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CORSO DI LETTERATURA SPAGNOLA III - ANNO ACCADEMICO 2023/2024 - PROF.

SCOTTO
Programma d’esame
Il corso è articolato su tre percorsi dedicati a tre generi letterari: il romanzo, la poesia e il
teatro. All’interno di ogni percorso si seguirà l’evoluzione di ciascun genere letterario
dall’Ottocento al Novecento attraverso gli autori e le opere più significative.1 Romanzo:
Costumbrismo, Realismo, Naturalismo, Modernismo 2 Poesia: Romanticismo, Modernismo,
Poesia del Novecento 3 Teatro:dal Romanticismo alle nuove forme novecentesche.
Materiale didattico
Storia della letteratura - M. G. Profeti (a cura di), L’età moderna della letteratura spagnola.
L’Ottocento, La Nuova Italia, Firenze 2000, pp. 175-191, pp. 229-234, pp. 261-593, pp. 629-
638. - M. G. Profeti (a cura di), L’età contemporanea della letteratura spagnola. Il Novecento,
La Nuova Italia, Firenze 2001, pp. 3-101, pp. 129-149, pp. 157-160, pp.171-269, pp. 317-327,
pp. 337-338, pp. 543-558, pp. 606-614.
Saggi critici - G. Gullón, El jardín interior de la burguesía. La novela moderna en España
(1885-1902), Biblioteca Nueva, Madrid 2003, pp. 53-98; 139-215. - V. García de la
Concha, Introducción, in Poetas del 27. La generación y su entorno. Antología comentada,
Espasa Calpe, Madrid 2008, pp. 21-84.
Testi Oltre alla dispesa di testi che sarà fornita dal docente all’inizio del corso, gli studenti
dovranno analizzare: - Benito Pérez Galdós, Tormento, Crítica, Barcelona 2007. - Leopoldo
Alas (Clarín), La Regenta, 2voll., Cátedra, Madrid 2004 (selezione di capitoli: I, III, IV, V, IX,
XIII, XVI, XXV, XXVI, XXVII, XXVIII, XXX). - Miguel de Unamuno, Niebla, Cátedra, Madrid
2008.
Lezione 1
“Las leyendas” di Bequer sono dei racconti in prosa abbastanza brevi (perchè pubblicati per
la prima volta in rivista) e fantastici sebbene non in tutte le singole parti perchè l’autore si
pone il problema di come il lettore possa accogliere dei testi completamente fantastici. Il
probema si pone poichè siamo in pieno ‘800 ossia quando si inizia a diffondere un gusto per
la realtà, quindi questi racconti fantastici devono essere spiegati e di fatto possono essere
capiti attraverso la loro struttura che è tripartita: presentano un inizio realistico in cui
normalemente il narratore arriva in un posto e parlando con qualcuno e questo qualcuno
inizia a raccontargli una leyenda per poi alla fine tornare al presente e ad un importazione più
realista. Abbiamo dunque il susseguirsi di realtà, fantasia e poi di nuovo realtà così che il
lettore venga accompagnato nel racconto fantastico e poi alla realtà in modo tale da rendere
questi racconti più accettabili. Quello che interessa però è lo stile utilizzato nelle leyendas
perchè sappiamo che Bequer è prima di tutto un poeta romantico molto moderno, di fatto
inserisce nella sua prosa figure e ritmi della poesia. Con le leyendas quindi si può parlare di
prosa poetica dato che è posta noltissima attenzione a tutte le sfumature sensoriali: figure
retoriche, musicalità, ritmo, suoni, colori ecc, rendendola una caratteristica molto specifica di
questo racconto. Il genere del racconto avrà una grande diffusione nell’800 che di fatto
possiamo definire come il secolo del romanzo realsita che del racconto soprattutto, grazie alla
pubblicazione dei giornali, tuttavia nessun altro autore di racconti usa questo stile di Bequer
che invece sarà ripreso nel 900 rappresentando un modello per Jimenez ed il poema in prosa
(anche se poi si avrà la mediazione di Baudelaire), e poi anche con Cernuda e gli altri poeti
della generazione del’27 spesso si tornerà a Bequer e alle sue rimas ma soprattuto alle
leyendas.
Nell’800 c’è dunque quest’esperimento di poesia in prosa ma Bequer è l’unico mentre invece
gli altri autori fanno cose diverse, come ad esempio mettere da parte l’elemento fantastico e a
tenere conto della realtà.
Galdos viene considerato il fondatore del romanzo realista, ma è necessario identificare
quelle che sono delle caratteristiche che vengono definite “pre-realiste”. Sono esperienze
tipicamente spagnole, perchè nascono in Spagna in maniera autonoma, perchè non sono il
frutto di un processo di integrazione della letteratura europea, in particolar modo dalla
letteratura francese. Per tutto l’Ottocento e per il primo decennio del Novecento ci sarà il
costante odio-amore tra la letteratura spagnola e la letteratura francese. Questo perchè
succede? Perché per tutto l’Ottocento, sopratutto per quanto riguarda il romanzo, la
letteratura forte, cioè quella che è capace di imporre la propria impronta sul resto delle
letterature, chi vuole fare un romanzo, almeno durante l’Ottocento, deve fare i conti con quelli
che erano i grandi autori francesi. La situazione si complicherà poi con l’arrivo dei russi. La
Francia è quindi contemporaneamente un modello a cui guardare però allo stesso tempo
diventa l’avversario da superare.
Questa forma forma pre-realista è definita Costumbrismo, che tra i suoi maggiori esponenti
ritroviamo Mariano Josè de Larra e Fernan Caballero.
Costumbrismo
Tra la metà dell’800 e fine 800 si diffonde in Spagna il Costumbrismo; gli scrittori
costumbristi, prendendo spesso in considerazione Madrid come scenario in cui vecchio e
nuovo si incrociano, identificano la nuova idea di nazione con quella della classe media e
danno vita ad un vero e proprio genere: il quadro di costume, che diventa una delle
manifestazioni più caratteristiche della prosa romantica. Il nome rimanda a dei testi, perlopiù
articoli di giornale (anche chiamati artìculos de costrumbre), i quali hanno nella maggior
parte dei casi una carica satirica, descrivono piccole scene e denunciano alcuni aspetti della
società, aspetti che possono riguardare la politica, ma molto più spesso riguardano costumi e
abitudini degli spagnoli, i quali vengono rappresentati anche negli aspetti più bassi e quindi
negli argomenti più quotidiani, con molti particolari; essi hanno lo scopo di criticare attraverso
il riso. Il genere costumbrista rinuncia a generalizzare sulle condizioni umane ed esprime un
forte senso di nostalgia nel descrivere le varietà pittoresche di quella società; di conseguenza,
i personaggi vengono presentati come dei “tipi” la cui esistenza è messa in pericolo
dall’evoluzione dei tempi. Il Costumbrismo lo vediamo principalmente con Larra e Caballero,
i quali rappresentano un tentativo interno alla tradizione spagnola di rivolgere l’attenzione alla
realtà anche negli aspetti più umili e ciò ci interessa perché è l’idea alla base di quello che
sarà il romanzo realista. Il romanzo realista nasce in Francia, con Baudelaire, Stendhal,
Balzac (in particolare), modelli che serviranno a Benito Pérez Galdós per creare il romanzo
realista in Spagna. Esiste uno studio, Mimesis di Auerbach, in cui l’autore usa la tecnica dei
campioni per capire cosa succede, sceglie per ogni epoca autore e testo più significativi per
parlare della rappresentazione della realtà; egli si rende conto che questa non è sempre la
stessa, ma resta sostanzialmente uguale fino al 700 (legata alla divisione aristotelica degli
stili), nell’800, in particolare 800 francese, cambia qualcosa: la rappresentazione del reale
comincia a cambiare il suo oggetto, si guarda alla realtà umile e quotidiana, si cominciano a
raccontare le storie di tutti, anche delle persone più umili, ma ciò va fatto in maniera seria,
non si deve ridere. Con il Costumbrismo abbiamo l’attenzione al reale, ma manca la serietà,
sono infatti testi in cui si ride, che hanno l’intento di rappresentare in maniera caricaturale e
grottesca la realtà.

Nel 1849 compare a puntate su un giornale un romanzo, La Gaviota


- Novela de Costumbres, firmato da Fernàn Caballero, pseudonimo usato da Cecilia Böhl de
Faber. Cecilia si forma culturalmente prima in Germania, in un collegio francese, poi a Cadice;
sposa il marchese di Arco Hermoso, che le consentì di coltivare il suo interesse per i
romances e di dedicarsi a comporre buona parte della sua produzione (anni, quindi, nel
romanticismo e, in particolare, del quadro di costume e del romanzo storico). Le sue idee
erano in buona parte mirate al tradizionalismo, in particolare considerava assurdo il voler
sostituire un mondo vecchio con un qualcosa di nuovo e non ancora maturo, ignoto; ella
conferma più volte la sua posizione contraria all’immorale e romanzesca ribellione romantica.
Tutto ciò è particolarmente evidente proprio nel romanzo sopra citato, testo che ci interessa in
particolare per il sottotitolo, un testo che ci permette di passare dagli articoli al potenziale
degli articoli per la costruzione di un romanzo e in questo testo l'autrice dichiara
esplicitamente di non avere avuto la freddezza e neanche l'ambizione di scrivere un romanzo,
ma che aveva cercato di legare insieme dei quadri di costume. Questi quadri di costume
vengono però legati tra loro attraverso riflessioni e descrizioni; aveva un intento in un certo
senso pedagogico perché in quest'opera cerca di criticare e condannare gli eccessi delle
passioni, ad esempio critica tutti i desideri e le ambizioni legate al progresso ed esalta tutto
ciò che è tradizione e, in particolare, tradizione spagnola.
La Gaviota
La prima cosa che ci interessa di questo romanzo è il prologo, perchè in questo prologo
l’autrice approfitta del prologo per fare delle dichiarazioni di poetica, in particolare dice che lei
in questo prologo non si è proposta di fare un romanzo, ma di dare un idea esatta, vera e
genuina della Spagna; in questo modo possiamo vedere che la scrittrice opera una
distinzione strana all’interno del termine “novela”, cioè sembra indicare con il termine un
qualcosa di vivo, di eccessivamente funzionale, e da questo tipo di novela lei prende le
distanze facendo un altro tipo di romanzo che da un immagine genuina e vera della Spagna
dell’epoca. Pone quindi un problema di rappresentazione della realtà. Questo romanzo,
genuino e vero, diventa per lei “novela de costumbres”. Prosegue sempre nel prologo
dicendo che in realtà quello che lei si propone di fare nella Gaviota è di offrire una sorta di
saggio sulla vita intima della Spagna, in particolare dell’Andalusia, e dice che la vicenda
romanzesca serve da cornice per poter parlare di certe questioni.
Il romanzo usa l'ambientazione dell'Andalusia, la quale però è idealizzata, basata su tutta una
serie di stereotipi (in Andalusia si conserva in maniera più pura la tradizione spagnola della
cultura religiosa); ci sono dei personaggi ben caratterizzati nella descrizione fisica, ma che
mancano di realismo e questo perché è evidente che rappresentano un’incarnazione stessa
di vizi e virtù, sono dei simboli, sono dei personaggi che chiaramente possono essere
individuati come buoni e cattivi e non c'è alcuna possibilità di evoluzione, di crescita
psicologica, di cambiamento, sono dei “tipi fissi” (chi è buono lo sarà per sempre e chi è
cattivo lo sarà per sempre e dovrà essere necessariamente punito perché il male va punito ed
il bene va premiato). Dunque, da una parte siamo molto vicini alla rappresentazione della
realtà, ma dall’altra parte ce ne allontaniamo moltissimo: questo tipo di romanzi si dice che
abbiano un'impostazione manicheista; quindi, in cui la lotta del bene e del male è
chiaramente definita e non c'è nessuna possibilità di errore o di confusione.
La storia parla di una protagonista, che è appunto la Gaviota, figlia di un pescatore, che
sposa un medico. Questa ragazza ha un talento naturale per il canto e il marito la asseconda
facendola educare al punto che, ben presto, la giovane si trasforma ben presto in una stella
del canto; questa passione la porta però ad allontanarsi dal marito, dalla casa, dalla poesia e
a spostarsi in città (anche qui, quindi, la campagna viene identificata con il bene e la città con
il male) per cantare nei più importanti salotti. Finisce, in città, per innamorarsi di un torero, il
che dà vita ad una forte contrapposizione, quella tra torero e medico, dove il medico di
campagna è il bene e il torero di città è il male. La giovane tradisce il marito e viene, in
qualche modo, condannata alla perdita della voce, seguito poi dalla perdita dell'amante e,
inevitabilmente, la perdita del marito. Parlare di intento pedagogico, in questo caso, è
problematico perché il messaggio che sta cercando di comunicare è un mondo in cui si
condanna ogni forma di progresso (individuale, sociale, lavorativo, ecc.) per esaltare tutto ciò
che è tradizione.
Ma quali sono le questioni di cui si parla all’interno del romanzo? Il contrasto tra la città
e la campagna, contrasto tra il mondo rurale e il mondo urbano, che è centralissimo nel testo,
questo perché tutta la prima parte è dedicata al ritratto di questa Andalusia, immaginaria e
poetica; mentre invece la seconda parte è quella dedicata alla città. Cambiano anche i
personaggi che si muovono in queste due realtà: se nella prima parte troviamo personaggi
umili, nella seconda parte cambiano i personaggi e le giovane in qualche modo viene corrotta
dai ceti nobiliari e intellettuali, che rappresentano il polo della società.
Grazie a tutti questi elementi, questo romanzo viene definito pre-realista, perchè nonostante
la volontà e l’attenzione a un certa realtà ci sono ancora enormi limiti. Primo limite: questa
rappresentazione, manichista della realtà, lotta tra buoni contro cattivi, quindi tra il bene e il
male, in cui i buoni vincono sempre mentre invece i cattivi vengono puniti, è emblematico il
caso della protagonista la cui perdizione viene punita con la perdita della voce; il personaggio
del medico, tipico esempio di buono, va a scontrarsi con la figura dell’amante di lei. Questo
rivela una rappresentazione bipartita in contrasto con la realtà, ma sappiamo bene che il
romanzo realista non può accettare uno schematismo di questo tipo perchè la realtà è molto
più complessa, nella realtà non esiste il bene assoluto e il male assoluto, ogni persona, ogni
azione è soggetta a un diversa interpretazione e soprattutto i personaggi del romanzo realista
presentano un evoluzione psicologica e quindi è possibile un cambiamento. In testi di questo
tipo i personaggi più che essere degli individui complessi, sono dei tipi, servono a veicolare
determinate idee e non possono evolversi. Secondo limite: anche gli eventi che ci
permettono di dire che ci troviamo in una fase per-realista e l’attenzione verso la realtà più
umile e quotidiana c’è, ma molto spesso ha una funzione caricaturale e grottesca. La grande
differenza dal romanzo realista è che le classi sociali più umili assomiglino a nuovi
protagonisti dei romanzi, questo perché le loro storie interessano e possono essere storie
serie e tragiche.
Per quanto riguarda linguaggio e stile, questi si adeguano alla storia: abbiamo un linguaggio
più elevato nelle parti riflessive e che cerca di essere invece più quotidiano quando si tratta di
dar voce ai personaggi. I personaggi che abbiamo non sono analizzati in profondità, non c’è
l'analisi psicologica e non c'è rapporto con la storia: queste vicende e questi personaggi
devono essere calati in un preciso contesto storico chiaramente rappresentato, contesto
storico che inevitabilmente influisce sulle vite di questi personaggi e che in questo testo
manca (cosa che notiamo già dall’idealizzazione dell’ambientazione). In sostanza, Caballero
è esagerata e sentimentale, eccessivamente moralista, ottimista, partigiana, idealizzatrice e,
soprattutto, ancora distante dal realismo. Opera una vera e propria rivoluzione artistica,
attraverso la creazione, in un certo senso, di un romanzo moderno, all’interno del quale
introduce la realtà, e tutto lo fa attraverso uno stile estremamente semplice e naturale.
Normalmente in questi testi si assiste anche a uno sfondo fatto di ideologie, tra un ideologia
più conservatrice e una più liberale, nel caso di Fernan Caballero e della Gaviota è
interessante perchè in qualche modo esiste un confitto tra queste due istanze, da una parte
sappiamo che l’autrice è conservatrice, non a caso unisce, senza appello, la sua propria vista
nelle descrizioni, giudica sempre, anche in maniera molto severa e chiara, tutto ciò che
rimanda alla perdizione, tutto ciò che rimanda alla vitta di città.
Mariano Josè de Larra

Larra è uno dei più importanti giornalisti della sua epoca, a


renderlo così importante è la sua capacità di cogliere tutti i grandi problemi della società
spagnola e di intravedere (non ha possibilità di agire) quali dovrebbero essere le soluzioni a
questi problemi. Nasce a Madrid nel 1809. Inizia a scrivere articoli nel 1828 per alcune riviste
importanti, e per evitare la censura utilizza il nome di Figaro. Secondo i temi trattati possiamo
dividere i suoi articoli in 3 gruppi:
- Articoli letterari, dove critica opere letterarie e teatrali. Presenta una panoramica delle
caratteristiche della letteratura spagnola definita “mas brillante que solida”. Chiede con
energia libertà in letteratura come nelle arti, come nell’industria del commercio ecc. Dice che
il libro deve insegnare qualcosa, deve essere utile e solo così può essere un buon libro.
- Articoli politici, dove critica i carlisti che definisce ignoranti.
- Articoli di costumbre, dove analizza attitudini e situazioni quotidiane. Si percepisce la
critica verso la borghesia, critica anche la mancanza di educazione. Infatti, il problema che
maggiormente si pone Larra è la questione pedagogica.
È un intellettuale molto acuto, nonché uno dei più moderni del romanticismo spagnolo, tant’è
che verrà riconosciuto come modello di riferimento all’inizio del 900; particolare la sua abilità
nel creare un dialogo con il lettore, lo stile moderno, chiaro ed energico. Cosa lo rende
moderno? Sicuramente la conoscenza del contesto europeo, egli ad un certo punto si sposta
in Francia, la riflessione sull’educazione del popolo spagnolo diventa per lui questione
centrale e più o meno l’origine della maggior parte dei problemi della Spagna, perché individui
non educati non solo non hanno la possibilità di intervenire a livello politico-sociale, ma sono
anche deboli, facilmente manipolabili; le persone non sapevano né leggere e né scrivere,
quindi avevano problemi nella vita reale, ma anche per quanto riguarda l’aspetto culturale, ad
esempio non andavano a teatro, non leggevano, o comunque leggevano testi di scarso valore
e chiedevano opere teatrali vuote. Dunque molti degli articoli di Larra sono dedicati proprio a
questa riflessione sull’educazione in tutti i campi, ad esempio si scaglierà contro il matrimonio
(Casarse Pronto y Mal è uno degli articoli in questione); si scaglia anche contro tutto il
sistema dell’amministrazione pubblica, l’eccesso di burocrazia che rende impossibile
qualunque cosa, ma anche contro la letteratura, in particolare scrive un articolo nel 1836 in
cui indica le caratteristiche specifiche della letteratura spagnola secondo lui e tutta questa
riflessone letteraria si intreccia a riflessioni di carattere storico-politico; per fare questo parte
dalla letterature perché secondo lui questa è una sorta di termometro capace di misurare il
grado di civiltà di un popolo. Le idee di Larra in questo articolo possono essere riassunte in 5
punti:
- la letteratura è sempre stata più brillante che solida > la letteratura spagnola è fatta da
grandi testi che sono apparizioni brillanti; pensiamo al Don Chisciotte, un albero nel deserto,
ossia non ha una continuità, a differenza di quanto accade invece con la letteratura inglese;
dunque, c’è quest’apparizione brillante che è il Don Chisciotte ma sostanzialmente non c’è
una continuità, non c’è una solidità;
- il secondo punto riguarda la lingua > Larra denuncia un progressivo impoverimento
linguistico ed espressivo, un problema che ovviamente lui segue nel tempo e che raggiunge
la gravità massima nell'epoca a lui contemporanea, nel presente: dal punto di vista del
linguaggio ed espressività del testo gli autori sono diventati molto più poveri. Niente
paragonabile a quello che era la letteratura del 500 e del 600;
- il terzo punto riguarda la necessità di creare un nuovo tipo di letteratura, una nuova
letteratura che sia quindi espressione di una nuova società, Larra si rende conto che la
società non solo è cambiata ma continua a cambiare e che quindi c'è bisogno che la
letteratura parli di/a questa nuova società. La letteratura non è una cosa autonoma e astratta
ma è espressione di una determinata società, si rivolge a quella società e preferibilmente
dovrebbe parlare di quella società, se questo meccanismo non funziona arrivano poi delle
crisi. Le caratteristiche di questa nuova letteratura è il fatto che, come dice Larra, questa
letteratura deve basarsi sulla verità per ottenere questo;
- quarto punto > gli scrittori devono essere liberi di scrivere quello che vogliono e come
vogliono perché in questa fase si realizza una trasformazione importante per quanto riguarda
anche la figura degli scrittori e giornalisti e intellettuali perché si inizia a parlare di industria
culturale che ha a che fare con giornali e l'editoria che modifica la condizione dell'intellettuale
perché l'intellettuale può vivere del proprio lavoro, pubblicando ad esempio sui giornali. Il
problema è che lo scrittore viene chiamato a pubblicare se il giornale vende, ossia se il
pubblico legge e apprezza le cose che vengono scritte. Quindi succede che in realtà, per
questione di sopravvivenza, gli scrittori iniziano a scrivere per assecondare i gusti del
pubblico, quindi non scrivono quello che vogliono scrivere, non sperimentano, ad esempio,
forme nuove, ma danno al lettore ciò che il lettore vuole e in questo senso perdono la libertà;
da questo punto di vista egli ne approfitta per affrontare una delle questione a lui più care: da
una parte, questi scrittori, che oramai non sono più liberi, sono quasi degli operai che entrano
a far parte di una fabbrica del romanzo e questo lo vedremo molto bene con uno dei
personaggi di Tormento, José Ido del Sagrario che sarà proprio uno di questi scrittori che
pubblica romanzi a puntate su giornali e scrive questi romanzi come se fossero delle
macchine con degli ingranaggi che funzionano in una maniera chiara, stabilita e determinata
per piacere al pubblico. Dall'altra parte c'è il problema del pubblico, grosso problema che
Larra individua in maniera molto chiara, in questa riflessione sul pubblico egli ne approfitta
per ragionare sulla società spagnola, perché il pubblico è fatto dalle persone, ma queste
persone che lo scrittore ha di fronte chi sono? Individua tre grossi gruppi: da una parte c'è
una sorta di moltitudine indefinita che però è incolta (parla della massa popolare, anche se
non la chiama così); da un’altra parte c'è il gruppo è rappresentato in qualche modo da una
classe media (non si parla di borghesia perché in Spagna prima del 1868, quando scoppia la
gloriosa rivoluzione e Isabella II viene deposta, non si parla di borghesia ma di una classe
media che si sta istruendo lentamente come se fosse un gruppo di persone in formazione e
che Larra paragona a un bambino che quindi va formato); infine c’è la parte rappresentata dal
quel gruppo privilegiato che è ben educato e che però, secondo Larra, ha un problema: è
completamente disinteressata al resto della società spagnola e questo è un problema perché
se l'obiettivo è riuscire in qualche modo a rinnovare la letteratura, una classe chiusa e
minoritaria non rappresenta un gruppo con cui dialogare. È chiaro che, secondo questa idea
di Larra, il gruppo intermedio rappresenta l'interlocutore privilegiato. Si rende conto dell'errore
in cui cade la maggior parte degli scrittori, ovvero quello di non dialogare e di non cercare di
comprendere gusti di questi ma accontentarsi di dare al maggior numero di persone quello
che richiede, vale a dire il romanzo d'appendice;
- l'ultimo punto riguarda le opere > i testi, per essere considerati testi utili, devono
insegnare qualcosa; è chiaro, quindi, che per lui la questione pedagogica è una questione
centrale. Questo ideale a cui aspira Larra, quello di una letteratura nuova, fondata sulla verità,
capace di formare e attirare un nuovo pubblico, si realizzerà soltanto qualche decennio dopo
con il progetto di Galdós. Però il fatto che Larra già nella prima metà dell'800 sia riuscito a
individuare limiti e soluzioni dimostra quanto fosse un intellettuale e un osservatore molto
acuto.
Tra i romanzi di Larra (sulla scia del dramma teatrale Macìas) abbiamo El Doncel de Don
Enrique el Doliente, in cui il protagonista è l’innamorato Macìas, egli presenta delle
somiglianze con il modello di Walter Scott, ma è un personaggio privo di significato storico,
inoltre è evidente l'esposizione della sua passione amorosa, contrariamente a quanto avviene
con Scott, in cui la passione viene pudicamente nascosta. A fare da sfondo alla vicenda è la
storia medievale. Il romanzo ha in comune con il dramma il connubio amore/morte, il tema
dell’onore e lo sfondo autobiografico, mentre differisce per la quantità maggiore di personaggi
e per la maggiore complessità dell’azione. La storia è quella di Enrique di Villena, il quale
vuole disfarsi della moglie, Marìa, per diventare maestro dell’ordine di Calatrava; la cameriera
di Marìa, Elvira, insieme a Macìas si uniscono per vendicare la donna e, nel frattempo,
scoprono la passione amorosa; alla fine lui cadrà nell’abisso in seguito ad una fuga dai suoi
nemici, lei cadrà invece nella pazzia. Il romanzo ha delle caratteristiche tragiche, sia nella
ricostruzione storica che nella finzione letteraria e per la prima volta i valori tradizionali
vengono attaccati a favore della libertà individuale. Il romanzo, svolto con grande dinamismo,
ricrea un universo di oppressione in cui la forza della passione, non potendo integrarsi, si
afferma come elemento di ribellione continua che conduce, inevitabilmente, alla morte.
Per quanto riguarda invece il dramma teatrale sopra citato, in esso Larra realizza una serie di
importanti innovazioni, soprattutto dal punto di vista dei personaggi; il dramma ripropone il
tema dell'amore adultero e mette in scena Macìas, personaggio leggendario, attraverso il
quale costruisce un dramma in sintonia con lo spirito romantico e liberale. La struttura è
scarsamente innovativa, la trama è piuttosto semplice, basata sulla storia dell'innamorato che,
a causa di un tradimento, non riesce a sposare Elvira entro il termine di tempo stabilito; Elvira,
nel frattempo, è costretta ad accettare le nozze con Fernàn Pérez, il quale ucciderà Macìas,
evento in seguito al quale Elvira si ammazzerà. L’opera mette in scena varie problematiche,
quali l’autorità paterna, i privilegi della nobiltà e la condizione subalterna della donna, tutte
problematiche contro le quali manifesta la sua forza di rottura attraverso l’amore che, per la
prima volta, si manifesta come forza superiore a qualsiasi tipo di vincolo sociale.
Lezione 2

A metà del 19° secolo appare una nuova corrente culturale e letteraria, il realismo, che
costituisce l’esaltazione della libertà individuale tipica del romanticismo per applicare in
letteratura i nuovi metodi scientifici. Il realismo è impulsato dal Positivismo, una corrente
filosofica sviluppata dal francese Compte che vede nell’osservazione e nella scienza i principi
della conoscenza. Il genere più appropriato per riflettere la realtà è il romanzo; infatti, Galdós
dice che l’immagine della vita è il romanzo. Le caratteristiche della prosa realista sono:
- Analisi rigorosa della realtà
- Descrizione minuziosa di personaggi e ambienti.
- Utilizzo del dialogo come tecnica per caratterizzare i personaggi socialmente e
psicologicamente.
- Predominio del narratore onnisciente
- Frequente uso di tecniche nuove come il monologo interiore, lo stile indiretto libero o i flash-
back
- Il contenuto è più importante della forma
- Lo stile è semplice, chiaro
- Il linguaggio è ricco, vario, con ricorso a regionalismi, influenze dialettali, volgarismi per
riflettere proprio la lingua parlata.
- Vengono rappresentate tutte le classi sociali
- La donna è l’oggetto principale dell’interesse del romanzo. Ce lo dimostrano ad esempio il
gran numero di romanzi che hanno come titolo il nome o il soprannome di una donna
- Spesso, il romanzo si sviluppa nello stesso periodo storico in cui vive l’autore
- I temi trattati sono principalmente: la religione, il conflitto città/campagna, la politica, l’amore
(che spesso è adultero).
Il racconto
L’auge del racconto letterario spagnolo coincide con il romanzo realista dell’ultimo quarto del
19° secolo, ma è facile sostenere che alla base della sua rinascita c’è la sensibilità romantica,
che valorizzò le manifestazioni dello spirito popolare e mise in risalto i racconti tradizionali. La
frammentaria emozionalità romantica trovava nella brevità del racconto uno spazio adeguato
per esprimersi.
Prosa nel romanticismo spagnolo: Il romanzo
Dopo la Gloriosa Rivoluzione del 1868 la narrativa trovò terreno fertile; prima di allora non
esisteva una classe media che ambisse a vedersi rappresentata insieme alla sua visione del
mondo in un genere letterario, ma cosa stava succedendo in quel periodo? A inizio 800 la
Spagna si trovò di fronte ad una grande crescita demografica che, tuttavia, non era
accompagnata dalle risorse economiche adeguate; inoltre, l’indipendenza delle colonie
ridusse notevolmente il flusso di capitali d’Oltreoceano e fu solo verso gli anni ’40 dell’800 che
sorsero le prime industrie in Spagna… conseguenza immediata fu l’emigrazione dei
braccianti dalle campagne alle città; quindi, sostanzialmente, l’aspetto economico dell’epoca
influenzò due importanti fattori: da una parte la presenza, alle porte della città, di una massa
di gente che versava in condizioni disumane, dall’altra la nascita di una classe agiata che
poteva acquistare i nuovi prodotti industriale e che, presto, avrebbe preteso anche il potere
politico (di fronte a queste novità, la Chiesa, grande conservatrice, costituì un ostacolo per la
classe media). La situazione che, quindi, si viene a creare nella Spagna di quest’epoca porta
alla nascita di due grandi correnti narrative: il romanzo realista (che prende forma dalle
aspirazioni e dalle frustrazioni della borghesia) ed il romanzo naturalista (che prende forma,
invece, dalla miseria economica e umana delle periferie urbane).
Per meglio comprendere la nascita del romanzo realista, dobbiamo necessariamente far
riferimento alla Gloriosa, la quale fu alla base della polarizzazione della politica intorno a due
soli centri: i liberali da una parte ed i conservatori dall’altra; inevitabilmente, la narrativa
diventa specchio di questa situazione politica ed il primo risultato dell’estetica realista fu il
romanzo a tesi, il quale lasciava posto ad una più libera espressione della realtà (ma
comunque lontana dai canoni europei). Il romanzo spagnolo si concentra molto sulla vita nei
piccoli centri di provincia e, dalla scelta degli argomenti e dal modo in cui essi vengono trattati,
si evince la difficoltà della borghesia nell'imporre il proprio punto di vista persino ai romanzieri,
i quali sono alla ricerca dell'elemento pittoresco; i romanzieri spagnoli raccontano di
personaggi eccezionali e misteriosi, falsificano la realtà evitando la visione diretta voluta dai
borghesi, essi di fatto disprezzano la borghesia.
In voga in questo periodo sono i romanzi d'appendice, i cosiddetti folletines, i quali pongono
l'attenzione alla gente comune e alla lingua di tutti i giorni, misero a disposizione del realismo
una nuova sensibilità verso i problemi sociali e le loro cause. Componente fondamentale che
fu alla base dell'albero realista furono le traduzioni di autori inglesi di 700 e 800, come
Fielding, Defoe o Dickens, e francesi, come Balzac, il quale influenzò in modo particolare
Galdós nella sua Fontana de Oro, primo romanzo realista spagnolo.
Dopo la rivoluzione del 1868 la borghesia non era una società ben definita; dunque, non
sorprende il fatto che questa prese a ricalcare gli usi, il gusto e i comportamenti
dell'aristocrazia, di conseguenza fiorirono una serie di atteggiamenti che, in qualche modo,
miravano alle altre classi. Questo tipo di atteggiamenti lo troviamo raffigurato nella figura del
parvenu, ossia l'individuo che, dopo essere riuscito nell'ascesa sociale, non riesce ad
assimilare la nuova condizione, segue il codice comportamentale dell'aristocrazia fino
all'esaltazione… un chiaro esempio di parvenu e l'indiano, emigrante che, dall’America, torna
in Spagna arricchito e in cerca di moglie. Nasce così la categoria del cursi, parola non
traducibile che definisce la tendenza ad ostentare il codice di comportamento altrui.
Una delle caratteristiche principali per quanto riguarda i personaggi di questo tipo di romanzo
è il fatto che la borghesia vorrebbe essere ciò che non è, ma contemporaneamente rimpiange
ciò che non è più, dunque l'unica cosa che le resta da fare e ingannare la sua angoscia
esistenziale attraverso la necessità di possedere piccoli oggetti, i quali vanno ad identificare
dei veri e propri totem dell'identità ibrida… il personaggio non è
altro che la concretizzazione della sua classe sociale, così come il romanzo realista è
espressione concreta del mondo reale e, nella rappresentazione della realtà, la presenza del
narratore non deve costituire un ostacolo.
Per quanto riguarda invece le caratteristiche del romanzo in sé:
- innanzitutto è accompagnato da una lingua trasparente e da una struttura narrativa molto
semplificata;
- evoca mondi e tempi lontani (caratteristica del romanzo storico romantico);
-geograficamente parlando raramente ci si spinge oltre i confini della Spagna;
- anche dal punto di vista temporale, raramente l'accaduto risale a più di qualche anno prima
(i riferimenti alle vicende storiche recenti sono una costante).
Chi, probabilmente, si avvicinò di registro linguistico della gente comune fu proprio Galdós,
grazie alla sua grande capacità di riprodurre il dialetto dei bassifondi madrileni, andando ad
annullare le distanze tra sé stesso e i suoi lettori.
Se volessimo rappresentare sulla linea cronologica l'evoluzione del romanzo spagnolo
nell'800, diremmo che al realismo spettano gli anni ’70, al naturalismo gli anni ’80 e allo
spiritualismo gli anni ’90; chiaramente si tratta di una periodizzazione molto imprecisa…
- il realismo attraversa due fasi > inizialmente questo tipo di narrativa si caratterizza per il
predominio dei romanzi attesi, in cui l'autore è continuamente presente attraverso anche dei
commenti, è frequente il dialogo diretto del narratore con il lettore, il fulcro è generalmente
costituito dalla religione, vi è un frequente ricorso all'ironia, soprattutto nei confronti delle
opinioni dell'avversario politico; successivamente gli autori cominciano ad avvicinare le
proprie opere all'obiettività del realismo, da questo momento i romanzi si basano sulla
possibilità dell'autore di costruire un discorso ordinato su un mondo caotico, grazie all'uso di
una lingua trasparente; il narratore è impersonale, aumentano le descrizioni; i personaggi
diventano rappresentanti di una classe sociale e abbiamo un maggiore avvicinamento alla
quotidianità;
- il naturalismo non introduce grandi novità, se non che ora la realtà non è più facilmente
descrivibile, bisogna interpretarla per riuscire a scoprire le vere cause dei fenomeni; tutto può
essere spiegato tramite un unico principio, il determinismo, secondo cui tutti siamo
condizionati dall'eredità biologica, dalla società e dalla malattia; oggetto prediletto
dell'osservazione dei naturalisti sono i bassifondi, dove vivono gli emarginati, tra i quali le
varie forme di determinismo si manifestano più chiaramente (dunque l'attenzione non è più
concentrata sull'individuo, ma sul gruppo);
- il romanzo spiritualista sceglie l'intimismo, lo scrittore non presta più voce a una classe
sociale, piuttosto preferisce il mondo della parola e della bellezza.
Da tutto ciò possiamo dedurre che l'evoluzione del romanzo dipende dallo spostamento
dell'attenzione del narratore verso ciò che, di volta in volta, viene considerato l'essenza della
realtà > nel caso del romanzo a tesi è l'astrazione ideologica, nel caso del romanzo
naturalista è la materialità dell'esistenza, nel caso del romanzo spiritualista è l'interiorità dei
personaggi. In questo panorama si colloca l'esperienza di Galdós.
L’evoluzione del romanzo realista nell’800.
1. Romanzi a tesi -> La prima fase della narrativa realista si caratterizza per il predominio dei
romanzi a tesi, non da tutti i critici però considerati realisti. Nel romanzo a tesi l’autore è
continuamente presente, sia nella selezione dei fatti narrati, sia nella loro esposizione,
sempre corredata al commento. Il romanzo diventa un’astratta costruzione morale, il cui fulcro
di solito è costituito dalla religione, con ricorso frequente all’ironia e all’iperbole. All’autore non
interessa tanto la realtà quanto l’interpretazione della stessa. Il romanzo a tesi è ancora
lontano dalla realtà; ci vorrà una depurazione di tutte le sue asperità ideologiche perché
evolva nella direzione di una maggiore imparzialità di punto di vista.
2. Realismo-> Solo verso la metà degli anni ’70, i romanzi assimilano i presupposti formali del
realismo. Per i romanzieri realisti, l’impersonalità del narratore è dogma letterario (Valera, ad
esempio, ricorre al romanzo epistolare; Galdós invece inventa il romanzo dialogato). Inoltre,
una particolare varietà di romanzo realista è il “romanzo regionalista”, anche se la tendenza
ad usare paesaggi e tipi umani della propria regione come cornice della narrazione è comune
un po’ a tutti gli autori del periodo, e quindi, pur nella diversità di approccio si può sostenere
che in maggiore o minor grado tutti sono da considerare regionalisti.
3. Naturalismo -> Da tempo le opere di Zola venivano recensite sulle riviste; nel 1879 la
“Revista contemporanea” decise di pubblicare la traduzione di un suo racconto “El ataque del
molino”, dando così il via al Naturalismo in terra ispanica. Il naturalismo divenne subito un
fenomeno culturale di grande eco. Sostanzialmente non introduce grandi novità tecniche
rispetto al realismo. Il suo potere dirompente si deve a una visione del rapporto romanzo-
realtà diversa da quella realista: la realtà non è più trasparente e facilmente descrivibile come
prima, ma bisogna interpretarla per riuscire a scoprire le vere cause dei fenomeni. Il narratore,
avendo a disposizione un campionario di strumenti di analisi, non deve limitarsi a raccontare
quanto accade nella società ma deve svelare l’essenza nascosta dei fenomeni sociali. Tutto
ciò che riguarda la vita delle persone si può spiegare attraverso un unico principio: “il
determinismo”, non c’è ambito dell’umano accadere che non rientri nel determinismo
biologico, sociale o fisiologico. Compito del romanziere sarà quello di osservare direttamente
la vita del gruppo sociale che gli interessa e renderla il più fedelmente possibile. I
naturalisti rompono definitivamente il sodalizio con la borghesia e scelgono come oggetto di
indagine il nascente proletariato (tranche de vie). -> Il cambio di classe di riferimento
comporta lo spostamento dell’attenzione dall’individuo al gruppo, dal particolare generale.4.
Simbolismo -> Il romanzo simbolista (anche definito spiritualista o psicologico) della fine del
secolo, sceglie l’intimismo, l’etica individuale come spazio privilegiato dell’espressione
letteraria. Lo scrittore non presta più la sua voce ad una classe sociale ma si ripara nel
mondo della parola e della bellezza a lui più familiare. Quindi vi è un’ulteriore limitazione del
punto di vista del narratore -> si passa dall’indagine sulle cause dei fenomeni al loro
specchiarsi nella mente dei personaggi. Esempi di romanzi considerati spiritualisti:
- “Una cristiana”, “La Quimera” “La sirena negra” di Emilia Pardo Bazàn
- “Morsamor” di Valera
- “Tristana”, “Nazarìn” e “Misericordia” di Galdós.
L’evoluzione del romanzo realista è quindi causata dallo spostamento dell’attenzione del
narratore dal generale all’individuale, all’intimista; quindi, verso ciò che viene considerato di
volta in volta l’essenza della
realtà:
- Per il romanziere a tesi: l’astrazione ideologica
- Per il naturalista: la materialità dell’esistenza
- Per lo spiritualista: l’interiorità dei personaggi.
Il destinatario del romanzo realista
L’affermazione come classe dirigente della classe media spagnola è il prodotto del
riassestamento politico ed economico da essa generato. Ma da un tale sommovimento non
nacque una società solida, ben definita, chiaramente gerarchizzata, bensì la borghesia al
potere non aveva un modello culturale proprio e quindi si vedeva costretta a ricalcare gli usi, il
gusto, i comportamenti dell’aristocrazia. Così si spiega tutto un fiorire di atteggiamenti che
mirano verso le altre classi, raffigurabili nell’immagine del “parvenu”, cioè l’individuo che
essendo riuscito a salire nella scala sociale; invece, non riesce ad assimilare la nuova
condizione e segue il codice comportamentale dell’aristocrazia. Un caso speciale di parvenu
è l’indiano (jàndalo), cioè l’emigrante che torna dall’America arricchito. Nasce così la
categoria del cursi (parola che non ha referente in altre lingue) che definisce la tendenza
all’ostentazione del codice di comportamento altrui. In contrapposizione al tentativo di
assimilazione del modello superiore, si verifica il fenomeno inverso della rivivificazione di ciò
che si sente come già quasi perduto:
- Da un lato c’è lo sguardo desiderante di chi ambirebbe al possesso di ciò che ancora non ha
- Dall’altro, lo sguardo nostalgico di chi desidera ciò che non ha più, di chi si rende conto che
ha perso le proprie origini.
È così che il borghese, dopo il fallimento della Gloriosa e l’avvio della Restaurazione, scopre
il piccolo come dimensione rassicurante, unico ambiente in cui le sue ambizioni individuali
vengono pienamente soddisfatte, in contrapposizione allo spazio grande della nazione. A fare
da contraltare al diminuendo verso il piccolo, troviamo lo straordinario sviluppo delle
comunicazioni, delle infrastrutture, della rete ferroviaria, delle nuove tecnologie. La
circolazione delle idee e delle persone cessava di essere privilegio di pochi. In Spagna
adesso abbiamo quindi una ricollocazione del mondo su un’assiologia orizzontale e non più
verticale. La società non è più ordinata secondo una gerarchia di potere che va dall’alto al
basso, legittimata da Dio, ma da individui che hanno gli stessi desideri. La nuova società
propone 2 soli archetipi umani: il produttore e il consumatore. Il mondo della trascendenza
non esiste più. L’assenza di Dio dal mondo si manifesta nel romanzo attraverso la distanza
tra le azioni dei personaggi e la loro anima. La crisi del rapporto uomo-realtà esige nuove
forme di rappresentazione; infatti, il romanzo è il genere nato come espressione di questa
crisi. L’universo senza Dio è diventato ostile all’uomo il quale percepisce sé stesso come
estraneo all’accadere dei fatti; la sua interiorità non trova corrispondenza nell’esteriorità, e
allora cerca di riappropriarsi del mondo ma riesce solo a sperimentare su di sé una
“discontinuità disarmonica”. Il romanzo diventa così la storia dell’anima che procede sulla via
della conoscenza di sé attraverso la lotta con l’ambiente ostile.

Nasce a Las Palmas, quindi è un canario, ma poi si sposta a Madrid per


gli studi universitari, città dove passerà la maggior parte della sua vita e dove si colloca tutta
la sua produzione letteraria. Galdós è completamente preda della città, cosa che lui stesso
racconta in un testo, una sorta di autobiografia pubblicata molto tardi su una rivista che si
intitola Memorias de un Desmemorado; chiaramente questo titolo diventa problematico dal
momento che da una parte ci dice che sono memorie, ma dall'altra ci dice che è uno
smemorato e che quindi non ne ha una buona memoria… quindi cosa ci sta raccontando
realmente? Perché sorge un problema? Perché il discorso che è alla base delle scritture
autobiografiche si fonda sul cosiddetto “patto autobiografico”, secondo il quale il lettore deve
credere che quello che l’autore (che coincide con il narratore) sta raccontando sia la verità
(sotto questo punto di vista, infatti, Cervantes è uno dei grandi modelli di Galdós). In questo
testo, ad esempio, racconta del suo arrivo a Madrid, città in cui decide di trasferirsi per
studiare, ma di fatto sappiamo che inizierà a passare il tempo a girare per le strade di Madrid,
a osservare le persone, a frequentare i caffè e i maggiori luoghi di interesse della città (tutto
questo bagaglio accumulato l'aiuterà a creare l’enorme universo narrativo che è la sua
produzione letteraria).
I primi scritti di Galdos, che vengono pubblicati su giornali, sono racconti fantastici che Galdos
stesso definisce “inverosimili”. Secondo lui questi racconti rappresentano un’altra prospettiva,
un modo diverso per guardare la realtà. Uno di questi racconti, che si intitola “Un Tribunal
Literario”, è interessante perché ci permette di comprendere quello che era il panorama
letterario in Spagna intorno agli anni 70. In quest’opera lui immagina un giovane scrittore che
ha iniziato a scrivere il suo romanzo e che deve leggerlo per la prima volta davanti a un
tribunale, formato da una serie di individui che sono in realtà incarnazioni delle forme
letterarie più diffuse all’epoca. Ci sarà una donna, la poetisa, la poetessa, che incarna la
letteratura fortemente idealizzata, sia nella caratterizzazione fisica di questo personaggio,
magrissima, altissima, estremamente elegante, bionda, insofferente a qualsiasi tipo di
contatto con la realtà, che è volgare; poi abbiamo un giudice che incarna il romanzo
d’appendice, ancora impregnato di romanticismo, si tratta di un romanzo che si fonda su
alcuni elementi che sono tipici del melodramma. I protagonisti sono quasi sempre fanciulle
povere, sole al mondo e a un certo punto si innamorano, ricambiate, di giovani bellissimi,
intelligentissimi e ricchissimi che però questo matrimonio è ostacolato, perché un nobile non
può sposare una povera fanciulla, ma poi si scopre, alla fine, quella fanciulla non è affatto
povera perché è figlia di una marchesa che l’abbandonò appena nata che poi si
ricongiungono.
Si tratta di una letteratura fatta su personaggi che sono sostanzialmente tipi umani, sulla
ripetizione di formule che si trovano identiche, o con minime variazioni, in tutti i romanzi
d’appendice. Questo tipo di romanzo ci interessa particolaremente, perchè Galdos attacca
ferocemente questa forma narrativa, perchè ostacola, secondo lui, la diffusione del romanzo
realista e ci interessa anche perchè Tormento è costruito tutto intorno alla critica sul romanzo
d’appendice.
Altro giudice da voce ad un romanzo realista, eccessivamente legato a elementi orrifici, in cui
ogni forma di bellezza è esclusa. Mentre lui legge, di volta in volta, i giudici intervengono per
criticare il romanzo appena ascoltato, in realtà non corrisponde a nessun genere specifico e
per riscriverlo secondo i propri gusti. Ad un certo punto finisce tutto in zuffa.
L’altro racconto fantastico, uno dei più importanti nonché uno dei più lunghi, è “La
Sombra”ed è interessante perchè qui Galdos prova a rappresentare il delirio di una mente
alterata dalla gelosia. In questa storia noi ascoltiamo, il racconto fatto da un personaggio,
Anselmo, nome che rimanda a una tradizione specifica. Lui racconta al suo interlocutore la
storia della fine del suo matrimonio e della sua pazzia, perchè lui viene considerato da tutti
pazzo. Anselmo sposa Elena, giovane bellissima, dalla condotta impeccabile, però una sera
in casa di Anselmo c’è una stanza piena di quadri, perchè un antenato, aveva una collezione
di quadri a tematica amorosa. Tra questi quadri ve ne è uno che attira da sempre l’attenzione
di Anselmo ma anche di Elena ed è un quadro in cui vengono rappresentati Paride ed Elena
in una grotta. Quello che ci viene detto è che entrambi vengono colpiti dalla bellezza di Paride.
Succede che a un certo punto Anselmo guarda il quadro e Paride gli fa l’occhiolino, fino a che
ad un certo punto esce dal quadro ed assume l’aspetto di un uomo del 19 secolo, ben vestito
e gli racconta che è l’amante di sua moglie. E da qui inizia un racconti fantasmagorico in cui
si arriva ad assistere ad un duole tra Anselmo e Paride, in cui emergono delle stranezze, un
duello con la pistola in cui Anselmo colpisce Paride ma lui non muore, non muore perchè lui
non esiste. Si tratta del delirio, o del modo in cui la mente di Anselmo ha ricostruito quello che
stava succedendo in qualche modo nella realtà; nella realtà stava succedendo che un altro
uomo, amico della moglie, aveva iniziato a frequentare casa loro e lui geloso di quest’ultimo,
in preda a un delirio, elabora tutta questa vicenda. Qual’è l’intento di Galdos con quest
opera? Dare forma al delirio psichico di Anselmo.
Questi esperimenti costituiscono una prima fase della produzione di Glados, dalla quale
prende le distanze, in maniera sempre più netta a partire dal 1870, e che solo molto dopo
deciderà di recuperare e pubblicare sotto forma di raccolta di racconti.
Il 1870 è una data importante nella produzione di Galdos, perchè in quest’anno pubblica un
testo, ma in realtà questo testo è parte di un prologo che Glados sta scrivendo; questo testo
si intitola “Observaciones Sobre la Novela Contemporanea en España”. ca agli essordi
della sua carriera di scrittore.
Observaciones Sobre la Novela Contemporanea en España
Esso si colloca all’inizio della sua produzione letteraria, in un momento in cui Galdós ha perso
completamente fiducia nella classe borghese e quindi non pensa più che la borghesia possa
portare a un cambiamento/miglioramento per quanto riguarda la società spagnola e, sempre
per la relazione che esiste tra società e letteratura, capisce che anche il romanzo così come
era stato costruito da lui stesso per parlare alla borghesia della borghesia non può funzionare
più per rappresentare la società; dunque, nella sua produzione si vede questa crisi del
romanzo realista che poi porterà alle soglie del Modernismo. Nello specifico, Galdós ci dice
che, partendo dall'analisi del presente, il panorama letterario spagnolo risulta essere
incommentabile perché gli scrittori, anche quelli che avrebbero qualcosa da dire, si limitano a
imitare modelli soprattutto francesi; inizia così questa lunga critica del rapporto con la
letteratura francese che ci porteremo avanti fino a Unamuno almeno. C’è da chiarire però che
Galdós non è che non riconosca il valore della letteratura francese, anzi, il suo modello di
riferimento principale è Balzac, addirittura nelle Memorie racconta il suo primo viaggio a
Parigi, durante il quale compra da una bancarella di libri Eugénie Grandet, lo legge e una
volta tornato a casa brucia tutto. Il suo obiettivo era quello di creare per la Spagna qualcosa
che fosse simile a quello che Balzac nel suo progetto della Commedia Umana aveva fatto
per la Francia, ma che non si trattasse solo di un'imitazione sterile, piuttosto di un cogliere
quali siano le questioni importanti e cercare di riplasmare la Spagna su queste, per cui Parigi
diventa Madrid. Tutti i grandi romanzi di Galdós sono ambientati a Madrid, una Madrid
descritta con assoluta precisione, con assoluto realismo, ma anche con la consapevolezza
che, per quanto Madrid fosse una grande città spagnola all'epoca, essa era completamente
diversa da Parigi, i problemi della città Madrid non potevano essere gli stessi di Parigi. La
Spagna ha anche una grande questione da affrontare, che è quella del potere della Chiesa,
un potere estremamente forte e radicato nella cultura spagnola: nella maggior parte dei
romanzi di Galdós c'è la figura del sacerdote che non è quasi mai puramente secondaria, ha
sempre un ruolo abbastanza attivo all'interno della trama, soprattutto in relazione ai
personaggi femminili, perché sostanzialmente erano le donne che frequentavano attivamente
la Chiesa, erano le donne che dovevano essere esempi di cultura. Per cui queste relazioni,
queste problematiche vengono indagate da Galdós, il quale sa che ovviamente sono ben
diverse da quelle che potevano essere vissute dalla Francia, quindi cos’è che criticava? Non
il modello francese, ma il fatto che gli scrittori lo copiavano senza “renderlo proprio”, senza
adattarlo, ma limitandosi ad una sterile imitazione. Il secondo modello di riferimento è Charles
Dickens. Galdos conosce abbastanza bene la letteratura e la lingua inglese, in quanto viaggia
molto in Inghilterra. Conosce molto bene Dickens, in particolar modo un’opera molto
importante ovvero “Il circolo Pickwick”, una delle opere più complesse di Dickens. Lui
conosce molto bene quest’opera perché, intorno agli anni 70, Galdos traduce l’opera e
pubblica la traduzione a puntate. Questa traduzione è preceduta da un lungo articolo in cui
presenta Dickens agli spagnoli e sottolinea come gli spagnoli dovrebbero aprirsi molto di più
alle altre letterature, senza limitarsi a quei pochi francesi che venivano letti, perché in altre
letterature e in altre opere, come in Dickens, avrebbero trovato elementi e argomenti di
maggior interesse e Dickens, sotto certi aspetti, è più affine a Galdos, rispetto a Balzac,
perchè l’elemento del umorismo è molto più forte.
E che cosa propone in questo ho scritto nel 1870? La creazione di un nuovo romanzo.
Galdós parla di moderna novela de costumbre, che noi traduciamo come romanzo realista
dell’800, il quale deve:
-parlare della realtà,
- deve parlare di questa nuova classe sociale, deve parlare della borghesia;
- deve essere fondato sull'osservazione della realtà, le vicende vanno calate in uno spazio e
in un tempo perfettamente ricostruiti e aderenti alla realtà;
-deve parlare del presente, non del passato.
Riguardo l’ultimo punto, però, quasi sempre Galdós affronta problemi di al massimo 6/7 anni
prima, quindi parla del contemporaneo per cercare di mostrare ai lettori come funzionano
alcuni meccanismi per mettere in luce aspetti critici della società, come sicuramente sono la
mancanza di educazione, che nei suoi romanzi si declina soprattutto attraverso bambini e
ragazzini appartenenti soprattutto alle classi povere, rappresentati quasi sempre come dei
piccoli selvaggi, completamente abbandonati a loro stessi, e il sistema scolastico sbagliato,
che critica attraverso, per esempio, le figure dei maestri che sono rappresentati come
completamente incapaci di insegnare qualcosa, che portano avanti dei metodi di
insegnamento completamente inadeguati e che sono messi in relazione ad un altro tipo di
insegnanti, quelli deboli, il cui valore non viene riconosciuto dalla società, che perdono il
lavoro e che, spesso, sono costretti quasi a mendicare il cibo; un esempio di questo
personaggio, ancora una volta, è José Ido del Sagrario, personaggio che nasce come
maestro, che però non riesce ad avere un posto stabile, viene trattato male da tutti e si
troverà costantemente costretto a cercare modi per guadagnarsi da vivere la vita (è così che
poi diventerà scrittore di romanzi d’appendice).
I primi romanzi che pubblica Galdos rivelano un percorso in cui progressivamente Galdos
riesce ad arrivare a quel nuovo romanzo a cui lui tanto aspira. I primi romanzi vengono
chiamati normalmente “romanzi de la primera epoca”, tra questi troviamo La fontana de oro,
Doña perfecta, Gloria, Marianela, La familia de Leon Roch. Anche se Galdós stesso
dichiara di non aver voluto dimostrare, in queste opere, nessuna tesi filosofica né religiosa, la
critica invece rileva in esse un’eccessiva carica polemica che restringe a priori la realtà entro
uno schema ideologico che prefigura uomini ed eventi in termini manichei: buoni e cattivi,
bene e male. La nota dominante che caratterizza i romanzi della “Primera epoca” è quella di
un radicalismo ideologico che costruisce mondi fittizi manichei, imperniati sul costante asse
tematico del conflitto tra individuo e società, fra l’idea progressista e il conservatorismo. In
questi primi romanzi egli traspone la tensione ideologica radicalizzatasi nei “tempi presenti”
dopo la rivoluzione di settembre: tempi densi di odio, di sospetti, di speranze e delusioni, con i
quali lo scrittore non può non fare i conti, per cui a una realtà problematica necessariamente
corrisponde un romanzo conflittuale. Di ambientazione storica è “La fontana de oro” dove si
narrano situazioni drammatiche del Triennio Liberale, determinate dall’intransigenza delle
opposte fazioni, quella di Ferdinando VII e quella dei rivoluzionari. Questo è il primo romanzo
di Galdós ma è anche il primo romanzo spagnolo moderno, contiene già tutti gli ingredienti
che contraddistinguono la narrativa spagnola del decennio post- rivoluzionario, una narrativa
che può essere definita “ideologica”. Ne consegue uno schema ripetitivo: un giovane di buona
educazione, pieno di idee o illusioni si scontra con un mondo chiuso, ostile, e ne esce
sconfitto. Gli eroi galdosiani di quest’epoca finiscono per assomigliarsi quasi tutti, come se si
trattasse di uno stesso personaggio frammentato in pluralità di tipi. I temi ricorrenti sono
quello religioso e quello della famiglia. Galdós affronta la complessa problematica del suo
tempo denunciando ogni forma di intolleranza e di fanatismo da ascriversi non solo all'
ideologia in sé quanto piuttosto alla mancanza di equilibrio fra le parti. Da qui il fatto che i suoi
eroi si sentono così cambiati da non riconoscersi. “Doña Perfecta” è forse, il testo
esemplare di questa atmosfera: espressione del conservatorismo politico e dell’oscurantismo
clericale.
Sono romanzi in cui l’interesse per la realtà è centrale, soltanto che i personaggi e le vicende
narrate rispondono ancora a una volontà di difendere la tesi su un altra, da cui il nome di
romanzi a tesi. In questi romanzi si assiste allo scontro di reali e alle conseguenze di questi
scontri. Per esempio “Gloria” è un romanzo che ebbe un enorme successo ma che generò
una forte polemica. È un romanzo che serve a Galdos di parlare di religione e in particolare
per parlare dello scontro tra la regione cristiana - cattolica e l’ebraismo. In un piccolo paesino
della Spagna, fortemente cattolico, una famiglia fortemente cattolica e benestante, una delle
famiglie di spicco di questo posto, formata da padre, un uomo colto, grande lettore e una figlia
straordinaria, bellissima e intelligentissima, soprattutto grande lettrice, Gloria appunto, e restia
a sposarsi perché crede nell’importanza della libera scelta e dell’amore alla base del
matrimonio. Un giorno, dopo una sorta di tempesta, trovano dei naufraghi sulla spiaggia e
uno di questi viene preso dalla famiglia di Gloria che si occupano di guarirlo; i naufraghi sono
inglesi e Gloria si innamora subito di uno di loro, Daniel, il quale ricambia i sentimenti nei
confronti di Gloria, ma lui, in tutta la prima parte è molto distante, e non si riesce a capire il
motivo di questa distanza. La rivelazione a un certo punto si rendono conto che il problema è
la religione. Daniel osserva la profonda fede cattolica di Gloria e della sua famiglia e non sa
bene come dire la cosa, e in un primo momento lui dice che non è cristiano-cattolico e Gloria
pensa, in un primo momento che lui è protestante, la rivelazione sarà che in realtà lui è ebreo.
La notizia provoca la morte del padre di Gloria e da li, in tutta la seconda parte del romanzo,
si assiste allo scontro tra i sentimenti dei singoli, Gloria e Daniel, e lo scontro tra due
atteggiamenti intransigenti delle religioni, che sono inconciliabili e che porteranno a un esito
tragico della vicenda, con un finale che, Galdos riproporrà varie volte, che lascia intravedere
la necessità di una riconciliazione da entrambe le parti in quanto Gloria darà alla luce un
bambino e questo bambino sarà chiamato Jesus.
Nella “Familia del Leon Roch” riprende la questione religiosa, però più nei termini del
bigottismo e lo scontro è invece con il libero pensiero. In questo matrimonio avremmo una
moglie che arriva a pratiche religiose estreme, mentre dall’altra parte il marito è ateo, uno
studioso e qui la possibilità di venirsi incontro lascia spazio alla crisi e alla distruzione della
famiglia.
La svolta nella produzione di Galdos arriva nel 1881 con la pubblicazione di un romanzo,
intitolato “La Desheredada”. Si tratta di un romanzo che segna una svolta importantissima per
Galdos, e la stessa distinzione tra la primera epoca e questa epoca è una distinzione che
Galdos stesso fa in una lettera in cui dice che con la desheredada, inizia una sua nuova
maniera di scrivere. Inizia il progetto delle “Novelas espanolas contemporaneas” in cui
troviamo finalmente realizzato il romanzo realista.
Fortuna y Jacinta - Dos Historias de Casadas
Siamo tra il 1886 e 1887 Fortunata y Jacinta è un importante romanzo di Galdós, ampio al
punto che è diviso in 4 tomi, e che verrà sempre citato quando si parlerà di grande romanzo
in Spagna (insieme a La Regenta). Questo romanzo ci mostra già un’analisi da parte di
Galdós perché, forse per la prima volta, diventerà esplicito e metterà in dubbio la sua fede
nella borghesia. Partiamo dal titolo, potremmo dire che esso rientra in una tradizione europea
perché, se pensiamo ai romanzi dell’800 che hanno come titolo il nome delle protagoniste
(per esempio Madame Bovary), essi sono tutti romanzi che hanno con protagoniste donne
accomunate da uno stesso tema, che è l'adulterio femminile… ma come mai nell'800
abbiamo tutta questa attenzione all’adulterio femminile? Parlare dell'adulterio femminile
permette di parlare meglio della società borghese, la quale si fonda sul matrimonio inteso
come contratto sociale, di conseguenza se entra in crisi l’elemento che è alla base del
sistema (il matrimonio) entra in crisi tutto il sistema (la società borghese). Ma perché la
scelta dell'adulterio femminile e non quello maschile? Da una parte l'adulterio maschile
rientra molto di più nell'immagine del seduttore e del Don Giovanni, l’adulterio maschile non
metteva mai in crisi la famiglia, inoltre la donna incarna in sé più figure: moglie, madre, figlia,
di conseguenza la crisi della donna coinvolge tutti questi aspetti della società.
Il primo e il secondo libro ci raccontano la storia di due matrimoni: quello tra Jacinta e Juanito
e quello tra Fortunata e Maxi Rubin. Che relazione c’è tra le due donne? La storia parla
della presentazione di una famiglia dell'alta borghesia finanziaria, quindi ricchissima, che è la
famiglia Santa Cruz; si parte dal racconto della storia dei genitori di Juanito, che
rappresentano la borghesia costituita, ossia la prima generazione borghese, quella che con le
proprie capacità è riuscita imporsi sulla scena politica ed economica. Il figlio rappresenta la
parte corrotta della borghesia, la seconda generazione; di fatto, cresciuto in una famiglia
potente e ricca, Juanito non ha mai dovuto lavorare, studiare o impegnarsi, inoltre è bello,
simpatico e affascinante. Un giorno incontra questa ragazza, Fortunata, una giovane donna
bellissima, alla quale nessun uomo riesce a resistere; tuttavia, è completamente incolta e
rozza. Il primo incontro tra i due avviene sulle scale, Juanito resta folgorato dalla bellezza di
questa ragazza, vestita come una donna del popolo, con un fazzoletto azzurro in testa e che
sta bevendo un uovo; sentitasi osservata dal ragazzo si rivolge a lui chiedendogli cosa
volesse.
A questo punto Juanito sente un misto di attrazione e repulsione verso la donna, sentimento
che caratterizzerà Juanito dalla prima all'ultima pagina: lui vuole Fortunata ma non la puoi
accettare perché è troppo rozza. Questo aspetto ci porta a spostarci sul piano
dell’interpretazione, che è quella del rapporto tra borghesia e popolo: la borghesia sente
attrazione verso il popolo, però il popolo è rozzo e la borghesia non ha voglia di educarlo; la
borghese utilizza il popolo come di fatto Juanito utilizza Fortunata. Inizia quindi questa
relazione, la quale viene scoperta dalla madre di lui che non vuole in nessun modo accettare
che il figlio possa corrompere il proprio modo di essere e per questo motivo combina un
matrimonio con Jacinta, un matrimonio che però non si rivela essere riparatore. Jacinta, a
differenza di Fortunata, appartiene alla borghesia, è poco
meno ricca di Juanito, è carina, è un esempio di virtù, di opere di bene, insomma rappresenta
l’emblema della moglie perfetta per Juanito. Fortunata non compare mai in questa prima
parte, infatti noi conosciamo la storia del primo incontro perché durante il viaggio di nozze
Jacinta tormenta Juanito per la curiosità di sapere.
Conosciamo nella seconda parte la storia di Fortunata, la quale qui non compare in scena
mai, così come Juanito e Jacinta. Fortunata, dopo Juanito, passa da amante ad amante,
capitando sempre nelle mani di uomini pessimi; inoltre, dalla relazione con Juanito, nasce un
bambino che però muore pochi anni dopo. Torna a Madrid, dove si innamora di questo
giovane, Maxi Rubin, anche lui della borghesia, ma della piccola borghesia, studente di
farmacia. Galdós ce lo presenta come un ragazzo buono, innamorato di Fortunata, ma brutto
(sotto questo aspetto Galdós punta molto sul riso e sulla comicità attraverso ciò che
Fortunata pensa di Maxi). Nonostante questo suo aspetto negativo, convince lei e la famiglia
(che non è proprio felice di questa relazione), anche se la zia con cui lui vive lo convince a
sposare una che sostanzialmente era vista come una prostituta perché passava di amante in
amante. Maxi Rubin, però, si impone e decide di sposare Fortunata, la quale però deve in
qualche modo espiare il proprio passato e ciò avviene con intervento della Chiesa: dovrà
infatti passare un periodo chiusa in convento.
Mentre Fortunata è chiusa in convento, ad un certo punto vengono a far visita delle donne
che fanno la carità e tra queste donne c'è Jacinta; abbiamo quindi un primo incontro che però
non è un vero e proprio incontro perché Jacinta non ha idea di chi sia Fortunata anche se
Fortunata sa che chi sia Jacinta, la riconosce. Poco più tardi Fortunata esce dal convento e si
sposa con Maxi. Sembra tutto quasi perfetto, ma in realtà lei continua a ripetere che per lei
Juanito è l'unico e solo, solo quando si rende conto che Juanito è sposato pensa che forse
anche lei merita di avere una possibilità nella vita e accetta quindi di sposare Maxi.
Nel frattempo, Juanito ha saputo che Fortunata è tornata, allora decidi di affittare la casa sullo
stesso pianerottolo della casa in cui vanno a vivere Fortunata e Maxi, ovviamente ricomincia
la relazione, all'inizio del terzo libro, tra Juanito e Fortunata. La storia fin qui è abbastanza
semplice e lineare, ma il problema è l'attrazione-repulsione: dopo un po’ Juanito si stanca
perché è vero che bella, ma si rende conto che è davvero troppo rozza, non la si può portare
da nessuna parte, Juanito pensa alle francesi, all’idea di donna di cui Fortunata non ha niente,
lei è spontanea, non ha nessuna forma di controllo e, per questo motivo, la lascia di nuovo.
Nel frattempo, Maxi ha scoperto l’adulterio e quindi, in concomitanza con la rottura con
Juanito, c’è anche quella con Maxi.
Questa storia si ripeterà ancora: Juanito torna a casa e si riconcilia con Jacinta; Fortunata
dopo un lunghissimo processo riesce a tornare con Maxi (quindi i due ordini sono in qualche
modo restaurati), ma Juanito e Fortunata si incontrano di nuovo, riprenderanno nuovamente
la relazione, che però questa volta porta a delle importanti novità: la prima è che Fortunata è
incinta, la seconda è che Fortunata scopre che Juanito la tradisce non con Jacinta ma con
un'altra donna (ovviamente possiamo immaginare che il matrimonio Juanito e Jacinta era
morto, un matrimonio sterile tra l’altro perché Jacinta non può avere figli = se la borghesia
resta chiusa in sé stessa è una classe che non ha futuro invece l'unione con il popolo è
un’unione che può portare a un futuro e, infatti, soltanto nel rapporto tra Fortunata e Juanito
c'è procreazione). La gravidanza di Fortunata fa sorgere qualche complicazione, il medico le
dice di stare a riposo ma lei è un personaggio passionale, impetuoso e quindi si precipita a
fare una scenata alla donna con cui Juanito ha una relazione (che tra l'altro è una sua amica);
ovviamente questo comporta uno sforzo troppo grande, tant’è che ad un certo punto della
narrazione risulta ben chiaro che sta per morire. In punto di morte fa chiamare Jacinta e le
consegna suo figlio ed è in questo preciso momento che Jacinta realizza quello che voleva
realmente, perché da questo momento in poi il suo unico desiderio è quello di essere madre,
vuole che la propria funzione sociale sia completa (figlia, moglie e ora anche madre). Da
questo momento lei è completamente disinteressata a Juanito, per lei lui ora può fare ciò che
vuole perché la sua unica ragione di vita è questo bambino.
Questo bambino ricopre un ruolo importante, è figlio del popolo che però viene cresciuto
dall’aristocrazia, tra l'altro formalmente noi sappiamo che è figlio naturale di Juanito ma da un
punto di vista sociale quel bambino è figlio di Maxi, quindi abbiamo anche in questa casa una
borghesia bassa che sale verso l'alto, quindi in qualche modo sembra che Galdós stia
rappresentando non tanto un finale che in qualche modo finisce bene perché lascia intendere
che c'è una speranza per il futuro, quanto proprio questo movimento caotico delle classi
sociali in questo romanzo. C'è comunque la possibilità di fare una doppia lettura: da una parte
la lettura della trama e dall’altra una proiezione storico-politico-sociale di questa trama.
Un esempio di questa seconda lettura lo troviamo durante la giornata in cui Juanito incontra
Fortunata: Juanito si trova in questo quartiere popolare di San Miguel, dove vive un amico di
famiglia; all'ingresso del palazzo c'è una sorta di macelleria e quando Juanito arriva si
sofferma ad osservare il macellaio, il quale sta uccidendo i polli: lo vede mentre con
naturalezza prende un pollo, gli spezza il collo, glielo taglia e lo lascia appeso; vede poi le
casette di uova e, infine, i polli chiusi in gabbia. In che modo questo permette una lettura
sociale? I polli in realtà rappresentano il popolo, non a caso poco dopo quando Juanito
conoscerà Fortunata, questa avrà un uovo in una mano e, tra l’altro, avrà un mantello sulle
braccia che, nel gesto di alzarlo, la porta a compiere un movimento da avanti indietro, un
movimento che la rende simile a una gallina. Quindi, questo macellaio-boia rappresenta la
borghesia che, per soddisfare i propri bisogni (mangiare delle uova), con tutta la naturalezza
nel mondo uccide questi polli (il popolo); tra l'altro sono presenti anche le uova (proiezione
delle generazioni future), egli condanna non solo i polli ma anche i pulcini. Inoltre,
contemporaneamente, ci viene detto che i polli chiusi in gabbia invece di unirsi, di prendere la
consapevolezza di essere una forza insieme, si beccano tra loro per chi deve tirare fuori la
testa dalla gabbia. Attraverso questa breve scena, Galdós riesce immediatamente a dare una
rappresentazione reale delle dinamiche sociali tra borghesia e popolo dell’epoca.
“Novelas españolas contemporaneas”
Dalla pubblicazione de “La desheredada” (1881), Galdós afferma che qualcosa nella sua
scrittura è cambiato; inaugura con questo romanzo una “segunda manera de novelar”, un
secondo modo di fare letteratura, in cui troviamo il romanzo realista -> prendono il nome di
novelas españolas contemporaneas, e tra queste si inserisce “Tormento”. Sono i 24
romanzi scritti tra il 1881 e il 1915, ambientati principalmente a Madrid. Nella scrittura di
questa epoca, Galdós va liberandosi dello schematismo astratto del primo periodo. Attraverso
una più attenta registrazione dei dettagli e della vita interiore dei personaggi, prende atto della
mutata realtà sociale. Vi sono personaggi qualificati ad assumere su di sé la responsabilità
delle scelte che operano, vivendo in un ambiente che molto li influenza ma sul quale possono
incidere con il loro agire. I personaggi galdosiani, in effetti, sono così intimamente connessi
con l’ambiente in cui agiscono che stentano ad acquistare una vita propria.Attraverso le
descrizioni, il soggetto narrante manifesta il suo essere onnisciente guidando il lettore nel
recupero degli antecedenti, delle cause che hanno prodotto lo stato attuale oppure nella
lettura di particolari, instaurando altre sì con lui una sorta di complicità mediante il riferimento
a luoghi, strade, personaggi reali. Si pensi a quanto incidono per esempio, nello schema
organizzativo della storia di “Fortunata y Jacinta” i molti riferimenti a piazze, vicoli, edifici di
Madrid nei quali i personaggi si aggirano. Galdos individua 2 modalità di utilizzo dello spazio
madrileno con funzione narrativa:
- Le allusioni passeggere o non mantenute, che hanno la funzione di arricchire lo spazio
urbano e definire i limiti temporali dell’azione principale o il punto di vista narrativo senza però
accogliere sviluppi dell’azione
- Le scene mantenute, che hanno un’integrazione fra un gruppo di personaggi che non
cambia essenzialmente durante la scena. Queste scene sono fissate nel tempo e nello spazio.
Nelle novelas contemporaneas, Galdós domina con abilità i procedimenti narrativi della
“scuola” francese e sperimenta l’estetica naturalista, rimanendo però lontano dal positivismo
materialista di Zola. Del romanzo sperimentale, Galdós condivide l’ampio panorama umano
insieme all’evidente denuncia sociale con le sue premesse di spicco: il personaggio collettivo,
la lotta per la vita, la selezione naturale, il caso clinico. Quasi tutti i protagonisti aspirano alla
libertà di scelta, ma nessuno di essi persegue l’idea primaria fino a tradurla in progettazione;
l’idea diventa idealismo, fantasticheria, che può degenerare nell’ossessione, oppure in
malattia fisica, quando si confronta con l’altro da sé, individuale o collettivo, con il sociale
profondamente complesso e anch’esso contraddittorio. Da qui il rifugio in dimensioni alienate
rispetto alla realtà.
Episodios Nacionales
Altro progetto letterario di Galdòs sono gli Episodios Nacionales, a cui Galdòs si dedicherà
per tutta la vita, si tratta di 46 romanzi, quindi contemporanei ai suoli altri progetti. Questi
Episodios sono importanti perché ci permettono di capire come lui rinnova il romanzo storico,
che per la prima volta sarà con lui un romanzo storico contemporaneo: decide di raccontare
la storia della Spagna a partire dagli inizio dell’800, arriverà a parlare anche degli anni da lui
vissuti perché convinto che ci siano forti somiglianze tra eventi passati e presenti e che se il
lettore riesce a comprendere certe dinamiche passate sa come comportarsi nel presente
(torna la questione della logica). Questi furono definiti già all’epoca come l’opera più
importante della letteratura nazionale spagnola, ebbero un grande successo di vendite, tutti
aspettavano l’episodio successivo e Galdòs riuscì ad ottenere questo effetto perché
conosceva benissimo i meccanismi che il romanzo d’appendice usava per catturare
l’attenzione, ad esempio lasciava i finali in sospeso. L’opera è strutturata in 5 serie, le prime
quattro costituite da 10 romanzi, l’ultima da 6 (rimase incompleta), la prima si ha nel 1873 e
l’ultima nel 1912. Inizialmente il progetto doveva fermarsi alle prime due serie, che vengono
pubblicate nell’arco di 6 anni (1873-1879), e aveva caratteristiche molto interessanti, in
particolare la prima serie che ha un’impostazione autobiografica. C’è un unico protagonista,
Gabriel, che noi seguiamo nei 10 romanzi, lo conosciamo bambino e lo ritroviamo adulto e
profondamente cambiato nel decimo romanzo; questo meccanismo faceva sì che i lettori
fossero molto legati a questo personaggio, che nella sua vita si trova coinvolto in tutti i
principali eventi politici e militari della Spagna; quest’ultima caratteristica crea a Galdòs una
serie di problemi, il primo dei quali è quello della verosimiglianza: deve far sì che sia
verosimile il fatto che questo si trovi sempre al momento giusto nel posto giusto, ma come?
Dopo i primissimi romanzi fa intervenire la vicenda sentimentale: Gabriel si innamora di
questa donna che per una serie di cose si muove per varie città e, per seguirla, si ritroverà
coinvolto nelle varie vicende. Nella seconda serie questo progetto si definisce “chiuso”, in cui
Galdòs racconta la storia spagnola da una prospettiva che Unamuno definisce intra-istoria:
Galdòs ci dice che in questa storia lui non si è voluto occupare tanto e solo dei grandi eventi e
dei personaggi storici, a lui interessava raccontare la storia delle persone comuni che
svolgevano la loro vita durante questi eventi che influivano sulla loro vita. Successivamente
Unamuno scrive un romanzo, Paz en la Guerra, che parla della storia contemporanea,
ovvero le guerre carliste a Bilbao ma, siccome Unamuno deciderà di raccontare questa storia
attraverso le vicende degli abitanti di Bilbao e, in particolare, di alcuni personaggi, lui definirà
questo tipo di storia intra-istoria, quindi abbiamo lo stesso concetto. Rispetto al romanzo
storico cambia quindi un’impostazione tematica, perché ci si sposta da un passato remoto al
presente; quindi, vi è un cambiamento di intenzione: non è più una questione di evasione dal
presente, ma è una questione pedagogica e un cambiamento di stile perché Galdòs riporta il
suo lavoro sulle tecniche del romanzo realista, per questo tale progetto è così importante. Le
serie successive vengono fuori perché a un certo punto, per varie ragioni, Galdòs entra in
causa con una casa editrice che pretende tutti i diritti d’autore, quindi Galdòs resta senza
soldi, soprattutto per portare avanti la causa; ha bisogno di soldi e il progetto che lo aveva più
arricchito erano stati proprio gli Episodios, quindi decide di riaprire il progetto, giustificandosi
nel prologo con i vari topoi (“me l’hanno chiesto”) Queste serie sono diverse dalle prime due
perché lui vi fa confluire l’universo che aveva creato precedentemente, per cui José Ido del
Sagrario e la sua famiglia saranno protagonisti di alcuni episodi, così come Francisco Bringas
e tanti altri personaggi; ciò dà una forza enorme al progetto del romanzo realista che fa sì che
quei personaggi siano resi ancora più verosimili. Altra questione legata a questo progetto, che
ci permette di far dialogare Galdòs con altri grandi scrittori, è che pubblica un’edizione
illustrata perché le illustrazioni, secondo lui, rafforzano l’intento e la forza didattica dei
romanzi (Manzoni pubblica l’edizione illustrata de I Promessi Sposi e sia Manzoni che
Galdòs partecipano attivamente a queste, parte importante del testo narrativo, integranti e
non aggiuntive).
Lezione 3

Tormento viene pubblicato nel 1884, ci troviamo in una nuova fase della produzione di
Galdós perché a partire dal 1881 egli dichiara di aver iniziato una nuova maniera di scrivere e
lo dice proprio a Clarín in una lettera in cui spiega che dal momento in cui pubblica La
Desheredada (1881) comincia quella che lui definisce come una segunda manera de novelar,
perché secondo lui, con quest’opera, nasce realmente il romanzo realista e naturalista;
parliamo di naturalismo perché il discorso sul naturalismo ed il discorso sul realismo arrivano
in Spagna nello stesso momento. Cosa cambia effettivamente rispetto ai romanzi che
Galdós ha scritto prima nel 1884? Anche questi ultimi erano realisti, tuttavia Galdós non
aveva ancora messo bene a fuoco alcune questioni che riguardavano soprattutto la
costruzione del personaggio e la sua analisi psicologica. Questi romanzi della prima fase
sono definiti romanzi a tesi, perché in questi romanzi Galdós, ma non solo, difende una tesi
rispetto ad un’altra. Tra questi romanzi a tesi ricordiamo Doña Perfecta, La Familia de León
Roch e Gloria. Prendiamo in considerazione Gloria, in questo romanzo assistiamo al
matrimonio del protagonista, León, un progressista, liberale, molto colto e un grande lettore;
nel momento in cui decide di prendere moglie cede all’incredibile bellezza di questa donna,
Maria, che è, per l’appunto, bellissima, ma che non ha nessun altra caratteristica compatibile
con lui, di fatto non apprezza la scienza, al contrario, è dotata di una grande fede e, tutto
sommato, anche per la famiglia da cui proviene, la possiamo definire conservatrice. León
cede comunque alla sua bellezza, quindi il matrimonio funziona perché León spera di poter
raggiungere con sua moglie dei compromessi, dei punti di incontro, ma, mentre lui cerca
questi compromessi, lei si chiude sempre di più nella fede, arrivando anche all’estremismo,
per esempio trascurandosi, smettendo di curarsi in un certo modo, ciò che le importa è ciò
che riguarda l’essere poveri, umili… tutto ciò fa chiaramente saltare il progetto matrimoniale.
Nello svolgimento di questo romanzo Galdós difende le ragioni e la scienza contro gli
estremismi della religione, ma i personaggi, per quanto siano ben costruiti, analizzati anche
nei loro drammi interiori, rispondono comunque alla difesa o all’attacco di un’idea precisa.
Tutto questo viene superato a partire dal 1881 con La Desheredada (data importante).
Tormento, secondo alcuni studi, farebbe parte di una trilogia composta da un romanzo che
apre, intitolato El Doctor Centeno, pubblicato nel 1883 e uno che chiude, intitolato La de
Bringas, pubblicato nel 1884 (questo ci dà anche la misura della capacità di scrittura di
Galdós, ci fa capire quanto scrivesse). L’idea della trilogia si basa sulla presenza di un nucleo
di personaggi che si muove nei tre testi ed è proprio qui che si apre il problema sulla trilogia:
- obiezione all’idea di trilogia > Galdós conosce, riconosce e utilizza la tecnica del ritorno dei
personaggi, che Balzac usa ne La Comedia Umana, e lo usa già a partire dal primo romanzo
che scrive, egli infatti nel 1870 crea un personaggio ne La Fontana de Oro che torna nel
romanzo successivo, quindi è una tecnica che usa sistematicamente in tutta la sua
produzione, non solo in questi tre romanzi, dunque abbiamo già una prima obiezione all’idea
di trilogia;
- sostegno all’idea di trilogia > questi personaggi non solo tornano in due dei tre romanzi ma
sembra che portino avanti anche la stessa vicenda, quindi è come se ci fosse in realtà anche
un’unità di trama e questo non succede sempre con i personaggi degli altri romanzi.
Manca però un elemento importante a sostegno della trilogia: i tre romanzi possono essere
letti singolarmente, non c’è la necessità che vengano letti tutti e tre, a differenza di quanto
accade con i romanzi di una trilogia.
Tormento racconta la storia di due fanciulle, Amparo e Refugio, anche se si concentra
principalmente su Amparo che è la sorella maggiore. La storia non ha a che fare con
l’adulterio, lei non è sposata non si sposerà, riguarda in qualche modo i rapporti con il clero
perché per tutto il romanzo si fa riferimento, solo in qualche momento in maniera abbastanza
esplicita, al passato di questa giovane, un passato in cui avrebbe avuto una relazione con un
sacerdote, Pedro Polo. In tutto il romanzo assistiamo al dramma di questa giovane donna che
cerca di tenere nascosto questo passato che però cerca insistentemente di emergere.
Facendo un passo indietro, analizziamo la storia riportata nel Doctor Centeno, il romanzo
precedente, dove abbiamo come protagonista questo ragazzino, Felipe Centeno che
frequenta la scuola di Pedro Polo, ma, poiché non è altro che un ragazzino che arriva a
Madrid in cerca di lavoro, senza soldi, in qualche modo Pedro Polo gli consente di seguire le
lezioni in cambio dei suoi servigi. Dagli occhi di Felipe osserviamo la vita di Pedro Polo, il
quale è un uomo molto potente che prende parte a delle cene importanti, alle quali
partecipano anche le due fanciulle, Amparo e Refugio, entrambe incantate da questo
sacerdote, Felipe sottolinea però una certa simpatia da parte di Pedro Polo nei confronti della
maggiore, Amparo. Una sera Felipe combina un disastro (utilizza degli oggetti di Pedro Polo
per giocare con i suoi compagni), Pedro Polo lo scopre e lo manda via.
Interessante il fatto che, mentre il bambino è disperato, in questa casa c’è anche Amparo, la
quale interviene, asciuga le lacrime del bambino, gli dà delle monete per aiutarlo, cerca in
qualche modo di proteggerlo, ma non ci sono commenti perché la prospettiva è quella del
bambino, una prospettiva ingenua che permette al lettore di cogliere un qualche tipo di
relazione particolare tra Amparo e Pedro Polo ma che non ci permette di capire quale. A
partire da questa scena, Felipe sentirà nei confronti di Amparo un profondo senso di
gratitudine che è molto evidente all’inizio di Tormento.
Capitolo 1
A primo impatto sembra un copione che, tra l’altro, si apre con le indicazioni di scena, un
copione che di tanto in tanto ha degli “interventi del narratore” messi tra parentesi e
graficamente evidenziati, come se fossero indicazioni di scena. Abbiamo due embozados,
ossia due incappucciati, che sono Felipe Centeno e Ido del Sagrario; anche quest’ultimo
personaggio, come Felipe Centeno, lo troviamo nel Doctor Centeno, all’interno del quale
sappiamo che lavorava nella scuola di Pedro Polo, era un maestro che però perse il lavoro,
aveva una famiglia abbastanza numerosa da mantenere e alla fine del romanzo, in un dialogo
con Felipe Centeno, impostato allo stesso modo di questo, quindi come un copione,
comunica all’amico che ha deciso che diventerà scrittore di folletín, ossia di romanzi
d’appendice, in quanto sa come funzionano le storie, è bravo e tra l’altro ha una grande
fantasia e immaginazione. I folletìn sono romanzi il cui modello di riferimento è francese, sono
pubblicati suoi giornali, incentrati sul tema amoroso, in particolare puntano sul coinvolgimento
del lettore, su un forte sentimentalismo; si tratta sempre di storie di ragazze belle, povere ma
virtuosissime, che affrontano le difficoltà e che si sottraggono ai malintenzionati,
puntualmente c’è un giovane rampollo della nobiltà che si innamora di queste ragazze e
decide di sposarle contro tutto e tutti, il giorno del matrimonio si scopre che lei è figlia di
qualcuno di importante, che l’ha abbondata e alla fine sono tutti felici e contenti; le variazioni
sono minime. In questo tipo di romanzi si cerca di far leva su inganni, sentimentalismi ed
espedienti vari (come il fatto che venissero interrotti ad un certo punto e che continuavano
nella puntata successiva) che servono a mantenere viva l’attenzione del lettore. Questa forma
di romanzo è esattamente quella che Galdós critica, egli infatti a favore di romanzi che
descrivono questioni e problemi reali. In Tormento Galdós costruisce un romanzo realista
in cui critica costantemente il romanzo d’appendice mostrandone i limiti e la falsità e lo
fa proprio attraverso Ido del Sagrario, ma come? Poco dopo l’inizio del dialogo i due
personaggi si conoscono, infatti non abbiamo più “embozado” ma i nomi reali (è interessante
il fatto che al posto di Felipe Centeno troviamo il nome “Aristo”, abbreviazione di Aristotele, in
quanto alla fine del Doctor Centeno qualcuno aveva soprannominato ironicamente il ragazzo
Aristotele, riferimento ad una presunta saggezza che lui non ha, quindi è un soprannome
ironico). In questo dialogo Ido del Sagrario ci dice che ha raggiunto il suo scopo, è diventato
scrittore di romanzi d’appendice, riesce a guadagnare e a mantenere la famiglia e racconta a
Felipe in cosa consiste la sua attività, raccontandogli anche il romanzo a cui sta lavorando.
“El editor nos dice: quiero… diario” > da questo momento in poi Ido del Sagrario comincia a
spiegare la trama del romanzo d’appendice che sta scrivendo; usa l’espediente del
manoscritto. “Como te decìa… dìa” > immagina di trovare il diario di una di queste due
ragazze, le protagoniste, povere ma con virtù e che resistono in ogni caso al peccato.
“En esto tocan… que el dinero” > ad un certo punto arriva questo servitore con il suo
marchese, muniti di sodi; le giovani fanciulle, però, rifiutano i soldi mandando una lettera
piena di sdegno al marchese perché loro preferiscono la virtù; questo atteggiamento doveva
servire da esempio alle ragazze dell’epoca.
Di lì a poco si scopre che Felipe, in Tormento, è diventato servitore del miglior padrone
possibile, Augustìn Caballero, e si sta recando a casa di due ragazze a portare una lettera.
“Voy a llevar esta carta… deshonrarla” > Felipe prova a spiegare.
“Lo ves?... virtud trionfante” > Ido mette già in moto questo meccanismo di sovrapposizione
tra la storia che lui sta scrivendo e “la realtà” di cui gli sta parlando Felipe. Per tutto il romanzo
quindi Galdós da una parte ci racconta la storia di queste due ragazze povere seguendo il
modello realista e questo si scontra con quello che dovrebbe succedere alle ragazze nel
romanzo d’appendice di Ido del Sagrario; c’è quindi un forte divario tra questi due tipi di
romanzi, divario che sottolinea l’assoluta irrealtà del romanzo d’appendice che non possono
in alcun modo fungere d‘esempio per niente e per nessuno.
In questo stesso capitolo, vengono fuori i nomi delle due ragazze a cui Felipe deve
consegnare la lettera, fa il nome di Refugio e, a questo punto, Ido dice di essersi ispirato
proprio a loro per il suo romanzo, in quanto abitano nel suo stesso palazzo.
“Son guapas y buenas chicas” > alla fine del dialogo, parlando di queste due ragazze, Felipe
usa questa espressione.
“Te diré… pero…” > Ido del Sagrario è come se cambiasse per un attimo atteggiamento.
“Prosas horribles… échelo, hombre!” > in riferimento alla lettera, si fa appello a qualcosa che
viene definito prosas horribles, si allude a qualcosa di orribile, nefando, che non può trovare
spazio nel codice letterario a cui lui fa riferimento, ossia il romanzo d’appendice e che quindi
non può essere reso presente, ma Felipe vuole sapere.
“Pues… que vil prosa” > questo è uno dei passi in cui abbiamo l’ironia di Galdós: c’è un
segreto di cui veniamo a conoscenza all’inizio del capitolo ma di cui non siamo autorizzati a
sapere, siamo volutamente esclusi perché il narratore fa in modo che il segreto venga in
qualche modo condiviso dai personaggi ma che il lettore ne venga assolutamente escluso;
sappiamo solo come reagiscono, che uno è dispiaciuto e l’altro è rattristato, entrambi
concordano sul fatto che sono cose che non si dicono, infatti esplicitamente nel romanzo
nessuno dirà niente, capiremo qualcosa solo dai dialoghi tra Amparo e Pedro Polo, che sono i
diretti interessati, ma gli altri non dicono nulla e l’ironia sta nel “no se debe decir” e nel “no se
debe escribir” perché, di fatto, Galdós lo scrive, è come se in questo inizio lui ci
preannunciasse che il segreto non verrà scritto mai perché non è importante il fatto in sé, ma
come questo fatto agisce sui personaggi, come ne determina le azioni e come permette a
questi di evolvere e modificarsi all’interno del romanzo.
Importante è la struttura capitolo primo-capitolo ultimo, data dal fatto che anche nell’ultimo
capitolo troviamo questa forma teatrale, capitolo in cui siamo a casa dei Bringas e assistiamo
al dialogo tra Rosalia e il marito; ad un certo punto c’è un dialogo tra Felipe e Ido del Sagrario
che riprende, appunto, la forma. Questa struttura è importante perché ci permette di capire la
questione “narratore”; di fatto, il gioco tra i due romanzi (romanzo realista e romanzo
d’appendice) si realizza anche grazie ad un gioco di narratore, abbiamo infatti tre tipi di
narratore:
- un narratore onnisciente > scrive sicuramente primo e ultimo capitolo, sa tutto e lo
ritroviamo in una serie di commenti tra parentesi con cui commenta alcune scene, ad
esempio, nel capitolo 10, descrive la scena di Amparo che lavora presso i Bringas, dove è
maltrattata, in particolare il momento in cui lascia la casa mentre la famiglia Bringas è a cena,
lei scende, triste, sconvolta e il narratore aggiunge tra parentesi “ditemi se questo non è
sentimentale”;
- un narratore-personaggio, che è Ido del Sagrario, il quale nel romanzo ci racconterà il
testo che sta scrivendo;
- un terzo narratore > all’inizio del secondo capitolo ciò che colpisce è il fatto che il narratore
parla alla prima persona plurale, ciò ci fa capire che il narratore in questo caso è un
personaggio, che conosce i personaggi di cui ci sta raccontando e che noi non conosciamo.
I tre narratori si sovrappongono tra loro e a volte è impossibile distinguerli tra loro con
certezza, per questo si parla di gioco dei narratori.
Quali sono i temi su cui è più evidente il divario tra i due tipi di romanzo? -
-Tema dell’onore e della virtù;
- tema della povertà.
Particolarmente interessante è il fatto che nei romanzi di Galdós il discorso dell’onore è legato
alla questione femminile, si tratta di un problema che spesso si pongono i suoi personaggi
femminili. Il tema della povertà si lega inevitabilmente al tema dell’onore: Ido del Sagrario, in
linea col romanzo d’appendice, ci ha detto di queste ragazze povere, belle, ma prima cosa
virtuose, ma allora come si mantengono? Di cosa vivono? Qui c’è l’apertura di un’altra
questione che riguarda le possibilità che le donne hanno di entrare nel mondo del lavoro…
come fa Galdós a porci questi problemi? In vari modi, ma soprattutto attraverso lo scontro
tra le due sorelle: se Amparo sembra voler a tutti i costi interpretare il ruolo dell’orfana povera,
un esempio di virtù, nonostante il suo passato con Pedro Polo che stona con l’immagine che
vuole dare, Refugio è l’opposto, il narratore ce la descrive come meno bella ma dotata di un
fortissimo carattere che la porta, ad esempio, ad abbandonare subito il lavoro a casa dei
Bringas, perché non sopporta il modo in cui Rosalia la tratta, è una donna che lavora come
modella per dei pittori (specifica però “modella vestita”); questo personaggio viene descritto
un po' da tutti come un personaggio negativo perché non fa ciò che la società si aspetta da
una giovane donna come lei, quindi viene sempre trattata, anche dalla sorella, come una
poco di buono. La questione è che in realtà Refugio è uno degli unici due personaggi positivi
del romanzo perché si sottrae costantemente alla questione dell’apparenza, importante
all’epoca per essere accettati dalla società, ed è infatti l’opposto di Rosalia, la quale vive solo
in virtù dell’apparenza.
Capitolo 2
“Don Francisco de Bringas...como de andadura” > ciò che ci colpisce nella lettura dell’inizio
del secondo capitolo è il fatto che a parlare è un narratore interno, narratore-personaggio,
non è un personaggio concreto,si tratta di un personaggio che appartiene alla scena perché
quanto conosce i personaggi che si incontrano e conosce la loro storia, però di cui il lettore
non sa nulla. Noi non sappiamo chi è il personaggio ma sappiamo per certo che è un
narratore-personaggio.
Quindi abbiamo in tutto il testo un’alternanza dei diversi narratori, difficilmente riconoscibile, in
quanto è difficile capire chi sta raccontando.
Lezione 4
Alla fine del primo capitolo c’è un’allusione ad un segreto, ad un qualcosa di talmente orribile
che non può essere detto ad alta voce; Galdòs fa in modo che il segreto venga rivelato al
personaggio ma non al lettore, il quale rimane all’oscuro di tutto. Tale segreto è
probabilmente una delle possibili letture del tormento che troviamo nel titolo dell’opera, anche
se le chiavi di lettura del titolo sono multiple. Sappiamo che con il romanzo realista si vuole
sempre parlare della società, centrare e dimostrare ciò che all’interno di questa società non
funziona, per spingere il lettore a correggere certi aspetti della società, in quanto la questione
pedagogica, l’importanza di insegnare qualcosa al lettore è fondamentale per Galdos.
Le protagoniste dell’opera sono due ragazze, sorelle, Amparo e Refugio, due sorelle che il
lettore aveva già conosciuto nel romanzo precedente. Sono due ragazze povere, rimaste
orfane, che devono lavorare per vivere e che prima di morire, il padre si è preoccupato di
trovare loro un impiego, grazie all’aiuto di alcuni parenti, la famiglia Bringas, chiedendogli di
occuparsi di loro e in questo romanzo, le due ragazze lavoreranno come cameriere a casa
Bringas.
Nel romanzo solo Amparo lavora a casa dei Bringas, questo perchè si scoprirà presto che
Refugio non riusciva a sopportare Rosalia e quindi lei aveva lasciato il lavoro. A casa di
Rosalia Bringas, le due sorelle, Amparo in particolare, subiscono ogni cattiveria da parte di
Rosalia, ma non da parte del marito, il quale è presentato come un personaggio umile. Da un
certo momento la casa viene frequntata da un parente di Francisco Bringas, ovvero Augustin
Caballero, che è un personaggio interessante, in quanto è un uomo che ha fatto fortuna in
America ed è tornato ricchissimo in Spagna, con il desiderio di cercare una moglie che
rispondesse al suo ideale. Ma quel era il suo ideale? Il suo ideale era una donna onesta,
che non fosse troppo corrotta dalla vita madrilena, cioè che non fosse coinvolta in tutte quelle
dinamiche sociali che lui poteva osservare in Rosalia Bringas.
La prima critica che si delinea è la critica alla borghesia, a un certa parte dei borghesi, che
vogliono apparire ciò che non sono. Il problema dell’apparenza, della critica a questo
desiderio di apparenza è probabilmente l’aspetto su cui Galdos si concentra maggiormente,
in questo testo. La famiglia Bringas è una famiglia che appartiene alla piccola borghesia, non
sono ricchissimi, ma neanche poveri, vivono una vita serena. Rosalia, al contrario, ha
ambizioni di ricchezza, di nobiltà. Una delle cose sacre per Rosalia, che si vede nei primi
capitoli, dove si va a descrivere la casa dei Bringas, era la “regina” e il “palazzo”. La ricchezza
e la nobiltà per lei sono sinonimi di nobiltà d’animo, cosa che lei non ha.
Per lei tutti i ricchi sono i migliori della società, sotto tutti i punti di vista. Per questo può
ricercare di sembrare ricca e di fare una serie di cose che, ad esempio la famiglia non poteva
permettersi, visto che i Bringas hanno anche dei figli. Il teatro rappresenta il trionfo
dell’apparenza ed è una delle preoccupazioni costanti di Rosalìa è proprio prepararsi per
andare a teatro. L’arrivo di Augustin Caballero, ricchissimo e generosissimo, le facilita la vita,
dato che si occupa di sostenere molte spese della famiglia per ringraziarli dell’inserimento
nella città. Per Rosalìa, l’uomo costituisce una porta di accesso verso un mondo a cui non
appartiene.
Per Rosalìa, l’uomo costituisce una porta di accesso verso un mondo a cui non appartiene,
ma che lei desidera. Augustin Caballero si innamora però di Amparo, in cui vede
l’incarnazione di ciò che desidera: una ragazza giovane, bella e modesta. Amaparo ricambia i
suoi sentimenti ma al contempo c’è un segreto che l’angoscia e che torna in scena per
rovinare tutto: nel Dottor Centeno le due ragazze giravano intorno alla famiglia Polo, e
vengono presentate un po' come delle ammiratrici del sacerdote Pedro Polo, personaggio di
spicco, potente all’interno della società.
Nel Dottor Senteno si nota una certa simpatia di Pedro Polo per Amparo, però poi ad un certo
punto, mentre il narratore inizia a delineare la trasformazione di Pedro Polo, che ad un certo
punto entra in crisi, inizia ad avere degli atteggiamenti ambigui, esce continuamente la sera,
assume una condotta ben distante rispetto a quella che aveva in precedenza, fino a quando
Felipe Senteno, che lavorava presso il sacerdote, combina un guaio tornando a casa, questo
guaio fa saltare i nervi a Pedro Polo e decide di cacciarlo. In questa scena, nella stanza di
Pedro Polo compare Amapro; nella narrazione interviene Amparo, che evidentemente si
trovava nella stanza, per consolare Felipe e per provare a mitigare lo spirito di Pedro Polo,
senza successo, ma alla fine Amparo darà delle monete a Felipe Senteno delle monete per
sopravvivere i primi giorni.
Da qui, Centeno cercherà sempre di difendere Amparo, ma non si chiede il perché la donna
si trovasse nella stanza del sacerdote a quell’ora. Questo segreto, che non può essere detto
e che Amparo porta con sé, riguarda la relazione con Pedro Polo, che spiega la
trasformazione di Pedro Polo e la sua successiva decadenza erano legate all’amore per
Amparo che lo porterà alla sua crisi sacerdotale e religiosa ed è questo che angoscia Pedro
Polo.
Amparo, però, in questo romanzo ha superato la relazione e conduce una vita rispettabile non
facendo altro che lavorare e stare a casa. In contempranea con la manifestazioni dei
sentimenti di Augustin Caballero e la sua volontà di renderla sua moglie Amapro riceve una
lettera in cui lei riconosce subito la grafia e si rende conto che si trattava della grafia di Pedro
Polo. Presa dall’angoscia non legge la lettera, la strappa in mille pezzi, però nel guardare i
pezzetti di carte legge delle parole in particolare una, ovvero “Tormento”.
Prima ipotesi di spiegazione del titolo: Tormento rimanda alla sensazione e all’angoscia
che provano, per diverse ragioni, i personaggi di questo romanzo. Il tormento di Amparo per il
suo passato, ma contemporaneamente il tormento di Pedro Polo. Sarà il tormento, l’angoscia
di Augustin Caballero che vedrà crollare l’immagine di Amparo che lui stesso aveva costruito
nella sua mente, ma sarà anche il tormento di Rosalia che non può realizzare il suo progetto,
ovvero prendere i soldi di Augustin Caballero e di diventare ricca. Quindi il titolo può alludere
a questa condizione che accomuna tutti i personaggi del romanzo.
Seconda ipotesi di spiegazione del titolo: Pedro Polo, ai tempi della relazione chiamava
Amparo “tormento”. in questa prosepttiva il romanzo in questione sarebbe un altro di quei
romanzi così diffusi nel 800, ovvero i romanzi di adulterio, le cui protagoniste sono donne e
cui titoli rimandano alla protagonista dei romanzi.
Capitolo 12
All’altezza di questo capitolo si scopre che Augustìn Caballero, padrone di Felipe, è un cugino
alla lontana di Francisco de Bringas ed è un tipo di personaggio molto presente nei romanzi
di questo periodo: l’indiano. L’indiano è un personaggio spagnolo che ha lasciato la Spagna
per andare in America a cercare fortuna, fatta fortuna torna in Spagna ricchissimo per farsi
una famiglia. Quindi questo personaggio è rientrato a Madrid per cercare moglie e questa sua
condizione attrae molto Rosalia, la quale, moglie del cugino, cerca di sfruttarlo il più possibile.
Augustìn dichiara di voler sposare Amparo o, meglio, ciò che questa dimostra di essere; lei
vuole accettare ma lo stesso giorno in cui viene fuori questa questione le viene consegnata
una lettera, riconosce la scrittura e la strappa senza leggerla (lettera che era chiaramente di
Pedro Polo), quindi comincia il tormento del passato e lei comincia a struggersi
nell’insicurezza del da farsi. Augustìn Caballero, considerando un futuro con lei da sposati, le
dà dei soldi per potersi mantenere, Amparo torna a casa con questi soldi e vede che è a casa
anche Refugio, la quale vuole solo dei soldi, non è interessata alle storie; Amparo approfitta
di questo per farle la morale. Il problema che pone Refugio successivamente è il nesso tra
onore e povertà: perché una donna è cattiva? Perché è povera; la povertà, che nel romanzo
d’appendice è sinonimo di virtù, nella realtà è il contrario perché la questione è: le donne
orfane, senza nessuno che si occupi loro, come devono vivere e quale uomo
benintenzionato si avvicinerebbe a loro? Inoltre, alle prediche della sorella sul suo non
fare nulla, Refugio sottolinea il fatto che lei ha lavorato, ha fatto il cucito, ma che comunque
non ha ci guadagnato nulla. La questiona finale di Refugio è: assicurati che io abbia da
mangiare e dei vestiti e non ti preoccupare di altro, è necessario soddisfare i beni primari,
nient’altro, perché senza questi come può una donna sopravvivere? È l’unica, Refugio,
che riesce in qualche modo a far riferimento in maniera più o meno diretta, in riferimento alla
sorella, a questo passato; infatti, lei chiede ad Amparo di non farle prediche, perché lei non è
nella posizione di poterlo fare.
Guarda tu dinero… del diablo > Refugio fa una delle allusioni più dirette al passato di Amparo,
prima dandole dell’ipocrita e poi dicendole che non vuole quel denaro perché arriva dalla
Chiesa, un’allusione in qualche modo a Pedro Polo, il quale in passato aiutava le due ragazze
dando loro dei soldi, e lei fa riferimento al fatto che soldi di questo tipo non arrivavano da
tanto tempo. La sorella ha, ovviamente, una reazione da romanzo sentimentale: piange, si
butta sul letto, sviene per una cosa reale ma avvenuta in dimensione privata, lei sa che la
sorella sa; quindi, la sua è una reazione melodrammatica, ma in qualche modo vuole farci
ragionare: Amparo in passato è stata “mala” perché era orfana: la povertà non porta la virtù,
anzi, per poter uscire dalla povertà si fa qualunque cosa.
Il problema che ci resta da affrontare è quello delle lettere, problema che si può riallacciare al
discorso dei narratori e che riguarda il finale o i finali del romanzo.
Partiamo con il discorso delle lettere > nel romanzo precedente, Doctor Centeno, uno dei
personaggi aveva detto che in qualsiasi opera, facendo riferimento particolarmente a quelle
teatrale, che si rispetti la situazione cambia sempre per l’arrivo di qualche lettera e, poiché
questo si dice soprattutto in relazione ai drammi romantici, Galdòs lo usa in Tormento.
Abbiamo fatto riferimento ad una lettera che Amparo strappa senza leggere, ne legge solo
alcune parole (tra le quali “tormento”); abbiamo quindi questo tipo di lettere, che Pedro Polo
scrive ad Amparo, alcune ci vengono raccontate alcune raccontate e poi negate, il lettore ha
solo dei dettagli (ci sarà anche una lettera che sarà inserita per intero nel testo), in modo che
il lettore avrà l’impressione di leggere il contenuto della lettera insieme ad Amparo. Che
funzione hanno queste lettere? Suscitare paura e angoscia in Amparo: ogni volta che
arrivano, questo passato che lei vuole negare cerca di venire fuori; d’altra parte, Pedro Polo
manda queste lettere non perché vuole tormentare Amparo, ma perché vuole rivederla, il
Pedro Polo che abbiamo conosciuto in Doctor Centeno è cambiato, non è più l’uomo colto,
dell’alto clero, anzi, non predica, è tormentato da questo sentimento che nutre nei confronti di
Amparo, la quale acconsentirà a vederlo. Durante l’incontro tra i due il lettore ha la possibilità
di raccogliere i dati più importanti di questa relazione passata, scopre inoltre che “tormento” è
il nome con cui Pedro Polo chiamava Amparo e con cui questa firmava le lettere che gli
inviava, questo ci permette di fare una considerazione sul titolo: rientra in quella tipologia
europea di romanzi di adulterio, anche se tecnicamente non c’è nessun adulterio qui, che
hanno come titolo il nome della protagonista, ma con un grande gioco di ironia perché
tormento è il nome, si, ma è anche la condizione in cui si trovano, per una ragione o per
un’altra, tutti i personaggi dell’opera. Quale soluzione viene trovata per uscire da questa
situazione inaccettabile di questa relazione tra donna e sacerdote? Si ricorre ad un
padre confessore che dovrebbe aiutarli a risolvere la situazione: la soluzione è che Pedro
Polo se ne vada, anche se dopo un po' non ce la fa e torna da Amparo manifestandosi con
queste lettere. Ci sono poi le lettere di Amparo: ad un certo punto si scopre che la sorella di
Pedro Polo, che aveva scoperto di questa relazione tra i due, conservava alcune lettere di
Amparo, lettere che sono la prova di ciò che è successo, l’unico dato certo che può far
comprendere ai personaggi e al lettore stesso che cosa è successo. Esattamente come
doveva avvenire nel dramma romantico, queste lettere mettono in moto tutto: a un certo
punto viene fuori tutta la storia dei due amanti, Rosalia scopre tutto e, non potendo accettare
che la sua serva diventasse più ricca di lei, lo dice ad Augustìn Caballero. A questo punto
Galdòs sdoppia le linee temporali delle azioni di Amparo e quelle di Augustìn (tecnica quasi
cinematografica);
- seguiamo prima quelle di Amparo: ha scoperto che Rosalia sa tutto, che ha parlato e che
Augustìn vuole andare da Marcelina Polo (sorella di Pedro Polo) per leggere le lettere e
scoprire se la storia è vera. Amparo va a casa di Augustìn Caballero per parlare, ma quando
arriva lui non c’è perché si è già avviato per cercare le lettere da Marcelina Polo; a casa c’è
però Felipe (che abbiamo detto che ha una sorta di debito nei confronti di Amparo). Amparo,
presa dall’angoscia, decide di uccidersi a casa di Augustìn, consegna a Felipe un bigliettino
su cui è scritta una medicina e gli chiede di andare a prendergliela, in realtà è un veleno;
Felipe si rende conto (voleva essere medico) che era un veleno e prende dell’acqua
diluendoci una soluzione alcolica (innocua, per il mal di denti), la dà ad Amparo, la quale lo
beve, va verso il letto, si sente morire e sviene. Il capitolo si chiude con la sua morte.
Nel capitolo, però, non sappiamo che Felipe non ha dato il veleno ad Amparo, il lettore non sa
ancora nulla; Amparo prima di morire scrive un biglietto in cui si limita a dire che è tutto vero e
si firma con “Amparo”, di cui la O presenta un ghirigoro. Questo aspetto della firma riguarda il
finale perché è il primo finale, quello del narratore personaggio, che non conosce tutto e che
può chiudere qui la sua storia.
Tuttavia, il narratore onnisciente, che sa tutto, sa però che deve continuare, deve seguire
Augustìn;
- Augustìn è a casa di Marcelina, la quale si rifiuta di dare le lettere, le butta nel fuoco ma lui
riesce ad intravederne un pezzettino in cui è riportata questa O con questo ghirigoro, quindi
torna a casa senza certezze.
A casa trova una situazione drammatica, c’è tutto un setting che viene abilmente presentato
dal narratore, in particolare con questo suono di carillon, appare lei svenuta che crediamo
morta. Augustìn parla con Felipe, scopre come sono andate realmente le cose e tutto diventa
ridicolo: la realtà sottolinea la ridicolezza di quello che ci racconta il romanzo d’appendice. Il
narratore onnisciente smentisce il narratore personaggio.
A questo punto abbiamo un nuovo dialogo tra Felipe e Ido del Sagrario (dobbiamo sapere
cosa ne pensa l’altro narratore che è Ido): tutto ciò come influisce sul suo romanzo
d’appendice? In nessun modo, lui immagina di scrivere un altro romanzo d’appendice, Del
Lupanar al Claustro: il romanzo che stava scrivendo doveva seguire il modello delle ragazze
povere e virtuose, non può essere influenzato da questo tipo di racconto, quello che può fare
è cominciare un nuovo romanzo, incentrato su questa ragazza che si è persa e che si ritrova
attraverso la religione, la vita monacale.
Interessante il finale di Tormento: il matrimonio che Augustìn immaginava, il suo finale felice
è impossibile perché la società non accetterebbe mai una moglie come Amparo e quindi
qual è la soluzione? Rinunciare non a tutto, ma a Madrid, lui decide di partire con Amparo e
di andare verso la Francia (più liberale) per vivere un altro tipo di relazione; questa soluzione
Galdòs la userà in vari romanzi: quella di lasciare la Spagna come unica soluzione possibile,
il che rappresenta una condanna per la società spagnola, rappresentata da lui come una
società chiusa. Contemporaneamente Galdòs suggerisce, attraverso questi personaggi, la
possibilità di sottrarsi a un modello.
È chiaro che Augustìn Caballero è l’altro personaggio positivo (con Refugio), anche se, come
Refugio, viene in un certo senso deriso perché lui è ricco ma non conosce le norme sociali,
non sa comportarsi secondo queste, viene descritto come un selvaggio.
Quindi il romanzo ha un secondo finale, quello con la partenza in treno (evoluzione della
modernità nel romanzo) felici, con Francisco Bringas che assiste a questa partenza e nel
finale.
Captiolo 40
Un tren que parte… nuevas > stabilisce una similitudine tra libri e treni: il treno che parte è
come un libro che si chiude perché la strada è finita, quando però un treno torna si apre la
strada ad una nuova storia. E infatti, il capitolo successivo fa da ponte con il romanzo
successivo, La de Bringas, dove, anche qui, il narratore è onnisciente, l’unico che può
conoscere il litigio tra i coniugi Bringas… vediamo una Rosalia Bringas furiosa perché il
comportamento di Augustìn getta un disonore sull’intera famiglia.
Capitolo 41
Y tuviste paciencia… escandalo > in tutto il romanzo Rosalia si camuffa dietro l’idea
dell’onore, nel romanzo successivo, in cui Rosalia diventa personaggio principale, vedremo
che lei si macchia del più grande disonore, l’adulterio, e arriverà a questo per denaro, quindi
da una parte sembra la stessa situazione di Amparo ma è diverso perché Amparo era orfana,
sola, donna, che non può lavorare, mentre Rosalia è sposata con uomo che provvede a tutte
le sue necessità, la necessità di denaro di Rosalia nasce dal fatto che lei si è indebitata per
avere tutto ciò che gioca con l’apparenza (vestiti, gioielli, ecc.). Il problema è comprendere le
ragioni che portano a determinate azioni di Amparo o Rosalia o altri personaggi, non
giudicare.
In La de Bringas abbiamo la scena del grande riscatto di Refugio. Refugio va via dai de
Bringas, nel romanzo successivo scopriamo che Augustìn e Amparo ogni tanto le mandano
dei soldi per aiutarla e Refugio decide di mettersi in commercio, aprire un negozio di articoli
per signora. A un certo punto, quando Rosalia sarà disperata perché non potrà pagare i debiti,
pensa di andare da Refugio a chiederle una mano > in questa scena Rosalia vuole
mantenere l’onore, mentre Refugio vuole che lei si umili, così assistiamo ad un completo
capovolgimento dei personaggi e delle loro azioni, ma tutto in maniera sottile, ad esempio
Refugio, nel mentre che Rosalia fa tanti giri di parole per arrivare al dunque, le chiede di
stringerle il corsetto, cosa che ha sempre fatto lei da cameriera.
Emilia Pardo Bazan

Nasce nel 1851 da una famiglia nobile, il che condizionerà la sua vita
e la sua produzione letteraria. Le sue origini aristocratiche le consentirono di svettare sulle
donne del suo tempo grazie alla letteratura. Parallelamente, lo snobismo della sua classe le
impose, con la forza del determinismo sociale, l’adesione alle forme di cultura straniere. Il
determinismo naturale del paesaggio della sua regione di origine Galizia, diventa il fattore
condizionante della trama della maggior parte delle sue opere, e non più la semplice cornice
delle azioni dei personaggi, come succede invece con la maggior parte dei realisti spagnoli,
ancora troppo legati al costumbrismo per potersi allontanare tematicamente dalla propria
regione. Pardo Bazàn, sin da piccola manifestò una grande passione per la lettura. Con la
sua famiglia, trascorse un periodo di quasi 2 anni in viaggio per l’Europa. Entrò così in
contatto con altri ambienti intellettuali, altre letterature, come la francese, l’inglese e l’italiana.
In Francia conobbe personalmente i suoi autori preferiti e i rappresentanti delle nuove
tendenze narrative: Zola, Hugo, Hausmann, i fratelli Goncourt. Di ritorno in Spagna, la Pardo
Bazàn trovò un paese in fermento intellettuale per via della diffusione del krausismo. A modo
di riparazione personale verso la cultura del suo paese, che aveva trascurato, iniziò la lettura
degli autori contemporanei. I libri di Valera, Alarcòn, Galdós rappresentarono per lei una sorta
di Epifania letteraria: scopre con loro che il romanzo non deve x forza essere figlio della
fantasia più sfrenata, ma può avvalersi delle doti di osservazione della realtà del suo autore.
Forte di questa scoperta inizia a scrivere. Il suo primo romanzo “Pascual Lopez. Autobiografia
de un estudiante de medicina” si iscrive ancora nella tradizione romantica. La svolta si
produce con il romanzo successivo, “Un viaje de novios” e poi con “La Tribuna”. Nei rispettivi
prologhi, l’autrice rivendica la sua originalità, all’interno di una sostanziale accettazione dei
principi del naturalismo. Ci vorranno ancora altre letture e poi la lente e riflessiva elaborazione
del saggio “La cuestiòn palpitante” del 1883 perché la Pardo Bazàn dimostri di aver fatto
una sua personale assimilazione del naturalismo, prima di metterla in opera in “Los pazos
de Ulloa” e “La madre naturaleza”.
I saggi
La vastissima opera della Pardo Bazàn abbraccia un po’ tutti i generi letterari, ma è senza
dubbio grazie alla narrativa e alla saggistica che il suo nome deve questa fama. Ebbe una
costante attività di saggista e polemista, nel ruolo di divulgatrice culturale. Scrisse più di 1500
articoli, riguardanti diversi argomenti. Ma il segno più chiaro della sua vena polemica lo lasciò
nel suo celebre saggio sul naturalismo “La cuestiòn palpitante”, che vide la luce prima sotto
forma di articoli in rivista, e poi in volume nel 1883. In un primo momento, i grandi critici si
astennero dall’esprimere un parere, ma dopo qualche mese presero parte alla polemica con
posizioni contrastanti:
- Da un lato gli avversari del naturalismo: Menéndez Pelayo, Valera
- Dall’altra i suoi difensori: Galdós, Clarìn.
Non è casuale che sul naturalismo si riproduca la divisione della vita pubblica del Paese: da
una parte i conservatori e dall’altra i liberali. La polemica intorno a “La cuestiòn palpitante”
arrivava in realtà con un certo ritardo, visto che il libro conteneva ben pochi elementi di novità
rispetto a quanto già esposto dalla Pardo Bazàn, 2 anni prima, nel prologo a “Un viaje de
novios”. Il movimento naturalista si contrapponeva alla letteratura in voga: se nelle opere di
Pereda o di Alarcòn la realtà viene idealizzata per adattarla ai preconcetti dell’autore; invece,
la Pardo Bazàn propone una letteratura seria, scientifica e sperimentale, capace di osservare
il mondo con imparzialità e di annullare, nella misura del possibile, il punto di vista
dell’osservatore. L’autrice, quindi, aderisce ai principi generali del naturalismo, assertrice
anche lei della necessità di trasporre il neopositivismo in letteratura. (Il neopositivismo è un
indirizzo di pensiero caratterizzato dalla particolare attenzione per lo studio delle metodologie
scientifiche nella filosofia, con aspirazione al rigore proprio della scienza).
“La cuestiòn palpitante”
Ma la Pardo Bazàn non si spinge molto più in là, visto che l’intento primario di questo suo
libro era difendersi dall’accusa di essere la divulgatrice del naturalismo in Spagna. Sembra
chiaro, però, che la pretesa difesa da accuse ingiuste altro non è se non una scusa per
meglio sottolineare la propria originalità nei confronti delle opere contemporanee. Espone le
sue prime critiche al naturalismo. Secondo lei, gli autori francesi non avrebbero saputo
cogliere la vera natura dell’uomo, il libero arbitrio, avendo dato troppa importanza all’impero
sull’umana volontà dell’istinto. Le diverse forme di determinismo, da quello ereditario a quello
sociale e ambientale, negano la possibilità dell’autocoscienza. Questo apriorismo naturalista
denunciato dalla Pardo Bazàn provoca la depurazione della realtà di tutto ciò che potrebbe
rivelare una dimensione spirituale dell’uomo e, di conseguenza, costringe l’autore a osservare
attentamente gli aspetti più sordidi dell’esistenza. Quella al naturalismo è una critica
ideologica di fondo, più che tecnica o formale; si direbbe che la Pardo Bazàn non voglia
impugnare i meriti dei romanzi del suo ammirato Zola. Anzi ne è pienamente consapevole e li
rivendica come un passo avanti nell’arte realista. La sua ammirazione per la tecnica di Zola è
indicativa degli aspetti tecnici salienti nella propria narrativa. Per l’autrice, in effetti, il
naturalismo più che un movimento letterario è un insieme di tecniche, è una depurazione
della retorica dei romanzi alla moda. E in quanto metodo e non teoria, deve essere adeguato
alla realtà che vuole descrivere; ecco perché il naturalismo francese può riflettere alla
perfezione la Francia, ma non serve per la Spagna. E su questo la Bazàn utilizza un
paragone molto suggestivo: “un pittore del paesaggio non mette nella sua tavolozza, per
copiare il sole e il cielo dell’Andalusia, gli stessi colori che ha appena utilizzato per le nebbie
del nord. In Spagna, realismo e naturalismo devono avere colori molto diversi che in Francia”.
Esistendo già una tradizione realista e naturalista nella letteratura spagnola non c’era alcun
motivo, quindi, di seguire i dettami del naturalismo francese; bastava rifarsi ai modelli di
Cervantes, Quevedo, della Celestina per trovare il giusto metodo di avvicinamento alla realtà.
Anche perché naturalismo e realismo, pur essendo simili, non sono uguali. Secondo la Bazàn,
il realismo ci offre una teoria più ampia, completa e perfetta di quella del naturalismo.
Abbraccia lo spirituale, il corpo e l’anima e riduce ad unità l’opposizione del naturalismo e
dell’idealismo razionale.
La narrativa
Il racconto è il genere che le consente di soffermarsi sui piccoli eventi dell’esistenza
quotidiana e anche di fornire una veloce pennellata sulla Galizia, sulla sua gente, i suoi usi e
costumi, le sue leggende, i suoi paesaggi. La sua versatilità le consente di assimilare le
nuove tecniche ed esprimersi all’interno del nuovo canone; nei suoi romanzi si può trovare un
panorama completo delle tendenze che pervasero la narrativa di fine secolo. Il suo primo
romanzo “Pascual López. Autobiografia de un estudiante de medicina” tasta il terreno della
narrativa, volgendo lo sguardo al romanticismo ancora vivo nei popolari romanzi d’appendice.
La trama è incentrata su un argomento classico: il patto con il diavolo, qui rappresentato dalla
persona dell’alchimista, che deve aiutare il protagonista nella sua ricerca di un raggio
miracoloso. L’atmosfera vagamente magica sembrerebbe ereditata dalla tradizione romantica,
così come il retoricismo dello stile, il predominio di una sola linea tematica e i personaggi
archetipici. Con il secondo romanzo “Un viaje de novios”, l’autrice inizia il suo percorso
all’interno del naturalismo. In esso ricorrono elementi caratterizzanti il naturalismo, come il
determinismo fisiologico del comportamento dei personaggi, e quindi una particolare
attenzione alle malattie, alle basse passioni.
Ma nessuno di questi elementi acquista sufficiente rilevanza all’interno del racconto perché si
possa leggere il romanzo sotto la lente naturalista. Solo a partire dal terzo romanzo, l’estetica
naturalista conformerà la narrativa della Pardo Bazàn, consentendole di analizzare 4 dei
settori sociali dell’epoca:
- Il proletariato in “La Tribuna”
- Il popolo in “El cisne de Vilamorta”
- La campagna in “Los Pazos de Ulloa” e “La madre naturaleza”
- La città in “Insolaciòn”
Ne deriva un tessuto narrativo profondamente marcato dalle tecniche naturaliste: esposizioni
dettagliate di azioni tipiche di un determinato mestiere, o un gruppo sociale; caratterizzazione
attraverso un determinato elemento fisico; descrizione degli ambienti sordidi, della sporcizia,
della miseria. Tematicamente però, la Pardo Bazàn recupera elementi del romanzo
d’appendice, quando permette che la sua eroina, chiaro esempio di proletaria rivoluzionaria,
venga sedotta da un ragazzo di buona famiglia; uno dei topici appunto dei folletines
dell’epoca. Dopo la pubblicazione poi del saggio sul romanzo russo “La revoluciòn y la
novela en Rusia”, la produzione narrativa dell’autrice subisce un radicale cambiamento di
rotta; l’autrice assimila nella propria scrittura le tecniche da lei esposte nel saggio. Nei
romanzi di questa nuova epoca, le azioni dei personaggi sono spiegate non più sulla base dei
condizionamenti esterni, bensì partendo dalla loro interiorità. In questo modo il percorso
artistico della narratrice completa il suo tragitto realista alla scoperta del mondo con lo
sguardo alla sua parte più nascosta e cioè alla psiche dei personaggi. L’etica, la dimensione
morale dei fatti, che il naturalismo perdeva di vista, viene adesso rivalutata fino a diventare il
punto centrale della nuova visione del mondo. Frutto della nuova impostazione sono romanzi
come “Una Cristiana”, “La Prueba” e “Memorias de un solteròn” dove la capacità di
introspezione dei personaggi costituisce la chiave di volta dell’intero edificio narrativo. Più in
là scopre anche il simbolismo, e con esso alcuni aspetti del decadentismo, con opere come
“La Quimera” e “La sirena negra” dove abbandona descrizioni cromatiche, olfattive, e il
sensualismo della prosa che va a evidenziare il suo legame con il modernismo (legame
dovuto anche grazie all’amicizia con Rubén Darìo).
“Los pazos de Ulloa”1886.
Qui il naturalismo della Bazàn trova massima espressione. La tematica di fondo si basa su
uno dei suoi presupposti teorici: il doppio determinismo, biologico e ambientale. Quest’opera
costituisce un’unità argomentale con “La madre naturaleza”, apparso un anno dopo. Le
differenze fra i 2 romanzi si riflettono in una maggiore ricchezza di letture per il primo rispetto
al secondo. In entrambi, l’argomento fondamentale, cioè il rapporto tra uomo e natura, viene
trattato in modo diverso:
- la natura è violenta fomentatrice delle pulsioni più basse in Los pazos de Ulloa
- ed è tenera madre dell’amore e della tenerezza in La madre naturaleza.
Il nuovo cappellano del pazo di Ulloa, Juliàn, trova al suo arrivo una comunità allo sfascio; il
signore, il marchese Pedro ha ceduto i suoi possedimenti al suo servo, Primitivo. Pedro ha
avuto un figlio da Sabel, la figlia di Primitivo, e questo ha conferito al servo un incontrastato
potere sul padrone e sui suoi terreni. La casa è in quasi completo stato di abbandono, così
come la famiglia. Così Juliàn, appena arrivato, deve prendersi cura, prima di tutto,
dell’economia della proprietà. La sua sorpresa aumenta a mano a mano che scopre la reale
situazione della casa: si direbbe che la cultura e la società siano regredite a vantaggio della
natura e dell’animalità: le condizioni di vita delle persone le avvicinano alle bestie. Juliàn è un
uomo dai modi raffinati, educato in un seminario sin da bambino, dal carattere debole e non
possiede gli strumenti per fare fronte alla complicata situazione. In più di un’occasione si
direbbe che anche lui stia per soccombere alle tentazioni della vita disordinata, come il corpo
di Sabel. Il marchese prende moglie tra le proprie cugine. Nucha è la prescelta, è una donna
fragile che patisce la durezza della vita nel pazo. Dopo la nascita di Manuela, Nucha sente
ancora più profondamente il distacco da quell’ambiente ostile, anche in seguito alla scoperta
dell’infedeltà di suo marito con Sabel.Perucho vede nella cappella Juliàn e Nucha fusi in un
abbraccio. Pedro viene a conoscenza di ciò, rimprovera sua moglie e costringe il prete a
lasciare il pazo. Nucha, ormai sola, si lascia andare ad una depressione sempre più profonda,
finché muore, dopo una lunga malattia. Dieci anni dopo ritroviamo Juliàn, ora parroco di Ulloa,
in visita al cimitero dove riposa Nucha. Lì incontra Manuela e Perucho, i 2 inseparabili
fratellastri, divisi però dai segni dell’appartenenza a 2 classi sociali diverse: lei è vestita
poveramente; lui fa sfoggio di abiti raffinati.
La trama dell’opera viene determinata dal conflitto tra 2 gruppi di individui, 2 tipi sociali diversi:
- da una parte i personaggi rurali, che si caratterizzano per la loro dipendenza dalle basse
passioni, per la loro carnalità. Nei personaggi rurali l’intelligenza diventa astuzia, calcolo,
interesse.
- dall’altra i cittadini, dove troviamo il predominio della ragione, il controllo delle proprie
emozioni.
Le emozioni dei personaggi naturali vengono espresse oppure convertite in azioni a proprio
vantaggio, come l’amore di Sabel per il padrone subito riciclato in spazio di potere per
Primitivo, suo padre, e posizione di privilegio per lei e suo figlio. È l’opposizione spaziale
primaria tra la città e la campagna a generalizzare i significati del racconto: da una parte il
mondo civilizzato, ordinato della città, e dall’altra il mondo selvaggio e
sensuale del pazo. I significati di ognuno di questi mondi sono esaltati dal contrasto con l’altro:
per vedere il pazo in tutta la sua crudeltà ci vuole una sensibilità cittadina. L’esuberanza del
pazo, la sua violenza, sono collocati al centro dell’attenzione narrativa, perché il narratore
adopera il punto di vista del cittadino appena arrivato che si sorprende davanti a usi e costumi
del luogo. L’esperimento narrativo compiuto dall’autrice consiste nell’introdurre un abitante
della città, di modi raffinati, nel mondo rurale dei pazos : in questo modo il romanzo diventa il
banco di prova teorizzato da Zola in cui riprodurre e analizzare la realtà. Quando la capacità
di meraviglia del cappellano si esaurisce, il narratore poi introduce un nuovo personaggio.
Nucha ha le stesse qualità di Juliàn, ma in più è la moglie del marchese e quindi ha accesso
alla sua intimità. L’occhio di Juliàn vede le condizioni generali di vita, la decadenza,
l’animalizzazione delle persone; l’occhio di Nucha invece riesce a vedere dove non arriva
quello del prete, quindi la decadenza sul piano intimo e sentimentale. Il pazo di Ulloa diventa
una sorta di ombelico del mondo dove confluisce il conflitto: all’interno delle mura si
confrontano gli aspetti del conflitto basilare: Juliàn è il portatore di cultura, di autocontrollo e
rigore morale, e trova a combatterlo l’uomo del potere istintivo, Don Pedro, che tende verso
l’oggetto del suo desiderio senza freni di tipo morale, religioso o sociale.
Di fronte all’altro aspetto della femminilità di Nucha, la seduzione intellettuale, i 2 uomini
reagiscono in modo opposto:
- Pedro desidera averla ma non stabilire un rapporto con lei; trasforma Nucha nel feticcio che
gli garantisce il possesso della chiave sociale. Il suo è un desiderio di possesso globalizzante
che non gli permette di rinunciare a uno degli aspetti della femminilità per averne l’altro.
- Proprio l’opposto farà il cappellano, che si vede costretto ad appropriarsi dell’immagine
astratta del proprio oggetto d’amore, Nucha, perché la legge gli vieta di possederlo in un altro
modo. Juliàn non è uomo di potere, ma di parola e di codici. Il suo conflitto interno nasce
dall’incapacità di unire armonicamente i 2 lati della sua persona: la mente e il corpo, e
proiettarli all’esterno nell’oggetto del suo desiderio. Primitivo, dal canto suo, utilizza sua figlia
Sabel come oggetto di scambio; il suo primitivismo, già contenuto nel nome, si manifesta
proprio in questa sua concezione della donna come oggetto da offrire al padrone in cambio di
potere o denaro.
In questo senso Primitivo è antagonistico e incarna la parte più animmalesca
dell’uomo,mentre Juliàn quella più elevata. Nessuno dei personaggi nell’opera è puro. In tutti
si manifesta una qualche forma di contaminazione dell’aspetto contrario. Perucho è colui però
che più si avvicina alla purezza naturale; la sua origine periferica condiziona positivamente la
sua esistenza.
La critica sull’opera
- Da un lato, la critica ha segnalato che quest’opera poteva essere interpretata come la storia
della decadenza dell’aristocrazia feudale.
- Dall’altro come la sottomissione dell’individuo all’ambiente, in questo caso la natura
colossale e onnipotente, e in questa interpretazione coinciderebbe con “La madre naturaleza”.
- Poteva anche essere interpretato come il confronto fra 2 tipi di società, quella rurale e quella
civilizzata, in cui, sebbene venga messa in mostra la relativa superiorità di quest’ultima, si
evidenzierebbe anche che i figli della società civilizzata non sono atti ad affrontare le dure
condizioni di vita della prima, e quindi non possono trasformarla.
- Altro punto di vista prende in considerazione la dimensione psicologica della trama,
attraverso l’amore di Juliàn per Nucha → propone una lettura dell’opera come romanzo
annunciatore della corrente psicologicospiritualista che sta x abbattersi sulla narrativa
spagnola. Nel finale, la narrazione sperimenta un salto di qualità, con lo spostamento del
punto di vista dai fatti ai sentimenti.È evidente il desiderio dell’autrice di velare i fatti per
caricarli di quella drammaticità che la distanza concede.
Si nota l’aderenza dell’opera all’estetica zoliana, tenendo in conto la polemica intorno alla sua
adesione al naturalismo, che ha animato la critica. Le infrazioni al codice naturalista sono
possibili perché il loro peso sul racconto è abbastanza relativo. Il naturalismo della Pardo
Bazàn è più formale che di sostanza, e questo permette all’autrice di ricorrere ad altre
tecniche narrative. Il suo non poteva certo essere un naturalismo militante al modo di Zola,
visto che il suo cattolicesimo le impediva di accettare la tesi fondamentale del naturalismo,
cioè il determinismo. Eppure, non c’è dubbio che l’impianto globale dell’opera e molti dei suoi
elementi appartengano a quel filone. Nell’opera troviamo non solo un naturalismo parodico o
grottesco, ma anche:
- Un naturalismo passivo, i cui principi fondamentali diventano oggetto di conversazione da
parte dei personaggi, come in quasi tutti gli interventi del medico del paese.
- Un naturalismo attivo, che opera nella costruzione della trama, con impossibilità di riscatto
per gli uomini prigionieri delle regole della natura, la decadenza sociale e forse anche
genetica di una famiglia.
L’autrice utilizza lo stile indiretto libero, tipico del naturalismo, e lo fa con grande disinvoltura
quando, per esempio, vuole penetrare nei pensieri di un personaggio senza abbandonare
l’apparenza di obiettività. Anche sotto l’aspetto linguistico si percepisce la matrice naturalista
dell’arte della Pardo Bazàn. La lingua è priva di preziosismi, di artifici retorici, evita addirittura
l’aggettivazione, nel tentativo di rendere la sua prosa il più trasparente possibile all’obiettività
dei fatti.
“La madre naturaleza” 1887.
Qui ritroviamo i personaggi secondari di “Los pazos de Ulloa”: Gabriel, il fratello di Nucha, che
nel precedente romanzo compariva nei ricordi della sorella, ha qui invece un ruolo di primo
piano; i bambini ormai diventati ragazzi. Perucho e Manola, i 2 fratellastri qui di amano, e non
sanno del vincolo di consanguineità che li lega perché nessuno gliene ha mai parlato. Lo
sviluppo del loro rapporto incestuoso è coadiuvato anche da una cornice naturale rigogliosa e
sensuale. Quest’opera, rispetto alla precedente, presenta una minore ricchezza di livelli di
lettura. La trama si concentra soprattutto sull’amore tra i 2 fratellastri e sull’influsso della
natura su di esso. La natura diventa loro complice e protettrice, se non addirittura la mezzana
che li spinge verso l’incesto: nella grotta dove si sono rifugiati, quando l’imbarazzo rischia di
prendere il sopravvento, è la natura e la naturalezza che li incita all’amore. Il loro amore si
arricchisce sempre di più a contatto con la natura e con le persone ad essa legate. Quando
l’uomo prova l’unione mistica con gli elementi della natura, la morale viene annullata, non
esistono le responsabilità verso l’ordinamento sociale. L’uomo solo, davanti al selvaggio che
porta in sé, cerca le presenze misteriose all’esterno. Si direbbe che, nell’ottica dell’autrice, la
capacità di interagire con le forze naturali derivino ai galiziani da una sorta di determinismo
genetico. Il rappresentante della cultura in “La madre naturaleza” è Gabriel, il quale non può
certamente accettare l’idea della visione magica del mondo, e cioè, che si possa stabilire un
dialogo con la natura. Salvo poi sospendere la razionalità quando va a fare visita alla tomba
della sorella. La descrizione del cimitero e del prodigio naturale che in esso si verifica risale
alla tradizione romantica, rivisitata. Il suo è un romanticismo di facciata, figurativo, che non
può fare a meno del positivismo che sorregge tutta la rappresentazione. Il naturalismo di
quest’opera è di portata molto ridotta rispetto a “Los pazos de Ulloa”. Il determinismo
fisiologico non pervade tutto il discorso, come succedeva nel precedente romanzo, ma si
limita a qualche timida apparizione. Il determinismo biologico è stato quasi completamente
accantonato dalla concorrenza nella spiegazione dei fatti del determinismo ambientale;
nell’amore tra Perucho e Manola viene completamente ignorato il divieto imposto dall’eredità,
mentre è accettato il fattore ambientale: essi si amano perché l’ambiente naturale li spinge a
farlo. Quest’opera possiede anche una portata mitica: la storia di Perucho e Manola è una
sorta di mito di fondazione delle comunità rurali, nate dall’amore tra fratelli. I 2 personaggi
possiedono caratteristiche quasi simboliche, in essi si racchiude la mascolinità e la
femminilità allo stato puro, senza le convenzioni della società. Per certi versi la storia dei 2
adolescenti ci riporta ad un ambiente di tragedia classica, dove gli eroi devono lottare contro
la forza della natura che li spinge in una data direzione, mentre la società richiederebbe loro
l’adeguamento ai canoni di vita consensuali. E forse è proprio questo l’aspetto saliente
dell’opera.
Lezione 5
LeopoLdo ALAs “CLArin”

Con Clarín continuiamo il percorso sul romanzo, in particolare


facciamo un passo in più nel naturalismo. I due scrittori (Galods e Clsrin) si conoscevano,
erano legati, Clarin riconosceva in Galdòs un modello, fu uno dei lettori e commentatori più
acuti. Nasce nel 1852 a Zamora. Leopoldo Alas, noto con lo pseudonimo di “Clarín”, si
distingue nel panorama letterario spagnolo di fine 800 per la sua produzione critica e
narrativa e oggi deve la sua fama soprattutto a La Regenta” del 1885. La famiglia si
trasferisce ad Oviedo, dove Clarín trascorrerà la maggior parte della sua vita. Oviedo è una
città di provincia, è il luogo da cui Clarín riesce a interpretare tutto ciò che succede, sia
fenomeni storici che culturali. La collocazione provinciale non è un limite per Clarín, anzi egli
è uno degli autori più aperti e moderni del periodo: fu uno dei pochi a comprendere le ragioni
dell’indipendenza di Cuba nel ’98 e aveva concezioni aperte riguardo il ruolo della donna.
Nella traiettoria ideologica di Clarín si distinguono 3 tappe:
- Parte dalla militanza anticattolica
- In una seconda fase subisce l’influenza del naturalismo
- E infine aderisce allo spiritualismo.
Gli articoli giornalistici e la concezione del romanzo
Fin da ragazzo, dimostrò una precoce vocazione per la scrittura giornalistica: nel 1868
cominciò a redigere un giornaletto manoscritto, Juan Ruiz, di cui giunse a produrre 50 numeri
rivelando già la sua vena umoristica e satirica. In seguito, anche per ragioni economiche,
l’attività di articolista divenne una costante nella vita di Clarìn e gli diede fama tra i suoi
contemporanei. Nel 1875, Clarìn cominciò a collaborare con il “Solfeo”, giornale di
opposizione, dove per la prima volta utilizzò il significativo pseudonimo di “Clarìn”, in
consonanza con il titolo del giornale, che, sotto la referenza musicale, alludeva al proposito di
“proclamare la verità”. Clarìn scrive articoli in cui si occupa di questioni politiche, sociali e
letterarie. Negli articoli politici, ricorrono i richiami alla necessità di un risanamento del Pese e
i duri attacchi contro la corruzione del parlamento. Negli articoli di critica letteraria, Clarìn
recensisce la produzione nazionale, con una particolare attenzione per il romanzo. In genere,
i suoi commenti si basano su uno schema fisso, che prevede l’analisi dei personaggi,
dell’azione, del linguaggio, dello stile; adotta, inoltre, una sorta di metodo comparativo, che
consiste nel confronto di 2 autori o di 2 opere. Per quanto riguarda la teoria sul romanzo,
Clarìn sfugge a un criterio rigidamente prefissato, rivelando nei suoi scritti una riflessione
aperta: l’idea costante è che ogni espressione letteraria deve fondarsi sulla realtà; a ogni
periodo storico corrisponde una peculiare manifestazione narrativa.In una prima fase, Clarìn
si dimostra favorevole alla letteratura “tendenziosa”, il cui intreccio risulta subordinato ad una
concezione ideologica. Poi, negli anni 80, con l’avvento del naturalismo, tende a svincolarsi
dal romanzo di idee, per privilegiare la riproduzione mimetica e imparziale della realtà. Nelle
accese polemiche che il movimento naturalista scatenò in Spagna, Clarìn assunse la difesa
della teoria di Zola, sia pur denunciando le cadute dello scrittore francese in volgarità e
superficialità. Il metodo della sperimentazione diviene il fondamento della nuova tecnica
narrativa: i personaggi devono essere immersi in situazioni concrete, che li spingano a
reagire in concordanza con il loro temperamento e le pressioni dell’ambiente in cui vivono;
prima, però, l’autore deve passare attraverso una fase di “osservazione” che consiste nel
recepire i dati della realtà dalla prospettiva di uno spettatore imparziale. Dopo questi
presupposti metodologici, Clarìn distingue 3 tipi di romanzi:
- Quello di peripezie, quello più banale e meno riuscito ed è quello basato sulla trama,
sull’intreccio, sul susseguirsi delle vicende nelle vite dei protagonisti;
- Quello centrato sulla psicologia del personaggio, rappresenta un passo in avanti, il
modello di riferimento è Flaubert con Madame Bovary, in particolare nella costruzione di
Emma (la protagonista);
- Quello che mira a dare una visione globale dell’intera società.
Nel 1901 deve essere pubblicata una seconda edizione de La Regenta di Clarín, per questa
ha il desiderio che il prologo venga scritto da Galdòs , prologo in cui Galdòs approfitta del
romanzo di Clarín per parlare del genere del romanzo in generale in Spagna ma con una
prospettiva europea, perché, sempre avendo sott’occhio la Francia che si presenta come la
risorsa di tutto, dice che il romanzo realista si può paragonare alla corrente del golfo, in
Spagna si ha la tradizione picaresca (con il Lazarillo prima di tutto), ma la corrente del golfo,
attraverso l’aria calda, va verso l’alto, quindi dalla Spagna sale e arriva in Inghilterra, dove gli
inglesi prendono questo modello cervantino e picaresco e cominciano a raffreddarlo (come la
corrente del golfo) e lo fanno lavorando sul comico, così la comicità greve e forte si trasforma
in un sottile humor inglese; a quel punto, raffreddata, scende e arriva in Francia, i francesi
eliminano questo elemento raffreddato e così si perde ogni traccia di riso, aggiungono però al
romanzo la grande analisi psicologica dei personaggi, e poi ritorna giù in Spagna. Gli spagnoli
ora non devono limitarsi a vedere il prodotto francese, ma devono riconoscere il loro modello;
quindi, vedere ciò che c’è di nuovo (l’analisi psicologica dei personaggi) e restituire il riso e
l’ironia che aveva perso perché, secondo Galdòs, il riso non è in contrasto con la narrazione
della realtà, anzi, molto spesso attraverso questa chiave si comprendono meglio alcune verità.
Da questo punto di vista l’idea di Galdòs sulla necessità di restituire il riso al romanzo realista
coincide con quello che sosteneva Harry James, secondo cui nel romanzo manca il riso che
sarebbe stato nel testo come un benefico disinfettante; quindi l’idea che è alla base del
progetto narrativo di Galdòs è quella di restituire questo elemento al romanzo realista e
secondo lui dovrebbe essere intento di tutti gli scrittori spagnoli non riprendere solo il modello
ma arricchirlo e, secondo lui, questo risultato l’ha raggiunto alla perfezione Clarín ne La
Regenta, di cui è comico proprio il linguaggio.
Con Clarín siamo nella seconda metà dell’800 e parliamo di un profondo conoscitore della
letteratura francese, grande ammiratore di Flaubert (su La Regenta cade l’accusa di plagio di
Madame Bovary, in particolare per il capitolo 16, una scena ambientata a teatro). Durante la
sua formazione si sposta molto, poi si ferma ad Oviedo, dove diventa docente universitario di
diritto; Oviedo è la grande città di provincia ed è chiaro che Clarín userà questa specifica
prospettiva per parlare della Spagna.
Scrive un secondo romanzo dopo La Regenta, ossia Su Unico Hijo che, pur condividendo
qualcosa con il primo, come l’adulterio, è un romanzo profondamente diverso; scrive anche
moltissimi racconti e questa attività di scrittore di racconti sarà fondamentale anche per la
scrittura de La Regenta perché alcuni studiosi hanno dimostrato che i capitoli del romanzo
vengono concepiti come racconti perfettamente chiusi.
Dei racconti ci soffermiamo su El Diablo en Semana Santa, che ci interessa perché dal
punto di vista tematico sembra anticipare La Regenta: Clarín immagina satana annoiato che
scende sulla Terra durante le settimane sante per divertirsi un po', prende di mira questo
giovane sacerdote e una donna che frequenta la parrocchia, moglie di un magistrato, quindi ci
sono tre personaggi che coincidono con il romanzo. A un certo punto descrive una
processione durante la quale la donna e il sacerdote sentono un’attrazione, basata su sguardi,
si sentono spinti da questa forza sovrannaturale (satana) e nel momento in cui il sacerdote
sembra volersi avvicinare alla donna vede un bambino nelle sue braccia, il figlio, e questa
visione interrompe immediatamente tutto: quello che condivide con La Regenta è proprio il
sacerdote e la moglie del magistrato che nel racconto è un cavaliere, mentre nel romanzo si
sdoppia in due personaggi. L’altra cosa in comune è il legame tra la donna e il confessore,
mentre la cosa diversa è il bambino, che ne La Regenta non c’è.
La Regenta
La Regenta viene pubblicata nel 1885, è formata da 30 capitoli e si compone di 2 tomi;
queste due parti sono tra loro molto diverse e sono formate ognuna da 15 capitoli. I primi 15
capitoli raccontano quello che succede in soli 3 giorni, questo significa che la narrazione è
molto lenta, si sofferma molto su una serie di aspetti, su piccoli dettagli, ma soprattutto si
sofferma sulla costruzione dei profili psicologici dei personaggi.
Nella seconda parte dell’opera la narrazione diventa più rapida, ma tutto quello che succede,
succede nella seconda parte, la prima parte serve a preparare e a costruire le basi per capire
poi perché succede quello che succede nella seconda parte.
La Regenta non soltanto è simile a Madame Bovary, ma Clarin fu accusato pubblicamente
da un giornalista di plagio, quindi di aver proprio copiato parti dell’opera di Flaubert. C’è
questo filone europeo del romanzo che ci racconta storie di adulterio legato a protagoniste
femminili (Madame Bovary, Anna Karenina, lo stesso Tormento, il cui titolo fa riferimento al
soprannome della protagonista, La Regenta). L’accusa di plagio si basa su una parte
specifica del testo, ovvero sul capitolo 16 in cui Ana va a teatro con il marito Victor e insieme
a loro ci sarà anche Alvaro, secondo questo giornalista che accusò di plagio Clarin, questo
capitolo era uguale ad un capitolo dell’opera di Flaubert, in cui Emma è a teatro con il marito
e insieme a loro c’è uno degli amanti di Emma (capitolo 15, seconda parte). Clarin si difende
pubblicamente, su un giornale, dicendo che non esistono le basi per parlare di plagio perché
il rapporto tra i due testi si basa soltanto sulla presenza del teatro, dei protagonisti nel teatro e
nient’altro, anche perché Alvaro in quel momento non è un amante di Ana. Questi elementi,
l’adulterio, il teatro, il generico triangolo amoroso, sono presenti in tantissimi romanzi e quindi
questo non costituisce una base sufficiente per parlare di plagio.
La Regenta è la storia di una giovane donna, Ana Ozores, che per una serie di ragioni sposa
un uomo, Don Victor Quintanar, verso il quale sicuramente prova affetto, non lo disprezza,
ma non lo ama di quella passione amorosa, lo ama più come una figura paterna. Don Victor è
molto più grande di lei ed è un uomo importante all’interno della società di Vetusta, il nome
della città in cui si svolge l’intera vicenda, in particolare era l’Antico Reggente della città, un
magistrato, per cui il nome La Regenta fa riferimento alla condizione di moglie di Victor. Da
questo punto di vista possiamo notare un’altra somiglianza con Madame Bovary, perché
Bovary è il cognome del marito di Emma; quindi, anche in quel caso Flaubert ha scelto di
indicare la sua protagonista con un riferimento esplicito alla sua identità come moglie di
qualcuno. Il matrimonio esclude tutta la sfera fisica e sessuale, Ana e Victor non hanno alcun
tipo di rapporto, addirittura si dirà che dormono in due stanze separate e tutte le volte in cui
Ana sente il bisogno, il desiderio di un contatto fisico con il marito, questo si risolverà sempre
in una forma paterna, per cui Ana vuole un bacio? Victor le dà un bacio sulla fronte.
Vetusta (Oviedo nella realtà) è un nome fittizio che Clarin sceglie per questa grande città di
provincia in cui la protagonista si annoia. Il tedio è il sentimento principale che la protagonista
sperimenta durante tutto il romanzo. La soluzione a questa noia si manifesta incarnata in due
uomini, diversissimi tra loro e dal marito:
- Don Fermin, il sacerdote di Vetusta, un uomo affascinante, tutte le donne di Vetusta
vorrebbero avere lui come guida spirituale (ci riporta a Pedro Polo di Galdós). Fermin
rappresenta a pieno questo particolare aspetto della società spagnola in cui il potere del clero
era particolarmente forte e veniva esercitato attraverso la professione; i sacerdoti come guide
spirituali dei propri fedeli avevano il potere di decidere, manovrare alcuni aspetti della vita di
queste persone. Egli diventa la guida spirituale di Ana.
- Don Alvaro Mesia, è il Don Giovanni di Vetusta, anch’egli un uomo molto affascinante,
curato nell’aspetto, vestito all’ultima moda. A Vetusta quasi tutte sono state le amanti di Don
Alvaro, tutte tranne Ana.
Ana viene percepita fin dall’inizio, dagli abitanti di Vetusta, come una persona estranea, tutti
sono molti invidiosi di lei, non soltanto per la sua bellezza (si dirà, ad un certo punto e con
una certa ironia che Ana fosse una delle 7 meraviglie di Vetusta, gli stranieri quando
andavano a vedere ad esempio la piazza, andavano a vedere anche Ana Ozores). Questo
significa che è trattata come un oggetto, è considerata solo per la sua bellezza e soprattutto
perché, oltre alla bellezza, Ana aveva questa reputazione di essere una donna virtuosa e
irraggiungibile. Inevitabilmente, per Alvaro diventa una sfida: vuole assolutamente aggiungere
Ana all’elenco delle donne da lui sedotte.
Tutta la vicenda vede Ana tra questi due poli, Fermin e Alvaro, di cui Ana ha bisogno
(soprattutto di Fermin) per non cedere alle avances di Alvaro. Ana è considerata da tutti una
donna virtuosa, superiore alle altre dal punto di vista morale; tra tutti i personaggi dell’opera è
quella che conosciamo meglio, conosciamo tutta la sua storia, tutto il suo passato e tutto il
suo percorso psicologico: Clarin riesce ad entrare nei pensieri di Ana e riesce a farlo
attraverso l’utilizzo della tecnica narrativa del discorso indiretto libero. Tutta l’infanzia di Ana
fino al matrimonio con Don Victor ci viene raccontata in 3 capitoli, i capitoli 3, 4 e 5, nei quali
la vicenda ad un certo punto si interrompe per aprire questo flashback in cui ci viene
raccontata la storia di Ana; in realtà ci viene raccontata la storia dei genitori di Ana e poi di
Ana. In questi 3 capitoli scopriamo che il padre, che appartiene all’alta società Vetusta, è un
uomo un po’ particolare, dalle idee liberali, che si innamora follemente di questa sarta italiana,
il che significa una donna poverissima, che non può essere ben accolta dall’alta società
spagnola (Clarin sta giocando con il romanzo d’appendice, il ricco, nobile uomo, che si
innamora della povera giovane italiana e sfidando la famiglia intera), decide di sposarla e di
fare una figlia con lei pur dovendo, per questo, lasciare tutto, quindi sfida tutto per amore.
La mamma di Ana muore durante il parto, quindi Ana cresce senza una madre e senza un
padre, perché, preso dalle sue passioni politiche, egli affiderà in un primo momento questa
bambina a Doña Camila, un’inglese che si deve occupare dell’educazione di Ana, una donna
spregevole che le impartisce un’educazione fredda: Ana è privata di tutta la dimensione
affettiva, soprattutto questa donna riversa su di lei le sue frustrazioni. Doña Camila si era
messa in testa di poter sedurre il padre di Ana (se ci fosse riuscita una sarta italiana avrebbe
potuto riuscirci anche lei), ma fallisce e quindi riversa tutto il suo rancore sulla bambina. Ana è
sicuramente un personaggio dotato di una grande fantasia, immaginazione, che le permette
in qualche modo di scappare da questa realtà in cui si sente imprigionata e soprattutto di
scappare da Doña Camila.
Passa il tempo a leggere libri e c’è un bambino con cui Ana di tanto in tanto gioca, German,
che le racconta sempre storie di fughe, di avventure e di cavalieri, così un giorno vivono una
piccola avventura: durante una passeggiata finiscono su una barchetta su un fiume lì vicino,
mentre giocano si addormentano sulla barca e passano la notte fuori, quando la bambina
torna a casa Doña Camila approfitta per umiliarla, accusandola davanti a tutti, di aver
commesso chissà quale peccato perché da piccola aveva dormito fuori casa con un uomo, un
bambino; addirittura, Doña Camila, quando Ana torna, chiama un sacerdote che si chiude in
una stanza con lei cercando di scoprire cosa questa bambina avesse fatto, ovviamente Ana
non capisce niente di quello che le viene chiesto ma il sacerdote conclude che la
conversazione è stata poco utile perché la bambina per ingenuità (non capisce) o per malizia
(capisce e non lo vuole dire) non racconta cosa è successo. Il sacerdote conferma quello che
afferma Doña Camila e l’opzione che la bambina non avesse fatto niente non viene presa in
considerazione. Questo ha degli effetti sconvolgenti su Ana perché la voce si diffonde, Doña
Camila lo dice a tutti e le viene impedito di vedere German, le viene impedito di uscire e, una
volta che si è diffusa la voce, vari malintenzionati (questo lo vediamo dalla prospettiva di Ana)
vogliono portarla in chissà quali posti; quindi, la bambina non esce più di casa e comincia a
sentirsi in colpa, si sente macchiata di un qualcosa che di fatto non ha commesso. Inizia a
formarsi nella mente di Ana l’idea che il soddisfacimento dei propri desideri, qualunque essi
siano, porta all’infrazione di una norma sociale: lei voleva solo giocare e divertirsi, eppure
viene immediatamente condannata dalla società.
Il padre di Ana si occuperà per un altro periodo dell’educazione di Ana finché non muore
anche lui ed è a questo punto che intervengono le due zie che decidono di occuparsi di
questa ragazza. Anche le zie sono state avvisate del pericolo che rappresenta questa
ragazzina, per cui Ana arriva a Vetusta e nel capitolo 5 scopriamo che l’alta società di Vetusta
si riunisce per decidere se è il caso di accettare o meno nella società Ana Ozores. Alla fine si
decide che sì, Ana Ozores sarà accettata, non però come figlia dei suoi genitori, né come
figlia del padre che aveva rotto con la società, né tanto meno come figlia di una sarta italiana
(che sarebbe stata una cosa più indegna), sarà accolta come nipote delle zie, queste donne
che avevano deciso, con questo slancio di generosità (che di generosità non ha nulla), di
occuparsi di questa ragazzina e si deciderà che da quel momento nessuno avrebbe più
parlato del passato di Ana e di fatto, fino al capitolo 30, quindi l’ultimo capitolo del romanzo,
nessuno dirà mai nulla in relazione al passato di Ana.
Il progetto delle zie di occuparsi di Ana, questo gesto di affetto e di generosità è solo
apparenza. In realtà loro intuiscono che, anche se Ana non sta molto bene, soprattutto non
mangia, ha alcune crisi nervose, è bella e quindi pensano che, se riuscissero a rimetterla in
forze potrebbero, con Ana, fare un matrimonio vantaggioso e quindi avere dei soldi per
salvare il buon nome della famiglia messo in crisi dopo tutte le sciocchezze commesse dal
padre. Quindi nel capitolo 5 si assiste a questo processo, Ana viene ingozzata come un’oca
messa all’ingrasso, deve mangiare per diventare bella e tutti devono andare a vedere quanto
sia diventa bella. La decisione di Ana di sposarsi il prima possibile corrisponde al desiderio di
liberarsi dall’autorità delle zie.
Aldilà di tutti gli aspetti della trama, ci si deve soffermare su alcune questioni:
- la prima riguarda l’ironia > Galdós nel 1901 scrive un prologo per la seconda edizione de La
Regenta di Clarin e in questo prologo sottolinea la centralità dell’ironia all’interno del testo,
ironia che Clarin riesce ad ottenere su diversi livelli, quindi nella caratterizzazione dei
personaggi, nella costruzione di alcune scene ma anche e soprattutto attraverso un uso
abilissimo del linguaggio.
Riguardo il rapporto tra Vetusta e Oviedo, ci fu uno scandalo alla pubblicazione dell’opera:
non c’è dubbio che Clarin abbia utilizzato Oviedo come modello per Vetusta, addirittura
famiglie storiche di Oviedo conservano prime edizioni de La Regenta in biblioteche di
famiglia e in alcune di queste edizioni, alla fine, ci sono degli elenchi di corrispondenza tra i
personaggi e le persone reali di Oviedo ed è interessante perché ci sono per tantissimi
personaggi queste corrispondenze, tranne che per Ana e Alvaro. Il caso di Fermin fu uno
scandalo perché, quando l’opera fu pubblicata, poiché si parlava di adulterio e di un
sacerdote innamorato, per la chiesa era un problema, il vescovo vietò l’opera, ma pare che
Clarin regalasse agli studenti copie del libro. Un romanzo realista-naturalista come questo è
ambientato in un luogo che non esiste ma in realtà non è così, è come se avesse usato un
soprannome, uno pseudonimo per parlare di Oviedo.
Capitolo 1
“La heroica ciudad...en la Santa Basilica”: rappresenta uno degli incipit più famosi nel
romanzo spagnolo dell’800 ed è molto importante perché ci permette, in uno spazio ristretto,
di individuare alcune caratteristiche e alcune questioni dell’intero romanzo. Abbiamo la città di
Vetusta, la quale rappresenta un ruolo centrale all’interno dell’opera, tant’è che secondo
alcuni critici Vetusta sarebbe la reale protagonista del romanzo di Clarin. In una prima fase di
gestione del romanzo, emerge che Clarin volesse chiamare l’opera “Vetusta”, quindi
incentrare il romanzo sulla descrizione della città. Vetusta è rappresentata come una persona
che fa la siesta, si riposa dopo aver fatto un pranzo abbondante, utilizzando una tecnica
narrativa molto importante, ovvero la personificazione. C’è molta ironia nella costruzione di
questo passaggio, che nasce da un contrasto tra la poeticità del linguaggio e la rozzezza di
quello che sta raccontando; lui di fatto sta descrivendo una città sporca, con incrostazioni di
polvere di vetri, una città in cui per le strade c’è spazzatura, tuttavia la spazzatura ci viene
presentata come delle farfalle, quindi c’è un forte contrasto tra la poeticità del linguaggio e
una realtà bassa, degradata e questa idea di un qualcosa di vecchio, superato, è già
racchiuso nel nome Vetusta, che allude a qualcosa di vecchio, antico. L’ironia nasce dal
creare un contrasto tra ciò che si dice e quello a cui si riferisce (l’ironia nasce dal contrasto).
nella descrizione della città Clarin crea un contrasto tra una realtà bassa e uno stile altamente
poetico, creando un effetto ironico.
L’ironia viene utilizzata moltissimo per rappresentare l’ignoranza degli abitanti di Vetusta, che
vogliono dare sfoggio di un sapere che in realtà non hanno (resa magnifica di questo aspetto
da parte di Clarin); per esempio, nel capitolo 5, in cui si descrive questo fiorire di Ana che
viene ingozzata come un’oca affinché possa ingrassare, tutto questo avviene sotto gli occhi
dei Vetustensi, gli abitanti della società di Vetusta si recano a contemplare il miracolo, vanno
a vedere Ana e a dire “ah com’è bella”, trattandola quindi come se fosse un oggetto.
Accanto alla personificazione abbiamo un altra tecnica narrativa ovvero lo zoomorfismo,
ovvero gli individui assumono le sembianze di animali. Lo zoomorfismo è importante per
comprendere la Regenta, perché in questo modo riesce a essere molto più incisivo nel
racconto e i riferimenti agli animali non sono mai casuali, ma servono a mettere meglio in
evidenza alcune caratteristiche caratteriali dei personaggi; servono a completare la
caratterizzazione del personaggio e a renderla più efficace.
In questo capitolo, dopo una prima parte generale, in cui si descrive rapidamente la città, si
arriva alla cattedrale, in particolare al campanile, che rappresenta uno dei luoghi centrali per
lo svolgimento della vicenda. Su questo campanile ci sono due personaggi abbastanza
secondari, che si occupano della campana e sono loro i primi a guardare in basso. La loro
prospettiva dall’alto gli permette di avere uno sguardo di insieme e sopratutto di vedere
rimpiccioliti gli individui che si muovo intorno alla cattedrale. Tra queste persone ne
individuano subito uno, lo individuano subito perché si muove in un determinato modo.
Questo personaggio è Don Fermin, che inizialmente viene presentato come qualcosa di
piccolo, a cui i due ragazzini si possono sentire superiori, ma questo personaggio, poco a
poco, sale la cattedrale e si impone come una figura imponente, non solo imponente nelle
fattezze fisiche, e nei capitoli successivi ci viene detto che ha il fisco di un atleta; è anche
grande perchè è il sacerdote che ha più potere all’interno della cattedrale perché è colui che
possiede una maggiore arte teorica; ma anche perché è in grado di gestire il poter. Ma come
può ottenere il potere un sacerdote? Attraverso il sacramento della confessione. Lui
seleziona accuratamente le donne, che appartengono alla classe più alta della società che
fanno parte delle famiglie più illustri. Don Fermin è un personaggio molto sicuro di se, forte, ci
viene presentato come un personaggio arrogante e superbo. L’altra caratteristica che ha,
nonostante le malelingue, nessuno mette in dubbio la sua condotta morale e sarà lui a quel
punto, col cannocchiale, dall’alto del campanile, nel primo capitolo, ci offre una descrizione di
Vetusta, dei diversi quartieri. Questa descrizione non è secondaria perché Fermin distingue i
diversi quartieri, le diverse zone sulla base del ceto sociale che vi abita e stabilisce i confini
del suo dominio. Lui controlla la parte più antica della città, dove abita la nobiltà; controlla
anche l’alta borghesia, molto ricca, che non è nobile che però aspira ad assumere i modi e i
comportamenti della nobiltà; chiarisce che ci sono delle zone, periferiche, in cui abita la
classe operaia, in cui il suo potere non arriva. Nel esercitare il suo controllo Fermin viene
descritto come un’aquila che guarda la sua preda.
Capitolo 4
“Se puso en pie...pasar sobre su frente”: questo passo è segnalato per il potenziale ironico. In
questo capitolo 4 Ana passa sotto la tutela del padre e ha accesso, anche se non a tutta, a
buona parte della sua biblioteca; quindi, inizia a curiosare tra i libri e resta particolarmente
colpita dalla poesia mistica, in particolare, la lettura di questa poesia mistica la spinge a
coltivare una sua già passione per la scrittura; quindi, anche lei inizia a scrivere alla maniera
di questi testi che leggeva. Un giorno mentre si allontana da casa, si trova in questa specie di
bosco, pensa di vivere un’esperienza mistica. Nel Vecchio Testamento, tutte le volte in cui si
deve manifestare Dio, si manifesta in varie occasioni attraverso il cespuglio che si muove,
prende fuoco e poi si sente la voce di Dio (per esempio, Dio parla così con Mosè); nel passo
del capitolo 4 assistiamo ad una sorta di climax, Ana si convince che sta per vivere una di
quelle esperienze mistiche che aveva letto nei libri, cresce la commozione, crescono le
lacrime, cresce questo sentimento di angoscia mentre declama questa poesia mistica che ha
scritto e nel frattempo vede che un cespuglio si muove. Ci sono gli elementi, c’è il cespuglio
ma anche il fuoco, perché Clarin dice LLamaba con palabras de fuego, quindi il fuoco non è
nel cespuglio ma nelle parole di Ana; vede la luce del sole, si sente accecata ma poi abbiamo
il crollo totale di questo crescendo perché si scopre che il cespuglio in realtà si stava
muovendo perché al suo interno c’era un povero uccello nascosto, più spaventato di Ana e
che ad un certo punto vola via smontando tutta questa idea dell’incontro con il divino. Questa
ironia è molto sottile, quindi non è la risata facile, grassa, della descrizione di una scenetta
comica. Questo è un esempio di quello che Galdós definisce ironia nel linguaggio, resa grazie
alla scelta attenta delle parole perché, se Clarin non avesse detto “parole di fuoco”, se non
avesse detto “cespuglio” ma “la chioma di un albero”, si sarebbe perso una parte importante,
la ricerca attenta degli elementi che ad una lettura e ad un lettore attento rivela l’ironia.
Questo passo ci permette anche di anticipare un aspetto fondamentale del personaggio di
Ana, un personaggio che non riesce a capire la realtà: tutte le volte in cui Ana è convinta di
una cosa, sbaglia (è convinta che sta per parlare con Dio ma di fatto non accadrà).
Capitolo 5
Es una estatua griega… > i personaggi sono ignoranti perché non sanno di cosa parlano,
pensano di poter descrivere la bellezza di Ana comparandola ad un oggetto d’arte, una statua
o un quadro, è come se non capissero la differenza, nessuno conosce quello di cui parlano.
La Marquesa de Vegallana dice che è una statua greca ma non ne ha mai visto una, pensa di
sapere cosa sia una statua greca in base a quello che un suo amante le ha detto di lei. Non
c’è nessuno problema con questo personaggio nel dichiarare la Venus del Nilo, che non
esiste. Utilizza il maschile es un Fidias perché aveva sentito che quando si parla di quadri si
usa il maschile, c’è un riferimento al quadro di Goya… il maschile non si usa per tutto, loro
non lo sanno ma lo dicono.
Nel capitolo 6, inoltre, inizia la descrizione dei uno dei luoghi fondamentali de La Regenta,
che è il circolo di Vetusta dove si riuniscono gli uomini e che rappresenta la controparte della
cattedrale: nella cattedrale vanno le donne e il potere è nelle mani di Fermin, il sacerdote; nel
circolo vanno gli uomini e il potere è nelle mani di Alvaro. In questo capitolo vengono descritti
gli uomini che vanno al circolo e le loro attività; per esempio, si fa riferimento a questo
personaggio che viaggiava e che sosteneva di leggere giornali inglesi ma in realtà si scopre
che non solo non sapeva nulla ma che addirittura leggeva i giornali al contrario. Scene di
questo tipo stanno a sottolineare l’ignoranza e la rozzezza di questi personaggi che invece
volevano apparire nobili, colti; torna questo problema dell’apparenza che abbiamo già visto
con Galdos e che rappresenta uno dei problemi della Spagna: il voler apparire ciò che non si
è, un aspetto centrale per gli scrittori spagnoli.
Per quanto riguarda i temi, innanzitutto abbiamo l’adulterio, tema centrale dell’opera,
accompagnato però da altri importanti temi, quale ad esempio è la noia: Clarin insiste molto
sul fatto che a Vetusta non succedeva niente, tutto si ripeteva sempre allo stesso modo, ogni
anno, in determinati periodi, tutti facevano sempre le stesse cose. Questa noia, che è
caratteristica quindi della provincia, porta Ana a cercare una via di fuga in queste due figure
maschili (Alvaro e Fermin); in particolare, nei capitoli 9 e 16 si nota che Ana associa a questi
due uomini un particolare movimento dell’anima: lei pensa che Fermin, attraverso la religione,
la virtù, possa elevarla al cielo, quindi un movimento che porta l’animo di Ana verso l’alto; al
contrario, associa ad Alvaro un movimento verso il basso, cioè un’attrazione che la porta
verso di lui; anche qui c’è una scena ironica perché, all’inizio del capitolo 16, Ana si sta
annoiando a casa, mentre tutti i Vetustensi fanno la solita passeggiata, lei è presa da tutti
questi pensieri angosciosi sulla sua vita, che non conosce amore, che non lo potrà mai
conoscere perché è sposata, non potrà mai fare nulla… ad un certo punto mentre lei è sul
balcone, fa irruzione nella piazza, su un cavallo bianco, Alvaro, i due iniziano a parlare e in
questa conversazione lei sente una pulsione a cadere, una pulsione verso il basso > il
concetto di cadere ci rimanda al cadere nel peccato. Quindi possiamo dire che Ana si muove
in questa doppia direzione, alto e basso, e affinché questi due poli restino fermi, lei riesce a
mantenere un equilibrio tra la virtù e il desiderio (nei confronti di Alvaro si parla
espressamente di desiderio carnale, è fisico).
Ad un certo punto succede che Fermin si innamora di Ana, ma non come Ana pensa, ovvero
come una sorella dell’anima, un amore puro e spirituale, ma si innamora di Ana di un amore
fisico. Fermin è tormentato da questo desiderio che lo porta anche a sperimentare il dramma
dell’impotenza legata alla tunica che indossa, tunica che diventa per lui come una prigione
che gli impedisce di realizzare ciò che vuole. Egli rivela ad Ana i suoi sentimenti e lei, ci dice
Clarin, prova orrore perché si sente tradita da quello che per lei era un fratello dell’anima e
quindi vede crollare questo polo che doveva spingerla verso l’alto. Quindi da una parte
abbiamo il crollo di Fermin. Ana inizia, a quel punto, ad elevare la figura di Alvaro, che però è
un Don Giovanni (nessuno penserebbe di nobilitare un personaggio cinico come lui); lei
pensa che Alvaro le sia stato sempre sincero, non le abbia mai detto altro se non quello che
prova e quindi comincia questo processo per cui su di Alvaro finisce sia il sentimento fisico,
sia il sentimento ideale.
Quindi, per Fermin aveva un amore ideale, non fisico, un amore puro, di animo, mentre su di
Alvaro era concentrato un desiderio di amore inteso come amore fisico e, nel momento in cui
Fermin rivela ad Ana che il suo non è un amore spirituale ma fisico, Ana sposta il desiderio
spirituale su Alvaro (che rappresenta l’amore fisico). Questo lo vediamo nel momento in cui
Ana cede all’adulterio (capitolo 28).
Lezione 6
Abbiamo visto che ci sono delle differenze tra le due parti dell’opera, in particolar modo
differenze dal punto di vista della narrazione. Nella prima parte la narrazione sarà molto più
lenta rispetto alla seconda parte. La narrazione serve a costruire i profili dei personaggi,
soprattutto per quanto riguarda i personaggi principali.
Nella seconda parte dell’opera si procede con l’intreccio, anche se l’adulterio vero e proprio si
consumerà solo nel capitolo 28. Tutta la parte che riguarda il duello, la morte di Victor e
l’isolamento di Ana succede in alcuni capitoli, anche perché il capitolo 29 è dedicato in larga
misura a Don Victor, marito di Ana, il quale ha tutto un suo pensiero, ha dei ragionamenti per
decidere se sfiderà o meno a duello Don Alvaro.
I capitoli dal 3 al 5, ci ricostruiscono la vita di Ana e le ragioni che determinano il suo
comportamento.
Ana è sicuramente la protagonista dell’opera, di cui abbiamo tutte le informazioni all’interno
del testo e per tutta la narrazione, Clarin farà in modo che il lettore possa seguire lo svolgersi
dei pensieri di Ana, attraverso l’uso del discorso indiretto libero.
Per quanto riguarda il personaggio di Alvaro, il Don Giovanni, ci viene presentato fin da subito,
e senza alcun dubbio, cinico, per nulla idealista, per nulla interessato alle questioni morali,
crede pochissimo nella virtù femminile e che prima o poi qualunque donna cede ai suoi
corteggiamenti, attraverso diverse maniere per convincerle. La passione, i sentimenti, tutto
queste cose ad Alvaro non interessa. Tutto questo è chiaro già dalla prima volta che ci viene
presentato nel romanzo.
Nel momento in cui ci viene delineato questo personaggio, un bel uomo, elegante, molto
attento alla moda, che spicca, rispetto agli altri abitanti di Vetusta, perché è l’unico che
rispetta la moda della città, la moda madrilena; è un personaggio che esercita un grosso
potere in città, questo perché è il presidente del circolo di Vetusta. Lui è stato amante di molte
donne in città e questo ci permette di capire anche l’atteggiamento di quest’ultimo nei
confronti di Ana, in quanto lei diventerà per lui una sfida. Ci viene chiarito nel testo che, sul
lungo termine, Alvaro ha un altro progetto. Il suo progetto non è a Vetusta, ma a Madrid e lui
sta cercando di intrattenere una relazione con la moglie di un uomo politico, di spicco, per
riuscire a fare carriera.
Alvaro, se consideriamo i quattro personaggi centrali del romanzo, è il personaggio che
conosciamo quasi esclusivamente da una prospettiva esterna. Non conosciamo nulla sul suo
passato sulla sua storia, sono pochissime le occasioni in cui noi conosciamo i suoi
ragionamenti.
Fermin, è un grande personaggio, molto più interessante si Ana. Come già detto è il
sacerdote della città, il più potente, il più prestigioso e fino all’incontro con Ana vive il suo
ruolo senza grossi tormenti. L’incontro con Ana cambia tutto perchè lei è diversa dalla altre
donne di Vetusta, in quanto mentre le altre donne sono molto legate alle tematiche terrene,
Ana, invece, nutre grandi aspirazioni, sente questo desiderio di elevarsi, sente moltissimo su
di se il problema dell’essere virtuosa come conseguenza del trauma infantile. Questo unito
alla bellezza del corpo. L’eccezionalità di Ana, fa si che Fermin, un poco alla volta, si innamori
di lei spostando il loro rapporto da un rapporto di fratellanza a un rapporto di amore.
Un capitolo molto importante è il capitolo 9. E’ diviso in due parti; la prima parte ci racconta
di cosa succede subito dopo la confessione generale di Ana, la quale non ci viene raccontata
nel testo, in quanto non esiste un capitolo in cui si fa riferimento a questa confessione. In
questo capitolo vediamo cosa succede subito dopo la confessione. Ana, accompagnata da
Petra, lascia la cattedrale e sente il bisogno di fare una passeggiata e arrivata ad una fonte, si
lascia andare al pensiero, ripensa alla confessione e il lettore ha dei rifermenti allo scambio
tra i due attraverso il ricordo di Ana e dalle interpretazioni che Ana fa delle parole del
sacerdote. Nelle sue prime impressioni, Ana individua in Fermin l’eterna salvezza, che le
consentirà di resistere alle tentazioni, di liberarsi dal peccato e di accedere alla salvezza.
Utilizzando la tecnica dello zoomorfismo, zoomorfizza Ana in una farfalla, per dare forma al
desiderio di fuga dalla realtà.
Nella seconda parte del capitolo, nel ritornare a casa, Ana e Petra, decidono di passare nella
zona nuova della città, il Gran Boulevard. Alcune cose sono interessanti nella seconda parte
di questo capitolo: la prima è che coloro che vivono in questa parte della città conoscono
Anae la riconoscono per la sua bellezza. Ana ad un certo punto vedrà una coppia di giovani
che litigano ed è evidente che litigano perché lui è geloso di qualcosa e Ana, vedendo questa
scena inizia a dare nomi a ciò che le manca. Mentre cammina in questo Boulevard, incontra
Alvaro, il quale si offre di riaccompagnarle a casa. Durante il loro incontro avviene una cosa
molto importante, per la prima e unica volta, in tutto il romanzo, Ana è colta da un dubbio,
perchè lei ha la certezza di piacere ad Alvaro e sa anche che il piacere è ricambiato; per un
malinteso, Ana sente di non interessare a Alvaro, e quindi tutto il suo progetto si frutto della
sua immaginazione. Questo per lei è inaccettabile, perché rappresenta il crollo di tutto il
sistema della sua vita. Comincia a pratirsi da questo capitolo, l’altro polo, basso, che diventa
un pozzo verso cui Ana si sente attrata , risucchiata tutte le volte in cui entra in scena Alvaro.
Dopo la versione di Ana della confessione, conosciamo parzialmente la versione di Fermin,
questo perché la narrazione si sposta su Fermin, su quella che è la sua giornata tipica a
Vetusta, lo seguiamo però anche nella sfera più intima, a casa dove conosciamo uno
spaccato della sua vita e di quella di sua madre e si chiariscono alcuni altri elementi. Prima di
tutto è chiaro che sua madre, Donna Paola, un personaggio interessantissimo, forte la quale
ha cresciuta da sola questo figlio e ha fatto di tutto per assicurare a se stessa, e al figlio, una
posizione, nono solo accettabile, ma anche di prestigio. A casa con Fermin e Donna Paola,
c’è una cameriera e si nota fin da subito il rapporto che c’è tra Fermin e la cameriera è
ambiguo. Scopriamo che tutte le cameriere vengono scelte dalla madre, la quale chiede loro il
massimo della riservatezza e la disponibilità a rispondere a qualunque tipo di richiesta da
parte di Fermin, in cambio, le cameriere, ottengono una posizione sociale migliore.
Nel capitolo 13, in cui si trovano tutti insieme per festeggiare Paco, un altro personaggio del
romanzo, sono tutti a casa per festeggiare, arriva anche Fermin. Questa scena è molto
importante perché per la prima volta, tutti e quattro i protagonisti sono tutti insieme. Il marito
di Ana, Vitcor, viene caratterizzato in maniera ridicola, resta in secondo piano rispetto agli altri
personaggi. Ana, per la prima volta, vede i suoi due uomini insieme e si lascia andare a un
confronto tra i due, un confronto fisico e morale.
Capitolo 16
Rappresenta il primo capitolo della seconda parte dell’opera ed è diviso in due parti: nella
prima parte troviamo Ana, da sola in casa, seduta sul balcone, che nel guardare Vetusta si
lascia andare a delle riflessioni sulla città, grigia, triste, dove gli abitanti si preoccupano solo
delle apparenze, dove Ana non riesce a sentirsi veramente viva. In questo momento appare
Alvaro, a cavallo.
Un altro passo un po’ diverso è alla fine del capitolo 16, capitolo molto importante: Ana è
andata a teatro e per andarci, il giorno dopo, annulla un appuntamento con Fermin. Il fatto di
essere andata a teatro rappresenta, dal punto di vista di Fermin, un problema perché le brave
donne non vanno a teatro, che è un luogo di perdizione. Ana decide di mentire a Fermin e
scrive un biglietto in cui dice che non sta bene e non riesce ad andare all’appuntamento e
chiede alla cameriera di consegnargli questo biglietto. Interessante il commento della
cameriera.
Iba camino de la casa… > abbiamo qui un’ironia quasi sacrilega, perché utilizza un passaggio
del Padre Nostro (Así en la tierra como en el cielo) per alludere a una situazione terrena
peccaminosa perché il cielo e la terra, secondo Petra, rimandano ai due amanti della padrona
(Ana) che sono Don Fermin (il cielo, santo) e Don Alvaro (la terra, diavolo). Questo è un altro
esempio di come funziona l’ironia;
È evidente dall’inizio anche che Alvaro non è minimamente interessato a livello sentimentale
ad Ana, da questo punto di vista è molto divertente la scena nel capitolo 16, in cui siamo a
teatro dove è rappresentato il Don Juan di Zorrilla, Alvaro va a sedersi accanto ad Ana che
appare, in questo capitolo, un po’ ridicola, perché non è mai stata a teatro e si commuove
davanti alla rappresentazione di Zorrilla. In più, Ana si riconosce nella vicenda, il narratore fa
in modo di rendere evidente che Ana assista alla rappresentazione come se stesse
assistendo alla messa in scena della propria vita, con il Don Juan che è Alvaro.
Il narratore gioca perché ci dice anche che l’attrice assomigliava ad Ana fisicamente, che tutto
il teatro si rese conto di questa cosa… quindi l’identificazione passa sia attraverso la
rappresentazione fisica del personaggio, che attraverso la vicenda. Ana si commuove, quindi,
davanti a questa scena e, quando Alvaro arriva e si siede accanto a lei, la vede agitata, quasi
in lacrime, affanna, Alvaro è convinto che quella commozione sia legata all’emozione di Ana
ad avere lui così vicino e così prova a toccarle il piede ma il narratore ci dice che non ci riesce
tra tutte le gonne.
Nel frattempo, Ana sta leggendo tutta la vicenda in termini di passione mistica e di desiderio.
Il lettore conclude che Alvaro non è riuscito a toccarle il piede altrimenti ci sarebbe stato il
crollo di tutta la vicenda.
Capitolo 28
Capitolo in cui anche Alvaro confessa ad Ana i suoi sentimenti e lei, per descrivere come si
sentiva, riporta l’espressione caer al cielo (pagina 573), cioè un cadere verso il cielo, che è un
ossimoro (due concetti che sono in contrasto tra loro), è una contraddizione in termini, non si
può cadere verso il cielo. In questa espressione lei fonde linguisticamente, quindi sul piano
del pensiero dell’espressione, questi due movimenti, alla caduta di Alvaro ha affidato la
dimensione spirituale del cielo. Anche qui il lettore, in momento che dovrebbe essere quasi
drammatico, ride perché sa bene che quello che sta facendo Ana è sbagliato, nessuno
rivestirebbe un cinico come Alvaro di nessuna sfera ideale. Tra l’altro, la prima volta in cui
Alvaro ci viene descritto, il narratore ci dice che è un cinico e che si trovava a Vetusta per un
progetto molto chiaro, ovvero quello di sedurre la donna di un importante politico di Madrid
per poter fare carriera, però essendo una donna di Madrid, essendo la donna di un uomo
importante, era difficile da sedurre e quindi il progetto richiedeva tempo, quindi nel frattempo
poteva dedicarsi ad altri piaceri, il che significa che già dalla prima apparizione di Alvaro il
lettore sa bene che non c’è nessun amore vero nei confronti di Ana, non c’è nessuna
autenticità, è tutto parte di un progetto preciso e della volontà di conquistare ciò che viene
definito come non conquistabile, perché Ana è la donna più virtuosa di Vetusta, quindi deve
riuscire in questo, è una sfida.
C’è da chiarire un’altra questione: Ana viene percepita come diversa o estranea rispetto alle
donne di Vetusta perché è l’unica che non si è macchiata di adulterio; infatti, leggendo il testo
si vedrà che tutte le donne a Vetusta diventano complici di Alvaro perché tutti vogliono vedere
Ana cadere nel peccato. Il dramma esplode perché una volta che Ana diventa l’amante di
Alvaro, la cameriera Petra, che in realtà muove le fila di tutti i personaggi, non va da Victor, il
marito di Ana, a rivelare l’accaduto, ma va da Fermin per dirgli che Ana ha una relazione con
Alvaro; Fermin si arrabbia ma non può fare niente perché non è il marito, così si organizza
con Petra in modo tale che Victor scopra tutto. A quel punto c’è la sfida a duello tra il marito di
Ana, Victor, e Alvaro, in cui succede l’impensabile perché sappiamo che Victor era un abile
tiratore con la pistola, era un cacciatore e sappiamo che Alvaro era abbastanza impacciato
nell’uso delle armi, non le aveva mai usate, eppure durante il duello Alvaro uccide Victor.
Dopodiché Alvaro torna a Madrid, Ana resta sola e viene emarginata da tutta la società. Nel
momento in cui è diventata come tutte le altre, dovrebbe essersi integrata nella società, ma il
problema torna ad essere il discorso delle apparenze: la condanna di Ana non è per
l’adulterio in sé, ma viene condannata per lo scandalo pubblico, tutte le donne di Vetusta
sono adultere e tradiscono i mariti ma non si sa, la loro apparenza è salva; con il suo
comportamento, Ana, mette in pericolo l’ordine sociale di Vetusta. Tra l’altro nel momento
stesso in cui Ana viene emarginata e tutti decidono di rompere i rapporti con lei, viene rotto
quel patto fatto all’inizio, per cui improvvisamente il passato di Ana torna e le persone
cominciano a dire. In fondo cosa ci aspettavamo dalla figlia di una ballerina (la madre, nel
frattempo, era diventata una ballerina, che è un’allusione più o meno esplicita per l’epoca alle
prostitute).
La prospettiva della provincia è importante perché Clarin sostiene che solo da questa
prospettiva una vicenda come quella di Ana può essere interessante. La vicenda di Ana in
fondo è di una banalità evidente, qualunque lettore si rende conto dall’inizio che è tutto
sbagliato, che tutto il dramma di Ana non esiste, è un dramma che lei fonda su degli errori di
interpretazione: interpreta male i comportamenti dei due uomini e non si rende conto che tutte
le attenzioni di Fermin vanno oltre il ruolo di guida spirituale, Fermin non vuole vederla più
solo in chiesa per la confessione, ma anche a casa di un’altra persona; è evidente, tutta
Vetusta si rende conto che c’è qualcosa di strano nel rapporto di Fermin con questa donna,
eppure Ana non è minimamente sfiorata da questo pensiero, anzi, si compiace che un uomo
così colto e affascinante dedichi a lei queste attenzioni.
Un romanzo realista-naturalista come questo è ambientato in un luogo che non esiste ma in
realtà non è così, è come se avesse usato un soprannome, uno pseudonimo per parlare di
Oviedo.
Lezione 7
Clarin oltre a scrivere la Regenta, che oltre ad essere uno dei più importanti di Clarin è anche
uno dei romanzi più imporanti della letteratura spagnola. Scrive, nel 1891, un secondo
romanzo intitolato “Su unico Hijo”. Si tratta di un romanzo meno noto rispetto alla regenta.
Si tratta di un romanzo che condivide alcuni aspetti con La Regenta, ma che è diverso da
questa perché risponde già ad un certo cambiamento all’interno dell’estetica del romanzo: se
La Regenta rientra in quello che abbiamo definito realismo-naturalismo, Su Único Hijo
mantiene sicuramente alcuni aspetti che ci permettono di caratterizzarlo come un romanzo
realista, ma al tempo stesso mostra chiaramente anche un’attenzione maggiore per la sfera
psicologica. Come con La Regenta, anche qui ci troviamo in una capitale di provincia, meno
importante di Vetusta, e che, a differenza di questa, non ha un nome (primo elemento di
rottura con il realismo). Il protagonista, Bonifacio Reyes, è quello che definiamo un inetto, una
caratteristica che ci conduce al romanzo così come si caratterizzerà nei decenni successivi; è
sposato con una donna, Emma, ma il loro matrimonio è poco felice. Bonifacio è identificato
come un personaggio ridicolo, debole e a mettere in moto la vicenda è l’arrivo in città di una
compagnia teatrale; a partire da questo momento cominciano, entrambi, ad avere delle
relazioni con due componenti di questa compagnia. Ad un certo punto del romanzo l’uomo
inizia a sentire il desiderio di un cambiamento, soprattutto la volontà di impegnarsi in
qualcosa, identificarsi in qualcosa, un qualcosa che ben presto si identifica con il desiderio di
paternità, vuole trovare forza in un figlio; nel frattempo la compagnia parte, entrambe le
relazioni con i membri di questa compagnia finiscono e viene fuori che Emma è incinta.
Bonifacio, per i motivi appena spiegati, è chiaramente felice, si sene determinato, ma la ex
amante torna con l’obiettivo di ricominciare la relazione con Bonifacio, il quale si rifiuta perché
ciò che gli interessa in questo momento è solo il bambino. La donna, così, comincia ad
insinuare quello che anche il lettore inizia a pensare, ossia che il figlio in cui lui tanto proietta
la sua identità non sia figlio suo. Il romanzo termina, però, con la conferma della sua paternità,
il bambino è suo figlio, il suo unico figlio (da qui il titolo del romanzo stesso). Tutte le
caratterizzazioni dello spazio e della società che abbiamo ne La Regenta, qui vengono meno
perché ci si concentra maggiormente sulla vita interiore dei personaggi, in particolare su
quello maschile, come se nel passaggio da un romanzo all’altro Clarín avesse intuito che il
nuovo interesse del romanzo andava trovato non nei rappresentanti della classe sociale, ma
nei singoli individui e nel loro aspetto psicologico. È chiaro che questo romanzo può essere
considerato come una di quelle opere al confine tra realismo-naturalismo e il modernismo,
perché, come già sappiamo, non dobbiamo immaginare che accada tutto in maniera netta.
ModernisMo e GenerAzione deL ‘98
Ci troviamo con Clarín ad affrontare questo periodo storico-letterario che è il passaggio
dall’800 al 900, passaggio caratterizzato da una crisi di fine secolo che è generale; in Spagna
questa crisi si carica di qualche elemento di novità a causa di alcuni eventi politici e militari
che determinano inevitabilmente una rottura e un cambiamento nell’idea stessa di Spagna, e
nella maniera in cui doveva essere intesa la letteratura, l’arte e il pensiero in generale.
Questo grosso evento che segna la Spagna è il disastro del 1898, anno in cui, dopo
l’umiliazione ricevuta dagli Stati Uniti, la Spagna perde Cuba, Portorico e Filippine (le sue
ultime colonie) e questo segna, per la prima volta dopo secoli, la fine del dominio coloniale
spagnolo.
Tutto ciò porta ad una questione fondamentale: l’identità della Spagna andava ridefinita, non
più in termini di “Spagna e i suoi domini” ma in termini di “Spagna nei limiti dei suoi confini”,
cosa non insignificante, per diverse ragioni:
- il problema principale era partito da Cuba, il processo di indipendenza di Cuba comincia dal
1868, quando dopo una serie di moti di indipendenza essa aveva ottenuto già una serie di
vantaggi e privilegi; Cuba per gli spagnoli è territorio spagnolo, non è un possedimento “altro”;
- la perdita di Cuba significava la perdita di schiavi, schiavi lavoravano per gli spagnoli e tutto
ciò ha, quindi, delle ripercussioni sociali, politiche, ed economiche enormi.
Come reagiscono gli spagnoli a questa perdita? Di base, non reagiscono e questo è l’altro
grande problema: non vi sono troppe proteste o manifestazioni, è come se la notizia li avesse
travolti lasciandoli in uno strano stato di torpore; nemmeno gli intellettuali, se non in rari casi,
hanno preso posizioni chiare (Clarín fu uno dei pochi a difendere le posizioni di Cuba).
Trovandoci in questo periodo di crisi di fine secolo, che è una crisi generale, l’individuo
spagnolo si trova da una parte a dover identificare sé stesso come individuo (in linea con ciò
che accadeva in tutta Europa) e da un’altra a dover identificare sé stesso come spagnolo,
quindi molto spesso nei romanzi (soprattutto del primo decennio del 900) tutta la ricerca
dell’io protagonista fa da specchio alla ricerca di determinazione di un’identità nazionale.
La questione dell'identità nazionale caratterizza l'opera di figure come Ramiro de Maetzu y
Whitney, giornalista combattivo, inizialmente fautore di un'apertura europea, rappresentata
nella sua opera Hacia Otra España; le idee presentate in quest'opera vengono
successivamente rinnegate dalla prospettiva di un cattolicesimo integralista presentato in La
Crisis del Humanismo, in cui rinnega del tutto le idee presentate nell'opera precedente,
condannando addirittura il pensiero moderno rappresentato dalle ideologie penetrate in
Spagna dall'estero, in particolar modo l'illuminismo e il liberalismo, andando ad esaltare la
tradizione cattolica che è alla base della cultura ispanica.
In questo momento si inizia a parlare, in senso ampio, di Generazione del ’98 o
Generazione del Disastro o, ancora, Generazione di Fine Secolo, definizione più generica
e che permette di accomunare in modo chiaro il discorso spagnolo a quello europeo; in
Spagna decidono di tenere insieme un concetto biologico, che è quello della fascia d’età in
cui sono nati degli stessi individui, con un concetto simbolico e ideologico, che è quello della
fascia cronologica a cui ci stiamo riferendo: per “generazione del ‘98” non ci stiamo riferendo
ad una generazione di artisti nati tutti in questa fascia cronologica, ma ad un insieme di artisti
(quindi non solo scrittori) che nelle loro opere cercano di trovare una risposta a questa crisi
legata a questo evento, che è quello avvenuto nel ’98, quindi è così chiamata in riferimento
ad un evento avvenuto in questa data.
Il nome della Generazione del ’98 fu scelto e presentato da Azorín (il cui vero nome era José
Augusto Trinidad Martínez Ruiz), uno dei maggiori esponenti della Generazione del ’98, in un
a serie di 4 articoli, in cui cercava di dare delle linee su quali potessero essere le questioni e i
temi affrontati da questi scrittori e spiegare chi fossero questi artisti che appartenevano a
questa generazione.
Di questo movimento non esiste un manifesto, né un gruppo (che aveva invece la
Generazione del ’27, i quali erano un gruppo di amici che condivisero per un periodo più o
meno lungo uno stile di vita). In questi articoli, quando fa riferimento agli autori di questa
generazione, mette in ogni articolo autori diversi, anche autori che non hanno a che vedere
con la Generazione del ’98, molti dei quali, infatti, in diversi interventi pubblici, rifiuteranno di
far parte di questo movimento, così come di qualsiasi altro gruppo. Di base, possiamo dire
che nella Generazione del ’98 possiamo inserire (per una parte della loro produzione almeno)
autori come Pio Baroja, Miguel de Unamuno, Azorín e, ancora, Antonio Machado più tardi (in
particolare con la raccolta Campos de Castilla, capolavoro, secondo alcuni, della poesia
spagnola, che si colloca all’interno delle questioni della Generazione del ’98).
Come viene affrontato da questi artisti il problema dell’identità nazionale? Ci sono una
serie di sottotemi importanti, di cui uno tra i più importanti è sicuramente il paesaggio: gli
artisti si concentrano molto sulla descrizione del paesaggio anche con una chiave fortemente
simbolica, con l’obiettivo di cogliere l’identità spagnola attraverso gli elementi costitutivi del
paesaggio; questo porterà alla nascita di alcune opere dedicate esclusivamente ad esso, per
esempio Unamuno scriverà una serie di articoli/racconti in cui non c’è una vicenda, il centro di
tutto sono i paesaggi (raccolta chiamata Paesajes). C’è una forte attenzione al cromatismo,
in particolar modo emerge la centralità del giallo (uno degli elementi caratterizzanti della
Castilla) e questo ci porta ad un altro sottotema: questi artisti, nella difficoltà di non sapere più
chi sono nel presente, cominciano a chiedersi quale sia il momento ed il luogo in cui la
Spagna ha raggiunto il massimo della sua manifestazione sotto tutti i punti di vista;
inevitabilmente la risposta la troviamo nei Secoli d’Oro (500 e 600) e, in particolare, nella
Castilla, luogo in cui trovare gli elementi caratterizzanti dell’identità spagnola. Dunque, la
descrizione dei paesaggi, in particolare quelli della Castilla, assume un valore molto forte,
spesso si faranno confronti tra presente e passato, per cui al presente di degrado, debolezza
e sconfitta viene contrapposto il passato glorioso; anche il giallo, da questo punto di vista, può
essere interpretato come elemento particolarmente importante perché viene ad essere la
degradazione dell’oro che, caratteristica dei Secoli d’Oro, lascia spazio al semplice giallo.
Dunque, quello della Generazione del ’98 non è un atteggiamento di fuga dalla realtà, ma un
modo diverso di reagire a questo, ossia quello di dare risposte cercando nel passato.
Nel caso di Antonio Machado, è la seconda parte della sua produzione a farlo appartenere
alla Generazione del ’98. Spesso, la Generazione del ’98 e il Modernismo vengono
considerati come cose distinte, ma non è così, la produzione degli artisti può in certi momenti
aderire ad alcune questioni e in altri momenti ad altre, ed è esattamente quanto accade con
Antonio Machado, il quale inizialmente aderisce al Modernismo. Questi due movimenti vanno
considerati come due risposte ad uno stesso problema, alla stessa crisi: quella del
Modernismo è una risposta completamente diversa, che si fonda maggiormente sul desiderio
di prendere la distanza dalla realtà, una risposta di evasione;
- quella della Generazione del ’98 è una risposta che non corrisponde ad una fuga dalla realtà,
ma ad un cercare di dare risposte a questa.
In Spagna vi è un grosso problema legato alla terminologia del Modernismo:
- in Spagna il termine Modernismo circola a proposito di questioni letterarie già a metà degli
anni ’80 dell’800, con allusione, però, alla poesia e non al romanzo, in particolare ad una
poesia nuova che rompeva con la tradizione romantica (quella di Espronceda per intenderci),
giunta in Spagna grazie ad un personaggio, quello di Rubén Darío, che con questa sua
poesia nuova conquista soprattutto i giovani poeti spagnoli, tra cui Antonio e Miguel Machado
o anche Juan Ramón Jiménez; la poesia in questione è di fatto una poesia molto simile a
quello che in Francia era il Simbolismo (il Simbolismo è esattamente la poesia modernista in
Sagna). Tra l’altro, in risposta a questo nuovo tipo di poesia, si scatenarono grosse polemiche
perché il forte successo della poesia di Rubén Darío portò alla nascita di giovani imitatori, che
non avevano talento e che scrivevano poesie alla sua maniera, quindi un po' oscure, con
attenzione al ritmo, con l’inserimento di elementi mitologici, ecc.; quindi fino agli anni ’10 del
900 abbiamo il Modernismo e le critiche al Modernismo, mosse però contro questo tipo di
artisti. In Spagna non è chiamato simbolismo perché era una cosa “moderna”;
- il problema nasce quando comincia ad arrivare in spagna il Modernismo inteso in senso
anglosassone, quindi in riferimento a tutto un altro concetto.
Uno dei principali responsabili di questa confusione terminologica è stato Jiménez, il quale
ebbe una vita ed una produzione lunghissime, egli terrà un corso sul Modernismo,
intendendolo come una fase della letteratura, cosa che complica tantissimo il dialogo con le
altre letterature che intendono questo termine in senso molto più specifico.
Parliamo ora del Modernismo come prosa, quindi con riferimento al romanzo che rompe con
la tradizione precedente, in particolare con il modello realista-naturalista. Parliamo di romanzo
modernista a partire dal 1902, anno che segna una rottura; la definizione si deve ad uno degli
studiosi più importanti dell’800 e 900 spagnolo, José Carlos Mariner, il quale, in uno studio
chiamato La Edad de Plata, fa riferimento a questa ricca fase della letteratura spagnola che
corrisponde all’incirca ai primi 30 anni del 900. Si parte dal 1902 perché, per una pura
casualità, nel 1902 quattro autori pubblicano quattro romanzi che rompono completamente
con la tradizione precedenti, quindi che non hanno precedenti:
- Miguel de Unamuno con Amor y Pedagogía,
- Pio Baroja con Camino de Perfección,
- Azorín con La Voluntad,
- Ramón María del Valle-Inclán con il primo dei quattro romanzi che formano le Sonatas
(ognuna dedicata ad una stagione), ossia la Sonata de Otoño.
Questi romanzi non rientrano nel romanzo così come lo conosciamo, ciò significa che non
ebbero grande successo, il pubblico infatti ne rimase un po' spiazzato.
- Soffermiamoci su Unamuno, il suo romanzo ha come protagonista un uomo che ha una
grande fede nella scienza e nel metodo scientifico (uno degli elementi che Unamuno critica è
quindi la fede cieca nella scienza), personaggio che, con interesse anche nella sociologia,
decide che applicando il metodo scientifico è possibile creare un individuo geniale che andrà
a migliorare la società in cui vivrà; quindi, decide di applicare alla sociologia e alla pedagogia
un metodo assolutamente scientifico. Per fare ciò serve, innanzitutto, un bambino, quindi una
madre che abbia determinate idee intellettuali, cosicché possa nascerne un bambino già
predisposto a determinate idee; sceglie la donna, scrive un trattato scientifico per dichiararle il
suo amore e chiederle di sposarlo, arriva a casa sua e, insieme a questa donna, c’è una sua
amica, la quale genere in lui un forte desiderio che lo porta a cambiare donna, a scegliere lei
invece della donna iniziale. La donna che lui sceglie, però, non crede nella scienza, al
contrario, crede fermamente nella religione e nell’amore. Inizia così questa storia grottesca,
comica e tragica della nascita di questo bambino (nascita accompagnata da un episodio
durante il quale la madre, durante il parto, addirittura ingoierà dei pezzettini di preghiera,
quindi andando ancora più contro gli obbiettivi del nostro protagonista), il quale, nato in
questa situazione disastrata, è un bambino inadatto che, alla fine dell’opera, non riuscendo
ad adattarsi al mondo, si suiciderà. L’opera non è collocata in un luogo né in un periodo e non
vi è alcun tipo di descrizione; fu un grande fiasco, tanto che, secondo alcuni, Unamuno in
realtà aveva già scritto Niebla, ma l’aveva tenuta nascosta per paura dell’insuccesso.
Gli altri due romanzi, di Baroja e Azorín, sono i due romanzi che hanno più somiglianze tra
loro perché di fatto, almeno in certi capitoli, attingono ad una stessa esperienza. I due erano,
infatti, molto amici, fecero un viaggio insieme a Toledo dove videro una serie di cose, quadri,
artisti ed in entrambi i romanzi gli scrittori rielaborano quella esperienza. Anche qui i due
protagonisti sono inetti, privi di volontà (il protagonista di Baroja abbandona qualsiasi tipo di
progetto o corso di studi per muoversi, in questa passeggiata, fuori città dove si rapporterà
con il mondo), entrambi destinati al fallimento, un fallimento che si manifesta attraverso il
matrimonio: entrambi sposeranno delle donne che assegneranno loro un ruolo ed una identità,
ma in maniera falsa perché non diventeranno mai personaggi determinati. Per esempio, nella
conclusione de Camino de Perfección abbiamo una scena simile a quella che troviamo in
Unamuno, qui il protagonista si sposa, ha un bambino e fa un discorso riguardo questo,
sostenendo che lui sarà diverso da, non sarà vittima della religione, sarà libero di essere
quello che è, l’idea che lui percorre è quella del superuomo; tuttavia, nel piccolo paragrafo
che segue, il narratore spiega che, mentre lui pronuncia queste parole, la nonna del bambino
lo fascia e nelle fasce inserisce una preghiera, ciò significa che non si può essere
completamente liberi dalle condizioni sociali, tradizionali in cui si nasce. Il romanzo di Azorín,
oltre a condividere le stesse caratteristiche con quello di Baroja, ne ha una particolare che
rompe con il romanzo realista: finita la storia il libro continua, si trovano infatti tre lettere che
l’autore del romanzo invia a Pio Baroja, la prima inizia con una dichiarazione dell’autore che,
trovandosi da quelle parte, avrebbe voluto far visita al loro caro amico Azorín (che sappiamo
essere però uno pseudonimo), quindi la questione è: è una storia vera? Il punto è che si sta
iniziando a rompere la distinzione tra piano della realtà e piano della finzione, quindi l’autore,
in questo modo, non vuole dire al lettore che la storia è vera, ma vuole generare confusione
tra i due piani. Queste lettere ci dicono di quanto sia sbiadita e vuota la vita matrimoniale di
questo loro amico, protagonista di questo romanzo, che fino alla fine resta privo di volontà.
Sono personaggi perfettamente in linea con quello che sappiamo del romanzo del primo 900.
- Il romanzo di Valle-Inclàn è quello che, in apparenza, resta fedele al naturalismo-realismo,
la sua novità sta infatti nello stile: la sua scrittura è molto poetica, ricca di immagini in cui si
gioca con la sovrapposizione tra le diverse percezioni sensoriali e in cui la prospettiva del
testo è autobiografica. Abbiamo un uomo anziano, un vecchio Don Giovanni, che ripercorre
attraverso questi quattro romanzi quattro fasi della sua vita e quattro storie d’amore; questo
vecchio Don Giovanni è il Marchese Bradomìn, che diventa nel 900 uno dei personaggi più
famosi, tant’è che, in Retrato di Machado, per esprimere la frase “non è stato un Don
Giovanni né da giovane e né da vecchio” viene usato il nome “Marchese di Bradomìn” in
riferimento al Don Giovanni vecchio.
Il 900
L'Antico Regime può dirsi finito nel 1923 circa, anno del golpe da parte del generale Miguel
Primo de Rivera. La capacità dei governi di affrontare i problemi crescenti diventa sempre
minore e l'unità nazionale lasciata da movimenti separatisti. La Spagna riesce a tenersi fuori
dalla Prima guerra mondiale e questo le permette di sfruttare questa sua neutralità negli
scambi commerciali, andando a rafforzare la propria economia, dalla quale, però, a trarre
beneficio è solo una piccola minoranza. Primo de Rivera instaura una dittatura inizialmente
tollerata, tant'è che inizialmente veniva considerato come il “buon tiranno”, cosa che però non
dimostro di essere. Il 14 Aprile 1931 viene proclamata la repubblica, la quale, però, conosce
la sua ultima fase nella primavera del 1936, quando inizia la guerra civile spagnola, una
guerra sanguinosa durata quasi tre anni e dopo la quale comincia la dittatura del trionfatore
della guerra: il generale Francisco Franco. La dittatura di Franco durò quasi 39 anni, periodo
durante il quale il generale attuò una serie di riforme volte ad un ritorno all'ordine, come ad
esempio la riunificazione tra Stato e Chiesa; inoltre, evitò alla Spagna di prendere parte
anche alla Seconda guerra mondiale. Con la morte di Franco viene ripristinata la monarchia e
il primo esponente di questa, Juan Carlos di Borbone, nomina un governo di transizione,
durante il quale attua una serie di riforme necessarie per il ritorno alla democrazia. Nel 1978
viene approvata la costituzione liberale.
Unamuno è uno degli intellettuali spagnoli più conosciuti ed influenti
a livello europeo, particolarmente importante soprattutto come intellettuale, figura pubblica di
riferimento, e non solo perché la sua attività è vastissima e riguarda tutti i generi possibili
(scrive poesie, teatro, saggi, come quello di Don Chisciotte, sbagliato perché identifica il
protagonista con Cristo, ma tra i più influenti); inoltre scrive tantissimo su giornali, riviste, non
esiste una questione culturale o politica della Spagna che lui non ha affrontato. È basco ma
vive la maggior parte della sua vita a Salamanca, dove vince la cattedra di lingua e letteratura
greca; conosceva molto bene le lingue e ciò significa che leggeva le opere in lingua originale
senza avere bisogno di aspettare le traduzioni; aveva una grande cultura ed una grande
conoscenza, ogni suo intervento era sempre ben informato e studiato. Divenne direttore
dell’Università di Salamanca e non aveva paura di scontrarsi con le autorità, di dire la propria
opinione; tuttavia, questo aspetto lo portò nel ’23 e ’24 all’esilio, perché prese posizione
contro Miguel Primo de Rivera; venne confinato a Fuerteventura, da dove fuggì e arrivò a
Parigi, dove restò per qualche anno, senza tornare perché Primo de Rivera voleva farlo
tornare ma non come rettore.
Importante il rapporto con il Franchismo , inizialmente sembrò aderire a quest’ultimo, non
aveva ben capito Franco a cosa volesse arrivare, fino a quando le mogli di diversi personaggi
esiliati e condannati cominciarono a scrivergli per chiedere interventi pubblici in loro difesa, a
questo punto scrisse e presentò un discorso durante l’inaugurazione dell’anno accademico
dell’Università di Salamanca, dove presenziava anche il generale José Millán-Astray, un
discorso in cui attacca il regime di Franco con il famoso discorso Vincerete ma non
Convincerete.
Amor y Pedagogia è un romanzo molto diverso da quelli che i lettori dell’epoca erano
abituati a leggere, dove non si capisce bene quale sia la storia, succedono cose strane, non
c’è un’ambientazione specifica, e l’insuccesso di questo romanzo è dovuto proprio a queste
caratteristiche. Infatti, Unamuno ritardò la pubblicazione di Niebla che risulta già compiuta nel
1907, quindi 7 anni prima della pubblicazione ufficiale (nel 1914), temendo che il pubblico non
fosse pronto ad un testo simile.
Paz en la Guerra
Prima del 1902 Unamuno, ha scritto anche altre cose e negli anni possiamo cogliere il
passaggio dal romanzo di impostazione storico-realista alla nuova forma modernista, perché
nel 1897 Unamuno esordisce nel mondo delle lettere con un romanzo che si intitola Paz en la
guerra, titolo che rimanda a Guerra e pace di Tolstoj, cosa esplicitamente affermata da
Unamuno (è un omaggio). Paz en la Guerra è un romanzo che parla della comunità di Bilbao
durante le guerre carliste, Unamuno ha nella testa gli Episodios Nacionales di Galdos, il
romanzo storico contemporaneo. Le guerre carliste si svolgono nell’800 e Unamuno stesso,
da bambino, si trova a Bilbao durante alcuni attacchi; quindi, si tratta di raccontare la storia
contemporanea e lo fa adottando la prospettiva intra-istorica. Unamuno non definisce mai
chiaramente che cos’è per lui la storia ma ricorre a delle immagini per spiegarla e la più
efficace è quella che riguarda il mare: in inverno, con il freddo, la superficie dell’acqua si
ghiaccia e resta immobilizzata e questa superficie immobile rappresenta per lui la storia come
ci viene raccontata negli annali; quindi, è la storia dove i fatti e gli eventi sono cristallizzati.
Però la storia ufficiale, dei grandi personaggi, delle grandi battaglie, la storia che tutti noi
studiamo, si regge su una massa sottostante, che è ancora liquida (sotto il ghiaccio c’è
acqua), che per Unamuno è una massa oscura, perché la luce non riesce ad entrare, mentre
tutti vedono la superficie la massa resta oscura, eppure è proprio questa massa che sostiene
la storia. La massa è composta dalla vita delle persone comuni che ogni giorno vivono la loro
esistenza mentre si svolgono tutti questi eventi. In Paz en la Guerra il centro della narrazione
sarà la vita di questa comunità di Bilbao, le varie famiglie, e come questa vita sia stravolta e
modificata dagli eventi bellici. È un romanzo di tipo tradizionale, se per tradizionale facciamo
riferimento al realismo e al naturalismo.
Nel 1897 siamo vicini alla crisi del secolo che Unamuno vive in pieno con tutte le sue
complicazioni. Insieme alla crisi europea e in particolare a quella spagnola, Unamuno vive
una crisi personale proprio negli anni di passaggio dall’800 al 900. La ragione della crisi è che
il più piccolo dei suoi figli nasce con una malattia, è idrocefalo, e morirà dopo pochi anni, la
morte del figlio per lui è traumatica e diventa il punto di partenza di una riflessione
lunghissima che lo porterà alla perdita della fede. Questa crisi determina una trasformazione
netta anche nella sua attività di scrittore, significa che dall’inizio del secolo la scrittura cambia
in maniera radicale, Unamuno addirittura elabora, in una serie di articoli, un sistema di
catalogazione di scrittori e romanzi utilizzando dei termini biologici. Secondo lui opere e autori
si dividono in ovipari e vivipari: gli autori ovipari (deporre uova) sono quegli scrittori che
nell’ideazione del loro progetto depongono una serie di uova e l’opera finale sarà il risultato
dell’insieme di queste uova> questo tipo di scrittura lui lo associa al suo romanzo Paz en la
Guerra, a tutti i lavori di studio, ricerca, pubblicazioni fatte su giornali; gli autori vivipari
(mammiferi) partoriscono l’opera tutta intera, così com’è, lo scrittore compone l’opera di getto,
inizia a scrivere e finisce quando l’opera è finita, addirittura Unamuno fa riferimento ad una
scrittura che è senza un progetto definito e uno di questi articoli, in cui Unamuno fa questa
distinzione, che si intitola A lo que salga fa riferimento proprio al tipo di scrittura degli autori
vivipari, lo scrittore ancora non sa cosa succederà, lo vedrà scrivendo. A partire da Amor y
Pedagogia Unamuno stesso diventerà uno scrittore viviparo, che concepisce le opere nella
maniera nuova, usa una scrittura veloce, di getto. Quindi utilizza un diverso modo di
rapportarsi alla creazione letteraria, non infondata su quella ricerca storico-sociale,
fondamentale nel romanzo realista e naturalista, ma su una scrittura più di getto.
Lezione 8
Amor y Pedagogia
Si tratta di un romanzo in cui Unamuno utilizza uno stile completemente ironico per
raccontare quella che a tutti gli effetti, finisce per essere una tragedia. Il risultato è che questo
testo diventa un testo tragicomico. L’ironia è in molti casi corrosiva e riguarda sia la
costruzione di alcune scene, sia la costruzione dei peronsaggi e soprattutto la critica a una
serie di credenze, che sono religiose, ma anche scientifiche. Unamuno in questo romanzo
critica gli eccesi della fede, intesa come fede religiosa, ma anche fede nella sceinza.
Unamuno sostituisce, in questo romanzo, il paragrafo lungo composto da lunghi periodi
sintatticamente legati tra loro con una frase breve, dialogata; le tecniche narrative principali
sono il dialogo ed il monologo, i quali trasmettono solo una parte del testo del romanzo, a
discapito di una visione panoramica; la contestualizzazione del romanzo di Unamuno ha una
densità più leggera, che parte dall’individuo… insomma, il romanzo di Unamuno rappresenta
una singolarità, è schematico e funzionale, termini che potrebbero portarci a pensare ad un
certo geometrismo, tuttavia non si tratta di una semplice operazione matematica: lo
schematismo del romanzo del XIX secolo ci permette di prevedere i risultati di determinate
azioni, mentre con Unamuno parliamo di un aspetto profondo del geometrismo, infatti non
solo i punti fissi attraverso i quali leggiamo il romanzo risultano più evanescenti, ordinati
dall’interno, ma tra l’altro si relazionano tra loro in modo nuovo e diverso. I personaggi di
Unamuno hanno una gamma di tratti della loro personalità estremamente ampia, si muovono
in un universo personale che è diverso ed è più complesso rispetto a quello tradizionale che
si muove tra i singoli poli della verità e della menzogna; di fatto, secondo Unamuno, il
personaggio proietta almeno 4 modi di essere: ciò che crede di essere, ciò che è per Dio, ciò
che appare davanti a chi lo conosce e ciò che desidera essere.
In Amor y Pedagogia prescindiamo da tempo cronologico e spazio concreto, i personaggi
nascono in media res, il romanzo comincia senza preamboli, quindi senza il contesto storico,
cosa che, chiaramente, sovraccarica il presente testuale, obbliga a caratterizzare lo sfondo
del personaggio attraverso il dialogo e forme analoghe ad esso; altra caratteristica, inoltre, è
che Unamuno si concentrare sullo scavo nell’esistenza umana attraverso la parola e non il
contrario.
Come fa Unamuno, con questo romanzo, a portare avanti la critica? Lo fa attraverso la
storia di un matrimonio e la progettazione di un figlio. Tutto parte da questo personaggio,
Avito Carrascal. È un uomo dalle forti convizioni scientifche, crede nel progresso e elabora un
progetto, ovvero vuole applicare il metodo della scienza alla sociologia e creare un genio che
possa poi, durante la sua vita, contribuire a migliorare la società. Si tratta di un progetto
assurdo ma Avito lo porta avanto con determinazione e capsice che, per far si che l’individuo
possa avere delle caratteristiche del genio, bisogna intervenire non dalla sua nascita, ma
proprio dal suo concepimento. Il progetto parte dalla selezione di un madre, che viene scelta
in base, non a questioni di estetica, ma in base ai suoi valori e il giorno in cui decide di andare
a dichiarare il suo amore a questa donna e succede che a casa trova insieme a lei un’amica,
che è l’esatto opposto da tutti i punti di vista, e succede che Avito si innamora dell’amica e
decide di cambaire il suo progetto. Questo è il primo di una lunga serie di momenti in cui Avito
derogera al progetto stabilito.
Nasce questo bambino e tutta la descrizione dei primi anni di vita del bambino, con
particolare attenzione all’aspetto che riguarda la sua formazione ed educazione, vede delle
scene ridicole: da una parte c’è la mamma, che ha una forte fede religiosa che è quasi
irrazionale, cieca. Nel moemento del parto, da una parte c’è Avito che prepara gli strumenti
per misurare il figlio; dall’altra parte c’è Marina, che vede la necessità di un appoggio più
spirituale e, di nascosto, strappa un pezzo di preghiera, lo mangia in modo tale da mettere a
contatto diretto il figlio, che è nella pancia, con la preghiera, quindi con la fede.
Avito, per il figlio, vorrebbe un nome libero da ogni riferimento e da ogni struttura precedente;
alla fine arriva a creare questo nome, Apollo d’oro, il quale si allontana dalla fede cristina ma
recupera la fede pagana. La moglie segretamente chiama il figlio con un altro nome, ovvero
Luis.
Da questo possiamo capire che questo bambino cresce in un mondo che non riesce a capire,
nè nella sfera intima della casa, nè nel confronto, per esempio, con gli altri bambini a scuola.
Non capsice perchè la madre lo chiama in un modo e il padre in un altro; non capisce perchè
il padre lo tiene lontano da tutta la sfera sentimentale e affettiva. Amore e pedagogia del titolo
si incarnano perfettamente nel Padre Avito e nella madre Marina.
La tragedia si inesta nel moemento in cui il ragazzino si innamora; l’amore lo spinge a
scrivere poesie d’amore, cosa inacettabile per il padre che pensa che il filglio possa scrivere,
al massimo, un trattato scientifico. Il rifiuto amoroso e l’incapacità di trovare un posto nel
mondo, spingeranno il ragazzino ad uccidersi.
Anche qui il finale è assolutamente gottesco. In una scena in cui i genitori trovano il corpo del
figlio morto e Avito cerca, grottescamente, di tiragli la lingua nel tentativo di riportarlo in vita
utlizzando una procedura medica (non si sa quale precisamente).
Si tratta di un romanzo assolutamente fuori dagli schemi, non c’è una trama complessa,
assistiamo quasi a un processo di formazione fallimentare di un individuo; non conosciamo
nulla, ma conosciamo solo quello che vediamo di volta in volta nei dialoghi.
C’è un ridotto spazio di scene descrittive; l’ironia, il dialogo, la storia un pò frammentata, sono
gli elementi con cui Unamuno costruisce questo nuovo genere che inventa, che chiamerà
Nivola. Questi sono elementi che ci permettono di capire meglio il romanzo Niebla.
Niebla
Dopo Amor y Pedagogia, nel 1914 Unamuno pubblica Niebla, testo considerato suo più
grande capolavoro. Ha un successo enorme e immediato non solo in Spagna ma nel giro di
pochi anni arriva in tantissimi paesi, l’Italia sarà uno dei posti in cui i progetti di traduzione
saranno più tardi (siamo negli anni ’20 quando i testi di Unamuno arrivano in Italia). Ha un
successo enorme pur essendo un’opera completamente diversa rispetto alle opere che
venivano pubblicate all’epoca, diversa dal punto di vista dello stile della scrittura, diversa dal
punto di vista della struttura dell’opera, ed è diverso il rapporto che Unamuno stabilisce con il
lettore. Abbiamo già parlato del rapporto con i lettori con Galdòs, il lettore deve cogliere le
relazioni tra i personaggi e quindi sviluppare le storie. In questo testo il lettore è coinvolto
direttamente nella creazione letteraria attraverso un gioco tra il piano della realtà e il piano
della finzione che Unamuno, in diversi modi e continuamente nel testo, cerca di mettere in
discussione. Il romanzo è formato da 33 capitoli che costituiscono la narrazione principale,
più una serie di paratesti che sono: un prologo e un post-prologo che quindi precedono l’inizio
del romanzo e poi, a mo’ di epilogo, conclusione, un’orazione funebre recitata da un cane,
Orfeo, che accompagna il protagonista per buona parte del romanzo (non dal primo capitolo
ma per tutto lo sviluppo della vicenda).
Esiste già un testo in cui sono i cani a parlare, ovvero El Coloquio de los Perros di
Cervantes e, come per Galdòs, anche per Unamuno Cervantes rappresenta un punto di
riferimento inevitabile e nel momento in cui Unamuno compie questa operazione dirompente
per il romanzo, lo fa stabilendo un legame con Miguel de Cervantes che a sua volta aveva
fatto un’operazione nuova nel panorama dell’epoca, anche dal punto di vista dei generi.
I paratesti possono essere vari, in questo caso ne abbiamo 3, e possono stabilire rapporti
diversi con il testo. Possono essere introduzioni, spiegazioni, precisazioni, prospettive,
possono essere dell’autore o di altre persone. Esistono paratesti che nascono insieme
all’opera, l’autore nel momento in cui pubblica l’opera per la prima volta mette un prologo suo
o, come Clarìn, che chiede a Galdòs di scrivere il prologo della seconda edizione de La
Regenta. Ci sono anche casi in cui i paratesti sono successivi; quindi, non sono vincolati alla
volontà dell’autore. Nel caso di Unamuno prologo e post-prologo non soltanto fanno parte del
testo fin dalla prima sessione, ma in realtà la macchina narrativa parte già dal prologo; quindi,
non possono essere considerati come dei testi di accompagnamento, ma l’inizio stesso della
storia.
Prologo
Il prologo, alla fine, è firmato da Victor Goti.
“Se empena don Miguel de Unamuno...conocido en ella”: si tratta di un incipit molto
importante. Questo Victor Goti sembra un amico/conoscente di Unamuno, una persona a cui
si è rivolta per la stesura del prologo per questo testo e per altro sappiamo che è uno scrittore.
Può sembrare strano che uno come Miguel de Unamuno, che già nel 1914 era conosciuto
come scrittore, poeta, lettore, intellettuale, chieda il prologo ad un’altra persona. Spiega
questa cosa dicendo che le persone comprano il libro di Unamuno e in questo modo
conoscono anche Victor Goti, è una modalità per pubblicizzare uno scrittore giovane.
“Este su libro en que se relata… muerte” > Victor Goti è amico di Unamuno che è anche
amico di Augusto Pérez e si racconta la sua storia. Nelle lettere finali del romanzo La
Voluntad, Azorìn rompe il piano dicendo che il protagonista era amico suo e di Pio Baroja,
nel romanzo di Unamuno c’è lo stesso meccanismo. Non si sa se la storia sia vera o meno,
non abbiamo certezze, il lettore in questo momento si pone delle domande. In questa frase si
cita una morte misteriosa, della quale non si conoscono le cause, ma è importante il fatto che
già nelle prime 4 righe del prologo ci dice come va a finire la storia: il protagonista ha una
triste storia e muore. Unamuno consente una leggerezza del genere, cioè che già nel prologo
si viene a sapere la fine della storia, perché in romanzi di questo tipo non è la trama che
importa ma le ragioni e la vita psicologica dei personaggi, è come se Unamuno stesse
dicendo ai lettori che se leggono il libro per la trama, questo non è importante, per questo
presenta già la morte di Augusto Pérez.
“Porque los deseos del señor Unamuno son para mí mandatos, en la más genuina acepción
de este vocablo” > perché i desideri di Unamuno sono ordini per me, nel significato più
genuino del vocabolo, questo giovane scrittore, Victor Goti, in queste pagine commenta il
libro, la vicenda, ci dice qualcosa sullo strano stile di questo testo e nel finale ritorna sulla
vicenda.
“Pero debo hacer constar… y de deseo” > il mistero iniziale, alla fine del prologo, è risolto,
non solo sappiamo che Augusto Pérez ha una triste storia e che è morto ma sappiamo anche
che si è suicidato. Ci dice anche che c’è una differenza tra la storia che Miguel de Unamuno
racconta a partire dal capitolo 1 di Niebla e quello che invece Victor Goti, come amico del
protagonista della storia e della persona che ha ispirato questo romanzo, racconta nel
prologo. Lui dice che si è suicidato ma non come lo dice Unamuno. Quindi quel patto di
verosimiglianza iniziale è rotto perché forse la storia non è così tanto vera.
Finito il prologo, il lettore si trova dinanzi un post-prologo, che è più breve e che alla fine
presenta la firma di Miguel de Unamuno, quindi è l’autore che interviene.
“De buena gana discutiría… dice” > nomina un segreto della sua esistenza ma qui non
abbiamo ancora elementi per capire.
“Y debe andarse… haber de matarle” > qui Unamuno dice al suo amico Goti di fare
attenzione perché altrimenti gli fa fare la stessa fine di Augusto Pérez: lo lascia morire o lo
uccide; quindi, è come se lo minacciasse nel suo stesso post-prologo. Cominciamo a capire
che la questione della veridicità sul suicidio di Augusto Pérez ha a che fare con questo le
dejaré morir, lo lascerò morire.
È chiaro che Unamuno non sta realmente minacciando Goti, quindi il lettore, anche il più
distratto, deve capire che c’è qualcosa nella storia che non torna e che deve prestare
attenzione.
È da qui che parte il romanzo, questi due paratesti non sono semplici testi di
accompagnamento, ma sono già l’inizio della macchina narrativa che mescola i piani di realtà
e di finzione.
Se ad Unamuno non piaceva il prologo di Victor Goti lo ha aggiunto perché per quello che
voleva creare è perfetto, è lineare e ideale, questa persona, Goti, è nella prospettiva ideale
per lui.
In una delle traduzioni italiane dell’opera il traduttore pensò bene di togliere il prologo e a quel
punto il postprologo non aveva senso all’inizio, ma siccome lo aveva scritto Unamuno, decide
di metterlo alla fine. Quindi in questa edizione non si capisce nulla, il lettore si trova alla fine
un post-prologo ma non sa il “post” a cosa si riferisce, poi non ha le informazioni fornite da
Victor Goti. Questo ci fa capire che le operazioni di traduzioni non sono prettamente passive,
che prevedono una conoscenza linguistica della lingua di partenza e della lingua d’arrivo, ma
richiedono una riflessione e un’interpretazione dell’opera perché, se non si capisce cosa
volesse fare Unamuno, il testo finale non corrisponde al progetto iniziale.Questa edizione fu
poi corretta.
Inizia, con il capitolo 1, la storia di Augusto Pérez. Anche in questo caso non abbiamo
informazioni che riguardano lo spazio e il tempo, ma le abbiamo sulla vita di Augusto, vita che
è abbastanza noiosa, monotona, che si svolge per la maggior parte nella sua testa, nel senso
che siamo nella prospettiva interna al personaggio e quindi seguiamo tutti i suoi pensieri e il
suo parlare. Poi abbiamo degli strani dialoghi, i mono-dialoghi, di Augusto che parla con il
cane. È un dialogo perché c’è un interlocutore ma è un cane e quindi non risponde, non
siamo nella dimensione fantastica.
La storia in breve: Augusto Pérez è un giovane uomo, ormai benestante e che quindi può
vivere tranquillamente senza preoccuparsi di lavorare, rimasto orfano di madre, la quale
rappresentava il suo unico tramite con il mondo, era la persona che si occupava di lui.
Augusto Pérez vive (da qui il titolo) in una sorta di nebulosa, di nebbia, che gli impedisce di
vedere ciò che c’è aldilà della sua persona e gli impedisce di entrare in relazione con il
mondo perché lui semplicemente non lo vede. La storia inizia con lui che esce di casa, non sa
dove andare, vede una ragazza, Eugenia, resta colpito dai suoi occhi e decide di seguirla. Si
riprende un topos della lirica amorosa, ovvero la luce degli occhi dell’amata che hanno la
forza di squarciare la nebbia in cui si trova l’innamorato, in questo caso Augusto Pérez, e
questo rappresenta l’inizio della fuoriuscita da questa nebbia. Però non possiamo parlare
della donna amata perché Augusto Pérez ha solamente visto questa ragazza, la segue fino a
casa, poi non sa cosa fare, resta lì sotto al palazzo fino a che la portinaia gli dice che ha
seguito la ragazza perché innamorato, lui non sa che dire e afferma tutto; quindi, subisce
passivamente tutte le decisioni degli altri. Quindi entra in un processo di decisione, non in un
innamoramento dato dal sentimento, entra nel ruolo dell’innamorato. Questa donna è il suo
opposto, Augusto è un personaggio quasi inetto, lei invece è molto determinata, ha una forza
di volontà fortissima, vive con gli zii e tra l’altro lavora. Gli zii vorrebbero che lei si sistemasse
con Augusto, che comunque è benestante, però Eugenia non vuole soprattutto perché è
innamorata di un altro giovane, Mauricio, che è il classico poco di buono, non lavora. La
fortuna sembra aiutare Augusto e sembra che Eugenia accetti di sposarlo, se non fosse che a
pochissima distanza dal matrimonio Augusto riceve una lettera da Eugenia in cui gli dice che
annulla tutto perché scappa con Mauricio. Questo brusco cambiamento, da quasi sposo a
dover abbandonare l’idea del matrimonio, getta Augusto in un profondo sconforto, sente di
essere ridicolo e decide di suicidarsi. Prima di suicidarsi però, ricorda di aver letto un saggio
sul suicidio, scritto da un certo Miguel de Unamuno; quindi, decide di andare da lui prima di
suicidarsi e di parlare. Arriviamo ad una scena in cui Augusto scopre che non può suicidarsi
perché non esiste, perché è una creazione letteraria di Miguel de Unamuno, a questo punto il
piano di realtà e finzione è esploso. Cominciamo a capire anche quel dubbio iniziale, della
Misteriosa morte e Unamuno che dice Non so se lo farò suicidare o lo ucciderò. Dopo questo
incontro Augusto torna a casa e dopo una grande abbuffata, muore, ma muore perché si è
suicidato o perché Unamuno, come di fatto gli dice nel dialogo, si è stancato di crearlo e
dunque lo lascia morire?
C’è un forte legame con Sei personaggi in cerca d’autore, del 1921, di Pirandello; quindi, il
testo di Unamuno è precedente rispetto a quello di Pirandello ma questo non significa che
Pirandello l’abbia copiato. Il pubblico italiano scoprì Niebla non soltanto grazie alla traduzione,
ma anche perché Unamuno aveva molti legami con l’Italia (ci è stato due volte: una volta per
un viaggio mistico da Napoli a Pompei sui carretti; poi fu inviato di guerra). La comparazione
con Pirandello colpì molto Unamuno che scrisse anche un testo che si chiama Pirandello y
Yo.
Dal punto di vista della narrativa nell’opera, abbiamo i mono-dialoghi, quindi l’utilizzo
insistente e particolare del discorso diretto libero, ma anche qualche tentativo di monologo
interiore. Unamuno non si riferisce al vero e proprio monologo interiore, siamo molto prima
con quest’opera, ma in romanzi precedenti aveva fatto riferimento al monologo mentale,
ovvero qualcosa che si avvicina al flusso di coscienza ma siamo ancora lontanissimi da esso.
Su questo Unamuno inizia a lavorarci già in Paz en la Guerra dove è importante lo scambio
tra due personaggi, in cui uno gli dice una cosa, l’altro gli risponde Sì andiamo e il narratore
precisa Sì andiamo, disse dopo con un monologo mentale. Il monologo mentale non lo
leggiamo, non lo scrive, però in qualche modo Unamuno sta iniziando a ragionare sulla
centralità e sullo sviluppo dei pensieri per comprendere le azioni.
Un’altra tecnica è cervantina e riguarda le storie interpolate o intercalate: esattamente come
fa Cervantes nella prima parte del Don Chisciotte, anche in questo romanzo troviamo delle
storie, quasi sempre molto brevi, di poche pagine, che non riguardano la storia principale, che
non riguardano Augusto Pérez, sono storie che vengono raccontate ad Augusto in qualche
caso dai diretti interessati o in altri casi da altre persone. Esattamente come nel caso di
Cervantes, queste storie interpolate, non sono completamente slegate dal testo ma possiamo
trovare un filo conduttore che mette insieme le diverse storie interpolate e che permette di
stabilire un dialogo con la vicenda principale di Augusto Pérez, che di fatto è una vicenda
sentimentale (è un individuo che si innamora e attraverso questo amore sviluppa una
coscienza e una consapevolezza di sé, la perdita dell’oggetto amato determina la crisi del
soggetto, il soggetto che si era riconosciuto attraverso l’oggetto amato, privato di quello perde
il senso della propria esistenza e questo spiega il perché del suo suicidio). Il filo che unisce
tutte le storie interpolate è il matrimonio e la dinamica genitori-figli. Il matrimonio inteso non
solo come unione tra due individui ma come costruzione di un nucleo familiare.
[Parentesi sull’inetto e sull’inettitudine di Augusto Pérez. In un contesto culturale in cui l’uomo
perde le sue certezze nei confronti del mondo e con Freud perde anche la conoscenza del
proprio io, si scopre che l’individuo è molto più complesso di quello che pensa di essere. In
Spagna, questi scrittori sono anche influenzati dal problema dell’identità della Spagna e degli
spagnoli, quindi tutti i piani si sovrappongono, non è soltanto chi sono io, ma anche chi sono
io come spagnolo e cos’è la Spagna. È la stessa esigenza di ricerca identitaria che si declina
su diversi piani.]
Le storie interpolate sono 5:
- la prima di queste si trova nel capitolo 13 e ci fa ritrovare un personaggio già conosciuto
che è il protagonista di Amor y Pedagogia, ovvero Avito Carrascal; quindi, il gioco di
Unamuno si estende perché si coinvolge un altro romanzo. In questo capitolo Augusto Pérez
e Avito Carrascal si incontrano e nel dialogo Augusto chiede notizie del genio (il progetto di
Avito era quello di creare il genio), quindi evidentemente Augusto non conosce per intero la
storia, non sa che poi Avito muore. Nel momento stesso in cui Avito gli racconta la vicenda,
Unamuno ha modo di proseguire la storia che ci aveva raccontato in Amor y Pedagogia
rovesciando i rapporti tra scienza e amore/religione, perché Avito affermerà che Marina, sua
moglie, aveva ragione, cioè che la fede e l’amore sono la cosa importante. Quindi in questo
secondo finale abbiamo un Avito che perde la fede cieca nel metodo scientifico e abbiamo
coerentemente con il tema centrale di Niebla una centralità della divinazione
amorosa;
- la seconda storia interpolata si trova nel capitolo successivo, nel capitolo 14 e riguarda
Victor Goti, autore del prologo e amico di Augusto Pérez; quindi, è anche uno dei personaggi
della vicenda. L’esperienza ha a che fare con il matrimonio e con le difficoltà ad avere figli. La
storia di Victor si sviluppa in diretto rapporto con la storia principale. Victor è guida e
confidente del protagonista. Unamuno utilizza Victor per esporre le sue idee sul matrimonio;
- nel capitolo 17 abbiamo la storia di Eloino che è complementare a quella di Antonio. Sia
questa storia, sia quella di Antonio hanno come tema principale è un tradimento, ma mentre
in quella di Antonio il tradimento nega l’amore, in quella di Eloino il tradimento rappresenta
l’origine di un nuovo amore o di una qualcosa accettato come tale;
- nel capitolo 21 la storia di Don Antonio, la cui vita è fatta da altri. Vicenda di tradimento e
abbandono che preannuncia l’abbadono di Augusto da parte di Eugenia;
- nel capitolo 23 la storia di un fuochista portoghese.
[La prof dice che una domanda che sicuramente farà all’esame sono le storie intercalate di
Niebla e noi dobbiamo essere in grado, dopo aver letto il testo, di parlare di queste storie;
quindi, si devono approfondire e saperle trovare nel testo, non soltanto nominarle].
Il riferimento a Cervantes e alla presenza delle storie intercalate è esplicito nel testo, nel
momento in cui si racconta la storia di Eloino si fa riferimento alle storie interpolate di Don
Chisciotte; quindi, la volontà di riprendere questa tecnica specifica di quell’opera è esplicito
nel testo.
Captiolo 1

“Al aparecere Augusto... un paraguas abierto” ----> conosciamo Augusto mentre sta uscendo
di casa. La scena è fortemente simbolica perchè ci permette di ragionare su tutto. Quello che
capiamo di questo Augusto è che lui vive chiuso nel suo mondo, è come se vivesse in una
nebbia, che da una parte lo protegge ma dall’ altra gli impedisce di avere contatti con
l’esterno. Il gesto simbolico del muovere il braccio signifca che lui non sta cercando di entrare
il contatto con il mondo, ma bensì sta vedendo se stava piovendo. Si trova in questa zona di
limbo in cui deve decidere cosa fare. Nel momento stesso in cui Unamuno ci racconta la sua
vita, Augusto Perez vuole uscire dalla nebbia esistenziale in cui lui vive e cominciare da li a
raccontarsi. Il suo comportamento non è razionale; lui non progetta nulla, si lascia trascinare
dagli eventi e dalle situazioni. Nel uscire di casa incontra una ragazza, Eugenia e decide di
seguire la sua stessa direzione. In tutto il romanzo si vedrà l’evolversi del pesniero, dei
ragionamenti di Augusto Perez.
“Pero aquel chiquillo.... el pensamiento” ----> questo è uno di quei passi in cui possiamo
cogliere questo quasi flusso di coscienza. Il narratore c’è lo precisa iba diciéndose Augusto,
que más bien que pensaba hablaba consigo mismo, cerca di dire che sì pensa ma i tempi
non sono completamente pronti, non si può parlare ancora di flusso di coscienza, però l’idea
di permettere al lettore di accedere direttamente al fluire del pensiero del personaggio è già
chiara nel testo. Ne La Regenta anche per Ana Ozores seguiamo i suoi pensieri, vediamo in
che modo cerca di ragionare su quello che succede e anche in Tormento con Amparo
succede questo; quindi, ci sono ragionamenti fluenti su questioni chiare, si interrogano sui
loro sentimenti, il proprio passato. In questo caso, in Niebla, Augusto sta camminando,
comincia a guardare le cose e passa da una cosa all’altra senza alcun legame logico se non
quello di un’affinità che lui trova, per cui vediamo che da un ragazzo steso a terra che parla
con una formica passa ad una riflessione su questo animale e ci dice che non lavora, poi dice
Es un vago, un vago como... non finisce neanche di dire la frase, non dice yo, ma poi dice
¡No, yo no soy un vago!... ma che nesso c’è tra il ragazzino che stava a terra e le riflessioni
sul lavoro? Nessuna, sono associazioni che lui fa tra le cose. La differenza tra il pensiero che
ci veniva presentato negli altri romanzi e questa nuova tecnica.
Il sentimento di Augusto per Eugenia rappresenta la molla necessaria per lui di uscire da
questa nebbia esistenziale, e a poco a poco lui riesce a costruire una sua identità attrono a
questo sentiemento amoroso per Eugenia.
Niebla presenta un nuovo genere, è un romanzo che rompe con la tradizione e Unamuno
inventa un nome per questo nuovo genere, ovvero nivola. Amor y Pedagogia è la prima
nivola che Unamuno scrive. Unamuno spiega che cos’è questo genere letterario e come
nasce questo termine in maniera consapevole in Niebla nel capitolo 17: in questo capitolo
Augusto sta parlando con Victor, uno scrittore che sta scrivendo il romanzo, Augusto gli
chiede notizie su questo romanzo che sta scrivendo, gli chiede prima di tutto di che parla e
Victor gli risponde in maniera vaga, non parla di una cosa nello specifico, è un po’ quello che
viene fuori nella scrittura A lo que salga, senza un progetto. Poi chiede come sarà strutturato
e Victor risponde che ci saranno molti dialoghi, mentre presenta queste cose un po’ strane
Augusto fa qualche obiezione e Victor gli dice El caso es que en esa novela pienso meter
todo lo que se me ocurra, sea como fuere, vuole metterci tutto. La risposta di Augusto è Pues
acabará no siendo novela, questo significa che la novela così come la conoscevano i lettori
del tempo aveva delle caratteristiche e se queste caratteristiche non vengono rispettate, non
sarà una novela. La risposta di Victor sarà No, será... será... nivola; quindi, il gioco è tra
novela e nivola (si legge nivòla). Poi Victor continua spiegando da dove nasce questo termine.
Captiolo 31
In questo capitolo avviene l’incontro con Unamuno. Perso l’oggetto d’amore, Eugenia,
Augusto perde anche la propria identità e il suo ruolo nel mondo e da qui comincia a pensare
di suicidarsi.
“Aquella tempestad... para visitarme” ----> il narratore è Miguel de Unamuno, il quale spiega
che, prima di portare a termine questa decisione, Augusto vuole recarsi da lui perché aveva
letto un passaggio in un saggio che parlava di suicidio. Cambia qualcosa perché tra le prime
indicazioni che ci fornisce il narratore vi è la collocazione geografica (dato reale che aumenta
il grado di verosimiglianza), ossia Salamanca, dove Unamuno realmente viveva e svolgeva la
sua attività di direttore. Miguel de Unamuno si fa personaggio del suo stesso romanzo per
poter parlare, sul suo stesso livello, con il suo personaggio.
“Cuando me anunciaron su visita.... frente a mi” ----> comincia uno stile di narrazione che
all’ironia vista fino a questo momento somma una certa ambiguità: Unamuno è nel suo studio,
viene annunciato Augusto che entra come un fantasma, termine che da una parte ci fa
pensare alla condizione di angoscia profonda di Augusto, un uomo che vuole uccidersi, quindi
bianco, provato, ma al tempo stesso il fantasma è un qualcosa che non esiste. Augusto si
siede (dopo che Unamuno lo ha invitato a farlo).
“Empezo hablandome.... mas secretos” ----> Unamuno gli mostra che della sua vita conosce
esattamente tutto, sa le stesse cose che Augusto stesso sa della sua vita e come prova gli
racconta alcune questioni che, secondo Augusto, dovrebbero essere segrete; ci troviamo
nella stessa situazione di prologo e post-prologo: c’è qualcosa che non capiamo.
“Me miro.... de sus fuerzas” ----> la situazione incredibile di incredulità che ha il lettore è
specchio dell’incredulità di Augusto che non capisce se è sveglio o se sta dormendo. Augusto
dice che, se sa tutto, conosce anche la decisione che ha preso e Unamuno conferma, sa che
vuole suicidarsi. Arriva la paura, la quale è tale da portarlo a voler scappare, ma non ci riesce
perché tutto è legato alle decisioni di Unamuno (infatti Augusto si siede perché è Unamuno a
dirglielo).
“No, no te mueves, le ordene” ---> inizia quest’altro dialogo sull’assenza di volontà di Augusto,
non può fare nulla se non direttamente ordinato, detto o scritto da Unamuno.
“Es que tu.... tu secreto” ----> rivelezione. Proseguendo nel dialogo, quando Unamuno spiega
che lui non esiste, cominciano a tornare espressioni usate già nel post-prologo a Victor “sono
a conoscenza del vostro segreto”, che è il segreto dell’esistenza.
Augusto passa dallo sconcerto totale ad un atteggiamento di ribellione nei confronti del suo
creatore.
“Mires bien Don Miguel… > abbiamo un ribaltamento della situazione, dei rapporti di forza: e
se fosse il contrario? Se fosse che Unamuno, in quanto autore, esistesse solo in virtù del
racconto della storia di Augusto? Queste sono le sue accuse.
L’idea di questo strano rapporto tra scrittori e personaggi è un’idea molto presente nel
pensiero di Unamuno, egli spesso insiste sul fatto che i grandi personaggi letterari, come Don
Chisciotte e Amleto, per noi sono più veri dei loro autori, per noi è più autentico Don
Chisciotte che Cervantes; questo concetto dell’autonomia del personaggio gli dà centralità e
autonomia, i personaggi sembrano potersi staccare dalle storie e dagli autori stessi.
Importante però è analizzare la dimensione spirituale e religiosa che vi passa nel caso di
Unamuno e Augusto: quest’ultimo sposta il suo rapporto con Unamuno, quindi quello
creatura-creatore, sul piano del rapporto uomo-Dio > gli uomini sono prodotto della volontà
divina e noi esistiamo solo finché Dio vuole, la morte arriva quando, in maniera provocatoria,
Dio si stanca di raccontare/scrivere la nostra storia.
Verso la fine del romanzo, Unamuno comincia a stancarsi di queste insinuazioni.
“Bueno basta, basta, basta…” > Unamuno gli dice che tornando a casa, Augusto sarebbe
morto. Dopo aver scoperto il suo ruolo, però, che è diverso da quello di innamorato di
Eugenia, in Augusto scaturisce la voglia di vivere, non vuole più morire e comincia a pregare
Unamuno di tenerlo in vita, assumendo l’atteggiamento dell’uomo che supplica Dio.
“Es que yo quiero vivir…” > insiste nelle battute su questa ripetizione del “vivir”.
“No puede ser pobre Augusto…” > Unamuno dice di averlo già scritto, non può vivere ora,
non ha pietà nei confronti delle suppliche di Augusto perché la storia è finita, è già scritta,
inoltre il capitolo intero si basa proprio su quello che Augusto può fare e non può fare senza
che Unamuno glielo dica o scriva. Interessante capire, a questo punto, da cosa nasce
l’ambiguità: inizia circa la morte di Augusto, perché di fatto Unamuno gli dice che tornando a
casa sarebbe morto: l’ha ucciso Unamuno perché così ha terminato la storia, ma dal punto di
vista dei personaggi la realtà è che, dopo essere stato da Unamuno, Augusto è tornato a
casa ed è morto, quindi per i personaggi non è stato Unamuno ad ucciderlo, ma lui
stesso…seguendo il prologo di Victor, ci viene detto che Augusto si è suicidato, perché
questo è quello che i personaggi (compreso Victor
stesso) sanno, dal momento che il dialogo con Unamuno è a porte chiuse, nessuno ne è a
conoscenza.

Lezione 9
Camilo José Cela

Con La Familia di Pascual Duarte torniamo a parlare del discorso


sulla picaresca, con alcune differenze. Con Cela siamo nella seconda metà del 900, tra gli
anni ’40 e ’50 escono le opere La Familia di Pascual Duarte (’42) e La Colmena (del ’51)
che lo rendono famoso. Cela fu un grande scrittore spagnolo (premio Nobel per la letteratura
nel 1989).
Con la familia di Pascual Duarte la critica ha sostenuto che nasce una nuova estetica che
prende il nome di tremendismo. Si tratta di un estetica che si fonda sulla rappresentazione
della realtà cruda, più violenta che da spazio a quegli aspetti più sgradevoli della realtà
umana. La violenza non si esperime soltanto attraverso le vicende, le azioni dei personaggi,
ma si esprime anche attraverso il linguaggio. Questo è evidente del romanzo e si dice che il
tremendismo nasce con La Familia di Pascual Duarte ed è un estetica dominante, almeno
fino agli anni ‘50 del Novecento.
Il tremendismo di Cela e della Familia di Pascual Duarte è profondemente radicato nel
contesto letterario spagnolo del primo novecento. Non recupera solo la componente
picaresca, ma anche alcune questioni che avevano già trovato spazio in alcuni autori.
La Familia di Pascual Duarte (dispensa)
Vediamo inizialmente una nota introduttiva scritta da cela stesso (Nota del transcritor, poi
Carta Anunciando el Envìo del Original e, infine, Clausula del Testamento), quindi una serie
di paratesti che fanno già parte della composizione (per il trascrittore non abbiamo la firma,
mentre dalla lettera in poi si). Il testo è scritto in prima persona da Pascual Duarte, quindi
abbiamo una sorta di biografia, e già sappiamo che, oltre al manoscritto originale allestito da
Pascual Duarte, prima della pubblicazione c’è un passaggio intermedio da un trascrittore, c’è
quindi una mediazione tra la scrittura di Pascual Duarte e il lettore, una figura che esiste,
dichiara la sua esistenza al punto tale da scrivere la nota introduttiva, ma non abbastanza da
rivelarci, con una firma, l’identità. La presenza di una figura di mediazione pone qualche
problema per quanto riguarda l’autobiografia e la sua veridicità, l’autobiografia già di per sé è
problematica da questo punto di vista, con il trascrittore la situazione peggiora, il patto di
fiducia con il lettore viene alterato, soprattutto se il trascrittore fa quanto viene fatto nella nota.
Pascual Duarte, de Limpio
É il paratesto che ci interessa di meno. È un prologo scritto dall’autore successivamente. In
questo prologo Cela ragiona sulla necessità di, a un certo punto, di ripulire un testo da tutto
tutto quello che il testo accumula nel tempo, in edizioni successive che l’autore non segue. In
sostanza sta fissando un testo a partire dal quale saranno poi prodotte le edizioni successive.
Nota del transcriptor
È importante perchè ci introduce un personaggio che è un intermedario che è una figura
nuova nella tradizione picaresca.
“Encontradas... que ilegible”---> espediente del manoscritto ritrovato, per anni questo
trascrittore ha lavorato sul testo, il suo è un lavoro non semplice, un lavoro di correzione
ortografica, dice di aver tradotto i fogli, di aver ordinato quelli sciolti del manoscritto, il quale
era quasi illeggibile; quindi, la probabilità di intervento nella trascrizione di questo testo è
sempre più alta. In riferimento all’autore di questo manoscritto, a rafforzare l’idea della sua
ignoranza, abbiamo anche il riferimento alla cattiva grafia; quindi, è poco più che un
analfabeta.
“Quiero dejar... en su estilo”---> perde la credibilità già qui: prima ci dice di averlo corretto e
poi dice che si è limitato solo alla trascrizione, ma continua questa sua contraddizione, infatti
dice addirittura che, in certi casi, è intervenuto per tagliare delle parti, cosa che in un racconto
autobiografico, che di per sé si basa sulla selezione di episodi spesso con una finalità, non è
una scelta da poco, nonostante cerchi di tranquillizzare il lettore dicendo che le parti
tagliatesono superflue, di fatto dice che le parti che taglia sono quelle più cruente > secondo
alcuni studiosi, infatti, la famiglia Duarte appartiene al cosiddetto tremendismo, movimento
che ha a che fare con il realismo, ma che in particolare fa riferimento a testi che hanno una
visione addirittura sanguinaria della realtà, molto cruenta; quindi, l’universo in cui entriamo
con questa famiglia è un universo di violenza contro tutte le creature, una violenza di diversi
tipi (Pascual Duarte è un assassino, in carcere per omicidio, dal quale scrive questo testo).
La grandezza di Cela e del suo romanzo è che, nonostante si tratti della storia di un
assassino violento, il lettore riesce in qualche modo ad assumere comunque un
atteggiamento solidale con questo personaggio, pur comprendendo esattamente la violenza e
i reati commessi, non lo si giustifica per quello che fa ma ne comprende le ragioni.
“He preferido...que el pulido”--->
“El personaje.... que contarnos”---> in questa parte finale il trascrittore ci spiega le ragioni per
cui, secondo lui, vale la pena pubblicare e leggere questo testo, ossia l’esemplarità della
storia, che però funziona al contrario: Pascual Duarte e le sue scelte sono un modello al
contrario, un anti-modello; come può il letto imparare qualcosa da questa storia? Agendo al
contrario rispetto a Pasqual Duarte, anche se il lettore tende a comprenderne le violenze e i
comportamenti.
Carta enunciado el invìo del orginal
E’ una lettera di pentimento e di supplica di perdono, che Pasqual Duarte invia ad un amico di
colui che ha ucciso, per raccontare la sua storia e per chiedere perdono.
“Muy senor mio... de tristeza”---> nella parte iniziale spiega a questo Joaquin Barrera Lopez,
amico di don Jesus Gonzales (l’uomo che ha ucciso), che vuole provare a mettere apposto la
sua coscienza e per farlo concepisce il testo come una confessione pubblica e ci dice cosa
racconta: algo de su vida… con questa dichiarazione siamo lontani dal Lazarillo, perché
questo spiega degli episodi selezionati, scelti apposta, che hanno uno scopo ben preciso
(quello di spiegare il caso), mentre qui viene raccontato algo, termine che ci fa pensare ad
una selezione casuale, probabilmente eventi che ricorda e che più pesano sulla sua
coscienza. Scrive le cose che ricorda, ma non tutte, perché nel provare a scriverle risultavano
a lui stesso troppo forti; quindi, se a questa censura aggiungiamo quella del trascrittore
capiamo che tutta la violenza che troveremo nel testo in realtà è molto minore rispetto a
quella reale.
“Voy a explicarme... de mi vida”---> va a spiegare le ragioni per le quali lui decide di
raccontare la sua vita. La ragione che lo spinge a raccontare la sua vita è il desiderio di
pentimento. Vuole alleviare la sua coscenza e vuole farlo, non tanto con delle scuse, ma
vuole farlo attraverso una confessione pubblica in cui dinanzi a tutti, Pascual Duarte racconta
la sua vita criminale.
Clàusula del testamento olografo otorgado pro Don Joaquin Barrera
Lopez, quien por morir sin descedencia lego sus bienes a la monjas del
servicio domestico
E’ una clausola del testamento che Duarte aveva inviato a Joaquin Barrera Lopez e, in
particolare, si riferisce alla quarta clausola. Probabilmente il perdono in cui sperava Duarte
non arriva perché Joaquin legge il testo ma lo chiude nella sua scrivania, lo considera
contrario alla morale e lo condanna alla distruzione, distruzione evitata sulla base di un
compromesso: se per 18 mesi questo testo non verrà distrutto, chi lo troverà potrà farne quel
che vuole. Finirà in qualche modo nella farmacia dove il trascrittore lo troverà.
Importante questione è quella del titolo: nel testo il titolo era solo Pasqual Duarte,
probabilmente è stato il trascrittore ad aggiungere La Familia, ma cosa cambia? L’attenzione
viene spostata ad un gruppo di individui, ci interessa anche la famiglia perché tutto ruota
attorno a essa (Pasqual Duarte addirittura ucciderà anche la madre); la sua infanzia è
caratterizzata dall’estrema povertà, dall’ignoranza (smetterà di andare a scuola su volontà
della madre), dalla violenza familiare che troviamo tra padre e madre, insomma, tutti elementi
che pesano sulla formazione della coscienza dell’individuo e sulla creazione di rapporti: per
Pasqual Duarte ogni tipo di rapporto si fonda sulla sopraffazione.
Capitolo 1
Ci da un prima descrizione del paesino in cui vive Pascual Duarte, ci offre alcune primi
impressioni sulla famiglia e ci mostra quello che a noi ci sembra il primo atto di violenza di
Pascual Duarte; ma in realtà, leggendo l’intero romanzo, questo evento non è il primo ma è il
primo che lui ci racconta. Il punto di partenza è la rilfessione su se stesso e sul uomo in
generale.
L’incipit comincia con Yo, señor, no soy malo, un richiamo al Buscón. Inizia con una
riflessione sul destino, che ci ricorda la fortuna di cui invece ci parla Lazzaro, il quale vuole
dimostrare quanto poco merito hanno gli uomini segnati da una buona fortuna e quanto più
devono lavorare quelli privi di fortuna per arrivare “ad un buon porto”, quindi ancora una volta
abbiamo il riferimento a due gruppi, quello a cui il destino ha riservato una vita serena e
quello a cui è destinata l’infelicità e per Duarte, a differenza di Lazzaro, i due cammini sono
inconciliabili ed entrambi giungono allo stesso punto: la morte, la quale funge, in questo caso,
da una sorta livella sociale.Questa differenza dei due destini viene caricata dal punto di vista
della rappresentazione della realtà perché ci descrive, nel paese dove vive Pasqual Duarte,
due case: quella di don Jesus, in città e ricca, e la sua, fuori città e povera; quindi, sviluppa la
sua riflessione concretizzandola nella realtà. Fin da piccolo, Pasqual Duarte, concepisce il
rapporto con l’altro come un rapporto di violenza, all’infanzia, infatti, risale il primo crimine di
Duarte, che uccide la sua cagnolina.
“En el pueblo.... y macetas”----> Don Jesus è del suo stesso paese, si conoscono dall’infanzia
e si colloca agli antipodi di Pascual Duarte. La differenza che esiste tra i due si manifesta in
aspetti più concreti. In primo luogo da dove si abita e parte d questo momento la descrizione
della casa di Don Jesus che non era solo bella ma la più bella del paese.
“Mi casa... de la pina”---> avviene il cambiamento. La casa di Pascual Duarte è furoi dal
paese, è una casa ai margini. La marginalità della casa è simbolica è rappresenta anche la
eslcusione di Pascual dalla società. A seguire inizia la descrizione della casa descrzione che
presenta alcuni elementi affettivi, in quanto ci sono alcuni luighi della casa in cui Pascual
Duarte sente un sentimento positivo.
“Sin embargo... para casa”---> comincia la descrizione del suo animale, con il quale, sulla
base (ma non solo) dei vezzeggiativi che usa, ha un bel rapporto.
“La perrilla... por la tierra”--->il cane è triste perché Pascual si allontana, così lui torna indietro
per sedersi di nuovo accanto a lei; nel guardare questo cane, senza alcun motivo, si sente in
qualche modo giudicato in modo negativo dall’animale e, in maniera quasi istintiva, sente
questo tremore nel corpo, ha caldo e le spara due volte. Lui è parte integrante di un sistema
di violenza che si manifesta in maniera brutale fin dall’infanzia. La freddezza che lui vedeva
negli occhi della cagnolina diventa la freddezza disarmante con cui lui uccide l’animale e ne
descrive il corpo morto. Motivo per cui questa scena risulta più crudele rispetto alle altre è
perché è completamente immotivata.
Dietro questo universo c’è la guerra civile spaganola.
Capitolo 2: l’autore, in questo capitolo ci descrive la madre, il padre e la nascita della sorella.
Infatti la cosa interesante di questo capitolo è che la madre non verrà mai nominata con
nessun nome, cosa che succede invece con il padre e la sorella, e questo ci fa capire il
rapporto conflittuale di Pascual Duarte con la madre, infatti questo rapporto lo porterà ad
uccidere la madre.
Ramòn Maria del Valle-Inclàn

Valle-Inclàn pubblica nel 1902 la Sonata de Otoño, andando a far


parte, come abbiamo già visto, di quell’insieme di artisti che furono alla base di un totale
rinnovamento della letteratura spagnola; dopo quella del 1902, egli pubblicò anche le altre tre
Sonatas (una all’anno) fino al 1904. L’opera, nel suo complesso, è molto importante non solo
per il tipo di prosa che Valle-Inclàn usa, che è una prosa fortemente poetica, ma anche per
altri due motivi fondamentali:
- porta alla ribalta un personaggio abbastanza nuovo nel panorama letterario spagnolo, ossia
il don Giovanni vecchio, collegandosi, quindi, ad una tradizione apportando delle modifiche;
- si presenta con un progetto pseudo-biografico, “pseudo” perché non è la biografia
dell’autore, ogni Sonata è un frammento della memoria del protagonista, il Marchese
Bradomìn, che riporta quattro fasi della sua vita, ognuna delle quali è legata ad una storia
d’amore. Queste storie d’amore non sono tradizionali, ma sono quasi perturbanti, per
esempio in una delle storie torna da una vecchia amante, ormai in punto di morte, Concha, e
tra la sofferenza della donna che sta per morire e la descrizione della morte, il Marchese
Bradomìn ne seduce la figlia; dunque, assistiamo ad un amore sacrilego; un’importante
centralità viene data anche alla religione, che però Valle-Inclàn affronta sempre in maniera
sacrilega. Questo elemento, che possiamo già chiamare deformazione grottesca della realtà
rappresentata, è uno degli elementi centrali di quella che è la più grande innovazione di Valle-
Inclàn: l’esperpento.
L’esperpento è un’estetica, una modalità di rappresentazione della realtà, che si lega
principalmente a Luces de Bohemia (opera pubblicata per la prima volta a puntate nel 1920
e poi in volume, con delle varianti, 4 anni dopo). La parola “esperpento” viene dal linguaggio
popolare ed è un termine che si usa in riferimento a tutto ciò che è brutto, ridicolo, fuori dalla
norma, arriva a identificare anche il grottesco, il mostruoso e da quest’autore in poi sarà
utilizzato per individuare una nuova idea dell’arte, in cui si riconoscono le caratteristiche della
voce popolare: esperpento è un modo di guardare il mondo. Una definizione corretta del
termine ce la dà lo stesso autore nella sua opera Luces de Bohemia, nella dodicesima
scena.
Lezione 10
Luces de Bohemia
Il testo, come già detto, ha delle varianti nella seconda edizione, in particolare vengono
aggiunte delle scene che hanno un forte valore sociale, perché, per esempio nella scena
undicesima, rimandano all’uccisione di un bambino, per errore, da parte di un poliziotto, il
quale accusa qualcun altro; è come se, aggiungendo queste scene, l’autore avesse voluto
approfondire ulteriormente l’elemento di critica sociale. Oltre a queste aggiunte c’è tutto un
insieme di varianti che, in generale, conferiscono al testo maggiore omogeneità (era stato
pubblicato inizialmente a puntate e qualche elemento stilistico e di coesione testuale poteva
più facilmente sfuggire). L’opera, che è un’opera teatrale, non sarà rappresentata in Spagna
fino al 1970; come molti altri drammi e romanzi dell’epoca rispetta l’unità classica del tempo
(tutto si svolge in una giornata) e l’azione si svolge a partire da un pomeriggio di inverno. La
trama è molto semplice ma, contemporaneamente, dà l’idea di un caos di eventi, secondo
alcuni è una sorta di viaggio dantesco in una Madrid infernale. Il protagonista, Max Estrella, è
un letterato cieco che vive in miseria con sua moglie e sua figlia; in questo tardo pomeriggio
di inverno esce per annullare un accordo fatto con un libraio, con lui c’è Don Latino e i due
insieme passano per varie tappe: si fermano inizialmente in una taverna, in questa taverna
comprano un biglietto della lotteria, biglietto che poi perdono, scoppia una rissa, comincia
laricerca della donna con il biglietto in questione, la trovano e lo recuperano,
successivamente Max finisce per caso in un gruppo di poeti modernisti e viene arrestato, poi
viene liberato, in seguito finisce a cenare, sempre con Don latino, in un caffè in cui incontrano
Rubén Darìo, incontrano poi delle prostitute, partecipano al dramma di una madre che ha
assistito all’omicidio del figlio da parte di un poliziotto… insomma, entrano sempre più in
contatto con delle ingiustizie che creano in lui un dolore tale da potarlo a pensare al suicidio,
tant’è che ad un certo punto, durante il suo ritorno a casa, comincia a lamentarsi del forte
freddo e, improvvisamente, muore per strada. Don Latino gli prende il portafogli e lo lascia lì.
Successivamente ci viene presentata la scena della veglia di Max, rappresentata in modo
grottesco, nel frattempo arriva Don Latino, che si era ubriacato con i soldi di Max Estrella e,
infine, la scena del funerale. Durante la sepoltura troviamo a conversare due personaggi:
Rubén Darìo e il Marchese Bradomìn.
Escena Duodécima
Abbiamo qui la definizione dataci da Valle-Inclàn dell’esperpento. Stanno dialogando Don
Latino e Max Estrella.
Don Latino de Hispalis… sistemáticamente deformada > (il dialogo tra i due ricorda il dialogo
nel romanzo in cui Augusto e Victor discutono, il termine nivola viene fuori come in questo
caso, allo stesso modo). Questa è la definizione di esperpento: Max Estrella spiega che gli
eroi classici passeggiavano per el Callejon del Gato, ossia per una strada che realmente
esisteva, in cui c’erano specchi concavi e convessi, per cui le persone vedevano la loro
immagine deformata; il riferimento è quello ad una letteratura che mette in ridicolo e deforma
tutto ciò che decide di rappresentare, con l’obiettivo di criticare e denunciare la realtà; inoltre
questa rappresentazione deformata e grottesca della realtà è l’unica possibile per
rappresentare la tragedia spagnola, la quale si coglie soltanto, secondo Max Estrella,
attraverso quest’attitudine deformante. Tra l’altro, non si tratta di deformare una realtà
perfetta (la situazione spagnola di quegli anni non era rosea, c’era stato il colpo di stato di
Primo de Rivera), ma la realtà sotto ogni punto di vista. Aggiunge, poi, che l’inventore
dell’esperpento è stato Goya, per cui nasce nella pittura, in particolare nella pittura di un
artista in particolare, autore per esempio dei Caprichos, che erano delle incisioni, in cui c’è
questa tendenza a deformare la realtà: per esempio, gli anziani, a volte, sembrano scheletri,
altre volte sembrano scimmie, insomma c’è un atteggiamento deformante, anche in direzione
animale, infatti ci sono tre Caprichos di Goya, a Madrid, che rappresentano un uomo che
guarda una superficie piana, ma non si sa se uno specchio o un quadro, in cui non c’è la sua
immagine ma, nel primo, quella di una scimmia, nel secondo quella di un gatto e, infine, nel
terzo c’è una donna al posto dell’uomo e in questa superficie piana c’è un serpente. I critici
d’arte non sono d’accordo su questi disegni per quanto riguarda un elemento: è uno specchio
o una tela? Sono stati rappresentati in maniera deformata o si vedono loro deformati? In
entrambi i casi tutto ciò ci riporta a Valle-Inclàn e al suo rappresentare una realtà che vede
deformata. Dunque, il valore ed il carattere specifico dell’arte non stanno’ nella
rappresentazione fedele della realtà, ma nella capacità di comprendere e di rendere
accessibile agli altri la realtà (questo ci fa capire che siamo estremamente distanti
dall’estetica realista).
Escena Decimacuarta
Siamo in un cimitero, quindi nel luogo della morte per eccellenza, e si incontrano queste due
figure: da una parte Rubén Darìo, poeta realmente esistito e che Valle-Inclàn trasforma in
personaggio della sua opera, e dall’altra il Marchese Bradomìn, che sappiamo essere uno dei
personaggi più celebri dei primi decenni del 900 (visto, infatti, anche con Machado) e che non
è mai esistito. Attraverso la letteratura, Valle-Inclàn fa in modo che i due possano parlare.
Es pavorosamente… querido Rubén > il cimitero è un luogo di morte, di individui morti, certo,
ma comunque reali… personaggi che in questo caso non sono reali che ci fanno qui?
Marqués, como ha llegado… pero paciencia > la scena assume dei tratti grotteschi perché il
marchese dice di avere quasi un secolo ed immagina di essere vicino alla morte, Rubén
risponde con usted es eterno, perché il marchese è un prodotto letterario e, in quanto tale, la
sua vita non finirà perché vivrà sempre attraverso le opere in cui si trova. La scelta di
trasformare anche il poeta in personaggio corrisponde alla volontà di rendere anche
quest’ultimo eterno (risonanze unamuniane: Unamuno anche si fa personaggio della sua
stessa opera), infatti Darìo compare anche nella taverna, in cui legge alcuni dei suoi versi,
che sono versi reali.
Rubén Darìo conserva siempre… del viejo Marqués > Valle-Inclàn, inoltre, ci tiene a
sottolineare la realtà di questo personaggio, infatti in questo passo, ossia nelle indicazioni tra
parentesi, Darìo ha in mano questa carta su cui ha scritto dei versi, che lui non vuole leggere
perché dice che devono essere rifiniti, mentre Bradomìn gli risponde che, nella pubblicazione
delle poesie, i versi andrebbero pubblicati con tutto il processo creativo.
La Poesia
Quando parliamo di poesia parliamo di una rottura romantica, ma ciò non significa che ci sia
una rottura definitiva con Bécquer.
Antonio Machado

Antonio e Manuel Machado sono due delle figure più importanti della
poesia e del teatro spagnolo; Manuel è più legato al modernismo, mentre Antonio, la cui
produzione parte dagli inizi del 900, prima aderisce al modernismo con Soledades e poi se
ne distanzia, cambiando poetica. Nasce a Siviglia, città che rappresenterà sempre il simbolo
degli anni felici dell'infanzia, in particolare l'albero di limoni e la fonte sono simboli sempre
presenti, legati al tema del ricordo; si formò con i principi della Institución Libre de Enseñanza,
istituzione creata da Francisco Ginez de los Rios e che ha come obiettivo la modernizzazione
del sistema pedagogico. Si trasferisce a Madrid dove partecipa alla vita culturale della città;
nel 1902 va a Parigi dove entra in contatto con la poesia francese dell'epoca, aderisce con
grande convinzione al modernismo di Ruben Dario, tanto che, con il fratello Manuel e con
Jiménez, fonda la rivista Elios, la quale divenne importante organo di diffusione della poesia
modernista. Nel 1907 lascia Madrid per diventare professore di francese e sposò la giovane
Leonor a Soria; in questo periodo e in questo luogo la sua poesia cambia nei temi e nelle
forme. Ci fu successivamente un secondo viaggio a Parigi, durante il quale frequentò le
lezioni di Bergson ma, in seguito a questo viaggio, Leonor si ammalò e morì; dunque,
Machado non riesce più a restare a Soria perché è una città che gli ricorda troppo gli anni
felici trascorsi con la moglie ormai defunta, quindi decide di tornare in Andalusia, si sposta in
Castiglia quasi settimanalmente, per poi recarsi a Madrid. Scrisse numerose raccolte, delle
quali Soledades e Campos de Castilla sono le più importanti.
Per quanto riguarda la scrittura di Machado, lui come Jiménez ragionerà sulla realizzazione di
opere complete, di forme complete da dare alla sua poesia e ciò implica la revisione dei testi
con una duplice direzione: eliminazione e aggiunta di parti; in certi casi la riscrittura riguarderà
i singoli testi (infatti Machado modifica spesso i termini dei testi). Nell’ultima tappa della sua
produzione (muore nel 1939) le questioni filosofiche diventeranno centrali, la riflessione sull'io
lo porterà a pubblicare El Cancionero Apòcrifo, scritto da Juan de Mairena, uno dei poeti
inesistenti che Machado inventa, uno dei personaggi dotati di uno stile di scrittura diverso da
quello di Machado (eteronimi). Durante quest’ultima tappa della sua vita, egli ha modo di
incrociare i giovani poeti della Generazione del ’27 (per i quali Jiménez era un punto di
riferimento) e alcuni di essi, come Salinas, riconosceranno in Machado un punto di
riferimento… nonostante ciò, Machado critica spesso gli eccessi della loro poesia, che egli
stesso definisce come una poesia barocca che assume le forme di una ginnastica mentale e
che non ha nulla a che fare con la sua poesia, egli non ama Góngora (punto di riferimento e
di nascita per questi poeti), inoltre li considerava troppo influenzati dalle poesie francesi, in
particolare da Verlaine (che tra tutti era colui che assomigliava più a Góngora). Di fatto, per
Machado la poesia deve essere chiara, non ermetica. Tra i poeti che Machado riconosce in
modo positivo abbiamo Pedro Salinas, in modo negativo Guilleme. Esiste una lettera in cui
Machado si riferisce ai poeti della Generazione del ‘27: dopo che arrivano i libri di questi
giovani poeti, Machado non li capisce e non capisce come i loro testi possono essere
considerati poesia. Si rivolge a questa ragazza più giovane di lui, dicendole che magari un
giorno li avrebbero letti insieme, in modo che questa ragazza potesse aiutarli a capire testi in
cui non vedeva alcuna emozione umana, ma solo un labirinto di immagini e di concetti; a suo
avviso, continua, la lirica è sempre stata espressione del sentimento, la poesia non vuole
parlare solo dell'intelligenza ed è proprio per questo motivo che apprezza Salinas, perché
quest’ultimo, nella sua produzione, esprime sentimento amoroso. Si chiede come possa
considerarsi lui se questi sono considerati poeti, ma non lo fa in maniera polemica, si tratta
piuttosto del dramma di un uomo che cerca di dialogare con una poesia diametralmente
opposta alla sua.
Soledades
Il titolo è un titolo parlante: le solitudini; esso rimanda al tema intimo, ad un'atmosfera
intimista. Il titolo rimanda ad una tradizione letteraria: rappresenta un riallacciarsi e allo stesso
tempo allontanarsi dalla tradizione. Riprende il titolo di Góngora per farne, però, qualcosa di
diverso. La prima edizione è del 1903, la raccolta in questo momento aveva un numero
diverso di componimenti ed è quella che aderisce al meglio al modernismo, infatti già nel
1907, con la seconda edizione, l'opera viene riprogettata: vengono aggiunti componimenti
fino ad un totale di 95 e viene eliminato un nucleo di componimenti della prima edizione che
Machado vedeva più legato alla moda. Il titolo è diviso in tre sezioni, ognuna delle quali ha più
sottosezioni. La raccolta presenta tre temi principali: il ricordo, il sogno e l'amore in qualche
forma; il ricordo come evocazione del passato è uno dei modi privilegiati con cui il poeta si
immerge nel proprio io, l’infanzia è il luogo privilegiato ed è agli anni dell'infanzia a cui lui
allude di più. Inevitabilmente, in quest'ottica, il passato appare triste e monotono.
Recuerdo Enfantil
In questo componimento si sviluppano i temi del recupero della memoria, di un ricordo legato
all’infanzia. In questo caso, non si tratta di un ricordo strettamente personale, ma di un ricordo
che può essere condiviso a livello generazionale, perchè si basa su un’esperienza comune
durante la fase della vita infantile, ovvero la formazione scolastica.
Il ritmo di questo componimento è fondamentale: si tratta di un ritmo monotono, proprio come
la monotonia che il poeta dice caratterizzasse i giorni di scuola. Questo ritmo monotono si
ottiene attraverso una cadenza, ovvero la ripetizione che nel testo troviamo a livello di
struttura, questo perchè i primi 4 versi corrispondono quasi esattamente ai 4 versi finali;
quindi si tratta di una struttua chiusa o di una struttura circolare in cui tutto sembra destinato a
ripetersi.
In questo caso, i versi che si ripetono ci rimandano alla descrizione del gionro, al momento
dell’anno: il grigiore invernale, che appiattisce tutto ed è collegato alla tristezza, questo fa in
modo di stabilire una connessione tra il tempo esterno e il sentimento provato dai bambini
durante la lezione.
Se inizialemente il griggiore, il freddo e la monotonia sono esterni alla classe, nella parte
finale è come se tutto l’esterno venisse proiettato sulla classe e sui ragazzi, come se si
stabilisse una strettissima connesione tra spazio e soggetto.
A partire dal verso 5, l’attenzione si sposta sulla classe, intesa sia come aula sia come
gruppo di studenti; dello spazio ci dice solamente che sulle pareti c’è un immagine in cui
Caino ha appena ucciso Abele e si sta allontanando dal suo corpo; nonostante la violenza, la
macchia rossa del sangue di Abele non è altro che la conferma della tristezza e del dolore,
perchè il sangue ci rimanda alla morte.
Il maestro, anziano e malvestito, ha un libro che gli permette di svolgere la lezione, che però
consiste in una monotona ripetizione: il coro delle voci dei bambini, che tutti insieme ripetono
probabilmente tabelline e moltipilcazioni, e da qui capiamo che si tratta di una lezione di
matematica. Non si tratta solo della ripetizione delle moltiplicazioni, ma si tratta di
moltiplicazioni di numeri uguali: qui la monotonia prende forma in maniera molto diversa nel
testo per veicolare efficacemente tristezza, malinconia e grigiore.
Descritto questo, lo sguardo si riallarga in maniera quasi cinematografica stabilendo una
connessione tra lo spazio esterno e quello interno.
Componimento VI
In questo componimento abbiamo sempre il tema del ricordo, che stavolta però si tratta di un
ricordo di una sofferenza amorosa. Essendo ricordo, avremo nuovamente al centro
d’interesse del poeta la ritmicità e la monotonia intesa come ripetizione. Ma mentre nella
poesia precedente, il ricordo sembra nascere in maniera spontanea, in questo caso emerge a
fatica, viene indotto al poeta attraverso un dialogo con una fonte d’acqua con cui l’io parla.
Questa fonte cerca di evocare un ricordo che l’io cercherà in tutti i modi di allontanare in
quanto doloroso.
Questa poesia ci permette di cogliere più chiaramente la centralità dell’uso dei simboli,
perchè questa fonta d’acqua che parla non è altro che una maniera dell’io di sdoppiarsi e
fingere di dialogare con qualcuno che in realtà è sè stesso.
Possiamo individuare tre blocchi: il primo arriva fino al verso 12 e ci presenta la descrizione
del paesaggio; in tutta la raccolta Soledades, il paesaggio è fondamentale ma ha sempre un
valore simbolico: non è descrittivo come in Campos de Castilla, ma è un paesaggio che
permette al poeta di manifestare i suoi personali stati d’animo.
Siamo di sera e la sera, il crepuscolo e l’alba sono i momenti del giorno privilegiati in questa
raccolta, perchè sono momenti di transizione che facilitano il dialogo. Gli aggettivi che
descrivono la sera in realtà rimandano all’io, perche viene definita “triste e sonnolenta”.
Ci troviamo in un giardino recintato in cui evidentemente non mette piede nessuno da molto
tempo, e questo lo sappiamo per l’edera incolta, secca, nera e piena di polvere. Al verso 4 si
introduce la fonte: l’elemento messo in luce anche qui è la musicalità, che nella seconda
parte del componimento si trasforma in voce che parla col poeta.
Il giardino è il luogo di cui solo il poeta ha la chiave: entra nel giardino, e si insiste sugli
elementi che ci fanno capire che è un luogo non curato e dove non si entra da molto tempo.
Entrato nel giardino, si dirige verso la fonte, guidato dal suo cantom un canto dato dall’acqua
che batte sul marmo con un ritmo condenzato. Questo canto d’acqua, da musica diventa
linguaggio. Tutta la descrizione del parco ha un valore simbolico: è l’io che sta scavando in sè
stesso nel tentativo di recuperare un certo passato a cui non ha più fatto ritorno.
Al verso 13 inizia la seconda parte, che arriva fino al verso 48, mentre al verso 49 troviamo
l’ultima parte; la prima parte è descrittiva, la seconda è incentrata sul dialogo tra l’io e la fonte.
La fonte cerca di stimolare nel poeta il ricordo di un passato lontano che rivive attraverso il
presente: il suono della fonte che ascolta nel presente l’io dovrebbe, secondo la fonte,
aiutarlo a recuperare un momento del passato in cui sentiva tale suono; passato e presente
condividono il ritmo, la stessa ambientazione nello stesso momento dell’anno e la presenza
della fonte.
Da qui inizia un sistema di risposte del poeta che dice di non ricordare, ma di riconoscere
qualcosa nel canto della fonte che lo riconduce ad un ricordo passato che non sa definire.
Lezione 11
Nella seconda parte del componimento VI il poeta sta avviando un discorso con la fonte
d’acqua nel giardino in cui si trova; in questa seconda parte diventa centrale il dialogo,c he
procede per domande anche incalzanti in una fase iniziale, domande poste dalla fonte all’io
per cercare di stimolare in lui il ricordo. Ma nonostante l’inisistenza della fonte, il poeta dice di
non ricordare.
Allora, a partire dal verso 21, la fonte comincia ad offrire dettagli in più sul ricordo che vuole
evocare: i dettagli che fornisce, in particolare il riferimento ai mirti talari e alla fiamma, ci fanno
capire che si tratta di un ricordo amoroso.
Dal verso 27 si passa dall’insistenza sulla negazione (no recuerdo), al poeta che ora non
ricorda ma riconosce di sapere delle cose (yo sè). l’io riconosce che c’è qualche cosa nella
scena presente che sta vivendo che è già successa nel passato, ma non riesce a capire di
cosa si tratta e, in qualche modo, pensa e spera che possa trattarsi di qualchr storia felice;
perciò, chiede alla fonte di raccontargli quello che lui non ricorda.
La risposta della fonte non lascia invece spazio alla speranza, perchè chiarisce che è un
ricordo triste, di pena, sofferenza e solitudine dell’io che aveva parlato con la fonte, a cui
aveva affidato lo sfogo e il canto delle sue sofferenze.
Come cerca dalla fonte un aiuto per recuperare il ricordo, questa sete delle labbra della fonte
(versi 43-44) è la sete di conoscere qualcosa; con questa risposta, il poeta decide di
andarsene e saluta òa fonte (v.45).
A partire dal verso 49 fino alla fine, abbiamo un ultimo blocco di versi, di tipo narrativo, che
corrsipondono all’inizio del componimento, ma che ci presentano il movimento opposto; se
all’inizio ci viene presentato l’ingresso nel giardino, ora in questi versi, abbiamo il poeta che
lascia per sempre quel luogo, inisieme alla possibilità di recuperare quel ricordo.
Come abbiamo visto in Recuerdo Enfantil, anche qui la ritmicità monotona si manifesta nel
testo perchè il testo è costruito proprio sulle ripetizioni. Il discorso sulla musicalità del testo
non è un puro espediente estetico, ma è funzionale alla trasmissione più completa del senso.
Campos de Castilla
L'ordine dei componimenti non è casuale: la poesia che apre la raccolta offre al lettore linee
guida su tematiche sviluppate sulle altre composizioni; parliamo di
Retrato
Questo componimento offre spunti sulla poetica di Machado, in particolare ci offre un ritratto
del poeta, della sua poetica e dell'evoluzione della sua poesia fino alla raccolta. Si tratta di un
componimento che segna una rottura definitiva con Soledades, la quale aderisce appieno al
modernismo. Con Campos de Castilla Machado rompe con il modernismo perché si avvicina
alle tematiche della Generazione del ’98 e in questo componimento si percepisce la necessità
di Machado di dichiarare al lettore questo cambiamento di temi e
stile. Dal punto di vista metrico, si tratta di quartine di alessandrini a rima alternata, aspetto
che conferisce al componimento un ritmo cadenzato lento, quasi narrativo. Nei primi quattro
versi il poeta torna all'infanzia con riferimenti al limonero e alla tierra de Castiglia.
Passa poi alla gioventù e al passaggio dall'Andalusia alla Castiglia, tralasciando però aspetti
della sua biografia che fanno riferimento alla sua gioventù, la quale è poco importante per lo
sviluppo della poetica. Al verso 5 parla dell'amore, ci dice che non è stato un don Giovanni
né in età giovanile e né in età adulta, dice di aver conosciuto però la freccia di Cupido, con
riferimento all'amore per Leonor.
La parte che ci interessa comincia al verso 13, da questo momento in poi prende le distanze
dal modernismo perché dice di amare la bellezza; dice di aver aderito all'estetica del
modernismo, anche con il riferimento alla tradizione francese, ma che, nonostante ciò, si
oppone a questa estetica dell'arte per l'arte e alla poesia intesa come pura tecnica
compositiva. Al verso 16 troviamo la parola gat-trinan, la quale fa riferimento al gay-saber,
tecnica compositiva dei provenzali. Quello che cerca in questa raccolta è una poesia
spirituale e meno formale; c'è una lettera, scritta ad Unamuno, in cui Machado dice che gli
sforzi del poeta devono tendere alla luce, che la bellezza non sta nelle difficoltà, ma nella
volontà di comprendere… l’obiettivo della poesia deve essere quello di rendere comprensibili
le oscurità dell'io. Ai versi 19 e 20 abbiamo la considerazione della poesia come desiderio di
conoscenza e come desiderio di penetrare nel mistero; in questi versi ci dice di voler
distinguere le voci reali dall'eco, la quale è una voce vuota: Machado cerca la voce autentica,
quella dell'individuo, dell’uomo. Questo aspetto è il punto di rottura con Soledades.
Se fino ad ora Machado ci dice che l’io e l'autenticità sono ciò che gli interessa di più, nei
versi successivi si concentra sulla parola come strumento di comunicazione e arma di
discussione.
Ai versi 21-23 il valore della poesia sta’ nell'uso che il poeta sa fare delle parole e non della
costruzione formale del verso.
Questa poesia rappresenta una sorta di biografia poetica che si incrocia con un tentativo
novecentesco di ricostruzione autobiografica, ma in verso. Anche con Jiménez abbiamo una
poesia così: Machado, Jiménez e altri arrivano a rompere con il modernismo perché vogliono
una poesia più autentica, personale e che dia voce alle preoccupazioni… insomma, una
poesia per l'individuo. Quindi la rottura con il modernismo arriva, con Machado, nel 1912,
mentre la rottura con il modernismo per Jiménez arriva con El Diario de un Desencantado
del 1916: Jiménez viene visto fino a quel momento come il poeta modernista spagnolo; quindi,
la sua rottura è percepita in modo più forte.
Juan Ramòn Jiménez

Jiménez è sicuramente lo scrittore spagnolo che ha più influito, in


generale, sullo sviluppo della poesia dei primi 50 anni del 900 ed è anche uno di quelli che
con la sua riflessione critica sulla poesia dei primi decenni del 900 ha contribuito ad orientare
determinate interpretazioni. Uno dei momenti che segnano la sua vita letteraria è
riconducibile alla primavera del 1900 quando Jiménez, che si era spostato a Siviglia per studi,
riceve una cartolina da parte di Villes Pesa e Ruben Darìo, i quali lo invitano a trasferirsi a
Madrid e a unirsi ai modernisti, Jiménez chiaramente accetta l’invito, sostenuto dalla famiglia,
e si trasferisce a Madrid. Negli anni a Madrid conosce tutti gli altri poeti più o meno giovani
modernisti, come ad esempio i fratelli Machado, con i quali fonda una rivista. In questo
momento pubblica Ninfeas e Almas de Violeta, raccolte in pieno stile modernista, che non
ebbero un grande successo e che negli anni successivi furono addirittura ripudiate dall’autore
stesso. Come Machado, e forse più di lui, si unì alla Istituciòn Libre de Insegnancia e a
Francisco Giner de los Ríos; tutta la riflessione sull’educazione è fondamentale per la sua
produzione, in particolare per un componimento, Platero y Yo. Egli pubblica durante la sua
vita una quantità enorme di raccolte poetiche che mostrano una evoluzione nella sua
produzione; anche lui dopo l’adesione al modernismo, rompe con quest’ultimo con Diario de
un Poeta Recien Casado, opera fondamentale non solo perché è uno spartiacque nella
poesia di Jiménez (svolta che va alla ricerca di una poesia più intimistica, autentica, come
Machado, anche se non aderisce mai alle tematiche della Generazione del ’98).
Quest’opera pone dei problemi enormi: è un diario ma è in versi, ma ci sono anche delle
prose, ci sono le indicazioni dei giorni e dei momenti del giorno come nel diario, la metrica si
libera perché i componimenti sono in verso libero; Jiménez non è il primo a usare il verso
libero, ma il suo diventa il riferimento per i poeti successivi, per i poeti della Generazione
del ’27, perché era stato in grado di rompere con il modernismo, che era il movimento
dominante. Inoltre, l’opera racconta di un viaggio a New York per un matrimonio, un racconto
che comprende tutta una sezione dedicata all’America, realtà completamente altra rispetto a
quella spagnola e Jiménez è il primo a porre un problema di rapporti non tanto con l’Europa
ma con una società completamente diversa e industrializzata che è New York.
<Esiste un componimento intitolato Sky, spagnolo, in cui si riflette sul fatto che quando non si
conosce la parola con cui viene indicato un oggetto in un’altra lingua noi non possediamo
quell’oggetto> La poesia successiva di Jiménez mira all’esattezza e alla ricerca dell’essenza
delle cose.
Nel 1906, in seguito ad una malattia, si trasferisce per un periodo da un medico, Simarro,
famoso all’epoca per i suoi molteplici interessi legati alla cultura in generale: il salotto del
dottor Simarro agli inizi del 900 era punto di riferimento per vari intellettuali. Jiménez ebbe
modo di conoscerlo personalmente e soprattutto fu importante per lui avere accesso alla sua
biblioteca, molto ricca soprattutto di testi europei, quindi non solo di letteratura spagnola.
Subito dopo cominciò a lavorare a Platero y Yo: nell’opera troviamo riferimenti a lezioni ed
insegnamenti che Jiménez ebbe modo di apprendere a casa del dottor Simarro, in particolare
figura fondamentale fu Francisco Giner de los Ríos, il quale a sua volta frequentava la casa
del dottor Simarro.
Quest’opera è molto importante perché segna un punto di riferimento per il poema in prosa, la
cui diffusione in Spagna risente di un insieme di influenze: la letteratura francese in
particolare con Baudelaire, la prosa artistica di alcuni scrittori romantici come Bécquer e le
sue Leyendas, ma anche le innovazioni linguistiche introdotte dai poeti modernisti. Platero y
Yo non è la sua prima opera in cui lo scrittore si cimenta con questa forma, aveva infatti fatto
altri tentativi in precedenza con Primeras Prosas e Balladas para Después. Se volessimo
provare a tracciare una sorta di linea evolutiva tra questi testi avremmo:
- Primeras Prosas come primo tentativo, risente ancora molto del modello romantico;
- Balladas para Después segue fortemente il modello del simbolismo francese; -
Platero y Yo è la forma in cui Jiménez raggiunge il perfetto equilibrio tra le influenze ed il suo
contributo specifico. Quest’opera rappresenta una svolta.
Caratteristiche del poema in prosa:
- periodi molto lunghi in cui l’elemento ritmico e melodico è fondamentale, il quale si ottiene
attraverso le figure retoriche fondate sulla ripetizione non solo di parole, ma anche di suoni e
di immagini (centralità della metafora);
- la prosa assume la caratteristica della poesia, per cui la narrazione è meno lineare e
procede più attraverso
sensazioni e stati d’animo.
Nell’opera, che si basa sull’insegnamento a questo asino, diventa centrale il tipo di
insegnamento, che molto spesso è stato letto in chiave cristiana e religiosa. La società in cui
vivono l’asino e il bambino è descritta in maniera molto critica e realista, la critica passa
spesso attraverso l’ironia. Il mondo in cui si muovono i due protagonisti è un mondo di
ipocrisia e crudeltà in cui cercano di inseguire un ideale diverso, per cui spesso vengono
emarginati, appellati “pazzi” proprio perché vogliono seguire un ideale diverso, non basato
sulla crudeltà che contraddistingue il loro mondo, ma sulla solidarietà (ecco perché gli
insegnamenti dell’opera sono molto legati ad un modello di religiosità cristiana, viene spesso
definito come poetica del cristianesimo).
L’opera veniva usata come modello di insegnamento per i bambini addirittura, in particolar
modo grazie alla ripetizione dei suoni, i quali hanno il vantaggio di facilitare la
memorizzazione.
Diario de un Poeta Recién Casado
Opera fondamentale, con cui Jiménez rompe in maniera definitiva e netta, da tutti i punti di
vista, con l’estetica modernista che, appunto, aveva dominato nella sua produzione fino a
quel momento. L’occasione per la scrittura di quest’opera fu il viaggio per andarsi a sposare
del 1916. Gli aspetti che rendono l’opera così dirompente sono moltissimi: innanzitutto il
rapporto con un mondo completamente diverso, rappresentato dagli Stati Uniti; quindi,
l’inserimento di nuovi temi che hanno a che fare con la modernità; questo è importante
perché traccia un filo conduttore che ci porterà a Lorca con Poeta en Nueva York.
Altro aspetto è il diario, ci fa pensare a un aspetto autobiografico che ha caratteristiche
specifiche: la scrittura diaria, quindi quotidiana, con indicazioni normalmente specifiche, ossia
il giorno, a volte il momento della giornata… inoltre, la scrittura diaria prevede la prosa e
Jiménez trasforma questo genere in prosimetro, usa la già citata narrativa in prosa, la cui
caratteristica principale in questo caso è l’uso del verso libero, che lui stesso aveva già usato
in precedenza, la differenza sta nel fatto che quest’opera ne rappresenta la piena maturità ed
è proprio quello usato in quest’opera che rappresenterà il modello per i poeti successivi e
diventerà il verso più usato nella poesia. Del diario, insomma, mantiene le indicazioni di luogo,
giorno e, spesso, anche il momento della giornata. Jiménez dice che questo andamento
irregolare del verso libero gli è stato suggerito prima dal treno e poi dalla nave, quindi dai
mezzi di trasporto, su cui lui spesso ha realizzato questi componimenti; in effetti, le sezioni
che compongono la raccolta sono legate al treno, quindi il viaggio che il poeta ha fatto per
imbarcarsi, e alla nave, in riferimento al viaggio sia di andata che di ritorno, quindi sono due
sezioni in riferimento alla nave; la sezione dedicata al soggiorno a New York dà forma al
rapporto ambivalente che il poeta stabilisce con New York, che non è un rapporto
completamente critico, tuttavia il poeta sottolinea un serie di differenze e difficoltà nei
confronti di questa cultura diversa, ad esempio, parlando di un circolo esclusivo di scrittori
che si trova un grattacielo, ironicamente fa riferimento all’Olimpo, dove però queste divinità
non erano così divine come gli dei dell’Olimpo.
Lezione 12
Amanecer y Oro Mio
Questi due testi sono due diversi modi in cui Jimenez esprime una stessa sensazione e
descrive un stessa scena, ovvero il sorgere del sole. Il primo punto di partenza sono i colori, il
mondo è rappresentato come una tavolozza di colori di cui il poeta conosce tutte le sfumature;
poi abbiamo anche la centralità del sole e del coloro oro ---> infatti, il titolo “Oro mio” fa
proprio riferimento al sole. La coesione che Jimenez fa tra la poesia e la prosa, permette al
lettore di compredendere meglio questi testi.
Però quando parliamo di poesia spagnola del Novecento, possiamo fare una differenza tra la
poesia di Machado e quella di Jimenez:
 Per quanto la poesia di Machado sia attenta alle figure retoriche è abbastanza
trasparente e chiara, di facile comprensione:
 Mentre invece la poesia di Jimenez è fatta di suggestioni e sensazioni, si basa molto di
più sui sensi; viene utilizzata molto la sinestesia per raccontare la totalità del mondo e
del creato in cui l’io è parte integrante. Essendo una poesia cosi fortemente legata a
emozioni e sensazioni, presenta delle difficoltà nell’interpretazione del siginificato estatto
di certe espressioni. Ad esempio senza il titolo “Amanacer”, il lettore non avvrebbe
potuto capire di cosa si stava parlando.
A volte quindi si ricorre a elementi di questo tipo (come il titolo), mentre altre volte, invece, il
senso si comprende solo all’interno del dialogo completo del diario. Quindi il diario è sia un
viaggio fisico che dell’io, sia indica una trasfromazione dell’io a una nuoca identità: lascia il
suo io bambino, ad esempio passando dall’amore infanitle all’amore matrimoniale. Nel testo
tutto ciò prende vita grazie a una serie di contrapposizioni.
Sol en el Camarote
Con questo componimento siamo ancora in una fase iniziale della produzione di Jimenez. Si
tratta di un poema in cui viene rappresentato un improvviso momento di felicità, fiducia e
speranza. Il poeta ci descrive ciò che sta succedendo intorno a lui e rivela dal primo verso,
l’idea centrale di tutto il componimento, ovvero l’amore.
L’amore viene rappresentato come una rosa che, per qualche motivo non ben specificato, ha
tardato a sbocciare ---> quindi l’amore è un sentiemnto che il poeta ha conosciuto tardi nella
sua pienezza. Dal verso 3 iniziano a comparire elementi di difficile compresnione: prima di
fiorire questo fiore-amore ha dovuto superare una lotta, e adesso è invincibile. Gli elementi
che combattono in questa lotta sono sole e acqua: c’è una stretta correlazione tra i suoi stati
d’animo e gli elementi del creato. Durante questa lotta il poeta si sentiva come prigioniero.
Quando si parla di “males infanitles”, il poeta ci dice che questa sofferenza, che lui ha provato,
riguardi l’intera fase della sua giovinezza, e tutto ciò segna un nuovo inizio: porta alla nascita
di un nuovo io, che si sente invincibile grazie a questo amore, e pensa di poter ottenere e
conquistare tutto (quindi un senso di iperopotenza dell’io nei confronti del mondo).
Questo è un moemnto del viaggio, ma questa lotta di cui ci parla e questi mali sono da
superare progressivamente durante tutto il viaggio: questa trasformazione implica passi
avanti, ma anche differenza e passi indietro fino a raggiungere il punto desiderato ---> ovvero
la pienezza dell’amore, simboleggiato dal matrimonio.
Todo
Questo componimento è costruito su contrastri e opposizioni. Bisogna leggere l’epigrafe per
capire che la coppia a cui si fa riferimento sono il mare e l’amore, che hanno guarito l’io: l’io
afferma di aver guarito il proprio conflitto interiore grazie a questi elementi.
Il mare rimanda al tema del viaggio, perchè in questa fase il poeta sta entrando in Spagna.
Questa guarigione si mostra in una improvvisa e piena comprensione del mondo, che fino a
prima risultava incomprensibile e inaccessibile: tutto ciò ci viene mostrato tramite opposizioni
(versi 6-7). Prima il poeta guardava il mondo attraverso gli occhi fisici, ora sono occhi nuovi
nel senso che sono gli occhi della trasformazione dell’animo del poeta.
Negli ultimi versi introduce una coppia in opposizione a “mar y amor”, ossia “terra e cielo”:
da un lato abbiamo l’infanzia con gli elementi naturali della terra e del cielo, sostituiti da amor
y mar come simboli di guarigione e comprensione del mondo.
Il viaggio ci mostra un processo di guarigione dell’io e di comprensione del mondo. In questo
processo oltre alla dimensione naturale è fondamentale l’amore, visto come una forza in cui il
tutto e il nulla coincidono grazie all’io che li percepisce. In questa relazione di tutto e nulla il
poeta vede anche l’idea di poesia come relazione tra la parola e silenzio, tra ciò che si dice
(che non è casuale, è la parola esatta) e ciò che non può essere detto ma che in qualche
modo può essere ugualmente compreso.
Siamo davanti a un’esperienza poetica tipica del Novecento, è una poesia molto più
complessa: la complessità non è data da artifici o figure retoriche elaborate, ma dal fatto che
si tratta delle esperienze e delle emozioni di un io specifico.
Si tratta di un processo che si intensifica man mano e raggiunge il suo culmine
nell’esperienza dei poeti della Generazione del’27.
GenerAzione deL ‘27
Come già anticipato, si tratta di un gruppo di scrittori, in questo caso giovani (inizialmente
chiamati La Joven Literatura), definiti con un concetto biologico, che è quello della
generazione, che però non fa riferimento alla loro data di nascita, ma ad un evento: in questo
caso, le celebrazioni gongorine (300 anni); nel 1927 questi giovani poeti si riuniscono e
leggono pubblicamente i loro testi. In realtà, alcuni studiosi parlano di Generazione del ’25,
data in cui cominciano ad uscire i primi libri di Cernuda; altri la definiscono Generazione di
Guillén-Lorca, a sostegno dell’idea che il surrealismo divide il gruppo in due sottogruppi
rappresentati dai due autori in questione; altri ancora la definiscono Generazione della
Revista de Occidente, ecc. Federico García Lorca, Rafel Alberti, Damaso Alonso, ecc.
leggono queste poesie che, in qualche modo, sono legate a Gongora, a cui guardano come
modello e nume tutelare (anche se in realtà Gongora non era l’unico ad essere oggetto di
ammirazione e studio tra i classici, ma lo erano anche, ad esempio, Garcilaso, Lope,
Calderòn, ecc.). La loro è una poesia difficile, che richiede non tanto/non solo un forte
sentimentalismo ma anche intelletto, ragionamento sulla poesia (una delle ragioni per cui
Machado si distacca); è una poesia che rompe completamente con la poesia che fino a quel
momento circolava in Spagna, che, nonostante l’esplosione con il Diario di Jiménez, era
ancora modernista e manierista (un'arte combinatoria del linguaggio che dà peso e sostanza
al segno acustico-fonetico, confidando che le qualità musicali e le idee della parola siano
unite in un sistema complesso di simmetrie e corrispondenze) e che loro definivano con il
termine putrefatto, in riferimento non solo a questo tipo di poesia tradizionale, ma anche a
coloro che si opponevano alla novità. Questi giovani vogliono rompere con la letteratura e la
poesia dell’epoca, vogliono aprirsi alle esperienze europee e sono sicuramente poeti che
hanno contribuito a rendere questa fase della letteratura e della poesia spagnola se non un
nuovo Secolo d’Oro, un secolo definito Edad de Plata, che arriva all’incirca fino al ’39.
Importanti furono le riviste, le quali non solo erano punto di incontro per questi artisti, ma
erano anche un modo per diffondere il loro pensiero estetico; tra queste Grecia, Ultra e la
Revista de Occidente, il cui direttore era Ortega y Gasset e aiutò in modo consistente alla
diffusione dell’estetica della giovane letteratura. Ruolo importante gioca anche l’Antologia di
Gerardo Diego, uscita nel 1932, che raccoglieva i testi di 17 autori, di cui 12 appartenevano
alla Generazione del ’27. Nel 1934 venne pubblicata una sorta di continuazione, l’Antologia
(Contemporanea), in cui vengono inclusi altri 15 poeti che in quella precedente non c’erano
(come Rubén Dario e Valle-Inclàn); tuttavia questa ricevette delle critiche, in particolar modo
da parte di Luis Cernuda, il quale sosteneva che, per soddisfare il fatto di dover essere
ristretta nella sua selezione, questa antologia aveva rotto l’unità della stessa aggiungendo
versi alieni ai criteri che seguiva la prima. Inoltre, anche la politica condizionato molto la
selezione dei poemi, lo stesso Gerardo Diego sostituì alcuni dei suoi poemi con altri che
erano di stampo più tradizionale.
L’esperienza di questa Generazione del ’27 si considera più o meno esaurita con lo scoppio
della guerra civile del ’36, anno in cui, tra l’altro, muore Lorca; da questo momento in poi in
Spagna si svilupperà una corrente poetica che potremmo definire di ripiegamento, la quale
predilige temi dell’intimismo religioso e familiare, segnando il ritorno ad uno stanco
classicismo (neoclassicismo o garcilasismo); il romanzo torna al racconto storico-fantastico,
consacrato dall’assegnazione del Nobel (1989) a Camilo José Cela, rappresentante della
corrente tremendista con cui la narrativa spagnola esordiva nell’immediato dopoguerra.
La Generazione del ’27 non è un’avanguardia, di fatto non ha un manifesto, ciò però non
significa che questi poeti non entrino in contatto con le esperienze dell’avanguardia, anzi…
l’unica avanguardia spagnola è l’ultraismo, inoltre è inevitabile il rapporto di Alberti e Lorca
con il surrealismo, rapporto interpretato, però, sempre in chiave di influenza (che loro
negheranno sempre). L’ultraismo è caratterizzato dalla proposizione di innovazioni complicate
come versi gratuiti, immagini audaci come una sfida ai tradizionali schemi letterari. Per
quanto riguarda invece il surrealismo francese, esso non fu ben accolto in Spagna, gli stessi
componenti della Generazione del ’27 rifiutavano l'influenza del surrealismo francese,
addirittura Alberti lo collegava all'esaltazione dell’illogico, del subcosciente; eppure, fu proprio
l'irruzione del surrealismo a dividere il gruppo in due parti: Salinas e Guillén da una parte,
Lorca, Alberti, Cernuda e Alexaindre dall’altro.
Questi poeti erano, sostanzialmente, amici, che venivano da luoghi completamente diversi,
che si trovavano a vivere o a frequentare la Residencia de Estudiantes, luogo fondamentale,
una sorta di college, in cui vi era un teatro, campi sportivi e alloggi in cui vivevano alcuni di
loro, mentre altri, come Alberti, la frequentavano molto (essa è legata all’Institución Libre de
Enseñanza). In questo luogo si tenevano conferenze, lezioni, venivano invitati i più grandi
artisti di pittura, filosofia, musica, quindi artisti in generale, ad esempio Bergson, Dalì, ecc. Ciò
significa che questi giovani condividono un sapere e si confrontano su tutto ciò che all’epoca
era cultura e arte, perché aldilà delle lezioni c’era anche il confronto diretto, per esempio con
Poeta en Nueva York Lorca voleva inserire delle immagini, una di queste doveva essere un
collage surrealista: immaginava Paul Wittman nella cui barba c’erano delle farfalle ed è facile
qui immaginare l’influenza di Dalì. Divenne una vera e propria moda quella degli anaglifi,
composizioni brevi di tre sostantivi, di cui il secondo era “la gallina”, mentre il terzo era
totalmente inaspettato. Condividevano inoltre la posizione sociale (erano borghesi), uno
stesso orientamento politico (erano liberali di sinistra), alcuni con un’attitudine al
combattimento e alla protesta molto più marcata di altri (come Alberti). Sviluppano tutti
estetiche personali e diverse, le loro poesie sono diverse e si legano a tematiche diverse,
perché tutti sono legati dall’attitudine al cambiamento.
A partire dal 1918 abbiamo la presenza attiva a Madrid di Huidobro, con il manifesto
dell’ultraismo, movimento all’interno del quale formavano un gruppo speciale i creazionisti.
Con Huidobro arriva l’idea di costruire il poema come un quadro (forte legame con il cubismo)
e da qui la peculiare disposizione dei versi e l’assenza di punteggiatura; successivamente
abbandonò questa idea quando scoprì che l'ordine sequenziale di un poema faceva in modo
che un'immagine ne generasse un'altra e così via (la cosiddetta immagine polipetala).
Il ruolo di Ortega y Gasset risultò importante anche per altri motivi: egli prese le distanze dal
concetto dell'arte come mimesi a favore del concetto dell'arte come creazione, egli animò, nel
1913, la Liga de Educación Política Española, uno dei movimenti che sorsero in Europa
all'inizio degli anni ‘20 del 900 e che avevano come obiettivo il governo intellettuale dei popoli.
In questo contesto è importante analizzare il senso che assume la parola “poesia pura" in
ogni caso: per Paul Valéry la poesia pura si trova in relazione con la musica e pensa che il
fenomeno poetico non debba essere una copia ma la creazione di una realtà nuova
attraverso un sistema di relazioni tra parole (il suo maestro era Mallarmé, che Ortega definiva
come il grande liberatore della nuova lirica), mentre per l’abate Brémond la poesia è costituita
da due tempi, un primo tempo che è quello in cui il poeta sperimenta una conoscenza
ineffabile e un secondo momento che corrisponde alla realizzazione in verso di ciò che ha
intuito; ancora, per Juan Ramòn lo scopo della poesia è quello di svegliare l'io profondo che
dorme sotto i sentimenti volgari e fare in modo che esso scopra il segreto nascosto negli
avvenimenti e nelle cose di ogni giorno, egli considerava Valéry come un semplice
divulgatore di Mallarmé e credeva che seguendo il poeta francese nel suo ritorno alla strofa e
alle forme classiche, dell’esaltazione del virtuosismo tecnico e del distanziamento dalla realtà,
la giovane letteratura non faceva altro che sbagliarsi andando alla ricerca della pura poesia e
non della poesia pura.
Con la morte di Lorca e con l’avvento del conflitto militare, molti di questi poeti furono costretti
all’esilio, un esilio che li porterà in luoghi diversi e dopo, più o meno tutti, finiranno negli Stati
Uniti o nell’America del Sud (come Cernuda), altri morirono durante o immediatamente dopo
la guerra (come Lorca e Hernandez) e altri ancora restarono in patria mantenendo aperto il
dialogo con i compagni fuoriusciti (come nel caso di Alonso). Nonostante tutto ciò, non
smetteranno di scrivere ma chiaramente il concetto di “generazione” non sarà più idoneo a
rappresentare la complessa diversità delle varie figure, la loro poesia si modificherà
ulteriormente, ad esempio tutti saranno accomunati dal tema dell’esilio.
Federico Garcia Lorca

Tra i poeti della Generazione del’27, Garcia Lorca era il più


giovane ma probabilemte anche quello dotato di più carisma:sembrava essere un polo di
attrazione per l’arte in generale attorno al quale convergevano artisti e letterati.
Poeta e drammaturgo (soprattutto per quanto riguarda la tragedia), nasce nel 1898 in
provincia di Granada, riceve un’educazione in cui si presta molta attenzione all’arte, in
particolare alla musica e al disegno; la musica resterà sempre una delle sue grandi passioni
che influirà nella sua concezione artistica… non abbiamo registrazioni, a differenza di altri
autori di inizio secolo, ma era celebre per le sue letture pubbliche in cui spesso, oltre a
leggere i suoi componimenti, li accompagnava dalla chitarra o dal canto. Altra passione era
quella per il teatro: alla Residencia de Estudiantes mette in scena El Maleficio de una
Mariposa, storia d’amore che ha come protagonisti insetti (dramma teatrale) che fu un
disastro, cosa che lo spinse a mettere da parte il teatro, dedicandosi con maggiore interesse
alla poesia, in particolare il successo e l’affermazione arrivano nel 1928 con El Romancero
Gitano, che ebbe un successo strepitoso. Nel 1929, in una fase di crisi del poeta, ottiene una
borsa di studio per andare a New York, alla Columbia University, dove resta per un anno
intero, andrà a Cuba e poi tornerà in Spagna. Questo viaggio è fondamentale perché influisce
molto sulla sua poesia di questi anni, la quale darà vita a Poeta en Nueva York ed è diversa
da quella del Romancero Gitano per il tipo di verso, per l’ispirazione, per lo stile (la poesia di
Poeta en Nueva York è legata al surrealismo). Si concentra nuovamente sul teatro, fonda la
compagnia Teatro Universitario la Baracca e dedica tutte le sue energie alla scrittura
teatrale, convinto del forte valore sociale del teatro, il quale, molto più della poesia, arriva ad
un pubblico più vasto e in modo più diretto. Nel passaggio dalla poesia al teatro non cambia
radicalmente la sua scrittura, il suo teatro è strettamente legato alla poesia, ci sono infatti una
serie di simboli estremamente ricorrenti, come ad esempio la luna, che è fortemente presente
tanto nella poesia quanto nel teatro dopo. Lorca viene fucilato nel ’36, il suo corpo non è mai
stato trovato e questo fu un evento traumatico per tutta la Spagna liberale, in particolare per i
poeti e i letterati dell’epoca, si trovano infatti moltissimi componimenti dedicati alla morte di
Lorca e alla denuncia di quest’ultima (Machado, Alberti, ecc.). Motivo della sua uccisione era
che, oltre ad essere di sinistra, e quindi liberale, era omosessuale, era infatti abbastanza nota
la relazione con Dalì: Lorca nella società spagnola dell’epoca ha difficoltà ad accettare un
amore che è inteso come peccato, ma questo elemento non è l’unico da considerare
nell’analisi dei suoi componimenti.
Viene consacrato poeta nel 1928, quando viene pubblicato il “Romancero Gitano”. Si tratta
di un’opera che ha un successo enorme e un impatto dirompente, oscurando qualunque altra
raccolta poetica: sancisce la grandezza di Lorca come poeta. Lorca ci fornisce già dal titolo,
una serie di informazioni:
 “romancero” perchè Lorca vuole recuperare una certa tradizione e inserirsi all’interno di
essa, quella del romance e del romancero; la tradizione deve essere accompagnata da
qualcosa di nuovo, e da qui abbiamo il secondo elemento del titolo;
 “gitano”, Lorca fa riferimento alla popolazione emarginata (vedremo che l’emarginazione
è un pò un proiezione di sè stesso); i gitani mantenevano le tradizioni in maniera pura,
avevano un rapporto privilegiato con la natura (infatti l’elemento naturale diventa centrale
all’interno del romancero).
La poesia di Lorca è fortemente sombolica, nel senso che l’autore ricorre a dei simboli che
tornano costantemente: ad esempio la luna a cui viene spesso legato un presagio di morte; il
cavallo che è simbolo di violenza; anche gli elementi cromatici sono usati in maniera
simbolica. Lorca ricorre ad immagini che hanno dei rapporti stabiliti in maniera arbitraria
dall’io (non sono immagini chiare e logiche, ma molto spesso oniriche) --> ad esempio il
monte con gli alberi diventa il dorso di un gatto.
Lorca parla moltissimo delle sue opere in interviste: è un elemento tipico di questa
Generazione organizzare eventi per leggere e parlare delle proprie opere. “Teoria y Juego
del Duende” è una conferenza in cui Lorca ragiona sull’ispirazione artistica, con l’arte intesa
in senso ampio. Il Duende è una sorta di creatura ritenuta alla base delle grandi
manifestazioni artisitche spagnole, non esiste una definizione chiara: Lorca cerca di spiegare
questa figura attraverso il paragone con l’angelo o la musa, tipici di altre culture. Mentre
l’angelo e la musa sono spiriti esterni che si avvicinano all’artista che scrive sotto dettatura o
influenza, Lorca spiega che il Duende è nel sangue e nella carne: è una forza interna che gli
artisti possono avere o no, oppure può comparire solo in determinati momenti (ad esempio
essere presente in una determinata opera di un autore mentre nelle altre no). E’ una froza
che ha a che vedere con la lotta e la sofferenza. Lorca afferma che la sua opera che ha più
Duende è il “Romancero Gitano”.
Lezione 13
Romancero Gitano
Una delle caratteristiche che accomuna i poeti della Generazione del ’27 è il rapporto con la
tradizione: essi vogliono rompere con la tradizione più recente, ma cercano di stabilire un
rapporto con quella antica, sicuramente tutta la tradizione spagnola che arriva al 600, con
qualche straordinaria accezione 800esca (Bécquer, modello importante per alcuni di loro, in
particolare Cernuda); in questo caso Lorca si rifà all’elemento del romancero, aggiungendo
questo gitano… ma perché? In questa raccolta Lorca ricerca elementi di purezza, innocenza
e autenticità; nella sua concezione, i gitani (che non hanno niente a che vedere con gli zingari)
sono quella parte della popolazione che mantiene intatte queste tre caratteristiche; quindi, è
un romancero che parla dei gitani ma non ai gitani, a tutti. Lorca, in tutta la sua produzione,
ha una particolare attenzione e predizione per gli ultimi, gli emarginati e discriminati, secondo
lui è in loro che si trovò la forza e l’autenticità umana, è in loro che va ricercato un modello di
vita. Ad accomunare questi componimenti è la volontà di raccontare delle storie, in certi casi,
come nel Romance de la Luna Luna, la storia che viene raccontata si ricollega ad un mito,
che Lorca riprende e trasforma; il mito si presta alla narrazione di esperienze che sono, di
fatto, universali.
Romance de la Luna, Luna
Il mito ripreso in questo componimento è il mito di Endimione, giovane bellissimo di cui si
innamora perdutamente Selene, la dea dell’amore. A questo punto, secondo la tradizione,
Zeus geloso della sua bellezza e dell’amore della dea, lo condanna ad un sonno eterno,
mentre un’altra parte della tradizione, invece, vede Selene stessa gelosa della vita diurna del
giovane, lo condanna ad un sonno eterno in cui possa essere solo suo. Lorca prende questo
mito e lo trasforma, attuando tre sostanziali modifiche:
- lo rende attuale > i protagonisti sono gitani;
- carica il mito di grande patetismo, che nella tradizione non ha, perché non si parla di un
giovane ma di un bambino; quindi, non si parla dell’amore tra due giovani, si parla di amore
ma abbiamo l’innocenza dei bambini (quindi moltiplichiamo l’innocenza dei gitani, già
innocenti perché gitani, poi anche bambini);
- infine, in maniera implicita, si ha il passaggio dal sonno alla morte.
Il componimento parla della morte di un bambino gitano in una notte di luna piena e la poesia
ci racconta come avviene questa morte. Dal punto visto metrico abbiamo ottosillabi con
assonanze (tipico romance), la lettura ha un ritmo molto cadenzato, dato, per esempio, dalle
ripetizioni, le quali sono fortemente volute da Lorca soprattutto nel titolo; infatti, delle edizioni
precedenti il titolo era diverso: la ripetizione era doppia, si ripeteva “gitani” e “luna” e, in
un’altra edizione, vi era Romance de la Lun, in cui non ci sono ripetizioni ma c’era.
Il componimento era sciolto, prima in una lettera e poi in una pubblicazione; quindi, non era
necessario aggiungerlo al titolo.
Il testo può essere diviso in sequenze:
- versi 1-8, prima sequenza narrativa;
- versi 9-20, seconda sequenza dialogica, in cui si ha il dialogo;
- versi 21-36, terza sequenza narrativa, in cui si racconta la scoperta della morte da parte dei
gitani.
La luna è una donna, che arriva in questa grotta dove c’è il bambino da solo. La scelta del
verbo vino e ciò significa che l’io che sta raccontando la storia è presente, testimone oculare
di ciò che accade e questo spiega anche perché, a partire dal verso 3, usa l’articolo
determinativo per indicare il bambino. Il bambino viene indicato con il termine mirar, come a
sottolineare l’attenzione che il bambino presta alla luna, questa donna.
La luna nella poesia di Lorca è sempre femminile ed è sempre simbolo di morte, viene
presentata come una ballerina che esegue davanti al bambino una danza, durante la quale
vengono sottolineati movimenti sensuali, il movimento delle braccia, il riferimento ai seni,
esplicitamente viene definita lubrica e pura, elementi in contraddizione; quindi, la sensualità
della luna è naturale e questo le permette di essere contemporaneamente pura e innocente e
così sensuale, così portatrice di morte.
Il dialogo col bambino è un dialogo in cui il bambino, a sua volta innocente, cerca di mettere
in guardia la luna dall’arrivo dei gitani, la invita a fuggire, facendo riferimento ad un’uccisione
della luna da parte dei gitani; la luna risponde sempre con un atteggiamento freddo,
sprezzante, facendo un altro riferimento alla morte (ojitos cerrados); il bambino insiste, sente
l’avvicinamento dei cavalli e la luna, che sembra allontanare il bambino, gli chiede di non
calpestargli la gonna (o meglio, alla struttura che si metteva sotto la gonna per renderla
rigida), a questo punto si chiude la scena della grotta e si cambia scena, si sposta alla
pianura, in cui ci rappresenta il galoppo del cavaliere e, quindi, la corsa per arrivare dal
bambino. Si cambia scena quindi, come nei film, e comincia la terza sequenza narrativa, che
ci porta dal viaggio fino alla grotta e ci presenta il dolore e la disperazione che trovano il
bambino con gli occhi chiusi, in un sonno eterno. Abbiamo, però, un’altra importante
annotazione: la morte del bambino viene comunicata attraverso i versi 31-32, in cui si vede
descritta la luna in cielo che ha per mano un bambino, si ritorna all’uso dell’indeterminativo e
quindi ad un riferimento universale, l’esperienza di morte diventa esperienza condivisa e
condivisibile da tutti.
Romance Sonàmbulo
Una delle poesie tra le più note, caratterizzata anche in questo caso da una forte musicalità,
ci sono strutture che tornano, tant’è che ne esistono delle versioni musicate e cantate. Anche
qui racconta una storia, non è un mito ma ne ha la stessa forza: mette in scena le forze del
bene e del male: la storia è quella di un contrabbandiere che viene ucciso dalla guardia civìl. I
ruoli sono invertiti, il lettore è dalla parte del contrabbandiere, partecipa alla sua sofferenza, la
guardia civìl, che dovrebbe rappresentare la giustizia, viene rappresentata come la parte
cattiva e Lorca marca la cattiveria di questi uomini descrivendoli come uomini ubriachi (verso
81). La narrazione si comprende un po' alla volta, ha un ritornello molto incisivo ma anche
molto difficile da interpretare, ripete continuamente il verde, colore che allude alla giovinezza,
alla speranza, ma, quando fa riferimento al vento, potrebbe parlare di vento che passa tra i
rami e quindi il verde delle foglie diventa il verde del vento; c’è inoltre una forte assonanza tra
verde e verte (vederti) e, in effetti, in tutto il componimento ci sono due personaggi che
sperano di vedersi: al verso 3 e 4 abbiamo il riferimento al paesaggio con mare, montagna,
barca e cavallo (elementi del contrabbando) e al verso 6 un ella, riferimento ad un
personaggio femminile, affacciato al balcone che guarda, personaggio che ci viene
presentato con verde carne e pelo verde… in che modo potremmo interpretarlo?
Probabilmente al verde della giovinezza; e Ojos de frìa plata? Con riferimento al titolo, questi
occhi argentati che vedono ma non vedono potrebbero fare riferimento ad uno stato di
sonnambulismo, tutti la vedono ma lei non vede. Questa figura sta aspettando qualcosa, ai
versi 13-24 ci viene presentato il paesaggio che lei sta guardando, paesaggio presentato
attraverso immagini oniriche, il che’ rafforza l’idea del sonnambulismo, è lei a vedere questo
paesaggio. Ad un certo punto, verso 25, cambiano i personaggi (compadre), i quali sono
legati, il più giovane chiede all’altro di poter cambiare vita, di lasciare il contrabbando per una
vita tranquilla e stabile, il pericolo per la tranquillità e aggiunge che è ferito, sanguina, quindi è
chiaro che è uno di quei cambiamenti legati all’esperienza di morte. La risposta è oscura
inizialmente (versi 31-34), lui non è più lui e la sua casa non è più la sua casa, il giovane
insiste, con una consapevolezza maggiore, non chiede più di cambiare vita, ma di avere una
morte decente e, tra l’altro, viene ampliata la descrizione della ferita, da semplice ferita e, a
partire dal verso 41, questo sangue è paragonato a rose su una camicia ma, in ogni caso,
nemmeno questa cosa è possibile. Ultimo desiderio del giovane, allora, è quello di salire in
quel luogo dove si trova la ragazza prima descritta; quindi, probabilmente capiamo ora i
personaggi in questioni: è il fidanzato della giovane che chiede di poterla vedere un’ultima
volta e l’uomo risponde che questo si può fare. Comincia questa salita, dolora, e nel
frattempo ci dice che siamo alle prime luci della mattina (che come ben sappiamo
rappresenta una zona di confine, di riflessione, oltre ad essere momenti in cui si è al limite tra
veglia e sonno, in linea con il titolo), arrivano a destinazione, ma la ragazza non c’è (verso
66), cos’è cambiato? Verde carne e pelo verde ora assumono connotati realistici: cara fresca,
negro pelo. A partire dal verso 73 ci viene spiegato che la ragazza non c’è perché si è uccisa,
dal verso 75 si ritorna a verde carne e pelo verde, gli occhi di frìa plata non sono simbolo di
sonnambulismo in realtà, ma della morte, così come il verde anche è legato al colore dei
cadaveri, oltre alla presenza della luna. A questo punto vengono i componenti di questa
guardia cìvil che, ubriachi, bussano alla porta. La storia è raccontata in momenti cronologici
diversi che vanno ordinati: il contrabbandiere è in “missione”, la ragazza lo attende ma lui non
arriva perché è stato ucciso e, quindi si uccide; il dialogo col padre è immaginario, per questo
lui dice che non può fare nulla, che la sua casa non è più la sua casa, l’unica cosa che si può
fare è che lui può raggiungere lei e questo, probabilmente, perché sono tutti morti.
Chiaramente, non sappiamo se quelli della guardia civìl hanno ucciso anche il padre.
Poeta en Nueva York
Poeta en Nueva York segna un punto di svolta, in realtà potremmo anche dire che purtroppo
segna un punto di arrivo della poesia di Lorca perché si tratta dell’ultimo progetto che
consegna a una casa editrice per la stampa. È una raccolta profondamente diversa per
quanto riguarda temi e strutture del Romancero Gitano:
- è una poesia profondamente influenzata sicuramente dal surrealismo, le immagini presenti
all’interno dei componimenti sono più complesse rispetto a quelle del Romancero Gitano
perché ne viene accentuato il carattere onirico;
- un’altra grande differenza è che, se nel Romancero Gitano Lorca racconta delle storie
(abbiamo visto, per esempio, la questione dei contrabbandieri e della guardia civìl), qui il
discorso si concentra sulle sensazioni del poeta nella grande metropoli che è New York.
La centralità dell’io, della riflessione, dell’introspezione è un elemento che contribuisce ad
aggiungere difficoltà a questi componimenti e a questa complessità che fa parte dei singoli
testi si aggiunge una complessità legata alla storia del testo: l’opera viene pubblicata per la
prima volta postuma, dopo la morte di Federico García Lorca nel 1940. Nel 1940 escono in
contemporanea, a distanza di pochissimi mesi, due edizioni di Poeta en Nueva York: una
pubblicata a New York, l’altra pubblicata a Città del Messico.
Queste due edizioni sono diverse e in entrambi i casi l’editore che ha curato l’opera ha
seguito criteri diversi; le diversità non sono di poco conto, riguardano la punteggiatura, le
varianti, l’ordine delle poesie. Com’è possibile questo? Per spiegare ciò, bisogna ricostruire
quello che succede nelle ultime settimane di vita di Lorca: nel luglio del 1936, poco prima
della morte, Lorca aveva finalmente deciso come allestire la raccolta e aveva deciso di
pubblicarla con la casa editrice di José Bergamín Gutiérrez; passa in redazione, ma non trova
Bergamín, trova solo la sua segretaria, per cui Lorca lascia a lei il materiale. Non si tratta di
un manoscritto ben allestito, ma di un materiale molto eterogeneo per cui c’erano ritagli di
giornale, fogli sciolti, testi con correzioni, varianti, integrazioni perché quella è la primissima
fase di pubblicazione. Lorca non tornerà mai più a Madrid, partirà poi per il viaggio verso
Granada dove sarà ucciso. Questo materiale resta nella casa editrice che però a causa
dellecomplicazioni della guerra civile chiude e decide di spostarsi a Parigi dove ancora era
possibile lavorare.
La segretaria ha la geniale idea di portare con sé a Parigi anche il materiale di Lorca; qui, a
partire dal 1938 circa, si inizia a lavorare all’edizione del testo, ma non era facile lavorare su
un testo che era eterogeneo, pieno di correzioni senza la possibilità di confrontarsi con
l’autore e questo pone un primo grande problema rispetto alla questione dell’ultima volontà
dell’autore (in assenza di Lorca era complicata da rispettare): in caso di dubbio su un testo,
su un appunto manoscritto che magari non era incomprensibile perché la grafia non era
chiara non si poteva chiedere all’autore per cui le scelte venivano prese dagli editori e
sappiamo che quanto più parliamo di editori revisori colti più i problemi diventano grandi
perché si sentono in diritto e con le capacità di intervenire per decidere, correggere,
modificare. Vengono fatte delle copie di questo materiale, ma l’edizione del 1938 non si
concretizza.
La casa editrice non riesce a resistere neanche a Parigi, lascia completamente l’Europa e si
sposta a Città del Messico, dove Bergamín inizia a lavorare per la casa editrice Seneca, una
delle case editrici che pubblica nel 1940 la raccolta. Nel frattempo, però, a Buenos Aires
stavano lavorando al progetto delle Obras Completas di Lorca, così chiedono a Bergamín di
poter inserire Poeta en Nueva York in questo progetto, Bergamín rifiuta (perché
evidentemente la prima edizione spagnola in spagnolo voleva farla lui), ma concede in
contemporanea a una casa editrice nordamericana, la Norton, la possibilità di pubblicare
Poeta en Nueva York in un’edizione bilingue.
Perché a Norton sì e a quelli di Buenos Aires no? Perché, secondo lui, non soltanto l’edizione
della Norton sarebbe uscita dopo rispetto alla sua, (qualche mese dopo), ma anche perché
aveva senso che un’opera come Poeta en Nueva York, legata alla rappresentazione in
chiave estremamente soggettiva della città di New York potesse uscire con il testo anche in
inglese.
La domanda spontanea è: su che materiale lavora la casa editrice Norton se il materiale
eterogeneo lasciato da Lorca era nelle mani di Bergamín? Norton lavora sulle copie di questo
materiale che erano state fatte a Parigi; l’editore, rispetto a Bergamín, è molto più attento e
scrupoloso: mentre Bergamín si sente legittimato dalla conoscenza di Lorca e dagli anni in cui
aveva avuto modo di leggere, vedere il testo, si sente autorizzato ad agire in prima persona
sul testo, l’editore Norton no, egli è molto più rispettoso del materiale che gli arriva, ha un
atteggiamento più conservativo, non interviene.
Tra l’altro, nell’edizione Norton mancano 3 componimenti che invece sono presenti
nell’edizione Seneca perché pare che nel materiale questi componimenti non fossero presenti,
ma ci fossero le indicazioni di Lorca su dove trovarli, ma Norton disse di non essere mai
riuscito a localizzarli. Si tratta di una situazione molto complessa: passano quasi 6 anni tra la
consegna del materiale e la pubblicazione dell’opera, 6 anni in cui si sono alternati 2-3
progetti di pubblicazione dell’opera.
È chiaro che gli interventi sul materiale ci sono e sono tanti, ma Bergamín non ha mai chiarito
che tipo di interventi avesse fatto. Uno dei punti che ci permette di ragionare meglio sugli
interventi di Bergamín riguarda un problema legato alle illustrazioni: nelle edizioni compaiono
delle immagini, in particolare nell’edizione Seneca Bergamín pubblica 4 disegni di Lorca che
però non sembrano avere alcuna relazione con i testi presenti nella raccolta, ad eccezione di
un disegno che è l’autoritratto a New York.
Ci viene anche detto che insieme al materiale è presente una lista di immagini fotografiche,
cartoline, almeno un paio di collage che seguono la tecnica surrealista (abbiamo fatto
riferimento a Walt Whitman con le farfalle nella barba). La questione delle illustrazioni è una
delle poche su cui Bergamín ha fornito dettagli dicendo che Lorca voleva che l’opera fosse
accompagnata da illustrazioni, da immagini, ma sembra che Bergamín si sia opposto a
questa idea e che però alla fine Lorca abbia deciso comunque di mantenere le illustrazioni
non personali, ma ricorrendo a questo materiale. Non sappiamo esattamente quali dovevano
essere queste fotografie, perché quello che sembrava essere presente nel materiale era una
lista con dei titoli, quali fossero è un grosso punto interrogativo.
Questa era la situazione complicatissima che si trovavano davanti gli studiosi che volevano
studiare l’opera fino al 1999, ma improvvisamente, nel 1999, durante un’asta a Londra,
compare il manoscritto di Lorca. Di fatti, subito dopo la pubblicazione delle due edizioni nel
1940 il materiale che Lorca aveva consegnato a Bergamín era sparito: Bergamín sosteneva
di averlo ridato alla famiglia, ma la famiglia sosteneva di non aver mai avuto il materiale,
dunque, a quell’altezza cronologica, il materiale lasciato da Lorca era stato considerato
perduto.
Il manoscritto ritrovato viene acquistato dalla Fondazione Federico García Lorca e viene poi
pubblicata la prima edizione di Poeta en Nueva York realizzata completamente a partire dal
materiale lasciato da Lorca, non più a partire dalle edizioni Seneca o Norton o dai progetti e
dalle revisioni di Bergamín. Poeta en Nueva York ci parla della solitudine, di una situazione
di vuoto spirituale del poeta che si trova in una situazione di profonda ingiustizia sociale.
Lorca arriva a New York in un anno particolare, il 1929, anno in cui non soltanto la città è in
piena costruzione di grattacieli, ma è anche l’anno della crisi economica (ottobre 1929).
Vuelta de paseo
In questo mondo, il poeta ci dice all’inizio che si considera come condannato a morte e
giustiziato, ucciso dal cielo. Questa sensazione di morte, di uccisione non è solo del poeta ma
viene condivisa con altre creature che sono gli elementi naturali, vegetali e animali. Questo
componimento ci introduce non solo nella raccolta, ma anche in questo stato d’animo del
poeta che domina l’intera raccolta.
Il fatto che ci sia il verso libero, l’irregolarità, non significa che il testo non abbia un certo ritmo
e una certa struttura, che il poeta ottiene attraverso delle ripetizioni, ripetizioni non soltanto di
parole ma anche di strutture… esempio di ripetizione ce l’abbiamo al verso 2 e al verso 3.
Inoltre, abbiamo una struttura chiusa del componimento (asesinado por el cielo), con una
variante però non di poco conto, perché si passa da un’affermazione ad un’esclamazione, a
un grido al verso 12.
Nel primo manoscritto (non quello consegnato) il punto esclamativo è l’unico segno di
interpunzione, c’è un aumento di tono, dal tono piano dell’affermazione si passa
all’esclamazione.
Entre las formas… mis cabellos >, due versi con la stessa sequenza di articolo e sostantivo
che si ripete (las formas) e la stessa struttura (que van; que buscan).; al verso 1 il poeta ci
dice che si sente condannato a morte, ucciso, ma non da solo. Qui comincia il discorso sulla
complessità dell’interpretazione di queste immagini: questo componimento è una lunga serie
di immagini, le quali sembrano giustapposte le une alle altre, non sono legate per esempio da
una narrazione. Questa giustapposizione di immagini crea una dimensione onirica che è la
caratteristica della raccolta. Formas que van hacia la sierpe ci rimanda, attraverso la
presenza del serpente, a una realtà bassa, potenzialmente anche malvagia, ma il serpente si
adatta anche alle forme.
Ci troviamo in un contesto di una realtà mutevole, mentre al contrario al verso 3 ci parla di
forme opposte que buscan el cristal, dove per cristallo facciamo riferimento alla rigidità:
mentre il serpente assume più o meno qualunque forma, il cristallo ha una forma rigida,
definita e determinata, che non cambia, inoltre, se il serpente ci rimanda a una realtà
peccaminosa, malvagia; il cristallo al contrario ci rimanda alla dimensione opposta, alla
purezza. È come se con questo insieme di forme indeterminate opposte, Lorca volesse
alludere a tutta la realtà, quella più bassa, quella più malvagia, quella più buona.
Al verso 4 ci dice in questo contesto che lascerà crescere i suoi capelli; questo è un verso su
cui si trovano diverse interpretazioni: da una parte può essere un riferimento all’incuria,
all’abbandono, ‘’lascio crescere i miei capelli’’ nel senso mi abbandono, qualcuno ha
addirittura ipotizzato che sia un esplicito riferimento alla morte e alla putrefazione del corpo
perché i capelli prima di staccarsi completamente, è come se continuassero a crescere e poi
si staccano dal cadavere… un’interpretazione un po’ estrema e macabra, però sicuramente il
verso ci rimanda a un abbandono definitivo e questo è il dato più importante.
Con el árbol… huevo > i versi che vanno da 5 a 10 sono accomunati dalla stessa struttura,
c’è sempre la doppia anafora del con e del y; da un lato ci presenta il paesaggio in cui si trova
con queste forme strane e poi ci dice con chi si trova, con l’albero di moncherini che non
canta e il bambino con il bianco volto d’uovo; si chiama moncherino la parte che resta di un
arto amputato: l’albero viene personificato e i moncherini dell’albero sono i rami tagliati. Gli
uccellini sono quelli che di solito fanno cantare l’albero, si posano sui rami, ma se non ci sono
i rami non si possono appoggiare e quindi l’albero non può cantare. Il poeta quindi si trova
con questi alberi privi di rami e privi di uccelli. Il bianco volto d’uovo ricorda il disegno
dell’autoritratto e capiamo che quel disegno è nato insieme a questi componimenti perché dà
forma attraverso le immagini agli stessi stati d’animo. Questa frase si può interpretare come
qualcosa che è privo di tratti distintivi, di identità. Facendo riferimento al disegno, all’uovo che
rappresenta la sua faccia, Lorca aggiunge dei tratti distintivi, ma se non li avesse messi, noi
avremmo comunque capito che quello era un uomo dalle mani, non l’avremmo riconosciuto
come Lorca. Questo bambino che non ha identità perché è come se fossero tutti uguali, è
come se fosse una massa.
Con los animalitos… los pies secos > “con gli animaletti con la testa rotta e l’acqua piena di
stracci dei piedi secchi”, se la natura è stata mutilata (intesa come mondo vegetale), lo stesso
accade con il mondo animale. Da una parte gli animaletti, con questo diminutivo che ci
introduce una tenerezza, una dimensione affettiva e poi la violenza brutale ‘’con la testa rotta’’:
tutta la natura mostra i segni di una violenza. Abbiamo l’immagine di quest’acqua piena di
stracci in cui possono camminare piedi secchi, dove per piedi secchi possiamo riferirci a dei
piedi scalzi, un riferimento alla polvere o ai mendicanti. Sicuramente abbiamo la ripresa di un
simbolo, l’acqua, che normalmente è simbolo di vita, di fertilità, di purezza e che invece in
questo caso è il contrario, perché è un elemento se non già di morte, di forte corruzione
perché è un’acqua sporca, in qualche modo anche povera per l’idea dell’aridità dei piedi
secchi che si riverbera
sull’acqua.
Con todo… tintero > si rafforza l’idea di questo mondo di violenza in cui manca la
comunicazione attraverso il riferimento a questa ‘’stanchezza sordomuta’’; non si parla, non si
ascolta niente. Ancora, l’immagine della farfalla affogata nell’inchiostro: la farfalla è simbolo
della poesia stessa, è leggerezza, colore, bellezza; in questo caso è morta, affogata
nell’inchiostro nero e può rappresentare probabilmente l’idea della necessità di una nuova
poesia.
Tropezando… el cielo! > “inciampando nel mio volto diverso ogni giorno”: è un’immagine che
ci rimanda al verso 6 ‘’al blanco rostro’’ del bambino, un volto senza identità, perché una cosa
che è senza identità può cambiare identità ogni giorno e ciò significa che non c’è un’identità. Il
fatto di essere privati di un’identità ci riporta all’idea di morte, all’idea di essere ucciso perché
ciò che è ucciso è l’io così come si conosceva ed era abituato a conoscersi e
improvvisamente non sa più chi è.
Troviamo in questo mondo il tema della violenza, il tema della morte, il tema degli ultimi. Il
poeta si sente sempre parte di questa minoranza costretta a subire violenze e ingiustizie,
l’abbiamo visto con i gitani uccisi dalla guardia civìl. Qui, in particolare, per Lorca la purezza e
l’autenticità di New York si trovano nella comunità dei neri d’America; sono loro i puri e gli
innocenti, quelli con cui bisogna schierarsi.
La Aurora
Il poeta ci descrive un’aurora, il momento in cui sorge il sole. L’aurora è anche simbolo del
nuovo inizio, di speranza ma quello che ci descrive il poeta in questo componimento è un
mondo senza speranza, in cui neanche l’aurora ha la possibilità di confortare le persone. La
descrizione paesaggistica dell’aurora a New York viene realizzata attraverso il ricorso a dei
simboli. Possiamo individuare tre blocchi in questa poesia: i primi 8 versi, formati da due
quartine con una struttura simmetrica, in cui c’è l’anafora la aurora del verso 1 che torna al
verso 5 e ci offrono la rappresentazione dell’aurora;
- il secondo blocco va dal verso 6 al verso 16, versi in cui viene rappresentata la percezione
dell’aurora da parte delle persone;
- gli ultimi quattro versi rappresentano una sorta di conclusione.
La aurora… prodridas > è un’immagine surrealista dell’aurora: queste quattro colonne di
fango sono probabilmente un riferimento all’architettura di New York, ai grattacieli, a questi
palazzi altissimi; mentre però i grattacieli sono fatti di specchi e di vetri, sono lucenti, riflettono
la luce, nel caso di Lorca, egli punta sul fango, sono sporchi, non sono capaci di riflettere la
luce. L’aurora quando arriva non risplende come dovrebbe risplendere tra questi grattacieli,
ma la luce trova un ostacolo nella sporcizia di questa città e trova un ostacolo anche
nell’architettura perché le colonne impediscono alla luce di entrare.
Ai versi 3 e 4 troviamo ancora il riferimento alla natura e all’acqua: l’acqua che è simbolo di
vita qui è sporca e putrida ancora una volta e si converte, essendo putrida, in portatrice di
morte e non di vita. La colomba sappiamo normalmente essere bianca, simbolo di innocenza,
qui è nera, le colombe sono rappresentate come una forza distruttrice, ‘’un uragano di
colombe’’ e l’uragano è un evento naturale distruttivo. Sguazzano in quest’acqua sporca
come se fossero topi, non vengono presentate in volo, ma a terra in quest’acqua sporca.
E’ molto probabile che Lorca qui stia rovesciando un topos di lunghissima tradizione poetica e
artistica (arti visive): la letteratura rinascimentale è piena di fonti in cui ritroviamo l’acqua
trasparente, zampillante con le colombe vicino alla fonte… Lorca ha preso quest’immagine e
l’ha rovesciata. Questo nero può essere anche un riferimento ai piccioni, uccelli simili alle
colombe che camminano a terra nello sporco; da questo punto di vista la descrizione è
surrealista e onirica perché si carica di tantissimi significati letterari, artistici, ma rappresenta
anche un riferimento concreto alla città e allo sporco della città: è chiaro quindi che ci
troviamo in un mondo negativo e problematico.
La aurora de Nueva York… dibujada > adesso l’aurora viene personificata mentre sale le
scale ma non riesce a farlo in maniera semplice, soffre nel tentativo di salire le scale e cerca
dei nardi (fiori bianchi che abbiamo incontrato già nel Romance de la Luna Luna con “la
gonna di nardi”); cerca questi fiori nelle strade ma non li trova, questo ci vuole ricordare che a
New York la natura è stata distrutta e quindi la ricerca di questi fiori è completamente vana
(nel disegno, nell’autoritratto c’è un fiore messo nell’angolo). L’aurora che sale le scale è un
riferimento alla luce che si alza perché si alza il sole.
La aurora llega… sin fruto > l’attenzione si sposta dalla città agli abitanti, ci dice che l’aurora
arriva e nessuno “la riceve in bocca’’: l’aurora è il sole al mattino, non è ancora una luce forte,
ma è ancora una luce bianca, più delicata, essa viene trasfigurata in un’ostia bianca e
circolare, come se fosseil momento della comunione: si tratta di un momento sacro della
giornata, è l’inizio del nuovo giorno così come l’eucarestia è il momento più sacro della
celebrazione liturgica. Non c’è nessuno però che partecipa a questo rito sacro, le persone
non sono più interessate a partecipare ai riti della natura perché le condizioni in cui vivono a
New York li portano ad avere una vita fatta di leggi, numeri e codici; inoltre, il significato
dell’aurora è anche legato alla speranza, quindi l’aurora dovrebbe portare la speranza, ma le
persone non sperano in un miglioramento (verso 10). È un mondo completamente privo di
speranza.
Nei versi 11 e 12 le monete che fanno riferimento alla ricchezza, all’economia, al lavoro
vengono trasformate in una delle pieghe della tradizione biblica: le cavallette, le quali
distruggono e divorano i bambini abbandonati. I due verbi taladrar e devorar alludono a un
atto estremamente violento. Il poeta introduce un riferimento alla natura, alle cavallette,
simbolo delle monete, dell’economia, della ricerca della ricchezza, però è una natura
esattamente come quella delle colombe, una natura violenta: l’uragano delle colombe, gli
sciami delle cavallette che divorano: a New York non soltanto non c’è natura ma soprattutto la
povera natura che sopravvive viene violentata, ma se ci sono degli elementi naturali questi
sono degli elementi naturali violenti che portano distruzione.
Dai versi 12 a 16 il poeta ci dice che le persone, siccome non hanno speranze, sanno bene
che non c’è un possibile paradiso, non è possibile un miglioramento perché saranno sempre
schiavi di un mondo fatto non di natura, ma di regole e di numeri, un mondo angosciante che
viene rappresentato anche nel disegno in quei palazzi con le lettere e i numeri. Ritorna il
riferimento al fango (verso 15) che, così come impedisce alla luce dell’aurora di risplendere
sui palazzi, allo stesso modo impedisce anche agli uomini di muoversi liberamente, di
respirare.
La luz… sin raíces > il poeta ci dice che non solo le persone sono condannate ad essere
schiave in questo mondo ma anche che la stessa luce viene incatenata e sepolta. In questa
lotta contro la città l’aurora perde. La città con la modernità e l’avanzare della ricerca
scientifica viene percepita come una corsa al progresso, come cieco progresso che non si
preoccupa delle condizioni dell’umanità. In questa raccolta emerge una posizione di
scetticismo di Lorca nei confronti della scienza; questo non significa che Lorca si oppone in
generale alla scienza, si oppone a quella ricerca che ha perduto le radici umane, quella
scienza e quella modernità che ha distrutto l’armonia fra mondo e uomo.
Por los barrios… de sangre > negli ultimi due versi ci parla ancora degli abitanti di New York,
dice che le persone non sono sveglie e che si muovono incerte come delle marionette, che gli
uomini sono come dei marinai senza un porto o, meglio, sono come dei naufraghi senza una
patria a cui fare ritorno. Si tratta di una critica fortissima alla civiltà e a quella parte
dell’umanità che crede di poter fare a meno della natura.
Questi due componimenti forniscono l’insieme dei temi dell’intera raccolta; manca però un
altro tema che sarà sviluppato nella raccolta, ossia la speranza affidata agli ultimi a cui Lorca
affida una profezia di riscatto: queste persone un giorno si ribelleranno, la ribellione sarà
violenta e porterà a un cambiamento. Un altro tema che abbiamo incontrato e che poi sarà
sviluppato è la visione religiosa; l’abbiamo visto qui attraverso i riferimenti all’ostia, alla liturgia,
ma c’è un componimento, Grito hacia Roma, in cui il poeta immagina di salire su un
grattacielo e di gridare direttamente contro la cupola di San Pietro, questo perché nel 1929 il
papa firma i Patti Lateranensi, il che significa che il papa giustificava la violenza fascista…
questo per Lorca rappresenta il tradimento estremo: la Chiesa, custode e simbolo del
messaggio cristiano che è un messaggio di amore, di fratellanza, di cura degli ultimi ha tradito
il messaggio di Cristo. È una poesia di una violenza estrema in cui il papa viene
rappresentato come un signore vestito di bianco che urina sulla colomba.
Autoritratto a Nueva York
La Casa de Bernarda Alba
Si tratta dell’ultima opera teatrale di Lorca, pubblicata già nel ’36, ma che verrà rappresentata
solo a partire dal ’45 a Buenos Aires e poi nel ‘64 in Spagna. Possiamo considerarla come
una summa del teatro di Lorca ed è l’opera che conclude una trilogia, la più famosa, che
comprende Gotas de Sangre (’32), Hierma (’34) e, appunto, La Casa de Bernarda Alba
(‘36). In riferimento a quest’ultima, si parla sia di trilogía tragica, in quanto sono tre tragedie, e
sia di tragedia rural, in riferimento all’ambientazione. Temi della trilogia sono, ad esempio, il
dramma della donna, in particolare quello della donna spagnola che vive nella provincia
rurale in un sistema politico e sociale conservatore e patriarcale che vede la donna solo come
moglie e madre e ciò determina in queste donne la tragedia. Sono tragedie perché si
chiudono con morte e uccisioni violente. Rispetto alle prime due, La Casa de Bernarda Alba
rivela un’altra caratteristica, secondo alcuni è l’opera in cui Lorca è riuscito finalmente a
mettere da parte il poeta e ad essere esclusivamente un drammaturgo, la sua scrittura
poetica, infatti, si infiltra anche nel teatro con immagini e simboli, mentre quest’opera
mantiene fissa l’attenzione sulla realtà. Le protagoniste di quest’opera sono donne rinchiuse
in una casa, in poche stanze di una casa e la tragedia nasce dall’impossibilità per queste
donne di soddisfare i propri impulsi sessuali. È evidente quindi la forza e, allo stesso tempo,
la complessità dell’opera. Procedendo per astrazione il conflitto che Lorca vuole
rappresentare è quello tra autorità e libertà; quindi, tra la presenza di qualcuno che esercita
un potere opprimente che impedisce ad un altro di vivere la propria libertà e in questo Lorca
pone il tema erotico.
Dopo la morte del marito di Bernarda Alba, donna presentata da subito come una tiranna,
incarnazione di tutto ciò che rappresenta l’impossibilità di progresso, polo conservatore,
questa decide per sé e per le sue 5 figlie un periodo di reclusione di 8 anni e un lutto
rigorosissimo; ciò significa che le ragazze non possono uscire né trovare un marito, non
possono sposarsi… nessuna tranne Angustia, la figlia maggiore (esempio di nome parlante,
come in Galdòs), la quale non deve sottostare a questo regime perché è figlia di un
precedente marito e, tra l’altro, è l’unica ad avere una dote, dunque è l’unica che può avere
un fidanzato e un marito. Pepe Romano è l’unico personaggio maschile del romanzo,
interessato, però, esclusivamente alla dote; dunque, c’è un uomo solo in una casa di donne
sole che però non possono uscire. Adela, la più giovane e fin da subito presentata come la
più ribelle, avvia una relazione con il ragazzo, relazione che viene scoperta da un’altra sorella,
riportata alla madre e, a questo punto, Bernarda finge la morte di Pepe Romano, finge di
ucciderlo e questo mette in moto la tragedia finale perché, convinta della sua morte, Adela si
uccide, ma non perché ha perso l’amore della sua vita, ma perché ha perso l’unico uomo che
poteva soddisfare il suo desiderio sessuale, puramente fisico. A questo punto Bernarda
impone il silenzio sull’accaduto e sostiene, all’esterno, che la figlia è morta vergine perché
l’unica cosa che le importa è mantenere le apparenze.
Acto Primero
Abbiamo la prima descrizione di Bernarda fatta dalle serve.
Quisiera que ahora… chorizos > ci viene detto che, se lei non mangia non deve mangiare
nessuno; Bernarda, alla morte del marito, invece di essere finalmente libera, assume su di sé
il carattere maschile e da patriarca del marito defunto.
Tirana… vidriado > è una tiranna crudele che si diverte a vedere la sofferenza degli altri con
un certo piacere a cui allude questo sorriso freddo; così concentrata sul controllo e sul proprio
potere che non si rende conto di quanto accade in casa sua; infatti, non sarà lei a scoprire la
relazione di Adela.
Pagina 156 - 157
Igual que si hubiese… de tu padre > è estate, fa caldo e Bernarda chiede un ventaglio, Adela
glielo passa, ma le dà un ventaglio da giovane donna, decorato con fiori rossi e verdi;
Bernarda butta il ventaglio a terra, chiedendone uno nero, adatto ad una vedova e chiede di
rispettare la morte del marito: il ventaglio non rispetta quello che, secondo lei, è il lutto che
bisogna mostrare… si preoccupa della sua apparenza.
Pues busca otro… el ajuar > poco dopo a un’altra sorella, Martirio, spiega qual è l’idea del
lutto che ha in mente e da cosa nasce questa idea: la casa deve assumere l’aspetto di una
tomba per otto anni e il modello a cui fa riferimento è quello dei genitori.
Pagina 206
La relazione è inziata, Poncia mette in guardia Adela.
Es inútil tu consejo… con tus manos > Adela non è disposta a passare sul corpo della serva,
in quanto tale, ma è ben disposta a passare su quello della madre per colmare il desiderio
che è un desiderio fisico, sessuale, cosa che qui viene particolarmente evidenziata.
Pagina 260
Bernarda cree… solas > per la criada il dramma che si scatenerà dopo è già chiaro, Bernarda
crede che nessuno possa opporsi alla sua forza e al suo valore, sottovaluta i rischi legati alla
presenza di un uomo in una casa di donne rinchiuse.
A fare da controparte alla scena del ventaglio è la scena a pagina 275.
Uno dei simboli di Bernarda Alba è il bastone, qui Adela strappa il bastone dalle mani della
madre e lo spezza.
Aquí se acabaron… que Pepe > la ribellione ha portato alla rottura del potere, simbolizzato
dalla rottura del bastone, il desiderio di libertà di Adela è ancora ambiguo e legato a
dinamiche maschiliste e patriarcali: si sottrae al potere della madre ma non dice che è libera
di fare ciò che vuole ora, anzi, su di lei comanda solo Pepe Romano; quindi, non afferma la
propria libertà di donna, ma solo la sottrazione dall’autorità del genitore per sottoporsi a quella
dell’uomo.
Lezione 14
Rafael Alberti

Tra tutti i poeti della Generazione del ’27, Alberti è


quello che più ha mostrato impegno anche politico, è uno dei poeti che va in esilio e tra i
pochissimi che è riuscito a fare ritorno in Spagna dopo la morte di Franco. Nella condizione di
Alberti a partire dal ‘36, la tematica dell’esilio diventa centrale, declinata anche attraverso il
tema del ricordo, in particolare gli anni dell’infanzia, che diventa un modo per recuperare non
solo il proprio passato, ma proprio un mondo completamente perduto. Anche un altro poeta fa
riferimento a questi temi, ossia Machado, la differenza con Alberti è che per Alberti proprio il
passato è doppiamente perduto non soltanto perché lui non potrà mai più essere bambino,
ma anche perché non può più fare ritorno nei luoghi dove ha trascorso la sua infanzia,
appunto perché è in esilio. I luoghi diventano simbolo di un mondo che è completamente
perduto e se anche dovesse mai farci ritorno non troverebbe più la vecchia Spagna. Le
raccolte Sobre los ángeles e Marinero en Tierra, che sono opere precedenti al ‘36, sono le
opere, in particolare la prima, più influenzate dal surrealismo, si tratta dell’unica raccolta che
riesce ad eguagliare il successo del Romancero Gitano di Lorca; Alberti e Lorca avevano un
rapporto di amicizia stretto, Alberti vivrà male la morte dell’amico anche perché si tratta anche
di una morte politica… Alberti in alcuni testi quasi sembra dire “dovevo morire io” perché era
lui quello impegnato politicamente e non Lorca.
Alberti diventa famoso a partire dal 1924, perchè in quel anno esce la sua raccolta “Marinero
en tierra” che gli permetterà di vincere il premio nacional de literatura. I temi centrali sono il
ricordo, l’infanzia e la nostalgia dell’infanzia. Il titolo dell’opera è un ossimoro, il marinaio non
è in terraferma. Manifesta il suo stato d’animo. Ricorda un momento traumatico della sua vita,
quando si trasferisce con la sua famiglia, lascia il fuente de Santamaria, vicino Cadicem per
spostarsi a Madrid. Lascia il mare per spostarsi sulla terraferma. In questa condizione lui si
sente in questo modo.
Il tema del ricordo per l’infanzia cosituisce una tematica centrale in tutta la traiettoria poetica
di Alberti. Il ricordo dell’infanzia è funzionale all’impossibilità di ritornare all’infanzia stessa e di
tornare in Spagna. Il passato diventa luogo della sua vita in cui era felice e in cui poteva fare
ritorno in Spagna. Alberti scriverà una propria autobiografia che si intitola “Arboleda per vida”.
Raccolta Cal y Canto - Componimento Madrigal al billete del tranvia
Questo componimento ci permette di mettere in luce il legame tra tradizione e innovazione e
lo fa in diversi mod; in generale questa raccolta si lega alla raccolta gongorina, si aggancia ad
una tradizione metrica che è la tradizione Madrigale. Il titolo è importante perché ci fornisce
delle indicazioni, in questo caso il genere metrico e l’argomento/oggetto principale del
componimento che è il biglietto del tram. Il madrigale ha una tradizione rinascimentale ed è
non soltanto un genere legato ad un’esecuzione musicale, ma è anche un genere legato alla
tematica amorosa. La prima variazione la troviamo nel fatto che non sia legato ad una donna,
ma bensì ad uno oggetto che ci rimanda all’estrema comunità. Il fatto che questo
componimento abbia a che fare con un biglietto del tram ci deve anche guidare nella lettura
del testo, perché ci fornisce un contesto dove collocare il componimento.
Adonde el viento… tranvía > sineddoche + sinestesia = torri di luci è sensoriale, sangre mía
ci rimanda a qualcosa di materiale, al corpo. Il biglietto è paragonato ad un nuovo fiore che
viene tagliato nei balconi del Tram… balconi ci dà la chiave di lettura di questi versi, i tram
avevano una parte esterna su cui si saliva e si obliteravano i biglietti, l’Io è salito sul tram che
si è messo in movimento (nei primi versi c’è movimento). L’idea del balcone genera il
riferimento al fiore, perché sui balconi ci sono le piante che portano i fiori, i quali vengono
raccolti sui balconi… i biglietti vengono obliterati e quindi tagliati).
Huyes… compromiso > questi sono i versi più difficili da interpretare; il verso 5 fa riferimento
al momento dell’obliterazione, al fatto che il biglietto deve essere messo in maniera dritta.
Bisogna far caso a directarectamente, che sembra riprodurre il rumore metallico della
macchina obliteratrice del biglietto. Il poeta inizia a mettere insieme altre immagini, il biglietto
è un fiore e il riferimento al petalo potrebbe far riferimento ad una parte del biglietto dove c’è
scritto il nome e un appuntamento. Il poeta è quindi salito sul tram per andare ad un
appuntamento, possiamo immaginare quindi che la tematica amorosa negata dal titolo sia in
qualche modo recuperata attraverso questa corsa per andare all'appuntamento. Inoltre, l’idea
che ci creano i versi 6 e 7 non riesce ad essere chiara, essi ci danno l'idea di qualcosa di
chiuso che deve essere tagliato verso un centro, probabilmente qui il poeta sta stabilendo un
legame con i versi successivi.
Y no arde… la chaqueta > ci introduce l’immagine del libro che si sovrappone a quello del
biglietto e del fiore; i biglietti spesso erano venduti in blocchetti di biglietti che man mano
venivano staccati, l’insieme dei biglietti che il poeti ha in tasca potrebbe rimandare a questo
libro che viaggia nella tasca del poeta. I biglietti avevano un colore violaceo, possibile
riferimento al fiore, ma, ancora, quando tutti erano ancora romantici nei libri si mettevano dei
fiori che fungevano da segnalibri. Però, ancora, tutti questi fiori a cui fa riferimento (la rosa, il
garofano, la violetta) rimandano a forme poetiche. In qualche modo la forma della violetta è la
forma più umile e più legata alle tematiche malinconiche e amorose.
È probabile che il poeta con queste immagini stia alludendo ai biglietti, ma anche ad un libro
di poesie e in particolare ad una poesia che rimanda alla violetta. E ancora, il biglietto è una
parte di questa poesia ma è anche uno dei biglietti di questo libricino
Desahucio
Gli angeli sono protagonisti di questa raccolta, questo componimento sembra sia legato ad un
dubbio dell’io nel rivolgersi a questi angeli che non sa se sono buoni o cattivi, ma anche un
dubbio legato al lettore in particolare nella parte finale quando abbiamo queste domande
rivolte ad un tu e non sappiamo di chi si tratta.
Gli angeli protagonisti della raccolta è un tema che si colloca a pieno titolo nel discorso
novecentesco europeo, con questi angeli più o meno crudeli. Sono delle forze oscure che non
sono soggette in nessun modo alla volontà dell’Io e decidono il destino di quest’ultimo senza
che esso possa intervenire. L'incertezza viene espressa esplicitamente nel testo (verso 2) e
questo non sapere arriva addirittura al punto che l’io non riesce a capire che se queste forze
che abitano nella sua anima\casa siano buone o cattive e non sa se può redimere la sua
anima, se è vuota o disabitata.
Questa immagine del corpo disabitato, del corpo come casa è molto presente nella poesia di
Alberti e molto probabilmente rimanda ad una tradizione precedente, in particolare a
Quevedo, nel sonetto Tentacion Amorosa y Extremo Sentimiento de Amante.
Da questa idea iniziale dell’anima come una casa, nascono alcune immagini legate allo
stesso campo metaforico.
Passiamo da questi elementi inizialmente presentati in maniera neutrale fino a che diventano
un qualcosa di terribile (il vento che sibila le catene); secondo alcuni studiosi può aver influito
nella costruzione di questo scenario horror il cinema dell'orrore degli anni ‘20. Si amplifica la
sensazione di angoscia e senza una possibilità di salvezza e per questo nei versi 13-16 si
arriva al punto in cui il poeta ci dice che il vuoto non ha alcuna soluzione, bisognerà dire che
questi angeli hanno un’intenzione malvagia.
La difficoltà di questa raccolta non risiede nella struttura, ma nel linguaggio e nell’accumulo
delle immagini che non sempre possono essere facilmente costruite e sciolte. Tutta la poesia
di questa generazione è una poesia di profonda sofferenza: angoscia, solitudine, paura,
morte, perdita, sono sentimenti che accomunano questi autori.

Pedro Salinas

Pedro Salinas è il poeta più anziano della Generazione del ‘27, è


stato un poeta e un professore di letteratura spagnola in diverse università spagnole, ha
lavorato in Francia ed è stato anche il professore di Cernuda. La tematica principale della sua
produzione è quella amorosa, tematica che in qualche modo era stata messa da parte
almeno nella poesia dei primi decenni del 900. Come tutti i poeti della Generazione del ’27,
cerca di stabilire da una parte una connessione alla tradizione precedente e dall’altra cerca di
dare un proprio contributo rinnovando la tradizione. Una delle raccolte più importanti è La Voz
a ti Debida, il cui titolo stesso ci permette di comprendere qual è la tradizione poetica a cui
Salina fa riferimento, che è quella di Garcilaso e quindi, in qualche modo, quella petrarchesca;
in particolare, riprende un emistichio di Garcilaso che ritroviamo nella terza egloga in cui si
rivolge a ilustre y hermosisima Maria, la moglie di Don Pedro di Toledo: in quest’occasione
Garcilaso dice che anche la lingua morta continuerà a muovere la voce a lei dovuta. Il titolo
della raccolta ci permette di stabilire una traiettoria: tematica amorosa, una tradizione
petrarchesca e garcilasiana. In queste raccolte, formata da 70 componimenti, Salinas
ricostruisce una storia d’amore, ma non lo fa in maniera lineare e coerente, egli ci fornisce
alcuni indizi di questa vicenda, la quale nel momento della pubblicazione dell’opera è già
conclusa. La storia di cui si parla è una storia vera e reale (ha a che fare con i miti) e in
questo caso l’esperienza è biografica: esiste una donna reale a cui sono rivolti questi
componimenti e l’intera raccolta; la donna è una giovane americana con cui Salinas ebbe una
lunga e importante relazione extraconiugale, Catherine, la quale diventa poi la sua musa per
questa raccolta.
Salinas, come già detto, mette al centro la tematica amorosa che diventa strumento di
conoscenza del mondo. L’amore serve al poeta per avere esperienza e conoscenza del
mondo che lo circonda. La tematica amorosa è sempre attraversata da una volontà di unire
tradizione e innovazione. Si fa riefrimento in un componimento a un egloga di Garcilaso;
quindi, in sotanza, la poesia di Salinas è profondamente diversa, ma che gli peremtte di
iniserisi in una tradizione.
Salinas ha una vicenda personale curiosamente simile a quella di Montale e Irma. Salinas è
sposato conosce una studentessa americana di cui si innamora profondamente. I due
iniziano una relazione, ad un certo punto la moglie li scopre e tenta il sucidio. Mentre Montale
rompe con Irma, Salinas vuole rompere la relazione. La relazione con Katherine è molto più
per Salinas di una signora. Gli permette di ragionare in termini assoluti di ragionare sull’io e
sul tu.
Componimento VII
Secondo Francesco Fava, che è uno degli studiosi che più si è occupato di questa raccolta,
questo componimento fa parte di una sorta di prologo della raccolta; Fava divide la raccolta in
vari movimenti e i primi sette componimenti, a cui quindi appartiene anche questo,
contengono tutte le questioni principali che saranno riprese nel resto della raccolta. Questo
componimento in particolare dà avvio alla vicenda amorosa e quindi al racconto, il quale
partirà con il componimento VIII. Il testo è scandito da alcune parole, in particolare da quelle
tra virgolette:
- verso 1 > mañana
- verso 9 > yo, mañana
- verso 36 > yo
Sono importanti perché riportano le parole di qualcuno. I protagonisti di questa raccolta sono:
- Io, che rimanda al poeta;
- Tu, che rimanda alla donna.
I pronomi, secondo Salinas, si ricollegano all’essenza stessa delle persone; il nome non
importa è il Tu ad essere importante… di chi sono queste parole evidenziate? Sono le parole
del Tu. Questi tre interventi sono collegati: si parte dal semplice mañana, poi c’è l’Io e poi
mañana svanisce, lasciando soltanto l’Io.
Per quanto riguarda il primo gruppo di versi che si legano alla parola mañana:
- mañana è la parola libera, vuota, vacante, senza corpo e senza cuore;
- al verso 9 la parola viene associata a Yo e quindi prende corpo;
- la concretezza del pronome permette la comparsa, al verso 11, di carne e bandiere: il
mondo prende forma.
Le conseguenze di questa frase si legano alle promesse del verso 13, alle speranze del
verso 21 e ci dice che si precipitano sull’Io; le promesse e le speranze raggiungono l’Io in
modi diversi:
- ai versi 12 e 13 dice che gli si precipitavano addosso;
- ai versi 18 e 19 dice che giungevano treni e gazzelli;
- ai versi 23 e 24 diventano veloci come grandi navi.
Le promesse vengono presentate come:
- nude al verso 14.
Le speranze sono:
- snelle al verso 22;
- immense al verso 25.
In realtà suggerisce l’idea che le promesse e le speranze siano legate alla donna amata, lei e
il suo corpo sono le promesse e le speranze, ci suggerisce l’idea di un crescendo perché si
passa dalla carezza (verso 16) ai baci (verso 22) ad un amore senza fine (versi 27 e 28).
Rispetto all’assenza totale dei primi versi, in questa parte abbiamo l’esplosione del mondo e
dell’amore. Al verso 29 abbiamo una sorta di calco del verso 1, ma adesso quella stessa
parola che non è più pronunciata dalla donna ma dal poeta che ripensa alla parola, che
all’inizio è inerte e immobile, ora ha una Direzione; in questo modo Salinas ci introduce
un’immagine finale del componimento che ha a che fare con lo scoccare di una freccia
(scocca la freccia di cupido, colpisce il bersaglio, parte l'amore chesarà raccontato dal
componimento successivo); questa parola ci viene detto che è vibrante, fa corpo a quella
donna e viene paragonata alla corda di un arco.
Ai versi 33-36 mañana è la corda di un arco, la freccia pronta a colpire il bersaglio è la donna
(arma de veinte anos).
Quando avviene lo scocco di questa freccia? Quando la donna dice Yo, quando introduce la
propria presenza associata alla parola mañana. In sostanza, la parola mañana è la corda
dell’arco senza niente e l’Io è la freccia; solo quando le due sono insieme pronte a scoccare
tutto si popola e quindi arrivano le promesse, le speranze, le carezze esposte nella parte
centrale. Abbiamo visto che già con la poesia di Lorca e con la Generazione del ‘27 si parla di
una poesia difficile e concettuale, dove le esperienze personali vengono riformulate
attraverso delle immagini che possono rimandare ad una tradizione. La poesia di questa
Generazione del ’27 predilige un lettore colto, capace di riconoscere questi richiami.
Ritoranado a Salinas, soprattuto dopo l’esilio, alla poesia si accompagano degli atti in prosa.
Salinas cerca di scrivere delle sue paure e delle sue preoccupazioni, che in realtà sono
universali, riguardo alla bomba atomica. Lui che si trova negli Stari Uniti è nel vivo della
questione. Salinas fuarda anche come viene costruita la propaganda antirussa. Crede che sia
stata inventata un’arma che possa distruggere l’umanità. Nasce quindi una questione che
critica non tanto la scienza e le invezioni per sè ma la scienza applicata, ovvero la creazione.
Scrive “La bomba increible”, un’opera distopica (Black mirror), in cui un mondo per vivere in
pace si prepara alla guerra. Crea l’immagine di un museo in cui si conservano tutte le armi
che non sono considerate armi ma strumenti di pace. Compare improvvisamente un oggetto
di cui nessuno sa nulla che emette un ticchettio, produce anche un movimento. Si arriva alla
conclusione che in realtà non è una bomba ma un cuore, quindi il ticchettio era in realtà un
battito. Ad un certo punto diventa più veloce e rumoroso, tutti si allontanano credendo che
tutto possa saltare in aria e distruggersi: il rpotagonista si avvicina al cuore-bomba, lo
abbraccia e tutto si calma. Ciò indica che l’amore rappresenta la soluzione.
Luis Cernuda

Cernuda era stato allievo di Salinas e da lui eredita in particolare il


tema dell’amore, il suo, però, è un amore implacabile, il dolore e la sofferenza d’amore
sembrano non concedere scampo al poeta. Rispetto agli altri poeti della Generazione del ’27
la tradizione a cui lui fa più riferimento è relativamente recente, è molto influenzato dai
romantici, in particolar modo da Bécquer, sia per la poesia che per la prosa; inoltre passerà
un periodo a lavorare presso università inglesi (e da qui la forte influenza anche della
letteratura inglese). Cernuda, a differenza degli altri, in vita non fu mai compreso, fu infatti
dopo la morte che cominciò ad essere considerato come uno dei poeti più emblematici della
Generazione del ’27. Anche lui continuerà a scrivere dopo il ’36, durante gli anni dell’esilio e
anche la sua riflessione sulla condizione di esiliato è negativa: egli ha la consapevolezza di
non riuscire a tornare in patria, sa che il regime franchista in qualche modo finirà, che la
Spagna tornerà ad essere libera, ma contemporaneamente sa anche che in quel momento lui
sarà già morto.
Donde Habite el Olvido
Il componimento è una ripresa di una delle rime di Bécquer (LXVI) e fa parte di una raccolta
che porta lo stesso nome; in esso il poeta aspira a raggiungere un luogo in cui poter trovare
finalmente pace alla sofferenza amorosa legata al ricordo, per cui cerca un posto in cui
habite el olvido. La struttura circolare è tratta caratteristica della Generazione del ’27 (il primo
verso viene ripetuto alla fine). Abbiamo, come ne l’Aurora di Lorca, la descrizione di un
paesaggio che non ha aspetti positivi: siamo in un giardino, un paesaggio naturale, ma si
tratta di giardini senza aurora, quindi vi è l’assenza di luce, di nuovi inizi, di speranze, un
luogo in cui il poeta aspira ad essere un oggetto abbandonato tra le pietre e le ortiche e che
comunque, nonostante tutto, subisca il tormento del vento (versi 4 e 5), un posto in cui non
resti nulla dell’io e in cui non esista il desiderio, in quanto è dal desiderio inappagato che
nasce la sofferenza. Nel gruppo di versi che vanno dal 9 al 12 ritorna la figura dell’angelo, un
angelo crudele che si diverte a torturare l’uomo con le sue ali, ali che non sono fatte di piume;
quindi, di elementi che rappresentano la leggerezza, ma che sono armi affilate che l’angelo
usa per trafiggere il petto dell’uomo e per generare in lui sofferenza e tormento.
Dunque, vi sono tematiche comuni, immagini che tornano con significati simili (l’aurora, i
giardini, la natura devastata).
In questo luogo, che è luogo di morte, il poeta attende di morire per poter essere finalmente
libero dalla sofferenza, per poter annullare la propria esistenza e questo ci dà anche la misura
della forza del sentimento amoroso, il quale è tanto forte che l’unica possibilità di scapparne è
la morte, il completo annullamento esistenziale (anche in Niebla Augusto si sente devastato
dal fatto che Eugenia sia legata a Mauricio, anche qui abbiamo la forza del sentimento
amoroso, sentimento che diventa anche identitario dell’io, anche se con Cernuda non
abbiamo il suicidio).
Parliamo di un autore-soldato, appartenente alla Generazione
del ’36; il suo intervento nella letteratura spagnola riguarda il tema dell’esilio e della guerra.
Nasce nel 1910 con origini umili e muore nel 1942 (la sua grandezza, quindi, risiede in
pochissimi anni di attività); muore in seguito a delle malattie e ad una vita in povertà e
passata in prigione. Ci ritroviamo nel periodo della guerra civile spagnola, da un lato abbiamo
repubblicani e dall’altro i franco-franchisti… Hernandez si schiera a favore della repubblica e
appena finisce la guerra viene condannato all’esilio e, successivamente, alla pena di morte.
Aveva la possibilità di ritrattare la sua posizione, ma forte delle sue convinzioni si rifiutò e
quindi venne condannato al carcere, dove morirà.
La sua produzione poetica è molto vasta, molte delle sue opere ricadono in questo suo
periodo finale; infatti, l’opera del Cancionero in realtà ha tantissimi variante e vuoti anche dal
punto di vista del manoscritto in quanto la maggior parte dei componimenti presenti al suo
interno sono stati tutti ricondotti solamente agli anni ‘80 del 900, nonostante siano stati scritti
40 anni prima, questo perché la maggior parte dei componimenti sono stati scritti in prigione,
su pezzi sparsi. Nella sua prima raccolta poetica abbiamo un riferimento a Gongora e alla
tradizione precedente, l’amore visto come passione amorosa e anche come sofferenza.
Da qui, con Viento del Pueblo che risale al 1936, risale la sua produzione; egli scrive
moltissimi dei suoi componimenti stesso in trincea; in un primo momento però la sua
produzione era anche molto positiva, lui era convinto dal fatto che la repubblica avrebbe
potuto vincere la guerra.
Questa composizione, che noi chiamiamo Comprometida, è un compromesso che lui
sottoscrive non solo con sé stesso, ma anche con i lettori: lui vive la guerra come motivo di
esaltazione ed è fortemente convinto che le sue poesie possano arrivare alla gente, crede
fortemente in quello che sta vivendo e scrivendo.
Tra i suoi componimenti abbiamo:
- Viento del Pueblo me Llevan;
- Viento del Pueblo me Arrastran;- Expatrio del Corazón.
La sua poesia è un sonetto, perché è convinto che il sonetto possa arrivare ovunque.
Componimento 2
Appartiene alla raccolta “El rayo que no cesa”, pubblicata prima dello scoppio della guerra,
quindi con la temtica amorosa dominante. È una raccolta formata da un trentina di
componimenti, 27 sono sonetti e 3 dei poemi lunghi che non corrispondono ad una forma
specifica. Il componimento è un sonetto che ci parla della sofferenza amorosa che tortura l’io.
Le due quartine pongono due domande, mentre le due terzine cercando di dare due risposte.
La domande sono retoriche, le risposte sono delle rilfessioni. La domanda è “finirà questa
tortura?”. Prima ci si rifersice a un raggio che rimepie il cuore, poi c’è un riferimento al mondo
animlae con queste fiere e poi con un riferimento metallurgico con le “fraguas”. siamo in un
contesto di estrema violenza, il cuore è popolato da queste creature. Nella seconda quartina
trasfroma il raggio che diventa una stalattite capace di pugnalare il poeta e, in particolare, la
sofferenza viene espressa dall’ultimo verso attraverso le grida di sofferenza del cuore con
riferimento al cuore che muge y grita. Il raggio non è un riferimento esterno ma è radicata
all’interno dell’io. Nell’ultima terzina rafforza ciò che dice nella prima. Quando definisce
“lluviosos” questi raggi, contrappone alla solidità e la durezza della piena dell’acqua che però
viene rappresentata sia come sostanza liquida ma anche come un qualcosa che sommerge
tutto.
Autori
non
spiegat
i
Pedro Antonio de Alarcón

Alarcón (1833-1891) viene definito un “romantico in ritardo”, di fatto è il


primo scrittore realista dal punto di vista cronologico (El Final de Norma, 1855). Nei suoi
racconti prevale il romanticismo delle tematiche, della struttura e dei personaggi rispetto al
realismo dell’ambientazione, delle descrizioni e dei dialoghi. In tutto il dibattito che si ha in
questi anni, egli si schiera dalla parte della tradizione, della religione e della morale, al punto
che intraprese anche la carriera ecclesiastica che poi, però, abbandonò in nome di una
ribellione per l’affermazione dell’individualità al modo romantico. I suoi romanzi più importanti
sono, senza dubbio, El Sombrero de Tres Picos e El escandàlo, in cui sono, inoltre,
particolarmente evidenti le sue capacità giornalistiche di fine osservatore e piacevole
narratore. Entrò a far parte della Cuerda Granadina, un gruppo di scrittori e giornalisti,
definibili come veri e proprie dandies, seguaci di Byron, un gruppo di individui che
conducevano uno stile di vita bohémienne e che avevano una concezione della letteratura
come gioco. In una serie di articoli, Cosas que Fueron, sono evidenti l’impianto costumbrista
(che pone l’attenzione sulle tradizioni di una determinata zona) e la nostalgia per i bei
tempiandati. Per quanto riguarda l’impianto della sua narrazione, egli non abbandona mai il
lettore, commenta le incidenze del racconto, quasi a volerne suggerire un giudizio al lettore;
la sua prosa è a tratti colloquiale, amena e diretta, il suo viene definito stile Karr, in riferimento
all’influenza che questi ebbe sul suo modo di scrivere (giornalista, scrittore e aforista francese,
noto per il suo forte umorismo satirico) e prevede una frase breve e un continuo dialogo con il
lettore. Diversi sono i generi con cui si diletta, dal giornalismo ai libri di viaggio, passando
anche per il teatro (El hijo Pròdigo); in particolare, Àngel Rìo divide la sua produzione in tre
diversi momenti:
- primo momento > tendenza romantica, narrazioni fantastiche e libri di viaggio (El Final de
Norma);
- secondo periodo > tematiche nazionalistiche e popolari (El Sombrero de Tres Picos);
- terzo periodo > tendenza all’uso del romanzo a tesi (El Escàndalo).
El Sobrero de Tres Picos
Frasquita è sposata con il mugnaio Lucas, ad unirli è l’amore e, in questo modo, viene
sconfessato il topico letterario della mugnaia disonesta. Il Corregidor (amministratore
giudiziario) della zona si innamora di lei e, dopo il suo rifiuto, vuole vendicarsi e, su consiglio
del servo, tende una trappola ai due innamorati, facendo allontanare, con una scusa, Lucas;
questo però scopre subito l’inganno e torna a casa prima. Sulla sedia davanti al camino trova,
ad asciugarsi, gli abiti del Corregidor e quest’ultimo nel suo letto. Decide a sua volta di
vendicarsi facendo visita alla Corregidora. A questo punto della narrazione, il narratore spiega
cosa era successo in assenza di Lucas: il Corregidor, nel raggiungere la casa del mugnaio,
era caduto nel canale che portava al mulino, era stata soccorso dalla mugnaia, Frasquita, che
l’aveva fatto mettere nel suo letto mentre lei andava a cercare il marito, ma prima di uscire
aveva messo ad asciugare davanti al camino il mantello ed il cappello a tre punte del
Corregidor.
Il dettaglio degli abiti sottolinea l’intenzione di Alarcón si sovrapporre alla novella lo spirito
nazionalista, in particolare egli evoca i presupposti ideologici del costumbrismo, quali la
salvaguardia degli usi del passato e la difesa dell’identità culturale della nazione: lo scambio
di persona, alla base della punizione simbolica del Corregidor, è possibile grazie al tipo di
vestiario… il mantello ed il cappello a tre punte sono considerati simboli del potere e il modo
in cui l’opera finisce, quindi il castigo di uno da una parte e la vittoria dell’altro dall’altra parte,
ne sottolinea l’intercambiabilità delle persona che lo indossano, schierandosi, simbolicamente,
contro la visione aristocratica dell’Antico Regime che riservava i privilegi solo agli eletti, senza
possibilità che avvenisse il contrario. In questo romanzo ha un ruolo fondamentale la caduta,
essa rappresenta, ogni volta, un momento di svolta: per la prima volta la vediamo con il
Corregidor, che cade nel canale del mulino (e nel cui caso simbolizza la caduta
dall’apparenza all’essenza) e poi con Lucas, che si lascia cadere dalla sedia in seguito alle
risate per la sua vendetta. Per quanto riguarda il narratore, abbiamo la focalizzazione esterna,
non viene mai assunto il punto di vista dei personaggi e, paradossalmente, questa distanza
sarò quella che permetterà una vicinanza dell’autore al lettore. Per quanto riguarda la
struttura del romanzo, vi sono alcune caratteristiche peculiari: innanzitutto le scene si
susseguono alla maniera della commedia classica, ossia con l’entrata in scena, di volta in
volta, di un nuovo personaggio; anche i temi rimandano alla classicità, come quello dei
soprusi del potente nei confronti dei sudditi, il gioco degli equivoci, ecc
El escàndalo
Pubblicato nel 1875, inaugura il ciclo di romanzi a tesi in Spagna (i cui massimi esponenti
sono Alarcón e Pereda). In questo romanzo si esaurisce il romanticismo, ma ancora non
spicca completamente il volo il realismo. La storia è quella di Fabiàn Conde, un don Giovanni
di Madrid, di cui, attraverso una confessione che lui fa al padre, veniamo a sapere i dettagli
della sua vita e, in particolare, del suo amore con una donna sposata e, successivamente,
con la figlia di lei, Gabriela; di quest’ultima lui è davvero innamorato, ma lei, venuta a sapere
della relazione con la matrigna, lo abbandona per ritirarsi in convento. Grazie all’amico, Diego,
Fabiàn ottiene il perdono ad una condizione: dovrà cominciare a compiere delle buone azioni;
comincia così il suo cammino di redenzione che gli darà la fama di angelo benefattore. Ad un
certo punto, però, conosce la moglie di Diego, la quale ha verso di lui un grande desiderio
che porterà ad un malinteso; sulla base di questo malinteso Diego ed il nostro don Giovanni i
sfideranno a duello (contro la volontà di quest’ultimo, che non vuole battersi con l’amico ma
che, al tempo stesso, non vuole che un malinteso rovini il lavoro fatto per Gabriela). Dopo
questa parentesi temporale, il narratore ci riporta al presente, ossia al momento della
confessione di Fabiàn al padre Manrique, il cui consiglio è quello di rinunciare a tutto,
compresa Gabriela, per abbracciare la religione. Dopo questo incontro, Fabiàn riconsidera
l’amicizia con un certo Làzaro, amico fedele e buono, che riuscirà a mettere la pace tra i due
amici. La storia principale è affiancata da due storie secondarie, quella del padre e quella di
Làzaro, in cui, in entrambe, il nocciolo dell’azione si basa sul conflitto tra apparenza ed
essenza; in entrambi i casi il primo punto di vista dato è quello dell’antagonista ed in entrambi
i casi la conseguenza è un danno all’immagine pubblica; ad un certo punto della narrazione,
però, il fratello di Làzaro si presenta a Manrique dando una nuova versione dei fatti che
ripulisce l’immagine di entrambi. La sintesi del modo in cui tutte e tre le storie vengono
raccontate è, sostanzialmente, che tutti dipendiamo dall’opinione degli altri, i quali assumono
le sembianze del coro del dramma greco, il quale consente di osservare, oltre ai personaggi,
anche lo sfondo sociale, seppure in maniera limitata. In questo romanzo a tesi, in virtù della
conversione finale del protagonista, la tesi che viene difesa è quella di Alarcón, ossia quella
dell’assoluto bisogno che lo Stato ha degli ordini religiosi.
El niño de la bola
Scritto come esegesi di “El Escandalo” (cioè, come interpretazione critica di un testo
finalizzata alla comprensione del suo significato). La pretesa di Alarcòn era quella di scrivere
un romanzo realista dove si mostrasse come, senza la religione, nell’uomo trionfino le basse
passioni, il lato diabolico. Alarcòn intende la scrittura come una missione che deve riportare al
centro del vivere sociale i valori dello spirito contro il materialismo. La pratica dello scrivere,
però, si allontana da tale scopo, perché egli non riesce a staccarsi dalle sue origini
romantiche. La chiave di questa sua incapacità sarebbe forse da ricercare in una mancanza
di comprensione del realismo, che egli confonde con il materialismo sul piano filosofico e con
la narrazione di fatti realmente avvenuti sul piano letterario. Il risultato è una narrazione
contraddittoria con i propri presupposti, dove le idee urtano contro la forma in cui vengono
espresse e dove la dichiarazione esplicita antiromantica, antifolletìn, viene smentita su tutta la
linea della storia raccontata. Il quadro razziale della Spagna dell’800 che esce dalla penna di
Alarcòn, vede contrapporsi ai valori positivi dei cristianos viejos (discendenti da arabi
convertiti), l’ebreo strozzino, portatore di tutta la malvagità che il folletìn necessita. Il
rappresentante dell’ordine morale nell’opera è curiosamente di nuovo, un altro discendente di
arabi convertiti, cioè Don Trinidad. Sorprende nell’atteggiamento di Alarcòn il fatto che, pur
dimostrando una grande consapevolezza artistica nell’esposizione della polemica sul
romanticismo, indugi lungo tutto il racconto, nel folletinismo. L’evoluzione dell’arte narrativa di
Alarcòn si manifesta nella presa di coscienza dei propri mezzi artistici senza però cambiare
una virgola dell’impostazione romantica che caratterizzava i suoi scritti di gioventù. Il risultato
in “El nino de la bola” è una narrazione di grande ritmo e di grande scioltezza linguistica e
letteraria, ma ingenua nella difesa di una tesi, pur di mantenere una coerenza o di
assecondare il gusto del pubblico. Alarcòn non ama la fantasia e infatti, quasi tutte le sue
narrazioni non sono altro se non trascrizioni di fatti realmente avvenuti. Sembra concepire la
letteratura come una testimonianza, una cronaca della realtà, non molto lontana nei suoi
intenti dal giornalismo. Adesso, risulta chiaro il motivo per cui nei suoi romanzi a tesi
riscontriamo sempre la stessa tesi. Leggendo gli scritti di Alarcòn, si ha la sensazione di
assistere ad un rito purificatore dello scrittore stesso, come se per lui la scrittura fosse il modo
di scacciare da sé i fantasmi di un passato troppo ingombrante; ma qualcosa lo tradisce, cioè
il suo eccessivo attaccamento alla fama, all’opinione altrui gli impone schemi narrativi che
urtano contro il messaggio stesso delle sue creazioni.
Juan Valera

Valera (1824) nasce da una famiglia aristocratica decaduta, avvia la sua


carriera di scrittore durante quella giuridica; viaggia a Napoli come addetto dell’ambasciatore
spagnolo grazie allo zio (il duca di Rivas). Sempre immerso nel mondo delle feste
dell’aristocrazia, della cultura e della raffinatezza, esperto di antichità greco-latine, della
letteratura classica spagnola e di quelle europee, divenne una figura influente e ricercata. La
sua vita è completamente permeata di contraddizioni, si schierò dalla parte dei liberali e,
cattolico convinto, nelle sue opere mostra tutto ciò che è l’eterodossia cristiana. È tra i più
vecchi esponenti della Generazione del ’68, conobbe il romanticismo, da cui ereditò la
concezione generale dell’arte come espressione dell’individualità, la centralità della libertà
dell’artista, l’evasione nella fantasia e il rifiuto di scuole ed etichette; tuttavia, le sue opere
rispondono, in qualche modo, al neoclassicismo, dal quale si allontana però per quanto
riguarda la considerazione neoclassica dell’arte (che deve insegnare), egli, infatti, rifiutò tutte
le forme di questo tipo di arte, siccome era difensore della dottrina dell’arte per l’arte, la quale
non deve mostrare la realtà così com’è, ma come dovrebbe essere, perché l’arte non è storia
ma poesia.
Settore fondamentale della produzione di Valera è la saggistica e la critica letteraria; infatti,
molti dei suoi saggi sono importanti punti di riferimento per studiosi, per esempio, del
cervantismo o del romanzo naturalista. Importante l’uso magistrale che fa del genere
epistolare (utilizzato in Pepita Jiménez). La sua poesia è intrisa di intellettualismo e di
riferimenti al mondo classico. Per quanto riguarda, invece, la narrativa, oltre ai romanzi, scrive
anche una serie di racconti di stampo folcloristico, che raccontano di un mondo primitivo,
leggendario. In ogni caso, qualsiasi sia il genere di riferimento, in tutti si riscontra questo suo
interessa per l’Oriente e per l’occultismo; inoltre, il suo obiettivo è quello di conferire alle sue
opere una dimensione atemporale, decontestualizzata e mitica, affinché esse possano
assumere un valore universale.
Per quanto riguarda i personaggi delle sue opere, buona parte di queste si concentra sulla
storia di un’eroina, rappresentante di grande virtù, che è sempre un personaggio bellissimo,
intelligente e con doti naturali che la società non riesce a comprendere e premiare. Il tema
principale delle sue opere è quello amoroso, spesso infatti le sue narrazioni si concentrano
sulla storia di una coppia formata da un uomo sulla cinquantina e da una ragazza sulla
ventina. Inoltre, si serve di un linguaggio che non ha niente a che vedere con quello
quotidiano e, quindi, molto lontano dal linguaggio utilizzato in altri romanzi realisti. Il narratore
è ingegnoso, ironico, quindi Valera usa dei toni ed uno stile che, inevitabilmente, ci rimandano
a Cervantes.
Pepita Jiménez
Il romanzo in questione unisce il genere epistolare con la narrazione onnisciente; la prima
parte è costituita dalle lettere di don Luis de Vargas, ricco ereditiere, a suo zio, vicario
capitolare; Luis arriva nel suo paese natale per trascorrere un periodo di vacanza con suo
padre e proprio qui la sua fermezza religiosa viene corrosa dall’incontro con Pepita, vedova di
vent’anni. Luis spiega questa sua condizione psicologica in delle lettere allo zio (sotto questo
punto di vista abbiamo una serie di analisi introspettive che, secondo alcuni critici, sono alla
base della nascita del romanzo psicologico in Spagna). Nella seconda parte la trama
romanzesca prende il sopravvento su quella introspettiva, con la rappresentazione dell’amore
consolidato tra Luis e Pepita; dopo il loro primo sensualissimo bacio, lui decide di tornare al
seminario con una determinazione che viene però a rompersi con le capacità seduttive della
ragazza che decide di prendere in mano la situazione con l’aiuto della sua domestica,
Antonona (diretta discendente di Celestina). Dopo che la storia tra i due è stata divulgata,
Luis si vede costretto a ridimensionare la sua vita ed i propri valori in misura della sua nuova
condizione, così impara a montare a cavallo, a giocare a carte e a battersi a duello per
meritarsi l’amore della giovane e per poterne difendere l’onore; in particolare, si batte con il
conte di Genazahar, diffamatore della donna. Nell’epilogo veniamo a sapere che i due, alla
fine, hanno intrapreso un lungo viaggio, si sono sposati, hanno avuto un bambino e vivono
felici in una casa in cui si alternano altarini di santi con una statua pagana della dea
dell’amore, Venere. In questo romanzo ci viene dato un chiaro esempio dell’impossibilità di
coniugare le pulsioni individuali con le norme sociali, in cui l’immagine sociale, che è
l’apparenza, non corrisponde all’immagine vera, che è l’essenza; l’amore è un elemento che
sconvolge l’equilibrio e spinge l’individuo verso un’evoluzione. Centro dell’intera narrazione è
il fatto che entrambi i protagonisti hanno dovuto intraprendere il cammino della rinuncia, della
negazione di sé stessi per poter raggiungere l’armonia nel rapporto con la società. Nel
personaggio di Luis assistiamo ad una vera e propria battaglia interiore tra due forze: da una
parte la morale e la religione e dall’altra la carne; in questo conflitto ha un ruolo fondamentale
la domestica che lo spinge verso la carne. Caratteristica fondamentale dell’opera di Jiménez,
come abbiamo già detto, è la costante presenza di Cervantes nella lingua e nella struttura
della narrazione (il manoscritto anonimo, l’autore non sembra essere l’autore, ecc.).
Juanita la Larga
In questo romanzo dal sapore costumbrista, Valera racconta di nuovo la storia del rapporto
tra amore e società, in particolare la possibilità di riscatto di un’emarginata e questa volontà di
riscatto altro non è che la rappresentazione delle mire della borghesia a diventare soggetto
attivo nella società… Juanita, infatti, non è altro che la rappresentazione del cursi e della sua
nascita. Juanita è oggetto di desiderio dei ragazzi di Villalegre, compreso don Paco, un uomo
sulla cinquantina; sia lei che la madre, Juana la Lunga, sono vittime dell’esclusione sociale in
seguito ad un peccato giovanile della madre, ma a don Paco questo non interessa, così
comincia a frequentare spesso la casa delle due, fino a fare un regalo a Juanita, la quale
ricambia, in buona fede, con un soprabito cucito da lei stessa; quando, però, lui le chiede di
sposarlo lei, non volendo passare per quella che non è, rifiuta. E così, volendosi riscattare
socialmente, cerca una soluzione, che trova nella figlia di don Paco, dona Inés, che nel
frattempo si era vista quasi privata della sua eredità ma che, grazie alle doti di virtù della
giovane Juanita, diventa sua amica. La figlia di don Paco cerca di convincerla a diventare
suora ma, mentre frequenta la casa, Juanita si rende conto di essersi innamorata di don Paco
e il suo modo di attirarlo a sé è quello di sedurre un altro uomo; in seguito, a questi eventi,
don Paco vuole suicidarsi ma, nel suo vagare per i campi, riesce a liberare l’uomo più ricco
del paese, che era stato preso in ostaggio, e che gli dà in premio la mano di Juanita. A
distanza di anni, anche in questo caso, il narratore ci fa sapere che il destino è stato coerente
con il karma: i buoni sono stati premiati ed i cattivi sono stati, in qualche modo, puniti.
La condizione iniziale presentata nel romanzo, ossia quella dell’emarginazione, sembrerebbe
indirizzare questo al naturalismo, in realtà, però, Valera è in bilico tra due tensioni: didattismo
neoclassico e naturalismo. Questo romanzo può essere definito come il romanzo della
vecchiaia e della cecità e, da questa prospettiva, è facilmente comprensibile il velo nostalgico
e benevolo che esso presenta, in particolare assistiamo ad una serie di immagini sensuali
che sottolineano la nostalgia per i piaceri perduti di un Valera ormai vecchio e cieco.
Morsamor
Ultimo romanzo di Valera, interpretato come il suo testamento intellettuale, la summa
conclusiva della sua arte e del suo pensiero. Infatti, è indiscutibile che nell’opera si possa
trovare l’esposizione di tutti gli argomenti che hanno alimentato il fuoco sacro della sua
scrittura. Morsamor è una sorta di congedo di chi ha vissuto tanto e ha tanto riflettuto sulla
vita, e vorrebbe predisporre il proprio animo a una buona partenza. “Morsamor” era il nome di
battaglia di frate Miguel quando ancora era conosciuto come trovatore e avventuriero.
Arrivato alla fine dei suoi anni, questo insignificante monaco, si rende conto di non aver
realizzato alcuna grande impresa che lo possa rendere immortale. Decide quindi di ricorrere
alle arti magiche di frate Ambrosio che gli restituisce la giovinezza affinché possa correggere
il corso della sua vita. Morsamor parte per Lisbona, dando inizio ad una serie di avventure,
battaglie, amori, degni di un romanzo cavalleresco o bizantino. Nei suoi lunghi viaggi incontra
i grandi uomini del momento, lotta contro gli infedeli e ottiene ricchezze e onori. In questo
modo il racconto si configura secondo un duplice modello:
- Da un lato come romanzo di viaggi
- Dall’altro come romanzo storico.
Morsamor porta con sé Tiburcio, che ricopre lo stesso ruolo del gracioso nella commedia del
siglo de oro e introduce nel romanzo il tema faustiano: solo alla fine si avrà la certezza della
natura diabolica di Tiburcio.Tornato poi alla cella del suo convento e alla vecchiaia, Morsamor
capisce che in realtà non si è mai mosso da lì e che le sue peripezie non sono state che un
sogno indotto da Ambrosio. Dapprima se la prende, ma dopo un periodo di riflessione capisce
la lezione morale che Ambrosio ha voluto dargli e, appagato nei suoi desideri, senza più
ambizioni, muore. Tiburcio si incarica di instillare il dubbio sulla sincerità della conversione
finale di Morsamor in Ambrosio, il quale capisce così la natura diabolica di Tiburcio, smette di
praticare magia e muore, anch’egli in pace con Dio. Questa improvvisa preoccupazione per la
trascendenza viene interpretata come un’indulgenza verso se stesso da parte di Valera
anziano, bisognoso di tracciare un bilancio della propria vita. Un’altra lettura possibile è quella
di una tenzone tra i due grandi sistemi che strutturarono il mondo religioso di Valera:
- da una parte le religioni orientali e la ricerca della catarsi attraverso la trasmigrazione delle
anime
- dall’altra la purificazione dell’anima cristiana attraverso la grazia divina, l’amore e la
rassegnazione.
È molto esplicito il parallelo di quest’opera con una novella compresa in “El conde Lucanor” di
don Juan Manuel, quella in cui don Illàn, mago di Toledo, sottopone il vicario di Santiago alla
prova della vita futura per vedere in che modo avrebbe mantenuto la sua promessa di
ripagargli abbondantemente il suo insegnamento.
La questione del genere di “Morsamor” è stata oggetto di dibattito.
- Lo stesso Valera lo definisce un romanzo cavalleresco in chiave moderna, e in effetti, non si
discosta dal canone cavalleresco per quanto riguarda la struttura narrativa, lo spazio
concesso al soprannaturale, la dipendenza delle azioni del protagonista dall’amore di una
donna ecc.
- Ma per gli stessi motivi è stato anche considerato un romanzo bizantino, del quale ha
ereditato il viaggio per mare, il meraviglioso, le agnizioni continue tra il protagonista e le sue
innamorate, l’uso della casualità e così via. Infine, l’unico insegnamento che l’autore ci
consente di trarre da questo romanzo è la rinuncia all’orgoglio individuale e nazionale, la
cancellazione delle ambizioni giovanili.
José Marìa Pereda

Viene considerato dalla critica come il massimo esponente del


romanzo regionalista: egli racconta la vita della classe media rurale di Santander, e la fa con
accenti classicheggianti che rimandano al bucolicismo e alla visione disincantata del mondo
del romanzo picaresco. Anche Pereda, come Caballero, preservava gli usi e i costumi di un
mondo, in questo caso la sua regione, che stava per essere travolto dai cambiamenti
connessi alla rivoluzione industriale, pertanto le sue narrazioni diventano una presentazione
lenta e dettagliata del paesaggio, degli uomini e degli usi della sua terra; sentiva che la sua
missione era quella di difendere i valori alla base della sua infanzia felice, ossia il
cattolicesimo, le tradizioni e il matrimonio. Fu il fratello ad avviarlo alla carriera di scrittore e,
insieme ad un gruppo di amici fondò una rivista satirica tradizionalista, da dove, durante la
rivoluzione del 1868, lancerà i suoi messaggi contro il liberalismo e il progresso. Pereda
affronta un periodo di depressione durato circa 5 anni e durante i quali smise di scrivere;
successivamente rimase indubbia la sua dipendenza dal giudizio altrui, anche per quanto
riguarda i suoi romanzi, in cui abbiamo un'attenzione maniacale nei confronti delle possibili
esigenze dei lettori: il narratore, infatti, interviene continuamente per dare spiegazioni a
possibili interrogativi che il lettore potrebbe porsi. Solitamente la critica divide la sua narrativa
in quattro diverse tappe:
-alla prima tappa corrisponde il costumbrismo;
- alla seconda tappa corrisponde la tesi;
- alla terza tappa corrisponde una maggiore apertura in cui cerca di raccontare, al modo
naturalista la Madrid da lui vissuta, e dalla quale è rimasto deluso a causa della sua
materialità (antimadrilenismo);
- alla quarta tappa corrisponde un momento di sintesi e di maggiore serenità virgola in cui
trova la sua vena più genuina con le egloghe realiste.
Tutte e quattro le tappe sono unite dallo stesso messaggio, ossia che il liberalismo rompe
l'equilibrio del mondo, in quanto propone la ribellione dei meno abbienti. I personaggi si
dividono in due gruppi: da una parte ci sono i buoni che abitano lo spazio interno e dall'altra ci
sono i cattivi che abitano nello spazio esterno, ossia la città, ed è la storia di un arricchito che
si dà alla politica. Per quanto riguarda le egloghe realiste, a cui si dedica nella sua ultima
tappa, si tratta di una visione idilliaca nel rapporto tra uomo e natura, vista nella maggior parte
dei casi nel suo doppio aspetto di madre accogliente e di matrigna. In questo caso, l'uomo,
nel sottomettersi alla logica della natura, Ehi riesce ad ottenere il dominio su di essa dopo
una lotta impari grazie alla quale accede alla saggezza o a poteri superiori rispetto a quelli
che occupava precedentemente. Nelle opere di Pereda l'ascesa sociale nel mondo è
impossibile: i buoni sono poveri e felici e i ricchi possono ambire a tutto ciò che garantisce
loro la felicità.
Sotileza
È la storia di Silda, Ehi una bambina orfana che viene maltrattata dai genitori adottivi; il suo
compagno di giochi Andrés appartiene ad una categoria sociale superiore, la porta da un
prete affinché possa darle una nuova famiglia, e così viene affidata agli zii. In qualche modo
si ritrova legata a Cleto, il fratellastro che la amava, e ad André, Ehi che ricambia il suo amore;
alla fine sceglierà il primo, che è un suo pari, mentre il secondo finirà per accettare un
matrimonio combinato dal padre con una sua pari. Nella prima parte del romanzo virgola in
cui viene raccontata l'infanzia dei ragazzi, troviamo massima espressione del costumbrismo
di Pereda, egli infatti mantiene la tesi costumbrista della conservazione degli equilibri sociali
tradizionali.
Penas arriba
È un’epopea del paesaggio e della vita nella Montagna. Pereda non rinuncia all’esposizione
della tesi, cioè la conservazione degli usi e dei costumi, per una più armoniosa esistenza in
rapporto anche alla natura. Il costumbrismo alimenta il romanzo regionalista di Pereda fino a
sopraffarne l’impianto narrativo. Così, per esempio, la narrazione si riduce alla presentazione
di una galleria di tipi umani e di lavori artigianali caratteristici della zona, e anche dei riti sociali
dell’epoca, di cui è buona mostra la riunione stessa, una tertulia, un momento di socialità che
consolida i rapporti umani e consente a tutti lo scambio di informazioni della comunità. Nel
romanzo, la descrizione prevale sulla narrazione, e determina quell’atemporalità che pervade
tutta la trama; non esistono riferimenti cronologici; non si sa quando accadono gli eventi. A
ben vedere, l’ordine e la durata degli eventi sono ininfluenti per la struttura dei significati del
racconto, perché in esso tutto è atemporale, tutto deve restare così com’è nel
mondorappresentato, tutto deve essere preservato dal passare del tempo. È da notare inoltre
la perfetta compenetrazione tra uomo e natura, che si manifesta nel travaso delle
caratteristiche del paesaggio alle persone, come se la loro bontà e la loro timidezza
discendessero direttamente dall’alto delle montagne. L’idealizzazione della vita nelle alte valli
di Santander tocca i suoi abitanti e anche il loro dialetto.
Vicente Blasco Ibáñez

Ibáñez nasce a Valenza, riceve un'educazione improntata al cattolicesimo;


tuttavia, si votò ad un implacabile anticlericalismo e prova di ciò e la pubblicazione, nel 1892,
de La Araña Negra, che è un vero e proprio attacco i gesuiti; di fatto i suoi primi romanzi
sono una denuncia sociale e al loro interno vi troviamo l'applicazione del naturalismo. Si
dedicò all'attività politica dalla parte dei repubblicani federalisti, viaggio a Parigi (dove fu
esiliato) e in Italia, in particolar modo da quest'ultimo viaggio viene fuori En el Paìs del Arte,
in cui sono riassunte le impressioni sulla cultura e sulla realtà italiane. Nel 1894 fonda El
Pueblo, una rivista sulla quale furono pubblicati a puntate i suoi romanzi. Viaggiò in tutto il
mondo, addirittura tentò di mettere in piedi due colonie agricole in Patagonia, ma dopo il
fallimento dell'impresa ritorno in Europa e alla sua vocazione letteraria. Ibáñez fu uno scrittore
molto prolifico, scrisse romanzi, racconti, articoli giornalistici, cronache di viaggio e anche
un'opera teatrale, El Juez. In quanto entusiasta seguace del naturalismo francese venne
considerato da molti lo “Zola spagnolo”.
Per quanto riguarda il suo gruppo di novelle, la critica ha preso in considerazione soprattutto
aspetti come il costumbrismo, a partire dall'importanza delle descrizioni di tipi e di paesaggi e
dalla loro bellezza e capacità di evocazione… per esempio, in Arroz y Tartana la narrazione
segue cronologicamente le feste e le tradizioni popolari valenziane, le quali fanno da cornice
alla storia di doña Manuela, la quale finge una posizione economica e sociale che non
occupa realmente; figlia e sposa di piccoli commercianti finisce per portare alla rovina
economica e morale della famiglia proprio nell'affanno di far dimenticare il proprio passato di
bottegaia. Questo ritratto e questa satira della società borghese frivola e superficiale la
ritroviamo anche in Flor de Mayo, ma concentrata su un altro aspetto della vita valenciana,
vengono qui descritte, con grande attenzione ai particolari, le asprezze dell'esistenza dei
pescatori della spiaggia del Cabañal. In questo romanzo abbiamo un'osservazione diretta che
contribuisce a creare un quadro realistico all'interno del quale hanno luogo le vicende di
Pasqualet, tradito da moglie e fratello; la sua disperazione lo porterà a sfidare la sorte
affrontando una tempesta che travolgerà sia la barca, Flor de Mayo, che le sue speranze di
costruire un futuro migliore a sé stesso e alla sua famiglia. Quello che spicca in questo
romanzo sono i paesaggi in cui la barca combatte contro le forze della natura.
Altro aspetto importante della narrativa di Ibáñez riguarda lo studio psicologico di alcuni
personaggi, soprattutto per quanto riguarda i protagonisti di Entre Naranjos, i quali sono
tormentati dai propri conflitti interiori: Rafel e Leonora vivono tra gli aranceti di Alcira, ma la
loro passione amorosa viene ostacolata dai pregiudizi della famiglia di lui, una famiglia
borghese, ma non solo… i due sono infatti ostacolati anche dalle difficoltà che nascono dalla
disparità delle loro due personalità: Leonora ha un carattere forte e complesso che non riesce
a trionfare sulla debolezza di lui.
Nelle opere del nostro autore viene evidenziato il deciso impressionismo in molte delle sue
pagine: in alcuni romanzi la sua tecnica si manifesta attraverso descrizioni vivide e attraverso
la resa di immagini piene di luce, colore, movimento e contrasti.
In particolar modo è stata anche elogiata la sua efficacia nell'applicazione delle tecniche
realiste, quali, ad esempio, l'uso di un linguaggio che, senza abbandonare il castigliano,
riesce a creare l'illusione che la lingua materna dei personaggi sia un'altra.
Nella maggior parte dei suoi romanzi vediamo la chiara intenzione dell'autore di riflettere la
realtà sociale e politica della regione valenzana come specchio della realtà sociale e politica
della Spagna intera, il tutto, però, reso attraverso il filtro rappresentato dalla personalità
dell'autore.
Importante un legame che sembra esserci tra l'autore e la Generazione del ’98, per quanto
riguarda l'atteggiamento e i punti di vista, in particolar modo la critica mossa ad una società
che è incapace di rigenerarsi, ma anche l'esaltazione del paesaggio patrio come protagonista
delle storie.
La lirica
Il trentennio che va dall’abdicazione di Isabella II alla perdita di Cuba (1868-1898) è un
periodo non favorevole al fiorire della lirica, che in effetti appare “debole”, segnata da
vocazioni di retroguardia postromantiche o intimiste, o da una riflessione catalogata come
“realistica”. Forse l’aspetto più interessante è costituito dall’apparire dei primi influssi del
simbolismo parnassiano di ascendenza francese, che aprirà la strada al modernismo di fine
secolo.
Rosalia de Castro

Castro si registra tra i poeti della Restaurazione; nasce nel 1837 e


viene registrata come figlia di sconosciuti. A Madrid conosce Bécquer, suo futuro marito, che
seguì in varie città. Pubblica il suo primo libro poetico, La Flor, che mira ancora al
romanticismo, ancora impregnato di malinconia, passerà poi ad un'espressione poetica
basata sulla scelta del gallego e sull’imitazione della poesia popolare. Inoltre, è stata fatta una
distinzione tra la poesia folcloristica, scritta appunto in gallego, e la lirica più riflessiva. È stata
definita come cantrice della Galizia, di cui lamenta l'abbandono e l'arretratezza e attraverso
cui sperimenta un repertorio di nuove forme, assume un tono più intimista e utilizza le
bellezze della terra della Galizia come stimolo per la riflessione. Nella sua poesia predomina
la comparazione, gli artifici retorici più frequenti sono legati al parallelismo, è completamente
scritta in castigliano e presenta un'unione tra elementi romantici e presentimenti dell'epoca
realista. In El Caballero de las Botas Azules, pubblicato nel 1867, il protagonista tenta
dirige generare le abitudini delle classi alte della Madrid contemporanea, affrontando
l'indifferenza e la frivolezza generale, attraverso un'ironia che utilizza per criticare la
corruzione della società, l’ozio e la superficialità.
Ramòn de Campoamor

Campoamor nasce nel 1817 ed è forse il poeta più rappresentativo


del periodo. Il suo lavoro letterario comincia nelle file romantiche influenzate, però, dai classici
dei secoli XVI e XVII, che lo allontanano dal legame stretto al movimento. Nei suoi testi in
prosa tenterà di organizzare le sue idee filosofiche, mentre i poemi principali che scrive sono
Colón e El Drama Universal. Il suo ribellismo insofferente ed il suo individualismo si
condensano in una poesia scettica, che procede per narrazioni brevi, le quali tentano di
opporsi alla narrazione in prosa.
Gaspar Núñez de Arce

Nato nel 1834, A Madrid lavora come redattore del


Observador e ottiene un grande successo letterario. L'autore cerca un coinvolgimento ed un
appassionamento del suo lettore; nei suoi poemi lirico-narrativi prova la terzina dantesca, ma
il suo rapporto con Dante viene proposto non solo in questo caso, ma anche in un
componimento, La Selva Oscura, in cui la selva è rappresentazione della selva della
vecchiaia, nella quale l'autore incontra il poeta fiorentino, che gli parla del suo amore per
Beatrice. In altri suoi componimenti ci sono altri personaggi storici, quali, ad esempio, Lord
Byron, Martin Lutero e altri poemi che si dedicano ad una pittura costumbrista.
Manuel Machado

La sua poesia è caratterizzata da una versificazione versatile e


innovatrice; come il fratello studia presso la Institución libre de Enseñanza, in particolar modo
studia il folclore andaluso che si va a riversare poi soprattutto nella sua lirica. A Parigi
incontra Pio Baroja e Ruben Dario e, per quanto riguarda il modernismo, ciò che conta per lui
è soprattutto l'atteggiamento vitale anticonformista e la volontà di innovazione delle forme.
Partecipa in modo indiretto al dibattito sulla questione nazionale e sull'immagine della
Castiglia eterna: rivisita nel suo secondo libro, Alma, la poesia medievale spagnola. In questo
romanzo vengono toccati soprattutto i temi della decadenza e della caducità, della solitudine
e dell'infinito, manifestazioni della malinconia che affligge il poeta. Successivamente comincia
a dedicarsi al teatro, scrive testi di teatro in versi insieme al fratello Antonio, dei quali sei di
essi vengono rappresentati a Madrid; il successo teatrale arriva con La Lola se va a los
Puertos.Si trova a Burgos quando la guerra lo sorprende, a questo punto le sue idee liberali
diventano per lui una minaccia, così torna al cattolicesimo e si dedica alla scrittura di testi
patriottici e religiosi. Torna a Madrid quando la guerra civile sta per finire e dedica un
panegirico a Franco quando questi entra nella capitale trionfante: una sorta di assicurazione
per una permanenza tranquilla nel periodo finale della sua vita.
José Martinez Ruiz aka Azorìn

Nasce nel 1873 da una famiglia benestante e conservatrice. Dopo aver


mostrato un atteggiamento inizialmente molto polemico, abbandona le stravaganze e il suo
primo pseudonimo, Candido, per assumere quello di Azorìn, nome che aveva dato al
protagonista di un ciclo narrativo. Chiave della sua narrativa e l'assenza di trama, giustificata
con l'osservazione che la vita non ha una trama precisa, ma è multiforme, contraddittoria (a
differenza dei romanzi realisti, che la presentano come un qualcosa di rigido e geometrico);
conseguenza è l'ancorarsi allo stile, il quale diventa proiezione del romanziere. Nella sua
narrativa, così come nella saggistica, applica il progetto di conserva passione dell'effimero
contro la cancellazione operata dal tempo, con l'obiettivo di trasmettere il concetto di lettura
come esperienza vitale. Il suo sperimentalismo si realizza soprattutto nella cura del linguaggio
e nella ricerca di un godimento artistico depurato, in linea con il suo tenace raffinamento
stilistico; giunge ad una essenzialità quasi schematica, attuata con una sintassi semplificata;
voi la grande ricchezza lessicale si contrae fino a costituire un lessico purista.
La Voluntad
Il romanzo di Azorìn risulta essere quello di maggiore modernità, egli non solo amplia la
tensione dell’arco sensibile dei personaggi, ma in più lo inserisce in una vasta gamma di
situazioni, facendolo vivere in un mondo che richiede la nostra attenzione in più ambiti
contemporaneamente (quello fisico, quello della religiosità, mentale, ecc.); il suo modo di
trattare l’argomento, l’organizzazione del testo, le nozioni di spazio e tempo, ecc. sarà diverso
e rivoluzionario per la sua epoca: l’essere moderno, isolato dall’universo intero, considerato
come un piccolo granello di sabbia in una spiaggia intera, diventa artefice del suo stesso
destino.
Nell’opera di Azorìn troviamo un tipo di frammentazione particolare, che riguarda la
combinazione testuale di tematiche di origine diversa, riflessioni filosofiche, paragrafi dedicati
alla rappresentazione puramente visuale, dialoghi, lettere, narrativa semplice; gli scenari si
alternano tra città e campagna… la rappresentazione della realtà diventa multiforme e Azorìn
ci mette di fronte ad un testo che non presenta alcun discorso predominante.
L’autore giunge all’avvicinamento definitivo della sfera diacronica con quella sincronica: il
passato si ripresenta del presente come una molla e il concetto dell’eterno ritorno appare in
ogni momento e il lettore dà un senso e un significato al testo solo alla fine, dopo aver
conosciuto la sua totalità. Per quanto riguarda il tempo, Azorìn preferisce il tempo interiore e,
infine, all’autore interessa poco della storia in sé, ciò che gli interessa realmente è il modo in
cui essa è narrata, adottando quindi una prospettiva nella quale il soggetto, l’io interiore ha
modificato la priorità di interessi che offre la società (di fatto, i romanzieri moderni si
aspettano di parlare con un lettore che è diverso dal borghese dell’800, il quale è ben legato
ai valori fissi della società e che è inalterabile).
Variazioni della Narrativa Modernista
L'esistenza ormai non appare più descrivibile come una successione ordinata di eventi,
l'impressione della continuità entra in contrasto con una realtà caratterizzata da eventi illogici:
il realismo assume come reale ciò che è mutevole e, per rappresentare una realtà notevole,
bisogna farlo in modo discorsivo. Conseguenza nella narrativa è che il punto di vista non è
stabile, l'influsso delle condizioni sociali sullo sviluppo dei personaggi diminuisce, diminuisce
anche l'importanza data a precisazioni su spazio e tempo. Una volta abbandonata la forma
tradizionale del narrare, comincia a vacillare il risultato legato ad essa: la progressività
dell'azione, la coerenza della storia narrata che deve rispettare la cronologia degli eventi, la
presenza di un finale chiuso. Al contrario, abbiamo ora la disgregazione della trama,
l'introduzione di pause per la riflessione interiore; inoltre, il narratore modernista non intende
rappresentare un mondo nella sua totalità, piuttosto si concentra su raffigurazioni parziali.
Pio Baroja y Nessi

Già da giovane segue, con la famiglia, gli spostamenti del padre


ingegnere, e il risultato è la conoscenza di regioni e località che ritroveremo nei suoi romanzi.
A Madrid conosce il mondo letterario, in particolare Maetzu e Azorìn e pubblica i suoi primi
libri, come ad esempio Vidas Sombrìas. Nonostante i suoi studi in medicina, passerà il resto
dei suoi anni dedicandosi alla letteratura. Baroja è un uomo solitario, pieno di insicurezze,
anti-clericalista, antimilitarista, antimonarchico, ecc.: la vita gli appariva come un caos
dominato dai forti, nel quale l'unica salvezza poteva risiedere nell'azione.
La maggior parte dei suoi personaggi sono esseri disadattati, in opposizione all'ambiente e
alla società in cui si trovano, ma senza forze sufficienti per portare a termine la loro battaglia,
destinati, quindi, alla frustrazione e alla sconfitta.
I suoi scritti sono pervasi da un atteggiamento insofferente e da un lessico colloquiale, a volte
basso, che gli procurò lettori anche nei ceti non borghesi.Come Unamuno, anche Baroja
pretendeva di scrivere le sue opere narrative senza un progetto, oltre al fatto che difendeva i
finali aperti dei romanzi; rifiutava le formule ed era aperto a tutte le possibilità della vita e del
pensiero; ciò che conta, secondo lui, è la profondità di sentimenti, l'immaginazione e la
capacità di osservare la vita, di fatto ambiente e figure occupano un ruolo fondamentale, a
differenza del tema, che è secondario; il ritmo è incalzante e vi sono rapidi cambiamenti di
scenario. Le opere che meglio rappresentano le inquietudini della modernità sono Camino de
Perfecciòn e El Arbol de la Vida.
Camino de Perfecciòn > il titolo rispecchia la volontà del protagonista, il pittore Fernando
Ossorio, di raggiungere la libertà della pace interiore; egli rappresenta l'immagine
dell'irrequietezza, la quale lo porta a vagabondare nei paesaggi della Castiglia, facendogli
vivere diverse esperienze, fino a giungere a Toledo, dove trova la tanto anelata pace interiore
nella quiete del matrimonio.
El Arbol de la Vida > viene considerato come il suo libro più rifinito e completo; costituito da
53 capitoli brevi, racconta la biografia di Andrés Hurtado, in una vicenda che, in alcuni tratti, ci
rimanda a vicende biografiche dell'autore stesso: Hurtado, infatti, studia medicina e decide di
diventare medico di campagna, decisione in seguito alla quale, però, diventa intollerante al
popolo stesso, arrivando addirittura a provare verso quest'ultimo un senso di ribrezzo. Torna
quindi a Madrid e si sposa trovando, anch'egli, la pace nel matrimonio, ma, in seguito alla
morte per parto della moglie, si uccide.
Camino de Perfecciòn
Nel romanzo di Baroja sfociano i sentieri della narrativa realista-naturalista rinnovatrice.
Baroja scrive un’opera, El Arbol de la Ciencia, che complementa quella di cui stiamo
parlando: in entrambe affronta i vari dilemmi della società spagnola, egli infatti senza timore
delle possibili complicazioni e conseguenze esaminò vari aspetti dell'essere umano che mai
furono affrontati prima d'ora in castigliano; in particolare, in Camino de Perfecciòn affronta la
questione religiosa in quanto fattore che tocca l'individuo, mentre nell'altro affronta il ruolo
della scienza come guida dell'uomo moderno. Secondo Baroja; né le soluzioni offerte dalla
religione e né quelle offerte dagli scienziati alla problematica umana sembrano sufficienti o
adeguate, egli infatti sosteneva che, almeno nella società spagnola, la felicità dell'uomo si
raggiunge quando questo si libera dai suoi istinti. All’interno del suo romanzo troviamo
numerosi riferimenti ai romanzi dell’Ottocento; infatti, in una buona parte del romanzo
abbiamo il riferimento a situazioni abbastanza comuni, ad esempio per quanto riguarda
l'incontro tra Fernando con un suo vecchio conoscente, Paco Sànchez de Ulloa… il
riferimento a quest’ultimo, infatti, ricorda la stessa stirpe creata da Emilia Pardo Bazàn.
Troviamo, nel suo romanzo, anche delle coincidenze per quanto riguarda il punto di vista
degli atteggiamenti e dello stile innovatori di quel periodo, in particolar modo per quanto
riguarda Valle-Inclàn: quando, nel capitolo 7, Fernando interrompe le preghiere di Laura in
una chiesa, la porta a sedersi sulle sue ginocchia e le bacia la nuca troviamo un riferimento al
marchese radomìn e Concha nella Sonata de Otoño. Nel romanzo di Baroja troviamo una
combinazione interessante tra realismo (descrizione minuziosa dei dettagli fisici e ricorrenza
di temi scabrosi) e naturalismo (lunghi passaggi in cui abbiamo la presenza del metaforico,
una visione illuminata del paesaggio che offre al testo una patina poetica), due tendenze tra
loro contraddittorie, che da una parte ci offrono la realtà nella sua forma più scabrosa e
dall’altra ce la fanno contemplare attraverso la metafora. Anche nell’opera di Baroja troviamo
la presenza della coscienza individuale, che possiamo cogliere analizzando i labirinti interiori
di Fernando durante il suo cammino per la Castilla, in particolar modo durante la sua visita a
Toledo, punto di partenza di un percorso a ritroso negli ambiti interiori del proprio io che lo
porterà alla purificazione mistica. Esempio della presenza di questa coscienza individuale lo
possiamo trovare nel momento in cui Fernando, a Madrid, è ospite di una famiglia che ha una
figlia, Adela, che va a trovare durante la notte per abusare di lei; nel momento in cui la guarda,
però, gli torna alla mente un ricordo, quello della quasi violenza fatta ad una giovane,
Ascensiòn, quando era giovane e la coscienza individuale lo porta a rallegrarsi di non aver
ripetuto lo sbaglio. Diverso, però, è l’atteggiamento che assume quando decide di sposare
Dolores, donna “vicina alla natura” e con la quale Fernando decide di perdersi
dell’incoscienza. Altro aspetto che considera Gullòn nel suo saggio sono le novità all’interno
del romanzo; nel primo capitolo possiamo subito identificare novità come lo spostamento
della focalizzazione e della prospettiva dalla quale si raccontano i fatti: Alas, Galdòs, ma
anche Pardo Bazàn, presentano un mondo ricco di percezioni psicologiche di una realtà
plurale e ciò succede quando la voce del narratore del realismo cede il suo posto al
narratorepersonaggio, da questo momento in poi si va a rompere la barriera ideologica e
cominciamo ad incontrare personaggi con istinti, passioni e feticismi, non vi è più una visione
unica, i paragrafi sono cosparsi di frasi connesse le une alle altre tramite la giustapposizione
(non vengono più unite come somma di ragionamenti casuali) e gli stessi paragrafi si
accorciano. A partire da queste basi, Baroja comincia le sue innovazioni; egli colloca i suoi
personaggi in situazioni che li portano ad aprire il loro spirito, a mostrare il proprio io interiore
e, per fare ciò, addirittura, usa tre metodi di narrazione: prima un narratore-personaggio
(amico di Fernando), poi un autore-narratore e, infine, leggiamo una specie di diario di
Fernando. Elemento che cosparge l’opera di Baroja è l’arte: dipinge il paesaggio come
scenario del romanzo.
Appaiono descritti un quadro e una nota di Fernando, uno lo troviamo al secondo capitolo e ci
viene descritto dal narratore-personaggio e l’altro appare alla fine. La rappresentazione della
realtà da parte dell’autore è abbastanza lontana dalla maniera realista di trascrivere il mondo
nel testo, anzi, risulta essere una visione soggettiva: per esempio, nel primo quadro abbiamo
fumo, cavi, una finestra da cui si vede il mondo esterno, mentre nel secondo spariscono i
contorni, il mondo e la realtà hanno lasciato soltanto la loro ombra nei colori… Baroja sembra
oscillare tra realismo ed impressionismo, tra due possibilità di rappresentare l’uomo del testo.
Altro fattore su cui si sofferma Gullòn è il fatto che Baroja sostituisce alle sue descrizioni delle
riflessioni, di cui il romanzo è pieno, riflessioni sulle idee politiche, giudizi e citazioni che
coincidono con il suo pensiero reale (a differenza di quanto accade con il romanziere
dell’800).Nella sua opera, Baroja tratta apertamente il tema della rappresentazione nell’opera
d’arte, che tra l’altro chiarisce la sua posizione; primo esempio lo troviamo quando Fernando,
contemplando un paesaggio desolato, ha una visione, quella della crocifissione di Cristo sul
monte Calvario, il personaggio viene travolto dall’ambiente e subisce delle visioni.
Le Vicissitudini del Teatro
1. Un teatro Guardingo
Nel primo 900 lo sviluppo del teatro spagnolo differisce dagli altri generi, questo perché la
condizione essenziale per la diffusione di queste opere era la messa in scena effettiva (cosa
che non avveniva sempre). Pertanto, era difficile competere con la produzione esorbitante di
professionisti che conoscevano bene le richieste delle compagnie teatrali ed i gusti del
pubblico. Tuttavia, al pubblico borghese vanno bene anche le emozioni drammatiche purché
non suscitino incertezze. Madrid era la città più rappresentativa in cui parecchi teatri avevano
un repertorio specialistico. Nel 1900 erano dodici i teatri consacrati al Genere Chico; il teatro
in costume era il vanto del Teatro Español, che alternava la commedia dei secoli d'oro a
forme come il dramma romantico di argomento storico. L'unico a ricevere sovvenzioni statali
era il Teatro Real, dedicato al genere operistico. Uno dei professionisti delle scene era José
de Echegaray, che soddisfava il gusto per il pathos propinando agli spettatori drammi basati
su conflitti di coscienza, spesso con finale tragico. I temi che gli risultano congeniali (follia,
destino e morte) rientrano nelle sue storie di passioni violente vissute da personaggi
squilibrati attraverso vicende inverosimili, ricche di adulteri, duelli e suicidi. I suoi versi teatrali
incontravano il favore del pubblico e degli attori perché si prestavano alla declamazione
enfatica ancora in voga. Il contributo iniziale di Valle-Inclàn al genere storico in versi si
differenzia dalla tipica evocazione dell’epopea nazionale con scenari situati in altre regioni.
Dicenta, dopo qualche dramma sentimentale, trova il successo con un melodramma chiamato
“Juan José” (1895), storia di un conflitto per l'amore di una donna sullo sfondo del contrasto
tra padroni e operai. Egli continua ad accennare nei suoi drammi passionali a temi tratti dalla
vita reale, come gli scioperi e l'amore extra coniugale. Galdós si dedica al genere con grande
passione e successo del pubblico, sfruttando sia la sua abilità nella costruzione dei dialoghi e
delle scene, sia la sua capacità di trattare temi contemporanei. La novità, che implica l'uso
della prosa al posto dei versi, offre al pubblico un tempo e uno spazio attuali.
2. Il Teatro di Successo: Jacinto Benavente

Jacinto Benavente nasce a Madrid nel 1866, dove muore


nel 1954. Dopo la morte del padre inizia a viaggiare con lunghe permanenze in Francia,
Inghilterra e Russia. Di ritorno a Madrid nel 1892 si dedica esclusivamente all’attività letteraria
e teatrale. I primi drammi messi in scena sono basati sul conflitto tra etica e trasgressione,
caratteristico della società borghese di Madrid. La novità è l'abolizione del l'artificiosità da tutti
gli elementi della rappresentazione teatrale, della parola alle situazioni sceniche. Pertanto, i
personaggi sono adesso normali borghesi che in testa sono dialoghi da salotto con toni
debitamente misurati. Viene presentato l'ambiente cosmopolita dei ricchi e degli aristocratici
come un luogo che può essere meta di fantasticherie, ma che nasconde sotto uno scintillio di
facciata la sua decadente incapacità di mutamento. L'impostazione di questo teatro trova un
pubblico desideroso di riconoscersi nella collettività della famiglia o del gruppo sociale che
l'autore sceglie a protagonista del singolo dramma, per vedere presentare puntati in modo
selettivo le proprie consuetudini, preoccupazioni e pregiudizi. Un pubblico disposto ad
accettare per qualche ora la critica moderata veicolata dallo spettacolo condito di ironia
pungente e di paradossi. Il suo teatro riassume le tendenze del primo Novecento spagnolo:
dal teatro de Los Niños (dedicato a bambini, scuole e famiglie) e i Drammi Rurali, le Tragedie
fino ad alcune opere (come “Los intereses creados”) in cui ritroviamo i tratti della Commedia
dell’Arte.
3. Il Teatro Comico
Senza dubbio la commedia è quella che riempie di spettatori la maggioranza delle sale
teatrali in Spagna. Alcuni esempi dignitosi, come quello di Carlos Arniches, spiccano, e
diventano popolari come specialisti della farsa breve. Mette in scena di preferenza lo schema
elementare del conflitto tra bravaccio è un giovane lavoratore onesto, contendono la ragazza
virtuosa, sedotta se dalla spacconaggine del primo, con inevitabile trionfo del bravo ragazzo
favorito dai consigli di una persona matura. Arniches si avvia verso un filone teatrale diverso,
la tragicommedia grottesca, basata sul contrasto tra l'essere e l'apparire; in particolare tra
l'esteriorità sociale e l'intimità del personaggio. Il comportamento dei personaggi è spesso
ridicolo, fino a sconfinare nel grottesco. Possiamo trovare alcune analogie tra Arniches e
Valle-Inclàn, soprattutto nella comicità demenziale dell’Astracàn, un sottogenere comico che
sfrutta giochi di parole, menzogne e incomprensioni; ciò che conta è solo l’effetto comico
anche a discapito della verosimiglianza della trama.
4. Il Teatro Inquieto
Il teatro dell'epoca che oggi ci sembra più interessante di rado piaceva al pubblico del tempo.
Solo poche compagnie concedevano qualche possibilità ai drammaturghi più innovatori.
L'azione di queste figure isolate risultò comunque marginale, e quello che per mancanza di
sbocchi non si occupò che definì teatro sperimentare orientale, venne tollerato in qualche
occasione per una o due serate, ma più spesso non andò oltre il testo scritto.
José Ortega y Gasset

Nato nel 1883 e nonostante la sua educazione presso i Gesuiti, Ortega


mostra da subito una certa ammirazione nei confronti della scienza. Fortemente interessati
alla cultura e, in particolare, all’attualità, entra in polemica con intellettuali come Unamuno, a
favore dell’europeizzazione della Spagna e a favore dell’apprendere conoscenze scientifiche
di altri paesi. Nella sua Deshumanizaciòn dell’Arte assume una prospettiva antiromantica,
in riferimento ad un’arte pura, minoritaria ed intellettuale, lontana dall’espressione diretta dei
sentimenti e, in sostanza, lontana dall’umano. Il suo giudizio critico e negativo nei confronti
della negazione della figura in pittura è reso evidente nelle sue considerazioni sullo specifico
narrativo: egli, infatti, sottolinea il fatto che un romanzo lineare e chiuso non permetta la
comprensione delle innovazioni. Concetto legato ad Ortega è quello del prospettivismo:
secondo Ortega, non esiste un un’una prospettiva, un punto di vista assoluto della realtà.
Oltretutto, Ortega sottolinea lo stretto legame tra l’io e la vita concreta (che comprende anche
l’appartenenza ad una nazione), ossia le varie circostanze che l’io si ritrova ad affrontare…
queste costituiscono la cosiddetta “ragione storica”. Nella prospettiva di Ortega, la vita è
una situazione in cui noi tutti ci troviamo per forza di cose e in cui è necessario agire per
sopravvivere: ognuno si costruisce la propria vita con l’obiettivo di costruire il proprio
potenziale e, per farlo, “inventa” il suo agire attraverso delle decisioni. Infine, è importante
anche citare l’importanza che Ortega ha avuto dal punto di vista dell’affermazione della figura
dell’intellettuale, il quale assume contorni sempre più definiti e impone la propria presenza
nella vita pubblica spagnola.
Gerardo Diego

Parliamo sicuramente dell'autore più significativo ed emblematico


della poetica di questo gruppo (generazione del’27); Diego è uno dei poeti che alla fine della
guerra civile resta a Madrid, nonché uno dei protagonisti delle tendenze d'avanguardia
proclamate all'inizio dalla rivista Ultra. Nella sua poetica sembra andare alla ricerca di valori
puri ed elementari, i quali spesso si traducono in una linea verticale, una sorta di slancio
mistico e di ricerca di perfezione che spesso trova espressione nell'elegante immagine del
cipresso, cantata dal poeta in El Ciprés de Silos, espressione di un desiderio di cielo e di
infinito che quando non si precisa negli elementi del paesaggio naturale e storico della
Spagna lo fa attraverso i nuovi simboli della vita moderna, come la gru e l'hotel. Accanto alla
poesia d'avanguardia, egli presenta anche una produzione parallela che lui stesso chiama
poesia relativa, basata sulla realtà umana e sentimentale e in cui richiama elementi della
tradizione letteraria, soprattutto a livello formale, identificabili, ad esempio, nell'uso del
romance o del sonetto (El Romancero de la Novia).
Damaso Alonso

La produzione di Alonso si limita a 4 libri, che ricoprono un arco


temporale di circa 60 anni:
- Poemas Puros;
- Hijos de la Ira;
- Hombre y Dios;
- Duda y Amor Sobre el Ser Supremo.
L'idea centrale è quella di un mondo privo di certezze assolute e destinate al caos e al nulla,
determinando un sentimento di angoscia e di crisi esistenziale che va a rappresentarsi in
quella che viene definita una poesia sradicata. Con il secondo libro citato la poesia di Alonso
raggiunge l'apice della sua tensione espressiva attraverso forme di oscura angoscia che
documenta nel momento della crisi e dello sradicamento totale; esso rappresenta un filone di
poesia umana ed esistenziale che potrebbe essere interpretato come un diario intimo in cui il
poeta si confessa e grida, attraverso una voce di supplica, paura e angoscia. Gli ultimi due
libri rappresentano il dialogo tra Dio e l'essere umano, un dialogo che si sviluppa in modo
nudo e diretto; le perplessità sull'esistenza di Dio si annullano e il dissidio interiore, riportato
nel secondo libro e che si manifestava attraverso delle grida laceranti, adesso si placa.
Jorge Guillén

L'autore in questione viene considerato come rappresentante di quella


parte del movimento che tendeva alla conquista di un linguaggio essenziale ed assoluto.
Importanti i suoi lunghi periodi di soggiorno all'estero e, Ehi allo scoppio della guerra civile,
sceglie anch'egli l'esilio prima negli Stati Uniti e poi in Italia, per poi tornare a Malaga dopo la
morte di Franco. Anche Guillén studia presso la Residencia de Estudiantes e anche lui aveva
preso parte all’omaggio gongorino dell’Ateneo sivigliano; veniva riconosciuto dal gruppo come
maestro.
Càntico
La sua poetica può essere riassunta in Càntico, che rappresenta la testimonianza più alta
dell'esaltazione dell'uomo laico di fronte al creato e alla natura, l'autore tende a ridurre ogni
elemento decorativo, sensuale e colorista, la parola utilizzata è alimentata da rigore,
classicismo e perfezione formale, così come anche da fede ed entusiasmo davanti allo
spettacolo armonioso della bellezza e della vita. Quella di Guillén può essere definita una
poesia pura, termine adottato nei confronti della sua produzione, all'interno della quale
l'autore è alla continua ricerca di una misura semplice e rigorosa. L'opera in questione,
dunque, è il canto per l'esistenza e la bellezza, vengono cantati l'uomo, l'amore, il sentimento
del tempo e il paese con le sue geometrie spaziali. Verso preferito è il settenario.
Clamor
Quest'opera, a differenza di quella appena citata, rappresenta il dramma e il caos; troviamo
qui temi moderni, come la città, la guerra e la dittatura. Tuttavia, più che parlare di brusco
passaggio, rispetto all'opera precedente, dovremmo parlare di ampliamento della tematica:
l'autore nomina fatti e situazioni, immagini estrapolate dalla vita moderna contrassegnata dal
dolore e dall'ingiustizia, accompagnati da temi di sereno e luminoso abbandono.
Vicente Alexaindre

Nato a Siviglia nel 1898, la sua esistenza sarà sin


dai primi anni giovanili segnata da una grave malattia renale che lo costringerà a trascorrere
una vita tranquilla e quasi sempre in convalescenza. Tuttavia, finirà per passare anch’egli per
Madrid. Aleixandre svolge un ruolo importante nella mediazione tra scuole poetiche della
cultura spagnola dei suoi anni circa. Il suo iter creativo si presenta con una particolare
fisionomia all’interno dello stesso gruppo del 27 da cui trae origine. Questo cammino presenta
una ricerca complessa, basata su costanti stilistiche, apparentemente in contrasto, che
propongono di volta in volta elementi di innovazione e ritorno. Di fatto, è possibile dividere la
sua produzione in due fasi:
- la prima interiore,
- la seconda proiettata verso l’esterno,“àmbito” è il suo primo libro di poesia pubblicato nel
1928 in cui ritroviamo segni di un incerto modello simbolista che oscilla tra purismo e forme di
tendenza irrazionalista.
I temi fondamentali della sua poetica sono qui messi in luce: la rottura dei limiti fisici, il
desiderio di identificazione con l’io, il panteismo erotico.
La lirica “Adolescencia” del libro restituisce un’immagine delicata dell’adolescenza,
accompagnata dal ritmo leggero del verso, creando la sensazione di un continuo sentimento
d’animo. La raccolta dei poemi in prosa “Pasiòn de la Tierra” rappresenta una violenta
rottura col passato e l’inizio di una nuova fase creativa all’insegna dell’esperienza surrealista.
L’opera inaugura un linguaggio intessuto di simboli e metafore che inseguono l’affiorare di un
indecifrabile vaneggiamento onirico. Pertanto, il libro costituisce un immenso laboratorio di
immagini, simboli e intuizioni poetiche che troveranno poi sistemazione nelle raccolte
posteriori. “Espadas como labios” è il terzo libro del 1932, che continua il linguaggio
espressivo carico d’immediatezza e astrazione. Anche qui, come nel libro precedente, si
esprime in forma ironica il rifiuto del consumistico vivere moderno a favore di un vitalismo
elementare che trova nell’atto amoroso lo strumento necessario al processo di unione con le
forze del creato. “La destrucciòn o el amor” è la raccolta più importante dell’autore, dove si
compie l’unione tra amore e morte. L’opera è un inno alla vita elementare raggiunta tramite
l’atto amoroso, che provoca un’ascesa mistica. “Mundo a solas” (1934) è definita dall’autore
stesso la sua opera più pessimista, un libro amaro e desolato, che insiste sul significato della
duplice disillusione vissuta come individuo e come componente del genere umano.
“Nacimiento ùltimo” (1953) è considerato un libro che prolunga la visione metafisica
dell’autore, mostrando una particolare attenzione alla condizione personale di fronte alla
realtà grandiosa della COSMOVISIÒN. “Ultimos poemas” (1991) descrive l’immagine della
vecchiaia e della consumazione fisica, che per Aleixandre costituisce la forma di conoscenza
raggiunta dal vecchio che guarda alla giovinezza trascorsa. La parola è ormai stanca e
registra con amaro distacco il senso della perdita. I “Dialogos” costituiscono il suo messaggio
finale di un autore che ha saputo intendere il surrealismo ponendo al centro dell’universo
l’uomo e la sua passione amorosa.
Ambito è il suo primo libro di poesia in cui i temi fondamentali sono la volontà di rottura dei
limiti fisici, il desiderio di identificazione dell'io con il mondo della natura e la vastità delle forze
cosmiche. a dominare la scenografia temporale è un paesaggio notturno, il quale si afferma
come emblema di spazialità in cui terra e cielo, giorno e notte, corpo e natura,
apparentemente in lotta tra loro, tendono in realtà ad integrarsi e a fondersi reciprocamente.
Maria Zambrano

Scrittrice e filosofa, nonché allieva di Ortega y Gasset, risiederà a


Roma per più di 10 anni. Parliamo della prima donna nella storia spagnola a ricevere il
prestigioso premio Cervantes di letteratura; autrice di vari saggi, articoli e libri. Scrive Los
Intelectuales en el Drama de España, in cui si offre un quadro critico è una testimonianza
precisa della solidarietà degli scrittori spagnoli alla vicenda della guerra civile. Altri suoi
importanti contributi insistono su quelle che sono le ragioni ultime dell'essere e sulla
meditazione riguardo la vita e la morte.
Miguel Delibes

Miguel Delibes, nato nel 1920, è uno scrittore dalla personalità schiva
e amante della propria patria, in particolare ciò che predilige è la Spagna antica, non coinvolta
delle innovazioni tecnicoscientifiche, delle quali lui è grande nemico… il suo è il sogno
umanistico di un rapporto amoroso tra uomo natura, ma non lo definiamo come conservatore,
piuttosto come custode di vecchie tradizioni che la sua società contemporanea non
considerava più. Romanzo in cui troviamo uno stile più riuscito è El Camino, storia di un
ragazzo che viene spinto dal padre a continuare gli studi in città e che durante la notte
precedente alla partenza non riesce a dormire e finisce per congedarsi nostalgicamente da
tutto ciò che ha costituito la sua vita fino a quel momento; l’allontanamento dal narratore
viene reso speso tramite il discorso indiretto. Il romanzo in cui è condensato questo suo
amore nei confronti della sua patria è La Hoja Roja, che presenta il mondo della provincia dal
punto di vista di un vecchio vedovo in pensione e della sua giovane domestica analfabeta; il
vecchio, trascurato dal figlio che sta facendo carriera a Madrid, sposa la giovane serva per
garantirle un futuro. Anche il momento della transazione dalla dittatura alla democrazia è
testimoniato dalle sue pagine, in particolare in El Disputado Voto del Señor Cayo, storia di
due candidati di città in competizione per il voto di un solo elettore.
Juan Goytisolo

Nato a Barcellona nel 1931 è sempre stato in lotta contro ogni


forma di dogmatismo, di idee filocomuniste. Goytisolo è convinto del fatto che il romanzo
moderno debba essere parziale e ambiguo, perché di un fatto esistono più versioni e affida
così le storie a voci umane e più inclini a registrare che a interpretare (come farebbe un
narratore). Egli si cimenta in più ipotesi di rappresentazione oggettiva della realtà (borghese e
proletaria, metropolitana e rurale, ecc.) e lo fa concentrandosi soprattutto sui giovani.
Il mondo appare come un insieme eterogeneo di comportamenti.
Come molti spagnoli contrari al regime di Franco, anche lui si trasferisce a Parigi, centro di
dibattito all'epoca soprattutto nel campo delle scienze umane per quanto riguarda lo statuto
del soggetto; in questo contesto comincia a fondere vita privata e politica con il punto di vista
di uno straniero che comincia a disconoscere le proprie origini: anche il fatto che i suoi libri in
questo periodo siano proibiti in Spagna non rappresenta altro che un incentivo ad allontanarsi
dalla terra natìa anche dal punto di vista affettivo; anche il suo romanzo cambia sotto questo
punto di vista e infatti da questo momento in poi creerà una fusione tra la cosa scritta e chi
l'ha scrive, opera e artista.
Non rispetterà più patti di finzione e di veridicità, il suo testo sarà ora aperto alla rottura dei
sistemi verbali, alle metamorfosi dei personaggi e all’evanescenza delle relazioni referenziali.
Il desiderio di sottrarsi alla civiltà occidentale confluisce in un processo di sradicamento
rappresentato dalla trilogia di Àlvaro Mendiola, personaggio che rappresenta l'alter ego
dell'autore stesso nei tre romanzi: Señas de Identidad, Reivindicación del Conde don
Julián e Juan sin Tierra.
La trilogia si basa sulle indagini svolte sulle cause dell'esilio volontario di un catalano che vive
a Parigi; all'interno di questi tre romanzi il confine tra realtà e finzione si dissolve a causa
delle numerose e evidenti intrusioni autobiografiche da parte dell'autore. Il romanzo della
trilogia in cui meglio troviamo la maturità stilistica è il secondo, in cui si fondono sogno e
ricordo, mito e storia, le frasi sono brevi e l'ortografia è limitata ai segni della virgola e dei due
punti, come se si trattasse di un discorso interminabile che ignora principio e fine.
Riassunt
i Saggi
Critici
I. Galdós
La modernità di Pérez Galdós ci permette di concretizzare le caratteristiche moderniste della
narrativa galdosiana. Il progresso e le sue conseguenze svolgono un ruolo importante nel
Romanzo di Galdós, soprattutto nell'opera "Fortunata y Jacinta". Quando la società
abbandona i modi di convivenza provenienti da un modello di relazioni interpersonali e con il
contesto distintivo delle organizzazioni agrarie e adotta le caratteristiche di una società
urbana. In "Fortunata y Jacinta" il nostro scrittore ingloba tutte le innovazioni dell'epoca; l'uso
del vapore, lo sviluppo della tecnologia, il concetto della moda, la fotografia, i tram, il sistema
metrico decimale, le macchine, la rivoluzione del vivere cittadino, le notizie di un mondo che
come nel nostro viveva un tempo accelerato: l'autore considera la modernità dei suoi testi in
un sentito più ampio. Pertanto, ci troviamo dinanzi alla presentazione di uno spazio moderno
industrializzato, che lo separa dagli scrittori della generazione di metà secolo (Caballero,
Pereda ecc.). Esistono nella letteratura spagnola scrittori moderni tradizionali come quelli
appena citati, in cui a stento si riflettono alcuni tratti del mondo moderno. Altri, come Galdos e
Clarin, sono scrittori moderni e pre-modernisti, le cui opere offrono alcune caratteristiche
distintive della modernità estetica. Infine, abbiamo poi Unamuno e Valle-Inclan definiti
pienamente moderni e modernisti, esibendo una sensibilità ed uno stile totalmente differente.
Clarin, proprio come l'americano Henry James, definisce in qualità di parola chiave della sua
produzione l'autocoscienza, infatti, esige un rigoroso controllo intellettuale sul lavoro creativo
dell'opera. Entrambi ritrovano nella Francia la matrice del genere del romanzo realista nella
sua versione moderna e pensano che l'unica critica adatta sullo stesso si trovava sempre in
quel paese. Benito non smise mai di interessarsi ai problemi dell'autocoscienza artistica,
tuttavia Clarin lo avverte che sebbene non sembrasse, il suo stile compositivo si adeguava
troppo alla norma ideale. Alas, infatti, riteneva che la capacità di novellare di Benito fosse
innata. Ci sarebbe perciò una distinzione tra narratore nato e compositore di romanzi. Il
primo, avente una innata capacità di comporre le opere; il secondo, è un autocosciente
maestro del genere. Insomma, Galdós orientò le sue innovazioni verso la maniera in cui si
concepisce il personaggio, con un doppio spunto, a differenza degli abituali scrittori di
romanzo precedenti al 1880, in cui predominavano le caratterizzazioni di tipo fisionomico. La
sua produzione di romanzi serve da esempio per mostrare un cambio importante nella
sensibilità del pensiero del diciannovesimo secolo. Il narratore galdosiano capta la società
madrilena virgola non compie unicamente la funzione di accomodatore dell'azione, ma la
racconta e analizza, sviscerando, avvalendosi di tecniche moderne,quali il monologo interiore
e i dialoghi drammatici. Galdós tesse nel testo una visione della coscienza umana,
proveniente dalle idee psicologiche predominanti nella sua epoca. Arriva quindi fino al
dettaglio attraverso la rete psicologica e le mille possibilità del carattere del personaggio,
considerando il mondo non in modo soggettivo. Galdós darà al romanzo una nuova sensibilità
e un nuovo veicolo, la modernità, partendo dal suo romanzo del 1881 "La desheredada".
'Fortunata y Jacinta" è basata quindi nello sviluppo interno, sulla proiezione verso l’interno dei
personaggi, il tempo dell'orologio smette di servire come misura temporale e lo spazio si
allargherà o stringerà secondo le circostanze. Fortunata è il filtro della coscienza attraverso il
quale l'autore presenta un personaggio sentendo la coscienza nella sua più intima
manifestazione. Possiamo per questo considerare il romanzo in questione un romanzo di tipo
psicologico, un riflesso della coscienza, dato che l'autore sviluppa nell opera la mente tipica
dell'uomo del diciannovesimo secolo, quando questo inizia a mettere in dubbio le certezze
ideologiche dei sistemi morali sociali religiosi e politici del tempo. La critica ha avvertito un
doppio fittizio di don Benito nel personaggio di Feijoo; dato che confermerebbe ulteriormente
la nostra teoria siccome uno degli elementi fondamentali del modernismo era l'utilizzo di
materiale autobiografico nelle proprie opere. In sostanza, Galdos è un romanziere moderno,
perché nella sua opera si riflette la nuova società e sebbene le sue forme romanzesche si
avvicinino a quelle moderniste, la sua coscienza del processo artistico differisce in intensità
da quella propriamente chiamata modernista. Lo avvicina al modernismo la sensibilità con cui
capta il mondo.
Il. Clarin
Ne "La Regenta " di Clarín, chi guarda attraverso il cannocchiale è il personaggio del
Magistrale, dall'alto del campanile della cattedrale. Scrutina dall'alto simbolico del monumento
la religiosità di Vetusta. Una città quasi sempre grigia e coperta. Il cannocchiale si fa
strumento che unisce cielo e terra e porta con sé nell'ascesa i valori con i quali investiamo
l'altezza. Insomma, Alas dedica il primo capitolo completamente alle percezioni della realtà
romanzesca. L'episodio del cannocchiale forma parte di un ampio disegno. Una rapida
considerazione delle frasi iniziali dei due primi paragrafi confermano 'intenzionalità autoriale
di contrasto tra eroico e prosaico: il prosaico neutralizza il carattere superlativo dell'inizio,
dall'alto della cattedrale discendiamo a terra a vetustà, che evoca il prosaico vivere dell'epoca
borghese Dietro la lente del cannocchiale, il sacerdote si focalizza su Anna Ozores, e sulla
città. La città si dice digerisca male, a causa del suo brutto odore che porta con sé qualsiasi
tipo di immondizia, anche sociale. Insomma, l'azione di osservare, guardare, risulta
importantissima nel racconto. Ad esempio, a fine capitolo primo, le condizioni ambientali
risultano impossibili a causa dell'oscurità della sacrestia, così come Saturnino è accecato
dalla lussuria a causa di Obdulia che non smette di strusciare contro di lui. Alas ci obbliga a
focalizzarci sul guardare. La lente è utilizzata per analizzare la realtà e fornirci una superficie
più fedele al mondo emotivo. L.Alas lasciò inscritta ne "La Regenta" un'acutezza ironica, la
costante della superficialità delle abitudini dei vetustensi. Una delle tecniche narrative del
discorso clariniano è sicuramente lo stile indiretto libero, non tanto frequente ma di
fondamentale importanza. I due modi in cui viene utilizzata questa tecnica sono le frasi tra
virgolette e le frasi in lettere italiche. Allo stesso modo le frasi in italico sembrano presentare i
cliché del repertorio del pensare vetustense. Alcune frasi fatte che solo si scoprono
scoprendo i veli delle abitudini vetustensi. Il tema della focalizzazione si fa esempio nella
questione che sorge quando il narratore focalizza qualcosa utilizzando la visione di un
personaggio senza dire che è la sua, definita focalizzazione in diretta libera. Un esempio
lampante accade quando Celedonio dall'alto della Torre avvista don Fermin tra le strade di
vetustà, osserverà che gli sembra uno scarafaggio. Quattro pagine dopo quando lo stesso
Fermin scruta vetusta, leggiamo che anche lui vedeva i vetustensi come scarafaggi: l'utilizzo
dell'anche (también) sottolinea la presenza del narratore che ci lascia intendere che gli
scarafaggi sono in realtà lo scarafaggio Fermín, visto da Celedonio.
IV. Baroja
Baroja possiede l'aria di autenticità, propria del romanzo spagnolo. Si confronta con vari
dilemmi instaurati nella società spagnola del tempo. Argomentò che la felicità dell'uomo
spagnolo si raggiunge liberando i suoi istinti. Infatti Fernando Ossorio (personaggio di
"Camino de perfeccion”), raggiunge la felicità quando rompe il suo legame con i sistemi di
valori che governano la sua vita. In quest’opera, i riferimenti al romanzo del XIX sec. sono
notevoli: Un esempio lampante è il personaggio di Paco Sanchez de Ulloa, della stessa stirpe
creata da Emilia Pardo Bazan. Un altro esempio è la località in cui si svolge il romanzo, che
sembra essere un doppio opposto della città di Orbajosa di Doña Perfecta di Galdos. Per non
dimenticare alcuni echi di "Su unico hijo" di L.Alas. Per concludere, un ultimo riferimento alla
prosa di Gustavo Adolfo Bécquer: Funzionano a mo' di cavalletti sui quali si equilibra il
discorso predominante, il naturalismo ed il modernismo.
Nell'opera del 1902 di Baroja ("Camino de perfeccion”, appunto) assistiamo all'apparizione
della coscienza individuale tra i labirinti interiori di Fernando, attraverso cui il narratore
racconta dello Stato d'animo del personaggio. L'altro aspetto che si deve considerare si
riferisce alla novità formale, ovvero che il narratore-prepotente del surrealismo castigliano
cede il suo posto al narratore-personaggio. Il risultato produce un effetto immediato nel testo:
si rompe il compatto tetto ideologico che tiene insieme l'argomento, ossia la ragione. La
casualità smette di essere l'unico elemento combinante. Insomma, Baroja rinnovò la
disposizione dell'argomento nel testo e scelse una varietà di prospettive che permettevano e
permettono al lettore di iniziare una lettura esente dalla voce autoritaria della terza persona.
L'arte è sempre presente durante tutta l'opera, soprattutto metaforicamente possiamo intuire
come l'autore dipinga con descrizioni moderniste il paesaggio che fa da sfondo al romanzo.
Naturalmente, il personaggio di Fernando è disegnato con uno humor molto differente rispetto
all’inizio, durante l'opera si assiste dunque ad un’evoluzione. La rappresentazione della realtà
si manifesta come una visione puramente soggettiva.
A differenza del romanziere del XIX secolo, Baroja nella sua opera "Camino de perfección"
presenta un aspetto autobiografico: mostra l'autore mentre delucida a proposito di problemi
odierni, quelli che affliggono il cittadino della classe media come Fernando Ossorio.
La riflessione appare, pertanto, nella sua accezione primaria: riflettere sui nostri pensieri però
senza attraversare il raggio che separa il ragionamento sui pensieri dal ragionamento sulla
propria esistenza.
V. Valle-Inclán
L'opera di R.M. del Valle-Inclán "Sonata de Otoño" si ascrive nella corrente generica che
chiamiamo romanzo spagnolo moderno. La sua opera si inserisce nella modernità estetica,
ossia porta implicito il respingere delle idee del progresso borghese. Si caratterizza attraverso
l'intento di esplorare gli ambiti dell'io e della sua personalità. La lettura dell'opera mira alla
ricerca della profondità dell'essere, l'evocazione, il ricordo alle allusioni indirette.Bradomin e
Concha, i due protagonisti, risiedono in un universo proprio. La parola “realtà” lascia il posto
alla parola “letterarietà”, il reale nel testo e ciò che è letterario, o meglio, letteraturizzato. La
narrazione in prima persona è a carico del protagonista Bradomin, re-incarnazione del
classico Don Giovanni (Don Juan Tenorio de "El Burlador de Sevilla", T.de Molina).
Lo scenario appartiene al gotico-decadentista, ma l'opera lascia un'impressione iniziale simile
a quella che lasciano le opere romantiche. Tuttavia, l'impressione risulta falsa perché l'opera
è simbolista con venature di decadentismo. Il testo sottolinea la distanza tra la vita compresa
intellettualmente e quella percepita attraverso gli organi sensibili.
Nella vena oscura dell'opera si è inoltre visto il germe di quello che poi sarà il concetto di
esperpento. Il giro degli assi tematici del romanzo-Eros e Thanatos-si rispecchia in quella
vena di lussuria mista a sensualissimo, coscienza e presenza della morte. In conclusione, la
modernità di "Sonata de Otoño" risulta multiforme e sfaccettata. L'autore anticipa la corrente
narrativa dell'intimità inaugurata ufficialmente in Spagna da Unamuno, rendendo romanzesca
la dualità essenziale dello spirito, guardando più volte verso l'ideale che abbellisce l'esistenza
attraverso i cammini del sogno e dell'esperpento. Nell'opera, l'autore cominciava un periplo
letterario che l'avrebbe portato ad applicare la coscienza tragica ad ambiti vari dell'esistere
sociale, accettando anche la dimensione tragica del vivere.
VI. Unamuno
Con "'Amor y Pedagogia", Unamuno dà luce agli elementi caratteristici del secondo senso del
binomio della modernità: quelli provenienti dalla sperimentazione formale (il primo senso
riguardava la creazione di uno spazio intimo e personale). Tanto il dialogo quanto il monologo
sono le due maniere attraverso le quali l'opera si fa fautrice di questa nuova forma; tuttavia,
queste si suppongono essere delle forme di creazione testuali frammentatrici. Unamuno inizia
a modellare un inusuale (a quel tempo) tipo di romanzo. Questo perché l'essere fittizio creato
da Unamuno possiede un registro di caratteristiche della personalità di sorprendente
ampiezza.
"Amor y pedagogia" presuppone l'incontro di due forme di configurare la realtà:
1. Quella che cerca di fare dell'esperienza emozionale intellettuale il libero cammino che
diriga le azioni dell'essere;
2. Quella che vuole imporre schemi prefissati, estranei alla realtà, sebbene basati
sull'esperienza ragionata.
Un flusso istintivo (l'amore) e una teoria organica (pedagogia). Unamuno prescinde,
nell'opera, dal tempo cronologico e dallo spazio concreto; infatti non siamo a conoscenza del
dove e del quando dell'azione, i personaggi nascono in medias res: Avito Carrascal non parla
mai del suo passato, la conoscenza di questo personaggio così singolare proverrà dalle
informazioni offerte dal narratore stesso che usa sempre la forma del presente.
L'opera versa un'ultima istanza sulla lotta che Unamuno mette in ballo contro il mondo
rigorosamente organizzato dal sapere scientifico, tema basico del modernismo. Il povero
Apolodoro risulta vittima degli esperimenti paterni; Don Avito, senza lasciarsi prendere dal
rischio dei sentimenti, rappresentati dall'amore, smantella l'edificio dell'altro. Pertanto,
Unamuno si propose di captare una nascente realtà scientifica, di un mondo che si immerge
cieco nella scienza e nei suoi procedimenti dimenticandosi di ciò che proviene dallo spirito.
Per quanto riguarda lo scontro tra amore e pedagogia, dal títolo si presuppone una minima
parte del contenuto narrato nel testo. Importante è comprendere il cambio introdotto da
Unamuno nel modo in cui si situa dinanzi alla realtà. La novità radicale dello scrittore nel
captare la realtà rispetto agli scrittori precedenti si deve al disfarsi di tutti i componenti del
mondo romanzesco che davano coesione al senso unitario del testo, fittizio, negli ultimi 25
anni.
Unamuno distingue perciò due tipi di creatori:
1. gli ovipari, che depongono un uovo e lo covano con il calore dell'ispirazione;
2. i vivipari, che come lui scrivono "a lo que salga", in una maniera di getto.
Questo romanzo in realtà contiene altri due finali, o meglio chiusure:
1. Epilogo, in cui incontriamo Vito, che riconosce suo figlio nel seno materno di Petra, la quale
lo crederà fuori di testa.
2. In Niebla, in cui ritroviamo Vito in una storia intercalata ingannato dalla scienza.
Così vediamo come l'autore rifletta la realtà nelle sue opere con una doppia faccia, da un lato
il tragico suicidio di Apolodoro, dall'altro il fiume di sentimenti dei personagg.
VII. Azorin
Nell'opera "La Voluntad" di Azorin si condensano molte delle maniere romanzesche che
caratterizzano il romanzo moderno. La straordinarietà dell'autore proviene da ciò che riesce a
raggiungere: l'esplorazione dell'intimità dell'uomo, l'idealismo, il decadentismo, un realismo
naturalista, il simbolismo, l'impressionismo..Tutte queste vibrazioni l'autore riuscì a coglierle e
a condensarle. In questa sua opera il passato si riprende attraverso il presente, e così si
conserva la sua tensione nell'oggi testuale. L'esperienza della realtà nel romanzo si presenta
come una e molteplice allo stesso tempo. Il concetto di eterno ritorno appare ovunque.
L'opera presenta la divisione tra il sensibile e la realtà intellettuale: come se il romanzo si
contrasti con le reazioni emozionali dei personaggi. Al termine dell'opera, Azorin, in alcune
semplici lettere, rompe l'isolamento testuale che tende il braccio alla realtà. Proprio come
nell'opera di Baroja dello stesso anno, succede che l'autore tenda il braccio alla realtà
attraverso un altro episodio: l'inserimento di un Santino da parte della nonna nelle fasce del
bambino.
I personaggi del romanzo moderno siamo soliti conoscerli indirettamente, attraverso i dialoghi
con altri o con loro stessi. In quest'opera incontriamo la descrizione di stati d'animo, come la
depressione. L'impeccabile ritratto della perturbazione riflette lo stato a cui si allude. Per
questo risulta imperativo tenere conto delle caratteristiche sensibili del carattere del
personaggio, in modo da ricreare correttamente il testo.
Il romanzo riflette la posizione filosofica epocale di chi la crea, e quando il mondo si
percepisce intriso di trascendenza, il testo rifletterà quella situazione. Per questo l'autore
deve riferirsi al lettore e fare a lui il punto o fare di lui il centro ermeneutico del discorso fittizio.
Per questo motivo il romanzo moderno è stato oggetto di tante controversie, perché il valore
che presenta è carente di validità universale degli evidenti del romanzo tradizionale. Più che
sottolineare il corso del tempo, avvertiamo il suo trascorso, che scorre senza quasi farsi
notare.
L'opera offre la storia di un disinganno amoroso ed un matrimonio, punto. I fatti in sé dicono
poco, ciò che è significativo è che il personaggio maschile diventa da membro attivo della
coppia un membro passivo. questa transizione comporta un importante riflesso nel testo,
perché il personaggio centrale smette di essere il soggetto attivo dell'opera e si converte nel
soggetto passivo sul quale ricadono le azioni degli altri. La ferma volontà illuminata lo guida e
determina il suo comportamento.
Le azioni interessano poco, all'autore interessa raccontare da una prospettiva in cui il
soggetto è cambiato.
V. García de la Concha: Introducción, in Poetas del 27. La generación y
su entorno. Antología
comentada, Espasa Calpe, Madrid 2008, pp. 21-84.
Introduzione
Peterson in "las generaciones literarias" aveva fissato l'esigenza di caratteristiche per poter
parlare di una generazione:
1. Coetaneità
2. Omogeneità di educazione
3. Relazione personale intensa
4. Esistenza di un avvenimento rilevante
5. Un leader
6. Configurazione di un linguaggio generazionale
7. Paralisi della generazione precedente
Damaso Alonso, nel confrontare ciò, dice che quegli scrittori non formavano un vero gruppo,
piuttosto in essi si avevano le condizioni minime di ciò che si intende per generazione.
Una generazione? E del ‘27?
Non è cessata la discussione a proposito del fatto che questi poeti formino o meno una
generazione, e il senso della Revista de Occidente, la quale pubblica tutto ciò che gli autori
intendevano scrivere circa Gongora in occasione del terzo centenario della sua morte. Se è
vero quindi che sorge il termine “gruppo”, è vero anche che il programma soffrì di molti tagli, e
delle pubblicazioni previste apparvero solo: "Soledades: Romances y Antología del
homenaje" (Gerardo Diego).
Ma cosa accadde esattamente? Il 23 maggio del 1927, nel giorno del ricordo della morte di
L.de Gongora, iniziò il loro primo atto pubblico e ufficiale, la lettura pubblica dei loro testi. Ciò
fu un omaggio ma anche una loro presentazione. Dopo il funerale, furono infatti invitati a
inaugurare le attività del corso nella sezione di Letteratura dell'Ateneo di Siviglia. Il
programma includeva proprio la realizzazione di un omaggio a Gongora, ed una
presentazione in società del gruppo. Nel dicembre del 1927 poi, Guillén, Bergamin, Dämaso,
Gerardo Diego, Lorca, Alberti , pubblicano "El Sol: 7 literatos madrileños de avanguardia".
Ingresso nella storia della letteratura
Questa presentazione e questo omaggio portò alla pubblicazione da parte di Gerardo Diego
di "Poesía Española. Antología 1915-1931/32". L'articolazione, compiuta nel '32, una
funzione di inserimento della joven literatura nella storia letteraria. L'antologia non è
un'ostentazione del gruppo ma una dimostrazione intransigente della scuola (perché tra di
loro ci sono molte differenze, ad esempio tra Unamuno e Guillén, o tra Ramon e Larrea):
Nonostante tutto vi è un programma ed un'idea comune che unisce tutti questi poeti (a parte
l'amicizia), essi dicevano che Gerardo Diego fosse l'unico capace di fare un'antologia. Nel
1934 Gerardo Diego pubblica "Antologia, Contemporaneo" , ossia il continuo dell'antologia
precedente, ma alla base ci sono 2 problemi:
1. Incompatibilità tra i due approcci, e questo viene denunciato da P.Salinas
Vi erano 3 tipi di antologie:
•quella personale
•quella che rappresenta una scuola o una tendenza,
•quella storica.
P.Salinas dice che l'Antologia di Diego ha smesso di essere un'antologia di gruppo per
diventare un'antologia storica.
2. Nel breve lasso di tempo che li separa, si era prodotta nella lirica un'accelerazione del
tempo storico motivata dal rafforzamento e dallo sviluppo dell'opera dei poeti più giovani, e la
rapida evoluzione dell'intero sistema letterario.
Itinerario estetico: dall’avanguardia al surrealismo
Il primo: Ramon Gomez de la Serna
Ramon Gomez de la Serna
Questo autore cambia lo statuto di chi guarda svincolandosi da condizionamenti ideologici o
sentimentali, affinché possa cogliere il nuovo delle cose e cambiare anche nel senso finale
dello sguardo; il suo destinatario non sarà più l'uomo ma le cose› processo che sfocerà nel
surrealismo. È il creatore della gregueria, ossia testi brevi o aforismi che presentano una
visione personale, sorprendente, e fortemente umoristica su alcuni aspetti della realtà. Humor
+ metafora= gregueria.
L'eredità creazionista
L'avanguardismo è latente fino al 1918 quando si producono i proclami di Cansinos Asséns, il
manifesto di Ultra e l'attiva presenza di Huidobro. Ultraismo e Creazionismo portano nei poeti
della joven literatura l'interesse per l'immagine come cellula germinale del poema e l'utilizzo
di un determinato tipo di metafora: avvicinando 2 o più eventi lontani si crea una nuova
relazione, inesistente nel mondo naturale.
Huidobro➜Insegue l’ideale di creazione del poema-quadro, sono infatti interessanti la
disposizione dei versi e la tipografia per quanto riguarda gli spazi in bianco. Successivamente,
abbandonerà l'ossessione per il poema quadro.
Gerardo Diego➜prova la scrittura ultraista nel 1918, in particolare il creazionismo. Inoltre
vede la tradizione come avanguardia e l'avanguardia come tradizione › vi è un'intensa
rilettura attualizzata dei classici.
Il Surrealismo
Entra in Spagna su spinta di quello francese. Damaso Alonso, Guillén e Rafael Alberti lo
rifiutano. Luis Cernuda conferma il fatto che fu precisamente l'irruzione del surrealismo che
divise il gruppo di poeti della joven literatura in 2 parti:
1.Salinas e Guillén da un lato che rifiutano il surrealismo;
2.Lorca, Alberti, Cernuda, Alexandre, Prados che invece appoggiarono questa corrente.
Si legano definitivamente al surrealismo a partire da crisi personali, che si concretizzano con
la crisi generale socio-politica della spagna.
Il surrealismo influisce sicuramente sulla percezione, e in definitiva potremmo dire che è una
crisi di identità, questo ad esempio lo esprime Lorca in una sua poesia "Muerte".
Da cosa deriva la denominazione “Del‘27”?
Damaso Alonso non parla esplicitamente di Generazione del ‘27. Ma segnala questo anno
come centrale per questa generazione, perché funge da cerniera tra due tempi di creazione
poetica:
•Il primo, di relativa omogeneizzazione del concetto di poesia (1920-1927);
•Il secondo (1926-1936) in cui si apre un' importante opposizione, quella del surrealismo.
In più, quest'anno è la celebrazione del terzo centenario della morte di Gongora.
La Joven Literatura
J.Guillén proclama che "hay que volver a Góngora" e con lui a Garcilaso, a Lope, a Calderon,
affermando che questi autori vivono accanto a loro molto più di altri cronologicamente più
vicini. Quindi Gongora non era l'unico oggetto di ammirazione e studio da parte di questi
autori, ma sicuramente era l'emblema definitivo della generazione, la joven literatura
Spazi di incontro:
La Residencia de Estudiantes
È stato un luogo decisivo di incontro dei poeti della joven literatura. Nella Resi, viene Lorca in
maniera continua dal 1919 al 1925, e successivamente la visiterà con frequenza. Li vi erano
anche Salvador Dalì e Luis Bunuel. Nella Residenza passavano le figure di maggior prestigio
spagnole e straniere.Il gruppo di amici, che Dali definisce come Ultraista, avevano adottato il
qualificativo di "putrefacto". Non ci sono dubbi sul fatto che alcuni degli elementi che
caratterizzano la joven literatura erano fortemente vincolati alla Resi.
Le riviste:
Sono un altro luogo di incontro della joven literatura. In esse si è generato e diffuso gran parte
del pensiero estetico dell'opera di questi poeti. Tra le riviste abbiamo:
1.Alfar, una rivista avanguardista➜documento eccezionale per assicurare l'evoluzione
dell'arte nuevo e della joven literatura, spagnola e ispanoamericana.
Parallele alle riviste vincolate alle avanguardie, ci furono 3 pubblicazioni di Juan Ramon
Jimenez: A.Indice, in questa si distacca la modernità dal suo orientamento plastico. A ciò si
somma l'interesse per i classici del Siglo de Oro e per la poesia popolare. Unendo poesia e
prosa, nei 4 numeri di Indice collaborarono Salinas, Guillén, Lorca e Gerardo Diego. B. Sì, il
cui unico numero presenta Damaso Alonso, Salinas e Alberti; C. Ley, aggiunge poi Guillén e
Altolaguirre.
2.Revista de Occidente➜fondata nel 1923, il direttore è Ortega Gasset. Aiutò a diffondere le
principali teorie estetiche e letterarie.
Estetiche: relazione tra la poesia, le arti plastiche, la musica e l'architettura; superamento del
positivismo; disumanizzazione dell'arte; poesia pura; surrealismo.
Letterarie: gli "ismo" > dadaismo, futurismo, cubismo, postismo.
Rivista di malaga "LITORAL" ) è importante ed è legata al gruppo nei suoi 9 numeri (1926-
1929).
3.Carmen➜rivista di Gijon, 1927. Fondata e diretta da Gerardo Diego. È un proposito per
includere versi classici.
4.Lola➜è una rivista disinvolta, risolta e spagnola, dirà ciò su cui la rivista Carmen tace.
5.Gallo➜di F.G. Lorca, rivista di allegria e giochi letterari. 1928, con spirito avanguardista.
Il Magistero di J.Ortega
Ha avuto un'influenza capitale soprattutto sul piano teorico. Alcuni anni più tardi Guillén dirà
che la sua generazione dovrebbe querelare il filosofo J.Ortega per il danno che aveva
causato con la sua teoria della disumanizzazione dell'arte. Ortega, nelle sue note su Gongora,
afferma che nel gongorismo, l'arte si manifesta sinceramente come ciò che è, cioè pura
broma, un semplice scherzo. E dice, “Es poco ser broma?” Quindi appoggiandolo.
Da Mallarmé a Gongora: la traiettoria della poesia pura
Nel 1925 Bremond provoca la polemica sulla poesia pura. Secondo lui, nella poesia ci sono 2
tempi:
1. Il poeta, in maniera analoga al mistico, sperimenta un conoscimento e una conoscenza
ineffabile.
2. Viene plasmato nel testo di ciò che ha intuito.
La poesia finirà per essere una copia imperfetta di ciò che ha intuito. Per Valéry non esiste
altra poesia se non quella che si produce nello spazio della poesia. Guillén dice che la poesia
pura è matematica e chimica. Poesia pura è tutto ciò che resta nella poesia dopo che viene
eliminato tutto ciò che non è poesia. Quindi pura significa semplice chimicamente. Mallarmé
viene presentato da Ortega nella disumanizzazione dell'arte come il grande liberatore della
nuova lirica. Guillén insiste sul fatto che Gongora e Mallarmé creano poesia per eliminazione.
Damaso Alonso invece afferma che la poesia dell'uno è la negazione dell'altro: In Góngora, il
mondo è preesistente e tradizionale Invece in Mallarmé, il mondo inesistente Il gruppo quindi
incontra in Gongora il maestro dell'architettura strofica e ciò funge da stimolo.
Juan Ramon Jimenez e il neopopularismo
Nel 1917, insieme a Ortega y Gasset e Pérez de Ayala fonda la rivista "Actualidad y futuro",
in cui la poesia doveva servire per aiutare nel configurare nuovi valori umani e civili. Il fine
della poesia per Juan Ramon Jimenez è risvegliare l'io profondo addormentato sotto i
sentimenti volgari e cercare il puro, la purezza, scoprire il segreto occulto. Il neopopularismo
fu un movimento andaluso, sorto come reazione contro la letteratura troppo elitarista e
universalista del Modernismo e la freddezza dell 'ermetismo delle Avanguardie, specialmente
l'Ultraismo. Questo ritorno al popolare non deve essere inteso come sinonimo di rusticità. Fu
il movimento più efficace contro il Modernismo e anche contro gli "ismos" precedenti.
Scrittori uniti e tempo nuovo
Gli stessi scrittori che erano stati definiti "poco humanistas" avevano incamminato un
movimento che potremmo qualificare di neoromantici, secondo Damaso Alonso. Gli scrittori
erano uniti solo nell’ ambito dell’amicizia, perché seguivano linee che di volta in volta si
facevano sempre più divergenti.
Riassun
ti
Classic
i
Benito Pérez Galdos, Tormento
CAPITOLO 1
Il primo capitolo si apre come una piéce teatrale. Due uomini, di notte, inciampano l’uno
contro l’altro. Dopo una sorta di battibecco, I due si riconoscono a vicenda e si abbracciano.
Si tratta di ARISTO (Felipe Centeno, così chiamato perché i suoi amici, nel romanzo che lo
vedeva protagonista, lo chiamavano “ Aristoteles” rimandando alla sua voglia di studiare e
imparare) e JOSE IDO DEL SAGRARIO. I due, che non si vedono da tempo, si recano in un
café. Qui, IDO si accorge che FELIPE è ben vestito e quindi pensa, addirittura, che abbia
ereditato qualche fortuna. In realtà l’uomo gli dice che guadagna bene perché adesso ha “el
mejor amo del mundo”, “un capitalista” con così tanto denaro “que no se acierta a contar”( è
la prima caratterizzazione in absentia di AUGUSTIN CABALLERO). IDO, a sua volta,
racconta di aver cambiato lavoro e di essere finalmente diventato uno scrittore di romanzi
d’appendice (genere che viene fortemente criticato all’interno del romanzo (ostacolo alla
diffusione del romanzo realista). Gli racconta che ora sta lavorando ad un’opera basata su un
diario che ha trovato (topos del manoscritto ritrovato) e in cui ha inserito due giovani donne
molto povere ma molto oneste (qui invece la povertà trascina con sé il peccato) perché,
nonostante la loro povertà, non cedono al peccato e conservano il loro onore. Ad un certo
punto FELIPE sembra appisolarsi e dà la colpa al fatto di aver bevuto. I due decidono di
andarsene. IDO chiede a FELIPE dove sarebbe andato ora e lui gli risponde che deve
consegnare una LETTERA (prima traccia scritta nel testo) a due giovani donne che vivono
sole, da parte del suo padrone. Per IDO andare a consegnare una lettera, che secondo lui
contiene sicuramente del denaro, a due giovani donne sole, è un gesto molto immorale.
Felipe gli spiega però che non si tratta di soldi ma di biglietti per una serata a teatro: visto che
I coniugi BRINGAS, cugini del suo capo AUGUSTIN CABALLERO, non potranno andarci, lo
stesso ha chiesto a FELIPE di dare I biglietti a queste due giovani donne. Sentendo il nome
BRINGAS, IDO chiede a FELIPE di leggere i nomi delle destinatarie nelle quali riconosce le
sue due vicine di casa (AMPARO e REFUGIO) le quali lavorano per la famiglia BRINGAS. A
questo punto IDO gli dice che sono proprio le sue vicine le muse ispiratrici del suo romanzo.
La realtà però, dice IDO, presenta delle cose che non possono essere incluse in un romanzo
(“prosas horribles, nefandas”) e allude ad un “secretillo” e, alla fine, sceglie di dirlo solo a
FELIPE all’orecchio (di conseguenza IL LETTORE NON SA NULLA A PROPOSITO DI
QUESTO SEGRETO tranne che ha a che fare con le due ragazze). Si tratta di qualcosa che
“no se debe decir ni se debe escribir”. Felipe suggerisce a Ido di convertire il fatto in poesia,
ma lo “scrittore” lo zittisce dicendogli che lui non sa niente di queste cose. Alla fine si avviano
verso il luogo in cui vivono le due ragazze.
CAPITOLO 2 (NB: viene abbandonata la forma di testo teatrale).
Una caratteristica particolare di questo capitolo è il tipo di narratore: esso, infatti, parla in
prima persona plurale e da ciò capiamo che si tratta di qualcuno interno alla storia che
conosce I personaggi da vicino. Protagonisti del capitolo sono I coniugi Bringas. Viene
descritto prima DON FRANCISCO DE BRINGAS Y CABALLERO, un uomo di 50 anni, molto
dedito al lavoro manuale (si racconta infatti che si dedica molto anche al restauro di mobili
antichi) e alla famiglia. Si dice che, sin da giovane, ha sempre lavorato per guadagnare, alla
stregua dei suoi genitori e dei suoi nonni. La sua famiglia affonda le radici nel territorio de “La
Mancha” mentre il secondo cognome discendeva dai Caballeros gaditanos, una famiglia ricca
che era caduta in rovina dopo la guerra. Si dice poi che è sposato con ROSALIA PIPAON
dalla quale ha avuto 3 figli. Si passa poi alla descrizione della donna: una donna bellissima,
molto più giovane di suo marito, che aveva una “cierta manìa nobiliaria” tanto che spesso
utilizzava il suo cognome materno, Calderòn, per sostenere che discendesse da una famiglia
importante. E, per sostenere ancor di più questa tesi, univa al suo secondo cognome un “de
la Barca”e sosteneva dunque di chiamarsi ROSALIA PIPAON DE LA BARCA. Era anche
ossessionata dal “Palacio” (la residenza reale) e aspirava ad andare a vivere lì. Altra cosa di
cui si racconta in questo capitolo è il trasloco della famiglia e il narratore quasi si scusa per
aver presentato questa famiglia in un momento di tale trambusto. (NB: compare per la prima
volta nel testo la parola “TORMENTO”, in relazione però al trasloco). Il capitolo si chiude con
un’ulteriore descrizione di Francisco de Bringas che vieneparagonato, nell’aspetto, a Thiers,
un grande storico e politico francese. Ma si sottolinea che lui non è un uomo fatto per scrivere
e fare la storia ma un uomo comune “para poner una cerradura y clavar una alfombra”.
CAPITOLO 3
Continua il racconto del trasloco in cui ci viene presentata una ROSALIA BRINGAS molto
lontana da quell’idea di ricchezza che tanto la ossessiona: presa dalle pulizie della casa,
intenta a spolverare, è vestita in maniera trasandata e indossa delle vecchie scarpe di suo
marito. Tutti, compresa AMPARO (che lavora presso la famiglia BRINGAS) sono impegnati a
mettere in ordine questa casa invasa dalla polvere. Si racconta che i coniugi si confrontano
per decidere dove posizionare determinati oggetti (NB: il fatto che Rosalia dica che “el retrato
de su Mayestad” debba stare al centro della parete, rimanda al fatto che la nobiltà è per lei
questione di centrale importanza). Dopo aver messo tutto apposto, Rosalia si dispiace che
non ci sia stato posto per collocare “el arbol genealògico de Los Pipaones”, ossia la
dimostrazione che lei discendeva da una famiglia di grande spicco. Ci viene poi detto che i
coniugi erano molto contenti e orgogliosi dei “vantaggi” della loro nuova dimora (più vicina al
PALACIO) in cui non mancavano di invitare persone alle quali facevano fare un vero e proprio
tour della casa, mostrandone tutte le “bellezze”. Tutto ciò perché i Bringas, ma soprattutto
ROSALIA, erano convinti del fatto che ciò che loro possedevano era superiore a ciò che
avevano gli altri. Alla fine del capitolo qualcuno bussa alla porta: si tratta di AUGUSTIN
CABALLERO, il quale però non entra nella sala e perciò viene definito “strano”.
CAPITOLO 4
In questo capitolo si parla di Amparo e Refugio e di come vengono trattate dai coniugi
Bringas. ROSALIA, che è una donna che vive di apparenze e che tiene molto alle sue
relazioni sociali, non poteva sopportare di rapportarsi alle figlie di un semplice “portiere”, una
persona umile quale era Sanchez Emperador. Quelle poche volte che le ragazze restavano a
cena, ROSALIA non mancava di far notare loro la sua superiorità, ma “no sabìa hacerlo con
la delicadeza y el fino tacto de las personas marcadas de ese sello de nobleza que està
juntamente en la sangre y en la educaciòn”. La sua ricerca di nobiltà, infatti, è relativa solo
alla ricchezza materiale, mentre non ha nulla a che fare con la nobiltà d’animo e perciò, ogni
cosa che dice, fa sentire ancor di più alle due giovani il peso della loro inferiorità. Le umilia in
ogni modo e le fa lavorare fino allo stremo. Questo suo comportamento, porta Refugio
(personalità più ribelle e indipendente rispetto alla sorella, ad abbandonare il lavoro e la casa
dei Bringas. Totalmente diverso è, invece, il comportamento di FRANCISCO, il quale non
manca di dimostrare ad AMPARO la sua empatia (es: se la vede troppo stanca le dice di
riposarsi) e addirittura le da più soldi di quando non dica di darle alla moglie (la quale non
accetterebbe che la ragazza venisse pagata più di 9 reali). Da qui capiamo che FRANCISCO
non è ossessionato come la moglie dall’idea di apparire ciò che non si è.
CAPITOLO 5
Si apre con delle considerazioni sul carattere di Amparo: questa, a discapito delle angherie
subite da parte di ROSALIA, si mostra come “la imagen viva de la paciencia” e continua a
subire. Addirittura ROSALIA, convinta della sua superiorità e del fatto che la povertà di
Amparo non la porterà da nessuna parte, le consiglia di farsi monaca e si offre di procurarle
una dote tramite le sue “conoscenze”. Pensa poi di ottenerla come favore dal cugino del
marito, AUGUSTIN CABALLERO, che è di visita in città. Ad un certo punto sopraggiunge
proprio AUGUSTIN e vediamo che ROSALIA ritiene che sia un uomo rozzo, poco curato, che
ignora totalmente le regole della società. In effetti, lui è un colonizzatore appena tornato da 15
anni nelle Americhe, il cui viso è segnato dal lavoro e dalla stanchezza e, addirittura, è lui
stesso a dire che per due lunghi anni non si è guardato allo specchio, cosa che fa molto
ridere sia Rosalia che Amparo. E’ un uomo maturo, sulla cui barba “brillaban hilos de plata”,
ed è talmente riservato e solitario che ha quasi “paura” delle persone. Viene detto di lui che
“parecìa muy fuera de lugar en una capital burocràtica donde hay personas que han hecho
brillantescarreras por saberse hacer el lazo de la corbata” (critica alla Società delle
apparenze). Ad un certo punto poi, ROSALIA lascia intendere che AUGUSTIN dovrebbe
cambiare e lui le risponde con delle osservazioni che, in effetti, sono delle verità quasi
universali: “Cada hombre es hechura de su propia vida. El hombre nace, y la Naturaleza y la
vida le hacen. El mismo derecho que tiene esta sociedad para decirme “por qué no eres igual
a mi?”, tengo yo para decirle a ella “Por qué no eres como yo?”[…) Cuando se ha endurecido
el caràcter, como los huesos, cuando a uno se le ha pintado su historia en la cara, es
imposible volver atràs. Yo soy asì; la verdad, no tengo maldita gana de ser de otra manera”.
Vediamo quindi che AUGUSTIN non vuole diventare parte di quella società dell’apparenza
preferendo restare fermo nella sua individualità. Vediamo poi che AUGUSTIN da dei biglietti a
ROSALIA e quando quest’ultima nota che sono 3 biglietti, chiede per chi sia il terzo e l’uomo,
molto intimidito, indica AMPARO. La donna resta sbalordita, allibita perché solo l’idea di
presentarsi a teatro con una ragazza così umile le metteva agitazione. Ad ogni modo, dice ad
AUGUSTIN che il suo gesto è stato inopportuno soprattutto perché la ragazza “està demente
por hacerse monja” e, a questo punto, inizia a chiedere, in maniera molto sottile ad
AUGUSTIN di dare lui la dote alla ragazza, premendo sulla sua generosità ma, sotto gli occhi
sbalorditi di ROSALIA, l’uomo decide di andarsene.
CAPITOLO 6
Mentre AUGUSTIN si accinge ad andarsene, viene trattenuto dall’arrivo dei suoi nipoti più
piccoli, ALFONSITO e ISABELITA. Guardando AUGUSTIN e sua figlia, ROSALIA concepisce
un pensiero malsano: inizia a pensare che, se la figlia fosse stata più grande, l’avrebbe data
in sposa ad AUGUSTIN e, più avanti, pensa addirittura che, se “por disposiciòn del Senor
Omnipotente” il suo amato marito morisse, potrebbe sposarlo lei stessa. Tutto ciò per
impossessarsi del patrimonio di AUGUSTIN. Vediamo poi che AUGUSTIN viene invitato a
cena ma decide di non restare. Dopo, in vista della serata a teatro, tutti si vanno a preparare,
compresa ROSALIA che viene aiutata da AMPARO a vestirsi. Dopodiché si riuniscono nella
sala da pranzo per cenare e quando arriva ROSALIA tutti si complimentano con lei. E’ così
bella che “no parecìa la misma”: in effetti, quando la donna doveva andare a teatro si
trasformava. Durante il giorno la si poteva vedere, in casa, spettinata, senza corsetto e con le
scarpe del marito. Quando invece doveva andare a teatro “Fuertemente oprimida dentro de
un buen corsé, su cuerpo, ordinariamente flàcido y de formas caìdas, se transfiguraba
también, adquiriendo una tiesura de figurìn que era su TORMENTO, pero TORMENTO
delicioso” (ossessionata dall’idea di dover apparire).
CAPITOLO 7
Anche in questo capitolo viene ripresa la QUESTIONE DEL TEATRO, visto come luogo di
apparenza. Il capitolo si apre raccontando che i BRINGAS andavano a teatro a piedi per
risparmiare. A teatro ROSALIA trascorreva momenti molto felici e si divertiva “màs que en la
funciòn” e le piaceva vedere chi stava sui palchi e cosa indossavano le persone. Ma più di
tutto le piaceva stare in mezzo a persone importanti nella società con le quali stringeva quelle
“buenas relaciones” a cui teneva tanto. E, in effetti, era solo grazie a quelle relazioni se i
BRINGAS potevano permettersi di partecipare a queste serate: infatti, ci andavano solo
quando qualcuno regalava loro i biglietti (“Los Bringas iban a teatro, digàmoslo clarito, de
limosna”). E addirittura, pur di non rinunciare alla loro “posizione sociale” (che è solo di
facciata) facevano molto sacrifici: viene raccontato che, per recarsi ad un’inaugurazione,
mangiarono meno per tre mesi e viaggiarono, ovviamente, con biglietti che gli furono regalati.
Non potevano permettersi due cameriere e perciò, spesso e volentieri, i Bringas dovevano
occuparsi di faccende domestiche da soli (“ Rosalìa barrìa y arreglaba su cuarto”).
Risparmiavano anche sui pasti, che erano così poveri che i loro bambini erano sempre pallidi
e magri. Addirittura, FRANCISCO era solito raccogliere oggetti in buono stato trovati per
strada e aiutare in cucina quando Prudencia, la loro cameriera, era troppo stanca.
CAPITOLO 8
Tre sere dopo, AUGUSTIN porta nuovamente ai BRINGAS dei biglietti per andare a teatro. In
un primo momento i coniugi sono titubanti perché il loro figlio minore si sente poco bene, ma
poi cambiano idea edecidono di andare lasciando il figlio alle cure di AMPARO. Una volta che
i coniugi sono usciti di casa, AMPARO resta sola e si mette a leggere la Bibbia. Ad un certo
punto suonano alla porta: si tratta di AUGUSTIN, il quale dice di essere andato lì perché
credeva che i BRINGAS non fossero andati a teatro. I due intrattengono una pseudo-
conversazione (e dico pseudo perché CABALLERO, timido e introverso, si limita a rispondere
alle domande che la donna gli pone). Ad un certo punto AMPARO gli chiede se pensa di
tornare in quei luoghi “barbari” dove aveva trascorso gran parte della sua vita e lui gli
risponde “eso no depende de mì”. Quando la giovane gli chiede da cosa dipenda la sua
decisione lui risponde chiedendole se pensa davvero di farsi suora e lei gli risponde che è
questo quello che dice ROSALIA, poi gli chiede lui cosa le consiglia di fare. Con molto sforzo,
AUGUSTIN le risponde che sarebbe davvero un peccato se lei decidesse di intraprendere la
vita monastica perché lei “es pobre, pero de altas, altìsimas prendas… y tan guapa!”.
AMPARO gli dice allora che è molto gentile e AUGUSTIN risponde dicendo: “Yo no soy
amable, yo no soy fino. Yo soy un hombre tosco y rudo que ha pasado anos y màs anos
metido en sì mismo, al pié de enormes volcanes, junto a rìos como mares trabajando como
se trabaja en América. YO DESCONOSCO LAS MENTIRAS SOCIALES” In questo,
AUGUSTIN è simile a REFUGIO: entrambi non scendono a compromessi con le convenzioni
sociali ma decidono di vivere seguendo la propria libertà di scelta. Vediamo poi che AMPARO
gli dice che lei per niente al mondo si recherebbe in un posto del genere perchè “A mì lo que
me gusta es la tranquilidad, el orden, estarme quietecita en mi casa, ver poca gente, tener
una familia a quien querer y que me quiera a mì, gozar de un bienestar medianito y no pasar
tantìsimo susto por correr tras una fortuna que al final se encuentra, sì, però ya un poco tarde
y cuando no se puede disfrutar de ella”. Queste parole lasciano AUGUSTIN a bocca aperta:
questa giovane donna rappresenta, infatti, tutto ciò che lui desiderava ma non riesce a
dirglielo perché il suo essere così chiuso, introverso, disabituato al contatto con le persone
non gli permette di far uscire dalla sua bocca il discorso che aveva preparato per dichiararsi
alla donna…
CAPITOLO 9
Di fatto, AUGUSTIN si era recato a casa dei BRINGAS sapendo di trovare AMPARO da sola
e si era preparato un discorso: le avrebbe raccontato un po’ la sua storia, la sua vita in quelle
terre lontane. Le avrebbe raccontato di tutte le volte che aveva sentito che gli mancava
qualcosa, quel calore umano che di sicuro non avrebbe trovato in quelle terre. Perciò, una
volta diventato ricco, aveva deciso di tornare in Spagna, dove era certo che avrebbe trovato
quello che cercava. E proprio a Madrid vide “una mujer que me pareciò reunir todas las
cualidades que durante mi anterior vida solitaria atribuìa yo a la sonada, a la grande,
hermosa, escogida, ùnica, que brillaba dentro de mi alma por su ausencia y vivìa dentro de
mì con parte de mi vida”. Questa donna gli era piaciuta subito, ancora di più perché era umile
e povera ( perciò non sarebbe stata avida nei confronti della ricchezza di AUGUSTIN). Aveva
pensato di parlare non appena si fosse trovato da solo con lei, per chiederle di sposarlo e di
trasferirsi con lui a Burdeos. Tutto questo discorso AUGUSTIN lo aveva preparato e stava per
farlo ad AMPARO per rispondere alla domanda “Y piensa usted volver a Burdeos?”, alla
quale riesce a rispondere solo “Sì.. pienso retirarme a Burdeos cuando pierda toda
esperanza.. cuando usted se haga monja”. Davanti al pallore e al successivo rossore di
AMPARO, l’uomo non ha modo di rispondere perché suona il campanello che avvisa del
rientro dei padroni di casa.
CAPITOLO 10
ROSALIA non resta sorpresa dalla presenza di AUGUSTIN, pensando che fosse andato a far
visita al nipotino. AMPARO, finito il suo lavoro, si prepara per andarsene ma resta in attesa
della sua paga, che però, non arriva. Davanti agli occhi sorpresi di AMPARO, il signor
BRINGAS le dice “Por hoy, hija, no hay nada. Otra vez serà”. Il motivo? Quel giorno
AUGUSTIN era stato invitato a cenare da loro e perciò, per aggiungere qualche piatto in più
alla loro tavola, avevano dovuto risparmiare negando la paga alla povera AMPARO. Mentre
la famiglia BRINGAS si apprestava a cenare allegramente, AMPARO tornava a casa piena di
tristezza. Aperta la porta, trova sua sorella mentre si prepara per uscire. AMPARO si siede su
una poltrona e guarda sua sorella: una ragazza che “tenìa la fealdad màs bonita que puede
imaginarse”, con i capelli scuri, un dente mancante che però rende il suo viso più accattivante
e un seno così grande da essere sproporzionato. La bellezza diREFUGIO non poteva essere
paragonata a quella di AMPARO, una bellezza “clàsica y ròmantica, llena de malancolìa y de
dulzura”. Ad un certo punto REFUGIO chiede ad AMPARO quanto ha portato oggi a casa e
lei le risponde che non ha portato nulla, scatenando la rabbia della sorella la quale critica il
fatto che lei continui ad andare a farsi maltrattare dai BRINGAS che secondo lei sono dei
poveracci (“ Parecen gente y que son? Unos pobretones como nosotras [..] Quìtales las
relaciones, y que les quesa? Hambre.). REFUGIO sente che ha fatto la scelta giusta a
lasciare casa BRINGAS perché adesso sta bene: mangia meglio, veste meglio, vive meglio.
Vediamo poi che AMPARO va a preparare la cena e si accorge che mancano delle cose e
REFUGIO le dice che alcune di esse le ha dovute vendere. AMPARO si arrabbia ma la
sorella le dice che era inevitabile la mette anche in difficoltà dicendole che, se non avesse
venduto quelle cose, quella sera non avrebbero potuto mangiare, visto che con quei soldi ha
potuto comprare “pastel de fugarà, jamòn en dulce, pavo en galatina”. Si siedono poi a tavola
e REFUGIO racconta alla sorella che, la sera prima era stata a casa del loro vicino, IDO DEL
SAGRARIO, il quale le aveva fatto leggere alcuni pezzi di un romanzo che sta scrivendo le
cui eroine sono proprio come loro: due ragazze orfane e povere ma oneste. REFUGIO
racconta che IDO, nel suo romanzo, immagina di aver trovato il diario di una delle due
ragazze e di copiarlo capitolo per capitolo. Alla fine, REFUGIO si alza perché deve uscire.
AMPARO le chiede dove sta andando, e REFUGIO le risponde che va a teatro e poi al café
con degli amici che però ad AMPARO non piacciono. Vediamo poi che REFUGIO confessa
alla sorella in che modo si sta guadagnando da vivere dopo aver lasciato il lavoro dai Bringas:
sta facendo da modella ai pittori, specifica però modella vestita. Tutto questo ad AMPARO
non piace, non pensa che sia un comportamento da ragazza onesta e dice che, se potesse,
le darebbe una raddrizzata. A questo punto REFUGIO rincara la dose verso la debole sorella
e le dice che accetterebbe ordini da lei solo se fosse migliore ma, visto che non lo è, non
vuole starla a sentire.
CAPITOLO 11
Rimasta sola, AMPARO si siede sulla poltrona e inizia a pensare a “cosas presentes y
pretéritas, las unas agradables, las otras terriblemente feas”. Ad un certo punto bussano alla
porta e lei ha paura di chi possa essere (“se figurò si serìa.. oh! Si era, ella se arrojarìa por la
ventana a la calle” a paura che si tratti di PEDRO POLO, l’ombra malvagia del suo passato)
ma scopre poi che si tratta di FELIPE CENTENO, il quale le ha portato una LETTERA (traccia
scritta nel testo) da parte del suo padrone, ossia AUGUSTIN. AMPARO fa accomodare
FELIPE e poi apre un po’ la busta: con sorpresa scopre che contiene denaro. Per dissimulare,
inizia a conversare con FELIPE chiedendogli del suo padrone e lui risponde raccontandole di
come l’ha incontrato, di come si trova con lui, di quanto sia ricco e di com’è fatta la sua casa:
interessante è quello che dice sulla stanza destinata a quella che diventerà la sua signora
(“No pasa dìa sin que el amo traiga algo nuevo, y lo va poniendo allì con un cuidado”
vediamo quindi che già prima di avere una moglie, AUGUSTIN la coccola). Nonostante
l’interesse per i racconti di Felipe, Amparo era troppo curiosa di esaminare da sola il
contenuto della lettera e, quindi, usando la scusa della tarda ora fa in modo che Felipe si
congedi.
CAPITOLO 12
Rimasta sola, AMPARO può finalmente esaminare il contenuto della lettera. Resta però
delusa nello scoprire che non contiene neanche una traccia scritta, “ni un rasgo de pluma”.
Inizia a pensare a cosa fare: è combattuta perché non sa se restituire o accettare questo
dono ma, alla fine, decide di accettare perché capisce che, rifiutando, offenderebbe Augustin.
Tutto questo porta Amparo a pensare a quello che l’uomo le aveva detto qualche sera prima,
ossia che si sarebbe trasferito a Burdeos quando “avrebbe perso ogni speranza.. quando
Amparo si sarebbe fatta suora”. Essendo lei una ragazza povera, inizia a pensare che forse
questo gesto è mosso dal desiderio di Augustin di renderla uguale a lui. Questo però fa
sorgere in Amparo un altro dubbio: Augustin voleva renderla la sua sposa o la sua amante?.
Sicuramente voleva sposarsi: lo aveva detto più volte e anche quel “yo la dotaré” detto a
ROSALIA aveva un significato totalmente matrimoniale. Amparo vorrebbe ringraziare
Augustin per il suo gesto e decide, in un primo momento, di farlo scrivendogli una lettera ma
ha diverse difficoltà. Perciò decide che gli avrebbe parlato da vicino. Ad un certo punto entra
REFUGIO e Amparo, debole e generosa, le mostra i soldi (senza dirle da dove arrivano) alla
vista dei qualiRefugio quasi impazzisce dalla voglia di averli. Dice alla sorella che le servono
dei giorni per il giorno seguente per saldare dei debiti. Amparo le risponde che glieli darà solo
se si comporterà bene, Refugio le risponde che, se lei non le farà mancare niente, allora lei si
comporterà come dice lei (“Asegùrame la comida, la ropa, y nada tendràs que decir de mi”) e,
inoltre, fa tutto un discorso sul CONCETTO DI POVERTA’: dice che una donna povera viene
etichettata come cattiva se non lavora. Lei però, che ha sempre lavorato, non ha guadagnato
niente se non miseria. Una donna sola, orfana, deve arrangiarsi perché nessun uomo, vista la
sua condizione, si avvicinerà a lei. Poi rincara la dose nei confronti della sorella dicendole che,
sicuramente, quei soldi lei non li ha guadagnati e perciò non deve fare l’ipocrita con lei (“No,
hoja: y a mì no me vengas con hipocresìas”). Mentre sta parlando, REFUGIO si addormenta.
La mattina seguente le due sorelle proseguono la discussione: AMPARO rifiuta di dare il
denaro a sua sorella e REFUGIO, pur di raggiungere il suo obiettivo, utilizza ogni sorta di
subdolezza, stratagemma e minaccia per ottenere quello che vuole. Così, inizia a colpire sua
sorella nel profondo dicendole: “Guarda tu dinero, hipocritona.. no lo quiero.. Me quemarìa las
manos. Es de pie de altar”. AMPARO scoppia in lacrime e REFUGIO continua, sempre più
cattiva: “Tiempo hacìa que no parecìan aquì dineritos de la loterìa del diablo”, facendo quindi
riferimento a dei soldi “sporchi” ricevuti in passato. AMPARO, che è debole e non riesce a
sottrarsi al dominio della sorella, cede e le dà il denaro. Dopo questo episodio, le due sorelle
passano del tempo senza rivolgersi la parola.
CAPITOLO 13
Il giorno seguente Amparo si reca a casa dei BRINGAS dove Rosalia le racconta di aver
incontrato MARCELINA POLO e di averla vista molto male, forse “por los disgustos que le ha
dado su hermano que, segùn dicen, es una fiera con hàbitos”. La donna aveva chiesto a
Rosalia di AMPARO, lei le aveva risposto che stava bene, e la donna per risposta si era fatta
il segno della croce per poi allontanarsi. Durante questa giornata non succede niente di
eclatante o interessante, e AUGUSTIN non si fa vedere a casa dei BRINGAS. Quando
AMPARO torna a casa, la portiera le dà una lettera che qualcuno aveva portato mentre non
c’era. Solo al vederla la ragazza viene presa dalla rabbia e quindi la fa in mille pezzi. Prende
poi una scopa per racimolarli tutti e buttarli e, chinandosi, legge alcune parole sparse:
“moribundo”, “pecado”, “ovido que asesina”. Dopo aver pulito e fatto sparire tutto, l’agitazione
nella ragazza continua ad essere grande: è combattuta. Alla fine, però, dopo una notte
insonne, decide di andare e così esce di casa, attraversa a piedi la città e arriva in questo
posto lugubre, trascurato, dove era stata solo una volta “cuatro meses antes”. Entra in casa e
viene accolta da una signora vestita tutta di nero, CELEDONIA, la quale fa accomodare la
ragazza per poi congedarsi subito dopo. AMPARO entra in questa grande stanza spoglia,
polverosa e dal mobilio molto povero. In questa stanza c’è una poltrona nera mezza rotta
sulla quale c’è un uomo “màs bien que sentado, hundido en èl”, con una coperta sulle gambe.
AMPARO si avvicina e vede quest’uomo il cui volto è l’espressione del dolore, dell’ansia e del
turbamento. Anche lei è turbata ma comunque gli porge la sua mano e lui la prende tra le sue.
L’uomo inizia a benedire Dio per aver portato da lui la sua TORMENTO dopo tanti mesi.
Amparo parla di un peccato orribile che non può essere perdonato e scoppia in lacrime.
L’uomo le dice di non piangere e di essere contento di vederla finalmente dopo tanto tempo,
ma la ragazza gli dice che la sua visita è solo un opera di misericordia; infatti, è solo andata a
far visita ad un amico malato, niente di più perché “Se acabaron para siempre AQUELLAS
LOCURAS..”. Amparo inizia a girarsi intorno e nota che la casa è sporchissima ma l’uomo le
dice che non aveva permesso a nessuno di andare lì né di toccare niente finché la ragazza
non fosse andata da lui, così se lei non fosse andata lui si sarebbe lasciato morire. AMPARO
chiede poi cosa dice il medico della sua condizione e l’uomo risponde che non ha mai voluto
vedere medici perché l’unica cosa che avrebbe potuto farlo stare bene era il suo ritorno.
Amparo gli dice che quello che è stato ormai non esiste più (“Aquello pasò, se borrò, es como
si no hubiera sucedido.. Y la vida entera dedicata al arrepentimiento.. bastarà? Digo yo,
bastarà pare que Dios perdone?) e lo fa parlando in maniera impersonale perché al solo
pensiero di usare parole come “io, tu, noi” inorridiva. Ad un certo punto l’uomo dice che, ora
che l’ha vista, si sente meglio e vuole mangiare qualcosa ma AMPARO nota che la cucina è
vuota e sporca. Alla fine decide di andare lei stessa a comprare qualcosa da dare all’uomo,
sempre per fare un’opera di bene e aiutare “una persona que nos ha socorrido a mì y a mi
hermana en dìas de miseria”.
CAPITOLO 14
Qui si racconta della “caduta” di don Pedro Polo, che non è dovuta alla sfortuna bensì al suo
stesso carattere, alla sua superbia, alle sue passioni, incompatibili con la professione che
esercitava. Egli era stato un prete nonché reggente di una scuola dove però trattava molto
male gli alunni e, perciò, fu presto cacciato via causando la chiusura della stessa scuola.
Dopo aver lasciato il suo alloggio, era andato a vivere con la sorella, MARCELINA POLO, con
la quale non andava d’accordo. I due, infatti litigavano sempre. Il litigio peggiore, la goccia
che fece traboccare il vaso portando alla rottura del loro rapporto, si era verificato quando
MARCELINA, attraverso alcune lettere, aveva scoperto che PEDRO era colpevole di un
“pecado tan atroz y sacrìlego” da essere imperdonabile. Avendo rotto i rapporti con la sorella,
PEDRO si era trasferito nuovamente. Nessuna parrocchia lo voleva più e, anche quando
trovava qualcuno che gli affidasse un sermone, non aveva voglia di predicarlo perché ormai
aveva perso tutto l’interesse nella teologia. Ma comunque a lui queste cose non mancavano
perché “era un hombre que no podìa prolongar màs tiempo la falsificaciòn de su ser”. Dunque,
PEDRO POLO aveva perso ogni cosa. Sopraggiunsero il malessere e la povertà. Inoltre, gli
era stata anche ritirata la licenza. Viveva in maniera molto povera, vendendo le sue cose,
aiutato da una donna, CELEDONIA, la quale non lo aiutava per niente con le faccende
domestiche. Tutte queste cose avevano portato lui e la sua casa “al grado ùltimo de tristeza y
desorden”. Finché, un giorno, non era andata AMPARO a fargli visita.
CAPITOLO 15
Per lui la vista di Amparo è come un raggio di sole dopo la tempesta. La ragazza rientra con
un opulenta spesa e subito inizia a rassettare e cucinare (evitando di farsi aiutare da
CELEDONIA che è solo di intralcio). DON PEDRO, che non si era raso per settimane, si rade
e si veste bene. Poco dopo si siedono tutti a tavola per mangiare. DON PEDRO vorrebbe
intrattenere una lunga conversazione con AMPARO, ma lei invece non vuole e interrompe le
parole dell’uomo alzandosi di continuo. Nella sua mente, cerca di convincersi di essersi
recata lì unicamente per fare un’opera di bene, per soccorrere un malato, consolare un triste
e sfamare un affamato. E, inoltre, si sforzava di convincersi che quella sarebbe stata la sola e
unica visita e “un adiòs definitivo a la NEFANDA AMISTAD”. Ad un certo punto, AMPARO si
alza per andarsene ma PEDRO la trattiene, quasi minacciandola e lei, debole come sempre,
soccombe e si risiede (da continuamente colpa delle sue azioni alla sua debolezza
caratteriale “Por débil me pasò lo que me pasò. Esto de la debilidad no se cura nunca”). Poi,
AMPARO scoppia in lacrime e PEDRO cerca di consolarla dicendole che ha un’idea.
CAPITOLO 16
PEDRO dice ad AMPARO di avere un’idea, idea che ha iniziato a formarsi nella sua mente
mentre sprofondava nella solitudine: ha pensato di andare via da Madrid, da quella città che
gli sta così stretta, per trasferirsi lontano, magari in Asia o in California. Sentendo queste
parole, AMPARO è felice perché pensa che potrà finalmente liberarsi di lui. Ma la sua felicità
passa velocemente quando PEDRO aggiunge che vuole portarsela con sé. AMPARO,
sconvolta, gli dice ovviamente di no dando come motivo la coscienza che glielo impedisce.
Vorrebbe cambiare argomento, vorrebbe dirgli di andarsene e lasciarla in pace ma “su misma
falta de caràcter le impedìa ser tan cruel y explìcita”. La giovane prova sentimenti contrastanti:
se da una parte la sua visita era stata un gesto di carità, era stata mossa soprattutto
dall’interesse a nascondere “su TERRIBLE SECRETO” (aveva paura che, se non si fosse
presentata da PEDRO, lui avrebbe rivelato il segreto). Vediamo poi che AMPARO offre dei
soldi a PEDRO che lui vuole rifiutare. Mosso dal sospetto, le dice in maniera molto ironica
che è molto ricca. Lei, che ama dire la verità, vorrebbe dirgli da dove vengono quei soldi ma
non sa in che modo farlo. Alla fine riesce a scampare il pericolo quando PEDRO le chiede se
stia lavorando molto e lei le risponde di si. Finalmente AMPARO riesce, con una scusa, ad
andare via e mentre scende le scale di fretta si sente come liberata di un peso: “Ya no me
llamo Tormento, ya recobro mi nombre. No volverè màs”. Si promette di non tornare però poi
pensa a cosa succederebbe se PEDRO continuasse a perseguitarla, visto che lei è debole.
CAPITOLO 17
Rimasto solo PEDRO POLO si abbandona alla meditazione, immaginando di essere un’altra
persona, di avere una condizione diversa, e di condurre una vita diversa. Questa pratica
occupava 3 quarti delle sue giornate solitarie e delle sue notti insonni. Seduto sulla sua
poltrona immagina di essere un forte e prestante militare, che vince battaglie formidabili e che
è acclamato da tutti, oppure di essere un uomo che conduce una vita tranquilla in campagna.
Ad un certo punto viene interrotto da CELEDONIA che gli consiglia di alzarsi da quella
poltrona e uscire a godersi un po’ la vita, ma lui le risponde in maniera molto brusca e si
reimmerge nella sua meditazione. Dopo un po’ arriva a fargli visita un suo caro amico,
nonché prete, DON JUAN MANUEL NONES, un uomo che si era sempre preso cura di lui e
che era forse l’unica persona che poteva soggiogarlo. Ad un certo punto, PEDRO POLO gli
chiede se ha qualcosa da fare perché vuole raccontargli “una cosa muy larga”. Il prete si
mostra disposto ad ascoltare e si accende una sigaretta. PEDRO POLO gli racconta tutto con
estrema sincerità, badando di non omettere nessun particolare; “hablò con sencillez, con
desnuda verdad, como se habla con la propia conciencia”. Dopo averlo ascoltato, padre
NONES gli dice che ora è il suo turno di parlare.
CAPITOLO 18
Padre NUNES non si mostra sconvolto dal racconto di PEDRO POLO perché sono cose che
ha sentito spesso e infatti dice che “nada hay nuevo bajo el sol”. Dice che in lui vede due mali:
il peccato e la malattia dell’anima che è stata causata da esso. Per lui, è indispensabile
andare ad estirpare il problema alla radice, soffrire e lasciare che il tempo curi le ferite. Gli
dice che ovviamente non sarà facile ma non è nulla che non si possa vincere con la pazienza,
l’aiuto della fede e della ragione. Dopo avergli parlato “de hombre a hombre” inizia a parlargli
in veste di prete e gli dice che il suo è un peccato mortale e che, se morisse adesso,
andrebbe dritto all’Inferno. Per sopravvivere, deve mettersi totalmente nelle sue mani e
seguire attentamente tutto ciò che gli dice. Pedro Polo accetta. Padre NONES gli dice che, in
primis, dovrà andarsene da MADRID: lo manderà da sua cugina, che ha una terra vicino
Toledo, dove resterà finché lui non deciderà che è passato abbastanza tempo. Ovviamente
gli vieta di scappare e di scrivere lettere perché deve far conto “de que la tal persona no
existe, de que se la ha llevado Dios”. Qui farà “penitenza” (una penitenza piuttosto leggera,
potremmo dire): dovrà svegliarsi presto, andare a caccia, bere del buon vino, lavorare,
mangiare bene e rafforzare il suo gracile corpo. Quando sarà passato un certo lasso di tempo,
NONES andrà a fargli visita o gli scriverà una lettera e lo esaminerà e, se riterrà che sarà
guarito e “limpio de calentura” gli ridarà la LICENZA mentre lui, a Madrid, si occuperà di
ottenere per lui un posto di curato delle Filippine. Al sentire questa cosa PEDRO non sembra
molto contento ma NONES gli dice che o accetta l’intero piano, o lo abbandonerà alla sua
disgrazia. Il giorno dopo, PEDRO POLO se ne va a El Castanar.
CAPITOLO 19
In questo capitolo AUGUSTIN dichiara apertamente le sue intenzioni ad AMPARO. Rimasti
nuovamente soli a casa dei BRINGAS, i due intrattengono al principio una conversazione
abbastanza formale, questo perché Augustin non riesce ad esprimere i suoi sentimenti ma
poi, spinto dall’impazienza di dichiararsi, dice ad Amparo che deve parlarle: le dice che lui è
d’accordo a darle la dote ma solo se lei non sposerà Gesù Cristo, ma lui stesso. Amparo
resta sconcertata e, inoltre, i due vengono interrotti dal rientro dell’altra cameriera, Prudencia.
Appartatisi poi in un angolo buio della casa le loro mani si toccano, lei resta zitta ma inizia a
piangere. Non riesce a proferire parola. Vengono poi nuovamente interrotti dal rientro dei
coniugi BRINGAS. Augustin, dopo aver salutato i due, si congeda e va via.
CAPITOLO 20
Uscita da casa dei BRINGAS, Amparo scopre che Augustin la sta aspettando in strada,
ansioso di avere da lei una risposta. Amparo gli ripete più volte che forse dovrebbe pensarci
meglio, che lei non vale quanto lui crede. E’ combattuta (e come sempre, debole) e non sa se
accettare o rifiutare. I due fanno un lungo tratto distrada insieme, guardandosi, sorridendo e
fermandosi ogni tanto per rendere la passeggiata ancora più lunga. AMPARO crede di non
meritare quello che AUGUSTIN le sta offrendo. Arrivati sotto casa di AMPARO i due si
salutano. Augustin dice che è felice e le chiede se lo è anche lei; lei risponde di sì.
CAPITOLO 21
In questo capitolo si descrive, in maniera più approfondita, la figura di AUGUSTIN. Avendo
vissuto per tanto tempo nel “disordine” della selvaggia America, da quando è tornato in
Spagna è ossessionato dall’ordine. Adesso ha voglia di vivere circondato dalla pace e quindi
aspira a sposarsi e a costruirsi una famiglia. Inoltre, mentre in America non aveva professato
nessuna religione, adesso dichiara di essere cattolico. Per quanto concerne la politica, è
d’accordo con chi vorrebbe far conciliare istituzioni passate e presenti. Anche in casa sua è
tutto sistemato seguendo un rigoroso metodo, senza che nulla sembri fuori posto. E’ solito
scrivere lunghissime lettere, in cui parla di commercio e la sua scrittura è chiara e limpida,
diversa da quella che utilizzava in America. Un giorno, però, decide di scrivere una lettera
diversa: infatti, scrive a suo cugino CLAUDIO, di essersi innamorato di una donna “virtuosa e
innocente”. Descrive poi le donne di Madrid in maniera negativa, per far risaltare ancora di più
le virtù della sua amata: dice di loro che sono vuote, che si interessano di cose inutili come i
vestiti e il teatro, che molte si drogano e quindi sono così pallide che, prima di recarsi a teatro,
si prendono a schiaffi da sole per dare colore al viso, che non hanno cultura, non sanno
cucinare, cucire o fare di conto anche se “ci sono delle eccezioni” (e una di queste è proprio
AMPARO). La sua ossessione per l’ordine si estende anche al linguaggio infatti, desideroso
di rispettare tutte le regole grammaticali, ha sempre a portata di mano un dizionario e un libro
di grammatica. Si parla poi un po’ della sua routine: tutti i giorni esce a cavallo ma, anche
mentre sta cavalcando, non smette mai di pensare alla sua AMPARO e, perciò, il giorno
successivo alla loro chiacchierata, decide di scriverle una lunga lettera in cui le propone di
andare a vivere a casa dei Bringas, o di poter andare a casa sua a farle visita, e le dice di
prepararsi a cambiare totalmente vita.
CAPITOLO 22
Un giorno Augustin riceve la visita dei suoi più cari amici, ARNAIZ, TRUJILLO Y
FERNANDEZ e MOMPOUS Y BRUIL i quali stentano a credere che l’uomo abbia trovato
davvero una donna visto che, conoscendolo bene, sapevano che era un uomo molto strano e
asociale e che difficilmente sarebbe potuto uscire a fare conquiste. Successivamente,
vediamo che arriva a casa sua, come ogni domenica, ROSALIA con i suoi figli. Vedendo la
casa palesemente adornata per l’arrivo di una donna, Rosalia non ha dubbi sul fatto che
AUGUSTIN abbia in mente di sposarsi però vuole, a tutti i costi, sapere con chi e continua a
chiederglielo finché lui, il giorno dopo, glielo dice e lei resta sconvolta. Quando Augustin va
via, Rosalia resta sola ad aspettare il marito ansiosa di comunicargli l’assurda notizia. Anche
Francisco resta sconvolto dalla notizia ma, mentre ROSALIA ha una reazione oltremodo
esagerata, Francisco resta calmo e, anzi, le consiglia di far buon viso a cattivo gioco per loro
è conveniente appoggiare AUGUSTIN delle sue scelte perché, altrimenti, lui li avrebbe
rinnegati e non avrebbero potuto più giovare delle sue ricchezze.
CAPITOLO 23
AMPARO non è felice della fortuna che le si è presentata. Anzi, è spaventata perché non sa
se accettare (mentendo però ad un uomo generoso e leale) o rifiutare, che sarebbe
altrettanto brutto perché equivarrebbe a voltare le spalle ad una vita diversa. Il suo carattere
debole le impedisce di confessare, con parole chiare e dirette, il suo segreto ad Augustin ed è
proprio il suo segreto che la tormenta giorno e notte. AMPARO sa che lei e Augustin sono
molto simili: entrambi desiderano una vita felice, tranquilla e senza eccessi; entrambi odiano
l’eccesso di vanità; entrambi ambiscono ad una vita “comoda” fatta di famiglia e valori.
Amparo però è cosciente del fatto che Augustin non conosce il lato oscuro della sua anima,
ed è per questo che lei sembra di ingannarlo. La donna sente la sua coscienza che le parla:
le chiede come mai, se pensava di rifiutare la proposta, non aveva restituito il denaro; le dice
che se lei non parlerà lo farà di sicuro qualcun altro; la mettein guardia sulle reazioni che
potrebbe avere AUGUSTIN. Alla fine, convinta che AUGUSTIN la perdonerà, decide di
confessargli tutto. Quando però AUGUSTIN arriva da lei, non riesce a dirgli niente perché
“ante la mirada de aquellos leales ojos […] la confesiòn era tan imposible como darse una
punalada”. I due iniziano a parlare del più e del meno, AUGUSTIN le esprime tutta la sua
felicità ma lei continua a sentirsi colpevole.
CAPITOLO 24
Dopo 3 giorni di assenza, AMPARO si reca a casa dei BRINGAS preoccupata della reazione
di ROSALIA dopo aver ricevuto la notizia del matrimonio. Senza capire il perché, prova
vergogna ad andare lì con vestiti nuovi perché “creìa faltar al pudor de su pobreza”. Con tutta
sorpresa, ROSALIA la accoglie sorridendo e abbracciandola, comportamento che alla
ragazza sembra molto strano. La donna poi le parla con una sottile ironia: “Buena loteria te
ha caido” e ancora, “no se si te podràs acomodar en esta estrechura”. Anche FRANCISCO la
tratta meglio del solito, come se adesso fosse diventata tutto d’un tratto una loro “pari”.
Tornata a casa, AMPARO ha un’idea: decide di andare a confessarsi in Chiesa (“Confesando
su pecado ante Dios, no le darìa Este valor bastante para declararlo ante un hombre? Claro
que sì”). Lei ha sempre avuto paura di rivolgersi alla Chiesa, ma adesso le sembra invece
l’idea più giusta: è convinta che se Dio la perdonerà allora anche Augustin farà lo stesso.
Dopo tre giorni da questo pensiero, decide di recarsi in Chiesa. Entra tremando, “figuràbase
qué allì dentro tenìan ya noticia de lo que iba a contar”. Entra nel confessionale e, una volta
uscita si sente più leggera. Il sacerdote, però, le ha promesso di perdonarla soltanto dopo che
avrà confessato tutto al suo promesso. Prima di uscire dalla chiesa, una visione la turba:
vede, infatti, MARCELINA POLO, la quale non smette di seguirla con lo sguardo nonostante
lei sia schiva. Esce subito dalla Chiesa e va a casa. E’ sicura di confessare tutto ad
AUGUSTIN, sente l’appoggio di DIO. Poco dopo bussano alla porta: è il postino che le da una
lettera di cui riconosce subito la grafia (“Conocìa la odiada letra del sobre”). Decide di
leggerla.
CAPITOLO 25
E’ una lettera da parte di PEDRO POLO il quale le scrive, violando le regole di padre Nones,
per dirle addio. L’addio dell’uomo che rappresentava, in carne ed ossa, il suo segreto, porta
AMPARO a pensare che, a questo punto, non c’è fretta di confessare tutto ad AUGUSTIN e,
infatti, nuovamente insieme, i due si lasciano andare a conversazioni amorose che portano
AMPARO a dimenticare totalmente la promessa fatta al prete. I due parlano del loro futuro, di
come vivranno diversamente dalla gente di Madrid; infatti “Irìan a los teatros cuando hubiera
funciones buenas; pero no se abonarìan, porque eso de que el teatro duese una obligaciòn
no agradaba ni a uno ni a otro. Tal obligaciòn sòlo existìa en Madrid, pueblo callejero, vicioso,
que tiene la industria de fabricar tiempo”. Entrambi sono d’accordo sul fatto che avrebbero
continuato ad aiutare i coniugi BRINGAS. Dopo un po’ arriva REFUGIO, che conosce il
segreto della sorella e che, essendo una persona imprevedibile e invidiosa, rappresenta un
pericolo ma, sorprendentemente, si comporta bene. Quando AUGUSTIN va via AMPARO
pensa che non vede l’ora di andare via da Madrid perché anche l’aria di Madrid le sembrava
stesse per denunciarla. Vuole andare via da Madrid per lasciarsi tutto il suo passato alle
spalle.
CAPITOLO 26
REFUGIO si prende gioco di AMPARO mandandole frecciatine: si complimenta con lei, in
maniera ironica, per aver catturato una buona preda (“Buen pàjaro te ha caìdo) e le dice che,
dato il suo carattere debole, sicuramente se la farà scappare (“Pero Dios te hizo tan sosa,
que le dejaràs escapar [..] por una palabra de màs o menos te lo dejaràs quitar”). AMPARO,
per la quale REFUGIO rappresenta una minaccia, decide di tenere a bada il suo “basilisco”
evitando di rispondere alle sue domande e promettendole di darle denaro. Le dice però che
dovrà cambiare stile di vita, e quindi smettere di posare per i pittori e di uscire di notte, e
mettersi a lavorare (“Reserva, formalidad, honradez, conducta, es lo que deseo”). REFUGIO,
desiderosa di avere il suo denaro, acconsente e poi va via. AMPARO si reca invece a casa
dei BRINGAS dove ROSALIA non manca di farla sentire inferiore: mentre stanno scegliendo
dei vestiti le fa notare che lei non ha gusto eche non è all’altezza di indossare determinati
capi di abbigliamento. Mentre attorno ad AMPARO sono tutti felici (o fingono di esserlo), “la
novia, por el contrario, tenìa que emplear trabajosos disimulos para que la creyeran contenta;
mas dentro de ella iba la muy lùgubre procesiòn de sus dudas y temores. Vivìa en continuo
sobresalto; tenìa miedo de todo, y los accidentes màs triviales eran para ella motivo de
angustiosa inquietud”. In effetti, AMPARO inizia a comportarsi come si comporterebbe una
qualsiasi persona che porta dentro di sé un segreto: diventa estremamente suscettibile, crede
sempre che qualcuno attorno a lei sappia e stia per confessare tutto. Si accorge che, ad
esempio, ROSALIA aveva qualche sospetto quando quest’ultima dice ad AUGUSTIN : “Tu
novia no està contenta.. Mira qué cara de ajusticiado pone cuando me lo oye decir.. Algo le
pasa; pero si cuando no es sincera contigo, con quién lo serà?”. Un altro episodio che la
rende ancora più suscettibile è una visita del suo vicino di casa, JOSE’ IDO DEL SAGRARIO:
egli le dice di aver litigato con il suo editore e che, per non cadere in miseria, vorrebbe
lavorare al servizio di qualche ricco signore. Felipe gli ha parlato del suo signore e, sapendo
che quest’ultimo sta per sposarsi proprio con lei, vuole chiederle di intercedere per lui con
AUGUSTIN e le consegna dei fogli, estratti dall’ultimo romanzo che sta scrivendo, per
mostrarglieli. Rimasta sola, AMPARO dà uno sguardo veloce ai fogli e legge parole come
“tormento”, “crimen”, sacrilegio”, “engano” e, spaventata, fa i fogli a pezzi e li getta nel fuoco.
Si sente minacciata da IDO perché anche lui è a conoscenza del suo segreto e perché
proprio lui vuole ottenere un posto di lavoro in casa sua.
CAPITOLO 27
Torturata dai suoi stessi pensieri, AMPARO decide di tornare in Chiesa, non a confessarsi,
ma a dire al prete di non essere riuscita nel proposito di confessare tutto al suo promesso. Il
prete la rimprovera ma poi le assicura nuovamente che la perdonerà se porterà a termine la
sua confessione. Uscendo dal confessionario, incappa nuovamente in MARCELINA POLO.
Torna a casa dove, nuovamente, inizia a rimuginare: è sicura che glielo vuole dire, ma ha
paura di soccombere alla sua stessa debolezza quando si troverà davanti a lui. Inoltre, pensa
che ormai sia tardi per confessare perché gli ha già mentito come quando lui le ha chiesto se
avesse mai amato qualcuno prima di lui e lei gli ha risposto “a nadie, a nadie”. Litiga poi con
la sorella, la quale va via dicendole “yo no diré nada. No soy hipocritona, ni tampoco me
gusta acusar”. Riceve poi nuovamente una visita di JOSE’ IDO il quale le dice di essersi
recato personalmente da AUGUSTIN e di aver fatto colpo, tanto da credere di avere il posto
per lui assicurato, ma chiede ad AMPARO di intercedere per riuscire a collocare anche gli
altri componenti della sua famiglia al servizio di AUGUSTIN. Così si conclude l’anno 67,
mentre gennaio trascorre tra i preparativi del matrimonio, fissato per fine febbraio o inizio
marzo. ROSALIA e AMPARO vanno a fare compere e, nuovamente, ROSALIA la insulta con
la sua ironia: “A ti no te va bien ese color, ni sabes tù llevar esas cosas. Parecerà que te han
traìdo de un pueblo y te han puesto lo que no te corresponde”. Un giorno AUGUSTIN decide
di fare un tour della casa che sarà sua e di AMPARO da sposati e tutti restano a bocca aperta,
compresa Amparo. Nonostante i suoi timori, per un momento, AMPARO dimentica il suo
passato e si concentra sulla felicità che sta provando e sul futuro che l'aspetta ma, tornata a
casa, riceve un’altra lettera.
CAPITOLO 28
AMPARO riconosce la grafia e resta sconvolta e disgustata. La lettera è da parte di PEDRO
POLO il quale, avendo saputo dell’imminente matrimonio della sua “Tormento”, è tornato a
Madrid disposto a fare “todas las barbaridades posibles” pur di non perdere la ragazza per
sempre. A questo punto, AMPARO inizia a contemplare l’idea del suicidio, che lei vede come
unica soluzione possibile (“Me mataré, y asì concluirà este suplicio”). Dopo poco però pensa
di recarsi da lui per parlargli, pensando che forse con le buone riuscirà a convincerlo a
lasciarla in pace, nonostante abbia paura di incontrare “la bestia”. Pensa anche ad altre
soluzioni: rivolgersi alla giustizia, raccontare tutto ad AUGUSTIN oppure, soluzione che
secondo lei è la migliore, uccidersi. Alla fine decide di recarsi da lui il giorno seguente,
convinta di andare a dirgli “O esto se concluye para siempre o me mato esta noche misma”.
Quando giunge presso la sua abitazione, vede delle donne tristi uscire che parlano di
qualcuno che sta morendo, e AMPARO spera si tratti di PEDRO POLO.Sfortunatamente per
lei però, l’uomo le si para davanti: sembra ringiovanito, sembra aver recuperato il vigore dei
suoi anni, sembra quasi un altro uomo. Nel frattempo, nell’altra camera giace CELEDONIA
morente, della quale si occupa PEDRO. I due iniziano a parlare: PEDRO le dice che la notizia
lo ha fatto arrabbiare molto e per questo ha deciso di tornare a Madrid, anche se poi dopo
essergli passato ha pensato che quest’ultima
avesse accettato il matrimonio poiché un buon partito che però lei in realtà non ama.
AMPARO è indignata, vorrebbe rispondergli a tono, dirgli che si sbaglia, ma poi pensa che
dicendogli la verità lo farà arrabbiare e quindi decide di mentirgli dicendogli che non ama
davvero Augustin. PEDRO si mostra fiero di averci visto lungo e si avvicina a lei, dicendole
che se sarà furba, potrà fare di AUGUSTIN tutto ciò che vuole. AMPARO è Inorridita, perché
capisce dalle parole di PEDRO che vuole farle fare qualcosa di ripugnante e allora, infastidita,
le chiede se la loro “relazione” si è finalmente conclusa ma lui le risponde “Ya sabes que de
mì no consigues nada por malas. Por buenas, todo lo que quieras”. AMPARO allora gli dice
che se la ama davvero, non può volere che sia una donna disonorata e una disgraziata, ma
l’uomo le risponde che si sbaglia, che lui è malvagio. AMPARO, prima che accada qualcosa
di irreparabile, prova a scappare ma l’uomo chiude porta e finestra. E’ sua prigioniera.
CAPITOLO 29
AMPARO realizza che per ottenere qualcosa, deve fingere e quindi inizia a parlare a PEDRO
in modo più dolce e carino, dicendogli che lei non vuole che si uccida perché questo la
farebbe soffrire, ma vuole solo che si allontani. Ma PEDRO non vuole scendere a
compromessi, perché non riesce a concepire che si debba sacrificare solo lui quando lo
sbaglio l’hanno fatto in due. Alla fine, AMPARO dice che non può sposarsi, che scriverà una
lettera di confessione ad AUGUSTIN, ma il suo detentore le risponde che invece deve
sposarsi e che non deve dare scandalo. Però vuole che anche lei si sacrifichi, non
abbandonandolo come un cane e dandogli lei stessa la forza per l’eroico gesto. AMPARO gli
chiede come e lui le risponde “Così” afferrandola, lasciandosi trasportare da un brutale
impeto d’amore. Mentre la donna urla e si dimena, PEDRO le chiede di concedergli un solo
ultimo giorno insieme (“Concédeme un dìa, un dìa nada màs. Yo te doy una vida entera de
tranquilidad y no te pido màs que un dìa”). AMPARO gli si oppone e prova a scappare ma
arriva in camera di CELEDONIA la quale, mezza morente, si accorge che lì sta succedendo
qualcosa. Il disonore per AMPARO è ormai inevitabile. Deve scegliere tra il disonore e la
morte. Chiede a PEDRO di lasciarla andare e lui le chiede di dirgli che lo ama, altrimenti la
ucciderà. Lei gli risponde “Mejor.. Prefiero que me mates”. PEDRO le chiede ancora di stare
con lui, di giacere con lui ancora una volta ma lei gli risponde che piuttosto preferisce morire.
Alla fine PEDRO si arrende e le dice di andare via. Lei allora se ne va, ma poi viene attirata
dai suoi lamenti a tornare indietro (“Oyò bramidos, como de bestia herida que se refugia en
su cueva”).
CAPITOLO 30
Alla fine torna indietro. PEDRO è arrabbiato, le dice che lei, che ha paura di qualsiasi cosa,
non può pensare di uccidersi. Si sentono poi dei rumori: è arrivata la sorella di Pedro,
MARCELINA POLO. Amparo va subito a nascondersi. Entrano MARCELINA e PADRE
NONES, i quali portano a PEDRO una notizia: il suo viaggio verso le Filippine è stato
organizzato e dovrà partire il giorno dopo. Pedro dice di essere deciso ad andarsene via.
MARCELINA, poi, si abbandona ad un discorso su quanto il comportamento del fratello
l’abbia fatta soffrire, su quanto abbia pregato e su quanto era preoccupata che suo fratello
sarebbe potuto morire per quella “maldita mujer”. Ad un certo punto la donna nota un guanto
per terra che riconosce appartenere proprio ad AMPARO e dice di non volere prove materiali
dei peccati del fratello perché, se volesse, potrebbe rovinare la ragazza perché possiede due
LETTERE, scritte da Amparo per Pedro, che contengono tutta la verità e potrebbero rovinarla,
ma ha deciso di non mostrarle a nessuno. Nonostante ciò, non riesce a tollerare che Pedro si
prenda gioco di lei: infatti, è sicura che AMPARO sia stata lì proprio lo stesso giorno e, ancora,
è sicura che si trovi ancora in casa perché ha sentito “rumor de faldas” e ha trovato un guanto
a terra. Nonostante PEDRO le dica che si sta sbagliando, la donna inizia a cercare per tutta
la casa, e avrebbe scovato Amparo chiusa nello stanzino se il fratello non le avesse giurato
che dietro la porta c’è un muro. Adun certo punto entrano in camera di CELEDONIA, che si
sta lamentando per i forti dolori, la quale chiede se “i due” siano ancora in casa intenti a
peccare. Padre NONES resta con CELEDONIA che si vuole confessare.
CAPITOLO 31
Marcelina e Pedro restano soli. Lei è sicura che la ragazza sia ancora lì. PEDRO, ormai
senza più pazienza, lo ammette e allora MARCELINA si siede sul divano nell’atteggiamento
di chi è disposto a rimanere lì per ore. PEDRO allora, arrabbiato, la caccia via, le dice di
andare ad aspettare in strada e lei afferrma che resterà lì fuori ad aspettare. Lei non ha
cattive intenzioni nei confronti di AMPARO, tutto ciò che vuole è sapere la verità (“..y por la
verdad, qué no harìa yo?”). Appena MARCELINA esce di casa, Amparo esce dal suo
nascondiglio con una “palidez sepulcral”, convinta di non avere più scampo. Insieme a
PEDRO, vanno a spiare la strada dalla finestra e vedono MARCELINA seduta, intenta ad
aspettare. Ad un certo punto arriva padre NONES il quale, invece di propinare alla ragazza
un sermone infinito, decide di aiutarla ad uscire senza farsi vedere, coprendola con la sua
grande corporatura. Alla fine AMPARO prende un auto e va via.
CAPITOLO 32
Quando AMPARO torna a casa, dona Nicarona (moglie di IDO) le dice che era andato un
uomo a cercarla il quale, stanco di suonare il campanello inutilmente, era andato via. Amparo
è presa dallo sconforto: è preoccupata di cosa avrà pensato il suo promesso non trovandola
in casa, di cosa si staranno dicendo lui e Rosalia a teatro e di come avrebbe giustificato la
sua assenza (vuole usare una bugia: vuole dire che era stata a cercare la sorella). E’ convinta
che si stia avvicinando una catastrofe e che la storia del suo matrimonio non andrà a buon
fine. Una confessione, a questo punto, le sembra inutile perché potrebbe ricevere solo
disprezzo e non il perdono desiderato. Ancora, è preoccupata per la questione di
MARCELINA: pensa che il giorno seguente la donna andrà a mostrare le lettere a qualcuno. Il
giorno seguente si reca da ROSALIA e la donna, che nota che qualcosa non va, le chiede
cosa abbia. La preoccupazione della donna sembrano alla giovane delle accuse -questo
perché si sente colpevole- (Estas frases podìan ser dichas sin mala intenciòn; pero a la joven
le parecieron astutas y picarescas). La giovane nota anche un cambiamento: se dopo la
notizia del matrimonio ROSALIA non le aveva dato più ordini, ora torna a farlo, mentre
FRANCISCO è “màs serio que un funeral”. Dopo un po’ ROSALIA dice alla giovane di farsi
una tazza di te e la invita a sedersi: quello che le dice le fa capire che è a conoscenza del
“segreto” (“Esto, como cosa pasada y muy vergonzosa, debe quedar en el secreto de la
familia”). AMPARO è così sconvolta che quasi sviene rompendo la tazza. ROSALIA, che
comunque è una madre e ha un sentimento materno, la aiuta a rialzarsi e a calmarsi. Alla fine,
AMPARO va via da sola, nonostante l’invito di ROSALIA a farsi accompagnare da qualcuno.
Tornata a casa, si mette a letto vestita e inizia a pensare che ormai la catastrofe è vicina:
AUGUSTIN verrà presto a conoscenza di tutto e per lei non ci sarà più scampo.
Ciononostante la giovane spera in una visita del suo promesso, durante la quale gli darà tutte
le spiegazioni del caso e proverà in tutti i modi a farsi perdonare. Arriva la notte e Augustin
non si fa vivo (“Sin duda, ha estado esta tarde en casa de Rosalia -pensaba ella, tiritando, la
cabeza desvanecida-. Si no viene, serà porque no quiere verme màs”).
CAPITOLO 33
Il giorno seguente AMPARO spera ancora che AUGUSTIN si faccia vivo. Perse tutte le
speranze e convinta che ormai la vergogna abbia macchiato irrimediabilmente la sua vita,
AMPARO pensa nuovamente al suicidio e inizia a valutare in che modo uccidersi: non è
abbastanza coraggiosa per pugnalarsi e veder scorrere il suo stesso sangue, non lo è per
spararsi. Un metodo ideale sarebbe il veleno (“carbòn”) perché aveva sentito che chi lo
prendeva si addormentava lentamente e moriva senza agonia. Guardando il ritratto di suo
padre si ricorda di un metodo efficace che usava per alleviare i suoi mal di testa: dandole la
ricetta, di questo unguento da usare come medicamento esterno che però in maniera
eccessiva poteva essere letale. Amparo conserva ancora la RICETTA (importanza delle
tracce scritte nel testo) di questo terribile unguento a base di cianuro. Tutto il giorno trascorre
senza che nessuno vada a farle visita con la pioggia che cade incessantemente come un
sottofondo e accompagna la giovane che si trova in uno stato di “dudas,inquietud, delirio”. Il
giorno seguente qualcuno bussa alla porta: è FRANCISCO BRINGAS il quale si reca da lei
preoccupato e le dice che non crede ad una sola parola di ciò che è stato detto su di lei (“Yo
sostengo que todo es calumnia”) e le racconta anche che Augustin è disperato perché gli
hanno raccontato di “alcune lettere” scritte dalla giovane e indirizzata a chissà chi. Amparo
chiede se Augustin si sia recato già da MARCELINA e Francisco le dice di no, ma che ci
sarebbe andato proprio quella mattina. Allora incoraggia la giovane a recarsi dal suo
promesso per spiegargli tutto e farsi perdonare. Di fretta e furia, i due salgono in macchina e
si recano a casa di AUGUSTIN.
CAPITOLO 34
Giunta da AUGUSTIN, bussa alla porta e le apre FELIPE il quale la informa che il suo capo è
già uscito per recarsi all’appuntamento con MARCELINA POLO. A quel punto Amparo decide
di suicidarsi in casa di AUGUSTIN (“Aquì iba a vivir yo.. Pues aquì quiero que se acabe mi
vida”). Chiede a Felipe di recarsi in farmacia per prenderle una “medicina” che usa tutti i
giorni per calmare i nervi. Amparo è sicura. Una volta tornato FELIPE, gli chiede di portare
l’occorrente per scrivere una LETTERA. Rimasta sola, in un momento di delirio, riempie un
bicchiere con l’unguento e lo beve. Dopodiché AMPARO “Se siente desvanecer…, se le van
las ideas, se le va el pensamiento todo, se le va el latir de la sangre, la vida entera, el dolor y
el conocimiento, la sensaciòn y el miedo; se desmaya, se duerme, se muere…”.
CAPITOLO 35 (stesse giornate ma dal punto di vista di AUGUSTIN)
Non si sa di preciso in che modo AUGUSTIN aveva iniziato a sospettare, probabilmente
qualcuno lo aveva detto a MOMPOUS il quale poi, per amicizia, aveva messo in guardia
l’amico. Di lunedì sera, AUGUSTIN arriva furioso da sua cugina e le racconta tutto ciò che gli
è stato detto e la cugina cerca di calmarlo dicendogli “Si te pones asì.. si te ofuscas, quizà
veas las cosas màs negras de lo que son”, parole che fanno capire ad AUGUSTIN che lei sa
qualcosa. Lei non nega di sapere, ma dice che non è solita parlare di cose che non le
riguardano e delle quali non possiede alcuna prova. Inoltre, gli fa capire che se non gli ha
detto niente è perché si è sentita offesa quando lui ha deciso di sposare AMPARO senza
prima consultarla. AUGUSTIN dice che vuole andare da AMPARO ma ROSALIA lo ferma
dicendogli una bugia, e cioè che non la troverebbe in casa. Gli dice, invece, di andare a casa
e aspettare perché la giovane sicuramente si sarebbe recata da lui a chiedergli perdono (La
donna fa il doppio gioco per tenerli separati). Così AUGUSTIN torna a casa sua. Il giorno
seguente, AUGUSTIN aspetta la visita di AMPARO ma riceve soltanto la visita di Rosalia. La
donna gli racconta altre bugie e cioè di aver mandato un messo a casa di AMPARO la quale
però non era in casa. Prova a consolare il cugino e, nel farlo, spunta anche il nome di
MARCELINA POLO, l’unica “poseedora de testimonios escritos”. Allora AUGUSTIN chiede
dove abiti la donna perché vuole recarsi subito da lei ma Rosalia gli spiega che, siccome la
donna vive in un convento, non potrà andarci prima del giorno seguente. Arriva anche
FRANCISCO il quale sostiene che sia tutto una bugia.
CAPITOLO 36
Augustin è triste, è confuso, è in preda allo sconforto e pensa che le scelte che ha fatto siano
state un errore. A mezzogiorno, in preda allo sconforto e alla rabbia, si reca da MARCELINA
POLO e le chiede di dirgli quello che sa ma lei non gli dice nulla in maniera diretta; piuttosto,
si limita a fargli capire qualcosa dicendogli che “suo fratello si è salvato” (ossia PEDRO
POLO). Irritato dal modo prolisso e incoerente di parlare della donna, AUGUSTIN le chiede
direttamente di consegnargli le due lettere incriminate e si offre addirittura di comprarle. La
donna va a prendere le lettere e continuando a ripetere “aquì no hay nada” e dicendo che
aveva promesso che le avrebbe consegnate o alla legittima padrona o alle fiamme, accende il
camino e le getta nel fuoco. AUGUSTIN si affretta a salvare le lettere ma ormai è troppo tardi;
riesce solo a vedere un foglio sul quale legge la parola “Tormento” nella quale riconosce un
ricciolo sulla “o” finale, caratteristico della scrittura di Amparo. L’uomo, in preda ad una rabbia
funesta, va via e si avvia verso casa ma poi pensa di recarsi a casa di Amparo, desideroso di
conoscere la verità. Pensa che se la donna gli dirà tutta la verità allora la perdonerà.Giunto a
casa di Amparo, NICARONA gli dice che la donna non è in casa perché è uscita con un uomo
che AUGUSTIN riconosce essere FRANCISCO (La donna era uscita con lui per recarsi a
casa di AUGUSTIN). AUGUSTIN allora torna a casa sua dove FELIPE gli dice che AMPARO
lo sta aspettando. Dopo aver cercato inutilmente la donna in varie stanze senza trovarla,
entra in una di queste e, dopo aver notato un bicchiere vuoto sul mobile, vede un corpo
avvolto da un vestito nero, inerme. Si avvicina spaventato ma, toccandola, capisce che
AMPARO è viva. AUGUSTIN trova la ricetta e corre da FELIPE chiedendo spiegazioni:
l’uomo gli dice di essere andato a prendere lui la medicina e di averla preparata egli stesso.
AUGUSTIN allora lo incolpa di essere un assassino ma FELIPE lo rassicura: il farmacista gli
aveva detto che si trattava di veleno e allora lui si era limitato a mischiare dell’acqua con
qualche goccia di olio di guaiaco. Tornato nella stanza, AUGUSTIN trova la lettera in cui
AMPARO gli confessa che tutto quello di cui era venuto a conoscenza era vero (“Todo es
verdad. No merezco perdòn”). La firma di Amparo reca lo stesso ricciolino che aveva notato
poco prima nella parola “Tormento”, la firma delle lettere incriminate. Decide poi di far portare
la donna a casa sua e di affidarla alle cure della sua cameriera, dona Marta.
CAPITOLO 37
Dopo quattro giorni, ritroviamo AUGUSTIN triste e chiuso in sé stesso e addirittura “su mal
color anunciaba insomnios y dietas” e manifesta anche “melancolìas o sentimientos
depresìvos”. Parla tra sé e sé e pensa di tornare in America. ROSALIA, sempre presente,
sente qualcosa e gli dice che tornare in America non è indicato e gli consiglia piuttosto di
andare qualche giorno a Bordeaux. Dopodiché, i BRINGAS commentano la serata passata al
Palazzo la sera prima durante la quale era stato rubato il cappotto di FRANCISCO, che si
mostra fin troppo arrabbiato per la questione. Commentano poi l’arrivo della Rivoluzione:
FRANCISCO si mostra preoccupato, AUGUSTIN no perché dice che quando arriverà la
Rivoluzione lui già sarà lontano. Allora, ancora, Rosalia cerca di convincerlo a restare lì con
loro e gli dice di lasciar stare FRANCISCO che è “sconvolto” per la storia del cappotto. Allora
AUGUSTIN promette di comprargliene 4, e ROSALIA reagisce applaudendo come durante
una serata a teatro. Rosalia vuole approfittarsi di lui mentre è in un momento di confusione.
CAPITOLO 38
AUGUSTIN, rispetto agli altri giorni, è intrattabile e “tratta male” i suoi dipendenti IDO e
FELIPE. Un giorno FELIPE si reca da lui per dirgli che Amparo, secondo il dottore, è fuori
pericolo. Avere notizie della sua amata porta Augustin a pensare a lei: quella donna è
imprigionata nel suo cuore irrimediabilmente (“La tengo clavada en mi corazòn y no me la
puedo arrancar”). Decide, ad ogni modo, di partire per la Francia e la cugina gli raccomanda
di scriverle sempre perché “no podemos vivir sin saber de ti a menudo”. IDO DEL
SAGRARIO e FELIPE CENTENO commentano, in una serie di battute, i fatti: Ido ha avuto
l’ordine di disporre tutto l’occorrente per l’imminente viaggio del padrone il quale, così come
ha sentito FELIPE, si è recato nel frattempo a casa di Amparo per dirle addio, come osserva
IDO. Quest’ultimo crede che, affinché possa salvarsi dal peccato, ad Amparo non resta che
farsi suora (“Hermana de la Caridad”) e informa Felipe che lui sta scrivendo anche un altro
romanzo che parla proprio delle monache. Centeno lo prende in giro dicendogli: “siempre ha
de ser usted NOVELISTA”. IDO continua pensando che la ragazza potrebbe persino morire
improvvisamente, dato che la sua anima è ferita, e afferma che per lei sarebbe una “fine
poetica”. Centeno però gli fa notare che le cose non sempre vanno come lui se le immagina.
CAPITOLO 39
AUGUSTIN arriva a casa di AMPARO. Vedendola, sorride e le chiede come sta. Lei farfuglia
qualcosa che non si capisce molto bene. Poi “el que habìa sido su novio” si siede davanti a
lei e le dice che è venuto a dirle addio perché sta per partire per la Francia. La donna scoppia
in lacrime ma lui cerca di tranquillizzarla dicendole che, anche se tra di loro è tutto finito, lui
non le serba rancore. Anche se non ha nessuna prova di quello che è successo, a lui basta
per chiudere con lei. A questo punto si alza per andarsene ma lei lo trattiene forte per una
mano: finalmente, AMPARO gli confessa tutto (“la confesiòn se salìa de la boca, libre,fluida,
sin tropiezo, con pedazos del alma, toda verdad y sentimiento”). Dopo la confessione, si è
finalmente liberata del peso che la stava logorando. A questo punto AUGUSTIN, attraverso
un monologo, pensa che se Amparo non sarà sua moglie prima o poi lo sarà di qualcun altro.
Non gli interessa di nulla, tantomeno del parere altrui, né delle leggi sociali di questa società
che lui non riconosce come sua. L’unica cosa che gli interessa è Amparo e, infatti, le chiede
improvvisamente di preparare le valigie per partire con lui e perdonarla.
CAPITOLO 40
FRANCISCO BRINGAS va a salutare il cugino. Chiede a FELIPE dove sia e lui gli risponde
“Allì ESTAN”, affermazione che confonde e sorprende FRANCISCO. Senza avere neanche il
tempo di chiedere il motivo dell’insolito plurale, AUGUSTIN gli mostra chi viaggerà con lui.
Vedendo Amparo, FRANCISCO resta interdetto, farfuglia qualche parola, ma si limita poi a
chiedere alla giovane come si sente e a dirle di coprirsi bene. Il capitolo si chiude con il treno
che parte (FINE DEL ROMANZO D’APPENDICE).
CAPITOLO 41 (torna la forma di copione teatrale presente nel CAP. 1)
ROSALIA è talmente sconvolta che si sventola con qualsiasi cosa abbia per le mani: un
ventaglio, un fazzoletto, un giornale. Questa immoralità la sconvolge, non condivide
assolutamente la scelta di Augustin di perdonare la ragazza. Addirittura chiede al marito se
l’ha vista davvero o se è stata solo una sua illusione. Addirittura gli chiede come abbia avuto il
coraggio di assistere a un tale scandalo. Gli chiede anche se è stato in silenzio o ha detto
qualcosa e il marito le risponde con una bugia: le dice che anche lui era molto indignato e che
ne aveva dette quattro al cugino prima di voltargli le spalle e andare via. Rosalia gli dice che è
una reazione del genere è normale. A questo punto FRANCISCO aggiunge che non potranno
avere più rapporti con AUGUSTIN. Rosalia spera che i due torneranno presto perché non può
trattenere tutto ciò che vuole dire ai due. Francisco però cerca di calmarla dicendole che, in
ogni caso, hanno ottenuto qualcosa: infatti, Augustin gli ha detto che possono disporre di tutto
ciò che era stato comprato per le nozze.

Prima Parte
CAPITOLO 1
Il capitolo inizia con la descrizione della città di Vetusta durante le ore pomeridiane, la quale
sta “riposando” e gli unici rumori che si sentono sono i mulinelli di polvere, stracci e pagliuzze
che rotolano di strada in strada. Mentre la città riposava, essa veniva cullata dal suono delle
campane della Santa Basilica. Questa basilica veniva illuminata durante ogni solennità ma
essa diventava più bella quando veniva contemplata nelle chiare notti di luna risaltando
contro il cielo puro con le stelle che sembravano essere la sua aureola. Bismark, illustre
furfante di Vetusta, era un postiglione di diligenza sempre però affascinato dai campanili e
così, grazie a Celedonio (chierichetto con funzioni di campanaro) ogni tanto, poteva suonare
le campane per svegliare la città. Bismark, quando si trovava “ai piani alti”, era molto vicino a
Celedonio mentre, quando si trovavano per strada, mostrava la sua superiorità rispetto a
quest'ultimo. Mentre i due discutono su chi fosse il più forte tra i due, Celedonio dice di voler
colpire il canonico che stava passando vicino alla basilica, Don Fermìn. Anche se si trovano
sul campanile, Celedonio afferma di riconoscerlo poiché, essendo molto vanitoso,n aveva un
modo di camminare molto singolare che riusciva a spostare a destra e a sinistra il suo
mantello. Celedonio, inoltre, dice a Bismark che don Custodio aveva dichiarato a don Pedro
che Don Fermìn, oltre ad essere più orgoglioso di Don Rodrigo, è così vanitoso da mettersi
sul volto il “belletto” (trucco). Bismark non crede a ciò poiché secondo lui Custodio era solo
invidioso e afferma che se avesse avuto lo stesso ruolo di Don Fermin, sicuramente avrebbe
avuto il suo stesso atteggiamento. Celedonio non condivide quanto affermato dal suo amico e
gli ricorda che bisogna essere umili nella vita e comportarsi come il Papa che è il servo di tutti
i servi. Bismark d'altro canto afferma che ciò non è vero poiché il Papa ha più potere del re e
così inizia tra i due una discussione che si interrompe con il suono delle campane. Ad un
certo punto i due sentirono dei passi...qualcuno stava salendo la scala a chiocciola; era il
vicario del papa: Don Fermìn de Pas. Bismark spaventato dalla sua figura decise di
nascondersi dietro il campanone poiché aveva paura che, anche senza motivo, Don Fermìn
potesse riempirlo di ceffoni. Egli era convinto di ciò poiché riteneva che gli uomini più ricchi e
potenti, tra cui Don Fermìn, abusassero della loro autorità. Celedonio al contrario non si
meravigliò della sua visita poiché il vicario si recava spesso in cima al campanile della
cattedrale per poter ammirare la città con il suo cannocchiale d'oro che Bismark scambiò per
un fucile e, vedendo che stava “prendendo la mira” puntando da un'altra parte, si rincuorò
capendo che non era venuto per lui. Don Fermìn era un uomo molto alto, tanto che Celedonio
arrivava all'altezza della sua cintura e i due “monelli” notarono che egli non utilizzava il
belletto; era la sua carnagione chiara e luminosa. Gli zigomi erano molto sporgenti e, senza
imbruttire il viso, gli conferivano un'espressione energica e seria. Dagli occhi, verdi con delle
venature color tabacco, spiccava uno sguardo dolce e al tempo stesso tagliente tanto che
quasi nessuno riusciva a sostenere il suo sguardo. Il naso era lungo e leggermente rivolto
verso il basso alla punta (“come un ramo di un albero che si piega per il peso del frutto”); era
forse la parte morta di un viso ricco di espressività. Le labbra erano sottili e pallide, mentre il
mento era leggermente rivolto verso l'alto quasi a volersi ricongiungere con il naso. La testa
era piccola e ben modellata, i capelli erano corti e folti, il collo robusto e muscoloso come
quello di un'atleta; il tutto era proporzionato con il resto del corpo. Una volta salito don Fermìn
salutò con un inchino il chierichetto, poi si voltò verso la città iniziando ad osservarla in tutte le
sue parti con il suo cannocchiale d'oro. Il vicario faceva spesso ciò poiché uno dei suoi
passatempi preferiti era quello di salire nei luoghi più elevati. Egli veniva dalle montagne e
cercava per istinto le cime dei monti e dei campanili delle chiese. In tutte le città che ha
visitato è sempre salute sulle cime delle montagne poiché secondo lui non si può conoscere
veramente qualcosa fin quando non la si vede “al volo d'uccello”, nella sua interezza e
dall'alto. Con quel cannocchiale riusciva a vedere perfettamente Ana Ozores (detta la
presidentessa) che passeggiava, con un libro in mano, nel suo giardino; oltre a ciò riusciva a
vedere un angolo del biliardo del circolo che era vicino alla Chiesa di Santa Maria. Iniziò a
scrutare ogni angolo della città che era la sua preda e la sua passione. Lui però non voleva
accontentarsi di Vetusta ed in lui è sempre rimasto vivo il desiderio di scrutare in tutto e per
tutto altre formidabili città, come Roma o Parigi. Si rese conto che più ambiva qualcosa e più
l'oggetto desiderato si allontana. Quindi, avendo ormai 35 anni, si accontentava di meno cose
ma le desiderava molto di più. Anche se non voleva ammetterlo, si accorse che molto spesso
gli mancava la forza di volontà e la fiducia in sé stesso, pensando quindi che ormai il culmine
della sua carriera sarebbe stato lo stesso di adesso e che non sarebbe mai riuscito a
raggiungere quanto desiderato. Segue la descrizione delle tre parti di Vetusta: l’Encimada,
nonché la zona vecchia di Vetusta, comprendente palazzi vecchi e rovinosi, in cui la nobiltà
convive con gli straccioni, questa è la zona di massima influenza e dominiodi Fermìn; Campo
del Sol, ovvero la zona industriale in cui vivono lavoratori e operai e nella quale Fermìn non
ha alcun tipo di dominio; ed infine la Colonia, quartiere nuovo dove vivono i commercianti e gli
ex-emigranti, coloro che si sono arricchiti nelle Americhe, cioè famiglie altoborghesi che
tentano in tutti i modi di imitare la nobiltà, infatti gli ex-emigranti sono credenti proprio per
questa volontà di imitazione e su di essi Fermìn ha un’influenza parziale. Dopo una
mezz'oretta il canonico posò il cannocchiale, salutò i due chierichetti e scese le scale a
chiocciola ritrovandosi nella navata nord: recuperò il sorriso fisso che lo caratterizzava,
incrociò le mani sul ventre iniziando a camminare mentre le luce, che passava dalle varie
finestre e rosoni, gli illuminavano il volto e il maestoso mantello dove si alternavano i riflessi
delle piume del fagiano e quelli della coda del pavone. Nella navata centrale vi erano pochi
fedeli mentre nelle cappelle laterali si intravedevano alcuni gruppi di donne inginocchiate o
sedute sui propri talloni attorno ai confessionali. Nella seconda cappella della sezione nord,
quella più buia, don Fermìn notò due signore che parlavano a bassa voce ma lui proseguì e,
senza fermarsi, passò vicino alla porta del coro raggiungendo la crociera. Fermìn fu costretto
a fare un lungo giro passando dietro all'altare dove si trovavano altre cappelle. D'avanti ad
ognuna vi erano altrettanti confessionali nei quali sbucò improvvisamente Don Custodio che,
con il volto pallido e le guance accese, abbassò lo sguardo passando accanto a De Pàs: tra i
due non c'era un bel rapporto poiché Custodio credeva a tutte le maldicenze sul suo conto ed
inoltre era anche invidioso di lui, mentre De Pàs lo disprezzava. Dopo ciò il canonico continuò
a camminare, girò attorno all'abside ed entrò in sacrestiaal centro della quale vi era un tavolo
di marmo nero e due chierichetti che stavano riponendo negli armadi pianete e pluviali. Il
canonico proseguì ancora e si avvicinò ad un gruppetto di due donne e due uomini,
impegnata in una conversazione profana d'avanti ad un quadro completamente scuro che
aveva come uniche cose di diverso colore il teschio e il calcagno scheletrico di un piede nudo.
Tra questi vi era Don Saturnino Bermudez che già da cinque minuti stava spiegando agli altri
signori i pregi della tela che stavano ammirando. Don Saturnino era il massimo esperto
quando si trattava di raccontare la storia dei vari pallazzotti ecclesiastici.. Egli era un uomo
molto occupato ma dalle tre alle quattro e mezza era sempre a disposizione per tutte quelle
persone che volevano mettere alla prova la sua cultura. Aveva i capelli corti e neri, la bocca
grande tanto che, quando sorrideva, le labbra andavano da un orecchio all'altro; a suo
malgrado assomigliava ad un ecclesiastico e, anche quando indossava marsine di tricot,
sembrava che stesse indossando una tonaca. Egli era un dottore di teologia, di diritto
canonico, egli era convinto di essere nato per l'amore ma al tempo stesso affermava che non
si sarebbe mai dichiarato ad una donna soprattutto se sposata però leggendo vari romanzi, in
cui le eroine erano sposate ma peccatrici, si convinse del fatto che si poteva voler bene ad
una donna sposata e anche dichiararsi ad essa. Bernùdez era follemente innamorato di Ana
Ozores, la presidentessa, alla quale non si dichiarò mai ma cercò comunque di farglielo
capire attraverso alcuni gesti e certe allegorie prese dalla Bibbia che però lei non colse.
Secondo Don Saturnino non esisteva uomo più stordito di lui non appena una donna gli
lanciava una o due occhiate. Molto spesso la notte steso sul letto, prima di addormentarsi,
iniziava a leggere diversi romanzi dove gli facevano ritornare alla mente la presidentessa ed
altre donne con le quali intratteneva profonde chiacchierate e future concessioni. La mattina
dopo di questo giorno, il maggiordomo gli consegnò una lettera di Obdulia Fandino,
considerata dalla cittadina una donna troppo spregiudicata, con la quale aveva una buona
intesa: una volta la donna aveva fatto cadere un fazzoletto, egli lo raccolse e nel restituirglielo
le sue dita si sfiorarono con quelle della donna; oppure durante una riunione gli aveva sfiorato
la gamba e lui non ha ritirato la sua anzi, ha sfiorato con il suo il piede della donna. Dopo vari
pensieri, decise di aprire la busta ed iniziò a leggere la lettera nella quale c'era scritto che lo
attendeva a casa sua nel pomeriggio dove l'avrebbe trovata con alcuni amici di Palomarès
intenti a visitare la cattedrale. Deluso per la lettera, decise di indossare gli abiti più opportuni
e di recarsi verso l'abitazione di Obdulia. Portò così i signori alla cattedrale mostrando i vari
dipinti non dando particolare attenzione a quelli ritenuti da lui di scarsa importanza. Mentre i
due uomini e le due donne stavano chiacchierando in merito ai quadri, giunse Don Fermìn
che colse subito l'attenzione di Obdulia. La donna dava sui nervi a Fermìn, la considerava
uno scandalo ambulante anche solo dal mondo in cui si vestiva. Riteneva che il suo
atteggiamento e modo di vestire sarebbe stato più accettato in grandi città come Roma,
Madrid o Parigi. Ella voleva in tutti i modi cercare di influenzare e comandare diversi uomini
attraverso il potere della seduzione; proprio come faceva con Don Saturnino. Nonostante
l'antipatia nei suoi confronti, Fermìn si mostrava sempre gentile ed affabile. Subito dopo il
canonico si congedò, scusandosi nel non poter accompagnare i signori della cattedrale ma, il
dovere lo chiama ed inoltre era convinto che la sua presenza non avrebbe giovato a nessuno;
Bermudez invece era un testimone vivente delle bellezze artistiche vetustensi. Mentre Don
Fermìn si allontanava, Obdulia lo seguì con lo sguardo fin dove poteva non facendo caso a
Bermùdez che nel frattempo la stava guardando con uno sguardo serio. I quattro signori
fecero il girodella sacrestia ammirando diversi quadri, che erano più nitidi rispetto a quelli
mostrati ed elogiati in precedenza da Don Saturnino, e successivamente attraversarono la
crociera per poi recarsi al Panteon de los Reyes. Entrarono nella cappella che era fredda,
ampia, oscura anche se molto imponente nella sua semplicità. All'interno di essa si sentiva
soltanto il ticchettio dei tacchi di Obdulia la quale attirava l'attenzione del Saturnino che
nell'esporre i vari argomenti, iniziava a confondere i nomi dei vari re che li, secondo la storia,
riposavano da secoli. Mentre il Don recitava i primi capitoli di uno delle sue “Vetuste”, Obdulia
si spaventò nel sentire alcuni piccoli rumori pensando che fosse un topo; così urlò e si afferrò
a Don Saturnino il quale, con coraggio, decise di prendere tra le sue, la mano della donna
che poggiava sulla sua spalla. E così dopo aver terminato il discorso, Obdulia si complimentò
con Bermùdez, stringendogli la mano nell'ombra.
CAPITOLO 3
Ana e Fermìn si erano incontrati pochissime volte e quella era la prima volta che parlavano
così a lungo. Egli si era recato spesso a casa del marito di lei, don Victor Quintanar, quando
questo era presidente del tribunale di Vetusta; man mano, non appena andò in pensione,
Fermìn si recava sempre meno a casa di Quintanar fino a non recarsi più. Molto spesso si
incontravano all'Espolòn intrattenendo vari discorsi; tra i due c'era una stima reciproca tanto
che molto spesso Don Victor aveva preso le sue difese. La conversazione tra il diacono e la
presidentessa durò poco più di una mezz'oretta e, una volta tornata a casa, Ana pensò
soltanto al fatto che al prossimo incontro, avrebbe dovuto tenere una “confessione generale”
e quindi raccontare tutta la sua vita partendo dalla sua infanzia; iniziando a pensare a ciò le
scesero alcune lacrime sul viso che bagnarono il cuscino del letto sul quale era poggiata. (La
camera di Ana presenta due elementi fondamentali: la pelle di tigre, che simboleggia la
sensualità, e il crocifisso posto sopra la spalliera del letto, che simboleggia la religiosità della
donna. Obdulia, che molto spesso era entrata nella casa della donna, si era resa conto che
quella non era una camera degna della moglie del presidente, e dichiarò che lì il sesso non
esiste. Obdulia apprezzava sinceramente la bellezza di Ana ma al tempo stesso provava
invidia per quel meraviglioso tappeto di pelle di tigre che lei non possedeva.) Ana ripensò al
fatto di non aver mai conosciuto la madre (morta per darla alla luce) e che forse da questa
disgrazia sarebbero nati i suoi maggiori peccati. Aveva avuto un'infanzia molto difficile: fu
cresciuta da una tutrice, dona Camila, la quale era fredda, disamorata e molto severa nei suoi
confronti; la morbidezza del materasso e delle lenzuola era l'unica cosa quanto più materna
che potesse avere. Veniva obbligata a dormire presto, senza carezze, fiabe o storielle, senza
luce e questo la portava ad avere una profonda pena nei suoi stessi confronti. Ana ha sempre
sentito la mancanza del grembo materno, nessuna l'aveva mai coccolata e stretta tra le
proprie braccia; per questo motivo, ogni notte cantava nella sua mente le varie canzoni che
aveva sentito cantare alle madri ai propri figli nel parco. Ad un certo punto i suoi pensieri si
spostarono su Don Alvaro Mesìa, presidente del circolo di Vetusta, ma successivamente
ritornò ai suoi ricordi di infanzia, ricordando la notte che aveva trascorso sulla barca con il suo
amico Germàn. Provava vergogna e rabbia nel ricordare queste cose. Subito dopo spense le
luci della camera e si ricordò esattamente tutto quello che successe sulla barca. Germàn, un
bambino di 12 anni più grande di lei di due anni, l'aveva coperta con un piccolo telo e i due
iniziarono a raccontarsi la loro vita: iniziò Germàn e, dopo aver fatto alcune domande
all'amico su come fosse una mamma, Ana iniziò a raccontargli tutta la sua infanzia: il padre
purtroppo era lontano da lei perché era impegnato ad uccidere i musulmani ma gli spediva
vestiti, soldi, tutto il necessario per farla vivere nel miglior modo possibile. La governante non
le voleva bene, la metteva spesso in punizione, la lasciava a digiuno e la faceva andare a
dormire presto. Molto spesso scappava di casa e si recava verso la spiaggia per piangere;
quando i marinai la trovavano, la consolavano e, anche se diceva loro di voler raggiungere il
padre che era a combattere contro i musulmani, questi la riportavano a casa e ricominciava
l'inferno. Il compagno della governante la baciava molto spesso ma non voleva quando era
presente anche la piccola Ana. Un giorno decise di scappare di casa ma di cambiare
percorso e così si ritrovò in un bosco; una volta superato il bosco incontrò Germàn che le
aveva chiesto se volesse salire sulla barca di Trèbol poiché era stato suo servitore. Mentre si
raccontavano le storie, si addormentarono e il mattino seguente furono svegliati dalle urla del
barcaiolo che aveva visto la sua barca su un isolotto: successivamente fu riportata a Loreto e
così dona Camila, che si era sentita male per lo spavento, l'aveva messa a digiuno e chiusa
in camera sua poiché non voleva raccontare quanto fosse accaduto. Dopo un giorno di
digiuno Ana decise di ammettere di essersi addormentata assieme all'amico ma affermando
che non c'era stato nulla e dall'altra parte Germàn diede la stessa versione, ma la sua non fu
ritenuta vera. Dona Camila così iniziò a pensare che la madre defunta le aveva passato
questa malizia e che fosse emersa a causa del suo compagno che molto spesso l'aveva
baciata d'avanti alla bambina. Da quel momento, ogni volta che Camila siallontanava
dall'abitazione per svolgere alcuni servizi, il compagno di lei si avvicinava ad Ana per
chiederle qualche bacio, che non riceverà mai. La notizia si era diffusa in città e così anche i
vari ragazzi si avvicinavano a lei per secondi fini: non poteva più uscire; usciva solo con la
governante. Pian piano si iniziò a rendere conto che quelli volevano “macchiarla” di un
qualcosa che, di fatto, non aveva commesso. Camila infatti portò Ana in chiesa per farla
confessare, il prete iniziò a farle delle domani alle quali la piccola non seppe rispondere; così
il parroco dichiarò alla donna che era troppo presto per farla confessare poiché o per
ingenuità o per malizia non raccontava realmente ciò che era accaduto quella sera.
Successivamente la mente la portò di nuovo a pensare ad Alvaro Mesia, nell'opera “Il
Barbiere di Siviglia”, mentre cantava sotto il balcone di Rosina. Svanì questa immagine e si
presentò quella di Alvaro in gabbano bianco e attillato che la salutava. Sparì anche
l'immagine di Alvaro, non si vedeva altro che il gabbano bianco e dietro di ciò si vedeva
sempre più una vestaglia a quadri scozzesi, un berretto di velluto ed oro e soprattutto la figura
del marito, Don Victor Quintanar. Successivamente si svegliò, si guardò le mani e notò che
non riusciva a vedere in modo nitido le dita, stava sudando, aveva il battito accellerato: stava
avendo una delle sue solite crisi; così tirò il cordone della campanella posta vicino al suo letto
e così in poco tempo arrivarono Petra (la domestica) e il marito con una candela in mano il
quale le chiese: “Cosa hai figliola?”. Petra corse in cucina per preparare una tisana di tiglio e
fiori d'arancio mentre pian piano Victor cercava di tranquillizzare sempre di più la moglie
dandole un “bacio paterno” sulla fronte. Pian piano Ana iniziò a tranquillizzarsi iniziando
anche a bere la tisana che nel frattempo le aveva portato Petra, la quale aveva attirato
l'attenzione del marito in quanto molto svestita e faceva intravedere, con quel poco che aveva
addosso, le sue bellissime forme. Petra non gli era indifferente ma sicuramente Victor non
aveva mai pensato di tradire la moglie. Don Victor bevve un po' di tisana che la moglie aveva
lasciato e cercò di tranquillizzarla ulteriormente poiché, anche se lei non lo sapeva, nel giro di
due ore sarebbe uscito di casa per andare a caccia insieme al suo amico Frigilis. Una volta
tranquillizzata, Quintanar si alzò dal letto e nel darle un bacio sulla fronte, Ana porta le
braccia attorno al suo collo per poterlo abbracciare facendo così involontariamente toccare le
labbra del marito con le sue. Egli si fece leggermente rosso e voleva intrattenersi con la
moglie ma, sapendo che Fragilis non avrebbe mai accettato un suo ritardo, decise di salutarla
amorevolmente e di lasciare la stanza per recarsi nella sua. I due abitavano in due camere
diverse in due aree diverse del palazzo poiché le loro abitudini non combaciavano: Ana
voleva dormire fino a tardi mentre Quintanar si svegliava presto per andare a caccia, inoltre il
marito aveva la passione per gli uccelli che però non poteva tenere vicino alla loro camera da
letto poiché il loro cinguettio l'avrebbero svegliata. E così, decisero di dormire in due camere
separate. Ana iniziò a pensare che bisognava salvaguardare le apparenze poiché ormai per il
mondo non esiste altra virtù se non quella che si ostenta e si esibisce. Si rallegrò pensando al
rispetto e all'ammirazione che aveva qui a Vetusta; dire “la presidentessa” significava dire “la
sposa perfetta”. La sua bellezza veniva adorata in silenzio e, anche se quasi tutti gli uomini
erano innamorati di lei, nessuno osava dirglielo. Nel frattempo, mentre si stava recando nella
propria stanza, Victor si fermò prima in camera di Petra chiedendole di svegliarlo non appena
avesse sentito il segnale dell'amico Frigilis; successivamente si recò in questa stanza adibita
a dimora poco, poco lontana dalla sua camera da letto, per controllare tutti i suoi uccelli i quali
però, vista l'ora, stavano ancora dormendo. Una volta visto tutti i suoi uccelli, andò in camera
e si posò sul letto per cercare di riposare un pochino ma, non riuscendo a dormire, decise di
leggere “Calderòn de la Barca”. Una volta mentre stava parlando con Fragilis, affermò che,
nel caso in cui avesse scoperto che la moglie lo tradiva, l'avrebbe sicuramente uccisa per
vendicarsi di questo disonore. Ogni volta, prima di addormentarsi, leggeva testi antichi
sull'onore. Egli sapeva usare benissimo la spada ma soltanto durante la scena di uno
spettacolo teatrale, mentre sapeva usare benissimo, nella realtà, le armi da fuoco. Lui era
però un uomo buono, non aveva mai fatto del male a qualcuno. Non riusciva ad
addormentarsi però, quando stava per prendere sonno, sentì il segnale di Frigilis e così si
alzò dal letto, si vesti ed uscì di casa raggiungendo l'amico giù al parco. Mentre i due si
stavano allontanando dalla villa, Victor si girò guardando verso il balcone chiuso di Ana ed
avvertì un senso di colpa poiché non era ancora l'alba ed lei non sapeva di tutto ciò; l'amico
però gli disse che era tardi e che dovevano assolutamente muoversi e così si allontanarono
definitivamente dall'abitazione.
CAPITOLO 4
Il capitolo si apre con la storia della famiglia Ozores, una delle più influenti di Vetusta,
partendo da Carlos Ozores, padre di Ana, primogenito della famiglia; egli era un uomo molto
colto che divenne ingegnere militare, costruì piazzeforti resistenti e fu promosso a
comandante del corpo. Pian piano perse l'interesse per le cose militari sentendosi meno
bellicoso e preferendo a ciò la fisica e la matematica. Successivamente si
innamoròfollemente di una giovane sarta italiana di umili origini che, nonostante l'opposizione
della famiglia, sposò quando ebbe 35 anni: da questo matrimonio nacque Ana ma, per darla
alla luce, la madre morì. Quel matrimonio portò alla rottura del rapporto tra Carlos e la
famiglia tanto che la morte della donna era stata considerata un castigo divino. Il palazzo
degli Ozores, situato a Vetusta, apparteneva a Carlos ed egli, senza chiedere nulla in cambio,
decise di lasciar vivere lì le due sorelle zitelle. Successivamente Carlos passò dagli studi
fisico-matematici a quelli filosofici, quindi credeva soltanto in quello che poteva toccare con
mano. Di tutte le spese del padre ne fece le spese la figlia: nessuno chiedeva di lei e di come
stesse poiché la morte della madre non era sufficiente per riappacificare i rapporti con
“l'infame” Carlos Ozores. L'uomo decise di assumere una governante spagnola che però si
era istruita in Inghilterra, la quale aveva come principale passione la lussuria. Carlos emigrò
lasciando così la figlia sotto la tutela della governante e, dopo che i medici avevano
raccomandato alla bambina di respirare aria di campagna e di mare, donna Camilla invitò
Carlos ad acquistare un casolare posto in un paesino confinante con Vetusta. Questo
casolare era di un certo Iriarte, amante di Camilla e colui che in precedente aveva consigliato
la donna allo stesso Carlos; l'uomo decise così di vendere alcune proprietà che aveva a
Vetusta per acquistare quel casolare che in realtà valeva molto meno del prezzo speso. In
questo casolare andarono a vivere Ana, donna Camilla e il suo compagno. Prima che il padre
di lei partisse, Camilla aveva cercato di conquistarlo convinta di riuscirci grazie alle sue
qualità di seduttrice ma fallì miseramente tanto che l'uomo non si era reso proprio conto delle
reti che gli si tendevano. Per questo motivo la donna giurò eterno odio nei suoi confronti e
consacrò un culto di invidia nei confronti della sarta italiana che era riuscita a sposare
quell'uomo. Ana ebbe un'infanzia molto difficile in quanto la governante era convinta che essa
doveva avere un'educazione speciale e molto attenta; per questo, convinta di tutto ciò, puniva
molto spesso la bambina e la reclusione e il digiuno furono la sua disciplina. La piccola Ana
non ha mai ricevuto né baci né sorrisi, non ha mai conosciuto il bene materno e soffriva molto
per questa cosa tanto che l'unica dolcezza di cui poteva godere era il tepore e la morbidezza
delle lenzuola. L'unica cosa che la tranquillizzava e la rasserenava in quella prigionia, era
sognare ed immaginare mondi lontani. L'eroina dei suoi mondi era una madre e, a soli 6 anni,
aveva concepito un poema costituito dalle lacrime della sua tristezza di orfana maltrattata e
da frammenti di racconti che ascoltava dai domestici d dai pastori di Loreto. Non appena
poteva scappava di casa; correva per i prati e si recava nelle capanne dove veniva
accarezzata da molti dolci cagnoloni. A 27 anni Ana avrebbe potuto recitare quel poema a
memoria, che però aveva “aggiornato” di anno in anno. Uno dei suoi obiettivi era quello di
imparare a leggere: e ci riuscì; le insegnarono anche la geografia e non dimenticò mai la
definizione di isola poiché si immaginava un giardino circondato dal mare, e ciò le potava
gioia. Oltre a questi sogni, passò a quelli in cui venivano rappresentate delle battaglie, quasi
come un Iliade, e per queste battaglie immaginarie aveva bisogno di un eroe: e per lei questo
era Gèrman (il bambino di 12 anni che conobbe e con il quale passò quella famosa notte
sulla barca di Trebòl). Molto spesso Ana gli propose di compiere alcuni viaggi verso le terre
musulmane per catturare o uccidere gli infedeli. In realtà lei voleva semplicemente lasciare
quella casa in cui viveva con dona Camilla la quale, non appena venne a sapere di quella
famosa notte, disse che ormai non c'era più nulla da fare con lei: era come crescere un fiore
già infettato dal morso di un insetto. Iniziò a raccontare quella vicenda a chiunque e, in poco
tempo, era sulla bocca di tutti. Dona Camilla decise così di informare la famiglia, non il padre
di lei ma soltanto le due zie le quali furono indignate per il gesto della nipote che poteva
rovinare l'onore della famiglia Ozores. Donna Anuncia, sorella maggiore di Carlos, decise di
mandare una lettera al fratello per informarlo dell'accaduto senza però raccontargli tutta la
vicenda. Successivamente Ana andò a vivere a Madrid con la governante e piano piano le
varie calunnie che le sono state afflitte piano piano iniziarono a svanire; il mondo ormai si era
dimenticato tutto tranne le zie, donna Camilla e la stessa Ana. La ragazza voleva cercare di
capire l'errore che, a quanto pare, avrebbe commesso e, siccome tutti dicevano che
quell'episodio in barca era stato vergognoso, iniziò a credere di aver compiuto realmente quel
peccato. A distanza di anni continuava a pensare a questo episodio che non le dava pace e
che le aveva dato tanta vergogna; era convinta che questa fosse stata una punizione divina e,
inoltre, aveva paura di cosa potessero pensare gli uomini ad ogni sua azione, per questo
motivo decise di contenere ogni slancio di energia. Carlos si rese conto che, di fatto, tutto
quello che gli era stato raccontato era finto, poiché davanti a sé aveva una ragazzina molto
timida e con una prudenza che non è propria della sua ragazza. Così decise di licenziare
dona Camilla e di lasciare ogni tipo di lavoro per potersi dedicare alla figlia e alla sua piccola
biblioteca. Se prima, quando era piccola, si rifugiava nei suoi sogni ora, adolescente, si
rinserrava nel suo spirito e nella religione. Il padre le permetteva tutto perchè voleva che la
figlia conoscesse sia il bene che il male per poter scegliere consapevolmente il bene; ma le
proibiva soltanto di leggere certi romanzi moderni, mentre per l'arte classica era permesso
tutto poichésecondo Carlos l'arte non ha sesso. Inoltre, a causa di tutte quelle calunnie, Ana
diventò fredda, ostile e schiva davanti ad ogni forma di amore: l'amicizia con Germàn era
stato un peccato e per questo motivo era meglio evitare gli uomini per non avere più qualsiasi
tipo di umiliazione. Lei inoltre non aveva amiche e il padre la trattava come se lei stessa fosse
arte, asessuata. Nonostante il padre portasse avanti l'emancipazione della donna, riteneva
che questa fosse un essere inferiore. A Madrid Ana si annoiava molto. I 6 mesi che
trascorreva nel paesino in campagna erano i più belli nonostante le ricordasse tutti quegli
anni di prigionia, l'avventura sulla barca e Iriante, che la guardava come se volesse cogliere i
frutti lungo attesi. Quando il padre decise di trasferirsi definitivamente a Loreto, Ana era
felicissima e quel giorno ritornò la bambina felice che non vedeva ormai da troppi anni. Ella
iniziò così a curare insieme al padre la loro biblioteca e, mentre stava spolverando, notò un
libro con una copertina in cartoncino giallo: era un libro religioso di Sant'Agostino. Il padre,
essendo ormai un liberale, non aveva libri religiosi ma con Sant'Agostino faceva un'eccezione
poiché lo considerava un filosofo. Il padre non era a casa e così, intenzionata a leggerlo,
decise di uscire di casa con il libro sottobraccio e di recarsi in giardino. Il santo diceva che i
bimbi per natura sono cattivi e che la loro perversione innata è motivo di allegria e di riso in
chi li ama. Ana era d'accordo con ciò. Nel pomeriggio finì tutto il libro tralasciando solo gli
ultimi capitoli. Oltre a questo libro non fu facile per Ana trovare nelle biblioteca altri testi che
parlassero in modo approfondito della religione. L'Avemaria e il Salve Regina avevano
acquisito in Ana un nuovo significato; pregava incessantemente ma voleva inventare lei
stessa le preghiere. Don Carlos le permetteva di uscire tranquillamente di casa da sola
poiché, andando su per il monte punteggiato di timo non ci sarebbe stato nessuno. Quel
giorno però la passeggiata fu molto più lunga ed improvvisamente, dopo aver superato il
sentiero, vide un paesaggio diverso: di fronte a lei c'era il mare, che aveva sempre udito ma
mai visto. Da lassù vide un santuario e per lei laggiù c'era la Vergine. Successivamente
raggiunse la conca dei pini: un avvallamento tra due basse alture; nessun uomo le ricordava
la presenza dell'uomo ed era così sicura di essere sola: aprì il diario ed iniziò a scrivere tutto
ciò che la mente le diceva di scrivere; la mano andava sola, i versi generavano altri versi, ma
ad un certo punto la mente fu costretta a fermarsi poiché la matita non era più in grado di
scrivere. Ana si alzò, con gli occhi pieni di lacrime iniziò a recitare la preghiera che aveva
scritto che iniziò a risonare tra i monti. Le piacque così tanto la sua voce che non riuscì più a
parlare. Si inginocchiò poggiando la testa sull'erba non riuscendo ad avere il coraggio di
alzarla poiché convinta di essere circondata da qualcosa di mistico. Ana credeva di essere
sul punto di vivere un'esperienza mistica e di avere quindi un rapporto diretto con Dio. Vide
un cespuglio che si muoveva, era convinta di vivere un'esperienza mistica, di star per parlare
con un essere superiore, ma invece non sarà altro che un uccello che si libera in volo.
CAPITOLO 5
Il capitolo si apre con la notizia della morte improvvisa di Don Carlos, avvenuta nel cuore
della notte, che ha lasciato sola la piccola Anita. Secondo le sorelle c'era lo zampillo di Dio
che aveva punito quel traditore. Ana nel frattempo si era ammalata ed era in mano ai
domestici e per questo motivo le sorelle decisero di andarla a prendere perchè “Morto il cane,
sparita la rabbia”. Partirono dopo 15 giorni poiché donna Anuncia non voleva partire da sola e
così si fece accompagnare da Don Cayetano Ripamilàn; una volta arrivati, i due trovarono la
piccola in fin di vita: aveva un terribile crisi con una febbre nervosa. La malattia l'aveva resa
malinconica e, la perdita del padre l'aveva spaventata. Più della morte del padre, l'addolorava
e la terrorizzava proprio l'abbandono. Era sola completamente sola. Ana in quei 15 giorni
cercava di alzarsi dal letto senza riuscirci e, quando il medico disse che “l'avrebbero lasciata
morire”, gridò e chiese di chiamare le sue zie di Vetusta. D'altra parte le zie avevano dentro di
loro il rimorso per aver comprato, ad una cifra molto più bassa del dovuto, il palazzo di
famiglia e così pensarono che per mettere in pace la loro coscienza, avrebbero dovuto
prendersi cura della figlia del fratello defunto. Una volta giunti a Loreto, dopo circa un mese
tornarono a Vetusta con la ragazza, la quale ebbe nuovamente la febbre forte portandola in
fin di vita. Le zie e tutta Vetusta decisero di non giudicare la figlia degli Ozores fin quando non
l'avessero conosciuta meglio. Le sorelle si resero infatti conto che non poterono
assolutamente giudicare l'educazione e il suo carattere poiché era una “malata esemplare”:
durante tutta la convalescenza non era mai stata impertinente, non chiedeva mai nulla e
prendeva tutto ciò che le si dava. Una sera, nel circolo di Vetusta, tutti i nobili e i potenti di
Vetusta avevano avuto un'ottima impressione della giovane e così, quella sera, si decise di
accogliere la figlia di Don Carlos come una vera Ozores, discendente della più illustre nobiltà.
Dopo questa notizia le zie della giovane si rasserenarono. Ana però era molto sola poichè le
zie partecipavano a tutte le novene, a tutti i sermoni, a tutti gli incontri delle confraternite e a
tutte le riunioni eleganti. Tenevano alla religione ma non erano molto devote.Ana sorrideva
sempre, ringraziava sempre ma non riusciva a guarire del tutto e a stare definitivamente bene.
Una sera, nella stanza accanto a quella di Ana, le zie iniziarono a parlar tra loro pensando a
cosa sarebbe successo se si fosse venuto a sapere di quella famosa storia della barca di
Trebol; Ana sentendo le voci si alzò lentamente e, in silenzio, iniziò a sentire parola per
parola tutto quello che si stavano confidando le zie. Da quella conversazione, Ana capì che le
avrebbero perdonato tutto a patto che in futuro fosse diventata come loro. Donna Anuncia
aveva come sogno quello di compiere un viaggio a Venezia con un amante ma, poiché per
l'età non poteva più, voleva che fosse Ana a realizzarlo; era convinta che se avesse mangiato
bene sarebbe diventata bella come suo padre e come tutti gli Ozores che avevano questa
caratteristica nel sangue. Dopo aver raggiunto ciò le avrebbero cercato un fidanzato, un
uomo ricco o un “americano” . Da quel momento in poi, grazie a quella conversazione che
aveva udito, Ana iniziò pian piano a mangiare meglio per poter accrescere il suo peso. Ana
voleva forza, salute e colorito, ma soprattutto voleva liberare le zie di questo peso. Ana si
avvicinò molto alla religione ma si rese conto che la sua fede era vaga: credeva molto ma non
sapeva con certezza cosa. Durante la prima convalescenza iniziò a scrivere molto di meno
poiché non immaginava più tutti quegli eroi ed eroine, inoltre ogni mattina si ritrovava sempre
un sorriso nell'anima: le zie le permettevano di alzarsi anche un pochino più tardi e quindi
godeva di quelle ore in più rilassandosi. Donna Agueda era la cuoca di casa, la quale
preparava ottime prelibatezze alla “nipotina dei suoi peccati” mentre donna Anuncia andava a
fare la spesa cercando a poco prezzo e prodotti migliori per poi passare nella casa dei vari
nobili dicendo loro che la loro nipotina stava crescendo benissimo e che stava diventando
sempre più bella. Tutti i nobili di Vetusta, infatti, andavano a vedere come ingrassava la
giovane e, tutta la componente maschile, notò come stesse diventando bella la giovane Ana.
All'unanimità si decise che la giovane Ozores fosse la ragazza più bella della città. Fu definita
da molti come una statua greca, come una Venere del Nilo o come la Venere dei Medici. La
sua bellezza la salvò: fu accettata da tutti e nel giro di poco tutto era stato dimenticato. Tutti
gli uomini erano attratti da lei, ma nessuno osò dirglielo e, se non fosse stata attenta, poteva
compromettere la sua reputazione senza aver nulla in cambio. Ana non manifestava i propri
desideri e non contraddiceva mai le zie ma una sera, dopo essere tornata da un ritrovo intimo
in casa dei Vegagliana, decise di farlo: disse che non si divertiva in quegli incontri, che tutti
erano noiosi. Da queste sue parole nacque una lite con le zie; ogni volta che veniva meno al
proposito di non contraddirle, sentiva un senso di colpa. Ana disprezzava tutti quegli elogi che
venivano fatte alla sua bellezza da signori e nobili di Vetusta. Pensava se fosse questo
l'amore ma capì subito di no: pensava che forse l'amore non sarebbe mai arrivato, che fosse
destinata a vivere in mezzo a tanti sciocchi; ma soprattutto aveva paura dell'abbandono e
voleva liberare le zie da questa opera di carità. Pensò quindi che l'unico modo per uscire da
questa situazione fosse il matrimonio o il convento. La sua devozione fu però già condannata
dagli abitanti di Vetusta quando si venne a sapere della sua passione: la letteratura. Secondo
le donne del luogo, questa passione era una cosa mascolina, un vizio da uomini volgari e
plebei. Una volta che le zie scoprirono ciò, questa passione fu eliminata. Molto spesso però,
nella sua stanza, Ana continuava a scrivere qualche poesia ma immediatamente strappava la
pagina gettandola fuori dalla finestra per paura che le zie potessero vederla. Giurò a sé
stessa di non diventare una letterata e, allo stesso tempo, molte ragazze approfittarono di
questo suo “difetto” per metterla alla berlina davanti agli uomini: in parte ci riuscirono tanto da
chiamarla con George Sandio. Per Ana tutti quegli aristocratici mossi dall'interesse non
potevano essere dei possibili mariti; tutti gli uomini della città affermarono che la donna fosse
veramente virtuosa. Don Alvaro Mesia affermò che forse stava aspettando il principe russo:
egli, che si divideva tra nobili e plebei, non aveva mai fatto esplicitamente un complimento ad
Ana. Alvaro decise di lasciare Madrid per poter ripulirsi un po' in quanto lasciava a Vetusta
moltissime “vittime” del suo fascino ma con la promessa di compiere la “strage amorosa” più
grande al suo ritorno. Mentre Alvaro stava lasciando la città, vide da lontano Ana con le sue
zie; egli salutò e i loro sguardi si incontrarono guardandosi come se fosse la prima volta. Da
quello sguardo egli pensò “quando tornerò, lei sarà la prima) Ana d'altro canto pensava che
tra tutti gli uomini di Vetusta se n'era andato proprio il meno sciocco ma, a distanza di un
mese, l'uno si dimenticò dell'altro. Ana, col passare dei giorni, era sempre più convinta del
fatto che l'unica soluzione per uscire da questa situazione fosse entrare in convento; così
espose la cosa a Don Cayetano Ripamilan, suo confessore, il quale affermò che la sua
devozione non era così profonda e quindi inevitabilmente il suo ingresso al convento
l'avrebbe, col tempo, portata alla depressione. Inoltre, le disse di averle trovato un uomo a lui
coetaneo che poteva essere suo futuro sposo: Don Victor Quintanar, magistrato di Zaragoza,
il quale aveva poco più di 40 anni mentre Ana, allora, aveva soltanto 19 anni. Ana accettò ma
disse a Ripamilan di non dire niente alle zie fin quando non avesse prima detto lei si. Ana si
ricordò che tutti i pomeriggi incontrava Don Tomàs Crespo, un carissimo amico di famiglia.
Crespo lo lodava tantissimoaffermando che Quintanar fosse un grande attore, un abile
cacciatore, coraggioso e molto serio. Un pomeriggio, Crespo presentò alle signore Ozores il
caro amico Quintanar che fece un'ottima impressione tanto da invitarlo ad andarle a trovare.
Ana parlava molto con Don Tomàs Crespo in quanto egli riusciva a capirla molto di più delle
zie e di tutti gli abitanti di Vetusta; era un suo vero amico, la ascoltava senza giudicarla. Egli
infatti veniva chiamato “Frigilis”. Frigilis, parlando con Victor affermava che Ana era una
donna da sposare, che aveva bisogno di un re, ovvero Victor, e che oltre ad essere bellissima
fuori lo era anche dentro. Ana si trovava molto bene con Victor, il tempo con lui passava
senza accorgersene; lo trovava un uomo molto affascinante. Però al tempo stesso sapeva di
non essere innamorata di lui. Così domandò a Ripamilan: siccome non sono potuta entrare in
convento perchè non ero abbastanza devota, se non sono innamorata, allora vuol dire che
non devo sposarmi? Don Cayetano cercò di farle capire che la sua devozione non era
abbastanza; non bastava aver pianto su alcune poesie o testi di alcuni filosofi poiché la vera
devozione sta nel far felice un vero gentiluomo e innamorato come Quintanar. Così pian
piano Ana accantonò l'idea di fari monaca e maturando quella di sposarsi. Qualche giorno più
tardi giunse in paese Don Frutos Redondo il quale non sono voleva costruire e comprare
molti edifici di Vetusta ma era anche disposto a sposare la donna più bella di Vetusta. Gli
dissero che la donna più bella era Ana e così si innamorò di lei e, quando venne a sapere che
era una donna molto virtuosa, si innamorò ancora di più andando così nella sua abitazione
per chiedere la mano di Ana alle sue zie. Queste successivamente parlarono con Ana
convinte di darle una buona notizia e soprattutto sapevano che lei non avrebbe detto di no ma,
quando seppe la notizia, Ana non disse nulla ma il suo atteggiamento fece capire tutto e così
iniziò una furiosa lite con le zie le quali chiusero la donna in camera sua per 8 giorni. Il nono
giorno, Quintanar andò a casa di Ana per chiedere la sua mano in quanto aveva appena
ricevuto una promozione lavorativa. Le zie rimasero stupefatte e ben predisposte nei suoi
confronti poiché Victor parlava con un crocifisso bloccato al petto in quanto Frigilis lo aveva
avvisato del fatto che le zie tenessero a ciò. Le zie risposero a Quintanar che non potevano
accettare se prima non ci fosse stato il consenso da parte della nobiltà e degli uomini più
potenti. I due si sposarono e passarono per la strada di Castiglia acclamati dal popolo con
Frigilis commosso. E da lì si affermò che sarebbe diventata la Presidentessa. Don Victor
stringeva tra le sue le mani della sua sposa mentre Ana pensava che, nonostante i 40 anni e
passa del marito, non c'era nessun uomo più degno di lui che poteva stare al suo fianco. Non
l'amava ma avrebbe cercato di farlo. Venne sera e senza addormentarsi si soffermò sui vari
rumori che sentiva fuori dalla carrozza ed iniziò a pensare al fatto che ormai era una donna
sposata e che pensare ad altri uomini sarebbe stato un delitto vero e non come quello della
barca di Trebol. Successivamente aprì gli occhi e guardò il suo uomo mentre leggeva
tranquillamente un libro di Caleròn de la Barca.
CAPITOLO 9
Una volta arrivata fuori casa, Ana si fermò, guardò Petra e la supplicò di accompagnarla a
fare una passeggiata: lei inizialmente esitò, perché non si aspettava una proposta del genere
da parte della presidentessa e poiché volesse capire il motivo di questa proposta. Ana
socchiuse gli occhi immergendosi nella luce del sole filtrata dai rami degli alberi. Petra si
fermò a prendere dei fiori, si punse, gridò e poi rise con Ana: non aveva mai visto la padrona
così tranquilla, serena e meno altezzosa. Qualcosa bolliva in pentola. Giunsero alla fonte di
Mari-Pepa che si trovava all'ombra di robusti castagni; ad oriente vi era un'altura dove si
poteva ammirare un bellissimo paesaggio con il sole che lo tagliava di sbieco. Ana si sedette
sulle pendici del castagno lasciandosi trasportare dal suono della sorgente e dai canti degli
uccellini: d'avanti alla presidentessa passò una cutrettola che lei seguì con lo sguardo fin
dove potè. Iniziò così a pensare alla prima confessione fattasi con Don Fermìn de Pas: era
stata davvero costruttiva, non come tutte le altre. Il canonico le disse che la sua anima era
nobile e che la sua storia meritava una maggior riflessione; continuò affermando che però lei
era malata: tutte le anime che vengono a confessarsi lo sono. Inoltre, non doveva andar lì
soltanto per chiedere l'assoluzione dei suoi peccati poiché l'anima, come il corpo, richiedono
una loro terapia ed igiene, e il confessore è un medico igienista; se questi non rispettano le
indicazioni date, non fanno altro che danneggiare sé stessi. Non bastava un semplice
colloquio per curare l'anima e qui, sta la necessità di confessarsi. È fondamentale scegliere
scrupolosamente il confessore quando si trattava di iniziare la cura. Finalmente era contenta
di questa confessione: Don Fermin la ascoltava e soprattutto la trattata come una persona
istruita. Secondo la religione, la virtù è un sentiero arduo solo per coloro che vivono immersi
nel peccato. La virtù può essere definita come l'equilibrio stabile dell'anima; ciò si poteva
raggiungere non soltanto con il digiuno e l'ascesi, ma anche con tutte le arti, con la
contemplazione della natura, la lettura di opere filosofiche. Ricordando tutto ciò, Ana fu
assalita dagli scrupoli: aveva raccontato tutto a Fermin...quasi tutto. Non gli avevaraccontato
dell'attrazione che provava per Don Alvaro Mesìa; gli aveva parlato, in modo molto vago, di
cattivi pensieri ma non gli aveva detto che questi pensieri riguardavano una persona in carne
ed ossa. Avrebbe potuto dirgli la verità ma in questo modo avrebbe ridicolizzato suo marito
senza alcuna ragione visto che non lo avrebbe mai e poi mai tradito. Pensò così di non
andare a confessarsi il giorno dopo ma che si sarebbe inventata un finto mal di testa per
potersi riconciliare con Dio e per poter così riprendere la confessione. Sentì un brivido di
freddo e così tornò alla realtà; si guardò intorno senza trovare Petra. La chiamò ma non
rispose. La chiamò ancora fin a quando non la vide arrivare vicino a sé con il vestito un po'
sgualcito e con il fiatone. Petra, approfittando del fatto che la sua padrona fosse assorta nei
suoi pensieri, si recò al mulino del cugino Antonio: lui era innamorato di Petra, i due volevano
sposarsi tra un paio di anni e così, di tanto in tanto, ella andava a trovarlo affinché non si
spegnesse il fuoco che c'era tra loro. Stava per iniziare a far bui e così le donne iniziarono a
camminare verso casa: passarono per la Calle del Aguila, fecero un giro attorno ad alcune
strade di Vetusta e passarono per El bouvelard dove i marciapiedi erano punteggiati da una
fila di lampioni incolonnati e le ragazze del popolo imitavano la voce, i modi e le conversazioni
delle signorine mentre i giovani operai si fingevano dei gentiluomini. La sera in questa strada
vi era un'allegria contagiosa: le ragazze ridevano senza motivo, si pizzicavano e si
assembravano. Ana senza rendersene contò si ritrovò, essendo quasi sera, in mezzo alla
moltitudine di persone ricevendo tantissimi complimenti dai vari giovani che le passano di
fianco. Ana decise così insieme a Petra di aumentare il passo mentre dentro di sé, guardando
tutte quelle donne, provò una profonda pena nei suoi confronti: sentiva di essere più povera
di tutte loro; la domestica ha il suo mugnaio che le sussurra parole dolci e tutte le donne del
posto provano un piacere che a lei è sconosciuto. Ad un certo punto si fermarono perché
videro un ragazzo, bloccato da altri suoi coetanei, in preda alla gelosia; mentre lo stavano
portando via, Ana vide i suoi occhi e capì che quello era lo sguardo della gelosia.
Successivamente uscirono dal Boulevard ed entrarono in Calle del Comercio e, vicino alla
pasticceria più lussuosa di Vetusta, vide dei bambini che discutevano sulla qualità e sul nome
di quei dolci che non potevano permettersi e ciò la commosse molto. Voleva assolutamente
tornare a casa poiché pensava di iniziare ad avere delle crisi nervose ma non poté farlo
poiché davanti a loro comparvero Don Alvaro Mesìa e Paco Vegallana che salutarono le due
donne in modo molto cortese. Don Alvaro notò che, rispetto al pomeriggio, Ana ripreso il suo
sguardo di sempre, era timido, sfuggente e timoroso, e questo gli ridiede tanta fiducia e
speranza. I quattro iniziarono a camminare verso casa di Ana e questa iniziò a pensare al
fatto che non aveva mai provato il sentimento dell'amore e questo la turbò molto e, senza
rendersene conto, sfiorò la mano di Alvaro mentre egli stava parlando di varie cose. Alvaro si
credeva un uomo di talento, era convinto che per sedurre le donne logorate e sazie d'amore
non bastava l'aspetto esteriore mentre per le spose oneste si. Don Alvaro, oltre a credere
nella propria bellezza, era anche un materialista e non lo diceva a nessuno. Lui non aveva
fede se non quando si ammalava e restava solo ma, quando guariva, affermava che era solo
un po' di debolezza. Mentre Alvaro camminava accanto ad Ana era convinto che questo
bastasse per far suscitare alla donna un po' di desiderio ma in quel momento la
presidentessa aveva la testa altrove. Per soffermare la conversazione su qualche argomento,
Alvaro chiese ad Ana come mai uscisse poco a Vetusta e lei rispose “Sarà che lei non mi fa
caso; esco abbastanza”. Questa risposta lo mise subito in difficoltà e d'altra parte Ana era
convinta che con questa frase avrebbe scoraggiato Mesia facendogli credere che lei non
aveva accettato quel patto tra sordomuti. Però questo significava negare troppo. Significava
negare l'evidenza. Per non andare troppo oltre, Alvaro decise di “fare l'interessante”
rispondendo: “Signora lei è destinata ad attirare ovunque l'attenzione, anche del più distratto”.
Quella frase aveva dispiaciuto tantissimo Ana perché iniziò a pensare che forse tutte le volte
che lui la guardava in realtà era distratto e che forse non era vero nulla, che lui non era
davvero interessato ed innamorato di lei. Non voleva crederci, poiché a pensar ciò le
venivano i brividi. Don Alvaro capì subito di aver colpito nel segno. Ana, avendo la bocca
secca, passò la lingua sulle labbra e quel gesto fece impazzire Alvaro tanto da dire a bassa
voce “Incantevole! Incantevole!”. Ana fece finta di non sentire, ma i suoi occhi dicevano
l'esatto contrario. Alvaro pensò “è mia” mentre arrivarono fuori al portone del palazzo della
presidentessa. Paco disse ad Ana che la sera stessa (quindi tra un paio di ore) sarebbe
andata con loro al teatro poiché ci sarebbe stata la prima di don Pedro Calderòn de la Barca
e perchè la madre di lui, Rufina (la marchesa di Vegallana), la voleva al teatro. Lei disse che
non poteva poiché il giorno dopo avrebbe avuto la confessione, Paco rispose che la mamma
sarebbe venuta a prenderla comunque. Petra entrò in casa e mentre Ana stava per chiudere
la porta, con un filo di voce Alvaro le chiese se quindi sarebbe venuta al teatro quella sera.
Lei rispose di no e chiuse dietro di sé la porta per poi entrare nel patio.
CAPITOLO 13
In quella casa si udivano risate, tante voci, grida di diverse persone. Nel salone vi erano
Glocester, Obdulia e la marchesa che discutevano insieme ad altri sul fatto se fosse richiesta
più virtù nel cercare di resistere alle tentazioni o nel farsi suora. La maggior parte di loro
sosteneva che ha maggior merito una buona sposa nel mondo che una sposa di Cristo. Altri
nel salone parlavano di politica locale, ovvero del fatto che il sindaco e la vedova del
marchese di Corujedo avevano chiesto la stessa tabaccheria creando un gran conflitto nel
governo. Il segretario delle finanze aveva detto che la scelta doveva essere fatta dal
governatore il quale, a sua volta, aveva consultato il governo per telegrafo che doveva
decidere se andare contro il sindaco o la vedova. Ripamilàn e il marchese di Vegallana
affermavano che, al posto del governo, avrebbero dato la tabaccheria alla vedova perché
vengono prima le donne; Trabuco invece affermava che secondo lui questa tabaccheria
doveva andare al sindaco. Nelle stanze del primo piano, invece, vi erano Paco Vegallana (il
festeggiato del giorno per il suo onomastico), Visitaciòn, Edelmira (cugina di Paco), don
Saturnino Bermudez e Quintanar che scherzavano e ridevano ad alta voce tra loro mentre
Ana e Alvaro Mesìa guardavano, stando vicino al balcone, i giochi innocenti degli altri. Il
canonico non appena entrò nel palazzo dei Vegallana vide don Saturnino il quale lo salutò
cordialmente e subito dopo, mentre questo lo stava accompagnando in salone, vide Ana
insieme a Mesia che chiacchierava molto amichevolmente. Giunse al salone venendo accolto
calorosamente dal marchese e da Ripamilan; l'arcidiacono Glocester, invece, cercò di
nascondere il suo fastidio nel vederlo lì stringendogli la mano con un lieve sorriso. Tutti gli
invitati però, mentre scherzavano e sorridevano serenamente, avevano in realtà la testa
altrove: pensavano all'invito che avrebbero avuto o meno per il pranzo venendosi così a
formare due fazioni, quello degli invidiosi e degli invidiati. Iniziarono così pian piano diversi
uomini e fanciulle a lasciare l'abitazione con un lieve imbarazzo e vergogna. Lo stesso
Glocester non era stato invitato e voleva capire se il suo avversario, il canonico, avesse
pranzato o meno da loro. Vide il canonico chiacchierare con Obdulia, Visita e donna Rufina,
le quali cercavano di convincere il canonico a rimanere a pranzo. Quando ebbe la certezza di
ciò, lasciò l'abitazione salutando la marchesa e pensando a quanto questa fosse ipocrita e di
come il suo nemico riuscisse a vincere sempre. Era però certo che l'avrebbe sconfitto una
volta per tutte definitivamente. Gli invitati quindi furono: don Fermin, don Cayetano Ripamilan,
don Victor Quintanar con la presidentessa, Obdulia, Visitacion, Edelmira, don Saturnino
Bermudez, Alvaro Mesia, Joaquin Orgaz e donna Petrolina. Generalmente Paco festeggiava
sempre da solo e in altri luoghi l'onomastico ma questa volta avevano organizzato una
piccola festa in famiglia con tutti gli amici più intimi. Il canonico fu invitato a pranzo grazie
soprattutto a un complotto di Visitacion, Victor Quintanar e Paco poiché la donna voleva fare
uno scherzo a Mesia facendogli trovare di fronte De Pas. Questa però disse all'ex presidente
che lo voleva invitare per vedere Obdulia civettare con il canonico mentre il povero Bermudez
soffriva in silenzio. Victor era contento della presenza del canonico poiché così la moglie
avrebbe iniziato a considerarlo e a vederlo come un uomo comune e perché così non
sarebbe andata a confessarsi quel pomeriggio. Ana, una volta arrivata con Victor a casa dei
Vegallana, vide come prima persona Alvaro: non volle arrossire mentre Victor strinse
calorosamente la mano ad Alvaro che ricambiò affettuosamente (tra i due c'era un ottimo
rapporto e tutte le volte che si ritrovavano creavano una forte intesa). Una volta trovatosi
d'avanti a lui, Ana decise di trattarlo come tutti gli altri pensando tanto che tra loro non poteva
e non doveva esserci nulla. Quando Alvaro si approcciò a lei Ana cercò di tranquillizzarsi
ricordandosi che tra lei e lui non ci fosse stato mai nulla. Alvaro iniziò a parlare con lei senza
mai citare quello che era successo la sera prima ed usando un tono affabile e dolce che le
fece intendere che non aveva doppi fini e questo fu molto apprezzato da Ana. Ana inizia a
confrontare Victor con Alvaro: nota che il marito è più basso di Mesia e questo aveva un
profumo delizioso, un abito ben curato e soprattutto, mentre dialogava con lui notò anche le
sue mani bianche, con dita lunghe e sottili e unghie lisce e ben tagliate. Ana si sofferma su
alcuni elementi di Alvaro che riprendono quelli utilizzati da poeti per le loro donne. Ana non
aveva visto entrare il vicario fino a quando Visita non si avvicinò al suo orecchio per dirle del
suo arrivo. Ana si allontanò e andò nel salone dove si trovarono tutti gli invitati tra questi
Obdulia che stava chiacchierando con il canonico e Joaquito Orgaz.Quando Fermin vide Ana
smise di parlare per poterla salutare con un po' di distacco. Dietro di lei apparve Mesia il
quale con un po' di rossore sulle guance strinse la mano al canonico per salutarlo il quale
ricambiò la presa. Ana vide i due uomini vicini, tutte e dure erano quasi alti uguale. Mesìa
guardava con distacco Fermin in quanto già lo temeva per l'episodio del balcone del
pomeriggio prima; Fermin invece non aveva nessun motivo per diffidare di Alvaro poiché Ana
durante la confessione non gli aveva detto che quei pensieri peccaminosi fossero rivolti ad un
uomo in carne ed ossa. Ana, quando vide Fermin, iniziò a pensare a quello che si erano detti
durante laconfessione del giorno precedente e della lettera che poche ore fa gli aveva scritto
e mandato. Poiché era arrivato Fermin, e poiché era certa che egli poteva salvarla dalle
tentazioni criminali di Don Alvaro, Ana decise di sostenere il suo sguardo. Successivamente
mentre tutti gli invitati stavano parlando tra di loro, Alvaro, senza farsi notare, notò che la
presidentessa era andata a parlare con il canonico vicino alla finestra e a bassa voce (Alvaro
non solo non credeva alla virtù delle donne, poiché secondo lui qualsiasi donna, anche la più
virtuosa, con la giusta seduzione sarebbe caduta alla tentazione, ma non credeva soprattutto
alla virtù religiosa poiché secondo lui nessuno poteva resistere agli impulsi naturali e che
quindi gli ecclesiastici fossero soltanto degli ipocriti. In generale era molto invidioso dei preti i
quali riuscivano attraverso la confessione a sedurre e ad influenzare una donna, a tutte le
donne a cui era interessato, impediva di confessarsi. Però obbligava la donna a mettere a
nudo la sua anima e così veniva a conoscenza di segreti che lui man mano annotava nella
sua mente.). Nonostante ciò Alvaro non credeva che Fermin volesse conquistare la
presidentessa per soddisfare i suoi “appetiti” però aveva paura che potesse sedurla per il suo
stesso motivo. Queste riflessioni portarono Alvaro ad iniziare ad odiare Fermin. Nel frattempo
il canonico parlò con la presidentessa dicendole che quel giorno non si sarebbero confessati
ma direttamente la mattina successiva e molto presto; Ana disse che andava bene e gli disse
anche quello che voleva fare Victor. Il canonico disse alla donna che doveva rispettare ciò
che diceva che doveva fare e che anzi, diceva tutte cose giuste che lei aveva bisogno di qui
divertimenti poiché, quando un anima è ben nutrita e sana, questi piaceri sono una
distrazione utile per trarre giovamento. Quando Don Victor sentì tutto ciò applaudì essendo
perfettamente d'accordo con il canonico. Successivamente tutti andarono in sala da pranzo
poiché era pronto a tavola. Quello era un pranzo informale. Servivano le pietanze delle
giovani ragazze di 20 anni, scelte scrupolosamente dalla marchesa, e Paco era molto
d'accordo con ciò, mentre per il marchese era indifferente. Andarono a tavola per sedersi non
vi erano i posti assegnati se non quelli a capotavola dei due marchesi e dei posti adiacenti:
vicino al marchese sedevano Petrolina (alla sua destra) e don Victor (alla sua sinistra),
mentre vicino alla marchesa Don Fermin (alla sua sinistra) e Ripamilàn (alla sua destra).
Successivamente si sedettero tutti gli altri dove la presidentessa siedeva tra Don Cayetano e
Alvaro, Obdulia tra il canonico e Joaquito Orgaz, e Paco tra Visitacion ed Edelmira. Prima di
servire il brodo, furono serviti tutti gli antipasti con anche le sardine. Tutti erano in allegria,
anche le domestiche, tranne Pedro, il cuoco, il quale si sarebbe divertito dopo; prima il dovere
poi il resto. Di tanto in tanto De Pas volgeva la parola ad Ana mentre don Alvaro, senza
rendersi conto, iniziava a corrugare la fronte infastidito. Visitacion, che lo aveva notato, gli
diede un piccolo colpetto con il piede sulla gamba per farlo tornare alla realtà facendogli
capire che doveva nascondere questo fastidio. Mesia si rese conto che questo pranzo non
poteva andare a favore suo, aveva capito che fosse troppo rischioso esporsi in questo
momento. Nel frattempo Paco era molto attratto dalla cugina, la quale ricambiava il
sentimento, tanto da sfiorarle il ginocchio che subito volle togliere ma, quando vide la
tranquillità della donna, la lasciò lì facendo finta di niente. Obdulia si meravigliò del fatto che
Paco si fosse dimenticato presto di lei e di quello che c'era stato il pomeriggio prima; lei fece
lo stesso avvicinandosi al canonico in modo provocante cercando di stordirlo con i suoi
profumi. De Pas rispondeva con distacco alla donna in quanto era irritato del suo
atteggiamento e del fatto che Joaquito Orgaz li stava fissando. Bermudez era molto giù di
morale in quanto guardava la vedova provarci con il canonico mentre egli ricordava il giro
fatto insieme in cattedrale. Si domandava che senso avesse amarle e provarci. Egli guardava
di tanto in tanto la presidentessa che aveva amato segretamente. Tutti erano in festa. Dopo
aver finito di pranzare la marchesa chiamò tutti gli ospiti invitandoli a seguirla per il caffè. Ana
camminava davanti alla marchesa e ad Alvaro mentre il canonico era rimasto indietro con
donna Petrolina. Tra questi due c'era una stima reciproca e la donna voleva convincere il
canonico ad accompagnarla al Vivero (Fermin si era ripromesso di non andare lì poiché non
era il suo posto, si sentiva di troppo e non doveva presenziare quelle scene estrose dei
giovani ospiti. L'eccessiva familiarità, le relazioni troppo confidenziali avrebbero rovinato il suo
prestigio). La marchesa cercò di convincerlo ma senza riuscirci; così, senza malizia (ironico
poiché faceva tutto con malizia), la marchesa chiese ad Ana di convincere il canonico ad
andare con loro al Vivero. Fermin arrossì leggermente perchè vide negli occhi e nelle parole
di Ana un sincero dispiacere ma non poteva accettare. Alvaro vide il momento in cui Ana
cercava di convincere il canonico e fu attraversato da una forte emozione: la gelosia; provava
odio per ciò perché si rese conto che era più interessato del previsto alla donna. Egli guardò
così negli occhi il canonico il quale ricambiò quello sguardo arrogante allo stesso modo. Ana,
che prima aveva confrontato i due uomini fisicamente, ora li analizza religiosamente: entrambi
erano belli ed interessanti come San Michele (il canonico) e il Diavolo (Alvaro Mesia). Ana era
contenta di avere questi due pretendenti poiché sapeva che entrambi la desideravano e
volevano conquistarla; ciò avrebbe rotto la monotonia della vita vetustense. Inoltre,
lapresidentessa era convinta che Alvaro non aveva doppi fini e che fosse realmente
interessato a lei. Mentre Ana rifletteva a ciò, si udirono delle urla: erano di Obdulia la quale si
stava dondolando sull'altalena insieme a Bermudez per poi bloccarsi in alto poiché la corda si
era impigliata. Presero un piccolo scaletto, molti non riuscirono a prenderla e a sbloccare
l'altalena ma, dopo le sollecitazioni di Ana, Alvaro che era molto alto, decise di aiutare
Obdulia. Non voleva farlo poiché sapeva che aiutare Obdulia non gli avrebbe portato a nulla
però, poiché glielo aveva detto Ana, aveva accettato. Fece scendere, con l'aiuto di Paco, a
Bermudez per poi mettere le mani sotto le gambe della vedova per cercare di sollevare
leggermente l'altalena e farla sbloccare. Ci provò due volte, ma niente. Dopo la terza volta si
arrese dicendo che non ce la faceva. Don Fermin così, essendo alto quanto Mesia, disse che
forse poteva farcela lui. Si avvicinò alla donna, mise le mani dove le aveva messe prima
Mesia, per poi sollevare la donna e riuscire subito a “salvarla”. Ci fu un applauso generale ed
Alvaro non credeva a tutto ciò provando una forte vergogna. L'abilità del canonico fu
apprezzata tantissimo da Ana la quale vide nel suo padre spirituale una fortezza. Una volta
preso il caffe gli invitati si recarono alle carrozze per recarsi al Vivero. In una carrozza
salirono la marchesa, Ana, Ripamilan, Petrolina nelle altre tutti gli altri ospiti. Il canonico era
salito su quella della marchesa, sedendosi tra Ana e Don Cayetano, a patto che lo avessero
lasciato all'Espolon. Durante il tragitto le donne cercarono di convincerlo e, anche se voleva
cedere alla tentazione ed accettare, sapeva che non sarebbe stata la scelta giusta. Una volta
arrivati il canonico scese dalla carrozza e la marchesa gli aveva dato un colpettino con il
ventaglio sulla mano facendogli intendere che la sua famiglia avrebbe avuto piacere ad
approfondire quella amicizia. Li salutò e dopo poco le carrozze ripartirono, Ana si girò e
continuò a salutare affettuosamente il canonico mentre questo continuò a seguire la carrozza
fin dove poté.
Seconda parte.
CAPITOLO 16
Ad ottobre a Vetusta il bel tempo muore portando avanti questa odiosa stagione fino ad aprile.
Molti si lamentavano per queste cupe e piovose giornate, altri invece ritenevano che fosse un
aspetto positivo poiché avrebbe reso fertili e coltivabili molte terre. Il primo Novembre, giorno
di Ognisanti, le campane suonano annunciando soprattutto l'arrivo di un inverno umido e
monotono. Quel giorno Ana era a casa sola poiché Victor era già al circolo per fare la sua
partita di scacchi; fissava la tazza di caffè e il mezzo sigaro che Quintanar aveva fumato
prima di andarsene. Guardò questi oggetti effimeri immaginando che fossero il simbolo
dell'universo; si soffermò su quest'ultimo oggetto pensando a come il marito non fosse
capace di fumare un sigaro per intero e di amare quindi interamente una donna. Lei si sentiva
come quel sigaro, qualcosa che non era servito a uno e che ormai non poteva servire ad un
altro. Le campane iniziarono a suonare ed Ana rabbrividì pensando che questi non erano
funebri lamenti. Per distrarsi iniziò a leggere un articolo sul giornale “El Labaro” incentrato
sulla brevità dell'esistenza e sulla purezza dei sentimenti cattolici della redazione. L'autore
dell'articolo affermò che non bisognava cercare la felicità in questo mondo poiché la terra non
era il luogo destinato alle anime; la cosa migliore era morire poiché, anche se si lamentava di
quanto fossero soli i morti, alla fine invidiava la loro buona sorte. Iniziò come al solito a fare
un lungo processo interiore dando la colpa di tutti i suoi mali a Vetusta, Frigilis, Don Victor e
alle zie. Si affacciò al balcone e in piazza passava tutto il vicinato per recarsi al cimitero e di
questi periodi ella odiava i vetustensi più che mai poiché rispettavano le tradizioni senza fede
o entusiasmo ma soltanto con meccanica ripetitività. [Il programma di Victor per farle
cambiare vita ebbe breve durata e Visita era meravigliata di ciò perchè era sicura che Alvaro
le piacesse: lei lo aiutava, Paco lo aiutava e inconsciamente anche Victor, però la moglie
dell'impiegato aveva capito che per il momento Mesia non avrebbe fatto nessun passo in
avanti. Pensò che c'entrasse qualcosa il canonico e così decise di spiare la cappella del
canonico e dopo poco venne a sapere che alle 7 del mattino avevano visto la Presidentessa
confessarsi con De Pas. Non pensava che la presidentessa fosse interessata a Fermin ma
temeva che questo, per andar contro ad Alvaro, avrebbe usato il suo talento per convertire
Ana in una bigotta. Voleva vedere l'amica cadere nella rete di Mesia. Le gite al Vivero si
erano moltiplicate ma Alvaro continuava a non fare passi in avanti poiché riteneva che non
fosse il momento giusto. Mesia era convinto che esistesse soltanto l'amore materiale e che
da là sarebbe arrivato tutto il resto ed affermò che il giorno in cui avesse osato sarebbe stato
non in una campagna poiché, in mezzo alla natura, Ana è completamente assente. Don
Alvaro non sapeva che Ana lo sognava tutte le notti ed ella si domandava il senso di resistere.
Durante tutte le confessioni con Fermin, Ana non aveva mai detto al canonico di sognare e di
desiderare Alvaro, ma gli disse sinceramente che non amava il marito e il motivo per il quale
non dormiva nella stessa camera del marito (per mancanza di iniziativa nello sposo e per
mancanza di amorein lei), riuscì a sapere solo questo ma De Pas non volle domandare altro
in merito alle gite al Vivero, anche se era molto curioso. La confessione di Ana, in merito al
fatto di alcuni sogni proibiti che essa faceva, suscitò interesse e curiosità in Fermin poiché si
domandò a chi potesse sognare la presidentessa. Arrossì nel pensare che potesse essere lui
ma subito dopo pensò che non sarebbe mai caduto nella tentazione e che non avrebbe mai
rovinato quella nascente amicizia. Si rese conto che lui attraverso la confessione salvava lei e
che lei inconsciamente salvava lui. Successivamente Ana vide sotto l'arco della Calle del Pan
don Alvaro Mesia su un cavallo bianco. Egli la salutò da lontano e, con il suo cavallo, arrivò
sotto il balcone della presidentessa. La sua figura maestosa, su quel cavallo bianco, riempì la
strada di vita e di allegria ed Ana avvertì un soffio di freschezza dell'anima. La presidentessa
non cercò di nascondere l'effetto che egli le produceva. Iniziarono a parlare ed Alvaro
abbassò la voce in modo tale da far sporgere leggermente Ana affinchè potesse ascoltare.
Ana iniziò a parlare molto facendo anche qualche lusinghe che, anche se erano rivolte
esplicitamente al cavallo, erano di fatto anche per lui. Don Alvaro rimase esterrefatto da ciò;
non si aspettava una reazione così. Parlarono di tantissime cose ed erano d'accordo su tutto:
scoprirono di avere gli stessi gusti. Ana non si pentì di nulla, si lasciò andare godendo di
quella “caduta”. Sentì che la sua aridità stava diminuendo e che le crisi stavano passando ma
era un qualcosa di nuovo quello che stava provando. I due si scambiarono sguardi intensi ed
Alvaro pensò al fatto di non poter salire a casa della donna a causa del cavallo: lei vedeva
che Alvaro stava bruciando di passione per lei e d'altro canto anche Mesia capiva e sentiva
quel che accadeva nel cuore della presidentessa. Successivamente Don Victor era tornato a
casa e fu felice di vedere la moglie chiacchierare con il suo amico Mesia. I due parlarono e
Quintanar chiese a Mesia se stasera fosse andato al teatro per vedere “Don Juan Tenorio”.
Egli rispose di sì e, poiché Victor gli aveva appena detto che Ana non aveva mai visto questa
rappresentazione teatrale, approfittò di ciò per insistere insieme al marito di farla venire a
teatro. Lei inizialmente si oppose ma, dopo poco, accettò. Ana si preparò, pettinandosi e
vestendosi quanto meglio poté, e si recò a teatro presso le 20:15: il suo arrivo non passò
inosservato. Tutti si voltarono per guardarla poiché poche volte la presidentessa si recava di
sera a teatro con il marito; ne fu quasi lusingata poiché, dopo l'incontro di quella mattina,
Alvaro le aveva cambiato l'umore. Si recò insieme a Victor al palco dei Vegallana dove erano
già seduti la marchesa Rufina, Edelmira e Paco Vegallana. Il suo arrivo aveva suscitato
l'interesse di molti in quanto da settimane si parlava di Ana e del suo cambio di confessore;
molti si chiedevano se Fermin sarebbe riuscito a conquistare la presidentessa e poi a sua
volta anche Don Victor. Ana era molto diversa grazie all'incontro con Alvaro. Pensò che non
avrebbe mai peccato con il suo corpo ma che comunque avrebbe pianto d'amore e sognato
chi e cosa le pare. Quando si era preparata prima di recarsi a Teatro, si guardò allo specchio
e si promise che non avrebbe mai permesso a quell'uomo (Mesia) di avere alcun diritto su di
lei. Ana si trovava sul palco dei Vegallana che si trovava di fronte alla “tasca” di Mesia e di
altri uomini elegantoni. Un'altra “tasca” era quella di Pepe Ronzai (antico rivale di Mesia)
molto meno distinta di quella del rivale. Nonostante la tasca di Trambuco confinasse con
quella dei marchesi di Vegallana, pochissime volte i membri osavano parlare con i marchesi;
quelli della tasca di Mesia, invece, salutavano sempre i Vegallana. Ciò suscitava una maggior
invidia nei confronti del nemico anche se egli aveva un rapporto discreto con la marchesa.
Ana si sedette e vide di fronte a sé, sulla tasca di fronte, don Alvaro ma successivamente
spostò lo sguardo sullo spettacolo prestando attenzione sull'attore Perales, che interpretava
Don Juan, e rimanendo affascinata dai suoi gesti e dalla sua figura; Victor, guardando la
moglie entusiasta di ciò che vedeva, si avvicinò a lei commentando l'opera che stavano
vedendo. Lei però non prestò tanta attenzione alle parole del marito poiché era concentrata a
seguire lo spettacolo. Finì il primo atto e, durante l'intervallo, Alvaro non si mosse dal suo
posto ma spostò il suo sguardo su quello della presidentessa che ricambiò due/tre volte il suo
sguardo. Nella tasca contigua Pepe Ronzai osservava i due giovani in particolare la figura del
suo rivale. Alvaro capì che in questo momento aveva un secondo rivale: il dramma. Ana era
ammirata dai gesti e dai comportamenti di Don Juan e si sentiva trasportata nella sua epoca:
da quel momento, notando una certa somiglianza tra Don Juan e Mesia, Ana vestì il suo
adoratore con i vestiti dell'attore e attribuendo a quest'ultimo le movenze e le sembianze di
Mesia. Il terzo atto fu per Ana una rivelazione di poesia appassionata. Nel vedere Ines nella
su cella, la presidentessa rabbrividì poiché l'assomigliava. Anche il pubblicò notò che la
giovane attrice era molto simile ad Ana. Si rivide in Inès e ciò produceva in lei forti emozioni
che non riusciva a contenere. Pensò che quello fosse il vero amore, una follia mistica; era
impossibile fuggire da ciò . Notò che il suo palazzo era un convento e che don Juan fosse
Mesia che appariva per miracolo e che riempiva l'aria della sua presenza. Tra il terzo e quarto
atto, Alvaro si recò verso la tasca dei Vegallana; vide la presidentessa e la salutò
cordialmente. Iniziò il secondo atto e, poiché Victor era ancora intento a parlare nell'altra
tasca con Don Frutos Redondo dell'opera rappresentata, Anainvitò Mesia a rimanere seduto
accanto a lei. Dopo l'invito della presidentessa, egli si sedette e pensò che non fosse ancora
il momento giusto per toccare “involontariamente” il piede della donna o il suo ginocchio. Ana,
prima dell'inizio dell'atto successivo, fu molto eloquente e ciò sorprese molto Alvaro che non
si aspettava un entusiasmo del genere. Quando cominciò il quarto atto, Ana smise di parlare
e invitò Alvaro al silenzio. Don Alvaro sorrise e guardò la presidentessa che gli faceva
intravedere il collo vigoroso e morbido. Voleva avvicinarsi un po' ma cercò di mantenersi con
tutte le sue forze nel sfiorarle il piede o il ginocchio. Ana, che prima si era rivista nella figura di
Ines, in questo atto non riusciva a comparare nessun elemento della rappresentazione alla
sua vita. Si domandava se si sarebbe mai buttata tra le braccia di “Don Juan” proprio come
Ines, ma al tempo stesso riteneva che aveva molta più forza. Quando Ana udì i versi di Ines
non riuscì a trattenere le lacrime poiché sembravano rappresentare un amore innocente, puro.
Nessuno notò le lacrime della donna tranne Don Alvaro che notò il seno muoversi
maggiormente: pensava che ciò fosse causato dalla sua presenza. Ma Ana non pensava a lui
in quel momento. Lo scontro tra Don Juan e il commendatore fecero tornare Ana alla realtà
poiché vide in quella scena una paura superstiziosa: il colpo di pistola, sparato da Don Juan
con cui saldava i conti con il commendatore, la fece sussultare ed ebbe un brutto
presentimento. Ana vide in quella scena, come un fulmine, Don Victor steso e coperto di
sangue, con Don Alvaro che manteneva la pistola davanti al cadavere. Una volta terminato il
quarto atto, la marchesa si alzò affermando che da quel momento in poi l'opera perdeva di
bellezza e voleva tornare a casa; Ana decise di seguirla poiché voleva avere un bel ricordo di
quella tragedia. Don Victor decise di rimanere e così chiese gentilmente alla marchesa di
accompagnare sua moglie a casa e lui in cambio avrebbe accompagnato Edelmira, sua
nipote. Mesia accompagnò le due signore alla carrozza e le salutò per poi tornare in teatro ed
iniziando a chiacchierare con Victor: Quintanar iniziò a parlare dell'onore e gli disse che lui è
un uomo molto pacifico ma, se gli toccano l'onore, diventa intrattabile. Iniziò a ipotizzare che,
se la moglie lo avesse mai tradito, sicuramente le avrebbe aperto le vene mentre all'amante
lo avrebbe ucciso con un arma bianca e non con una pistola. Mesia si spaventò leggermente
di tutto ciò. Tutti tornarono a casa e Alvaro mentre cercava di dormire iniziò ad immaginare
scene d'amore con Ana protagonista per poi intravedere anche la figura di Victor. Ana quella
sera dormì profondamente e non ricordava di aver sognato Alvaro ; si svegliò verso le 10 del
mattino molto più tardi del solito e così chiese a Petra il motivo per il quale non l'avesse
svegliata prima. La domestica le disse che aveva avuto una brutta nottata e che avendo
urlato e fatto alcuni nomi durante il sonno pensava che dovesse riposare ancora un po'. Ana
si preoccupò, chiese chi avesse chiamato e lei le rispose “Victor, signora”. Capì subito che la
domestica stesse mentendo poiché lei chiamava quasi sempre il marito “Quintanar”.
Successivamente Petra diede alla presidentessa una lettera da parte di Fermin De Pas, la
lesse e subito notò che non aveva scritto “cappellano” e pensò che per tutta la serata non
aveva mai pensato al suo confessore e che si fosse dimenticata della confessione di quella
mattina; però non poteva anticiparla quel pomeriggio stesso, non era pronta e così scrisse
una lettera, in cui diceva di non star bene, che diede a Petra dandole l'incarico di portarla al
canonico. Nel frattempo Ana si sentiva insoddisfatta di sé e pentiva per aver messo in
pericolo in suo onore; inoltre, oltre a non averlo pensato per tutto il giorno, lo stava
ingannando dicendogli di essere malata per evitare di vederlo.
CAPITOLO 25
Il capitolo si apre con Glocester che, il mattino seguente alla festa, racconta di quanto
accaduto al gala del circolo: la presidentessa era svenuta tra le braccia di Mesìa. Vicino a
Glocester c'era Don Fermin il quale, per la prima volta, era rimasto ferito da quello che gli
aveva detto il nemico che, al tempo stesso, era soddisfatto per l'effetto che la notizia aveva
suscitato in lui. Fermin si sentì tradito e pensò alla madre che essendo sangue del suo
sangue, non lo aveva mai tradito a differenza di Ana. Era intenzionato ad andare a casa della
presidentessa ma, rendendosi conto che fosse troppo presto e ricordandosi di sua madre,
decise di correre a casa sua. Arrivò ed entrando vide donna Paula intenta a spazzare la sala:
Fermin voleva dirgli tutto ma si rese conto che non potè farlo, si recò nel suo studio e,
sentendosi soffocare, decise di uscire proprio di casa recandosi a casa di donna Petrolina. Il
Gran Costantino non era ancora a casa, sarebbe arrivata a momenti, così Fermìn aspettò nel
salone dove si incontrava con Ana: si sedette sulla parte del divano dove si sedeva sempre
lei ed iniziò a pensare a ciò che lui provava per la presidentessa. Per la prima volta, Fermin
diede un nome al sentimento che provava per quella donna: era amore. Si lamentò di come il
suo lavoro potesse essere un problema per conquistare la donna: delle catene che gli
impedivano di essere libero. Fermin pensò inoltre alla confessione che Ana aveva fatto prima
di andare alla festa mostrandogli il corpetto che avrebbe indossato quella sera... quello che
avrebbe usato per disonorarlo; affermò che lui era suo marito spirituale.Poco dopo rientrò a
casa donna Petrolina e così, senza avere neanche il tempo di salutarla, Fermin le disse che
doveva assolutamente chiamare Ana. La chiamò e poco dopo arrivò senza sapere il motivo
della chiamata: si recò in salone e donna Petrolina li lasciò soli. Il canonico si girò verso di lei,
la salutò con un sorriso amaro sulle labbra e notò che Ana era più bella del solito. Fermin
disse che sapeva tutto quello che era successo la scorsa sera e voleva delle spiegazioni da
lei: Ana, non si aspettava questa reazione del canonico e gli disse che lei si eera ubriacata e
che con la musica e con il mal di testa era svenuta. Ana, iniziando a singhiozzare, raccontò
tutto quello che poté dire al canonico e gli disse che voleva tornare a quell'estate in cui erano
tranquilli, spensierati e soli. Concluse dicendogli che voleva confessarsi ovunque lui volesse.
Fermin disse che voleva confessarla ora in quel momento e che in quanto suo confessore
doveva sapere tutto. Le chiese di quell'uomo, di Mesia e di cosa fosse successo con lui; Ana
disse che sì, era svenuta, ma ciò era successo per colpa dell'alcool. Disse subito che non lo
amava, fu costretta a nascondere ciò perché credeva di essere spinta da una forza mistica e,
inoltre, avrebbe preferito rivelare i suoi sentimenti per Alvaro a Victor anziché a Fermin
( capovolge i ruoli, riconosce Fermin in suo marito poiché teme di dire a lui i sentimenti per
Alvaro e non di dirlo al suo vero marito Victor). Quando Fermin ebbe conferma che la donna
era svenuta tra le braccia del suo rivale in amore, la chiamò “Infame!”.Fermin, accecato dalla
gelosia, dice alla donna che è stato messo di nuovo in ridicolo da lei e che ora tutta Vetusta
parlerà di ciò e i suoi nemici avranno nuovi argomenti per deriderlo. Recuperò il senno e
subito dopo aver preso tutta la sua roba, senza girarsi, se ne andò sperando che la
presidentessa lo seguisse per fermarlo. Ana non ebbe il coraggio di seguirlo poiché in quel
momento capì una cosa che non avrebbe mai immaginato: Fermin era innamorato di lei. Si
sentì ferita per ciò, le aveva mentito: era suo fratello maggiore, il fratello spirituale e
soprattutto era un prete; ciò era una cosa orribile. Dopo un po' Victor la vide, si sorrisero e la
donna elogiò il suo lavoro facendo esplodere di gioia il marito il quale le fu grato per ciò. Poco
dopo Victor chiese alla moglie se quel pomeriggio voleva andare con lui a casa della
marchesa Rufina per prendere un caffè e fare dopo una passeggiata. Ana gli disse di no e
così il marito, senza insistere, andò da solo nel pomeriggio a casa dei Vegallana. Ana rimase
sola ed iniziò a pensare sia ad Alvaro che a Fermin e di quest'ultimo pensò se non era tutto
un piano però non sapeva per ottenere cosa. Elogiò Alvaro il quale non aveva mai
approfittato di lei e dell'amicizia con suo marito, era stato un vero signore. Sapeva di dover
essere grata al canonico ma pensare a lui innamorato di lei le venivano i brividi e questo stato
d'animo durò per qualche giorno. Ana si convinse che doveva stare lontana dai due uomini
che l'amavano e che l'unico rifugio poteva essere proprio il focolare domestico. Per questo
motivo, decise di iniziare a fare alcune pulizie domestiche, progetto che però durò molto poco.
Arrivò il periodo pasquale e Don Alvaro si stava preparando per compiere un altro attacco ma
prima voleva riprendersi bene poiché in estate la donna di Palomares lo aveva stancato
moltissimo nella sfera erotica. Questo perché, secondo lui, più una donna è lontana dal vizio
e più questa si mostrava focosa quando accadeva; quindi, secondo questo ragionamento,
Ana doveva essere focosissima. Con la primavera avviata, Alvaro mangiava sano, si
svegliava di buon ora e faceva lunghe passeggiate. Durante questa stagione, a Vetusta,
facevano bellissime giornate di sole ma anche lunghe giornate di pioggia: quando faceva
quelle belle giornate, Alvaro ne approfittava per fare delle belle passeggiate e, un giorno,
mentre stava per passeggiando lungo il Paseo Grande, vide da lontano un prete: era don
Fermin. Aveva paura di incontralo poiché pensava che, essendo stato rifiutato da Ana, nel
vederlo avrebbe potuto sfogare la sua ira. D'altra parte Fermin pensò a cosa sarebbe
successo se lo avesse buttato a terra calpestandogli il corpo e la testa: dopo poco si
incontrarono e si salutarono in modo molto distaccato ed arrogante. Da quel momento
decisero di passeggiare in strade diverse. Arrivò il cattivo tempo e così Ana fu costretta a
rimanere chiusa in casa ma, il cattivo tempo, riaccese in lei tanti pensieri: si sentì sempre più
sola e pensò che forse era stata troppo ingiusta con Fermin. Volle avere il prima possibile un
confronto con lui ma, prima di ciò, decise di fortificare da sola il suo spirito. Pensò che l'unico
modo per tenerli a bada fosse quello di recarsi in chiesa e così girò di chiesa in chiesa
quando non vi era la messa o la lettura dei sermoni. La chiesa senza culto attivo sembra per
Ana un teatro di giorno e così decise di recarsi in chiesa soltanto durante i culti. Andò ad
ascoltare la novena della Vergine dei Sette Dolori che quell'anno ebbe un'importanza
eccezionale. Ana ascoltò tutto il sermone e in quel momento pensò che avrebbe seguito
l'esempio della Vergine santa che affermava che la religione eterna fosse stare sempre con
chi è triste. Si pentì di aver lasciato solo e triste Fermin: Vetusta lo disprezzava, lo derideva,
lo trattava male e lei stava facendo lo stesso. Iniziò a mettere in dubbio tutto: pensò che forse
aveva capito male, che Fermin non fosse innamorato di lei e che la sua fantasia e la sua
vanità gli avevano fatto credere tutto ciò. Poiché lei era innamorata di Alvaro, non era detto
che lui dovesse essere innamorato di lei. Nella chiesa, la musica di Rossini, scatenò la
fantasia di Ana la quale affermò che, come Maria era ai piedi della Croce, lei doveva stareai
piedi di Fermin.. Rifletté sul fatto che si può piangere ai piedi di qualsiasi croce senza pensare
a chi sia quello che vi sta appeso, soprattutto se quella persona è un martire.
CAPITOLO 26
Il capitolo si apre con la figura di Don Pompeyo Guimaran il quale, dopo la morte dell'amico
Don Santos Barinagaga, era sempre triste e soprattutto rifletté sul valore dell'amicizia, un
bene perduto: affermò che Paco Vegallana, Alvaro Mesia, Joaquito Orgaz e Foja, che si
ritenevano tanto suoi amici, si erano fatti beffe di lui. Guimaran interruppe bruscamente i
rapporti con questi e non mise più piede nel circolo poiché si sparse la voce che lui, pur
essendo ateo e senza credere a nessuna religione, si era presentato alla messa insieme ai
suoi amici tutto ubriaco. Don Pompeyo usciva sempre da solo e al tramonto, stava sempre
ammalato e un giorno, uscito dalla cattedrale, si recò velocemente a casa chiedendo alla
moglie di preparargli una tisana la quale successivamente, insieme alle sue 4 figlie, misero
l'uomo nel letto coprendolo con tutte le coperte che avevano per dargli calore. Il mattino
seguente Guimaran si svegliò in condizioni pessime e così la famiglia chiamò Somoza il
quale, dopo averlo visitato, avvisò la famiglia che era giunto il momento di “preparare il
malato a morire bene”. La famiglia rimase sotto shock e la figlia più coraggiosa, Agapita, andò
dal padre per cercare di fargli capire che purtroppo non stava molto bene e che necessitava
di farsi confessare per non fare la fine di Barinaga; il padre disse che già lo aveva pensato e,
nonostante fosse ateo, voleva ricevere i sacramenti, ma non da uno qualsiasi, solo ed
esclusivamente da Don Fermin De Pas. Dopo mezz'ora da ciò si sparse per tutta Vetusta la
notizia che l'ateo Guimaran si sarebbe confessato con il canonico. Nel frattempo Don Fermin
era a casa nel letto a causa di una forte nevralgia e la madre, donna Paula, aveva vietato
ogni singolo rumore. Teresina però, dopo aver ricevuto la notizia dalla domestica dei
Guimaran, ritenne che quello fosse un valido motivo per interrompere i signori: riferì tutto a lui
e alla madre i quali rimasero sorpresi da ciò e Fermin, nonostante stesse ancora male,
ritenne che quello fosse un ottimo modo per portare l'opinione pubblica di nuovo a suo favore.
Mentre si stava preparando, Teresina rientrò dando una lettera al signorino senza dire di chi
fosse: donna Paula non seppe riconoscere la calligrafia mentre Fermin sì, era di Ana. Fece
finta di niente e, con la scusa che dovevano andare di fretta dal signor Guimaran, Fermin
nascose la lettera in una tasca posteriore e si recò nella carrozza. Entrò e, mentre si stava
dirigendo da solo a casa dell'ateo, Fermin decise di leggere la lettera della sua Ana la quale
le aveva scritto che era dispiaciuta per il suo comportamento, per averlo lasciato solo come
hanno fatto tutti gli altri, e ha voglia di incontrarlo: è disposta ad andare anche a casa sua se
è realmente malato, ha bisogno di vederlo. Dopo aver letto la lettera, Fermin ordinò al
cocchiere di cambiare meta e di recarsi a casa di Ana Ozores: arrivò, Victor non c'era, ed io
due parlarono per circa un'ora e mezza (Ana voleva chiedergli perdono. Così per farsi
perdonare propose di camminare durante la messa del Venerdì santo come una nazarena e
a piedi nudi per dimostrargli la sua devozione e la sua voglia di ricevere il suo perdono. Dopo
aver detto di no, Fermin le disse di sì e, dopo questa chiacchierata il canonico si recò a casa
di Guimaran verso le 21:00 il quale lo stava aspettando da moltissimo tempo e, nonostante la
famiglia gli avesse proposto di ricevere i sacramenti da qualcun altro visto che il canonico
tardava ad arrivare, Don Pompeyo disse che voleva solo e unicamente lui. Quando arrivò, la
famiglia lo portò subito dal malato ateo al quale strinse con grinta la mano mentre la sua
mente pensava alla riconciliazione della donna. I due signori restarono soli. In un solo giorno
ebbe un'enorme felicità: Ana era diventata nuovamente sua e con la confessione dell'ateo
avrebbe sicuramente ripreso tutta l'autorità che si stava man mano allontanando. Fermin
disse all'ateo che per ottenere il perdono di Dio, avrebbe dovuto fare una conversione
solenne: il signore disse che era disposto di far tutto quello che lui ritiene opportuno e di
ricevere il perdono da lui in quanto in quei mesi lo aveva calunniato moltissimo affermando
che aveva fatto ciò perchè, in caso contrario, Barinaga non sarebbe mai stato suo amico.
Durante la Domenica delle Palme si respirava soltanto la religione e tutti parlavano del gran
vicario in modo più che positivo e ciò faceva andare su tutte le furie i suoi nemici: Mesia disse
agli altri membri del circolo che ora non dovevano fare niente, bisognava aspettare il
momento giusto; affermò che tutti ora parlavano bene di lui ma, non appena fosse passato
qualche giorno/settimana, tutti si sarebbero dimenticato di ciò riprendendo quella ostilità nei
suoi confronti. Somoza, dopo aver rivisitato Guimaran, ritenne che non sarebbe guarito e che
quasi sicuramente sarebbe morto Mercoledì Santo, e così fu. Il funerale di Guimaran fu molto
solenne e la famiglia fu presieduta dal canonico che, nonostante non fosse della famiglia,
aveva tolto dagli artigli del demonio quell'uomo. Tutti i nemici erano furiosi per questo
successo del canonico ma Foja disse a loro che per il momento non si può far altro che
chinare la testa ed aspettare che finisca il temporale. Il giorno seguente, Giovedì Santo, arrivò
a casa dei Vegallana la notizia che il giorno dopo Ana avrebbe partecipato alla processione
come una nazarena esoprattutto a piedi nudi: Obdulia e Visita non riuscivano a crederci e
soprattutto la vedova moriva di gelosia perché sapeva che l'attenzione sarebbe stata solo su
quella donna. Donna Rufina, la marchesa, pensò che questa non fosse un atto di pietà ma
soltanto una pazzia; poco dopo entrò il marchese con Don Victor il quale non nascose la sua
tristezza per l'atteggiamento di Ana: disse che sua moglie era diventata pazza e che
probabilmente aveva preso questa decisione poiché aveva visto Don Belisario Zumarri
compiere lo stesso gesto. Era arrivato il Venerdì Santo ed Ana si affacciò fuori al balcone: in
quel momento sperava con tutta se stessa che venisse a piovere poiché iniziava a rendersi
conto della pazzia. Pensò inoltre a suo marito e di come questo atto sarebbe stato una
vergogna per lui e soprattutto un colpo al cuore. Ana cercava il fuoco dell'entusiasmo, la
frenesia di quella religiosità che aveva avuto la settimana scorsa; ma nulla, neanche la fede
riusciva a sostenerla poiché fu dominata completamente dalla paura dello sguardo di Vetusta
e della sua malizia spudorata. La processione inizò e tutte le strade erano strapiene di
persone che non facevano altro che aspettare la presidentessa; dai balconi del circolo vi
erano tutti i nemici del canonico e tutti i membri, tra questi Mesia che si trovava sull'ultimo
balcone insieme a Victor il quale però non si faceva vedere; di fronte al balcone del circolo,
fuori ai balconi del Tribunale Reale vi erano Visita, Obdulia e i marchesi di Vegallana, Ana
fece questa processione come nazarena con accanto Don Belisario, un professore di scuola
elementare, che durante queste festività indossava sulle spalle una croce di cartapesta e una
corona di spine vera; questo non fu infastidito della presenza della presidentessa anzi ne fu
quasi onorato tanto da starle al suo fianco dopo averla salutata cordialmente. Mentre
camminava tra le varie strade di Vetusta, Ana camminava cercando di nascondere i piedi
sotto la gonna del vestito poiché secondo lei mostrarli significava far vedere la sua nudità: a
volte si vedevano e tutti pensavano che fosse una delle cose più belle mai viste. Nessuno, in
quel momento, pensava alla morte di Cristo ma soltanto alla presidentessa. Mentre la
processione stava per passare nella via del circolo, Visita guardava Alvaro per capire a cosa
stesse pensando: Mesia nel frattempo stava parlando con Victor, senza farsi vedere; l'amico
gli stava dicendo che, se avesse avuto una bomba, l'avrebbe lanciata addosso al canonico.
Mesia gli disse che doveva cercare di mantenere la calma e di pensare che Ana sicuramente
si starà pentendo di quanto fatto. Alvaro pensò che, se Ana aveva fatto questa pazzia per il
canonico, sicuramente ne avrebbe fatte di peggiori per lui. Mentre Ana sentiva un calore
doloroso sotto i piedi, Fermin camminava al suo fianco stando però accanto a tutti gli altri
uomini religiosi: in quel momento si sentì il padrone di tutto. Nel frattempo, mentre
camminava al suo fianco, pensò a come sarebbe stato da lì in poi il suo rapporto con la
presidentessa. Finalmente la processione passò nella strada del circolo e tutte le persone lì
presenti non faceva altro che guardare la presidentessa: per tutti fu bellissima ed Obdulia nel
vedere la reazione di tutti morì di gelosia poiché si rese conto che lei non aveva mai attirato
l'attenzione di tutta la città. Ana camminava a testa bassa mentre Fermin alzò la testa verso il
balcone del circolo guardando con arroganza e sarcasmo Mesia il quale ricambiò lo sguardo
facendogli intendere che non gliel'aveva data vinta anzi, che era ancora tutto aperto. Don
Victor, senza farsi vedere dagli altri, si affacciò e nel vedere sua moglie in quel modo si sentì
morire: quella musica in sottofondo gli faceva immaginare che fosse il corteo funebre della
moglie. Poco dopo Mesia si girò verso l'amico al quale strinse la mano per dargli forza e
Victor, più triste che mai, gli disse che avrebbe preferito vedere la moglie con un'amante
piuttosto che vederlo così. Mesia gli disse di farsi forza e che c'era lui per aiutarlo poiché, alla
fine, a questo servono gli amici.
CAPITOLO 27
Il capitolo si apre con Ana Ozores e Victor Quintanar i quali sono di ottimo umore e,
aspettando che da lontano la cattedrale suonasse le dieci di sera, la donna invitò il marito a
fare una passeggiata nel vialetto dei peri. I due iniziarono a camminare e pensarono a come
fossero passati velocemente i giorni e soprattutto i mesi: era l'ultimo giorno di maggio, il
giorno dopo sarebbe iniziato Giugno. I due erano di ottimo umore e Victor propose alla moglie
di andare il giorno dopo a pescare al fiume Soto, molto vicino a loro, poiché lì potevano
trovare ottime trote. Ana contenta accettò subito la proposta del marito che volle subito
organizzare l'uscita del giorno dopo. Non appena la cattedrale suonò le dieci, la coppia tornò
in casa per poter mangiare ed Ana, lasciò il braccio di Victor per poter correre verso casa: da
lontano il marito rideva e sorrideva nel vederla così, tanto da pensare tra sé e sé' “Benitez me
l'ha salvata”. Cenarono sorridenti parlando e scherzando; la casa era allegra persino di notte.
Subito dopo la cena Petra servì loro il tè e poco dopo Victor si alzò per avvisare Anselmo che,
andando il giorno dopo a Vetusta, avrebbe dato a Crespo il messaggio secondo il quale
doveva dargli tutto l'occorrente per andare a pesca. Nel frattempo Petra, mentre stava
togliendo gli ultimi piatti presenti a tavola, chiese ad Ana se per caso dovesse consegnare
qualche lettera visto che anche lei il giorno seguente sarebbe ritornata a Vetusta: Ana le
disse che al mattino le avrebbe fatto trovare due lettere sul tavolino del soggiorno. Un'ora
dopo don Victor si era addormentato nella camera e, in quella contigua, Ana stava scrivendo
queste due lettere. La prima lettera era per il dottor Benitez, sostituto di Somoza, dove gli dice
che sta bene, è molto più serena e che sta rispettando tutto ciò che le ha detto: sicuramente
può essere fiero di lei e dei passi in avanti che sta facendo. Afferma che continua a scrivere il
suo diario poco alla volta per non esagerare e conclude la lettera con un invito nel vederla più
presto possibile. Dopo aver firmato e chiuso la lettera iniziò a scrivere la seconda, quella
indirizzata a don Fermin: in questa lettera Ana scrive ciò che il medico le permette o no di fare,
che sta molto meglio e che sicuramente la situazione tornerà molto presto come prima tranne
per quanto riguarda le visite a casa di Donna Petrolina che vuole evitare di compiere. Dopo
aver corretto alcune parole, chiuse la lettera ed andò a dormire sul letto bianco posto accanto
a quello di Victor. Il marito si alzava molto prima di lei e alle 8 entrambi andavano a fare
colazione: si godevano la natura, la salute e il relativo lusso. Dopo la colazione don Victor si
recò al fiume Soto per poter preparare tutto il necessario per pescare. Ana, rimasta sola, si
recò nel suo salottino avvicinandosi poi allo scrittoio, prese il suo diario e, come sempre,
prima di iniziare a scrivere iniziò a leggere alcune pagine. Lesse la primissima pagina del
diario dove Ana scrisse che poteva essere finalmente sé stessa, può ridere, piangere,
cantare e che quindi la salute l'aveva resa più indipendente. Era il primo maggio ed Ana in
questa pagina di diario scrive che era brutto tempo e che, se prima viveva ciò con grande
sofferenza e disgrazia, ora addirittura quasi le piaceva la pioggia; paragonò la sua relazione
con Victor con l'amore tra i colombi: scrisse che ci sono coppie che si uniscono per dovere o
per abitudine ma che si annoiano tantissimo e dove il maschio prova un rimorso improvviso
che lo porta ad avere un'improvvisa passione baciando poi la sua femmina. Lei sorpresa
risponde con carezze per poi entrambi tornare alla loro apatia, tranquilli, senza rancori o
inganno. Proseguendo la lettura delle prime pagine di diario lesse che era ancora un giorno di
pioggia e che Victor e Don Tomas Crespo erano andati, nonostante il cattivo tempo, in una
tenda del campo per poter controllare un esperimento di chimica ideato proprio da Frigilis.
Iniziò poi a parlare di quei famosi tre giorni, quei giorni in cui ci fu la processione dove
camminò a piedi scalzi come una nazarena e che poi l'avevano ridotta a non camminare per
un paio di giorni restando ferma sul letto. Poco dopo però il dolore fisico passò anche alla
testa poiché ebbe la febbre e Benitez che l'aveva visitata parlava poco ma la scrutò
benissimo. Ana iniziò a sfogliare le pagine del diario e vide che aveva scritto tutto ciò che era
successo nei giorni successivi alla confessione: si vergognava tantissimo ed era convinta che
tutte le persone per strada fossero pronte a deriderla, non riuscì a consolarsi con la religione
la quale pian piano iniziò a sgretolarsi dentro di lei. Per quanto riguarda il canonico Ana non
aveva più pena di lui e ritenne che egli stava abusando un po' troppo del suo potere; inoltre
ancora non aveva capito se il canonico l'avesse ingannata o meno, però cercava di scrutare
ogni suo minimo movimento per poterlo capire. Nonostante tutto ciò Ana continuò a
confessarsi con Fermin anche perchè temeva che, una probabile rottura con quest'ultimo,
l'avrebbe portata a compiere un'altra pazzia come quella del famoso Venerdì Santo. Nelle
pagine successive del diario si arrivò alla parte in cui Benitez consigliò alla presidentessa di
cambiare stile di vita: il medico disse alla coppia Quintanar che, per poter stare meglio, Ana,
oltre a mangiar bene e stare all'aria aperta, doveva andare in campagna. Victor così un
giorno, parlando a casa dei Vegallana dove erano presenti anche Paco e Alvaro, raccontò
loro cosa avesse detto il medico con il problema però che lui non sapeva dove andare in
campagna perchè secondo il medico l'abitazione doveva stare vicino ad un fiume, con tanto
spazio, aree verdi e deve trovarsi abbastanza vicino a Vetusta in modo tale che Benitez non
avesse avuto problemi per andare a visitare la donna o a trasportarla in città se necessario.
Mentre Alvaro stava ascoltando le parole dell'ex presidente, disse a bassa voce nell'orecchio
di Paco che forse l'abitazione del Vivero poteva essere perfetta; Paco a sua volta lo disse a
padre il quale, entusiasta dalla proposta del figlio, disse che l'abitazione del Vivero sarebbe
stata a loro disposizione. Inizialmente Victor disse che non poteva accettare ma, a seguito
dell'insistenza dei marchesi, fu costretto ad accettare. Non appena venne a sapere ciò, Ana
pensò ai vari pericoli che potevano essere correlati a ciò ma, subito dopo, decise di non
pensarci più e di godersi questi mesi al Vivero. Nelle pagine di diario successive, Ana lesse
quelle dedicate alla prima impressione che gli fece l'abitazione del Vivero: furono
accompagnati da Paco e da Rufina che, dopo aver cenato con loro, tornarono a casa a
Vetusta. Ana guardò tutta la struttura come se fosse la prima volta scrutando ogni dettaglio:
era stupenda e tutto lì trasmetteva pace e tranquillità. Il tempo al Vivero in primavera è
meraviglioso, si sveglia sempre di buon umore, si gode quegli attimi di tranquillità poiché tutto
è immerso in un silenzio. Il rapporto con Victor migliorò tantissimo: ridevano e scherzavano
insieme, passavano molto tempo insieme, era molto più affettuoso con lei e molto spesso
evitava di fare i suoi esperimenti per stare di più con lei. In queste pagine descrisse anche il
momento in cui portò in questa casa alcuni libri di suo padre e dell'effetto che gli fece rivederli:
in questi trovò alcuni suoi disegni fatti da bambina e il disegno di un bambino che
sicuramentedoveva essere German. Mentre stava sfogliando le altre pagine, Victor arrivò da
lei per dirle che aveva preparato tutto per pescare; i due si diressero così al fiume Soto
iniziando così a pescare anche se non presero chissà che ma, si divertirono tantissimo.
Passarono i giorni ed i mesi fino ad arrivare a Giugno dove Ana e Victor passavano molto
tempo all'aria aperta e la donna, insieme a Petra e ad Anselmo, andava a raccogliere le
ciliegie. Un giorno Ana vide i domestici raccogliere le ciliege e metterle in una cesta, e così
domandò per chi fossero: Petra le rispose che quelle erano per don Alvaro. Ana sentì dentro
di sé un brivido e, quando si trovò completamente sola, diede un bacio alla cesta e prese una
ciliegia dandole un piccolo morso per poi rimetterla tra le altre. Si meravigliò di ciò che aveva
fatto ma non se ne pentì minimamente. Nel frattempo, a Vetusta, si stava organizzando una
festa al Vivero e i Vegallana mandarono un invito a Fermin il quale sapendo che sicuramente
ci sarebbe stata Ana decise di accettare rimanendo però male del fatto che il marchese non
gli avesse proposto di andare al Vivero insieme a loro nella loro carrozza. Decise di non
badare a ciò e chiamò una carrozza, una volta arrivata salì e si diresse al Vivero. Dopo un po',
quando il viaggio sembrò interminabile, sentì dei rumori dietro la carrozza: erano Alvaro e
Paco a cavallo. I ragazzi non lo videro in quanto entusiasti di quella bella giornata e presi ad
andare a cavallo. Quando Fermin arrivò al Vivero c'erano solo i domestici in quanto i
marchesi e i Quintanar erano andati alla chiesa di San Pedro e tutti gli ospiti dovevano ancora
arrivare. Petra preparò un aperitivo per il canonico il quale la ringraziò calorosamente; dopo
poco fece alcune domande alla domestica per sapere qualcosa in più e venne a sapere che
Alvaro e Paco erano andati in chiesa per raggiungere gli altri. Fermin chiese se la chiesa
fosse molto lontana, Petra rispose di no ma, poiché vi erano 3 sentieri, c'era il rischio di
perdersi e quindi di propose di accompagnarlo. I due iniziarono così ad avviarsi verso la
strada ma sentirono in lontananza dei rumori: stavano tornando a casa. Petra disse allora di
tornare indietro perchè altrimenti non sarebbero mai arrivati prima, Fermin acconsentì a ciò
ma, dicendo di essere stanco, si sedette per un po': Fermin guardò la donna e, oltre a pensar
che fosse molto bella, pensò che doveva tenersela molto stretta, doveva farla sua. Fermin
dopo poco le disse che doveva parlare con lei e chiederle delle cose, la domestica gli rispose
che non c'erano problemi però, per evitare di essere interrotti o ascoltati da qualcuno, gli
propose di andare in una capanna di un falegname. De Pas accettò e, una volta entrati nella
capanna, parlarono (forte ironia perchè i due non parlano ma fanno altro). Una volta tornati
alla villa trovarono già tutti gli invitati e i proprietari lì: Ana non lo vide subito poiché stava
giocando con tutti gli altri. Una volta finito il gioco, Ana vide il canonico e lo salutò
cordialmente senza preoccuparsi del fatto che l'avesse vista in quel modo. Poco dopo
andarono a mangiare e Fermin fu costretto ad andare con il marchese di Vegallana nel
vecchio palazzotto insieme ad altri uomini religiosi. Dopo aver terminato la cena Fermin, con
una scusa, tornò alla villa con tutti gli altri senza trovare Ana. Victor stava parlando con Don
Cayetano e, senza badare al fatto che probabilmente il canonico potesse ascoltarli, gli disse
che era grato a Benitez poiché grazie a lui la moglie stava meglio e che, secondo il medico, la
donna non era malata ma semplicemente ma era stata soggiogata da qualcuno. Poco dopo si
sentirono in lontananza dei fulmini tutti rabbrividirono; iniziò a piovere a dirotto e il pensiero
andò su tutti i ragazzi che erano fuori a “giocare”. Don Fermin prese due ombrelli e decise di
darne uno a Victor: gli disse che dovevano assolutamente andarli a cercare e falli tornare lì
per metterli al riparo. Don Victor, che nel frattempo era molto spaventato per i lampi che si
producevano, disse che non era il caso poiché sicuramente stavano al riparo nella capanna
del falegname. Fermin insistette e così i due lasciarono villa per andare incontro ai ragazzi.
Tutti i presenti alla villa notarono l'atteggiamento di Fermin che era un po' troppo eccessivo.
CAPITOLO 28
La marchesa Rufina chiede ai signori dove stessero andando ma nessuna risposta e,
nonostante i gesti e le urla, Don Vicotr Quintanar e Don Fermin De Pas non sentirono nulla e
continuarono a camminare nel bosco per cercare Ana. Fermin ha un comportamento
eccessivo, accecato dalla gelosia, tanto da non riflettere su quello che fa: questo
atteggiamento non passa inosservato a Victor il quale gli ricorda che è lui il marito e che Ana
debba interessare solo e unicamente a lui e definisce l'atteggiamento del canonico come una
chisciottata. Fermin, che fece finta di non sentire l'ultima affermazione, iniziò ad aumentare il
passo; cercò di orientarsi e di ricordarsi la strada che aveva compiuto ore prima con Petra. Si
fermò e disse a Quintanar che l'unico modo per trovarli era quello di dividersi: lui andò a
sinistra e Victor a destra. Una volta rimasto solo, il canonico iniziò a correre fino ad arrivare al
punto più alto della collina ma nulla, non trovò la capanna: aveva sbagliato ma, continuando a
camminare vide da lontano la capanna del falegname. Il suo cuore iniziò a battere sempre più
forte poiché era convinto di trovare lì Ana con Mesìa e soprattutto iniziò a pensare a cosa
avrebbe fatto se li avesse trovati lì. Fermin arrivò alla capanna e quando entrò vide Victor il
quale si spaventò nel vedere ilcanonico: era arrivato prima di lui e si era così disteso per
riposarsi un po'. L'ex presidente disse che non aveva trovato nessuno qui ma che aveva
trovato una giarrettiera: quella giarrettiera era di Ana ma, poiché era un po' ingrassata, aveva
deciso di darla a Petra. Il canonico divenne rosso per la vergogna, quell'episodio “tragico” era
diventata una commedia, ma soprattutto riflettè su come Victor fosse convinto che quella
giarrettiera era della moglie e poi data proprio a Petra (Victor, come dirà poi verso la fine del
capitolo a Mesìa, aveva resistito a lungo alla tentazione di Petra ma successivamente era
caduto nella tentazione fermandosi però in tempo ricordando il suo onore, quello della moglie
e il suo ruolo). Subito dopo i signori ripresero il cammino verso casa inzuppati d'acqua;
mentre stavano per tornare, incontrarono Pepe, il fattore, il quale disse loro che i signorini
erano a casa già da molto e che era andato lui stesso a cercarli con il suo carro, continuò
dicendogli che la marchese li aveva chiamati per dirgli che stava andando lui stesso ma non
l'avevano sentita. Una volta arrivati al Vivero, Fermin salutò il marchese e, senza cambiarsi
gli abiti pieni d'acqua, decise di tornare a casa. Una volta entrato nella carrozza iniziò ad
adirarsi con sé stesso per l'atteggiamento che ha avuto e per la figuraccia che ha fatto; inoltre
affermò che Don Victor, Ana e tutto il mondo si meritava tutti i mali che potessero piovere.
Arrivò a Vetusta e, dopo essere sceso dalla carrozza pensò alla reazione che avrebbe avuto
la madre. Entrò e pensò che non aveva mai avuto una discussione tanto pesante con sua
madre fino a quel momento. Nel frattempo al Vivero, mentre tutti si stavano divertendo arrivò
pieno d'acqua Victor in quale si recò subito in camera per potersi cambiare: Andò da lui
anche Ana che gli aveva preparato tutti i vestiti. Mentre si stava cambiando, Victor,
abbastanza adirato per quanto successo, iniziò a raccontare alla moglie tutto ciò che era
successo tranne l'episodio della giarrettiera: Ana pensò che questa volta aveva davvero
esagerato, soprattutto se si pensa che è un sacerdote, e si ricordò delle parole di Alvaro il
quale le aveva detto che il canonico era geloso bisognava allontanarlo. Sentendo tutta la
storia del marito era certa che quella fosse gelosia e ciò le faceva orrore. Alvaro Mesia invece
la rispettava fino al punto di non sfiorare neanche il vestito e Ana ritenne che il peccato di
amarlo non fosse per niente grave se ciò serviva per allontanare il canonico. Paragonando il
comportamento dei due uomini, Mesìa e De Pas, trovò abominevole il comportamento del
canonico. Subito andò a parlare di ciò con Alvaro chiedendogli cosa ne pensasse di
quell'atteggiamento. Alvaro le rispose che anche per lui ciò era abominevole ed era certo che
quell'uomo fosse innamorato pazzo di lei. Mesìa la guardò con uno sguardo che fece
intendere tutto e, mentre parlarono di ciò soli, appoggiati al parapetto del balcone del primo
piano, al piano terra vi erano tutti gli altri invitati che, o si stavano congedando o che
accettavano l'invito dei marchesi di dormire solo per quella notte lì: Edelmira, Visita, Obdulia,
Paco e Mesia rimasero a dormire là. Mentre Alvaro ed Ana erano fuori al balcone del primo
piano a parlare, nella stretta ed oscura veranda vi erano tutti gli altri ragazzi (Paco, Visita,
Jouaquin e Obdulia) che giocavano a “cachipote” (gioco che consiste nel nascondere un
fazzoletto trasformato in frusta e devono cercarlo guidando il compagno con “caldo” e
“freddo”). In quel momento, fuori al balcone, Ana sentì per la prima volta una dichiarazione
d'amore con tutte le parole che il suo animo voleva sentire: la donna non aveva la forza di
dire a Mesia di tacere poiché le desiderava troppo e troppo si conteneva. La sua anima era in
fiamme e si sentiva come cadere in paradiso. Don Alvaro era eloquente e non voleva che la
donna lo interrompesse, voleva solo parlare e dirle tutto ciò che fino a quel momento non
aveva fatto: Ana taceva e guardandolo negli occhi vide delle goccioline sulle sue guance e
pensò che quelle non potevano essere frutto della pioggia (forte ironia poiché Ana è talmente
innamorata di Alvaro che crede che quelle gocce siano delle lacrime, è solo frutto della sua
immaginazione). Quando Alvaro ritenne che ormai la miccia era ben carica decise di tacere
ed invitò Ana a dirgli cosa ne pensava, se aveva esagerato o se si faceva beffe di lui: Ana
però non riuscì a rispondere e quindi si allontanò. Appena vide Visita l'abbracciò e le chiese a
cosa stessero giocando: la moglie dell'impiegato di banca le disse che era Edelmira stava
facendo un gioco di forza con Paco per vedere chi fosse più forte. Entrambe insieme ad
Alvaro andarono dagli altri ed iniziarono tutti a coppia a vedere chi avesse più forza: Alvaro,
che era rimasto solo, immaginò la scena dell'altalena al Vivero in cui era stato sconfitto da
Fermin. Tutti iniziarono a scherzare a divertirsi scambiandosi anche dei pizzicotti che però
Alvaro non fece mai ad Ana. Mentre si divertivano, Ana ricordava ogni singola parola di quella
dichiarazione. Subito dopo salì Victor il quale iniziò una conversazione con Mesia aprendo
completamente il suo cuore: affermò che poche volte le donne lo avevano rifiutato ma che
comunque egli aveva un difetto, ovvero non possiede il dono della costanza; Victor inoltre,
sicuro che Mesìa non avrebbe detto nulla di tutto ciò, gli raccontò la storia di Petra
affermando che, dopo tante provocazioni aveva leggermente ceduto ma, quando per pudore
Petra faceva finta di non volere ciò, egli sicuro di averla si era subito “scocciato”. Finì poi per
raccontarle l'episodio della giarrettiera chiedendo un consiglio a Mesia su come comportarsi
poiché lui si preoccupava non tanto di lei ma di sé stesso e di quello che si sarebbe potuto
dire su di lui, sulla moglie esulla loro casa visto che lei lavorava con loro. I due signori
parlarono sulla veranda proprio fuori al balcone della camera dei Quintanar; poco dopo infatti,
poiché si era fatto tardi, Ana si affacciò dal balcone invitando Victor a salire per andare a
dormire. Mentre stava per farlo, Paco, non avendo sonno, chiese loro se potevano rimanere
ancora un po' a parlare, tutti e quattro: Ana e Victor parlavano da fuori al balcone mentre
Paco e Mesia dalla veranda. Dopo, essendosi fatto realmente tardi, i quattro si salutarono ed
Ana iniziò a chiudere il balcone. Alvaro non si mosse di lì e guardò fino all'ultimo la
presidentessa dalla finestra la quale, prima di andare a dormire, gli augurò la buonanotte.
Dopo la festa di San Pedro, vi furono moltissime altre feste durante il mese di luglio: a quasi
tutte le feste ci furono i marchesi, i Quintanar, i ragazzi e altri amici intimi. Mesia e Paco non
mancavano mai anzi, molto spesso facevano visita alla presidentessai. Ogni volta che da
lontano vedeva le sagome a cavallo di Mesia e Paco, Ana aveva il cuore a mille e la sua
ansia aumentava sempre di più. Nel frattempo Visita e Paco, che fin da subito furono i
complici di Alvaro, non osarono chiedere nulla in merito alla faccenda della presidentessa
poiché ritenevano che questi argomenti dovevano essere affrontati il meno possibile. I primi
giorni di Agosto, tutti iniziarono ad andare in vacanza e finalmente anche Victor, dopo due
anni, riuscì ad andarci: andarono a La Costa (una cittadina più ricca e fiorente di Vetusta).
Generalmente andavano a Palomares ma quell'anno Ana cercò di evitare per non andare
contro la volontà del canonico e così trovò un compromesso inviando una lettera al canonico
dove gli diceva la loro meta. Anche Alvaro andò lì ma, per non destare sospetti, si recò prima
quattro giorni a Palomares, poi andò a San Sebastiàn, per poi andare il giorno dopo a La
Costa. A Victor piacque molto la vita di locanda e così scelse la casa in una zona più
rumorosa e lussuosa proprio come Mesìa. Venti giorni dopo i tre (Alvaro, Victor e Mesìa)
tornarono a Vetusta e Benitez si congratula con Ana per i progressi fatti e per aver recuperato
a pieno la sua salute. Quintanar era felicissimo, sua moglie era una perla, era guarita ed era
finalmente sua, e voleva che tutte le persone che amava lo fossero altrettanto. Mesìa non
aveva corso da quella dichiarazione: doveva conquistarla come una vergine poiché per Ana
lui era il suo primo amore e quindi un attacco brutale l'avrebbe spaventata. Si guardavano
sempre negli occhi e con quegli sguardi si dicevano di tutto. Don Alvaro era profondamente
cambiato con Ana e riconobbe il fatto di non aver mai desiderato così tanto una donna. La
presidentessa era felice, tutta la sua vita era fatta di divertimento, pranzi allegri, spettacoli
teatrali e passeggiate; il rapporto con i marchesi dei Vegallana si intensificò moltissimo tanto
da considerarsi parenti. Si andava spesso al Vivero, Obdulia e Visita adoravano la nuova Ana
ed erano felici di vederla così. Nessuno però parlava del pericolo che ormai solo Quintanar
non vedeva. Passarono i giorni e i mesi e ormai le belle giornate a Novembre erano davvero
scarse poiché stava per arrivare l'inverno. Un giorno di novembre si fece l'ultima gita al Vivero
ed Ana, che si trovava nella carrozza seduta accanto ad Alvaro, mentre si diressero verso il
Vivero, ripetè nell'orecchio di Mesìa “è l'ultimo giorno”. Tutti erano abbastanza giù di corda
pensando al fatto che fosse l'ultimo giorno ed erano sicuri che quel pomeriggio sarebbe
volato in un secondo. Quella sera la festa proseguì a Vetusta e venne improvvisata una cena
per tutti i signori presenti; si cenò nel salone giallo dove precedentemente si era ballato.
Quando la cattedrale suonò la mezzanotte, comparvero due sagome: erano Victor e Mesia
dove quest'ultimo si poggiò sul divano senza ascoltare l'amico che parlava in quanto la sua
mente gli diceva “ora, adesso qui, proprio ora”. Con una scusa uscì dalla sala per cercare
Ana: non la trovò da nessuna parte ma non si diede per vinto poiché il suo istinto gli diceva
che era ancora in casa. Salì e vide un balcone semiaperto, si avvicinò, spalancò la finestra e
vide Ana la quale si spaventò.
CAPITOLO 30
Durante il tragitto dalla stazione all'abitazione di Ana, Victor raccontò tutto a Frigilis e insieme
cercarono di trovare una soluzione: l'amico gli disse che per il momento bisognava essere
cauti e di non far capire niente ad Ana perché sarebbe sicuramente morta sul colpo. Victor
sapeva che Frigilis aveva ragione, ma era anche consapevole che ciò richiedeva tantissima
forza di volontà. Una volta arrivato fuori casa Victor non ebbe il coraggio di bussare, non ce la
faceva a far finta di niente d'avanti ad Ana. L'amico cercò di convincerlo e di fargli capire
quanto fosse necessario soprattutto ragionare a mente lucida pensando di poter anche
concedere il perdono a Mesìa. Frigilis voleva andarsene il prima possibile da casa degli
Ozores perché voleva correre da Alvaro per avvisarlo di tutto e invitarlo a lasciare il prima
possibile Vetusta. Quando i due si salutarono, Victor entrò in casa e, mentre stava per
chiudere la porta, vide d'avanti a se una figura con un ambito nero: era Fermin. Lo fece
entrare ed i due salirono nel suo studio mentre Victor avvisava Anselmo di non dire niente
alla moglie perché, come gli aveva detto il canonico, dovevano parlare da soli. Quando
entrarono nello studio, Fermin era abbastanza taciturno e, mentre chiedeva un bicchiere
d'acqua, pensava a ciò che avrebbe dovuto dire per non turbare l'ex presidente; Fermin
sapeva di ciò che aveva fatto Petra e, dopo aver resistito molto sulfatto di andare o meno,
volle capire se Victor avesse scoperto qualcosa (Fermin, dopo la dichiarazione di Petra, non
era stato molto bene, aveva passato alcuni giorni con la febbre senza far capire niente alla
madre; donna Paula, che aveva saputo tutto da Petra, parlava con il figlio di tutto tranne di
quella particolare questione. Se donna Paula odiava Ana in quanto pensava che fosse amata
da Fermin, dall'altra parte ora la odiava per quello che aveva fatto a suo figlio: si era presa
gioco di lui, l'aveva ingannato, lo aveva in qualche modo calunniato e bisognava avere
vendetta. Fermin, camminava nel suo studio avanti ed indietro pensando a quello che
avrebbe dovuto fare: da una parte voleva andare da Ana, dall'altra non volle farlo perchè non
sapeva cosa avrebbe potuto farle. Per la prima volta Fermin è sincero anche con sé stesso,
dice finalmente chiaro e tondo quello che prova per Ana: l'amava, si sentiva suo marito e
voleva che anche lei lo guardasse in modo diverso, che non lo guardasse come canonico ma
soprattutto come uomo, perché lui prima di tutto era quello. Inizialmente, mentre stava
pensando sul da fare, accecato dall'ira, decise di indossare la veste che utilizzava per la
caccia e di recarsi da Alvaro con un coltello dalla lama affilata; quando però riprese il senno si
spogliò ed indossò gli abiti ecclesiastici). Fermin, pensando a come iniziare il discorso,gli
disse che vedeva in lui che c'era qualcosa che non andasse, era pallido e c'era qualcosa che
lo faceva soffrire tanto, lo si vedeva dagli occhi secondo lui. Gli disse inoltre che prima di
parlargli di ciò che voleva dirgli, doveva sapere come stava e se ci fosse qualcosa che lo
turbava. Victor gli disse che c'era qualcosa, che aveva scoperto oggi una cosa che non aveva
scoperto ieri. Fermin capì subito che Victor aveva scoperto qualcosa e così iniziò a dirgli che
durante una confessione una donna gli aveva detto tutto quello che era successo. Victor capì
subito che quella donna fosse Petra e Fermin continuò dicendogli che da uomo gli consigliava
di vendicarsi ma come figura religiosa lo invitava a riflettere e ad avere pietà. Subito dopo
però, quando vide che l'ex presidente voleva concedere la pietà al suo “amico Mesìa”, Fermin
gli disse subito tutto quello che dicevano gli abitanti di Vetusta colpendo così sul punto debole
di Quintanar: l'onore. Victor così era pronto a vendicarsi, Fermin soddisfatto se ne tornò a
casa; poco dopo Ana entrò nello studio di Victor e, quando venne a sapere che poco tempo
prima c'era stato il canonico, si turbò leggermente; gli fece qualche altra domanda e, senza
insistere ulteriormente, decise di andare a dormire. Victor riuscì a fingere benissimo e, poiché
Fermin gli aveva aperto gli occhi facendogli capire che molto probabilmente quell'uomo
sarebbe ritornato a casa sua anche quella sera, decise di prendere il fucile e di fare da
“guardia” nel punto in cui lo aveva visto scavalcare. Passarono ore ed ore ma nulla, Alvaro
non si era fatto vivo; alla 4 di notte, ormai stanco morto, decise di ritornare in camera e, dopo
essersi cambiato meccanicamente, si addormentò. A Vetusta nel frattempo non si fece altro
che parlare di quanto fosse successo a causa di Petra e Pepe Ronzai che andarono a
raccontare tutto ciò che avevano saputo. A casa dei Vegallana e al Circolo in quei giorni si
parlò solo di questo e i vari cittadini andarono contro Victor considerandolo un vigliacco
perché non aveva ucciso Alvaro. Foja aveva detto che non era d'accordo nel vendicarsi
perchè bisognava affidarsi alla giustizia, Don Frutos Redondo affermò invece che avrebbe
ucciso subito colui che lo aveva disonorato mentre Orgaz padre, aveva affermato che lui
avrebbe combattuto in questo modo: distanza di cinque passi, due pistole, una vuota e una
carica, e dopo tre colpi si deve prendere la prima pistola che capita e sparare all'altro perchè
secondo lui combattere significa aver coraggio. Si iniziò anche a parlare del probabile duello
(a Vetusta non c'erano mai stati veri e propri duelli, ce ne furono solo due: uno era una
questione bancaria, l'altra invece riguardava lo stesso Alvaro quando era molto più giovane e
Frigilis che era stato il padrino del suo avversario: in quest'ultimo duello, quando i due sfidanti
si misero in posizione, guardarono in cielo e Frigilis capì subito le loro intenzioni, volevano
che piovesse. Così fu: piovve e quindi il duello fu rimandato e mai più ripreso): alcuni
andarono contro Alvaro ritenendolo un vigliacco, poiché stranamente non si trovavano né le
giuste armi da fuoco né le giuste armi bianche per il duello, mentre Joaquito Orgaz, poiché
aveva saputo tutta la questione da Paco Vegallana il quale era andato a casa di Mesìa che gli
aveva raccontato a sua volta tutto, difese il suo amico affermando che Frigilis si era recato a
casa del presidente del circolo per convincerlo a lasciar il più velocemente possibile Vetusta
per evitare il duello e che questo però si rifiutò perchè sapeva che in questo modo sarebbe
stato considerato da tutti un vigliacco. In parte era realmente così: Frigilis, dopo aver salutato
l'amico fuori casa cercando di convincerlo a dare il perdono, si recò subito a casa di Alvaro
per convincerlo a lasciare Vetusta, lui inizialmente aveva detto di no ma, poiché Don Tomas
Crespo aveva una forte influenza su Alvaro, alla fine si convinse e, promettendoglielo, decise
di fare le valige. Il giorno dopo però, mentre Alvaro stava preparando la sua valigia,
bussarono alla porta Frigilis e Ronzai i quali gli comunicarono che si sarebbe svolto a breve
un duello e che quindi doveva cercare due padrini: Frigilis purtroppo fu costretto a venir meno
al patto poiché, inaspettatamente, Victor aveva deciso di sfidarlo a duello e di vendicarsi per il
suo onore perché tutta Vetusta altrimenti si sarebbe fatta beffedi lui; inoltre, Victor avvisò
Pepe Ronzai che sarebbe diventato suo padrino non solo perché aveva una profonda stima
nei suoi confronti ma anche perché sapeva che nutriva un forte odio nei confronti di Mesìa.
Crespo quindi venne a sapere anche di ciò solo dopo che Victor aveva fatto tutto; non era
d'accordo ma non poteva far nulla. Nessuno fece sapere nulla ad Ana la quale altrimenti
sarebbe stata male o addirittura sarebbe morta. Era il giorno del duello e di mattina presto,
verso le 8, Victor si recò con i padrini alle porte del Vivero e si ritrovarono nel bosco; dopo
poco arrivo Alvaro con i suoi padrini: Frigilis era sorpreso dal coraggio di quell'uomo e anche
Alvaro stesso era sorpreso di ciò perchè neanche lui sapeva realmente perchè stava lì. I due
si posizionarono, le uniche regole erano quelle di fare 20 passi indietro e massimo 5 in avanti:
il tempo era coperto da una lieve foschia che non permetteva di vedere perfettamente, inoltre
Victor quando vide Mesìa voleva dirgli che lo perdonava e che non voleva portare avanti quel
duello ma, non potè farlo, soprattutto per ciò che avrebbe detto poi la gente. Indietreggiarono
e, dopo tre battiti di mani, si sentì uno sparo, era il colpo di Victor che aveva sfiorato la gamba
del presidente del circolo. Alvaro così si sentì mosso da una energia nuova, da un istinto di
sopravvivenza perché sapeva che se non avesse sparato sicuramente sarebbe morto lui.
Così puntò su quello che pensava che fosse il volto del suo rivale, sparò e poco dopo si vide
Victor strisciare a terra, era stato sparato alla vescica. Tutti soccorsero Quintanar compreso
Somoza che era lì presente mentre Alvaro si affrettava a lasciare la città salendo poche ore
dopo sul primo treno diretto a Madrid. Victor era in condizioni gravissime e, nel giro di
pochissimo tempo, morì. Frigilis era distrutto e, quando Ana chiese di suo marito, fu costretto
a dire una serie di bugie alle quali lei non crebbe poiché la morte di Victor e l'impegno
improvviso di Alvaro erano strettamente collegati. Da quel momento in poi a Marzo, Victor fu
commemorato dai tutti,i quali nel frattempo continuavano a parlare male della presidentessa
dandole anche la colpa del fatto che i due uomini più influenti di Vetusta se ne fossero andati.
Ana non usciva più di casa, nonostante le insistenze dell'amico Frigilis il quale, per essere
sempre al fianco della donna, senza dirle niente si stabilì nella sua abitazione dormendo
perfettamente sotto la sua camera: quando Ana seppe ciò si sentì molto meglio e meno sola.
Nessuno le fece visita, nonostante si fosse sparsa la voce della sua nuova malattia
accompagnata da crisi nervose: secondo molti la soluzione migliore era quella di rompere
qualsiasi tipo di legame con la presidentessa. Se prima tutti l'ammiravano e la invidiavano
poiché era la donna più virtuosa di Vetusta, ora molte fanciulle la derideva poiché non era
riuscita a fare ciò che loro invece facevano sempre (si era fatta scoprire). Lo scandalo si
diffonde e si afferma che due uomini se ne sono andati per colpa di Ana: la colpa è solo sua
perché non è stata capace di fare ciò che fanno molte lì. La nuova esclusione di Ana viene
segnalata dalla rottura di questo taboo: tutti parlano di tutto ciò che non si doveva dire; del
fatto che era figlia di una ballerina italiana. Ana in questo periodo aprì gli occhi e capì che si
era sbagliata su tutto, che Alvaro non era ciò che lei pensava, era perfetto solo nella sua
mente ma quella purtroppo non era la realtà. Provava vergogna, rimpianto e rimorso: se fosse
tornata indietro sicuramente non avrebbe commesso lo stesso errore. Pian piano Ana iniziò a
sentirsi meglio e così decise di avvicinarsi leggermente di più alla religione per ricevere il
perdono di Dio e del suo confessore. Un giorno però decise di uscire prestissimo di casa e di
recarsi in cattedrale: diversi canonici occupavano i loro confessionali e anche don Fermin il
suo, quando arrivò il gran vicario la notò subito e, una volta rimasti solo loro due, Fermin uscì
dal confessionale e si avvicinò lentamente ad Ana come un assassino tanto da farla
indietreggiare; continuò a camminare fino a porsi una mano sul collo, girò su sé stesso per
poi andarsene senza degnarla di uno sguardo. Ana volle seguirlo ma non ci riuscì poiché
perse i sensi cadendo a terra: Celedonio, che nel frattempo stava chiudendo a chiave tutti i
confessionali, udì dei suoni e così si avvicinò seguendo questi gemiti lontani fino a vedere
stesa a terra la presidentessa alla quale decise di dare un dolce bacio sulle labbra. Subito
Ana si svegliò paragonando quel bacio a quello di una viscida rana.

Capitolo I
Augusto esce dalla porta di casa e si accorge che sta piovendo, senza sapere dove andare
inizia a seguire una ragazza finché non arriva a una casa dove chiede alla portiera chi fosse
la ragazza. La portiera gli risponde fornendogli alcuni dettagli. Augusto poi si siede su una
panchina a riflettere su questa ragazza di nome Eugenia.
Capitolo II
Arrivato a casa, Augusto scrive una lettera a Eugenia in cui le chiede di dargli un’opportunità
per conoscersi e esce di casa per consegnargliela. Lascia la lettera alla portiera la quale gli
dice che non è la prima che Eugenia riceve da pretendenti e che aveva un aspirante
fidanzato. Augusto se ne va contento di avere un obiettivo, qualcosa da fare nelle sue
passeggiate giornaliere.
Capitolo III
Augusto gioca con Victor una partita a scacchi però non riesce a concentrarsi perché pensa a
Eugenia. Racconta a Victor di essere innamorato ma lui già lo aveva capito, inoltre gli
confessa di conoscere già Eugenia.
Capitolo IV
Augusto arriva a casa e prima di coricarsi fa un gioco con il suo servitore, mentre giocano
parlano di matrimonio e nel momento in cui nomina Eugenia, la cuoca, moglie del servitore,
dice di conoscerla. Terminata la partita, Augusto si corica e riflette sul fatto che tutti
conoscono Eugenia, tranne lui, così si addormenta.
Capitolo V
Augusto sognava un’aquila quando una voce lo svegliò, subito chiese la colazione al servitore,
andò poi a casa di Eugenia per parlare con la portiera. La portiera gli dice che Eugenia le
aveva detto di riferirgli che già aveva un fidanzato ma Augusto non vuole arrendersi. Augusto
inizia a ricordare i suoi genitori defunti in particolare ciò che gli diceva la madre. Mentre pensa,
incontra un cane abbandonato e decide di portarlo con sé a casa per dargli da mangiare.
Decide di chiamarlo Orfeo, in poco tempo diventa il suo miglior confidente.
Capitolo VI
Augusto si trovava nei pressi della casa di Eugenia e vede che sul balcone c’è una signora
che sta mettendo il suo canarino al sole, quando improvvisamente le cade la gabbia. Augusto
prende questa gabbia e la porta in casa alla signora. La signora, meravigliata dalla sua
prontezza, gli chiede come ha fatto ad essere lì in quel momento e Augusto le confessa che
era lì per via di Eugenia, la signora, zia di Eugenia, amica della madre di Augusto, gli parla di
Eugenia e gli dice che lui è il suo pretendente preferito per sua nipote.Inoltre lo informa sulla
situazione di Eugenia: è rimasta orfana e ha un’ipoteca sulla casa alla quale sta cercando di
porre rimedio dando lezioni di piano. Quando Eugenia arriva a casa, gli zii la informano della
visita di Augusto.
Capitolo VII
In questo capitolo Augusto parla con Orfeo riflettendo sulla vita, fa un monologo all’interno del
quale parla del suo essersi sempre sentito come un “yo no soy” (espressione che ripete
spesso) ma ora, grazie agli occhi di Eugenia, è cambiato tutto.
Capitolo VIII
Augusto va a casa di Eugenia dove attende con gli zii il suo arrivo per conoscerla. Quando
Eugenia entra in casa Augusto diventa molto nervoso, Eugenia sembra essere distante e
fredda ma con un grande carattere. Gli zii dimostrano a Augusto il loro appoggio per
conquistarla.
Capitolo IX
Eugenia parla con Mauricio, suo fidanzato, e lo spinge a prendere una decisione sul
matrimonio poiché i suoi zii la spingono a sposarsi con Augusto. Se Mauricio non trova lavoro
allora la loro storia terminerà.
Capitolo X
Augusto esce di casa per andare al casinò da Víctor ma si ritrova a seguire una donna fino a
casa di questa. In giro vede molte donne belle ma nessuna bella come Eugenia. Incontra poi
Víctor che lo stava aspettando al casinò, Augusto gli confessa che da quando è innamorato di
Eugenia vede belle tutte le donne e non capisce come sia possibile, si è innamorato già 3
volte. Víctor gli spiega che dopo aver incontrato Eugenia ha scoperto l’amore e che in realtà
non è innamorato con il cuore masono con la testa. Tornato a casa parla con la serva dello
stesso argomento poiché ci tiene a sapere se è innamorato davvero e quest'ultima lo informa
che un uomo innamorato fa e dice sciocchezze.
Capitolo XI
Augusto va di nuovo a casa di Eugenia dove è lei stessa ad accoglierlo, senza gli zii. Augusto
sembra agitarsi molto, lei dopo averlo accolto in casa gli confessa che ha un fidanzato e che
vorrebbe sposarlo. Arrivano gli zii, la zia non riesce a capirla mentre lo zio difende la sua
libertà e il suo diritto a scegliere chi sposare. Augusto vuole che Eugenia sia felice e decide di
fare un atto eroico: pagare l’ipoteca del suo defunto padre.
Capitolo XII
A casa di Augusto arriva Rosario, la stiratrice, lui inizia a fissarla facendola arrossire. Augusto
la fa sedere sulle sue ginocchia e le dice che è bellissima e lei inizia a piangere, Augusto si
sfoga con lei perché il suo amore non è corrisposto. Arriva poi la serva che, riprendendo il
discorso che già avevano fatto, gli dice che è davvero innamorato, lo ha capito per le
sciocchezze che fa.
Capitolo XIII
Con grande sorpresa di Augusto, Eugenia gli fa visita per chiedergli per quale motivo aveva
comprato l'ipoteca, lei pensava che fosse solo un modo per comprarla per questo si è molto
arrabbiata. Augusto cerca di spiegarle che lo ha fatto solo perché vuole che lei sia felice ma
Eugenia non vuole ascoltarlo. Augusto si dirige verso una chiesa dove incontra Don Avito
Carrascal (protagonista di Amor y Pedagogia) che lo invita a sposarsi per colmare il vuoto
lasciato dalla morte della madre anche con una donna che lui non ama. Afferma che la morte
insegna molto di più della vita e della scienza e gli racconta la storia del suo candidato genio
(Apolodoro) che si è suicidato. Inoltre, afferma che egli non ha mai conosciuto da sua madre
ma attraverso sua moglie ha potuto avere una madre.
Capitolo XIV
Augusto si accorge che Víctor è strano e gli chiede il perché. Victor gli racconta la storia del
suo matrimonio: inizialmente lui e sua moglie non riuscivano ad avere bambini e questo ebbe
un'influenza negativa nella loro relazione. Dopo aver superato questa situazione accade
quella che considerano una "disgrazia": Elena è incinta e si vergogna di questa sua
condizione.
Capitolo XV
Eugenia torna a casa arrabbiata e parla con la zia. La zia cerca di spiegarle che Augusto non
ha fatto niente di male e che dovrebbe sposarlo, piuttosto che sposare un uomo che non ha
lavoro. La conversazione viene interrotta dalla serva che annuncia l'arrivo di Augusto.
Quando Augusto entra, parla con Dona Ermelinda scusandosi e spiegandole le sue vere
intenzioni: non voleva comprare Eugenia, solo renderla felice e sarebbe disposto anche a
farle da padrino al matrimonio e a cercare un lavoro a Mauricio.
Capitolo XVI
Eugenia chiede di nuovo a Mauricio di cercare lavoro altrimenti avrebbe accettato l'affitto di
Augusto. Mauricio le confessa di avere molta paura del matrimonio, la ama ma non ha voglia
di lavorare e mantenere dei figli, per questo deve sposare Augusto mentre loro potranno
essere amanti. Eugenia rimane scandalizzata e si ritira nella sua stanza a piangere
prendendo la febbre. Intanto Mauricio parla con un suo amico di ciò che era appena successo
confidandogli che se lei dovesse lasciarlo, allora lui sarà un uomo libero e che pensa di
essere un uomo nato per essere mantenuto da una donna ma sempre con dignità.
Capitolo XVII
Víctor racconta a Augusto la storia del matrimonio di Don Eloíno che si sposò con la patrona
di un hotel perché potesse curarlo nei suoi ultimi giorni di vita, dato che le avevano assicurato
che stava per morire. Dopo essersi sposati, Don Eloíno visse più del previsto, allora la
patrona finì per cacciarlo di casa. Víctor decide di raccontare tutta questa storia in una nivola,
per la prima volta da la definizione di questo genere. Sarà un genere nuovo, pieno di dialoghi
e monologhi perchè alla gente piace conversare. Prende spunto per il nome di questo genere
da Manuel Machado che parlò di “sonite” invece di sonete. Quando Augusto torna a casa,
trova Rosario ad aspettarlo.
Capitolo XVIII
Augusto chiede a Rosario di dimenticare quello che era successo, però, come la volta
precedente, la fa sedere sulle sue ginocchia e le parla. Le chiede se ha un fidanzato e lei
inizia a piangere. Augusto le chiede di accompagnarlo in un viaggio. Quando si corica,
Augusto pensa che stava mentendo sia a Rosario che a sé stesso e inizia a riflettere
sull’amore.
Capitolo XIX
Ermelinda va a parlare con Augusto chiedendole scusa da parte di Eugenia, dispiaciuta per il
suo comportamento e decisa ad accettare il suo regalo senza nessun compromesso. Augusto
è offeso perché pensa che Eugenia si stia approfittando di lui perché è stata lasciata dal suo
fidanzato. Alla fine accetta le scuse ma solo come amico. Quando Ermelinda riferisce a
Eugenia la conversazione, Eugenia pensa che sarà capace di riconquistarlo facilmente ed è
convinta che ci sia un’altra donna. Augusto esce di casa e riflette.
Capitolo XX
Eugenia va a casa di Augusto e parlano della loro relazione, Augusto la stringe al petto
baciandole gli occhi e la fronte ma Eugenia non cede e se ne va quando Liduvina dice al
padrone che Rosario lo stava aspettando. Rosario gli dice che Eugenia era lì solo per
ingannarlo e che per lui prova dell’affetto. Giocando con il servo, Augusto gli chiede cosa si fa
quando si è innamorati di due donne. Domingo gli risponde che quando si hanno i soldi si può
fare quello che si vuole quindi sposarle entrambe perché diventeranno gelose solo quando
avranno dei figli dallo stesso uomo.
Capitolo XXI
Antonio e Augusto parlano in un angolo del casinò, Antonio gli dice che la madre dei suoi figli
in realtà non è la sua legittima moglie, lui è sposato con un’altra donna e, in realtà, anche la
madre dei suoi figli è sposata con un altro uomo. Sua moglie un giorno scappò con un altro
uomo, allora, Antonio, triste e solo, decise di offrire ospitalità e denaro alla moglie dell’uomo
con sua moglie era scappata. Quando questa donna andò a vivere con Antonio portò anche
sua figlia, a cui Antonio si affezionò molto. Un giorno ricevette la notizia che sua moglie aveva
avuto un figlio da quell’uomo e diventò molto geloso, la sua figliastra, inoltre chiese a lui e a
sua madre un fratellino. I due, presi dalla furia della gelosia, fecero un figlio. Antonio pensava
di non essere innamorato di questa donna finché il giorno del parto del quarto figlio stava per
morire, in quel momento, in preda alla disperazione capì di volerla davvero.
Capitolo XXII
Víctor dice ad Augusto che da quando sua moglie ha partorito la sua vita è cambiata ed è
come se lui fosse diventato ceco: tutti dicono che è stata sfigurata da questo parto mentre
Víctor la vede più bella che mai. Augusto gli racconta una leggenda portoghese (fogueterio):
in un pueblo portoghese c’era un pirotecnico che non faceva altro che idolatrare la bellezza di
sua moglie affermando che quest’ultima era anche la sua musa per i suoi spettacolari fuochi
d’artificio. Un giorno, preparando uno di questi fuochi, c’è un esplosione dalla quale la moglie
ne esce sfigurata e lui, fortunatamente, cieco e quindi può ancora andare in giro a vantarsi
della moglie. Víctor raccomanda a Augusto di non sposarsi, anche se Augusto vorrebbe.
Capitolo XXIII
Augusto pensa di scrivere due monografie sulle donne: una su Eugenia e una su Rosario.
Decide di chiedere consiglio a Antolín S. Paparrigópulos che si interessava allo studio delle
donne. Papparrigópulos gli dice che le donne non hanno una propria personalità, che
appartengono tutte alla stessa anima collettiva. Augusto allora capisce perché dopo essersi
innamorato di una donna si è innamorato di tutte le altre.
Capitolo XXIV
Augusto decide di fare uno studio psicologico su Liduvina (che gli parla allo stomaco),
Rosario (che gli parla al cuore) e Eugenia (che gli parla all’immaginazione). Pensava di far
finta di volere di nuovo Eugenia quando arriva Rosario. Augusto la fa sedere sulle sue
ginocchia e improvvisamente lei inizia a baciarlo, Augusto subito si ricompone e le chiede
scusa. Rosario pensa che Augusto sia pazzo.
Capitolo XXV
Víctor dice ad Augusto che il miglior modo per conoscere la psicologia femminile è sposarsi
ma Augusto non sa quale delle donne sposare. A fine capitolo c’è una nota dell’autore che si
diverte nelguardare i personaggi della sua nivola parlare della nivola stessa e afferma di
essere come un Dio per questi due personaggi.
Capitolo XXVI
Augusto decide di fare un esperimento con Eugenia e va da lei per chiederle di sposarlo, con
grande sorpresa di Augusto, Eugenia accetta con la benedizione degli zii. Augusto non si
sente più come un filosofo sperimentatore ma come una cavia.
Capitolo XXVII
Augusto trascorre molto tempo in casa di Eugenia e mentre lei suona il piano lui le scrive
poesie. Lei gli dice che quando saranno sposati dovrà dire addio a Orfeo perché non vuole
cani in casa sua ma Augusto è contrario perché è a Orfeo che rivolge tutti i suoi monologhi.
Mauricio minaccia Eugenia perché vuole un lavoro, Eugenia chiede aiuto a Augusto che
accetta di trovargli un buon posto di lavoro lontano da loro.
Capitolo XXVIII
Mauricio fa visita ad Augusto per ringraziarlo del posto di lavoro che gli ha trovato e gli
confessa che scapperà con Rosario, allora Augusto, stufo, lo prende per il collo come per
strangolarlo. Dopo questo avvenimento, Augusto non capisce se ciò che è appena successo
è un sogno o è accaduto davvero e ha bisogno di parlare con Orfeo.
Capitolo XXIX
Il giorno del matrimonio si avvicina, a volte Augusto prova della gelosia per Mauricio e
Rosario e gli dà rabbia sapere che lui sta per sposarsi con Eugenia mentre loro ridevano di lui.
Un giorno, riceve una lettera da Eugenia in cui lei confessa che era scappata con Mauricio
nel paese in cui Augusto stesso gli aveva trovato lavoro e aggiunge che non si erano portati
con sé Rosario ma era li per consolarlo. Augusto va a parlare con gli zii ma anche loro erano
sconvolti dalla notizia e non sapevano che fare. Augusto pianse molto al pensiero che
Eugenia e Mauricio, e forse anche Rosario, in quel momento, stavano ridendo di lui.
Capitolo XXX
Víctor anche si prende gioco di lui perché Augusto voleva fare un esperimento su Eugenia
prendendola come cavia ma alla fine è stato il contrario. Víctor gli suggerisce di distrarsi e
non pensare. Augusto afferma di essersi sentito per tutta la sua vita come un fantasma, un
ente di finzione, ma dopo questa delusione e questa burla lui ora sente tutto e capisce di
essere vivo.
Capitolo XXXI
Augusto decide di suicidarsi, ma prima di farlo decide di andare a Salamanca da Unamuno, di
cui aveva letto alcuni saggi. Unamuno gli dice che non può suicidarsi poiché non esiste, è
soltanto frutto della sua fantasia e dei suoi lettori, solo un ente di finzione, un personaggio di
nivola. Augusto, che non vuole credere a quello che Unamuno gli ha detto, insinua nell’autore
un dubbio: l’ente di finzione che non esiste potrebbe essere lui. Unamuno stanco di sentire
Augusto decide che sarà lui ad ucciderlo, Augusto allora, che prima voleva suicidarsi,
supplica Unamuno di lasciarlo vivere. In questo capitolo ci sono due parole chiave salir de la
niebla e ansia de inmortalidad, l’ansia di Augusto, quindi quella di Unamuno stesso e più in
generale dell’uomo è quella di voler uscire dalla nebbia, quindi da uno stato di offuscazione e
sapere se davvero esiste un Dio che decide del nostro destino, l’ansia diimmortalità è proprio
il fatto di sapere che siamo tutti personaggi di finzione creati da un essere superiore e che
quindi la nostra vita sta nelle sue mani, la convinzione dell’idea della morte crea anguistia e
ansia.
Capitolo XXXII
Mentre ritornava a casa Augusto pensava davvero che tutta la sua vita non fosse altro il
sogno di qualcun altro Arrivato a casa mangia tutto ciò che può (un paio di uova, altre due,
una bistecca, jamon en dulce, fiambres, foie-gras), pensando di essere immortale visto che è
un ente di finzione. Inizia subito a sentirsi male e non riesce a stare in piedi, chiede a
Domingo di stare con lui la notte e si corica. Liduvina e Domingo chiamano il dottore ma
Augusto è morto poiché ha mangiato troppo, prima di morire però chiede di inviare un
telegramma a Unamuno con scritto “Se salio usted con la sua. He muerto”
Capitolo XXXIII
Unamuno pensa di far resuscitare Augusto, si addormenta con questo pensiero e sogna
Augusti che gli dice che è impossibile resuscitare un ente di finzione così come è impossibile
far resuscitare un uomo.
Oración funebre por modo de epilogo.
L’autore afferma che non racconterà qui cosa è successo agli altri personaggi come si è soliti
fare negli epiloghi, bensì parlerà solo di Orfeo. Orfeo troverà il suo padrone morto sul letto e
inizierà a interrogarsi sulla vita e su che strano animale fosse l’uomo. Alla fine sente che il
suo spirito si purifica a contatto con questa morte, da questa purificazione del suo padrone, e
che aspira verso la nebbia. Muore anche Orfeo e Domingo piange per questo atto di lealtà e
fedeltà.
STORIE INTERCALATE: Si riferiscono a fatti e personaggi svincolati dall’azione principale
ma sono comunque pertinenti, tutte illuminano la psicologia di Augusto o annunciano
avvenimenti futuri:
1. Avito Carrascal, personaggio già presente in Amor y pedagogía, qui si dimostra
profondamente cambiato: dice che l’unica maestra di vita è la vita stessa e non la pedagogia.
Consiglia a Augusto di agire e di liberarsi dal ricordo della madre.
2. Víctor è guida e confidente di Augusto. Attraverso questo personaggio Unamuno esprime
le sue idee riguardo il matrimonio.
3. Don Antonio, vittima di un tradimento e abbandono che preannuncia quello di Augusto da
parte di Eugenia.
4. Il fogueteiro: leggenda portoghese che tratta del cieco che vede con gli occhi dell’anima .
5. Eloíno, anche lui tradito e abbandonato ma protagonista di un nuovo amore o comunque di
qualcosa accettato come tale.

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