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FONDAMENTI DI

BIOLOGIA - CHIMICA - CITOLOGIA


LEZIONE 1: FONDAMENTI DI CHIMICA INORGANICA

PARTE 1
SOMMARIO DELLA LEZIONE
I. DEFINIZIONE DI CHIMICA
II. GLI ATOMI
1. La Teoria Atomica di Dalton
2. La struttura dell’atomo
3. Il concetto di orbitale
4. La Tavola Periodica degli Elementi
III. LE CARATTERISTICHE FONDAMENTALI DEGLI ELEMENTI CHIMICI
1. Isotopi e ioni
2. Le molecole: elementi e composti
3. Forze intramolecolari e forze intermolecolari
IV. GLI STATI FISICI DELLA MATERIA
1. Stato solido; stato liquido; stato gassoso
2. I cambiamenti di stato
V. LA MOLE
VI. SOLUZIONI E OSMOLARITÀ
VII. LE REAZIONI CHIMICHE E LA VELOCITÀ DI REAZIONE
VIII. GLI ACIDI E LE BASI
1. Il pH
2. I sistemi tampone nel corpo umano

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LA CHIMICA
COS’È E COSA STUDIA

«Nulla si crea, nulla si distrugge, ma tutto si trasforma»


(Antoine-Laurent de Lavoisier)

La chimica è la scienza che studia la materia e i cambiamenti a cui essa è soggetta.

Lo studio della materia parte dai suoi costituenti base (atomi), fino ad arrivare alle strutture
più complesse (elementi, composti).

Lo studio dei cambiamenti a cui la materia va incontro prende in esame sia i


cambiamenti di stato di un dato elemento che le reazioni chimiche a cui esso è soggetto.

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LA TEORIA ATOMICA DI DALTON
1. La materia è formata da piccole particelle chiamate atomi: indivisibili ed indistruttibili.

2. Gli atomi di uno stesso elemento sono tutti uguali tra loro.

3. Gli atomi di diversi elementi si combinano tra loro in rapporti interi e piccoli dando
origine ai composti.

4. Gli atomi non possono essere creati o distrutti.

5. Gli atomi non possono essere convertiti in atomi di altri elementi.

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LA STRUTTURA DELL’ATOMO
La struttura dell’atomo è stata caratterizzata
agli inizi del ‘900.

Esso è formato da un corpo centrale


detto nucleo, in cui troviamo due tipi di
particelle: protoni (di carica elettrica positiva)
e neutroni (di carica elettrica neutra).

Intorno al nucleo si distribuiscono


gli elettroni (di carica elettrica negativa), che
percorrono traiettorie definite orbite.

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LA SPETTROSCOPIA E
LO STUDIO DELL’ATOMO
Lo studio della struttura interna dell’atomo viene
attuato mediante spettroscopia: un fascio di luce
colpisce un atomo e questo emette energia che
terminerà su uno schermo, sotto forma di fotone
(ovvero «particella di luce»).

Atomi diversi di elementi diversi creano un pattern


caratteristico di righe colorate mentre tutti gli atomi di
uno stesso elemento creano lo stesso pattern di righe
colorate.

Ogni atomo infatti emette energia solo a determinate


lunghezze d’onda.

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GLI ATOMI NON SONO TUTTI UGUALI:
IL CONCETTO DI ORBITALE
Gli elettroni possono sistemarsi solo a certe distanze dal nucleo,
formando così una sorta di strati o gusci elettronici, a ciascuno
dei quali compete una certa energia caratteristica,
detta livello energetico.

Si definisce orbitale lo spazio attorno al nucleo, in cui si ha la


massima probabilità (non la certezza) di trovare un elettrone.
Ogni orbitale corrisponde ad un determinato livello energetico.

Gli elettroni si disporranno negli orbitali, occupando dapprima


quelli con livelli energetici più bassi (cioè quelli più vicini al
nucleo) e via via gli altri.

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LE VARIE TIPOLOGIE DI ORBITALE
Gli orbitali possono disporsi nei vari
livelli energetici secondo diverse
modalità (o conformazioni spaziali):

Orbitali di tipo s: forma sferica

Orbitali di tipo p: forma bi-lobata, tre


possibili conformazioni spaziali

Orbitali di tipo d: cinque possibili


conformazioni spaziali

Orbitali di tipo f: sette possibili


conformazioni spaziali

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GLI ORBITALI VENGONO DESCRITTI
DAI NUMERI QUANTICI
I numeri quantici descrivono la dimensione, l’orientamento e la forma dell’orbitale:

• Numero quantico principale n: descrive la distanza media degli elettroni dal nucleo

• Numero quantico secondario l: descrive la geometria dell’orbitale attorno al nucleo

• Numero quantico magnetico m: descrive l’orientamento degli orbitali nello spazio

Un quarto numero quantico descrive invece una proprietà caratteristica dell’elettrone:

• Numero quantico di spin ms: descrive la rotazione dell’elettrone attorno al proprio asse

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LA TAVOLA PERIODICA

È lo schema con cui


sono ordinati gli
elementi chimici sulla
base del loro numero
atomico Z e del numero
di elettroni presenti negli
orbitali atomici s, p, d, f.

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LA TAVOLA PERIODICA
Gli elementi vengono disposti nella
tavola periodica in:
• periodi (righe): si numerano
secondo il numero quantico
principale (n), indicativo dello
strato più esterno. Man mano
che andiamo avanti, Z aumenta
di uno per elemento;
• gruppi (colonne): per ogni
gruppo, gli elementi in esso
classificati hanno lo stesso
numero di elettroni nell'ultimo
livello energetico.

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LA TAVOLA PERIODICA

Può essere suddivisa in 4 grandi


regioni o blocchi, costituiti da
raggruppamenti di elementi nei
quali si riempiono orbitali dello
stesso tipo

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LA TAVOLA PERIODICA
BLOCCO s

Nel loro orbitale più esterno hanno


uno (1° gruppo) o due (2° gruppo)
elettroni: sono gli elementi che, in
un legame, cederanno più
facilmente gli elettroni.

1°gruppo: metalli alcalini

2°gruppo: metalli alcalino-terrosi

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LA TAVOLA PERIODICA
BLOCCO d

Vengono definiti metalli di


transizione a causa delle loro
proprietà intermedie tra gli
elementi del gruppo s e quelli del
gruppo p.
Sono ottimi conduttori di elettricità.

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LA TAVOLA PERIODICA
BLOCCO p

Possono a loro volta essere divisi in


3 categorie:
- elementi metallici
- elementi di transizione
- elementi non metallici (alogeni
e gas nobili)

I gas nobili sono atomi con gusci


elettronici completi.

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LA TAVOLA PERIODICA
BLOCCO f

Sono tutti metalli e si suddividono in


lantanidi e attinidi.

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LE CARATTERISTICHE FONDAMENTALI
DEGLI ELEMENTI CHIMICI

Un elemento chimico è un atomo caratterizzato da un determinato numero di protoni. Un


insieme di atomi dello stesso elemento chimico, presi singolarmente hanno lo stesso numero
e la stessa disposizione degli elettroni.

La configurazione elettronica rappresenta la disposizione degli elettroni negli orbitali: spesso


è presentata solo quella dello strato più esterno poiché tutte le precedenti fanno riferimento
al gas nobile presente nella riga superiore della tavola periodica.

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LE CARATTERISTICHE FONDAMENTALI
DEGLI ELEMENTI CHIMICI

Gli atomi di ogni elemento sono caratterizzati da 2 numeri:

• il numero atomico (Z): numero di protoni presenti nel nucleo (dal quale
dipendono le particolari caratteristiche fisiche e di reattività chimica
dell'elemento);

• il numero di massa (A): somma del numero di neutroni e protoni presenti


nel nucleo.

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ISOTOPI

Per gli atomi di uno stesso elemento, resta fisso il


numero dei protoni, ma può variare quello dei
neutroni: sono detti isotopi gli atomi di uno stesso
elemento aventi lo stesso numero atomico (A),
ma diverso numero di massa (Z), poiché diverso è
il numero dei neutroni presenti nel nucleo.

L'idrogeno, per esempio, ha tre isotopi: prozio,


deuterio e trizio; nel loro nucleo è presente un
protone e, rispettivamente, nessuno, uno o due
neutroni.

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IONI
In particolari condizioni, gli atomi possono perdere o acquistare elettroni, trasformandosi in
ioni:
• se un atomo perde elettroni, le cariche positive risultano in eccesso rispetto a quelle
negative e diviene uno ione positivo (catione)
• se invece acquista elettroni, le cariche negative prevalgono rispetto a quelle positive ed
esso diviene uno ione negativo (anione)

Il legame ionico si forma tra gli atomi di due elementi differenti tra i quali è avvenuto uno
scambio di elettroni: un atomo cede uno o più elettroni e diventa uno ione positivo, l'altro
acquista elettroni e diventa uno ione negativo. Il legame ionico è un'attrazione di natura
elettrostatica che si stabilisce tra due ioni di carica opposta.

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LE MOLECOLE:
ELEMENTI E COMPOSTI
Gli elementi in natura sono circa 110, se contiamo anche quelli creati artificialmente in
laboratorio. Molti elementi in natura non si trovano allo stato atomico, bensì allo stato
molecolare.

Una molecola è un gruppo di due o più atomi legati in una disposizione spaziale definita
da legami covalenti.

Una molecola può essere composta da più atomi dello stesso elemento chimico (elementi
in forma molecolare) o da atomi di elementi diversi (composti).

I composti sono formati da 2 o più atomi di elementi diversi.

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LE FORZE INTRAMOLECOLARI
Legame Ionico: quando si cedono o si acquistano elettroni, dando origine ad un catione
(ione positivo) o ad un anione (ione negativo).

Legame Covalente Polare: quando vengono condivisi gli elettroni; si indica con il simbolo
d- (parziale carica negativa) nell’atomo più elettronegativo e d+ (parziale carica
positiva) nell’atomo meno elettronegativo.

Legame Covalente Apolare: avviene una condivisione di elettroni, ma nessuno dei due
atomi ha la capacità di trattenere a sé per più tempo gli elettroni, e quindi non vi è
nessuna carica.

Legame Metallico: gli elettroni passano continuamente da un atomo all’altro, e quindi tutti
diventano cationi (ioni positivi).

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LE FORZE INTERMOLECOLARI
Legame Idrogeno: avvengono tra molecole nelle quali sia presente almeno 1 atomo di
Idrogeno (H) che si lega direttamente con un atomo molto elettronegativo di Fluoro (F),
Ossigeno (O), o Azoto (N). È una tipologia di legame molto intensa.

Forze di Van der Waals: riguardano sia molecole polari, sia molecole apolari, appartenenti
allo stato liquido e allo stato solido della materia, e fanno sì che le molecole
appartenenti a questi due stati di aggregazione siano più compatti e meno mobili

Legame Ione-Dipolo: sono generalmente le forze intermolecolari più intense. Sono


interazioni che vengono a crearsi tra uno ione e una molecola polare (dipolo).

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FONDAMENTI DI
BIOLOGIA - CHIMICA - CITOLOGIA
LEZIONE 2: FONDAMENTI DI CHIMICA INORGANICA

PARTE 2
GLI STATI FISICI DELLA MATERIA
STATO SOLIDO
I solidi sono i corpi più stabili. Gli atomi sono disposti in maniera ordinata e per effetto di
interazioni elettrostatiche forti (legami) non sono liberi di muoversi.

Vengono classificati in base alla disposizione degli atomi nella struttura:

• solidi cristallini: con atomi o molecole disposti ordinatamente nello spazio

• solidi amorfi: con atomi a disposizione disordinata. A loro volta sono distinti in:
➢ metalli: costituiti da cationi tenuti insieme da un gran numero di elettroni, e sono per
questo ottimi conduttori elettrici
➢ solidi ionici: dati dall’attrazione reciproca tra cationi e anioni

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GLI STATI FISICI DELLA MATERIA
STATO LIQUIDO
I liquidi sono formati da molecole adese le une alle altre ma ancora in grado di scorrere,
assumendo la forma del recipiente che li contengono.

Due proprietà fondamentali dei liquidi sono:

• Viscosità: ovvero la resistenza al flusso, allo scorrimento

• Tensione superficiale: ovvero il fenomeno per cui le molecole interne attraggono a loro le
molecole superficiali

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GLI STATI FISICI DELLA MATERIA
STATO GASSOSO
Un gas è, in genere, formato da molecole che:

• sono attratte tra loro da forze molto deboli;

• tendono ad occupare tutto il volume a disposizione e quindi ad assumere la forma del


recipiente;

• sono in continuo movimento casuale; la loro velocità ed energia aumentano al crescere


della temperatura;

• hanno dimensioni molto piccole rispetto alla distanza media che le separa: sono facilmente
comprimibili con conseguente diminuzione del volume

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I CAMBIAMENTI DI STATO
La materia, se sottoposta a variazione di temperatura e pressione, subisce una
trasformazione da uno stato fisico ad un altro, chiamato passaggio di stato, una
trasformazione fisica e non chimica, perché non viene alterata la composizione della
sostanza, ma solo il modo in cui sono legate le particelle.

Variazione di temperatura: quando un corpo è riscaldato, l'energia delle particelle


aumenta fino a superare le forze di coesione; viceversa, raffreddandolo, le particelle
diminuiscono il loro movimento e si fanno più sentire le forze di coesione.

Variazione di pressione: un suo aumento favorisce l'avvicinamento delle particelle e


quindi l'aumento delle forze di coesione. Al contrario, una diminuzione di pressione
favorisce l’allontanamento delle particelle e una diminuzione delle forze di coesione.

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I CAMBIAMENTI DI STATO

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LA MOLE
Quando la materia reagisce lo fa in grandi quantità, non è più possibile ragionare in termini
di atomi, si deve introdurre il concetto di mole.
La mole si indica con mol ed è l’unità di misura della quantità di sostanza del Sistema
Internazionale.

È definita come la quantità di materia che contiene un numero di particelle pari a quello
degli atomi presenti in 12 grammi di carbonio12 (12C).

Questo numero di particelle o oggetti prende il nome di Costante o Numero di Avogadro


(NA). Una mole (1 mol) contiene 6,02·1023 entità o oggetti.

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SOLUZIONI E OSMOLARITÀ
Una soluzione è caratterizzata da 2 componenti:
• solvente (componente della soluzione in maggiori quantità)
• soluto (componente della soluzione in minori quantità).

L’osmosi si verifica quando due soluzioni a concentrazione diversa vengono separate da


una membrana semipermeabile, che funziona come un setaccio lasciandosi attraversare
solo dal solvente, non dal soluto.

L'osmolarità è una grandezza fisica che misura la concentrazione delle soluzioni usata in
chimica, e in particolare è il numero totale di molecole e ioni presenti in un litro di soluzione.
Viene utilizzata in campo medico per esprimere la concentrazione di fluidi biologici come il
sangue, le urine ecc., poiché questi contengono un gran numero di particelle diverse tra
loro ed è utile conoscerne la loro concentrazione.

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LE REAZIONI CHIMICHE
Si definisce reazione chimica qualunque trasformazione di una o più sostanze, dette
reagenti, in altre, a composizione diversa, dette prodotti.
Poiché una reazione comporta la rottura di legami chimici nei reagenti e la formazione di
nuovi legami nei prodotti, le reazioni chimiche sono spesso accompagnate da scambi di
energia sotto forma di calore.

Una reazione chimica viene rappresentata da una equazione chimica:

Un passaggio importante quando si scrivono le equazioni chimiche è il processo


bilanciamento, ovvero assicurarsi che reagenti e prodotti presentino lo stesso numero di
atomi per ogni elemento (legge della conservazione della massa o Legge di Lavoisier).

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LE REAZIONI CHIMICHE

A sinistra della freccia che indica il verso della reazione chimica si indicano i reagenti (stadio
iniziale) a destra si indicano i prodotti (stadio finale).

I coefficienti stechiometrici sono numeri interi posti davanti ai simboli degli elementi o dei
composti e devono mantenersi in rapporto costante tra reagenti e prodotti.

I pedici indicano, all’interno di un composto, il rapporto tra gli atomi dei vari elementi che lo
compongono.

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LA VELOCITÀ DI UNA REAZIONE
La velocità di una reazione chimica è la variazione della concentrazione dei reagenti
Δ[R], o dei prodotti [ΔP], nell’intervallo di tempo Δt.

Data la reazione
aA + bB → prodotti

La velocità della reazione si calcola con la relazione


v = k * [A]n * [B]m

Con k=costante specifica di velocità.


Gli esponenti n ed m sono numeri interi, sperimentali e non corrispondono ai coefficienti
stechiometrici dei reagenti.

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FATTORI CHE INFLUISCONO SULLA
VELOCITÀ DI REAZIONE
La velocità di una reazione dipende da:

• la natura dei reagenti → ogni sostanza ha una peculiare attitudine a trasformarsi in


virtù delle proprietà chimiche e fisiche;

• la temperatura → ad un suo aumentare, aumenta la velocità di una trasformazione


chimica;

• la superficie di contatto fra i reagenti → quando i reagenti non sono nello stesso stato
di aggregazione, reagiscono tanto più velocemente quanto più è estesa la loro
superficie di contatto;

• la presenza di catalizzatori.

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FATTORI CHE INFLUISCONO SULLA
VELOCITÀ DI REAZIONE
I catalizzatori sono sostanze che accelerano una reazione chimica senza entrarne a far
parte e quindi senza consumarsi durante la reazione, ovvero si ritrova inalterato alla fine
della reazione.
Generalmente, il catalizzatore agisce legandosi temporaneamente a uno dei reagenti,
indebolendone i legami, perciò lo predispone all'interazione con l'altro reagente.

I catalizzatori biologici sono gli enzimi, sostanze di natura proteica che agiscono come
catalizzatori accelerando le reazioni biologiche senza venire modificati.
Operano combinandosi con una sostanza specifica per trasformarla in una sostanza
diversa.

Es: gli enzimi digestivi presenti nella saliva, nello stomaco, nel pancreas e nell'intestino tenue, esplicano una funzione
essenziale nella digestione e contribuiscono a scindere gli alimenti nei costituenti di base.

Ogni enzima ha un ruolo specifico: quello che scinde i grassi, per esempio, non agisce
sulle proteine o sui carboidrati.

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GLI ACIDI E LE BASI
TEORIA DI BRONSTED-LOWRY:
Un acido è una molecola in grado di donare ioni H+ (protoni);
Una base è una molecola in grado di accettare ioni H+ (protoni);

TEORIA DI AHRRENIUS:
Un acido è una sostanza in grado di liberare ioni idrogeno H+ in una soluzione acquosa;
Una base è una sostanza in grado di liberare ioni idrossido OH- in una soluzione acquosa.

TEORIA DI LEWIS:
Un acido è una sostanza capace di accettare un doppietto elettronico da un'altra specie
chimica (sostanze che in acqua fanno aumentare la concentrazione degli ioni H+);
Una base è una sostanza capace di donare un doppietto elettronico a un'altra specie
chimica (sostanze che in acqua fanno aumentare la concentrazione degli ioni OH-).
Un doppietto elettronico è la coppia di elettroni che occupano lo stesso orbitale, ma
presentano spin opposti.

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IL pH
Il pH è una grandezza che misura il livello di concentrazione degli ioni H+ in soluzione
acquosa. È esprimibile come l’opposto del logaritmo della concentrazione degli ioni H+ :

pH = -log[H+]

Le sostanze acide in acqua fanno aumentare il valore [H+], di conseguenza il valore di pH


diminuirà.
Le sostanze basiche fanno aumentare il valore di [OH–], ovvero fanno aumentare il valore
di pH.

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IL pH
Il pH rientra in una scala di valori che vanno da 0 a 14.
Si definisce acida una soluzione il cui valore di pH risulta essere minore di 7; al contrario una
soluzione basica avrà un pH con un valore maggiore di 7.
Una soluzione il cui pH risulta essere uguale a 7 viene detta neutra (acqua demineralizzata
a 25°C).

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IL pH NEL CORPO UMANO

Il pH dei liquidi organici presenti nel corpo umano è


variabile.
L’equilibrio corporeo tra acidità e alcalinità è definito
equilibrio acido-base.
Questo complesso meccanismo fisiologico consente
all'organismo di mantenere il pH del sangue tra valori
di 7,35 e 7,45, consentendogli di svolgere in modo
ottimale le proprie funzioni metaboliche.

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IL pH NEL CORPO UMANO:
SISTEMI TAMPONE
Uno dei meccanismi che permette bilanciamento
del pH del sangue nel corpo umano è quello dei
sistemi tampone. Essi si dividono in tamponi
plasmatici (o primari) e tamponi cellulari (o
secondari)
Sono combinazioni di acidi deboli e basi deboli
presenti naturalmente nell’organismo.
Tali acidi e basi deboli si presentano a coppie che in
condizioni normali del pH sono in equilibrio. I sistemi
tampone agiscono chimicamente per ridurre al
minimo le variazioni di pH di una soluzione,
modulando il rapporto tra acidi e basi.

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FONDAMENTI DI
BIOLOGIA - CHIMICA - CITOLOGIA
LEZIONE 3: FONDAMENTI DI CHIMICA ORGANICA
SOMMARIO DELLA LEZIONE
I. LA CHIMICA ORGANICA

II. L’ATOMO DI CARBONIO


1. L’ibridazione

III. CLASSIFICAZIONE DEI PRINCIPALI COMPOSTI ORGANICI


1. Gli idrocarburi
2. Le biomolecole

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LA CHIMICA ORGANICA
La chimica organica è la branca della chimica che studia la struttura, le proprietà, la
composizione e la preparazione dei composti contenenti atomi di carbonio.

Proprio perché lo scheletro dei composti organici è costituito da atomi di carbonio, la


chimica organica è detta anche chimica del carbonio.

Il carbonio è in grado di formare un numero di composti pressoché illimitato, il loro numero


attuale è di oltre 37 milioni. La capacità del carbonio di originare milioni di composti diversi
si spiega considerando alcune sue particolari caratteristiche, che lo differenziano dagli altri
elementi. Questo elemento forma legami molto stabili con l’idrogeno e con altri atomi di
carbonio, ma è capace di legarsi anche con altri elementi, in particolare l’ossigeno e
l’azoto, nonché zolfo, fosforo e pochi altri.

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L’ATOMO DI CARBONIO
È il sesto elemento della tavola periodica.
Ha numero atomico Z=6 e perciò in totale 6 elettroni: 2 nello strato
1s, 2 nello strato 2s e 2 nello strato 2p.
La sua configurazione elettronica è 1s2 2s2 2p2.

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L’ATOMO DI CARBONIO
Il carbonio, appartenendo al quarto gruppo della tavola periodica, possiede 4 elettroni di
valenza e, perciò, può formare 4 legami che nella maggior parte dei composti organici
sono legami covalenti (due atomi mettono in comune delle coppie di elettroni).

Questo dipende dalla posizione centrale che il carbonio occupa nella tavola periodica:
non essendo né fortemente elettronegativo né fortemente elettropositivo, forma legami
covalenti con altri atomi.

Esso è detto tetravalente proprio per i suoi 4 elettroni di valenza (ovvero elettroni presenti
sull’ultimo orbitale) ed è in grado di realizzare legami molto stabili.

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L’ATOMO DI CARBONIO
NB. Poiché sono presenti 2 elettroni spaiati negli orbitali di tipo p, però, si può supporre che il
carbonio effettui 2 legami covalenti; in realtà l’elemento si comporta in modo diverso,
tendendo a formare 4 legami.
Per spiegare questo particolare comportamento si ipotizza che un elettrone dell’orbitale 2s
subisca un salto energetico passando nell’orbitale 2p vuoto (stato eccitato); tale processo
favorisce il fenomeno dell’ibridazione: gli orbitali s e p, tutti o in parte, si mescolano dando
origine a nuovi orbitali isoenergetici, dalla forma intermedia a quelli di origine.

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L’ATOMO DI CARBONIO:
TRE TIPOLOGIE DI IBRIDAZIONE

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LA CLASSIFICAZIONE DEI PRINCIPALI
COMPOSTI ORGANICI
ALIFATICI

IDROCARBURI

AROMATICI

COMPOSTI
ORGANICI LIPIDI
(principali)

CARBOIDRATI

BIOMOLECOLE

PROTEINE

ACIDI NUCLEICI

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IDROCARBURI

Gli idrocarburi sono


composti organici che
contengono soltanto atomi Saturi Alcani
di carbonio (C) e di

IDROCARBURI
idrogeno (H). ALIFATICI
Alcheni
Ampiamente usati come Insaturi
AROMATICI
combustibili, la loro Alchini
principale fonte in natura è
di origine fossile.

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IDROCARBURI
1° TIPOLOGIA di CLASSIFICAZIONE

Dal punto di vista delle proprietà chimiche, gli idrocarburi si distinguono in due grandi
gruppi a loro volta suddivisi in sottogruppi:

• idrocarburi alifatici: con atomi di carbonio legati a formare catene lineari, ramificate
(aciclici) o ad anelli (aliciclici); questi possono essere ulteriormente suddivisi in saturi e
insaturi a seconda che siano presenti o meno uno o più legami multipli;

• idrocarburi aromatici: dotati di “aromaticità”, una proprietà chimica derivata da un


anello benzenico, che li rende particolarmente stabili.

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IDROCARBURI

2° TIPOLOGIA di CLASSIFICAZIONE

In base al loro stato fisico nelle condizioni di pressione e di temperatura ambientali si


distinguono:

• idrocarburi solidi o semisolidi (per esempio l’asfalto e il bitume);

• idrocarburi liquidi, come i costituenti del petrolio (benzene, esano, ottano ecc.);

• idrocarburi gassosi, quali metano, etano, propano, butano ecc.

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BIOMOLECOLE
Una biomolecola è un composto chimico che riveste un ruolo importante negli esseri
viventi. Svolgono importanti funzioni strutturali, energetici e funzionali all’interno della
cellula.

Caratteristiche chiave:

➢ nella maggior parte dei casi si tratta di macromolecole, ovvero molecole complesse
che possono contenere anche migliaia di atomi (principalmente C, H e O);

➢ dal punto di vista chimico, le biomolecole sono composti polifunzionali, sono cioè
costituite da molecole che contengono due o più gruppi funzionali diversi;

➢ le biomolecole sono in molti casi polimeri, formati dall’unione di composti organici più
piccoli chiamati monomeri.

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BIOMOLECOLE
GRUPPO FUNZIONE

Glucidi o zuccheri Fonte di energia; funzioni strutturali

Riserva di energia; funzioni strutturali (membrane


Lipidi
cellulari)

Funzioni strutturali; consentono lo svolgimento di tutte le


Proteine
funzioni vitali di una cellula

Contengono le informazioni necessarie per la biosintesi


Acidi nucleici delle proteine e garantiscono la riproduzione degli
organismi

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FONDAMENTI DI
BIOLOGIA - CHIMICA - CITOLOGIA
LEZIONE 4: LA CELLULA

PARTE 1
SOMMARIO DELLA LEZIONE
I. LA CELLULA: TEORIA CELLULARE E CARATTERISTICHE PRINCIPALI
II. LA CELLULA PROCARIOTE
III. LA CELLULA EUCARIOTE ANIMALE
1. Nucleo e DNA
2. Reticolo Endoplasmatico Liscio e Rugoso
3. Ribosomi
4. Apparato di Golgi
5. Lisosomi e Perossisomi
6. Mitocondri
7. Membrana Cellulare
8. Citoscheletro
IV. LA CELLULA EUCARIOTE VEGETALE
1. Cloroplasti
2. Vacuolo Centrale
3. Parete Cellulare

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LA CELLULA
«Con la cellula, la biologia ha scoperto i suoi atomi»
(François Jacob)

La cellula è l'unità fondamentale di ogni organismo vivente.

È il più piccolo organismo a poter essere definito vivente: essa infatti è indipendente nella
assunzione di nutrienti, nella loro conversione in energia e nella sua stessa riproduzione.

Gli organismi costituiti da una sola cellula sono definiti unicellulari, mentre quelli costituiti da
più cellule sono definiti pluricellulari.

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LA TEORIA CELLULARE
I primi scienziati che si occuparono dello studio della cellula agli inizi del 1800 furono i
tedeschi Schleiden, Schwann e Virchow.

Questi studi, implementati poi dalle scoperte di Darwin, portarono alla formulazione della
moderna Teoria Cellulare:

1. tutti gli esseri viventi sono costituiti da una o più cellule;

2. le reazioni chimiche di un organismo hanno luogo all’interno della cellula;

3. le cellule hanno origine da altre cellule mediante riproduzione;

4. le cellule contengono le informazioni ereditarie e tali informazioni passano dalla cellula


madre alla cellula figlia.

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LE CARATTERISTICHE PRINCIPALI
DELLE CELLULE
La maggior parte delle cellule mostra tutte le caratteristiche tipiche degli organismi. Esse:

➢ crescono
➢ si riproducono
➢ sono in grado di trasformare la materia e l’energia
➢ rispondono agli stimoli provenienti dall’ambiente esterno
➢ mantengono il controllo del proprio ambiente interno

Dal punto di vista strutturale tra le cellule c’è una grande somiglianza. Esse:

➢ hanno del materiale ereditario (il DNA) che permette loro la riproduzione
➢ sono delimitate da una membrana esterna che le separa dall’ambiente circostante
➢ all’interno è presente il citoplasma, una sostanza semiliquida

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LE CARATTERISTICHE PRINCIPALI
DELLE CELLULE
I diversi tipi di cellule presentano inoltre dimensioni che variano da qualche centimetro fino
a grandezze molto inferiori al millimetro.

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TIPOLOGIE DI CELLULE:
LA CELLULA PROCARIOTE
➢ I procarioti sono gli organismi più semplici, sono
tutti unicellulari (ma si possono trovare aggregati)
➢ Hanno dimensioni molto ridotte
➢ Sono prive di un nucleo racchiuso da una
membrana: hanno un Nucleoide, una regione
del citoplasma che non è considerata un
organello
➢ Il DNA è concentrato nella zona del Nucleoide,
ma non è separato dal resto della cellula
➢ Mancano di molte strutture (mitocondri,
cloroplasti, flagelli evoluti)
➢ I procarioti unicellulari sono classificati in Archei
e Batteri

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TIPOLOGIE DI CELLULE:
LA CELLULA EUCARIOTE ANIMALE
➢ Più grandi e complesse

➢ Il DNA è contenuto nel nucleo,


avvolto da una membrana
nucleare

➢ Presenza di molteplici organuli


specializzati: reticolo
endoplasmatico rugoso, reticolo
endoplasmatico liscio, mitocondri,
lisosomi, apparato di Golgi

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NUCLEO

➢ Racchiuso da una doppia membrana


porosa, che permette la comunicazione tra
interno ed esterno del nucleo.

➢ Il Nucleolo, molto denso, è responsabile


della sintesi dell’RNA ribosomale.

➢ Il materiale genetico è compattato nella


Cromatina, la sostanza che costituisce i
Cromosomi.

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NUCLEO
IL DNA

Il DNA (o Acido Desossiribonucleico) è la molecola che


contiene l’informazione biologica.

Ha una struttura a doppia elica caratterizzata da catene di


Nucleotidi, a loro volta composti da:
- 1 zucchero (il deossiribosio)
- 1 gruppo fosfato
- 1 base azotata (Adenina, Timina, Citosina, Guanina)

I geni sono successioni di porzioni di DNA che regolano la


struttura e l’attività della cellula.

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NUCLEO
REPLICAZIONE SEMICONSERVATIVA DNA

I due filamenti di DNA parentale si separano e


ciascuno serve da stampo per la sintesi di un
nuovo filamento complementare la cui
sequenza è dettata dalla specificità
dell’accoppiamento delle basi.

Il processo si chiama replicazione


semiconservativa perché un filamento di DNA
parentale viene conservato in ogni molecola
figlia di DNA.

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RETICOLO ENDOPLASMATICO LISCIO
➢ È costituito da un sistema di membrane
organizzate strutturalmente in tubuli ramificati
e collegati reciprocamente.

➢ Non presenta ribosomi sulla superficie.

➢ Sintetizza i lipidi e origina le vescicole di


trasporto; sede di deposito di calcio.

➢ A seconda del tipo di cellula in cui si trova


può acquisire delle funzioni particolari, ad
esempio è sviluppatissimo nelle cellule
muscolari.

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RETICOLO ENDOPLASMATICO RUGOSO

➢ La membrana del RER è organizzata in


cisterne ed è in diretta comunicazione con il
nucleoplasma per mezzo dei pori nucleari.

➢ Presenta ribosomi sulla superficie.

➢ Sintetizza le proteine di membrana e quelle


destinate a essere secrete o tenute dentro
altri organuli.

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FONDAMENTI DI
BIOLOGIA - CHIMICA - CITOLOGIA
LEZIONE 5: LA CELLULA

PARTE 2
RIBOSOMI

➢ Sono costituiti da due subunità contenenti


RNA (2/3) e proteine (1/3).

➢ È l’esecutore della sintesi delle proteine


partendo dalle informazioni contenute in un
filamento di RNA messaggero (m-RNA).

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RIBOSOMI
All’interno del ribosoma scorre l’RNA
messaggero (o mRNA), che è una copia del
DNA, e ogni tre nucleotidi viene fatto
corrispondere il complementare RNA transfer
(tRNA), a cui è legato l’amminoacido
codificato da quella particolare sequenza di
tre nucleotidi (codone di partenza: AUG).

L’amminoacido è legato alla nascente


catena proteica fino a quando un segnale di
stop costituito da triplette di nucleotidi indica
che la sintesi proteica è finita («codoni di
stop»: UAA, UAG e UGA).

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APPARATO DI GOLGI

➢ È costituito da una serie di 3-7 cisterne impilate:


una faccia rivolta verso il nucleo, alla quale
arrivano le vescicole transfer; una rivolta dal lato
opposto dal quale partono le vescicole di
consolidamento.

➢ Effettua il processamento e l’impacchettamento


di proteine e lipidi; forma le vescicole di
secrezione e i lisosomi.

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LISOSOMI
➢ Sono vescicole prodotte dall’apparato di
Golgi che contiene le idrolasi acide, enzimi
che attraverso reazioni di idrolisi scindono in
molecole più semplici le sostanze che
devono essere demolite.

➢ Si occupa della demolizione di varie


macromolecole che per differenti motivi
non devono più essere presenti nella
cellula: corpi estranei, prodotti di scarto di
reazioni chimiche, organuli che hanno
concluso il loro ciclo vitale o il loro compito.

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PEROSSISOMI
➢ Vescicole contenenti una grande quantità
di enzimi, presenti in gran numero soprattutto
nelle cellule epatiche.

➢ Funzione simile ai lisosomi: si occupa di


demolire o trasformare molecole in altre dalle
differenti proprietà biochimiche.

➢ MA invece di usare le idrolasi acide, appositi


enzimi producono perossido di idrogeno
(H2O 2, detta acqua ossigenata) che ha
un’alta reattività nei confronti delle sostanze
con cui entra in contatto.

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MITOCONDRI

Strutturalmente hanno una forma allungata e sono


formati da:

➢ Membrana esterna: nella quale avvengono i


numerosi processi metabolici di cui si occupa il
mitocondrio;
➢ Membrana interna: nella quale avvengono i
processi di respirazione cellulare e produzione di
ATP;
➢ Matrice: delimitata dalla membrana interna.
Contiene granuli e frammenti di DNA (DNA
mitocondiriale)

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MITOCONDRI
Il DNA mitocondriale umano è trasmesso ai
figli solo per via materna. Durante la
fecondazione solo la testa dello spermatozoo
entra dell'ovocita e quindi i mitocondri
(contenuti nel collo dello spermatozoo)
rimangono fuori ed inoltre, qualora qualcuno
riuscisse ad entrare, sarebbe subito distrutto.

Se la madre è affetta da una malattia a


trasmissione mitocondriale (Sindrome da
deplezione del DNA mitocondriale), questa
sarà ereditata da tutti i figli, mentre se ne è
affetto il padre, non la erediterà nessuno

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MITOCONDRI

➢ Sono la sede della respirazione cellulare; qui i


carboidrati vengono scissi per produrre ATP
(adenosintrifosfato).

➢ Contengono gli enzimi necessari per far


avvenire le reazioni chimiche che recuperano
l'energia contenuta negli alimenti e
l'accumulano in speciali molecole di
adenosintrifosfato (ATP), nelle quali si conserva
concentrata e pronta all'uso

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MEMBRANA CELLULARE
STRUTTURA
Formata principalmente da un doppio strato
fosfolipidico:
➢ Le teste polari (idrofile) si affacciano nel
citosol (interno) e nella Matrice Extracellulare
(esterno)
➢ Le code idrofobe interagiscono tra loro

Le proteine sfruttano questa fluidità del doppio


strato fosfolipidico per inserirsi nello spessore di
membrana.

Sono presenti carboidrati, sotto forma di catene


laterali di (glico)proteine e (glico)lipidi.

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MEMBRANA CELLULARE
FUNZIONI
1. Regola l'omeostasi cellulare, grazie alla permeabilità selettiva, assicurando così integrità
biochimica del citoplasma;

2. Isola fisicamente la cellula, poiché rappresenta la barriera tra Citoplasma e Matrice


Extracellulare;

3. Permette la comunicazione tra cellule contigue e cellule e ambiente extracellulare;

4. Sulla sua superficie avvengono numerose reazioni chimiche, dato l'abbondante numero
di enzimi a essa legati;

5. Svolge la funzione di supporto strutturale: attraverso le proteine di membrana ancorate al


cito-scheletro e alle giunzioni cellulari, mantiene la forma della cellula;

6. Partecipa a diverse funzioni complesse: trasporto vescicolare, adesione cellulare,


movimento cellulare.

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CISTOSCHELETRO
FUNZIONI
➢ Forma una impalcatura con il compito
di sostenere la cellula;

➢ Permette alla cellula di cambiare


forma, essendo una struttura dinamica;

➢ Forma componenti di rinforzo della


membrana plasmatica e nucleare;

➢ Permette il trasporto e l’organizzazione


di organuli e altri componenti cellulari;

➢ Svolge un ruolo primario nella divisione


cellulare.

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CISTOSCHELETRO
STRUTTURA
1. FILAMENTI INTERMEDI

Simili a una corda ritorta, i filamenti intermedi sono costituiti da fibre e svolgono una
funzione strutturale, sostenendo l’involucro nucleare e la membrana plasmatica.
Hanno un diametro medio di 10 nm.

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CISTOSCHELETRO
STRUTTURA
2. MICROTUBULI

Sono costituiti da una proteina globulare chiamata tubulina.


Agiscono come rotaie lungo le quali si spostano i vari organuli cellulari.
Lo scorrimento è reso possibile dalla presenza di molecole motrici associate ai microtubuli.
Insiemi di Microtubuli formano le ciglia (strutture brevi) e i flagelli (appendici più lunghe).

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CISTOSCHELETRO
STRUTTURA
3. MICROFILAMENTI DI ACTINA

Questi filamenti sono disposti in fasci o a reticella e svolgono un ruolo strutturale di


fondamentale importanza.
Si tratta di filamenti flessibili e relativamente resistenti, tanto da consentire alle cellule di
spostarsi con movimento ameboide o strisciando.

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TIPOLOGIE DI CELLULE:
LA CELLULA EUCARIOTE VEGETALE
➢ Hanno una parete cellulare che
circonda la membrana plasmatica,
piuttosto spessa e rigida

➢ Vacuolo centrale: immagazzina


acqua, sostanze chimiche e
prodotti di rifiuto

➢ Cloroplasti: sede del processo


della fotosintesi, cioè utilizzano la
luce solare per sintetizzare zuccheri
a partire da molecole inorganiche,
come l’anidride carbonica e
l’acqua

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CLOROPLASTI
➢ Svolgono i processi di fotosintesi clorofilliana e
producono carboidrati.

➢ La doppia membrana dei cloroplasti


racchiude un ampio spazio detto stroma,
dove avviene la sintesi dei carboidrati.

➢ Nello stroma sono presenti i tilacoidi, delle


strutture sacciformi in cui è presente la
clorofilla. In essi avvengono le prime fasi della
fotosintesi.

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VACUOLO CENTRALE

➢ È un sacco membranoso che può avere


dimensioni variabili.

➢ L’aumento volumetrico del vacuolo è il


meccanismo principale della crescita della
pianta.

➢ Accumula materiale, sostanze di scarto e acqua.

➢ Mantiene la pressione idrostatica.

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PARETE CELLULARE
➢ È formata da cellulosa, pectine e proteine.

➢ Funge da regolatore e controllore di ciò che


entra e ciò che esce.

➢ È fondamentale nel sostegno delle piante.

➢ Controlla l’accrescimento cellulare.

➢ È un’importante prima barriera contro


l’attacco di eventuali patogeni.

➢ Hanno dimensioni differenti in base


all’organo considerato.

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FONDAMENTI DI
BIOLOGIA - CHIMICA - CITOLOGIA
LEZIONE 6: METABOLISMO E RESPIRAZIONE CELLULARE

PARTE 1
SOMMARIO DELLA LEZIONE
I. IL METABOLISMO BASALE E CELLULARE

II. REAZIONI ANABOLICHE E CATABOLICHE

III. COFATTORI E COENZIMI

IV. L’ATP

V. LA RESPIRAZIONE CELLULARE
1. Fase 1: Glicolisi
2. Fase intermedia: sintesi dell’Acetil-CoA
3. Fase 2: Ciclo di Krebs
4. Fase 3: catena di trasporto degli Elettroni

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IL METABOLISMO
Gli esseri viventi usano continuamente energia per operare un’immensa quantità di
reazioni chimiche che sono alla base della loro esistenza.

Una via metabolica è una sequenza di reazioni chimiche che portano alla trasformazione
di un substrato in un prodotto.

Le singole tappe di una via metabolica sono reazioni catalizzate da enzimi specifici, nelle
quali il prodotto di una reazione è il substrato della reazione successiva.

L’insieme di questa serie di reazioni che producono o consumano energia sono definite, nel
loro insieme, metabolismo.

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IL METABOLISMO BASALE
Rappresenta la quantità di energia impiegata in condizioni
di neutralità termica, dal soggetto sveglio, ma in uno stato
di totale rilassamento fisico e psichico, a digiuno da almeno
12 ore.
In altre parole, è il minimo dispendio energetico necessario
a mantenere le funzioni vitali e lo stato di veglia.

➢ In un individuo sano e sedentario rappresenta circa il 65-


75% del dispendio energetico giornaliero totale
➢ È più alto negli uomini rispetto alle donne
➢ Diminuisce con l'età: tra i 60 ed i 90 anni cala di circa l'8%
ogni dieci anni
➢ Questo calo può essere rallentato da un'adeguata
attività fisica

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IL METABOLISMO BASALE
È influenzato da:

➢ innalzamento della temperatura corporea (l'aumento di 1 grado incrementa il


metabolismo basale del 13%);
➢ temperatura esterna (se diminuisce si verifica un aumento del metabolismo basale e
viceversa);
➢ stato nutrizionale e tipo di dieta;
➢ massa magra dell'individuo;
➢ fattori ormonali;
➢ gravidanza e allattamento (aumenta soprattutto nella fase finale della gestazione);
➢ stati di ansietà;
➢ utilizzo di farmaci (i sedativi, per esempio, diminuiscono il metabolismo basale, mentre le
amfetamine e gli stimolanti lo aumentano).

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IL METABOLISMO CELLULARE
Il metabolismo cellulare è l'insieme delle reazioni chimiche che avvengono all'interno della
cellula, sia per costruire nuove molecole, sia per degradare molecole e sostanze non più
utili o che devono essere trasformate.

Consente alla cellula di rifornirsi di energia necessaria per poi crescere e riprodursi.

Comprende due tipologie di reazioni, che funzionano in modo coordinato ed armonico:

• Reazioni anaboliche

• Reazioni cataboliche

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LE REAZIONI ANABOLICHE
Comprendono tutti i processi per mezzo dei quali la cellula si arricchisce di sostanze vitali
per essa e immagazzina complesse molecole chimiche fondamentali per la sua evoluzione
e per il suo nutrimento.

Permettono di formare composti complessi a partire da sostanze di partenza semplici,


portando alla formazione di macromolecole.

Sono reazioni che richiedono energia (processo endotermico).

Si occupano della crescita e della riproduzione delle cellule.

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LE REAZIONI CATABOLICHE
Comprendono tutti i processi distruttivi cui vanno incontro le molecole chimiche
precedentemente immagazzinate.

Questa distruzione porta alla formazione di energia con conseguente eliminazione dei
rifiuti.

Portano alla degradazione di macromolecole complesse per dar vita a costituenti


elementari.

Sono reazioni che rilasciano energia (processi esotermici).

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REAZIONI ANABOLICHE E CATABOLICHE

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COFATTORI
Sono sostanze non proteiche che partecipano attivamente alla reazione enzimatica.
Sono molecole che permettono agli enzimi di eseguire le proprie funzioni.

Al termine della reazione enzimatica i cofattori sono rigenerati e possono partecipare ad


altre reazioni.

Una suddivisione tra i vari Cofattori può essere fatta sulla base delle loro capacità di
interagire con l’enzima:
➢ Cosubstrati → sono in grado di associarsi e dissociarsi agevolmente dall'enzima; il
cofattore si trova associato all'enzima solo se esso sta catalizzando una reazione,
altrimenti ne è dissociato; l’associazione è temporanea
➢ Gruppi prostetici → sono molecole strettamente legate ad una proteina (spesso un
enzima), attraverso un legame covalente, da cui non si distaccano né durante il corso
della reazione, né ad enzima inattivo; l’associazione è permanente.

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COENZIMI

Un’importante classe di cofattori sono i coenzimi.

Sono molecole organiche dalla struttura spesso molto complessa, che partecipano ai
processi di catalisi (come il coenzima A, che partecipa nella respirazione cellulare).

Tutte queste molecole sono costituite per lo più da un nucleotide da solo oppure associato
a vitamine o a parti di queste ed il loro intervento è essenziale nelle reazioni che
comportano variazioni energetiche.

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FONDAMENTI DI
BIOLOGIA - CHIMICA - CITOLOGIA
LEZIONE 7: METABOLISMO E RESPIRAZIONE CELLULARE

PARTE 2
L’ATP
In tutti i viventi esiste una molecola, chiamata
adenosintrifosfato (ATP) che ha il compito di assorbire
l'energia prodotta dalle reazioni esoergoniche di
demolizione e di renderla disponibile per i lavori
cellulari.

È una molecola di collegamento tra reazioni


anaboliche e reazioni cataboliche.

È costituita da:
• 1 base azotata (Adenina)
• 1 zucchero a 5 atomi di carbonio (Ribosio)
• 3 gruppi fosfato (P) uniti da legami ad alta energia

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L’ATP
La capacità dell’ATP di fungere da trasportatore di
energia dipende dal fatto che la molecola è in
grado di sviluppare una notevole quantità di energia
quando subisce il distacco di un gruppo fosforico.

Tali legami possono venire scissi per mezzo di una


reazione di idrolisi; dopo la loro rottura, essi liberano
una grande quantità di energia, pari a circa 34 kJ
per mole (circa 7,5 Kcal).

Oltre alla liberazione dell'energia, l'idrolisi dell'ATP


porta alla formazione di una molecola di
adenosindifosfato (ADP) e di un gruppo fosfato (P).

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RESPIRAZIONE CELLULARE
La respirazione cellulare è il meccanismo attraverso
cui la cellula, in presenza di ossigeno, è in grado di
ricavare energia.
La sede di questo processo è il mitocondrio.

L’energia chimica del glucosio viene liberata poco


alla volta per aumentare il rendimento e non
sprecare gran parte dell’energia come calore.

I prodotti di scarto della respirazione cellulare


(come CO2 o H2O) vengono eliminati dalla cellula
e, negli organismi superiori, escreti attraverso la
respirazione polmonare e le urine.

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RESPIRAZIONE CELLULARE
La reazione chimica che avviene in tutto il processo di respirazione cellulare è:

C6H12O6 + 6O2 + 36ADP + 36P → 6CO2 + 6H2O + 36ATP

La prima molecola della riga superiore, in cui sono indicati i reagenti della reazione, è il
glucosio (sostanza nutritiva), ricco di energia chimica.
A seguire si trovano l’ossigeno, necessario come accettore finale di elettroni, l’ADP e
molecole inorganiche di fosfato (P) che, unendosi all’ADP, lo trasformano in ATP.

I prodotti della reazione sono indicati nella seconda riga: quelli secondari sono diossido di
carbonio e acqua, mentre quello principale è l’energia, sotto forma di ATP.

Dall’equazione della reazione si evince che la demolizione di 1 molecola di glucosio porta


alla produzione di 36 molecole di ATP.

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RESPIRAZIONE CELLULARE
FASE 1: GLICOLISI
Avviene nel citoplasma.

È un processo anaerobico, perché le sue reazioni avvengono in assenza di


ossigeno.

Si articola in due passaggi:

1. La molecola di glucosio viene trasformata, attraverso un percorso di 10


fasi, in 2 molecole di acido piruvico (o Piruvato) e 3 molecole di Carbonio.

2. Queste reazioni sono accompagnate da una liberazione di energia: 2


molecole di ATP e 2 di NADH (Nicotinamide Adenina Dinucleotide: un
coenzima che si occupa del trasporto degli elettroni durante alcune
reazioni chimiche).

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RESPIRAZIONE CELLULARE
FASE INTERMEDIA: SINTESI DELL’ACETIL-CoA
Nella fase intermedia tra la Glicolisi ed il Ciclo di Krebs, la molecola di acido piruvico con
tre atomi di carbonio si combina con il coenzima A (CoA), un composto derivato da una
vitamina, formando l’acetilcoenzima A, o acetil-CoA.
(NB. Le molecole di acido piruvico sono due, percui si ricaveranno due acetil-CoA)

Da questa reazione si ricavano altri 2 prodotti:


1. Una molecola di diossido di carbonio, che entra in circolo nel sangue
2. Una molecola di NADH, che si dirige verso la catena di trasporto degli elettroni (Fase 3)

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RESPIRAZIONE CELLULARE
FASE 2: CICLO DI KREBS
Avviene nella matrice del mitocondrio.

Si può capire perché questa fase della


respirazione cellulare viene definita “ciclo”:

• nella prima tappa, l’acetil-CoA si combina


con una sostanza chiamata acido
ossalacetico per produrre acido citrico;

• l’ultima tappa consiste proprio nella sintesi


dell’acido ossalacetico, necessario per
iniziare un nuovo ciclo.

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RESPIRAZIONE CELLULARE
FASE 2: CICLO DI KREBS
Bilancio finale del Ciclo di Krebs:

• 3 NADH
• 1 FADH2 (un altro trasportatore di elettroni)
• 1 ATP

NB. È importante considerare che le molecole


di acetil-CoA iniziali sono due, quindi il bilancio
del Ciclo di Krebs deve esser moltiplicato x2!

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RESPIRAZIONE CELLULARE
FASE 3: CATENA DI TRASPORTO DEGLI ELETTRONI
Avviene sulla membrana interna del mitocondrio.

È lo stato in cui si registra la più grande produzione di ATP: 32 ATP per ogni molecola di
glucosio iniziale.
(NB. 32ATP dalla Catena di Trasporto degli Elettroni + 2ATP dalla Glicolisi + 2ATP dal Ciclo di
Krebs = totale di 36ATP per ogni processo di respirazione cellulare)

È costituita da una serie di molecole che operano in successione e sono alimentanti dagli
elettroni portati da NADH e FADH2 dalle fasi precedenti del processo.
Al termine della catena si trova l’ossigeno che accoglie gli elettroni uscenti della catena e
che gli consentono di legarsi ad un idrogeno per formare una molecola d’acqua.

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LA RESPIRAZIONE CELLULARE IN SINTESI
C6H12O6 + 6O2 + 36ADP + 36P → 6CO2 + 6H2O + 36ATP

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FONDAMENTI DI
BIOLOGIA - CHIMICA - CITOLOGIA
LEZIONE 8: I CARBOIDRATI

PARTE 1
SOMMARIO DELLA LEZIONE
I. I CARBOIDRATI
1. I monosaccaridi
2. Gli oligosaccaridi
3. I polisaccaridi
II. IL GLUCOSIO
III. LA DIGESIONE DEI CARBOIDRATI
1. Fase 1: Amilasi Salivare
2. Fase 2: Fase Intestinale
3. Fase 3: Assorbimento dei Carboidrati
IV. METABOLISMO DEI CARBOIDRATI: LA GLICOLISI
1. Fase di Attivazione
2. Fase di Scissione
3. Fase di Ossido-riduzione
4. I destini del Piruvato
5. La Gluconeogenesi
V. I CARBOIDRATI IMPORTANTI PER L’UOMO
VI. LA REGOLAZIONE ORMONALE DELLA GLICEMIA
1. Insulina e Glucagone

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I CARBOIDRATI

I carboidrati sono i composti organici più


abbondanti sulla terra.
Sono la sorgente primaria di energia per
gli organismi viventi: 1g di carboidrati
fornisce circa 4 Kcal.
Vengono anche definiti Glucidi o
Zuccheri e sono presenti in svariati
alimenti.

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I CARBOIDRATI
Sono molecole formate da atomi di
Carbonio, Ossigeno e Idrogeno
Il loro nome significa “idrati di
carbonio”.

La loro formula generale è:

Cn(H2O)m

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I MONOSACCARIDI
L’unità fondamentale di ogni zucchero è il monosaccaride, la singola molecola di
zucchero.

Vengono classificati in base al numero di atomi


di carbonio che compone il loro scheletro:

➢ Triosi: come Gliceraldeide e Di-idrossiacetone


➢ Tetrosi: come Eritrosio
➢ Pentosi: come Ribosio
➢ Esosi: come Glucosio

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I MONOSACCARIDI
Tutti gli altri atomi di C hanno come sostituente (struttura che viene considerata come
"sostituito" di uno o più atomi di idrogeno all'interno di una molecola organica) un gruppo
ossidrilico -OH.

Se il gruppo carbonilico è all’estremità (è quindi in un


gruppo aldeidico), viene detto Aldosio.
Possiedono nella loro struttura il gruppo funzionale –CHO.

Se è in altra posizione (cioè in un gruppo chetonico),


è detto Chetosio.
Possiedono nella loro struttura il gruppo funzionale C=O.

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I MONOSACCARIDI
Le molecole dei monosaccaridi presentano stereocentri (atomi tetraedrici che hanno
legati quattro atomi o gruppi diversi): per esempio la gliceraldeide prende il nome di L- o D-
gliceraldeide a seconda il gruppo -OH si trovi a sinistra oppure a destra del carbonio.

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I MONOSACCARIDI

I monosaccaridi possono essere


classificati in

➢ Furanosi: possiedono nella loro


catena anelli a cinque atomi di
carbonio. La forma furanosica è
piuttosto instabile

➢ Piranosi: possiedono nella loro


catena anelli a sei atomi di carbonio.
Ha una forma con maggiore stabilità

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GLI OLIGOSACCARIDI
I Polimeri dei monosaccaridi possono essere classificati come Oligosaccaridi.
Sono catene di monomeri con lunghezza compresa tra 2 e 9 unità.
I disaccaridi più importanti biologicamente sono:

• Disaccaridi: formati da 2 unità monosaccaridiche


➢ Saccarosio: glucosio + fruttosio
➢ Maltosio: glucosio + glucosio
➢ Lattosio: glucosio + galattosio

• Trisaccaridi: formati da 3 unità monosaccaridiche


➢ Maltotriosio: glucosio + glucosio + glucosio
➢ Raffinosio: fruttosio + glucosio + galattosio

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I POLISACCARIDI
Quando un polimero di monosaccaridi supera le 10 unità viene definito Polisaccaride.

Possono essere classificati in:

➢ Omopolisaccaridi: il polimero è costituito da una sequenza ripetuta dello stesso


monosaccaride
• Amido: miscela di catene lineari di glucosio, costituisce la principale riserva vegetale
• Glicogeno: catene di unità di glucosio, principale fonte di riserva dei carboidrati
• Cellulosa: presente in tutte le pareti cellulari delle piante

➢ Eteropolisaccaridi: sono polimeri di monosaccaridi diversi


• Proteo-glicani: porzioni saccaridiche che formano le glicoproteine della membrana
plasmatica

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I POLISACCARIDI

I polisaccaridi:

➢ hanno funzione di sostegno

➢ hanno funzione di riserva energetica

➢ si aggregano alle proteine della superficie


cellulare formando le glicoproteine

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IL GLUCOSIO
Tra tutti i Glucidi, il Glucosio è quello sicuramente più importante.

È un monosaccaride avente formula C6H12O6 classificato come aldoesoso in quanto


costituito da sei atomi di carbonio e contenente un gruppo aldeidico.

Ha massa molare di 180,16 g/mol e densità di 1,54 g/cm3.


Una soluzione di 100 g/L in acqua a 20°C ha pH circa 7.

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IL GLUCOSIO

Il glucosio a catena aperta ha uno


scheletro lineare.

È presente sia come D-glucosio


che come L-glucosio a seconda
della posizione del gruppo –OH
legato al carbonio 5.

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IL GLUCOSIO
Però, come altri monosaccaridi, si presenta
in prevalenza sotto forma ciclica detta
α-glucosio
glucopiranosio costituita da 6 atomi di cui
uno è l’ossigeno.

La chiusura ad anello avviene grazie alla


presenza del gruppo –OH presente sul
carbonio 5 e il gruppo aldeidico presente
sul primo carbonio che subisce l’attacco
nucleofilo dell’ossidrile. A seconda della
posizione del gruppo –OH si ha l’α-glucosio
β-glucosio
e il β-glucosio

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FONDAMENTI DI
BIOLOGIA - CHIMICA - CITOLOGIA
LEZIONE 9: I CARBOIDRATI

PARTE 2
DIGESIONE DEI CARBOIDRATI
Fase 1: AMILASI SALIVARE
Durante il pasto ingeriamo carboidrati di diverso tipo:

• Amido: miscela di polimeri di glucosio sia in forma lineare


(amilosio) che ramificata (amilopectina)
• Disaccaridi: molto comuni nella dieta sono il saccarosio e il
lattosio
• Fibre: che non possono essere direttamente assorbite
dall’uomo

Nel cavo orale sono attaccati dalla ptialina (o enzima amilasi


salivare) che scinde legami formando disaccaridi, trisaccaridi
o oligosaccaridi corti.

Essa agisce ad un livello di pH = 7 e viene quindi inattivata


una volta arrivata nello stomaco, il quale ha un pH più acido.

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DIGESTIONE DEI CARBOIDRATI
Fase 2: FASE INTESTINALE
Durante la fase gastrica i carboidrati non vengono modificati e quindi arrivano nel
duodeno (la prima porzione intestinale) come sono stati modificati nella fase orale.

Nel duodeno si ha una analisi chimica degli alimenti.

Un rilevamento di zuccheri nel cibo che è stato ingerito provoca la secrezione di:

• Secretina: agisce a livello degli acini (raggruppamenti di cellule) pancreatici e


promuove la secrezione indiscriminata di enzimi pancreatici, come l’amilasi pancreatica

• GIP (Glucose-dipendent Insulinotropic Peptide): promuove la secrezione di insulina


dipendente dal glucosio. Fa parte del sistema degli ormoni incretinici

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DIGESTIONE DEI CARBOIDRATI
Fase 2: FASE INTESTINALE
I disaccaridi così prodotti possono essere attaccati
dalle disaccaridasi, proteine della famiglia delle
idrolasi che formano i monomeri di glucosio,
galattosio e fruttosio.

Una disaccaridasi molto importante è la lattasi che


idrolizza il legame di una molecola di lattosio nei suoi
due costituenti (glucosio + galattosio).

Dopo lo svezzamento del neonato il nostro corpo ne


produce sempre meno e questo potrebbe essere
alla base dell’intolleranza al lattosio che si sviluppa in
età adolescenziale.

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DIGESTIONE DEI CARBOIDRATI
Fase 3: ASSORBIMENTO DEI CARBOIDRATI

Una volta formatisi i monomeri questi vengono assorbiti nella cellula attraverso la
membrana da canali specifici:

• Glucosio e Galattosio → SGLT1 (Sodium Glucose Transporter 1): un canale che trasporta
una molecola di Glucosio oppure di Galattosio, e una di Sodio contemporaneamente

• Fruttosio → GLUT5 (Glucose Transporter 5): un canale che trasporta fruttosio per gradiente
nella cellula, senza che venga accompagnato da una molecola di Sodio

Per la fuoriuscita nel torrente ematico, questa è in comune a tutti e tre e prevede il
passaggio attraverso GLUT2 (specifico di intestino, fegato e pancreas).

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DIGESTIONE DEI CARBOIDRATI
Fase 3: ASSORBIMENTO DEI CARBOIDRATI
➢ Il Galattosio, una volta uscito, andrà nelle cellule dove verrà metabolizzato a Glucosio
con consumo di energia

➢ il Fruttosio entra nella via glicolitica in due diversi punti, a seconda che ci si trovi nel
muscolo o nel fegato

➢ Una volta entrato nel torrente ematico il Glucosio viene usato come fonte energetica da
numerosi tessuti, tra i quali:

• Cellule Muscolari e Miocardiche: utilizzano il glucosio direttamente assorbito


• Cellule Adipose: immagazzinano tutto il glucosio in eccesso come grasso
• Globuli Rossi: non possiedono Mitocondri quindi il metabolismo del glucosio porterà
alla formazione di Lattato
• Cellule Encefaliche: sono le cellule che utilizzano il glucosio come fonte energetica

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METABOLISMO DEI CARBOIDRATI
LA GLICOLISI
La Glicolisi è la prima fase della respirazione cellulare che avviene nel citoplasma e la via
attraverso la quale il glucosio è degradato.

Partendo da una molecola di Glucosio si arriva a produrre due molecole di Piruvato.

Ogni molecola di Piruvato entrerà poi nel Ciclo di Krebs come Acetil-CoA per promuovere
la produzione di ATP.

Il Ciclo Glicolitico si compone di tre fasi per un totale di 10 tipologie di reazioni:


1. La Fase di Attivazione (3 reazioni)
2. La Fase di Scissione (2 reazioni)
3. La Fase di Ossido-Riduzione/Fosforilazione (5 reazioni)

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METABOLISMO DEI CARBOIDRATI
LA GLICOLISI: FASE DI ATTIVAZIONE
La fase di attivazione prevede che da una molecola di Glucosio si arrivi a produrre una
molecola di Fruttosio-1,6-bisfosfato con l’utilizzo di due molecole di ATP:

1. PRIMA REAZIONE: l’enzima Esochinasi produce Glucosio-6-fosfato che non può così
uscire dal citoplasma, nel quale sono presenti tutti gli enzimi glicolitici. Si consuma la
prima molecola di ATP, quindi è una reazione irreversibile

2. SECONDA REAZIONE: l’enzima Fosfoglucosio isomerasi trasforma il Glucosio-6-fosfato in


Fruttosio-6-fosfato. È una reazione spontaneamente reversibile e non regolata

3. TERZA REAZIONE: l’enzima Fosfofruttochinasi1 porta alla formazione di Fruttosio-1,6-


bisfosfato. Si consuma la seconda molecola di ATP, quindi è una reazione irreversibile

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METABOLISMO DEI CARBOIDRATI
LA GLICOLISI: FASE DI SCISSIONE
La fase di scissione prevede la scissione di una molecola di Fruttosio-1,6-bisfosfato in due
molecole di Gliceraldeide 3-fosfato:

1. PRIMA REAZIONE: l’enzima Aldolasi scinde il Fruttosio-1,6-bisfosfato in DiIdrossiacetone


Fosfato (DHAP) e Gliceraldeide-3-Fosfato (GAP)

2. SECONDA REAZIONE: l’enzima Trioso fosfato isomerasi trasforma la molecola di DHAP in


GAP

Di conseguenza, dopo queste due reazioni, da una molecola di Glucosio si formano quindi
due molecole di GAP.

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METABOLISMO DEI CARBOIDRATI
LA GLICOLISI: FASE DI OSSIDO
RIDUZIONE/FOSFORILAZIONE
La fase di ossido-riduzione prevede che da ogni molecola di GAP si arrivi a produrre una
molecola di piruvato:

1. PRIMA REAZIONE: l’enzima GAP Deidrogenasi produce una molecola di 1,3-


BisFosfoGlicerato (1,3BPG)

2. SECONDA REAZIONE: l’enzima Fosfglicerato Chinasi trasforma 1,3BPG in 3-FosfoGlicerato.

3. TERZA REAZIONE: l’enzima Fosfoglicerato Mutasi trasforma 3-Fosfo-Glicerato in 2-


FosfoGlicerato.

4. QUARTA REAZIONE: l’enzima Enolasi forma una molecola di Fosfoenolpiruvato (PEP) a


partire dal 2-FosfoGlicerato

5. QUINTA REAZIONE: la Piruvato Chinasi fosforila il PEP a Piruvato

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METABOLISMO DEI CARBOIDRATI
LA GLICOLISI: I DESTINI DEL PIRUVATO
La molecola di Piruvato può andare incontro a diversi destini:

1. Decarbossilazione ad Acetil CoA che entra nel ciclo di Krebs

2. Riduzione a Lattato promossa dalla Lattato DeIdrogenasi

3. Transamminazione ad Alanina: a livello del muscolo scheletrico il Piruvato viene


trasformato in Alanina che viene trasportata nel fegato dove viene riconvertita a
Piruvato (che entra nel ciclo della Gluconeogenesi) e Glutammato

4. Carbossilazione ad Ossalacetato: prima reazione della via della Gluconeogenesi;

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LA GLUCONEOGENESI
La Gluconeogenesi è la sintesi biologica del glucosio a partire da sostanze diverse dai
carboidrati, il cui scopo è quello di contribuire a mantenere pressoché costante la
concentrazione ematica di glucosio.

Permette di produrre glucosio a partire da precursori non saccaridici, quali piruvato, lattato,
glicerolo, etanolo, e amminoacidi.

Avviene quasi interamente nel citosol, a parte la prima tappa iniziale che serve per
traslocare il Piruvato dal mitocondrio al citosol. Qui verrà formato il fosfoenolpiruvato e poi si
susseguono tutte le altre reazioni come se fosse una glicolisi inversa.

MA la gluconeogenesi non è esattamente l’inverso della glicolisi: delle 10 reazioni della


gluconeogenesi 7 sono l’inverso della glicolisi e sono catalizzate dagli stessi enzimi ma nella
direzione opposta, mentre 3 reazioni della glicolisi sono essenzialmente irreversibili (1a, 3a e
10a reazione).

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CARBOIDRATI IMPORTANTI PER L’UOMO
Alcuni carboidrati (amido e saccarosio) sono importanti per la
nostra dieta: dall’ossidazione dei carboidrati (glucosio)
ricaviamo l’energia per il nostro metabolismo.

Altri carboidrati (ribosio e 2’-deossiribosio) sono costituenti


fondamentali degli acidi nucleici, che si occupano del
patrimonio genetico.

Carboidrati più complessi costituiscono la cartilagine,


lubrificano le articolazioni ossee, sono coinvolti nel
riconoscimento e nell’adesione sulla superficie cellulare.

La cellulosa è essenziale per la digestione, perché promuove


movimenti intestinali sani e riduce il rischio di soffrire di malattie
croniche come il diabete.

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REGOLAZIONE ORMONALE
DELLA GLICEMIA
Con il termine glicemia s’intende la
concentrazione di glucosio nel sangue.

I livelli di glucosio devono essere mantenuti


costanti nel sangue e all’assorbimento deve
poi seguire un trasporto nelle cellule di vari
tessuti. Questa regolazione è promossa da vari
ormoni, il più importante dei quali è l’Insulina.

L’insulina è un ormone prodotto dalle cellule β


del pancreas e ha il compito di abbassare il
livello di zuccheri nel sangue a seguito della
loro ingestione.

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REGOLAZIONE ORMONALE
DELLA GLICEMIA
Funzioni dell’insulina:

➢ Facilita il passaggio del glucosio dal sangue alle cellule ed ha azione ipoglicemizzante
(abbassa la glicemia)
➢ Facilita il passaggio degli amminoacidi dal sangue alle cellule, ha funzione
anabolizzante perché stimola la sintesi proteica e inibisce la gluconeogenesi
➢ Facilita il passaggio degli acidi grassi dal sangue alle cellule, stimola la sintesi di acidi
grassi a partire da glucosio e amminoacidi in eccesso ed inibisce la lipolisi (utilizzazione
degli acidi grassi a scopo energetico)
➢ Facilita il passaggio di potassio all'interno delle cellule
➢ Stimola la proliferazione cellulare
➢ Stimola l'uso del glucosio per la produzione di energia
➢ Stimola la produzione endogena di colesterolo

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REGOLAZIONE ORMONALE
DELLA GLICEMIA
Il Glucagone è un ormone di natura polipeptidica secreto dalla parte endocrina del
pancreas (cellule α degli isolotti di Langherans del pancreas).

Ha azione iperglicemizzante e quindi antagonista dell'insulina (prodotta dalle cellule β).

La somministrazione di glucagone determina una rapida diminuzione del glicogeno


epatico e un aumento della glicemia.

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REGOLAZIONE ORMONALE
DELLA GLICEMIA
Funzioni del glucagone:

➢ È un antagonista dell'insulina e con la sua azione promuove la glicogenolisi a livello


epatico (produzione di glucosio a partire dal glicogeno), inibisce la glicogenosintesi e
stimola la gluconeogenesi (produzione di glucosio a partire da alcuni aminoacidi,
dall'acido lattico e dal glicerolo)
➢ Non stimola la glicogenolisi muscolare, sensibile all'azione dell'adrenalina, ma soltanto
quella epatica
➢ Favorisce la sintesi surrenalica di catecolamine ed aumenta la forza di contrazione del
cuore (azione inotropa positiva)
➢ Interviene nel metabolismo lipidico, stimolando la mobilitazione degli acidi grassi dal
tessuto adiposo, favorendo la loro ossidazione ed inibendone la sintesi

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REGOLAZIONE ORMONALE
DELLA GLICEMIA

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REGOLAZIONE ORMONALE
DELLA GLICEMIA
Il diabete è una malattia cronica caratterizzata dalla presenza di elevati livelli di glucosio
nel sangue (iperglicemia) e dovuta a un’alterata quantità o funzione dell’insulina.

L’insulina consente al glucosio l’ingresso nelle cellule e il suo conseguente utilizzo come
fonte energetica. Quando questo meccanismo è alterato, il glucosio si accumula nel
circolo sanguigno.

Diabete:
➢ Di tipo 1 → circa il 10%; insorge nell’infanzia o nell’adolescenza; il pancreas non produce
insulina a causa della distruzione delle cellule ß che producono questo ormone: è quindi
necessario che essa venga iniettata ogni giorno e per tutta la vita.
➢ Di tipo 2 → circa il 90%; insorge dopo i 30/40 anni; il pancreas è in grado di produrre
insulina, ma le cellule dell’organismo non riescono poi a utilizzarla.

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FONDAMENTI DI
BIOLOGIA - CHIMICA - CITOLOGIA
LEZIONE 10: LE PROTEINE

PARTE 1
SOMMARIO DELLA LEZIONE
I. LE PROTEINE
1. La struttura delle proteine: primaria, secondaria, terziaria, quaternaria
II. GLI AMMINOACIDI
1. Gli amminoacidi essenziali e semi-essenziali
III. LA DIGESTIONE DELLE PROTEINE
1. Fase 1: stomaco
2. Fase 2: duodeno
3. Fase 3: intestino
4. Fase 4: fegato
IV. L‘ASSORBIMENTO DELLE PROTEINE
V. DESTINO DEL METABOLISMO DELLE PROTEINE
VI. IL CICLO DELL’UREA
VII. ORMONI E PROTEINE
1. Gli ormoni peptidici

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LE PROTEINE
Le proteine sono presenti in ogni cellula vivente, sia essa
vegetale o animale.
Esse non solo hanno un ruolo strutturale, ma sono indispensabili
per un normale funzionamento del nostro organismo.

Indipendentemente dalle loro caratteristiche e dal loro ruolo


funzionale, le proteine presentano una struttura polimerica,
essendo costituite da amminoacidi che, seppure poco
numerosi, possono legarsi originando infinite combinazioni.

Peptidi → formati da pochi amminoacidi


Polipeptidi → sino a 50 amminoacidi
Proteine→ anche 80.000 amminoacidi

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LE PROTEINE
Si distinguono due grandi classi di proteine:

➢ proteine semplici, costituite esclusivamente di amminoacidi


• proteine globulari, solubili in acqua (es. albumina contenuta nel bianco d'uovo,
proteine del sangue e alcuni enzimi)
• proteine fibrose, dette anche strutturali in quanto contribuiscono alla formazione
delle strutture degli organismi (es. collagene presente nella pelle e nel tessuto
connettivo e cheratina, costituente delle unghie e dei capelli)

➢ proteine complesse o coniugate in cui sono presenti anche molecole di natura diversa,
in genere a basso peso molecolare (detti gruppi prostetici)

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STRUTTURA DELLE PROTEINE
Ogni proteina è una sequenza lineare di amminoacidi che si diversifica dalle altre per il
numero, il tipo e la disposizione degli amminoacidi che contiene.

Tale sequenza condiziona la struttura tridimensionale della proteina stessa che, a sua volta,
è in correlazione con il tipo di attività biologica che deve svolgere.

4 livelli di organizzazione comuni, di complessità crescente, a cui si dà il nome di struttura


primaria, secondaria, terziaria e quaternaria.

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STRUTTURA DELLE PROTEINE
STRUTTURA PRIMARIA
La struttura primaria, cioè tipo e sequenza degli aminoacidi, condiziona:
➢ La configurazione spaziale
➢ La forma globale della molecola
Dalle quali dipendono le proprietà biologiche.

Tutte le proteine esistenti derivano da combinazioni diverse dei 20 aminoacidi naturali.

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STRUTTURA DELLE PROTEINE
STRUTTURA SECONDARIA
L’avvolgimento a spirale, o la disposizione regolare di tratti più o meno lunghi della catena
proteica costituiscono la struttura secondaria della proteina.

Questo livello di organizzazione è una conseguenza dei legami a idrogeno tra gli
amminoacidi appartenenti a una stessa catena, o tra gli amminoacidi di catene diverse.

Due tipi di struttura secondaria delle proteine sono l’α-elica e il β-foglietto.

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STRUTTURA DELLE PROTEINE
STRUTTURA SECONDARIA
Nella struttura ad alfa elica la proteina è avvolta a spirale.
La disposizione elicoidale delle proteine è tenuta in piedi da
deboli legami a idrogeno.

La lunghezza media di un’alfa-elica è di 10 amminoacidi ma


può variare dai 5 ai 40 amminoacidi.
L’elica è di norma destrorsa.

L’elasticità della lana e dei capelli dipende proprio da questa


forma delle loro molecole. Infatti, se tiriamo per i due estremi
una fibra di lana, la fibra si allunga perché si rompono i legami
a idrogeno e le spire dell’α-elica si allontanano l’una
dall’altra; se la lasciamo andare la fibra si riaccorcia perché si
riformano i legami a idrogeno.

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STRUTTURA DELLE PROTEINE
STRUTTURA SECONDARIA
Nella struttura beta foglietto si ha una disposizione di catene proteiche l’una accanto
all’altra. Ciascuna delle catene presenta una conformazione a zig-zag. In questo caso, i
legami a idrogeno si formano tra gli amminoacidi di due catene adiacenti.

La proteina che costituisce la seta ha questa struttura. Queste proteine non possono essere
allungate ulteriormente senza che si rompano i legami covalenti della loro catena; per
questo motivo la seta, a differenza della lana non è elastica.

Le porzioni di sequenza legate


possono avere:
• la stessa direzione: si definiscono
foglietti-beta paralleli
• la direzione opposta: si definiscono
foglietti-beta antiparalleli

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STRUTTURA DELLE PROTEINE
STRUTTURA TERZIARIA
La struttura terziaria è dovuta all’ulteriore ripiegamento delle catene ad α-elica o dei
foglietti β.

Nelle proteine globulari, gli aminoacidi idrofobici tendono a localizzarsi all'interno della
struttura, mentre quelli idrofili si espongono verso l'esterno, facilitando il legame con l'acqua
e rendendo quindi più efficace la soluzione.

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STRUTTURA DELLE PROTEINE
STRUTTURA TERZIARIA
Il ripiegamento (folding) di una proteina non è mai un processo casuale, ma sempre
dettato dalla sequenza amminoacidica della proteina.
Il modo in cui una catena proteica si avvolge dipende dal tipo di interazioni che si
stabiliscono fra le catene laterali dei suoi residui amminoacidici.
Una proteina, fra tutti i possibili ripiegamenti che può assumere, addotta quello in cui le
interazioni fra le catene R dei suoi residui sono ottimali e consentono di raggiungere la
maggiore stabilità (e quindi uno stato di minima energia).

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STRUTTURA DELLE PROTEINE
STRUTTURA QUATERNARIA
Per struttura quaternaria si intende la forma o la struttura che risulta dall'unione di più
molecole proteiche, solitamente definite subunità proteiche, le cui singole funzioni
prendono parte alla funzione globale del complesso proteico.

La struttura quaternaria è caratteristica soltanto di alcune proteine: sono costituite da due


o più subunità, che si associano fra loro mediante deboli legami elettrostatici.

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STRUTTURA DELLE PROTEINE
STRUTTURA QUATERNARIA
L’emoglobina è formata da quattro
subunità proteiche di due differenti tipi
(due catene α e due catene β) associate
secondo una geometria tetraedrica.

L’emoglobina è uno dei tanti esempi di


proteina coniugata, cioè di proteina unita
a una parte non proteica a cui si dà il
nome di gruppo prostetico.

Le sue catene polipeptidiche sono unite


al gruppo eme, costituito da un atomo di
Ferro (Fe) legato in una complessa
struttura ad anello a quattro atomi di
azoto (N).

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GLI AMMINOACIDI
Gli amminoacidi sono i monomeri delle proteine.
In natura esistono 20 differenti tipologie di amminoacidi.

L’unione sequenziale di amminoacidi porta alla formazione delle


proteine.
Poiché ogni amminoacido può legarsi con qualsiasi altro
amminoacido questo rende ragione della quantità potenzialmente
infinita di proteine che si possono trovare in natura.

Gli amminoacidi si dividono in:


➢ Amminoacidi essenziali: dobbiamo ingerirli con la dieta perché
non siamo in grado di sintetizzarli
➢ Amminoacidi non essenziali: il nostro corpo è in grado di
sintetizzarli ex novo

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GLI AMMINOACIDI
nome comune sigla nome comune sigla
alanina ala istidina* his
arginina arg leucina* leu
asparagina asn lisina* lys
aspartico, acido asp metionina* met
cisteina cys
prolina pro
fenilalanina* phe
serina ser
glicina gly
tirosina tyr
glutammico,
glu treonina* thr
acido
idrossiprolina hy-pro triptofano* try
isoleucina* ile valina* val
*amminoacidi essenziali

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GLI AMMINOACIDI ESSENZIALI
Sono gli Amminoacidi che il corpo non riesce a sintetizzare, e non essendo in grado di
ricostruirli da solo, ha bisogno di introdurli già precostituiti con il cibo.

Gli Amminoacidi Essenziali (chiamati anche con l’acronimo AAE – Amino Acid Enhanced)
che vanno necessariamente introdotti tramite l’alimentazione sono 9:

Lisina
Triptofano
Fenilanina
Treonina
Metionina
Istidina
Leucina
Isoleucina
Valina

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GLI AMMINOACIDI ESSENZIALI
1.Lisina → presente soprattutto in latte, soia, manzo, serve alla formazione della carnitina e
della vitamina B3. Partecipa alla creazione dell’ormone della crescita e alla fissazione del
calcio nelle ossa. È fondamentale nella produzione di anticorpi ed è parte costituente della
cheratina dei capelli (per questo è presente in numerosi integratori per il trattamento dei
capelli). Per gli sportivi è in grado di velocizzare il recupero post-allenamento.

2.Triptofano → si trova nel latte e nei latticini, nelle uova, nei legumi, oltre che nelle carni,
nel pesce e nel cioccolato. È un amminoacido chiave nella sintesi proteica e nella sintesi di
sostanze fondamentali come la serotonina, che può essere convertita in melatonina,
fondamentale per la corretta regolazione del ritmo sonno-veglia. È utile per gli sportivi per
la conversione dei nutrienti in energia.

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GLI AMMINOACIDI ESSENZIALI
3.Fenilalanina → è coinvolta in tutti i processi metabolici messi in atto dal nostro corpo ed è
perciò fondamentale per la nostra sopravvivenza. La produzione di dopamina, ad
esempio, neurotrasmettitore fondamentale per la regolazione della frequenza cardiaca e
per quella del sonno e dell’umore, dipende dalla fenilalanina. Partecipa alla formazione di
ormoni tiroidei e si trova in carne, pesce, uova, riso integrale e grano.

4.Treonina → è un costituente degli anticorpi e riveste un ruolo fondamentale per il


mantenimento del sistema immunitario. Entra in gioco nelle funzioni depurative di fegato e
reni, è un precursore di collagene ed elastina e, in caso di attività sportive, può essere utile
per prevenire stiramenti muscolari e traumi dei tendini. Si trova in mais, soia, uova, funghi,
merluzzo, carni di maiale, agnello, coniglio e vitello.

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GLI AMMINOACIDI ESSENZIALI
5.Metionina → consumare latticini, albume d’uovo, merluzzo, proteine della soia, permette
un buon apporto di questo aminoacido che è alla base della produzione di carnitina e
cisteina, oltre che di creatina, taurina e vitamina B12. Aumenta le capacità depurative del
corpo umano e svolge una buona azione lipolitica a livello del fegato (utile nelle terapie
per curare il fegato grasso).

6. Istidina → è un precursore dell’istamina ed è pertanto indicato nel trattamento delle


allergie, delle infiammazioni e delle patologie come l’artrite reumatoide. Inoltre, è un
componente della carnosina che ha proprietà antiossidanti e anti-invecchiamento. Pare
intervenga nella dilatazione dei vasi sanguini e, pertanto, trova applicazione anche
nell’ambito degli sport di resistenza.

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GLI AMMINOACIDI ESSENZIALI
7.Leucina → latte, mais, pollo e uova sono le fonti principali di questo aminoacido che, a
differenza degli altri AEE, si trova anche nei cereali e nei legumi. Si può trovare anche in
ricotta, sesamo, arachidi, lenticchie e pesce. Svolge un ruolo importante a livello muscolare
perché accresce la resistenza. Stimola la sintesi proteica evitando la degenerazione
muscolare durante l’attività sportiva intensa o di lunga durata e supporta il metabolismo nei
periodi di digiuno.

8.Isoleucina → è strettamente legata al fabbisogno di glucosio: in caso di carenza viene


utilizzata come fonte energetica sostitutiva. È in grado di stimolare le cellule che
producono insulina (ideale per i soggetti diabetici). Si trova prevalentemente in mais,
patate, pollo, uova, arachidi, bresaola, agnello.

9.Valina → importanti funzioni di ricostruzione dei tessuti muscolari, particolarmente adatta


nell’impiego sportivo laddove è necessario uno sforzo fisico consistente. Il rapido
assorbimento da parte dell’intestino la rende quasi immediatamente disponibile. Si trova
nella polvere di albume, proteine della soia, alga Spirulina, latticini e prodotti caseari.

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GLI AMMINOACIDI SEMI-ESSENZIALI
Vengono definiti semi-essenziali quegli amminoacidi che il nostro organismo è in grado di
sintetizzare, ma solo a partire da altri amminoacidi. Sono 2 e vengono sintetizzati a partire
da metionina e fenilalanina:

1.Cisteina → riveste un ruolo importante nella cheratinizzazione, favorendo ad esempio la


crescita sana di capelli e unghie, e nell’assorbimento delle proteine. È importante
controllarne il giusto apporto soprattutto per chi ha una evidente carenza di vitamina B e in
chi soffre di alcolismo, poiché potrebbero manifestarne una carenza.

2.Tirosina → è essenziale nella costituzione di neurotrasmettitori come la dopamina,


l’adrenalina e la noradrenalina, fondamentali per le capacità adattive dell’organismo,
soprattutto in situazioni stressogene. È coinvolta nella produzione degli ormoni tiroidei e
nella produzione della melanina.

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FONDAMENTI DI
BIOLOGIA - CHIMICA - CITOLOGIA
LEZIONE 11: LE PROTEINE

PARTE 2
LA DIGESTIONE DELLE PROTEINE
Il processo di digestione delle proteine ha un
rendimento molto elevato: circa il 99% delle proteine
sono assimilate, mentre solo l’1% viene espulso.

Lo scopo fondamentale della digestione delle


proteine è la loro scomposizione nelle loro molecole
più semplici, gli amminoacidi.

Questi ultimi sono assorbiti dalle pareti dell’intestino e,


attraverso il sistema circolatorio (la vena porta
epatica), raggiungono il fegato, deputato, in base al
fabbisogno e alle condizioni in cui si trova
l’organismo, a decidere come utilizzare le proteine
assunte mediante il cibo.

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LA DIGESTIONE DELLE PROTEINE
FASE 1: STOMACO
La digestione delle proteine inizia nello stomaco ad opera
della pepsina, che attacca le catene dall'interno
riducendole in frammenti e facilitando così la successiva
azione degli altri enzimi.

Anche l'acido cloridrico ha un ruolo importante, poiché


attiva la pepsina, rende possibile la sua azione abbassando il
pH, e denatura le proteine scoprendo i legami peptidici che
possono così essere attaccati.

Il pH molto basso (valori che possono scendere anche fino a


pH=1) fa sì che le proteine vengano denaturate
(la denaturazione delle proteine è un fenomeno che consiste
nel cambiamento della struttura proteica nativa).

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LA DIGESTIONE DELLE PROTEINE
FASE 2: DUODENO

La fase successiva avviene nel


duodeno ad opera delle peptidasi
pancreatiche, enzimi che spezzano
ulteriormente i peptidi in catene
più semplici.

L'idrolisi finale dei peptidi in


amminoacidi avviene tramite altri
enzimi, le amminopeptidasi.

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LA DIGESTIONE DELLE PROTEINE
FASE 3: INTESTINO
La digestione delle proteine viene completata dalle
proteasi intestinali di origine pancreatica (riversate nel
duodeno) e prodotte dalla membrana dello stesso
intestino.

Le proteasi si dividono in endoproteasi (idrolizzano i legami


peptidici interni alle proteine: chimotripsina, elastasi,
tripsina) e esopeptidasi (idrolizzano l'aminoacido terminale
della proteina: carbossipeptidasi, amminopeptidasi,
dipeptidasi).

A livello intestinale la digestione delle proteine è


completata ed i singoli amminoacidi, dipeptidi e tripeptidi,
possono essere assorbiti e trasportati al fegato da carriers
specifici.

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LA DIGESTIONE DELLE PROTEINE
FASE 4: FEGATO
Dopo essere giunti in questa grossa ghiandola i singoli amminoacidi
possono:

1. essere utilizzati come tali per svolgere funzioni particolari


(intervengono nelle risposta immunitaria, nella sintesi di ormoni e
vitamine, nella trasmissione degli impulsi nervosi, nella produzione
di energia e come catalizzatori in moltissimi processi metabolici)
2. partecipare alla sintesi proteica, un processo inverso a quello
digestivo che ha lo scopo di fornire all'organismo i materiali per la
crescita, il mantenimento e la ricostruzione delle strutture cellulari
3. se presenti in eccesso vengono utilizzati a scopi energetici
(gluconeogenesi) o convertiti in grasso di deposito

Una piccola quota di proteine presenti negli alimenti non viene


assorbita ed è eliminata con le feci (circa 5%).

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ASSORBIMENTO DELLE PROTEINE
L'assorbimento degli amminoacidi avviene attraverso la membrana apicale delle cellule
dell'epitelio intestinale principalmente attraverso trasportatori che li cotrasportano insieme
ad Na+ (trasporto attivo secondario), ma si conoscono anche trasportatori H+ dipendenti o
carrier (diffusione facilitata).

I di- e tripeptidi attraversano la membrana apicale mediante il trasportatore pepT1, H+


dipendente (cotrasporto).

Una volta dentro la cellula possono seguire due destini differenti:


1. venire degradati da peptidasi citoplasmatiche a singoli amminoacidi
2. oltrepassare direttamente la membrana laterale mediante scambiatori H+ dipendenti

Un caso particolare è rappresentato dai piccoli peptidi, che possono essere in alcuni casi
assorbiti tramite transcitosi, ovvero possono legarsi a recettori disposti alla membrana
apicale per venire endocitati e successivamente immessi nel circolo sanguigno per
esocitosi.

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DESTINO DEL METABOLISMO
DELLE PROTEINE

Gli amminoacidi che derivano dalle proteine della dieta sono la fonte della maggioranza
dei gruppi amminici. La maggior parte degli amminoacidi viene metabolizzata nel fegato.

Lo ione ammonio (NH4+) in questi processi viene in parte utilizzato in una serie di vie
biosintetiche, e l’eccesso viene secreto come tale, oppure convertito a seconda
dell’organismo in urea o acido urico, che verranno poi eliminati.

L’eccesso di ioni ammonio generati in altri tessuti extraepatici giunge al fegato (sotto forma
di gruppi amminici) per essere trasformato nelle forme di escrezione.

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IL CICLO DELL’UREA

Quando un amminoacido viene selezionato per essere degradato e produrre energia,


rispetto ai lipidi e ai glucidi, ha un problema in più, cioè ha un gruppo amminico.

Fino ad ora si è parlato di metabolismo di sostanze con una catena carboniosa, ma qui si
ha un gruppo amminico e la prima cosa da fare dev’essere quella di staccare il gruppo
amminico.

Il gruppo amminico può dare origine a ioni ammonio, come già detto, quindi ad
ammoniaca, che è un veleno.

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IL CICLO DELL’UREA

Gli organismi non possono accumulare in circolo ioni ammonio!

Ci sono dei meccanismi che in qualche modo eliminano o utilizzano lo ione ammonio e
dall’altro lo inattivano, quindi inibiscono la tossicità.

Solo in piccola parte è presente come tale e, nel momento in cui viene liberato, viene
idrolizzato, impedendo di agire in qualche modo.

Lo ione ammonio viene inserito in una via metabolica che è il ciclo dell’urea, che
rappresenta il prodotto di escrezione dello ione ammonio.

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IL CICLO DELL’UREA
I gruppi amminici, se non vengono riutilizzati per la sintesi di nuovi amminoacidi o di altri
componenti azotati, vengono convertiti tutti in un unico prodotto finale di escrezione.

Negli organismi ureotelici, che hanno la proprietà di eliminare l'azoto amminico sotto forma
di urea, l’ammoniaca accumulata nei mitocondri dagli epatociti viene convertita in urea
mediante il ciclo dell’urea.

La produzione di urea ha luogo quasi esclusivamente nel fegato ed è il destino metabolico


della maggior parte dell’ammoniaca che vi giunge.
L’urea passa quindi nel sangue e raggiunge i reni, dove viene escreta tramite le urine.

Il ciclo dell’urea inizia all’interno dei mitocondri degli epatociti, ma le tappe successive
avvengono nel citosol.

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IL CICLO DELL’UREA
Il ciclo dell’urea si compone di quattro reazioni, ma prima di questo ciclo, è necessario che
si formi carbamil fosfato, tramite una serie di 3 reazioni:

1. Formazione del carbossifosfato: il bicarbonato viene fosforilato dall’ATP. L’ATP ha la


funzione di innalzare l’energia libera della reazione, che altrimenti non potrebbe
avvenire

2. Formazione del carbammato: l’ammoniaca rimuove il gruppo fosforico per generare il


carbammato

3. Formazione del carbamil fosfato: il carbammato viene fosforilato per generare il


carbamil fosfato. Anche in questa reazione c’è l’utilizzo di una molecola di ATP

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IL CICLO DELL’UREA
Il carbamil fosfato entra nel ciclo dell'urea, composto da 4 tappe:

1. Nella prima tappa, il carbamil fosfato dona il suo gruppo carbamilico all'ornitina per
formare la citrullina; contemporaneamente viene rilasciato Pi (un fosfolipide). La citrullina
esce dai mitocondri ed il ciclo continua nel citosol

2. Il gruppo amminico dell'aspartato viene condensato al gruppo ureidico della citrullina. Il


prodotto della reazione è l'argininosuccinato. La reazione richiede ATP e procede
attraverso la formazione di un intermedio (citrullul-AMP)

3. L'argininosuccinato viene scisso reversibilmente dall'argininnosuccinato liasi, con


formazione di arginina e fumarato (ma quest'ultimo entra nel ciclo di Krebs)

4. L'ultima tappa è la scissione dell'arginina in urea ed ornitina, nella reazione catalizzata


dall'enzima arginasi. L'ornitina entra nei mitocondri per iniziare un nuovo giro del ciclo
dell'urea, mentre l’urea viene espulsa

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ORMONI E PROTEINE
Il termine 'ormone' indica una sostanza che, prodotta da una cellula endocrina, cioè a
secrezione interna, viene liberata nel circolo sanguigno, provocando risposte funzionali in
cellule localizzate a varia distanza dalla sua sede di produzione.

In base alla loro struttura biochimica, gli ormoni si possono classificare come:

➢ peptidi (proteine): grazie alla loro struttura affine all’acqua (idrofila), possono circolare
liberamente nel sangue (che ha natura acquosa)

➢ steroidi: sintetizzati nel fegato a partire dal colesterolo. Hanno una struttura lipidica

➢ derivati degli amminoacidi: hanno struttura idrofila

➢ prostaglandine ed eicosanoidi: derivati degli acidi grassi

➢ derivati della vitamina D

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GLI ORMONI PEPTIDICI
I principali ormoni peptidici sono 5:

➢ Ormone della crescita – GH → ormone secreto da una ghiandola posta nella scatola
cranica, l’ipofisi o ghiandola pituitaria, che viene prodotto in seguito a stimoli come
l’attività fisica intensa, lo stress, l’ipoglicemia ed il sonno. Usato nel trattamento di bambini
con difficoltà di crescita a causa di un difetto endogeno nella produzione dell’ormone
da parte dell’organismo

➢ Eritropoietina – EPO → ormone che stimola la produzione dei globuli rossi nel sangue.
Impiegato per uso clinico in nefrologia, chirurgia e cardiochirurgia, in particolare nei
trattamenti delle anemie

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GLI ORMONI PEPTIDICI

➢ Insulina → ormone prodotto dalle cellule β del pancreas e ha il compito di abbassare il


livello di zuccheri nel sangue a seguito della loro ingestione

➢ Corticotropina – ACTH → ormone secreto dall’ipofisi che stimola le ghiandole surrenali a


produrre glucocorticoidi, mineralcorticoidi e steroidi androgeni al fine di mantenere
l’equilibrio idrico e metabolico. Impiegato nello sport per i suoi effetti anabolizzanti

➢ Gonadotropina corionica umana - HCG → sostanza prodotta dalla placenta che si


estrae dall’urina della donna in gravidanza. È impiegata in medicina per favorire
l’ovulazione nelle donne con problemi di infertilità e per trattare l’ipogonadismo maschile

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FONDAMENTI DI
BIOLOGIA - CHIMICA - CITOLOGIA
LEZIONE 12: I LIPIDI

PARTE 1
SOMMARIO DELLA LEZIONE
I. I LIPIDI
1. Funzioni e ruoli
2. I trigliceridi: gli acidi grassi
3. I fosfolipidi: fosfogliceridi e sfingofosfolipidi
4. Il colesterolo
II. DIGESTIONE DEI LIPIDI
1. Lipasi linguale
2. Lipasi gastrica
3. Duodeno
4. Pancreas
5. Altri enzimi coinvolti
III. METABOLISMO DEI LIPIDI
1. Catabolismo degli acidi grassi
IV. BIOSINTESI DEI LIPIDI
1. Biosintesi del colesterolo, dei trigliceridi e dei fosfolipidi
V. REGOLAZIONE ORMONALE DEI LIVELLI DEI LIPIDI

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I LIPIDI
Comunemente chiamati "grassi", i lipidi
comprendono una grande varietà di molecole
accomunate dalle proprietà fisiche di:

➢ insolubilità nei solventi polari (es. acqua)


(idrofobicità)

➢ solubilità nei soventi organici (es. cloroformio,


etere) (lipofilicità)

I grassi sono formati da carbonio, idrogeno,


ossigeno al pari dei carboidrati, ma il rapporto
tra idrogeno ed ossigeno è molto più alto.

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I LIPIDI
Questa caratteristica li rende più energetici
dei glucidi in termini assoluti ma ne riduce il
rendimento energetico a parità di ossigeno
consumato.

Si trovano soprattutto in alimenti di origine


animale (grassi) ma sono abbondantemente
presenti anche nel regno vegetale (oli).
Oli e grassi sono molto simili chimicamente
ma, mentre i primi sono liquidi a temperatura
ambiente, i secondi sono solidi.

Punto di fusione:
➢ Oli → < 36°C
➢ Grassi → 36 - 40°C

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I LIPIDI
Esistono più di 500 tipi di grassi, classificati in base alla loro struttura molecolare:

➢ LIPIDI SEMPLICI: sono i più abbondanti nel nostro organismo (circa il 95%) e nella nostra
dieta (vengono ingeriti sotto questa forma circa il 98% dei lipidi presenti negli alimenti).
Rappresentano la forma di deposito e di utilizzo principale. Tra i più noti ricordiamo le cere
ed i trigliceridi

➢ LIPIDI COMPOSTI: sono trigliceridi combinati con altre sostanza chimiche come fosforo,
azoto e zolfo. Rappresentano circa il 10% dei grassi del nostro organismo. Tra i più noti
ricordiamo i fosfolipidi, i glicolipidi e le lipoproteine

➢ LIPIDI DERIVATI: derivano dalla trasformazione di lipidi semplici o composti. Il più


importante è il colesterolo, ma ricordiamo anche la vitamina D, gli ormoni steroidei,
l'acido palmitico, oleico e linoleico

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LE FUNZIONI DEI LIPIDI
I lipidi assolvono nell'organismo umano molte ed importanti funzioni:

1. Forniscono gli acidi grassi essenziali all'organismo

2. Sono molecole di alto valore energetico: 1g di lipide fornisce 9 Kcal

3. Favoriscono l'assorbimento intestinale delle vitamine liposolubili

4. Sono componenti fondamentali delle membrane cellulari in tutti i tessuti

5. Gli acidi grassi polinsaturi appartenenti alle famiglie n6 ed n3 sono precursori di composti
che nell'organismo svolgono importanti funzioni regolatorie

6. Influenzano l'assetto lipidico ematico

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IL RUOLO DEI LIPIDI
I lipidi hanno molteplici ruoli in base a come vengono suddivisi e categorizzati:

• Lipidi cellulari e strutturali: sono componenti di tutte le membrane plasmatiche e


intracellulari (fosfogliceridi, colesterolo, glicolipidi)
• Lipidi di deposito: sono la fonte di energia per il metabolismo intermedio di fegato, cuore
e tessuto muscolare (trigliceridi)
• Lipidi che prendono origine dal nucleo steroideo:
➢ colesterolo, molecola essenziale, componente del doppio strato lipidico delle
membrane;
➢ steroidi (ormoni steroidei surrenalici, ovarici e testicolari)
• Acidi Grassi Essenziali (acido arachidonico): precursori di sostanze chiave modulatrici
delle risposte infiammatorie (es. prostaglandine e leucotrieni)
• Lipidi con specifiche attività biologiche: quali ormoni, messaggeri intracellulari, pigmenti
per l’assorbimento della luce, vitamine liposolubili

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IL RUOLO DEI LIPIDI
STRUTTURALI VS DI DEPOSITO

STRUTTURALI DI DEPOSITO

Costituenti fondamentali delle Hanno funzione energetica e


membrane cellulari ed intracellulari protettiva

Rappresentati principalmente dai Rappresentati principalmente dai


fosfolipidi, glicolipidi e colesterolo trigliceridi

Sono circa il 2% dei lipidi Sono circa il 98% dei lipidi

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I TRIGLICERIDI

Nell'organismo umano e nei cibi che lo nutrono, i lipidi più abbondanti sono i trigliceridi (o
triacilgliceroli).

Essi sono formati dall'unione di


➢ tre acidi grassi
➢ una molecola di glicerolo.

L’assenza di una, o due, catene laterali di Acido Grasso dà vita, rispettivamente, ai di-
acilglieroli e ai mono-acilgliceroli.

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I TRIGLICERIDI
GLI ACIDI GRASSI

Gli acidi grassi, componenti fondamentali dei lipidi, sono molecole costituite da una
catena di atomi di carbonio, denominata catena alifatica, con un solo gruppo carbossilico
(-COOH) ad una estremità.

La lunghezza di questa catena è estremamente importante, in quanto influenza le


caratteristiche fisico-chimiche dell'acido grasso. Mano a mano che si allunga, la solubilità in
acqua diminuisce (idrofobicità) ed aumenta, di riflesso, il punto di fusione.

Gli acidi grassi possiedono generalmente un numero pari di atomi di carbonio, anche se in
alcuni alimenti, come gli oli vegetali, ne ritroviamo minime percentuali con numero dispari.

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I TRIGLICERIDI
GLI ACIDI GRASSI

Dal momento che ogni acido grasso è formato


da una catena carboniosa alifatica (idrofoba)
che termina con un gruppo carbossilico (idrofilo),
sono considerati delle molecole anfipatiche o
anfifiliche.

Grazie a questa loro caratteristica chimica,


quando vengono posti in acqua tendono a
formare delle micelle, strutture sferiche con un
guscio idrofilo, costituito dalle teste carbossiliche,
e con un cuore lipofilo, costituito dalle catene
alifatiche (che si assemblano per "proteggersi"
dall'acqua).

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I TRIGLICERIDI
GLI ACIDI GRASSI
Gli acidi grassi possono essere classificati in base alla lunghezza della catena carboniosa:

➢ acidi grassi a catena corta: con un numero di atomi di carbonio da 1 a 5

➢ acidi grassi a catena media: con un numero di atomi di carbonio da 6 a 12

➢ acidi grassi a catena lunga: con un numero di atomi di carbonio da 13 a 21

➢ acidi grassi a catena molto lunga: con un numero di atomi di carbonio maggiore o
uguale a 22

A seconda della loro lunghezza essi prendono una via di distribuzione ematica differente.

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I TRIGLICERIDI
GLI ACIDI GRASSI
In base alla presenza o meno di uno o più doppi legami nella catena alifatica, gli acidi
grassi vengono definiti:

➢ Acidi Grassi Saturi quando la loro struttura chimica non contiene doppi legami,
pertanto non possono legarsi con nessun altro elemento

➢ Acidi Grassi Insaturi quando sono presenti uno o più doppi legami

• Acidi Grassi Monoinsaturi: un solo doppio legame nella catena

• Acidi Grassi Polinsaturi: multipli doppi legami

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I TRIGLICERIDI
GLI ACIDI GRASSI
In base alla posizione degli atomi di idrogeno
associati ai carboni impegnati nel doppio legame,
un acido grasso può esistere in natura sotto due
forme, una cis e una trans.

La presenza di un doppio legame nella catena


alifatica implica l'esistenza di due conformazioni:
➢ cis se i due atomi di idrogeno legati ai carboni
impegnati nel doppio legame sono disposti sullo
stesso piano. La forma cis abbassa il punto di
fusione dell'acido grasso e ne fa aumentare la
fluidità
➢ trans se la disposizione spaziale è opposta

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I FOSFOLIPIDI
I fosfolipidi sono molecole organiche appartenenti alla classe dei lipidi
idrolizzabili, che comprende tutti i lipidi caratterizzati da almeno un acido
grasso nella loro struttura.

Contengono nella loro struttura un gruppo fosfato, e oltre a comprendere


carbonio, idrogeno e ossigeno (come nel caso dei lipidi semplici),
contengono anche fosforo o azoto.
Le molecole di questa classe di composti presentano una testa polare
idrosolubile a base di fosfato e una coda apolare idrofoba non
idrosolubile.

Negli alimenti i fosfolipidi sono poco abbondanti e rappresentano circa il


2% dei lipidi totali, tuttavia possono essere sintetizzati dalle varie cellule
dell'organismo; essi hanno un ruolo sia energetico che strutturale, con
prevalenza di quest'ultimo: partecipano alla struttura delle membrane
cellulari e alla modificazione della loro permeabilità selettiva.

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I FOSFOLIPIDI
FOSFOGLICERIDI
In relazione alla struttura chimica, i fosfolipidi sono
suddivisibili in due categorie: i fosfogliceroli (o
fosfogliceridi) ed i sfingofosfolipidi.

I fosfogliceridi rappresentano la classe più importante.

Strutturalmente sono molto simili ai trigliceridi, lipidi nei


quali una molecola di glicerolo è esterificata con tre
acidi grassi.

Diversamente dai trigliceridi, però, in questa classe di


fosfolipidi, solo due ossidrili di glicerolo sono esterificate
con corrispondenti molecole di glicerolo, il terzo,
invece, è esterificato con acido fosforico.

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I FOSFOLIPIDI
SFINGOFOSFOLIPIDI

Gli sfingofosfolipidi sono caratterizzati dal fatto


che il glicerolo è sostituito dalla sfingosina (un
aminoalcol insaturo a lunga catena) o da un suo
derivato.

I fosfolipidi di questa classe che hanno maggiore


importanza sono la sfingomielina e il cerebroside,
due dei vari componenti della mielina, la
sostanza che riveste a mo’ di guaina (si parla di
guaina mielinica) gli assoni dei neuroni e che ha
funzioni protettive e isolanti.

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IL COLESTEROLO
Il colesterolo è un lipide della classe degli steroidi, che presentano
una struttura chimica caratteristica con quattro anelli.

Svolge un ruolo essenziale per il corretto funzionamento


dell'organismo:

➢ è un componente fondamentale delle membrane cellulari: ne


regola la permeabilità e la fluidità
➢ rientra nella composizione della guaina mielinica, importante
per la trasmissione nervosa
➢ è utilizzato dal nostro organismo per la sintesi di molti altri
composti, tra i quali ormoni (ormoni steroidei, come il cortisolo e
il testosterone, il progesterone e gli estrogeni ) e della vitamina D
➢ è un componente dei sali biliari della bile

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IL COLESTEROLO
➢ Il colesterolo influenza la fluidità delle membrane biologiche: un’alta quantità di
colesterolo riduce la fluidità.

➢ Ad alte temperature riduce la fluidità ed impedisce l’ingresso di piccole molecole, a


basse temperature invece l’effetto è opposto.

➢ Quando il colesterolo è in eccesso, può provocare gravi danni al


sistema cardiovascolare.

➢ Soltanto il 10-20 per cento del colesterolo presente nel nostro


sangue proviene dall'alimentazione.

➢ La maggior parte del colesterolo è prodotta dal nostro


organismo, soprattutto nel fegato, ma anche nell’intestino,
nei surreni e nella pelle.

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FONDAMENTI DI
BIOLOGIA - CHIMICA - CITOLOGIA
LEZIONE 13: I LIPIDI

PARTE 2
DIGESIONE DEI LIPIDI
Mentre carboidrati e proteine si sciolgono facilmente nei liquidi digestivi, i lipidi non solo
risultano insolubili, ma tendono ad unirsi insieme formando grossi agglomerati.

La digestione dei lipidi ha inizio nella bocca, prosegue nello stomaco e termina nel piccolo
intestino o intestino tenue.

Gli enzimi che catalizzano le reazioni responsabili della digestione dei trigliceridi sono detti
lipasi. Sono proteine che catalizzano la parziale idrolisi dei trigliceridi dando origine ad una
miscela di acidi grassi liberi e acilgliceroli.

Esistono diverse lipasi, la più importante delle quali è prodotta dal pancreas esocrino; le
altre sono la linguale, la gastrica e quella presente nel latte materno.

Altri enzimi coinvolti nella digestione dei lipidi sono la colesterolo esterasi e le fosfolipasi.

CORSO DI FONDAMENTI DI BIOLOGIA - CHIMICA - CITOLOGIA 2


DIGESIONE DEI LIPIDI
LIPASI LINGUALE
Nella bocca grazie alla masticazione, il cibo è ridotto in piccole particelle e mescolato alla
lipasi linguale, che viene secreta nella regione posteriore della lingua.
L’enzima è prodotto e secreto dalle ghiandole sierose linguali o di von Ebner; è stabile in
ambiente acido e quindi rimane attivo nello stomaco, e nel caso in cui manchi la
secrezione di ione bicarbonato dal pancreas, anche nel piccolo intestino.

La lipasi linguale è responsabile di una modesta degradazione dei trigliceridi in quanto:

• ha un’azione più lenta della lipasi pancreatica

• è attiva nello stomaco, un ambiente acquoso dove i lipidi tendono a coalescere,


formando una fase separata dall’ambiente circostante, limitando così le opportunità per
l’attacco ai trigliceridi

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DIGESIONE DEI LIPIDI
LIPASI GASTRICA
Nello stomaco i lipidi incontrano una seconda lipasi acida, la lipasi gastrica, che viene
secreta dalle cellule principali delle ghiandole del fondo dello stomaco.

L’enzima ha un pH ottimale intorno a 4, ma è comunque abbastanza attivo anche a valori


di pH meno acidi, pari a 6-6,5.

È quindi probabile che rimanga attivo anche nella parte alta del duodeno, dove il pH è
compreso tra 6 e 7.

Catalizza di preferenza l’idrolisi dei trigliceridi con acidi grassi a catena corta e media, ma
può agire anche su quelli con acidi grassi a catena lunga.

Nelle 2-4 ore in cui il cibo rimane nello stomaco questo enzima, insieme alle lipasi salivari,
digerisce circa il 10-30% dei lipidi.

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DIGESIONE DEI LIPIDI
DUODENO
Il chimo, contenente un’emulsione lipidica in forma di goccioline lipidiche di diametro
inferiore a 0,5 mm, passa nella prima parte del piccolo intestino, il duodeno, dove la
digestione dei lipidi prosegue.

Nel duodeno si mescola alla bile, il cui rilascio ad opera della colecisti è stimolato dalla
colecistochinina, secreta da cellule presenti nella mucosa del duodeno e del digiuno a
seguito di un pasto, in particolare se ricco di grassi.

Nella bile, tra gli altri, sono contenuti sali biliari, fosfolipidi, e colesterolo.

I sali biliari vengono rilasciati nel duodeno con la bile. Sono in grado emulsionare
ulteriormente i lipidi ingeriti: si inseriscono nella goccia lipidica diminuendo la coesione tra i
trigliceridi e portando alla formazione di goccioline più piccole che prendono il nome di
micelle.

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DIGESIONE DEI LIPIDI
PANCREAS
I Sali Biliari così però provocano un ingombro spaziale che impedisce alla lipasi pancreatica
di agire. È quindi necessaria la presenza della Co-lipasi che permette così l’ottimale azione
dell’enzima.

La colecistochinina stimola anche il pancreas esocrino a secernere un succo pancreatico


contenente la lipasi pancreatica. L’enzima opera la digestione della maggior parte dei
trigliceridi ingeriti, principalmente nella porzione superiore del digiuno, ed ha un pH ottimale
di azione compreso tra 7,0 e 8,8 (dunque non è una lipasi acida come le precedenti).

L’azione della lipasi pancreatica è quella di scindere il legame tra un acido grasso e il
trigliceride (e il successivo legame tra un secondo acido grasso e il digliceride rimasto).

Gli acidi grassi liberi entrano nella costituzione di micelle più piccole che vengono veicolate
verso le cellule epiteliali del duodeno (enterociti) e assorbiti.

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DIGESIONE DEI LIPIDI
ALTRI ENZIMI COINVOLTI
A livello del duodeno non agisce solo la Lipasi Pancreaica.

Il succo pancreatico contiene al suo interno altri due enzimi implicati nell’assorbimento di
lipidi:

1. FOSFOLIPASI A2: viene secreta in forma non attiva poiché altrimenti andrebbe ad
attaccare le membrane cellulari. È attivata nel duodeno dalla tripsina. Il suo compito è
formare un lisofosfolipide, ovvero fosfolipidi con una sola catena di acido grasso attaccata
al glicerolo fosfato

2. COLSTEROLO ESTERASI: idrolizza le molecole di colesterolo esterificato (ovvero legato ad


una catena di acido grasso) formando una molecola di colesterolo semplice e un acido
grasso libero

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METABOLISMO DEI LIPIDI
CATABOLISMO DEGLI ACIDI GRASSI
Circa il 95% dell’energia ricavabile dai tracilgliceroli risiede nelle catene degli acidi grassi.

Il catabolismo degli acidi grassi si realizza principalmente attraverso una via ossidativa detta
beta-ossidazione, presente nei mitocondri di tutte le cellule dell’organismo, con qualche
eccezione tra cui il cervello e i globuli rossi.

Le caratteristiche della beta-ossidazione sono le seguenti:

• è intramitocondriale
• consiste in una serie ciclica di reazioni indipendenti
• tutti i suoi intermedi sono permanentemente legati al coenzima A
• libera frammenti bicarboniosi di acetilCoA entro i mitocondri
• si accompagna alla massiccia riduzione dei coenzimi FAD e NAD+

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METABOLISMO DEI LIPIDI
CATABOLISMO DEGLI ACIDI GRASSI
Perché possano entrare nella loro via catabolica, gli acidi grassi, dopo essere stati assorbiti
dalle cellule, devono essere attivati ad acil-CoA, che però non può attraversare la
membrana mitocondriale interna.

L’acido grasso viene perciò trasferito dal CoA su una molecola trasportatrice, la carnitina,
in una reazione reversibile catalizzata dall’enzima carnitina aciltrasferasiI.

L’acilcarnitina così formata passa attraverso la membrana mitocondriale interna, dove


esiste uno specifico trasportatore per questa molecola, che la scambia con la carnitina.

Dentro i mitocondri, l’acido grasso è trasferito nuovamente su una molecola di CoA


intramitocondriale.

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METABOLISMO DEI LIPIDI
CATABOLISMO DEGLI ACIDI GRASSI
La β-ossidazione consiste nel separare dall'acido grasso due atomi di carbonio alla volta
sotto forma di acetil-CoA ossidando sempre il terzo carbonio a partire dalla estremità
carbossilica (quell'atomo che con la vecchia nomenclatura veniva indicato come
carbonio β).
Per questo motivo l'intero processo prende il nome di β-ossidazione.

La β-ossidazione è un processo che ha luogo nella matrice mitocondriale ed è strettamente


collegato al ciclo di Krebs (per l'ulteriore ossidazione dell'acetato) e alla catena respiratoria
(per la riossidazione dei coenzimi NAD e FAD).

L'acetilCoA prodotto con la β-ossidazione può entrare nel ciclo di Krebs dove si lega
all'ossalacetato per un'ulteriore ossidazione fino ad anidride carbonica ed acqua. Per ogni
acetilCoA ossidato nel ciclo di Krebs si producono 12 ATP.

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BIOSINTESI DEI LIPIDI
BIOSINTESI DEL COLESTEROLO

Il colesterolo viene sintetizzato soprattutto nel


reticolo endoplasmatico liscio delle cellule
epatiche, ma anche delle cellule di ghiandole
endocrine produttrici di ormoni steroidei (corticale
surrenale e gonadi); nel cervello il colesterolo
viene sintetizzato prevalentemente dagli astrociti
(un tipo di cellule gliali), essendo la barriera
emato-encefalica impermeabile al colesterolo
circolante.

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BIOSINTESI DEI LIPIDI
BIOSINTESI DEL COLESTEROLO

Come la sintesi degli acidi grassi, anche quella del colesterolo utilizza unità di acetil CoA e
potere riducente fornito dal NADPH + H+ attraverso una complessa serie di reazioni
catalizzate, di cui le prime portano alla formazione di 3-idrossi-3-metilglutaril CoA (HMG-
CoA).

Nella biosintesi del colesterolo, l’HMG-CoA subisce l’azione di un importante enzima, la


HMG-CoAriduttasi, che ne catalizza la riduzione a mevalonato.

Quindi il mevalonato viene attivato attraverso due reazioni che richiedono il consumo di 3
molecole di ATP e portano all’eliminazione di una molecola di CO2.

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BIOSINTESI DEI LIPIDI
BIOSINTESI DEL COLESTEROLO

Attraverso tali reazioni il mevalonato viene trasformato in isopentenil pirofosfato, in parte


isomerizzato a dimetilanil pirofosfato.

Questi due prodotti reagiscono tra loro per formare il geranil pirofosfato che, per reazione
con una seconda molecola di dimetilanil pirofosfato, si trasforma in farnesil pirofosfato.

Le ultime tappe della biosintesi del colesterolo consistono nell’unione di due molecole di
farnesil pirofosfato con formazione di squalene (una molecola a 30 atomi di carbonio)
seguita dalla produzione finale del colesterolo (a 27 atomi di carbonio).

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BIOSINTESI DEI LIPIDI
BIOSINTESI DEI TRIGLICERIDI
Durante il digiuno, le molecole di triacilglicerolo sono prima degradate e poi
nuovamente sintetizzate in un ciclo (ciclo del triacilglicerolo) che si svolge tra
tessuto adiposo e fegato.

La prima fase della sintesi dei triacilgliceroli è l'acilazione dei due gruppi
ossidrilici liberi di L-glicerolo 3-fosfato con due molecole di acil-CoA per
generare diacilglicerolo 3-fosfato, più conosciuto con il nome di acido
fosfatidico o fosfatidato.

Nella via che porta alla formazione di triacilgliceroli, il fosfatidato viene


idrolizzato da parte della fosfatidato fosfatasi per formare 1,2-diacilglicerolo.

I diacilgliceroli possono essere convertiti in triacilgliceroli per


transesterificazione con una terza molecola di acil-CoA.

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BIOSINTESI DEI LIPIDI
BIOSINTESI DEI FOSFOLIPIDI
La produzione dei fosfolipidi richiede:
1. sintesi dello scheletro carbonioso (glicerolo o sfingosina)
2. legame degli acidi grassi allo scheletro
3. aggiunta di una testa polare idrofilica
4. in alcuni casi avviene la modificazione o lo scambio della testa
polare per produrre il fosfolipide finale

Esistono due strategie di sintesi:


▪ 1°strategia: il diacilglicerolo viene attivato con CDP
(citidinadifosfato) e insieme reagiscono con la testa polare
▪ 2°strategia: il CDP si lega al gruppo ossidrilico della testa polare ed
insieme reagiscono con il diacilglicerolo

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REGOLAZIONE ORMONALE
DEI LIVELLI DEI LIPIDI
La lipolisi (o catabolismo lipidico) è un processo metabolico catabolico che prevede la
scissione dei trigliceridi permettendo la liberazione di acidi grassi liberi (FFA) e glicerolo (o
glicerina).

La lipolisi, come abbiamo già visto, è mediata da un gruppo di enzimi chiamati lipasi ed è
indotta da numerosi ormoni, principalmente glucagone, somatotropina (o GH), cortisolo,
adrenalina (o epinefrina), noradrenalina (o norepinefrina), e testosterone.

La lipolisi inizia quando la triacilglicerolo lipasi ed altri enzimi rompono le molecole del
triglicerde per formare un digliceride. La lipasi ormono sensibile (HSL) è poi traslocata alla
cellula e attivata per dividere le molecole di trigliceridi nelle singole unità che li
compongono, cioè 3 molecole di acidi grassi e una di glicerolo.

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REGOLAZIONE ORMONALE
DEI LIVELLI DEI LIPIDI
La lipasi ormono sensibile è regolata principalmente dalle catecolamine (adrenalina,
noradrenalina) e insulina, che impongono all’adipocita di stimolare (catecolamine) o
inibire (insulina) la lipasi ormono sensibile.
L’attivazione della HSL è altamente dipendente dal sistema nervoso simpatico (SNS) e
dall’adrenalina circolante.

Quando il SNS è stimolato(es. attività fisica) la noradrenalina è secreta dalle sue


terminazioni nervose, e l’adrenalina è rilasciata dalla midollare del surrene, che infine
stimola la lipolisi delle cellule adipose del corpo. In presenza di adrenalina, la secrezione di
insulina dalle isole pancreatiche è soppressa, permettendo che la lipolisi continui. Se i livelli
di adrenalina sono assenti, l’elevazione dell’insulina nel sangue stimolata dall’ingestione di
carboidrati rimane elevata, inibendo l’attività della HSL e quindi la lipolisi. Per questa
ragione, l’insulina è considerata essere un importante ormone limitante quando si intende
aumentare la lipolisi.

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FONDAMENTI DI
BIOLOGIA - CHIMICA - CITOLOGIA
LEZIONE 14: LE VITAMINE E I SALI MINERALI

PARTE 1
SOMMARIO DELLA LEZIONE
I. LE VITAMINE
1. Funzioni
2. Liposolubili e idrosolubili
3. Classificazione delle vitamine
4. Vitamine e coenzimi

II. I SALI MINERALI


1. Funzione
2. Classificazione
3. Carenze
4. Integrazione

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LE VITAMINE
Le vitamine sono molecole organiche eterogenee dal
punto di vista chimico, indispensabili per la funzionalità
delle cellule, per l’accrescimento e l’integrità degli
organismi viventi.
La maggior parte delle vitamine non sono sintetizzate dagli
animali che le devono perciò introdurre con l’alimentazione.

Il fabbisogno giornaliero di vitamine varia nelle diverse


specie animali, da individuo a individuo, a seconda dell’età,
dello stato di salute, dell’alimentazione.
In alcuni casi una vitamina risulta essenziale (cioè deve
essere introdotta con la dieta) per una specie e non per
altre che sono in grado di sintetizzarla a partire da un
precursore chimico.

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LE VITAMINE
Le caratteristiche principali:

1. sono sostanze con una composizione chimica semplice

2. sono essenziali per il metabolismo cellulare, in particolare alcune vitamine regolano il


metabolismo in quanto legate a enzimi (funzione coenzimatica)

3. non entrano a far parte di strutture cellulari

4. non apportano energia metabolica

5. hanno specificità d’azione e agiscono in dosi minime

6. Sono classificate in base alla loro attività biologica e chimica e non in base alla loro
struttura

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LE VITAMINE

Di ogni vitamina si conosce il fabbisogno giornaliero per una persona adulta, stabilito in
base alle manifestazioni provocate da una loro assenza completa nella dieta (avitaminosi),
un ridotto apporto (ipovitaminosi) o anche una introduzione eccessiva (ipervitaminosi).

Ipervitaminosi → si possono avere effetti indesiderati a livello organico, causati da fenomeni


di accumulo nei tessuti e difficoltà di eliminazione attraverso il filtro renale

Ipovitaminosi → la carenza di vitamine comporta alterazioni metaboliche che si


manifestano con vere e proprie lesioni o disturbi a carico di organi specifici

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LE VITAMINE
FUNZIONI
Le vitamine sono indispensabili per la vita umana:

1. Guidano le reazioni chimiche delle cellule e dei tessuti, in quanto contribuiscono alla
regolazione dell'attività enzimatica
2. Assicurano le funzioni vitali nei tessuti, svolgono e ottimizzano l'azione protettiva
antiossidante nei confronti dei radicali liberi
3. Garantiscono la normale espressione del patrimonio genetico attraverso meccanismi di
facilitazione e di inibizione
4. Partecipano all'eliminazione delle scorie e delle sostanze tossiche da parte
dell'organismo
5. Aumentano i meccanismi difensivi del sistema immunitario, soprattutto nei confronti
degli agenti infettivi
6. Partecipano alla trasformazione di carboidrati, grassi e proteine
7. Insieme agli acidi grassi essenziali contribuiscono alla produzione dei neuromediatori

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LE VITAMINE
LA SOLUBILITÀ
VITAMINE IDROSOLUBILI

Come le vitamine del gruppo B (B1, B2, B6, B12), la vitamina C, la vitamina H (la biotina), la
vitamina PP (nicotinamide).

Non possono essere accumulate nel nostro corpo, per cui vanno assunte con regolarità
attraverso gli alimenti. Si trovano in alimenti quali la carne, il latte e suoi derivati e gli
insaccati. Svolgono prevalentemente una funzione di catalizzatori nel metabolismo di
carboidrati, proteine, lipidi e acidi nucleici.

Vengono escrete nelle urine e tendono a essere eliminate dall’organismo più rapidamente
rispetto alle vitamine liposolubili. Le vitamine idrosolubili hanno una probabilità maggiore di
essere distrutte con la conservazione e la cottura degli alimenti.

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LE VITAMINE
LA SOLUBILITÀ
VITAMINE LIPOSOLUBILI

Come le vitamine A, D, E, K.

Possono essere accumulate e non è dunque necessario assumerle con regolarità: il corpo
le conserva fino al momento in cui divengono necessarie, quando le rilascia a piccole dosi.
Vengono immagazzinate nel fegato e nel tessuto adiposo.

Si trovano soprattutto nella frutta e nella verdura.

Prendono parte a specifiche reazioni a livello di strutture specializzate.

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FONDAMENTI DI
BIOLOGIA - CHIMICA - CITOLOGIA
LEZIONE 15: LE VITAMINE E I SALI MINERALI

PARTE 2
LE VITAMINE
VITAMINA A
La vitamina A, o retinolo, ha un’importanza fondamentale per la nostra vista poiché
insieme ai suoi precursori, i carotenoidi, fa parte dei componenti della rodopsina, la
sostanza presente sulla retina che dà all’occhio la sensibilità alla luce.

È inoltre utile per lo sviluppo delle ossa e per il loro rafforzamento nel tempo, per la crescita
dei denti e si distingue per la sua capacità di fornire una risposta immunitaria al nostro
organismo. Recenti scoperte scientifiche hanno dimostrato che la vitamina A ha anche
capacità antitumorali.

Alimenti in cui è contenuta → fegato, latte e derivati, uova; frutta e verdura di colore rosso,
giallo e arancione (albicocche, carote, anguria, frutti di bosco, pomodori)

Sintomi da carenza → difetti alla vista, difficoltà nel processo di crescita e sviluppo,
sensibilità alle infezioni

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LE VITAMINE
VITAMINA B1
La vitamina B1 contribuisce allo svolgimento dell’importante processo di conversione del
glucosio in energia e in generale partecipa al metabolismo energetico delle cellule
dell’organismo.

Al pari della vitamina B2, la vitamina B1, o Tiamina, ha il ruolo di sintetizzare i processi
energetici dell’organismo, rilasciando a quest’ultimo l’energia necessaria a svolgere le
attività quotidiane.

Alimenti in cui è contenuta → carne di maiale, cereali integrali, legumi, patate, lievito

Sintomi da carenza → perdita di appetito, disturbi della memoria, disorientamento, atrofia


muscolare, insufficienza cardiaca, deperimento e perdita di appetito, nausea e vomito

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LE VITAMINE
VITAMINA B2
Come la vitamina B1, la vitamina B2 ha un ruolo fondamentale nella sintesi di tutti i processi
energetici biochimici riguardanti il metabolismo cellulare. La sua peculiarità, è quella di
rilasciare al corpo l’energia giusta per lo svolgimento delle regolari attività quotidiane.

È chiamata anche lattoflavina o riboflavina. È precorritrice del FAD, gruppo di coenzimi


flavinici che partecipano alla catena respiratoria.

Alimenti in cui è contenuta → latte e derivati (in particolare formaggio), uova, lievito di
birra, fegato, vegetali con le foglie verdi, asparagi, pesce

Sintomi da carenza → ragadi, infiammazione della mucosa orale e della cornea, arresto
della crescita, rallentamento dei processi di assimilazione degli alimenti (in particolare quelli
lipidici), problemi oculari

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LE VITAMINE
VITAMINA B3
La vitamina B3, o niacina, è fondamentale per la respirazione delle cellule, favorisce la
circolazione sanguigna, funge da protettivo per la pelle, ed è utilissima nel processo di
digestione degli alimenti.

La vitamina B3 ha un ruolo fondamentale in relazione al funzionamento del sistema


nervoso. È chiamata anche vitamina PP (pellagra preventive factor) per il suo ruolo anti-
pellagra, malattia in passato molto diffusa.

Alimenti in cui è contenuta → carni bianche, spinaci, arachidi, fegato di manzo, cereali,
latte, lievito di birra, alcuni pesci come salmone, pesce spada, tonno

Sintomi da carenza → mal di testa, nausea, irritabilità, perdita del tono muscolare, cattiva
digestione, pellagra, dermatite, diarrea e disturbi neurologici

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LE VITAMINE
VITAMINA B5
La vitamina B5, o acido pantotenico, svolge un ruolo fondamentale nel metabolismo di
grassi, proteine e carboidrati ed è coinvolta nella sintesi di colesterolo e ormoni.

È indicata per la protezione dei capelli e della pelle, per prevenire stati di stanchezza e per
la cicatrizzazione di ferite e ustioni.

La vitamina B5 è sensibile alle temperature: quando queste si alzano tende a scomparire.

Alimenti in cui è contenuta → legumi, frattaglie, tuorlo d’uovo, funghi essiccati, lievito di
birra, fegato di suini, bovini e ovini, pesce, cereali

Sintomi da carenza → stanchezza, mal di stomaco, torpore, formicolii, bruciore ai piedi; si


verifica difficilmente, la si registra solo in persone gravemente denutrite o che abusano di
alcol o fanno uso di sostanze stupefacenti, inibendo l’assorbimento di questa vitamina

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LE VITAMINE
VITAMINA B6
La vitamina B6 è coinvolta nel metabolismo degli aminoacidi, degli acidi grassi e degli
zuccheri e contribuisce alla formazione degli ormoni e dei globuli bianchi e rossi.

Ha il ruolo fondamentale di costituire una barriera immunitaria in difesa dalle malattie e di


stimolare le funzioni cerebrali e prevenire l’invecchiamento.

Alimenti in cui è contenuta → carni bianche, spinaci, pesce, patate, legumi, frutta (esclusi
gli agrumi), cereali, fagioli, avocado

Sintomi da carenza → infiammazioni nel cavo orale; alterazioni della pelle, anemia,
intorpidimento degli arti; apatia e debolezza diffusa; insonnia. Può facilitare la formazione
dei calcoli renali

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LE VITAMINE
VITAMINA B8
La vitamina B8, o biotina, partecipa al metabolismo proteico e alle azioni di sintesi degli
acidi grassi e del glucosio.

È indicata per il trattamento di dermatiti seborroiche, soprattutto dei bambini appena nati,
di alopecia e di acne grazie alla sua capacità di preservare l’integrità della pelle e dei
capelli.

Alimenti in cui è contenuta → latte, formaggio, fegato, tuorlo d’uovo, arachidi, verdure,
funghi, lievito di birra

Sintomi da carenza → prodotta in abbondanza dalla flora intestinale, quindi è difficile


riscontrare carenza. Affaticamento generale, nausea, alterazioni cutanee

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LE VITAMINE
VITAMINA B9
La vitamina B9, o acido folico, è fondamentale per le donne in gravidanza poiché tende a
proteggere e favorire lo sviluppo dell’embrione.

È anche fondamentale per la sintesi delle proteine e del DNA nonché per la formazione
dell’emoglobina. La sua giusta presenza nell’organismo contribuisce anche a prevenire
molti rischi alla nostra salute di natura cardiovascolare.

Alimenti in cui è contenuta → verdure a foglia verde, fegato, latte, alcuni cereali e alcuni
frutti, prodotti integrali, asparagi

Sintomi da carenza → produzione ridotta di globuli rossi nel sangue e rischio di anemia;
difficoltà in gravidanza per il nascituro

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LE VITAMINE
VITAMINA B12
La vitamina B12, o cobalamina, è coinvolta nel metabolismo degli amminoacidi, degli acidi
nucleici e negli acidi grassi. Ricopre un ruolo fondamentale nella produzione dei globuli
rossi e nella formazione del midollo osseo.

Alimenti in cui è contenuta → carne, pesce, fegato, latte, uova (alimenti di origine animale
in generale)

Sintomi da carenza → possibile in particolare nelle diete vegetariane; disturbi del sistema
nervoso, anemia

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LE VITAMINE
VITAMINA C
La vitamina C, o acido ascorbico, partecipa a molte reazioni metaboliche e alla biosintesi
di aminoacidi, ormoni e collagene.

Grazie ai suoi forti poteri antiossidanti innalza le barriere del sistema immunitario e aiuta
l’organismo a prevenire il rischio di tumori, soprattutto allo stomaco, inibendo la sintesi di
sostanze cancerogene. Il suo apporto, inoltre, è fondamentale per la neutralizzazione dei
radicali liberi.

Fondamentale nella formazione del collagene.

Alimenti in cui è contenuta → frutta e verdura «fresche» consumate crude o poco cotte

Sintomi da carenza → rischio di insorgenza di scorbuto (apatia, anemia, inappetenza,


sanguinamento delle gengive, caduta di denti, dolori muscolari, emorragie sottocutanee)

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LE VITAMINE
VITAMINA D
La vitamina D è perlopiù sintetizzata dal nostro organismo, attraverso l’assorbimento dei
raggi del sole operato dalla pelle. Questa vitamina è un regolatore del metabolismo del
calcio e per questo è utile nell’azione di calcificazione delle ossa.

Contribuisce inoltre a mantenere nella norma i livelli di calcio e di fosforo nel sangue.

Alimenti in cui è contenuta → scarsamente presente negli alimenti

Sintomi da carenza → effetti negativi sulla calcificazione delle ossa (rachitismo), denti
deboli e vulnerabili alle carie, aumento di predisposizione alle infezioni

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LE VITAMINE
VITAMINA E
La vitamina E, o tocoferolo, è la più diffusa e comune tra le vitamine e ha proprietà
antiossidanti, combatte i radicali liberi e favorisce il rinnovo cellulare. Le sue caratteristiche
la rendono un importante strumento di prevenzione al cancro – tra l’altro protegge
l’organismo dai danni dell’inquinamento e del fumo di sigaretta – oltre che di assimilazione
delle proteine.

Alimenti in cui è contenuta → frutti oleosi (olive, arachidi, mais), semi di grano, cereali, noci,
verdure a foglia verde, avocado, oli vegetali

Sintomi da carenza → nascono soprattutto da malnutrizione; difetti di crescita e di sviluppo;


problemi al metabolismo, disturbi della concentrazione

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LE VITAMINE
VITAMINA F
La vitamina F, o Omega 3, è composta da una miscela di due acidi grassi essenziali (AGE),
l’acido linoleico e l’acido alfa-linoleico, ai quali si aggiunge l’acido arachidonico.

Previene l’aterosclerosi ostacolando il deposito di trigliceridi e colesterolo all’interno delle


arterie. Favorisce inoltre la riduzione del peso corporeo e l’integrità di capelli e pelle.

È sensibile al calore e alla luce, gli alimenti che la contengono vanno dunque protetti dal
sole e consumati preferibilmente freschi o comunque dopo breve cottura.

Alimenti in cui è contenuta → oli vegetali, alcuna frutta oleosa (mandorle e noci), alcuni
pesci

Sintomi da carenza → pelle secca e disquamazione

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LE VITAMINE
VITAMINA K
La vitamina K, o naftochinone, ha un ruolo fondamentale nel processo di coagulazione del
sangue e assicura la funzionalità delle proteine che formano e mantengono in forma le
ossa.

Questa vitamina viene prodotta dalla flora intestinale che si trova nel nostro intestino, nei
neonati è importante la prescrizione da parte del medico di integratori di questa vitamina
in quanto essi non presentano ancora una flora batterica ben sviluppata.

Alimenti in cui è contenuta → alimenti di origine vegetale in prevalenza e produzione


dall’intestino

Sintomi da carenza → emorragie, fratture ossee, osteoporosi, artrosi

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VITAMINE E COENZIMI
Gli animali e in generale i mammiferi, uomo compreso,
hanno perso la capacità di sintetizzare
autonomamente i propri coenzimi (sostanze non
proteiche che partecipano attivamente alla reazione
enzimatica) a partire da precursori semplici.

Per questo motivo, devono assumere dall’esterno


(alimentazione) i coenzimi e i loro precursori immediati
più semplici.

Non tutte le vitamine hanno una funzione


coenzimatica: le vitamine idrosolubili sono precursori
metabolici di diversi coenzimi facenti parte della loro
struttura chimica.

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VITAMINE E COENZIMI

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FONDAMENTI DI
BIOLOGIA - CHIMICA - CITOLOGIA
LEZIONE 16: LE VITAMINE E I SALI MINERALI

PARTE 3
I SALI MINERALI
I sali minerali sono composti inorganici che
ricoprono un ruolo fondamentale nel funzionamento
di tutti gli organismi viventi.

Sebbene i sali minerali costituiscano una parte


relativamente piccola dell'organismo umano (circa
il 6-7% del peso corporeo), rientrano nella
costituzione di molti tessuti e rappresentano fattori
essenziali per le funzioni biologiche e per
l'accrescimento.

Bilanciare la loro assunzione è molto importante, in


quanto sia carenze che eccessi possono avere
conseguenze negative per la salute.

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I SALI MINERALI
I sali minerali sono presenti nell'organismo umano
sia legati alle molecole organiche, sia in forma
inorganica in due differenti stati:
• allo stato solido: come cristalli (nelle ossa e nei
denti)
• in soluzione: sia in forma ionizzata che non-
ionizzata (nel sangue e nei liquidi biologici)

I sali minerali possono passare da uno stato


all'altro come accade ad esempio per il calcio,
che in caso di ipocalcemia, viene spostato dalle
ossa (dove si trova in forma cristallina) al plasma
(in forma ionica).

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I SALI MINERALI
FUNZIONI
A differenza di carboidrati, proteine e grassi i
sali minerali non forniscono energia
all'organismo, ma sono importanti per
mantenerlo in salute. La loro presenza è infatti
fondamentale per funzioni fondamentali per
la vita.

All'interno dell'organismo, i sali minerali


possono avere un ruolo "strutturale", ossia
diventare parte integrante di organi e tessuti,
oppure "funzionale", quando contribuiscono a
rendere possibili reazioni enzimatiche e
processi metabolici di vario tipo, oppure
entrambi.

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I SALI MINERALI
CLASSIFICAZIONE
In base al fabbisogno giornaliero nell'alimentazione umana, ovvero la quantità che
l'organismo necessita per mantenere la piena funzionalità metabolica, i sali minerali
vengono classificati in tre gruppi principali:
➢ Macroelementi → sali minerali presenti in quantità abbastanza elevata, il cui fabbisogno
supera i 200mg al giorno (calcio, fosforo, magnesio, zolfo, sodio, potassio, cloro)
➢ Oligoelementi → sali minerali presenti in piccole quantità, il cui fabbisogno è limitato e
non supera i 200mg al giorno
▪ essenziali: indispensabili per l'organismo, fanno parte di molecole organiche preposte a ruoli vitali; una
carenza compromette funzioni fisiologiche importanti (ferro, rame, zinco, iodio, selenio, cromo, cobalto,
fluoro)
▪ probabilmente essenziali (silicio, manganese, nichel, vanadio)
▪ potenzialmente tossici: funzioni importanti a bassissime concentrazioni (arsenico, piombo, cadmio, mercurio,
alluminio, litio, stronzio)
➢ Microelementi → sali minerali presenti in piccole quantità, il cui fabbisogno è limitato e
non supera i 100mg al giorno

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I SALI MINERALI
CALCIO
Il Calcio è il minerale più comune dell’organismo umano ed è il più
importante elemento strutturale di ossa e denti. Sue carenze
possono aggravare l'osteoporosi.

Interviene nel metabolismo energetico, è indispensabile per la


coagulazione del sangue e contribuisce alla normale funzione
muscolare.

Fonti alimentari di calcio sono latte e latticini, ma anche broccoli e


cavoli; inoltre anche il pesce, la frutta secca, i legumi e l'acqua
possono apportarne buone dosi.

Assumerlo in quantità adeguate è particolarmente importante


durante la crescita, quando l'organismo lo accumula nelle ossa.

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I SALI MINERALI
FOSFORO

Il Fosforo è un altro dei nutrienti essenziali per la


salute delle ossa e dei denti.

È un componente delle membrane delle cellule,


degli acidi nucleici (DNA) e dell’ATP e contribuisce
al normale metabolismo energetico.

Gli alimenti che ne sono più ricchi sono in genere


anche buone fonti di proteine. Il loro elenco
include legumi, uova, carne, latte, ma anche
cereali e verdure.

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I SALI MINERALI
SODIO
Il Sodio è coinvolto nell'equilibrio idrosalino e nella
trasmissione dell'impulso nervoso. Regola gli scambi tra
cellule e liquidi corporei. È utile per il bilancio dell'acqua
nell'organismo

È presente in molti alimenti e nel sale da tavola.

È difficile verificarne carenze. Proprio per evitare eccessi


di sodio consigliano di non esagerare con l'aggiunta di
sale agli alimenti. Gli eccessi, invece, sono più frequenti.

Fra le loro possibili conseguenze sono incluse la


ritenzione di liquidi e l'aumento della pressione del
sangue.

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I SALI MINERALI
POTASSIO
Il Potassio è un minerale importante per il
funzionamento dei muscoli, in particolare del cuore,
contribuisce al normale funzionamento del sistema
nervoso e ha un ruolo nella regolazione della
pressione arteriosa. Regola gli scambi tra le cellule e i
liquidi corporei.

Per evitare sintomi del deficit di potassio devono


esserne assunte quantità adeguate per via
alimentare.

Fra i cibi che ne sono ricchi sono incluse diverse


varietà di frutta e verdura; inoltre anche i legumi e la
frutta secca sono una buona fonte di questo minerale.

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I SALI MINERALI
MAGNESIO
Il Magnesio gioca un ruolo strutturale nell’osso, influenza la conduzione degli impulsi nervosi
e la contrazione muscolare. Essenziale per il funzionamento di moltissimi enzimi, è coinvolto
nei processi energetici (in particolare nella produzione di ATP) intervenendo nel
metabolismo di grassi e carboidrati.

Il ruolo giocato da questo nutriente nel ridurre la sensazione


di stanchezza e affaticamento che possono minacciare il
benessere quotidiano e nel mantenimento dell’equilibrio
elettrolitico fanno sì che sia considerato fondamentale in
caso di abbondante sudorazione.

Esempi di alimenti che contengono magnesio sono ortaggi


a foglia verde, legumi, frutta secca e cereali integrali.
Anche carne, pesce e latte ne contengono, ma in
quantità più limitate.

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I SALI MINERALI
CLORO

Il Cloro è importante per mantenere l'equilibrio


elettrolitico dell'organismo.

È una delle sostanze inorganiche sciolte nel sudore.

È fondamentale per la produzione dei succhi


gastrici.

Fra le sue principali fonti è incluso il comune sale da


cucina (cloruro di sodio)

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I SALI MINERALI
IODIO
Lo Iodio è richiesto dal nostro organismo per la sintesi degli
ormoni tiroidei ed è essenziale per il normale funzionamento
della tiroide.

Contribuisce alla funzione cognitiva, al metabolismo energetico


e al funzionamento del sistema nervoso.

Carenze di iodio possono portare all'ingrossamento della tiroide


(il cosiddetto «gozzo»).

Il contenuto di iodio nei cibi è però variabile e dipende dal


contenuto di iodio nel suolo da cui i cibi provengono. È
naturalmente presente in alcuni alimenti, soprattutto nel pesce e
nei molluschi. Inoltre può essere assunto sotto forma di sale
iodato.

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I SALI MINERALI
SELENIO
Il Selenio ha proprietà antiossidanti e
contribuisce alla normale funzione del
sistema immunitario.

Insieme allo zinco, il selenio aiuta il


mantenimento di capelli e unghie normali.

Le fonti alimentari più ricche di selenio sono


le carni e il pesce. È presente anche nelle
frattaglie, e nella frutta secca. Il contenuto
di selenio nei vegetali è variabile e dipende
dal contenuto di selenio nel suolo da cui i
cibi provengono.

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I SALI MINERALI
ZINCO
Lo Zinco è necessario per il funzionamento di
molti enzimi. Gioca un ruolo chiave nel
metabolismo dei macronutrienti, nella risposta
immunitaria, nel funzionamento neurologico e
nella riproduzione.

È importante per il mantenimento di capacità


visive normali e, insieme al Selenio, aiuta il
mantenimento di capelli e unghie normali.

È possibile assumere Zinco tramite alimenti


come carne, pesce, uova, latte e derivati,
crusca di grano, legumi e frutta secca.

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I SALI MINERALI
FERRO
Il Ferro partecipa all'attività di numerosi enzimi: contribuisce alla normale formazione dei
globuli rossi e dell'emoglobina, alla produzione di collagene e di neurotrasmettitori e al
normale funzionamento del sistema immunitario.

È coinvolto nel metabolismo energetico e contribuisce alla riduzione di stanchezza e


affaticamento.

Sue carenze possono essere associate all'anemia.


Soffrirne può causare stanchezza, difficoltà di
concentrazione e problemi al sistema immunitario.

Alimenti ricchi di ferro sono carne, fegato e frattaglie, e


pesce, mentre alimenti vegetali pur avendo una
buona quantità di ferro, contengono solo ferro non eme,
di più difficile assorbimento.

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I SALI MINERALI
MANGANESE
Il Manganese è un minerale con proprietà antiossidanti, interviene nel metabolismo
energetico e contribuisce alla normale formazione di tessuti connettivi.

Ricche fonti di questo minerale sono principalmente di origine vegetale: germe di grano,
crusca e frutta secca.

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I SALI MINERALI
FLUORO

Il Fluoro è importante per la salute


delle ossa e dei denti.

Può essere assunto con l’acqua.

Negli alimenti invece il fluoro è presente


in basse quantità.

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I SALI MINERALI
CARENZE
Nausea, vomito, aritmie, debolezza muscolare, stanchezza fisica e mentale, difficoltà di
concentrazione, sonnolenza e nervosismo sono i sintomi più comuni di deficit lievi-moderati
di sali minerali.

Stati di vera e propria carenza, possono determinare conseguenze più gravi:

• il rachitismo
• l'osteoporosi e la demineralizzazione delle ossa (nel caso di calcio e fosforo)
• crampi muscolari e alterazioni della contrazione del cuore e della funzionalità del
sistema nervoso (nel caso di potassio, magnesio, sodio e calcio)
• gozzo significativo, patologie tiroidee e cretinismo (nel caso dello iodio)
• anemie severe (nel caso del ferro)
• disturbi della coagulazione (nel caso del calcio e del cobalto)

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I SALI MINERALI
INTEGRAZIONE
In generale, per una persona sana di qualunque età seguire una
dieta varia e adeguata per qualità e quantità dei nutrienti assunti
è sufficiente per soddisfare il fabbisogno di sali minerali, salvo nel
caso di iodio, selenio e zinco, tre elementi poco presenti nei cibi di
largo consumo, per i quali sono stati sviluppati specifici alimenti
fortificati.

Una colazione a base di carboidrati (pane, miele ecc.), frutta


fresca (se possibile con la buccia) o una spremuta di arance, latte
o yogurt con muesli o semi, un pranzo leggero a base di pasta o
riso con verdure a foglia verde o rosso-viola, ancora frutta secca o
fresca oppure semi per gli spuntini, carne e pesce e verdure a
cena e tanta acqua durante tutta la giornata è lo schema ideale
per approvvigionarsi di tutti i micronutrienti necessari.

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FONDAMENTI DI
BIOLOGIA - CHIMICA - CITOLOGIA
LEZIONE 17: IMMUNOLOGIA

PARTE 1
SOMMARIO DELLA LEZIONE

I. IMMUNOLOGIA

1. Introduzione
2. Sistema immunitario
3. Immunità innata e immunità adattativa
4. Elementi intervengono nel sistema immunitario
5. Struttura e funzione di un linfonodo
6. Vaccinazioni

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IMMUNOLOGIA
COS’È E DI COSA SI OCCUPA

L'immunologia è la disciplina scientifica che studia il sistema immunitario, un insieme di


cellule e molecole circolanti nel sangue, nella linfa e negli organi linfoidi.

Funzioni principali:

➢ controllo dell'integrità dei tessuti

➢ protezione dell'organismo dall'attacco degli agenti infettivi

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IMMUNOLOGIA
COS’È E DI COSA SI OCCUPA

«Individui sopravvissuti ad una precedente epidemia erano


protetti dal rischio di contrarre la malattia»
(Tucidide)

Il primo esempio di descrizione del fenomeno è stato dato da Tucidide durante


un'epidemia di peste nell'antica Atene nel 430 a.C., dove annotò come persone già
contagiate (e sopravvissute) una volta, non si ammalassero più nonostante fossero a
stretto contatto con altri appestati.

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IL SISTEMA IMMUNITARIO

Dal latino «immunis», che significa «esonerato».

Il sistema immunitario è una complessa rete integrata di mediatori chimici e cellulari, di


strutture e processi biologici, sviluppatasi nel corso dell'evoluzione, per difendere
l'organismo da qualsiasi forma di pericolo chimico, traumatico o infettivo per la sua
integrità.

È l’insieme di organi (milza, midollo osseo, linfonodi, timo, tonsille ecc.), cellule e molecole
circolanti, distribuiti in tutto il corpo e in comunicazione tra loro, in grado di intervenire in
difesa di un organismo in presenza di infezioni prodotte da virus, batteri, parassiti e
molecole da loro prodotte: gli antigeni.

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IL SISTEMA IMMUNITARIO
ORGANIZZAZIONE
Per funzionare correttamente, un sistema immunitario deve essere in grado di rilevare
un'ampia varietà di agenti, noti come agenti patogeni, dai virus agli elminti e distinguerli
dal proprio tessuto sano dell'organismo.
Nell’immunologia questa distinzione avviene tra le molecole self e non self.
➢ Le molecole self sono quelle che compongono l’organismo, quindi ritenute non
estranee e non dannose: in definitiva molecole da NON attaccare.
➢ Le molecole non-self, sono invece quelle riconosciute come molecole estranee,
potenzialmente dannose e quindi da attaccare. Una classe di molecole non-self sono
gli antigeni e sono definite come sostanze che si legano a specifici recettori immunitari
suscitando una risposta immunitaria.

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IL SISTEMA IMMUNITARIO
ORGANIZZAZIONE

Antigene: sostanza, di solito proteine e polisaccaridi


(ma anche acidi nucleici e lipidi, se legati a
proteine e polisaccaridi), capace di interagire con
la componente adattativa del sistema immunitario
inducendo una risposta (cellulo-mediata o
anticorpo-mediata).

Epitopo: o determinante antigenico, è la porzione


di antigene che viene riconosciuta specificamente
dal singolo anticorpo o dal singolo recettore sulle
cellule T.

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IL SISTEMA IMMUNITARIO
DIFESA A LIVELLI

Il sistema immunitario protegge gli organismi dalle infezioni grazie ad una difesa di più
livelli di crescente specificità.

Le barriere fisiche impediscono agli agenti patogeni, come batteri e virus, di entrare
nell'organismo.

Se un patogeno supera queste barriere, il sistema immunitario innato fornisce una risposta
immediata, ma non specifica. Il sistema immunitario innato si trova in tutte le piante e gli
animali.

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IL SISTEMA IMMUNITARIO
DIFESA A LIVELLI
Se patogeni eludono con successo anche la risposta innata, i vertebrati possiedono un
secondo livello di protezione, il sistema immunitario adattativo (immunità acquisita), che
viene attivato dalla risposta innata.

Qui, il sistema immunitario adatta la sua risposta durante l'infezione migliorando il


riconoscimento del patogeno.

Questa migliore risposta viene poi mantenuta dopo che il patogeno è stato eliminato, in
forma di una memoria immunologica, permettendo così al sistema immunitario
adattativo di rispondere più velocemente e più efficacemente ogni volta che incontrerà
nuovamente questo patogeno.

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IL SISTEMA IMMUNITARIO
DIFESA A LIVELLI

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IL SISTEMA IMMUNITARIO
INNATO

L'immunità innata, o naturale, è costituita da diversi componenti che si oppongono alla


penetrazione di agenti patogeni (soprattutto microbici):

• è la prima risposta

• non dipende da una precedente esposizione

• è mediata da molecole e cellule preesistenti nell’organismo sin dalla nascita

• non ha «memoria»

• non è efficace contro molti patogeni intracellulari (protozoi, virus)

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IL SISTEMA IMMUNITARIO
INNATO

L'immunità innata è costituita da:

• barriere fisico-chimiche (pelle, apparato


gastrointestinale, mucosa vaginale, mucosa
bronchiale, mucosa nasale, saliva, lacrime)

• molecole presenti nell'organismo (lisozima,


complemento, antiproteasi)

• cellule fagocitiche e citotossiche (neutrofili,


macrofagi, e natural-killer cells)

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IMMUNITÀ INNATA
CELLULE
Polimorfonucleati (PMN) o granulociti
Sono cellule fagocitiche (short-lived) che contengono granuli (lisosomi) in cui vengono
prodotti enzimi idrolitici, radicali perossidi e superossidi (tossici per qualsiasi microrganismo)
e anche proteine battericide come la lattoferrina.
Esse sono Neutrofili, Basofili e Eosinofili.

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IMMUNITÀ INNATA
CELLULE
Granulociti Neutrofili

Sono i globuli bianchi più numerosi nel


sangue: hanno la capacità di inglobare
e digerire (fagocitare) i micorganismi
estranei, mediante enzimi da loro stessi
prodotti e secreti.
Il compito principale dei neutrofili è la
difesa dell'organismo dalle infezioni,
specie se causate da batteri.
Una volta migrati nel tessuto infiammato
e svolta la loro azione, questi granulociti
muoiono e - insieme ai detriti cellulari e al
materiale degradato- vanno a costituire
il pus.

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IMMUNITÀ INNATA
CELLULE
Granulociti Eosinofili

Partecipano alle reazioni infiammatorie


e sono principalmente coinvolti nella
difesa dell'organismo dalle infestazioni
parassitarie.

Gli eosinofili aumentano anche nelle


malattie allergiche (asma bronchiale,
rinite allergica, orticaria ecc.) e possono
essere responsabili di alcuni sintomi
caratteristici di queste malattie.

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IMMUNITÀ INNATA
CELLULE
Granulociti Basofili

Sono i globuli bianchi meno numerosi nel


sangue.

Svolgono un ruolo di primo piano nelle


reazioni allergiche e -similmente ai
mastociti- secernono istamina ed eparina.
Se liberata in eccesso nel sangue e nei
tessuti, l'istamina provoca i sintomi
fastidiosi associati alle reazioni allergiche
(come il prurito o la comparsa di pomfi
cutanei), per combattere i quali si usano
farmaci chiamati antistaminici.

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IMMUNITÀ INNATA
CELLULE
Monociti/Macrofagi
Sono fagocitici circolanti e hanno pochi granuli,
contengono molti lisosomi e la loro attivazione
comporta un incremento della fagocitosi con
ingestione dei batteri. Svolgono un ruolo importante
nella processazione e presentazione dell’antigene.

Linfociti Natural Killer (NK)


Grossi linfociti granulari particolarmente importanti nel
riconoscimento e distruzione di cellule tumorali e
infette da virus. Le NK non necessitano di attivazione,
avendo un sistema di riconoscimento del target del
tutto diverso e indipendente dal "riconoscimento
dell'antigene" caratteristico degli altri linfociti (T e B).

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FONDAMENTI DI
BIOLOGIA - CHIMICA - CITOLOGIA
LEZIONE 18: IMMUNOLOGIA

PARTE 2
IMMUNITÀ ADATTATIVA
L'immunità acquisita, o adattativa, è una risposta immunitaria caratterizzata dal suo
adattamento a ciascuna infezione.

Si divide a sua volta in immunità umorale e in immunità cellulo-mediata.


Le cellule che agiscono in questo tipo di risposta immunitaria sono dette linfociti.

Caratteristiche:

• È più specifica dell'innata


• È indotta dal patogeno o dalla sostanza estranea
• Aumenta la protezione mediata dall’immunità innata
• È comparsa relativamente tardi, in termini evolutivi
• È presente solo nei vertebrati
• Ha «memoria» (la seconda risposta è più rapida e più efficace)

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IMMUNITÀ ADATTATIVA
L'immunità adattativa, è coinvolta in
• rigetto dei trapianti
• immunità cellulo-mediata specialmente
contro patogeni intracellulari
• immunità umorale specialmente contro
antigeni circolanti
• immunosorveglianza dei tumori

Essa è costituita da:

• I linfociti B
• I linfociti T
• I linfociti NK

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IMMUNITÀ ADATTATIVA
CELLULE
I linfociti B (o B-Cell) originano dal midollo osseo e lì maturano. Sono responsabili
dell'immunità umorale. Una volta differenziati in plasmacellule producono gli anticorpi
e sono le uniche cellule del corpo a farlo. Sono definiti "linfociti B" dall'inglese "bone
marrow" ovvero midollo osseo, sede della loro maturazione.

I linfociti T (o T-Cell) originano nel midollo osseo ma maturano nel timo (da qui la
denominazione "linfociti T") e sono responsabili dell'immunità cellulo-mediata.

I linfociti NK (o Natural Killer T-Cell), ovvero natural-killer, sono una terza popolazione di
linfociti meno numerosa delle altre due e coinvolta solo in parte nell'immunità
adattativa in quanto i recettori di questa classe presentano una scarsa diversificazione.

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IMMUNITÀ ADATTATIVA
UMORALE

L’immunità adattativa umorale costituisce parte della


risposta immunitaria adattativa ed è mediata dalla
secrezione di anticorpi prodotti nelle cellule dei Linfociti B.
Si riferisce alla produzione di anticorpi, ed a tutti i processi
che la accompagnano.
Gli anticorpi prodotti si legano alla superficie di antigeni
come virus, batteri e sostanze non-proprie dell'organismo.

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IMMUNITÀ ADATTATIVA
CELLULO-MEDIATA

L’immunità cellulo-mediata, è una risposta da parte del sistema immunitario che


prevede:

➢ l'attivazione dei macrofagi, delle cellule natural killer, dei linfociti T

➢ la produzione di anticorpi specifici a qualcosa di tossico per le cellule (citotossicità),


nonché il rilascio di varie citochine in risposta ad un antigene.

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IMMUNITÀ ADATTATIVA
CELLULO-MEDIATA
Essa protegge il corpo:
• Mediante l'attivazione di linfociti T citotossici
antigene-specifici, che sono in grado di
danneggiare le cellule riconosciute estranee
• Mediante l'attivazione di macrofagi e cellule NK,
attivazione che consente loro di distruggere agenti
patogeni intracellulari
• Stimolando le cellule a secernere tutta una serie di
citochine, che influenzano la funzionalità delle altre
cellule coinvolte nelle risposte immunitarie specifiche
e naturali

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IL SISTEMA IMMUNITARIO ADATTATIVO
IMMUNOGLOBULINE
La risposta del sistema immunitario adattativo umorale ad un antigene è la produzione di
anticorpi o immunoglobuline, che sono caratterizzate da glicoproteine.
Essi sono creati dai Linfociti B i quali, durante la loro maturazione, diventano capaci di
produrre un’ immunoglobulina con una singola specificità antigenica cioè in grado di
legarsi ad un singolo epitopo.
Gli anticorpi sono molecole con una struttura simile ad una Y
• Le due braccia della Y terminano con le regioni variabili V che sono responsabili del
riconoscimento antigene-anticorpo
• Lo stelo della Y è formato da una regione C molto meno variabile responsabile delle
funzioni effettrici degli anticorpi
• A seconda delle caratteristiche della loro regione costante gli anticorpi possono essere
suddivisi in cinque diverse classi : IgM, IgD, IgG, IgA ed IgE

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IL SISTEMA IMMUNITARIO ADATTATIVO
IMMUNOGLOBULINE

Le Immunoglobuline M (IgM) sono prodotte


alla prima risposta dell’organismo ad una
nuova infezione o ad un nuovo antigene
estraneo.
Forniscono una protezione a breve termine.
La concentrazione di IgM aumenta per
alcune settimane e poi diminuisce quando
inizia la produzione di IgG.

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IL SISTEMA IMMUNITARIO ADATTATIVO
IMMUNOGLOBULINE

Le Immunoglobuline G (IgG) rappresentano circa il 70-80% delle immunoglobuline del


sangue.
Gli anticorpi IgG sono prodotti durante la prima infezione o all’esposizione di antigeni
estranei, aumentano dopo qualche settimana dal contatto, per poi diminuire e
stabilizzarsi.
L’organismo mantiene la memoria delle diverse IgG, che possono quindi essere riprodotte
ad ogni esposizione allo stesso antigene. Le IgG sono responsabili della protezione a
lungo termine contro i microrganismi.
Le IgG sono le uniche immunoglobuline che possono passare attraverso la placenta. Le
IgG della madre forniscono protezione al feto durante la gravidanza e al neonato
durante il primo mese di vita.

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IL SISTEMA IMMUNITARIO ADATTATIVO
IMMUNOGLOBULINE

Le Immunoglobuline A (IgA) costituiscono circa il 15 % delle immunoglobuline totali nel


sangue, ma sono presenti anche nella saliva, nelle lacrime, nelle secrezioni gastriche e
respiratorie e nel latte materno.
Le IgA forniscono pertanto una protezione contro le infezioni delle mucose (tratto
respiratorio, alte e basse vie e tratto gastrointestinale, stomaco e intestino).
Esse vengono trasmesse dalla madre al bambino tramite l’allattamento, fornendo così
una protezione al tratto gastrointestinale del bambino.
Le IgA vengono prodotte in quantità significativa solo a partire dal sesto mese di vita del
bambino; perciò ogni IgA presente prima dei sei mesi nel sangue del neonato, deriva dal
latte materno.

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IL SISTEMA IMMUNITARIO ADATTATIVO
IMMUNOGLOBULINE

Le Immunoglobuline D (IgD) non hanno ancora un ruolo ben definito e non vengono
misurate in routine.

Le Immunoglobuline E (IgE) sono associate alle allergie, alle malattie allergiche e alle
infezioni parassitarie.
Sono spesso misurate come parte del pannello d’esami per le allergie, e di solito non
fanno parte del test delle immunoglobuline quantitative.

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IL SISTEMA IMMUNITARIO ADATTATIVO
I LINFONODI

Il linfonodo è un organo linfoide


periferico. Le dimensioni sono molto
variabili, da pochi millimetri a più di 1 cm
e presenta una struttura stratificata.
I linfonodi hanno la funzione di filtrare la
linfa che a essi arriva attraverso i vasi
linfatici afferenti.

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IL SISTEMA IMMUNITARIO ADATTATIVO
I LINFONODI

Come organi linfoidi periferici hanno il ruolo di permettere lo sviluppo di una risposta
immunitaria sia umorale sia cellulo-mediata grazie alla loro organizzazione che favorisce
le interazioni fra linfociti T, linfociti B e altre cellule implicate nel processo.
Durante la risposta immunitaria infatti gli antigeni sono raccolti proprio nei linfonodi.
Nei linfonodi si genera anche la memoria immunologica, che permette all’organismo di
«ricordare» un precedente contatto con un antigene e di reagire ad un secondo
contatto con esso, più prontamente e con maggiore intensità.

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VACCINAZIONI
CENNI STORICI
La memoria immunologica può essere sviluppata anche grazie ad un processo chiamato
vaccinazione.
Il vaccino del vaiolo, il primo vaccino efficace mai sviluppato, è stato introdotto da
Edward Jenner nel 1798. Jenner aveva notato che le mungitrici che si erano infettate con
il vaiolo bovino, in seguito non sviluppavano più il vaiolo.
Il termine vaccino deriva dalla parola variolae vaccinae (cioè vaiolo della mucca), il
termine ideato da Jenner per indicare vaiolo bovino.
Inizialmente, il termine vaccino/vaccinazione fu riservato al solo vaiolo, ma nel 1881 Louis
Pasteur propose di onorare la scoperta di Jenner utilizzando il termine anche per le nuove
e future vaccinazioni.

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VACCINAZIONI
COME FUNZIONANO

I vaccini per come li conosciamo oggi sono


preparati biologici costituiti da microrganismi uccisi
o attenuati, oppure da alcuni loro antigeni, o da
sostanze prodotte dai microorganismi e rese sicure.
Una volta somministrati, i vaccini simulano il primo
contatto con l’agente infettivo evocando una
risposta immunologica (immunità umorale e
cellulare) simile a quella causata dall’infezione
naturale, senza però causare la malattia e le sue
complicanze.

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VACCINAZIONI
COME FUNZIONANO
Al di là della patologia da cui proteggono, la distinzione tra vaccini è legata al modo
con cui sono ottenuti e prodotti i componenti in grado di scatenare la risposta
immunitaria.
Esistono vaccini costituiti da:
• organismi attenuati, come i vaccini per la poliomielite, febbre gialla, morbillo, parotite,
rosolia, varicella, rotavirus e vaiolo
• inattivati o uccisi, come i vaccini per la rabbia, l'antipoliomielite di Salk, antinfluenzali,
pertosse, colera, epatite A, febbre tifoide e peste
• antigeni purificati come i vaccini (costituiti da anatossine) contro il tetano o la difterite
• antigeni ricombinanti come il vaccino contro l'epatite B
• virus vivi o vaccini a DNA

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VACCINAZIONI
IMMUNITÀ DI GREGGE
Molti dei vaccini in uso oggi sono formati da virus
attenuati o da virus inattivati e inducono una
risposta del sistema immunitario adattativo.
Con l’avvento delle vaccinazioni venne introdotto
anche il principio di immunità di gregge.
L'immunità di gregge, detta anche immunità di
gruppo, in medicina è una forma di protezione
indiretta che si verifica quando la vaccinazione di
una parte significativa di una popolazione (o di un
allevamento) finisce con il fornire una tutela anche
agli individui che non hanno sviluppato
direttamente l'immunità.

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VACCINAZIONI
IMMUNITÀ DI GREGGE
Secondo il principio dell'immunità di gregge, nelle
malattie infettive che vengono trasmesse da
individuo a individuo, la catena dell'infezione può
essere interrotta quando un gran numero di
appartenenti alla popolazione sono immuni o
meno suscettibili alla malattia.
Quanto maggiore è la percentuale di individui che
sono resistenti, minore è la probabilità che un
individuo suscettibile entri in contatto con l'agente
patogeno (es. virus).
Se l'agente patogeno non trova soggetti recettivi
disponibili circola meno, riducendo così il rischio
complessivo nel gruppo.

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FONDAMENTI DI
BIOLOGIA - CHIMICA - CITOLOGIA
LEZIONE 19: INFIAMMAZIONE
SOMMARIO DELLA LEZIONE

I. INFIAMMAZIONE

1. Introduzione
2. Cause
3. Tipologie di infiammazione
4. Stimoli, segnali e modificazioni
5. Elementi cellulari che intervengono nei processi infiammatori

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INFIAMMAZIONE
COS’È
L'infiammazione o flogosi è un meccanismo di difesa innato, non specifico, in risposta ad
uno stimolo dannoso o stressante per il tessuto.

Questo meccanismo si attiva per contrastare un azione dannosa di tipo chimico (veleni,
acidi), fisico (traumi, radiazioni, alte o basse temperature), tossico o biologico (virus,
batteri).

Ha due componenti:

• innata non specifica (immunità innata), attivata in modo automatico dall’infezione o


da una lesione, caratterizzata da una serie di eventi molecolari e cellulari non specifici
verso un determinato patogeno
• specifica (immunità adattativa o acquisita) che mostra specificità e “memoria”

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INFIAMMAZIONE
COS’È
L’infiammazione ha una funzione protettiva e ha l’obiettivo di localizzare ed eliminare
l'agente nocivo e rimuovere i componenti danneggiati del tessuto promuovendo la
guarigione, riparando le lesioni ai tessuti e ristabilendo la normale funzionalità
dell’organismo grazie all’intervento di cellule difensive sopravvissute all’azione dannosa.

Nello specifico, gli obiettivi sono:

• neutralizzazione dell’agente lesivo


• contenimento del danno tissutale
• preparazione a combattere il danno
• preparazione e l'avvio del processo riparativo.

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INFIAMMAZIONE
CAUSE

Le cause di un processo infiammatorio possono essere le seguenti:

• Agenti fisici (radiazioni, traumi, calore)


• Agenti chimici (composti tossici, corrosivi e/o acidi, alcali, agenti ossidanti)
• Agenti biologici (batteri, virus e parassiti)

Queste cause determinano una reazione del tessuto attraverso particolari cellule dette
sensori che iniziano la produzione di mediatori chimici infiammatori.

Questi mediatori causano a loro volta il movimento di leucociti dal sangue al tessuto
extra-vascolare.

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INFIAMMAZIONE
TIPOLOGIE

Esistono due tipi di infiammazione suddivisi principalmente su una base temporale:

Infiammazione Acuta (angioflogosi): rappresenta la risposta precoce, o immediata, ad


un agente lesivo: ha di solito breve durata, nei limiti di ore o giorni ed è caratterizzata
prevalentemente da fenomeni di tipo vascolare. Comporta una migrazione di granulociti
neutrofili verso il tessuto infiammato.

Infiammazione Cronica (istoflogosi): ha durata più lunga (anni) ed è caratterizzata una


prevalenza di fenomeni cellulari con macrofagi, linfociti e fibroblasti. Comporta una
proliferazione di vasi sanguigni e fibrosi.

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INFIAMMAZIONE
ACUTA

L’Infiammazione Acuta (Angioflogosi) è una risposta immediata e precoce a uno stimolo


lesivo. Inizia da alcuni secondi a pochi minuti dopo l’infortunio dei tessuti. È una reazione
vascolare e cellulare al danno tissutale. Provoca sintomi come mal di gola o il prurito di
una puntura d'insetto, solitamente temporanei, che scompaiono quando la risposta
infiammatoria è completata.

Si caratterizza per:
• modificazioni vascolari
• passaggio dei leucociti dal letto capillare al tessuto leso
• migrazione dei leucociti all'interno del tessuto soggetto al processo flogistico, in seguito
a stimoli chemiotattici

Queste fasi portano alla formazione di un essudato, fluido ricco di sostanze proteiche e
cellule, con la finalità di contrastare, nell'area lesa, l'agente lesivo.

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INFIAMMAZIONE ACUTA
STIMOLI

Le infiammazioni acute sono scatenate da diverse tipologie di stimoli lesivi.

Le infezioni, di qualsiasi tipo, sono uno degli stimoli più comuni per l'insorgenza
dell'infiammazione, spesso le tossine prodotte dai patogeni sono una delle cause
principali di infiammazione. I recettori TLR (Toll-like receptors) sono in grado di riconoscere
organismi estranei (non-self) e scatenare la risposta immunitaria con conseguente
infiammazione.

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INFIAMMAZIONE ACUTA
STIMOLI

La risposta immunitaria è un'altra causa principale di infiammazione.

Essa può avvenire in seguito all'infezione da parte di un organismo patogeno con rilascio
di sostanze proinfiammatorie, ma in condizioni patologiche può essere anche diretta
verso cellule self facendo insorgere una malattia autoimmune (malattia autoimmune).

Spesso questa tipologia di malattia determina infiammazione cronica.


In alternativa, si possono avere risposte immunitarie non regolate ed eccessive che oltre
a uccidere i patogeni arrecano danno anche alle cellule circostanti.

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INFIAMMAZIONE ACUTA
STIMOLI

La necrosi, a differenza dell'apoptosi, provoca pressoché in tutti i casi infiammazione


acuta nei tessuti circostanti poiché rilascia numerose molecole proinfiammatorie quando
libere al di fuori della cellula, come per esempio ATP e acido urico.

L'ipossia è un altro stimolo infiammatorio, tramite il rilascio di una particolare proteina da


parte delle cellule che subiscono una forte riduzione dell'apporto di ossigeno.
Tale proteina agisce quale fattore di trascrizione per proteine pro-infiammatorie o
coinvolte nell'infiammazione come VEGF (Vascular Endothelial Growth Factor).

I corpi estranei di tutti i tipi possono indurre infiammazione a causa di lesioni tissutali o
infezioni.

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INFIAMMAZIONE ACUTA
SEGNALI

La risposta infiammatoria consiste in cambiamenti


nel flusso sanguigno, aumento della permeabilità
dei vasi sanguigni e la migrazione di fluidi,
proteine e globuli bianchi dalla circolazione al
sito di danno tissutale.

I segnali cardinali di infiammazione acuta sono in


particolare 5

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INFIAMMAZIONE ACUTA
SEGNALI

1. calor: aumento della temperatura locale in seguito all'ipertermia e ad un aumento


del metabolismo cellulare, dovuta all’aumentata vascolarizzazione
2. rubor: arrossamento dovuto all'aumento di sangue nell'area localizzata
(vasodilatazione). Quando l’infiammazione è particolarmente intensa o molto estesa,
l’aumento di temperatura può diventare febbre
3. tumor: rigonfiamento dovuto all'edema
4. dolor: indolenzimento provocato dalla compressione e dall'intensa stimolazione delle
terminazioni sensitive. Ha manifestazioni diverse, variabili a seconda della tipologia di
infiammazione
5. functio laesa: inibizione della funzionalità dell'area colpita (specie se si tratta di
un'articolazione) a causa del dolore e degli squilibri indotti dai meccanismi facilitatori
dell'infiammazione sull'integrità delle strutture infiammate.

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INFIAMMAZIONE ACUTA
MODIFICAZIONI

Le prime modificazioni che si verificano per generare un'infiammazione sono a carico dei
vasi sanguigni di calibro minore cioè arteriole, venule e capillari.

Si può dire che gli eventi che avvengono a livello vascolare sono volti a spingere la
migrazione di cellule del sistema immunitario verso il distretto interessato dall'infezione o
dalla lesione, a questo fenomeno si associa la perdita di proteine plasmatiche che
fuoriescono dalla circolazione sanguigna invadendo i tessuti extravascolari.

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INFIAMMAZIONE ACUTA
VASOCOSTRIZIONE

La vasocostrizione con modificazioni di flusso è la prima manifestazione di


un'infiammazione acuta.

Generalmente è transitoria, incostante, dura da pochi secondi fino a qualche minuto e


non è sempre presente.

Interessa arteriole pre-capillari nelle immediate vicinanze della zona colpita e dipende
dalla liberazione di sostanze vasocostrittrici di tipo catecolamminico (adrenalina,
noradrenalina) e dalla serotonina.

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INFIAMMAZIONE ACUTA
VASODILATAZIONE

Inizia con il rilascio degli sfinteri arteriolari ed è successivamente sostenuta dall'apertura di


nuovi letti capillari e dalla chiusura degli shunt arterovenosi fisiologicamente attivi a
riposo.

La vasodilatazione aumenta la quantità di sangue che rifornisce il tessuto leso (iperemia)


ed è potenziata dall'aumento della permeabilità vascolare associata.

L'innesco ed il mantenimento della vasodilatazione sono dovuti al rilascio di mediatori


rapidi come l'istamina o le prostaglandine e successivamente di mediatori lenti.

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INFIAMMAZIONE ACUTA
VASODILATAZIONE

L'aumento del calibro vascolare provoca:

• riduzione della velocità del flusso sanguigno (stasi): questa condizione favorisce il
rolling leucocitario, rallenta l'eventuale diffusione di patogeni e favorisce l'adesione del
complemento ai patogeni
• aumento della pressione transmurale con conseguente aumento della trasudazione
vascolare e quindi del drenaggio linfatico

L'aumento del drenaggio linfatico favorisce la presentazione antigenica.

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INFIAMMAZIONE ACUTA
RALLENTAMENTO DEL CIRCOLO

Dopo la fuoriuscita di liquidi (essudazione) e di cellule (diapedesi) aumenta la viscosità


del sangue, mentre diminuisce la velocità del flusso (stasi).

Nella zona infiammata i letti vascolari accolgono più sangue della norma (iperemia), ma
ciò è dovuto al rallentamento del circolo e al diminuito ritorno venoso (iperemia passiva)
e non all'apertura di nuovi letti capillari (iperemia attiva).

Le cause del diminuito ritorno venoso necessitano della compressione esercitata sulle
venule da parte dell'edema, che ostacola così il passaggio di sangue provocando una
riduzione della sua parte liquida ed un aumento relativo delle componenti solide.

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INFIAMMAZIONE ACUTA
PERMEABILITÀ VASCOLARE

Altro segno distintivo dell'infiammazione acuta è l'aumento della permeabilità vascolare


a livello del microcircolo nell'area di lesione, dando luogo alla fuoriuscita di essudato,
attraverso 5 meccanismi:

• Danno diretto da agente patogeno: è una risposta immediata e mantenuta a lungo in


tutti i tipi di vasi, fino a riparazione del danno.

• Tipo Istamina: è immediata e transitoria per azione degli stessi mediatori che
favoriscono la vasodilatazione arteriolare, oltre a sostanze propriamente patogene,
come l'endotossina, che stimola i fattori complemento, che a loro volta stimolano
l'aumento della permeabilità, rinforzando la risposta flogistica.

• Lesione da Leucociti: la risposta è tardiva e prolungata.

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INFIAMMAZIONE ACUTA
PERMEABILITÀ VASCOLARE

• Transcitosi aumentata: aumento della mobilità delle caveole transmembranarie, via


preferenziale del plasma, favorendo il passaggio di materiale idrosolubile attraverso la
membrana basale.

• Neoangiogenesi: formazione di nuovi abbozzi vascolari durante la riparazione tissutale,


delicati e facilmente emorragici fino alla formazione di nuove unioni intercellulari.

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INFIAMMAZIONE ACUTA
MIGRAZIONE DEI LEUCOCITI

Le due categorie più importanti di leucociti coinvolte nel processo infiammatorio sono i
granulociti neutrofili e i macrofagi (monociti nel flusso sanguigno), tuttavia, a seconda
dello stimolo infiammatorio possono essere coinvolte altre classi di leucociti come i
linfociti, i granulociti eosinofili e basofili o mastociti.

I neutrofili sono i leucociti più comuni ed hanno un diametro di 12-15 µm.

Si riconoscono per il nucleo suddiviso in 2-5 lobi, collegati da un sottile filamento di


materiale nucleico. Il citoplasma è chiaro perchè ha granuli piccoli e debolmente
colorati. I neutrofili immaturi hanno un nucleo nastriforme o a ferro di cavallo.

Nel nucleo dei neutrofili delle femmine, è visibile un’appendice a forma di “bacchetta di
tamburo” che rappresenta il cromosoma X inattivato

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INFIAMMAZIONE ACUTA
MIGRAZIONE DEI LEUCOCITI

Una funzione fondamentale dell'infiammazione è quella di permettere ai leucociti di


giungere nella sede del danno e, quindi, di fagocitare agenti lesivi, uccidere batteri,
degradare il tessuto necrotico e gli agenti estranei.

Questo processo richiede l'attraversamento dell'endotelio vascolare delle venule post-


capillari, che avviene in cinque fasi: la marginazione, il rotolamento, l'adesione, la
diapedesi e la chemiotassi.

I granulociti (neutrofili, basofili, eosinofili, monociti) seguono tutti le stesse modalità di


migrazione.

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INFIAMMAZIONE ACUTA
MIGRAZIONE DEI LEUCOCITI

Granulociti neutrofili

• Provengono dal sangue per diapedesi


• Sono le prime cellule che intervengono nel processo infiammatorio acuto
• Sopravvivono nel tessuto infiammatorio per massimo 24 ore e poi muoiono
• Hanno azione fagocitaria soltanto su batteri e piccole particelle (perciò detti anche
microfagi)
• Contengono granulazioni costituite da sostanze antibatteriche (lisozima, fagocitina,
ecc) che esercitano la propria azione sui batteri fagocitati.
• Sono abbondanti negli essudati di origine batterica ma possono essere presenti anche
nelle flogosi “asettiche”
• Vanno facilmente incontro a fenomeni regressivi trasformandosi in piociti (essudato
purulento o pus)

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INFIAMMAZIONE ACUTA
MIGRAZIONE DEI LEUCOCITI

Granulociti eosinofili

Gli eosinofili sono abbastanza rari nel sangue.


La loro dimensione è la stessa dei neutrofili. Il nucleo è generalmente bilobato, ma sono
stati osservati anche nuclei con 3 o 4 lobi.
Il citoplasma è pieno di granuli che assumono un colore rosa-arancione caratteristico.
Il nucleo risulta ancora ben visibile. Sono presenti sia nel sangue che nei tessuti.

• Sono abbondanti nelle flogosi allergiche e in quelle provocate da parassiti


• Sono capaci di movimenti attivi come i neutrofili ed agiscono sugli agenti estranei
mediante un “meccanismo di citotossicità anticorpo dipendente” (Ipersensibilità Tipo
II)

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INFIAMMAZIONE ACUTA
MIGRAZIONE DEI LEUCOCITI

Granulociti basofili

Intervengono nel rigetto di allotrapianti cutanei o di cellule tumorali, nonché nelle


reazioni allergiche (dermatiti da contatto).

Producono sostanze ad attività vasoattiva (vasodilatante e vasopermeabilizzante),


nonché fattori chemiotattici per gli eosinofili.

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INFIAMMAZIONE ACUTA
MIGRAZIONE DEI LEUCOCITI

Macrofagi

Derivano dai monociti. I monociti sono i leucociti più grossi: 16-20 µm.
Hanno un nucleo grande reniforme o a ferro di cavallo, in certi casi anche bilobato. Il
citoplasma è trasparente e ha aspetto di “vetro smerigliato”. Quando fuoriescono dal
sangue si trasformano in macrofagi o istiociti.

• Hanno attività fagocitaria e sono dotati di movimenti attivi


• Caratterizzano le flogosi croniche, insieme ai linfociti e alle plasmacellule
• Possono assumere la fisionomia di CELLULE EPITELIOIDI o CELLULE GIGANTI
PLURINUCLEATE

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INFIAMMAZIONE ACUTA
MIGRAZIONE DEI LEUCOCITI

I leucociti (neutrofili, basofili, eosinofili, monociti) seguono tutti le stesse modalità di


migrazione.

I neutrofili comunque, avendo vita più breve, vanno incontro ad apoptosi o NETosi e
scompaiono in 24-48h.

I monociti si trasformano in macrofagi e hanno vita più lunga.

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INFIAMMAZIONE ACUTA
MIGRAZIONE DEI LEUCOCITI

I leucociti hanno diverse funzioni: fagocitosi, produzione di metaboliti, degranulazione e


secrezione di enzimi lisosomiali, produzione di specie reattive dell’ossigeno, modulazione
di molecole di adesione leucocitaria.

In particolare la fagocitosi ha il compito di:


• riconoscimento e adesione: i microrganismi sono riconosciuti se rivestiti da fattori
(opsonine) che si legano a specifici recettori leucocitari (aumenta molto l'efficienza
della fagocitosi);
• ingestione: dalla cellula si formano estensioni citoplasmatiche (pseudopodi) che
avvolgono l'agente estraneo (fagosoma) e successivamente si forma il fagolisosoma
• uccisione: 02 dipendente e 02 indipendente;
• degradazione: dopo l'uccisione le idrolasi acide dei granuli dei leucociti degradano il
batterio, il pH scende a valori di 4, ottimale per l'attivazione di questi enzimi.

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INFIAMMAZIONE ACUTA
MEDIATORI CHIMICI

L'infiammazione consiste in una sequenza dinamica di fenomeni che si manifestano con


una intensa reazione vascolare.

Questi fenomeni presentano caratteristiche relativamente costanti, nonostante l'infinita


varietà di agenti lesivi, in quanto non sono determinati soltanto dall'agente lesivo, quanto
soprattutto dalla liberazione di sostanze endogene: i mediatori chimici della flogosi.

Nonostante gli agenti lesivi siano diversi (infezioni, lesioni da calore, da freddo o da
energia radiante, lesioni da stimoli elettrici, chimici, o meccanici), e che diversi siano i
tessuti coinvolti nel processo infiammatorio, i mediatori molecolari che vengono rilasciati
sono per la maggior parte sempre gli stessi.

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INFIAMMAZIONE ACUTA
MEDIATORI CHIMICI

I mediatori possono agire su uno o su più tipi cellulari e possono esercitare effetti diversi a
seconda del tipo di tessuto o cellula; quando vengono prodotti o rilasciati hanno
un'emivita breve.

Mediatori di origine plasmatica: sono prodotti dal fegato, che li mette in circolo, sono in
forma inattiva e vengono attivati quando serve, dall'attivazione del fattore XII
(importante nel sistema delle chinine e in quello della coagulazione/fibrinolisi) e
dall'attivazione del complemento (fattori che attivati interagiscono in successione in un
sistema a cascata).

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INFIAMMAZIONE ACUTA
MEDIATORI CHIMICI

Mediatori di origine cellulare: si suddividono in due sottogruppi:

Mediatori preformati, presenti in granuli di secrezione: istamina (mastociti, basofili,


piastrine), serotonina (piastrine), enzimi lisosomiali (neutrofili, macrofagi). L'istamina causa
nella fase immediata dilatazione delle arteriole, aumento della permeabilità delle
venule.

Mediatori sintetizzati ex novo, al bisogno.

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INFIAMMAZIONE CRONICA

L'infiammazione cronica è un processo flogistico di lunga durata in cui coesistono


l'infiammazione attiva, la distruzione tissutale e i tentativi di riparazione.

Le infiammazioni croniche possono derivare da una persistenza degli antigeni flogogeni


in seguito ad un'infiammazione acuta non completamente risolta; è possibile che tali
agenti non siano raggiungibili da parte dei sistemi di difesa, oppure che le sostanze litiche
non siano in grado di digerirli.

L'indice di cronicità dell'infiammazione è dato dalla quantità di tessuto di granulazione


che è stato formato dai fibroblasti e dal livello della linfocitosi sviluppatasi.

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FONDAMENTI DI
BIOLOGIA - CHIMICA - CITOLOGIA
LEZIONE 20: ONCOLOGIA

PARTE 1
SOMMARIO DELLA LEZIONE

I. ONCOLOGIA

1. Introduzione
2. Oncogeni e Oncosoppressori
3. Oncovirus
4. Relazioni tra immunità e tumori
5. Ripercussioni tumorali sull’organismo

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ONCOLOGIA
COS’È E DI COSA SI OCCUPA

L'oncologia (dal greco óncos, «rigonfiamento» e lógos, «studio») è la branca specialistica


della medicina che concerne lo studio e il trattamento dei tumori.

Un tumore è una malattia genetica causata dall’accumulo di un numero critico di


anomalie genetiche (mutazioni ed alterazioni cromosomiche) e di modificazioni
epigenetiche in geni che controllano la proliferazione, il differenziamento, la morte e
l’integrità del patrimonio genetico cellulare.

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ONCOLOGIA
COS’È E DI COSA SI OCCUPA

I tumori non possono essere raggruppati tutti in una classe omogenea.


È stata elaborata una prima classificazione, con criterio clinico, suddividendo i tumori in
benigni e maligni.
Studiando il comportamento dei tumori si è osservato che, oltre al criterio clinico, altre
caratteristiche distinguevano l'andamento benigno da quello maligno e che inoltre non
sempre la malignità clinica coincideva con malignità biologica.
La differenza essenziale è che l'accrescimento dei tumori benigni è espansivo, mentre
quello dei tumori maligni è infiltrativo.

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ONCOLOGIA
TUMORE BENIGNO

Il tumore benigno, caratterizzato da un accrescimento di tipo espansivo, è separato dai


tessuti sani da una capsula, che non è dovuta alla proliferazione del connettivo del
tessuto ma al fatto che la massa tumorale, crescendo per espansione, comprime,
ammassandolo, il connettivo circostante.
Il tumore benigno non dà metastasi e quando viene asportato non recidiva, a differenza
del tumore maligno; l'eventuale danno che può arrecare è dovuto in gran parte alla
compressione cui vanno soggetti i tessuti circostanti.

CORSO DI FONDAMENTI DI BIOLOGIA - CHIMICA - CITOLOGIA 5


ONCOLOGIA
TUMORE MALIGNO

Il tumore maligno (neoplasia maligna) è un accrescimento infiltrativo dove i tessuti


normali vengono scompaginati, la massa tumorale risulta sprovvista di capsula e c'è la
possibilità di una riproduzione a distanza (metastasi) del tumore rispetto all'area
d'insorgenza.
Esso colpisce le seguenti classi di geni:
• Proto-oncogeni
• Oncosoppressori
• Geni che regolano l’apoptosi
• Geni della riparazione del DNA

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ONCOLOGIA
PROTO-ONCOGENE

Un proto-oncogene è un gene normale che può diventare oncogenetico a causa di


mutazioni o di un aumento dell'espressione.
I proto-oncogeni codificano proteine che regolano il ciclo cellulare, la sopravvivenza e il
differenziamento cellulare e possono anche essere coinvolti nella trasduzione del segnale
di avvio della mitosi.
Un proto-oncogene diviene un oncogene anche con minime modificazioni delle sue
funzioni originali.

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ONCOLOGIA
PROTO-ONCOGENE

Ci sono due tipi fondamentali di attivazione


1. Una mutazione dei nucleotidi producono una proteina diversa causando
• un aumento dell'attività (enzimatica) della proteina

• la perdita dei siti di regolazione

• la creazione di proteine ibride

2. Un aumento della concentrazione di proteine causata da


• un aumento dell'espressione genica (attraverso misregolazione)

• un aumento della stabilità (emivita) della proteina

• una duplicazione o amplificazione del gene che codifica per la proteina

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ONCOLOGIA
ONCOGENE

Un oncogene è un gene, o una serie di nucleotidi che codificano una proteina, che
potenzialmente indirizzano la cellula verso lo sviluppo di un fenotipo neoplastico.

Solitamente gli oncogeni intervengono nello sviluppo tumorale e aumentano le possibilità


che lo sviluppo (proliferazione e differenziamento) di una cellula si diriga in senso
tumorale.

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ONCOLOGIA
ONCOGENE

Il primo oncogene fu scoperto nel 1970 e chiamato Src, derivato dalla proteina Src
tirosina chinasi.

Src fu scoperto dapprima in un retrovirus dei polli.

Nel 1976 J. Michael Bishop e Harold E. Varmus dell'Università della California dimostrarono
che questo oncogene era un difettoso proto-oncogene presente in numerosi organismi
tra cui l'uomo.

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ONCOLOGIA
ONCOSOPPRESSORE

Un gene oncosoppressore (o semplicemente oncosoppressore) è un gene che codifica


per prodotti che agiscono negativamente sulla progressione del ciclo cellulare
proteggendo in tal modo la cellula dall'accumulo di mutazioni potenzialmente tumorali.

Gli oncosoppressori favoriscono la differenziazione cellulare o l'apoptosi (morte cellulare)


in caso di danno irreparabile al DNA.

Quando tali geni sono assenti o inattivati - ad esempio in seguito all'insorgenza di una
mutazione - la cellula può progredire verso la trasformazione in cellula cancerosa,
solitamente in presenza di altre modificazioni genetiche.

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ONCOLOGIA
ONCOSOPPRESSORE
Più nel dettaglio, le funzioni degli oncosoppressori possono essere le seguenti

• Repressione di geni essenziali per la prosecuzione del ciclo cellulare. Se tali geni non
sono espressi, la cellula non sarà in grado di progredire verso la mitosi.

• Interruzione del ciclo cellulare in caso di DNA danneggiato. Finché in una cellula è
presente DNA danneggiato non riparato, essa non è in grado di dividersi. Solo se il
DNA viene riparato, la cellula può proseguire con il ciclo.

• Avvio dell'apoptosi. Se il danno non può essere riparato, nella cellula viene avviata
l'apoptosi, un processo di morte cellulare programmata che rimuove il rischio che tale
cellula possa nuocere all'organismo.

• Soppressione di metastasi. Diverse proteine coinvolte nell'adesione cellulare sono in


grado di impedire alle cellule tumorali di disseminarsi nell'organismo (un processo
definito metastasi) e di ripristinare l'inibizione da contatto.

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ONCOLOGIA
LE ALTERAZIONI GENETICHE

In condizioni normali la regolazione del ciclo cellulare e della proliferazione dipende


dall’equilibrio tra i prodotti dei proto-oncogeni e degli oncosoppressori.

Nelle neoplasie i proto-oncogeni sono alterati in oncogeni.

È sufficiente che l’oncogene sia presente in un solo dei due alleli perché si evidenzi il
fenotipo alterato.

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ONCOLOGIA
ONCOVIRUS

Le condizioni di normale regolazione di cicli vita, morte e riparazione cellulare può essere
influenzata anche da virus.

È ormai un dato di fatto che alcuni agenti patogeni siano strettamente correlati allo
sviluppo dei tumori.
A tutt’oggi, undici microrganismi sono stati classificati come cancerogeni dalla IARC
(International Agency for Research on Cancer).

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ONCOLOGIA
ONCOVIRUS

• il virus di Epstein-Barr (EBV), correlato ad alcuni tumori endemici del Sud-Est Asiatico e
del Nord Africa

• i virus dell’epatite B e C (HBV, HCV), responsabili di epatite cronica che può


degenerare in carcinoma epatocellulare

• l’herpes virus HHV8, associato al sarcoma di Kaposi

• il virus dell’immunodeficienza umana di tipo 1 (HIV-1), associato indirettamente a vari


tipi di tumori;

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ONCOLOGIA
ONCOVIRUS

• il papilloma virus (HPV), responsabile del cancro della cervice uterina e associato a
numerosi altri tumori genitali e delle mucose orali

• il virus della leucemia a cellule T di tipo 1(HTLV-1), endemico in alcune zone dell’Est e
dell’Africa

• l'Helicobacter pylori, che infetta in modo cronico lo stomaco ed è associato a


numerosi casi di carcinoma gastrico

• i parassiti Clonorchis sinensis, Opistorchis viverrini, associati al colangiocarcinoma

• lo Schisosoma haematobium, correlato al tumore della vescica in portatori cronici

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ONCOLOGIA
ONCOVIRUS

I meccanismi attraverso i quali l’infezione degenera in cancro sono differenti a seconda


del tipo di patogeno:

• HPV, EBV, HHV8 e HTLV-1 sono in grado di trasmettere alla cellula ospite dei segnali che
modificano il ciclo cellulare, stimolando così divisioni cellulari incontrollate;

• HBV e HCV, invece, così come Helicobacter pylori e i tre parassiti, stimolano
indirettamente la carcinogenesi, essendo questa provocata dalla risposta immunitaria
dell’ospite in seguito all’infezione cronica che essi stabiliscono;

• Per quanto riguarda l'HIV, questo virus riduce le difese immunitarie dell’ospite al punto
da renderlo vulnerabile a qualsiasi altro tipo di infezione e in particolar modo
all’infezione da HHV8.

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FONDAMENTI DI
BIOLOGIA - CHIMICA - CITOLOGIA
LEZIONE 21: ONCOLOGIA

PARTE 2
ONCOLOGIA
IMMUNITÀ E TUMORI

Teoria della sorveglianza immunologica: il sistema immunitario controlla ed elimina le


cellule trasformate, proteggendo così l’ organismo contro le degenerazioni maligne.

A supporto della teoria:

• esistenza di antigeni riconosciuti da linfociti T e B reattivi contro cellule tumorali

• regressione spontanea di alcuni tumori che correla con l’ antigenicità dei tumori
(carcinoma del rene, melanoma maligno)

• aumento dei tumori in pazienti con immunodeficienze congenite o acquisite

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ONCOLOGIA
IMMUNITÀ E TUMORI

Tuttavia:

• nei soggetti immunocompromessi aumentano solo alcuni tumori (linfomi, sarcoma di


Kaposi, carcinomi cutanei)

• l’incidenza delle neoplasie più comuni non è modificata nei pazienti


immunocompromessi

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ONCOLOGIA
IMMUNITÀ E TUMORI

La risposta immunitaria agli antigeni estranei si basa su:


• Meccanismi umorali (es. anticorpi)
• Meccanismi cellulari
La maggior parte delle risposte umorali non può prevenire la crescita tumorale.
Tuttavia, cellule effettrici, come le cellule T, i macrofagi e le cellule natural killer, hanno
un'attività tumoricida relativamente efficace.
L'attivazione delle cellule effettrici è indotta da cellule che presentano antigeni tumore-
specifici o antigeni tumore-associati sulla propria superficie.
Malgrado l'attività delle cellule effettrici, l'immunoreattività dell'ospite può non riuscire a
controllare l'insorgenza del tumore e la sua crescita.

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ONCOLOGIA
IMMUNITÀ CELLULARE: CELLULE T

La cellula T è la principale responsabile del riconoscimento diretto e della soppressione


delle cellule tumorali.
Le cellule T sono responsabili della sorveglianza immunologica, inoltre proliferano e
distruggono le cellule tumorali neotrasformate dopo il riconoscimento di antigeni tumore-
associati.
La risposta cellulare T ai tumori è modulata da altre cellule del sistema immunitario.
Alcune cellule T richiedono la presenza di anticorpi plasmatici diretti contro le cellule
tumorali (citotossicità cellulare anticorpo-dipendente) per avviare le interazioni che
portano all'apoptosi delle cellule tumorali.
Al contrario, i linfociti T soppressori inibiscono la risposta immunitaria contro i tumori.

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ONCOLOGIA
IMMUNITÀ CELLULARE: CELLULE T

I linfociti T citotossici (cytotoxic T-lymphocytes, CTL) riconoscono antigeni sulle cellule


bersaglio e inducono la distruzione di tali cellule.
Tali antigeni possono essere proteine di superficie o possono essere proteine intracellulari
(es. TAA) che sono espresse sulla superficie in combinazione con il complesso maggiore
di istocompatibilità.

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ONCOLOGIA
IMMUNITÀ CELLULARE: CELLULE T
Linfociti T citotossici tumore-specifici sono stati riscontrati in:
• Neuroblastoma

• Melanoma

• Sarcomi del colon

• Carcinoma polmonare

• Carcinoma della mammella

• Carcinoma della cervice uterina

• Carcinoma endometriale

• Carcinoma ovarico

• Carcinoma testicolare

• Carcinoma nasofaringeo

• Carcinoma renale

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ONCOLOGIA
IMMUNITÀ CELLULARE: CELLULE T

Le cellule T regolatrici sono normalmente presenti nel corpo e prevengono reazioni


autoimmuni.
Esse sono prodotte durante la fase attiva di risposte immunitarie ai patogeni e limitano la
forte risposta immunitaria che potrebbe danneggiare l'ospite.
L'accumulo di queste cellule nei tumori inibisce le risposte immunitarie antitumorali.

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ONCOLOGIA
IMMUNITÀ CELLULARE: CELLULE NATURAL KILLER

Le cellule natural killer rappresentano un'altra popolazione di cellule effettrici con attività
tumoricida.
Diversamente dai linfociti T citotossici, le cellule natural killer sono carenti di un recettore
per il rilevamento di antigeni, ma possono riconoscere le cellule normali infettate da virus
o le cellule tumorali.
La loro attività tumoricida è definita naturale perché non è indotta da uno specifico
antigeni.

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ONCOLOGIA
IMMUNITÀ CELLULARE: CELLULE NATURAL KILLER

Il meccanismo con cui le cellule natural killer discriminano tra cellule normali e anormali è
in fase di studio.
I dati suggeriscono che le molecole del complesso maggiore di istocompatibilità di
classe I sulla superficie delle cellule normali inibiscano le cellule natural killer e
prevengano la loro distruzione.
Quindi, la riduzione del livello dell'espressione delle molecole di classe I, caratteristica di
molte cellule tumorali, può consentire l'attivazione delle cellule natural killer e la
conseguente distruzione della cellula tumorale.

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ONCOLOGIA
IMMUNITÀ CELLULARE: MACROFAGI

I macrofagi possono uccidere specifiche cellule tumorali quando attivati da una serie di
fattori, tra cui linfochine (fattori solubili prodotti dalle cellule T) e interferone.
I macrofagi sono meno efficaci dei meccanismi citotossici mediati da cellule T.
In alcune circostanze, i macrofagi possono presentare gli antigeni tumore-associati alle
cellule T e stimolare risposte immunitarie tumore-specifiche.

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ONCOLOGIA
IMMUNITÀ CELLULARE: MACROFAGI

Ci sono almeno 2 classi di macrofagi associati al tumore (TAM):


• TAM-1 (M1), le cellule facilitano l'uccisione delle cellule T dei tumori
• TAM-2 (M2), le cellule promuovono la tolleranza al tumore
Recentemente questa classificazione è stata rivisitata.
Attualmente M1 e M2 sono considerati esistenti come un unico insieme fino a quando
non si differenziano al massimo (polarizzano) in M1 e M2.
Tale polarizzazione può variare nel tempo e dipende dallo stadio, dal tipo di cancro e dai
trattamenti.

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ONCOLOGIA
IMMUNITÀ CELLULARE: CELLULE DENDRITICHE

Le cellule dendritiche sono esclusivamente cellule presentanti l‘antigene presenti nei


tessuti barriera (es. cute e linfonodi).
Esse svolgono un ruolo centrale nell'induzione della risposta immunitaria tumore-specifica.
Queste cellule internalizzano le proteine tumore-associate, le processano e presentano
gli antigeni tumore-associati alle cellule T per stimolare la risposta dei CTL contro il tumore.
Diverse classi di cellule dendritiche possono mediare la promozione o la soppressione del
tumore.

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ONCOLOGIA
IMMUNITÀ CELLULARE: LINFOCHINE

Le linfochine, prodotte dalle cellule del sistema immunitario, stimolano la crescita di altre
cellule del sistema immunitario o ne inducono l'attivazione.
Tali linfochine comprendono l'interleuchina-2 (IL-2), conosciuta anche come fattore di
crescita delle cellule T, e gli interferoni.
L'IL-2 è prodotta dalle cellule dendritiche e induce selettivamente i linfociti T citotossici,
incrementando così le risposte immunitarie antitumorali.

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ONCOLOGIA
IMMUNITÀ CELLULARE: CELLULE SOPPRESSORIE

Le myeloid-derived suppressor cells sono costituite da cellule mieloidi immature e dai loro
precursori.
Queste cellule aumentano di numero nel cancro così come nell'infiammazione e nelle
infezioni.
Le cellule hanno una potente attività immunosoppressiva.
Vengono riconosciuti due gruppi di queste cellule:
• Granulocitica
• Monocitica
Le cellule soppressorie derivate da mieloidi si accumulano in gran numero nei tumori e
predicono esiti clinici scarsi in vari tipi di cancro.

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ONCOLOGIA
IMMUNITÀ UMORALE: ANTICORPI UMORALI
Contrariamente all'immunità citotossica T-mediata, gli anticorpi umorali non sembrano
conferire una significativa protezione contro la crescita tumorale.
La maggior parte degli anticorpi non riesce a riconoscere gli antigeni tumore-associati.
Tuttavia, anticorpi umorali che reagiscono con cellule tumorali in vitro sono stati
individuati nel siero di pazienti con vari tumori, tra cui:
• Melanoma
• Osteosarcoma
• Neuroblastoma
• Carcinoma polmonare
• Carcinoma della mammella
• Carcinomi del tratto gastrointestinale

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ONCOLOGIA
IMMUNITÀ UMORALE: ANTICORPI CITOTOSSICI

Gli anticorpi citotossici sono diretti contro gli antigeni di superficie delle cellule tumorali.
Questi anticorpi possono esercitare effetti antitumorali attraverso la fissazione del
complemento o fungendo da riferimento per la distruzione delle cellule tumorali da parte
delle cellule T (citotossicità cellulo-mediata dipendente da anticorpi).
Un'altra popolazione di anticorpi umorali, detti Ac-favorenti (Ac-bloccanti), può in realtà
favorire la crescita di un tumore piuttosto che inibirla.
I meccanismi e l'importanza relativa di tale facilitazione immunologica non sono ben noti.

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ONCOLOGIA
IMMUNITÀ UMORALE

Anche se molti tumori vengono eliminati dal sistema immunitario (e perciò non sono mai
riscontrati), altri continuano a crescere malgrado la presenza degli antigeni tumore-
associati.
Svariati meccanismi sono stati proposti per spiegare questa carente risposta dell'ospite
agli antigeni tumore-associati , tra cui i seguenti:
• Una specifica tolleranza immunologica agli antigeni tumore-associati in un processo
che coinvolge le cellule che presentano l‘antigene e cellule T soppressorie, forse
secondariamente a un'esposizione prenatale all‘antigene
• Una soppressione della risposta immunitaria da parte di agenti chimici, fisici o virali (es.
distruzione delle cellule T-helper da parte dell'HIV)
• Una soppressione della risposta immunitaria da parte di farmaci citotossici o della
terapia radiante

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ONCOLOGIA
IMMUNITÀ UMORALE

• La soppressione della risposta immunitaria da parte del tumore stesso procede


attraverso vari meccanismi complessi, in gran parte indefiniti, che causano vari
problemi tra cui una funzionalità diminuita dei linfociti T e B e delle cellule presentanti
l‘antigene, una diminuita produzione di IL-2, e un'aumentata concentrazione di
recettori per IL-2 solubili (recettori che legano e quindi inattivano IL-2)
• Presenza e attività delle cellule polarizzate TAM-2 (M2), promuovendo la tolleranza del
tumore

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ONCOLOGIA
EVASIONE IMMUNITARIA

Le cellule tumorali possono sfuggire alla sorveglianza del sistema immunitario


producendo grandi quantità di una proteina che impedisce a una classe di linfociti di
distruggere le cellule maligne.
Durante la fase di evasione (escape), le varianti cellulari tumorali selezionate durante la
fase di equilibrio hanno evaso totalmente le difese immunitarie dell'organismo, grazie ad
ulteriori cambiamenti genetici ed epigenetici che gli hanno conferito ulteriore resistenza
al riconoscimento da parte di cellule immunitarie.

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ONCOLOGIA
EVASIONE IMMUNITARIA

Ci sono diversi meccanismi sfruttati dalla cellula tumorale per evadere dal sistema
immunitario, ad esempio down-regolare o spegnere totalmente l'espressione delle MHC
di classe I classiche (HLA-A; HLA-B; HLA-C) che sono praticamente fondamentali per la
risposta immunitaria mediata dalle cellule T effettrici .
Questa risposta è presente in circa il 90% dei tumori, assieme allo sviluppo del
microambiente del tumore (che ha effetti immunodepressivi) e per la costituzione di una
barriera protettiva nei confronti del tumore.

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ONCOLOGIA
EVASIONE IMMUNITARIA

Le cellule contenute nel microambiente tumorale acquisiscono la capacità di produrre


citochine che possono indurre l'apoptosi di linfociti attivati.
Un ulteriore meccanismo consiste nella up-regolazione di MHC di classe I non classiche
(HLA-E; HLA-F; HLA-G) che prevengono la risposta immunitaria NK-mediata per mezzo
dell'interazione con le cellule NK.

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ONCOLOGIA
EVASIONE IMMUNITARIA

In conclusione il tumore inizia a svilupparsi e a


crescere soltanto durante l'evasione dei
processi elaborati dal sistema immunitario.

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ONCOLOGIA
EFFETTI VISIBILI - CACHESSIA

Nella fase terminale di pazienti oncologici si riscontra spesso un deperimento fisico che
prende il nome di cachessia (o cachessia neoplastica).
La cachessìa (dal greco καχεξία, composto di κακός, "cattivo", e ἕξις, "condizione") o
sindrome da deperimento è una perdita di peso, atrofia muscolare, stanchezza,
debolezza e significativa perdita di appetito che non ha cause anoressiche.
La definizione formale della cachessia è una perdita di massa corporea che non può
essere invertita con il nutrimento: anche se l'individuo che ne soffre assumesse più calorie,
la massa corporea magra verrebbe comunque persa, il che sta ad indicare la presenza
di una patologia primaria.

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ONCOLOGIA
EFFETTI VISIBILI - CACHESSIA

Circa il 50% di tutti i pazienti affetti da cancro soffre di cachessia.


Coloro che hanno una forma tumorale del tratto gastrointestinale superiore o del
pancreas hanno la più alta frequenza di sviluppare un sintomo cachessico.
Questa percentuale sale all'80% nei pazienti oncologici terminali.
Oltre ad aumentare la morbilità e la mortalità, ad aggravare gli effetti collaterali della
chemioterapia e a ridurre la qualità della vita, la cachessia è considerata la causa
immediata della morte per una stima che varia dal 22% al 40% dei pazienti oncologici.

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ONCOLOGIA
SINDROME PARANEOPLASTICA

Una sindrome paraneoplastica può essere definita come l'insieme dei segni, dei sintomi e
delle alterazioni morfologico-funzionali che un tumore è in grado di dare a distanza dalla
sede di sviluppo primitivo o di sviluppo delle metastasi.
Le sindromi paraneoplastiche sono caratterizzate da sintomi che si verificano in zone
distanti dal tumore o dalle sue metastasi.

I tumori più comuni associati a sindromi paraneoplastiche comprendono:


Carcinoma del polmone (più diffuso); Carcinoma a cellule renali; Carcinoma
epatocellulare; Leucemie; Linfomi; Tumori della mammella; Tumori ovarici; Tumori neurali;
Tumori allo stomaco; Tumori pancreatici

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ONCOLOGIA
SINDROME PARANEOPLASTICA

Esistono numerosissime sindromi paraneoplastiche. Un buon criterio di studio è quello di


dividere le sindromi in sistemiche e specifiche.
Si parla si sindrome sistemica quando uno stesso substrato patologico è in grado di
provocare e di sostenere quadri clinici che interessano l'intero organismo. Le sindromi
sistemiche di più frequente riscontro sono la cachessia e la febbre.
La sindrome è specifica se fa riferimento al fatto che l'insieme dei segni e sintomi rilevabili
in tali sindromi possono essere ricondotti ad un'alterazione che riguarda un singolo
organo od apparato.
Vengono distinti disordini neurologici e neuromuscolari, ematologici, mucocutanei ed
endocrino-metabolici.

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