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SCOTTO
Programma d’esame
Il corso è articolato su tre percorsi dedicati a tre generi letterari: il romanzo, la poesia e il
teatro. All’interno di ogni percorso si seguirà l’evoluzione di ciascun genere letterario
dall’Ottocento al Novecento attraverso gli autori e le opere più significative.1 Romanzo:
Costumbrismo, Realismo, Naturalismo, Modernismo 2 Poesia: Romanticismo, Modernismo,
Poesia del Novecento 3 Teatro:dal Romanticismo alle nuove forme novecentesche.
Materiale didattico
Storia della letteratura - M. G. Profeti (a cura di), L’età moderna della letteratura spagnola.
L’Ottocento, La Nuova Italia, Firenze 2000, pp. 175-191, pp. 229-234, pp. 261-593, pp. 629-
638. - M. G. Profeti (a cura di), L’età contemporanea della letteratura spagnola. Il Novecento,
La Nuova Italia, Firenze 2001, pp. 3-101, pp. 129-149, pp. 157-160, pp.171-269, pp. 317-327,
pp. 337-338, pp. 543-558, pp. 606-614.
Saggi critici - G. Gullón, El jardín interior de la burguesía. La novela moderna en España
(1885-1902), Biblioteca Nueva, Madrid 2003, pp. 53-98; 139-215. - V. García de la
Concha, Introducción, in Poetas del 27. La generación y su entorno. Antología comentada,
Espasa Calpe, Madrid 2008, pp. 21-84.
Testi Oltre alla dispesa di testi che sarà fornita dal docente all’inizio del corso, gli studenti
dovranno analizzare: - Benito Pérez Galdós, Tormento, Crítica, Barcelona 2007. - Leopoldo
Alas (Clarín), La Regenta, 2voll., Cátedra, Madrid 2004 (selezione di capitoli: I, III, IV, V, IX,
XIII, XVI, XXV, XXVI, XXVII, XXVIII, XXX). - Miguel de Unamuno, Niebla, Cátedra, Madrid
2008.
Lezione 1
“Las leyendas” di Bequer sono dei racconti in prosa abbastanza brevi (perchè pubblicati per
la prima volta in rivista) e fantastici sebbene non in tutte le singole parti perchè l’autore si
pone il problema di come il lettore possa accogliere dei testi completamente fantastici. Il
probema si pone poichè siamo in pieno ‘800 ossia quando si inizia a diffondere un gusto per
la realtà, quindi questi racconti fantastici devono essere spiegati e di fatto possono essere
capiti attraverso la loro struttura che è tripartita: presentano un inizio realistico in cui
normalemente il narratore arriva in un posto e parlando con qualcuno e questo qualcuno
inizia a raccontargli una leyenda per poi alla fine tornare al presente e ad un importazione più
realista. Abbiamo dunque il susseguirsi di realtà, fantasia e poi di nuovo realtà così che il
lettore venga accompagnato nel racconto fantastico e poi alla realtà in modo tale da rendere
questi racconti più accettabili. Quello che interessa però è lo stile utilizzato nelle leyendas
perchè sappiamo che Bequer è prima di tutto un poeta romantico molto moderno, di fatto
inserisce nella sua prosa figure e ritmi della poesia. Con le leyendas quindi si può parlare di
prosa poetica dato che è posta noltissima attenzione a tutte le sfumature sensoriali: figure
retoriche, musicalità, ritmo, suoni, colori ecc, rendendola una caratteristica molto specifica di
questo racconto. Il genere del racconto avrà una grande diffusione nell’800 che di fatto
possiamo definire come il secolo del romanzo realsita che del racconto soprattutto, grazie alla
pubblicazione dei giornali, tuttavia nessun altro autore di racconti usa questo stile di Bequer
che invece sarà ripreso nel 900 rappresentando un modello per Jimenez ed il poema in prosa
(anche se poi si avrà la mediazione di Baudelaire), e poi anche con Cernuda e gli altri poeti
della generazione del’27 spesso si tornerà a Bequer e alle sue rimas ma soprattuto alle
leyendas.
Nell’800 c’è dunque quest’esperimento di poesia in prosa ma Bequer è l’unico mentre invece
gli altri autori fanno cose diverse, come ad esempio mettere da parte l’elemento fantastico e a
tenere conto della realtà.
Galdos viene considerato il fondatore del romanzo realista, ma è necessario identificare
quelle che sono delle caratteristiche che vengono definite “pre-realiste”. Sono esperienze
tipicamente spagnole, perchè nascono in Spagna in maniera autonoma, perchè non sono il
frutto di un processo di integrazione della letteratura europea, in particolar modo dalla
letteratura francese. Per tutto l’Ottocento e per il primo decennio del Novecento ci sarà il
costante odio-amore tra la letteratura spagnola e la letteratura francese. Questo perchè
succede? Perché per tutto l’Ottocento, sopratutto per quanto riguarda il romanzo, la
letteratura forte, cioè quella che è capace di imporre la propria impronta sul resto delle
letterature, chi vuole fare un romanzo, almeno durante l’Ottocento, deve fare i conti con quelli
che erano i grandi autori francesi. La situazione si complicherà poi con l’arrivo dei russi. La
Francia è quindi contemporaneamente un modello a cui guardare però allo stesso tempo
diventa l’avversario da superare.
Questa forma forma pre-realista è definita Costumbrismo, che tra i suoi maggiori esponenti
ritroviamo Mariano Josè de Larra e Fernan Caballero.
Costumbrismo
Tra la metà dell’800 e fine 800 si diffonde in Spagna il Costumbrismo; gli scrittori
costumbristi, prendendo spesso in considerazione Madrid come scenario in cui vecchio e
nuovo si incrociano, identificano la nuova idea di nazione con quella della classe media e
danno vita ad un vero e proprio genere: il quadro di costume, che diventa una delle
manifestazioni più caratteristiche della prosa romantica. Il nome rimanda a dei testi, perlopiù
articoli di giornale (anche chiamati artìculos de costrumbre), i quali hanno nella maggior
parte dei casi una carica satirica, descrivono piccole scene e denunciano alcuni aspetti della
società, aspetti che possono riguardare la politica, ma molto più spesso riguardano costumi e
abitudini degli spagnoli, i quali vengono rappresentati anche negli aspetti più bassi e quindi
negli argomenti più quotidiani, con molti particolari; essi hanno lo scopo di criticare attraverso
il riso. Il genere costumbrista rinuncia a generalizzare sulle condizioni umane ed esprime un
forte senso di nostalgia nel descrivere le varietà pittoresche di quella società; di conseguenza,
i personaggi vengono presentati come dei “tipi” la cui esistenza è messa in pericolo
dall’evoluzione dei tempi. Il Costumbrismo lo vediamo principalmente con Larra e Caballero,
i quali rappresentano un tentativo interno alla tradizione spagnola di rivolgere l’attenzione alla
realtà anche negli aspetti più umili e ciò ci interessa perché è l’idea alla base di quello che
sarà il romanzo realista. Il romanzo realista nasce in Francia, con Baudelaire, Stendhal,
Balzac (in particolare), modelli che serviranno a Benito Pérez Galdós per creare il romanzo
realista in Spagna. Esiste uno studio, Mimesis di Auerbach, in cui l’autore usa la tecnica dei
campioni per capire cosa succede, sceglie per ogni epoca autore e testo più significativi per
parlare della rappresentazione della realtà; egli si rende conto che questa non è sempre la
stessa, ma resta sostanzialmente uguale fino al 700 (legata alla divisione aristotelica degli
stili), nell’800, in particolare 800 francese, cambia qualcosa: la rappresentazione del reale
comincia a cambiare il suo oggetto, si guarda alla realtà umile e quotidiana, si cominciano a
raccontare le storie di tutti, anche delle persone più umili, ma ciò va fatto in maniera seria,
non si deve ridere. Con il Costumbrismo abbiamo l’attenzione al reale, ma manca la serietà,
sono infatti testi in cui si ride, che hanno l’intento di rappresentare in maniera caricaturale e
grottesca la realtà.
A metà del 19° secolo appare una nuova corrente culturale e letteraria, il realismo, che
costituisce l’esaltazione della libertà individuale tipica del romanticismo per applicare in
letteratura i nuovi metodi scientifici. Il realismo è impulsato dal Positivismo, una corrente
filosofica sviluppata dal francese Compte che vede nell’osservazione e nella scienza i principi
della conoscenza. Il genere più appropriato per riflettere la realtà è il romanzo; infatti, Galdós
dice che l’immagine della vita è il romanzo. Le caratteristiche della prosa realista sono:
- Analisi rigorosa della realtà
- Descrizione minuziosa di personaggi e ambienti.
- Utilizzo del dialogo come tecnica per caratterizzare i personaggi socialmente e
psicologicamente.
- Predominio del narratore onnisciente
- Frequente uso di tecniche nuove come il monologo interiore, lo stile indiretto libero o i flash-
back
- Il contenuto è più importante della forma
- Lo stile è semplice, chiaro
- Il linguaggio è ricco, vario, con ricorso a regionalismi, influenze dialettali, volgarismi per
riflettere proprio la lingua parlata.
- Vengono rappresentate tutte le classi sociali
- La donna è l’oggetto principale dell’interesse del romanzo. Ce lo dimostrano ad esempio il
gran numero di romanzi che hanno come titolo il nome o il soprannome di una donna
- Spesso, il romanzo si sviluppa nello stesso periodo storico in cui vive l’autore
- I temi trattati sono principalmente: la religione, il conflitto città/campagna, la politica, l’amore
(che spesso è adultero).
Il racconto
L’auge del racconto letterario spagnolo coincide con il romanzo realista dell’ultimo quarto del
19° secolo, ma è facile sostenere che alla base della sua rinascita c’è la sensibilità romantica,
che valorizzò le manifestazioni dello spirito popolare e mise in risalto i racconti tradizionali. La
frammentaria emozionalità romantica trovava nella brevità del racconto uno spazio adeguato
per esprimersi.
Prosa nel romanticismo spagnolo: Il romanzo
Dopo la Gloriosa Rivoluzione del 1868 la narrativa trovò terreno fertile; prima di allora non
esisteva una classe media che ambisse a vedersi rappresentata insieme alla sua visione del
mondo in un genere letterario, ma cosa stava succedendo in quel periodo? A inizio 800 la
Spagna si trovò di fronte ad una grande crescita demografica che, tuttavia, non era
accompagnata dalle risorse economiche adeguate; inoltre, l’indipendenza delle colonie
ridusse notevolmente il flusso di capitali d’Oltreoceano e fu solo verso gli anni ’40 dell’800 che
sorsero le prime industrie in Spagna… conseguenza immediata fu l’emigrazione dei
braccianti dalle campagne alle città; quindi, sostanzialmente, l’aspetto economico dell’epoca
influenzò due importanti fattori: da una parte la presenza, alle porte della città, di una massa
di gente che versava in condizioni disumane, dall’altra la nascita di una classe agiata che
poteva acquistare i nuovi prodotti industriale e che, presto, avrebbe preteso anche il potere
politico (di fronte a queste novità, la Chiesa, grande conservatrice, costituì un ostacolo per la
classe media). La situazione che, quindi, si viene a creare nella Spagna di quest’epoca porta
alla nascita di due grandi correnti narrative: il romanzo realista (che prende forma dalle
aspirazioni e dalle frustrazioni della borghesia) ed il romanzo naturalista (che prende forma,
invece, dalla miseria economica e umana delle periferie urbane).
Per meglio comprendere la nascita del romanzo realista, dobbiamo necessariamente far
riferimento alla Gloriosa, la quale fu alla base della polarizzazione della politica intorno a due
soli centri: i liberali da una parte ed i conservatori dall’altra; inevitabilmente, la narrativa
diventa specchio di questa situazione politica ed il primo risultato dell’estetica realista fu il
romanzo a tesi, il quale lasciava posto ad una più libera espressione della realtà (ma
comunque lontana dai canoni europei). Il romanzo spagnolo si concentra molto sulla vita nei
piccoli centri di provincia e, dalla scelta degli argomenti e dal modo in cui essi vengono trattati,
si evince la difficoltà della borghesia nell'imporre il proprio punto di vista persino ai romanzieri,
i quali sono alla ricerca dell'elemento pittoresco; i romanzieri spagnoli raccontano di
personaggi eccezionali e misteriosi, falsificano la realtà evitando la visione diretta voluta dai
borghesi, essi di fatto disprezzano la borghesia.
In voga in questo periodo sono i romanzi d'appendice, i cosiddetti folletines, i quali pongono
l'attenzione alla gente comune e alla lingua di tutti i giorni, misero a disposizione del realismo
una nuova sensibilità verso i problemi sociali e le loro cause. Componente fondamentale che
fu alla base dell'albero realista furono le traduzioni di autori inglesi di 700 e 800, come
Fielding, Defoe o Dickens, e francesi, come Balzac, il quale influenzò in modo particolare
Galdós nella sua Fontana de Oro, primo romanzo realista spagnolo.
Dopo la rivoluzione del 1868 la borghesia non era una società ben definita; dunque, non
sorprende il fatto che questa prese a ricalcare gli usi, il gusto e i comportamenti
dell'aristocrazia, di conseguenza fiorirono una serie di atteggiamenti che, in qualche modo,
miravano alle altre classi. Questo tipo di atteggiamenti lo troviamo raffigurato nella figura del
parvenu, ossia l'individuo che, dopo essere riuscito nell'ascesa sociale, non riesce ad
assimilare la nuova condizione, segue il codice comportamentale dell'aristocrazia fino
all'esaltazione… un chiaro esempio di parvenu e l'indiano, emigrante che, dall’America, torna
in Spagna arricchito e in cerca di moglie. Nasce così la categoria del cursi, parola non
traducibile che definisce la tendenza ad ostentare il codice di comportamento altrui.
Una delle caratteristiche principali per quanto riguarda i personaggi di questo tipo di romanzo
è il fatto che la borghesia vorrebbe essere ciò che non è, ma contemporaneamente rimpiange
ciò che non è più, dunque l'unica cosa che le resta da fare e ingannare la sua angoscia
esistenziale attraverso la necessità di possedere piccoli oggetti, i quali vanno ad identificare
dei veri e propri totem dell'identità ibrida… il personaggio non è
altro che la concretizzazione della sua classe sociale, così come il romanzo realista è
espressione concreta del mondo reale e, nella rappresentazione della realtà, la presenza del
narratore non deve costituire un ostacolo.
Per quanto riguarda invece le caratteristiche del romanzo in sé:
- innanzitutto è accompagnato da una lingua trasparente e da una struttura narrativa molto
semplificata;
- evoca mondi e tempi lontani (caratteristica del romanzo storico romantico);
-geograficamente parlando raramente ci si spinge oltre i confini della Spagna;
- anche dal punto di vista temporale, raramente l'accaduto risale a più di qualche anno prima
(i riferimenti alle vicende storiche recenti sono una costante).
Chi, probabilmente, si avvicinò di registro linguistico della gente comune fu proprio Galdós,
grazie alla sua grande capacità di riprodurre il dialetto dei bassifondi madrileni, andando ad
annullare le distanze tra sé stesso e i suoi lettori.
Se volessimo rappresentare sulla linea cronologica l'evoluzione del romanzo spagnolo
nell'800, diremmo che al realismo spettano gli anni ’70, al naturalismo gli anni ’80 e allo
spiritualismo gli anni ’90; chiaramente si tratta di una periodizzazione molto imprecisa…
- il realismo attraversa due fasi > inizialmente questo tipo di narrativa si caratterizza per il
predominio dei romanzi attesi, in cui l'autore è continuamente presente attraverso anche dei
commenti, è frequente il dialogo diretto del narratore con il lettore, il fulcro è generalmente
costituito dalla religione, vi è un frequente ricorso all'ironia, soprattutto nei confronti delle
opinioni dell'avversario politico; successivamente gli autori cominciano ad avvicinare le
proprie opere all'obiettività del realismo, da questo momento i romanzi si basano sulla
possibilità dell'autore di costruire un discorso ordinato su un mondo caotico, grazie all'uso di
una lingua trasparente; il narratore è impersonale, aumentano le descrizioni; i personaggi
diventano rappresentanti di una classe sociale e abbiamo un maggiore avvicinamento alla
quotidianità;
- il naturalismo non introduce grandi novità, se non che ora la realtà non è più facilmente
descrivibile, bisogna interpretarla per riuscire a scoprire le vere cause dei fenomeni; tutto può
essere spiegato tramite un unico principio, il determinismo, secondo cui tutti siamo
condizionati dall'eredità biologica, dalla società e dalla malattia; oggetto prediletto
dell'osservazione dei naturalisti sono i bassifondi, dove vivono gli emarginati, tra i quali le
varie forme di determinismo si manifestano più chiaramente (dunque l'attenzione non è più
concentrata sull'individuo, ma sul gruppo);
- il romanzo spiritualista sceglie l'intimismo, lo scrittore non presta più voce a una classe
sociale, piuttosto preferisce il mondo della parola e della bellezza.
Da tutto ciò possiamo dedurre che l'evoluzione del romanzo dipende dallo spostamento
dell'attenzione del narratore verso ciò che, di volta in volta, viene considerato l'essenza della
realtà > nel caso del romanzo a tesi è l'astrazione ideologica, nel caso del romanzo
naturalista è la materialità dell'esistenza, nel caso del romanzo spiritualista è l'interiorità dei
personaggi. In questo panorama si colloca l'esperienza di Galdós.
L’evoluzione del romanzo realista nell’800.
1. Romanzi a tesi -> La prima fase della narrativa realista si caratterizza per il predominio dei
romanzi a tesi, non da tutti i critici però considerati realisti. Nel romanzo a tesi l’autore è
continuamente presente, sia nella selezione dei fatti narrati, sia nella loro esposizione,
sempre corredata al commento. Il romanzo diventa un’astratta costruzione morale, il cui fulcro
di solito è costituito dalla religione, con ricorso frequente all’ironia e all’iperbole. All’autore non
interessa tanto la realtà quanto l’interpretazione della stessa. Il romanzo a tesi è ancora
lontano dalla realtà; ci vorrà una depurazione di tutte le sue asperità ideologiche perché
evolva nella direzione di una maggiore imparzialità di punto di vista.
2. Realismo-> Solo verso la metà degli anni ’70, i romanzi assimilano i presupposti formali del
realismo. Per i romanzieri realisti, l’impersonalità del narratore è dogma letterario (Valera, ad
esempio, ricorre al romanzo epistolare; Galdós invece inventa il romanzo dialogato). Inoltre,
una particolare varietà di romanzo realista è il “romanzo regionalista”, anche se la tendenza
ad usare paesaggi e tipi umani della propria regione come cornice della narrazione è comune
un po’ a tutti gli autori del periodo, e quindi, pur nella diversità di approccio si può sostenere
che in maggiore o minor grado tutti sono da considerare regionalisti.
3. Naturalismo -> Da tempo le opere di Zola venivano recensite sulle riviste; nel 1879 la
“Revista contemporanea” decise di pubblicare la traduzione di un suo racconto “El ataque del
molino”, dando così il via al Naturalismo in terra ispanica. Il naturalismo divenne subito un
fenomeno culturale di grande eco. Sostanzialmente non introduce grandi novità tecniche
rispetto al realismo. Il suo potere dirompente si deve a una visione del rapporto romanzo-
realtà diversa da quella realista: la realtà non è più trasparente e facilmente descrivibile come
prima, ma bisogna interpretarla per riuscire a scoprire le vere cause dei fenomeni. Il narratore,
avendo a disposizione un campionario di strumenti di analisi, non deve limitarsi a raccontare
quanto accade nella società ma deve svelare l’essenza nascosta dei fenomeni sociali. Tutto
ciò che riguarda la vita delle persone si può spiegare attraverso un unico principio: “il
determinismo”, non c’è ambito dell’umano accadere che non rientri nel determinismo
biologico, sociale o fisiologico. Compito del romanziere sarà quello di osservare direttamente
la vita del gruppo sociale che gli interessa e renderla il più fedelmente possibile. I
naturalisti rompono definitivamente il sodalizio con la borghesia e scelgono come oggetto di
indagine il nascente proletariato (tranche de vie). -> Il cambio di classe di riferimento
comporta lo spostamento dell’attenzione dall’individuo al gruppo, dal particolare generale.4.
Simbolismo -> Il romanzo simbolista (anche definito spiritualista o psicologico) della fine del
secolo, sceglie l’intimismo, l’etica individuale come spazio privilegiato dell’espressione
letteraria. Lo scrittore non presta più la sua voce ad una classe sociale ma si ripara nel
mondo della parola e della bellezza a lui più familiare. Quindi vi è un’ulteriore limitazione del
punto di vista del narratore -> si passa dall’indagine sulle cause dei fenomeni al loro
specchiarsi nella mente dei personaggi. Esempi di romanzi considerati spiritualisti:
- “Una cristiana”, “La Quimera” “La sirena negra” di Emilia Pardo Bazàn
- “Morsamor” di Valera
- “Tristana”, “Nazarìn” e “Misericordia” di Galdós.
L’evoluzione del romanzo realista è quindi causata dallo spostamento dell’attenzione del
narratore dal generale all’individuale, all’intimista; quindi, verso ciò che viene considerato di
volta in volta l’essenza della
realtà:
- Per il romanziere a tesi: l’astrazione ideologica
- Per il naturalista: la materialità dell’esistenza
- Per lo spiritualista: l’interiorità dei personaggi.
Il destinatario del romanzo realista
L’affermazione come classe dirigente della classe media spagnola è il prodotto del
riassestamento politico ed economico da essa generato. Ma da un tale sommovimento non
nacque una società solida, ben definita, chiaramente gerarchizzata, bensì la borghesia al
potere non aveva un modello culturale proprio e quindi si vedeva costretta a ricalcare gli usi, il
gusto, i comportamenti dell’aristocrazia. Così si spiega tutto un fiorire di atteggiamenti che
mirano verso le altre classi, raffigurabili nell’immagine del “parvenu”, cioè l’individuo che
essendo riuscito a salire nella scala sociale; invece, non riesce ad assimilare la nuova
condizione e segue il codice comportamentale dell’aristocrazia. Un caso speciale di parvenu
è l’indiano (jàndalo), cioè l’emigrante che torna dall’America arricchito. Nasce così la
categoria del cursi (parola che non ha referente in altre lingue) che definisce la tendenza
all’ostentazione del codice di comportamento altrui. In contrapposizione al tentativo di
assimilazione del modello superiore, si verifica il fenomeno inverso della rivivificazione di ciò
che si sente come già quasi perduto:
- Da un lato c’è lo sguardo desiderante di chi ambirebbe al possesso di ciò che ancora non ha
- Dall’altro, lo sguardo nostalgico di chi desidera ciò che non ha più, di chi si rende conto che
ha perso le proprie origini.
È così che il borghese, dopo il fallimento della Gloriosa e l’avvio della Restaurazione, scopre
il piccolo come dimensione rassicurante, unico ambiente in cui le sue ambizioni individuali
vengono pienamente soddisfatte, in contrapposizione allo spazio grande della nazione. A fare
da contraltare al diminuendo verso il piccolo, troviamo lo straordinario sviluppo delle
comunicazioni, delle infrastrutture, della rete ferroviaria, delle nuove tecnologie. La
circolazione delle idee e delle persone cessava di essere privilegio di pochi. In Spagna
adesso abbiamo quindi una ricollocazione del mondo su un’assiologia orizzontale e non più
verticale. La società non è più ordinata secondo una gerarchia di potere che va dall’alto al
basso, legittimata da Dio, ma da individui che hanno gli stessi desideri. La nuova società
propone 2 soli archetipi umani: il produttore e il consumatore. Il mondo della trascendenza
non esiste più. L’assenza di Dio dal mondo si manifesta nel romanzo attraverso la distanza
tra le azioni dei personaggi e la loro anima. La crisi del rapporto uomo-realtà esige nuove
forme di rappresentazione; infatti, il romanzo è il genere nato come espressione di questa
crisi. L’universo senza Dio è diventato ostile all’uomo il quale percepisce sé stesso come
estraneo all’accadere dei fatti; la sua interiorità non trova corrispondenza nell’esteriorità, e
allora cerca di riappropriarsi del mondo ma riesce solo a sperimentare su di sé una
“discontinuità disarmonica”. Il romanzo diventa così la storia dell’anima che procede sulla via
della conoscenza di sé attraverso la lotta con l’ambiente ostile.
Tormento viene pubblicato nel 1884, ci troviamo in una nuova fase della produzione di
Galdós perché a partire dal 1881 egli dichiara di aver iniziato una nuova maniera di scrivere e
lo dice proprio a Clarín in una lettera in cui spiega che dal momento in cui pubblica La
Desheredada (1881) comincia quella che lui definisce come una segunda manera de novelar,
perché secondo lui, con quest’opera, nasce realmente il romanzo realista e naturalista;
parliamo di naturalismo perché il discorso sul naturalismo ed il discorso sul realismo arrivano
in Spagna nello stesso momento. Cosa cambia effettivamente rispetto ai romanzi che
Galdós ha scritto prima nel 1884? Anche questi ultimi erano realisti, tuttavia Galdós non
aveva ancora messo bene a fuoco alcune questioni che riguardavano soprattutto la
costruzione del personaggio e la sua analisi psicologica. Questi romanzi della prima fase
sono definiti romanzi a tesi, perché in questi romanzi Galdós, ma non solo, difende una tesi
rispetto ad un’altra. Tra questi romanzi a tesi ricordiamo Doña Perfecta, La Familia de León
Roch e Gloria. Prendiamo in considerazione Gloria, in questo romanzo assistiamo al
matrimonio del protagonista, León, un progressista, liberale, molto colto e un grande lettore;
nel momento in cui decide di prendere moglie cede all’incredibile bellezza di questa donna,
Maria, che è, per l’appunto, bellissima, ma che non ha nessun altra caratteristica compatibile
con lui, di fatto non apprezza la scienza, al contrario, è dotata di una grande fede e, tutto
sommato, anche per la famiglia da cui proviene, la possiamo definire conservatrice. León
cede comunque alla sua bellezza, quindi il matrimonio funziona perché León spera di poter
raggiungere con sua moglie dei compromessi, dei punti di incontro, ma, mentre lui cerca
questi compromessi, lei si chiude sempre di più nella fede, arrivando anche all’estremismo,
per esempio trascurandosi, smettendo di curarsi in un certo modo, ciò che le importa è ciò
che riguarda l’essere poveri, umili… tutto ciò fa chiaramente saltare il progetto matrimoniale.
Nello svolgimento di questo romanzo Galdós difende le ragioni e la scienza contro gli
estremismi della religione, ma i personaggi, per quanto siano ben costruiti, analizzati anche
nei loro drammi interiori, rispondono comunque alla difesa o all’attacco di un’idea precisa.
Tutto questo viene superato a partire dal 1881 con La Desheredada (data importante).
Tormento, secondo alcuni studi, farebbe parte di una trilogia composta da un romanzo che
apre, intitolato El Doctor Centeno, pubblicato nel 1883 e uno che chiude, intitolato La de
Bringas, pubblicato nel 1884 (questo ci dà anche la misura della capacità di scrittura di
Galdós, ci fa capire quanto scrivesse). L’idea della trilogia si basa sulla presenza di un nucleo
di personaggi che si muove nei tre testi ed è proprio qui che si apre il problema sulla trilogia:
- obiezione all’idea di trilogia > Galdós conosce, riconosce e utilizza la tecnica del ritorno dei
personaggi, che Balzac usa ne La Comedia Umana, e lo usa già a partire dal primo romanzo
che scrive, egli infatti nel 1870 crea un personaggio ne La Fontana de Oro che torna nel
romanzo successivo, quindi è una tecnica che usa sistematicamente in tutta la sua
produzione, non solo in questi tre romanzi, dunque abbiamo già una prima obiezione all’idea
di trilogia;
- sostegno all’idea di trilogia > questi personaggi non solo tornano in due dei tre romanzi ma
sembra che portino avanti anche la stessa vicenda, quindi è come se ci fosse in realtà anche
un’unità di trama e questo non succede sempre con i personaggi degli altri romanzi.
Manca però un elemento importante a sostegno della trilogia: i tre romanzi possono essere
letti singolarmente, non c’è la necessità che vengano letti tutti e tre, a differenza di quanto
accade con i romanzi di una trilogia.
Tormento racconta la storia di due fanciulle, Amparo e Refugio, anche se si concentra
principalmente su Amparo che è la sorella maggiore. La storia non ha a che fare con
l’adulterio, lei non è sposata non si sposerà, riguarda in qualche modo i rapporti con il clero
perché per tutto il romanzo si fa riferimento, solo in qualche momento in maniera abbastanza
esplicita, al passato di questa giovane, un passato in cui avrebbe avuto una relazione con un
sacerdote, Pedro Polo. In tutto il romanzo assistiamo al dramma di questa giovane donna che
cerca di tenere nascosto questo passato che però cerca insistentemente di emergere.
Facendo un passo indietro, analizziamo la storia riportata nel Doctor Centeno, il romanzo
precedente, dove abbiamo come protagonista questo ragazzino, Felipe Centeno che
frequenta la scuola di Pedro Polo, ma, poiché non è altro che un ragazzino che arriva a
Madrid in cerca di lavoro, senza soldi, in qualche modo Pedro Polo gli consente di seguire le
lezioni in cambio dei suoi servigi. Dagli occhi di Felipe osserviamo la vita di Pedro Polo, il
quale è un uomo molto potente che prende parte a delle cene importanti, alle quali
partecipano anche le due fanciulle, Amparo e Refugio, entrambe incantate da questo
sacerdote, Felipe sottolinea però una certa simpatia da parte di Pedro Polo nei confronti della
maggiore, Amparo. Una sera Felipe combina un disastro (utilizza degli oggetti di Pedro Polo
per giocare con i suoi compagni), Pedro Polo lo scopre e lo manda via.
Interessante il fatto che, mentre il bambino è disperato, in questa casa c’è anche Amparo, la
quale interviene, asciuga le lacrime del bambino, gli dà delle monete per aiutarlo, cerca in
qualche modo di proteggerlo, ma non ci sono commenti perché la prospettiva è quella del
bambino, una prospettiva ingenua che permette al lettore di cogliere un qualche tipo di
relazione particolare tra Amparo e Pedro Polo ma che non ci permette di capire quale. A
partire da questa scena, Felipe sentirà nei confronti di Amparo un profondo senso di
gratitudine che è molto evidente all’inizio di Tormento.
Capitolo 1
A primo impatto sembra un copione che, tra l’altro, si apre con le indicazioni di scena, un
copione che di tanto in tanto ha degli “interventi del narratore” messi tra parentesi e
graficamente evidenziati, come se fossero indicazioni di scena. Abbiamo due embozados,
ossia due incappucciati, che sono Felipe Centeno e Ido del Sagrario; anche quest’ultimo
personaggio, come Felipe Centeno, lo troviamo nel Doctor Centeno, all’interno del quale
sappiamo che lavorava nella scuola di Pedro Polo, era un maestro che però perse il lavoro,
aveva una famiglia abbastanza numerosa da mantenere e alla fine del romanzo, in un dialogo
con Felipe Centeno, impostato allo stesso modo di questo, quindi come un copione,
comunica all’amico che ha deciso che diventerà scrittore di folletín, ossia di romanzi
d’appendice, in quanto sa come funzionano le storie, è bravo e tra l’altro ha una grande
fantasia e immaginazione. I folletìn sono romanzi il cui modello di riferimento è francese, sono
pubblicati suoi giornali, incentrati sul tema amoroso, in particolare puntano sul coinvolgimento
del lettore, su un forte sentimentalismo; si tratta sempre di storie di ragazze belle, povere ma
virtuosissime, che affrontano le difficoltà e che si sottraggono ai malintenzionati,
puntualmente c’è un giovane rampollo della nobiltà che si innamora di queste ragazze e
decide di sposarle contro tutto e tutti, il giorno del matrimonio si scopre che lei è figlia di
qualcuno di importante, che l’ha abbondata e alla fine sono tutti felici e contenti; le variazioni
sono minime. In questo tipo di romanzi si cerca di far leva su inganni, sentimentalismi ed
espedienti vari (come il fatto che venissero interrotti ad un certo punto e che continuavano
nella puntata successiva) che servono a mantenere viva l’attenzione del lettore. Questa forma
di romanzo è esattamente quella che Galdós critica, egli infatti a favore di romanzi che
descrivono questioni e problemi reali. In Tormento Galdós costruisce un romanzo realista
in cui critica costantemente il romanzo d’appendice mostrandone i limiti e la falsità e lo
fa proprio attraverso Ido del Sagrario, ma come? Poco dopo l’inizio del dialogo i due
personaggi si conoscono, infatti non abbiamo più “embozado” ma i nomi reali (è interessante
il fatto che al posto di Felipe Centeno troviamo il nome “Aristo”, abbreviazione di Aristotele, in
quanto alla fine del Doctor Centeno qualcuno aveva soprannominato ironicamente il ragazzo
Aristotele, riferimento ad una presunta saggezza che lui non ha, quindi è un soprannome
ironico). In questo dialogo Ido del Sagrario ci dice che ha raggiunto il suo scopo, è diventato
scrittore di romanzi d’appendice, riesce a guadagnare e a mantenere la famiglia e racconta a
Felipe in cosa consiste la sua attività, raccontandogli anche il romanzo a cui sta lavorando.
“El editor nos dice: quiero… diario” > da questo momento in poi Ido del Sagrario comincia a
spiegare la trama del romanzo d’appendice che sta scrivendo; usa l’espediente del
manoscritto. “Como te decìa… dìa” > immagina di trovare il diario di una di queste due
ragazze, le protagoniste, povere ma con virtù e che resistono in ogni caso al peccato.
“En esto tocan… que el dinero” > ad un certo punto arriva questo servitore con il suo
marchese, muniti di sodi; le giovani fanciulle, però, rifiutano i soldi mandando una lettera
piena di sdegno al marchese perché loro preferiscono la virtù; questo atteggiamento doveva
servire da esempio alle ragazze dell’epoca.
Di lì a poco si scopre che Felipe, in Tormento, è diventato servitore del miglior padrone
possibile, Augustìn Caballero, e si sta recando a casa di due ragazze a portare una lettera.
“Voy a llevar esta carta… deshonrarla” > Felipe prova a spiegare.
“Lo ves?... virtud trionfante” > Ido mette già in moto questo meccanismo di sovrapposizione
tra la storia che lui sta scrivendo e “la realtà” di cui gli sta parlando Felipe. Per tutto il romanzo
quindi Galdós da una parte ci racconta la storia di queste due ragazze povere seguendo il
modello realista e questo si scontra con quello che dovrebbe succedere alle ragazze nel
romanzo d’appendice di Ido del Sagrario; c’è quindi un forte divario tra questi due tipi di
romanzi, divario che sottolinea l’assoluta irrealtà del romanzo d’appendice che non possono
in alcun modo fungere d‘esempio per niente e per nessuno.
In questo stesso capitolo, vengono fuori i nomi delle due ragazze a cui Felipe deve
consegnare la lettera, fa il nome di Refugio e, a questo punto, Ido dice di essersi ispirato
proprio a loro per il suo romanzo, in quanto abitano nel suo stesso palazzo.
“Son guapas y buenas chicas” > alla fine del dialogo, parlando di queste due ragazze, Felipe
usa questa espressione.
“Te diré… pero…” > Ido del Sagrario è come se cambiasse per un attimo atteggiamento.
“Prosas horribles… échelo, hombre!” > in riferimento alla lettera, si fa appello a qualcosa che
viene definito prosas horribles, si allude a qualcosa di orribile, nefando, che non può trovare
spazio nel codice letterario a cui lui fa riferimento, ossia il romanzo d’appendice e che quindi
non può essere reso presente, ma Felipe vuole sapere.
“Pues… que vil prosa” > questo è uno dei passi in cui abbiamo l’ironia di Galdós: c’è un
segreto di cui veniamo a conoscenza all’inizio del capitolo ma di cui non siamo autorizzati a
sapere, siamo volutamente esclusi perché il narratore fa in modo che il segreto venga in
qualche modo condiviso dai personaggi ma che il lettore ne venga assolutamente escluso;
sappiamo solo come reagiscono, che uno è dispiaciuto e l’altro è rattristato, entrambi
concordano sul fatto che sono cose che non si dicono, infatti esplicitamente nel romanzo
nessuno dirà niente, capiremo qualcosa solo dai dialoghi tra Amparo e Pedro Polo, che sono i
diretti interessati, ma gli altri non dicono nulla e l’ironia sta nel “no se debe decir” e nel “no se
debe escribir” perché, di fatto, Galdós lo scrive, è come se in questo inizio lui ci
preannunciasse che il segreto non verrà scritto mai perché non è importante il fatto in sé, ma
come questo fatto agisce sui personaggi, come ne determina le azioni e come permette a
questi di evolvere e modificarsi all’interno del romanzo.
Importante è la struttura capitolo primo-capitolo ultimo, data dal fatto che anche nell’ultimo
capitolo troviamo questa forma teatrale, capitolo in cui siamo a casa dei Bringas e assistiamo
al dialogo tra Rosalia e il marito; ad un certo punto c’è un dialogo tra Felipe e Ido del Sagrario
che riprende, appunto, la forma. Questa struttura è importante perché ci permette di capire la
questione “narratore”; di fatto, il gioco tra i due romanzi (romanzo realista e romanzo
d’appendice) si realizza anche grazie ad un gioco di narratore, abbiamo infatti tre tipi di
narratore:
- un narratore onnisciente > scrive sicuramente primo e ultimo capitolo, sa tutto e lo
ritroviamo in una serie di commenti tra parentesi con cui commenta alcune scene, ad
esempio, nel capitolo 10, descrive la scena di Amparo che lavora presso i Bringas, dove è
maltrattata, in particolare il momento in cui lascia la casa mentre la famiglia Bringas è a cena,
lei scende, triste, sconvolta e il narratore aggiunge tra parentesi “ditemi se questo non è
sentimentale”;
- un narratore-personaggio, che è Ido del Sagrario, il quale nel romanzo ci racconterà il
testo che sta scrivendo;
- un terzo narratore > all’inizio del secondo capitolo ciò che colpisce è il fatto che il narratore
parla alla prima persona plurale, ciò ci fa capire che il narratore in questo caso è un
personaggio, che conosce i personaggi di cui ci sta raccontando e che noi non conosciamo.
I tre narratori si sovrappongono tra loro e a volte è impossibile distinguerli tra loro con
certezza, per questo si parla di gioco dei narratori.
Quali sono i temi su cui è più evidente il divario tra i due tipi di romanzo? -
-Tema dell’onore e della virtù;
- tema della povertà.
Particolarmente interessante è il fatto che nei romanzi di Galdós il discorso dell’onore è legato
alla questione femminile, si tratta di un problema che spesso si pongono i suoi personaggi
femminili. Il tema della povertà si lega inevitabilmente al tema dell’onore: Ido del Sagrario, in
linea col romanzo d’appendice, ci ha detto di queste ragazze povere, belle, ma prima cosa
virtuose, ma allora come si mantengono? Di cosa vivono? Qui c’è l’apertura di un’altra
questione che riguarda le possibilità che le donne hanno di entrare nel mondo del lavoro…
come fa Galdós a porci questi problemi? In vari modi, ma soprattutto attraverso lo scontro
tra le due sorelle: se Amparo sembra voler a tutti i costi interpretare il ruolo dell’orfana povera,
un esempio di virtù, nonostante il suo passato con Pedro Polo che stona con l’immagine che
vuole dare, Refugio è l’opposto, il narratore ce la descrive come meno bella ma dotata di un
fortissimo carattere che la porta, ad esempio, ad abbandonare subito il lavoro a casa dei
Bringas, perché non sopporta il modo in cui Rosalia la tratta, è una donna che lavora come
modella per dei pittori (specifica però “modella vestita”); questo personaggio viene descritto
un po' da tutti come un personaggio negativo perché non fa ciò che la società si aspetta da
una giovane donna come lei, quindi viene sempre trattata, anche dalla sorella, come una
poco di buono. La questione è che in realtà Refugio è uno degli unici due personaggi positivi
del romanzo perché si sottrae costantemente alla questione dell’apparenza, importante
all’epoca per essere accettati dalla società, ed è infatti l’opposto di Rosalia, la quale vive solo
in virtù dell’apparenza.
Capitolo 2
“Don Francisco de Bringas...como de andadura” > ciò che ci colpisce nella lettura dell’inizio
del secondo capitolo è il fatto che a parlare è un narratore interno, narratore-personaggio,
non è un personaggio concreto,si tratta di un personaggio che appartiene alla scena perché
quanto conosce i personaggi che si incontrano e conosce la loro storia, però di cui il lettore
non sa nulla. Noi non sappiamo chi è il personaggio ma sappiamo per certo che è un
narratore-personaggio.
Quindi abbiamo in tutto il testo un’alternanza dei diversi narratori, difficilmente riconoscibile, in
quanto è difficile capire chi sta raccontando.
Lezione 4
Alla fine del primo capitolo c’è un’allusione ad un segreto, ad un qualcosa di talmente orribile
che non può essere detto ad alta voce; Galdòs fa in modo che il segreto venga rivelato al
personaggio ma non al lettore, il quale rimane all’oscuro di tutto. Tale segreto è
probabilmente una delle possibili letture del tormento che troviamo nel titolo dell’opera, anche
se le chiavi di lettura del titolo sono multiple. Sappiamo che con il romanzo realista si vuole
sempre parlare della società, centrare e dimostrare ciò che all’interno di questa società non
funziona, per spingere il lettore a correggere certi aspetti della società, in quanto la questione
pedagogica, l’importanza di insegnare qualcosa al lettore è fondamentale per Galdos.
Le protagoniste dell’opera sono due ragazze, sorelle, Amparo e Refugio, due sorelle che il
lettore aveva già conosciuto nel romanzo precedente. Sono due ragazze povere, rimaste
orfane, che devono lavorare per vivere e che prima di morire, il padre si è preoccupato di
trovare loro un impiego, grazie all’aiuto di alcuni parenti, la famiglia Bringas, chiedendogli di
occuparsi di loro e in questo romanzo, le due ragazze lavoreranno come cameriere a casa
Bringas.
Nel romanzo solo Amparo lavora a casa dei Bringas, questo perchè si scoprirà presto che
Refugio non riusciva a sopportare Rosalia e quindi lei aveva lasciato il lavoro. A casa di
Rosalia Bringas, le due sorelle, Amparo in particolare, subiscono ogni cattiveria da parte di
Rosalia, ma non da parte del marito, il quale è presentato come un personaggio umile. Da un
certo momento la casa viene frequntata da un parente di Francisco Bringas, ovvero Augustin
Caballero, che è un personaggio interessante, in quanto è un uomo che ha fatto fortuna in
America ed è tornato ricchissimo in Spagna, con il desiderio di cercare una moglie che
rispondesse al suo ideale. Ma quel era il suo ideale? Il suo ideale era una donna onesta,
che non fosse troppo corrotta dalla vita madrilena, cioè che non fosse coinvolta in tutte quelle
dinamiche sociali che lui poteva osservare in Rosalia Bringas.
La prima critica che si delinea è la critica alla borghesia, a un certa parte dei borghesi, che
vogliono apparire ciò che non sono. Il problema dell’apparenza, della critica a questo
desiderio di apparenza è probabilmente l’aspetto su cui Galdos si concentra maggiormente,
in questo testo. La famiglia Bringas è una famiglia che appartiene alla piccola borghesia, non
sono ricchissimi, ma neanche poveri, vivono una vita serena. Rosalia, al contrario, ha
ambizioni di ricchezza, di nobiltà. Una delle cose sacre per Rosalia, che si vede nei primi
capitoli, dove si va a descrivere la casa dei Bringas, era la “regina” e il “palazzo”. La ricchezza
e la nobiltà per lei sono sinonimi di nobiltà d’animo, cosa che lei non ha.
Per lei tutti i ricchi sono i migliori della società, sotto tutti i punti di vista. Per questo può
ricercare di sembrare ricca e di fare una serie di cose che, ad esempio la famiglia non poteva
permettersi, visto che i Bringas hanno anche dei figli. Il teatro rappresenta il trionfo
dell’apparenza ed è una delle preoccupazioni costanti di Rosalìa è proprio prepararsi per
andare a teatro. L’arrivo di Augustin Caballero, ricchissimo e generosissimo, le facilita la vita,
dato che si occupa di sostenere molte spese della famiglia per ringraziarli dell’inserimento
nella città. Per Rosalìa, l’uomo costituisce una porta di accesso verso un mondo a cui non
appartiene.
Per Rosalìa, l’uomo costituisce una porta di accesso verso un mondo a cui non appartiene,
ma che lei desidera. Augustin Caballero si innamora però di Amparo, in cui vede
l’incarnazione di ciò che desidera: una ragazza giovane, bella e modesta. Amaparo ricambia i
suoi sentimenti ma al contempo c’è un segreto che l’angoscia e che torna in scena per
rovinare tutto: nel Dottor Centeno le due ragazze giravano intorno alla famiglia Polo, e
vengono presentate un po' come delle ammiratrici del sacerdote Pedro Polo, personaggio di
spicco, potente all’interno della società.
Nel Dottor Senteno si nota una certa simpatia di Pedro Polo per Amparo, però poi ad un certo
punto, mentre il narratore inizia a delineare la trasformazione di Pedro Polo, che ad un certo
punto entra in crisi, inizia ad avere degli atteggiamenti ambigui, esce continuamente la sera,
assume una condotta ben distante rispetto a quella che aveva in precedenza, fino a quando
Felipe Senteno, che lavorava presso il sacerdote, combina un guaio tornando a casa, questo
guaio fa saltare i nervi a Pedro Polo e decide di cacciarlo. In questa scena, nella stanza di
Pedro Polo compare Amapro; nella narrazione interviene Amparo, che evidentemente si
trovava nella stanza, per consolare Felipe e per provare a mitigare lo spirito di Pedro Polo,
senza successo, ma alla fine Amparo darà delle monete a Felipe Senteno delle monete per
sopravvivere i primi giorni.
Da qui, Centeno cercherà sempre di difendere Amparo, ma non si chiede il perché la donna
si trovasse nella stanza del sacerdote a quell’ora. Questo segreto, che non può essere detto
e che Amparo porta con sé, riguarda la relazione con Pedro Polo, che spiega la
trasformazione di Pedro Polo e la sua successiva decadenza erano legate all’amore per
Amparo che lo porterà alla sua crisi sacerdotale e religiosa ed è questo che angoscia Pedro
Polo.
Amparo, però, in questo romanzo ha superato la relazione e conduce una vita rispettabile non
facendo altro che lavorare e stare a casa. In contempranea con la manifestazioni dei
sentimenti di Augustin Caballero e la sua volontà di renderla sua moglie Amapro riceve una
lettera in cui lei riconosce subito la grafia e si rende conto che si trattava della grafia di Pedro
Polo. Presa dall’angoscia non legge la lettera, la strappa in mille pezzi, però nel guardare i
pezzetti di carte legge delle parole in particolare una, ovvero “Tormento”.
Prima ipotesi di spiegazione del titolo: Tormento rimanda alla sensazione e all’angoscia
che provano, per diverse ragioni, i personaggi di questo romanzo. Il tormento di Amparo per il
suo passato, ma contemporaneamente il tormento di Pedro Polo. Sarà il tormento, l’angoscia
di Augustin Caballero che vedrà crollare l’immagine di Amparo che lui stesso aveva costruito
nella sua mente, ma sarà anche il tormento di Rosalia che non può realizzare il suo progetto,
ovvero prendere i soldi di Augustin Caballero e di diventare ricca. Quindi il titolo può alludere
a questa condizione che accomuna tutti i personaggi del romanzo.
Seconda ipotesi di spiegazione del titolo: Pedro Polo, ai tempi della relazione chiamava
Amparo “tormento”. in questa prosepttiva il romanzo in questione sarebbe un altro di quei
romanzi così diffusi nel 800, ovvero i romanzi di adulterio, le cui protagoniste sono donne e
cui titoli rimandano alla protagonista dei romanzi.
Capitolo 12
All’altezza di questo capitolo si scopre che Augustìn Caballero, padrone di Felipe, è un cugino
alla lontana di Francisco de Bringas ed è un tipo di personaggio molto presente nei romanzi
di questo periodo: l’indiano. L’indiano è un personaggio spagnolo che ha lasciato la Spagna
per andare in America a cercare fortuna, fatta fortuna torna in Spagna ricchissimo per farsi
una famiglia. Quindi questo personaggio è rientrato a Madrid per cercare moglie e questa sua
condizione attrae molto Rosalia, la quale, moglie del cugino, cerca di sfruttarlo il più possibile.
Augustìn dichiara di voler sposare Amparo o, meglio, ciò che questa dimostra di essere; lei
vuole accettare ma lo stesso giorno in cui viene fuori questa questione le viene consegnata
una lettera, riconosce la scrittura e la strappa senza leggerla (lettera che era chiaramente di
Pedro Polo), quindi comincia il tormento del passato e lei comincia a struggersi
nell’insicurezza del da farsi. Augustìn Caballero, considerando un futuro con lei da sposati, le
dà dei soldi per potersi mantenere, Amparo torna a casa con questi soldi e vede che è a casa
anche Refugio, la quale vuole solo dei soldi, non è interessata alle storie; Amparo approfitta
di questo per farle la morale. Il problema che pone Refugio successivamente è il nesso tra
onore e povertà: perché una donna è cattiva? Perché è povera; la povertà, che nel romanzo
d’appendice è sinonimo di virtù, nella realtà è il contrario perché la questione è: le donne
orfane, senza nessuno che si occupi loro, come devono vivere e quale uomo
benintenzionato si avvicinerebbe a loro? Inoltre, alle prediche della sorella sul suo non
fare nulla, Refugio sottolinea il fatto che lei ha lavorato, ha fatto il cucito, ma che comunque
non ha ci guadagnato nulla. La questiona finale di Refugio è: assicurati che io abbia da
mangiare e dei vestiti e non ti preoccupare di altro, è necessario soddisfare i beni primari,
nient’altro, perché senza questi come può una donna sopravvivere? È l’unica, Refugio,
che riesce in qualche modo a far riferimento in maniera più o meno diretta, in riferimento alla
sorella, a questo passato; infatti, lei chiede ad Amparo di non farle prediche, perché lei non è
nella posizione di poterlo fare.
Guarda tu dinero… del diablo > Refugio fa una delle allusioni più dirette al passato di Amparo,
prima dandole dell’ipocrita e poi dicendole che non vuole quel denaro perché arriva dalla
Chiesa, un’allusione in qualche modo a Pedro Polo, il quale in passato aiutava le due ragazze
dando loro dei soldi, e lei fa riferimento al fatto che soldi di questo tipo non arrivavano da
tanto tempo. La sorella ha, ovviamente, una reazione da romanzo sentimentale: piange, si
butta sul letto, sviene per una cosa reale ma avvenuta in dimensione privata, lei sa che la
sorella sa; quindi, la sua è una reazione melodrammatica, ma in qualche modo vuole farci
ragionare: Amparo in passato è stata “mala” perché era orfana: la povertà non porta la virtù,
anzi, per poter uscire dalla povertà si fa qualunque cosa.
Il problema che ci resta da affrontare è quello delle lettere, problema che si può riallacciare al
discorso dei narratori e che riguarda il finale o i finali del romanzo.
Partiamo con il discorso delle lettere > nel romanzo precedente, Doctor Centeno, uno dei
personaggi aveva detto che in qualsiasi opera, facendo riferimento particolarmente a quelle
teatrale, che si rispetti la situazione cambia sempre per l’arrivo di qualche lettera e, poiché
questo si dice soprattutto in relazione ai drammi romantici, Galdòs lo usa in Tormento.
Abbiamo fatto riferimento ad una lettera che Amparo strappa senza leggere, ne legge solo
alcune parole (tra le quali “tormento”); abbiamo quindi questo tipo di lettere, che Pedro Polo
scrive ad Amparo, alcune ci vengono raccontate alcune raccontate e poi negate, il lettore ha
solo dei dettagli (ci sarà anche una lettera che sarà inserita per intero nel testo), in modo che
il lettore avrà l’impressione di leggere il contenuto della lettera insieme ad Amparo. Che
funzione hanno queste lettere? Suscitare paura e angoscia in Amparo: ogni volta che
arrivano, questo passato che lei vuole negare cerca di venire fuori; d’altra parte, Pedro Polo
manda queste lettere non perché vuole tormentare Amparo, ma perché vuole rivederla, il
Pedro Polo che abbiamo conosciuto in Doctor Centeno è cambiato, non è più l’uomo colto,
dell’alto clero, anzi, non predica, è tormentato da questo sentimento che nutre nei confronti di
Amparo, la quale acconsentirà a vederlo. Durante l’incontro tra i due il lettore ha la possibilità
di raccogliere i dati più importanti di questa relazione passata, scopre inoltre che “tormento” è
il nome con cui Pedro Polo chiamava Amparo e con cui questa firmava le lettere che gli
inviava, questo ci permette di fare una considerazione sul titolo: rientra in quella tipologia
europea di romanzi di adulterio, anche se tecnicamente non c’è nessun adulterio qui, che
hanno come titolo il nome della protagonista, ma con un grande gioco di ironia perché
tormento è il nome, si, ma è anche la condizione in cui si trovano, per una ragione o per
un’altra, tutti i personaggi dell’opera. Quale soluzione viene trovata per uscire da questa
situazione inaccettabile di questa relazione tra donna e sacerdote? Si ricorre ad un
padre confessore che dovrebbe aiutarli a risolvere la situazione: la soluzione è che Pedro
Polo se ne vada, anche se dopo un po' non ce la fa e torna da Amparo manifestandosi con
queste lettere. Ci sono poi le lettere di Amparo: ad un certo punto si scopre che la sorella di
Pedro Polo, che aveva scoperto di questa relazione tra i due, conservava alcune lettere di
Amparo, lettere che sono la prova di ciò che è successo, l’unico dato certo che può far
comprendere ai personaggi e al lettore stesso che cosa è successo. Esattamente come
doveva avvenire nel dramma romantico, queste lettere mettono in moto tutto: a un certo
punto viene fuori tutta la storia dei due amanti, Rosalia scopre tutto e, non potendo accettare
che la sua serva diventasse più ricca di lei, lo dice ad Augustìn Caballero. A questo punto
Galdòs sdoppia le linee temporali delle azioni di Amparo e quelle di Augustìn (tecnica quasi
cinematografica);
- seguiamo prima quelle di Amparo: ha scoperto che Rosalia sa tutto, che ha parlato e che
Augustìn vuole andare da Marcelina Polo (sorella di Pedro Polo) per leggere le lettere e
scoprire se la storia è vera. Amparo va a casa di Augustìn Caballero per parlare, ma quando
arriva lui non c’è perché si è già avviato per cercare le lettere da Marcelina Polo; a casa c’è
però Felipe (che abbiamo detto che ha una sorta di debito nei confronti di Amparo). Amparo,
presa dall’angoscia, decide di uccidersi a casa di Augustìn, consegna a Felipe un bigliettino
su cui è scritta una medicina e gli chiede di andare a prendergliela, in realtà è un veleno;
Felipe si rende conto (voleva essere medico) che era un veleno e prende dell’acqua
diluendoci una soluzione alcolica (innocua, per il mal di denti), la dà ad Amparo, la quale lo
beve, va verso il letto, si sente morire e sviene. Il capitolo si chiude con la sua morte.
Nel capitolo, però, non sappiamo che Felipe non ha dato il veleno ad Amparo, il lettore non sa
ancora nulla; Amparo prima di morire scrive un biglietto in cui si limita a dire che è tutto vero e
si firma con “Amparo”, di cui la O presenta un ghirigoro. Questo aspetto della firma riguarda il
finale perché è il primo finale, quello del narratore personaggio, che non conosce tutto e che
può chiudere qui la sua storia.
Tuttavia, il narratore onnisciente, che sa tutto, sa però che deve continuare, deve seguire
Augustìn;
- Augustìn è a casa di Marcelina, la quale si rifiuta di dare le lettere, le butta nel fuoco ma lui
riesce ad intravederne un pezzettino in cui è riportata questa O con questo ghirigoro, quindi
torna a casa senza certezze.
A casa trova una situazione drammatica, c’è tutto un setting che viene abilmente presentato
dal narratore, in particolare con questo suono di carillon, appare lei svenuta che crediamo
morta. Augustìn parla con Felipe, scopre come sono andate realmente le cose e tutto diventa
ridicolo: la realtà sottolinea la ridicolezza di quello che ci racconta il romanzo d’appendice. Il
narratore onnisciente smentisce il narratore personaggio.
A questo punto abbiamo un nuovo dialogo tra Felipe e Ido del Sagrario (dobbiamo sapere
cosa ne pensa l’altro narratore che è Ido): tutto ciò come influisce sul suo romanzo
d’appendice? In nessun modo, lui immagina di scrivere un altro romanzo d’appendice, Del
Lupanar al Claustro: il romanzo che stava scrivendo doveva seguire il modello delle ragazze
povere e virtuose, non può essere influenzato da questo tipo di racconto, quello che può fare
è cominciare un nuovo romanzo, incentrato su questa ragazza che si è persa e che si ritrova
attraverso la religione, la vita monacale.
Interessante il finale di Tormento: il matrimonio che Augustìn immaginava, il suo finale felice
è impossibile perché la società non accetterebbe mai una moglie come Amparo e quindi
qual è la soluzione? Rinunciare non a tutto, ma a Madrid, lui decide di partire con Amparo e
di andare verso la Francia (più liberale) per vivere un altro tipo di relazione; questa soluzione
Galdòs la userà in vari romanzi: quella di lasciare la Spagna come unica soluzione possibile,
il che rappresenta una condanna per la società spagnola, rappresentata da lui come una
società chiusa. Contemporaneamente Galdòs suggerisce, attraverso questi personaggi, la
possibilità di sottrarsi a un modello.
È chiaro che Augustìn Caballero è l’altro personaggio positivo (con Refugio), anche se, come
Refugio, viene in un certo senso deriso perché lui è ricco ma non conosce le norme sociali,
non sa comportarsi secondo queste, viene descritto come un selvaggio.
Quindi il romanzo ha un secondo finale, quello con la partenza in treno (evoluzione della
modernità nel romanzo) felici, con Francisco Bringas che assiste a questa partenza e nel
finale.
Captiolo 40
Un tren que parte… nuevas > stabilisce una similitudine tra libri e treni: il treno che parte è
come un libro che si chiude perché la strada è finita, quando però un treno torna si apre la
strada ad una nuova storia. E infatti, il capitolo successivo fa da ponte con il romanzo
successivo, La de Bringas, dove, anche qui, il narratore è onnisciente, l’unico che può
conoscere il litigio tra i coniugi Bringas… vediamo una Rosalia Bringas furiosa perché il
comportamento di Augustìn getta un disonore sull’intera famiglia.
Capitolo 41
Y tuviste paciencia… escandalo > in tutto il romanzo Rosalia si camuffa dietro l’idea
dell’onore, nel romanzo successivo, in cui Rosalia diventa personaggio principale, vedremo
che lei si macchia del più grande disonore, l’adulterio, e arriverà a questo per denaro, quindi
da una parte sembra la stessa situazione di Amparo ma è diverso perché Amparo era orfana,
sola, donna, che non può lavorare, mentre Rosalia è sposata con uomo che provvede a tutte
le sue necessità, la necessità di denaro di Rosalia nasce dal fatto che lei si è indebitata per
avere tutto ciò che gioca con l’apparenza (vestiti, gioielli, ecc.). Il problema è comprendere le
ragioni che portano a determinate azioni di Amparo o Rosalia o altri personaggi, non
giudicare.
In La de Bringas abbiamo la scena del grande riscatto di Refugio. Refugio va via dai de
Bringas, nel romanzo successivo scopriamo che Augustìn e Amparo ogni tanto le mandano
dei soldi per aiutarla e Refugio decide di mettersi in commercio, aprire un negozio di articoli
per signora. A un certo punto, quando Rosalia sarà disperata perché non potrà pagare i debiti,
pensa di andare da Refugio a chiederle una mano > in questa scena Rosalia vuole
mantenere l’onore, mentre Refugio vuole che lei si umili, così assistiamo ad un completo
capovolgimento dei personaggi e delle loro azioni, ma tutto in maniera sottile, ad esempio
Refugio, nel mentre che Rosalia fa tanti giri di parole per arrivare al dunque, le chiede di
stringerle il corsetto, cosa che ha sempre fatto lei da cameriera.
Emilia Pardo Bazan
Nasce nel 1851 da una famiglia nobile, il che condizionerà la sua vita
e la sua produzione letteraria. Le sue origini aristocratiche le consentirono di svettare sulle
donne del suo tempo grazie alla letteratura. Parallelamente, lo snobismo della sua classe le
impose, con la forza del determinismo sociale, l’adesione alle forme di cultura straniere. Il
determinismo naturale del paesaggio della sua regione di origine Galizia, diventa il fattore
condizionante della trama della maggior parte delle sue opere, e non più la semplice cornice
delle azioni dei personaggi, come succede invece con la maggior parte dei realisti spagnoli,
ancora troppo legati al costumbrismo per potersi allontanare tematicamente dalla propria
regione. Pardo Bazàn, sin da piccola manifestò una grande passione per la lettura. Con la
sua famiglia, trascorse un periodo di quasi 2 anni in viaggio per l’Europa. Entrò così in
contatto con altri ambienti intellettuali, altre letterature, come la francese, l’inglese e l’italiana.
In Francia conobbe personalmente i suoi autori preferiti e i rappresentanti delle nuove
tendenze narrative: Zola, Hugo, Hausmann, i fratelli Goncourt. Di ritorno in Spagna, la Pardo
Bazàn trovò un paese in fermento intellettuale per via della diffusione del krausismo. A modo
di riparazione personale verso la cultura del suo paese, che aveva trascurato, iniziò la lettura
degli autori contemporanei. I libri di Valera, Alarcòn, Galdós rappresentarono per lei una sorta
di Epifania letteraria: scopre con loro che il romanzo non deve x forza essere figlio della
fantasia più sfrenata, ma può avvalersi delle doti di osservazione della realtà del suo autore.
Forte di questa scoperta inizia a scrivere. Il suo primo romanzo “Pascual Lopez. Autobiografia
de un estudiante de medicina” si iscrive ancora nella tradizione romantica. La svolta si
produce con il romanzo successivo, “Un viaje de novios” e poi con “La Tribuna”. Nei rispettivi
prologhi, l’autrice rivendica la sua originalità, all’interno di una sostanziale accettazione dei
principi del naturalismo. Ci vorranno ancora altre letture e poi la lente e riflessiva elaborazione
del saggio “La cuestiòn palpitante” del 1883 perché la Pardo Bazàn dimostri di aver fatto
una sua personale assimilazione del naturalismo, prima di metterla in opera in “Los pazos
de Ulloa” e “La madre naturaleza”.
I saggi
La vastissima opera della Pardo Bazàn abbraccia un po’ tutti i generi letterari, ma è senza
dubbio grazie alla narrativa e alla saggistica che il suo nome deve questa fama. Ebbe una
costante attività di saggista e polemista, nel ruolo di divulgatrice culturale. Scrisse più di 1500
articoli, riguardanti diversi argomenti. Ma il segno più chiaro della sua vena polemica lo lasciò
nel suo celebre saggio sul naturalismo “La cuestiòn palpitante”, che vide la luce prima sotto
forma di articoli in rivista, e poi in volume nel 1883. In un primo momento, i grandi critici si
astennero dall’esprimere un parere, ma dopo qualche mese presero parte alla polemica con
posizioni contrastanti:
- Da un lato gli avversari del naturalismo: Menéndez Pelayo, Valera
- Dall’altra i suoi difensori: Galdós, Clarìn.
Non è casuale che sul naturalismo si riproduca la divisione della vita pubblica del Paese: da
una parte i conservatori e dall’altra i liberali. La polemica intorno a “La cuestiòn palpitante”
arrivava in realtà con un certo ritardo, visto che il libro conteneva ben pochi elementi di novità
rispetto a quanto già esposto dalla Pardo Bazàn, 2 anni prima, nel prologo a “Un viaje de
novios”. Il movimento naturalista si contrapponeva alla letteratura in voga: se nelle opere di
Pereda o di Alarcòn la realtà viene idealizzata per adattarla ai preconcetti dell’autore; invece,
la Pardo Bazàn propone una letteratura seria, scientifica e sperimentale, capace di osservare
il mondo con imparzialità e di annullare, nella misura del possibile, il punto di vista
dell’osservatore. L’autrice, quindi, aderisce ai principi generali del naturalismo, assertrice
anche lei della necessità di trasporre il neopositivismo in letteratura. (Il neopositivismo è un
indirizzo di pensiero caratterizzato dalla particolare attenzione per lo studio delle metodologie
scientifiche nella filosofia, con aspirazione al rigore proprio della scienza).
“La cuestiòn palpitante”
Ma la Pardo Bazàn non si spinge molto più in là, visto che l’intento primario di questo suo
libro era difendersi dall’accusa di essere la divulgatrice del naturalismo in Spagna. Sembra
chiaro, però, che la pretesa difesa da accuse ingiuste altro non è se non una scusa per
meglio sottolineare la propria originalità nei confronti delle opere contemporanee. Espone le
sue prime critiche al naturalismo. Secondo lei, gli autori francesi non avrebbero saputo
cogliere la vera natura dell’uomo, il libero arbitrio, avendo dato troppa importanza all’impero
sull’umana volontà dell’istinto. Le diverse forme di determinismo, da quello ereditario a quello
sociale e ambientale, negano la possibilità dell’autocoscienza. Questo apriorismo naturalista
denunciato dalla Pardo Bazàn provoca la depurazione della realtà di tutto ciò che potrebbe
rivelare una dimensione spirituale dell’uomo e, di conseguenza, costringe l’autore a osservare
attentamente gli aspetti più sordidi dell’esistenza. Quella al naturalismo è una critica
ideologica di fondo, più che tecnica o formale; si direbbe che la Pardo Bazàn non voglia
impugnare i meriti dei romanzi del suo ammirato Zola. Anzi ne è pienamente consapevole e li
rivendica come un passo avanti nell’arte realista. La sua ammirazione per la tecnica di Zola è
indicativa degli aspetti tecnici salienti nella propria narrativa. Per l’autrice, in effetti, il
naturalismo più che un movimento letterario è un insieme di tecniche, è una depurazione
della retorica dei romanzi alla moda. E in quanto metodo e non teoria, deve essere adeguato
alla realtà che vuole descrivere; ecco perché il naturalismo francese può riflettere alla
perfezione la Francia, ma non serve per la Spagna. E su questo la Bazàn utilizza un
paragone molto suggestivo: “un pittore del paesaggio non mette nella sua tavolozza, per
copiare il sole e il cielo dell’Andalusia, gli stessi colori che ha appena utilizzato per le nebbie
del nord. In Spagna, realismo e naturalismo devono avere colori molto diversi che in Francia”.
Esistendo già una tradizione realista e naturalista nella letteratura spagnola non c’era alcun
motivo, quindi, di seguire i dettami del naturalismo francese; bastava rifarsi ai modelli di
Cervantes, Quevedo, della Celestina per trovare il giusto metodo di avvicinamento alla realtà.
Anche perché naturalismo e realismo, pur essendo simili, non sono uguali. Secondo la Bazàn,
il realismo ci offre una teoria più ampia, completa e perfetta di quella del naturalismo.
Abbraccia lo spirituale, il corpo e l’anima e riduce ad unità l’opposizione del naturalismo e
dell’idealismo razionale.
La narrativa
Il racconto è il genere che le consente di soffermarsi sui piccoli eventi dell’esistenza
quotidiana e anche di fornire una veloce pennellata sulla Galizia, sulla sua gente, i suoi usi e
costumi, le sue leggende, i suoi paesaggi. La sua versatilità le consente di assimilare le
nuove tecniche ed esprimersi all’interno del nuovo canone; nei suoi romanzi si può trovare un
panorama completo delle tendenze che pervasero la narrativa di fine secolo. Il suo primo
romanzo “Pascual López. Autobiografia de un estudiante de medicina” tasta il terreno della
narrativa, volgendo lo sguardo al romanticismo ancora vivo nei popolari romanzi d’appendice.
La trama è incentrata su un argomento classico: il patto con il diavolo, qui rappresentato dalla
persona dell’alchimista, che deve aiutare il protagonista nella sua ricerca di un raggio
miracoloso. L’atmosfera vagamente magica sembrerebbe ereditata dalla tradizione romantica,
così come il retoricismo dello stile, il predominio di una sola linea tematica e i personaggi
archetipici. Con il secondo romanzo “Un viaje de novios”, l’autrice inizia il suo percorso
all’interno del naturalismo. In esso ricorrono elementi caratterizzanti il naturalismo, come il
determinismo fisiologico del comportamento dei personaggi, e quindi una particolare
attenzione alle malattie, alle basse passioni.
Ma nessuno di questi elementi acquista sufficiente rilevanza all’interno del racconto perché si
possa leggere il romanzo sotto la lente naturalista. Solo a partire dal terzo romanzo, l’estetica
naturalista conformerà la narrativa della Pardo Bazàn, consentendole di analizzare 4 dei
settori sociali dell’epoca:
- Il proletariato in “La Tribuna”
- Il popolo in “El cisne de Vilamorta”
- La campagna in “Los Pazos de Ulloa” e “La madre naturaleza”
- La città in “Insolaciòn”
Ne deriva un tessuto narrativo profondamente marcato dalle tecniche naturaliste: esposizioni
dettagliate di azioni tipiche di un determinato mestiere, o un gruppo sociale; caratterizzazione
attraverso un determinato elemento fisico; descrizione degli ambienti sordidi, della sporcizia,
della miseria. Tematicamente però, la Pardo Bazàn recupera elementi del romanzo
d’appendice, quando permette che la sua eroina, chiaro esempio di proletaria rivoluzionaria,
venga sedotta da un ragazzo di buona famiglia; uno dei topici appunto dei folletines
dell’epoca. Dopo la pubblicazione poi del saggio sul romanzo russo “La revoluciòn y la
novela en Rusia”, la produzione narrativa dell’autrice subisce un radicale cambiamento di
rotta; l’autrice assimila nella propria scrittura le tecniche da lei esposte nel saggio. Nei
romanzi di questa nuova epoca, le azioni dei personaggi sono spiegate non più sulla base dei
condizionamenti esterni, bensì partendo dalla loro interiorità. In questo modo il percorso
artistico della narratrice completa il suo tragitto realista alla scoperta del mondo con lo
sguardo alla sua parte più nascosta e cioè alla psiche dei personaggi. L’etica, la dimensione
morale dei fatti, che il naturalismo perdeva di vista, viene adesso rivalutata fino a diventare il
punto centrale della nuova visione del mondo. Frutto della nuova impostazione sono romanzi
come “Una Cristiana”, “La Prueba” e “Memorias de un solteròn” dove la capacità di
introspezione dei personaggi costituisce la chiave di volta dell’intero edificio narrativo. Più in
là scopre anche il simbolismo, e con esso alcuni aspetti del decadentismo, con opere come
“La Quimera” e “La sirena negra” dove abbandona descrizioni cromatiche, olfattive, e il
sensualismo della prosa che va a evidenziare il suo legame con il modernismo (legame
dovuto anche grazie all’amicizia con Rubén Darìo).
“Los pazos de Ulloa”1886.
Qui il naturalismo della Bazàn trova massima espressione. La tematica di fondo si basa su
uno dei suoi presupposti teorici: il doppio determinismo, biologico e ambientale. Quest’opera
costituisce un’unità argomentale con “La madre naturaleza”, apparso un anno dopo. Le
differenze fra i 2 romanzi si riflettono in una maggiore ricchezza di letture per il primo rispetto
al secondo. In entrambi, l’argomento fondamentale, cioè il rapporto tra uomo e natura, viene
trattato in modo diverso:
- la natura è violenta fomentatrice delle pulsioni più basse in Los pazos de Ulloa
- ed è tenera madre dell’amore e della tenerezza in La madre naturaleza.
Il nuovo cappellano del pazo di Ulloa, Juliàn, trova al suo arrivo una comunità allo sfascio; il
signore, il marchese Pedro ha ceduto i suoi possedimenti al suo servo, Primitivo. Pedro ha
avuto un figlio da Sabel, la figlia di Primitivo, e questo ha conferito al servo un incontrastato
potere sul padrone e sui suoi terreni. La casa è in quasi completo stato di abbandono, così
come la famiglia. Così Juliàn, appena arrivato, deve prendersi cura, prima di tutto,
dell’economia della proprietà. La sua sorpresa aumenta a mano a mano che scopre la reale
situazione della casa: si direbbe che la cultura e la società siano regredite a vantaggio della
natura e dell’animalità: le condizioni di vita delle persone le avvicinano alle bestie. Juliàn è un
uomo dai modi raffinati, educato in un seminario sin da bambino, dal carattere debole e non
possiede gli strumenti per fare fronte alla complicata situazione. In più di un’occasione si
direbbe che anche lui stia per soccombere alle tentazioni della vita disordinata, come il corpo
di Sabel. Il marchese prende moglie tra le proprie cugine. Nucha è la prescelta, è una donna
fragile che patisce la durezza della vita nel pazo. Dopo la nascita di Manuela, Nucha sente
ancora più profondamente il distacco da quell’ambiente ostile, anche in seguito alla scoperta
dell’infedeltà di suo marito con Sabel.Perucho vede nella cappella Juliàn e Nucha fusi in un
abbraccio. Pedro viene a conoscenza di ciò, rimprovera sua moglie e costringe il prete a
lasciare il pazo. Nucha, ormai sola, si lascia andare ad una depressione sempre più profonda,
finché muore, dopo una lunga malattia. Dieci anni dopo ritroviamo Juliàn, ora parroco di Ulloa,
in visita al cimitero dove riposa Nucha. Lì incontra Manuela e Perucho, i 2 inseparabili
fratellastri, divisi però dai segni dell’appartenenza a 2 classi sociali diverse: lei è vestita
poveramente; lui fa sfoggio di abiti raffinati.
La trama dell’opera viene determinata dal conflitto tra 2 gruppi di individui, 2 tipi sociali diversi:
- da una parte i personaggi rurali, che si caratterizzano per la loro dipendenza dalle basse
passioni, per la loro carnalità. Nei personaggi rurali l’intelligenza diventa astuzia, calcolo,
interesse.
- dall’altra i cittadini, dove troviamo il predominio della ragione, il controllo delle proprie
emozioni.
Le emozioni dei personaggi naturali vengono espresse oppure convertite in azioni a proprio
vantaggio, come l’amore di Sabel per il padrone subito riciclato in spazio di potere per
Primitivo, suo padre, e posizione di privilegio per lei e suo figlio. È l’opposizione spaziale
primaria tra la città e la campagna a generalizzare i significati del racconto: da una parte il
mondo civilizzato, ordinato della città, e dall’altra il mondo selvaggio e
sensuale del pazo. I significati di ognuno di questi mondi sono esaltati dal contrasto con l’altro:
per vedere il pazo in tutta la sua crudeltà ci vuole una sensibilità cittadina. L’esuberanza del
pazo, la sua violenza, sono collocati al centro dell’attenzione narrativa, perché il narratore
adopera il punto di vista del cittadino appena arrivato che si sorprende davanti a usi e costumi
del luogo. L’esperimento narrativo compiuto dall’autrice consiste nell’introdurre un abitante
della città, di modi raffinati, nel mondo rurale dei pazos : in questo modo il romanzo diventa il
banco di prova teorizzato da Zola in cui riprodurre e analizzare la realtà. Quando la capacità
di meraviglia del cappellano si esaurisce, il narratore poi introduce un nuovo personaggio.
Nucha ha le stesse qualità di Juliàn, ma in più è la moglie del marchese e quindi ha accesso
alla sua intimità. L’occhio di Juliàn vede le condizioni generali di vita, la decadenza,
l’animalizzazione delle persone; l’occhio di Nucha invece riesce a vedere dove non arriva
quello del prete, quindi la decadenza sul piano intimo e sentimentale. Il pazo di Ulloa diventa
una sorta di ombelico del mondo dove confluisce il conflitto: all’interno delle mura si
confrontano gli aspetti del conflitto basilare: Juliàn è il portatore di cultura, di autocontrollo e
rigore morale, e trova a combatterlo l’uomo del potere istintivo, Don Pedro, che tende verso
l’oggetto del suo desiderio senza freni di tipo morale, religioso o sociale.
Di fronte all’altro aspetto della femminilità di Nucha, la seduzione intellettuale, i 2 uomini
reagiscono in modo opposto:
- Pedro desidera averla ma non stabilire un rapporto con lei; trasforma Nucha nel feticcio che
gli garantisce il possesso della chiave sociale. Il suo è un desiderio di possesso globalizzante
che non gli permette di rinunciare a uno degli aspetti della femminilità per averne l’altro.
- Proprio l’opposto farà il cappellano, che si vede costretto ad appropriarsi dell’immagine
astratta del proprio oggetto d’amore, Nucha, perché la legge gli vieta di possederlo in un altro
modo. Juliàn non è uomo di potere, ma di parola e di codici. Il suo conflitto interno nasce
dall’incapacità di unire armonicamente i 2 lati della sua persona: la mente e il corpo, e
proiettarli all’esterno nell’oggetto del suo desiderio. Primitivo, dal canto suo, utilizza sua figlia
Sabel come oggetto di scambio; il suo primitivismo, già contenuto nel nome, si manifesta
proprio in questa sua concezione della donna come oggetto da offrire al padrone in cambio di
potere o denaro.
In questo senso Primitivo è antagonistico e incarna la parte più animmalesca
dell’uomo,mentre Juliàn quella più elevata. Nessuno dei personaggi nell’opera è puro. In tutti
si manifesta una qualche forma di contaminazione dell’aspetto contrario. Perucho è colui però
che più si avvicina alla purezza naturale; la sua origine periferica condiziona positivamente la
sua esistenza.
La critica sull’opera
- Da un lato, la critica ha segnalato che quest’opera poteva essere interpretata come la storia
della decadenza dell’aristocrazia feudale.
- Dall’altro come la sottomissione dell’individuo all’ambiente, in questo caso la natura
colossale e onnipotente, e in questa interpretazione coinciderebbe con “La madre naturaleza”.
- Poteva anche essere interpretato come il confronto fra 2 tipi di società, quella rurale e quella
civilizzata, in cui, sebbene venga messa in mostra la relativa superiorità di quest’ultima, si
evidenzierebbe anche che i figli della società civilizzata non sono atti ad affrontare le dure
condizioni di vita della prima, e quindi non possono trasformarla.
- Altro punto di vista prende in considerazione la dimensione psicologica della trama,
attraverso l’amore di Juliàn per Nucha → propone una lettura dell’opera come romanzo
annunciatore della corrente psicologicospiritualista che sta x abbattersi sulla narrativa
spagnola. Nel finale, la narrazione sperimenta un salto di qualità, con lo spostamento del
punto di vista dai fatti ai sentimenti.È evidente il desiderio dell’autrice di velare i fatti per
caricarli di quella drammaticità che la distanza concede.
Si nota l’aderenza dell’opera all’estetica zoliana, tenendo in conto la polemica intorno alla sua
adesione al naturalismo, che ha animato la critica. Le infrazioni al codice naturalista sono
possibili perché il loro peso sul racconto è abbastanza relativo. Il naturalismo della Pardo
Bazàn è più formale che di sostanza, e questo permette all’autrice di ricorrere ad altre
tecniche narrative. Il suo non poteva certo essere un naturalismo militante al modo di Zola,
visto che il suo cattolicesimo le impediva di accettare la tesi fondamentale del naturalismo,
cioè il determinismo. Eppure, non c’è dubbio che l’impianto globale dell’opera e molti dei suoi
elementi appartengano a quel filone. Nell’opera troviamo non solo un naturalismo parodico o
grottesco, ma anche:
- Un naturalismo passivo, i cui principi fondamentali diventano oggetto di conversazione da
parte dei personaggi, come in quasi tutti gli interventi del medico del paese.
- Un naturalismo attivo, che opera nella costruzione della trama, con impossibilità di riscatto
per gli uomini prigionieri delle regole della natura, la decadenza sociale e forse anche
genetica di una famiglia.
L’autrice utilizza lo stile indiretto libero, tipico del naturalismo, e lo fa con grande disinvoltura
quando, per esempio, vuole penetrare nei pensieri di un personaggio senza abbandonare
l’apparenza di obiettività. Anche sotto l’aspetto linguistico si percepisce la matrice naturalista
dell’arte della Pardo Bazàn. La lingua è priva di preziosismi, di artifici retorici, evita addirittura
l’aggettivazione, nel tentativo di rendere la sua prosa il più trasparente possibile all’obiettività
dei fatti.
“La madre naturaleza” 1887.
Qui ritroviamo i personaggi secondari di “Los pazos de Ulloa”: Gabriel, il fratello di Nucha, che
nel precedente romanzo compariva nei ricordi della sorella, ha qui invece un ruolo di primo
piano; i bambini ormai diventati ragazzi. Perucho e Manola, i 2 fratellastri qui di amano, e non
sanno del vincolo di consanguineità che li lega perché nessuno gliene ha mai parlato. Lo
sviluppo del loro rapporto incestuoso è coadiuvato anche da una cornice naturale rigogliosa e
sensuale. Quest’opera, rispetto alla precedente, presenta una minore ricchezza di livelli di
lettura. La trama si concentra soprattutto sull’amore tra i 2 fratellastri e sull’influsso della
natura su di esso. La natura diventa loro complice e protettrice, se non addirittura la mezzana
che li spinge verso l’incesto: nella grotta dove si sono rifugiati, quando l’imbarazzo rischia di
prendere il sopravvento, è la natura e la naturalezza che li incita all’amore. Il loro amore si
arricchisce sempre di più a contatto con la natura e con le persone ad essa legate. Quando
l’uomo prova l’unione mistica con gli elementi della natura, la morale viene annullata, non
esistono le responsabilità verso l’ordinamento sociale. L’uomo solo, davanti al selvaggio che
porta in sé, cerca le presenze misteriose all’esterno. Si direbbe che, nell’ottica dell’autrice, la
capacità di interagire con le forze naturali derivino ai galiziani da una sorta di determinismo
genetico. Il rappresentante della cultura in “La madre naturaleza” è Gabriel, il quale non può
certamente accettare l’idea della visione magica del mondo, e cioè, che si possa stabilire un
dialogo con la natura. Salvo poi sospendere la razionalità quando va a fare visita alla tomba
della sorella. La descrizione del cimitero e del prodigio naturale che in esso si verifica risale
alla tradizione romantica, rivisitata. Il suo è un romanticismo di facciata, figurativo, che non
può fare a meno del positivismo che sorregge tutta la rappresentazione. Il naturalismo di
quest’opera è di portata molto ridotta rispetto a “Los pazos de Ulloa”. Il determinismo
fisiologico non pervade tutto il discorso, come succedeva nel precedente romanzo, ma si
limita a qualche timida apparizione. Il determinismo biologico è stato quasi completamente
accantonato dalla concorrenza nella spiegazione dei fatti del determinismo ambientale;
nell’amore tra Perucho e Manola viene completamente ignorato il divieto imposto dall’eredità,
mentre è accettato il fattore ambientale: essi si amano perché l’ambiente naturale li spinge a
farlo. Quest’opera possiede anche una portata mitica: la storia di Perucho e Manola è una
sorta di mito di fondazione delle comunità rurali, nate dall’amore tra fratelli. I 2 personaggi
possiedono caratteristiche quasi simboliche, in essi si racchiude la mascolinità e la
femminilità allo stato puro, senza le convenzioni della società. Per certi versi la storia dei 2
adolescenti ci riporta ad un ambiente di tragedia classica, dove gli eroi devono lottare contro
la forza della natura che li spinge in una data direzione, mentre la società richiederebbe loro
l’adeguamento ai canoni di vita consensuali. E forse è proprio questo l’aspetto saliente
dell’opera.
Lezione 5
LeopoLdo ALAs “CLArin”
“Al aparecere Augusto... un paraguas abierto” ----> conosciamo Augusto mentre sta uscendo
di casa. La scena è fortemente simbolica perchè ci permette di ragionare su tutto. Quello che
capiamo di questo Augusto è che lui vive chiuso nel suo mondo, è come se vivesse in una
nebbia, che da una parte lo protegge ma dall’ altra gli impedisce di avere contatti con
l’esterno. Il gesto simbolico del muovere il braccio signifca che lui non sta cercando di entrare
il contatto con il mondo, ma bensì sta vedendo se stava piovendo. Si trova in questa zona di
limbo in cui deve decidere cosa fare. Nel momento stesso in cui Unamuno ci racconta la sua
vita, Augusto Perez vuole uscire dalla nebbia esistenziale in cui lui vive e cominciare da li a
raccontarsi. Il suo comportamento non è razionale; lui non progetta nulla, si lascia trascinare
dagli eventi e dalle situazioni. Nel uscire di casa incontra una ragazza, Eugenia e decide di
seguire la sua stessa direzione. In tutto il romanzo si vedrà l’evolversi del pesniero, dei
ragionamenti di Augusto Perez.
“Pero aquel chiquillo.... el pensamiento” ----> questo è uno di quei passi in cui possiamo
cogliere questo quasi flusso di coscienza. Il narratore c’è lo precisa iba diciéndose Augusto,
que más bien que pensaba hablaba consigo mismo, cerca di dire che sì pensa ma i tempi
non sono completamente pronti, non si può parlare ancora di flusso di coscienza, però l’idea
di permettere al lettore di accedere direttamente al fluire del pensiero del personaggio è già
chiara nel testo. Ne La Regenta anche per Ana Ozores seguiamo i suoi pensieri, vediamo in
che modo cerca di ragionare su quello che succede e anche in Tormento con Amparo
succede questo; quindi, ci sono ragionamenti fluenti su questioni chiare, si interrogano sui
loro sentimenti, il proprio passato. In questo caso, in Niebla, Augusto sta camminando,
comincia a guardare le cose e passa da una cosa all’altra senza alcun legame logico se non
quello di un’affinità che lui trova, per cui vediamo che da un ragazzo steso a terra che parla
con una formica passa ad una riflessione su questo animale e ci dice che non lavora, poi dice
Es un vago, un vago como... non finisce neanche di dire la frase, non dice yo, ma poi dice
¡No, yo no soy un vago!... ma che nesso c’è tra il ragazzino che stava a terra e le riflessioni
sul lavoro? Nessuna, sono associazioni che lui fa tra le cose. La differenza tra il pensiero che
ci veniva presentato negli altri romanzi e questa nuova tecnica.
Il sentimento di Augusto per Eugenia rappresenta la molla necessaria per lui di uscire da
questa nebbia esistenziale, e a poco a poco lui riesce a costruire una sua identità attrono a
questo sentiemento amoroso per Eugenia.
Niebla presenta un nuovo genere, è un romanzo che rompe con la tradizione e Unamuno
inventa un nome per questo nuovo genere, ovvero nivola. Amor y Pedagogia è la prima
nivola che Unamuno scrive. Unamuno spiega che cos’è questo genere letterario e come
nasce questo termine in maniera consapevole in Niebla nel capitolo 17: in questo capitolo
Augusto sta parlando con Victor, uno scrittore che sta scrivendo il romanzo, Augusto gli
chiede notizie su questo romanzo che sta scrivendo, gli chiede prima di tutto di che parla e
Victor gli risponde in maniera vaga, non parla di una cosa nello specifico, è un po’ quello che
viene fuori nella scrittura A lo que salga, senza un progetto. Poi chiede come sarà strutturato
e Victor risponde che ci saranno molti dialoghi, mentre presenta queste cose un po’ strane
Augusto fa qualche obiezione e Victor gli dice El caso es que en esa novela pienso meter
todo lo que se me ocurra, sea como fuere, vuole metterci tutto. La risposta di Augusto è Pues
acabará no siendo novela, questo significa che la novela così come la conoscevano i lettori
del tempo aveva delle caratteristiche e se queste caratteristiche non vengono rispettate, non
sarà una novela. La risposta di Victor sarà No, será... será... nivola; quindi, il gioco è tra
novela e nivola (si legge nivòla). Poi Victor continua spiegando da dove nasce questo termine.
Captiolo 31
In questo capitolo avviene l’incontro con Unamuno. Perso l’oggetto d’amore, Eugenia,
Augusto perde anche la propria identità e il suo ruolo nel mondo e da qui comincia a pensare
di suicidarsi.
“Aquella tempestad... para visitarme” ----> il narratore è Miguel de Unamuno, il quale spiega
che, prima di portare a termine questa decisione, Augusto vuole recarsi da lui perché aveva
letto un passaggio in un saggio che parlava di suicidio. Cambia qualcosa perché tra le prime
indicazioni che ci fornisce il narratore vi è la collocazione geografica (dato reale che aumenta
il grado di verosimiglianza), ossia Salamanca, dove Unamuno realmente viveva e svolgeva la
sua attività di direttore. Miguel de Unamuno si fa personaggio del suo stesso romanzo per
poter parlare, sul suo stesso livello, con il suo personaggio.
“Cuando me anunciaron su visita.... frente a mi” ----> comincia uno stile di narrazione che
all’ironia vista fino a questo momento somma una certa ambiguità: Unamuno è nel suo studio,
viene annunciato Augusto che entra come un fantasma, termine che da una parte ci fa
pensare alla condizione di angoscia profonda di Augusto, un uomo che vuole uccidersi, quindi
bianco, provato, ma al tempo stesso il fantasma è un qualcosa che non esiste. Augusto si
siede (dopo che Unamuno lo ha invitato a farlo).
“Empezo hablandome.... mas secretos” ----> Unamuno gli mostra che della sua vita conosce
esattamente tutto, sa le stesse cose che Augusto stesso sa della sua vita e come prova gli
racconta alcune questioni che, secondo Augusto, dovrebbero essere segrete; ci troviamo
nella stessa situazione di prologo e post-prologo: c’è qualcosa che non capiamo.
“Me miro.... de sus fuerzas” ----> la situazione incredibile di incredulità che ha il lettore è
specchio dell’incredulità di Augusto che non capisce se è sveglio o se sta dormendo. Augusto
dice che, se sa tutto, conosce anche la decisione che ha preso e Unamuno conferma, sa che
vuole suicidarsi. Arriva la paura, la quale è tale da portarlo a voler scappare, ma non ci riesce
perché tutto è legato alle decisioni di Unamuno (infatti Augusto si siede perché è Unamuno a
dirglielo).
“No, no te mueves, le ordene” ---> inizia quest’altro dialogo sull’assenza di volontà di Augusto,
non può fare nulla se non direttamente ordinato, detto o scritto da Unamuno.
“Es que tu.... tu secreto” ----> rivelezione. Proseguendo nel dialogo, quando Unamuno spiega
che lui non esiste, cominciano a tornare espressioni usate già nel post-prologo a Victor “sono
a conoscenza del vostro segreto”, che è il segreto dell’esistenza.
Augusto passa dallo sconcerto totale ad un atteggiamento di ribellione nei confronti del suo
creatore.
“Mires bien Don Miguel… > abbiamo un ribaltamento della situazione, dei rapporti di forza: e
se fosse il contrario? Se fosse che Unamuno, in quanto autore, esistesse solo in virtù del
racconto della storia di Augusto? Queste sono le sue accuse.
L’idea di questo strano rapporto tra scrittori e personaggi è un’idea molto presente nel
pensiero di Unamuno, egli spesso insiste sul fatto che i grandi personaggi letterari, come Don
Chisciotte e Amleto, per noi sono più veri dei loro autori, per noi è più autentico Don
Chisciotte che Cervantes; questo concetto dell’autonomia del personaggio gli dà centralità e
autonomia, i personaggi sembrano potersi staccare dalle storie e dagli autori stessi.
Importante però è analizzare la dimensione spirituale e religiosa che vi passa nel caso di
Unamuno e Augusto: quest’ultimo sposta il suo rapporto con Unamuno, quindi quello
creatura-creatore, sul piano del rapporto uomo-Dio > gli uomini sono prodotto della volontà
divina e noi esistiamo solo finché Dio vuole, la morte arriva quando, in maniera provocatoria,
Dio si stanca di raccontare/scrivere la nostra storia.
Verso la fine del romanzo, Unamuno comincia a stancarsi di queste insinuazioni.
“Bueno basta, basta, basta…” > Unamuno gli dice che tornando a casa, Augusto sarebbe
morto. Dopo aver scoperto il suo ruolo, però, che è diverso da quello di innamorato di
Eugenia, in Augusto scaturisce la voglia di vivere, non vuole più morire e comincia a pregare
Unamuno di tenerlo in vita, assumendo l’atteggiamento dell’uomo che supplica Dio.
“Es que yo quiero vivir…” > insiste nelle battute su questa ripetizione del “vivir”.
“No puede ser pobre Augusto…” > Unamuno dice di averlo già scritto, non può vivere ora,
non ha pietà nei confronti delle suppliche di Augusto perché la storia è finita, è già scritta,
inoltre il capitolo intero si basa proprio su quello che Augusto può fare e non può fare senza
che Unamuno glielo dica o scriva. Interessante capire, a questo punto, da cosa nasce
l’ambiguità: inizia circa la morte di Augusto, perché di fatto Unamuno gli dice che tornando a
casa sarebbe morto: l’ha ucciso Unamuno perché così ha terminato la storia, ma dal punto di
vista dei personaggi la realtà è che, dopo essere stato da Unamuno, Augusto è tornato a
casa ed è morto, quindi per i personaggi non è stato Unamuno ad ucciderlo, ma lui
stesso…seguendo il prologo di Victor, ci viene detto che Augusto si è suicidato, perché
questo è quello che i personaggi (compreso Victor
stesso) sanno, dal momento che il dialogo con Unamuno è a porte chiuse, nessuno ne è a
conoscenza.
Lezione 9
Camilo José Cela
Antonio e Manuel Machado sono due delle figure più importanti della
poesia e del teatro spagnolo; Manuel è più legato al modernismo, mentre Antonio, la cui
produzione parte dagli inizi del 900, prima aderisce al modernismo con Soledades e poi se
ne distanzia, cambiando poetica. Nasce a Siviglia, città che rappresenterà sempre il simbolo
degli anni felici dell'infanzia, in particolare l'albero di limoni e la fonte sono simboli sempre
presenti, legati al tema del ricordo; si formò con i principi della Institución Libre de Enseñanza,
istituzione creata da Francisco Ginez de los Rios e che ha come obiettivo la modernizzazione
del sistema pedagogico. Si trasferisce a Madrid dove partecipa alla vita culturale della città;
nel 1902 va a Parigi dove entra in contatto con la poesia francese dell'epoca, aderisce con
grande convinzione al modernismo di Ruben Dario, tanto che, con il fratello Manuel e con
Jiménez, fonda la rivista Elios, la quale divenne importante organo di diffusione della poesia
modernista. Nel 1907 lascia Madrid per diventare professore di francese e sposò la giovane
Leonor a Soria; in questo periodo e in questo luogo la sua poesia cambia nei temi e nelle
forme. Ci fu successivamente un secondo viaggio a Parigi, durante il quale frequentò le
lezioni di Bergson ma, in seguito a questo viaggio, Leonor si ammalò e morì; dunque,
Machado non riesce più a restare a Soria perché è una città che gli ricorda troppo gli anni
felici trascorsi con la moglie ormai defunta, quindi decide di tornare in Andalusia, si sposta in
Castiglia quasi settimanalmente, per poi recarsi a Madrid. Scrisse numerose raccolte, delle
quali Soledades e Campos de Castilla sono le più importanti.
Per quanto riguarda la scrittura di Machado, lui come Jiménez ragionerà sulla realizzazione di
opere complete, di forme complete da dare alla sua poesia e ciò implica la revisione dei testi
con una duplice direzione: eliminazione e aggiunta di parti; in certi casi la riscrittura riguarderà
i singoli testi (infatti Machado modifica spesso i termini dei testi). Nell’ultima tappa della sua
produzione (muore nel 1939) le questioni filosofiche diventeranno centrali, la riflessione sull'io
lo porterà a pubblicare El Cancionero Apòcrifo, scritto da Juan de Mairena, uno dei poeti
inesistenti che Machado inventa, uno dei personaggi dotati di uno stile di scrittura diverso da
quello di Machado (eteronimi). Durante quest’ultima tappa della sua vita, egli ha modo di
incrociare i giovani poeti della Generazione del ’27 (per i quali Jiménez era un punto di
riferimento) e alcuni di essi, come Salinas, riconosceranno in Machado un punto di
riferimento… nonostante ciò, Machado critica spesso gli eccessi della loro poesia, che egli
stesso definisce come una poesia barocca che assume le forme di una ginnastica mentale e
che non ha nulla a che fare con la sua poesia, egli non ama Góngora (punto di riferimento e
di nascita per questi poeti), inoltre li considerava troppo influenzati dalle poesie francesi, in
particolare da Verlaine (che tra tutti era colui che assomigliava più a Góngora). Di fatto, per
Machado la poesia deve essere chiara, non ermetica. Tra i poeti che Machado riconosce in
modo positivo abbiamo Pedro Salinas, in modo negativo Guilleme. Esiste una lettera in cui
Machado si riferisce ai poeti della Generazione del ‘27: dopo che arrivano i libri di questi
giovani poeti, Machado non li capisce e non capisce come i loro testi possono essere
considerati poesia. Si rivolge a questa ragazza più giovane di lui, dicendole che magari un
giorno li avrebbero letti insieme, in modo che questa ragazza potesse aiutarli a capire testi in
cui non vedeva alcuna emozione umana, ma solo un labirinto di immagini e di concetti; a suo
avviso, continua, la lirica è sempre stata espressione del sentimento, la poesia non vuole
parlare solo dell'intelligenza ed è proprio per questo motivo che apprezza Salinas, perché
quest’ultimo, nella sua produzione, esprime sentimento amoroso. Si chiede come possa
considerarsi lui se questi sono considerati poeti, ma non lo fa in maniera polemica, si tratta
piuttosto del dramma di un uomo che cerca di dialogare con una poesia diametralmente
opposta alla sua.
Soledades
Il titolo è un titolo parlante: le solitudini; esso rimanda al tema intimo, ad un'atmosfera
intimista. Il titolo rimanda ad una tradizione letteraria: rappresenta un riallacciarsi e allo stesso
tempo allontanarsi dalla tradizione. Riprende il titolo di Góngora per farne, però, qualcosa di
diverso. La prima edizione è del 1903, la raccolta in questo momento aveva un numero
diverso di componimenti ed è quella che aderisce al meglio al modernismo, infatti già nel
1907, con la seconda edizione, l'opera viene riprogettata: vengono aggiunti componimenti
fino ad un totale di 95 e viene eliminato un nucleo di componimenti della prima edizione che
Machado vedeva più legato alla moda. Il titolo è diviso in tre sezioni, ognuna delle quali ha più
sottosezioni. La raccolta presenta tre temi principali: il ricordo, il sogno e l'amore in qualche
forma; il ricordo come evocazione del passato è uno dei modi privilegiati con cui il poeta si
immerge nel proprio io, l’infanzia è il luogo privilegiato ed è agli anni dell'infanzia a cui lui
allude di più. Inevitabilmente, in quest'ottica, il passato appare triste e monotono.
Recuerdo Enfantil
In questo componimento si sviluppano i temi del recupero della memoria, di un ricordo legato
all’infanzia. In questo caso, non si tratta di un ricordo strettamente personale, ma di un ricordo
che può essere condiviso a livello generazionale, perchè si basa su un’esperienza comune
durante la fase della vita infantile, ovvero la formazione scolastica.
Il ritmo di questo componimento è fondamentale: si tratta di un ritmo monotono, proprio come
la monotonia che il poeta dice caratterizzasse i giorni di scuola. Questo ritmo monotono si
ottiene attraverso una cadenza, ovvero la ripetizione che nel testo troviamo a livello di
struttura, questo perchè i primi 4 versi corrispondono quasi esattamente ai 4 versi finali;
quindi si tratta di una struttua chiusa o di una struttura circolare in cui tutto sembra destinato a
ripetersi.
In questo caso, i versi che si ripetono ci rimandano alla descrizione del gionro, al momento
dell’anno: il grigiore invernale, che appiattisce tutto ed è collegato alla tristezza, questo fa in
modo di stabilire una connessione tra il tempo esterno e il sentimento provato dai bambini
durante la lezione.
Se inizialemente il griggiore, il freddo e la monotonia sono esterni alla classe, nella parte
finale è come se tutto l’esterno venisse proiettato sulla classe e sui ragazzi, come se si
stabilisse una strettissima connesione tra spazio e soggetto.
A partire dal verso 5, l’attenzione si sposta sulla classe, intesa sia come aula sia come
gruppo di studenti; dello spazio ci dice solamente che sulle pareti c’è un immagine in cui
Caino ha appena ucciso Abele e si sta allontanando dal suo corpo; nonostante la violenza, la
macchia rossa del sangue di Abele non è altro che la conferma della tristezza e del dolore,
perchè il sangue ci rimanda alla morte.
Il maestro, anziano e malvestito, ha un libro che gli permette di svolgere la lezione, che però
consiste in una monotona ripetizione: il coro delle voci dei bambini, che tutti insieme ripetono
probabilmente tabelline e moltipilcazioni, e da qui capiamo che si tratta di una lezione di
matematica. Non si tratta solo della ripetizione delle moltiplicazioni, ma si tratta di
moltiplicazioni di numeri uguali: qui la monotonia prende forma in maniera molto diversa nel
testo per veicolare efficacemente tristezza, malinconia e grigiore.
Descritto questo, lo sguardo si riallarga in maniera quasi cinematografica stabilendo una
connessione tra lo spazio esterno e quello interno.
Componimento VI
In questo componimento abbiamo sempre il tema del ricordo, che stavolta però si tratta di un
ricordo di una sofferenza amorosa. Essendo ricordo, avremo nuovamente al centro
d’interesse del poeta la ritmicità e la monotonia intesa come ripetizione. Ma mentre nella
poesia precedente, il ricordo sembra nascere in maniera spontanea, in questo caso emerge a
fatica, viene indotto al poeta attraverso un dialogo con una fonte d’acqua con cui l’io parla.
Questa fonte cerca di evocare un ricordo che l’io cercherà in tutti i modi di allontanare in
quanto doloroso.
Questa poesia ci permette di cogliere più chiaramente la centralità dell’uso dei simboli,
perchè questa fonta d’acqua che parla non è altro che una maniera dell’io di sdoppiarsi e
fingere di dialogare con qualcuno che in realtà è sè stesso.
Possiamo individuare tre blocchi: il primo arriva fino al verso 12 e ci presenta la descrizione
del paesaggio; in tutta la raccolta Soledades, il paesaggio è fondamentale ma ha sempre un
valore simbolico: non è descrittivo come in Campos de Castilla, ma è un paesaggio che
permette al poeta di manifestare i suoi personali stati d’animo.
Siamo di sera e la sera, il crepuscolo e l’alba sono i momenti del giorno privilegiati in questa
raccolta, perchè sono momenti di transizione che facilitano il dialogo. Gli aggettivi che
descrivono la sera in realtà rimandano all’io, perche viene definita “triste e sonnolenta”.
Ci troviamo in un giardino recintato in cui evidentemente non mette piede nessuno da molto
tempo, e questo lo sappiamo per l’edera incolta, secca, nera e piena di polvere. Al verso 4 si
introduce la fonte: l’elemento messo in luce anche qui è la musicalità, che nella seconda
parte del componimento si trasforma in voce che parla col poeta.
Il giardino è il luogo di cui solo il poeta ha la chiave: entra nel giardino, e si insiste sugli
elementi che ci fanno capire che è un luogo non curato e dove non si entra da molto tempo.
Entrato nel giardino, si dirige verso la fonte, guidato dal suo cantom un canto dato dall’acqua
che batte sul marmo con un ritmo condenzato. Questo canto d’acqua, da musica diventa
linguaggio. Tutta la descrizione del parco ha un valore simbolico: è l’io che sta scavando in sè
stesso nel tentativo di recuperare un certo passato a cui non ha più fatto ritorno.
Al verso 13 inizia la seconda parte, che arriva fino al verso 48, mentre al verso 49 troviamo
l’ultima parte; la prima parte è descrittiva, la seconda è incentrata sul dialogo tra l’io e la fonte.
La fonte cerca di stimolare nel poeta il ricordo di un passato lontano che rivive attraverso il
presente: il suono della fonte che ascolta nel presente l’io dovrebbe, secondo la fonte,
aiutarlo a recuperare un momento del passato in cui sentiva tale suono; passato e presente
condividono il ritmo, la stessa ambientazione nello stesso momento dell’anno e la presenza
della fonte.
Da qui inizia un sistema di risposte del poeta che dice di non ricordare, ma di riconoscere
qualcosa nel canto della fonte che lo riconduce ad un ricordo passato che non sa definire.
Lezione 11
Nella seconda parte del componimento VI il poeta sta avviando un discorso con la fonte
d’acqua nel giardino in cui si trova; in questa seconda parte diventa centrale il dialogo,c he
procede per domande anche incalzanti in una fase iniziale, domande poste dalla fonte all’io
per cercare di stimolare in lui il ricordo. Ma nonostante l’inisistenza della fonte, il poeta dice di
non ricordare.
Allora, a partire dal verso 21, la fonte comincia ad offrire dettagli in più sul ricordo che vuole
evocare: i dettagli che fornisce, in particolare il riferimento ai mirti talari e alla fiamma, ci fanno
capire che si tratta di un ricordo amoroso.
Dal verso 27 si passa dall’insistenza sulla negazione (no recuerdo), al poeta che ora non
ricorda ma riconosce di sapere delle cose (yo sè). l’io riconosce che c’è qualche cosa nella
scena presente che sta vivendo che è già successa nel passato, ma non riesce a capire di
cosa si tratta e, in qualche modo, pensa e spera che possa trattarsi di qualchr storia felice;
perciò, chiede alla fonte di raccontargli quello che lui non ricorda.
La risposta della fonte non lascia invece spazio alla speranza, perchè chiarisce che è un
ricordo triste, di pena, sofferenza e solitudine dell’io che aveva parlato con la fonte, a cui
aveva affidato lo sfogo e il canto delle sue sofferenze.
Come cerca dalla fonte un aiuto per recuperare il ricordo, questa sete delle labbra della fonte
(versi 43-44) è la sete di conoscere qualcosa; con questa risposta, il poeta decide di
andarsene e saluta òa fonte (v.45).
A partire dal verso 49 fino alla fine, abbiamo un ultimo blocco di versi, di tipo narrativo, che
corrsipondono all’inizio del componimento, ma che ci presentano il movimento opposto; se
all’inizio ci viene presentato l’ingresso nel giardino, ora in questi versi, abbiamo il poeta che
lascia per sempre quel luogo, inisieme alla possibilità di recuperare quel ricordo.
Come abbiamo visto in Recuerdo Enfantil, anche qui la ritmicità monotona si manifesta nel
testo perchè il testo è costruito proprio sulle ripetizioni. Il discorso sulla musicalità del testo
non è un puro espediente estetico, ma è funzionale alla trasmissione più completa del senso.
Campos de Castilla
L'ordine dei componimenti non è casuale: la poesia che apre la raccolta offre al lettore linee
guida su tematiche sviluppate sulle altre composizioni; parliamo di
Retrato
Questo componimento offre spunti sulla poetica di Machado, in particolare ci offre un ritratto
del poeta, della sua poetica e dell'evoluzione della sua poesia fino alla raccolta. Si tratta di un
componimento che segna una rottura definitiva con Soledades, la quale aderisce appieno al
modernismo. Con Campos de Castilla Machado rompe con il modernismo perché si avvicina
alle tematiche della Generazione del ’98 e in questo componimento si percepisce la necessità
di Machado di dichiarare al lettore questo cambiamento di temi e
stile. Dal punto di vista metrico, si tratta di quartine di alessandrini a rima alternata, aspetto
che conferisce al componimento un ritmo cadenzato lento, quasi narrativo. Nei primi quattro
versi il poeta torna all'infanzia con riferimenti al limonero e alla tierra de Castiglia.
Passa poi alla gioventù e al passaggio dall'Andalusia alla Castiglia, tralasciando però aspetti
della sua biografia che fanno riferimento alla sua gioventù, la quale è poco importante per lo
sviluppo della poetica. Al verso 5 parla dell'amore, ci dice che non è stato un don Giovanni
né in età giovanile e né in età adulta, dice di aver conosciuto però la freccia di Cupido, con
riferimento all'amore per Leonor.
La parte che ci interessa comincia al verso 13, da questo momento in poi prende le distanze
dal modernismo perché dice di amare la bellezza; dice di aver aderito all'estetica del
modernismo, anche con il riferimento alla tradizione francese, ma che, nonostante ciò, si
oppone a questa estetica dell'arte per l'arte e alla poesia intesa come pura tecnica
compositiva. Al verso 16 troviamo la parola gat-trinan, la quale fa riferimento al gay-saber,
tecnica compositiva dei provenzali. Quello che cerca in questa raccolta è una poesia
spirituale e meno formale; c'è una lettera, scritta ad Unamuno, in cui Machado dice che gli
sforzi del poeta devono tendere alla luce, che la bellezza non sta nelle difficoltà, ma nella
volontà di comprendere… l’obiettivo della poesia deve essere quello di rendere comprensibili
le oscurità dell'io. Ai versi 19 e 20 abbiamo la considerazione della poesia come desiderio di
conoscenza e come desiderio di penetrare nel mistero; in questi versi ci dice di voler
distinguere le voci reali dall'eco, la quale è una voce vuota: Machado cerca la voce autentica,
quella dell'individuo, dell’uomo. Questo aspetto è il punto di rottura con Soledades.
Se fino ad ora Machado ci dice che l’io e l'autenticità sono ciò che gli interessa di più, nei
versi successivi si concentra sulla parola come strumento di comunicazione e arma di
discussione.
Ai versi 21-23 il valore della poesia sta’ nell'uso che il poeta sa fare delle parole e non della
costruzione formale del verso.
Questa poesia rappresenta una sorta di biografia poetica che si incrocia con un tentativo
novecentesco di ricostruzione autobiografica, ma in verso. Anche con Jiménez abbiamo una
poesia così: Machado, Jiménez e altri arrivano a rompere con il modernismo perché vogliono
una poesia più autentica, personale e che dia voce alle preoccupazioni… insomma, una
poesia per l'individuo. Quindi la rottura con il modernismo arriva, con Machado, nel 1912,
mentre la rottura con il modernismo per Jiménez arriva con El Diario de un Desencantado
del 1916: Jiménez viene visto fino a quel momento come il poeta modernista spagnolo; quindi,
la sua rottura è percepita in modo più forte.
Juan Ramòn Jiménez
Pedro Salinas
Miguel Delibes, nato nel 1920, è uno scrittore dalla personalità schiva
e amante della propria patria, in particolare ciò che predilige è la Spagna antica, non coinvolta
delle innovazioni tecnicoscientifiche, delle quali lui è grande nemico… il suo è il sogno
umanistico di un rapporto amoroso tra uomo natura, ma non lo definiamo come conservatore,
piuttosto come custode di vecchie tradizioni che la sua società contemporanea non
considerava più. Romanzo in cui troviamo uno stile più riuscito è El Camino, storia di un
ragazzo che viene spinto dal padre a continuare gli studi in città e che durante la notte
precedente alla partenza non riesce a dormire e finisce per congedarsi nostalgicamente da
tutto ciò che ha costituito la sua vita fino a quel momento; l’allontanamento dal narratore
viene reso speso tramite il discorso indiretto. Il romanzo in cui è condensato questo suo
amore nei confronti della sua patria è La Hoja Roja, che presenta il mondo della provincia dal
punto di vista di un vecchio vedovo in pensione e della sua giovane domestica analfabeta; il
vecchio, trascurato dal figlio che sta facendo carriera a Madrid, sposa la giovane serva per
garantirle un futuro. Anche il momento della transazione dalla dittatura alla democrazia è
testimoniato dalle sue pagine, in particolare in El Disputado Voto del Señor Cayo, storia di
due candidati di città in competizione per il voto di un solo elettore.
Juan Goytisolo
Prima Parte
CAPITOLO 1
Il capitolo inizia con la descrizione della città di Vetusta durante le ore pomeridiane, la quale
sta “riposando” e gli unici rumori che si sentono sono i mulinelli di polvere, stracci e pagliuzze
che rotolano di strada in strada. Mentre la città riposava, essa veniva cullata dal suono delle
campane della Santa Basilica. Questa basilica veniva illuminata durante ogni solennità ma
essa diventava più bella quando veniva contemplata nelle chiare notti di luna risaltando
contro il cielo puro con le stelle che sembravano essere la sua aureola. Bismark, illustre
furfante di Vetusta, era un postiglione di diligenza sempre però affascinato dai campanili e
così, grazie a Celedonio (chierichetto con funzioni di campanaro) ogni tanto, poteva suonare
le campane per svegliare la città. Bismark, quando si trovava “ai piani alti”, era molto vicino a
Celedonio mentre, quando si trovavano per strada, mostrava la sua superiorità rispetto a
quest'ultimo. Mentre i due discutono su chi fosse il più forte tra i due, Celedonio dice di voler
colpire il canonico che stava passando vicino alla basilica, Don Fermìn. Anche se si trovano
sul campanile, Celedonio afferma di riconoscerlo poiché, essendo molto vanitoso,n aveva un
modo di camminare molto singolare che riusciva a spostare a destra e a sinistra il suo
mantello. Celedonio, inoltre, dice a Bismark che don Custodio aveva dichiarato a don Pedro
che Don Fermìn, oltre ad essere più orgoglioso di Don Rodrigo, è così vanitoso da mettersi
sul volto il “belletto” (trucco). Bismark non crede a ciò poiché secondo lui Custodio era solo
invidioso e afferma che se avesse avuto lo stesso ruolo di Don Fermin, sicuramente avrebbe
avuto il suo stesso atteggiamento. Celedonio non condivide quanto affermato dal suo amico e
gli ricorda che bisogna essere umili nella vita e comportarsi come il Papa che è il servo di tutti
i servi. Bismark d'altro canto afferma che ciò non è vero poiché il Papa ha più potere del re e
così inizia tra i due una discussione che si interrompe con il suono delle campane. Ad un
certo punto i due sentirono dei passi...qualcuno stava salendo la scala a chiocciola; era il
vicario del papa: Don Fermìn de Pas. Bismark spaventato dalla sua figura decise di
nascondersi dietro il campanone poiché aveva paura che, anche senza motivo, Don Fermìn
potesse riempirlo di ceffoni. Egli era convinto di ciò poiché riteneva che gli uomini più ricchi e
potenti, tra cui Don Fermìn, abusassero della loro autorità. Celedonio al contrario non si
meravigliò della sua visita poiché il vicario si recava spesso in cima al campanile della
cattedrale per poter ammirare la città con il suo cannocchiale d'oro che Bismark scambiò per
un fucile e, vedendo che stava “prendendo la mira” puntando da un'altra parte, si rincuorò
capendo che non era venuto per lui. Don Fermìn era un uomo molto alto, tanto che Celedonio
arrivava all'altezza della sua cintura e i due “monelli” notarono che egli non utilizzava il
belletto; era la sua carnagione chiara e luminosa. Gli zigomi erano molto sporgenti e, senza
imbruttire il viso, gli conferivano un'espressione energica e seria. Dagli occhi, verdi con delle
venature color tabacco, spiccava uno sguardo dolce e al tempo stesso tagliente tanto che
quasi nessuno riusciva a sostenere il suo sguardo. Il naso era lungo e leggermente rivolto
verso il basso alla punta (“come un ramo di un albero che si piega per il peso del frutto”); era
forse la parte morta di un viso ricco di espressività. Le labbra erano sottili e pallide, mentre il
mento era leggermente rivolto verso l'alto quasi a volersi ricongiungere con il naso. La testa
era piccola e ben modellata, i capelli erano corti e folti, il collo robusto e muscoloso come
quello di un'atleta; il tutto era proporzionato con il resto del corpo. Una volta salito don Fermìn
salutò con un inchino il chierichetto, poi si voltò verso la città iniziando ad osservarla in tutte le
sue parti con il suo cannocchiale d'oro. Il vicario faceva spesso ciò poiché uno dei suoi
passatempi preferiti era quello di salire nei luoghi più elevati. Egli veniva dalle montagne e
cercava per istinto le cime dei monti e dei campanili delle chiese. In tutte le città che ha
visitato è sempre salute sulle cime delle montagne poiché secondo lui non si può conoscere
veramente qualcosa fin quando non la si vede “al volo d'uccello”, nella sua interezza e
dall'alto. Con quel cannocchiale riusciva a vedere perfettamente Ana Ozores (detta la
presidentessa) che passeggiava, con un libro in mano, nel suo giardino; oltre a ciò riusciva a
vedere un angolo del biliardo del circolo che era vicino alla Chiesa di Santa Maria. Iniziò a
scrutare ogni angolo della città che era la sua preda e la sua passione. Lui però non voleva
accontentarsi di Vetusta ed in lui è sempre rimasto vivo il desiderio di scrutare in tutto e per
tutto altre formidabili città, come Roma o Parigi. Si rese conto che più ambiva qualcosa e più
l'oggetto desiderato si allontana. Quindi, avendo ormai 35 anni, si accontentava di meno cose
ma le desiderava molto di più. Anche se non voleva ammetterlo, si accorse che molto spesso
gli mancava la forza di volontà e la fiducia in sé stesso, pensando quindi che ormai il culmine
della sua carriera sarebbe stato lo stesso di adesso e che non sarebbe mai riuscito a
raggiungere quanto desiderato. Segue la descrizione delle tre parti di Vetusta: l’Encimada,
nonché la zona vecchia di Vetusta, comprendente palazzi vecchi e rovinosi, in cui la nobiltà
convive con gli straccioni, questa è la zona di massima influenza e dominiodi Fermìn; Campo
del Sol, ovvero la zona industriale in cui vivono lavoratori e operai e nella quale Fermìn non
ha alcun tipo di dominio; ed infine la Colonia, quartiere nuovo dove vivono i commercianti e gli
ex-emigranti, coloro che si sono arricchiti nelle Americhe, cioè famiglie altoborghesi che
tentano in tutti i modi di imitare la nobiltà, infatti gli ex-emigranti sono credenti proprio per
questa volontà di imitazione e su di essi Fermìn ha un’influenza parziale. Dopo una
mezz'oretta il canonico posò il cannocchiale, salutò i due chierichetti e scese le scale a
chiocciola ritrovandosi nella navata nord: recuperò il sorriso fisso che lo caratterizzava,
incrociò le mani sul ventre iniziando a camminare mentre le luce, che passava dalle varie
finestre e rosoni, gli illuminavano il volto e il maestoso mantello dove si alternavano i riflessi
delle piume del fagiano e quelli della coda del pavone. Nella navata centrale vi erano pochi
fedeli mentre nelle cappelle laterali si intravedevano alcuni gruppi di donne inginocchiate o
sedute sui propri talloni attorno ai confessionali. Nella seconda cappella della sezione nord,
quella più buia, don Fermìn notò due signore che parlavano a bassa voce ma lui proseguì e,
senza fermarsi, passò vicino alla porta del coro raggiungendo la crociera. Fermìn fu costretto
a fare un lungo giro passando dietro all'altare dove si trovavano altre cappelle. D'avanti ad
ognuna vi erano altrettanti confessionali nei quali sbucò improvvisamente Don Custodio che,
con il volto pallido e le guance accese, abbassò lo sguardo passando accanto a De Pàs: tra i
due non c'era un bel rapporto poiché Custodio credeva a tutte le maldicenze sul suo conto ed
inoltre era anche invidioso di lui, mentre De Pàs lo disprezzava. Dopo ciò il canonico continuò
a camminare, girò attorno all'abside ed entrò in sacrestiaal centro della quale vi era un tavolo
di marmo nero e due chierichetti che stavano riponendo negli armadi pianete e pluviali. Il
canonico proseguì ancora e si avvicinò ad un gruppetto di due donne e due uomini,
impegnata in una conversazione profana d'avanti ad un quadro completamente scuro che
aveva come uniche cose di diverso colore il teschio e il calcagno scheletrico di un piede nudo.
Tra questi vi era Don Saturnino Bermudez che già da cinque minuti stava spiegando agli altri
signori i pregi della tela che stavano ammirando. Don Saturnino era il massimo esperto
quando si trattava di raccontare la storia dei vari pallazzotti ecclesiastici.. Egli era un uomo
molto occupato ma dalle tre alle quattro e mezza era sempre a disposizione per tutte quelle
persone che volevano mettere alla prova la sua cultura. Aveva i capelli corti e neri, la bocca
grande tanto che, quando sorrideva, le labbra andavano da un orecchio all'altro; a suo
malgrado assomigliava ad un ecclesiastico e, anche quando indossava marsine di tricot,
sembrava che stesse indossando una tonaca. Egli era un dottore di teologia, di diritto
canonico, egli era convinto di essere nato per l'amore ma al tempo stesso affermava che non
si sarebbe mai dichiarato ad una donna soprattutto se sposata però leggendo vari romanzi, in
cui le eroine erano sposate ma peccatrici, si convinse del fatto che si poteva voler bene ad
una donna sposata e anche dichiararsi ad essa. Bernùdez era follemente innamorato di Ana
Ozores, la presidentessa, alla quale non si dichiarò mai ma cercò comunque di farglielo
capire attraverso alcuni gesti e certe allegorie prese dalla Bibbia che però lei non colse.
Secondo Don Saturnino non esisteva uomo più stordito di lui non appena una donna gli
lanciava una o due occhiate. Molto spesso la notte steso sul letto, prima di addormentarsi,
iniziava a leggere diversi romanzi dove gli facevano ritornare alla mente la presidentessa ed
altre donne con le quali intratteneva profonde chiacchierate e future concessioni. La mattina
dopo di questo giorno, il maggiordomo gli consegnò una lettera di Obdulia Fandino,
considerata dalla cittadina una donna troppo spregiudicata, con la quale aveva una buona
intesa: una volta la donna aveva fatto cadere un fazzoletto, egli lo raccolse e nel restituirglielo
le sue dita si sfiorarono con quelle della donna; oppure durante una riunione gli aveva sfiorato
la gamba e lui non ha ritirato la sua anzi, ha sfiorato con il suo il piede della donna. Dopo vari
pensieri, decise di aprire la busta ed iniziò a leggere la lettera nella quale c'era scritto che lo
attendeva a casa sua nel pomeriggio dove l'avrebbe trovata con alcuni amici di Palomarès
intenti a visitare la cattedrale. Deluso per la lettera, decise di indossare gli abiti più opportuni
e di recarsi verso l'abitazione di Obdulia. Portò così i signori alla cattedrale mostrando i vari
dipinti non dando particolare attenzione a quelli ritenuti da lui di scarsa importanza. Mentre i
due uomini e le due donne stavano chiacchierando in merito ai quadri, giunse Don Fermìn
che colse subito l'attenzione di Obdulia. La donna dava sui nervi a Fermìn, la considerava
uno scandalo ambulante anche solo dal mondo in cui si vestiva. Riteneva che il suo
atteggiamento e modo di vestire sarebbe stato più accettato in grandi città come Roma,
Madrid o Parigi. Ella voleva in tutti i modi cercare di influenzare e comandare diversi uomini
attraverso il potere della seduzione; proprio come faceva con Don Saturnino. Nonostante
l'antipatia nei suoi confronti, Fermìn si mostrava sempre gentile ed affabile. Subito dopo il
canonico si congedò, scusandosi nel non poter accompagnare i signori della cattedrale ma, il
dovere lo chiama ed inoltre era convinto che la sua presenza non avrebbe giovato a nessuno;
Bermudez invece era un testimone vivente delle bellezze artistiche vetustensi. Mentre Don
Fermìn si allontanava, Obdulia lo seguì con lo sguardo fin dove poteva non facendo caso a
Bermùdez che nel frattempo la stava guardando con uno sguardo serio. I quattro signori
fecero il girodella sacrestia ammirando diversi quadri, che erano più nitidi rispetto a quelli
mostrati ed elogiati in precedenza da Don Saturnino, e successivamente attraversarono la
crociera per poi recarsi al Panteon de los Reyes. Entrarono nella cappella che era fredda,
ampia, oscura anche se molto imponente nella sua semplicità. All'interno di essa si sentiva
soltanto il ticchettio dei tacchi di Obdulia la quale attirava l'attenzione del Saturnino che
nell'esporre i vari argomenti, iniziava a confondere i nomi dei vari re che li, secondo la storia,
riposavano da secoli. Mentre il Don recitava i primi capitoli di uno delle sue “Vetuste”, Obdulia
si spaventò nel sentire alcuni piccoli rumori pensando che fosse un topo; così urlò e si afferrò
a Don Saturnino il quale, con coraggio, decise di prendere tra le sue, la mano della donna
che poggiava sulla sua spalla. E così dopo aver terminato il discorso, Obdulia si complimentò
con Bermùdez, stringendogli la mano nell'ombra.
CAPITOLO 3
Ana e Fermìn si erano incontrati pochissime volte e quella era la prima volta che parlavano
così a lungo. Egli si era recato spesso a casa del marito di lei, don Victor Quintanar, quando
questo era presidente del tribunale di Vetusta; man mano, non appena andò in pensione,
Fermìn si recava sempre meno a casa di Quintanar fino a non recarsi più. Molto spesso si
incontravano all'Espolòn intrattenendo vari discorsi; tra i due c'era una stima reciproca tanto
che molto spesso Don Victor aveva preso le sue difese. La conversazione tra il diacono e la
presidentessa durò poco più di una mezz'oretta e, una volta tornata a casa, Ana pensò
soltanto al fatto che al prossimo incontro, avrebbe dovuto tenere una “confessione generale”
e quindi raccontare tutta la sua vita partendo dalla sua infanzia; iniziando a pensare a ciò le
scesero alcune lacrime sul viso che bagnarono il cuscino del letto sul quale era poggiata. (La
camera di Ana presenta due elementi fondamentali: la pelle di tigre, che simboleggia la
sensualità, e il crocifisso posto sopra la spalliera del letto, che simboleggia la religiosità della
donna. Obdulia, che molto spesso era entrata nella casa della donna, si era resa conto che
quella non era una camera degna della moglie del presidente, e dichiarò che lì il sesso non
esiste. Obdulia apprezzava sinceramente la bellezza di Ana ma al tempo stesso provava
invidia per quel meraviglioso tappeto di pelle di tigre che lei non possedeva.) Ana ripensò al
fatto di non aver mai conosciuto la madre (morta per darla alla luce) e che forse da questa
disgrazia sarebbero nati i suoi maggiori peccati. Aveva avuto un'infanzia molto difficile: fu
cresciuta da una tutrice, dona Camila, la quale era fredda, disamorata e molto severa nei suoi
confronti; la morbidezza del materasso e delle lenzuola era l'unica cosa quanto più materna
che potesse avere. Veniva obbligata a dormire presto, senza carezze, fiabe o storielle, senza
luce e questo la portava ad avere una profonda pena nei suoi stessi confronti. Ana ha sempre
sentito la mancanza del grembo materno, nessuna l'aveva mai coccolata e stretta tra le
proprie braccia; per questo motivo, ogni notte cantava nella sua mente le varie canzoni che
aveva sentito cantare alle madri ai propri figli nel parco. Ad un certo punto i suoi pensieri si
spostarono su Don Alvaro Mesìa, presidente del circolo di Vetusta, ma successivamente
ritornò ai suoi ricordi di infanzia, ricordando la notte che aveva trascorso sulla barca con il suo
amico Germàn. Provava vergogna e rabbia nel ricordare queste cose. Subito dopo spense le
luci della camera e si ricordò esattamente tutto quello che successe sulla barca. Germàn, un
bambino di 12 anni più grande di lei di due anni, l'aveva coperta con un piccolo telo e i due
iniziarono a raccontarsi la loro vita: iniziò Germàn e, dopo aver fatto alcune domande
all'amico su come fosse una mamma, Ana iniziò a raccontargli tutta la sua infanzia: il padre
purtroppo era lontano da lei perché era impegnato ad uccidere i musulmani ma gli spediva
vestiti, soldi, tutto il necessario per farla vivere nel miglior modo possibile. La governante non
le voleva bene, la metteva spesso in punizione, la lasciava a digiuno e la faceva andare a
dormire presto. Molto spesso scappava di casa e si recava verso la spiaggia per piangere;
quando i marinai la trovavano, la consolavano e, anche se diceva loro di voler raggiungere il
padre che era a combattere contro i musulmani, questi la riportavano a casa e ricominciava
l'inferno. Il compagno della governante la baciava molto spesso ma non voleva quando era
presente anche la piccola Ana. Un giorno decise di scappare di casa ma di cambiare
percorso e così si ritrovò in un bosco; una volta superato il bosco incontrò Germàn che le
aveva chiesto se volesse salire sulla barca di Trèbol poiché era stato suo servitore. Mentre si
raccontavano le storie, si addormentarono e il mattino seguente furono svegliati dalle urla del
barcaiolo che aveva visto la sua barca su un isolotto: successivamente fu riportata a Loreto e
così dona Camila, che si era sentita male per lo spavento, l'aveva messa a digiuno e chiusa
in camera sua poiché non voleva raccontare quanto fosse accaduto. Dopo un giorno di
digiuno Ana decise di ammettere di essersi addormentata assieme all'amico ma affermando
che non c'era stato nulla e dall'altra parte Germàn diede la stessa versione, ma la sua non fu
ritenuta vera. Dona Camila così iniziò a pensare che la madre defunta le aveva passato
questa malizia e che fosse emersa a causa del suo compagno che molto spesso l'aveva
baciata d'avanti alla bambina. Da quel momento, ogni volta che Camila siallontanava
dall'abitazione per svolgere alcuni servizi, il compagno di lei si avvicinava ad Ana per
chiederle qualche bacio, che non riceverà mai. La notizia si era diffusa in città e così anche i
vari ragazzi si avvicinavano a lei per secondi fini: non poteva più uscire; usciva solo con la
governante. Pian piano si iniziò a rendere conto che quelli volevano “macchiarla” di un
qualcosa che, di fatto, non aveva commesso. Camila infatti portò Ana in chiesa per farla
confessare, il prete iniziò a farle delle domani alle quali la piccola non seppe rispondere; così
il parroco dichiarò alla donna che era troppo presto per farla confessare poiché o per
ingenuità o per malizia non raccontava realmente ciò che era accaduto quella sera.
Successivamente la mente la portò di nuovo a pensare ad Alvaro Mesia, nell'opera “Il
Barbiere di Siviglia”, mentre cantava sotto il balcone di Rosina. Svanì questa immagine e si
presentò quella di Alvaro in gabbano bianco e attillato che la salutava. Sparì anche
l'immagine di Alvaro, non si vedeva altro che il gabbano bianco e dietro di ciò si vedeva
sempre più una vestaglia a quadri scozzesi, un berretto di velluto ed oro e soprattutto la figura
del marito, Don Victor Quintanar. Successivamente si svegliò, si guardò le mani e notò che
non riusciva a vedere in modo nitido le dita, stava sudando, aveva il battito accellerato: stava
avendo una delle sue solite crisi; così tirò il cordone della campanella posta vicino al suo letto
e così in poco tempo arrivarono Petra (la domestica) e il marito con una candela in mano il
quale le chiese: “Cosa hai figliola?”. Petra corse in cucina per preparare una tisana di tiglio e
fiori d'arancio mentre pian piano Victor cercava di tranquillizzare sempre di più la moglie
dandole un “bacio paterno” sulla fronte. Pian piano Ana iniziò a tranquillizzarsi iniziando
anche a bere la tisana che nel frattempo le aveva portato Petra, la quale aveva attirato
l'attenzione del marito in quanto molto svestita e faceva intravedere, con quel poco che aveva
addosso, le sue bellissime forme. Petra non gli era indifferente ma sicuramente Victor non
aveva mai pensato di tradire la moglie. Don Victor bevve un po' di tisana che la moglie aveva
lasciato e cercò di tranquillizzarla ulteriormente poiché, anche se lei non lo sapeva, nel giro di
due ore sarebbe uscito di casa per andare a caccia insieme al suo amico Frigilis. Una volta
tranquillizzata, Quintanar si alzò dal letto e nel darle un bacio sulla fronte, Ana porta le
braccia attorno al suo collo per poterlo abbracciare facendo così involontariamente toccare le
labbra del marito con le sue. Egli si fece leggermente rosso e voleva intrattenersi con la
moglie ma, sapendo che Fragilis non avrebbe mai accettato un suo ritardo, decise di salutarla
amorevolmente e di lasciare la stanza per recarsi nella sua. I due abitavano in due camere
diverse in due aree diverse del palazzo poiché le loro abitudini non combaciavano: Ana
voleva dormire fino a tardi mentre Quintanar si svegliava presto per andare a caccia, inoltre il
marito aveva la passione per gli uccelli che però non poteva tenere vicino alla loro camera da
letto poiché il loro cinguettio l'avrebbero svegliata. E così, decisero di dormire in due camere
separate. Ana iniziò a pensare che bisognava salvaguardare le apparenze poiché ormai per il
mondo non esiste altra virtù se non quella che si ostenta e si esibisce. Si rallegrò pensando al
rispetto e all'ammirazione che aveva qui a Vetusta; dire “la presidentessa” significava dire “la
sposa perfetta”. La sua bellezza veniva adorata in silenzio e, anche se quasi tutti gli uomini
erano innamorati di lei, nessuno osava dirglielo. Nel frattempo, mentre si stava recando nella
propria stanza, Victor si fermò prima in camera di Petra chiedendole di svegliarlo non appena
avesse sentito il segnale dell'amico Frigilis; successivamente si recò in questa stanza adibita
a dimora poco, poco lontana dalla sua camera da letto, per controllare tutti i suoi uccelli i quali
però, vista l'ora, stavano ancora dormendo. Una volta visto tutti i suoi uccelli, andò in camera
e si posò sul letto per cercare di riposare un pochino ma, non riuscendo a dormire, decise di
leggere “Calderòn de la Barca”. Una volta mentre stava parlando con Fragilis, affermò che,
nel caso in cui avesse scoperto che la moglie lo tradiva, l'avrebbe sicuramente uccisa per
vendicarsi di questo disonore. Ogni volta, prima di addormentarsi, leggeva testi antichi
sull'onore. Egli sapeva usare benissimo la spada ma soltanto durante la scena di uno
spettacolo teatrale, mentre sapeva usare benissimo, nella realtà, le armi da fuoco. Lui era
però un uomo buono, non aveva mai fatto del male a qualcuno. Non riusciva ad
addormentarsi però, quando stava per prendere sonno, sentì il segnale di Frigilis e così si
alzò dal letto, si vesti ed uscì di casa raggiungendo l'amico giù al parco. Mentre i due si
stavano allontanando dalla villa, Victor si girò guardando verso il balcone chiuso di Ana ed
avvertì un senso di colpa poiché non era ancora l'alba ed lei non sapeva di tutto ciò; l'amico
però gli disse che era tardi e che dovevano assolutamente muoversi e così si allontanarono
definitivamente dall'abitazione.
CAPITOLO 4
Il capitolo si apre con la storia della famiglia Ozores, una delle più influenti di Vetusta,
partendo da Carlos Ozores, padre di Ana, primogenito della famiglia; egli era un uomo molto
colto che divenne ingegnere militare, costruì piazzeforti resistenti e fu promosso a
comandante del corpo. Pian piano perse l'interesse per le cose militari sentendosi meno
bellicoso e preferendo a ciò la fisica e la matematica. Successivamente si
innamoròfollemente di una giovane sarta italiana di umili origini che, nonostante l'opposizione
della famiglia, sposò quando ebbe 35 anni: da questo matrimonio nacque Ana ma, per darla
alla luce, la madre morì. Quel matrimonio portò alla rottura del rapporto tra Carlos e la
famiglia tanto che la morte della donna era stata considerata un castigo divino. Il palazzo
degli Ozores, situato a Vetusta, apparteneva a Carlos ed egli, senza chiedere nulla in cambio,
decise di lasciar vivere lì le due sorelle zitelle. Successivamente Carlos passò dagli studi
fisico-matematici a quelli filosofici, quindi credeva soltanto in quello che poteva toccare con
mano. Di tutte le spese del padre ne fece le spese la figlia: nessuno chiedeva di lei e di come
stesse poiché la morte della madre non era sufficiente per riappacificare i rapporti con
“l'infame” Carlos Ozores. L'uomo decise di assumere una governante spagnola che però si
era istruita in Inghilterra, la quale aveva come principale passione la lussuria. Carlos emigrò
lasciando così la figlia sotto la tutela della governante e, dopo che i medici avevano
raccomandato alla bambina di respirare aria di campagna e di mare, donna Camilla invitò
Carlos ad acquistare un casolare posto in un paesino confinante con Vetusta. Questo
casolare era di un certo Iriarte, amante di Camilla e colui che in precedente aveva consigliato
la donna allo stesso Carlos; l'uomo decise così di vendere alcune proprietà che aveva a
Vetusta per acquistare quel casolare che in realtà valeva molto meno del prezzo speso. In
questo casolare andarono a vivere Ana, donna Camilla e il suo compagno. Prima che il padre
di lei partisse, Camilla aveva cercato di conquistarlo convinta di riuscirci grazie alle sue
qualità di seduttrice ma fallì miseramente tanto che l'uomo non si era reso proprio conto delle
reti che gli si tendevano. Per questo motivo la donna giurò eterno odio nei suoi confronti e
consacrò un culto di invidia nei confronti della sarta italiana che era riuscita a sposare
quell'uomo. Ana ebbe un'infanzia molto difficile in quanto la governante era convinta che essa
doveva avere un'educazione speciale e molto attenta; per questo, convinta di tutto ciò, puniva
molto spesso la bambina e la reclusione e il digiuno furono la sua disciplina. La piccola Ana
non ha mai ricevuto né baci né sorrisi, non ha mai conosciuto il bene materno e soffriva molto
per questa cosa tanto che l'unica dolcezza di cui poteva godere era il tepore e la morbidezza
delle lenzuola. L'unica cosa che la tranquillizzava e la rasserenava in quella prigionia, era
sognare ed immaginare mondi lontani. L'eroina dei suoi mondi era una madre e, a soli 6 anni,
aveva concepito un poema costituito dalle lacrime della sua tristezza di orfana maltrattata e
da frammenti di racconti che ascoltava dai domestici d dai pastori di Loreto. Non appena
poteva scappava di casa; correva per i prati e si recava nelle capanne dove veniva
accarezzata da molti dolci cagnoloni. A 27 anni Ana avrebbe potuto recitare quel poema a
memoria, che però aveva “aggiornato” di anno in anno. Uno dei suoi obiettivi era quello di
imparare a leggere: e ci riuscì; le insegnarono anche la geografia e non dimenticò mai la
definizione di isola poiché si immaginava un giardino circondato dal mare, e ciò le potava
gioia. Oltre a questi sogni, passò a quelli in cui venivano rappresentate delle battaglie, quasi
come un Iliade, e per queste battaglie immaginarie aveva bisogno di un eroe: e per lei questo
era Gèrman (il bambino di 12 anni che conobbe e con il quale passò quella famosa notte
sulla barca di Trebòl). Molto spesso Ana gli propose di compiere alcuni viaggi verso le terre
musulmane per catturare o uccidere gli infedeli. In realtà lei voleva semplicemente lasciare
quella casa in cui viveva con dona Camilla la quale, non appena venne a sapere di quella
famosa notte, disse che ormai non c'era più nulla da fare con lei: era come crescere un fiore
già infettato dal morso di un insetto. Iniziò a raccontare quella vicenda a chiunque e, in poco
tempo, era sulla bocca di tutti. Dona Camilla decise così di informare la famiglia, non il padre
di lei ma soltanto le due zie le quali furono indignate per il gesto della nipote che poteva
rovinare l'onore della famiglia Ozores. Donna Anuncia, sorella maggiore di Carlos, decise di
mandare una lettera al fratello per informarlo dell'accaduto senza però raccontargli tutta la
vicenda. Successivamente Ana andò a vivere a Madrid con la governante e piano piano le
varie calunnie che le sono state afflitte piano piano iniziarono a svanire; il mondo ormai si era
dimenticato tutto tranne le zie, donna Camilla e la stessa Ana. La ragazza voleva cercare di
capire l'errore che, a quanto pare, avrebbe commesso e, siccome tutti dicevano che
quell'episodio in barca era stato vergognoso, iniziò a credere di aver compiuto realmente quel
peccato. A distanza di anni continuava a pensare a questo episodio che non le dava pace e
che le aveva dato tanta vergogna; era convinta che questa fosse stata una punizione divina e,
inoltre, aveva paura di cosa potessero pensare gli uomini ad ogni sua azione, per questo
motivo decise di contenere ogni slancio di energia. Carlos si rese conto che, di fatto, tutto
quello che gli era stato raccontato era finto, poiché davanti a sé aveva una ragazzina molto
timida e con una prudenza che non è propria della sua ragazza. Così decise di licenziare
dona Camilla e di lasciare ogni tipo di lavoro per potersi dedicare alla figlia e alla sua piccola
biblioteca. Se prima, quando era piccola, si rifugiava nei suoi sogni ora, adolescente, si
rinserrava nel suo spirito e nella religione. Il padre le permetteva tutto perchè voleva che la
figlia conoscesse sia il bene che il male per poter scegliere consapevolmente il bene; ma le
proibiva soltanto di leggere certi romanzi moderni, mentre per l'arte classica era permesso
tutto poichésecondo Carlos l'arte non ha sesso. Inoltre, a causa di tutte quelle calunnie, Ana
diventò fredda, ostile e schiva davanti ad ogni forma di amore: l'amicizia con Germàn era
stato un peccato e per questo motivo era meglio evitare gli uomini per non avere più qualsiasi
tipo di umiliazione. Lei inoltre non aveva amiche e il padre la trattava come se lei stessa fosse
arte, asessuata. Nonostante il padre portasse avanti l'emancipazione della donna, riteneva
che questa fosse un essere inferiore. A Madrid Ana si annoiava molto. I 6 mesi che
trascorreva nel paesino in campagna erano i più belli nonostante le ricordasse tutti quegli
anni di prigionia, l'avventura sulla barca e Iriante, che la guardava come se volesse cogliere i
frutti lungo attesi. Quando il padre decise di trasferirsi definitivamente a Loreto, Ana era
felicissima e quel giorno ritornò la bambina felice che non vedeva ormai da troppi anni. Ella
iniziò così a curare insieme al padre la loro biblioteca e, mentre stava spolverando, notò un
libro con una copertina in cartoncino giallo: era un libro religioso di Sant'Agostino. Il padre,
essendo ormai un liberale, non aveva libri religiosi ma con Sant'Agostino faceva un'eccezione
poiché lo considerava un filosofo. Il padre non era a casa e così, intenzionata a leggerlo,
decise di uscire di casa con il libro sottobraccio e di recarsi in giardino. Il santo diceva che i
bimbi per natura sono cattivi e che la loro perversione innata è motivo di allegria e di riso in
chi li ama. Ana era d'accordo con ciò. Nel pomeriggio finì tutto il libro tralasciando solo gli
ultimi capitoli. Oltre a questo libro non fu facile per Ana trovare nelle biblioteca altri testi che
parlassero in modo approfondito della religione. L'Avemaria e il Salve Regina avevano
acquisito in Ana un nuovo significato; pregava incessantemente ma voleva inventare lei
stessa le preghiere. Don Carlos le permetteva di uscire tranquillamente di casa da sola
poiché, andando su per il monte punteggiato di timo non ci sarebbe stato nessuno. Quel
giorno però la passeggiata fu molto più lunga ed improvvisamente, dopo aver superato il
sentiero, vide un paesaggio diverso: di fronte a lei c'era il mare, che aveva sempre udito ma
mai visto. Da lassù vide un santuario e per lei laggiù c'era la Vergine. Successivamente
raggiunse la conca dei pini: un avvallamento tra due basse alture; nessun uomo le ricordava
la presenza dell'uomo ed era così sicura di essere sola: aprì il diario ed iniziò a scrivere tutto
ciò che la mente le diceva di scrivere; la mano andava sola, i versi generavano altri versi, ma
ad un certo punto la mente fu costretta a fermarsi poiché la matita non era più in grado di
scrivere. Ana si alzò, con gli occhi pieni di lacrime iniziò a recitare la preghiera che aveva
scritto che iniziò a risonare tra i monti. Le piacque così tanto la sua voce che non riuscì più a
parlare. Si inginocchiò poggiando la testa sull'erba non riuscendo ad avere il coraggio di
alzarla poiché convinta di essere circondata da qualcosa di mistico. Ana credeva di essere
sul punto di vivere un'esperienza mistica e di avere quindi un rapporto diretto con Dio. Vide
un cespuglio che si muoveva, era convinta di vivere un'esperienza mistica, di star per parlare
con un essere superiore, ma invece non sarà altro che un uccello che si libera in volo.
CAPITOLO 5
Il capitolo si apre con la notizia della morte improvvisa di Don Carlos, avvenuta nel cuore
della notte, che ha lasciato sola la piccola Anita. Secondo le sorelle c'era lo zampillo di Dio
che aveva punito quel traditore. Ana nel frattempo si era ammalata ed era in mano ai
domestici e per questo motivo le sorelle decisero di andarla a prendere perchè “Morto il cane,
sparita la rabbia”. Partirono dopo 15 giorni poiché donna Anuncia non voleva partire da sola e
così si fece accompagnare da Don Cayetano Ripamilàn; una volta arrivati, i due trovarono la
piccola in fin di vita: aveva un terribile crisi con una febbre nervosa. La malattia l'aveva resa
malinconica e, la perdita del padre l'aveva spaventata. Più della morte del padre, l'addolorava
e la terrorizzava proprio l'abbandono. Era sola completamente sola. Ana in quei 15 giorni
cercava di alzarsi dal letto senza riuscirci e, quando il medico disse che “l'avrebbero lasciata
morire”, gridò e chiese di chiamare le sue zie di Vetusta. D'altra parte le zie avevano dentro di
loro il rimorso per aver comprato, ad una cifra molto più bassa del dovuto, il palazzo di
famiglia e così pensarono che per mettere in pace la loro coscienza, avrebbero dovuto
prendersi cura della figlia del fratello defunto. Una volta giunti a Loreto, dopo circa un mese
tornarono a Vetusta con la ragazza, la quale ebbe nuovamente la febbre forte portandola in
fin di vita. Le zie e tutta Vetusta decisero di non giudicare la figlia degli Ozores fin quando non
l'avessero conosciuta meglio. Le sorelle si resero infatti conto che non poterono
assolutamente giudicare l'educazione e il suo carattere poiché era una “malata esemplare”:
durante tutta la convalescenza non era mai stata impertinente, non chiedeva mai nulla e
prendeva tutto ciò che le si dava. Una sera, nel circolo di Vetusta, tutti i nobili e i potenti di
Vetusta avevano avuto un'ottima impressione della giovane e così, quella sera, si decise di
accogliere la figlia di Don Carlos come una vera Ozores, discendente della più illustre nobiltà.
Dopo questa notizia le zie della giovane si rasserenarono. Ana però era molto sola poichè le
zie partecipavano a tutte le novene, a tutti i sermoni, a tutti gli incontri delle confraternite e a
tutte le riunioni eleganti. Tenevano alla religione ma non erano molto devote.Ana sorrideva
sempre, ringraziava sempre ma non riusciva a guarire del tutto e a stare definitivamente bene.
Una sera, nella stanza accanto a quella di Ana, le zie iniziarono a parlar tra loro pensando a
cosa sarebbe successo se si fosse venuto a sapere di quella famosa storia della barca di
Trebol; Ana sentendo le voci si alzò lentamente e, in silenzio, iniziò a sentire parola per
parola tutto quello che si stavano confidando le zie. Da quella conversazione, Ana capì che le
avrebbero perdonato tutto a patto che in futuro fosse diventata come loro. Donna Anuncia
aveva come sogno quello di compiere un viaggio a Venezia con un amante ma, poiché per
l'età non poteva più, voleva che fosse Ana a realizzarlo; era convinta che se avesse mangiato
bene sarebbe diventata bella come suo padre e come tutti gli Ozores che avevano questa
caratteristica nel sangue. Dopo aver raggiunto ciò le avrebbero cercato un fidanzato, un
uomo ricco o un “americano” . Da quel momento in poi, grazie a quella conversazione che
aveva udito, Ana iniziò pian piano a mangiare meglio per poter accrescere il suo peso. Ana
voleva forza, salute e colorito, ma soprattutto voleva liberare le zie di questo peso. Ana si
avvicinò molto alla religione ma si rese conto che la sua fede era vaga: credeva molto ma non
sapeva con certezza cosa. Durante la prima convalescenza iniziò a scrivere molto di meno
poiché non immaginava più tutti quegli eroi ed eroine, inoltre ogni mattina si ritrovava sempre
un sorriso nell'anima: le zie le permettevano di alzarsi anche un pochino più tardi e quindi
godeva di quelle ore in più rilassandosi. Donna Agueda era la cuoca di casa, la quale
preparava ottime prelibatezze alla “nipotina dei suoi peccati” mentre donna Anuncia andava a
fare la spesa cercando a poco prezzo e prodotti migliori per poi passare nella casa dei vari
nobili dicendo loro che la loro nipotina stava crescendo benissimo e che stava diventando
sempre più bella. Tutti i nobili di Vetusta, infatti, andavano a vedere come ingrassava la
giovane e, tutta la componente maschile, notò come stesse diventando bella la giovane Ana.
All'unanimità si decise che la giovane Ozores fosse la ragazza più bella della città. Fu definita
da molti come una statua greca, come una Venere del Nilo o come la Venere dei Medici. La
sua bellezza la salvò: fu accettata da tutti e nel giro di poco tutto era stato dimenticato. Tutti
gli uomini erano attratti da lei, ma nessuno osò dirglielo e, se non fosse stata attenta, poteva
compromettere la sua reputazione senza aver nulla in cambio. Ana non manifestava i propri
desideri e non contraddiceva mai le zie ma una sera, dopo essere tornata da un ritrovo intimo
in casa dei Vegagliana, decise di farlo: disse che non si divertiva in quegli incontri, che tutti
erano noiosi. Da queste sue parole nacque una lite con le zie; ogni volta che veniva meno al
proposito di non contraddirle, sentiva un senso di colpa. Ana disprezzava tutti quegli elogi che
venivano fatte alla sua bellezza da signori e nobili di Vetusta. Pensava se fosse questo
l'amore ma capì subito di no: pensava che forse l'amore non sarebbe mai arrivato, che fosse
destinata a vivere in mezzo a tanti sciocchi; ma soprattutto aveva paura dell'abbandono e
voleva liberare le zie da questa opera di carità. Pensò quindi che l'unico modo per uscire da
questa situazione fosse il matrimonio o il convento. La sua devozione fu però già condannata
dagli abitanti di Vetusta quando si venne a sapere della sua passione: la letteratura. Secondo
le donne del luogo, questa passione era una cosa mascolina, un vizio da uomini volgari e
plebei. Una volta che le zie scoprirono ciò, questa passione fu eliminata. Molto spesso però,
nella sua stanza, Ana continuava a scrivere qualche poesia ma immediatamente strappava la
pagina gettandola fuori dalla finestra per paura che le zie potessero vederla. Giurò a sé
stessa di non diventare una letterata e, allo stesso tempo, molte ragazze approfittarono di
questo suo “difetto” per metterla alla berlina davanti agli uomini: in parte ci riuscirono tanto da
chiamarla con George Sandio. Per Ana tutti quegli aristocratici mossi dall'interesse non
potevano essere dei possibili mariti; tutti gli uomini della città affermarono che la donna fosse
veramente virtuosa. Don Alvaro Mesia affermò che forse stava aspettando il principe russo:
egli, che si divideva tra nobili e plebei, non aveva mai fatto esplicitamente un complimento ad
Ana. Alvaro decise di lasciare Madrid per poter ripulirsi un po' in quanto lasciava a Vetusta
moltissime “vittime” del suo fascino ma con la promessa di compiere la “strage amorosa” più
grande al suo ritorno. Mentre Alvaro stava lasciando la città, vide da lontano Ana con le sue
zie; egli salutò e i loro sguardi si incontrarono guardandosi come se fosse la prima volta. Da
quello sguardo egli pensò “quando tornerò, lei sarà la prima) Ana d'altro canto pensava che
tra tutti gli uomini di Vetusta se n'era andato proprio il meno sciocco ma, a distanza di un
mese, l'uno si dimenticò dell'altro. Ana, col passare dei giorni, era sempre più convinta del
fatto che l'unica soluzione per uscire da questa situazione fosse entrare in convento; così
espose la cosa a Don Cayetano Ripamilan, suo confessore, il quale affermò che la sua
devozione non era così profonda e quindi inevitabilmente il suo ingresso al convento
l'avrebbe, col tempo, portata alla depressione. Inoltre, le disse di averle trovato un uomo a lui
coetaneo che poteva essere suo futuro sposo: Don Victor Quintanar, magistrato di Zaragoza,
il quale aveva poco più di 40 anni mentre Ana, allora, aveva soltanto 19 anni. Ana accettò ma
disse a Ripamilan di non dire niente alle zie fin quando non avesse prima detto lei si. Ana si
ricordò che tutti i pomeriggi incontrava Don Tomàs Crespo, un carissimo amico di famiglia.
Crespo lo lodava tantissimoaffermando che Quintanar fosse un grande attore, un abile
cacciatore, coraggioso e molto serio. Un pomeriggio, Crespo presentò alle signore Ozores il
caro amico Quintanar che fece un'ottima impressione tanto da invitarlo ad andarle a trovare.
Ana parlava molto con Don Tomàs Crespo in quanto egli riusciva a capirla molto di più delle
zie e di tutti gli abitanti di Vetusta; era un suo vero amico, la ascoltava senza giudicarla. Egli
infatti veniva chiamato “Frigilis”. Frigilis, parlando con Victor affermava che Ana era una
donna da sposare, che aveva bisogno di un re, ovvero Victor, e che oltre ad essere bellissima
fuori lo era anche dentro. Ana si trovava molto bene con Victor, il tempo con lui passava
senza accorgersene; lo trovava un uomo molto affascinante. Però al tempo stesso sapeva di
non essere innamorata di lui. Così domandò a Ripamilan: siccome non sono potuta entrare in
convento perchè non ero abbastanza devota, se non sono innamorata, allora vuol dire che
non devo sposarmi? Don Cayetano cercò di farle capire che la sua devozione non era
abbastanza; non bastava aver pianto su alcune poesie o testi di alcuni filosofi poiché la vera
devozione sta nel far felice un vero gentiluomo e innamorato come Quintanar. Così pian
piano Ana accantonò l'idea di fari monaca e maturando quella di sposarsi. Qualche giorno più
tardi giunse in paese Don Frutos Redondo il quale non sono voleva costruire e comprare
molti edifici di Vetusta ma era anche disposto a sposare la donna più bella di Vetusta. Gli
dissero che la donna più bella era Ana e così si innamorò di lei e, quando venne a sapere che
era una donna molto virtuosa, si innamorò ancora di più andando così nella sua abitazione
per chiedere la mano di Ana alle sue zie. Queste successivamente parlarono con Ana
convinte di darle una buona notizia e soprattutto sapevano che lei non avrebbe detto di no ma,
quando seppe la notizia, Ana non disse nulla ma il suo atteggiamento fece capire tutto e così
iniziò una furiosa lite con le zie le quali chiusero la donna in camera sua per 8 giorni. Il nono
giorno, Quintanar andò a casa di Ana per chiedere la sua mano in quanto aveva appena
ricevuto una promozione lavorativa. Le zie rimasero stupefatte e ben predisposte nei suoi
confronti poiché Victor parlava con un crocifisso bloccato al petto in quanto Frigilis lo aveva
avvisato del fatto che le zie tenessero a ciò. Le zie risposero a Quintanar che non potevano
accettare se prima non ci fosse stato il consenso da parte della nobiltà e degli uomini più
potenti. I due si sposarono e passarono per la strada di Castiglia acclamati dal popolo con
Frigilis commosso. E da lì si affermò che sarebbe diventata la Presidentessa. Don Victor
stringeva tra le sue le mani della sua sposa mentre Ana pensava che, nonostante i 40 anni e
passa del marito, non c'era nessun uomo più degno di lui che poteva stare al suo fianco. Non
l'amava ma avrebbe cercato di farlo. Venne sera e senza addormentarsi si soffermò sui vari
rumori che sentiva fuori dalla carrozza ed iniziò a pensare al fatto che ormai era una donna
sposata e che pensare ad altri uomini sarebbe stato un delitto vero e non come quello della
barca di Trebol. Successivamente aprì gli occhi e guardò il suo uomo mentre leggeva
tranquillamente un libro di Caleròn de la Barca.
CAPITOLO 9
Una volta arrivata fuori casa, Ana si fermò, guardò Petra e la supplicò di accompagnarla a
fare una passeggiata: lei inizialmente esitò, perché non si aspettava una proposta del genere
da parte della presidentessa e poiché volesse capire il motivo di questa proposta. Ana
socchiuse gli occhi immergendosi nella luce del sole filtrata dai rami degli alberi. Petra si
fermò a prendere dei fiori, si punse, gridò e poi rise con Ana: non aveva mai visto la padrona
così tranquilla, serena e meno altezzosa. Qualcosa bolliva in pentola. Giunsero alla fonte di
Mari-Pepa che si trovava all'ombra di robusti castagni; ad oriente vi era un'altura dove si
poteva ammirare un bellissimo paesaggio con il sole che lo tagliava di sbieco. Ana si sedette
sulle pendici del castagno lasciandosi trasportare dal suono della sorgente e dai canti degli
uccellini: d'avanti alla presidentessa passò una cutrettola che lei seguì con lo sguardo fin
dove potè. Iniziò così a pensare alla prima confessione fattasi con Don Fermìn de Pas: era
stata davvero costruttiva, non come tutte le altre. Il canonico le disse che la sua anima era
nobile e che la sua storia meritava una maggior riflessione; continuò affermando che però lei
era malata: tutte le anime che vengono a confessarsi lo sono. Inoltre, non doveva andar lì
soltanto per chiedere l'assoluzione dei suoi peccati poiché l'anima, come il corpo, richiedono
una loro terapia ed igiene, e il confessore è un medico igienista; se questi non rispettano le
indicazioni date, non fanno altro che danneggiare sé stessi. Non bastava un semplice
colloquio per curare l'anima e qui, sta la necessità di confessarsi. È fondamentale scegliere
scrupolosamente il confessore quando si trattava di iniziare la cura. Finalmente era contenta
di questa confessione: Don Fermin la ascoltava e soprattutto la trattata come una persona
istruita. Secondo la religione, la virtù è un sentiero arduo solo per coloro che vivono immersi
nel peccato. La virtù può essere definita come l'equilibrio stabile dell'anima; ciò si poteva
raggiungere non soltanto con il digiuno e l'ascesi, ma anche con tutte le arti, con la
contemplazione della natura, la lettura di opere filosofiche. Ricordando tutto ciò, Ana fu
assalita dagli scrupoli: aveva raccontato tutto a Fermin...quasi tutto. Non gli avevaraccontato
dell'attrazione che provava per Don Alvaro Mesìa; gli aveva parlato, in modo molto vago, di
cattivi pensieri ma non gli aveva detto che questi pensieri riguardavano una persona in carne
ed ossa. Avrebbe potuto dirgli la verità ma in questo modo avrebbe ridicolizzato suo marito
senza alcuna ragione visto che non lo avrebbe mai e poi mai tradito. Pensò così di non
andare a confessarsi il giorno dopo ma che si sarebbe inventata un finto mal di testa per
potersi riconciliare con Dio e per poter così riprendere la confessione. Sentì un brivido di
freddo e così tornò alla realtà; si guardò intorno senza trovare Petra. La chiamò ma non
rispose. La chiamò ancora fin a quando non la vide arrivare vicino a sé con il vestito un po'
sgualcito e con il fiatone. Petra, approfittando del fatto che la sua padrona fosse assorta nei
suoi pensieri, si recò al mulino del cugino Antonio: lui era innamorato di Petra, i due volevano
sposarsi tra un paio di anni e così, di tanto in tanto, ella andava a trovarlo affinché non si
spegnesse il fuoco che c'era tra loro. Stava per iniziare a far bui e così le donne iniziarono a
camminare verso casa: passarono per la Calle del Aguila, fecero un giro attorno ad alcune
strade di Vetusta e passarono per El bouvelard dove i marciapiedi erano punteggiati da una
fila di lampioni incolonnati e le ragazze del popolo imitavano la voce, i modi e le conversazioni
delle signorine mentre i giovani operai si fingevano dei gentiluomini. La sera in questa strada
vi era un'allegria contagiosa: le ragazze ridevano senza motivo, si pizzicavano e si
assembravano. Ana senza rendersene contò si ritrovò, essendo quasi sera, in mezzo alla
moltitudine di persone ricevendo tantissimi complimenti dai vari giovani che le passano di
fianco. Ana decise così insieme a Petra di aumentare il passo mentre dentro di sé, guardando
tutte quelle donne, provò una profonda pena nei suoi confronti: sentiva di essere più povera
di tutte loro; la domestica ha il suo mugnaio che le sussurra parole dolci e tutte le donne del
posto provano un piacere che a lei è sconosciuto. Ad un certo punto si fermarono perché
videro un ragazzo, bloccato da altri suoi coetanei, in preda alla gelosia; mentre lo stavano
portando via, Ana vide i suoi occhi e capì che quello era lo sguardo della gelosia.
Successivamente uscirono dal Boulevard ed entrarono in Calle del Comercio e, vicino alla
pasticceria più lussuosa di Vetusta, vide dei bambini che discutevano sulla qualità e sul nome
di quei dolci che non potevano permettersi e ciò la commosse molto. Voleva assolutamente
tornare a casa poiché pensava di iniziare ad avere delle crisi nervose ma non poté farlo
poiché davanti a loro comparvero Don Alvaro Mesìa e Paco Vegallana che salutarono le due
donne in modo molto cortese. Don Alvaro notò che, rispetto al pomeriggio, Ana ripreso il suo
sguardo di sempre, era timido, sfuggente e timoroso, e questo gli ridiede tanta fiducia e
speranza. I quattro iniziarono a camminare verso casa di Ana e questa iniziò a pensare al
fatto che non aveva mai provato il sentimento dell'amore e questo la turbò molto e, senza
rendersene conto, sfiorò la mano di Alvaro mentre egli stava parlando di varie cose. Alvaro si
credeva un uomo di talento, era convinto che per sedurre le donne logorate e sazie d'amore
non bastava l'aspetto esteriore mentre per le spose oneste si. Don Alvaro, oltre a credere
nella propria bellezza, era anche un materialista e non lo diceva a nessuno. Lui non aveva
fede se non quando si ammalava e restava solo ma, quando guariva, affermava che era solo
un po' di debolezza. Mentre Alvaro camminava accanto ad Ana era convinto che questo
bastasse per far suscitare alla donna un po' di desiderio ma in quel momento la
presidentessa aveva la testa altrove. Per soffermare la conversazione su qualche argomento,
Alvaro chiese ad Ana come mai uscisse poco a Vetusta e lei rispose “Sarà che lei non mi fa
caso; esco abbastanza”. Questa risposta lo mise subito in difficoltà e d'altra parte Ana era
convinta che con questa frase avrebbe scoraggiato Mesia facendogli credere che lei non
aveva accettato quel patto tra sordomuti. Però questo significava negare troppo. Significava
negare l'evidenza. Per non andare troppo oltre, Alvaro decise di “fare l'interessante”
rispondendo: “Signora lei è destinata ad attirare ovunque l'attenzione, anche del più distratto”.
Quella frase aveva dispiaciuto tantissimo Ana perché iniziò a pensare che forse tutte le volte
che lui la guardava in realtà era distratto e che forse non era vero nulla, che lui non era
davvero interessato ed innamorato di lei. Non voleva crederci, poiché a pensar ciò le
venivano i brividi. Don Alvaro capì subito di aver colpito nel segno. Ana, avendo la bocca
secca, passò la lingua sulle labbra e quel gesto fece impazzire Alvaro tanto da dire a bassa
voce “Incantevole! Incantevole!”. Ana fece finta di non sentire, ma i suoi occhi dicevano
l'esatto contrario. Alvaro pensò “è mia” mentre arrivarono fuori al portone del palazzo della
presidentessa. Paco disse ad Ana che la sera stessa (quindi tra un paio di ore) sarebbe
andata con loro al teatro poiché ci sarebbe stata la prima di don Pedro Calderòn de la Barca
e perchè la madre di lui, Rufina (la marchesa di Vegallana), la voleva al teatro. Lei disse che
non poteva poiché il giorno dopo avrebbe avuto la confessione, Paco rispose che la mamma
sarebbe venuta a prenderla comunque. Petra entrò in casa e mentre Ana stava per chiudere
la porta, con un filo di voce Alvaro le chiese se quindi sarebbe venuta al teatro quella sera.
Lei rispose di no e chiuse dietro di sé la porta per poi entrare nel patio.
CAPITOLO 13
In quella casa si udivano risate, tante voci, grida di diverse persone. Nel salone vi erano
Glocester, Obdulia e la marchesa che discutevano insieme ad altri sul fatto se fosse richiesta
più virtù nel cercare di resistere alle tentazioni o nel farsi suora. La maggior parte di loro
sosteneva che ha maggior merito una buona sposa nel mondo che una sposa di Cristo. Altri
nel salone parlavano di politica locale, ovvero del fatto che il sindaco e la vedova del
marchese di Corujedo avevano chiesto la stessa tabaccheria creando un gran conflitto nel
governo. Il segretario delle finanze aveva detto che la scelta doveva essere fatta dal
governatore il quale, a sua volta, aveva consultato il governo per telegrafo che doveva
decidere se andare contro il sindaco o la vedova. Ripamilàn e il marchese di Vegallana
affermavano che, al posto del governo, avrebbero dato la tabaccheria alla vedova perché
vengono prima le donne; Trabuco invece affermava che secondo lui questa tabaccheria
doveva andare al sindaco. Nelle stanze del primo piano, invece, vi erano Paco Vegallana (il
festeggiato del giorno per il suo onomastico), Visitaciòn, Edelmira (cugina di Paco), don
Saturnino Bermudez e Quintanar che scherzavano e ridevano ad alta voce tra loro mentre
Ana e Alvaro Mesìa guardavano, stando vicino al balcone, i giochi innocenti degli altri. Il
canonico non appena entrò nel palazzo dei Vegallana vide don Saturnino il quale lo salutò
cordialmente e subito dopo, mentre questo lo stava accompagnando in salone, vide Ana
insieme a Mesia che chiacchierava molto amichevolmente. Giunse al salone venendo accolto
calorosamente dal marchese e da Ripamilan; l'arcidiacono Glocester, invece, cercò di
nascondere il suo fastidio nel vederlo lì stringendogli la mano con un lieve sorriso. Tutti gli
invitati però, mentre scherzavano e sorridevano serenamente, avevano in realtà la testa
altrove: pensavano all'invito che avrebbero avuto o meno per il pranzo venendosi così a
formare due fazioni, quello degli invidiosi e degli invidiati. Iniziarono così pian piano diversi
uomini e fanciulle a lasciare l'abitazione con un lieve imbarazzo e vergogna. Lo stesso
Glocester non era stato invitato e voleva capire se il suo avversario, il canonico, avesse
pranzato o meno da loro. Vide il canonico chiacchierare con Obdulia, Visita e donna Rufina,
le quali cercavano di convincere il canonico a rimanere a pranzo. Quando ebbe la certezza di
ciò, lasciò l'abitazione salutando la marchesa e pensando a quanto questa fosse ipocrita e di
come il suo nemico riuscisse a vincere sempre. Era però certo che l'avrebbe sconfitto una
volta per tutte definitivamente. Gli invitati quindi furono: don Fermin, don Cayetano Ripamilan,
don Victor Quintanar con la presidentessa, Obdulia, Visitacion, Edelmira, don Saturnino
Bermudez, Alvaro Mesia, Joaquin Orgaz e donna Petrolina. Generalmente Paco festeggiava
sempre da solo e in altri luoghi l'onomastico ma questa volta avevano organizzato una
piccola festa in famiglia con tutti gli amici più intimi. Il canonico fu invitato a pranzo grazie
soprattutto a un complotto di Visitacion, Victor Quintanar e Paco poiché la donna voleva fare
uno scherzo a Mesia facendogli trovare di fronte De Pas. Questa però disse all'ex presidente
che lo voleva invitare per vedere Obdulia civettare con il canonico mentre il povero Bermudez
soffriva in silenzio. Victor era contento della presenza del canonico poiché così la moglie
avrebbe iniziato a considerarlo e a vederlo come un uomo comune e perché così non
sarebbe andata a confessarsi quel pomeriggio. Ana, una volta arrivata con Victor a casa dei
Vegallana, vide come prima persona Alvaro: non volle arrossire mentre Victor strinse
calorosamente la mano ad Alvaro che ricambiò affettuosamente (tra i due c'era un ottimo
rapporto e tutte le volte che si ritrovavano creavano una forte intesa). Una volta trovatosi
d'avanti a lui, Ana decise di trattarlo come tutti gli altri pensando tanto che tra loro non poteva
e non doveva esserci nulla. Quando Alvaro si approcciò a lei Ana cercò di tranquillizzarsi
ricordandosi che tra lei e lui non ci fosse stato mai nulla. Alvaro iniziò a parlare con lei senza
mai citare quello che era successo la sera prima ed usando un tono affabile e dolce che le
fece intendere che non aveva doppi fini e questo fu molto apprezzato da Ana. Ana inizia a
confrontare Victor con Alvaro: nota che il marito è più basso di Mesia e questo aveva un
profumo delizioso, un abito ben curato e soprattutto, mentre dialogava con lui notò anche le
sue mani bianche, con dita lunghe e sottili e unghie lisce e ben tagliate. Ana si sofferma su
alcuni elementi di Alvaro che riprendono quelli utilizzati da poeti per le loro donne. Ana non
aveva visto entrare il vicario fino a quando Visita non si avvicinò al suo orecchio per dirle del
suo arrivo. Ana si allontanò e andò nel salone dove si trovarono tutti gli invitati tra questi
Obdulia che stava chiacchierando con il canonico e Joaquito Orgaz.Quando Fermin vide Ana
smise di parlare per poterla salutare con un po' di distacco. Dietro di lei apparve Mesia il
quale con un po' di rossore sulle guance strinse la mano al canonico per salutarlo il quale
ricambiò la presa. Ana vide i due uomini vicini, tutte e dure erano quasi alti uguale. Mesìa
guardava con distacco Fermin in quanto già lo temeva per l'episodio del balcone del
pomeriggio prima; Fermin invece non aveva nessun motivo per diffidare di Alvaro poiché Ana
durante la confessione non gli aveva detto che quei pensieri peccaminosi fossero rivolti ad un
uomo in carne ed ossa. Ana, quando vide Fermin, iniziò a pensare a quello che si erano detti
durante laconfessione del giorno precedente e della lettera che poche ore fa gli aveva scritto
e mandato. Poiché era arrivato Fermin, e poiché era certa che egli poteva salvarla dalle
tentazioni criminali di Don Alvaro, Ana decise di sostenere il suo sguardo. Successivamente
mentre tutti gli invitati stavano parlando tra di loro, Alvaro, senza farsi notare, notò che la
presidentessa era andata a parlare con il canonico vicino alla finestra e a bassa voce (Alvaro
non solo non credeva alla virtù delle donne, poiché secondo lui qualsiasi donna, anche la più
virtuosa, con la giusta seduzione sarebbe caduta alla tentazione, ma non credeva soprattutto
alla virtù religiosa poiché secondo lui nessuno poteva resistere agli impulsi naturali e che
quindi gli ecclesiastici fossero soltanto degli ipocriti. In generale era molto invidioso dei preti i
quali riuscivano attraverso la confessione a sedurre e ad influenzare una donna, a tutte le
donne a cui era interessato, impediva di confessarsi. Però obbligava la donna a mettere a
nudo la sua anima e così veniva a conoscenza di segreti che lui man mano annotava nella
sua mente.). Nonostante ciò Alvaro non credeva che Fermin volesse conquistare la
presidentessa per soddisfare i suoi “appetiti” però aveva paura che potesse sedurla per il suo
stesso motivo. Queste riflessioni portarono Alvaro ad iniziare ad odiare Fermin. Nel frattempo
il canonico parlò con la presidentessa dicendole che quel giorno non si sarebbero confessati
ma direttamente la mattina successiva e molto presto; Ana disse che andava bene e gli disse
anche quello che voleva fare Victor. Il canonico disse alla donna che doveva rispettare ciò
che diceva che doveva fare e che anzi, diceva tutte cose giuste che lei aveva bisogno di qui
divertimenti poiché, quando un anima è ben nutrita e sana, questi piaceri sono una
distrazione utile per trarre giovamento. Quando Don Victor sentì tutto ciò applaudì essendo
perfettamente d'accordo con il canonico. Successivamente tutti andarono in sala da pranzo
poiché era pronto a tavola. Quello era un pranzo informale. Servivano le pietanze delle
giovani ragazze di 20 anni, scelte scrupolosamente dalla marchesa, e Paco era molto
d'accordo con ciò, mentre per il marchese era indifferente. Andarono a tavola per sedersi non
vi erano i posti assegnati se non quelli a capotavola dei due marchesi e dei posti adiacenti:
vicino al marchese sedevano Petrolina (alla sua destra) e don Victor (alla sua sinistra),
mentre vicino alla marchesa Don Fermin (alla sua sinistra) e Ripamilàn (alla sua destra).
Successivamente si sedettero tutti gli altri dove la presidentessa siedeva tra Don Cayetano e
Alvaro, Obdulia tra il canonico e Joaquito Orgaz, e Paco tra Visitacion ed Edelmira. Prima di
servire il brodo, furono serviti tutti gli antipasti con anche le sardine. Tutti erano in allegria,
anche le domestiche, tranne Pedro, il cuoco, il quale si sarebbe divertito dopo; prima il dovere
poi il resto. Di tanto in tanto De Pas volgeva la parola ad Ana mentre don Alvaro, senza
rendersi conto, iniziava a corrugare la fronte infastidito. Visitacion, che lo aveva notato, gli
diede un piccolo colpetto con il piede sulla gamba per farlo tornare alla realtà facendogli
capire che doveva nascondere questo fastidio. Mesia si rese conto che questo pranzo non
poteva andare a favore suo, aveva capito che fosse troppo rischioso esporsi in questo
momento. Nel frattempo Paco era molto attratto dalla cugina, la quale ricambiava il
sentimento, tanto da sfiorarle il ginocchio che subito volle togliere ma, quando vide la
tranquillità della donna, la lasciò lì facendo finta di niente. Obdulia si meravigliò del fatto che
Paco si fosse dimenticato presto di lei e di quello che c'era stato il pomeriggio prima; lei fece
lo stesso avvicinandosi al canonico in modo provocante cercando di stordirlo con i suoi
profumi. De Pas rispondeva con distacco alla donna in quanto era irritato del suo
atteggiamento e del fatto che Joaquito Orgaz li stava fissando. Bermudez era molto giù di
morale in quanto guardava la vedova provarci con il canonico mentre egli ricordava il giro
fatto insieme in cattedrale. Si domandava che senso avesse amarle e provarci. Egli guardava
di tanto in tanto la presidentessa che aveva amato segretamente. Tutti erano in festa. Dopo
aver finito di pranzare la marchesa chiamò tutti gli ospiti invitandoli a seguirla per il caffè. Ana
camminava davanti alla marchesa e ad Alvaro mentre il canonico era rimasto indietro con
donna Petrolina. Tra questi due c'era una stima reciproca e la donna voleva convincere il
canonico ad accompagnarla al Vivero (Fermin si era ripromesso di non andare lì poiché non
era il suo posto, si sentiva di troppo e non doveva presenziare quelle scene estrose dei
giovani ospiti. L'eccessiva familiarità, le relazioni troppo confidenziali avrebbero rovinato il suo
prestigio). La marchesa cercò di convincerlo ma senza riuscirci; così, senza malizia (ironico
poiché faceva tutto con malizia), la marchesa chiese ad Ana di convincere il canonico ad
andare con loro al Vivero. Fermin arrossì leggermente perchè vide negli occhi e nelle parole
di Ana un sincero dispiacere ma non poteva accettare. Alvaro vide il momento in cui Ana
cercava di convincere il canonico e fu attraversato da una forte emozione: la gelosia; provava
odio per ciò perché si rese conto che era più interessato del previsto alla donna. Egli guardò
così negli occhi il canonico il quale ricambiò quello sguardo arrogante allo stesso modo. Ana,
che prima aveva confrontato i due uomini fisicamente, ora li analizza religiosamente: entrambi
erano belli ed interessanti come San Michele (il canonico) e il Diavolo (Alvaro Mesia). Ana era
contenta di avere questi due pretendenti poiché sapeva che entrambi la desideravano e
volevano conquistarla; ciò avrebbe rotto la monotonia della vita vetustense. Inoltre,
lapresidentessa era convinta che Alvaro non aveva doppi fini e che fosse realmente
interessato a lei. Mentre Ana rifletteva a ciò, si udirono delle urla: erano di Obdulia la quale si
stava dondolando sull'altalena insieme a Bermudez per poi bloccarsi in alto poiché la corda si
era impigliata. Presero un piccolo scaletto, molti non riuscirono a prenderla e a sbloccare
l'altalena ma, dopo le sollecitazioni di Ana, Alvaro che era molto alto, decise di aiutare
Obdulia. Non voleva farlo poiché sapeva che aiutare Obdulia non gli avrebbe portato a nulla
però, poiché glielo aveva detto Ana, aveva accettato. Fece scendere, con l'aiuto di Paco, a
Bermudez per poi mettere le mani sotto le gambe della vedova per cercare di sollevare
leggermente l'altalena e farla sbloccare. Ci provò due volte, ma niente. Dopo la terza volta si
arrese dicendo che non ce la faceva. Don Fermin così, essendo alto quanto Mesia, disse che
forse poteva farcela lui. Si avvicinò alla donna, mise le mani dove le aveva messe prima
Mesia, per poi sollevare la donna e riuscire subito a “salvarla”. Ci fu un applauso generale ed
Alvaro non credeva a tutto ciò provando una forte vergogna. L'abilità del canonico fu
apprezzata tantissimo da Ana la quale vide nel suo padre spirituale una fortezza. Una volta
preso il caffe gli invitati si recarono alle carrozze per recarsi al Vivero. In una carrozza
salirono la marchesa, Ana, Ripamilan, Petrolina nelle altre tutti gli altri ospiti. Il canonico era
salito su quella della marchesa, sedendosi tra Ana e Don Cayetano, a patto che lo avessero
lasciato all'Espolon. Durante il tragitto le donne cercarono di convincerlo e, anche se voleva
cedere alla tentazione ed accettare, sapeva che non sarebbe stata la scelta giusta. Una volta
arrivati il canonico scese dalla carrozza e la marchesa gli aveva dato un colpettino con il
ventaglio sulla mano facendogli intendere che la sua famiglia avrebbe avuto piacere ad
approfondire quella amicizia. Li salutò e dopo poco le carrozze ripartirono, Ana si girò e
continuò a salutare affettuosamente il canonico mentre questo continuò a seguire la carrozza
fin dove poté.
Seconda parte.
CAPITOLO 16
Ad ottobre a Vetusta il bel tempo muore portando avanti questa odiosa stagione fino ad aprile.
Molti si lamentavano per queste cupe e piovose giornate, altri invece ritenevano che fosse un
aspetto positivo poiché avrebbe reso fertili e coltivabili molte terre. Il primo Novembre, giorno
di Ognisanti, le campane suonano annunciando soprattutto l'arrivo di un inverno umido e
monotono. Quel giorno Ana era a casa sola poiché Victor era già al circolo per fare la sua
partita di scacchi; fissava la tazza di caffè e il mezzo sigaro che Quintanar aveva fumato
prima di andarsene. Guardò questi oggetti effimeri immaginando che fossero il simbolo
dell'universo; si soffermò su quest'ultimo oggetto pensando a come il marito non fosse
capace di fumare un sigaro per intero e di amare quindi interamente una donna. Lei si sentiva
come quel sigaro, qualcosa che non era servito a uno e che ormai non poteva servire ad un
altro. Le campane iniziarono a suonare ed Ana rabbrividì pensando che questi non erano
funebri lamenti. Per distrarsi iniziò a leggere un articolo sul giornale “El Labaro” incentrato
sulla brevità dell'esistenza e sulla purezza dei sentimenti cattolici della redazione. L'autore
dell'articolo affermò che non bisognava cercare la felicità in questo mondo poiché la terra non
era il luogo destinato alle anime; la cosa migliore era morire poiché, anche se si lamentava di
quanto fossero soli i morti, alla fine invidiava la loro buona sorte. Iniziò come al solito a fare
un lungo processo interiore dando la colpa di tutti i suoi mali a Vetusta, Frigilis, Don Victor e
alle zie. Si affacciò al balcone e in piazza passava tutto il vicinato per recarsi al cimitero e di
questi periodi ella odiava i vetustensi più che mai poiché rispettavano le tradizioni senza fede
o entusiasmo ma soltanto con meccanica ripetitività. [Il programma di Victor per farle
cambiare vita ebbe breve durata e Visita era meravigliata di ciò perchè era sicura che Alvaro
le piacesse: lei lo aiutava, Paco lo aiutava e inconsciamente anche Victor, però la moglie
dell'impiegato aveva capito che per il momento Mesia non avrebbe fatto nessun passo in
avanti. Pensò che c'entrasse qualcosa il canonico e così decise di spiare la cappella del
canonico e dopo poco venne a sapere che alle 7 del mattino avevano visto la Presidentessa
confessarsi con De Pas. Non pensava che la presidentessa fosse interessata a Fermin ma
temeva che questo, per andar contro ad Alvaro, avrebbe usato il suo talento per convertire
Ana in una bigotta. Voleva vedere l'amica cadere nella rete di Mesia. Le gite al Vivero si
erano moltiplicate ma Alvaro continuava a non fare passi in avanti poiché riteneva che non
fosse il momento giusto. Mesia era convinto che esistesse soltanto l'amore materiale e che
da là sarebbe arrivato tutto il resto ed affermò che il giorno in cui avesse osato sarebbe stato
non in una campagna poiché, in mezzo alla natura, Ana è completamente assente. Don
Alvaro non sapeva che Ana lo sognava tutte le notti ed ella si domandava il senso di resistere.
Durante tutte le confessioni con Fermin, Ana non aveva mai detto al canonico di sognare e di
desiderare Alvaro, ma gli disse sinceramente che non amava il marito e il motivo per il quale
non dormiva nella stessa camera del marito (per mancanza di iniziativa nello sposo e per
mancanza di amorein lei), riuscì a sapere solo questo ma De Pas non volle domandare altro
in merito alle gite al Vivero, anche se era molto curioso. La confessione di Ana, in merito al
fatto di alcuni sogni proibiti che essa faceva, suscitò interesse e curiosità in Fermin poiché si
domandò a chi potesse sognare la presidentessa. Arrossì nel pensare che potesse essere lui
ma subito dopo pensò che non sarebbe mai caduto nella tentazione e che non avrebbe mai
rovinato quella nascente amicizia. Si rese conto che lui attraverso la confessione salvava lei e
che lei inconsciamente salvava lui. Successivamente Ana vide sotto l'arco della Calle del Pan
don Alvaro Mesia su un cavallo bianco. Egli la salutò da lontano e, con il suo cavallo, arrivò
sotto il balcone della presidentessa. La sua figura maestosa, su quel cavallo bianco, riempì la
strada di vita e di allegria ed Ana avvertì un soffio di freschezza dell'anima. La presidentessa
non cercò di nascondere l'effetto che egli le produceva. Iniziarono a parlare ed Alvaro
abbassò la voce in modo tale da far sporgere leggermente Ana affinchè potesse ascoltare.
Ana iniziò a parlare molto facendo anche qualche lusinghe che, anche se erano rivolte
esplicitamente al cavallo, erano di fatto anche per lui. Don Alvaro rimase esterrefatto da ciò;
non si aspettava una reazione così. Parlarono di tantissime cose ed erano d'accordo su tutto:
scoprirono di avere gli stessi gusti. Ana non si pentì di nulla, si lasciò andare godendo di
quella “caduta”. Sentì che la sua aridità stava diminuendo e che le crisi stavano passando ma
era un qualcosa di nuovo quello che stava provando. I due si scambiarono sguardi intensi ed
Alvaro pensò al fatto di non poter salire a casa della donna a causa del cavallo: lei vedeva
che Alvaro stava bruciando di passione per lei e d'altro canto anche Mesia capiva e sentiva
quel che accadeva nel cuore della presidentessa. Successivamente Don Victor era tornato a
casa e fu felice di vedere la moglie chiacchierare con il suo amico Mesia. I due parlarono e
Quintanar chiese a Mesia se stasera fosse andato al teatro per vedere “Don Juan Tenorio”.
Egli rispose di sì e, poiché Victor gli aveva appena detto che Ana non aveva mai visto questa
rappresentazione teatrale, approfittò di ciò per insistere insieme al marito di farla venire a
teatro. Lei inizialmente si oppose ma, dopo poco, accettò. Ana si preparò, pettinandosi e
vestendosi quanto meglio poté, e si recò a teatro presso le 20:15: il suo arrivo non passò
inosservato. Tutti si voltarono per guardarla poiché poche volte la presidentessa si recava di
sera a teatro con il marito; ne fu quasi lusingata poiché, dopo l'incontro di quella mattina,
Alvaro le aveva cambiato l'umore. Si recò insieme a Victor al palco dei Vegallana dove erano
già seduti la marchesa Rufina, Edelmira e Paco Vegallana. Il suo arrivo aveva suscitato
l'interesse di molti in quanto da settimane si parlava di Ana e del suo cambio di confessore;
molti si chiedevano se Fermin sarebbe riuscito a conquistare la presidentessa e poi a sua
volta anche Don Victor. Ana era molto diversa grazie all'incontro con Alvaro. Pensò che non
avrebbe mai peccato con il suo corpo ma che comunque avrebbe pianto d'amore e sognato
chi e cosa le pare. Quando si era preparata prima di recarsi a Teatro, si guardò allo specchio
e si promise che non avrebbe mai permesso a quell'uomo (Mesia) di avere alcun diritto su di
lei. Ana si trovava sul palco dei Vegallana che si trovava di fronte alla “tasca” di Mesia e di
altri uomini elegantoni. Un'altra “tasca” era quella di Pepe Ronzai (antico rivale di Mesia)
molto meno distinta di quella del rivale. Nonostante la tasca di Trambuco confinasse con
quella dei marchesi di Vegallana, pochissime volte i membri osavano parlare con i marchesi;
quelli della tasca di Mesia, invece, salutavano sempre i Vegallana. Ciò suscitava una maggior
invidia nei confronti del nemico anche se egli aveva un rapporto discreto con la marchesa.
Ana si sedette e vide di fronte a sé, sulla tasca di fronte, don Alvaro ma successivamente
spostò lo sguardo sullo spettacolo prestando attenzione sull'attore Perales, che interpretava
Don Juan, e rimanendo affascinata dai suoi gesti e dalla sua figura; Victor, guardando la
moglie entusiasta di ciò che vedeva, si avvicinò a lei commentando l'opera che stavano
vedendo. Lei però non prestò tanta attenzione alle parole del marito poiché era concentrata a
seguire lo spettacolo. Finì il primo atto e, durante l'intervallo, Alvaro non si mosse dal suo
posto ma spostò il suo sguardo su quello della presidentessa che ricambiò due/tre volte il suo
sguardo. Nella tasca contigua Pepe Ronzai osservava i due giovani in particolare la figura del
suo rivale. Alvaro capì che in questo momento aveva un secondo rivale: il dramma. Ana era
ammirata dai gesti e dai comportamenti di Don Juan e si sentiva trasportata nella sua epoca:
da quel momento, notando una certa somiglianza tra Don Juan e Mesia, Ana vestì il suo
adoratore con i vestiti dell'attore e attribuendo a quest'ultimo le movenze e le sembianze di
Mesia. Il terzo atto fu per Ana una rivelazione di poesia appassionata. Nel vedere Ines nella
su cella, la presidentessa rabbrividì poiché l'assomigliava. Anche il pubblicò notò che la
giovane attrice era molto simile ad Ana. Si rivide in Inès e ciò produceva in lei forti emozioni
che non riusciva a contenere. Pensò che quello fosse il vero amore, una follia mistica; era
impossibile fuggire da ciò . Notò che il suo palazzo era un convento e che don Juan fosse
Mesia che appariva per miracolo e che riempiva l'aria della sua presenza. Tra il terzo e quarto
atto, Alvaro si recò verso la tasca dei Vegallana; vide la presidentessa e la salutò
cordialmente. Iniziò il secondo atto e, poiché Victor era ancora intento a parlare nell'altra
tasca con Don Frutos Redondo dell'opera rappresentata, Anainvitò Mesia a rimanere seduto
accanto a lei. Dopo l'invito della presidentessa, egli si sedette e pensò che non fosse ancora
il momento giusto per toccare “involontariamente” il piede della donna o il suo ginocchio. Ana,
prima dell'inizio dell'atto successivo, fu molto eloquente e ciò sorprese molto Alvaro che non
si aspettava un entusiasmo del genere. Quando cominciò il quarto atto, Ana smise di parlare
e invitò Alvaro al silenzio. Don Alvaro sorrise e guardò la presidentessa che gli faceva
intravedere il collo vigoroso e morbido. Voleva avvicinarsi un po' ma cercò di mantenersi con
tutte le sue forze nel sfiorarle il piede o il ginocchio. Ana, che prima si era rivista nella figura di
Ines, in questo atto non riusciva a comparare nessun elemento della rappresentazione alla
sua vita. Si domandava se si sarebbe mai buttata tra le braccia di “Don Juan” proprio come
Ines, ma al tempo stesso riteneva che aveva molta più forza. Quando Ana udì i versi di Ines
non riuscì a trattenere le lacrime poiché sembravano rappresentare un amore innocente, puro.
Nessuno notò le lacrime della donna tranne Don Alvaro che notò il seno muoversi
maggiormente: pensava che ciò fosse causato dalla sua presenza. Ma Ana non pensava a lui
in quel momento. Lo scontro tra Don Juan e il commendatore fecero tornare Ana alla realtà
poiché vide in quella scena una paura superstiziosa: il colpo di pistola, sparato da Don Juan
con cui saldava i conti con il commendatore, la fece sussultare ed ebbe un brutto
presentimento. Ana vide in quella scena, come un fulmine, Don Victor steso e coperto di
sangue, con Don Alvaro che manteneva la pistola davanti al cadavere. Una volta terminato il
quarto atto, la marchesa si alzò affermando che da quel momento in poi l'opera perdeva di
bellezza e voleva tornare a casa; Ana decise di seguirla poiché voleva avere un bel ricordo di
quella tragedia. Don Victor decise di rimanere e così chiese gentilmente alla marchesa di
accompagnare sua moglie a casa e lui in cambio avrebbe accompagnato Edelmira, sua
nipote. Mesia accompagnò le due signore alla carrozza e le salutò per poi tornare in teatro ed
iniziando a chiacchierare con Victor: Quintanar iniziò a parlare dell'onore e gli disse che lui è
un uomo molto pacifico ma, se gli toccano l'onore, diventa intrattabile. Iniziò a ipotizzare che,
se la moglie lo avesse mai tradito, sicuramente le avrebbe aperto le vene mentre all'amante
lo avrebbe ucciso con un arma bianca e non con una pistola. Mesia si spaventò leggermente
di tutto ciò. Tutti tornarono a casa e Alvaro mentre cercava di dormire iniziò ad immaginare
scene d'amore con Ana protagonista per poi intravedere anche la figura di Victor. Ana quella
sera dormì profondamente e non ricordava di aver sognato Alvaro ; si svegliò verso le 10 del
mattino molto più tardi del solito e così chiese a Petra il motivo per il quale non l'avesse
svegliata prima. La domestica le disse che aveva avuto una brutta nottata e che avendo
urlato e fatto alcuni nomi durante il sonno pensava che dovesse riposare ancora un po'. Ana
si preoccupò, chiese chi avesse chiamato e lei le rispose “Victor, signora”. Capì subito che la
domestica stesse mentendo poiché lei chiamava quasi sempre il marito “Quintanar”.
Successivamente Petra diede alla presidentessa una lettera da parte di Fermin De Pas, la
lesse e subito notò che non aveva scritto “cappellano” e pensò che per tutta la serata non
aveva mai pensato al suo confessore e che si fosse dimenticata della confessione di quella
mattina; però non poteva anticiparla quel pomeriggio stesso, non era pronta e così scrisse
una lettera, in cui diceva di non star bene, che diede a Petra dandole l'incarico di portarla al
canonico. Nel frattempo Ana si sentiva insoddisfatta di sé e pentiva per aver messo in
pericolo in suo onore; inoltre, oltre a non averlo pensato per tutto il giorno, lo stava
ingannando dicendogli di essere malata per evitare di vederlo.
CAPITOLO 25
Il capitolo si apre con Glocester che, il mattino seguente alla festa, racconta di quanto
accaduto al gala del circolo: la presidentessa era svenuta tra le braccia di Mesìa. Vicino a
Glocester c'era Don Fermin il quale, per la prima volta, era rimasto ferito da quello che gli
aveva detto il nemico che, al tempo stesso, era soddisfatto per l'effetto che la notizia aveva
suscitato in lui. Fermin si sentì tradito e pensò alla madre che essendo sangue del suo
sangue, non lo aveva mai tradito a differenza di Ana. Era intenzionato ad andare a casa della
presidentessa ma, rendendosi conto che fosse troppo presto e ricordandosi di sua madre,
decise di correre a casa sua. Arrivò ed entrando vide donna Paula intenta a spazzare la sala:
Fermin voleva dirgli tutto ma si rese conto che non potè farlo, si recò nel suo studio e,
sentendosi soffocare, decise di uscire proprio di casa recandosi a casa di donna Petrolina. Il
Gran Costantino non era ancora a casa, sarebbe arrivata a momenti, così Fermìn aspettò nel
salone dove si incontrava con Ana: si sedette sulla parte del divano dove si sedeva sempre
lei ed iniziò a pensare a ciò che lui provava per la presidentessa. Per la prima volta, Fermin
diede un nome al sentimento che provava per quella donna: era amore. Si lamentò di come il
suo lavoro potesse essere un problema per conquistare la donna: delle catene che gli
impedivano di essere libero. Fermin pensò inoltre alla confessione che Ana aveva fatto prima
di andare alla festa mostrandogli il corpetto che avrebbe indossato quella sera... quello che
avrebbe usato per disonorarlo; affermò che lui era suo marito spirituale.Poco dopo rientrò a
casa donna Petrolina e così, senza avere neanche il tempo di salutarla, Fermin le disse che
doveva assolutamente chiamare Ana. La chiamò e poco dopo arrivò senza sapere il motivo
della chiamata: si recò in salone e donna Petrolina li lasciò soli. Il canonico si girò verso di lei,
la salutò con un sorriso amaro sulle labbra e notò che Ana era più bella del solito. Fermin
disse che sapeva tutto quello che era successo la scorsa sera e voleva delle spiegazioni da
lei: Ana, non si aspettava questa reazione del canonico e gli disse che lei si eera ubriacata e
che con la musica e con il mal di testa era svenuta. Ana, iniziando a singhiozzare, raccontò
tutto quello che poté dire al canonico e gli disse che voleva tornare a quell'estate in cui erano
tranquilli, spensierati e soli. Concluse dicendogli che voleva confessarsi ovunque lui volesse.
Fermin disse che voleva confessarla ora in quel momento e che in quanto suo confessore
doveva sapere tutto. Le chiese di quell'uomo, di Mesia e di cosa fosse successo con lui; Ana
disse che sì, era svenuta, ma ciò era successo per colpa dell'alcool. Disse subito che non lo
amava, fu costretta a nascondere ciò perché credeva di essere spinta da una forza mistica e,
inoltre, avrebbe preferito rivelare i suoi sentimenti per Alvaro a Victor anziché a Fermin
( capovolge i ruoli, riconosce Fermin in suo marito poiché teme di dire a lui i sentimenti per
Alvaro e non di dirlo al suo vero marito Victor). Quando Fermin ebbe conferma che la donna
era svenuta tra le braccia del suo rivale in amore, la chiamò “Infame!”.Fermin, accecato dalla
gelosia, dice alla donna che è stato messo di nuovo in ridicolo da lei e che ora tutta Vetusta
parlerà di ciò e i suoi nemici avranno nuovi argomenti per deriderlo. Recuperò il senno e
subito dopo aver preso tutta la sua roba, senza girarsi, se ne andò sperando che la
presidentessa lo seguisse per fermarlo. Ana non ebbe il coraggio di seguirlo poiché in quel
momento capì una cosa che non avrebbe mai immaginato: Fermin era innamorato di lei. Si
sentì ferita per ciò, le aveva mentito: era suo fratello maggiore, il fratello spirituale e
soprattutto era un prete; ciò era una cosa orribile. Dopo un po' Victor la vide, si sorrisero e la
donna elogiò il suo lavoro facendo esplodere di gioia il marito il quale le fu grato per ciò. Poco
dopo Victor chiese alla moglie se quel pomeriggio voleva andare con lui a casa della
marchesa Rufina per prendere un caffè e fare dopo una passeggiata. Ana gli disse di no e
così il marito, senza insistere, andò da solo nel pomeriggio a casa dei Vegallana. Ana rimase
sola ed iniziò a pensare sia ad Alvaro che a Fermin e di quest'ultimo pensò se non era tutto
un piano però non sapeva per ottenere cosa. Elogiò Alvaro il quale non aveva mai
approfittato di lei e dell'amicizia con suo marito, era stato un vero signore. Sapeva di dover
essere grata al canonico ma pensare a lui innamorato di lei le venivano i brividi e questo stato
d'animo durò per qualche giorno. Ana si convinse che doveva stare lontana dai due uomini
che l'amavano e che l'unico rifugio poteva essere proprio il focolare domestico. Per questo
motivo, decise di iniziare a fare alcune pulizie domestiche, progetto che però durò molto poco.
Arrivò il periodo pasquale e Don Alvaro si stava preparando per compiere un altro attacco ma
prima voleva riprendersi bene poiché in estate la donna di Palomares lo aveva stancato
moltissimo nella sfera erotica. Questo perché, secondo lui, più una donna è lontana dal vizio
e più questa si mostrava focosa quando accadeva; quindi, secondo questo ragionamento,
Ana doveva essere focosissima. Con la primavera avviata, Alvaro mangiava sano, si
svegliava di buon ora e faceva lunghe passeggiate. Durante questa stagione, a Vetusta,
facevano bellissime giornate di sole ma anche lunghe giornate di pioggia: quando faceva
quelle belle giornate, Alvaro ne approfittava per fare delle belle passeggiate e, un giorno,
mentre stava per passeggiando lungo il Paseo Grande, vide da lontano un prete: era don
Fermin. Aveva paura di incontralo poiché pensava che, essendo stato rifiutato da Ana, nel
vederlo avrebbe potuto sfogare la sua ira. D'altra parte Fermin pensò a cosa sarebbe
successo se lo avesse buttato a terra calpestandogli il corpo e la testa: dopo poco si
incontrarono e si salutarono in modo molto distaccato ed arrogante. Da quel momento
decisero di passeggiare in strade diverse. Arrivò il cattivo tempo e così Ana fu costretta a
rimanere chiusa in casa ma, il cattivo tempo, riaccese in lei tanti pensieri: si sentì sempre più
sola e pensò che forse era stata troppo ingiusta con Fermin. Volle avere il prima possibile un
confronto con lui ma, prima di ciò, decise di fortificare da sola il suo spirito. Pensò che l'unico
modo per tenerli a bada fosse quello di recarsi in chiesa e così girò di chiesa in chiesa
quando non vi era la messa o la lettura dei sermoni. La chiesa senza culto attivo sembra per
Ana un teatro di giorno e così decise di recarsi in chiesa soltanto durante i culti. Andò ad
ascoltare la novena della Vergine dei Sette Dolori che quell'anno ebbe un'importanza
eccezionale. Ana ascoltò tutto il sermone e in quel momento pensò che avrebbe seguito
l'esempio della Vergine santa che affermava che la religione eterna fosse stare sempre con
chi è triste. Si pentì di aver lasciato solo e triste Fermin: Vetusta lo disprezzava, lo derideva,
lo trattava male e lei stava facendo lo stesso. Iniziò a mettere in dubbio tutto: pensò che forse
aveva capito male, che Fermin non fosse innamorato di lei e che la sua fantasia e la sua
vanità gli avevano fatto credere tutto ciò. Poiché lei era innamorata di Alvaro, non era detto
che lui dovesse essere innamorato di lei. Nella chiesa, la musica di Rossini, scatenò la
fantasia di Ana la quale affermò che, come Maria era ai piedi della Croce, lei doveva stareai
piedi di Fermin.. Rifletté sul fatto che si può piangere ai piedi di qualsiasi croce senza pensare
a chi sia quello che vi sta appeso, soprattutto se quella persona è un martire.
CAPITOLO 26
Il capitolo si apre con la figura di Don Pompeyo Guimaran il quale, dopo la morte dell'amico
Don Santos Barinagaga, era sempre triste e soprattutto rifletté sul valore dell'amicizia, un
bene perduto: affermò che Paco Vegallana, Alvaro Mesia, Joaquito Orgaz e Foja, che si
ritenevano tanto suoi amici, si erano fatti beffe di lui. Guimaran interruppe bruscamente i
rapporti con questi e non mise più piede nel circolo poiché si sparse la voce che lui, pur
essendo ateo e senza credere a nessuna religione, si era presentato alla messa insieme ai
suoi amici tutto ubriaco. Don Pompeyo usciva sempre da solo e al tramonto, stava sempre
ammalato e un giorno, uscito dalla cattedrale, si recò velocemente a casa chiedendo alla
moglie di preparargli una tisana la quale successivamente, insieme alle sue 4 figlie, misero
l'uomo nel letto coprendolo con tutte le coperte che avevano per dargli calore. Il mattino
seguente Guimaran si svegliò in condizioni pessime e così la famiglia chiamò Somoza il
quale, dopo averlo visitato, avvisò la famiglia che era giunto il momento di “preparare il
malato a morire bene”. La famiglia rimase sotto shock e la figlia più coraggiosa, Agapita, andò
dal padre per cercare di fargli capire che purtroppo non stava molto bene e che necessitava
di farsi confessare per non fare la fine di Barinaga; il padre disse che già lo aveva pensato e,
nonostante fosse ateo, voleva ricevere i sacramenti, ma non da uno qualsiasi, solo ed
esclusivamente da Don Fermin De Pas. Dopo mezz'ora da ciò si sparse per tutta Vetusta la
notizia che l'ateo Guimaran si sarebbe confessato con il canonico. Nel frattempo Don Fermin
era a casa nel letto a causa di una forte nevralgia e la madre, donna Paula, aveva vietato
ogni singolo rumore. Teresina però, dopo aver ricevuto la notizia dalla domestica dei
Guimaran, ritenne che quello fosse un valido motivo per interrompere i signori: riferì tutto a lui
e alla madre i quali rimasero sorpresi da ciò e Fermin, nonostante stesse ancora male,
ritenne che quello fosse un ottimo modo per portare l'opinione pubblica di nuovo a suo favore.
Mentre si stava preparando, Teresina rientrò dando una lettera al signorino senza dire di chi
fosse: donna Paula non seppe riconoscere la calligrafia mentre Fermin sì, era di Ana. Fece
finta di niente e, con la scusa che dovevano andare di fretta dal signor Guimaran, Fermin
nascose la lettera in una tasca posteriore e si recò nella carrozza. Entrò e, mentre si stava
dirigendo da solo a casa dell'ateo, Fermin decise di leggere la lettera della sua Ana la quale
le aveva scritto che era dispiaciuta per il suo comportamento, per averlo lasciato solo come
hanno fatto tutti gli altri, e ha voglia di incontrarlo: è disposta ad andare anche a casa sua se
è realmente malato, ha bisogno di vederlo. Dopo aver letto la lettera, Fermin ordinò al
cocchiere di cambiare meta e di recarsi a casa di Ana Ozores: arrivò, Victor non c'era, ed io
due parlarono per circa un'ora e mezza (Ana voleva chiedergli perdono. Così per farsi
perdonare propose di camminare durante la messa del Venerdì santo come una nazarena e
a piedi nudi per dimostrargli la sua devozione e la sua voglia di ricevere il suo perdono. Dopo
aver detto di no, Fermin le disse di sì e, dopo questa chiacchierata il canonico si recò a casa
di Guimaran verso le 21:00 il quale lo stava aspettando da moltissimo tempo e, nonostante la
famiglia gli avesse proposto di ricevere i sacramenti da qualcun altro visto che il canonico
tardava ad arrivare, Don Pompeyo disse che voleva solo e unicamente lui. Quando arrivò, la
famiglia lo portò subito dal malato ateo al quale strinse con grinta la mano mentre la sua
mente pensava alla riconciliazione della donna. I due signori restarono soli. In un solo giorno
ebbe un'enorme felicità: Ana era diventata nuovamente sua e con la confessione dell'ateo
avrebbe sicuramente ripreso tutta l'autorità che si stava man mano allontanando. Fermin
disse all'ateo che per ottenere il perdono di Dio, avrebbe dovuto fare una conversione
solenne: il signore disse che era disposto di far tutto quello che lui ritiene opportuno e di
ricevere il perdono da lui in quanto in quei mesi lo aveva calunniato moltissimo affermando
che aveva fatto ciò perchè, in caso contrario, Barinaga non sarebbe mai stato suo amico.
Durante la Domenica delle Palme si respirava soltanto la religione e tutti parlavano del gran
vicario in modo più che positivo e ciò faceva andare su tutte le furie i suoi nemici: Mesia disse
agli altri membri del circolo che ora non dovevano fare niente, bisognava aspettare il
momento giusto; affermò che tutti ora parlavano bene di lui ma, non appena fosse passato
qualche giorno/settimana, tutti si sarebbero dimenticato di ciò riprendendo quella ostilità nei
suoi confronti. Somoza, dopo aver rivisitato Guimaran, ritenne che non sarebbe guarito e che
quasi sicuramente sarebbe morto Mercoledì Santo, e così fu. Il funerale di Guimaran fu molto
solenne e la famiglia fu presieduta dal canonico che, nonostante non fosse della famiglia,
aveva tolto dagli artigli del demonio quell'uomo. Tutti i nemici erano furiosi per questo
successo del canonico ma Foja disse a loro che per il momento non si può far altro che
chinare la testa ed aspettare che finisca il temporale. Il giorno seguente, Giovedì Santo, arrivò
a casa dei Vegallana la notizia che il giorno dopo Ana avrebbe partecipato alla processione
come una nazarena esoprattutto a piedi nudi: Obdulia e Visita non riuscivano a crederci e
soprattutto la vedova moriva di gelosia perché sapeva che l'attenzione sarebbe stata solo su
quella donna. Donna Rufina, la marchesa, pensò che questa non fosse un atto di pietà ma
soltanto una pazzia; poco dopo entrò il marchese con Don Victor il quale non nascose la sua
tristezza per l'atteggiamento di Ana: disse che sua moglie era diventata pazza e che
probabilmente aveva preso questa decisione poiché aveva visto Don Belisario Zumarri
compiere lo stesso gesto. Era arrivato il Venerdì Santo ed Ana si affacciò fuori al balcone: in
quel momento sperava con tutta se stessa che venisse a piovere poiché iniziava a rendersi
conto della pazzia. Pensò inoltre a suo marito e di come questo atto sarebbe stato una
vergogna per lui e soprattutto un colpo al cuore. Ana cercava il fuoco dell'entusiasmo, la
frenesia di quella religiosità che aveva avuto la settimana scorsa; ma nulla, neanche la fede
riusciva a sostenerla poiché fu dominata completamente dalla paura dello sguardo di Vetusta
e della sua malizia spudorata. La processione inizò e tutte le strade erano strapiene di
persone che non facevano altro che aspettare la presidentessa; dai balconi del circolo vi
erano tutti i nemici del canonico e tutti i membri, tra questi Mesia che si trovava sull'ultimo
balcone insieme a Victor il quale però non si faceva vedere; di fronte al balcone del circolo,
fuori ai balconi del Tribunale Reale vi erano Visita, Obdulia e i marchesi di Vegallana, Ana
fece questa processione come nazarena con accanto Don Belisario, un professore di scuola
elementare, che durante queste festività indossava sulle spalle una croce di cartapesta e una
corona di spine vera; questo non fu infastidito della presenza della presidentessa anzi ne fu
quasi onorato tanto da starle al suo fianco dopo averla salutata cordialmente. Mentre
camminava tra le varie strade di Vetusta, Ana camminava cercando di nascondere i piedi
sotto la gonna del vestito poiché secondo lei mostrarli significava far vedere la sua nudità: a
volte si vedevano e tutti pensavano che fosse una delle cose più belle mai viste. Nessuno, in
quel momento, pensava alla morte di Cristo ma soltanto alla presidentessa. Mentre la
processione stava per passare nella via del circolo, Visita guardava Alvaro per capire a cosa
stesse pensando: Mesia nel frattempo stava parlando con Victor, senza farsi vedere; l'amico
gli stava dicendo che, se avesse avuto una bomba, l'avrebbe lanciata addosso al canonico.
Mesia gli disse che doveva cercare di mantenere la calma e di pensare che Ana sicuramente
si starà pentendo di quanto fatto. Alvaro pensò che, se Ana aveva fatto questa pazzia per il
canonico, sicuramente ne avrebbe fatte di peggiori per lui. Mentre Ana sentiva un calore
doloroso sotto i piedi, Fermin camminava al suo fianco stando però accanto a tutti gli altri
uomini religiosi: in quel momento si sentì il padrone di tutto. Nel frattempo, mentre
camminava al suo fianco, pensò a come sarebbe stato da lì in poi il suo rapporto con la
presidentessa. Finalmente la processione passò nella strada del circolo e tutte le persone lì
presenti non faceva altro che guardare la presidentessa: per tutti fu bellissima ed Obdulia nel
vedere la reazione di tutti morì di gelosia poiché si rese conto che lei non aveva mai attirato
l'attenzione di tutta la città. Ana camminava a testa bassa mentre Fermin alzò la testa verso il
balcone del circolo guardando con arroganza e sarcasmo Mesia il quale ricambiò lo sguardo
facendogli intendere che non gliel'aveva data vinta anzi, che era ancora tutto aperto. Don
Victor, senza farsi vedere dagli altri, si affacciò e nel vedere sua moglie in quel modo si sentì
morire: quella musica in sottofondo gli faceva immaginare che fosse il corteo funebre della
moglie. Poco dopo Mesia si girò verso l'amico al quale strinse la mano per dargli forza e
Victor, più triste che mai, gli disse che avrebbe preferito vedere la moglie con un'amante
piuttosto che vederlo così. Mesia gli disse di farsi forza e che c'era lui per aiutarlo poiché, alla
fine, a questo servono gli amici.
CAPITOLO 27
Il capitolo si apre con Ana Ozores e Victor Quintanar i quali sono di ottimo umore e,
aspettando che da lontano la cattedrale suonasse le dieci di sera, la donna invitò il marito a
fare una passeggiata nel vialetto dei peri. I due iniziarono a camminare e pensarono a come
fossero passati velocemente i giorni e soprattutto i mesi: era l'ultimo giorno di maggio, il
giorno dopo sarebbe iniziato Giugno. I due erano di ottimo umore e Victor propose alla moglie
di andare il giorno dopo a pescare al fiume Soto, molto vicino a loro, poiché lì potevano
trovare ottime trote. Ana contenta accettò subito la proposta del marito che volle subito
organizzare l'uscita del giorno dopo. Non appena la cattedrale suonò le dieci, la coppia tornò
in casa per poter mangiare ed Ana, lasciò il braccio di Victor per poter correre verso casa: da
lontano il marito rideva e sorrideva nel vederla così, tanto da pensare tra sé e sé' “Benitez me
l'ha salvata”. Cenarono sorridenti parlando e scherzando; la casa era allegra persino di notte.
Subito dopo la cena Petra servì loro il tè e poco dopo Victor si alzò per avvisare Anselmo che,
andando il giorno dopo a Vetusta, avrebbe dato a Crespo il messaggio secondo il quale
doveva dargli tutto l'occorrente per andare a pesca. Nel frattempo Petra, mentre stava
togliendo gli ultimi piatti presenti a tavola, chiese ad Ana se per caso dovesse consegnare
qualche lettera visto che anche lei il giorno seguente sarebbe ritornata a Vetusta: Ana le
disse che al mattino le avrebbe fatto trovare due lettere sul tavolino del soggiorno. Un'ora
dopo don Victor si era addormentato nella camera e, in quella contigua, Ana stava scrivendo
queste due lettere. La prima lettera era per il dottor Benitez, sostituto di Somoza, dove gli dice
che sta bene, è molto più serena e che sta rispettando tutto ciò che le ha detto: sicuramente
può essere fiero di lei e dei passi in avanti che sta facendo. Afferma che continua a scrivere il
suo diario poco alla volta per non esagerare e conclude la lettera con un invito nel vederla più
presto possibile. Dopo aver firmato e chiuso la lettera iniziò a scrivere la seconda, quella
indirizzata a don Fermin: in questa lettera Ana scrive ciò che il medico le permette o no di fare,
che sta molto meglio e che sicuramente la situazione tornerà molto presto come prima tranne
per quanto riguarda le visite a casa di Donna Petrolina che vuole evitare di compiere. Dopo
aver corretto alcune parole, chiuse la lettera ed andò a dormire sul letto bianco posto accanto
a quello di Victor. Il marito si alzava molto prima di lei e alle 8 entrambi andavano a fare
colazione: si godevano la natura, la salute e il relativo lusso. Dopo la colazione don Victor si
recò al fiume Soto per poter preparare tutto il necessario per pescare. Ana, rimasta sola, si
recò nel suo salottino avvicinandosi poi allo scrittoio, prese il suo diario e, come sempre,
prima di iniziare a scrivere iniziò a leggere alcune pagine. Lesse la primissima pagina del
diario dove Ana scrisse che poteva essere finalmente sé stessa, può ridere, piangere,
cantare e che quindi la salute l'aveva resa più indipendente. Era il primo maggio ed Ana in
questa pagina di diario scrive che era brutto tempo e che, se prima viveva ciò con grande
sofferenza e disgrazia, ora addirittura quasi le piaceva la pioggia; paragonò la sua relazione
con Victor con l'amore tra i colombi: scrisse che ci sono coppie che si uniscono per dovere o
per abitudine ma che si annoiano tantissimo e dove il maschio prova un rimorso improvviso
che lo porta ad avere un'improvvisa passione baciando poi la sua femmina. Lei sorpresa
risponde con carezze per poi entrambi tornare alla loro apatia, tranquilli, senza rancori o
inganno. Proseguendo la lettura delle prime pagine di diario lesse che era ancora un giorno di
pioggia e che Victor e Don Tomas Crespo erano andati, nonostante il cattivo tempo, in una
tenda del campo per poter controllare un esperimento di chimica ideato proprio da Frigilis.
Iniziò poi a parlare di quei famosi tre giorni, quei giorni in cui ci fu la processione dove
camminò a piedi scalzi come una nazarena e che poi l'avevano ridotta a non camminare per
un paio di giorni restando ferma sul letto. Poco dopo però il dolore fisico passò anche alla
testa poiché ebbe la febbre e Benitez che l'aveva visitata parlava poco ma la scrutò
benissimo. Ana iniziò a sfogliare le pagine del diario e vide che aveva scritto tutto ciò che era
successo nei giorni successivi alla confessione: si vergognava tantissimo ed era convinta che
tutte le persone per strada fossero pronte a deriderla, non riuscì a consolarsi con la religione
la quale pian piano iniziò a sgretolarsi dentro di lei. Per quanto riguarda il canonico Ana non
aveva più pena di lui e ritenne che egli stava abusando un po' troppo del suo potere; inoltre
ancora non aveva capito se il canonico l'avesse ingannata o meno, però cercava di scrutare
ogni suo minimo movimento per poterlo capire. Nonostante tutto ciò Ana continuò a
confessarsi con Fermin anche perchè temeva che, una probabile rottura con quest'ultimo,
l'avrebbe portata a compiere un'altra pazzia come quella del famoso Venerdì Santo. Nelle
pagine successive del diario si arrivò alla parte in cui Benitez consigliò alla presidentessa di
cambiare stile di vita: il medico disse alla coppia Quintanar che, per poter stare meglio, Ana,
oltre a mangiar bene e stare all'aria aperta, doveva andare in campagna. Victor così un
giorno, parlando a casa dei Vegallana dove erano presenti anche Paco e Alvaro, raccontò
loro cosa avesse detto il medico con il problema però che lui non sapeva dove andare in
campagna perchè secondo il medico l'abitazione doveva stare vicino ad un fiume, con tanto
spazio, aree verdi e deve trovarsi abbastanza vicino a Vetusta in modo tale che Benitez non
avesse avuto problemi per andare a visitare la donna o a trasportarla in città se necessario.
Mentre Alvaro stava ascoltando le parole dell'ex presidente, disse a bassa voce nell'orecchio
di Paco che forse l'abitazione del Vivero poteva essere perfetta; Paco a sua volta lo disse a
padre il quale, entusiasta dalla proposta del figlio, disse che l'abitazione del Vivero sarebbe
stata a loro disposizione. Inizialmente Victor disse che non poteva accettare ma, a seguito
dell'insistenza dei marchesi, fu costretto ad accettare. Non appena venne a sapere ciò, Ana
pensò ai vari pericoli che potevano essere correlati a ciò ma, subito dopo, decise di non
pensarci più e di godersi questi mesi al Vivero. Nelle pagine di diario successive, Ana lesse
quelle dedicate alla prima impressione che gli fece l'abitazione del Vivero: furono
accompagnati da Paco e da Rufina che, dopo aver cenato con loro, tornarono a casa a
Vetusta. Ana guardò tutta la struttura come se fosse la prima volta scrutando ogni dettaglio:
era stupenda e tutto lì trasmetteva pace e tranquillità. Il tempo al Vivero in primavera è
meraviglioso, si sveglia sempre di buon umore, si gode quegli attimi di tranquillità poiché tutto
è immerso in un silenzio. Il rapporto con Victor migliorò tantissimo: ridevano e scherzavano
insieme, passavano molto tempo insieme, era molto più affettuoso con lei e molto spesso
evitava di fare i suoi esperimenti per stare di più con lei. In queste pagine descrisse anche il
momento in cui portò in questa casa alcuni libri di suo padre e dell'effetto che gli fece rivederli:
in questi trovò alcuni suoi disegni fatti da bambina e il disegno di un bambino che
sicuramentedoveva essere German. Mentre stava sfogliando le altre pagine, Victor arrivò da
lei per dirle che aveva preparato tutto per pescare; i due si diressero così al fiume Soto
iniziando così a pescare anche se non presero chissà che ma, si divertirono tantissimo.
Passarono i giorni ed i mesi fino ad arrivare a Giugno dove Ana e Victor passavano molto
tempo all'aria aperta e la donna, insieme a Petra e ad Anselmo, andava a raccogliere le
ciliegie. Un giorno Ana vide i domestici raccogliere le ciliege e metterle in una cesta, e così
domandò per chi fossero: Petra le rispose che quelle erano per don Alvaro. Ana sentì dentro
di sé un brivido e, quando si trovò completamente sola, diede un bacio alla cesta e prese una
ciliegia dandole un piccolo morso per poi rimetterla tra le altre. Si meravigliò di ciò che aveva
fatto ma non se ne pentì minimamente. Nel frattempo, a Vetusta, si stava organizzando una
festa al Vivero e i Vegallana mandarono un invito a Fermin il quale sapendo che sicuramente
ci sarebbe stata Ana decise di accettare rimanendo però male del fatto che il marchese non
gli avesse proposto di andare al Vivero insieme a loro nella loro carrozza. Decise di non
badare a ciò e chiamò una carrozza, una volta arrivata salì e si diresse al Vivero. Dopo un po',
quando il viaggio sembrò interminabile, sentì dei rumori dietro la carrozza: erano Alvaro e
Paco a cavallo. I ragazzi non lo videro in quanto entusiasti di quella bella giornata e presi ad
andare a cavallo. Quando Fermin arrivò al Vivero c'erano solo i domestici in quanto i
marchesi e i Quintanar erano andati alla chiesa di San Pedro e tutti gli ospiti dovevano ancora
arrivare. Petra preparò un aperitivo per il canonico il quale la ringraziò calorosamente; dopo
poco fece alcune domande alla domestica per sapere qualcosa in più e venne a sapere che
Alvaro e Paco erano andati in chiesa per raggiungere gli altri. Fermin chiese se la chiesa
fosse molto lontana, Petra rispose di no ma, poiché vi erano 3 sentieri, c'era il rischio di
perdersi e quindi di propose di accompagnarlo. I due iniziarono così ad avviarsi verso la
strada ma sentirono in lontananza dei rumori: stavano tornando a casa. Petra disse allora di
tornare indietro perchè altrimenti non sarebbero mai arrivati prima, Fermin acconsentì a ciò
ma, dicendo di essere stanco, si sedette per un po': Fermin guardò la donna e, oltre a pensar
che fosse molto bella, pensò che doveva tenersela molto stretta, doveva farla sua. Fermin
dopo poco le disse che doveva parlare con lei e chiederle delle cose, la domestica gli rispose
che non c'erano problemi però, per evitare di essere interrotti o ascoltati da qualcuno, gli
propose di andare in una capanna di un falegname. De Pas accettò e, una volta entrati nella
capanna, parlarono (forte ironia perchè i due non parlano ma fanno altro). Una volta tornati
alla villa trovarono già tutti gli invitati e i proprietari lì: Ana non lo vide subito poiché stava
giocando con tutti gli altri. Una volta finito il gioco, Ana vide il canonico e lo salutò
cordialmente senza preoccuparsi del fatto che l'avesse vista in quel modo. Poco dopo
andarono a mangiare e Fermin fu costretto ad andare con il marchese di Vegallana nel
vecchio palazzotto insieme ad altri uomini religiosi. Dopo aver terminato la cena Fermin, con
una scusa, tornò alla villa con tutti gli altri senza trovare Ana. Victor stava parlando con Don
Cayetano e, senza badare al fatto che probabilmente il canonico potesse ascoltarli, gli disse
che era grato a Benitez poiché grazie a lui la moglie stava meglio e che, secondo il medico, la
donna non era malata ma semplicemente ma era stata soggiogata da qualcuno. Poco dopo si
sentirono in lontananza dei fulmini tutti rabbrividirono; iniziò a piovere a dirotto e il pensiero
andò su tutti i ragazzi che erano fuori a “giocare”. Don Fermin prese due ombrelli e decise di
darne uno a Victor: gli disse che dovevano assolutamente andarli a cercare e falli tornare lì
per metterli al riparo. Don Victor, che nel frattempo era molto spaventato per i lampi che si
producevano, disse che non era il caso poiché sicuramente stavano al riparo nella capanna
del falegname. Fermin insistette e così i due lasciarono villa per andare incontro ai ragazzi.
Tutti i presenti alla villa notarono l'atteggiamento di Fermin che era un po' troppo eccessivo.
CAPITOLO 28
La marchesa Rufina chiede ai signori dove stessero andando ma nessuna risposta e,
nonostante i gesti e le urla, Don Vicotr Quintanar e Don Fermin De Pas non sentirono nulla e
continuarono a camminare nel bosco per cercare Ana. Fermin ha un comportamento
eccessivo, accecato dalla gelosia, tanto da non riflettere su quello che fa: questo
atteggiamento non passa inosservato a Victor il quale gli ricorda che è lui il marito e che Ana
debba interessare solo e unicamente a lui e definisce l'atteggiamento del canonico come una
chisciottata. Fermin, che fece finta di non sentire l'ultima affermazione, iniziò ad aumentare il
passo; cercò di orientarsi e di ricordarsi la strada che aveva compiuto ore prima con Petra. Si
fermò e disse a Quintanar che l'unico modo per trovarli era quello di dividersi: lui andò a
sinistra e Victor a destra. Una volta rimasto solo, il canonico iniziò a correre fino ad arrivare al
punto più alto della collina ma nulla, non trovò la capanna: aveva sbagliato ma, continuando a
camminare vide da lontano la capanna del falegname. Il suo cuore iniziò a battere sempre più
forte poiché era convinto di trovare lì Ana con Mesìa e soprattutto iniziò a pensare a cosa
avrebbe fatto se li avesse trovati lì. Fermin arrivò alla capanna e quando entrò vide Victor il
quale si spaventò nel vedere ilcanonico: era arrivato prima di lui e si era così disteso per
riposarsi un po'. L'ex presidente disse che non aveva trovato nessuno qui ma che aveva
trovato una giarrettiera: quella giarrettiera era di Ana ma, poiché era un po' ingrassata, aveva
deciso di darla a Petra. Il canonico divenne rosso per la vergogna, quell'episodio “tragico” era
diventata una commedia, ma soprattutto riflettè su come Victor fosse convinto che quella
giarrettiera era della moglie e poi data proprio a Petra (Victor, come dirà poi verso la fine del
capitolo a Mesìa, aveva resistito a lungo alla tentazione di Petra ma successivamente era
caduto nella tentazione fermandosi però in tempo ricordando il suo onore, quello della moglie
e il suo ruolo). Subito dopo i signori ripresero il cammino verso casa inzuppati d'acqua;
mentre stavano per tornare, incontrarono Pepe, il fattore, il quale disse loro che i signorini
erano a casa già da molto e che era andato lui stesso a cercarli con il suo carro, continuò
dicendogli che la marchese li aveva chiamati per dirgli che stava andando lui stesso ma non
l'avevano sentita. Una volta arrivati al Vivero, Fermin salutò il marchese e, senza cambiarsi
gli abiti pieni d'acqua, decise di tornare a casa. Una volta entrato nella carrozza iniziò ad
adirarsi con sé stesso per l'atteggiamento che ha avuto e per la figuraccia che ha fatto; inoltre
affermò che Don Victor, Ana e tutto il mondo si meritava tutti i mali che potessero piovere.
Arrivò a Vetusta e, dopo essere sceso dalla carrozza pensò alla reazione che avrebbe avuto
la madre. Entrò e pensò che non aveva mai avuto una discussione tanto pesante con sua
madre fino a quel momento. Nel frattempo al Vivero, mentre tutti si stavano divertendo arrivò
pieno d'acqua Victor in quale si recò subito in camera per potersi cambiare: Andò da lui
anche Ana che gli aveva preparato tutti i vestiti. Mentre si stava cambiando, Victor,
abbastanza adirato per quanto successo, iniziò a raccontare alla moglie tutto ciò che era
successo tranne l'episodio della giarrettiera: Ana pensò che questa volta aveva davvero
esagerato, soprattutto se si pensa che è un sacerdote, e si ricordò delle parole di Alvaro il
quale le aveva detto che il canonico era geloso bisognava allontanarlo. Sentendo tutta la
storia del marito era certa che quella fosse gelosia e ciò le faceva orrore. Alvaro Mesia invece
la rispettava fino al punto di non sfiorare neanche il vestito e Ana ritenne che il peccato di
amarlo non fosse per niente grave se ciò serviva per allontanare il canonico. Paragonando il
comportamento dei due uomini, Mesìa e De Pas, trovò abominevole il comportamento del
canonico. Subito andò a parlare di ciò con Alvaro chiedendogli cosa ne pensasse di
quell'atteggiamento. Alvaro le rispose che anche per lui ciò era abominevole ed era certo che
quell'uomo fosse innamorato pazzo di lei. Mesìa la guardò con uno sguardo che fece
intendere tutto e, mentre parlarono di ciò soli, appoggiati al parapetto del balcone del primo
piano, al piano terra vi erano tutti gli altri invitati che, o si stavano congedando o che
accettavano l'invito dei marchesi di dormire solo per quella notte lì: Edelmira, Visita, Obdulia,
Paco e Mesia rimasero a dormire là. Mentre Alvaro ed Ana erano fuori al balcone del primo
piano a parlare, nella stretta ed oscura veranda vi erano tutti gli altri ragazzi (Paco, Visita,
Jouaquin e Obdulia) che giocavano a “cachipote” (gioco che consiste nel nascondere un
fazzoletto trasformato in frusta e devono cercarlo guidando il compagno con “caldo” e
“freddo”). In quel momento, fuori al balcone, Ana sentì per la prima volta una dichiarazione
d'amore con tutte le parole che il suo animo voleva sentire: la donna non aveva la forza di
dire a Mesia di tacere poiché le desiderava troppo e troppo si conteneva. La sua anima era in
fiamme e si sentiva come cadere in paradiso. Don Alvaro era eloquente e non voleva che la
donna lo interrompesse, voleva solo parlare e dirle tutto ciò che fino a quel momento non
aveva fatto: Ana taceva e guardandolo negli occhi vide delle goccioline sulle sue guance e
pensò che quelle non potevano essere frutto della pioggia (forte ironia poiché Ana è talmente
innamorata di Alvaro che crede che quelle gocce siano delle lacrime, è solo frutto della sua
immaginazione). Quando Alvaro ritenne che ormai la miccia era ben carica decise di tacere
ed invitò Ana a dirgli cosa ne pensava, se aveva esagerato o se si faceva beffe di lui: Ana
però non riuscì a rispondere e quindi si allontanò. Appena vide Visita l'abbracciò e le chiese a
cosa stessero giocando: la moglie dell'impiegato di banca le disse che era Edelmira stava
facendo un gioco di forza con Paco per vedere chi fosse più forte. Entrambe insieme ad
Alvaro andarono dagli altri ed iniziarono tutti a coppia a vedere chi avesse più forza: Alvaro,
che era rimasto solo, immaginò la scena dell'altalena al Vivero in cui era stato sconfitto da
Fermin. Tutti iniziarono a scherzare a divertirsi scambiandosi anche dei pizzicotti che però
Alvaro non fece mai ad Ana. Mentre si divertivano, Ana ricordava ogni singola parola di quella
dichiarazione. Subito dopo salì Victor il quale iniziò una conversazione con Mesia aprendo
completamente il suo cuore: affermò che poche volte le donne lo avevano rifiutato ma che
comunque egli aveva un difetto, ovvero non possiede il dono della costanza; Victor inoltre,
sicuro che Mesìa non avrebbe detto nulla di tutto ciò, gli raccontò la storia di Petra
affermando che, dopo tante provocazioni aveva leggermente ceduto ma, quando per pudore
Petra faceva finta di non volere ciò, egli sicuro di averla si era subito “scocciato”. Finì poi per
raccontarle l'episodio della giarrettiera chiedendo un consiglio a Mesia su come comportarsi
poiché lui si preoccupava non tanto di lei ma di sé stesso e di quello che si sarebbe potuto
dire su di lui, sulla moglie esulla loro casa visto che lei lavorava con loro. I due signori
parlarono sulla veranda proprio fuori al balcone della camera dei Quintanar; poco dopo infatti,
poiché si era fatto tardi, Ana si affacciò dal balcone invitando Victor a salire per andare a
dormire. Mentre stava per farlo, Paco, non avendo sonno, chiese loro se potevano rimanere
ancora un po' a parlare, tutti e quattro: Ana e Victor parlavano da fuori al balcone mentre
Paco e Mesia dalla veranda. Dopo, essendosi fatto realmente tardi, i quattro si salutarono ed
Ana iniziò a chiudere il balcone. Alvaro non si mosse di lì e guardò fino all'ultimo la
presidentessa dalla finestra la quale, prima di andare a dormire, gli augurò la buonanotte.
Dopo la festa di San Pedro, vi furono moltissime altre feste durante il mese di luglio: a quasi
tutte le feste ci furono i marchesi, i Quintanar, i ragazzi e altri amici intimi. Mesia e Paco non
mancavano mai anzi, molto spesso facevano visita alla presidentessai. Ogni volta che da
lontano vedeva le sagome a cavallo di Mesia e Paco, Ana aveva il cuore a mille e la sua
ansia aumentava sempre di più. Nel frattempo Visita e Paco, che fin da subito furono i
complici di Alvaro, non osarono chiedere nulla in merito alla faccenda della presidentessa
poiché ritenevano che questi argomenti dovevano essere affrontati il meno possibile. I primi
giorni di Agosto, tutti iniziarono ad andare in vacanza e finalmente anche Victor, dopo due
anni, riuscì ad andarci: andarono a La Costa (una cittadina più ricca e fiorente di Vetusta).
Generalmente andavano a Palomares ma quell'anno Ana cercò di evitare per non andare
contro la volontà del canonico e così trovò un compromesso inviando una lettera al canonico
dove gli diceva la loro meta. Anche Alvaro andò lì ma, per non destare sospetti, si recò prima
quattro giorni a Palomares, poi andò a San Sebastiàn, per poi andare il giorno dopo a La
Costa. A Victor piacque molto la vita di locanda e così scelse la casa in una zona più
rumorosa e lussuosa proprio come Mesìa. Venti giorni dopo i tre (Alvaro, Victor e Mesìa)
tornarono a Vetusta e Benitez si congratula con Ana per i progressi fatti e per aver recuperato
a pieno la sua salute. Quintanar era felicissimo, sua moglie era una perla, era guarita ed era
finalmente sua, e voleva che tutte le persone che amava lo fossero altrettanto. Mesìa non
aveva corso da quella dichiarazione: doveva conquistarla come una vergine poiché per Ana
lui era il suo primo amore e quindi un attacco brutale l'avrebbe spaventata. Si guardavano
sempre negli occhi e con quegli sguardi si dicevano di tutto. Don Alvaro era profondamente
cambiato con Ana e riconobbe il fatto di non aver mai desiderato così tanto una donna. La
presidentessa era felice, tutta la sua vita era fatta di divertimento, pranzi allegri, spettacoli
teatrali e passeggiate; il rapporto con i marchesi dei Vegallana si intensificò moltissimo tanto
da considerarsi parenti. Si andava spesso al Vivero, Obdulia e Visita adoravano la nuova Ana
ed erano felici di vederla così. Nessuno però parlava del pericolo che ormai solo Quintanar
non vedeva. Passarono i giorni e i mesi e ormai le belle giornate a Novembre erano davvero
scarse poiché stava per arrivare l'inverno. Un giorno di novembre si fece l'ultima gita al Vivero
ed Ana, che si trovava nella carrozza seduta accanto ad Alvaro, mentre si diressero verso il
Vivero, ripetè nell'orecchio di Mesìa “è l'ultimo giorno”. Tutti erano abbastanza giù di corda
pensando al fatto che fosse l'ultimo giorno ed erano sicuri che quel pomeriggio sarebbe
volato in un secondo. Quella sera la festa proseguì a Vetusta e venne improvvisata una cena
per tutti i signori presenti; si cenò nel salone giallo dove precedentemente si era ballato.
Quando la cattedrale suonò la mezzanotte, comparvero due sagome: erano Victor e Mesia
dove quest'ultimo si poggiò sul divano senza ascoltare l'amico che parlava in quanto la sua
mente gli diceva “ora, adesso qui, proprio ora”. Con una scusa uscì dalla sala per cercare
Ana: non la trovò da nessuna parte ma non si diede per vinto poiché il suo istinto gli diceva
che era ancora in casa. Salì e vide un balcone semiaperto, si avvicinò, spalancò la finestra e
vide Ana la quale si spaventò.
CAPITOLO 30
Durante il tragitto dalla stazione all'abitazione di Ana, Victor raccontò tutto a Frigilis e insieme
cercarono di trovare una soluzione: l'amico gli disse che per il momento bisognava essere
cauti e di non far capire niente ad Ana perché sarebbe sicuramente morta sul colpo. Victor
sapeva che Frigilis aveva ragione, ma era anche consapevole che ciò richiedeva tantissima
forza di volontà. Una volta arrivato fuori casa Victor non ebbe il coraggio di bussare, non ce la
faceva a far finta di niente d'avanti ad Ana. L'amico cercò di convincerlo e di fargli capire
quanto fosse necessario soprattutto ragionare a mente lucida pensando di poter anche
concedere il perdono a Mesìa. Frigilis voleva andarsene il prima possibile da casa degli
Ozores perché voleva correre da Alvaro per avvisarlo di tutto e invitarlo a lasciare il prima
possibile Vetusta. Quando i due si salutarono, Victor entrò in casa e, mentre stava per
chiudere la porta, vide d'avanti a se una figura con un ambito nero: era Fermin. Lo fece
entrare ed i due salirono nel suo studio mentre Victor avvisava Anselmo di non dire niente
alla moglie perché, come gli aveva detto il canonico, dovevano parlare da soli. Quando
entrarono nello studio, Fermin era abbastanza taciturno e, mentre chiedeva un bicchiere
d'acqua, pensava a ciò che avrebbe dovuto dire per non turbare l'ex presidente; Fermin
sapeva di ciò che aveva fatto Petra e, dopo aver resistito molto sulfatto di andare o meno,
volle capire se Victor avesse scoperto qualcosa (Fermin, dopo la dichiarazione di Petra, non
era stato molto bene, aveva passato alcuni giorni con la febbre senza far capire niente alla
madre; donna Paula, che aveva saputo tutto da Petra, parlava con il figlio di tutto tranne di
quella particolare questione. Se donna Paula odiava Ana in quanto pensava che fosse amata
da Fermin, dall'altra parte ora la odiava per quello che aveva fatto a suo figlio: si era presa
gioco di lui, l'aveva ingannato, lo aveva in qualche modo calunniato e bisognava avere
vendetta. Fermin, camminava nel suo studio avanti ed indietro pensando a quello che
avrebbe dovuto fare: da una parte voleva andare da Ana, dall'altra non volle farlo perchè non
sapeva cosa avrebbe potuto farle. Per la prima volta Fermin è sincero anche con sé stesso,
dice finalmente chiaro e tondo quello che prova per Ana: l'amava, si sentiva suo marito e
voleva che anche lei lo guardasse in modo diverso, che non lo guardasse come canonico ma
soprattutto come uomo, perché lui prima di tutto era quello. Inizialmente, mentre stava
pensando sul da fare, accecato dall'ira, decise di indossare la veste che utilizzava per la
caccia e di recarsi da Alvaro con un coltello dalla lama affilata; quando però riprese il senno si
spogliò ed indossò gli abiti ecclesiastici). Fermin, pensando a come iniziare il discorso,gli
disse che vedeva in lui che c'era qualcosa che non andasse, era pallido e c'era qualcosa che
lo faceva soffrire tanto, lo si vedeva dagli occhi secondo lui. Gli disse inoltre che prima di
parlargli di ciò che voleva dirgli, doveva sapere come stava e se ci fosse qualcosa che lo
turbava. Victor gli disse che c'era qualcosa, che aveva scoperto oggi una cosa che non aveva
scoperto ieri. Fermin capì subito che Victor aveva scoperto qualcosa e così iniziò a dirgli che
durante una confessione una donna gli aveva detto tutto quello che era successo. Victor capì
subito che quella donna fosse Petra e Fermin continuò dicendogli che da uomo gli consigliava
di vendicarsi ma come figura religiosa lo invitava a riflettere e ad avere pietà. Subito dopo
però, quando vide che l'ex presidente voleva concedere la pietà al suo “amico Mesìa”, Fermin
gli disse subito tutto quello che dicevano gli abitanti di Vetusta colpendo così sul punto debole
di Quintanar: l'onore. Victor così era pronto a vendicarsi, Fermin soddisfatto se ne tornò a
casa; poco dopo Ana entrò nello studio di Victor e, quando venne a sapere che poco tempo
prima c'era stato il canonico, si turbò leggermente; gli fece qualche altra domanda e, senza
insistere ulteriormente, decise di andare a dormire. Victor riuscì a fingere benissimo e, poiché
Fermin gli aveva aperto gli occhi facendogli capire che molto probabilmente quell'uomo
sarebbe ritornato a casa sua anche quella sera, decise di prendere il fucile e di fare da
“guardia” nel punto in cui lo aveva visto scavalcare. Passarono ore ed ore ma nulla, Alvaro
non si era fatto vivo; alla 4 di notte, ormai stanco morto, decise di ritornare in camera e, dopo
essersi cambiato meccanicamente, si addormentò. A Vetusta nel frattempo non si fece altro
che parlare di quanto fosse successo a causa di Petra e Pepe Ronzai che andarono a
raccontare tutto ciò che avevano saputo. A casa dei Vegallana e al Circolo in quei giorni si
parlò solo di questo e i vari cittadini andarono contro Victor considerandolo un vigliacco
perché non aveva ucciso Alvaro. Foja aveva detto che non era d'accordo nel vendicarsi
perchè bisognava affidarsi alla giustizia, Don Frutos Redondo affermò invece che avrebbe
ucciso subito colui che lo aveva disonorato mentre Orgaz padre, aveva affermato che lui
avrebbe combattuto in questo modo: distanza di cinque passi, due pistole, una vuota e una
carica, e dopo tre colpi si deve prendere la prima pistola che capita e sparare all'altro perchè
secondo lui combattere significa aver coraggio. Si iniziò anche a parlare del probabile duello
(a Vetusta non c'erano mai stati veri e propri duelli, ce ne furono solo due: uno era una
questione bancaria, l'altra invece riguardava lo stesso Alvaro quando era molto più giovane e
Frigilis che era stato il padrino del suo avversario: in quest'ultimo duello, quando i due sfidanti
si misero in posizione, guardarono in cielo e Frigilis capì subito le loro intenzioni, volevano
che piovesse. Così fu: piovve e quindi il duello fu rimandato e mai più ripreso): alcuni
andarono contro Alvaro ritenendolo un vigliacco, poiché stranamente non si trovavano né le
giuste armi da fuoco né le giuste armi bianche per il duello, mentre Joaquito Orgaz, poiché
aveva saputo tutta la questione da Paco Vegallana il quale era andato a casa di Mesìa che gli
aveva raccontato a sua volta tutto, difese il suo amico affermando che Frigilis si era recato a
casa del presidente del circolo per convincerlo a lasciar il più velocemente possibile Vetusta
per evitare il duello e che questo però si rifiutò perchè sapeva che in questo modo sarebbe
stato considerato da tutti un vigliacco. In parte era realmente così: Frigilis, dopo aver salutato
l'amico fuori casa cercando di convincerlo a dare il perdono, si recò subito a casa di Alvaro
per convincerlo a lasciare Vetusta, lui inizialmente aveva detto di no ma, poiché Don Tomas
Crespo aveva una forte influenza su Alvaro, alla fine si convinse e, promettendoglielo, decise
di fare le valige. Il giorno dopo però, mentre Alvaro stava preparando la sua valigia,
bussarono alla porta Frigilis e Ronzai i quali gli comunicarono che si sarebbe svolto a breve
un duello e che quindi doveva cercare due padrini: Frigilis purtroppo fu costretto a venir meno
al patto poiché, inaspettatamente, Victor aveva deciso di sfidarlo a duello e di vendicarsi per il
suo onore perché tutta Vetusta altrimenti si sarebbe fatta beffedi lui; inoltre, Victor avvisò
Pepe Ronzai che sarebbe diventato suo padrino non solo perché aveva una profonda stima
nei suoi confronti ma anche perché sapeva che nutriva un forte odio nei confronti di Mesìa.
Crespo quindi venne a sapere anche di ciò solo dopo che Victor aveva fatto tutto; non era
d'accordo ma non poteva far nulla. Nessuno fece sapere nulla ad Ana la quale altrimenti
sarebbe stata male o addirittura sarebbe morta. Era il giorno del duello e di mattina presto,
verso le 8, Victor si recò con i padrini alle porte del Vivero e si ritrovarono nel bosco; dopo
poco arrivo Alvaro con i suoi padrini: Frigilis era sorpreso dal coraggio di quell'uomo e anche
Alvaro stesso era sorpreso di ciò perchè neanche lui sapeva realmente perchè stava lì. I due
si posizionarono, le uniche regole erano quelle di fare 20 passi indietro e massimo 5 in avanti:
il tempo era coperto da una lieve foschia che non permetteva di vedere perfettamente, inoltre
Victor quando vide Mesìa voleva dirgli che lo perdonava e che non voleva portare avanti quel
duello ma, non potè farlo, soprattutto per ciò che avrebbe detto poi la gente. Indietreggiarono
e, dopo tre battiti di mani, si sentì uno sparo, era il colpo di Victor che aveva sfiorato la gamba
del presidente del circolo. Alvaro così si sentì mosso da una energia nuova, da un istinto di
sopravvivenza perché sapeva che se non avesse sparato sicuramente sarebbe morto lui.
Così puntò su quello che pensava che fosse il volto del suo rivale, sparò e poco dopo si vide
Victor strisciare a terra, era stato sparato alla vescica. Tutti soccorsero Quintanar compreso
Somoza che era lì presente mentre Alvaro si affrettava a lasciare la città salendo poche ore
dopo sul primo treno diretto a Madrid. Victor era in condizioni gravissime e, nel giro di
pochissimo tempo, morì. Frigilis era distrutto e, quando Ana chiese di suo marito, fu costretto
a dire una serie di bugie alle quali lei non crebbe poiché la morte di Victor e l'impegno
improvviso di Alvaro erano strettamente collegati. Da quel momento in poi a Marzo, Victor fu
commemorato dai tutti,i quali nel frattempo continuavano a parlare male della presidentessa
dandole anche la colpa del fatto che i due uomini più influenti di Vetusta se ne fossero andati.
Ana non usciva più di casa, nonostante le insistenze dell'amico Frigilis il quale, per essere
sempre al fianco della donna, senza dirle niente si stabilì nella sua abitazione dormendo
perfettamente sotto la sua camera: quando Ana seppe ciò si sentì molto meglio e meno sola.
Nessuno le fece visita, nonostante si fosse sparsa la voce della sua nuova malattia
accompagnata da crisi nervose: secondo molti la soluzione migliore era quella di rompere
qualsiasi tipo di legame con la presidentessa. Se prima tutti l'ammiravano e la invidiavano
poiché era la donna più virtuosa di Vetusta, ora molte fanciulle la derideva poiché non era
riuscita a fare ciò che loro invece facevano sempre (si era fatta scoprire). Lo scandalo si
diffonde e si afferma che due uomini se ne sono andati per colpa di Ana: la colpa è solo sua
perché non è stata capace di fare ciò che fanno molte lì. La nuova esclusione di Ana viene
segnalata dalla rottura di questo taboo: tutti parlano di tutto ciò che non si doveva dire; del
fatto che era figlia di una ballerina italiana. Ana in questo periodo aprì gli occhi e capì che si
era sbagliata su tutto, che Alvaro non era ciò che lei pensava, era perfetto solo nella sua
mente ma quella purtroppo non era la realtà. Provava vergogna, rimpianto e rimorso: se fosse
tornata indietro sicuramente non avrebbe commesso lo stesso errore. Pian piano Ana iniziò a
sentirsi meglio e così decise di avvicinarsi leggermente di più alla religione per ricevere il
perdono di Dio e del suo confessore. Un giorno però decise di uscire prestissimo di casa e di
recarsi in cattedrale: diversi canonici occupavano i loro confessionali e anche don Fermin il
suo, quando arrivò il gran vicario la notò subito e, una volta rimasti solo loro due, Fermin uscì
dal confessionale e si avvicinò lentamente ad Ana come un assassino tanto da farla
indietreggiare; continuò a camminare fino a porsi una mano sul collo, girò su sé stesso per
poi andarsene senza degnarla di uno sguardo. Ana volle seguirlo ma non ci riuscì poiché
perse i sensi cadendo a terra: Celedonio, che nel frattempo stava chiudendo a chiave tutti i
confessionali, udì dei suoni e così si avvicinò seguendo questi gemiti lontani fino a vedere
stesa a terra la presidentessa alla quale decise di dare un dolce bacio sulle labbra. Subito
Ana si svegliò paragonando quel bacio a quello di una viscida rana.
Capitolo I
Augusto esce dalla porta di casa e si accorge che sta piovendo, senza sapere dove andare
inizia a seguire una ragazza finché non arriva a una casa dove chiede alla portiera chi fosse
la ragazza. La portiera gli risponde fornendogli alcuni dettagli. Augusto poi si siede su una
panchina a riflettere su questa ragazza di nome Eugenia.
Capitolo II
Arrivato a casa, Augusto scrive una lettera a Eugenia in cui le chiede di dargli un’opportunità
per conoscersi e esce di casa per consegnargliela. Lascia la lettera alla portiera la quale gli
dice che non è la prima che Eugenia riceve da pretendenti e che aveva un aspirante
fidanzato. Augusto se ne va contento di avere un obiettivo, qualcosa da fare nelle sue
passeggiate giornaliere.
Capitolo III
Augusto gioca con Victor una partita a scacchi però non riesce a concentrarsi perché pensa a
Eugenia. Racconta a Victor di essere innamorato ma lui già lo aveva capito, inoltre gli
confessa di conoscere già Eugenia.
Capitolo IV
Augusto arriva a casa e prima di coricarsi fa un gioco con il suo servitore, mentre giocano
parlano di matrimonio e nel momento in cui nomina Eugenia, la cuoca, moglie del servitore,
dice di conoscerla. Terminata la partita, Augusto si corica e riflette sul fatto che tutti
conoscono Eugenia, tranne lui, così si addormenta.
Capitolo V
Augusto sognava un’aquila quando una voce lo svegliò, subito chiese la colazione al servitore,
andò poi a casa di Eugenia per parlare con la portiera. La portiera gli dice che Eugenia le
aveva detto di riferirgli che già aveva un fidanzato ma Augusto non vuole arrendersi. Augusto
inizia a ricordare i suoi genitori defunti in particolare ciò che gli diceva la madre. Mentre pensa,
incontra un cane abbandonato e decide di portarlo con sé a casa per dargli da mangiare.
Decide di chiamarlo Orfeo, in poco tempo diventa il suo miglior confidente.
Capitolo VI
Augusto si trovava nei pressi della casa di Eugenia e vede che sul balcone c’è una signora
che sta mettendo il suo canarino al sole, quando improvvisamente le cade la gabbia. Augusto
prende questa gabbia e la porta in casa alla signora. La signora, meravigliata dalla sua
prontezza, gli chiede come ha fatto ad essere lì in quel momento e Augusto le confessa che
era lì per via di Eugenia, la signora, zia di Eugenia, amica della madre di Augusto, gli parla di
Eugenia e gli dice che lui è il suo pretendente preferito per sua nipote.Inoltre lo informa sulla
situazione di Eugenia: è rimasta orfana e ha un’ipoteca sulla casa alla quale sta cercando di
porre rimedio dando lezioni di piano. Quando Eugenia arriva a casa, gli zii la informano della
visita di Augusto.
Capitolo VII
In questo capitolo Augusto parla con Orfeo riflettendo sulla vita, fa un monologo all’interno del
quale parla del suo essersi sempre sentito come un “yo no soy” (espressione che ripete
spesso) ma ora, grazie agli occhi di Eugenia, è cambiato tutto.
Capitolo VIII
Augusto va a casa di Eugenia dove attende con gli zii il suo arrivo per conoscerla. Quando
Eugenia entra in casa Augusto diventa molto nervoso, Eugenia sembra essere distante e
fredda ma con un grande carattere. Gli zii dimostrano a Augusto il loro appoggio per
conquistarla.
Capitolo IX
Eugenia parla con Mauricio, suo fidanzato, e lo spinge a prendere una decisione sul
matrimonio poiché i suoi zii la spingono a sposarsi con Augusto. Se Mauricio non trova lavoro
allora la loro storia terminerà.
Capitolo X
Augusto esce di casa per andare al casinò da Víctor ma si ritrova a seguire una donna fino a
casa di questa. In giro vede molte donne belle ma nessuna bella come Eugenia. Incontra poi
Víctor che lo stava aspettando al casinò, Augusto gli confessa che da quando è innamorato di
Eugenia vede belle tutte le donne e non capisce come sia possibile, si è innamorato già 3
volte. Víctor gli spiega che dopo aver incontrato Eugenia ha scoperto l’amore e che in realtà
non è innamorato con il cuore masono con la testa. Tornato a casa parla con la serva dello
stesso argomento poiché ci tiene a sapere se è innamorato davvero e quest'ultima lo informa
che un uomo innamorato fa e dice sciocchezze.
Capitolo XI
Augusto va di nuovo a casa di Eugenia dove è lei stessa ad accoglierlo, senza gli zii. Augusto
sembra agitarsi molto, lei dopo averlo accolto in casa gli confessa che ha un fidanzato e che
vorrebbe sposarlo. Arrivano gli zii, la zia non riesce a capirla mentre lo zio difende la sua
libertà e il suo diritto a scegliere chi sposare. Augusto vuole che Eugenia sia felice e decide di
fare un atto eroico: pagare l’ipoteca del suo defunto padre.
Capitolo XII
A casa di Augusto arriva Rosario, la stiratrice, lui inizia a fissarla facendola arrossire. Augusto
la fa sedere sulle sue ginocchia e le dice che è bellissima e lei inizia a piangere, Augusto si
sfoga con lei perché il suo amore non è corrisposto. Arriva poi la serva che, riprendendo il
discorso che già avevano fatto, gli dice che è davvero innamorato, lo ha capito per le
sciocchezze che fa.
Capitolo XIII
Con grande sorpresa di Augusto, Eugenia gli fa visita per chiedergli per quale motivo aveva
comprato l'ipoteca, lei pensava che fosse solo un modo per comprarla per questo si è molto
arrabbiata. Augusto cerca di spiegarle che lo ha fatto solo perché vuole che lei sia felice ma
Eugenia non vuole ascoltarlo. Augusto si dirige verso una chiesa dove incontra Don Avito
Carrascal (protagonista di Amor y Pedagogia) che lo invita a sposarsi per colmare il vuoto
lasciato dalla morte della madre anche con una donna che lui non ama. Afferma che la morte
insegna molto di più della vita e della scienza e gli racconta la storia del suo candidato genio
(Apolodoro) che si è suicidato. Inoltre, afferma che egli non ha mai conosciuto da sua madre
ma attraverso sua moglie ha potuto avere una madre.
Capitolo XIV
Augusto si accorge che Víctor è strano e gli chiede il perché. Victor gli racconta la storia del
suo matrimonio: inizialmente lui e sua moglie non riuscivano ad avere bambini e questo ebbe
un'influenza negativa nella loro relazione. Dopo aver superato questa situazione accade
quella che considerano una "disgrazia": Elena è incinta e si vergogna di questa sua
condizione.
Capitolo XV
Eugenia torna a casa arrabbiata e parla con la zia. La zia cerca di spiegarle che Augusto non
ha fatto niente di male e che dovrebbe sposarlo, piuttosto che sposare un uomo che non ha
lavoro. La conversazione viene interrotta dalla serva che annuncia l'arrivo di Augusto.
Quando Augusto entra, parla con Dona Ermelinda scusandosi e spiegandole le sue vere
intenzioni: non voleva comprare Eugenia, solo renderla felice e sarebbe disposto anche a
farle da padrino al matrimonio e a cercare un lavoro a Mauricio.
Capitolo XVI
Eugenia chiede di nuovo a Mauricio di cercare lavoro altrimenti avrebbe accettato l'affitto di
Augusto. Mauricio le confessa di avere molta paura del matrimonio, la ama ma non ha voglia
di lavorare e mantenere dei figli, per questo deve sposare Augusto mentre loro potranno
essere amanti. Eugenia rimane scandalizzata e si ritira nella sua stanza a piangere
prendendo la febbre. Intanto Mauricio parla con un suo amico di ciò che era appena successo
confidandogli che se lei dovesse lasciarlo, allora lui sarà un uomo libero e che pensa di
essere un uomo nato per essere mantenuto da una donna ma sempre con dignità.
Capitolo XVII
Víctor racconta a Augusto la storia del matrimonio di Don Eloíno che si sposò con la patrona
di un hotel perché potesse curarlo nei suoi ultimi giorni di vita, dato che le avevano assicurato
che stava per morire. Dopo essersi sposati, Don Eloíno visse più del previsto, allora la
patrona finì per cacciarlo di casa. Víctor decide di raccontare tutta questa storia in una nivola,
per la prima volta da la definizione di questo genere. Sarà un genere nuovo, pieno di dialoghi
e monologhi perchè alla gente piace conversare. Prende spunto per il nome di questo genere
da Manuel Machado che parlò di “sonite” invece di sonete. Quando Augusto torna a casa,
trova Rosario ad aspettarlo.
Capitolo XVIII
Augusto chiede a Rosario di dimenticare quello che era successo, però, come la volta
precedente, la fa sedere sulle sue ginocchia e le parla. Le chiede se ha un fidanzato e lei
inizia a piangere. Augusto le chiede di accompagnarlo in un viaggio. Quando si corica,
Augusto pensa che stava mentendo sia a Rosario che a sé stesso e inizia a riflettere
sull’amore.
Capitolo XIX
Ermelinda va a parlare con Augusto chiedendole scusa da parte di Eugenia, dispiaciuta per il
suo comportamento e decisa ad accettare il suo regalo senza nessun compromesso. Augusto
è offeso perché pensa che Eugenia si stia approfittando di lui perché è stata lasciata dal suo
fidanzato. Alla fine accetta le scuse ma solo come amico. Quando Ermelinda riferisce a
Eugenia la conversazione, Eugenia pensa che sarà capace di riconquistarlo facilmente ed è
convinta che ci sia un’altra donna. Augusto esce di casa e riflette.
Capitolo XX
Eugenia va a casa di Augusto e parlano della loro relazione, Augusto la stringe al petto
baciandole gli occhi e la fronte ma Eugenia non cede e se ne va quando Liduvina dice al
padrone che Rosario lo stava aspettando. Rosario gli dice che Eugenia era lì solo per
ingannarlo e che per lui prova dell’affetto. Giocando con il servo, Augusto gli chiede cosa si fa
quando si è innamorati di due donne. Domingo gli risponde che quando si hanno i soldi si può
fare quello che si vuole quindi sposarle entrambe perché diventeranno gelose solo quando
avranno dei figli dallo stesso uomo.
Capitolo XXI
Antonio e Augusto parlano in un angolo del casinò, Antonio gli dice che la madre dei suoi figli
in realtà non è la sua legittima moglie, lui è sposato con un’altra donna e, in realtà, anche la
madre dei suoi figli è sposata con un altro uomo. Sua moglie un giorno scappò con un altro
uomo, allora, Antonio, triste e solo, decise di offrire ospitalità e denaro alla moglie dell’uomo
con sua moglie era scappata. Quando questa donna andò a vivere con Antonio portò anche
sua figlia, a cui Antonio si affezionò molto. Un giorno ricevette la notizia che sua moglie aveva
avuto un figlio da quell’uomo e diventò molto geloso, la sua figliastra, inoltre chiese a lui e a
sua madre un fratellino. I due, presi dalla furia della gelosia, fecero un figlio. Antonio pensava
di non essere innamorato di questa donna finché il giorno del parto del quarto figlio stava per
morire, in quel momento, in preda alla disperazione capì di volerla davvero.
Capitolo XXII
Víctor dice ad Augusto che da quando sua moglie ha partorito la sua vita è cambiata ed è
come se lui fosse diventato ceco: tutti dicono che è stata sfigurata da questo parto mentre
Víctor la vede più bella che mai. Augusto gli racconta una leggenda portoghese (fogueterio):
in un pueblo portoghese c’era un pirotecnico che non faceva altro che idolatrare la bellezza di
sua moglie affermando che quest’ultima era anche la sua musa per i suoi spettacolari fuochi
d’artificio. Un giorno, preparando uno di questi fuochi, c’è un esplosione dalla quale la moglie
ne esce sfigurata e lui, fortunatamente, cieco e quindi può ancora andare in giro a vantarsi
della moglie. Víctor raccomanda a Augusto di non sposarsi, anche se Augusto vorrebbe.
Capitolo XXIII
Augusto pensa di scrivere due monografie sulle donne: una su Eugenia e una su Rosario.
Decide di chiedere consiglio a Antolín S. Paparrigópulos che si interessava allo studio delle
donne. Papparrigópulos gli dice che le donne non hanno una propria personalità, che
appartengono tutte alla stessa anima collettiva. Augusto allora capisce perché dopo essersi
innamorato di una donna si è innamorato di tutte le altre.
Capitolo XXIV
Augusto decide di fare uno studio psicologico su Liduvina (che gli parla allo stomaco),
Rosario (che gli parla al cuore) e Eugenia (che gli parla all’immaginazione). Pensava di far
finta di volere di nuovo Eugenia quando arriva Rosario. Augusto la fa sedere sulle sue
ginocchia e improvvisamente lei inizia a baciarlo, Augusto subito si ricompone e le chiede
scusa. Rosario pensa che Augusto sia pazzo.
Capitolo XXV
Víctor dice ad Augusto che il miglior modo per conoscere la psicologia femminile è sposarsi
ma Augusto non sa quale delle donne sposare. A fine capitolo c’è una nota dell’autore che si
diverte nelguardare i personaggi della sua nivola parlare della nivola stessa e afferma di
essere come un Dio per questi due personaggi.
Capitolo XXVI
Augusto decide di fare un esperimento con Eugenia e va da lei per chiederle di sposarlo, con
grande sorpresa di Augusto, Eugenia accetta con la benedizione degli zii. Augusto non si
sente più come un filosofo sperimentatore ma come una cavia.
Capitolo XXVII
Augusto trascorre molto tempo in casa di Eugenia e mentre lei suona il piano lui le scrive
poesie. Lei gli dice che quando saranno sposati dovrà dire addio a Orfeo perché non vuole
cani in casa sua ma Augusto è contrario perché è a Orfeo che rivolge tutti i suoi monologhi.
Mauricio minaccia Eugenia perché vuole un lavoro, Eugenia chiede aiuto a Augusto che
accetta di trovargli un buon posto di lavoro lontano da loro.
Capitolo XXVIII
Mauricio fa visita ad Augusto per ringraziarlo del posto di lavoro che gli ha trovato e gli
confessa che scapperà con Rosario, allora Augusto, stufo, lo prende per il collo come per
strangolarlo. Dopo questo avvenimento, Augusto non capisce se ciò che è appena successo
è un sogno o è accaduto davvero e ha bisogno di parlare con Orfeo.
Capitolo XXIX
Il giorno del matrimonio si avvicina, a volte Augusto prova della gelosia per Mauricio e
Rosario e gli dà rabbia sapere che lui sta per sposarsi con Eugenia mentre loro ridevano di lui.
Un giorno, riceve una lettera da Eugenia in cui lei confessa che era scappata con Mauricio
nel paese in cui Augusto stesso gli aveva trovato lavoro e aggiunge che non si erano portati
con sé Rosario ma era li per consolarlo. Augusto va a parlare con gli zii ma anche loro erano
sconvolti dalla notizia e non sapevano che fare. Augusto pianse molto al pensiero che
Eugenia e Mauricio, e forse anche Rosario, in quel momento, stavano ridendo di lui.
Capitolo XXX
Víctor anche si prende gioco di lui perché Augusto voleva fare un esperimento su Eugenia
prendendola come cavia ma alla fine è stato il contrario. Víctor gli suggerisce di distrarsi e
non pensare. Augusto afferma di essersi sentito per tutta la sua vita come un fantasma, un
ente di finzione, ma dopo questa delusione e questa burla lui ora sente tutto e capisce di
essere vivo.
Capitolo XXXI
Augusto decide di suicidarsi, ma prima di farlo decide di andare a Salamanca da Unamuno, di
cui aveva letto alcuni saggi. Unamuno gli dice che non può suicidarsi poiché non esiste, è
soltanto frutto della sua fantasia e dei suoi lettori, solo un ente di finzione, un personaggio di
nivola. Augusto, che non vuole credere a quello che Unamuno gli ha detto, insinua nell’autore
un dubbio: l’ente di finzione che non esiste potrebbe essere lui. Unamuno stanco di sentire
Augusto decide che sarà lui ad ucciderlo, Augusto allora, che prima voleva suicidarsi,
supplica Unamuno di lasciarlo vivere. In questo capitolo ci sono due parole chiave salir de la
niebla e ansia de inmortalidad, l’ansia di Augusto, quindi quella di Unamuno stesso e più in
generale dell’uomo è quella di voler uscire dalla nebbia, quindi da uno stato di offuscazione e
sapere se davvero esiste un Dio che decide del nostro destino, l’ansia diimmortalità è proprio
il fatto di sapere che siamo tutti personaggi di finzione creati da un essere superiore e che
quindi la nostra vita sta nelle sue mani, la convinzione dell’idea della morte crea anguistia e
ansia.
Capitolo XXXII
Mentre ritornava a casa Augusto pensava davvero che tutta la sua vita non fosse altro il
sogno di qualcun altro Arrivato a casa mangia tutto ciò che può (un paio di uova, altre due,
una bistecca, jamon en dulce, fiambres, foie-gras), pensando di essere immortale visto che è
un ente di finzione. Inizia subito a sentirsi male e non riesce a stare in piedi, chiede a
Domingo di stare con lui la notte e si corica. Liduvina e Domingo chiamano il dottore ma
Augusto è morto poiché ha mangiato troppo, prima di morire però chiede di inviare un
telegramma a Unamuno con scritto “Se salio usted con la sua. He muerto”
Capitolo XXXIII
Unamuno pensa di far resuscitare Augusto, si addormenta con questo pensiero e sogna
Augusti che gli dice che è impossibile resuscitare un ente di finzione così come è impossibile
far resuscitare un uomo.
Oración funebre por modo de epilogo.
L’autore afferma che non racconterà qui cosa è successo agli altri personaggi come si è soliti
fare negli epiloghi, bensì parlerà solo di Orfeo. Orfeo troverà il suo padrone morto sul letto e
inizierà a interrogarsi sulla vita e su che strano animale fosse l’uomo. Alla fine sente che il
suo spirito si purifica a contatto con questa morte, da questa purificazione del suo padrone, e
che aspira verso la nebbia. Muore anche Orfeo e Domingo piange per questo atto di lealtà e
fedeltà.
STORIE INTERCALATE: Si riferiscono a fatti e personaggi svincolati dall’azione principale
ma sono comunque pertinenti, tutte illuminano la psicologia di Augusto o annunciano
avvenimenti futuri:
1. Avito Carrascal, personaggio già presente in Amor y pedagogía, qui si dimostra
profondamente cambiato: dice che l’unica maestra di vita è la vita stessa e non la pedagogia.
Consiglia a Augusto di agire e di liberarsi dal ricordo della madre.
2. Víctor è guida e confidente di Augusto. Attraverso questo personaggio Unamuno esprime
le sue idee riguardo il matrimonio.
3. Don Antonio, vittima di un tradimento e abbandono che preannuncia quello di Augusto da
parte di Eugenia.
4. Il fogueteiro: leggenda portoghese che tratta del cieco che vede con gli occhi dell’anima .
5. Eloíno, anche lui tradito e abbandonato ma protagonista di un nuovo amore o comunque di
qualcosa accettato come tale.