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Muscolo

Il muscolo è l’organo effettore ed è condizione necessaria del movimento, si parlerà di muscolo:

• Scheletrico;
• Cardiaco;
• Liscio.

Il muscolo grazie a dell’energia produce del lavoro meccanico. Quindi il corpo umano è una macchina termica,
quindi è assimilabile ad un sistema termodinamico aperto, cioè prende energia da una parte e da energia altrove. In
formula si scrive come il primo energia della termodinamica che dice che l’energia si divide in calore e lavoro:

∆𝑈𝑈 = ±𝑄𝑄 ± 𝐿𝐿
L’energia in parte viene trasformata in lavoro (quindi l’uomo è una macchina), ma parte va anche in calore che va
dissipato, ne deriva quando l’uomo rende come macchina (muscolo, l’unica struttura che lavoro, si parla quindi di
rendimento muscolare) termica; il rendimento è di circa il 25%; quindi di tutta l’energia assunta un quarto va in la-
voro e il tre quarti va in calore. Se il calore non venisse dissipato l’uomo non sarebbe omeotermo aumentano così la
sua temperatura portando alla morte, sono quindi fondamentali i meccanismi di termoregolazione; per l’omeotermia
non si può quindi utilizzare il calore prodotto.

L’energia proviene da tre fonti dette substrati, cioè l’elemento ultimo che viene ingerito; i tre substrati sono:

• Carboidrati;
• Lipidi;
• Proteine.

Attraverso questi elementi di base si individuano le fonti energetiche del lavoro muscolare; quando si attua lavoro
muscolare si passa dal livello energetico basale (vita vegetativa) ad un nuovo livello superiore (livelli muscolari), que-
sto è possibile da un punto di vista meccanico, è possibile effettuare un movimento che necessita di energia maggiore
a quella basale.

L’energia è espressa in calorie e per calcolare la quantità di calorie consumante (il costo energetico) si considera il
consumo di ossigeno per effettuare l’azione, quindi il parametro fisiologico legato alla caloria è il consumo di ossi-
geno. Quindi per un lavoro meccanico si passa da un livello di consumo di ossigeno basale ad un altro livello; si consi-
dera l’ossigeno poiché nelle reazioni è l’ossigeno che interviene per far bruciare i substrati per ottenere energia; per
ogni grammo di substrato si ottiene un quantità di calorie diverso (si ha circa che per un litro di ossigeno si ottengono
5 Kcal).

Ci sono varie vie biochimiche per la ricostituzione di energia, cioè di ATP; infatti l’ATP non risulta essere generata da
tali processi, bensì essa viene rigenerata, infatti l’ATP viene generata dai mitocondri.

La prima via è la glicolisi, la quale parte dal glucosio, cioè dai glucidi ed attraverso varie parti intermedie si giunge
all’acido piruvico; si distingueranno ora due casi, in dipendenza dalla presenza o meno di ossigeno:

• Via aerobica, in presenza di ossigeno, si entra allora nel ciclo di Krebs; poiché da una sola mole di glicogeno
è possibile ricostituire 38 moli di ATP, tuttavia 2 verranno consumate durante il processo ottenendo così 36
moli effettive di ATP, è considerata la via principale per la rigenerazione dell’ATP; tuttavia il limite di questo
metodo è che perché avvenga è necessario un apporto di ossigeno, cioè bisogna trovarsi in presenza di un
metabolismo aerobico, se non c’è apporto di ossigeno oppure è quest’ultimo è troppo poco si cade in un pro-
cesso anaerobico; quindi essendo necessario un apporto di ossigeno; nel caso considerato di uno scatto im-
provviso, poiché i muscoli si trovano in una condizione in cui l’apporto di ossigeno è a livello basale, non
avranno sicuramente sufficiente ossigeno per far sì che avvenga tale scatto istantaneo. L’ossigeno sufficiente
per mantenere il processo arriverà in 3 minuti, anche se nel tempo iniziale esso aumenterà non sarà comun-
que sufficiente a mantenere lo stato aerobico.
• In caso di mancanza di ossigeno dall’acido piruvico si procedo verso la via anaerobica che implica la produ-
zione di acido lattico; il limite della via anaerobica è che si ha un problema ancor più grave cioè l’acido lattico
si accumula facilmente in quanto la sua riconversione consiste in un meccanismo aerobico, riconversione
non possibile in quanto ci si trova in uno stato anaerobico, quindi esso non può che accumularsi nel mu-
scolo.

Ci si aspetterebbe quindi di ottenere sperimentalmente che l’acido lattico presente attuando uno sforzo improvviso
per via sperimentale risulti essere in ingenti quantità, tuttavia si nota che esso è molto poco. Il fisiologo Margaria sco-
prì che bloccando la glicolisi, quindi impendendo la formazione dell’acido piruvico, la cellula muscolare non muore
immediatamente, si è anche visto che all’inizio del lavoro muscolare, quando si suppone non ci sia un sufficiente ap-
porto di ossigeno, non è presente acido lattico; si ottenne che per breve tempo il muscolo era comunque in grado di
contrarsi; era quindi evidente la presenza di un’altra fonte energetica separata dalla glicolisi, cioè la fosfocreatina, essa
è una molecola presente nel muscolo, tuttavia la sua quantità è limitata in quantità quindi è un substrato energetico
per esercizi di breve durata.

La glicolisi prevede inizialmente la presenza del glucosio; in carenza di glucosio rientrano nella glicolisi i lipidi; le pro-
teine rientreranno nella glicolisi solo come ultima alternativa per via indiretta passando prima per vari stadi. Il gluco-
sio viene immagazzinato nel fegato sotto forma di glicogeno per opera dell’ormone insulina.

Riassumendo: esistono tre vie biosintetiche per generare energia, di esse due sono glicolitiche: glicolisi aerobica ed
anaerobica; la terza è la via della fosfocreatina, sufficiente per uno sforzo a breve termine.

Ci sono quindi tre strade:

1) Via aerobica, cioè una via basata solamente dal ciclo di Krebs, quindi l’organismo ha abbastanza ossigeno per so-
stentarsi basandosi solo sul ciclo di Krebs; si parte quindi dal glucosio e si giunge a CO2 e H2O.

2) Via anaerobica lattacida, nel caso in cui l’apporto di ossigeno non risulti essere sufficiente, all’ora in parte verrà
prodotto l’acido lattico, il quale si accumulerà nel sangue, si segue dunque la glicolisi ma viene prodotto acido lattico;

3) Via anaerobica alattacida α privativa, la quale non ha bisogno di ossigeno e non produce acido lattico, quindi si
stanno impiegando le riserve di fosfocreatina presenti nel muscolo, quindi strettamente dipendenti dalla massa mu-
scolare. Questa sarà la via utilizzata inizialmente poiché non vi è abbastanza ossigeno per effettuare il lavoro richiesto,
l’ossigeno sarà sufficiente dopo 3 minuti.

Oltre all’emoglobina che trasporta ossigeno, è presente una riserva di ossigeno muscolare la mioglobina ha una curva
di saturazione più spostata a sinistra rispetto a quella dell’emoglobina, cioè essa cede ossigeno solo nel caso in cui ci si
trova in una situazione fortemente anaerobica.

Passati 3 minuti ci si trova in due condizioni, nella prima il muscolo riceve tutto l’ossigeno richiesto, oppure ne ri-
ceve sono una parte e si va nella via anaerobico lattacido. L’acido lattico in circolo comporterà un abbassamento del
pH, si saranno quindi dei chemiocettori in grado di captare questa variazione in modo da intervenire per portare il
soggetto a ritornare in una situazione aerobica facendo avvertire il senso di stanchezza.

Il consumo di ossigeno basale (è considerato come un volume nel tempo, cioè un flusso, quindi l’ossigeno consumato
in dato tempo), se biomeccanicamente (cioè considerando i Joule necessari a compiere il lavoro meccanico) viene
imposto un nuovo livello di consumo ad onda quadra si ha che la parte bioenergetica non salirà anch’essa ad onda
quadra (poiché in quel dato istante il muscolo non ha sufficiente ossigeno trovandosi in uno stato basale), la parte
bioenergetica salirà in tre minuti non ad onda quadra; inizialmente l’energia sarà fornita solo dalla fosfocreatina e
l’ossigeno dalla mioglobina; il consumo può essere trasformato in Kcal mediante l’equivalente calorico dell’ossigeno.

Sperimentalmente è possibile calcolare il massimo consumo di ossigeno del soggetto preso in esame, noto il suo mas-
̇
simo consumo di ossigeno (𝑉𝑉𝑚𝑚𝑚𝑚𝑚𝑚 ); è noto che dal 75% in poi del suo consumo massimo si produce acido lattico, per
produrre un lavoro aerobico bisogna quindi tersi sotto il 75% del consumo di ossigeno massimo. Poiché l’ossigeno
viene portato dal sangue bisognerà anche analizzare l’adeguamento della gittata cardiaca al lavoro muscolare in atto;
per valutare se il cuore è in grado di mettere in circolo una sufficiente quantità di ossigeno nel tempo.

Dal punto di vista della potenza che un muscolo è in


grado di sviluppare; la via che genera potenza mag-
giore è quella fosfocreatina che dipende dalla massa
muscolare, ma ha una breve durata nel tempo. Il si-
stema aerobico è quello meno efficiente come potenza
sviluppata, ma da un punto di vista dell’affaticamento
si può dire che esso sia infinito nel tempo, infatti esso
continuerà ad essere attuato finché sarà garantito un
apporto di ossigeno sufficiente. Quello lattacido è
come potenza in un livello intermedio, ma per via
dell’acido lattico esso è anche di breve durata.

La gittata cardiaca è un indice se il lavoro muscolare è aerobico oppure no.

Un’altra via biochimica è la gluconeogenesi per trasformare le proteine in glucosio partendo dagli amminoacidi e lat-
tato, questa via meccanica è molto più dispendiosa dal punto di vista energetico ed inoltre richiede uno sforzo renale
ed apatico.

Esiste un metodo per capire che substrato il soggetto sta usando il soggetto, è il parametro del quoziente respiratorio:

̇
𝑉𝑉𝐶𝐶𝐶𝐶 2
𝑄𝑄𝑄𝑄 =
𝑉𝑉̇𝑂𝑂
2

Il quoziente respiratorio non è un parametro respiratorio bensì un parametro respiratorio, esso è definito come il rap-
porto del consumo di anidrite carbonica sul consumo di ossigeno. Ricordando la relazione:

𝐶𝐶6 𝐻𝐻12 𝑂𝑂6 ⇄ 6𝐶𝐶𝐶𝐶2 + 6𝐻𝐻2 𝑂𝑂


Il rapporto indica che:

• Se si usano solo glucidi, trovando in via aerobica 6/6 da 1; quindi nel caso in cui si usi solo glucosio come
substrato il rapporto è intorno all’unità;
• Se si usano il lipidi è di circa il rapporto è di circa 0.6-0.7;
• In seguito, attuando un lavoro, si avrà che il rapporto supera l’unità corrisponde alla produzione di produ-
zione dell’acido lattico perché l’iperventilazione è la via per eliminare l’acido lattico cercando di introdurre
più ossigeno.

L’unità funzionale non è un’unità anatomica, ma è un’unità tale per cui conoscendone il funzionamento è possibile
spiegare come funziona l’intero organo, l’unità funzionale è sub-cellulare.

Presa una cellula muscolare essa è altamente specifica che le sue parti prendo nomi particolare per distinguerle; la fi-
bra muscolare è strutturata da varie miofibrille, mentre le miofibrille sono una delle parti nel citoplasma e una loro
parte è il sarcomero che è l’unità funzionale del muscolo, saranno rilevanti le proteine presenti nel sarcomero.

Il muscolo striato è costituito da bande scure e chiare (A anisotropo e I isotropo rispetto alla luce polarizzata, rispetti-
vamente bande scure e bianche). A livello macroscopico si è visto che la forza sviluppata a livello del motore musco-
lare, non coincide col punto in cui la forza muscolare viene sviluppata, cioè la forza deve essere trasmessa ai capi ossei
dai tendini. Il muscolo genera forza muscolare in modo discontinuo (perché funziona grazie al ciclo di ponti tra ac-
tina e miosina), ma la forza trasmessa è comunque continua questo avviene grazie ai tendini. Il muscolo innervato è
un organo effettore che è specchio del SNC, con l’elettromiografia osservando il muscolo è possibile individuare pos-
sibili problemi a livello del SNC. Quindi si analizzerà prima il muscolo isolato e poi quello innervato, per poter capire
il funzionamento del muscolo stesso.

Hill sviluppò (prima degli anni ’50 da un punto di vista


meramente macroscopico) il primo modello meccanico del
muscolo isolato; tale modello meccanico è formato da un
motore, che è la parte contrattile, collegato ai capi ossei; da
una molla che è la parte elastica in serie che simulerà il ten-
dine; sarà anche presente una parte elastica in parallelo che
corrisponde alla guaina connettivale del muscolo che ri-
sponde come struttura elastica in caso il muscolo è eccessi-
vamente stirato o troppo contratto. Nel caso in cui una
contrazione non fa variare la lunghezza complessiva del
muscolo si ha che la materia contrattile del muscolo si è accorciata e quindi la componente elastica in serie si è allun-
gata di una misura uguale ed opposta, dato che il movimento non si considera pericoloso per il muscolo la compo-
nente elastica in parallelo non è intervenuta; questa contrazione a lunghezza constante è detta isometrica.

Quando un muscolo si contrae:

• La contrazione è isometrica, quindi a lunghezza totale rimane costante ed il lavoro meccanico compiuto è
nullo;
• Il muscolo totale si accorcia quando ad esempio si solleva un peso, si parla in questo caso di contrazione iso-
tonica, cioè la contrazione avviene contro un carico costante; in questo caso c’è lavoro meccanico perché si
accorcia il muscolo e si solleva il carico; può anche capitare che la tutto il muscolo si allunghi.

Si consideri un muscolo isolato che è appeso per un capo tendineo da una parte e all’altra parte è presente un peso;
inizialmente, in assenza di stimolo il muscolo si allunga quanto più grande è il peso; questo è un allungamento pas-
sivo, in questo caso il muscolo si comporta come un elastico; si parlerà quindi di lavoro passivo.
Si ammetta che di stimolare direttamente il muscolo (oppure si può stimolare anche attraverso il nervo motore indi-
rettamente) con una coppia di elettrodi stimolanti facendo sì che si generi un treno di potenziali d’azione in modo
tale da permettere la contrazione muscolare, si distinguono tre casi:

• Il muscolo è in grado di generare una forza superiore al peso applicato, il carico si solleva e si ottiene la forza
richiesta per muovere il carico;
• Si applica un peso maggiore alla forza che il muscolo riesce ad equilibrare, allora il muscolo non riesce a sol-
levare e il carico scende ed il muscolo si allunga;
• Si applica un peso che è esattamente pari alla forza che il muscolo è in grado di generare, allora il muscolo ha
una trasformazione isometrica.

Quindi applicando un peso ed il muscolo viene stimolato, nel caso in cui la forza peso del corpo è minore della forza
muscolare generata, il carico verrà sollevato fintanto che la forza sviluppata dal muscolo è uguale ed opposta alla forza
peso. Quindi il muscolo come struttura elastica passiva si allunga solamente, quando è stimolato o si accorcia o si al-
lunga o rimane della stessa lunghezza. Ci sono termini diversi per dire se il muscolo si accorcia (lavoro concentrico,
positivo) oppure si allunga (lavoro eccentrico, negativo).

La membrana esterna del muscolo si dice sarcolemma e la parte interna del sarcoplasma dove si trovano le miofibrille;
la miofibrilla è un’alternanza di bande chiare e scura (bande I e A) e la sua unità fondamentale è il sarcomero; essendo
costituito da bande A e bande I (anisotropo e isotropo), per definizione si ha che il sarcomero è costituito da una
banda A nel centro e ai lati due semi bande I, questo perché ai lati ci sono delle strie delle linee Z che limitano le
bande A e le semi bande I; quindi il sarcomero va da una linea Z ad un’altra.

Alla nascita c’è un certo numero di fibre muscolari ben fissato; quello che può modificarsi nel tempo è il numero di
miofibrille che costituisce la cellula muscolare aumentando per ipertrofia, cambia cioè la sezione trasversale del mu-
scolo; col tempo può diminuire tale sezione facendo diventare il muscolo atrofico con diminuzione di miofibrille.

A metà della banda A esiste una zona nuda nella quale la proteina della miosina è appunto “nuda” (nella quale man-
cano i bastoni necessari per la formazione dei ponti); il sarcomero è fatto di tre tipi di proteine: proteine contrattili,
strutturali e regolatrici.

1. Le proteine contrattili sono responsabili dell’allungamento o contrazione del muscolo quindi servono e ge-
nare forza muscolare, esse sono l’actina e la miosina.
2. Le proteine strutturali, si studiano generando una linea murina (topi) privi di una proteina e si vede che ef-
fetti ci sono sulla linea murina, ma questo non corrisponde spesso all’uomo, quindi non si ha una corrispon-
denza esatta sulla funzione delle proteine; quando il muscolo si allunga o si accorcia sono i filamenti che
scorrono nel sarcomero, quindi non si accorcia o allunga in senso assoluto; quindi i filamenti sono ancorati
alle linee Z, ci sono quindi due proteine elastico che sono la titina (che ancora il filamento spesso) e l’α acti-
tina (che ancora il filamento sottile) che vincolano l’actina e la miosina alle linee Z in modo tale che quando
scorrono i filamenti i actine e miosina le proteine strutturali si tendono, ovviamente la funzione di queste
proteine strutturali non è contrattile, ma solo di ancoraggio delle proteine contrattili; la desmina trasmette la
forza generata dal muscolo all’esterno del muscolo stesso fino ai tendini per arrivare ai capi ossei.
3. Le proteine regolatrici, ricordando che la contrazione muscolare avviene solo grazie all’unione tra actina e
miosina si ha che quest’unione deve avvenire se e solo se vi è la presenza di un potenziale d’azione; quando il
potenziale d’azione si interrompe le due proteine si dovranno quindi separare; ci sarà quindi una proteine
che impedisce il legame tra l’actina e la miosina che si frappone tra esse quando non c’è potenziale d’azione e
non si frappone quando c’è potenziale.
La miosina è assimilabile ad una mazza golf, ha una testa (dominio motore, così detta perché sulla testa risiede la mo-
lecola di ATP), dopo la testa segue il collo e la coda, la testa aggetta rispetto alla coda in modo tale che il filamento di
miosina forma una scala a chiocciola, cioè ha una struttura di base che è la coda e poi tutte le teste; le teste aggance-
ranno il sito attivo dell’actina e fermeranno il ponte; in più la testa è in grado di flettersi grazie al collo tale per cui la
testa della miosina non si aggancia all’actina formando solo angoli di 90 gradi, ma si può collegare formando angoli
sia ottusi che acuti, nel caso di un angolo acuto tutto il sarcomero si accorcerà e nel caso di un angolo ottuso il sarco-
mero si allungherà (si sottolinea che non il sarcomero di per se, ma i filamenti che scorrono).

Per impedire la formazione del ponte vi sarà la tropomiosina che si frapporrà tra actina e miosina; il filamento di ac-
tina è avvolto dalla tropomiosina e poi dalla troponina, che sono le proteine regolatrici; la tropomiosina si frappone
tra actina e miosina per non far formare il ponte, la troponina con l’arrivo del potenziale d’azione farà spostare la tro-
pomiosina per permettere la formazione del ponte. Il potenziale d’azione aprirà i canali del calcio che si legherà con la
troponina C (calcio) che permetterà lo spostamento della tropomiosina smascherando i siti attivi dell’actina, quindi è
il potenziale d’azione che comanda l’evento di spostamento della tropomiosina. Quando il potenziale d’azione non
arriva più i canali del calcio si chiuderanno e quindi la troponina C non dovrà più essere legata al calcio, allora il cal-
cio presente nella cellula dovrà essere pompato fuori dalla cellula con delle pompa a calcio per terminare la contra-
zione, quindi il muscolo si contrarrà se e solo se vi è un potenziale d’azione, segue quindi che il muscolo subirà i co-
mandi del SNC. Quindi si ha che un fenomeno elettrico (potenziale d’azione) comanda un evento meccanico, quindi
l’evento elettro-meccanico si baserà principalmente sul calcio.

13-05-2014
La teoria dello scivolamento dei ponti trasversali sostiene che quando un muscolo si allunga o si accorcia il sarcomero
di per sé non si accorci o si allunga, ma sono i filamenti che scivolano. Come fa il sarcomero a non accorciarsi? Per-
ché le proteine strutturali lo ancorano alle linee zeta, tali proteine sono come grossi elastici e quindi permettono che
far mantenere il sarcomero costante contraendosi e rilassandosi.

Si definisce isoforma una stessa proteina che si differenzia da un’altra proteina a lei simile solamente per alcuni resi-
dui amminoacidici; la presenza di proteine isoforme influenza la contrattilità delle fibre, infatti la fibre rosse conten-
gono mioglobina (cioè una proteina utilizzata come riserva di ossigeno, per questo motivo sono dette ossidative; essa
è un monomero dell’emoglobina) nelle fibre bianche non è presente mioglobina e vengono quindi definite glicoliti-
che; le fibre rosse per contrarsi, essendo ossidative utilizzeranno quindi il ciclo di Krebs, cioè impiegano un metaboli-
smo aerobico, quindi per i primi 3 minuti verranno utilizzate mioglobina e fosfocreatina; le fibre bianche, essendo
glicolitiche, utilizzeranno la glicolisi anaerobica producendo così lattato (acido lattico). Le due vie, per quando detto,
producono una potenza diversa, quindi anche la forza contrattile sarà diversa poiché saranno presenti due isoforme
diverse di miosina in base se si sta trattando una fibra rossa o bianca; rispettivamente alle isoforme della miosina cor-
risponderanno anche delle specifiche isoforme dell’actina.

Si distinguerà in più tra fibre lente e rapide; ovviamente quelle lente saranno le fibre rosse che utilizzano una via aero-
bica, mentre quelle lente saranno quelle bianche che fruttano una via anaerobica lattacida; con una conseguente selet-
tività in base al lavoro, cioè saranno presenti lavori che prediligeranno l’utilizzo delle fibre bianche ed altri quello
delle fibre rosse.

Quando arriva un treno di potenziale d’azione dal nervo motore (cioè l’insieme delle fibre motrici che terminano
nella NJM) si ha il treno di potenziali d’azione che arriva nel nervo sono uguali a quelli che arrivano nel muscolo. Il
treno di potenziali d’azione che si propaga nel citoplasma della fibra muscolare, cioè nel sarcoplasma o reticolo sarco-
plasmatico (così chiamato perché è come una rete che avvolge le miofibrille) la quale rete in alcuni punti è collegata
con l’esterno dove sono presenti i canali del calcio, il quale è uno ione extracellulare, tuttavia la concentrazione di cal-
cio fuori dalla cellula è molto bassa poiché è presente una proteina chiamata calsequestrina, la quale è in grado ap-
punto di sequestrare il calcio riuscendo a legarlo in grandi quantità, calcio che sarà rilasciato nel momento dell’aper-
tura dei canali del calcio; quindi quando arriva il potenziale d’azione esso si propaga nel reticolo sarcoplasmatico im-
ponendo l’apertura dei canali permettendo così al calcio di fluire nella cellula (il calcio sarà poi trasportato fuori dalle
pompe al calcio); il calcio si lega alla troponina C, la quale smaschera i ponti permettendo l’inizio dell’evento biomec-
canico; quando ci si trova ancora in refrattarietà (dal punto di vista del potenziale d’azione) la pompe al calcio si atti-
veranno in modo da impedire che la contrazione continui in assenza di potenziale d’azione, il calcio è quindi da ele-
mento decisionale (trigger).

Secondo una teoria che va dal 1930 al 1960 era stato supposto che il sarcomero nel suo movimento meccanico si con-
traesse effettivamente, si basava quindi su una contrazione dei filamenti; tuttavia a tale teoria subentro quella dello
scorrimento dei filamenti. Per ogni ciclo dei ponti la testa si aggancia e si sgancia, per il ciclo successivo si potrà attac-
care in maniera differente o nuovamente come prima; se la testa non si sgancia significa che l’ATP non è stato rigene-
rato e si parla di rigor mortis. Durante una contrazione isometrica la testa si riaggancerà come prima; se il muscolo si
accorcia si riaggancia vero il centro; se il muscolo si sta allungando si riaggancia in una zona più periferica.

Ad ogni ciclo l’ATP si scinderà e sarà necessario che essa si rigeneri affinché la testi si sganci. Il ciclo dei ponti si basa
quindi sull’aggancio e sgancio della testa, per ogni aggancio della tesa la forza sviluppata sarà di 2 pN (valore che cor-
risponderà ad un guadagno in quanto deve essere moltiplicato per il numero di ponti formati). Si consideri il un mo-
mento del ciclo nel quale il ponte tra actina e miosina risulta essere formato, in tale situazione l’ATP risulta essere
scisso; poiché il ponte formatosi risulta essere ad alta energia esso non si staccherà a meno che non venga rigenerata
l’ATP necessaria. Quando l’ADP si trasforma in ATP il legame forte tra actina e miosina degenera da legame forte a
legame debole, consentendone la separazione, poiché il legame tra ATP e miosina risulta essere molto forte ed è in
grado di far diventare il legame tra actina e miosina debole, ciò può essere espresso come:

𝐴𝐴 ⋅ 𝑀𝑀0 → 𝐴𝐴~𝑀𝑀0 ⋅ 𝐴𝐴𝐴𝐴𝐴𝐴 → 𝑀𝑀0 ⋅ 𝐴𝐴𝐴𝐴𝐴𝐴


L’ATP scindendosi darà energia libera perché il sarcomero possa generare forza, infatti il sarcomero per ogni ponte
formato genera una fissata quantità di forza; l’energia necessaria a produrre tale forza deriva quindi dall’ATP che si
scinde. Quando l’ATP viene scisso per idrolisi con rilascio di energia, necessaria per la formazione di un nuovo ponte;
il nuovo legame porterà allo stroke (o colpo di forza), cioè il sarcomero sviluppa per ogni ponte formato una certa
forza. Seguirà l’isomerizzazione della miosina, la quale limita la velocità della formazione dei ponti. La velocità della
contrazione è limitata dalla velocità di formazione dell’ATP che necessita di un tempo finito e dalla isomerizzazione
della miosina che corrisponde alla parte finale del ciclo.

Biomeccanica del muscolo isolato


Il muscolo è assimilato ad una struttura elastica (altri elastici biologici saranno i vasi e i polmoni), una struttura ela-
stica è una struttura che dopo quando un’azione subita ritorna in condizioni di riposo di partenza e non si deforma; la
reazione del materiale ad uno stimolo è di utilizzare parte dell’energia impressa dall’azione per tornare nella sua con-
dizione iniziale.

Studiare le proprietà elastiche di un corpo significa studiare le proprietà passive di esso non quelle attive; viene quindi
applicato uno stress ottenendo così un allungamento (perché un elastico può solo allungarsi) della struttura elastica ε:

∆𝑙𝑙
𝜀𝜀 =
𝑙𝑙0
L’allungamento ottenuto ε sarà il rapporto tra una variazione di lunghezza e la lunghezza di partenza; l’allungamento
(strain) ε sarà funzione del peso applicato sarà quindi funzione dello stress (sforzo).

Secondo un elastico ideale il diagramma stress-strain è una retta che parte dall’origine con una sua pendenza; viene
accumulata dell’energia potenziale elastica sottostante alla retta e quando viene lasciato andare senza dissipazione
l’energia potenziale accumulata viene restituita; asseconda della struttura sia più o meno elastica accumulerà più o
meno energia elastica. Poiché la via del ritorno è uguale alla via dell’andata non ci sarà isteresi (elastici reali), cioè
quando è presente la parte presente all’interno delle due parti del percorso che corrisponderà ad energia dissipata poi-
ché il percorso di ritorno restituirà minore energia potenziale elastica. Un sistema di zero ordine non sarà quindi suf-
ficiente per descrivere l’elastico muscolare, sarà necessario almeno un sistema del primo ordine poiché è necessario
considerare la resistenza viscosa del mezzo.

Il lavoro del cuore per esempio, quando esso viene riempito dal sangue non è il cuore ad effettuare il lavoro bensì il
sangue, quindi viene compiuta un lavoro sull’organo cuore; il lavoro compiuto sul cuore sarà dal sangue, successiva-
mente il cuore farà un lavoro con l’energia accumulata.

Con un diagramma stress-strain di un muscolo si scopre che non è una


retta, ma con pendenze maggiori o minori è come se le rette fossero due;
cioè prima il sistema è più distendibile se sollecitato con forze basse; più
si aumenta il grado di stiramento il sistema resiste di più; quindi il mu-
scolo si romperà dopo; cioè è come si ci fossero due elastici biologici uno
che si fa distendere prima ed uno che si distendere dopo, assunta una
forza di intensità crescente; questi due elastici biologici sono l’elastina ed
il collagene; le quali saranno una più distensibile ed una meno. Quindi la
parte connettivale del muscolo che consiste nella molla in serie è come
se fossero due molle che in base al tipo di forze viene scelta una molla
più (collagene) o meno (elastina) resistente in base alla forza, quindi
l’elastico biologico è un insieme di fibre elastina e collagene. In questo
caso il muscolo viene assunto come un organo lineare in una sola di-
mensione per poterne apprezzare l’elongazione.

Il diagramma stress-strain del vaso ha pure due pendenze, ma è un diagramma tensione raggio, questo perché è il
sangue che fluisce dentro il vaso, esso essendo una massa distende la parete vasale; l’aorta sarà più elastica mentre la
vena è più distendibile; ma se sollecitata da forze estensive il collagene permette di resiste alla rottura.

È possibile scrivere un modello meccanico; assunto il muscolo come sistema di ordine zero, esso si considererebbe un
elastico perfetto, cioè una molla che si estende e si accorcia nel vuoto; quindi l’azione e la reazione avvengono en-
trambe a tempo zero, cioè il parametro temporale non è preso in considerazione, il sistema di ordine zero risulterà
essere espresso dalla legge di Hooke:

𝑃𝑃 = 𝐸𝐸𝐸𝐸
Tuttavia il sistema di zero ordine non è accettabile perché il muscolo si accorcia e si allunga contro una sua viscosità
propria; si introduce quindi il mezzo viscoso come una resistenza del mezzo; quindi il sistema non risponde più ad
onda quadra istantaneamente, bensì secondo un procedimento singolo esponenziale la cui costante di tempo è il
tempo per arrivare al 63% della risposta massima:
𝑑𝑑𝑑𝑑
𝑃𝑃 = 𝜂𝜂
𝑑𝑑𝑑𝑑
Se si volesse creare un sistema del secondo ordine bisognerà considerare la massa, quindi introducendo una resi-
stenza inerziale.

Si prenda un sarcomero che si allunga solamente in


prima istanza ottenendo un suo diagramma passivo
(cioè in assenza di stimolo), stimolando si parte dal
sarcomero completamente sfilato (lunghezza mas-
sima del sarcomero, punto A del grafico) con actina
e miosina separate e si avrà che la forza sviluppata è
zero; lentamente esso si accorcia e più si accorcia si
ha che i ponti formati aumentano, poi si arriverà ad
un limite che corrisponde all’energia massima; se il
sarcomero si accorcia ancora si ottiene un ramo spe-
culare a quello ottenuto precedentemente perché il
numero massimo di ponti che generano forza è stato
raggiunto quindi quando il sarcomero si accorcia
ancora si avrà semplicemente che si formerà lo
stesso numero di ponti formati prima di raggiungere
il punto di massimo di energia prodotta; questo per-
ché due ponti non possono formarsi nella stessa posizione, quindi le teste ruoteranno nell’atra direzione. Quindi nel
grafico complessivo si ottengono due rami speculari con al centro una zona piatta che corrisponde alla zona nuda
(banda M). Si avrà che il ramo di sinistra non raggiungerà il valore di forza nullo, perché il sarcomero accorciandosi
avrà comunque un numero di ponti formati che garantiranno il generarsi di una forza; anche se bisogna sottolineare
che sul muscolo in toto è comunque possibile misurare zero come forza risultante totale. La parte centrale è detta lun-
ghezza a riposo ottimale, questo tuttavia non implica che la parte centrale corrisponda ad una zona nella quale il mu-
scolo si trova in una condizione di riposo, bensì è la lunghezza alla quale il sarcomero è realmente inserito ai capi os-
sei, cioè esso è inserito in modo tale da generare immediatamente il massimo di energia possibile; in più l’attributo
ottimale si riferisce al fatto a quella lunghezza il sarcomero è in grado di produrre la massima forza.

15/05/2014
Si consideri un diagramma tensione-lunghezza di un muscolo isolato, perché le proprietà meccaniche di un muscolo
in vivo risulteranno essere diverse da quelle di un muscolo isolato. È allora possibile considerare un muscolo e fissarlo
per un campo tendineo, all’altro capo sarà collegato un peso; oppure porre un muscolo orizzontalmente e fissare i due
capi per poi stimolarlo, ottenendo così una contrazione isometrica. Per ottenere una massima risposta muscolare si
deve far in modo da non ottenere una forza graduata punto per punto è quindi necessario che ogni parte del muscolo
sia stimolata in ugual modo; i metodi impiegati per la stimolazione del muscolo potranno essere una stimolazione
diretta mediante elettrodi stimolatori; oppure gli elettrodi stimolatori potranno essere collegati al nervo motore otte-
nendo una stimolazione indiretta, metodo che verrà impiegato di seguito.

Sarà inoltre fondamentale valutare i parametri dell’intensità di stimolazione e di frequenza di stimolazione; se la sti-
molazione è massimale bisogna quindi fornire un’intensità (ampiezza di stimolazione) tale per cui tutti le parti del
muscolo rispondano alla stimolazione; per quanto riguarda la frequenza bisogna considerare una contrazione teta-
nica, cioè una contrazione a frequenza tale che la
contrazione risulti essere fusa, cioè la contrazione ri-
sulti essere continua nel tempo. Poiché la contra-
zione sarà generata da un treno di potenziali
d’azione, risulta ovvio comprendere che sarà possi-
bile ottenere una sommazione temporale stimo-
lando il nervo motore in due istanti tra loro conse-
cutivi; cioè tenendo in considerazione una frequenza
sufficientemente elevata. La risposta meccanica otte-
nuta da una stimolazione con frequenza bassa, cioè
con stimolazioni distanti del tempo produce una
così detta scossa singola (single twitch), cioè una
contrazione o un rilasciamento del muscolo; tra il
potenziale d’azione generato nel nervo e il poten-
ziale d’azione generato nel muscolo ci sarà comun-
que un periodo di latenza coincidente con il ritardo
sinaptico (il tempo di latenza sarà più breve che in
condizioni isotoniche); quindi un fenomeno elet-
trico (potenziale d’azione) genera un evento mecca-
nico (single twitch). Si hanno quindi eventi discreti
nel tempo che comportano una contrazione seguito
da un rilascio muscolare. Se arriva un secondo po-
tenziale d’azione quando ancora il muscolo
non è rilasciato totalmente si ha una scossa
doppia grazie ad una sommazione mecca-
nica, aumentando quindi la frequenza di
stimolazione, non l’ampiezza, è possibile
quindi arrivare ad una situazione in cui si
ottiene un così detto clono (tetano non
completo, nel quale si ha una contrazione
seguita da un rilasciamento seguito da una
contrazione e così via) e aumentando an-
cora la frequenza di stimolazione si giun-
gerà ad una risposta costante del tempo detta tetanica, questo perché il muscolo non ha il tempo di rilasciarsi; si arri-
verà quindi alla contrazione tetanica quando il muscolo non si rilascerà più ma rimarrà contratto nel tempo, finché il
muscolo non arriverà in uno stato di fatica. È fondamentale che il cuore, essendo una pompa, non potrà mai andare
in situazione tetanica.

Ma perché il muscolo in contrazione tetanica genera molta più forza rispetto alla scossa singola? Quando non si co-
nosceva molto sui canali del calcio la spiegazione era che: il motore che sviluppa forza deve trasferire tale forza al ten-
dine, in una scossa singola il tendine non ha il tempo di contrarsi ottimamente non producendo molta forza, perché
la forza non agisce dove viene prodotta; se la contrazione è tetanica e più lunga il tendine ha il tempo di rendere otti-
mamente trasferendo così più forza. La vera motivazione tuttavia è che i canali del calcio sono canali lenti, quindi sa-
ranno di lenta apertura e chiusura; quindi con un solo potenziale d’azione i canali avranno poco tempo per aprirsi e
quindi il calcio che fluisce e che si lega alla troponina C sarà minore; con più potenziali d’azione fluirà più calcio e la
troponina C permetterà di fare generare più ponti (dai quali dipende la forza muscolare generata), ciò spiega perché
per una contrazione tetanica si ha una generazione di forza maggiore.

Il diagramma tensione-lunghezza del mu-


scolo si costruisce prendendo in considera-
zione un muscolo e portandolo a lunghezze
diverse stimolando tetanicamente massima-
mente, registrando man mano la forza gene-
rata; il problema del muscolo è che se pur è
possibile costruire un diagramma passivo
(applicando dei pesi al muscolo) simile a
quello del sarcomero; tuttavia il diagramma
attivo non dal comportamento della sola ma-
teria contrattile, sarà presente anche la parte
passiva rappresentata nel modello dalla molla
posta in parallelo, si ottiene quindi un dia-
gramma totale cioè un diagramma che con-
tiene sia la parte contrattile sia la parte pas-
siva; quindi per il muscolo si può costruire
un diagramma passivo ed un diagramma totale, per ottenere il diagramma attivo della parte contrattile si ottiene dalla
differenza del grafico totale e quello passivo. Quindi non è possibile semplicemente disegnarlo come per il sarcomero,
ma bisogna calcolarlo dagli altri due grafici. Nel grafico si noti che:

• La tensione generata dal grafico passivo (curva P) avrò un valore apprezzabile a partire dal un certo valore
𝑙𝑙0 in poi.
• Fino al valore 𝑙𝑙0 tutta la tensione sarà generata esclusivamente dalla parte contrattile; quindi il grafico della
parte contrattile (curva C) coinciderà con il grafico totale (curva T).
• Superato il valore 𝑙𝑙0 il grafico della parte contrattile potrà essere ottenuto solo per differenza tra il grafico
totale ed il grafico passivo.

Il diagramma passivo si ottiene caricando il muscolo con pesi diversi e in funzione del carico applicato si valuta di
quanto si è allungato il muscolo; la tensione generata da tale muscolo sarà uguale ed opposta alla forza peso generata
dal peso; si valuta che per tratti molto piccoli la tensione è trascurabile, dopo un certo valore 𝑙𝑙0 si genererà un ramo di
parabola, secondo il quale prima vengono utilizzate le fibre di elastina e poi quelle di collagene, tende quindi ad essere
inizialmente più distendibile e successivamente più rigido.

Portando il muscolo a lunghezze diverse e stimolandolo tetanicamente massimamente si ottiene un grafico come da
figura; si nota che fin quando si allunga verso il valore 𝑙𝑙0 la tensione è sempre crescente e corrisponde alla parte attiva
poiché il grafico passivo fino ad 𝑙𝑙0 è nullo; dopo di che si ha il grafico totale; se per ogni punto si fa la differenza tra il
grafico totale e quello passivo si ottiene un comportamento che mima la risposta attiva del sarcomero, in questo caso
la contrazione è isometrica quando il peso è esattamente uguale alla forza attiva massima.
Se si vuole condurre una contrazione isotonica inizialmente si carica il muscolo, non stimolato, con un certo peso
osservando la risposta passiva; dopo che esso viene stimolato tetanicamente massimamente si nota che il muscolo si
contrae ottenendo la parte attiva; si distinguono ora tre casi nei quali verrà calcolata la forza attiva generata dal mu-
scolo per sollevare il peso e quindi verrà anche calcolata l’allungamento del muscolo:

1. Si supponga di applicare un peso tale per cui la forza peso generata dal peso è maggiore della forza massima
che è in grado di generare la parte contrattile (linea gialla), quindi i muscolo non potrà che allungarsi.
2. Se lo si carica con un peso tale per cui la forza generata attiva corrisponde al suo picco il muscolo non potrà
né contrarsi né allungarsi, ci si troverà quindi in una situazione isometrica; ed il muscolo si allungherà sino
al valore 𝑙𝑙0 poiché a tale valore della forza sulle ordinate corrisponde il valore 𝑙𝑙0 sull’asse delle ascisse.
3. Lo si carichi con un peso minore della forza massiva attiva, tale peso genererà una forza muscolare uguale ed
opposta alla forza peso e nella parte della forza attiva coincide col punto sul grafico attivo di intersezione
della retta (linea blu) passante per il punto del grafico passivo che genera una tensione necessaria a sollevare
il peso e tale retta è parallela all’asse delle ascisse; in questo caso il punto di intersezione con la retta determi-
nerà il valore dell’allungamento del muscolo sull’asse delle ascisse.

La parte sottostante alla retta è il lavoro meccanico del


muscolo per sollevare il peso, la parte sottostante alla
curva passiva non corrisponde al lavoro del muscolo,
bensì all’energia meccanica che ha fornito il peso al mu-
scolo quindi si tratta di lavoro compiuto sul muscolo. Se
il peso raggiunge la curva passiva in un punto tale per
cui la retta passante per quel punto e parallela all’asse
della ascisse interseca sia la curva attiva sia due volte la
curva totale, a che lunghezza arriverà il muscolo, cioè in
che punto di intersezione quando il muscolo è stimo-
lato? Non è possibile affermarlo, non si può dire se il
muscolo si ferma in uno dei punti della curva totale oppure sulla curva attiva; è possibile dire che si ferma sulla curva
attiva poiché è la componente contrattile che descrive tale curva a raggiungere il punto di equilibrio; per poterlo affer-
mare con più certezza bisogna calcolare il calore sviluppato dal muscolo.

La potenza generata dal muscolo sarà il lavoro nel tempo, bisognerà quindi costruire un diagramma forza velocità,
perché:

𝐹𝐹 ⋅ 𝑠𝑠
𝑃𝑃 = = 𝐹𝐹 ⋅ 𝑣𝑣
𝑡𝑡
Questo perché è rilevante conoscere la velocità di contrazione del muscolo. Quindi caricando un muscolo con un
peso e misurando di quanto si accorcia in funzione del tempo sarà possibile determinare la velocità e quindi la po-
tenza.
Si consideri, ad esempio, un diagramma forza velocità costruite in ac-
corciamento; si carica il muscolo e stimolandolo massimamente tetani-
camente si valuta la velocità con il quale si accorcia. Il muscolo consi-
derato come organo biomeccanico la sua efficienza massima quando
sarà? Si avrà che la velocità a cui si contrae il muscolo si muove ad una
velocità di finita poiché tale velocità è limitata dall’isomerizzazione
dalla miosina. Aumentando sempre di più il carico si giungerà al punto
in cui che il muscolo non è più in grado di sollevare il peso ottenendo
così una contrazione isometrica, mediante tale procedimento si otterrà
un ramo d’iperbole detta iperbole a traslazione d’assi poiché non ha asintoti, e poiché si ha un grafico velocità forza si
ha che l’equazione dell’iperbole avrà un’equazione nella forma:

𝑥𝑥𝑥𝑥 = 𝑘𝑘 → 𝐹𝐹𝐹𝐹 = 𝑘𝑘
La parte sottostante la curva sarà la potenza e la massima l’area, per un dato valore di forza e velocità, si avrà a velocità
media e forza media dove si ottiene un picco di potenza, ed il grafico sarà circa una parabola di parabola, il quale si
ottiene dall’integrale della potenza, si ottiene quindi moltiplicando punto per punto la forza per la sua rispettiva velo-
cità:

𝑃𝑃 = � 𝐹𝐹 ⋅ 𝑑𝑑𝑑𝑑

Tuttavia la forza dipende dalla lunghezza, quindi il grafico effettivo sarà


una di una famiglia di curve, nella quale la forza massima è generata nel
punto 𝑙𝑙0 dal punto di vista attivo, tutte le altre curve saranno date dalle
forze che hanno come valore massimo un valore ottenuto ad una lun-
ghezza minore di 𝑙𝑙0 ; quindi tutte le altre curve saranno sottostanti a
quella con forza massima; nel caso in cui la forza sia massima la velocità
di accorciamento sarà nulla, cioè si ha una contrazione isometrica poi-
ché il peso in questo caso è uguale ed opposto alla forza massima gene-
rata; mentre se il muscolo non risulta essere carico il muscolo si contrae a velocità massima, quindi una velocità limi-
tata, la quale sarà limitata appunto dal tempo di ricostituzione dell’ATP e dalla fase di isomerizzazione della miosina;
quindi complessivamente la velocità è limitata dalla velocità del ciclo dei ponti. Il fatto di avere un picco di potenza
maggiore o minore dipende dal numero di miofibrille, cioè dalla sezione trasversale del muscolo, quindi dal numero
di miofibrille presenti nella sezione. I grafici dipenderanno anche dalla disposizione delle fibre muscolari si distingue
in parallele e pennate, la lunghezza della fibra influisce sulla componente passiva, così che quelle pennate sono mag-
giormente resistenti; tuttavia la lunghezza delle fibre non influirà sulla potenza sviluppata.

Per creare la famiglia di curve si normalizza la forza in base alla forza massima sviluppata alla lunghezza 𝑙𝑙0 . Quindi il
valore massimo della forza si avrà secondo la frazione:

𝐹𝐹
=1
𝐹𝐹𝑙𝑙0

In più lungo l’asse delle ascisse di avrà la velocista espressa come frazione della velocità e la lunghezza del muscolo a
riposo:
𝑣𝑣
𝑙𝑙
Se si confronta il miogramma di un muscolo isolato (biomeccanico) rispetto a quello in vivo si nota che la velocità di
salita del segnale in vivo è più lenta, la minore pendenza viene definita reclutamento; cioè in un muscolo isolato e sti-
molato le fibre rispondono quasi tutte all’unisono, mentre nel muscolo in vivo c’è qualcosa che nel tempo recluta
sempre più fibre. Lo stesso vale anche quando viene interrotta la stimolazione il dereclutamento biomeccanico è quasi
istanteo (le fibre sono rilasciate quasi tutte insieme), mentre in vivo il dereclutamento è più lento. Infine la forza mas-
sima biomeccanica è maggiore di quella in vivo, quindi il muscolo in vivo non sviluppa mai la massima forza biomec-
canica. Le latenze dipenderanno dal sistema nervoso e non dal muscolo.

Sherrington nel 1925 definì l’unità motoria; la fibra nervosa che è collegata al
motoneurone su quante fibre scarica? L’unità motoria è l’insieme costituito
dal motoneurone, l’assone, fibre muscolari comandate da tale fibra nervosa;
quindi è l’insieme delle fibre muscolari comandate da un moto neurone; que-
sto significa che la contrazione delle fibre collegate al motoneurone deve es-
sere sincrona. Sherrington notò che le unità motorie non hanno sempre lo
stesso numero di fibre, quindi ci sono unità motorie piccole e grandi, in base
al numero di fibre comandate dal motoneurone ed in base al tipo di muscolo;
quindi un muscolo di potenza che non devono fare movimenti fini avranno
unità motorie grandi; quelli per movimenti fini avranno unità motorie piccole;
quindi le unità motorie non si distinguono in base al numero di fibre ad esse collegate. L’unità è un’unità sincrona ma
anche quantica, cioè un numero intero di fibre vengono reclutate per volta; tuttavia la forza risulta essere generata in
maniera graduale, ma aumentare la forza significa reclutare più unità motorie, ma poiché sono unità quantiche au-
mentano la forza in maniera discreta, quindi ci sarà un meccanismo estensivo di graduazione della forza muscolare
che coincide col sempre maggiore reclutamento delle unità motorie fino al raggiungimento della forza desiderata
(identicamente uguale alla salita esponenziale in un miogramma), quindi a seconda della forza che si vuole sviluppare
verranno reclutate unità motorie diverse; ma esisterà anche un sistema intensivo di graduazione della forza, per una
regolazione fine della forza, in questo caso un motoneurone sarà in grado di modulare la propria frequenza di scarica;
quindi ci sarà un guadagno che regola la forza in maniera fine.

Le fibre muscolari sono tra loro miste, quindi topograficamente non ci sono delle zone che rispondono ad un neu-
rone muscolare; perché ogni muscolo ha un tono proprio, cioè un grado minimo di contrazione muscolare; tono otte-
nibile facendo scaricare varie unità motorie con zone in comune, quindi un tono muscolare si mantiene reclutando in
maniera differente le unità motorie che coprono topograficamente tutto il muscolo. Se un neurone degenera e non
scarica più e delle fibre smettono di contrarsi, è allora possibile che un’altra unità motoria innervi le fibre non più co-
mandate dal motoneurone degenerato; quindi è possibile che il nervo si rigeneri; in modo tale che le fibre di un moto-
neurone vengano comandate da un altro motoneurone; quindi l’unità motoria che prende il controllo di ulteriori fi-
bre diventa più grande, tuttavia acquistando ulteriori fibre l’unità motoria non sarà più ugualmente sincrona. Le unità
avranno in comune il tipo di fibra, cioè tutte le fibre che compongono un’unità motoria saranno tra lo uguali.
Un’unità motoria non potrà contenere contemporaneamente fibre rosse e bianche perché hanno vie metaboliche di-
verse, inoltre saranno diversa anche morfologicamente e per quanto riguarda in calibro; l’unità motoria è quindi o a
fibre rosse, bianche o rosa; le fibre rosa hanno sia proprietà sia ossidative che glicolitiche, hanno cioè proprietà sia
appartenenti alle fibre rosse che a quelle bianche.
19/05/2014
Un muscolo innervato non genera mai la massima forza biomeccanica, poiché sarà presente una modulazione della
forza in senso negativo. Durante un lavoro muscolare vengono prima reclutate le fibre ossidative cioè quelle di dia-
metro minore e poi quelle di diametro crescente; quindi se il lavoro è anaerobico non vengono reclutate solo fibre
glicolitiche, infatti fin quando è possibile saranno reclutate le fibre ossidative; quindi oltre quelle rosse (alto livello di
vascolarizzazione e elevata densità mitocondriale) verranno reclutate quelle rosa e quelle bianche (basso livello di va-
scolarizzazione e bassa densità mitocondriale).

Per attuare un lavoro ci sarà inizialmente un reclutamento delle unità motorie di tipo estensivo, ma nel momento in
cui al comando motorio segue la risposta tattile può partire un feedback che regola in maniera fine la forza preceden-
temente generata; quindi sarà il feedback tattile a graduare la forza; ovviamente le unità motorie impostate volontaria-
mente rimarranno costanti, dopo di che sarà possibile impostare la forza generata dalle unità motorie reclutate in ma-
niera fine facendo intervenire un guadagno variabile.

Considerato lo schema in figura composto da tre motoneuroni si ha


che, per convenzione l’interneurone nero è inibitorio (cellule di Ren-
shaw) e il motoneurone bianco è eccitatorio; considerato il motoneu-
rone eccitatorio di sinistra, in prossimità dell’inizio dell’assone è pre-
sente un collaterale che è collegato ad un interneurone inibitorio che si
ricollegherà al motoneurone eccitatorio che genera il segnale, quindi si
tratta di un feedback negativo, cioè l’uscita viene rimodulata in entrata
in modo negativo. Il feedback così generato potrà modulare la risposta
di più o di meno, cioè si può decrementare la risposta in maniera di-
versa dando alla risposta un aggiustamento fine; quindi poiché il se-
gnale viene rimodulato in senso negativo la forza sviluppata sarà sicura-
mente minore della massima forza biomeccanica.

A parità di input eccitatorio ai motoneuroni, cioè a parità di motoneu-


roni reclutati, quindi a parità del numero di unità motorie; nel caso in cui
le cellule di Renshaw siano facilitate la forza sarà minore, infatti è pre-
sente un’inibizione maggiore ad opera di tali cellule; se tali cellule sono
inibite la forza sarà maggiore. Quindi la forza varia non perché vari il
meccanismo estensivo, ma perché variano le caratteristiche del meccani-
smo intensivo. La massima forza sviluppata non è mai quella biomecca-
nica perché: un muscolo è innervato da un insieme di motoneuroni e tale
insieme (nelle corna anteriori del midollo spinale) e tale insieme è detto
nucleo motore dove saranno presenti le cellule di Renshaw che modu-
lano la forza; se si stimola al livello del nervo motore, verrà saltato il nucleo motore e quindi le cellule di Renshaw e
sarà possibile vedere la massima forza biomeccanica ottenibile; ad un livello riflesso il problema è che: a ciascun mo-
toneurone ci sarà un feedback negativo che modula la forza generata; quindi la forza non sarà mai massima:

1. Per l’esistenza delle cellule di Renshaw;


2. Non è mai possibile per via riflessa o volontaria reclutare nello stesso istante tutti i motoneuroni di un nucleo
motore; quindi non succederà mai che tutti i motoneuroni di un nucleo motore saranno reclutati insieme e
non si avrà neanche che tutti i motoneuroni siano a riposo contemporaneamente perché vi sarebbe assenza
del tono muscolare. Quindi i motoneuroni di un nucleo motore non saranno mai tutti nello stesso stato, ma
si avrà un continuo passaggio dei motoneuroni dalla zona di scarica a riposo a causa del fenomeno dell’affa-
ticamento; quindi la forza in vivo non sarà mai la forza biomeccanica.

Per permettere quindi che un movimento avvenga il treno di potenziale d’azione generato in corteccia dovrà avere
frequenza maggiore del necessario poiché esso verrà inibito durante il tratto discendente. Si parlerà di spasticità in
soggetti con patologie a livello degli interneuroni inibitori; essi avranno allora problemi sia a livello della localizza-
zione sia a livello di modulazione della forza; infatti il programma motorio pur nascendo correttamente verrà modu-
lato erroneamente.

Cuore
Il comportamento dal punto di vista elettrico del cuore influenza l’andamento meccanico del cuore, vale quindi l’ac-
coppiamento elettromeccanico; in più il cuore funziona in maniera autonoma pur essendo innervato. Per un soggetto
normotipo saranno pompati 5 litri di sangue al minuto, ridistribuiti nell’organismo a seconda del fabbisogno istanta-
neo; ci sarà quindi una gerarchia tra i tessuti che possono stare in
una condizione anaerobica senza danno irreversibile (muscolo sche-
letrico) e quelli che non possono stare in anaerobiosi senza subire
un danno irreversibile, si veda il miocardio (quando il danno è irre-
versibile si parlerà di infarto). Quando ci si trova in condizioni di ri-
poso la gittata cardiaca si ripartisce in maniera diversa rispetto a
quando ci si trova sotto sforzo, infatti i muscoli scheletrici avranno
un grande afflusso di sangue, si avrà anche una grande variazione
della gittata cardiaca per via della maggiore richiesta di ossigeno. Si
avranno quindi, a livello circolatorio, dei distretti circolari i quali
potranno avere un afflusso di sangue maggiore o minore in funzione
dell’attività del soggetto; la gittata cardiaca (GC) viene chiamata in
inglese cardiac output (CO).

Graficamente mettendo in ascissa il consumo di ossigeno, cioè la ri-


chiesta di ossigeno; si ha che passando da riposo a lavoro muscolare
massimale si ha una sempre maggiore richiesta di ossigeno.

A seconda del consumo di ossigeno si può vedere come si distribuisce


il sangue nei tessuti, man mano che aumenta il consumo di ossigeno il
muscolo scheletrico richiede sempre più ossigeno e gli altri organi
sempre di meno. Quindi all’aumentare del lavoro muscolare l’ossi-
geno viene richiamato continuamente dal muscolo e quindi viene data
priorità rispetto ad altri distretti, allora la gittata cardiaca è adeguata
alla richiesta del distretto; in ambito della distribuzione del sangue in funzione della richiesta di ossigeno il cuore ha
una funzione di pompa; ma se valesse il principio di conservazione dell’energia sarebbe sufficiente una sola spinta
iniziale per permettere al sangue di circolare senza che esso si fermi; è quindi evidente che il sangue, man mano che
percorre tutti i distretti perde energia e quindi esso parte con un certo valore di energia e torna con un valore di ener-
gia pressoché nullo. Il cuore ha una funzione fondamentale di pompa, tuttavia esso non è una semplice pompa, infatti
risulta essere una doppia pompa in serie, infatti si ha che la stessa quantità di sangue che fluisce nelle due parti del
cuore verrà mandata in circolo con due pressioni diverse; infatti dai due ventricoli dovrà uscire la stessa quantità di
sangue ma con pressioni diverse, infatti la pressione nel circolo sistemico sarà di 100 mmHg, mentre nel circolo pol-
monare sarà di 20-22 mmHg; questo perché il piccolo circolo dovrà solamente portare il sangue ai polmoni per arric-
chirlo di ossigeno e riportarlo al cuore, mentre il grande circolo dovrà portare l’ossigeno a tutti i distretti; in più si ha
la stessa quantità di sangue in ambo i circoli perché se così non fosse esso tenderebbe ad accumularsi da un lato. Le
gittate cardiache sono comunque uguali dal punto di vista di volume di sangue pompato, pur differendo le pressioni.
Le pompe sono in serie perché la parte atriale e quella ventricolare sono in comune, in più i due ventricoli e quindi
anche i due atri avranno tra loro sistoli e diastoli contemporanee.

1
𝐸𝐸𝑡𝑡 = 𝐸𝐸𝑝𝑝 + 𝐸𝐸𝑐𝑐 = 𝑃𝑃𝑃𝑃 + 𝑚𝑚𝑚𝑚ℎ + 𝑚𝑚𝑣𝑣 2
2
Dove la pressione per il volume corrisponde al lavoro compiuto dal cuore per spingere ad una data pressione un certo
volume, mentre il secondo termine rappresenta il fattore idrostatico causato dal dislivello tra il cuore ed i tessuti, l’ul-
timo termine corrisponde all’energia cinetica del sangue. Se valesse il principio di conservazione dell’energia si
avrebbe una continua trasformazione di energia potenziale e viceversa e quindi sarebbe sufficiente il primo battito
cardiaco; tuttavia questo non è possibile poiché il sangue non è un fluido ideale bensì un fluido reale. Un fluido ideale
è un fluido privo di viscosità, cioè privo di attriti interni; il sangue perde pressione non perché c’è un attrito tra il san-
gue e le pareti dei vasi, ma ci sarà un attrito tra lamine adiacenti di sangue, quindi il sangue ha una viscosità finita e si
muove di moto laminare e tali lamine continuano a fregare tra loro facendo perdere energia al sangue stesso; quindi il
sangue non è a viscosità nulla, sarà proprio la viscosità il principale fattore che comporta una perdita di energia; in
più un fluido ideale è incomprimibile. Per un fluido ideale vale il principio di conservazione dell’energia espresso me-
diante il teorema di Bernoulli:

1
𝑑𝑑𝑑𝑑ℎ + 𝑑𝑑𝑣𝑣 2 + 𝑝𝑝 = 𝑐𝑐𝑐𝑐𝑐𝑐𝑐𝑐.
2
Dove il primo termine corrisponde all’energia potenziale per unità di volume, il secondo all’energia cinetica per unità
di volume ed il terzo termine al lavoro delle forze di pressione per unità di volume; tale teorema vale solo per un
fluido ideale in un condotto rigido (i vasi sono elastici) in moto stazionario (il moto del sangue è pulsatile per le val-
vole), allora il teorema di Bernoulli non è mai soddisfatto.

Ma anche se il moto è pulsatile il sangue arriva in maniera costante ai tessuti grazie all’elasticità dei vasi. Quindi Man
mano che il sangue procede dal cuore continua a perdere energia e quindi la pressione diminuisce; lo zero conside-
rato per la pressione è la pressione barometrica, quindi all’interno del cuore vi saranno pressioni negative perché sa-
ranno calcolate mediante un delta con la pressione esterna. Quindi se la pressione è 120/80 mmHg significa che nei
vasi ci sarà una pressione di 120 mmHg più la pressione barometrica, in quanto 120 mmHg corrisponde al delta otte-
nuto.

Il muscolo cardiaco è striato, tuttavia ci sono delle strutture dette dischi intercalari (gap junction); nel cuore la cor-
rente fluirà grazie ai dischi intercalari che hanno una bassa resistenza (50 Ω) e quindi la corrente fluirà attraverso essi,
infatti la corrente fluisce preferenzialmente attraverso i percorsi a resistenza minore; quindi la corrente invece di
fluire attraverso la membrana (2000 Ω) fluirà attraverso ai dischi intercalari. Dal punto di vista medico si dirà allora
che il cuore è un sincizio funzionale, cioè una struttura che crea dell’energia cinetica contemporaneamente quindi c’è
qualcosa che fa comprimere il tutto contemporaneamente, cioè la capacità di atri e ventricoli di muoversi in maniera
sincrona, la componente meccanica è dovuta alla corrente nel cuore, a su volta modulata dai dischi intercalari. Quindi
questo (dischi intercalari) permetterà che il potenziale d’azione, che si propagherà come in una fibra nervosa amieli-
nica, si propaghi molto velocemente.
Il cuore auto genera il proprio ritmo se pur innervato dal sistema nervoso autonomo (SNA), infatti esso si contrae
autonomamente per la presenza di cellule pacemaker che sono in grado di arrivare a soglia spontaneamente (tali cel-
lule saranno presenti anche a livello respiratorio); il fatto che esistano tali cellule permette quindi la possibilità del tra-
piantato cardiaco. Il cuore è complessivamente costituito da tre tipi di cellule:

• Pacemaker per generare il ritmo cardiaco generando treni di potenziali d’azione; il tessuto che comprende
tali cellule è detto tessuto nodale e le zone dove sono situate le cellule pacemaker sono dette nodi;
• Muscolari per permettere la contrazione, la parte muscolare del cuore è detta miocardio; in questo caso si
parlerà di tessuto contrattile;
• Cellule del tessuto di conduzione, per condurre il potenziale d’azione generato dalle cellule pacemaker.

Secondo la legge della dominanza in ogni istante il cuore seguirà il volere del gruppo delle cellule pacemaker a fre-
quenza più elevata, quindi se si dessero stimoli esterni con un pacemaker esterno il cuore seguirà tale stimolo se di
frequenza maggiore. Il cuore seguirà l’accoppiamento elettromeccanico, ma con la particolarità (in confronto col mu-
scolo scheletrico) che non potrà andare in contro a tetano, infatti esso si contrae solo per scossa singola; allora si dirà
che quando esso si contrae ci sarà una sistole mentre seguirà necessariamente un rilassamento detto diastole; quindi
le sistoli non si possono sommare facendo rimanere il cuore contratto, in più la diastole avverrà nel periodo di refrat-
tarietà assoluta che dura 150 ms quindi non potendo essere ancora stimolato il cuore non rimarrà contratto. Tuttavia
pur non essendo in tetano riesce comunque ad avere un’efficienza biomeccanica massima perché durante i 150 ms di
refrattarietà il calcio avrà la possibilità di entrare generando un elevato numero di ponti e generando così una forza
biomeccanica massima.

In grafico a lato rappresentato è il potenziale d’azione di


una cellula del miocardio, quindi di una cellula del tes-
suto muscolare atriale o ventricolare. Le fasi nel grafico
sono numerate da 0 a 4 e la condizione 4 indica il poten-
ziale di riposo (a -90 mV poiché è il potenziale di mem-
brana di cellule muscolari e si tratta di un potenziale co-
stante) e fase 0 la depolarizzazione; le cellule del tessuto
muscolare cardiaco funzionano a canali rapidi, se ven-
gono bloccati i canali rapidi le cellule del tessuto musco-
lare cardiaco funzionerà a canali lenti del sodio e del po-
tassio; infatti in condizioni normali il miocardio fun-
ziona a
canali ra-
pidi sia per il
sodio che
per il potas-
sio; quando
ci si trova in
condizioni di
riposto ed arriva un potenziale d’azione grazie alle cellule pacemaker si
ha che la face 0 è rapida perché vengono aperti i canali del sodio rapidi voltaggio dipendenti ed arrivano al potenziale
di circa +20 mV; alla depolarizzazione rapida segue la ripolarizzazione nella quale i canali del sodio si sono chiusi e si
ha un’uscita di potassio; nella fase 2 si ha un platò, infatti il potenziale di fissa per valori positivi ancora in una situa-
zione di refrattarietà assoluta, questo avviene perché si sono aperti i canali del calcio che nella fase 2 permettono un
bilanciamento tra la quantità di potassio che esce e la quantità di calcio che entra, quindi per un breve periodo il po-
tenziale rimarrà costante; in seguito i canali del calcio si chiuderanno ricadendo nella situazione di ripolarizzazione. È
quindi possibile vedere l’effetto dei canali lenti del calcio (che si sono aperti a -40 mV), che permettono un bilancio
tra le cariche; tutto il potenziale d’azione durerà complessivamente circa 300 ms, mentre la sola refrattarietà assoluta
dura 100-150 ms; quindi il fenomeno meccanico della contrazione si esaurirà durante il periodo di refrattarietà asso-
luta; quindi in questo periodo il cuore riesce a contrarsi e poi parzialmente a rilasciarsi.

Osservando le conduttanze si ha
che la conduttanza del sodio è
rapida e rapidamente si esaurisce
rapidamente, la conduttanza del
potassio interviene dopo e lenta-
mente si esaurisce, la condut-
tanza del calcio è praticamente
zero quando entra sodio ed ha il
suo picco durante la fase 2 ed
anch’essa si esaurirà lentamente.

Bloccando i canali rapidi del sodio si ha la risposta lenta del miocar-


dio come da figura, è chiaro che con i canali lenti la salita è molto più
lenta ed in più non si distingue l’azione del calcio da quella del sodio
e del potassio, si ha quindi la mancanza del platò, tuttavia la durata
dell’evento è la stessa. Bloccando i canali del calcio (in maniera par-
ziale) si ha che scompare il platò e che la risposta contrattile del mu-
scolo diventa sempre minore in funzione del calcio che viene lasciato
libero di fluire. Si fa variare quindi il calcio che si lega con la tropo-
nina C, diminuisce quindi sempre più la forza generata. In grave ca-
renza di calcio il muscolo invece di essere flaccido il muscolo rimane
contratto e si parla di tetania ipocalcemica, questo si ha perché attra-
verso i canali del calcio in mancanza di quest’ultimo attraverso tali
canali passerà sodio, quindi il muscolo rimarrà contratto senza rila-
sciarsi. Nel muscolo scheletrico il periodo refrattario tra il potenziale
d’azione e la contrazione è molto piccola, quindi potranno avvenire sommazioni di tipo temporale; mentre nel cuore
se il potenziale d’azione dura quanto la sistole e quest’ultima avviene nel periodo di refrattarietà assoluta, si ha che
quando sarà possibile nuovamente stimolare il miocardio esso si starà già rilasciando.
Le cellule pacemaker hanno la ca-
ratteristica di lavorare a canali
lenti, quindi si potrà notare una
differenza nella pendenza del po-
tenziale d’azione tra l’entrata di
solo sodio a -60 mV e l’entrata di
sodio e calcio alla soglia di -40
mV; una cellula è pacemaker parte
già quasi a soglia, in più il poten-
ziale d’azione rappresentato è in-
stabile, cioè c’è una permeabilità
spontanea della cellula, quindi
un’apertura spontanea della cel-
lula ai canali del sodio lenti;
quindi si ha spontaneamente un prepotenziale o potenziale pacemaker, quando si giunge a -40 mV oltre all’ingresso
di sodio si somma l’ingresso di calcio e quindi vi è un cambio di pendenza; ma ciò non significa che la cellula è arri-
vata a soglia a -40 mV, infatti la cellula arriva comunque a soglia a -55 mV; infatti il potenziale di membrana ha una
sua deriva spontanea per proprietà delle cellule pacemaker; in più il valore di overshoot è più basso perché i canali
ionici sono tutti lenti.

20/05/2014
Le cellule muscolari cardiache si contraggono come le cellule muscolare scheletriche e non raggiungono mai il livello
tetano; le cellule miocardiche (atriale e ventricolare) non si tetanizzano non per motivi meccanici, ma motivi elettrici
per la refrattarietà assoluta del potenziale d’azione molo lunga caratterizzato da un platò dato da un momentaneo
equilibrio ionico; i canali del calcio si aprono a -40 mV; la durata della refrattarietà assoluta permette che subito dopo
la sistole subentra la diastole; la forza biomeccanica non è minore perché dipende dalla quantità di calcio che si lega
con la troponina C per fare creare i ponti dato che il potenziale d’azione è tale per cui il calcio ha molto tempo per
entrare e quindi la forza biomeccanica è massima. In più il muscolo scheletrico lavora massimamente in accorcia-
mento, mentre il cuore lavora massimamente in allungamento, perché i ventricoli si riempiono di sangue prima della
sistole e ovviamente riempiendosi di sangue il muscolo si stira, successivamente la sistole spingerà il sangue in cir-
colo. Il cuore ha funzione di pompa come doppia pompa in serie e dove vengono imposte alla stessa quantità di san-
gue due pressioni diverse per i due circoli.

Il cuore è costituito da i vari tessuti e non solo dal miocardio; il potenziale di membrana della cellula miocardica è
sempre costante, si dice che la cellula miocardica è una cellula gregaria perché agisce solo per i treni di potenziali
d’azione che arrivano dalle cellule pacemaker, quindi non arriva spontaneamente a soglia. Il potenziale d’azione delle
cellule pacemaker è caratterizzato da un prepotenziale che mostra che la cellula arriva spontaneamente a soglia a -40
mV che è la sogli di apertura dei canali del cacio, poiché si lavora a canali lenti si noterà una differenza di pendenza
dovuta all’entrata di ioni calcio e non solo ioni sodio inizialmente.

Bloccando i canali del calcio parzialmente diminuisce la forza contrattile, allora quel calcio sarà lo stesso calcio che si
legherà alla troponina C. Il potenziale d’azione della cellula pacemaker: queste cellule auto generano il ritmo del
cuore, a seconda dell’azione cambia la frequenza cardiaca. Se essa a riposo è intono ai 70 batti, se va a 100 nel grafico
del potenziale d’azione cosa cambierà? Cambierà il prepotenziale, cioè il tempo di arrivo a soglia, se arriverà prima o
dopo a soglia dipenderà dalla frequenza di potenziali d’azione che si richiede per compiere l’azione.
Se si volesse diminuire la frequenza di potenziali d’azioni si iperpolarizza la cellula grazie alla fuoriuscita di potassio,
successivamente trattandosi di cellule pacemaker dal nuovo valore di iperpolarizzazione essa arriverà nuovamente a
soglia. Se si volesse fermare fisiologicamente il cuore bisogna prima diminuire la temperatura del cuore abbassando il
metabolismo, cioè il consumo di ossigeno, facendo così diventare più lento il tempo di arrivo a soglia. Per fermarlo si
fa un’iniezione intracellulare di potassio in modo da rendere più lungo il prepotenziale, infatti così facendo si porta la
cellula ad un potenziale molto più basso facendo sì che non si generino potenziali d’azione in modo da rendere possi-
bile lavorare sul cuore.

Anche se il cuore auto genera il proprio ritmo il sistema ner-


voso autonomo (diviso in sistema simpatico e parasimpa-
tico) quindi il cuore sarà doppiamente innervato, cioè sia dal
sistema simpatico che da quello parasimpatico; sarà possibile
vedere l’azione delle sole cellule pacemaker durante un tra-
piantato cardiaco, infatti il cuore in tale situazione non risul-
terà essere innervato; nello specifico il sistema nervoso sim-
patico tende a cardio accelerare, mentre il sistema nervoso
parasimpatico tende a cardio inibire; la frequenza cardiaca di
un trapiantato cardiaco non è 70 ma 95; ciò significa che il cuore innervato risente dell’influenza del sistema parasim-
patico su quello simpatico; quindi il cuore lavora ad una frequenza minore di quella che verrebbe generata dalla sola
cellula pacemaker; l’allenamento consente di diminuire ulteriormente la frequenza cardiaca di base, infatti con l’alle-
namento viene potenziato l’effetto del sistema parasimpatico. Poiché aumentando la frequenza cardiaca diminuisce il
tempo che ha il cuore per riempirsi, si ha che esiste una frequenza massima oltre la quale il cuore non ha più tempo
per riempirsi per mandare il sangue necessario ai tessuti, quindi il cuore diventerebbe una pompa inefficiente. Per
aumentare l’efficienza cardiaca si abbassa la frequenza carica iniziale, così che partendo da 70 battiti al minuto c’è una
maggiore possibilità di aumentare la frequenza senza che il cuore diventi efficiente, è per questo che l’allenamento
non aumenterà la massima frequenza cardiaca ma diminuirà la minima frequenza cardiaca; questo avviene perché il
cuore aumenterà di dimensioni grazie all’allenamento.

Non esiste solo un solo nodo, cioè un solo gruppo di cellule pacemaker, il gruppo di cellule pacemaker dominante,
cioè con frequenza più elevata, si trova al livello dell’atrio destro e prende il nome di nodo seno atriale; questo è il
gruppo di cellule pacemaker che scarica a frequenza maggiore che scarica intorno a 70 battiti al minuto; esistono però
anche altri gruppi: uno posto tra atrio e ventricolo che prende il nome di noto atrioventricolare che scarica intono a
50 battiti al minuto; inoltre sono presenti cellule pacemaker anche nel setto che separa il ventricolo sinistro da quello
destro, il quale scaricherà intorno ai 30 battiti al minuto. Si hanno quindi diversi gruppi di cellule pacemaker che a
scalare scaricano a frequenza sempre più bassa. Per ritmo sinusale si intende che durante la misura dell’elettrocardio-
grafo il cuore ha seguito il pacemaker dominante che quello del nodo senoatriale.

Ma dato che vari nodi scaricano a frequenza diversa e che il cuore deve essere un sincizio si vuole che il treno di po-
tenziale d’azione, che si origina dal nodo seno atriale, arrivi al nodo atrioventricolare prima le cellule pacemaker di
questo nodo arrivino spontaneamente a soglia in modo tale che anche esse scarichino alla frequenza del nodo senoa-
triale; lo stesso varrà anche a livello ventricolare. Quindi se non arrivasse il treno di potenziali d’azione che nasce dal
nodo senoatriale non arrivi in tempo per reclutare le cellule pacemaker degli altri nodi, quindi il secondo nodo arri-
verà a soglia spontaneamente, i 50 battiti saranno sufficienti alla vita ed in questo caso si parlerà di ritmo nodale; lo
stesso vale nel caso del non funzionamento del nodo senoatriale. Nel caso in cui i nodi non siano in grado di garantire
la vita sarà necessario introdurre un pacemaker artificiale in modo tale che domini su tutti i nodi; poiché i pacemaker
artificiali sono strutturati in modo tale da intervenire solo se necessario, nel caso in cui esso si magnetizzi non è detto
che il soggetto si renda immediatamente conto del malfunzionamento del pacemaker.

La strada seguita dall’eccitamento, cioè dal


treno di potenziali d’azione che nasce nel
nodo senoatriale che attraverso il tessuto di
conduzione raggiunge il nodo atrioventrico-
lare prima che il treno di potenziali d’azione
si propaghi agli atri; successivamente il treno
di potenziali d’azioni si estenderà agli atri, i
quali dopo essere stati stimolati si contrar-
ranno consentendo la sistole atriale; dopo di
che il treno di potenziali d’azione giungerà
prima al nodo ventricolare in modo da impe-
dire che esse arrivino a soglia per poi propa-
garsi ai ventricoli; una volta arrivato ai ven-
tricoli avverrà la sistole ventricolare. La de-
polarizzazione giunge agli atri si avrà allora la sistole atriale durante la quale il sangue fluisce negli altri (sangue che
attraverso le valvole atrio-ventricolari, detta tricuspide la valvola del ventricolo destro e bicuspide o mitrale la valvola
del ventricolo sinistro, sarà trasportato ai ventricoli), gli atri, nella parte superiore, non sono dotati di valvole, quindi
si riempiranno per gravità; in seguito la depolarizzazione arriverà ai ventricoli, dopo essere arrivata alla cellule pace-
maker; mentre i ventricoli si depolarizzavano gli atri si polarizzano, la ripolarizzazione atriale nell’elettrocardio-
gramma non sarà visibile in quanto mascherata dalla depolarizzazione ventricolare. Ci sarà prima nell’elettrocardio-
gramma un segnale di depolarizzazione degli atri; dopo un segnale di depolarizzazione dei ventricoli e contempora-
neamente la ripolarizzazione degli altri non rilevata a causa della depolarizzazione ventricolare; infine ci sarà la ripo-
larizzazione ventricolare. Ci sarà allora un segnale di depolarizzazione degli atri, uno di deplorazione dei ventricoli e
uno di ripolarizzazione dei ventricoli.

Poiché l’elettrocardiogramma ha scopo diagnostico e durante un segnale di depolarizzazione non è possibile distin-
guere tra atrio destro ed atrio sinistro oppure ventricolo destro e ventricolo sinistro; durante l’elettrocardiogramma la
posizione degli elettrodi verrà variata in modo tale da poter capire da quale zona proviene l’anomalia.

Il sistema nervoso simpatico è cardio acceleratore, cioè si arriva prima a soglia, consentendo una depolarizzazione più
rapida facendo aumentare la frequenza cardiaca; quindi il sistema nervoso autonomo modula il ritmo cardiaco ma
non lo genera. Il sistema parasimpatico è cardio deceleratore generando una lieve iperpolarizzazione iniziale, infatti
permette di fare partire la cellula da un potenziale più basso.

Poiché il flusso è unidirezionale ci saranno delle valvole atrioventricolari (che mettono in comunicazione gli altri con
i corrispettivi ventricoli) e aortiche (che mettono in comunicazione i ventricoli con i vasi, cioè l’aorta e l’arteria pol-
monare); sia la comunicazione atrio ventricolo che la comunicazione ventricolo circolo sono guidate da valvole, in-
vece l’arrivo del sangue negli atri non è guidato da valvole; la valvola si aprirà e chiuderà per gradienti pressori, quindi
la valvola si aprirà quando la pressione a monte sarà maggiore della pressione a valle e si chiuderà quando la pres-
sione a valle sarà maggiore della pressione a monte; dato che il sangue arriva da monte la pressione in atrio aumenta
facendo aprire la valvola atrio ventricolare; quando il sangue fluisce la pressione nell’atrio diminuirà e la pressione nel
ventricolo aumenterà fin quando la pressione in ventricolo sarà maggiore di quella in atrio e la valvola si chiuderà,
quindi tutte le valve si aprono e si chiudono grazie a gradienti pressori. Non ci saranno mai due valvole aperte, cioè il
sangue non entrerà mai nell’atrio per finire direttamente nell’aorta, quindi se una valvola è aperta l’altra sarà necessa-
riamente chiusa; potranno esserci però due valvole chiuse, perché nel momento in cui il ventricolo si sarà riempito di
sangue, per poter mandare il sangue dal ventricolo all’aorta è chiaro che la pressione nel ventricolo dovrà superare la
pressione nell’aorta, ci saranno allora due fasi a valvole chiuse nelle quali il ventricolo si contrarrà si rilascerà; queste
fasi a valvole chiuse saranno contrazioni di tipo isometrico; si avranno allora una fase di spinta di sistole ed una fase
di diastole e due fasi isometriche una in sistole ed una in diastole.

Il ciclo cardiaco si suddivide è costituito da


quattro fasi: due di sistole e due di diastole.
Per ciclo cardiaco si intende il riempimento
del ventricolo, poiché l’atrio è già riempito
per gravita da parte del circolo polmonare.
Nell’altro inizialmente saranno presenti
circa 70 ml di sangue; poiché l’atrio è pieno
di sangue la pressione in atrio sarà mag-
giore della pressione in ventricolo e quindi
poiché la pressione a monte è maggiore
della pressione a valle le valvole atrio ven-
tricolari si apriranno e il sangue potrà fluire
dal sangue al ventricolo. Caratteristica del
riempimento ventricolare è che esso si
riempie per il 70% per gravità, quindi la sistole atriale sarà solo il 30% ed essa avverrà per ultimo; questo significa che
se anche il nodo senoatriale non scaricasse, rimarrebbe comunque il 70% del trasporto del sangue attivo; alla fine del
riempimento ventricolare segue la sistole atriale; affinché la valvola aortica si apra è necessario che la pressione in
ventricolo superi la pressione in aorta, quindi a valvole chiude dovrà avvenire una contrazione isometrica in modo
tale da provocare una sistole isometrica. Successivamente si ha che mentre il sangue fluisce in aorta la valvola cardio
ventricolare è chiusa; quando la valvola aortica supererà la pressione in ventricolo la valvola aortica si chiuderà,
quindi seguirà un rilasciamento ventricolare a valvole chiuse poiché la valvola atrioventricolare risulta essere ancora
chiusa; quando la pressione in ventricolo diventerà più bassa della pressione in atrio la valvola si riaprirà ed il ciclo
ricomincia. Si avranno complessivamente due fasi brevi a valvole chiuse; due fasi a valvole aperte nella quale se
l’atrioventricolare è aperta l’aortica è chiusa e viceversa. Le fasi saranno riempimento del ventricolo (diastole ventri-
colare) seguito dalla sistole atriale, successivamente si chiudono le valvole ed avviene una fase di contrazione isovolu-
metrica prima che il sangue vada in aorta, seguita dall’eiezione ventricolare che porta ad un rilasciamento ventrico-
lare a valvole chiuse ed infine si ha di nuovo il riempimento ventricolare.
In figura è rappresentato il diagramma pressione volume del
ventricolo sinistro (sarà anche possibile costruire quello del
ventricolo destro), tale diagramma è l’analogo del dia-
gramma tensione lunghezza del muscolo; infatti l’integrale
della curva darà il lavoro meccanico compiuto dal ventricolo
sinistro in un battito; anche in tale diagramma sarà sempre
possibile identificare un tratto passivo ed uno attivo: il ramo
passivo è il tratto AB, durante tale fase il ventricolo sinistro è
in diastole, quindi esso viene riempito di sangue da parte
dell’atrio, il ventricolo verrà riempito prima in maniera pas-
siva per gravità (il lavoro passivo sarà la parte sottostante il
ramo AB) e poi attivamente mediante la sistole atriale, in tale
ramo il volume del ventricolare varia da 65 a 135, cioè alla
fine della sistole precedente il ventricolo non si è svuotato completamente, ma una parte di sangue sarà rimasta all’in-
terno del ventricolo; quindi oltre ai 70 ml di sangue mandati in circolo ce ne saranno altri 65, che rappresentano il
volume telediastolico (cioè che alla fine della diastole nel ventricolo rimane sangue); la pressione inizialmente sarà
poco maggiore di quella atmosferica (infatti in ordinata è presente il delta di pressione tra la pressione atmosferica e la
pressione interna al ventricolo, quindi si avrà che lo zero delle ordinate indica la pressione atmosferica di 760 mmHg)
e finché il sangue fluisce dall’atrio in maniera passiva non c’è una variazione apprezzabile di pressione; nell’ultima
fase del ramo passivo invece a pressione aumenterà lievemente; in tale situazione la pressione in ventricolo è diven-
tata superiore della pressione in atrio e quindi la diastole è terminata e le valvole si chiudono, si avrà allora la fase
isovolumetrica nel tratto BC, finché la pressione ventricolare non supera quella aortica; nel tratto CD seguirà la sistole
tale per cui il sangue viene mandato in aorta e quindi la pressione aumenta perché il ventricolo si contrae ed il volume
diminuisce mentre il sangue viene mandato in aorta. Successivamente entrambe le valvole saranno chiuse (tratto DA)
e sarà necessario che il ventricolo si rilasci finché la pressione in ventricolo non sarà minore della pressione in atrio.

Durante un ciclo cardiaco il ventricolo sinistro ha compiuto il lavoro meccanico in rosa perché la prima parte del la-
voro meccanico è stata compiuta dal sangue che ha stirato il muscolo passivamente e quindi si tratta di un lavoro
compiuto dal sangue sul cuore. Ovviamente se ci si trova in una situazione di lavoro muscolare, la gittata cardiaca
aumenterà e il lavoro meccanico compiuto dal ventricolo sinistro aumenterà.

Se si volesse costruire il lavoro meccanico compiuto dal ventricolo destro bisognerà ricordare che nella parte destra i
volumi saranno uguali, quindi bisognerà variare le pressioni che risultano essere molto più basse; infatti invece di ar-
rivare sino a circa 100-120 mmHg si arriverà a 20-25 mmHg quindi il lavoro compiuto dal ventricolo destro sarà circa
un quinto.

Le fasi isovolumetriche contribuiscono ad abbassare il rendimento del cuore, infatti il rendimento è definito come il
rapporto tra il lavoro meccanico fatto e l’energia spesa:

𝐿𝐿
𝜂𝜂 =
𝐸𝐸
Dove l’energia totale è definita come:

𝐸𝐸 = 𝐿𝐿 + 𝐸𝐸𝜏𝜏
Cioè la somma del lavoro totale esterno e dell’energia necessaria per compiere il lavoro isometrico. Quindi complessi-
vamente l’efficienza cardiaca è bassa perché durante la contrazione isovolumetrica il cuore spende senza compiere un
lavoro meccanico.

La gittata cardiaca, definita come una quantità di sangue nel tempo, cioè un flusso viene indicata con 𝑄𝑄̇ed il prodotto
tra la gittata sistolica (cioè il volume di sangue che esce dal ventricolo sinistro) e la frequenza cardiaca.

Se si volesse fare un confronto tra il diagramma tensione lunghezza del mu-


scolo e il diagramma tensione lunghezza del muscolo cardiaco, si avrà che il
diagramma sarà lo stesso; tuttavia il muscolo cardiaco è più elastico del mu-
scolo scheletrico, quindi resiste di più. La parte passiva avrà lo stesso anda-
mento, tuttavia il miocardio inizierà la sua fase di resistenza prima della
lunghezza 𝑙𝑙0 del muscolo scheletrico ed ha una pendenza più ripida; mentre
la parte attiva è circa uguale; mentre la curva totale sarà molto più inclinata;
quindi confrontano le due componenti passive è possibile notare che il mio-
cardio è molto più elastico; si ha che comunque le lunghezze dei sarcomeri
sono le stesse poiché si tratta in entrambi i casi di muscolature striate.

Il cuore ha la caratteristica di lavorare principalmente in allungamento, cioè


caricando il ventricolo sinistro con una certa quantità si sangue (equiva-
lente al peso collegato ad un muscolo scheletrico), tale quantità di sangue prenderà il nome di precarico; quando il
precarico aumenta semplicemente dal punto di vista muscolare si avrà un aumento della forza di contrazione per
mandare in circolo tale quantità di sangue; ovvia-
mente più il ventricolo è caricato più la pressione au-
menta, nel momento in cui l’atrio manda in circolo
una differente quantità di sangue al minuto significa
che viene variato il precarico. Quando il ventricolo è
stato precaricato e nel momento in cui la valvola aor-
tica si apre il sangue verrà mandato in un’altra strut-
tura elastica che è l’aorta che potrà essere più o meno
rigida; quindi l’aorta è un’altra struttura elastica;
quindi la sistole ventricolare dovrà confrontarsi sia
col precarico che con l’elasticità del vaso, detta postcarico perché il lavoro necessario sarà diverso in base alla rigidità
del vaso il che influirà anche sulla pressione del vaso. Aumentando il postcarico, quindi la rigidità del vaso, mante-
nendo costante il precarico anche in questo caso il lavoro aumenterà perché il vaso sarà più rigido. Quindi la rigidità
del vaso influirà molto sul lavoro compiuto dal ventricolo, nel caso in cui il soggetto risulti essere arteriosclerotico il
ventricolo per compiere meno lavoro tratterrà più sangue ed aumenterà di volume.

Quindi il lavoro meccanico deve andare incontro a due problemi:

1. Il precarico, più sangue è presente nel ventricolo più il muscolo viene caricato;
2. Il postcarico, il volume di sangue che entra nel circolo deve fluire all’interno dei vasi; a seconda se questi vasi
saranno più o meno rigidi il ventricolo dovrà compiere un lavoro maggiore o minore. Questo perché il vaso,
nel caso sia molto rigido, si oppone al fluire del sangue cercando di non farsi distendere, allora il ventricolo
dovrà compiere un lavoro maggiore ma questo comporterà anche un aumento della pressione nel vaso
stesso.
I diagrammi pressione-volume possono essere visti come
diagrammi pressione-tempo e volume-tempo; il dia-
gramma pressione-tempo sarà fondamentale per poter ve-
dere la variazione della pressione nel ventricolo (in blu) e
dell’aorta (in rosso); nel momento in cui il ventricolo for-
nisce sangue all’aorta si ha che la curva blu (del ventricolo)
è leggermente sopra la curva rossa (dell’aorta), che rappre-
senta il fatto che la valvola aortica è aperta; nel momento
in cui la curva blu ritorna sotto la curva rossa la valvola si
chiuderà, dopo di che la pressione ventricolare diminuisce,
mentre la pressione aortica si mantiene su livelli elevati;
quindi tranne quando il ventricolo fa fluire il sangue
nell’aorta la pressione aortica è sempre maggiore a quella
ventricolare. Durante la fase isovolumetrica, cioè quando
la pressione sta salendo o scendendo a valvole chiuse, ov-
viamente il volume sarà costante. Quindi nel grafico del
volume si potranno notare le due fasi isovolumetriche rap-
presentate da un segmento parallelo alle ascisse.

Sarà importante confrontare la pressione


in ventricolo con la pressione aortica, che
originerà l’onda sfigmica che sarà l’onda
pressoria misurata nel vaso che è l’analogo
del metodo in diretto di misurare la pres-
sione arteriosa potendo un manicotto al
braccio del soggetto. Infine nell’ultimo
grafico è rappresentato un elettrocardio-
gramma costituito da un’onda P che rap-
presenta la depolarizzazione del atri;
un’onda QRS (complesso QRS) che rap-
presenta la depolarizzazione dei ventricoli;
un’onda T che rappresenta la ripolarizza-
zione dei ventricoli. La ripolarizzazione
atriale avviene nello stesso istante
dell’onda QRS e non è visibile poiché ma-
scherata da un’onda più grande. Quindi
l’elettrocardiogramma rappresenta il feno-
meno elettrico misurato su un soggetto; se
l’onda P risulta essere più grande implica
che gli atri sono più grandi, cioè sono pre-
senti più cellule quindi il volume degli atri
è aumentato, lo stesso vale per le altre
curve; quindi curve più grandi implicano
un maggior numero di cellule e quindi la
parte considerata è più grande. Per capire quale tra la parte destra e quella sinistra risulta essere più grande si do-
vranno spostare gli elettrodi in modo tale da capire da che punto l’onda appare maggiore.

Se la gittata cardiaca aumenta diminuisce il tempo di riem-


pimento, cioè il tempo nel quale avviene la diastole; fino a
120-130 battiti al minuto la gittata cardiaca aumenta quasi
linearmente con la frequenza; successivamente si sta com-
piendo lavoro muscolare, la frequenza cardiaca aumenta
sopra i 130 battiti al minuto e la gittata cardiaca aumenta
non più linearmente; però interno a 200 battiti al minuto la
gittata cardiaca diminuisce invece di aumentare perché il
cuore non ha abbastanza tempo per riempirsi e quindi l’ef-
ficienza dell’aumento della gittata cardiaca per solo au-
mento della frequenza diventa minore; l’effetto dell’allena-
mento è quello di aumentare il volume del cuore in modo tale che la frequenza cardiaca possa aumentare, quindi uno
sportivo potrà arrivare anche fino a 220-230 perché ha un cuore di dimensioni maggiori; l’altro effetto dell’allena-
mento è di poter partire da una frequenza cardiaca più bassa in modo tale che la gittata cardiaca finale possa diventare
maggiore e quindi l’efficienza aerobica aumenta, perché la massima gittata cardiaca è indice dell’efficienza aerobica
perché quando il sangue non riesce a trasportare l’ossigeno richiesto si cade in anaerobiosi. La relazione teorica che
lega la gittata cardiaca e la frequenza è data da:

𝐺𝐺𝐺𝐺 = 𝐺𝐺𝐺𝐺 ⋅ 𝛾𝛾
Cioè sino a che:

𝐺𝐺𝐺𝐺 = 𝑐𝑐𝑐𝑐𝑐𝑐𝑐𝑐.
L’andamento atteso (andamento teorico) è una retta (in grigio in figura).

26/05/2014
Nel tessuto cardiaco sono presenti cellule dominanti (pacemaker con poten-
ziale di membrana instabile) e cellule gregarie cioè che non sono in grado di
arrivare a soglia da sole ed hanno un potenziale di membrana stabile. Quindi
il treno di potenziali d’azione originato dalle cellule pacemaker dovrà con-
dursi nel tessuto di conduzione, tale conduzione avviene come nelle fibre
amieliniche. Nelle diverse zone cardiache la velocità di conduzione è diversa
in modo tale da rendere il cuore massimamente efficiente rendendo le sistoli
ventricolari e le sistoli atriali sincrone, cioè non c’è una parte dell’atrio che si
contrae prima ed una dopo e la sistole atriale precede il riempimento ventri-
colare. Istante per istante il cuore seguirà il pacemaker a frequenza maggiore
questo perché il treno di potenziali d’azione arriverà ai nodi con frequenza
minore prima che questi arrivino a soglia. Osservando i tempi di propagazione del potenziale d’azione nel cuore si
può calcolare la velocità di conduzione nel cuore del segnale; si avrà un tessuto in conduzione atriale che porterà il
segnale nodo senoatriale prima al nodo atrioventricolare e successivamente agli atri e poiché gli eventi ventricolari
devono avvenire dopo la sistole atriale si ha che al livello del nodo atrioventricolare si ha un rallentamento, questo
perché prima di proseguire il treno deve prima propagarsi inte-
ramente agli atri in modo da consentire la sistole atriale la
quale avviene nell’ultimo terzo del riempimento ventricolare. Il
treno di potenziali d’azione parte fisiologicamente dal nodo se-
noatriale e viene condotto attraverso il tessuto atriale al nodo
atrioventricolare per poi propagarsi radialmente agli atri e suc-
cessivamente segue il fenomeno meccanico della sistole atriale;
tra il nodo senoatriale all’arrivo a e alla partenza ci saranno delle fibre giunzionali a velocità di conduzione bassa che
rallentano il fenomeno. La conduzione al livello del nodo nella struttura ventricolare sarà a velocità molto elevata; una
volta giunto nel tessuto di conduzione ventricolare il treno di potenziali d’azione si muoverà radialmente nei ventri-
coli e la depolarizzazione interesserà anche a muscolatura ventricolare, quando la depolarizzazione raggiungerà tutto
il miocardio ventricolare la avverrà la sistole ventricolare. Quindi le varie zone del tessuto cardiaco avranno velocità
di conduzione diversa come da figura. Quando il treno potenziali d’azione si propaga si ha un fenomeno di depolariz-
zazione, quando le cellule si saranno depolarizzate seguirà una ripolarizzazione quindi mentre il ventricolo si depola-
rizza l’atrio si ripolarizza.

L’impulso si genera dalla cellule pacemaker per essere poi modulato dalle due componenti del sistema nervoso auto-
nomo, cioè la componente simpatica e parasimpatica; le quali modificano senza generare la frequenza cardiaca, inol-
tre il sistema nervoso autonomo agirà anche su tutti gli altri parametri meccanici; si ha che se avviene una stimola-
zione simpatica la frequenza cardiaca aumenta, quindi sia il sistema simpatico che quello parasimpatico influiscono
sul tempo di arrivo a soglia delle cellule pacemaker cioè sul prepotenziale; quando si parla di stimolazione parasimpa-
tica si parlerà di stimolazione vagale poiché il nervo vago è tra i nervi più importanti del sistema nervoso autonomo
parasimpatico. La componente parasimpatica ha un effetto negativo, mentre quella simpatica ha un effetto positivo
sulla frequenza (effetto cronotropo), rispettivamente facendo diventare il soggetto brachicardico o tachicardico; tali
componenti del sistema nervoso autonomo agiranno mediante una depolarizzazione o un’iperpolarizzazione della
membrana. L’effetto del simpatico è anche sulla forza di contrazione, oltre che sulla frequenza cardiaca, cioè il cuore
pomperà più sangue si parlerà allora di effetto inotropo positivo mentre il parasimpatico diminuirà la forza di contra-
zione; quindi nel caso della componente simpatica anche se vi è un aumento della frequenza cardiaca si ha che verrà
pompato più sangue per ogni battito, l’opposto varrà per la componente parasimpatica.

La gittata cardiaca (la quantità di sangue che esce dal ventricolo nel tempo) può essere definita come la quantità di
sangue in uscita dal ventricolo per battito (gittata pulsatoria) per il numero di battiti (frequenza cardiaca):

𝑄𝑄̇ = 𝑞𝑞 ⋅ 𝑓𝑓𝑓𝑓
Per misurare un volume incognito che non può essere misurato direttamente viene impiegato un tracciante utiliz-
zando il metodo della diluzione, cioè poiché si sa che la concentrazione per definizione è il rapporto tra una massa e
un volume; se e solo se la massa si conserva si può scrivere che la concentrazione iniziale in un volume iniziale è
uguale ad una concentrazione finale in un volume finale poiché vale la relazione:

𝑀𝑀
𝐶𝐶1 = → 𝑀𝑀 = 𝐶𝐶1 𝑉𝑉1
𝑉𝑉1
𝑀𝑀
𝐶𝐶2 = → 𝑀𝑀 = 𝐶𝐶2 𝑉𝑉2
𝑉𝑉2
𝐶𝐶1 𝑉𝑉1 = 𝐶𝐶2 𝑉𝑉2
Se si somministra una quantità nota di un certo indicatore, sono quindi noti il volume e la concentrazione iniziale
dell’indicatore, ed è possibile misurare la concentrazione finale; quindi essendo noti il volume iniziale e le concentra-
zioni nei due momenti sarà possibile calcolare il volume di interesse finale come il rapporto tra la massa dell’indica-
tore somministrato sulla concentrazione finale. Se invece la massa non è costante e diminuisce nel tempo facendo
solo così il valore finale sarà sovrastimato. Se la massa non risulta essere costante perché parte dell’indicatore è stato
metabolizzato il volume finale ottenuto secondo la formula precedente sarà sovrastimato; perché non considerando la
parte dell’indicatore eliminato viene trascurata una componente. Ai fini della misurazione della gittata cardiaca l’in-
dicatore preso in esame sarà l’ossigeno; la quantità di ossigeno che arriva con il sangue venoso sarà data dall’addi-
zione della quantità di ossigeno presa a livello polmonare e la quantità di ossigeno presente nel sangue arterioso:

𝑄𝑄𝑣𝑣𝑣𝑣𝑣𝑣𝑣𝑣𝑣𝑣𝑣𝑣 = 𝑄𝑄𝑎𝑎𝑎𝑎𝑎𝑎𝑎𝑎𝑎𝑎𝑎𝑎𝑎𝑎𝑎𝑎𝑎𝑎 + 𝑄𝑄𝑝𝑝𝑝𝑝𝑝𝑝𝑝𝑝𝑝𝑝𝑝𝑝𝑝𝑝𝑝𝑝𝑝𝑝

Dove 𝑄𝑄𝑣𝑣𝑣𝑣𝑣𝑣𝑣𝑣𝑣𝑣𝑣𝑣 sarà la quantità di sangue per la pressione parziale di ossigeno nelle vene, 𝑄𝑄𝑎𝑎𝑎𝑎𝑎𝑎𝑎𝑎𝑎𝑎𝑎𝑎𝑎𝑎𝑎𝑎𝑎𝑎 la quantità di
sangue per la pressione parziale di ossigeno nelle arterie e 𝑄𝑄𝑝𝑝𝑝𝑝𝑙𝑙𝑚𝑚𝑚𝑚𝑚𝑚𝑚𝑚𝑚𝑚𝑚𝑚 corrisponde al consumo di ossigeno misura-
bile in laboratorio:

𝑄𝑄̇[𝑂𝑂2 ]𝑝𝑝𝑝𝑝 + 𝑉𝑉̇ 𝑂𝑂2 = 𝑄𝑄̇[𝑂𝑂2 ]𝑝𝑝𝑝𝑝

𝑉𝑉̇ 𝑂𝑂2
𝑄𝑄̇ =
[𝑂𝑂2 ]𝑝𝑝𝑝𝑝 − [𝑂𝑂2 ]𝑝𝑝𝑝𝑝

Si è così ottenuta l’equazione di Fick per la gittata cardiaca che afferma che la gittata cartiaca è direttamente propor-
zionale al consumo di ossigeno fratto l’ossigeno nel sangue arterioso meno quello nel sangue venoso.

Considerati due soggetti: uno allenato ed


uno non allenato; costruendo un grafico
che ha in ascissa il consumo di ossigeno
cioè il carico lavorativo ed in ordinata la git-
tata cardiaca; si nota che in una situazione
di riposo i valori tra soggetto allenato e non
coincidono quindi la gittata cardiaca non
varia. Considerando invece un grafico che
in ordinata presenta la gittata pulsatoria si
otterrà che in condizioni di riposo la gittata pulsatoria del soggetto non allenato risulterà essere minore della gittata
pulsatoria del soggetto allenato, se ne deduce che se a riposo viene pompato più sangue per battito l’effetto dell’alle-
namento sarà quello di aumentare il volume cardiaco in modo che possa contenere più sangue.

Per spiegare tale fenomeno è possibile introdurre la legge di Laplace:

2𝑑𝑑
∆𝑃𝑃 = 𝑇𝑇
𝑟𝑟
Cioè la differenza di pressione è data dalla tensione superficiale per lo spessore della parete cardiaca diviso il raggio;
quindi un aumento della variazione della pressione dovuto ad un aumento del precarico comune in un soggetto alle-
nato sarà compensato fisiologicamente con un aumento del raggio e quindi il cuore di tale soggetto avrà dimensioni
maggiori. L’allenamento comporterà una diminuzione della frequenza cardiaca a riposo; ma poiché la gittata cardiaca
è data dal prodotto tra frequenza cardiaca e gittata pulsatoria si ha che in un soggetto allenato la diminuzione della
frequenza cardiaca è compensato dall’aumento della gittata pulsatoria mantenendo così costante la gittata cardiaca,
ma comunque con efficienza diversa perché la massima gittata cardiaca di un soggetto allenato sarà maggiore di
quella di un soggetto non allenato.

Mentre il cuore risulta essere innervato sia del sistema simpatico che da quello parasimpatico si ha invece che i vasi
risultano essere innervati esclusivamente dal sistema simpatico; quindi un trapiantato cardiaco pur non avendo il
cuore innervato avrà comunque i vasi innervati comportando un evento di vaso costrizione durante uno sforzo per-
ché il sistema simpatico pur non agendo sul cuore agirà comunque sui vasi fornendo una risposta. Il cuore avrà due
modi per regolare la gittata cardiaca: uno intrinseco ed uno estrinseco:

1. Quello intrinseco sarà il comportamento del cuore come muscolo;


2. Quello estrinseco saranno le funzioni delle componenti del sistema autonomo sul cuore.

Quale sarà l’effetto dell’allenamento sulle cellule pacemaker? Nelle cellule pacemaker agiscono dei canali funny dei
canali del potassio e due tipi di canali del calcio; l’ipotesi fondamentale dell’azione dell’allenamento sulle cellule pace-
maker si basa sull’esistenza di canali detti funny. L’allenamento se riduce la frequenza cardiaca dovrà quindi agire sul
prepotenziale, cioè il vago è in grado di potenziare l’effetto sulle cellule pacemaker rispetto al simpatico. In generale
l’effetto del vago risulta dominare su quello del simpatico poiché in assenza di innervazione le cellule pacemaker sca-
ricano a 90 battiti al minuto. La prima ipotesi sarà che la lenta depolarizzazione del prepotenziale è dovuta ad un au-
mento della conduttanza al sodio; tale aumento indica che, a riposo, il rapporto tra sodio e potassio aumenterà; ciò
corrisponde col portare il potenziale da -90 a -64 mV come livello di partenza; ma ciò implica un’instabilità perché
l’equilibrio si avrebbe ad un valore più elevato di quello di scarica e quindi le cellule per arrivare ad equilibrio anche a
riposo continuerebbero a scaricare. Quindi si ipotizza che le cellule pacemaker abbiano una conduttanza al sodio più
alta, quindi i canali del sodio sono più aperti a riposo rispetto agli altri canali. Tuttavia bisogna limitare l’aumento
della permeabilità al sodio alla sola depolarizzazione diastolica; quindi in quella zona dovranno agire dei canali parti-
colare, perché se agissero canali del sodio essi agirebbero sempre comportano una spesa metabolica alta non presente
sperimentalmente; quindi non sono presenti più canali del sodio aperti, ma ci sono canali che agiscono solamente al
livello del prepotenziale; questi canali così detti funny sono canali permeabili sia al sodio che al potassio; essi sono
responsabili quindi dell’auto ritmicità del pacemaker cardiaco; saranno anche presenti dei canali del cacio che si divi-
deranno in transienti e reali; durante il prepotenziale si avrà la presenza dei canali funny e dei canali del calcio tran-
sienti, quindi nel prepotenziale si avrà l’attività di canali permeabile al calcio, al sodio e al potassio.

Le aritmie alle quali gli atleti vanno in contro sono dovute a delle correnti funny dette anche correnti di pacemaker;
quindi l’allenamento induce una modificazione dei canali funny.

Per convenzione il SNA fa parte del sistema nervoso periferico, però il sistema nervoso autonomo è considerato solo
una via efferente, quindi non ha una parte sensoriale ed anche una parte motrice; viene considerata solamente la parte
motrice; questo si ha solo per convenzione poiché il SNA è collegato a dei recettori detti enterocettori. Il SNA si sud-
divide in due branche: il sistema nervoso simpatico (o del lotta o fuggi) che sarà un sistema globale che interessa l’in-
tero organismo; mentre il sistema parasimpatico necessario per l’equilibrio è locale, infatti è indirizzato all’organo
d’interesse in un dato istante. Attraverso tali sistemi i neuroni isolati controllano il muscolo liscio, il miocardio, le
ghiandole esocrine e le ghiandole endocrine; quindi il SNA controlla il cuore, i vasi, il rilascio degli ormoni, il ritmo
respiratorio, cioè tutte le funzioni viscerali.
Il SNA ha rispetto al sistema somatico dif-
ferenze anatomiche, neurochimiche, far-
macologiche e funzionali. La prima diffe-
renza anatomica è che nel sistema soma-
tico si parte dal motoneurone per prose-
guire con l’assone per arrivare diretta-
mente al muscolo; nel SNA saranno pre-
senti due stazioni, ci sarà infatti una prima
stazione seguita da un ganglio e poi da una
seconda stazione per poter arrivare all’organo
di interesse; nello specifico si dirà che il sistema
simpatico è toraco-lombare in quanto emerge
dalla prima vertebra toracica all’ultima vertebra
lombare, mentre il parasimpatico è cranio-sa-
crale, ci sarà quindi una parte che emerge a li-
vello cranico ed una a livello sacrale. La princi-
pale differenza tra sistema parasimpatico e
quello simpatico è che la parte pregangliare del simpatico è corta e quindi quella postgangliare è lunga; in questo
modo la parte pregangliare può interessare diversi organi; mentre nel parasimpatico la parte pregangliare è lunga ed
arriva quasi all’organo interessato. Il neurone pregangliare si diparte dalla parte laterale del midollo al quale segue
una sinapsi al livello del ganglio, dove il neurotrasmettitore è acetilcolina e la sinapsi è eccitatoria (sinapsi nicotinica),
al livello del tessuto bersaglio ci saranno neurotrasmettitori diversi a seconda se si tratta di una sinapsi inibitoria o
eccitatoria, nello specifico si ha una sinapsi eccitatoria nel sistema simpatico ed una sinapsi muscarinica inibitoria nel
sistema parasimpatico. Il sistema simpatico interesserà tutti gli organi a livello globale, il parasimpatico andrà specifi-
catamente a livello cardiaco, respiratorio, etc.

Anche se il SNA è motorio sono comunque presenti dei chemocettori o meccanocettori per regolare ad esempio ri-
spettivamente la parte respiratoria e cardiaca.

Il cuore risulta essere doppiamente innervato, tuttavia in un trapiantato cardiaco anche se il cuore non sarà più inner-
vato, se il soggetto si trova sotto sforzo si avrà comunque un effetto della forza di contrazione ad opera del simpatico;
poiché quest’ultimo avrà un’azione di vaso costrizione quindi sarà in grado di aumentare il precarico aumentando
poiché il ritorno venoso viene incrementato, aumentando la quantità di sangue che torna al cuore per istante; si avrà
una forza di contrazione maggiore poiché le miofibre verranno stirate da una quantità di sangue maggiore.

Starling su un preparato di cuore-polmoni isolato (non innervato) studiò l’ade-


guamento della gittata cardiaca, intesa come la quantità di sangue che esce dai
ventricoli nell’unità di tempo, notando che cambiando il precarico o il postca-
rico il cuore cambia la forza di contrazione; quindi il cuore non adegua la gittata
cardiaca solo perché su una situazione di base interviene o il vago o il simpatico;
quindi il cuore regola la gittata cardiaca in funzione della necessità dell’organi-
smo secondo due metodi: uno è intrinseco e si può considerare il cuore come
muscolo; l’altro è estrinseco e comprende l’innervazione del SNA. Starling notò
anche che aumentava la forza di contrazione anche aumentando il postcarico,
quindi aumentando le resistenze esterne, tuttavia in questo caso anche se la forza
di contrazione aumenta il cuore tende a trattenere una maggiore quantità di sangue nel ventricolo per tentare quindi
di mantenere l’omeostasi della pressione arteriosa; quindi per non trattenere una quantità eccessiva di sangue per il
volume del ventricolo il cuore aumenterà di volume secondo la legge di Laplace.

Costruendo un grafico tensione volume si otterrebbe una curva ini-


zialmente crescente, la quale spiega come all’aumentare del precarico
segue un aumento della forza di contrazione per riuscire a mandare in
circolo tale sangue, semplicemente considerando il miocardio senza
l’intervento delle componenti del SNA; tuttavia raggiunto un dato va-
lore di volume, andando oltre il volume percentuale, il cuore rispon-
derà con una diminuita forza di contrazione, si dirà allora che il cuore
compensa aumenti di volume di riempimento con un’aumentata
forza di contrazione, ma raggiunto un certo volume massimale il
cuore entra in scompenso; quindi lo scompenso cardiaco indica che la
contrattilità è diventata tale per cui, oppure il carico fornito al cuore è
talmente grande che il cuore invece di aumentare ulteriormente la forza di contrazione risponde con una diminuita
forza di contrazione; un soggetto con un precarico molto ele-
vato, per aumentare la forza di contrazione potranno essere
impiegati dei farmaci oppure viene ridotto il volume del san-
gue attraverso l’impiego di diuretici. La prima risposta allo
scompenso sarà quella dell’aumento del volume cardiaco.

Sarà anche possibile costruire un diagramma forza-velocità,


analogamente a quanto detto per il muscolo scheletrico, te-
nendo comunque presente la lunghezza d’allungamento, gene-
rando allora una famiglia di iperboli ad asse traslato; famiglia
di curve che dipenderà quindi dal precarico, poiché cam-
biando il precarico varia la lunghezza iniziale.

27/05/2014
La registrazione dell’elettrocardiogramma (ECG) sarà eseguita sulla superficie corporea e quindi sarà la risposta di
un’ampia popolazione di cellule vista dall’esterno. Si sottolinei la differenza tra convenzione e fisiologia; per conven-
zione si intende che vengono poste delle regole per far sì che due ECG registrati in luoghi diversi siano tra loro com-
parabili, quindi il tracciato ottenuto dipenderà dalle convenzioni utilizzate. Quando il tracciato è diverso a causa di
una patologia si ha che la normale fisiologia non è permessa.

Gli elettrodi utilizzati per la misurazione saranno ovviamente neutri, si parlerà di polo positivo e polo negativo una
volta che essi si saranno caricati quando sarà presente una corrente in grado di caricarli; quindi inizialmente per poter
registrare la differenza di potenziale tra i due elettrodi sarà nulla.

Considerando due elettrodi esterni AB sarà possibile costruire un grafico con in ascissa il tempo ed in ordinata la dif-
ferenza di potenziale tra i due elettrodi ottenendo un potenziale bifasico; se in un momento inziale la cellula è a riposo
significa che i due elettrodi esterni saranno allo stesso potenziale, si rappresenterà quindi graficamente un tratto isoe-
lettrico coincidente con l’asse delle ascisse poiché la differenza di potenziale sarà nulla; quando il potenziale d’azione
passa sotto il primo elettrodo A, ma non raggiunge l’elettrodo B poiché i due sono posti sufficientemente distanti tra
loro in modo che il potenziale venga avvertito da un solo elettrodo per
volta, quando il potenziale passa sotto A la polarità sotto l’elettrodo A si
inverte rispetto l’elettrodo B si vedrà allora una deflessione che avrà mas-
simo nel momento in cui il potenziale si trova esattamente sotto A, suc-
cessivamente la deflessione allontanandosi da A decrescerà e il potenziale
genererà un nuovo tratto isoelettrico a differenza di potenziale nullo poi-
ché non viene avvertito da nessuno dei due elettrodi; dopo di che il poten-
ziale passerà sotto B e la polarità tra A e B si invertirà nuovamente otte-
nendo così una deflessione speculare alla precedente, ma rivolta verso il
basso anche se il fenomeno è stato lo stesso di prima. Il tracciato sarà così
fatto per convenzione, cioè è stato scelto per convenzione che quando il
potenziale passa sotto A la deflessione sarà positiva, mentre quando il po-
tenziale passa sotto B la deflessione sarà negativa e non viceversa.

Per poter rilevare un segnale proveniente da tutto il cuore è opportuno innanzitutto creare un modello assimilando
ogni singola cellula cardiaca ad un dipolo; fisicamente il dipolo è definito come due cariche opposte separate da una
distanza infinitesimale; in ogni generico punto P dal quale si osserva il dipolo in tale punto potrà essere associato un
campo elettrico generato dal dipolo stesso, quindi in ogni punto sarà possibile registrare un potenziale, il quale sarà
inversamente proporzionale al quadrato della distanza tra il dipolo e il generico punto P e direttamente proporzionale
alla distanza tra le cariche del dipolo e il coseno dell’angolo formato tra l’asse del dipolo e il vettore posizione che in-
dividua il punto P che si origina dal punto medio dell’asse.

Quando la fibrocellula è a riposo per il fenomeno dell’in-


duzione si può dire che sulla superficie esterna della cel-
lula sono presenti cariche negative e su quella interna ca-
riche positive; se la cellula viene depolarizzata si avrà che
durante la depolarizzazione l’interno della cellula diventa in parte positivo e l’esterno in parte negativo; quando sarà
totalmente depolarizzata l’esterno sarà interamente negativo e l’interno interamente positivo, durante la ripolarizza-
zione l’evento sarà opposto. Quindi per quanto detto sul modello semplificato del dipolo sarà possibile affermare che
la cellula genererà un potenziale in un certo punto P che dipenderà dallo stato della cellula e dalla distanza di P.

L’angolo di depolarizzazione varierà nel tempo quindi


esso sarà prima acuto, successivamente retto ed infine
ottuso; quindi poiché il potenziale dipende dal coseno
dell’angolo si avrà che esso sarà inizialmente positivo,
nullo quando l’angolo sarà retto ed infine negativo
simmetricamente quando l’angolo sarà ottuso; si ot-
tiene allora un evento bifasico come precedentemente ottenuto. Per il fronte di ripolarizzazione si otterrà una curva
opposta a quella ottenuta con il fronte di depolarizzazione. Avendo assimilato una cellula ad un dipolo si darà la con-
venzione elettrocardiografica che tutte le volte che il fronte di depolarizzazione si avvicina all’elettrodo registrante
posto nel punto P la deflessione sarà verso l’altro, tutte le volte che il fronte di depolarizzazione si allontana dall’elet-
trodo registrante la deflessione sarà verso il basso; per la ripolarizzazione varrà la convezione elettrocardiografica op-
posta.

Nel tracciato elettrocardiografico si ottiene un diagramma con il tempo in ascissa e la differenza di potenziale tra
l’elettrodo registrante e quello di riferimento; in tale tracciato si otterrà una prima deflessione chiamata onda P che è
l’onda di depolarizzazione atriale (di tutti e due gli atri);
successivamente un tratto isoelettrico cioè con differenza
di potenziale tra gli elettrodi nulla; seguirà un insieme di
onde Q, R ed S che corrispondono alla depolarizzazione
ventricolare; si avrà poi un nuovo tratto isoelettrico ed in-
fine un’onda T che corrisponde ad un onda di ripolarizza-
zione ventricolare; non sarà presente nel tracciato la ripo-
larizzazione atriale perché avviene nello stesso istante
della depolarizzazione ventricolare, ma è più piccola ed è quindi mascherata. Se si potesse vedere sarebbe un’onda a
polarità inversa dell’onda P e verrebbe definita col nome di onda T dell’atrio cioè onda TA. Quindi un tracciato elet-
trocardiografico è un insieme di onde e di tratti isoelettrici dove si ha un onda di depolarizzazione atriale; un com-
plesso (insieme di più onde) di depolarizzazione ventricolare; un’onda di ripolarizzazione ventricolare e se si potesse
vedere un’onda di ripolarizzazione atriale al di sotto del complesso QRS.

Quindi per convenzione in base al fatto se le direzioni della depolarizzazione o della ripolarizzazione hanno versi di-
retti verso l’elettrodo registrante o meno si avranno deflessioni verso l’altro o verso il basso. Si avrà che se tutte le
onde risulteranno invertite se ne deduce che si sta considerando una convenzione inversa; mentre se una sola onda,
ad esempio quella T, risulta ribaltata significa che il fronte di ripolarizzazione ventricolare non sta seguendo la via
fisiologica, indicherà quindi un segno di patologia; lo stesso vale per i tratti isoelettrici, se essi non sono in tutti i punti
sulle ascisse indicheranno la presenza di una patologia.

Analizzando il grafico si ha che all’inizio dell’onda P solo una piccola parte delle cellule atriali saranno depolarizzate,
nel punto di massimo saranno depolarizzate solo metà delle cellule atriali totali, infatti l’altra metà sarà ancora a ri-
poso, quando si giungerà al punto isoelettrico significherà che tutte le cellule atriali sono state depolarizzate, quindi
quando tutte le cellule atriale sono state depolarizzate avverrà la sistole atriale; ammesso che l’onda P sia più grande
della fisiologica, ciò significa un maggior numero è presente negli atri, quindi gli atri risultano essere ingranditi, tutta-
via non è possibile stabilire solamente con un tracciato di quale dei due atri si sta parlando, infatti l’impulso avviene
contemporaneamente in entrambi gli atri. Durante la depolarizzazione ventricolare all’apice dell’onda R si ha che
solo metà delle cellule ventricolari risultano essere depolarizzate mentre l’altra metà sarà a riposo; quando si giunge al
termine del complesso QRS tutte le cellule ventricolari saranno depolarizzate ed avverrà la sistole ventricolare; succes-
sivamente nel punto di massimo dell’onda T metà delle cellule ventricolari saranno ripolarizzate e metà saranno an-
cora depolarizzate; alla fine dell’onda T tutte le cellule ventricolari sono ancora depolarizzate, e analogamente
all’onda P se l’onda T è più ampia significa che si hanno più cellule ventricolari e quindi i ventricoli sono più grandi.

Per poter discriminare in modo tale da capire se la patologia è della parte destra o sinistra vengono considerati diversi
punti di vista, per cui in un esame elettrocardiografico ci saranno dodici tracciati dando quindi dodici punti di vista
diversi, detti derivazioni; quindi studiando il tracciato in dodici derivazioni a seconda se un’onda è più grande o più
piccola in base alla derivazione considerata sarà possibile capire se la patologia è dell’atrio destro invece del sinistro
nel caso di un’anomalia nell’onda P.

29/05/14
L’elettrocardiogramma per quanto detto si basa sulla teoria del dipolo. I punti in cui vengono posti gli elettrodi pren-
dono il nome di derivazioni, si parlerà allora di derivazioni elettrocardiografiche; si misurerà allora una differenza di
potenziale tra il punto di osservazione e il potenziale in un punto di riferimento. Considerata una fibrocellula in fase
di depolarizzazione essa genera un potenziale elettrico con le proprie linee di forza e sarà anche quindi possibile de-
scrivere le linee equipotenziali del potenziale generato dalla fibrocellula; quindi se i due elettrodi sono posti su due
linnee equipotenziali diverse sarà rilevata una differenza di potenziale, se invece si troveranno sulla stessa linea equi-
potenziale la differenza di potenziale misurata sarà certamente nulla; le superfici equipotenziali nel tempo continue-
ranno a cambiare poiché la cellula cambia il suo stato, tuttavia varieranno in maniera ciclica poiché anche la cellula
ripete un suo ciclo.

Il tracciato elettrocardiografico è un dimagra tempo-differenza di potenziale tra l’elettrodo esplorante e l’elettrodo di


riferimento; la base temporale sarà di 0.8 s, cioè la durata dell’intero tracciato a riposo corrisponde alla durata del ci-
clo cardiaco. Nel tracciato si distinguono onde segmenti ed intervalli; si nota che la componente atriale della depola-
rizzazione (onda P) è più lenta di quella ventricolare (onda R), infatti la velocità di conduzione nell’atrio è più bassa
della velocità di conduzione nel ventricolo e quindi la depolarizzazione atriale durerà di più della depolarizzazione
ventricolare. L’intervallo PQ va dall’inizio dell’onda P
all’inizio dell’onda Q (quindi un intervallo va dall’inizio
di un onda all’inizio di un’altra), intervallo che corri-
sponde al tempo necessario affinché l’impulso che nasce
dal nodo senoatriale arrivi al nodo atrioventricolare ed
emerga da esso; se l’intervallo PQ si allunga allora signi-
fica che si ha un rallentamento nel tessuto di conduzione;
il segmento ST che è un tratto isoelettrico rappresenterà il
tempo in cui tutte le cellule ventricolari si trovano nello
stesso stato, in questo caso il tempo in cui sono tutte de-
polarizzate. Se si volesse conoscere la frequenza cardiaca
del soggetto bisogna considerare l’intervallo tra i due apici
delle onde R, si sceglie tale onda perché il suo picco è assi-
bilabile ad un punto e quindi meglio identificabile.

Collegando le onde al potenziale d’azione si ha


che: il treno di potenziali d’azione nel nodo se-
noatriale e si propaga nel nodo atrioventricolare
dove ha un rallentamento per propagarsi radial-
mente negli atri (in questo tratto si ha quindi
l’onda P che si conclude quando la depolarizza-
zione si è diffusa in entrambi gli atri) facendo av-
venire la sistole atriale; quindi durante l’onda P il
cuore è in diastole e il ventricolo si riempie per
gravità, mentre al termine dell’onda il ventricolo
si riempie per la sistole atriale; successivamente il
treno di potenziale d’azione passa il tessuto di
conduzione ventricolare a velocità più elevata per
poi propagarsi nei ventricoli, si avrà allora la de-
polarizzazione ventricolare corrispondente al
complesso QRS, Q ed S sono due onde negative
ed R un’onda positiva preponderante; quando il
complesso QRS è terminato e ci si trova nel periodo isoelettrico, cioè tutte le cellule ventricolari sono depolarizzate, si
ha la sistole ventricolare, quindi durante il complesso avviene una contrazione isovolumetrica. Con l’onda T inizierà
la ripolarizzazione del ventricolo. Ogni onda avrà una sua durata fisiologica che dipende dai treni di potenziali
d’azione; si allora che l’elettrocardiogramma registra l’evento dominante istante per istante. Nell’elettrocardio-
gramma si avrà che il complesso QRS sarà il tratto più rapido, in un tempo intermedio si colloca l’onda P, l’onda più
lenta sarà l’onda T.

Sarà possibile interpretare l’andamento delle


onde, positive o negative, mediante l’impiego
di un vettore dipolo equivalente, cioè poiché
ogni cellula, assimilata ad un dipolo, contribui-
sce a generare un segnale, tale contributo sarà
esprimibile vettorialmente mediante un vettore
dipolo equivalente formato dalla composizione
di tutti i vettori generati da ogni singola fibro-
cellula cardiaca, sarà quindi il risultate di tutti i
contributi vettoriali delle cellule cardiache assi-
milate ad un dipolo che contribuiscono alla
formazione del segnale; tale vettore dipolo
equivalente sarà poi proiettato sull’asse di deri-
vazione, cioè la congiungente dei due elettrodi, ed in base se il verso del vettore sarà diretto in direzione del dipolo di
riferimento o registrante l’onda sarà positiva o negativa; è quindi possibile esprimere istantaneamente la componente
elettrocardiografica con un vettore; poiché si analizzano cicli cardiaci si ha che il vettore dipolo equivalente assumerà
posizioni cicliche nel tempo. Ovviamente l’ampiezza dell’onda dipenderà dal modulo del vettore stesso. Durante i
tratti isoelettrici il vettore dipolo equivalente sarà perpendicolare all’asse di derivazione, quindi proiettando il vettore
su tale asse si otterrà un punto, tuttavia nell’elettrocardiogramma si ottiene un segmento poiché la carta millimetrata
scorrerà nel tempo.

Il tracciato elettrocardiografico si basa su delle ipotesi semplificative formulate da Einthoven, un medico olandese, il
quale propose per primo l’elettrocardiogramma. Per stilare la sua teoria Einthoven si baso su delle ipotesi semplifica-
tive.

Einthoven prese come punti di riferimento le spalle, destra e sini-


stra, e la regione pubica assimilando tali punti di riferimento ai ver-
tici di un triangolo equilatero dove il cuore è al centro del triangolo;
successivamente per semplicità gli elettrodi vennero posti ai polsi,
desto e sinistro, e alla caviglia sinistra considerando gli arti dei fili
conduttori; mentre alla caviglia di destra sarà collegato all’elettrodo
di terra che avrà la funzione di pulizia del segnale.

Einthoven definì allora tre derivazioni, dette derivazioni bipolari


agli arti; la prima derivazione considera il l’elettrodo posto sul polso
sinistro come elettrodo esplorante e quello posto sul polso destro
come elettrodo di riferimento; la seconda derivazione tiene conto
dell’elettrodo posto sulla caviglia sinistra e quello posto sul braccio destro rispettivamente considerati esplorante e di
riferimento; la terza derivazione sarà quella considera l’elettrodo di riferimento sul polso sinistro e quello esplorante
sulla caviglia sinistra. Quindi le derivazioni saranno rispettivamente rispetto al cuore poste sopra, più a destra e più a
sinistra; quindi se viene rilevata un’anomalia sarà possibile determinare qual è la parte del cuore interessata.

L’elettrocardiografo di Einthoven era un galvanometro il quale registrava un segnale amplificato, segnale che veniva
trascritto un rotolo di carta che scorreva a 25 mm/s. Attualmente viene impiegata una carta millimetrata tarata di 1
mV lungo le ordinate.

Le ipotesi o semplificazioni di Einthoven furono che:

1. In ciascun istante il potenziale generato dall’attivazione, cioè segnale registrato, può essere assimilato da
quello generato da un unico dipolo equivalente risultante dell’insieme dei dipoli; quindi assimilabile da un
vettore equivalente risultante di tutti i vettori dipolo generati dalle singole cellule cardiache;
2. I vettori dipolo equivalenti originano sempre da un punto O, coincidente col centro di un triangolo equila-
tero, e detta l’altra estremità del vettore dipolo equivalente C che varia nel tempo, quindi si ha che OC nel
tempo descrive una curva chiusa detta vettogramma;
3. I punti posti a vertice del triangolo equilatero con centro ho saranno gli elettrodi delle derivazioni di Eintho-
ven;
4. Tutti i vertici del triangolo sono collegati ad un medesimo nodo W attraverso tre resistenze uguali; in questo
caso si ha una semplificazione perché all’interno dell’organismo le resistenze non sono tutte uguali.

I base a queste ipotesi per ogni istante si ottiene la deflessione elettrocardiografica, cioè in ogni istante si ottiene un
punto del tracciato come la proiezione del vettore equivalente sull’asse di derivazione, cioè sull’asse di congiunzione
dei due elettrodi. In base alla derivazione si potrà avere che le onde positive diventino negative e viceversa; quindi a
meno di patologie le onde dovranno essere tutte invertite.

Per un elettrocardiogramma completo si utilizzano 12 derivazioni che garantiranno la possibilità di avere informa-
zioni da 12 punti di vista diversi. Le 3 derivazioni di Einthoven sono dette le derivazioni dipolari agli arti; le 3 deriva-
zioni successive indicate con la simbologia aVL, aVR e aVF sono dette derivazioni unipolari agli arti; le ultime 6 deri-
vazioni V1, V2, V3, V4, V5, V6 dette derivazioni precordiali. Le derivazioni agli arti sono per definizioni quelle in cui gli
elettrodi sono posti ai polsi e sulla caviglia; le derivazioni precordiali presentano elettrodi a pompetta posti nelle re-
gioni toraciche, più precisamente negli spazzi intercostali vicino al cuore (appunto per questo precordiali); col ter-
mine dipolare sin intende che sia l’elettrodo registrante che quello di riferimento sono posti sul soggetto; col termine
unipolare si intende che solo l’elettrodo registrante è posto sul soggetto mentre quello di riferimento si trova all’in-
terno dell’elettrocardiografo; quindi nelle derivazioni unipolari misurando la differenza di potenziale tra un elettrodo
registrante posto sul soggetto rispetto al potenziale di un elettrodo di riferimento posto ad un potenziale zero fissato
sarà garantito un miglioramento del segnale; infatti se l’elettrodo di riferimento fosse posto sul soggetto il potenziale
di tale elettrodo non sarà mai fisso; successivamente per rendere ottimale il segnale esso venne amplificato e per que-
sto motivo venne introdotta la lettera “a” nella simbologia aVL, aVR, aVF; dove la lettera “a” indica il termine au-
mentato.

Nelle derivazioni unipolari (o derivazioni unipolari aumentate di Goldberg) è possibile calcolare la differenza di po-
tenziale come:

𝑎𝑎𝑎𝑎𝑎𝑎 = 𝑉𝑉𝑉𝑉 − 𝑉𝑉0

𝑎𝑎𝑎𝑎𝑎𝑎 = 𝑉𝑉𝑉𝑉 − 𝑉𝑉0


𝑎𝑎𝑎𝑎𝑎𝑎 = 𝑉𝑉𝑉𝑉 − 𝑉𝑉0
Il triangolo equilatero di Einthoven dal punto di vista elettrico è assimilabile ad una maglia, quindi per Kirchhoff la
somma della cadute di potenziale è sarà 𝑉𝑉0 ; quindi il potenziale dell’elettrodo di riferimento nelle derivazioni unipo-
lari sarà definito come la somma delle cadute di potenziale di tutte le derivazioni unipolari:

𝑉𝑉0 = 𝑉𝑉𝑉𝑉 + 𝑉𝑉𝑉𝑉 + 𝑉𝑉𝑉𝑉


Quindi sarà necessario un macchinario posto all’interno
dell’elettrocardiografo che istante per istante sommi le ca-
dute di potenziale, tale macchinario prende il nome di termi-
nale centrale di Wilson. Tuttavia poiché il potenziale di rife-
rimento è dato dalla somma delle cadute di potenziale si ha
che per ogni derivazione l’elettrodo esplorante contribuirà
anche a dare il potenziale dell’elettrodo di riferimento, cioè
per ogni derivazione la caduta di potenziale viene usata due
volte: una prima volta come il potenziale dell’elettrodo esplo-
rante ed una seconda volta come contributo da sommare alle
altre cadute di potenziale per fornire il potenziale dell’elet-
trodo di riferimento. Ciò implicherà un decremento del segnale, allora fu necessario aumentare la derivazione e
venne simbolicamente introdotta una “a”; per aumentare la derivazione si intende che il terminale centrale di Wilson
a seconda della derivazione invece del potenziale della derivazione considerata si utilizzerà una resistenza da 5000 Ω.

Le derivazioni unipolari di Wilson (o precordiali) 6 elettrodi a pompetta sono


posti in spazi intercostali, quindi nelle vicinanze cardiache. Anche tali deriva-
zioni V1, V2, V3, V4, V5, V6 deriveranno dall’elettrodo esploratore rispetto ad un
elettrodo interno all’elettrocardiografo.

Si assuma di porre i vari assi di derivazioni di Einthoven in un medesimo piano


con angoli di 60° tra loro (triangolo equilatero); dove si ha che la prima derivazione formerà, rispetto all’orizzontale,
un angolo di 0°, la seconda un angolo di 60°, la terza un angolo di 120° (si potrebbero considerare anche le deriva-
zioni unipolari sfalsate di 30° rispetto alle derivazioni di Einthoven). Si assuma di costruire un vettore risultante della
depolarizzazione ventricolare dai vari vettori dipolo equivalenti del complesso QRS registrato in tre derivazioni, vet-
tori ottenuti facendo la differenza tra la parte positiva e la parte
negativa del complesso QRS; il vettore risultate ottenuto dalla
composizione di tali tre vettori descriverà la strada seguita dalla
depolarizzazione ventricolare, se la strada seguita dalla depola-
rizzazione non fosse quella fisiologica ciò sarebbe indice di una
patologia poiché la via fisiologica presenta delle problematiche;
quindi sarà necessario definire un ambito di normalità al di-
fuori del quale si cadrà in ambito patologico, cioè il tessuto di
conduzione ventricolare presenta delle anomalie. Il vettore ri-
sultante, ottenuto dalla composizione dei tre vettori che descri-
vono l’andamento del complesso QRS, è detto vettore cardiaco
medio; tale vettore fisiologicamente ha un’angolazione di
55°/59°; dopo varie misurazioni è stato definito un ambito fi-
siologico per l’angolazione del vettore cardiaco medio che va da -30° a +110°. In particolare si ha che più una persona
è alta e magra più il vettore cardiaco medio tende verso un’angolazione di 90°.
L’elettrocardiografo al termine di una misurazione in-
dicherà oltre alla frequenza cardiaca e alla derivazione
anche se il ritmo è sinusale o meno, cioè se nel periodo
in cui l’elettrocardiogramma è stato registrato il pace-
maker fisiologico del nodo senoatriale ha dominato su-
gli altri nodi. A fianco è paragonato un tracciato fisiolo-
gico a) con vari tracciati patologici. Nel tracciato b) si
ha la presenza di più onde P prima di un complesso
QRS, ciò significa che l’impulso per propagarsi e depo-
larizzare tutte le cellule ventricolari impiega molto
tempo e consente all’atrio di effettuare un’altra sistole
atriale; quindi si avrà un rallentamento nel tessuto di
conduzione poiché l’impulso pur nascendo dal nodo se-
noatriale non porta in tempo il segnale al nodo atrio-
ventricolare, per cui nascono più onde più; si parlerà al-
lora di blocco atrio-ventricolare. Nel tracciato c) si parla
di fibrillazione atriale, cioè la frequenza cardiaca atriale è completamente diversa dalla frequenza cardiaca ventrico-
lare, quindi gli atri vanno in sistole molto velocemente (circa 200-250 battiti) mentre il ventricolo continua col suo
regolare andamento; quindi ci saranno molte onde P prima di un complesso QRS; tuttavia finché il ventricolo conti-
nua a pompare regolarmente il sangue continuerà ad arrivare ai tessuti garantendo la vita. Nel tracciato d) si ha una
fibrillazione ventricolare, quindi la frequenza sistolica del ventricolo aumenta di molto, arrivando sino circa a 250
battiti, rispetto a quella atriale; in tale caso è necessario intervenire immediatamente defibrillando poiché il cuore non
pompa sangue e non arriva ossigeno ai tessuti; se la defibrillazione tardasse ad arrivare il soggetto potrebbe diventare
un vegetale poiché il cervello è stato in ipossia per troppo tempo.

Circolo cardiaco
La funzione dell’apparato circolatorio è quella di trasportare l’ossigeno sino alle cellule; quindi necessita uno stru-
mento idraulico nel quale trasportare l’ossigeno. L’ossigeno non potrà essere semplicemente trasportato nel sangue
fisicamente disciolto, cioè come si trova nell’aria, questo poiché l’ossigeno in acqua è difficilmente solubile; necessita
quindi un trasportatore dell’ossigeno, cioè l’emoglobina, cioè la globina contente la struttura che lega l’ossigeno cioè
il ferro. La globina è una famiglia di proteine paramagnetiche; l’emoglobina sarà presente in tutti gli esseri aerobi; essa
sarà presente quindi anche in organismi vegetali; tale famiglia di proteina è utilizzata per trasportare ossigeno perché
esso non è fisicamente disciolto nel sangue.

Il sangue esce ossigenato dalla parte sinistra del cuore, dopo di che il sangue fluirà nei vasi e al livello delle arteriole,
cioè al livello dell’ingresso dei sistemi capillari, dove sarà possibile variare il calibro grazie al sistema nervoso auto-
nomo, quindi al livello delle arteriole saranno presenti delle resistenze variabili; il circolo è regolato allora solamente
dalla componente simpatica; se il calibro dei vasi arteriolari diminuisce significa che il SN simpatico ha aumentato il
suo tono (cioè il treno di potenziali d’azione originato dal SNA aumenta in frequenza), se aumenta ha ridotto il suo
tono. Il sangue messo in circolo dal cuore allora si ridistribuisce in circolo perché l’ossigeno non sarà portato in tutti i
tessuti in eguale quantità istante per istante, regolandolo allora in base alla necessità metabolica; se si chiede più ossi-
geno di quello che può essere portato allora si cadrà in anaerobiosi; quindi il sistema di ridistribuzione dovrà essere
analizzato in base alla richiesta di ossigeno dei tessuti.
In base alla funzionalità del vaso varia la costituzione del
vaso stesso come a fianco riportato; nel ciclo si inizierà con
le arterie per procedere con le arteriole per arrivare ai capil-
lare per proseguire con le venule per poi seguire con le ve-
nule poi le vene e infine la vena cava, per arrivare al cuore
destro ed iniziare il circolo polmonare. I vasi sono più o
meno grandi e da questo dipenderà il flusso, in più saranno
costituiti di materiali diversi posti a strati: ci sarà l’endotelio
che è elastico ed è fatto di elastina e collagene, infatti se il
vaso se sottoposto a forza eccessiva si potrebbe anche rom-
pere, quindi sarà necessaria una componente elastica; sarà
presente un tessuto elastico vero e proprio presente nelle ar-
terie, infatti l’elasticità delle arterie permetterà di trasfor-
mare un flusso pulsatile in uno continuo, poiché durante la
sistole l’arteria si distende accumulando energia potenziale
elastica, durante la diastole l’arteria restituisce parte della
sua energia potenziale elastica spingendo così il sangue;
quindi in sistole accumuleranno energia potenziale elastica,
in diastole quando le valvole sono chiuse restituiscono tale energia; anche le vene presenteranno un tessuto elastico;
l’elasticità delle arterie influenzerà il postcarico perché col tempo possono diventare più rigide facendo diventare il
postcarico maggiore, infatti aumenterà la pressione poiché la capacità del vaso di accogliere sangue diminuisce e
quindi il cuore dovrà fare un maggior lavoro per vincere il postcarico; un tessuto muscolare sarà presente nelle arte-
rie e nelle vene che devono spingere il sangue e sarà presente anche nelle arteriole in modo che possano essere rego-
late dal sistema nervoso simpatico con contrazione e rilasciamento; i capillari hanno un dimetro molto piccolo quindi
si avrà che il flusso di sangue cambierà, infatti per le ridotte dimensioni del vaso i globuli rossi saranno principal-
mente accumulati nella parte centrale del vaso e meno presso le pareti, quindi non avendo un vaso grande la possibi-
lità di scambio dell’ossigeno aumenterà; poiché avranno la sola funzione di scambio essi presenteranno solamente
l’endotelio. Per la postura eretta il ritorno venoso sarà difficile quindi sono presenti delle valvole nelle vene e la con-
trazione muscolare faciliterà il ritorno venoso.

I capillari al livello del sistema renale si differenzieranno perché il rene avrà la funzione di filtrare il sangue, quando
arriva il sangue il sangue per essere filtrato si avrà che i canali capillari saranno fenestrati in modo da fare passare
delle sostante e non delle altre in funzione del diametro delle sostanze stesse, tuttavia non viene selezionato quello da
filtrare da quello da non filtrare poiché alcune sostanze di piccole dimensioni utili potrebbero comunque venire fil-
trate, quindi seguirà una fase di assorbimento; tutti gli altri capillari presentano un endotelio compatto.

Il sangue esce al livello dell’aorta del ventricolo sinistro e inizia a distribuirsi ai vari circoli, ma al livello di ogni circolo
saranno presenti le arteriole, quindi a fianco della circolazione sistemica ci saranno dei microcircoli; delle circolazioni
particolari che sono regolate dalle arteriole per quanto riguarda il sangue che ricevono.

Quando il sangue esce per la gittata cardiaca il sangue fluisce nelle arterie che si ingrossano essendo elastiche facendo
aumentare la pressione arteriosa, il sangue quando le valvole cardiache si chiudono il sangue viene mandato in circolo
dal collasso dell’arteria su se stessa e in seguito il sangue sarà distribuito grazie alle arteriole. Si ha quindi che la pres-
sione arteriosa è funzione della gittata cardiaca e di una resistenza.
Considerato un grafico dove in ascissa si hanno i
distretti, mentre in ordinata si hanno i valori di
pressione (la differenza di pressione tra l’ambiente
il vaso); quindi vengono descritte le pressioni nei
vari distretti, in condizioni di riposo. Si ha che la
pressione oscilla tra una massima ed una minima
finché non si giunge a livello capillare. A livello del
ventricolo sinistro a riposo la pressione massima è
circa 120 mentre la minima circa 0 mmHg (quindi
in uscita dal ventricolo sinistro si ha una pressione
media di 100 mmHg, mentre nel ventricolo destro
una pressione media di 25 mmHg; quindi i 5 litri al minuto di sangue in uscita saranno spinti con due pressioni di-
verse ma quando ritorneranno al cuore avranno sempre una pressione circa pari a zero); nelle arterie la pressione
massima sarà 120 e la minima 80 mmHg; più si prosegue più la pressione diminuisce per la viscosità, quindi per gli
attriti tra le lamine di sangue. A livello capillare la pressione sarà di circa 20 mmHg ed all’uscita della parte venosa la
pressione sarà quasi nulla. Sarà allora possibile fornire una pressione media nei tratti oscillanti, tracciando così una
curva media delle pressioni; ed in base al grado di vasocostrizione al livello delle arteriole sarà possibile rappresentare
tre diverse curve medie di pressione. Al livello delle arteriole, in base al fatto se sono contratte o rilassate; la curva va-
rierà, quindi varierà la pressione; quindi per la loro variabilità le arteriole saranno il tratto con una maggiore caduta di
pressione, tale caduta di pressione è in funzione dell’aumento della resistenza che oppongono le arteriole al flusso
ammesso costante; si dice quindi che le arteriole sono nel circolo i vasi a resistenza. La pressione varierà fino a livello
capillare dove i gradienti pressori sono molto piccoli e quindi il carattere oscillatorio della pressione viene perso.

Esiste una legge che regola il flusso del sangue, la legge è di Hagen-Poiseuille:

𝐿𝐿𝜂𝜂8
∆𝑃𝑃 = 𝑄𝑄
𝜋𝜋𝜋𝜋4
Cioè la differenza di pressione dipenderà dalla lunghezza del condotto fratto per il raggio del condotto alla quarta per
la viscosità del mezzo mentre Q sarà la portata del condotto; tuttavia la legge di Poiseuille varrà solamente in un moto
laminare in tubi cilindrici rigidi per un fluido newtoniano; per moto laminare si intende che il flusso si muove in la-
mine che scorrono le une sulle altre, quindi la viscosità del mezzo non sarà un attrito del fluido contro le pareti, bensì
lo scorrimento di una lamina sull’altra, quindi la viscosità sarà la mancanza di scorrevolezza tra stradi adiacenti di
fluido; sarà allora possibile dimostrare matematicamente che il moto laminare il moto ha un profilo di velocità para-
bolico (dimostrato da Hagen) e si ha velocità massima sull’asse di simmetria (direttrice) e velocità nulla sui punti di
contatto del condotto; questo perché la lamina centrale rallenterà quelle adiacenti e così via fino alle pareti del con-
dotto. La validità dell’equazione di Poiseuille varrà sino ad una velocità critica dopo la quale il moto diventerà turbo-
lento. Per a legge di Poiseuille si può affermare che la differenza di pressione genera un flusso a meno di una resi-
stenza, si avrà allora che graficamente si ottiene una retta con la resistenza come coefficiente angolare; giunti alla velo-
cità critica sarà necessario introdurre l’energia cinetica poiché si creano dei vortici in un moto turbolento, infatti non
è più possibile considerare la velocità costante; infatti è possibile osservare il battito cardiaco comprimendo un tratto
del vaso e quindi verranno a crearsi dei turbini che potranno essere avvertiti; quindi il moto turbolento potrà essere
generato mediante vaso costrizione. Quindi per il moto turbolento L’equazione di Poiseuille verrà a modificarsi e si
introdurrà anche l’energia cinetica, poiché in moto turbolento saranno presenti delle accelerazioni per la formazioni
di vortici creati per il raggiungimento della velocità critica mediante una vaso costrizione, cioè ci saranno delle varia-
zioni di velocità.
Si definisca la viscosità come mancanza di scorrevolezza tra le lamine (per Newton), si dovrà quindi applicare una
forza che vinca la forza di attrito tra le lamine definita come:

∆𝑣𝑣
𝐹𝐹 = 𝐴𝐴𝐴𝐴
∆𝑥𝑥
La forza che tende a ritardare la lamina, che quindi si oppone al moto, in un intervallo di spazio, è tanto maggiore
quanto più veloce è la lamina e la viscosità del mezzo, cioè una costante di proporzionalità che rappresenta il grado
con cui in un fluido si ha trasferimento di quantità di moto; non c’è quindi un trasferimento di materia ma un trasfe-
rimento di quantità di moto; tale forza sarà anche maggiore all’aumentare della superficie di contatto; in un condotto
si avranno tante lamine di forma concentrica spinte dal gradiente imposto al sangue dal cuore nella fase di sistole.

Il profilo di velocità del moto sarà una parabola che secondo un sistema di assi cartesiani con centro nel centro dei
vasi si ottengono varie lamine concentriche. La legge di Hagen-Poiseuille sarà solamente approssimabile e non perfet-
tamente attendibile nell’utilizzo nel sistema circolare.

Se il fluido fosse ideale la portata sarebbe costante quindi il prodotto tra superficie e velocità dovrebbe anche esso es-
sere costante e quindi il flusso sarebbe stazionario; ma nel flusso reale la velocità varierà e quindi bisognerà conside-
rare una velocità media; approssimazione valida fino ad un moto turbolento nel quale bisognerà introdurre l’energia
cinetica e la densità del mezzo.

Il sangue sarà un fluido newtoniano in un vaso di


diametro maggiore di 0.5 mm, se il vaso ha diametro
ha dimensioni minori si dovrà tenere conto delle va-
riazioni di velocità; in più i vasi non sono tubi rigidi
ma dotati di elasticità reale; infine non è presente
una linearità tra la pressione e il flusso al variare
della resistenza; Se la relazione fosse lineare si
avrebbe che il flusso è zero solo quando la pressione
è zero, ma non è così sperimentalmente, infatti per le
arteriole anche per pressione diversa da zero si avrà
comunque un flusso nullo; sarà quindi il contributo
della tensione attiva indipendente dall’elasticità che
si impone sull’elasticità stessa, facendo sì che il vaso si chiusa anche quando la pressione non è nulla impendendo lo
scorrere del flusso di sangue, tensione attiva provocata dall’intervento del SN simpatico. Quindi la legge di Poiseuille
non è applicabile con esattezza, bisognerà introdurre delle approssimazioni.

Ci saranno due tipi di pressione, una di spinta data dalla legge di Poiseuille data da:

𝑃𝑃𝐴𝐴 − 𝑃𝑃𝐵𝐵
Ed una transmurale; quindi una pressione tra una pressione 𝑃𝑃𝐵𝐵 dentro il vaso ed una pressione 𝑃𝑃𝐴𝐴 fuori dal vaso; ci
sarà quindi una differenza di pressione tra l’interno e l’esterno del vaso; tale differenza di pressione sarà modulata
dalla legge di Laplace poiché si terrà conto della tensione, cioè la forza elastica del vaso fratto il raggio del vaso stesso:

𝑇𝑇
∆𝑃𝑃 =
𝑅𝑅
Quindi la differenza di pressione a cavallo del vaso sarà data dalla tensione, cioè dalla forza elastica del vaso sul raggio
del vaso; quindi su tale pressione sarà rilevante l’influenza dell’elasticità della parete del vaso.
La legge di Laplace data una certa pressione è una rela-
zione lineare composta da una famiglia di rette; quindi
data una certa pressione a cavallo del vaso il vaso raggiun-
gerà un certo valore tale per cui la pressione viene equili-
brata; quindi arrivati ad un certo valore di pressione in
vaso non sarà più in grado di supportare tale pressione.
Quindi assegnata una certa pressione ed una certa ten-
sione il raggio, considerato un grafico tensione-raggio ed
introducendo delle rette per pressione fissata si avrà che il
raggio del vaso sarà il punto di intersezione della retta con la curva; per tale valore del raggio la tensione sarà uguale
ed opposta alla tensione generata dal gradiente pressorio; tale situazione si ha per un solo sistema elastico; per tale
motivo si avrà che nel grafico tensione-raggio con aorta e vena cava si ha che l’aorta è in grado di resistere a pressioni
molto maggiori. Se l’elasticità del vaso non è fisiologica si parlerà di aneurisma, in questo caso l’elasticità del vaso non
è fisiologica, basteranno piccole variazioni di pressione per generare grandi variazioni di raggio.

03-06-2014
Il moto del sangue è governato da una differenza di energia totale:

1
𝐸𝐸𝑡𝑡 = 𝑃𝑃𝑃𝑃 + 𝑚𝑚𝑚𝑚ℎ + 𝑚𝑚𝑣𝑣 2
2
Tale differenza di energia totale è data dalla somma di una lavoro mecca-
nico, cioè la spinta che imprime il cuore; si parlerà allora di una pressione
laterale o pressione sanguigna che corrisponde al delta tra la pressione asso-
luta del sangue e la pressione barometrica; quindi tale pressione laterale
sarà una forza di spinta che tenderà a far muovere il sangue, tuttavia pres-
sione che decrescerà sempre più nel tempo; contribuirà alla differenza di
energia totale un contributo idrostatico il quale non avrà rilevanza in un soggetto sdraiato (contributo che al mo-
mento verrà trascurato); l’ultimo contributo è ad opera dell’energia cinetica la quale contribuisce poiché la legge di
Hagen-Poiseuille sarà valida solamente finché verrà trattato uno stato stazionario, quindi finché la velocità costante;
tuttavia tale contributo verrà trascurato all’interno del circolo tranne che nei capillari, quindi verrà considerata come
unica forza di spinta la pressione data dalla differenza di pressione di assoluta del sangue e la pressione barometrica;
se venissero considerati anche gli altri contributi verrebbe considerata anche l’inerzia la quale risulta essere funzione
della densità, secondo la relazione:
𝑚𝑚
𝜌𝜌 =
𝑉𝑉
Quindi quando non sarà più possibile delle variazioni di energia cinetica e del fattore idrostatico si dovrà introdurre,
oltre alla viscosità già presente, anche la densità. Se si volesse introdurre la densità bisognerebbe considerare l’energia
totale per unità di volume ottenendo:

1
𝑒𝑒𝑡𝑡 = 𝑃𝑃 + 𝜌𝜌𝜌𝜌ℎ + 𝜌𝜌𝑣𝑣 2
2
Poiché le pareti dei vasi sono elastiche esse durante il flusso del sangue verranno messe in tensione; quindi poiché si
dovrà anche tener conto della tensione dei vasi bisognerà considerare il contributo di pressione fornito dall’equazione
di Laplace, si considererà cioè una pressione transmurale che è la variazione di pressione pressione tra l’interno e
l’esterno del vaso:

𝑇𝑇
∆𝑃𝑃 =
𝑅𝑅
Quindi si avrà una forza di spinta fornita dall’equazione di Hagen-Poiseuille:

𝐿𝐿𝜂𝜂8
∆𝑃𝑃 = 𝑄𝑄
𝜋𝜋𝜋𝜋4
E una pressione transmurale data dalla legge di Laplace che tiene conto dell’elasticità dei vasi. Quindi al fluire del san-
gue sarà necessario che si raggiunga un equilibrio tra la pressione transmurale imposta e la tensione esercitata sul
vaso; e tali due parametri moduleranno il raggio del vaso stesso. Tuttavia i vasi, per via del tessuto muscolare, genere-
ranno una tensione attiva dovuta al SN simpatico; quindi tale componente attiva influenzerà la tensione elastica.

In un fluido newtoniano la viscosità sarà definita costante in ogni suo punto, indipendentemente dalla velocità di due
strati contigui, quindi ipotizzando che il sangue sia un fluido newtoniano verrà considerato il sangue come un fluido
a viscosità costante.

Bisogna sottolineare che per calcolare il profilo di velocità del flusso viene assunto in sistema di assi con la velocità
sulle ordinate con l’origine coincidente nel punto centrale del vaso; quindi il gradiente della velocità:

𝑑𝑑𝑑𝑑
𝑑𝑑𝑑𝑑
È negativo poiché la velocità diminuisce con l’au-
mentare della distanza dal centro, in senso radiale,
cioè muovendosi lungo z; quindi il delta della velo-
cità, poiché il delta della velocità sarà sempre nega-
tivo. Quindi per come è stata assunta l’origine si
potrà scrive la relazione di Newton come:

𝑑𝑑𝑑𝑑
𝐹𝐹 = 𝜂𝜂𝜂𝜂 �− �
𝑑𝑑𝑑𝑑
Poiché è possibile immaginare che il fluido nel
vaso si muove come tanti cilindri coassiali sarà
possibile calcolare la superficie laterale A di tali ci-
lindri; sarà anche possibile esprimere la forza in
funzione della pressione, ricordando che la pres-
sione è definita come una forza per unità di superficie della sezione del cilindro:

𝐹𝐹 = Δ𝑃𝑃 ⋅ 𝜋𝜋𝑧𝑧 2
Dove “z” sarà il raggio variabile del cilindro compreso tra 0 ed R. Allora sarà anche possibile definire la superficie di
contatto A tra le lamine come:

𝐴𝐴 = 2𝜋𝜋𝜋𝜋𝜋𝜋
Quindi sostituendo tali considerazioni nella relazione di Newton si otterrà che:

𝑑𝑑𝑑𝑑
Δ𝑃𝑃 ⋅ 𝜋𝜋𝑧𝑧 2 = 𝜂𝜂(2𝜋𝜋𝜋𝜋𝜋𝜋) �− �
𝑑𝑑𝑑𝑑
Operando le opportune semplificazioni e isolando i termini differenziali è possibile ottenere che:

Δ𝑃𝑃
𝑑𝑑𝑑𝑑 = − 𝑧𝑧𝑧𝑧𝑧𝑧
2𝜂𝜂𝜂𝜂
Dove integrando sarà possibile ottenere che:

Δ𝑃𝑃
� 𝑑𝑑𝑑𝑑 = � − 𝑧𝑧𝑧𝑧𝑧𝑧
2𝜂𝜂𝜂𝜂

Δ𝑃𝑃 𝑧𝑧 2
𝑣𝑣 = − + 𝐶𝐶
2𝜂𝜂𝜂𝜂 2
Per calcolare il valore della costante arbitraria si consideri che quando 𝑧𝑧 = 𝑅𝑅 si ha che 𝑣𝑣 = 0, quindi:

Δ𝑃𝑃 𝑅𝑅2
0=− + 𝐶𝐶
2𝜂𝜂𝜂𝜂 2

Δ𝑃𝑃 𝑅𝑅2
𝐶𝐶 =
2𝜂𝜂𝜂𝜂 2
Quindi sostituendo il valore della costante si ottiene che:

Δ𝑃𝑃 𝑧𝑧 2 Δ𝑃𝑃 𝑅𝑅2


𝑣𝑣 = − +
2𝜂𝜂𝜂𝜂 2 2𝜂𝜂𝜂𝜂 2
Δ𝑃𝑃 2
𝑣𝑣 = (𝑅𝑅 − 𝑧𝑧 2 )
4𝜂𝜂𝜂𝜂
Che è la relazione ricavata da Hagen. È stato così dimostrato che:

• La velocità soddisfa un’equazione del tipo 𝑦𝑦 = 𝑎𝑎 − 𝑏𝑏𝑥𝑥 2 , ricordando che la variabile dell’equazione risulta
essere 𝑥𝑥 = 𝑧𝑧; quindi il profilo della velocità risulta essere parabolico;
𝑑𝑑𝑑𝑑
• Il gradiente non è costante ma varia nel tempo, essendo massimo in prossimità delle pareti.
𝑑𝑑𝑑𝑑
• La velocità sarà massima al centro del vaso e tanto maggiore quanto maggiore la pressione di spinta:
∆𝑃𝑃 2
𝑣𝑣𝑚𝑚𝑚𝑚𝑚𝑚 = 𝑅𝑅
4𝜂𝜂𝜂𝜂
Per ricavare la legge di Hagen-Poiseuille si esprime la relazione di Hagen invece che in funzione della velocità in fun-
zione del flusso, definito come:

𝑑𝑑𝑑𝑑
= 𝑉𝑉̇ = 𝑣𝑣 ⋅ 𝑆𝑆
𝑑𝑑𝑑𝑑
Dove S è la sezione del cilindro; quindi moltiplicando la relazione di Hagen per una sezione infinitesima si ottiene
che:

Δ𝑃𝑃 2
𝑣𝑣 ⋅ 𝑑𝑑𝑑𝑑 = 𝑑𝑑𝑉𝑉̇ = (𝑅𝑅 − 𝑧𝑧 2 ) ⋅ 𝑑𝑑𝑑𝑑
4𝜂𝜂𝜂𝜂
Dove essendo la sezione:

𝑆𝑆 = 𝜋𝜋𝑧𝑧 2 → 𝑑𝑑𝑑𝑑 = 2𝜋𝜋𝜋𝜋𝜋𝜋𝜋𝜋


Ottenendo:
Δ𝑃𝑃 2
𝑑𝑑𝑉𝑉̇ = (𝑅𝑅 − 𝑧𝑧 2 ) ⋅ (2𝜋𝜋𝜋𝜋𝜋𝜋𝜋𝜋)
4𝜂𝜂𝜂𝜂
Integrando:

𝑉𝑉̇ 𝑅𝑅
Δ𝑃𝑃 2
� 𝑑𝑑𝑉𝑉̇ = � (𝑅𝑅 − 𝑧𝑧 2 ) ⋅ (2𝜋𝜋𝜋𝜋𝜋𝜋𝜋𝜋)
0 0 4𝜂𝜂𝜂𝜂
πΔ𝑃𝑃 4
𝑉𝑉̇ = 𝑅𝑅
8𝜂𝜂𝜂𝜂
Dalla quale isolando la variazione di pressione è possibile ottenere l’equazione di Poiseuille:

8𝜂𝜂𝜂𝜂
∆𝑃𝑃 = 𝑉𝑉̇
𝜋𝜋𝜋𝜋 4
Quindi la differenza di pressione genererà un flusso a meno di una
resistenza. Equazione valida esclusivamente per un flusso lami-
nare di un fluido newtoniano in condotti rigidi, con diametro
maggiore di 0.5 mm; il regime laminare è silenzioso a differenza di
quello turbolento che genera dei vortici provocando un rumore.

Ci sono tuttavia dei casi in cui non è possibile prescindere dall’energia ci-
netica, quindi casi in cui il flusso non è spinto solamente da gradienti pres-
sori. Se si assumesse una portata costante si ha che procedendo da un vaso
a diametro maggiore verso uno a diametro minore potrebbe anche essere
vero che la sola spinta è data da una variazione di pressione, ma andando da un vaso di diametro minore verso un di
diametro maggiore bisogna necessariamente introdurre il parametro dell’energia cinetica.

La legge di Poiseuille esprime una linearità tra la variazione di


pressione ed il flusso, quindi in un grafico flusso-pressione si do-
vrebbe ottenere una famiglia di rette spiccate dall’origine. Tutta-
via sperimentalmente si ottiene un grafico come di lato; quindi la
pressione va a zero (cioè il vaso collabisce) prima che il flusso
vada a zero, quindi il vaso collabisce prima della mancanza di
flusso. Quindi è presente qualcosa che prevale sull’elasticità del
vaso, cioè la tensione attiva dovuta al sistema simpatico; il quale
chiuderà o aprirà il vaso indipendentemente dal flusso. Nella
parte destra è presente un grafico resistenza-pressione; dove la
resistenza è definita come il rapporto tra la pressione ed il flusso. Nei grafici considerati si ha un costante aumento
dell’influenza del simpatico che fa collabire il vaso prima che il flusso vada a zero facendo aumentando la resistenza
fino ad un valore infinito; quindi la resistenza che dovrebbe essere costante, cioè una retta orizzontale, è invece rap-
presentata da una curva; quindi in tali grafici si opera al livello delle arteriole che possono essere chiuse o aperte dal
sistema simpatico aumentando così la resistenza; quindi esiste un valore della tensione attiva per la quale la tensione
elastica non è più in grado di opporsi ed il vaso si chiuderà.

Il modificarsi del flusso da pulsatile a continuo prende il nome di fenomeno del Windkessel; cioè si ha che quanto più
il vaso è elastico quanta maggiore sarà la quantità di sangue che esso è in grado di accogliere con una conseguenziale
diminuzione della pressione, cioè la pressione nel vaso sarà tanto minore quanto più il vaso è elastico e maggiore se il
vaso risulta essere rigido; quindi in altri termini a parità di pre-
carico la pressione nel vaso varierà in funzione del postcarico,
cioè in funzione dell’elasticità del vaso. Tale fenomeno fa sì che
nonostante ad ogni sistole segua una dia stole il sangue arriva in
periferia come un continuo, quindi l’apporto di ossigeno ai tes-
suti è continuo perché quando non arriva più dal cuore arriva
dal vaso che si restringe cedendo energia elastica. Se la sistole
successiva non arrivasse il sangue tenderebbe ad assumere una
pressione media in tutti i distretti di circa 30-35 mmHg, per la
mancanza di una sistole che faccia arrivare innalzare nuova-
mente la pressione arteriosa; cioè il sangue si uniforma in tutti i
distretti esercitando una pressione dettata dal proprio volume.

Raggiunta una certa velocità critica la legge di Poiseuille non


sarà più valida ed il moto da laminare degenera in turbolento; tale velocità critica dipenderà dal numero di Reynolds
(che dipende dal fluido), dalla viscosità del mezzo e sarà inversamente proporzionale alla densità per il raggio del con-
dotto:

𝑅𝑅𝑅𝑅 ⋅ 𝜂𝜂
𝑣𝑣𝑐𝑐 =
𝜌𝜌 ⋅ 𝑟𝑟
Qualora l’equazione di Poiseuille perdesse di validità verrà impiegata l’equazione di Roher (la quale include l’energia
cinetica), definita come:

∆𝑃𝑃 = 𝑎𝑎 ⋅ 𝑉𝑉̇ + 𝑏𝑏 ⋅ 𝑉𝑉 2̇
Quindi si tratta di un’equazione quadratica dove l’energia cinetica è introdotta dal quadrato del flusso definito come
la velocità per la sezione; quindi non si ha più un equazione che raffigura una retta bensì una parabola.

La velocità del sangue nei vasi è generalmente, a riposo, di circa:

𝑣𝑣𝑚𝑚 ~25.6 − 28 𝑐𝑐𝑐𝑐⁄𝑠𝑠


Mentre la velocità critica per il sangue è di circa:

𝑣𝑣𝑐𝑐 ~40 𝑐𝑐𝑐𝑐⁄𝑠𝑠


Quindi si può ritenere lecito l’impiego dell’equazione di
Poiseuille considerando il moto laminare; nei vari vasi
si avrà che la velocità del flusso sanguigno in base
all’area della sezione trasversale, come di fianco; in più
si ha che la velocità sarà minima al livello capillare per
incrementare il tempo di scambio per garantire il pas-
saggio dell’ossigeno.

Poiché nella legge di Hagen-Poiseuille il flusso è diretta-


mente proporzionale al delta di pressione; sarà possibile
stabile una relazione tra velocità a pressione poiché il
flusso è definito come una velocità per una sezione;
quindi la velocità è rilevante nella legge di Poiseuille.

Quando si parla di viscosità per il sangue, si intende che


esso e costituito da una parte liquida ed una corpusco-
lata; la parte corpuscolata è costituita principalmente dai globuli rossi, infatti
saranno anche presenti altre parti figurate nel sangue; in particolare dei globuli
rossi è particolarmente rilevante la loro forma perché offrono un’ampia super-
ficie di scambio per la loro forma appiattita, forma rilevante ai fini dello scam-
bio d’ossigeno, in particolare si parlerà di scambio alveolo-capillare e di scam-
bio capillare-tissutale.

La percentuale del volume sanguigno occupata dalla parte corpuscolata dei glo-
buli rossi è detta ematocrito. Man mano che l’ematocrito sale percentualmente la
viscosità relativa (cioè viene assunto come parametro unitario la viscosità
dell’acqua) del sangue aumenta in maniera esponenziale. In un soggetto sano
l’ematocrito ha un valore di circa 43%, quindi la percentuale dei globuli rossi che
occupa il volume sanguigno è circa del 43%. Come fluido il sangue assume una
viscosità anomala, infatti per la loro forma si avrà un accumulo assiale dei globuli
rossi, cioè si portano preferenzialmente al centro del vaso che alle pareti; quindi
la viscosità nel sangue non è costante all’interno del vaso poiché risulterà essere
maggiore al centro e minima alle pareti; ricordando che il profilo di velocità di Ha-
gen è rappresentato da una parabola e sapendo che all’aumentare della viscosità si
ha una diminuzione della velocità, risulta ovvio che il profilo della velocità effettivo
del sangue non sarà esattamente una parabola ma risulterà essere più lineare in
quanto si ha un aumento della velocità minima ed una diminuzione della velocità
massima, si ha ciò per la variazione di viscosità per ogni punto del vaso; quindi invece di
avere una parabola si avrà un profilo circa parabolico ma più tondeggiante.

Il sangue procedendo dall’aorta giunge alla vena cava con una pressione circa nulla perché
perde energia sia per via della viscosità sia per via dell’isteresi elastica (in quanto l’elasticità
dei vasi non è ideale); volendo costruire un modello delle resistenze del distretto arteriolare
e capillare bisogna considerare più resistenze poste in pa-
rallelo, infatti tali vasi di minore diametro hanno tutti ori-
gine da una sola arteria e convergeranno in un’unica vena.
Quindi il reciproco della resistenza equivalente sarà la
somma dei reciproci delle varie resistenze presenti:

1 1 1 1
= + + ⋯+
𝑅𝑅𝑒𝑒𝑒𝑒 𝑅𝑅1 𝑅𝑅2 𝑅𝑅𝑛𝑛

Facendo un confronto tra le resistenze equivalenti del sistema arteriolare e di quello capillare e considerando il nu-
mero di vasi presenti per ogni sistema si ottiene che:
𝑁𝑁𝑎𝑎
1 𝑖𝑖 𝑁𝑁𝑎𝑎
=� =
𝑅𝑅𝑒𝑒𝑞𝑞𝑎𝑎 𝑅𝑅𝑎𝑎 𝑅𝑅𝑎𝑎
𝑖𝑖=1
𝑁𝑁𝑐𝑐
1 𝑖𝑖 𝑁𝑁𝑐𝑐
=� =
𝑅𝑅𝑒𝑒𝑞𝑞𝑐𝑐 𝑅𝑅𝑐𝑐 𝑅𝑅𝑐𝑐
𝑖𝑖=1

E sapendo che la resistenza media di una capillare risultare essere maggiore della resistenza madia del sistema arterio-
lare:

𝑅𝑅𝑐𝑐 > 𝑅𝑅𝑎𝑎


E anche che il numero dei capillari è molto maggiore del numero dei vasi del sistema arteriolare:

𝑁𝑁𝑐𝑐 ≫ 𝑁𝑁𝑎𝑎
Si avrà allora che la resistenza globale del sistema arteriolare risulta essere maggiore di quella del sistema capillare:

𝑅𝑅𝑐𝑐 𝑅𝑅𝑎𝑎
<
𝑁𝑁𝑐𝑐 𝑁𝑁𝑎𝑎
Per tale motivo si ha che al livello arteriolare si avrà una
grande caduta di pressione da circa 85 mmHg in entrata
a circa 40 mmHg in uscita; caduta di pressione che è ap-
punto maggiore di quella capillare poiché si ha un valore
d’ingresso di circa 40 mmHg e un valore d’uscita di circa
20 mmHg. Quindi si può affermare che le arteriole sono
canali a resistenza, la quale è comunque variabile per
l’effetto del SN simpatico; infatti in base al livello di vaso
costrizione sarà possibile rappresentare tre diverse curve
che varieranno dopo l’inizio del distretto arteriolare.

Come già detto al crollo di pressione contribuirà anche l’isteresi elastica in


quanto i vasi non sono caratterizzati da un’elasticità perfetta.
Se si avessero dei vasi con la sola componente della tensione at-
tiva, cioè del tono vasomotore, quindi soggetti all’azione varia-
bile del SN simpatico; assunto che tale tensione attiva agisca su
un vaso non dotato di elasticità, ma con solo sfintere, il vaso po-
trebbe essere o aperto o chiuso; questo poiché la tensione attiva
non andrebbe contro una tensione elastica fino a giungere ad un
punto di equilibrio, non si avrebbe quindi una variazione gra-
duale di raggio resa possibile dalla presenza di una struttura
muscolare di contenimento, si ottiene quindi in questa condizione uno sfintere. Quindi nei vasi si avrà che alla ten-
sione attiva si opporrà una tensione elastica descritta dal grafico di fianco per l’aorta e per la vena cava, grazie all’ela-
stina ed al collagene; quindi si ha che tale struttura composta da due componenti elastiche più aumenta il raggio più
oppone una resistenza all’aumento del raggio stesso.

Supposto che il vaso sia sottoposto ad una ten-


sione T e prima ad una pressione P2 e poi ad
una pressione P1 (si tratta di pressioni transmu-
rali); nel grafico considerato si ha che 𝑃𝑃1 > 𝑃𝑃2
poiché trovandosi in un grafico tensione-raggio
si ha che il coefficiente angolare delle rette rap-
presentate è appunto la pressione (per la legge
di Laplace). Quindi nota la tensione T e la pres-
sione P1 il raggio dell’aorta (retta rossa) sarà il
punto A, cioè il punto di equilibrio in cui a
pressione P1 la tensione che sviluppa il vaso controbilan-
ciato. Si nota dal grafico che l’aorta è in grado di resistere a
pressioni molto più alte della vena cava. Considerato invece
un grafico nel quale la tensione decresce invece di aumen-
tare al crescere del raggio si ha che per la pressione P3 si
nota che non è presente alcun valore del raggio per cui la
condizione risulta essere soddisfatta, quindi la tensione ela-
stica del vaso non è in grado di supportare la pressione P3.

Quindi i vasi dotati di muscolatura presenteranno una tensione totale


suddivisa in due componenti: una tensione elastica funzione del raggio;
una tensione attiva funzione dell’attività vasomotoria. Supposto un gra-
fico dove viene rappresentato l’andamento del raggio di un vaso sul
quale agisce sia una tensione elastica che una attiva, supposta una retta
del tipo 𝑇𝑇 = 𝑃𝑃𝑃𝑃 che interseca la curva in un punto A il raggio, se si vo-
lesse determinare il raggio del vaso non bisogna considerare il raggio R2
nel punto di intersezione A; bensì bisogna considerare il raggio R1 dove
la sola componente elastica controbilancia la tensione esercitata sul vaso
poiché la componente attiva compirà una supplementare azione di va-
socostrizione. Se si avesse solamente tensione elastica il raggio effettivo del vaso sarebbe R2; ma essendo presente una
componente attiva bisognerà ridurre il raggio al valore R1 per il quale la tensione elastica viene equilibrata; su tale va-
lore del raggio agirà poi la tensione attiva vaso costringendo. Aumentando il tono del centro vasomotore (al livello del
bulbo) è possibile giungere alla pressione critica di chiusura, cioè fornendo una tensione attiva molto elevata il raggio
del vaso tende a zero; quindi assunta una tensione attiva che va da BC e DE il vaso tende sempre più a chiudersi; poi-
ché la tensione attiva (per l’aumentata influenza del sistema simpatico) diventerà tale per cui la tensione elastica non
sarà più in grado di controbilanciare la tensione attiva ed il vaso non potrà che chiudersi. Quindi per la legge di La-
place il vaso, definita la pressione, assumerà un raggio tale per cui la forza elastica venga controbilanciata; in altre pa-
role in funzione della pressione il raggio ottenuto sarà tale da controbilanciare la forza elastica; indipendente dal fatto
se la tensione elastica è attiva o passiva. 1

Per misurazione diretta della pressione arteriosa si intende


che la pressione viene misurata direttamente al livello
dell’aorta, incannulando il vaso e misurando la differenza di
pressione tra l’interno e l’esterno dell’aorta. Per non ostaco-
lare il flusso (registrando una pressione maggiore) e quindi
per non introdurre l’energia cinetica nella misurazione di-
retta della pressione e per non misurare valori maggiori o
minori di pressione il vaso non verrà incannulato né fron-
talmente né posteriormente, bensì lateralmente. Il vaso con-
siderato sarà tanto più vicino al cuore possibile per poter ottenere un’onda sfigmica (un’onda pressoria, la quale pro-
cede ad una velocità di ~ 4 𝑚𝑚⁄𝑠𝑠) che riflette l’attività cardiaca, registrata a livello arterioso; quindi sarà necessario
incannulare un vaso il più vicino possibile al cuore; l’onda sfigmica potrà essere misurata solo al livello delle arterie
poiché successivamente la pressione perderà le proprie caratteristiche iniziali e non potrà più essere rilevata; al livello
venoso sarà possibile registrare un’altra onda che tuttavia non coincide con tale onda sfigmica.

Considerato un diagramma pressione-tempo che mostra


come varia la pressione al livello dell’aorta (linea tratteggiata
alta) e al livello del ventricolo sinistro (linea continua).
L’apertura della valvola aortica avviene, a riposo, ad una
pressione di 80 mmHg e per tutto che il sangue fluisce in
aorta la pressione ventricolare è lievemente superiore della
pressione aortica; dopodiché la valvola aortica si chiuderà e
quindi la pressione in ventricolo crolla per via della diastole
isovolumetrica; mentre la pressione nel vaso rimane elevata
perché il vaso sta restituendo l’energia potenziale elastica che ha accumulato in sistole e la pressione si riduce fino a
circa 80 mmHg (per il fenomeno del Windkessel) quando si aprirà nuovamente la valvola aortica per fare fluire il san-
gue ottenendo una nuova onda sfigmica, la quale si susseguirà immediatamente, non ci sarà quindi nessun tratto di
platò; se così non fosse il sangue raggiungerebbe un valore di circa 35 mmHg in tutti i distretti. Nel momento in cui la
valvola aortica si chiude si ha un’incisura detta incisura dicrota, la quale avviene quindi immediatamente dopo la si-
stole ventricolare, cioè nel momento in cui si chiude la valvola aortica, durante l’incisura si ha che per un istante la
pressione aortica aumenta per poi decrescere nuovamente; questo perché il sangue che stava fluendo viene risuc-
chiato per un’istante per poi continuare a fluire.

1
Nel caso particolare dell’alveolo, il quale è perfettamente elastico, infatti presenta esclusivamente una tensione elastica e non
attiva; bisognerà tuttavia tener presente della differente temperatura tra l’interno e l’esterno del corpo; quindi l’aria si caricherà di
vapore acqueo, infatti la superficie interna dell’alveolo risulta essere ricoperta da molecole di acqua poiché l’aria riscaldandosi si è
caricata di vapore acqueo saturando. Quindi non sarà presente una tensione attiva ma una tensione superficiale.
Si definisce pressione differenziale (o pressione di polso) la differenza tra la pressione la pressione massima e la pres-
sione minima; l’entità del valore della pressione massima o minima dipende da:

1. Un parametro cardiaco (la quantità di sangue, o precarico);


2. Un parametro vasale (il grado di elasticità di un vaso, o postcarico);
3. Un parametro ematico (la viscosità del sangue, cioè la densità di globuli rossi).

A parità di tutti i parametri ci si aspetta che fornendo più sangue la pressione sia più elevata; se invece si ha un vaso
più rigido si ha una massima più alta ed una minima normale perché se il vaso è più rigido la pressione aumenta per
l’aumento del postcarico, ma poiché il vaso è rigido il fenomeno del Windkessel sarà meno accentuato quindi la pres-
sione calerà più velocemente; se la viscosità del sangue è bassa se la valvola si è aperta a 80 mmHg poiché il sangue è
poco viscoso fluirà velocemente abbasserà la pressione minima, quindi per bassa viscosità del sangue ci si aspetta una
massima normale ed una minima significativamente più bassa. Nell’ipertensione essenziale i barocettori si adattano a
livelli di pressione più alti quindi saranno più alte sia la massima che la minima.

Quindi dal precarico dipende il valore di pressione massima, facendo così aumentare la pressione differenziale. Un
aumento del postcarico comporta anch’esso un aumento della massima, tuttavia la minima non varia poiché il sangue
procederà molto velocemente per la rigidità del vaso facendo diminuire prima la pressione. Se il sangue è poco vi-
scoso i valori pressori sono più bassi, la diminuzione della pressione minima viene compensato con un aumento della
frequenza cardiaca facendo diventare il soggetto tachicardico.

Volendo fare una misurazione indiretta della pressione bisogna costringere il vaso con un
manicotto fino a farlo collabire totalmente; sarà altresì necessario un manometro per rile-
vare il valore della pressione ed uno stetoscopio per ascoltare se il sangue genera rumore
(secondo il metodo di Riva-Rocci). Quando il vaso collabisce totalmente non sarà più udi-
bile alcun tipo di rumore per l’assenza di flusso; rilasciando il manicotto gradatamente il
vaso potrà aprirsi per far scorrere il sangue, aprendo gradatamente il manicotto si ha che
quando il vaso risulterà essere di poco aperto lascerà passare il sangue che tuttavia non
scorrerà di moto laminare, bensì seguirà un moto turbolento avendo superato la velocità
critica; quando mediante l’impiego dello stetoscopio sarà possibile udire l’inizio del ru-
more si avrà che tale valore di pressione coincide con la pressione massima; continuando
a rilasciare il manicotto si giungerà al punto in cui il sangue ricomincerà a scorrere di
moto laminare, quando scomparirà il rumore risulterà sul manometro il valore di pres-
sione minima. Tuttavia tale metodo di misurazione della pressione è approssimativo poi-
ché, in condizioni di riposo, i valori rilevati risultano essere statisticamente esatti; però non esiste nessuna correla-
zione fisica a dimostrazione di tale procedimento.

Rilasciando gradatamente il manicotto si ha che


inizierà a fluire una piccola quantità di sangue di
moto turbolento, quando il sangue inizia a fluire
si avrà anche la presenza di un’onda sfigmica; le
onde sfigmiche rilevate tuttavia si susseguiranno
inizialmente ad intervalli ampi; quindi poiché è
necessario molto tempo tra un’onda sfigmica e la
successiva si potranno udire degli intervalli di
rumore brevi e silenzio lunghi; man mano che il
manicotto viene rilasciato si sentirà sempre più rumore perché l’intervallo tra un’onda sfigmica e la successiva si ri-
duce.

Misurando l’onda sfigmica al livello dell’aorta sarà diversa


dall’onda sfigmica misurata al livello dell’arteria femorale;
infatti al livello femorale si ha una pressione massima mag-
giore ed una pressione minima minore. Il profilo dell’onda
sfigmica perde quindi i suoi connotati iniziali di quanto è
stata misurata all’aorta; si ha tale fenomeno poiché l’onda
sfigmica misurata sull’aorta risulta essere di carattere periodico, è quindi possibile scomporla secondo Fourier; ese-
guendo allora una scomposizione in frequenze dell’onda sfigmica sia a livello dell’aorta che al livello dell’arteria fe-
morale, si noterà la presenza di frequenze diverse tra le due onde; questo perché propagandosi dall’aorta incontra va-
rie diramazioni, in ogni diramazione parte dell’onda viene trasmessa e parte viene riflessa, quindi le componenti in
frequenza man mano che si propagano cambiano; ma si ha anche che, essendo presenti componenti a frequenze di-
verse, le componenti a frequenza maggiore si propagheranno con velocità maggiore di quelle a frequenza minore,
quindi quando si misurerà l’onda sfigmica a livello femorale si ottiene un’onda a frequenze diverse. Quindi l’anti-
trasformata di Fourier viene eseguita in maniera errata poiché non viene eseguita su elementi che presentano le stesse
caratteristiche iniziali.

Al livello del bulbo è presente il centro vasomotore cardiovascolare; quindi le efferenze vagali e simpatiche control-
lano il cuore con un innervamento al livello delle cellule pacemaker, mentre le sole efferenze simpatiche controllano i
vasi arteriolari. Per far intervenire il sistema simpatico saranno presenti dei recettori al livello dei vasi; tali recettori
sono detti barocettori o recettori di pressioni, tuttavia anche se vengono chiamati recettori di pressioni essi non rile-
vano la pressione, bensì la tensione del vaso, cioè il livello di stiramento vasale.

Quindi vi sarà una vasocostrizione


quando il SN simpatico aumenta la sua at-
tività, successivamente alla recezione del
segnale inviato dai barocettori che indi-
cano un ingrossamento del vaso e quindi
una diminuzione della pressione; mentre
avverrà una vasodilatazione quando il SN
simpatico diminuisce la sua attività, poi-
ché i barocettori rilevano una diminu-
zione del diametro vasale e quindi un au-
mento della pressione. Il SN simpatico
eserciterà la sua attività sul diametro va-
sale delle arteriole grazie al rilascio tonico
di noradrenalina; quindi con l’aumento del rilascio di noradrenalina diminuirà il diametro dell’arteriola ed aumenta
quindi la vasocostrizione, viceversa per la diminuzione del rilascio di noradrenalina che comporta l’aumento del dia-
metro dell’arteriola e la diminuzione della vasocostrizione.

09/06/2014
Da un punto di vista biologico respirare significa emettere anidrite carbonica ed immettere ossigeno; quindi per re-
spirazione si intende la respirazione cellulare (ciclo di Krebs), la quale avviene principalmente a livello dei mitocondri
dove a partire dal glucosio, mediante ossidazione, vengono prodotti, acqua, anidrite carbonica e l’energia necessaria a
riprodurre l’ATP. Il sistema respiratorio si divide in due fasi: un’espirazione ed emissione di anidride carbonica e in-
spirazione ed immissione di ossigeno; le quali a riposo hanno circa la stessa durata. Gli eventi respiratori sono modu-
lati dalla richiesta di ossigeno da parte dei tessuti; analogamente al meccanismo all’aumento della forza di contrazione
cardiaca e della frequenza cardiaca e della gittata, dal punto di vista del sistema respiratorio si avrà l’aumento sia della
frequenza che della profondità del respiro, in modo tale da incanalare più ossigeno; saranno allora presenti dei recet-
tori che rileveranno il valore d’ossigeno nell’organismo per modulare l’intensità del SNA.

Nell’aria è presente ossigeno solo nella percentuale del 21%, sarà poi presente un’ampia percentuale d’azoto (78%),
una piccolissima percentuale di gas nobili (1%) e tracce di anidride carbonica.

Sono fondamentali le sigle: STPD (stadard tempurature pressure dry) e BTPS (body temperature, ambient pressure,
saturated); le quali permetteranno di confrontare i dati ottenuti con quelli di qualunque laboratorio in condizioni dif-
ferenti; cioè i dati ottenuti vengono riportati a delle condizioni standard in modo da renderli confrontabili.

Le condizioni standard di STPD saranno: una temperatura di 0°C; una pressione di 760 mmHg; una pressione di va-
lore acqueo pari a 0. Tuttavia si tratterà di condizioni ambientali standard; per riferirsi a delle misure eseguite su fluidi
corporei bisognerà riferirsi ai valori standard forniti dal BTPS i quali valori di riferimento si basano sui valori corpo-
rei: una temperatura di 37°C, una pressione di 760 mmHg, una pressione di vapore acqueo (in condizioni di satura-
zione) di 47 mmHg.

La pressione totale è definita come la somma delle pressioni parziali dei gas che compongono la miscela; assunta per
l’aria una pressione totale di 760 mmHg, poiché l’ossigeno è circa il 21% della miscela, si avrà che la pressione par-
ziale dell’ossigeno sarà di circa 160 mmHg; ovviamente più si sale di quota più la pressione barometrica diminuisce,
conseguenzialmente diminuirà anche la pressione parziale d’ossigeno, sia ambientale che al livello degli alveoli.

La struttura nella quale avvengono gli scambi saranno gli alveoli, i quali saranno una struttura elastica. Tuttavia
quando l’aria si introduce nell’organismo prima di giungere agli alveoli dovrà prima percorrere tutto l’albero respira-
torio; quindi l’aria prima di giungere al livello della superficie di scambio dovrà percorrere interamente l’albero respi-
ratorio, lo spazio percorso dell’aria sarà definito con il nome di spazio morto poiché in tale spazio sarà presente una
colonna d’aria, situata tra gli alveoli e l’esterno, che non partecipa agli scambi. La quantità inspirata di aria, in respira-
zione tranquilla da un soggetto standard, sarà 500 ml, dei quali 150 sono situati nello spazio morto, mentre 350 si tro-
vano degli alveoli; quindi su 500 ml di aria inspirati solo 350 parteciperanno allo scambio. Nello specifico lo spazio
morto prende il nome di spazio morto anatomico perché è la parte di aria dalla quale non è possibile prescindere e
non partecipa allo scambio; tuttavia sarà anche definito uno spazio morto fisiologico poiché di 350 ml non tutta l’aria
incamerata avrà una funzione reale nello scambio, esso è definito come la somma dello spazio morto anatomico con
lo spazio morto alveolare, cioè le aree alveolari funzionalmente inattive.

La funzione fondamentale dello spazio morto anatomico è quello di scaldare l’aria sino ad una temperatura di 37° C
ai livelli degli alveoli; ovviamente scaldandosi l’aria si umidificherà, quindi appunto perché l’aria non è secca, bensì
satura di vapore acqueo, sarà necessario allora impiegare la sigla BTPS, si tiene quindi conto della pressione parziale
di vapore acqueo, poiché è in presenza nettamente maggiore rispetto all’ambiente. Quindi poiché all’interno dell’or-
ganismo e quindi all’interno dell’alveolo bisogna tener presente la pressione parziale di vapore acqueo si avrà che,
poiché la pressione totale è la somma delle pressioni parziale, la pressione parziale d’ossigeno presente all’interno
dell’alveolo non sarà 160 mmHg ma minore; ma la pressione parziale d’ossigeno nell’alveolo non sarà 160-47 mmHg
poiché bisogna anche tenere conto della pressione parziale dell’anidride carbonica (la quale in soluzione si dissocia in
H+ ed HCO3- , che tuttavia per essere espirata tornerà sotto forma di gas) che deve essere espirata con una percentuale
del 4%, quindi la pressione parziale d’ossigeno sarà ulteriormente ribassata. In più al livello dell’albero respiratorio
sono presenti delle ciglia che hanno il compito di trattenere le impurità.

È fondamentale sottolineare che la respirazione avviene grazie a dei muscoli, quindi saranno presenti dei muscoli che
forniscono un’energia potenziale di spinta all’aria; per la respirazione tranquilla sarà sufficiente l’impiego del dia-
framma, quindi tale respirazione sarà un innalzamento ed un abbassamento ritmico del diaframma, quindi in condi-
zioni in riposo la respirazione è diaframmatica e corrisponde a 500 ml di aria incanalati. Se invece non ci si trova in
una condizione di riposo sarà necessario introdurre altri muscoli e man mano che aumenta la frequenza e la profon-
dità del respiro vengono reclutati gruppi muscolari sempre maggiori; mentre la respirazione tranquilla è un continuo
alternarsi del reclutamento e del dereclutamento del diaframma, cioè l’espirazione è passiva, in condizioni di sforzo
vengono reclutati un numero sempre maggiore di muscoli con un timing diverso; il muscolo contraendosi e rilascian-
dosi opera un lavoro coincidente con lavoro polmonare, che quindi non è compiuto dall’alveolo, il quale sarà sola-
mente una struttura elastica, bensì dal muscolo. Condizione necessaria affinché avvenga lo scambio è che gli alveoli
ricevano sia l’aria che il sangue; quindi gli alveoli devono essere ventilati e perfusi, cioè devono ricevere l’ossigeno ed
il sangue; poiché i polmoni hanno una propria massa si avrà che la parte apicale sarà più ventilata e meno perfusa e la
parte bassa più perfusa e meno ventilata; quindi proprio per la massa del polmone oltre allo spazio morto anatomico
si avrà anche uno spazio morto fisiologico.

La superficie di scambio degli alveoli corrisponde a circa 85 metri quadri in un soggetto standard; quindi gli alveoli
saranno circondati da capillari attraverso i quali verrà captato l’ossigeno e rilasciata l’anidrite carbonica. Gli alveoli
sono considerati prima di tutto delle strutture elastiche, grazie all’elastina ed al collagene; tale struttura elastica si
riempirà di aria satura di vapore acqueo quindi nell’alveolo si avrà aria ed anche un sottile strato di film liquido (di
molecole d’acqua) che si deposita sul fondo dell’alveolo, strato dovuto al regime di saturazione di vapore acqueo;
quindi sarà presente un interfaccia aria-acqua, al livello della superficie di separazione si ha la così detta tensione su-
perficiale, cioè la forza di coesione delle molecole che tentano di restare in superficie e non essere trascinate verso il
fondo; si creerà una tensione superficiale tra aria e acqua perché se si ha un volume con all’interno un mezzo è evi-
dente che le molecole di tale mezzo saranno sottoposte allo stesso tipo di forza di coesione in tutte le direzioni, tutta-
via se ci si trova al livello della superficie di separazione si ha che le forze che tengono unite le molecole di acqua sono
diverse nelle varie direzioni, allora le molecole di acqua saranno attratte verso l’interno del volume del mezzo poiché
non è presente una forza che controbilancia la forza di coesione tra le molecole d’acqua; quindi è presente una forza
netta che tende a portare le molecole d’acqua verso il centro, la tensione superficiale sarà allora la forza che si oppone
a tale forza, quindi si parla di tensione superficiale quando le forze agenti sulla singola molecola non sono equilibrate
e la tensione superficiale sarà la forza che si oppone alle forze agenti sulle molecole e consente la coesione tra e mole-
cole presenti in superficie. La tensione superficiale sarà la forza che lavoro muscolare dovrà vincere, poiché per espan-
dere l’alveolo bisognerà superare inizialmente la forza elastica, quindi si applica un lavoro contro la resistenza ela-
stica, e successivamente bisognerà attuare un lavoro muscolare contro la tensione superficiale. Tuttavia per non ren-
dere eccessivo il lavoro respiratorio sarà presente una proteina detta surfattante o tensioattivo, la quale è un sapone,
che frapponendosi tra le molecole rompe in parte la coesione riducendo il valore della tensione superficiale; il surfat-
tante viene prodotto al livello degli alveoli ed ha quindi la funzione di ridurre la tensione superficiale per diminuire il
lavoro respiratorio; tuttavia poiché tale proteina si forma verso il 7-8 mese della vita fetale se il neonato nasce prema-
turo è probabile che nasca con poco surfattante e quindi necessiterà di respirazione assistita poiché il lavoro respirato-
rio sarà molto elevato.
Il meccanismo respiratorio potrà essere diviso in una parte statica ed in una dinamica; nella parte statica si parlerà di
volumi, mentre in quella dinamica verranno introdotti i flussi; quindi nella parte statica poiché sarà rilevante analiz-
zare la capacità del sistema nel contenere aria le misure saranno condotte una volta che il paziente ha riempito d’aria i
polmoni poiché non è rilevante in statica analizzare come l’aria fluisce nel sistema, si parlerà allora di volumi polmo-
nari, considerando la pressione ottenuta mediante tale volume; quando si analizza come l’aria entra ed esce dal si-
stema si parlerà di flussi e si tratterà la parte dinamica.

Supposto un modello del secondo ordine caratterizzato da tre resistenze: elastica, viscosa, inerziale; ma poiché
l’azione attiva muscolare nella trattazione statica è nulla si avrà che la somma della parte elastica e viscosa sarà zero
ottenendo così un modello del primo ordine con la sola resistenza inerziale. Quindi durante la statica verranno misu-
rati i volumi respiratori, misurati solo dopo che il soggetto ha compiuto l’inspirazione/espirazione; lo strumento im-
piegato per quantizzare i volumi respiratori è detto spirometro, cioè uno strumento costituito da una campana metal-
lica contente aria la quale si abbassa quando il soggetto inspira nella campana e si alza quando il soggetto espira nella
stessa; la campana sarà collegata ad un pennino libero di tracciare su un rotolo libero di ruotare un tracciato; inspi-
rando ed espirando aria si otterrà una linea dritta, mentre inspirando ed espirando ossigeno si ottiene un tracciato che
indica il consumo di ossigeno, tracciato con una propria pendenza perché si ispirerà un dato volume di ossigeno però
se ne espirerà un volume certamente minore. Per misurare i volumi polmonari la campana conterrà aria e mediante la
spirometria verranno misurati tutti i volumi polmonari tranne il volume residuo, il quale corrisponde alla quantità di
aria che rimane nel polmone dopo un’espirazione forzata; per calcolare tale volume residuo verrà utilizzato il metodo
della diluizione. Il traccio ottenuto mediante lo spirometro è detto spirogramma; osservando tale grafico si nota che il
paziente introduce nei polmoni 500 ml di aria detto volume corrente (VT in inglese), questo avviene durante una re-
spirazione tranquilla quindi col solo impiego del diaframma; forzando il paziente ad espirare si avrà che il volume
decresce di circa un litro, tale volume è detto di riserva espiratoria, cioè il volume che può essere espirato col coinvol-
gimento di tutti i muscoli; forzando il paziente ad inspirare si ottiene un volume di circa 3 litri, detto di riserva inspi-
ratoria; forzando nuovamente il paziente ad espirare si osserva che è presente un volume d’aria non espirato pari
circa a 1,2 litri che rimane negli alveoli, detto volume residuo. Si definiscono capacità polmonari le somme dei vari
volumi polmonari, si avrà:

• La capacità vitale: somma del volume corrente, del volume di riserva inspiratorio e di quello espiratorio;
• La capacità polmonare totale: somma della capacità vitale e del volume residuo;
• La capacità inspiratoria: somma del volume corrente e del volume di riserva inspiratorio;
• La capacità funzionale residua: somma del volume di riserva espiratorio e del volume residuo.

Il volume residuo non viene misurato, bensì esso viene calcolato mediante il metodo di diluizione, quindi sarà neces-
sario un gas non tossico da diluire che non viene scambiato in modo tale da mantenere costane il volume del gas in-
trodotto, viene quindi impiegato l’elio che è presente solo in tracce nell’aria. Somministrando al soggetto una concen-
trazione nota di elio, ricordando che:

𝑀𝑀
𝐶𝐶 =
𝑉𝑉
Se la massa si conserva è allora possibile dire che:

𝐶𝐶1 𝑉𝑉1 = 𝐶𝐶2 𝑉𝑉2 = 𝑀𝑀


Quindi conoscendo la concentrazione iniziale di elio in miscela e il suo volume iniziale, misurando la concentrazione
dopo un intervallo di tempo in cui il soggetto ha inspirato la miscela contenente elio sarà possibile determinare in
quanti litri di aria l’elio è stato diluito; il volume in cui esso è stato diluito sarà il volume del pallone contenente la mi-
scela addizionato al volume di riserva espiratoria (perché la misurazione della concentrazione viene condotta succes-
sivamente ad un’espirazione, in condizioni di respirazione tranquilla) ed volume residuo; quindi noto il volume del
pallone e il volume residuo sarà possibile determinare il volume residuo.

A riposo si respira unicamente utilizzando il diaframma, l’aria entra nei polmoni quando la pressione interna è mi-
nore di quella esterna e quindi essa esce quando la pressione interna è maggiore di quella esterna, quindi l’aria entra o
esce esclusivamente per gradienti pressori; tuttavia poiché:

𝑃𝑃𝑃𝑃 = 𝑛𝑛𝑛𝑛𝑛𝑛 = 𝑐𝑐𝑐𝑐𝑐𝑐𝑐𝑐.


Ciò significa che si avrà che pressione e volume sono inversamente proporzionali; se a riposo il diaframma è in una
posizione iniziale, se esso si contrae abbassandosi è chiaro che il volume polmonare aumenta facendo altresì dimi-
nuire la pressione polmonare, in modo da favorire l’ingresso di aria con il conseguenziale aumento di pressione; suc-
cessivamente il diaframma si rilasserà facendo diminuire il volume ed aumentare la pressione in modo tale da favo-
rire l’espirazione, poiché la pressione interna è maggiore della pressione esterna. Quindi l’inspirazione sarà un atto
attivo, cioè l’azione del muscolo diaframma, mentre l’espirazione tranquilla sarà un atto passivo, poiché si ha il rila-
sciamento del muscolo diaframma.

Il polmone e la gabbia toracica durante l’attività muscolare vengono tirati in modo tale da far espandere gli alveoli,
per poi venir fatti collassare per far collassare gli alveoli; quindi il polmone e la gabbia toracica si muoveranno in sin-
crono, essi saranno separati dal così detto spazio pleurico, cioè un sottile spazio riempito dal liquido pleurico; il pol-
mone e la gabbia toracica vengono considerate due strutture elastiche che tendono ad avere un comportamento op-
posto, infatti il polmone tende sempre al collasso, infatti gli alveoli vengono espansi ma essendo elastici tendono a
tornare nella loro posizione iniziale; la gabbi toracica invece è una struttura che tende quasi sempre all’espansione
(fino circa al 85% dell’espansione, dopo di che per evitare la rottura oppone una resistenza all’espansione), quindi il
diaframma con la sua azione muscolare espande la gabbia toracica che non oppone resistenza ed espandendosi tira
anche il polmone. Quindi è possibile costruire un modello costituito da due molle dove il polmone è appresentato in
rosso e la gabbia toracica in nero; quindi sarà presente una continua azione combinata ed alternata tra il prevalere
dell’espansione della gabbia toracica sul collassare del polmone e viceversa, quindi lo sforzo muscolare sarà quello di
vincere, in inspirazione, la tendenza del polmone a collassare, mentre in espirazione il lavoro muscolare potrà anche
essere nullo poiché entrambe le strutture tendono al collasso. Quindi sono presenti volumi polmonati per i quali pre-
vale il comportamento del polmone e volumi polmonari per i quali prevale il comportamento della gabbia toracica;
tuttavia sarà comunque presente un volume polmonare per il quale ci si trova in una condizione di equilibrio tra le
due strutture, allora esisterà un istante dell’espirazione nel quale il polmone tende a collassare tanto quanto la gabbia
toracica tende ad espandersi, cioè il sistema è in equilibrio; tale istante di equilibrio tra le due forze è detto istante di
fine espirazione tranquilla.

In un grafico pressione-volume per una respirazione tranquilla si ha che il volume partendo da un valore di zero,
coincidente col volume di riserva espiratoria, giungerà ad un valore di 500 e poi tornare a 0 e così via. Il tempo per
l’inspirazione e l’espirazione è circa coincidente e la frequenza respiratoria è di circa 12-15 atti respiratori al minuto.
La pressione nell’alveolo, durante tale processo di respirazione, diminuisce di un centimetro di acqua ed aumenta
dello stesso valore; mentre la pressione a livello pleurico parte negativa per diventare anche più negativa per tornare
poi al valore iniziale, quindi oscilla tra -3 e -6 centimetri d’acqua; la pressione al livello delle due pleure è negativa
perché la pressione è sub atmosferica, questo perché le due strutture elastiche hanno comportamento opposto e
quindi la parte tra esse comprese andrà in depressione.
Grazie allo spazio pleurico le due strutture elastiche considerate hanno la caratteristica di muoversi in sincrono; nella
condizione di uno pneumotorace, cioè una lesione nella quale la parte interna del polmone viene messa in comunica-
zione con l’esterno, si avrebbe l’assenza dello spazio intra pleurico e della connessione tra il polmone e la gabbia tora-
cica; quindi i muscolo dovrebbero lavorare per vincere la resistenza elastica del polmone senza l’aiuto della gabbia,
quindi il lavoro polmonare diventerebbe più elevato, poiché se si lavora sul solo polmone, esso tenderà sempre al col-
lasso e quindi si dovrà applicare una maggiore forza che vinca la forza di retrazione elastica del polmone dovuto alla
componente elastica ed alla tensione superficiale. Quindi per la difficoltà respiratoria finché la ferità non è rimargi-
nata il soggetto necessiterà di una respirazione assistita.

Un tipo di respirazione nel quale lo sterno si porta più avanti o più indietro è detto a manico di secchia, respirazione
caratteristica nei soggetti affetti da enfisema caratterizzati da un petto molto pronunciato, infatti tale movimento si
accompagna al movimento del diaframma; infatti essendo molto alto il volume residuo il polmone viene riempito da
un secondo lavoro.

Nell’aria espirata la percentuale d’ossigeno non sarà più il 21%, ma il 16% e si avrà che la percentuale di anidrite car-
bonica è circa del 4%.

Gli scambi nei tessuti dell’organismo avvengono per diffusione poiché i gas sono in grado di passare attraverso il dop-
pio strado lipidico della membrana. Poiché l’anidrite carbonica è molto più solubile dell’ossigeno essa si idraterà sem-
plicemente, mentre l’ossigeno necessiterà di trasportatori appositi, cioè l’emoglobina, che condurrà l’ossigeno sino ai
tessuti; comunque una piccolissima percentuale di ossigeno risulterà essere fisicamente disciolta.

10/06/2014
Albero respiratorio è costituito da delle grosse vie respiratorie superiore, nelle quali ci sarà un flusso di aria in moto
laminare, seguite dai bronchi, dai bronchioli ed infine dagli alveoli.

Se si volesse eseguire una misurazione temporale considerando quanta aria entra ed esce dai polmoni, cioè la fre-
quenza respiratoria, bisognerà introdurre il flusso d’aria (ventilazione), cioè un volume nel tempo.

Una curva ottenuta mediante misurazioni stazionarie, è quella che fisiologicamente è detta curva di rilasciamento del
sistema toraco-polmonare, dove per rilasciamento si intende il rilasciamento muscolare poiché le misure vengono
condotte una volta che il soggetto non compie attività muscolare ai fini della respirazione, appunto perché si stanno
eseguendo misurazioni statiche e si vuole valutare come la struttura elastica contribuisce al lavoro muscolare e quindi
non è rilevante il flusso d’aria, considerando un diagramma variazione di pressione-volume. Come curva risultante
del rilasciamento del sistema toraco-polmonare si ottiene una curva (rossa), che è una curva ideale, che è la curva ri-
sultante di altre due curve, cioè la curva di equilibrio per il torace (arancione) e quella di equilibrio per il polmone
(blu), si ha ciò perché la curva totale risente effettivamente del contributo della gabbia toracica che tende ad espan-
dersi e del polmone che tende sempre a collassare (quindi la pressione interna dei polmoni è sempre sopra atmosfe-
rica poiché la curva sempre nella zona positiva del delta di pressione trans murale definita come la pressione interna
meno quella esterna, allora poiché il delta è positiva la pressione interna sarà maggiore di quella esterna); è possibile
costruire la curva per il solo torace poiché la parte toracica è la parte più esterna e quindi le misure si possono con-
durre considerando le pressioni esofagee. Considerato un grafico con la pressione in ascissa e in ordinata la percen-
tuale di capacità vitale (che è comunque un volume in quanto somma di volumi), viene considerata la capacità vitale
poiché non è possibile misurare il volume residuo e non è quindi possibile considerare la capacità polmonare totale;
in particolare la parte alla sinistra delle ordinate rappresenta la zona sub atmosferica poiché per avere un espansione
la pressione deve essere minore di quella atmosferica e quindi per pressioni negative si ha un’espirazione, infatti la
pressione in ascissa è un delta tra la pressione interna e quella
atmosferica, è quindi ovvio che per delta negativi la pressione è
sub atmosferica; mentre nella parte destra si hanno pressioni
sopra atmosferiche e quindi corrispondono ad un collasso. Se
si potesse costruire la curva del torace (arancione) e del pol-
mone (blu) separatamente, si avrebbe che la curva arancione
(dell’equilibrio per il torace) indica che per un valore percen-
tuale minore del 70% della CV il torace tende sempre ad espan-
dersi, per una percentuale di capacità vitale maggiore del 70%
la gabbia toracica tende a collassare poiché si hanno pressioni
positive; mentre la curva blu dell’equilibrio polmonare tende
sempre a collassare; esiste in più un punto in cui di equilibrio
in cui l’espansione toracica viene ad essere compensata dal collasso polmonare, tale punto detto capacità funzionale
residua (CFR) si ha intorno al 40% del CV, tale punto corrisponde alla fine dell’espirazione tranquilla. Rappresen-
tando la risultante delle due curve (rossa) si ha che essa dovrà tendere, nel primo quadrante, a destra rispetto alla
curva polmonare, cioè non si trova tra le due curve bensì interseca la curva polmonare (blu) per tendere sempre più
per pressioni positive, questo poiché essa sarà la somma di due curve positive che tendono a valori di pressione sem-
pre maggiore poiché si hanno due strutture che collassano sopra il valore del 70% di CV. In vivo per costruire tale
grafico costituito da tre curve bisognerà prima costruire la curva totale e quella toracica ed ottenere per differenza
quella polmonare, questo per la difficoltà di eseguire misurazioni esclusivamente a livello polmonare. La pendenza
∆𝑉𝑉
della curva si ottiene come la quale pendenza fornisce un’idea del comportamento elastico del sistema toraco-pol-
∆𝑃𝑃
monare, tale comportamento elastico descritto dal differenziale è detto compliance; nella curva totale la zona di re-
spiro tranquillo è una zona quasi rettilinea ed è quella con maggiore compliance, mentre sia che a bassi che ad altri
volumi polmonari la compliance diminuisce, il che significa che bisogna impiegare uno sforzo maggiore per ottenere
la stessa variazione di volume. Se per la stessa variazione di pressione si ottiene una variazione di volume minore di
quella fisiologica si parla di fibrosi polmonare, cioè il polmone è più rigido; se per la stessa variazione di pressione si
ottengono grandi variazioni di volume si parla di enfisema, si ha allora un grande aumento del volume residuo,
quindi anche respirando in senso massimale l’aria rimane intrappolata nell’alveolo.

La tensione attiva dal punto di vista muscolare è la forza esercitata dal muscolo, tuttavia questa forza non è in grado di
concentrarsi su un singolo alveolo, infatti essa è uniforme su tutto l’albero respiratorio; quindi la pressione che si ap-
plica mediante tale tensione attiva vince una tensione superficiale dato un raggio alveolare, tuttavia gli alveoli non
hanno tutti lo stesso raggio, ma la variazione di pressione esercitata sarà sempre la stessa sugli ogni alveolo indipen-
dentemente dal raggio. Se si avesse una tensione superficiale costante si avrebbe un assurdo poiché si avrebbe una
situazione tale per cui tendenzialmente gli alveoli piccoli si svuoterebbero in quelli grandi, cioè gli alveoli grandi si
estenderanno molto poco, mentre gli alveoli piccoli rimarranno collassati (compatibile con uno stato patologico).
Quindi si avrebbe una situazione instabile perché fornito uno sforzo muscolare non tutti gli alveoli verrebbero
espansi, verrebbero espansi preferenzialmente solo quelli di raggio maggiore. Tuttavia l’alveolo produce una lipopro-
teina quale il tensioattivo (un sapone) che ha la funzione di diminuire la tensione superficiale, cioè la forza di coe-
sione tra le molecole nello strato superficiale tra due mezzi; il tensioattivo si frappone tra le molecole nello strato su-
perficiale riducendone la forza di coesione e quindi la tensione superficiale; quindi tale proteina prodotta a livello al-
veolare riduce la tensione superficiale. Ma poiché col tensioattivo è stata ridotta la tensione superficiale in tutti gli al-
veoli in ugual modo non è sufficiente poiché si ricadrebbe nella condizione precedente dato che tutti gli alveoli si tro-
vano nella stessa condizione di prima con valori ridotti di tensione superficiale; infatti si necessita che la tensione su-
perficiale si abbassi di più nell’alveolo di raggio minore e di meno nell’alveolo di raggio maggiore, cioè si necessità
che il tensioattivo si concentrato in maniera diversa nei vari alveoli; quindi la tensione diventerà una funzione del rag-
gio perché in funzione di esso sarà maggiore o minore. Dato che la tensione è funzione del raggio e che il tensioattivo
riduce maggiormente la tensione per raggi piccoli sarà possibile che per una stessa tensione attiva potrà far estendere
tutti gli alveoli. Poiché l’alveolo stesso, durante la respirazione, varierà il suo raggio bisogna che durante l’inspira-
zione il tensioattivo si espanda e quindi quando l’alveolo si ingrandisce aumenta anche la tensione superficiale, men-
tre quando l’alveolo collassa il tensioattivo si concentri di più in modo tale che la tensione diminuisca; quindi è fon-
damentale che la tensione superficiale sia funzione del raggio per garantire una respirazione omogenea.

Si consideri un polmone isolato, cioè in as-


senza della gabbia toracica, con lo scopo di
analizzare come agiscono la tensione superfi-
ciale e la tensione elastica; considerando una
respirazione tranquilla di 500 ml di aria, cioè si
considera per semplicità un volume corrente,
in un grafico pressione transmurale-volume,
quindi verrà considerato il contributo del dia-
framma; riempiendo (insufflazione) tale modello ed analizzando le componenti ti volume e pressione in base si ot-
terrà un primo tratto di curva, mente durante la fase di svuotamento (de-
sufflazione) si otterrà una seconda curva non coincidente, l’aera compresa
tra le due curve sarà l’area di isteresi, dovuta alla viscosità del mezzo; è
stato quindi seguito un lavoro muscolare reale, non ideale, non si ottiene
cioè una retta tipica dell’elasticità ideale secondo Hooke, quindi il tratto di
insufflazione non coincide con quello di desufflazione, quindi l’ipotesi di
elasticità ideale è contraddetta dai dati sperimentali, ipotesi valida trascu-
rano il contributo muscolare, infatti in assenza di diaframma i due per-
corsi coinciderebbero; sarà allora presente un’area di isteresi che corri-
sponde all’energia elastica dissipata sotto forma di calore. L’espirazione
è comunque un atto passivo poiché in parte l’energia viene impiegata ed
in parte viene dissipata, ma non si necessità in energia extra per termi-
nare il lavoro, infatti se la respirazione non fosse passiva si otterrebbe un
tratto di curva nel quale viene inclusa l’energia fornita necessaria per at-
tuare l’espirazione, energia fornita dai muscoli espiratori; i quali è fonda-
mentale sottolineare che non vengono impiegati durante una respira-
zione tranquilla. Per determinare quanto agisce il lavoro del diaframma
contro l’elasticità e quanto conta la componente della tensione superfi-
ciale bisognerà eliminare quest’ul-
tima; per fare ciò si riempirà il pol-
mone isolato di acqua in modo tale da avere negli alveoli un solo mezzo e quindi
un’assenza di tensione superficiale; riempiendo i polmoni di acqua l’area di iste-
resi diventa molto piccola, quindi eliminando la tensione superficiale e lasciando
il puro comportamento elastico si ha che l’area di isteresi è molto piccola ed il la-
voro respiratorio è molto basso, quindi la componente elastica nel lavoro respiratorio ha un
ruolo molto minore di quello della tensione superficiale. Per analizzare la componente della
sola tensione superficiale si considera un modello basato su una bolla di sapone perché essa
presenta la sola tensione superficiale senza la presenza di elasticità; costruendo un dia-
gramma volume-variazione di pressione si ottiene che partendo da un raggio infinito la
pressione della bolla risulta essere inizialmente nulla, man mano che la pressione aumenta
aumenterà anche il volume, finché non si giunge alla pressione di formazione della bolla se
la pressione aumenta ulteriormente il volume diminuisce, questo è compatibile con lo scoppio della bolla, tale anda-
mento segue l’equazione:

2𝛾𝛾
∆𝑃𝑃 =
𝑅𝑅
Nel grafico a lato sono stati invertiti gli assi ed è stata individuata una pressione critica oltre la
quale si ha lo scoppio della bolla, la linea tratteggiata, quando la pressione viene considerata
come variabile indipendente, non potrà mai essere ottenuta. Tuttavia volendo assimilare l’al-
veolo ad una bolla bisognerà considerare un sistema di bolle e valutare il raggio variabile degli
alveoli. Considerando un sistema di due bolle di raggio di verso, si ha che esse presentano un
punto di equilibrio quando esse presentano uguale volume, tuttavia tale punto di equilibrio
risulta essere instabile; infatti il sistema risulterà in equilibrio quando una delle due bolle si
sarà svuotata completamente nell’altra. Quindi tale modello sarà quello che include la sola
tensione superficiale; ciò significa che, poiché l’alveolo presenta sia una tensione superficiale sia una componente ela-
stica, l’alveolo presenterà un grafico pressione transmurale-volume che è l’unione di due grafici, il primo rappresen-
tante l’elasticità tissutale ed il secondo la pres-
sione causata dalla tensione superficiale. Si ot-
terrà allora un grafico dal quale si nota che l’al-
veolo si apre improvvisamente ad una data pres-
sione P2 durante l’inspirazione e si chiude al-
trettanto velocemente durante l’espirazione ad
un minore pressione P1; in tali grafici la tensione
superficiale viene considerata costante, si ha quindi un’assenza di tensioattivo.

Considerando un grafico pressione-volume tenendo presente l’effetto del


tensioattivo, si ha che l’espansione avviene lungo più curve a tensione su-
perficiale decrescente; questo perché il tensioattivo riduce la tensione su-
perficiale e man mano che l’alveolo collassa, quindi il raggio alveolare si
riduce, si ha che è tensioattivo risulta essere sempre più concentrato,
quindi poiché il tensioattivo è fissato per ogni alveolo la tensione superfi-
ciale sarà in funzione del raggio; poiché per raggi minori il tensioattivo es-
sendo più concentrato incrementerà la sua azione riducendo la tensione
superficiale, rompendo i legami di coesione. In particolare nel grafico si ha
che le linee tratteggiate rappresentano l’andamento di superfici sferiche
nel diagramma PV con tensione superficiale diversa; la linea punteggiata
rappresenta è la curva PC del solo involucro elastico; le linee continue sot-
tili sono l’unione delle due precedenti. Si nota allora che l’evento espirato-
rio complessivo non segue una sola curva, quindi l’espirazione non avviene rapidamente, ma decresce seguendo l’an-
damento di più curve a tensione superficiale sempre decrescente; sarà allora possibile espirare gradatamente sino ad
un volume minimo. Quindi il tensioattivo ha la funzione di abbassare la pressione di apertura ed è anche fondamen-
tale per consentire un espirazione graduale, cioè permette all’elasticità di ridursi gradatamente, infine permette che il
sistema alveolare sia omogeneo, cioè gli alveoli a raggio maggiore non si aprono preferenzialmente rispetto a quelli di
raggio minore.

La tensione superficiale nell’alveolo è generata dal fatto della presenza di due mezzi dovuta al punto di saturazione
dell’ossigeno alla pressione parziale di 47 mmHg e la formazione di acqua; se ci fosse un solo mezzo al livello superfi-
ciale saranno presenti sia forze di repulsione elettrica che forze di repulsione molecolare, in questo caso con un solo
mezzo le molecole avranno più possibilità di muoversi acquistando maggiore energia libera diminuendo così l’ener-
gia potenziale chimica, sarà possibile scrivere una relazione che afferma che la differenza di energia potenziale chi-
mica è direttamente proporzionale alla tensione superficiale.

Se la tensione superficiale, dovuta all’interfaccia tra i mezzi, non fosse contenuta da una struttura elastica l’alveolo
scoppierebbe. Quindi poiché la tensione superficiale è funzione del raggio si avrà una famiglia di tensioni superficiali
che man mano che il raggio si riduce la tensione superficiale diventa più piccola perché c’è più presenza di tensioat-
tivo; tale famiglia di curve permetterà un graduale collasso dell’alveolo.

12/06/2014
Elasticità ideale/elasticità reale

La trattazione dinamica si riferisce a dei flussi, cioè come un volume d’aria en-
tra ed esce dai polmoni in un’unità di tempo. La ventilazione polmonare sarà
definita come il prodotto tra il volume considerato ed il numero di atti respi-
ratori, quindi nel caso del volume corrente si avrebbero 500 ml moltiplicati
per 12 atti respiratori al minuto; in questo caso si parlerà di ventilazione pol-
monare totale poiché 500 ml sono i ml di aria che entrano ed escono, non solo
quelli scambiati; la ventilazione alveolare, che comprende cioè il volume d’aria
che partecipa allo scambio, sarà in relazione a 350 ml. Quindi, un soggetto
standard, in un minuto incamera circa 6 litri d’aria, ma solo 4 litri partecipano
allo scambio. L’aria entra ed esce dall’albero respiratorio di moto laminare
lungo condotti di diametro maggiore, se incontra diramazioni, ostruzioni, restringimenti il moto diventerà turbo-
lento; quindi sarà necessario reintrodurre l’equazione Roher, quindi l’energia cinetica, il numero di Reynolds e la ve-
locità critica.

Responsabile dell’attività ritmica ed involontaria


della respirazione è il centro bulbare della ritmicità
dove sono presenti cellule pacemaker simili alle car-
diache, le quali comandano il ritmo respiratorio. Il
pattern respiratorio durante una respirazione tran-
quilla si ha un’ispirazione della durata di due se-
condi ed un’espirazione che dura tre secondi, quindi
un atto respiratorio dura circa cinque secondi. Il pat-
tern respiratorio, dove l’inspirazione è un atto attivo
che dipende dal diaframma, quindi i centri comandano i motoneuroni (cioè il corpo cellulare dei neuroni di moto)
del solo muscolo diaframma, poiché si sta parlando di respirazione tranquilla; all’apice dell’inspirazione il diaframma
termina il suo operato ed ha inizio l’espirazione passiva.

Il controllo della ventilazione agirà sull’aumento della frequenza respiratoria e sulla profondità del respiro, quindi
l’aria che verrà incamerata. Tale modulazione avviene sia mediante un parametro nervoso che uno chimico.

Al livello del midollo allungato si hanno due gruppi di neuroni: quelli inspira-
tori e quelli espiratori; tali neuroni sono cellule pacemaker. Quindi il ritmo re-
spiratorio si auto-genera a livello bulbare; quindi al livello bulbare oltre al cen-
tro vasomotore che comanda cuore e vasi c’è una parte che comanda i muscoli
respiratori. I due gruppi di neuroni che determinano l’inspirazione e l’espira-
zione ovviamente non potranno lavorare simultaneamente, essi si inibiranno
reciprocamente. Se si lasciasse soltanto il centro bulbare della ritmicità si
avrebbe un respiro che ha un’inspirazione prolungata ed una pausa espiratoria
breve; questo perché le cellule pacemaker non sono cellule espiratorie, ma so-
lamente inspiratorie; il centro bulbare della ritmicità genera il treno di potenziali d’azione ma non determina quando
finire o iniziare l’ispirazione o l’espirazione; infatti sarà il centro pontino a dare la ritmicità, tale centro non genera il
ritmo ma influisce sul timing; quindi il centro bulbare per quanto riguarda l‘inizio e la fine dell’inspirazione e
dell’espirazione è controllato dal centro pontino; quindi durante l’inspirazione arriverà al diaframma un treno di po-
tenziali d’azione che verrà interrotto durante l’espirazione per garantirne il rilasciamento, poiché si parla di espira-
zione tranquilla i muscoli espiratori non interverranno.

Poiché se è presente il solo centro bulbare sarà presente un’ispirazione lunga ed espirazione breve significa che è co-
munque presente una struttura in grado di garantire una ritmicità; infatti se non ci fosse tale struttura si dovrebbe
avere un’inspirazione indeterminata; tale struttura sarà data da dei recettori presenti a livello polmonare, essi non
rispondono quasi mai, tuttavia se il polmone è eccessivamente disteso col rischio di rompere la struttura elastica tali
recettori che avvertono la tensione permettono di interrompere inspirazione, tuttavia man mano che il polmone col-
lassa la tensione diminuisce e quindi i recettori non invieranno più alcun segnale è ricomincia l’inspirazione; quindi
questi recettori sensibili allo stiramento sono strutture riflesse in grado di inibire i neuroni del centro inspiratorio.

Il controllo chimico del respiro, che si riallaccerà al sistema renale, è costituito


da chemocettori centrali e periferici: sia quelli centrali che quelli periferici sono
sensibili alle variazioni H+, sono quindi sensibili alle valenze acide; gli acidi ori-
ginati dalla scissione dell’anidride carbonica sono detti acidi volatili, mente
quelli originatisi da altre fonti sono detti acidi fissi. I chemocettori centrali sono
sensibili sono agli H+ che derivano dall’anidride carbonica; mentre quelli peri-
ferici saranno sensibili a solo a quelli che derivano dagli acidi fissi; in più si ha
che il contro centrale è anche in grado di captare lo ione CO2H-; mentre solo a
livello periferico saranno presenti recettori per l’ossigeno. Si ha questa distin-
zione poiché a livello centrale la barriera ematocefalica è impermeabile agli ioni H+, quindi al livello dello scambio
l’anidride carbonica sarà in grado di attraversare la barriera; la quale si scinderà successivamente in ioni per idrata-
zione, quindi i chemocettori centrali dovranno essere in grado di captare gli H+ derivati dall’anidride carbonica, in-
fatti quelli derivati dagli acidi fissi non sono in grado di attraversare la membrana. Tali recettori, in caso di un eccesso
di anidride carbonica, genereranno un potenziale di generatore che genera un treno di potenziali d’azione che arri-
verà al centro bulbare della ritmicità per aumentare la frequenza e la ritmicità del respiro al fine di eliminare l’eccesso
di anidride carbonica. Al livello periferico saranno anche presenti dei re-
cettori per la pressione parziale d’ossigeno arteriosa, quindi saranno pre-
senti dei recettori per l’ossigeno che scaricheranno solamente quando la
pressione parziale dell’ossigeno sarà molto bassa, cioè quando il livello
della pressione parziale a livello delle arterie scende intono ai 60 mmHg.
In caso di avvelenamento da monossido di carbonio tali recettori non sca-
ricano perché preferenzialmente il monossido di carbonio si legherà
all’emoglobina invece dell’ossigeno quindi rimarrà ossigeno in circolo facendone aumentare la pressione.

L’aria inspirata e parteciperà allo scambio sarà il 21% di ossigeno e lo 0% di anidride carbonica, l’aria espirata sarà
16% di ossigeno e 4% di anidride carbonica. Quindi al livello dell’alveolo è necessario che esso riceva aria, ma anche
sangue dai capillari per poter far avvenire lo scambio, sarà quindi ventilato e perfuso. Gli scambi alveolo capillare sa-
ranno quindi scambi in entrambi i sensi; tali scambi avvengono per diffusione poiché i gas sono in grado di attraver-
sare il doppio strato lipidico; si ha allora che il flusso del gas è direttamente proporzionale alla superficie di contatto, il
gradiente pressorio ed un coefficiente di diffusione. Ha particolare rilevanza il fatto che il flusso è direttamente pro-
porzionale al gradiente pressorio e al coefficiente di diffusione; sapendo che il coefficiente di diffusione dell’ossigeno
è molto diverso da quello dell’anidride carbonica è ovvio che dando lo stesso gradiente pressorio il flusso di un gas
sarà minore di quello dell’altro; quindi per avere un flusso eguale bisognerà che i due gas abbiano gradienti pressori
diversi: per l’anidride carbonica sarà 6 mmHg, per l’ossigeno 60 mmHg. In particolare il coefficiente di diffusione
dipende dalla solubilità del gas e dalla radice quadrata del suo peso molecolare; si avrà che il coefficiente di diffusione
risulterà molto diverso appunto perché sarà la solubilità ad essere molto differente.

Quindi considerato un alveolo si ha che il sangue capillare in arrivo è carico di anidride carbonica e povero di ossi-
geno; quindi nel sangue venoso è presente una pressione parziale (si parla sempre di gas fisicamente disciolti perché
solo tali gas forniscono una pressione parziale) di ossigeno di 40 mmHg e di anidride carbonica di 46 mmHg; tale
sangue rimane a contatto con l’alveolo per poi proseguire con una pressione parziale di ossigeno di 100 mmHg e di
anidride carbonica di 40 mmHg; quindi per far avvenire tale scambio è necessario fornire all’ossigeno un gradiente
pressorio 10 volte maggiore di quello dell’anidride carbonica (60\6 mmHg) gradiente che è in funzione della solubi-
lità in acqua dei gas. Complessivamente gli scambi avvengono tra due battiti, quindi a riposo dura circa 0.8-0.9 se-
condi, ma in condizioni di affaticamento il tempo di scambio si riduce poiché aumenta la frequenza cardiaca scen-
dendo intorno a 0.5 secondi; ma comunque la pressione parziale d’ossigeno per variare da 40 a 100 mmHg ci impiega
circa 0.25 secondi; quindi sarà comunque possibile effettuare lo scambio, ammesso che ci si trovi ad una pressione
barometrica di 760 mmHg; in alta quota poiché la pressione parziale all’interno dell’alveolo dell’ossigeno diminuisce
si ha che il tempo necessario per far avvenire lo scambio sarà maggiore, quindi è possibile giungere ad una quota per
la quale non si sarà più in grado di effettuare lo scambio poiché la tempo di scambio non è compatibile con velocità
del circolo poiché si ha troppo poco tempo di contatto. Nel caso specifico della fibrosi poiché la membrana risulta
essere più spessa è necessario un tempo maggiore per lo scambio; l’edema polmonare è che per un qualche motivo c’è
un ristagno di sangue a livello del circolo polmonare facendo aumentare la pressione finché il fluido non fuoriesce a
livello tissutale; se tra l’alveolo e il capillare è posta troppa acqua per la poca solubilità dell’ossigeno nei capillari non
giunge abbastanza ossigeno.

16/06/2014
Il baricentro del corpo (il punto di applicazione della forza peso) umano per essere localizzato bisogna considerare
vari segmenti corporei per semplificare il calcolo; di tali segmenti bisogna sapere quanto pesa il segmento stesso e cal-
colarne il baricentro; i pesi ed i baricentri saranno identificati da delle tavole. Il baricentro, fisicamente, dopo aver ese-
guito i calcoli, è all’incirca sotto il livello dell’ombelico; ma dal punto di vista medico il punto trovato non è accetta-
bile fisiologicamente poiché la curvatura del rachide è variabile per ogni soggetto; si considera allora un punto per il
baricentro più spostato al livello della spina dorsale; dopo di che sarà possibile costruire la linea gravitaria, cioè l’asse
di simmetria che passa dal baricentro e cade nella base d’appoggio, si nota che, quando il soggetto è posto su una bi-
lancia che calcola ogni variazione di forza su di essa esercitata, il baricentro si muove continuamente, quindi per man-
tenere la posizione eretta ogni oscillazione del corpo dovrà essere corretta dal SNC, si parlerà allora di pendolo in-
verso proprio per l’oscillazione pendolare del corpo.

Nell’emisfero dominante si trova il centro della parola, che non è un centro sensitivo
bensì motorio, perché per parlare è necessario l’impiego di muscoli; quindi, poiché si
interviene sulla muscolatura (anche polmonare) per parlare bisogna modificare vo-
lontariamente il pattern respiratorio. Per dimostrare l’esistenza di emisfero domi-
nante e di uno recessivo si utilizza un esperimento nel quale con una mano viene
fatto prendere al soggetto un oggetto, mentre il soggetto osserva due scritte, una raf-
figurante il nome dell’oggetto in mano e l’altra quello di un altro oggetto; a seconda
di quale dei due oggetti il soggetto dirà di stare tenendo in mano si potrà capire se l’emisfero dominante è il destro o il
sinistro. Questo perché anche se l’emisfero recessivo trasmette delle informazioni grazie al corpo calloso l’emisfero
dominante appunto dominerà comunque.

La fonazione avviene poiché una struttura permette di emettere l’aria dal sistema respiratorio che passando attraverso
lo spazio morto anatomico uscendo incontra le corde vocali, le quali vibrando in funzione del mantice polmonare
permettono così di emettere suoni diversi; poiché il suono è vibratorio esso si potrà scomporre nelle sue componenti
in frequenza in modo da desintetizzare e risintetizzare la voce; in modo tale da poter generare una voce umana. Pro-
durre il linguaggio è un atto motorio, quindi i suoni si producono se e solo se c’è un’attività dovuta al movimento di
muscoli: polmonari, della laringe, della bocca. Il fatto che un soggetto sia in grado di riprodurre un linguaggio implica
che esso l’abbia precedentemente udito, se non avesse mai avuto la possibilità si ascoltarlo esso saprebbe riprodurre
dei suoni ma non delle parole; non è ancora noto il legame tra l’ascolto e l’emissione del suono, ma probabilmente il
legame tra udito e linguaggio è che quando si parla nel frattempo si ascolta il ritorno di quanto detto.

L’aria emessa dal mantice polmonare incontra le corde vocali facendole vibrare, il suono prodotto verrà modulato dai
muscoli al livello della glottide ed al livello della bocca che seguiranno. L’emissione delle vocali è molto diverso
dall’emissione delle consonanti poiché le lettere che modificano il pattern respiratorio saranno le vocali (le quali
avranno tra loro ovviamente componenti in frequenza diverse), quindi esse sono fenomeni periodici scomponibili
nelle loro frequenze, invece le consonanti sono l’aggiustamento ad opera dei muscoli.

Il comando che parte dal cervello andrà ai motoneuroni dei muscoli della gabbia toracica (o delle vie aeree superiori)
per modificare il pattern respiratorio. Durante una respirazione tranquilla l’inspirazione e l’espirazione avranno circa
la stessa durata, allora si avrà che il pattern respiratorio cambia perché per parlare sarà necessario inspirare veloce-
mente una grande quantità di aria (maggiore di quella necessaria per imporre la pressione necessaria alla fonazione) e
l’espirazione sarà graduale e molto lunga; durante l’attività aumenta la pressione nel circolo polmonare e quindi au-
menta il lavoro cardiaco. L’aria incontra la glottide, e quindi le corde vocali che acquistano una frequenza di vibra-
zione ed un’ampiezza di vibrazione, dipendente dalla quantità di aria emessa e dalla sua velocità, saranno allora le
corde vogali a generare il suono delle vocali; successivamente i muscoli della bocca vengono modificate le consonanti
espresse. Tutto ciò avviene grazie al centro del Broca dai neuroni della quale area partono gli impulsi che andranno
nei muscoli; in un soggetto sordo dal centro del Broca patiranno degli impulsi che permetteranno di emettere sola-
mente dei suoni, quindi un soggetto sorto sarà anche muto.

Il pattern respiratorio in una respirazione tranquilla è modulato grazie ai


chemocettori che inviano informazioni al centro bulbare della ritmicità,
impostano quindi un pattern respiratorio fisiologico involontario in
modo tale da soddisfare la richiesta d’ossigeno muscolare. Il pattern se-
guito non è basato su inspirazioni ed espirazioni tranquille, ma sarà come
nel grafico a lato; si ha che il volume polmonare percentuale aumenta ra-
pidamente fino al 100%, cioè il valore necessario per emettere la fona-
zione ad una bene determinata intensità, quindi l’inspirazione sarà molto intesa e breve; successivamente si devono
reclutare i muscoli espiratori in modo tale che l’espirazione sia più lunga dell’inspirazione, in modo tale da emettere
la parola, questo poiché bisogna apporsi al collasso del polmone per mantenere una pressione costante necessaria
all’emissione del fonema.

Per poter parlare sarà necessario mantenere l’aria sotto una pressione
costante rappresentata in grafico dalla linea verticale, la pressione scelta
dipende dal tono che si vuole emettere; nella fonazione non si seguirà
allora la curva di rilasciamento del sistema toraco-polmonare poiché
anche variando il volume si vuole mantenere una pressione costante.
Partendo dalla zona in alto a destra e diminuendo il volume si ha che
inizialmente si dovranno reclutare i muscoli inspiratori in modo da ri-
durre la pressione esercitata sull’aria e giungere alla pressione richiesta,
infatti se non si reclutassero i muscoli inspiratori per volumi maggiore la
pressione corrispondente sarebbe maggiore; successivamente passando
per il punto di equilibrio non è necessaria alcuna azione muscolare,
quindi non viene reclutato alcun muscolo; riducendo ancora il volume si
va sotto il punto di equilibrio è si ha che il polmone si sta riducendo ec-
cessivamente quindi si recluteranno muscoli espiratori per cercare di
espirare gradatamente per mantenere la pressione costante, la pressione
verrà mantenuta costante perché durante l’espirazione l’aria viene com-
pressa e quindi la pressione aumenta. Quindi si scende lungo la curva di
rilasciamento (nella quale in respirazione tranquilla sarebbe possibile senza dispendio energetico) riducendo i volumi
reclutando quindi prima muscoli inspiratori per ridurre la pressione e poi muscoli espiratori per aumentarla in modo
da mantenere costante la pressione.

Per poter sintetizzare la voce è necessario tener presente che le sillabe più
semplici, cioè l’unione di consonante è vocale sono costituite da tre bande so-
nore a differente frequenza dette formanti; quindi ogni sillaba è costituita da
tre formanti che sono le bande sonore con diversa frequenza che costitui-
scono la sillaba stessa. Le tre formanti si scomporranno come in figura (per
formare la sillaba da). Se si volesse formare la sillaba ga si ha che le prime due
formanti sono uguali, varierà solo la terza, infatti nella sillaba da si ha che si
va da una frequenza più alta ad una più bassa, mentre nella sillaba ga si pro-
cede da una frequenza più bassa ad una più alta; quindi per sintetizzare una
sillaba invece che un’altra bisognerà variare la terza formante. In più si ha che le formanti variano anche in base al
fatto se a parlare è un uomo (frequenze delle formanti più gravi), una donna (frequenze più grandi), un bambino (fre-
quenze ancora maggiori).

Per la postura eretta umana e per la forza di gravità si ha che la parte più basale del polmone è schiacciata dalla gravità
e quindi tende ad essere difficilmente ventilata rispetto all’apice che invece tende ad essere difficilmente perfuso;
quindi il rapporto ventilazione perfunzione è di circa 0.8; ciò significa che, per un soggetto con un sistema polmonare
sano, è presente circa il 20% degli alveoli che in condizioni fisiologiche è o mal ventilato o mal perfuso, questo per via
della forza di gravità; quindi allo spazio morto anatomico si aggiunge lo spazio morto fisiologico, corrispondente ai
alla parte di alveoli che non partecipano allo scambio. Presupponendo un alveolo ventilato e perfuso è evidente che
l’alveolo dopo aver incamerato l’aria effettuerà degli scambi alveolo capillari.

L’emoglobina, che è per antonomasia il trasportatore dell’ossigeno, avrà anche un ruolo fondamentale nel trasporto
dell’anidride carbonica; funzione di traporto che assumeranno tuttavia quasi tutte le proteine plasmatiche. Conside-
rato l’ossigeno si ha che il 95% di esso viene trasportato al livello del capillare polmonare e si lega all’emoglobina pre-
sente nei globuli rossi; il restante 5% sarà fisicamente disciolto. La presenza dell’emoglobina è fondamentale poiché,
per la bassa solubilità dell’ossigeno, si necessita di un trasportatore per l’ossigeno e non per l’anidride carbonica;
quindi è ovvio che il trasporto dell’ossigeno è limitato dalla presenza dell’emoglobina mentre il trasporto dell’ani-
dride carbonica non lo è; quindi la quantità d’ossigeno trasportata nel sangue dipende dalla concentrazione dell’emo-
globina.

Considerando la legge di Fick, che lega la gittata cardiaca al consumo di ossigeno:

𝑉𝑉̇ 𝑂𝑂2
𝑄𝑄̇ =
[𝑂𝑂2 ]𝑝𝑝𝑝𝑝 − [𝑂𝑂2 ]𝑝𝑝𝑝𝑝

Si otterrebbe, sapendo che la concentrazioni di ossigeno nel sangue arterioso è di 0.3/100 ml di plasma e che conside-
rando che il consumo di ossigeno vari da un valore standard di 250 ad un valore di 3000 si otterrebbe che la gittata
cardiaca avrebbe valori troppo altri che richiederebbe un cuore di dimensioni troppo grandi. Si avrebbe altresì che se
l’ossigeno fosse solamente fisicamente disciolto si otterrebbe una presenza di ossigeno nell’organismo troppo bassa;
quindi l’ossigeno verrà trasportato legandosi ad un trasportatore; invece l’anidride carbonica essendo altamente solu-
bile non avrà bisogno di un trasportatore. I trasportatore fa parte del gruppo eme, cioè ha la caratteristica di avere
nella parte centrale un gruppo porfirinico che presenta un atomo di ferro che legherà in maniera reversibile l’ossi-
geno, come altre molecole; quindi ci saranno problemi di affinità per l’ossigeno alla proteina:

𝐻𝐻𝐻𝐻 + 𝑂𝑂2 ↔ 𝐻𝐻𝐻𝐻𝑂𝑂2


Tuttavia è stata studiata principalmente la mioglobina che appartiene sempre alla famiglia delle globine e presenta
una sola sub-unità anche che quattro come l’emoglobina; la differenza tra mioglobina è l’emoglobina è l’oggetto coo-
perativo, cioè quando l’emoglobina lega un atono di ossigeno ad un gruppo si ha che molto facilemnte verranno le-
gati anche gli altri tre atomi. Quando l’emoglobina risulta essere ossigenata si ottiene l’ossiemoglobina e è caratteriz-
zata dal fatto di essere rosso vivo, mentre l’emoglobina de ossigenata sarà caratterizzata da un rosso scuro. Poiché la
reazione è reversibile l’ossigeno potrà essere scambiato.

La funzione dell’ossigeno disciolto fisicamente nel sangue sarà quella di generare una pressione parziale d’ossigeno,
infatti quando l’ossigeno si lega con l’emoglobina essi non essendo più in forma gassosa non generano più alcuna
pressione parziale; infatti i chemocettori avvertono la pressione parziale d’ossigeno, quindi l’ossigeno fisicamente
disciolto servirà a far generare ai chemocettori degli impulsi. È fondamentale conoscere la concentrazione di emoglo-
bina nel sangue, si ha che nell’uomo sarà 16 gr/100 ml di plasma mentre nella donna 15 gr/100 ml di plasma; quindi
la donna non potrà mai eguagliare l’uomo in capacità aerobica poiché per trasporta la stessa quantità di ossigeno la
donna dovrà aumentare maggiormente la gittata cardiaca. Noto che un grammo di Hb lega 1.34 grammi di ossigeno,
cioè la capacità di emoglobina per l’ossigeno; ed il grado di saturazione dell’emoglobina, per calcolare la quantità di
ossigeno trasportata ai tessuti bisognerà eseguire una moltiplicazione tra la concentrazione dell’ossigeno per l’ossi-
geno trasportato per il coefficiente di saturazione del sangue.

Si ha che la quantità di ossigeno traportata a tessuti dipende


dalla pressione parziale dell’ossigeno stesso; considerata la
curva di saturazione dell’Hb per l’ossigeno, si ha che in
ascissa è presente la pressione parziale dell’ossigeno ed in or-
dinata la percentuale di saturazione dell’emoglobina; quindi
si analizza quanto ossigeno si leva all’emoglobina in funzione
della pressione parziale dell’ossigeno; si ha che l’emoglobina
inizialmente carica, giunta una pressione parziale di circa 40
mmHg, cioè al livello dei tessuti, l’emoglobina cederà l’ossi-
geno spostando la reazione verso sinistra; si ha anche la pre-
senza di un tratto di platò infatti quando la pressione parziale
è di circa 80 crescendo la percentuale di saturazione
dell’emoglobina rimane circa costante al 97-98%; il platò
rappresenta fino a che quota l’uomo è in grado di vivere con
una percentuale di saturazione fisiologica; a quote maggiori si ha che fisiologicamente il numero di globuli rossi au-
menta, aumentano quindi l’emoglobina. Andando ad una quota alla quale la pressione parziale d’ossigeno è di 60
mmHg al livello dell’alveolo è chiaro che l’emoglobina inizia a denaturare, giungendo ad un’altitudine dove la pres-
sione è di 40 mmHg saranno necessarie delle bombole; quindi man mano che la pressione scende l’emoglobina si tra-
sforma in una proteina che cede l’ossigeno ed essere sempre in forma ridotta, è questo il motivo per il quale sono ne-
cessari delle bombole ad quote con pressione parziale d’ossigeno di 40 mmHg o minore. La curva ottenuta per la sua
forma è detta curva sgmoide o S-shaped. Quando un processo chimico, come questo, non è lineare viene impiegato il
t mezzi, cioè il tempo di dimezzamento, o in questo caso particolare la pressione di dimezzamento, per ottenere una
valore medio attendibile, cioè un valore in ascissa per il quale l’ordinata è al 50%; quindi si cerca una pressione par-
ziale d’ossigeno per la quale il livello di saturazione è del 50%; cioè si ha poiché nella zona ripida non avendo un va-
lore lineare non si può attribuire un valore d’interesse osservando una retta, si considera allora la P50.

Confrontando l’emoglobina materna con quella fetale si nota che quella fetale è diversa poiché deve essere il feto a
captare l’ossigeno dalla madre e non il contrario; quindi l’emoglobina fetale dovrà avere una P50 minore ed allora
risulterà più spostata verso sinistra.
Nel caso in cui si compia un lavoro muscolare si ha che l’emoglobina
deve cedere ossigeno, quindi tutti i parametri tipici di un lavoro mu-
scolare sono tipici di una curva spostata verso destra con un P50 mag-
giore, mentre verso sinistra l’affinità dell’emoglobina con l’ossigeno si
riduce. Quindi essa si sposterà verso destra se il pH diminuisce e la
temperatura aumenta, a sinistra nel caso opposto. Lo stesso vale per il
metabolismo, se il metabolismo è intenso la curva si sposterà verso de-
stra; mentre in alta quota per cercare di trattenere più ossigeno possi-
bile l’affinità aumenterà e la curva si sposterà verso sinistra. Al livello
muscolare è presente la proteina mioglobina che è caratterizzata
dall’avere una P50 molto bassa, cioè finché è presente emoglobina essa
non cede l’ossigeno essendo una proteina di riserva; quindi l’affinità
aumenta quando la pressione parziale d’ossigeno è bassa nella curva
poiché significa che la proteina rilascerà ossigeno se e solo se si giunge ad una mancanza di ossigeno quindi con una
bassa pressione parziale.

Per quanto riguarda l’anidride carbonica si ha che essa si dissocia in H+ e CHO3- si ha che il protone sarà trasportato
da tutte le proteine plasmatiche, infatti esse hanno una funzione di tampone; si avrà che quando l’emoglobina arriva
ai tessuti denaturandosi in Hb essa si legherà col protone diventando HHb; dunque il trasporto dell’anidride carbo-
nica potrà essere visto come una prima dissociazione ionica e poi per trasporto nel plasma di uno ione e per mezzo di
proteine, non solo l’emoglobina, dell’altro si ricreerà anidride carbonica la quale verrà espirata.

17/06/2014
Partendo dai vari ordini di modello sviluppa un parallelismo tra la meccanica del sistema muscolare, cardiocircolato-
rio re respiratorio.

Una tra le funzioni del rene è quella di filtrare il sangue, tuttavia tale funzione non è la principale; la sua principale
funzione è quella di permettere l’omeostasi della pressione arteriosa e della temperatura, dalla quale discende l’omeo-
stasi del pH; in generale si ha che l’omeostasi della pressione arteriosa è resa possibile dal sistema cardiocircolatorio e
dal sistema renale; l’equilibrio acido-base è garantito dal sistema respiratorio e dal sistema renale. Si ha per la regola-
zione la presenza di due sistemi poiché uno si essi fornirà una risposta a breve termine, mentre il secondo (il sistema
renale) fornisce una risposta a lungo termine che sarà definitiva; il sistema renale non sarà caratterizzato da una ri-
sposta rapida poiché dovrà reclutare degli ormoni al fine di poter fornire una risposta. Le funzioni renali si classifi-
cano in sei categorie, delle quali la prima sarà la principale e alcune delle altre categorie dipenderanno dalla prima. La
prima categoria corrisponderà alla regolazione del liquido extracellulare, cioè della volemia, cioè l’insieme dei fluidi
liberi di circolare; poiché la pressione sarà funzione della quantità di volemia si ha che la regolazione del volume dei
fluidi implicherà la regolazione della pressione arteriosa; quindi per quanto riguarda la regolazione della pressione
arteriosa si ha che il sistema cardiovascolare avrà una risposta immediata grazie all’impulso inviato dai barocettori
che rilevano una variazione nella tensione devi vasi e quindi una variazione nella pressione; quindi i barocettori invie-
ranno un impulso al sistema cardiovascolare il quale, mediante il vago ed il simpatico, modulerà l’attività cardiaca e
mediante il solo vago varierà il livello di vasocostrizione; se la risposta immediata non è sufficiente e continua ad es-
sere rilevata una variazione non fisiologica della pressione seguirà la risposta renale, il quale nel caso in cui la pres-
sione stia diminuendo cerca di trattenere l’acqua in modo da non ridurre la volemia e quindi da non ridurre ulterior-
mente la pressione.
Per mantenere lo stato di omeostasi, nel particolare per controllare la volemia, saranno presenti tre meccanismi:

1. Regolazione a monte o risposta miogena (risposta mu-


scolare), cioè vaso costringendo l’arteriola afferente sarà
possibile ridurre la quantità di sangue che giunge al rene
facendolo filtrare meno; caratteristica del rene è che i
capillari renali sono fenestrati per permettere di filtrare,
in più nel rene si ha che l’arteriola porta il sangue in un
sistema di capillari fenestrati (che per la formula raggo-
mitolata è detto glomerulo che darà la superficie di fil-
tro) i quali si ricollegheranno successivamente ad un ar-
teriola efferente e non ad una venula come dovrebbe es-
sere; bisogna anche considerare che su un 100% di sangue in entrata (in dipendenza dalla vasocostrizione
dell’arteriola afferente, inoltre tale sangue giungerà con una pressione di 10 mmHg in più nei capillari renali
che negli altri capillari sistemici) la percentuale di sangue filtrata sarà solo del 20%, mentre 80% verrà ri-
messo in circolo. L’arteriola efferente è detta rete mirabilis poiché il sistema capillare termina con una se-
conda arteriola. Tuttavia il processo di filtraggio non è un processo intelligente, quindi tutte le sostanze utili
che sono state filtrate verranno successivamente riassorbite, seguirà allora un processo di riassorbimento; per
permettere tale processo di riassorbimento ciò che viene filtrato passerà, prima di venire escreto, attraverso
la capsula di Bowmans, ovviamente ciò che viene filtrato venendo a localizzarsi nella capsula di Bowmans
eserciterà una pressione sulla stessa, tale pressione sarà di 10 mmHg in modo tale da raggiungere complessi-
vamente il valore il valore della pressione sistemica.
2. Per controllare la volemia sarà presente anche un controllo a feedback, cioè la quantità di filtrato che sta per
essere escreto invia un segnale all’arteriola afferente; infatti se a livello distale viene rilevato che il flusso au-
menta per un’eccessiva azione di filtraggio verrà inviato un impulso all’arteriola afferente in modo da au-
mentare la vasocostrizione e filtrare meno. Il messaggio che verrà inviato per feedback sarà un messaggio
paracrino, cioè da cellula a cellula; tale metodo di controllo a differenza di quello miogeno sarà un meccani-
smo di controllo prettamente renale (nel miogeno interviene il simpatico in quanto la vasocostrizione agirà
in funzione della richiesta d’ossigeno da parte dei tessuti), riuscendo mediante un meccanismo a feedback a
comunica all’arteriola afferente di aumentare la vasocostrizione.
3. L’ultimo metodo di controllo sarà quello
di attuare una regolazione a valle variando
l’osmolarità dell’urina finale. Conside-
rando la struttura renale distesa su un
unico piano si individuano elementi tubo-
lari (gialli), propri del sistema renali, ed
elementi vascolari (rosa), propri della cir-
colazione speciale a livello renale; i quali
elementi saranno continuamente in
stretto contatto per permettere gli scambi
necessari per il filtraggio e di riassorbi-
mento. Gli elementi vascolari poiché cir-
condano il tubulo saranno detti capillari peritubolari che non saranno tuttavia i capillari fenestrati. Suddivi-
dendo lo schema in figura in tre tratti si ha un primo tratto rene prossimale a sinistra; un tratto a forma di U
centrale, detto ansa di Henle (che ha un tratto ascendente spesso dove ci sono delle pompe); un tratto rene
distale a destra. La porzione prossimale è quella dove avvengono i meccanismi obbligatori, cioè dove av-
vengo i riassorbimenti detti obbligatori, poiché le sostanze vengono assorbite obbligatoriamente, cioè non
c’è una possibilità di scelta; a livello distale si avranno processi di carattere facoltativo, cioè si ha nei reni che:
al livello prossimale gli epiteli sono permeabili alle sostanze, le quali ovviamente passeranno; al livello distale
gli epiteli potranno essere o meno permeabili alle sostanze, in particolare all’acqua; se l’epitelio è impermea-
bile all’acqua si ha che l’acqua non viene più riassorbita e quindi verrà eliminata, se invece l’epitelio è per-
meabile all’acqua essa verrà riassorbita e quindi non eliminata; saranno gli ormoni a variare la permeabilità
dell’epitelio, infatti se presenti renderanno l’epitelio permeabile e viceversa. In particolare sarà il sodio a re-
golare il riassorbimento obbligatorio, infatti in presenza di poco sodio il riassorbimento obbligatorio risul-
terà essere ridotto, quindi si potrà modulare ottimamente il riassorbimento facoltativo, il quale regola a valle
l’osmolarità dell’urina finale; dove si ha che l’osmolarità corrisponde al numero di moli di una sostanza pre-
senti in un litro di acqua, quindi se l’osmolarità è minore può sia significare che è diminuita la sostanza sia
che è aumentata la quantità di acqua. Quindi variando l’osmolarità dell’urina finale significa che nell’urina è
presente più o meno acqua.

Si potrà allora dire che la seconda categoria sarà quella di regolare l’osmolarità, che quindi non sarà altro che un co-
rollario della prima categoria poiché la prima si basa sulla regolazione di volumi. L’osmolarità nel plasma è di 300
milliosmolare (mOsM), si parla di osmolarità del plasma poiché i componenti corpuscolati del sangue quali i globuli
rossi non verranno filtrati.

La terza categoria sarà il mantenimento del bilancio ionico che sarà comunque legato con mantenimento costante del
volume, quindi anche la terza categoria è un corollario della prima. In particolare lo ione H+ oltre ad essere mante-
nuto costante dai reni verrà mantenuto costante anche di polmoni attraverso il centro bulbare della ritmicità il quale
riceve impulsi sia dai chemocettori centrali sia da quelli periferici; così verrà regolata la capacità di tali ioni, quindi
inizialmente si avrà un controllo respiratorio e successivamente interverrà un controllo renale.

Saranno presenti degli osmocettori, cioè dei recettori di osmolarità che faranno sì che il rene moduli il suo operato.

La quinta categoria coincide col fatto che il rene elimina i prodotti di scarto; per attuare ciò si ha che tutte le sostanze
verranno filtrate per dimensioni, dopodiché con dei meccanismi di riassorbimento le sostanze utili non verranno im-
mediatamente escrete ma verranno riassorbite; quindi il filtraggio per dimensioni non filtrerà né le proteine né i glo-
buli rossi; se si trovassero delle proteine inizialmente si troverebbero proteine di piccole dimensioni cioè le albumine,
quindi se così fosse significa che la maglia di filtraggio si è come allentata lasciando passare sostanze di dimensioni
maggiori; tuttavia il fatto di trovare nelle urine sostanze anomale non indica necessariamente una patologia, infatti è
possibile che vi è un eccesso di tale sostanza e quindi è possibile scartarne in parte per raggiungere livelli fisiologici.

La sesta categoria è la produzione renale di ormoni, tuttavia il rene non è annoverato tra gli organi che producono
ormoni; questo perché il rene produce la renina la quale non è un ormone, ma un enzima che però è il precursore di
un ormone effettivo chiamato aldosterone; il rene produrrà anche eritropoietina fondamentale per la produzione di
globuli rossi; produrrà anche la proteina D3 fondamentale per la produzione dell’ormone necessario alla calcifica-
zione ossea.

Gli elementi tubulari e vascolari procedono parallelamente; un’elevata perfusione (arrivo di sangue) è una caratteri-
stica fondamentale per un buon funzionamento renale, quindi se si ha un’elevata vaso costrizione a monte è evidente
che la funzione di filtro risulta essere ridotta, se invece si ha una vasodilatazione a livello renale la funzione di filtro
sarà ampliata; il flusso ematico (in arrivo, quindi non plasmatico che sarà il flusso filtrato) renale è circa 1200 ml/min
cioè circa il 20-25% della gittata cardiaca (5 litri) il sangue in arrivo non ha una funzione metabolica, cioè per cedere
ossigeno e prelevare anidrite carbonica, infatti in uscita non si avrà una venula ma un’arteriola, in più esso entra nella
rete mirabile e si ha che ti questo 100% di sangue in entrata (il 20-25% del totale) sarà solo per il 20% filtrato e per
l’80% sarà reimmesso in circolo.

Gli elementi vascolari si originano da un’arteria renale la quale segue in arteriole efferenti, il glomerulo, l’arteriola
efferente che continuerà con i capillari peritubulari (che circondano il tubulo e quindi saranno essi e riportare in cir-
colo le sostanze) i quali procederanno verso il sistema venoso che fluirà nella vena renale.

Come elemento renale viene considerata un’unità funzionale quale il nefrone,


quindi poiché il rene è costituito da nefroni, studiando il funzionamento del
nefrone si comprenderà in funzionamento del rene stesso. Poiché il rene ha
una parte più esterna detta corticale ed una più interna detta midollare, si ha
che non tutti i nefroni sono tra loro uguali infatti alcuni nefroni si addentrano
di più nell’area midollare ed altri rimangono più superficiali; la differenza tra
nefroni più superficiali e nefroni più profondi sta solo e soltanto nella lun-
ghezza dell’ansa Henle; tutti i calcoli che seguiranno saranno relativi ai nefroni
più lunghi; quindi si otterranno valori al limite poiché non essendo tutti i ne-
froni di tale lunghezza il valore reale sarà certamente minore. I nefroni (che hanno inizio al livello della corteccia re-
nale) si suddivideranno in:

• Superficiali: con anse di Henle corte e corpuscoli situati nella zona corticale.
• Iuxtaglomerulari: con anse di Henle lunghe che proseguono nella zona midollare e corpuscoli situati al con-
fine tra la regione corticale e midollare.

Si tratterà ora l’anatomia del nefrone (il quale è costituito sia da elementi
tubulari che vascolari, i quali avranno funzione di riassorbimento e di
trasporto del sangue e del plasma): gli elementi tubulari hanno origine
dalla capsula di Bowman dove è presente il filtrato, filtrato che proseguirà
nel tubulo contorto prossimale (contorto perché è costituito da anse e
prossimale poiché è il più vicino); nel tubulo contorto prossimale avver-
ranno i primi scambi obbligatori, quindi ciò che verrà riassorbito a livello
prossimale verrà modulato dal sodio e avverrà in maniera obbligatoria;
all’uscita dal tubulo contorto prossimale si ha l’ansa di Henle, cioè la
struttura di lunghezza variabile che preparerà all’assorbimento facoltativo; successivamente seguirà il tubulo distale
(esso non è costituito da anse, il tubulo distale sarà in più a contatto con le arteriole afferenti e quindi sarà possibile
trasmettere un segnale per via paracrina dalle cellule del tubulo distale a quelle dell’arteriola afferente generando
quindi un feedback negativo, dal quale dipenderà la produzione di renina, necessario per l’omeostasi della pressione
arteriosa perché servirà a variare il volume e
quindi la volemia), ciò che arriva al tubulo
distale costituirà la pre-urina quindi proce-
derà verso il dotto connettore per poi arri-
vare in vescica dalla quale verrà successiva-
mente escreta; la quantità di soluto escreta
(E) sarà data dalla quantità filtrata (F) meno quella riassorbita (R) più quella secreta (S), la parte segreta ci sarà
quando in caso di urgenza, poiché viene filtrato solamente il 20% per volta, bisogna eliminare immediatamente una
qualche sostanza, quindi la secrezione sarà un raro meccanismo attivo; tali processi saranno quelli che avvengono
all’interno del rene.

Al giorno vengono filtrati 180 litri di sangue, quindi poiché in totale sono presenti 5 litri di sangue si ha che il sangue
verrà filtrato 60 volte in un giorno poiché per ogni filtraggio verrà filtrato solo il 20% del 20-25% del sangue totale. Il
filtrato avrà un’osmolarità di 300 mOsM, cioè è isooscmotico al plasma, cioè per essere tale verranno riassorbiti acqua
e sali sempre nella stessa quantità, perché riassorbendo più ac-
qua che sali diventerebbe iperosmotico, se si assorbe più sale
che acqua diventerebbe ipoosmotico. In base al tratto del ne-
frone considerato sarà l’osmolarità potrà variare in funzione
dell’acqua e dei Sali come dalla tabella a lato; l’osmolarità nel
tratto prossimale non varia per via dell’assorbimento obbliga-
torio, mentre nel tratto distale può variare in base al grado di
riassorbimento tra 50 e 1200 mOsM.

Nella filtrazione i capillari glomerulari saranno circondati da podociti, cioè fessure che lasceranno passare le sostanze
in base alle loro dimensioni. In tale struttura fenestrata i globuli rossi non passeranno, invece le proteine che non pas-
sano e si dispongono nei pressi della membrana, essendo carica negativamente, respingerà le altre proteine che si av-
vicinano alla membrana; quindi le proteine non vengono filtrate sia perché sono di dimensioni troppo grandi sia per
una forze elettrostatica repulsiva tra le proteine. Una patologia alla quale vanno incontro i soggetti sottoposti a dialisi
è che le fibre fenestrate che mimano i capillari globulari tendono ad intrappolare le proteine, le quali non saranno più
riassorbite; quindi le patologie legate alla dialisi sono legate sia alla sostanza di cui sono fatte le fibre sia alla dimen-
sione ed alla forma dei buchi.

La pressione arteriosa modulerà la filtrazione nel senso che per un valore di pressione media minore agli 80 mmHg
(per un fisiologico di 100 mmHg), si ha quindi che vi è un’eccessiva perdita di liquidi, oppure la filtrazione varierà per
valori di pressione media maggiori a 180 mmHg; quindi la filtrazione varia per grandi variazioni di pressione.

Nel meccanismo paracrino le cellule della macula densa, cioè le


cellule del tratto distale, comunicano con le cellule dell’arteriola
afferente dette cellule granulari; esse comunicano per via para-
crina essendo a stretto contatto; l’apparato iuxtaglomerulare è
formato dalle cellule della macula densa, dalle cellule del Me-
sangio (nella parte centrale all’interno della capsula di Bow-
man), dalle cellule granulari dell’arteriola afferente; sono quindi
presenti tre tipi di cellule, si ha che quando il flusso passa attra-
verso il tubulo distale esso fa sì che le cellule della macula densa
comunichino alle cellule del Mesangio di comunicare alle cel-
lule dell’arteriola efferente di produrre renina; nel tubulo in-
sieme all’acqua fluisce anche sodio, il quale potrà variare in
concentrazione in base al flusso; allora le cellule della macula
densa invieranno dei segnali paracrini alla cellule del Mesangio, le quali inviano segnali paracrini alle cellule dell’arte-
riola afferente; tali segnali paracrini corrispondono alla liberazione di ATP e di adenosina, i quali comunicheranno
alle cellule dell’arteriola afferente di rilasciare renina, quindi poiché sarà il tratto distale ed inviare lo stimolo iniziale
la sostanza prodotta sarà l’antecedente dell’ormone impiegato precedentemente e la renina farà sì che in un certo mo-
mento non istantaneo si ricomincerà ad assorbire sodio. L’aumento della concentrazione di sodio nella pre-urina ar-
riva alla macula densa ed innesta una risposta omeostatica, cioè volta al mantenimento, mediata probabilmente
dall’adenosina che aumenta la resistenza dell’arteriola efferente riducendo il flusso e le pressioni attenuando la per-
dita di sodio facendo produrre renina.

23/06/2014
Nello studio della filtrazione sarà necessario analizzare le forze che agiscono e determinano le filtrazione. Tali forze
saranno le medesime sia che si parli di capillari sistemici, sia che si parli di capillari glomerulari; tali forze sono le così
dette forze di Starling; si avrà una forza dovuta alla pressione idraulica, quindi una pressione di spinta (all’ingresso
capillare si ha una pressione idrostatica di 35 mmHg ed in uscita di 15 mmHg, nei capillari renali la pressione sarà di
10 mmHg maggiore, questo perché il filtrato presente nella capsula di Bowman esercita una contropressione di 10
mmHg riequilibrando la pressione); oltre alla forza idrostatica a favore della filtrazione sarà presente una forza a fa-
vore del riassorbimento, la quale sarà una forza colloido osmotica (in particolare la pressione osmotica delle proteina
è detta pressione oncotica), la pressione colloido osmotica sarà generata dalle proteine, quindi si potrà parlare di pres-
sione oncotica, nel particolare una pressione idrostatica dipende da un fattore di spinta dovuta alla forza, invece una
pressione osmotica dipende dal numero di particelle, quindi la pressione oncotica dipenderà dal numero di proteine
presenti. Quindi sarà presente una pressione idraulica in favore della filtrazione ed una oncotica in favore del riassor-
bimento; allora per sapere se si ha filtrazione o meno bisognerà fare un bilancio tra le due forze. A livello del capillare
sistemico la formazione di edema sarà dovuta al fatto che la forza di riassorbimento supera quella di filtrazione, cioè
del liquido rimane a livello interstiziale; cioè non avviene fisiologicamente poiché si ha una pressione netta di filtra-
zione intorno ai 10 mmHg, a livello del capo arterioso, mentre a livello del capo venoso la pressione idrostatica dimi-
nuisce mentre quella colloido osmotica rimane costante, poiché il numero di proteine è rimasto costante dato che
non passano la membrana, ottenendo che la pressione netta di filtrazione è di circa zero. A livello dei capillari siste-
mici l’equazione di Starling sarà semplicemente:

∆𝑃𝑃 = 𝑅𝑅𝑄𝑄̇
Al livello del capillare glomerulare si avrà una conformazione anatomica diversa e la presenza di capillari fenestrati;
quindi l’equazione di Starling sarà:

𝐽𝐽𝑤𝑤 = 𝐾𝐾𝑓𝑓 ��𝑃𝑃𝑐𝑐𝑐𝑐 − 𝑃𝑃𝑏𝑏 � − 𝜎𝜎�Π𝑐𝑐𝑐𝑐 − Π𝑏𝑏 �� = 𝐾𝐾𝑓𝑓 𝑃𝑃𝑈𝑈𝑈𝑈

Dove K sarà il coefficiente di filtrazione che dipende dalla superficie filtrante e dalla permeabilità capillare; i pedici cg
indicheranno il capillare glomerulare e b indica la capsula di Bowman; infine sigma rappresenta il coefficiente di ri-
flessione delle sostanze osmoticamente attive. Quindi il flusso (volume nel tempo) del filtrato ottenuto dipenderà
dalla proprietà anatomica della presenza della capsula di Bowman; infatti è prima presente un delta di pressione idro-
statica tra i capillari glomerulari e la capsula meno (il meno rappresenta il verso opposto delle forze) un delta di pres-
sione oncotica tra capillari e capsula per un coefficiente di riflessione sigma in base al fatto che le sostanze potranno o
meno essere filtrate. Il flusso ottenuto sarà definito filtrato o ultrafiltrato poiché corrisponde al plasma a meno delle
proteine plasmatiche.

Se il filtrato non viene riassorbito si avrà che le pressioni idrostatiche rimangono costanti, però la pressione osmotica
aumenta poiché non venendo filtrate anche le proteine quando si ha una riduzione d’acqua le proteine aumenteranno
la loro concentrazione e quindi aumenta la pressione osmotica; quindi durante il processo di filtrazione la pressione
colloide osmotica aumenta. Il processo di filtrazione si interromperà quando la forza idrostatica verrà equilibrata
dalla forza osmotica; tuttavia le forze non saranno in un equilibrio sta-
tico; infatti la pressione idrostatica rimane fissa ad un valore costante,
mentre la pressione oncotica aumenta col diminuire del filtrato.
L’esponenziale di salita della pressione oncotica dipenderà allora dal
valore che assume il flusso del filtrato; infatti portando il flusso da 100 a
200 le pressioni non varieranno ma si avrà la variazione della k
dell’esponenziale. Le proprietà del filtro dipenderanno dalle fenestra-
zioni, grazie alle quali le proteine plasmatiche non verranno filtrate sia
per dimensione sia per la carica negativa che assumeranno, in più i glo-
buli rossi non passeranno.

Considerando un grafico dove compare la forza di filtrazione netta


pari a 10 mmHg, nell’arteriola afferente (forza idrostatica di spinta
meno la pressione osmotica), si ha che essa andrà a zero, nell’arteriola
efferente, con pendenze diverse in dipendenza dal flusso che viene
fatto variare. Quindi si ha che nel tempo in base al filtrato varierà la
pressione colloido osmotica e non la pressione idrostatica che risulta
essere costante; quando le due forze saranno uguali ad opposte si ha
che la forza risultante sarà zero, ciò dipenderà dalla quantità di fluido
presente.

Dal rene verranno filtrate delle molecole organiche, gli ioni, l’acqua e le sostanze di scarto cioè i prodotti azotati
quindi lo scardo delle proteine; successivamente in generale i meccanismi di riassorbimento si riapproprieranno di
ioni, glucosio, amminoacidi; mentre le sostanze di scarto non verranno riassorbite poiché mancherà il meccanismo di
riassorbimento specifico per tali sostanze.

Allora le sostanze per essere riassorbite passeranno all’elemento tubulare del tubulo contorno all’elemento vascolare;
le sostanze per poter essere riassorbite allora per la struttura del tubulo e dei vasi non potrà che passare attraverso due
membrane; esisteranno allora due tipologie di meccanismi di trasporto, uno tra cellula e cellula nel quale non sarà
necessario il passaggio attraverso le membrane (apicale del tubulo e basale del vaso); oppure un meccanismo di tra-
sporto attraverso le membrane attraverso meccanismi di trasporto a livello delle due membrane; al momento si sta
parlando del riassorbimento obbligatorio senza la presenza di ormoni e quindi con permeabilità costante alle so-
stanze.

Quindi le sostanze passeranno attraverso le due membrane, con meccanismi di trasporto diversi per ogni membrana,
oppure per via paracellulare mediante congiunzioni strette o thight junctions attraverso le quali potrà passare acqua
grazie alla quale per via osmotica potranno essere riassorbite varie sostanze. Per i trasporti attraverso le membrane si
dovrà distinguere tra uniporto e cotrasporto; nell’uniporto verrà trasportata una sola specie di sostanze, nel cotra-
sporto si avrà il trasporto simultaneo di più sostanze, se il movimento delle molecole è nella stessa direzione si parla di
simporto se il movimento è in versi opposti si parlerà di antiporto, cioè nell’atiporto una sostanza viene assorbita e
l’altra eliminata, quindi un antiporto sarà la pompa sodio\potassio; ci saranno dei meccanismi di trasporto secondari
grazie ai quali si utilizza l’energia di una sostanza per trasportarne un’altra, in particolare l’energia posseduta dal so-
dio che viene fatto fuoriuscire grazie alla pompa sodio\potassio sarà riutilizzata per riassorbire il glucosio; si avranno
cinque sostanze che potranno essere riassorbite grazie al sodio, il quale assume un ruolo di particolare rilevanza es-
sendo uno ione extracellulare, infatti esso viene riassorbito per trasporto attivo primario grazie alla pompa e per sim-
porto verranno riassorbiti glucosio, amminoacidi, fosfato e lattato e per antiporto verranno eliminati gli H+ ed assor-
bito lo ione dell’anidride carbonica; quindi il sodio avrà un’azione fondamentale al livello del tubulo contorto prossi-
male. In più poiché il sodio che è uno ione positivo viene riassorbito si ha una negativizzazione al livello del lume, il
che determinerà al riassorbimento dell’acqua mediante le tight junctions per osmosi, poiché se il sodio si muove il
potenziale chimico dell’acqua aumenta per la minor concentrazione di sodio e maggiore concentrazione di acqua,
quindi con tale movimento il sodio darà origine ad un gradiente che l’acqua tenderà a seguire appunto per osmosi,
cioè il tutto si muove per gradienti di concentrazione, insieme all’acqua verranno riassorbiti cloro ed urea; quindi i
meccanismi di riassorbimento obbligatori, quindi di trasporto, a livello del tubulo contorto prossimale saranno rego-
lati dalla presenza dello ione sodio.

Al livello della membrana della base saranno presenti trasportatori diversi in base al pH dell’amminoacido.

Per quanto riguarda il trasporto del glucosio ci sarà un primo trasporto dal
lume tubolare alla cellula tubolare grazie al simporto ad opera del sodio;
successivamente dalla cellula tubolare il sodio verrà riassorbito mediante la
pompa, mentre il glucosio per trasporto facilitato mediante l’impiego di
proteine di membrana dette GLUT2, tuttavia si dovrà definire il carico tu-
bulare massimo, cioè la massima quantità di glucosio riassorbibile poiché
non è presente GLUT2; oltre tale quantità poiché non c’è un ormone per il
glucosio nel riassorbimento facoltativo se esso non viene riassorbito nella
parte obbligatoria non potrà che essere escreto. La filtrazione del glucosio è
proporzionale alla sua concentrazione plasmatica; costruendo un grafico ve-
locità di filtrazione del glucosi-concentrazione plasmatica si ottiene una re-
lazione lineare; mentre considerando la sua velocità di escrezione bisognerà
considerare una soglia renale di 375 mg/100ml; quindi oltre tale soglia è stato riassorbito il glucosio possibile ed il re-
sto verrà escreto. Complessivamente si ottiene che il grafico di filtrazione
arriverà fino ad un certo livello dopo il quale comparirà un platò legato al
raggiungimento della saturazione dei carrier; quindi raggiunto tale punto
si costruirà la retta di escrezione che sarà parallela alla retta di filtrazione.
Nella parte iniziale prima di raggiungere la saturazione si ha che la filtra-
zione corrisponde al riassorbimento poiché non c’è nessuna parte escreta,
dopo di che si costruirà una retta di escrezione parallela a quella di filtra-
zione poiché quello che è in più verrà eliminato; in più la soglia renale
viene raggiunta per un valore di poco minore e tale valore viene detto
splay.

Nel riassorbimento facoltativo verrà trattato il tubulo distale e l’ansa di


Henle la quale preparerà le condizioni per il riassorbimento facolta-
tivo, cioè creerà una forza, direttamente proporzionale con la sua lun-
ghezza, necessaria al riassorbimento delle sostanze grazie all’impiego
di ormoni. Per riassorbimento facoltativo si intende che nel tubulo di-
stale la permeabilità degli epiteli non sarà fissa, ma ci saranno degli or-
moni che potranno modificare tale permeabilità degli epiteli. Deve es-
sere soddisfatta la legge di equilibrio di massa, cioè nel caso dell’acqua, dovrà essere eliminata una quantità d’acqua
non utilizzata dall’organismo; cioè la quantità di acqua totale dovrà essere costante. L’organismo dovrà soddisfare
tale legge di equilibrio di massa poiché la pressione arteriosa è una variabile regolata; cioè tutto è finalizzato a mante-
nere tale la pressione arteriosa.

Per svolgere tale compito il rene manterrà l’omeostasi dell’acqua e dei sali, quindi l’equilibrio che manterrà il rene
sarà di carattere idro-salino; si avranno in particolare diversi tipi di ormoni specifici per le varie sostanze. Per quanto
riguarda l’acqua si parlerà del compartimento liquido interstiziale e della parte plasmatica. In caso di necessità, se il
livello di acqua nell’organismo scende sotto valori critici facendo ridurre la pressione media, il rene sarà in grado di
trattenere quanta più acqua possibile all’interno dell’organismo finché non venga introdotta acqua dall’esterno; per
trattenere l’acqua opererà nella parte tubolare distale, cioè nel tratto di riassorbimento facoltativo.

Anche se il bilancio attuato dal rene sarà idro-salino sarà necessario attuare una divisone poiché vi saranno due or-
moni diversi; un primo ormone sarà l’ormone antidiuretico oppure ADH, oppure ancora vasopressina, l’ormone
ADH viene secreto nel caso in cui bisogna trattenere acqua e non viene segreto se bisogna eliminare acqua. Se l’ADH
non viene secreto l’acqua viene riportata in circolo e si riduce la quantità di urina finale aumentando così l’osmola-
rità, dove si a che, considerando ansa di Hansel lunghe, l’osmolarità massima dell’urina umana può giungere sino a
1200 mOsM; se invece l’ormone ADH viene secreto l’osmolarità sarà di 100 mOsM.

Si potrà poi intervenire sul sodio mediante l’aldosterone, non prodotto dal rene, il quale produce la renina che è l’an-
tecedente per l’aldosterone.

Per quanto riguarda la produzione di ormoni si ha una struttura che secerne una molecola, quale va nel torrente cir-
colatorio e dopo aver riconosciuto una cellula bersaglio va ad agire su di essa. Gli ormoni considerati o sono proteici o
sono steroidei; la differenza è che i primi in quanto proteici sono in grado di viaggiare nel torrente circolatorio liberi,
mentre i secondi essendo lipidi non potranno muoversi in maniera isolata all’interno del torrente circolatorio; tutta-
via l’ormone proteico non potrà attraversare la membrana, quindi presenterà sulla superficie dei ligandi che ricono-
sceranno la cellula bersaglio ed il legame ligando ormone sarà in grado di oltrepassare la membrana. Quindi l’ADH,
grazie a dei recettori che ne modulano produzione, una volta prodotta viaggerà nel torrente circolatorio e riconoscerà
i recettori di membrana sulla membrana stessa in quanto l’ADH non è in grado di oltrepassare la membrana e dopo
di che il complesso ormone recettore entrerà nella cellula per modulare vari cambiamenti. Tale procedimento richie-
derà tempo, quindi per una risposta immeditata dovranno intervenire i barocettori ed il sistema cardiocircolatorio.
Gli ormoni steroidei viaggeranno legati a proteine di trasporto, una volta giunti a livello della cellula bersaglio, lasce-
ranno la proteina di trasporto e attraversando la membrana giungeranno direttamente al livello del citoplasma dove
attueranno le modificazioni. L’ADH e tutti gli ormoni proteici, sono ormoni talamici o ipotalamici, quindi vengono
rilasciati a livello del SNC, al livello dell’ipotalamo si avrà sia il centro per il rilascio degli ormoni sia degli osmocettori
in grado di rilevare l’osmolarità del plasma. Saranno anche presenti dei recettori di stiramento atriali che nel caso in
cui rilevino un eccessivo stiramento dovuto al troppo sangue inibiranno la produzione di ADH per ridurre lo stira-
mento.

24/06/2014
Poiché le proteine plasmatiche che non vengono filtrate si ha ce esse virtualmente si concentreranno a livello dei ca-
pillari glomerulari facendo così aumentare la pressione oncotica; la quantità di filtrato dipenderà dal flusso, determi-
nato sia da una vaso costrizione miogena sia da un feedback tubulo glomerulare.
Una prima parte del riassorbimento si avrà nel tubulo prossimale, dove si avrà un riassorbimento obbligatorio; in
particolare l’acqua non avrà un suo meccanismo di trasporto, infatti essa si sposterà per osmosi, cioè per gradiente
generato dal riassorbimento del sodio.

Sino all’ansa di Henle l’ultrafiltrato risulterà essere isoosmotico al plasma, quindi poiché il plasma ha un’osmolarità
di 300 mOsM, si ha che fino a prima di entrare nell’ansa di Henle l’ultrafiltrato avrà un’osmolarità di 300 mOsM, ciò
avviene poiché precedentemente c’è stato di riassorbimento obligatorio si ha quindi che la quantità di sodio riassor-
bita sarà direttamente proporzionale a quella di acqua non facendo così variare l’osmolarità. Passata l’ansa di Henle
nel tratto distale avviene il riassorbimento facoltativo, cioè che esso potrà avvenire solo se si ha l’intervento di ormoni
(ADH, che potrà fare variare l’osmolarità nelle urine tra 1200 e 100 mOsM in funzione del fatto che venga secreto o
meno; e l’aldosterone per il sodio) che varieranno la permeabilità dell’epitelio rendendola in favore del riassorbi-
mento; quindi l’urina finale potrà essere diluita o concentrata, sarà diluita quindi con maggiore acqua per necessità di
eliminare l’acqua. L’ansa di Henle (che sarà a contatto con i vasa recta) ha due funzioni: la prima sarà di diluire il fil-
trato (che entra a 300 mOsM ed esce a 100 quindi esce diluito); la seconda sarà (sarà anche la funzione dei vasa recta)
di preparare le condizioni per riassorbimento facoltativo creando un gradiente osmotico tra l’interno e l’esterno del
tubulo permettendo quindi, nel caso di intervento di ormoni, il riassorbimento, in particolare l’osmolarità esterna
dovrà essere maggiore (poiché se è maggiore significa che le particelle sono più concentrate e c’è meno acqua); questo
poiché lo spostamento di acqua avviene solo in presenza di un gradiente osmotico; quindi si ha che in funzione della
lunghezza dell’ansa di Henle sarà possibile aumentare l’osmolarità nelle urine.

Quali fattori determinano il rilascio di ADH (che entrerà come proteina attraverso la membrana grazie a ei recettori
di membra e nel citoplasma inserisce delle proteine delle acquaporine che consentono il passaggio dell’acqua) ed al-
dosterone e quali recettori ne rilevano la necessità? Ci saranno degli osmocettori al livello dell’ipotalamo che rilevano
l’osmolarità del plasma (che è di 300 mOsM in condizioni standard) se
l’osmolarità diminuisce significa che si ha una perdita di fluido; se
l’osmolarità del plasma diminuisce sotto 280 mOsM i recettori termine-
ranno di scaricare evitando quindi di secernere ADH e di riassorbire ac-
qua; sopra 280 mOsM essi scaricano determineranno il rilascio di ADH e
quindi il riassorbimento. L’azione complessiva dei recettori e il tentativo
di riequilibrio che seguirà sarà finalizzato a mantenere costante la pres-
sione arteriosa.

In caso di modificazioni di volemia o pressione arteriosa interverranno altri recettori; assunto un aumento della vole-
mia e della pressione arteriosa, bisognerà impedire il rilascio di ADH e lo stimolo della sete, in modo tale da ridurre
l’acqua presente nell’organismo; in questo caso saranno presenti dei barocettori di stiramento atriali che forniranno
in segnale di tipo inibitorio per garantire l’eliminazione o l’assorbimento di acqua.

L’ansa di Henle si comporta come un moltiplicatore in controcorrente, cioè per funzionare avrà bisogno di energia
esterna sotto forma di ATP, mentre uno scambiatore in controcorrente non necessita di energia extra. L’ansa di
Henle presenta una braca discendente, una zona ricurva ed infine una branca ascendete. La branca discendente per
una sua caratteristica intrinseca sarà permeabile all’acqua e impermeabile ai soluti, cioè impermeabili a sodio e cloro
in quanto essi sono ioni extracellulari; quindi poiché l’ac-
qua esce e l’NaCl si concentra si avrà un aumento
dell’osmolarità. Successivamente si avrà che la branca
ascendente sarà impermeabile all’acqua e permeabile ai so-
luti, si avrà allora una riduzione dello osmolarità; si avrà al-
lora che all’uscita dall’ansa di Henle si avrà un’osmolarità
di 100 mOsM; i soluti che sono usciti si concentreranno
nell’interstizio.

In un meccanismo di scambio controcorrente si avrà un


tratto discendente in arrivo quasi a contatto con un tratto
ascendente di uscita, ciò permetterà un scambio tra i due
tratti nei quali fluisce un fluido che è in controcorrente. Tuttavia tale principio applicabile nel caso di scambi di tem-
peratura, non sarà totalmente applicabile nel caso dell’osmolarità, poiché dato che l’acqua si muove verso zone ad
osmolarità maggiore (dato che osmolarità maggiore implica minore presenza d’acqua), si avrà che poiché nel tratto
discendente l’osmolarità va sempre crescendo fino al tratto di gomito si otterrà che in tale tratto l’osmolarità sarà
massima, questo perché nel tratto discendente l’acqua tenderebbe ad uscire, tuttavia nel tratto ascendente si avrà che i
soluti tenderanno ad uscire e quindi se le due zone fossero a contatto i soluti entrerebbero nel tratto discendente fa-
cendo aumentare l’osmolarità nel tratto ascendente e ciò implicherebbe un passaggio di acqua dal tratto discendente
a quello ascendete ottenendo così che in uscita
dal tratto ascendente l’osmolarità sarà di poco
maggiore di quella in entrata, il che non è possi-
bile, quindi tale modello di scambio controcor-
rente non è applicabile.

Quindi non si avrà uno scambiatore controcorrente, bensì un moltiplicatore


controcorrente, infatti sarà presente un trasporto attivo dei soluti che richiede
energia. Quindi si ha che uno scambiatore passivo avrà un’osmolarità in uscita
lievemente maggiore di quella in entrata, mentre un moltiplicatore attivo avrà
osmolarità in uscita molto minore di quella entrata. Tuttavia oltre ad un tra-
sporto attivo al livello del moltiplicatore sarà presente uno scambio passivo al
livello dei vasa recta, infatti si avrà che l’acqua per gradiente chimico precederà
all’interno dei vasi e gli stessi vasi rigetteranno nello spazio interstiziale NaCl;
quindi la funzione dei vasa recta sarà quella di mantenere costanti le condizioni
nello spazio interstiziale e quindi di creare le condizioni necessarie per favorire
il riassorbimento facoltativo.

L’aldosterone regolerà il bilancio del sodio, variando allora l’osmolarità e


quindi regolando la pressione arteriosa; quindi aldosterone e ADH solitamente agiranno insieme affinché possa es-
sere mantenuta l’omeostasi della pressione arteriosa. L’impiego di aldosterone non influirà sull’osmolarità delle urine
poiché riassorbendo una data quantità di sodio si avrà che per osmolarità verrà riassorbita anche dell’acqua. L’aldo-
sterone viene prodotto dalla corticale del surrene (che produrrà anche il cortisolo), mentre il rene produrrà la renina
che sarà condizione necessaria per la produzione di aldosterone; l’aldosterone agirà al livello del tubulo distale, men-
tre l’ADH agisce al livello del dotto collettore. Le cellule bersaglio dell’aldosterone saranno le cellule P del nefrone
distale; esso viaggia nel torrente circolatorio complessato per poi separarsi ed entrare nella cellula in quanto lipide,
successivamente esso permetterà l’inserimento di pompe sodio potassio per agire sul sodio e quindi anche sul potas-
sio.

L’operato dell’aldosterone influenzerà la pressione arteriosa poiché ammesso che la concentrazione di sodio vada da
140 a 155 mOsM nello spazio extracellulare si avrà un’osmolarità che comporterà lo spostamento di un litro di acqua
e quindi l’aumento della volemia dell’8% con il conseguenziale aumento della pressione arteriosa.

Se la pressione scende si avrà che il fegato produrrà angiotensinogeno che con la renina, prodotta poiché viene rile-
vato mediante feedback che a livello distale la pressione è diminuita poiché con una diminuzione della pressione arte-
riosa si avrà una vaso costrizione da parte del sistema cardiocircolatorio (che sarà la risposta rapida immediata, men-
tre quella del rene successiva sarà lenta) che implicherà una diminuzione del flusso di sangue da filtrare e quindi com-
porterà una riduzione della pressione a livello distale, formerà angiotensina1 la quale successivamente entrando in
circolo si legherà con l’ACE per formare ANG II che comunicherà alla ghiandola surrenale di produrre aldosterone.

26/06/2014
La clearance indica il volume virtuale di plasma che quell'organo è in grado di depurare da una certa sostanza
nell’unità di tempo. Per effettuare delle misurazioni in vivo si utilizza il metodo di diluizione, cioè il principio di con-
servazione della massa; cioè si somministra una data quantità di una sostanza del quale è nota la concentrazione ini-
ziale ed il suo volume iniziale, misurando la concentrazione finale della sostanza è possibile calcolare il volume finale
del quale essa si è diluita che corrisponderà al volume incognito che si stava cercando; ammettendo che la sostanza
non sia stata in parte scartata, se essa venisse scartata verrà allora calcolato un margine di errore. La clearance sarà nel
rene quanti ml di plasma sono stati depurati nell’unità di tempo.

Il rene ha un ingresso e due uscite, poiché il sangue in ingresso verrà in parte filtrato e la restante parte rimesso in cir-
colo. Allora si avrà che l’input arterioso sarà dato da:

𝑃𝑃𝑥𝑥,𝑎𝑎 ⋅ 𝑅𝑅𝑅𝑅𝐹𝐹𝑎𝑎

Che saranno mg/ml per ml/min quindi si otterranno mg/min; l’input dipenderà dal processo miogeno; la quantità in
arrivo di dividerà in un output venoso ed in un output delle urine:

𝑃𝑃𝑥𝑥,𝑣𝑣 ⋅ 𝑅𝑅𝑅𝑅𝐹𝐹𝑣𝑣

𝑈𝑈𝑥𝑥 ⋅ 𝑉𝑉̇
Dove FPR sarà il flusso plasmatico renale, mentre Px sarà la concentrazione della sostanza considerata, allora si avrà
che:

𝑃𝑃𝑥𝑥,𝑎𝑎 ⋅ 𝑅𝑅𝑅𝑅𝐹𝐹𝑎𝑎 = �𝑃𝑃𝑥𝑥,𝑣𝑣 ⋅ 𝑅𝑅𝑅𝑅𝐹𝐹𝑣𝑣 � + �𝑈𝑈𝑥𝑥 ⋅ 𝑉𝑉̇ �

Si voglia conoscere la capacità di filtro del rene e la velocità di filtrazione glomerulare; per conoscere tali valori biso-
gnerà utilizzare sostanze esogene, quindi le quali saranno ritrovabili invariate nelle urine; si usi l’inulina, la quale
dopo essere stata filtrata non verrà né riassorbita né secreta, quindi tutta la quantità filtrata sarà ritrovata nelle urine;
allora la velocità del flusso urinario di inulina equivale alla velocità di filtrazione glomerulare, in altri termini si ha che
la clearance viene impiegata per misurare la velocità di filtrazione glomerulare; allora si ha che il tempo per necessario
per trovare l’inulina nelle urine sarà compatibile con la velocità di filtrazione glomerulare. Se si volesse misurare il
flusso plasmatico renale, cioè la quantità di sangue che arriva effettivamente al rene, per poi calcolare così la percen-
tuale che è state filtrata per identificare la costante K della formula di Starling; in questo caso si userà l’acido param-
mino iminunico (PAI), esso viene in parte filtrato ed in parte secreto. Quindi la secrezione è un meccanismo attivo
rapido, mediante pompe, per eliminare delle sostanze nocive che devono essere eliminate rapidamente per non far
circolare ulteriormente tali sostanze nell’organismo.

La clearance pone allora in rilievo la funzione escretoria del rene ovvero la capacità del rene di rimuovere una so-
stanza dall’organismo; quindi essa è la capacità del rene di depurare 100 ml di plasma al minuto di una certa sostanza;
tale quantità di sostanza depurata dal rene sarà la quantità trovata nell’urina per il flusso urinario diviso la concentra-
zione della sostanza in arrivo:

𝑈𝑈𝑥𝑥 𝑉𝑉̇
𝐶𝐶𝑥𝑥 =
𝑃𝑃𝑥𝑥
Nell’inulina tutta la capacità escreta sarà uguale alla capacità filtrata allora:

𝑉𝑉𝑉𝑉𝑉𝑉 ⋅ 𝑃𝑃𝑖𝑖𝑖𝑖 = 𝑈𝑈𝑖𝑖𝑖𝑖 𝑉𝑉̇


Quindi la velocità di filtrazione glomerulare per la concentrazione della sostanza in ingresso fornirà la concentrazione
della sostanza in uscita (nelle urine) per il flusso di urina. Tuttavia anche se tutta quella filtrata si trova nelle urine non
è detto che la quantità filtrata di inulina non sia quella interamente somministrata; allora in base alla quantità sommi-
nistrata si potrà calcolare il flusso plasmatico renale; somministrando una data quantità di inulina ed osservando che
la sua concentrazione nelle urine sarà di, ad esempio, 125ml/min si avrà nota la velocità di filtrazione glomerulare
calcolando anche il flusso plasmatico renale, il rapporto tra le due quantità indicherà la frazione che è stata filtrata
cioè la costante K; se tale rapporto in percentuale darà in valore del 15-20% si ha che il filtro renale lavora in condi-
zioni ottimali.

Si indicheranno con splay le porzioni non lineari delle due curve, poi-
ché non tutti i nefroni non lavorano allo stesso modo rappresenta an-
che l’eterogeneità delle velocità di riassorbimento dei singoli nefroni
per cui viene dato un valore medio.

Assunto un FPR di 700 ml/min ed una velocità di filtrazione glomeru-


lare di 100 ml/min; si somministri 1 mg/ml di glucosio, poiché la velo-
cità di filtrazione glomerulare è di 100 ml/min si ha che la velocità di
filtrazione del glucosio sarà di 100 ml/min; poiché tale quantità è al di
sotto del carico tubulare massimo tutti i 100 ml verranno riassorbiti,
quindi tale glucosio andrà interamente nella vena renale, allora nelle urine non sarà presente glucosio; se si sommini-
strano 5 mg/ml di glucosio il rene dovrà filtrare 500 ml di glucosio, i quali sono sopra il carico tubulare massimo di
125 mg, allora si avrà che 125 mg/min si troveranno in circolo e 375 nelle urine. Allora la clearance del glucosio è
stata di 125 fratto la quantità di glucosio somministrato, cioè è di 25 ml/min.

Impiegando il PAI che ha la peculiarità di esser sia filtrato che segreto, si ha che il carico massimo di secrezione è di
80 mg/min quindi bisogna somministrare una quantità di PAI tale per cui da non superare il valore di secrezione
massimo, altrimenti si farebbe una sotto stima; poiché per fare una stima esatta bisogna fare una stima esatta bisogna
ritrovare tutto nelle urine.
Si somministrino 0.1 mg/ml di PAI, quindi considerato i medesimi dati di prima
per il flusso e la velocità di filtraggio glomerulare si ha che al livello delle arteriole
afferenti arriveranno 70 mg/min di PAI; di questi per la velocità di filtrazione glo-
merulare si ha che solo 10 di essi verranno filtrati, gli altri 60 verranno secreti al-
lora tutti e 70 mg/min andranno nelle urine; allora la clearance del PAI sarà di
70/01 ottenendo 700 ml/min che corrisponde al FPR. Somministrando 0.2 mg/ml
si ha che arriveranno 140 mg/min dei quali 20 filtreranno e 120 rimarranno in
circolo, dei quali successivamente 80 verranno secreti tuttavia ne resteranno sem-
pre 40 in circolo; quindi nelle urine ci saranno 100 mg/min di PAI e la clearance
sarà 100/02 cioè 500 ml/min che non coincide col FPR, è stata allora fatta una sottostima. Costruendo un grafico ana-
logo a quello del glucosio si ha che fino ad un certo punto tutta la parte filtrata viene anche escreta; se si va oltre la
massima capacità di secrezione rimarrà una parte in circolo.

Dalla clearance di una sostanza è possibile determinare i meccanismi di riassor-


bimento o secrezione di tale sostanza, facendo un paragone con la clearance
dell’insulina; se una sostanza ha un clearance minore all’inulina significa che
essa è stare riassorbita, mentre se la sostanza ha una clearance superiore signi-
fica che essa è stata secreta, se ha uguale clearance è stata filtrata; per sostanze
con entrambi i processi si osserverà l’evento dominante.

L’omeostasi della temperatura comporta l’omeostasi del pH, specificatamente


il pH che risulterà essere mantenuto costante sarà il pH plasmatico; cioè verrà
regolata la concentrazione degli H+; i meccanismi di tamponamento di tali ioni interverranno uno alla volta, inizial-
mente interverranno le proteine, questo perché le proteine plasmatiche risultano essere anfotere; se il pH continua a
scendere interverrà una risposta ventilatoria grazie ai chemocettori centrali; se il pH diminuisce per via dell’acido lat-
tico la variazione sarà rilevata dai chemocettori periferici; l’ultimo intervento sarà da parte del rene.

Come si valuta la qualità di un tampone? L’equazione di Henderson-Hasselbach afferma che la costante di dissocia-
zione di una sostanza che si dissocia in ioni è il rapporto tra la parte dissociata e la parte indissociata:

[𝐻𝐻 + ][𝐴𝐴− ]
= 𝐾𝐾
[𝐻𝐻𝐻𝐻]
Passando in forma logaritmica si ottiene che il pK è legato al logaritmo della concentrazione degli H+, il pH sarà al-
lora:

[𝐴𝐴− ]
𝑝𝑝𝑝𝑝 = 𝑝𝑝𝑝𝑝 + ln
[𝐻𝐻𝐻𝐻]
Su questa base si può affermare che, ipotizzato un pH di 7, considerata una sostanza con un pK di 5 si avrà che la so-
stanza è un buon tampone se nel rapporto tra la parte dissociata e la parte indossociata prevarrà la parte dissociata,
cioè il rapporto, non logartmico, è nella forma 10 elevato un esponente positivo, se l’esponente è negativo la sostanza
non sarà un buon tampone. Quindi affinché una sostanza sia un buon tampone essa deve presentare un pH vicino al
pK. Il tampone fisiologico per antonomasia è il tampone fosfato, infatti esso presenta un pK 6.8; tuttavia in vivo esso
non è il principale tampone fisiologico per la sua bassa quantità; allora il tampone più importante sarà il tampone ca-
gonato che ha un pK di 3.
Il rene si occupa degli acidi fissi, cioè quelli che derivano dalla dieta, quindi fondamentalmente dal metabolismo dei
lipidi e delle proteine.

La principale fonte di acidi è l’anidride carbonica per la scissione in H+ ed HCO3-; in fisiologia bisogna correggere
l’equazione di H-H, giungendo ad una forma dove risulta che il pH risulta essere regolato dalla concentrazione di
HCO3- e di anidride carbonica; quindi l’organismo è l’unico sistema dove l’equilibrio acido-base viene regolato da
due elementi separati, cioè il logaritmo della concentrazione degli HCO3- che corrisponde alla parte renale e l’ani-
dride carbonica che è la componente del sistema respiratorio; quindi sia i polmoni che il rene contribuiscono separa-
tamente alla regolazione del pH.

Per adattare l’equazione di H-H si consideri che: disciolto l’acido carbonico si ottiene che presenta un pK di 3.6; sa-
pendo che la concentrazione di HCO3- è di 24 mEq, la concentrazione dell’anidride carbonica dovrà essere conside-
rata idratata, si considera allora il suo coefficienti di solubilità per la pressione parziale di anidride carbonica, si sarà
allora quanti mM di anidride carbonica ci sono nel sangue arterioso, attraverso la pressione parziale di ossigeno di 40
e la solubilità dell’a.c. che è 0,003 si ha che la concentrazione di a.c. è di 1.2 mM/l; sostituendo tale valore nell’equa-
zione di H-H si ottiene un nuovo pK 6.1; e si otterrà che il pH sarà 7.4.

Attraverso un duplice controllo dei recettori centrali e periferici il sistema respiratorio costituendo il secondo metodo
per il mantenimento dell’equilibrio acido-base realizzando una risposta rapida; il terzo metodo sarà ad opera del si-
stema renale ed interverrà per ultimo poiché più lento.

Se l’a.c. si scinde in HCO3- e H+ si potrebbe ipotizzare che essi si trovano in ugual proporzione nel plasma; invece ci
sarà molto meno H+ poiché esso verrà tamponato dalle proteine; quindi tra gli due ioni non ci sarà un bilancio ste-
chiometrico; allora per arrivare ad un bilancio gli H+ dovranno essere secreti, quindi in funzione del pH dell’organi-
smo si dovrà avere o un processo di secrezione degli H+ o la possibilità di riassorbirli.

Per gli acidi fissi originati dalla dieta, cioè acido fosforico, acido solforico; l’eliminazione sarà a carico renale, quindi
gli H+ prodotti dal metabolismo delle proteine non saranno rilevati dai chemocettori e dovrà intervenire il rene. Il
rene riassorbe HCO3- nel tubulo contorto prossimale ad opera del sodio, mentre ci saranno delle pompe Na+\H+ che
elimineranno tali ioni; per non ottenere un’urina e quindi un filtrato troppo acido il rene dovrà produrre una so-
stanza che inglobi gli H+ al livello del tubulo contorto prossimale e distale, tale sostanza sarà l’ammoniaca, questo poi-
ché il tessuto di rivestimento non è in grado di resiste ad un pH minore di 5; quindi l’ammoniaca sarà un tampone
urinario che ingloba gli H+ facendo prevalere la forma indissociata poiché l’ambiente è ad un pH di 5 ed il pK sarà di
9.

Il processo di formazione dell’ammoniaca deriva dal metabolismo della glutammina.

Al livello del dotto collettore saranno presenti delle pompe potassio\ioni H+.

Se uno dei meccanismi di eliminazione non funziona adeguatamente, può capitare, come nel sistema respiratorio, che
esso produca H+; ci sarà uno scompenso dell’equilibrio acido-base.

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