capitolo 15.
Abbiamo letto l’altra volta che il primo congiario ricordato da augusto è quello testamentario del
43, voluto da giulio cesare, con il quale si assegnavano 300 sesterzi a testa alla plebe romana; nel
29 furono assegnati invece 400 sesterzi con il bottino di guerra (contro Antonio e Cleopatra),
all’indomani della conquista di Alessandria, il 1 agosto del 30, tutto il tesoro dei Tolemei fu
trasferito a Roma e adoperato per queste distribuzioni di danaro alla plebe romana e anche più
sostanziose all’esercito. Tutta questa pioggia di danaro riversata sull’Italia fece abbassare il tasso di
interesse dal 12% che c’era prima, al 4%, ci fu una inflazione così marcata che il tasso di interesse
si ridusse a 1/3 di quello che era prima. Poi dice che nel 24, al decimo consolato, anno in cui
augusto torna dalla spagna, viene distribuito un ulteriore congiario di 400 sesterzi a testa, non ci
viene detto perché. Nel 23 distribuisce invece 12 frumentazioni.
“nella dodicesima tribunicia potestas, diedi a testa, per la terza volta 400 sesterzi”
Ricordare: le principali monete in questa fase della storia romana, dell’alto impero sono: l’aureus,
che è una moneta d’oro di 8g circa; il denarius, che è una moneta d’argento di 3,5g circa e il
sesterzio che è una moneta di bronzo di 10-12g (qui il peso non ha importanza perché il bronzo
non è un metallo nobile, anche il valore nominale è molto basso). La parte coperta dalle monete di
bronzo, della massa monetaria romana è ristretta, anche se sono quelle che si trovano con più
frequenza, questo perché, perché un aureus equivale a venticinque denari e cento sesterzi.
“tutti questi miei congiari pervennero a non meno di 250.000 uomini. Nella mia diciottesima
tribunicia potestas, essendo io console per la dodicesima volta, ho dato a testa, a 320.000 della
plebe urbana, 60 denari”
Vediamo in questo quinto congiario di augusto che la somma distribuita è scesa drasticamente.
Possiamo comunque spiegarci questa riduzione della somma distribuita con un passaggio della
biografia di augusto scritta da svetonio. In questa sezione dell’opera vuole dimostrare che augusto
era si un principe generoso, ma con moderazione, non indulgeva nella ricerca della popolarità ad
ogni costo. Dice nel capitolo precedente che tra le altre cose, augusto aveva distribuito del
frumento gratuitamente (24-23) però poi dice che un tempo il popolo si lamentava del caro prezzo
del vino. Quindi fino a quando si trattava di congiari che erano stati promessi, si impegnava a far si
che la plebe li avesse, quando invece si trattava di congiari richiesti, non promessi, come ad
esempio quello del vino, con un editto denunciò la bassezza di questo atto, di questo reclamare un
qualcosa che non era stato promesso, e affermò che non lo avrebbe dato, anche se aveva pensato
di darlo. Arriviamo ora al punto che ci interessa:
“poiché annunciato il congiario, aveva saputo che molti schiavi erano stati affrancati e inseriti nel
numero dei cittadini, negò che avrebbero ricevuto il congiario coloro ai quali non era stato
promesso, e a tutti gli altri diede meno di quanto aveva promesso, affinché la somma che era stata
stanziata bastasse”
Questo passo di Svetonio ci dice che gli schiavi, quando venivano affrancati, potevano essere
inseriti nel numero dei cittadini ricevendo quindi il congiario. Quanti soldi distribuisce in tutto
quindi nel congiario del 5 a.C.? 320.000 (che sono le persone) x 60 (che sono i denari) per un totale
di 19.200.000 denari, se vogliamo sapere i sesterzi dobbiamo moltiplicare il ricavato per 4 (perché
ad un denario corrispondono 4 sesterzi) e otteniamo così 76.800.000 sesterzi. L’ipotesi è che
questi sesterzi dovessero essere distribuiti a circa 250.000 uomini, come i precedenti congiaria e
cioè che dovessero essere distribuiti 300 sesterzi a testa. Questo è un segnale di una difficoltà
economica. In questa fase dell’età augustea, a partire più o meno dal 5 a.C. (la fase si prolungherà
per tutta la fase augustea), notiamo i segni di una certa stanchezza dell’economia romana, i
congiaria si riducono, il montante distribuito a testa si riduce e si riduce anche il numero degli
accipientes; fino al 5 a.C. non ci sono sostanzialmente delle limitazioni, abbiamo visto che gli
schiavi affrancati possono essere direttamente inseriti nel numero dei cittadini e possono ricevere
la somma del congiario, a partire invece dal 2 a.C. questo non sarà più possibile, si mette infatti un
limite agli accipientes, a coloro che ricevono il frumentum pubblicum. Alla morte di augusto il
numero degli accipientes arriverà a 150.000 e resterà cosi anche in seguito.
Sempre nel capitolo 15, andiamo al verso 4 (consul tertium decimum…):
il tredicesimo consolato è del 2 a.C. qui Lucio cesari arriva al quindicesimo anno e si ripetono per
lui gli onori che erano stati al fratello nel 5 a.C. e quindi anche il congiario, che è come nel 5 a.C. di
60 denari, però questa volta non viene dato a 320.000 uomini ma questa volta augusto, limita, per
tempo, il congiario a coloro che allora ricevevano il frumentum pubblicum e sappiamo da Cassio
Dione che in questo anno il numero della plebe frumentaria fu portato a 200.000. questo congiario
era di 48.000.000 di sesterci circa. Tra il cinque e il due a.C. ci furono 120.000 cittadini della plebe
urbana che persero il diritto a ricevere il frumento pubblico. Questi sono i segnali della crisi
economica dell’avanzata età augustea.
Ora possiamo tornare al paragrafo 3, inserito tra il 2 e il 4 che riguardano i due congiari del 5 e del
2 a.C. ma cronologicamente ci riporta indietro al 29 a.C., il quinto consolato di augusto, l’anno
dopo la fine della guerra contro antonio e cleopatra e racconta del congiarium trinphale, quello
cioè che è stato dato ai soldati in occasione del trionfo.
“ai coloni che erano stati miei soldati, quando ero console per la quinta volta, distribuii a testa
1.000 sesterzi dal bottino di guerra; nelle colonie ricevettero questo congiario del trionfo circa
120.000 uomini”
Tutti questi soldi fanno crollare il tasso di interesse e fanno aumentare i prezzi dei campi, perché
poi questi soldi vengono investiti in terre italiche e i prezzi arrivano alle stelle.
Nel 16° capitolo augusto ricorda le terre che ha dovuto acquistare per pagare i veterani:
“pagai ai municipi il risarcimento dei terreni che durante il mio quarto consolato e poi sotto il
consolato di Marco Crasso e Gneo Lentulo Augure assegnai ai soldati”
Si tratta delle colonie militari dedotte nel 30 e nel 14 a.C., consolato quarto è il 30, subito dopo la
battaglia di azio e la conquista dell’egitto e poi nel 14 quelle confische delle terre sono state
rimborsate ai municipi, ciò che non era accaduto nel 41 a.C. L’altra volta abbiamo accennato alla
rivolta degli antichi possessori delle terre italiche che erano stati espropriati delle loro terre perché
queste furono distribuite ai legionari.
“la somma, che pagai in contanti, per le proprietà italiche ammontò circa a 600.000.000 di sesterzi
e fu di circa 260.000.000 di sesterzi la somma pagata per i terreni provinciali”
Tutti i consolati che vengono elencati dopo sono nel 7-6-4-3-2
“a quei soldati che, espletato il servizio, avevo dedotto nei loro municipi, ho pagato i premi in
danaro”
Ci sono quindi le due opzioni, essere ricompensati con delle terre o ricevere i premia in danaro.
“per la qualcosa ho speso all’incirca 400.000.000 di sesterzi”
Quindi fino al 14 a.C si fondano colonie e si danno dei premi in terra, nell’ultimo decennio, tra il 7 e
il 2 a.C. si danno dei premi in danaro che appunto costano 400.000.000 di sesterzi.
Capitolo 18:
qui non si capisce bene, non perché il testo sia difficile da tradursi dal punto di vista della
grammatica, ma perché non capiamo cosa voglia dire nel dettaglio.
“a partire dall’anno in cui furono consoli Gneo e Publio Lentulo (18 a.C.) venendo meno i
vectigalia”
I vectigalia, a rigore, sono le tasse indirette, quindi i proventi dei dazi sulla circolazione delle merci,
spesso però il termine vectigal viene utilizzato per indicare le entrate pubbliche.
“io ho dato dalle mie rendite in grano tributi in grano e in danaro per 100.000 uomini a volte e a
volte più di 100.000 uomini”

4 marzo (ottava lezione)


Chi riceveva il frumento pubblico veniva estratto a sorte e a questo proposito seneca si esprime
dicendo che così facendo anche ladri, spergiuri, insomma la feccia poteva riceverlo. Inoltre il diritto
di ricevere il frumento pubblico si può anche comperare a un prezzo fisso, si tratta di un
investimento, come comperarsi una rendita, può andare bene o male, la tessera non può essere
poi trasmessa ai figli, infatti la maggior parte delle attestazioni epigrafiche di questo diritto le
abbiamo in inscrizioni funerarie di bambini, allora è evidente il calcolo che avevo fatto i genitori,
siccome appunto doveva essere un prezzo fisso quello con il quale si compra la tessera
frumentaria, spesso i genitori la compravano intestandola ai figli perché questi pensavano che
avrebbero avuto una più lunga speranza di vita e in questo modo avrebbero potuto beneficiare più
a lungo del diritto di ricevere grano gratuitamente, se non che la mortalità. Infantile è altra, per cui
abbiamo queste pietre tombali di bambini, a volte aventi pochi mesi, in cui si dice di questo
frumento pubblico. Gli ex-schiavi probabilmente non venivano inclusi tra quelli che venivano
sorteggiati.
Tornando al capitolo 17 spieghiamo cos’è l’aerarium: è la cassa pubblica della repubblica romana,
è l’antica cassa della città di Roma, in età imperiale, a questa, si affianca il fiscus che è la cassa
dell’imperatore, quindi ci sono due casse, una che è della res pubblica, l’altra quella imperiale,
dove confluiscono le entrate delle province imperiali dalle proprietà dell’imperatore. Vedremo che
fino a Diocleziano l’Italia non sarà provincia, quindi godrà di una autonomia amministrativa, poi
viene in qualche modo irreggimentata per arrivare poi alla provincializzazione anche in Italia. Non
ci sono, in questo periodo governatori a governare l’Italia, le altre regioni si dividono in province,
del popolo romano e imperiali. La differenza è in parte di etichetta, perché i governatori delle
province senatorie si chiamano proconsoli, quelli delle province imperiali sono legati augusti
propretore, cioè sono dei facenti funtione di augusto. Il criterio in base al quale le due si
distinguono è la presenza o meno di legioni (c’è anche un’eccezione). Ad augusto nel 27 si
conferisce l’imperium sulle province non pacate, non pacificate, questo comporta il comando di
tutte le truppe dell’impero romano, per questo si chiama imperator. L’innovazione dell’età
imperiale è la presenza di un esercito permanente; ci sono 28/25, poi con settimio severo
arriveranno addirittura a 33, legioni in armi e tutte queste sono al comando dell’imperator. Queste
legioni sono dislocate perlopiù nelle province di frontiera, ovvero tutti quei territori al limes
(confine) danubiano e renano, poi in siria sul confine orientale, sull’eufrate e poi anche in egitto,
provincia molto delicata, ricchissima, non semplice da conquistare e che può essere facilmente
difesa perché circondata da deserti, perché si attacca difficilmente dal mare, perché è il granaio
dell’impero romano, non solo perché ne produce molto, ma anche perché è molto semplice
muoverlo; l’egitto è formato da due strisce di terra sul nilo e quindi è come avere un autostrada. È
inoltre una provincia molto popolosa, quindi viene affidato a un membro dell’ordine equestre
ovvero un praefectus aegipti, mentre la maggior parte delle altre province è affidata a governatori
dell’ordine senatorio, siano essi proconsules (non comandano le legioni) o legati augusti
propretore (spesso hanno delle legioni ai propri ordini), tutti questi sono membri dell’ordine
senatorio e un senatore, nel corso della sua carriera può governare su province senatorie e
imperiali. Questa divisione di province si riflette anche nella dualità tra aerarium e fiscus, il primo
raccoglie le entrate dalle province senatorie, il fiscus da quelle imperiali. Augusto allora dice:
“per quattro volte ho rimpolpato l’aerarium, in modo tale da versare a coloro che lo presiedevano
150.000.000 di sesterzi”
Quindi quattro rifinanciamenti, prendeva le entrate dalle province imperiali e le metteva nella
cassa del popolo romano. Parla poi dell’erario militare. Abbiamo detto che l’ultima parte dell’età
augustea vede l’accentuarsi di difficoltà finanziarie, economiche, non è più il periodo splendido
successivo alla guerra contro cleopatra e antonio che aveva creato un bottino eccezionale; si deve
istituire questo erario militare.
“e sotto il consolato di Marco Lepido e Lucio Arrunzio trasferii l’erario militare, che fu costituito su
mia proposta perché da esso si prelevassero i premi da dare ai soldati che avessero compiuto venti
o più anni di servizio, 170.000.000 di sesterzi prendendoli dal mio patrimonio”
Abbiamo visto nel capitolo precedente che ci sono state due ondate di congedi, una nel 30 e una
nel 14 a.C., il che ci aveva indotto a dedurre che in quella prima parte dell’età augustea, il numero
di anni di servizio necessari per il congedo erano 16 (età repubblicana), ora vediamo che nel 6 gli
stipendi sono diventati 6 o più, quindi dopo questi venti anni i militari venivano congedati e
ricevevano questi premia militia, i premia sono a due cifre, una di 3.000 denari, ovvero 12.000
sesterzi e l’altra per i pretoriani di 5.000 denari ovvero 20.000 sesterzi. Una legione è composta da
una decina di coorti, ciascuna coorte sono circa 500 uomini, spesso un po’ di meno; le coorti
pretorie sono nove e in età di Tiberio sono concentrate a Roma, acquartierate nei castra pretoria. I
pretoriani non sono propriamente delle guardie imperiali, gli imperatori di quest’età hanno delle
vere e proprie guardie del corpo, sono i germani corporis custodes, però certo i pretoriani sono un
corpo d’élite al seguito dell’imperatore, stanno a Roma se l’imperatore è li o lo possono seguire se
parte per qualche campagna militare; è un corpo scelto, sono arruolati soltanto quelli facenti parte
di comunità cittadine aventi la cittadinanza romana da molto tempo e militano con delle condizioni
di favore. Lo stipendio del legionario è di 10 assi al giorno, quello del pretoriano sono 2 denari al
giorno (1 denario sono 16 assi, quindi in totale fanno 32 assi al giorno, più di tre volte quello che
guadagna un legionario). Mentre i legionari vengono trattenuti per più di 20’anni, alla morte di
augusto c’è come uno sciopero dei legionari della Pannonia che sfocia in atti di violenza perché
questi trovano intollerabili le condizioni di servizio e inaccettabile la paga che viene loro data. Nel
6 d.C. viene creato quindi questo erario militare, augusto vi trasferisce 170.000.000 di sesterzi dal
proprio patrimonio e vengono istituite due tasse nuove per sostenere le spese di questa cassa: una
è la “centesima rerum venalium”, cioè la tassa dell’1% sulle compravendite, cioè su cosa si vente
tramite asta; l’altra è la “vicesima hereditatum”, cioè la tassa del 5% sulle eredità, queste due
tasse sono poi state abolite.
Capitolo 19:
tra le spese che augusto sostiene ci sono anche quelle relative ai templi e ai monumenti di roma
che lui restaura o costruisce.
“la curia e il calcidico ad esso adiacente e il tempio di Apollo sul palatino con i portici, il tempio del
divo giulio, il lupercale, il portico nei pressi del circo flaminio – che tollerai fosse chiamato ottavio,
dal nome di chi aveva eretto la struttura precedente, in quello stesso luogo-, il pulvinar al circo
massimo, i templi sul campidoglio di giove feretrio e giove tonante, il tempio di quirino, i templi di
minerva, di giunone regina e di giove libertà sull’aventino, il tempio dei lari sulla sommità della via
sacra, il tempio degli dei penati sulla velia, il tempio della iuventas e il tempio della grande madre
sul palatino”
Capitolo 20:
“ho ricostruito il campidoglio e il teatro di pompeo, tutte e due le opere con grande spesa, senza
aggiungere alcuna iscrizione del mio nome. Ho restaurato acquedotti ormai in rovina per la loro
antichità in più punti e l’acquedotto chiamato Marcio l’ho raddoppiato, immettendo una nuova
sorgente nella sua conduttura. Il foro giulio e la basilica che fu tra il tempio di Castore e il tempio di
Saturno, opere iniziate e portate avanti da mio padre, ho portato a termine e quella stessa basilica
(la basilica iulia) distrutta da un incendio, ho iniziato ampliandola sulla superficie a titolo dei miei
figli e se da vivo non le portavo a termine, ordinai che fossero portate a termine dai miei eredi.
Console per la sesta volta, restaurai nell’urbe, per volontà del senato, 82 tempi degli dei, e non ne
tralasciai nessuno che in quel tempo dovesse essere restaurato. Nel 27, al mio settimo consolato
ho restaurato la via flaminia dalla città fino a rimini e tutti i ponti tranne il Milvio e il Minucio”.
Nel 27 si comincia questa opera di grande manutenzione delle infrastrutture d’italia, lui prende per
sé la via flaminia e invita gli altri consolari, i senatori di più alto rango a prendere ciascuno una via,
ma poi alla fine deve intervenire sempre lui per i lavori di restauro delle strade.
Capitolo 21:
“su suolo privato ho costruito il tempio di marte ultore e il foro di augusto con il bottino di guerra.
Ho costruito il teatro nei pressi del tempio di apollo, in suolo comperato gran parte dai privati,
teatro che volli fosse chiamato come mio cognato Marco Marcello. Ho consacrato doni provenienti
dai bottini nel campidoglio e nel tempio del divo giulio, e nel tempio di apollo e nel tempio di vesta
e nel tempio di marte ultore: doni che mi costarono 100.000.000 di sesterzi. 35.000 libbre di oro
coronario ho condonato, quando ero console per la quinta volta (29), ai municipi e alle colonie
d’italia che lo donavano per i miei trionfi”
L’oro coronario sono delle offerte d’oro che le comunità potevano dare a un trionfatore, era un
omaggio in oro che si faceva al trionfatore; nel 30, alla fine della guerra contro cleopatra e
antonio, le comunità cittadine d’italia ne offrono 35.000 libbre, che corrispondono grossomodo a
140.000.000 di sesterzi perché 1 aureus è 1/40 di libbra e ogni aureus vale 100 sesterzi, dovrebbe
quindi venire 140.000.000 di sesterzi il valore di questo oro che mettono insieme. Ricordiamo che
nel 29, il non ancora augusto celebra 3 trionfi: il 13-14-15 agosto: il trionfo delmatico, il trionfo
aziaco e quello alessandrino.
“e dopo, tutte le volte che sono stato acclamato imperatore non ho accettato l’oro coronario
sebbene lo decretassero i municipi e le colonie con la stessa generosità con la quale lo avevano
decretato prima”.
Adesso c’è il capitolo dedicato agli spettacoli; la vita cittadina di roma si nutre di una produzione
strabiliante di spettacoli che si dividono in ludi (corse dei carri e rappresentazioni teatraili) e i
munera (combattimenti gladiatori), complemento di questi spettacoli gladiatori sono poi le
venaziones, cioè le uccisioni di animali esotici.
Capitolo 22:
“tre volte allestii uno spettacolo gladiatorio a nome mio e cinque volte a nome dei miei figli o
nipoti; nei quali spettacoli combatterono circa 10.000 uomini. Ho offerto al popolo uno spettacolo
di atleti fatti venire da ogni parte, e una terza volta a nome di mio nipote”
Mentre gli spettacoli gladiatorierano romani, gli spettacoli di atletica erano propriamente greci.
“ho fatto i ludi quattro volte a mio nome e ventitrè volte a nome di altri magistrati”
Un modo per favorire la carriera di un senatore è quello di pagargli le spese per il ludi. Questi nel
corso della loro carriera politica erano tenuti ad offrire ad esempio dei munera gladiatoria; più
avanti, alla pretura bisognava offrire dei ludi, quindi anche più impegnativi economicamente,
l’imperatore quando vuole favorire qualche suo protetto senatore gli paga i ludi.
“nel 17, a nome del collegio dei quimdecemviri, in qualità di presidente del collegio, insieme al
collega Marco Agrippa, ho celebrato i ludi secolari”
Quelli per cui orazio scrive il carmen seculare.
“console per la tredicesima volta (2 a.C.) feci per la prima volta i ludi marziali che da allora in poi,
per decisione del senato, fecero i consoli. Allestii per il popolo 26 volte, a nome mio o dei miei figli
e nipoti, cacce di belve africane, nel circo o nel foro o nell’anfiteatro, nelle quali furono ammazzate
circa 3.500 belve”

5 marzo (nona lezione)


Al capitolo 23 vi è ancora la questione degli spettacoli, si parla di una battaglia navale inscenata nel
2 a.C., si fa un enorme piscina a Trastevere e si fanno combattere li due squadre navali che
avrebbero dovuto inscenare la battaglia di Salamina, quello del 2°.C. è un periodo dove ci sono
tensioni tra l’impero romano e il regno partico, dunque, questa rappresentazione suggerisce una
qualche identificazione tra i greci e l’impero romano e i parti e l’impero persiano.
Verso 23:
“ho dato al popolo uno spettacolo di battaglia navale oltre il tevere, nel luogo in cui adesso c’è il
bosco dei cesari, avendo scavato un lago dalla lunghezza di 600m e largo 400m; in esso sono state
immesse trenta navi rostrate triremi o biremi, e, ancora più navi più piccole combatterono. In
questa flotta combatterono, a parte i rematori, circa tremila uomini”
Inizia poi una nuova sezione, si parla di doni;
Verso 24:
“nei templi di tutte le città della provincia d’asia, vinta la guerra contro cleopatra e antonio, ho
riposto gli ornamenti che, spogliati i templi, colui contro il quale avevo combattuto la guerra,
aveva posseduto privatamente. Mie statue, da solo, a cavallo e su quadrighe, in argento, furono
innalzate nell’urbe in numero di 80 circa, ma io spontaneamente le ho fatte togliere e dal denaro
ottenuto ricavai doni d’oro che collocai nel tempio di apollo a nome mio e di quelli che mi
tributarono l’onore delle statue”
Dobbiamo prestare attenzione a questa cosa: augusto prende queste statue d’argento, le fonde e
ne ricava denari, dopo converte quegli onori che i suoi ammiratori. Gli avevano rivolto, erigendo
tutte queste statue d’argento, in doni ad apollo, doni d’oro però, non d’argento. Vediamo quindi
che, almeno in questa fase dell’età augustea, si pensa che l’argento serva per la coniazione, l’oro
invece va tesaurizzato nei templi e in effetti nell’equilibrio delle monete, basato sul trimetallismo
(ci sono infatti monete d’oro, d’argento e di bronzo), è augusto che stabilisce l’oro nella
monetazione romana, perché prima di allora, il sistema monetario romano era bimetallico; c’erano
state delle produzioni in oro ma erano sporadiche e non molto abbondanti; l’oro era stato coniato
durante la II guerra punica e capiamo che li la repubblica romana era arrivata ad attingere alle
riserve auree dei templi. Abbiamo emissioni auree trionfali di Silla e Pompeo ma si tratta di
emissioni eccezionali, probabilmente destinate a celebrare il loro trionfo e a distribuire dei doni tra
i loro seguaci più stretti. Monete d’oro con più continuità e più su larga scala aveva invece emesso
cesare, ma per il semplice fatto che nelle gallie c’erano le miniere d’oro, quindi quando si butta
nella guerra civile, cesare, fa ricorso al controllo che i suoi uomini hanno sulle miniere d’oro della
gallia. Dal corso delle guerre civili che da allora arrivano fino alla battaglia di azio, si conia oro
perché gli eserciti vanno pagati e siccome questo era un metallo che si aveva a disposizione, si
adopera, però poi finite le guerre civili, augusto pensa a un’assetto del sistema monetario romano
dove i denari abbiano una parte preponderante, dove il grosso sia in moneta d’argento; la moneta
d’oro è una moneta di alto valore, adatta alla tesaurizzazione e ai commerci di grande volume o di
beni preziosi. Dunque in questo atteggiamento di augusto che prende statue d’argento, le fonde,
ottiene denari e poi converte quegli onori in doni d’oro, dobbiamo cogliere un indirizzo di politica
monetaria piuttosto spostato sull’emissione dell’argento. I suoi successori invece, come tiberio,
claudio o nerone, sposteranno l’equilibrio in favore della moneta aurea, il che porterà poi alla
riforma monetaria neroniana.
Verso 25:
“ho pacificato il mare dai predoni. In quella guerra catturai circa 30.000 schiavi che erano fuggiti
dai loro padroni e avevano impugnato le armi contro lo stato, e li consegnai ai padroni perché
fossero suppliziati. (nel 32, all’alba della guerra contro cleopatra e antonio) Tutta l’italia giurò
spontaneamente fedeltà a me e chiede me come comandante della guerra in cui poi vinsi presso
azio”
Giurò tutta l’italia tranne bologna perché qui la gens antonia aveva come un patronato sulla città,
aveva da sempre rappresentato gli interessi di Bologna a roma e quindi in ossequio di questa
devozione dei bolognesi agli antoni, furono dispensati dal giuramento.
“sottoscrissero lo stesso giuramento le province delle tre gallie, delle due spagne, l’africa, la sicilia
e la sardegna. Tra coloro che militarono sotto le mie insegne ci furono più di 700 senatori tra i
quali, coloro che prima o dopo, furono fatti consoli fino al giorno in cui io scrissi queste cose
furono 83 e sacerdoti 170”
In realtà è probabile che lui quando si riferisce ai 700 senatori, calcoli anche coloro che divennero
senatori in seguito; in realtà il senato si schierò dalla parte di antonio, prima della battaglia di azio
perché non sembrava militarmente parlando, ottaviano, un uomo che poteva dare molto
affidamento, antonio in passato si era dimostrato un soldato molto più abile di lui.
Adesso dal caapitolo 26 cominciano le notazioni di politica estera, finora si è parlato di politica
interna, domestica, questa è politica internazionale.
Capitolo 26:
“di tutte le province del popolo romano, ai quali erano confinanti genti che non obbedivano al
nostro imperium, i confini ho ampliato”
Qui è condensata l’ideologia imperiale di augusto: c’è un imperium nel senso di territorio
direttamente amministrato da roma e c’è un imperium che travalica quei confini, imperium nel
senso di volontà politica. Quelle province che erano confinanti a delle genti che non abbedivano al
nostro imperium, ebbero ampliati i confini; laddove quindi l’imperium populi romani trova una
resistenza, questo si traduce con un ampliamento del territorio direttamente amministrato da
roma. Teniamo inoltre presente che le gallie e le spagne sono province, la germania non lo è;
questa fascia di territorio a sinistra del reno, che sarà divisa poi in due (germania superior, a
monte del reno (sud) e quella inferior, cioè a valle del corso del reno) da diocleziano. Augusto dal
16 a.C., anno della disfatta di Lollio, si impegna, fino al 13 in campagne militari sul reno e dopo
manda druso, figlio minore di livia, fratello di tiberio, che resta li fino a quando muore nell’8 a.C. e
anche dopo ci si impegna in campagne militari che avrebbero l’obbiettivo di spostare il confine dall
reno all’elba. Fino al 9 d.C. si è creduto in questo progetto; dopo la battaglia di teutoburgo, dove
arminio annienta tre legioni romane (con gli auxilia sono 30.000 soldati), si rinuncia.
“pacificai le province delle gallie e delle spagne, come anche la Germania nel tratto che confina
con l’oceano, da Cadice (stretto di Gibilterra) alla foce del fiume Elba”.
Poi parla della conquista delle alpi, che fino ad allora erano rimaste un po’ fuori dalle conquiste.
Per far questo a volte c’è bisogno di un intervento militare, a volte succede che si trasformano
questi regni alpini in prefetture romane, ad esempio l’arco di Susa, eretto in onore “dell imperator
cesare augusto, figlio del divo giulio, pontefice massimo, nella quindicesima tribunicia potestas”
che quindi è dell’8-7 a.C. “tredicesima acclamazione imperatoria”, chi ha imposto questo arco è
Marcus Iulius Cottus, principe alpino, diventato praefectum civitatium. Il processo di inclusione di
queste civitates alpine avviene attraverso il riconoscimento dei sistemi di potere precedenti e
l’integrazione di quei sistemi di potere all’interno dell’impero.
“feci si che fossero pacificate le alpi, dalla regione che è prossima al mare adriatico fino al tirreno,
senza aver portato guerra ingiustamente a nessuna popolazione”.
Vedremo che augusto costruisce un impero che ha una sua coerenza geografica, nel senso che è
difendibile dal punto di vista militare in maniera abbastanza agevole. I confini fluviali del reno,
Danubio e dell’Eufrate, quelli desertici dell’Egitto fino alla Mauritania e ha anche una omogeneità
interna; augusto non poteva tollerare che all’interno dell’impero ci fosse una zona al di fuori del
controllo dei suoi governatori, per questo le alpi dovevano essere controllate interamente.

8 marzo (decima lezione)


Riprendiamo il capitolo 26:
“la mia flotta, nell’oceano, dalle foci del reno verso le regioni orientali, fino al territorio dei cimbri,
laddove né per terra, né per mare, nessun romano arrivò prima di allora, e i cimbri e i caridi e i
sennoni e altri popoli germani di quella regione chiesero, con ambasciatori, l’amicizia mia e del
popolo romano”
Questa prima navigazione, circumnavigazione dello Jutland è del 5 d.C., le altre due navigazioni di
cui ci sta per parlare invece, sono molto anteriori, una è del 26 e una del 24, una fatta da elio gallo
e una da gallo petronio, entrambi prefetti d’Egitto. Elio gallo fa una spedizione in Arabia felice
(sarebbe la meridionale, diversa da quella “deserta” perché fertile dal momento che beneficia
delle piogge monsoniche provenienti dall’oceano Indiano ed è la regione in cui si produce
l’incenso. Sin dall’età arcaica i riti sacrificali si fondano sull’incenso). Questa spedizione del 26 ha
un esito disastroso, non dal punto militare, ma le legioni vengono colpite da una malattia, per cui
c’è una sorta di epidemia che li costringe a tornare malamente in Egitto. Gallo petronio fa la sua
spedizione in Etiopia. Mentre la prima spedizione è una iniziativa di augusto, quella in Etiopia è
una reazione a una razzia dei meroiti a siene; subito dopo la conquista ci sono delle frizioni tra
l’Egitto romano e il regno meroitico che culminano in questa spedizione del 24 in cui appunto
petronio arriva fino a napata. Nel 22, mentre augusto era a Samo, in oriente, è stata inviata una
ambasceria meroitica stabilendo la convivenza tra queste due entità statali.
“più o meno nello stesso tempo furono condotti due eserciti, per mio ordine e sotto miei auspici in
Etiopia e in Arabia che è chiamata felice, e tantissime truppe di entrambe le genti furono uccise in
battaglia e moltissimi insediamenti furono conquistati. In Etiopia si giunse fino alla città di napata,
cui è vicinissima meroe. In Arabia l’esercito giunse fino alle terre dei sabei, raggiungendo la città di
mariba”.
Capitolo 27:
“aggiunsi l’Egitto all’impero del popolo romano”
L’Egitto è stato l’ultimo dei regni ellenistici, parla poi dell’Armenia, che sarà per lungo tratto la
materia del contendere tra l’Impero romano e l’impero iranico, prima quello degli arsacidi (impero
partico) e poi quello dei sasacidi (impero persiano). L’Armenia è uno stato cuscinetto, ha una sua
identità politica e culturale infatti dice:
“pur potendo fare dell’Armenia maggiore una provincia dopo l’uccisione del suo re Artasse,
preferii, sull’esempio dei nostri antenati, affidare quel regno a Tigrane, figlio del re Artavaside e
nipote di re Tigrane, per mezzo di Nerone che allora era mio figliastro”
Questo succede nel 20 a.C., ricordiamo che nel 22 augusto riceve a samo l’ambasceria del regno di
meroe, nel 20, lui ancora in oriente, Tiberio Nerone sistema la faccenda dell’Armenia designando
un re armeno, membro di una famiglia regale scelto dall’imperatore romano. Noi abbiamo anche
delle monete “Armenia capta”, anche in questo si misura l’intelligenza geopolitica di augusto,
avrebbe potuto tentarne una provincializzazione, però per ragioni diverse della Germania, anche la
provincializzazione dell’Armenia, è un obbiettivo che non è realistico.
“e poiché quella nazione poi tradì e si ribellò, domata grazie a mio figlio Gaio Cesari (mandato in
oriente nell’1 d.C.), la diedi da governare al re Ariobarzane, figlio di Artabazo re dei Medi”
Il mondo iranico comincia con il Tigri, a oriente della regione mesopotamica e si articola in due
regni: quello partico e quello di media più a nord; l’obbiettivo strategico dei parti è quello di
controllare la media e soprattutto l’Armenia, perché da questa possono minacciare molto più
facilmente la Siria, la Cilicia romana. Capiamo bene come l’Armenia sia uno stato cuscinetto, che
sta in bilico tra l’impero partico e quello romano, la sua politica oscilla, a volte è favorevole ai
romani, a volte è favorevole ai parti. L’obbiettivo dell’Impero romano è quello di avere un re
dell’Armenia a loro gradito, che è quello che tenta di fare a più riprese augusto: prima nel 20, con
Tigrane, poi nell’1 d.C. con Ariobarzane, morto questo, vedremo che manda un altro Tigrane.
“e dopo che questi fu ucciso, mandai su quel trono Tigrane, discendente della famiglia reale
armena”
Comincia già con augusto questa contesa tra l’Impero romano e quello partico sull’Armenia.
“riconquistai tutte le province che al di là del mare Adriatico sono volte a oriente, e Cirene, ormai
in gran parte possedute da re, e in precedenza la Sicilia e la Sardegna, occupate nel corso della
guerra servile (contro Sesto Pompeo nel 36)”.
L’allusione è al testamento di Antonio che aveva pensato a una sistemazione dell’oriente affidata
ai figli di cleopatra, figli che cleopatra aveva avuto da cesare (Cesarione) ma anche figli che aveva
avuto dallo stesso Antonio, nel 40 erano infatti nati Alessandro Elios e Cleopatra Selene.
(il puer di cui canta Virgilio nell’ecloga IV è il figlio che Antonio aspettava da cleopatra, è una
poesia antoniana; nacquero poi i gemelli).
Capitolo 28:
“fondai colonie di soldati in africa, Sicilia, Macedonia, in entrambe le spagne, in Acaia, in Siria,
nella Gallia narbonese, in pisidia”
Ricordiamo che una copia delle res gestae viene da una di queste colonie militari, da Antiochia di
pisidia, la quale ci ha conservato dei frammenti della versione latina.
“l’Italia poi possiede, fondate per mia volontà, 28 colonie, che durante la mia vita furono assai
prosperose e popolose”.
Capitolo 29:
“ho recuperato molte insegne militari perse da altri comandanti dopo aver vinto i nemici in
spagna, Gallia e in Dalmazia. Ho costretto i parti a restituire le spoglie e le insegne di tre eserciti
romani e a supplicare l’amicizia dell’Impero romano. Ho ricollocato quelle insegne nel luogo più
segreto che è nel tempio di Marte ultore”.
Svetonio dice che augusto quando deve concludere un trattato di alleanza con popolazioni
straniere, barbariche, lo fa giurare nel tempio di Marte ultore. Marte ultore è il restauratore della
pace augustea ed è anche colui che è chiamato a vigilare sul rispetto dei trattati che si concludono.
Quindi la ricollocazione delle insegne partiche all’interno del tempio di Marte ultore è un atto che
modella l’ideologia imperiale romana per i decenni a venire.
Capitolo 30:
“le genti dei pannoni, che prima di me nessun esercito del popolo romano aveva incontrato, vinte
da Tiberio Nerone, che era allora mio figliastro e mio legato, ho sottomesso all’imperium populi
romani e ho ampliato i confini dell’illirico finno alla sponda del Danubio”
Queste sono le campagne tra il 12 e il 9 a.C., poi ce ne saranno altre tra il 6 e il 9 d.C., sempre dallo
stesso Tiberio.
“e un esercito dei daci, passati al di qua di esso, sotto i miei auspici fu vinto e sbaragliato, e in
seguito il io esercito, condotto al di là del Danubio, costrinse la popolazione dei daci a sottostare ai
comandi del popolo romano”
I daci sono un popolo d’oltre Danubio, nelle terre oggi comprese nello stato della Romania, e che
daranno particolari problemi nell’età di Diocleziano, tant’è che tra Diocleziano e traiano verranno
conquistati.
Capitolo 31:
“furono inviate spesso a me ambascerie di de dall’india, non viste prima di allora da alcun
comandante romano. Chiesero la nostra amicizia per mezzo di ambasciatori i Bastarni, gli Sciti e i
re dei Sarmati che abitano al di qua e al di là del fiume Tànai, e i re degli Albani, degli Iberi e dei
Medi”.
Queste sono popolazioni della sponda opposta del Danubio, che vivono tra il Danubio e il Don.
Mentre gli albani e gli iberi sono stati caucasici che spesso si alleano ai romani in funzione anti-
partica.

12 marzo (+recupero lezione dell’11, undicesima e dodicesima lezione)


Capitolo 32:
“si rifuggiarono presso di me supplici i re dei Parti Tiridate e poi Fraate, figlio del re Fraate, e
Artavasde re dei Medi, Artassare degli Adiabeni, Dumnobellauno e Tincommio dei Britanni,
Melone dei Sigambri, Segimero dei Marcomanni Svevi. Presso di me in italia il re dei Parti fraate,
figlio di Orose, mandò tutti i suoi figli e nipoti, non perché fosse stato vinto in guerra, ma per
chiedere la nostra amicizia dandoli in pegno. E moltissime altre popolazioni sperimentarono,
durante il mio principato, la fides del popolo romano, esse che in precedenza non avevano avuto
nessun rapporto di ambascerie e di amicizia con il popolo romano”.
La fides è la parola chiave che caratterizza le relazioni internazionali dei romani; la repubblica
romana si vanta di poter garantire la fides, quindi l’affidabilità, la lealtà ai patti stabiliti, del popolo
romano. Una volta stipulato un trattato, la repubblica romana vi impegna la fides del popolo
romano. L’età augustea vede l’allargarsi degli orizzonti della politica romana, del resto
l’acquisizione dell’Egitto e la definizione di una politica orientale più precisa amplia gli orizzonti
diplomatici.
Capitolo 33:
“da me le popolazioni dei Parti e dei Medi, che me ne avevano fatto richiesta per mezzo di
ambasciatori che erano le persone più ragguardevoli di quelle popolazioni, ricevettero i loro re: i
Parti ricevettero Vonone, figlio del re Fraate e nipote del re Orode; i Medi Ariobarzane, figlio del re
Artavasde e nipote del re Ariobarzane”.
Queste designazioni augustee però non hanno avuto molta fortuna perché questi sono stati sentiti
come estranei al mondo che poi avrebbero dovuto governare, educati alla romana venivano sentiti
come esterni ed estranei alla cultura iranica.
Capitolo 34:
È un capitolo fondamentale. Una scoperta epigrafica di una ventina di anni fa ha cambiato il modo
di leggere questo fondamentale capitolo delle res gestae, e ha confermato l’augusto che sempre
avevamo conosciuto ma per come si leggeva prima questo capitolo 34 non sembrava lo stesso
augusto. Quello che troviamo scritto sul manuale a tal proposito non vale più.
1° paragrafo:
“in consulato sexto et septimo, postquam bella civilia exstinxeram, per consensum universorum
POTENS rerum omnium, rem publicam ex mea potestate in senatus populique Romani arbitrium
transtuli”.
Perché questo cambiamento da potitus>potens?
Il testo delle res gestae si è conservato, per iscritto, nel tempio di Ancira, e qui troviamo sia la
versione latina che quella greca; poi ad Apollonia di Pisinia si è conservata la sola versione greca e
ad Antiochia di Pisinia la sola versione latina. Ogni tanto è capitato che i frammentini usciti dalla
copia di Antiochia abbiano cambiato in maniera importante l’interpretazione delle res gestae, ed è
quello che è successo in questo caso nel 2000’. “in consulato sexto et septimo” sono gli anni 28 e
27 a.C.
“nel mio sesto e settimo consolato, dopo aver sedato l’insorgere delle guerre civili”
Cosa intende augusto per guerre civili? Il nostro manuale ci dice che queste guerre civili non
possono identificarsi con la guerra contro Antonio e Cleopatra perché Ottaviano la preparò. Come
fosse una guerra esterna e ce ne accorgiamo dal fatto che fu dichiarata con il rito dei feziali. Chi
sono i feziali? Sono dei sacerdoti che avevano anche il compito di dichiarare la guerra, di celebrare
un rito in cui si esigeva la restituzione delle cose, rito arcaico che rimanda a quando le guerre si
facevano tra vicini che si rubavano delle cose. questa richiesta di risarcimento ritualizzata è
diventata la procedura religiosa con le quali si dichiaravano le guerre esterne. Il rito dei feziali si
adopera solo con le guerre contro dei nemici esterni, non contro i cittadini romani; le guerre civili
non vengono dichiarate con il rito dei feziali perché tutto si svolge all’interno della stessa comunità
cittadina. Quindi il libro ritiene che questa guerra civile di cui si parla debba essere quella contro
Sesto Pompeo. Si traduce quindi dichiarando che augusto si era IMPADRONITO del potere seppur
nel consenso di tutti quanti. La nuova lettura invece semplifica le discussioni, un conto che io dica
“impadronitomi di tutte le cose” e un conto che io dico “potendo tutte le cose”, è evidente che
quel potens rerum omnium ha una sfumatura concessiva. Quindi:
“pur potendo ogni cosa per consenso universale, ho trasferito la res publica, dal mio potere,
all’arbitrio del senato e del popolo romano”
Tornando al “bella civilia” possiamo dire che nel 32 la guerra fu presentata come una guerra
contro Cleopatra, non contro Antonio, perché appunto presentando la guerra come una guerra
contro l’egiziana, implicitamente dichiarava traditori Antonio e tutti quelli che lo avevano seguito.
Abbiamo anche detto che gran parte del senato si era rifugiato in oriente da Antonio schierandosi
dalla sua parte, questi una volta persa la guerra sono stati riaccettati in senato da Ottaviano e
questo “postquam bella civilia exstinseram” è segno di un compromesso che il non ancora augusto
fa con i senatori, soprattutto gli antoniani. È come se quindi la riconoscesse come una guerra civile
dove c’erano dall’una e dall’altra parte cittadini romani, però adesso ci si accorda tutti insieme per
erigere un nuovo stato.
Il 16 gennaio del 27 i senatori danno ad Ottaviano il titolo di augusto, qualche mese dopo
propongono anche che il mese di sestile fosse chiamato agosto, loro avrebbero potuto scegliere
che fosse chiamato agosto il mese di settembre, quando è nato augusto, ma scelgono il sestile
perché in quel mese è stata posta fine, non alla guerra contro l’Egitto, come avrebbe detto
Ottaviano qualche anno prima, ma le guerre civili contro Antonio (1° agosto del 30). Comincia così
la pace augustea, che inizia come pace tra i cittadini romani e continua come ecumenica.
Nel 28 quindi sono state abolite tutti i provvedimenti presi in età triumvirale ed è per questo che
nelle res gestae dice che ha trasferito l’arbitrio al senato e al popolo romano: nel 28 quando
comincia questa restituzione, quando lui si presenta in senato, il 13 gennaio, dicendo che
restituiva la res pubblica. Cassio Dione da un racconto abbastanza gustoso di questo episodio, ci
dice che Ottaviano si presenta in senato senza aver informato pochissimi senatori su quello che
avrebbe detto; quando pronuncia il suo discorso dove dice che restituisce in sostanza la libertas
alla repubblica, i senatori si spaventano, si spaventano coloro che erano stati suoi seguaci perché
dopo aver vinto una guerra civile adesso vedevano andare in fumo il frutto delle loro battaglie. Gli
avversari di Ottaviano sono anche più inquieti perché sospettano che questo sia un escamotage di
augusto per farli uscire allo scoperto per poi punirli mandandoli in esilio o uccidendoli. Quindi tutti
e due i gruppi, sia i seguaci che gli oppositori, pregano Ottaviano di mantenere il potere, allora si
viene a un compromesso in base al quale Ottaviano avrebbe mantenuto l’imperium sulle province
non pacate. Da questo momento in poi si inaugura una distinzione tra le province romane.
Abbiamo già detto che in origine il termine provincia significa “compito”, poi finisce con l’avere
una proiezione territoriale definita, nel senso che quando si da a un pro-magistrato il compito di
amministrare ad esempio la Sicilia, la parola provincia, oltre a significare compito, finisce con
l’indicare anche un distretto amministrativo, dunque l’impero romano che prende forma sotto
augusto si basa sulla distinzione tra l’Italia (che non è amministrata da legati) e le province (che
sono amministrate da legati augusti pro-praetore nel caso in cui siano province imperiali, e
amministrate da proconsoli nel caso in cui si tratti di province senatorie). In genere le province
imperiali sono non pacate, ovvero province esposte a pericoli o di rivolte interne o di invasioni
dall’esterno e dunque richiedono la presenza di legioni; si conferisce nel 27 ad augusto questo
imperio proconsolare, lui non ne parla nelle res gestae, probabilmente perché almeno dal 27 al 23
era sentito in qualche modo compreso nell’imperium di consul, però non ne parla nemmeno dopo.
in questi anni si stabilisce quindi il principio che le province non sono tutte uguali.
Alla fin fine il passaggio dalla repubblica all’impero è in sostanza questo, passaggio da uno stato
che non ha un esercito permanente a un altro che ha un esercito permanente e che richiede un
comando unificato e vitalizio; quindi, ci deve essere un imperator che sia imperator a vita perché
altrimenti l’esercito sarebbe tentato dall’entrare nella lotta politica.
Ci racconta, sempre cassio Dione che tra le opzioni, riguardo l’appellativo di augusto, che erano
state considerate, c’era anche quella di Romolo; aveva considerato la possibilità di farsi chiamare
Romulus, come fosse stato il secondo fondatore, come ad indicare un nuovo inizio, una rinascita
della città di Roma, poi avrebbe rinunciato a questo nome perché evocava troppo apertamente
una monarchia e si è fatto dare il nomen di augustus, colui che ha ricevuto l’inauguratio, che ha
ricevuto questa forza magica che viene dagli dei, l’augurium, così come il robustus è colui che ha
forza, così augustus è colui che ha l’augurium.
“per questo mio atto, in segno di riconoscenza, mi fu dato il titolo di augusto per delibera del
senato e gli stipiti della mia casa furono pubblicamente ricoperti di alloro e una corona civica (si da
a coloro che hanno salvato i cittadini romani, il motivo ricorre anche in alcune monete) fu affissa
alla mia porta, e uno scudo d’oro è stato posto nella curia Giulia, la cui iscrizione attestava che il
senato e il popolo romano me lo davano a motivo per mio valore militare, della mia clemenza,
della mia giustizia e della mia pietà. Dopo il settimo consolato fui superiore a tutti in auctoritas ma
non ebbi più potestas di tutti gli altri che mi furono colleghi in questa magistratura”.
Tutti i termini, augustus, augurium, auctoritas, derivano tutti dalla stessa radice:
augeo>aumentare. Lui è l’aumentato per eccellenza per questo ha una superiorità che prescinde
però dai poteri legalmente e tradizionalmente definiti.
Dicevamo che la copia delle res gestae di Antioche ci ha dato questa sorpresa, ma non è stata
l’unica; in tempo più lontani, negli anni 20’-30’, restituì il frammento con le lettere uctoritate.
Nel manuale c’è un capitolo dedicato alla lettera dal koinon d’asia a Fabio Massimo. Abbiamo visto
prima che il mese di sestili è stato rinominato augusto, sebbene augusto fosse nato il 23
settembre, i senatori hanno scelto sestile proprio perché era il mese in cui aveva posto fine alle
guerre civili. Invece in oriente, in un anno che va dall’11 al 9 a.C. si fa una riforma del calendario
d’asia in maniera tale che l’anno cominciasse con il giorno di nascita di augusto, quello che è
interessante è la motivazione che se ne dà, cioè si diche il giorno della nascita di augusto doveva
essere un giorno fortunatissimo e si capisce da qui l’influenza del pensiero astrologico, questo era
importante anche a corte (augusto mette il segno del capricorno nelle sue immagini, Tiberio lo
scorpione). Il suo giorno di nascita è un giorno dove è evidente che gli astri sono favorevolissimi,
per questo bisogna iniziare l’anno in quel giorno, perché i magistrati devono entrare in carica in
quel giorno, in modo che quella che è una festa cittadina, diventa allo stesso modo la festa per
augusto, ed è giusto questo, perché augusto ha raddrizzato l’universo. Questa è la dimensione che
la filosofia stoica da all’azione di augusto nella storia; prima di augusto gli uomini si pentivano di
essere nati (rinvio a Sofocle, al senso amaro della vita che emana dalla tragedia greca), da augusto,
gli uomini non si pentono più di essere nati. Questi sono stati degli evanghelia, dei vangeli, è la
buona novella agli uomini. Questo non ha copiato il cristianesimo, è il cristianesimo che ha copiato
dalla ideologia imperiale; c’è il messianismo giudaico, ma quello è nazionale, la valenza invece
dell’incarnazione di augusto è cosmica, non viene a salvare i soli romani, ma viene a salvare
l’universo tutto. Auctoritate è quindi una formula che si avvicina a questa ispirazione dell’ideologia
augustea.
Capitolo 35:
“quando ero console per la tredicesima volta (2 a.C.), il senato, l’ordine equestre e tutto il popolo
romano, mi chiamò padre della patria, decretarono che fosse da iscrivere nel vestibolo della mia
casa, nella curia giulia e nel foro di augusto, sotto le quadrighe che a me furono dedicate per
senato consulto. Quando scrissi queste cose ero nel corso del mio settantaseiesimo anno”.
Qui si chiudono le res gestae, poi, così come erano iniziate con un prologo non scritto da augusto,
così si concludono con delle appendici che da augusto non sono state scritte.
Appendice I:
“totale del danaro che diede o nell’erario o alla plebe romana (i congiaria) o ai soldati congedati
(erario militare), sarebbero 600.000.000 di denari, cioè 2.000.400.000 in totale.
Appendice II:
“fece nuove opere: i templi di Marte, di Giove Tonante e Feretrio, di Apollo, del Divo Giulio, di
Quirino, di Minerva, di Giunone Regina, di Giove Libertà, dei Lari, degli dei Penati, della Giovinezza,
della Grande Madre, il Lupercale, il palco del Circo, la Curia con Calcidico, il Foro di Augusto, la
Basilica Giulia, il Teatro di Marcello, il Portico di Ottavia, il bosco dei Cesari al di là del Tevere”
Appendice III:
“restaurò il Campidoglio e 82 templi, il Teatro di Pompeo, gli acquedotti, la via Flaminia”
Appendice IV:
“i soldi spesi per spettacoli scenici, per i giochi gladiatori, per gli atleti e per le caccie e per la
battaglia navale e il denaro donato alle colonie, ai municipi, città colpite dal terremoto,
dall’incendio oppure a testa agli amici e ai senatori il cui censo fu completato: enorme”.

15 marzo (tredicesima lezione)


Oggi dedicheremo la lezione a vedere come l’impero passa da augusto a Tiberio e come è
organizzato; cominceremo ad accennare anche alla grande strategia dell’Impero romano e al suo
apparato militare e a chiarire i nessi che ci sono tra un apparato militare quale è stato designato
da augusto e poi l’organizzazione del potere a Roma. Ci affideremo al primo libro di tacito (slide
“triennale2021B01”). Nei capitoli 9 e 11 tacito traccia un bilancio del regno di augusto, un bilancio,
come spesso accade nella storiografia, fatto per discorsi contraddittori. Abbiamo detto che gli
storici antichi hanno un modo di avvicinarsi alla verità che è quello di contrapporre prospettive
opposte; quindi, questo bilancio del regno di augusto è fatto contrapponendo gli argomenti dei
sostenitori di augusto e quelli dei suoi avversari. Gli Annales di tacito sono la sua opera ultima;
dopo le opere minori scrive le historiae, che sono la prima opera impegnativa, e poi, in età
avanzata, benché avesse promesso di scrivere del regno di Nerva e di traiano, scrive degli
imperatori giulio claudi e quindi il primo libro si apre con la morte di augusto e i fatti che subito
dopo seguono. Il funerale di augusto e poi una riflessione sul segno che ha lasciato nella politica e
nella storia di Roma.
Il capitolo 11 ci mostra un Tiberio titubante, e questo va capito perché Tiberio è figlio adottivo di
augusto, scelto all’ultimo momento e per mancanza di concorrenti; è stato accantonato non
appena sono comparsi all’orizzonte Gaio e Lucio cesari, che sono stati subito adottati da augusto
essendo suoi nipoti. Questi due erano stati lanciati in pompa magna, ricordiamo infatti che quando
i due prendono la toga virile augusto assume il consolato, distribuisce un congiario, l’ordine
equestre fa festa, i senatori li accolgono in senato, quindi tutti festeggiano la maggiore età di
questi figli di augusto, poi muoiono e le malelingue insinuano che ci sia lo zampino di sua madre
Livia e lui che si era ritirato a capri, viene richiamato in patria, mandato sul fronte, in Germania a
combattere e viene associato alla tribunicia potestas. Adesso che non ci sono più Gaio e Lucio
cesari è lui il successore designato, a patto che però adotti germanico, e anche in questa adozione
cui è costretto si vede il segno di una mancanza di entusiasmo nei confronti di questo Tiberio. Per
capire Tiberio bisogna tener presente che questo è il rampollo dei claudi patrizi; appartiene quindi
a una gens che sin da quando è arrivata a Roma, quindi sin dal secolo sesto, ha fatto parte, sempre
della classe dirigente romana, è sempre stata parte delle più alte élite di governo. Non è azzardato
dire che Tiberio si sente più un Claudio che un figlio adottivo di augusto, psicologicamente forse
questo si può capire proprio perché questo è stato adottato perché in mancanza di meglio, e
quindi è comprensibile che questo si sia rifugiato nella sua identità psicologica che ha sentito più
sua, ovvero quella dei claudi. Morto augusto quindi tocca a lui vestire i suoi panni e svolgerne le
funzioni, lui che fino a poco prima era stato semplicemente l’esecutore dei voleri di augusto.
Tiberio è un imperatore molto prudente, dal punto di vista morale, fiscale e militare. Il disagio di
Tiberio a fare l’imperatore si vede anche linguisticamente, la maggior parte delle volte le sue
parole venivano lette con ipocrisia.
Passiamo ora allo schema “hegemonic empire” di Luttwak, il quale ha scritto un libro molto
famoso “la strategia dell’impero romano” dove lui individua diverse concezioni dell’impero, una di
queste è quella che lui definisce dell’impero egemonico, dove c’è una zona di diretto controllo,
un’amministrazione diretta di governatori romani e una presenza di truppe imperiali circondata,
questa zona di diretto controllo, da un intercapedine, una fascia di rispetto dove il controllo si
esercita per via diplomatica, ci sono degli stati clienti che si interpongono tra l’impero e le zone più
esterne; c’è poi una zona più esterna di influenza. La differenza tra il controllo diplomatico e la
zona d’influenza può essere esemplificata dai casi del regno d’Armenia per la zona d’influenza,
abbiamo visto che in Armenia augusto si è sforzato di designare re armeni a lui graditi, e invece
quelli che sono più sotto lo stretto controllo diplomatico che sono ad esempio Erode, re di Giudea,
o Archelao, re di Cappadocia… si parla poi di impero territoriale “territorial empire” dove il
territorio direttamente amministrato dal personale di governo imperiale è a diretto contatto con le
forze nemiche e allora c’è il bisogno di presidiare tutto il fronte con delle postazioni stabili, non ci
sono forse di riserva, si deve presidiare tutta la frontiera; per quanto riguarda l’hegemonic empire,
questo consente di concentrare le truppe in maniera tale che diventano degli eserciti che
minacciano, non hanno bisogno di difendere tutto il confine, perché il confine è con degli stati
amici; queste sono delle distinzioni teoriche.
Il capitolo 16 inizia il racconto della rivolta delle legioni in pannonia, a far precipitare la situazione
a roma, mentre c’è questo tira e molla tra tiberio e i senatori, i quali volevano che tiberio
assumesse le responsabilità che erano state di augusto e tiberio ricalcita, a mettere fine a questa
pantonimia è la rivolta delle regioni pannoniche, qui veniamo ad avere la prova del malessere dei
legionari, e di riflesso percepiamo anche la difficoltà ad assicurare un sistema di arruolamento che
garantisca le forze necessarie all’impero.
“questa era la situazione nell’Urbe quando scoppiò la rivolta nelle legioni di stanza in Pannonia,
non per motivi nuovi, ma perché, mutato il principe, ne conseguirono disordini e dalla guerra civile
si speravano profitti”
Quello che per tutti gli altri cittadini è una prospettiva rovinosa, per un soldato può essere invece
una situazione di arricchimento.
“negli accampamenti estivi soggiornavano contemporaneamente tre legioni”
Questo è uno dei pericoli, quando le legioni si riuniscono, perché quando si mettono insieme
possono concepire dei progetti azzardati, che una legione, da sola, non concepirebbe.
“appresa la morte di augusto, e l’avvento di Tiberio, in segno di lutto o di letizia questi aveva
trascurato le esercitazioni abituali”
La morte di un imperatore e l’elezione di un successore, sono al tempo stesso occasioni di lutto e
di gioia.
“da questo i militari presero a sfrenarsi, a litigare, a prestare ascolto alle parole dei peggiori, infine
a chiedere divertimenti e riposo e rifiutare la disciplina e la fatica”
La disciplina delle legioni è dura, tant’è che i cittadini romani preferiscono arruolarsi nelle coorti,
nelle ali, nelle auxilia, dove la disciplina era più rilassata.
“nell’accampamento c’era un certo Percennio, che era stato impresario di applausi teatrali”
Questo di mestiere faceva la “claque”, ricordiamo infatti che la vita ludica a Roma era importante;
gli attori, come anche ad esempio gli aurighi o i gladiatori avevano dei fan e qualcuno sbarcava il
lunario anche organizzando gli applausi in teatro. Quindi questo Percennio che aveva organizzato
gli applausi a Roma, diviene soldato.
“poi soldato semplice, di parola facile e abile a provocare tumulti per l’esperienza fatta a teatro.
Pian piano di notte incominciò ad accendere l’animo dei più ingenui, i quali dubitavano sulla sorte
dell’esercito dopo la morte di augusto; oppure, quando scendeva la sera, e i migliori s’erano
allontanati, adunò attorno a sé i peggiori”
Il discorso che fa è interessante perché ci da un quadro vivo della condizione del servizio militare
negli ultimi anni di augusto e nei primi anni di tiberio.
Capitolo 17:
“alla fine come ebbe sotto mano altri promotori di disordini, con atteggiamento da oratore si mise
a interrogare i soldati”
Questo è un discorso inventato da tacito che però si sforza di capire come mai i legionari di tre
legioni abbiano osato cominciare questa rivolta.
“perché mai obbedivano come schiavi a pochi centurioni e ancor minore numero di tribuni”
I centurioni sono 59 in una legione, i tribuni sono 6, i primi sono uomini che vengono dalla gavetta
militare, i tribuni sono invece dei giovinetti, sia pur socialmente più elevati dei centurioni, poiché
figli di cavalieri o senatori, non hanno la stessa esperienza delle armi e della guerra che ha un
centurione.
“quando avrebbero avuto il coraggio di pretendere condizioni migliori se non si rivolgevano ora
con preghiere o con le armi a un principe nuovo, e non ancora sicuro? Abbastanza s’era peccato di
codardia per tanti anni, sopportando, già vecchi e i più mutilati per le ferite, trenta o quaranta anni
di servizio!”
In teoria gli anni di servizio dovrebbero essere venti, però qui, dice tacito che questi arrivavano
addirittura a 30 o 40. Sono cifre iperboliche, ma qualcuna è confermata da iscrizioni, sicuramente
rare, ma che confermano dei periodi di servizio così lunghi. È vero quindi che in ultima età
augustea e prima età tiberiana c’è difficoltà ad arruolare i soldati.
“e neppure per i congedati aveva fine, trattenuti sotto le insegne, sopportavano le stesse fatiche
seppure con nome diverso”
Questi erano gli “evocati”, quelli che dopo aver concluso il servizio militare, venivano richiamati.
“e se qualcuno fosse rimasto in vita dopo tante vicende, sarebbe stato trascinato in terre lontane,
dove con il nome di fondi rustici ricevevano distese di paludi e terre montuose”
Queste sono le assegnazioni a colonie di veterani, venivano mandati in terre lontane, perché
l’imperatore decide in quale colonia tu debba andare e ti dicono che ti danno terre ma in realtà
sono paludi, rocce o comunque non sono coltivabili. Questo era il servizio militare in tempo di
pace, ciò non accadeva quando c’era la guerra, dove c’erano saccheggi veri e redditizi, ora invece
si tratta di presidiare i confini in luoghi come il confine renano o danubiano, dove, anche se si fosse
voluto, c’era ben poco da saccheggiare.
“in effetti il servizio era pesante e tutt’altro che redditizio, anima e corpo erano valutati 10 assi al
giorno”
Ecco la paga dei militari, un legionario prende 10 assi al giorno, diciamo 3.600 assi all’anno; 1 asse
è ¼ di sesterzio. Abbiamo detto che 1 aureus sono 25 denari, 100 sesterzi 400 assi. Dunque ogni
giorno questi prendono grossomodo 10 assi, in realtà lo stipendio veniva dato in 3 rate, ogni
quattro mesi, quindi a gennaio, maggio e settembre ed erano di 300 sesterzi a rata.
“con quella cifra dovevano procurarsi indumenti, armi e tende, nonché placare la durezza dei
centurioni e comprarsi l’esonero dai servizi; ma, per ercole, nerbate, ferite, aspri inverni, estati
torbide, guerre feroci o paci senza profitto in eterno. Non c’era rimedio, se non entrare
nell’esercito a condizioni ben chiare: che ciascuno prendesse un denaro al giorno, che il servizio
avesse termine dopo sedici anni e non si fosse tenuti sotto le armi ancora, ma esser pagati subito,
al campo. Le coorti dei pretoriani percepivano due denari a testa e dopo sedici anni se ne
tornavano a casa; affrontavano forze pericoli più gravi? Lungi da lui denigrare le milizie urbane, ma
erano loro a vivere accanto a genti feroci e dalle tende si scorgeva il nemico”.

18 marzo (quattordicesima lezione)


La fase centrale del regno di Tiberio è stata caratterizzata da crisi di rapporti con il senato, crisi che
hanno generato tutta una serie di processi di suicidi, di condanne, di esili, tutto questo ha creato
uno strascico di rancori, di risentimenti. La posizione di Tiberio non è stata semplice, c’è questo
disagio suo da Claudio, a fare l’imperatore, è una cosa che vorrebbe non fare, che però è costretto
a fare; c’è anche questa diffidenza nei confronti di senatori che sono apparentemente fin troppo
ossequiosi, di cui lui non si fida. Tiberio non si fida neanche di sua madre, ad esempio, di
germanico, perché può essergli messo contro, augusto lo obbliga ad adottare Germanico, diventa
suo figlio adottivo quindi, in linea di successione non esistono queste cose, non c’è una
costituzione romana, non c’è una linea di successione, però è come se ci fosse, diventa partecipe
dell’imperium, ha lo stesso imperium che ha Tiberio, soltanto ha una auctoritas inferiore. Uno che
legge tacito vede nei primi due libri degli Annales come germanico viene presentato come il rivale
potenziale di Tiberio, quello che può strappare l’imperio a Tiberio, per cui è questo quello di cui
Tiberio è geloso, quello di cui è sospettoso.
Fino al 30 il principato di Tiberio è stato dominato dal prefetto al pretorio Seiano, che favoriva le
carriere di alcuni senatori, di altri le ostacolava, era ostile a quello che sopravviveva della famiglia
di germanico. Germanico aveva avuto 6 figli da agrippina, 3 maschi, di cui solo uno sopravvive a
Tiberio, ed è gaio Caligola, Nerone e Druso muoiono prima. Muore anche agrippina. Muoiono, si
dice, per l’ostilità di Tiberio.
Nel primo libro, al primo capitolo, tacito ci dice della difficoltà di scrivere della storia dell’impero in
età giulio claudia. Nei tempi più antichi, i successi e i rovesci della repubblica romana sono stati
ricordati da “clari scriptores”, anche per l’età augustea non mancarono storici eccellenti, finchè,
questi ingegni brillanti, non ne furono distolti dalla crescente adulazione. Gli avvenimenti di
Tiberio, Gaio, Claudio e Nerone, mentre loro regnavano, furono falsificati i fatti per il timore, ma
dopo che passò il loro principato, furono scritte in maniera non obbiettiva, per gli odi recenti.
Questo è particolarmente vero per Tiberio, ma infondo anche per Nerone, se noi possedessimo
della storiografia scritta sotto Nerone, avremmo una immagine diversa da quella che ci viene
consegnata negli Annales. Bisogna quindi tenere presente questo: quello che tacito sintetizza, è
spesso una storiografia ostile agli imperatori, perché probabilmente nel confronto tra gli scrittori,
tipo Velleio, che scrivono all’ode dell’imperatore regnante e quelli che scrivono invece contro
l’imperatore deceduto, si ritiene più libero, e quindi più oggettivo, quello che scrive
dell’imperatore morto.
Leggiamo ora altri stracci di tacito per quanto riguarda la rivolta pannonica perché ci consentono
di comprendere i rapporti sociali all’interno di un accampamento. Tacito dedica molti capitoli allo
sviluppo di questa rivolta delle legioni pannoniche e poi di quella delle legioni germaniche, ancora
più grave. Ieri abbiamo visto come si attribuisce a Percennio un soldato semplice, si fanno
esplicitare le motivazioni della rivolta, che sono sostanzialmente economiche. Si trascina questo
malumone fino a quando non scoppia in aperta rivolta, in ammutinamento verso i superiori.
Capitolo 20:
“nel frattempo, i manipoli che erano stati mandati a Nauporto prima che iniziasse la sedizione, al
fine di costruire strade, ponti e provvedere ad altri bisogni”
L’esercito è spesso usato per opere civili, per la costruzione di infrastrutture, manutenzione di
strade, costruzione di porti, pulizie di canali.
“come appresero la rivolta scoppiata nel campo abbattono le insegne, saccheggiano i villaggi vicini
e la stessa Nauporto, che aveva il livello di municipio. Oltraggiano i centurioni”
I centurioni dono il nerbo dell’ufficialità della legione, sono coloro che comandano le centurie.
“che cercavano di calmarli, con scherni, insulti e alla fine persino con nerbate, particolarmente
infuriati contro Aufidieno Rufo, il prefetto del campo”
I centuriones sono 59 in una legione, il praefectum castrorum è uno solo e si tratta di un soldato
che è viene dalla gavetta e che è stato molto spesso il primo centurione della legione al quale si da
questo rango di prefetto degli accampamenti. Non è il legato che comanda la legione, ha solo un
grado più elevato rispetto gli altri centurioni.
“trascinatolo giù dal suo cocchio, lo caricano di bagagli, lo spingono alla testa della schiera e per
scherno gli chiedono se è contento di portare un carico così pesante, per un percorso così lungo.
Rufo, infatti, che era stato soldato semplice per molto tempo, poi centurione, e infine prefetto
dell’accampamento, ripristinava la dura disciplina d’un tempo, vigilava con vigore sui lavori e le
fatiche, tanto più severo in quanto le aveva sopportate”
Vediamo qui la rabbia dei soldati semplici, che si sfoga subito, in primo luogo con questo qui che
simboleggiava la disciplina della legione. Per un legionario un praefectum castrorum è quello che
impone la disciplina, le esercitazioni e che ne fa rispettare il rigore.
A un certo punto, al capitolo 23, si parla di un centurione Lucilio:
“al quale i soldati avevano appioppato il soprannome “un’altra!”, perché quando gli si spezzava
una verga sulla schiena d’un soldato, subito a gran voce ne chiedeva un’altra e poi un’altra ancora”
Il centurione lo si rappresenta, ad esempio nei monumenti funerari, con in mano un bastone, la
“vitis”, il tralcio di vite che era la sua insegna, e questo aveva il vizio di romperle sulla schiena dei
suoi sottoposti. Anche questo viene subito preso dai suoi soldati, gli altri centurioni si rifugiarono
in nascondigli. In questo mondo rovesciato, che è quello della rivolta delle legioni, gli ufficiali fanno
la parte delle prede.
“gli altri centurioni si rifugiarono in nascondigli; fu trattenuto uno, giulio clemente, ritenuto atto a
farsi latore delle richieste dei soldati per la sua prontezza. Già la legione ottava e la quindicesima si
prestavano a impugnare le armi, poiché quella chiedeva la morte d’un centurione di nome Sirpico,
questa lo difendeva, fino a che intervennero i soldati della nona con preghiere e, con quelli che
non li ascoltavano, con minacce”.
Finalmente queste notizie arrivano a Roma, dove c’è l’imperatore che ancora sta a discutere con i
senatori sulla difficoltà di succedere ad augusto, sulla sua inadeguatezza. La situazione sul Limes
danubiano sta però precipitando. Non si può permettere che le legioni vadano fuori controllo.
Capitolo 24:
“queste notizie indussero Tiberio, ad onta del suo carattere dissimulatore e incline a tacere fatti
spiacevoli, a inviare suo figlio druso”
L’altro suo figlio, adottivo, germanico è sul fronte renano, lo vedremo quando anche le legioni
renane sono attraversate da fremiti di rivolta.
“con alcuni notabili e due coorti pretorie, senza un mandato ben preciso, ma per provvedere a
seconda della situazione; le coorti rafforzate più del solito con milizie scelte. Si aggiunse gran parte
della cavalleria pretoriana”
Le coorti pretorie sono delle coorti equitate, cioè hanno dei contingenti di cavalieri, grossomodo
un centinaio di cavalieri per coorte.
“e un rinforzo di germani, che in quel momento erano addetti come guardie del corpo
dell’imperatore”
Si tratta di germani corporis custodes. I pretoriani non sono delle vere e proprie guardie del corpo
dell’imperatore, le guardie del corpo dell’imperatore saranno appunto questi custodes prima e poi
“equites singulares”, ovvero dei cavalieri batavi che fanno da guardia del corpo.
“più il prefetto del pretorio Seiano, nominato collega del padre Strabone”
Seiano è una figura dominante dei primi anni del regno di Tiberio, finché non è caduto, accusato
da Antonia di tramare sia contro i figli superstiti di germanico che contro Tiberio. Essendo stato
prefetto al pretorio è un uomo di rango equestre
“molto autorevole presso Tiberio, incaricato di consigliare il giovane (druso) e far comprendere
agli altri sia i pericoli che le ricompense. Mentre druso si avvicinava gli si fecero incontro i legionari
quasi per rendergli omaggio, ma non festanti, come voleva l’uso, né adorni delle loro insegne, ma
sudici e trasandati, e sul volto, benché volessero mostrare mestizia, piuttosto un’espressione
ostile”.
Nel capitolo 31 tacito racconta invece l’inizio della ribellione delle legioni germaniche, che è stata
molto più pericolosa, perché mentre le legioni pannoniche sono solo tre, quelle germaniche sono
otto, quasi 1/3 dell’’esercito romano e hanno presso di loro germanico, figlio adottivo di Tiberio,
dotato di un imperium. Quindi la tentazione per le legioni e il pericolo per Tiberio qual è? È che
questi, le legioni renane, acclamino imperatore germanico e lo costringano a una guerra civile
contro Tiberio.
“quasi negli stessi giorni e per le medesime ragioni si ribellarono le legioni germaniche, con tanta
maggiore veemenza, quanto più erano numerose e per la forte speranza che germanico cesare,
non potendo tollerare che l’impero fosse di un altro, si sarebbe affidato alle legioni, che con la
forza, avrebbero rimesso le cose a posto”
Se le legioni renane, compatte, avessero acclamato imperatore germanico e avessero invitato
tutte le altre legioni a seguirle, molto probabilmente nessuno sarebbe stato in grado di opporsi.
“sulla riva del reno erano schierati due eserciti, su quello di nome Superiore comandava il legato
Gaio Silio e sull’Inferiore Aulo Cecina”
Anche se adesso le due germanie non sono ancora province, lo diventeranno con Domiziano, le
otto legioni non sono comunque affidate ad un unico legatus augusti pro praetore, ma a due,
entrambi sottoposti a germanico.
“il comando supremo lo deteneva germanico, che in quel momento era impegnato nel censimento
delle gallie”
Germanico è il figlio di druso, fratello di Tiberio; Livia ha due figli da Tiberio Nerone: primo Tiberio,
secondo Druso. Druso muore nel 9 a.C. in Germania; conduce una brillante e rischiosa campagna
militare in Germania dal 12 al 9 a.C. e germanico è uno dei suoi figli. Augusto quando adotterà
Tiberio, lo costringerà ad adottare germanico. Dunque, nel 13 germanico viene inviato in
Germania con il compito di vendicare Teutoburgo
“gli uomini di Silio stavano a osservare con animo irresoluto l’esito della sedizione degli altri. Quelli
dell’esercito inferiore invece si ribellarono immediatamente, a cominciare dalle legioni XXI e V e
subito si associarono la I e la XX, che in effetti si trovavano negli stessi quartieri estivi, entro il
territorio degli Ubi, senza far nulla, con compiti lievi”
Il territorio degli Ubi è intorno a Colonia.
“quando appresero che augusto era morto, il numeroso volgo urbano -recentemente era stata
fatta una leva nell’urbe- avvezzo alla licenza, insofferente delle fatiche -prese a incitare gli animi
inesperti degli altri: era ora che i veterani avessero il congedo al termine del servizio, i giovani una
paga più alta. Tutti infine avrebbero preteso un limite alle loro sofferenze, si sarebbero vendicati
della crudeltà dei centurioni”
Sono gli stessi temi che erano stati agitati dai rivoltosi pannonici.
“non era uno solo a dire queste cose, come era accaduto con Percennio tra le legioni pannoniche,
né rivolgendosi a soldati pavidi, che sapevano di avere alle spalle eserciti più validi: qui la sedizione
aveva volti, voci innumerevoli: lo stato romano, dicevano, era nelle loro mani, con le loro vittorie si
ampliavano i confini della repubblica, dal loro nome traevano il soprannome gli imperatori”
Come appunto germanico.
Passiamo ora alle reazioni a Roma a queste notizie: già agitati dalla rivolta pannonica, ora si
aggiunge quella di Germania.
Capitolo 46:
“a Roma, intanto, non si sapeva ancora come si sarebbe conclusa la situazione nell’illirico, quando
arrivò la notizia che si erano ribellate le legioni di Germania. La cittadinanza spaventata accusava
Tiberio perché con le sue simulate esitazioni si prendeva gioco del senato e del popolo, deboli
entrambi e inermi, e intanto i soldati si ammutinavano; né poteva tenerli a freno l’autorità ancora
insicura di due adolescenti (germanico e druso). Avrebbe dovuto recarsi lui di persona a imporre la
maestà regale ai ribelli”
Vediamo qui la necessità di un imperatore, nella misura in cui è necessario avere un esercito di
queste dimensioni, per controllare un impero così vasto, è necessario che ci sia un comando
unificato e non incerto dell’apparato militare.
“se si fossero trovati davanti a un principe di lunga esperienza, in grado di usare rigore e clemenza,
si sarebbero piegati. Augusto già avanti negli anni era andato molte volte il Germania mentre
Tiberio, ancora vigoroso se ne stava a sedere in senato a cavillare sulle parole dei senatori. Per
opprimere la libertà dei cittadini era già stato fatto abbastanza; ora era urgente calmare gli amici
della truppa e indurli a sopportare la pace”
Tacito è lo storico della libertas perduta dell’aristocrazia senatoria, ma libertas perduta però
necessariamente, perché è incompatibile con la pace sociale. È necessario un imperator perché sia
garante della pace sociale.
Capitolo 47:
“queste voci però non indussero Tiberio a muoversi. Rimase impassibile e fermo nel proposito di
non allontanarsi dall’urbe e non esporre al pericolo sé stesso e lo stato. Indubbiamente aveva
molte e diverse ragioni di angoscia: l’esercito di Germania era più forte, quello di Pannonia più
vicino. Il primo poteva contare sulle forze galliche, il secondo incombeva sull’Italia. Quale dei due
anteporre? In quelli che sarebbero stati posposti sarebbe esplosa la furia. Attraverso i figli poteva
trovarsi alla pari presso gli uni e gli altri e conservare intatta la sua maestà, cui anzi la lontananza
conferiva prestigio. Ai giovani, allo stesso tempo, si poteva perdonare se deferivano qualche
decisione al padre. Se poi germanico e druso avessero incontrato resistenza, era in suo potere
calmare i rivoltosi o sopprimerli; ma se questi avessero tenuto in dispregio l’imperatore, quale
rimedio sarebbe rimasto? Comunque, nominò alcuni per accompagnarlo, come se fosse in
procinto di partire, raccolse bagagli, fece allestire navi. Poi, adducendo varie ragioni, ora l’inverno
ora i suoi impegni, riuscì a ingannare sia le persone avvedute, poi il popolo e per molto tempo le
province”
Leggiamo ora la slide n°25
È un cenotafio da Xanten, è un monumento funebre che però è vuoto, cenotafio vuole infatti dire
“tomba vuota”. Spesso i monumenti funebri antichi parlano due linguaggi: quello visivo delle
immagini e quello delle parole. Teniamo presente che non tutti, nell’antichità sapevano leggere, e
allora questo doppio canale di comunicazione permette di raggiungere una platea più vasta. Un
analfabeta qui vede al centro un soldato, lo si vede dalla corazza e dalle decorazioni, quelle in
basso sono “falere” (sono 4) e quelli in alto “torques” (sono 2), si tratta quindi di un soldato che ha
ricevuto molte decorazioni; poi ha questo bastone in mano, la vitis, questo ci dice che è un
centurione. Queste due teste accanto sono di due liberti; si tratta quindi di un monumento
funebre per un centurione e per i suoi due liberti. Leggere l’iscrizione è invece molto più difficile.
“a marco celio, figlio di tito della tribu Lemonia, di Bologna”
Probabilmente non è il primo figlio maschio, perché altrimenti si sarebbe chiamato come il padre.
Nella riga sotto ci viene confermato quella che la vite ci diceva:
“centurioni legionis duodevicesime (18) annorum quinquagintatrium (53)”
Si tratta quindi di un centurione di 53 anni. Vediamo che le iscrizioni, molto spesso ci arrivano
danneggiate, l’abilità dell’epigrafista è quella di restituirci le lettere mancanti. Questo è un
monumento molto ben fatto, si riconosce uno stile epigrafico che è quello dell’età alto-imperiale, il
testo è impaginato bene, le righe sono centrate, c’è una cura calligrafica molto attenta.
“cecidit bello variano”
Questo ci indica che è uno dei morti di teutoburgo
“ossa in ferre licevit”
Chi ha fatto questo cenotafio è stato “publio celio, figlio di tito, fratello di marco celio”.
La seconda figura (slide n°27) ci mostra un soldato a cavallo che calpesta un nemico e sotto
l’iscrizione del personaggio.
“gaius romanius” gaio è il prenome, romanius è il gentilizio
“eques alae noricorum” le ali e le coorti sono spesso specificate con i nomi delle popolazioni da cui
sono formate “claudius capito”.
Alla fine, ci sono delle sigle ricorrenti “HES (hic sepultus est) HEXTFC (heres est testamento
faciundum curavi)” l’erede in base al testamento fece in modo che fosse fatto.
Questo claudius capito dovrebbe essere l’erede di questo gaius romanius che è il defunto. Questa
è una cosa molto ricorrente, ovvero che all’erede viene richiesto di erigere il monumento funebre.
19 marzo (quindicesima lezione)
Riprendiamo l’ultima iscrizione che tentavamo di tradurre l’altra volta. La domus che non si
riusciva a leggere è Celeia, ed è una comunità cittadina della slovenia. Quello che questa iscrizione
ha di irregolare è che mette l’unità di appartenenza del soldato tra il gentilizio e la tribu. Si tratta
quindi di un signore di nome Gaius Romanius che appartiene alla tribù Claudia ed è un cavaliere
dell’ala Noricorum. Normalmente questa riga avrebbe dovuto essere la seconda e non la terza. è
stato arruolato a 20’anni, ha servito per 19 anni e poi è morto.
Proviamo a leggere una iscrizione da Kòln (slide n°28).
“titus flavius bassus” prenomen-nomen- cognomen, poi “mucalae filius ansala eques alae
noricorum turma fabi pudentis” le ultime due parole indicano il suo decurione, che nelle ale di
cavalleria è quello che è il centurione nelle legioni o nelle coorti ausiliarie. Si tratta quindi di un
cavaliere dell’ala dei nordici, della turma di questo fabius pudens. Poi la formula biometrica, in cui
si dice l’età in cui è morto e gli anni di servizio che ha espletato. “annorum 46 stipendiorum 26
heres faciundum curavit”.
Iscrizione da Carnuntum (slide n°29).
Sono qui raffigurate, sotto l’iscrizione, delle cose che in qualche modo alludono alla
specializzazione del defunto. “gaius valerius gai filius” poi viene segnalata la tribù “ser” ovvero la
tribù sergia, poi “HER” che dovrebbe essere il suo nome, che doveva iniziare così, “tubicen” si
tratta di un trombettiere, “miles legionis quintedecime apollinaris” la quindicesima legione aveva
come cognomen apollinaris “stipendiis sedicim annorum trigintasex” sedici anni di servizio, morto
a 36 anni, arruolato a 20’anni “hic sepultus est” poi aggiunge una poesia alla fine “vivite felices
quibus est data longior hora vixi ego dum licuit dulciter adsuperos dicite si merui. Sit tibi taerra
levis” l’ultima parte appare talmente tanto spesso che si trova anche abrreviato STTL.
“vivete felici voi a cui è data un ora più lunga. Io vissi finché mi fu possibile dolcemente, dite agli
dèi se ho meritato. Sia a te la terra lieve”.
Iscrizione di Mogontiacum (slide n°30).
Qui si vede un ufficiale che regge un’aquila, è un ruolo molto importante che implica una
responsabilità molto delicata. Perdere l’aquila comporta lo scioglimento della legione.
“gneus musius titi filius galaeria veleias annorum trigintaduorum stipendiorum quindecim”
arruolato a 17 anni, aveva avuto 15 stipendi ed era arrivato al ruolo di aquilifer “aquilifer legionis
quartadecime gemines. Marcus musius frater posuit”
Iscrizione di Aquincum (slide n° 31).
“diis manibus” indica che è una iscrizione funeraria “publius aelius publi filius maecia mestrius
pelagonia optio (grado dell’esercito romano, sta sotto il centurione e sopra i legati semplici)
legionis secunde adiutrics > (segno che può significare centuria o centurione, in questo caso
centuria) atteius dexter annorum undequadraginta stipendiorum undeviginte” anche questo si è
arruolato a 20’anni ed è arrivato a 39 “hic sepultus est optiones legionis eiusdem”.
Iscrizione a fianco della precedente.
“gaius titius gai filius maecia mestius paelagona miles legionis quartadecima gemina martia victrix
annorum 30 stipendiorum duodecim hic sepultus est … faciundum curavit”
Iscrizione slide 37.
Si tratta di un diploma militare. I diplomi militari sono dei documenti che venivano rilasciati agli
ausiliari, o comunque a quei soldati che al momento dell’arruolamento non erano cittadini romani.
Erano rilasciati anche ai pretoriani ma attestavano altre cose; questi diplomi militari venivano
rilasciati in due tavole, i buchi che vi si trovano servivano a legarle insieme. Le due tavole
riproducevano due volte lo stesso testo, una versione che rimaneva all’esterno e una che rimaneva
all’interno. Si faceva così in maniera tale che questo documento potesse essere consultato senza
essere aperto. Di questi documenti ne abbiamo tanti, ci presentano con delle variazioni sempre lo
stesso testo; i più antichi risalgono all’età di Claudio e si rilasciano agli ausiliari al venticinquesimo
anno di servizio, quando venivano congedati e gli veniva concessa la cittadinanza romana, a loro e
ai figli che avessero avuto da una sola moglie. I legionari naturalmente non ricevono questi
documenti, se non quando non erano cittadini romani al momento dell’arruolamento, abbiamo
quindi dei casi in cui dei pellegrini vengono arruolati e ricevono, già dal momento
dell’arruolamento i tre nomi, la tribù eccetera, ciononostante al momento del congedo questi
ricevono il diploma militare. I pretoriani ricevono il diploma militare, ma cosa si concede loro? Non
certo la cittadinanza romana dato che la hanno sin dalla nascita, ma il permesso di sposare delle
peregrine attraverso il connubio legalmente valido e quindi di avere dei figli con la cittadinanza
romana; si concede loro questo perché si immagina che le donne con cui poteva familiarizzare un
pretoriano erano delle donne romanizzate.
“Imperator Titus Caesar Vespasianus Augustus pontifex maximus tribunicia potestate nonum
imperator quartum decimum pater patriae caensor consul septimum”
Le prime due righe sono quindi occupate dalla titolatura imperiale.
“equidibus et peditibus quii militant in ala prima tracum victricae et cootibus duabus prima
montanorum et prima asturum et sunt in norico sub sextio pedio felice qui onina et vicena
stipendia aut plura meruerant quorum nomina subscripta sunt ipsis liberi posterisque eorum
civitatem dedit et conubium cum uxoribus quas hunc habuissent cum est civita iis data.
Aut siquis caelibes essent cum iis quas postea duxissent dum taxat singuli singulas”
“l’imperatore Tito, ai cavalieri e ai fanti che militano in un ala di cavalleria e due ale di fanteria, le
quali sono nella provincia del noricum, al comando di publio sextilio felice, i quali abbiano militato
25 anni ciascuno o anche più dei quali i nomi sono sottoscritti, a loro, ai figli e ai discendenti loro,
ha dato la cittadinanza e ha concesso il matrimonio legittimo con quelle donne che allora avevano
quando fu data loro la cittadinanza romana, oppure se alcuni erano celibi, con quelle donne che
avrebbero sposato dopo, purché ogni soldato una donna”.

22 marzo (sedicesima lezione)


Abbiamo visto alcune iscrizioni di soldati; l’impero romano è un impero militare e l’imperatore si
chiama appunto “imperator” perché comanda su un esercito che è permanente, nel senso che,
come abbiamo detto più volte, non è come in età repubblicana che viene mobilitato solo in caso di
guerra, resta in servizio sia che ci sia la guerra che in tempo di pace e proprio il governo di questo
apparato militare richiede un assetto costituzionale che ha al vertice un’imperator a vita.
Adesso considereremo dei personaggi di rango senatorio, si tratta di poche centinaia di persone, in
alcuni tempi arrivano forse a un migliaio, stiamo comunque parlando di un ordine ristretto, quello
senatornio è un ceto molto molto esclusivo, tuttavia sono i primi collaboratori dell’imperatore nel
governo dell’impero. Per accedere al senato, un buon inizio, è essere figlio di un senatore, dal
momento che queste elite tendono a perpetuarsi, il figlio di un senatore ha buone probabilità di
divenire senatore a sua volta. Leggeremo alcune iscrizioni che ci aiutano a ricostruire la carriera di
un senatore, questi infatti seguono una carriera che ha delle sue regole, noi le conosciamo grazie
all’epigrafia perché le iscrizioni che onorano un senatore o che ne ricordano la memoria, tendono
a ripercorrere tutte le tappe della carriera di un senatore, in un ordine che può essere cronologico
o viceversa. Nel primo caso, si dice che il cursus honorum è in ordine ascendente, nel secondo
caso si dice che il cursus honorum è discendente. Adesso leggeremo direttamente dal Dessau che
è l’antologia delle iscrizioni latine, in cui queste iscrizioni sono organizzate secondo i diversi temi, il
primo volume è dedicato a uomini e donne dell’ordine senatorio.
(n.b. le iscrizioni onorarie sono spesso in dativo, la tribù sempre in ablativo)
Capitolo I n° 930:
“publio Tettio Publi filio Rufo | Tontiano | quaestori tribuno plaebis, praetori, legio dicesima”
La ventesima legione è quella cui ha eretto il monumento cui questa iscrizione pertineva a onore
di questo Publius Tettius Rufus Tontianus, perché gli abbia fatto la dedica non ci viene detto, ma
quello che ci interessa è riconoscere il cursus honorum che ci viene detto tramite l’elencazione
delle cariche di questore, tribuno della plebe ed infine pretore. È un cursus honorum ascendente
proprio perché il primo gradino del cursus honorum è la questura, un po’ più alto è il tribunato
della plebe (poteva esserci anche l’edilità) e poi la pretura.
Il 930a è lo stesso testo, sempre una dedica, soltanto che questa volta i dedicanti sono gli
“Atinates urbani” e non la legione ventesima. Il d.d. dell’ultima parte può inoltre significare due
cose: decurionum decreto o dedit dedicavituer, in questo caso la seconda opzione.
Per quanto riguarda il corsus honorum, in teoria non doveva essere scelto dall’imperatore,
ufficialmente, l’imperatore aveva per alcune magistrature, per la pretura, per quelle più alte, ma
immaginiamo anche per quelle più basse, aveva il potere di commendare, di raccomandare, chi
sceglieva era al senato. La forza della raccomandazione imperiale è altissima. Non si ricorda di casi
in cui il raccomandato dell’imperatore non venisse nominato, è il senato che a partire da un certo
momento designa in questi casi, ma all’imperatore è designato il diritto di far sapere quali sono i
propri candidati. Ci sono stati casi in cui l’imperatore si sia dichiarato neutrale rispetto a una
competizione tra senatori.
Capitolo I n° 931:
“Tito Trebelleno Luci Filio | Claudia Rufo | questori; tribuno plebbis, legato | Caesaris Augusti |
plebs”
Questi sono i cittadini di Concordia che onorano un senatore di Roma.
931°:
“Tito Trebelleno Luci Filio | Claudia Rufo | quaestori urbano | legato imperatoris | Caesaris
Augusti | tribuno plebis | Publius Octavius Titi filius”
Questa è stata posta direttamente da Publius Octavius. E sappiamo inoltre che è anteriore alla
morte di Augusto, perché altrimenti, al posto di “Caesaris Augusti” ci sarebbe stato “Divi Augusti”.
Capitolo I n° 932:
“Quinto Vario Quinti filio | Gemino | legati divi Augusti bis |proconsuli, praetori, tribuno plaebis |
questori quaestori iudici | praefecto frumenti dandi | decemviro stlitibus iudicandis | curatori
edium sacrarum | monumentorumque publicorumc | tuendorum | is primus omnium
Paelignorum senator | factus est et eos honores gessit | superequani publice, patrono”
Ci viene detto che questo Quintus Vario Quinti filius Geminus è stato il primo tra tutti i Peligni a
essere stato elevato all’ordine senatorio e ha ricoperto le cariche sopra elencate. Chi pone questa
dedica onoraria sono i Superequani, i cittadini di Superequm, una comunità peligna. Se dovessimo
datare questa iscrizione, sappiamo che si tratta di una iscrizione posteriore alla morte di augusto.
Ha governato due province imperiali, non è stato console; quindi, le province imperiali di cui lui è
stato governatore erano di rango pretorio (le province possono essere di rango pretorio o
consolare, sono di rango pretorio se uno può ricoprirle dopo la pretura, di rango consolare invece
quelle che vengono ricoperte dopo il consolato. Le province più importanti si mandano soltanto i
senatori più esperti e autorevoli, quelli che hanno ricoperto il consolato. Quelli che hanno
ricoperto solo la pretura non sono abbastanza importanti). Questi “stlitibus iudicandis” sono del
vigintivirato: proprio agli inizi della carriera senatoria c’è il vigintivirato, ovvero degli incarichi che
vengono espletati da giovanissimi membri dell’ordine equestre, avviati però a una carriera
senatoria; questo vigentivirato è suddiviso in: decemviri stlitibus iudicandis, i triumviri capitale
(quelli addetti alle condanne a morte), i triumviri monetales (addetti alla coniazione delle monete)
e i quattorviri viarum curandarum (addetti alla manutenzione delle strade di roma). Questi
incarichi vevivano affidati spesso a diciottenni che, non da soli, coadiuvavano gli apparati pubblici,
burocratici, nell’espletamento di determinate funzioni.
Per quanto riguarda invece “praefecti frumenti dandi”, abbiamo visto dalle res gestae che una
parte della plebe riceve il grano gratuito (cinque modi mensili, in ogni mese, ciascuno in un
particolare giorno, 150.000 cittadini maschi plebei adulti si recavano a ricevere questo grano), la
distribuzione del grano a questi beneficiari delle frumentationes, erano a cura dei praefecti
frumenti dandi e cioè degli incaricati di distribuire il frumento, questi erano di ordine senatorio.
Capitolo I n° 937:
“Manio Vibio Mani Filio | Velina Balbino | tribuno militum, praefecto fabrum, praefecto | equitum
quaestori aedili plebis, praetori | aerari, legato | divi augusti et | Tiberi Cesaris Augusti |
proconsolis province | Narbonensis”
(gli edili possono essere o della plebe o curuli) anche qui se dovessimo datare questa iscrizione,
diremmo che è stato governatore nominato dall’imperatore negli ultimissimi tempi di augusto e
nei primissimi di Tiberio, quindi a cavallo del 14 d.C. questo è stato governatore imperiale. Questo
cursus è ascendente. Quando parla di praefecto equitum si riferisce al comando di un’ala.
Ricoprire tre cariche militari non è usuale per un figlio di senatore, non è usuale per uno avviato a
una carriera senatoria spedita, in genere costoro ricoprono una sola milizia ed è in genere il
tribunato militare. Non sappiamo granché del personaggio, sappiamo che probabilmente viene da
una famiglia non senatoria ma equestre e che sia stato poi, cooptato in senato.
Capitolo I n° 938:
“Publio Cornelio Dolabellae consuli | septemviro epuloni, | sodali Titiensi, | legato pro praetore
divi Augusti | et Tiberi Caesaris Augusti | civitates superiors | provinciae Hillyrici”
I Dolabella sono in senato da secoli e secoli; è il membro di uno dei quattro collegia più importanti
elencati nelle res gestae (pontefici, auguri, quimdecemviri sacris faciundi e quello dei settemviri
epuloni). Abbiamo quindi un patrizio, perché i Corneli sono patrizi, membro di uno dei più
prestigiosi collegi sacerdotali, anche i sodales Titienses sono un altro importante collegio religioso,
è stato console e governatore, non sappiamo dove, del divo augusto e di Tiberio Cesare Augusto;
quindi, la sua iscrizione è fatta tra gli ultimi tempi di augusto e i primi di Tiberio. Chi pone questa
dedica sono le città della provincia dell’Illirico superior.
Capitolo I n° 940:
“Publio Cornelio Lentulo Scipioni consuli, paetori aerari, legato Tiberii Caesaris Augusti legionis
none Hispanae, pontifici fetiali, d. d.”
Anche qui abbiamo un altro cornelio, quindi un patrizio, questa volta vengono ricordate, non
soltanto il consolato, ma anche la pretura eraria, il comando di una legione e poi due collegi
sacerdotali, quello dei pontefici e quello dei feziali, soprattutto prestigioso è quello dei pontefici. Il
cursus è discendente, ciò però non è sicurissim perché a volte il consolato può essere citato extra-
ordinem, messo quindi all’inizio e poi si inizia con il cursus ascendente e la pretura in questa età
può anche seguire il comando di legioni e cioè può verificarsi il caso che un senatore abbia
ricevuto il comando di una legione (legatus legionis) prima della pretura. In questo caso
nell’iscrizione non compare un nominativo, allora è. Bene, quando non compare un nominativo
che può essere soggetto di “dedit dedicavitque” o “dederunt dedicaverunt”, a seconda che il
soggetto sia singolare o plurale, allora in questo caso va sciolto come “decurionum decreto”, per
decreto dei decuriones. Chi sono i decuriones? Sono i senati delle comunità cittadini, a roma c’è il
senatua, nelle varie città ci sono i decuriones, assemblea di cittadini eminenti che in questo caso
decidono di erigere questo monumento in onore di Publio Cornelio Lentulo Scipione.
Capitolo I n° 942:
“Gaio Pontio Gai filio | Paeligno tribuno militum | legionis decime Gemine, questori, curatori |
locorum publicorum | iterum, aedili curuli, legato pro praetore iterum | ex cenatus consulto et ex
auctoritad | Tiberi Caesaris, decuriones”
Cursus ascendente. È stato il senato a sceglierlo ma sotto consiglio di Tiberio.
Capitolo I n° 943:
“Quintus Caerelius Quinti filius | Quirina, triumvir capitalis, quaestor | pro praetore, tribunus
plebis, legatus | pro praetore ter, praefecto | frumenti ex senato conconsulto | legato Tiberi
Caesaris Augusti | proconsul | ex testamento”

25 marzo (diciassettesima lezione)


Capitolo I n° 989:
“Gaio Calpetano Rantio | Quirinali | Valerio Publi filio Pomptina Festo | quattuorviro viarum
curandarum, tribuno militum | legionis sexte Victricis, questori, seviro | equitum romanorum,
tribuno plebis, praetori, | sodali Augustali, legato pro praetore exercitus | africae, consuli, donato
ab imperatore | hastis puris quatuor vexilis quatuor coronis | quattuor vallari murali classica
aurea, |curatori alvei Tiberis et riparum, | pontifici, legato Augusti pro praetore provinciae |
Pannoniae et provinciae | Hispanie, | patrono, | plebs urbana”
Qui sono i cittadini di trieste che donano l’iscrizione; il cursus honorium ascendente. “sevito
eqitum romanorum” ogni anno si tiene la trasvetio equitum, una sfilata dell’ordine equestre chè è
guidata da questi perrsonaggi, perché sia messo dopo la questura è strano, di solito si è seviti
quando si è molto giovani e si è ancora nell’ordine equestre. Le aste, i vessilla, le corone (vallaris,
muralis, classica e aurea) sono tutte onoreficenze militari. L’ufficio dei curatori alvei viene creato in
età augustea, per incarichi straordinari e poi stabelimente in età di tiberio; questi si curano
dell’alveo del tevere; uno dei mali che ha afflitto la citta di roma, fino al XIX secolo, sono state le
piene del tevere che inondano la città, i curatores dovevano fare (ad esempio) in modo che le
sponde del tevere fossero libere da rifiuti, che in qualche modo impedissero al tevere di esondare,
perché se appunto sulle sponde si accumulano rifiuti, ad esempio della demolizione di edifici
urbani, poi si ha il pericolo che le acque del fiume straripino con maggiore violenza; altro compito
importante era quello di assicurare la navigabiltà del tevere a monte, ciò necessitava della
costruzione di dighe che consentissero la navigazione il più a lungo possibile. Il tevere era
diversamente navigabile a seconda delle stagioni, più navigabile in inverno piuttosto che in estate
però i collegamenti con il retroterra sono necessari per la città di roma, quindi i curatores
sovrindendevano anche questo compito. Altre volte avevano il compito di occuparsi delle fogne di
roma.
Capitolo I n° 990:
“Gneo Domitio Sexti filio Voltinia | Afro Titio Marcello | Curvio Lucano | consuli, proconsoli
provinciae Africae | legato eiusdem provinciae Tulli fratris sui, septemviro epulonum, item
praetorio legato provinciae Africae | imperatoris Caesaris Augusti, praefecto auxiliorum omnium |
adversus Germanos, donato ab imperatore Vespasiamo Augustoo et Tito Caesar Augusti filio
coronis | murali vallari aureis hastis puris III | vexillis III, adlecto inter patricios, praetori, | tribuno
plebis, | quaestori provinciae Africae, tribuno militum legionis quinte Alaude, quattuorviro, viarum
curandarum, patrono | optimo | decurionum decreto”
Questa viene da Foligno. In questo caso abbiamo un cursus honorum discendente, quindi per
ripercorrere la vita del personaggio dobbiamo partire dalla fine dell’iscrizione. Quasi tutta la sua
carriera è stata in africa, c’era stato da questore, poi ci torna come legato di rango pretorio. È
stato legato del fratello quando era proconsole della provincia d’Asia. Il proconsolato della
provincia d’asia e quello della provincia d’africa vengono chiamati “fastigia” della carriera
senatoria, le due province venivano affidate al governo di senatori di grandissima esperienza ed
autorevolezza; erano province senatorie ma di rango consolare.
Capitolo I n° 1005:
“Lucio Funisulano | Luci filio Aniensi Vettoniano | tribuno militum legionis sextie Victricis,
quaestori provinciae Siciliae, | tribuno plebis, praetori, legato legionis quarte | Scythice, praefecto
aerari Saturnu, curatori viae Aemilie, consuli, | septemviro epulonum, legato pro praetore |
provinciae Daelmatiae item provinciae Pannoniae item Moesiae | superioris, donato ab
imperatore Domitiano Augusto Germanico bello Dacico coronis quattuor | murali vallari classica
aurea | hastis puris quattor vexllis quattor, | patrono decurionum decreto”
Cursus honorum ascendente. Perché la penultima riga è tra parentesi quadre? Perché nella
iscrizione originale non si legge, ma un tempo si. Con la formula “dannatio memoriae” si indica
questo fenomeno di rimozione di un imperatore la cui memoria si è deciso di cancellare.
Raramente troviamo delle iscrizioni che conservano il nome di Domiziano. L’imperatore morì a
seguito di una congiura di palazzo e non lasciò un ricordo di sé molto felice. Ricordiamo ad
esempio l’inizio dell’Agricola di Tacito dove dice “ora finalmente torneremo a respirare” riferito
alla morte di Domiziano. Il cattivo ricordo che Domiziano ha lasciato di sé si ricorda anche in
queste erosioni. Domiziano non è l’unico imperatore la cui memoria sia stata dannata; quando ci
capita, leggendo una iscrizione, di osservare delle linee o delle parole con sopra una scalpellatura,
possiamo avere un fondato sospetto che li sotto ci fosse il nome di un personaggio la cui memoria
è stata cancellata.
Leggiamo ora un passo di Tacito relativo ai senatori. Noi leggeremo sul manuale più di un capitolo
sull’economia del luxus senatorio, lo stile di vita di queste élite aristocratiche, soprattutto i membri
dell’ordine senatorio, ma anche quelli dell’ordine equestre o quei personaggi che pur non
appartenendo a nessuno degli ordini privilegiati, tuttavia possiamo dire che fanno parte di queste
élite di governo, come ad esempio agli schiavi e liberti imperiali; questi svolgono a volte delle
mansioni importanti e delicate e spesso sono più potenti dei senatori. Tutta questa élite di
governo ha uno stile di vita molto brillante, che richiede notevole sforzo economico. Abbiamo
detto che per essere senatore bisognava avere almeno un patrimonio di 1.000.000 di sesterzi;
questi amavano far percepire alle persone con cui erano in relazione l’importanza delle loro
disponibilità economiche. C’erano però senatori che non erano altrettanti ricchi, che riuscivano a
raggiungere il patrimonio di un milione di sesterzi, ma riuscivano a mantenere con fatica questo
loro status e sicuramente non riuscivano a gareggiare ed esibire le loro ricchezze allo stesso modo
dei loro colleghi più facoltosi. Questo esponeva loro al dissesto patrimoniale, perché se si è
senatori e si è, ad esempio, pretori, bisogna organizzare i giochi al circo, bisogna pagare gli aurighi,
dare loro i premi. A Roma si è giudicati dalla qualità degli spettacoli che si offrono, per questo
motivo molti si indebitavano; le cene, in età giulio-claudia sono una faccenda seria, si invitano
centinaia e centinaia di commensali e si cerca di avere i commensali più importanti, ovvero i
personaggi della casa imperiale. In questi capitoli, tacito rievoca un episodio spiacevole che si è
verificato sotto Tiberio, nel 16. Il protagonista è Ortenzio Ortalo, discendente che ha fatto
approvare la lex Hortensia e Ortensio, l’oratore rivale di cicerone; questi nobili di antica data
vengono considerati da augusto come una risorsa della repubblica, li protegge, perché si pensa che
la repubblica romana debba essere riconoscente a queste famiglie e non si debbano estinguere.
Qui tacito ricorda prima che Tiberio sovvenzionò il censo di alcuni senatori, alcune famiglie
vengono infatti aiutate, è l’imperatore che decide chi aiutare e chi no.
Mommsen diceva che c’è una diarchia tra imperatore e senatore, una diarchia un po’ zoppa però.
Diciamo che l’imperatore ha l’opportunità per condizionare, per far fare ai senatori quello che lui
vuole. Questo episodio raccontato riassume bene le difficoltà dell’aristocrazia senatoria a
mantenere questo stile di vita così brillante e la difficoltà di essere indipendenti dall’imperatore.
Quando l’altra volta parlavamo della storiografia dell’età giulio claudia, questa è prodotta da
senatori la cui agibilità culturale, sociale ed economica, dipende dall’imperatore, ed è per questo
che si parla molto bene degli imperatori in vita e molto male di quelli passati; da qui la difficoltà di
ricostruire la storia di età giulio claudia su delle fonti così poco obbiettive.

26 marzo (diciottesima lezione)


Oggi parliamo della massa monetaria romana e delle alterazioni che questa subisce nella prima età
imperiali. Un’altra delle differenze tra la Roma repubblicana e imperiale riguarda proprio la massa
monetaria in circolazione; avevamo detto che la distinzione principale è che la Roma repubblicana
non ha un esercito permanente, la Roma. Imperiale si. Per quanto riguarda la massa monetaria la
Roma repubblicana quasi non conosce una monetazione aurea, se non in casi di emergenza o negli
ultimi anni della sua esistenza. Sostanzialmente in età repubblicana, a partire dal III secolo, quando
iniziano le emissioni in argento, perché prima c’era solo bronzo, e più specificatamente nel II,
abbiamo una massa monetaria bimetallica, fatta di argento e bronzo; in età repubblicana il
denarius, la moneta d’argento ha delle frazioni: i quinari, che equivalgono a ½ denarius (e 40
sesterzi) e i sesterzi che sono invece ¼ di denarius. Si chiama denarius perché all’inizio, quando fu
coniato per la prima volta, questa moneta d’argento valeva dieci assi ciascuno; l’asse era la
moneta di bronzo che in età repubblicana era anche l’unità di conto. Durante le guerre puniche,
così dice Plinio, il valore del denarius fu aumentato, fu portato da 10 a 16 assi. Questo è un
espediente che aveva delle finalità inflattive: noi dobbiamo pensare, quando parliamo di massa
monetaria nell’antichità, che questa è fatta di metallo, non di carta come la nostra, e il metallo può
essere sopravvalutato, quando si tratta di monete che hanno poco potere d’acquisto, ma quando
si tratta di monete di metallo nobile, cioè d’oro o d’argento, si crea una dialettica tra il valore
nominale e quello intrinseco. Nei sistemi monetari antichi poteva accadere che alcune monete
fossero sopravvalutate rispetto al valore del materiale del metallo, però poteva accadere che
quando questa sopravvalutazione era troppo smaccata, o lo stato non era abbastanza forte da
imporla, si creasse una sfiducia nei confronti del valore nominale. Questo non accade nella
seconda metà del III secolo, quando il valore del denario viene portato da 10 a 16 assi; si fa questo
perché i soldati che vengono ancora pagati in denari ricevono sempre lo stesso numero di denari e
si vedono aumentato il loro potere d’acquisto del 60%. È quindi un modo per aumentare il potere
di acquisto dei soldati.
L’età imperiale conosce una presentazione stabile della moneta aurea, sia pure con intensità
molto diverse, perché se è vero che a partire da augusto e fino alla caduta dell’Impero romano ci
saranno emissioni auree, tuttavia la frequenza di quelle emissioni non è costante. In generale, nel
mondo antico, l’Impero romano è l’unico ad essersi dotato di una monetazione aurea di questa
portata, prima dell’aureus e poi del soldus. Nel I e II secolo c’è l’aureus, che è una moneta pesante,
soprattutto nel I secolo e prima di Nerone, poi vedremo ci saranno delle riduzioni progressive del
suo peso, 1/40 di libra con augusto, 1/45 con Nerone; il solidus, nome della moneta aurea tardo
antica (moneta inaugurata da Costantino) 1/72 di libra, è una moneta più piccola e agile del
dell’aureus e ha l’ambizione di penetrare più profondamente nella circolazione. Seguendo la
cronologia pliniana, la tariffazione del denarius, misura inflattiva mirata ad aumentare il valore
d’acquisto dei soldati, indica il raschiamento del fondo del barile, si ricorre alle riserve d’oro dello
stato per emettere moneta in un momento difficile. Emissioni auree successive sono quelle
trionfali di Silla nell’81; prima ancora c’è quella del terzo trionfo di Pompeo nel 61. Cesare conia
l’oro perché durante le guerre civili approfitta delle miniere galliche. Ci sono poi aurei triumvirali,
vediamo infatti monete con due teste, con Ottaviano da un lato e cesare dittatore dall’altro
oppure con Ottaviano e marco Antonio. Se andiamo a vedere i pesi delle monete d’oro emesse in
età repubblicana ci accorgiamo che i pesi vanno a ridursi: 1/30 di libra è il peso della moneta di
Silla; 1/36 di libra quello di Pompeo, 1/38 di libra quello delle prime emissioni di cesare e 1/40 di
libra quello delle seconde emissioni. Da questa riduzione di peso delle monete auree ricaviamo
che il valore dell’argento è diminuito rispetto a quello dell’oro, questo perché c’è più una più
robusta emissione di moneta argentea tra l’età di Silla e quella di Cesare che quindi permette di
ridurre il peso della moneta aurea. All’inizio dell’età augustea, l’equivalenza tra moneta aurea e
denarius la ricaviamo dall’equivalenza di valore tra 1 aureus di 1/40 di libra e 25 denari di 1/84 di
libra. Il rapporto che c’è tra oro e argento è quasi 1-12, una libra d’oro equivale quasi a 12 libre
d’argento. Vediamo che dopo una prima fase, in cui l’aureus pesa 1/40 di libra, si coniano aurei di
1/41 di libra, mentre il denarius rimane sempre a 1/84 di libra, anche qui ne deduciamo che
diminuisce il presso dell’oro e quindi, quando augusto emette le monete, d’oro e argento,
proporzionalmente emette mole più monete d’argento che monete d’oro. Questi aggiustamenti
proseguono dall’età di augusto a quella di Claudio, dove si passa a 1/42 di libra, questo vuol dire
che dal 27 fino al 41 d.C. le emissioni argentee sono state preponderanti rispetto a quelle auree.
Abbiamo visto già, nelle res gestae, augusto non si fa dare l’aureum coronarium, cioè le offerte
d’oro che le comunità cittadine offrono all’imperatore per elogiarlo; abbiamo visto anche che lui,
le statue d’argento dedicategli nella città di Roma, le fa fondere per farne moneta, e tramite quella
ci acquista doni d’oro che poi mette nei templi palatini. L’argento, quindi, serve per fare moneta,
l’oro va depositato nei templi, augusto quindi pensa ad un sistema monetario ancora impiantato
sul denarius. I suoi successori si muovono verso un'altra direzione, anche se la riduzione di Claudio
sembra confermare la politica augustea, in realtà le miniere d’oro in spagna cominciano ad essere
sfruttate, soprattutto sotto Tiberio, che conia monete d’oro in più larga misura che non augusto.
La riduzione di Claudio dell’aureo porta a una ratio tra oro e argento 1-12,5. In realtà però, già
negli anni di Tiberio e poi ancora di più Claudio e Nerone, emettono più moneta aurea che
d’argento; questo ha una connessione con quel luxus dei senatori di cui si parlava ieri. Questo
afflusso di oro che viene monetato è messo in circolazione dagli imperatori giulio claudi, Caligola
soprattutto, poi Claudio e Nerone. Sappiamo che nel 64 Nerone riduce il peso di entrambe le
monete: l’aureus viene portato a 1/45 di libra e il denarius a 1/96 di libra. Questa riduzione non è
proporzionale, la riduzione della moneta argentea è più significativa di quella aurea e il rapporto
tra le due arriva a 1-11,7. Adesso è l’oro che si è deprezzato, perché c’è stato un boom di emissioni
auree che ha ribaltato la tendenza che vigeva dagli anni che vanno da augusto a Claudio. C’è poi da
dire che oltre questo Nerone fa anche un’altra cosa: mentre i denari augustei erano quasi argento
puro, le emissioni neroniane, divise in due fasi, una prima dove hanno una percentuale di argento
dell’80% con 20% di rame, e una seconda dove la percentuale di argento è del 90%. Questa è. La
prima volta in cui assistiamo a una riduzione del fino della moneta che così permette di emettere
più moneta divisionale con la stessa quantità di argento; questo espediente sarà sfruttato in
maniera più decisa nei secoli a venire, soprattutto con Settimio Severo e per tutto il III secolo,
quando le percentuali d’argento, prima saranno dimezzate, poi andando avanti con le riduzioni,
questa moneta divisionale sarà rame imbiancato.

29 marzo (diciannovesima lezione)


Rivoluzione borghese: riforma monetaria neroniana, in questa si coglie la volontà di colpire
l’economia del luxus senatorio, avvantaggiando il denario (moneta del ceto medio) a detrimento
della moneta aurea, moneta dei ricchi. Teniamo presente che le nuove emissioni monetarie si
sovrappongono alle monete precedenti costituendo una minoranza. La legge di Greshman diche
che “la moneta cattiva scaccia quella buona” nel senso che chi può permettersi il lusso di
tesaurizzare, toglie dal mercato le monete migliori. Dov’è che possiamo osservare il risultato di
questa politica monetaria? Un osservatorio privilegiato sono i ritrovamenti monetari dell’area
vesuviana, sepolta nel 79. Non bisogna pensare questo campione come perfetto, cioè che ci
restituisce la circolazione monetaria come effettivamente era, ma possiamo ricavare quale fosse la
normale circolazione vesuviana perché da questa eruzione molti sono riusciti a salvarsi, portando
con sé le cose più preziose, è quindi possibile che la presenza delle monete d’oro sia stata
sottostimata. Talvolta gli archeologi tendono ad enfatizzare le monete di bronzo perché se ne
trovano tantissime, però si deve tener presente che una moneta di oro vale per centinaia di
monete di bronzo; quindi, quando si vanno a fare i conti dei valori delle monete ritrovate dell’area
vesuviana, si ha una rappresentazione sorprendente. Richard Duncan-Jones, storico britannico, ha
fatto un conto di tutte le monete ritrovate nell’area vesuviana, riuscendo a contare 32.721
monete, non tutte identificabili nel taglio. Le monete d’oro sono oggettivamente poche, contate
sono 766, 1528 monete d’argento e il resto sono tutte in bronzo, identificate in vario modo; alla
fine ha ripartito nei vari tipi monetali le monete di bronzo non identificate. Calcolando nel valore
nominale, risulta che le monete d’oro coprono il 61% del valore, quelle d’argento il 32% del valore
e quelle di bronzo arrivano al 7%; questo è quello che si ottiene facendo un conto delle monete
trovate a Pompei, dobbiamo anche tener prendete che il numero delle monete d’oro circolanti a
Pompei fosse inferiore rispetto a quelle che effettivamente c’erano. Le più antiche monete d’oro
che abbiamo da Pompei è quella di augusto. Dal ritrovamento dei denari sappiamo invece che il
79% di questi erano di età repubblicana, solo il 5% sono denari da augusto a Nerone e il 16% sono
quelli post neroniani (69.79). Per gli aurei invece, quelli anteriori al 64 sono il 9%, quelli posteriori,
ovvero quelli riformati, sono il 91%; gli aurei buoni sono stati evidentemente tesaurizzati, e uno
dei modi migliori per farlo è impiegarli all’interno dei commerci internazionali, dove vale per la
quantità e la qualità del metallo che contiene. Una delle mete più rilevanti dei commerci
internazionali romani è l’india meridionale, dove si trovano quelle monete che non si trovano a
Pompei. Qui abbiamo una proporzione opposta a quella di Pompei. Per quel che riguarda i denari
abbiamo un 6% di età repubblicana e un 94% di denari da augusto a Tiberio, poi l’esportazione si
interrompe, si esportano solo aurei, fino all’età di caracalla. Anche per gli aurei notiamo che gli
aurei anteriori alla riforma neroniana sono il 63%, 2/3 degli aurei trovati in india sono aurei
pesanti, quelli posteriori al 64 sono stati esportati solo quando non se ne poteva fare a meno.
Questo vuol dire che coloro che detenevano una grande quantità di moneta, d’oro o argento che
sia, l’ha usata o fatta usare a chi faceva commerci internazionali. Risultato della massa monetaria
romana stimolata dagli aggiustamenti dei pesi di aurei e denari tra augusto e Nerone, slide 30
money. Roger Plant ha fatto calcolo contando tutte le monete d’oro distribuendole poi anno per
anno; le monete dei vari imperatori, a partire da augusto, poi Tiberio, Claudio ecc., e ha ricavato
una media di emissioni annue. Il grafico è falsato perché non include, forse per dimenticanza, gli
aurei che sono stati trovati in india, che non sono pochi; quindi, per quanto riguarda l’età che va
dal 46 a.C. (cesare) fino al 64, è sbagliato perché sicuramente i numeri sarebbero molto più alti,
arrivando al culmine del 54-68 in maniera graduale; Nerone può quindi permettersi di ridurre il
peso del denarius e degli aurei, ma questo nuovo allineamento delle monete permette l’emissione
di più moneta. A partire poi dall’età domizianea si emette sempre meno moneta, fino ad arrivare
all’età di Commodo, quindi dei severi, a un picco negativo, la moneta aurea diventerà molto rara
all’inizio del III secolo e lo resterà fino al IV. L’età giulio claudia è quindi un’età in cui la moneta
d’oro assume un ruolo molto importante. Con costantino si conierà il solidus sul quale si fonderà
l’economia tardo antica, ci sarà una ripresa economica.

1° aprile (ventesima lezione)


Una delle non poche immagini per le quali il nostro manuale è diventato famoso è quella secondo
cui la storia dell’Impero Romano e quella della diffusione cristiana, sono due parallele che poi si
incontrano con la cristianizzazione dell’impero. Abbiamo già detto che l’imperatore, da augusto
fino a graziano, è pontefice massimo; alla fine del IV secolo, dopo più di 70’anni che regnano
imperatori cristiani, le forme del potere si cristianizzano, l’imperatore cessa di essere pontefice
massimo e cristianizza tutto il protocollo imperiale. Il cristianesimo è. In un qualche modo un
prodotto dell’Impero Romano; il contenitore sovranazionale dell’impero romano, costringe tutti e
in primo luogo la retorica del potere romano a presentarsi in maniera ecumenica. Nella stessa
propaganda augustea questo si può notare, Cornelio Gallo, poeta che ha combattuto per
Ottaviano ad Azio, poteva scrivere prima della battaglia “io sarò felice quando tu sarai grandissima
parte della storia romana”, la figura di augusto viene quindi messa all’interno di una storia che è
quella della città di Roma, questa poi rimane in una parte della produzine culturale degli uomini
vicini ad augusto, basti pensare a livio (ab urbe condita, storia di roma) o virgilio (mette al centro la
gens iulia). Questi, che governano un impero mediterraneo, si devono presentare in modo tale che
la figura di augusto sia significativa per tutti e non si tratta soltanto della ideologia imperiale
romana, che deve avere un carattere universale, questo produce un effetto su tutte le religioni. Il
culto esiaco, prettamente egiziano, si ripensa in versione cosmopolita, tale per cui abbiamo tracce
del culto esiaco sparse nell’impero, stessa cosa vale per altri culti orientali. L’esempio più eclatante
è il cristianesimo, che altro non è. Che la romanizzazione di una setta del giudaismo; questa
sarebbe stata una delle tante sette del giudaismo se non si fosse ripensata in maniera ecumenica
grazie a Paolo di Tarso. Lui, o tramite lui, il cristianesimo, anziché essere una variante di una
religione nazionale, è diventata una religione aperta alle genti, naturalmente accettando
compromessi.
Il primo testo che leggeremo è composto da una lettera scritta da Paulus Fabius Maximus,
governatore d’asia e di un decreto. Paolo Fabio massimo è un personaggio molto vicino ad
augusto, ne ha sposato una cugina ed è. Stato fino alla fine uno degli uomini di punta del governo
augusteo. Questa lettera risale probabilmente al 9 a.C., tra l’11 e il 9 questo è stato governatore
d’asia, sappiamo che la carica di governatore d’asia era uno dei fastigi della carriera senatoria,
doveva prima essere stati consoli e chi governava l’asia governava città importantissime
dell’impero, come Efeso o Pergamo. Queste città d’asia sono riunite in un koinon, una struttura
federale che è il tramite delle richieste della provincia nei confronti del governo di Roma e d’altra
parte esprime anche il consenso della provincia all’imperatore. Il koinon d’asia è quello che
organizza le manifestazioni di sostegno all’imperatore, ne celebra il culto. Il primo documento è
quindi una lettera che il governatore d’asia scrive al koinon d’asia. Il testo è messo insieme da
molti frammenti, trovati in tre o quattro città d’asia delle quali nessuna ci ha restituito la lettera
completa, questa era incisa in latino, poi tradotta in greco.
Leggiamo la slide 7 di “cristianesimo”
In sostanza paolo Fabio massimo consiglia di riformare il calendario uniformandolo al calendario
romano; sappiamo che il calendario Giuliano è stato stabilito nel 46 da giulio cesare aiutato da un
matematico alessandrino; quindi, cessa il vecchio calendario lunare di 354 giorni e si introduce
questo calendario solare, molto simile al nostro. Si suggerisce quindi soprattutto di far coincidere il
giorno di Capodanno con il giorno della nascita di augusto, cosa che il calendario romano non ha
fatto. Il giorno del Capodanno entravano in carica i nuovi magistrati; quindi, quello era un giorno in
cui i neoeletti festeggiavano l’inizio della loro carica, quello che suggerisce Fabio Massimo è quello
di combinare i festeggiamenti per la carica con quelli per la nascita di augusto, vediamo quindi la
simbiosi che si vuole instaurare tra il culto imperiale e l’orgoglio delle élite municipali greche.
Passiamo ora alla risposta dei greci d’asia (slide 9).
Questa idea piace tanto, il calendario si riforma e il 23 settembre sarà il primo giorno dell’anno.
Quando si decide questa riforma, la riforma di cesare era stata fraintesa, si capì che il giorno
bisestile si dovesse aggiungere ogni tre anni e non ogni quattro e ancora al 9 d.C. non si era capito
che era sbagliato. Questo ci fa capire che la propaganda imperiale impone augusto come dio
perché è stato lui a dare la pace e un ordine razionale al mondo, questi addirittura dicono “per il
cosmo”. È chiaro che confrontate con questo livello, tutte le altre religioni sono più o meno
costrette ad adeguarsi, devono prendere atto di essere in un contenitore più alto, e quando vi si
trovano, si devono ripensare. Per quanto riguarda l’ebraismo, il nostro manuale ci invita a
considerare, prima di paolo e del cristianesimo, l’opera di conversione di Izate, ad opera di un
mercante Ananias. Izate è un principe dell’Adiabene, stato cuscinetto tra il regno partico e
l’impero. Questo viene mandato a Spasinocaras, qui incontra un mercante: Anania. Leggiamo la
slide 5. Quello della circoncisione è uno dei punti che diverrà poi cruciale, nel momento cui una
religione nazionale si vuole proporre a culture diverse, deve o no rinunciare a dei tratti ritenuti
caratteristici? Nel momento in cui si hanno culture diverse, ci si chiede quale sia l’essenza della
religione che si vuole insegnare; quindi, questo Izate ha sentito dire che la circoncisione è
essenziale all’ebraismo. Dunque, dal punto di vista di Anania uno poteva venerare il dio degli ebrei
anche senza circoncidersi, se davvero teneva al giudaismo. Un altro maestro, Eleazaro, gli disse
che questo non era assolutamente possibile. Alla fine, il re si circoncise.
Questa storia si colloca più o meno nel 30-4°, tra la morte di Gesù e la l’avvento di Nerone. Il
nostro manuale ci invita a notare una coincidenza onomastica con un’Ananias che impone le mani
dopo la visione sulla via di Damasco. Questa può essere una coincidenza, ma non è una
coincidenza che questo Ananias e poi paolo sanno immaginare un giudaismo senza circoncisione,
che reinterpreta la legge ritenendola meno importante. Questo contrasto tra rigoristi e quelli
come paolo emerge e lui si riesce a difendersi dicendo che se è così importante osservare la legge,
allora la venuta di cristo è inutile. Cristo, infatti, non è venuto solo per liberare il popolo giudaico,
si deve parlare agli uomini tramite tutte le lingue del mondo. Questo è quello che avviene alla
setta cristiana del giudaismo. L’intuizione di paolo è quindi quella che l’incarnazione di cristo non
può essere una cosa che riguarda solo i giudei.

2 aprile (ventunesima lezione)


Proseguiamo con la diffusione del cristianesimo. rispetto a quello che si era detto l’altra volta va
aggiunto che questa posizione di paolo va inquadrata nel contesto delle tensioni che ci sono
all’interno del mondo giudaico tra settori della società che sono più aperti alla cultura greca,
all’ellenizzazione e altri che invece sono più restii ad aprirsi e ad aprire il patrimonio religioso
giudaico al mondo e alla cultura greca. La giudea ha fatto parte di un regno ellenistico, ci sono
state lotte di resistenza all’ellenizzazione di Gerusalemme, c’è quindi una part del mondo giudaico
che si oppone abbastanza fieramente alla ellenizzazione. C’è un’altra parte favorevole, è in età
ellenistica che si traduce la bibbia in greco, accade ad Alessandria dove c’è una comunità giudaica
molto ricca e potente. La scelta di paolo di svincolare il cristianesimo dal giudaismo, questo
percorso, deve essere valutato nella prospettiva di un confronto tra un confronto tra patrimonio
culturale giudaico e cultura greca che si fa più serrato dall’età ellenistica. Per quel che riguarda i
rapporti con l’Impero Romano, con le strutture di governo dell’impero romano sono segnati da
una difficoltà iniziale; va subito precisato che la predicazione del cristo, per come ce la racconta
Matteo, non ha obbiettivi politico-sociali, questo è evidente dall’odio del tributo, viene
sottolineato nel manuale. Il racconto di Matteo va compreso tenendo presente l’estrazione del
crosto, il quale viene dalla galilea, dove le diseguaglianze sociali erano più forti, come più forti
erano stati i moti di rivolta contro i romani e contro chi, come Erode, riscuoteva le tasse per conto
dei romani. Leggiamo uno scritto di Matteo (slide 3). Ci dice che i farisei, questa setta di puri che
sono dei rigorosi esecutori dell’orto prassi giudaica, sono diffidenti nei confronti dei predicatori
come cristo e vogliono metterlo in difficoltà. “rendete a cesare quel che è di cesare e a dio quel
che è di dio” questa la frase più importante del passo, c’è un doppio binario, ci si sdoppia.
Leggiamo ora la lettera ai Galati di Paolo, slide 14-15-16. Questo è uno dei documenti più
importanti per capire come paolo è riuscito a ricavarsi questa prospettiva di evangelizzazione dei
non giudei, la prima diffusione del cristianesimo sfrutta la rete di sinagoghe e in parte una setta del
giudaismo e come tale si diffonde nelle comunità giudaiche sparse nel mediterraneo. Paolo invece
concepisce il progetto di una evangelizzazione degli etne che segua una logica diversa da quella
dell’evangelizzazione tra i giudei. Questa lettera ai galati è inviata alla popolazione della provincia
di Galazia e scrive a queste comunità perché queste, dopo aver accettato il punto di vista di paolo
avevano avuto un ripensamento perché altri erano andati loro a dire che quello che predicava
paolo non era il vero vangelo. La lettera ai romani ci fa capire che all’interno degli apostoli ha fatto
fatica ad imporsi la linea di paolo, quale si è opposto a pietro per imporre l’apertura ai gentili.
Adesso possiamo riprendere il filo che avevamo iniziato con la lettura di matteo, ovvero la
predicazione cristiana rispetto al potere romano. I cristiani vengono notati abbastanza presto,
abbiamo un passo di svetonio dove dice che claudio caccioò da roma i giudei che predicavano su
istigazione di un Chresto. La spiegazione che si da è che la fonte di Svetonio sia caduta in equivoco;
innanzitutto, si pensa che Chresto sia un nome proprio, che però si pronuncia Christòs, senza un
testo scritto non si sa se si parla di un signor Chresto o di Christòs, l’unto, dunque la fonte di
Svetonio deve aver capito che ci fosse un tale Chrestòs che seminasse zizzania tra le comunità
giudaiche di Roma, si ritiene invece comunamente che queste comunità giudaiche fossero in
fermento perché nell’età di Claudio si dibattesse su cristo e sul valore della predicazione cristiana,
sul riconoscere o no cristo come un dio. Cristiani già erano identificati come tali nel 64 quando essi
furono incolpati dell’incendio di Roma, incendio la cui origine non dolosa avviene viene accreditata
da tacito, l’opzione pubblica comunque reclamò un capro espiatorio e si indicarono i cristiani come
responsabili. Abbiamo visto come cristo propone di vedere l’impero romano e paolo riconosce
nell. Impero una compagine politica voluta da dio, non c’è nessun potere che non derivi da dio;
quindi, anche l’impero romano è stato voluto da dio per favorire la predicazione cristiana. I
rapporti non sono reciproci, la cultura di governo romano fa fatica a considerare normali delle
persone che dichiarano che un condannato a morte dello stato romano, uno che è stato messo in
croce, sia in realtà il figlio di dio. C’è da tenere presente che la condanna alla croce, che di solito
era preservata agli schiavi, è una delle pene peggiori. Leggiamo il passo di tacito (slide 18), nei
capitoli precedenti ha raccontato quali provvedimenti fossero stati presi nell’immediatezza del
disastro, come Nerone avesse fatto in modo di rimediare ai disagi provocati dall’incendio. Questa
diffidenza nei confronti del giudaismo, che si presenta così male, questi sono disprezzati dagli altri
giudei, sono seguaci di un condannato a morte che ritengono sia figlio di dio, la somma di tutte
queste cose fa si che si veda il cristianesimo come un qualcosa di sospettoso e criminoso. Essere
cristiani è un reato, che non vinee mai perseguito, perché per un verso sono in troppi e per l’altro
verso è facile per i cristiani sottrarsi al processo dimostrando di non essere cristiano, per cui, se il
cristianesimo è un reato, è un reato difficilmente perseguibile. Di qui un rapporto antico che c’è tra
i cristiani, seguaci della nuova legge e chi è chiamato a far rispettare la legge romana. Documento
famosissimo è una lettera di Plinio il Giovane a Traiano, si trova nel X libro, il quale racchiude tutte
le epistole che si scambiano Plinio e traiano. Le lettere che leggeremo risale a quando Plinio il
Giovane era legati augusti pro praetore della provincia di Bitinia, attuale Turchia settentrionale.
Il X libro dell’epistolario pliniano è interessante perché mostra come un governatore di provincia
chiedesse al governo centrale, agli uffici che lo coadiuvavano, direttive circa la soluzione di
problemi di governo spiccioli. Le lettere 96-97 (slide 19-20-21) riguardano appunto un processo
per cristianesimo.
La prova del nove diventa questa, se un accusato sacrifica agli dei pagani e all’imperatore, siccome
il sacrifico agli dei si mischia al culto imperiale, e siccome gli imperatori che hanno ricevuto la
divinizzazione sono essi stessi degli dei pagani, vediamo come la contrapposizione si faccia più
grave.
8 aprile (ventiduesima lezione)
Avevamo lasciato a metà la lettera di Plinio il giovane. Abbiamo detto che questo era governatore
di bitinia, nel 110-113 è il suo governo. Lui scrive a traiano per chiedere delle direttive in merito a
delle denunce di cristianesimo, benché sia avvocato e senatore esperto dichiara di non aver mai
partecipato a un processo per cristianesimo; benché questo sia un reato, non si sa cosa si debba
esattamente punire, se l’essere cristiano o i misfatti che essere cristiani comporta. Abbiamo visto
che nel frattempo che chiede lumi al governatore, si regola con il buonsenso, chiede a costoro se
sono cristiani e quelli che affermano vengono condannati a morte, tranne i cittadini romani, i quali
vengono mandati a Roma per subire un altro processo. Poi passa ad elencare delle condizioni
particolari. Nella slide 21, verso la fine, ci vengono inoltre delle alcune delle “abitudini” della setta
cristiana con una delle più importanti testimonianze. Nella slide 22 vediamo che la tortura, per gli
schiavi, veniva utilizzata come metodo di inchiesta. Plinio chiede spessissimo il parere
all’imperatore, questa è una prassi abbastanza diffusa dal personale di governo. A Roma c’è un
ufficio ad epistulis addetto a ricevere tutta la corrispondenza che viene dai governatori di province
e a mandare tutte le risposte dell’imperatore. Questa lettera di Plinio il giovane ci dà la misura,
nelle province orientali, della diffusione del cristianesimo, che è stata molto rapida. Ciò che
colpisce di questa lettera è che si stabilisce una correlazione stretta tra il largo seguito dei cristiani
e la desolazione dei templi pagani. Alla slide 23 troviamo la risposta di traiano, altrettanto famosa.
Traiano dice che non si debbono ricercare colpevoli, ma se vengono denunciati e si dimostrano
colpevoli allora debbono essere puniti, questa è la ragione per cui i processi per cristianesimo sono
rari, perché è troppo facile, per l’accusato, smentire l’accusatore e accusare a sua volta l’ex
accusatore di calunnia. Chiunque accusi qualcuno, quindi, deve essere sicuro che l’accusato non
ricorra alla rinuncia di essere cristiano, dovrebbe trovare dei martiri, altrimenti passerebbe dei
guai. Vedremo che i martiri nella storia del cristianesimo sono pochi, invece i lapsi, coloro che
rinnegano la fede cristiana, sono molti di più. la risposta di traiano mantiene la religione in una
posizione ambigua, è un reato, che però deve essere punito solo quando l’accusato accetta di
essere punito e che viene perdonato se solo l’accusato dice di essere pentito. L’insieme di tutte
queste cose mantiene il cristianesimo in una sorta di semi clandestinità. Ci sono dei vescovi,
insegnamenti, comunità, legalmente illegali che però vivono tranquillamente, quasi alla luce del
sole; vedremo poi, non solo nelle province lontane, ma anche a Roma.
Prendiamo il dessau e leggiamo altre iscrizioni di personaggi senatori per avere idee della loro
carriera.
Iscrizione n°2927:
è una iscrizione da como, sappiamo che Plinio il giovane è nipote e figlio adottivo di Plinio il
vecchio che era di como. I romani di questo ceto hanno spesso due patrie, una piccola, dove
magari la comunità cittadina di cui la famiglia è originaria e poi una grande, roma. Questi senatori
hanno, nei confronti delle loro comunità cittadine di origine, dove mantengono grandi proprietà
terriere, con i quali abitanti mantengono dei legami di patronato; in genere quando muoiono
questi senatori, si ricordano le loro cittadine di origine e si inseriscono nei loro testamenti dei
lasciti. Questa è una iscrizione onoraria che ci riporta la carriera di Plinio il giovane e poi alcune
disposizioni lasciate nel testamento.
“Gaius Plinius Luci filius Oufentina Caecilius secundus consul, augur, legatus pro praetore
provinciae Ponti et Bithyniae consulari potestate in eam provinciam ex senatus consulto missus ab
imperatore Caesare Nerva Traiano Augusto Germanico Dacico pater patriae, curator alvei Tiberis
et riparum et cloacarum urbis, praefectus aerari Saturni, praefectus aerari militari, praetor,
tribunus plebis, quaestor imperatoris, sevir equitum Romanorum, tribunus militum legionis tertie
Gallicae, decemvir stlitibus iudicandis”
Fin qui è stata elencata la carriera di Plinio, il suo ordine è stato discendente. Il consolato e
l’augurato, ricordati per primi, sono citati fuori cursus. Il continuo dell’iscrizione è un po’
danneggiata, si ricordano delle terme; quindi, deve aver dato dei soldi per costruirle o farle
ristrutturare. Le terme sono un elemento caratterizzante della città romana, dove, chi può
permetterselo, passa volentieri del tempo libero curando la propria igiene ma anche concedendosi
il tempo per ascoltare pubbliche declamazioni di poesia o prosa; le terme sono un centro
importante della vita sociale delle città antiche, ed è per questo che molti ricconi che volevano
farsi ricordare dai propri concittadini, fanno dei lasciti per il mantenimento, costruzione o
ricostruzione per le terme cittadine.
“adiectis in ornatum sesterzzis trecentismilibus et eo amplius in tutelam sesterzium
ducentismilibus testamenti fieri iussit, item in alimenta libertorum suorum hominum centum … rei
publice legavit, quorum incrementum postea ad epulum plebis urbanis voluit pertinere item in
bybliothecam et in tutelam bybliothecae sestertium centeniamilia”
per alimenta dei bambini/e della sua plebe urbana ha dato 500.000 sesterzi, questo ci da modo di
ricordare gli alimenta traianei, questo è un programma stabilito da traiano per l’incremento
demografico dell’Italia per sostenere l’incremento della popolazione in Italia. Questo programma
consiste nell’obbligare i grandi proprietari terrieri a prendere in prestito delle somme dallo stato.
Queste erano delle somme che lo stato si impegnava a non richiedere indietro, ma avrebbero però
obbligato coloro che le avessero prese a versare ogni anno degli interessi. Da queste rendite che lo
stato annualmente ricava, questo versava dei mensili ai minori delle comunità cittadine italiche.
Qui Plinio crea una sua fondazione alimentare per i bambini e le bambine di Como.
Iscrizione n°1060:
“Gaio Iavoleno Calvino | Geminio Kapitoni | Cornelio Polloni | Squillae Quinto Vulkacio |
Scuppidio Vero consuli, | proconsuli provinciae Baetice, legiato Augusti | pro praetore provinciae
Lusitaniae, legato legionis terzie | Gallicae, praetori candidato divi Hadriani, | tribuno plebis
candidato, quaestori provinciae africae, tribuno | militum legionis quinte Macaedonicae,
decemviro stlitibus iudicandus”
Questo interminabile nome, con due formule nominali diverse, dovrebbe essere una persona sola,
è infatti possibile che sia stato adottato. È un cursus discendente.

9 aprile (ventitreesima lezione)


Iscrizione n°1061:
“Lucio Minicio Luci filio Galeria Natali | Quadronio Vero consuli, proconsuli | provinciae Africae,
auguri, legato Augusti | pro praetore provinciae Moesiae inferioris, | curatori operum publicorum
| et aedium sacrararum, curatori viae | Flaminiae, praefecto alimentorum, legato Augusti legionis
sexte Victricis in Britannia, | praetori, tribuno plebis candidato, | quaestori candidato divi Hadriani
et eodem tempore legato | provinciae Africae dioceseos Carthaginiensis | proconsulis patris suis,
tribuno militum legionis primae | Adiutricis pie fidelis item legionis undecime Claudiae pie fidelis
item legionis quartedecime Gemine Martiae Victricis, triumviro monetali auro argento aere flando
feriundo , patrono municipii, | curatori fani Herculis Victoris, decuriones Tiburtes | ex aere collato,
quinquennali maximi exempli”
Qui abbiamo una carriera senatoria in ordine discendente perché il praetor, più alto, precede il
tribunato della plebe e la questura, più bassi. Il tribunato militare si articola su più legioni. Questo
era figlio di un senatore già molto importante poiché proconsole d’africa.
Iscrizione n°1062:
“Tito statilio | Maximo | tribuno legionis quarte Scythicae, | donis militaribus a divo | Traiano
donato, quaestori urbano, | ab actis sic senatus, tribuno plebis, praetori, curatori viae Aureliae,
legato legionis primae Adiutricis, iuridico | pro praetore utriusque | Pannoniae, legato pro |
praetore Pannoniae inferioris, | consuli, sodali Augustali, curatori aedium sacrarum, | canabenses
publicae”
Questa è stata trovata in ungheria, in questo caso abbiamo un cursus ascendente, perché parte dal
questore, poi tribuno della plebe, poi continua a salire. Ha ricevuto delle donazioni militari, fu
questore a roma, pretore, curato della via aurelia e finalmente arriva al comando di una legione.
Ha svolto funzioni giudiziarie nelle due pannonie, questa è una cosa abbastanza straordinaria,
probabilmente perché mancavano, per motivi che non sappiamo, i legati augusti pro praetore in
Pannonia. I canabenses sono soggetti che vivono nelle Canabe, appartamenti civili annessi ai
castra.
Iscrizione 1059:
“Gaio Oppio Gai filio Velina | Sabino Iulio Nepoti | Manio Vibio Sollemni Severo | consuli | adlecto
a sacratissimo imperatore Hadriano Augusto | inter tribunicios, praetori peregrino | candidato
Augusti, | legato provinciae Baeticae, curatori viarum | Clodiae Anniae Cassiae | Ciminiae trium
Traianarum | et Amerinae, legato legionis undecime | Claudie pie fidelis, legatus Augusti pro
praetore | provinciae Lusitaniae, | pro consuli provinciae Baeticae, | patrono colonie, | Leonas
libertus | adcensus patroni, | et in dedicatione statue | colonis cenam dedit”
Qui abbiamo un senatore che presenta un cursus abbastanza eccezionale perché è stato adlectus,
associato, tra i tribunici, ovverto tra quei senatori che avevano ricoperto il tribunato della plebe,
senza essere stato prima questore, né essere stato tribuno militare ad esempio. Fa parte di quelle
persone scelte dall’imperatore Adriano; questo è uno per cui l’imperatore si spende molto. Ha
anche comandato una legione nonostante non abbia fatto gavetta militare. La dedica viene posta
da un suo liberto che vive a Osimo, sua seconda patria. I cittadini di Osimo lo riconoscono come
loro patrono, lo vedono come un qualcuno a cui loro si possono rivolgere affinché questo presenti
le loro istanze agli uffici centrali del governo romano, se non all’imperatore stesso.

12 aprile (ventiquattresima lezione)


Ippolito di roma è stato un vescovo, stato anche teologo che parla di eresie e tra quelle di cui fa la
critica ci sono quelle dei callistiani. Il termine proviene da callisto che è stato a sua volta vescovo di
roma, di callisto si fa un ritratto a tinte fosche, è stato un rivale di ippolito e soprattutto un rivale di
successo; la sua parrocchia è stata molto più frequentata di quella di ippolito, sia pure in forza di
una politica molto accomodante che ha facilitato l’acquisizione delle simpatie da parte di molti
settori della società urbana. Soprattutto interessante è il sostegno derivato dalle dame della
aristocrazia romana, per ragioni che appaiono riprovevolissime a ippolito, mentre possono trovare
la comprensione presso delle sensibilità sociali contemporanee.
Leggiamo i capitoli 11-12 del libro IX dei “filosofumena”, riservato appunto ai callistiani. Leggiamo
la slide 24. Di cosa si litiga all’interno della comunità cristiana di roma, questo passo ci offre uno
spaccato vivace della vita religiosa delle comunità cristiane di roma, si discute dei rapporti tra il
padre e il figlio. Il figlio è diverso dal padre? E se non è diverso dal padre, è stato crocifisso con il
figlio? Quelli come Sabellio tendevano a fare una cosa sola del padre e del figlio, altri invece
tendevano a distinguere le cose, fino ad essere accusati di diteismo (due divinità) callisto offre una
soluzione. I dilemmi della cristologia accompagnano la storia della chiesa primitiva, sono la
sostanza della riflessione teologica dell’età tardo antica. Callisto fu martire, ma dobbiamo vedere
in che modo, la parola martire infatti ha subito molte variazioni nel corso del tempo, all’inizio
qualifica soltanto quei cristiani che, sottoposti a processo del cristianesimo, ammettono di essrere
cristiani, con il tempo, il termine si riserverà a coloro che hanno subito il martirio, ovvero coloro
che hanno subito la condanna a morte, gli altri sono confessores. Con il tempo si portà essere
confessor senza essere martiri. Agli inizi del III secolo quindi, chi ammette di essere cristiano è
definito come martire. Con la slide successiva inizia a raccontare la vita di Carpoforo. Carpoforo è
un liberto imperiale, questi di solito svolgono delle mansioni molto importanti come ad esempio
l’arationibus, è quello che rivede il bilancio dello stato. Con il tempo, nel II secolo, perlopiù questi
uffici vengono affidati a membri dell’ordine equestre, ciononostante i liberti imperiali svongono
funzioni delicate. I “pistrinum” sono dei mulini che trasformano la farina in pane, i pistrina
pubblica trasformano il grano pubblico delle frumentazioni in pane, questi hanno dei contratti con
il pubblico, si impegnano a trasformare grano in pane a seconda delle regole che stabilisce
l’amministrazione imperiale. Il praefectus urbi è colui che amministra la giustizia nella città di roma
e in un raggio di 100 miglia dalla città, è un ufficio, quello della prefettura urbana, inventato da
augusto e riservato a personaggi di ordine senatorio. Da distinguere, il prefetto urbano, dal
prefetto al pretorio, che è il comandante delle coorti pretorie, il prefetto urbano invece è un
giudice che amministra la giustizia e ha le coorti urbane alle sue dipendenze. I soldati ai suoi ordini,
che si chiamano urbaniciani, occupano un posto intermedio tra i pretoriani e i legionari semplici.
Vediamo anche la differenza tra ebraismo e cristianesimo, gli ebrei possono leggere
tranquillamente le leggi, i cristiani, almeno in teoria no.

15 aprile (venticinquesima lezione)


Riprendiamo il passo dei Filosofumena di Ippolito di Roma, dove si parla dell’eresia dei callistiani e
di Callisto, iniziatore di quella che Ippolito ritiene una eresia. Callisto, liberto imperiale, messo a
dirigere una banca dal suo padrone carpoforo, fallisce, e tutti i risparmi depositati dai fedeli
cristiani (carpoforo non era cristiano, Callisto si) svaniscono; Callisto prima tenta di fuggire, viene
ripreso e gettato nel pistrinum, dove deve lavorare, presumibilmente nel tentativo di recuperare
alcuni fondi che aveva prestato a delle personalità della comunità giudaica, Callisto disturba, di
sabato, una loro riunione e viene denunciato da questi, al prefetto urbano, di essere cristiano.
Benché il suo padrone, carpoforo, neghi che Callisto sia cristiano, viene condannato comunque,
evidentemente è un confessor, un martire, come lo definisce lo stesso Ippolito, suo avversario, e
viene mandato in Sardegna, dove viene fatto liberare dall’eunuco di Marcia, concubina di
Commodo. Viene mandato poi da Vittore ad Anzio, viene riconosciuto come membro del clero,
guadagna la fiducia di Zefirino (papa) che lo mette a dirigere il cimitero diventando il braccio
destro di Zefirino, il quale era molto severamente criticato da Ippolito, manovrandolo a suo
vantaggio, poi muore Zefirino e Callisto si impone come leader autorevole delle comunità di Roma.
Fa scomunicare Sabellio, di chiare tendenze monarchiche, riteneva infatti che figlio e padre fossero
la stessa persona. E ora continuiamo la lettura. Callisto apre un didascaleion dove insegna il
cristianesimo. In genere gli studiosi del cristianesimo non prendono proprio per oro colato quello
che Ippolito dice di Callisto, però la descrizione che ne fa trova delle somiglianze in alcuni indizi
della storia sociale e contemporanea. Ippolito lo accusava di rubare i fedeli alle altre parrocchie
promettendo un perdono che le altre non approvano. Un tema che agita la vita cristiana nel III
secolo è se i cristiani che sono lapsi, quelli che hanno negato di essere cristiani di fronte alle
autorità romane, debbano essere riammessi dentro le comunità cristiane qualora lo chiedono o se
prima della riammissione debbano essere ribattezzati. Ci saranno punti di vista diversi ma alla fine
si giungerà alla conclusione che il battesimo era uno per sempre, quindi non c’era bisogno di
rifarlo. In questa lettera troviamo quindi il ritratto che Ippolito di Roma fa di Callisto, il quale ci
appare come un grande personaggio tra Commodo e i severi. Ha conosciuto difficoltà economiche
all’età di Commodo, ha conosciuto il lavoro forzato, ha conosciuto i favori di marcia e che ha
risposto in maniera spregiudicata alle sensibilità dell’universo femminile, soprattutto però delle
aristocratiche. Questa presentazione di Ippolito, vuole essere ostile nei confronti di Callisto, ma
può non essere falsa; questa pretende di essere stata scritta sotto Diocleziano e Costantino, poco
dopo l’età tetrarchica, ma in realtà è stata scritta molto dopo, in età teodosiana. Siccome la prima
parte dovrebbe attingere a Mario Massimo, è molto attendibile, la seconda parte non proprio.
Leggiamo la slide 30. Anche qui c’era il desiderio di unirsi a un uomo di oscura condizione e
tuttavia la voglia di non perdere la distinzione aristocratica. Ritroviamo qui, in questo passo
dell’historia augusta che riferisce di istanze presentate dalle donne aristocratiche, prima di
Elagabalo, di mantenere la distinzione aristocratica, pur avendo sposato uomini di condizione
inferiore. Molto spesso, in molte società, le donne aristocratiche sono costrette per via delle
convinzioni sociali, a delle vite sessualmente insoddisfacenti, vediamo in questa età dei segni di
ribellione verso questa condizione. Va detto che infondo queste donne aristocratiche erano
indirizzate dal modello maschile, perché quello che era normalmente accettato era che il padrone
potesse disporre degli schiavi e delle schiave come volesse dal punto di vista sessuale. Nella città di
roma possiamo dedurre che forse 1/3 della popolazione fossero schiavi; il rapporto tra liberi e
schiavi è abbastanza complesso da descrivere. La società romana è una società che permette
abbastanza agevolmente il passaggio dalla schiavitù alla libertà, anche con cittadinanza. Uno
schiavo può essere infatti affrancato dal padrone e se lo fa rispettando determinate regole, può
ottenere la cittadinanza romana. Questo non deve far dimenticare che il rapporto tra liberi e
schiavi non ci siamo diffidenze profonde, che a volte non è proprio possibile abbattere. Leggeremo
una lettera di Plinio il giovane dove si parla della morte di un senatore di rango pretorio; questa è
una lettera a un suo amico, Acilio. (slide 31). Qui abbiamo un caso abbastanza strano, di un ex
pretore il cui padre era stato schiavo. questo senatore, Larcio Macedone, di rango pretorio, viene
ammazzato da alcuni servi, lo ammazzano in modo tale che non fosse evidente la causa della
morte. Una delle leggi che dimostrano più chiaramente di tutte le altre la diffidenza verso tutti gli
schiavi, ovvero quella che dice che in questo caso, tutti gli schiavi debbono essere uccisi, sia quelli
che avrebbero potuto uccidere il padrone, sia quelli che non lo hanno protetto. Qui vediamo la
figura di un senatore che si ricordava fin troppo bene che il padre era stato schiavo, che ha visto la
società romana dal basso e dell’alto. Quando si parla di senatori che discendono da liberti, bisogna
immaginare che siano discendenti di bastardi di senatori, questi hanno delle concubinne e i figli
nati da questi rapporti non sono legittimi ma sono, queste pratiche, al maschile, socialmente
tollerate. Da questi documenti però ricaviamo che le donne, in qualche modo, vogliono questa
libertà che hanno i maschi, vogliono quindi un compagno di letto, conservando però il loro status.
leggiamo il capitolo 42 degli Annales ti Tacito, libro XIV (slide 33). Nel 61 abbiamo un omicidio,
viene trovato ucciso in casa il praefecto urbis Pedanio Secondo da un suo schiavo, uno dei moventi
potrebbe essere quello che appunto i due si fossero messi d’accordo sulla sua libertà, poi questa
gli fu negata dal suo padrone allora lo schiavo lo uccide; altro motivo può essere quello di una
rivalità amorosa nei confronti dello stesso ragazzo, lo schiavo non sopporta il padrone come
schiavo e lo uccide. Abbiamo detto precedentemente che a Roma gli schiavi non sono pochi e
questa cosa, vuoi per la notorietà dell’assassinato, vuoi per il numero degli schiavi che questo si
teneva in casa, si parla di un numero pari a 400, diventa un caso che agita l’opinione pubblica
cittadina che si esprime in forme di solidarietà agli schiavi che sono condannati a morte. Qualcuno
si mostra disposto di flessibilità ma la maggioranza rimane ferma a favore della legge. Contro la
proposta di Cassio nessun senatore osò parlare.

16 aprile (ventiseiesima lezione)


Oggi chiudiamo con il cristianesimo e riprendiamo i fili della politica monetaria degli imperatori
romani. La riflessione di Orosio, nel V secolo, dopo il sacco di Roma, nelle historiae adversus
paganus, è un’opera ispirata da sant’Agostino tesa a dimostrare, in polemica con i circoli pagani, i
quali attribuivano all’abbandono della religione tradizionale il disastro della presa di roma,
l’invasione dei barbari, Orosio propone un’altra prospettiva storica tesa a dimostrare che la
repubblica romana, di disastri, ne aveva subiti anche prima dell’avvento del cristianesimo.
all’interno di questa opera storica viene presentata come una storia di persecuzioni che culmina
con quella di Diocleziano nel 303, quella più recente e che sembrava essere stata la più efficace.
Nell’elencare le dieci persecuzioni c’è quella di Decio, che rappresenta un punto di svolta nelle
modalità, perché con questo si. Avvia un processo che porterà alla sistematicità delle persecuzioni
cristiane. Ricorderemo nella risposta della lettera di traiano a Plinio “conquirendi non sunt”, non
bisogna andargli a cercare; questo cambia con Decio, qui tutti sono cittadini romani; quindi, quella
distinzione tra cittadini romani e peregrini che ha ancora importanza anche nel II secolo, svanisce
nel III secolo. Alla slide 37 abbiamo un papiro. Abbiamo già detto che l’Egitto conserva molti papiri,
questo vale anche con i libelli, ovvero certificati di paganesimo.
“presso coloro che sono stati scelti per i sacrifici del villaggio dell’isola di Alessandro, presso
Aurelio diogene, figlio di S., di età 72 e una cicatrice sulla guancia destra”
Poi viene riportata una dichiarazione
“ho sempre sacrificato agli dèi e anche adesso, alla vostra presenza, secondo le ordinanze imperiali
ho sacrificato e gustato della carne della vittima sacrificale e chiedo che voi sottoscriviate questa
mia dichiarazione”
Decio nel 250 introduce una novità, adesso si chiede il libendos, ovvero il certificato di
paganesimo. Adesso, senza cercare i cristiani, si chiede di sacrificare per l’imperatore, e chi non lo
fa è automaticamente un traditore della patria comune. La cosa è particolarmente difficile da un
punto di vista politico, nel momento in cui la pressione sui confini, soprattutto quello danubiano, si
fa più forte, nel III secolo l’Impero romano è stato molto vicino al collassare e c’è stato del resto un
periodo in cui era frantumato in 3 tronconi, a oriente il correttorato di Palmira e a occidente
l’impero di Postumo. Sono stati decenni difficili quelli successivi a Massimino il Trace, difficili per la
precarietà del potere imperiale. Questo è un periodo che viene definito come quello dell’anarchia
militare. La pressione barbarica sui confini, quello danubiano e orientale, nel secondo quarto del III
secolo alla dinastia degli Arsadici, partica, si sostituisce quella persiana dei Sasanidi; c’è un cambio
dinastico, c’è un ritorno al passato achemenide e a delle pretese di impero universale. L’impero
persiano dei sasanidi non si sente inferiore a quello romano (i due occhi del mondo). Le difficoltà
militari dell’Impero romano spingono gli imperatori a chiedere alle società dell’impero, il massimo
della coesione, anche culturale e religiosa, si deve quindi sacrificare agli imperatori e qui, a fronte
di questa richiesta di sacrificio, viene meno quella tolleranza basata su un reciproco ignorarsi. La
richiesta del sacrificio porta anche dei dissensi all’interno della chiesa sul modo in cui si deve
aggirare questa richiesta, sul modo in cui si deve eludere la persecuzione di Decio. In un primo
momento si incoraggiano i cristiani a procurarsi questi certificati in maniera illecita, corrompendo i
funzionari. In un secondo momento però cominciarono a nascere dei dissensi, questa risposta così
astuta, ma poco eroica, infastidisce molti che invece pretendono un atteggiamento più rigoroso.
Leggiamo l’epistola di Cipriano, vescovo di Cartagine, è il titolare di una sede vescovile molto
autorevole in africa, la quale sarà in età tardo antica, provincia di grandi passioni religiose e
ispirerà tendenze rigoriste, sarà la sede dello scisma donatista. Lo scisma è diverso dall’eresia, alla
base dell’eresia ci sono diverse opinioni, diversi dogmi non approvati dalla maggioranza dei
vescovi, uno scisma non ha alla base una diversa dottrina teologica, c’è soltanto un dissenso
politico. Questa lettera di Cipriano (slide 38) parla di coloro che vogliono espellere dalla chiesa tutti
coloro che sono caduti, a seguito della persecuzione di Decio si determina una distinzione tra
quelli che potrebbero essere definiti genericamente lapsi; quindi, tra coloro che in qualche modo
sono venuti a patti con le autorità romane, questi sono i libellatici, ovvero coloro che si sono
comperati il libello. Al di sotto di questi ci sono i lapsi, che effettivamente rinnegano il
cristianesimo e fanno il sacrificio pagano, questa categoria si divide in due sottogruppi: i
Thurificati, coloro che hanno sacrificato soltanto con l’incenso e il vino; i Sacrificati sono invece
coloro che hanno fatto il sacrificio cruento. Il termine Traditores invece, avrà un valore pregnante
soltanto con la persecuzione di Diocleziano, perché questo. Andrà a ricercare i membri del clero
delle comunità cristiane e pretenderà che questi consegnino i libri sacri, allora i Traditores sono
coloro che hanno consegnato le bibbie alle autorità romane perché fossero distrutte.
L’atteggiamneto di cipriano corrisponde quindi a un pragmatico riaccoglimento dei libellatici,
questi hanno consentito a molti cristiani di scampare alla durezza delle persecuzioni, lo stesso
cipriano però è poi lo stesso che distingue tra Martyres e Confessores.
Chiuso il discorso del cristianesimo, ora riprenderemo il filo dell’economia. Noi abbiamo aperto
con la riforma monetaria neroniana, il tema dell’equilibrio delle due monete di metallo nobile,
l’aureus e il denarius, quelle monete cioè che hanno un valore intrinseco in qualche modo
dialettico rispetto a quello nominale. Con questo si vuole dire che le monete di bronzo non
valgono il valore nominale che si attribuisce loro, hanno un valore nominale molto basso, la loro
circolazione è tollerabile, servono da spicci, ma il metallo con cui esse sono fatte non vale il valore
che esse pretendono di avere; la moneta aurea viene invece considerata per il suo valore
intrinseco, ovvero per l’oro che contiene, ad esempio all’età di Diocleziano, il solidus da 1/60 di
libra è quello dell’oro. Il sistema monetario romano è quindi bimetallico e prevede un equilibrio
tra le due monete. Abbiamo visto come nell’età giulio-claudia ci siano state delle alterazioni per
quanto riguarda il peso delle monete, l’oro passa da 1/40 a 1/42 di libra, mentre il peso del
denarius resta a 1/84 di libra, ciò che fa passare il rapporto oro-argento a 11,9 a 12,5, ne abbiamo
constatato che la riduzione del peso dell’aureus è conseguenza di un deprezzamento dell’argento.
Il riallineamento dei pesi del 64 d.C. adoperato da Nerone, per cui 1 aureus di 1/45 di libra
equivale a 25 denari di 1/96 di libra riporta il rapporto oro-argento 1 su 11,7; questa riduzione del
peso della moneta d’argento, che è più importante di quello della moneta d’oro è la conseguenza
di emissioni potenti di moneta aurea. Questo equilibrio, sia pur in maniera altalenante, ritorna poi
con traiano. A seguito della conquista della dacia che mette a disposizione della politica monetaria
romana le miniere aurifere della provincia da poco conquistata, consente di mantenere l’equilibrio
che era stato stabilito da Nerone. Questa situazione in qualche modo si prolunga fino a Commodo,
anche se si fa fatica.
Cosa può spiegare questo dimezzamento della quantità di argento nel denarius visto con il grafico
alla slide 54 (money)? Innanzitutto, diciamo che anche l’aureus subisce delle riduioni fino ad
arrivare ad 1/50 con caracalla. Settimio severo si è attestato su aurei che pesavano 1/45 di libra e
denari che pesavano sempre 1/96 di libra, ma c’era solo la metà di argento dentro. Cosa succede
quando iniziano a circolare queste monete? Una prima risposta potrebbe essere che hanno ridotto
il peso dell’argento perché il valore dell’argento è quasi raddoppiato rispetto al valore dell’oro, ma
come potrebbe essere accaduta questa cosa? C’è poca disponibilità di argento e oro. Vediamo che
le emissioni auree, che raggiungono il picco sotto nerone, poi scemano e si campa di rendita per
un bel pezzo con quello che ha emesso nerone, poi toccano il fondo con Commodo. Questo è il
periodo in cui, ad esempio, la banca di Callisto fallisce. Si innesca una tensione tra la moneta aurea
e quella argentea che per essere contenuta si dovrà limitare al massimo le emissioni di moneta
aurea, quindi dall’età di commodo, fino a costantino, (quando ci sarà la ripresa economica, il IV
secolo è fondato sui solidi) le emissioni in oro saranno limitate, ciò che consentiranno di ridurre le
quantità di argento del denarius fino a quando, nella seconda metà del III secolo, la moneta
divisionale (accanto al denarius ci sarà l’antoninianus) sarà di rame con una patina superficiale in
argento e avranno un alto valore nominale. In questo modo il sistema monetario romano
somiglierà alle nostre banconote che non hanno un valore intrinseco. Saranno quindi monete a cui
lo stato conferirà un alto valore di acquisto rispetto al valore del metallo di cui sono formate.

19 aprile (ventisettesima lezione)


Nel grafico della slide 54 ci viene riportata la quantità di argento nel denarius in un periodo che va
dall’età augustea fino a Galieno. Avevamo osservato che fino a nerone i denari erano di argento
puro, da lui in poi inizia la manipolazione del contenuto della moneta divisionale che da prima lo
porta a un 80% di argento, poi, con progressive riduzioni, tra cui una decisa in età severiana che lo
porta al 50%, comincia una progressiva riduzione della quantità di fino del denarius. Come
vedremo nei decenni successivi, la moneta d’argento non sarà più solo il denarius, a questo se ne
affianca un’altra già all’età di Caracalla. Si arriverà poi alle monete di rame imbiancato, ovvero con
solo una sottile patina d’argento; questa riduzione del contenuto d’argento del denarius matura in
un contesto economico diverso di quello neroniano. All’età di nerone il peso delle monete
d’argento si riduce perché ci sono delle potentissime emissioni di moneta aurea e permette di
aggiustare il peso delle monete in maniera più favorevole all’argento, in maniera che rifletta gli
equilibri dei nuovi valori tra le due monete. Con le emissioni di grandi quantità d’oro, il suo prezzo
si abbassa rispetto a quello dell’argento e questo permette una riduzione del peso dei denari tale
per cui si ritorna a una ratio 1 a 11. Viceversa, le riduzioni dell’età severiana e poi del III secolo,
non sono il risultato di potenti emissioni di moneta d’oro, al contrario la moneta d’oro è rara, l’età
di Commodo e dei severi vedono delle emissioni d’oro molto limitate e così pure per i decenni
successivi, anche se c’è una lieve crescita delle emissioni auree, queste rimangono limitate. Non
sono le emissioni d’oro a giustificare le riduzioni dell’argento nel denarius, tutto al contrario, le
emissioni auree si restringono per evitare che la moneta d’oro metta fuori gioco la moneta
divisionale. Le riduzioni dell’argento nel denarius neroniano dipendono da potenti auree, le
riduzioni dell’argento nel denarius severiano e post severiano non dipendono da potenti emissioni
auree, anzi è proprio la mancanza di una circolazione della moneta d’oro a rendere possibile l’uso
di queste monete svalutate. Teoricamente in età severiana e post severiana è uguale a 25 denari,
solo che non si trova nessuno che dia 1 aureus per 25 denari e chi viene pagato in aurei sa bene di
essere pagato con una moneta che vale di più, sa che non è la stessa cosa essere pagati con un
aureus o con 25 denari. Vedremo che nel corso del III secolo la moneta diventa pretium non merx,
è pretium perché la moneta vale quello che l’imperatore dice che vale, non è importante la teoria
della moneta dei giuristi classici, non è importante quando oro o argento c’è in una moneta, è
importante quello che l’imperatore dice che quella moneta vale.
Cosa sono gli Antoniniani, sono delle monete di argento, così chiamate perché emesse per la
prima volta da Caracalla, detti anche radiati, perché il busto dell’imperatore presenta un diadema
con i raggi; è una moneta d’argento il cui peso è 5g, cioè a dire 1 volta e mezzo il denarius. Noi non
sappiamo quale sia stato il valore nominale di questa moneta, sono state presentate tre ipotesi sul
suo valore nominale: una dove si dice che il suo valore sarebbe stato 1 denarius e mezzo, dunque
6 sesterzi; la seconda ipotesi è che valesse 2 denari e quindi 8 sesterzi; la terza ipotesi è quella che
dice che valesse 1 denarius e ¼, quidni 5 sesterzi; l’emissione dell’antoninianus è parallela alle
riduzioni della quantità di argento del denarius. Dati i diversi valori sopra elencati, si possono
formare diverse ipotesi: prima ipotesi, valore di 8 sesterzi, se fosse così allora avrebbe dato un
colpo di acceleratore sull’inflazione; seconda ipotesi, valore 6 sesterzi, se fosse così la situazione
rimarrebbe invariata, certo l’apparizione di una moneta più pesante fa sospettare, anche in questo
caso, la presenza di un processo inflattivo; viceversa, se si trattasse della terza ipotesi, valore 5
sesterzi, siamo all’opposto del valore degli 8 sesterzi perché mentre quest’ultimo è un
accelerazione al processo inflattivo, questo con valore 5 sesterzi è un freno al processo inflattivo.
Cioè a dire, io ho da una parte una moneta d’oro che comincia ad essere introvabile e dall’altra ho
un denarius fortemente sopravvalutato, in mezzo le autorità imperiali mettono una moneta
sopravvalutata sempre, ma non tanto quanto sia sopravvalutato il denarius; sarebbe il tentativo di
tenere un po’ insieme tutta la massa monetaria o comunque inserire una moneta di taglio più
grosso rispetto al denarius che dia una qualche stabilità al sistema tentando di frenare l’inflazione,
perché se è difficile, all’età di caracalla, cambiare un aureus con dei denari, dovrebbe essere facile
cambiare un certo numero di denari con un certo numero di antonininiani. Se questi antoniniani
sono sopravvalutati questo da fiducia alle svalutazioni del denario, l’aureus è una moneta troppo
distante e il suo valore è troppo superiore perché si possa pensare a una massa monetaria
composta di aurei non sopravvalutati e una massa di denari troppo sopravvalutati, nessuno
cambierebbe denari con aurei, se viceversa l’antoniniano valesse soltanto 5 sesterzi si può
immaginare che qualcuno non fosse così ostile a cambiare 1 aureus con 20 antoniniani. Leggeremo
ora una copia dell’iscrizione del “marmo di Thorgny” (slide 59), dedica trovata in normandia in
onore di Titus Semnius Solemnis, ovvero un notabile locale, gallo romano, di una piccola comunità
gallica, molto bravo a farsi amici i governatori romani. Questo poi ottiene da costoro alcune
gratificazioni che qui vengono ricordate in pompa magna. È un membro delle elite municipali
provinciali di comunità cittadine modeste, era riuscito a diventare sacerdote di roma e degli
augusti, quindi a celebrare giochi e spettacoli a Ludum, dove c’è l’altare delle tre gallie; vedremo
che uno dei governatori romani che lui aiuta in una situazione precaria, perché stava per essere
messo in accusa dalle altre comunità galliche, riesce ad evitare questa umiliazione grazie a questo
Titus. In questa iscrizione del 238 vediamo il risultato di questa politica monetaria perseguita da
commodo fino a Massimino il trace. Quindi la moneta d’argento diventa poco desiderabile, quella
d’argento rara, di qui la sottolineatura che fa questo governatore che sente di essere grato a Titus,
che gli concede uno stipendio in oro, cosa che non è comune in questa età e soprattutto porta dei
vantaggi. Questa è una base di statua posta appunto per Titus, questo
“è stato duoviro per quattro volte senza sorteggio; è stato sacerdote municipale che ha ricoperto
tutte le cariche e tutte le obbligazioni”
Coloro che ricoprono almeno una volta la carica di magistrato municipale, sono molto spesso
obbligati a prendere su di se degli obblighi che l’amministrazione imperiale attribuisce a tutta la
comunità cittadina.
“È stato anche flamen, forse, e nello stesso tempo sacerdote di roma e degli augusti”
Questa è una carica molto importante, si tratta di essere il sacerdote delle province galliche,
importanza comparabile all’essere sacerdote della provincia d’asia. Queste presiedono il koinon,
nel caso dell’asia, ovvero il concilio provinciale nel caso della gallia, quindi questo organismo
provinciale che viene soprattutto ricordato per le celebrazioni, spettacoli, manifestrazioni religiose
in onore degli imperatori; i sacerdoti delle province di gallia, d’asia, sono i facitori del culto
imperiale nelle loro rispettive province; il culto imperiale si accompagna agli spettacoli che costoro
devono finanziare, allora lui si vanta di aver pagato per la realizzazione degli spettacoli.
“produsse ogni tipo di spettacolo, ci furono duelli di gladiatori in numero di 32, tra i quali, in
quattro giorni ce ne furono otto senza interruzioni. Le terme che, destinate a giovare ai cittadini
della sua colonia, Solemninus (ovvero il padre) aveva lasciato incompiuta dopo aver gettato le
fondamneta, il figlio le portò al termine”
Fin qui si dice quello che ha fatto per la sua cittadina, poi si cominciano a decantare le sue abilità di
politico di sottogoverno
“amico di Tiberio Claudio Paulino, legato augusti pro pretore della provincia Ludonensis fu anche
clientes. Al quale, ha fatto da assistente quando questo era diventato legato augusti pro pretore
della legione sesta in britannia, al quale diede lo stipendio in oro e altri doni di molto più costosi
inviò. è stato anche cliens apprezzatissimo di Edinius Iulianus, governatore della provincia
Ludonensis, il quale diventò poi prefetto del pretorio, così come dimostra la lettera che è scritta al
lato”
Nella parte frontale di questa base c’è questa iscrizione, ai lati due epistole
“è stato assistente anche nella provincia Numidia Lambense, è stato anche assistente nella
provincia di Numidia a Marco Valerio Flovio”
Questo personaggio non è paragonabile, per importanza ai due precedenti, questo è un misero
tribuno. Probabilmente quindi è una carica che ha rivestito prima. Questa è una dedica che gli
pongono le tre province di gallia, però il posto dove collocare il monumento è stato indicato dai
decuriones. Naturalmente l’interesse dell’onorato è quello di avere il monumento che lo onora nel
posto più visibile della città, laddove tutti non possano fare a meno di vederlo.

22 aprile (ventottesima lezione)


Abbiamo detto, per quanto riguarda l’iscrizione di Semnius Solemnis, abbiamo detto che nella
facciata frontale c’è la dedica a questo personaggio, la sua carriera di amico dei governatori
romani, le sue amicizie con Tiberius Claudius Paulinus e con Edinius Iulianus. Nelle due facciate
laterali vengono iscritte due lettere di raccomandazione, scritte dai due governatori di cui lui si è
guadagnato la stima e l’amicizia. Nella lettera di Claudius Paulinus (iscrizione del 238, lettera
anteriore), che è più una lettera di nomina a tribunis semestris (carica piuttosto onorifica, gli si da
un tribunato di sei mesi ricevendo tutti i benefici di un tribuno militare) in cui si legge:
“questo è il testo dell’epistola di Claudio Paolino, legato augusti propretore della provincia di
Britannia a Sennio Solemne inviata da Tampio. Sebbene tu meriti di più, queste poche cose da me,
poiché sono offerte per onorarti, vorrei che tu le accettassi volentieri. Una clamine di canusa, una
dalmatica (sono tutti indumenti), una fibia d’oro, una pelle britannica di foca, la lettera del tribuno
Semestre, non appena si sarà liberato il posto, ti invierò. Lo stipendio della cui milizia, cioè 25.000
sesterzi, ricevi in oro”
Questa sottolineatura del ricevere in oro il salario di 25.000 sesterzi pare significativa perché
evidentemente non tutti avevano il privilegio di ricevere lo stipendio in moneta d’oro. Ciò è
sostenuto dalle limitazioni di circolazione delle monete auree. Negli anni successivi le emissioni di
moneta aurea sono rarissime e su tagli che sembrano erratici; queste monete d’oro ormai non si
integrano in un sistema monetario coerente, stanno per fatti loro, sono poche, probabilmente dei
donativi che gli imperatori fanno alle persone che stanno loro più a cuore. Non abbiamo i registri
delle emissioni di monete emesse anno per anno, per questo motivo facciamo fatica a ricostruire
lo stock di monete circolanti, quello che possiamo fare è contare le monete che rinvengono nei
depositi monetari, chi ha contato gli antoniniani è arrivato a proporre una dinamica di emissione di
questa moneta nel corso del III secolo. Vediamo dalle medie che si ricavano alla slide 109, dove si
parte da un 91 nel periodo che va dal 238 al 249, si arriva a un 1111 nel periodo che va dal 268 al
274 con una progressione che nella prima metà del III secolo è lenta, poi procede ad un ritmo più
accellerato nel III-IV e precipita negli anni 268-270, questi sono anni molto difficili in cui c’è una
pressione gotica fortissima sul danubio, c’è una frammentazione dell’impero romano, che si divide
in tre: correttorato totius orientis retto dai palmireni, c’è l’imperium gagliarum di postumo, ci sono
tre torsi dell’impero domano che vengono poi riunificati da Aureliano. Questi sono gli anni in cui le
emissioni di moneta divisionale raggiungono il culmine quanto a numero e raggiungono il fondo
quanto a contenuto argenteo. I valori nominali attribuiti alle monete reggono fintanto che chi
compra e chi vende si fida dello stato, fintanto che oltretutto non c’è un’alternativa; se non c’è
altro che moneta divisionale, se chi vende non trova che acquirenti con questa moneta, si vede
costretto ad accettarle. Nel momento in cui si propone una alternativa, se compare una moneta
aurea che si può chiedere al posto della moneta di rame imbiancato allora questo mette in crisi il
valore nominale. Altro fattore di cambiamento nell’ultimo quarto del III secolo è la ristrutturazione
dell’esercito. Nella strategia di età alto imperiale, abbiamo visto che augusto sembra essersi mosso
secondo la teoria dell’impero egemonico, una zona di controllo diretta circondata da una fascia
non direttamente amministrata da governatori romana ma affidata al controllo di re di popolazioni
alleate, questi sono gli stati cuscinetto. Sullo scacchiere orientale possiamo dire che le ostilità tra il
regno partico e l’impero sorgevano per il possesso sul regno d’Armenia, questo viene quindi
definito come stato cuscinetto; altro stato cuscinetto è quello del regno di Cappadocia, di tracia e
così via. Questi hanno assicurato rapporti pacifici con dei vicini e hanno aiutato a proteggere da
invasioni esterne; a questa impostazione ne è succeduta un’altra, secondo la quale l’impero
coincide con i confini e questi debbono essere militarmente presidiati, ovvero quella quell’impero
territoriale. In età tardo antica succede una rivoluzione, perché si passa dall’esercito stanziale a
quello di manovra, si passa da un sistema dove l’esercito è diviso in due categorie, dove sopravvive
la vecchia distinzione tra auxilia e legiones, che ormai non ha più molto senso perché ormai tutti
hanno la cittadinanza romana; a questa distinzione tra truppe cittadine e truppe di peregrini se ne
sovrappone un'altra, quella tra comitatenses e limes. I comitatenses sono le truppe del comitatus
imperiale, quelle cioè che accompagnano l’imperatore. A seguito dell’anarchia militare, cioè delle
numerose ribellioni di truppe di frontiera nel corso del III secolo, sia per evitare le acclamazioni e
sia per una economia di mezzi, si è concentrata la parte migliore dell’esercito nel comitatus
imperiale, cioè nelle truppe a seguito dell’imperatore e si è lasciato al confine i limitanes. I
limitanei sono i soldati peggiori, vengono lasciati sul confine, il loro compito è quello di respingere
il nemico, se ci riescono, più che altro è quello di ritardare il nemico per dar tempo alle truppe del
comitatus di prepararsi. La storia militare del III e IV secolo è una storia di guerre che vengono
combattute dagli imperatori in campagna. Questi eserciti si muovono laddove si richiede. In
questo caso abbiamo quindi dei soldati di confine a cui si chiede solo di ritardare l’invasione
nemica per dar tempo a questi soldati, quelli che si muovono con l’imperatore, di sopraggiungere
e quindi combattere l’invasore. Questa è l’impostazione difensiva dell’impero nella tarda antichità;
questo sistema, quello di comitatenses e limitani, è un sistema che può essere per certi versi,
meno dispendioso di una difesa lineare del confine, perché questo richiede uno spiegamento di
truppe notevole, che in questa età inizia ad essere pesante e mal sopportato, diviene difficile
trovare soldati da arruolare. Le circoscrizioni fiscali che dovrebbero fornire i Tirones cominciano ad
essere riluttanti; non c’è stato mai grandissimo entusiasmo per la vita militare, è rischiosa, si
guadagna poco, la disciplina è tanta e pesante; quindi, non è che sia così allettante la carriera
militare dei soldati semplici. In età tardo antica c’è una resistenza da parte delle comunità rurali a
mandare i loro giovani a combattere, per cui già nel III secolo si cominciano ad assoldare
contingenti germanici, a questo espediente si ricorrerà dopo il 475 soprattutto, ancche se poi gli
inconvenienti sono noti, basti pensare alla battaglia di Adrianopoli, il sacco di roma, questi goti non
sono facilissimi da disciplinare. Adesso considereremo alcuni inconvenienti di questa impostazione
difensiva dell’impero. Cominciamo con il dire che le città di frontiera sono più esposte alle
invasioni dei barbari; un altro aspetto è che se è vero che la difesa dei confini è costosa, è anche
vero che se i movimenti dell’esercito di manovra permettono di risparmiare uomini, dall’altra
parte richiede uno sforzo logistico maggiore perché un esercito che si sposta richiede di mettere
un sacco di risorse in molti luoghi, in quei luoghi dove si prevede che avverrà l’invasione nemica.
Questo esercito quando si sposta fa innalzare i prezzi; i prezzi delle derrate alimentari rapidamente
crescono laddove sopraggiunge l’esercito, perché questo fa aumentare la domanda. A questo
proposito citeremo la legge di Fisher: P=MV:Q (prezzo = massa monetaria x velocità di
circolazione : quantità di merce). Questa formula è in realtà molto semplice: il prezzo di una
qualsiasi cosa è dato dai soldi che ci sono in circolazione, perché se nessuno ha un euro non si può
comprare, naturalmente più soldi ci sono in giro più il prezzo ha la possibilità di crescere, cresce
davvero quando ci sono delle persone che hanno i soldi e che vogliono spenderli, ovvero la
velocità di circolazione; il prezzo dunque è direttamente proporzionale alla massa monetaria per la
velocità di circolazione ed è inversamente proporzionale alla quantità. Cosa c’entra l’esercito con
la legge di Fisher e con la produzione della massa monetaria? C’entra perché tutte queste linee di
storia militare, storia economica, si aggrovigliano alla fine del III secolo in quella crisi dalla quale
poi uscirà l’assetto economico, militare e sociale tardo antico. Vedremo che l’Impero Romano,
rinasce diverso come Costantino, nasce diverso perché diversa è la moneta sulla quale si fonda il
sistema monetario romano, diverso perché si traggono le conseguenze di questa evoluzione della
strategia di difesa dell’impero romano e diverso perché si traggono anche le conseguenze della
evoluzione culturale e religiosa dell’impero romano, questo diventa cristiano lentamente, abbiamo
visto con la lettera di Plinio che già nel II secolo i templi sono vuoti. L’impero romano rinasce
quindi in questo modo: come un impero fondato su una economia monetaria fondata sul solidus,
amministrato più spesso da collegi imperiali, non solo da un solo imperatore.

23 aprile (ventinovesima lezione)


Torniamo alla lettera di Edilius Iulianus, questa ci rivela come mai questi governatori romani, come
ad esempio Claudio Paolino, avessero così a caro Somnius Slemnis. Questa è una lettera di
raccomandazione, che Edilius, ora prefetto al pretorio, un tempo governatore della gallia
ludonensis, fa all’attuale facenti funtione; questo è un momento in cui il posto di governatore della
Gallia ludonensis è vagante e le funzioni vengono espletate da un procuratore, i procuratori sono
di rango equestre e sono degli ammnistratori finanziari, capita però che quando il vecchio
governatore esce di carica o muore e il nuovo non è ancora nominato, le funzioni siano svolte dal
procuratore equestre; Edilius Iulianus scrive quindi a Badius Commianus che è procuratore della
gallia ludonense e fa le funzioni del governatore.
“guando ero governatore della provincia ludonensis io ho conosciuto molti uomini buoni, tra le
quali questo solemnis che è originario della gente dei Viducasse, sacerdote, che ho iniziato ad
amare per la ricercata serietà e per i costumi onesti. A queste cose si aggiunge il fatto che quando
il predecessore claudio paolino, su instigazione di alcuni che sembravano essere stati danneggiati
da lui per i suoi meriti tentano di accusarlo come se fossero tutte le province di gallia ad essere
d’accordo, allora in quella circostanza, questo mio Solemne si oppose al loro proposito mettendo il
veto dicendo che la sua patria avendolo nominato legato, insieme agli altri, non gli avevano dato il
compito di accusare claudio paolino, anzi, al contrario gli avevano dato il mandato di lodare il
governatore claudio paolino, per questo accadde che tutti desistessero dall’accusa”
Capiamo che questo Semnius Solemnis è bravo nel farsi amici i governatori romani, in un
momento di difficoltà di claudio paolino, in cui lo si accusa nel concilium galliarum in modo che
fossero tutte le gallie d’accordo, lui si oppone per cui poi l’accusa cade.
“l’ho amato e appressato sempre di più. Questo certo del mio onore nei suoi confronti, mi venne a
trovare a roma e al momento di partire mi chiede che io lo raccomandi a te, e così farai cosa giusta
se asseconderai il suo desiderio.
Per quanto riguarda i problemi monetari oggi parleremo dell’editto di afrodisiade e quello dei
prezzi.
Abbiamo visto come nel III secolo le emissioni monetarie in oro si fanno più rare e nella fase più
avanzata del III secolo i pesi della moneta aurea di fanno più erratici. Sotto Aureliano, tra il 270-
275 c’è una qualche riforma della circolazione monetaria, ne abbiamo un accenno in Zosimo,
secondo cui Aureliano avrebbe fatto ritirare la moneta fasulla, questo avrebbe provocato delle
turbative nell’economia. Quello che abbiamo con aureliano è l’emissione di una moneta di 1/84 di
libra, verosimilmente dovrebbe essere 1/20 di una moneta d’oro. La politica monetaria di
diocleziano è più leggibile rispetto a quella di aureliano grazie a una scoperta fatta negli anni 70’
del secolo scorso; noi sappiamo che le emissioni dioclezianee che precedono l’aedictum de pretiis
prevedono tre monete: 1 solidus aureus, le cui emissioni difficilmente possono essere così
importanti quando le emissioni dell’aureus giulio-claudio, 1 argenteus e 1 moneta di bronzo da
1/32 di libra che i numismatici chiamano il laureato grande. L’argenteus, 1/96 di libra, è
esattamente uguale al denarius neroniano nel peso; le svalutazioni possono avvenire in due modi:
una è la riduzione del peso d’argento in una moneta, facendo rimanere uguale il valore nominale,
ma quello intrinseco si svaluta; altro modo è quello di aumentare la potentia, ovvero il valore
nominale, cioè, una moneta, anziché valere 10 denari, il giorno dopo ne vale 20. Quello che noi
vediamo nelle tre monete di diocleziano è che la moneta d’argento vale 50 denari; l’argenteus, lo
vedremo nell’editto di afrodisiade, vale 50 denari; il grande bronzo vale 12,5 denari; quindi, tra
l’argenteus e il grande bronzo c’è lo stesso rapporto 1 a 4, che c’era tra denarius neroniano e
sesterzi; l’aureus, lo vedremo dai papiri di Panopoli, vale 1.000 denari. Quindi per acquistare 1
solidus ci vogliono 20 argenti o 80 laureati; questo. Vale fino al 301, quando si emette un editto,
quello di Afrodisiade (slide 75). Cominciamo a spegare dalla fine del teso. Qui si parla di una
adcessio cioè di un aumento della potentia, ovvero del valore nominale. Questa legge riguarda il
valore nominale di alcune monete, non di tutte, perché se fosse stato un aumento di potentia di
tutte le monete non avrebbe avuto nessun effetto perché ci sarebbe stato un parallelo e
proporzionale aumento dei prezzi; se io invece aumento il valore di alcune monete, mentre di altre
no, è quello che avrà un impatto sull’economia perché si favoriranno dei detentori di monete al
posto di altri. Quello che fa questo editto è aumentare il valore nominale di due delle tre monete
che emette diocleziano, cioè il grande bronzo e l’argenteus. Il grande bronzo prima del 1
settembre 301 valeva 12,5 denari, l’argenteus ne valeva 50; poi alcuni mesi prima del 1 settembre
301 diocleziano emette questa legge in cui dice: “a partire dal 1 settembre il grande bronzo varrà
25 denari e l’argenteus varrà 100 denari”; è evidente che prima del 1 settembre c’è una corsa ad
accaparrarsi e a trattenere gli argentei e i grandi bronzi. Siccome questa è una legge pubblica e
tutti quindi dovevano esserne al corrente, quello che succede è che chi può trattenersi queste due
monete non li spende, in attesa che a partire dal 1 settembre, queste assumano un valore doppio.
Tornando alla legge di fisher, diocleziano influenza la velocità di circolazione proprio perché fino al
1 settembre la velocità è frenata. Dopo il primo settembre c’è un aumento sia di M che di V e
questa combinazione manda i prezzi alle stelle dato che Q non aumenta e solo un suo aumento
vertiginoso avrebbe potuto mantenere i prezzi normali. Perché diocleziano fa questo? La risposta
civiene dall’edictum de pretiis (slide 84) che è dello stesso anno dell’editto di afrodisiade ma del
dicembre 301. Questo è una legge in base alla quale lo stato impone un tetto massimo ai prezzi di
tutte le derrate, come mai si spinge fino a qui? Diocleziano è un soldato che ha perfezionato
l’esercito romano tramite la riforma dell’esercito di manovra, ha riorganizzato l’impero
dividendolo in 4 parti, assegnate a due augusti e due cesari con 4 eserciti comitatensi ed è uno che
ha combattuto per tutta la sua vita, basti vedere i suoi cognomina ex virtute meritati in un paio di
decenni di guerre e dunque, alla fine, nel 301 lui stesso ha causato un’esplosione dei prezzi; lui
aumenta quelle determinate monete perché erano quelle con cui si pagava l’esercito. I soldati in
movimento hanno visogno di comprare qualsiasi cosa e questi spostamenti fanno lievitare i prezzi
ovunque questi passino semplicemente perché fa aumentare la velocità di circolazione senza far
aumentare la quantità della merce. Di qui la necessità di imporre questo tetto massimo ai prezzi.

26 aprile (trentesima lezione)


Abbiamo visto come l’aumento del valore nominale di due monete, ovvero l’argenteus che viene
portato a 100 denari e del grande bronzo, che viene portato a 25 denari, abbia creato un aumento
della massa monetaria e poi, di conseguenza, dopo il 1 settembre, un aumento anche della
velocità di circolazione, tutto ciò ha fatto esplodere i prezzi; di qui, si è verificata una inflazione
spaventosa che ha portato Diocleziano a emanare l’aedictum de pretiis, il quale imponeva un tetto
massimo a moltissimi beni. L’economia però non ha retto, dei prezzi così bassi non sono stati
supportati da un’offerta così tanto abbondante, quindi questo editto, nel giro di alcuni mesi, è
rimasto inapplicato. Per avere un’idea del volontarismo Diocleziano basta dare un’occhiata al
prezzo dell’oro e dell’argento, questo lo possiamo vedere alla slide 85. Il prezzo dell’oro in lingotti
o in solidi (prima apparizione di questo termine che vuol dire “tutto d’oro”, 1 solidus equivale a
1/60 di libra), l’oro costa 72.000 denari, non fa alcuna differenza se è in lingotti o in monete d’oro.
L’argento puro, 1 libra costa 6.000 denari, questo significa che per scambiare oro e argento si deve
dare. 12 volte il peso dell’oro in argento (1 lbr d’oro = 12 lbr d’argento). Il prezzo che si da
all’argento di 6.000 denari implica un rapporto tra argento e moneta d’argento è squilibrato; 2/3
di libra di argento monetato compra 1 libra di argento, quindi l’argento, in moneta o lingotti, non
ha lo stesso valore. L’argento che lo stato trasforma in moneta guadagna la metà del suo valore; la
moneta d’argento, quella che Diocleziano vuole difendere, è una moneta fortemente
sopravvalutata. A partire dal 306, quando Costantino viene acclamato imperatore, questo
comincia ad emettere molta più moneta d’oro (solidi), queste emissioni auree di Costantino sono
più importanti quantitativamente e poi riducono la taglia della moneta, che non è più di 1/60 di
libra, come con Diocleziano, ma di 1/72 di libra; essendo questa moneta ancora più piccola potrà
penetrare più a fondo nell’economia, acquistando un ruolo più importante nelle transazioni.
Queste emissioni costantiniane del solido impiegheranno alcuni decenni per produrre degli effetti
apprezzabili sull’economia; si discute se questi fossero stati sentiti già sotto Costantino o se le
conseguenze di questa politica monetaria siano state avvertite solo nella metà del IV secolo. Qual
è la conseguenza dell’immissione di così tanta moneta aurea? Quello che succede è che il pubblico
vuole essere pagato solo in monete d’oro dal momento che questa vale quello che ha, non è
sopravvalutata come la moneta d’argento. Il salarium militiae in auro era il sogno proibito in età
severiana, con costantino comincia ad essere la realtà dei ceti privileggiati dell’età tardo antica;
siccome tutti vogliono essere pagati in oro, questo comporta la svalutazione delle monete di
bronzo e argento, il rifiuto generale di queste due monete fa si che nel pubblico queste valgano di
meno di quanto lo stato afferma. Leggiamo la lettera di un papiro (slide 89). È la lettera privata di
Dionisio che scrive a un Apion. In questo caso, questo signore ha saputo che una moneta detta
argento italico, scenderà di valore e scrive al suo corrispondente, che evidentemente detiene
questi soldi, di liberarsi di tutto l’argento italico che ha comprando qualsiasi cosa. Qui gli
imperatori perché svalutano la moneta? Perché probabilmente già il mercato ha fatto scendere il
valore di questa moneta; questa è la dinamica che si innesca dopo la riforma costantiniana. Se io
immetto tanta moneta d’oro nel mercato, la gente vorrà usarla. Tornando all’equazione di Fisher,
emettendo molta moneta d’oro, è vero che aumenta la massa monetaria, ma si scinde in due. Gli
utenti, cominciano a dire, ci sono monete che valgono (quelle d’oro) e monete che non valgono
(argento e bronzo) quindi M resta in equilibrio, malgrado l’aumento di moneta d’oro ma la
stabilità dei prezzi no. l’immissione di tanta moneta aurea e la perdita di valore della moneta
divisionale, se sono, dal punto di vista economico, due dinamiche che si equivalgono, non si
equivalgono dal punto di vista sociale perché coloro che detengono la moneta aurea sono garantiti
dalla stabilità di questa moneta, quelli che invece hanno dei risparmi in argento vedono i loro
risparmi decurtati ogni volta che gli imperatori cedono alla pressione del mercato.
“de rebus bellici” (slide, non sappiamo chi sia l’autore, scritto alla metà del IV secolo,
probabilmente sotto Costanzo II o con il Cesare Gallo o Cesare Giuliano, altri lo datano più tardi
all’età di Valentiniano. In questo passo l’autore getta uno sguardo retrospettivo sulla storia
dell’economia monetaria dell’impero romano; secondo lui il punto di svolta sarebbero stati i tempi
di costantino. Il punto su cui tutti concordano è che sia stata scritta dopo la morte di costantino
perché. Si parla di questi tempi come un periodo concluso. Il libro parla delle macchine da guerra e
già questo fatto dovrebbe farci capire l’intelligenza di questo autore; questo vorrebbe consigliare
all’imperatore come combattere senza dispendio di uomini, è un libro che auspica la creazione di
macchine militari un po’ fantasiose. Non è soltanto una collezione di arnesi fantascientifici, c’è
anche una riflessione economico-sociale, c’è una analisi dell’economia e della società dell’impero
tardo antico, perché queste difficoltà non sono solo di ordine militare. In questo capitolo lui vuole
indicare le origini del disagio economico che c’è, un disagio economico paradossalmente causato
da spese eccessive e da avidità. Auspica uno stile di vita più sobrio e meno dispendioso, dei
costumi, un’etica pubblica più severe e ci dice in quale tempo sia iniziata questa spesa smodata e
questa avidità.
“ai tempi di Costantino una smodata generosità assegnò ai vili commerci l’oro al posto del bronzo,
bronzo che prima era valutato di gran prezzo”
Costantino dona alle sue élite aristocratiche, dona alla chiesa, e queste donazioni sono fatte in oro,
grazie anche alla riduzione del peso del solidus anche le piccole transazioni si fanno in oro.
“la presente avidità trasse origine da qui, così si crede. E infatti quando entrò in circolazione una
gran quantità di oro, argento e pietre preziose prima deposte nei templi (la riforma monetaria
costantiniana si lega all’abbandono delle religioni tradizionali, nei templi pagani si conservano ad
esempio mole statue d’oro, queste vengono fuse e vi si fanno solidi) sembrava già enorme e
pesante la circolazione del bronzo stesso, che era stato coniato con il volto degli imperatori. Per
una qualche cecità si emise oro troppo largamente, che si ritiene essere più prezioso del bronzo.
Le case private dei potenti, riempite di questa abbondanza d’oro diventarono più splendide, a
rovina dei poveri”
Nessun autore antico ha mostrato una sensibilità comparabile a quella di questo autore, sensibilità
relativa alle conseguenze sociali della politica monetaria.
“l’afflitta paupertas, i ceti deboli, aizzati verso vari tentativi criminali, affidò, senza aver pietà per il
diritto, la propria vendetta alle male arti”
Quindi c’è la politica monetaria alle origini del ribellismo sociale che ha prodotto usurpatori, qui
con ogni probabilità si allude a Magnenzio e Decenzio, tiranni ribelli che hanno eliminato Costante,
figlio di costantino (dopo la sua morte l’impero fu diviso in tre e a seguito di una guerra restano
solo Costanzo e Costante, però costante viene rovesciato dai ribelli Decenzio e Magnenzio, cui
questo autore si riferisce) e che con molta probabilità sono stati aiutati dalla “afflicta paupertas”.
“questi qui, provocò gravissimi danni agli imperatori, devastando campi, praticando latrocini,
infiammando gli odi e innalzò dei tiranni che la povertà ha prodotto a gloria della tua virtù
piuttosto che l’audacia ha reso coraggiosi”

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