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Prima lezione di Chimica.

In chimica sono presenti tre livelli di descrizioni della materia:

• Livello macroscopico (esempio: l’acqua e le sue proprietà) le osservazioni e le manipolazioni


e degli esperimenti;
• Livello microscopico (esempio: l’acqua composta da un atomo di ossigeno e due atomi di
idrogeno);
• Livello simbolico (esempio: l’acqua indicata con H2O) i risultati delle osservazioni vengono
tradotti come “simboli” (per es., H2O per l’acqua) e come disegni o modelli che
rappresentano gli elementi e i composti coinvolti.

La materia è tutto ciò che è provvisto di massa e volume.

La massa è la quantità di materia presente in un corpo, si misura in chilogrammi (kg).

Il volume indica lo spazio occupato da un oggetto.

La materia si può presentare nello stato solido, liquido, gassoso o plasma.

All’interno del solido gli atomi avranno determinati legami, se al sistema fornisco energia (per
esempio sotto forma di calore): prendo un cubetto di ghiaccio che fonde a 0° e lo espongo a
temperatura ambiente esso fonderà (fusione). All’interno del liquido sono presenti diverse
interazioni che lo legano rispetto a quelle del solido. Se al sistema continuo a fornire energia e quindi
in questo caso continuo a riscaldare l’acqua sul fuoco della cucina si avrà un altro passaggio di stato
ossia la vaporizzazione.
Una miscela (o miscuglio) è un composto costituito da più sostanze pure che possono essere
separate con metodi fisici.

Le miscele possono essere:

• Omogenee (una soluzione omogenea è sempre trasparente) se è formata da due o più


sostanze in una sola fase e le proprietà non variano a seconda della regione. Chiamate anche
soluzioni. Al microscopio risulta uniforme in tutte le regioni e in tutte le direzioni.

ESEMPIO: L’aria.

• Eterogenee se è costituita da due o più fasi e i suoi componenti sono facilmente distinguibili.
Microscopicamente non è uniforme.

ESEMPIO: L’acqua e l’olio, l’acqua e la sabbia. Il latte è una miscela eterogenea e il primo indizio per
individuarlo è che non è trasparente. Esso è formato da acqua e grassi (come la caseina che da colore
al latte).

Quando definisco una miscela non devo osservare l’aspetto macroscopico, ma microscopico. Sotto
questo aspetto per le miscele eterogenee come il latte è possibile osservare il fenomeno detto
emulsione (gli acidi grassi che non sono solubili in acqua tendono ad aggregarsi tra di loro formando
micelle in modo da separarsi dall’acqua).

Una sostanza pura è quella porzione di materia che mantiene inalterate le proprietà chimico-fisiche
ed è costituita dagli stessi elementi nello stesso rapporto a prescindere dal campione. Non può
essere separata in sostanze diverse con metodi fisici. Sono sostanze i composti e gli elementi.

Un composto è una sostanza composta da più elementi in rapporto fisso tra di loro. Può essere
scisso in elementi con metodi chimici (esempio l’acqua).

Un elemento è una sostanza costituita da atomi tutti uguali. Non può essere scisso in metodi chimici
e fisici.

La molecola è la più piccola quantità di sostanza in grado di conservarne la composizione chimica e


di determinarne le proprietà e il comportamento chimico e chimico-fisico; può essere costituita da
uno o più atomi.

L’atomo è la più piccola particella di un elemento che non subisce alterazioni nelle trasformazioni
chimiche.
Modellistica
Il modo in cui descriviamo il modello atomico ed elettronico ci permette di definire le proprietà di
quel elemento.

ESEMPIO: l’idrogeno (H) è costituito da un protone, un elettrone e un neutrone.

La massa di un atomo è concentrata nel suo nucleo, dunque la massa dell’elettrone risulta
trascurabile. Gli elettroni si muovono molto più velocemente rispetto ai nuclei che risultano fermi.

Gli isotopi sono atomi con diverso A ma con Z uguale.

ESEMPIO: carbonio 12, carbonio 13, carbonio 14 con media pesata pari a 12,011 u.

Una dozzina sono 12 «cose»

Una mole è 1 NA (numero di Avogadro) «cose» = 6.022 · 1023 «cose». «La mole è definita come la
quantità di sostanza che contiene esattamente 6.02214076×10 alla 23 entità fondamentali»

La massa di una mole di particelle ciascuna di massa 1𝑔/1𝑢 = 1𝑔/1.6605· 10−24 𝑔 = 6.022 · 10 alla 23
Seconda lezione di Chimica.

Il mattone principale della materia sono gli atomi, che misurano circa 0,1 nanometri.

Quando parliamo della materia macroscopica andiamo dall'ordine dei centimetri ai chilometri,
quando invece arriviamo alle cellule siamo fra i 100 nanometri fino a diversi micron (materia
microscopica).

Modelli atomici:
Modello atomico di Dalton.

Il primo modello atomico, basato su osservazioni sperimentali (dati empirici), fu quello di John
Dalton che esegui il seguente esperimento:

• Prese una certa quantità di azoto gassoso (N2) e le fece agire con diverse quantità di
ossigeno (O2):

1) 7 g N2 + 4 g O2 = N2O ossido di diazoto

2) 7 g N2 + 8 g O2 = NO monossido di azoto

3) 7 g N2 + 12 g O2 = N2O3 triossido di diazoto

4) 7 g N2 + 16 g O2 = NO2 diossido di azoto

Osservò che tenendo fissa la quantità di azoto, le quantità di ossigeno con cui reagiva erano multiple
tra di loro (4g,8g,12g,16g), aumentavano di quattro grammi ad ogni esperimento. In seguito a queste
osservazioni elaborò la LEGGE DELLE PROPORZIONI MULTIPLE.

Legge delle proporzioni multiple:

” Quando due elementi formano più composti, le quantità dell’uno che si combinano con un’altra
quantità fissa dell’altro stanno tra loro in rapporti razionali, per lo più semplici.”

(Se io vado a dividere la quantità che devo usare per formare NO2 e la quantità che devo usare per
formare NO devo fare 16:8=2.)

Questa legge fu elaborata insieme ad altre due quali:

1. La LEGGE DELLE PROPORZIONI DEFINITE di Proust;


2. La LEGGE DELLA CONSERVAZIONE DELLA MASSA di Lavoisier.

La legge delle proporzioni definite di Proust:

“Gli atomi di elementi diversi si combinano tra loro (attraverso reazioni chimiche) in rapporti di
numeri interi e generalmente piccoli, dando così origine a composti.”

La legge della conservazione della massa di Lavoisier:

“La materia, o gli atomi, non possono essere né creati né distrutti.”

• Dalton definì così che la materia era formata da piccolissime particelle elementari chiamati
atomi, che sono indistruttibili e indivisibili (questo si mostrerà un’ipotesi sbagliata in quanto
ad oggi sappiamo già che l’atomo è formato da un nucleo e dagli elettroni).
• Egli cercò ulteriormente di identificare gli elementi e provò a farlo assegnando ad ognuno un
simbolo:
Indicando l’atomo di Ossigeno come un cerchietto dovrà reagire per forza con due atomi di Idrogeno
che ha un cerchietto e un pallino per permettere la formazione di una molecola d’acqua (H2O).

• Gli atomi di uno stesso elemento sono tutti uguali tra loro;
• Gli atomi di un elemento non possono essere convertiti in atomi di altri elementi.

Le ipotesi di Dalton, però, erano molto semplicistiche in quanto non approfondivano ciò che
rappresentava la costituzione della materia al suo interno ed è per questa ragione che fu superato
da altri modelli atomici successivi.

Modello atomico di Thomson:

Il primo modello che superò quello di Dalton fu il modello atomico (o a panettone) del fisico Joseph
John Thomson (1856-1906) premio Nobel 1906 per la Fisica che ideò il seguente esperimento:

• Prese un tubo di vetro al cui interno erano presenti un gas rarefatto (a bassa pressione) e
degli elettrodi collegati al tubo stesso (che permettevano di generare corrente elettrica).
• Se applico una differenza di potenziale elevata dell’ordine di 103V (volt) quello che
ottengono sono i cosiddetti fasci catodici.
• Inoltre applicò un campo elettrico: prese due piastre, una carica negativamente e una carica
positivamente e le piazzò nelle zone A e B del tubo di vetro.

Il risultato fu la formazione di due tipi di fasci:

1. Fasci/raggi catodici di carica positiva +;


2. Fasci/raggi anodici di carica negativa -.

Thomson osservò che:

• I raggi catodici vengono deflessi, attratti verso il polo negativo, ma l’angolo di deflessione
cambiava in base al gas rarefatto che veniva utilizzato durante l’esperimento;
• I raggi anodici vengono attratti verso il polo positivo e questa deflessione era costante e
indipendente dal gas che veniva utilizzato.

La conclusione di Thomson realizzate grazie alle sue osservazioni fu che l’atomo aveva al suo interno
delle particelle negative di massa piccola e indipendenti dalla natura dell’elemento utilizzato: gli
ELETTRONI. Questo dimostrò che non era vera l’ipotesi di Dalton per la quale gli atomi erano
indivisibili.

Il modello atomico di Thomson è anche chiamato modello “a panettone” per l’immagine attribuita
all’atomo: ipotizzò che l’atomo fosse costituito da elettroni carichi negativamente immerse in una
sfera carica positivamente; le cariche negative e positive si bilanciavano.

La massa dell’elettrone era calcolabile tramite una formula:


Modello atomico di Rutherford:

Il modello atomico di Thomson restò valido per un certo periodo di tempo, finché non arrivo il
chimico Ernest Rutherford (1871-1937) premio Nobel 1908 per la Chimica che fece il seguente
esperimento:

• Prese una sorgente radioattiva, capace di generare particelle alfa (sono ioni elio con due
protoni) e permise loro di attraversare un elemento selezionatore per direzionare il raggio di
cariche positive e mise al di là della fessura una lamina metallica e uno schermo fluorescente
(detector) che indicava la posizione di dove arrivavano le cariche positive.

In base al modello di Thomson, Rutherford doveva aspettarsi che gli atomi sarebbero passati tutti:
questo perché se avevamo particelle negative uniformemente distribuite all’interno della lamina
metallica, quindi all’interno degli atomi, i raggi positivi non sarebbero stati deflessi dalle cariche
negative e sarebbero passati per lo più imperturbati.

Rutherford difatti osservò che il 99% di questi raggi positivi passavano indisturbati non deflessi, una
piccola parte di essi subiva deboli flessioni (deviavano con un angolo piccolo), una ogni ventimila
subivano ingenti deflessioni e un numero altrettanto piccolo non attraversava affatto la lamina.

Lui superò il modello di Thomson, e per il motivo per cui solo alcune particelle positive venivano
deflesse voleva dire che c’era un volume estremamente piccolo di cariche positive che per
coincidenza i raggi andavano a colpire e venivano deflesse. Dunque ipotizzò che la maggior parte
dell’atomo è vuoto, una piccolissima parte, che è il nucleo, è carico positivamente, mentre le cariche
negative ossia gli elettroni sono distribuiti attorno al nucleo.

Il modello di Rutherford è anche chiamato modello “planetario” tuttavia non descrisse delle orbite, il
limite dell’ipotesi era che non spiegava il movimento e la posizione degli elettroni. In contemporanea
emerse un concetto: una carica elettrica, se fosse su un’orbita circolare dovrebbe emettere
radiazioni e quindi perdere energia, e ad un certo punto questo causerebbe la caduta dell’elettrone
sul nucleo indicando la materia come un qualcosa di INSTABILE (ipotesi non vera) portando alla
distruzione dell’atomo.

Come si muovono gli elettroni?

Dopo Rutherford, l’argomento d’indagine dei suoi successori fu capire come si muovevano gli
elettroni e come erano distribuiti.

Secondo la fisica quantistica l’atomo non era considerato stabile:

• Se gli elettroni erano stazionari, nulla avrebbe impedito che fossero attirati dal nucleo.
• Una particella in movimento su di un’orbita circolare emette energia sottoforma di
radiazione elettromagnetica.
• Quindi, se gli elettroni si muovevano in moto circolare, l’atomo avrebbe emanato luce finché
il moto degli elettroni non fosse cessato.

In altri termini, l’elettrone avrebbe perso energia fino a cadere sul nucleo.

Radiazione elettromagnetica:

Ad un certo punto gli scienziati notarono che se si faceva interagire la luce, i raggi x, le onde radio
(qualsiasi radiazione elettromagnetica) con un materiale gli atomi interagivano con la radiazione
elettromagnetica.

Di fatto questa interazione è alla base delle moderne tecniche spettroscopiche (tecnica per
osservare come una radiazione elettromagnetica interagisce con la materia).

L’analisi della luce emessa o assorbita dalle sostanze costituisce la SPETTROSCOPIA.

La spettroscopia atomica consentì agli scienziati di proporre un modello per la struttura elettronica
degli atomi e di verificarlo sperimentalmente.

La LUCE (visibile) è una forma di radiazione elettromagnetica costituita dall’insieme del campo
elettrico e di un campo magnetico OSCILLANTI.

Nel vuoto la sua velocità è:

La luce visibile, onde radio, microonde, RX etc, sono tutte radiazioni elettromagnetiche. Le radiazioni
elettromagnetiche trasferiscono energia da una regione all’altra dello spazio.

Le onde:

Come si descrive un’onda (ossia una radiazione elettromagnetica)? Si usano funzioni periodiche seno
e coseno che saranno caratterizzate da una certa ampiezza (A0) e una certa lunghezza d’onda
(lambda) che è il periodo di ripetizione della perturbazione.

La frequenza è l’inversa del tempo (v) ed è la velocità della luce fratto la lunghezza d’onda.

Lo spettro elettromagnetico:
La luce bianca, che comprende quella solare è una miscela
di tutte le lunghezze d’onda della luce visibile. Dal rosso
andrò nell’infrarosso, al violetto andrò nell’ultravioletto.

Si passa dai 10 centimetri ai picometri.

Gli spettri atomici:

In quegli anni fu eseguito un esperimento facendo passare


la luce bianca attraverso un prisma ottenendo uno spettro
continuo (disposizione uniforme) e la scomposizione delle
lunghezze d’onda:

Che cosa succede se invece di usare la luce bianca, si usa la radiazione prodotta da atomi di idrogeno?
Quindi: prendo l’idrogeno gassoso e lo carico in un tubo di vetro e lo eccito utilizzando un generatore
che sia ad una differenza di potenziale abbastanza alta, genererò così una certa radiazione
elettromagnetica.

Se, facendo lo stesso esercizio, passa la luce emessa dagli atomi di idrogeno eccitati attraverso un
prisma si ottiene uno spettro a righe (righe di emissione) e solo alcune lunghezze d’onda:

Analogamente, quando la luce bianca attraversa un vapore costituiti da atomi di un dato elemento
quello che osserviamo è lo spettro di assorbimento: una serie di righe scure su di uno spettro
altrimenti continuo.
Le righe di assorbimento riproducono le frequenze di quelle osservabili nello spettro di emissione e
lasciano intendere che un atomo può assorbire solo radiazioni della stessa frequenza.

Plank e il quanto:

Per cercare di capire il motivo della presenza di non continuità dell’interazione tra le radiazioni
elettromagnetiche e gli atomi, Plank introdusse la sua equazione con la quale affermò: lo scambio tra
la materia e la radiazione elettromagnetica non avviene in modo continuo, ma avviene secondo
pacchetti discreti che chiamò quanti. Dunque ipotizzò che l’onda, oltre ad avere una componente
periodica, quindi oltre ad essere un’onda, trasferisse la sua energia in modo discreto e non continuo
che chiamò quanti. L’energia ha una costante (h) e viene moltiplicata per la frequenza ottenendo così
un quanto di energia. Se la frequenza (v) è molto piccola l’energia sarà piccola ed è per questo che
sono direttamente proporzionali. La lunghezza d’onda è l’inversa della frequenza: quando cresce la
prima decresce la seconda (esempio: l’infrarosso è una radiazione a bassa energia).

L’atomo è fatto da livelli di energia e normalmente sta nel suo stato fondamentale, con la radiazione
elettromagnetica scambia energia con la materia e passa ad un livello successivo. Il passaggio da un
livello all’altro porta ad una certa energia, ossia una certa frequenza, ossia una certa lunghezza d’onda.
Quando il sistema si rilassa torna allo stato fondamentale. Analogamente dal passaggio allo stato
successivo a quello precedente la differenza di energia che andrò a cedere sarà sempre E=hv e dunque
sarà la stessa frequenza assorbita.

L'ipotesi di Planck implica che la radiazione di frequenza v possono essere generate solo se l'oscillatore
di quella frequenza abbia potuto acquisire l'energia minima necessaria a porlo in oscillazione.

Effetto fotoelettrico:

Lo spettro di emissione e di assorbimento dell’idrogeno non tornava con i modelli atomici visti finora
presentato.

Un altro esperimento che non coincideva con i modelli atomici è quello relativo all’effetto
fotoelettrico:

• Si espone la superficie di un metallo a radiazione ultravioletta (relativamente ad alta energia)


e per effetto fotoelettrico, che è un effetto termoionico, si valuta l’emissione di elettroni
(cariche negative) da parte di un metallo:
Quello che si notava era:

• Gli elettroni non vengono emessi a meno che la radiazione non raggiunga una v (frequenza)
superiore ad un certo valore soglia che risultò caratteristico per ogni metallo;
• Gli elettroni vengono emessi immediatamente qualunque sia l’intensità della radiazione;
• L’energia cinetica degli elettroni emessi aumenta linearmente con la v della radiazione
incidente.

Einstein e il fotone:

Una persona che spiegò al meglio l’effetto fotoelettrico e che vinse il premio Nobel per questo è Albert
Einstein che fece un passo avanti rispetto a Planck.

Egli introdusse il dualismo onda-particella: la radiazione è un’onda che scambia anche l’energia con
la materia tramite particelle che presero il nome di FOTONI (i quanti di Planck). Ciascun fotone può
essere considerato come un pacchetto di energia la cui energia è correlata alla frequenza di radiazione
attraverso la costante di Planck.

Dalla foto del diagramma sopra notiamo che:

o sull’asse delle y riportiamo l’energia;


o La laminetta di metallo ha un’energia (v) per espellere gli elettroni.

Se mando una frequenza al di sotto della soglia dell’energia non osserverò nessuna espulsione di
elettroni. Non appena uso una frequenza maggiore o uguale corrispondente al livello energetico
osserverò l’espulsione di elettroni e l’energia cinetica con cui verranno espulsi segue la legge di ½
mev2 (un mezzo massa dell’elettrone per velocità al quadrato).

Quindi la radiazione incidente ha una frequenza ed è costituita da un fascio di fotoni di energia hv


destinati ad urtare il metallo. Questo permetteva di spiegare l’esistenza delle righe di assorbimento e
di emissione osservate precedentemente: la luce interagisce con gli atomi di idrogeno, gli atomi di
idrogeno acquistano un fotone (un hv) e passano ad un livello di energia superiore.

L’esistenza del fotone e la relazione che lega l’energia e la frequenza della radiazione permisero di
rispondere ad una delle domande poste dallo spettro dell’atomo di H: le righe spettrali scaturiscono
dalla transizione tra due livelli energetici “permessi”.

Questo ritorno all’energia fondamentale, di nuovo, la differenza tra il livello superiore e il livello
inferiore sarà di nuovo hv che coinciderà con la frequenza che ha assorbito. Dunque anche se gli do
un’energia superiore lui assorbirà sempre delle quantità discrete. Le righe che si vedranno saranno
caratteristiche dell’atomo che si sta usando e indipendenti dalla sorgente.

L’atomo di Bohr:

Come superiamo i modelli atomici suggeriti fino ad ora?

Il fisico Niels Bohr, premio Nobel per la Fisica nel 1922, ha messo insieme
tutto ciò di cui abbiamo parlato prima e ha elaborato una teoria sull’atomo.
Il modello di Bohr viene considerato la nascita della meccanica quantistica
sebbene non ci fossero idee formalmente quantistiche: Bohr infatti faceva
ancora uso di teorie classiche, ma le aveva adattate in qualche modo per
poter spiegare ciò che stava osservando.

L’atomo di Bohr era espresso secondo i seguenti punti:

• L'elettrone possiede solo una serie di orbite permesse, dette stazionarie;

Queste orbite stazionarie avevano diversi livelli di energia, le indicò con il simbolo n (n=1, n=2, n=3) e
quando l’elettrone si trovava all’interno di esse non perdeva mai energia.

• Finché un elettrone resta in una data orbita la sua energia rimane costante e non si ha
emissione di energia;

Quando arrivava un fotone (una radiazione elettromagnetica, dunque energia) l’elettrone assorbiva
l’energia e passava ad un'orbita successiva, la differenza di energia tra una data orbita e l’altra è
indicata con hv, dipende dalla frequenza con cui sto incidendo su quell’atomo.

• L’elettrone può passare solo da uno stato stazionario all’altro, scambiando un “quanto” di
radiazione di energia.
Quando l’atomo ha subito energia e deve rilassarsi e dunque tornare da n=2 ad n=1 riemette questa
energia sottoforma di radiazione elettromagnetica che avrà la frequenza caratteristica v, che è
uguale a quella che ha assorbito.

Il modello di Bohr fu di straordinario successo perché funzionava bene per l’atomo di idrogeno, era
uno degli esempi più semplici: spiegava benissimo le righe di emissione e di assorbimento degli
atomi di idrogeno. Nonostante ciò, già se si andava in un sistema un po' più complesso, come
l’atomo di elio che ha solo un protone e un elettrone in più, il modello non funziona più.

Ipotesi De Broglie:

De Broglie osservò: l’universo è costituito da materia e radiazioni.

Se quest’ultima ha una natura duale onda/particella (ossia si comporta sia come un’onda, che come
una particella), può valere anche per la materia?

Ipotizzò che una particella di una certa massa m, che si muove con una certa velocità v, avesse una
lunghezza d’onda adessa associata pari a:

inoltre:

• Quando mi trovo nel mondo macroscopico se prendo una palla da tennis essa si comporta
come un corpo e la sua natura duale non esiste, il suo comportamento d’onda lo posso
trascurare.
• Quando mi sposto nel mondo microscopico e vado nel regno degli atomi la natura duale ha il
suo effetto e dunque a oggetti dotati di massa posso attribuire una lunghezza d’onda.

Tutti i corpi oscillano:

Per l’oggetto macroscopico devo prendere la costante di Planck che è 6.63 x 10 alla meno
trentaquattro joule secondi. Lo divido per la massa e lo moltiplico per la velocità in metri al secondo.
Il risultato comporta una lunghezza d’onda trascurabile.

Se lo stesso esercizio lo faccio per un elettrone il risultato è paragonabile alle dimensioni di un


atomo. Nel mondo microscopico devo fare sempre attenzione alla natura duale.

L’elettrone e il principio di indeterminazione di Heisenberg:


Dopo di che ci fu un altro importante principio, quello di Heisenberg rappresentato dalla seguente
formula:

Supponiamo di misurare la posizione e il momento angolare (moto o velocità) di un oggetto:


l’incertezza che io ho sul misurare quella posizione moltiplicata per l’incertezza che ho sul momento
angolare, sulla velocità che sto misurando è maggiore o uguale sulla costante di Planck diviso due pi
greco.

Questa formula ci dice che non si può mai contemporaneamente misurare con esattezza il valore di
due quantità che sono correlate tra di loro.

Questa regola è trascurabile per il mondo macroscopico: prendo una palla di cannone, posso
calcolare esattamente la traiettoria, in ogni istante è possibile il calcolo del moto parabolico, dunque
saprò sempre con accuratezza accettabile la posizione e l’accelerazione che ha.

Se vado nel mondo microscopico questa regola non è più trascurabile: prendo gli elettroni e non
posso calcolare contemporaneamente con esattezza la loro posizione esatta e la velocità in ogni
istante.

L’equazione di Schrodinger:

Equazione dipendente dal tempo e dallo spazio


è l’unità immaginaria

è la costante di Planck con h:2π

ket che indicano un vettore in algebra

è una funzione d’onda con y=psi

È un’equazione ad autovalori e dipende solo dallo spazio

è il vettore derivate seconde parziali (nabla)

E= operatore hamiltoniano

V(x)= potenziale

Bohr diede origine alla teoria quantistica e sostenne:

• quando entriamo nel mondo microscopico le cose cambiano, gli oggetti dotati di massa
hanno una lunghezza d’onda dunque è presente un dualismo onda particella;

Con Heisenberg invece si sostiene:

• Quando abbiamo davanti un oggetto appartente al mondo microscopico, e dunque che


rispetta il principio di onda-particella, non possiamo sapere correttamente e
contemporaneamente la sua posizione e la sua velocità.

Restava fuori il problema di come rappresentare l’elettrone. Che funzione devo utilizzare? La legge
di Newton o l’equazione di Planck? Schrodinger cercò di raggruppare tutte queste informazioni
descrivendo l’equazione sopra riportata.

Nell’equazione di Schrodinger: egli prese gli elettroni e pensò di descriverli con delle funzioni
matematiche complesse che dipendevano sia dallo spazio che dal tempo che chiamò FUNZIONI
D’ONDA.

Il moto degli elettroni nel tempo era spiegabile tramite la prima parte dell’equazione. Il moto degli
elettroni nello spazio, invece, è spiegato dalla seconda equazione chiamata EQUAZIONE AD
AUTOVALORI. Questa equazione prende delle funzioni d’onda di partenza: immagino che l’elettrone
sia descritto da una certa funzione matematica, gli applico l’operatore hamiltoniano (che calcola le
interazioni che sono presenti negli atomi es: energia cinetica). Questa equazione mi restituisce di
nuovo delle funzioni ed è per questo la definiamo autofunzione.

Interpretazione della funzione d’onda:


Le soluzioni dell’equazione di Schrödinger sono le funzioni d’onda (chiamate anche orbitali), ψ e
sono funzioni matematiche complesse delle coordinate dello spazio, che differiscono per il valore di
numeri interi, detti quantici. Le funzioni d’onda non hanno un significato fisico, ma sono un ‘artificio’
matematico che mi serve a descrivere il moto degli elettroni.

|ψ|2 rappresenta la probabilità di trovare la particella (l’elettrone) in una data regione dello spazio.

I numeri quantici:

I numeri quantici sono quattro.

Il primo numero quantico è il numero quantico principale (n) e definisce i livelli energetici. Il livello
fondamentale è rappresentato da n=1 poi ci sono i livelli successivi quali: n=2, n=3, n=4 fino ad un
massimo di otto.

Il secondo numero quantico è il numero quantico orbitale (l) varia da 0 a n-1; esso indica che tipo e
che forma di orbitale si ha.

Quando n=1 >> l=0.

Quando n=2 >> l può variare da 0 a 1 (due sottolivelli)

E via dicendo...
Per l=0 si avrà un’orbitale di tipo s (sferico). La probabilità di trovare l’elettrone attorno al nucleo è
di tipo sferico, dunque è uniforme in tutte le direzioni (in un certo istante potrebbe trovarsi in tutte
le direzioni).

Per l=1 si avrà un’orbitale di tipo p. In questo caso la densità elettronica è concentrata solo su uno
degli assi artesiani (sopra o sotto). Questo tipo di orbitale può essere:

• Px
• Py
• Pz.

Per l=2 si avrà un’orbitale di tipo d. Ci sono cinque tipi (es: dxz)

Il terzo numero quantico è chiamato numero quantico magnetico (ml) varia da –l e +l. Le orbitali p
sono tre: px, py, pz. Perché ne esistono tre tipi? Se vado a risolvere l’equazione di Schrodinger che è
una certa funzione d’onda che dipenderà dai numeri quantici, il terzo numero quantico indica
quante di queste funzioni d’onda si hanno.

Per l=0 ml=0.

Per l=1 ml=-1,0,1.


Per l=2 ml=-2,-1,0,1,2.

Il livello fondamentale è 1s. Il 3d si trova in un'energia più alta del 4s: questa scala dell’energia non è
lineare.

Gli atomi esistono? Oggi esistono delle tecniche per vedere gli atomi:

• Esperimento fatto in una camera vuota al cui interno fu generato un campo elettrico molto
elevato: al centro fu messo un singolo atomo di stronzio caricato positivamente.
• In laboratorio è possibile vederlo tramite metodi indiretti: le tecniche spettroscopiche;
tecniche dirette: microscopio ottico ed elettronico.

Terza lezione di Chimica.


Dietro a questa equazione c’è una spiegazione matematica:

• Tra H e psi non c’è una moltiplicazione, nel secondo membro si;
• Il risultato è la stessa funzione d’onda moltiplicata ad una costante che mi dà l’equazione ad
autovalori (l’autovalore);
• Nell’hamiltoniano descriviamo tutte le interazioni presenti nel sistema;
• Se risolvo l’equazione, il risultato atteso è l’autovalore e dunque l’energia del sistema;
• Il quadrato della funzione d’onda dà la probabilità di trovare l’elettrone in quella regione di
spazio;

Il problema matematico consiste nell’individuare i possibili stati del sistema (funzioni


d’onda=orbitali) e le corrispondenti energie, risolvendo l’equazione di Schrodinger. L’equazione di
Schrodinger non ammette soluzioni per ogni parametro, ma solo se è formata da numeri con valori
interi. Questi parametri sono chiamati numeri quantici.

Come si dispongono gli elettroni negli orbitali? Per capirlo c’è bisogno di introdurre un ulteriore
numero quantico.

Esperimento di Stern e Gerlach:

• Facendo passare un fascio di atomi di argento attraverso un campo magnetico non


uniforme;
• Osservarono soltanto due fasci.

Se prendo un magnete e lo faccio attraversare un campo magnetico non uniforme dovrei aspettarmi
che questo viene deflesso con certi angoli che, se faccio variare il campo magnetico, sono continui.

Cosa succede in realtà? Il fascio di atomi di argento veniva deviato solo in due fasci, in due angoli
precisi. Perché solo due fasci?

Si riprese il concetto di quantizzazione e venne introdotto il concetto di spin.


Spin elettronico:

Fu introdotto questo concetto per poter rispondere alle domande precedenti. Attualmente non c’è
nessun modello che possa spiegare il concetto di spin elettronico. L’elettrone si comporta come se
avesse, oltre il moto orbitale anche un moto di rotazione intrinseca (spin). All’elettrone viene
associato un momento intrinseco della quantità di moto chiamato momento di spin: l’elettrone mi
muove in qualche modo intorno al nucleo e ruota su sé stesso.

Quando ho una carica elettrica in movimento essa genera un campo magnetico. Dunque se faccio
ruotare un elettrone su sé stesso anch’esso genererà un campo magnetico. Esso può avere due versi.
Il verso del campo magnetico non è continuo e non può assumere tutti i valori che vogliamo. I
possibili valori sono due.

Se ci preoccupiamo del momento intrinseco di spin e ci dimentichiamo che è carico elettricamente:


un oggetto che gira su sé stesso ha un momento angolare che è dato dal numero quantico di spin
esso può assumere solo due valori ossia più e meno un mezzo.

Il numero quantico di spin in questo caso mi indica il verso di rotazione dell’elettrone nel campo
magnetico.

Configurazione elettronica:

Per poter inserire gli elettroni negli orbitali è opportuno tenersi al corrente di alcuni principi chimici.

➢ Il principio di Aufbau (Bohr):


“Nello stato fondamentale gli elettroni di un atomo polielettronico si dispongono negli orbitali in
modo tale da determinare lo stato di energia minima totale.”

In natura cerco sempre di minimizzare l’energia e dunque partire dal livello più basso di essa.

➢ Il Principio di esclusione di Pauli:


“In un atomo, due elettroni non possono essere nello stesso stato quantico (ossia avere la stessa
quaterna di numeri quantici). Ciascun orbitale può ospitare al massimo due elettroni con spin
antiparallelo.”
L’elettrone può avere due elettroni dello spin, quando li metto nella stessa direzione ci sarà uno spin
parallelo, al contrario si formerà uno spin antiparallelo.

Ciascun orbitale può ospitare al massimo due elettroni con spin antiparallelo: Di Pauli per
minimizzare le repulsioni tra elettroni.

➢ Regola di Hund:
“Avendo a disposizione più orbitali equivalenti, gli elettroni tendono ad occuparli con spin paralleli.”

Non posso metterli negli stessi orbitali, dunque metterò quelli con lo spin parallelo e poi
antiparallelo.

Comincio a riempire l’orbitale 1s e ci mettiamo due elettroni


Stessa cosa nel 2s e arrivati nel 2p si inizia a riempire gli orbitali prima ognuno con lo spid parallelo e
poi antiparallelo. Successivamente 3s, 3p, 3d..

Questa regola serve a predire l’energia relativa agli orbitali.

In questa regola per poter identificare l’orbitale con maggiore energia è opportuno tenere conto del
numero quantico l: quando sto nel 2s e nel 2p non ho dubbi perché nel 2s n vale 2 e l vale 0 e nel
caso del 2p l vale 1, dunque è più stabile 2s che 2p. Quando arrivo nel caso 3d, 4s allora: in 3d la
somma n+l vale 5 e nel caso di 4s vale 4.

È chiamata regola della diagonale perché tracciando delle semplici diagonali riesco a tracciare
l’ordine corretto degli orbitali.
La tavola periodica permette di non aver bisogno della regola della diagonale per verificare e
leggere facilmente il livello energetico degli elettroni. Essa è composta da righe e colonne e segue la
configurazione elettronica degli atomi: dalla posizione della tavola periodica so dire
immediatamente la sua configurazione elettronica.

Le righe sono chiamate periodi della tavola periodica (da 1 a 7).

Le colonne sono chiamati gruppi della tavola periodica.

Nel primo periodo e nel primo gruppo avrò l’orbitale 1s con un elettrone (1s1) essa è la
configurazione elettronica dell’atomo di idrogeno. Dopodiché posso mettere un secondo elettrone e
avrà 1s2 chiudendo così la configurazione di questo orbitale, motivo per cui è presente alla fine della
tavola periodica. Tutti gli atomi presenti nel gruppo 18 hanno una configurazione completa.

Nel secondo periodo trovo 2s a cui è possibile aggiungere un elettrone (2s1) o due elettroni (2s2). Al
secondo livello riesco ad avere anche 2p, tre orbitali p che possono arrivare ad un massimo di sei
elettroni (2p3, 2p4, 2p5, 2p6) fino a raggiungere una configurazione completa.

Nel quarto periodo questo segue la regola di diagonale: leggo prima l’orbitale 4s, prima di 3d, un
solo orbitale 3d e poi il blocco f. Quando arriva al 5d qua il 4f diventa più stabile.
Nella tavola periodica è presente un blocco in basso costituito dai lantanidi al primo periodo e
attinidi nel secondo periodo. Questo blocco si aggiunge come nell’immagine sopra. Per questo
motivo riempio prima questi orbitali.

La configurazione elettronica determina il tipo di elemento che sto considerando. Oltre a essa, il
fatto che gli elementi si trovino nello stesso gruppo significa che hanno anche proprietà simili tra di
loro. Tutto ciò è dato dal fatto che hanno una configurazione elettronica nei livelli più esterni simili.

Il primo gruppo avrà sempre un elettrone nell’orbitale s più esterno, il secondo gruppo ne avrà due
nell’orbitale s più esterno e così via: questo ne determina le proprietà chimiche e fisiche simili per gli
atomi appartenenti allo stesso gruppo. Quando ci muoviamo lungo un gruppo e lungo un periodo
della tavola periodica alcune di queste proprietà cambiano in modo periodico: se mi muovo lungo un
gruppo una certa proprietà crescerà o decrescerà e se mi muovo lungo un periodo questa proprietà
potrà cresce o decrescere analogamente.
Gli elementi presenti nel primo gruppo, a esclusione dell’idrogeno, sono chiamati metalli alcalini,
quelli del secondo gruppo si chiamano metalli alcalino-terrosi, quelli del terzo si chiamano metalli
terrosi (composto da metalli e non metalli); quarto, quinto e sesto gruppo non hanno presente
alcuna nomenclatura, ma vengono indicati con il primo elemento presente nel gruppo (gruppo del
carbonio, gruppo dell’ossigeno e via dicendo). Il settimo gruppo è chiamato gruppo degli alogeni e
all’ultimo gruppo sono presenti i gas nobili in cui c’è una configurazione elettronica completa.
Questi elementi sono detti stabili e per questa motivazione non vogliono reagire con altri elementi.
Al decrescere del gruppo dei gas nobili, alcuni di essi in determinate condizioni riescono a creare
composti.

Al gruppo degli alogeni manca solo un elettrone per completare la loro configurazione elettronica,
mentre quelli del primo gruppo hanno un elettrone in più.
Il raggio atomico è la metà della distanza tra i centri di due atomi adiacenti: se metto due atomi
adiacenti la distanza tra i centri e 2r e il raggio atomico è la sua metà.

Nel primo gruppo osserviamo che passando dall’idrogeno, al litio, sodio fino ad arrivare al cesio il
raggio atomico aumenta man mano. Se scendo lungo il gruppo il raggio atomico va aumentando.

Nel primo periodo osserviamo che passando dal litio fino al neon, il raggio atomico diminuisce. Se
scendo lungo il periodo il raggio atomico va diminuendo.

Perché accade questa cosa? I massimi del grafico sono gli elementi del primo gruppo.
Se metto un elettrone nell’orbitale 1s, gli elettroni che metto nel 2s non ne risentirà della stessa
carica degli elettroni che ci saranno nei livelli inferiori.

Se andiamo a rappresentare in modo semplicistico l’atomo di idrogeno abbiamo un solo protone e


un solo neutrone: non vi è alcuna azione di schermo, l’elettrone presente risentirà della carica
effettiva che corrisponde al numero atomico.

Se vado nell’atomo di elio avrò uno degli elettroni che ne risentirà dell’effetto di schermo dell’altro
protone.

Se vado all’atomo di litio, l’elettrone più esterno risentirà dell’effetto di schermo dei due elettroni
presenti al guscio più interno, con effetto di schermo maggiore rispetto all’atomo di elio.

Se mi muovo dall’idrogeno all’elio la carica sta aumentando, se mi muovo dall’elio al litio la carica
efficace aumenta di poco.
Se ho una certa carica efficace, se essa è grande gli elettroni tenderanno ad essere attratti
maggiormente dal nucleo e le dimensioni diminuiranno: gli elettroni che stanno ai livelli più esterni
se la carica nucleare efficace è maggiore verranno attratti maggiormente.

Lungo il periodo la carica efficace cresce perché sto riempiendo gli elettroni nello stesso livello
energetico, l’atomo si contrae. Quando sto scendendo lungo il gruppo invece, la carica efficace
aumenta sempre, ma in maniera minore perché c’è un effetto di schermo maggiore, la carica
aumenta poco, l’atomo si contrarrà di meno.
L’energia di prima ionizzazione è l’energia richiesta per strappare un elettrone da un atomo isolato
nel vuoto.

Preso un atomo di elio, gli ho strappato un elettrone, generò l’atomo di elio +.

Se mi muovo lungo un gruppo, l’energia di prima ionizzazione diminuisce, mentre se mi lungo il


periodo l’energia di prima ionizzazione aumenta. In questa immagine i massimi vengono assegnati ai
gas nobili, che hanno una configurazione elettronica stabile, e dunque strappare a loro un elettrone
costa molto. Gli elementi del primo gruppo sono ad un passo della loro configurazione elettronica
(manca solo un elettrone per il completamento) e infatti a loro vengono affidati i minimi.

Questo è il motivo per qui lungo il periodo l’energia di prima ionizzazione aumenta. Perché invece
durante il gruppo diminuisce?

Scendendo per il gruppo, l’effetto di schermo aumenta. Quell’elettrone che è situato nello strato più
esterno e dunque che deve essere strappato, risentirà di una carica efficace non molto alto: sarà più
facile strapparlo. Quando mi muovo lungo il periodo la carica efficace è più alta, e aumenta fino ad
arrivare ai gas nobili dove si ha la carica efficace massima. Gli elettroni vengono tenuti
maggiormente e per poterli strappare mi serve molta energia, cosa che non accade lungo il gruppo
dove la carica efficace resta costante e sono facili da strappare.

L’affinità elettronica è la proprietà opposta all’energia di prima ionizzazione: prendo un atomo


neutro a cui voglio affidare un elettrone.

X=atomo neutro. X-=atomo negativo (anione) formatosi dalla somma dell’atomo neutro e
dall’elettrone.

I numeri scritti nelle caselle sono le affinità elettroniche: un’affinità elettronica maggiore
rappresenta che l’elemento vuole ricevere l’elettrone.

Esempio: Fluoro (F) che ha un’alta affinità elettronica, mentre quelli del primo gruppo hanno affinità
minore; per i gas nobili sono negativi.

Gli alogeni sono ad un passo, dai gas nobili, per acquistare l’ultimo elettrone. I gas nobili sono
completi ed è per questo non vogliono né cederli, né riceverli. L’affinità elettronica aumenta lungo il
periodo, diminuisce lungo il gruppo.
I massimi sono affidati agli alogeni, mentre i minimi sono i gas nobili.

L’elettronegatività è importante per poter capitare la reattività e il legame che formerà gli atomi.
Rappresenta quanto l’atomo attrae a sé gli elettroni. Atomi uguali, con la stessa elettronegatività,
rappresenteranno una tensione elettronica al centro dei due (legame covalente). Atomi diversi, con
elettronegatività diversa, rappresenteranno una tensione elettronica verso l’atomo più
elettronegativo.

L’elettronegatività esprime le proprietà chimiche e fisiche degli atomi.


Nella tavola periodica ogni elemento è riportato anche nel suo stato elementare in natura e in
condizioni standard.

Esempio: L’idrogeno H, p è gassoso, i metalli sono sottoforma di solidi e i gas nobili sottoforma di gas
come ci indica il nome.

(Ptaple per lo studio dei vari elementi.)

Quarta lezione di Chimica.

L’energia di seconda ionizzazione è l’energia richiesta per strappare due elettroni da un atomo
isolato nel vuoto.

X+
(g) → x2+(g) + e–
Il minimo di questa energia è nel gruppo due: togliendo due elettroni si passa dal gruppo due al
gruppo dei gas nobili.
Con la somma degli atomi dei gas nobili l’elettronegatività è sconosciuta, l’affinità elettronica è zero,
la valenza è zero. I gas nobili sono stabili e non vogliono reagire con nessun altro elemento, né con
sé stessi. Qualsiasi altro elemento tende a questa configurazione elettronica: gli elementi del primo
gruppo vogliono perdere un elettrone, gli elementi del secondo ne vogliono perdere due, il carbonio
ne vuole acquistare quattro.

Gli elementi possono acquistare o perdere elettroni formando composti, formando legami con altri
elementi.

Il legame chimico.

Il legame chimico è la forza, molto spesso di natura elettrostatica, che tiene uniti due o più atomi in
una specie chimica (legami forti; anche detti primari o intramolecolari), o più molecole all’interno di
una sostanza nel suo stato condensato (legami deboli; anche detti secondari o intermolecolari.

Il legame chimico si forma fra gli atomi solo se la risultante disposizione dei nuclei e degli elettroni
possiede energia più bassa di quella totale corrispondente ai due atomi separati.
Esistono due tipologie di legami:

• Legami intramolecolari che avvengono all’interno della molecola;


• Legami intermolecolari che avvengono tra molecole.

• Fra elementi con elettronegatività uguale o simile, avremo legami covalenti (gli elettroni sono
condivisi tra i due atomi).

Esempio: carbonio e idrogeno o due atomi di idrogeno.

• Fra elementi con elettronegatività molto diversa (bassa EI e alta AE) avremo legami ionici (gli
elettroni si ‘trasferiscono su uno dei due atomi’).

Esempio: sodio e cloro.

• Fra gli elementi scarsamente elettronegativi (bassa EI), avremo legami metallici (gli elettroni si
trovano in una ‘nube’ attorno a tutti i nuclei degli atomi)

Esempio: sodio e sodio.

Teorie del legame chimico:

-1916 Lewis teorie delle coppie di elettroni.

-1927 Heitler e London teoria del legame di valenza.

-1933 Mulliken teoria degli orbitali molecolari.

Teoria di Lewis.

➢ Gli elettroni, in particolare quelli del livello più esterno (guscio di valenza), giocano un ruolo
fondamentale nel legame chimico.

➢ In alcuni casi gli elettroni vengono trasferiti da un atomo all’altro. Si formano ioni positivi e
negativi che si attraggono tra loro in conseguenza di forze elettrostatiche dette legami ionici.

➢ In altri casi due o più coppie di elettroni vengono condivise tra gli atomi; questa condivisione è
detta legame covalente.

➢ Gli elettroni vengono trasferiti e condivisi in modo tale che ogni atomo acquisti una
configurazione elettronica particolarmente stabile, che è quella di un gas nobile (regola dell’ottetto).
La prima immagine raffigura la configurazione elettronica del sodio. Egli ha un elettrone nel guscio
più esterno. Il cloro nel guscio più esterno ha sette elettroni.

Secondo Lewis è opportuno tener conto degli elettroni presenti nel guscio più esterno per capire che
reattività avranno. Il sodio perde l’elettrone così da raggiungere la configurazione elettronica
dell’ottetto; analogamente il cloro lo vorrà ricevere così da raggiungere anch’esso il suo ottetto.

In queste immagini sono presenti anche delle variazioni del raggio atomico: passando dal sodio, al
sodio catione il raggio atomico diminuisce, nel caso del calcio neutro al calcio anione il raggio
atomico aumenta. Perdendo l’elettrone dal guscio più esterno il volume del catione sarà inferiore
rispetto a quelle dell’atomo neutro.

Nella seconda immagine nel primo caso dal sodio atomico al sodio + si deve andare a considerare
l’energia di prima ionizzazione: 494 chilo joule per moli. Il sodio atomico ha acquistato un elettrone
si deve andare a considerare all’affinità elettronica: -349 chilo joule per moli. Successivamente
questi due processi vanno sommati perché si è formato un Na+Cl-: 145 chilo joule per moli. Il
processo non è favorito: la soluzione è mettere più Na+ e più Cl-. In questo caso andrò a considerare
non la singola affinità elettronica e la singola energia di ionizzazione, ma se alterno sodio-cloro,
sodio-cloro il sodio interagirà con due clori e dunque ci sarà una certa energia elettrostatica
favorevole. Si immagini che questa striscia venga espansa nel piano: ogni sodio sarà circondato da
quattro anioni cl- ed avrà interazioni favorevoli. Infine se si va in tre dimensioni si forma un reticolo
cristallino come rappresentato nell’ultima immagine in questo caso si dovranno considerare le
energie di interazioni favorevoli che organizzato in un reticolo si chiama energia reticolare.
Come si capisce quale elemento reagirà con un altro? Gli elementi del primo gruppo formano
facilmente cationi monopositivi, quelli del secondo gruppo formano cationi con due cariche positive,
gli elementi, come l'alluminio, del terzo gruppo possono formare cationi fino a tre cariche positive.
Analogamente l’azoto, per raggiungere l’ottetto, vorrà acquistare tre elettroni e per questo
facilmente andrà a formare anioni con tre cariche negative, l’ossigeno con due cariche negative e il
fluoro con una carica negativa.

È possibile immaginare queste reazioni tra elementi come una serie di incastri.
Il litio reagirà con gli alogeni come il cloro, a formare solidi ionici.

Il calcio che ha due cariche positive reagirà con due anioni, o con un anione con due cariche negative
per poter bilanciare la carica.
Esempio: un atomo di H lo faccio agire con un altro atomo di H ottengo una molecola di H2 con la
condivisione dei due elettroni.

Il legame covalente rappresentato in immagine è chiamato legame covalente semplice. Il legame


covalente semplice è la condivisione dell’elettrone di un atomo con l’elettrone di un altro atomo. È
possibile avere anche legami covalenti multipli:

-Legame doppio: due coppie di elettroni condivisi;

-Legame triplo: tre coppie di elettroni condivisi.

L’energia di legame è l'energia necessaria per tenere aggregate le parti di un sistema composto. La
distanza di legame rappresenta la distanza tra i nuclei di due atomi di una specie chimica, corrispondente
al minimo di energia, in cui si minimizzano le attrazioni e le repulsioni.
Se si continua ad avvicinare i due atomi si avvertono le repulsioni tra i due elettroni e tra i due nuclei con
un aumento rapido dell’energia e il sistema sarà sfavorito.

Esempio: il fluoro che ha configurazione elettronica 2s2 2p5.

La rappresentazione può essere fatta tramite la notazione di Lewis come nell’immagine. L’idrogeno
ha configurazione 1s1 dunque viene applicato un unico pallino al suo fianco, nel fluoro sono presenti
sette elettroni e dunque vengono disegnati sette pallini attorno ad esso. Quando faccio reagire
idrogeno e fluoro, a formare l’acido fluoridrico, il legame viene disegnato con un tratto che unisce
l’idrogeno al fluoro: questo vuol dire che l’idrogeno ha condiviso il suo elettrone e il fluoro ha
condiviso il suo elettrone. A questo punto entrambi hanno raggiunto l’ottetto.

Esempio: l’ossigeno che ha configurazione 2s2 2p4.

L’ossigeno ha sei elettroni al livello più esterno e viene raffigurato, secondo la notazione di Lewis,
con sei pallini attorno all’atomo. Esso viene fatto reagire con due atomi di idrogeno perché mancano
due elettroni per arrivare alla configurazione elettronica completa (l’ottetto) dell’ossigeno. Si
formerà la molecola d’acqua. Tra i due idrogeni creerò un tratto che esprime il legame O-H e per i
quattro elettroni che non partecipano al legame, chiamati doppietti solitari, vengono raffigurati con
un tratto sopra l’ossigeno. Questo indicherà che esistono due elettroni che non sono presenti nel
legame.

Esempio: l’azoto che ha configurazione 2s2 2p3.

L’azoto ha cinque elettroni al livello più esterno e viene raffigurato, secondo la notazione di Lewis,
con cinque pallini attorno all’atomo. Esso viene fatto reagire con tre atomi di idrogeno in quanto
l’azoto per raggiungere il suo ottetto deve ottenere tre elettroni. Si formerà l’ammoniaca NH3.
Esempio: il carbonio che ha configurazione 2s2 2p2.

Il carbonio ha quattro elettroni al livello più esterno e può essere raffigurato, secondo la notazione di
Lewis, con quattro pallini attorno all’atomo. Esso viene fatto reagire con due atomi di idrogeno senza
però aggiungere l’ottetto.

Quello che il carbonio fa è promuovere un elettrone dal livello s al livello p. Gli elettroni che erano a
livello s erano accoppiati così da formare un doppietto e non erano quindi disponibili per partecipare
al legame. Promuovendo l’elettrone dal livello s al livello p e quindi spendendo energia per portarlo
ad un livello di energia superiore, quella che vado a guadagnare la sfrutto per creare altri legami. Il
carbonio così può ricevere altri quattro elettroni per l’ottetto. Il carbonio dunque viene
rappresentato come nella seconda immagine: quattro pallini sparsi e solitari attorno all’atomo e il
legame avviene per quattro atomi di idrogeno. Si formerà una molecola di metano.
A) elettroni di efficienza;

B) espansione dell’ottetto;

C) radicali.

Esempio a): il boro.


Anche se arrivo a promuovere l’elettrone a livello 2p, quindi ho tre elettroni spaiati attorno al boro,
si possono formare solo tre legami. Avrò al massimo sei elettroni attorno all’atomo centrale. La
regola dell’ottetto è raggiungibile facendo reagire il boro con altri atomi, formando un anione. Per
bilanciare le cariche avrò bisogno di aggiungere un catione. I composti del Boro sono
particolarmente reattivi: per raggiungere l’ottetto si legheranno a più atomi.

Esempio b): Lo zolfo.

Lo zolfo, come gli altri elementi del terzo gruppo, può arrivare ad avere più di otto elettroni. Il
secondo livello può avere solo gli orbitali s e p, il terzo livello può avere gli orbitali s, p e d. Quello che
fa lo zolfo è andare a promuovere gli elettroni dagli orbitali s e p agli orbitali d. L’energia che spendo
per promuoverli in quegli orbitali la guadagnerò per creare altri legami. Quelli del secondo gruppo
non possono farlo perché dopo l’orbitale p dovrebbero promuovere gli elettroni nell’orbitale 3s e
questo non è conveniente.
Lo zolfo andrà a formare 4 legami con il fluoro, con dieci coppie elettroniche.

È possibile promuovere anche l’altro elettrone presente nell’orbitale s. Lo zolfo andrà a formare 6
legami con il fluoro, con dodici coppie elettroniche.

Per disegnare la forma di Lewis della molecola è indispensabile seguire delle regole.

Esempio: PF3.
Cinque elettroni per il fosforo e sette per il fluoro. Andrò a disporre ventisei elettroni.

Esempio: PF3.

Esempio: PF3.

Esempio: PF3.

Esempio: PF3.
Ho ventiquattro elettroni e per raggiungerne ventisei ne aggiungo due al fosforo.

Esercizi su struttura di Lewis:

1.

2.

3.
4.

5.

Non è una struttura stabile, è la formula di risonanza ad alta energia.

La forma corretta per CO2 è questa.


6.

7.

Non è stabile, è una formula di risonanza ad alta energia.


8.

Quinta lezione.

Ibridi di Risonanza:

Esempio: CO3 alla 2-.

Spiegazione esempio:
Disegnato il carbonio al centro e i tre ossigeni presenti periferici, si completa l’ottetto di questi
ultimi. Il carbonio non ha completato l’ottetto così viene promosso un doppietto di legame per poter
arrivare a completarlo. La prima struttura è la struttura valida di Lewis.

Non c’è nessuna ragione per cui un ossigeno sia più speciale dell’altro per condividere il doppio
legame che permette il completamento dell’ottetto del carbonio. Ogni ossigeno potrebbe avere il
doppio legame.

In questa immagine le doppie punte stanno ad indicare le formule di risonanza: nella prima struttura
il doppio legame è fatto dall’ossigeno a sinistra, nella seconda a destra e nella terza sopra.

Qual è la vera formula di Lewis di questo composto? E’ un ibrido delle tre formule sopra indicate.

Per rappresentarlo potrebbero essere disegnati legami semplici a tutti gli ossigeni e poi disegnare un
legame tratteggiato tra i carbonio-ossigeno: il legame CO non è né un legame semplice e ne un
doppio legame, è una via di mezzo tra un legame semplice e un legame doppio questo perché
queste strutture sono equivalenti.

Solo gli elettroni possono essere spostati per formare poi i doppietti, gli atomi non possono essere
spostati.
Il patrimonio iniziale indica quanti elettroni ha un atomo nel suo livello di valenza.

Esempio: HCO3-

Il carbonio ha due legami semplici e un doppio legame: quattro elettroni. Quattro elettroni sono
presenti anche nello strato di valenza dunque la sua carica formale è 0. L’atomo di ossigeno a sinistra
presenza tre coppie di elettroni solitari e una di legame: sette elettroni. Sei elettroni sono presenti
nel suo strato di valenza dunque la carica formale è -1. L’atomo di ossigeno a destra presenta due
coppie di elettroni solitari e un doppio legame: sei elettroni. Sei elettroni sono presenti nel suo
strato di valenza dunque la carica formale è 0. Vale lo stesso per l’ossigeno e l’idrogeno in alto.

Mi ritrovo dunque tutte cariche zero, tranne che per l’ossigeno a sinistra con carica formale negativa
uguale a –1. Essa rappresenta una forma abbastanza stabile perché è composta maggiormente da
cariche formali uguali a zero e la carica negativa è su un atomo elettronegativo.
Le formule di Lewis esprimono solo i legami tra gli atomi senza dare nessuna informazione su quella
che è la forma delle molecole.

Per questo è opportuno introdurre il modello VSEPR (vusepr):

Esso si basa su un’idea abbastanza semplice: per predire la geometria di una molecola si deve
considerare che le coppie degli elettroni, sia che siano di legame che di non legame, tendono a
disporsi il più possibile lontano fra di loro. Si immagina che le coppie di elettroni abbiano una certa
repulsione fra di loro e dunque in questo modello cerchiamo di disporle il più lontano possibile.
Dato un certo numero di coppie di legame esisterà una geometria che massimizza le distanze tra le
coppie di elettroni.

Esempio: AX2. BeF2

(Un atomo centrale legato a due elementi.)

Il modo migliore per distanziarle è metterle a 180° di distanza fra di loro (il massimo angolo). Questa
geometria è chiamata lineare.

Esempio: AX3. BF3

(Un atomo centrale legato a tre elementi.)

Il modo migliore per distanziarle è metterle a 120° di distanza fra di loro (il massimo angolo). Questa
geometria è chiamata trigonale planare. Tre coppie di elettroni si dispongono ai vertici di un
triangolo.

Esempio: AX4. CH4

(Un atomo centrale legato a quattro elementi.)

Il modo migliore per distanziarle è metterle a 109.5° di distanza fra di loro (il massimo angolo).
Questa geometria è chiamata tetraedrica. Quattro coppie di elettroni che si dispongono ai vertici di
un tetraedro (piramide a base triangolare).

Esempio: AX5. PF5

(Un atomo centrale legato a cinque elementi.)

Il modo migliore per distanziarle è metterle in due modi distanze diverse:

• Tre coppie di elettroni in un piano equatoriale di 120° tra di loro e disposte ai vertici di un
triangolo;
• Due coppie di elettroni sopra e sotto il piano equatorial con angolo di 90°.

L’asse centrale che divide le coppie è di 180°. Questa geometria è un misto tra la prima lineare e la
seconda trigonale planare e si chiamerà trigonale bipiramidale.
Esempio: AX6. SF6

(Un atomo centrale legato a sei elementi.)

Il modo migliore per distanziarle è metterle a 90° di distanza fra di loro (il massimo angolo). Questa
geometria è chiamata ottaedrica. Sei coppie di elettroni si dispongono ai vertici di un ottaedro (due
piramidi a base quadrata unite dalla base).

Nelle geometrie semplici tutto ciò che circondava l'atomo centrale era un altro elemento.
Disegnando le formule di Lewis abbiamo notato che non è sempre il caso: a volte, attorno all’atomo
centrale, ho delle coppie di elettroni.

Per esempio nel caso dell’NH3 si ha l'azoto legato ai tre atomi di idrogeno con legami singoli e poi un
doppietto di elettroni non condivisi in un legame, sempre attorno all’atomo di azoto.

Secondo il modello VSEPR la coppia di elettroni solitari e quindi che non è condivisa in un legame
occupa un volume maggiore di quella condivisa in un legame. Gli elettroni che si utilizzano per
formare un legame si devono orientare in una certa regione di spazio, mentre gli elettroni liberi in un
certo qual modo non sono vincolati a formare un legame quindi non occupano un volume maggiore.
Questo causerà delle distorsioni a quelle geometrie prima indicate.

In questo caso gli angoli saranno di 107° e così lo è anche per gli altri esempi sopra riportati a destra.
Spiegazione schema:

• Nel caso della lineare, non c'è dubbio, posso avere solo lineare anche se questo fosse un
doppietto di elettroni, la molecola resterebbe lineare;
• Nel caso della trigonale planare del tipo AX3 potrei avere per esempio un doppietto di
elettroni. Bisognerà disporli ai vertici di un triangolo, ma quando voglio capire la geometria
di quella molecola, quel doppietto solitario di fatto è invisibile ai fini della geometria di una
molecola. In questo caso si chiamerà piegata o angolata perché devo considerare solo XAX
che si disporranno con un certo angolo che sarà minore di 120 ° perché ho una distorsione
dovuta alla coppia solitaria di elettroni.
• Nel caso della tetraedrica l'ammoniaca per esempio l’ammoniaca ha un doppietto
elettronico attorno all’atomo centrale e quindi le quattro coppie di elettroni si disporranno
sempre ai vertici di un tetraedro, ma devo considerare invisibile uno dei vertici e quindi ho
semplicemente una piramide a base triangolare. Se ho due doppietti di elettroni, come nel
caso dell’acqua, si disporranno ai vertici di un tetraedro, ma devo considerare solo XAX con
un certo angolo che sarà molto minore di 109° (circa 104.5°). Questa si chiamerà piegata o
angolata.
• Nel caso della trigonale bipiramidale quando metto una coppia di elettroni ci possono
essere due casi:
1. Si mette nel piano equatoriale;
2. Si mette lungo l’asse.

Secondo il modello VSEPR devo sempre massimizzare le distanze: lungo l’asse va distanziata
per angoli di 90° rispetto a tre atomi ossia rispetto al piano equatoriale, mentre nel piano
equatoriale va distanziata due per angoli di 120° e due per angoli di 90°. Con due coppie di
elettroni si disporranno sul piano equatoriale a 120° tra di loro e se ne ho di coppie di
elettroni esse si disporranno tutte sul piano equatoriale. Nel caso di una sola coppia di
elettroni si parlerà di una struttura cavalletto, nel caso di due coppie di elettroni si parlerà di
una struttura a T, nel caso di tre coppie di elettroni si parlerà di struttura lineare.
• Nel caso della ottaedrica se ho una coppia di elettroni la devo disporre in uno dei vertici del
tetraedro senza differenza da un tetraedro all’altro. Con una due coppie di elettroni se lo
metto nel piano equatoriale sarebbero a 90 ° tra di loro, se li metto di nuovo invece lungo
l'asse qui adesso lo dispongo nel vertice della piramide quadrata adesso sono a 180 ° tra di
loro e quindi quel che mi resta nel piano equatoriale è la base quadrata quindi è un quadrato
planare. Con tre coppie di elettroni queste si disporranno tutte nel piano equatoriale e si
andrà a formare una struttura a T perché gli angoli saranno di 90°. Infine se ho quattro
coppie di non legame questi si disporranno tutte nel vertice nel piano dell’ottaedro quindi
mi resteranno due atomi a 180 ° di loro: questa geometria si chiama lineare.

Che forma hanno le molecole? VSEPR (Valence Shell Electron Pair Repulsion) – Repulsione delle
coppie elettroniche nel guscio di valenza:

1 - Sommare il numero di coppie solitarie al numero di legami formati (i legami multipli valgono 1 e
non contano ai fini della geometria).

2 - Questo numero determina il poliedro regolare che ai vertici del quale si disporranno gli atomi
periferici e le coppie solitarie (geometria elettronica).

3 - Considerare le coppie solitarie come "invisibili" al fine di determinare la geometria definitiva.

Limiti della teoria di Lewis e del modello VSEPR.

Le strutture di Lewis non ci dicono nulla sul perché i legami covalenti si formano, né di come gli
elettroni sono condivisi fra gli atomi.

La teoria VSEPR, per quanto accurata e utile per prevedere la geometria delle molecole, non è in
grado di spiegare perché gli elettroni dei domini si dispongono nello spazio in modo da evitarsi
reciprocamente.

Quindi, anche se questi semplici modelli sono di grande utilità, per comprendere a fondo il legame
covalente e i fattori che determinano la geometria molecolare è necessario fare ricorso ad altre
teorie.
Teoria del legame di valenza.

La formazione di un legame covalente viene interpretato in termini di sovrapposizione tra gli orbitali
dei due atomi impegnati nel legame: si ha, quindi, la formazione di una regione ad alta densità
elettronica (in cui sarà più probabile trovare l’elettrone) come risultato della compenetrazione delle
nuvole elettroniche (orbitali).

Esempio: Atomi di idrogeno con orbitali 1s.

Abbiamo visto se sono ad una certa distanza avranno una certa energia: man mano li avvicino
l’energia diminuisce fino ad arrivare alla lunghezza di legame.

Questa è la lunghezza tra i due atomi una volta che hanno formato un legame e corrisponde a un
minimo dell'energia.

In questa distanza di legame io avrò una sovrapposizione di queste densità elettroniche che
generano di fatto un nuovo orbitale: una nuova regione di spazio in cui sarà più probabile trovare
l'elettrone.

Questa zona di sovrapposizione, nel caso di quindi un legame semplice come nel caso dell'idrogeno
formando la molecola di H2, la zona di sovrapposizione si troverà lungo la congiungente i due nuclei,
l’asse di legame (legame sigma).

Ci diversi tipi di orbitali che possono sovrapporsi.


Il caso semplice è quando sovrappongo due orbitali s: si avrà una certa sovrapposizione nell'asse di
legame e quello che genero sarà un legame sigma.

Il legame sigma realizzato ha una simmetria cilindrica: mentre prima avevo una simmetria sferica
adesso compenetrate due sfere, ho ottenuto un cilindro.

Il problema di trovare l'elettrone sarà lungo la congiungente dei due atomi, lungo questa simmetria
cilindrica.

Quello che posso fare è sovrapporre un orbitale s con un orbitale p, ma non potrò farlo con tutti i p.
(come ad esempio HF)

Tutti gli orbitali p hanno un piano nodale nel piano dell'atomo.

Se per esempio questo asse internucleare sia l'asse z, il pz sarà orientato lungo l'asse di legame e
quindi lo potrò sovrapporre con l'orbita s; se provo a sovrapporre il py o il px che saranno
perpendicolari a questo piano non avrò sovrapposizione lungo l'asse di legame.

Dovrò formare legami con gli orbitali p solo se si troveranno lungo l'asse di legame: dovrò orientare
l’orbitale p lungo quell'asse.

L’altra cosa che posso fare è sovrapporre due orbitali p: devo sovrapporre due orbitali dello stesso
tipo.

Ad esempio due pz, due px o due py. (come ad esempio O2)

Nel caso contrario, non ho sovrapposizione lungo l'asse di legame.

Teoria del legame di valenza: legame doppio.

Posso avere la formazione di legami multipli.

Il legame doppio si forma sovrapponendo due orbitali p.

• La zona di sovrapposizione si trova fuori dall’asse internucleare (di legame): sopra e sotto l’asse
internucleare.

Lungo l’asse internucleare non c’è densità elettronica poiché ci sono dei piani nodali.

• Un legame π è più debole di uno σ.


• Gli elettroni π sono più reattivi (cfr. chimica organica).

a. Formula di Lewis;
b. Legami chimici tra elementi;
c. Vengono avvicinati i due elementi che portano alla formazione di un legame sigma con due
orbitali px.
d. Vengono sovrapposti px e py sull’asse x formando il legame p greco (legame doppio).

Il legame triplo è un legame pi greco ed è possibile arrivare ad un limite di due legami. I passaggi
sono uguali come nel caso del legame doppio, ma si avrà la sovrapposizione sopra e sotto il piano
internucleare.
Quantificazione dell’energia in gioco quando si forma un legame. All’aumentare dell’energia di
legame diminuisce la lunghezza di legame. L’energia di legame aumenta ad ogni legame perché si
stanno formando più legami. Ogni legame è sempre meno del doppio e meno del triplo ed è il
motivo per cui si dice che il legame è più debole. L’energia totale di un legame triplo è maggiore di
quella del doppio, ma prendendo i singoli legami il legame pi greco è più debole di un legame sigma.

Teoria del legame di valenza.

Come si descrive una molecola come il metano CH4 in cui si osservano 4 legami C-H identici?
I legami nella molecola di metano, oltre ad essere esposti ai vertici di un tetraedro, sono equivalenti
tra di loro: le distanze di legame sono identiche.

Questo non viene predetto dalla teoria di valenza.

Ibridazione.

Nel fenomeno dell’ibridazione un certo numero di orbitali atomici viene combinato (con un
procedimento matematico) per dare luogo allo stesso numero di nuovi orbitali equivalenti; questi
sono detti orbitali ibridi e possono essere messi in relazione con le varie geometrie molecolari.

La particolare forma degli orbitali ibridi consente una sovrapposizione più efficace e permette quindi
la formazione di legami più forti.

Esempio per capire l'ibridazione: due colori e mischiarli fra di loro.


L’ibridazione permette di collegare la teoria di VSEPR con la teoria del legame di valenza: capire
come si formano i legami e predire quale sarà la geometria di quella molecola.

Prendo quattro orbitali, li frullo fra di loro e ottengo quattro orbitali che si chiameranno orbitali sp3
(un orbitale s e tre orbitali p). I nuovi orbitali generati si disporranno ai vertici di un tetraedro come
indicato nel modello di VSEPR.
Un orbitale s e due orbitali p.

1 orbitale s 1 orbitale p.
Ibridazione degli orbitali – sp3d & sp3d 2.

Come già sappiamo alcune molecole possiedono atomi che, formando più di quattro legami, violano
la regola dell’ottetto. In questi casi, per avere un numero sufficiente di orbitali semi-completi
disponibili per il legame, l’atomo centrale non può limitarsi ai soli orbitali s e p ma deve
necessariamente coinvolgere anche uno o due orbitali d per generare, rispettivamente, orbitali ibridi
sp3d e sp3d2.

Sp3d: geometria trigonale piramidale con cinque legami.

Sp3d2: geometria ottaedrica con sei legami.

Esercizi:

1.

Carica formale=5-4=+1

Forma=tetraedro;

Ibridazione azoto=sp3 (4 orbitali con 4 legami sigma).

2.
+1 per la carica negativa.

Carica formale=-1

3.

Disegno l’atomo centrale, i due atomi di ossigeno e uno di idrogeno che viene legato all’atomo di
ossigeno che è elettronegativo.

Completo l’ottetto su gli ossigeni, completo i diciotto elettroni mettendo un doppietto elettronico
sull’azoto. L’azoto non ha raggiunto l’ottetto, ha solo tre coppie di elettroni. L’azoto ha carica
formale +1 e l’ossigeno -1 (perché ha tre doppietti e un legame). L’ossigeno che lega con l’idrogeno
ha carica formale 0 (ci sono sei elettroni). Ha una formula di risonanza non particolarmente stabile:
non rispetta l’ottetto e non ha cariche formali.

Nella seconda immagine rispetta l’ottetto, la carica formale è 0.

La geometria è trigonale planare (ha tre domini elettronici) con forma piegata. L’ibridazione è sp2.

3.

Formula particolarmente instabile (il carbonio non raggiunge l’ottetto). Ha una carica formale +1,
l’ossigeno -1. Si forma un doppio legame e non raggiungo l’ottetto, carica formale 0. Si forma un
triplo legame e raggiungo l’ottetto per il carbonio e per l’ossigeno. L’ossigeno ha una carica formale
+1, il carbonio ha carica formale –. Qual è la struttura più stabile? Quella evidenziata: rispetto la
regola dell’ottetto.
La forma è lineare, l’ibridazione con il triplo legame è sp.

4.

+2 per la carica negativa.

Prima formula di Lewis valida. L’ossigeno ha carica –1, lo zolfo ha doppia carica positiva +2. Esiste
una formula di risonanza dove uno degli ossigeni forma il doppio legame. In questo caso lo zolfo ha
formato cinque legami e può espandere l’ottetto. L’ossigeno ha carica negativa, lo zolfo ha carica
positiva e un ossigeno ha carica 0. L’altra formula prevede una migrazione del doppio legame
diversa. Sotto ci sono le varie formule di risonanza.

La formula di risonanza è un ibrido delle quattro strutture presentate sopra. La prima è la meno
stabile.

La forma è tetraedrica. L’ibridazione è sp3 (quattro domini elettronici).

5.

+1 per la carica negativa.


La prima è una struttura di Lewis valida, ma l’azoto non raggiunge l’ottetto e non c’è una formula di
risonanza rappresentativa. Nella seconda c’è il raggiungimento dell’ottetto. Ci sono poi le varie
formule di risonanza facendo variare il doppio legame.

La forma è trigonale planare e l’ibridazione è sp2.

6.

7.

La forma è quadrata planare.

8.
9.

Sesta lezione:

Legame covalente polare.

Il legame covalente avrà carattere polare se uno dei due atomi eserciterà una maggiore attrazione
(elettronegatività) per gli elettroni rispetto all’altro.

Il potere attrattivo verso gli elettroni espresso da un atomo che faccia parte di una molecola si
chiama elettronegatività e si denota con il simbolo x (chi).
Nel legame covalente polare ogni atomo mette a disposizione uno o più elettroni che
formano delle coppie di elettroni (o coppie legame). ... Pertanto, l'atomo più
elettronegativo assume una parziale carica negativa (δ-), mentre l'atomo meno
elettronegativo assume una parziale carica positiva (δ+).

Definiamo il tipo di legame in base alla differenza di elettronegatività:

Puro= strettamente zero (maggiore di 0 e minore di 0.4 è chiamato apolare);

Polare=tra 0.4 e 1.7;

Ionico=maggiore di 1.7.

Quando è uguale a 1.7 esso ha una caratteristica al 50% tra lo ionico e il covalente, il legame non
rispecchia nessuno dei due ma un covalente polare in cui la densità elettronica si sposta verso uno
dei due atomi. Superato questo numero, esso determinerà un legame ionico in cui si formerà un
anione e un catione.
C’è un altro legame covalente chiamato dativo in cui la coppia di elettroni che viene condivida è
fornita da uno solo dei due atomi (atomo donatore), mentre l'altro (atomo accettore) mette a
disposizione l'orbitale libero.

La differenza di elettronegatività è calcolabile prendendo l’elettronegatività dei due atomi: il risutato


è indicato con delta x.

Nel legame covalente polare si ha una separazione di cariche:

• Un centro positivo;
• Un centro negativo.

L’atomo più elettronegativo attrarrà di più a sé gli elettroni. La separazione di carica è chiamato
dipolo.
Legame covalente polare – momento di dipolo.

Un dipolo è un sistema che ha due poli elettrici con carica q uguale ma di segno opposto, separati da
una certa distanza d.

Un dipolo elettrico ha un momento dipolare (µ) definito da

µ=q×d

q è la carica dei due poli

d è la distanza

Si indica con queste frecce vettoriali orientati verso il polo negativo.

Molecole polari.

Una molecola è polare se la somma dei momenti dipolari di tutti i suoi legami è diversa da zero.

La polarità di una molecola dipende anche dalla sua geometria, grazie alla quale le polarità dei
legami possono annullarsi a vicenda oppure sommarsi.

Esempio: CO2 sp

Il momento dipolare sarà 0.


Esempio: CCl4 sp3

Il momento dipolare sarà 0.

Esempio: H2O sp3

Il momento dipolare sarà diverso da 0.

Esempio: CHCl3 (cloroformio)

Il momento dipolare sarà diverso da 0.

Polarità, dal microscopico al macroscopico.

La polarità influenza la miscibilità, il punto di ebollizione, il punto di fusione e diverse proprietà


fisiche delle sostanze.

La miscibilità è la capacità di un liquido di solubilizzarsi in un altro liquido dando origine ad un


sistema completamente omogeneo.

Un liquido polare con un liquido apolare non sono miscibili fra di loro.

Esempio: acqua e olio.

Le interazioni coesive e adesive sono influenzate dalla polarità.

Le forze adesive sono forze intermolecolari che esistono tra particelle dissimili di superfici.

Le forze coesive sono forze intermolecolari che esistono tra particelle simili di superfici.

La polarità delle molecole determina la solubilità della sostanza nei diversi solventi.

I solventi sciolgono le sostanze che hanno polarità simile: solventi polari sciolgono sostanze polari,
solventi apolari solubilizzano sostanze apolari.
Na+Cl- in acqua: ogni ione viene circondato dalle molecole d’acqua sciogliendo il solido che prima
era aggregato in un reticolo cristallino.

Idrofilo: sostanza che ha la tendenza ad unirsi all'acqua, diventando poi solubile in questo composto.

Sono solitamente sostanze polari.

Idrofobo: prodotto che non ha affinità con l'acqua e pertanto è insolubile in acqua.

Sono solitamente sostanze apolari.

La sostanza anfifilica è costituita da molecole la cui struttura contiene congiuntamente gruppi di


atomi dotati di caratteristiche idrofile e idrofobe. Queste sostanze vengono definite anfifiliche per
dar conto della loro natura ambivalente nei riguardi dell'affinità con l'acqua.

L’immagine sopra riporta un esempio negli acidi grassi: la parte terminale in cui c’è un legame ionico
(SO4-) legata al sodio + (polare); la parte iniziale a zig zag che rappresentano molecole carbonio-
carbonio legato ad un idrogeno all’inizio della catena e alla fine all’atomo di ossigeno (apolare).
Quando immetto una sostanza anfifilica in acqua la parte apolare respingerà l’acqua e la parte
polare invece la accetterà.

Le parti polari vengono esposte nel solvente polare, le parti apolari vengono esposte all'interno. Il
risultato sono le micelle.
Teoria degli orbitali molecolari (MO).

Il punto di partenza di questa teoria è quello di considerare che tutti gli elettroni (non solo quelli di
valenza) degli atomi costituenti la molecola concorrono alla formazione dei legami.

La struttura elettronica delle molecole viene descritta in maniera analoga a quella degli atomi
facendo uso dei metodi della meccanica quantistica.

Applicando l'equazione di Schrödinger ad una molecola, vale a dire ad un sistema formato da un


insieme di elettroni appartenenti indifferentemente a due o più nuclei di atomi uguali o diversi, è
possibile descrivere, tramite le soluzioni di questa equazione, sia l'energia sia la forma geometrica
della molecola.

Come per gli orbitali atomici, gli orbitali molecolari sono funzioni d'onda Ψ(x,y,z) il cui quadrato
|Ψ(x,y,z)|2 descrive la probabilità di trovare l'elettrone nello spazio attorno ai nuclei della molecola.
LCAO: Linear Combination of Atomic Orbitals

Gli orbitali atomici puri si combinano per formare orbitali molecolari, che sono delocalizzati su tutta
la molecola.

Il riempimento elettronico degli orbitali molecolari procede secondo le regole dell’Aufbau come per
gli orbitali atomici.

REGOLE DI COMBINAZIONE:

1) Energie degli AO (orbitali) non molto diverse.

2) Sovrapposizione efficace (una certa regione che deve essere il massimo possibile) di AO.

3) Stessa simmetria di AO (sovrapposizione tra lobi dello stesso segno).

Da ciascuna coppia di orbitali atomici che si combinano si originano:

a) Un orbitale molecolare di energia più bassa rispetto agli orbitali atomici di partenza, detto
orbitale di legame (σ o π).

b) Un orbitale molecolare di energia più alta rispetto agli orbitali atomici di partenza, detto orbitale
di antilegame (σ * o π *) sigma star, pi greco star.
Teoria degli orbitali molecolari (MO): diagrammi di correlazione.
Un modo per rappresentare gli orbitali molecolari sono i diagrammi di correlazione. Ciò che faccio è
disporre i due orbitali 1s. Questi ultimi vengono combinati e vengono formati i due legami sigma. I
due orbitali vengono riempiti: due elettroni che derivano dai due orbitali atomici 1s all’interno
dell’orbitale di legame sigma con spin parallelo.

Per la molecola di H2 occorre considerare solo questi due orbitali molecolari:

Ordine di legame:

Definisce il numero netto di coppie di legame presenti tra due atomi ed è utile per stabilire se una
molecola è stabile o meno.

Maggiore è l’ordine di legame, più è stabile la molecola.


Settima lezione Chimica:

Il carattere metallico.

Metalli:

• Cedono elettroni e formano facilmente cationi

• Bassi valori di energia di ionizzazione

• Buoni conduttori elettrici e termici

• Duttili (ridotto a fili)

• Malleabili (ridotto a laminette)

• Lucenti

• In genere: solidi (tranne il mercurio che è liquido)


• Elevati punti di fusione

Non metalli:

• Acquistano facilmente elettroni e tendono a formare anioni

• Elevata energia di ionizzazione

• Scarsi conduttori elettrici e termici

• Non duttili

• Non malleabili

• Opachi (generalmente)

• In genere: solidi, liquidi, gas

• Bassi punti di fusione

Con l’eccezione dell’H, sono metalli tutti gli elementi che hanno nello strato esterno un numero di
elettroni (m) minore o uguale del periodo (n) a cui l’elemento appartiene.

Sono semimetalli tutti gli elementi che hanno nello strato esterno un numero di elettroni (m)
maggiore di una (o due) unità rispetto al periodo (n) a cui l’elemento appartiene.

Sono non metalli l’idrogeno e tutti gli elementi restanti.


Un metallo è costituito da un aggregato di ioni positivi in precise posizioni di una struttura ordinata
(reticolo cristallino), in cui gli elettroni di valenza hanno una grande mobilità.
Il legame metallico: il modello del ‘mare’ di elettroni.

1. Gli elettroni non sono legati ad un particolare atomo ma possono muoversi liberamente da un
atomo o all’altro (elettroni delocalizzati).

2. Tra gli atomi metallici non può esserci un legame di tipo covalente perché il numero di atomi che
circonda un altro atomo è superiore al numero di elettroni disponibili.

Es.: Li metallico è circondato da 8 atomi equidistanti (all’interno del reticolo cristallino), pur avendo
un solo elettrone nell’orbitale più esterno.

Il legame metallico non può essere descritto con la teoria di Lewis o del legame di valenza.

Il legame metallico: teoria delle bande.

• Gli atomi che formano un cristallo metallico combinano i propri orbitali atomici di valenza così da
formare orbitali molecolari di legame ed antilegame che vengono occupati dagli elettroni di valenza.
• Dato l’elevatissimo numero di orbitali combinati, gli orbitali molecolari risultanti sono
caratterizzati da livelli energetici molto vicini e costituiscono quasi un continuum (bande).

Spiegazione immagini:

Avevamo già visto che se io prendo due orbitali atomici, per ogni numero di orbitali atomici che
sovrappongo ottengo un ugual numero di orbitali molecolari.

Sovrappongo due orbitali 1s ottengo un orbitale di legame e uno di anti legame e questi erano
separati da una certa energia.

Ora immagino di prendere tanti atomi di litio e faccio sovrapporre tutti gli orbitali ad esempio 2s
dell'atomo di litio e otterrò ho tante di queste separazioni (orbitale di legame e antilegame).

Alla fine andrò sempre di più a riempire queste gap. Ottengo così ad un certo numero di N ed i livelli
non si mostreranno più quantizzati: ottengo delle bande costituite da livelli continui.

La banda dell’orbitale di antilegame è chiamata banda di conducibilità.

La banda dell’orbitale di legame è chiamata banda di valenza.

La loro differenza dà il gap di banda.


Nel sodio metallico si sovrappongono due orbitali 3s e si ottengono orbitali di legame e di anti
legame; poi vengono sovrapposti tre, quattro fino ad arrivare al limite in cui i legami sono tanti e
quindi si formano le due bande.

Nella banda di legame, poiché c’è un solo orbitale di partenza, anche la banda costituita sarà
occupata per metà.

Nei metalli alcalino-terrosi ad esempio nel Magnesio la banda 3s è piena e ci si aspetterebbe un


isolante o un semiconduttore. Il carattere metallico dei metalli alcalino terrosi deriva dalla
sovrapposizione delle bande derivanti dagli orbitali s e p:

Se le energie degli OA di partenza sono molto diverse, le bande di energia rimangono ben distinte
(es. 1s e 2s); se le loro energie sono vicine (es. 2s e 2p, 3s e 3p), le bande si sovrappongono
costituendo un’unica banda.
Il sodio è un conduttore perché ha una banda di valenza semipiena. È facile promuoverlo nella banda
di conduzione perché la differenza di energia sarà molto piccola: gli elettroni saranno perciò molto
mobili.

Condurre elettricità significa avere un flusso di elettroni. Il flusso di elettroni è molto facile nei
metalli in quanto gli elettroni risultano mobili in essi. Analogamente, alla conduzione elettrica, nella
conduzione termica si ha un flusso di calore. La temperatura di un oggetto dipende dalla sua energia
cinetica. Quest’ultima è collegata ai moti delle molecole o degli atomi che costituiscono il materiale.

Gli atomi oscillano ad una certa temperatura. Aumentare la temperatura significa far aumentare
l’energia cinetica media. Il calore è un’energia di trasmissione. Affinché si abbia un efficace
trasmissione del calore, nel caso dei metalli, gli elettroni devono oscillare facilmente.

Tra il conduttore e l’isolante non c’è trasmissione di calore.

Nei conduttori, come i metalli, il gap è pari a zero.

Quando si passa ai non metalli esiste un gap di banda tra quella di valenza e di conduzione:

• Gap di banda estremamente elevato: isolante;


• Gap di banda poco elevato: semiconduttore.

La struttura del legame metallico spiega anche perché i metalli sono lucenti: significa che riflettono
la radiazione elettromagnetica. Tutto ciò è dovuto dall’esistenza delle bande a energia molto
ravvicinate: assorbono la radiazione visibile, passando ad un livello energetico eccitato e quando si
rilassano restituiscono energia sotto forma di radiazione elettromagnetica.

La struttura di banda influenza anche il colore dei vari metalli presenti: assorbiranno lunghezze
d’onda diverse e le restituiranno sotto forma di radiazioni elettromagnetiche che saranno
caratteristiche per ogni metallo.

I semiconduttori hanno la possibilità di regolare il gap di banda: processo di drogaggio.


Il legame ionico e il legame metallico passano sempre per la formazione di un reticolo cristallino: la
materia deve essere ordinata.

Nel legame covalente si può avere la formazione di molecole discrete.

Legami intermolecolari.

I legami intermolecolari si dividono in:

• Legami a idrogeno;
• Forze di Van Der Waals.

Sopra sono riportati i vari legami intermolecolari a seconda della forza: dal più forte (ione- dipolo
permanente) al più debole (dipolo indotto- dipolo indotto).
Uno ione, che può essere anche un anione, interagisce con un dipolo permanente ossia una
molecola polare.

Un dipolo elettrico è un sistema formato da due cariche elettriche uguali e di segno opposto, poste a una
distanza fissata.

L’interazione ione-dipolo permanente è di natura elettrostatica, come tutte le forze intermolecolari:


cariche che interagiscono tra di loro. Un catione reagirà con i poli negativi di un dipolo, analogamente un
anione andrà ad interagire con i poli positivi di un dipolo.

L’energia è proporzionale ad 1 su r quadro: diminuisce con il quadrato della distanza.

Un solido ionico in soluzione ciascuno ione viene circondato da molecole d’acqua, questo processo è
chiamato solvatazione. Ogni ione sarà solvatato. L’interazione deve essere tale da poter distruggere
il reticolo cristallino.

L’interazione può esistere soltanto all’interno di molecole polari.

Esempio: legame OH.

Il legame a idrogeno è chiamato anche ponte a idrogeno.


Una molecola d’acqua sarà circondata da altre molecole d’acqua che saranno orientate in certe
direzioni per far sì che gli atomi di idrogeno interagiscano con gli atomi di ossigeno delle altre
molecole adiacenti.

Analogamente dovranno reagire i poli positivi con l’atomo di O centrale.

L’acqua è l’unica sostanza in qui la densità del solido è più bassa della densità del liquido (dovuti dai
legami a idrogeno).
La doppia alfa elica è tenuta insieme dai legami a idrogeno. Queste interazioni singolarmente sono
deboli, ma un numero elevato di esse forma strutture molto forti.

Questa è la prima forza di Van der Waals, il legame dipolo permanente-dipolo permanente. Esistono
all’interno di molecole polari. La densità elettronica è spostata su uno dei due atomi. Sono
interazioni a corto raggio di natura elettrostatica in cui l’energia varia da r alla 6 in fase liquida e in
fase gas e r alla 3 in fase solida.
Si allineano con segni opposti: polo positivo-polo negativo.

Il dipolo permanente è un dipolo che resta stabile nel tempo tipico delle molecole polari.
Avvicinando una molecola apolare ad una molecola polare (esempio acqua e iodio) si forma la
polarizzazione della molecola apolare.
Una certa percentuale di una molecola apolare si può sciogliere in un solvente polare.

Sono presenti in tutte le molecole: polari e apolari. Sono analoghe alle precedenti viste. Avvicino due
molecole apolari: queste tenderanno a riorganizzare le nuvole elettroniche in modo da generare
dipoli indotti. Una delle due molecole si polarizzerà tanto da ottenere un polo positivo e un polo
negativo così da ottenere il primo dipolo indotto (istantaneo). Esso reagirà con le molecole adiacenti
ed indurrà un nuovo dipolo anche nella seconda molecola.
Au

All’aumentare delle dimensioni molecolari perché aumenta il numero degli elettroni.


Ottava lezione di Chimica:

Esistono due modelli dei gas: il modello dei gas ideali e la teoria cinetica dei gas.
Il modello dei gas ideali è un modello sperimentale e descrive le grandezze macroscopiche dei gas:
quando si definisce un gas bisogna conoscere a che pressione si trova, che volume occupa e a che
temperatura.

La teoria cinetica dei gas è un approccio teorico e descrive le grandezze microscopiche dei gas:
approccio molecolare. Sarà importante conoscere il numero delle particelle, la loro velocità e la loro
energia cinetica.

Queste due quantità saranno relazionate.

Esistono tre possibili stati della materia:

• Solido: rigido, con forma fissa e un volume proprio; non può essere compresso.
• Liquido: non rigido, prende la forma del contenitore, ha un volume proprio; non può essere
compresso.

Entro un certo valore solidi e liquidi possono essere compressi, ma non come per i gas.

• Gas: non rigido, prende la forma del contenitore, non ha un volume proprio; possono essere
compressi a piacimento.

Lo stato solido è uno stato estremamente ordinato della materia. Nei solidi sia che esistano legami
ionici, metallici o covalenti la natura tende ad organizzarsi in modo strutturato. Lo stato liquido è più
disordinato rispetto allo stato solido. Nei liquidi, tra le molecole, ci sono interazioni deboli dinamiche
che possono formarsi e rompersi (legame a idrogeno, forze di Van der Waals). Lo stato gas è uno
stato estremamente disordinato e la meno compatta della materia. Nel gas il volume della molecola
sarà estremamente trascurabile rispetto al volume del recipiente. Tra le molecole dello stato gassoso
sono presenti interazioni deboli, più di quelle presenti nello stato liquido.
Con il passaggio solido-liquido il processo è chiamato fusione: fornire energia alla fase solida per
rompere i legami forti in modo tale da avere il passaggio di fase a liquido.

Con il passaggio liquido-solido il processo è chiamato solidificazione.

Normalmente tale passaggio avviene al raggiungimento della temperatura di fusione, ossia della
temperatura che un solido deve raggiungere affinché avvenga il processo inverso della
solidificazione.

Con il passaggio liquido-aeriforme il processo è chiamato evaporazione/ebollizione: fornire energia


alla fase liquida per rompere i legami deboli in modo tale da avere il passaggio di fase ad aeriforme.

Con il passaggio aeriforme-liquido il processo è chiamato condensazione.

La condensa si forma quando l'aria interna carica di umidità viene a contatto con una superficie più
fredda, per cui il vapore acqueo si condensa in goccioline sulla superficie.

Con il passaggio solido-aeriforme il processo è chiamato sublimazione.

Con il passaggio aeriforme-solido il processo è chiamato brinamento.

Gli stati della materia: I gas.

Com’è fatto un gas?


➢ Le molecole di un gas sono tutte in uno stato di grande mobilità potendo muoversi praticamente
senza impedimenti in tutto lo spazio a loro disposizione.

➢ Il moto delle molecole è essenzialmente traslazionale (si muove in certe direzioni dello spazio)
ma, per le molecole poliatomiche ci sono anche gradi di libertà rotazionali (una molecola ruota lungo
un’asse) e vibrazionali (vibrazioni).

➢ Ogni gas tende ad espandersi se contenuto in un recipiente le particelle urteranno le pareti del
recipiente esercitando una pressione (una certa forza) su di esso.

La pressione.

La pressione è la forza per unità di superficie (F/S) esercitata dal gas sulle pareti del recipiente in cui
è contenuto.

Unità di misura, Sistema Internazionale (SI): Pascal (Pa) = Newton/metro2 (N/m2)

Di solito si esprime in atmosfere (atm); 1 atm = 101325 Pa.

L’atmosfera fu definita grazie all’esperimento di Torricelli:

• Prese un contenitore in cui versò del mercurio (l’unico metallo liquido);


• Prese un tubo di vetro chiuso ad uno delle due estremità e lo immerse nel recipiente.

In questo caso la pressione atmosferica agirà sul mercurio liquido che tenderà a farlo salire lungo la
colonna di vetro. Si creerà un bilancio di forze: da una parte il mercurio che vuole precipitare per la
forza di gravità (forze di coesione del liquido), dall’altra ci sarà una forza verso l’alto data dalla
pressione atmosferica.

Questo esperimento se viene eseguito con l’accelerazione di gravità a 9.8066 ms e a 0°C il livello in
cui si alza il mercurio sarà alto 76.0 cm.

Spiegazione immagine:

La densità del mercurio (dHg) è 13.6 gr per millilitro.

Forza è uguale massa x accelerazione.

Massa x altezza x accelerazione dà come risultato 101325 Pa.

Possono essere poi definiti i sottomultipli del mercurio.

La pressione atmosferica (1atm) è dovuta alla forza-peso dei gas che compongono l’aria.

L’aria ad una certa unità di superficie imporrà una certa pressione sulla superficie terrestre.
La pressione atmosferica non è costante nel tempo e in tutte le zone della superficie terrestre. Le
oscillazioni della pressione atmosferica a cosa sono dovute?

L'aria è una miscela di gas: 78% azoto, restante percentuale da ossigeno, argon, CO2, ec.
Normalmente viene espressa anche l’umidità dell’aria che è la concentrazione di acqua presente
nell’aria. Essa può variare in base alla temperatura, ai venti e alla stagione. Se nell’aria ci sono più
molecole di acqua, la pressione diminuisce: l’acqua sostituisce l’azoto e altri gas. Le zone a bassa
pressione sono le più umide. Le zone ad alta pressione sono le meno umide.

Il comportamento di un gas è fortemente influenzato dalle variabili di stato: pressione, volume e


temperatura. Nelle prime tre leggi dei gas perfetti viene mantenuta costante una delle tre variabili di
stato e si osserva come sono in relazioni le restanti due variabili.

La prima legge che spiega macroscopicamente il comportamento di un gas è la legge di Boyle.


La legge vale quando la temperatura di un gas viene mantenuta costante; esprime per tanto la
relazione fra pressione e volume di un gas a temperatura costante.

Graficamente le curve che si realizzano sono chiamate isoterme.

A temperatura costante è chiamata isoterma.

il che vuol dire che pressione e volume sono inversamente proporzionali: all'aumentare della
pressione diminuisce il volume.

Un gas che segue la legge di Boyle e che quindi si trova a basse pressioni e ad alte temperature è
chiamato gas ideale o gas perfetto.

La seconda legge è chiamata legge di Charles che relazione il volume alla temperatura. Facendo
aumentare la temperatura di un gas, a pressione costante, il gas si espande: il volume aumenta.
Il che vuol dire che il volume è direttamente proporzionali alla temperatura, a pressione, numero di
moli costante.

A pressione costante è chiamata isobara.

Questa dipendenza dipende da come si esprime, in che misura, si esprime la temperatura.


Normalmente essa è espressa in gradi Celsius. Espressa in questo modo, la relazione tra volume e
temperatura darà: il volume sarà uguale a un certo V0 per la temperatura diviso 273.15+1.
Il volume del gas per ogni aumento di temperatura di 1°C, aumenterà il proprio volume di
1/273esimo circa. A t=0 la temperatura è -273.15°C (lo zero assoluto della scala Kelvin).

Secondo questa legge un gas allo zero assoluto avrebbe volume zero: questo spiega la non validità
della seguente legge a quelle temperature perché la materia non si disintegra e non è possibile
arrivare a quelle temperature.

Scala assoluta della Temperatura (o scala Kelvin).

Il grado Celsius (°C) è definito come l’intervallo di temperatura pari ad un centesimo della variazione
tra la temperatura di fusione del ghiaccio a 1 atm (0°C) e la temperatura di ebollizione dell’acqua a 1
atm (100°C).

Scala Kelvin: -273.15 rappresenta il mino assoluto della temperatura

T (K) = t(°C) + 273.15.


La terza legge è chiamata legge di Gay-Lussac che relaziona la pressione alla temperatura a volume
e numero di moli costante.

A volume costante è chiamato isocora.


si RAPPRENTA Retta
Graficamente come una

→ T costante
ISOTERMA costante
ISOBARA

P
→ ✓ costante
' Socotra

Graficamente si rappresenta con una retta.


L’ultima legge è quella rappresentata dalla legge di Avogadro: volumi uguali di gas diversi, a parità
di pressione e temperatura, contengono la stessa quantità di molecole.

Volume e numero di moli solo direttamente proporzionali.

Graficamente è rappresentato da un andamento lineare.


Spiegazione immagine:

Raggruppando tutte le leggi possiamo dedurre che:

L’equazione formata è chiamata equazione di stato dei gas ideali.

Equazione di stato dei gas ideali.

PV = nRT

R costante universale dei gas

R = 0.082054 dm3 atm K-1 mol-1 = 8.3143 Pa m3 K-1 mol-1

Legge seguita da tutti i gas in condizioni ideali = bassa P, alta T (lontano dalla liquefazione).

Volume molare.
Applicata l’equazione di stato a tutti i gas una delle conseguenze è che in certe condizioni standard
di pressione e temperatura (TPS) che corrispondono alla pressione di 1 atm e alla temperatura di

parrà
273.15 K (O°C) calcolando il volume molare il risultato è 22.414: a condizioni standard se prendo una
se
mole di qualsiasi gas ideale, esso occuperà 22.4L indipendentemente dalla sua natura.
una mole
per Faine 22.4 L=Volume molare.
dei gas Miscele di gas: legge di Dalton.
tiro
la
temperata
per
solo
Le miscele di gas seguono la legge di Dalton.
devi
«La pressione totale esercitata da una miscela ideale di gas ideali è uguale alla somma delle pressioni
parziali che sarebbero esercitate dai gas se fossero presenti da soli in un eguale volume.»

Esempio: Prendo una miscela di azoto e ossigeno.

La pressione totale sarà data dalla somma della loro pressione dell’ossigeno, se fosse da solo, e
quella dell’azoto come se si trovasse da solo.

2 atm + 3 atm= 5 atm.

Pa è la pressione parziale del primo componente, Pb è la pressione parziale del secondo


componente.

Nel caso di una miscela a due componenti, possiamo definire le frazioni molari (x) come segue:
Totale
volessi calcolare la pressione parziale di gas
◦ cui
Se

modi E farlo la totale


Ho 2
l' equatore dei stato dei gas e un calcolo grassona
il numero di curdi apple.co
① se
so
faccio poi
✗ a -

pt
totale e
la pressione
② so

( GIGI
Xa sta per la frazione molare di a e così anche per Xb. Sommando le frazioni molare il totale sarà
sempre 1.

La frazione molare si può esprimere anche in termini di pressioni parziali dei due componenti se si
sta parlando di un gas.

In generale, per un sistema gassoso con (i) componenti si ha:

Dove i è maggiore o uguale di 2.


del
parziale
pressione

componente
Ʃ esprime il simbolo di sommatoria di tutte le pressioni parziali.

Il risultato è la definizione di frazione molare per i componenti i esimo.

In una miscela gassosa, la pressione parziale di ogni componente è pari al prodotto della pressione
totale per la frazione molare di quel componente.
ma

ad ecco + IDROGENO
esempio

Esempio: miscela di elio e idrogeno.

La pressione totale è di 8.4 atm con 1.25 moli di elio e 0.50 moli di idrogeno: le moli totali sono 1.75.
Numero di moli x Rt: V.

se Ho coonclnsutre
solo
aspetto
pressione
xòd
dl
gy
maggio
◦ poeta
Numero di moli del singolo gas: numero di moli totali per pressione totale.

Teoria cinetica dei gas (molecolare).

1. Un gas è composto di molecole (perfettamente sferiche) molto lontane tra loro.


una mole di CO2 (anidride carbonica) solida occupa un volume pari a 28 cm3; una mole di ghiaccio
occupa un volume di 18 cm3. Il volume per molecola in un gas a TPS è circa 1000 volte maggiore che
nel solido (molecole puntiformi). Di conseguenza, il volume totale delle molecole (puntiformi) di gas
è trascurabile rispetto al volume del contenitore.

2. Le molecole di un gas sono in movimento (casuale); la direzione del moto cambia per urti
intermolecolari o con le parenti del recipiente.

Le particelle non hanno interazioni attrattive o repulsive tra di esse e con le pareti del recipiente.

Chiamato anche moto browniano scoperto da Einstein (il moto casuale in tutte le direzioni).
NON MA l'

energia
che
3. Le molecole interagiscono tra loro solo all’atto di un urto, che è comunque elastico. ed . è per questo
cinetica viene
conservata
Gli urti tra particella e particella e tra particelle e pareti del recipiente sono totalmente elastici.
L’energia cinetica viene conservata.

(l’interazione tra le molecole è trascurabile se non al momento dell’urto)

Spiegazione:

Stiamo seguendo un punto massa, una particella di gas dotata di massa, ma di volume trascurabile:
essa si muove in una direzione con una certa velocità. Il vettore si può scomporre in due componenti
lungo l’asse x,y che sono le proiezioni del vettore velocità lungo i due assi.

direzione x: la particella i esima quando urta qualcosa rimbalza (urto elastico).

Questo vuol dire che la nuova velocità V primo (V’) sarà uguale oppure opposta alla velocità di
partenza.
Valutando la variazione di quantità di moto, considerando delta p bisogna sommare le due velocità
(2mvx)

Si calcola la forza esercitata dalla particella che urta sulla parete.

Si esprime la velocità quadratica media (v quadro x segnetto).

4. Il numero delle molecole è grande cosicché si possano usare metodi statistici (sapere la velocità
e l’energia cinetica del gas).

5. Gli effetti relativistici e quantistici sono trascurabili.

Le interazioni secondarie, gli orbitali non sono presi in considerazione. L’energia cinetica è l’unica
che viene presa in appunto.

L’immagine molecolare di un gas ideale: particelle in continuo movimento, dotate di massa, con
volume trascurabile che urtano tra di loro e sulle pareti del recipiente.

grandezza

Teoria cinetica dei gas (molecolare): pressione. 1

Nella teoria cinetica, la pressione è spiegata come conseguenza delle forze esercitate dagli urti delle
molecole del gas con le pareti del recipiente.
Ùalocnà
'
x-D
+
pressione

La forza è massa x numero di particelle x velocità quadratica media : la lunghezza del recipiente.

Per calcolare la pressione devo dividere la forza per l’unità di superficie che può essere espressa
anche come L al quadrato (quella di un contenitore).

L al cubo è il risultato di L x L al quadrato che può essere scritto anche come il volume: lato x lato x
lato (3V).

Dalla velocità quadratica media lungo x, si passa alla velocità quadratica media in generale,
assumendo che le velocità quadratiche medie lungo x, y e z sia equivalenti (1/3 di v2)
Quando un gas ha una pressione maggiore, significa che urta maggiormente le pareti e lo fa con una
velocità quadratica media maggiore: aumentare la pressione farà aumentare la velocità delle
particelle.

Prendendo l’espressione di prima, portiamo il volume prima dell’uguale e dividiamo e


moltiplichiamo per due. La quantità in parentesi rappresenta l’energia cinetica.

E cin è l’equazione fondamentale che relazione la temperatura all’energia cinetica: la temperatura è


direttamente proporzionale all’energia cinetica.

Moltiplicando il numero di Avogadro per la massa della molecola il risultato è la massa molecolare.

L’energia cinetica è uguale ad un mezzo per massa molecolare per velocità quadratica media.
Scriviamo l’energia cinetica.

Ci ricaviamo la velocità, semplifichiamo i due.

Il risultato è la velocità quadratica media. Per avere la velocità media, bisogna fare la radice quadrata
del risultato ora ottenuto.

La velocità dipende dalla temperatura e dalla massa molecolare.


la relazione
mostrano
Questi grafici tra n velocità
e

aerea
dei

velocità
] media
dei gas

f.
½ significa fare la radice quadrata.

A temperatura e pressione standard il numeratore può essere sostituito con 2610.

Il cammino libero medio indica il tratto di spazio che percorre prima di urtare un’altra molecola o il
recipiente.

Non è tanto importante la velocità media, ma la distribuzione delle velocità: trovarsi ad una certa
temperatura vuol dire che ci sarà un certo numero di particelle che si troverà a velocità più bassa e
un certo numero di particelle che si troverà a velocità più alta. La distribuzione delle velocità segue la
distribuzione della velocità di Maxwell-Boltzmann, funzione di distribuzione molto comune. Essa è la
probabilità che una particella abbia una certa velocità: ad una temperatura T1 molto bassa ci sarà
una grande percentuale di particelle che avranno una certa velocità V0 che corrisponde al massimo
della prima curva riportata in immagine.

La percentuale di particelle che avrà una velocità maggiore di quella probabile maggiormente, sarà
sempre più bassa. A temperatura bassa la distribuzione è stretta: gli estremi sono pochi
rappresentati.

Calcolando l’aria sottesa dalla curva essa fa sempre 1 che è un valore costante. Al variare della
distribuzione, l’aria sottesa dalla curva, sarà sempre uguale.

All’aumentare della temperatura, aumenterà la percentuale di particelle che hanno una certa
velocità che era superiore a quella di prima.

Questo conclude la descrizione dei gas ideali.

Se provo a rappresentare in un grafico la quantità PV/RT chiamato anche fattore di comprimibilità (z)

GP
rispetto alla pressione, prendendo una mole di gas ideale PV/RT deve essere uguale ad uno. Il
risultato deve essere, per un gas ideale, una retta parallela all’asse delle x che intercetta y a uno.
areale
Nel caso di un gas ideale osservo delle curve: in alcuni PV/RT è minore di 1, in altri è maggiore di 1:
essa è dipendente alla temperatura in cui mi trovo.
le
anche
Ci
sono

-
Rappresentare un grafico la quantità su
Pu ( RT
se provo a

↓ 0
tempo.

se

se

Gas reali: Equazione di Van der Waals.

Per descrivere i gas reali si usa l’equazione di Van der Waals. Ci sono due assunzioni:

1. Una parte del volume del recipiente non è disponibile per il moto perché occupata dalle
molecole, che hanno un volume proprio.

WWIII
2. L’effetto delle forze attrattive, che risulta in una diminuzione della pressione rispetto al caso
ideale, deve essere proporzionale al quadrato della concentrazione (numero di particelle).
EOML
Concetta

equazione
di stanotte

Nona lezione di Chimica:

Concetto di misura

Una misura consiste nel determinare, in modo diretto o indiretto il rapporto tra l’entità della
grandezza (fisica, chimica, ecc…) di interesse nel sistema (es. massa di un corpo) che si sta studiando
e l’entità della stessa grandezza in un sistema scelto come riferimento (es. kg).

In campo scientifico esiste l’accordo di utilizzare definite unità di misura, quelle individuate dal
Sistema Internazionale SI.

Le unità di misura e la loro importanza: un esempio.

Nel 1998 la NASA nell’ambito del programma Mars Surveyor lancia Mars Climate Orbiter (MCO) per
studiare la meteorologia, il clima e le quantità di acqua e di anidride carbonica (CO2 ) del pianeta
Marte.

Il Mars Climate Orbiter venne distrutto quando, invece di posizionarsi ad una altezza di 140-150 km
dalla superficie di Marte, si inserì nell'atmosfera marziana ad una altezza di soli 57 km . Si scoprì che
alcuni dati erano stati calcolati a Terra in base all'unità di misura del Sistema consuetudinario
statunitense (libbra-forza secondi), e riferiti al team di navigazione, che invece si aspettava i dati
espressi in unità di misura del Sistema internazionale (newton secondi). La sonda non era in grado di
effettuare conversioni tra le due unità di misura.

Costo delle missione: 328 milioni di dollari.


Concetto di misura.

Una misura consiste nel determinare, in modo diretto o indiretto il rapporto tra l’entità della
grandezza (fisica, chimica, ecc…) di interesse nel sistema (es. massa di un corpo) che si sta studiando
e l’entità della stessa grandezza in un sistema scelto come riferimento (es. kg).

In campo scientifico esiste l’accordo di utilizzare definite unità di misura, quelle individuate dal
Sistema Internazionale SI.

Per motivi sperimentali e teorici, il risultato di una misura è sempre affetto da errore. Tale errore ha
due fonti: il metodo sperimentale e l’abilità dello sperimentatore Ogni misura viene così definita
come un intervallo di valori entro cui probabilmente essa è compresa.

Esistono due tipi di errori: sistematici e casuali.

Gli errori sistematici possono dipendere dal malfunzionamento dello strumento, da un errore dello
sperimentatore volontario o involontario.
La caratteristica degli errori sistematici è che vanno tutti nello stesso verso: o sono sempre maggiori
del valore reale o sono sempre minori del valore reale.

Gli errori casuali sono quelli intrinseci nella sperimentazione, non hanno un verso ben preciso: a
volte sono maggiori del valore reale, a volte sono minori.

Esempio: pesare con la bilancia, ottenere misure diverse. Fatto un certo numero di pesate, si ottiene
un certo insieme di valori: il valore rappresentativo delle misure è la sua media; l’errore associato
alla misura sarà la sommatoria di tutte le differenze tra il valore medio e gli altri valori (errore
assoluto).

Questi errori vengono studiati dalla statistica.

Precisione e accuratezza.

Statisticamente queste due parole non sono sinonimi.

La precisione di una misura indica quante diverse determinazioni di una stessa grandezza sono in
accordo tra loro (ripetibilità e riproducibilità). Ha a che fare con la ripetibilità e la riproducibilità:

• La ripetibilità vuol dire che la stessa persona, nelle stesse condizioni, con lo stesso strumento
ripete la stessa misura n volte: essa dovrà avere lo stesso valore entro un certo limite;
• La riproducibilità vuol dire che un’altra persona, nelle stesse condizioni, ma con un altro
strumento e in un altro laboratorio prova a ripetere la stessa misura e nello stesso intervallo
di precisione deve ottenere gli stessi risultati.

L’accuratezza è relativa all’errore della misura (differenza tra il valore misurato ed il valore vero).

Cifre significative.

Il numero che deriva da una misura viene espresso con il conveniente numero di cifre significative.
Sono cifre significative di un numero tutte quelle note con certezza più una.

1) Il numero di cifre significative è 4.

2) Il numero di cifre significative é 2.

3) Il numero di cifre significative è 5.

4) Il numero di cifre significative è 3 (678).

È importante non distorcere l’informazione trascurando precisione laddove c’è, o aggiungendo


precisione laddove manca.

Tutti i valori rappresentano cifre significative.

Unica eccezione:

Gli zeri che precedono la prima cifra significativa (digit non nullo) non sono cifre significative.
Esempio: in 0.0012, gli zeri (in rosso) non sono cifre significative (il numero in questione ha due sole
cifre significative).
Notazione scientifica.

Ci sono delle regole precise per la virgola quando viene cambiata:

• Quando l’esponente è positivo, se muovo la virgola verso sinistra bisogna aumentare


l’esponente; se muovo la virgola verso destra bisogna diminuire l’esponente.
• Quando l’esponente è negativo avviene l’opposto.

Cifre significative: operazioni.

Il risultato di un calcolo non può essere più preciso del dato meno preciso usato per il calcolo stesso.
Nelle addizioni e nelle sottrazioni il risultato va arrotondato alla prima cifra incerta.
Dovendo sommare: 23.581 g + 125.21 g = 148.791 g

Il risultato sarà dato come: 148.79 g

Quando si devono effettuare calcoli consecutivi, è bene utilizzare per i valori intermedi una cifra
significativa in più rispetto a quelle “reali”, in modo da non perdere in precisione. Il risultato va però
poi riportato col numero corretto di cifre significative.

Decima lezione di Chimica:


I gas possono essere descritti, come visto in precedenza, dalla teoria cinetica dei gas: sono punti
aventi massa, ma privi di volume che si muovono con una certa distribuzione di velocità cioè
posseggono una certa energia cinetica. Nei gas le interazioni intramolecolari e intermolecolari
possono essere trascurate. L’unico contributo energetico nei gas è l’energia cinetica.

All’aumentare della pressione di un gas esso riduce il suo volume senza sforzo: questo è dovuto
all’assenza di interazione. Quando le molecole superano un certo contatto, si avrà il passaggio di
stato.

Al diminuire della temperatura, diminuisce l’energia cinetica di un gas: le interazioni a questo punto
si faranno sentire tanto da causare il passaggio di stato.

La chiave tra i vari stati della materia è il bilancio tra energia cinetica e l’energia potenziale (ossia
l’energia che attrae le molecole fra di loro).

Quando l’energia cinetica è molto maggiore rispetto all’energia presente fra le molecole le attrazioni
possono essere trascurate: lo stato è gas. Quando le attrazioni risulteranno paragonabili o
addirittura maggiori dell’energia cinetica la materia si troverà in una fase condensata di liquido o di
gas.

I solidi si dividono in:

- Solidi cristallini;
- Solidi amorfi.

I solidi cristallini sono caratterizzati da una disposizione ordinata degli atomi (ioni, molecole),
secondo un ben definito reticolo cristallino. I cristalli sono anisotropi.
Anisotropi=almeno una delle proprietà del materiale non è uguale in tutte le direzioni (esempio la
conduzione elettrica che dipende dalla direzione).

I solidi amorfi sono caratterizzati da una disposizione disordinata degli atomi (ioni, molecole),
paragonabile a quella presente nei liquidi. I solidi amorfi sono isotropi.

Isotropo= le proprietà del materiale sono uguali in tutte le direzioni.

Esempio solido cristallino: cubetti di ghiaccio.

Gli angoli sono sempre costanti; macroscopicamente è sempre ordinato.

Esempio solido amorfo: vetro.

Reticolo cristallino non ben definito.

I solidi: reticolo cristallino e celle elementare.

Il modo in cui si realizza la disposizione regolare degli atomi all’interno di un cristallo si chiama
struttura del cristallo. La disposizione regolare degli atomi in un cristallo si genera per ripetizione
periodica di un’unità di base nelle tre dimensioni.
La cella elementare, in base ai valori a, b e c che possono avere, in base agli angoli alfa, beta e
gamma che si possono generare si potranno avere diversi tipi di celle elementari.

Esempio: a=b=c e alfa=beta=gamma il risultato è una cella cubica semplice.

Per tutti i solidi cristallini si identificano sette tipi di sistemi cristallini:


• Cubica;
• Tetragonale;
• Ortorombica;
• Monoclina;
• Esagonale;
• Romboedrica;
• Triclina.

Gli atomi possono essere presenti anche al centro di un cubo o di ogni singola faccia di un cubo. Per
questo si possono avere quattordici variazioni dei sistemi cristallini.

Il sistema cristallino cubico può essere:

- Semplice: gli atomi sono solo ai vertici della cella elementare;


- A corpo centrato: c’è un atomo anche al centro del cubo;
- A facce centrate: su ogni faccia del cubo, al loro centro, c’è un atomo.

Queste tipologie sono presenti anche negli altri sistemi cristallini, con variazioni.
Solidi metallici.

Nei metalli gli atomi hanno un numero di coordinazione elevato e sono disposti come si
disporrebbero delle sfere in modo da lasciare il minore volume vuoto possibile (principio di
impacchettamento compatto).
Inizialmente questo concetto non fu applicato alla chimica. Il principio dell’impacchettamento
compatto fu sviluppato alla fine del 500 da un uomo che all’epoca cercava il Dorado. L’uomo cercava
di trasportare delle palle di cannone su di una nave e per riuscirci chiese ad un matematico come
poterle compattare in modo da portare più palle di cannone possibili.
Nei metalli gli atomi hanno un numero di coordinazione elevato e sono disposti come si
disporrebbero delle sfere in modo da lasciare il minore volume vuoto possibile (principio di
impacchettamento compatto).

La maggior parte dei metalli adotta una struttura cubica a facce centrate o esagonale compatta
(strutture a massimo impacchettamento).

Solidi ionici.

Nei solidi ionici gli ioni sono tenuti insieme da interazioni elettrostatiche.

(Prodotto delle cariche diviso la distanza per una certa costante.)

A= costante di Madelung, caratteristica del reticolo ionico.

Ogni ione occupa una posizione ben precisa nel reticolo ed è circondato da un numero ben preciso di
ioni di carica opposta (numero di coordinazione).

I solidi ionici si disporranno con il miglior impacchettamento compatibile con stechiometria, carica e
dimensioni relative degli atomi.

Spesso possono essere descritti come due reticoli compenetrati: un catione forma un certo reticolo
di Bravais, l’anione forma un altro tipo di reticolo di Bravais.
Spiegazione esempio riportato in immagine.

Nell’NaCl l’anione è più grande del catione ed è per questo che ogni ione cercherà di circondarsi di
sei ioni di carica opposta: ogni Na+ sarà circondato da sei Cl- e viceversa.

Tridimensionalità del reticolo NaCl.

Spiegazione esempio due riportato in immagine.


Il cesio e il cloruro hanno la stessa dimensione ed è per questo che ogni catione si metterà in mezzo
ad un cubo fatto di anioni: ogni Cs+ sarà circondato da otto Cl-.

Solidi covalenti.

Nei solidi a struttura covalente, tutti gli atomi sono uniti fra di loro mediante legami covalenti.

In un diamante ogni atomo di C è tetraedrico. L’immagine due presenta un reticolo cubico a facce
centrate.
Solidi molecolari.

Nei solidi a struttura molecolare, al contrario di quanto accade nei solidi covalenti, i legami fra gli
atomi non sono tutti dello stesso tipo.

Gli atomi che costituiscono una molecola sono legati mediante legami essenzialmente covalenti,
mentre gli atomi di molecole diverse sono tenuti insiemi da forze di attrazione di altra natura (forze
di van der Waals, legami ad idrogeno).
Nel ghiaccio ciascun atomo di ossigeno ha una struttura tetraedrica.
I liquidi.

• L’energia attrattiva intermolecolare nei liquidi è più rilevante dell’energia cinetica delle molecole.

• Non hanno l’ordine rigido dei solidi, ma neppure il completo disordine dei gas.

• Come i gas, sono isotropi e scorrono sotto l’effetto di una forza applicata.

• Come i solidi, sono densi e relativamente incomprimibili.

Le particelle, come nei gas, si muovono in maniera caotica (moto browniano), ma rimangono sempre
‘a contatto’, o a distanze tali da risentire delle reciproche interazioni attrattive.

I liquidi: tensione superficiale.


La tensione superficiale di un fluido è la tensione meccanica di coesione delle particelle sulla sua
superficie esterna; da un punto di vista termodinamico, è il lavoro necessario per aumentare la
superficie del continuo di una quantità unitaria.

I liquidi: tensione superficiale e bagnabilità di una superficie.

Nell’acqua è presente un menisco rivolto verso il basso, invece nel mercurio verso l’alto questo è
dovuto dal bilancio delle forze coesive e adesive.
I liquidi: tensione superficiale ed azione capillare.

Un altro effetto imputabile alla tensione superficiale dei liquidi si manifesta nell’innalzamento di un
liquido in un tubo capillare.

Il mercurio si comporta in modo opposto rispetto all’acqua perché le sue interazioni con la superficie
del vetro (forze adesive) sono meno forti di quelle tra atomi di mercurio (forze coesive).

Nell’acqua le forze adesive sono paragonabili: essa tenderà a far salire il suo livello in modo da
interagire il più possibile con le superfici del vetro.

Nel mercurio il livello tende a scendere perché prevalgono le forze coesive.

I liquidi: evaporazione e tensione di vapore.

Nei liquidi (e nei solidi), come nei gas, esisterà una certa distribuzione delle velocità molecolari
(energie cinetiche); pertanto esisterà sempre un certo numero di molecole con energia cinetica tale
da vincere le forze attrattive.

Lo stato in cui si trova la materia dipende da un bilancio di energia cinetica ed energia potenziale. Se
ad ogni temperatura esiste una distribuzione delle energie cinetiche allora ad ogni temperatura
esisterà sempre una certa percentuale di molecole che ha un’energia cinetica superiore delle forze
attrattive.

Se tali molecole si trovano sulla superficie del liquido, saranno in grado di passare allo stato di
vapore (gas) => evaporazione.
In chimica gas e vapore non sono sinonimi. Il gas si usa per molecole che a temperatura ambiente e
pressione atmosferica sono dei gas. Il vapore si usa per liquidi o solidi a temperatura ambiente.

Quando la velocità di evaporazione è uguale alla velocità di condensazione si raggiunge una


condizione di equilibrio.

La pressione esercitata dal vapore in questo stato di equilibrio è chiamata pressione di vapore di
equilibrio o più comunemente tensione di vapore.

Tutti i liquidi hanno una tensione di vapore diversa da zero.

In un recipiente aperto la velocità di evaporazione aumenterà sempre: condensazione ed


evaporazione non saranno mai equilibrate.

Esempio: bicchiere d’acqua o acetone.

In un recipiente di condensazione la velocità di evaporazione sarà uguale alla velocità di


evaporazione.
Le sostanze volatili hanno alta tensione di vapore (esempio: acetone).

Le sostanze altobollenti hanno bassa tensione di vapore (esempio: acqua).

Fornendo temperatura al liquido si avrà il fenomeno di ebollizione.


La temperatura di ebollizione aumenta all’aumentare del peso molecolare.

Undicesima lezione di Chimica.

Concetto di mole.

La mole è data dalla massa della sostanza in grammi diviso il peso atomico o molecolare a seconda
della specie che può essere un atomo o una molecola.

Formula chimica.

Una formula chimica è una rappresentazione sintetica che descrive quali e quanti atomi vanno a
comporre una molecola (o una unità minima) di una sostanza (formula bruta), nonché la loro
disposizione nello spazio (formula di struttura).

Nella formula bruta ogni tipo di elemento chimico è identificato attraverso il suo simbolo chimico. Il
numero di atomi di ogni elemento presente nella molecola viene indicato con un numero subscritto
se è diverso da uno, altrimenti viene omesso.

Esistono due tipi di formula bruta:

-Formula minima: fornisce il tipo di atomi ed i rapporti tra gli atomi ridotti al massimo comun
divisore relativo (i minimi numeri possibili).
-Formula molecolare: fornisce la composizione effettiva della molecola.

Trasformazioni fisiche, esempi:

-Acqua che bolle (passaggio di stato)

-Formazione di condensa o brina (passaggio di stato)

-Distillazione (processo di separazione)

Trasformazioni chimiche, esempi:

-Ferro che arrugginisce (ossidazione)

-Cottura dei cibi

-Combustione (nei motori e nelle cellule)

Le reazioni chimiche.

La reazione chimica è un processo in cui le sostanze si trasformano in altre sostanze, spesso


"scambiandosi" atomi e spesso coinvolgendo assorbimento o rilascio di energia.

Essa può essere rappresentata tramite diagrammi di energia.

Per far reagire due sostanze esisterà sempre una certa energia di attivazione (devo fornire
abbastanza energia). Se l’energia di attivazione è bassa vuol dire che c’è bisogno di poca energia per
far avvenire la reazione (è veloce). Se l’energia di attivazione è molto alta vuol dire che c’è bisogno di
molta energia per far avvenire la reazione (è lenta).
Una freccia che parte dai reagenti verso i prodotti indica che la seguente reazione è irreversibile. La
reazione va solo in un verso e dopo aver formato i prodotti non si torna indietro.

La doppia freccia indica una reazione di equilibrio. Essa può andare in entrambi i versi e per ogni
verso si avranno delle certe velocità di reazioni. All’eguagliamento delle due velocità si avrà una
situazione di equilibrio.

In una generica equazione chimica figurano:

➢ i simboli degli elementi che costituiscono i composti.

➢ le formule dei composti che costituiscono reagenti e prodotti.

➢ i coefficienti stechiometrici, fattori numerici che compaiono dinanzi le formule dei composti (nel
nostro caso a, b, c e d) e definiscono il rapporto con cui si combinano i reagenti per dar luogo ai
prodotti.

il rapporto stechiometrico indica il rapporto tra il numero di moli delle varie specie che partecipano
alla reazione chimica.

➢ lo stato di aggregazione delle sostanze che partecipano alla reazione.


Da un punto di vista più generale tutte le reazioni chimiche possono essere ricondotte a due tipi
fondamentali:

Una reazione redox è l’insieme di una reazione di riduzione e una reazione di ossidazione.

Nel caso della reazione di ossidazione vengono ceduti gli elettroni.

Nel caso della reazione di riduzione vengono acquisiti gli elettroni.


Una reazione acido-base ha varie definizioni. Un acido è una sostanza che vorrà attrarre a sé gli
elettroni. Una base è una sostanza che vorrà allontanare gli elettroni. Questo non permetterà
nessun trasferimento di elettroni e il numero di ossidazione rimarrà invariato.

Le reazioni chimiche possono inoltre essere classificate in varie tipologie a seconda di come si
riaggregano tra loro gli atomi o i gruppi atomici presenti nei reagenti (di sintesi, di decomposizione,
di spostamento, di doppio scambio ionico, di neutralizzazione).

Bilanciamento – Principio di Lavoisier.

Tutte le reazioni chimiche vanno bilanciate. La somma degli atomi presente nei reagenti dovrà
eguagliare la somma degli atomi nei prodotti (principio di Lavoisier).
È il metodo più semplice per bilanciare una reazione. Il coefficiente uno può essere omesso.

Le regole sopra citate non sono valide sempre.

Spiegazione immagine:
Se io prendo una molecola di azoto la dovrò far reagire con tre molecole di idrogeno per ottenere
poi due molecole di ammoniaca.
Il reagente limitante è l’idrogeno.
La resa di una reazione è strettamente legata ai reagenti in eccesso e in difetto. Far reagire due
reagenti non significa ottenere il 100% di quello che si è messo.
Dodicesima lezione di Chimica.

Numero di ossidazione.

La IUPAC è l’ente internazionale che si occupa della nomenclatura della Chimica.

Definizione IUPAC:

«È la carica che un atomo acquisisce dopo aver approssimato tutti i suoi legami eteronucleari in
legami ionici» (tutti gli elettroni impegnati nei legami si localizzano sull’atomo più “elettronegativo”).

Legami eteronucleari: legami tra specie diverse.

Nella foto è riportato un legame idrogeno-ossigeno (legame eteronucleare) e devo considerare che
entrambi gli elettroni che sono impiegati nel legame apparterranno all’ossigeno.

Il legame ossigeno-ossigeno è chiamato omonucleare ed è un legame covalente puro: i due elettroni


saranno su ogni corrispettivo atomo.

Il legame ossigeno-azoto è un legame semplice in cui si ha più elettronegatività per l’ossigeno:


questo comporta che gli elettroni saranno sull’atomo più elettronegativo.

Il legame azoto-ossigeno è un legame doppio in cui si presenta la stessa situazione della precedente.

Numero di ossidazione: regole.

- La somma dei numeri di ossidazione deve essere uguale alla carica della specie;
Se la specie è neutra, di carica zero, la somma dei numeri di ossidazione deve fare zero. Se è un
catione o un anione la somma dei numeri di ossidazione deve essere uguale alla carica del catione o
dell’anione.

- Il numero di ossidazione allo stato elementare è uguale a zero;

- Il numero di ossidazione degli elementi del primo, secondo e terzo gruppo è +1, +2 e +3…

…tranne allo stato elementare;

- Il numero di ossidazione dell’idrogeno è +1…

…tranne che con gli elementi del primo, secondo e terzo gruppo (-1) e allo stato
elementare (0).

Nei perossidi il numero di ossidazione dell’ossigeno è -1; Nei superossidi il numero di ossidazione
dell’ossigeno è -½.
Reazioni redox.

Se in una reazione uno o più elementi cambiano il loro stato di ossidazione, questa è una reazione
di ossidoriduzione (redox).
Il termine ossidazione indica la perdita di elettroni da un reagente, mentre riduzione si riferisce
all'acquisto di elettroni da parte di un altro reagente.

Una specie che si ossida è chiamata anche agente riducente perché riduce l’altra specie; la specie
che si riduce è chiamata anche agente ossidante perché ossida l’altra specie.

Reazioni redox: dismutazioni.

Talvolta l’elemento che si ossida può essere lo stesso che si riduce, in tal caso la reazione prende il
nome di dismutazione.
È possibile scrivere la reazione precedente anche com’è riportata sopra (in forma ionica). Quando la
reazione viene riportata nel secondo modo è opportuno specificare se essa si trova in un ambiente
acido o basico.

In ambiente acido bisogna bilanciare la reazione aggiungendo H+; in ambiente basico bisogna
bilanciare la reazione aggiungendo OH-.

Per bilanciare questo tipo di reazione bisogna seguire le stesse regole viste prima per una normale
reazione redox.
Reazioni redox: respirazione cellulare.

La respirazione cellulare è un processo di combustione nel quale i nutrienti, ridotti dalla digestione a
componenti elementari come zuccheri semplici, amminoacidi e acidi grassi, vengono demoliti in
molecole ancora più semplici ottenendo energia disponibile alla cellula sotto forma di ATP. È
rappresentata dalla seguente reazione generale:
Reazioni redox: fermentazione alcolica.

Forma di metabolismo che avviene in alcuni lieviti in assenza di ossigeno.

Es. lievitazione del pane, trasformazione del mosto in vino, produzione della birra.

Tredicesima lezione di Chimica.

Tensione di vapore

Nei liquidi (e nei solidi), come nei gas, esisterà una certa distribuzione delle velocità molecolari (energie
cinetiche); pertanto esisterà sempre un certo numero di molecole con energia cinetica tale da vincere le forze
attrattive.
Nei liquidi, un certo numero di molecole sulla superficie evaporerà. Queste molecole che passeranno alla fase
gas urteranno le molecole presenti nel gas (es: aria) e dunque una certa percentuale condenserà. Si formerà così
una certa velocità di evaporazione e una certa velocità di condensazione.

Quando la velocità di evaporazione = velocità di condensazione si raggiunge una condizione di equilibrio. La


pressione esercitata dal vapore in questo stato di equilibrio è chiamata pressione di vapore di equilibrio o più
comunemente tensione di vapore.

Per esprimere in qualche modo l’equazione della velocità dei processi si avrà che:

• La velocità di evaporazione sarà sempre costante;


• La velocità di condensazione dipenderà dalla concentrazione presente nel gas.

Nel tempo la velocità di evaporazione è dominante rispetto alla velocità di condensazione: ci sono poche
molecole che passeranno in fase gas. Man mano che passa il tempo si avrà un aumento della velocità di
evaporazione più alta; la concentrazione aumenterà nel tempo permettendo così l’aumento della velocità di
condensazione fino a che le due misure si eguaglieranno (situazione di equilibrio dinamico). Al netto non
avviene nessuna trasformazione, ma al microscopio si.

Curve di equilibrio liquido-vapore.

La tensione di vapore dipende dalla sostanza e dalla temperatura ed aumenta all’aumentare di quest’ultima.

La dipendenza dalla T (espressa in K) per solidi e liquidi può essere descritta dalla stessa funzione matematica
(esponenziale).
Tensione di vapore= costante (fattore pre-esponenziale) per e elevato alla -B (un’altra costante) diviso
alla temperatura assoluta.

La tensione di vapore, in qualche modo, è la proprietà che delimita se la sostanza è in fase condensata
o in fase solida.
Curve di equilibrio solido-vapore.

Analogamente la curva di equilibrio solido-vapore è qualitativamente simile alla curva liquido-vapore. Tutti i
punti sulla curva rappresentano stati di equilibrio tra la fase vapore e la fase solida. A destra i punti
rappresentano lo stato di vapore, a sinistra solida.

Tutti i punti sulla curva rappresentano stati di equilibrio tra la fase vapore e la fase solida.
Curve di equilibrio fase condensata-vapore.
Mettendo insieme le curve della tensione di vapore del solido e quelle del liquido cosa succede?
L'immagine sopra lo spiega.

La tensione di vapore della fase solida aumenterà con la temperatura secondo un andamento
esponenziale.

La curva di tensione di vapore della fase liquida ha una fine.


Diagramma di stato (o di fase).

Le curve disegnate sopra rappresentano parzialmente un diagramma di stato.

Si intende per diagramma di stato un grafico (P vs T) in cui vengono riportate le curve di equilibrio fra le varie
fasi di un dato sistema.

Le curve limite che separano le diverse regioni descrivono le condizioni nelle quali due fasi possono coesistere
in equilibrio dinamico reciproco.

L’uso di questi diagrammi consente di descrivere fenomeni quali i passaggi di stato e alcune proprietà delle
soluzioni.

Sistema: porzione o regione di materia che contenente una quantità ben definita di una o più sostanze presenti
sotto forma di una o più fasi.

Fase: è la porzione di un sistema (termodinamico) che presenta uno stato fisico ed una composizione chimica
uniformi.

Equilibrio: stato di un sistema caratterizzato da assenza di trasformazioni spontanee.

Il concetto di fase non corrisponde al concetto di stato di aggregazione, dunque quando si parla di fase solida,
fase liquida o fase gassosa si sta specificando lo stato di aggregazione che caratterizza una particolare fase del
sistema, ma all'interno dello stesso sistema possono essere presenti ad esempio più fasi liquide o più fasi solide.
Diagramma di stato riportato in immagine:

La prima curva rappresenta la tensione di vapore del solido, la seconda rappresenta la tensione di vapore del
liquido. Esse si intersecano in un punto chiamato punto triplo. La tensione di vapore del liquido termina in un
punto critico.

La curva solida-liquido ha generalmente pendenza positiva (ad eccezione per es. dell’acqua).

Punti sulla curva rappresentano punti di equilibrio tra le fasi.

Si avrà una certa pressione nel punto triplo (Pt) in cui possono coesistere ad una certa temperatura
le tre fasi.

Effettuando una trasformazione ad una pressione costante minore della pressione del punto triplo
(fase solida) intercetto la curva di equilibrio solido-vapore, questa rappresenterà la temperatura di
sublimazione. Per un aumento della temperatura la sostanza passerà in fase gas.

Effettuando una trasformazione ad una pressione costante maggiore della pressione del punto triplo
(fase solida) all’aumentare della temperatura intercetto la curva di equilibrio solido-liquido, questa
rappresenterà la temperatura di fusione. La sostanza passerà dallo stato solido a quello liquido. A
pressione costante intercetto la curva di equilibrio liquido-vapore, questa rappresenterà la
temperatura di ebollizione. La sostanza sarà in fase vapore.

In fase liquida aumentando la pressione, a temperatura costante, si intercetta ad un certo punto la


fase gas.

Diagramma di stato (o di fase): CO2.


La pressione atmosferica è inferiore a quella del punto triplo e quindi la CO2 all’aria sublima (‘ghiaccio
secco’).

È caratterizzato da un punto triplo di 5.2 atm ad una temperatura di -57°. Ad 1 atm intercetta solo la
curva di tensione di vapore solido-vapore. Il ghiaccio secco viene utilizzato per creare un termostato
a -78°. Alla temperatura di sublimazione ci sarà un equilibrio tra la fase gas e fase vapore.

Diagramma di stato (o di fase): H2O.

Perché la pendenza della curva solido-liquido è negativa (fino a 2000 atm) nel caso dell’acqua?

Il punto triplo si trova a 4.58 atm ad una temperatura di 0.01°.

La temperatura decresce all’aumentare della pressione.


Principio dell’equilibrio mobile (LeChatelier).

Il principio dell’equilibrio mobile spiega perché la curva di equilibrio solido-liquido, nell’acqua, ha pendenza
negativa. All’aumentare della pressione, la temperatura di fusione si sposta a temperature sempre più negative.

«Se alteriamo le condizioni di un sistema, inizialmente all’equilibrio, la posizione dell’equilibrio si sposta in


una direzione che tende a ristabilire le condizioni iniziali.».
Ovvero, il sistema in equilibrio reagisce alle variazioni esterne delle condizioni (di equilibrio) tendendo a
minimizzarle.

Es. sistema ghiaccio-acqua

Poiché l’acqua è una delle pochissime sostanze che ha un volume specifico più grande allo stato solido che allo
stato liquido, in un sistema acqua-ghiaccio all’equilibrio, un aumento di pressione comporta la trasformazione
di ghiaccio (volume specifico maggiore) in acqua liquida (volume specifico minore), cioè minimizzando la
sollecitazione esterna (aumenta di pressione).

Il principio di LeChatelier spiega anche com’è possibile pattinare sul ghiaccio. Le lame dei pattini
applicano una pressione sul ghiaccio (trasformazione a temperatura costante facendo incrementare
la pressione).
Curve di riscaldamento (o raffreddamento).

Le trasformazioni a P costante viste finora possono essere tramite le cosiddette curve di riscaldamento, ovvero
seguendo l’andamento della temperatura in funzione del tempo.

Si prende il materiale e lo si riscalda lentamente a pressione costante e osserviamo come varia la


temperatura del sistema riportandolo in un grafico.

Esempio: cubetto di ghiaccio.

Punto di partenza A. Riscaldiamo il cubetto di ghiaccio: aumenta l’energia cinetica, sale la


temperatura costantemente fino al tratto B (0°).
Tratto B-C la temperatura rimane costante e avviene il processo della fusione (aumento dell’energia
potenziale).

Tratto D-E avviene il processo di ebollizione.

Tratti A-B, C-D, E-F: il calore fornito determina un aumento di energia cinetica.
Tratti B-C, D-E: il calore fornito determina un aumento dell’energia potenziale e la T resta costante (calore
latente).

Calore latente: quantità di energia che occorre fornire al sistema (o che viene ceduta dal sistema) per far
avvenire la transizione di fase.

I passaggi di fase avvengono a temperatura costante.

Una reazione chimica che durante il suo svolgimento sviluppa calore è detta "esotermica", mentre
una reazione chimica che durante il suo svolgimento assorbe calore dall'esterno è detta
"endotermica".

Una reazione esotermica è quindi una reazione che comporta un trasferimento di calore dal sistema
all'ambiente: processi che liberano calore.
Fenomeni di sottoriscaldamento o sottoraffredamento.

Alla T idealmente si dovrebbe avere un tratto costante (il tratto b-d tratteggiato);

Tuttavia nel tratto b-c il sistema continua a cedere calore a spese dell’energia cinetica (che diminuisce) media
delle molecole=> sotto raffreddamento; difficoltà da parte delle molecole di liquido a sistemarsi in modo
ordinato. La curva non è costante, ma diminuisce fino al punto tc.

Al tempo tc si ha la formazione del primo germe cristallino (che favorisce l’organizzazione delle molecole di
liquido nel reticolo cristallino).

Miscugli-Sistemi omogenei.
I miscugli possono avvenire tra sostanze in qualsiasi stato della materia: solidi-solidi, liquido-solido,
gas-solido,ecc.

Ad esempio l’ottone o l’acciaio sono miscugli omogenei di due elementi. L’ottone è composto da rame
e zinco. L’acciaio è una lega tra ferro e carbonio.
Una miscela gassosa è un sistema omogeneo.

Le soluzioni sono sistemi omogenei.


Sistemi eterogenei.

• Appaiono torbidi, opachi

• I componenti possono essere separati per filtrazione, centrifugazione.


Esempi di sistemi eterogenei sono la sabbia e l’acqua, l’olio e l’acqua o la schiuma su un liquido.

Esempi di sistemi eterogenei.

Il latte è un sistema colloidale. Per distinguere un colloide da una soluzione basta provare a vedere
come interagiscono con la radiazione visibile. Facendo passare un laser attraverso una soluzione il
laser lateralmente non sarà visibile. Se il laser passa attraverso un colloide si vedrà lateralmente il
laser. Le singole particelle del colloide danno un fenomeno di diffrazione.

Sistemi colloidali.

Le particelle sospese hanno dimensioni molto piccole (mm, µm o nm)

• A seconda della dimensione delle particelle appaiono opachi (mm, µm) oppure trasparenti (nm).

• I componenti possono essere separati mediante membrane semipermeabili (membrane dializzanti),


o variazioni di temperatura.

• Diffusione della luce (effetto Tyndall).


Le soluzioni e la concentrazione.

Una soluzione è un sistema omogeneo costituito da due o più componenti: soluto e solvente. Il
solvente è il componente principale.

Le proprietà di una soluzione non dipendono dalle quantità assolute di ciascun componente, ma dalle
loro quantità relative.

Spesso risulta importante definire la concentrazione di una soluzione.

Concentrazione: esprime la quantità relative dei componenti di una soluzione.

Misure di concentrazione.

Esistono varie unità di misura che possono riportare la concentrazione di una soluzione:

• Molarità.

• Frazione molare.

• Molalità.

• Percentuale in volume (o in massa).


Spiegazione immagine:

Si immagini che in questo sistema ci siano due palline di colore diverso:

- I pallini rossi sono il soluto;


- I pallini azzurri sono il solvente.

Se considero un quadrato di sfere blu posso dire che in ogni quadrato di sono cinque sfere rosse. Non
è importante quanti quadrati ci saranno, ciò che conta sono le cinque sfere (la concentrazione) per
quadrato.

La concentrazione è il numero di particelle e i quadrati (il volume).

La concentrazione di quantità di sostanza (molarità), è un'unità di misura della concentrazione di una specie
chimica in una soluzione, è definita come le moli di soluto presenti in un litro di soluzione.

Qual è la differenza tra una soluzione diluita e concentrata?


Una soluzione diluita è quella che avrà un numero di particelle per volume in soluzione più basso (tre
particelle rosse per quadrato). Una soluzione concentrata potrebbe contenere dalle cinque palline
rosse in su per volume di soluzione.

Le soluzioni: solubilità.

La solubilità indica la quantità (concentrazione) massima di una sostanza (soluto) che può sciogliersi
in un’altra sostanza (solvente) per dare una soluzione, ad una data temperatura e ad una data
pressione.
L’interazione solvente-soluto si dice solvatazione.

Il grado di solubilizzazione di un solido è dato dalla competizione di due forze, entrambe di natura
elettrostatica.
Fattori che influenzano la solubilità.
• Natura del soluto e del solvente (segue la teoria del «il simile scioglie il simile»): sostanze polari si
scioglieranno in solventi polari, sostanze apolari si scioglieranno in solventi apolari.

• Temperatura.

• Pressione (in genere trascurabile per la solubilità di solidi e liquidi; molto importante per soluzioni
in cui il soluto è un gas).

Solubilità: dipendenza dalla temperatura.

Osservando la variazione della maggior parte dei sali alcalini (del primo gruppo) al variare della
temperatura si noterà che essa aumenta o al più resta costante. La solubilità (Cs).

Solubilità: dipendenza dalla pressione.


Quattordicesima lezione di Chimica.
Prendiamo l’acqua e ci aggiungiamo NaCl (poco volatile). Come si modifica il diagramma di stato?
Spiegazione immagine.

Le linee continue rappresentano il diagramma di stato dell’acqua. Aggiungendo il sale, la tensione di


vapore della soluzione si abbassa rispetto a quello dell’acqua pura. Il punto triplo, all’abbassamento
della tensione di vapore della soluzione sarà conseguentemente modificato e con esso anche
l’equilibrio solido-liquido.

L’abbassamento relativo della tensione di vapore della soluzione si esprime matematicamente


attraverso la legge di Raoult.

Essa è data dalla moltiplicazione della tensione di vapore del solvente puro (P0) per la frazione molare
del solvente (Xsolvente). Poiché la frazione molare di una soluzione sarà sempre minore di uno quello
della soluzione sarà sempre più bassa di quella del solvente puro.

La somma delle frazioni molari deve fare 1. Sostituendo questa supposizione nella legge di Raoult essa
può essere scritta matematicamente come la terza equazione riportata sopra.
L’equazione svolta è riportata alla quarta riga. La soluzione è l’ultima equazione.
La seconda proprietà colligativa è l’innalzamento ebullioscopico.

È data dalla temperatura di ebollizione della soluzione meno la temperatura del solvente puro. Essa è
direttamente proporzionale alla molalità della soluzione. L’innalzamento ebullioscopico dipende da
una costante chiamata costante ebullioscopica che è caratteristica del solvente.
L'elettrolita è una sostanza ionica che si dissocia in acqua per formare ioni. Il nome deriva dal fatto
che essi trasportano corrente elettrica. Un elettrolita è forte quando si dissocia completamente in
acqua (es: NaCl). Un elettrolita è debole quando si dissocia solo una certa concentrazione.

In questo caso bisogna aggiungere un fattore correttivo alle proprietà colligative che prende il nome
di coefficiente di van’t Hoff.

Se il coefficiente di van’t Hoff è uguale a 1, la sostanza non si scioglie e non è solubile: non si dissocia
nel solvente.

Se il coefficiente di van’t Hoff è maggiore di 1, la sostanza si scioglie e in base alla sua stechiometria si
dissocia.
L’abbassamento crioscopico dipende da una costante che prende il nome di costante criogenica
specifica per ogni solvente.
soluzioni isotoniche: sono due soluzioni con stessa concentrazione di soluto tra loro;

soluzione ipertonica: è una soluzione con maggiore concentrazione di soluto rispetto ad un'altra soluzione;

soluzione ipotonica: è una soluzione con minore concentrazione di soluto rispetto ad un'altra soluzione.
Sedicesima lezione di Chimica.
Esperimento spiegazione:

Prendendo una laminetta di zinco e immergendola in una soluzione acida (acido solforico) essa nel
tempo viene consumata. Si formerà solfato di zinco e idrogeno.

Secondo esperimento spiegazione:

Facendo reagire il carbonato di sodio e il cloruro di calcio si avrà la formazione di sodio cloruro e
carbonato di calcio.

Nel 1803 Berthollet si accorse, studiando l’acqua di un lago salato, della presenza di una certa
concentrazione di cristalli di carbonato di sodio (reagente di partenza). Fino ad allora era rimasta l’idea
che le reazioni chimiche avvenissero in un solo verso: egli ipotizzò che le reazioni potessero andare
anche nella direzione opposta. Ipotizzò che l’eccesso di sale presente nel lago favorisse il ritorno
indietro (la formazione del carbonato di sodio). Questa fu una prima ipotesi di equilibrio chimico. Il
processo è chiamato reversibile o invertibile.
L’equilibrio chimico è un equilibrio dinamico.

Si immagini una generica reazione: a più b che genera c e d. È presente una certa molarità che è il
numero di particelle in un certo quadrato. Al passare del tempo si consumerà una percentuale del
reagente e si formeranno i prodotti. Si arriverà al momento in cui quasi tutti i reagenti vengono
convertiti in prodotti.

La velocità nel tempo subisce una variazione: all’inizio essa sarà elevata; con il tempo la
concentrazione diminuisce e la velocità diminuirà a sua volta.

La velocità di una reazione chimica dipende dalle concentrazioni delle specie presenti e da una certa
costante.
Nella reazione inversa la velocità in funzione del tempo prevede:

- Alla fine della reazione la velocità sarà massima;


- Nel tempo si avrà una diminuzione di velocità della reazione.

Osservando le variazioni di concentrazione nel tempo considerando una reazione diretta nel tempo
essa si consuma completamente e quella dei prodotti aumenta nel tempo fino ad un valore massimo
in cui tutti i reagenti sono stati convertiti.
Con il passare del tempo la velocità dei reagenti diminuirà e nella reazione inversa aumenterà. Esisterà
un istante nel tempo in cui le due velocità si eguaglieranno. Questa situazione, in cui due velocità sono
equivalenti, è chiamato equilibrio chimico.

Nella reazione diretta la velocità diminuisce nel tempo; nella reazione inversa la velocità aumenta nel
tempo.

Considerando la variazione di concentrazione i reagenti si consumeranno fino ad un certo valore che


resterà costante.

All’equilibrio non ci sarà una variazione nelle concentrazioni.


Generalizzando la reazione presupponiamo che ci siano anche dei rapporti stechiometrici.

Definiamo così il quoziente di reazione. Esso è dato dal rapporto del prodotto delle concentrazioni dei
prodotti fratto il prodotto delle concentrazioni dei reagenti. Per una reazione di equilibrio, il quoziente
di reazione varierà nel tempo fino ad arrivare ad un certo punto costante all’equilibrio.
Keq= legge di azione di massa.

La costante di equilibrio dipende dalle concentrazioni e dalla temperatura ed è costante a seconda di


queste ultime.

Analogamente è possibile scrivere l’inverso della costante di equilibrio (K’eq).


Quando le concentrazioni sono espresse in molarità questa espressione si scrive anche Kc.

In fase gassosa posso scrivere la costante di equilibrio in termini di pressioni parziali.

Si può ricavare una relazione tra Kc e Kp ricordando l’equazione di stato di un gas ideale. È stato messo
in evidenza il numero di moli diviso il volume che rappresenta la molarità.
Delta n è la variazione del numero di moli.
Considerando degli equilibri eterogenei, in cui ci sono reazioni eterogenee.
Al modificare della temperatura, che dipende dal tipo di reazione che può essere endotermica o
esotermica, avrò diverse variazioni.

Una reazione chimica che durante il suo svolgimento sviluppa calore è detta "esotermica", mentre
una reazione chimica che durante il suo svolgimento assorbe calore dall'esterno è detta
"endotermica".

Nella reazione endotermica il calore può essere considerato come uno dei reagenti. All’aumentare
della temperatura, fornisco calore, fornisco un reagente e la reazione deve spostarsi verso i prodotti.

Diminuendo la temperatura, diminuisco il calore e sottraggo uno dei reagenti la reazione deve
spostarsi verso i reagenti.
In una reazione esotermica nei prodotti si ha il calore. All’aumento della temperatura, fornisco calore
e l’equilibrio si sposterà verso i reagenti. Al diminuire della temperatura, diminuisce il calore e
l’equilibrio si sposterà verso i prodotti.
1) all’aumentare della pressione l’equilibrio si sposta verso i prodotti; nei reagenti ho quattro
molecole.

2) al diminuire della pressione l’equilibrio si sposta verso i prodotti, all’aumentare verso i reagenti.

3) all’aumentare della pressione l’equilibrio resta invariato.

Diciannovesima lezione di Chimica:


Ventesima lezione di Chimica.

Titolazione.

Tecnica analitica che permette di determinare la concentrazione (titolo) incognita di una soluzione
mediante l’impiego di un’altra soluzione a concentrazione esattamente nota.

La sostanza di cui è noto il titolo si dice titolante, quella da titolare si dice titolando.
Le reazioni su cui si basano le titolazioni devono essere:

• Rapide.

• Complete (quantitative).

• Avere stechiometria nota.

• Devono far variare un parametro (chimico-fisico) rilevabile.

Esempi di titolazioni: Acido-base, Redox, Precipitazione.

Titolazione acido forte-base forte.

• Ad un volume noto della soluzione di titolando (es. HCl) tenuto sotto agitazione, si aggiunge goccia
a goccia dalla buratta il titolante a concentrazione nota (es. NaOH).
Ventunesima lezione di Chimica.

TERMODINAMICA.

Determina se un processo avviene oppure no. O meglio, determina se una reazione avviene in un verso
o nel verso opposto (ci dice la costante di equilibrio di una reazione).

CINETICA.

Ci dice quanto velocemente avviene un processo.

Funzioni di stato.
Le proprietà che determinano lo stato di un sistema vengono definite funzioni di stato. Es. pressione,
temperatura (intensive), volume, energia interna (estensive), ecc… Ciascuna funzione di stato deve
assumere un unico determinato valore per ogni particolare stato; di conseguenza, la variazione di una
funzione di stato nella trasformazione da uno stato A ad uno stato B deve essere data dalla differenza
dei valori che essa assume negli stati B ed A, indipendentemente dal cammino seguito, cioè dal modo
in cui avviene detta trasformazione. Le funzioni di stato non sono in generale tutte indipendenti le une
dalle altre, ma esistono tra di essere relazioni dette equazioni di stato.
L’energia libera di Gibbs.

In accordo al II° principio della termodinamica, i sistemi si trasformano in modo da portare ad un


aumento di entropia totale, cioè della somma dell’entropia del sistema e di quella dell’ambiente
esterno.

Questa enunciazione ha il vantaggio di essere di validità generale, ma nel valutare una trasformazione
è necessario valutare sia la variazione di entropia del sistema in esame, sia di tutti i sistemi con cui
esso interagisce.

Tuttavia, se le trasformazioni che subisce un sistema avvengono sotto determinate condizioni, il II°
principio della termodinamica può assumere forme particolari ce ci permettono di prendere in
considerazione una funzione di stato del solo sistema in esame (senza considerare l’ambiente
esterno).
Ventiquattresima lezione di Chimica:

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