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Anno XLV
12.10.2023
Numero
788
Ricariche telefoniche
Nelle due foto: Longarone prima e dopo la tragedia del 9 ottobre 1963
Lavori Pubblici ed ottenne la nuova autorizzazione, malgrado l’opposizione del Comune e dei privati cittadini.
Con i proprietari il monopolio non intendeva troppo parlamentare. Aveva le carte scritte in mano e, a tempo debi-
to, le avrebbe fatte valere. Era tanto sicuro di ciò che tirava le cose per le lunghe, apposta, per logorare la resi-
stenza dei singoli. Aveva tempo davanti a sé. Stava costruendo la diga, per intanto. I contadini avrebbero ceduto
quando si fossero trovati davanti al lavoro compiuto; alla grande e maestosa diga che doveva essere l’orgoglio di
tutti e alla «pubblica utilità» che ne derivava di invasare la valle. Per intanto non bisognava urtarli più del neces-
sario.
Per mantenere l’ordine nel paese c’erano i carabinieri. Il primo gruppo della Benemerita fu installato ad Erto
qualche anno prima che arrivasse sul posto la SADE. Si disse che ce n’era bisogno, a causa di risse e di adultèri,
cui troppo spesso gli ertani si lasciavano andare. Facevano una netta distinzione tra quello che era di Dio e quel-
lo che era di Cesare pur essendo, sostanzialmente, religiosi. Anzi, la vita di Gesù aveva tanta attrattiva su di loro,
che il venerdì santo quelli di Erto mettevano in scena all’aperto, tra le vie e sulle colline del paese, una rappre-
sentazione della passione di Cristo, forse tra le più belle che esistano ancora in Italia. Era, per la verità, di gusto
pagano, ma ad essa si preparavano coscienziosamente tutto l’anno, parti e costumi, con l’orgoglio di far ben figu-
rare il paese di fronte agli spettatori che convenivano ad Erto dalla provincia di Belluno e di Udine e da altre città
del Veneto. Era una cosa loro, non volevano preti. I parroci succedutisi ad Erto avevano cercato molte volte di far
smettere la tradizione, per oltraggio alla religione. Non vi erano riusciti.
Un brutto giorno la sindachessa cambiò parere. Si mi-
se a spargere la voce che, contro la SADE, nessuno la
avrebbe spuntata. Tanto valeva cedere, prima che
succedesse il peggio. Qualcuno s’impaurì. Se lo dice-
va il sindaco che era sempre stato dalla parte dei con-
tadini, voleva dire che ne sapeva qualcosa. Altri non
rimasero convinti del nuovo atteggiamento assunto
dalla prima cittadina del paese. La SADE, comunque,
aveva raggiunto il suo scopo. I cittadini di Erto si tro-
vavano divisi ed era il momento opportuno per appro-
fondire il solco della discordia, per tirarne il proprio tor-
naconto. Il monopolio elettrico si mosse sul terreno di-
plomatico, come fosse entro un ministero. Avvicinò i
dubbiosi e giocò, con loro, al rialzo dei prezzi. Dalla
sua aveva già la sindachessa, che aveva dato
l’esempio cedendo le terre al monopolio. In capo a qualche mese la SADE aveva portato a termine il disegno che
si era prefissa. Si era acquistata, pagando bene, la complicità e l’omertà di alcuni proprietari che, ora, facevano
la propaganda per la società.
La SADE raccolse un magro frutto da questa manovra. I contadini più deboli e ormai senza una guida, si presen-
tarono spontaneamente al monopolio, che pagò la loro terra a 18 lire il metro quadro. Ma la maggioranza si unì
attorno a un capo, il signor Pietro Carrara, che guidava un comitato di protesta. La voce di questi montanari ves-
sati dalla SADE arrivò fin dentro il Senato. Il senatore Giacomo Pellegrini, nel riferire il suo interessamento al co-
mitato di Erto, espresse il convincimento che a Roma la cosa non interessava. Tutto andava come voleva la SA-
DE, che aveva ancora l’ultima carta nel mazzo da giocare. E la buttò sulla tavola vincendo il piatto. Fece sapere
a quanti ancora resistevano che dovevano decidersi. O accettare con le buone, oppure sarebbero stati espropria-
ti con la forza e i denari del risarcimento versati in banca a nome del titolare catastale del fondo. Era una opera-
zione che le veniva consentita in virtù della concessione che teneva in mano per «pubblica utilità». I lavori, nella
valle, li doveva fare e lo Stato le dava questa facoltà. Era la fine per i montanari di Erto. Resistere ancora voleva
dire non vedere forse mai quei pochi denari. I terreni, in moltissimi casi, erano ancora intestati al primitivo proprie-
tario, morto da tanto tempo. Gli eredi erano molti e sparsi un po’ ovunque, ad Erto e in altre città italiane e stra-
niere. Per entrarne in possesso, essi avrebbero dovuto fare lunghe pratiche burocratiche e procure notarili.
Spendere molti denari. Alcuni cedettero al ricatto. Altri resistettero, ma si trovano ancora oggi con i soldi vincolati
in una banca. La SADE aveva ormai mano libera per costruire l’impianto. Ai contadini espropriati fu offerto un po-
sto di lavoro sulla grande diga e molti di loro morirono nel corso della sua costruzione.
E’ bene spiegare in che modo la SADE ottenne la concessione per lo sfruttamento delle acque del Vajont. Alla
luce della terribile tragedia, il pensiero di come essa riuscì ad averla in mano fa semplicemente rabbrividire. Il de-
creto porta la data dell’ottobre 1943. L’Italia era precipitata nel caos. Non esisteva, praticamente, un governo. A
Roma, in quei giorni gli ebrei venivano rastrellati dai tedeschi. Nulla più era efficiente. Le donne italiane rivestiva-
no di abiti borghesi i soldati fuggiaschi per sottrarli alla cattura. L’unica cosa valida di quei momenti erano i gruppi
antifascisti che si andavano organizzando per la lotta partigiana. Eppure, dentro il Ministero dei Lavori Pubblici di
Roma, la SADE trovò o pagò un funzionario disposto a mettere un timbro e una firma di un ministro fasullo sotto
la concessione. Un documento che nessun governo del dopo guerra contestò mai al monopolio elettrico. Mentre
il popolo italiano pensava ad organizzarsi e a lottare per la liberazione del paese, moriva per i propri ideali di de-
mocrazia e di giustizia sociale, la SADE maneggiava nei ministeri, imbrogliando le carte, per non perdere quella
che credeva l’ultima partita. Il Vajont aveva avuto un assurdo inizio prima di avere una tragica fine.
3 CENNI STORICI
La costruzione del lago artificiale e la sopraelevazione delle acque a quota 722,50 creava un altro grosso pro-
blema per i valligiani di Erto. Il centro veniva diviso da alcune sue frazioni, situate sul versante sinistro della valle.
In quella zona sorgevano tre centri abitati: Pinéda, Prada e Lirón. Inoltre molti abitanti di Erto possedevano anco-
ra terreni sul lato opposto del paese e case, dove si trasferivano con il bestiame dalla primavera all’autunno. I
contadini raggiungevano i due versanti in un batter d’occhio, attraverso sentieri che percorrevano veloci quanto
gli scoiattoli. Erano abituati da sempre a quelle primitive vie di comunicazione. Perciò avevano costruito i villaggi
dall’altra parte del paese, dove c’era l’unica buona terra da coltivare. Le donne s’erano allenate fin da piccole a
portare la gerla in spalla carica di fieno, letame e patate. I bambini percorrevano gli stessi sentieri per recarsi alla
scuola del paese, anche con la neve. La SADE era tenuta, secondo quanto era scritto nel disciplinare di conces-
sione, a mettere in opera tutte le misure necessarie per garantire il normale bisogno delle popolazioni. Ed esse
volevano una passerella che attraversasse la valle. La SADE, in un primo tempo, accettò di costruirla. In seguito,
probabilmente dopo l’autorizzazione a sopraelevare il livello dell’acqua, si rifiutò. Disse che avrebbe, invece, co-
struito una strada di circonvallazione, bella e panoramica. Per i contadini la strada significava sette chilometri di
percorso per andare e tornare dal paese. A piedi, poiché, a quel tempo, nessuno possedeva neppure una moto-
cicletta. Significava fatica e perdita di tempo per le donne che dovevano recarsi al paese per le spese, per i bam-
bini che dovevano andare a scuola. Ed era un grosso inconveniente in caso di urgenti necessità, quali il medico o
qualche ammalato grave da trasportare. Per di più, la strada veniva costruita su un percorso che ad ogni prima-
vera con il disgelo e ad ogni autunno con le piogge, franava.
La gente si oppose. Iniziò la seconda ondata di proteste anti-SADE. La società elettrica corse ai ripari. Capì che
con i contadini di Erto bisognava mettere nero su bianco per convincerli. E il nero che stava scritto sulle sue carte
ufficiali parlava chiaro in favore dei contadini. Bisognava, allora, modificare le carte. La sua mano era abbastanza
lunga per arrivare dappertutto. Un giorno si presentò ad Erto con un nuovo disciplinare di concessione, con il
quale il ministro competente la esonerava dal costruire
il ponte perché «la natura del terreno non reggeva
all’opera». Il terreno di Erto era tutto della stessa natu-
ra. Secondo le carte dei ministeri e della SADE il pon-
te non si poteva costruire perché era pericoloso, ma la
diga e il bacino, invece, si potevano fare. I contadini
ricorsero contro il nuovo disciplinare. Nessuno li ascol-
tò. La SADE, intanto, segnò il tracciato della strada e
cominciò a costruirla. Man mano che i lavori avanza-
vano espropriava i contadini, senza nemmeno chiede-
re il loro permesso. Passava sui loro terreni, rovinan-
doli; davanti alle loro case; sui loro cortili. «Pubblica
utilità», diceva. Gli ertani, umiliati e inferociti, protesta-
rono giustamente, verso autorità locali, provinciali e
nazionali, il loro diritto ad essere trattati almeno uma-
namente. Le loro proteste suonarono sempre a vuoto.
Ci fu una persona, per la verità, che ritenne giuste le proteste dei contadini. Fu l’ingegner Desidera, allora inge-
gnere capo del Genio Civile di Belluno. Questi, di sua iniziativa, fece fermare i lavori della strada. Il giorno dopo
questa sua presa di posizione venne trasferito da Belluno. Una mattina, un contadino, esasperato, affrontò i tec-
nici della SADE brandendo un’accetta. «Se fate ancora un passo sul mio, vi ammazzo tutti», gridò. I carabinieri lo
andarono a prelevare e lo denunciarono per minaccia a mano armata.
Cosa dovevano fare gli ertani di fronte alla prepotenza legalizzata, di fronte a una società privata che dettava
legge, di fronte a uno Stato che proteggeva i forti contro i deboli? Pensarono di costituire un consorzio di capi
famiglia, che avesse veste giuridica per affrontare i potenti. Indissero una pubblica assemblea, che si tenne una
domenica mattina, con il vento che spazzava via l’ultima neve. Invitarono, per l’occasione, i parlamentari della
circoscrizione, di ogni partito. Tranne l’on. Giorgio Bettiol di Belluno, nessuno si fece vivo. La riunione ebbe luogo
il 3 maggio 1959 nella rustica sala da ballo dell’ENAL, alla presenza del notaio dott. Adolfo Soccal di Belluno, che
redasse l’atto costitutivo e legalizzò le firme dei 136 capi famiglia, che sottoscrissero il documento. La riunione fu
molto più numerosa. Intere famiglie si recarono sul luogo dell’assemblea, anche molte donne con i bambini, che
nel corso della prima messa domenicale avevano sentito le parole di esortazione del parroco don Doro, affinché
tutti aderissero all’iniziativa «sacrosanta». Quella mattina successe un fatto che turbò un poco i presenti. Un im-
ponente vecchio, Giovanni Martinelli, era giunto da oltre la valle con due cartelli. «Abbasso la SADE» e «Abbas-
so il governo», c’era scritto. Aveva ragione da vendere, visti i precedenti. I carabinieri si indispettirono e gli ordi-
narono di depositarli in un angolo. Lui si rifiutò fieramente. I carabinieri glieli strapparono con la forza, malgrado
che egli tentasse di trattenerli. «Se non li molla la denuncio per resistenza a pubblico ufficiale», scandì l’uomo in
divisa. Giovanni Martinelli aveva fatto la guerra del ‘15-’18; aveva aiutato i partigiani nell’ultima guerra; aveva
avuto la casa bruciata dai tedeschi e, dal governo, non aveva ricevuto una lira per i danni subiti. Era uno dei più
energici nelle proteste; uno dei più sicuri che la montagna dovesse franare e provocare una tragedia. Quella ter-
ribile notte del Vajont, l’acqua gli avrebbe portato via un figlio di 23 anni. L’assemblea si svolse con ordine, ma in
un clima di ribellione che ognuno covava dentro il petto da tempo. Una vecchia disse: «Se i ladri vengono a ruba-
re in casa mio, io ho ben il diritto di prendere il fucile e difendermi». A presidente del consorzio fu eletta la signora
4 CENNI STORICI
Lina Carrara, moglie di quel Pietro Carrara, che fu uno dei primi animatori delle proteste anti-SADE. Egli, dopo
l’esproprio dei terreni, era stato costretto ad accettare lavoro dalla società elettrica. Morì in un infortunio occorso-
gli durante la costruzione della diga. Sua moglie, insegnante elementare a Pordenone, accettò subito l’incarico
degli ertani, in nome di una solidarietà umana che non si sentiva di tradire, verso i compaesani di suo marito, che
avevano offerto il proprio sangue numerosi all’epoca dell’infortunio, nel generoso tentativo di salvarlo. Molti ertani
parlarono quel giorno. Degli espropri, della strada e del costruendo bacino. Qualche mese prima, nel vicino lago
artificiale di Forno di Zoldo, era franato un pezzo di montagna. Anche ad Erto il terreno era di natura franosa, in
pendenza dal 40 al 70%. Il paese era addirittura costruito su terra di riporto alluvionale. I contadini portavano
l’esempio di Forno di Zoldo e di Vallesella di Cadore. In ambedue i casi l’acqua dei laghi artificiali, col suo conti-
nuo movimento ondoso, aveva «mangiato» il terreno di natura franosa e provocato disastri. A Vallesella tutte le
case si erano spaccate. Gli ertani manifestarono la loro apprensione e si proposero di condurre avanti una lotta
organizzata «per la difesa e la rinascita della valle ertana». Questa fu, appunto, la denominazione data al con-
sorzio.
Una giornalista dell’Unità, presente all’assemblea, riferì sul suo giornale la cronaca dell’avvenimento, registrando
le impressioni della popolazione di Erto in merito all’invaso. Fu denunciata all’autorità giudiziaria, dal brigadiere
dei carabinieri Battistini, per «notizie false e tendenziose atte a turbare l’ordine pubblico». La denuncia aveva il
chiaro scopo di intimorire gli ertani; di stroncare la loro resistenza. Ottenne il risultato opposto, poiché molti con-
tadini si offersero di andare a testimoniare al processo. Tra la denuncia e la celebrazione del processo passò un
anno. Nel frattempo, precisamente il 6 novembre 1960, dal monte Toc franarono alcune centinaia di metri cubi di
materiale. Un appezzamento di bosco, della lunghezza di duecento metri, sprofondò nel lago. L’ondata che si
sollevò fu abbastanza grande, ma non fece vittime, essendo il livello dell’acqua alquanto basso. Il franamento
spazzò via numerose case che erano state espropriate per l’invaso e provocò larghe fenditure in tutta la zona del
Toc. Chi non aveva ancora creduto al pericolo si rese conto che il paese era destinato alla rovina.
Il 30 novembre 1960 si celebrò il processo a carico dell’Unità. I giudici di
Milano ascoltarono con interesse la deposizione della giornalista e quella
dei montanari di Erto. Esaminarono attentamente le fotografie che ripro-
ducevano la zona. Si informarono minuziosamente della situazione di Erto
e Casso, facendo un po’ di confusione nel pronunciare i due strambi nomi.
Gli ertani si appellarono ai giudici con foga contadina, affinché la loro sen-
tenza fosse un allarme che destasse l’attenzione delle autorità sulla sorte
della zona. I giudici, alfine, si ritirarono. Rimasero pochissimo in camera di
consiglio. Quando ritornarono in aula lessero una sentenza di piena asso-
luzione, ritenendo che, nell’articolo incriminato, «nulla vi era di falso, di
esagerato o di tendenzioso». Ma neppure l’autorevole sentenza di un tribunale indusse la pubblica autorità ad in-
tervenire in difesa delle popolazioni minacciate. Il consorzio di Erto intensificò la lotta, interessando della sicurez-
za delle popolazioni prefetti, uffici del Genio Civile, la SADE, la Provincia, il Parlamento. Il consiglio provinciale
votò all’unanimità un ordine del giorno in data 13 febbraio 1961 sulla situazione di pericolo del Vajont, che fu per-
sonalmente recato a Roma da una delegazione dello stesso consiglio, guidata dal presidente dott. Alessandro da
Borso. Di ritorno da Roma, nel riferire al consiglio sull’esito della missione, egli espresse il suo sconforto dichia-
rando: «la SADE è uno Stato nello Stato».
La solita giornalista dell’Unità scrisse un altro articolo, in data 21 febbraio 1961, denunciando un pericolo
che avrebbe potuto divenire tragedia. In esso, tra l’altro, diceva: «Una enorme massa di 50 milioni di me-
tri cubi di materiale, tutta una montagna sul versante sinistro del lago artificiale, sta franando. Non si può
sapere se il cedimento sarà lento o se avverrà con terribile schianto. In questo ultimo caso non si posso-
no prevedere le conseguenze. Può darsi che la famosa diga tecnicamente tanto decantata, e a ragione,
resista. Se si verificasse il contrario e quando il lago fosse pieno, sarebbe un immane disastro per lo
stesso paese di Longarone adagiato in fondovalle». Qualcuno si domanderà: ma la SADE sapeva, era al cor-
rente della situazione di pericolo nel Vajont? La risposta è: sì, la SADE sapeva perfettamente, ma aveva tutto
l’interesse a non renderlo pubblico, in vista della nazionalizzazione. L’impianto doveva passare allo Stato in piena
efficienza, affinché venisse ripagato per intero, dopo che era già stato sovvenzionato nel corso della sua costru-
zione con altissime percentuali sulla spesa totale, dal 60 all’80%.
Tuttavia, in segreto, la SADE fece i suoi esperimenti. Incaricò l’Istituto di idraulica dell’Università di Padova, di cui
era ed è titolare il prof. Ghetti, di effettuare una prova su modello per misurare, su scala ridotta, gli effetti della
caduta del Toc e della tracimazione delle acque del lago oltre la diga. L’esperimento venne fatto a Nove di Fadal-
to. Diede risultati sconcertanti, che furono tenuti segreti. In base alla prova effettuata, l’acqua sarebbe tracimata
in misura di 2-3 milioni di metri cubi e il Toc avrebbe franato di 50 milioni di metri cubi di materiale. La notte del 9
ottobre franò per 200 milioni di metri cubi di materiale e tracimò 60 milioni di metri cubi d’acqua. L’esperimento,
condotto con dovizia di mezzi e da tecnici altamente qualificati, si dimostrò errato. Ma anche se l’acqua del Va-
jont fosse precipitata nella misura calcolata sull’abitato posto sotto la diga, dove si trovava anche la cartiera di
Verona, sarebbero morte due o trecento persone, nella migliore delle ipotesi.
Per la SADE il problema era quello di poter continuare ad utilizzare il bacino, di non interrompere la produzione,
quando la montagna sarebbe caduta. L’invaso del Vajont era il più importante invaso dei collegati Boite-Maè-
5 CENNI STORICI
Piave-Vajont. Era un grosso bacino di riserva le cui acque venivano avviate ad alimentare la grossa centrale di
Soverzene in tempo di «magra» del Piave. Era, perciò, il più importante. Interrompere l’attività del bacino, sia pu-
re a causa di una grossa, minacciosa frana in movimento, voleva dire perdere miliardi di guadagno. Ormai il ba-
cino era fatto e bisognava utilizzarlo al massimo. Si doveva andare avanti fin che si poteva. E prevedere il modo
di utilizzare le acque anche dopo. Per la SADE il rischio valeva la candela. Il monopolio elettrico chiamò
dall’estero varie commissioni di esperti per studiare il problema. Essi consigliarono di costruire un tunnel di scari-
co sotterraneo, con sbocchi a monte e a valle della diga, nel caso che la montagna, cadendo, formasse due la-
ghi. Erano già in grado di prevedere con esattezza come la caduta del Toc sarebbe avvenuta. La SADE li ascoltò
e costruì l’opera.
Nella primavera del 1963, poco prima del decreto di nazionalizzazione, il lago
venne riempito per la prima volta fino a quota 702 metri. Per «precauzione» ci
si tenne al di sotto di 20 metri dal massimo livello consentito. Bisogna dire che
la commissione di collaudo nominata dal Consiglio superiore dei Lavori Pub-
blici non collaudò mai l’impianto del Vajont. Tra gli stessi componenti esiste-
vano opinioni opposte sulla validità dell’opera fin dall’autunno 1960, all’epoca
della caduta della prima frana. Proprio per l’esistenza di queste opinioni diver-
se, la commissione divenne un organismo permanente, con facoltà di collaudo
in corso d’opera. Ciò voleva dire provare, tentare e vedere. Fino alla primavera
del 1963 si erano fatti soltanto tentativi e prove. Il bacino veniva «invasato» di
pochi metri alla volta e poi svuotato per misurare la stabilità del terreno. Nell’estate del 1963 esso appariva colmo
d’acqua. Ma anche in questa occasione il collaudo non ebbe luogo. Il geologo prof. Penta dissentì dagli altri col-
leghi della commissione, manifestando seri dubbi sulla stabilità futura della zona. Il ministro dei Lavori Pubblici al
quale furono presentate le due ipotesi contrarie formulate dai membri della commissione, accolse la più ottimista.
E diede parere favorevole al pieno invaso del bacino senza che questo fosse stato mai collaudato dai tecnici.
Dopo qualche mese, la spalla sinistra della diga presentò qualche difficoltà. Forse la pressione dell’acqua era
troppo forte. Si corse ai ripari, immettendo continuamente «iniezioni» di cemento nei punti ritenuti più vulnerabili.
L’operazione non risultò di grande sollievo. Bisognava ridurre il livello del lago, per salvare la diga. Riducendo
l’acqua era probabile che cadesse il Toc. La SADE si trovò di fronte a un grosso problema tecnico. Venne presa
la decisione di abbassare le acque a ritmo lentissimo, tenendo contemporaneamente d’occhio la montagna. I
tecnici incominciarono a svuotare il lago mentre la frana avanzava, ormai, di 40 centimetri il giorno. Pensavano di
poter terminare lo svaso entro la fine di novembre.
Un mese prima della catastrofe, il vice-sindaco di Erto, Martinelli, scrisse una allarmante lettera all’ENEL-SADE,
alla Prefettura e al Genio Civile di Udine, esprimendo seri dubbi sulla stabilità delle sponde del lago e chiedendo
«di provvedere a togliere dal Comune di Erto e Casso le cause dello stato di pericolo pubblico prima che succe-
dano, come in altri paesi, danni riparabili e non riparabili; quindi mettere la popolazione di Erto in uno stato di
tranquillità e di sicurezza e, solo dopo, rimettere in attività il bacino di Erto». L’ENEL-SADE rispondeva dichiaran-
do «piuttosto azzardate» le previsioni del Comune, e asserendo che l’abitato non correva assolutamente alcun
pericolo.
Una settimana prima della tragedia i tecnici in servizio sulla diga manifestano apertamente, ai dirigenti, la loro
preoccupazione. Sordi boati e scosse del terreno sono all’ordine del giorno. I tecnici parlano del pericolo anche
con gli amici, tramite il filo del telefono: «Qui da un momento all’altro si va tutti in barca»; «Sto mangiando e la
scodella balla».
Tre giorni prima del disastro l’ing. Caruso, dell’ENEL, viene delegato a seguire in permanenza l’andamento della
frana. Il geometra Ritmajer che era stato trasferito a Venezia viene bloccato sulla diga. Gli operai addetti ai servi-
zi non vogliono più andare a lavorare. Il vice-sindaco di Longarone, Terenzio Arduini, telefona al Genio Civile di
Belluno per essere rassicurato sulle voci di grave pericolo che circola nella zona. Viene rassicurato.
Nel pomeriggio del 9, fino alle ultime ore prima della tremenda valanga d’acqua, partono per Venezia, sede
dell’ENEL-SADE, drammatiche telefonate dai geometri sulla diga, annunciando l’imminente pericolo. «Mi lasci
vedova» grida la moglie del geometra Giannelli, inutilmente tentando di convincere il marito a non tornare al suo
posto di lavoro. Alle ore 21 si risponde al geometra Ritmajer, che tempesta di telefonate la direzione di Venezia,
di «dormire con un occhio aperto» ma di stare calmo, che a Venezia non si prevede tanto pericolo. Sempre alle
21 si mandano due carabinieri a Longarone nei villaggi sotto la diga per avvertire la popolazione di non allarmarsi
«se dalla diga uscirà un po’ d’acqua». Alla stessa ora l’ing. Caruso chiede ai carabinieri di far bloccare il traffico
sulla statale d’Alemagna, senza preoccuparsi che la strada passa proprio in mezzo al centro abitato di Longaro-
ne. Nessuno pensa di far evacuare i paesi. Probabilmente ci si fidava fin troppo della prova sul modello effettuata
dai grandi professori, equivalente al gioco dei bambini che buttano sassi in un catino d’acqua. Alle 10,45 il Toc
frana nel lago, sollevando una paurosa ondata d’acqua. Questa si alza terribile un centinaio di metri sopra la di-
ga, tracima dalla stessa e piomba di schianto sull’abitato di Longarone, spazzandolo via dalla faccia della terra. A
monte della diga, un’altra ondata impazzisce violenta da un lato all’altro della valle, risucchiando dentro il lago in-
teri villaggi. Oltre 2.500 vittime in tre minuti d’apocalisse. L’assassinio è compiuto.
Le foto sono state tratte dal sito internet del Comitato Sopravvissuti Vajont (www.sopravvissutivajont.org)
6 CRONACA
Inaugurata a Schievenin
Al Borgo, nuova struttura ricettiva
di Fulvio Mondin
Il Comune di Quero Vas continua a puntare sulla promozione turistica della
bellissima valle di Schievenin. L’inaugurazione della nuova struttura ricettiva
“al Borgo” avvenuta giovedì 14 settembre è, infatti, l’ultimo evento in ordine
temporale che testimonia tale volontà. Prima del taglio del nastro il sindaco
di Quero Vas Bruno Zanolla ha voluto sottolineare l’importanza dell’evento
che ha restituito alla comunità lo stabile dell’ex scuola elementare ampliato
proprio per ospitare la struttura ricettiva. “L’intervento, finanziato in buona
parte dai Fondi di Confine – ha sottolineato il primo cittadino – e stato com-
pletato grazie a un bando comunale che ha permesso di individuare i gesto-
ri che lavorano già da anni nel settore turistico che, ne sono certo, contribui-
ranno ad un’ulteriore crescita della nostra comunità. Questa – ha proseguito
Zanolla - è una valle frequentata da tantissimi arrampicatori ed escursioni-
sti, vicina alle zone vitivinicole del valdobbiadenese e a poche decine di mi-
nuti di auto dalle Dolomiti bellunesi ed è un vanto unico per i nostri territori
un po’ di periferia”. All’inaugurazione ha presenziato anche l’onorevole Da-
rio Bond che si è complimentato con Zanolla “che – ha affermato – è un
sindaco che batte i pugni quando serve e che cerca di portare a casa sem-
pre qualcosa per il suo territorio e per la collettività con fondi dei Comuni di
Confine, con quelli del PNRR, col turismo e con tante altre materie. Sindaci
di questa valenza bisogna tenerseli stretti perché sono una grande risorsa
per il territorio della Provincia di Belluno ma sono anche quella sicurezza
che i cittadini cercano nel realizzare le proprie cose”. Bond però ha voluto
andare oltre all’evento e, dopo aver elencato tutto quanto c’è di positivo nel-
la realizzazione di strutture come quella inaugurata e nello sviluppo turistico
del territorio, ha affermato di essere quasi totalmente positivo tranne che
per una questione. "Sono preoccupato per la strada Feltrina perché one-
stamente un grande turismo e un grande sviluppo del territorio ha bisogno
anche di una strada sicura”. “Non può esserci questa carreggiabile qui dove
i camion sfiorano altri camion incrociandosi e dove il traffico è costantemen-
te in aumento” ha tuonato l’onorevole. “Se serve dovremo arrivare anche al-
la protesta forte – ha proseguito Bond – perché dobbiamo far capire a chi di
dovere che questa non è una strada secondaria, ma una strada molto im-
portante, pericolosa, che ha visto tante vite umane perse e che ha bisogno
che ci venga messa mano con un grosso finanziamento”. All’inaugurazione,
in rappresentanza della provincia e dell’Unione Montana c’era anche il sin-
daco alanese Amalia Serenella Bogana che si è complimentata per l’occhio
di riguardo che l’amministrazione di Quero Vas ha sempre avuto per la valle
di Schievenin. È poi intervenuto l’assessore comunale Cristina Dalla Rosa
che ha perseguito quale obiettivo, fin dalla sua elezione, lo sviluppo turistico
della valle di Schievenin. “Ci tengo veramente tanto a questa inaugurazione
– ha esordito Dalla Rosa – perché è stata la prima cosa a cui ho lavorato e
alla quale ho creduto ben prima che le cose prendessero una piega così fa-
vorevole per la nostra valle. Sono certa che questa struttura funzionerà alla
grandissima perché ci sono un sacco di richieste che dimostrano che la
gente sta solo aspettando l’apertura di questa struttura. Sono contentissima
che Anita e Stefano si siano aggiudicati la gestione perché sono dei grandi
lavoratori e imprenditori”. I nuovi gestori hanno ringraziato i presenti e han-
no sottolineato la loro convinzione di credere nella potenzialità turistica della
valle. La struttura è stata benedetta da don Francesco Settimo. Al taglio del
nastro e alla visita ai locali è seguito un ricco rinfresco. La struttura dispone
di 6 camere completamente accessoriate con terrazzo rivolto verso la bella valle di Schievenin.
Foto
di
Fulvio
Mondin
7 CRONACA
In ricordo di:
Fernanda De Faveri
di Silvio Forcellini
«È stata la maratona più dura della tua vita, e anche questa volta sei riuscita a portar-
la a termine con tanta forza e dignità… Ciao mamma, fai un buon viaggio». Con que-
ste belle e commoventi parole il figlio Marino De Colle ha voluto salutare la mamma,
Fernanda De Faveri, che il 6 settembre, a 71 anni, ci ha lasciato. È vero, Fernanda,
alanese di nascita e di residenza, era una “guerriera” che ha lottato fino all’ultimo con-
tro la malattia che sembrava vinta ma che poi è subdolamente riapparsa. Una deter-
minazione che metteva in tutte le cose che faceva. Era una grande camminatrice,
passione che l’ha portata a percorrere tutte le nostre montagne e ad affrontare impe-
gnativi trekking anche in Paesi lontani come il Nepal e il Tibet. Ma sono da sottolineare in particolare - come ri-
cordava Marino - le oltre cinquanta maratone che aveva corso in Italia e all’estero (New York, Berlino, Valencia,
Tallin…), molte delle quali in età non verdissima (cosa improponibile per la maggior parte delle persone). Fer-
nanda, donna intelligente e profonda, mancherà ai tanti che hanno avuto il piacere e la fortuna di conoscerla. Al
marito Romano De Colle, al figlio Marino, al fratello Piero e sorella Sandra le sentite condoglianze del Tornado.
Giovanni Carelle
di Sandro Curto
Dopo breve malattia è deceduto nelle scorse settimane Giovanni Carelle, 88 anni, di
Campo. La sua è stata una vita dedicata all’ippica con una grande passione per i ca-
valli da galoppo iniziata come garzone di scuderia a Milano, continuata come fantino
e poi come proprietario. Anche dopo il pensionamento e il suo rientro a Campo ha
proseguito l’attività gestendo alcuni cavalli, con alterne fortune, fra gli ippodromi di
Sant’Artemio a Treviso e Maia a Merano.
ALTRI DECESSI Ci hanno lasciato in questo periodo anche: ad Alano, Maria Michie-
lin, 89 anni, vedova di Giovanni Codemo “Menoli”, e Milvia Botteselle, 82 anni, vedo-
va di Antonio Rizzotto “Toni Tremili”; a Quero, Irene Mazzocco, 78 anni, di Cilladon,
Luigi Dal Canton di 75 anni e Giuseppe Mazzocco, meglio conosciuto come “Bepi To-
cio”, di 86 anni, Candido Mondin, 78 anni, di Schievenin.
APPELLO AL VOTO
Cari Concittadini,
nei giorni 29 e 30 ottobre 2023 siete chiamati a decidere in merito al futuro dei nostri Comuni di Alano di Piave e
Quero Vas, esprimendovi sul referendum regionale che prevede il seguente quesito:
“É LEI FAVOREVOLE AL PROGETTO DI LEGGE N. 208 RELATIVO ALLA ISTITUZIONE DEL NUOVO
COMUNE DENOMINATO «SETTEVILLE» MEDIANTE FUSIONE DEI COMUNI DI ALANO DI PIAVE E QUERO
VAS DELLA PROVINCIA DI BELLUNO?”
I Consigli Comunali di Alano di Piave e Quero Vas, maggioranza e minoranza, hanno voluto avviare l’iter
di fusione, in quanto convinti che questa sia l’unica scelta possibile per salvaguardare i servizi essenziali finora
assicurati alla Comunità.
Per completare l’iter avviato è ora fondamentale che andiate a votare esprimendo la vostra scelta.
Il referendum si svolgerà nei giorni di domenica 29 ottobre 2023 dalle ore 7.00 alle ore 23.00 e
lunedì 30 ottobre 2023, dalle ore 7.00 alle ore 15.00.
Per le AMMINISTRAZIONI
IL SINDACO IL SINDACO
del COMUNE di ALANO di PIAVE del COMUNE di QUERO VAS
dott.ssa Amalia Serenella BOGANA ing. Bruno ZANOLLA
GLI ASSESSORI GLI ASSESSORI
del COMUNE di ALANO di PIAVE del COMUNE di QUERO VAS
ZANCANER Angelo BAVARESCO Ketty
CODEMO Novella CORRÀ Cristian
COPPE Alberto
DALLA ROSA Cristina
I CONSIGLIERI I CONSIGLIERI
DI MAGGIORANZA E MINORANZA DI MAGGIORANZA E MINORANZA
del COMUNE di ALANO di PIAVE del COMUNE di QUERO VAS
SIMIONI Michela BAVARESCO Ketty
GALLINA Alex VERGERIO Giusto
SPADA Luigi MIOTTO Antonio
DAL ZOTTO Claudio DALLA PIAZZA Matteo
SOLDÀ Carlo MONDIN Sabina
BEINAT Lido BIASIOTTO Andrea
DALLA FAVERA Celestina CURTO Tiziano
CODEMO Dario CADORIN Pietro
CANDIAGO Susy SCHIEVENIN Luana
BRUCCULERI Adele MONDIN Antonio
MONDIN Andrea
CORRÀ Mattia
9 LETTERE AL TORNADO
APPROFONDIMENTO
Riassumiamo i temi che sono stati trattati nei vari Consigli Comunali ed incontri sul tema della fusione:
la difficoltà economica in cui si trova oggi l’Italia produce conseguenze anche sui Comuni a causa della
diminuzione delle risorse trasferite, e quindi indirettamente anche su noi cittadini;
la fusione permetterà di beneficiare di trasferimenti statali aggiuntivi, per 10 anni, stanziati dallo Stato a
favore dei Comuni che vi provvedono per un totale di € 8.578.833 e, a seguito della conversione in legge
del d.l. nr. 44/2023, è prevista l’assegnazione per ulteriori 5 anni di contributi straordinari a favore delle
fusioni;
la fusione permetterà di beneficiare di trasferimenti regionali per 3 anni, stanziati dalla Regione a favore dei
Comuni che vi provvedono per un totale di € 500.450,00;
riduzione dei costi di Amministrazione;
incremento trasferimenti dalla Regione per maggiore progettualità e priorità nei bandi.
Oltre a questi benefici economici sommariamente elencati si ricordano i benefici non economici derivanti dalla
fusione:
la possibilità di mantenere e migliorare gli attuali servizi ai cittadini può essere garantita solo in questo
modo, diversamente sarà inevitabile diminuire servizi e ridurre agevolazioni;
mantenere le tariffe ed i tributi locali differenziate per 5 anni;
sviluppare nuove progettualità con ricaduta positiva sul territorio;
far sì che il nuovo ente svolga un ruolo di catalizzatore e generatore di opportunità sul territorio.
Dopo dieci anni di positiva esperienza della fusione dei due Comuni di Quero e di Vas nel Comune di
Quero Vas e dell’Unione Sette – Ville, guardiamo con ottimismo a tutti i piccoli grandi passi già intrapresi finora e
siamo fiduciosi di poter concludere in modo positivo l’intero iter in questo 2023.
La fusione è un evento epocale per le nostre due Comunità e la creazione di questo nuovo Ente è
diventato obiettivo prioritario per le nostre Amministrazioni, ma sarà possibile solo con la collaborazione e
partecipazione di tutti voi cittadini.
La Gita al Lago di Garda di giovedì 21 settembre è stata proprio piacevole, complice un bel sole che ha rincuo-
rato gli Auserini e i simpatizzanti preoccupati per il brutto tempo del giorno precedente.
A Spiazzi in provincia di Verona abbiamo visitato il Santuario della Madonna della Co-
rona incastonato nella roccia sovrastante la Valle dell’Adige. Qui si sono visti gli atleti e
le atlete più agili che hanno percorso a piedi il tortuoso sentiero e le ripide scalette che
portano al Santuario al fine di ottenere la grazia. Altri invece hanno preferito servirsi
della navetta comoda e sicura. L’appuntamento a mezzogiorno per il pranzo al Risto-
rante Stella Alpina ha riunito i gitanti che hanno ripreso il viaggio alle 14.00 per rag-
giungere Malcesine. Il lungolago è un susseguirsi di maestose ville e villette, hotels
con vista panoramica sul lago, adagiati sulle falde della montagna e circondati da giar-
dini con bouganville e oleandri ancora carichi di fiori variopinti e appariscenti. Arrivati in
ritardo al pontile e avendo perso il battello approfittammo dell’occasione per visitare le
intricate viuzze cittadine frequentate ancora da molti turisti italiani e stranieri. Il capo-
gruppo ci ha poi riuniti puntuali al molo pronti a salpare per Limone sul Garda in pro-
vincia di Brescia. Abbiamo visitato questa ridente cittadina ricca di rigogliose piante di
limoni interrate sui terrazzamenti collinari e durante la passeggiata abbiamo gustato il
limoncello, famoso liquore della zona ricavato dalla buccia dei limoni biologici. Nel tar-
do pomeriggio ci siamo fermati in un bar in riva al lago per l’aperitivo che ha generato
buonumore. L’allegra comitiva ha attraversato nuovamente il lago per raggiungere Ri-
va del Garda, chiamata la perla del trentino. La ridente cittadina ricca di grandi alberghi, sontuose ville e fastosi
negozi è famosa per il suo clima mediterraneo. Le ombre della sera stavano calando e tutti eravamo seduti in
pullman in lieta compagnia pronti a rientrare a Quero quando una pioggia battente sui vetri ci ha sorpresi, ma non
ci è dispiaciuta affatto perché la giornata trascorsa era stata bella ed emozionante sotto un sole splendente.
*Presidente Circolo Auser Al Caminetto
12 CRONACA
Riprendiamo, dal bollettino parrocchiale di Quero, il saluto rivolto da don Alessio alla comunità.
Accadde vent’anni fa
a cura di Sandro Curto
Nell’autunno 2003 Silverio Frassetto viene rieletto presidente della Pro Loco di Fener che, al tempo, era anche
casa editrice del nostro giornale. Frassetto, al suo secondo mandato, era succeduto nel 2000 all’indimenticato
Mario Durighello al vertice del sodalizio fenerese per ben 29 anni. Ad affiancarlo nel nuovo direttivo ci sono Piero
Drusian (vicepresidente), Giovanni Lubian (segretario), Silvio Forcellini (cassiere) Antonio Bozzato, Mario Bozza-
to, Nello Bozzato, Marilena Cassandro, Diana Pellizzari, Fiorenza Piccolotto, Giustino Todoverto più i consiglieri
di nomina comunale Antonello Collavo, Sandro Curto e Andrea Tolaini.
ATTUALITÀ
Dal sito della Diocesi di Padova
Gli incarichi nelle nostre parrocchie
Le parrocchie appartenenti al vicariato di Quero Valdob-
biadene (Alano di Piave, Bigolino, Campo di Alano, Cao-
rera, Fener, Guia San Giacomo, Guia Santo Stefano,
Quero, Schievenin, Segusino, San Giovanni di Valdob-
biadene, San Pietro di Barbozza, San Vito di Valdobbia-
dene, Valdobbiadene e Vas) vengono affidate in solido a
don Romeo Penon (parroco moderatore), don Gabriele
Benvegnù, don Giuseppe Bertin, don Paolo Pizzolot-
to. Con loro vi saranno come collaboratori stabili don
Bruno Bottignolo e don Remo Zambon; come collabo-
ratori festivi don Bruno Faggion e don Marcello Bet-
tin. Mercoledì 27 settembre 2023
https://www.diocesipadova.it/nomine-2023/
Qui di seguito le note dettagliate tratte dai bollettini parrocchiali
Collaborazione pastorale
Con tutte le quindici Parrocchie del Vicariato di Quero-Valdobbiadene
Don Paolo Pizzolotto e Don Romeo Penon
Parroci, referenti pastorali per le Parrocchie di: Valdobbiadene, Bigolino, San Giovanni, Guia San Giaco-
mo, Santo Stefano, San Pietro di Barbozza, San Vito.
Don Remo Zambon: Collaboratore Pastorale residente
Don Bruno Faggion: Collaboratore Pastorale residente festivo
Don Angelo Furlan: Collaboratore Pastorale festivo.
Don Giuseppe Bertin: Parroco, referente pastorale per le Parrocchie di: Alano di Piave, Campo di Alano
di Piave, Quero, Vas.
Don Gabriele Benvegnù: Parroco, referente pastorale per le Parrocchie di Segusino, Fener, Schievenin,
Caorera.
Don Bruno Bottignolo: Collaboratore Pastorale residente
Don Marcello Bettin: Collaboratore Pastorale festivo.
Oltre 1 Kg di pomodoro
(M.M.) Quinto Schievenin e Maria De
Martini coltivano con passione il loro
orto e vengono ripagati con prodotti
eccezionali, come questo pomodoro
che supera il peso di un chilogrammo.
Merito di un lavoro di squadra, affiata-
to, specchio dell’intesa che i coniugi
queresi esprimono anche nel prender-
si cura del loro piccolo pezzo di terra.
16 ATTUALITÀ
17 ATTUALITÀ
18 ASTERISCO
Se 45 vi sembran pochi…
“Nel settembre del 1979, uscì il primo numero composto da sole
cinque pagine, copertina compresa, e perdipiù ciclostilato…”
(M.M.) Questo l’inizio della storia del nostro periodico che, per ragioni di conteggio burocratico, segna in coperti-
na il 45° anno di edizione. Non potevamo lasciare passare sotto silenzio questo traguardo adesso che l’anno sta
per finire e la sottolineatura della longevità della pubblicazione la affidiamo alla copertina, rubando l’idea di com-
porre la lettera iniziale della testata ad altre campagne pubblicitarie. Quarantacinque anni di storia sono conden-
sati in questa copertina e sono molte le difficoltà superate nel corso dell’esistenza del periodico, ma molte anche
le soddisfazioni avute, prima fra tutte il crescente gradimento da parte dei lettori che ci ha portato fino alla soglia
di 1.250 abbonati. Il mondo dell’informazione nel frattempo è cambiato e mutati sono anche i canali che veicola-
no le notizie, causando una crisi della carta stampata che non ha lasciato indenni nemmeno noi, visto che ormai
siamo attestati a difesa di quota mille. Ma resta comunque l’orgoglio di portare avanti una iniziativa che ha il pro-
fumo del puro volontariato. Una redazione a costo zero, unita dal piacere di diffondere notizie, esperienze, infor-
mazioni che sono specchio di vita dei nostri territori per offrire il miglior servizio possibile. Non riusciamo certo ad
accontentare tutti, ma non manca il nostro impegno per aprire finestre sul mondo locale, non tralasciando di vol-
gere lo sguardo anche oltre, non mettendo limiti al possibile orizzonte.
E scusate il ritardo. E’ capitato, capita, capiterà ancora. La distribuzione del nostro periodico soffre, talvol-
ta, di ritardi nella distribuzione postale. Esce, non esce, esce a macchia di leopardo… Sappiate che il problema,
come abbiamo scritto più volte, è comune a tutte le pubblicazioni. Inoltriamo reclami, segnalazioni, ma la situa-
zione ci complica la vita e mette in pericolo la nostra esistenza se perdiamo la pazienza di Voi abbonati. Speria-
mo in un assestamento del servizio postale e che il quindicinale torni puntuale nelle case degli abbonati.
CRONACA
(S.C.) La foto qui sopra, che ci viene segnalata dal nostro abbonato di Quero Giovanni Specia, è stata scattata a
Schievenin, davanti al bar “Speranza”, nel lontano 1965 in occasione di un raduno di ex emigranti.
CRONACA
Nella foto sopra: Francesco Franzoia in sella alla sua MAS; nella foto in mezzo: una copertina del 1930 di “Mo-
toCiclismo” in cui si sottolinea la partecipazione (e le affermazioni) della MAS alla Sei Giorni Internazionale; nelle
foto sotto, da sinistra: la MAS, la TERROT e le altre moto della collezione di Francesco.
23 LETTERE AL TORNADO
Scuole Medie “Don Orione” di Quero Vas e “Italo Calvino” di Alano di Piave
Notizie dall’Indirizzo Musicale
a cura di Paolo Pegoraro
Dà sempre tanta gioia il poter
condividere esperienze di Bellez-
za come quelle vissute nella se-
conda parte dell’anno scolastico
2022-2023 dai nostri alunni
dell’Indirizzo Musicale della
scuola media “Don Orione” e
“Italo Calvino”, rispettivamente
dei Comuni di Quero Vas e di
Alano di Piave. Già a partire dal
mese di gennaio i nostri alunni,
reduci dalla entusiasmante espe-
rienza del progetto “Christmas
Carol”, organizzato dalla rete
SMIM e tenutosi al Teatro comu-
nale di Belluno, e del Concerto orchestrale di Natale, presso il Centro Culturale “Bice Lazzari” di Quero, hanno
avuto modo, sin, è il caso di dirlo, dalle prime battute del mese di gennaio, di corroborare la loro preparazione
strumentale esibendosi in quattro occasioni: nelle due lezioni concerto, per le classi quinte della scuola primaria,
col fine di far conoscere agli alunni la preziosa possibilità che la nostra scuola offre loro di poter frequentare gra-
tuitamente il Percorso ad Indirizzo Musicale che diventa materia curricolare nel triennio della scuola media; poi,
sempre con il medesimo obiettivo, ma questa volta rivolto ai genitori delle future classi prime della scuola media,
ci sono state altre due performances per la “Scuola Aperta” di Quero e di Alano. Docenti di strumento e alunni,
dopo queste fatiche, legate al programma scolastico del primo quadrimestre, si sono buttati a capofitto per lo
studio di nuovi brani, orchestrali, cameristici e solistici per le nuove sfide che si sarebbero affrontate di lì a poco
in primavera e a fine anno scolastico: il Concorso Nazionale “Scuole in Musica” di Verona (aprile), il concerto
presso la Casa di Riposo “Sant’Antonio Abate” di Alano, i concerti cameristici presso le rispettive sedi di Quero e
Alano del nostro istituto comprensivo (maggio) e i progetti sulle emozioni; il Concerto di fine anno scolastico
presso il Centro Culturale “Bice Lazzari” e il grande concerto con l’Orchestra SMIM di Belluno presso la Palestra
“A. Boito” di Ponte nelle Alpi (giugno). Riguardo al Concorso Nazionale “Scuole in Musica” di Verona anche
quest’anno i nostri alunni hanno ricevuto significativi riconoscimenti e premi che verranno consegnati nel prossi-
mo Concerto di Natale che si terrà presso il nostro Centro Culturale.
Ecco qui di seguito gli alunni premiati:
Un’esperienza che ha toccato il cuore di tutti è stato il concerto presso la Casa di Riposo “Sant’Antonio Abate”
di Alano, sabato 27 maggio: per i ragazzi e noi docenti è stata un’occasione per entrare in comunione e sensi-
25 LETTERE AL TORNADO
bilizzarci un po’ di più con la realtà della terza età; il suonare per i
nostri nonni ci ha fatto capire che anche se il corpo cambia con il
passare degli anni, non cambia invece il bisogno che abbiamo tutti di
sentirci amati e di amare a nostra volta. In questa occasione, per la
quale sono stati eseguiti alcune trascrizioni, realizzate da noi docen-
ti, di canti di alpini e brani anni ’60 come “Se telefonando” oppure il
famoso “Can Can” di Offenbach; è stato molto di più quello che ab-
biamo ricevuto che quello che abbiamo donato.
Dopo i Concerti Cameristici e i progetti sull’affettività nei quali si è
potuto dare spazio a piccoli organici strumentali, dal solista al duetto,
trio, quartetto, è stata la volta del Concerto di fine anno scolastico
delle orchestre di Quero e Alano, giovedì 8 giugno, presso il Centro
Culturale “Bice Lazzari”, nel corso del quale le due orchestre si sono
alternate tessendo la serata di brani orchestrali preparati nel corso dell’anno scolastico: “Pavane pour une infante
défunte”, “La Vita è Bella”, “Se telefonando” eseguiti dall’orchestra di Quero e “Great Movie Adventure”, “Quel
mazzolin di fiori”, “O Bella ciao” e “Can Can”. Ultima grande esperienza è stata di certo il concerto
dell’Orchestra SMIM di Belluno, tenutosi presso la Palestra “A. Boito” di Ponte nelle Alpi, il venerdì 9 giugno: gli
alunni hanno avuto modo di suonare in una vera e propria orchestra sinfonica di 120 elementi dall’organico ricco
e vario: dai timpani alle campane tubolari, dagli archi alla nutrita schiera di strumenti a fiato di varia specie, per
passare alla batteria, basso elettrico e chitarre. Questa attività ha messo a dura prova sia gli alunni sia i docenti,
se si considera che le prove orchestrali hanno avuto inizio da febbraio con una media di due esercitazioni al me-
se, presso il Liceo Musicale “Renier” di Belluno e di sabato pomeriggio; ma la sete di Bellezza, la voglia di stare
insieme per raffinare la propria esecuzione ed armonizzarla con quella dell’intera orchestra hanno prevalso sulla
fatica e sugli inevitabili capricci, perché era la Gioia, che nasceva da questo continuo dare, il motore di tutto; co-
me una dinamo che trasforma un lavoro meccanico in energia elettrica sotto forma di corrente continua, così
quando si Ascolta e si dà fiducia alla Bellezza, questa, nonostante i rovi e le spine, ci rinnova trasfigurandoci e
donandoci una visione più vera, reale e più Bella della vita. Foto: sotto il titolo, in palestra a Ponte nelle Alpi e,
qui sopra, al centro culturale di Quero Vas.
CRONACA
di Mondin Duilio