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Appunti Storia Romana prof.

Russo
Storia Romana
Università degli Studi di Milano
118 pag.

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L’ETA’ MONARCHICA
La maggior parte delle informazioni su questa età vengono dalle fonti letterarie che sono però
convenzionali. Ad esempio il fatto che siano 7 i re di Roma, non è una verità storica perché
casualmente il 7 serve a riempire i circa 245 anni che, secondo la tradizione antica, costituirebbero
la durata del periodo regio: si tratta di 7 generazioni quindi un re serve a riempire una
generazione (di durata variabile) che mediamente viene fatta durare circa 40 anni. Non c’è
corrispondenza tra i 7 re e i 7 colli: è solo una coincidenza (una è una realtà geografica, l’altra è un
numero convenzionale).
Anche gli storici antichi sapevano la difficoltà di ricostruire l’età più arcaica di Roma ed erano
spesso scettici sulle fonti a cui attingevano; lo stesso Livio, storico di età augustea che scrisse Ab
Urbe condita (“dalla fondazione della città”), non può esimersi dall’esprimere alcune perplessità
su quanto trovava nelle fonti a fronte di incoerenze o reduplicazione di eventi; lo vediamo bene in
un passo del VI libro dove si vedono i punti più deboli:
“si tratta di vicende [...]nell’incendio di Roma”
Livio ci dà uno sguardo importante sulla tradizione, poco affidabile perché solo in parte deriva
dall’uso della scrittura (ci sta quindi dicendo che la maggior parte delle informazioni arriva dalla
tradizione orale, non affidabile per antonomasia) e afferma che gli unici documenti che abbiamo
per queste fasi più antiche sono i registri dei pontefici, gli annales ponteficis maximi, e altri
documenti pubblici e privati stilati entro una gens per dare lustro alla gens stessa. Quindi Livio
lamenta una scarsezza di fonti affidabili, scarsezza che non riguarda età più tarde (come quella
medio-repubblicana o tardo-repubblicana per le quali ci sono invece molte fonti attendibili).
Anche Livio, come Polibio, afferma che buona parte di questi documenti pubblici o privati (molto
stringati) andarono distrutti nel sacco di Roma (fine IV secolo, ad opera dei Galli) in cui furono
distrutti anche gli edifici in cui erano custoditi questi documenti.
Vediamo ora i 7 re di Roma per cui una suddivisione moderna vede l’affermarsi di una divisone
interna in base all’origine dei re: dopo Romolo, ci sarebbero stati 3 re latino-sabini (Numa
Pompilio, Tullio Ostilio, Anco Marcio) e 3 etruschi (Lucio Tarquinio Prisco , Servio Tullio e Lucio
Tarquinio Superbo). La datazione (vedo slides) è convenzionale perché tra un re e l’altro ci furono
anche degli interregni cioè un periodi in cui non vi era nessun re ma si cercava di eleggere il nuovo
re poiché i re di Roma erano tutti elettivi (non di discendenza), eletti dall’antico senato di Roma
cioè dai patres dell’età monarchica. La presenza dell’interregno è testimoniata anche dalle fonti
letterarie. Non necessariamente tale elezione poteva esplicarsi in un periodo brevi, anzi addirittura
vi fu un interregno di ben 5 anni.
Ci furono altri personaggi importanti nel periodo monarchico, che ebbero a che fare con i re di
Roma, importanti non dal punto di vista storico (molti sono infatti personaggi mitici = non esistiti)
ma dal punto di vista della documentazione (non solo letteraria):
- Re sabino Tito Tazio, che sembra che abbia regnato in una sorta di diarchia per 5 anni con
Romolo, grazie al quale ci sarebbe stato l’innesto della popolazione sabina entro i latini (2
ceppi etnici alla base di Roma, insieme al terzo che è quello etrusco).
- Lars Porsenna, personaggio etrusco;

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- Gneo Tarquino (da leggere nasale come ‘gnocco’) che non va confuso con i 2 re;
- Aulo Vibenna e Celio Vibenna.

Vediamo le fonti archeologiche ed epigrafiche, più che quelle letterarie, perché sono più affidabili
in quanto più antiche (e quindi hanno più chance di riportare lacerti di storia di Roma in maniera
affidabile) rispetto alle forme letterarie che sono più tarde oltre che, come ci diceva Livio, meno
affidabili in quanto derivante perlopiù dalla tradizione orale.
La prima che vediamo è quella proveniente dalla Tomba Francǫis di Vulci, una tomba della
necropoli etrusca di Vulci così chiamata dal nome dello scopritore e databile al 340-330 a.C. (epoca
più tarda rispetto alla monarchia romana ma nonostante questa discrepanza, questo reperto è
utile perché è cmq più antico delle fonti letterarie che abbiamo). Questo manufatto ci dà delle
info riferibili certamente al IV sec a.C. e noi sappiamo che le nostre prime fonti letterarie (su
Roma) risalgono all’opera di Fabio Pittore (III-II secolo a.C.) che sicuramente si rifaceva alla fonti
più antiche che però sappiamo essere marchiate dal problema della convenzionalità e della
ricostruzione a posteriori. Nella slide c’è una ricostruzione della planimetria della tomba, che però
a noi interessa per il ciclo pittorico che orna molte delle stanze (cubicula) che formavano il
sepolcro. Vediamo in figura una ricostruzione moderna dell’interno della tomba con il ciclo
pittorico (che possiamo ancora vedere oggi) che narra episodi mitici e storici (che hanno degli
agganci con la tradizione letteraria che viene quindi confermata da un dato archeologico).
Sulla sinistra, a parte il riferimento a Nestore ed Eteocle/Polinice, a noi interessa il riferimento al
Sacrificio dei Troiani: i troiani, guidati da Enea, svolsero un sacrificio per gli dèi non appena
toccarono le coste del Lazio (Enea dopo un lungo peregrinare per il Mediterraneo da Troia, con il
padre Anchise e il figlio Ascanio, e dopo aver conosciuto Didone così come vuole il mito, giunse in
Italia dove avrebbe fondato, grazie ad Ascanio, la città di Lavinio da qui poi sarebbe discesa la
fondazione di Roma) → Il riferimento a questo mito è strettamente legato al mito romano.
Dall’altro lato abbiamo delle figure storiche (“Ciclo storico”) dove ritornano molte delle figure viste
sopra. Vediamo ad esempio un riferimento a Marco Camillo e Gneo Tarquinio. Ma come facciamo
ad essere sicuri che quel personaggio sia proprio lui? perché c’è scritto il nome (si tratta di un ciclo
di affreschi narrativa e quindi c’è la didascalia).
Nel ciclo storico è narrata la liberazione di Celio Vibenna dove vediamo una serie di personaggi,
ripresi in diversi episodi, e rappresentati in nudità perché nell’arte antica, la nudità era tipica della
rappresentazione degli eroi. Abbiamo quindi Celio Vibenna da un lato, dall’altro Aulo Vibenna e in
mezzo Mastarna e Lars Ulthes (personaggio etrusco che non compare nelle fonti letterarie a
differenza dei primi 3). Qui ci si riferirebbe a una serie di episodi che ebbero come protagonisti un
certo Mastarna con i suoi sodales (= aiutanti di guerra) cioè Celio e Aulo Vibenna (nomi
sicuramente etruschi, origine confermata anche dalle fonti che li menzionano nell’ultima fase della
monarchia romana cioè nella fase etrusca). Pare ci sia stata una guerra tra questi e i romani che si
risolse nell’accettazione degli etruschi a Roma. Tra questi si staglia Mastarna che era il nome
originario etrusco del re Servio Tullio (secondo re della fase etrusca, importantissimo per la storia
di Roma) e che vediamo rappresentato nelle slide successiva.

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È importante ora vedere altre fonti di carattere epigrafico (come il piede di vaso in bucchero,
molto antico) che testimoniano ancora l’esistenza storica di questi personaggi ma soprattutto la
loro antichità confermando dunque le fonti letterarie quando affermano che Aulo ebbe un ruolo
nella fase monarchica di Roma = esempio di corrispondenza tra fonte letteraria ed epigrafica
molto antica.
Piede di vaso di bucchero
Databile alla prima metà VI secolo a.C. e proveniente dal santuario di Minerva a Veio (citato
anche nelle fonti letterarie) che è una delle città etrusche più a sud dell’Etruria (odierna Toscana,
Umbria e Lazio settentrionale) quindi la città più vicina a Roma che fu subito in contatto con essa e
in concorrenza per i traffici romani visto che il Tevere era vicino. Su questo piede è graffito, in
etrusco arcaico, il nome del dedicante (tipico). Vediamo la trascrizione in etrusco (che si legge da
destra a sinistra), quella in caratteri latini e poi la traduzione in latino “me donavit Aulus Vibenna”
= mi ha donato Aulo Vibenna (iscrizione tipica degli oggetti donati ai santuari). È importante
questa testimonianza perché nel VI secolo a.C. si era in piena età monarchica → non è
un’invenzione ma è un etrusco davvero esistito. E’ questa la seconda prova della sua esistenza.
Vediamo ora un’altra testimonianza, di carattere sia epigrafico che letterario, che ci permette di
avere una visione particolare sulla storia della monarchia di Roma confermando l’esistenza di
questi personaggi:
Oratio Claudii
Si tratta di una tavola bronzea proveniente da Lione e contenente la cosiddetta Oratio Claudii che
è un’orazione che l’imperatore Claudio (età imperiale, 48 d.C.) tenne in Senato per perorare la
causa di alcuni personaggi di primo spicco dell’èlite della città di Lione, o Lugdunum, i cosiddetti
decuriones (= senatori locali), affinché questi ottenessero la cittadinanza romana e potessero
entrare nel Senato. Secondo Claudio questi per prestigio avrebbero dovuto avere questo diritto
(vedremo poi i requisiti per entrare nel senato e far carriera a Roma). Questo discorso ci è
tramandato anche da Tacito (importante per l’età imperiale di Roma). Ma perché è importante ai
fini dell’età monarchica? Perché l’imperatore, per perorare la sua causa, fa un riferimento all’età
monarchica di Roma per dimostrare come Roma, a differenza della Grecia, fosse sempre stato
aperta agli stranieri: mentre in Grecia era davvero difficile diventare cittadini greci, a Roma si
poteva diventare cittadino romano indipendentemente dall’origine. Ecco una parte del discorso.
“Un tempo i re ressero questa città [..] si inserì Servio tullio”
Nella prima parte Claudio conferma come la successione non fosse per dinastia ma ciascun re
facesse parte di un’altra famiglia perché i re venivano eletti. Anzi, dice, anche non romani
diventarono re (si riferisce prima ai sabini e poi agli etruschi). Prisco ad esempio era nato da padre
greco e una madre etrusca ridotta in povertà (perciò a Tarquinia non poteva svolgere alcuna
carica pubblica → ecco la differenza di elasticità in Grecia) eppure a Roma riuscì addirittura a
diventare re. Fra lui e il figlio/nipote (il Superbo: c’è divergenza sugli storici) si inserì Servio Tullio
che secondo la tradizione etrusca fu sodales di Vibenna che si trasferì sul colle Celio, insieme agli
altri due, e addirittura sarebbero diventato re (per grande elasticità di Roma). Notiamo come
Claudio fu anche uno storico erudito, a conoscenza di tutti i fatti, anche i più antichi, della storia
romana.

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Fino ad ora viste testimonianze che non provenivano da Roma, ora vediamo invece una
testimonianza che proviene da Roma:
Lapis niger (‘pietra nera’)
Arriva dal periodo regio e anche lo riguarda. È un unicum perché è la più antica testimonianza
scritta che abbiamo da Roma e sulla storia di Roma. Databile al 550 a.C., quindi ad una fase tarda
dell’età monarchica, è costituito dalla parte ancora esistente di una colonna di pietra nera, posta
nel Foro romano, presso la Curia Iulia ed il comitium, e circondata da lastre di marmo nero. Il
nome fa riferimento alla pietra e al nero ma anche al fatto che nelle fonti antiche (Festo,
lessicografo della tarda antichità che scrisse un lessico che ci tramanda una serie di notizie su
Roma antica) si accennava ad una pietra nera che si sarebbe trovata nel comizio (lì dove l’ha
trovata poi il suo scopritore, Giacomo Boni, nel 1889). Secondo Festo questa pietra nera avrebbe
indicato un luogo funesto e in particolare la tomba di Romolo o il ruolo della sua uccisione (le fonti
ci dicono che si era trasformato quasi in un tiranno). Per noi è importante ancora una volta la
corrispondenza tra il dato archeologico (questa colonna scoperta da Giacomo Boni) e quello
letterario (Festo). Questo lapis riporta un’iscrizione in latino arcaico (nella prima slide lo vediamo
come ancora oggi si può ammirare al museo delle Terme di Diocleziano, nella seconda invece lo
vediamo nella sua posizione originale nel Foro romano, presso il comizio, evidenziata poi nella
slide successiva nella planimetria del Foro). Vediamo poi la trascrizione in latino arcaico, è
un’iscrizione bustrofedica = il testo si dispone alternativamente da sinistra a destra e da destra a
sinistra. Vediamo poi altre trascrizioni e una proposta di traduzione che non può essere che
frammentaria:
vediamo recei = regi (‘al re’) → questa lapis sicuramente parlava di re.
Guardiamo poi l’ultima frase “chi violerà questo luogo sarà consacrato ai Mani” grazie al quale
siamo certi che si trattava di un documento epigrafico che aveva a che fare con un re in particolare
e che soprattutto serviva a consacrare un’area sacra consacrata ai Mani (= sono le divinità
dell’oltretomba) → Sembrerebbe indicare un’area sepolcrale sacra dedicata a un re quindi
vediamo il parallelismo tra la precisione del lemma di Festo, che parlava del lapis niger come di
una pietra nera che segnalava la tomba o il luogo dell’uccisione di Romolo, e questo lapis niger
archeologico che si riferisce a un re (forse proprio Romolo) e a un luogo sacro, funerario. Questo
non è importante dal punto di vista storico-mitologico ma è un documento che arriva dall’età
monarchica e che ci fa intravedere un dato storico del periodo: in età monarchica, nel Foro
romano, c’era la tomba di un re (non sappiamo chi).
Fino a qui documenti non letterari. Adesso, con l’ausilio delle fonti letterarie (poiché sono le
uniche che ci danno questo tipo di info, se pur con le riserve finora viste) ci soffermiamo sulle
caratteristiche della monarchia romana.
Segnaliamo gli aspetti principali (il resto sul manuale)
Concetto di civitas e di fondazione della città: civitas in latino non significa ‘città’ (che si dice urbs)
ma indica la città dal punto di vista giuridico cioè intesa come insieme di persone che condividono
gli stessi diritti e doveri, individui che hanno la stessa cittadinanza ed infatti, civitas, si traduce con
‘cittadinanza’ (romana per i cittadini di Roma o latina per quelli delle città latine come Alba Longa,
Tibur cioè Tivoli,ecc). Noi parliamo della civitas di Roma così come fu introdotta da Romolo. Qual è

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stato il primo atto che ha dato luogo alla città di Roma e che ha anche definito coloro che erano in
possesso o meno della cittadinanza romana? È stato il momento in cui Romolo, adottando una
procedura etrusca (dimostrazione della forte influenza di questa civiltà su Roma), segnò con
l’aratro sul terreno il pomerium cioè una linea sacra (che non va confusa con le mura delle città,
anche se a volte potevano coincidere) che segnava il confine giuridico della città → quindi coloro
che vivevano all’interno di questa linea avevano la civitas romana, chi era al di fuori no. Pomerium,
secondo l’etimologia antica accreditata, deriva da post moenia cioè ‘oltre le mura’ (le mura erano
un manufatto edilizio per difendere, il pomerium era una linea ideologica e giuridica). La
procedura etrusca prevedeva anche, da parte di Romolo, la necessità di trarre prima gli auspicia
(dal latino avis specio = ‘guardare il cielo’), cioè di studiare il volo degli uccelli sulla base del quale
trarre poi gli auspici e decidere se e come trarre la linea. Questa procedura, usata per la
fondazione di Roma, sarà poi adottata per la fondazione di altre città di diritto romano (vedremo
cosa vuol dire) cioè diventerà standard per legge nella fondazione di altre città. Guardare il volo
degli uccelli era una procedura che il diritto romano prevedeva per molti momenti della vita
pubblica di Roma: i consoli, prima di intraprendere determinate azioni, erano obbligati a trarre gli
auspici ( ad esempio, prima di riunire l’assemblea del popolo, cioè i comizi, il console doveva
consultare gli auspici per controllare se l’operazione fosse applicabile o meno dal punto di vista
religioso). Il pomerium tracciato da Romolo, di cui ci parlano le fonti letterarie e di cui non
abbiamo testimonianza diretta, aveva la forma grossomodo di un quadrilatero tanto è vero che,
nelle fonti romane, la Roma fondata da Romolo era la “Roma quadrata” (la chiama così anche
Livio). Era una linea religiosa importante e non a caso, il fatto che Remo, nel mito, sorpassò questa
linea in segno si spregio, sarebbe stato un vero e proprio atto di sacrilegio. Tutti quelli che
venivano accettati dentro la linea, diventavano in questa fase arcaica, cittadini romani. La leggenda
vuole che Romolo abbia introdotto un istituto, l’asylum, importante perché servì ad aumentare il
numero di cittadini romani (all’inizio erano pochi e questa scarsità si traduceva in uno scarso
potere militare). Questo istituto prevedeva che chiunque avesse fatto richiesta, senza un
necessario motivo, di entrare a far parte di Roma, veniva automaticamente accolto: così accadde
con i sabini di Tito Tazio (re sabino che secondo una serie di episodi mitici, fu accolto insieme ai
suoi compagni da Romolo entro il pomerio divenendo così romani, pur essendo sabini → richiamo
a quanto detto sopra dell’orazione di Claudio). Da qui abbiamo la commistione latino - sabina
(prima fase regia: latino-sabina). Secondo la tradizione, Tito Tazio, stabilitosi con i suoi sudditi di
origine sabina, avrebbe regnato 5 anni insieme a Romolo.
Vediamo ora la struttura politica di Roma in età regia.
Re
Il capo supremo della città era il rex, il re, che era a carica elettiva (eletto da popolo e senato);
aveva funzione religiosa (capo supremo della religione, ruolo che poi, in età repubblicana verrà
affidato al pontifex maximus), funzione giudiziaria, legislativa e militare → campo supremo in ogni
campo della vita pubblica romana.
In mancanza di un re c’era un inter rex che guidava la città in attesa della nuova elezione; in
assenza (provvisoria, per esempio per campagna militare) del re c’era al suo posto un praefectus
urbi figura evanescente per l’età monarchica a tal punto da sparire in età repubblicana per poi
tornare in età imperiale. Egli, in età regia, doveva amministrare la città di Roma per conto del re.

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Senato
Secondo di importanza era poi il Senato cioè l’assemblea che raccoglieva i patres cioè i
rappresentanti più anziani (sapienza) delle gentes più importanti di Roma. Insieme al re, dovevano
decidere le sorti dello stato. Dal termine patres deriva il termine patrizi (sia in età monarchica che
repubblicana) che indicava coloro che facevano parte di famiglie che discendevano dagli antichi
patres dell’età monarchica, contrapposti ai plebei che erano invece coloro che non potevano
vantare, tra i loro avi, patres (senatori in età monarchica).
Livio, nel libro I della sua opera Ab Urbe condita, parla della fondazione della città e delle strutture
embrionali introdotte dal re: introdusse il Senato all’inizio formato da 100 senatori, 100 perché era
un numero sufficiente e poi perché erano solo 100 quelli che potevano ambire a quella carica,
carica per cui loro furono chiamati patres e i loro discendenti patrizi.
Quali funzioni aveva il Senato? Potere consuntivo nei confronti del re e forse giudiziario sui reati
minori: il re poteva consultarsi con il senato per prendere determinate decisioni MA il potere
supremo, imperium, cioè quello militare e civile, rimaneva nelle mani del re che POTEVA
consultare il senato ma non era tenuto a farlo!! Quindi il potere del senato era limitato e
comprendeva anche il potere di eleggere il nuovo re.
Popolo (populus)
Insieme di coloro che avevano la cittadinanza che era posseduta non solo dai patres, ma anche da
tutti gli altri maschi liberi della città. Non era aperta quindi alle donne, agli schiavi e ai figli dei
patres (il pater familias a Roma in età arcaica, ma anche repubblicana, aveva enorme potere sui
figli quindi in età arcaica i figli godevano di un diritto di cittadinanza assai ridotto). Il popolo fu
diviso da Romolo in 3 tribù etniche (si dice così ma non si è certi sul criterio che egli adottò per fare
questa divisione e nemmeno è chiara l’etimologia del nome di queste 3 tribù; alcuni ritengono che
dietro a Tities ci sia un riferimento a Tito Tazio ma non è certa):
- Ramnes
- Tities
- Luceres

A loro volta divise in 30 curie, o sottosezioni, che quando si riunivano in una assemblea davano
luogo ai comitia curiata (= assemblee curiate). Non è molto chiaro quale fossero i compiti di
queste assemblee in età monarchica, sappiamo solo che fu la più antica forma di assemblea
popolare romana che, come tale, sopravvisse anche in età repubblicana (dove abbiamo anche
altri tipi di comizi: centuriati, tributi e concilia plebis). La funzione dei comizi curiati in età
monarchica si può quindi ricostruire sulla base di quella che essi ebbero in età repubblicana:
attribuivano la lex de imperio ad un magistrato appena eletto, cioè non appena un console
(uno dei pochi magistrati ad avere l’imperium) veniva eletto dai comizi centuriati o da altre
assemblee del popolo, i comizi curiati votavano l’attribuzione formale dell’imperium al nuovo
console (quindi votavano la lex de imperio). In età monarchica quindi potrebbe essere che una
volta eletto il re, egli ricevesse formalmente l’imperium dai comizi curiati (ma è solo una
supposizione). In età repubblicana poi i comizi curiati si occupavano anche della transitio ad
plebem o al patriziato cioè pratiche secondo cui un plebeo poteva diventare patrizio e
viceversa (che vedremo poi).

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Romolo dovette affrontare poi anche la questione dell’organizzazione militare (problematica
perché all’inizio il popolo era poco numeroso). Con Romolo fu introdotto il concetto di centuria =
unità di 100 uomini (successivamente essa rimane come base dell’esercito romano, non più
necessariamente come formata da 100 uomini). All’inizio l’esercito era formato da 3 centurie per
un totale di 300 uomini tra combattenti veloci (celeres) e/o cavalieri (equites). A questi si
aggiungevano 300 fanti (pedites) riunita in una legio. I comandanti erano tre tribuni militum e tre
tribuni celerum.
Si occupò anche della codificazione e strutturazione delle istituzioni religiose, anch’esse primitive:
secondo le fonti letterarie egli avrebbe fondato il collegio degli arvali, il collegio più antico
secondo le fonti, formato da 12 sacerdoti patrizi dediti al culto dei campi. La maggior parte delle
istituzioni religiose furono in realtà introdotte da Numa Pompilio come attestano le fonti (e questo
dà un’idea del carattere fittizio della tradizione letteraria sulla monarchia perché ogni re avrebbe
una caratterizzazione particolare: Romolo fu il re fondatore, Numa Pomiplio fu il re religioso, Tullo
Ostilio e Anco Marcio furono re conquistatori perché, dopo Romolo, furono i primi che allargarono
il potere di Roma nel Lazio antico, ecc). Questa tendenza a fare di ogni re una figura particolare, la
dice lunga sulla scarsa affidabilità storica delle fonti letterarie che vanno prese con le pinze.

Numa Pompilio
Dopo un interregno di circa 5 anni, fu eletto Numa Pompilio di origine sabina che fu il re che
introdusse e rese sistematici i vari culti della religione romana. Introdusse il culto di Quirino che è
l’apoteosi, la divinizzazione di Romolo subito dopo la sua morte (benché ucciso perché aveva
mostrato tendenza tiranniche). Da Quirino arriva quirites, altro nome con cui vengono indicati i
cittadini romani. Introdusse poi molti collegia e soprattutto dei legami stretti tra figure sacerdotali
ed esercizio dei diritti politici = commistione tra politica e cariche sacerdotali (ad esempio il
magistrato, ad esempio un console o anche un magistrato minore come il pretore, esercitavano
anche poteri religiosi come il trarre gli auspici che era un’operazione religiosa). Un atto civico
(esempi elezioni) doveva essere anticipato da un atto religioso. Questo non vuol dire che a Roma
non fossero presenti anche i sacerdoti (come il pontifex maximus, gli augures, gli aruspices, ecc),
con esclusiva funzione religiosa, che affiancavano i magistrati.
Tullo Ostilio
Allargò l’aria di controllo nel Latium Vetus intorno al pomerium. Aldilà di questo aspetto è
importante perché introdusse a Roma dei simboli tipici della monarchia etrusca e che diverranno
simboli tipici di quella romana, e poi con il passaggio alla repubblica, simboli dei consoli o dei
magistrati supremi. Quali sono?
- Sella curùlis particolare tipo di trono su cui sedevano i re (e poi i consoli);
- Lictores coloro che accompagnavano re e poi consoli, portando con se fasci di verghe con
la scure = simbolo di imperium, di potere;
- La toga praetexta , orlata di rosso per gli alti magistrati, cioè la tipica veste dei più
importanti politici romani;

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- Toga picta di rosso e oro per chi celebrava il trionfo.

Rimarranno fino all’impero.


Anco Marcio
Eletto anch’egli dopo un interregno, stanziò la prima colonia romana ad Ostia (quello della
colonizzazione fu un metodo di espansionismo adottato da Roma in maniera importante in età
repubblicana grazie a cui Roma si estese prima sul Latium vetus, poi sul Lazio, poi sull’Italia
centrale, poi centro - meridionale e poi settentrionale e infine su tutto l’impero). Venivano fondate
così nuove città di diritto romano, se colonie romane, di diritto latino, se colonie latine (poi
vedremo la distinzione) in varie aree in cui progressivamente Roma si espandeva.
Problema della datazione per la scarsa affidabilità delle fonti sul periodo monarchico:
archeologicamente Ostia sembra sia stata fondata nel IV sec a.C. cioè, sul luogo di Ostia antica, gli
scavi archeologici più antichi non si spingono oltre il IV secolo laddove noi con Anco Marcio ci
saremmo aspettati una fondazione più antica (di secoli più antica) quindi o “mente” la fonte
letteraria oppure dal punto di vista archeologico dovremmo cercare la sua fondazione altrove.
Tarquinio Prisco
Primo re della fase etrusca. Si trasferisce a Roma da Tarquinia, grazie ad Anco Marcio, anch’egli di
origini corinzie. Il nome originario sarebbe (anche secondo l’Oratio Claudii) Lucumone/Lucomone a
seconda della grafia ma che fosse il suo nome vero è opinabile perché Lucumone/Lucomone era
anche il nome con cui si indicava il magistrato supremo di una città etrusca e quindi non sappiamo
se fosse il suo nome proprio o il nome della magistratura che rivestì a Tarquinia. Sappiamo solo
che divenne re con il nome di Tarquinio Prisco. Fu importante oltre che per le guerre e per
l’impulso che portò alla fioritura architettonica di quegli anni (per cui si parla di “Grande Roma dei
Tarquini”), dal punto di vista amministrativo perché portò il numero dei senatori a 300 che
rimasero tali per tutta l’età repubblicana fino all’età di Silla, all’età quindi tardo-repubblicana
(prima metà I secolo a.C.) quando Silla dittatore portò il numero a 600.
Servio Tullio
Noto come il re riformatore (per l’usanza vista prima di dare un’etichetta ad ogni re) da un punto
di vista storico ci interessa vedere cosa fece per riformare lo stato sia dal punto di vista militare
che civile (campo più sicuro perché le sue riforme furono storiche e così importanti da durare
anche in età repubblicana se pur con qualche modifica). Riformò l’esercito ma prima ancora
l’organizzazione della popolazione introducendo i comizi centuriati quindi fece una nuova
suddivisone in centurie della popolazione che sarà valida per tutta l’età repubblicana. Idea base?
Maggiore era l’apporto che ogni singolo cittadino dava in guerra (porto di sangue), maggiore
doveva essere il diritto riconosciutogli di esercitare i diritti politici → il peso militare diventava così
determinante per la definizione del diritto politico. Maggior importanza era data ai fanti (esercito
oplitico, come si dice per l’esercito greco per indicare l’oplita, un soldato della fanterie pesante). Il
peso dell’esercito era determinato anche dal censo cioè la ricchezza, perché? Ogni cittadino
romano era obbligato a prestare servizio in guerra ma doveva anche procurarsi da solo
l’armamento quindi più si era ricchi più ci si poteva procurare armi, cavalli e più si era poveri e
inferiore era l’apporto che si poteva dare in guerra = la ricchezza determinava il maggiore o
minore esercizio di diritti politici (elemento discriminatorio). Questo non significa che i più poveri

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non avessero questo diritto, semplicemente era più ridotto e consequenziale rispetto all’apporto
che davano in guerra. Ma cosa vuol dire i più ricchi? È diverso a seconda che si parli della
monarchia o della repubblica: in età monarchica o primo repubblicana, il censo era calcolato sulla
base delle proprietà fondiarie cioè della proprietà di terreni, campi coltivabili; si veniva poi
collocati in 5 corrispondenti classi di censo: dalla più ricca, a cui erano iscritti quelli con più terreni,
all’ultima in cui vi erano i nullatenenti (chiamati capite censi cioè censiti per la propria persona).
Queste 5 classi servivano ad esprimere le centurie. Vediamo nelle slides anche la diversa armatura
a seconda delle classi. Gli assi sono le monete di riferimento per calcolare il censo in età
repubblicana (quindi dopo la riforma di Appio Claudio Ceco e quindi lontani dalla monarchia). Il
criterio d censimento sulla base dei terreni fu introdotto da Servio Tullio e fu valido fino all’età
repubblicana quando Appio Claudio Ceco, a fine IV sec a.C., introdusse un nuovo calcolo basato
anche sulla ricchezza mobile.
Vediamo adesso una visione generale sulla grande Roma dei Tarquini. Tratti fondamentali:
- Organizzazione politica: organizzazione stato con Servio Tullio e ampliamento del Senato
con Tarquinio Prisco;
- Fioritura di Roma , prima monumentalizzazione di Roma: costruzione di primi templi fissi
(in legno o in legno e muratura) → ad esempio la prima fase del più importante tempio di
Roma, il Giove Ottimo Massimo, è archeologicamente datata alla fase tardo monarchica;
- Diffusione della ricchezza perché con i Tarquini l’aspetto etrusco di Roma divenne ancora
più evidente. Dal punto di vista storico Roma godette della parallela prosperità della civiltà
etrusca (dall’Etruria intratteneva commerci con la Campania e più in generale con Magna
Grecia, passando per Roma che si trovava sulle direttive commerciali → godette anch’essa
di questa ricchezza economica). Non a caso molti autori greci chiamarono Roma ‘città
etrusca’ tale doveva essere la caratterizzazione etrusca della città. Roma assunse un ruolo
di primo piano, anche grazie all’apporto etrusco, nel contesto della civiltà latina cioè del
Latium Vetus, rispetto alle altre città latine come Tivoli, Lanuvio e Lavinio che circondavano
Roma e che facevano parte della lega latina (cioè la lega di tutte le città latine). Ruolo così
importante da portare poi Roma allo scontro con i latini all’inizio dell’età repubblicana,
scontro che porterà al foedus Cassianum , cioè il primo patto tra latini e romani nel 493
a.C. preceduto dalla battaglia del Lago Regillo.

Nel 509 cadde la Roma dei Tarquini e nacque, convenzionalmente, la Repubblica → a Roma si
instaura l’imperium consolare.
2 fatti che già secondo i romani in età antica, caratterizzavano e distinguevano il potere
repubblicano da quello monarchico:
- Limitazione cronologica , almeno dal punto di vista ideologico (poi vedremo): i nuovi
consoli, eletti dai comizi centuriati, duravano in carica solo un anno laddove il re restava re
fino alla morte. Tutti coloro che cercavano di rimanere in carica più a lungo, erano accusati
di usurpazione o meglio di adfectatio regni (= ‘aspirazione alla monarchia’) e per questo
potevano essere uccisi (tale era l’odium regni e quindi l’odio per la monarchia che si era
instaurato dopo la cacciata dei Tarquini) poiché non era concesso (a meno di deroghe
particolari) restare in carica per più di un anno senza ulteriori elezioni.

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- Principio della collegialità: l’imperium supremo non era più nelle mani di un monarca ma
nelle mani di due individui, due consoli, quindi l’imperium era diviso equamente. E’ questo
il principio della par potestas a cui era connesso quello dello ius intercessionis altra novità
che era il diritto per ciascun console di bloccare le azioni del collega nel caso ravvisasse un
periodo per la res publica.

Lezione 5 - 6 Marzo 2020


La res publica a Roma fu un assetto di stato, una forma di governo, che voleva contrapporsi alla
monarchia. Abbiamo visto, nella tradizione storiografica, come essa fosse nata convenzionalmente
nell’anno della caduta della monarchia (509 a.C.). Le fonti antiche stesse riconoscono come molti
aspetti della repubblica non fossero altro che aspetti della monarchia (come i simboli visti ieri quali
la toga, ecc). Ma ci sono anche altri aspetti che indicano una continuità tra monarchia e res publica
(come lo stesso concetto di imperium, concetto nato in età monarchica per il re e passato poi ai
consoli). Tuttavia le fonti antiche tendono a porre in risalto la differenza tra le due: rendono più
evidente il passaggio che si vuole netto da un regime all’altro. Questa distinzione viene resa con il
riferimento alla denominazione dello stato stesso: per la repubblica il termine latina fu res publica
(la res publica latina non ha niente a che vedere con il nostro significato di regime repubblicano
perché non fu assolutamente una democrazia!! Questa visione di Roma repubblicana è niente di
più che una falsificazione, distorsione storica perché, come vedremo, non si può parlare di stato in
cui il popolo è sovrano almeno non nella pratica). Il sintagma di per sé = ‘ la cosa pubblica’,
traslatamente è la partecipazione della popolazione (una parte sola fu interessata) alla gestione
dello stato (sempre in teoria). È in questo senso che si contrapponeva alla monarchia che
giuridicamente era definita invece res privata cioè ‘questione privata’ che, se anche investiva
tutto lo stato, era gestita privatamente, da una sola persona. Quindi i due concetti rimandano non
tanto alla proprietà della cosa ma alla sua gestione. Lo stato, cioè la cosa pubblica, era patrimonio
di tutti in teoria ma quello che si voleva mettere in risalto, rispetto alla monarchia, era la gestione
pubblica da parte del popolo che si era appropriato del potere necessario alla gestione dello stato
(prima nelle mani del solo re). Quando parliamo di popolo (populus da cui l’aggettivo publicus)
intendiamo i cittadini, il corpo civico di Roma, escludendo quindi donne, minori, schiavi e stranieri.
È il cosiddetto ‘popolo in armi’ cioè maschi maggiorenni che avevano diritto e possibilità di
prendere parte alle guerre e abbiamo già visto come dalla capacità di prendere parte alle guerre
dipendesse poi la possibilità di esercitare maggiormente i diritti politici. In realtà solo una parte del
popolo era interessata. I fatti di Roma infatti, intesa come stato, non furono gestiti dall’intero
popolo ma solo dall’aristocrazia di Roma e cioè non dai patrizi, ma dalla nobilitas = una classe
mista di patrizi e plebei che, per motivi economici e sociali, aveva il diritto e la possibilità di gestire
lo stato grazie all’accesso alle magistrature (consolato, pretura,questura,ecc). Quindi la repubblica
romana fu piuttosto un regime oligarchico/aristocratico in cui solo una parte gestiva
effettivamente lo stato. Da dove si genera quindi questa “etichetta” di repubblica? In teoria lo
stato poteva essere gestito dall’intero corpo civico perché le regole della vita romana prevedevano
, in teoria, la partecipazione alla vita politica di tutti gli strati sociali tramite i comizi. Ma questo in
realtà non avveniva perché il meccanismo era tale per cui a poter dire la propria erano alla fine
solo le classi più abbienti (l’aristocrazia da non confondere con la classe patrizia che è un altro
concetto).

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Fino al 27 (Ottaviano, primo princeps, ricevette titolo di Augusto) o al 31 a.C. (battaglia Azio in cui
cadde Antonio) il regime repubblicano fu gestito da una classe sociale, l’aristocrazia.
Per quanto riguarda le istituzioni, secondo le fonti, nel 509 a.C. la repubblica aveva già a
disposizione tutti i suoi istituti, tutte le magistrature come se fossero stati introdotti, quasi
improvvisamente in un breve lasso di tempo: non è vero sia perché inverosimile sia perché
sappiamo, da altre fonti storiche, come molte delle istituzioni di Roma repubblicana furono
introdotte durante l’età repubblicana e non ebbero nulla a che vedere con Roma monarchica. È
anche vero che alcune caratteristiche repubblicane risalgono all’età monarchica ma SOLO ALCUNE
(comizi centuriati che, se pur in forma semplificata, furono introdotti dal re Servio Tullio così come
il concetto di imperium era il potere del re e così come il Senato esisteva già in monarchia
introdotto da Romolo, ampliato da Prisco e tale fino a Silla con potere consultivo per il re e poi
acquisisce anche il potere di controllare l’operato dei magistrati).
Il sistema di assemblee popolari di Roma in età repubblicana fu rinnovato grazie alla formazione
dei comizi tributi (per fonti meno accreditate in realtà essi sarebbero stati introdotti da Servio
Tullio). Eredità dell’età monarchica sarebbero stati i comizi centuriati e i curiati (prima forma di
assemblea popolare introdotta da Romolo).
Quindi le istituzione di Roma repubblicana sarebbero:
- Due consoli annuali, eletti dai comizi centuriati secondo le prescrizioni che avrebbe lasciato
Servio Tullio r aventi un potere coercitivo contro il quale il cittadino ottenne il diritto
d’appello (lex Valeria de provocatione);
- Un Senato di 300 membri che controllava l’operato dei magistrati;
- Assemblee popolari: comizi centuriati, curiati e tributi.

Questa visione che vuole Roma repubblicana dotata anche di tutte le innovazioni già nel 509 a.C.,
è fatta propria anche da Cicerone che, nel De republica che ci è giunto quasi per intero e in cui
l’autore parla della natura dello stato romano, afferma che per quanto riguarda le riforme
istituzionali, esse si esaurirono nei primi decenni dell’età repubblicana quasi a voler dire che la
forma dello stato repubblicano fu raggiunta in tempi rapidissimi. Per C. l’ultimo atto istituzionale
sarebbe stato il decemvirato = commissione di 10 individui patrizi con il compito, a metà V secolo,
di stilare le leggi della XII tavole cioè leggi, perlopiù di diritto privato, che regolavano la vita di
Roma, il primo corpus scritto di leggi che abbiamo per Roma arrivato a noi per tradizione indiretta
nelle fonti giuridiche. La produzione di leggi poi sarebbe continuata ma quelle fondanti si risolsero
in quegli anni.
Questa visione è distorta ed è dovuta al fatto che le fonti che noi leggiamo, in primis Fabio Pittore
(primo annalista di Roma), non avevano una visiona diacronica di Roma: laddove i fatti militari
erano percepiti nella loro successione cronologica, diacronica anche grazie alla struttura
annalistica delle prime opere storiografiche, per i fatti istituzionali (leggi, innovazioni, ecc) era
diverso perché essi venivano letti in maniera distorta e sincronicamente cioè le fonti spesso non
erano in grado di percepire la distanza cronologica che poteva esserci tra un provvedimento
legislativo e un altro → tendenza ad appiattire la distanza cronologica tra vicende di natura
politico-istituzionale.

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È per questo motivo che per ricostruire le istituzioni di Roma è necessario ricorrere a un’opera
storiografica complessa grazie alla quale però si è riusciti a costruire una griglia cronologica degli
eventi che portarono alla formazione dello stato repubblicano (almeno fino alla fine del IV secolo
a.C.) così come ci è noto ad esempio all’epoca di Cicerone.
La città di Roma era innanzitutto, giuridicamente, un insieme di maschi adulti con gli stessi diritti e
doveri (= civitas) che gestiva la res publica, l’organizzazione dello stato, entro un territorio ben
definito da una linea sacra (pomerium). Lo spazio entro il pomerium era sacro e in esso vigevano
regole di carattere civile e religioso che decadevano aldilà della linea religiosa. All’interno del
pomerio venivano fatti oggetto di culto le divinità del pantheon romano: pratica delle evocatio
tramite cui una divinità, anche di una città straniera (che Roma vinceva in guerra), era portata a
Roma entro il pomerio → la divinità straniera diventava a tutti gli effetti una divinità romana. Lo
scopo di questa pratica era quello di assicurare il favore anche delle divinità straniere ma dal
punto di vista religioso, tali divinità diventavano romane solo quando venivano letteralmente (e
quindi fisicamente) trasportate (effige, una statua) dentro il pomerio.
Come testimonia Varrone, famoso antiquario di Roma che scrisse molto sulle usanze dei romani
dal punto di vista soprattutto religioso, la cerimonia costituita dall’osservanza degli auspici e dal
tracciare il pomerio era una procedura che fu, dopo Romolo, adottata regolarmente ogni volta che
Roma fondava una colonia cioè una città di diritto romano: il fondatore della nuova città
(incaricato dal Senato) doveva trarre gli auspici ed , in base a quanto osservato, tracciare la linea
sacra.
Che il pomerio avesse significato religioso lo testimonia anche il discorso fittizio che Livio fa
pronunciare a Marco Furio Camillo, in occasione del sacco gallico (387 a.C.), che, di fronte ai
romani atterriti dall’invasione gallica e che per questo volevano fuggire, li sprona a rimanere in
città per non lasciare ai galli le loro divinità e per proteggere lo spazio sacro del pomerio. Secondo
quanto affermato da Furio Camillo (non si può credere che Livio riporti davvero le sue parole ma è
verosimile che il contenuto fosse in linea con il pensiero che dominava nell’ideologia della fine IV
secolo) abbandonare Roma ai Galli avrebbe significato rompere quel patto di alleanza che i romani
avevano con i propri dei (pax deorum) → avrebbero attirato su se stessi il malanimo dei loro dèi.
La dimostrazione del fatto che il contenuto sia verosimile sta nel fatto che i romani, di fronte
all’invasione gallica, si preoccuparono di mettere in salvo non tanto le ricchezze ma i sacra (=
oggetti sacri della città che la tradizione ricollegava ad Enea, progenitore di Roma) trasferendoli a
Cere (moderna Cerveteri, che si trova a Nord del Latium Vetus quindi una delle città più
meridionali dell’Etruria e quindi più vicina a Roma). Salvare gli oggetti sacri significava salvare
Roma stessa tanto che Roma seppe poi risollevarsi e spingere i Galli verso il centro-nord Italia.
Cere fu ricompensata dell’aiuto ricevendo per prima (in qualità di città etrusca), la cittadinanza
romana senza diritto di voto (sine suffragio) cioè limitata.
La contiguità tra religione e realtà civica si vede anche nella contiguità tra religione e politica: molti
magistrati, perlopiù i consoli che guidavano Roma in guerra e la amministravano in pace, avevano
facoltà religiose che gli servivano nello svolgimento di atti dalla spiccata natura civica come
l’indizione di una tornata elettorale → ogni atto politico era contemporaneamente anche un atto
religioso. Ecco perché era fondamentale per i romani assicurarsi la protezione degli dèi. Se
pensiamo al termine religione (religio in latino arriva da religare = ‘legare’ a conferma del patto
citato da F. Camillo).

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La religione romana non ha niente di salvifico come quella cristiana ma è un fatto esclusivamente
esteriore: è una serie di riti, formule, atti (sacrifici, preghiere, ecc) che andavano compiuti secondo
una serie di regole che, se osservate, rendevano sacro (sacer) l’oggetto cioè lo rendevano
consacrato a una divinità e come tale inviolabile e intoccabile. Ci furono molti esempi in cui, a
fronte di catastrofi naturali, i romani, cercando il motivo, lo attribuivano alla malevolenza degli dèi
dovuta alla forma erronea adottata dai sacerdoti o dai magistrati nel compiere eventuali rituali.
Coloro che si rendevano colpevoli di un qualche atto sacrilego nei confronti di un oggetto o di un
individuo sacro (per esempio erano condannati coloro che attentavano ai tribuni della plebe
considerati “santi” o “sacrosanti”), tramite sanzione (in latino sanctio da sanctus = ‘santo’ cioè ciò
la cui violazione comporta un sanzione) venivano condannati ad espiare una colpa e spesso a
morte (mito di Remo che sorpassa il pomerio).
Erano sacri:
- Il pomerio
- I tribuni della plebe erano magistrati caratterizzati dalla sacrosanctitas = inviolabilità. Erano
sacri, cioè dedicati agli dèi. Qui la pena era quasi sempre la morte.
- Le cinta urbane
- Le tombe
- Leggi, trattati.

Gli obblighi religiosi non venivano trasmessi attraverso iniziazione né insegnati, ma erano
trasmessi mediante la tradizione (mos maiorum), gentilizia (manes) e quindi delle singole famiglie
o dello stato, dell’intera res publica.
Mos maiorum = ‘costume degli antichi’ cioè tradizione, insieme di regole che venivano
tramandate di generazione in generazione che sovraintendevano ogni aspetto nella vita privata e
pubblica, nella dimensione religiosa, di Roma. Tutto ciò che a Roma non era fissato per legge
scritta, cioè per una legge promulgata da un magistrato e approvata dai comizi centuriati o tributi,
ma era consuetudine faceva parte del mos maiorum. Pur non essendo scritta, aveva comunque
forza di legge perché qualunque cosa fosse fatta in sua osservanza era considerata legale e giusta
(ci furono molti momenti in cui politici, per giustificare atti innovativi o controversi, ricorsero al
mos maiorum).
La base dell’ordinamento romano era costituito dalle magistrature. Anche Cicerone, nel trattato
“De legibus” (dedicato allo studio delle leggi di Roma e del concetto generale di legge nel mondo
antico), comincia la sua esposizione delle istituzioni romane partendo proprio dai magistrati
spiegando ad esempio quale fosse la funzione del console, del questore, e così via. I magistrati
sono coloro che, in eredità del re, gestivano la res publica in tutti i suoi aspetti. Non è un caso che il
grande storico tedesco nel IX secolo, Theodor Mommsen, abbia iniziato anch’egli lo studio delle
istituzioni di Roma repubblicana nel suo Diritto pubblico romano, proprio partendo dalle
magistrature.

Ci soffermiamo ora su una caratteristica che riguardava le principali magistrature: il consolato (i


consoli erano 2) e, in seconda battuta, la pretura (i pretori potevano essere in numero variabile).

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Entrambi erano accomunati dal fatto di possedere l’imperium = potere supremo (di origine regale)
di carattere militare (imperium militiae) con ripercussione dal punto di vista civile (imperium
domi). Quest’ultimo si riferisce alla giurisdizione del diritto penale e pubblico cioè il console aveva
la prerogativa di ius dicere (= ‘amministrare la giustizia’, in alcuni campi) ma anche una funzione
politica più ampia (diritto/obbligo di convocare assemblee, senato, precedenza sui magistrati
inferiori), una prerogativa legislativa cioè poteva proporre leggi che andavano poi approvate dai
comizi centuriati o tributi. Tutti compiti che un volta aveva il re.
In epoca repubblicana l’imperium fu anche nella mani del dittatore (figura prevista
dall’ordinamento romano ma che non si può considerare una vera magistratura perché non si
veniva eletti dittatori ma si veniva nominati dittatori a differenza di consolato e pretura; Inoltre il
dittatore era una figura monocratica cioè poteva esercitare l’imperium da solo andando contro al
principio repubblicano della collegialità → si compensava con l’estrema brevità temporale che
caratterizzava questo potere: massimo di 6 mesi e con compiti ben precisi). Il dittatore si poteva
nominare in un momento di guerra difficile (seconda guerra punica quando Roma fu vinta spesso
da Annibale sul suolo italico, fu nominato Quinto Fabio Massimo, il Temporeggiatore, che doveva
solo trovare una soluzione e a cui furono concessi, per breve tempo, poteri molto grandi).
L’imperium era simboleggiato dai fasci di verghe legate attorno a un’ascia (fasces) portate dai
littori che precedevano ogni detentore di imperium nei suoi spostamenti pubblici. Perché era
necessario segnalare il possesso dell’imperium attraverso questi simboli? I magistrati dotati di
imperium avevano anche funzione militare che però si poteva esprimere solo aldilà del pomerio; i
simboli quindi servivano a segnalare alla popolazione che un tale magistrato aveva appunto
l’imperium militiae e questo perché il magistrato in questione, prima di entrare nel pomerio
doveva lasciare giù le armi e le insegne di guerra (perché le armi non si potevano portare
all’interno del luogo sacro!!).
I consoli e i pretori (le due figure di magistrati dotati di imperium militiae) erano eletti dal popolo,
in particolare dai comizi centuriati cioè le assemblee del popolo in armi. Una volta scelto (legere =
‘eleggere’) dai comizi centuriati, egli doveva andare sul Campidoglio (colle più importante con il
tempio di Giove Ottimo Massimo), trarre gli auspici, andare nel tempio e poi intervenivano i comizi
curiati (assemblea che raccoglieva i 30 rappresentanti delle antiche curie, non più le intere curie, a
differenza dei centuriati e tributi che invece raccoglievano tutta la popolazione di Roma, tutti quelli
che avevano il diritto di voto) che votavano (atto politico) la lex de imperio cioè attribuivano
l’imperium al magistrato appena eletto → cooperazione di diversi attori istituzionali.
Dopo tutto ciò i magistrati apicali potevano così iniziare la loro carica quindi legiferare,
amministrare giustizia, chiamare le assemblee in città (domi) e guidare esercito fuori dal pomerio
(militiae).
Informazioni aggiuntiva: gli unici a Roma che potevano trarre gli auspici erano i patrizi. Questo
perdurò anche in epoca repubblicana (fino a un certo periodo: scontro patrizi- plebei; bisogna
aspettare il IV secolo per vedere magistrature apicali ricoperte dai plebei) e questo significava che i
patrizi erano gli unici ad avere il diritto di essere eletti alle magistrature perché erano gli unici che
potevano verificare la benevolenza degli dèi. Possiamo dire quindi che i patrizi avevano il
monopolio degli auspici. Questa situazione è ben indicata da Livio, parlando dell’epoca più arcaica
della repubblica. Ma chi è che definisce che sono solo i patrizi a poter trarre gli auspici? Il mos

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maiorum!! Infatti, mentre ci sarà una legge che lo consentirà anche ai plebei, per i patrizi questo
monopolio è dettato dal mos maiorum. Livio ci dice che questo diritto lo hanno i patres! Nel corso
delle repubblica saranno introdotti magistrati previsti per i soli plebei (tribuni della plebe), con il
compito di preservare i plebei da eventuali ingerenze da parte dei magistrati patrizi, ma essi non
prevedevano l’osservanza degli auspici perché questa usanza riguardava solo le magistrature che
abbiamo visto essere interdette ai plebei all’inizio.
Anche il Senato poteva trarre gli auspici perché erano ex magistrati e quindi patrizi!! E questo è
importante sottolinearlo perché quando avveniva che non si era in grado di eleggere nuovi
magistrati apicali (ad esempio perché i consoli erano morti in battaglia e non c’era stato tempo di
indire nuove elezioni) chi è che poteva indire nuove elezioni e guidare lo stato nel frattempo? Solo
chi poteva trarre gli auspici perché ogni atto pubblico era preceduto da un’azione religiosa!! I
senatori quindi nominavano, dopo gli auspici, un interré (inter rex) che per un periodo brevissimo,
massimo 5 giorni, poteva trarre gli auspici e doveva indire elezioni per far eleggere i nuovi consoli
a cui far trasmettere poi subito, dal senato, gli auspici.
Interregnum: fossile istituzionale, di origine monarchica, anche nell’assetto repubblicano.
Accanto alla capacità di trarre gli auspici, vi era un altro grande privilegio politico per il Senato:
l’auctoritas patrum (= ‘l’autorità dei padri’ dove patres significa ‘senatori’ perché così li aveva
chiamati Romolo) che consisteva nella possibilità di abrogare o modificare una legge anche dopo la
sua ratificazione da parte dei comizi. (Il processo legislativo prevedeva: un magistrato che
proponeva una legge che doveva essere approvato da comizi centuriati o tributi, in base al tipo di
legge). Nel periodo primo repubblicano i patrizi senatori avevano la possibilità di cancellare la
legge appena approvata dal popolo.
Tuttavia nel 339 a.C. (IV secolo già avanzato, che culminò poi nello scontro tra patrizi e plebei),
furono promulgate le leges Publiliae Philonis, un pacchetto di leggi che riguardava l’esercizio di
questa auctoritas: queste leggi spostarono nel tempo tale esercizio quindi la ratifica doveva quindi
essere concessa dai senatori prima del voto! Se i senatori avessero approvato una legge, essa poi
sarebbe passata alla votazione finale da parte del popolo senza più poter essere cancellata →
poteva a questo punto essere il popolo a dire no!
In questa direzione si colloca anche la lex Hortensia del 287 a.C. che equiparò i plebisciti (leggi
fatte dall’assemblee della plebe, per la plebe) alle leggi comiziali = i plebisciti ebbero valore per
tutta la popolazione di Roma.
Sempre al terzo secolo va attribuita anche la lex Menia che trasferì anche all’ambito elettorale lo
stesso principio: i senatori avrebbero potuto esprimere dissenso rispetto ad una candidatura solo
prima dell’elezione e non dopo → si cerca di erodere il potere del senato a favore dei comizi.
Affrontiamo ora il problema del dualismo patrizio-plebeo che riguarda la prima fase dell’età
repubblicana. Per molti secoli, fino al IV secolo inoltrato se non III, la storia di Roma fu
caratterizzata dallo scontro tra patrizi e plebei che fu oggetto di studio fin dal IX secolo. Vediamo
uno delle interpretazioni maggiori, se pur oggi sia stata rifiutata, che è stato codificata da Karl
Marx il quale, in ossequio alla sua dottrina politica, vide in questo scontro un tipico esempio di
lotta di classe per cui patrizi = ricchi, plebei = poveri. Questa interpretazione è antistorica e
anacronistica perché questo scontro fu sicuramente uno scontro tra ordini diversi ma non fu uno

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scontro tra ricchi e poveri perché i plebei non erano solo poveri (mentre i patrizi, almeno in età
alto-repubblicana, erano tutti ricchi) ma potevano esserci plebei ricchi dediti ad attività artigianali,
commerciali e ad altre attività, che non impegnavano i patrizi, ma che potevano essere redditizie
anche più dello sfruttamento dei terreni agricoli, cosa che facevano i proprietari terrieri patrizi.
Anzi proprio il fatto che esistessero i plebei ricchi spiega il motivo del così forte scontro perché
erano proprio i plebei ricchi a voler guidare lo stato al pari dei patrizi tanto è vero che le prime
vittorie ottenute dai plebei riguardavano proprio la possibilità di guidare lo stato. Ai plebei poveri
interessavano altri interventi come l’abolizione del nexum cioè la pratica attraverso cui il plebeo
che non fosse riuscito a pagare i propri debiti, sarebbe automaticamente stato ridotto a schiavitù
(nexus era l’uomo diventato schiavo). Fu questa una delle grandi conquiste dei plebei. O ancora la
possibilità, data i plebei, di sposare patrizi era concessa solo ai plebei più ricchi. Quindi “la lotta tra
classi” non regge.
Perché i plebei in età monarchica non ebbero accesso al Senato? Perché in età monarchica ,
quando era il censo a dettare il peso politico, i plebei non potevano accedere pur avendone la
possibilità economica? Dobbiamo capire le origini dei plebei.
Nella seconda fase di Roma repubblicana (seconda metà III sec - fine II secolo a.C.) si parla di
nobilitas e non più di patrizi VS plebei; si forma quindi una nuova classe dominante in cui non è
più importante essere patrizi o plebei ma quello che conta è essere membri dell’élite socio-
economica di Roma indipendentemente dalla loro antica origine. La dicotomia rimane anche in età
tardo-repubblicana ma non ha quasi più significato politico perché i plebei vengono quasi
completamente equiparati ai patrizi.

Lezione 6 – 11 marzo 2020


Riprendiamo il discorso sullo scontro tra patrizi e plebei, due grandi ordini della società di Roma
arcaica, che si scontrarono per motivi economici e politici nel corso dei primi due secoli della
repubblica. Lo scontro iniziò nei primi anni del V secolo e durò fino al 287 a.C. (data
convenzionale, scelta dai moderni perché in questo anno fu promulgata la lex Hortensia che di
fatto equiparò giuridicamente patrizi e plebei per quel che concerne l’accesso alle cariche
pubbliche → in quasi ogni settore della vita pubblica patrizi e plebei furono equivalenti ma questo
non vuole dire che venne meno anche la distinzione tra i due che rimase per tutto il periodo
repubblicano senza più però ripercussioni sul piano dell’esercizio dei diritti politici e civici).

ORIGINE DELLA DISTINZIONE TRA PATRIZI E PLEBEI


Questa distinzione è connessa già all’età monarchica.
1) Secondo una visione antica i patrizi (patricii) sarebbero stati i discendenti dei patres, primi
senatori di Romolo (secondo gli storici antichi essi sarebbero stati un centinaio di

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aristocratici, principes, scelti da Romolo per costituire il consiglio del re, regium consilium,
antenato del senato).
La parola principes non è = ‘principe’ ma ‘i primi’ cioè coloro che vengono per primi, i più
importanti. Il termine passa in età repubblicana per indicare il princeps senatus cioè il più
anziano del senato che, per età, aveva una preminenza che si traduceva nella possibilità di
iniziare la discussione in senato (vantaggio perché poteva influenzare) e poi arriva in età
imperiale dove indicherà invece il principe nel vero senso della parola, cioè l’imperatore (a
dimostrazione di come molti simboli, termini, istituti passino da un’età all’altra se pur con
nuovi significati/modifiche).
Ma questo non spiega la differenza.
2) La risposta non è nelle fonti antiche e per questo sono state avanzate alcune hp dai
moderni, sull’origine di patrizi e plebei (precedentemente alla politica di Romolo):

- Per alcuni studiosi moderni, i plebei sarebbero stati clientes dei patrizi: secondo loro quindi
già al tempo della monarchia esisteva l’istituzione della clientela tipica dell’ età
repubblicana dove i personaggi più potenti, appartenenti alla nobilitas, avevano una serie
di clientes cioè una clientela composta da individui di rango sociale inferiore che avevano
bisogno dei politici, detti patroni, per diversi motivi (sostegno economico, sociale, rapporti
di gratitudine). Vantaggio per i patroni ad avere una grande clientela? Sinonimo di prestigio
sociale e forza politica: maggior era il numero dei clienti che attendevano nell’atrio il
patrono, maggiore era il suo peso politico (e questo ce lo dicono le fonti).

- Motivazioni etniche: i patrizi sarebbero gli antichi latini cioè i più antichi abitanti di Roma, i
latini di Romolo che si erano stanziati sulle pendici del Palatino; in quest’ottica quindi i
sabini di Tito Tazio, accettati da Romolo e stanziati sul Quirinale, sarebbero i plebei ( anche
solo cronologicamente in posizione inferiore);
- Motivazione economiche e sociali: i patrizi sarebbero stati proprietari terrieri, i plebei
artigiani e commercianti. Questa distinzione è valida per le prime fasi della Roma
repubblicana ma appare opinabile che questa distinzione ci fosse anche nell’età di Romolo,
cioè sembra una proiezione di fatti repubblicani sullo scenario mitico della Roma più
arcaica → th storicamente più valida ma è poco probabile che essa valesse anche in età
monarchica.

Nessuna delle prime due hp è stata approvata all’unanimità = il problema rimane aperto.
Bisognerebbe conoscere nel dettaglio la storia ma sappiamo che la fase monarchica pullula di fonti
letterarie falsificate.
Inoltre questa distinzione patrizi-plebei, validissima per l’età repubblicana, sembra non perché i
primi consoli, eletti nel 509 a.C., furono due plebei!!!! Come spiegare questa aporia? Appare
un’aporia solo se si assume il punto di vista della prima repubblica (quando il consolato era chiuso
ai plebei) ma, se lasciamo questo punto di vista e consideriamo che ai primissimi anni della
repubblica i plebei avevano un qualche ruolo nella vita politica (che poi dovette andare diminuire)
non possiamo che concludere che questa distinzione fu una costante nel periodo primo

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repubblicano ma che le fonti, secondo la prospettiva antistorica che appiattisce la storia più antica
con una visione sincronica, attribuissero anche al 509 a.C. una distinzione che si cristallizzerà in
realtà solo nel corso dei decenni successivi. Sono le stesse fonti a contraddirsi: ci dicono che i
plebei erano esclusi e poi i primi due consoli erano plebei. Noi collochiamo la lotta tra patrizi e
plebei, con certezza, dagli anni 90 del V secolo a.C. (fase già avanzata della prima repubblica, nel
secondo decennio della Roma repubblicana).

Ad ogni modo la distinzione tra patrizi e plebei rimane in età repubblicana, le famiglie patrizie
rimangono e rimane anche l’indicazione di patriziato che, entro la nobilitas, indicava cmq una
situazione di maggior prestigio. Il termine patres, nel senato repubblicano, indica il significato di
senatori patrizi distinzione che, entro il senato, aveva un risvolto giuridico perché quando
morivano due consoli (o uscivano dalla carica senza nuova elezioni) gli auspicia tornavano al
senato (che poi li consegnava temporaneamente all’interrex) MA non a tutto il senato bensì solo ai
senatori patrizi!!!! E questo costituiva una sorta di ricordo dell’antico privilegio che attribuiva ai
soli patrizi la possibilità di accedere le cariche (età più arcaica di Roma repubblicana).
I plebei non sono omogenei dal punto di vista sociale ed economico → diverse esigenze:
- Rivendicazioni economiche (plebei più poveri): diminuzione dei tassi di interesse applicati
ai debiti, abolizione della schiavitù per i debitori insolventi (nexum), distribuzione di ager
publicus cioè piccoli appezzamenti terreni che potessero rendere indipendenti anche i
nullatenenti.
- Rivendicazione politiche (plebei più ricchi): accesso alle magistrature cittadine, richiesta di
leggi scritte. Le leggi a Roma, in età arcaica monarchica e primo repubblicana, furono
tramandate per via orale o, se scritte, erano custodite gelosamente dai sacerdoti
(pontifices) tutti di natura patrizia → la conoscenza precisa e dettagliata delle leggi era
appannaggio dei soli patrizi = enorme svantaggio per i plebei che erano così sottoposti a
leggi di cui conoscevano solo in parte il dettato (per sentito dire). Ad esempio in campo
giudiziario, il processo a Roma era di carattere formulare cioè ogni processo doveva seguire
la pronuncia di determinate formule fissate per legge, pronuncia che rendeva valido o
meno il processo (formule mal pronunciate = processo decadeva!! Quindi lo stesso
principio che regolava i principi religiosi). Se i plebei non erano a conoscenza, in maniera
precisa, delle formule ecco che essi si trovavano anche qui in posizione di svantaggio.

La differenza tra patrizi e plebei riguardava anche la struttura militare: i patrizi, tutti ricchi, avevano
all’inizio una preminenza e i plebei si trovavano relegati a posizioni di inferiorità (anche se
abbiamo visto che molti plebei potevano permettersi pari armature). Coloro che non avevano
introito, i proletari o capite censi, erano addirittura esonerati dal servizio militare che significava
non poter esercitare alcun diritto politico pur essendo un cittadino romano.

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EVOLUZIONE SISTEMA MILITARE NEL V SECOLO
L’esercito perde il suo aspetto aristocratico e assume la struttura oplitica o “a falange” = la
fanteria pesante ha un ruolo sempre più importante! Quindi tutti coloro che potevano
permetterselo economicamente, potevano fornirsi gli armamenti (elmo, armatura, armi)
necessari: legame tra ricchezza effettive e contributo militare ed è questo che dà il via al
riconoscimento in campo sociale e civile dei plebei perché, una volta ammesso che anche i plebei
ricchi potevano contribuire in guerra, si cominciò a volere che questo avvenisse anche nella vita
sociale (visto che le due cose andavano a Roma di pari passo).

495-94 a.C. (in base alle fonti oscilla), primo momento fondamentale della lotta: prima secessione
della plebe sull’Aventino, chiamata da alcuni storici “sciopero” della plebe perché essa si ritirò
fisicamente sull’Aventino (forse anche a causa di una crisi economica che le fonti riportano a
questa altezza) nel tempio di Cerere, Libero e Libera (divinità plebee) abbandonando le proprie
attività. Ma quale fu questa crisi economica? La caduta della monarchia forse coincise con una crisi
economica degli etruschi (fine VI secolo- inizio V scolo a.C.) che vide interruzione dei commerci tra
Etruria e gli avamposti etruschi nella Campania quindi nell’Italia meridionale. E sappiamo che
Roma era in mezzo a questi commerci e ne trasse vantaggi e quindi la crisi che si innescò riguardò
anche Roma, soprattutto i plebei che vivevano di commercio! I patrizi dovettero scendere a
compromessi e concedere ai plebei la creazione dei primi istituti plebei che continueranno fino
all’età imperiale. La prima istituzione creata furono i concilia plebis tributa (o concilia plebis) cioè
un’assemblea per i soli plebei. Le assemblee a Roma erano organizzate in diversi sezioni di voto
(centurie, tribù e curie) che racchiudevano la totalità della popolazione romana (maschi adulti), sia
patrizi che plebei, anche se con peso inferiore per i più poveri; i concilia plebis del 494 a.C. invece,
univano i soli plebei e quindi non si rivolgevano ai patrizi. Questi concili plebei avevano potere
elettorale (eleggere magistrati) e legislativo cioè potevano emettere leggi che erano dette
plebiscita (plebisciti in it.) perché riguardavano solo i plebei ed erano fatti solo dai plebei, quindi
non avevano effetti sui patrizi.
Per quanto riguarda il potere elettorale abbiamo la creazione dei tribuni della plebe, all’inizio 2
poi 10, che erano i magistrati della plebe cioè coloro che dovevano fare il bene della plebe. Che
fossero 2 all’inizio non è casuale = risposta plebea ai due consoli che erano solo patrizi. Questi
tribuni, al pari dei consoli, avevano il diritto di proporre le leggi (o plebisciti) ai concilia plebis che
dovevano poi votare si o no; essi erano poi caratterizzati da alcune prerogative tipiche dei soli
tribuni della plebe sempre per proteggere i plebei da eventuali soprusi dei patrizi:
- erano caratterizzati dalla sacrosanctitas cioè nessuno poteva fare loro del male fisico, pena
la condanna e il divenire sacro (sacer) cioè il macchiarsi di sacrilegio per cui si poteva
essere uccisi. Notiamo come i provvedimenti plebei scaturiti dalla secessione sull’Aventino,
sono note come leges sacratae cioè consacrate quindi intoccabili!

- Erano dotati dello ius auxilii cioè il diritto per un plebeo di appellarsi a un tribuno della
plebe, nel caso in cui si sentisse oggetto di ingiustizie da parte di un magistrato patrizio.

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- Ius intercessionis: diritto di bloccare l’azione di un collega nel caso in cui si ravvedesse un
pericolo.

- Ius agendi cum plebe: diritto di avere a che fare con la plebe cioè il diritto di far riunire i
concili della plebe. Importante perché, se non si riunivano i concili, non potevano essere
promulgati i plebisciti e non si potevano eleggere i nuovi tribuni (carica 1 anno, come i
consoli). E’ lo stesso dritto che avevano i consoli di chiamare i comizi centuriati.

Un altro provvedimento fu la creazione degli edili plebei (una magistratura romana in mano ai
patrizi) che dovevano occuparsi della manutenzione di strade, edifici, organizzazione giochi, ecc.
Essi furono introdotti per custodire e gestire il tempio sull’Aventino dedicato alle 3 divinità plebee
e si contrapponevano così agli edili patrizi detti curuli perché rimandano alla sella curule cioè uno
dei simboli tipici del console che diventa poi, generalmente, un simbolo del patriziato.

I tribuni sono l’alter ego dei consoli MA ricapitoliamo:


● i consoli erano eletti, tra i patrizi, da tutta la popolazione e comandavano sia su patrizi che
plebei;
● i tribuni della plebe erano eletti dai soli plebei e solo su di essi comandavano.
● la sacrosanctitas dei tribuni della plebe fu contrapposta all’imperium
● la triade dell’Aventino (Cerere, Libero e Libera dove Cerere è al protettrice della sacrosanctitas)
fu contrapposta alla triade capitolina (Giove, Giunone e Minerva il cui culto si concretizzava sul
Campidoglio e dove Giove Ottimo Massimo è la fonte degli auspicia maxima dei magistrati con
imperium, quindi dei magistrati patrizi). Quindi i tribuni della plebe non dovevano né potevano,
per legge, trarre gli auspici perché questa fu per molto tempo prerogativa dei soli patrizi.

Altro momento fondamentale nella lotta fu il Decemvirato (451-450 a.C.)


Fu una commissione, istituita da 10 patrizi (tra cui Appio Claudio), in risposta alle pressioni della
plebe che voleva avere a disposizione delle leggi scritte e che fossero consultabili da tutti. Essa
rimase in carica 1 anno ed ebbe, oltre al potere legislativo, anche l’imperium consolare quindi
guidò proprio lo stato di Roma per un anno e mise per iscritto le famose leggi delle XII tavole, le
prime leggi pubbliche scritte di Roma. Queste leggi in realtà furono, per la maggior parte, attinenti
al diritto privato e non al diritto pubblico. Noi leggiamo solo alcuni frammenti di queste leggi per
via indiretta (citate dalle fonti letterarie o giuridiche). L’unica legge che ci interessa per lo scontro,
fu quella che proibiva il matrimonio tra i patrizi e plebei (misto): un plebeo che avesse sposato
una patrizia, sarebbe entrato nel patriziato acquisendo così il diritto di fare politica. Si giunse a
proibirli e questo vuol dire che l’istituto del matrimonio veniva strumentalizzato da alcuni plebei
per fare carriere. Pochi anni dopo, essa verrà abolita tramite la promulgazione del plebiscito
Canuleio del 445 a.C. che riguardò anche i patrizi e che ristabilì la possibilità per i plebei di sposare
i patrizi.

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Il decemvirato rimase in carica 1 anno e quando scadde ci furono alcuni patrizi, tra cui Appio
Claudio che tentò, nel 449 a.C., di portare avanti l’esperienza del decemvirato mantenendo il
potere con i suoi colleghi, per continuare ad avere la guida dello stato, ma questo fu visto come un
colpo di stato e quindi furono rimessi al loro posto i consoli e si ritornò all’elezione dei consoli
come di consueto. Il tentativo di Appio Claudio fallì per una seconda secessione dei plebei.
Leggi Valerie Orazie (449 a.C.)
Leggi che possono essere viste come risposta al Decemvirato. Sono leggi di carattere e origine
comiziali (volute dai due consoli del 449 a.C. cioè Marco Orazio e Lucio Valerio). È tipico, per le
leggi romane, assumere il nome del console che le ha volute (la seconda parte della formula che
prevedeva prenome-nome-cognome come Caio Giulio Cesare dove Giulio è il nomen ed indica la
gens di appartenenza). Oppure le leggi si indicavano con il complemento di argomento (De +
ablativo) in relazione al loro contenuto.
Questi leggi ribadirono alcuni concetti e ne introdussero di nuovi:
- Ribadirono la sacrosanctitas dei tribuni della plebe (segno che essa non era effettivamente
sempre rispettata);
- Proibirono la creazione di nuove magistrature che fossero immuni al diritto di appello dei
tribuni della plebe cioè i tribuni della plebe potevano intercedere, in favore di un plebeo,
presso qualunque magistratura (e non solo presso un altro tribuno). Questo secondo punto
è a favore della plebe, come il primo punto. In Roma repubblicana ci fu una sola
magistratura immune al diritto di appello del tribuno della plebe cioè quella del dittatore
ma, abbiamo già detto, che questa non fu una vera e propria magistratura!
- Problematico: a quanto pare queste leggi estesero la validità dei plebisciti anche ai patrizi.
È un provvedimento sospetto perché noi sappiamo certamente che sarà la ben più tarda
lex Hortensia ad introdurre l’equiparazione giuridica tra plebiscito e lex cioè legge emanata
dai comizi e voluta dai magistrati patrizi. Le fonti relative al periodo arcaico di Roma
repubblicana sono tutte problematiche perché tendono a proiettare nel passato eventi
molto più tardi (per visione sincronica già vista). I casi come quello della lex Canuleia è un
caso specifico e unico. La regolarità verrà introdotto solo con la lex Hortensia!

Dopo il decemvirato quindi ritornò tutto come prima, quasi ma perché? Intanto per la lex Canuleia
ma soprattutto perché, noi sappiamo dalle fonti, che i patrizi di fronte alla riapertura al
matrimonio misto introdussero nel 444 a.C. , per reazione, la figura dei tribuni militari con poteri
consolari (e che quindi dovevano affiancare i consoli patrizi) che rimasero in vigore, come
istituzione e non in carica, fino al 367 a.C. Questo sarebbe stato un modo per garantirsi rispetto ad
eventuali eccessive prese di potere dei plebei e quindi i patrizi furono mossi dalla paura di vedersi
sottratto il monopolio del consolato.
Tali tribuni, prima 3 e poi 6, potevano essere anche plebei e, in quanto tali, non potevano trarre
auspici. Allora, se potevano esserlo anche i plebei, qual era la loro funziona a favore dei patrizi? Le
stesse fonti antiche, pur ammettendo che fu un provvedimento che avrebbe dovuto essere a
favore dei patrizi, non sanno spiegarsi in che modo questi tribuni militari (da non confondere con i

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tribuni della plebe) svolsero questo ruolo di aiuto ai consoli patrizi. Spiegazione moderna ( e quindi
non certa): lo scopo di questi tribuni sarebbe stato quello di avvicinare al consolato anche i plebei
in modo che questi ultimi rinunciassero ad eccessive pretese al consolato stesso (una sorta di
contentino dato ai plebei).
Siamo però certi che essi decaddero nel 367 a.C. anno in cui ci furono le famose Leges Liciniae
Sextiae che previdero, tra le altre cose, che un console potesse (e non dovesse!) essere anche
plebeo. E’ degno di nota questa coincidenza cronologica: l’anno in cui (dopo quasi un secolo e
mezzo di lotte) venne aperto il consolato ai plebei coincide con l’anno in cui decaddero i tribuni
militari con potere consolare segno del fatto che essi dovevano avere in qualche modo avere un
ruolo nel conflitto tra patrizi e plebei per quel che riguardava l’accesso al consolato in particolare.

Molti dei provvedimenti richiesti dai plebei erano di natura economica e tra questi, con una
visione un po’ diacronica, citiamo tre episodi famosi, storicamente dubbi, in cui Spurio Cassio,
Spurio Melio e Marco Manlio proposero in tre diversi momenti, vari progetti di leggi agrarie
(distribuzione gratuita di grano alle classi più povere) cosa che non fu vista di buon occhio dai
patrizi perché poteva andare contro loro stessi → i 3 furono accusati di adfectatio regni
(aspirazione tirannica tramite leggi demagogiche = pratica politica che mira ad ottenere il
consenso popolare facendo proprio il malcontento della popolazione) e condannati a morte.
Storicamente dubbi perché? Molte di questi leggi arcaiche dell’età arcaica della prima repubblica
ricordano troppo le leggi volute più tardi dai Gracchi → potrebbe essere ennesimo caso di
retrodatazione voluta. Sicuramente è certo che spesso le classi meno abbienti vissero periodo di
crisi economica.
Leggi Licinie Sestie (367 a.C.)
Furono fatte approvare dai tribuni della plebe Caio Licinio e Lucio Sestio Laterano e furono
oggetto di opposizione da parte dei patrizi a tal punto che fu necessario addirittura richiamare in
città M. Furio Camillo (sacco gallico) per sedare i disordini in città).
Esse proposero:
- Riduzione debiti. Una misura che, se vera (ed è verosimile), doveva riguardare i plebei più
poveri
- Limitazione nell’occupazione di ager publicus a 500 iugeri (a sfavore dei patrizi e in
favore dei plebei) ma questo è un provvedimento sospetto perché richiama, quasi parola
per parola, il provvedimento voluto molto più tardi (131 a.C.) da Tiberio Gracco. Anche qui
retrodatazione. E’ possibile che esistesse una legge che volesse tutelare i plebei ma che la
legge avesse questo aspetto è parecchio dubbio.
- Introduzione della possibilità che un console fosse plebeo. Il primo console plebeo fu
proprio, nel 366 a.C., Lucio Sestio Laterano che nel 367 aveva fatto approvare questa
norma.
- Fu creata l’edilità curule, come compensazione per i patrizi, ma in realtà questa edilità
esisteva già ma fu qui cristallizzata la differenza tra questa (a cui non potevano accedere i
plebei) e quella plebea (prima secessione). Fu poi creato il pretore, secondo magistrato

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cum imperio (se pur minore di quello consolare ma comunque un imperium di carattere
militare). Che il pretore fosse stato creato nel 367 a.C. è oggetto di discussione perché da
alcune fonti sembra che questa figura fosse esistente già da prima (per alcune fonti nel 509
a.C. non avremmo avuto due consoli ma un pretore che avrebbe fatto le veci del re appena
caduto). Per certo però sappiamo che il secondo pretore, il pretore peregrino, fu
introdotto nel 242 a,.C. quindi molto più tardi.

Dal 367 a.C. in poi abbiamo una serie di leggi che aprono progressivamente le magistrature curuli
ai plebei e leggi che migliorano la posizione giuridica dei plebei fino ad una vera equiparazione
quasi completa.
Nel 344 a.C. abbiamo il plebiscito Genucio che ammise che entrambi i consoli potessero (non
dovessero) essere plebei (nel 367 le leggi Licinie Sestie avevano permesso che 1 console fosse
plebeo!). Ma questo avverrà solo nel 172 a.C. quando i fasti (liste dei consoli) registrano la prima
coppia di consoli plebei. Questo plebiscito proibì poi la reiterazione del consolato entro 10 anni
cioè si introduce per la prima volta il problema della reiterazione della cariche = se uno è stato
console in un determinato anno può candidarsi per l’anno successivo? Non è da poco perché se un
console fosse rimasto in carica per troppi anni si sarebbe corso il rischio di tensione alla tirannide.
Ecco che il plebiscito, in teoria, proibì questa cosa ma poi spesso non rispettata. Fu poi superato il
problema con la creazione della figura del proconsole(proconsul) cioè un console decaduto che
continuò ad avere alcuni poteri tipici del consolato. Il primo proconsole ci fu nell’età della seconda
guerra sannitica quando, di fronte all’emergenza per la durezza della guerra (forche caudine in cui
i romani furono umiliati dai sanniti) si scelse di prolungare il potere a uno dei consoli affinché
portasse avanti la guerra intrapresa. Il proconsolato prevedeva contemporaneamente l’elezione
dei consoli regolari. I proconsoli, insieme ai propretori, saranno poi usati per gestire le province (lo
vedremo).
Altre magistrature furono poi aperte ai plebei per cui abbiamo:
- Primo edile curule plebeo (366 a.C.): apertura edilità curule ai plebei;
- Primo dittatore plebeo (356 a.C.): prima solo patrizi;
- Primo censore plebeo (351 a.C.): il censore a Roma era una figura fondamentale, eletta
ogni 5 anni perché ogni 5 anni aveva il compito di compiere il censimento (contare i
cittadini e collocarli in base alla ricchezza nelle 5 classi di censo e questo significava
determinarne anche il peso militare e quindi politico).
- Primo pretore plebeo (336 a.C.): principalmente funzione giudiziaria.

Nel 326 a.C. - Lex Petelia Papiria abolisce definitivamente la schiavitù per debiti (nexum)
sancita per iscritto dalle leggi delle XII tavole.
Altro momento fondamentale fu la cesura di Appio Claudio Cieco.
Censore nel 312-311 a.C. introduce diverse riforme quali:
- Prima monetazione di Roma, detta romano-campana, poiché la zecca si trovava a Napoli;

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- In quanto sostenitore dell’espansione a Sud, si fece promotore della costruzione della
prima grande via romana, la Via Appia, e fece costruire anche il primo acquedotto, l’Aqua
Appia. La via Appia fu poi portata da Roma a Capua e poi fino a Brindisi, in Puglia.

Per ora ci soffermiamo sul suo apporto alla lotta tra patrizi e plebei: introduce nuovi criteri per
il calcolo del censo che fino ad allora si basava solo sulle proprietà terriere, cioè sui beni
immobili. In questo calcolo erano svantaggiate i plebei che svolgevano attività magari anche
più redditizie dello sfruttamento dei terreni. Ecco che viene con lui introdotto un calcolo che si
basa anche sui beni mobili (ricchezza bestiame, ricchezza monetaria e sulla proprietà anche di
edifici) → porta alla ribalta i plebei ricchi che salgono nella prima classe!
Le altre due riforme non furono approvate ma sono cmq importanti:
- Propose di includere nel senato anche coloro che non avevano ricoperto una
magistratura (quindi i plebei che, pur potendo ora accedere alle magistrature grazie alle
nuove leggi, non avevano avuto, per via del censimento con vecchio calcolo, grande voce in
capitolo nelle assemblee quindi non riuscivano ad essere eletti). Inoltre per entrare in
senato era necessario un censo minimo che per colpa del vecchio calcolo, i plebei avevano
effettivamente ma non sulla carta.
- Propone poi di ridistribuire la plebe urbana in tutte le tribù esistenti, mentre all’epoca,
come successivamente, la plebe era concentrata nelle 4 tribù urbane. Cosa vuol dire? Lo
capiremo meglio quando vedremo come funzionavano i comizi tributi che erano un tipo di
organizzazione basata sul concetto di tribù e non di centuria. Quello che ora ricordiamo è
che a Roma, non in questa età ma in età storica, le tribù era 35 di cui 31 rustiche e 4
urbane; la tribù era un distretto territoriale in cui i cittadini romani, dell’ager romanus,
erano registrati. Le rustiche riguardavano territori di ager romanus fuori da Roma quindi
le proprietà fondiarie e quindi qui vi erano registrati i proprietari terrieri e quindi i patrizi.
Nelle urbane erano invece registrati quelli che avevano il domicilio a Roma e che lì vi
svolgevano i propri affari (i plebei quindi). Questa disparità portava al fatto che i patrizi
avevano maggior peso rispetto alle tribù urbane che avevano quindi meno peso politico.
Bisognerà aspettare l’entrata del nuovo calcolo censitario.

Tra gli altri interventi di Appio Claudio Cieco ricordiamo poi lo Ius Flavianum cioè la prima raccolta
di leggi di Roma a non essere appannaggio dei soli patrizi a differenza delle Leggi delle XII tavole
che, nonostante le buone intenzioni rimasero di appannaggio dei soli patrizi. Queste nuove leggi,
volute da Appio, furono scritte da Cneo Flavio, suo cliente. È una prima raccolta di norme e
formule giudiziarie completamente accessibile a tutti. Fu poi anche pubblicato un calendario in cui
erano indicati i dies fasti e i dies nefasti: i primi dedicati alle divinità e gli altri no. In quelli non
dedicati alle divinità si poteva fare ed esempio il mercato, riunire un’assemblea (se per errore
avessero riunito un assemblea in un giorno fasto, tutto quanto approvato sarebbe stato nullo).
Questa distinzione era sempre stata nota ai patrizi che custodivano tutte le informazioni. Con
questo calendario anche i plebei potevano regolarsi.

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Arriviamo infine al 287 a.C. con la già citata Lex Hortensia de plebiscitis voluta dal dittatore
Quinto Ortensio (tali furono i conflitti in quell’anno fu necessario ricorrere a un dittatore). La legge
imponeva che i plebisciti fossero vincolanti per tutto il popolo, patrizi inclusi. Conseguenza:
equiparazione tra i plebiscita e le leges rogatae (deliberazioni dei comitia). Permane però di fatto
che ai concilia plebis i patrizi non potevano prendere parte né diventare tribuni della plebe → la
differenza c’è ancora e anzi, paradossalmente, adesso i plebei hanno quasi la meglio.
Con l’ingresso definitivo dei plebei alle cariche apicali del cursus honorum (questura fino al
consolato) e poi al senato, abbiamo una nuova classe dirigente, la nobilitas (da nobilis = ‘noto’)
costituita da tutti quelli che hanno guidato la vita pubblica di Roma in qualità di magistrati. Questa
nuova classe sociale fu aperta per un po’ ma presto si richiuse perché, per essere parti della
nobilitas, bisognava ora vantare, tra i propri avi, un console → fu difficile per le gentes che non
avevano mai avuto antenati consoli (ne sono esempio Cicerone o Caio Mario che furono homines
novi; Cicerone ad esempio fu homo novus, cioè un individuo di una gens, Tullia, che pur essendo
ricca, ad Arpino, non aveva consoli tra gli avi e quindi per lui era difficile intraprendere la carriera
politica. E come si faceva? Bisognava avere appoggi nella nobilitas e Cicerone riuscì ad averli.
Il fatto che la nobilitas fosse una classe chiusa lo dimostra anche il fatto che era necessario un
censo minimo alto (100.000 assi cioè quello della prima classe che poi salì a 1.000.000) per
intraprendere la carriera politica (niente di più lontano dalla democrazia!). Bisognava poi
intraprendere un servizio militare lungo (10 anni) prima del cursus honorum (in particolare 10 anni
nella cavalleria nella quale potevano entrare solo quelli con un censo minimo alto). Anche per il
ceto medio era quindi quasi possibile accedere alla carriera politica.

Schematizzando il funzionamento magistratuale romana alla fine degli scontri tra patrizi e plebei:
- Alla base c’era popolo diviso in:
a) concilia plebis eleggevano 4 edili plebei e 10 tribuni della plebe
b) comitia centuriata o tributa dove:
- i tributa eleggevano 4 questori che gestivano la cassa pubblica, 26 Vigintisex viri
(magistratura inferiore che corrispondevano alle prime fasi della carriera politica) e gli edili
curili;
- i centuriata eleggevano le magistrature più importanti dotate di imperium: 6 pretori (prima
solo 2), 2 consoli e 2 censori. Da queste cariche derivava poi il senato sulla cui formazione
ci soffermeremo oltre.

Ricordiamo poi interrex, nominato dal senato, e il dittatore (con il suo collaboratore, magister
equitum) nominato dai consoli.

Lezione 7 – 12 marzo 2020

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Facciamo un excursus sui comizia. Ricordiamo che le uniche magistrature non elettive sono
l’interrex e il dittatore, nominati dai consoli o dal senato.

Comizia = ‘assemblee popolari’. Ad eccezione dei concilia plebis, raccoglievano tutta la


popolazione cioè tutti i maschi adulti dotati di diritto di voto (cittadinanza completa). La distinzione
tra patrizi e plebei non era rilevante per i comizi ma solo per i concilia plebis (già detto).
I comizi potevano essere curiati, centuriati e tributi organizzati in sottounità:
- Curie:(da co-viria = ‘adunanza di uomini’): che in età storica erano 30, 10 per ognuna delle
3 tribù. In età repubblicana avremo invece 30 rappresentanti di ciascuna di queste curie.

- Centurie: introdotta da Servio Tullio. Era composta da soli 100 uomini, poi ciascuna
centuria (sezione militare + assemblea) raccolse un numero sempre maggiore. Nel “De
Republica” Cicerone descrive anche l’ordinamento dello stato di Roma e afferma che una
centuria delle classi inferiori conteneva quasi più cittadini dell’intera prima classe = la
distribuzione dei maschi nella centurie non era equa perché le centurie della classi più alte
raccoglievano meno cittadini e questo è comprensibile se si pensa che le centurie della
prima classe raccoglievano solo i cittadini più abbienti di Roma (che erano inferiori). Le
ultime classi censitarie quindi esprimono un numero inferiore di centurie pur accogliendo
un gran numero di cittadini.

- Tribù: indica una circoscrizione territoriale entro cui i cittadini erano registrati in base alla
loro residenza/domicilio. In epoca storica, quindi dalla fine della prima guerra punica, le
tribù saranno 35 (31 rustiche, 4 urbane).

Le assemblee popolari a Roma erano quindi 4:


1) Comizi curiati
2) Comizi centuriati
3) Concilia plebis
4) Comizi tributi

1) Introdotti nelle prime fasi dell’età monarchica.

Funzione principale:
- Promulgazione della lex curiata de imperio con cui formalmente affidavano l’imperium ai
magistrati, consoli e pretori, appena eletti dai comizi centuriati. I rappresentanti di queste
30 curie erano quindi i 30 littori che portavano i fasces.
- Competenze anche in materia sacrale e diritto privato: in materia di adozioni e del
passaggio da patrizio e plebeo e viceversa, erano loro ad approvare o meno l’adozione.

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2) La più importante assemblea di Roma, introdotta da Servio Tullio. Riunivano il popolo in
armi, cioè riproducevano in ambito assembleare, la struttura dell’esercito basato su
criterio censitario.
Cosa vuol dire quante centurie esprimevano una determinata classe? In quante centurie gli
appartenenti di quella classe, indipendentemente dal loro numero, erano divisi. Il sistema di
questi comizi era tale per cui le classi più elevate, con pochi cittadini, esprimevano un
grandissimo numero di centurie. In particolare:

▫ La prima classe richiedeva un censo di almeno 100.000 assi ed esprimeva 80 centurie in


tutto suddivise in un gruppo di giovani (Iuniores) e uno di anziani (Seniores) distinzione
poco rilevante ai fini della procedura comiziale. A Roma il voto non era di carattere
individuale (come oggi) ma erano le classi a esprimere un voto COLLETTIVO che, a sua volta,
era espresso dal voto, anch’esso collettivo, delle centurie (una centuria che raccogliesse un
tot di uomini esprimeva cmq un solo voto quindi, si capisce che la prima classe, esprimeva
80 voti!!!). Alla prima classe, dal punto di vista censitario, erano aggregate le 18 centurie di
equites cioè di cavalieri che rappresentavano i cittadini più ricchi di Roma insieme a tutti i
cittadini della prima classe → quindi i cittadini più ricchi avevano a disposizione circa 98 voti
collettivi.
▫La seconda classe aveva un censo minimo di 75.000 assi ed in tutto esprimeva, tra iuniores
e seniores, solo 20 centurie (quindi erano suddivisi in 20 centurie) e quindi esprimevano
solo 20 voti!
▫Terza classe censo minimo di 50.000 assi e ancora esprimeva 20 centurie. ▫Quarta classe
25.000 assi e 20 centurie.
▫La quinta classe, la più numerosa, richiedeva un censo minimo di 11.000 assi ed esprimeva
in tutto 30 centurie.
Quindi le 5 classi esprimevano in totale un numero tra i 195 e 197 centurie di cui 98 erano
solo della prima classe e da quella degli equites!!!!!
=
I più ricchi, da soli, pur essendo meno numericamente, rappresentavano la maggioranza
dei voti espressi!!!! Si riproduceva così l’antico principio monarchico per cui i ricchi con
maggior peso in guerra, dovevano averlo anche nella vita politica.

▫Sotto la quinta classe vi erano i proletari (= che avevano i figli), o i capite censi (avevano
solo la propria persona), che non avevano nulla. Questi per molto tempo, non entrarono a
far parte dell’esercito quindi non espressero voto fino alla riforma di Caio Mario (fine II sec-
inizio I sec a.C) che accolse nell’esercito anche loro che saranno, per la prima volta,
stipendiati perché sarà lo stato a comprare per loro l’armamento minimo → nasce il
concetto di esercito di professionisti cioè di militari, soldati che facevano le guerre non
perché obbligati dallo stato ma lo facevano di lavoro).

Dove si svolgono?
Non potevano riunirsi in città, nel Foro, perché erano l’assemblea del popolo in armi e
NESSUNO poteva entrare in Roma con le armi. Si riunivano quindi nel Campo Marzio che dal
nome rivela la sua origine (Marte è il dio della guerra).

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Quando potevano essere convocati?
Il console, tramite editto, poteva chiamarli a raccolta solo dopo aver individuato un dies
idoneus tra i dies comitiales cioè i giorni in cui erano lecito da un punto di vista religioso,
riunire un’assemblea (giorni fasti e nefasti). Inoltre tra la data di promulgazione dell’editto
e i comizi effettivi dovevano passare 24 giorni intervallo di tempo detto trinundinum (= 3
periodi di 9 giorni di mercato, feriali circa). In questo tempo i cittadini dovevano organizzarsi
per prendere parte all’assemblea.

Chi veniva convocato?


I cives, divisi per centurie, che sono coloro che hanno la cittadinanza romana (composta da
ius suffragi, diritto di voto + ius honoris, diritto dell’onore cioè il diritto di essere eletti). In
teoria chiunque fosse in possesso della cittadinanza, poteva candidarsi ma poi di fatto le
cariche erano appannaggio della nobilitas.

Chi poteva convocarli?


Consoli e pretori o, eccezionalmente i dictatores comitiorum habendorum causa e gli
interreges.

Funzioni principali:

- Proporre leggi che avevano a che fare con il diritto internazionale (guerre, trattati
pace/alleanza), funzione in linea con la natura di questa assemblea.
- Eleggevano i magistrati cum imperio
- Giudicavano i cittadini nei casi di emissione eventuale di pena capitale (per lo più in età
medio-repubblicana)
- Dichiaravano guerra

Anche questi sono basti sul voto collettivo. Il computo finale sarà basato sui voti delle singole
centurie → si vota centuriatim (centuria = sezione di voto). Lo spoglio avviene per centuria.
Fino al 241 a.C. si iniziava a votare dalla prima classe, poi si diffonde l’usanza della centuria
praerogativa = si votava a sorte per capire la prima centuria che avrebbe votato. Perché si
dice che la prima classe, con gli equites, comandava? Perché una volta che avesse votato la
centuria prerogativa (di qualunque classe essa fosse) l’ordine di votazione riprendeva dalla
prima classe e, poiché appena una centuria votava veniva reso noto il voto e visto che la
votazione si interrompeva non appena si raggiungeva la maggioranza (metà + 1) delle 193/95
centurie, ecco che subito si raggiungeva la maggioranza. Tra l’altro, normalmente, i più ricchi
erano sempre d’accordo e quindi spesso esprimevano già 98 voti (che è già la maggioranza
assoluta!!!). Non si tratta di scrutinio perché non tutte le centurie votavano (le classe più
povere spesso non arrivavano nemmeno a esprimere il voto perché si interrompeva appena
raggiunta la maggioranza). Il magistrato che aveva indetto le elezioni/votazioni esprimeva
infine, tramite la procedura della Renuntiatio, la decisione dei comizi centuriati. Il cittadino
sfila davanti al rogator pronunciando il nome del candidato e poi, con l’introduzione delle
leges tabellariae, lo scriveva su una tavoletta.

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3) Nati con la prima secessione sull’Aventino (495 a.C.) costituivano la riunione della plebe
divisi in tribù territoriali, con competenze analoghe ai comizi centuriati.

Funzioni:
- Giudiziarie (soprusi dei patrizi, prigione per debiti, ecc);
- Elettorali: eleggevano gli edili (della plebe)e i tribuni della plebe;
- Legislative: emettevano i plebisciti (plebis scitum da sciscere/scire = ‘interrogare la plebe’ e
quindi deliberare) che verranno poi equiparati alle leges publicae dalla Lex Hortensia.

4) Comizi dell’intera popolazione le cui sezioni elettorali erano costituite dalle tribù. Fine prima
guerra punica abbiamo un numero fisso di 35 (prima numero tribù in crescita perché Roma
continuava ad espandersi, ad espandere il suo ager: il nuovo territorio veniva fatto
corrispondere ad una nuova tribù oppure inserito in una tribù già esistente). Quindi un
totale di 35 voti! I cittadini iscritti in una tribù si esprimevano e la tribù diceva SI o NO.

Chi li convocava?
I magistrati cum imperio.
Funzioni principali:
- Legislative: su quasi tutti i campi della vita pubblica tranne in materia di guerra
- Elettorali: eleggevano tutti i magistrati sine imperium come i questori e gli edili (primi due
del cursus honorum)
- Giudiziarie

Dove si riunivano?
Nella città, in particolare nel Comitium cioè il Foro romano. Essendo il numero di cittadini
sempre maggiore, spesso venivano convocati nel Campo Marzio che era il luogo più ampio.
Anche qui (come in tutti) valeva il voto collettivo detto tributim (cioè per tribù). Il voto era
espresso viritim (= cittadino per cittadino) all’interno di ogni tribù ma era alla fine tributim ai
fini della delibera comiziale.
Differenza con i comizi centuriati: la votazione avviene contemporaneamente per tutte le tribù
MA qui lo scrutinio si interrompe non appena si raggiungeva la metà + 1 (18) mentre nei
centuriata ad interrompersi era la votazione.
I momenti più importanti sono quelli in cui l’elettore/votante riceveva una tabella (tavoletta
cerata) dove esprimeva il proprio voto e che veniva poi messa in una cista (urna) controllata da
alcuni custodes che si trovavano alla fine dei corridoi (saepta). La proclamazione dei voti
iniziava con la sortitio della prima tribù da scrutinare chiamata tribus principim (alter ego di
centuria praerogativa). Anche qui, dopo questa prima, si ricominciava a scrutinare. Anche qui
erano i più ricchi ad avere al parola definitiva perché, essendo proprietari terrieri, erano

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registrati nella maggioranza delle tribù (31 rustiche) mentre nelle altre 4 urbane erano
ammassati i meno ricchi che però esprimevano solo 4 voti!!!
Ager romanus = territori intorno a Roma, da coltivare.
Entro i comizi tributi vi erano poi alcune categorie che votavano in maniera particolare:
- i Latini, che abitavano nelle città latine (= quelle città che ricadevano nel Latium Vetus;
erano le città che componevano la Lega latina che comprendeva nel V secolo tutte le città
latine compresa Roma) di diritto latino che era simile al diritto romano ma che non era vera
e propria cittadinanza romana (e infatti non avevano diritto di voto finché stavano nelle
loro città di origine). Non appena un latino si trovasse a Roma nel giorno di una votazione
(per motivi commerciali ad esempio), quando erano chiamati i comizi tributi, egli acquisiva
il diritto di voto in quella singola votazione!! Non per questo diventava cittadino romano
cosa che succedeva solo in virtù dello ius migrandi, cioè i latini avevano il diritto di
trasferirsi a Roma acquisendo la cittadinanza romana. Per farli votare in quel giorno
specifico, veniva estratta a sorte una tribù entro cui questi latini sopraggiunti avrebbero
votato.

- Liberti: erano a tutti gli effetti cittadini romani (o almeno in parte). Essi erano gli schiavi
liberati dai propri padroni. Gli schiavi non erano considerati cittadini ma, se liberati, lo
diventavano con limitazioni: liberti era un nome che indicava il loro stato di ex schiavo e
inoltre non votavano in tutte le tribù (anche se avessero avuto residenza in una tribù
rustica) ma solo in quelle urbane allora il loro voto era annullato perché disperso nella
massa di voti individuali delle tribù urbane. Oltretutto i liberti non avevano neppure lo ius
honoris e quindi non potevano candidarsi alle magistrature (avevano quindi solo il diritto
elettorale attivo, ma non passivo). Dal IV secolo a.C. il voto dei liberti venne ristretto
sempre più fino ad essere concentrato in una sola tribù urbana, l’Esquilina.

Il voto, fino agli anni ’30 del II secolo a.C., fu solo ORALE, quindi non segreto.
Questo fino alla Lex Gabinia (139 a.C.) che introduce il voto scritto.
Quando il voto era orale era ancora più facile per i ricchi perché potevano controllarlo e quindi
comprarlo preventivamente (controllando poi che si mantenesse la promessa). Presso il rogator,
colui che, fino a questa legge, chiedeva al votante per chi volesse votare, si trovavano spesso dei
compagni/collaboratori dei candidati che dovevano controllare le operazioni elettorali → per un
candidato era molto facile sapere se un cittadino aveva o meno votato a suo favore.
Nel 139 a.C., o più precisamente negli anni ’30 del II secolo a.C., era finito da un pezzo lo scontro
tra patrizi e plebei (Lex Hortensia) tuttavia ancora i ricchi controllavano il voto. Cicerone, che nel I
secolo a.C:, divenne un importante esponente della nobilitas ebbe a criticare duramente 3 leggi:
- Lex Gabinia (139 a.C.) introduce il voto scritto nei comizi elettorali;
- Lex Cassia (137 a.C.) introduce il voto scritto nei comizi giudiziari;
- Lex Papiria (131 a.C.) introduce il voto scritto nei comizi legislativi.

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Perché? Vi riconosceva il momento in cui il popolo si era liberato del controllo dei membri di
spicco della nobilitas. Secondo lui queste leggi furono una disgrazia perché tolsero ai nobiles, che
per Cicerone rappresentavano la miglior parte (gli optimates), il controllo sulla maggior parte della
popolazione. Al contrario i populares, cioè quelli (appartenenti alla nobilitas) che anche solo per
convenienza politica, prendevano le parti dei più poveri apprezzavano questd leggi e in particolare
la Lex Gabinia perché viste come il momento in cui finalmente i cittadini si liberavano del controllo
della nobilitas.
[Ovviamente ricordiamo che non si ragionava in termini di democrazia che non c’era! Ma queste
leggi portarono un grande contributo nella lotta politica. I politici di Roma, fossero essi in favore
della classe senatoria e quindi più conservatrici (come Cicerone) o fossero più inclini verso le classi
subalterne (con l’obbiettivo di fare carriera cercando l’appoggio delle classi medio-basse e quindi
APPARENTEMENTE populares), ad ogni modo venivano SEMPRE dalla nobilitas. Se non facevano
parte della nobilitas (homines novis) erano comunque appartenenti a famiglie molto ricche
(Cicerone da Arpino, nel Lazio). Vedremo poi tra il 30 e il 20 del II secolo a.C. i moti graccani
periodo in cui ci furono molte misure prese a favore del ‘popolo’ cioè cittadini privi di mezzi
economici].

Il rogator segna con un puntum, nella sua tavola, il voto espresso e le tavole vengono messe poi
nella cista per essere scrutinate. Infine: Renuntiatio (vd sopra).
Durante l’impero le assemblee non decaddero del tutto subito ma furono ridimensionate nella
possibilità di esprimere la loro opinione in ambito legislativo, giudiziario ed elettorale: furono
subordinate al volere dell’imperatore. Come ci dice Cassio Dione, storico greco nonché senatore
romano nell’età severiana, questa incoerenza tra il funzionamento di un istituto repubblicano
come le assemblee e l’esistenza dell’imperatore fu solo apparente perché, da Augusto in poi, nulla
poteva accadere che non fosse voluto dall’imperatore che, grazie al suo peso morale, riusciva a
dominare anche i comizi. Il popolo sentiva l’autorità dell’imperatore e non poteva fare a meno di
votare il candidato indicato dall’imperatore (commendatio dell’imperatore) quindi non era un
obbligo sulla carta ma in concreto si.
In età augustea avanzata e poi in età tiberiana, avremo un nuovo metodo: alle assemblee
repubblicane si aggiunsero le centurie destinatrici (in numero di 10, poi 15) cioè dei nuovi gruppi
elettorali formate da un numero vario di senatori e cavalieri, che progressivamente assunsero il
ruolo dei vecchi comizi centuriati e fu demandato a loro la funzione di eleggere i magistrati. In
questo sistema i vecchi comizi centuriati continuavano ad esserci ma non potevano che dire SI
perché veniva presentato loro un candidato che addirittura era già stato approvato dalle centurie
destinatrici su spinta/raccomandazione dell’imperatore.
Magistrature (prossima lezione)
Consoli, pretori, questori, edili (tutti creati dal V secolo a.C.) continuarono ad esistere almeno
nominalmente anche in età imperiale. Questori ed edili continuano ad avere funzioni reali; i
consoli avevano perso molto del loro potere originario (potevano chiamare i comizi, indire
elezioni, promulgare legge) MA solo su impulso imperiale.

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Lezione 8 – 13 marzo 2020
Le magistrature
Caratterizzate dalla collegialità, tratto distintivo della repubblica. Affianco alle magistrature che
consociamo esistevano anche i 10 tribuni della plebe.
Testimonianza di Aulo Gellio che ci tramanda, nelle sue “Notti Attiche”, importanti notizie su
aspetti istituzionali di Roma. In questo passo parla degli auspici. Concetto importante: equivalenza
della capacità di trarre gli auspici per i magistrati dello stesso tipo. Gli auspici andavano tratti
anche prima di esercitare lo ius intercessionis. Un console quindi NON POTEVA bloccare l’azione di
un censore (che aveva imperium maggior rispetto ai consoli) ma poteva farlo solo con un suo
collega o con una magistratura di rango inferiore. Si inserisce qui l’idea della gerarchia delle
magistrature stesse basata sui diversi tipi di imperium (che pretura, consolato e censura avevano).
C’erano quindi auspicia di livello maggiore e inferiore.
Tale gerarchia si era stabilita.
- In funzione dei criteri giuridico-religiosi dell’imperium e dell’auspicium;
- In funzione della capacità giurisdizionale (potestas) di ciascuno di loro.

Altro dato che introduce Gellio è quello della potestas: i magistrati apicali erano in possesso
dell’imperium e della potestas (posseduta anche dai magistrati inferiori). Essa è la capacità di ‘dire
il diritto’ che i vari magistrati potevano esercitare in maniera differente.
Quindi tutte le magistrature avevano la potestas (se pur in forme diverse), non tutte l’imperium.
Ecco perché oggi si distingue tra magistrature superiori e inferiori.
Superiori → possiedono imperium e gli auspici maggiori (pretori, consoli, censori, dittatori ed
interreges). Solo i pretori e i consoli sono magistrature annuali ordinarie; i censori venivano eletti
ogni 5 anni; i dittatori e gli interreges erano NOMINATI e restavano in carica per poco (massimo 6
mesi e 5 giorni rispettivamente).
Inferiori → senza imperium militare e senza capacità di trarre gli auspici. Tribuni militari, collegi
dei 3 incaricati delle pene capitali, il collegio dei 10 incaricati dei processi di libertà, i questori e
gli edili in ordine di importanza e cronologico. Eccetto i tribuni militari tutte le altre cariche
restavano in carica 1 anno. Il nuovo anno consolare iniziava a Gennaio e i consoli servivano anche
ad indicare l’anno (annali). Un anno a Roma si indicava nominando i consoli in carica in quell’anno
(in Grecia si contavano gli anni per olimpiade).
Cursus honorum = sequenza ben precisa che prevedeva:
tribunato militare (cioè il servizio militare) → esercizio di una delle cariche più basse (collegio di
3/10 individui visto prima) → questura → edilità → pretura → consolato → censura (questo solo
dal IV secolo a.C. perché prima di questa data abbiamo censori ancora prima di aver rivestito il
consolato).

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Questo è frutto del lavoro di secoli perché nel IV secolo ancora essa non si era cristallizzata.
Cursus = ‘sequenza’ e honorum = ‘degli onori’. Perché non si dice magistratus? Perché una
magistratura era considerata come un honor = sia ‘carico, onere’ che ‘onore’. Onere perché coloro
che rivestivano le magistrature non venivano retribuiti ( e per questo dovevano già essere ricchi).
Alla fine della repubblica i politici avevano assoluta necessità di grandi quantità di denaro perché
le magistrature prevedevano delle grandi spese (spesso dovevano mettere mano alle proprie
casse: gli edili ad esempio per organizzare i ludi, doveva contribuire all’organizzazione). Poi, per
traslato, il termine arrivò ad indicare anche l’onore, il prestigio sociale che derivava dal rivestire
una magistratura.
Anche il senato presentava al suo interno una gerarchia secondo il gradus dignitatus determinato
non solo dalla ricchezza ma anche dall’età e dal tipo di magistratura che prima si era rivestita. Il
senato ancora in età tardo repubblicana era diviso tra patrizi e plebei e i senatori patrizi erano
coloro che potevano nominare interreges perché erano gli unici a poter trarre gli auspici. Era
l’unico luogo dove la differenza tra patrizi e plebei conservava una certa rilevanza giuridica.
Dopo la metà del III secolo (e fino alle riforme sillane) si eleggevano ogni anno: 24 tribuni militari, 8
questori, un numero variabile di edili e 2 consoli (struttura piramidale). La dittatura e la censura
escono un po’ dal cursus perché non sono cariche elettive e perché non sono necessarie! Vi erano
limitazioni anagrafiche: nell’età della tarda repubblica (quando visse Cicerone) si poteva accedere
alla questura intorno ai 30 anni ad esempio e non si poteva quindi diventare console prima dei 40.
PRETURA
Fino alla fine della prima guerra punica (242 a.C.) esisteva un solo pretore (con imperium minore
rispetto a quello dei consoli) che aveva funzioni militari ma che a Roma, una volta deposte le armi,
si occupava di amministrare la giustizia.
Dal 242 in poi, con la creazione della prima provincia romana (Sicilia), venne introdotto un secondo
pretore, eletto dai comizi centuriati, il cosiddetto praetor peregrinus cioè il ‘pretore straniero’. Il
suo compito era quello di amministrare la giustizia nelle controversie che vedevano contrapposti
cittadini di Roma e altri individui che non erano cittadini di Roma come ad esempio i cittadini della
provincia di Sicilia che erano stranieri, peregrini giuridicamente ma cmq sotto la giurisdizione di
Roma. Questa figura viene quindi introdotta quando ci sono nuovi cittadini nel territorio romano in
espansione che però non sono cittadini romani bensì cittadini provinciali.
Da questo momento il vecchio pretore viene detto praetor urbanus e si occupava delle
controversie tra cittadini romani e cittadini romani.

Introduciamo ora i promagistrati (proconsole o propretore): dalla fine IV secolo a.C. si iniziò, per
motivi diversi, a nominare (no eleggere) dei magistrati che decadevano dalla carica (di console o
pretore, alla scadenza dell’anno) ma mantenevano alcuni aspetti del loro potere. Per quello stesso
anno venivano eletti contemporaneamente i nuovi consoli/pretori. Il primo caso di questa
prorogatio imperii si ebbe nel 326 a.C. circa quando, sotto la minaccia dei sanniti, il senato
prolungò l’imperium del console di quell’anno affinché finisse di portare avanti l’azione militare.

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Ma questa pratica venne usata anche in un altro caso : per l’amministrazione delle province. Dalla
fine della prima guerra punica, Roma iniziò a costruirsi il suo sistema provinciale (Sicilia, Isole di
Sardegna e Corsica, Spagna, Africa,ecc propagandosi nel Mediterraneo, nelle coste settentrionali
dell’Africa, nell’Asia minore, in Grecia, fino a poi arrivare a includere tutta Europa fino all’odierna
Inghilterra in età imperiale avanzata) dove le province erano territori ampi sottoposti al controllo
di Roma, anche fiscale, ma abitate da cittadini non romani!
Roma inizialmente scelse di mandare come governatore (termine moderno) in provincia un
propetore che si occupava di amministrazione militare, finanziaria di quel territorio. Perché si
chiama provincia? In origine il termine indicava i compiti con cui un magistrato era eletto quindi
provincia = ‘scopo’; successivamente quando i promagistrati furono inviati nelle varie province per
governarle, si ebbe per traslato il passaggio semantico del termine che iniziò ad indicare anche il
territorio.
Si iniziò a capire che non era più sostenibile eleggere tanti magistrati quante erano le province
perché sarebbe stato un numero sempre crescente, e dunque si scelse (tramite sorteggio o altri
sistemi) di inviare nelle province degli ex pretori/consoli con il rango di pro consoli/pretori in virtù
di un imperium militiae ma solo per le truppe stanziate nella loro provincia.

DITTATURA
Non è una vera magistratura perché non è elettiva ma nominato da uno dei consoli (in accordo
con il senato). Vi si ricorreva solo in circostanze straordinarie cioè quando le magistrature più alte
si rivelavano insufficienti a gestire avvenimenti che riguardavano la città. Alcune th vogliono la
dittatura una magistratura di origine latina cioè essa sarebbe stata un’antica magistratura
monocratica latina (delle città che componevano la Lega) da cui Roma avrebbe preso esempio.
Quello che sappiamo è che certamente nelle città latine il dictator era la figura più potente e lo
stesso avvenne a Roma perché la dittatura fu superiore anche ai consoli MA bilanciata dalla durata
ridotta (6 mesi) e inoltre il consolato era eletto ogni anno, la dittatura solo in emergenza e doveva
attenersi al compito per cui era stato nominato.
Tutte le magistrature erano sottoposte al dittatore compreso il tribuno della plebe (Leggi Valerie
Orazie: nessuna carica era immune dallo ius intercessionis del tribuno della plebe ECCETTO la
dittatura!).
Il dittatore poi nominava un suo collaboratore (magister equitum) e questo rivela la natura
strettamente militare di questa carica (almeno alle origini): nelle città latine era una figura che si
nominava in emergenza bellica, a Roma invece si nominava, nel corso del III secolo, anche per
sostituire i consoli in carica quando questi erano assenti ad esempio:
- potevano indire le elezioni nel caso in cui a Novembre, periodo in cui andavano eletti i
consoli per l’anno successivo, i consoli non fossero presenti (si parla di dictator comitiorum
habendorum causa);
- oppure potevano essere nominati durante alcuni riti religiosi, prerogative del console,
sempre in assenza del console in carica;

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- o ancora poteva essere nominato per il reclutamento del senato laddove, per morte o altri
motivi, si scendesse sotto il numero di 300; in questo caso se non si poteva ricorrere né a
un console né a un censore, ecco che si nominava un dictator senatus legendi causa.

La dittatura scomparve per molto tempo nel 202 a.C.: alla fine della seconda guerra punica si
nominò un dittatore e poi per più di un secolo, fino a Silla, non ce ne sono stati più. Come lo
sappiamo? Dalle fonti storiche e poi ce lo dicono i Fasti che non registrano più anni dittatoriali.
Perché? Verosimilmente nel corso della seconda guerra punica (Annibale) furono reiterate le
nomine di dittatori di vario genere quindi si abusò così tanto, secondo la storiografia moderna, che
si preferì non ricorrervi più perché era (pur essendo una figura repubblicana) un potere
monocratico, vicino al re, e quindi non ben visto dai romani.
Gli ultimi due dittatori di Roma (di tutta la storia di Roma) furono Silla e Cesare che
cronologicamente furono in carica per più di 6 mesi (Cesare fu dittatore perpetuo fino alla sua
uccisione, Silla non lo fu perché si ritirò ma rimase comunque in carica più del dovuto). Queste due
dittature furono nuove anche per la motivazione: rei publicae constituendae = ebbero lo scopo di
riformare lo stato! Silla portò avanti una vera e propria riforma dello stato (aumentò ad esempio
il numero dei senatori a 600). Con l’età imperiale, la dittatura fu abolita perché non poteva
coesistere con un’altra figura apicale come quella dell’imperatore.

LA CENSURA
I censori erano 2 in età storica. Ogni 5 anni dovevano portare avanti la discriptio classum cioè il
censimento, la suddivisone/distribuzione in classi del corpo civico romano. Oltre a contare i
cittadini quindi bisognava anche dividerli in classi. Fino al IV secolo la censura ebbe un ruolo di
secondo piano infatti poteva essere rivestita prima di consolato e pretura perché bisognerà
aspettare che questo sistema di collegamento tra censo e diritto politico entrasse pienamente a
regime e bisognava aspettare anche che si superasse la separazione tra patrizi e plebei perché
impediva a questa regola del censo di agire (perché finché i plebei furono esclusi, potevano essere
ricchi quanto volevano ma non sarebbero mai stati registrati nelle alte classi di censo alte perché
li, fino ad Appio Claudio, venivano registrati solo i proprietari terrieri e quindi i patrizi).
La censura divenne quindi importante quando si iniziò a calcolare anche i beni mobili e quando i
censori, grazie alla Lex Ovinia (318-312 a.C.), si videro affidato il compito di organizzare il
reclutamento del senato (lectio senatus da legere = in latino è anche ‘scegliere’). Il censore quindi
doveva formare la lista (album) di coloro che, per censo, per aver rivestito una magistratura o
moralità, avevano il diritto di sedere nel senato. Da questa lista poi sia andavano prendere, mano
a mano che i senatori morivano, i sostituti → si costituiva così l’ordo senatorius (ordine
senatoriale).
I censori controllavano, come detto, la moralità dei senatori da iscrivere nella lista e tale controllo
si chiamava regimen morum = ‘regime dei costumi’. Una delle regole del mos maiorum era quello
che a un certo punto fu interdetto ai senatori di portare avanti attività commerciali ritenute non
appropriate (poteva farlo tramite un prestanome; pena: non entrare nella lista dei possibili
senatori).

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Altro compito per i censori, da Appio Claudio in poi, fu quello di portare avanti la recognitio
equitum per portare avanti il censimento dei cavalieri.
Il censore avrebbe poi potuto emettere la nota censoria (provvedimento del censore in ambito
morale) con cui poteva interdire la carriera politica a un individuo per un certo tempo (laddove
avesse avvertito un pericolo): ARMA POLITICA NON INDIFFERENTE.
La censura aveva quindi un gran peso politico.
Alla fine della censura c’era una cerimonia religiosa chiamata lustrum attraverso cui si purificava la
città e si ripartiva con una nuova carica censoria.
Ecco perché poi lustrum passo ad indicare un intervallo di 5 anni!!!
Soprattutto dopo Silla, essa non fu più esercitata regolarmente. In età imperiale poi il censimento
veniva effettuato dall’imperatore.

Lezione 9 – 19 Marzo 2020


Iniziamo ad analizzare i rapporti di Roma con le altre popolazioni dell’Italia antica e poi con altre
regioni del Mediterraneo: ESPANSIONISMO ROMANO, processo tramite cui Roma riuscì a
diffondere il suo controllo su porzioni sempre maggiori di territorio. Per controllo non si intende
l’espansione dell’ager romanus (quindi dal punto di vista giuridico) ma intendiamo che i territori
che erano soggetti al potere di Roma. Avevamo già visto le province ma esse sono un fenomeno
che si colloca già nel III secolo a.C. avanzato, al contrario l’espansionismo di Roma vide le sue
prime fasi sul suolo italico tanto è vero che secondo alcuni moderni, fu sul suolo italico, che Roma
fu in grado di codificare quegli strumenti di imperialismo che poi la porteranno a dominare l’intero
bacino del Mediterraneo ed oltre.
Oggi vediamo le fasi tra VI-IV secolo a.C.: guerre che Roma ebbe da un lato con la popolazione
latina, dall’altro con gli etruschi due popolazioni che in età monarchica ebbero un ruolo
fondamentale per la genesi di Roma (Roma fu fondata anche da genti di stirpe latina, oltre che dai
mitici troiani e molti re venivano dall’Etruria).
Lo scontro fu dovuto alle dimensioni sempre più importanti che Roma stava assumendo (anche i
greci nel V secolo iniziarono a parlare di Roma a testimonianza che la città iniziava ad essere
conosciuta aldilà delle coste italiche).

Roma VS Latini
Le prime città che ebbero a che fare con Roma sono le città della Lega latina cioè appartenenti al
nomen latinum (= ’nazione latina’). L’utilizzo del termine nomen eccezionalmente veniva usato
per indicare una popolazione esterna a Roma e se viene fatto è proprio perché i latini ebbero per
Roma un ruolo fondamentale, ruolo che venne riconosciuto da Roma stessa. I romani dunque
indicava le varie popolazioni del Lazio (Volsci, Equi, Sabini ma anche gli Etruschi che vivevano nella
parte settentrionale del Lazio moderno) con il termine populus mentre, per i latini, utilizzava

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anche il termine nomen latino (con risvolti giuridici ed etnici particolari) proprio per riconoscergli il
grande ruolo che ebbero. Il termine nomen indicava anche una comunanza etnica, una distinzione
che separava etnicamente e poi giuridicamente, il popolo latino dalle altre.
È importante la distinzione, che anche Cicerone fa, tra nomen e civitas:
- nomen = popolazione etnicamente riconoscibile dalle altre (per lingua, religione, origine
mitica, ecc). Vi si poteva far parte solo se si proveniva dallo stesso ceppo genetico.
- civitas = cittadinanza che si poteva avere anche se non si era nati in quel posto specifico →
Era un fatto meramente giuridico.

Lazio antico (Latium Vetus) area intorno alla città di Roma in cui ricadevano le città latine. Fu la
prima area ad essere interessata dall’espansione del dominio romano. A Nord del Tevere invece
abbiamo Veio (etrusca), Pirgi (nei pressi dei quali vengono le laminette d’oro testimonianza di
lingua etrusca), Cere (etrusca anch’essa). Tutte queste città vennero incorporate nel territorio
romano divenendo vero e proprio territorio romano (a differenza di altri territori che verranno
dominati da Roma senza però entrare a far parte dell’ager romanus).
Guerre romano-latine: così chiamate perché furono molti i contrasti tra Roma e Lega latina
(confederazione che riuniva tutte le città latine).
Tra i più importanti scontri (aldilà degli episodi miti dell’età monarchica con Anco Marcio)
ricordiamo:
1) Battaglia del Lago Regillo (499/496 a.C.)

Fu il climax della prima guerra che si combatté nel primo decennio del V secolo a.C.
- Quando si conclude? 493 a.C. - Foedus Cassianum

Cioè con la stipula del Trattato romano-latino (che prende il nome dal nome del console che lo
firmò, Spurio Cassio Vecellino): pone Roma, città comunque latina poiché di fondazione mitica
latina, a capo della Lega latina.
- Fino a quando rimase valido? Fino al 390 a.C quando, in occasione del sacco gallico,
approfittando della debolezza di Roma, i latini vi ripresero le ostilità.

Roma si scontrò con tutta la Lega latina (tranne poche città che passarono dalla parte di Roma).
In età monarchica la Lega era costituita da 8 città
tra cui la più importante era Alba Longa fondata secondo il mito da Ascanio, da cui sarebbero
arrivati Romolo e Remo → ecco perché Roma si considera città latina
In età repubblicana diventano 35
Questa Lega fu sciolta nel 340-338 a.C. al termine di quella che viene chiamata la guerra la grande
Guerra romano-latina che portò all’incorporazione dei territori dell’ex Lega entro l’ager romanus.

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La Lega latina aveva come divinità principale il culto di Iuppiter Latiaris = ’Giove Latino’ (culto
latino) che veniva celebrato ogni anno in un bosco, sul mons Albanus nelle vicinanza di Alba Longa,
in occasione delle festività latine (Feriae Latinae ) a cui prendevano parte tutte le città latine e
anche Roma. Roma faceva parte della Lega latina proprio perché era legata per le origini e perché
condivideva con essa questo culto.
Quando la Lega cadde sotto il dominio di Roma, le festività latine furono prolungate di qualche
giorno per celebrare la preminenza di Roma e anche perché fu Roma da quel momento in poi a
scegliere le date. Queste festività furono celebrate anche quando ormai il Cristianesimo si era
ampiamente diffuso e furono abolite solo nel 392 d.C. con l’editto di Teodosio che proibì
qualunque rito pagano.

Vediamo gli scontri


Tarquinio il Superbo, in fuga da Roma, trovò ospitalità a Tusculum dove viveva il genero Ottavio
Mamilio che egli mosse alla guerra contro Roma.
↓ Livio lo definisce princeps latini nominis (=’principe della nazione latina’
espressione che non riusciamo a interpretare, non sappiamo se fosse una carica ma sappiamo solo
che sicuramente era molto importante entro la Lega latina). Egli si adoperò per riportare Tarquinio
a Roma → Roma reagisce nominando un dittatore, console in quell’anno, forse di origine latina
(questo fa propendere per il fatto che Roma, già a quell’epoca, fosse città latina e quindi molti
storici vedono in questo fatto un primo scontro tra Roma e Tuscolo). Il primo scontro avvenne
presso il Lago Regillo, vicino a Tuscolo = Roma il cui esercito era numericamente inferiore, portò lo
scontro molto vicino a quella città con cui stava combattendo (strategico), in un’area quindi
facilmente difendibile. L’intervento di Tarquinio è quasi certamente un fatto mitico che però forse
nasconde l’appoggio che gli etruschi diedero ai latini per contrastare la forza dei romani.
Livio, narrando della battaglia in questione, ci rimanda subito all’idea per cui ci fosse un’alleanza
tra etruschi (Tarquini) e latini e ci dice come i romani, sapendo della presenza dell’odiato re
etrusco, furono animati dall’ira al combattimento.
La guerra si concluse a favore dei romani, con il dittatore Mamilio, di Tuscolo, che rimase ucciso
nella battaglia → T. fu costretto a fuggire presso il tiranno di Cuma dove muore nel 495. Livio ci
dice che quando si seppe che T. era morto sia il senato che la plebe furono entusiasti.
Il console dittatore (Aulo Postumio) che guidò questa battaglia ottenne il cognonem ex virtute
“Regillense” = usanza dei romani di aggiungere ai generali vittoriosi un cognomen ex virtute
quando il console si era distinto in battaglia (altro caso: Publio Cornelio Scipione l’Africano così
chiamato per i fatti bellici condotti in Africa nella seconda guerra punica, a seguito della battaglia
di Zama). Altro esempio è Gneo Marcio che aveva preso parte alla battaglia e che acquisirà il
cognome ex virtute “Coriolano” perché conquisterà Corioli, la città dei Volsci, mentre Roma era
occupata a firmare il trattato con i latini. Per il valore dimostrato qui e nella battaglia del Regillo,
Gneo Marcio ottenne la corona civica = una delle massime onorificenze romane che veniva data a
qualunque romano che avesse salvato in battaglia un altro romano, mantenendo la posizione
occupata fino a fine battaglia. La procedura era molto spigolosa: non era ammessa la

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testimonianza di un terzo ma solo quella del cittadino salvato. Augusto la avrà per aver salvato
TUTTI i romani, ponendo fine alle guerre civili.
In questa battaglia, secondo le fonti, il dittatore romano aveva chiesto aiuto ai Dioscuri (coppia di
divinità nata da Zeus e Leda dopo che lui si era trasformato in cigno per possederla → 2 uova: una
con Castore e Polluce, l’altra con Clitennestra ed Elena) che accorsero in loro aiuto. Il dittatore
avrebbe poi promesso in voto a questi dèi di dedicare loro un tempio e così fu nel 484 a.C. (notizia
storica) → è verosimile che in quegli anni vi sia stato l’ingresso del culto dei Diòscuri entro Roma
che fu poi trasfigurato nel mito degli dei che presero parte alla guerra contro i latini.
C’era stato prima un altro mito uguale: nel VI secolo Battaglia del Fiume Sagra che vede
contrapposte le città di Locri e Crotone (2 città della Magna Grecia) e in cui Locri chiese aiuto a
queste divinità sempre promettendo di erigere un tempio in loro onore → dimostrazione che
quella del Lago Regillo fu ricalcata su imitazione di questo precedente.
Aldilà del fatto mitico, siamo certi che più o meno a inizio V secolo questo culto entrò a Roma in un
ambito che aveva a che fare con i latini (quindi riguardava da vicino il contesto): iscrizione su un
lamina, molto arcaica, in cui è scritto “Castorei Podlouqueique qurois” dove qurois è chiaramente
un calco del termine greco kourois (dialetto dorico) che era un epiteto tipico del culto dei Dioscuri
in Grecia e in Magna Greca (= Sud Italia dove un culto importante di questa coppia divina era
dedicato a Taranto, colonia di Sparta). Questa laminetta proviene dal Latium Vetus cioè dalla
stessa area in cui Roma ebbe ad agire in quei secoli (sono tutti elementi che rimandano alla
battaglia che, anche se rivestita di mito, ha un riscontro storico).

Cosa previde il trattato Cassiano? Regolò i rapporti tra Roma e le altre città della Lega Latina (da
questo momento Roma vi entrò ufficialmente) stabilendo:
- Alleanza, su un piano di parità tra Roma e le altre città latine (solo teoricamente);
- Ogni città, a turno, comanda l’esercito comune (anche questo teoricamente);
- Stabilì dei privilegi che legavano Roma e le altre città differenziandole dal resto delle città
del Lazio che non facevano parte della nazione latina. Quindi accomunò queste città da un
punto di vista giuridico (da cui il concetto di diritto latino cioè di una cittadinanza che, pur
non essendo pienamente romana, era cmq in una posizione privilegiata proprio per questa
comunanza giuridica stabilitasi).
Stabilì quindi
● ius connubis = diritto di matrimonio
● ius commerci = diritto di tenere rapporti commerciali.

A cui si aggiungeranno, alla fine della guerra romano-latina

● ius migrandi = diritto per un latino di emigrare/trasferirsi a Roma


● ius suffragi = diritto per un latino di votare a Roma se si fosse trovato lì nel giorno delle
elezioni.

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Tutti diritti che ribadivano il rapporto privilegiato tra Roma e le altre città latine dimostrato
anche dall’aggiunta di un terzo giorno alle ferie latine dedicato all’aggiunta di Roma tra le
città della Lega.
Il trattato durò fino al 338 a.C. quando, a seguito della guerra latina, Roma sciolse la Lega.

L’ultimo capitolo dei rapporti tra romani e latini fu la Guerra romano-latina (340-338 a.C.) i cui
antefatti vanno cercati nell’assetto che si era formato tra Lazio meridionale e Campania
settentrionale durante la prima guerra sannitica che si era conclusa con un trattato che
riconosceva ai romani una nuova e ampia zona di influenza che arrivava fino al fiume Liri (verso la
Campania settentrionale)

ampliarsi verso Sud (oltre il Lazio propriamente detto) del potere di Roma
La prima guerra sannitica era scoppiata a seguito delle richieste d’aiuto rivolte dai Sidicini di Teano
e da Capua ai romani contro i Sanniti. La popolazione di Teano (Campania settentrionale) fu invasa
dai Sanniti e per questo chiese aiuto a Capua che non resse il nemico e quindi si rivolse a Roma. La
guerra finì con una parità (la tradizione romana dice che vinsero i romani) e noi possiamo dirlo
con certezza perché si concluse con un rinnovo del trattato (354 a.C.), che già vigeva prima delle
guerra, che fissava al fiume Liri il discrimine tra l’area di influenza romana e quella di influenza
sannitica; semmai quello che entrambi guadagnarono fu che i Sanniti si tennero Teano e Roma
riuscì a sottomettere Capua e con essa, indirettamente, tutte le città che erano sottoposte a Capua
(città a capo della Lega campana).
Questo potere di Roma creò malcontento negli abitanti di Teano, Capua e anche nei latini, se pur
non coinvolti → alleanza tra Latini, Campani, Sidicini, Aurunci e Volsci contro Roma che trovò
un inaspettato alleato nei Sanniti : RIBALTAMENTO.
Noi teniamo la datazione 343-341 a.C. per questa guerra ma sappiamo che le date della prima
guerra sannitica sono problematiche tanto è vero che alcuni ne negano l’esistenza e vedono
piuttosto nella più grande guerra contro i latini, un intermezzo sannitico.
La guerra romano-latina durò pochi anni (date incerte) e fu traumatica per i latini perche quella
30ina di città che facevano parte della Lega, furono trattate da Roma in maniera diversa:
- Alcune entrarono a far parte dello stato romano come municipi ( all’epoca = città sul
territorio romano, non di cittadini romani, in possesso di una certa autonomia politica
interna ma privi di autonomia per la politica estera);
- Altre ottennero lo status di città di diritto latino e in quanto tali godevano dei diritti antichi
(ius connubi e commerci a cui si aggiunsero ius migrandi e suffragi);
- Altre ottennero alcuni diritti dei cittadini romani, furono obbligati ad essere censiti e quindi
a servire come soldati, come alleati accanto alle legioni romane (NON furono cittadini
romani pieni perché NESSUNO OTTENNE LA CITTADINANZA ROMANA COMPLETA);
- Altre città che si erano ribellata a Roma, persero i loro privilegi/status di città latine (anche
giuridicamente) e diventarono città straniere che i romani trattarono come città alleate (i
socii di Roma come Tivoli e Preneste). Anche loro autonomia per politica interna, non

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invece per politica estera + erano obbligate a dare soldati a Roma per le truppe ausiliari.
Loro mantenevano il proprio territorio che non era inglobato in quello romano.
- In Campania le città, come quella di Capua, ottennero la civitas sine suffragio cioè una
cittadinanza romana limitata (no diritto del voto!).

Roma mise in campo tanti strumenti diversi per gestire i rapporti con le città della ex lega: Roma
non applicava mai lo stesso strumento di controllo e, secondo gli studiosi, questa elasticità fu un
po’ la chiave del suo successo. Alcune divennero colonie (città con diritto latino che godevano di
privilegi con Roma), altre divennero socie (alleate e come tali dovevano pagare tasse e fornire
truppe), altre ancora ottennero una semicittadinanza.

Roma VS Equi e Volsci


Più frequenti e si protrassero per oltre due secoli dopo la cacciata dei Tarquini:
durarono fino al 304 a.C. → sottomissione definitiva degli Equi (ultima popolazione laziale che era
stata in grado di resistere a Roma) alla fine della seconda guerra sannitica.
Roma VS Etruschi

A parte i latini, i Campani (più tardi: IV secolo inoltrato), e le popolazioni minori come Volsci ed
Equi, l’altro grande nemico dell’Italia antica di Roma furono gli Etruschi.
L’Etruria storica corrisponde a parte dell’Umbria, al Lazio settentrionale e all’intera odierna
Toscana MA, in cartina (nella slide 01:04:56) vediamo l’area di INFLUENZA etrusca che include
anche Roma che si trova proprio al confine tra confine etrusco vero e proprio e un’area di
influenza etrusca che si spinge fino all’area campana intorno a Cuma. Roma si trovava proprio al
centro di questi tratti commerciali che andavano dal cuore dell’Etruria all’Italia meridionale,
dove c’erano i Greci.
Le città etrusche erano città stato, come quelle greche (polis) e come sarà Roma (come la
definiscono le più antiche fonti greche).
Politica interna: rette o da un monarca o da un’oligarchia (classe ristretta)
Politica estera: erano tutte indipendenti , ciascuna con un’ager di riferimento ma erano tutte unite
in leghe/confederazioni che in questo caso si chiamano dodecapoli (=12 città). Noi consociamo
storicamente diverse confederazioni di 12 città tra cui spicca quella che aveva nella città di Cere
(oggi Cerveteri) il principale centro e tra le altre città Veio e Tarquinia (nome che tradisce la
possibile origine dei re romani).

Tra VI e V secolo a.C.

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- Fatto che dimostra che Roma fosse una città a tutti gli effetti da considerare città etrusca
dopo la caduta della monarchia:

Primo trattato romano-cartaginese (509/508 a.C.)


che fu il primo di una lunga serie. Datazione sospetta ma aldilà di questo a noi importa il suo
contenuto: tende a preservare le coste del Lazio dalle scorrerie dei Cartaginesi, stabilendo che i
Cartaginesi non possono sbarcare sulle coste del Lazio. I moderni notano come è molto strano
che a quell’altezza Roma, che era poco più di una polis etrusca, si preoccupasse di stipulare un
trattato con Cartagine che era una grande potenza prettamente marittima (come gli Etruschi nel
Mar Tirreno). Un trattato che preservasse la costa laziale, avrebbe quindi avuto senso per gli
Etruschi.

Si capisce bene quindi che questo trattato è nato in un contesto in cui Roma era ancora da
considerarsi come una città fortemente etruschizzata.

- Aristodémo di Cuma (tiranno presso cui si era rifugiato Tarquinio) si trovò insieme ai Latini
ad affrontare gli Etruschi nella battaglia di Aricia (aldilà dei tratti sicuramente mitici è
storicamente attendibile poiché rimanderebbe alla tensione tra Etruschi e Latini nel Lazio)

- Prima spedizione contro Veio nel 479 a.C. (con cui ebbe a combattere ben 4 guerre) con
cui si contendeva il controllo del tratto finale del Tevere (importante per il commercio). Le
fonti la indicano come una sorta di guerra gentilizia perché non fu l’intero corpo civico
romano a prendervi parte ma solo la Gens Fabia (i Fabii) famiglia patrizia antichissima di
Roma (da cui Fabio Pittore e Il temporeggiatore). È chiaro che questa guerra fu guidata dai
Fabi che si portarono dietro i loro clientes. Fu una disfatta per i Fabi ma cmq fu motivo di
gloria per loro quello di essersi opposti a questo nemico.

Tra V e IV secolo a.C.


- Seconda guerra tra Roma e Veio (440-425 a.c.)
- 396 a.C. i Romani riesco ad assediare Veio per più di 10 anni → in quest’anno fu istituito il
tributum: una tassa che i romani dovevano versare per stipendiare i soldati occupati in
guerra (a Veio ma poi rimase per pagare lo stipendio a tutti i soldati che si trovavano per
lungo tempo in una guerra) per lungo tempo e che quindi non potevano occuparsi delle
proprie famiglie. Questa tassa fu abolita (tali erano le ricchezze acquisite) alla fine della
terza guerra macedonica (168 a.C. vittoria di Lucio Emilio Lepido, a Pidna, che portò molte
ricchezze dalla Macedonia uno dei più splendenti regni ellenistici, cioè sorti dopo al morte
di Alessandro Magno nella fine del IV secolo a.C. La Macedonia verrà poi ridotta a provincia
dopo ben 4 guerre) ma solo per i romani che furono esentati dal pagamento; lo stesso non
valse per i socii che invece continuavano a versarla.

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- Sacco gallico (390-385 a.C.) momento di vicinanza tra Roma e Etruschi: i Galli di Brenno
conquistano Roma (Marco Furio Camillo: i romani mettono in salvo i sacra delle vestali
trasferendoli a Cere che poi ricevette in premio la civitas sine suffragio).
- Altro momento di scontro tra romani ed etruschi ci fu in occasione della terza guerra
sannitica (inizio III secolo a.C.) che portò una grande coalizione di popoli italici (Sanniti,
Umbri, Sabini, Galli ma NON LATINI) ed Etruschi contro Roma. Vinse Roma e molte delle
città etrusche divennero, sotto costrizione, socie di Roma (Roma si spinse sempre più
verso l’Etruria del Nord, non più a Sud, e infatti arrivò fino a Volsini, odierna Orvieto, che fu
distrutta e ricostruita altrove come città alleata con il nome di “Volsini novi”).

Tra III e II secolo a.C.


- Iniziano ad esserci buoni rapporti tra romani ed etruschi (anche perché i romani stavano
espandendosi sempre più nell’Etruria e quindi evitavano ribellioni). Che tra i due corresse
buon sangue è dimostrato dal fatto che, in occasione della seconda guerra punica, quando
Annibale spingeva tutti i popoli del’Italia antica contro Roma, gli Etruschi furono insieme ai
Latini, tra i pochi a rimanere fedeli a Roma anzi a ad aiutarla fornendo aiuti e contingenti
militari a Scipione l’Africano. Altra dimostrazione è che al tempo della guerra sociale (91
a.C.) = guerra dei socii quando le popolazioni italiche, guidate dai Sanniti, si rivoltarono
contro Roma per ottenere la cittadinanza romana, gli Etruschi e i Latini non si ribellarono
ai romani e anzi li aiutarono → i romani li premiarono concedendo loro la cittadinanza
(civitas optimo iure = completa, con anche diritto di voto).

- Vediamo ancora gli Etruschi all’epoca delle guerre civili tra Silla e Mario : molte città
presero la parte di Mario e alla vittoria di Silla (che diviene dittatore con lo scopo di
riformare lo stato) molte delle città etrusche che avevano patteggiato per Mario (come
Volterra) furono rase al suolo.

- Dal punto di vista amministrativo: suddivisone in 11 regiones dell’Italia antica (dal Nord
fino all’odierna Calabria perché Sicilia e Sardegna non erano regioni ma province quindi
non erano giuridicamente connesse al concetto di Italia) portata avanti da Augusto. Tra
queste regioni l’Etruria diventa la Regio VIII (Lazio settentrionale, Toscana, parte
dell’Umbria e dell’Emilia Romagna).

- Il popolo/nazione/civiltà degli etruschi si concluse nel 54 d.C. con la morte dell’imperatore


Claudio perché egli fu l’ultimo esperto di cose etrusche (è lo stesso dell’Oratio Claudii).

Possiamo concludere che gli Etruschi incisero di più nel periodo monarchico perché influenzarono
molto e contribuirono positivamente alla definizione della civiltà romana dal punto di vista
politico, culturale, artistico e monumentale (grande Roma dei Tarquini). I rapporti tra Roma ed

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Etruschi quindi iniziarono positivamente molto prima degli scontri ma è normale che le fonti diano
più importanza alla fase di scontro.

Prossima lezione: Sanniti (Silla arrivò a dire che nessun romano avrebbe potuto stare tranquillo
fino a quando anche un solo Sannita sarebbe vissuto).

Lezione 9 – 19 Marzo 2020


GUERRE SANNITICHE
(343- 290 a.C.)
3 guerre principali che lasciarono nella memoria dei romani un’impronta quasi indelebile tale fu la
violenza dello scontro.
I Sanniti sono una popolazione italica stanziata sui monti dell’Appennino centro-meridionale dove
vivevano tante popolazioni chiamate in età antica popolazioni sannitiche o “sabelliche” cioè una
serie di popoli dai nomi differenti (Frentani, Pretuzi, Vestini, ecc) ma dalle caratteristiche culturali,
sociali e politici quasi coincidenti. Alla luce di tali somiglianze, tali popolazioni furono intese come
ceppi provenienti dalla medesima popolazione (stessa famiglia) → Sarebbero tutte discese da
un’antica e medesima popolazione: i Sanniti.
I Sanniti veri e propri, detti Sanniti Pentri, abitavano nell’area che oggi corrisponde al Molise e
parte dell’Abruzzo quindi nel Sannio settentrionale mentre gli altri (chiamati Sanniti Peligni,
Vestini, ecc) si stanziavano in aree corrispondenti all’odierno Appennino centrale (Abruzzo, Umbria
meridionale, Lazio interno e parte della Puglia settentrionale).
I legami con i veri sanniti erano per lo più legami etnici che gli antichi riconducevano alla
Primavera sacra (Ver sacrum), un’istituzione arcaica tipicamente italica grazie alla quale da una
popolazione originaria si stanziava una popolazione figlia. Quindi dai Sanniti originari del Sannio
Pentro, si erano distaccati e stanziati nella campagna interna i Sanniti Irpini (popolazione sannitica
stanziatisi nella moderna Irpinia, in Campania).
Quindi quando parliamo di Sanniti facciamo riferimento a tutte queste popolazioni (solo a volte le
fonti nominano una particolare tribù). Molto spesso contro Roma si riuniva l’intera
confederazione sannitica (formata da tribù e non da città come le leghe campana e latina)
secondo uno schema politico che abbiamo già visto a dimostrazione di come esso fosse usuale.
Avevamo visto la Lega Campana, quella latina e le dodecapoli.
Quando si parla dei Sanniti non si parla di città ma tribù o popoli. In effetti loro non conobbero la
civiltà urbana fino a che Roma non si estese anche sulle loro aree: abitavano in villaggi (forma pre-
urbana) detti vici distribuiti in Pagi (pagus). Spesso all’interno di un pagus (= gruppo piccoli
villaggi) vi erano strutture di riferimento come un tempio (la religione era non urbana cioè i luoghi
di culto non si trovavano in città ma sparsi per il territorio e funzionavano da punti di aggregazione
per le popolazioni sannitiche distribuite in questi piccoli villaggi). I villaggi erano fatti da strutture
abitative primitive di carattere privato quindi mancavano strutture pubbliche (come i mercati
provvisori). Si parla per questo tipo di insediamento di sistema pagano vicanico (perché basato sul

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pagus e sul vicus). Dal punto di vista politico, essendo estranea a loro l’idea di città-stato, c’era un
sistema tribale: ciascuna tribù si chiamava (in osco, lingua Italia antica) touta (leggo tuta)=
‘popolo/tribù’.
Tutte queste tribù si riunivano in un’organizzazione di tipo federale,anch’essa chiamata touta, al
capo della quale c’era un magistrato supremo militare e politico chiamato meddix tuticus ed eletto
(con una scadenza a noi non nota) da tutte le tribù sannitiche che si riunivano in un luogo sacro nel
Sannio Pentrio (Santuario di Pietrabbondante, in provincia di Isernia di cui ancora oggi abbiamo le
vestigia). Qui vi si riunivano le popolazioni in toto (o almeno i rappresentanti di tutte le tribù) e lì il
capo supremo (a volte potevano essere anche 2) metteva a votazione di fronte all’assemblea dei
confederati, determinate scelte politico/militare tutte decisioni che venivano prese dalla
confederazione generale, non dalla singole tribù. Il santuario era dotato di strutture che sembrano
teatrali ma che erano adibite a riunioni di carattere politico.

Nel corso dei decenni si ebbe una differenziazione tra i sanniti interni ed esterni: originariamente
erano una popolazione appenninica che si diffuse poi altrove e questo fu dovuto anche a carestie/
epidemie che portavano parte della popolazione all’emigrazione → alcuni si spinsero verso le
coste della Campania che conoscevano da molto la civiltà greca (dopo età micenea i primi
approdi/centri commerciali greci nell’Italia meridionale, cioè nella Magna Grecia, riguardarono
proprio la Campania con l’aria di Pozzuoli, Cuma e dintorni) e la civiltà etrusca basate sul concetto
di città-stato, di città → i sanniti, che conoscevano solo la tribù, si fecero influenzare da queste
città e, cambiando anche il nome in “Campani” (perché li si erano insediati), adottarono anch’essi il
sistema politico della città-stato. Anche dal punto di vista commerciale cambiarono: i Sanniti
dell’interno era usi alla pastorizia e non conoscevano i commerci, i Sanniti campani invece furono
dediti al commercio!
La prima guerra sannitica nacque come scontro fra popolazioni di ceppo sannitico (interni e
campani).
Passo tratto dal V libro della Geografia di Strabone che riporta quanto avvenne all’indomani della
battaglia di Porta Collina (82 a.C.) che si inserisce nel contesto delle guerre civili e che vide
contrapposti gli ultimi baluardi sanniti a Silla. Strabone ci riporta un discorso (fittizio) che Silla
avrebbe pronunciato all’indomani della battaglia scegliendo di distruggere la civiltà sannitica
uccidendo fino all’ultimo sannita perché nessun romano avrebbe potuto vivere tranquillo finché i
Sanniti avessero avuto una propria autonomia. Questo è inverosimile dal punto di vista storico
perché nel I secolo a.C. erano ormai pochi i Sanniti rimasti, ma testimonia come furono davvero
questi nemici temuti e pericolosi. Bisognava quindi distruggere anche gli antichi centri come
Boviano (capitale dei Sanniti) che ancora oggi esiste come Boiano, comune del Molise.

354 a.C. – Trattato tra la confederazione sannitica e Roma


Segnava, nel fiume Liri, la linea di discrimine tra area di influenza romana (a Nord-ovest del fiume)
e quella sannitica (sud-est di questo fiume).

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Altro protagonista che entrerà poi nella prima guerra sannitica, fu la lega Campana formatasi nel
IV secolo a.C. che aveva come città principale Capua, di origine sannitica (sanniti campani,
trasferitisi sul mare). Lo scopo di questa lega era quello di fermare le spinte del Sannio interno
verso le aree costiere della Campania → nel IV secolo inizia la tensione tra sanniti interni e
campani.
Nella seconda metà del IV secolo, questo continuo afflusso dei Sanniti interni verso le arre della
Campania costiera (più ricche) divenne insopportabile → scoppia la prima guerra sannitica (verdi
spingono verso i rossi, vedo slide).
I sanniti dell’interno occuparono la città campana di Teano dopo il 350 a.C. (città che era già
sannitica perché fondata dai Sidicini che si erano spostati nell’area costiera della Campania
fondando tale città). Teano si rivolse a Capua per chiedere aiuto contro i sanniti dell’interno ma
Capua non riuscì a fronteggiarli (perché particolarmente valorosi) e si rivolse a Roma!
I romani accettarono la richiesta di Capua motivando il proprio intervento con il fatto che i Sanniti,
occupando Teano, avevano rotto il trattato del 354 perché Teano si trovava in un’area facente
parte dell’area di influenza romana.
Livio ci dà testimonianza dell’inizio di questa guerra, dove sono sottolineate alcune parole che
danno l’idea del clima:
- ingiustamente = i sanniti avevano compiuto qualcosa di ingiusto (iniustum = ‘illegittimo’)
infrangendo il trattato.
- I sanniti campani non furono in grado di reggere i sanniti interni perché erano snervati
dalla vita lussuriosa cioè ormai abituati a condurre uno stile di vita che non aveva nulla a
che vedere con la virtù dei Sanniti interni (che conducevano una vita dura, con ristrettezze
economiche).
- È per questo che furono costretti a chiedere aiuto ai romani. Ma in che forma? Procedura
della deditio in fidem, istituto giuridico tramite cui una comunità si poneva
volontariamente sotto il controllo transitorio di Roma allo scopo di risolvere una situazione
di emergenza (di solito bellica). Deditio (=’resa’) cioè Capua si affidò ai romani. Roma,
accettando che tale comunità si affidasse a lei, se ne prendeva in carico protezione e difesa
in cambio la città si sottometteva al volere di Roma. Ovviamente non si toccava
l’autonomia interna della città dedita ma essa perdeva qualcosa dell’autonomia esterna.
Se la deditio si risolveva positivamente e Roma quindi vinceva il nemico che minacciava la
comunità dedita, Roma aveva dei diritti nei confronti di questa comunità che si esplicavano
nella firma di un trattato unilaterale (deciso da Roma che poetava revocarlo quando
avrebbe voluto) di alleanza (la comunità diventava socia) più vantaggioso ovviamente per
Roma.

Roma ebbe la meglio sui Sanniti che dovettero allontanarsi da Capua ma non rinunciarono a
Teano. Anche Roma cmq ebbe un guadagno: nuovi alleati e controllo riconosciuto su Capua e sul
territorio della Lega Campana → i latini non ci stanno e danno il via alla grande guerra romano-

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latina in cui Roma si vede come alleati i sanniti che poco prima aveva combattuto (vedo lezione
ieri).

La prima guerra sannitica è viziata anch’essa da enormi problemi di carattere storiografico perché
le fonti antiche sono incerte sugli eventi a causa di una ridondanza di episodi senza valore storico
→ alcuni ne negano esistenza (vedo ieri). Perché? Perché per i Sanniti non ebbe alcuna
ripercussione. Con certezza alla metà IV secolo (guerra romano-latina) Roma estese la sua area
di controllo anche alla Campania.

Seconda guerra sannitica


(326-304 a.C.)
Su cui non esistono dubbi di carattere storico e durò circa 20 anni. Essa scoppiò ancora a causa di
fatti della Campania costiera: Roma continuò ad espandersi nel Lazio meridionale e nella Campania
settentrionale (per i Sanniti area di propria pertinenza) fondando tra l’altro le due colonie di Cales
e Fregellae → questo provocò tensioni che sfociarono però in scontri di scarsa importanza.
Il casus belli vero e proprio fu rappresentato dai conflitti interni alla città di Napoli (Neapolis),
ultima città greca in Campania. Secondo una tendenza che vediamo anche in Etruria, a Napoli,
l’èlite economica-sociale tendeva ad essere filo romana (vedendo il sempre più crescente potere
di Roma e la sua importanza in campo commerciale ) → politica accomodante. Le masse popolari
invece parteggiavano per l’elemento italico, i Sanniti (Napoli aveva ricevuto al suo interno una
grande migrazione di popolazioni sannitiche) che avrebbero volentieri conquistato anche Napoli
(così come avevano fatto con diverse città della costa campana). L’èlite quindi, preoccupata dai
Sanniti della città che chiamavano i loro compagni di tribù che si trovavano ancora fuori dalla città,
si rivolse ai romani perché scacciassero i sanniti da Napoli.
Dionigi di Alicarnasso, storico di età augustea che ha scritto “Le antichità romane” (giunto in
ampia parte, e che verte sul periodo arcaico di Roma) ci racconta la situazione di Napoli allo
scoppio della guerra: a Napoli si radunò il senato di fronte al quale si presentarono i più importanti
tra i Sanniti e convinsero il senato a rimettere al popolo la decisione (se seguire la parte filo
romana o filo sannitica); la parte assennata (i ricchi, nella prospettiva di Dionigi di Alicarnasso)
voleva la pace, i peggiori (la parte popolare) voleva la guerra e furono loro che prevalsero. Di
fronte alle richieste dei romani di scacciare i sanniti, il senato fece scegliere alla popolazione che,
essendo in maggioranza filo sannitica, costrinse l’ambasciata romana d abbandonare la città e il
senato a dichiarare guerra a Napoli.
Alcuni fatti salienti di questa guerra:
- Episodio delle Forche Caudine (321 a.C.): i Romani tentarono di entrare nel cuore del
Sannio Pentro, ma furono distrutti e fatti passare, in segno di umiliazione, sotto il giogo
delle forche caudine. Rimase impresso come umiliazione patita dai romani a Caudio a
seguito del quale Roma perse anche le colonie di Fregellae e Cales.

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- Da un punto di vista istituzionale: Publio Filone, console nel 327 a.C., si vide prorogato
l’imperium con il titolo di proconsul termine che a quest’altezza cronologica indicava un
magistrato uscito dalla sua carica che manteneva alcuni dei suoi poteri per continuare la
guerra (poi assumerà significato di governatore di provincia) che poi lui vinse!

- Tale guerra assunse una direzione più favorevole ai Sanniti quando Roma cercò di attaccarli
anche alle spalle (dalle aree costiere dell’Adriatico dove c’erano i Frentani). Per farlo, fondò
una serie di colonie tutte intorno ai territori dei sanniti pentri, atte a contenere le
spedizioni sannitiche e rendere più facile l’attacco ai sanniti. Tra queste 13 colonie (incluse
6 nuove tribù di diritto latino) vi fu l’importante colonia Luceria (oggi Lucera, Puglia
settentrionale) fondata nel 312 a.C.
Tra gli altri elementi che permisero a Roma di attaccare facilmente era intervenuta la
costruzione della via Appia che migliorò rapporti con la Campania attraverso cui
trasportare le legioni romane.

- Nel 308 a.C. presero parte alla guerra gli Etruschi a favore dei Sanniti ma non giocarono un
grande ruolo bensì servirono solo a distrarre il nemico dal Nord MA ben presto costretti a
firmare una pace (diverso sarà il loro ruolo nella terza guerra sannitica).

- 304 a.C. Conquista di Bovianum, principale centro sannita, da parte dei romani che
costringono i sanniti a firmare un trattato di pace: STOP SECONDA GUERRA SANNITICA.
Con esso Roma confermò quanto già visto nel trattato del 354 a.C. recuperando Cales e
Fregellae. Tra le altre clausole:

● Altre popolazioni minori (Equi) persero la loro autonomia e vennero inglobate nell’ager
romanus e furono controllate grazie a uno stanziamento di colonie di diritto romano.
●Le altre popolazioni minori di stirpe sannitica (Marsi, Peligni, Marrucini, Frentani e
Vestini) diventarono tribù alleate di Roma.
● Gli Ernici, accusati di ribellione (fino ad ora fedeli alleati di Roma) vennero incorporati
nello stato romano senza diritto di voto.

La pace durò ben poco → nel 298 a.C. circa scoppia la terza guerra sannitica.

Terza guerra sannitica


(298-290 a.C.)
Rappresenta un antefatto della più tarda guerra sociale poiché vide tutte le popolazioni dell’Italia
antica (eccetto greci) prendere le armi contro i romani: si forma una grande coalizione
antiromana comprendente Umbri, Etruschi e Galli. Roma ebbe comunque la meglio → fonda altre
colonie di diritto latino nei territori delle popolazioni sannitiche (come i Lucani) tra cui l’importante
colonia di Venusia nel 290 a.C.
Alcuni fatti salienti di questa guerra:

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- Ricordiamo la Legio Linteata (= legione) era un corpo di soldati scelti tra i Sanniti, che erano
votati alla divinità cioè dovevano morire in guerra e in nessun modo avrebbero potuto
tornare vivi ma avrebbero dovuto combattere i romani fino alla morte = forte impatto
ideologico a cui si ricorse in un momento di crisi sannitica. Tramite un rito religioso che si
svolgeva nella “città” di Aquilonia (gli archeologi non hanno ancora identificato).

- Da parte romana invece abbiamo l’episodio della Devotio del console Publio Decio Mure.
Si tratta di un rito religioso tramite cui un console (per alcuni un qualunque cittadino)
sceglieva di immolarsi ai Mani (= anime dei defunti) per salvare il proprio esercito. In
entrambi casi destinatari del rito sono le divinità infere (i Mani e Tellus, divinità della
terra). Ideologicamente corrisponde proprio all’idea di Legio Linteata.

Noi abbiamo due personaggi omonimi:


a) Publio Decio Mure che combatté nella terza guerra sannitica
b) Publio Decio Mure, padre del primo, che si immolò allo stesso modo nella più antica guerra
romano-latina (che finsice nel 338 a.C.).

Questo dimostra che uno dei due riti dovette essere una ricostruzione storiografica falsificata (non
si sa quale dei due). Livio ci narra della Devotio di Publio Decio Mure figlio e lo stesso Livio
rimanda alla Devotio del padre.

Iscrizione sul sarcofago di Lucio Scipione Barbato datata al 298 a.C.


In latino arcaico, con successiva trascrizione importante perché sappiamo, dalle fonti letterarie
(Livio), che tale personaggio prese parte alla terza guerra sannitica e sappiamo anche cosa fece in
qualità di console. Poi abbiamo questa fonte epigrafica arrivata a noi per via diretta su quello che
dovrebbe essere stato il suo sarcofago (anche se forse è più tarda) mentre l’iscrizione è
sicuramente molto antica e verosimilmente riconducibile a questo periodo. Nella traduzione
leggiamo che tale Lucio Scipione Barbato, figlio di Gneo, fu console, censore, edile a Roma [..].
E’ tipico nelle iscrizioni funerarie riportare nella dedica al personaggio, oltre al patronimico, il
cursus honorum (non c’è la questura forse perché ancora non era tappa obbligatoria come sarà in
età repubblicana inoltrata). Ci viene poi detto, per onorarne la memoria, che prese due centri del
Sannio (Taurasia e Cisauna) che le fonti non citano (quindi non sappiamo dove sono); ci dice infine
che ha anche assoggettato tutta la Lucania, nell’odierna Basilicata.
Perché ci interessa questa fonte epigrafica? Noi non abbiamo notizie di questi fatti nelle fonti
letterarie anzi abbiamo notizie discordanti perché sappiamo che non operò in Lucania ma altrove
(contro gli Etruschi). Perché nelle fonti epigrafiche non vengono riportate questi eventi che le fonti
letterarie confermano, ma solo fatti di cui le fonti letterarie invece non parlano? Perché, come
ormai sappiamo, la tradizione letteraria non ci tramanda tutto.

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Alla fine della guerra romano-latina abbiamo già visto (ieri) i diversi destini delle città conquistate.
Ma ci furono altre forme di organizzazione: Colonie (città ex novo, fondate dal nulla) di diritto
romano o latino (colonie di diritto latino comprendevano cittadini di diritto latino, non romani, ma
con un rapporto privilegiato con i romani. Erano piccole comunità vere e proprie sparse per
l’Italia).
Come avveniva la fondazione di una colonia? Da Roma partiva un gruppo di cittadini che si
stanziava in un luogo dove il fondatore, con una cerimonia religiosa, tracciava il confine sacro, e di
lì si costruiva la colonia vera e propria con il suo ager di pertinenza che veniva coltivato.
Gli abitanti potevano essere:
- romani che trasportavano quindi con sé i propri diritti da cittadino romano → fondavano
colonie di diritto romano (la prima fu Ostia nella metà del IV secolo, per alcune fonti già
fondata in età monarchica).

- cittadini stanziati nelle città latine intorno a Roma → per volere di Roma, andavano a
fondare colonie di diritto latino (colonia di Anzio fu la prima colonia latina).

- oppure ancora si poteva trattare di cittadini romani che fondavano una colonia di diritto
latino MA dovevano accettare di perdere il loro status di diritto romano e diventare quindi
cittadini di diritto latino.

Le colonie di diritto latino furono più grandi e numerose perché avevano scopo difensivo e
strategico (controllare i territori). Ad esempio, per la preoccupazione dei Sanniti fu fondata la
colona di Esernia (oggi Isernia, Molise) nella seconda metà del III secolo, a controllo del Sannio
Pentro.
In Italia meridionale, prima dello scoppio della prima guerra punica, Roma fondò poche colonie ma
preferì ricorrere a trattati di alleanza.
Passo trattato da Livio sullo scioglimento della Lega Latina, in cui lo storico fa vedere i vari modi
che Roma ebbe per definire lo stato giuridico delle città appartenenti all’appena decaduta lega.
Aulo Gellio definisce le colonie dei “piccoli simulacri di Roma” perché quando si fondavano
colonie soprattutto di diritto romano, non solo si attuava il rito del pomerio, ma la nuova colonia
rispettava l’assetto di Roma (Foro, piazza principale, su cui dava il tempio dedicato alla triade
capitolina).
Come si vede nella cartina, alla fine della terza guerra sannitica, l’aria di controllo dei romani in
Italia divenne sempre più ampia soprattutto per quanto riguarda l’area centro meridionale, a
scapito dei Sanniti. L’area non divenne tutta ager romanus ma fu legata a Roma da trattati di
alleanza. Roma, a quest’altezza, non sceglie di distruggere i Sanniti (come farà Silla) ma sceglie di
lasciarle autonome limitandosi a controllarli tramite rapporti di alleanza forzata con lo
stanziamento di colonie che dovevano controllare i territori non appartenenti all’ager romanus in
cui erano stanziate queste comunità alleate.

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Rivedremo i Sanniti nelle guerra sociale (finisce nell’89 a.C.) quando misero su una confederazione
ampia ma anche in quel caso non riuscirono ad averla vinta. Solo Silla li distruggerà
definitivamente nell’82 a.C. inglobandoli entro lo stato romano (anche giuridicamente) come era
successo agli Etruschi e ai Latini = non si parlerà più di Sanniti, Etrsuchi e Latini e con essi
scompariranno anche le loro lingue (osco e alte lingue soppiantate dal latino).
Vedremo nelle prossime lezioni altri protagonisti questa volta extraitalici: Greci e Cartaginesi.

Lezione 10 – 20 Marzo 2020

Con i Greci Roma non si era ancora scontrata. I greci erano presenti in Italia da molti secoli a
partire dal fenomeno della colonizzazione in Sicilia e poi nelle coste dell’Italia meridionale. Furono
quindi sempre in buoni rapporti (se pur non alleati). Perché? L’espansione di Roma non era giunta
a tal punto da disturbare le città della Magna Grecia e gli interessi di Taranto (Tarentum), colonia
spartana, più importante città della Magna Grecia. Sarà proprio dal malcontento di Taranto nei cfr
dell’espansionismo romano che si avrà lo scoppio della guerra pirrica che indica una sorta di
evoluzione dell’espansionismo romano: Roma si trovò per la prima volta a combattere contro un
nemico nuovo, proveniente dall’esterno, Pirro, re dell’Epìro (oggi aree montuose interne
dell’Albania) che poteva vantare parentela alla lontana con Alessandro Magno. Il suo regno,
chiamato anche regno dei Molossi (antica tribù), rappresentava uno dei tanti centri nati intorno
alla Grecia, sorti dopo ala caduta dell’impero macedone di Alessandro Magno che si dissolse nei
regni ellenistici.
Vediamo quale fu la situazione geopolitica che portò Pirro ad attraversare l’Adriatico ed entrare in
Italia per muovere guerra ai romani tra 280 e 275 a.C..
Guerra di Pirro
(280.275 C.)

Tratti salienti:
- Vi prese parte la repubblica romana da un lato e dall’altro Pirro a capo di coalizione greco
– italica;

- Scoppiò a causa della rottura da parte di Roma del trattato di Capo Lacinio (firmato da
Roma e Taranto che definiva la zona di influenza romana rispetto a quella tarantina);

- Scontro tra Pirro e romani che si risolse in una serie di vittorie per Pirro che però non portò
al finale trionfo (fu poi sconfitto e costretto a lasciare la penisola).

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- Ulteriore fase di espansionismo romano non più su Italia centrale o centro-meridionale ma
sull’Italia meridionale. Questo dominio non si tradusse in un incorporazione nell’ager
romanus ma in una serie di alleanze forzate.

Tra IV e III secolo a.C. le città della Magna Grecia si era scontrate con le popolazioni italiche
dell’interno, di stirpe sannitica (che si trovavano anche nella parte meridionale dell’Appennino)
che tendevano a spostarsi sulle aree costiere per motivazioni commerciali. Le coste ospitavano di
per sé o città campane o città greche (colonizzazione dal VII secolo a.C.) tra cui la più importante fu
Taranto che dovette confrontarsi spesso con i Bruzi e i Lucani (nell’area appenninica dell’odierna
Basilicata) che tendevano ad attaccare le aree sulla parte costiera ionica dell’odierna Calabria
sottoposta all’influenza tarantina. Taranto, secondo un atteggiamento che dimostrò già, priva di
un esercito importante (le poleis greche erano prive di eserciti importanti) si risolse a chiamare più
volte in aiuto comandanti stranieri (xenikòi strategòi) proveniente da Grecia, Sparta, Epiro e Sicilia
(vennero chiamati quindi Archidamo III di Sparta, Cleònimo di Sparta, Alessandro Il Molosso e
Agàtocle tiranno di Siracusa).
Per Taranto non era una novità chiamare aiuti dalla madre patria (Sparta) o da altre città della
Magna Grecia (come Siracusa).
Anche Pirro fu chiamato e anzi, fu l’ultimo di questi comandanti stranieri chiamato da Taranto, in
questo caso, contro Roma.
I rapporti tra Roma e Taranto erano tesi sin dalla terza guerra sannitica prima con l’alleanza tra
Roma e Napoli (spaccando il corpo civico in due fazioni) e poi per la fondazione della colonia latina
di Luceria (non lontano da Taranto) nella seconda guerra sannitica perché i tarantini temevano
questo espansionismo nella Apulia (Puglia) che ritenevano di propria pertinenza.
Alla fine della seconda guerra sannitica, vedendo che i romani avevano vinto, ritennero necessario
stipulare un trattato che servisse a delineare il punto geografico preciso oltre il quale non era
concesso alle navi romane di andare. Questo punto fu riconosciuto nel promontorio di capo
Lacinio (oggi capo Colonna presso Crotone) ma Roma lo superò = casus belli della guerra pirrica.
I tarantini tra l’altro, nello stesso momento storico dovettero chiamare lo spartano principe di
Sparta, Cleonimo, contro i Lucani (acerrimi nemici dei tarantini) che ancora, alla fine del IV secolo,
muovevano verso Taranto e che avevano trovato un alleato nei romani. Fu una scelta che voleva
sicuramente provocare una reazione dei Tarantini (anche se non fu dichiarata guerra).
Città della Magna Grecia (vedo cartina slide): Neapolis, Tarentum, Capo Lacinio (freccia azzurra).
Nella slide successiva vediamo l’area di influenza romana poco prima dello scoppio della guerra
pirrica (area marrone non tutta di ager ma controllata). Nell’area più chiara invece ci sono le aree
in cui il controllo romano non era ancora arrivato tra cui anche l’area dei Sanniti che per ora non
ricevettero ancora colonie al suo interno con funzione di controllo. L’area lilla è quella di controllo
tarantina che oltre a Crotone include anche Turii (che costituì una della cause dello scoppio della
guerra).

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Nel 289 a.C., morto Agatocle di Siracusa (Sicilia greca), i Lucani si ribellarono insieme ai Bruzi e
iniziarono a devastare il territorio di Turii (colonia greca) che, di fronte al pericolo, si rivolse a
Roma inviando a Roma 2 ambasciate (nel 285 e 282 a.C.). Roma non accettò subito perché la città
di Turii si trovava aldilà del capo Lacinio, ma alla fine accettò non muovendo guerra a Taranto (che
non era in questo caso il pericolo) ma inviando il proprio console, Gaio Fabricio Luscino, contro i
Lucani (ex alleati di Roma) che sconfisse il console e (come ci dicono i fasti triunfales) poté
celebrare il trionfo → le città di Reggio, Locri e Crotone (vedendo il trionfo di Roma) chiesero di
essere poste sotto la protezione di Roma che inviò una guarnigione di 4.000 uomini campani (NON
cittadini romani, ma alleati di Roma che erano quindi costretti a fornire uomini) a presidio di
Reggio.
Proteggendo queste città e liberando Turii, i romani entrarono nelle vicende politiche delle città
greche della Magna Grecia
MA
Taranto riteneva di avere lei quel ruolo di controllo sulle città della Magna Grecia.
A inasprire la situazione intervenne la mossa di Roma che inviò, in violazione degli accordi,
nell’autunno del 282 a.C. una piccola flotta nel golfo di Taranto (forse per proteggere meglio Turii
o per provocare i Tarantini).
I tarantini, che seconde le fonti antiche, erano in quel momento occupati a svolgere rituali religiosi,
videro le navi e, non capendo bene, pensarono che le navi fossero tante (in realtà solo 10
imbarcazioni) e pensando che i romani stessero per sferrare un attacco, reagirono (NB: flotta di
Taranto più forte di quella di Roma che al momento non era una potenza marittima) → Taranto
ebbe la meglio, molti romani in ostaggio, altri condannati, gli altri affondati → Roma la intese
come una violazione del trattato di non belligeranza.
Per l’ideologia bellica romana era importante la violazione dei trattati (con Cartagine scaturirono
ben 3 guerre per questo) anche perché era anche un atto religioso per Roma. Era necessario per
Roma dimostrare che la guerra era dovuta alla rottura del trattato da parte del suo nemico → in
secondo piano la violazione romana che oltrepassò il limite stipulato (furbi).
Inizia la guerra.
Taranto anche questa volte chiese aiuto, questa volta non a Sparta, ma all’Epiro (già con
Alessandro Il Molosso alla fine del IV secolo contro i Lucani) chiamando Pirro. Pirro accolse la
richiesta senza indugio perché desideroso di ampliare il proprio regno (Epìro, piccolo centro a
nord della Grecia). Le manie espansionistiche di Pirro riguardavano la Magna Grecia ma anche la
Sicilia → aveva sposato Lanassa, figlia di Agatocle di Siracusa. Pirro mirava a conquistare l’Italia
meridionale per poi da lì progettare meglio la conquista anche della Sicilia (scacciandone i
cartaginesi che controllavano la Sicilia insieme alla città di Siracusa).
La guerra di Pirro interessa anche dal punto di vista ideologico- propagandistico: Pirro presentò la
guerra come una replica della più antica e mitica guerra di Troia perché si vantava di essere
discendente di Achille (circolava una tradizione falsa per cui il figlio di Achille non si sarebbe
chiamato Neottòlemo ma Pirro). D’altra parte però sappiamo (e ne siamo certi perché circolava già
dal III secolo) che i romani erano discendenti dei troiani tramite Enea. In quest’ottica Pirro

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rappresentava gli Achei, i romani i troiani. Ce lo tramanda Plutarco, autore greco che scrisse le
Vitae parallele, tra cui la biografia di Pirro. Quello che interessa a noi è che testimonia che anche
in ambito greco si sapeva, all’inizio del III secolo a.C., che i romani DICEVANO (mito) di essere
discendenti dei troiani.
Pirro partì dall’Epiro (in questa slide disegnata così ma in realtà era una zona interna senza sbocchi
sul mare) e si diresse a Taranto per poi scontrarsi nei dintorni di Eraclea (città greca sul golfo di
Taranto) con i romani: primo scontro nel 280 a.C. tra romani ed epiròti.
I romani furono sconfitti da Pirro che aveva al suo seguito un esercito fatto di mercenari (pagati, a
differenza dai soldati dell’esercito romano) dall’Epiro e mercenari che aveva messo insieme in
Magna Grecia. Le fonti ci riportano che si era portato dietro anche gli elefanti alla cui vista i
romani rimasero atterriti → i romani persero MA in maniera vittoriosa perché Pirro subì cmq
ingenti perdite.
Pirro, dopo questa battaglia, propose una pace (viste le perdite) → invia a Roma un ambasciatore,
Cinèa, per trattare una pace. La pace che propose al senato romano fu inaccettabile perché
prevedeva che Roma abbandonasse tutti i territori del sud Italia che si era conquistata durante le
guerre sannitiche.
A spingere il senato romano a rifiutare furono anche due ulteriori fattori:
- Giunse alle foci del Tevere una flotta cartaginese in soccorso di Roma → Un fatto interno
all’Italia (guerra tra romani e greci) diventa sempre più internazionale. I cartaginesi
all’epoca erano la potenza navale più forte del mediterraneo perlopiù occidentale (area in
cui ricadeva anche Roma che, nel 509 a.C. firmò un trattato di pace con Cartagine, trattato
che sembra come abbiamo visto tradire degli interessi etruschi). Cartagine spinse Roma a
non firmare perché aveva interesse che Pirro non si espandesse in Italia perché sapeva che
Pirro avrebbe mirato alla Sicilia. Le fonti ci dicono che i romani, alla notizia della presenza
così vicina della flotta cartaginese, furono rincuorati e spinti ancora di più a rifiutare
l’offerta di pace di Pirro. Il trattato non impediva di concludere una pace con Pirro ma, se lo
avessero fatto, entrambi erano obbligati a inserire una clausola in cui si impegnavano ad
offrire l’aiuto l’uno all’altro in caso di pericolo → Cartagine preventivamente, si assicurava
che, se Roma avesse firmato la pace con Pirro, l’avrebbe poi dovuta aiutare a contrastare
Pirro stesso nelle sua manie espansionistiche in Sicilia.
Il testo del trattato ci è tramandato da Polibio che ci riporta il testo di tutti i trattati
romano-cartaginesi (che poteva leggere negli archivi di Roma; è lui a dirci le sue difficoltà
nell’interpretare il primo trattato tra Roma e Cartagine nel 509 a.C. poiché scritto in un
latino troppo arcaico).

- Le richieste di Pirro furono respinte anche grazie all’opposizione di Appio Claudio Cieco
che fu portato in senato (la leggenda lo vuole cieco) pronunciando un’orazione forte contro
Pirro e Cinea perché Roma, accettando, avrebbe perso il controllo sull’Italia meridionale e,
come sappiamo, Appio Claudio Cieco fu sempre un sostenitore di questo espansionismo (si
pensi alla Via Appia che collegava Roma alla Campania).

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Appiano, storico greco di età imperiale che scrisse diverse monografie sulla storia di Roma, in
questo passo tratto da libro sulle guerre sannitiche, ci racconta di come andò questo dibattito nel
senato romano. Dauni, popolazione della Puglia settentrionale (dove fu costruita Luceria). Roma,
secondo Pirro, avrebbe anche dovuto lasciate il controllo/protezione su Reggio (odierna Reggio
Calabria), Locri e le altre città. Il discorso di Appio Claudio Cieco è ricostruito dalle fonti ma è
verosimile che nel contenuto le parole riproducano la realtà. La singola disgrazia è quella di
Eraclea. Dice “voi romani volete rinunciare a tutto ciò che avete ricevuto dai vostri padri”.
Macedone perché Pirro si presentava come tale e Appio ha intuito la vera sostanza della pace di
Pirro cioè una pace che gli avrebbe spalancato le porte. Se davvero Pirro voleva la pace, avrebbe
dovuto abbandonare l’Italia: Pirro non deve limitarsi a stare nel sud Italia ma se ne deve andare! A
tradire, secondo alcuni storici moderni, la volontà che Roma aveva di aumentare il proprio
controllo sulle città costiere della Magna Grecia.

I romani quindi rifiutano la pace e riprendono la guerra.


Battaglia di Ascoli Satriano (279 a.C.) nel Nord della Puglia → vince ancora Pirro ma anche qui ci
furono ingenti perdite per la coalizione greco-italico-epirota → Pirro fu costretto a ripiegare.
Quindi nella cartina seguo le frecce nere:
Pirro parte da Epiro → Taranto → Eraclea → invia Cinea a Roma → riprende la guerra ad Ascoli →
si sposta e va in Sicilia. Ma perché? Avendo vinto perché non ha continuato fino alla resa di Roma?
Testimonianza di Plutarco: aspetto peculiare dell’esercito di Pirro che era formato perlopiù da
mercenari che andavano pagati ed ecco perché “vedeva scemare l’ardore” perché le città greche
si erano stancate di pagare tributi in denaro a Pirro affinché potesse stipendiare i suoi mercenari
→ malcontento sempre più diffuso → si iniziò a pensare che fosse preferibile quasi il dominio
romano → le città greche (addirittura Taranto) smisero di pagare il tributo a Pirro che si trovava
ora in Italia vittorioso sulla carta ma circondato da romani e privo di alleanze → decide di
scendere in Sicilia e portare la guerra in Sicilia dove sfruttò il malcontento delle città contro la
dominazione punica (Sicilia in parte controllata da Siracusa ma la Sicilia occidentale dai
cartaginesi).
Plutarco ci diceva che sembrava al contrario che gli accampamenti dei romani si rifornissero di
uomini da una fonte inesauribile, quale? Gli alleati di Roma che obbligava i suoi socii!!! Livio ci
riporta a tal proposito i principali tipi di trattato, foedera, che Roma stringeva con i suoi alleati:
- Quando le condizioni sono imposti ai vinti, è privilegio del vincitore stabilire quali beni
confiscare e più in generale stabilire i termini del trattato stesso;
- Quando, pari in guerra, concludono in pace → patto a uguali condizioni (apparentemente
perché sono sempre trattati unilaterali scelti da Roma);
- Quando coloro che non sono mai stati in guerra decidono di stringere un patto di alleanza
(come quello del 279 a.C. tra Roma e Cartagine contro Pirro perché Roma e Cartagine non
erano in guerra a quell’altezza e quindi nessuna delle due poteva far valere il vantaggio
“dell’essere vincitore”).

Roma quindi poteva rifornirsi di uomini GRATIS!

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Ma come stipulavano questi trattati? Ce lo dice sempre Livio: gli alleati davano soldati secondo la
formula togatorum = sorta di lista che conteneva tutte le città federate con anche il numero di
soldati (in età militare chiamati togati perché la toga si indossava quando si era adulti, né troppo
giovani né vecchi) che potevano prendere parte alla guerra → Roma sapeva esattamente il
numero di uomini che avrebbe potuto chiedere in caso di necessità.
Oltre agli alleati c’erano ovviamente anche i soldati di stirpe latina.
Anche in Sicilia Pirro fu sfortunato, per 2 motivi:
- Si ritrovò a dover chiedere tributi alle città greche che presto si stancarono e smisero di
versare;
- Problema del prolungarsi della guerra che fu un errore di strategia: Pirro concentrò tutte le
sue forze sulla città di Lilibeo (sull’estremità occidentale della Sicilia) che era occupata dai
cartaginesi che egli sperava di scacciare. I cartaginesi effettivamente si trovarono sbarrati
ma potevano sostenere l’assedio, se pur chiusi, perché continuavano a ricevere uomini via
mare dalla madre patria (Cartagine) → questo assedio logorò paradossalmente Pirro che fu
costretto ad abbandonare la Sicilia → tornò in Italia e si rese colpevole di un fatto che ebbe
molta risonanza: a corto di denaro lungo la strada per Taranto, si fermò a Locri (odierna
Calabria) e saccheggiò il santuario greco dedicato a Perséfone, per pagare i soldati →
sdegno dei greci che gli volsero le spalle → si scontrò con i romani ripresisi dalle sconfitte
precedenti e li affrontò a Maleventum nel 275 a.C., nella Campania interna, dove fu
sconfitto → questa città fu ribattezzata come Beneventum (odierna Benevento) a ricordo
della vittoria dei romani. Vi si stanziarono alcuni coloni → divenne ulteriore colonia latina,
ulteriore avamposto di controllo romano nel sud Italia.
Pirro lasciò l’Italia definitivamente privo di alleati → tornò in Epiro dove fu ucciso in
maniera ingloriosa in un episodio di secondo piano (no guerra): da alcuni viandanti (non
sappiamo se è vero anche perché le fonti che abbiamo sono tutte filo romane).

Conseguenze per Roma? Pirro lasciò a Roma le città della Grecia anche quelle che si erano
rivoltate contro Roma. Taranto, come ci dice Polibio, capitolò nel 272 a.C. e i romani
continuarono a combattere sottomettendo tutte le popolazioni che si erano schierate con
Pirro. Cosa interessa a noi? Roma ampliò il suo dominio su TUTTA l’Italia meridionale grazie
a una guerra il cui impulso venne da una città greca.
Il controllo non era diretto = queste città greche non facevano parte dell’ager romanus ma
furono costrette a firmare trattati di alleanze. Ad esempio Taranto, non fu rasa al suolo
(nonostante fosse stata lei a chiamare Pirro) ma fu costretta a diventare socia → mantenne
le sue strutture politiche interne, fu privata di buona parte della flotta, perse la possibilità
di svolgere politica estera autonoma. L’ager romanus per ora era ancora nelle zone
limitrofe a Roma → dovremo aspettare il I secolo a.C. perché anche l’Italia meridionale
divenne ager romanus.

È inevitabile a questo punto per Roma, scontrarsi con Cartagine. Ormai Roma era una
città di carattere nazionale, non più una città-stato → 3 guerre puniche in cui le prime due
videro gli scontri su suolo italico.

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Lezione 12 – 25 Marzo 2020
GUERRE PUNICHE
Quasi due secoli: 3 guerre tra Roma e Cartagine.
Vediamo prima i rapporti diplomatici tra le due città fino allo scoppio della prima guerra
Trattati romano-cartaginesi

1) 509/508 a.C.: data sospetta perché coincide con inizio periodo repubblicano. È un trattato
che sembra più adattarsi a una città etrusca che latina (proteggeva le coste laziali e Roma
all’epoca non aveva grandi interessi su quei territori).
Esiste un dibattito storiografico antico:
- Polibio afferma che egli ha potuto vedere il testo ma non è riuscito a tradurlo per la
lingua troppo arcaica.
- Anche Livio testimonia non esplicitamente ma implicitamente quando, parlando del
trattato di Filino (306 a.C.), afferma che questo sarebbe stato il terzo trattato e noi
sappiamo che ce ne fu uno anche nel 348 a.C. (quindi il terzo deve essere quello del
509).
- Per Diodoro Siculo quello del 348 sarebbe stato il primo trattato tra le due città quindi
nega il trattato del 509.
- La critica moderna tende ad ammetterne l’esistenza (però non proprio nel 509 ma
almeno negli ultimi anni del VI secolo a.C.).

Situazione geopolitica del 509 a.C.


Nella cartina della slide vediamo in verde l’area di influenza cartaginese (molto vasta: tutta
la costa dell’Africa settentrionale, parte della costa meridionale della penisola iberica e
parte della Sicilia occidentale); in celeste c’è l’area di influenza etrusca (parte del Tirreno
centro settentrionale fino alla parte settentrionale delle coste della Campania); in rosso c’è
l’area di influenza (poco estesa) di Roma che aveva però una posizione centrale (non era
ancora arrivata alla costa, solo per alcune fonti sì, con la colonia di Ostia); in giallo influenza
greca (buona parte dell’Italia meridionale, in particolare costiera, buona parte della Sicilia e
l’area di Marsiglia o Massalia in greco, colonia greca che ebbe precoci rapporti di alleanza
con Roma (importanti nella seconda guerra punica).

Polibio ci riporta il testo del trattato:


esso impone rapporti di amicizia tra romani e suoi alleati e Cartagine e suoi alleati e, in
particolare, i romani non potevano andare aldilà del promontorio Bello che andrebbe
localizzato in un promontorio che chiude il golfo della città di Cartagine = era chiusa
qualunque tipo di navigazione romana lungo la costa settentrionale dell’Africa; i cartaginesi
da parte loro non dovevano commettere torti agli abitanti delle città latine (Anzio,

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Terracina, ecc) che si trovavano sulle coste del Lazio (non ancora soggette a Roma perché
lo diventeranno solo dopo il foedus Cassianum) perché lì vi sono interessi commerciali di
tipo etrusco e Roma aveva interesse nei confronti delle realtà latine citate e voleva
difenderle da Cartagine che era la più grande potenza marittima del Mediterraneo
occidentale.

In sintesi: il trattato riconosce il dominio di Roma sul Lazio e Cartagine come potenza
navale (su Sicilia, Sardegna e Corsica).

2) 348 a.C. (per molti il primo).

Questo trattato non fa altro che ribadire quanto già stabilito in quello del 509 (alcuni
studiosi lo ritengono una copia con l‘aggiunta di alcune città incluse in questa sfera di
protezione).
Sempre Polibio ci riporta il testo: in Sardegna o in Libia (= Africa settentrionale) nessun
romano doveva commerciare o fondare città e se una tempesta li avesse portati lì, si
sarebbero dovuti allontanare entro 5 giorni.

Situazione geopolitica nel 348 a.C.


In verde vediamo l’ampliarsi del potere di Cartagine che ora occupa tutta la parte centro-
occidentale della Sicilia (a discapito dei Greci che erano confinati all’estremità più orientale
dove dominava Siracusa) e anche in Sardegna e Isole Baleari e parte della costa
meridionale della penisola iberica; in giallo vediamo un espandersi del controllo greco
sull’Adriatico → fondazione colonia greca di Ancona (ampia possibilità di commercio) più,
come prima, buona parte dell’Italia meridionale, in particolare costiera, e infine più a Nord
l’area di Marsiglia; in rosso Roma ha un ampliamento in area laziale (coerentemente con
l’esito della guerra romano-latina); in celeste quella etrusca che si è notevolmente ridotta
verso nord (area Campania anche costiera ormai in mano alle popolazioni italiche).

3) Trattato di Filino (306/304 a.C.)

Così chiamato perché dal nome dello storico di Siracusa che ne ha parlato e che
consociamo solo perché sappiamo che Polibio lo consultò per scrivere la parte della sua
opera sulle guerre puniche. Polibio dice quindi di aver trovato tracce di questo trattato di
Filino che metteva in stretta connessione il trattato con lo scoppio della prima guerra
punica MA Polibio è scettico nei confronti di questo trattato e della testimonianza di Filino
perché non ne aveva trovato traccia in nessun archivio romano e poi perché è probabile
che Filino (storico filo cartaginese e antiromano) se lo sia inventato per mettere in cattiva
luce i romani visto che, dalla sua esistenza o meno, dipendeva la responsabilità di chi aveva
dato il via allo scontro:
- se esisteva, allora è stata colpa dei romani che hanno rotto il trattato
- Se non esisteva, la responsabile sarebbe stata Cartagine.

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C’è stato chi ha ritenuto che Catone il Censore (molo tempo dopo, al tempo della terza
guerra punica) lo avrebbe fatto sparire ed ecco perché Polibio (che scrive proprio dopo la
terza guerra punica) non ha potuto leggerlo. Ma perché? Perché Catone fu il maggior
sostenitore a Roma di una politica contro Cartagine (Cartago delenda est lo dice Catone
davanti al senato prima della terza guerra punica). Catone quindi avrebbe fatto sparire il
trattato il cui dettato implicava un certo accordo tra Roma e Cartagine. Esso divideva Italia
e Sicilia in due area di influenza: fino allo stretto di Messina (odierna Calabria) sarebbe
stato area di influenza romana e i cartaginesi avrebbero dovuto astenersi dallo sbracare
lungo le coste della penisola italica; la Sicilia sarebbe invece stata di pertinenza esclusiva
dei cartaginesi. Le aree di influenza sono teoriche (sappiamo bene infatti che la Sicilia era
nella parte orientale sotto il controllo di Siracusa e, similmente, nel 306/304 l’Italia
meridionale era libera (prima della campagna di Pirro, non aveva alcun patto di alleanza
con Roma). Tuttavia il trattato avrebbe stabilito, anche per il futuro, queste due sfere di
influenza e Roma, nel tempo, lo avrebbe tradito (con il suo espansionismo) → ecco perché
Catone lo distrugge (espediente moderno per non accusare Polibio di aver mentito
sull’esistenza del trattato). Chi ne nega l’esistenza si rifà all’idea della perfidia punica =
inaffidabilità punica → i romani bollarono i cartaginesi come popolo che non rispetta i
trattati e questa immagine si sarebbe contrapposta all’idea dei romani come popolazioni
sempre fedele (fides romana).
Situazione geopolitica nel 306 a.C.

L’area di controllo romana, in rosso, si è ampliato molto intorno all’area appenninica, (presa ai
Sanniti) con le sue colonie/socie; in giallo l’area dei greci si è allargata a danno dei cartaginesi; in
verde i cartaginesi che persistono però a controllare le isole oltre che aree sempre più vaste
dell’area settentrionale.

4) 279/278 a.C.

Quando Cinea Tèssalo si trovava a Roma per convincere il senato a firmare la pace con
Pirro, per spronare i romani giunsero anche i cartaginesi con una flotta → Roma e
Cartagine si legavano e promettevano di portarsi aiuto nel caso in cui una delle due si
trovasse in guerra con Pirro. La situazione del Mediterraneo occidentale in questi anni si
presenta così: il dominio rosso di Roma ancora più sviluppato dopo la terza guerra sannitica
(comprende anche gli alleati, non è tutto ager romanus); i greci, in giallo, sono in difficoltà
tanto è vero che Taranto si trova Roma tanto vicino ed è per questo che chiama Pirro; in
verde i cartaginesi che si sono di nuovo espansi in Sicilia a oriente a danno di Siracusa = allo
scoppio della guerra pirrica i cartaginesi avevano un grande potere e quindi si capisce bene
perché era disposti ad aiutare Roma e contrastare l’espandersi del dominio greco in Italia
meridionale.

Veniamo alle guerre

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(264-149 a.C.)
Da qui in poi furono tutti trattati di pace firmati alla fine di uno scontro.
Alla fine di queste guerre Cartagine viene distrutta definitivamente ed esce dalla storia romana
perché ridotta a provincia.
● Prima guerra (264-241 a.C.)
● Seconda guerra (218-202 a.C.)
●Terza guerra (149-146 a.C.)
Datazioni abbastanza certe. Tra la prima e la seconda vi furono delle tensioni tra le due città
dovute ad alcune ribellioni di soldati mercenari al soldo dei Cartaginesi in Sardegna → quasi una
nuova guerra perché i romani sostennero questa rivolta dei mercenari dovuta al mancato
pagamento di questi soldati da parte dei Cartaginesi → portò alla formazione della provincia di
Sardinia et Corsica = inglobamento della seconda provincia dell’impero romano (la prima era
stata la Sicilia).

Prima guerra punica


Ci soffermeremo sul casus belli: richiesta di aiuto ai romani da parte dei Mamertini, popolazione
campana fatta di mercenari al soldo di Agàtocle (ex mercenari), che erano assediati a Messana
(Messina) dai siracusani. Questi mercenari si trovavano lì perché erano stati assoldati dal tiranno
qualche anno prima e poi dismessi alla sua morte → non sapendo dove andare occuparono questa
città (Messina) → reazione dei siracusani. I Mamertini prima chiedono aiuto ai cartaginesi e poi ai
romani affermando che avevano i diritto di chiedere aiuto perché erano nei homophyloi rispetto ai
romani , cioè appartenenti alla stessa stirpe (secondo la tradizione erano entrambe di origine
italica: i romani perché tra i vari ceppi vi era anche quello italico grazia ai Sabini di Tito Tazio, i
Mamertini perché popolazione italica di origine italica). Ci sarebbe poi il riferimento del ver
sacrum, procedure religiosa che legava tutte le popolazioni italiche in una sorta si stemma
genealogico al cui apice ci sarebbero stati i Sabini. I Sabini avrebbero quindi dato luogo sia ai
romani che ai mamertini che sarebbero nient’altro che un gruppo di persone partiti dalla
primavera sacra dai sabini e trasferitisi in Campania e poi in Sicilia come mercenari.
Ecco che qui entra in gioco l’importanza dell’esistenza o meno del trattato di Filino: dando per
buona la sua esistenza, se i romani avessero accettato la richiesta dei Mamertini, avrebbero
accettato di intervenire a Messina (in un’area a loro preclusa); se il trattato invece non è esistito
allora non avrebbero infranto alcun patto. I Romani non accettavano la violazione di patti (contro il
bellum iustum, guerra difensiva).
I romani aiutarono i Mamertini.
Vi fu un dibattito a Roma (e questo conferma l’esistenza del trattato perché altrimenti non ci
sarebbe stato bisogno di consultarsi per capire se aiutare o meno; se non c’era alcun impedimento
non ci sarebbe stato nessun problema). Il senato giustifica (implica l’esistenza di un ostacolo)

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l’intervento di Roma affermando che, portando aiuto ai Mamertini stavano solo aiutando una
popolazione italica.

I dettagli delle battaglie sul manuale. Diciamo solo che Roma, pur non essendo una potenza
marittima, seppe tenere testa anche grazie a nuove tecniche (slide battaglie).
Vince Roma → conquista la Sicilia prima provincia impero romano (solo a Oriente, Siracusa,
rimase indipendente).
Alla fine della guerra ci fu un trattato: i cartaginesi dovevano lasciare la Sicilia + Cartagine non
poteva muovere guerra ad alcun nemico senza prima chiedere autorizzazione ai romani e questo
fu il motivo per cui Cartagine perse la Sardegna e la Corsica per la ribellione dei mercenari. Ma
perché? Perché se avesse potuto intervenire contro i suoi ex mercenari, forse avrebbe potuto
mantenere le isole. Polibio stesso, pur essendo filo romano, disse che Roma forse sfruttò un po’
questo lato del trattato perché non concedendo a Cartagine la possibilità di reagire, non ha fatto
altro che aprirsi le porte del dominio sulla Sardegna stessa; Secondo Polibio si poteva lasciare la
Sardegna a Cartagine anche perché doveva pagare fonti belliche, i danni di guerra a Roma, e per
farlo aveva bisogno di introiti → Cartagine dovette cercare altrove questi introiti → espansione di
Cartagine in area iberica (coste meridionali della Spagna) che sarà tra le cause della seconda
guerra punica.

Seconda guerra punica


Ebbe le prime avvisaglie già quando Cartagine, grazie all’attivismo dei Barca (importante famiglia
di Cartagine il cui esponente più famoso all’epoca fu Amilcare e poi sarà Annibale), fu in grado di
espandere il suo dominio non più in Sicilia e Sardegna ma in Spagna.
Trattato del 237 che impedisce a Cartagine di infierire contro i suoi mercenari in Sardegna: in
occasione di quella rivolta Cartagine tentò di reagire ma fu bloccata da Roma in virtù del trattato
che aveva posto fine alla prima guerra.
Situazione geopolitica del 237 a.C.
Roma, in rosso, aveva ormai il controllo (indiretto) su buona parte dell’Italia centro-meridionale e
sulle isole Sardegna e Corsica + Sicilia (quasi tutta odierna Sicilia tranne la piccola enclave greca a
oriente che era sotto Siracusa); in giallo, i Greci che sono ancora presenti in Italia (le città greche
dove si parla greco che però non hanno più potere politico); in verde Cartagine continuava ad
avere una sfera di influenza ampia su Africa settentrionale e sull’Iberia.

L’espansionismo sull’Iberia, dove Cartagine fonderà anche la colonia di Carthago Nova (odierna
Cartag(h)ena), determinerà l’intervento di Roma.
L’espansionismo cartaginese spaventò Marsilia, colonia greca da tempo alleata di Roma (e
secondo la tradizione anch’essa di origine troiana), perché temeva che Cartagine arrivasse in

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quella che è oggi la costa della Francia meridionale → Roma interviene e stipula con Cartagine il
Trattato dell’Ebro che prevedeva che il fiume Ebro costituisse la linea di demarcazione tra la sfera
di influenza romana e quella cartaginese: a Nord dell’Ebro i cartaginesi non potevano intervenire e
i romani non potevano intervenire invece a sud dell’Ebro. Fu scelto questo fiume per proteggere il
più possibile Marsiglia. Il trattato ebbe da subito un problema: la città di Sagunto, a Sud dell’Ebro,
fu assediata da Annibale → chiese aiuto a Roma che non avrebbe potuto aiutare e invece lo fa!! →
Cartagine dichiara guerra!
Circolò notizia (ma forse invenzione per giustificare i romani) che Sagunto fosse alleata di Roma
prima che Roma firmasse questo trattato. I cartaginesi per contro affermavano l’inesistenza di
questo trattato inventato dai romani per giustificarsi.
Questa guerra fu interessata dalla devastazione del suolo italico perché fu combattuto per lungo
tempo in Italia(non solo: anche in Iberia e in Africa, a Zama).
Perché Annibale scelse di portare guerra ai romani in Italia? Bisogna capire la situazione di Roma
all’epoca: la città si era formata una fitta rete di alleanze con popolazioni e città dell’Italia antica
(Roma controllava anche una piccola parte dell’Italia settentrionale; piccola perché la controllerà
poi tutta solo all’inizio del II sec a.C.). Annibale quindi contava di rompere queste alleanze facendo
leva su un possibile malcontento di queste popolazioni: Annibale, a differenza di Pirro, capì che
uno dei motivi di successi di Roma era il sistema di alleanza che gli forniva soldati gratis. I romani
furono colti alla sprovvista da questa strategia: mitico passaggio di Annibale dalle Alpi con
devastazione dei territori per costringere le popolazioni a passare dalla sua parte, sebbene molte
popolazioni vi si allearono anche senza farsi costringere. I romani si aspettavano che la guerra
partisse da Cartagine (dall’Africa quindi) e non dalla Spagna, a Nord dell’Italia, anche perché la
parte a nord dell’Italia era quella meno controllata da Roma a questa altezza → Quando si
opposero (Lago Trasimeno, ecc) i romani furono sconfitti miseramente.
La più famosa battaglia fu quella di Canne: disfatta totale esercito romano con uccisione dei
consoli.
Se tra i cartaginesi spiccava Annibale, anche tra i romani abbiamo personaggi di spicco:
- Il dittatore Q. Fabio Massimo chiamato Il temporeggiatore perché scelse contro
Annibale una strategia di attesa = invece di cercare lo scontro diretto (sconveniente)
cercò di evitarlo contando sul fatto che Annibale solo in maniera difficoltosa poteva
ricevere rifornimenti (visto che si trovava su suolo italico) e non aveva torto se si pensa
che quando il fratello Asdrubale cercò di fornirgli aiuto dalla Spagna, venne intercettato
e ucciso dai romani. Voleva logorare la posizione di Annibale confidando anche nel
fatto che le comunità passata dalla parte di Annibale si stancassero di supportarlo come
era successo con Pirro.

- Furono in molti a preferire che invece si andasse allo scontro e quest’altra parte
dell’élite espresse le sue perplessità e riuscì a porre al fianco di Q. Fabio Massimo, il
magister equitum M. Terenzio Varrone, maestro comandante della cavalleria che
affiancava il dittatore.

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- Questa politica interventista non servì a nulla → fu necessario l’intervento di Publio
Cornelio Scipione Africano che ebbe l’intuizione di spostare il teatro della guerra in
Africa (come aveva fatto Annibale).

Tra coloro che tradirono Roma ci fu Capua e questo fu eclatante perché era alleata di Roma fin
dalle guerre sannitiche. Perché lo fece? Perché Annibale promise a Capua che sarebbe diventata la
città principale della penisola italica → sconcerto per Roma (lo vediamo nel discorso che il console
fece ai capuani e che ci tramanda Livio: i capuani avevano preferito fare fronte con un nemico
estraneo all’Italia, che arrivava dall’Africa e che dunque avrebbe ridotto l’Italia a provincia
dell’Africa, Capua compresa; questi nemici sono disumani e compiono cose empie).

Altra città traditrice fu Arpi, in Puglia settentrionale, tuttavia in questo passo di Livio, vediamo
come i soldati romani si rivolsero a quelli di Arpi incitandoli a lasciare il fonte punico affermando
che mentre i romani e gli abitanti erano entrambi appartenenti allo stesso fronte etnico, Annibale
era uno straniero e quindi perché (chiedono) combattete con un individuo che ci renderà tutti
schiavi?

Sono tutti discorsi fittizi ma reali nel contenuto!! Sappiamo per certo che Arpi abbandonò il fronte
punico tornando ad essere alleata di Roma (sicuramente non per questo discorso ma più per
ragioni economiche); Capua invece no → quando Roma vinse la seconda guerra, Capua fu punita
con la privazione dell’autonomia politica che le era stata lasciata e con la privazione delle
magistrature locali: non ebbe più i propri magistrati ,ma li ricevette da Roma → PUNIZIONE
GIURIDICA.
Roma, per convincere gli alleati, predicevano che Annibale avrebbe ridotto l’intera Italia ad una
provincia dell’Africa (insopportabile per i romani e tutti gli italici).
Il trattato che pose fine alla guerra fu siglato nel 201 a.C. con la solita richiesta di indennità ma
viene incluso anche il re Massinissa importante perché, nella seconda guerra punica, questo re
della Numidia (a sud del territorio Cartaginese) divenne alleato di Roma compiendo azioni di
disturbo lungo i confini meridionali dello stato di Cartagine → Cartagine fu costretta a distogliere
alcune truppe dal fronte romano. Massinissa, al pari di Roma, ricevette indennità di guerra e i
romani ribadirono che i cartaginesi non potevano far guerra a nessuno senza autorizzazione del
senato romano; tra l’altro i cartaginesi furono costretti a consegnare una buona parte della loro
flotta → si tentò di ridimensionare il potere marittimo di Cartagine (perché dopo la prima guerra
punica i Cartaginesi si seppero riprendere andando in Spagna). I romani infine ottennero il
controllo di parte della costa meridionale della penisola iberica: fondate le prime province
Hispania Ulterior e Hispania Citerior.

Situazione geopolitica alla fine della seconda guerra punica


Il potere di Roma non è più italico ma Mediterraneo (giunge fino alla Spagna); Cartagine ha il
controllo sulle coste dell’Africa settentrionale ma è molto più ridotto rispetto a prima!

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Terza guerra punica
Scoppia per la rottura del trattato, che pose fine alle seconda guerra punica, da parte dei
Cartaginesi.
I due principali elementi su cui esso si fondava erano:

- Massinissa, primo re cliente di Roma (il suo regno era libero e autonomo ma era
subordinato rispetto a Roma);
- Impossibilità per Cartagine di fare guerra a qualsiasi nemico.

Questi due punti si saldarono e portarono allo scoppio perché Massinissa si approfittò della
posizione di privilegio e cominciò ad erodere parti dello stato di Cartagine che non poteva reagire
senza autorizzazione di Roma!! Chiese il permesso al senato romano che però non lo concesse. Ci
fu un difficoltoso dibattito nel senato di Cartagine (sinedrio) che conosciamo dalle fonti antiche e
che vide:
- Una parte che voleva reagire, capitanata da Annibale (che non era morto nella Battaglia
di Zama) ;
- Filo cartaginesi che avrebbero voluto l’aiuto di Roma ed evitare di contraddire il
trattato con Roma.

Questa parte filo cartaginese ebbe la meglio all’inizio tanto che mandò in esilio Annibale (presso
Antioco III, guerra siriaca) per dimostrare buone intenzioni a Roma ma non bastò perché Cartagine
alla fine reagì contro Massinissa rompendo il trattato.
Massinissa invece di essere punito per le scorrerie nel territorio di Cartagine, adesso fu appoggiato
da Roma che aveva dichiarato guerra al re della Numidia e quindi, a Roma.
Anche a Roma ci fu un dibattito: cosa fare di Cartagine.
- Per alcuni (Marco Porcio Catone, Il Censore) era da distruggere per la pace di Roma;
- Per altri (come alcuni degli Scipioni) era necessario mantenerla in vita perché se Roma
l’avesse definitivamente sconfitta, sarebbe venuto meno il metus punicus cioè ‘il
terrore dei cartaginesi’ che era necessario poiché a Roma avremmo avuto un
rilassamento dei costumi e i giovani non avrebbero pi avuto necessità di un duro
addestramento militare.

Ebbe la meglio Catone → inizia l’assedio di Cartagine che venne distrutta → viene lì costruito il
nucleo di quella che sarebbe stata un’altra provincia: la provincia d’Africa. I territori di Cartagine
divennero ager publicus e furono dati in affitto a coloni italici, romani e libici → colonizzazione
mista che serviva a tenere sotto controllo i punici che erano sempre un po’ una preoccupazione.
Fu scelta poi la città di Utica che venne ingrandita e divenne la nuova capitale della nuova
provincia.
L’importanza di questo avvenimento sta nel fatto che Roma inizia ad adottare un nuovo sistema di
controllo: non più alleati (che potevano funzionare per i territori vicini a Roma e che Roma non

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poteva quindi controllare direttamente) ma province perché erano territori lontani! → necessaria
la creazione dei pro magistrati che andassero a governare queste province (no ager publicus).
Roma fu in grado di riunire sotto il suo dominio un territorio vastissimo (Italia, spagna e Africa).
Fino alla fine della seconda guerra punica, i contatti di Roma con i Greci erano stati episodici
(qualche scontro con Filippo V che cercò di portare aiuto ad Annibale) ma adesso Roma si affacciò
sul mondo del Peloponneso (Sparta, Atene, isole dell’Egeo): si confronta con i regni ellenistici (nati
dalla diaspora dopo Alessandro Magno) affacciati sul Mediterraneo che cadranno poi sotto il
controllo romano divenendo province.

Lezione 13 – 26 Marzo 2020


Provincia di Sicilia
Potremmo usare molte fonti per ricostruirne la storia, fonti epigrafiche, archeologiche e
storiografico/letterarie; tra quest’ultime primeggia l’insieme di orazioni che Cicerone scrisse e in
parte pronunciò contro Gaio Verre, nel 71 a.C. circa, dopo che questo era stato governatore della
Sicilia per 2 anni, in qualità di pro magistrato. Verre fu accusato dai provinciali dell’isola di varie
malefatte di carattere finanziario (aver sottratto il denaro che le città di Sicilia pagavano come
tasse ai romani) e in particolare i Siciliani assunsero come avvocato (patronus) proprio Cicerone →
Le Verrine, importanti perché ci danno uno spaccato della vita provinciale negli ultimi decenni
della Sicilia e poi perché ci offrono alcuni riferimenti storici importanti per quanto riguarda la
Sicilia delle epoche precedenti in particolare in riferimento ai rapporti giuridici che le città della
Sicilia intrattennero con Roma entro il contesto provinciale. L’attenzione di Cicerone si appuntò
anche sugli accusatori stessi quindi sulle città siciliane.
L’opera è divisa in 3 parti: una preliminare, seguita da due libri che contengono la requisitoria,
divisa in actiones, vera e propria che venne tenuta cioè la Divinatio in Q. Caecilium e poi le altre 5
requisitorie mai tenute (In G. Verrem actio prima e in G. Verrem actio secunda).
Solo una parte fu pronunciata in senato perché Verre fu costretto a dichiararsi colpevole tale fu la
forza della requisitoria ciceroniana.
Vediamo un passo importante
Prima parte fondamentale per capire la ratio alla base della costruzione del sistema provinciale:
deditio in fidem (ci si riferisce a quella che fecero, all’inizio della prima guerra punica, i Mamertini
nei cfr dei romani e poi tutte le città greche della Sicilia stanche del dominio cartaginese; alla fine
della prima guerra punica quasi tutta l’isola cadde sotto Roma eccetto il regno di Siracusa che,
alleato di Roma contro i cartaginesi, rimase indipendente). Roma accolse queste città nella propria
fides e lasciò autonomia politica interna alle città, anche provinciali. Le città mantennero i propri
territori (su cui però dovevano pagare una tassa) quindi lo sfruttamento dei territori fu lasciato ai
locali che poterono arricchirsi e sostenersi come prima. Il tipo di tributi che le città pagavano era
dato in appalto dai censori, cioè i censori davano in appalto a privati la riscossione delle
tasse/tributi → Roma non affidava ad organi statali la riscossione di questi tributi, ma lo affidava
a compagnie di privati (che si chiameranno publicani in tarda repubblica). I tributi riscossi
venivano poi dati a Roma trattenendo solo la quota destinata a loro in quanto appaltatori.

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Vantaggio? Questi publicani di solito anticipavano le somme che una certa provincia doveva a
Roma per poi rifarsi sulla provincia stessa (così Roma aveva subito i soldi). In età repubblicana
problema: i publicani pagavano a Roma una certa somma e poi chiedevano ai provinciali somme
più elevate.
Cicerone, pur pronunciando un discorso riferito agli anni 70, torna indietro e fa riferimento ai
primi contatti tra Roma e la provincia mettendo in risalto la liberalità di Roma che trattò molto
bene i provinciali.
Cicerone continua poi spiegando come Roma classificò le città della neonata provincia:
- 2 città federate (Messina e Taormina) quindi libere da qualunque tipo di pagamento delle
tasse. Messina era la prima che chiamò Roma in aiuto contro i cartaginesi (Mamertini);
- 5 città non federate (no trattato di alleanza) ma che sono immuni e libere cioè immuni, di
solito, dal pagamento di tributi (MA non sempre) e che sono autonome quindi libere. Non
federate cosa vuol dire? Concessione unilaterale di Roma che poteva in ogni momento
revocare i termini del trattato e revocare i vantaggi fiscali di qui queste città godevano.
- Tutto il resto del territorio delle città siciliane è sottoposto al pagamento della decima:
Roma, per tutte le altre città (che si erano da subito alleate), prevedeva il pagamento di
una tassa che però non veniva riscossa in denaro (nel caso unico della Sicilia) ma in grano.

Il pagamento dei tributi non viene chiamato tributum o stipendium (termine tecnico per
indicare le tasse delle città provinciali) ma si utilizza il termine decime = decima parte del grano
che ogni città produceva → per molto tempo si disse che la Sicilia fino alla conquista dell’Egitto,
rappresentava per Roma il granaio.
Cicerone ci dice poi che nella riscossione di queste tasse, Roma non introdusse una nuova
legge ma si rifece alla Lex Hieronica che è una legge che fu introdotta nel corso del III secolo da
Ierone di Siracusa, tiranno, che alle città sottoposte al suo controllo richiese il pagamento di un
tributo in grano.

Tappe della formazione della provincia di Sicilia, tramite un processo di romanizzazione


(culturale politico, giuridico, legislativo, economico)
● Dedito mamertina 264 a.C. circa: i Mamertini chiedono aiuto ai romani. Secondo la critica
moderna, il processo di romanizzazione giunge a compimento con Marco Valerio Levino
all’indomani della conquista di Siracusa e in particolare del regno di Ierone II (210 a.C. circa)
quando il regno di Siracusa, fino a ad ora alleato di Roma, si alleò con i cartaginesi →
conquistato da Roma e diventa provincia romana. Roma dovette attrezzarsi per amministrare
un territorio enorme fuori dall’Italia.
● 241-241 a.C.: la Sicilia, ancora divisa tra provincia romana e regno di Ierone II, ricevette un
primo assetto amministrativo da Quinto Lutazio Catulo coadiuvato da una commissione di 10
senatori (accadeva spesso). Si procedette quindi ad una sistemazione delle questioni della
Sicilia, ci si preoccupò di dare uno status giuridico alle città e ci si occupò di come dovesse
funzionare il pagamento del tributum (tasse provinciali) ed è in questa occasione che si scelse
di tenere la Lex Hieronica.

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● Secondo alcuni studiosi moderni però la vera e propria istituzione della Sicilia dal punto di
vista amministrativo avvenne solo nel 227 a.C. quando fu inviato nell’isola Gaio Flaminio.
Perché? perché questi studiosi ritengono che Roma, che non era ancora abituata a gestire un
territorio così grande (come quello che comprendeva la quasi totalità del regno di Sicilia),
avrebbe avuto bisogno di molti più anni perché fossero istituiti tutti gli organi centrali tipici di
una provincia.
● Di sicuro la Lex provinciae definitiva e comprensiva di tutta l’isola fu promulgata solo dopo il
210 a.C. cioè solo dopo che anche il regno di Siracusa fu inglobato nella provincia. È una legge
comiziale che veniva promulgata ogni volta che si formava una nuova provincia e in cui
venivano definite tutte le regole che riguardavano quella provincia: ad esempio la riscossione
in decime e non in denaro (SOLO per la provincia di Sicilia). Dovette anche essere rivista
verosimilmente dopo il 132 a.C.( fine prima della prima guerra servile, condotta da schiavi in
Sicilia) che ebbe ripercussioni anche sulla legge grazie all’emanazione della Lex Rupilia voluta
dal console Rupilio che riguardava l’assetto amministrativo della provincia. La formula
provinciae (come la formula togatorum) è una lista in cui venivano elencate tutte le città,
popolazioni, le comunità di quella provincia con annesso status giuridico (federata, libera,
ecc).
Lex Rupilia
Fu una legge che riguardava la sola Sicilia e noi sappiamo che a Roma le leggi riguardavano
tutti i cittadini romani o, eventualmente, i settori della cittadinanza (ad esempio una legge
riguardante gli schiavi avrebbe riguardato i cittadini romani che avessero avuto a che fare con
gli schiavi). Questa fu emanata dopo una rogatio dei comizi centuriati (la rogatio è una
proposta di legge del console fatta approvare dai comizi centuriati) e approvazione ulteriore da
parte del senato.
Cosa stabiliva? Aveva lo scopo di definire meglio dal punto di vista giudiziario i rapporti tra le
diverse città della provincia (e i loro cittadini) e tra esse e i romani (cioè tra provinciali e
cittadini romani). Come vediamo dalle Verrine, essa si preoccupò di definire dove dovesse
avvenire un giudizio che riguardasse un provinciale e un altro provinciale di un’altra città. I
giudici che devono pronunciarsi in questo tipo di processo, da dove devono arrivare? Era più
probabile che vincesse il cittadino che avesse i giudici della propria città che avrebbero,
verosimilmente, giudicato con clemenza un concittadino. In caso controverso la decisione
veniva presa dal propretore (ex console, ex pretore o, nei primissimi tempi, un pretore
espressamente eletto per quella provincia ma poi non sarà più possibile perché le province
diventeranno troppe).

Guerre servili
Furono 3 ed interessarono al Sicilia:
1) 135-132 a.C. a cui seguì la lex Rupilia;
2) 102-98 a.C. intervento di un personaggio che vedremo poi nelle lotte civili, Gaio Mario;
3) 73-71 a.C. famosa per la figura di Spartaco.

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Le guerre servili ebbero come teatro l’Italia meridionale e la Sicilia e furono dovute alle condizioni
dure in cui versavano molti schiavi, usati dai proprietari terrieri provinciali, italici e romani, per
coltivare i propri latifondi, per la pastorizia o per il lavori nelle cave/miniere. Erano considerati
come oggetti di proprietà del patrono che aveva su di essi potere di vita e di morte. La condizione
schiavile non era permanente (almeno in teoria) anzi molto spesso i padroni potevano liberarsi
rendendoli liberti cioè cittadini della medesima cittadinanza dell’ex padrone (con alcune limitazioni
= non poteva candidarsi alle magistrature): questa procedura è chiamata manumissio ed era una
procedura formulare fatta di gesti e formule, da eseguirsi di fronte a un magistrato dotato di
imperium a Roma o a una magistratura apicale in un centro dell’impero. Il liberto assumeva il
nome gentilizio laddove il suo nome originario diventava il su cognomen → acquisisce quindi
l’usuale formula onomastica romana. Persistevano alcuni obblighi nei confronti dell’ex padrone
(alcuni giorni di lavoro all’anno ad esempio). Una manomissio regolare avvenuta con procedura
sbagliata avrebbe invalidato l’intero meccanismo e quindi lo schiavo non sarebbe stato del tutto
libero (per questo fu più volte oggetto di legislazione per cercare di trovare una condizione
giuridica per questi schiavi liberati con procedura sbagliata).

Prima guerra servile


Scoppia nel 136 a.C. nella città della Sicilia orientale, Haenna e da qui si propagò in tutta l’isola.
Questa prima rivolta mise in risalto, secondo gli storici moderni, la debolezza del sistema
provinciale ancora in via di rodaggio. La situazione sarebbe stata migliorato dalla Lex Rupilia e da
altri provvedimenti tanto è vero che secondo altri studiosi, come Antonino Pinzone, addirittura la
Sicilia non sarebbe quella dell’inizio della provincia ma la Sicilia post lex Rupilia. Si ribadisce il fatto
che la Lex Rupilia (a noi nota solo in parte) è molto importante così come la Lex Provinciae.
Seconda guerra servile
Gli schiavi si approfittarono del fatto che Roma era impegnata in più campagne militari contro i
Teutoni e contro Giugurta, re di Numidia → le legioni romane non furono inviate per lungo tempo
in Sicilia → la rivolta, che prevedeva il saccheggio e la devastazione delle città avrebbe recato un
grande danno = motivo di preoccupazione per Roma → viene inviato il generale Gaio Mario che
vince.
Terza guerra servile
Non riguarda più l’assetto provinciale perché fu una guerra che toccò la Sicilia ma partì dall’Italia
meridionale e quindi fu meno incisiva.

Quindi la Sicilia sotto Roma vive 3 stadi:


- Provincializzazione
- caduta del regno di Siracusa che entra a far parte della provincia
- le guerre servili

Nell’età delle guerre civili la Sicilia tornerà ad essere protagonista all’interno dei giochi di potere
del secondo triumvirato ma, in età repubblicana, fu interessata poco da fatti importanti per la

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storia di Roma e quindi quello per cui è importante, è che fu una sorta di palestra, laboratorio per
sperimentare l’istituzione provinciale.
Il fatto che Roma prenda una legge di altri (Hieronica) la dice lunga su come Roma non optò mai
per la demolizione dei territori inglobati ma anzi ne tiene le leggi (certo adattandole).

Vediamo ore le civitates della Sicilia


- 2 civitates foederatae (Messana e Taormina) che avevano sottoscritto un trattato con
Roma formalmente bilaterale = Roma non le aveva vinte in guerre e quindi non poteva
vantare su di esse nulla. Non avevano dunque obbligo di pagare tasse e mantenevano
autonomia. Tutte le città di una provincia, indipendentemente dal legame giuridico con
Roma, erano tutte civitates peregrinae cioè ‘città straniere’ eccetto le colonie (che
potevano essere latine o romane anche in ambito provinciale). Una città straniera poi
poteva essere federata a Roma, alleata, ma cmq non aveva NIENTE della cittadinanza
romana.
Esse mantenevano la propria autonomia, avevano un proprio governo e quindi non erano
soggette al governatore della provincia, conservavano i propri bene e territori senza
obbligo di versare tributi.

- 5 Città immuni e libere non sono federate perché erano state vinte da Roma, o comunque
si erano trovate in condizioni di svantaggio, e godevano di una posizione giuridica
privilegiata perché Roma aveva deciso che non dovessero pagare il tributo e fossero
indipendenti e libere. Ma queste città erano tali non per un trattato bilaterale ma per
gentile concessione: trattato unilaterale → Roma poteva revocare i vantaggi quando
voleva. Lo stesso accadeva alle città alleate del suolo italico: NB non confondere queste con
le alleate provinciali (l’Italia non fu provincia fino a Diocleziano).

- Grande numero di città che dovevano pagare la decima. Non ne conosciamo i rapporti con
Roma ma è verosimile che esse mantenessero un’indipendenza interna che prevedeva di
mantenere i propri organi (come tutte le città provinciali) quindi i propri magistrati, senato
e comizi. Non erano però libere cioè non potevano avere politica indipendente con le altre
città della provincia. Tra queste rientrano anche le 40 città che si erano date in fidem a
Roma (anche se prima si erano opposte a Roma durante la guerra punica). La Deditio in
fidem era una procedura verbale e formale con cui una comunità si affidava a Roma che
doveva proteggerla in cambio di diritti sulla comunità stessa. Come detto Roma era
clemente e preferiva non avere nemici ma alleati (lasciando indipendenza, ecc) e infatti
furono pochi quelli a cui questo non andò bene e quando accadde che ci furono rivolte,
come la guerra sociale, non fu per ottenere maggiore dipendenza (che già era garantita)
ma per entrare a far parte dello stato di Roma.

- Infine c’erano pochissime città (ce lo dice Livio) che furono davvero conquistate,
assediate e vinte → trattamento peggiore = non rase al suolo ma private del proprio ager

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cioè del territorio circostante importante per la propria crescita. Questo territorio fu
affittato grazie ai censori : le comunità si trovavano a pagare canoni per lo sfruttamento del
proprio territorio.

Sembrano delinearsi due tipi di riscossione del tributo:


- città decumane = pagano la decima. Si dicono così perché pagano in grano. Se pagassero in
denaro si direbbe città stipendiarie.
- città censorie = pagamento al censore

Cicerone ci parla solo delle prime, Livio ci parla anche delle censorie. Perché Livio lo fa e Cicerone
no? Una delle ipotesi è che l’unica differenza era “a chi si pagava” il tributo (fosse grano o meno),
cioè chi le riscuoteva? Per le decumane i questori, magistrati provinciali di carattere finanziario
che raccoglievano il grano e lo spedivano a Roma. Le città censorie invece lo avrebbero pagato al
censore. Il fatto che Cicerone non ne parli, sarebbe una prova che esse, dal punto di vista
numerico, era davvero poche quindi egli potrebbe averle dimenticate per svista o si può pensare
che le città che mossero causa a Verre fossero tutte decumane.

Vediamo ore la province in età repubblicana

Provincia = ambito di azione attribuito a un magistrato dotato di imperium. Poi va emergendo al


sovrapposizione tra concetto dal punto di vista geografico e il termine nell’accezione primaria di
‘compito’. I romani iniziano a parlare di province prima alludendo al compito, poi al territorio.
Inizialmente furono eletti 4 governatori: i primi pretori con funzione di governatori provinciali
furono creati nel 227 a.C. cioè con l’aggiunta della provincia di Sardegna e Corsica. Avevamo già,
prima della prima guerra punica, un pretore urbano e uno peregrino e adesso ne vengono
aggiunti 2 (uno per la Sicilia e uno per Sardinia et Corsica). Mano a mano, nel 197 furono portati a
6 (con il parallelo aumento delle province), tutti eletti e che rimasero 6 fino a Silla perché, per
gestire le ormai troppe province, si iniziò a preferire di prolungare fino a due anni l’imperium =
pro magistratura – prorogatio imperii.

Per una prorogatio esplicita (come quella del primo proconsole, Publio Filone, nel 327 a.C.) era
necessario un senatus consultum, seguito da una delibera dei concilia plebis. Successivamente poi
al procedura si semplificherà e basto semplicemente il decreto del senato (senatus consultum).

Un aspetto importante fu la differenziazione anche giuridica, oltre che ideologica, tra provincia e
Italia: l’Italia fu giuridicamente qualcosa di diverso dalla provincia ciò che vale per l’Italia non
valeva per la provincia ad esempio l’auspicatio, fondamentale per Roma, era intimamente
connesso al concetto di Italia = poteva avvenire solo su suolo italico perché la Sicilia e poi tutte le
province, fu vista come qualcosa di extra-italico. Quindi abbiamo una definizione dal punto di vista

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giuridico e sacrale di Italia. Questo lo troviamo in sintesi anche all’inizio della prima guerra punica,
nel Trattato di Filino, dove abbiamo l’area di pertinenza punica (Sicilia) e area di pertinenza
romana (Italia). Altro esempio è la dictio del dittatore: egli non aveva potere in provincia!!!
Questa netta separazione tra provincia e Italia si ricomporrà solo successivamente: nel 212 d.C.
con l’editto di Caracalla con cui la cittadinanza romana viene data a tutte le province e non solo
all’Italia = equiparazione giuridica tra provincia e Italia; poi con Diocleziano perché l’Italia perderà
questa posizione di privilegio e verrà trattata come fosse una provincia qualunque (quasi).
Il concetto di provincia spiega anche perché si dice “impero romano”: l’imperium era il potere che
un pro magistrato esercitava nella propria provincia ed è proprio per questo che si parla di impero
romano → si passa dal potere (concetto ideologico) al territorio fisico, l’insieme delle province
(concreto) come per il termine “provincia”.

Creazione di una provincia



Riassumendo: se ne occupava il magistrato che aveva vinto riducendo quell’area a provincia che
doveva delinearne i confini territoriali e stabilire le modalità di amministrazione (decisioni che
dovevano essere ratificate dal senato). Veniva quindi emanata la lex provinciae e la formula
provinciae. Se una città pagava un tributo, quello che la provincia versava in generale era detto
vectìgal o stipendium.
La lex provinciae comprendeva decisioni di carattere tributario, le regole per la riscossione delle
tasse, i limiti alla giurisdizione dei magistrati locali e lo status delle città.
Entro le città rimaneva in vigore il sistema giudiziario delle varie città! Il problema si verificava
quando una contesa riguardava un provinciale e un romano (che magari abitava in Sicilia) perché
qui non valevano più i giudici provinciali ma le leggi che regolavano questo processo erano quelle
romane!!
Per quanto riguarda la scelta di chi dovesse governare le province, quando nel II secolo, esse
divennero molte il senato stabiliva di anno in anno quali fossero le provincie consolari (attribuiti a
proconsoli) e quali fossero province pretorie (attribuite a propretori). Fissava poi quali province
dovessero esse sorteggiate per essere attribuite ed era a sua descrizione se un pro magistrato
dovesse rimanere nella sua provincia uno o due anni.
123 a.C. Lex Sempronia voluta da Caio Gracco che stabilì che il sorteggio delle province consolari
avvenisse prima dell’elezione dei consoli per evitare che il senato, per liberarsi di un console,
decidesse di inviarlo in una provincia lontana allontanandolo così dalla vita di Roma. Fece sì che tra
la nominatio provinciarum (assegnazione province) e l’effettiva assunzione del governatorato
nelle province , passassero almeno 18 mesi per i consoli e 10 per i pretori.
Lex Pompeia del 53 a.C. promulgata da Pompeo aveva il compito di danneggiare Cesare (prima
parte guerre civili: Pompeo VS Cesare, dopo al morte di Crasso). Aveva lo scopo di ridurre Cesare
allo status di privatus al suo ritorno dalle Gallie (dove era governatore) come? aumentando
ulteriormente intervallo tra l’uscita dal consolato e l’entrata al proconsolato. Le province
divennero dei veri e propri strumenti di lotta politica.

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Il governatore guidava le legioni stanziate nella provincia + potere giudiziario (quando c’era di
mezzo un cittadino romano).
Grande differenza tra province orientali e occidentali:
- Orientali: la penetrazione dei tratti culturali romani fu più difficile perché qui c’era una
tradizione molto forte di antichissima data. Roma lasciò qui che venisse parlato il greco.
Qui vi erano istituzioni giudiziarie e amministrative consolidate.
- Occidentali (Gallie, Spagna, ecc): Roma riuscì a diffondere meglio la sua cultura perché qui
le culture che si trovò di fronte erano inferiori rispetto a quella latina, meno sviluppate (vi
erano molte tribù che non avevano una lingua scritta). Qui il latino ebbe maggiore
diffusione.

Lezione 14 – 27 Marzo 2020


Le guerre macedoniche
(214- 148 a.C.)
Guerre che portarono Roma prima contro il regno di Macedonia (Filippo V) e poi con quello di Siria
(Antioco III), due regni ellenistici nati dallo sfaldamento del grande impero macedone di
Alessandro Magno.
Nello scontro con loro Roma ebbe anche a che fare per la prima volta con le comunità delle
Grecia antica (Grecia continentale) e con le comunità greche dell’Asia Minore. Fino alle guerra di
Pirro e più precisamente fino ad Annibale, Roma aveva avuto contatti con le comunità della Magna
Grecia (nella campagna di Pirro, Roma dovette proprio combattere con esse) ma erano ancora
città sì greche ma dell’Italia antica e lo stesso vale per le città greche della Sicilia. Fino a qui i
contatti con le comunità della Grecia continentale e dell’Asia minore furono quindi sporadici e solo
per fini commerciali. Roma non si era ancora occupata del settore orientale del Mediterraneo ma
solo di quello occidentale e dell’Italia.
Le guerre macedoniche furono 4, intervallate da momenti di pace. La guerra siriaca fu una sola e
avvenne tra la seconda e la terza macedonica (in un momento di intervallo): Antioco approfitta
della situazione che si era creata con Filippo V per muovere anch’egli guerra alle comunità greche.
Una caratteristica comune alla seconda e terza macedonica e alla siriaca, è il coinvolgimento di
Roma su richiesta delle comunità greche: Roma fu chiamata ad intervenire sui fatti della Grecia
(che vedevano questi regni ellenistici scontrarsi con alcune comunità della Grecia antica) ed ecco
il casus belli!
I contatti tra Roma e queste comunità/regni fu particolare: Roma scelse di lasciare autonomia
anche se risultava vincitrice in guerra. Queste scelte furono un’arma propagandistica (lo sappiamo
dalle fonti) che serviva a Roma per cementare dei rapporti. Solo dopo diversi tentennamenti,
Roma si risolse a rendere province questi territori (almeno in parte).

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Filippo V è il protagonista delle prime due guerre perché nella terza e nella quarta invece ci sarà il
figlio Perseo e un altro personaggio che si spacciava come figlio di Perseo. Filippo V, sovrano
appartenente alla famiglia antigònide, fu tra coloro che alla caduta del regno di Macedonia
conservò il regno antico della Macedonia (il territorio da cui partì la costruzione del grandissimo
regno ecumenico di Alessandro Magno → Filippo V ne è discendente).
Sulla moneta è scritto in greco “re Filippo” dove basileo = ‘re’. In cartina vediamo il regno della
Macedonia ai tempi di Filippo II, dunque molto prima, fine II secolo a.C.

Prima guerra macedonica


La prima guerra macedonica durò circa 10 anni ma non fu ricca di eventi bellici importanti. Nasce
per una sorta di allineamento tra esigenze di Annibale e Filippo V: quest’ultimo regnava sulla
Macedonia che non aveva sbocchi importanti sul Mar Adriatico e dalle fonti sappiamo che il re
avrebbe voluto estendersi. In Italia nel frattempo c’era la campagna di Annibale (che portò lì
strategicamente la guerra) e nel 215 Roma stava uscendo dalla sconfitta di Canne (Puglia
settentrionale) → Filippo V ne approfitta e Annibale, intuendo le sue mire, anche → si allearono:
- Filippo V voleva espellere i romani da alcune aree delle coste orientali dell’Adriatico;
- Annibale da parte sua cercava un modo per distrarre le truppe romane mettendole ancora
più in difficoltà.

In quest’alleanza Filippo avrebbe dovuto distogliere le truppe romane, portandole sull’Adriatico, e


Annibale avrebbe dovuto approfittare e concludere la guerra. Circolò poi anche la notizia, che
Filippo V, una volta che avesse conquistato queste aree, avrebbe addirittura raggiunto Annibale e
lo avrebbe aiutato a sconfiggere Roma → motivo valido per far si che i romani dichiarassero guerra
a Filippo V.
A spingere i romani a dichiarare guerra furono anche due alleati: la Lega Etolica, lega di città che
occupavano l’Etolia (a Sud del regno macedone) da sempre ostile alla Macedonia e poi il re Attalo
I di Pergamo (il cui regno si trovava in Asia minore) che fu uno dei re clientes, alleato di Roma
durante le guerre macedoniche e in quella siriaca e un gran sostenitore di Roma nella fase di
espansione nell’Egeo orientale.
Roma dichiara guerra.
Roma riuscì contenere le spinte espansioniste di Filippo V ma, nel 206 a.C. inaspettatamente, La
lega Etolica firmò un trattato con i macedoni → i romani si trovarono privi di un sostengo e
furono costretti anch’essi a firmare una pace affrettata: la Pace di Fenice (205 a.C.). L’impero
macedone dovette rinunciare alle mire sull’Adriatico però di fatto Filippo V non ebbe alcuna
ripercussione negativa pur avendo perduto la guerra contro Roma → inevitabilmente si verificò
una certa frattura nei rapporti tra Lega Etolica e Roma perché Roma si era legata al dito che La
Lega Etolica aveva firmato una pace senza chiedere consenso.

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Situazione dell’Egeo orientale dopo la Pace di Fenice
Quello in marrone scuro è l’area di protettorato da parte romana (sovrani favorevoli ai romani), la
parte rossa è l’area macedone su cui regnava Filippo V, a sud dell’impero macedone vediamo
l’area Etolica, in verde il regno di Pergamo cioè di Attalo I (regno ellenistico anch’esso), infine, in
giallo il regno Selèucide cioè quello fondato da Seleuco I uno dei compagni di Alessandro Magno
che alla morte di quest’ultimo, aveva ottenuto questo territorio cioè il regno di Siria (Asia minore
fino ad andare a coprire poi l’attuale Siria); ci sono poi le altre città della Grecia continentale (Lega
Achea, importante nelle guerre macedoniche e siriaca, e le città greche dell’Asia minore, antiche
colonie che giocarono un ruolo importante a favore di Roma).

Il legame con il regno di Pergamo, prima di tipo amichevole e basta, si rafforza quindi a partire da
questa guerra ed è qui che inizia a circolare una tradizione per cui a Roma sarebbe stata portata la
rappresentazione di una divinità (la Grande Madre rappresentata da una pietra nera a forma di
cono allungato) da Pessinunte (nel regno di Pergamo) a Roma; secondo le fonti antiche il dono fu
dato all’ambasceria romana giunta a Pergamo a seguito della lettura di un oracolo contenuto nei
Libri Sibillini (letti da sacerdoti particolari in momenti difficili): se Roma avesse trasportato l’idolo,
sarebbe stata in grado di cacciare dall’Italia il nemico punico, Annibale → Da un punto di vista
ideologico il regno di Pergamo ebbe un gran ruolo, a cementare un rapporto positivo tra i due.
Tale rapporto poi si andò ad esplicare nel contesto del più grande mito troiano perché secondo la
tradizione la dea era originaria della Troade, mitica patria dei romani → Tutto unito dal punto di
vista ideologico, religioso e propagandistico. L’idolo venne portato entro il pomerio, sul palatino
venne costruito un nuovo tempio che venne dedicato nel 191 a.C. e in onore della dea si tennero
per la prima volta i Ludi Megalenses (Megale = ‘grande’ in greco), celebrati con spettacoli teatrali
per i quali scrissero alcune opere Plauto e Terenzio. La divinità fu accolta a Roma da un giovane
della famiglia degli Scipioni (e coerentemente sarà uno Scipione a sconfiggere Annibale!).

Seconda guerra macedonica


Stessi protagonisti. Nel 203 Filippo V stringe alleanza con il re di Siria Antioco III (dinastia
Seleucide) per spartirsi gli ex possedimenti tolemaici dell’Egeo (il regno tolemaico era un altro
regno ellenistico, nato in Egitto dalle ceneri del regno macedone). Il regno tolemaico in questo
periodo era in difficoltà e i due re ne approfittano per espandersi a danno degli ex possedimenti
ma anche delle città greche libere e autonome che non erano mai stati comprese nei regni
ellenistici e che improvvisamente si ritrovarono controllate dal regno seleucide di Antioco III o da
quello macedone di Filippo V → risentimenti di Attalo I, che non poteva tollerare l’eccessiva
crescita dei due sovrani (2 suoi nemici), e anche di Rodi (repubblica, isola che viveva di commercio
e che si vide minacciata da questi due regni che avrebbero potuto incidere sulla libertà di
commercio dell’Egeo orientale dominato dalla repubblica di Rodi) → Roma invia un ultimatum a
Filippo V che lo respinge → si forma il fronte romano-greco antimacedone fatto da Roma, la Lega
Etolica, Rodi e Attalo I di Pergamo.
Passo di Livio (importante fonte per queste guerre): quello che i romani promettevano alle città
greche era di riportarle alla libertà e autonomia che avevano prima dell’intervento di Filippo V. In

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queste parole, che Livio attribuisce agli ambasciatori della Lega mandati nelle città greche, essi
spingevano per la completa distruzione del regno macedone perché solo quello avrebbe garantito
la libertà della Grecia perché finché la Macedonia fosse esistita, avrebbe rappresentato una
minaccia continua.
Altre città poi si allearono ai romani, grazie alla propaganda portata avanti dalla Lega Etolica, come
Atene (città più importante della Grecia in età antica) e la Lega Achea. Filippo V come risponde?
Affermando un principio non solo propagandistico ma giuridico, con funzione legittimante: tutto
ciò che faceva era improntato alla ricostruzione dell’antico regno Macedone; quello che stava
facendo era solo riconquistare i territori che i suoi avi avevano conquistato e quindi aveva il diritto
di riprenderseli → idea per cui ciò che si è vinto in guerra appartiene, di diritto, al vincitore. Da
entrambi i fronti ci fu la necessità di giustificare con argomenti ideologici e giuridici la propria
azione: Roma fece leva sulla necessità di garantire l’autonomia alle città greche, Filippo su questo
diritto.

Il console Tito Quinzio Flaminino fu colui che guidò le operazione e che vinse Filippo V nella
battaglia di Cinocefale (In Tessaglia) nel 197 a.C.→ fu costretto a lasciare i territori che aveva sotto
controllo e a pagare alcune indennità di guerra. Come solito però, alla fine di questa seconda
guerra, Roma non intervenne in maniera dura e infatti il regno di Macedonia rimase esattamente
com’era (dovette solo rinunciare ai possedimenti che aveva da poco incorporato) → risentimento
della Lega Etolica che avrebbe voluto lo smembramento del regno macedone per poi averne una
parte. La Lega Etolica tra l’altro non ottenne nulla di quello che aveva richiesto ai romani, a
differenza di tutti gli altri che fecero parte della coalizione → secondo le fonti fu una vendetta per
la famosa pace del 206 a.C.!!!!
Furono compromessi i rapporti tra Roma e Lega Etolica.
Trattato di pace tra romani e macedoni, nelle parole di Livio: Europa significa Grecia perché,
nell’età antica, il concetto di Europa si identificava quasi totalmente con la Grecia cioè con
l’Occidente a cui si contrapponeva l’Asia cioè tutto ciò che stava aldilà dell’Ellesponto (odierno
stretto dei Dardanelli) e quindi l’Oriente. I romani poi si impossessarono del concetto di Europa ed
esso arrivò a coprire territori ben lontani dalle Grecia. Le truppe che erano state trasferite in
Grecia da Flaminino per muovere guerra ai macedoni, furono ritirate nel giro di pochi anni al
massimo (2/3 anni dopo, cioè nel 194 a.C.) e questo fu motivo di grande successo perché la
propaganda macedone si aspettava che i romani avrebbero esteso il loro dominio sulla Grecia ed
invece i romani, astuti, ritirarono tutte le legioni lasciando la Grecia libera e anzi vollero
proclamare la libertà e l’autonomia delle Grecia raggiunta grazie al loro aiuto. Questo grande
annuncio fu dato nel corso dei giochi Istmici a Corinto, importanti per la grecità completa perché a
Corinto si riunivano tutti gli ambasciatori dell’intera Grecia, tutte le comunità greche → Roma era
così la prima città barbara (non greca, tutt’al più troiana ma i troiani potevano essere sia greci che
barbari perché la loro grecità non era così netta) ad essere invitata ai giochi istmici di Corinto!! È
qui che il console Flaminino proclamò la libertà della Grecia secondo le parole riportate in un
passo di Livio: in una situazione di silenzio assoluto, in tutti scoppiò una grandissima gioia =
ASTUZIA di ROMA nel conquistarsi il favore dei greci.
Terza guerra macedonica

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Filippo V (morto nel 179 a.C.) non prese più le armi contro Roma neppure quando Antioco III, suo
ex alleato, iniziò la guerra siriaca, rifiutandosi così di rispettare i patti.
Gli scontri con il regno di Macedonia inizieranno quando a capo della macedonia era il figlio di
Filippo V, Perseo. Egli portò avanti un programma propagandistico, che al pari del padre, voleva
riportare all’antica grandezza il regno di Macedonia → iniziò a stringere alleanze con il regno
dell’Epiro (quello di Pirro, ancora indipendente) e con alcune tribù dell’Illiria e della Tracia (aree
circostanti la Macedonia) per sferrare un attacco a Roma e alle città greche sue alleate → mise in
atto un’opera di reclutamento delle città greche per convincerle a passare dalla sua parte.
A Roma il protagonista fu il re di Pergamo, non più Attalo I (che era morto) ma il figlio Eumene II
che portò avanti una campagna propagandistica tra le città greche perché non sostenessero
Perseo che venne accusato di violare le leggi e di agire non in favore ma contro la grecità. Roma
alla fine, sobillata da Eumene II, si decise a dichiarare guerra a Perseo che, contro il trattato
firmato dal padre, aveva eccessivamente allargato il territorio del regno macedonico perché si
stava preparando alla guerra.
Testimonianza non letteraria: si tratta di un’iscrizione bellissima proveniente da Delfi, importate
santuario in Grecia, santuario panellenico cioè di riferimento per tutte le popolazioni greche e non
solo (Roma inviò Fabio Pittore per chiedere cosa fare per scacciare Annibale). Qui si vede bene
quali sono le colpe attribuite a Perseo. Si tratta di una dedica fatta in conseguenza della terza
macedonica: si dice che Perseo si era recato a Delfi contro ogni criterio di giustizia perché chiamo a
sé i barbari, che abitavano aldilà del Danubio e che già in epoche precedenti avevano attaccato la
Grecia, per ridurre la grecità in schiavitù (schiavitù e libertà fortemente ideologici e
propagandistici). Si dice poi che Perseo aveva infranto gli accordi presi da Roma con il padre →
accusato di perfidia = non rispetto dei trattati, ‘cattiva fede’; si rese colpevole di delitti nei cfr di
alti greci (Tebani) e cercò di eliminare i senatori con il veleno (probabilmente un po’ romanzate ma
davano l’idea di quello si pensava di Perseo). Progettò guerre e omicidi in Etolia e tra le altre
malvagità, cercò di accattivarsi le masse promettendo cancellazione debiti → idea tipica del
modello politico greco e romano per cui le masse sono associate ai nemici, mentre le classi
dirigenti sono associate a loro stessi (ceto dirigente filo-romano e ceto popolare filo sannitico nel
contesto della seconda guerra sannitica!). Addirittura progettò di uccidere il re Eumene quando
questi si recò a Delfi, andando contro le leggi di Delfi per cui chiunque andasse lì per consultare
l’oracolo dovesse essere inviolabile perché protetto dal dio Apollo.
Termina nel 168 a.C. nella battaglia di Pidna vinta da Lucio Emilio Paolo a cui segue un trattato
che prevede finalmente, un intervento diretto sul territorio del regno macedone → fu diviso in 4
repubbliche, stati clientes, a cui era vietato avere alcun tipo di rapporto commerciale, o di altro
tipo (NO matrimoni tra abitanti di diversi stati). A ricevere qualche punizione furono altre realtà
greche colpevoli di non aver preso parte alla guerra neppure a favore di Roma: la Lega Achea
(costretta a consegnare 1000 ostaggi tra cui Polibio) come garanzia della fedeltà futura, e l’isola di
Rodi che perse il suo ruolo egemonico perché Roma creò nell’Egeo un porto franco (privo di
tassazioni) sull’isola di Delo che diventerà il fulcro dell’Egeo orientale. Delo sarà un’isola
frequentata anche dai commercianti italici, oltre che romani (ce lo dice la documentazione
epigrafica che ci mostra un gran numero di italici). A proposito del tributum (che venne istituito
nel 396 a.C. in occasione della battaglia di Veio per finanziare i soldati, impegnati per molto tempo

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sul fronte di guerra) esso fu abolito per i romani nel 167 a.C. tante furono le ricchezze accumulate
da Roma (e riesumato solo in particolari momenti di crisi).
Roma per la prima volta vede il dibattito sul senso dell’impero romano, su quale fosse lo scopo
della costruzione di un regno così grande:
- Conservatori avrebbero voluto che Roma non abbandonasse troppo la sua natura di città
italica con potere prettamente italico;
- Coloro che invece spingevano per l’espansionismo in tutto il Mediterraneo.

Questa guerra aveva mostrato come l’espansionismo faceva comodo a tutte le classi:
- i ricchi vedevano aperte nuove vie commerciali con maggior circolazione di merci ma anche di
schiavi tanto che ci fu un’evoluzione dell’economia perché c’erano più braccia
- i più poveri perché, con l’abolizione del tributum, smisero di pagare!

Testimonianza di Cicerone dal De offìcis in cui si richiama l’abolizione del tributum grazie
all’enorme tesoro macedone che Emilio Paolo portò a Roma.
Altra testimonianza di Livio che invece ci dice come fu organizzato il regno di macedonia in 4 stati
e vediamo che Roma pretese per sé lo sfruttamento delle miniere d’oro e d’argento che fu vietato
ai macedoni a cui fu permesso solo l’utilizzo di quelle di ferro e di altri materiali.

Quarta guerra macedonica


Di breve respiro. Dovuta all’azione di un certo Andrisco che si proclamò, nel 148 a.C., figlio
naturale di Perseo e quindi discendente di Filippo V (e prima di Filippo II e quindi di Alessandro
Magno) e tentò una rivolta per riunificare le 4 repubbliche macedoni nell’originaria monarchia. Fu
presto vinto da dal pretore Quinto Cecilio Metello.
Dove sta l’importanza di questa guerra? Non nei combattimenti ma nelle conseguenze:
- Le 4 repubbliche vengono abrogate e in Macedonia viene stanziata una provincia con
governatore annesso. Questo perché i romani erano stanchi dei continui problemi che
derivavano dalla Macedonia.

- Viene sciolta la Lega Achea che, approfittando del disordine causato da Andrisco, si ribellò
a Roma (per la punizione subita) ma fu vinta da Metello che scese in Grecia continentale
portando con sé l’altro generale Lucio Mummio Acaico. Quest’ultimo saccheggiò Corinto,
principale città della Lega Achea, riducendo l’area a provincia. Le fonti sono qui incerte:
secondo alcuni l’area dell’Achaia (dove si trovava le città della Lega) già in questo momento
divenne provincia cioè la provincia di Achaia che poi avrebbe inglobato tutta la Grecia (il
Peleponneso, Atene e così via); per altri invece questa non divenne subito provincia ma
divenne una sorta di protettorato della provincia di Macedonia.

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Con questa guerra si conclude il periodo di libertà e autonomia di parte della Grecia che si trova
ad essere provincia insieme alla Macedonia. Dal punto di vista interna Roma favorì un governo
aristocratico e quindi filo romano (per i vantaggi che ne potevano seguire).
Riferimento da Pausania a quanto appena visto: Roma pose fine alle democrazie e istituì nuovi
regimi in cui i più ricchi comandavano (in modo che Roma dialogasse solo con la parte più potente
che poteva comandare meglio) e sciolse tutte le leghe di tipo etnico (la Lega Etolica era già debole
dopo la Guerra Siriaca ormai ma qui venne proprio sciolta).

La guerra siriaca
(192-188 a.C.)
Passo indietro. Roma contro Antioco III, re di Siria membro della dinastia Seleucide fondata da
Seleuco I Nicatore che fu compagno di Alessandro Magno e, dopo la morte di quest’ultimo, regnò
sulla parte orientale dei domini di Alessandro Magno e cioè sulla Mesopotamia, sulla Siria, sulla
Persia e sull’Asia minore dando vita all’impero seleucide.
Il regno seleucide era a contatto con quello di Pergamo (che si trovava tra quello seleucide e quello
macedone = forti antipatie per entrambi → Anche nella guerra di Siria il regno di Pergamo giocò un
ruolo importante).
Antioco approfittò della debolezza di Filippo V, impegnato nella seconda guerra macedonica, per
stendere i propri possedimenti a danno del regno macedone e delle città greche sulle coste
dell’Asia minore, in particolare nell’area dell’Eolide (più o meno in corrispondenza dell’Ellesponto
che addirittura attraversò e giunse in Tracia, da sempre sotto il dominio macedone).
Questo allargamento di potere spaventò il regno di Pergamo che chiese aiuto a Roma.
Roma fondò sul suo ruolo di protettrice la giustificazione del muovere guerra ad Antioco. La
tradizione vuole che Antioco III abbia mosso guerra a Roma su istigazione di Annibale che si
trovava alla sua corte dopo essere stato esiliato dopo la seconda guerra punica.
La guerra scoppiò alla fine del 192 dopo una lunga serie di trattative tra Roma e i legati di Antioco.
Si cercò di non arrivare alla guerra e di mettere in cattiva luce l’avversario attribuendone il casus
belli.
L’importanza della propaganda fu tale che lo storico moderno Badian ha parlato in termini di
<<Cold War>> cioè guerra fatta inizialmente solo di propaganda. Negli incontri che si svolsero a
Corinto, Efeso e Roma, furono usati argomenti propagandistici per giustificare il ricorso alla guerra.
Il principio alla base dell’ideologia seleucide fu quello del “diritto di lancia”(dorichtetos chora in
greco) = diritto di ampliare il regno di Siria perché i territori che stava, aveva e avrebbe
conquistato facevano già parte dell’antico impero seleucide fondato da Seleuco I (come aveva
detto Filippo V a proposito della seconda macedonica). Oltretutto per Antioco era ridicolo che una
città barbara come Roma avocasse a sé il diritto di proteggere le città greche (anche se i romani
fossero stati troiani, esserlo non significava essere greci a differenza di Antioco III che era greco a

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tutti gli effetti). Questo argomento fu poi sfruttato dalla Lega Etolica che qui è nel fronte
antiromano: gli ambasciatori etolici si recarono nelle città greche sposando la causa di Antioco e
facendo credere che Roma le avrebbe ridotte a schiavitù.
Roma fu chiamata in causa anche dalle città libere e autonome (colonie greche) in cerca di
protezione da Antioco: Smirne, Làmpsaco e Alessandria di Troade. Queste tre città, lo sappiamo
dalle fonti storiografiche ed epigrafiche, fondarono le loro richieste su una comune discendenza
troiana.
Un altro tema propagandistico fu quello della replica della grande guerra greco-persiana: i romani
rivestivano ora il ruolo che era stato proprio dei greci al tempo delle guerre persiane e, in quanto
troiani, si facevano eredi e difensori della libertà della Grecia; Antioco invece rivestiva il ruolo del
re d’Oriente che, come il re persiano Serse, aveva osato sorpassare l’Ellesponto mettendo piede in
Europa e portando guerra all’Occidente.
Si viene a formare l’idea di uno scontro tra occidente e oriente: valori occidentali non più
rappresentati dalla Grecia, come nelle guerre persiane, ma da Roma e il suo mos mairoum a cui
vengono opposte le caratteristiche nel mondo orientale (scarso valore militare, lusso,
effeminatezza, ecc).
Roma, in virtù di un altro fatto, si presentava come garante dell’Occidente: Roma era erede della
Macedonia, l’ultimo impero universale che aveva regnato sul mondo intero (ecumene) e in quanto
tale (ideologicamente) aveva il diritto di difendere l’occidente dai nuovi persiani cioè i siriani
(traslatio imperii - vedo dopo)
PROPAGANDA IMPORTANTE!!!! Guerra siriaca nota come Guerra di IDEOLOGIA.
Passo di Florio in cui troviamo icasticamente questa idea: mentre i romani combattevano Antioco
III, avevano di fronte a sé (metaforicamente) i persiani (Serse, Dario, L’oriente, l’Asia) e non è un
caso che i siriani hanno avuto un nuovo Serse ma noi abbiamo avuto un nuovo Temistocle,
Alcibiade (personaggi greci che avevano rivestito ruoli importanti).
Tema della traslatio imperii = ‘successione degli imperi’. Secondo una tradizione antica
(ideologica nata in ambito giudaico e testimoniata addirittura nel libro di Daniele nel Vecchio
Testamento) vi erano stati nel mondo allora conosciuto (Mediterraneo) imperi universali,
ecumenici ( = capaci di racchiudere l’occidente e l’oriente del mondo allora conosciuto) che
avevano regnato anche su regni più piccoli. Lo schema prevedeva il passaggio dello scettro dagli
Assiri, ai Medi, dai Medi ai Persiani e dai Persiani ai Macedoni; per far avvenire questo passaggio il
nuovo regno doveva sconfiggere il regno precedente. Chi vinse i macedoni? Propri i romani!!!
Dunque per diritto di guerra furono ideologicamente gli eredi dell’impero macedonico = nuovi
dominatori dell’impero ecumenico.
Noi sappiamo che non era vero che i romani dominavano l’ecumene ma dal punto di vista
ideologico era un enorme strumento soprattutto in ambito greco in cui tale mito circolava da
tempo!!! I romani lo sfruttarono contro Antioco III.
Questa costruzione la troviamo in alcune fonti:
- Giustino, fonte relativa alla fondazione dell’impero universale grazie a Filippo II e poi al
figlio Alessandro Magno;

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- Polibio: all’inizio c’erano persiani che vengono confrontati con i romani e anzi Polibio
mette in dubbio che i persiani abbiano mai avuto l’impero universale perché i romani
avevano assoggettato quasi tutta la terra abitata, un impero insuperabile, vastissimo!!!!
- Emilio Sura nella sua “De annis populi romani”, scrittore tardo repubblicano citato da
Velleio Patercolo: ci dà la vera successione degli imperi universali.

La dimensione del concetto di ecumenico cambia con i decenni e con i secoli cambiando anche le
percezioni geografiche.
Situazione geopolitica
I seleucidi si sono allargati riducendo di molto l’area del regno di Pergamo (Smirne, Lampsaco e le
altre furono le prime a cadere sotto i seleucidi). La Macedonia era non belligerante (non prese le
parti di nessuno..non si direbbe dalla cartina → controllo manuale); la Lega Achea prende la parte
dei romani, la Lega Etolica passa al fronte seleucide contro Roma.
Prima sconfitta subita da Antioco fu alle Termopili (importante perché lì morì Leonida con gli
spartani nel corso delle guerre greco-persiane)→ la guerra continua con diverse vittorie a favore
dei romani. Vi prende parte anche Scipione l’Africano in qualità di legato/consigliere del fratello
Lucio Cornelio Scipione (l’Africano non poté essere mandato come console perché non poteva
essere letto tale non essendo ancora passati 10 anni dall’ultimo incarico nel 194 a.C.; nonostante
ciò sappiamo che a dirigere le operazioni di guerra fu poi nei fatti l’Africano).
Antioco viene quindi sconfitto definitivamente da Roma e i suoi alleati nella battaglia di
Magnesia nel 190 a.C.
Segue la pace di Apamèa del 188 a.C. importante perché dimostrò ancora una volta quale fosse la
politica che Roma tendeva ad assumere nei cfr dei regni ellenistici: anche qui non prese azioni
punitive nei cfr della Siria che rimase come prima; semmai perse i vari territori su cui si erano
allargati (aree nell’Eolide, Tracia e così via). Gli altri territori furono distribuiti diversamente ai vari
alleati: ad essere premiati furono soprattutto Rodi e Pergamo. Le città greche rimasero tali e
indipendenti come alla fine della seconda guerra macedonica (almeno per ora). Antioco pagò
indennità di guerra, dovette distruggere gran parte della guerra e consegnare i nemici di Roma tra
cui Annibale che però fuggì sul Mar nero, in Bitinia, dove poi si suicidò. La Siria qui ancora non
decide di usare il sistema provinciali, preferisce alleati.
Situazione geopolitica
Regno di Pergamo notevolmente ampliato, Rodi ha dei territori anche sulla terraferma e non solo
sull’isola, il regno seleucide è ridotto alla Siria e alle zone orientali.

Come Roma organizza il regno seleucide? Notazione di Livio: la consuetudine antica fu quella di
inviare 10 senatori a gestire le questioni dell’Asia in cui, anche se non fu ridotta a provincia,
bisognava decidere cosa dare a chi. Questo fu deciso in un incontro a cui presero parte gli
ambasciatori di tutti gli alleati + i 10 senatori romani che dovevano controllare che non ci fosse
alcun rischio per Roma.

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Con queste guerre Roma inizia la sua espansione nel Mediterraneo orientale → entra a contatto
sempre più con la cultura greca ellenistica tanto che circolano temi, come quello dell’impero
universale, che entrano nell’ideologia romana → abbiamo evoluzione culturale + salto di qualità
nell’espansionismo che si allontana sempre più dall’Italia. Vedremo come questo espansionismo
andò ad incidere sulla vita interna.

Lezione 15 – Mercoledì 1 Aprile 2020


L’organizzazione della conquista, cioè come Roma amministrò ed integrò nel proprio dominio le
comunità conquistate.
Citazione di uno studioso moderno di storia Roma, Umberto Laffi, che si è dedicato anche al
rapporto tra Roma e le comunità alleate: riconoscimento di ampi margini di autonomia → le città
alleate dell’Italia antica intrecciavano rapporti diversi con Roma ma il comune denominatore era la
concessione di ampia autonomia per quanto riguarda la politica interna. L’autonomia poteva
essere più o meno ampia (Roma e città non vinte: trattati quasi equi con conseguente ampia
autonomia; Roma e città vinte = minore autonomia). Rimane comunque evidente che non
corrispondeva una pari autonomia per la politica estera: le comunità non potevano avere
rapporti con altre comunità senza il consenso di Roma.
Tale situazione, chiamata dagli studiosi con il nome di <<sistema di alleanze italico>>, durò fino
alla guerra sociale quando tutta l’Italia diverrà stato romano, e attraverso vari modi e tempi, Roma
concederà la cittadinanza romana a tutti i suoi alleati! → Diffusione rapida e omogenea che
prevede un’evoluzione: come afferma Laffi si arriva alla creazione dello <<stato municipale>> cioè
si forma uno stato nuovo, un nuovo sistema di rapporti tra Roma e le ex città alleate, definite
“municipi” = anch’esse comunità autonome rispetto a Roma ma, a differenze delle ex alleate, in
esse i cittadini adulti avevano la cittadinanza romana!
Permane la mancanza di autonomia esterna a maggior ragione perché ora non sono altro che
emanazione/espressione dello stato romano, parte dello stato romano e quindi era Roma a gestire
la politica estera. Tali città, a differenza di quando erano ex alleate, non devono pagare le tasse.

Questo per quanta riguarda le comunità del suolo italico; per le altre (Grecia, Spagna, Sicilia,
Sardegna, Africa, Gallia e così via) rimane il sistema provinciale: le città sono costrette a pagare un
tributo e quindi sono gerarchicamente inferiori a Roma.

Ager = ‘territorio’. Nel corso dell’espansione sulla penisola italica, Roma preferì non annettere i
territori ma stipulare trattati. Il territorio di queste comunità alleate rimaneva di pertinenza delle
comunità (usato a scopi di agricoltura, pastorizia, commercio: per sussistenza).
In altri casi Roma invece annetteva i territori con conseguente espandersi dell’ager romanus cioè
del territorio di Roma, organizzato poi in tribù territoriali che servivano per dividere in unità
elettorali i cittadini romani (anche coloro che avevano il domicilio su questi territori rurali

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appartenenti all’ager romanus). La peculiarità di questo ager emerge se confrontata con gli altri
tipi di territorio sulla penisola italica:
- Ager latinus = territorio di comunità di diritto latino, quindi non territorio di città romane
ma latine. Lo status giuridico di un territorio segue quello della comunità di appartenenza
(Tivoli, città di diritto latino, aveva un territorio classificato come ager latinus);
- Ager italicus = dal punto di vista giuridico territorio delle città italiche con cui Roma aveva
stipulato un trattato di alleanza (socie o federate).

Questa suddivisione in 3 tipi di ager implicava una serie di regole giuridiche e leggi che
sovraintendeva lo sfruttamento da parte dei cittadini romani, latini, italici del territorio del proprio
ager.
Prima della guerra sociale, l’ager romanus era diviso in due tipi di municipi (= comunità autonome,
ciascuna dotata di una sua peculiare forma amministrativa):
- Municipia optimo iure comunità di cittadinanza romana nelle quali i cittadini godevano di
diritti della cittadinanza romana in maniera completa. Era come se abitassero a Roma;
- Municipia sine suffragio la cittadinanza non prevedeva il diritto di voto a Roma (votavano
solo entro i loro municipi per le proprie magistrature).

NB: Munucipia erano preesistenti all’espandersi del dominio romano su di esse (erano città già
esistenti) VS colonie che sono invece aree fondate dove prima non c’era niente, sono città nuove.
Aulo Gellio, poligrafo, ci dice a proposito dei municipi, che tutti sono legibus sui set suo iure
utentes = sono in grado di utilizzare le proprie leggi e il proprio diritto → anche lui rimarca l’ampia
autonomia interna.
Nell‘ ager romanus c’erano distretti non urbanizzati, privi di municipia, in cui vigeva il sistema
pagano-vicanico. In queste aree ad amministrare intervenivano le praefecture = sistema di
amministrazione tipicamente romano per aree prive di città.
L’ager inoltre poteva essere:
- Publicus parte più grande del territorio romano, territorio appartenente allo stato che lo
gestiva in modo da farlo fruttare (canoni di affitto a privati). La differenza rispetto al
privatus è che tali privati dovevano pagare una qualche forma di tassa, vectigal, allo stato
che così traeva guadagni da questi territori demaniali o pubblici. Esso poteva poi essere
distribuito (regalato o concesso ai privati per un certo tempo) in determinate occasioni: ad
esempio le concessioni viritane (= concessioni fatte agli ex soldati che ricevevano come
premio un appezzamento di terreno perché lo sfruttassero gratuitamente. Perché? Perché,
dopo aver prestato servizio per molti anni al servizio di Roma, avessero una fonte di
sostentamento). In realtà a seguito delle guerre d’oltremare, ci fu un tale sconvolgimento
entro la società, che anche lo sfruttamento dell’ager publicus, nel II secolo a.C., andrà
incontro a enormi sviluppi.

- Privatus costituito dai terreni in piena proprietà privata (dominum ex iure Quiritium) di
cittadini privati che avevano su di essi un durevole sfruttamento. Era un dominio definito in

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base alla legge dei cittadini romani (Quiriti). Questi territori venivano venduti dallo stato
romano a privati che poi lo sfruttavano come volevano.

Il primo municipio a ricevere la civitas sine suffragio fu Cere, nel 390 a.C., per aver accolto gli
oggetti sacri di Roma e aver ospitato le vestali durante il sacco gallico.
Sempre Aulo Gellio ci parla della civitas sine suffragio mentre spiega che cos’è il municipio: coloro
che la possiedono sono senza diritto di voto + dispensati dagli affari e dalle cariche a Roma + ci
parla delle Tabulae Caerites (o ceritane cioè ‘tavole di Cere’) tavole su cui dal 390 a.C. venivano
scritti i nomi di quei cittadini che non avevano il diritto di voto (prima quelli di Cere e poi anche
quelli degli altri municipi). Queste tavole erano custodite e compilate dai censori. In epoca
repubblicana, quando cadde in disuso la concessione della civitas sine suffagio (perché dopo la
guerra sociale, non aveva più senso visto che tutti i municipi divennero municipi con cittadinanza
piena) a Roma persistette l’uso di queste tavole ma su di esse vi si scrivevano ora quei cittadini
romani che, per qualche motivo (ad esempio condanna a processo) avevano perso li diritto di voto
(temporaneamente oppure no).
Il primo municipio optimo iure fu Tuscolo (Tusculum) nel 381 a.C., che dopo la guerra romano-
latina, nel momento in cui Roma sciolse la lega di cui questa città faceva parte, mantenne la
cittadinanza completa senza essere punita.
Nel passo vediamo i trattamenti riservato alle altre città. Ad esempio gli Anagnini ottennero la
cittadinanza romana senza diritto di voto MA persero la propria autonomia interna → varietà
trattamenti.

AGER LATINUS
Inizialmente corrispondeva al territorio in cui ricadevano le comunità della lega Latina (erano le
uniche all’inizio appartenenti al nomen latinum). Dopo lo scioglimento della Lega latina, abbiamo
un’evoluzione nel concetto di latinità (latinitas): non è più una caratteristica innata ma diventa
uno status giuridico → a pari della civitas romana viene introdotta la citivitas lati