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LETTERATURA INGLESE

Il Novel
Ci troviamo nell’ambito di una tradizione romanzesca (cf. Watt, Le origini del romanzo borghese).
Nella tradizione anglosassone esistono due nomi per definire ciò che noi conosciamo come romanzo: romance e novel.
La ragione di questa duplicità ha a che fare con la nascita di una forma letteraria (novel ricorda proprio la novità rispetto
alle forme del passato) che si oppone al romance, inteso come narrazione legata alle corti, ai cavalieri e all’aristocrazia,
con trame convenzionali derivate dalla letteratura e dalla storia.
La stagione del novel si apre nel 1719 (Robinson Crusoe) e si chiude nel 1777 (Sterne, Vita e opinioni di Tristan Shandy):
Diventa egemone perché legato alla nascita e al consolidarsi di un nuovo ceto sociale, la borghesia; infatti la stagione
del suo successo è proprio determinata dal periodo d’ascesa della borghesia, un periodo di pace e prosperità, frutto
compromesso tra l’aristocrazia e la borghesia emergente.
Si tratta di una forma unitaria e al tempo stesso diversificata; ciò che la rende unitaria è come dice Sterne il ‘realismo
formale’ presente alla base di ogni romanzo. Si tratta però di una forma al tempo stesso diversificata perché questo
realismo formale si differenzia: si coniuga in ciascun romanziere in un modo diverso.
Quando si parla di realismo formale s’intende la presenza di trame legate al presente (è un romanzo che si propone di
raccontare il mondo presente) e sceglie dei personaggi ben caratterizzati e ben individuati, localizzati con precisione
nello spazio e nel tempo. Una delle caratteristiche di questi è quella di avere nome e cognome (es: Robinson Crusoe,
Trisan Shandy, Moll Flanders); si parla di una pseudo autobiografia che è però pseudo perché nonostante si voglia dare
realismo alla narrazione, si tratta pur sempre di una finzione. Il narratore non è altro che una funzione del racconto, per
questo non possiamo mai farlo coincidere con l’autore. Le modalità narrative sono essenzialmente due: terza persona
(personaggio) e prima persona (narratore), che a sua volta può avere forme diverse. Defoe utilizza la prima persona per
dare veridicità alla storia; il suo romanzo diventa la storia di un uomo che racconta la propria storia, e per accentuare
ancor di più questa forma l’autore ricorre non solo all’autobiografia ma inserisce anche la forma del diario di Robinson
nell’isola, in modo da dare alla vicenda ancor più veridicità.
Samuel Richardson è altro autore settecentesco, che sceglie come Defoe la prima persona ma in una forma del tutto
nuova che avrà molto successo in questi anni: il romanzo epistolare. Tra le sue opere più celebri ricordiamo Pàmela e
Clarissa, titoli di opere che alludono a personaggi femminili. Richardson sarà poi il padre di una tradizione di romanzo
sentimentale successiva a questa prima stagione del novel e sarà un punto di riferimento per la stessa Jane Austen. La
scelta epistolare comporta una moltiplicazione dei punti di vista: non esiste solo l’io narrante; attraverso le lettere vi
sono diversi ‘io’ che scrivono e raccontano gli avvenimenti. Attraverso la moltiplicazione dei punti di vista del racconto
si può approfondire la psicologia dei personaggi. Richardson è considerato al pari di Defoe il padre del romanzo perché
a lui si attribuisce la nascita dell’introspezione dei personaggi protagonisti del romanzo (che non è psicanalisi perché
stiamo ancora nel ‘700). Un esempio dell’influsso di Richardson e del romanzo sentimentale in Jane Austen è la scelta
della forma epistolare; probabilmente la prima versione di Orgoglio e Pregiudizio (titolo originario ‘Prime impressioni’)
nasce come romanzo epistolare. L’autrice abbandona questa forma e i suoi romanzi sono raccontati da un narratore
esterno anche se tracce epistolari sono sempre presenti nell’opera (non è un caso che la chiave del romanzo stia
proprio in una lettera risolutiva). Altro grande romanziere è Fielding, autore della parodia di Richardson intitolata
Chàmela. Il fatto che ci sia una parodia, che implica volontà di distanziamento, è proprio un segno della varietà
presente nell’unità del realismo formale. Il narratore dell’opera di Fielding è un narratore onniscente perché narra in
terza persona e che diventerà predominante nell’800, quando il novel comincerà nuovamente a fiorire e diventerà la
forma letteraria per eccellenza dell’epoca vittoriana. È un narratore esterno alla vicenda, collocato in alto rispetto alla
vicenda che racconta, sa tutto dei suoi personaggi (=onniscente=divino), commenta e critica la vicenda e che prende
per mano il lettore nella lettura dell’opera e lo accompagna, influenzando anche il suo punto di vista.
La stagione così diversificata del novel subisce però una battuta d’arresto nel 1777 con l’opera di Sterne, Vita e opinioni
di Tristan Shandy. Infatti se la sua stagione di successo era stata determinata da un periodo di ascesa della borghesia, e
di pace tra borghesia e aristocrazia, una data simbolica è quella della Rivoluzione francese (1789), che dà inizio ad un
periodo ricco di vicende e turbamenti. Accanto ad essa c’è la rivoluzione industriale, che a differenza della prima parte
proprio dall’Inghilterra. Il romanzo continua a diffondersi durante questi anni ma in forma diversa dal novel (nella forma
del romance) e ai margini, grazie a Walter Scott. Dunque in un’epoca di turbamenti quale quedta si sviluppa il romanzo
gotico (es: Northanger Abbey, che già dal titolo allude al terrore’). L’ambientazione è esotica e paurosa; si tratta di una
forma che cerca di esprimere ed elaborare gli incubi della Rivoluzione francese. Dunque Jane Austen ha alle sue spalle
la tradizione del romanzo gotico e sentimentale; a partire da queste tradizioni che conosce, crea una nuova forma di
romanzo, passando per la parodia di queste forme fino alla nascita del suo romanzo, che diventerà il fautore vincente
della tradizione narrativa successiva, cioè quella del romanzo di formazione.


Il romanzo di formazione
Per definire il romanzo di formazione Moretti parte dall’immagine di Enea in fuga da Troia che deve occuparsi di un
padre troppo anziano e di un figlio troppo giovane, figurando cioè la perfetta immagine dell’età di mezzo, la gioventù
(mentre l’’eroe nell’epica classica è un adulto maturo: Achille, Ulisse, Enea). Il primo eroe giovane che associamo alla
modernità è Amleto, tuttavia egli non è giovane perché ha trent’anni (nel rinascimento trent’anni anni significa essere
adulti). L’autore del primo romanzo di formazione è Goethe (con il suo romanzo su Wilhelm Meister), ritenuto il
capostipite del romanzo di formazione. La gioventù corrisponde alla parte più significativa dell’esistenza, in essa viene
fissato il senso della vita. Nelle società tradizionali dell’ancient regime il giovane non era ancora qualcuno (era “non
ancora adulto”): a lui toccava ricalcare i passi dei propri avi e occupare un ruolo che già preesisteva. In seguito alla
nascita di una nuova società con la caduta della società tradizionale grazie alle rivoluzioni di cui abbiamo parlato nasce
la modernità. Le campagne si svuotano, crescono le città e i giovani non si limitano più a perseguire il cammino paterno
ma cominciano ad esplorare e ad avventurarsi nello spazio sociale attorno a loro. La nascita dell’economia capitalistica
conduce all’idea di mobilità: mobilità sia fisica (perché le campagne si svuotano, le città si riempiono) che interiore,
coincidente con un senso di irrequietezza. Il concetto di modernità è qualcosa che però fa paura: non c’è ancora una
cultura della modernità. In questo senso secondo Moretti il romanzo di formazione non è altro che un tentativo di dare
forma alla modernità. Quindi al concetto di modernità si lega quello di inquietudine: ci troviamo in un clima di novità:
se la strada non è spianata, trovare il proprio posto nel mondo diventa problematico. Quindi da un lato il dinamismo,
dall’altro l’instabilità. Nasce l’esigenza di attribuire una ‘forma’ alla modernità, ma la mancanza di forma non è altro che
il correlativo oggettivo dell’inafferrabilità della modernità. Per divenire ‘forma’, dalla gioventù deve dunque emergere
una caratteristica diversa, opposta a quella descritta dell’inafferrabilità: l’idea che la gioventà non dura in eterno.
Jane Austen mira a creare il cosiddetto Bildungsroman, titolo tedesco per indicare il romanzo di formazione (che avrà
differenti nomi e caratteristiche a seconda delle aree geografiche. Per diventare ‘forma’ il romanzo di formazione deve
far emergere una caratteristica diversa rispetto a quella del dinamismo, vale a dire il senso della fine, l’idea cioè che la
giovinezza a un certo punto debba terminare. Questo è evidente nella struttura formale del romanzo di formazione.
Infatti Moretti sulla scorta di Lotman individua due tipi di romanzo di formazione, legati a momenti e aree geografiche
diverse. Parla di ‘principio di classificazione’ (prevalente nella tradizione romanzesca di Jane Austen) e di ‘principio di
trasformazione’ (prevalente nella tradizione tedesca e francese del romanzo di formazione). Quando prevale il principio
di classi cazione (legato alla fabula), le trasformazioi narrative trovano senso in un nale marcato: tale cioè da istituire
una classificazione diversa da quella iniziale ma assolutamente chiara e stabile: definitiva. Il principio di classificazione si
intravede in Orgoglio e Pregiudizio, la cui conclusione perfetta fa sì che Moretti prenda l’opera ad esempio. Quando
prevale il principio di trasformazione (legato all’intreccio) il finale incompiuto diventa il momento più povero di senso.
Le differenze tra i due modelli di romanzo di formazione sono naturalmente molte: (1) il primo modello è il romanzo di
matrimonio (genere in evoluzione); il secondo modello è il romanzo dell’adulterio, quest’ultima tradizione impensabile
in Inghilterra anche per le sue tradizioni puritane e moraliste. (2) La seconda è quella tra due parole chiave, che anche
ritornano nelle grandi costituzioni scritte in questo periodo e nate in seguito alle rivoluzioni: ‘felicità’ e ‘libertà’. La
libertà si ritrova nell’esito della rivoluzione francese e nel motto che recita ‘libertà, fratellanza e uguaglianza’; mentre la
felicità nella nascita degli Stati Uniti in seguito all’indipendenza delle colonie inglesi. Il percorso del giovane eroe mira
non a caso alla libertà e alla felicità: Elizabeth vuole essere libera e all’inizio del romanzo rifiuta il suo pretendente. Nelle
due tradizioni, i concetti di felicità e libertà hanno pesi sono diversi: nel romanzo di formazione classico (di Jane Austen)
dunque in virtà del principio di classificazione domina il concetto di felicità, per ottenere la quale bisogna rinunciare alla
libertà: il matrimonio è inteso come un vincolo: se porta alla felicità, riduce la possibilità di libertà di trasformazione (il
matrimonio in questi romanzi va inteso come un vincolo perché comporta necessariamente la rinuncia a qualcosa). E se
prevale il principio di classificazione, in virtù del fatto che la gioventù deve finire, la modernità viene appunto
ingabbiata ed esorcizzata. Se prevale il principio di trasformazione, legato al dinamismo giovanile e al romanzo
dell’adulterio, il concetto di libertà è più importante. All’antitesi libertà/felicità si affiancano altre contraddizioni:
sicurezza/metamorfosi, identità/mutamento ecc. Non dobbiamo essere schematici: questi due principi agiscono in
entrambe le tradizioni, all’interno di ogni opera, dell’una e dell’altra tradizione: è la compresenza dei due a rendere
efficace il romanzo di formazione e a garantirgli una lunga vita. Questi romanzi del bildungsroman non raccontano
l’eroicità ma fanno una sorta di fenomenologia della normalità. Nasce l’idea di un nuovo eroe (vd. Northangery Abbey
in cui si delinea un nuovo tipo di eroina) che assume i connotati di un anti-eore. A tal proposito Scott leggendo Jane
Austen definisce i suoi romanzi come “romanzi della vita comune”.
In seguito alla rivoluzione s’insinua nell’animo della civiltà borghese moderna un dilemma che vede contrapporre da un
lato l’ideale della libertà di scelta, dall’altro le esigenze della socializzazione (altrettanto importanti nei romanzi di Jane
Austen), che si configura come un conflitto tra individualità e socializzazione. Il romanzo di formazione elimina questo

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conflitto: la soggettività tende a coincidere con l’integrazione sociale, che consiste in un’interiorizzazione vera e propria
delle regole sociali. Se la rivoluzione francese ha contrapposto aristocrazia e borghesia, ora il bildungsroman le concilia.
Le date di composizione dei due romanzi simbolo del bildungsroman sono: 1794-1796 (Wilhelm Meister) e 1796-1797
(prima versione di Orgoglio e Pregiudizio). Ci troviamo cioè a ridosso della fine della Rivoluzione francese (che in questi
paesi non c’è stata). Wilhelm è un borghese, figlio di un mercante. Le protagoniste di Jane Austen non sono borghesi a
tutti gli effetti ma appartengono alla piccola nobiltà (landed gentry ‘gente dotata di terre’). Tuttavia i personaggi della
Austen si comportano come borghesi per due motivi principali: (1) si oppongono alla figura di Darcy, ricco latifondista:
non c’è confronto tra la posizione sociale di Darcy e il reddito della famiglia di Elizabeth. (2) C’è anche un’altra ragione
che avvicina Elizabeth alla borghesia, e sta nella presenza dei suoi aiutanti: gli zii borghesi che abitano a Londra, in città.
Invece nella vicenda i genitori godono di un ruolo scarso (il padre ha rinunciato all’azione). Il lieto fine di Orgoglio e
Pregiudizio comporta che i due rappresentanti delle opposte classi dominanti, Elizabeth e Darcy, debbano smussare le
proprie caratteristiche di classe (a cui il titolo “Orgoglio e Pregiudizio” rinvia): gli aristocratici (Darcy) devono perdere un
po’ del loro orgoglio di classe (si pensi al modo in cui Darcy che si dichiara a Elizabeth), Elizabeth invece deve rinunciare
al pregiudizio. Secondo Moretti il romanzo di formazione non fa altro che generare una nuova concordia (spaccatasi con
la rivoluzione francese) tra le due classi dominanti. Per Moretti il romanzo di formazione nato in Germania e Inghilterra è
un tentativo di eliminare la rivoluzione e mostrare come essa si sarebbe potuta evitare. Ma il romanzo di Jane Austen,
che vuole mostrarsi un progetto risolutivo alla storia, deve ammettere la consapevolezza della precarietà di questa
soluzione: è necessaria una delimitazione dell’orizzonte narrativo, nel tempo e nello spazio. La delimitazione nel tempo
è ‘ora’, la contemporaneità, nello spazio è ‘qui’, uno spazio circoscritto e chiuso (in opposizione al caos che c’è fuori).

JANE AUSTEN:
NORTHANGER ABBEY

Il romanzo gotico
Dopo la prima battuta d’arresto del novel, continua la diffusione del romanzo sentimentale che gode di molto successo
e che ha al centro l’eroina femminile, per capire la quale si può rovesciare la descrizione di Catherine, che corrisponde a
tutto ciò che non è l’eroina del romanzo sentimentale (la protagonista del romanzo sentimentale infatti incarna l’ideale
della sensibilità, Catherine è un maschiaccio).
Il romanzo gotico ha una tradizione diversa, legata a temi diversi a loro volta legati agli sconvolgimenti di fine ‘700. È un
romanzo dell’orrore e del terrore: risponde al terrore reale della storia attraverso un terrore fantastico. Si abbandona il
realismo tipico del novel e si abbraccia una narrazione fantastica; si abbandona lo scenario londinese e si abbracciano
luoghi esotici. Si declina in varie forme e tradizioni: c’è un gotico maschile, perché i personaggi sono maggiormente
uomini, di solito sono più crudeli e violenti; e c’è un gotico femminile, un miscuglio di romanzo sentimentale e romanzo
gotico, tant’è vero che si parla di romanzo gotico sentimentale. La più nota autrice di questa tradizione è Ann Radcliff.
In NA sono spesso nominati titoli di romanzi gotici, tutti reali come hanno dimostrato i critici. Il romanzo che Catherine
legge è ‘I misteri di Udolpho’. Il romanzo gotico ha costanti riguardanti i personaggi e i luoghi. Un aspetto invariato è il
motivo dell’eroina perseguitata: una donna sensibile, sorella del romanzo sentimentale, emblema di virtù borghesi e
continuatrice dei valori di un ‘mondo organizzato’ che però è perseguitata da un malvagio che rompe l’ordine originale
con cui il romanzo si avvia. Il romanzo gotico è strutturato in tre parti, che corrispondono a dei luoghi simbolici e sono i
tre spazi in cui l’eroina si muove nel romanzo. Lo spazio iniziale è arcaico, naturale, aperto, in cui l’eroina vive a contatto
con la natura; è spazio privo di eventi decisivi (in realtà la descrizione degli eventi sarà fondamentale in questi romanzi
che non a caso si definiscono ‘romanzi descrittivi’). Poi avviene un fatto catastrofico che pone l’eroina in una situazione
di pericolo (nel caso del romanzo della Radcliff è la morte del padre). Così si giunge a un nuovo spazio: quello buio e
labirintico del castello (non a caso il primo romanzo gotico si chiama the Castel of Otranto). Accanto al castello c’è il
monastero oppure l’abbazia. Questa contrapposizione ci dice molto: mondo naturale e arcaico della felicità e sensibilità
da un lato (che rappresenta in realtà primo e il terzo spazio perché il romanzo si conclude in modo felice e l’eroina
ritorna al punto iniziale); cultura che diventa luogo di terrore dall’altra parte: il castello dominato dal malvagio (castello
che rappresentava il centro del paese, simboleggiava il centro della cultura, ora diventa luogo di orrore e di prigionia.).
Quello che era luogo della cultura diventa luogo di inganno. La protagonista però da questo spazio ne esce indenne: la
verginità viene preservata e la terza parte coincide con il ritorno al mondo naturale. Le tecniche narrative della Radcliff
sono le stesse tra uno spazio all’altro; non è un caso che Catherine legga i misteri di Rodolfo. La prima parte procede
con descrizioni di tipo pittoresco, paesaggi luminosi, spettacoli naturali, filtrate attraverso il punto di vista con la
protagonista che vive serena in connubio con il padre. Il movimento dell’eroina si può definire in linea orizzontale ma ci
sono ben presto degli indizi che comportano un crescendo di inquietudine, che diventa il tema della seconda parte. A
questa seconda parte si accede con la morte del padre, che comporta la solitudine dell’eroina.

Il genere gotico non è solo usato da Jane a scopi satirici ma anche per educare il lettore al nuovo tipo di romanzo che
vuole scrivere. Nella prima parte quindi l’eroina è una donna sensibile, vergine e innocente. La seconda parte è quella
che catapulta la protagonista da uno spazio arcaico e orizzontale a uno verticale e orribile (quello del castello, convento
o abazia). Importantissime sono le descrizioni, sia per la prima, che per la seconda parte, cambia però solo il tono della
narrazione. Nella seconda parte il tono è più cupo e si rifà al gusto dell’epoca. Più che azioni ci sono catene di indizi,
che si sostituiscono alla normale successione di eventi, e descrizioni di paesaggi filtrati dallo sguardo della protagonista,
che osserve il passaggio dalla finestra della sua prigionia, il castello. Il tutto è molto focalizzato sulla figura dell’eroina
perseguitata, e di cui il romanzo ci trasmette sia le prospettive visuali poichè vediamo con i suoi occhi, sia le proiezioni
emotive. Il risultato è una perdita di confine tra realtà e immaginazione. L’emozione dominante che finisce per inglobare
tutte le altre è la sensazione di baratro, la paura per l’ignoto (che a sua volta produce ulteriori timori) che struttura anche
i romanzi della Radcliff. La catena degli indizi fa sì che non si sappia mai il significato di ciò che accade, al punto che la
mente del lettore è pronta a considerare che tutto non sia altro che frutto dell’immaginazione dei personaggi. Si giunge
anche a ipotizzare l’esistenza di altri mondi paralleli. L’intreccio è del romanzo è caratterizzato da una reiterazione dei
dubbi e dalla ricerca di una verità che non arriva mai.
La terza parte del romanzo è quella del ritorno al punto di partenza (lieto fine) con le relative spiegazioni finali: tutto è
riportato sotto il dominio della razionalità. Tuttavia se tali spiegazioni sono necessarie per la conclusione del romanzo, al
tempo stesso mostrano la meccanicità della conclusione mostrandosi inefficaci a riempire quel vuoto che il contrasto tra
immaginazione e realtà. La fine del romanzo riporta alla razionalità, cancellando in modo meccanico l’incubo vissuto dai
protaginisti nella seconda parte.

Cronologia del romanzo


La cronologia dei romanzi di Jane Austen è complicata perché l’autrice è precoce, scrive a partire da quindici anni e sin
dall’inizio è alla ricerca di una propria forma letteraria; compone in primis opere satiriche e parodiche dei generi letterari
più in voga al momento (tipo il romanzo sentimentale, romanzo gotico), di cui si prende gioco ridendo degli eccessi, ma
li difenderà in Northanger Abbey. Questo è l’unico dei romanzi che sembra riallacciarsi all’intento satirico e parodico, il
che lascia pensare che possa essere stato il primo romanzo concepito dall’autrice. In realtà c’è la testimonianza della
sorella Cassandra che ci dice che, inizialmente intitolato Susan, il romanzo è stato terminato tra il 1798 e il 1799, il che
lascerebbe pensare che sia il terzo (prima ci sono due stesure: Sense and Sensibility “Ragione e Sentimento”, e la prima
versione di Orgoglio e Pregiudizio. Le due versioni furono riscritte, mentre la prima stesura di NA sembra essere stata
accettata sin da subito dalla stessa autrice). Alcuni critici ipotizzano che nonostante la testimonianza di Cassandra il libro
sia stato cominciato prima, forse intorno al ’93. La vicenda editoriale dell’opera è stata piuttosto strana: è il primo libro
che l’autrice riesce a vendere: viene acquistato nel 1803 per dieci sterline da un editore. Ma nonostante le premesse
non viene subito pubblicato (1818) come dimostra la nota dell’autrice in cui s’impegna a sottolineare come sia trascorso
del tempo dal momento di scrittura a quello di pubblicazione, così che “le opinioni, i libri, gli usi e i luoghi hanno subito
mutamenti considerevoli”. Anzi l’editore le avrebbe addirittura proposto di riacquistare il libro allo stesso prezzo con cui
l’aveva venduto. L’autrice esita ma sceglie di ricomprarlo e revisionarlo. Una delle ragioni ipotizzabili per cui l’editore
non pubblica il romanzo ha a che fare con il fatto che all’epoca i romanzi gotici fossero molto diffusi e acclamati: cioè si
rende conto che la satira di un prodotto di successo potesse far del male. C’è una stratificazione di revisioni: nel ’93, nel
1803, poi quando lo riacqusita e prima di pubblicarlo nel 1818. Muore a causa di un tumore, prima che il romanzo sia
pubblicato. Per questi motivi può essere considerato come un palinsesto (= l’autrice più matura rilegge l’opera) infatti
alcuni critici hanno notato discordanze tra una Jane più giovane e una più matura. Il titolo cambia perché cambia il
nome della protagonista (Susan > Catherine). Non conosciamo l’ultima volontà dell’autrice soprattutto per quanto
riguarda il titolo, perché appunto non ha il tempo di vederlo pubblicato. Il fratello fa pubblicare il romanzo con il nome
Northanger Abbey. Il titolo è importante, un critico lo definisce ‘paratesto’, vale a dire tutto ciò che circonda il testo (il
titolo è ciò che il lettore vede per prima cosa e in questo caso è l’unica cosa che vede perché il romanzo è pubblicato
inizialmente in anonimo per le questioni della donna e del puritanesimo che condannava la finzione letteraria). L’autrice
utilizza le convenzioni tipiche dei titoli dell’epoca per tutti i suoi romanzi: 1) dare al romanzo il nome della protagonista
(prima il titolo era Susan), convenzione che mantiene però di fatto in un solo romanzo (Emma: è un titolo che centra
l’attenzione del lettore sul personaggio e sul suo percorso formativo); 2) scegliere un luogo, puntando l’attenzione
principalmente sull’ambientazione (James, Washington Square); 3) dare titoli che nascano dal contrast roman del ‘700 in
cui diverse caratteristiche venivano messe l’una di fronte all’altra e confrontate (es: Orgoglio e Pregiudizio, Sense and
Sensibility). Il titolo NA è efficace anche perché abbey ‘abbazia’ rimanda al genere gotico, per cui oltre all’indicazione
spaziale fornisce anche l’indicazione del genere letterario. Nortangher cela due parole: north e angher (“collera”,
sentimento provato dal generale che comporterà la cacciata di Catherine dall’abbazia).

Tema del matrimonio


Un luogo comune definisce i romanzi di Jane Austen distanti dall’epoca storica in cui sono scritti e di conseguenza dagli
eventi stessi (es: rivoluzione francese e rivoluzione industriale). Questa linea di pensiero proviene dalla tematica centrale
dei romanzi: l’avventura matrimoniale, protagonista della quale è una giovane fanciulla che deve affrontare il passaggio
dalla condizione di figlia alla condizione di moglie. La storia è presente solo di riflesso (ad es. in Orgoglio e Pregiudizio
compaiono figure di soldati e militari). In realtà i suoi romanzi non sono altro che una risposta alla storia e un tentativo di
interagire con la modernità. Basti pensare alla centralità del tema matrimoniale (molti hanno considerato i suoi romanzi
dedicati esclusivamente a lettirici donne, come se Jane Austen fosse ossessionata dal tema matrimoniale perché non si
è mai sposata, cosa non assolutamente vera), che non riguarda solo la SFERA PRIVATA ma anche la SFERA SOCIALE.
Il matrimonio era all’epoca sentito come un CONTRATTO SOCIALE tra le parti. Ne consegue che i suoi romanzi sono al
tempo stesso ‘romanzi di formazione’ e ‘romanzi sociali’, ma mai ‘romanzi privati’. In Northanger Abbey Bath impersona
un vero e proprio mercto matrimoniale: si fa di tutto per trovare marito.
Il tema matrimoniale accomuna i quattro i romanzi, scritti a distanza di tempo (i primi risalgono agli inizi dell’Ottocento,
gli ultimi due alla fine dell’Ottocento); e hanno tutti protagoniste femminili. James ne la prefazione al Ritratto di Signora
si domanda come si possa scrivere un romanzo attorno a una figura femminile dato che storicamente alle donne non è
consentito l’accesso al mondo del lavoro, all’avventura e più in genere all’azione. L’unica avventura concessa alle donne
infatti è quella che dalla casa paterna confluisce nella casa del marito: cammino in apparenza lineare ma che in realtà
prende le sembianze di un labirinto vero e proprio che costringe ciascuno dei personaggi a compiere scelte importanti
che non sempre si rivelano le più giuste.
Le protagoniste dei romanzi della Austen sono in grado di sbagliare prima e di rimediare ai loro errori poi, tornando
indietro e cambiando strada. Si parla di Elizabeth come un’eroina del rifiuto: Orgoglio e Pregiudizio si apre con il rifiuto
del matrimonio da parte di Elizabeth, che consentirebbe alla sua famiglia di conservare il patrimonio paterno, e per
questo favorito soprattutto da sua madre. Ma Elizabeth si rifiuta e dal rifiuto nasce la vicenda protagonista dell’opera —
rifiuta anche Darcy all’inizio— ): Isabel è ancor di più di Elizabeth il ritratto di un’eroina del rifiuto: anche lei rifiuterà il
matrimonio e la vicenda alla fine non verrà coronata dal matrimonio perfetto.
Orgoglio e Pregiudizio è diviso in due parti: la prima è performativa, quella della “commedia sociale” che si sviluppa
con la conversazione, gli incontri e quei momenti in cui la società celebra sè stessa; la seconda parte consiste invece in
una rilettura degli errori. Gli errori di Orgoglio e Pregiudizio portano conseguenze, tra cui: rimanere zitelle e insediarsi in
matrimoni sbagliati. L’idea del matrimonio sbagliato è estremamente presente in questi romanzi perché sono loro a
caratterizzare questo mondo. Il matrimonio ‘giusto’ è per Jane Austen qualcosa di fortemente voluto ma anche difficile
da portare a termine (Orgoglio e Pregiudizio: romanzo perfetto perché si realizza il matrimonio perfetto). L’idea del
matrimonio perfetto non si incontra più nei romanzi di Jane; i genitori di Elizabeth non a caso sono un chiaro segno di
un matrimonio che non è riuscito: il padre della protagonista è sempre chiuso nella propria biblioteca, estraneato dal
mondo della famiglia. Se per Jane il matrimonio è l’unica strada possibile, che si declina in due modi, riuscita o
fallimento, Henry James cerca alla fine del secolo di mostrarci un’altra possibilità (mette in scena non più un realismo
sociale ma un realismo nuovo di tipo introspettivo): il matrimonio è sempre il tema centrale ma in modo diverso. Henry
sposta l’attenzione: non più sul ‘to do’ = sul fare, ma sul ‘to be’ = sull’essere: l’obiettivo diventa fare un romanzo in cui
l’avventura della coscienza femminile è altrettanto interessante da seguire.

La bellezza dei romanzi di Jane sta nel mostrarci una contraddizione: da un lato la volontà di affermare un
compromesso (matrimonio tra borghesia e piccola nobiltà terriera, landed gentry), dall’altro la consapevolezza che il
compromesso è difficile sia per le spinte che provengono dal basso (dal proletariato, effetto importante della
rivoluzione industriale) sia per le spinte che provengono dall’interno stesso delle classi dominanti. La proprietà terriera
per la classe sociale della landed gentry è sacra perché garantisce stabilità e benessere economico.
Per comprendere la dialettica tra le classi, facciamo riferimento a tre concetti: property “patrimonio di beni”; propriety
“proprietà, decenza”, improvement “miglioramento, sviluppo”.
Property e propriety erano un tempo sinonimi, denotavano entrambi il possesso in senso materiale. Successivamente
hanno acquisito due sensi differenti. Innanzitutto vediamo che la proprietà terriera è sacra per la piccola nobiltà perché
ne garantisce stabilità e benessere economico, ma con lo sviluppo sociale e le spinte che vengono dal basso non basta
più essere proprietari terrieri, bisogna comportarsi in un determinato modo: mostrare decoro, buone maniere, giusto
trattamento dei loro inferiori, proprietà di linguaggio, capacità di esprimersi ecc. Questi romanzi sono anche definiti
‘romanzi di maniere’ perché appunto il matrimonio è anche tra proprietà terriera e comportamento morale (property e
propriety): il matrimonio genera un improvement, che vuol dire “sviluppo”, “miglioramento”. Il termine era inizialmente
legato ad operazioni di profitto monetario, equivalente a ‘to invest’, cioè “investire”. Dal XVII e XVIII secolo il significato
dominante di improve era quello di “operazioni connesse alla proprietà terriera”; nel XVIII secolo diventa una parola

chiave per indicare la modernizzazione e sviluppo del capitalismo agrario, andrà a indicare un miglioramento non solo
economico ma anche e soprattutto personale (improve ourserlf). Nella seconda parte del romanzo Catherine arriva a
Northanger Abbey e si aspetta di trovare un’antica abbazia che risponda alle sue fantasie cimentate dal romanzo gotico
ma vi trova invece un qualcosa di molto moderno. Il generale che vi trova è simbolo di un improvement “a metà”, vale
a dire che, se per mantenere potere la classe aristocratica deve modernizzarsi e rinnovarsi, passando ad un’agricoltura
capitalistica, allo stesso tempo deve migliorare se stesso. Il processo formativo dei romanzi di formazione è incentrato
sull’acquisizione della propriety dell’antieroina. Darcy non solo è grande proprietario terriero, nonostante le apparenze,
alla fine è la perfetta incarnazione di property e propriety (es: i due non si sono ancora riconciliati ed Elizabeth va a
visitare la casa di Darcy, che è una casa aperta al pubblico, è guidata dalla governante e crede che Darcy non ci sia. La
governante lo descrive come ‘perfetto’ nella maniera in cui si comporta con i suoi dipendenti: non basta la proprietà
ma ci vuole un codice comportamentale appropriato. Il generale di Northanger ha la property ma non la propriety).
È importante capire una cosa: Jane non è solo portavoce dell’ideologia della sua classe sociale.
La recinzione simbolica dà senso alla frase che si configura come dichiarazione di poetica: “tre o quattro famiglie in un
villaggio di campagna sono tutto ciò che mi serve per scrivere i miei romanzi”. Si concentra infatti su una porzione della
società, landed gentry, con dei precisi valori; è consapevole di ciò che c’è fuori da questo giardino. Nella costruzione
dei suoi romanzi l’autrice è molto critica nei confronti della propria classe di appartenenza.

Tema della lettura e dell’apprendimento


I romanzi di Jane Austen si configurano come un’avventura labirintica, passaggio dalla casa paterna a quella del marito.
Il tema della lettura è centrale nei romanzi di Jane Austen; le sue eroine sono lettrici che si confrontano con i libri (anche
romanzi di finzione narrativa); la lettura è appannaggio distintivo della loro classe (non lavorando possono permettersi
tale svago). Cosi i personaggi dei romanzi sono il contrario di Renzo e Lucia, al contrario intimoriti dalle biblioteche.
Leggono ad alta voce e in solitudine per apprendere. Northanger Abby è il romanzo più incentrato sulla lettura: se negli
altri romanzi è presente ma diffuso, qui la lettura è intrecciata all’intessitura matrimoniale; è il romanzo di un’apprendista
lettrice. Il romanzo si apre con l’ingresso nel mondo sociale della protagonista, coincidente con la scoperta della lettura.
E il percorso di formazione è strettamente connesso al discorso sulla letteratura.
Catherine è l’eroina più giovane della Austen; le donne non ricevevano all’epoca un’adeguata istruzione, infatti all’inizio
del romanzo si dice che era stata la madre di Catherine ad avviarla agli studi. Infatti quando giunge il momento della
socializzazione non è adatta, le manca l’educazione. Ma i genitori di Catherine come abbiamo detto non sono in grado
di fornirle una educazione adeguata, anche le figure che potrebbero sostituirsi in questo a quelle genitoriali sono
inesistenti. In NA il mentore di Catherine è l’uomo che sposa, Henry, che si configura come un ottimo pedagogo perché
farà ragionare la protagonista e farà in modo che capisca da sola.
L’educazione della donna diventa il tema fondamentale del romanzo; è un apprendimento che non è legato alla scuola
ma che è morale, linguistico e intellettivo. L’apprendimento è una questione importante: non sappiamo se Jane Austen
abbia letto romanzi di Mary Watson Craft, riconosciuta come la prima femminista dell’epoca. In ogni caso ci sono
innegabili affinità tra ciò che dice Mary Watson sul tema dell’educazione femminile e ciò che si ritrova nel romanzo di
Jane Austen. Lungi dall’indicare una parità uomo-donna, Mary Watson in un libro sull’educazione delle donne e in
“Rivendicazione dei diritti delle donne” denuncia l’assoluta insufficienza dell’educazione delle donne all’interno della
società. Infatti dice: “non voglio che le donne siano nè eroine, nè prive di educazione, grezze, ma voglio che siano
istruite in modo da affrontare razionalmente la realtà”. L’unica istruzione aveva a che fare con il suo corpo, di modo che
potesse diventare il giusto ornamento dell’uomo, quasi un oggetto; invece la Craft voleva che fossero trattate come
esseri umani. Si trattava di una visione patriarcale radicalizzata nella società. L’apprendimento è necessario in tutte le
eroine: solo attraverso l’apprendimento possono percorrere il loro spazio di libertà. Il romanzo sociale si sofferma molto
sulla questione della condizione femminile e sul bisogno di apprendere. Il cammino avviene dal luogo d’origine, la casa
paterna, alla casa coniugale. L’apprendimento come presa di coscienza di come stare al mondo riguarda sia le donne,
che gli uomini, dunque gli eroi. La lettura dei romanzi da parte di Catherine sarà lo strumento principale della sua
educazione. Ma l’aspetto negativo è che Catherine crederà di vivere come se fosse la protagonista di uno dei libri che
legge. Vive cioè due vite: la vita reale (la realtà nuova di Bath in cui è totalmente sola e di cui deve imparare costumi e
linguaggio) e la vita romantica (che corrisponde con la lettura). Deve imparare a comprendere le differenze che
sussistono tra realtà e finzione, tra romanzo e vita reale. Alla fine del romanzo prevale l’adesione alla vita reale: c’è un
vero e proprio risveglio della protagonista. L’assoluto interesse per gli abiti e l’esteriorità della signora Allen è frutto di
questa particolare educazione femminile che andava di generazione in generazione. Jane Austen non scrive un trattato
come la Craft ma scrive un romanzo in cui mette in luce il fatto che questa precaria educazione concessa alle donne di
fatto le renda inadatte alla società in cui vivono. C’è scena emblematica nel romanzo in cui, al momento dell’ingresso in
società, la signora Allen e Chaterine hanno una conversazione vuota di contenuti: l’unica cosa che riescono a dire è che

non conoscono nessuno con cui socializzare. Poi viene enfatizzato il fatto che Chaterine riesca a trovare qualcuno con
cui parlare, ma le interlocutrici in realtà non comunicano: ognuna parla di fatti suoi (la signora Thorpe dei propri figli,
mentre la signora Allen “non aveva analoghe notizie da dare”).

Il romanzo si divide in due parti: la prima parte è quella dell’ingresso dell’eroina nel mondo, che lascia la casa familiare
e approda nella cittadina di Bath, il luogo della sua prima educazione che è duplice, pochè riguarda sia l’educazione al
vivere nella socialità, sia l’educazione alla lettura: qui infatti scoprirà il piacere della lettura condivisa. L’educazione che
le viene impartita non è parentale. I genitori non sono cattivi ma non hanno molto tempo da dedicare all’educazione
dei loro numerosissimi figli. Inetti sono anche coloro che si occupano di Catherine, che ricoprono il ruolo di sostituti
parentali: la signora Allena per esempio parla sempre di abiti, è inadatta. Ben presto incontra due coppie di fratelli:
Isabella e John, che si rivelano una coppia negativa, ed Eleonor ed Henry, che acquisiscono invece un ruolo importante
nella sua educazione. La seconda ci porta invece a casa dei Tinder, a Northanger Abbey: qui si sviluppa il rapporto tra
immaginazione e realtà (nella prima parte è stato mostrato il piacere della lettura della protagonista, visto come hobby,
ora invece quelle letture sono messe alla prova dalla realtà, a lei spetta il compito di comprendere la differenza tra
fantasia e realtà). Catherine scopre che non si può leggere la realtà attraverso il filtro dei romanzi, bisogna infatti
imparare a distinguere le due, capisce di non poter leggere la reale vicenda di cui lei stessa è protagonista attraverso il
filtro dei romanzo gotici della Radcliff. Tuttavia Catherine scopre alla fine che la realtà non è poi così distante dalla
fantasia: il cattivo dei romanzi gotici, in questo romanzo il generale, alla fine si dimostra davvero un malvagio che caccia
la propria moglie dalla casa, distruggendo il sogno del matrimonio perfetto. L’eroina Catherine nella terza parte ritorna
a casa ma è sola, la sua unica compagnia è la voce narrante. C’è un lieto fine ma, a differenza di Orgoglio e Pregiudizio,
in Northanger Abbey sembra meccanico e imposto, sembra esser stato voluto dall’autore.

Il narratore
Il narratore ha una funzione di racconto, non si deve identificare con l’autore; solo nel capitolo V diventa controfigura di
Jane Austen: interrompe la narrazione per mettere in scena una vera e propria difesa del romanzo in generale (non solo
il suo!). La voce narrante è presente soprattutto nei primi capitoli per più ragioni: deve presentare l’eroina e la nuova
forma di romanzo (il processo di educazione riguarda non solo la protagonista ma anche il lettore, che deve imparare a
consocere la nuova forma di romanzo, il che non fa altro che accentuare il carattere metaletterario del romanzo).
Dunque se la voce narrante è molto presente all’inizio, poi si ritrae soprattutto nella parte centrale, che corrisponde al
momento ‘gotico’ del romanzo, in cui l’autrice utilizza la tecnica del discorso indiretto libero, per cui il narratore riporta i
pensieri del personaggio ma lo fa mettendosi talmente vicino al personaggio, quasi alle spalle, che utilizza anche il suo
stesso linguaggio (riporta il pensiero con le parole che il personaggio stesso utilizzerebbe). Per esempio i pensieri di
Catherine sono riportati tra virgolette, come se fosse lei stessa a parlare (l’uso del discorso indiretto libero virgolettato è
un’usanza della lett. inglese tipica del ‘700, che riguarda Jane Austen ma che poi scomparirà). L’indiretto libero ha cioè
l’obiettivo di costruire maggiore vicinanza tra lettore e personaggio, senza il filtro potente della voce narrante. La voce
narrante ritorna in modo prepotente nella terza parte, è l’unica compagnia che Catherine possiede tornando a casa:
“mia eroina”. Inoltre la voce narrante non è un ESEMPIO DI PRECISIONE LINGUISTICA in una realtà in cui l’argomento
è sottovalutato (vd. La signora Allen).

PRIMA PARTE

PRIMO CAPITOLO. Il primo capitolo è essenziale perché ci consente di entrare nella vicenda e conoscere due cose: la
protagonista e la voce narrante. È un capitolo statico perché la vicenda non è ancora cominciata, ci troviamo al punto di
partenza: l’eroina è mostrata giovane, diciassettenne, di lei ci viene ricordato il passato; è pronta a mettersi in viaggio,
cammino metaforico e non solo (in questo caso è un vero e proprio viaggio).
Il capitolo costruisce un personaggio che è il rovescio di quello del romanzo sentimentale, tuttavia lo scopo non è solo
parodico: Jane Austen è consapevole che se si vuole creare una nuova forma di romanzo, allora bisogna crearsi anche
un nuovo pubblico, abituato a una forma diversa di romanzo (il sentimentale).
E a differenza di Coleridge l’autrice presenta il suo romanzo nel romanzo stesso, non in una prefazione.
Il capitolo è costruito sulla negazione. La prima parola è no one “nessuno”; è fondamentalmente un ‘no’, che struttura
l’intero capitolo (nello stesso titolo la prima sillaba è no-), come se l’autrice volesse rifiutare la tradizione del romanzo
precedente per dare vita a una nuova. Catherine non ha niente dell’eroina sentimentale, ma sarà l’eroina di un romanzo
diverso e nuovo. La negazione non riguarda solo la protagonista ma tutto ciò che la circonda (‘tutto le era avverso’). È
importante il riferimento in apertura al denaro: tutte le vicende di Catherine sono riconducibili alla dote e alla rendita.
Segue breve presentazione dei genitori: la madre gode di ottima salute, mentre nei romanzi gotici le madri muoiono


sempre (‘cosa più singolare’), c’è infatti il riferimento al fatto che non è morta dando alla luce Catherine. Anzi Catherine
proviene da una famiglia numerosa: dieci figli e due genitori. Addirittura il narratore dice ‘come pure sarebbe stato
ragionevole attendersi’, che nasconde intento parodico: il narratore commenta la vicenda dando spunti parodici e
guidando il lettore stesso nella comprensione del romanzo. Segue un ritratto della protagonista dell’infanzia. Segue un
riassunto dell’educazione di Catherine sino a quel momento (rimane sempre una descrizione basata sulla negazione) e
s’introduce qui il tema della lettura. Catherine amava i giochi dei maschi, il cricket lo preferiva alle bambole, non amava
i giardini, non imparava qualcosa senza che le venisse insegnato perché sempre distratta. Il lato positivo però era che
non era sciocca, era dotata di buonsenso (capace di plasmarsi al processo educativo).
L’espressione ‘compiute donzelle’ rimanda al romanzo sentimentale. Le negazioni sono in ogni frase e in ogni punto.
Nessuna delle abilità dell’eroina sentimentale è propria di Catherine. Jane Austen attira l’attenzione sulla differenza tra
l’educazione delle donne e quella maschile (Henry insegna alla sorella Isabel la proprietà del linguaggio, e la lettura).
Anche ciò che le piace viene detto con una negazione: ‘nulla le piaceva quanto ruzzolare giù per il pendio erboso’.
A partire dai quindici anni il suo aspetto migliora; se inizialmente non legge, a un certo punto comincia ad avvicinarsi
alla lettura (legge Gray, Thompson, Shakespeare).
La narrazione del primo capitolo prosegue con il fatto che la protagonista, giunta a diciassette anni, non ha mai avuto
un rapporto amoroso. Deve far qualcosa per cambiare questa condizione e il viaggio è la scelta più adatta. Jane Austen
non condanna la Radcliff come scrittrice ma a lei non interessa trasportare l’eroine inglesi in un mondo lontano (francese
e italiano): il cammino che fa sì che la giovane diventi un’eroina è complesso, ma ha validità anche se fatto in Inghilterra
(a Bath).

SECONDO CAPITOLO. Il capitolo secondo è incentrato sulla voce narrante, non vi sono molti dialoghi. È presente un
breve riferimento a sua sorella Sarah/Sally, simbolo dell’amicizia tra sorelle. Segue riferimento al matrimonio sbagliato:
la signora Allen rappresenta la sorpresa che vi sia stato un uomo al mondo che l’abbia trovata gradevole da sposarla,
ma l’uso del plurale è sinonimo del fatto che si stia riferendo a tante donne e a tanti matrimoni sbagliati. La descrizione
della signora Allen è parodica: basta il suo aspetto elegante da gentildonna per essere scelta. L’atto più importante per
una donna è l’ingresso in società e quindi l’ingresso nella socializzazione. Nelle sale da ballo la società mette in scena se
stessa e le sue regole. Ma le donne sono sole perché il singor Allen passa la serata nella sala da gioco.
L’ironia si ritrova nella frase: “il signor Allen si recò immediatamente nella sala da gioco e le lasciò a godere della folla;
la folla viene descritta in modo negativo, come una ‘rappresaglia’. L’idea del pericolo è resa lessicalmente. Accanto al
pericolo si sottolinea la solitudine della protagonista. Le immagini descritte sono tutte in contrasto con la situazione di
piacevolezza e divertimento normalmente associata a un ballo (lotta, prigionia, cattività). L’entrata in scena dei Thorpe
vede l’ingresso della coppia di fratelli: John e Isabella. Isabella aspira al ruolo di eroina ma questo ruolo non le spetta. È
un personaggio comico, che fa le battute più divertenti del romanzo ma che in realtà finge, interpreta una parte e un
ruolo determinati. Nel secondo capitolo emergono le qualità che farebbero di Catherine un’eroina: il cuore affettuoso,
la natura gaia e aperta, la mancanza di presunzione (che caratterizza Isabella), l’aspetto gradvole, la timidezza e la
goffaggine infantile, mente ingenua (sarà vittima di macchinazioni e troverà appoggio in Isabella ma si rivelerà una falsa
amica).

TERZO CAPITOLO. Nel capitolo terzo appare per la prima volta Tinley; si tratta di un esempio di amore a prima vista.
I due si conoscono a una cerimonia, vengono presentati dal maestro di cerimonia (cerimonia appare come un mercato
matrimoniale). I balli nei romanzi di Jane sono importanti per varie ragioni, sono una metafora del funzionamento della
società, addirittura lo stesso Tinley dice che il ballo è la metafora del matrimonio e del contratto sociale; sono anche il
luogo in cui uomo e donna possono avere un contatto stretto, prendere confidenza e dialogare (questi momenti non
erano diffusi perché gli incontri si tenevano sempre con gli accomagnatori). Anche Tinley nella descrizione che segue ha
una negazione. C’è in questo capitolo la prima vera conversazione di Catherine del romanzo. La padronanza linguistica
e delle convenzioni sociali fanno di Henry un personaggio dal duplice ruolo: si capisce bene che sarà non solo l’amore
di Catherine ma anche il suo mentore. Mostra di conoscere alla perfezione tutte le convenzioni, lasciando Catherine allo
stesso tempo deliziata dall’incontro ma interdetta, non sa mai che rispondere perché le manca proprietà del linguaggio
(tema del romanzo). L’espressione “studiandosi di non ridere” allude al comportamento “sbagliato” di Catherine: non
sa come comportarsi, le manca l’educazione linguistica. Catherine non sa che dire, ciò che fa è negare (“non scriverò
nulla di simile”). Pian piano il corteggiamento inizia, nasce l’intesa tra i due. Henry è dotato di un’ironia tagliente, che
sta nel giocare sul modo in cui i ruoli nella società si dividono tra uomo e donna.

QUARTO CAPITOLO. Dopo la prima conversazione, Tinley scompare causando tristezza in Catherine, il che mette in
luce il buonsenso della protagonista, che non da di matto ma sa attendere e cerca nel frattempo nuovi piaceri.
Il capitolo si apre con una conversazione tra la signora Allen e la signora Thorpe (viene detto che è vedova però non
ricca); in realtà è una conversazione vuota dal momento che è caratterizzata dal fatto che entrambe le interlocutrici si
interessano soltanto di dare informazioni sulla propria vita piuttosto che riceverle e ascoltarle. Addirittura si dice che la
signora Allen, in assenza di analoghe notizie da dare alla sua “amica”, preferisce restare in silenzio facendo finta di
ascoltare le materne effusioni della signora Thorpe. In questo contesto entra in scena Isabella, che si presenta come una
perfetta amica e confidente, ma è personaggio che adopera molteplici macchinazioni e se lo collochiamo nel mondo
femminile è anche un personaggio tragico perché è disposta a tutto pur di modificare le proprie condizioni e realizzare
il matrimonio perfetto. La prima caratteristica che è messa in evidenza di Isabella è la bellezza; suscita immediatamente
l’ammirazione di Catherine, ammirazione che proviene dalla solitudine e dal bisogno di trovare qualcuno con cui
socializzare (quando si presentano Catherine è felice senza conoscerla perché ha bisogno di qualcuno, si lascia dunque
trasportare dalle parole di Isabella, dalla possibilità di un’amicizia che è anche riscatto dalla propria solitudine). Isabella
è frivola, Catherine la ammira perché scopre attraverso la conversazione un nuovo mondo (dice infatti che è più grande
di lei di quattro anni e quindi è anche più informata sul mondo circostante: vede in lei una posiìsibile educatrice).

QUINTO CAPITOLO: DIFESA DEL ROMANZO. Nel capitolo cinque sono affrontati il tema dell’amicizia tra Catherine e
Isabella e il tema dei romanzi. Il capitolo si apre con la voce narrante e il fatto che Tinley non sia ancora apparso. È
significativo il fatto che venga definito ‘eroe’, il che anticipa già il lieto fine dei protagonisti (perché presuppone che
anche Catherine diventi un’eroina). La voce narrante racconta con ironia il progredire dell’amicizia tra le due donne con
l’uso di ‘rapidamente’. Le conversazioni in questi romanzi di Jane Austen SONO MOMENTI FONDAMENTALI, SONO
SIMBOLO D’AZIONE, possibilità di azione seppur il raggio risulti ristretto, tutto si svolge attraverso passeggiate, brevi
escursioni, serate di balli, ecc. La conversazione quando davvero avviene e non è quella finta che abbiamo conosciuto
grazie alla signora Allen, quando la conversazione è davvero azione in questi romanzi È IL MOMENTO IN CUI PER
CATHERINE AVVIENE UNA CRESCITA, e sarà lento come apprendimento perché da un lato lei è giovane e inesperta e
deve imparare (Henry sarà molto importante in questo) e dall’altro lato sarà ostacolata dai Thorpe. Fondamentale come
visto è il piacere della lettura, destinato a una determinata classe sociale che può avere del tempo libero.
Qui la lettura assume un ruolo importante: parte della crscita di Cat sarà imparare a leggere il mondo oltre i libri, non
far confusione tra finzione e realtà (soprattutto quando entra a Northanger ricorda: pensa che il generale Tilney abbia
ucciso la moglie, oppure ricorda gli episodi del mobile con la carta, lista, cassa con il corredo, ecc.).

Catherine affronta una doppia crescita: distinguere tra realtà e immaginazione e separare tra bene e male (falsa amicizia
dall’autentica amicizia). LA SPARIZIONE DI HENRY: La trama fa sparire Henry Tilney, cosa che crea un’aura di mistero
attorno a lui anche se poi la sua sparizione e ritorno sono spiegati in normalissime ragioni realistiche: era arrivato per
cercare un luogo dove risiedere e poi torna con la sorella Eleanor e col padre, il generale. Questo consente di far
entrare in scena altri personaggi: la costruzione procede attraverso questa sorta di ANTAGONISMO che si crea
all’interno del romanzo e fa sì che lentamente Catherine possa elaborare dei meccanismi di scelta.
Si colloca in questo capitolo la prima difesa del romanzo (la collocazione è significativa: questa difesa del romanzo sta
prima che si avvii il dialogo vero e proprio sul romanzo). La lettura dei romanzi, che potrebbe sembrare una delle colpe
di Catherine perché non se ne stacca e rischia di far confusione tra romanzo e vita realtà, in realtà nel romanzo viene
difesa perché funge da ruolo educativo importante per il mondo femminile. Quindi si apre un momento forte di difesa e
rivendicazione del romanzo contro i detrattori della letteratura. Difesa che fa l’autrice stessa, che prende la parola, non
si nasconde dietro una maschera (il che rende il capitolo un unicum) Si tratta di una difesa che appartiene al genere
saggistico e per questo motivo trovarla in un romanzo stesso sorprende. Alcuni hanno ipotizzato che l’inserimento della
difesa all’interno del romanzo sia frutto di un’ingenuità giovanile perché non appare nei romanzi successivi. In realtà tale
l’idea non convince: la difesa del romanzo risulta ESTREMAMENTE CONNESSA ALLA STRUTTURA DEL ROMANZO E
STRATEGICAMENTE BEN COLLOCATA PRIMA DEI DIALOGHI CON ISABELLA. Poco prima della difesa del romanzo, la
voce narrante sta raccontando il rapido progredire dell’amicizia tra le due giovani donne, poi cita i romanzi che le due
leggono quando il tempo non permette di uscire: la lettura condivisa è uno dei piaceri di questo nuovo rapporto e
dopo aver scritto la parola romanzi, la voce narrante si ferma e a commento di questa parola (relativa all’importanza dei
romanzi e la loro lettura per questi personaggi). Austen ama il romanzo, così come il poeta ama la poesia, nonostante ai
suoi contemporanei esso apparisse come un genere sottovalutato, venendo trattato “ come cosa dappoco” (emerge il
tema dell’obiezione al romanzo ‘la signora Morland non approva i romanzi’). Così nell’opera l’autrice parla di romanzo
come un ‘pattume che invade la stampa’, i romanzieri fanno parte di ‘una classe oppressa’ e dice ‘nessun’altra opera
letteraria è stata tanto maltrattata’.

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Le parole scelte invocano un CAMPO DI BATTAGLIA: nel romanzo in lingua originale abbiamo: injured body, enemeis
foes) sembra quasi far riferimento ad un corpo militare, qualcuno che si schiera contro i romanzieri, osteggiandoli:
emerge la voce narrante dal tono ironico, quasi divertita, seppur agguerrita nello stesso tempo. Degradare, fare torto,
maltrattare, sono tutti termini che fanno emergere IL COMBATTIMENTO AL ROMANZO RISPETTO AL QUALE JANE
AUSTEN PRENDE POSIZIONE, proponendo il romanzo nel suo VALORE DEL PIACERE DELLA LETTURA.
Come primi responsabili la Austen individua i romanzieri stessi che si alleano ai loro nemici e non permettono ai
personaggi di essere cultori dei romanzi. Anzi gli altri romanzieri se fanno leggere le loro eroine nei romanzi devono
quasi scusarsi per questo ignobile passatempo. Quindi ciò che fa la Austen è fare dei suoi personaggi dei lettori e
cultori del genere romanzesco. Molti dei romanzi da lei ammirati non uscivano con etichetta di Novel, bensì molto
spesso quasi per nascondersi e per non attirare le critiche, venivano definiti Racconti morali per sottrarsi in qualche
modo a questa etichetta di romanzo che veniva vissuta così male all’epoca. “Siamo una classe oppressa”: costruisce
una contrapposizione non solo tra generi letterari ma anche tra uomini e donne. Catherine parlando con i Tinley dirà
che la storia dà noia perché non ci sono le donne; la storia è un’opera maschile non solo perché scritta dagli uomini ma
perché tranne che per poche eccezioni le donne non ne fanno parte. C’è un’antologia di frasi di coloro che disprezzano
i romanzi. I romanzi che menziona hanno titoli femminili e sono non a caso scritti da donne: i primi due sono di Funny
Burney, che Jane ammira; e l’altro è di Maria Edgeworth. Lentamente da qualcosa di osteggiato e ferito diviene la
migliore letteratura che adopera il ‘linguaggio migliore’.
FA DEL ROMANZO LUOGO MIGLIORE IN CUI IL LINGUAGGIO SI ESPLICA. Indubbiamente, la voce narrante ci guida
e identifica John Thorpe come NEGATIVO perché fa parte di questo esercito che critica il romanzo: i personaggi
emergono e possono essere identificati dai loro rapporti diversi coi libri, specialmente coi romanzi.

SESTO CAPITOLO:. Il capitolo sesto è tutto una conversazione tra Catherine e Isabella. Si nota sin dalle prime battute
la precisione linguistica della voce narrante contrapposta all’esagerazione del linguaggio di Isabella, caratterizzato da
superlativi che mascherano tanta falsità e indifferenza. La prima conversazione del capitolo è la prima delle tante in cui i
libri saranno protagonisti. I commenti della voce narrante sono pochi. “Sono ore e ore che ti aspetto’: linguaggio
ironico, superlativo ed esagerato, segno di manipolazione della realtà e dunque di falsità. Infatti prima dice che sono
ore e ore che aspetta, poi si contraddice e dice ‘mezz’ora. La conversazione passa da un argomento all’altro in modo
brusco: dall’angoscia per la pioggia si passa al cappellino, che è definito il ‘più incantevole’ quindi un superlativo che
dovrebbe distanziarlo da tutti gli altri ma poi c’è la similitudine perché dice che è molto simile a quello di Catherine.
Poi si passa al tema della lettura. Qui veniamo a sapere che le due nuove amiche hanno preso l’abitudine di leggere. Il
corso del romanzo ci mostrerà come, seppure sia stata Isabella ad avviare Catherine alla lettura, alle gioie e ai pericoli di
essa, Isabella si rivelerà una cattiva lettrice perché non legge veramente, li conosce solo per via indiretta al punto che la
vera lettrice si dimostrerà Catherine. Infatti Isabella parla di libri, dà giudizi, ma non li ha letti veramente, riporta solo il
giudizio degli altri e soprattutto della sua amica, la signora Andrews (che tanto per cambiare viene descritta in modo
contraddittorio). Anzi i suoi unici interessi reali sembrano rivolti agli uomini: dice che ci sono due ragazzi che la fissano e
la mettono in imbarazzo, ma dice una cosa e ne fa un’altra: vuole evitarli ma alla fine li insegue con Catherine complice.
La battuta di Catherine è sintomo di un contagio linguistico: c’è il rischio che Catherine cominci a parlare come Isabella
(‘per nulla al mondo, incantevole’: educazione al linguaggio ma Isabella è una falsa e cattiva maestra). L’incontro con
Henry ed Eleanor si rivela fondamentale: la loro educazione linguistica la salvano da Isabella, insieme al buonsenso che
la caratterizza che la rende priva di un’artificiosità di fondo (per questo è destinata ad essere eroina, per questo attrae lo
stesso Tinley). In questo Isabella rappresenta un’esagerazione degli stereotipi femminili, così come suo fratello diventa
esagerazione e caricatura degli stereotipi maschili.
Catherine ci viene presentata come un personaggio che si appassiona al genere del romanzo, penserà di poter vivere in
un romanzo e il suo errore sarà quello di trasformare la sua vita in un romanzo gotico. Possiamo individuatre tra piani tra
i quali Catherine dovrà imparare a muoversi: PIANO DELLA REALTA’ in cui Catherine deve capire come muoversi, NON
CONOSCE LE REGOLE e l’unico in grado di insegnarle queste regole sarà Henry; PIANO DELLA FALSITA’, incarnato da
Isabella e John Thorpe che modificano la realtà per un loro fine costruendo delle finzioni alterando i dati di realtà,
mentendo, travolgendo le regole e mettendo in pericolo la stessa crescita di Catherine, saranno un ostacolo; PIANO
DELLA FINZIONE LETTERARIA, romanzo nel romanzo e tema della lettura.

SETTIMO CAPITOLO. Sappiamo sin da subito che eroe ed eroina sono Tinley e Catherine ma disperatamente Isabella
cercherà di diventare lei stessa eroina, cercando anche un marito. È come se ci fosse un doppio romanzo: prima si
capisce che i due si sposeranno ma poi c’è un colpo di scena che vedremo in seguito. Nel capitolo sette entrano in
scena John Thorpe (fratello di Isabella) e James Morgan (fratello di Catherine). James è un fratello affettuoso nei

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confronti di Catherine e sarà un personaggio destinato ad essere vittima delle trame e macchinazioni dei Thorpe,
specie di Isabella, sarà destinato a soffrire, personaggio caratterizzato in modo diverso dalla sorella ma comunque affine
a lei. Si innamorerà di Isabella e mentre organizza il matrimonio scopre che Isabella filtra col fratello grande dei Tilney, il
capitano, e scriverà una lettera a Catherine mentre quest’ultima soggiorna all’Abbazia, spiegando la sua sofferenza e la
sua rottura irreparabile con Isabella. Isabella è condannata a restar sola non si accontenta del fidanzamento con James
Morland.La differenza tra i due personaggi maschili è data dal modo in cui ciascuno saluta la sorella: James si comporta
correttamente, saluta con affetto la sorella e solo in un secondo momento si presenta a Isabella. John fa tutto il
contrario. Anche l’incontro con la madre ci mostra la sua mancanza di propriety. La descrizione fisica e caratteriale
giunge dopo una prima scena che in realtà ci ha già detto tutto. Oltre alla mancanza di propriety, si mostra sin da subito
un personaggio che mente e soprattutto che falsifica la realtà. Lo si vede nella sua maniera di modificare la geografia
mentre il fratello di Catherine si mostra realistico tentando di riportarlo alla realtà. C’è un chiasmo vero e proprio tra
questi quattro personaggi. Fin dall’inizio la caratterizzazione di fondo è netta, il lettore non ha dubbi sulla natura ridicola
del personaggio di Thorpe. Nonostante Catherine si mostri intelligente per comprendere il personaggio non ha la forza
almeno all’inizio di reagire come vorrebbe, tuttavia lo riconosce sin da subito come figura negativa in grado di
manipolare la realtà a proprio piacimento (dimostra una volta di più di avere buonsenso, capacità di giudizio: qualità
che le permettono di crescere): ’quei modi non piacevano a Catherine’; ‘non mi piace davvero’.
le prime battute che rivolge a Catherine sono inerenti alla sua ricchezza, al suo calesse, alla virilità dei suoi cavalli. La
difficoltà provata da Catherine la porta a cambiare argomento di conversazione (in questo senso Austen mette in scena
i giochi di potere tra uomo e donna: John odia i romanzi, li disprezza, Catherine li adora ma non riesce a imporre il suo
punto di vista perché John è troppo sicuro delle proprie opinioni, è un ritratto caricaturale di quello che dovrebbe
essere un esponente maschile della società). Così riapre l’argomento sulla lettura e su Udolpho. Fa dire a Thorpe una
delle frasi che i romanzieri fanno dire alle eroine: “Udolpho? Oh, no davvero; non leggo mai romanzi; ho altro da fare”.
Thorpe è portavoce dell’odio verso la tradizione romanzesca; è lui a riprendere quello stereotipo per cui i romanzi sono
solo per un pubblico femminile. È interessante nel romanzo come Jane ci mostri la difficoltà di una donna a far valere
alcune scelte. Si pensi ad Elizabeth, eroina molto più matura: il suo primo gesto importante è quello di rifiutare Collins.
Tutte le scene con i Thorpe mostreranno una Catherine che vorrebbe rifiutare ma che non riesce a farlo perché subisce
la pressione di Isabella e del fratello, che ovviamente adulano John: è come se ci fosse un esercizio di potere intorno a
lei, da cui viene condizioanta. Infatti nella conclusione ci dice che da un lato Thorpe non le piace ma non vuole
contraddire il fratello, vorrebbe rifiutare l’invito al ballo ma teme al tempo stesso l’alternativa di restare da sola; non può
fingere che non sia entusiasta all’idea che sia stata invitata a un ballo con tanto anticipo. È con l’ironia che la Austen ci
mostra il comportamento sbagliato (viene definito ‘acuto e spassionato lettore di Camilla’). Dopo questa scena il
capitolo si chiude con una pausa di solitudine dedicata alla lettura (piacere della lettura raccontato senza alcuna ironia
dalla voce narrante).

OTTAVO CAPITOLO. Il capitolo otto si apre con un ballo (nei balli la società celebra se stessa) che si configura come
una tortura vera e propria per Catherine. Il ballo diventa una sorta di METAFORA DEL MATRIMONIO (Henry paragona il
ballo al matrimonio e al contratto sociale). Catherine arriva al ballo già impegnata con Thorpe tuttavia viene lasciata da
sola. In questo caso capisce di aver commesso un errore (uno dei temi caratterizzanti la prima parte: Cat deve imparare
a scegliere ciò che è meglio per sè, a non accontentarsi e quindi a rifiutare — già poco dopo lo fa, quando Thorpe le
chiede finalmente di ballare, alla fine del capitolo). Jane usa di nuovo la parola ‘vergogna’, che è effimera e passeggera
perché un altro sentimento la travolge a un certo punto, quando vede apparire Tinley. Catherine siede eretta
consapevole di sè: la Austen non ci dice chiaramente che sta crescendo ma ce lo mostra. Quando Tinley la invita a
ballare lei è imbarazzata e deve dire di no perché è già impegnata al ballo con Thorpe. Il capitolo è importante perché
appare per la prima volta Eleanor Tinley, sorella di Henry. Ne viene fatta una breve descrizione che ne mette in luce la
propriety e che è in contrasto con quella di Isabella. Il narratore dice che è dotata di un’autentica eleganza, di un viso
grazioso e modi gradevoli, non è nè troppo timida nè troppo espansiva (vs. l’esagerazione che caratterizza Isabella),
non ha bisogno di fare qualcosa per attirare l’attenzione degli uomini o di andare a un ballo per ricevere lusinghe.
Si rivelerà lei la vera amica di Catherine.
A un certo punto Catherine si trova sola con Thorpe ed è costretta ad ascoltare la vanità di lui; la Austen qui ci fornisce
un indizio della trama segreta che il lettore scopre solo più tardi e che muove il destino della protagonista, vale a dire il
tema del denaro. Catherine è figlia di un ecclesiastico, proviene da una famiglia benestante ma non ricchissima. Ci si
sofferma molto sulla ricchezza degli Allen: il signor Allen non ha figli e i Thorpe pensano che lui sia il padrino di Cat e
quindi si aspettano che sia lei ad ereditare la sua ricchezza. Il malinteso fa sì che si pensi che Catherine sia una ricca
ereditiera. Thorpe cerca di aumentare la sua ricchezza e unirla agli Allen; dinnanzi al generale Tinley, padre di Eleanor

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ed Henry, smentisce il tutto, la rende “povera” ai suoi occhi e Catherine viene cacciata brutalmente dall’Abbazia. John
smentisce tutto solo quando Catherine rifiuterà la sua mano.

NONO CAPITOLO. È capitolo di transizione. C’è una passeggiata a cui viene costretta Catherine che invece vorrebbe
approfondire la conoscenza dell’anti Isabella (Eleanor). In questa prima parte i suoi progetti vengono ostacolati dagli
altri personaggi, vorrebbe stare tranquilla a casa a leggere ed approfondire quella che è definita la sua nuova passione
e invece viene interrotta da John Thorpe che le ricorda un impegno che, in realtà, non avevano mai del tutto preso.
Quindi parte con Thorpe, Isabella e James. Ancora una volta le conversazioni con Thorpe riguardano le sue virtù, i suoi
cavalli e i suoi talenti. in tutti questi capitoli la Austen ci ha mostrato in qualche modo le conseguenze dell’assenza di
educazione ed istruzione di Catherine, che la portano ad assecondare ciò che succede intorno a lei: anche se il giudizio
su Thorpe è presto chiaro nella sua testa, preferisce affidarsi agli altri, in primis ad Isabella e a James, così come si affida
ai romanzi. Non è un caso che per questo romanzo la Austen abbia scelto un’eroina così giovane, proprio per mostrarne
la fragilità e per farci vedere i giochi di potere che avvengono intorno a lei.
L’unico nuovo tema di conversazione che Thorpe in questa passeggiata in calesse aggiunge alla sua solita tiritera, è il
denaro perché appunto le sue idee sul patrimonio della famiglia Morland o degli Allen condizionano tutta la vicenda. “Il
vecchio Allen è ricco come un ebreo” è ritornello che utilizza ogni volta che parla del denaro. Catherine non
comprende quello che vuole dire, la prende come una delle solite esagerazioni di Thorpe. Ancora una volta Cat è a
disagio, non comprende per esempio come Thorpe possa dire una cosa e poi assolutamente il contrario: la spaventa
dicendo che il calessino guidato da James è talmente malridotto che si potrebbe ribaltare, però quando lei si
preoccupa le dice di non preoccuparsi. Soltanto grazie ai Tilney il suo processo di apprendimento comincerà ad essere
molto più rapido.
L’odio per Thorpe si insinua lentamente nell’animo di Catherine ma diventa sempre più effettivo tanto che in questo
capitolo dice che, nonostante non fosse abituata a esprimere giudizi personali, ammette che Thorpe non sia del tutto
gradevole (ma il suo è un giudizion ‘audace’ dato che tutti intorno a lei lo adulano ed è fratello di Isabella e amico di
James). Al ritorno a casa ritrova la signora Allen e scopre che ha incontrato i Tilney, riceve informazioni confuse, la Allen
non ricorda altro che i vestiti e quindi non può dirle molto della famiglia Tilney se non che sono ricchi e che la madre è
morta. Il capitolo si conclude con il rimpianto di essere stata costretta a fare quella gita in calesse, seguito nuovamente
da un giudizio che appare più netto e chiaro del primo: definisce John ‘sgradevole’ a tutti gli effetti, parla addirittura di
‘sventura’ in riferimento al giro in calesse.

DECIMO CAPITOLO. La Austen adopera una struttura alternata, i Thorpe da un lato e i Tilney dall’altro per complicare
la vicenda e mostrarci in qualche modo le trame parallele: il matrimonio che andrà a buon fine da un lato e gli incontri,
invece, che non porteranno da nessuna parte, dall’altro. Ci troviamo di nuovo a un ballo, vale a dire nuova occasione di
conversazione (questa volta vera) tra Catherine e Tinley in cui utilizza l’analogia danza-matrimonio già citata prima.
Come di consueto accade in ogni ballo, c’è un momento in cui Cat rimane da sola. La svolta si ha quando incontra la
signorina Eleanor. Finalmente arriviamo alla sera del giovedì che è la sera del ballo e prima ancora che la scena cominci
la Austen ci mostra Catherine che ragiona su sé stessa paragonando la felicità con cui l’altra volta era arrivata al ballo
essendo sicura di avere un cavaliere e ora invece è consapevole che è ansiosa di non vedere Thorpe, teme che lui
possa reiterare l’invito quando il suo desiderio è ballare con Tilney. John Thorpe non l’ha ancora invitata anche perché
la sua presunzione dà per scontato che non ci sia bisogno, ma per fortuna di Catherine appare Tilney in persona e la
invita a ballare, proprio in quel momento si fa avanti Thorpe con grande scorrettezza nei confronti di Catherine e di
Tilney.
L’incontro permette di mettere in luce il garbo di Tinley in opposizione alla sfacciataggine e maleducazione proprie di
Thorpe. Quest’ultimo vorrebbe sapere con chi Catherine sta ballando, così si presenta a Tinley ma non si mostra più di
tanto interessato al fatto che lei stia ballando con un altro cavaliere: si preoccupa di più di vendere un cavallo a Tinley
per conto del suo amico Sam Fletcher. Ma Catherine e Tinley riescono presto a liberarsi della sua presenza ingombrante
e possono finalmente avviare la loro conversazione. Si tratta di un dialogo che ha l’obiettivo di far pensare Catherine,
farla cioè ragionare con la propria testa. All’inzio però non comprende, per esempio non riesce a capire come due cose
così diverse come il matrimonio e il ballo possano avere qualcosa in comune. Per esempio Tinley sostiene che la danza
sia l’emblema del matrimonio, parla della danza come un contratto di reciproca piacevolezza per la durata di una sera.
Ma Catherine dice che coloro che si sposano non devono mai separarsi, vivono nella stessa casa, chi invece si impegna
in un ballo sta insieme solo per una mezz’ora. Ma Tinley vede la somiglianza perché una volta entrati in quell’impegno,
una volta cioè aver firmato il contratto, appartengono esclusivamente l’uno all’altra fino alla fine del contratto. Tuttavia
in ogni caso, dopo molteplici spiegazioni, Catherine comunque non riesce a capire. Anche con le domande fa una sorta

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d’insegnamento socratico, vuole tirar fuori da Catherine una comprensione diversa. Tinley arriva a farsi dire da Cat che
non avrebbe preferito danzare con nessun altro se non con lui (si capisce in modo netto che preferisca Tinley a Thorpe)
La loro conversazione continua attraverso i luoghi comuni della mondanità di Bath; tuttavia Tilney è sempre attento a
correggere e a rettificare il linguaggio di Catherine. È divertito, la prende leggermente in giro ma si sofferma sulle sue
parole. Alla fine della conversazione Tinley le rivela qual è – non direttamente – il fascino di Catherine: avere sentimenti
freschi e autentici: è questo che fa la differenza rispetto ad Isabella, che è tutta finzione; è questo che attira Tinley che in
qualche modo provvede a far sì che a questi sentimenti freschi e autentici si aggiunga la capacità di pensiero per mezzo
della riflessione. La scena si chiude con l’apparizione del generale che ha un ruolo importante nella seconda parte del
romanzo. La serata si conclude con l’impegno a compiere una passeggiata con Tinley ed Eleanor perché Tilney è molto
appropriato, non invita solo Catherine ma si fa accompagnare dalla sorella. Dunque si lasciano dandosi appuntamento
all’indomani e il capitolo si conclude, ancora una volta, mettendo a confronto Eleanor e Isabella, le due amiche. Si nota
l’ironia della voce narrante: è quasi un caso di quel discorso indiretto libero in cui da un lato abbiamo le parole di
Catherine, è lei che pensa che Isabella sia la più antica, più salda amica, però l’annotazione ironica della voce narrante
ci dice che questa antica amicizia risale in realtà a sole due settimane.
Isabella l’ha completamente abbandonata, impegnata a flirtare con James, ancora una volta è interessante questo finale
perché si mescolano varie tecniche utilizzate dalla voce narrante, abbiamo visto l’ironia e l’intreccio tra voce narrante e
quella della protagonista, poi c’è la metafora della danza: ‘i sentimenti danzavano in lei come lei danzò nella portantina
lungo tutto il percorso sino a casa’. Ripete due volte ‘ballò’; ciò non può non creare una sorta di cortocircuito con l’idea
della danza e del matrimonio che ha espresso Tinley al centro del capitolo.

UNDICESIMO CAPITOLO. Cat viene sequestrata: James, Isabella e John le impediscono di tener fede all’impegno che
aveva preso con Tinley, lo fanno utilizzando la menzogna e Cat non riesce a reagire. Il capitolo si apre nell’ansiosa attesa
di Catherine perché la gita era stata prevista in caso di non pioggia. Tuttavia sta piovendo e Cat è molto agitata.
Un indizio di come lei cominci a confondere realtà e finzione è relativo a un riferimento al tempo: ‘Oh, se avessimo qui il
tempo che avevano a Udolpho, o quanto meno in Toscana e nel sud della Francia’. Il secondo impedimento è dato dai
Thorpe, che le prospettano come meta ultima un luogo (che corrisponde a una finzione) in cui in realtà non arriveranno
mai perché troppo lontano, vale a dire il castello di Blaize, cioè il più vecchio di tutto il paese (in realtà è una finzione
perché il castello di cui parla è molto moderno). Il solo fatto di nominare il castello accende in lei il desiderio di vivere
un’avventura in stile romanzo gotico perché il castello appare simile a quello che legge nei romanzi gotici: con torri e
lunghe gallerie. Allora sorge una lotta interna in Cat, divisa tra due passioni e desideri: da un lato Tinley, dall’altro la
lettura. Ma dato che non cede, Thorpe mette in atto una nuova e definitiva finzione: dice di aver visto Tinley
Andare verso Lansdown Road accompagnato da una ragazza dall’aria elegante. Alla fine cede ma si sente offesa da ciò
che le dice Thorpe su Tilney perché crede che non abbia rispettato l’impegno preso con lei quando in realtà è lei a non
rispettare l’appuntamento. Nonostante questi sentimenti contrastanti, la gioia di esplorare un edificio simile a Udolpho
è tale da poterla ripagare quasi del tutto. Durante il tragitto però Cat intravede Eleanor e Tinley e capisce che Thorpe le
ha mentito, gli chiede di fermare la carrozza tuttavia non viene ascoltata. E così da un lato si arrende alla possibilità di
raggiungerli ma dall’altro rimprovera Thorpe per averle mentito. Si insiste ancora sulla fantasia: ‘Blaize Castle rimaneva il
suo solo conforto’. Altro tema che si intreccia con le trame matrimoniali e le finzioni è il il denaro: come abbiamo visto,
la finzione principale di cui sarà vittima Cath è quella della loro ipoteticha ricchezza. Ancora una volta Thorpe lamenta la
cattiva qualità del calesse noleggiato da James e Catherine ancora una volta nella sua risposta guarda al buonsenso: il
fratello non potrebbe permettersi un calessino e un cavallo tutto suo perché non ha abbastanza denaro. C’è l’idea (che
Catherine però non si sforza di comprendere) secondo cui la gente che nuota nell’oro non può permettersi certe cose,
allora chi può? (Ma la finzione è questa: James non naviga nell’oro). La gita si interrompe: la meta è troppo lontana; e il
capitolo si conclude lasciando spazio a una notte di riposo. È una chiusura ironica della voce narrante che riprende una
tradizione del romanzo sentimentale: ‘e ora posso abbandonare la mia eroina a una notte senza riposo, destino di ogni
eroina; e un guanciale irto di spine e bagnato di lacrime’.

DODICESIMO CAPITOLO. Cat vuole recarsi da Tinley per chiedergli scusa così si precipita da lui il mattino dopo. Se il
maggiordomo le comunica dapprima che la signorina Elenoir è in casa, in un secondo momento non lo è più: non l’ha
voluta vedere. Quindi Cat è mortificata, umiliata e desolata al punto che quasi decide di non andare più a teatro con gli
altri. Va a teatro e alla fine del capitolo c’è un ribaltamento: si ripropone l’idea della passeggiata insieme. L’incontro a
teatro non promette bene inizialmente: Tinley si inchina solo, non le fa alcun cenno di saluto, il che rende Cat sovrastata
da sentimenti naturali. Ella infatti non incarna ruoli da eroina del romanzo sentimentale; tale naturalezza è uno dei suoi
punti di forza infatti più avanti, quando per rimediare a un ulteriore torto fattole da Thorpe quando, nonostante il rifiuto
netto di questa volta, si mette in mezzo con una nuova finzione dicendo a Elenoir che Cat ha un impegno e quindi non

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può stare con loro. Racconta a Tinley di aver implorato Thorpe di fermarsi affinchè potesse raggiungerlo. Vuole essere
certa che Elenoir non ce l’abbia con lei, dato il comportamento che ha avuto nei suoi confronti. Allora Tinley le da una
spiegazione: sarebbe stato il padre a costringere Elenoir a mentire e a dire di non stare in casa: è un indizio della natura
patriarcale e autoritaria del generale Tinley (che esercita sulla stessa Cat). Il generale si incrocia dopo perché si trova nel
palco. Questa è l’unica trama che Jane tiene un po’ segreta anche rispetto al lettore: ci mostra dei momenti ma siamo
in grado di ricostruirne il senso solo in un secondo momento. Infatti sul palco del generale Tinley arriva Thorpe, i due
parlano e guardano Cat, che si rende conto che i due parlino di lei; è stupita del fatto che si conoscano e si chiede cosa
si stiano dicendo; quando Cat chiede spiegazioni a Thorpe lui le mente: dice che il generale le ha fatto dei complimenti
per la sua straordinaria bellezza ma in realtà è in questa occasione che viene messo in scena l’equivoco. Che poi Cat ha
una condizione modesta, non è nè ricca nè povera, ma John si intromette sempre. Il generale ci viene presentato da
Thorpe come ‘un bel vecchio, forte e attivo’; dice di averci giocato una volta nella sala da biliardo del Caffe Bedford, lo
definisce un uomo a modo ‘ricco come Creso’. Nel capitolo successivo emergono nuovi tratti di lui: accompagna alla
porta Cat e riempiendola di frasi garbate e galanti, la invita a restare a cena, le fa un inchino (il più garbato che mai lei
avesse visto).

TREDICESIMO CAPITOLO. I tre hanno organizzato un’altra gita ma questa volta è decisa a non lasciarsi convincere.
Quella del rifiuto è una battaglia che Catherine deve combattere assediata da tutti gli altri personaggi della sua cerchia
più stretta per difendere le proprie ragioni e riuscire ad esercitare il suo diritto di rifiuto. Ogni volta ritorna il termine
rifiuto. Isabella usa tutti gli argomenti con i suoi superlativi: il tradimento dell’amicizia, la gelosia rispetto ad Eleanor,
amica più recente. Catherine riflette: per la prima volta James si schiera contro di lei, accanto a Isabella. Il fratello le
dice che un tempo non era tanto difficile da convincere (‘una volta eravate la più cara delle mie sorelle, la più dolce’) ma
Catherine non si lascia convincere e fa valere le sue idee (sinonimo della sua crescita), tant’è che dice: ‘faccio quello che
credo giusto’ (dimostra di avere capacità di giudizio e una testa pensante). Il tentativo di convincimento continua per
molte pagine, finché Thorpe fa una cosa ancora più sgarbata: prende il posto di Catherine, va a parlare con Eleanor e
cancella a nome di Catherine l’impegno. Cercano di fermarla anche fisicamente: Isabella le prende la mano, James è
totalmente in collera. Però Cat non sembra cedere anzi vuole recarsi subito presso i Tinley per dar loro una spiegazione.
Catherine si comporta in modo formalmente scorretto perché presa dalla forza della sua emozione e ribellione si
presenta correndo senza aspettare di essere ricevuta a casa Tilney ma questa sua mossa è vista in maniera positiva
perché mostra la naturalezza e la bontà del suo animo, tant’è che il generale Tinley dà la colpa al servitore che non è
stato abbastanza puntuale nell’aprire le porte della sala in cui sta con i suoi due figli (infatti queste sono aperte dalla
stessa Cat). Quindi il generale si mostra molto gentile nei suoi confronti (noi sappiamo che lo fa perché gli è stato detto
che è molto ricca) ma invece il crescente interesse vedrà una spiegazione in tutt’altra causa.

QUATTORDICESIMO CAPITOLO. Il capitolo si svolge a Beechen Cliff. È un capitolo cruciale perché si arriva finalmente
alla passeggiata di Tinley e Catherine. C’è una conversazione complessa che tocca vari argomenti tra cui i libri.
Il capitolo inizia con un nuovo segno della confusione: Catherine è tra realtà e finzione. La prima lezione che Catherine
deve imparare è quella di guardarsi intorno senza sovrapporvi ciò che ha letto nei libri (la apprenderà soltanto nella
seconda parte). Jane anticipa alcuni segni di questa confusione, infatti Catherine esordisce con questa frase: ‘non la
guardo mai senza pensare al sud della Francia’, sintomo del fatto che sta pensando a qualcosa che ha letto. La Radclif
pur ambientando in Francia e in Italia le sue opere, in realtà non c’è mai stata. Catherine riprennde il luogo comune del
dibattito sul romanzo: l’idea che sia una letteratura femminile disdegnata dagli uomini. Anche Tinley difende il romanzo
riprendendo alcuni concetti della voce narrante e costruendo così un legame con essa (anche se le due posizioni non
coincidono del tutto, ma anzi verrà fuori la complessità del personaggio di Henry). Tuttavia è una difesa più importante
perché fatta da un personaggio maschile. Assomiglia per questo motivo a un alter ego della voce narrante, e non solo:
si contraddistingue per la precisione linguistica e per la proprietà di linguaggio; insegna a Catherine a scegliere sempre
la parola giusta in base alla sfumatura di significato, facendoquasi una lezione di desinonimizzazione. Si tratta di affinità,
non di identità vera e propria tra voce narrante e Tinley. Infatti anche questo ‘perfetto maestro’ sicuro di sè ha bisogno
di imparare (anche attraverso la figura di Catherine e all’episodio con il generale) e in modo particolare di correggere
alcune sue durezze nei confronti delle donne. Il processo educativo di Tinley procede spesso per domande; cerca di
farla ragionare e condurla allo sviluppo di un giudizio critico personale. Spesso è ironico, quasi sarcastico ed è questo
un aspetto che viene smussato dalla sorella. Tinley sostiene che chiunque (sia gentiluomini che gentildonne) non legga i
romanzi non sia degno di intelligenza (rovesciamento rispetto al punto di vista di Thorpe); l’intervento dimostra la
proprietà di linguaggio (che si contrappone all’esagerazione del linguaggio di Isabella) e la capacità di giudizio (‘quasi
tutti con grande piacere’). La garbata ironia di Eleanor, insieme al suo aspetto femminile, ci dà qualcosa che appartiene
alla voce narrante. Quindi la simpatia della voce narrante appare divisa tra i due personaggi.

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Altro argomento di cui parlano è l’educazione: la stessa conversazione diventa occasione di un momento di educazione.
Il processo di corteggiamento di Henry è allo stesso tempo un processo di educazione. Il capitolo è metaletterario
perché durante il processo educativo si nota un’ispirazione a un genere letterario che fa parte della poesia topografica:
il genere della prospect view “vista prospettica” che incrocia natura e politica, natura e storia. Per cui la conversazione
stessa passa dalla natura alla storia stessa, riprendendo alcune convenzioni del genere letterario stesso.In esso si ritrova
ciò che si pensava non ci fosse nell’opera della Austen, vale a dire la storia. La storia letteraria è trattata in modo
prepotente (pure per la presenza del generale Tinley), al punto che si è detto che il romanzo, anche per il periodo in cui
è stato composto, è il romanzo più politico, in cui la storia entra nella finzione più prepotentemente.
L’educazione ora procede concentrandosi sul linguaggio. Innanzitutto Tinley obietta sull’uso della parola ‘straordinario’
e si pone su un gradino superiore rispetto a Catherine: studiava a Oxford quando lei ancora imparava a camminare.
Catherine viene corretta in ogni sua battuta, per esempio l’uso del termine ‘grazioso’ è da sostituirsi con ‘elegante’.
Ancora una volta Elenoir tenta di smussare l’ironia tagliente e la prepotenza di Henry, difendendo Cat e invitandola a
usare ogni parola che più ritiene opportuna al discorso; chiede a Catherine di allontanarsi con lei e definisce il libro
‘interessante’. Dopodichè la conversazione sui libri prende un’altra piega per cui dalla lettura dei romanzi si passa alla
lettura della storia, che a differenza di quella del romanzo è una lettura propriamente maschile. Eleanor si scopre essere
un’appassionata lettrice di storia al contrario di Catherine. Questa è una mancanza ma anche l’occasione per mettere in
atto un’altra distinzione uomo-donna. Catherine rimprovera la storia per essere insieme un miscuglio di realtà e finzione,
segno di come la voce narrante disperda i suoi punti di vista tra i personaggi; l’altra obiezione di Catherine è l’assenza
di donne nella storia. La storia è scritta dagli uomini e ha raramente protagoniste femminili. La mancanza di educazione
di Catherine proviene proprio dalla sua condizione di donna. Eleanor porta avanti una difesa della storia al punto che
c’è un inversione dei ruoli: Tinley parla del piacere di leggere i romanzi, quindi della finzione, mentre Eleanor parla del
piacere di leggere la storia. Catherine parla dei libri storici come un ‘tormento per bambine e bambini’, un qualcosa
cioè che nessuno leggerebbe spontaneamente. Henry corregge ancora una volta Catherine: forse dovrebbe utilizzare il
termine ‘istruire’ anzichè ‘tormentare’. Ma Cat spiega la scelta del termine ‘tormentare’ come sinonimo di ‘istruire’ con il
riferimento alle fatiche quotidiane della madre che tenta di insegnare ai propri figli prima l’alfabeto, poi a parlare ecc.
Il successivo argomento della conversazione prevede l’analisi del paesaggio, del pittoresco. Nella conversazione sulla
natura si sottolinea il fatto che Catherine non sappia le cose: ‘non sapeva nulla di disegno’, ‘nulla di gusto’, ‘il poco che
poteva capire le appariva in contraddizione con quello che sapeva dell’argomento’. A questa ignoranza si accosta la sua
vergogna. La frase di Tinley fa scattare la conversazione in una nuova direzione; accanto alla frase si segnala l’inizio di
un nuovo cammino: passando da un frammento di roccia alle foreste, alla recinzione, alle terre non coltivate, alle terre
demaniali e al governo. La parola chiave è ‘recinzione’: recinzione delle terre pubbliche che favorisce il capitalismo e la
rivoluzione agraria, spodestando i piccoli coltivatori e coloro che usavano le terre comuni spingendoli verso la città e
l’industria nascente. È un processo che va avanti per molto tempo in Inghilterra; dal ‘700 in poi si susseguono leggi che
obbligano a recintare le terre. A conclusione di questo passo c’è silenzio; il silenzio viene interrotto da Cathe che fa un
riferimento all’attualità politica. C’è anche un riferimento a fatti veramente accaduti: la storia entra in modo prepotente
nel romanzo. Il riferimento ai disordini e sommosse sociali è importante per comprendere ciò che accadrà nella seconda
parte. Quando nella seconda parte Cat arriva all’abbazia si rende conto che non si tratta di un’abbazia gotica e che
questa è stata soggetta a un improvement materiale che però non corrisponde a un altrettanto improvement di tipo
morae. La voce narrante definisce questa conversazione come una breve disquisizione sulle condizioni del paese. C’è
l’equivoco che nel romanzo in lingua originale appare più evidente. La Austen usa il verbo come out che ha un duplice
significato ‘apparire’ (persona che appare) e ‘accadere’ (evento che accade); in italiano l’equivoco si capisce di meno
perché la parola ‘apparire’ non può essere utilizzata nel senso di ‘accadere’. Il fatto che Eleanor interpreti male le parole
di Catherine non è dovuto alla sua fantasia; ella pensa alle sommosse perché il periodo in cui vive si caratterizza proprio
dalle sommosse; Catherine si riferisce alla pubblicazione di un nuovo romanzo gotico che attende con ansia da lettrice
accanita. Usa un linguaggio per cui è legittimo che Elenoir possa interpretare le sue parole diversamente: non pensa
alla letteratura ma fraintende, immagina una nuova sommossa e si augura che venga arrestata ancor prima che cominci.
Henry con una certa presunzione maschile, che sempre lo accompagna nel romanzo (solo alla fine dovrà modificare
quest’orgoglio che lo caratterizza) con cui esercita il ruolo di corteggiatore e mentore di Cathe, cerca di chiarire alle due
amiche l’equivoco assumendo un tono sicuro di sè e a tratti duro (‘ogni creatura dotata di raziocinio’).
La sua è una descrizione puntuale; fornisce addirittura una presentazione della sommossa (‘una folla di tremila uomini
che si riuniva in St George’s Fields’ ecc.); viene anche nominato l’eroico generale Frederick Tinley, il padre dei Tinley.
Questa breve descrizione che Tinley dà del tumulto richiama molto da vicino ciò che successe nel 1780, quando una
protesta di carattere religioso si trasformò in tumulti sociali delle classe meno abbienti differenti: furono bruciate le case
dei maggiori possidenti inglesi, la banca d’Inghilterra venne assalita per due volte (come Henry ci dice).

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Quindi al di fuori della recinzione e del giardino (corrispondente alla finzione del romanzo) ci sono molteplici disordini e
la Austen in questo capitolo si dimostra consapevole di tutto questo. La funzione di questo scambio è duplice: ricordare
ai lettori dei fatti realmente accaduti, e inserire una complessità della voce narrante piuttosto che dei personaggi. Tutto
ciò nel tono dell’ironia e della piacevolezza che queste conversazioni hanno: il capitolo si conclude con il piacere di Cat
nella compagnia dei fratelli Tinley che stanno acquisendo sempre più importanza nella sua vita.
Ed è qui che sotto traccia si rivela il modello dell’intero capitolo: quello del prospect view, una poesia cioè topografica.
Si tratta di un genere che sorge in Inghilterra a metà del XVII sec. La prima opera è la Collina di Cooper, risale alla metà
del ‘600; ma il genere diventa molto noto e popolare soprattutto nel ‘700. La peculiarità del genere è la stessa della
struttura del capitolo: una descrizione paesaggistica che passa dalla natura alla storia. Originariamente era una poesia
che celebrava il compromesso ed equilibrio raggiunto dall’Inghilterra e legava il patriottismo (patriottism) con altre tre
parole anch’esse comincianti con P: pace, ricchezza (=plenty, abbondanza dei raccolti e dei prodotti) e property. Questo
genere nel corso dei secoli muta la propria trama in base ai cambiamenti storici. Così la trama non è più idilliaca. The
Travel (=Il viaggiatore) illustra la minaccia dell’unità politica e sociale dell’Inghilterra pastorale che precedentemente era
stata celebrata dal genere. Il quattordicesimo capitolo è importante: segna il culmine della prima parte con una serie di
conversazioni di cui si nota la ricchezza: sono conversazioni a più livelli, in cui, nonostante l’eleganza del tono e l’ironia,
non tutto è semplice come in superficie appare.

QUINDICESIMO CAPITOLO. È il capitolo del fidanzamento di Isabella e Morland. L’interesse di Isabella per Morland è
mosso dal denaro; afferma di aver provato per lui amore a prima vista (come se fosse l’eroina del romanzo sentimentale)
lo ritiene l’uomo più bello del mondo (con i suoi soliti superlativi) e ciò lascia interdetta addirittura Catherine. Infatti dice
qualcosa di esagerato di cui la stessa Catherine, nonostante la sua ingenuità, dubita: fa un complimento rinnegando la
sua stessa famiglia e il narratore ci dice che tale affermazione è una vetta di amicizia di cui Cat non si sente capace.
Isabella non ha una dote tanto grande da renderla appetibile sul mercato matrimoniale, ciò che le interessa più di tutto
è sapere quanto il promesso sposo avrà a disposizione dal padre, scoprendo con suo disappunto che è molto meno di
quanto si aspettava. Il suo fidanzamento con Morland è legato all’interesse economico che fa emergere il lato negativo
della sua persona: appare come un personaggio quasi tragico di cui ci viene mostrato il destino duro e triste di chi non
ha una rendita e deve assolutamente trovare marito. Questa preoccupazione viene fuori anche dalla madre della stessa
Isabella. Teme il consenso dei genitori di James, che arriva anche se la felicità è breve: arriva la lettera che annuncia il
consenso ma solo in seguito giunge la notizia del concreto lato finanziario: cambia tutto per Isa, che tenta di rimettere
in gioco le sue possibilità matrimoniali tentanto di acchialappiarsi il fratello di Tinley (simbolo di una gioventù sempre in
movimento) ma il romanzo la lascerà senza marito. Alla fine del capitolo il lettore comprende qualcosa che Catherine
però non riesce a comprendere: John e Isabella, convinti di una rendita che però non esiste, vorrebbero realizzare un
doppio matrimonio (‘a un matrimonio segue un altro matrimonio’).
Con il capitolo quindicesimo si chiude il primo volume del romanzo.

SEDICESIMO CAPITOLO. Si apre con un pranzo dai Tinley. Henry ed Eleanoir sembrano diversi da quelli che Cat aveva
conosciuto e la protagonista non coglie un dettaglio che invece il lettore anticipatamente riesce a cogliere: la causa del
cambiamento è la presenza del generale. Cat intuisce il cambiamento di Henry ma non crede che sia colpa del generale
Tinley, visto un uomo gradevole e di buon carattere, un ineccepibile gentiluomo. Il generale infatti dovrebbe incarnare
il gentiluomo, figura che unisce property e propriety, latifondo e buone maniere, nonchè i pilastri del mondo che viene
descritto. Ma invece non sarà nulla di tutto ciò. C’è un altro ballo tra Cathe e Tinley, con conseguente conversazione e
occasione di insegnamento per Cat: Isabella dichiara di non voler danzare poichè non c’è il suo sposo, mentre il fratello
di Tinley vorrebbe danzare con lei. Allora dice di no in un primo momento ma quello dopo si contraddice e danza con
lui creando confusione nella testa di Cat. Cat è interdetta, non capisce ciò che succede intorno. Si mette in atto il ‘buon
insegnamento’: ’buono’ perché Tinley non le dà le risposte che si aspetta ma le indica il modo in cui deve ragionare e le
domande giuste da porsi: la invita a una maggiore osservazione della realtà e a maggior tatto. La conversazione è come
sempre ironica perché Cat continua a dire di non capire Henry, invece lui la capisce ‘a meraviglia’: emerge nuovamente
l’idea dell’uomo che capisce le donne e spiega a Cat se stessa. Cat deve capire da sola cosa c’è dietro la natura non
sincera della sua amica Isabella, anche se ci vorrà tempo affinchè possa comprendere questa natura. Nella seconda
parte del capitolo giunge una seconda lettera con i dettagli finanziari: si parla di una parrocchia la cui rendita è di circa
400 sterline l’anno dovrà essere affidata al fratello Morland non appena raggiungerà l’età per assumerne l’incarico; gli
viene anche asicurata una proprietà dello stesso o di maggior valore. Si tratta di una decisione della famiglia Morland
che la voce narrante afferma essere molto generosa per il tipo di famiglia che ha dieci figli, una decisione che comporta
notevoli sforzi ma che prevede il ritardo di due anni e mezzo prima delle nozze per poter sistemare la rendita. Isabella e
la madre però vivono il tutto come una delusione, emerge infatti il tono risentito delle due nel commentare il tutto.

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L’offesa che ascolta Catherine, che non vede come riconosciuti gli sforzi e la generosità della sua famiglia, non riesce
però a farla distaccare da Isabella. Ci saranno altre prove di non sincerità del personaggio a convincerla di non voler più
avere a che fare con lei. Come abbiamo visto, il denaro rappresenta il motore di tutta la seconda parte del capitolo e
infatti la scena si conclude con l’ennesima bugia di Isabella a Catherine, che finge di credere che il dispiacere della sua
amica dipenda unicamente dal rinvio del matrimonio (e non dal lato propriamente economico), ma Cat resta interdetta
perchè ‘per un attimo l’aveva trovata diversa’.

DICIASSETTESIMO CAPITOLO. Il capitolo contiene la scena dell’invito a Northanger. Per Catherine sembra il
momento in cui le due passioni della sua vita possono riunirsi: passare del tempo con i Tinley e vivere in un’abbazia. È
proprio il generale a invitare Catherine a Northanger Abbey: la cacciata della protagonista sarà ancor più verognosa
dato che è stato lui stesso a invitarla. L’amicizia tra Cat-Eleonoir, Cat-Isabella nel frattempo continuano; la rottura
definitiva tra la seconda coppia si ha solo dopo la partenza verso l’abbazia. Cath comincia a fantasticare sull’abazia;
spera di esplorare torrioni e chiostri, sogna di percorrere le orme delle eroine del romanzo gotico; però tutto ciò sfocerà
nella delusione e nel risveglio alla realtà. Si stupisce che i Tinley non diano importanza al fatto di vivere in una dimora
così bella (forse ne hanno fatto l’abitudine). In realtà scoprirà che l’abbazia è una casa terribile che non ha nulla a che
fare con l’atmosfera gotica che sogna di trovarvi. Nel raccontarci l’esperienza di Catherine all’abbazia e tutto il gioco di
sovrapposizione tra realtà e immaginazione la voce narrante ci porta vicino a Catherine; la Austen utilizza il DISCORSO
INDIRETTO LIBERO, una delle grandi tecniche di Jane Austen che poi sarà perfezionata da Henry James. La Austen lo
fa con le convenzioni del tempo, indiretto perché senza virgolette, ma alla sua epoca non era così

DICIOTTESIMO CAPITOLO. Strana comunicazione che lascia interdetta Catherine relativa alle intenzioni matrimoniali di
Thorpe, che giungonoo attraverso Isabella. Thorpe è convinto di essere stato accettato. Cat si difende, proclama la sua
assoluta estraneità a tutta questa situazione. Il discorso poi si sposta: da amica pensa che possa aver ferito con il suo
reiterato rifiuto Isabella, che invece mostra di non dare alcuna importanza alla vicenda. È in questo momento che Isa si
fa portavoce dell’idea di gioventà come mobilità: Isabella sta parlando di sè perché si capisce che ha deciso di trovare
di meglio. Giustifica l’innocente e amoreggiamento perché sostiene che queste cose sono permesse alla gioventù. Essa
ha il diritto di cambiare idea, fare una cosa e farne un’altra il giorno dopo. In questo discorso ritornano le parole chiave
legate al concetto di gioventù: felicità, mutevolezza, incostanza. Dice che non bisogna avere fretta ma in realtà quella
che ha fretta è Isabella, che cerca di fare un matrimonio veloce (pensa una cosa e ne fa un’altra).

SECONDA PARTE

Il titolo del romanzo ha cominciato a risuonare nella mente di Catherine quando ha ricevuto l’invito.
Ora può intraprendere con gioia (e al tempo stesso timore) di intraprendere il secondo tempo del suo viaggio, in cui
sembra poter allacciare insieme le sue due passioni: Henry e il romanzo gotico. Catherine può finalmente esaudire il
suo desiderio di visitare un’abbazia gotica, ma anche questo viaggio (come il primo) più che piacere porterà
apprensione e una serie di sorprese. L’apprensione è all’inizio legata al generale Tinley, un personaggio secondario
nella prima parte ma centrale e importantissimo nella seconda. È stato secondario perché non è stato sempre presente;
invece quando è stato presente la voce narrante ha sottolineato una certa contraddizione in lui, un evidente interesse e
un’attenzione per Catherine, e di cui ancora non si conoscono le ragioni. Questo interesse lo porta a formulare l’invito
alla protagonista a Northanger. Dall’altro lato è un uomo autoritario, impone la sua legge ai suoi figli; con il suo
comportamento induce Elenoir a mentire, offusca i figli, tutto quanto diviene più cupo in sua presenza. Questi
presentimenti si avverano e si confermano nella seconda parte del romanzo, sezione che si è letta come una semplice
‘parodia del gotico’: Catherine giunge a Northanger e la sua prima esperienza sarà quella di rivivere gesti e azioni di
un’eroina gotica, confondendo all’apparenza finzione e realtà. Le cose però sono complicate perché, da un lato questo
arrivo all’abbazia è in qualche modo condizionato dal racconto che fa Tinley, che si prende gioco di lei, si diverte cioè
ad aizzare l’immaginazione della protagonista, continuando il gioco tra educazione e potere in cui è stato impegnato
nel corso del suo corteggiamento.
Nonostante la Austen sia un’appassionata lettrice dei romanzi gotici, vorrebbe scrivere qualcosa di diverso. Il romanzo
non si limita a questa semplice parodia perché la seconda sezione è profondamente stratificata: da un lato si scontra il
desiderio di Catherine del romanzesco, che si appiglia a un desiderio di antichità, di stile gotico e di tutto ciò che ha
imparato ad amare attraverso i libri; dall’altro lato però c’è la realtà dell’abbazia, che sin da subito la sorprende per la
non aderenza alle sue aspettative. Una delle antitesi principali di questa parte è la contrapposizione tra il desiderio di
antico e di moderno: il desiderio di Catherine di ritrovare le antiche pietre, le anitche mura e finestra, e la scoperta che
invece ciò che caratterizza l’abbazia è un’estrema modernità.

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In apparenza questa seconda parte è la più metaletteraria perché le fantasia fiabesche di Cath sono molto presenti, ma
al tempo stesso è la più politica perché densa di riferimenti politici, legati al momento della composizione del romanzo.
Dunque dovremo cercare di cogliere il significato di tutti questi riferimenti perché ciò che succede è che ci mostrano
qualcosa di importante, che rappresenta da un lato la sorpresa del romanzo, dall’altro un riequilibrio dei rapporti tra
Catherine e Tinley. In apparenza Catherine commette un altro errore, un’altra confusione tra vita e realtà, che è anche
più grave di quella che ha commesso inizialmente, perchè, se all’inizio si limita a rovistare tra i mobili alla ricerca di un
immaginario segreto, il passo successivo è un notare la stranezza del comportamento del generale Tinley, una stranezza
vera e autentica, sotto gli occhi di tutti. Tale stranezza Catherine la interpreta alla luce delle sue letture: immagina una
storia in cui non è più lei l’eroina perseguitata ma nella madre di Tinley ed Elenoir: mette insieme le sue impressioni e i
dettagli che le vengono dati da Elenoir: arriva a ipotizzare che il generale abbia ucciso la moglie. Costruisce cioè un suo
romanzo in cui giunge ad insospettare e incolpare il generale di assassinio. Deve affrontare l’umiliazione e la vergogna.
Ancora una volta Tinley comprende tutto quello che sta succedendo nella mente di Catherine e la risveglia, invitandola
a guardare la realtà che la circonda e a non fantasticare più. Catherine, pentendosi, si risveglia, “le visioni del romance”
finiscono. Questa parte del romanzo risulta nell’insieme davvero complessa: anche se viene raccontata con toni comici,
perché sorridiamo di una certa ingenuità del personaggio di Catherine, nasconde qualcosa di più profondo. Se è vero
infatti che Catherine ha immaginato qualcosa di inesistente, le sue fantasie tuttavia mettono in dubbio e si interrogano
sul potere patriarcale del generale Tinley; lei è l’unica che nel romanzo mette in atto questi pensieri. Catherine con la
sua fantasia farà proprio questo. Il romanzo appunto ci mostra che il generale Tinley, pur non essendo letteralmente un
eroe del romanzo gotico, è un esempio del cattivo uso del potere e del denaro, cioè è incapace di incarnare il perfetto
equilibrio tra ricchezza e propriety (equilibrio fondamentale e ideale secondo la Austen per una classe dirigente) e
colpevole di un atto di violenza nei confronti di Catherine. Tutto ciò modifica il rapporto tra Henry e Catherine, perché
Henry con forza e convizione cerca di riportare tutto nello spazio della fabula, della stabilità (e di conseguenza lo spazio
dell’eroe), scacciando ogni forma di pericolo ed inquietudine, dimentica lo spazio dell’intreccio e automaticamente lo
spazio dell’eroina, che si rivelerà più accorta di quanto si pensasse, perché la fantasia di Catherine alla fine si rivelerà
vera. Hnery come vedremo nel ventesimo capitolo è sì un lettore di romanzi gotici, essendo anche capace di scriverne
uno, suscitando l’ammirazione e la vergogna di Catherine, combinando elementi di vari romanzi gotici che ha letto, ma
li legge come un divertente passatempo. Abbiamo detto che i romanzi della Austen sono nell’apparenza romanzi non
interessati alla storia ma sono in realtà romanzi sociali perché c’è il riferimento alla storia.
Combinando in questa seconda parte dell’opera le fantasie gotiche di Catherine, con una serie di questioni che hanno
a che fare con la politica e l’economia, alla fine Jane Austen recupera il sottotesto politico dei romanzi gotici. Dunque
nonostante l’apparente semplicità del romanzo, la questione è molto più complessa di ciò che appare. Ci sono voluti
studi in grado di contestualizzare nel tempo gli sparsi riferimenti a situazioni del presente per ridare al romanzo e alla
sua seconda parte in particolare tutta la sua connotazione politica. Il tutto appare da un lato come una rivendicazione
del realismo e dall’altro come una rivalutazione del gotico in quanto forma storicamente consapevole e politica.
La conseguenza è che il romanzo ci mostra un mondo che non è affatto un mondo perfetto ed equilibrato incarnato da
Mrs Darcy o la sua residenza (siamo lontani da un mondo del genere: l’abbazia per com’è descritta è l’esatto contrario
della residdenza di Darcy). Il matrimonio tra Darcy ed Elizabeth sembra naturale, perfetto, nonostante tutti gli errori che
costituiscono l’intreccio del romanzo. Nel caso di Catherine ed Henry invece giungeremo alla fine del romanzo in cui ci
sarà una terza parte, consistente nel ritorno a casa dell’eroina, da sola e in disgrazia; la voce narrante riuscirà a mettere
in ordine la realtà, nonostante il comportamento scorretto del generale Tinley. Un altro elemento da ricordare è di
strategia narrativa relativa a un mutamento della tecnica della voce narrante. Se sin dall’inizio la voce narrante è stata
estremamente presente con la sua ironia anche in virtù dell’inesperienza e della giovane età dell’eroina, nella seconda
parte la voce un po’ si ritrae dal primo piano, e lo fa attraverso la tecnica del discorso indiretto libero che però ai tempi
di Jane Austene era virgolettato: è come se entrasse nel personaggio, riportandone i pensieri. Il tutto ha l’obiettivo di
favorire una maggiore vicinanza tra voce narrante e personaggio. Se la distanza tra narratore e personaggio aveva reso
possibile l’ironia, con la vicinanza l’ironia viene meno, ma non del tutto: l’ironia si limiterà ad essere legata alla presunta
superiorità di Tinley, che continuerà a fare da pedagogo, a risvegliare Catherine dalle sua fantasie. Non è però un caso
che la Austen decida di utilizzare proprio in questo momento di massima confusione di Catherine una tecnica che renda
il personaggio più vicino e renda più semplice l’identificazione tra lettore e personaggio. Invece nel terzo tempo del
viaggio di Catherine la voce narrante riprenderà la scena, attirando nuovamente l’attenzione su se stessa: toccherà a lei
risolvere la situazione, non ai personaggi interni.

VENTESIMO CAPITOLO. È il capitolo della partenza. Nonostante l’annunciata gioia di Catherine all’invito, il capitolo si
apre con la sua inquietudine dovuta al comportamento del generale Tinley, che rimprovera il figlio perché è in ritardo.
Cat si sente responsabile, data l’importanza che il generale le conferisce ciò causa che sia sgarbato con tutti gli altri.

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È rabbioso con i camerieri, con chi si occupa dell’equipaggio e nonostante il lusso con cui viaggiano la pausa che fanno
si svela estremamente sgradevole per Catherine. Le cose cambiano quando il generale macchinosamente decide di
dire a Catherine di proseguire il viaggio da sola nel calesse di Tinley. Anche qui, memore della confusione di regole che
ha potuto esperire a Bath, Catherine si interroga sulla propriety di questa scelta. Il generale dovrebbe rappresentare il
modello di una società: è un proprietario terriero, la sua proprietà viene descritta ampiamente, possiede un’enorme
ricchezza ma attraverso una serie di dettagli la voce narrante chiarisce al lettore attento tutte le mancanze e i difetti di
questo personaggio. Henry è un abile guidatore e conversatore. Assistiamo a una conversazione che si trasforma poi in
una vera e propria narrazione. Se questa sezione coincide con il momento in cui Catherine tenta di costruire e scrivere
un suo romanzo che le permetta di interpretare la realtà con cui ha a che fare, è significativo il fatto che il primo a
scrivere un romanzo con la protagonista Catherine sia proprio Henry. Il capitolo è importante perché prima ancora di
arrivare all’abbazia è Hnery ad inserire Catherine in una cornice gotica per puro divertimento, provocando in lei una
duplice reazione: il piacere da un lato perché si sente intrigata ed emozionata da questa storia che le viene raccontata,
e dall’altro la verogna quando si rende conto che lui si sta facendo beffa della sua identificazione con la storia.
Il capitolo introduce un altro tema: il contrasto tra l’abbazia immaginata da Catherine e la moderna realtà dell’edificio.
Proprio da questa idea dell’abbazia tutta la storia raccontata da Tinley comincia. Tinley inventa una situazione che poi
Catherine vorrà rivivere quasi letteralmente. In realtà non la inventa del tutto ma la riprende da un romanzo. Tutto ciò ha
l’effetto di emozionare ma anche spaventare Catherine che reagisce come la lettrice appassionata che è: da un lato dice
che questo non è possibile e non può accadere a lei, dall’altro vuole sapere come continua. La storia si interrompe
nonostante l’invito di Catherine di proseguire la narrazione. Ma s’interrompe perché Hnery si rende conto di essere
andato troppo avanti nel suo divertimento con Catherine. La protagonista prova ancora una volta un misto di piacere e
vergogna. La conclusione del viaggio è una specie di discesa: la fantasia di Catherine immagina di vederla ma l’abbazia
è situata così tanto in basso che non se ne accorge quando arriva. Giunge ma la visione che le si presenta dinnanzi agli
occhi delude la sua fantasia: i cancelli sono moderni, le finestre anche (solo la forma è gotica, ma i vetri sono nuovi, non
sono quelli piombati di stile gotico che si aspetta). Tale modernità è frutto dell’improvement del generale, improvement
però unicamente economico e non morale. Quando Jane scrive, l’improvement economico senza quello morale non ha
senso; il generale è l’esempio più perfetto di questa dissociazione, è l’esempio contrario alla figura base del progetto
romanzesco della Austen. Il generale è un esponente della cultura capitalista, il ripetuto uso del moderno indica proprio
questo. Il matrimonio tra Darcy ed Elizabeth è l’emblema del compromesso tra tradizione e modernità, mentre per il
generale non conta nulla la tradizione: ciò che conta per lui è unicamente la modernità.

VENTUNESIMO CAPITOLO. Il capitolo vede il racconto della prima fantasia gotica di Catherine, direttamente ispirata
dal racconto di Tinley (che deriva dai romanzi della Radcliff). Catherine suggestionata dalle parole di Tinley (per tutto il
romanzo è stata desiderosa di ascoltare e di apprendere da Tinley) comincia a immaginare. Abbiamo un primo esempio
della tecnica del discorso indiretto libero. Nella nota alla traduzione viene specificato che viene rispettato sia l’uso del
discorso indiretto libero come il discorso diretto sia l’uso della punteggiatura. Capiamo che l’interesse della Austen
non si limita soltanto alla parodia del gotico. Il capitolo si apre con la descrizione della stanza in cui si trova Catherine,
che è diversa da come le era stata descritta da Henry: non ci sono le tappezzerie e gli ingredienti classici del gotico.
La descrizione è fatta dagli occhi stessi della protagonista. Le descrizioni sono in contrasto tra di loro: da un lato quelle
attraverso i discorsi e gli occhi di Catherine, che si appuntano su tutto ciò che è antico e arcano che possa fare da esca
alla sua fantasia, e dall’alltro quelle attraverso i discorsi della voce narrante che sottolineano la modernità.
La descrizione della stanza è sin da subito soggettiva, fatta con gli occhi di Catherine (il che è reso esplicito con i verbi
‘vedere’, ‘guardare’, ‘i pensieri li attraversavano la mente’); emerge il discorso indiretto libero, con cui la voce narrante
rinuncia al suo stile per immedesimarsi nel personaggio.
Nonostante la delusione iniziale, la sua fantasia continua a spegnersi e ad accendersi.
Nello stesso capitolo passiamo da un binario all’altro: dalla prima fantasia, seguita dalla prima delusione , passiamo al
generale Tinley. La sua descrizione ancora una volta ci fornisce indizi sul suo comportamento. Spesso è ritratto inquieto,
che cammina spesso nelle stanze. Questo comportamento ha un senso realistico (violento e autoritario, che si interessa
alla situazione politica e alla repressione); non è un caso che la prima parola usata sia ‘violenza’, anche se in questo caso
esercitata su un campanello. Ma Catherine appare sin da subito angosciata da questo comportamento. Si sente sempre
in soggezione e in umiliazione, la sua rivincita giunge soltanto alla fine. Rispetto alle fantasie letterarie di Catherine, la
voce narrante in realtà costruisce in lei un clima di angoscia, sorpruso e timore alla presenza del generale Tinley.
Viene sottolineato il lusso e la ricchezza dei luoghi. La Austen non descrive la fine della serata, si limita a dire che è stata
piacevole, salvo nei momenti in cui era presente il generale. Catherine si ritira poi nella sua stanza, c’è una tempesta ed
è messo in scena l’armamentario del gotico. Riemerge di nuovo l’indiretto libero, usato ogni volta che la fantasia di Cat
si accende. Quando c’è l’indiretto libero la costruzione dei periodi è paratattica: i pensieri scorrono uno dopo l’altro.

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Jane Austen si diverte con un clima gotico: fa spegnere la candela quando Catherine ha trovato il manoscritto presente
nel racconto di Tinley, cioè topos del romanzo gotico.

VENTIDUESIMO CAPITOLO. Va a letto con una fantasia e sopo quando si risveglia il mattino dopo si sveglia anche da
questa fantasia. Quando apre il manoscritto scopre una realtà diversa da quella che c’è nella sua fantasia. Infatti ritrova
una scrittura ‘moderna’, legata alla quotidianità: il manoscritto non è altro che una lista di biancheria.
In queste scene il narratore si diverte ma Catherine si sente umiliata. Nonostante tutto continua a fantasticare.
Passiamo poi dal registro fantasioso a quello realistico. C’è una breve scena in cui sempre in forma di commedia ci si
accorge che continua l’apprendimento di Catherine. Henry continua a insegnare e ironizzare, mostrando superiorità. C’è
poi un chiaro esempio della natura del generale quando l’attenzione della voce narrante si appunta sul servizio della
prima colazione. C’è un riferimento al sostenere le fabbriche inglesi: il nesso tra capitalismo agrario, di cui il generale è
un importante esponente, e l’industria. C’è la contrapposizione tra le ceramiche inglesi e quelle tedesche e francesi; c’è
un primo esempio di un consumismo moderno nel generale (‘ma quello è un servizio vecchio, acquistato da due anni
addietro): per lui dopo due anni il servizio è già vecchio. Miglioramento è la parola chiave.
Quando Henry va via, Catherine ed Elenoir restano sole con il generale. Segue il momento della visita dei luoghi; anche
qui sono significativi gli esempi che la Austen sceglie di descrivere. Prima viene descritto il cottage: il generale vanta i
pregi della desinenza del figlio; parla dei muri della proprietà (le enclosures), le recenzioni, nonchè elemento costante
di questa descrizione. Attraverso questo dettaglio il generale ci viene presentato come colui che si occupa delle
proprietà di famiglia e dell’agiatezza del figlio. Viene fuori la sua grande ricchezza economica con la sua avidità: non gli
basta la sua ricchezza, è interessato anche al patrimonio di Catherine. Le parole del generale sono assolutamente false
e la storia ce lo dimostrerà. Catherine vorrebbe visitare l’interno dell’abbazia perché nutre ancora la speranza di trovare
qualcosa di antico e che corrisponda alle sue letture e fantasie; ma il generale insiste a visitare i giardini, vuole vantarsi
ai suoi occhi dei tutti i suoi improvemente e di tutto ciò che ha fatto per migliorare la sua proprietà e la sua ricchezza.
Invece Catherine vorrebbe solo visitare ciò che non c’è più ed è stato distrutto per far spazio alla modernità. Così Cat ci
viene presentata poi nella sua assoluta scontentezza. L’abbazia la vede all’inizio dall’esterno, il che le provoca piacere:
nota la sua grandezza, ammira gli ornamenti gotici (segni del passato), gli ‘antichi’ alberi e le colline ‘boscose’ (cioè una
natura priva di artificio). Però il generale le fa visitare le serre. Ancora una volta è importante il dettaglio dei muri.
La proprietà è immensa ed è circondata da muri. Scopriamo che coltiva le ananas, si dice che l’anno precedente ne
sono cresciuti soltanto 100. Questo non è un capriccio di un ricco: gli anni ‘93 e ’94 sono di guerra, c’è carestia di grano
e impennata di prezzi quindi non è un atteggiamento capriccioso, ma è la preoccupazione di un proprietario terriero.
Il generale continua a interrogarsi sul signor Allen, pensa che sia ricco quasi come lui; le sue serre sono ‘progressive’ nel
senso che il calore è mantenuto a gradi diversi.
La visita dei girardini finisce e viene introdotto il tema della madre defunta dei Tinley, la moglie cioè del generale, di cui
finora non si è parlato. Sono le poche parole di Elenoir a mettere in atto la fantasia di Catherine, che cerca di creare una
storia con i pochi dati che possiede. Il tutto comincia quando Elenoir e Catherine prendono una strada diversa da
quella che vorrebbe prendere il generale. Il rifiuto del generale di voler intraprendere lo stesso cammino basta a
mettere in atto la fantasia di Catherine: non ama quel sentiero, quindi non amava abbastanza la moglie. Si chiede se c’è
un ritratto della defunta moglie (topos gotico), scopre che c’è, era destinato al salone tuttavia al generale non piaceva e
dunque sta nello studio. Questa è una nuova prova che basa a scatenare una nuova fantasia di Catherine.
Alla fine del capitolo la protagonista giunge a un giudizio sul generale. Se prima prova timore e scarsa fantasia, ora pura
avversione. In realtà l’avversione deriva dalla crudeltà del generale per una donna talmente gradevole (che non ha mai
consociuto: le sono bastate le parole dell’amica per far nascere in lei la fantasia). Con il richiamo al singor Allen ritorna
la contrapposizione tra realismo ed eccessiva fantasia. Il resto del romanzo ci mostra che la questione è più complessa
di una pura contrapposizione tra realtà e fantasia perché la fantasia in realtà si dimostrerà essere vera.

VENTITRESIMO CAPITOLO. La visita della casa finalmente comincia. La missione di Catherine diventa quella di entrare
nella stanza della defunta moglie; giungerà alla fine alla consapevolezza di doverci entrare da sola ma verrà scoperta da
Henry, ritornato a sorpresa a Northanger. Prima di ciò c’è la descrizione dell’interno dell’abbazia. Anche nel momento in
cui ci viene descritta la parte più antica, che risponde alle attese di Catherine, tutto viene accostato per contrasto alle
migliorie e all’improvement del generale. L’avversione di Catherine si nutre di fantasia ma è legata anche a qualcosa di
reale che il generale rappresenta: è colpevole da un lato dell’ipotetica uccisione o sequestro della moglie; dall’altro di
aver distrutto i luoghi che incarnavano il gotico e il suo piacere della lettura. Lo chiama Montoni (=cattivo di Udolpho).
Però la voce narrante ci mostra qualcosa di più: un atteggiamento in generale irrispettoso verso la tradizione perché il
suo improvement va verso un’unica direzione che non riguarda il rispetto alla tradizione. Elenoir la vede turbata. C’è un
dettaglio che non sfugge a Catherine, ma che lei non sa spiegarsi anche se è di estrema importanza: il generale dice di

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doversi occupare di alcuni opuscoli ma a Catherine questa motivazione sembra poco plausibile. Ciò che Jane Austen ci
lascia intendere attraverso questo riferimento è qualcosa di molto preciso.
Il clima in Inghilterra all’epoca di Jane Austen è molto delicato. C’è una repressione in cui prende parte l’Associazione
per la preservazione della libertà e proprietà. Essa riuscì a ramificarsi in tutta l’Inghilterra e prima ancora che lo facesse
lo stato riuscì a debellare in Inghilterra ogni tentativo di giacobinismo (per timore che accadesse la stessa cosa che era
accaduta in Francia); era stato abolito l’habeas corpus, legge che stabiliva che qualunque persona imprigionata dovesse
essere consegnata alla giustizia e sottoposta al processo e non tenuta prigioniera. Questo consentì agli aristocratici e ai
possidenti di arrestare chiunque fosse sospettato di sedizione e ribellione. Uno dei compiti di questa società era quello
di leggere qualunque opuscolo e libello per censurare e sopprimere ciò che veniva ritenuto sedizioso.
Il generale è stato presentato sino ad ora come colui che dimentica la tradizione in virtù di un improvement economico
e ora come parte di una classe egemone che preferisce la repressione piuttosto che la conciliazione.
Il personaggio si macchierà di un altro importante difetto relativo alla mancanza di propriety.

VENTIQUATTRESIMO CAPITOLO. È il capitolo che spinge la fantasia fino in fondo, al punto che Cat sceglierà di
varcare da sola la casa della defunta signora Tinley. Si ripeterà il meccanismo tipico delle fantasie di Catherine: dove si
aspetta di trovare mistero e orrore, trova qualcosa di straordinariamente comune e ordinato. Ciò che è estremamente
significativo è piuttosto l’incontro con Henry, che ritorna d’improvviso e la sorprende non appena ha completato la sua
missione investigativa. Tinley sospetta qualcosa e con le sue domande Catherine si smarchera. Sarà quindi aspramente
rimproverata da Henry. Sono entrambi sorpresi quando si incontrano. Prima lui le chiede notizie di Isabella, anticipando
la ripresa della trama di Isabella che avverrà subito dopo. Nella conversazione tra i due Henry ha da ridire qualcosa sulla
espressione ‘fedelmente promesso’ usata da Catherine. Le consiglia infatti di non usarla perché non idonea. Il mancato
rispetto delle promesse è un sottotema costante nel romanzo, che qui vien fuori esplicitamente. La mancanza di fedeltà
è un qualcosa che va contro la propriety. Quando Catherine all’inizio fa una promessa ed è costretta dai Thorpe a
romperla, poi cercherà in ogni modo di essere fedele. Questo evento anticipa ciò che succede dopo: Isabella non ha
tenuto fede nella sua promessa di sposare Morland, ha rotto infatti il fidanzamento, ha cercato di accalappiare Friedrich
Tinley senza riuscirci e scopriremo anche che la più grande rottura della parola data attraverso l’invito sarà quella del
generale Tinley che scaccerà in malo modo Catherine dopo averla invitata a casa sua e averla adulata. Nonostante
Tinley sia infastidito dalla fantasia di Catherine che crede che il generale abbia ucciso la moglie, continua a svolgere il
suo ruolo di educatore e informatore: riporta a una dimensione realistica l’intera faccenda, smontando la sua fantasia. È
un comportamento che genera umiliazione in Catherine, tant’è che in conclusione piange.
Il discorso di Tinley è complesso al punto da diventare uno dei luoghi di maggiori dissidio negli studi su Jane; per la sua
ambiguità è stato letto nei modi più disparati. In maniera diversa dalla cecità di Catherine, il quadro che dell’Inghilterra
sta dando Tinley non è chiaro ma estremamente ambiguo. Sta dicendo che queste cose possono succedere altrove ma
non nel loro paese, l’Inghilterra. In realtà viene sbugiardato dal fatto che il comportamento di suo padre si rivelerà
brutale e sbagliato che non si ritorcerà soltanto contro Catherine. Anzi lui colpito dall’ira si rifiuterà di dare il consenso al
matrimonio (per questo si ricorre a un nuovo personaggio che sorge dal nulla che ha il compito appunto di acconsentire
al matrimonio). Fa riferimento al potere della stampa, alle lettere e a qualcosa che è stato il luogo di molti interrogativi
se pensiamo alla frase ‘un vicinato di volontarie spie’. Attorno a questa frase si è combattuta una battaglia nel tentativo
di comprenderla: forse voleva dire che denunciava completamente la classe dirigente o no? Secondo il prof. Jane non è
una radicale, non sta denunciando e prendendo una posizione di difesa ddei giacobini, tanto meno è giacobina.
È legata all’ideologia della sua classe ma rimane estremamente critica, non è una fiducia cieca. Anzi proprio le parole di
Henry dimostrano che, per quanto anche lei favorisse il compromesso, non prende posizioni precise. Si presenta come
uno sguardo critico e interno. Questo sarà ancor più evidente nell’interiorizzazione che Catherine fa del discorso, che va
a restringere sempre più lo spazio di questa società razionale di cui parla Henry.

VENTICINQUESIMO E VENTISEIESIMO CAPITOLO. Il capitolo si apre con una frase che segna la conclusione delle
avventure di Catherine (sul modello di Don Chischiotte). C’è il risveglio dell’eroina nella realtà: Catherine ritorna a
quella qualità che comunque le abbiamo riconosciuto sin da subito, vale a dire l’innato buon senso. Ci avviamo alla fine
e quindi al matrimonio. C’è la visita (motivo tipico) della casa del futuro marito. La sorpresa del romanzo, preparata dal
riferimento al denaro, riferimento presente in modo sotterraneo per tutto il romanzo, consistente con la cacciata di
Catherine dall’abbazia, darà alle fantasie di Cathe una spiegazione e una giustificazione. Catherine quando si risveglia è
profondamente umiliata e vergognosa. Pensa di aver perso l’affetto di Henry, fa un bilancio dei suoi errori, interiorizza la
lezione di Henry ma ne mostra anche i limiti. Arriva a una conclusione importante, anche ridicolizzando le affermazioni
di Henry; il resto della narrazione mostra che la vita comune può presentare orrori altrettanto cruenti e dolorosi. C’è una
contrapposizione tra il romanzesco inteso come romanzo fantastico e gotico, e il romanzo della vita comune. Le ansie

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della vita comune si riveleranno altrettanto difficili da gestire. C’è l’improvvisa rottura di tutte le trame matrimoniali:
Isabella per esempio perde ogni possibilità di sposarsi, la rottura tra Catherine ed Henry dipende unicamente dal rifiuto
del generale di dare il consenso.
Un’altra convenzione utilizzata dalla Austen ricorrerà anche in Orgoglio e Pregiudizio: le lettere (eredità del romanzo
epistolare). La prima lettera è del fratello, che le da la notizia; quindi sono i due Morland le vittime di queste rotture che
anche se hanno artefici diversi (il generale e Isabella) hanno la stessa motivazione alla base: il denaro, perché il generale
si sente truffato e proibisce il matrimonio, mentre Isabella vuole cercare di meglio. Le lettere permettono anche di avere
informazioni su Bath, filo conduttore all’inizio del romanzo. Sono dei momenti duri, ciò che rimane è l’affetto di Cat per
Henry, affetto ricambiato perché se all’inizio Cat cerca di trattenere il suo dolore, poi riesce ad aprirsi.
Attraverso il dialogo con i Tinley, che discutono sull’impossibilità del matrimonio dato che Catherine è povera, verranno
fuori altre caratteristiche sul generale. A questo punto le domande e i dubbi di Catherine saranno realistici e la risposta
verrà da sè grazie ai fatti. Pian piano ci avviciniamo alla fine del percorso di Catherine che approda nella casa maritale.
Il generale a un certo punto vuole fare un’improvvisata dal figlio, che sa che deve prepararli un pranzo abbondante e
ricercato, deve cioè abbandonare in anticipo Northanger per obbedire ai desideri detti e non detti del padre. Catherine
non riesce a comprendere il perché dell’ambiguità di questo personaggio, che dice una cosa e ne fa un’altra. Ci viene
poi detto che ormai in questa nuova fase della sua vita per Catherine l’abbazia è una casa uguale a tutte le altre, mentre
prima di partire si chiedeva come mai i Tinley non dessero tanta importanza alla loro casa. Il vicariato di Tinley le
sembra una casa perfetta. Ne è fiero anche il generale ma come al solito lo vedremo vantarsi dei miglioramenti ed
esprimere la necessità di continuare in quella direzione. L’idea di miglioramento si manifesta subito dopo e consiste
nella distruzione dei cottage. Nella pagina successiva arrivano nel salone non ancora arredato e che aspetta forse la
padrona di casa per essere completato. Catherine è estasiata dalla vista e dalla stanza, definisce il cottage ‘grazioso’ e
‘incantevole’.
Dalla battuta seguente capiamo che c’era il progetto di distruggerlo ma perché Catherine si esprime in questa maniera
il generale cambia idea. Ma la parola ‘miglioramenti’ ritorna a fine pagina.

VENTISETTESIMO CAPITOLO. Si apre con la lunga lettera di Isabella, che cerca di manovrare Catherine. Il suo piano è
fallito tuttavia vorrebbe mettere le cose a posto con il fratello di Cath perché Friedrich l’ha mollata.
La lettera è un capolavoro di falsità e artificiosità, ripete il concetto per cui la gioventù ha il diritto di cambiare idea.
La cosa più importante è che Catherine, che tanto ha resistito, finalmente si rende conto della sua disonestà e la mette
da parte. Dunque la trama di Isabella si chiude; ancora una volta Elenoir ed Henry dimostrano di aver avuto ragione
nelle loro diagnosi. Mancano poche pagine alla conclusione e si attende, rotta una trama matrimoniale, lo scioglimento
positivo dell’altra: fidanzamento tra Catherine e Tinley. Prima che questo accada c’è però la rottura più tragica.
Dopo essersi risvegliata, Catherine diventa l’eroina perseguitata tipica del romanzo gotico: l’avventura che ha cercato di
vivere per tutto il romanzo ora finalmente si avvera (ma lei si è già svegliata).

VENTOTTESIMO CAPITOLO. Si manifesta la rabbia del generale Tinley (rabbia già anticipata dal titolo del romanzo) e
che infrange il progetto di felicità che c’è stato annunciato sin dal principio con la definizione di Catherine come eroina
e parallelamente di Henry come eroe. È un capitolo basato sulla costrizione e sul silenzio. Il tema del silenzio è molto
importante nella rapida conclusione del romanzo perché segnala un cambiamento anche nei Tinley. Accanto alla rabbia
loquace del generale si contrappone il silenzio dei suoi figli, silenzio a cui non siamo abituati perché fino ad ora sono
stati i migliori conversatori, i migliori utilizzatori della parola al punto da essere affiancati alla voce narrante. Ora invece
sono ridotti al silenzio. La rabbia del generale tra l’altro è indice anche della rivelazione della sua vera natura.
In conclusione ritorna prepotentemente sulla scena la voce narrante come all’inizio. Alla fine del romanzo c’è una vera e
propria rottura della cornice narrativa, nel senso che ancor più che nei primi capitoli, il libro si rivela un libro, cioè si
mette in luce la natura fittizia del racconto. Il capitolo si apre con la richiesta di Elenoir di un ulteriore prolungamento
del soggiorno di Catherine a Northanger. Ma giunge come un fulmine a ciel sereno la decisione del generale. Ma anche
in un momento di quiete prima della tempesta, la voce narrante segnala sin dalla prima pagina il tema della costrizione,
che è contrapposta all’idea di felicità: Catherine ed Elenoir sono rimaste sole nell’abbazia, la loro libertà e felicità sono
contrapposte al ricordo della costrizione dato dalla presenza del generale; il ricordo della costrizione in realtà resta per
poco un ricordo perché diventerà realtà molto presto. Il verbo ‘costringere’ verrà usato sempre più spesso nel capitolo.
La solitudine delle due viene interrotta da un arrivo: pensano che possa trattarsi del fratello ma in realtà è il generale,
che è tornato improvvisamente per scatenare la sua rabbia. Jane Austen con grande cura costruisce la scena come una
sorta di parallelo alla scena delle fantasie gotiche di Catherine: la ritroviamo nella stanza in cui tutte le sue fantasie sono
cominciate, invece ora con la stessa attesa impaurita scoprirà che inspiegabilmente almeno per il momento la attende
qualcosa di molto più reale di quelle fantasie. La descrizione della sua attesa ricorda quella tipica dei romanzi gotici (c’è

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il riferimento alla fantasia, alle false apparenze), richiama la stessa fantasia del passato, contrapponendo la suspanse del
gotico alla suspanse della realtà. Ma il volto di Elenoir è pallido, appare turbata, addirittura le risulta uno sforzo parlare.
Questa costrizione al silenzio è infatti un tema del capitolo (il silenzio si ritrova anche quando Tinley ricompare in scena).
Allora Catherine la soccorre, le strofina le tempie con l’acqua di lavanda nel tentativo di farla star meglio. Elenoir non
trova le parole per comunicare a Catherine la terribile notizia (falsa): il generale ha ricordato di avere un impegno che
comporta la partenza dell’intera famiglia a Hereford. Catherine dotato di buon senso inizialmente è triste ma pensa al
tempo stesso al futuro: invita Elenoir a farle visita non appena sarà rientrata dal suo soggiorno, ma l’amica è costretta a
dirle che non potrà farlo perché non potrà più frequentarla. Man mano che la conversazione procede Catherine scopre
che la sua stessa partenza è prevista per il mattino successivo e che il generale non manderà una sua carrozza nè una
domestica ad accompagnarla: sarà letteralmente scacciata, costretta a fare il viaggio di ritorno a casa da sola.
Da questo comportamento si evince la mancanza di propriety del generale, che non si comporta da gentiluomo. È la
stessa Elenoir a sottolineare che non sa come giustificarsi; ci tiene a sottolineare di essere solo un messaggero di questa
terribile notizia: non ha alcun potere. Il termine ‘potere’ allude al potere patriarcale del generale su cui dunque i suoi
figli non hanno alcun potere. È un potere che il generale eserciterà fino alla fine del romanzo, tutto incentrato sulla sua
avidità di denaro che getterà un’ombra fino alla conclusione. Infatti come vedremo, se il romanzo ci porterà a un lieto
fine, l’ombra di questo potere non verrà del tutto scacciata. Catherine resta sola dopo il colloquio con Elenoir, scoppia a
piangere. La voce narrante ancora una volta è attenta a creare un parallelismo tra questa situazione reale e le fantasie
del gotico, che all’inizio erano state scatenate dal mobilio dell’abbazia e dalla tempesta stessa. Ora la tempesta di
vento viene nuovamente richiamata, lei è nella stessa situazione ma gli orrori non sono più quelli fantastici del gotico,
bensì sentimenti reali di rabbia, delusione e tristezza. Il giorno dopo a colazione le due amiche parlano a stento, anzi
entrambe vedono nel silenzio la miglior sicurezza. Nel momento del congedo da Northanger Abbey si crea un nuovo
contrasto tra la felicità passata (anche per la prresenza di Henry) e la delusione e costrizione del presente.
Ritorna la parola costrizione quando Elenoir chiede all’amica Catherine di scriverle perché vuole sapere se sta bene ma
di indirizzare le sue lettere ad Alice perché il padre non vuole. Elenoir alla fine del capitolo si preoccupa del denaro che
forse manca a Catherine, essendo stata a lungo lontana da casa. Alle parole si sostituisce l’abbraccio di congedo.
La conclusione vede ancora una volta le lacrime di Catherine, che parte da sola.

VENTINOVESIMO CAPITOLO. Comincia il viaggio di Catherine, che in seno alla tradizione gotica dovrebbe essere un
viaggio di ritorno trionfale a casa con la notizia del fidanzamento e coronamento della felicità, invece l’eroina torna in
disgrazia, accompagnata solo dalla voce narrante che è sempre più presente e attiva nella vicenda.
La carrozza passa vicino al vicariato di Henry e c’è il ricordo della giornata della visita del vicariato, ricordata come la
giornata più felice (una felicità però ormai perduta). L’eroina allora si interroga sulle motivazioni del gesto inspiegabile
del generale ma ovviamente non riesce a darsi rispsota. La voce narrante si riappropria qui della vicenda mediante l’uso
dei possessivi: parla di Catherine come ‘sua’ eorina e della storia come la ‘sua’ storia, dando inizio così a quella rottura
della cornice, cioè la rottura del matrimonio, e alla rapidità con cui trasformerà l’infelicità in una felicità finale.
Un altro esempio di identificazione tra Catherine e la voce narrante è ‘sua biografia nel narrarla’.
Viene raccontato il rientro a casa di Catherine come un ritorno alla quotidianità domestica. Ci sono i genitori, un po’
estranei ma che in fondo costituiscono un qualcosa di diverso dal modo in cui il generale incarna il ruolo di genitore
nella sua rabbia e avidità di denaro. I Morland sono un po’ distratti, confidano sul buonsenso della loro figlia ma molto
lontani dall’abuso di potere patriarcale incarnato dal generale. Nessuno sa ancora darsi una spiegazione a ciò che è
successo (che verrà data successivamente da Henry). Per mezzo dell’uso del termine ‘costrizione’, si dice che il generale
non si è comportato da gentiluomo. Catherine viene così invitata a ritrovare la tranquillità, tenta di scrivere la lettera
promessa a Elenoir ma le parole le mancano per cui la lettera è molto breve. La madre invece cerca di confortarla come
può e per questo le promette una visita agli Allen. La madre fa poi un parallelo tra il destino dei due figli, per quanto lei
non sappia ancora dell’amore di Catherine per Henry. Infatti le parole riguardano all’apparenza solo James ma in realtà
anche Catherine. Il ritorno degli Allen non ci dice nulla di nuovo su questi personaggi; il signor Allen dimostra di avere
buon senso nel condannare il comportamento del generale ma come al solito la signora Allen non fa altro che ricordare
i suoi vestiti di Bath e si limita a ripetere il giudizio di suo marito circa il comportamento del generale.
Anche questo capitolo si conclude con l’infelicità di Catherine, che pensa ancora a Hnery e a Northanger.

TRENTESIMO CAPITOLO. È un capitolo risolutivo, è interessante perché c’è un ultimo ironico riferimento alla lettura.
È però un riferimento a una lettura diversa dal solito: la madre di Catherine è preoccupata, nota qualcosa di nuovo in
lei, una malinconia e un’incapacità ad aiutare nei lavori domestici; prende tutto ciò come un atteggiamento di superbia
da parta della figlia, immagina infatti che la figlia stia facendo un paragone tra Northanger e la sua casa più modesta.
Allora la madre le pone un rimedio libresco, del tutto inutile: le consiglia di leggere un saggio, una di quelle scritture

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maschili, saggistiche e moralistiche che la voce narrante criticava e a cui Jane contrapponeva la superiorità del
romanzo, che si è rivelato superiore proprio perché le fantasie di Catherine, apparentemente false, si sono rivelate vere.
In realtà non c’è tempo per questa lettura perché inaspettatamente arriva Henry Tinley. È un Henry diverso da quello
che abbiamo conosciuto durante il romanzo: è sicuro di se, capace di parlare meglio di chiunque altro e correggere il
linguaggio di Catherine, di rimproverarla e richiamarla a una visione di razionalità (per esempio quando le fa il discorso
sulla realtà dell’Inghilterra). Ora invece non ha più la sicurezza che lo aveva contraddistinto per tutto il romanzo. Anzi qui
rimane in silenzio, è in imbarazzo (arrossisce per esempio): fino ad ora erano atteggiamenti tipici di Catherine, ora però
riguardano anche Tinley perché anche lui deve compiere un percorso di formazione, essendo un eroe. Il suo imbarazzo
è subito evidente ancor prima che lui cominci a parlare, suscita la compassione della madre di Catherine. La prima cosa
che dice è chiedere a Catherine se il signore e la signora Allen siano a Fullerton, dichiarano la volontà di farli visita e che
lei gli indichi la strada. Catherine si aspetta una spiegazione a tutto l’accaduto. Il finale del romanzo è accelerato.
Prima ancora che Catherine sappia dell’opposizione del generale al matrimonio c’è la richiesta di matrimonio da parte
di Tinley. La voce narrante specifica che non sono le doti e la sensibilità dell’eroina a far nascere l’amore dell’eroe ma la
gratitudine e l’affetto della eroina per l’eroe a far innamorare quest’ultimo: è una circostanza nuova in un romanzo e la
voce narrante si preoccupa di specificarlo. Attraverso l’eroina la voce narrante dice che è nuova nel romanzo ma nella
vita reale è un qualcosa che accade normalmente, e il suo romanzo ha la caratteristica di essere permeato proprio dal
realismo. Nonostante il realismo, per conclduersi il romanzo ha bisogno di tutta l’artificiosità tipica appunto dei romanzi.
Allora Henry racconta che al suo ritorno da Woodston due giorni dopo era stato accolto dal padre con parole rabbiose
e gli era stata comunicata la partenza di Cat, la quale si rende conto dalle parole di Tinley che il consenso al matrimonio
del generale non c’è. Allora è giunto il momento in cui il nodo di scioglie. Entra in scena il ruolo che Thorpe ha avuto
nella nascita dell’inganno, che ha sostituito la realtà con la finzione (ma in modo diverso e più pericoloso rispetto a Cat)
per vanità e perché auspica un proprio matrimonio con Catherine e al matrimonio di Isabella con James.
Con i suoi inganni fa pensare che il patrimonio dei Morland sia elevato che gli zii, gli Allen, contribuiranno alla sua dote;
il tutto scatena la cupidigia del generale che fa di tutto pur di garantire al figlio il matrimonio con la ricca ereditiera. Il
Thorpe che il generale poi incontra è un uomo diverso: è stato rifiutato da Catherine, ha poi visto scemare il sogno del
matrimonio tra sua sorella e James ma mente ancora: rende i Morland ancor più poveri di quanto in effetti non siano.
Non sono infatti così poveri come li descrive Thorpe ma lui ne parla male anche in senso morale. Ciò che pensa Cathe
dopo la rivelazione di Henry è che le sue congetture e i suoi dubbi sul generale relativi all’uccisione della moglie non
erano nati ingiustamente perché evidentemente qualcosa di vero e strano nella figura del generale c’era.
Il capitolo si conclude ancora una volta con il rossore di Henry mentre racconta a Cathe tutto l’accadimento. Dice pure
di aver detto al padre di voler sposare Catherine il che ha reso la sua collera maggiore.

TRENTUNESIMO CAPITOLO. Il capitolo svela la natura problematica della conclusione del romanzo.
Orgoglio e Pregiudizio, una commedia perfetta di un matrimonio e compromesso perfetto tra due classi sociali diversi,
due lettori diversi, tra tradizione e modernità, property e propriety.
Questa perfetta armonia negli altri romanzi manca (pur essendoci il finale felice del matrimonio, come in Northanger
Abbey, che giunge rapido come il colpo della bacchetta magica) perché restano delle crepe o delle zone d’ombra,
assenti in Orgoglio e Pregiudizio. Questo romanzo ci mostra, anche soprattutto attraverso i riferimenti alla storia e alla
politica, la forza con cui Jane persegue la nuova forma di romanzo e utilizza questo romanzo per educare non soltanto i
propri protagonisti a fargli compiere il processo che va dalla condizione di non sposati a quella di sposati, che è un
processo di apprendimento, di errore e di comprensione all’errore; ma educa anche il lettore con i riferimenti alla lettura
ad apprezzare questa nuova forma che nasce dal confronto con il romanzo sentimentale e con il gotico, ma al tempo
stesso distaccandosene, cercando la dimensione del romanzo sociale, legato al presente dell’Inghilterra (al qui e all’ora).
In questo presente è forte il desiderio della Austen di cercare il compromesso di cui parla anche Moretti senza però che
debba essere definita cieca o incapace di cogliere la natura utopica del compromesso che vorrebbe raggiungere e che
la storia stessa, con la rivoluzione francese, aveva dimostrato impossibile. Anche se l’Inghilterra ha una storia diversa
dalla Francia, la prospettiva doppia della Austen resta intatta: compromesso raggiunto tra borghesia e aristocrazia con
Orgoglio e Pregiudizio. Elizabeth è borghese come i suoi zii, che si contrappongono ai suoi genitori inetti, appartenenti
alla piccola nobiltà, mentre Catherine appartiene alla piccola nobiltà e i Tinley alla grande aristocrazia; la risoluzione in
Northanger avviene grazie alla voce narrante, mentre in Orgoglio e Pregiudizio sono gli zii a risolvere la vicenda.
Catherine deve essere educata, Elizabeth è dotata di più soggettività sin dall’inizio, tant’è che riesce sin da subito a
rifiutare il matrimonio con Collins. Il processo educativo nei romanzi riguarda sia borghesi (vd. Catherine) sia aristocratici
(è proprio il rossore di Tinley a mostrarlo diverso: deve rinunciare alla sicurezza e certezza della sua classe sociale e con
cui aveva bacchettato Catherine per mettersi in dubbio. L’esempio più grande si ha in Orgoglio e Pregiudizio, in cui i
personaggi sono più maturi (soprattutto Elizabeth rispetto a Catherine) infatti entrambi devono rinunciare a qualcosa:

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Elizabeth al suo pregiudizio, Darcy all’orgoglio tipico della sua classe. L’educazione riguarda anche la propriety: Darcy è
diverso da Tinley, dimostra di avere più proprierty.
Accanto al compromesso (es: imbarazzo e rossore di Tinley indice dell’impossibilità di raggiungere il compromesso del
matrimonio a causa dell’opposizione di suo padre: sarà la voce narrante a prendere in mano la situazione e a regalare il
finale felice ai protagonisti). Seppur il lieto fine, l’ombra minacciosa del generale che dovrebbe rappresentare la classe
più responsabile poichè detentrice della propriety, mostra che la realtà del romanzo, come la realtà vera e propria, è
tutt’altro che idilliaca.
Per quanto riguarda la relazione con il romanzo gotico, sappiamo che sin dall’inizio il romanzo appare come una
parodia del romanzo gotico (es: Henry quando racconta le storie della Radcliff per spaventare al tempo stesso
Catherine nel loro viaggio a Northenger, oppure l’arrivo di Catherine all’abbazia); il finale in qualche modo legittima le
sciocche fantasie libresche di Catherine, mostrando dietro di esse la verità perché la crudeltà del generale esiste ed è
vera; Jane poi non fa altro che tirar fuori dal romanzo gotico ciò che era un sottotesto, perciò se il romanzo gotico
reagisce all’orrore della storia, trasponendo questi orrori in un mondo geograficamente lontano e fantastico, il romanzo
della Austen si inserisce in questo clima di terrore e tira fuori dal gotico il sottotesto reale: ci mostra che la crudeltà e le
paure sono reali, proprie del mondo circoscritto in cui vive, cioè l’Inghilterra (cfr. Henry dice ‘siamo in Inghilterra, queste
cose non succedono).
Ritornando all’ultimo capitolo del romanzo: l’ostacolo al matrimonio proviene come abbiamo detto dal generale.
I genitori di Catherine sono pronti ad accettare il matrimonio a patto che anche il generale approvi il matrimonio. Ma il
generale non è disposto ad approvare, così i due si separano in attesa di un consenso. A questo punto rientra in scena
la voce narrante che appare risolutiva per il raggiungimento della ‘perfetta felicità’. La voce narrante appare ironica nel
mostrarci il carattere del generale come immobile e fermo nelle sue decisioni. Come un gioco di prestigio fa qualcosa
che di solito in un romanzo non si fa: tira fuori un personaggio nuovo, a sole due pagine dalla conclusione. Nella rapida
conclusione emerge anche un’improvvisa e nuova trama matrimoniale riguardante Elenoir, e di cui non c’era traccia nel
romanzo. Ritorna l’aggettivo ‘infelicità’ affiancato a Northanger, che da casa dei sogni diventa per Catherine una casa di
orrori e sofferenze causate dall’ambiguità del carattere del generale. Ritorna qui il possessivo: ‘la mia gioia’, della voce
narrante. Il nuovo personaggio conferisce denaro e titolo, rendendo cioè possibile non soltanto il matrimonio ma anche
qualcos’altro; di lui però non ci viene detto nemmeno il nome, appare come uno sconosciuto a tutti gli effetti.
La maniera in cui falsamente Isabella definiva James come il più affascinante del mondo ritorna nella fine ma questa
volta non c’è falsità. La condizione finanziaria di Catherine è stata vaga per tutto il corso del romanzo; appare alla fine la
dote di Catherine (tremila sterline), quindi si scopre che non era nè così ricca nè così povera. Così alla fine il generale da
il suo consenso usando come messaggero il figlio stesso; il consenso avviene in una pagina di vuote manifestazioni di
stima per il signor Morland. Nelle ultime righe si assiste ad un’ironia: se da un lato il libro si chiude con il matrimonio in
cui si attua il progetto di felicità attraverso il compromesso tra buon senso e immaginazione, resta in modo ironico,
accanto a questa coppia, il richiamo al contrasto generazionale, alla tirannia e alla disobbedienza, tutti termini che
rievocano il mondo storico e politico che abbiamo visto presente, seppur non centrale, nel romanzo.

ORGOGLIO E PREGIUDIZIO.

Il tema della lettura


Anche in questo romanzo è presente il tema della lettura (non è centrale come in Northanger Abbey). Accanto ai lettori
sono importanti le biblioteche, le modalità di lettura ecc., il tutto ci permette di catalogare i personaggi. La biblioteca
di Orgoglio e Pregiudizio è una biblioteca ideale, in cui si attua quell’intreccio tra tradizione e modernità di cui
Northanger Abbey, nelle mani del generale, è la negazione.L’attitudine o non alla lettura ci consente di giudicare i
personaggi (es: Thorpe non legge, è per questo personaggio negativo) e comprenderne i caratteri. Elizabeth e Darcy
sono i migliori lettori, ma la loro lettura non è nè istintiva nè immediata perché anche loro compiranno errori di lettura e
dovranno compiere un processo che è letteralmente un processo di rilettura. Ovviamente la prima contrapposizione è
tra il folto gruppo di personaggi che non legge, che cioè si rifiuta di leggere, per esempio il pigro signor Bingley. La
reazione che l’affermazione provoca in Darcy è significativa: secondo lui la lettura e l’arricchimento della biblioteca di
famiglia sono una forma di propriety ed esemplarità. Lo cambio avviene all’inizio, così sin dall’inizio Darcy si pone come
lettore e bibliotecario, portavoce dell’importanza della lettura nella società. Non legge Mr. Collins, che sobbalza
letteralmente alla vista di un volume proveniente dalle biblioteche circolanti che tanto hanno contribuito alla diffusione
del romanzo.
Non legge Caroline Bingley, che finge di leggere e desiderare una biblioteca: lo fa per sedurre e per affascinare Darcy

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esprimendo desideri che sono di Darcy, non suoi. Non leggono neanche Kitty e Lidia, due sorelle di Eliza; le due sorelle
frequentano le biblioteche circolanti ma solo per incontrare i miliziani quindi le usano come luoghi di incontro.
A rendere più complessa la questione c’è anche chi legge e lo fa continuamente ma in modo sbagliato. Due esempi
vengono da altri due membri della famiglia Bennet: Mr Bennet fa della sua biblioteca un rifugio, legge di continuo e si
ritira dalla vita familiare; lo stesso vale per Mary, l’unico personaggio che il romanzo lascia a casa, estraneandola dal
percorso matrimoniale. Anche se in modi diversi, per entrambi i personaggi la lettura è un segno di disagio perchè li
porta ad estranearsi dal mondo del romanzo. Con un libro, Mr Bennet è incurante del tempo, non si accorge del tempo
che passa mentre legge. Questo rapporto con il libro è negativo e ci da la caratterizzazione completa del personaggio
perché si distacca e ritira in solitudine nella propria biblioteca; egli è infatti portavoce di un matrimonio sbagliato.
L’incipit del romanzo vede la descrizione di un matrimonio fallito che comporta nella signora Bennet la necessità di
sistemare adeguatamente le proprie figlie nel tentativo di realizzare il matrimonio perfetto che il suo non è stato.
La lettura è limitata ai libri che insegnano a comportarsi, non comprende i romanzi. A questi personaggi si oppongono
Darcy ed Eliza, che amano leggere e proprio il fatto che imparano a rileggere (non solo i libri ma gli altri e il mondo) li
conduce al matrimonio perfetto. Il titolo originario era Prime Impressioni. Al 1797-1798 risale la prima stesura, poi il
romanzo viene rivisto e la versione ufficiale risale al 1813. C’è dunque un riesame delle prime impressioni, dettate dalle
caratteristiche che invece danno il titolo definitivo al romanzo, cioè l’orgoglio e il pregiudizio. La rilettura dellle prime
impressioni cioè l’orgoglio e il pregiudizio permettono il superamento di queste e quindi il raggiungimento del perfetto
compromesso.

CAPITOLO OTTO. Nel capitolo otto si dice che Jane si è ammalata ed è a casa di Bingley, Eliza la raggiunge e si rifiuta
di giocare a carte perché preferisce leggere, la signorina Bingley la definisce una ‘grande lettrice’ ma in realtà la attacca.
Eliza comprende che dietro la lode c’è il biasimo e quindi risponde a tono. Si parla della biblioteca di Bingley che
subito entra in contrapposizione con quella di Darcy perché è estremamente misera; in realtà il fatto che lui non legga
molto dipende dal fatto che il padre gli ha lasciato una collezione davvero misera. Da un lato c’è un riferimento alla
tradizione di famiglia, dall’altro c’è l’acquisto di nuovi libri. In tempi come questi, cioè fatti di rivoluzioni e guerre, Darcy
non può comprendere che non si abbia una cura della propria biblioteca, sinonimo cioè di unione e compromesso, di
tradizione e novità. In questa immagine della biblioteca si anticipa il perfetto matrimonio, insieme un matrimonio di stili,
quello più tradizionale di Darcy e più moderno e soggettivo di Elizabeth, in un connubio che a differenza di quello di
Northanger Abbey è di perfetta armonia e felicità, privo di ombre. Elizabeth ha una capacità di linguaggio che già le è
propria, cioè manca la figura educatoriale che nel romanzo precedente era propria di Tinley. Il suo è un linguaggio
pieno di arguzia e di iroina, i dialoghi con Darcy sono veri e propri duelli fatti con le parole.

CAPITOLO UNO: Il romanzo ce lo mostra sin da subito cioè nel primo capitolo (consiste nella porta che d’ingresso che
ci introduce nel romanzo): la voce narrante con grande brevità, concisione ed ironia segnala i temi principali, l’ambiente
e poi dà alcune delle parole chiave di tutto il romanzo, affida il tutto al dialogo tra i genitori di Elizabeth, mostrandoci
immediatamente un’immagine negativa di matrimonio non riuscito. Il romanzo è più complicato del precedente perché
vede una doppia trama matrimoniale: una positiva e una negativa di matrimoni sbagliati: Bingley-Jane (trama semplice),
Darcy-Elizabeth (trama complessa perché complessi sono i personaggi).
La voce narrante è un esempio del giusto linguaggio e di una qualità di linguaggio. In base a questo esempio possiamo
giudicare il linguaggio degli altri personaggi. Il romanzo comincia: «è una verità universalmente riconosciuta che uno
scapolo di ingente fortuna cerchi una moglie». Ciò che colpisce è il riferimento alla sfera economica (possesso e buon
patrimonio), insieme al termine want che indica un bisogno. L’ironia sta nel fatto che è vero il contrario, cioè chi è in
cerca o in mancanza di qualcosa è la donna, che cerca la property e la ricchezza. La durezza del mercato matrimoniale in
Northanger Abbey era rappresentata dalla figura di Isabella e dalla durezza del generale Tinley. Anche qui, per esempio
Charlotte si vede costretta ad accettare Collins per paura di restare esclusa dal mercato matrimoniale. La frase seguente
introduce altri due termini essenziali nel mondo descritto dal romanzo: sentimenti «feelings» e modi di vedere, opinioni
«views», importanti nel costruire i matrimoni esemplari di questo romanzo e in genere dei romanzi di Jane Austen.
L’incipit ci dà l’idea anche della delimitazione spaziale del romanzo: un luogo c’è, e quello che conta sono le famiglie
che vivono nei dintorni (anche in questo romanzo vale cioè l’importante concetto di: spazio limitato, il qui, e il presente
contemporaneo, cioè l’ora). Il feelings rimanda alla dimensione sentimentale, il views alla dimensione intellettuale; tutto
il romanzo ci mostra l’importanza di combinare feelings, views e property, non solo per i personaggi maschili ma anche
per i personaggi femminili. L’ironia dell’incipit sta nel fatto che, pur parlando della condizione dell’uomo («nel momento
in cui un simile personaggio entra a far parte del vicinato…»), si rivolge alla donna: si parla dell’uomo ma il sottotesto è
rivolto alle figure femminili. La parola chiave è property, che diventa metonìmia dell’uomo stesso: questo scapolo infatti
viene considerato proprietà legittima di una o l’altra delle loro figlie, ma anche qui c’è un rovescio: chi ha la property è

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l’uomo, ma la donna è considerata la legittima proprietaria di quell’uomo. Quindi il linguaggio è sintetico ed ironico ma
nasconde un’enorme complessità e in poche righe ci dà i temi fondamentali e le parole chiave che aiutano la lettura del
romanzo.

La prima parte del romanzo è quella in cui il dialogo prevale ed è il luogo della performance, legata a occasioni sociali
come balli pubblici e privati, incontri, conversazioni e socializzazioni: avviene cioè quel processo di teatralizzazione della
società che si mette in scena e celebra se stessa attraverso questi riti sociali, che diventano delle vere e proprie prove
per i personaggi, che devono confrontarsi con una serie di questioni. Bisogna compiere delle scelte.
Elizabeth riesce con facilità a scegliere, caso emblematico è Collins, vale a dire il suo primo rifiuto. Collins non legge ed
Elizabeth al contrario ha il pregio di essere un’ottima lettrice, non solo dei libri ma anche del mondo che la circonda,
perché anche in questo romanzo, ancor più che in Northanger Abbey, la lettura passa dai libri al mondo e, sia Darcy, sia
Elizabeth, si interrogano e cercando di interpretare il mondo. Per Elizabeth leggere il mondo significa studiare i caratteri
e Bingley a un certo punto del romanzo definisce Elizabeth “un’artista del ritratto”: la passione che rende interessante
Elizabeth è l’appassionato studio dei caratteri degli altri personaggi. Il romanzo è permeato dalla metafora del ‘ritratto’:
in tutto il corso del romanzo cerca di tratteggiare un ritratto di Darcy — un vero ritratto a Pemberly sarà decisivo per la
svolta degli eventi —. Se in una prima parte Elizabeth è impareggiabile nel realizzare i ritratti dei personaggi semplici,
Collins, Jane, Bingley, Lady Catherine, e pur mostrando una preferenza per i caratteri più complessi, commette degli
errori proprio su Whickam e Darcy. Dopo una prima parte labirintica che comprende l’errore, la seconda parte è quella
del ripensamento e della riflessione, in cui il dialogo è meno importante, mentre è più presente la narrazione insieme al
processo di rilettura. La seconda parte è quindi una rilettura della prima; la rilettura parte dai testi. Due sono le chiavi di
letture che Darcy propone a Elizabeth, una più letterale (capitoli al centro del romanzo in cui c’è la lunga lettera di Darcy
insieme al capitolo successivo, in cui Elizabeth legge la lettera e ci vengono raccontati i suoi sentimenti durante questa
lettura, che diventa il presupposto per rileggere anche le scelte di Eliza fatte durante la prima parte, rilettura che cioè le
consente di riformulare un giudizio in primis su Darcy e poi su Wickam, e quindi di cambiare idea), l’altra è il ritratto di
Darcy, che insieme alle parole della governante di Pemberly, consegnano a Eliza un’idea di Darcy dall’interno perché lei
lo conosce da bambino, in quanto proprietario e amministratore della tenuta di Pemberly. Le parole della governante,
la visita a Pemberly e il ritratto risultano cioè significative.

CAPITOLO DICIANNOVE. Ritornando al tema del linguaggio, l’esempio più calzante del linguaggio antitetico a quello
della voce narrante è di Collins. La scena della dichiarazione e della proposta di Collins è un esempio di un linguaggio
retorico, contorto e pieno di inutili subordinate. Infatti per esempio la lunga dichiarazione è incentrata su di sè, non su
di Elizabeth. Il rifiuto di questa manda su tutte le furie sua mamma, al contrario il padre, che riconosce l’intelligenza di
Elizabeth, la appoggerà. Questo è un esempio di linguaggio sbagliato.

CAPITOLO DICIOTTO. Il linguaggio di Elizabeth e Darcy è tutt’altra storia. Lottando contro se stesso (contro le proprie
«views»), Darcy invita Elizabeth a ballare. La scena è da mettere a confronto con la scena del ballo di Tinley e Catherine,
la differenza tra il linguaggio delle due protagoniste è abissale. Se all’interno della danza i due personaggi sono divisi e
contrapposti, la somiglianza del loro linguaggio lascia presagire il superamento di tale conflittualità. I dialoghi sono per
questo molto divertenti e soddisfacenti: da un lato sono una sfida tra i personaggi — il lettore è dalla parte di Elizabeth
—, che oppongono i propri giudizi l’uno sull’altro, dall’altro essi, attraverso il linguaggio, mostrano l’identità profonda
che prefigura la loro unione finale. Dietro la contrappodizione traspare l’unità che si prefigurerà alla fine. Si intravede
dall’inizio una difficoltà nel parlare, a cui segue un duello di cui è Elizabeth l’istigatrice principale.
Dopo un lungo silenzio, Elizabeth lo invita a parlare, ruolo che nell’altro romanzo era stato maschile perché era stato
Tinley a suggerire a Catherine le regole del ballo e invitarla a parlare. Qui i due interlocutori sono sullo stesso livello.
A partire dal richiamo alle convenzioni e alla propriety ha inizio una sfida in cui il tema di fondo è quello del ritratto. E la
sfida diventa tra artista e modello, cioè l’artista è Elizabeth, che vuole tratteggiare un ritratto cioè un modello di Darcy,
che però lo farà in modo sbagliato e al quale vi ripenserà nella seconda parte. I due sono sullo stesso piano: mettono in
atto un gioco di ironia e frecciatine. Elizabeth vorrebbe parlare e Darcy le risponde ironicamente. Ma anche Elizabeth è
ironica: cerca di fare un ritratto di Darcy fingendosi lui. Dagli scontri iniziali si passa a fare llo studio dei caratteri. Darcy
che è dotato di intelligenza ha compreso che ciò che fa Elizabeth è un suo ritratto.
Nel mezzo di questa conversazione ritorna l’idea della lettura, a sottolineare come questo romanzo, a differenza della
prima parte di Northanger Abbey, metta in risalto la lettura del mondo: i due parlano di libri ma ciò che elizabeth sta
facendo è un esercizio di lettura di Darcy; sbaglierà, tuttavia la sua grande capacità sarà la rilettura del personaggio.
Ciò che Elizabeth sta facendo d’altronde è un tentativo di lettura di Darcy. Ma Darcy le chiede di non essere precipitosa
nei suoi giudizi quindi il tono dall’essere ironico si fa più grave e più serio. Elizabeth dice che tante sono le cose che si

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dicono circa il suo conto, non sa a cosa credere. Ritornano le parole chiave (ad esempio: «prime impressioni»).
Le parole di Darcy annunciano ciò che si verificherà nella seconda parte del romanzo, cioè una reciproca rilettura, sia
dell’uno che dell’altro. L’esperienza decisiva come già detto è quella di Elizabeth con la lettura di parole e immagini.
Ancora una volta il riferimento ai libri è la prefigurazione del destino che gli attende: se è vero che in questo momento
Elizabeth si sottrae al confronto di letture che Darcy, seppure ironicamente, le propone, il confronto indica il cammino
da percorrere per i due personaggi che porterebbe al raggiungimento a quella sorta di «matrimonio letterario di stili».
Trilling è lo studioso che ha parlato di questo»: sostiene che questo matrimonio non è solo un matrimonio tra due classi
sociali diverse ma è «un’unione di stili» tra cioè il bibliotecario della tradizione (Darcy) e la romanzesca iroina del rifiuto
(Elizabeth), la quale è capace di gesti forti, di essere assertiva e soggettiva. Lo studioso nel saggio scrive: «la relazione
tra Elizabeth e Darcy è reale e intenso ma si esprime all’interno del romanzo come un conflitto e una riconciliazione di
stili; una retorica formale e rigorosa deve trovare il modo di far spazio a una vivacità femminile la quale a sua volta deve
riconoscere gli obblighi di una più rigida sintassi maschile. La forza morale del romanzo sta nel fatto che questa unione
di stili è attuata senza danneggiare nè l’uno, nè l’altro, per la felicità di entrambi».

CAPITOLI TRENTACINQUE E TRENTASEI. Dopo l’orgoglioso e giusto rifiuto di Elizabeth alla maleducata proposta di
matrimonio di Darcy, lui le scrive. Elizabeth si ritira in solitudine e passa il suo tempo a leggere e a riflettere: in questo
momento capirà di aver commesso degli errori. È un momento di transizione del romanzo, che segna il passaggio dalla
prima parte, che potremmo definire «teatrale», perché incentrata sulla performance dei rituali sociali, alla seconda parte
di rilettura degli errori. La lettera è un’occasione di ritiro dalla scena sociale, rappresenta la possibilità di dire qualcosa
di sè che non è possibile dire all’interno del rituale sociale e dei modi, codici e maniere del vivere sociale. Questa è solo
una delle tante lettere del romanzo — in realtà ce ne sono moltissime, al punto che alcuni studiosi hanno ipotizzato che
la prima stesura di Orgoglio e Pregiudizio fosse nella forma di un romanzo epistolare —. La lettura della lettera da parte
di Elizabeth segna un momento di transizione: d’ora in poi i dialoghi lasciano posto a una struttura meno teatrale in cui
si mescolano scene sociali, insieme a una forte presenza della voce narrante che narra, riassume e utilizza il discorso
indiretto libero, portandoci molto vicini al personaggio di Elizabeth e alle sue trasformazioni. Dopo la proposta, Darcy le
propone un esercizio testuale attraverso la lettera; non è un esercizio definitivo perché ci vorrà anche l’esercizio visivo
del ritratto di Darcy e più in generale la visita a Pemberly per sancire la totale inversione di rotta dei sentimenti di
Elizabeth, che si trova a dover fare i conti con due versioni della verità contrapposte in toto, e a giudicare e separare il
bene dal falso.
Se è riuscita a leggere i personaggi più semplici, la cosa le riesce più difficile con quelli complessi, primo fra tutti Darcy.
Il mondo in cui si trova è teatrale, nel senso che tutti in società interpretano una parte. Una delle prove più importanti
che queste eroine — Elizabeth — devono affrontare è riuscire a giudicare e a separare il vero dal falso, l’apparenza dalla
sostanza. La lettura di Elizabeth è ripetuta: prima veloce, poi sempre più lenta, e si renderà conto di aver confuso realtà
e apparenza, apparenza e sostanza; ha giudicato cioè i modi esteriori, quindi l’apparenza di Wickam, senza interrogarsi
troppo sulla sostanza, facendosi trasportare troppo da una perfetta apparenza.
Il capitolo della lettura della lettera ci viene presentato come uno straordinario momento di introspezione da parte di
Elizabeth, che prevede lo sguardo retrospettivo sugli avvenimenti del passato, che fa mutare il suo giudizio del mondo
esterno, sui personaggi che vi hanno fatto parte e sul ruolo che hanno avuto. Nonostante dunque tutte le grandi qualità
che il personaggio ha dimostrato nel corso del romanzo, cioè vivacità, intelligenza, prontezza, buon senso, che sono le
qualità da cui Darcy stesso nella prima proposta di matrimonio dice di essere stato attratto, e che da sempre fanno di
Elizabeth una delle eroine più amate della letteratura inglese. Nelle scene di rifiuto tutte queste qualità vengono a galla
per esempio un rifiuto di Elizabeth è rivolto a Lady Catherine, che le chiede di prometterle di non sposare Darcy, ma
Eliza, la più grande eroina della letteratura, un’eroina del rifiuto, non la accontenterà. Gli altri cercano di ingabbiarla in
uno schema — si pensi anche a Collins e allo stesso Darcy che crede che la sua proposta sia irrifiutabile, ma che invece
sarà rifiutata con forza —. Come accade a tutti gli eroi e le eroine del romanzo di formazione, lo sbaglio è parte della
struttura del romanzo — struttura labirintica dei romanzi —.
La lettera contiene le spiegazioni di Darcy e come egli stesso dice il suo desiderio di svelare il vero carattere di Wickam,
a cui oppone il suo ritratto e il ritratto mentale che di lui si è fatta Elizabeth, la quale si trova così di fronte a due verità
contrapposte: il racconto di Wickam, che c’è stato nella prima parte a cui Elizabeth ha creduto fino ad ora, e la nuova
versione alla prima contrapposta. La sua prima reazione è quella di non credere, ritiene impossibile il tutto.
La lettera, cioè la trascrizione in parole di una serie di azioni, è determinante, insieme allo stile in cui è scritta.
Rispetto allo stile, pur contrastata all’inizio che consiste in un iniziale rifiuto, Elizabeth reagirà poi in un diverso modo.
Le lettere nel romanzo sono tante, si pensi alla lettera dallo stile pomposo di Collins, in seguito alla quale Elizabeth e il
lettore si fanno un proprio giudizio del personaggio. Il capitolo è unico (in James vedremo una cosa simile anche se più
complessa) perché non avviene nessun’azione esterna, piuttosto seguiamo solo l’atto della lettura di questa lettera, che

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è lettura ripetuta, prima parziale, poi ripresa. Si conclude con un’enorme stanchezza di Elizabeth, come se avesse svolto
un’azione faticosa; il momento della lettura è un momento in cui deve rielaborare le sue idee per giungere a nuove ed
altre conclusioni che riguardano principalmente se stessa. Elizabeth per designare il proprio comportamento utilizza le
parole chiave «orgoglio» e «pregiudizio». Entrambi i personaggi in modo diverso si rendono colpevoli, sia di orgoglio,
sia di pregiudizio, e dovranno imparare a smussare questi sentimenti e comportamenti per trovare un compromesso.
La costruzione del capitolo è abile, consiste in una lettura complessa e ripetuta, interrotta e poi ripresa.
Sono due le questioni principali che Darcy affronta nella lettera, rispondendo alle accuse fattele da Elizabeth quando lei
ha rifiutato la sua proposta e alle quali non ha risposto in modo adeguato. La lettera consente a Darcy di chiarire ciò
che non è riuscito a spiegare a parole. La prima questione riguarda il ruolo che Darcy ha avuto nell’ostacolare il
matrimonio di Jane e Bingley, e il giudizio estremamente negativo che Darcy ha della famiglia di Elizabeth, con la sola
eccezione di Elizabeth stessa e di Jane. Questa è la prima parte della lettera ed è la più difficile da comprendere. La
seconda accusa da cui si difende è il comportamento nei confronti di Wickam. La conferma della vera sostanza di Darcy,
che era rimasta nascosta dalle apparenze delle prime impressioni, si avvia con questa lettera ma si realizzerà in modo
completo con la visita a Pemberly (fungerà da conferma della reale sostanza di Darcy).
La lettura della lettera è caratterizzata dal pregiudizio (proprio di Elizabeth) e questo la voce narrante lo sottolinea: «con
forti pregiudizi su qualunque cosa potesse dire, cominciò a leggere il resoconto di ciò che era accaduto a Netherfield».
Nel leggerla, perché Eliza è una lettrice attenta, deve anche lei prima fare un resoconto mentale di ciò che è accaduto a
Netherfield per poter stabilire qual è la verità. La prima lettura è impaziente e rapida, condizionata dal pregiudizio; cioè
non cambia le carte perché il pregiudizio di Elizabeth permane, insieme all’orgoglio di Darcy che secondo Elizabeth lo
caratterizza. Il paragrafo successivo si apre con un’avversativa («tuttavia quando si passò a parlare di Mr. Wickam»).
Elizabeth è oppressa da sentimenti contrastanti: stupore, apprensione e persino un senso di orrore. Il desiderio è quello
di screditare e non credere alle parole che legge. Non appena termina la lettura della lettera, la mette da parte con la
volontà di non volerla più vedere. In realtà dopo una passeggiata nervosa la riprende e ne rilegge solo la seconda parte
che riguarda Wickam. Questa prima rilettura è più attenta a differenza della prima, si sforza di esaminare il significato di
ogni frase e non può non notare che su certi aspetti i resoconti di Wickam e di Darcy, finchè i loro rapporti erano sinceri,
coincidano. Dice infatti che un racconto confermava l’altro. Tuttavia quando arriva alla lettura del testamento, si rende
conto che le storie non coincidono più: c’è sforzo retrospettivo di Elizabeth che tenta di ricordare ciò che era avvenuto
e in modo particolare le parole di Wickam, da giungere a un altro momento di riesame del proprio pensiero e giudizio.
Comincia l’ennesima lettura (ci sono continue pause, riflessioni e riprese della lettura).
Pian piano si assiste al mutamento, consistente nel ritenere Darcy un innocente. Così con grande intelligenza comincia a
questo punto a interrogarsi sui motivi che l’hanno condotta a credere ai racconti di Wickam, si rende conto che il suo
giudizio nei suoi confronti fino ad ora non si è basato su qualcosa di reale ma sulla pura apparenza; si rende conto che a
influenzarla cioè sono stati il contegno, la parola e le belle maniere di Wickam. Emerge il tema della propriety ma come
anche in Northanger Abbey, la propriety, affinchè sia un valore, deve essere sincera, non recitata — il generale Tinley, si
comporta con garbo nei confronti di Catherine ma tira poi fuori la sua vera natura malvagia quando scopre che è stato
ingannato da quest’ultima —. Nella lettera Darcy la invita a consultare il cugino perché lui può dimostrare che ciò che
dice è vero (cioè i progetti di Wickam sulla signorina datcy). Il primo istinto di Elizabeth è consultarlo tuttavia poi sceglie
di fare un processo interiore anzichè ricercare la verità altrove anche perché se Darcy ha detto ciò è sicuro che anche il
colonnello Fitzwilliam dirà lo stesso. Così si rende conto che il parlare a un’estranea di quei fatti era un esempio di
cattive maniere; ricorda che Wickam ha detto di non aver pausa di vedere Darcy, eppure ha evitato di prendere parte al
ballo di Netherfield. Il ricordo che Elizabeth mette in atto mostra l’alternanza tra la lettura del presente, e il ricordo e i
ripensamenti che la lettura fa scattare, come se stesse rivivendo in modo sintetico ciò che è successo nella prima parte
mettendolo però in una nuova luce. Comincia così a capire che si è basata sulle apparenze anche relativamente a Darcy.
A tutto questo si accompagna la vergogna che Elizabeth comincia a provare; si rende conto cioè di essere stata cieca e
si condanna per questo pregiudizio che l’ha colpita. Quindi l’analisi da Wickam passa a Darcy: capisce che si è basata su
apparenze che le hanno oscurato la realtà.
Dalla narrazione in terza persona passa all’indiretto libero; il giudizio negativo ora è contro se stessa. Quindi è giunta a
un capovolgimento di giudizio, accompagnato da un duro giudizio su se stessa. Nel poco spazio che resta nel capitolo
deve compiere un altro passaggio, consistente nel tornare a esaminare la prima parte della lettera perché, se grazie alla
rilettura è giunta a credere a Darcy su una questione, probabilmente non può che credergli totalmente. Riesamina la
questione Jane-Bingley; il narratore ricorda che le spiegazioni di Darcy su questo punto le erano sembrate insufficienti,
quindi la lettura deve ricominciare ancora una volta. L’ennesima rilettura le fa scattare il ricordo; la lettera le farà anche
cambiare il giudizio sulla sua famiglia e si renderà conto che le uniche a salvarsi sono Jane e lei stessa. Si rende conto
cioè che una donna in un mondo come quello non può mostrare per prima i suoi sentimenti o andare a caccia di soldati
come fanno le sorelle minori, ma c’è bisogno di mostrare il sentimento e assumere delle adeguate maniere. Poi giunge

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alla parte della lettera, in cui si parla della sua famiglia, all’argomento cioè che le è più vicino.
Ritorna il sentimento della vergogna, scaturita dal riconoscimento della verità delle parole di Darcy. Quando poi tornerà
a casa, Elizabeth si renderà conto che l’unico personaggio che oltre lei si salva in questa famiglia è proprio Jane e non
sarà un caso che gli matrimoni felici saranno quelli di Jane e Elizabeth. Alla fine della lettera, elizabeth si sente più
vicina a Darcy e al suo giudizio: è giunta a un cambio di opinione decisivo per la continuazione e risoluzione del
romanzo.
Dopo la lettura, per due ore ancora il processo mentale di riflessione continua; continua cioè a riconsiderare gli eventi e
a pensare, rendendosi conto del cambio radicale di opinioni a cui è stata sottoposta.
Ora è necessario per il riavvicinamento e la riconsiderazione totale un altro passaggio, che la condurrà letteralmente nel
mondo di Darcy, vale a dire la visita di Pemberly, accompagnata dalle parole della governante. Questo è un topos del
romanzo di formazione (l’abbiamo già visto in Northanger Abbey con la visita dell’abbazia). È convinta di non incontrare
Darcy — lo incontrerà solo a visita conclusa —. Elizabeth stessa ammette di essersi innamorata di Darcy solo una volta
in cui ha visitato Pemberly, che non è solo una casa ma il luogo in cui, attraverso il rapporto con i suoi subordinati, Darcy
esercita la propria funzione di gentiluomo. È quindi a Pemberly che si trova di fronte la casa e nel cuore di questa, negli
appartamenti più privati che in genere non si visitano ma in cui la governante la porta e la invita a osservare il ritratto.
Le racconta il Darcy bambino, il Darcy fratello e il modo in cui si comporta con la sorella, il Darcy padrone e il modo in
cui si comporta con i suoi dipendenti.

CAPITOLO QUARANTATRE’. Quando c’è la visita a Pemberly, grazie alle parole della governante che elogiano Darcy
come padrone, gentiluomo e non solo, Elizabeth si rende conto della sua reale natura e del suo reale ritratto. La visita è
importante anche perché c’è il primo incontro molto caloroso tra Darcy e gli zii di Elizabeth, che è un incontro tra ceti
sociali molto diversi: tra borghesia e ricca nobiltà. Gli zii di Eliza infatti sono gli unici veri borghesi del romanzo. Grazie
alla loro ricca presenza e al ruolo che, insieme a Darcy, svolgono nella risoluzione del romanzo, insieme anche al ruolo
genitoriale che ricoprono nei confronti di Elizabeth, forniscono un esempio di compromesso tra borghesia e nobiltà.
Il capitolo dell’incontro si apre con la descrizione di Pemberly dall’esterno (la natura che sta intorno sarà descritta dopo
la visita); la descrizione è significativa perché l’edificio e i suoi dintorni sono in qualche modo già un simbolo di perfetta
armonia. Ci troviamo su un’altura (come in Northanger Abbey si richiama la tradizione della visita dall’alto, che oltre al
valore descrittivo ha un valore politico di armonia, che prelude all’armonia finale del romanzo, che tuttavia riguarda solo
una parte del mondo del romanzo, i soli Darcy ed Elizabeth, Jane e Bingley, tutti gli altri personaggi ne rimangono
fuori. L’unione di edificio e natura e l’assenza dell’artificiosità sono sinonimo di questa perfetta armonia.
Elizabeth è entusiasta ed esprime un desiderio nascosto quando dice che essere la padrona di Pemberly doveva pur
significare qualcosa cioè doveva pur avere dei lati positivi. Il luogo descritto è cioè diverso dall’artificialità di Northanger
Abbey, così com’è diverso il ritratto di Darcy, rappresentante dell’aristocrazia, rispetto al generale. Infatti Darcy ci viene
preentato come l’opposto del generale. La governante della tenuta sa che Elizabeth conosce Darcy e le fornisce un bel
ritratto verbale di Darcy stesso e della sua famiglia. La descrizione positiva della governante non si sofferma solo sul suo
carattere ma anche sul suo ruolo sociale di padrone e sul rapporto che instaura con le classi sociali più basse. Decisive
sono le parole della governante, che lo definisce «il miglior possidente e il miglior padrone che si sia mai visto».
Si capisce cioè che, affinchè l’aristocrazia mantenga il suo prestigio, il diritto di proprietà non basta più, ma serve anche
un giusto comportamento; Darcy viene presentato come il modello perfetto. Alla fine c’è la sosta di Elizabeth dinnanzi
al ritratto. Si crea un gioco di sguardi tra Elizabeth e il ritratto che la guarda, come se fosse un nuovo incontro che sarà
ripetuto subito dopo perché all’uscita di Pemberly Elizabeth incontrerà Darcy e sarà un incontro diverso dai precedenti.
Non basta una sola visione ma, come nella lettera, Elizabeth ritorna dopo una breve pausa a osservare il ritratto.
L’antipatia e le prime impressioni di Elizabeth nei confronti di Darcy si stanno rovesciando completamente.
Mette cioè insieme la lettera e le parole della governante. Questo è il preludio a quello che sarà il perfetto matrimonio
di stili per il quale entrambi smussano i propri caratteri e spigolosità ,per raggiungere il perfetto compromesso.
Nonostante questa perfezione, dobbiamo ricordare che l’happy ending non riguarderà tutti: Jane ed Elizabeth vengono
letteralmente prelevate dai loro contesti sociali, condotte a Pemberly e la felicità si realizzerà solo per loro.

HENRY JAMES:
WASHINGTON SQUARE

Il genere del romanzo di formazione con il tempo cambia e ci propone romanzi che ricalcano in qualche modo lo stesso
tema, presentandoci giovani protagoniste femminili nel loro percorso di formazione, il quale tuttavia non si concluderà
con il matrimonio. Washington Square è infatti un romanzo del non matrimonio. C’è l’eroina di nome Catherine, che per
certi versi ricorda la Catherine di Northanger Abbey tuttavia la sua vicenda sarà molto diversa, caratterizzata da un

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finale agrodolce in qualche modo, amaro da un lato perché l’eroina resterà sola, ma non del tutto tragico dall’altro
perché al di là del matrimonio ci sarà una formazione e una crescita. Con Ritratto di signora ci troviamo di fronte a una
situazione più complessa: c’è la storia di un’eroina che inizialmente, per tutta la prima parte del romanzo rifiuterà tutte
le trame che le vengono proposte. Se abbiamo definito Elizabeth «eroina del rifiuto» è perché rifiuta Collins e Darcy,
rifiuta poi di obbedire a Lady Catherine; qui c’è un rifiuto del matrimonio in generale come unico destino adatto alla
donna in nome della libertà e dell’indipendenza — chiare già dalle prime pagine del romanzo —. Però questo rifiuto a
metà romanzo è messo da parte dalla protagonista per sposare un uomo e dovremo cercare di capire le ragioni di
questa scelta. Inoltre il romanzo soprattutto ci presenta un matrimonio infelice ma non si chude con questo, come
succedeva con i romanzi di Jane Austen, in cui il matrimonio rappresenta la conclusione del percorso di formazione e
del romanzo stesso. Ritratto di signora possiamo definirlo il «romanzo del post matrimonio» perché il matrimonio è
collocato al centro ma non viene descritto nè messo in scena, non occupa cioè il ruolo predominnte che aveva nella
Austen. Invece la seconda parte del romanzo consiste nella crescita della consapevolezza del personaggio, che
diventerà il centro più assoluto del romanzo.
Henry James è scrittore rivoluzionario, che lascia alla tradizione successiva una serie di strumenti che comporteranno la
nascita e influenzeranno il romanzo modernista novecentesco.
La stagione vittoriana è felice per la letteratura e il romanzo inglese, vi troneggia la figura di Dickens, il romanziere più
amato e rappresentativo (insieme ad Eliot e ad altri); si configura come grande tradizione romanzesca perché il romanzo
diventa sempre più popolare, nonostante debba continuare a difendersi dalle accuse di immoralità di cui la Austen ci ha
parlato in Northanger Abbey. Ne consegue che a causa di queste accuse, c’è poca riflessione teorica del romanzo come
genere letterario. James diventa uno dei principali protagonisti di questa riflessione. Nella sua vita relativamente lunga
non è mai stato soddisfatto dei risultati acquisiti, ha cercato di andare sempre avanti, lavorando sulla forma romanzo.
I romanzi che leggeremo si collocano all’inizio della carriera — Washington Square è del 1880, Ritratto di Signora è del
1881 —, dunque da essi trapela solo una conoscenza limitata della sua opera. Si tratta di uno scrittore sperimentale non
solo perché sperimenta il genere ma ci riflesse sopra per lasciare alla tradizione modernista successiva (Wolf e Joyce)
una serie di strumenti che daranno vita al romanzo più sperimentale novecentesco. Nasce nel 1843 e muore nel 1916; è
una vita relativamente lunga per l’epoca in cui nasce e vive; l’epoca è importante: siamo agli inizi della guerra mondiale,
che modifica la visione della realtà in modo radicale —Ritratto di signora si presenta come «romanzo ponte»: anticipa la
tradizione del romanzo novecentesco, che ci conduce verso il romanzo contemporaneo —. Quando James nasce a New
York si avvia una stagione letteraria definita «rinascimento americano», che vede apparire nel quinquennio 1850-1855
una serie di capolavori in vari generi letterari (il romanzo, poesia, racconto), che costituisce la base del canone letterario
americano. Cioè la letteratura americana comincia pian piano a distaccarsi dalla letteratura della madrepatria inglese.
Nathaniel Hawthorne, autore della Lettera scarlatta, diventerà uno dei padri letterari di James. Soprattutto in Inghilterra
svolge un ruolo fondamentale, infatti nel 1916 muore come cittadino inglese. Pur nato in America, vive la maggior parte
della sua vita in Inghilterra tant’è che un anno prima della sua morte ottiene la cittadinanza inglese.
Il rapporto con l’autore della Lettera scarlatta è intricato, c’è da parte di James filiazione e insieme desiderio di superare
il modello. Questo rapporto è talmente forte che nella sua autobiografia James racconta una scena che sembra troppo
bella per essere vera: racconta di sè bambino che sente nominare il libro la Lettera scarlatta, si ricorda di tutto ciò e lo
scrive, e racconta anche che il giorno in cui ha la notizia della morte di Hawthorne riceve una lettera di un editore di una
rivista che accetta la pubblicazione del suo primo racconto. È questo un perfetto passaggio di testimone.
James è un autore prolifico e con una lunga carriera, non solo dedicata al genere romanzesco. Una delle caratteristiche
di James, che segna una differenza rispetto agli altri romanzieri ottocenteschi, e che condivide fortemente con i romanzi
novecenteschi, è il costante intreccio di attività narrativa (romanzi, racconti e novelle) con una riflessione critica e teorica
al tempo stesso. James infatti è il personaggio centrale del dibattito sul romanzo, che si sviluppa in Inghilterra dal 1870.
La prima fase letteraria riguarda i primi esperimenti (1860-1881), è una fase sperimentale ma anche decisiva perché egli
sperimenta vari modelli narrativi, da un lato tenendo presente Hawthorne, dall’altro l’altro grande modello e «padre» di
James, cioè la tradizione del realismo europeo e in particolar modo francese (Balzac).
A presiedere all’origine di Whashington Square e Ritratto di signora ci sono questi modelli e la prima fase stessa; essi
segnano anche la chiusura di questa fase letteraria, durante la quale decide di lasciare gli Stati Uniti a favore dell’Europa
e della Francia inizialmente (solo in un secondo momento si trasferisce in Inghilterra), quasi a seguire le tracce di Balzac
e la tradizione del realismo francese ottocentesco. Durante questi anni legge scrittori francesi e scrive dei saggi (raccolti
nel volume Einaudi «La lezione dei maestri»). Scrive un saggio (1879) dedicato a Hawthorne, che si configura come una
biografia critica dell’autore. Poco dopo che si è stabilito in Inghilterra e comincia a essere ritenuto un autore americano
di grande spicco e prestigio sulla scena letteraria, un editore ha un’idea brillante: c’era una collana intitolata «Letterati
inglesi» in cui, a ciascuno di questi autori scelti veniva dedicato uno studio biografico e critico. In questa lista c’è anche
Hawthorne, l’editore affida a James il compito di scrivere la sua biografia. Altra caratteristica di questa fase che continua

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per tutto il resto del secolo è l’importante dibattito sul romanzo in Inghilterra, che comincia a partire dagli anni ’70.
Si parla di età vittoriana perché si fa riferimento al regno della regina Vittoria, che regna fino all’inizio del ventesimo sec.
Almeno per quel che riguarda la letteratura tuttavia le cose cominciano a cambiar ancor prima della fine del suo regno.
La data simbolica è il 1870, anno della morte di Dickens e della tradizione letteraria precedente, che comincia a essere
contrastata dalle nuove generazioni. Questo è l’anno del conflitto franco-prussiano, che ridisegna i confini e gli equilibri
europei. Nonostante l’Inghilterra, che all’epoca è una grande potenza, non sia direttamente coinvolta nel conflitto, deve
superare la tradizione dell’insularismo. Diventa diffusa la lettura di opere francesi a partire da Balzac, la traduzione poi di
romanzieri russi (Tolstoji, Dostojieski) ecc. Il 1870 è inoltre l’anno in cui viene emanata una legge che rende obbligatoria
l’istruzione per tutti fino ai sedici anni e che comporta cioè la nascita di un nuovo pubblico di lettori, che impareranno a
leggere ma non avranno necessariamente cose da leggere adatte al loro livello d’istruzione (basso se si ferma ai sedici
anni). La nascita di nuovi bisogni comporta la nascita di una divisione tra una consistente produzione letteraria di massa
e una più prestigiosa e alta. Tutti questi avvenimenti impregnano le opere di James.
La seconda fase è ancora permetata dallo sperimentalismo (1890-1895); si tratta di anni definiti «drammatici»: la realtà è
che James è diventato un autore ormai affermato, è riconosciuto come un grande scrittore, sta conquistando ciò che si
consoliderà alla fine della sua vita, quando verrà soprannominato «il maestro». Gli manca però in questa fase un diretto
rapporto con il pubblico, spera di trovarlo con il teatro.
La dimensione teatrale si rivela importante; in America i romanzi sono dotati di una dimensione teatrale questo perché
nella cultura sia inglese che americana è importante la tradizione che fa capo Shakespeare, dimenticato e trascurato
nell’Illuminismo ma poi recuperato e nuovamente rappresentato nel romanticismo. In questo periodo James fa un salto,
è già un’arista polimòrfo tuttavia quando si dedica al teatro è un disastro perché i suoi drammi non sono all’altezza di
quelli che scrive negli altri generi. Al debutto del primo dramma era molto agitato, lasciò il teatro per entrare in un altro
vicino dove assiste al trionfo di un’opera di Oscar Wilde. Ritorna poi a teatro alla conclusione della messa in scena della
sua opera e viene fischiato dal pubblico. Ottiene sempre scarsi risultati dal pubblico durante gli esperimenti teatrali.
Nel 1895 ritorno sulla scena narrativa e ha inizio la terza e ultima fase. Dall’esperienza teatrale ricava una nuova forma
narrativa chiamata «metodo scenico», in cui mescola «scena» e il «raccontare la narrazione».
Questa nuova sperimentazione riguarda una narrativa breve: sperimenta l’uso di tecniche importanti poi per il romanzo
modernista, come il punto di vista limitato, la coscienza del personaggio al centro della vicenda ecc. Successivamente
torna a dedicarsi al romanzo e compone le ultime tre grandi opere: Gli ambasciatori (1901), Le ali della colomba (1902)
e la Coppa d’oro (1904). La sua prosa è diventata ricca e metaforica; questi romanzi sono complessi e meravigliosi,
segnano una svolta e fanno di lui il maestro della generazione successiva. Se la carriera narrativa di James si chidue qui,
anche se ci sono altre opere che rimangono incompiute, prima di morire s’impegna in un progetto singolare nella storia
della letteratura: era consuetudine alla fine della carriera di un grande autore che il suo editore presentasse un’edizione
completa e lussuosa delle sue opere rilegate tutte nello stesso modo, come segno di riconoscimento dell’importanza
dell’autore — es: i MERIDIANI Mondadori —. Ma James non si accontenta di vedere pubblicati i suoi romanzi in questa
edizione celebrativa e s’impegna tra il 1907 e il 1909 in una speciale edizione delle sue opere, intitolata «l’edizione di
New York» come omaggio alla sua città natale. Quest’azione comprende tre momenti: rilegge le sue opere e sceglie in
modo misterioso quello che entrerà e quello che rimarrà fuori da questa edizione — per esempio Washington Square,
considerato oggi uno dei suoi romanzi più famosi, adattato a teatro e al cinema, rimane fuori per ragioni che possiamo
intuire ma non possiamo sapere con certezza, forse perché nella sua raccolta cerca di creare un cammino che sia il più
lineare possibile eliminando opere e temi; invece Ritratto di signora entra in questa edizione —. Le altre due operazioni
sono di scrittura che consistono nel mettere mano alle opere, riscrivendo i qualche modo se stesso, non cambiando la
trama ma intervenendo sullo stile, arricchendolo dal punto di vista metaforico e intervenendo in modo decisivo sulle
sue opere. È un’operazione di riscrittura, evidente di più sulle opere giovanili e meno sulle più tarde. Il risultato è che il
testo che leggiamo di Ritratto di signora è stratificato, come un palinsesto (scritto nel 1880, riscritto agli inizi del 1900):
poichè l’edizione speciale è l’ultima volontà di James, l’opera che noi leggiamo si basa sulla riscrittura del 1900. Quindi
è un’opera su più strati. Aggiunge pure una frase che chiarisce meglio il finale del romanzo.
L’ultima operazione è anch’essa di scrittura: dopo aver riscritto, per diciotto volumi (in tutto le opere sono 26) inserisce
una prefazione in cui racconta la genesi dei romanzi. Prefazione dopo prefazione elabora una vera e propria teoria del
romanzo. Saranno proprio queste prefazioni che si riveleranno estremamente influenti negli anni successivi perché sarà
proprio attraverso queste che James lascerà un’eredità teorica alle generazioni successive. Anche perché, se è vero che
possiamo definire quest’edizione come opera di autocanonizzazione da parte di James, che è come se si costruisse un
proprio canone, queste prefazioni non rimarranno relegate nell’edizione di New York — che è un’edizione lussosa e
costosa —. Dopo la sua morte negli anni in cui si sviluppa il modernismo inglese, queste prefazioni verranno estratte e
pubblicate in un volume a parte tant’è che si trovano anche in un volume italiano intitolato «Le prefazioni».
La prefazione a Ritratto di signora è dunque scritta a più di vent’anni dalla prima pubblicazione del romanzo. L’edizione

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che possediamo di Ritratto di signora non stampa la prefazione, che tra l’altro è la più celebre perché contiene una serie
di immagini e metafore.

Il germe della storia descritta in Washington Square proviene dalla vita reale, aneddoti e storie che ha sentito, che l’arte
trasforma in qualcosa di nuovo. Infatti la sera prima una grande attrice shakesperiana gli raccconta una storia vera —
ecco perché la forma che James dà al romanzo è una forma teatrale —, il giorno dopo mette per inscritto la vicenda di
Washington Square, ne imposta cioè già la trama, inserisce parole chiavi che ritroveremo tali e quali nel romanzo, come
la descrizione di Morris, definito «bello», e la caratteristica di essere «opaca, bruttina e ordinaria» di Catherine. Quello
che cambia è la scelta di ambientare il romanzo in America — mentre la maggior parte delle sue opere è ambientata in
Europa —. Questa scelta è nuova e sorprende. Tuttavia la trasposizione non è soltanto geografica ma anche storica. Se
ciò che ascolta è un fatto recente, quando lui scrive lo ambienta nella New York della sua infanzia. Infatti Washington
Square è il luogo in cui è nato l’autore stesso. Ma perché ha scelto di mettere in atto questa trasposizione geografica e
insieme storica? La risposta potrebbe sembrare un paradosso, perché nonostante il fatto che quella che annota sia una
vicenda reale di vita vera, raccontata dalla sorella dell’innamorato mercenario quindi da una testimone vicina alla storia,
ciò che interessa è la letterarietà di questa storia, che gli ricorda cioè qualche cosa. L’ipotesi è confermata dalla natura
metaletteraria del romanzo: la protagonista dall’animo puro che si innamora di un corteggiatore infìdo ricorda l’opera di
Balzac «Euégenie Grandet»; un altro testo a cui probabilmente James ha pensato nel momento in cui ha scritto la storia
è il racconto di Hawthorne «La figlia di Rapaccini» (1844), ambientato in un’Italia fantastica. Tra le corrispondenze vi è il
triangolo dei personaggi presenti anche nella vicenda di Eugénie Grandet: un padre dottore dall’intelletto spietato, una
fanciulla dall’animo puro e un corteggiatore infìdo. La storia stessa dell’opera di Hawthorne è smile a quella di James,
che racconta la storia di un personaggio femminile troppo presto definito da un’autorità maschile, che sia del padre o
dell’innamorato. La prima impressione che si ricava è il fatto che James abbia voluto in primis fare per la sua New York
ciò che Balzac ha fatto per la Francia nel caso specifico di Eugénie Grandet: nel caso di Balzac ci sono scene di costumi
di provincia, cioè lui ha cercato di creare il proprio mondo attraverso la letteratura. In un’America in cui per gran parte
dell’Ottocento l’opzione del romanzo realista non era possibile, considerata la giovane età dell’America e insieme la
mancanza delle stratificazioni sociali che rendevano possibili il novel in Inghilterra e il romanzo realista in europa. C’è in
America una notevole mancanza di materiali, che non permette di creare il corrispettivo del romanzo europeo. Sembra
cioè che James parta dall’idea di voler creare un’equivalente americano del romanzo di Balzac. Ecco perché sposta la
vicenda negli Stati Uniti e la ambienta in un tempo diverso. Il libro tuttavia, nonostante le premesse iniziali, si trasforma
in qualcosa di diverso che non è nè semplicemente un Balzac americano nè una ripresa di Hawthorne, è piuttosto un
modello diverso nato dalla ripresa e unione dei due modelli tra loro contrastanti. James finisce per proporre un modello
nuovo, tutto suo, che mette da parte la dimensione del realismo e privilegia una dimensione più introspettiva.
Il romanzo è incentrato sulla figura della protagonista, tant’è vero che alcuni critici hanno avuto da ridire sul titolo scelto
da James, che avrebbe piuttosto dovuto intitolarlo con il nome della protagonista. Ogni personaggio del romanzo è
caratterizzato da uno stile particolare — nell’ambito letterario e nel modo di comportarsi — così che mette in scena una
vera e propria lotta di stili tra i personaggi principali del romanzo. Catherine ci viene presentata come un’anti eroina. La
sua prima presentazione infatti ricorda da vicino quella di Catherine Morland, sembra proprio che James si sia basato su
quella, perché è una presentazione fatta con la negazione. L’azione comincia con un momento topico di questi romanzi,
cioè la festa e il ballo. Catherine sin dal principio è silenziosa, è una delle eroine più silenziose della letteratura; il suo
silenzio è centrale e la storia ci racconterà da un lato il drammatico tentativo di tutti i personaggi di imporle e scrivere la
storia di Catherine al suo posto, dall’altro la resistenza della protagonista, che pure avviene nel silenzio. Il romanzo non
prevede l’approdo alla felicità matrimoniale ma comporta un finale di solitudine, insieme a una crescita del personaggio
che conosciamo dapprima come semplice, ingenuo e addirittura stupido per certi aspetti, che diventa artefice e autore
della propria storia.

PRIMI TRE CAPITOLI e NARRATORE. I primi tre capitoli rappresentano un’unità a sé rispetto agli altri del romanzo, che
ha un impianto teatrale e scenico a partire dal quarto capitolo. L’incontro tra Morris e Catherine dà avvio alla storia. J.
gioca con le aspettative del lettore, che si aspetta una trama simile a quella di Jane Austen, che non viene soddifsfatta.
I capitoli iniziali sono importanti per più ragioni: conosciamo i principali personaggi del romanzo, presentati in un ordine
interessante che fa riflettere in quanto ancora una volta, così come il titolo mette in ombra quella che sarà l’eroina e la
protagonista del romanzo, Catherine è l’ultima dei personaggi ad essere presentata. Il primo personaggio è decisivo e
importante: il dottor Sloper; il secondo è la zia, il terzo è Catherine (il quarto, Morris, lo incontriamo solo una volta che
l’azione ha avuto inizio). Il narratore è onniscente, al quale James ha prestato tratti della sua biografia infatti a un certo
punto si lascia andare a una parentesi topografica in cui parla di New York, la città natale di James.
Ma narratore e autore non vanno confusi, il narratore infatti rimane una funzione del racconto ma occupa quasi un ruolo

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a sè nel romanzo, anche se è privo di nome perché non è un personaggio vero e proprio del romanzo ma è esterno alla
storia. Il tono del narratore è importante da cogliere perché i personaggi descritti hanno un destino e percorso diverso;
ci accorgiamo in sostanza che la maggior parte dei personaggi rimane fissa nella caratterizzazione iniziale; c’è ben poca
evoluzione nel personaggio del dott. Sloper per esempio, se non un aggravamento dei caratteri iniziali; non c’è alcuna
evoluzione nel personaggio della zia, che possiamo definire «caricaturale»: se Sloper è un personaggio complesso che
rimane rigidamente ancorato alle sue idee e caratterizzazioni, la zia è un personaggio che da subito viene sottoposta a
una caricatura; Morris è un personaggio camaleontico che si accoda agli altri. Gli unici a subire un’evoluzione sono: in
primis Catherine, inizialmente presentata come una sorta di nullità e «spazio vuoto», da cui nessuno si aspetta granchè,
soprattutto il padre, che l’ha congelata nella categoria della delusione e della cieca obbedienza; l’altra figura a subire
una trasformazione è il narratore perché, com’è evidente nel primo capitolo, è inizialmente molto vicino al dott. Sloper;
il tono e il linguaggio dei due sono estremamente vicini, così come vicina è la loro ironia, e lo vedremo nel modo in cui
il narratore parla del dottore, utilizzando strumenti intellettuali che sono estremamente simili a quelli del dott. Sloper e
nel modo in cui entrambi parlano di Catherine, utilizzando cioè la stessa tagliente ironia — ma il narratore non avrà mai
il duro sarcasmo che sin da subito notiamo nelle parole del dottore —. Le corrispondenze tuttavia andranno a scemare
perché a un certo punto il narratore non mostrerà nessuna ironia per l’amore di Catherine nei confronti di Morris. Anzi il
narratore farà qualcosa che nessun altro personaggio farà, vale a dire avvicinarsi a Catherine. In questo modo anche il
lettore comincerà a vedere Catherine con occhi diversi e da un’altra prospettiva, e ci mostrerà la sua evoluzione.
Un’altra ragione per cui quesrti capitoli sono importanti è perché, oltre a raccontarci sin da subito la storia del dottore,
ci mostrano un clima morale, così James arretra rispetto alla trattazione della vicenda principale dell’amore disilluso di
Catherine. Nei primi capitoli cioè si va avanti e indietro nella storia, dall’antica giovinezza del dottore all’epoca presente
che vede Catherine impegnata nella ricerca di un marito. Nel primo capitolo accanto alla presentazione della giovinzza
del dottore si parla di un movimento del dottore stesso all’interno dell’isola di Manatthan.
In questo processo temporale ci viene descritta la crescita di un altro personaggio del romanzo, vale a dire la città di
New York. Bisogna fare una distinzione tra le città europee e le città americane. Le città europee crescono a partire da
un centro e si sviluppano secondo un movimento rotatorio. Lo sviluppo delle città americane è diverso, è una crescita
che va in linea retta. Manatthan segue questo modello ma è un caso diverso per la sua peculiarità, è un’isola, per cui la
possibilità di crescita è limitata da questo. Tuttavia il modello è quello di una linea retta che sale, non a caso la divisione
classica della città di Manatthan prevede un downtown (zona bassa) un uptown (zona alta) e un midtown (zona di
mezzo) in cui downtown è la zona delle orini, il nucleo originario della città, la parte della città che più assomiglia a una
città europea: le vie non sono necessariamente dritte, le strade hanno un nome — come accade in quelle europee —;
ed è il luogo da cui parte la vita del dottor Sloper. Nel primo capitolo viene detto che dopo il matrimonio felice con
Catherine presentata come l’esatto opposto della figlia il dottore decide di seguire il movimento della città e di farsi
costruire una casa a Washington Square, in cui si ferma anche la protagonista. Gran parte del romanzo è ambientato in
questo luogo ma ci sono anche riferimenti ad altre parti. La crescita di Washington Square si manifesta diversamente a
seconda delle stagioni temporali, perché se la zona di Washington Square è fatta di costruzioni basse, la crescita della
città assumerà poi col tempo (siamo già oltre i limiti del romanzo) un’altra dimensione, perché la città assumerà la
cosiddetta “pianta a griglia”: essendo un’isola fondata su rocce rigide, può permettersi una crescita verso l’alto. Il
dottore ha un momento di crescita ma non segue la crescità dell’intera città, la sua è tutta interiore e si stoppa a un
certo punto. Oltre ad essere un romanzo di formazione, che non confluisce nel matrimonio, è anche questo un romanzo
del linguaggio e dello stile. Ci sono vocaboli che soprattutto nei primi capitoli ricorrono maggiormente. James usa
nomi “parlanti” per i personaggi: dà dei nomi che sono credibili come nomi dell’anagrafe (una delle differenze del
novel dalle narrazioni del passato è il fatto che i personaggi hanno un nome e cognome), ma non solo: il nome del
dottor Sloper è traducibile come «pendio, qualcosa che scende», è un nome cioè interessante perché prefigura il
destino del personaggio, che ci viene presentato come un personaggio che è all’apice del suo mondo sociale per la
professione che esercita e le sue qualità intellettuali, crescita, avvenuta in contemporanea a quella della città. Il romanzo
ci mostra però da un lato la sua forza intellettuale e la sua crescita, e dall’altro la sua caduta perché rimane attaccato
alle sue idee ma non riesce ad ottenere da Catherine ciò che davvero desidera, muore senza che questo accada, scivola
nel villan del romanzo gotico (ecco perché il nome).
Ancor più parlante è il nome della zia, Lavinia Penniman, il cui cognome significa «scribacchino»: è cioè legato a una
cattiva letteratura, come le storie e le trame ricche di artificio e finzione che il personaggio cerca di elaborare, dandoci
idea della falsità della scrittura che mette in atto. Il nome Morris vede l’associazione a una città che rimanda alla strana
mobilità del personaggio, che è capace in modo camaleontico di adattarsi agli stili di tutti gli altri.
Il romanzo è metaletterario perché attraverso lo stile dei personaggi è possibile per James fare un discorso sul romanzo,
e proprio attraverso la figura del dottor Slooper mette in atto una forte critica alla tradizione del realismo europeo.
Sin dal primo rigo c’è la collocazione temporale e spaziale. Si ripetono le parole «grado» e «categoria», questa riferita al

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dottor Sloper (ricorre in tutto il romanzo, soprattutto nella lotta tra Morris e il dottor, quando il primo cerca di ottenere il
matrimonio). Attraverso un linguaggio fatto di costruzioni equilibrate, il narratore ci sta presentando un clima morale e
un uomo nuovo: cambia la professione del padre dell’eroina, scegliendo quella medica; lo fa per motivazioni specifiche:
nella tradizione realista e naturalista si crea analogia tra il romanziere naturalista e il medico: come il medico, il narratore
naturalista è in grado di dividere in categorie e in tipi in modo da comprendere meglio e diagnosticare la realtà.
Questa professione è presentata dal narratore come un perfetto equilibrio tra cultura e praticità: nel primo capitolo il
dottore ci viene presentato come uomo di cultura esperto nel valutare le conseguenze di ciò che accade e nel decidere
ciò che è utile. La presentazione del dottore è fatta dal narratore che mostra avere il suo modo di pensare: personaggio
intelligente in grado di comprendere gli altri, assegnarli a categorie e giungere a una diagnosi; anche il narratore usa un
pensiero categorico, ci mostra questo personaggio estremamente intelligente ed equilibrato che vive all’apice del suo
mondo e che ha la stessa sua ironia (la posizione di superiorità del dottore gli consente una tagliente ironia rispetto a gli
altri personaggi). La descrizione si basa su un’idea di equilibrio. La parola chiave, impiegata dal dottore durante tutto il
romanzo, qui è impiegata dal narratore; questo ci mostra che anche il narratore utilizza all’inizio un pensiero categorico:
sta inquadrando il dottore in una categoria. La parola chiave della descrizione del personaggio è «intelligente»: è grazie
a essa che il dottore è diventato un celebrità. Quindi ha tutte queste qualità (equilibrio, pensiero, intelligente). In realtà
la parola originale non è «intelligence» ma «clever» perché i sinonimi totali non esistono, ciascuna parola è dotata di
una sfumatura diversa, tant’è che «clever», oltre alla capacità di analisi ed espressione, proprie di intelligence, contiene
anche i concetti di furbizia e astuzia. Questa parola è utilizzata anche per Morris, non solo per Sloper, tant’è che ci sarà
una vera e propria lotta tra i due personaggi. Questo crea a livello lessicale una contrapposizione con Catherine, perché
se in clever c’è la conocenza e l’artificio, la parola chiave di Catherine è «natural», naturale; è una sorta di natura vergine
senza passato nè storia, al contrario si capsice dalle frasi successive che il dottore ha invece una storia alle spalle che gli
ha permesso di diventare quello che è. In poche righe viene tratteggiato il suo romanzo d’amore, che è giunto sino ad
un lieto fine, è raccontato in poche battute ma in termini fiabeschi, e ironicamente quello che ci viene raccontato è ciò
che non vuole che accada anche a Morris. Il dottore ha sposato un’ereditiera, un matrimonio che garantisce equilibrio
tra romanticismo e praticità: ha la fortuna di innamorarsi di una donna ricca che lo ricambia, è un matrimonio felice. La
signora Sloper (Catherine) è presentata con pochi aggettivi, la sua è rappresentazione opposta a quella che si fà della
seconda Catherine, cioè la protagonista del romanzo e figlia di Sloper. La signora Sloper è tutto ciò che Catherine non
è: amabile, colta, garbata ed elegante. La moglie diventa metro di paragone delle altre donne, tra cui Catherine, che
diventa delusione per il solo fatto di essere donna e nel romanzo è giudicata duramente insieme alla signora Penniman,
mentre nutre più rispetto nei confronti dell’altra sorella. Prima di concludere il ritratto il narratore sottolinea ancora una
volta la vicinanza con il dottore, lasciando presagire la lotta che ci sarà tra i due.
Nel raccontarci le sventure del personaggio, presentato in modo positivo, il narratore utilizza l’ironia nei suoi confronti,
tratto che fa parte anche del suo linguaggio. Quindi già da questo primo capitolo si riconosce che sia la professione di
medico, equiparata a quella dei romanzieri modernisti (Zola), sia il suo pensiero, fanno sì che Sloper incarni il ruolo e lo
stile del romanziere realista. James è infatti un grande lettore della tradizione realista, grande ammiratore e critico.
E infatti proprio nel romanzo inserisce una critica al romanzo realista francese. Un’altra caratteristica di questi capitoli è
la delineazione della figura del narratore, insieme allo stretto rapporto tra lui e il dottore, parlano lo stesso linguaggio e
utilizzano l’ironia che proviene dalla profonda conoscenza della natura umana: infatti il dottore occupa una posizione di
perfetto equilibro tra le sue capacità e i suoi talenti, occupa un importante ruolo di rilievo nella società e abbiamo visto
che il suo nome lascia presagire una scivolata. Dopo aver delineato un quadro felice della vita del dottore, il capitolo si
chiude con una nota triste, in cui il narratore ironizza su questo perfetto dottore di cui ha delineato il ritratto, perché una
serie di morti e lutti caratterizzano la fine del capitolo: il primo figlio (definito ironicamente «promettente» all’età di tre
anni) non lo riesce a salvare, due anni dopo nasce una seconda figlia, Catherine, definita «una delusione», che resterà
una delusione in effetti; due settimane dopo la nascita della figlia Miss Sloper muore, così il dottore resta solo (questo
romanzo viene definito «romanzo dei vedovi» perché per esempio anche Catherine resta zitella e non si sposa mai).
Quindi c’è l’ironia perché pur essendo persona di successo, in realtà è molto sfortunato sul versante familiare.
Il capitolo inoltre si conclude con un breve riferimento a Catherine, che sarà presentata più diffusamente avanti. Qui il
termine chiave è «autorità»: l’atteggiamento che il padre assume nei confronti della figlia, battezzata con il nome della
defunta moglie. Le uniche qualità positive che emergono sono la salute e la robustezza fisica, il suoi successivo ritratto è
in negativo.

Il secondo capitolo è dedicato alla signora Penniman e alla presentazione di Catherine. C’è un salto temporale di dieci
anni: la sorella del dottore, cioè la signora Penniman, viene invitata a stare con lui e sua figlia quando compie dieci anni.
la signora Penniman non è dotata di complessità nè di autorevolezza, è un personaggio quasi caricaturale e già il nome
allude allo scribacchino, che la condanna a una cattiva scrittura. Nel suo caso è l’artificiosità che la caratterizza e che è

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evidente nel suo modo di parlare e dai fronzoli che indossa cioè nel suo modo di vestire. Infatti nel suo primo ritratto la
parola «fiori» risuona per due volte, in riferimento alla fiorita eloquenza del marito e ai fiori retorici del signor Penniman.
Dal punto di vista letterario rappresenta la tradizione che in ambito anglosassone si oppone al romanzo realista (e allo
stesso dottor Sloper) cioè è la tradizione del romanzo gotico (infatti nel corso del romanzo progetta una sua storia, fatta
di matrimoni segreti, rapimenti, incontri segreti: tutti elementi tipici del gotico). Brevemente ci viene presentata anche
l’altra zia di Catherine, cioè la signora Almond, non un personaggio di primo piano perché i personaggi centrali sono il
dottor Sloper, la signora Penniman, Catherine e Morris, coloro che combattono la battaglia «di stili». Però la signora
Almond svolge un ruolo importante anche se di secondo piano, perché uno dei punti fondamentali del carattere di Cat
è che nessuno la vede per quello che è, tutti cercano di costruire delle trame su di lei, gli unici a guardarla per davvero
sono da un lato il narratore, che posando lo sguardo su Catherine permetterà anche al lettore di vedere Catherine, e
dall’altro la signora Almond, che con il suo affetto e la sua sensibilità cercherà di spingere il dottor Sloper a considerare
in modo diverso la figlia. Poco dopo c’è altro salto temporale perché Catherine compie vent’anni e alla fine della prima
pagina del capitolo troviamo un altro termine importante: «divertirsi» che in inglese è entertain, cioè divertimento che è
legato a uno spettacolo e a una messa in scena, quindi non solo il dottor Sloper non guarda davvero la figlia, inoltre nel
corso del romanzo si inserisce nella vicenda che assumerà ai suoi occhi la dimensione di uno spettacolo, avrà la colpa di
volersi divertire da questa vicenda per lui comica, e fregandosene dell’aspetto tragico e della sofferenza della figlia.
In questo gioco di ripetizione e parole chiave, risuona il termine «artificioso» in riferimento alla signora Penniman, della
quale poi si mette in evidenza la scarsa intelligenza (è un personaggio sciocco). Il metro attraverso cui il dottore giudica
e valuta le altre donne è la moglie, presentata come la donna perfetta perché ragionevole, si parla della sua bellezza sia
fisica che della ragione, è un’eccezione. Se la moglie è perfetta, Catherine è il suo opposto: è una delusione non solo
perché non è un maschio (ed è misogino in questo) ma anche perché è il contrario della madre e considerata da lui
fonte della morte della madre. Segue un primo esempio di dialogo caratterizzato da due battute molto interessanti che
ci danno un assaggio dello stile del dottor Sloper, perché appunto si tratta di un gioco linguistico e retorico: c’è un altro
salto temporale perché si torna al passato e ritorna ancora una volta la parola «intelligente»: il dottore si preoccupa che
sua figlia sia intelligente, allora la signora Penniman gli chiede se sia più giusto essere buoni o intelligenti, ma secondo
il dottore essere buoni semplicemente non serve a niente e tronca in modo perentorio il dialogo. Pochi giorni dopo il
dottore pronuncia la frase «non voglio doverla paragonare a un buon panino imburrato» quindi ritorna l’ironia che poi
sfocia quasi in sarcasmo. Il fatto di ridurre Catherine a un semplice oggetto è una delle armi del linguaggio del padre.
Segue una breve presentazione fisica della signora Penniman (ci vengono dati dettagli che servono a caratterizzare lo
stile del personaggio): donna alta, sottile, bionda, di temperamento amabile, un’inclinazione per la letteratura amena e
un qualcosa di obliquo e vago nel suo carattere (dove la vaghezza è data dalla sua artificiosità), ha poi una passione per
i misteri (rimando alla tradizione gotica), è romantica ecc. Ci viene detto che non è del tutto sincera, parola chiave come
«natural» per Catherine. Morris recita una sincerità che però non gli appartiene. Segue una nota ironica perché ci viene
detto ciò che pensa il dottor Sloper delle possibilità sentimentali di sua figlia, che precede non a caso la presentazione
vera e propria di Catherine: è autoritario, pieno di certezze nei confronti della figlia, gran parte delle volte avrà ragione
ma proprio questo lo ucciderà perché Catherine s’innamorerà e lotterà per il suo amore. Un altro aggettivo è «povera»:
è così che il padre, in modo commiseratioro e pietoso, la definisce. La presentazione di Cat ricorda quella di Catherine
dI Northanger Abbey perché è presentata attraverso il meccanismo della negazione cioè le negazioni si susseguono in
modo incalzante: è una bambina sana e ben fatta (ribadisce le uniche caratteristiche positive), non ha la bellezza della
madre, nessuno la considera effettivamente “bella”, è docile, ubbidiente, sincera (sono le categorie in cui il padre la
congela non credendola capace di nient’altro), maschiaccia (come Catherine di Northanger Abbey).
Il narratore la definisce sin da subito «eroina»: le dà un’importanza che il padre invece non le dà ed esprime un giudizio
personale perché ci dice che è golosa. Però poi dice che non è intelligente, non è sveglia negli studi ma non è neanche
ottusa, ha un’istruzione sufficente in modo da poter conversare con i suoi coetanei anche se nella conversazione occupa
un ruolo di secondo piano. Un’altra parola chiave è «paura»: lei ha paura del padre ma lo considera il più intelligente, il
più bello e illustre degli uomini quindi ha di lui il pensiero opposto che lui ha di lei. Catherine cioè si rende conto della
tragedia che vive, rispetto alla quale dovrà avere la sua crescita e consapevolezza: i due uomini che più ha amato cioè il
padre e Morris, in realtà non l’hanno mai amata. Catherine rappresenta per il padre uno spazio di negazione: Sloper da
medico ha già elaborato una diagnosi su questo personaggio, considerato mediocre.
La conclusione del capitolo è di nuovo ironica: il dottore non si aspetta nulla dalla figlia, per cui se gli fa una sorpresa è
bene, altrimenti pazienza: si pone come spettatore della vicenda della figlia, ma l’ironia della trama del romanzo è che
Catherine in effetti lo sorprenderà, riuscirà a scrivere la propria storia, tant’è che il padre dovrà rendersi conto alla fine di
essere stato sconfitto. Il narratore alla fine del capitolo ci dice le qualità positive del personaggio, quasi come se
volesse difenderla, la definisce «la creatura più tenera del mondo» e «timida».

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Nel terzo capitolo la caratterizzazione continua attraverso l’abbigliamento (luogo comune della descrizione realistica
insieme alla casa e ai luoghi): la mancanza di stile di Catherine, rispetto agli stili forti degli altri personaggi, si identifica
con la scelta sbagliata di un abito, che provocherà l’ironia sia del narratore, sia del dottore. L’altro tema che si intreccia a
quello degli abiti è quello della città: la storia di Catherine è anche la storia della crescita della città di Washington
Square. Qui continua in modo martellante la caratterizzazione di questo personaggio senza qualità, il cui unico aspetto
positivo è la salute («carnagione chiara e fresca, in cui il bianco e il rosso si trovavano equamente distribuiti»): gli occhi
piccoli, i lineamenti marcati, i capelli castani. Il gusto particolare nel vestire che Catherine sviluppa è occasione di presa
in giro e nasce dal fatto di non aver stile: per la mancanza di parola fa parlare gli abiti. Dal linguaggio sbagliato degli
abiti tuttavia arriverà ad acquisire un linguaggio proprio. Le scelte dell’abbigliamento attirano l’ironia e il giudizio sia del
padre, sia del narratore («brutta e agghindatissima»). In modo ironico viene definita «regale creatura». Il vestito è solo
appena descritto, ci vengono detti pochi elementi ma essenziali: è un vestito che da un lato non si sposa con la sua età
(c’è il riferimento a una donna di trent’anni, a quell’epoca una trentenne era una persona ormai adulta, quasi anziana) e
cioè indossa un abito che non si addice al suo status di giovane ventenne. Non è un caso che James scelga il rosso e il
dorato, dato che il rosso è legato al sesso, al peccato e alla passione, ma soprattutto entrambi sono i colori della lettera
scarlatta. Il resto del capitolo è dedicato alla crescita costante della città. Nonostante tutto Catherine resta imprigionata
nella stessa casa, la cui descrizione è molto scarna, nonostante il ruolo che essa ha. Ancora una volta viene sottolineata
l’importanza del narratore, che fa una parentesi topografica e ci anticipa il fatto che Catherine vivrà tutta la sua vita in
Washington Square perché non ci sarà il suo passaggio nella casa maritale.
In conclusione si parla della casa in cui si tiene la festa del capitolo successivo. Il quartiere è in embrione ma quando
sta raccontando la vicenda dice che sono ormai scomparsi. In conclusione, quasi a cerchio, il capitolo ritorna sul tema
dei vestiti (è un altro esempio di abbigliamento sbagliato) quasi per satireggiare e approfondire il carattere della signora
Penniman. Ancora una volta la conclusione è ironica perché si parla della famiglia della signora Almond: una si sposa e
l’altra si trova un fidanzato, per festeggiare l’avvenimento la signora dà una festa. È ironico perché con la ripetizione per
due volte di «puntualmente» l’autore gioca con le attese del lettore, che si aspetta il romanzo di formazione; vorrebbe
fargli credere che, come si è sposata la prima figlia, puntualmente si sposerà la seconda e di conseguenza, ancora in
modo puntuale, si sposerà Catherine stessa.

QUARTO CAPITOLO. Questo capitolo dà inizio al romanzo vero (i primi tre capitoli erano di presentazione dei caratteri
dei personaggi e del loro stile, che abbiamo visto essere diverso). Il quarto personaggio importante è Morris, che come
vedremo nel corso del romanzo si differenzia in qualche modo dagli altri perché, se essi hanno uno stile chiaro (il dottor
Sloper il realismo, la signora Penniman l’artificio, Catherine il silenzio e grado zero di stile, dovrà trovarlo), ha uno stile
camaleontico perché nelle sue macchinazioni si adegua allo stile degli altri: pretende di essere semplice e naturale con
Catherine, riuscirà a mostrarsi intelligente, a tener testa al dottore, e asseconderà anche lo stile della signora Penniman
nei suoi artifici. Nel quarto capitolo l’azione ha inizio in continuità con il gioco delle aspettative del lettore, con cui si era
concluso il capitolo precedente. Infatti la prima scena è topica del romanzo di formazione che consiste nel momento
sociale che vede un ricevimento e un ballo (tipici dei romanzi di Jane Austen); James in questo romanzo e in Ritratto di
signore gioca con le aspettative del lettore, utilizzando questi modelli topici per poi in realtà rovesciarli. Catherine è un
personaggio estremamente silenzioso, come non lo è nessuna delle eroine di Jane Austen (Eliza è loquace e vivace, Cat
non è silenziosa a questi livelli): dirà un solo monosillabo («yes») nell’intera scena, quando Morris le chiede se le gira la
testa. Però quando conosce Morris si intravede un primo cambiamento in Catherine.
La scena comincia con un riferimento che ancora una volta rimanda allo stile della signora Penniman («con più fibbie e
perline che mai»). Poi incontriamo Catherine con la cugina Marian Almond, che le presenta Morris. Si stabilisce in modo
immediato un contrasto tra la cugina e lei: la prima noonstante abbia diciassette anni ha l’aria di padrona di casa, è
disinvolta, parla in modo adeguato; la seconda è impacciata e silenziosa, si chiede che cosa deve dire e come deve
comportarsi. La prima caratterizzazione di Morris è la bellezza insieme alla sua estraneità. In tutta la scena la vediamo in
silenzio ad ascoltare le sue parole e a guardarlo nel tentativo di studiarlo e comprenderlo attraverso le categorie che lei
riesce a utilizzare. All’inizio i suoi silenzi sembrano solo segno di impaccio però nel corso della vicenda acquistano una
forma di eloquenza, diventando forma di resistenza al tentativo di tutti di attribuirle uno stile. Viene definita «naturale»
dal narratore: l’aggettivo è legato alla cultura americana; già in questa prima scena sotto traccia si nota un contrasto tra
la vera naturalezza di Catherine e la falsa naturalezza di Morris, che si sforza di presentarsi come naturale, ci vorrà tempo
per scoprire la sua artificialità. L’uso dei vocaboli tuttavia ce lo indica sin dall’inizio: «the same comfortable and natural
manner» («comfortable» sta per «naturale» quindi l’aggettivo ricorre tre volte in poche frasi). Morris sembra naturale a
Catherine perché lei è naturale e proietta la sua naturalezza su di lui, il suo sguardo dice tutto. Si limita a guardarlo e la
cosa non la fa sentire in imbarazzo, anzi è a suo agio; la prima cosa che la colpisce è la sua bellezza e l’aspetto esteriore
perché quando lo guarda dice che è bello e nient’affatto rosso. Pronuncia un solo monosillabo («sì») e il resto del tempo

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che i due passano insieme viene raccontato dal narratore analizzando lo sguardo di Catherine su di lui. Quello che la
attira è l’estraneità del personaggio rispetto al mondo ristretto che viene descritto. È significativo che una delle prime
parole utilizzata sia «clever» (utilizzato spesso per la descrizione del dottore). La sua bellezza fa sì che Catherine cominci
a paragonarlo a una serie di opere d’arte (qualcosa di artificiale). Si crea dall’inizio una sorta di contrasto tra naturalità e
artificialità, ma Cath non riesce a categorizzarlo nè nell’uno, nè nell’altro contesto. Lo paragona a uns statua però subito
dopo dice però che la statua non parla così. Lui è di New York ma è vissuto altrove, si capisce che sin dall’inizio tutta la
sua caratterizzazione è in contraddizione (per esempio si dice che New York è una città piacevole ma lui si sente solo).
Lo indaga e dice che secondo lei non sembra un attore. L’incontro tra i due è decisivo perché qui comincia il romanzo.
Ed è decisivo anche perché ci viene segnalata una prima volta per Catherine: già solo quest’incontro fa sì che qualcosa
cambi in lei, e per la prima volta simula (lo farà due volte nel capitolo); questa simulazione è segno di un cambiamento
e una crescita che si porta avanti per tutto il romanzo. Lei cioè che è sempre stata sincera, comincia a simulare; la prima
bugia è proprio relativa a Morris, quando dice a Marian che Morris non è niente di speciale (il narratore lo specifica che
sta simulando per la prima volta nella sua vita). Poi la narrazione prosegue e vede Catherine ballare e poi trovarsi faccia
a faccia con il padre. Per la prima volta nel romanzo i due si incontrano e il padre le rivolge delle parole ironiche, come
il narratore stesso sottolinea, infatti le fa dei falsi complimenti: «possibile che questa magnifica ragazza sia mia figlia?».
C’è un linguaggio che vede una metafora tessile («tagliarsi dalla pezza, brandelli, cascami»), il padre tratta la figlia come
se fosse un puro oggetto (in un momento la tratta come se vosse uno scialle). Il padre la definisce sontuosa, opulenta,
principesca. Quando la festa finisce tornano in carrozza e il dottore si rivolge a Lavinia cioè la signora Penniman.
Il narratore sottolinea che anche con lei il dottore è ironico e si rivolge come fa con con Catherine; la sua ironia dipende
dal fatto che nella sua mente si è già fatto un’idea di chi ha di fronte, ha già fatto una categorizzazione. Chiede chi è il
giovane che le fa la corte e la signora Penniman svolge il ruolo di intermediaria tra il dottore e Catherine, parla al suo
Posto e Catherine resta in ascolto. Ritornano gli aggettivi che abbiamo già trovato per caratterizzare Morris: bellezza e
intelligenza, grande proprietà. Il padre la chiama di nuovo «regale creatura», chiedendo che Morris si sia innamorato di
lei. Il capitolo si conclude con un’altra bugia da parte di Catherine, che chiude il capitolo: dice di non ricordarsi il nome
di Morris. C’è di nuovo l’ironia del padre, che finge di crederle.

QUINTO E SESTO CAPITOLO. Si raccontano le visite di Morris che danno inizio al corteggiamento di Catherine.
Scopriamo già dall’inizio che è stata nel suo ruolo di intermediaria la signora Penniman a suggerire la visita. Si ritrova un
aggettivo centrale, «naturale». Ancora una volta Catherine è silenziosa, anche il modo in cui sono disposti nella stanza
la separa da Morris, ma è soprattutto il suo sguardo a fare tutto come al solito. C’è un altro tema: la crescita della città.
Si dice cioè che la città si sviluppa in fretta, va sempre più su (a New York si vive traslocando ogni tre/quattro anni, al
contrario della stanzialità di Catherine), il movimento è costante. Il cugino di Morris è perfettamente sintonzizato con
tale movimento, mentre Morris nella sua contraddittorietà sembra uno straniero perché ha girato il mondo intero e non
conosce nessuno tuttavia è molto socievole e vuole conoscere tutti. Il fatto che Morris sembri un forestiero attira molto
Catherine. In una delle battute del cugino ritorna ancora una volta la parola «clever» (l’aggettivo si ripete per quattro
volte), che introduce il tema del rischio della troppa intelligenza, che sarà in fondo il pericolo che segnerà la sconfitta sia
di Morris, le cui mire non si realizzeranno, sia di Sloper, che non riuscirà ad ottenere dalla figlia ciò che vuole.
Alla ripetizione di «clever» si affianca la ripetizione di «natural». Quando la visita finisce c’è una scenetta tra zia e nipote,
che anticipa quella che sarà la modalità costante del rapporto tra Morris, Catherine e la zia Penniman. Comincia il gioco
di dire qualcosa al posto di qualcos’altro e di riempire i silenzi di Catherine con altre parole, anche se quest’ultima
cercherà di resistere a questo gioco alle volte. Catherine chiede alla zia cos’è la cosa che deve dirle, torna il riferimento
al vestiario cioè al nastro che Catherine porta al collo. La zia risponde che è un grande segreto e che lui viene a farle la
corte e per questo le consiglia di essere indulgente con lui. La zia parla al posto di Catherine a nome suo, tant’è che
quando Catherine dice che Morris non la conosce, lei le rivela che le ha già detto tutto di lei. Ed è la zia stessa che dice
che Catherine ammira Morris, facendo le sue veci in pratica.

Nel capitolo successivo si racconta la seconda visita di Morris, ritroviamo il dottor Sloper e Catherine. Il dottor Sloper
parla per aforismi e comincerà quella sorta di processo diagnostico da parte del dottor Sloper, che sicuro della sua
intelligenza si fa immediatamente un’idea del tipo di interesse che Morris ha per Catherine, decide di cominciare delle
indagini per avere conferma della propria diagnosi e questo lo porta a commettere più avanti uno degli atti più crudeli
del romanzo cioè l’episodio con la sorella di Morris. Il capitolo vede l’ironia del padre di Catherine: quando torna a casa
la signora Penniman gli racconta della visita di Morris e allora lui dice: «è venuto a chiedere la tua mano?» E poi: «dopo
tutto si direbbe che abbia già il tuo (permesso)» in risposta al fatto che la sorella gli dice che prima di chiedere la mano
della figlia Morris deve chiedere il permesso a lui che è suo padre. La risposta di Lavinia alla battuta ricca di ironia del

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tenterà il rimedio estremo e tradizionale del “lontano dagli occhi, lontano dal cuore”, portando via Catherine in Europa
per un lungo periodo che si allunga ancor di più, Morris si trasferisce in casa del dottore, berrà il suo vino, incischierà
nel suo studio e si insedierà a Washington Square con Lavinia, e sarà questo l’unico modo per vivere temporaneamente
in quel luogo. I due rimangono da soli, c’è la descrizione da parte di Morris di stanza e oggetti che la compongono,
Catherine è percepita come un oggetto tant’è che Morris si assume il diritto di studiarla liberamente.
Lui le chiede di parlare di lei ma Catherine non ha molto da dire, le rivela soltanto di non essere brava nel disegno, di
avere una passione per il teatro e un grande interesse per la musica operistica (di Bellini e Donizetti), di non amare la
letteratura. Morris è d’accordo con lei: i libri sono «cose noiose». Ha inizio il tentativo di Morris di assomigliarle perché è
un essere camaleontico, tant’è che si attribuisce la qualità principale di Catherine, cioè la naturalezza.
La seconda visita segna un ulteriore piccolo cambiamento in Catherine che si evince nella conversazione con il padre, in
cui per la prima volta risponde a tono cioè usando la stessa ironia del padre. Infatti quando il padre le chiede con ironia
se Morris le ha chiesto la mano, dopo un po’ di esitazione lei dice con lo stesso tono: «forse lo farà la prossima volta». Il
padre rimane ovviamente stupito, e quando Catherine si difila in camera sua le viene in mente un’altra risposta cioè che
Morris ha chiesto la sua mano e lei gliel’ha negata.
La conclusione del capitolo è interessante, perché da un lato costruisce un’antitesi tra le due sorelle del dottor Sloper, la
signora Penniman, artificiosa, e la signora Almond, personaggio secondario ma con una funzione importante perché è
l’unica che vede Catherine con occhi diversi, soprattutto rispetto al fratello, la quale cercherà di spingere quest’ultimo a
osservarla con occhi diversi. C’è un dialogo tra fratello e sorella in cui la Almond dice qualcosa di importante, cioè che il
padre non rende giustizia a Catherine e introduce un nuovo elemento: «sincerità» è una parola che si associa in modo
prevalente a Catherine e che che Moriss cerca di attribuire a sè stesso quando si propone come sincero e disinteressato
corteggiatore di Catherine. Ora la signora Almond inserisce un’altra variazione sul tema, dice che si deve tener presente
che il calcolo non significa necessariamente essere mercenari, ipotizza la possibilità che se pure Morris abbia tenuto
presente nel suo interese per Catherine la dote, questo non vuol dire che lei sarebbe infelice con lui. Ma noi sappiamo
che Morris si rivelerà interessato esclusivamente al denaro. Torna l’immagine dei vestiti e la signora Almond è la sola
che intuisce questi vestiti come una maschera con cui cerca di esprimersi Catherine, ma la signora Almond intuisce che
sotto questa maschera e questo stile falsato Catherine ne celi uno suo.

SETTIMO CAPITOLO. Il dottor Sloper da buon investigatore sceglie di invitare a cena Morris e c’è il primo incontro tra i
due. Lui vorrebbe studiarlo da vicino per categorizzarlo ed esprimere un giudizio sul suo conto. Anche in questo caso si
può notare che non viene invitato soltanto Morris, ma gli ospiti non sappiamo chi sono perché non vengono nominati
nè descritti. Significativo è l’incipit del capitolo perché ci mostra chiaramente che il dottore ha un’altra motivazione oltre
all’indagine che sta compiendo, motivazione che lo rende agli occhi del lettore ancora più colpevole nei confronti di
Catherine: un verbo importante è «entertain» che ora ricompare insieme a una serie di immagini legate al teatro: cioè il
dottor Sloper vuole divertirsi alle spalle della figlia. Tornano una serie di immagini e terminologie legate al teatro (cioè il
dramma, lo spettacolo, il protagonista). Il dottor Sloper non sarà solo spettatore ma si farà a un certo punto lui stesso il
regista di un altro spettacolo. Morris quindi viene invitato e seppure lo scontro vero e proprio tra i personaggi è rinviato
al momento della richiesta del matrimonio, è chiaro sin da subito che ci troviamo di fronte a uno scontro tra intelligenze:
entrambi i personaggi si capiscono al volo, si studiano e sono in grado di giudicarsi a vicenda. Il primo giudizio a cui
giunge è che Morris ha la stessa sicurezza di un demonio; e Morris ha capito già tutto (cioè che il padre non ha simpatia
per lui), perché è come il dottore ed è in grado di riconoscere le qualità del padre. Ma Catherine non capisce e infatti
chiede di chi sta parlando. Morris le consiglia di chiederlo al padre ma lei non ha il coraggio di contraddirlo nel caso in
cui davvero il padre pensasse male, di conseguenza non gli parlerà mai di Morris. «Io non dirò mai nulla di lei» è una
frase importante tant’è che Morris le suggerisce che cosa dovrebbe dire al padre, cioè che non importa nulla se a suo
padre Morris non piace. Nella pagina successiva si ripete la stessa battuta d’attacco («non gli piaccio»), questa volta è
rivolta alla signora Penniman, che risponde nel modo in cui Morris aveva richiesto da Catherine («che importa?»). Quindi
Morris riconosce che quella è la frase da dire, la frase che fa parte del suo copione, che con l’alleanza di Lavinia cerca di
mettere in atto. Un ultimo dialogo conclude il capitolo e vede il dottor sloper con l’altra sorella, la Almond, nel quale
formula con più precisione la sua diagnosi. È questa anche l’occasione per ribadire l’importanza dello sguardo su Cathe
e la mancanza di questo sguardo da parte del padre. Nel dialogo risuona il termine «bellimbusto», che appartiene al
gergo teatrale. Le sue osservazioni condannano Morris e il fatto che siano state fatte in una sola sera è perché sono il
Frutto di trent’anni di studi. Allora Lavinia suggerisce che anche Catherine dovrebbe arrivare a queste conclusioni che
sono “giuste” perché ad arrivarci è stato il dottore. Il capitolo si conclude con una frase ironica: «le comprerò un paio di
occhiali». Anche in questa battuta si capisce che tutto è legato alla questione degli sguardi, la signora Almond richiama
il fratello alla possibilità di uno sguardo diverso rispetto a quello che impiega per giudicare gli altri e soprattutto la figlia

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E in questo è come se fosse superficiale dato che chi non riesce a vedere l’interorità e la sofferenza della figlia è proprio
lui quindi forse è lui a dover mettere gli occhiali.

OTTAVO CAPITOLO. Il capitolo ci presenta un mutamento di tono e di passo molto importante. Se all’inizio il narratore
e il dottore hanno lo stesso tono ironico nei confronti di Catherine e anche di Lavinia, ora il narratore cambia strada.
l’incipit del capitolo è incisivo nel cambiamento, perché il narratore comincia a soffermarsi su Catherine, a guardarla da
vicino cioè fa cose che il dottore non fa. La sua voce è nuova, più sobria e semplice, non ironica; comincia a provare più
rispetto per i sentimenti di Catherine verso Morris. È il primo di una serie di momenti in cui il narratore si avvicina a Cat.
e così facendo permette anche al lettore di vederla per ciò che è e coglierne l’interiorità. La scelta del silenzio è definita
dal narratore la «muta eloquenza della povera ragazza», un ossimoro perché dice che l’eloquenza di Catherine è muta.
Ci fa quindi notare nel primo capitolo di sguardo più ravvicinato rispetto a Catherine che il suo silenzio ha eloquenza,
ha un suo stile, che è diverso da quello della signora Penniman, di cui ci parla subito dopo. Il dottore nota che la sorella
è diventata taciturna con lui, non le parla più di Morris: la ragione è che la zia ha scelto la trama dell’intrigo e del
mistero. Ritorna anche il riferimento a un topic del romanzo gotico attraverso il termine «perseguitata». Le trame della
Signora Penniman sono letage a stereotipi letterari, e l’intelligente dottore lo comprende perché è lui che la definisce
così.

NONO E DECIMO CAPITOLO. Presenta un’altra scena a casa degli Almond; c’è un altro dialogo con Morris, che si
sente offeso dal modo in cui il dottor Sloper lo tratta, tanto che Morris prova a proporre a Catherine un appuntamento
all’esterno ma lei si rifiuta di accettare. La scena rappresenta un vero faccia a faccia tra Morris e il dottore e si inizia a
delineare la terribile alternativa a cui viene posta Catherine da entrambi i personaggi, l’idea di dover scegliere e di
mettere sulla bilancia i due affetti più importanti della sua vita per poi rendersi conto che in realtà se lei li ama entrambi,
nessuno dei due ama lei; un’annotazione all’inizio del capitolo ci dà l’idea del tipo di relazione che il dottore ha con la
figlia: il suo distacco che ignora anche se vede il dolore della figlia, lo giudica come se stesse giudicando un’opera
letteraria e dunque siamo ancora agli inizi dell’intreccio e decide in questa scena di mettere alla prova Morris, ma in
realtà lo offende parlando della sua situazione economica, della mancanza di un lavoro. I toni si fanno sempre più accesi
fino a quando arriveremo alla ad una vera e propria sfida e duello tra i due e tutto sul capo di Catherine, che si trova tra
due fuochi, dovendo scegliere uno e scegliendo Morris, ma le costerà moltissimo.
Ritornano nel capitolo le immagini legate al contesto teatrale: emerge con maggior dettaglio quel melodramma che sta
costruendo Lavinia, un melodramma che non è solo costruito attorno a Catherine e Morris ma nel quale lei stessa
rivendica un ruolo da protagonista. Comincia processo di sostituzione, un desiderare di prendere il posto di Catherine,
che la induce, a conclusione della storia, a girare le carte e a considerare che il suo affetto più profondo non è per
Catherine, bensì per Morris, come se fosse lui suo nipote. Ritorna il lessico del teatro a inizio del decimo capitolo: la
signora Penniman diventa sempre più protagonista, si sta impadronendo di tutti i ruoli, anche di quello di Catherine (il
ruolo cioè di eroina). Il romanzo ci sta lentamente mostrando come per questi tre personaggi, che dovrebbero ciascuno
interessarsi e amare Catherine, ma in realtà tutta la vicenda si sta trasformando in uno spettacolo teatrale. Dopo il
riferimento alla signora Penniman c’è un altro dialogo tra Morris e Catherine che ruota attorno alla necessità di
informare il padre dei loro sentimenti e quindi del fidanzamento, ma anche qui le convenzioni della pratica sociale e del
romanzo di matrimonio vengono capovolte perché è Morris che spinge implicitamente Cathe a parlare con il padre,
suggerendole ciò che gli deve dire. Toccherebbe a Morris parlare con il padre, tuttavia è Morris stesso che la spinge
implicitamente a parlare, scrivendo un copione per lei. In conclusione Morris vuole da Catherine una dichiarazione di
fedeltà (le dice di promettergli che, se suo padre gli sarà contrario, lei dovrà continuare ad essergli fedele): Catherine ha
già fatto la sua scelta ma non può rispondere in questi termini, rifiutando le frasi messe dagli altri, e come spesso
accade, la conclusione è anche qui ironica (è interessante notare come l’ironia non sia rivolta a lei ma alla zia, che viene
richiamata in scena affinchè il narratore possa esercitare su di lei la sua ironia).

UNDICESIMO CAPITOLO. In questo capitolo Catherine si rivolge al padre per comunicare il suo fidanzamento, e anche
qui il capitolo ci mostra il sarcasmo crudele del dottore, che è l’arma principale che utilizza nel dialogo con una figlia
che fa fatica a tenergli testa e a rinunciare all’amore per il padre. Quindi l’ironia del padre si contrappone alla semplicità
delle parole e del modo di essere di Catherine. Allora prima lei gli dice che deve parlargli, il padre già sa che la cosa
che ha da dirgli riguarda Morris, poi c’è silenzio e poi pronuncia le parole: «mi sono fidanzata!». Il padre trasalisce e poi
chiede chi è il «felice mortale»? (l’ironia tagliente è palpabile nelle sue parole). Catherine parla e non può non notare lo
sguardo freddo del padre, che in realtà non la guarda per niente. Le sue risposte sono dirette e semplici, con il tempo
impara a rispondere anche per le rime. Successivamente il dottore la definisce buona e semplice, cioè le sole qualità
che il padre riconosce alla figlia. E Catherine dice qualcosa che diventerà ricorrente: «mi sento molto vecchia e molto

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saggia», due parole che ritornano nel romanzo anche più in là soprattutto al ritorno dall’Europa, quando per esempio la
zia Penniman le dice che è cambiata e lei risponde che è sempre la stessa persona, solo più matura. il dottore ripete la
sua diagnosi, parla dell’intelligenza di Morris e della sua convinzione che Catherine non abbia nessuna dote se non il
patrimonio per risultare attraente agli occhi di Morris e tutto ciò riduce al silenzio l’eroina ed è interessante un breve
commento del narratore verso la fine del capitolo esprimendo un contrasto linguistico ritrovando in seguito quelle doti
di eloquenza in difesa di Morris e non è un caso che a fine capitolo utilizza parole simili per il padre.
È interessante il commento del narratore a questa scena, perché è l’unico che guarda Catherine e ci racconta che se
Catherine si sente più vecchia e saggia, in fondo sta ancora compiendo un percorso; sembra lo stesso narratore dirlo
con un certo imbarazzo perché dice che la ragazza si sedette con capo chino e gli occhi sempre fissi su di lui (cioè lei lo
guarda sempre, il romanzo ci dice sempre che il dramma di Catherine non è solo quello dell’amore per Morris ma anche
quello dell’amore per il padre), lo ammira, è soggiogata dallo stile del padre. Il capitolo sottolinea che siamo a metà: ci
mostra bene che il processo educativo è cominciato nel momento in cui si innamora di Morris, ma è combattuto perché
prova sentimenti forti anche per il padre. Il capitolo si conclude con la difesa dell’eloquenza di Catherine, la quale attri-
buisce le stesse qualità al padre e anche a Morris: buono, gentile, generoso.

DODICESIMO CAPITOLO. È il capitolo in cui Morris fa ciò che avrebbe dovuto fare sin da subito, cioè la richiesta della
mano di Catherine a suo padre. Più che una richiesta, è un vero e proprio duello tra due personaggi intelligenti. Qui si
rovesciano le parti, perché questa è una scena in cui il padre dovrebbe lodare le lodi e la personalità della figlia, invece
in qualche modo la definisce una ragazza debole e lascia che sia Morris a difenderla. Il padre non vuole in sostanza che
Morris sposi la figlia perché è povero, lo definisce uno squattrinato. Infatti ricorre la parola «categoria», perché è proprio
il pensiero categorico, strumento valutativo e giudicativo, che il dottore invoca per il suo rifiuto. Morris è intelligente e
dice che la figlia non sposa una categoria ma un individuo. La sfida è legata a capire ama di più Catherine.

TREDICESIMO E QUATTORDICESIMO CAPITOLO. Il capitolo presenta un dialogo tra il Dottor Sloper e la signora
Almond, che rappresenta una sorta di controaltare del signor Sloper. Il primo in un certo senso ha ragione nel dubitare
della sincerità di Morris, ma si comporta in modo sempre più crudele e moralmente sbagliato. L’ultima battuta del
capitolo è importante perché ci dice su cosa conta il dottor Sloper, vale a dire la contraddizione tra il voler usare la
propria crudeltà nei confronti della figlia e l’amore che la figlia continua a provare per il padre, le ci vorrà tempo per
giungere alla consapevolezza che il padre non la ama e neppure Morris. Le descrizioni nel romanzo sono scarne ed
essenziali, invece questo è un momento diverso perché ci spostiamo in un’altra zona di New York, a est di Washington
Square in un quartiere più povero dove abita una vedova con cinque figli.
La sua casa sia dall’esterno che dall’interno è minuziosamente descritta dal narratore, ogni dettaglio è significativo nella
tradizione del romanzo realista perché ci dà un quadro del personaggio: la casa rappresenta il correlativo oggettivo del
personaggio, che apparirà lindo, modesto, piccolo, minuto rispetto al dottor Sloper. Egli è all’apice della scala sociale e
questo serve a sottolineare la violenza di questo incontro in cui in nome della sua idea di giustizia il dottor Sloper
costringerà a far sì che la sorella parli male del fratello e giunga in lacrime a dirgli di non accettare questo matrimonio.
La descrizione ci ricorda che questo è un romanzo storico. È tutto all’insegna del piccolo e minuto, lindo e ordinato. La
vista dall’esterno a cui si collega una deduzione che lo stesso Sloper fa. Il dottore inizia a irritarsi per un lieve ritardo
della donna, viene sottolineata l’umiltà priva di affettazione. Uno scontro tra due moralità diverse: fra quella che
risulterà la vera e sofferta umanità della signora Mongomery e di quel senso morale del Dottor Sloper che si rivelerà
crudele. Il medico utilizzando un termine tipico del suo linguaggio va subito al punto. Questo è il capitolo in cui la
crudeltà del Dottor Sloper è più evidente che mai. Il Dottor Sloper insiste sulla domanda che è ovviamente
problematica per la sorella di Morris che risponde, con sincerità, dicendo che è difficile parlare del proprio fratello. Il
Dottor Sloper non darà alcuna somma di denaro alla figlia se deciderà di sposarsi con quell’uomo.
Dall’egoismo passa ad un'altra “diagnosi”, il dottore si interrompe e smette di parlare di categorie e tipi e dice lei ha
sofferto immensamente. Dà una nuova diagnosi estremamente calcolata e tocca una ferita nella signora Mongomery, lo
fa con calcolo e la sta facendo crollare piano piano. Da un lato la signora Mongomery piange davanti a questa
affermazione. Torna in questo capitolo l’idea della moralità. L’unica che sembra possedere una sincera moralità è la
Signora Mongomery, lei tenta nell’ultima pagina del capitolo una difesa del fratello dopo cedere al dottor Sloper. Il
dottore è riuscito nel suo intento. C’è la soddisfazione morale del Dottor Sloper.

QUINDICESIMO CAPITOLO. Esso porta avanti la vicenda fino al raggiungimento della crisi. La trama prosegue su vari
filoni che si incrociano. Ciascun personaggio scrive una trama per Catherine, silenziosa e che mostra un lento processo
di crescita in atto. Importanti saranno il tema della scrittura e anche la trama gotica. Non a caso il capitolo si apre con
uno sguardo su Catherine in silenzio. Questo silenzio viene definito un muto rimprovero.

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I silenzi di Catherine diventeranno sempre più potenti ed eloquenti. Torna quell’idea di divertimento. Da un lato
vediamo una Catherine che ha problemi con l’espressione di sé e della scrittura. Si torna spesso sull’idea dello sguardo.
Catherine chiede di essere guardata e compresa, ma (p.83) è lei che comincia a guardarsi, un processo di introspezione.
Nelle parole di Catherine ci sarà sempre l’idea di essere se stessa, non cambiare ma voler essere consapevole di se
stessa. A Catherine non piace scrivere ma piace copiare, ad esempio citazioni dai libri. Nelle pagine successive si parla
dello scambio di lettere con Morris. Catherine è silenzio e immobilità che si agita. La seconda parte del capitolo ci
mostra la trama gotica. Anche in questo caso i vocaboli che utilizza il narratore rimandano al metaletterario. Si alternano
romanzo gotico e melodramma. In questo momento di crisi Catherine rifiuterà il ruolo che la zia pretende. Catherine
sarò i grado di scrivere la propria storia e non farsi scrivere dagli altri.
Pagina 85 si fa riferimento in inglese al termine plot (in italiano tradotto con faccende), in realtà quello è un chiaro
riferimento letterario che viene però tradotto in modo non corretto. C’è un gioco ironico basato sulle scelte dei
vocaboli che fanno chiaro riferimento alla letteratura; questa è la parte più comica di un romanzo amaro, in cui vediamo
un personaggio che invita ad agire Catherine ma poi agisce lei al posto suo. I termini usati rimandano a questa
tradizione. La situazione è comica ma ci consente di prendere le misure di questi personaggi. Morris si dimostra molto
maleducato e fa aspettare mezz’ora la signora Penniman e Morris non offre alla signora nemmeno il the che ha preso.

SEDICESIMO CAPITOLO.
È in continuità con il capitolo precedente. Continua il gioco sulla natura metaletteraria del romanzo. Il narratore ci dà il
pensiero segreto di Morris a pagina 89 che pensa fra se e sé che la donna è un’idiota. La signora Penniman presenta la
finestra della sua cameretta a Morris. Ad ogni modo la Penniman pensa di dover dare un messaggio a Catherine,
dicendole che l’uomo è stato lì. La scena si chiude con un commento ironico. Morris se ne va immaginandosi ancora
possibile proprietario della casa. Fra qualche capitolo, quando il dottor Sloper e Catherine partiranno per l’Europa lui
potrà istallarsi lì. Si attua una sorta di sostituzione die personaggi. Morris prende posto del Signor Sloper.

DICIASSETTESIMO CAPITOLO
Catherine cerca di ricostruire la verità, fa domande a Penniman riguardo il suo incontro con Morris. La signora Penniman
dice che riferirà a Catherine quello che Morris le aveva detto. Anche la zia si accorge dopo questo dialogo qualche
cambiamento in Catherine. Catherine cerca di capire dalla Signora Penniman se quello che ha detto Morris è vero ma
accostando le due scene vediamo che la Signora Penniman inventa. La signora Penniman dice: sei gelosa di me,
rovesciando ancora una volta le cose. Si conclude con una sprta di sconfitta della Penniman. La Signora Penniman si
accosterà sempre più a Morris arrivando a preferirlo a sua nipote. Siamo ad un punto centrale, il viaggio in Europa.
L’Europa è l’ultima strategia che il Dottor Sloper trova per impedire questo matrimonio. Per Catherine è l’ultima
obbedienza al padre e per Morris è l’ultimo tentativo per sperare che il Dottor Sloper cambi idea. Il dottor Sloper
raggiunge l’apice della crudeltà nei confronti di sua figlia. Catherine passa dalla cieca obbedienza alla comprensione
profonda di quello che il padre prova. Questo la trasformerà completamente e questa crescita sarà notata da tutti. Ciò
che rende diversa Catherine è la sincerità della sua passione che fa sì che progressivamente Catherine si sottragga a
quel costante tentativo da parte degli altri di parlare per lei e scrivere la sua storia. Accetta di andare in Europa ma lo fa
con una risolutezza d’animo che è nuova per lei. Morris è ben felice di rimandare il matrimonio e lo fa con tono frivolo,
continuando a considerare Catherine non sufficientemente intelligente da modificare la decisione del padre. Non si
descrive il viaggio in maniere attenta, c’è uno scarso interesse per le descrizioni. Rimaniamo ancora a Washington
Square. Morris prende il posto del Dottor Sloper e la Signora Penniman sembra prendere il posto di Catherine.

INSERIRE LEZIONE

DICIOTTESIMO CAPITOLO
Questo capitolo ci porta in Europa: si apre e si chiude con due immagini che utilizza il Dottore per descrivere la figlia. Il
silenzio di Catherine irrita profondamente il padre e dice che praticamente è priva di intelligenza. L’Europa non è
descritta tranne per una valle. È una strana descrizione, è piena di clichè. Qualcuno ha visto in questa scena una sorta di
caduta di tono nel romanzo. Ci vuole mostrare qualcosa di abbastanza sorprendente nel personaggio del Dottor Sloper.
Attraverso questa scena gotica il narratore ci mostra come nella sua crudeltà si avvicini alla Signora Penniman e
all’estremo opposto. Il Dottor Sloper diventa una sorta di villan gotico. Il Dottor Sloper ammette di poter essere un
uomo collerico e durissimo. C’è quasi una minaccia fisica che si nasconde in questa scena. Una muta intensità che lo
rende pericoloso. C’è un altro dialogo fra Catherine e il padre in cui il padre le chiede di comunicargli se andrà via con
Morris. Catherine dice che non la perderà, non sta perdendo una figlia, in realtà la perderà a causa della frase che dice
in chiusura, dicendole che portandola all’estero il valore è raddoppiato, poiché un anno fa era un po’ rustica. Descrive

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Catherine come una pecora sacrificale ingrassata. Queste parole sono parole su cui Catherine rifletterà fino a giungere
a una dolorosa amara ma giusta e consapevole conclusione.

DICIANNOVESIMO CAPITOLO
Assistiamo a uno storico dialogo fra Catherine e la zia, in cui il cambiamento nel personaggio di Catherine è visualizzato
con nettezza. La zia è contenta di comunicare a Catherine che ha quasi vissuto con Morris. Cerca di interpretare Morris
per lei e di spiegarglielo e Catherine è giustamente infastidita e legge tutta la falsità nella zia. Catherine è affilata come
un tempo era il padre nel rispondere alla zia. Il commento ironico in risposta all’affermazione riguardo allo scialle
regalato alla zia induce la zia a farle dire: Catherine sei cambiata. Catherine risponde che non è cambiata ed è sempre
la stessa, ma invece Catherine è cambiata perché è consapevole di voler essere se stessa. Catherine dice che non
riuscirà mai a far cambiare idea al padre e che da lui non si aspetta più niente. È giunta alla dolorosa consapevolezza
che il padre non la ama. È tornata per sposarsi e dovrà scontrarsi con l’altra grande ferita che le sarà
inferta da Morris. Il cambiamento di Catherine diventa anche un cambiamento fisica, ci viene detto che è diventata
bella. È più consapevole di sé, ha acquisito molta sicurezza. Il capitolo si chiude con un discorso di Catherine. Il discorso
di Catherine è autorevole, quasi spaventa e mette a tacere il Dottor Sloper. C’è dopo l’incontro con Morris e qui inizia a
sfaldarsi il sogno di Catherine e questa idea per cui è tornata. La cosa dura per alcuni capitoli perché Morris oltre che a
mostrarsi nella sua venalità non ha il coraggio nel dire che ha cambiato idea e la vuole lasciare. Segno della
maturazione del personaggio di Catherine è che sarà lei a dirgli di no. Morris è ferito nell’aver perso nel duello con il
padre. Catherine dice: come può essere battuto se ci sposiamo. Lei dovrà capire che entrambi gli uomini che ha amato
in realtà non la amano. Le scene dialogiche una con la zia l’altra con Morris sono molto simili. Il dottor Sloper capisce
che Morrisi si è aggirato fra le sue cose, in casa sua. I termini usati sono quelli delle trame gotiche anche se adesso sin
passa dal matrimonio clandestino alla scena madre della rottura. Morris non lo dice a Catherine ma lo dice alla Signora
Penniman. Nelle parole di Morris risuona il modo di parlare del Dottor Sloper. In questa serie di rinunce c’è la rinuncia
anche di Lavina. il narratore riprende l’immagine del coltello del sacrificio. Vediamo questo personaggio abbandonato
da tutti. Continua la pratica del linguaggio indiretto da parte di Morris che chiede aiuto alla zia per preparare Catherine.
La scena si chiude di nuovo con un tentativo di scrivere fino all’ultimo la storia di questo personaggio che invece
resisterà con grande forza e poi con l’ironico riferimento alla scena dell’ultimo addio. Morris parla di viaggio, di lavoro,
non trova la forza finché nel momento in cui Morris sta per andare via, Catherine dice Morris lei vuole lasciarmi. Così si
conclude il capitolo quando c’è un nuovo affondo su Catherine da parte del narratore, vicinissimo al personaggio e ci
racconta la passione e il dolore e la consapevolezza. Nel dolore e nella sofferenza rivendica il proprio esser sola e la
propria autonomia. Vivrà dentro di sé la propria sofferenza senza volerla comunicare a nessuno. Quello che ci viene
raccontato è il desiderio che il padre non sappia cosa è successo e al padre non lo racconterà mai. il padre comprende,
abbiamo un’altra scena comica in cui nel dolore della scena, il padre di Catherine dice che ‘la canaglia si è tirata
indietro’ e la signora Penniman, che ha suggerito a Morris di tirarsi indietro, dice ‘Mai.’. Importanti le parole che il
narratore usa per indicare le emozioni e i sentimenti di Catherine, che parla con durezza alla signora Penniman. La
signora Penniman l’ha tradita e rinuncia a lei come ha rinunciato al padre e come rinuncerà a Morris e sarà sola.
Attraverso un altro parallelismo che riguarda sempre il dottor Sloper e Morris, vedremo che entrambi si rivolgeranno a
lei attraverso uno scritto. Morris non ha il coraggio di un congedo di persona le scrive una lettera, mentre le parole del
dottor Sloper saranno nel testamento. In entrambi i casi Catherine commenta le parole scritte che riceve dall’uno e
dall’altro. È la lunga lettera con cui la lascia. Ironicamente il narratore separa l’amarezza, l’insincerità che lei coglie in
Morris e poi l’apprezzamento stilistico. Rispetto a tutta questa vicenda, Catherine non darà mai al padre la
soddisfazione di conoscere fino in fondo la verità. Quando il padre le chiederà spiegazioni, dirà che è stata lei a
rompere il fidanzamento. La vicenda ormai si è praticamente conclusa, resta adesso l’epilogo. A partire da questo
momento, accade qualcosa di parallelo. Il tempo che si è mosso a passettini in questo succedersi di scene adesso
riprende a cavalcare velocemente e a spostarci avanti nel tempo, fino a darci l’ultima scena che vede la ricomparsa di
Morris. Il narratore ha compiuto un percorso di conoscenza ed è consapevole della ferita del dolore id Catherine, il
dottore no e il narratore lo punisce dandogli un castigo per il sarcasmo. Il dottore non si rassegna ma non avrà mai
questa soddisfazione. Il dottor Sloper è incapace di vedere la figlia. Il narratore lascia scorrere velocemente il tempo. Il
Dottor Sloper invecchia ma pur invecchiando vede solo la superficie della figlia. Ci viene detto appunto velocemente
che ci sono altri corteggiatori per Catherine e che rifiuta tutti nonostante il padre questa volta vorrebbe che si sposasse
e invece Catherine resta ferma nella sua nuova forza e consapevolezza che il narratore esplicita. Viene da queste ferite e
da questo dolore la consapevolezza e la forza che il personaggio acquisisce alla fine della storia. James dà un finale
simile a quello della lettera scarlatta. Catherine smette di parlare con il padre e con la zia ma è apprezzatissima nella
comunità.

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VENTESIMO CAPITOLO
Si avvicina il momento del congedo dal padre. Ancora una volta non avrà quello che desidera da Catherine e ancora
una volta constateremo che l’antiretorica di Catherine risulta incomprensibile per Sloper. Il padre chiede a Catherine di
prometterle di non sposare Morris e Catherine è indignata da questa richiesta. Suo padre stava cercando di trattarla
come l’aveva già trattata anni prima, era stata così umile in gioventù che ora si poteva permettere di avere un po’ di
orgoglio. Le ultime parole del Dottor Sloper sono le parole contenute nel testamento. Il commento di Catherine a
questo testamento è ancora una volta stilistico – linguistico: Catherine dice che avrebbe voluto che il testamento fosse
stato formulato diversamente. Ancora una volta a distanza di tanti anni, così come il padre aveva fatto, anche la Signora
Penniman torna a parlare di Morris, cercando di provocare un incontro. Catherine non vorrebbe ma senza la sua
approvazione avviene questo incontro. La conclusione del romanzo è una conclusione certamente non felice,
contrariamente a Jane Austen. Con James ci siamo spostati su un tipo di trama diversa. Una trama che non prevede
necessariamente personaggi femminili che sono personaggi centrali dei romanzi di James. Il romanzo che abbiamo
letto è un romanzo che oltre a raccontare la storia di questo personaggio attraverso la dimensione stilistica e
metaletteraria fa un discorso su nuove trame rispetto alla tradizione. La trama che ci propone è una trama diversa che
mira a una introspezione del personaggio, ad una crescita del personaggio e questo può esser per James più
avvincente ed interessante della tipica trama matrimoniale. Il tempo è trascorso, è passato un quarto di secolo, il padre
non c’è più lasciando come ultima parola categoria e mostrandoci che non è cambiato, lo stesso vale per la zia
Penniman e per Morris, che sono di nuovo in combutta. La zia ripropone a Catherine la possibilità del matrimonio.
L’unico personaggio che è cambiato dalla sofferenza è Catherine. Nonostante i dinieghi di Catherine che non ha voglia
di incontrare Morris, egli arriva in casa. Ritroviamo una Catherine silenziosa, vengono sottolineati i suoi eloquenti silenzi.
Quello che conta sono le ultime parole del libro, l’ultimo sguardo che il narratore getta su Catherine. L’immagine di
Catherine silenziosa, in salotto, contrapposta alla signora Penniman che dice a Morris che Catherine tornerà. La parola
importante – in inglese – è quella che definisce il ricamo. James sceglie come termine fancy work, significa ricamo ma
anche lavoro di fantasia. Mostra un personaggio diverso, consapevole, autonomo, che ha dato forma alla sua vita e alla
sua storia. Il finale è amaro e la condanna alla solitudine ma non è del tutto tragico o triste, perché ha rifiutato il disegno
degli altri e ha in mano la propria storia e la propria vita attraverso l’immagine del fancy.

Ritratto di Signora segue di un anno Washington Square, in realtà James ci lavora contemporaneamente. È un romanzo
più complesso di Washington Square.

HENRY JAMES :
RITRATTO DI SIGNORA

La prefazione di Ritratto di Signora è molto complessa, può essere utilizzata per cogliere alcune questioni importanti.
Comune in queste prefazioni è la delineazione dell’origine dell’opera. James definisce questo il germe dell’opera,
racconta la genesi del romanzo di cui sta parlando. La genesi dell’opera sta nell’emergere di un personaggio femminile,
slegata da qualunque trama. Questa diventerà la pietra angolare del romanzo e creerò un personaggio solido per
quanto un personaggio slegato da ogni trama possa creare un romanzo privo di architettura. Generalizza dicendo che
di solito parte dal personaggio e non dalla trama. Insiste nel raccontare una dissociazione fra personaggio e trama. La
trama viene definita nefanda. Leggendo attentamente la prefazione non solo James racconta la genesi e le particolari
difficoltà che la scelta di questo germe e questa idea significano per il romanziere, ma definisce anche una connessione
fra il personaggio e il romanziere. Romanziere e personaggio possono essere descritti come in cerca di una trama.
Isabel subisce nel romanzo due trame: una trama a fin di bene ordita dal cugino, che fa in modo che Isabel diventi
quello che è. Plot come trama ha doppio significato: trama narrativa e trama ordita da qualcuno. C’è anche una trama
negativa che porterà al matrimonio di Isabel al centro del romanzo. Tutti i personaggi che la circondano si fanno
portatori di una trama e Isabel come Catherine cercherà di resistere ad ogni forma id trama. Ne abbraccerà una nel
romanzo e sarà la peggiore che potrebbe abbracciare: la scelta matrimoniale. Isabel non è semplicemente una vittima.
Isabel dichiara in tutta la prima parte di voler rifiutare la trama matrimoniale in nome dell’indipendenza, vedremo però
che alla trama matrimoniale giungerà al centro del romanzo. Al centro del romanzo abbiamo un vuoto tra il momento in
cui Osmon fa la sua proposta di matrimonio e non abbiamo nemmeno la scena dell’accettazione da parte di Isabel. Lo
veniamo a sapere dagli altri personaggi che cercano di ostacolare questa scelta e poi la vediamo dopo due – tre anni
divenuta ritratto di signora, infelice. Il matrimonio è al centro e tutta la seconda parte sarà un lungo processo di rilettura
della propria storia da parte del personaggio di Isabel. Isabel dovrà rendersi conto perché tra tutti i suoi corteggiatori
ha sposato il personaggio peggiore e quello che la rende infelice, l’incarnazione del potere maschile e patriarcale.
Vedremo Isabel lottare contro questa ideologia incarnata dal personaggio del marito, è però anche introiettata dentro

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di lei e quindi funziona. Anche in questo caso il finale sarà agro – dolce, infelice ma di acquisizione di consapevolezza.
C’è analogia nella trama tra romanziere e come si descrive il personaggio. Il romanziere si descrive come uno che rifiuta
la trama tradizionale, il romanzo è pieno di riferimenti metaletterari. Il verbo che ricorre spesso è to do, fare. Al termine
nefando di plot, James sostituisce il termine rumore. I personaggi saranno potenziali portatori di una trama, se ciò è
vero per i personaggi maschili ed è più logico ed evidente, dato che sono portatori di una certa trama matrimoniale,
continuano ad essere una possibilità anche dopo il matrimonio. Ciò è vero però anche per i personaggi femminili, sia la
zia infelicemente sposata che vive separata dal marito, l’amica Erietta, modello di donna nuova, giornalista americana.
Tutti questi personaggi hanno un punto di contatto, una affinità con Isabel e mostrano una possibile trama. Ciò che il
personaggio fa nella prima parte del romanzo è rifiutare, con il rischio che questo comporta, cioè essere semplicemente
spettatore del mondo, non agire ma guardare gli altri. Si pone ancora la questione che cosa si può fare con questo
personaggio. Dunque come si è visto nella prefazione James fa una sorta di breve excursus sui personaggi femminili
nella letteratura inglese, non nomina Jane Austen ma si sofferma su personaggi Shakesperiani e su una romanziera
vicina nel tempo George Eliot. Ci sono stati personaggi femminili estremamente importanti ma perché sono importanti
per gli uomini per cui erano importanti. James è scrittore metaforico per eccellenza e usa una metafora: riprende
un’immagine di George Eliot che definisce la figura femminile uh fragile vaso e si chiede appunto cosa fare di questo
personaggio. Come spesso fa in queste prefazioni James richiama una sorta di dialogo con se stesso, l’immagine è
quella della bilancia e dei pesi della bilancia. Bisogna dare ai personaggi femminili un ruolo uguale se non superiore ai
personaggi femminili. Importante è stabilire il rapporto con i personaggi satelliti. James ci fa capire che questa è la
svolta nella genesi del romanzo, l’idea che un romanzo incentrato non sul fare ma sull’essere (beeing). L’avventura di
una coscienza femminile potrà essere altrettanto interessante se non più delle avventure raccontate da Stevenson. Ci
può essere comunque una avventura avvincente per il lettore anche senza battaglie, sottolinea l’importanza di alcune
scene (p.57): Isabel quando trovo Madame Merl al piano e riconosce in quella presenza una svolta nella sua vita. Sceglie
questo momento nella prima parte del romanzo, in cui non accade nulla di particolare se non un dialogo. Poi sceglie un
altro momento per dimostrare quale sia la nuova idea di trama e di romanzo ed è quello che lui stesso definisce uno dei
momenti migliori del libro, in cui davvero si realizza a pieno la sua idea. Quello che dice James attraverso
quell’immagine non è del tutto vero, diventerà vero nei romanzi più vicini al tempo delle prefazioni, in cui ci sarà una
continua centralità della coscienza di un personaggio all’interno del romanzo. Isabel è sempre al centro dello sguardo
del narratore e di se stessa, ma non è sempre figura centrale. Ci sono momenti in cui Isabel non è presente. Non è un
caso che James scelga questo momento e lo descrive come il migliore del libro. Pur essendo partito dall’idea di
scrivere un romanzo con al centro un personaggio femminile che possa essere estremamente interessante, James
giunge a dire che anche una vita interiore può essere interessante. La cosa più avvincente del romanzo è un capitolo
statico in cui in apparenza non succede assolutamente nulla. Sta parlando del capitolo 42, è una situazione
assolutamente statica, siamo appunto nella seconda metà del romanzo. Isabel si è sposata ma il matrimonio non ci
viene raccontato. Avvenimenti fondamentali per tradizione non vengono raccontati, ma si sofferma invece sul primo
momento del romanzo in cui Isabel comincia a ripensare al suo passato e a se stessa, Isabel fa una operazione non
dissimile da quella che fa Elizabeth quando legge la lettera di Darcy. Isabel ci viene mostrata seduta, c’è solo una
candela accesa. Questo lungo capitolo non è altro che un tuffo nella mente del personaggio. Il narratore quasi si
identifica con il personaggio, è nascosto alle spalle del personaggio e noi seguiamo questo suo immobile vedere che
non è che il primo passo di un processo introspettivo. Il termine vedere è un altro termine cruciale per il romanzo. Tutto
il capitolo è costruito attraverso una rete di sguardi. Nel primo capitolo abbiamo proprio in miniatura come il romanzo
sarà costruito attraverso una rete di sguardi orchestrata dal narratore, una rete di sguardi che avrà al suo centro Isabel.
Dopo la tragica scelta del matrimonio, il passaggio del romanzo sarà dalla vista esterna (sight) alla vista intera,
introspezione (insight). Il matrimonio è un momento tragico ed infelice di questa vicenda, ci racconterà una storia di
introspezione e di piuttosto moderna solidarietà femminile. La seconda parte del romanzo oltre che ad essere
incentrata su questo processo interiore, secondo una tecnica shakesperiana presente una trama secondaria, sempre una
trama matrimoniale però ostacolata, che riguarda la figlia di Osmon (marito di Isabel). James usa questa trama sia per
vivacizzare una azione che nonostante la celebrazione di questa staticità ritiene troppo statica ma soprattutto perché
questa trama consente l’instaurarsi di un pprofondo legame fra Isabel e Pency. Un legame che creerà in questa seconda
parte del romanzo una forte solidarietà fra donne, tutte vittime dell’ideologia maschile, patriarcale, incarnata da Osmon.
Il finale amareggia molti lettori e lettrici ma non è un finale totalmente amaro e il ritorno a Roma di Isabel, che ci viene
annunciato e non descritto, non equivale ad un ritorno dal marito. Rifiuta l’ultima possibilità offertale da Caspar. Il
romanzo si chiude però il ritorno di Isabel è una indipendenza che tiene conto delle proprie responsabilità e dall’altro
dipende dalla promessa fatta a Pancy, rinchiusa in convento, a cui è legata da un rapporto sororale.

PRIMO CAPITOLO

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Inizia con la descrizione di una cerimonia, la pratica sociale del the. Sembra che Isabel debba apprendere la lezione
secondo cui la società viene prima dell’individuo. Il viaggio di Isabel potrebbe anche essere indicato come un viaggio
di casa in casa. È questo il luogo in cui il romanzo inizia e finisce. Il termine Garden court unisce in sé interno ed
esterno. Attraverso un flashback torneremo indietro in America. La descrizione della casa è una sorta di viatico per dirci
qualcosa del personaggio. Dopo l’eredità ricevuta da Isabel la seguiamo in Italia, dove si svolgerà la maggior parte del
romanzo. Luci e ombre sono presenti già qui, perché nella descrizione siamo in quell’ora del crepuscolo in cui l’ombra
cala ed è data dal fatto che presento verranno meno tre die personaggi. Se questa ombra è presente sin dall’inizio si
addenserà man mano che il viaggio proseguirà. Sarà interessante paragonare le varie descrizioni delle case. La casa
matrimoniale di Isabel che è a Roma e anch’essa ha un nome significativo: si chiama palazzo Roccanera. Questo
capitolo è strutturato su un gioco di sguardi. È come se ci fosse un occhio incorporeo di un osservatore ipotetico che
descrive. Come la scelta evidente di riferire l’ingresso in scena della protagonista così anche quello die personaggi
presenti nel capitolo. I personaggi sono presentati prima per litote e poi attraverso le loro ombre. Abbiamo la
descrizione del luogo e del rapporto che lega il vecchio signore alla casa di Garden court. Man mano cominceremo ad
avere una conversazione e il tono è comico. La parola facezie è continuamente ripetuta nell’intero capitolo. Vengono
delineati alcuni dei temi fondamentali che il romanzo dovrà affrontare e che sono tutti collegati l’uno all’altro, da una
parte l’importanza della ricchezza e del denaro. Dall’altro il tema del matrimonio. A sostenere l’importanza e la
necessità del matrimonio è un vecchio che ha avuto un matrimonio fallito come il signor Tachet. Il problema della libertà
e dell’indipendenza. Come viene chiarito dalla interpretazione del telegramma della signora Tachet che parla dell’arrivo
di una nipote. Come detto in questo primo capitolo, ci sono vari tipi di indipendenza. James gioca con le aspettative
del lettore, disattendendone le aspettative. Il titolo del libro è pittorico ma va inteso in vari modi. Tutto il romanzo è un
ritratto in progress che viene dipinto a poco a poco. Un ritratto che procede lentamente all’interno del romanzo,
abbiamo pochissimi tratti descrittivi, sappiamo che è una giovane donna intelligente e presuntuosa, dandoci un segno
importante del narratore rispetto al personaggio e parlando di una dote l’intelligenza e di un vizio, la presunzione.
Quanto all’altro significato del titolo è quello che emerge quando questa espressione appare per la prima volta
all’interno del romanzo. Quando ci riavviciniamo alla vita e alla storia di Isabel tramite il subplot, la trama. L’assoluta
centralità del personaggio di Isabel di cui parla James nella prefazione non è del tutto vera. Essenziale nella seconda
parte del romanzo è questo momentaneo distanziarsi da Isabel e non dirci nulla dall’esterno del fallimento del suo
matrimonio. Attraverso Rosieè, personaggio centrale del subplot, che vediamo il palazzo di Roccanera, il palazzo che
imprigiona Pancy, la sua innamorata. Attraveso i suoi occhi rivediamo Isabel la prima volta dopo il matrimonio e viene
definita appunto ritratto di Signora. Isabel è stata congelata in un ruolo, in cui è semplice appendice del marito. In
questo capitolo ci appare come una apparizione vera e propria come se venisse dal nulla, senza storia e senza origini.
Nel dialogo che avviene fra lei e lord Warbournt viene ribadito il concetto di libertà, che va insieme all’indipendenza.
Soltanto con il terzo e il quarto capitolo abbiamo il flashback, il ritorno alle origini che però non spiega del tutto il
personaggio, ciò che lo spiga maggiormente è la casa e il luogo in cui la incontriamo, lo studiolo, che ci dà una idea del
rapporto con il mondo di Isabel prima che la sua storia abbia inizio. Ci viene descritta mentre sta leggendo una storia
del pensiero tedesco. La sua concezione dell’io è fortemente americana, che deriva dal trascendentalismo americano
che deriva dall’idealismo tedesco. Questo tipo di lettura è un segnale ed è importante che ci venga mostrato che Isabel
è una appassionata lettrice che il suo luogo ideale, stranamente chiuso da chiavistelli. La preferenza di Isabel di
immaginare quello che c’è fuori piuttosto che vederlo, perché nel mondo esterno c’è delizia e spavento. Questa
descizione viene interrotta dall’arrivo della signora Tacher. Tutti i personaggi hanno un tratto in comune con Isabel e
prospettano un tipo di trama possibile e questo è vero anche della Signora Tacher, che però è accomunata a Isabel
dall’idea della propria indipendenza che l’ha portata a vivere un matrimonio che non è tale. Incarna un possibile esito
dell’indipendenza dle personaggio. Un altro elemento che viene evidenziato del carattere di Isabel in queste prime
scene è la sua indifferenza rispetto al denaro. La presentazione di queste origini del personaggio fanno si che questo
flashback che dovrebbe darci il suo contesto di origine in realtà non è sufficiente a spiegare il personaggio.

CAPITOLO QUARTO
Di Isabel si dice che possedesse l’intelligenza. Alla fine Isabel è caratterizzata come un originale rispetto al suo
contesto, come diversa. Viene descritta un’Isabel originale rispetto al suo contesto, quasi straniera, diversa. In modo
essenziale alla pagina 30 quando si parla dell’immaginazione di Isabel ci viene presentato un personaggio che al
contrario delle sorelle vuole gettare alle spalle il proprio passato, vuole ricominciare e avere una strada davanti. Non a
caso ala fine del romanzo nonostante il romanzo termini con il suo ritorno a Roma, in realtà il romanzo si conclude
ancora con Isabel che ha un cammino davanti a sé, a sottolinearci ancora questa ricerca. Ci viene presentata come
accanita lettrice. Quando la seguiremo nel suo percorso, non la vedremo più leggere i libri ma fare uno sforzo di lettura
che riguarda il mondo esterno e poi se stessa. Questo flashback si conclude con una rapida apparizione di Woodwod.

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Le due trame matrimoniali principali di questa parte sono già aperte e attivate. Rimangono per tutto il romanzo anche
dopo i rifiuti di Isabel, anche dopo il suo matrimonio, sempre potenzialità aperte, trame mai davvero concluse. C’è un
finale che lascia intendere al lettore una possibile conclusione matrimoniale. In qualche modo Isabel è attratta da
entrambi gli uomini, qualcosa da cui Isabel si possa sentire attratta, Caspar è americano come lei e incarna anche lui a
suo modo un’idea di indipendenza e libertà che è iscritta nella Dichiarazione d’Indipendenza americana. Egli parlerà la
stessa lingua di Isabel, dicendo che vorrà darle di nuovo indipendenza e libertà, è il personaggio più sensuale fra i
corteggiatori di Isabel, non a caso l’unica scena che comporti un bacio è la scena con lui. Caspar, un nome così
gutturale e Woodgood (che significa buon legno in qualche modo). A queste trame matrimoniali si accosterà l’altra
trama che riguarderà Tacher, che è il personaggio più vicino ad Isabel, che più l’ha amata e che più Isabel amerà,
quando disobbedendo al marito andrà da lui. In tutta la prima parte del romanzo, Isabel sceglie di non scegliere poiché
scegliere potrebbe significar eprivarsi di altro. Ci si sofferma molto sul suo personaggio e sul suo rapporto con Isabel,
utilizzando spesso delle metaforedi arte nel piacere che questo personaggio prova nel guardare Isabel. Queste tre
trame sono già tutte avviate nello svolgersi dei capitoli continueranno ad intrecciarsi. Quali motivazioni hanno queste
scelte di non scegliere, questi rifiuti di Isabel. Perché sceglie proprio Osmold, nonostante la disapprovazione generale.
Per comprendere questo dobbiamo fare un salto.

CAPITOLO DICIANNOVESIMO
È il capitolo a cui James ha fatto riferimento nella prefazione. Il Signor Tacher è moribondo e viene rappresentato un
altro personaggio che diventa quasi un modello per Isabel, da cui però rimarrà delusa e che nel finale sarà chiaro che
Isabel non vorrà più vedere e che questo personaggio sarà condannato a tornarsene in America. Come si vedrà nel
capitolo che si svolge nel convento in cui è stata rinchiusa dal padre, quella solidarietà femminile che incarna Isabel non
esclude Madame Merl nonostante quello che le ha fatto, poiché in essa vede una vittima dell’ideologia patriarcale. In
questo capitolo viene menzionato per la prima volta Osmort che è molto più che un amico per Madame Merl. Le due
donne, proprio a partire dal tema del matrimonio, intavolano una conversazione filosofica quasi metafisica sulla propria
concezione dell’io. Entrambe hanno concezioni totalmente contrapposte di quello che è l’io ed entrambe estreme e
sbagliate. A partire da questa idea di casa che è fondamentale vien fuori appunto l’idea di Madame Merl per la quale
l’io è tutto proiettato nella vita sociale. L’io di Madame Merl è eccessivo perché dice delle verità però è una versione
socializzata dell’io, la versione socializzata del sé che finisce per dire che io sono gli abiti che mi metto e le cose che
indosso. È come dire l’idea dell’io che è anche caratteristica del romanzo realista. A proposito di Washington Square se
nella tradizione realistica era appunto tipico del romanziere descrivere case e oggetti per descrivere l’io del
personaggio il rischio era di rimanere in superficie e non andare in profondità. Il self ha un guscio che va preso in
considerazione, il self ha bisogno di limiti. La sua concezione è così estrema che sembra annullare l’individualità più
profonda di un individuo. Contrapposta a questa è la concezione dell’io di Isabel. L’io di Isabel è un essere totalmente
individuale, un io in espansione e in uno stato di individualità. Ogni scelta diventa un condizionamento e una rinuncia a
qualcosa d’altro. Come si sbaglia Madame Merl si sbaglia anche Isabel nel suo estremismo. Come la concezione dell’io
di Madame Merl presenti dei rischio evidenti, questa concezione dell’io di Isabel presenta vari rischi: l’irresponsabilità
verso gli altri. I personaggi si dividono in characters, con cui sono indicati i personaggi complessi e a tutto tondo, come
Madame Merle, Isabel, Ralph, poin ci sono le charicstures, personaggi che sono piatti in qualche modo, che hanno una
sola dimensione, come ad esmepio la signora Touchett, poi c’è un terzo termine usato per Lord Warburton figure, oltre
che ssere un personaggio complesso è anche rappresentativo di qualcosa. Lord Warburton rappresenta un intero
sistema della tradizione inglese che questo personaggio si porta dietro e l’idea di Isabel di essere introdotta in questo
sistema la spaventa e rifiuta. Isabel resiste rispetto all’essere inglobata nel sistema di Lord Warburton. Isabel non resiste
però a Osmon.

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