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Scuola Italiana di Scienze Naturopatiche

DISPENSE BIOCHIMICA
A CURA DELLA DOTT.SSA FRANCESCA MANCONI

     
La struttura dell’atomo

La teoria atomica è la teoria secondo la quale tutta la materia è


costituita da unità elementari dette atomi (dal greco τοµος
àtomos = indivisibile), così chiamati perché inizialmente
considerati l'unità più piccola ed indivisibile della materia.
L’atomo per definizione rappresenta la più piccola parte di un
elemento che ne conserva le proprietà chimiche.
Un elemento è una sostanza costituita da un solo tipo di atomi (es.
idrogeno H2, ossigeno O2, ecc); tutti gli elementi conosciuti sono
classificati nella tavola periodica in base al loro numero di protoni.
Diversi atomi legati assieme costituiscono le molecole, le quali
rappresentano la particella più piccola di un composto che ne conserva le caratteristiche chimiche
(es. acqua H2O, metano CH4).
L’atomo a sua volta è costituito da diversi tipi di particelle subatomiche chiamate neutrone, protone
e elettrone, che possono essere scomposte in particelle di dimensioni ancora inferiori.
In particolare:
i protoni (carichi positivamente) e i neutroni (privi di carica) formano il "nucleo" (carico
positivamente); protoni e neutroni sono detti quindi "nucleoni";
gli elettroni (carichi negativamente) sono presenti nello stesso numero dei protoni e ruotano attorno
al nucleo senza seguire un'orbita precisa (l'elettrone si dice quindi "delocalizzato"), rimanendo
confinati all'interno degli orbitali (o "livelli energetici").
In proporzione, se il nucleo atomico fosse grande quanto una mela, gli elettroni gli ruoterebbero
attorno ad una distanza pari a circa un chilometro; un nucleone ha massa quasi 1800 volte superiore
a quella di un elettrone. L’atomo è quindi sostanzialmente vuoto e la sua massa è contenuta quasi
esclusivamente nel nucleo.
Il numero atomico (Z) è il numero di protoni contenuti nel nucleo di
un elemento. Il numero atomico è caratteristico di ogni elemento.
Infatti l’idrogeno ha sempre e solo un protone, il carbonio 6,
l’ossigeno 8 ecc.
Il numero di massa (A) è dato dalla somma di protoni e neutroni. Il
numero di neutroni in ogni elemento è variabile, quindi un elemento,
pur avendo sempre lo stesso numero atomico (Z) può avere diversi
numeri di massa (A), cioè un diverso numero di neutroni. I questi casi
si parla di isotopi. L’idrogeno, per esempio, possiede tre isotopi: prozio, deuterio e trizio,
rispettivamente contenenti zero, uno e due neutroni.

     
Gli elettroni, benchè costituiscano solamente lo 0,06% della massa dell’atomo, sono fondamentali
in molti fenomeni fisici, in particolare nell'elettromagnetismo e nella fisica dello stato solido
l'elettrone è responsabile della conduzione di corrente elettrica e del calore, il suo moto genera il
campo magnetico e la variazione della sua energia è responsabile della produzione di fotoni. Sono
inoltre i responsabili della formazione dei legami chimici.

Nel 1929, il fisico francese Louis de Broglie vinse il premio Nobel per la fisica per aver scoperto
che anche gli elettroni, oltre alla luce, sono caratterizzati da una doppia natura, una corpuscolare e
una ondulatoria. Questa nuova proprietà, nota come dualismo onda-particella, comportava ad
esempio che fosse possibile osservare fenomeni di interferenza fra elettroni sotto appropriate
condizioni. L'interferenza è una proprietà di tutte le onde e nel caso della luce produce delle
classiche figure a bande su uno schermo quando di fronte ad una sorgente luminosa vengono poste
delle fessure parallele.

Le proprietà ondulatorie dell'elettrone erano manifeste in alcuni fenomeni come quello


dell'interferenza, mentre le proprietà corpuscolari si potevano rivelare quando si sarebbe cercato di
osservare un elettrone in una precisa posizione nello spazio lungo la sua traiettoria a qualsiasi dato
istante. Il successo della previsione di de Broglie portò alla pubblicazione dell'equazione di
Schrödinger, cioè una funzione d’onda che descrive lo sviluppo temporale dell’onda-elettrone.
Piuttosto che cercare una soluzione che determinava la posizione di un elettrone nel tempo, questa
equazione era usata per prevedere la probabilità di trovare un elettrone in un volume finito o
infinitesimo dello spazio. Questo approccio fu chiamato successivamente meccanica quantistica, la
quale ha costruito una descrizione completa dell'atomo sostituendo alla traiettoria classica su orbite
definite, la funzione d'onda, che in questo caso è detta orbitale atomico.
Un orbitale atomico è una funzione d'onda ψ che descrive il comportamento di un elettrone in un
atomo. In base al principio di indeterminazione di Heisenberg non è possibile conoscere
simultaneamente posizione e quantità di moto di una particella infinitesima come l'elettrone. Le
funzioni d'onda descrivono quindi il comportamento dell'elettrone in senso probabilistico. La
funzione d'onda ψ in sé non ha un particolare significato fisico, mentre il suo quadrato ψ2 è legato
alla densità di probabilità di trovare l'elettrone in una qualsiasi zona di spazio attorno al nucleo
dell'atomo. La "forma" degli orbitali atomici si ottiene con opportuni grafici tridimensionali, che
rappresentano le zone dello spazio attorno al nucleo dove l'elettrone può trovarsi con elevata
probabilità.

     
Anioni e cationi
In chimica si definisce ione un'entità molecolare elettricamente carica. In pratica, quando un atomo
(o una molecola) cede o acquista uno o più elettroni si trasforma in uno ione. Gli ioni positivi si
generano per perdita di uno o più elettroni e vengono chiamati cationi. Hanno tendenza a cedere gli
elettroni (ossidazione) gli elementi che nella tavola periodica si trovano sulla sinistra, e sono
rappresentati dai metalli.
Gli ioni negativi si generano in seguito all’acquisto di uno o più elettroni da parte di atomi o
molecole. La tendenza ad acquisire elettroni (riduzione) è caratteristica degli elementi che si
trovano sulla destra della tavola periodica e sono rappresentati dai non metalli.

Legami chimici
Si definisce legame chimico la forza attrattiva che si stabilisce tra due o più atomi, uguali o diversi,
permettendo loro di unirsi formando molecole o aggregati cristallini.
La regola dell'ottetto è una regola empirica introdotta da Gilbert Newton Lewis per spiegare in
modo approssimato la formazione di legami chimici tra gli atomi, utilizzabile a rigore solo per gli
atomi dei gruppi principali della tavola periodica. La regola enuncia che quando un atomo possiede
il livello elettronico esterno completo (detto "guscio di valenza"), in genere costituito da otto
elettroni, esso è in una condizione di particolare stabilità energetica, e tende a non formare ulteriori
legami. I gas nobili, cioè gli elementi del VIII gruppo hanno una scarsissima tendenza a reagire,
infatti essi possiedono 8 elettroni nel loro guscio di valenza, che risulta essere quindi completo.
In linea di massima possiamo affermare che gli elementi, nel formare legami, tendono a riempire il
loro livello energetico più esterno e raggiungere l’ottetto, così da diventare più stabili. I legami
possono avvenire fra atomi per formare molecole, essi sono detti legami intramolecolari o legami
forti. Le molecole possono interagire fra loro attraverso i legami intermolecolari o legami deboli.

     
Legame ionico
E’ un legame chimico di natura elettrostatica, cioè dovuto all’attrazione fra una particella carica
negativamente (anione) e una carica positivamente (catione). Solitamente avviene fra i metalli del I
e II gruppo e i non metalli del VI e VII gruppo (es. NaCl, CaO,
CaCO3 formato da Ca2+ e CO32- ecc). I solidi nei quali sono presenti
questi legami sono detti solidi ionici. Gli elementi del I e II gruppo
della tavola periodica tendono a cedere i loro elettroni del livello
energetico più esterno (un elettrone per il primo gruppo, due per il
secondo), in modo tale da avere il penultimo livello energetico
completo (ottetto). Per esempio, il sodio possiede 11 elettroni. I primi
2 riempiono il primo livello (1s2), altri 8 elettroni vanno a riempire il
secondo livello energetico (2s2 2p6) e un unico elettrone si trova da
solo nel terzo livello energetico (3s1). Il sodio per raggiungere l’ottetto
cede il suo elettrone presente nel terzo livello energetico formando il catione Na+.
Al contrario, gli elementi che tendono a formare anioni, hanno l’ultimo livello energetico
incompleto e tendono ad acquisire elettroni per raggiungere l’ottetto. Per esempio il cloro possiede
7 elettroni nel livello energetico più esterno, ed è quindi in grado di acquistare un elettrone formano
l’anione Cl-.
Come si può vedere dall’immagine ogni anione è circondato da cationi e ogni catione è circondato
da cationi. Le cariche si attraggono in tutte le direzioni.
Quando si indica un composto ionico con una formula, quindi, non si vuol con essa descrivere una
struttura molecolare autonoma ma soltanto il rapporto numerico esistente nel cristallo fra ioni
positivi e ioni negativi. La somma di tutte queste interazioni è responsabile delle caratteristiche di
durezza del solido e del suo elevato punto di fusione.
Sono solitamente solubili in acqua e generano soluzioni elettrolitiche, cioè in grado di condurre la
corrente elettrica.

Legame covalente
Si instaura quando atomi differenti mettono in compartecipazione i loro elettroni al fine di ottenere
una configurazione elettronica stabile, per raggiungere l’ottetto.
Gli elettroni condivisi tramite il legame covalente si muovono ad elevata velocità attorno ai due
atomi, formando una cosiddetta "nube elettronica", cioè uno spazio in cui esiste la possibilità di
trovare gli elettroni condivisi. Si parla di legame covalente omopolare (o puro o apolare) se la nube
elettronica è distribuita simmetricamente (cioè il legame risulta non polarizzato). In questo caso il
doppietto elettronico è condiviso in egual misura tra i due atomi coinvolti, cioè gli elettroni
condivisi trascorrono lo stesso tempo in prossimità di ciascuno dei due atomi, non avendo una
particolare preferenza per uno dei due atomi. Avviene fra atomi uguali.

Nel caso in cui si abbia una moderata differenza di elettronegatività tra i due atomi coinvolti nel
legame covalente (per cui si è in presenza di un dipolo molecolare permanente), gli elettroni
     
condivisi rimangono per più tempo attorno all'elemento più elettronegativo, in quanto risultano
maggiormente attratti dall'atomo più elettronegativo ed il legame risulterà quindi polarizzato
elettricamente, determinando uno sbilanciamento della nuvola elettronica. Si parla in questo caso di
legame covalente eteropolare (o polare).

Le molecole che contengono legami covalenti polari possono presentare una certa polarità causata
da una distribuzione non simmetrica delle cariche. Ad esempio la molecola dell'acqua presenta due
legami covalenti polari tra l'ossigeno e ognuno dei due atomi di idrogeno. L'elettronegatività
dell'ossigeno prevale su quella dell'idrogeno, attirando verso di sé gli elettroni dei due atomi di
idrogeno e polarizzando ciascun legame. La molecola dell'acqua costituisce nel suo complesso un
dipolo elettrico che ha nell'atomo di ossigeno la sua estremità negativa e nei due atomi di idrogeno
la sua estremità positiva. Più semplice è il caso della molecola dell'acido cloridrico (H-Cl): in
questo caso la maggiore elettronegatività del cloro fa sì che la molecola sia un dipolo che ha
nell'atomo di cloro la sua estremità negativa e nell'atomo di idrogeno la sua estremità positiva. In
altri casi, ai legami covalenti polari può essere associata una distribuzione simmetrica delle cariche,
per cui la molecola risulta apolare. Ad esempio gli atomi della molecola del diossido di carbonio
sono disposti lungo una retta (O=C=O). Pur essendo ogni doppio legame C=O polare, la simmetria
della molecola annulla le due polarità uguali in intensità ma opposte in direzione. Quindi la
molecola di diossido di carbonio risulta complessivamente apolare.

Legame metallico
Il legame metallico è un caso particolare
di legame chimico delocalizzato e
consiste in una attrazione elettrostatica
che si instaura tra gli elettroni di valenza
e ioni positivi metallici.
Gli atomi di metallo hanno in genere
pochi elettroni di valenza che sono
facilmente delocalizzabili in un reticolo
di atomi metallici caricati positivamente.
Si può visualizzare questo tipo di legame
immaginando un metallo come un reticolo di ioni positivi tenuti uniti da un' "atmosfera" di elettroni.
Come nel caso del legame ionico non esistono quindi molecole vere e proprie ma aggregati
reticolari di atomi metallici tenuti insieme da questa forza di tipo elettrostatico.
Questo modello spiega alcune proprietà dei metalli come le loro elevate conducibilità elettrica
(infatti, essendo tali elettroni non legati a nessun atomo particolare, risultano essere estremamente
mobili) e termica, la loro malleabilità e duttilità.

     
Legame ione-dipolo
E’ una attrazione elettrostatica che si instaura fra ioni e molecole polari. Un esempio importante è
rappresentato dalla solvatazione degli
ioni in soluzione da parte dell’acqua.
Infatti, quando sciogliamo, per esmpio, il
cloruro di sodio in acqua, si generano gli
ioni Na+ e Cl-. Le molecole di acqua si
disporranno intorno allo ione positivo
rivolgendo ad esso la porzione della
molecola parzialmente negativa;
viceversa l’anione verrà circondato dalle molecole di acqua che rivolgeranno verso di esso la parte
con una parziale carica positiva.

Legame dipolo-dipolo e dipolo-dipolo indotto


E’ una attrazione elettrostatica che si instaura fra le molecole polari: esse si disporranno nello
spazio in modo da rivolgere la porzione di molecola con la parziale carica negativa verso quella
positiva.

dipolo-­‐  dipolo  

Molecole molto polari, come l’acqua, sono in grado di indurre un dipolo in molecolo normalmente
apolari, come l’ossigeno, poiché sono in grado di “spostare” le nube elettronica che circonda queste
molecole. E’ grazie a questo fenomeno che l’ossigeno può solubilizzarsi in acqua.

Legame a idrogeno
E’ il più importante legame debole dal punto di vista biochimico essendo responsabile della
struttura tridimensionale del DNA, del RNA e delle proteine, e delle caratteristiche fisiche
dell’acqua. Esso si instaura fra molecole in cui è presente un legame fortemente polare fra ossigeno
e idrogeno, azoto e idrogeno o fluoro e idrogeno.

     
Acidi e basi
Secondo Arrhenius: un acido è una sostanza che dissociandosi in acqua libera ioni H+
una base è invece una sostanza che dissociandosi in acqua libera ioni OH-
Secondo Brønsted-Lowry: un acido è una sostanza capace di cedere ioni H+
una base è una sostanza capace di acquistare ioni H+
La teoria di Brønsted-Lowry estende la definizione di acido a quelle sostanze di cui non è possibile
o non è pratico valutare il comportamento in acqua, come de facto succede nella definizione data da
Arrhenius. Introduce anche il concetto di complementarità tra acido e base, dato che l'acido non è
tale se non in presenza di una controparte cui cedere il proprio ione H+.
Secondo Brønsted e Lowry, quindi, anche composti che non presentano un carattere evidentemente
acido, come per esempio gli alcoli, possono avere un comportamento acido quando sono in
presenza di una base sufficientemente forte. Un esempio è la reazione tra metanolo e idruro di
sodio, in cui il metanolo si comporta da acido, secondo la definizione di Brønsted e Lowry, cedendo
allo ione idruro (la base) uno ione H+.
CH3OH + NaH → CH3O-Na+ + H2
Secondo questa teoria non esistono quindi acidi e basi a sé stanti, ma solo coppie di acido e base
coniugati. Una coppia acido/base coniugata è una coppia di specie chimiche che differiscono
soltanto per uno ione H+. Quando un acido cede uno ione H+ si trasforma nella sua base coniugata;
quando una base acquista uno ione H+ si trasforma nel suo acido coniugato.
Qualunque reazione che comporta il trasferimento di uno ione H+ da un acido a una base è una
reazione acido-base secondo Brønsted e Lowry. Un acido può, in determinate circostanze,
comportarsi da base e viceversa.
Secondo Lewis, un acido è una sostanza capace di accettare un doppietto elettronico da un'altra
specie chimica capace di donarli (detta base).
Vengono definiti forti gli acidi o le basi che che si dissociano completamente, mentre vengono
definiti deboli gli acidi o le basi che si dissociano solo parzialmente.

Comportamento acido base dell’acqua


L’acqua è una molecola anfotera o anfiprotica, cioè si comporta sia da acido che da base.
La sua reazione di autoionizzazione è:

H2O + H2O H3O+ + OH-

Nell’acqua pura solo pochissime molecole subiscono questa reazione, le altre si ritroveranno nel
liquido come H2O.
Per ogni molecola di acqua che si è disociata abbiamo una molecala di H3O+ e una di OH-.
Possiamo quindi scrivere
[H+] = [OH-] = 10-7 M
     
che significa che la concentrazione dei due ioni è uguale, a ha un valore preciso, cioè 10-7 molare.
Per tutte le reazioni all’equilibrio possiamo scrivere una equazione che le descrive dal punto di vista
quantitativo. Questa costante, detta costante di equilibrio, è uguale al prodotto dei prodotti elevati
per il loro coefficiente stechiometrico, fratto il prodotto dei reagenti, anch’essi elevati per i loro
coefficienti stechiometrici (nell’equazione delle costanti non deve però comparire l’acqua).
La costante di dissociazione dell’acqua è quindi
KW = [H+] [OH-] = 1,0 ·10-14 M2
Con il termine pH si intende il logaritmo negativo della concentrazione degli ioni H+. Per l’acqua
pura quindi pH = -log 10-7 = 7
Con il termine pOH invece si intende il logaritmo negativo della concentrazione di OH-. Per l’acqua
pura quindi pOH = -log 10-7 = 7
La loro somma è data da pH(7) +pOH(7) = pKw (=14)
Dove pKw è il logaritmo negativo della costante di dissociazione
pKw = -log 10-14 = 14

Le soluzioni si definiscono neutre quando la concentrazione di H+ e OH- è uguale a 10-7 M.


Il pH e il pOH saranno entrambe 7.
Le soluzioni si definiscono acide quando la concentrazione di H+ è maggiore di 10-7 M e quindi il
pH risulterà minore di 7.
Per esempio H+ =10-3 M. pH = 3
La concentrazione di OH- la possiamo ricavare poiché sappiamo che pH+ pOH = 14
OH- =10-11 M. pOH = 11
Le soluzioni si definiscono basiche quando la concentrazione di OH- è maggiore di 10-7 M e quindi
il pH risulterà maggiore di 7.
Per esempio OH- =10-4 M. pOH = 4
La concentrazione di H+ la possiamo ricavare poiché sappiamo che pH+ pOH = 14
H+ =10-10 M. pH = 10

     
Le soluzioni tampone
Un tampone è una soluzione che varia in maniera trascurabile il proprio pH in seguito all’aggiunta
di quantità moderate di un acido o di una base.
I tamponi possono essere costituiti da:
-un acido debole e la sua base coniugata (es. HCN/CN-)
-una base debole e il sua acido coniugato (es. NH3/NH4+)
Una soluzione tampone contiene quindi una coppia acido-base coniugata in equilibrio fra di loro.
All’aggiunta di un acido o di una base forte l’equilibrio si sposta dalla parte della base o dell’acido
deboli che costituiscono il tampone “assorbendo” così l’eccesso di ioni H+o di OH-.
Consideriamo ad esempio il tampone costituito da CN- e HCN.
Se aggiungiamo un acido forte, che libera quindi ioni H3O+, questi reagiscono secondo la reazione:
CN- + H3O+ = HCN + H2O
Tutti gli ioni H3O+ aggiunti reagiscono con CN- venendo così consumati, il pH quindi non varia.
In condizioni normali il sangue ha un pH che varia entro limiti piuttosto ristretti, tra 7.35 e 7.45.
Numerosi fattori possono influenzare questo parametro, ma lo scarto è comunque piuttosto
contenuto: oscillazioni superiori a ± 0.4 punti si accompagnano ad una grave compromissione
organica. Per questo motivo i meccanismi che presiedono alla regolazione del pH ematico sono
particolarmente accurati. Partecipano a questo controllo l'apparato respiratorio, quello urinario ed i
soluti dei sistemi tampone del sangue (i primi ad intervenire in caso di "anomalie"; sempre presenti,
costituiscono la prima linea di difesa).

Nel nostro organismo sono presenti acidi volatili e fissi. Gli acidi fissi sono tutti gli acidi non
volatili e che quindi non possono essere smaltiti a livello polmonare e vengono eliminati attraverso
il rene. Essi sono fondamentalmente prodotti dal metabolismo proteico, ma anche da una intensa
attività fisica (lattato).
L’acido volatile è rappresentato dalla CO2 che, essendo un gas, può essere smaltita a livello
polmonare. Nota bene: l'anidride carbonica di per sé non è acida, perché non contiene alcun atomo
di idrogeno. Tuttavia, nell'ambiente ematico si combina con l'acqua formando acido carbonico, che
si dissocia in H+ e HCO3- ; per la legge di azione di massa, se la concentrazione di anidride
carbonica aumenta (vedi figura in rosso), l'ambiente ematico si acidifica. Nella condizione opposta
(colore verde), la situazione si capovolge.

     
Aumentando la ventilazione, cioè la frequenza respiratoria e/o la profondità del respiro, l'organismo
aumenta la quota di anidride carbonica escreta, risollevando il pH del sangue. Viceversa in seguito
all'alcalosi ematica si ha ipoventilazione.
A livello renale esiste un altro importantissimo meccanismo compensatorio del pH ematico, anche
se molto più lento a mettersi in moto. Le cellule dei nefroni possono infatti rispondere all'acidosi
riassorbendo maggiori quantità di bicarbonati, secernendo maggiori quantità di idrogenioni,
riassorbendo più tamponi (HCO3-) e promuovendo la genesi di ammoniaca (che ha la capacità di
reagire con gli ioni H+ liberi formando lo ione ammonio: NH3 + H+ <--> NH4+).

Le acidosi e le alcalosi possono avere un'origine respiratoria o metabolica. Nel primo caso sono
dovute ad un eccesso o ad un difetto di anidride carbonica, mentre nel secondo si associano a deficit
o surplus di sostanze metaboliche non volatili, quindi non eliminabili con il respiro.
L'emoglobina è la proteina responsabile del trasporto dell'ossigeno ed è contenuta nei globuli rossi.
Contribuisce al potere tampone del sangue in misura significativa, anche se inferiore a quella del
bicarbonato. L'emoglobina è composta da quattro catene polipeptidiche uguali a due a due e
chiamate α e β. Ogni coppia α-β si comporta come un acido debole. Si osserva che la
desossiemoglobina è un acido più debole della ossiemoglobina, pertanto nel sangue la
dessosiemoglobina tende ad acquistare ioni idrogeno ed è prevalentemente presente nella forma
dell'acido (H-Hb). Per contro per la ossiemoglobina vale l'opposto e la forma prevalente nel sangue
è quella della base coniugata, priva di ione idrogeno (HbO2).
La reazione prevalente nei capillari polmonari, in presenza di un eccesso di ossigeno, è:
H-Hb + O2 + H2O <==> HbO2 + H3O+
Per contro, nei capillari sistemici (in difetto di ossigeno) si ha:
HbO2 <==> H-Hb + O2 + OH-
Il sistema bicarbonato-anidride carbonica acidifica il sangue nei capillari sistemici e lo alcalinizza
nei capillari polmonari; il tampone dell'emoglobina funziona in modo opposto e la sinergia tra i due
tamponi è un ulteriore meccanismo inteso a minimizzare le variazioni del pH del sangue: ovvero,
non solo nel sangue i due tamponi coesistono e lavorano ciascuno per suo conto, ma ciascuno
corregge il pH in direzione opposta all'altro realizzando un sistema complessivo molto efficiente nel
rendere piccolissime le oscillazioni del pH.

     
Il tampone fosfato è meno importante del sistema bicarbonato perché nei fluidi extracellulari è
molto meno concentrato. Risulta invece un sistema importante a livello renale perché il fosfato si
concentra nel tubulo, ed inoltre è un ottimo tampone intracellulare dove risulta molto concentrato.
HPO42- + H+ → H2PO4-
Nel sistema tampone fosfato, quando viene a contatto con lo ione H+ nell’ambiente extracellulare,
lo ione monofosfato lo lega trasformandosi in ione bifosfato minimizzando quindi la variazione di
pH.
Il sangue riceve il fosfato dalle ossa, le quali sono la maggiore fonte di fosfato del corpo. Le ossa,
attraverso il rilascio di minerali basici, contribuiscono al cruciale mantenimento dei valori stabili del
pH. Una lunga iperacidosi porta all’indebolimento della struttura ossea; l’osso, infatti, svolge una
funzione tampone che esercita a scapito della propria riserva di sostanze minerali e, quindi, di
solidità.
I tamponi costituiti da proteine sono di tre tipi tipi: proteine intracellulari, proteine plasmatiche e
emoglobina. Di questi tre tamponi i più importanti sono il primo ed il terzo. Anche le proteine
plasmatiche fungono da tampone allo stesso modo delle proteine intracellulari e dell’emoglobina,
ma non sono così importanti perché sono molto poche.
Come mai le proteine possono fungere da sistemi tampone? Ciò dipende dal loro pH isoelettrico. Il
pH isoelettrico è quel pH nel quale il numero di gruppi anionici è uguale al numero dei gruppi
cationici. Questo concetto è applicabile anche agli amminoacidi. Infatti possiamo scrivere una
proteina semplificando a: NH2-R-COOH
Questa scrittura identifica la proteina come una struttura che presenta un estremità N-terminale ed
una C-terminale, separate da una serie di radicali R differenti. È quindi facilmente intuibile come
questa dicitura sia anche applicabile al singolo amminoacido. Quando siamo al punto isoelettrico si
ha la neutralità della proteina. Ciò significa che il numero di gruppi anionici è uguale al numero di
gruppi cationici (+NH3-R-COO-). Se il pH invece è più acido di quello al punto isoelettrico l’acido
in eccesso viene legato dalla proteina (+NH3-R-COOH) che risulterà carica positivamente. Se
viceversa il pH è basico rispetto al punto isoelettrico, la proteina cede H+ e la proteina si carica in
questo caso negativamente (NH3-R-COO-) Quest’ultimo è il caso tipico dei liquidi fisiologici: le
proteine si trovano quasi sempre caricate negativamente. A seconda del pH si hanno quindi
comportamenti differenti. Le proteine si comportano come acidi deboli: in presenza di basi forti
formano dei sali chiamati proteinati.

Reazioni redox
Le reazioni di ossidoriduzione sono quelle nelle quali avviene un passaggio di elettroni dall’ agente
riducente, che ossidandosi cede i suoi elettroni, all’agente ossidante, che riducendosi acquista gli
elettroni.
Fra le reazioni di ossidoriduzione che avvengono nel nostro organismo, le più importanti sono
quelle radicaliche. Si definisce radicale una specie chimica molto reattiva costituita da un atomo o

     
una molecola che presenta un elettrone spaiato: tale elettrone rende il radicale estremamente
reattivo, in grado di legarsi ad altri radicali o di sottrarre un elettrone ad altre molecole vicine.
Scissione omolitica: A:B → A• + B•
Cl:Cl → Cl• + Cl•
I radicali liberi sono fra i responsabili di danno cellulare più importanti. Reagiscono facilmente con
una qualsiasi molecola si trovi in loro prossimità (carboidrati, lipidi, proteine, acidi nucleici)
danneggiandola e spesso compromettendone la funzione. Hanno la capacità di autopropagarsi
trasformando i loro bersagli in radicali liberi e scatenando così reazioni a catena.
In condizioni normali, ciascuna cellula produce radicali liberi tramite vari processi, come reazioni
enzimatiche (ad esempio la xantina ossidasi o la NO sintasi), fosforilazione ossidativa, difesa
immunitaria (granulociti neutrofili e macrofagi).
I radicali liberi possono anche essere prodotti dalle radiazioni ionizzanti (raggi ultravioletti, i raggi
X e i raggi gamma).
I metalli di transizione fungono da catalizzatori nelle reazioni che portano alla produzione di
radicali liberi. Il più comune è il ferro, seguito dal rame.
Le specie reattive dell'ossigeno, i ROS, sono i radicali liberi a maggior diffusione.
L'anione superossido (O2-) è prodotto durante la fosforilazione ossidativa, da alcuni enzimi
(xantina ossidasi) e dai leucociti. Viene inattivato dalle superossido dismutasi (SOD) che lo
converte in H2O2 e O2. Se non viene inattivato danneggia i lipidi di membrana, proteine e DNA.
Il perossido d'idrogeno (H2O2) è spesso il prodotto della superossido dismutasi (SOD) o da alcune
ossidasi contenute nei perossisomi. Viene metabolizzato dalla catalasi dei perossisomi in H2O e O2.
Il radicale ossidrilico (•OH) è generalmente un prodotto dell'idrolisi dell'acqua da parte di
radiazioni. E' il ROS più reattivo ed è prodotto dai leucociti a partire dal perossido d'idrogeno per
distruggere patogeni, ma se in eccesso provoca danni alla membrana plasmatica, alle proteine e agli
acidi nucleici. Viene inattivato per conversione in H2O da parte della glutatione perossidasi.

I perossisomi sono considerati comparti metabolici specializzati, contenenti enzimi in grado di


trasferire idrogeno da diverse sostanze e legarlo all'ossigeno per la formazione di perossido di
idrogeno (H2O2). In una cellula epatica vi possono essere fino a 600 perossisomi.
Essi esercitano molte azioni che vanno dall'ossidazione degli acidi grassi a lunga catena (detta beta-
ossidazione), alla sintesi del colesterolo e degli acidi biliari nelle cellule epatiche, alla produzione di
plasmalogeni. Intervengono altresì nel metabolismo degli amminoacidi e delle purine e prendono
parte al processo di smaltimento dei composti metabolici tossici.
I perossisomi elaborano al loro interno il perossido di idrogeno (H2O2), a seguito dei processi di
ossidazione, catalizzati da vari enzimi (urato ossidasi, glicolato ossidasi, amminoacido ossidasi) che
per svolgersi necessitano di ossigeno molecolare (O2). Il perossido di idrogeno è altamente reattivo
ed ha azione ossidante per cui viene subito eliminato dall'enzima catalasi (uno dei più rappresentati)
che catalizza la seguente reazione:
2 H2 O2 → O2 + 2 H2 O

     
Dal catabolismo degli acidi grassi a lunga catena si formano perossido di idrogeno e acetil
coenzima A (acetil CoA). L'acetil CoA viene utilizzato dalla cellula per il proprio metabolismo. Il
perossido di idrogeno ha potere lesivo nei confronti di microrganismi ed interviene in alcuni
processi di detossificazione.
La cellula possiede diversi metodi per metabolizzare i ROS.
Il sistema più comune è quello che utilizza enzimi deputati alla conversione delle specie reattive
dell'ossigeno in prodotti meno reattivi e tossici per la cellula. Sono state citate la superossido
dismutasi (ne esistono almeno tre tipi) che agisce su O2- tramite la reazione 2O2- + 2H+ --> H2O2 +
O2, la catalasi che opera sul perossido d'idrogeno tramite la reazione 2H2O2 --> 2H2O + O2 e la
glutatione perossidasi che agisce sia sul perossido d'idrogeno che sul radicale ossidrilico tramite le
reazioni H2O2 + 2GSH --> GSSG + 2H2O e 2OH + 2GSH --> GSSG + 2H2O. Il rapporto tra il
glutatione ridotto (GSH) e il glutatione ossidato (GSSG) viene analizzato per valutare la capacità
della cellula di eliminare i ROS ed è un indice del suo stato ossidativo.
La cellula controlla il livello di metalli di transizione al suo interno, particolarmente quelli del ferro
e del rame. Il ferro è infatti sempre legato ad una proteina e tendenzialmente mantenuto allo stato
ferrico Fe3+. Nel sangue è legato alla trasferrina, la proteina con la maggiore affinità per il suo
substrato conosciuta, è immagazzinato nella ferritina, ma è anche utilizzato nel gruppo eme di molte
metalloproteine e ferrossidasi a diverso significato. Il rame è legato prevalentemente alla
ceruloplasmina e all'efestina.
La cellula possiede antiossidanti deputati alla neutralizzazione di radicali liberi, gli scavenger. Ne
fanno parte il glutatione, la vitamina A (retinolo, retinale, acido retinoico), la vitamina C (acido
ascorbico) e la vitamina E (tocoferolo).
Quando i sistemi enzimatici e gli antiossidanti intracellulari non riescono più a far fronte alla
sovraproduzione di radicali liberi si genera danno cellulare; i bersagli principali sono tre
componenti della cellula: i lipidi, le proteine e gli acidi nucleici.
La perossidazione lipidica, in particolare della membrana plasmatica e delle membrane degli
organelli intracellulari è un danno cellulare comune dovuto ai ROS e agli RNS. I radicali liberi, in
presenza di ossigeno, reagiscono con i doppi legami dei lipidi di membrana generando dei perossidi
lipidici che, essendo reattivi, si propagano determinando un danno esteso alle membrane. Il ROS
più temibile in questo caso è •OH. Negli eritrociti possono provocare quindi emolisi.
Per quanto riguarda l’ossidazione delle proteine, i radicali liberi agiscono ossidando i gruppi laterali
degli amminoacidi, danneggiando la funzione della proteina, promuovono la formazione di legami
crociati come il legame disolfuro, alterandone la struttura o il ripiegamento. Possono anche dare
origine ad amminoacidi modificati (diidrossifenilalanina, ditirosina...).
I radicali liberi possono determinare mutazioni del DNA o danneggiarlo macroscopicamente e
alterare la struttura chimica delle basi azotate, formandone di nuove, come 8-ossiguanina o 5-
idrossimetiluracile. Tramite questo tipo di danno sono concausa dell'invecchiamento cellulare e
promuovono il cancro.
Le ricerche su come la vitamina E prevenisse il processo di perossidazione lipidica condusse
all'identificazione degli antiossidanti come agenti riducenti che prevenivano le reazioni ossidative,
spesso cercando specie reattive dell'ossigeno prima che potessero danneggiare le cellule.
Gli antiossidanti sono sostanze in grado di terminare le reazioni radicaliche a catena intervenendo
sui radicali intermedi ed inibendo altre reazioni di ossidazione facendo ossidare se stessi (agenti
riducenti). Una sostanza con attività anti-ossidativa è anche una sostanza che si ossida rapidamente.
     
Per fare il pieno di antiossidanti gli esperti consigliano di mangiare ogni giorno almeno cinque
porzioni di frutta e verdura.

Chimica Organica
La chimica organica studia i composti del carbonio, i quali costituiscono l’ossatura chimica di tutti
gli esseri viventi del nostro pianeta. (DNA, proteine, glucidi, ecc).
Sono molecole organiche anche gli idrocarburi, il nylon, alcuni tipi di plastica ecc.
Il carbonio può formare 4 legami semplici, disposti nella direzione dei vertici di un tetraedro. Il
composto organico del carbonio più semplice è il metano CH4.
Oltre ai legami semplici, il carbonio può formare legami doppi e tripli, sia con atomi di carbonio
che eteroatomi quali N (azoto) e O (ossigeno). La presenza di legami multipli viene chiamata
insaturazione, i composti insaturi quindi sono quelli che contengono legami doppi o tripli.
I composti che sono formati esclusivamente da legami semplici sono invece detti saturi. Il legame
semplice rende possibile la rotazione degli atomi di C lungo il loro legame. Le molecole quindi non
sono “statiche”, ma sono delle strutture dinamiche e flessibili. Al contrario, la presenza di legami
multipli o strutture ad anello impediscono la rotazione.
Gli acidi grassi che presentano insaturazioni danno origine agli oli, mentre gli acidi grassi saturi,
poiché si possono impacchettare ordinatamente, si presentano come solidi e rappresentano i grassi.
Un importante concetto della chimica organica è l’isomeria: vengono definiti isomeri due sostanze
diverse che presentano però analoga formula molecolare (stessi atomi).
Gli isomeri di struttura, hanno la stessa formula molecolare, ma diversa formula di struttura.
Sono in genere sostanze totalmente differenti, che possono presentare proprietà chimico fisiche
assolutamente dissimili.
etere etilico

alcol butilico
Gli stereoisomeri presentano atomi legati nello stesso ordine o sequenza, ma disposti in maniera
diversa nello spazio. Hanno in genere proprietà chimiche uguali, ma presentano sempre qualche
proprietà fisica differente.
Possiamo avere due tipi di stereoisomeria: geometrica o ottica.
La steroisomeria geometrica si presenta nei composti contenenti un doppio legame e nei composti
ciclici.
I due atomi di carbonio interessati al doppio legame, o contenuti in un composto ciclico non sono
liberi di ruotare l'uno rispetto all'altro. Se a questi atomi di carbonio del sono legati dei gruppi
diversi è possibile che si formino dei particolari tipi di isomeri, detti cis e trans.
     
isomero cis isomero trans
Si parla di isomeria ottica quando due composti che sono l’uno l’immagine speculare dell’altro. I
due composti vengono chiamati ENANTIOMERI.
Affinchè un composto possa esistere come enantiomero deve essere presente un atomo di carbonio
che leghi quattro sostituenti diversi fra loro. In questo caso il carbonio viene detto chirale.
Una caratteristica dei composti chirali è quella di essere otticamente attivi, cioè sono in grado di
ruotare il piano della luce polarizzata. Essi vengono detti levogiri quando ruotano il piano a sinistra
e destrogiri se lo ruotano sulla destra.
Se in una miscela sono presenti i due isomeri nelle stesse concentrazioni non vedremo la rotazione
del piano della luce polarizzata e ci troveremo difronte ad un racemo.
Il fenomeno della chiralità è di fondamentale importanza in biologia. Per esempio i monosaccaridi
naturali sono tutti della serie “d” mentre gli aminoacidi sono tutti della serie “l”.

Gli idrocarburi sono sostanze composte solamente da carbonio e idrogeno:

Gruppo funzionale : è un gruppo di atomi che contraddistingue la struttura di una data famiglia di
composti organici, determinandone la proprietà (es. –OH, -NH2, -COOH).
Gli alcoli sono caratterizzati dalla presenza del gruppo ossidrile (–OH). Possono essere presenti un
solo gruppo o più gruppi e in questo caso si parlerà di polialcol, come per esempio il glicerolo.
L’idrogeno del gruppo ossidrile conferisce a questi composti caratteristiche di acidi deboli.
Gli alcoli possono andare incontro a reazioni di ossidazione e trasformarsi in aldeidi e acidi, se si
tratta di alcoli primari, oppure in chetoni se si tratta di acidi secondari.

     
Sono primari gli alcol in cui il gruppo OH è legato ad un atomo di carbonio che a sua volta lega un
solo atomo di carbonio. Sono detti secondari quando l’atomo di C che lega il gruppo OH è a sua
volta legato ad altri due atomi di C. Con la lettera R viene indicata una generica catena di atomi di
C. Gli alcoli, così come le aldeidi e i chetoni volatili sono fra i principali responsabili dei profumi
del vino e degli oli essenziali.
Le ammine sono caratterizzate dalla presenza del gruppo amminico (-NH2). Sono derivati
dell’ammoniaca NH3 in cui uno o più H sono sostituiti da gruppi R.
Come NH3, le amine hanno carattere basico poiché l’azoto può legare un ulteriore protone:
R-NH2 + H+ = R-NH3+
Fanno parte di questa classe di composti gli alcaloidi, sostanze di origine vegetale che presentano
svariate azioni farmacologice (cocaina, nicotina, caffeina, ecc) e le amine biogene (istamina,
adrenalina, ecc).

Aldeidi e chetoni sono caratterizzati dal gruppo carbonilico e


possono derivare dall’ossidazione degli alcol. L’ulteriore
ossidazione delle aldeidi dà origine agli acidi corrispondenti. I
composti carbonilici volatili, così come gli alcoli, sono presenti in
molti oli ossenziali, di cui ne determinano le proprietà, assieme a
altre classi di composti, fra cui le più importanti sono i terpeni e gli idrocarburi.
Gli acidi carbossilici hanno come gruppo caratteristico il gruppo carbossilico. Come
dice il nome sono composti acidi. Molti acidi organici con funzioni biologiche
fanno parte di questa classe di composti, come l’acido citrico e gli acidi grassi.
Questi ultimi sono caratterizzati da una lunga catena di atomi di carbonio che può
essere satura o insatura.
Dagli acidi carbossilici hanno origine un gran numero di composti chimici per sostituzione del
gruppo OH.

     
Gli esteri si ottengono dalle reazione di un acido con un alcol, e la reazione è detta di
esterificazione.

I trigliceridi sono degli esteri in cui il glicerolo (polialcol) lega 3 acidi grassi che possono essere
uguali o differenti. Sono fatti allo stesso modo i lipidi di membrana, in cui uno dei tre gruppi OH
del glicerolo è esterificato con un gruppo fosfato, mentre gli altri due con acidi grassi.
La reazione inversa all’esterificazione dei trigliceridi è detta saponificazione e avviene in presenza
di basi forti come l’idrossido di sodio o di potassio.
La reazione di saponificazione dà come prodotti il glicerolo e il sale dgli acidi grassi da cui era
formato il trigliceride, vengono chiamati saponi.
Le ammidi si ottengono per condensazione di un acido carbossilico e una ammina. Il legame che si
forma è detto ammidico ed è presente nelle proteine dove prende il nome di legame peptidico.

     
La cellula
La cellula è la più piccola struttura ad essere classificabile come vivente e rappresenta l’unità
fondamentale di ogni organismo.
Essa è delimitata da una membrana cellulare costituita da fosfolipidi. Al suo interno si trova il
citoplasma costituito da una porzione fluida, detta citosol, e da vari organuli, fra cui il nucleo.

La membrana plasmatica è una barriera flessibile ma resistente, costituita da un doppio strato di


fosfolipidi, con uno spessore variabile fra 70÷80 Å.
All’interno del doppio strato sono presenti molecole di colesterolo, che determina la rigidità della
membrana, e delle proteine, che esercitano varie funzioni quali canali, pompe e recettori che
permettono la comunicazione del citoplasma con l’esterno della cellula, rendendo la membrana un
filtro semipermeabile e selettivo.
I fosfolipidi che costituiscono la membrana sono caratterizzati da una “testa idrofila” (gruppo
fosfato) solubile in acqua, e da una “coda idrofoba” (due catene di acidi grassi) insolubile in acqua.
Nel doppio strato di fosfolipidi che costituisce la membrana cellulare, le teste idrofile sono rivolte
verso l’esterno mentre le code idrofobe sono rivolte verso l’interno. Da entrambe i lati della
membrana è infatti presente un ambiente acquoso che attrae le teste delle molecole fosfolipidiche e
ne respinge le code.
La membrana plasmatica è una struttura fluida: i due strati di code fosfolipidiche, possono scorrere
facilmente l’uno rispetto all’altro.
Questa struttura consente alla membrana di svolgere una importante funzione di filtro selettivo.
Poiché i due strati di code fosfolipidiche sono apolari, le uniche sostanze che possono attraversare la
membrana sono altre sostanze apolari oppure molecole molto piccole come i gas (O2, CO2). Invece
le sostanze idrofile (ioni e molecole polari) non si sciolgono nel doppio strato fosfolipidico e non
sono quindi in grado di attraversare la membrana, ma devono essere trasportate attraverso delle
strutture specifiche costituite da proteine.
     
La composizione dei due foglietti, esterno e interno, presenta notevoli differenze per cui la
membrana plasmatica è caratterizzata da una marcata asimmetria, che riflette le differenti funzioni
dei due monostrati.
Oltre l’80% delle molecole che contengono colina, precisamente fosfatidilcolina (PC) e
sfingomielina (SP), sono situate nel monostrato esterno della membrana, mentre circa il 90% dei
lipidi con teste senza carica netta (fosfatidiletanolamina, PE) o con carica netta negativa
(fosfatidilserina (PS) e fosfatidilinositolo), sono localizzati di preferenza nel monostrato interno.
Ciò comporta una prevalenza di cariche negative sul versante citoplasmatico della membrana
cellulare.
In oltre, i glucidi (oligosaccaridi), che sono presenti nella membrana plasmatica in forma di glico-
proteine e glico-lipidi, sono situati nel solo foglietto esterno, in contatto dell'ambiente
extracellulare, dove possono svolgere una funzione recettoriale, in particolare nei processi di
adesione e riconoscimento tra le cellule.
I lipidi di membrana svolgono anche una funzione metabolica, in quanto rappresentano una fonte di
mediatori lipidici, che possono essere mobilizzati in risposta agli stimoli esterni: inositol-1,4,5-
trifosfato (IP3), diacilglicerolo (DAG), acido fosfatidico (PA), liso-PAF (lyso-platelet-activating
factor).

Il trasporto dei soluti attraverso la membrana

Il trasporto di sostanze attraverso la membrana può avvenire attraverso due modalità principali:
1. trasporto passivo: non consuma energia biochimica (ATP), può essere mediato da proteine di
membrana. Esso comprende la diffusione semplice e la diffusione facilitata.
2. trasporto attivo:   permette il passaggio dei soluti contro gradiente di concentrazione, mediato da
proteine di membrana che richiedono l’utilizzo di energia biochimica (ATP). Esso comprende il
trasporto attivo primario e il trasporto attivo secondario.

     
La diffusione semplice è quella che avviene attraverso il doppio strato lipidico, senza l’attività delle
proteine di membrana; avviene secondo gradiente di concentrazione. Fa parte di questa categoria
anche l’osmosi.
La diffusione facilitata utilizza proteine canale e trasportatori che facilitano e velocizzano il
passaggio di una specifica sostanza. Zuccheri semplici e amminoacidi passano attraverso i carrier
mentre gli ioni generalmente passano soprattutto attraverso i canali. Anche questo tipo di trasporto
avviene senza consumo di ATP poiché avviene in favore di gradiente.
Trasporto attivo primario è il meccanismo attraverso cui alcune sostanze possono essere trasportate
attraverso la membrana contro il gradiente elettrochimico. Il trasporto è mediato da proteine e
direttamente accoppiato all’idrolisi dell’ATP (consumo energetico). È grazie a questo tipo di
trasporto che si crea il gradiente elettrochimico transmembrana. Fanno parte di questa classe di
trasportatori la pompa sodio-potassio, la pompa del calcio e la pompa protonica gastrica e renale.  
Nel trasporto attivo secondario l’energia necessaria per il trasporto contro viene data da un
gradiente elettrochimico. Per esempio, poiché
il sodio è molto concentrato all’esterno della
cellula, tenderà spontaneamente ad entrare,
quindi accoppiando il trasporto del sodio ad
un’altra sostanza, potremo trasportare
quest’ultima contro gradiente. Questo può
avvenire con due distinti meccanismi, il
simporto (trasporto nella stessa direzione) o
l’antiporto (trasporto in due differenti
direzioni)

Il nucleo cellulare
Il nucleo è la struttura cellulare di maggiori dimensioni, la sua forma e il suo posizionamento
dipendono dal tipo di cellula; esso è presente in tutte le cellule del corpo tranne nei globuli rossi
maturi. La sua funzione è contenere gli
acidi nucleici, provvedere alla
duplicazione del DNA, alla trascrizione
e alla maturazione dell'RNA.
Nel nucleo possono essere distinti:
-una doppia membrana, che lo separa
dal citoplasma della cellula, in
continuità con il reticolo endoplasmatico
rugoso (RER);
- un materiale filamentoso, la cromatina,
costituita da proteine ed acidi nucleici;
- i nucleoli, immersi nella sostanza
nucleare.  

La membrana nucleare non è continua, ma presenta dei fori, detti pori nucleari, il cui scopo è quello
di permettere il passaggio delle molecole dal citosol al nucleoplasma.

     
All’interno del nucleo è presente una porzione fluida, il nucleoplasma, in cui è dispersa la
cromatina, stato filamentoso del DNA. Al suo interno si trovano inoltre una o più zone
maggiormente dense, i nucleoli.
La cromatina è la forma in cui appare il materiale genetico quando la cellula non è impegnata nella
divisione cellulare. Il DNA che si trova nel nucleo è organizzato in un superavvolgimento dato
dall'associazione del DNA stesso con 5 proteine istoniche: H2A; H2B; H3; H4; H1. Le prime
quattro associate al DNA formano degli ottameri ricchi di DNA superavvolto detti nucleosomi. La
proteina istonica H1 ha il compito specifico di mantenere collegati tra loro i diversi istoni.
La cromatina, si suddivide in eucromatina ed eterocromatina (a seconda che si colori o meno), a sua
volta suddivisibile in eterocromatina costitutiva (centromero e telomero) e facoltativa, ovvero quelle
regioni di DNA silenziato in ragione della specificità cellulare dovuta al differenziamento, oppure
ad una temporanea inattività di quei particolari geni.
Nel momento in cui la cellula deve riprodursi, cioè dividersi per dare luogo a due cellule figlie, la
cromatina subisce una spiralizzazione, cioè le strutture formate dalle lunghe molecole di DNA e
dagli istoni si avvolgono in modo più stretto, cosicché il materiale genetico appare in una forma
diversa: i cromosomi, corpi di forma bastoncellare intensamente colorati.

Il nucleolo è una regione del nucleo responsabile della sintesi dell'RNA ribosomiale (rRNA).
Questa regione non è un organulo interno vero e proprio, bensì una regione particolarmente densa di
materiale genetico e proteico. Il nucleolo è presente nelle normali fasi del ciclo cellulare ma
scompare durante la mitosi, momento in cui la cellula interrompe la sintesi proteica e non necessita
quindi di ribosomi.

Il reticolo endoplasmatico
Il reticolo endoplasmatico (RE), presente in tutte le cellule eucariotiche, è una intricata rete di
cisterne e tubuli intercomunicanti tra loro, costituiti da membrane, che dividono il citoplasma in due
compartimenti principali. Il citosol e il compartimento intramembranoso.

     
Quest’ultimo comprende lo spazio in cui i prodotti secretori vengono immagazzinati o trasportati al
complesso di Golgi e quindi all'esterno della cellula. All'interno del lume è presente un ambiente
chimico diverso da quello citosolico, ma molto simile a quello extracellulare.
Il reticolo endoplasmatico è un compartimento unico con porzioni morfologicamente e
funzionalmente differenti, distinte in reticolo endoplasmatico rugoso (RER), e reticolo
endoplasmatico liscio (REL), privo di ribosomi.

Il reticolo endoplasmatico rugoso (RER), è costituito prevalentemente da sacculi appiattiti


stratificati l’uno sull’altro, in cui sono presenti ribosomi legati sul versante citoplasmatico. Il RER è
particolarmente abbondante nelle cellule che sintetizzano e secernono grandi quantità di proteine.
Questo organulo è infatti deputato alle modificazioni post-traduzionali delle proteine destinate al
compartimento extracellulare. Nei ribosomi presenti sul RER vengono sintetizzate le proteine che
penetrate nel lume del RER, passano al Golgi e da qui smistate alla membrana plasmatica, ai
lisosomi e alla vescicola di secrezione. Alcune proteine, soprattutto enzimi, rimangono all’interno
del lume, dove partecipano alle reazioni specifiche di questo organulo. Nel lume del RER inizia la
glicosilazione delle proteine. Tale processo continuerà nell’apparato di Golgi ed è importante per
l’indirizzamento delle proteine alle differenti destinazioni finali.
Il reticolo endoplasmatico liscio (REL) è costituito prevalentemente da un intreccio di tubuli
membranosi anastomizzati tra loro, esso è privo di ribosomi. È particolarmente sviluppato nelle
cellule che sintetizzano e secernono lipidi complessi.
Esso assolve a numerose funzioni quali la biosintesi dei lipidi di membrana, biosintesi degli ormoni
stereoidei, metabolismo del glicogeno, immagazzinamento del calcio (reticolo sarcoplasmatico) e
detossificazione di sostanze lipofile (farmaci).

Apparato di Golgi
Esso è formato da cisterne discoidali appiattite (dittosomi), impilate le une sulle altre e disposte con
un preciso orientamento, e da una serie di piccole vescicole. Nelle cellule umane solitamente il
numero delle cisterne varia tra quattro e sette. Ognuna di esse è una struttura chiusa, circondata da
un’unica membrana continua, mentre le vescicole, anch’esse delimitate da membrane, sono
raggruppate vicino ai margini di ciascuna cisterna. L’apparato di Golgi è dotato di polarità: una
faccia cis o di formazione,   contigua al reticolo endoplasmatico, da cui riceve delle vescicole (CIS
Golgi Network (CGN), e una faccia trans o di maturazione, rivolta verso la membrana plasmatica
da cui si originano, attraverso il Trans Golgi Network (TGN), vescicole che diventano lisosomi,
vescicole di secrezione, o che si fondono con la membrana plasmatica.
     
Possiamo suddividere strutturalmente e funzionalmente l’apparato di Golgi in 5 regioni, ognuna
caratterizzata da un preciso corredo enzimatico, come mostrato in figura. Schematicamente
possiamo riassumere le modificazioni apportate alle proteine provenienti dal reticolo
endoplasmatico in quatto tipologie:
Glicosilazione: aggiunta di zuccheri
Deglicosilazione: rimozione di zuccheri
Solfatazione: aggiunta di gruppi solfato (SO42-)
Fosforilazione: aggiunta di gruppi fosfato.

Le vescicole di trasporto (dette cargo) provenienti dal reticolo endoplasmatico e che attraversano il
Golgi vengono processate attraverso 2 modalità:
1. Progressione delle vescicole: il materiale, elaborato in una cisterna, viene incluso in
microvescicole di trasporto che gemmano lateralmente dai margini della cisterna per fondersi con la
cisterna immediatamente successiva. Nella progressione delle vescicole, il movimento avviene in
direzione anterograda (da cis a trans).
2. Progressione delle cisterne: in questo caso, il cargo
rimane nelle cisterne (e non va nelle vescicole che
gemmano lateralmente). Le cisterne, a loro volta,
avanzano in direzione Cis-Trans maturando
progressivamente. Anche in questo caso c’è una
migrazione di vescicole che gemmano lateralmente. Il
movimento, però, avviene in senso retrogrado
(direzione Trans→Cis) e il contenuto delle vescicole
non è il cargo ma gli enzimi, i quali, fondendosi con le
cisterne a monte, scaricano i propri enzimi nella
cisterna e il cargo può essere così modificato. Questo
tipo di trasporto viene solitamente utilizzato per le
grandi molecole che non possono essere contenute nelle microvescicole di trasporto.

     
Dopo aver modificato le molecole, il Golgi interviene anche nell’ “impacchettarle” e “indirizzarle”
alle diverse destinazioni. L’indirizzamento avviene mediante l’aggiunta di piccole molecole che
fungono da segnale. Le possibili destinazioni delle molecole modificate dal Golgi sono:
- Verso l’esterno della cellula: questo processo è detto anche secrezione e può essere di 2 tipi:
1) Secrezione costitutiva: riguarda tutte le cellule. Le vescicole si staccano dal versante trans e
migrano, senza accumularsi nel citoplasma, verso la membrana plasmatica, fondendosi con essa e
liberando il loro contenuto, mediante esocitosi, nella matrice extracellulare.
2) Secrezione regolata: riguarda solo alcune cellule. Le vescicole si accumulano nel citoplasma e
vengono liberate dalla cellula solo in seguito a specifici segnali.
- Verso la membrana cellulare. Attraverso le vescicole neoformate, il Golgi invia alla membrana
plasmatica glicoproteine incastonate nello spessore della membrana delle vescicole, con la
componente glucidica rivolta verso l’interno delle vescicole. Le vescicole, fondendosi con la
membrana espongono i glucidi della glicoproteina all’esterno della cellula, mentre la parte proteica
è accolta integralmente nella membrana.
- Verso i lisosomi. Ai lisosomi vengono inviate dal Golgi le idrolasi acide, in forma inattiva.
- Verso il reticolo endoplasmatico. Può accadere che alcune proteine modificate nel Golgi non siano
totalmente mature, ma che abbiano bisogno di un ulteriore rimaneggiamento. In questo caso, le
proteine ritornano al RER per essere modificate ulteriormente.

I lisosomi sono organuli citoplasmatici, delimitati da membrana, che contengono una serie di
enzimi in grado di degradare tutti i tipi di polimeri biologici (proteine, lipidi e carboidrati e acidi
nucleici). La degradazione avviene per mezzo di enzimi idrolitici che si attivano a pH bassi (4,8)
per questo chiamati idrolasi acide. Ciò riduce il pericolo della distruzione della cellula ospitante
qualora vi sia la liberazione accidentale di tali enzimi nel citoplasma (che ha pH 7).

Mitocondri
I mitocondri sono organelli di forma cilindrica, presenti nel citoplasma delle cellule eucariotiche in
numerose copie e svolgono una funzione centrale nel metabolismo cellulare.
Questi organelli possono variare notevolmente come numero, localizzazione e anche forma a
seconda della funzione del tipo di cellule di cui fanno parte.
In genere, nei tessuti metabolicamente più attivi (come nei muscoli), occupano una porzione
significativa del volume citoplasmatico.
Strutturalmente, i mitocondri sono costituiti da due membrane:
· la membrana esterna, a contatto con il citosol, circonda tutto l'organello e permette il passaggio di
piccole molecole;
· la membrana interna forma delle invaginazioni, chiamate creste mitocondriali, che aumentano
notevolmente la sua superficie, permettendo di disporre un numero maggiore di complessi di ATP
sintetasi e di fornire pertanto maggiore energia. Essa è altamente selettiva.
Lo spazio fra queste due membrane è detto spazio intermembrana.
Il compartimento delimitato dalla sola membrana interna è invece chiamato matrice mitocondriale
ed ha consistenza gelatinosa a causa della elevata concentrazione di proteine. Questa contiene
numerosi enzimi, ribosomi e molecole di DNA circolare a doppio filamento. I mitocondri, infatti,
     
possiedono un proprio materiale genetico che viene trascritto e tradotto all'interno del mitocondrio
stesso, nella matrice. Le proteine mitocondriali vengono codificate in parte da geni nucleari e in
parte da geni del DNA mitocondriale. La presenza di questo materiale genetico all'interno dei
mitocondri è una delle evidenze a sostegno della teoria endosimbiotica. Si pensa infatti che i
mitocondri, come i cloroplasti nelle piante, derivino da batteri ossidativi fagocitati nella cellula e
poi sopravvissuti come simbionti.  

Funzionalmente, i mitocondri rappresentano la centrale energetica della cellula eucariotica, in


quanto al suo interno, mediante ciclo di Krebs e catena di trasporto degli elettroni (fosforilazione
ossidativa), viene prodotto l'ATP, la principale molecola trasportatrice di energia della cellula. Altre
funzioni svolte dal mitocondrio sono l'apoptosi, la regolazione del ciclo cellulare, la sintesi dell'eme
e del colesterolo, la produzione di calore.

Biochimica
E’ lo studio delle molecole biologiche. Prenderemo in considerazione le seguenti classi di composti:
proteine, carboidrati, lipidi, acidi nucleici.

Gli amminoacidi e le proteine


Gli amminoacidi sono i monomeri che costituiscono le proteine. La loro formula genreica è
rappresentata in figura. Lo stesso atomo di carbonio con
configurazione L, lega un gruppo amminico, basico, un gruppo
carbossilico, acido e un gruppo R variabile, caratteristico per ogni
aminoacido. Gli amminoacidi sono 20, tutti diversi tra loro, ed è
possibile ottenere un infinito numero di proteine a seconda del tipo,
del numero e dell'ordine di sequenza con cui vengono legati i diversi
amminoacidi.

     
I 20 amminoacidi standard possono essere divisi in gruppi a seconda della carica e della polarità
delle loro catene laterali:
• catene laterali neutre apolari: alanina, fenilalanina, glicina, isoleucina, leucina, metionina,
prolina, triptofano, valina
• catene laterali neutre polari: asparagina, cisteina, glutammina, serina, tirosina, treonina
• catene laterali cariche acide: aspartato, glutammato
• catene laterali cariche basiche: arginina, istidina, lisina
Il nostro organismo riesce a sintetizzare solo alcuni degli amminoacidi necessari per costruire le
proteine, ma non è capace di costruirne altri, che vengono perciò definiti essenziali e devono essere
introdotti con gli alimenti. Essi sono leucina, isoleucina, lisina, metionina, fenilalanina, treonina,
triptofano, valina.
Oltre a quelli coinvolti nella biosintesi delle proteine, vi sono amminoacidi che svolgono importanti
funzioni biologiche quali la glicina, l'acido gamma-amminobutirrico (GABA, un γ amminoacido) e
l'acido glutammico (tre neurotrasmettitori), la carnitina (coinvolta nel trasporto dei lipidi all'interno
della cellula), l'ornitina, la citrullina, l'omocisteina, l'idrossiprolina, l'idrossilisina e la sarcosina.
A pH isoelettrico, gli aminoacidi si trovano in forma di zwitterioni. Tale struttura è caratterizzata
dalla presenza dello ione carbossilato –COO- e del gruppo ammonico -NH3+

Per eliminazione di una molecola di acqua (reazione di condensazione con eliminazione), il gruppo
amminico di un amminoacido può legarsi al gruppo carbossilico di un altro formando un legame
ammidico (o peptidico).

H2N-CH-COOH + H2N-CH-COOH --> H2N-CH-CO-NH-CH-COOH + H 2O


| | | |
R R' R R'

In biochimica la struttura primaria di un biopolimero lineare non ramificato (come una molecola di
DNA o RNA, o le proteine) è data dalla sequenza ordinata con cui le singole subunità monomero si
succedono lungo la catena. Per le proteine quindi la struttura primaria definisce l’ordine in cui sono
legati gli aminoacidi.
Con il termine struttura secondaria si fa riferimento alla disposizione nello spazio della sequenza.
Le strutture secondarie sono due: α-elica e β-foglietto (parallelo e antiparallelo). Queste due
strutture sono stabilizzate da legami idrogeno.
La struttura terziaria di una proteina o di una qualsiasi altra macromolecola è la sua disposizione
nello spazio tridimensionale.
In condizioni fisiologiche la struttura tridimensionale che si ottiene è detta nativa e ad essa è
associata una funzione biologica. Le interazioni tra i residui di amminoacidi, determinanti per
ottenere il processo di avvolgimento (ripiegamento proteico), sono dette a lunga distanza perché

     
avvengono generalmente tra residui situati molto lontani nella struttura primaria. Le principali
interazioni chimiche che possono contribuire al mantenimento della struttura terziaria (così come
della struttura secondaria) sono il legame ad idrogeno, le interazioni ioniche, le interazioni dipolo-
dipolo. In alcune proteine sono presenti anche dei ponti disolfuro determinati dalla reazione di
ossidazione a carico di due residui laterali di cisteina che, pervenendo nel processo di ripiegamento
proteico nelle corrette condizioni spaziali per instaurare un legame tipo S-S, generano un residuo di
cistina.
Le proteine hanno una struttura tridimensionale complessa a cui è associata sempre una funzione
biologica. Da questa considerazione deriva uno dei dogmi fondamentali della biologia: "Struttura-
Funzione", nel senso che ad ogni diversa organizzazione strutturale posseduta da una proteina (detta
proteina nativa) è associata un specifica funzione biologica. Da questo punto di vista le proteine
possono essere classificate in due grandi famiglie: le proteine globulari e le proteine a struttura
estesa o fibrosa. Queste due organizzazioni riflettono le due grosse separazioni funzionali che le
contraddistinguono. Le proteine estese o fibrose svolgono funzioni generalmente biomeccaniche,
esse per es. rientrano nella costituzione delle unghie, dei peli, dello strato corneo dell'epidermide,
ecc., opponendo una valida difesa contro il mondo esterno. Al contrario, le proteine globulari sono
coinvolte in specifiche e molteplici funzioni biologiche, spesso di notevole importanza per
l'economia cellulare, per es. sono proteine gli enzimi, i pigmenti respiratori, molti ormoni e gli
anticorpi, responsabili della difesa immunitaria.
La perdita della conformazione tridimensionale, e quindi dell’attività, viene detta denaturazione ed
è facilmente ottenibile variando il pH, scaldando o attraverso l’utilizzo di particolari solventi e
detergenti.
La struttura quaternaria è l'organizzazione spaziale di più molecole proteiche in complessi multi-
subunità. Le proteine, uguali o diverse tra loro, assumono ciascuna la propria struttura terziaria, ma
possono organizzarsi in strutture ancora più complesse interagendo tra loro: le interazioni possono
essere legami deboli come legami idrogeno e forze di Van der Waals, oppure forti ossia ionico o
covalente. La modifica conformazionale di una delle subunità determina spesso, a causa delle
interazioni presenti nella proteina, cambiamenti nelle proprietà di un sito adiacente (allosterismo).
La prima, storica, proteina di cui è stata dedotta la struttura quaternaria è stata l'emoglobina.
Essa è composta da quattro subunità che si associano a due a due (formando cioè due dimeri); i due
dimeri a loro volta interagiscono tra loro tramite molteplici legami deboli e formano così un
tetramero: la definitiva struttura quaternaria dell'emoglobina. Altri esempi sono forniti dalla
maggior parte degli enzimi: essi sono spesso composti da più subunità, ciascuna con una propria
funzione (catalitica, regolatoria, stabilizzante...).
In biochimica la regolazione allosterica (o allosteria, o allosterismo) è la regolazione di un enzima o
di una proteina mediata da una molecola detta effettore, che svolge tale funzione legandosi presso il
sito allosterico. Le macromolecole sottoposte a regolazione allosterica presentano solitamente una
struttura quaternaria e, su ogni subunità, presentano un sito allosterico. Il legame dell'effettore
presso tali siti è in grado di modificare leggermente la struttura terziaria dell'enzima e quindi di
variare la sua affinità per il substrato, consentendo di incrementare o di ridurre l'attività catalitica a
seconda delle esigenze della cellula.

     
Gli enzimi sono dei catalizzatori biologici. La maggioranza sono costituiti da proteine e una piccola
parte da RNA. Il processo di catalisi indotto da un enzima (come da un qualsiasi altro catalizzatore)
consiste in una accelerazione della velocità della reazione e quindi in un più rapido raggiungimento
dello stato di equilibrio termodinamico. Un enzima accelera unicamente le velocità delle reazioni
chimiche, senza intervenire sui processi che ne regolano la spontaneità. Il suo ruolo consiste nel
facilitare le reazioni attraverso l'interazione tra il substrato (la molecola o le molecole che
partecipano alla reazione) e il proprio sito attivo (la parte di enzima in cui avvengono le reazioni),
formando un complesso. Avvenuta la reazione, il prodotto viene allontanato dall'enzima, che rimane
disponibile per iniziarne una nuova. L'enzima infatti non viene consumato durante la reazione.
L'attività degli enzimi è determinata dalla struttura quaternaria e dalla loro conformazione
tridimensionale. Solitamente la regione dell'enzima coinvolta nell'attività catalitica è molto ridotta
(conta spesso solo 3-4 amminoacidi). La regione contenente questi residui catalitici, nota come sito
attivo, si occupa di prendere contatto con il substrato e di portare a termine la reazione. Gli enzimi
possono anche contenere regioni che legano cofattori necessari per la catalisi. Alcuni enzimi
presentano anche siti di legame per piccole molecole, spesso prodotti diretti o indiretti della
reazione catalizzata. Tale legame può incrementare o ridurre l'attività dell'enzima, attraverso una
regolazione a feedback negativo.
La differenza principale degli enzimi dagli altri catalizzatori chimici è la loro estrema specificità di
substrato. Essi infatti sono in grado di catalizzare solo una reazione o pochissime reazioni simili,
poiché il sito attivo interagisce con i reagenti in modo stereospecifico (è sensibile anche a
piccolissime differenze della struttura tridimensionale).
Il primo modello a essere stato messo a punto per spiegare la specificità degli enzimi è quello
suggerito da Hermann Emil Fischer nel 1894, secondo il quale l'enzima e il substrato possiedono
una forma esattamente complementare che ne permette un incastro perfetto. Tale modello è spesso
definito come chiave-serratura.
Successivamente venne proposta una modifica del modello chiave-serratura: dal momento che gli
enzimi sono strutture relativamente flessibili, si ipotizzò che il sito attivo potesse continuamente
modellarsi in base alla presenza o meno del substrato. Come risultato, il substrato non si lega
semplicemente a un sito attivo rigido, ma genera un rimodellamento del sito stesso, che lo porta a
un legame più stabile in modo da portare correttamente a termine la sua attività catalitica. Anche il
substrato può cambiare leggermente la propria forma all'ingresso nel sito attivo.
Alcuni enzimi sono provvisti, oltre che del sito attivo, anche di cosiddetti siti allosterici, che
funzionano come degli interruttori, potendo bloccare o attivare l'enzima. Quando una molecola
particolare fa infatti da substrato per questi siti, la struttura dell'enzima viene completamente
modificata, al punto che esso può non funzionare più. Al contrario, può avvenire che la
deformazione metta in funzione l'enzima. Molto spesso la deformazione consiste in un
riorientamento dei domini che compongono l'enzima in modo da rendere il sito attivo più
accessibile (attivatori) o meno accessibile (inibitori). Queste molecole che regolano l'attività
enzimatica sono dette effettori allosterici o modulatori allosterici.
Il sito allosterico può essere anche lo stesso sito attivo dell'enzima: in questo caso, in genere, gli
attivatori sono gli stessi reagenti, mentre gli inibitori allosterici saranno i prodotti.
Molti effettori hanno effetti simili su più enzimi diversi: in questo modo l'allosteria può essere
utilizzata per sincronizzare diverse reazioni che si trovano lungo la stessa via o su vie diverse. Ad
esempio l'ATP è un inibitore allosterico di molti enzimi che operano su reazioni di catabolismo

     
(glicolisi, ciclo di Krebs...): così quando la sua concentrazione è alta, ovvero la cellula ha molta
energia a disposizione, lo stesso ATP rallenta le vie che portano alla produzione di ulteriori
molecole ad alto contenuto energetico.
Il termine proteina di membrana è usato per proteine associate più o meno strettamente alle
membrane cellulari. Le proteine di membrana sono classificate in due categorie: estrinseche
(periferiche) ed intrinseche (proteine transmembrana o integrali).
Le proteine di membrana hanno diverse funzioni.
• enzimi e regolatori: catalizzano le reazioni chimiche;
• trasportatori di molecole attraverso la membrana per mezzo di pori, canali ionici, pompe
ioniche e carrier specifici;
• molecole di adesione: mantengono la forma della cellule e formano le giunzioni cellulari;
• recettori: riconoscono le molecole segnale e attivano le cascate fosforilative del segnale.

Tutta la vita della cellula è quindi regolata dalle proteine di membrana che si occupano del
mantenimento dei gradienti cellulari, delle comunicazioni fra ambiente esterno e interno, della
forma e posizionamento ecc.
Anche la trasmissine dell’informazione attraverso i neuroni è regolata da queste proteine (recettori).
In biochimica, un recettore è una proteina, transmembrana o intracellulare, che si lega con un fattore
specifico, definito ligando, causando nel recettore una variazione conformazionale in seguito alla
quale si ha l'insorgenza di una risposta cellulare o un effetto biologico.
I recettori sono in linea di principio di due tipi principali: recettori canale e recettori accoppiati a
proteine.
I recettori canale, legandosi con il loro substrato possono essere aperti o chiusi, determinando un
flusso di ioni in base al loro gradiente, determinando così variazioni dell’ambiente intracellulare sia
di tipo chimico che elettrico.
I recettori accoppiati a proteine invece, legandosi al loro substarto, attivano delle reazioni a cascata
attraverso delle molecole dette secondi messaggeri.
La modulazione della trasduzione del segnale avviene a 4 distinti livelli di controllo:
1) Ricaptazione e feedback (retroazione): il ligando, una volta distaccatosi dal suo recettore, può
essere ricaptato dalla cellula che lo ha rilasciato. La quantità di ligando ricaptato regola il rilascio
successivo di ligando stesso: se la quantità ricaptata è insufficiente, verrà sintetizzato altro ligando;
se invece la quantità ricaptata è eccessiva, verrà diminuito il rilascio di ligando.
2) Fosforilazione: questo segnale agisce a livello dell'interazione ligando-recettore. Le cellule,
mediante processi di fosforilazione e defosforilazione recettoriale, sono in grado di modulare
l'affinità del recettore per il ligando. Di solito, la fosforilazione del recettore induce una
modificazione conformazionale nel recettore stesso il quale perde affinità per il proprio ligando.
L'interazione è più breve, più difficile o meno duratura, perciò la risposta generata è minore.
3) Desensitizzazione, downregulation (sottoregolazione) e upregulation (sovraregolazione). La
desensitizzazione è il passo che precede la downregulation. I recettori, ancora tutti presenti a livello
della membrana, perdono la capacità di trasdurre il segnale. A questo fa seguito la sottoregolazione:
i recettori vengono legati da proteine (come la clatrina) e inglobati in specifiche vescicole all'interno
della membrana. Tale processo viene definito internalizzazione e ha la funzione di diminuire il
     
numero di recettori che possono legarsi al ligando, senza distruggere il recettore stesso. Poi,
all'occorrenza, senza che così vi sia il bisogno di sintetizzarne di nuovi, i recettori potranno essere
velocemente esposti sulla membrana. All'opposto della downregulation, si definisce la upregulation:
in mancanza o in difetto di ligando, la cellula espone tutti i suoi recettori nel tentativo di captare
tutto il ligando possibile.
4) Ultimo livello di controllo è la modulazione di secondi messaggeri. Variando l'attività di secondi
messaggeri, è possibile regolare la risposta. L'adenilciclasi sintetizza cAMP, che è un secondo
messaggero. L'attivazione di fosfodiesterasi porta alla degradazione di del cAMP; diminuendo il
cAMP diminuisce la possibilità di trasdurre il messaggio.

I carboidrati

I carboidrati, o glucidi, sono composti organici con formula Cx(H2O)y.


Dal punto di vista chimico, i carboidrati sono aldeidi o chetoni a cui sono stati aggiunti vari gruppi
ossidrilici, solitamente uno per ogni atomo di carbonio che non fa parte del gruppo funzionale
aldeidico o chetonico, possono essere quindi poliidrossialdeidi o poliidrossichetoni.
Possono essere suddivisi in:
monosaccaridi, dalla cui idrolisi non si possono ottenere zuccheri più semplic (glucosio, fruttosio,
ecc);
disaccaridi costituiti da due unità monomeriche (lattosio, saccarosio, ecc);
oligosaccaridi costituiti da 3 a 20 unità monomeriche;
polisaccaridi costituiti da molte molecole di zuccheri (amido, cellulosa, ecc).
I monosaccaridi possono essere costituiti da 3 a 6 atomi di carbonio.

Sono tutti della configurazione D.   La classificazione in D o L è fatta in base all'orientamento del


carbonio asimmetrico più lontano dal gruppo aldeidico o chetonico: se il gruppo ossidrile è a destra
della molecola, lo zucchero ha configurazione D; se è a sinistra lo zucchero ha configurazione L.

     
 

Il gruppo aldeidico o chetonico di una catena lineare di un monosaccaride reagirà reversibilmente


con un gruppo ossidrile su un altro atomo di carbonio formando un anello eterociclico con un ponte
ossigeno tra i due atomi di carbonio. Gli anelli con cinque o sei atomi sono chiamati furanosi e
piranosi ed esistono in equilibrio con la forma a catena aperta. Durante la conversione dalla forma a
catena aperta alla forma ciclica, l'atomo di carbonio contenente l'ossigeno carbonilico, chiamato
carbonio anomerico, diventa un centro chirale con due possibili configurazioni: l'atomo di ossigeno
può prendere posizione sopra o sotto il piano dell'anello. I due possibili stereoisomeri risultanti sono
detti anomeri. Nell'anomero α, l'-OH che sostituisce il carbonio anomerico sta dal lato opposto
(trans) dell'anello (secondo CH2OH). La forma alternativa dà l'anomero β. Dato che l'anello e la
forma a catena aperta si interconvertono velocemente, entrambi gli anomeri esistono all'equilibrio.
I monosaccaridi sono la più grande risorsa per il metabolismo, dato che vengono usati come fonte di
energia. Quando non c'è immediato bisogno di monosaccaridi spesso sono convertiti in forme più
vantaggiose per lo spazio, spesso in polisaccaridi. In molti animali, compresi gli umani, questa
forma di deposito è il glicogeno, sito nelle cellule del fegato e dei muscoli. Le piante invece
utilizzano l'amido come riserva.
Due monosaccaridi importanti sono il ribosio e il deossiribosio, che entrano a far parte
rispettivamente del RNA e del DNA.
I disaccaridi sono la classe più semplice, ma più importante degli oligosaccaridi. Un disaccaride si
forma quando due monosaccaridi reagiscono tra loro, il primo con l'ossidrile della sua struttura
emiacetalica ed il secondo con uno qualsiasi dei suoi ossidrili eliminando una molecola d'acqua.
Fanno parte di questa categoria il saccarosio e il lattosio.
Gli oligosaccaridi sono glucidi biologicamente attivi se coniugati con proteine (glicoproteine) e
lipidi (glicolipidi). Sono formati da 3 a 8 monosaccaridi e la loro maggiore funzione è il
riconoscimento intercellulare. Alcuni non sono digeribili dall'organismo umano perché manca di
enzimi specifici, ma sono sottoposti a fermentazione ad opera del microbiota umano nel colon, con
conseguente produzione di gas.

     
I polisaccaridi o glicani sono formati da molte unità di monosaccaridi unite fra loro con legami
glicosidici. I polisaccaridi possono essere costituiti da un unico tipo di monosaccaride
(omopolisaccaridi) o da differenti tipi di monosaccaridi (eteropolisaccaridi). Possono essere a
struttura lineare o a struttura ramificata. Secondo la loro funzione biologica possono essere divisi in
polisaccaridi di riserva, di cui fa parte il glicogeno nelle cellule animali e l’amido in quelle vegetali,
o polisaccaridi funzionali.
I lipidi

E’ un gruppo eterogeneo di sostanze che hanno in comune un basso grado di solubilità in acqua,
mentre sono solubili in solventi organici come il benzene o l’etere. Le funzioni dei lipidi, così come
la loro struttura, possono essere diverse.
Lipidi di riserva, rappresentati principalmente da trigliceridi e acidi grassi. Dal punto di vista
nutrizionale infatti sono le sostenze che causano il maggior apporto energetico.
1 grammo di grassi = circa 9 calorie
1 grammo di proteine = circa 4,5 calorie
1 grammo di carboidrati = circa 3,75 calorie
Le tre principali classi di lipidi delle membrane sono: fosfolipidi (70% del peso lipidico totale),
colesterolo (20%) e glicolipidi (5%). I principali fosfolipidi di membrana sono: fosfatidilcolina,
fosfatidilserina, fosfatidiletanolamina e sfingomielina. Altri fosfolipidi, come fosfatidilinositolo,
sono presenti in piccole quantità, ma svolgono un ruolo cruciale nella genesi dei segnali
intracellulari.

I lipidi di membrana sono molecole anfipatiche, cioè manifestano proprietà sia idrofobiche che
idrofiliche. La natura anfipatica è dovuta alla presenza di una estremità polare idrofila (testa),
formata dall'acido ortofosforico, e di una estremità apolare idrofoba (coda) formata dalle catene
alifatiche degli acidi grassi o dal nucleo ciclopentanoperiidrofenantrenico del colesterolo.

     
 
 
I lipidi di membrana svolgono una funzione strutturale, costituendo l'impalcatura fondamentale
della membrana plasmatica; una funzione di barriera semipermeabile, che si lascia attraversare
liberamente dalle molecole liposolubili, ma risulta impenetrabile da quelle idrosolubili; una
funzione metabolica, in quanto rappresentano una fonte di mediatori lipidici, che possono essere
mobilizzati in risposta agli stimoli esterni:inositol-1,4,5-trifosfato (IP3), diacilglicerolo (DAG),
acido fosfatidico (PA), liso-PAF (lyso-platelet-activating factor), ceramidi. Il colesterolo svolge
un’importante funzione sulla regolazione della della fluidità di membrana.
Alcuni lipidi hanno importanti attività biologiche come per esempio alcuni ormoni (steroidi), e gloi
eicosanoidi.
Gli acidi grassi sono costituiti da catene carboniose di lunghezza variabile, da 6 per quelli a catena
corta, sino a 22 e oltre per quelli a catena lunga. Possono anche essere classificati in base alla
presenza di doppi lgami in saturi, insaturi e polinsaturi.   Sono stati isolati, da varie cellule e tessuti,
più di 500 tipi di acidi grassi, e si può notare che quasi sempre questi hanno un numero pari di
atomi di carbonio, solitamente compreso tra 12 e 20.
Alcuni acidi grassi insaturi sono considerati essenziali poichè il nostro organismo non è in grado di
sintetizzarli:
Omega-3: il doppio legame è presente sul terzo carbonio a partire dalla fine. (ad es. acido linolenico
C 18:3); il fabbisogno umano giornaliero è di 0.5 gr.
Omega-6: il doppio legame è presente sul sesto carbonio a partire dalla fine. (ad es. acido linoleico
C 18:2); il fabbisogno umano giornaliero è di 1.5 gr.
Gli acidi grassi liberi rappresentano la frazione circolante e di riserva energetica di lipidi
dell'organismo, che possono essere facilmente captati e metabolizzati da fegato e muscoli. Per la
loro insolubilità, necessitano di lipoproteine sieriche (albumina) per circolare nel sangue.
I trigliceridi o triacilgliceroli sono triesteri di acidi grassi a catena lunga con il glicerolo (chiamato
anche glirerina); sono i lipidi più semplici, ma anche più abbondanti di origine naturale, e
costituiscono i grassi animali (solidi) e gli oli vegetali (liquidi). Servono soprattutto come deposito
per l'energia prodotta e immagazzinata negli animali a livello del tessuto adiposo (grasso
sottocutaneo e viscerale). Gli acidi grassi insaturi, quando in configurazione cis, creano
un'angolatura della molecola (kinking). Lo stato solido o liquido dei grassi, a temperatura ambiente,
dipende dal grado di insaturazione (numero dei doppi legami) degli acidi grassi, che compongono i
     
trigliceridi. Le angolature dei grassi insaturi impediscono alle molecole di compattarsi saldamente e
di solidificare a temperatura ambiente. Poiché gli oli presentano un maggior numero di acidi grassi
insaturi, la loro temperatura di fusione è bassa e si presentano allo stato liquido.
La maggior parte dei grassi vegetali è composta da oli insaturi, nei pesci prevalgono i grassi insaturi
e negli animali terrestri quelli saturi. Negli animali a sangue freddo, come i pesci, la presenza di
acidi grassi insaturi permette ai grassi di mantenere la propria fluidità anche in presenza di
temperature basse.

Cascata dell’acido arachidonico


L'acido arachidonico è un omega 6 presente nell'organismo umano liberato dai fosfolipidi di
membrana in seguito alla azione dell'enzima fosfolipasi A2. L'acido arachidonico è un precursore
nella sintesi degli eicosanoidi. Attraverso l'azione dell'enzima cicloossigenasi e perossidasi dà
origine alle prostaglandine, coinvolte nei processi infiammatori e in molte funzioni fisiologiche tra
cui la protezione della mucosa gastrica.
L’acido arachidonico può anche essere trasformato dall’enzima 5-lipoossigenasi nei leucotrieni, che
contribuiscono ai processi infiammatori e/o ai meccanismi dell'immunità, in particolare nell'asma e
nella bronchite. Un’altra classe di composti che viene originata dall’acido arachidonico è
rappresentata dai trombossani, presenti nelle piastrine, con spiccata attività aggregante piastrinica e
vasocostrittiva.
L'acido arachidonico è usato anche nella biosintesi dell'anandamide.
Gli steroli sono una classe di composti chimici derivati dallo sterolo, composto policiclico formato
da quattro anelli condensati (tre a sei atomi di carbonio e uno a cinque atomi di carbonio). Questa
struttura prende il nome di ciclopentanoperidrofenantrene.
Presentano una caratteristica funzione alcolica in posizione tre sull'anello A, una catena ramificata
sul C17 dell'anello D e rappresentano i precursori degli steroidi.
Il colesterolo è lo sterolo più importante e costituisce una componente essenziale delle membrane
cellulari eucariotiche ed è il precursore di molti ormoni, oltre che precursore della vitamina D3 e
degli acidi biliari. Esiste una sintesi endogena costante di colesterolo che può essere eccessivamente
stimolata da una dieta ricca di grassi.

Gli steroidi sono dei derivati ossidati degli steroli: possiedono il nucleo sterolico (composto da
quattro anelli fusi, tre a sei atomi e uno a cinque), ma non la catena alchilica. Sono steroidi gli
ormoni sessuali (es. testosterone, diidrotestosterone, estradiolo, progesterone), e gli ormoni
corticosurrenali (ad es., cortisolo, androsterone).

Acidi nucleici
Gli acidi nucleici sono macromolecole polimeriche lineari, ovvero polimeri di nucleotidi. Questi
sono formati da uno zucchero (ribosio:RNA; deossiribosio:DNA), una base azotata e gruppi
fosfato.

     
Negli organismi viventi si trovano due tipi di acidi nucleici:
• DNA (acido desossiribonucleico)
• RNA (acido ribonucleico)

Le basi azotate possono essere di due tipi. Le pirimidiniche comprendono:


1) Citosina
2) Timina, presente solo nel DNA
3 ) Uracile, presente solo nell'RNA
Le basi puriniche sono, invece, costituite da:
1) Adenina
2) Guanina
Le basi azotate sono in grado di legarsi fra di loro attraverso ponti a idrogeno quando i filamenti d
DNA (o RNA) si trovano uno davanti all’altro. L’accoppiamento è sempre dato guanina- citosina e
adenina-timina (o uracile, che sostituisce la timina nel RNA)
I nucleotidi della catena del DNA sono legati con legame estere fra acido fosforico e pentoso;
l'acido si trova legato al carbonio 3 del pentoso di nucleotide e al carbonio 5 del successivo; in
questi legami esso utilizza due dei suoi tre gruppi acidi; il gruppo acido rimanente dà il carattere
acido alla molecola e permette di formare legami con proteine basiche.
Il DNA ha una struttura a doppia elica formata da due catene complementari, disposte in senso
antiparallelo. L'ordine nella disposizione sequenziale dei nucleotidi costituisce l'informazione
genetica, la quale è tradotta con il codice genetico negli amminoacidi corrispondenti.
Negli eucarioti, il DNA si complessa all'interno del nucleo in strutture chiamate cromosomi.
Un gene è una sequenza di DNA che contiene le informazioni in grado di influire sulle
caratteristiche del fenotipo dell'organismo. All'interno di un gene, la sequenza di basi di DNA è
utilizzata come stampo per la sintesi di una molecola di RNA che, nella maggior parte dei casi, è
tradotta in una molecola peptidica.   Il meccanismo attraverso il quale la sequenza nucleotidica di un
gene è copiata in un filamento di RNA è detto trascrizione.
Il codice genetico consiste di parole di tre lettere chiamate codoni, costituite dalla sequenza di tre
nucleotidi (ad esempio ACU, CAG, UUU), ognuna delle quali è associata ad un particolare
amminoacido. Ad esempio la timina ripetuta in una serie di tre (UUU) codifica la fenilalanina.
     
Utilizzando gruppi di tre lettere si possono avere fino a 64 combinazioni diverse in grado di
codificare i venti diversi amminoacidi esistenti. Poiché esistono 64 triplette possibili e solo 20
amminoacidi, il codice genetico è detto ridondante (o degenere): alcuni amminoacidi possono infatti
essere codificati da più triplette diverse. Non è invece vero il contrario: ad ogni tripletta
corrisponderà un solo amminoacido (senza possibilità di ambiguità). Esistono infine tre triplette che
non codificano alcun amminoacido, ma rappresentano codoni di stop (o nonsense), ovvero indicano
il punto in cui, all'interno del gene, termina la sequenza che codifica la proteina corrispondente: si
tratta dei codoni UAA, UGA e UAG.
Vi sono tre cdi RNA comuni a tutti gli organismi cellulari:
mRNA (RNA messaggero) che contiene l'informazione per la sintesi delle proteine;
rRNA (RNA ribosomiale), che entra nella struttura dei ribosomi;
tRNA (RNA transfer) necessario per la traduzione nei ribosomi.
A partire dal DNA, che funge da stampo, viene creata una molecola di RNA messaggero, processo
detto di trascrizione.
L’RNA messaggero viene “tradotto” in proteine attraverso un organello chiamato ribosoma, anche
esso formato da RNA, e formato da due subunità. L’RNA di trasferimento è una struttura a forcina
in grado di inserirsi nel ribosoma e traduce la tripletta nel rispettivo amminoacido. Infatti in ogni
tRNA è presente un anticodone che corrisponde in modo complemetare alla tripletta presente sul
mRNA.
Ad ogni anticodone corrisponde il rispettivo amminoacido.
Nel ribosoma, che scorre sul mRNA come la zip di una cerniera, possono alloggiare due tRNA, così
che si trovino vicini i due amminoacidi corrispondenti, così da potersi legare attraverso un legame
peptidico. Una volta formato il legame il ribosoma scorre di una tripletta, libera un tRNA, e può
inserirsi il successivo tRNA con il relativo amminoacido.

Adenosina trifosfato, ATP


L'ATP è il composto ad alta energia richiesto dalla stragrande
maggioranza delle reazioni metaboliche endoergoniche e costituisce
la "moneta" corrente energetica. É un ribonucleotide trifosfato
formato da una base azotata, cioè l'adenina, dal ribosio, che è uno
zucchero pentoso, e da tre gruppi fosfato.
L'ATPpuò donare energia mediante reazione di idrolisi, mediata
dall'enzima ATPasi, che nella maggior parte dei casi coinvolge il
trasferimento di un gruppo fosfato. L'energia che si libera viene subito
utilizzata grazie agli enzimi che convogliano questa energia alle
reazioni che ne hanno bisogno. L'energia immagazzinata nell'ATP
deriva dalla degradazione metabolica di carboidrati, proteine e lipidi.

Nicotinamide adenina dinucleotide, NAD/NADH


La nicotinamide adenina dinucleotide ( NAD forma ossidata o NADH forma ridotta), è una
biomolecola il cui ruolo biologico consiste nel trasferire gli elettroni, quindi nel permettere le
ossido-riduzioni; tramite lo spostamento di atomi di idrogeno. È un coenzima ossidoriduttivo
assieme al FAD/FADH.
     
Con il numero 1 è indicata la nicotinamide, la porzione di
molecola in grado di scambiare gli atomi di H.
Con il numero 2 è indicata l’adenina (base azotata)
I cerchi delimitano i due nucleotidi, in ognuno di essi è presente
uno zucchero (ribosio), e un gruppo fosfato. Il legame fra i due
nucleotidi avviene proprio attraverso i gruppi fosfato.
Le reazioni di ossidazione vedono impegnato il NAD+, in
quanto riducendosi a NADH, accetta un idrogeno H e due
elettroni dalla molecola substrato, e agevola quindi la sua
ossidazione.
generica riduzione di substrato (ossidazione del coenzima):
NADH + SH → NAD+ + SH2
generica ossidazione di substrato (riduzione del coenzima):
NAD+ + SH2 → NADH + SH

Glicolisi, gluconeogenesi e ciclo di Krebs


La glicolisi è un processo chimico in base al quale una molecola di glucosio viene scissa in due
molecole di acido piruvico; tale reazione porta alla produzione di energia, immagazzinata in due
molecole di ATP. La degradazione metabolica del glucosio può avvenire sia in presenza che in
assenza di ossigeno, anche se, nel secondo caso, viene prodotta una minore quantità di energia.
•In condizioni aerobie, le molecole di acido piruvico possono entrare nel ciclo di Krebs e subire una
serie di reazioni che ne determinano la completa degradazione ad anidride carbonica e acqua.
•In condizioni anaerobie, invece, le molecole di acido piruvico vengono degradate in altri composti
organici, come l'acido lattico.
La glicolisi partendo da una molecola di glucosio permette di ottenere la produzione netta di 2
molecole di ATP, la formazione di 2 molecole di NADH (nicotinamide adenin dinucleotide), che
funge da trasportatore di energia e due molecole di piruvato. Il piruvato prodotto entrando nel ciclo
di Krebs è in grado di produrre ulteriore energia. La reazione totale di degradazione di una molecola
di glucosio si può ridurre alla seguente:
C6H12O6 + 6O2 → 6CO2 + 6H2O + 36/38 molecole di ATP
In condizioni di anaerobiosi (mancanza di ossigeno) il piruvato viene trasformato in due molecole
di acido lattico con la liberazione di energia sotto forma di ATP. Questo processo, che produce 2
molecole di ATP, non può persistere per più di 1 o 2 minuti perché l'accumulo di acido lattico
produce la sensazione di fatica ed ostacola la contrazione muscolare.
In presenza di ossigeno l'acido lattico che si è venuto a formare viene trasformato in acido piruvico
che verrà poi metabolizzato grazie al ciclo di Krebs.

     
Il glucosio può essere prodotto a partire dal glicogeno di deposito oppure dalla degradazione
intestinale di amidi e glicogeno. Anche altri monosaccaridi possono entrare nella glicolisi, come
fruttosio o galattosio, dopo opportune modificazioni chimiche. Oppure può essere prodotto
attraverso la gluconeogenesi, in caso di necessità dovuta ad una carenza di glucosio nel flusso
ematico.
I fattori che inducono il rilascio di glucosio nel fegato e nel muscolo sono differenti:
MUSCOLO: il glicogeno muscolare viene degradato per attivazione di un enzima, questo enzima
può essere regolato ormonalmente dall’adrenalina e/o allostericamente dall’aumento di AMP a
seguito dell’attività del muscolo e dagli ioni Ca2+
FEGATO: il glicogeno epatico viene degradato per attivazione di un enzima, regolato
ormonalmente dal glucagone (in senso positivo) e allostericamente dall’aumento glucosio (in senso
negativo).
Al termine della glicolisi si formano due molecole di piruvato, che entrano nei mitocondri dove
avviene il ciclo di Krebs.
La gluconeogenesi è un processo metabolico che permette di produrre glucosio a partire da
precursori non saccaridici, quali piruvato, lattato, glicerolo e amminoacidi. Questo processo negli
animali superiori ha luogo prevalentemente nel fegato ed in piccola parte nella corteccia surrenale;
essa è attiva principalmente in condizioni di digiuno o durante un intenso sforzo fisico, e consente il
mantenimento dei livelli normali di glicemia dopo l’esaurimento del glucosio alimentare e di quello
proveniente dal glicogeno epatico.
La gluconeogenesi è fondamentale per rifornire di glucosio il cervello, gli eritrociti, il cristallino, la
midollare del surrene, i tessuti embrionali, per tutti questi il glucosio è l’unica o la principale
sostanza nutriente.

     
glicolisi gluconeogenesi

Questo processo non è esattamente l’inverso della glicolisi.


Delle 10 reazioni della gluconeogenesi 7 sono l’inverso della glicolisi e sono catalizzate dagli stessi
enzimi ma nella direzione opposta.
3 reazioni della glicolisi sono essenzialmente irreversibili:
la n.1 → produzione di glucosio 6-fosfato da glucosio (enzima esochinasi).
la n.3 →produzione di fruttosio-1,6-bisfosfato da fruttosio 6-fosfato (enzima fosfofruttochinasi).
la n.10→ produzione di piruvato da fosfoenolpiruvato (enzima piruvato chinasi).
Nella gluconeogenesi queste reazioni sono catalizzate da enzimi diversi e sono comunemente
indicate come le tre deviazioni dalla glicolisi.
Negli animali entrambe le vie sono a localizzazione prevalentemente citosolica.

     
Questa prima reazione avviene nei mitocondri. La conversione del piruvato in fosfoenolpiruvato
nella gluconeogenesi avviene in due tappe. La prima è la carbossilazione del piruvato ad
ossalacetato. Questa reazione è catalizzata dalla piruvato carbossilasi e richiede energia, fornita
dall’ATP. La piruvato carbossilasi è un enzima allosterico, il cui gruppo prostetico la biotina funge
da trasportatore di CO2.
Nella seconda tappa, l’ossalacetato viene convertito in fosfoenolpiruvato (PEP) in una reazione
catalizzata dalla fosfoenolpiruvato carbossichinasi. La reazione consiste in una decarbossilazione e
in una fosforilazione, con il GTP donatore del gruppo fosforico.
In totale, la prima deviazione richiede energia fornita da ATP e GTP.
La seconda deviazione è: Fruttosio-1,6-bisfosfato + H2O → Fruttosio 6-fosfato + Pi
Reazione di idrolisi catalizzata dalla fruttosio 1,6-bisfosfatasi.
La terza deviazione è: Glucosio 6-fosfato + H2O → Glucosio + Pi
Reazione di idrolisi catalizzata dalla glucosio 6-fosfatasi, enzima presente solo nel fegato e nella
corteccia surrenale.
Il glucosio prodotto dalla gluconeogenesi viene trasportato dal flusso sanguigno ai tessuti.
La somma delle reazioni della biosintesi del glucosio è:
2 piruvato + 4ATP + 2GTP + 2NADH + 2H+ + 4H2O → glucosio + 4ADP + 2GDP + 6Pi +
2NAD+
La gluconeogenesi è energeticamente dispendiosa, in quanto per ogni molecola di glucosio
sintetizzata dal piruvato si consumano 4 molecole di ATP e 2 di GTP.
Gli enzimi regolatori della via gluconeogenetica sono la piruvato carbossilasi, e la fruttosio 1,6
bisfosfatasi. Il primo è un enzima allosterico il cui modulatore positivo è l’acetil-CoA. In presenza
di alti livelli di acetilCoA il piruvato (il precursore dell’acetilCoA) può essere deviato nella
gluconegenesi.
Anche la fruttosio 1,6 bisfosfatasi è un enzima allosterico i cui modulatori sono l’AMP (modulatore
negativo) e l’ATP (modulatore positivo).
La glicolisi e la gluconeogenesi sono due processi coordinati in modo tale che, se nella cellula una
via è attiva, l’altra è inattiva.
In entrambe le vie metaboliche l’attività degli enzimi è finemente regolata sia allostericamente
(regolazione più rapida) che mediante modificazioni covalenti ormone-dipendenti (regolazione più
lenta).
     
Gli enzimi più regolati sono la fosfofruttochinasi (PFK-1) nella glicolisi e la fruttosio 1,6
bisfosfatasi nella gluconeogenesi.
Nel fegato sono reciprocamente regolate anche: la piruvato chinasi nella glicolisi e la piruvato
carbossilasi nella gluconeogenesi.

 
 
Il principale regolatore per entrambe le vie metaboliche è il fruttosio 2,6-bisfosfato. Esso è un
modulatore allosterico positivo della fosfofruttochinasi-1 (PFK-1) e negativo della fruttosio 1,6
bisfosfatasi.
Il fruttosio 2,6-bisfosfato attiva la PFK-1 stimolando la glicolisi, mentre inattiva la fruttosio 1,6
bisfosfatasi rallentando la gluconeogenesi. La concentrazione cellulare del fruttosio 2,6-bisfosfato
dipende dalla sua velocità di formazione e di demolizione.
La sintesi del fruttosio 2,6-bisfosfato è promossa dalla fosfofruttochinasi-2 (PFK-2), mentre la
degradazione è catalizzata dalla fruttosio 2,6-bisfosfatasi (FBPasi-2). La PFK-2 e la FBPasi-2 fanno
parte della stessa proteina bifunzionale.
Il bilancio tra le due attività enzimatiche e di conseguenza i livelli di fruttosio 2,6-bisfosfato sono
regolati dal glucagone e dall’insulina, i principali ormoni di regolazione del metabolismo.
 

     
Il ciclo di Krebs, chiamato anche ciclo dell’acido citrico, utilizza come metabolita di partenza
l'acetil coezima A, che si ottiene per azione della piruvato deidrogenasi sul piruvato prodotto dalla
glicolisi.
Dal ciclo di krebs si ottengono ATP, NADH e FADH2. Questi ultimi vengono ossidati
rispettivamente a NAD+ e FAD lungo la catena respiratoria, e attraverso i sistemi di accoppiamento
viene prodotto ulteriore ATP. Per ogni molecola di NADH che entra nella catena respiratoria, si
ottengono 2.5 molecole di ATP e per ogni FADH2 si ottengono 1.5 molecole di ATP.
Viene in oltre prodotto GTP.
Il ciclo di Krebs è sempre seguito dalla fosforilazione ossidativa, una catena di trasporto di elettroni.
L'una non avrebbe senso senza l'altra in quanto l'ATP e il GTP prodotto dal ciclo in sé è scarso e la
produzione di NADH e FADH2 porterebbe ad un ambiente mitocondriale eccessivamente ridotto,
mentre la sola catena respiratoria necessiterebbe di una fonte di cofattori ridotti pena l'ossidazione
dell'ambiente.
Il ciclo di Krebs è un punto nevralgico non solo per il metabolismo del glucosio ma anche per il
metabolismo degli acidi grassi e degli amminoacidi, infatti il piruvato che viene convertito ad acetil
coenzima A non proviene solo dalla degradazione del glucosio: si ottiene, ad esempio, anche dalla
transaminazione dell'alanina (un amminoacido).
Circa l'80% dell'acetil coenzima A che partecipa al ciclo di Krebs, proviene dal metabolismo degli
acidi grassi.
Il ciclo di Krebs è una via metabolica anfibolica, poiché partecipa sia a processi catabolici che
anabolici. Il ciclo fornisce infatti anche molti precursori per la produzione di alcuni amminoacidi
(ad esempio l'α-chetoglutarato e l'ossalacetato) e di altre molecole fondamentali per la cellula.

     
Glicogenosintesi e glicogenolisi
Il glicogeno è un polimero di residui di glucosio uniti mediante legami α-1,4 glicosidici; ogni 10
residui si creano ramificazioni attraverso la formazione di legami α-1,6 glicosidici. Nella sua
struttura si può notare che è presente una sola estremità in cui l’ossidrile sul C4 è impegnato e
l’ossidrile sul C1 è libero: questa unità è detta estremità riducente. Esistono, invece, molte estremità
con l’ossidrile legato sul C1 impegnato in un legame e l’ossidrile sul C4 non impegnato in alcun
legame; queste sono dette estremità non riducenti.
Il glicogeno si trova nel citosol sotto forma di granuli, contenenti anche gli enzimi della sintesi,
della degradazione e della regolazione, prevalentemente nelle cellule epatiche e nel muscolo
scheletrico.
Il glicogeno muscolare rappresenta un fonte di energia rapidamente utilizzabile che si esaurisce in
meno di 1 ora durante uno sforzo muscolare intenso.
Il glicogeno epatico serve come riserva di glucosio per gli altri tessuti quando non è disponibile
glucosio alimentare (nel periodo tra i pasti e nel digiuno). Il glicogeno epatico si esaurisce in 12-24
ore.
Il glicogeno può essere introdotto anche con la dieta, ma la degradazione del glicogeno alimentare è
diversa da quella del glicogeno di riserva ed avviene mediante reazioni di idrolisi.

 
 

La degradazione del glicogeno (glicogenolisi) richiede tre enzimi: 1) glicogeno fosforilasi, 2)


l’enzima deramificante e 3) la fosfoglucomutasi.
La glicogeno fosforilasi scinde il legame α-1,4 glicosidico con l’intervento del fosfato inorganico
(Pi), producendo una molecola di glicogeno accorciata di un residuo di glucosio e glucosio 1-
fosfato. Si tratta di una reazione di fosforolisi, energeticamente vantaggiosa perché parte

     
dell’energia del legame glicosidico viene conservata nella molecola di glucosio 1-fosfato e non si
deve consumare altro ATP per attivare il glucosio.
Il cofattore della glicogeno fosforilasi è il piridossalfosfato, un derivato della piridossina (vitamina
B6), che con il suo gruppo fosforico promuove l’attacco del legame glicosidico da parte del gruppo
fosfato.
La glicogeno fosforilasi catalizza la rimozione sequenziale di residui glicosidici a partire dalle
estremità non riducenti, ma non è in grado di scindere il legame α-1,6 glicosidico.

 
 
Quattro residui prima della ramificazione entra in azione l’enzima deramificante che possiede
un’attività transferasica e un’attività α-1,6 glucosidasica. L’attività transferasica sposta tre residui di
glucosio dalla catena della ramificazione ad un’altra, lasciando un solo residuo di glucosio legato
con legame α-1,6 glicosidico.
L’attività α-1,6 glucosidasica catalizza l’idrolisi del legame α-1,6 glicosidico rilasciando una
molecola di glucosio.
Negli eucarioti queste due attività catalitiche fanno parte di
uno stesso enzima bifunzionale.
Il glucosio 1-fosfato prodotto dell’azione della glicogeno
fosforilasi viene convertito in glucosio 6-fosfato dalla
fosfoglucomutasi.
Glucosio 1-fosfato ⇆ Glucosio-6P
Nel muscolo il glucosio 6-fosfato può entrare nella glicolisi.
Il fegato invece deve rilasciare il glucosio nel sangue per
rifornire gli altri tessuti. Per fare ciò è necessario un enzima
idrolitico, la glucosio 6-fosfatasi.
La glucosio 6-fosfatasi è un enzima della gluconeogenesi,
presente solo nel fegato e nel rene, che consente al glucosio di
uscire dal fegato.

L’enzima principale della glicogenolisi è la glicogeno fosforilasi, la cui attività è regolata da più
meccanismi, sia allosterici che covalenti. Entrambi i meccanismi di regolazione sono attivi sia nel
fegato che nel muscolo scheletrico, ma con determinate differenze dovute al fatto che il muscolo
produce energia per sé stesso, mentre il fegato rifornisce di glucosio l’intero organismo.

     
Nel muscolo scheletrico la glicogeno fosforilasi è attivata da AMP ed inattivata da ATP e glucosio
6-fosfato. La regolazione è basata essenzialmente sulla carica energetica.
Nel fegato la glicogeno fosforilasi è inattivata dal glucosio. Dopo un pasto ricco di carboidrati il
glucosio è già presente nel sangue e non c’è necessità di degradare il glicogeno epatico per rifornire
i tessuti di glucosio.
L’attività della glicogeno fosforilasi può essere regolata mediante fosforilazione ad opera di una
fosforil chinasi. I gruppi fosfato possono essere rimossi da una fosforilasi fosfatasi.
L’enzima non fosforilato è meno attivo, l’enzima fosforilato è più attivo.
La regolazione dell’attività dell’enzima mediante fosforilazione è dipendente dagli ormoni
adrenalina (nel muscolo), glucagone e insulina (nel fegato).

La sintesi del glicogeno ha luogo principalmente nel fegato e nel muscolo scheletrico.
Il punto di partenza della sintesi di glicogeno è il glucosio 6-fosfato, che deriva dal glucosio libero
mediante fosforilazione da parte dell’esochinasi (nel muscolo) o della glucochinasi (nel fegato).
glucosio + ATP → glucosio 6-fosfato + ADP
Il glucosio 6-fosfato viene convertito in glucosio 1-fosfato dalla
fosfoglucomutasi.
glucosio 6-fosfato → glucosio 1-fosfato
Il glucosio 1-fosfato viene convertito in UDP-glucosio, una
forma attivata di glucosio, dalla UDP-glucosio pirofosforilasi
glucosio 1-fosfato + UTP → UDP-glucosio + PPi
Il pirofosfato (PPi) viene rapidamente idrolizzato da una
pirofosfatasi.
L’UDP-glucosio è il donatore di unità di glucosio nella sintesi
del glicogeno.

La glicogeno sintasi catalizza il trasferimento di un residuo di UDP-glucosio ad una estremità non


riducente di una molecola di glicogeno, formando il legame α-1,4 glicosidico. Essa non può formare
i legami α-1,6 glicosidici delle ramificazioni.  

     
Questi legami sono formati dall’enzima ramificante che catalizza il trasferimento di 6-7 residui di
glucosio dall’estremità non riducente di una catena lineare di glicogeno al gruppo –OH del carbonio
6 di un residuo di glucosio della stessa o di un’altra catena.
Una volta formata la ramificazione la glicogeno sintasi può aggiungere altri residui glicosidici alla
nuova ramificazione.    

La glicogeno sintasi può solo allungare una catena preformata di glicogeno. Per iniziare una nuova
catena di glicogeno, quando tutto il glicogeno di riserva è esaurito, la glicogeno sintasi ha bisogno
di un innesco.
La proteina glicogenina funziona da innesco e da catalizzatore per l’unione dei primi residui di
glucosio. La sintesi della nuova catena di glicogeno avviene a tappe. Un residuo di glucosio viene
trasferito dall’UDP-glucosio al gruppo OH di un residuo di tirosina della glicogenina.
La glicogenina catalizza l’allungamento della catena mediante aggiunta di 7 residui di glucosio con
formazione dei legami α 1-4 glicosidici. La glicogeno sintasi allunga la catena di glicogeno.
L’enzima ramificante forma le ramificazioni (legame α 1-6 glicosidico). La glicogenina è inglobata
nei granuli di glicogeno.

L’attività della glicogeno sintasi è regolata allostericamente e mediante modificazioni covalenti.


Nella regolazione allosterica il Glucosio-6-fosfato e l’ATP sono modulatori positivi, mentre l’AMP
è modulatore negativo.

     
La regolazione mediante modificazione covalente avviene attraverso fosforilazione della glicogeno
sintasi in più siti, ad opera di diverse proteine chinasi, tra le quali la più importante è la glicogeno
sintasi chinasi 3 (GSK3).
La fosforilazione rende l’enzima inattivo, mentre la defosforilazione ad opera di fosfatasi lo attiva.
Questo tipo di regolazione è ormone dipendente.
La sintesi e la degradazione del glicogeno non avvengono contemporaneamente. La cascata
enzimatica innescata del glucagone e dall’adrenalina determina contemporaneamente la
degradazione del glicogeno e il blocco della sintesi del glicogeno.
Un ruolo centrale nella regolazione del metabolismo del glicogeno è svolto dalla proteina fosfatasi 1
(PP1) che inverte gli effetti della proteina chinasi A (PKA). La PP1 inattiva la fosforilasi chinasi e
la glicogeno fosforilasi inibendo la degradazione del glicogeno, mentre attiva la glicogeno sintasi
stimolando la sintesi di glicogeno.
.

Controllo della glicemia


La concentrazione di glucosio nel sangue è regolata dagli ormoni (insulina, glucagone e adrenalina)
che hanno effetti sui processi metabolici di molti tessuti (fegato, muscolo, tessuto adiposo).
Le vie metaboliche regolate da questi ormoni sono:
- Glicolisi
- Gluconeogenesi
- Metabolismo del glicogeno
- Utilizzazione di altre fonti energetiche (es. acidi grassi).

     
L’insulina è un ormone polipeptidico sintetizzato dalle cellule β del pancreas. Viene rilasciata
quando la concentrazione di glucosio nel sangue è alta.
- incrementa l’assunzione di glucosio da parte delle cellule;
- stimola l’ossidazione del glucosio mediante la glicolisi;
- stimola la conversione di glucosio in glicogeno nel fegato e nel muscolo;
- stimola la sintesi di acidi grassi e triacilgliceroli nel fegato;
- stimola la conservazione dell’eccesso di sostanze nutrienti in triacilgliceroli nel tessuto adiposo;
- inibisce la degradazione del glicogeno nel fegato e nel muscolo;
- inibisce la gluconeogenesi nel fegato;
- inibisce l’utilizzazione degli acidi grassi come fonte energetica nel muscolo;
- inibisce la mobilizzazione degli acidi grassi nel tessuto adiposo.

Il glucagone è un ormone polipeptidico sintetizzato dalle cellule α del pancreas.


Viene rilasciato quando la concentrazione di glucosio nel sangue è bassa (alcune ore dopo un pasto)
e aumenta la concentrazione di glucosio nel sangue.
- stimola la gluconeogenesi nel fegato;
- stimola la degradazione del glicogeno nel fegato;
- stimola la produzione di corpi chetonici nel fegato;
- stimola la mobilizzazione dei triacilgliceroli nel tessuto adposo;
- inibisce la sintesi del glicogeno nel fegato;
- inibisce la glicolisi nel fegato.

L’adrenalina è un ormone amminoacidico che viene rilasciato dalla midollare del surrene quando
c’è richiesta immediata di energia.
- stimola la degradazione del glicogeno nel muscolo e nel fegato;
- stimola la gluconeogenesi nel fegato;
- stimola la glicolisi nel muscolo;
- stimola la mobilizzazione dei triacilgliceroli nel tessuto adiposo;
-inibisce la sintesi del glicogeno nel muscolo e nel fegato

Beta-ossidazione
La β-ossidazione è una via metabolica che consente di degradare gli acidi grassi con produzione di
acetil-CoA. Consiste in una serie di quattro reazioni cicliche al termine delle quali viene rilasciato
un Acetil-CoA e un Acil-CoA accorciato di due atomi di carbonio
Le cellule dei vertebrati possono ottenere acidi grassi da tre fonti:

• Lipidi di deposito contenuti nel tessuto adiposo


• Dieta
• Conversione dei carboidrati in eccesso in grassi, nel fegato.
     
Gli acidi grassi subiscono i processi metabolici ossidativi principalmente nei mitocondri.
Gli acidi grassi che arrivano dal sangue al citosol devono essere “attivati” per poter entrare nei
mitocondri

Acido grasso + CoA+ ATP à acil-CoA + AMP+ PPi

L'Acil-CoA deve essere trasportato all'interno del mitocondrio. Il trasporto avviene grazie a due
enzimi, la Carnitina Acil Transferasi I (CAT I) e la Carnitina Acil Transferarsi II (CAT II). Il primo
enzima è integrale di membrana della membrana mitocondriale esterna, il secondo invece della
membrana mitocondriale interna.

La β-ossidazione è un processo altamente energetico, che permette la produzione di molte molecole


di ATP. Ciò è dovuto al maggior stato di riduzione dei carboni degli acidi grassi rispetto ai carboni
di altre molecole usate come substrati energetici come i carboidrati. Per un acile con 16 atomi di
carbonio, ovvero il palmitato che è l'acido grasso prodotto dalla biosintesi degli acidi grassi, sono
necessari 7 cicli di β-ossidazione per la completa demolizione della catena. Sono quindi generate
• 8 molecole di Acetil-CoA
• 7 Coenzimi ridotti NADH + H+
• 7 coenzimi FADH2
Le otto molecole di Acetil-CoA saranno utilizzate nel ciclo di Krebs dove saranno completamente
ossidate, si formeranno 16 molecole di CO2 e si avrà la produzione di "24 NADH + H+", "8
FADH2" e "8 molecole di GTP". Sono prodotte, in totale:
• 31 Coenzimi ridotti NADH + H+
• 15 coenzimi FADH2
• 8 molecole di GTP
La riossidazione dei coenzimi nella catena respiratoria, comporta, a seguito della fosforilazione
ossidativa, la produzione di 2,5 molecole di ATP per ogni coenzima NADH + H+ e 1,5 per ogni
FADH2. Nel totale si ha la produzione di 108 molecole di ATP, alle quali bisogna sottrarre le 2
     
molecole di ATP necessarie per la formazione dell'Acil-CoA. La resa energetica totale è di 106
molecole di ATP.

Corpi chetonici: sono tre composti che sono normalmente presenti nel sangue in piccole quantità.
Questi composti, sintetizzati dalla cellula epatica in caso di eccesso di acetil-CoA, sono l'acetone,
l'acido acetoacetico e l'acido beta-idrossibutirrico.

I corpi chetonici vengono prodotti naturalmente: il cervello si adatta ad usare questi metaboliti in
condizioni di digiuno prolungato (nei diabetici, i corpi chetonici sostituiscono il metabolismo del
glucosio); si può avere una esasperazione della via dei corpi chetonici anche in caso di cattiva
alimentazione.
I corpi chetonici sono dei derivati dei lipidi (derivano dal metabolismo dei lipidi, quasi
esclusivamente epatico) ma hanno caratteristiche che li fanno assomigliare agli zuccheri:
•Elevata velocità di immissione;
•Rapidità di utilizzo.
I corpi chetonici sono di piccole dimensioni, perciò vengono veicolati molto velocemente (molto
più degli acidi grassi che, invece, hanno bisogno di proteine trasportatrici come l'albumina); i corpi
chetonici vengono usati quasi esclusivamente dai muscoli e dai tessuti periferici, ma anche dal
cuore (il 20-30% dell'energia da esso utilizzata proviene dai corpi chetonici) e dal cervello (in caso
di digiuno prolungato).

     
I corpi chetonici vengono sintetizzati a partire dall'acetil coenzima A che deriva dal metabolismo
degli acidi grassi.
L'acetone è un prodotto di scarto, che si produce casualmente nella via dei corpi chetonici e viene
espulso per espirazione e traspirazione.
I corpi chetonici, prodotti nel fegato, vengono inviati ai tessuti periferici.

L'aceto acetato, se attivato, può essere sfruttato nel processo di Β-ossidazione per produrre acetil
coenzima A. Quando l'aceto acetato arriva nel mitocondrio di una cellula di un tessuto periferico,
viene sottoposto all'azione dell'enzima succinil coenzima A transferasi: tramite tale enzima, l'aceto
acetato reagisce con il succinil coenzima A (proveniente dal ciclo di krebs) e si ottengono succinato
e aceto acetil coenzima A.
Sfruttando il succinil coenzima A, per attivare l'aceto acetato, si salta nel ciclo di krebs, la tappa
che produce un GTP: questo è il processo, in termini di energia, che la cellula è disposta a pagare
per ottenere l'aceto acetil coenzima A; quest'ultimo va, poi, sotto l'azione della Β-cheto tiolasi
(enzima della Β-ossidazione) per produrre due molecole di acetil coenzima A che vengono inviate
al ciclo di krebs.
Il 3-Β-idrossi butirrato, se viene inviato ai tessuti periferici, all'interno del mitocondrio viene
convertito in aceto acetone con produzione di un NADH che corrisponde a circa 2,5 ATP; l'aceto
acetato prodotto, segue la strada precedentemente descritta.

Metabolismo degli aminoacidi


Gli amminoacidi, provenienti dalle proteine ingerite con l’alimentazione o da proteine intracellulari,
possono essere impiegati al fine di fornire energia metabolica alla cellula quando la cellula si trova
ad avere amminoacidi non necessari durante le fasi di sintesi e degradazione delle proteine cellulari,
in presenza di diete particolarmente ricche di proteine che apportano quantitativi di amminoacidi
superiori al fabbisogno plastico dell’organismo oppure durante il digiuno o il diabete mellito,
situazioni in cui i carboidrati non sono disponibili o appropriatamente utilizzati.
Gli amminoacidi possono quindi rimediare ad una carenza di zuccheri in caso di digiuno; se il
digiuno persiste, dopo due giorni interviene il metabolismo dei lipidi (perché non si possono
attaccare più di tanto le strutture proteiche) è in questa fase che, essendo limitatissima la
gluconeogenesi, gli acidi grassi vengono convertiti in acetil coenzima A e in corpi chetonici. Da un
ulteriore digiuno, anche il cervello si adatta ad utilizzare i corpi chetonici.

     
La degradazione degli aminoacidi non può prescindere da una preventiva separazione del gruppo
amminico dallo scheletro carbonioso. La reazione viene detta di transaminazione. La prima tappa
del catabolismo aminoacidico è quindi data dalla rimozione del gruppo α-amminico tramite
transaminasi le quali trasferiscono il gruppo amminico su un chetoacido, generando un nuovo
aminoacido. Gli enzimi che catalizzano questa reazione utilizzano un cofattore enzimatico chiamato
piridossal fosfato, il quale deriva dalla piridossina che è una vitamina (B6) contenuta soprattutto
nelle verdure.

Il glutammato, citosolico, entrerà nei mitocondri epatici dove cederà il gruppo amminico sotto
forma di ione ammonio NH4+ che entrerà nel ciclo di produzione dell'urea ed eliminato con le
urine.

Quando gli aminoacidi vengono degradati possono formare o intermedi del ciclo di Krebs
(alfachetoglutarato, succinil-CoA, fumarato ed ossalacetato) o Acetoacetato, acetilCoA e piruvato.
Gli aminoacidi possono essere utilizzati per la sintesi di glucosio e sono detti glucogenici. Leucina e
lisina non possono dare glucosio ma corpi chetonici, pertato sono definiti chetogenici.
Triptofano, fenilalanina, tirosina ed isoleucina sono sia chetogenici che glucogenici.
Uno schema generale della connessione del metabolismo aminoacidico con il ciclo di Krebs.
In figura sono indicate le principali vie cataboliche degli amminoacidi.

     
Ciclo dell’urea
Nell’uomo l’ammoniaca è tossica anche a concentrazioni piuttosto modeste. Essa viene incorporata
nell’urea, così da essere eliminata senza danni. Il ciclo dell’urea è stata la prima via metabolica di
cui è stata riconosciuta la natura ciclica. Esso si svolge soltanto nel fegato. Questa via ciclica
utilizza due compartimenti cellulari: inizia nel mitocondrio e prosegue per tre tappe nel citoplasma.

Respirazione cellulare
Con il termine respirazione solitamente si intende il processo fisiologico macroscopico che consiste
nella assunzione di O2 e nel rilascio di CO2 da parte di organismi multicellulari. In biochimica si usa
il terminenrespirazione in senso microscopico per riferirsi ai processi molecolari che implicano
consumo di O2 e formazione di CO2 da parte della cellula. La respirazione cellulare può essere
schematizzata come in figura ed avviene in tre stadi principali.

     
Nel primo stadio le molecole organiche combustibili (glucosio, acidi grassi, alcuni amminoacidi)
vengono trasformate in acetil-coenzima A (acetil-CoA).
Nel secondo stadio l’acetil-CoA viene ossidato a CO2 attraverso il ciclo di Krebs, una serie di
reazioni che avvengono nei mitocondri e che liberano equivalenti riducenti sotto forma di ioni
idruro legati ai coenzimi ridotti NADH e FADH2. L’ossidazione del glucosio fino a CO2 è
compiuta.
Nel terzo stadio entra in azione l’ossidante finale, l’ossigeno molecolare O2 che ossida tutti i
coenzimi ridotti formati nei primi due stadi: 10 NADH e 2 FADH2. Questi vengono ossidati a
NAD+ e FAD che possono così continuare a sostenere le reazioni di ossidazione del glucosio fino a
CO2 nei primi due stadi. NADH e FADH2 cedono i loro elettroni, attraverso una catena di molecole
trasportatrici di elettroni, la catena respiratoria, all’ossigeno molecolare O2 che viene ridotto ad
H2O. Durante questo processo si genera un flusso di elettroni e una parte dell’energia liberata viene
recuperata come energia chimica sotto forma di ATP in un processo chiamato fosforilazione
ossidativa. E’ proprio la produzione di ATP lo scopo fondamentale della respirazione cellulare.

     

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