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PARTE 1
SOMMARIO DELLA LEZIONE
I. DEFINIZIONE DI CHIMICA
II. GLI ATOMI
1. La Teoria Atomica di Dalton
2. La struttura dell’atomo
3. Il concetto di orbitale
4. La Tavola Periodica degli Elementi
III. LE CARATTERISTICHE FONDAMENTALI DEGLI ELEMENTI CHIMICI
1. Isotopi e ioni
2. Le molecole: elementi e composti
3. Forze intramolecolari e forze intermolecolari
IV. GLI STATI FISICI DELLA MATERIA
1. Stato solido; stato liquido; stato gassoso
2. I cambiamenti di stato
V. LA MOLE
VI. SOLUZIONI E OSMOLARITÀ
VII. LE REAZIONI CHIMICHE E LA VELOCITÀ DI REAZIONE
VIII. GLI ACIDI E LE BASI
1. Il pH
2. I sistemi tampone nel corpo umano
Lo studio della materia parte dai suoi costituenti base (atomi), fino ad arrivare alle strutture
più complesse (elementi, composti).
2. Gli atomi di uno stesso elemento sono tutti uguali tra loro.
3. Gli atomi di diversi elementi si combinano tra loro in rapporti interi e piccoli dando
origine ai composti.
• Numero quantico principale n: descrive la distanza media degli elettroni dal nucleo
• Numero quantico di spin ms: descrive la rotazione dell’elettrone attorno al proprio asse
• il numero atomico (Z): numero di protoni presenti nel nucleo (dal quale
dipendono le particolari caratteristiche fisiche e di reattività chimica
dell'elemento);
Il legame ionico si forma tra gli atomi di due elementi differenti tra i quali è avvenuto uno
scambio di elettroni: un atomo cede uno o più elettroni e diventa uno ione positivo, l'altro
acquista elettroni e diventa uno ione negativo. Il legame ionico è un'attrazione di natura
elettrostatica che si stabilisce tra due ioni di carica opposta.
Una molecola è un gruppo di due o più atomi legati in una disposizione spaziale definita
da legami covalenti.
Una molecola può essere composta da più atomi dello stesso elemento chimico (elementi
in forma molecolare) o da atomi di elementi diversi (composti).
Legame Covalente Polare: quando vengono condivisi gli elettroni; si indica con il simbolo
d- (parziale carica negativa) nell’atomo più elettronegativo e d+ (parziale carica
positiva) nell’atomo meno elettronegativo.
Legame Covalente Apolare: avviene una condivisione di elettroni, ma nessuno dei due
atomi ha la capacità di trattenere a sé per più tempo gli elettroni, e quindi non vi è
nessuna carica.
Legame Metallico: gli elettroni passano continuamente da un atomo all’altro, e quindi tutti
diventano cationi (ioni positivi).
Forze di Van der Waals: riguardano sia molecole polari, sia molecole apolari, appartenenti
allo stato liquido e allo stato solido della materia, e fanno sì che le molecole
appartenenti a questi due stati di aggregazione siano più compatti e meno mobili
PARTE 2
GLI STATI FISICI DELLA MATERIA
STATO SOLIDO
I solidi sono i corpi più stabili. Gli atomi sono disposti in maniera ordinata e per effetto di
interazioni elettrostatiche forti (legami) non sono liberi di muoversi.
• solidi amorfi: con atomi a disposizione disordinata. A loro volta sono distinti in:
➢ metalli: costituiti da cationi tenuti insieme da un gran numero di elettroni, e sono per
questo ottimi conduttori elettrici
➢ solidi ionici: dati dall’attrazione reciproca tra cationi e anioni
• Tensione superficiale: ovvero il fenomeno per cui le molecole interne attraggono a loro le
molecole superficiali
• hanno dimensioni molto piccole rispetto alla distanza media che le separa: sono facilmente
comprimibili con conseguente diminuzione del volume
È definita come la quantità di materia che contiene un numero di particelle pari a quello
degli atomi presenti in 12 grammi di carbonio12 (12C).
L'osmolarità è una grandezza fisica che misura la concentrazione delle soluzioni usata in
chimica, e in particolare è il numero totale di molecole e ioni presenti in un litro di soluzione.
Viene utilizzata in campo medico per esprimere la concentrazione di fluidi biologici come il
sangue, le urine ecc., poiché questi contengono un gran numero di particelle diverse tra
loro ed è utile conoscerne la loro concentrazione.
A sinistra della freccia che indica il verso della reazione chimica si indicano i reagenti (stadio
iniziale) a destra si indicano i prodotti (stadio finale).
I coefficienti stechiometrici sono numeri interi posti davanti ai simboli degli elementi o dei
composti e devono mantenersi in rapporto costante tra reagenti e prodotti.
I pedici indicano, all’interno di un composto, il rapporto tra gli atomi dei vari elementi che lo
compongono.
Data la reazione
aA + bB → prodotti
• la superficie di contatto fra i reagenti → quando i reagenti non sono nello stesso stato
di aggregazione, reagiscono tanto più velocemente quanto più è estesa la loro
superficie di contatto;
• la presenza di catalizzatori.
I catalizzatori biologici sono gli enzimi, sostanze di natura proteica che agiscono come
catalizzatori accelerando le reazioni biologiche senza venire modificati.
Operano combinandosi con una sostanza specifica per trasformarla in una sostanza
diversa.
Es: gli enzimi digestivi presenti nella saliva, nello stomaco, nel pancreas e nell'intestino tenue, esplicano una funzione
essenziale nella digestione e contribuiscono a scindere gli alimenti nei costituenti di base.
Ogni enzima ha un ruolo specifico: quello che scinde i grassi, per esempio, non agisce
sulle proteine o sui carboidrati.
TEORIA DI AHRRENIUS:
Un acido è una sostanza in grado di liberare ioni idrogeno H+ in una soluzione acquosa;
Una base è una sostanza in grado di liberare ioni idrossido OH- in una soluzione acquosa.
TEORIA DI LEWIS:
Un acido è una sostanza capace di accettare un doppietto elettronico da un'altra specie
chimica (sostanze che in acqua fanno aumentare la concentrazione degli ioni H+);
Una base è una sostanza capace di donare un doppietto elettronico a un'altra specie
chimica (sostanze che in acqua fanno aumentare la concentrazione degli ioni OH-).
Un doppietto elettronico è la coppia di elettroni che occupano lo stesso orbitale, ma
presentano spin opposti.
pH = -log[H+]
Questo dipende dalla posizione centrale che il carbonio occupa nella tavola periodica:
non essendo né fortemente elettronegativo né fortemente elettropositivo, forma legami
covalenti con altri atomi.
Esso è detto tetravalente proprio per i suoi 4 elettroni di valenza (ovvero elettroni presenti
sull’ultimo orbitale) ed è in grado di realizzare legami molto stabili.
IDROCARBURI
AROMATICI
COMPOSTI
ORGANICI LIPIDI
(principali)
CARBOIDRATI
BIOMOLECOLE
PROTEINE
ACIDI NUCLEICI
IDROCARBURI
idrogeno (H). ALIFATICI
Alcheni
Ampiamente usati come Insaturi
AROMATICI
combustibili, la loro Alchini
principale fonte in natura è
di origine fossile.
Dal punto di vista delle proprietà chimiche, gli idrocarburi si distinguono in due grandi
gruppi a loro volta suddivisi in sottogruppi:
• idrocarburi alifatici: con atomi di carbonio legati a formare catene lineari, ramificate
(aciclici) o ad anelli (aliciclici); questi possono essere ulteriormente suddivisi in saturi e
insaturi a seconda che siano presenti o meno uno o più legami multipli;
2° TIPOLOGIA di CLASSIFICAZIONE
• idrocarburi liquidi, come i costituenti del petrolio (benzene, esano, ottano ecc.);
Caratteristiche chiave:
➢ nella maggior parte dei casi si tratta di macromolecole, ovvero molecole complesse
che possono contenere anche migliaia di atomi (principalmente C, H e O);
➢ dal punto di vista chimico, le biomolecole sono composti polifunzionali, sono cioè
costituite da molecole che contengono due o più gruppi funzionali diversi;
➢ le biomolecole sono in molti casi polimeri, formati dall’unione di composti organici più
piccoli chiamati monomeri.
PARTE 1
SOMMARIO DELLA LEZIONE
I. LA CELLULA: TEORIA CELLULARE E CARATTERISTICHE PRINCIPALI
II. LA CELLULA PROCARIOTE
III. LA CELLULA EUCARIOTE ANIMALE
1. Nucleo e DNA
2. Reticolo Endoplasmatico Liscio e Rugoso
3. Ribosomi
4. Apparato di Golgi
5. Lisosomi e Perossisomi
6. Mitocondri
7. Membrana Cellulare
8. Citoscheletro
IV. LA CELLULA EUCARIOTE VEGETALE
1. Cloroplasti
2. Vacuolo Centrale
3. Parete Cellulare
È il più piccolo organismo a poter essere definito vivente: essa infatti è indipendente nella
assunzione di nutrienti, nella loro conversione in energia e nella sua stessa riproduzione.
Gli organismi costituiti da una sola cellula sono definiti unicellulari, mentre quelli costituiti da
più cellule sono definiti pluricellulari.
Questi studi, implementati poi dalle scoperte di Darwin, portarono alla formulazione della
moderna Teoria Cellulare:
➢ crescono
➢ si riproducono
➢ sono in grado di trasformare la materia e l’energia
➢ rispondono agli stimoli provenienti dall’ambiente esterno
➢ mantengono il controllo del proprio ambiente interno
Dal punto di vista strutturale tra le cellule c’è una grande somiglianza. Esse:
➢ hanno del materiale ereditario (il DNA) che permette loro la riproduzione
➢ sono delimitate da una membrana esterna che le separa dall’ambiente circostante
➢ all’interno è presente il citoplasma, una sostanza semiliquida
PARTE 2
RIBOSOMI
4. Sulla sua superficie avvengono numerose reazioni chimiche, dato l'abbondante numero
di enzimi a essa legati;
Simili a una corda ritorta, i filamenti intermedi sono costituiti da fibre e svolgono una
funzione strutturale, sostenendo l’involucro nucleare e la membrana plasmatica.
Hanno un diametro medio di 10 nm.
PARTE 1
SOMMARIO DELLA LEZIONE
I. IL METABOLISMO BASALE E CELLULARE
IV. L’ATP
V. LA RESPIRAZIONE CELLULARE
1. Fase 1: Glicolisi
2. Fase intermedia: sintesi dell’Acetil-CoA
3. Fase 2: Ciclo di Krebs
4. Fase 3: catena di trasporto degli Elettroni
Una via metabolica è una sequenza di reazioni chimiche che portano alla trasformazione
di un substrato in un prodotto.
Le singole tappe di una via metabolica sono reazioni catalizzate da enzimi specifici, nelle
quali il prodotto di una reazione è il substrato della reazione successiva.
L’insieme di questa serie di reazioni che producono o consumano energia sono definite, nel
loro insieme, metabolismo.
Consente alla cellula di rifornirsi di energia necessaria per poi crescere e riprodursi.
• Reazioni anaboliche
• Reazioni cataboliche
Questa distruzione porta alla formazione di energia con conseguente eliminazione dei
rifiuti.
Una suddivisione tra i vari Cofattori può essere fatta sulla base delle loro capacità di
interagire con l’enzima:
➢ Cosubstrati → sono in grado di associarsi e dissociarsi agevolmente dall'enzima; il
cofattore si trova associato all'enzima solo se esso sta catalizzando una reazione,
altrimenti ne è dissociato; l’associazione è temporanea
➢ Gruppi prostetici → sono molecole strettamente legate ad una proteina (spesso un
enzima), attraverso un legame covalente, da cui non si distaccano né durante il corso
della reazione, né ad enzima inattivo; l’associazione è permanente.
Sono molecole organiche dalla struttura spesso molto complessa, che partecipano ai
processi di catalisi (come il coenzima A, che partecipa nella respirazione cellulare).
Tutte queste molecole sono costituite per lo più da un nucleotide da solo oppure associato
a vitamine o a parti di queste ed il loro intervento è essenziale nelle reazioni che
comportano variazioni energetiche.
PARTE 2
L’ATP
In tutti i viventi esiste una molecola, chiamata
adenosintrifosfato (ATP) che ha il compito di assorbire
l'energia prodotta dalle reazioni esoergoniche di
demolizione e di renderla disponibile per i lavori
cellulari.
È costituita da:
• 1 base azotata (Adenina)
• 1 zucchero a 5 atomi di carbonio (Ribosio)
• 3 gruppi fosfato (P) uniti da legami ad alta energia
La prima molecola della riga superiore, in cui sono indicati i reagenti della reazione, è il
glucosio (sostanza nutritiva), ricco di energia chimica.
A seguire si trovano l’ossigeno, necessario come accettore finale di elettroni, l’ADP e
molecole inorganiche di fosfato (P) che, unendosi all’ADP, lo trasformano in ATP.
I prodotti della reazione sono indicati nella seconda riga: quelli secondari sono diossido di
carbonio e acqua, mentre quello principale è l’energia, sotto forma di ATP.
• 3 NADH
• 1 FADH2 (un altro trasportatore di elettroni)
• 1 ATP
È lo stato in cui si registra la più grande produzione di ATP: 32 ATP per ogni molecola di
glucosio iniziale.
(NB. 32ATP dalla Catena di Trasporto degli Elettroni + 2ATP dalla Glicolisi + 2ATP dal Ciclo di
Krebs = totale di 36ATP per ogni processo di respirazione cellulare)
È costituita da una serie di molecole che operano in successione e sono alimentanti dagli
elettroni portati da NADH e FADH2 dalle fasi precedenti del processo.
Al termine della catena si trova l’ossigeno che accoglie gli elettroni uscenti della catena e
che gli consentono di legarsi ad un idrogeno per formare una molecola d’acqua.
PARTE 1
SOMMARIO DELLA LEZIONE
I. I CARBOIDRATI
1. I monosaccaridi
2. Gli oligosaccaridi
3. I polisaccaridi
II. IL GLUCOSIO
III. LA DIGESIONE DEI CARBOIDRATI
1. Fase 1: Amilasi Salivare
2. Fase 2: Fase Intestinale
3. Fase 3: Assorbimento dei Carboidrati
IV. METABOLISMO DEI CARBOIDRATI: LA GLICOLISI
1. Fase di Attivazione
2. Fase di Scissione
3. Fase di Ossido-riduzione
4. I destini del Piruvato
5. La Gluconeogenesi
V. I CARBOIDRATI IMPORTANTI PER L’UOMO
VI. LA REGOLAZIONE ORMONALE DELLA GLICEMIA
1. Insulina e Glucagone
Cn(H2O)m
I polisaccaridi:
PARTE 2
DIGESIONE DEI CARBOIDRATI
Fase 1: AMILASI SALIVARE
Durante il pasto ingeriamo carboidrati di diverso tipo:
Un rilevamento di zuccheri nel cibo che è stato ingerito provoca la secrezione di:
Una volta formatisi i monomeri questi vengono assorbiti nella cellula attraverso la
membrana da canali specifici:
• Glucosio e Galattosio → SGLT1 (Sodium Glucose Transporter 1): un canale che trasporta
una molecola di Glucosio oppure di Galattosio, e una di Sodio contemporaneamente
• Fruttosio → GLUT5 (Glucose Transporter 5): un canale che trasporta fruttosio per gradiente
nella cellula, senza che venga accompagnato da una molecola di Sodio
Per la fuoriuscita nel torrente ematico, questa è in comune a tutti e tre e prevede il
passaggio attraverso GLUT2 (specifico di intestino, fegato e pancreas).
➢ il Fruttosio entra nella via glicolitica in due diversi punti, a seconda che ci si trovi nel
muscolo o nel fegato
➢ Una volta entrato nel torrente ematico il Glucosio viene usato come fonte energetica da
numerosi tessuti, tra i quali:
Ogni molecola di Piruvato entrerà poi nel Ciclo di Krebs come Acetil-CoA per promuovere
la produzione di ATP.
1. PRIMA REAZIONE: l’enzima Esochinasi produce Glucosio-6-fosfato che non può così
uscire dal citoplasma, nel quale sono presenti tutti gli enzimi glicolitici. Si consuma la
prima molecola di ATP, quindi è una reazione irreversibile
Di conseguenza, dopo queste due reazioni, da una molecola di Glucosio si formano quindi
due molecole di GAP.
Permette di produrre glucosio a partire da precursori non saccaridici, quali piruvato, lattato,
glicerolo, etanolo, e amminoacidi.
Avviene quasi interamente nel citosol, a parte la prima tappa iniziale che serve per
traslocare il Piruvato dal mitocondrio al citosol. Qui verrà formato il fosfoenolpiruvato e poi si
susseguono tutte le altre reazioni come se fosse una glicolisi inversa.
➢ Facilita il passaggio del glucosio dal sangue alle cellule ed ha azione ipoglicemizzante
(abbassa la glicemia)
➢ Facilita il passaggio degli amminoacidi dal sangue alle cellule, ha funzione
anabolizzante perché stimola la sintesi proteica e inibisce la gluconeogenesi
➢ Facilita il passaggio degli acidi grassi dal sangue alle cellule, stimola la sintesi di acidi
grassi a partire da glucosio e amminoacidi in eccesso ed inibisce la lipolisi (utilizzazione
degli acidi grassi a scopo energetico)
➢ Facilita il passaggio di potassio all'interno delle cellule
➢ Stimola la proliferazione cellulare
➢ Stimola l'uso del glucosio per la produzione di energia
➢ Stimola la produzione endogena di colesterolo
L’insulina consente al glucosio l’ingresso nelle cellule e il suo conseguente utilizzo come
fonte energetica. Quando questo meccanismo è alterato, il glucosio si accumula nel
circolo sanguigno.
Diabete:
➢ Di tipo 1 → circa il 10%; insorge nell’infanzia o nell’adolescenza; il pancreas non produce
insulina a causa della distruzione delle cellule ß che producono questo ormone: è quindi
necessario che essa venga iniettata ogni giorno e per tutta la vita.
➢ Di tipo 2 → circa il 90%; insorge dopo i 30/40 anni; il pancreas è in grado di produrre
insulina, ma le cellule dell’organismo non riescono poi a utilizzarla.
PARTE 1
SOMMARIO DELLA LEZIONE
I. LE PROTEINE
1. La struttura delle proteine: primaria, secondaria, terziaria, quaternaria
II. GLI AMMINOACIDI
1. Gli amminoacidi essenziali e semi-essenziali
III. LA DIGESTIONE DELLE PROTEINE
1. Fase 1: stomaco
2. Fase 2: duodeno
3. Fase 3: intestino
4. Fase 4: fegato
IV. L‘ASSORBIMENTO DELLE PROTEINE
V. DESTINO DEL METABOLISMO DELLE PROTEINE
VI. IL CICLO DELL’UREA
VII. ORMONI E PROTEINE
1. Gli ormoni peptidici
➢ proteine complesse o coniugate in cui sono presenti anche molecole di natura diversa,
in genere a basso peso molecolare (detti gruppi prostetici)
Tale sequenza condiziona la struttura tridimensionale della proteina stessa che, a sua volta,
è in correlazione con il tipo di attività biologica che deve svolgere.
Questo livello di organizzazione è una conseguenza dei legami a idrogeno tra gli
amminoacidi appartenenti a una stessa catena, o tra gli amminoacidi di catene diverse.
La proteina che costituisce la seta ha questa struttura. Queste proteine non possono essere
allungate ulteriormente senza che si rompano i legami covalenti della loro catena; per
questo motivo la seta, a differenza della lana non è elastica.
Nelle proteine globulari, gli aminoacidi idrofobici tendono a localizzarsi all'interno della
struttura, mentre quelli idrofili si espongono verso l'esterno, facilitando il legame con l'acqua
e rendendo quindi più efficace la soluzione.
Gli Amminoacidi Essenziali (chiamati anche con l’acronimo AAE – Amino Acid Enhanced)
che vanno necessariamente introdotti tramite l’alimentazione sono 9:
Lisina
Triptofano
Fenilanina
Treonina
Metionina
Istidina
Leucina
Isoleucina
Valina
2.Triptofano → si trova nel latte e nei latticini, nelle uova, nei legumi, oltre che nelle carni,
nel pesce e nel cioccolato. È un amminoacido chiave nella sintesi proteica e nella sintesi di
sostanze fondamentali come la serotonina, che può essere convertita in melatonina,
fondamentale per la corretta regolazione del ritmo sonno-veglia. È utile per gli sportivi per
la conversione dei nutrienti in energia.
PARTE 2
LA DIGESTIONE DELLE PROTEINE
Il processo di digestione delle proteine ha un
rendimento molto elevato: circa il 99% delle proteine
sono assimilate, mentre solo l’1% viene espulso.
Un caso particolare è rappresentato dai piccoli peptidi, che possono essere in alcuni casi
assorbiti tramite transcitosi, ovvero possono legarsi a recettori disposti alla membrana
apicale per venire endocitati e successivamente immessi nel circolo sanguigno per
esocitosi.
Gli amminoacidi che derivano dalle proteine della dieta sono la fonte della maggioranza
dei gruppi amminici. La maggior parte degli amminoacidi viene metabolizzata nel fegato.
Lo ione ammonio (NH4+) in questi processi viene in parte utilizzato in una serie di vie
biosintetiche, e l’eccesso viene secreto come tale, oppure convertito a seconda
dell’organismo in urea o acido urico, che verranno poi eliminati.
L’eccesso di ioni ammonio generati in altri tessuti extraepatici giunge al fegato (sotto forma
di gruppi amminici) per essere trasformato nelle forme di escrezione.
Fino ad ora si è parlato di metabolismo di sostanze con una catena carboniosa, ma qui si
ha un gruppo amminico e la prima cosa da fare dev’essere quella di staccare il gruppo
amminico.
Il gruppo amminico può dare origine a ioni ammonio, come già detto, quindi ad
ammoniaca, che è un veleno.
Ci sono dei meccanismi che in qualche modo eliminano o utilizzano lo ione ammonio e
dall’altro lo inattivano, quindi inibiscono la tossicità.
Solo in piccola parte è presente come tale e, nel momento in cui viene liberato, viene
idrolizzato, impedendo di agire in qualche modo.
Lo ione ammonio viene inserito in una via metabolica che è il ciclo dell’urea, che
rappresenta il prodotto di escrezione dello ione ammonio.
Negli organismi ureotelici, che hanno la proprietà di eliminare l'azoto amminico sotto forma
di urea, l’ammoniaca accumulata nei mitocondri dagli epatociti viene convertita in urea
mediante il ciclo dell’urea.
Il ciclo dell’urea inizia all’interno dei mitocondri degli epatociti, ma le tappe successive
avvengono nel citosol.
1. Nella prima tappa, il carbamil fosfato dona il suo gruppo carbamilico all'ornitina per
formare la citrullina; contemporaneamente viene rilasciato Pi (un fosfolipide). La citrullina
esce dai mitocondri ed il ciclo continua nel citosol
In base alla loro struttura biochimica, gli ormoni si possono classificare come:
➢ peptidi (proteine): grazie alla loro struttura affine all’acqua (idrofila), possono circolare
liberamente nel sangue (che ha natura acquosa)
➢ steroidi: sintetizzati nel fegato a partire dal colesterolo. Hanno una struttura lipidica
➢ Ormone della crescita – GH → ormone secreto da una ghiandola posta nella scatola
cranica, l’ipofisi o ghiandola pituitaria, che viene prodotto in seguito a stimoli come
l’attività fisica intensa, lo stress, l’ipoglicemia ed il sonno. Usato nel trattamento di bambini
con difficoltà di crescita a causa di un difetto endogeno nella produzione dell’ormone
da parte dell’organismo
➢ Eritropoietina – EPO → ormone che stimola la produzione dei globuli rossi nel sangue.
Impiegato per uso clinico in nefrologia, chirurgia e cardiochirurgia, in particolare nei
trattamenti delle anemie
PARTE 1
SOMMARIO DELLA LEZIONE
I. I LIPIDI
1. Funzioni e ruoli
2. I trigliceridi: gli acidi grassi
3. I fosfolipidi: fosfogliceridi e sfingofosfolipidi
4. Il colesterolo
II. DIGESTIONE DEI LIPIDI
1. Lipasi linguale
2. Lipasi gastrica
3. Duodeno
4. Pancreas
5. Altri enzimi coinvolti
III. METABOLISMO DEI LIPIDI
1. Catabolismo degli acidi grassi
IV. BIOSINTESI DEI LIPIDI
1. Biosintesi del colesterolo, dei trigliceridi e dei fosfolipidi
V. REGOLAZIONE ORMONALE DEI LIVELLI DEI LIPIDI
Punto di fusione:
➢ Oli → < 36°C
➢ Grassi → 36 - 40°C
➢ LIPIDI SEMPLICI: sono i più abbondanti nel nostro organismo (circa il 95%) e nella nostra
dieta (vengono ingeriti sotto questa forma circa il 98% dei lipidi presenti negli alimenti).
Rappresentano la forma di deposito e di utilizzo principale. Tra i più noti ricordiamo le cere
ed i trigliceridi
➢ LIPIDI COMPOSTI: sono trigliceridi combinati con altre sostanza chimiche come fosforo,
azoto e zolfo. Rappresentano circa il 10% dei grassi del nostro organismo. Tra i più noti
ricordiamo i fosfolipidi, i glicolipidi e le lipoproteine
5. Gli acidi grassi polinsaturi appartenenti alle famiglie n6 ed n3 sono precursori di composti
che nell'organismo svolgono importanti funzioni regolatorie
STRUTTURALI DI DEPOSITO
Nell'organismo umano e nei cibi che lo nutrono, i lipidi più abbondanti sono i trigliceridi (o
triacilgliceroli).
L’assenza di una, o due, catene laterali di Acido Grasso dà vita, rispettivamente, ai di-
acilglieroli e ai mono-acilgliceroli.
Gli acidi grassi, componenti fondamentali dei lipidi, sono molecole costituite da una
catena di atomi di carbonio, denominata catena alifatica, con un solo gruppo carbossilico
(-COOH) ad una estremità.
Gli acidi grassi possiedono generalmente un numero pari di atomi di carbonio, anche se in
alcuni alimenti, come gli oli vegetali, ne ritroviamo minime percentuali con numero dispari.
➢ acidi grassi a catena molto lunga: con un numero di atomi di carbonio maggiore o
uguale a 22
A seconda della loro lunghezza essi prendono una via di distribuzione ematica differente.
➢ Acidi Grassi Saturi quando la loro struttura chimica non contiene doppi legami,
pertanto non possono legarsi con nessun altro elemento
➢ Acidi Grassi Insaturi quando sono presenti uno o più doppi legami
PARTE 2
DIGESIONE DEI LIPIDI
Mentre carboidrati e proteine si sciolgono facilmente nei liquidi digestivi, i lipidi non solo
risultano insolubili, ma tendono ad unirsi insieme formando grossi agglomerati.
La digestione dei lipidi ha inizio nella bocca, prosegue nello stomaco e termina nel piccolo
intestino o intestino tenue.
Gli enzimi che catalizzano le reazioni responsabili della digestione dei trigliceridi sono detti
lipasi. Sono proteine che catalizzano la parziale idrolisi dei trigliceridi dando origine ad una
miscela di acidi grassi liberi e acilgliceroli.
Esistono diverse lipasi, la più importante delle quali è prodotta dal pancreas esocrino; le
altre sono la linguale, la gastrica e quella presente nel latte materno.
Altri enzimi coinvolti nella digestione dei lipidi sono la colesterolo esterasi e le fosfolipasi.
È quindi probabile che rimanga attivo anche nella parte alta del duodeno, dove il pH è
compreso tra 6 e 7.
Catalizza di preferenza l’idrolisi dei trigliceridi con acidi grassi a catena corta e media, ma
può agire anche su quelli con acidi grassi a catena lunga.
Nelle 2-4 ore in cui il cibo rimane nello stomaco questo enzima, insieme alle lipasi salivari,
digerisce circa il 10-30% dei lipidi.
Nel duodeno si mescola alla bile, il cui rilascio ad opera della colecisti è stimolato dalla
colecistochinina, secreta da cellule presenti nella mucosa del duodeno e del digiuno a
seguito di un pasto, in particolare se ricco di grassi.
Nella bile, tra gli altri, sono contenuti sali biliari, fosfolipidi, e colesterolo.
I sali biliari vengono rilasciati nel duodeno con la bile. Sono in grado emulsionare
ulteriormente i lipidi ingeriti: si inseriscono nella goccia lipidica diminuendo la coesione tra i
trigliceridi e portando alla formazione di goccioline più piccole che prendono il nome di
micelle.
L’azione della lipasi pancreatica è quella di scindere il legame tra un acido grasso e il
trigliceride (e il successivo legame tra un secondo acido grasso e il digliceride rimasto).
Gli acidi grassi liberi entrano nella costituzione di micelle più piccole che vengono veicolate
verso le cellule epiteliali del duodeno (enterociti) e assorbiti.
Il succo pancreatico contiene al suo interno altri due enzimi implicati nell’assorbimento di
lipidi:
1. FOSFOLIPASI A2: viene secreta in forma non attiva poiché altrimenti andrebbe ad
attaccare le membrane cellulari. È attivata nel duodeno dalla tripsina. Il suo compito è
formare un lisofosfolipide, ovvero fosfolipidi con una sola catena di acido grasso attaccata
al glicerolo fosfato
Il catabolismo degli acidi grassi si realizza principalmente attraverso una via ossidativa detta
beta-ossidazione, presente nei mitocondri di tutte le cellule dell’organismo, con qualche
eccezione tra cui il cervello e i globuli rossi.
• è intramitocondriale
• consiste in una serie ciclica di reazioni indipendenti
• tutti i suoi intermedi sono permanentemente legati al coenzima A
• libera frammenti bicarboniosi di acetilCoA entro i mitocondri
• si accompagna alla massiccia riduzione dei coenzimi FAD e NAD+
L’acido grasso viene perciò trasferito dal CoA su una molecola trasportatrice, la carnitina,
in una reazione reversibile catalizzata dall’enzima carnitina aciltrasferasiI.
L'acetilCoA prodotto con la β-ossidazione può entrare nel ciclo di Krebs dove si lega
all'ossalacetato per un'ulteriore ossidazione fino ad anidride carbonica ed acqua. Per ogni
acetilCoA ossidato nel ciclo di Krebs si producono 12 ATP.
Come la sintesi degli acidi grassi, anche quella del colesterolo utilizza unità di acetil CoA e
potere riducente fornito dal NADPH + H+ attraverso una complessa serie di reazioni
catalizzate, di cui le prime portano alla formazione di 3-idrossi-3-metilglutaril CoA (HMG-
CoA).
Quindi il mevalonato viene attivato attraverso due reazioni che richiedono il consumo di 3
molecole di ATP e portano all’eliminazione di una molecola di CO2.
Questi due prodotti reagiscono tra loro per formare il geranil pirofosfato che, per reazione
con una seconda molecola di dimetilanil pirofosfato, si trasforma in farnesil pirofosfato.
Le ultime tappe della biosintesi del colesterolo consistono nell’unione di due molecole di
farnesil pirofosfato con formazione di squalene (una molecola a 30 atomi di carbonio)
seguita dalla produzione finale del colesterolo (a 27 atomi di carbonio).
La prima fase della sintesi dei triacilgliceroli è l'acilazione dei due gruppi
ossidrilici liberi di L-glicerolo 3-fosfato con due molecole di acil-CoA per
generare diacilglicerolo 3-fosfato, più conosciuto con il nome di acido
fosfatidico o fosfatidato.
La lipolisi, come abbiamo già visto, è mediata da un gruppo di enzimi chiamati lipasi ed è
indotta da numerosi ormoni, principalmente glucagone, somatotropina (o GH), cortisolo,
adrenalina (o epinefrina), noradrenalina (o norepinefrina), e testosterone.
La lipolisi inizia quando la triacilglicerolo lipasi ed altri enzimi rompono le molecole del
triglicerde per formare un digliceride. La lipasi ormono sensibile (HSL) è poi traslocata alla
cellula e attivata per dividere le molecole di trigliceridi nelle singole unità che li
compongono, cioè 3 molecole di acidi grassi e una di glicerolo.
PARTE 1
SOMMARIO DELLA LEZIONE
I. LE VITAMINE
1. Funzioni
2. Liposolubili e idrosolubili
3. Classificazione delle vitamine
4. Vitamine e coenzimi
6. Sono classificate in base alla loro attività biologica e chimica e non in base alla loro
struttura
Di ogni vitamina si conosce il fabbisogno giornaliero per una persona adulta, stabilito in
base alle manifestazioni provocate da una loro assenza completa nella dieta (avitaminosi),
un ridotto apporto (ipovitaminosi) o anche una introduzione eccessiva (ipervitaminosi).
1. Guidano le reazioni chimiche delle cellule e dei tessuti, in quanto contribuiscono alla
regolazione dell'attività enzimatica
2. Assicurano le funzioni vitali nei tessuti, svolgono e ottimizzano l'azione protettiva
antiossidante nei confronti dei radicali liberi
3. Garantiscono la normale espressione del patrimonio genetico attraverso meccanismi di
facilitazione e di inibizione
4. Partecipano all'eliminazione delle scorie e delle sostanze tossiche da parte
dell'organismo
5. Aumentano i meccanismi difensivi del sistema immunitario, soprattutto nei confronti
degli agenti infettivi
6. Partecipano alla trasformazione di carboidrati, grassi e proteine
7. Insieme agli acidi grassi essenziali contribuiscono alla produzione dei neuromediatori
Come le vitamine del gruppo B (B1, B2, B6, B12), la vitamina C, la vitamina H (la biotina), la
vitamina PP (nicotinamide).
Non possono essere accumulate nel nostro corpo, per cui vanno assunte con regolarità
attraverso gli alimenti. Si trovano in alimenti quali la carne, il latte e suoi derivati e gli
insaccati. Svolgono prevalentemente una funzione di catalizzatori nel metabolismo di
carboidrati, proteine, lipidi e acidi nucleici.
Vengono escrete nelle urine e tendono a essere eliminate dall’organismo più rapidamente
rispetto alle vitamine liposolubili. Le vitamine idrosolubili hanno una probabilità maggiore di
essere distrutte con la conservazione e la cottura degli alimenti.
Come le vitamine A, D, E, K.
Possono essere accumulate e non è dunque necessario assumerle con regolarità: il corpo
le conserva fino al momento in cui divengono necessarie, quando le rilascia a piccole dosi.
Vengono immagazzinate nel fegato e nel tessuto adiposo.
PARTE 2
LE VITAMINE
VITAMINA A
La vitamina A, o retinolo, ha un’importanza fondamentale per la nostra vista poiché
insieme ai suoi precursori, i carotenoidi, fa parte dei componenti della rodopsina, la
sostanza presente sulla retina che dà all’occhio la sensibilità alla luce.
È inoltre utile per lo sviluppo delle ossa e per il loro rafforzamento nel tempo, per la crescita
dei denti e si distingue per la sua capacità di fornire una risposta immunitaria al nostro
organismo. Recenti scoperte scientifiche hanno dimostrato che la vitamina A ha anche
capacità antitumorali.
Alimenti in cui è contenuta → fegato, latte e derivati, uova; frutta e verdura di colore rosso,
giallo e arancione (albicocche, carote, anguria, frutti di bosco, pomodori)
Sintomi da carenza → difetti alla vista, difficoltà nel processo di crescita e sviluppo,
sensibilità alle infezioni
Al pari della vitamina B2, la vitamina B1, o Tiamina, ha il ruolo di sintetizzare i processi
energetici dell’organismo, rilasciando a quest’ultimo l’energia necessaria a svolgere le
attività quotidiane.
Alimenti in cui è contenuta → carne di maiale, cereali integrali, legumi, patate, lievito
Alimenti in cui è contenuta → latte e derivati (in particolare formaggio), uova, lievito di
birra, fegato, vegetali con le foglie verdi, asparagi, pesce
Sintomi da carenza → ragadi, infiammazione della mucosa orale e della cornea, arresto
della crescita, rallentamento dei processi di assimilazione degli alimenti (in particolare quelli
lipidici), problemi oculari
Alimenti in cui è contenuta → carni bianche, spinaci, arachidi, fegato di manzo, cereali,
latte, lievito di birra, alcuni pesci come salmone, pesce spada, tonno
Sintomi da carenza → mal di testa, nausea, irritabilità, perdita del tono muscolare, cattiva
digestione, pellagra, dermatite, diarrea e disturbi neurologici
È indicata per la protezione dei capelli e della pelle, per prevenire stati di stanchezza e per
la cicatrizzazione di ferite e ustioni.
Alimenti in cui è contenuta → legumi, frattaglie, tuorlo d’uovo, funghi essiccati, lievito di
birra, fegato di suini, bovini e ovini, pesce, cereali
Alimenti in cui è contenuta → carni bianche, spinaci, pesce, patate, legumi, frutta (esclusi
gli agrumi), cereali, fagioli, avocado
Sintomi da carenza → infiammazioni nel cavo orale; alterazioni della pelle, anemia,
intorpidimento degli arti; apatia e debolezza diffusa; insonnia. Può facilitare la formazione
dei calcoli renali
È indicata per il trattamento di dermatiti seborroiche, soprattutto dei bambini appena nati,
di alopecia e di acne grazie alla sua capacità di preservare l’integrità della pelle e dei
capelli.
Alimenti in cui è contenuta → latte, formaggio, fegato, tuorlo d’uovo, arachidi, verdure,
funghi, lievito di birra
È anche fondamentale per la sintesi delle proteine e del DNA nonché per la formazione
dell’emoglobina. La sua giusta presenza nell’organismo contribuisce anche a prevenire
molti rischi alla nostra salute di natura cardiovascolare.
Alimenti in cui è contenuta → verdure a foglia verde, fegato, latte, alcuni cereali e alcuni
frutti, prodotti integrali, asparagi
Sintomi da carenza → produzione ridotta di globuli rossi nel sangue e rischio di anemia;
difficoltà in gravidanza per il nascituro
Alimenti in cui è contenuta → carne, pesce, fegato, latte, uova (alimenti di origine animale
in generale)
Sintomi da carenza → possibile in particolare nelle diete vegetariane; disturbi del sistema
nervoso, anemia
Grazie ai suoi forti poteri antiossidanti innalza le barriere del sistema immunitario e aiuta
l’organismo a prevenire il rischio di tumori, soprattutto allo stomaco, inibendo la sintesi di
sostanze cancerogene. Il suo apporto, inoltre, è fondamentale per la neutralizzazione dei
radicali liberi.
Alimenti in cui è contenuta → frutta e verdura «fresche» consumate crude o poco cotte
Contribuisce inoltre a mantenere nella norma i livelli di calcio e di fosforo nel sangue.
Sintomi da carenza → effetti negativi sulla calcificazione delle ossa (rachitismo), denti
deboli e vulnerabili alle carie, aumento di predisposizione alle infezioni
Alimenti in cui è contenuta → frutti oleosi (olive, arachidi, mais), semi di grano, cereali, noci,
verdure a foglia verde, avocado, oli vegetali
È sensibile al calore e alla luce, gli alimenti che la contengono vanno dunque protetti dal
sole e consumati preferibilmente freschi o comunque dopo breve cottura.
Alimenti in cui è contenuta → oli vegetali, alcuna frutta oleosa (mandorle e noci), alcuni
pesci
Questa vitamina viene prodotta dalla flora intestinale che si trova nel nostro intestino, nei
neonati è importante la prescrizione da parte del medico di integratori di questa vitamina
in quanto essi non presentano ancora una flora batterica ben sviluppata.
PARTE 3
I SALI MINERALI
I sali minerali sono composti inorganici che
ricoprono un ruolo fondamentale nel funzionamento
di tutti gli organismi viventi.
Ricche fonti di questo minerale sono principalmente di origine vegetale: germe di grano,
crusca e frutta secca.
• il rachitismo
• l'osteoporosi e la demineralizzazione delle ossa (nel caso di calcio e fosforo)
• crampi muscolari e alterazioni della contrazione del cuore e della funzionalità del
sistema nervoso (nel caso di potassio, magnesio, sodio e calcio)
• gozzo significativo, patologie tiroidee e cretinismo (nel caso dello iodio)
• anemie severe (nel caso del ferro)
• disturbi della coagulazione (nel caso del calcio e del cobalto)
PARTE 1
SOMMARIO DELLA LEZIONE
I. IMMUNOLOGIA
1. Introduzione
2. Sistema immunitario
3. Immunità innata e immunità adattativa
4. Elementi intervengono nel sistema immunitario
5. Struttura e funzione di un linfonodo
6. Vaccinazioni
Funzioni principali:
È l’insieme di organi (milza, midollo osseo, linfonodi, timo, tonsille ecc.), cellule e molecole
circolanti, distribuiti in tutto il corpo e in comunicazione tra loro, in grado di intervenire in
difesa di un organismo in presenza di infezioni prodotte da virus, batteri, parassiti e
molecole da loro prodotte: gli antigeni.
Il sistema immunitario protegge gli organismi dalle infezioni grazie ad una difesa di più
livelli di crescente specificità.
Le barriere fisiche impediscono agli agenti patogeni, come batteri e virus, di entrare
nell'organismo.
Se un patogeno supera queste barriere, il sistema immunitario innato fornisce una risposta
immediata, ma non specifica. Il sistema immunitario innato si trova in tutte le piante e gli
animali.
Questa migliore risposta viene poi mantenuta dopo che il patogeno è stato eliminato, in
forma di una memoria immunologica, permettendo così al sistema immunitario
adattativo di rispondere più velocemente e più efficacemente ogni volta che incontrerà
nuovamente questo patogeno.
• è la prima risposta
• non ha «memoria»
PARTE 2
IMMUNITÀ ADATTATIVA
L'immunità acquisita, o adattativa, è una risposta immunitaria caratterizzata dal suo
adattamento a ciascuna infezione.
Caratteristiche:
• I linfociti B
• I linfociti T
• I linfociti NK
I linfociti T (o T-Cell) originano nel midollo osseo ma maturano nel timo (da qui la
denominazione "linfociti T") e sono responsabili dell'immunità cellulo-mediata.
I linfociti NK (o Natural Killer T-Cell), ovvero natural-killer, sono una terza popolazione di
linfociti meno numerosa delle altre due e coinvolta solo in parte nell'immunità
adattativa in quanto i recettori di questa classe presentano una scarsa diversificazione.
Le Immunoglobuline D (IgD) non hanno ancora un ruolo ben definito e non vengono
misurate in routine.
Le Immunoglobuline E (IgE) sono associate alle allergie, alle malattie allergiche e alle
infezioni parassitarie.
Sono spesso misurate come parte del pannello d’esami per le allergie, e di solito non
fanno parte del test delle immunoglobuline quantitative.
Come organi linfoidi periferici hanno il ruolo di permettere lo sviluppo di una risposta
immunitaria sia umorale sia cellulo-mediata grazie alla loro organizzazione che favorisce
le interazioni fra linfociti T, linfociti B e altre cellule implicate nel processo.
Durante la risposta immunitaria infatti gli antigeni sono raccolti proprio nei linfonodi.
Nei linfonodi si genera anche la memoria immunologica, che permette all’organismo di
«ricordare» un precedente contatto con un antigene e di reagire ad un secondo
contatto con esso, più prontamente e con maggiore intensità.
I. INFIAMMAZIONE
1. Introduzione
2. Cause
3. Tipologie di infiammazione
4. Stimoli, segnali e modificazioni
5. Elementi cellulari che intervengono nei processi infiammatori
Questo meccanismo si attiva per contrastare un azione dannosa di tipo chimico (veleni,
acidi), fisico (traumi, radiazioni, alte o basse temperature), tossico o biologico (virus,
batteri).
Ha due componenti:
Queste cause determinano una reazione del tessuto attraverso particolari cellule dette
sensori che iniziano la produzione di mediatori chimici infiammatori.
Questi mediatori causano a loro volta il movimento di leucociti dal sangue al tessuto
extra-vascolare.
Si caratterizza per:
• modificazioni vascolari
• passaggio dei leucociti dal letto capillare al tessuto leso
• migrazione dei leucociti all'interno del tessuto soggetto al processo flogistico, in seguito
a stimoli chemiotattici
Queste fasi portano alla formazione di un essudato, fluido ricco di sostanze proteiche e
cellule, con la finalità di contrastare, nell'area lesa, l'agente lesivo.
Le infezioni, di qualsiasi tipo, sono uno degli stimoli più comuni per l'insorgenza
dell'infiammazione, spesso le tossine prodotte dai patogeni sono una delle cause
principali di infiammazione. I recettori TLR (Toll-like receptors) sono in grado di riconoscere
organismi estranei (non-self) e scatenare la risposta immunitaria con conseguente
infiammazione.
Essa può avvenire in seguito all'infezione da parte di un organismo patogeno con rilascio
di sostanze proinfiammatorie, ma in condizioni patologiche può essere anche diretta
verso cellule self facendo insorgere una malattia autoimmune (malattia autoimmune).
I corpi estranei di tutti i tipi possono indurre infiammazione a causa di lesioni tissutali o
infezioni.
Le prime modificazioni che si verificano per generare un'infiammazione sono a carico dei
vasi sanguigni di calibro minore cioè arteriole, venule e capillari.
Si può dire che gli eventi che avvengono a livello vascolare sono volti a spingere la
migrazione di cellule del sistema immunitario verso il distretto interessato dall'infezione o
dalla lesione, a questo fenomeno si associa la perdita di proteine plasmatiche che
fuoriescono dalla circolazione sanguigna invadendo i tessuti extravascolari.
Interessa arteriole pre-capillari nelle immediate vicinanze della zona colpita e dipende
dalla liberazione di sostanze vasocostrittrici di tipo catecolamminico (adrenalina,
noradrenalina) e dalla serotonina.
• riduzione della velocità del flusso sanguigno (stasi): questa condizione favorisce il
rolling leucocitario, rallenta l'eventuale diffusione di patogeni e favorisce l'adesione del
complemento ai patogeni
• aumento della pressione transmurale con conseguente aumento della trasudazione
vascolare e quindi del drenaggio linfatico
Nella zona infiammata i letti vascolari accolgono più sangue della norma (iperemia), ma
ciò è dovuto al rallentamento del circolo e al diminuito ritorno venoso (iperemia passiva)
e non all'apertura di nuovi letti capillari (iperemia attiva).
Le cause del diminuito ritorno venoso necessitano della compressione esercitata sulle
venule da parte dell'edema, che ostacola così il passaggio di sangue provocando una
riduzione della sua parte liquida ed un aumento relativo delle componenti solide.
• Tipo Istamina: è immediata e transitoria per azione degli stessi mediatori che
favoriscono la vasodilatazione arteriolare, oltre a sostanze propriamente patogene,
come l'endotossina, che stimola i fattori complemento, che a loro volta stimolano
l'aumento della permeabilità, rinforzando la risposta flogistica.
Le due categorie più importanti di leucociti coinvolte nel processo infiammatorio sono i
granulociti neutrofili e i macrofagi (monociti nel flusso sanguigno), tuttavia, a seconda
dello stimolo infiammatorio possono essere coinvolte altre classi di leucociti come i
linfociti, i granulociti eosinofili e basofili o mastociti.
Nel nucleo dei neutrofili delle femmine, è visibile un’appendice a forma di “bacchetta di
tamburo” che rappresenta il cromosoma X inattivato
Granulociti neutrofili
Granulociti eosinofili
Granulociti basofili
Macrofagi
Derivano dai monociti. I monociti sono i leucociti più grossi: 16-20 µm.
Hanno un nucleo grande reniforme o a ferro di cavallo, in certi casi anche bilobato. Il
citoplasma è trasparente e ha aspetto di “vetro smerigliato”. Quando fuoriescono dal
sangue si trasformano in macrofagi o istiociti.
I neutrofili comunque, avendo vita più breve, vanno incontro ad apoptosi o NETosi e
scompaiono in 24-48h.
Nonostante gli agenti lesivi siano diversi (infezioni, lesioni da calore, da freddo o da
energia radiante, lesioni da stimoli elettrici, chimici, o meccanici), e che diversi siano i
tessuti coinvolti nel processo infiammatorio, i mediatori molecolari che vengono rilasciati
sono per la maggior parte sempre gli stessi.
I mediatori possono agire su uno o su più tipi cellulari e possono esercitare effetti diversi a
seconda del tipo di tessuto o cellula; quando vengono prodotti o rilasciati hanno
un'emivita breve.
Mediatori di origine plasmatica: sono prodotti dal fegato, che li mette in circolo, sono in
forma inattiva e vengono attivati quando serve, dall'attivazione del fattore XII
(importante nel sistema delle chinine e in quello della coagulazione/fibrinolisi) e
dall'attivazione del complemento (fattori che attivati interagiscono in successione in un
sistema a cascata).
PARTE 1
SOMMARIO DELLA LEZIONE
I. ONCOLOGIA
1. Introduzione
2. Oncogeni e Oncosoppressori
3. Oncovirus
4. Relazioni tra immunità e tumori
5. Ripercussioni tumorali sull’organismo
Un oncogene è un gene, o una serie di nucleotidi che codificano una proteina, che
potenzialmente indirizzano la cellula verso lo sviluppo di un fenotipo neoplastico.
Il primo oncogene fu scoperto nel 1970 e chiamato Src, derivato dalla proteina Src
tirosina chinasi.
Nel 1976 J. Michael Bishop e Harold E. Varmus dell'Università della California dimostrarono
che questo oncogene era un difettoso proto-oncogene presente in numerosi organismi
tra cui l'uomo.
Quando tali geni sono assenti o inattivati - ad esempio in seguito all'insorgenza di una
mutazione - la cellula può progredire verso la trasformazione in cellula cancerosa,
solitamente in presenza di altre modificazioni genetiche.
• Repressione di geni essenziali per la prosecuzione del ciclo cellulare. Se tali geni non
sono espressi, la cellula non sarà in grado di progredire verso la mitosi.
• Interruzione del ciclo cellulare in caso di DNA danneggiato. Finché in una cellula è
presente DNA danneggiato non riparato, essa non è in grado di dividersi. Solo se il
DNA viene riparato, la cellula può proseguire con il ciclo.
• Avvio dell'apoptosi. Se il danno non può essere riparato, nella cellula viene avviata
l'apoptosi, un processo di morte cellulare programmata che rimuove il rischio che tale
cellula possa nuocere all'organismo.
È sufficiente che l’oncogene sia presente in un solo dei due alleli perché si evidenzi il
fenotipo alterato.
Le condizioni di normale regolazione di cicli vita, morte e riparazione cellulare può essere
influenzata anche da virus.
È ormai un dato di fatto che alcuni agenti patogeni siano strettamente correlati allo
sviluppo dei tumori.
A tutt’oggi, undici microrganismi sono stati classificati come cancerogeni dalla IARC
(International Agency for Research on Cancer).
• il virus di Epstein-Barr (EBV), correlato ad alcuni tumori endemici del Sud-Est Asiatico e
del Nord Africa
• il papilloma virus (HPV), responsabile del cancro della cervice uterina e associato a
numerosi altri tumori genitali e delle mucose orali
• il virus della leucemia a cellule T di tipo 1(HTLV-1), endemico in alcune zone dell’Est e
dell’Africa
• HPV, EBV, HHV8 e HTLV-1 sono in grado di trasmettere alla cellula ospite dei segnali che
modificano il ciclo cellulare, stimolando così divisioni cellulari incontrollate;
• HBV e HCV, invece, così come Helicobacter pylori e i tre parassiti, stimolano
indirettamente la carcinogenesi, essendo questa provocata dalla risposta immunitaria
dell’ospite in seguito all’infezione cronica che essi stabiliscono;
• Per quanto riguarda l'HIV, questo virus riduce le difese immunitarie dell’ospite al punto
da renderlo vulnerabile a qualsiasi altro tipo di infezione e in particolar modo
all’infezione da HHV8.
PARTE 2
ONCOLOGIA
IMMUNITÀ E TUMORI
• regressione spontanea di alcuni tumori che correla con l’ antigenicità dei tumori
(carcinoma del rene, melanoma maligno)
Tuttavia:
• Melanoma
• Carcinoma polmonare
• Carcinoma endometriale
• Carcinoma ovarico
• Carcinoma testicolare
• Carcinoma nasofaringeo
• Carcinoma renale
Le cellule natural killer rappresentano un'altra popolazione di cellule effettrici con attività
tumoricida.
Diversamente dai linfociti T citotossici, le cellule natural killer sono carenti di un recettore
per il rilevamento di antigeni, ma possono riconoscere le cellule normali infettate da virus
o le cellule tumorali.
La loro attività tumoricida è definita naturale perché non è indotta da uno specifico
antigeni.
Il meccanismo con cui le cellule natural killer discriminano tra cellule normali e anormali è
in fase di studio.
I dati suggeriscono che le molecole del complesso maggiore di istocompatibilità di
classe I sulla superficie delle cellule normali inibiscano le cellule natural killer e
prevengano la loro distruzione.
Quindi, la riduzione del livello dell'espressione delle molecole di classe I, caratteristica di
molte cellule tumorali, può consentire l'attivazione delle cellule natural killer e la
conseguente distruzione della cellula tumorale.
I macrofagi possono uccidere specifiche cellule tumorali quando attivati da una serie di
fattori, tra cui linfochine (fattori solubili prodotti dalle cellule T) e interferone.
I macrofagi sono meno efficaci dei meccanismi citotossici mediati da cellule T.
In alcune circostanze, i macrofagi possono presentare gli antigeni tumore-associati alle
cellule T e stimolare risposte immunitarie tumore-specifiche.
Le linfochine, prodotte dalle cellule del sistema immunitario, stimolano la crescita di altre
cellule del sistema immunitario o ne inducono l'attivazione.
Tali linfochine comprendono l'interleuchina-2 (IL-2), conosciuta anche come fattore di
crescita delle cellule T, e gli interferoni.
L'IL-2 è prodotta dalle cellule dendritiche e induce selettivamente i linfociti T citotossici,
incrementando così le risposte immunitarie antitumorali.
Le myeloid-derived suppressor cells sono costituite da cellule mieloidi immature e dai loro
precursori.
Queste cellule aumentano di numero nel cancro così come nell'infiammazione e nelle
infezioni.
Le cellule hanno una potente attività immunosoppressiva.
Vengono riconosciuti due gruppi di queste cellule:
• Granulocitica
• Monocitica
Le cellule soppressorie derivate da mieloidi si accumulano in gran numero nei tumori e
predicono esiti clinici scarsi in vari tipi di cancro.
Gli anticorpi citotossici sono diretti contro gli antigeni di superficie delle cellule tumorali.
Questi anticorpi possono esercitare effetti antitumorali attraverso la fissazione del
complemento o fungendo da riferimento per la distruzione delle cellule tumorali da parte
delle cellule T (citotossicità cellulo-mediata dipendente da anticorpi).
Un'altra popolazione di anticorpi umorali, detti Ac-favorenti (Ac-bloccanti), può in realtà
favorire la crescita di un tumore piuttosto che inibirla.
I meccanismi e l'importanza relativa di tale facilitazione immunologica non sono ben noti.
Anche se molti tumori vengono eliminati dal sistema immunitario (e perciò non sono mai
riscontrati), altri continuano a crescere malgrado la presenza degli antigeni tumore-
associati.
Svariati meccanismi sono stati proposti per spiegare questa carente risposta dell'ospite
agli antigeni tumore-associati , tra cui i seguenti:
• Una specifica tolleranza immunologica agli antigeni tumore-associati in un processo
che coinvolge le cellule che presentano l‘antigene e cellule T soppressorie, forse
secondariamente a un'esposizione prenatale all‘antigene
• Una soppressione della risposta immunitaria da parte di agenti chimici, fisici o virali (es.
distruzione delle cellule T-helper da parte dell'HIV)
• Una soppressione della risposta immunitaria da parte di farmaci citotossici o della
terapia radiante
Ci sono diversi meccanismi sfruttati dalla cellula tumorale per evadere dal sistema
immunitario, ad esempio down-regolare o spegnere totalmente l'espressione delle MHC
di classe I classiche (HLA-A; HLA-B; HLA-C) che sono praticamente fondamentali per la
risposta immunitaria mediata dalle cellule T effettrici .
Questa risposta è presente in circa il 90% dei tumori, assieme allo sviluppo del
microambiente del tumore (che ha effetti immunodepressivi) e per la costituzione di una
barriera protettiva nei confronti del tumore.
Nella fase terminale di pazienti oncologici si riscontra spesso un deperimento fisico che
prende il nome di cachessia (o cachessia neoplastica).
La cachessìa (dal greco καχεξία, composto di κακός, "cattivo", e ἕξις, "condizione") o
sindrome da deperimento è una perdita di peso, atrofia muscolare, stanchezza,
debolezza e significativa perdita di appetito che non ha cause anoressiche.
La definizione formale della cachessia è una perdita di massa corporea che non può
essere invertita con il nutrimento: anche se l'individuo che ne soffre assumesse più calorie,
la massa corporea magra verrebbe comunque persa, il che sta ad indicare la presenza
di una patologia primaria.
Una sindrome paraneoplastica può essere definita come l'insieme dei segni, dei sintomi e
delle alterazioni morfologico-funzionali che un tumore è in grado di dare a distanza dalla
sede di sviluppo primitivo o di sviluppo delle metastasi.
Le sindromi paraneoplastiche sono caratterizzate da sintomi che si verificano in zone
distanti dal tumore o dalle sue metastasi.